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CL. s opto e FARSI IPS RENEE I | CREMA C. — Alcune notizie 2 a di aa sulla Sprugola della Spezia e sui tentativi fatti per captarne le acque . . .. .... 337 FRANCHI S. — Le « arenarie di Annot » e la « zona ad Helminthoida » nell’ Eocene delle Alpi marittime e dell'Appennino genovese . . . . 233 LoTTI B. — Il monte Fumaiolo e le sue sorgenti . . ........ 115 MODERNI P. — Su la conca di Bolsena. . . . . ì 3 idr e NovaRESE V. — Il Quaternario in Val d'Aosta e nelle valli del Canavese. ili: Gib stade Postwurmiani” i. 000 e e nt Ce MARAINI Vi — Considerazioni sismologiché =... 0.0. LL. 04 197 Ip. — Sulla conca di Bolsena. . . . . ? "RA ; e A I TARICcCO M. — Nota preliminare su località fossilifere nel She ME AI Toso P. — Sul modo di formazione dei giacimenti petroliferi e solfiferi . 7 pere nistal Pietro Zozi (V- NOVARESE). 3}: 0.02. 0 l Bibliografia geologica italiana per il 1913. Fascicoli 1-2 e 3-4. (Veggasi l'indice per autori in fine della Bibliografia). ATTI UFFICIALI. feel Comitato geologico li dei e e II Verbale dell'adunanza del 23 giugno 1915... ...... È IV Relazione dei lavori di campagna e d'ufficio eseguiti nell'anno 1914 e 1° semestre 1915, e proposte per quelli da eseguirsi durante l’anno N II RR RO XIII Fascicolo 1-2 : i Note originali Bibliografia . Atti ufficiali. Fascicolo 3-4: Note originali Bibliografia . PETTO: (CORZA (1844-1914), Bollettino del I. Comitato Geologico d'Italia Serie V, Vol. V. . Anno 1915. Fascicolo i e2 9° POEECI ro. a E 4 | L’improvviso aggravarsi di una malattia che da lungo tempo | l’affliiggeva spense, il 29 dicembre 1914, l’ingegnere PIETRO ZEZzI, Ispet- tore superiore del Corpo Reale delle Miniere a riposo. La sua scom- parsa è lutto di famiglia per l’Ufficio Geologico, di cui, per data di nomina, fu il primo e più antico funzionario, e Capo dalle origini fino al 1907. Ara | Gian Pietro Zezi nacque a Cremona il 3 dicembre 1844; studiò matematiche nell’Ateneo pavese, e si laureò a Milano in quel Poli- tecnico nel 1866. La campagna di guerra per l’indipendenza di quel- l’anno lo ebbe volontario nelle file dell’esercito. Entrato per con- corso, verso la fine dell’anno seguente, nel Corpo Reale delle Miniere quale allievo ingegnere, fu, secondo la consuetudine del Corpo, man- dato per un biennio a frequentare i corsi della Semola iniperiale delle Miniere di Parigi. Erano quelli gli anni in cui l’Istituto di Stato peril rilevamento della Carta Geologica d’Italia, ideato fino dal 1861 ma non potuto attuare, andava a poco a poco prendendo forma concreta attraverso molteplici difficoltà politiche e finanziarie, grazie alla tenacia ed alla perseveranza di Quintino Sella e di Felice Giordano. Nell’intento di aggregare alla nascente istituzione, costituita allora dal solo Co- mitato geologico, composto di uomini maturi ed assorbiti da altri uffici, un giovane volenteroso che potesse dedicarvi intieramente la sua attività, si erano posti gli occhi sullo Zezi mentre era ancora a Parigi, raccomandandogli di specializzarsi nello studio della geologia ed incaricandolo, per completare la sua istruzione, di visitare alcuni dei Servizi geologici di Stato stranieri allora in funzione. 2 NECROLOGIA In seguito a ciò, al suo ritorno in Italia, nella seconda metà del 1869, colla nomina ad Ingegnere di 3% classe nel Corpo delle Mi- niere, ebbe pure quella di Segretario del Comitato Geologico, che era insieme il germe primo dell'Ufficio Geologico e la designazione nel futuro a Capo di esso dello Zezi. E come primo arrivato gli toccò un grave compito perchè, sia pure sotto la guida del Giordano e dei maggiori uomini del Comitato Geologico di allora, devette organiz- zare l'Ufficio nascente ed impiantarne ad uno ad uno i varii servizi, a cominciare da quello importantissimo del Bollettino, per venire alla stampa delle carte geologiche e delle Memorie illustrative, alle collezioni scientifiche e tecniche ed agli schedarii bibliografici, nonchè i servizi d’ordine relativi. Di tutte queste cose all’ingresso dello Zezi nell'Ufficio non esisteva nemmeno l’embrione : ed a suo merito può dirsi che di quanto fece, trascorsi oramai quasi cinquant’anni si apprezzano ogni giorno di più i vantaggi, senza che siano venuti in luce apprezzabili inconvenienti. Ed a quest’opera lo Zezi dedicò l’intiera sua vita, che s’îimmedesima per ciò colla storia dell’ Ufficio Geologico, nel quale Egli ha esplicato le migliori facoltà ed attitu- dini del suo temperamento, acquistando grandi benemerenze non solo verso l’Istituto che ha contribuito a creare, ma verso la scienza geo— logica in generale. Perchè se l’incremento di questa, come di tutte le scienze, de- riva in prima linea dalle indagini e dalla speculazione, per la sua particolare natura è indispensabile al suo regolare e continuo pro- gredire, una buona organizzazione del lavoro, l’accurata conservazione ed ordinamento del materiale documentario, e la pronta ed efficace diffusione delle sue conquiste. Questo secondo ordine di attività è, a torto, meno celebrato del- l’altro più diretto, sebbene sia in non minore grado giovevole al pro- gresso scientifico, perchè integra gli sforzi singoli, diminuendo od evitando nel lavoro faticoso di ricerca, la dispersione delle energie a scopi subordinati, e consente dello sforzo il massimo effetto utile: se non dà modo di mettere in mostra le brillanti qualità dell’ingegno, esige in chi vi si dedica solide virtù di ordine, alacrità, perseveranza % x Mata o Carra FAST ZO TIR b. ve NECROLOGIA ti ed abnegazione, che non meno delle altre sono rare e pregevoli. E sotto questo rispetto, come dimostrano i risultati ottenuti, la scelta dello Zezi fu felice e prova l’acume di chi la fece, intravedendo nel gio- vane i requisiti indispensabili all’incarico ponderoso che gli si affidava. Nè può dirsi che lo Zezi sia rimasto del tutto estraneo alle inda- gini geologiche nel senso stretto della parola. Egli ha per non pochi anni partecipato al rilevamento dell’Ufficio nella Campagna romana, nel Lazio e nell’Abruzzo, e parecchi fogli della Carta Geologica di quelle regioni portano il suo nome; scrisse pure talune note illustrative dei terreni rilevati ed altre di applicazioni geologiche, ma in complesso questa parte della sua operosità appare scarsa perchè per l’elabora- zione scientifica di quanto aveva osservato gli mancò sempre il tempo, essendo le sue attività di operatore e di studioso subordinate alle esigenze della sua carica di Direttore dell’Ufficio, che Egli adempì sempre con molta coscienza e scrupolo. La maggiore di queste fu laredazione del « Bollettino del R. Co- mitato Geologico » iniziato da Lui nel 1870, e di cui si occupò sem- pre con grande amore finchè rimase nell'Ufficio. Ile prime annate del Bollettino sono opera sua per la cospicua parte che allora vi pren- devano le notizie bibliografiche, gli estratti di opere recenti e le no- tizie geologiche diligentemente rintracciate in numerose pubblica- zioni nazionali e straniere. Il Bollettino del RF. C. G., prima pubbli- cazione periodica d’indole esclusivamente geologica e mineralogica che vedesse la luce in Italia, dava a buon diritto larga parte a questo, che era invero puro lavoro di compilazione, ma che mirava a divulgare rapidamente il progredire della conoscenza geologica dell’Italia, col dare notizia di. quanto rimaneva prima sconosciuto e disperso in giornali, riviste ed atti accademici nazionali e stranieri difficilmente accessibili ai più. Incontrò per tale novità subito tanto favore che della prima annata si dovettero ristampare parecchi numeri per le richieste avute nell’anno successivo, circostanza più unica che rara in pubblicazioni congeneri. La raccolta del Bollettino rispecchia, col mutarsi graduale del carattere del periodico, lo svilupparsi dell’Istituto che si va arrie- 4 NECROLOGIA chendo di personale e di mezzi; le note originali vanno crescendo di numero e la parte di compilazione, riducendosi, si trasforma di- ventando, specialmente per merito dello Zezi, che vi si dedica con passione meglio ancora che con amore, una compiuta rassegna bi- bliografica italiana redatta con sereno spirito obbiettivo ed aliena da ogni polemica. Il primo embrione della forma definitiva attuale si trova nella « Bibliografia mineralogica e litologica dell’anno 1880 » del Bollettino del 1881, la quale, continuata per qualche anno, è inter- rotta per dar luogo alla « Bwbliografia geologica e paleontologica della provincia di Roma » nel 1886, primo saggio di ciò che, allargato a tutta l’ Italia, diventerà nell’anno successivo la « Bibliografia geologica italiana per l’anno 1886 », prima della serie che ancora continua e tanto favore si è acquistato fra i cultori delle discipline geologiche. Lo Zezi non solo diresse sempre questo lavoro della Bibliografia, ma compilò altresì una parte cospicua delle recensioni di ogni anno finchè rimase a capo dell’ Ufficio. Per opera dello Zezi il Bollettino esercitò anche una notevole in- fluenza sul linguaggio geologico scientifico italiano, cooperando alla sua unificazione, dalla quale mezzo secolo fa si era ancora assai lontani per i più scarsi contatti fra i geologi, la diversità delle scuole e la mancanza dei trattati originali italiani. Lo Zezi colla cura me- ticolosa che poneva in ogni suo lavoro, si studiò sempre di ridurre ad unità la terminologia delle note originali di cui rivedeva attenta- mente le bozze e di indirizzare a tale scopo anche le recensioni bibliogra- fiche senza preoccuparsi della taccia di pedanteria che spesso affrontò. In stretta relazione colla Bibliografia del Bollettino è l’impor- tantissimo schedario bibliografico esistente presso l'Ufficio geologico che registra tutte le opere interessanti la geologia dell’Italia e re- gioni confinanti, iniziato fin dai primordii dall’ Ufficio, e tenuto a giorno con assidua cura dallo Zezi. Questo schedario di oltre 30.000 numeri, a doppio esemplare perchè ordinato per autori e per regioni, è già stato di prezioso ausilio per la pubblicazione della Bibliografia geologica italiana compilata dal Portis nel 1881, ma da quel tempo il numero delle schede si è più che raddoppiato, non solo per i la- LU | | NECROLOGIA ) vori comparsi dopo quell’anno, ma per l’opera non mai interrotta di completamento della parte più antica. Sebbene lo schedario sia sempre a disposizione degli studiosi, sarebbe desiderabile la sua pub— blicazione, a maggior vantaggio della scienza, come ne è stato ripetu— tamente esternato il voto. Alle cure dello Zezi, che per quanto rifletteva l’organizzazione dell’ Ufficio ebbe nel compianto ingegnere Claudio Sormani un impa- reggiabile coadiutore, si debbono pure l’ordinamento della Biblioteca giunta a 50.000 volumi, e delle collezioni di cui non esisteva traccia quando iu fondato l'Ufficio, e costituitesi abbastanza rapidamente non ostante i frequenti traslochi dei primi anni ; da Firenze a Roma nell’ex-convento della Vittoria nel gennaio 1874; da questa prima sede a San Pietro in Vincoli nell’aprile del 1875, per tornare nel marzo del 1883 al nuovo edificio costrutto sull’area del demolito convento della Vittoria, dove è tuttora l'Ufficio. Queste vicissitu- dini non interruppero l'incremento della Biblioteca e delle collezioni, il quale anzi continuò così rigoglioso che sorse una nuova difficoltà, la lotta contro la deficienza dello spazio, essendosi nell’edificio di via Santa Susanna, destinato ad albergare esciusivamente le raccolte geo- logiche in corso di formazione e perciò esuberante in principio di locali, installati in via provvisoria vari altri istituti scientifici dipen- denti dal Ministero di agricoltura, uno dei quali c'è ancora. Chi più risentì di questo inconveniente furono le collezioni, che solo recente- mente poterono acquistare spazio per essere più razionalmente ordinate ed esposte. All’infuori delle occupazioni dovute all'Ufficio, e di per sè abba- stanza gravose per la continua attenzione e cura richiesta, lo Zezi ne ebbe pure altre in dipendenza più o meno diretta della carica rivestita. Così ebbe dal 1875 al 1883 l'insegnamento della Mineralogia e Geologia alla Scuola d’applicazione per gl’ingegneri di Roma. Assai più tardi resse per più mesi, in qualità di R. Commissario, la Scuola industriale di Fermo, con tale illuminata fermezza da meritare non solo l’encomio del Ministero, ma anche la riconoscenza in più modi manife- stata dagli altri enti che sussidiano l’Istituto e degli alunni di questo. À = Si É d LI Li D Na 4” LI n PI NECROLOGIA dll ; e VE ei META: s esbitsca; nios Lee ae h A io PI A ò . + (4 4 La 2%] di Lo Zezi contribuì pure alla fondazione in Bologna della Società + Geologica Italiana, e ne fu più volte consigliere, Molto e sinceramente schivo a far parlare di sè, per cortesia e per un innato amore di esattezza e precisione contribuì, senza figu- rare fra i collaboratori, alla revisione di non poche pubblicazioni r d’indole geografica e statistica, fra le quali citerò la voluminosa opera intitolata la « Patria », apportando anche in tal lavoro la larghis- sima copia di erudizione che la lettura delle innumerevoli pubbli» cazioni in cui cercava ogni menomo accenno riguardante la geolo- gia d’Italia, gli aveva fatto acquistare. E per non smentire il detto « itala gente da le molte vite » lo Zezi ebbe pure una dote che le sue occupazioni abituali ed il ‘ modo serupoloso con cui vi adempiva non avrebbero lasciato sup- porre : fu valente musicista e così esperto nel piano da eseguire, come suol dirsi, a prima vista, qualunque più difficile spartito. E Lasciò nel 1907 l'Ufficio Geologico par passare col grado di Ispettore superiore all’Ispettorato delle Miniere, ma i primi ac- } cenni manifesti del male che lo minava e lo trasse alla tomba, gli n L La db «De consigliarono di domandare nel 1911 il collocamento a riposo. Abban- donò allora del tutto quelle che erano state le occupazioni dell’intiera sua esistenza, restringendosi alla famiglia finchè lo incolse la morte. Quest’Uomo, benemerito e modesto, che ebbe rare doti d’ingegno e di criterio, e larga coltura, mentre la posizione in cui si trovò fino dall’inizio della carriera gli apriva una facile via concessa a e Ae ingioni LA pochi, ad acquistarsi una larga rinomanza, volle impiegarle al ser- vizio della scienza in un modo a cui la maggior parte dei cultori ; _ di questa dà importanza secondaria. Questa specie di rinuncia, do- vuta certo ad un austero concetto dei doveri della carica affidatagli, da costituisce per Lui un altissimo titolo di merito. L’ Ufficio Geologico, nel quale e per il quale Egli visse trentotto anni, che ne conserva e continua l’opera, esaltandone la memoria, onora il nome di PIETRO Zezi fra quelli dei suoi instauratori, e s’inchina con grato e reve- rente affetto sulla sua tomba. ING. VITTORIO NOVARESE. ia U lè; . ì ne e eli NL MT RI Web CORIGINALI L P. TOSO già Ingegnere capo nel C. R. delle Miniere SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI PRELIMINARI. I FENOMENI PRODOTTI DALLE EMANAZIONI ENDOGENE GASSOSE. Le emanazioni endogene gassose, nella loro salità verso l’esterno, depositano, come è noto, incrostazioni di minerali sulle pareti delle fratture dei terreni da esse attraversate e formano giacimenti filo- niani; giunte poi alla superficie, generalmente si perdono. In alcuni casi speciali però queste emanazioni si immettono entro bacini lacustri o d’estuario ed in questi depositano il materiale in esse contenuto, oppure da esse ridotto e disciolto nel loro cammino, e danno origine a giacimenti di natura sedimentaria. I seguenti, parmi siano da considerare come esempi di giacimenti filoniani e sedimentari prodotti contemporaneamente dalle stesse emanazioni endogene. In Val Trompia (Brescia) si coltivarono, nella regione di Bo- vegno, dei giacimenti di siderite, sotto forma di filoni verticali entro fratture degli scisti carboniferi o permiani, come pure dei regolari banchi di siderite intercalati cogli strati di scisti marnosi detti servino attribuiti al Trias (1). DAN TTI (1) Toso. — Studio sulle condizioni dell'industria siderurgica in Lombardia, pag. 18. (Pubblicazione del C. R. delle Miniere). — Roma 1899. RARI OSO In Tunisia gli estesi e regolari banchi di fosfato calcico, rac- chiudenti sali fluoridrici, di Kala Djerda sono ricoperti dal calcare nummulitico e posano sopra argille ricche di cristalli di gesso, le quali alla loro volta coprono il calcare cretaceo, entro cui si incontrano vene ed ammassi di fosfato calcico contenente parimenti sali fluoridrici. Al Messico nella Serra Banderas, entro fratture di banchi di calcare a rudiste, sì rinvengono filoni e vene di solfo a ganga ges- sosa, evidentemente generati da emanazioni endogene di H» S. Nella” stessa regione i calcari a rudiste sono ricoperti da una formazione argilloso-calcarea, la quale racchiude strati di gesso, che parmi logico supporre prodotti dalle stesse emanazioni che, mentre diedero ori- gine alle concentrazioni di solfo, penetrando nelle acque di bacini superficiali, per effetto di reazioni, di cui dirò più diffusamente in seguito, solfatizzarono il calcare disciolto nelle acque e depositarono strati di gesso. Si ritiene che le emanazioni endogene di idrocarburi si compor- tino diversamente da tutte le altre e cioè non possano dare origine a giacimenti filoniani e neppure sedimentari, perchè gli idrocarburi raffreddandosi, non producono incrostazioni sulle pareti delle fratture, ma dei petroli i quali, a misura che vanno formandosi, sono spinti, dalla corrente delle emanazioni gassose e liquide, verso l'esterno, dove poi si disperdono. } Oltre a ciò si ritiene che gli idrocarburi, se non sono ad elevata temperatura, si dimostrino inerti sulle roccie da essi attraversate, ep- perciò non producano reazioni sulle pareti delle fratture, per cui anche per questo fatto le emanazioni di idrocarburi non dovrebbero formare depositi filoniani nè depositi sedimentari. La presenza di irregolari e sporadiche concentrazioni di petrolio nelle regioni dove si svolgono idrocarburi risultò perciò finora inespli- cabile. Il presente scritto ha per scopo lo studio dei fenomeni che pre- sentano le emanazioni endogene gassose, e specialmente degli idro- carburi, nel loro cammino verso l’esterno ; da esso mi parve giusti- ficato il desumere, contrariamente a quanto fin qui si suppose, che si verifichino i seguenti due fatti e cioè : aj Si 4 Cd. o sus al sibrtopa riale # . h 194 MRI? e 9 i i tictini sd Bo vit e wi 6 ni ” Lì crt) È SUL Mono sò; FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 1°. Che anche le emanazioni di idrocarburi nella loro salita se- guono regolari fratture del terreno e, lungo il loro percorso, producono concentrazioni di petrolio, soltanto però nel caso in cui queste fratture tagliano banchi permeabili, la cui speciale disposizione permette al petrolio di adunarsi al riparo dell’azione delle correnti ascendenti. 2°. Che gli idrocarburi, inerti sopra tutte le roccie, hanno però la proprietà, a temperatura ordinaria, di solfidratare il gesso, pro- ducendo calcare ed H» S, il quale a sua volta può, ossidandosi, for- mare minerali di solfo. In altre parole: anche gli idrocarburi endogeni possono produrre giacimenti di petrolio e di solfo. Ricorderò come le correnti di gas endogeni sono generalmente accompagnate dall’acqua. Quando essi si emanano da profondi magma eruttivi dotati di elevata temperatura, è possibile che vaporizzino le acque che incontrano nel loro cammino, se queste sono relativa- mente in piccola quantità; i fenomeni presentati dai soffioni boraci- feri di Toscana fanno supporre che soventi coi gas sì sviluppino pure vapori acquei endogeni dotati di elevata temperatura, che gli autori chiamarono acque iuvenili . I gas che si emanano da magma eruttivi aventi temperature meno elevate, percorrendo fratture di banchi acquiferi, non si limi- tano a saturare le acque e mineralizzarle, per poi continuare il loro percorso verso l’alto, ma nel maggior numero dei casi producono cor- renti ascendenti di acqua e gas le quali soventi si innalzano fino a riversarsi alla superficie. Beeby Thomson osservava : « che l’acqua dovette essere l’agente « del trasporto dei petroli, ma che era difficile congetturare in quali « circostanze avveniva la sua migrazione attraverso i terreni ». | Per rilevare quali possano essere queste circostanze esaminerò dapprima per quali fatti le emanazioni di CO: ed H» S, incontrando banchi calcarei acquiferi, danno origine ® correnti di acque calcari- fere ascendenti, le quali, giunte alla superficie, colle loro incrostazioni formano banchi di travertino ; ed in seguito indagherò i fenomeni prodotti dagli idrocarburi, percorrenti fratture del terreno quando in esse penetrano delle acque. | CORRENTI ACQUIFERE ASCENDENTI PROVOCATE DALLE EMANAZIONI DI CO; ED Ha S. Nelle regioni metallifere del Massetano e del Monte Amiata si osservano, sopra gli scisti eocenici, delle masse di travertino quater- ; nario, isolate e situate a diverse altimetrie; alcune anzi occupano i - punti più culminanti dei dintorni, mentre i calcari retici, che indub- biamente dovettero fornire il materiale alle acque che dettero ori- gine a questi travertini, raggiungono nella stessa regione altezze molto minori. Questo fatto ;inesplicabile così viene ricordato dal Lotti (1): « Considerata in complesso la distribuzione di queste masse sparse di « travertino dei dintorni di Massa, si direbbe quasi che un tempo esse « abbiano dovuto formare una sola coperta, la quale sarebbe discesa « da Monte Arsenti verso S. E. passando pel poggio di Massa. Ma » come conciliare questa idea colla presente altimetria e coi rapporti « altimetrici esistenti fra i diversi lembi? E come ammettere che « siano scaturite copiose sorgenti calcarifere sulla cima di Monte Ar- n « senti che è il punto culminante dei dintorni? ..... Sia come « vuolsi del resto ciò che vi ha di certo si è che l’origine dei tra- « vertini massetani, considerata la posizione della maggior parte di d: « essi su alture isolate, resterebbe inesplicata colla orografia attuale ». da Studiando i giacimenti metalliferi del Massetano e del Monte Amiata ho rilevato che esiste un intimo rapporto fra essi e le suddette i masse di travertino; il che mi fece supporre che nelle emanazioni È endogene di gas, che sempre accompagnano e seguono la formazione dei giacimenti metalliferi, debba trovarsi la causa delle sorgenti calcari- È fere generatrici dei travertini e del loro sollevamento a grandi altezze. Parmi inoltre d’aver trovato per quale fenomeno fisico-dinamico si (1) B. LoTTI, — Geologia della Toscana. (Mem. deser. della Carta geologica d'Italia, vol. XI!], pag. 240) — Roma, 1910. » , ® n n , PF) ) € à PT dudi à . a, 4 LA = Pi Da fg RI ZOLA 1 Perni ol foa a + Ja Mea da Eni aa: È DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI | di , . x siano contemporaneamente formate nel Massetano e nel Monte Amiata delle copiose sorgenti calcarifere in punti situati a diverse altitudini. Ricordo che per sollevare i liquidi, in alcuni casi speciali, si ricorre con vantaggio ai così detti emulsori. Essi sono costituiti da un semplice tubo che pesca, per una certa altezza, nel serbatoio del liquido da sollevare : questo tubo, che chiamerò estrattore, riceve in- feriormente, per mezzo di un altro tubo, sbuffi d’aria, stata compressa da appositi compressori, la quale espandendosi e ad un tempo emulsio- nando il liquido, posto nell’ interno del tubo estrattore e diminuendone | perciò la densità, promuove, per effetto della pressione del iiquido che sta all’esterno, una corrente ascendente di liquido emulsionato coll’aria, il quale per ciò può innalzarsi anche a grandi altezze. L'esperienza dimostrò che un emulsore ordinario può pratica- mente promuovere, entro il tubo estrattore, una corrente d’acqua emulsionata anche per un’altezza quadrupla di quella misurata fra il fondo del tubo estrattore ed il livello dell’acqua del bacino da cui | questa si deve sollevare (1). In altre parole, è praticamente possibile emulsionare l’acqua coll’aria, fino a ridurre il miscuglio ad una densità di !/, di quella dell’acqua. Maggiori altezze nel sollevamento dei liquidi si possono conseguire col crescere della pressione e quindi della forza espansiva dell’aria. E’ noto che a questi emulsori ricorse l’ing. Frasch per sollevare il solfo, stato precedentemente fuso con acqua soprariscaldata, iniettata mediante tubi entro un. profondo giacimento solfifero coltivato nella | Louisiana (2). Questo stesso fenomeno fisico deve verificarsi in natura in tutte le fratture del terreno, se dal basso penetrano entro di esse, a grande b (1) Si hanno esempi di emulsori stabiliti entro il tubo di un pozzo Norton che sollevano all’esterno acqua, il cui pelo sta alla profondità di 40 m. dalla su- | perficie del terreno, ed il tubo estrattore e quello dell’aria compressa arrivano al «fondo del pozzo dove l’acqua ha un’ altezza di 14 m. (2) BALDACCI. — Il giacimento solfifero della Louisiana. (Pubblicazione del C. R. delle Miniere). — Roma, 1906. TRE T6NO pressione, dei gas endogeni, come per esempio Ho» S 0 CO}, e se le fratture attraversano, in alto, banchi impermeabili come gli scisti, ed in profondità banchi calcari acquiferi. Così devono spiegarsi le note sorgenti calcarifere ricche di CO» di Clermont-Ferrand, le quali danno origine a depositi di travertino. In una delle valli di erosione fra le colline dell’Astigiano, a Mon- tafia, esiste una sorgente saliente, della portata di alcuni litri al mi- nuto secondo, di acque solfidriche. Essa viene alla superficie fra le sabbie acquifere plioceniche che qui hanno una stratificazione perfet- tamente orizzontale, estesa per molti chilometri, per cui è da escludere che si tratti di una sorgente artesiana. Questa colonna d’acqua ricca di Ho $, saliente sulle sabbie acqui- fere, trova soltanto una spiegazione nell’esistenza qui di una ema— nazione endogena di H» $S, la quale provoca una colonna saliente di acqua emulsionata dall’Ho S. Nelle regioni metallifere del Massetano e del Monte Amiata, dove appunto il terreno venne attraversato da fratture, da cui si svolsero e si svolgono tuttora emanazioni endogene gassose, non essendo la potenza degli scisti eocenici molto maggiore di quelia dei sottostanti banchi di calcare m°sozoici molto acquiferi, si può ammettere che il miscuglio prodottosi dall’acqua e dai gas, abbia potuto vincere l’altezza degli scisti eocenici e venire a sgorgare alla loro superficie. I diversi centri di emanazione di gas dovevano produrre tante singole ed isolate sorgenti che, riversandosi sul terreno, formarono masse di travertino isolate ed a differenti altimetrie. Basandomi su questo stesso fenomeno e ricordando queste pompe senza valvole e senza stantuffi, di cui si serve la Natura per sollevare acque stagnanti profonde, mi parve (come più diffusamente dirò in seguito) d’aver trovato plausibili motivi per ritenere che la formazione gessoso—solfifera di Sicilia sia stata, analogamente ai travertini, pro- dotta da emanazioni di gas Hs S e CO», che trasportarono entro bacini posti alla superficie, materiali calcariferi disciolti nelle acque sotterranee, i quali in speciali condizioni diedero origine dapprima a banchi di calcare conerezionato e poi di gesso. % " À a î Ni, A, de È i 7 vita: ; a. SONO! | i Pv - Vian i x bo net + 4 do: i : h , | pi hi ve si À | SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI . 13 Concludendo: le emanazioni endogene di CO. , attraversando profondi banchi calcarei acquiferi, mentre sciolgono grandi quantità di calcare, trasportano ad un tempo alla superficie il materiale per la formazione di nuovi banchi calcarei. Il fatto suaccennato della grande variazione di pressione che le colonne liquide e gassose sotterranee esercitano sulle pareti delle frat- ture, a seconda che viene ad aumentare o diminuire la quantità e la pressione dei gas, nel caso di emanazioni di idrocarburi, parmi possa fornire, come dirò in appresso, la spiegazione di un altro fenomeno geologico, cioè l’adunamento di petrolio entro banchi permeabili incli- nati, o disposti a pieghe. | PARTE LI Sul modo di formazione dei giacimenti petroliferi I. REGOLE PRATICHE SEGUITE NELLE RICERCHE PETROLIFERE. E°’ oggetto di discussioni l’origine degli idrocarburi gassosi e liquidi, che aleuni vogliono organica vegetale od animale, ed altri inorganica od endogena; come pure finora non si trovò una plausibile spiegazione del modo con cenì si formarono i giacimenti di petrolio, i . quali non hanno caratteri comuni nè coi giacimenti sedimentari nè con quelli filoniani; sono cioè, come è noto, delle sporadiche concentrazioni di petrolio che non affiorano, situate a diverse profondità nelle regioni petrolifere. Per la ricerca di questi adunamenti di petrolio non si hanno perciò altri criteri che alcune regole desunte da osservazioni. È Fra queste regole, la più nota ela più accreditata è quella detta dell’ « anticlinale »; ossia si ammette che i giacimenti petroliferi si trovino inspecial modo nelle cupole anticlinali di banchi formati da roccie compatte e permeabili, compresi fra terreni impermeabili. Un A ni: (e, Ù È L Ò fa 0° + n li . Ù) Ù ‘ ge + ITS y VRTT » | persa, stal " ic î Y Ù G » 14 |P. TOSO accentuato corrugamento di questi banchi formerebbe perciò una con- dizione necessaria per l’adunamento dei petroli. Secondo un’altra regola, uno solo dei due rami formanti un an- ticlinale è petrolifero, l’altro ramo generalmente è sterile. Come terza regola, ricorderò che nell’ Appennino Emiliano è ere- denza che le zone petrolifere si trovino nelle regioni di avvallamenti, anzi ad un solo lato dei corsi d’acqua che li percorrono. . Gli ingegneri Camerana e Galdi (1) non ammettono per l'Emilia la regola dell’anticlinale; per essi la preferenza alle anticlinali, nel- Emilia, deve essere data solo perchè esse sono ricollegabili con possibili fratture prodottesi nelle pieghe dei banchi e perchè col loro sollevamento portarono verso l’esterno, o prossime ad affiorare, le assise contenenti i giacimenti. | L’Ing. Galdi in una recente pubblicazione (2), nel combattere l’idea che il corrugamento dei banchi permeabili sia necessario all’adunamento del petrolio, così serive : « Non occorre poi rilevare « l'assurdità della regola dell’anticlinale allorquando si ammette l’ipo- « tesi della genesi inorganica del petrolio. « Resterebbe da spiegare la frequente coincidenza nelle zone pe- « trolifere dell’estero, dei giacimenti colle volte anticlinali. Nelle re- « gioni di accentuato corrugamento la cosa è facile, nel senso che, « come ho. fatto notare innanzi, il numero delle pieghe principali 0 « secondarie è tale che ovunque si esegua una trivellazione si può so- « stenere di essere su di anticlinale o d’andarla a toccare in profondità DA L’ing. Bertolio (3) fece osservare come questa regola è frutto di osservazioni ed è tuttora seguita nella maggior parte delle ricerche petrolifere; ha sessanta anni di vita, e tanto non avrebbe certo (1) E. CAMERANA e B. GALDI. — / giacimenti petroleiferi dell'Emilia. — (Memorie descrittive della Carta Geologica d’Italia, Vol. XIV). Roma, 1911. (2) B. GALDI. — La regola dell’anticlinale nella ricerca del petrolio. (In- dustria chimica e mineraria, Anno I, pag. 75). Torino, 1914. (3) S. BERTOLIO. — La « Regola » dell’anticlinale. (Industria chimica e mi> neraria, Anno I, pag. 236). Torino, 1914. ”- dipen di 2A Pet a d..a_ ® Pri i a eli Le ana ) SA eta ‘ N, i i hi \ “Sil È Aa ;a Vla Ah 2° hi nr Y Ù P e SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 15 durato, se al suo attivo non avesse contato molti successi, e per conseguenza non è efficace combatterla con presupposti genetici. La seconda regola, secondo gli ingegneri Camerana e Galdi, si può ritenere confermata anche per l’ Emilia, ed essi accettano la spiega- | zione, che dimostrerò artificiosa, data da Tassart; che cioè nel formarsi una piega anticlinale, i due suoi rami non risentirono una stessa pressione ed il petrolio venne ad adunarsi in quella parte della piega anticlinale ove gli strati erano meno compressi, cioè dalla parte opposta 2 quella in cui si è prodotta la spinta; in questa re- gione, sottoposta a sforzi più violenti, le fratture furono più facilmente ostruite dai frantumi provenienti dallo stritolamento energico che si era prodotto. La terza regola, ammessa dai ricercatori della regione Emiliana, apparve all’ing. Bertolio (1) come appoggiata soltanto su fatti ca- suali, potendosi supporre che le valli abbiano favorito la ricerca dei petroli perchè abbreviarono la lunghezza delle perforazioni. LE, IPOTESI FORMULATE PER SPIEGARE LA FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI. Si credette di trovare una spiegazione genetica dei giacimenti pe- troliferi, suddividendoli in primari e secondari. i primari sarebbero | delle concentrazioni petrolifere che si suppongono abbiano avuto luogo negli strati più profondi, donde il petrolio (protopetrolio) sarebbe poi partito per raggiungere gli strati superiori nei quali si trovano i giaci- | menti secondari conosciuti e coltivati. Tale suddivisione venne pure adottata dagli ingegneri Came- rana e Galdi per i giacimenti dell'Emilia ed essi in conseguenza sup- posero che i giacimenti finora sfruttati siano secondari e cioè derivati da altri primari, che dovrebbero esistere verosimilmente alla base delle argille scagliose, ad una profondità non ancora raggiunta. e (1 S. BERTOLIO. — Sulla ricerca dei giacimenti di petrolio. (Rassegna Mineraria, giugno 1899). Torino. » 9 ue) Per spiegare la migrazione del petrolio dai giacimenti primari (e principalmente dalle rocce argillose supposte le madri del petrolio) a quelli secondari, viene generalmente ammesso che siano state delle pressioni orogeniche che spremettero masse di idrocarburi primari e ne provocarono la migrazione verso l’alto, per capillarità e per dif- fusione, attraversando pile di strati anche aventi parecchie centinaia di metri di altezza. Il prof. A. Stella (1) per studiare tale fenomeno della migrazione del petrolio fece esperienze ed ottenne il passaggio del petrolio dall’ar- gilla alla sabbia, mediante la compressione di uno strato argilloso senza acqua, imbevuto di petrolio e posto a contatto con uno strato di sab- bia asciutta. Egli da ciò concluse che se in natura havvi un gruppo di strati costituiti da alternanze di sabbie e di argille, nelle quali ultime sia diffuso il petrolio, qualora intervengano forti pressioni determinate dal sovraccarico dei depositi sovrastanti e da azioni orogeniche, av- verrà che il petrolio emigri in tutto od in parte, in modo da avere un gruppo di strati costituiti da sabbie produttrici e da argille in- dustrialmente sterili. In qual modo si supponga che venga effettuata la migrazione del petrolio dai giacimenti primari verso i terreni superficiali, filtrandosi anche attraverso massicci di 450 m. di potenza di roccie impermea- bili e compatte, si trova particolarmente spiegato nel recente studio dell’ing. Galdi, fatto per incarico del Ministero, sui petroli dell’Italia Meridionale (2). Da ‘esso rilevasi come egli ritenga il petrolio di S. Giovanni Im- carico dovuto ad idrocarburi di origine eruttiva, emanazione residua del grandioso periodo postpliocenico che si manifestò specialmente secondo l’asse della Valle Latina. (1) A. STELLA. — A proposito di genesi di giacimenti di petrolio. (Rassegna mineraria, vol. XV). — Torino, 1899. (2) B. GaLDI. Sul petrolio di S, Giovanni Incarico (Caserta) — (L'industria Chimica, Mineraria e Metallurgica, Anno II, pag. 188). — Torino, 1915. usi. A ® I il ARA DR TIE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIF a SUL MOD O DI F ORMAZIC NE Circa il modo di formazione di quel giacimento così si esprime: « Io credo che due aureole di idrocarburi si andarono formando « da ambo i lati, e fino a notevole distanza, della Valle Latina. Gli « adunamenti si trovano però solo dove la natura delle rocce li rese « possibili. Una favorevole superficie di raccolta dovette costituire il « contatto fra il mantello scisto-argilloso eocenico ed il calcare cre- « taceo od anche nummulitico che gli servì di base. «Ma l’ascesa del petrolio non avvenne d’un sol tratto ; i gia- « cimenti attuali rappresentano lo spostamento verso l’alto, ad inter- « valli, delle masse profonde di idrocarburi, per effetto delle fortis- « sime pressioni esercitate dai gaz e con l’ausilio di una specie di « aspirazione, quasi un tiraggio (operatosi per capillarità attraverso le « rocce) verso l'esterno. « Recenti osservazioni sulle più note zone Emiliane mi hanno « dimostrato l’efficace influenza esercitata dalla natura dei ricopri- « menti sulla profondità attuale dei giacimenti che si rinvengono. Le « masse idrocarburate non procedono di conserva durante il movi- « mento migratorio ; si produce invece un frazionamento della colonna « ascensionale, che del resto è possibile spiegare con molti esempi vol- « gari e pratici senza ricorrere all’ipotesi di una differenziazione degli « idrocarburi secondo la densità. Alcune parti di massa arrivarono « prima negli strati superficiali; e se il massiccio era permeabile per « l'abbondanza di strati calcari di quell’orizzonte, gli idrocarburi si « dispersero ed i giacimenti attuali si rinvengono solo a partire da «una certa profondità. Laddove invece esisteva un ricoprimento più « argilloso, questo preservò gli adunamenti che vengono perciò ritro- « vati a minor profondità. « In quasi tutti i giacimenti si può riscontrare, dentro i limiti « della profondità già scandagliata, la esistenza di una massa prin- « cipale di idrocarburi, ad un dato livello, allo stato diffuso ovvero « più o meno concentrato, a seconda della natura litologica del ter- «reno; la quale massa è preceduta o seguìta da masse minori, da «essa distaccatesi durante l’ascesa. La massa principale costituisce « l’orizzonte principale oleifero di una determinata plaga; la distanza 42. Hai ed; da ‘ K ‘ ; hà dg SRZIIER : li mi " ) } Ve ptt, TP ae ICE gi È fdcrif cà die ee PET a) Siete" i CALI ti >. TOSO i #4 dl da i RDES1 TE LIT RIA ‘ Li p-4 Ù a de î 4 A « fra essa e le parti distaccate è talvolta considerevole e spiega suf- « ficientemente le sorprese di orizzonti inaspettati all’infuori del prin- | « cipale già noto. « L’impermeabilità delle rocce di ricoprimento non costituisce un «ostacolo assoluto alla grande dispersione degli idrocarburi e spe- « cialmente delle parti più volatili. A S. Giovanni Incarico, la mi- « grazione di queste ultime si effettuò attraverso un massiccio di « oltre 450 metri di spessore, malgrado Ja sua natura argillosa e la e struttura chiusa e compatta. Molti autori trovano che non è fondata su fatti questa suddivi- ‘sione di giacimenti primari e secondari e che non esistono motivi per. escludere che tutti i giacimenti petroliferi siano originari. Beeby Thompson fece osservare, come già accennai, che la grande abbondanza di acqua che si constata accompagnare il petrolio, dimostra che essa è stata senza dubbio, in molti casi, l’agente del trasporto, ma che è difficile congetturare in quali circostanze la migrazione abbia avuto luogo. | | L'ipotesi della migrazione di masse di idrocarburi liquidi e gasosi per capillarità attraverso pile di strati formati da roccie impermeabili, non parmi ammissibile per le seguenti ragioni: | 1° Le emanazioni endogene metallifere, accompagnate da va- pori, le quali debbono pure avere in profondità esercitato grandi pressioni non inferiori a quelle delle emanazioni endogene di idro- N carburi, non produssero il supposto fenomeno di diffusione per ca- | pillarità. Nei giacimenti metalliferi il distacco dei depositi di mine- rali dalle roccie incassanti sterili è generalmente netto. 2° La migrazione del petrolio per diffusione capillare non spiega ; il fenomeno più caratteristico che presentano gli adunamenti di pe- trolio limitati ad un solo ramo delle anticlinali dei banchi impermea- bili, mentre l’altro è sterile. 3° La migrazione del petrolio per diffusione, ossia l’ infiltra- zione di esso attraverso i terreni impermeabili, dovrebbe dare eo- stantemente origine a petroli tanto più densi quanto più profondi. — Ora ciò non si verifica, € per spiegare l’esistenza di olii densi in è a. Pr * SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E pozzi poco profondi, e di olii leggeri a grandi profondità, i sosteni- tori dell’ipotesi in parola ricorsero alla supposizione che in una prima migrazione gli olii densi, filtrandosi, lasciarono nei terreni attraversati dei residui vischiosi carburati che poterono poi essere ripresi e traspor- tati in alto, durante una seconda migrazione, producendo così, in alto, adunamenti di petrolio più densi di quelli rinvenuti a maggiori profon- dità, in località vicine. L'importanza che una razionale spiegazione genetica dei giaci- menti di petrolio può avere nella loro ricerca, mi indusse al inte- | ressarmi dell’argomento e studiare se, abbandonando l’ipotesi succitata, generalmente ammessa dagli autori e con la quale si interpretarono i giacimenti petroliferi italiani nei recenti studi pubblicati dagli in- gegneri Camerana e Galdi, ed ammettendo invece l’ipotesi tanto più semplice che le emanazioni endogene di idrocarburi nel portarsi verso la superficie, abbiano, comele emanazioni endogene metallifere, seguìto regolari fratture o faglie, sia possibile spiegare i diversi fenomeni che presentano le concentrazioni di petrolio. Ora da questo esame mi parve giustificata la seguente ipotesi, che io chiamerò filoniana, colla quale si dimostrerebbero fondate tutte e tre le regole succitate, come pure si darebbe una facile spiegazione dei _ tanti inesplicati fenomeni che si incontrano nella coltivazione del pe- pr trolio; la sottopongo al lettore, nella lusinga che possa riuscire di qualche utilità pratica. ILI. NUOVA IPOTESI SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI. Premetto che studiando i giacimenti solfiferi siciliani trovai argo- menti per dimostrare come siano stati originati da emanazioni endogene di idrocarburi, le quali dovettero cominciare a svilupparsi soltanto dopo che i banchi di gesso, attribuiti al Miocene superiore, si erano formati, e cioè nel periodo pliocenico o postpliocenico, poichè, come già accennai, furono questi idrocarburi che, venendo a lambire i gessi li ridussero, producendo i minerali solfiferi. P. TOSO Tali emanazioni di idrocarburi si protrassero fino ai nostri giorni e sono infatti tuttora attive, in tutta la regione solfifera siciliana, molte salse (maccalube) da cui emanano idrocarburi con acque saline e stronzianifere. Fra le argille eruttate dalle maccalube cogli idrocarburi, si in- contrano frammenti di calcari mesozoici, i quali dimostrano la grande attività che talora assunsero queste emanazioni, e la profondità da cui esse provengono, argomenti questi che stanno a favore della loro origine endogena (1). Le attuali emanazioni di idrocarburi ‘dell'Emilia parmi debbano considerarsi come aventi la stessa origine endogena di quelle della Sicilià e parimenti sia da ritenere che cominciarono a svolgersi al- l’epoca pliocenica o postpliocenica. Da questa premessa viene naturale la deduzione che le emana- zioni endogene di idrocarburi, per essersi svolte dopo i grandi scon- volgimenti stratigrafici che si manifestarono lungo tutto l’ Appennino durante l’ Eocene ed il Miocene, e cioè dopo che i terreni eocenici e mio- cenici erano riassettati, trovarono facile passaggio esclusivamente entro fratture o faglie plioceniche o postplioceniche. f Queste fratture e faglie petrolifere, per essere recenti, non pos- sono avere rapporti con la confusa statigrafia dei terreni eo cenici, e devono essere limitate in numero e formare soltanto delle regolari frat- ture, oppure delle faglie, che produssero e producono o degli scorri- menti del loro tetto .sul letto, oppure dei poco movimentati solleva- menti o abbassamenti di vaste estensioni di terreno (2). . (1) Nella Coastat Plain (Texas) nelle roccie attraversate da emanazioni di idrocarburi si constatò la presenza di baritina, pirite, blenda e galena, il che di- mostra che erano concomitanti le emanazioni metallifere con quelle di idrocarburi. (2) Gli autori che studiarono le regioni petrolifere fecero osservare che tutti i giacimenti petroliferi coltivati nei terreni terziari, dove le emanazioni conser- vano tuttora una grande attività, sì trovano in regioni di perturbazioni sismiche più o meno frequenti. Ciò farebbe credere che questi movimenti sismici parziali producano tuttora scorrimenti del terreno, ossia faglie, i quali rendono possibile il continuo passaggio degli idrocarburi anche lungo faglie oblique alla verticale e quindi tuttora siano in formazione adunamenti in petrolio. =. * AP ah, die mo diet «ee è cei. — è a, "vp n dé dla oa , Fi Ve ti , b Re 574 7 5 FABI I "a PUSC i SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 21 Questa regolarità delle fratture postplioceniche può osservarsi nei lavori eseguiti nella miniera Fenice Massetana ; entro una faglia plioce- nica o postpliocenica formante un piano, inclinato di 40° sull’orizzonte, si depositò un potente e regolare filone piritoso-cuprifero, sotto forma di una serie di colonne più o meno ricche, il quale si estende per più chilometri in direzione, senza aver subìto spostamenti nè in profondità nè in direzione, mentre gli scisti e calcari eocenici incassanti, presentano, numerose pieghe, dislocazioni e faglie sterili. Ritenendo, come tutto induce a credere, che le fratture petroli- fere siano contemporanee, e per regolarità analoghe a quelle state attra- versate dalle emanazioni che diedero origine ai giacimenti metalliferi. del Massetano, si deve pure escludere che siano state percorse dagli idrocarburi le numerose fratture prodotte prima deli’ epoca pliocenica dai grandi movimenti orogenici, i quali sconvolsero il terreno eocenico Emiliano che racchiude le maggiori concentrazioni di petrolio. ] In conclusione parmi logico ritenere che la circolazione delle emanazioni degli idrocarburi fra i terreni. sedimentari e la conse- guente formazione dei giacimenti petroliferi debba essere analoga a quella che diede origine ai giacimenti metalliferi (e come si dirà in seguito anche a quella dei giacimenti solfiferi) depositatisi entro re- golari faglie postplioceniche e quindi anche i petroli debbano avere un origine filoniana. Si conoscono sufficientemente i fenomeni prodotti dalle emana- zioni metallifere; sappiamo infatti che esse diedero origine ad incro- stazioni metallifere che assunsero due forme ben distinte e cioè: se ‘vennero a disporsi simmetricamente sulle pareti di fratture verticali, sino a colmare tutto il vuoto da queste prodotto, formarono dei fi- loni detti di frattura ; se invece le emanazioni percorsero faglie oblique alla verticale (1) i minerali metalliferi si deposero sulla loro parete del muro, alternando {i minerali con strati di materiale staccatosi dalla parete del tetto, la sola che rimase sempre esposta alle azioni fisiche e chimiche della corrente delle emanazioni. (1) Toso. — Opera succitata. Sul modo di formazione dei principali giaci- ‘menti metalliferi. " POLI E OTE fig 5 A ; A » 7 i d DR, |] n. beth : è * tant - . PRES ) , % 4 Ven È (i: » Mute S LI Î i RI I Ù , ta A n hi Ù n A $ eh (S ia ) . L) Y : r i ta a p RE CI FRESCA AV ERRO RIST E a Sani \} e ACNE er È 29 ti i «% P. TOSO i 3 ; * 3 di Non si conoscono invece i fenomeni speciali prodotti sotterra- neamente dalle emanazioni di idrocarburi, perchè non possone essere osservati e rilevati, come lo sono invece quelli prodotti dalle emana- zioni metallifere; bisognerà perciò arguirli col ragionamento. Le emanazioni di idrocarburi, nel percorrere le fratture e le faglie dei terreni sedimentari per portarsi in alto verso ia superficie, non de- vono produrre incrostazioni e neppure reazioni chimiche sopra le roccie da esse lambite, a meno che queste fossero gessose. (Si dimostrerà più avanti come gli idrocarburi possano ridurre il gesso e produrre calcare e Ha S il quale ossidandosi diede origine al minerale solfifero). Generalmente avviene che nelle faglie petrolifere penetra dell’acqua e che gli idrocarburi, nel loro percorso, raffreddandosi e condensandosi, di depositano del materiale bituminoso e del petrolio. Il primo non può aver formato che esili depositi, il secondo non può essere rimasto lungo le pareti delle fratture, perchè la corrente. degli idrocarburi avrebbe trascinato all’esterno le goccioline di petrolio a misura che stavano formandosi; il petrolio potrà imbevere, ma . non per grandi tratti, le pareti dalle fratture oppure delle faglie. Il petrolio potrà adunarsi in grandi quantità soltanto nel caso speciale in cui le fratture petrolifere non solo attraversarono banchi di roccie permeabili, ma il petrolio riuscì ad infiltrarsi nei meati di esse, lateralmente alla corrente ascendente degli idrocarburi, dove potè rimanere riparato dagli effetti della corrente stessa. Lo studio del modo di formarsi dei giacimenti petroliferi paîmi debba perciò ridursi a ricercare per quali fenomeni fisico-dinamici le faglie petrolifere, nell’attraversare banchi di roccie permeabili, com- . presi fra terreni impermeabili, poterono produrre in essi dei concentra- menti di petrolio, che più non subirono azioni migratorie. Ecco in che modo spiegherei questo fenomeno : 1° Caso. — Una frattura petrolifera verticale taglia un banco inclinato oppure disposto a pieghe. In questo caso i gas e le gocce di petrolio, contenuti nella cor- rente di idrocarburi e di acqua passanti per le fratture stesse e ten- = - dà #04, Fi he «Udi si " 1 a ‘ h 6 ’ EA n, MA, un DX ra (> SUL MODO DI RAARIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 23 denti verso l’esterno, sono animati da due spinte; da quella data dalla velocità della corrente e da quella che tende a sollevare verticalmente una goccia di petrolio od i gas, per essere questi meno densi del liquido in cui sono contenuti. Se la frattura è verticale le due spinte sono anche verticali e quindi le goccie di petrolio ed i gas non sono portati contro le pareti della frattura per infiltrarsi nel banco permeabile e perciò devono tendere colla corrente a portarsi verso l’esterno. Si verifica però nelle faglie petrolifere uno speciale fenomeno, il quale ha per effetto, in alcune circostanze, di spingere il miscuglio di acqua e di petrolio e gas contro le pareti di banchi permeabili, anche se verticali, portandolo ad infiltrarsi in essi ed a radunarsi in alto verso le cupole dei banchi permeabili stessi. Esaminiamo in quali condizioni può verificarsi questo fatto. Supponiamo, come indica il seguente schizzo (fig. 1), che la frat- tura petrolifera XY attraversi diversi banchi permeabili compresi, & | % | VA DP4%: SIVFAZI = = 7 SSA x tor 14 3% SI ICIRIZ bei. A: Ba, fà AN 13 wi 17. Fig. l. diverse profondità, fra i terreni sedimentari, ed uno di essi sia il lembo di banco A B C D, tagliato in B dalla detta frattura e formato, per. til ue LTS P. TOSO esempio, di calcare compatto ma fessurato epperciò permeabile, rac- chiuso fra scisti impermeabili, non affiorante alla superficie, disposto a piega anticlinale, il cui vertice C sta ad un’ altezza a sopra B. Suppongo che la frattura XY sia percorsa da idrocarburi gassos e liquidi frammisti ad acqua, qui penetrata da banchi acquiferi s affioranti, i quali vennero tagliati dalla stessa frattura, sia più in alto come in basso di B. Nell’ Emilia il terreno miocenico attraversato dalle fratture petrolifere, presenta molti di questi banchi acquiferi che danno acque saline. I Se ammettiamo che le emanazioni di idrocarburi siano d’origine endogena, ossia prodotte da fenomeni di vulcanismo, esse dovranno avere dei periodi di parossismo, ossia di maggiore sviluppo di gas, susseguiti da altri meno attivi, oppure di quiete; fenomeno questo che si verifica nelle fontane ardenti e nelle salse ed in generale in tutte le emanazioni di vulcanismo. Per questo fatto venendo ad aumentare o diminuire la quantità di gas nel liquido emulsionato, formato da petrolio qui condensa- tosi e di acqua penetrata nella frattura XY, il miscuglio assumerà pesi specifici variabili, e conseguentemente sarà di continuo variabile anche la pressione che esso eserciterà sulle pareti della frattura XY. Sia H l’altezza corrispondente alla pressione massima che potrà risentire il punto B e 4 la minima, durante i periodi rispettivamente di minore e maggiore sviluppo di gas. Non è possibile precisare queste due pressioni, si può dire che H sarà di poco minore della profondità a cui B trovasi sotto alla super- ficie del suolo. Non conosciamo quale sia il potere emulsionante degli RO O E SIE E n" idrocarburi gassosi nell’acqua e nel petrolio, ma possiamo con approssi- mazione ritenerlo non molto dissimile di quello dell’aria coll’acqua epperciò %& possa anche essere inferiore ad !/; di H (1). (1) La pressione A è anche in funzione della velocità della corrente ascen- dentesdel miscuglio: se, invece di una corrente di un miscuglio liquido, si avesse una corrente ad alta temperatura formata da gas o vapori, in questo caso nei punti ove essa assume una grande velocità, X può divenire negativa e prodursi una de- pressione anzichè una pressione sulle pareti. n °° VOTI CE e Pr 118 PEA VO] SHE 1 IRE E N Ri VASI » "ami Ae di) 5 r SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI Ciò premesso supponiamo che, durante il primo irrompere degli idrocarburi nella frattura XY, la pressione esercitata dal miscuglio sopra B sia rappresentata dall’altezza h : in questo momento se il banco caleareo A B C D, ha i suoi meati riempiti d’acqua e se l’altezza 4 della cupola supera %, l’acqua racchiusa nel banco calcareo discen- À I derà, ed una parte di essa andrà a riversarsi nella faglia XY (la i quale si comporta col banco calcareo come un vaso comunicante) e i sarà dalla corrente esistente in XY trasportata all’esterno. Il livello ù dell’acqua nel banco calcareo discenderà fino ad L nel ramo dell’an- F ticlinale più prossima alla faglia, mentre nel ramo opposto, l’acqua rimarrà immobile in L,, quindi nel tratto LL; si formerà il vuoto. i Se dopo questo primo periodo di grande attività delle emana- ? zioni, succederà un periodo di’ minor attività o di quiete, nella frattura XY crescerà la pressione del miscuglio, per il che una parte di esso Vertà spinta da B entroil banco calcareo, fino a che la pres- sione esercitata dal miscuglio in XY pareggerà quella esercitata dal liquido contenuto nel banco calcareo. La quantità di miscuglio penetrata nel banco calcareo si differen- zierà, l’acqua rimarrà in basso, mentre i gas eil petrolio si porteranno in alto, dove perciò si formerà una primaraccolta di petrolio e di gas. Ad ogni anche piccola successiva variazione di pressione in X.Y, dovrà succedere che : colla diminuzione di pressione uscirà dell’acqua dal banco calcareo, e col successivo aumento di pressione. si immet— terà in esso del nuovo miscuglio che, differenziandosi, andrà ad ac- crescere la quantità di petrolio e di gas antecedentemente adunatasi in alto nel banco calcareo. | Ripetendosi molte volte questo atflusso di miscuglio petrolifero, nel banco calcareo ed efflusso d’acqua, anche se l'abbassamento ed il _ sollevamento del livello del liquido entro il banco calcareo, sarà lento e.limitato a pochi metri, si verificherà che gradatamente, la volta del- l’anticlinale ed il ramo di banco B C, posta presso la faglia, si riempi- ranno quasi interamente di petrolio e nella zona più alta si avrà gas. Nel ramo opposto L;D dell’anticlinale, l’acqua già esistente non si sarà menomamente spostata, epperciò in esso non si adunerà petrolio. P ni PIT ENER aci Ve IP, ORO Ho supposto che i meati del banco calcareo ‘A B C D, prima di essere stato tagliato dalla frattura petrolifera, fossero pieni d’acqua; non mi dilungo a dimostrare che lo stesso fenomeno di adunamento A » di , had Tex be Ù e ap Ce» € i di petrolio dovrà prodursi se in essi esisteva dell’aria. In questo secondo caso, al vertice dell’anticlinale coi gas idrocarburi si troverebbe anche. dell’aria. s Perchè si produca nel tratto BC un adunamento di petrolio è con- [CA PL =) csi è «serata dizione necessaria che il banco calcareo non affiori e l’altezza di C sopra B, ossia a, sia superiore ad %, altezza, come si disse, corrispondente alla pressione minima che può esercitare il miscuglio sopra B. Per conseguenza se il banco A B C D avesse una minore altezza sopra B, ossia assumesse la disposizione indicata nella fig. 1 coll’an- ticlinale B C;} D; ;} oppure ‘formasse un lembo di banco limitato a B C, la cui altezza sopra B fosse inferiore ad %, allora nell’antieli- nale B C,, non verrebbe ad adunarsi del petrolio, non potendo nel banco calcareo formarsi l'afflusso e l’efflusso succitato. Li Nel tratto di banco calcareo B A sottostante a B, punto d’in- E Pn tersecazione colla faglia XY, non potrà evidentemente effettuarsi alcun adunamento di petrolio. INN Nel caso speciale in cui la frattura XY, venisse a passare per il fondo di una sinclinale, allora i suoi due rami venendo a trovarsi simmetricamente disposti per rispetto alla frattura, dovrà formarsi un adunamento di petrolio nella sinclinale stessa e nei suoi due rami. rent Ct ina Concludendo: è condizione necessaria, perchè una faglia petro- lifera verticale produca una concentrazione di petrolio, che _essa pe tagli un lembo di strato permeabile inclinato, non affiorante e che la parte di banco soprastante alla faglia abbia una sufficiente altezza ; in questo caso il petrolio occuperà soltanto la zona di banco sopra- stante alla faglia. Se. poi lo stesso lembo di strato inclinato presenta in alto anche una piega anticlinale, allora il petrolio si adunerà nella cupola for- nn ge n ZZZ mata dall’anticlinale e nel ramo dell’anticlinale stato tagliato dalla faglia, rimanendo sterile l’altro ramo. } Le sinclinali possono ricettare petrolio nel caso più raro in cui è le faglie petrolifere tagliarono il fondo delle sincelinali stesse. - ” let EE N TORTA VI r . SMAGII 4 ra” Na 4 NI 8° sull Li Re sx p N O Ù È a £, n i edi “a 7 a et, se paia 6 a a i = è) È Al SUL MODO: DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PENEOLIFERI E SOLFIFERI Pi Ai x 'À 2° Caso. — La frattura petrolifera è obliqua alla verticale e taglia un banco permeabile inclinato oppure disposto a pieghe. In questo caso, perchè la corrente è obliqua alla verticale, la ri- sultante delle due spinte che animano i gas e le goccioline di petrolio esistenti nella corrente stessa, si dirigerà contro le pareti della frat- tura e quindi succederà, tanto più se la frattura ha un’ inclinazione prossima all’orizzontale, che gas e petrolio verranno in parte ad infil- trarsi nel banco calcareo inclinato e ad adunarsi in alto; se poi esso presenta un anticlinale il petrolio ne occuperà la cupola, e ciò anche nel caso in cui per la piccola altezza della piega non si producesse il succitato fenomeno dell’afflusso e dell’efflusso delle emanazioni. Do- vrebbe cioè verificarsi quanto avviene nelle miniere a grisou, quando una galleria orizzontale, percorsa da una corrente d’aria avente anche una piccolissima quantità di grisou, incontra un camino inclinato ascen- dente, chiuso in alto, nel qual caso parte del grisou lascia la corrente per salire nel camino che viene perciò gradatamente a colmarsi di grisou suscettibile di produrre uno scoppio. Riassumendo : Se un banco di calcare non affiorante, formante un anticlinale è tagliato da una faglia poco inelinata sull’orizzontale, può formarsi, sempre in un ramo solo dell’anticlinale, un adunamento di petrolio, anche se le pieghe non sono molto accentuate. Nel caso in cui . la faglia petrolifera è verticale, perchè si possa verificare un aduna- mento di petrolio nelle pieghe anticlinali di un banco calcareo, occorre che la profondità del punto in cui la faglia petrolifera venne a tagliare il banco calcareo, misurata a partire dall’asse della cupola anticlinale, sia molto rilevante. Da ciò si deve desumere che nelle assise più superficiali del ter- reno,le quali maggiormente risentirono l’azione di spinte oblique alla verticale che produssero delle faglie prossime all’orizzontale, si dovettero avere le migliori condizioni per la formazione dei giacimenti petroliferi, anche se i corrugamenti dei banchi permeabili furono poco accentuati. Nelle assise più profonde invece, dove si incontrano quasi esclu- sivamente delle faglie verticali, perchè in esse si formassero aduna- Er TRS 3 SINTAAO ROTRE TORNO IP. SPOSO menti di petrolio occorreva che le pieghe dei banchi calcarei fossero tanto più accentuate, quanto più profondo era il punto d’incontro della faglia petrolifera col banco di calcare stesso ; il che raramente si verifica, perchè è carattere delle assise profonde di avere meno ri- sentito l’azione delle spinte orizzontali e quindi di avere subìto mi- nori corrugamenti. | Secondo l’ipotesi filoniana, il petrolio, perchè trasportato dalle acque attraverso i meati di banchi permeabili, dovrebbe subìre piut- tosto una differenziazione per densità, anzichè un frazionamento per filtrazione attraverso terreni argillosi, per effetto di grandi pressioni e della capillarità. Si osserva infatto che ogni singola tasca di petrolio presenta soltanto un leggero aumento di densità con la profondità. Siccome tutte le emanazioni endogene, epperciò anche gli idro- carburi, variano di natura col tempo e coi luoghi, ne deriva che non soltanto ogni singola regione petrolifera deve fornire diverse qualità di petrolio, ma in una stessa regione le fratture petrolifere più recenti devono produrre nei banchi permeabili da essi incontrati adunamenti di petrolio di qualità diverse da quelli dovuti a fratture relativamente più antiche e quindi Ja differenza di densità dei petroli dei singoli adu- namenti è indipendente dalla loro profondità. Ricordo che analogo fatto deve essere successo per le emanazioni metallifere. I giacimenti piritosi cupriferi di Boccheggiano e della Fe- nice, situati uno a Nord e l’altro a Sud di Massa Marittima, dovet- tero essere prodotti da emanazioni della stessa natura aventi però in diverse proporzioni gli stessi elementi rame e solfo, perchè nei minerali dei due giacimenti, tali elementi erano rispettivamente nei rapporti di 3:14 e 3:26. | | Le considerazioni su esposte parmi portino alle seguenti deduzioni: 1° Nelle zone petrolifere si presentano sterili quei banchi per- meabili che non furonò incontrati da una faglia petrolifera, oppure che affiorano ; 2° Un banco permeabile, tagliato da una faglia petrolifera verticale, può essere sterile, se per avere una disposizione troppo prossima all’orizzontale, l’altezza della parte di banco, stata tagliata eni Pe A) = 4 e aa z AA 0 DI È È ae Peo 1 dipaar ar i di vid è SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI I20 dalla frattura petrolifera, è inferiore all’altezza rappresentante la pressione minima esercitata dal miscuglio petrolifero nel punto d’in- contro della faglia col banco calcareo. I! che viene a dimostrare il seguente rilievo fatto da Petit sui giacimenti di Galizia. (Vedi la citata Memoria di Camerana e Galdi, pag. 25). « Nei giacimenti di Ga- « lizia quanto più la distanza che separa due anticlinali è grande, « ossia quanto maggiore è la profondità della sinclinale interposta, tanto « più notevole è l’accumolo di petrolio lungo le anticlin ali ». 3° La disposizione a pieghe degli strati è la più favorevole perchè si formi una grande quantità di petrolio nelle cupole anticlinali; quando ciò si verifica il petrolio occuperà pure i meati di uno dei suoi rami, mentre l’altro sarà sterile. Le concentrazioni petrolifere entro lembi di banco inclinati de- vono presumibilmente essere più numerose ma meno ricche di quelle entro cupole anticlinali. 4° Quanto più i banchi permeabili sono profondi, dovendosi presumere che essi siano stati attraversati specialmente da fratture petrolifere verticali, deve succedere che con la profondità, venendo a crescere la pressione minima esercitata dalle emanazioni sulle pareti delle fratture, occorrerà, per rendere possibile l’adunamento del pe- trolio, che sia rispettivamente tanto più accentuato il corrugamento dei banchi, ossia deve essere più grande l’altezza delle pieghe. Nelle zone relativamente superficiali i banchi permeabili non af- fioranti presentano perciò migliori condizioni per ricettare giacimenti petroliferi. In ciò si avrebbe la spiegazione del fatto rilevato da Mrazec e citato a pag. 21 della Memoria Camerana e Galdi (1) « che î grandi « giacimenti di petrolio trovansi sempre in regioni più o meno forte— « mente dislocate, ma che le pieghe degli strati sono sempre relativa- « mente superficiali ». 5° Colla disposizione suaccennata che dovrebbe assumere il petrolio in un banco calcareo, ne risulta che se con una perforazione sì viene ad incontrare il vertice di un anticlinale, si avrà primie- (1) Mrazec. — Ueber die Bildung der Rumaenischen Petroleum Lager- staetten, 1907. gr ey Ali 1A: Pei 7 S Nt, SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 31 Questi banchi potranno adunare petrolio solamente da una parte delle fratture e cioè rispettivamente al letto per la X Y ed al tetto per la Xi Y, Se invece di semplici fratture si avessero delle faglie, che diedero origine ad un rilevante scorrimento del tetto, si dovrebbe produrre, lungo l’affioramento delle due faglie, un abbassamento no—- tevole del tetto, e quindi alla superficie si avrebbe un avvallamento tettonico, il cui fondo potrebbe, per un tratto, essere percorso da un corso di acqua. In questo. caso non raro, sì verificherebbe che gli adunamenti petroliferi si troverebbero sottostanti ad una valle e limi- tati ad un solo lato del corso d’acqua: il che è quanto viene ammesso dai pratici, che cioè le zone petrolifere nella regione Emiliana s’incon- trano limitate alle sole valli ed anzi ad un solo lato dei corsi d’acqua. 9° L’ipotesi succitata dimostrerebbe razionali le tre regole adottate dai ricercatori e porterebbe ad escludere l’idea, da alcuni ammessa, che nell'Emilia, gli scarsi giacimenti petroliferi che si tro— vano nei terreni miocenici siano secondari e provengano dalla migra- zione del petrolio dei giacimenti primari più riechi situati nell’Eocene. La ricchezza in petrolio specialmente delle assise più alte del- l’Eocene Emiliano, dove del resto sono più frequenti i banchi cal- cari, e la povertà dei giacimenti miocenici, dovrebbe invece dipen- dere dal fatto che le prime presentarono le condizioni necessarie per l’adunamento del petrolio e cioè l’esistenza di frequenti banchi cal- cari permeabili non affioranti inclinati od aventi accentuati ripiega— menti, mentre i terreni miocenici hanno banchi più tendenti all’oriz- zontale e posti stratigraficamente più in alto, per cui, il più delle volte, vengono ad affiorare. 10° Si ritiene che i profondi pozzi scavati a Salsomaggiore, i quali attraversarono terreni miocenici, dando acque saline, bromo- ijodiche, ma con scarsa quantità di petrolio, qualora venissero molto approfonditi, dovrebbero incontrare fertili i terreni eocenici sotto— stanti. Per le considerazioni suddette risulterebbe più probabile che i terreni eocenici, altrove fertili, debbano qui invece essere sterili, perchè trovandosi a grande profondità, il loro corrugamento potrebbe non risultare sufficentemente accentuato, come è necessario, perchè in essi si producano delle importanti concentrazioni petrolifere. LL ÙLa ea TOSO , 11° I giacimenti petroliferi dell’ Emilia, perchè contenuti in banchi di calcare affetti da molte dislocazioni che li divisero in lembi, devono presentare molti piccoli ed isolati giacimenti petroli- feri non comunicanti fra loro e per la cui coltivazione sono necessari numerosi pozzi. La grande ricchezza dei giacimenti della Pensilvanià e Romania è dovuta alla maggior potenza e regolarità dei banchi permeabili ed alla maggiore attività e numero delle faglie petrolifere. 12° L’ipotesi filoniana porta alla conseguenza che le concen- trazioni di petrolio debbano sempre fiancheggiare le faglie petrolifere generalmente regolari ed estese, per cui le ricerche siano da ese- guirsi di preferenza lungo gli allineamenti delle concentrazioni di petrolio già note, anzichè lungo la linea presentata dalle anticlinali dei banchi permeabili, tanto più se le due linee sono divergenti. IV. CONSIDERAZIONI SULLE RICERCHE PETROLIFERE DELL’ EMILIA. I recenti studi eseguiti dagli ingegneri Camerana e Galdi, nella re- gione petrolifera Emiliana, suggerirono all’Ispettore superiore Maz- zuoli, le seguenti deduzioni che egli enunciò nella prefazione fatta alla monografia compilata dai predetti ingegneri: a) I depositi dell’Emilia già sfruttati devono considerarsi di origine secondaria, derivanti cioè da concentrazioni petrolifere situate verosimilmente alla pase delle argille scagliose, ossia ad una profon- dità non ancora raggiunta dalle perforazioni. b) La regola dell’anticlinale, generalmente fin qui adottata, se ha qualche valore è solo perchè le linee anticlinali possono essere accompagnate da fratture che avrebbero permesso il passaggio del petrolio dalla sua posizione originaria a quella secondaria. c) Per lo sviluppo dell’industria petrolifera italiana è necessario spingere le ricerche a maggiori profondità per raggiungere i supposti giacimenti primari più ricchi di quelli secondari, fin qui coltivati. MIR RR e n rp è x rt SÉ SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFFRI E SOLFIFERI 33 Queste deduzioni sono una naturale conseguenza dell’interpre- tazione, adottata dagli Ing. Camerana e Galdi, del modo di forma- zione dei giacimenti petroliferi. Da questa ipotesi e dalle conseguenti deduzioni suddette, do- vette essere ispirata la Legge 19 marzo 1911 la quale mira a pro- muovere le perforazioni a grande profondità, accordando un premio di L. 30 per ogni metro lineare di pozzo scavato, in più della pro- fondità di 300 metri. Ammettendo l’ipotesi che le emanazioni endogene diidrocarburi, analogamente a quelle metallifere, abbiano attraversato i terreni se- ‘dimentari entro faglie, si è invece portati alle seguenti deduzioni : 1° Doversi escludere l’idea che esistano due tipi di giacimenti petroliferi, di cui i più profondi siano gli originari presumibilmente ricchi ed i più superficiali siano meno ricchi perchè derivati. 2° Nell’Emilia le faglie petrolifere, generalmente dotate di molta regolarità, produssero adunamenti di petrolio se vennero a ta- gliare lembi di calcare permeabili non affioranti, inclinati 0 disposti a pieghe. Simili lembi di banchi calcari si trovano quasi esclusiva- mente nell’ assise eocenica soprastante alla formazione delle argille scagliose ; essi per trovarsi, a seconda della località. a differenti pro- fondità formarono diversi orizzonti petroliferi, la cui profondità varia | per ogni singola regione. 3° Il corrugamento dei banchi permeabili è condizione neces- savia per la formazione dei giacimenti petroliferi e quindi la regola dell’anticlinale non deve ritenersi come assurda, ma anche per l’ Emilia deve avere tutto il valore attribuito fin qui dai ricercatori e deve essere considerata come la migliore guida per l'ubicazione dei pozzi. 4° Nelle regioni dove le argille scagliose, sottostanti alle assise calcaree, si trovano a grandi profondità, anche se, sotto a questi po - tenti banchi di argille, si incontreranno altri banchi calcarei, difficil- mente questi potranno avere corrugamenti così accentuati, come ri- chiederebbe la loro profondità, perchè in essi si possano formare adunamenti di petrolio. 5° La legge 19 marzo 1911, mentre mira a promuovere soltanto Ye: dad le IT Pc Marsi “e Ò ® 4 de lee» do, Vit P. TOSO le ricerche, molto problematiche, delle zone più profonde, non vale a favorire i lavori per la ricerca di nuove zone petrolifere, ma servì soltanto a fare contribuire lo Stato ad una parte delle spese di eser- cizio di quelle miniere che già coltivavano orizzonti petroliferi noti, posti a profondità superiori ai 300 metri. 6° Per gli studi da eseguire nelle regioni petrolitere occorre non soltantd rilevare la stratigrafia dei banchi permeabili suscettibili di adunare' petrolio nelle loro pieghe, ma anche l'andamento delle faglie che, secondo l’ipotesi filoniana, permisero il passaggio delle emanazioni endogene di idrocarburi, attraverso i terreni sedimentari. PARTE IL - Sul modo di formazione dei giacimenti solfiferi IL I GIACIMENTI SOLFIFERI SICILIANI VENNERO FIN QUI CONSIDERATI DI ORIGINE SEDIMENTARIA, I giacimenti solfiferi della Sicilia che rappresentano la maggior ricchezza mineraria italiana, sono ancora un’incognita per quanto riguarda la loro genesi. Di questo problema, a cui si annette una grande importanza pratica, sia per le ricerche, sia per giudicare del- l'avvenire dell'industria solfifera siciliana, si occuparono molti geologi ed ingegneri fra cui: Hoffmann, Maravigna, Faillette, Von Buch, Saint Clair Deville, Bischof, Stoppani, Dieulafait, Mottura, Baldacci, Travaglia, Spezia, Gounod. | Nelle svariate ipotesi state dai predetti autori formulate, tutti si partirono dal principio per loro indiscusso, che il minerale di solfo in Sicilia si sia depositato entro bacini d’estuario o lacustri, contempora- neamente ai banchi di calcare e di gesso che sempre accompagnano il solfo, e ciò perchè tutti ritennero che la struttura listata del mine- rale (0 come dicono i minatori siciliani sorzata), frequente in molte solfare, sia una prova non dubbia della loro origine sedimentaria. ' v ” 4 Cai DS SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI "IE Gli ingegneri Mottura (1), Baldacci (2) e Travaglia (3) che più re- centemente studiarono il problema della genesi dei minerali di solfo, li supposero prodotti della riduzione dei gessi: non concordarono però sul modo con cui dovette verificarsi tale riduzione. Il prof. Spezia (4) invece, escluse l’intervento del gesso, ed ammise l’ origine endogena del solfo formatosi in bacini, in cui giungevano solfato di calcio e di stronzio, solfuro di ferro, silice e sostanze bituminose e solfo allo stato di vapore o combinato. Lo stesso professore, non trovando però con quest’ipotesi una spiegazione dei tanti fenomeni che presentano i giacimenti solfiferi, ‘ ricordava « la necessità di nuove ricerche aventi per base l’esame dei « piccoli fatti, la somma dei quali può in certe questioni geologiche «assumere grande importanza ». Gounod, già direttore della miniera di Grottacalda, il quale pure studiò quest’argomento (5), concluse parimenti coll’ammettere che ancora non era possibile spiegare in modo soddisfacente la formazione del solfo in Sicilia. In uno studio (6) sui giacimenti metalliferi del Massetano (Prov. di Grosseto) ho rilevato come quelle irregolari concentrazioni di mi- nerale, indubbiamente di origine non sedimentaria ma filoniana, hanno una mineralizzazione a strati alternati di ganga e minerale, disposti parallelamente al muro dei giacimenti, ossia una struttura molto analoga a quella del minerale solfifero soriato: ed indagando le cause che motivarono tale disposizione del minerale, ho desunto che essa (1) S. MortTURA. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia — Firenze, 1871. (2) L. BALDACCI. — Descrizione geologica dell'Isola di Sicilia — Roma, 1882. (3) R. TRAVAGLIA. — / giacimenti di solfo di Sicilia e la loro lavorazione — Padova, 1889. (4) G. SPEZIA. — Sull’origine del solfo nei giacimenti solfiferi della Sicilia — Torino, 1892. (5) Gounonb. — Contribution à l’étude de la formation du soufre de Sicile — Palermo, 1897. i (6) Toso. — Sul modo di formazione dei principali giacimenti metalliferi coltivati in Toscana. (Bollettino del R. Comitato Geologico, vol. XLII) Roma, 1913. EDO |P. T0s0 dipendeva dal deposito del minerale prodottosi da soluzioni metal- lifere percorrenti faglie oblique alla verticale; in queste faglie, perchè poco inclinate sull’ orizzontale, il minerale dovette depositarsi sul muro e disporsi a strati alternati con materiale roccioso staccatosi dal tetto lambito dalle soluzioni. Questi filoni entro faglie oblique alla verticale, dovettero formarsi per effetto di scorrimenti di una delle pareti delle faglie sull’altra, epperciò diedi ad essi il nome di filoni di scorrimento. ; Da ciò mi parve poter dedurre che la mineralizzazione a strut- tura listata non sia una caratteristica dei giacimenti sedimentari, mentre invece quella a zone simmetriche all’asse dei giacimenti è la caratteristica dei filoni perchè, come dissi, entro fratture oblique alla verticale, tanto più se avvicinantesi all’orizzontale, i depositi filoniani devono disporsi appunto a strati alternati di minerale e ganga, paral- lelamente al muro e somigliare ai depositi sedimentari. Applicando questo concetto dei filoni di scorrimento all’ inter- pretazione dei giacimenti solfiferi siciliani, parvemi di trovare grande la loro analogia con quelli metalliferi del Massetano, per cui mi convinsi che essi siano di origine filoniana e che, se il problema della genesi dei minerali di solfo, non trovò finora una plausibile soluzione, ciò dipenda dal preconcetto degli autori di considerare i . giacimenti solfiferi come formati entro bacini aperti d’estuario, an- zichè come depositi entro i vuoti sotterranei, dovuti a fratture di banchi gessosi. | Il lettore non voglia a priori giudicare troppo ardita tale idea, perchè già l'ing. Mottura (1) intravide nei giacimenti solfiferi siciliani delle analogie coi giacimenti metalliferi e fece il seguente rilievo: «I gruppi delle solfare siciliane hanno una grandezza molto note— « vole, relativamente alla loro larghezza, a segno che qualche volta si « potrebbe credere che i depositi solfiferi siano costituiti di filoni di «spaccatura ». i In lui come in tutti i geologi, prevalse però, come dissi, la per- suasione che il minerale soriato dimostrasse troppo chiaramente la (1) MOTTURA. — Opera citata, pag. 28. 1 il dA Ù ni A SR.) 4 1 Pv a 6] 1 dl # ti xa i è dI i | EOeTS i | re i ie: Ù si È; A RI pa, ? À Ù) EA P cà . \ tu) La ( SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 37 sua formazione sedimentaria, da dovere considerare come casuale tale analogia. A Scopo del presente scritto è di mettere in rilievo che, consi— | derando i giacimenti solfiferi siciliani come prodotti da emanazioni endogene, le quali nel venire all’esterno attraversarono i banchi ges- sosi, si trova una facile spiegazione di tutti i fenomeni che essi presentano, compresi quelli ritenuti dagli ingegneri minerari come inesplicabili anomalie. n A maggior intelligenza delle osservazioni che andrò sottoponendo, (prima di parlare dei giacimenti solfiferi, premetto alcuni cenni sui I terreni del Miocene superiore che li racchiudono e sulla natura delle emanazioni che attualmente si svolgono nelle regioni solfifere da nu- merosi vulcani di fango detti in Sicilia maccalube. Il lettore può tro- vare una più ampia decrizione di questi terreni nella succitata clas- sica opera dell'ing. Baldacci. JRE: i CENNI SUI TERKENI FORMANTI IL MIOCENE SUPERIORE IN SICILIA. 4 I terreni sedimentari, entro cui soltanto si possono incontrare a in Sicilia dei giacimenti solfiferi, sono, a partire dal basso, formati da banchi di tripoli, di calcare concrezionato (in Sicilia chiamato comunemente calcare siliceo) e da banchi di gesso: tutti attribuiti al Miocene superiore. Questi terreni posano sulle marne tortoniane e sono d’altra parte sottostanti a marne a foraminifere, dette in Sicilia trubî, le quali _—‘’‘@ppartengono al Pliocene inferiore. È Tripoli. — I banchi di tripoli hanno una potenza che talvolta | sorpassa i 50 metri; essi dovettero costituire dei depositi molto estesi, È coprenti i terreni tortoniani sottostanti; in gran parte essi vennero asportati dalle denudazioni, dove non erano protetti dai banchi di calcare o di gesso. I tripoli sono formati da strati di una materia . bianca silicea a struttura listata o fogliettata, costituita specialmente da residui di Radiolarie, Diatomee, ecc. î PAT RE TIO de MP RR IMI p MS PA bo Li di Cla tia » usi LL De A “ » Mara cala ca dl fed 38 i CE Pe TONDI ERI PORNO VASTI Nei tripoli s'incontrano talvolta intercalati anche degli straterelli di lignite, come pure di calcare talvolta solfifero. Quantunque rara- mente, rinvengonsi degli strati di tripoli anche sopra ai banchi di gesso. Calcare concrezionato. — I banchi di calcare concrezionato hanno generalmente una grande potenza, che, in alcuni punti, arriva a 50 metri. Caratteristica di questi banchi è pure la loro grande estensione, si hanno infatti affioramenti di questo calcare sopra una linea di oltre 15 Km. Esso però talvolta manca completamente nella serie. Baldacci notò esistere un intimo rapporto fra questo calcare ed i soprastanti banchi di gesso, e cioè che ad un maggior sviluppo del calcare corrisponde un più debole spessore dei gessi. Il calcare non possiede una struttura costante; talvolta è fria- bile e farinoso, talvolta è compatto e durissimo e contiene propor- sioni variabili da un punto all’altro di silice. Questo calcare non è da confondere con un’altra specie di cal care generalmente più poroso, detto calcare perciuliato (bucherellato) non sempre mineralogicamente distinguibile dal calcare conerezio- nato. Esso ha una potenza ed un’estensione assai più limitate e si riscontra tanto sopra come sotto i banchi di gesso e contiene tal- volta traccie di solfo e perciò si ritiene come il rappresentante del minerale solfifero. In Romagna e nelle Marche inferiormente alla formazione ges- Sosa di frequente s’incontra un banco di calcare detto dai minatori cagnino, che varia di potenza, ma che raramente sorpassa i 2 metri. Un campione di esso della miniera Cabernardi (Marche) diede al- l’analisi il 10 per cento di solfato di stronziana. In alcune miniere della Romagna si trovò che il cagnino conte- neva fino al 42 per cento fra gesso, stronziana, barite. La barite si. presenta sotto forma di cristalli ed in rognoni ed incontrasi più di frequente in Romagna che non in Sicilia. Vedremo in seguito come gli esili strati di calcare poveri e ta- lora affatto privi di solfo i quali, tanto in Sicilia come in Romagna, stanno a muro dei giacimenti solfiferi, non debbansi ritenere come n Eee e EER (Dure n n u pro. De; Ù 4 cè Mae è SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 39 calcare concrezionato, ma minerale solfifero stato in parte o comple- tamente spogliato del solfo già contenuto. Nel calcare concrezionato non si rinvennero fossili e nemmeno resti organici. Gounod trovò che questo calcare ha una proporzione di iodio e fosforo molto minore di quella dei calcari marini secon- dari eocenici o pliocenici di Sicilia; siccome si ammette che il iodio sia stato portato dagli organismi depositati nel medesimo tempo che gli altri elementi del calcare, per tale mancanza di iodio, egli ritenne il calcare concrezionato come un deposito chimico. Gessi. — La formazione gessosa ha potenze variabili da pochi metri fino a 100, e presenta numerose varietà di gessi; se ne hanno @ struttura cristallina, saccaroide oppure fogliettata a lastre sottili, quest’ultima in Sicilia viene chiamata balatino. I balatini in una data formazione gessosa occupano la parte più bassa e contengono elementi argillosi in quantità relativamente maggiore che non i gessi cristallini. I banchi di gesso sono sempre intercalati da strati, ampiamente lentiformi, di argille bituminose, dette in Sicilia tufi, i quali assu- mono talora potenze anche superiori ai 5 metrie separano nettamente i diversi banchi di gesso componenti la massa gessosa. Non si hanno analisi delle diverse qualità dei gessi per desumere la quantità relativa di stronziana in essi contenuta. In Romagna i gessi hanno proporzioni variabili di carbonato di calcio il quale ar- riva fino al 20 per cento. E’ da ricordare che i gessi talvolta posano direttamente sui tripoli o sulle argille tortoniane : perciò possono mancare i banchi di tripoli e di calcare concrezionato. Trubi. — Sono marne a foraminifere, le quali formano potenti banchi frequentemente alternati da materiale caotico argilloso. I trubi presentano una perfetta stratificazione concordante coi gessi, ma si attribuiscono al Pliocene inferiore perchè pliocenici sono i fossili incontrati in queste marne. : \ x A circa ALT, di, ehe a Cite UV aal'iadel EMANAZIONI ENDOGENE DIIDROCARBURI CHE SI INCONTRANO NELLA REGIONE SOLFIFERA SICILIANA. Nelle diverse zone solfifere siciliane s’incontrano dei vulcani di fango (maccalube) che emanano, con intensità variabile, gas idrocar- buri con acque alcaline. | L'analisi del gas delle maccalube di Girgenti, per citarne una sola; perchè le altre poco ne differiscono, diede la seguente composizione: . 1,65 . 0,69 MozA 87,23 5,74 Le acque alcaline che accompagnano i gas, in seguito ad evaporiz- zazione, depositano del carbonato di calcio ricco di sali di stronzio, del cloruro e del carbonato di sodio e anche traccie di bromo e di silice. Le maccalube non emanano idrogeno solforato. Nei piccoli coni di fango che attorniano le maccalube si trovano frammenti di cal- cari eocenici stati eruttati col fango : essi dimostrano la violenza che assunsero talvolta le correnti gassose e liquide delle maccalube per portare alla superficie detriti tolti dai terreni sottostanti, e quindi la profondità delle origini di queste sorgenti. Questo fatto viene citato in appoggio all’ipotesi dell’origine en- dogena dei carburi d’idrogeno emanati dalle maccalube. Queste sorgenti di gas contenenti prevalentemente del metano, con tenue quantità di acido carbonico, paiono una conseguenza delle grandi fratture che uniscono i due maggiori centri vulcanici siciliani e cioè l'Etna e l’Isola di Pantelleria. Porto l’attenzione specialmente sul fatto che le maccalube non. contengono idrogeno solforato, danno acque stronzianifere e la maggior parte di esse si incontra fra i terreni tortoniani. 4 » at teli ù 7 hi é , e, x è 3: ; ipa u% vez Sia i ò î néta 4 x ua, t È PRI x n PATER a Dt dine: lodi La ‘ N° | 7 PILA i feb n î . SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI © 41 IV. SULL'ORIGINE DEI BANCHI DI TRIPOLI, DI CALCARE CONCREZIONATO E DI GESSO FORMANTI IN SICILIA IL MIOCENE SUPERIORE. Per lo studio della formazione gessosa solfifera parmi importante portare l’attenzione sui seguenti fenomeni che essa presenta, tutti da attribuirsi ad azioni di vulcanismo, cioè: 1° La base della formazione gessosa è formata da tripoli che si devono ritenere prodotti, come fece osservare il prof. Spezia, da geyser subacquei che emanarono sostanze silicee. i 2° Recenti gtudi sui batteri del solfo dimostrarono che essi vivono in bacini dpve sisvolgono emanazioni endogene di Ho $S e pro- ducono del gesso, fe trovansi in acque contenenti carbonato di calcio, per cui anche il gesso può essere considerato come il resultato di azioni di wulcanidmo. 3° Emanazioni di idrocarburi si svolgono LEN Re nelle stesse regioni dove già Si verificarono fenomeni geyseriani ed ema- nazioni di Ho S. | Questi fatti, parmi, rendono plausibile l'ipotesi che, in Sicilia, al principio del Miocene superiore, fenomeni di vulcanismo diedero ori- gine primieramente a numerose sorgenti geyseriane con Ha S e CO. , di elevata temperatura, le quali, svoltesi entro bacini d’estuario, de— | positarono sul terreno tortoniano estesi banchi di tripoli. Queste emanazioni poi, le quali col tempo diminuirono di tem- peratura e variarono d’intensità e di natura (fenomeno questo che si Verifica in tutte le emanazioni dovute a fenomeni di vulcanismo), diedero origine, a seconda di circostanze speciali, di cui si dirà in ap- presso, a banchi di calcare concrezionato o di gessi. Nell’ultima fase poi, nelle stesse regioni si svolsero gli idrocarburi, che ove vennero in contatto coi gessi li ridussero e formarono del minerale solfifero. Esaminiamo più particolarmente i citati terreni del Miocene supe- riore in rapporto a questa ipotesi. i a i ua » , P. TOSO Tripoli. — Il prof. Spezia dimostrò, come già dissi, che soltanto numerose emanazioni geyseriane silicee, sparse per tutta la regione siciliana, poterono originare i banchi di tripoli, col fornire un ab- bondante alimento necessario alla moltiplicazione degli organismi inferiori, a cui necessita la silice per costituire potenti depositi silicei quali sono i tripoli. Fra i tripoli sì rinvennero, quantunque raramente, delle esili con- centrazioni di solfo, le quali furono oggetto di discussione circa la loro origine. L’Ing. Cavalletti, professore nella Scuola degli Ingegneri di Palermo, osservò nella miniera Trabonella, frai tripoli, del solfo cristallino che, secondo lui, dovette provenir dal solfo del minerale del giacimento soprastante, stato disciolto dalle acque, le quali poi si infiltrarono fra i sottostanti tripoli ove depositarono solfo. Nella solfara Cabernardi egli rinvenne fra i tripoli del solfo amorfo, sotto forma di amigdale che hanno il carattere di deposizioni dirette entro i tripoli, il che pare confermato dal fatto che al di- sopra di essi, in quei punti, manca il banco solfifero. Queste amigdale di solfo amorfo parmi non debbano rappresen- tare, come suppone l'Ing. Cavalletti, depositi di solfo formatisi coi tripoli e ciò per la seguente ragione. I geyser subacquei che fornirono l'elemento siliceo dei tripoli dovevano pure emanare Hs $; questo gas però, perchè svolgentesi in bacini aperti, non poteva, come si dirà in appresso, dare origine a depositi di solfo. Siccome fra i tripoli si incontrano straterelli di lignite, parmi più probabile ehe, se una di queste lenti di lignite venne ricoperta da materiale gessoso, possa avere effettuata la riduzione del gesso per azione microbiolitica e si sia prodotto del solfo, come si dirà più diffusamente parlando della riduzione dei gessi. Si incontrano quantunque raramente dei banchi di tripoli sopra i gessi; questo fatto non infirmerebbe l’ipotesi Spezia, perchè centri sporadici di emanazioni geyseriane calde poterono formarsi pure successivamente, però con minor frequenza, anche quando già si era depositato il gesso. tu SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 4. Calcare concrezionato. — Mentre il vapor d’acqua ed i gas ema- natisi durante il primo periodo di vulcanismo, a motivo della loro elevata temperatura, decomposero i silicati alcalini lambiti da queste correnti geyseriane e produssero la silice dei tripoli, successivamente, pel raffreddamento del vapore d’acqua e delle emanazioni di Ho S e CO», queste dovettero, lungo il loro percorso, disciogliere soltanto roccie calcaree e trasportare così alla superficie acque calcarifere, su- scettibili di formare depositi di travertini. Il calcare concrezionato privo di fossili, contenente iodio e fo- sforo in proporzioni tanto inferiori ai calcari di origine organica, de- | vesi considerare come un deposito di travertino subacqueo. Queste sorgenti calcarifere sono perciò conseguenza di fenomeni di vuleanismo, perchè furono le emanazioni di Ho S e CO» le quali non solo promossero la soluzione dei calcari mesozoici da esse attraver- sate in profondità, ma emulsionando le acque calcarifere ed espan- dendosi, fornirono la forza necessaria a sollevarle fino alla superficie. | Gessi. — Baldacci, come già si disse, fece l’osservazione che quasi. sempre ad un maggiore sviluppo dei banchi di calcare conerezionato, ne corrisponde uno più debole dei banchi soprastanti di gesso. Questo stretto rapporto fra le due formazioni induce a supporre che tutte e due si debbano attribuire alle stesse emanazioni di gas H: Se CO., accompagnate da acque calcarifere, le quali in alcune circostanze depositarono calcare ed in altre, gesso. Veniamo a ricer- care quali possono essere queste diverse circostanze. Il prof. Spezia (1), basandosi su esperienze fatte da Béchamp, e da lui ripetute, trovò che mediante una corrente di Ho S, entro un vaso contenente acqua e calcare, viene cacciato il CO» dal cal- care e si ottengono cristalli di calcite, di gesso e di selfo; da ciò egli credette giustificato il supporre che, se entro soluzioni calcarifere vengono a prevalere rispettivamente emanazioni di H; S e di CO», deve formarsi un deposito di ‘gesso oppure di carbonato di calcio. Osservo però che in natura non si verifica questo fenomeno sup- pesto dallo Spezia, perchè nei laghi di Tivoli, dove si svolge in grande (1) SPEZIA. Opera citata, pag. 19. 44 SR DI | P. TOSO quantità Hs S, il quale, dopo aver saturato quelle acque calcarifere, va a perdersi nell’atmosfera, si producono depositi di calcare con pie- cole quantità di solfato di calcio e soltanto rari cristalli di solfo. Parmi invece che la formazione del gesso sia dovuta alla solfa- tizzazione del calcare sciolto in acque, la quale ha luogo soltanto nei casi in cui l’Hs S, è in quantità relativamente piccola da non sa- turare le acque, mentre abbondando 1l’Hs S si deposita invece del calcare. E ciò per le seguenti ragioni : Durante il periodo in cui vennero a depositarsi dapprima il calcare concrezionato e poi i gessi, le emanazioni di gas dovettero gradatamente diminuire in intensità e conseguentemente anche ]le sorgenti calcarifere essere meno attive. Oltre a ciò è da considerare che durante questo periodo di tempo, il terreno andò sempre ab- bassandosi, per cui le acque degli estuarii assunsero sempre maggiori altezze e quindi dovette diminuire la loro ricchezza in H2$; ora trovando ‘noi che i gessi si formarono sempre dopo il calcare, devesi supporre che questo cambiamento di natura del deposito da calcare in gesso sia da attribuirsi alla suaccennata diminuzione del tenore in HS delle acque, per effetto della maggiore estensione e profon- dità dei bacini. Queste considerazioni sono confermate dagli studi sulle funzioni di alcuni batteri che, come dirò in appresso, hanno la proprietà di solfatizzare i carbonati disciolti nelle acque solfidriche, ossia di pro- durre del gesso. Questi batteri non trovano propizie le condizioni di vita nei bacini dove l’Hs S è in tanta abbondanza da saturare le acque, ed in conseguenza dove le acque calcarifere sono sature di Ho S non sì formano gessi e si depositano soltanto calcari. Dirò qui brevemente quali siano le funzioni vitali di questi mi- crorganismi detti Tiobatteri, ossia batteri ossidanti dell’H» S e pro- duttori del gesso (1). Essi traggono alimento dall’H S e respirano l'ossigeno dell’aria e si incontrano in grande abbondanza in tutti i bacini entro cui si sviluppa Ho S. Nel loro corpo si formano piccole sfere di solfo molli ed oleose e si rinviene pure del gesso. (1) T. BARONCELLI. — / batteri del solfo. Torino, 1910. gi E DE pel (A. I GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 45 SUL MODO DI FORMAZION Venne constatato che se ai Tiobatteri si toglie l’H; S, essi in presenza dell’ossigeno consumano, in due giorni, il solfo accumulato nelle cellule del loro protoplasma e poi muoiono. Parimenti soccom- bono se viene loro tolto l’ossigeno. Non possono vivere in ambiente molto acido, per cui i prodotti contenenti acido solforico, da loro secrecati, sono per essi venefici: occorre per la loro vita che nello ambiente in cui vivono, si trovino disciolti dei carbonati alcalini i quali vengono, nel loro corpo stesso, a solfatizzare l’acido solforico prodottosi, dando origine a secrezioni di solfati. Si osservò che in un bacino ove si svolga dal basso H, S, i Tio- ‘batteri prendono dimora verso la superficie dell’acqua, dove dall’alto ricevono l’aria occorrente; essi non si approfondiscono oltre un dato livello dalla superficie. Venne infine dimostrato che per i Tiobatteri, il contenuto del liquido in H» S non deve superare un certo limite, non ancora ben stabilito, ma inferiore di certo al contenuto di un’ acqua satura di questo gas. Questi batteri dovrebbero perciò più propriamente chia- marsi i batteri del gesso anzichè i batteri del solfo. Concludendo: I banchi di tripoli, di calcare conerezionato, di gessi, costituenti il Miocene superiore in Sicilia, si possono conside— rare come il risultato di manifestazioni di vulcanismo e cioè di ema. nazioni di Ho S e CO» le quali diminuirono progressivamente di tem- peratura e di intensità. i Emanazioni di H S potendo penetrare tanto entro lagune di estuario, dotate di acque salmastre, come entro laghi, devonsi perciò avere anche formazioni gessose di origine lacustre. Mentre parmi che la formazione dei banchi di gesso-del Miocene superiore, la quale si estende dal Piemonte fino alla Sicilia, sia do- vuta ad emanazioni di Hs S prodottesi in seguito al sollevamento dell'Appennino, non è da eseludere però che in alcuni casì si siano prodotti banchi di gesso anche per evaporazione di acque marine. P. TOSO Ve MINERALI SOLFIFERI. GIACIMENTI DI MINERALE, DI CALCARE POROSO, DI STRONZIANA. Al contatto dei calcari concrezionati coi gessi, oppure al con- tatto fra i gessi e le marne plioceniche ed infine intercalati fra gli stessi banchi di gesso, si rinvengono sporadicamente dei giacimenti di minerale solfifero aventi forme amigdalari, come pure dei giacimenti di calcare poroso detto in Sicilia perciuliato ed infine dei giacimenti di cele- stina e di stronzianite (Sr SO, e Sr CO;.). Farò qui un breve cenno sui fenomeni più caratteristici che pre- sentano i minerali edi giacimenti solfiferi siciliani, stati più partico- larmente descritti nelle opere succitate del Mottura e del Baldacci. Una particolareggiata descrizione mineralogica e chimica dei minerali siciliani venne fatta dal prof. Spezia nell’opera citata. Minerali solfiferi. — Il solfo nei minerali solfiferi siciliani si presenta associato ad una ganga calcaree, marnosa, bituminosa, talora silicea con struttura frequentemente listata (soriata), talvolta esso è me- scolato irregolarmente fra il calcare; meno frequente s'incontra il minerale a struttura gessosa oppure con frammenti di calcare ce- mentati da solfo puro. | A Il solfo nei minerali è generalmente cristallino; si trova allo stato amorfo con struttura concrezionata ed aspetto saponaceo prin- cipalmente quando è compreso fra ganga argillosa. La La ganga calcarea dei minerali contiene in proporzioni variabili, a seconda dei giacimenti, della stronziana, del bitume e della silice. Nel minerale soriato gli straterelli di calcare e di solfo sono fre- quentemente separati da interstizii che permisero al calcare di rico- prirsi di cristalli di caleite rivolti verso il basso, ed al solfo, che sempre occupa la parte più bassa dei vuoti stessi, di avere dei cristalli le cui punte sono rivolte verso l’alto. Il minerale soriato non presenta per lunghi tratti regolari stra- terelli; talora questi si riuniscono e si confondono per dare posto ad È adi a SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI un miscuglio, talora si ripiegano in alto ed in basso in discordanza con l’andamento del giacimento solfifero. La massa del minerale nulla offre che possa far riconoscere l’esistenza di un piano generale di stratificazione, tutto ricorda una roccia formata per cristallizzazione piuttosto che per sedimentazione. Giacimenti di minerali solfijeri. — I giacimenti solfiferi della Si-- cilia, Romagna e Marche, tutti associati ai banchi di gesso, presen- tano la forma, alcune volte, di lenti, tanto estese da paragonarsi 4 a regolari strati, altre volte invece di veri ammassi con ingrossamenti nelle parti mediane e forti restringimenti ai bordi. Queste lenti solfifere che difficilmente superano i 500 metri in direzione, si trovano il più delle volte situate al letto dei banchi di gesso, ma non sono rare le concentrazioni solfifere fra gli stessi banchi di gesso ed anche al tetto della formazione gessosa e cioè sotto le marne del Pliocene. Gli affioramenti di tutti i banchi solfiferi presentano un materiale gessificato, friabile, ‘chiamato dai minatori briscale, il quale non è altro che minerale stato solfatizzato perchè in contatto coll’atmosfera. I banchi solfiferi talvolta posano sul calcare conerezionato, ma in questo caso ne sono generalmente separati da un sottile strato argilloso e sono ricoperti dal gesso: sono però più frequenti gli esempi di mancanza di calcare conerezionato ed allora i minerali posano direttamente sopra i tripoli o sopra le marne tortoniane. Le solfare Pernice (Raccalmuto) e Mandrazzi (Comitini) presen- tavano una ricca concentrazione solfifera al contatto interiore della massa gessosa colle marne tortoniane ed un’altra, parimenti molto ricca, al contatto dei gessi coi trubi. Nella solfara Trabonella il giacimento solfifero è composto di 5 banchi intercalati da strati di tufo; la massa solfifera posa sui tripoli ed è ricoperta dai gessi, manca cioè il calcare concrezionato. I banchi solfiferi presentano al tetto una superficie regolare, se ricoperti dai tufi argillosi; hanno invece una superficie irregolaris- sima, quando su di essi riposano direttamente i gessi cristallini ed allora sovente sì vede il minerale internarsi nella massa del gesso, e del gesso penetrare in quella del mineraie. PR ep. TOSO I giacimenti solfiferi hanno raramente delle grandi ed estese apofisi fra le fratture dei banchi di gesso che li racchiudono. Si ci- tano però le seguenti eccezioni : Alla solfara Accio S. Giovannello, entro una frattura del gesso quasi normale alla stratificazione, si incontrò una lente solfifera avente una potenza che in alcuni punti arrivò fino a 20 metri. Alla solfara Montalto di Cattolica lo strato solfifero, che è gene- ralmente di potenza inferiore al metro, ad un certo punto viene a mescolarsi ai gessi del tetto e forma delle ramificazioni di minerale gessoso che sì estendono entro il tetto fino a 20 metri di altezza. Alla solfara Giordano (Caltanissetta), in corrispondenza ad una cessazione ‘brusca dello strato solfifero, il minerale si vide penetrare entro i gessi del tetto, Oltre agli interstizi che presenta il minerale soriato si incon- trano talvolta dei vuoti di parecchi metri cubi nella massa del mi- nerale, detti in Sicilia garbere. La potenza dei banchi solfiferi è generalmente tanto più grande quanto più essi sono inclinati. Da un lavoro statistico compilato dal R. Corpo delle miniere, risulterebbe che la potenza media degli strati solfiferi varia nel seguente modo: pendenze 9-15° potenza media metri 3,44 ) 15-30° » 9 » 6,46 » 30-60° » » » 7,98 k ) 60-90° D ) » 8,19 L’ing. M. Gatto (1) segnala un altro fatto molto interessante per la genesi dei minerali di solfo. « In generale — egli dice — nei gia- « cimenti piegati ad U, iquali presentano cioè una sinelinale, un lato « solo della sinclinale è mineralizzato, e se si susseguono due sincli- « nali identiche, debbono o no essere mineralizzati i due lati adia- « centi. Quando il piegzamento è meno accentuato allora è probabile « che siano mineralizzati tutti e due i lati ». (1) Accidentolità geologiche nei giacimenti solfiferi (Boll. Soc. Licenziati R. Scuola min. di Caltanissetta, anno VIII, n. 4 e 5, pag. 9 a 16). Caltanissetta, 1900. . È pa DU i » dedi RI E SOLFIFERIO Ta e Pte CESSO IRENE AL i 4 | — SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFE Tale dissimetria, che si osserva pure nel giacimento di Floristella raffigurata nell’opera del Mottura, deve perciò considerarsi come un fatto generale per tutti i giacimenti solfiferi associati a banchi di gesso disposti a pieghe accentuate. La dissimetria nella potenza e ricchezza dei giacimenti solfiferi disposti a pieghe anticlinali venne pure segnalata, come si dirà più particolarmente in appresso, da Baldacci descrivendo l’anticlinale che si osserva nella solfara Montagna (Sommatino). Giacimenti di calcare poroso detto perciuliato. — Associato ai banchi di gesso si trovano in Sicilia non soltanto delle lenti di mine- rale solfifero, ma anche dei numerosi banchi generalmente poco estesi, di calcare a struttura porosa, detto dai minatori perciuliato, talora . affatto privo di solfo ma quasi sempre stronzianifero. Questi banchi per la loro disposizione stratigrafica e per la natura del calcare sono ritenuti banchi di minerale solfifero stati in seguito spogliati del loro solfo da agenti dissolventi; questo calcare viene perciò anche chiamato calcare solfifero. RETI Alla solfara Virdilio osservasi che soltanto la zona più alta de giacimento solfifero venne spogliata del solfo e trasformata in calcare stronzianifero, al quale in miniera si dava il nome di calcinarello, per distinguerlo dal calcare concrezionato detto dai minatori calcinaro. Giacimenti di stronziana. — I principali giacimerti di stronziana, O più precisamente di stronzianite, stati fin qui coltivati si trovano nel comune di Palma. Essi sono generalmente ricchi di limonite e sono situati alla parte superiore dei gessi e cioè fra questi e le marne calcaree dette trubi. Solo in qualche caso il materiale stronzianifero sta fra i gessi ed il sottostante calcare concrezionato. I giacimenti di stronziana vengono considerati come giacimenti di minerale ‘solfifero povero in solfo e rieco di elementi di celestina e di stronzianite. | i] I MINERALI SOLFIFERI SICILIANI NON VENNERO FORMATI ENTRO BACINI ACQUIFERI APERTI. I grandi giacimenti di solfo sono stati generati esclusivamente da Hs S. E° bensì vero che dalle fumarole dei vulcani si sprigionano dei vapori di solfo i quali formano delle concentrazioni di solfo puro, ma questi vapori non possono aver prodotto che insignificanti depo- siti di materiali solfiferi fra i terreni vulcanici. L’H> S proveniente da emanazioni endogene come quelle pro- dotte dalla riduzione dei solfati, può fare depositi di solfo in due distinti modi: se l’H»; S penetra fra i meati di roccie porose senza essere accompagnato da acqua, dà origine a solfo amorfo o concre- zionato, se invece 1’H» S è disciolto nell'acqua e viene a circolare entro condotte chiuse, oppure lungo fratture del terreno. allora de- posita solfo cristallino che tappezza le pareti. In ogni caso però perchè l’ H; S dia origine a solfo è condizione essenziale che esso si trovi in contatto con una scarsa quantità di ossigeno onde si abbia soltanto la parziale ossidazione indicata dalla formola H:S+0=S+ H30. Quando il gas Ho S, oppure le acque solfidriche stanno in lungo contatto con un’abbondante quantità di ossigeno allora si effettua la completa ossidazione ed invece di solfo viene a prodursi dell’acido solforico. In conseguenza l’Hs S forma depositi di solfo nei terreni vul- canici porosi (solfatare) perchè, una volta che il solfo colmò i meati del terreno poco arieggiati, si trovò fuori del contatto dell’aria. Pa- rimente nelle condutture chiuse le acque solfidriche non trovano che l'ossigeno necessario per la parziale ossidazione dell’ Ho S e for- mano cristalli di solfo, mentre che nei bacini aperti le acque solfi- driche, dopo avere dato origine, alla loro superficie, del solfo in fini elementi, questo gradatamente subisce un’intera ossidazione e trasfor- masi in acido solforico. / ) A 7 9° % i $ in SIT if ì Ta } A i ROTII 473° Bia NIN MRS È SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 5l - Il prof. Spezia (1) allo scopo di combattere la supposizione che 1’ Hs S debba soltanto dare origine a solfo concrezionato e non a solfo cristallino ricorda i seguenti fatti: « F. Shepard osservò nel geyser di Plutone in California che quando « si sviluppava Hs S caldo si formavano dei bei cristalli di solfo. « Keilbach accenna che alla solfatara di Krisvik in Irlanda gli « stretti canali da cui sfuggono getti di vapore e gas, sono rivestiti « da incrostazioni di solfo. « Mottura asserisce che nei giacimenti solfiferi di Sicilia si in- « contrano spesso delle fessure, in cui scorrono le acque ricche di « Ho S, cristalli di solfo che ne tappezzano le pareti principalmente « le più elevate. «Importante poi è la scoperta di Breislak. Egli stabilì alla « solfatara di Pozzuoli un condotto tubolare nel quale scorrevano « giornalmente 3000 pinte d’acqua ricca di H, S. Dopo parecchio «tempo egli trovò le pareti del tubo coperte di cristalli di solfo. « Detta esperienza dimostra che il movimento dell’acqua non aveva e impedito la cristallizzazione del solfo. « Io ho pure sperimentato che 1’Ha S fornisce solfo cristallizzato « quando l’aria venga al suo contatto lentamente attraversando uno « strato poroso di argilla ». I fatti citati dal prof. Spezia vengono a provare non soltanto il suo asserto che l’H. S può depositare dello solfo cristallino, ma dimostrano che condizione essenziale perchè le acque solfidriche diano depositi di solfo cristallino, quale si incontra nei giacimenti siciliani, si è che queste siano contenute in ambienti chiusi o che circolino entro condotti, oppure in fratture sotterranee, dove le acque, qui penetrate dalla superficie, non contengano che scarse quan- tità d’aria. Del resto che in bacini acquiferi aperti, da cui si sprigionano abbondanti quantità di Ho S, non si formino depositi di solfo è dimostrato dal fatto già accennato, che nei laghi dei bagni di Ti- - (1) SPEZIA. — Opera citata, pag. 118. vw ca La PI SES SRI VIBLTRRE d "I voli, dove si hanno abbondanti emanazioni di Hp S accompagnate da sorgive calcarifere, non si formano che rari cristalli di solfo. Citerò ancora un altro fatto il quale dimostra che le emanazioni di Ho S e CO», accompagnate da acque calcarifere, danno origine a carbonati e solfati di calcio, se all’aperto, e a minerali di solfo, se penetrano entro fratture di terreni oppure nei meati di roccie po- rose. Presso Thermopolis (Stati Uniti del Nord America) si hanno sorgenti calde (57°) che spandono forte odore di H,S e contengono molto CO: . Le acque perchè ricche di Ca, Mg, Na, Fe, danno origine a terrazze di travertino composto di carbonato con alquanto solfato calcico, il quale racchiude piccole quantità di isolati cristalli di solfo. Si rinviene del solfo, economicamente coltivabile, nel calcare mesozoico alterato su. cui posa il travertino; fra questo calcare il solfo si presenta in vene assai irregolari, e ciò sempre dove anterior- mente le sorgenti vennero a contatto col calcare. Questi giacimenti di solfo in estensione orizzontale di rado raggiungono una lunghezza di 30 metri, mentre in senso verticale si approfondiscono e presen— tano una grande irregolarità. Il solfo si rinviene in due differenti stati e cioè in cristalli nelle vene e druse, oppure sotto forma di minerale massiccio, con mantenimento della primitiva struttura del calcare, se questo per essere poroso venne imbevuto dalle acque solfidriche. | | Nel Mar Nero, ie cui acque sono impregnate di H. S in propor- zioni crescenti con la profondità, gli scandagli dimostrarono ehe al fondo di esso si trovano melme nerastre contenenti in abbondanza solfuro di ferro senza traccie di solfo puro. Nello stagno di Versailles dove pure si sviluppano grandi quan- tità di H. S non dovute ad origine endogena, non si formano depo- siti solfiferi. In esso si presentano i seguenti fenomeni che credo quì opportuno di ricordare, desumendoli dal giornale « Corriere della Sera » del 2 marzo 1914: 1 « Da qualche hanno un singolare fenomeno si manifesta di tratto « in tratto, nel parco di Versailles: dallo stagno degli Svizzeri sal- « gono emanazioni pestilenziali e le acque dello stagno stesso si in- À è ie i A A - 1 Ra * ME SRI mi VA, e NE Î CRIS A li i Lupe: vi è pi è, 80 Y 7 uri È, : ha (A PEPSREVV., a SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 53 « fettano, mutano colore, assumono un aspetto lattiginoso e i pesci -« muoiono. Due anni or sono ben 5000 kg. di pesci morti dovettero « essere estratti dallo stagno. Un’inchiesta ufficiale compiuta in questi « ultimi sei mesi, ha condotto ad alcuni interessanti accertamenti. | « Le emanazioni pestilenziali derivano dallo sprigionarsi, dal fondo « del laghetto, di grandi quantità di idrogeno solforato. Ma, oltre « all’avvelenamento dei pesci, si era rilevato un altro curioso feno- « meno: le facciate delle case di Versailles volte verso lo stagno, i « recipienti di rame da cucina, la statua di bronzo dell’abate de « l’Epée, l’argenteria negli astucci e nei cassetti si annerivano rapi- « damente durante le emanazioni. Secondo il prof. Matruchot, che « ha fatto le indagini, l’idrogeno solforato si produce permanente- « mente nello stagno degli Svizzeri, il cui fondo è formato da uno « strato di fango profondo in media 40 centimetri, in seguito alla « fermentazione della fanghiglia provocata da numerosi bacilli capaci « di distruggere le molecole organiche e di mettere quindi in. libertà ‘ dell’idrogeno. Questo gas allo stato nascente agisce sui solfati e sui « solfuri producendo l'idrogeno solforato ». Concludendo: 1’ Hs S che viene svolgendosi in bacini lacustri e di estuario può produrre depositi di gesso se le acque sono cal- carifere, altrimenti si perde nell’atmosfera, oppure si trasforma in acido solforico; perchè da acque solfidriche si formino depositi di solfo occorre che esse scorrano entro fratture del terreno dove le acque, quì penetrate dalla superficie, scarseggiano d’aria. Aa ET SULL'ORIGINE DELL'IDROGENO SOLFORATO CHE FORMÒ I GIACIMENTI SOLFIFERI SICILIANI. Mentre pare dimostrato che la maggior parte dei minerali di solfo sia stata originata non da vapori di solfo, ma da H.S entro fratture sotterranee, devesi escludere che l’H S, che produsse il solfo dei minerali siciliani, sia dovuto ad emanazioni endogene. Questi gas ” TI RIA, RSS TUTA IE MM TEU Pei PO e P 4 Ai sh rali i ‘P. TOSO infatti se fossero pervenuti da grandi profondità avrebbero dovuto attraversare i calcari concrezionati ed in essi produrre delle vene di solfo oppure imbevere i crleari porosi, come a Thermopolis, mentre si verifica invece che questi calcari in Sicilia non hanno traccie di solfo. Se poi emanazioni endogene di Ho S fossero penetrate fra i meati dei banchi gessosi, avrebbero formato dei minerali a ganga esclusivamente gessosa; ora i minerali siciliani essendo in gran parte a ganga calcarea e compresi fra banchi gessosi, devesi ammettere che l’Hs S dovette generarsi, in sito, dalla riduzione dei gessi. In conseguenza deve essersi verificato il singolare fatto che il solfo dell’ H» S, svoltosi durante il Miocene superiore da emanazioni endogene entro bacini d’estuario, non andò perduto nell’ atmosfera, ma venne immagazzinato dai Tiobatteri sotto forma di banchi di gesso. In un’epoca posteriore emanazioni di idrocarburi, per opera di altri batteri, vennero a rendere nuovamente libero dal gesso l’Hs S, e questo, percorrendo fratture dove soltanto era possibile una parziale ossida- zione, produsse il solfo cristallino. Resta a risolvere il problema che presentò le maggiori difficoltà a tutti i sostenitori della genesi del solfo per riduzione dei gessi; quello cioè di precisare in quali circostanze si sia potuta effettuare tale riduzione, e quale sia stato l’agente riduttore. Il gesso ad elevata temperatura, in presenza di carburi, può ridu rsi in solfuro di calcio, il quale alla sua volta produce Hs S; ma nessun fatto lascia travedere che i gessi, i quali racchiudono minerali di solfo, abbiano subìto una temperatura elevata, quale richiedesi perchè si ottenga la loro riduzione per effetto di reazioni chimiche ordinarie. E’ però noto che i solfati possono essere ridotti a temperatura ordinaria da sostanze organiche per azioni microbiolitiche, quindi è naturale il supporre che soltanto in queste azioni debba trovarsi l'origine dei minerali di solfo siciliani. Si constata che le acque delle torbiere sono ricche di Hos $ e la torba, appena estratta, dà un marcato odore di Hs S, il quale viene attribuito alla fermentazione delle piante torbifere, colla quale si ge- nera dell’acido carbonico e del metano suscettibile, allo stato na- i» ud Zire epatica 1° "e ” Di n ira n pt % à vi i $ hA op dd pit, aly 20: dh et { » O scente, di ridurre i solfati disciolti nelle acque. All’H> S prodottosi da questa riduzione si attribuisce il solfuro di ferro contenuto nei combustibili fossili, il quale abbonda specialmente nelle ligniti ita- liane (1) perchè queste generalmente si depositarono entro bacini situati fra terreni montuosi dove le acque piovane, prima di arri- vare ai bacini in cui stava formandosi la lignite, si arricchirono, per aver percorso estese falde montuose, di solfati e di sali di ferro. La lignite della miniera di Valdagno (Vicenza), depositatasi in un bacino attorniato da monti dove abbondano basalti ferriferi, contiene grossi noduli di pirite aventi oltre il 5 per cento del peso ‘ totale della lignite. Questa pirite deve attribuirsi all’azione dell’H> S sopra i sali di ferro che si trovavano disciolti nel bacino dove andava formandosi la lignite di Valdagno. ; La riduzione dei solfati per effetto della fermentazione di so- stanze organiche fu l’oggetto di studi principalmente di Beyerink, il quale trovò che molte specie di batteri hanno la proprietà di agire sui solfati, i solfiti ed il solfo puro, producendo Hs S. Con certi batteri, da lui scoperti nelle acque delle fogne di Amsterdam, egli . ottenne in quarantotto ore la totale decomposizione del solfato di sodio contenuto in acque che avevano 45 mmg. di SO3 per litro d’acqua. Questi batteri riduttori dei solfati sono anaerobici, ossia vivono fuori dell’aria e possono perciò svolgersi sottoterra, come del resto . vennero trovati altri batteri viventi nelle miniere di sale in Germania. Le precise funzioni vitali di questi batteri riducenti sono ancora poco note: alcuni ammettono che la riduzione dei solfati sia da essi prodotta indirettamente, e cioè siano il carbonio ed il metano da essi secrecato che hanno la proprietà, per essere allo stato nascente, di ridurre i solfati. Altri autori adducono fatti per dimostrare in- vece che tale riduzione viene effettuata direttamente nel protoplasma di questi batteri. Questi batteri trasformano in Ho S non soltanto i solfati, ma con maggior attività i solfuri ed il solfo puro. (1) Toso. — Notizie sui combustibili fossili italiani. Roma, 1891. LI 2, di Hi r' LA prof : INTER + 5 ‘ - al aa è oa tuti re r fe pl e” a», l i S si unì alla corrente di idrocarburi e potè depositare solfo più in alto, oppure riversarsi all’esterno. Una parte del calcare, a motivo del CO» formatosi talvolta colla ridu- zione del gesso, può essere stata sciolta ed asportata dalle acque all’esterno, diminuendo così la percentuale della ganga calcarea ossia arricchendo il minerale di ‘solfo, assumendo perciò ricchezze varia- bili tanto in meno quanto in più del 24 % Può anche essere successo il caso DI la corrente delle emana- zioni ad un dato punto, trovandosi esaurita di idrocarburi contenesse però ancora del H. S ed allora se essa penetrò fra litoclasi di roccie gessose od argillose si dovettero originare minerali a ganga gessosa 0 marnosa, generalmente molto ricchi di solfo perchè non frammisti col calcare. Nelle marne poco permeabili generalmente s’infiltrarono dei gas solfidrici, non disciolti nell’acqua, che produssero solfo amorfo. Le emanazioni delle maccalube, portando ad intermittenza cogli idrocarburi anche dei fanghi, dovettero depositare delle argille (par- timenti) che vennero a dividere il banco di minerale in più strati. a | $ r1 e - 4 k È 5 x è n v 3 L* =. Pia SETS MW. - - SUI, MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 65 12) 4 E° degno d’osservazione il fatto che queste lenti di argilla interca- late fra il minerale solfifero sono di natura detritica non altrimenti che il materiale fangoso degli attuali piccoli coni formati alla su- perficie delle maccalube e contengono delle argille bituminose con traccie di solfuro di ferro. L’ing. Gatto (1) ha riscontrato che nelle argille dei partimenti esistono non soltanto delle foraminifere, delle diatomee, ma anche delle piccole nummuliti; i quali fossili fornirono fallaci argomenti per attribuire ai giacimenti solfiferi un’origine sedi- mentaria. Ricorderò che il carbonato di calcio ed il solfo prodotti dalla riduzione del solfato di calcio (avente circa il 20% d’acqua di cri- stallizzazione) devono complessivamente assumere un volume minore di quello della massa gessosa stata ridotta e questa diminuzione di volume dà origine a vuoti (garbere) che si incontrano frequenti in tutti i giacimenti solfiferi. In qualche caso non eccezionale può essere successo che si siano prodotti due piani di scorrimento nella massa gessosa e che la cor- rente delle emanazioni si sia biforcata, penetrando così anche fra i . banchi di gesso soprastanti; in questo caso si saranno formate con- temporaneamente due concentrazioni solfifere sovrapposte e parallele entro la stessa formazione gessosa. Colla riduzione del gesso a partire dal letto di un banco gessoso, questo veniva decrescendo di potenza, mentre aumentava quella del banco di minerale che si formava in gran parte a spese del gesso ridotto e ciò fino alla completa riduzione dell’intero banco gessoso; ma dovette pure succedere in molti casi che successivi movi- menti del terreno abbiano deviato la corrente delle emanazioni, allontanandola ed allora, cessando l’azione riducente, il banco di minerale non aumentò più di potenza e sul suo tetto venne ad appoggiarsi la parte soprastante del banco gessoso, presentando al contatto col banco solfifero una superficie irregolare, quale poteva essere quella del tetto dei vuoti lambiti ed erosi dalla corrente. (1) Opera citata: Accidentalità geologiche nei giacimenti solfiferi. RT OI, e e a e ‘ h dii Mal vidi LIM : UN u è ” he, ì È Pr P, t } MORE te 1-66 RATA | P. TOSO | 'R? degno di considerazione il seguente fatto. Gli idrocarburi iù hanno la proprietà, come si disse, di solfidratare il gesso e tanto der. più facilmente il solfo dei minerali, per cui se, appena formati i 1A ; minerali, non vennero a trovarsi al riparo dell’azione degli idrocar- | buri, questi li spogliarono del loro solfo corvertendoli in calcare. "Ca Nel caso in esame, in cui gli idrocarburi vennero a lambire il letto mo di un banco di gesso, il minerale solfifero, a misura che veniva de- positandosi si trovava, perchè frammisto al calcare, al riparo della corrente degli idrocarburi, i quali dovevano tendere a portarsi sempre O: nelle parti più alte verso il tetto gessoso; il minerale perciò non bb: venne spogliato del suo solfo e potè essere indefinitamente conser- Pad vato; nel caso invece in cui sconvolgimenti del terreno deviarono il cammino delle emanazioni, se queste attraversarono la massa del minerale, lungo qualche frattura, spogliarono del loro solfo le pareti della frattura stessa, dando origine a striscie di calcare sterile che talora si incontrano intercalate fra i giacimenti solfiferi. Lo La formazione dei banchi solfiferi, quale venne ora interpretata, n presuppone l’esistenza di vuoti fra il minerale solfifero già deposi- tato ed il cielo gessoso, sufficientemente alti perchè la corrente degli idrocarburi lambisca soltanto il cielo dei vuoti stessi e non penetri fra il minerale sottostante ; .ora, perchè questa altezza era piccola al ‘8 primo passaggio degli idrocarburi (esistendo ‘allora soltanto degli di interstizi fra il materiale smosso prodotto dallo scorrimento del banco È gessoso) questi dovettero, dopo avere trasformato in minerale una € Tal prima zona del letto del banco gessoso, spogliare il minerale del suo solfo, perchè s’infiltrarono tra il minerale stesso, e quindi dare bi; origine ad uno strato di calcare povero in solfo oppure affatto ste- rile; in seguito, aumentando l’altezza dei vuoti, potè effettuarsi il i regolare deposito del banco solfifero. È In conseguenza parmi che lo strato di calcare sterile avente n uno 0 due metri di potenza, il quale frequentemente trovasi alla base dei banchi solfiferi di Sicilia e Romagna (Cagnino) sia dovuto al fatto succitato e perciò non sia da confondere coi banchi di cal- care concrezionato, generalmente molto potenti, i quali si trovano di alla base della formazione gessosa. ua! f sà MA > af 3 ee; dit “ Lia e "n v 3 RIDI n l% PO! )i 3 al CO "o ri 5-41 "O = | 0‘0‘sUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 67 L’ipotesi succitata parmi anche atta a spiegare perchè i banchi solfiferi siano tanto più potenti quanto più sono inclinati. Ed in fatto se l'inclinazione dei banchi di gesso era forte, i vuoti aperti dalle emanazioni si trovarono in migliori condizioni di stabilità per impedire franamenti che potevano deviare od interrompere l’azione delle correnti di idrocarburi. Oltre a ciò gli spostamenti e le faglie, che successivamente subirono i banchi di gesso, dovettero più facil- mente interrompere la loro continuità e quindi il passaggio degli idrocarburi, quanto più i banchi si avvicinavano all’orizzontale. Se gli idrocarburi vennero ad incontrare il letto di uno solo dei due rami di un banco di gesso formante una sinelinale, succederà che essi mineralizzeranno soltanto questo ramo, ossia si produrrà la dissimetria che si constata nei giacimenti solfiferi compresi fra banchi di gesso disposti ad U. La fig. 3 dimostra come i giacimenti solfiferi siciliani debbano cessare bruscamente in profondità, contro una parete gessosa, nel punto in cui il banco gessoso lambito dagli idrocarburi venne in- contrato dalla sottostante faglia petrolifera verticale. Un analcgo fenomeno si verificò nella miniera piritoso-cuprifera di Boccheggiano (1) nella quale si coltivò un filone di scorrimento, inclinato di 40° sull’orizzontale, situato entro una faglia compresa fra gli scisti permiani e quelli eocenici. Il filone si arrestò brusca— mente in profondità all’incontro di esso col filone generatore, di- sposto verticalmente entro gli scisti permiani del letto. Oltre a ciò nei più profondi cantieri di questa miniera, col cessare del giacimento si ebbe un’ irruzione di H: S e CO» ed acqua calda. Questo fatto giustificò la supposizione che dalla stessa frattura da cui si svolsero i gaz che invasero la miniera, abbiano avuto pas- saggio le emanazioni mineralizzanti che durante il Pliocene od il Postpliocene diedero origine a quel giacimento metallifero. Ho ricordato questo fenomeno che si osservò a Boccheggiano, perchè esso porta ad ammettere la possibilità che, analogamente, in (1) Toso. — Opera citata pag. 39. Sulla formazione dei giacimenti metalliferi. la» LS P. TOSO qualche solfara siciliana, arrivando coi lavori in profondità verso il termine del giacimento, si incontrino emanazioni di gas suscettibili di esplosione, ossia una maccaluba sotterranea. Sono esempi di giacimenti solfiferi stati originati nel modo su descritto, quelli situati presso Caltanissetta nelle località dette Iuncio, Trabonella, Capodarso i cui affioramenti si trovano sopra un’estesa linea diretta Est-Ovest, lunga oltre 5 km., ed hanno una pendenza verso sud di 40° sull’orizzontale. Questi tre giacimenti ricoperti da uno stesso banco di gesso, molto esteso ma separati da lunghi tratti sterili, diversificano l’uno dall’altro per natura e ricchezza di minerale come per estensione e potenza degli strati solfiferi. È E’ a supporsi che gli idrocarburi i quali diedero origine a questi giacimenti siano pervenuti da tre centri principali di emanazioni, diversi per intensità, tutti però situati sopra una stessa frattura verticale, diretta Est-Ovest, avente 5 km. di lunghezza e che gli idro- carburi, nell’ultimo tratto del loro cammino ascendente, abbiano la- sciato la verticale per seguire una faglia parallela alla stratificazione dei banchi di gesso prodottasi al loro letto. Egli è nella solfara Iuncio Giordano che si osservò il fenomeno già accennato, ricordato dall’ing. Gatto, che cioè, in corrispondenza alla cessazione brusca dello strato solfifero, il minerale venne a penetrare entro il gesso del tetto. Gli idrocarburi, dopo di avere percorso per un tratto il letto del banco gessoso, incontrarono cioè una frattura verticale che li convogliò verso l’esterno. | Ricordo per ultimo che i giacimenti solfiferi prodotti entro faglie parallele alla stratificazione dei banchi di gesso non trovano analogie | coi giacimenti petroliferi, perchè gli idrocarburi, penetrando entro banchi di calcare affioranti, non possono, come si dimostrò, dare ori- gine ad adunamenti di petrolio. 4 - $ ® * î à “i 4 ce la SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 69 X. GIACIMENTI SOLFIFERI PRODOTTI DA FAGLIE PETROLIFERE TRASVERSALI A BANCHI DI GESSO AFFIORANTI ALLA SUPERFICIE. Supponiano, come indica il seguente schizzo (fig. 4), che il banco di gesso 2 affiori e posi sui tripoli 1 e sia ricoperto dai trubi 3, ed XY rappresenti la frattura da cui provennero gli idrocarburi. “ Fig. 4. Nel caso in cui la frattura XY fosse pressochè verticale, le pa- reti di essa si troverebbero nelle migliori condizioni perchè non si producano franamenti e perciò in questo caso è più probabile che gli idrocarburi, anche se incontrassero un banco gessoso permeabile ed affiorante, non devierebbero dalla fagli averticale per penetrare fra i gessi e quindi non produrrebbero che un’esile concentrazione di minerale solfifero presso le pareti gessose della faglia. Se invece la frattura XY è obliqua alla verticale, può più facilmente verificarsi che, a motivo della pressione esercitata dal tetto sul letto della faglia, gli idrocarburi trovino più facile passaggio per portarsi allo esterno, percorrendo i meati del banco gessoso. In questo caso tutto il tratto di banco gessoso B A verrà _ trasformato in minerale solfifero mentre il tratto B C resterà intatto. alto Pip Ri aan °P. TOSO Per le ragioni già addotte, se gli idrocarburi transiteranno per B A durante un lungo periodo di tempo, finiranno per solfidratare il mine- rale, da essi prodotto, spogliandolo del suo solfo e trasformandolo in calcare poroso (perciuliato) sterile o privo affatto di solfo, ma ricco di elementi stronzianiferi e di bitume e l’ H> S si riverserà nell’atmosfera. Se la formazione gessosa A B C è, come succede il più delle volte, composta di più banchi di gesso alternati da strati di argille (tufi) in questi ultimi si potrà ancora trovare del solfo, perchè le argille, meglio che non il calcare poroso, proteggono il solfo dalla azione dissolvente della corrente degli idrocarburi. Sono a mio parere esempi di giacimenti di calcare perciuliato poveri 0 privi affatto di solfo formati nel modo su descritto, i nu- merosi banchi di calcare che si estendono al Nord della linea prin- cipale delle miniere di solfo siciliane, nei dintorni di Nicosia, di Villadoro del Priolo, di Alimena, di S. Caterina, di Marianoli e di Mussomeli. In tutti questi banchi Mottura trovò che il bitume è in maggiore abbondanza che non nei banchi di minerale di solfo. Il giacimento solfifero della solfara Virdilio è formato nella sua parte più alta da una massa di calcare perciuliato alternato da stra- terelli argillosi alquanto solfiferi, il quale si ritiene prodotto dallo sterilimento della parte più alta di questo giacimento ; ma di esso, che tanto diversifica da tutti gli altri giacimenti coltivati in Sicilia, si farà più avanti un particolare cenno. XI. GIACIMENTI SOLFIFERI PRODOTTI DALLA RIDUZIONE DI BANCHI DI GESSO NON AFFIORANTI ALLA SUPERFICIE, DISPOSTI A PIEGHE. Abbiamo visto in quali condizioni nei banchi di calcare non affioranti disposti a pieghe si formino adunamenti di petrolio, se at- traversati da faglie petrolifere; nel caso in cui invece di calcare si avessero banchi permeabili di gesso, gii idrocarburi liquidi e gassosi penetrando in essi, non resterebbero inerti ma, a misura che andreb- | » hd via î - N deg ì Lo be" n dal A Le IT : Poi ds | i X SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI Ù N Vul Ad cli de bero adunandosi, ridurrebbero il gesso producendo dei giacimenti solfiferi analoghi ai giacimenti di petrolio, limitati cioè alle cupole anticlinali ed in uno solo dei loro due rami. Naturalmente gli idrocarburi avranno agito nella parte più alta del banco gessoso inclinato tagliato dalla faglia petrolifera, mentre inferiormente a questa il gesso non venne metamorfosato. Nei giacimenti solfiferi così formati si verifica spesso che nelle zone più alte il minerale è dotato di grande ricchezza e talvolta è quasi privo di ganga calcarea, mentre in profondita la ricchezza diminuisce ed il minerale diviene quasi sterile. Tale disposizione della ricchezza del minerale trova una spiegazione ricordando che gli idrocarburi, nel sollevarsi attraverso una massa gessosa non affiorante, riducono il gesso gradatamente a partire dal basso verso l’alto ed in seguito venendo ad infiltrarsi fra il minerale solfifero, antecedentemente da loro stessi prodotto, lo solfidratano a partire dal basso e 1’Ha S for- matosi viene a depositare solfo verso l’alto, per cui il minerale nelle | parti più alte si arricchisce a spese del minerale posto più in basso. Oltre di ciò se gli idrocarburi erano molto carburati produssero, nel ridurre il gesso, del CO. il quale, soggiornando nelle parti più elevate, dovette sciogliere parte della ganga calcarea che venne aspor- tata dalle acque, se dall’alto esse potevano qui infiltrarsi. L’elimina- zione della ganga calcarea, mentre lasciò dello spazio per poter dar posto al solfo depositato dall’Hs $, portò ad elevato titolo il minerale delle parti più alte delle cupole. i Questi giacimenti hanno perciò le due seguenti caratteristiche: 1° Non affiorano alla superficie e poggiano sul gesso cristallino. 2° Il minerale è maggiormente ricco verso l’alto ed in alcuni casi sì formano nelle zone più elevate minerali di solfo quasi puro. I giacimenti solfiferi di questo tipo sono i meno noti perchè, non affiorando alla superficie, soltanto alcuni di essi poterono essere casualmente scoperti in lavori sotterranei, oppure per l’erosione del terreno che li copriva. Citerò qui alcuni esempi: 2) Giacimento coltivato dalla solfara Montagna. (Sommatino). — Di questo giacimento Baldacci così scrive: « Alla solfara Montagna di P. TOSO « si ha una bellissima anticlinale in mezzo alla quale affiorano i tri- « poli. Da un lato vi è uno strato solfifero posato sul calcare con- « crezionato ed è coperto dai trubi, dall’altro lo strato esiste ma po- « verissimo, esso è coperto dai gessi fogliettati ai quali succedono ‘ « banchi di gesso cristallino ». — In altre parole. in un ramo di questa anticlinale tutto il banco gessoso venne trasformato in minerale, nell’altro ramo l’azione degli idrocarburi fu invece quasi nulla. La analogia di questo giacimento con quelli petroliferi risulta perfetta. b) Ammasso solfifero coltivato nelle miniere Gibisa-Ciaulotta. (Girgenti). — Fra i giacimenti solfiferi non affioranti deve pure an- noverarsi questo grande ammasso stato descritto dall’ing. Gatto (1). La formazione gessosa in quella regione presenta al muro affio- ramenti di strati solfiferi diretti Est-Ovest, aventi una forte pendenza a Sud. Oltre a questi strati esistono anche degli ammassi solfiferi lenticolari di cui uno, dotato di grandi dimensioni, venne casualmente incontrato in profondità con una galleria a qualche centinaio di metri a Sud dagli affioramenti degli strati solfiferi. Questo ammasso non affiora ed il suo punto più culminante tro- vasi profondo 25 metri dalla superficie. Esso misurava, in alto, poche decine di metri ed alla profondità di 129 metri venne ora ricono- sciuto per un’estensione di 300 metri in direzione, con una potenza media di 80 m. | L’ammasso solfifero è coperto dalle marne del tetto e si adagia sopra i gessi. Il contatto fra il minerale ed i gessi forma un piano leggermente inclinato verso Sud. E’ da notare la presenza di ùna lente argillosa, disposta anch’essa pressochè verticalmente, la quale separa l'ammasso in due parti dotate di qualità diverse di minerale. A giudicare da questi dati parmi che questo giacimento si possa considerare come formato dalla riduzione in minerale di un lembo staccato dalla massa gessosa diretta Est-Ovest, il quale assunse una direzione N.0.-S.E. Una faglia petrolifera poco inclinata sull’orizzon- tale dovette tagliare in basso questo lembo che si innoltra fra le (1) Rivista del servizio minerario nel 1913, pag. 44. — Roma, 1915. i de . DI LU » 4 7A Sg mame plioceniche; gli idrocarburi percorrenti la faglia ridussero tutto il gesso soprastante alla faglia stessa, lasciando intatta la parte infe- ‘jore. Questo lembo della massa gessosa trasformato in minerale doveva essere intercalato da una lente argillosa, ossia composto di due banchi aventi diverse qualità di gesso, Je quali influirono a pro- durre differenti qualità di minerale solfifero. c) Giacimento della solfara Virdilio (Naro). — In questa solfara ora esaurita, si coltivò un giacimento descritto con molti interessanti particolari dai direttore sig. E. Cimino (1). Esso può essere schema- ticamente rappresentato dal seguente schizzo, indicante una sezione ‘verticale (fig. 5). ratttàan. @ cQUIBIVERA* a A MATO è JR (} È y, Fig. 5. — l calcare concrezionato ; 2 gesso; 2, minerale solfifero; 2,, calcare poroso (perciuliato); 3 marne plioceniche. _ Il minerale solfifero era compreso fra il calcare concrezionato ed i trubi e formava una lente avente in direzione circa 500 metri, con una potenza media di 15 metri ed un’ inclinazione di circa 25° sull’orizzonte. Comprendeva tre orizzonti ben distinti; il superiore (A) era formato da un calcare poroso detto localmente calcinarello, intercalato da straterelli di elementi argillosi fogliettati. L'analisi dimostrò che questo calcare comprendeva il 68 % di carbonato di calcio, il 25 % di solfato di stronzio ed il 4,36 % di ossido di calcio. (1) Lavorazione razionale debe solfare Virdilio e Mintinella. Palermo, 1912. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERIO 7300 P. TSO La parte mediana (B) rappresenta il giacimento solfifero che aveva in alto, per un’altezza di 4 metri, minerali aventi circa il 90 % di solfo molto friabile, attraversati da un reticolato di sottili vene di calcite. Sotto questa massa di solfo quasi puro, il minerale andava gradaia- mente diminuendo di ricchezza, tanto che in basso non aveva che il 10 % di solfo ed in alcuni punti era completamente sterile. Il mi- nerale si presentava, come il calcinarello, intercalato di straterelli di marne alquanto mineralizzate. Inferiormente al giacimento si trovava la zona (C) formata di gesso cristallino privo affatto di solfo. Sono da ricordare i due seguenti particolari: la zona (A) di calcinarello era separata da quella (B) da un deposito irregolare di elementi argillosi bituminosi aventi, come dice il sig. Cimino, tutti i caratteri di un materiale di trasporto. Questo deposito indicato con (a) era pressochè orizzontale ed aveva uno spessore che variava % da pochi centimetri a metri 1,60. AI contatto poi del giacimento solfifero (B) coi gessi sottostanti sì aveva un altro irregolare deposito (b), detto in miniera il sottostrato, avente circa 3 metri di altezza; esso era formato da blocchi di mi- nerale e di gesso separati da vuoti dove pure si trovava del solfo puro concrezionato ed elementi argillosi. Il modo di formazione di questo giacimento, che ha un anda- mento diverso da tutti gli altri coltivati in Sicilia, parmi si possa così spiegare. Emanazioni di idrocarburi dovettero primieramente attraversare il bance gessoso lungo una faglia XY pressochè orizzontale, passante per il deposito irregolare (a) formato, come si disse, da argilla detri- tica rimaneggiata, la quale deve essere stata prodotta nello scorrimento della faglia attraversante la massa gessosa alternata da straterelli di argilla. Gli idrocarburi, penetrando entro la zona (A), nel portarsi all’esterno la ridussero dapprima in minerale solfifero indi in calcare stronzianifero perciuliato. Il sig. Cimino suppone che l’ isterilimento della zona (A) sia do- vuto all’azione solvente dell’acqua piovana che qui si infiltrò ed uc di » #03 LI 4 lc a a egre PL, LI n SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 75 asportò il solfo. La presenza di una grande quantità di ossido di calcio tra questi calcari viene a comprovare che furono gli idrocar- buri i solventi del minerale. Dopo la formazione della zona calcarea (A), in un secondo pe- ‘riodo di tempo si dovette produrre, in seguito a successive disloca- zioni, una seconda. faglia X, Y, più profonda e quasi parallela alla prima, passante per il sottostrato (0). Gli idrocarburi da questa faglia penetrarono entro la massa gessosa (B) la quale, per essere chiusa, non affiorante e ricoperta dal deposito argilloso (a), venne convertita in un giacimento solfifero avente i caratteri dei giacimenti a cupola, ricchi in alto e poveri in basso ed adagiati sul gesso. Il sottostrato (6) è una prova che in esso si effettuò una faglia petrolifera che frantumò il banco gessoso, producendo blocchi di gesso che vennero in parte ridotti in minerale con formazione di solfo puro frammisto ad argille degli strati intercalati col gesso . La grande ricchezza dei minerali nella zona più alta del giaci- mento deve ripetersi, come sopra si disse, dall’eliminazione della ganga calcarea stata disciolta dal CO; ed asportata dalle acque calcarifere, | potendosi qui infiltrare delle acque superficiali attraverso il deposito detritico argilloso (a). | XII. GIACIMENTI SOLFIFERI PRODOTTI DA FAGLIE PETROLIFERE CHE ATTRAVERSARONO BANCHI DI GESSO DISPOSTI ORIZZONTALMENTE». Quando una faglia petrolifera viene a tagliare banchi di gesso disposti pressochè orizzontalmente, gli idrocarburi non possono pro- durre che la riduzione delle pareti gessose e per un breve tratto e ciò per le ragioni già esposte che gli idrocarburi non possono dare ori- gine ad adunamenti di petrolio nei banchi di ngi se questi non sono & pieghe accentuate. La solfara Perticara (Pesaro, Forlì) offre un esempio di coltiva- zione di tali concentrazioni solfifere comprese in banchi orizzontali ti ira liga Ù le È x ì ii y PETER Je ar; PIO \<& VIAN P. TOSO di gesso. La stessa solfara contemporaneamente coltivò pure uno strato solfitero che suppongo prodotto entro una faglia parallela alla stratificazione dei banchi di gesso disposti orizzontalmente. Credo pregio dell’opera riassumere qui la descrizione che l’ ing. Niccoli (1) fece di questi due diversi tipi di giacimenti coltivati in una stessa solfara. Il giacimento di Perticara è costituito da due giacimenti solfi- feri: quello detto dello strato regolare e quello delle lenti, come indica lo schizzo (fig. 6). Xi Fig. 6. — 1 marne con tripoli; 2 strato solfifero regolare; 3 marne; 4 gesso; 5 argilla con lenti di gesso. A. B. C. Serie di lenti solfifere racchiuse nelle faglie XY, x Fi Sit Lo strato regolare 2 ha una potenza di 2-4 metri, è disposto orizzontalmente ed è seguìto in basso da un calcare cagnino che è pure non di rado solfifero, ed è ricoperto di uno strato 3 di 4 m. di argilla. Esso presenta un’alternanza di zone o striscie ricche dirette Est-Ovest, con larghezze variabili ma prossime agli 80 metri; le quali si dilungano indefinitamente nel piano orizzontale dello strato rego- lare, alternate con zone parallele sterili gessose. (1) Studio delle condizioni di sicurezza delle miniere e delle cave in Italia. Roma, 1904. — Cenni descrittivi dei principali giacimenti italiani. Roma, 1900. x x È 4 fil le we 11, i) ti 2.018. è SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI Al disopra dello strato solfifero, e di quello di argilla che lo ricopre, sta la formazione gessosa che comprende inferiormente un grosso banco di gesso cristallino di 100 m. di potenza segnato col numero 4. Esso si presenta tagliato da diverse fratture verticali, tutte dirette N. S., nelle quali si trovò, sopra una lunghezza di circa 400 m. fin qui indagata, una serie di lenti solfifere A, B, C la cui potenza massima fu di 30 m. Il minerale dello strato differisce da quello delle lenti; il primo ha un colore bruno, mentre il secondo è di colore giallo chiaro. L’ing. Cavalletti rilevò in questa solfara che in corrispondenza | alle diverse fratture 0 faglie del grosso banco gessoso, entro cui stanno . le lenti, il sottostante strato solfifero presenta pure dei rigetti, presso i quali il minerale dello strato, per un piccolo tratto, è marcatamente isterilito. | Questo fatto fa ritenere che la formazione delle lenti solfifere sia avvenuta posteriormente a quella dello strato regolare, ed infatto, gli idrocarburi che diedero origine alle lenti dovettero avere traversato ie fratture dello strato solfifero già formato, perchè ne isterilirono le pareti da essi lambite. i Lo strato solfifero poi parmi che sia prodotto dalla riduzione di uno strato gessoso 2? per effetto di idrocarburi, provenienti da fratture verticali dirette Nord-Sud, i quali incontrarono una faglia parallela alla stratificazione dello strato di gesso posta inferiormente ad esso. Le emanazioni di idrocarburi scorrendo inferiormente allo strato gessoso dovettero formare diverse correnti separate che, nel portarsi all’esterno, presero tutte una stessa direzione Est-Ovest e quindi diedero origine ad altrettante zone 0 striscie parallele orizzontali di minerale alternate con zone sterili (1). Riesce facile spiegare l’origine delle lenti solfifere. In ogni sin- gola frattura verticale Nord-Sud che tagliò il banco gessoso, gli - (1) Nei filoni metalliferi si presenta un analogo fatto e cioè si hanno zone ricche di minerale alternate con zone sterili parallele; nei filoni perchè verticali le zone — hanno la forma di colonne che si allungano nel senso mineralizzate della profondità. LAI P.«TOSO LA idrocarburi nel sollevarsi verso l’esterno ridussero i gessi da essi lambiti ed originarono una serie di lenti solfifere aventi maggiori o minori dimensioni a seconda della intensità della corrente e della - permeabilità delle roccie nei diversi punti. Gli idrocarburi però non dovettero infiltrarsi nella massa gessosa che per brevi tratti, ossia | soltanto per diffusione perchè, come già si disse, la poca inclinazione del banco gessoso e la verticalità delle fratture non permisero che gli idrocarburi penetrassero per tutto il banco gessoso. XIII. GIACIMENTI SOLFIFERI DEL TEXAS E DELLA LOUISIANA. Di questi giacimenti abbiamo gli studi del Baldacci e delle no- tizie raccolte dal prof. Zambonini (1) (2). Da essi si desume che nella pianura costiera della Louisiana e del Texas, la quale si eleva di pochi metri sul mare del Golfo del Messico, s’ incontrano delle piccole elevazioni di terreno, le quali generalmente non sor- passano i 10 metri d’altezza, chiamate cupole saline, perchè da esse emanansi delle acque salate unitamente ad idrocarburi gassosi e liquidi. Queste cupole vennero indagate con perforazioni per la ricerca del petrolio; e risultò che il terreno è formato, a partire dall’alto, da argille, breccie e sabbie acquifere le quali sovrastano a banchi, attri- buiti all’epoca miocenica, composti da calcare cristallino ed inferior- mente da minerali solfiferi a ganga calcarea e gessosa, i quali ricoprono il gesso compatto, ed infine da salgemma. | Questi banchi di calcare e di gesso non sono sempre pianeg- gianti, ma disposti a pieghe, formando delle cupole nei punti attraver- sati da emanazioni di idrocarburi. La potenza di queste diverse formazioni è variabile; in alcune regioni i terreni non consolidati, o di copertura, raggiungono la po- (1) BALDACCI. — /l giacimento solfifero della Louisiana. 1906, Roma. (2) ZAMBONINI. — Cenni sulle cupole solfifere della Coastal Plain. (Ras- segna mimeraria, 1914). é nati CI Ù f Gi LA Moe. 4 de tt patecaneà P 2 ‘alii ì 1 È had tue Sa; Gia | Sat SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI £ SOLFIFER 19 tenza di 300 metri, mentre in altre regioni i banchi di calcare, ad essi sottostanti vengono ad affiorare e danno luogo a cave di calcare col- tivate a giorno. La formazione calcareo-gessoso-solfifera supera talvolta la po- tenza di m. 300, Queste cupole saline sono disposte secondo linee regolari e si ritiene che corrispondano a faglie di cui, secondo il prof. Zambonini, si hanno segni riconoscibili alla superficie. Egli poi ricorda che Hager suppone che la formazione di queste cupole sia dovuta a laccoliti di roccie eruttive, mentre altri ammettono che il salgemma, cristallizzando da soluzioni acquose per diminuzione di temperatura, abbia dato luogo alla formazione di cristalli i quali col loro accrescimento hanno costretto gli strati soprastanti ad inalzarsi alquanto, originando così una cupola in ciascun luogo in cui avveniva la cristallizzazione. Nelle cupole della Coastal Plain si incontrò colle trivellazioni del petrolio e del solfo e spesso delle grandi quantità di H> S, ma più fre- quentemente dominano gli idrocarburi. Fra le roccie incontrate si trovarono traccie di pirite, baritina, galena e blenda. Il petrolio si rinviene specialmente in alto fra i calcari, ma, salvo poche eccezioni, mai in quantità sufficienti per formarne oggetto di coltivazione. Il solfo è frequente e trovasi al disotto della formazione petrolifera, fra i calcari cavernosi. Occasionalmente si è notata la presenza del solfo anche nelle arenarie acquifere soprastanti ai calcari. Il prof. Zambonini ritiene probabile che il solfo che accompagna il petrolio, sotto forma di piccoli cristalli, debba la sua origine ad una parziale decomposizione dei composti solforati contenuti nel petrolio, il quale ha spesso un tenore in solfo superiore al 2 %; il solfo invece che si rinviene nei calcari e nei gessi è da lui ritenuto di origine termale, senza però spiegare in che modo tale supposta termalità possa avere portato il solfo fra i calcari ed i gessi. Egli, dopo avere accennato quali furono i risultati ottenuti colle perfora- zioni di molte cupole del Texas e della Louisiana, ritiene che in nessuna di esse il solfo sia suscettibile di una importante estrazione e non sia probabile che alcuna di queste cupole possa paragonarsi n tt in. i î È 28° din RT A MA IT i PP ( L° Ù 3 i È. TOSO iL { " EA è, ti feel AAT e * iO gs A = h quella della Sulphur. Recentemente però un potente Sindacato ame- ricano ha eseguito grandi ricerche ed iniziato l'estrazione del solfo da una di queste cupole del Texas detta: | Bryan Heigts. — Dalle informazioni raccolte dallo stesso pro- fessore parrebbe che siano esagerate le notizie sparse sull’ importanza di questo giacimento, a cui venne attribuita l’esistenza di non meno di 17 milioni di tonn. di solfo. V’ha chi afferma invece che questo giacimento dia poco affidamento per una importante produzione, perchè le perforazioni dimostrarono una grande irregolarità del gia- cimento solfifero, variando bruscamente di natura le roccie e di ricchezza i minerali che lo compongono; oltre a ciò entro la forma- zione Solfifera si rinvennero di frequente delle arenarie e delle sabbie qui discese attraverso fratture del calcare e del gesso; la potenza del minerale poi, molto variabile, non raggiunge i 20 metri e la ric- chezza dei minerali varia fra 10-50 % di solfo. E’ degno di essere menzionato il seguente fenomeno che, a mio parere, è molto importante per caratterizzare la natura di questo giacimento. Nelle trivellazioni fatte in questa cupola si incontrarono grandi quantità di H. S fortemente compresso e correnti d’acqua sotterranee che travolsero i pozzi e vennero a raffreddare l’acqua sovrariscaldata, inviata entro il giacimento per ottenere la fusione del solfo, secondo il metodo Frasch, il che finora forma un grave ostacolo per una regolare e proficua estrazione di solfo. Giacimento coltivato dalla « Sulphur » nella Louisiana. — Questo giacimento che di versifica da tutti gli altri fin qui indagati nel Texas venne illustrato dal Baldacci e dal suo studio rilevansi i seguenti dati. Esso presenta una grande regolarità della potenza in tutti i suoi punti. Le perforazioni segnalarono che il banco di calcare cristallino che ricopre il giacimento solfifero, ha una potenza costante di circa 30 metri. Tale costanza nella potenza fa ritenere che questo banco di cal-. care sia originario, ossia non rappresenti un banco di minerale solfifero spogliato del suo solfo; per cui la formazione calcareo-gessosa-solfifera della « Sulphur » differirebbe da quella della Sicilia per avere un’ assise calcarea posta in alto, mentre in Sicilia questa è sottostante ai gessi. (RENT Si ri SPE Ù | I, IT SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 81 Sopra il banco di calcare stanno le sabbie acquifere ricoperte da argilla le quali complessivamente hanno un’altezza di 150 metri, misu- rata sopra il punto più culminante della cupola, mentre, dove il banco calcareo solfifero si approfonda, le perforazioni incontrarono 200 metri di terreno argilloso sabbioso di copertura. Si ha perciò qui una piega abbastanza accentuata dei banchi calcareo gessosi. pi giacimento solfifero sottostante ai calcari ha una potenza media di circa 70 metri, come indica la seguente sezione pubblicata da Bal- dacci e cioè: Argille azzurre con banchi di sabbia . metri 48 . Sabbie acquifere. mobili . Argille saponacee . Calcare grigio fessurato . Calcare grigio. . Solfo puro cristallino . Gesso e calcare con solfo . . Solfo. . Gesso azzurrognolo . ò Totale metri 367 Nel sotterraneo non si rinvennero alla « Sulphur» correnti d’acqua che ostacolassero l’azione dell’acqua soprariscaldata in esso iniettata; oltre a ciò è da notare che mentre in tutte le altre cupole saline della regione si osserva alla superficie una piccola elevazione del terreno analoga a quella dei coni dei vulcani di fango, alla « Sulphur » invece la superficie del terreno presenta una depressione paludosa, per cui se anche la « Sulphur » ebbe il nome di cupola, ciò dipende dalla dispo- sizione preseutata dalla formazione calcareo gessosa solfifera e non dalla elevazione superficiale del terreno. Sull’origine di questi giacimenti. — Il prof. Zambonini ricorda che Pough, nel discorso da lui pronunziato, in occasione del conferi- mento della medaglia Perkin al signor Frasch, definì la formazione del giacimento della « Sulphur » come un deposito formatosi nel cono di un gran geyser. SUE % P. TOSO PREITRATE Da Dai dati sopra compendiati forniti da Baldacci e Zambonini parmi risultino soltanto due le ipotesi ammissibili sulla genesi dei giacimenti succitati e cioè : 1° Che emanazioni geyseriane aventi H. S e CO. sieno venute, come ammette Pough, ad infiltrarsi fra la formazione calcareo-gessosa ed abbiano dato origine a concentrazioni di solfo, come a Thermopolis, e che il CO. abbia potuto sciogliere ed asportare una parte del calcare, per cul il solfo non venne soltanto a formare delle vene nelle fratture ed a imbevere le roecie porose, ma formò ricchi depositi di minerale quasi pura. 2° Che emanazioni di idrocarburi tuttorà attive, penetrando at- LV traverso faglie, nella formazione calcareo-gessosa disposta a pieghe, ab—- biano prodotto adunamenti di petrolio nei banchi di calcare ed ab- biano invece trasformato in minerale solfifero le zone gessose più alte, tagliate dalle faglie petrolifere. | La prima ipotesi parmi poco attendibile, perchè se fossero state le emanazioni di H.S che, penetrando nella massa calcareo-gessosa, formarono, come indica la sezione succitata, 30 metri di solfo puro e 41 metri di minerale solfifero, esse avrebbero dovuto penetrare anche nel banco soprastante di calcare grigio avente 30 metri di potenza | ed. arricchirlo in solfo, tanto -più che questo calcare viene definito come fessurato. Invece il calcare grigio è la sede quasi esclusiva del poco petrolio che qui si rinvenne. j Adottando invece la seconda ipotesi si ha una plausibile spiega- zione sia degli adunamenti di petrolio nel soprastante banco di calcare, sia del minerale solfifero a ganga calcareo-gessosa situato sotto il cal- care stesso, come pure si spiega la presenza di H» S dovuto alla solfidra- tazione del gesso e del minerale di solfo. Questi giacimenti solfiferi perchè si rinvengono, come quelli di Sicilia, nella formazione calcareo-gessosa miocenica ed in regioni dove tuttora si sviluppano idrocarburi, parmi debbano avere la stessa ori- gine dei giacimenti siciliani e la differenza che presentano i diversi giacimenti della Louisiana e del Texas dipenda, esclusivamente, come già si disse per quelli della Sicilia, dalla disposizione più o meno ‘ è ) DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFER. obliqua alla verticale delle fratture petrolifere, e da quella dei banchi di gesso ed infine a seconda che questi affiorano o no alla superficie. In conseguenza i giacimenti solfiferi del Texas e della Louisiana non affiorando alla superficie devono presentare analogie soltanto con i pochi giacimenti Siciliani non affioranti fin qui stati scoperti. Il giacimento della Bryan Heightse tutti gli altri della stessa na- tura, riconosciuti irregolari e poco estesi e perciò non economicamente coltivabili, parmi rappresentino i depositi solfiferi prodotti lungo frat- ture verticali che attraversarono potenti banchi gessosi disposti pres- sochè orizzontalmente. Le emanazioni di idrocarburi, che percorsero tali fratture, non avendo potuto penetrare nel banco gessoso che per piccoli tratti, dovettero mineralizzare irregolarmente soltanto le pareti, | gessose. Questi giacimenti hanno perciò una perfetta analogia e quindi la stessa origine delle lenti solfifere della soltara Perticara. In queste fratture verticali poi, essendo esse ancora attualmente percorse da idrocarburi, deve formarsi tuttora anche del H S prodotto dalla sol- fidratazione del gesso e del minerale solfifero; questi gas, emulsionando le acque, devono dare origine ad una corrente ascendente entro le fratture verticali, la quale provoca delle correnti sotterranee in di— verse direzioni ed asporta alPFesterno colle acque del materiale fangoso. Il giacimento della « Sulphur » invece presenta analogie con quello della solfara Virdilio e perciò analogo deve essere pure stato il loro modo di formazione. Anche qui gli idrocarburi dovettero percorrere una taglia pressochè orizzontale che tagliò la massa gessosa disposta a cupola e ridussero in materiale solfifero tutta la parte della massa gessosa posta superiormente alla faglia, mentre la parte inferiore ri— mase inalterata. L’analogia del giacimento della « Sulphur » con quelle della sol | fara Virdilio è dimostrata, non soltanto dalia stessa ricchezza del mine- rale e dal fatto che tutti e due i giacimenti posano sul gesso cristallino, ma anche dal seguente caratteristico fatto. A Virdilio sotto il giaci- mento esiste, come si disse, il così detto sotto strato di cieca 3 metri di altezza, esteso per 500 metri in direzione, formato da una zona conte- nente minerale solfifero ed anche solfo puro, zona da me interpretata P. TOSO come il risultato di una îaglia petrolifera pressochè orizzontale la quale generò quel giacimento ; ora anche alla Sulphur, come indica la sezione succitata, al'numero 8, troviamo che, nella parte più bassa del giaci- mento, esiste una zona, di 3 metri d’altezza, di solfo puro che poggia direttamente sopra la massa di gesso cristallino. Un altro fatto viene a confermare che il solfo formatosi in questo giacimento sia dovuto alla riduzione del gesso anzichè ad emanazioni di H: S. Alla «Sulphur » trovasi alla superficie una depressione del terreno mentre che negli altri giacimenti del Texas s ‘incontra, come si disse, un’elevazione. Questa depressione deve essere attribuita al fatto che nella trasformazione del gesso in minerale solfifero dovette prodursi una rilevante diminuzione di volume e conseguentemente un approfondamento del terreno, mentre nelle altre cupole, dove la mi- neralizzazione si dispose soitanto presso le pareti di faglie verticali, non può essere stata prodotta una simile depressione. La piccola quartità di petrolio, che generalmente si incontra nel calcare soprastante alla massa gessosa, fa supporre che se in esso non si rinvengono importanti adunamenti di petrolio, ciò debbasi alla massa sabbiosa acquifera che ricopre il calcare, la quale permise la dispersione di gran parte del petrolio; per cui è a supporre che se alla Sulphur il banco di calcare fosse stato ricoperto da argille impermeabili si sarebbe qui formato anche un potente giacimento di petrolio. Se la genesi dei giacimenti solfiferi siciliani e della Louisiana da da me formulata sarà confermata da ulteriori osservazioni e studi, si avranno argomenti per chiarire la questione dell'avvenire dell’indu- stria solfifera siciliana e di quella della Louisiana. XIV. GIACIMENTI SOLFIFERI FILONIANI DEL MESSICO. Sono annoverati fra i giacimenti solfiferi manifestamente filo- niani quelli coltivati nel Messico e di essi credo opportuno fare un cenno, allo scopo di mettere in rilievo il diverso modo di formazione di questi filoni solfiferi, dovuti ad emanazioni endogene di Ho S, da i “il pr DI »* 1, ua di ott Ta SUL MODO DI FORI mue* è GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI 85 6 AZIONE DEI quelli siciliani e della Louisiana originati, come si disse, da H» S prodotto dalla solfidratazione dei gessi. Nella regione compresa fra San Pedro della Colonia, Mapini e Coneios, nella Sierra Banderas, si rinvengono numerosi e molto ir- regolari giacimenti di solfo, stati descritti da E. Bose (1). Essi si ‘presentano sotto forma di filoni, di vene, di tasche compresi fra banchi di calcare a rudiste del Cretaceo. Superiormente a questi cal- cari, in alcuni punti, stanno degli scisti argillosi e calcarei interca- lati da sottili strati di gesso. Dove questi giacimenti assumono la forma di filoni, essi hanno . la disposizione presentata dal seguente schizzo (fig. 7). fl. _ Fig. 7. — 1 calcare cretacico; 2 gesso; 3 quarzo, gesso e solfo; 4 solfo puro. Le pareti laterali delle fratture verticali calcaree, entro cui sono compresi i filoni, sono ricoperte da gesso cristallino 2 avente una po- tenza variabile ; al gesso segue, procedendo verso il centro del filone, della silice biancastra, pulverulenta, mescolata al gesso .2, la quale viene gradatamente più povera in gesso e ricca in solfo (20-40 %), progredezdo verso la parte mediana del filone, nella quale si ha solfo quasi puro 4, contenente cioè soltanto il 2 % di impurità. Il solfo è cristallino; si incontrano bei cristalli di solfo nei vuoti compresi fra le diverse concentrazioni solfitere. | (1) E. Bose. — Eecursions aur mines de soufre de la Sierra de Banderas, Guida al Congresso geologico. — Messico, 1906. f Med 1° 4 Quando i filoni assumono un ingrossamento, allora fra il solfo sì incontrano delle lenti di gesso. Bose spiegò l’origine di questi filoni nel seguente modo. Il materiale filoniano fu prodotto da sorgenti solfidriche. L’ Ho $S nelle zone più alte dei filoni si ossidò producendo acqua e solfo il quale allo stato nascente, si trasformò in SO» che, in presenza del- l’acqua formò dell’acido solforico. Questo reagì sul calcare delle pareti e diede origine a gesso e CO» La silice del minerale proviene dalla silice contenuta nel calcare a rudiste, la quale potè essere disciolta dalle soluzioni solforiche. Nell'ultimo periodo I’ H». S circolando nella frattura, divenuta ri- stretta per il deposito del gesso e della silice, scarsegtiando qui l’aria, non produsse più SO., ma soltanto del solfo. Non è dubbio che questi giacimenti debbano la. loro origine ad emanazioni endogene di H> $; parmi però non accettabile la spiega- zione data dal Bose che l’H. S produsse dell’acido solforico, quando la frattura presentava maggiore ampiezza, ed invece si depositò solto nella parte mediana del filone, perchè l’apertura della frattura filo- niana divenne più angusta e scarseggiò in conseguenza l’aria. Riesce più plausibile la spiegazione dei fenomeni presentati da questi filoni, ammettendo che il gesso siasi formato per l’azione di Tiobatteri. Questi, in soluzioni solfidriche contenenti del carbonato di calcio disciolto, fornito dalle pareti filoniane calcaree, produssero dei gessi; ma quando le pareti stesse vennero gradatamente tappezzate da incrostazioni gessose, allora nelle acque solfidriche, perchè non più in contatto coi calcari, vennero a mancare i carbonati necessari alla vita dei Tiobatteri e questi soccombettero e colla loro scomparsa cessò il deposito del gesso, per effettuarsi soltanto più quello della silice e del solfo puro. Credo inutile ripetere qui che i giacimenti solfiferi dovuti ad emanazioni endogene di H.S non possono essere sedimentari, ma esclusivamente filoniani; noterò però che essi devono presentare piecole potenze epperciò sono di poca importanza mineraria. Ed infatto se le soluzioni solfidriche percorsero fratture verticali, queste "i i = » nai È qa è | SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOLFIFERI poterono essere allargate per effetto di corrosioni dovute a reazioni chimiche subite dalle pareti filoniane, soltanto nel caso di fratture attraversanti banchi calcarei; ma in questo caso le pareti stesse, come si verificò nei filoni solfiferi suddetti, vennero tappezzate da depositi di gesso, i quali protessero il calcare da ulteriori corrosioni; in conseguenza il solfo prodotto per ossidazione dell’ Hs S non può in ogni caso riempire che anguste fratture filoniane e dare origine ad esili giacimenti. | Quando invece le emanazioni solfidriche percorrono fratture più prossime all’orizzontale che alla verticale, se la parete del tetto della | frattura è calcarea, essa trovasi sempre esposta all’azione delle eorrenti solfidriche, e, perchè il gesso si deposita sul muro, può essere indefinitamente corrosa, ma con ciò producendosi nelle acque . solfidriche soluzioni di carbonato calcico, viene resa possibile la vita dei Tiobatteri i quali producono allora grandi ammassi di gesso senza solfo. Il Bòse accenna che nellà regione solfifera succitata si incontra il gesso sia nei filoni solfiferi, come sotto forma di sottili strati gessosi alternati con scisti argillosi e calcarei che stanno sovrapposti al eretaceo. Pare probabile che tanto i gessi filoniani che quelli sedimentari di detta regione, siano contemporanei e dovuti alle stesse emanazioni solfidriche le quali, dopo aver percorso le fratture dei calcari a rudiste, e dato origine ai filoni, vennero ad immettersi in bacini, mentre in essi venivano depositandosi gli scisti argillosi e calcarei che ricoprono i calcari a rudiste, ed in questi bacini si formarono, pure per azioni microbiolitiche, gli strati di gesso. > A GIACIMENTI SOLFIFERI DI ORIGINE SEDIMENTARIA. Se è giustificata l’origine filoniana dei giacimenti solfiferi siciliani e del Messico non credo però che tutti i giacimenti solfiferi abbiano tale origine. Analogamente, mentre si hanno minerali di pirite di ori- gine filoniana se ne incontrano pure, come si accennò, negli strati lignitiferi della miniera di Valdagno. ata P. TOSO I giacimenti delle provincie di Murcia ed Albacete (Spagna), per esempio, hanno caratteri tanto diversi da quelli di Sicilia, da rendere giustificata l'ipotesi della loro formazione sedimentaria. Ed infatti alla Serrata di Lorea si hanno giacimenti solfiferi i cui affioramenti misurano una lunghezza di oltre 8 km. e sono do- tati di grande regolarità con piccola potenza che non supera il metro. Alla miniera di Hellin si contano 16 strati di minerale, con ganga tal- volta costituita di solfato di magnesia e di allumina, i quali hanno una potenza complessiva di m. 9,28 compresi in una potenza di circa 100 m. di roccie associate. Questi regolari strati solfiferi di Spagna che si estendono per tanti chilometri e si sovrappongono in grande numero entro la for- mazione miocenica, analogamente agli strati di litantrace del Nord della Francia e del Belgio, dimostrano una differenza di origine da quelli siciliani poco estesi, situati soltanto al letto ed al tetto della formazione gessosa. Anche il giacimento di Lornano (Siena) presenta caratteri affatto diversi da quelli dei giacimenti siciliani; in esso abbondano i mine- rali a ganga gessosa e predomina il solfo amorfo. E° da considerare che in questo giacimento col minerale si rinvengono frequenti pezzi di lignite ed a qualche centinaio di metri dalla solfara, trovasi. un regolare strato di lignite compreso fra le marne del tetto. Pare perciò | probabile che in questi giacimenti la riduzione dei gessi dipenda da sostanze carburate vegetali che si depositarono associate ai banchi di gesso. CONCLUSIONE. L’ipotesi da me formulata e discussa è basata sui due concetti fondamentali sostenuti dal Baldacci, e combattuti dal prof. Spezia, e cioè che i minerali di solfo siano stati prodotti dalla riduzione dei gessi e che gli idrocarburi endogeni ne furono i riduttori. E’ soltanto diversa l’interpretazione da me data delle condizioni in cui dovette verificarsi una tale riduzione. Ò | ‘0’SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI E SOL g » er n Pu >_ DNS, i "i STI RO FIFERIO 8900 La supposizione che tale riduzione si sia effettuata sotterranea- mente, dopo la tormazione dei banchi di gesso, anzichè in bacini aperti, è giustificata : 1° Dai risultati degli studi sui batteri che hanno le proprietà di ridurre i gessi, in presenza degli idrocarburi, anche fuori del con- tatto dell’aria, ed a temperatura ordinaria. 2° Recenti studi sui giacimenti metalliferi del Massetano mi- sero in evidenza che i filoni dotati di un’inclinazione più prossima all’orizzontale che non alla verticale, danno origine a minerali listati, d’aspetto sedimentario e quindi la soriata non è una caratteristica "dei giacimenti d’origine sedimentaria. i 3° Tutti i fenomeni che presentano i giacimenti solfiferi siciliani più sopra accennati, trovano una facile spiegazione nell’ipotesi filoniana. La maggior parte dei giacimenti solfiferi siciliani noti sono da ascriversi fra quelli affioranti e disposti parallelamente alla stratifica- zione dei gessi e quindi è da ritenere che pochi altri di questi giaci- menti, perchè affioranti, siano sfuggiti ai ricercatori e potranno ancora essere scoperti. i Sono invece poco noti i giacimenti non affioranti di cui solo finora pochi vennero casualmente scoperti. L’attenzione degli industriali dovrebbe perciò essere rivolta alla ricerca di questi ultimi giacimenti, aventi forma di ricchi ammassi. Parmi che mentre l’ ipotesi dell'origine filoniana dà una plausibile interpretazione del loro modo di formazione, debba pure fornire cri- | teri per la loro ricerca. I giacimenti di calcare perciuliato, i quali abbondano in Sicilia, e non furono fin qui oggetto di ricerche che a Virdilio, devonsi con- siderare come suscettibili di contenere nelle loro zone più profonde dei giacimenti solfiferi analoghi a quello della solfara Virdilio. Troverei perciò opportuno che si eseguissero delle trivellazioni bene ubicate, per riconoscere se in questi giacimenti calcarei si verificò il fenomeno, forse non raro, della formazione di ricchi ammassi solfiferi sottostanti ai calcari perciuliati che, come si disse, si devono consi- derare come rappresentanti dei minerali. L’eccezionale ricchezza di \, x - be r ; LI | 90 p. TOSO —- SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFER simili concentrazioni dovrebbe spingere gli industriali ad intrapren- dere simili ricerche. Il grande ammasso della solfara Ciaulotta, il quale forma un altro tipo di giacimenti non affioranti, suggerisce in quali condizioni essì possano incontrarsi. Nelle regioni dove la formazione gessosa solfifera presenta molte dislocazioni e venne frastagliata in grandi lembi staccati e spostati dalla sua direzione principale, non è difficile che questi spostamenti siano stati prodotti da faglie petrolifere le quali mineralizzarono questi lembi isolati di banchi di gesso stati spinti fra le marne plioceniche. Possono perciò essere utili le ricerche basate su questi concetti, nelle regioni dove la formazione solfifera si presenta suddivisa in lembi. Spero che queste mie considerazioni sui giacimenti petroliferi e solfiferi possano essere di qualche vantaggio all’industria mineraria italiana. Torino, giugno 1915. INDICE PRELIMINARI. I. Fenomeni prodotti dalle emanazioni endogene gassose . . . . Pag. 7 I). Correnti acquifere ascendenti provocate dalle emanazioni di CO, ed HH}S_» 10 PARTE I. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI GIACIMENTI PETROLIFERI. Regole pratiche seguite nelle ricerche petrolifere . . . |. Ipotesi formulate zer spiegare la formazione dei giacimenti petroliferi IH. Nuova ipotesi sul modo di formazione dei giacimenti petroliteri . IV. Considerazioni sulle ricerche petrolifere dell'Emilia PARE H, SUL MODO DÌ FORMAZIONE DEI GIACIMENTI SOLFIFERI. I. I giacimenti solfiferi siciliani vennero fin qui considerati come d’ori- ER A Id. È Cenni sui terreni formanti il Miocene superiore in Sicilia . . . . Emanazioni endogene di idrocarburi che s'incontrano nella zona sol- e a... . Sull'origine dei banchi di tripoli di calcare concrezionato e di gesso ife ocone saperiore: & e... 4 Minerali solfiferi - Giacimenti di minerali solfiferi, di catcare poroso, IT EL AE I minerali solfiferi siciliani non vennero formati entro bacini acqui- ORE RR AAP Sull’origine dell'idrogeno solforato che formò i giacimenti solfiferi b es La. dr VIII. Nuova ipotesi sull'origine dei minerali solfiferi siciliani i a | INDICE {. Giacimeati solfiferi prodotti da idrocarburi percorrenti faglie oblique alla verticale e parallele alla stratificazione di banchi di gesso at- fioranti: Giacimenti Iuncio, Trabonella, Capodarso . . . . . .Pag.60 A . Giacimenti solfiferi prodotti da faglie petrolifere trasversali a banchi ì: di gesso affioranti alla superficie REA. SPREA “oe 69. . Giacimenti solfiferi prodotti dalla riduzione di banchi di gesso non affioranti alla superficie disposti a pieghe : Giacimenti delle solfare Montagna, Ciaulotta, Virdilio . SR VETRI . Giacimenti solfiferi prodotti da faglie petrolifere che attraversarono banchi di gesso disposti orizzontalmente : Giacimento di Perticara (Pesaro) np ce CLEAL XIII. Giacimenti solfiferi del Texas e della Louisiana . XIV. Giacimenti solfiferi del Messico ea e XV. Giacimenti solfiferi di origine sedimentaria . Conclusione LG POMPEO MODERNI SU LA CONCA DI BOLSENA A proposito di una Nota del Dott. H. Simotomai (1) La regione Vulsinia in genere ed il bacino lacustre di Bolsena in ispecie, esercitano uno strano fascino in tutti quelli che lo visi- tano per la prima volta, specialmente se sono stranieri al nostro paese. Il dott. Simotomai non ha potuto sottrarsi a questo fascino e, venuto in Italia in viaggio d'istruzione, rivolse ad essa i suoi studi: in un tempo davvero brevissimo, essendo riuscito ad imparare della nostra lingua, così diversa dal suo nativo giapponese, quel tanto necessario a farsi intendere a voce e per iscritto, pubblicò sul Bol- lettino del R. Comitato Geologico d’Italia una breve Nota nella quale sono riassunte le osservazioni da lui fatte. Noi Italiani nutriamo viva simpatia per quegli stranieri che ven- gono a studiare, sotto aspetti diversi, il nostro paese e con il loro ingegno e la loro coltura contribuiscono qui in Italia al progresso così delle scienze e delle arti, come del commercio e delle industrie. Que- sta nostra simpatia per gli stranieri che si occupano del nostro paese, non esclude però che da parte nostra si possa e si debba ri- marcare tutto quanto vi può essere non scevro d’inesattezze nelle loro pubblicazioni. \ » (1) SimoToMAI H. — Ricerche morfologiche sulla Conca di Bolsena. (Bol- lettino del R. Comitato Geologico d'Italia, vol. XLIV, fasc. 2°). Roma, 1914, (era Via. CIROMPEO MODERNI lar Li C4 Il dott. Simotomai, in questa sua Nota, non tiene conto alcuno del contenuto del mio lavoro su i Vulsinii (1) e ciò ferse allo scopo di evitare la discussione delle due teorie esistenti su la genesi della conca vulsinia. Ma il Simotomai che è dottore. in geografia e non in geologia, avrebbe potuto benissimo evitare questo scoglio, limi- tandosi ad accennare Je due teorie e dichiarandosi in pari tempo incompetente a pronunziarsi su tale questione, lasciandone la solu- zione ad altri che presto o tardi certamente se ne occuperanno. In- vece egli, dopo avermi citato in principio del suo lavoro, non dirò inesattamente, ma incompletamente, come dimostrerò in seguito, ha proceduto avanti come se questo mio lavoro non esistesse affatto, esaminando le cose soltanto dal punto di vista di un mio contradit- tore, obbligandomi così a dovergli fare delle rettifiche, Perchè un libro lo si può ignorare, ma quando lo si conosce si potrà criticare, distruggere anche dalla prima all’ultima pagina, con delle ragioni e delle dimostrazioni di cui chi scrive assume tutta la responsabilità, ma non lo si può trascurare come non esistesse : « Scripta manent » ed il dott. Simotomai conosceva il mio libro, e se lo portava sempre nelle sue escursioni, servendosene come di una guida, non solo, ma lo aveva annotato nel margine di quasi ogni pagina; perchè il mio lavoro, per quanto sia un lavoro preliminare, una contribuzione come l'ho chiamato, pure fino a questo momento, non essendovi di meglio, è la descrizicne più completa dei Vulcani Vulsinii. Nello studio complesso dei vulcani spenti, quello delle bocche eruttive è per l'appunto il più importante, malgrado che qualche autore voglia togliere a questo studio qualsiasi importanza : infatti se lo studio analitico dei materiali eruttati fa conoscere le loro va- rietà; se lo studio stratigrafico con l'ammasso dei prodotti dà una idea della durata del vulcanismo in una data regione; se con le in- tercluse erosioni, indica approssimativamente il tempo più 0 meno lungo trascorso tra un’eruzione e l’altra ; se con la diversità dei pro- (1) MopERNI G. — Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Vulsinii. (Bollettino del R. Comitato Geologico, annate 1903 e 1904). Roma, 1903-1904. sa) | SU LA CONCA DI BOLSENA "PTRPONERIAT dotti sovrapposti, avverte della possibilità di più fasi distinte dell’at- tività del vulcano ; soltanto lo studio attento ed accurato delle boc- che eruttive, permette di riconoscere la provenienza di tutti i mate- riali eruttati, ed integrando tutte le altre osservazioni, ottre una base per la ricostruzione a grandi linee della storia di un vulcano. Il Simotomai perciò volendo conoscere questa storia ‘nella quale è implicita la genesi del lago di Bolsena, tenuto conto dell’impor- tanza e deila difficoltà della ricostruzione di una grande bocca erut- tiva, prima di dichiarare che il lago di Bolsena era un cratere, non avrebbe dovuto trascurare nessuno degii elementi che aveva in mano, e sopratutto dell’osservazione mia, la quale faceva conoscere che ad 11 chilometri dalle rive del lago, si vedevano le lave uscite dal Monte Marano, conetto avventizio del vulcano di Latera, poggiare diret- tamente su le argille plioceniche. Egli che mi aveva dichiarato, e non credo per complimento, d’aver riconosciuto la mia Carta nella parte ultimata, e cioè quella occidentale, scrupolosamente esatta, non avrebbe dovuto tralasciare di fare questa importante escursione. E là, da- vanti ad un fatto che non si può nè negare, nè travisare, gli sa- rebbe naturalmente venuta sul labbro la stessa domanda che venne a me, che deve venire a tutti quelli che studiano questa regione senza preconcetti e cioè : se i prodotti di coni avventizi del Vul- cano di Latera, che avrebbe dovuto essere posteriore al grande sup- posto cratere rappresentato dalla Conca vulsinia (come è costretto a riconoscere anche il Simotomai) si trovano a contatto delle rocce sedimentarie, per quale strano fenomeno, il supposto grande cratere, misurante oltre 40 chilometri di circuito, non ha potuto far giun- gere i suoi proietti e le sue lave a soli 11 chilometri di distanza dalla sua bocca, lasciando da quella parte la superficie vergine da depositi di materiali vulcanici, forse per una lunga serie di secoli ? La risposta non poteva essere che una sola: la conca vulsinia non dev'essere un cratere ! Messo in guardia da questa constatazione, si sarebbe trovato nelle stesse condizioni in cui mi trovai io, a cui era perfettamente indifferente che la conca vulsinia fosse o non fosse un cratere, ed 0/4 43 E i » » SI radi aci Meo) ì) È È SI : ba "iii er i POMPEO MODERNI © sa midi avtebbe dovuto necessariamente rivolgersi quest’altra domanda : se la conca vulsinia non è una bocca eruttiva, quali sono dunque le bocche eruttive di questo grande vulcano ? Gli edifizi vulcanici di Latera e di Montefiascone così complessi e così grandiosi (special- mente quello di Latera il di cui cratere maggiore misura 9 chilo- metri di diametro), sono anche così bene conservati, che non vi è bi- sogno di molto studio per riconoscerli; come pure non è difficile constatare che dalla parte meridionale della conca vulsinia, fra i due suddetti edifizi vulcanici, manca assolutamente ogni indizio di recinto craterico. L'esistenza di questi due grandi edifizi vulcanici basterebbe già per sè stessa a spiegarci i potenti accumulamenti di materiali vulcanici che per 20 e 25 chilometri si distendono verso S.E., S. eS.O.; ma io ho dimostrato anche la possibilità che ad est deil’isola Bisentina vi potesse essere un altro grande cratere, segnato oggi dalle due maggiori profondità del lago che appunto ivi si tro- vano, dalla fomma delle isobate rilevate dal De Agostini e dalla di- sposizione delle lave e dei tufi dell’isola Bisentina. A questa bocca eruttiva, nascosta dalle acque del lago e dai depositi lacustri, appar- terrebbero meglio le colate che affiorano nella valle del Marta ed i conetti avventizi che si trovano nei dintorni di Capodimonte e Marta a sud del lago. Il Simotomai, il quale non ha potuto visitare l’isola Bisentina, perchè non ha tenuto conto delle mie osservazioni fatte in questa località e del rilevamento della mia Carta geologica, da lui riconosciuto scrupolosamente esatto ? In un certo punto della sua Nota, il Simotomai dice che la conca di Latera avrebbe intaccato il recinto craterico della conca vulsinia: ma come fa egli a suppor ciò se, come ho già detto, a S.E. del Vulcano di Latera, cioè fra i due edifizi vulcanici di Latera e di Montefiascone, non vi è traccia di recinto craterico, e dalla parte opposta, cioè nell’angolo N.0., fra il Vulcano di Latera ed il cratere di Sterta, l’autore non riporta nessuna osservazione sua in appoggio dell’esistenza di un altro frammento di recinto craterico, che in quell’interessantissima località dovrebbe essere visibile? Ep- pure sarebbe stato assai facile assicurarsi di questo fatto così impor- “ ù N° cà $ Ti Nel DI A MRI GR 97, ave ven St SU LA CONCA DI BOLSENA tante, poichè nell’ angolo N.O. appunto, la pila degli strati che forma il recinto lacustre, è incisa da due profondi burroni, uno dei quali è quello per cui passa la vecchia (ed in parte anche la nuova) strada carrozza- bile che da Bolsena conduce a S. Lorenzo Nuovo, l’altro è quello che scende da Grotte di Castro. Questi due burroni sono due belle sezioni naturali, nella parte più bassa delle quali stanno dei tufi pomicei, che finora non sono stati trovati nell’ossatura dei recinti craterici, e questi tufi sono dolcemente inclinati verso il lago; la loro disposizione mostra chiaramente che appartengono al Vulcano di Latera. Di materiali che per la loro natura e disposizione si possano ritenere facenti parte d’una cinta craterica non ve n’è traccia alcuna. Al disopra di questi materiali più antichi, i tufi sono orizzontali 0 leggermente inclinati verso il lago, ma rialzati verso di esso, come dovrebbe verificarsi se facessero parte di un recinto craterico, non si vedono mai; avvicinandosi verso il Monte Landro o verso il Vulcano di Latera appaiono subito i tufi rialzati verso l'uno o verso l’altro dei due edifizi vulcanici. Se dunque nè da una parte, nè dall’altra del Vulcano di Latera, cioè nè fra il Vulcano di Latera e quello di Montefiascone, nè fra il Vulcano di Latera ed il Monte Landro, che sarebbe un cono avventizio del cratere di Sterta, appartenente a quello che ho chiamato Vulcano di Bolsena, si vede la continua— zione di questo recinto craterico che il Vulcano di Latera avrebbe intaccato, quali fatti hanno persuaso il Simotomai dell’esistenza di questo recinto craterico? Nella sua Nota non è detto. Se in questo angolo N.O. le colline che «costituiscono l’orlo del bacino lacustre sono un poco più alte, lo si deve al fatto che proprio in quest’angolo N.0. vi è il cono del Monte Landro che dev'essere stato molto attivo e deve aver vomitato ceneri e lapilli in grande quantità. E giacchè sono nell’angolo N.0. della conca vulsinia, mi sia per- messo di domandare al dott. Simotomai perchè fra i crateri che si Ticonoscono nell’interno della conca o bacino lacustre di Bolsena, | non ha compreso anche l’importante cratere di Sterta? Eppure Questo cratere non doveva essergli ignoto, poichè nella sua N ota | nomina ripetutamente il Monte Landro, il quale non è altro che un 7 TERNO STO RR RE pn A VOTO E ade ee POMPEO MODERNI - bel cono avventizio sviluppatosi sul ciglio del cratere di Sterta, allo stesso modo che il cono di Montefiascone sì è sviluppato precisamente sul ciglio del sottoposto cratere detto La Valle, e non sul ciglio del supposto grande cratere rappresentato dal lago. Questo interessante e complesso edifizio vulcanico di Sterta, situato nell’angolo N.0. della conca vulsinia, è costituito dal grande cratere di Sterta, perfetta- mente circolare, avente circa un. chilometro di diametro e che è sventrato a sud; su! suo ciglio craterico si sono sviluppati tre coni avventizi: Pian Cerasolo, Sassara e Monte Landro, quest’ultimo assai più importante degli altri due. A nord di Sterta, al di fuori della conca, i due piccoli crateri di Casale Morichino e di Lagaccione di S. Lorenzo, da non confondersi con Lagaccione di Valentano citato dal Simotomai, non troppo ben conservati, appartengono entrambi, come manifestazioni eccentriche, al cratere di Sterta. Un edifizio vulcanico, come si vede, che rassomiglia assai a quello di Monte—- fiascone, che gli sta di fronte nell’angolo S.E., e che se ha delle di— mensioni più modeste, merita però di essere accuratamente studiato da tutti quelli che vogliono occuparsi dei Vulcani Vulsinii, poichè deve avere avuto una parte importante nelle eruzioni di quello che ho chiamato Vulcano di Bolsena, e forse ne rappresenta l’ultima fase, . come il piccolo lago craterico di Mezzano rappresenta l’ultima fase del Vulcano di Latera. Ed eccoci ai famosi scaglioni o crateri concentrici: il Simotomai cita anche il mio nome fra quelli che hanno osservato questa for- mazione a scaglioni nell'interno del bacino lacustre, però si ferma alla mia prima citazione. Infatti alla prima e seconda riga della pag. 141 della mia Memoria (1) è detto: « Dal lago si sale all’alti- piano a nord di Bolsena, per tre o quattro grandi scaglioni formati da colate di lave diverse ». Però all’ultima riga della stessa pag. 141 riprendo e completo nella susseguente pag. 142 la descrizione di questi scaglioni nel modo seguente: « Tutti i coni che si trovano situati fra S. Lorenzo e Bolsena, formano come tre gradini o scaglioni e, ad eccezione dei tre conetti (1) MODERNI P., opera citata. “i TAI | 10 î SU LA CONCA DI BOLSENA dei Poggi del Giardino, conservano poco la loro forma caratteristica, anzitutto perchè si svilupparono sul ciglio o nell’ interno del recinto, quindi mentre da una parte avevano un abisso da ricolmare con le loro deiezioni, le quali per poco abbondanti che fossero dovevano assumere subito la forma conica, dalla parte opposta si distendeva l’altipiano o si alzava la- parete del recinto, e da questa parte i coni prendevano una forma leggermente mammellonare o l’aspetto di gradini: perciò quelli sul ciglio emergono poco su l’altipiano e visti da questa parte sembrano collinette dovute all’erosione ; di quelli nel- l’interno, molti sono rimasti investiti dai franamenti avvenuti, che hanno livellato la superficie per larghi tratti. Il tempo con la sua opera demolitrice ha portato il proprio contributo alla rovina parziale di queste bocche eruttive scavando fossi di scolo in tutte le direzioni, asportando una parte dei materiali che costituiscono le bocche situate nella parte più alta del recinto, rovesciandoli addosso a quelle situate più in basso; da ultimo la mano dell’uomo vi ha avuto pure la sua parte. Sappiamo infatti che Vulsinio era una città importante, situata appunto sopra un cono (Piazzano); su altri coni èrano le necropoli (Vietena ed altre); la regione era molto abitata: vi esi- stevano ville, strade, ecc., per cui molte bocche devono aver sofferto assai per i lavori dell’uomo. Oggi in mezzo ai boschi più folti, si presentano all’improvviso qua e là, dei tratti di strade consolari con i caratteristici lastroni poligonali, che davvero non si supporreb- bero in certi luoghi, oggi affatto deserti ed impraticati ». « Fra Bolsena e Poggio Cerretella, dalla parte di Montefiascone, la disposizione delle bocche su tre scaglioni è meno regolare, ma | anche da questa parte si sviluppa una quantità di bocche eruttive sul ciglio del recinto, a mezza costa ed al piede di esso. Le eruzioni di queste bocche, come del resto nella maggior parte anche di quelle a destra di Bolsena, dovettero essere accompagnate da piccolissimo sviluppo di vapore acqueo, e perciò le medesime non proiettarono molti materiali detritici, ma emisero invece abbondanti colate di | lave. Da questo fatto derivarono piccoli coni schiacciati e poco ri- conoscibili, ecc. ecc. ». rta Sa LT et Ve An rn MISETA Lie Pi . e e r badi 4 r PA ui LR n'e A \ POMPEO MODERNI — . Da questa descrizione emerge quindi che la formazione di questi scaglioni è dovuta principalmente ai numerosi conetti avventizi | sviluppatisi nell'interno della parte N.E. del bacino lacustre, i quali vomitando molte colate di lave hanno consolidato questi scaglioni. L’erosione, isolando delle collinette di tufo ha contribuito, in modo ; accessorio però, alla formazione degli scaglioni che visti dal basso danno al paesaggio un aspetto caratteristico e d’una certa imponenza. I profili, alla scala di 1: 50000 per le distanze e per le altezze, quì intercalati, rappresentano, meglio di qualsiasi descrizione, la forma- zione degli scaglioni: questi profili passano tutti per conetti da me . descritti nella Memoria già citata e portano il numero d’ordine con il quale in detta Memoria sono distinti. Nel tracciare i profili ebbi cura di non tagliare fossi d'importanza, onde evitare di rappresentare gradini dovuti unicamente all’erosione. Il profilo n. 1, nella parte settentrionale del recinto lacustre, passa per il conetto di Pian Cerasolo (n. 81), alla quota di 450 metri, formando un primo gradino di m. 145 al disopra del lago, il quale trovasi alla quota di m. 305; passa poi per il conetto di Poggio »« 450 Pian Cerasolo N, 81 :»« 306 Sponda del lago +. 603 Montalfina N. 78 e) x Zi 2 © n O & E i D) =; Bi N o a) = Lame! si Na) z ì sw 330 Fosso Piazale S ; î ARE SAT ER i VELI I MISS PIERINO DIST IA IEEE MR E . livello dei mare Profilo N. l. » del Troscio (n. 79), situato alla quota di m. 641, formando un altro gradino di m. 191 sul precedente; da ultimo questo profilo passa per il cono di Montalfina (n. 78), situato alla quota di m. 603, ossia i RALE la EROI E O, 4 n alinele + ida to È del ea 114 Po DI, t y ® Cari SU LA CONCA PI BOLSENA vili ci) di m. 38 più basso di Poggio del Troscio, ma siccome fra questi due edifizi vulcanici vi è una piccola valle, detta la Vallaccia, così Montalfina s’ innalza su di essa e si vede distintamente anche da lontano. Questi tre conetti tagliati in linea retta dal profilo n. 1, hanno tutti e tre delle colate di lava ben distinte le une dalle altre. Il profilo n. 2, anch’esso nella parte settentrionale del recinto lacustre, passsa anzitutto per il piccolo cono di C. Gazzetta (n. 75), situato alla quota di m. 540 e perciò formante un primo gradino, in questo punto, di m. 235 al disopra del lago; si dirige poi con linea spezzata a Poggio Pianale (n. 76), bocca eruttiva non troppo . ben conservata abbenchè vi siano diverse ragioni per ritenerla tale, »-:306 Sponda del lago . vee" 306 Strada per Bolsena imam 702 Poggio Torrone N. 77 uni. ee 040 Casa Gazzetta N. 75 =. 657 Poggio Pianale N. 76 liveilo def mare Profilo N. 2. alla quota di m. 657, formando un secondo gradino di m. 117: raggiunge da ultimo il cono di Poggio del Torrone (n. 77), alla quota di m. 702, formando un terzo gradino di m. 45. Questo piccolo cono segna il punto più elevato di tutta la Regione Vulsinia, ed è questa una delle località dove si può fare un’interessante osservazione : dalla parte sud, cioè verso il lago, i materiali costituenti il conetto sono fortemente inclinati, mentre dalla parte nord l’inclinazione è dolce. j | Ciò dimostrerebbe che dalla parte sud i materiali avevano un vuoto da riempire, mentre dalla parte opposta avevano le pareti di quel grande cratere, che avrebbe occupato appunto la parte N.F. del ba- Mati AE CSO VE SO gg STRIP RTO, Ad Ya | — POMPEO MODERNI "AS din PRI cino lacustre, contro la quale andavano a deporsi con inclinazione dolcissima e che doveva finire per diventare pianeggiante. Il profilo n. 3 nell'angolo N.E. del recinto lacustre, che passa per Bolsena, forma un primo gradino di m. 258 sul lago, alla quota. di m. 563, la quale segna un alto dirupo di lava formato dalle colate dei coni di Piazzano ; il secondo gradino è segnato appunto da questo cono (n. 66-67), alla quota di m. 584 e che perciò s’innalza sul pre- cedente di m. 21. Anche in questa località si può fare l’importante osservazione dei materiali fortemente inclinati dalla parte del lago e dolcemente inclinati dalla parte opposta. Il profilo passa poi per il conetto chiamato 77 Monte (n.68), alla quota di m. 621, formando un 66 68 »» 3065 Sponda del lago *» 563 Scogliera di lava + 348 Bolsena :«..e: 645 M. Panaro N. 69 «**s* 584 Piazzano N. *««*. 621 Il Monte N. livelto d'el mare Profilo N. 3. terzo gradino di m. 37; da ultimo raggiunge il cono di Monte Panaro (n. 69), alla quota di m. 645, formando un quarto gradino di m. 24. Lungo questa sezione che è una delle migliori per la netta distinzione degli scaglioni, si vede l'ammasso di lave diverse, uscite dalle nu- merose bocche eruttive, che scendono in dirupi fino al lago. Il profilo n. 4, nella parte orientale del recinto lacustre passa per il cono di Monte Segnale (n. 59), cioè della bocca eruttiva dalla quale sarebbe uscita la caratteristica e conosciutissima colata di lava a struttura colonnare raggiata, detta dei Sassi lanciati. Questo cono, la cui sommità segna la quota di m. 508. forma un primo gradino di m. 203 su le acque del lago ; poi il profilo passa per il conetto di ì i P dy re Pa |°‘’‘’‘’‘’‘‘%U LA CONCA DI BOLSENA Podere Poggetto (n. 56), alla quota di m. 510, formando un piccolo gradino di m. 2; quindi il profilo, con linea spezzata, taglia il piccolo altipiano dove trovasi il conetto di Cecala (n. 57), alla quota di m. 570, +. 508 Monte Segnale N. 59 ».. 570 Cecala N. 57 ....- 599 Poggio Apparita N. 60 SOCIO »-. 306 Sponda del lago sv.» 320 Strada per. Bolsena sssssse 510 Pod. Poggetto N. 56 livello del m@re Profilo N. 4. formando un terzo gradino di m. 60; da ultimo la linea spezzata rag- giunge il cono di Poggio Apparita (n. 60), in posizione isolata ed assai visibile, alla quota di m. 599, formando un quarto gradino di m. 29. Il profilo n. 5, nella parte orientale del recinto lacustre, uno dei più caratteristici, passa per il cono del Podere del Marchese (n. 53), 55 389 Podere del Marchese N. 53 ‘cas 506 Montienzo N. 52 Lu 562 Ceccorabbia N. russe 625 Monterado N. 54 case 930 Via Cassia «.-evese 306 Sponda del lago sssssssemsesse) 310 Strada per Bolsena fivetto dei mere Profilo N. 5. situato alla quota di m. 389, formando un primo gradino di m. 84; passa per il cono di Montienzo (n. 52), alla quota di m. 506, for- }! \ ic k 3 } o” i, 5 a «POMPEO MODERNI —- | mando un secondo gradino di m. 117; passa quindi per il cono di Ceccorabbia (n. 55), alla quota di m. 562, formando un terzo gradino di m. 56; raggiunge da ultimo il cono di Monte Rado (n. 54), alla quota di m. 625, formando un quarto gradino di m. 63. Il profilo n. 6, anche questo nella parte orientale del recinto la- custre, passa per il cono di Palombaro (n. 48), alla quota di m. 500, formando un primo gradino di m. 195; passa poi per il cono di Tre- biano (n. 49), alla quota di m. 568, formando un secondo gradino di 48 306 Sponda del lago 310 Strada per Bolsena ++«*: 500 Palombaro N. «e.» 568 Trebiano N. 49 vessessca 594 C, Campolungo i 1 divello del mare Profilo N. 6. m. 68; il profilo raggiunge da ultimo la collina di C. Campolungo il cui versante verso il lago è formato dalla scogliera di lava proveniente dal cono di Monterado ; questa collina segna la quota di m. 594, for- mando un terzo gradino di m. 26. a) Gli scaglioni che si osservano nella parte N.E. del recinto lacu- stre di Bolsena, sono stati dunque originati dalle numerosissime boe. che eruttive avventizie ivi sviluppatesi e relative colate di lave; di queste . bocche eruttive se ne riconoscono ancora 44, quale più quale meno ben conservata, ed è facile immaginare come questo numero debba rappresentare soltanto una parte, forse la minore, del numero totale di queste bocche avventizie apertesi durante l’ultima fase del cratere che nella mia Memoria, già nominata, ho chiamato Vulsinio. Il Simotomai, non tenendo conto neppure di quest’altra mia osservazione, ha tracciato le sue linee morfologiche facendole passare i # L ; SP TRY. LI MA Pal 4 si \ 10 NI , d SU LA CONCA DI BOLSENA per tutte le prominenze di suolo che avessero a preferenza una forma allungata, qualunque ne fosse la loro genesi, ottenendo così in lo- calità diverse, fino a nove linee morfologiche più o meno parallele, entro il recinto lacustre, le quali però non hanno e non possono avere nulla di comune con i miei scaglioni. ” | Infatti nella mia Memoria, già citata, a pag. 150' dicevo che: « osservando minutamente la disposizione delle bocche avventizie, sul recinto del grande cratere Vulsinio, si vede chele medesime formano ua come già fu accennato, tre scaglioni i quali se sul terreno molto frastagliato ed in gran parte boschivo non sono abbastanza appari- scenti e facilmente distinguibili con un esame sommario, pure su l’annessa Carta dimostrativa risultano abbastanza chiaramente. Questi tre scaglioni rappresentano forse i frammenti di tre cinte concentri- che del grande cratere, ristrettosi successivamente e su le quali svi- 3 lupparonsi in grande quantità le bocche avventizie alterandosi, distrug- gendosi a vicenda e ricoprendo con i loro edifizi quello principale ». Come vedesi gli scaglioni da me osservati si riferivano e si limi- tavano al cratere Vulsinio, del quale avrebbero indicato forse tre suc- cessivi ristringimenti, mentre le linee morfologiche del Simotomai, | senza tener conto nè dell’inclinazione dei materiali, nè della loro qualità, investono anche il Vulcano di Montefiascone, edifizio che ha una fisenomia sua propria ed altrettanto caratteristica quanto quella di Latera e che perciò non ha nulla di comune con quello che ho chiamato Vulcano di Bolsena, del quale il cratere Vulsinie sarebbe stata la bocca eruttiva principale. | Dalla parte opposta, cioè nell'angolo N.O. del recinto lacustre, il Simotomai allunga una delle sue linee morfologiche su per la val- lecola dove passa la strada rotabile che da Grotte di Castro va a congiungersi all’altra rotabile che'passa sul ciglio del grande cratere di Latera. Nella mia Nota: La Geologia dei dintorni delle Grotte di Ca- stro (1), che il Simotomai voDaRDeVa, ho dimostrato che quella valle- (1) MopERNI P. — La Geologia delle Grotte di AA (Giorn. di Geologia Pratica, Anno ]V, Fasc. 5°). Perugia, 1906. * ATCAVi bi Aa A Da DI POMPEO MODERNI cola, situata sul fianco del cono racchiudente il cratere di Latera, è dovuta all’erosione delle acque scendenti appunto giù per il cono, allo stesso modo delle altre vallecole vicine di Vigne Vecchie, Preta, Oriesa e di quella dove passa la rotabile di Gradoli, vallecole aventi tutte la stessa origine, la stessa larghezza, la stessa profondità e la stessa disposizione dei materiali, rialzati costantemente verso il cratere di Latera. Evidentemente il Simotomai non ha creduto tener conto neppure di questa dimostrazione e nella sua Nota non ha detto il perchè ha fatto passare la sua linea per quella vallecola piuttosto che per un’altra ad essa vicina, ovvero perchè non ha tracciato tante linee morfologiche quante sono le vallecole che da questa parte scen- dono dall’orlo del cratere di Latera. Un'ultima osservazione, che può interessare il mio lavoro, è quella fatta dal Simotomai circa un singolare sistema idrografico che vi sa- rebbe entro la conca o bacino lacustre di Bolsena, differente affatto di quanto si osserva ordinariamente negli altri vulcani. A questo proposito egli nota che gl’immissari del lago sono in generale a corso parallelo alla spiaggia, formando come archi di cerchi concentrici. Questa supposta singolarità di sistema è dovuta al fatto di aver pre- supposto che il recinto del bacino lacustre rappresentasse diversi recinti concentrici di un unico e grande cratere, tagliato soltanto dal Vulcano di Latera nella sua parte S.0. Se il Simotomai avesse considerato invece il bacino lacustre di Bolsena anche secondo il mio punto di vista, cioè come l’avvallamento rimasto fra quattro distinti e complessi edifizi vulcanici, sviluppatisi attorno ad esso, avrebbe trovato subito una spiegazione facile a questa disposizione di alcuni corsi d’acqua entro il bacino lacustre di Bolsena. La parte orientale dei recinto è quella che si presta meglio ad ana- lizzare l’osservazione del Simotomai: il Fosso Bronzino, nella sua parte alta è formato da due rami quasi paralleli, e paralleli alla sponda del lago, diretti da sud a nord, che si riuniscono alla quota di m. 427 e, piegando ad angolo retto, prendono il nome di Fosso Bronzino che scende con direzione ovest, normalmente alla spiaggia del lago. La ragione per cui la parte alta del Fosso Bronzino corre parallelamente SU LA CONCA DI BOLSENA alla sponda del lago, è semplicemente quella di scendere dai fianchi def cono racchiudente il bel cratere della Valle appartenente al Vulcano di Montefiascone e di scorrere perciò per la linea di maggiore pendenza; finehè ha potuto trovar la via per scendere al lago. Il Fosso Maltempo, concentrico al precedente, ha origine anche esso sul cono racchiudente il cratere principale del Vulcano di Mon- tefiascone e scendendo da sud verso nord, per la .linea di maggior pendenza, parallelamente al lago, va ad urtare il cono di Poggio Cerretella e lì, al Ponte della Regina, piegando ad angolo retto, scende normalmente alla spiaggia del lago. | Il Fosso dei Prati, concentrico ai due già descritti, ha origine, con due rami paralleli, su la parte più alta del cono contenente il cratere principale del Vulcano di Montefiascone; scende da sud verso nord, per la linea di maggior pendenza, parallelamente alla riva del lago, fin dove incontra il suo affluente Fosso Larducceio, scendente da nord a sud, anch’esso parallelamente alla sponda del lago; quì conti- nua obliquamente alla detta sponda, ma sempre concentricamerte al due primi fossi descritti, fino ai Molini di Bucine, dopo aver con- tornato da est il cono di Poggio Cerretella, appartenente al Vulcano di Bolsena ed aver raccolto le acque che scendono dai fossetti sca- vati tra i conetti di Palombaro e Trebiano; ai molini di Bucine, cam- biando il primitivo nome in quello di Fosso di Arlena, scende ai lago più o meno normalmente alla sua sponda, serpeggiando fra il cono di Poggio Cerretella e quello di Podere del Marchese. Come vedesi la ragione della concentricità di questi tre fossi e del loro parallelismo alla sponda del lago, specialmente nella loro parte più alta, è data dal discendere tutti e tre, da punti diversi e per la linea di maggior pendenza, dal cono del cratere principale di Montefiascone, racchiudendosi uno dentro l’altro nel trovar la via per scendere al lago, unico loro sbocco possibile. Entro il bacino lacustre di Bolsena, vi è soltanto un’altra lo- calità, dove si può osservare questa disposizione più 0 meno concen- trica dei fossi di scolo, e tale località trovasi nel già citato angolo N.O. del bacino. I fossi che sarebbero più o meno concentrici sono quelli di Valle Maria (dove passa la strada rotabile che si dirama 4h Ta dint. Ip dite ha | b A° È a 10 LE to s uti DI BOLSENA ta a mid | POMPEO MODERNI — SU LA CONCA da quella di Valentano e scende a Grotte di Castro e per la quale il Simotomai ha fatto passare la sua linea morfologica), il Fosso del molino di Tarciano, Valle Preta e l’altro fosso che immette in essa. Ma questi fossi scendono tutti dai fianchi del cono di Latera e perciò alla loro origine cominciano per essere radiali, poi avendo tutti dovuto forzatamente trovarsi la strada verso il lago. loro solo sboeco possibile, sono divenuti concentrici e per un tratto necessariamente paralleli alla spiaggia del lago, che da ultimo tagliano normalmente. Si verificano insomma le stesse condizioni dei fossi scendenti al lago dai fianchi del cono del Vulcano di Montefiascone e si ripetono perciò gli stessi fatti. Tutti gli altri numerosi fossi di scolo che si trovano entro il bacino lacustre di Bolsena, scendono al lago normalmente alla spiag- gia, salvo qualche diramazione dei medesimi, nella parte orientale, che s’'insinua fra i numerosi conetti esistenti da questa parte; come del resto succede in tutti i fossi o scoli d’acqua, che hanno sempre delle diramazioni a destra e sinistra più o meno normali alla dire- zione del tronco principale. | I sei profili intercalati, per quanto tracciati nella parte del re- cinto lacustre che a me è sembrato (per le ragioni esposte nella mia Memoria più volte ricordata e che non credo qui opportuno, di ri- petere) abbia fatto parte di un grandioso cratere, il Vulsinio, edi— fizio principale di quello da me chkiamato Vulcano di Bolsena, pur tuttavia sono ben lontani dal rassomigliare al caratteristico profilo di un recinto craterico. Da questa parte però la ragione ne è ma- nifesta, poichè la grande quantità di conì avventizi sviluppativisi successivamente, dovevano necessariamente alterare profondamente la primitiva forma craterica, ricoprendo con le nuove le antiche deie- zioni. Gli agenti atmosferici con le erosioni ed i franamenti ,entro ma- teriali per la massima parte poco o nulla coerenti, hanno compiuto la loro opera di distruzione. Con il Simotomai mi trovo però perfettamente d’accordo nella chiusa della sua Nota; egli dice: « le mie osservazioni mì portano a concludere che il vulcanismo e l’erosione furono i principali fattori dell’attuale morfologia della Conca di Bolsena». Infatti, è proprio così. III G. CHECCHIA-RISPOLI SOPRA ALCUNI ECHINIDI DEL CRETACEO SUPERIORE DELLA TRIPOLITANIA raccolti dall’ Ing. DOMENICO ZACCAGNA ) Dell’importante materiale raccolto nei vari piani del Cretaceo dall’Ing. D. Zaccagna durante un suo viaggio in Tripolitania com- piuto nel 1914, fa parte anche una ricca collezione di fossili del Maestrichtiano superiore, la quale oltre ad una grande quantità di Molluschi, in massima parte già noti specialmente per i lavori del Krumbeck, del De-Stefani e del Parona, comprende pure pochi ma ben conservati Echinidi, che l’ Ing. Zaccagna volle gentilmente affi- darmi in istudio. Tanto gli Echinidi che i Molluschi furono rinvenuti verso il con- fine occidentale della Tripolitania con la Tunisia, lungo la via di Bir-Harriz (Sinaun), in una formazione di marne bianco-giallastre alternanti con strati calcarei e straterelli dolomitici giallastri. Trattandosi di forme nuove per la Tripolitania e per la scienza, crediamo utile illustrarle a complemento della più completa cono— scenza di quella intereressante fauna echinologica maestrichtiana, in gran parte già da noi studiata (1). (1) v. CHECccHIA-RISsPoLI G. — Sopra alcuni Echinidi del Cretaceo supe- riore della Tripolitania raccolti dal cav. Ignazio Sanfilippo. (Giornale di Scienze Naturali ed Economiche di Palermo, vol. XXX), 1914. G. CHECCHIA-RISPOLI Cassidulus Zaccagnai nov. sp. (Fie. 1,2, Dimensioni : Diametro antero-posteriore . è trasversale . Altezza. Petalo anteriore: lunghezza. » L larghezza . L) » » della zona interporifera. Petali anteriori pari: lunghezza L) ’ » larghezza : | ) ) È » della zona interporifera Petali posteriori pari: lunghezza. » » , larghezza . SITR: » » » » della zona interporifera Specie dal guscio di grandi dimensioni, dal contorno ovale-allun- gato, arrotondato anteriormente, alquanto dilatato posteriormente. Faccia superiore poco depressa, gonfia nella parte anteriore, con la maggiore altezza in corrispondenza dell’apice ambulacrale, che è spostato avanti, ed assottigliata nella parte posteriore. Contorno arrotondato ; faccia ‘inferiore piana. Apice eccentrico in avanti. Apparecchio apicale esteso, subpen- tagonale, notevole per il grande sviluppo della placca madreporica. Pori genitali piccoli, rotondi: gli anteriori più avvicinati dei posteriori. Aree ambulacrali petaliformi, subeguali, sporgenti, larghe, Don, affilate all’estremità, ove pur restano un pochino aperte. 4 Il petalo anteriore ed i posteriori pari sono i più lunghi, però il primo è più largo : gli anteriori pari sono i più corti ed i più larghi. Questi ultimi sono inoltre molto divergenti, mentre i poste- riori sono avvicinati fra di loro. Zone porifere bene sviluppate, leggermente depresse, formate di pori disuguali, disposti a paia obliqui, avvicinati: gli interni sono Li 002224 lio ahi te a: | ‘’‘’‘0‘SOPRA ‘ALCUNI ECHINIDI DEL CRETACEO SUPERIORE DELLA TR POLITANIA — oz rotondi, gli esterni ovali e stretti e congiunti per mezzo di un solco. Ogni paio è separato dall’altro da una costola stretta e granulosa. | Zona interporifera larga e sporgente. Le aree ambulacrali cessano di essere petaloidi ad una grande distanza dall’ambito, per ridursi a piccoli paia sparsi di pori semplici, che si moltiplicano poi attorno al peristoma. Peristoma eccentrico in avanti, pentagonale, subequilaterale, cir- condato da una floscella molto apparente : le protuberanze interambu- lacrali sono molto accentuate; i fillodi, discretamente lunghi e stretti alla base, contengono un gran numero di pori disposti a paia avvi- | cinati, che non sembrano coniugati. | Periprocto longitudinale, ovale, stretto, appuntito in alto, apren- tesi sulla faccia superiore, ma in basso, situato in un solco acuto, ii quale discende slargandosi verso il margine, che intacca leggermente. Tubercoli fini, scrobicolati, stretti, abbondanti, omogenei sulla faccia superiore; più grossi e più spaziati sulla faccia inferiore : questa presenta nel mezzo una fascia longitudinale, che. va dal mar- gine posteriore al peristoma, nettamente distinta ed abbastanza larga, la quale è quasi interamente sprovvista di tubercoli. In un altro esemplare sembra che tale fascia si continui al di là del peristoma. Noi abbiamo esaminati parecchi esemplari di questa specie, per lo più deformati, ma che presentano in genere una grande unifor- mità di caratteri, salvo la forma del guscio, che può essere più o meno alto. Il profilo dell’esemplare figurato (fig. 3) è più alto del vero di circa 2 millimetri, pur restando immutata la sua lunghezza. Questa specie per il contorno oblungo, per la faccia inferiore piana ed attraversata da una fascia sternale assai distinta, per il peristoma circondato da una floscella molto apparente, per il periprocto ovale appartiene al genere Cassidulus Lamarck: essa per l'insieme di tutti i suoi caratteri si distingue facilmente dalle sue congeneri. Località. Lungo la via di Bir-Harriz (Sinaun). (Maestrichtiano). Linthia Paronai nov. sp. (Fig. 4, 5, 6). Dimensioni : Diametro antero-posteriore . . . .. .... » trasversale . 7. (Gi RI. Albezza.-. . 000 A PROSA 20 Specie dal guscio di medie dimensioni, circa tanto lungo che largo, arrotondato ed intaccato avanti, subtroncato indietro. Faccia superiore ‘vonfia, rapidamente declive sui fianchi, abba- stanza alta, con la maggiore altezza nell’area interambulacrale impari, che è subcarenata. Faccia inferiore quasi piana, appena depressa attorno al peristoma, alquanto rigonfia nell’ interambulacro impari. Faccia posteriore verticalmente troncata. Apice ambulacrale centrale. Apparecchio apicale subquadrango- lare, munito di 4 pori genitali, piccoli, rotondi, di cui gli anteriori più avvicinati dei posteriori. La placca madreporica attraversa l’ap- parecchio senza prolungarsi al di là delle ocellari posteriori. Soleo anteriore largo, profondo, dai fianchi carenati: esso in- tacca. profondamente il contorno e si prolunga sempre distinto sino al peristoma. Area ambulacrale impari molto larga, concava nel mezzo, for- mata di pori semplici, posti alla base delle pareti del solco, le quali sono leggermente scavate. I pori sono semplici, disposti a pala obliqui e separati da un piccolo rigonfiamento granuliforme : ì paia sono più avvicinati tra di loro verso l’apice, ove i pori diventano quasi mi- croscopici ; sino alla fasciola io ho contato 25 paia per ogni zona. Aree ambulacrali pari diritte, larghe, lunghe, molto scavate, ab- bastanza aperte alle loro estremità, ineguali: le anteriori molto diver- genti e quasi trasverse, le posteriori molto avvicinate e sensibilmente più corte. Zone porifere larghe, di eguale lunghezza, formate di pori eguali, ovali, stretti, appuntiti dal lato interno, uniti per mezzo di un solco. Ogni paio è separato dall’altro da una costola larga, finamente granulosa. ì pe side va L'ie de Re dr L+ > eri PI Ù uit SOPRA ALCUNI ECHINIDI DEL CRETACEO SUPERIORE DELLA TRIPOLITANIA 113 Ogni zona degli ambulacri pari anteriori è formata di 30 paia di pori; ed ognuna dei posteriori di 22, oltre a qualche paio di pori del tutto microscopici presso l’apice. Zone porifere larghe circa quanto una porifera. Per errore le zone interporifere nel disegno appaiono più larghe delle porifere. Aree interambulacrali gonfie e sporgenti verso l’apice, ove sono subcarenate. Peristoma molto eccentrico avanti, stretto, semilunare, col labbro sporgente ed appuntito. I i | Periprocto situato in alto della faccia posteriore, mal conservato. @ La fasciola che circonscrive i petali è larga, specialmente in cor- | rispondenza delle estremità di questi, che essa rasenta molto da | vicino, avanzandosi profondamente nelle aree interambulacrali. È Fasciola latero-subanale più stretta e bene distinta; essa si di- stacca dalla prima a poca distanza dalle aree ambulacrali anteriori e discende poco obliquamente lungo i fianchi per passare sotto il pe- riprocto. Tubercoli crenelati, perforati, finamente mammellonati, ineguali : fini, avvicinati ed omogenei nello spazio limitato dalla fasciola, che circoscrive i petali ; un po’ più grossi sulle pareti del solco impari e dei petali. Nella parte anteriore del solco, sul contorno e sulla faccia inferiore sono più grossi, specialmente sul plastron, ove sono seriati. Le aree ambulacrali sulla faccia inferiore sono nude. Le zone in- terporifere portano dei fini miliari molto avvicinati. Abbiamo esaminato un solo esemplare di questa specie, che | mostra chiaramente tutti i caratteri di una Linthia, da non confon- | dersi con le altre del genere. Località. Lungo la via di Bir-Harriz (Sinaun). (Maestrichtiano). Roma, R. Ufficio geologico, giugno 1915. te aa Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Ma Ure l a te, )4 LIL IE. SISTRICI IONI \-RISPOLI — SOPRA ALCUNI ECHINIDI DEL CRETACEO ECC. o SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. . Cassidulus Zaccagnai n. sp. Visto superiormente. 2. Cassidulus Zaccagnai. Visto inferiormente. . Cassidulus Zaccagnai. Profilo antero-posteriore dello stesso esemplare. . Linthia Paronai. n. sp. Visto superiormente. . Linthia Paronai. Visto inferiormente. . Linthia Paronai. Profilo antero-posteriore dello stesso esemplare. N. B. Tutte le figure sono ai >/6 della grandezza naturale. - Boll. del R. Com. geol. d’Italia. Vol. XLV. G. CHECCHIA - RISPOLI — Echinidi della Tripolitania FR 0.5. MIEMELE - 2OMA è, P Bollettino del R. Comitato (teologico i een di vi te Aa par UTI n ) , » “ da (es NE ST DI o À mer} deg ; Pi ui de Italia Serie V, Vol. V. Anno 1915. Ca Fascicolo 3-4 WEbnLE ORIGINALI B. LOTTI IL MONTE FUMAIOLO E LE SUE SORGENTI . il giogo di che Tever si disserra Inferno, XXVII, 30. GENERALITÀ. Com’ è noto, il Monte Fumaiolo, insieme col Monte Falterona ad ONO e l’Alpe della Luna a SSE, è situato su quella parte dello spartiacque appenninico che segna il confine geografico, se non pre- | cisamente quello amministrativo, fra la Toscana e la Romagna. La , sua altitudine è di 1408 metri sul mare e da esso prende origine il Tevere, a sud, nel versante tirrenico, mentre nel versante adriatico 4 scendono dalle sue alture i primi affluenti del F. Savio, coi fossi t =, | Grosso e Fornello ad ovest ed i torrenti Alfarello e La Para, rispetti- vamente a nord e NE, e da sud e SE si dipartono gli alti rami del torrente Senatello tributario del F. Marecchia. Il Monte Fumaiolo è il rappresentante di un piccolo gruppo montuoso costituito, oltrechè dalla cima principale omonina, dal Monte Aquilone (1355) ad est, dal Monticino (1348) a nord, dal . Poggio dei Pratoni (1314) e dalla Ripa della Moia (1259) a NO e da altri minori. Questo gruppo di alture, nettamente individuato per le sue spiccate forme orografiche in relazione, come vedremo, colla sua costituzione litologica, occupa un’area quasi esattamente ellittica coll’asse maggiore di km. 6,5 e l’asse minore di 3,5 e forma un blocco isolato sulla linea di spartiacque la quale in questo punto, è FAI, N È LITE vi Pie a x adi cante IP er VRLODIOGERE, CS E È : ì deviando dalla direzione generale NO-SE, fra l’Alpe di Serra e 1’ Alpe della Luna, compie uno stretto e completo semicerchio, aperto verso SO, con un raggio che non giunge a quattro chilometri. Questa curva semicircolare contorna il bacino sorgentifero del Tevere ed »I il Monte Fumaiolo è posto esattamente sulla metà di essa curva, sviluppandosi per la massima parte nel versante adriatico. Ad ec- cezione del vero e proprio Monte Fumaiolo tutte le altre alture del gruppo si trovano infatti nel versante adriatico. Vedremo in seguito quale può essere |’ interpretazione più ra- zionale di questo curioso fenomeno geografico messo in rilievo anche dallo Scarabelli (1). Il gruppo di cuni è parola è costituito da rocce affatto diverse da quelle che ne formano l’ imbasamento, mentre trovano la più strettta analogia, anzi quasi la identità, in quelle della Verna, di Pennabilli, del Sasso di Simone, di San Leo, di San Marino (Monte Titano), di Verruc- chio, Scorticata ed altre distribuite in lembi isolati sparsi qua elà in am- bedue i versanti dell'Appennino e posti, come questo del Monte Fu- maiolo, sulla sommità di alture. Il lembo del Monte Fumaiolo è il più elevato, trovandosi la sua cima alla quota di 1408, mentre gli altri, fra i più cospicui, come la Verna, il Sasso di Simone e il Monte Titano, trovansi rispettivamente alle quote 1270, 1221 % 743. Questi lembi sono generalmente limitati da pareti a picco. Stando sul Monte Fumaiolo possono con lo sguardo dominarsi tutti questi giganteschi e caratteristici residui di un terreno che un tempo dovette estendersi sopra una vasta area di questo tratto della catena appenninica. Le osservazioni paleontologiche fatte sugli altri lembi di questo terreno e segnatamente su quelli della Verna e del Monte Titano, sono di conseguenza riferibili anche al Monte Fumaiolo. Sulla geologia del gruppo del Monte Fumaiolo si hanno poche e alquanto discordi notizie. Il primo che ne parla, salvo involontarie (1) G. SCARABELLI. — Descrizione della carta gevlogica del versante setten= trionale dell'Appennino fra il Montone e il Foglia. — Forlì, 1880. ‘è. | IL MONTE FUMAIOLO D LE SUE SORGENTI omissioni, è lo Scarabelli (1), il quale ne diede anche uno schizzo geologico nella sua carta 1:100.000 di questa parte del versante ap- penninico. Lo Scarabelli per dati paleontologici e per analogia di questo lembo con quello di San Marino, attribuì le sue rocce al piano Bormi- diano: Miocene inferiore secondo l’autore, Oligocene secondo scrittori più recenti. Il Sacco (2) per analogia di facies colla formazione di Pietra Bismantova, nell’ Appennino reggiano, concluse nello stesso senso dello Scarabelli quantunque riconoscesse che i fossili, provenienti da questa o da località di analoga costituzione litologica, come quelle più sopra ‘ricordate, studiati da diversi paleontologi, come il Manzoni, il De Ste- fani, il Fuchs, il Simonelli, il Capellini e il De Angelis, fossero stati riferiti al Miocene (Elveziano e Tortoniano). Quanto alla tettonica egli dice che questo terreno forma nel complesso una leggera conca. Nel volume 26bîs della Carta Idrografica d’Italia, riguardante il bacino del Tevere, il Perrone accenna alla età miocenica di certi strati di molasse delle Balze e del Senatello (3); ma poichè dice che le Vene del Tevere scaturiscono dalle arenarie, quasi al contatto con grossi banchi di molasse mioceniche, e poichè dette sorgenti scaturiscono effettivamente, come vedremo, da terreno identico al tetto e al letto, sembra che non attribuisca al Miocene l’ intiero (1) Loco cit. .(2) F. Sacco. — L’Appennino settentrionale (Boll. Soc. geol. italiana, XVIII, 1899, p. 337). Il SAcco a proposito di questo terreno del Monte Fumaiolo dice che, pur ritenendolo tongriano « non crede che si possa attribuire all’ Eocene, come potrebbe dubitarsi dietro il lavoro del LovrTI (Studi sull'’Eocene dell'Appennino toscano, Boll. Comit. geol. 1898) che colloca nell’ Eocene la roccia di Pietra Bisman- tova ». Questo dubbio invero non era giustificato perchè io in quel lavoro, par- lando dell’ Eocene del Casentino e della Val Tiberina, mai feci menzione di queste rocce della Verna e del Fumaiolo appunto perchè to” eoceniche ed infatti in un successivo mio lavoro (Geologia della Toscana, Mem. descritt. della Carta geologica d’ Italia, XIII, 1910) distinsi nettamente il calcare miocenico della Verna da quello eocenico che io equiparai al calcare di Pietra Bismantova. (3) Carta idrogr. d’Italia, Tevere, 1008, p. 86 e 105. 1 Ù, £ sattàl dii oltre a ci gruppo, ma solo una sua parte. Ciò infatti è poi espresso in modo chiaro nel volume 35 (1) dove dice che « il Monte Fumaiolo è co- stituito da macigno eocenico il quale verso il Monte Aquilone, e pro- È priamente a cominciare dalle Balze, è ricoperto da molassa ed al- tre rocce mioceniche ». Quanto alla tettonica egli dice che 1’ are- naria compatta del tipo macigno (Eocene) è certamente la più an- tica della serie e che su di essa stanno le arenarie tenere a strate- relli alternati cogli scisti, anteriori alle molasse ; mentre i calcari, che sembrano miocenici ed adagiati sull’Eocene, potrebbero pur es- sere della serie solfifera. Per ciò che si riferisce, adunque, all’età geologica di questo lembo del gruppo del Monte Fumaiolo pare fuori di dubbio doverci attenere, insieme col De Stefani, agli studi paleontologici esaurienti del Simonelli sul corrispondente residuo di questo terreno nel Monte della Verna (2) e concludere che esso sia da attribuirsi alla parte inferiore del Miocene superiore, ossia al Tortoniano. ‘ In questa opinione io dovetti implicitamente consentire altra volta (3) discutendo dei calcari della Verna. Dissi allora che lembi fossiliferi di calcare coralligeno e di arenaria calcarifera, oltre a quello maggiore della Verna posto sullo spartiacque fra il Tevere e l’Arno, comparivano isolati e sparsi qua e là nel versante casen- tinese: al fondo della. Valle del Corsalone, nelle colline di Bibbiena, al Berchiello, a S. Maria del Sasso, a. Querceto, alla Chiesina, @ Gressa, a Marciano, a Partina; e nel versante della Val Tiberina: sulia sommità del Monte Fungaia, ai Conchi, a Fungaia, a San Mariano e a Sigliano; equiparai questa formazione a quella del non lontano San Marino, al quale vien collegata per mezzo delle grosse placche mioceniche del Sasso di Simone e del Montone, e notai in- (1) Carta idrogr. d’Italia, Reno, Lamone, Fiumi uniti, Savio, Marecchia ecc. 1910, p. 127. (2) V. SimonELLI. — Il Monte della Verna ed i suoi fossili (Boll. Soc. geol. ital., II, 1883). $ (3) B. LorTI. — Geologia della Toscana (Mem. descritt. della Carta geol. d'Italia, XIII, 1910, p. 160). 3 Pin QUI db « ì i “jaò fe», Bali % rta y Pi } | IL MONTE FUMAIOLO E LE SUE SORGENTI | = = - RA oe, fine come essa non avesse alcun rapporto colla orotettonica attuale es- sendo discordante e senza alcun legame coi terreni eocenici sui quali riposa. Ritengo inoltre, ora dopo il rilevamento dell’ Umbria, che cor- rispondano cronologicamente a questi dell’ Appennino settentrionale i residui di terreno miocenico sparsi in tutta quella regione sulla for- mazione arenaceo-marnosa la quale, per una certa somiglianza lito- logica con quelli, fu erroneamente attribuita al Miocene. Anche il De Stefani (1) riferì, come fu detto, questi lembi fossiliferi dell’ Um- bria al Tortoniano. Un fatto stratigrafico importante può esser rilevato il quale sta in appoggio del riferimento di questo terreno al Miocene superiore, | piuttostochè all’inferiore od all’Oligocèene (Bormidiano e Tongriano) come preterirono lo Scarabelli e il Sacco; ed il fatto è questo che i lembi citati del Casentino e della Val Tiberina, nonchè alcuni, estesi, di cui diremo più avanti (v. Carta geologica Tav. I), situati a SO del Monte Fumaiolo, si trovano direttamente posati sulla formazione arenaceo-marnosa am anzichè sulle argille scagliose ag, come lo sono gli altri residui e specialmente i maggiori come la Verna, il Monte Fumaiolo, il Sasso di Simone e San Marino; ciò che sta a dimostrare che un lungo periodo di emersione e di denudazione intervenne fra i depositi dell’Eocene medio, cui, come vedremo, è da riferirsi la for- mazione arenaceo-marnosa am, e quelli del Miocene di cui è parola. GEOLOGIA. Fissata così in massima la posizione stratigrafica e cronologica di questo lembo miocenico del Monte Fumaiolo, passiamo ad esporre i particolari litologici e tettonici delle sue formazioni e di quelle cir- costanti eoceniche che ne formano l’imbasamento, cominciando da queste ultime. (1) C. DE STEFANI. — /l Tortoniano dell'alta valle del Tevere (Proc. verb. Soc. tosc. sc. nat., II, 1879, p. 114). E. LOTTI pu Formazione arenaceo-marnosa, am. — La più profonda di esse è quella che nell’ Umbria e nelle Marche va sotto il nome di forma- zione arenaceo-marnosa, la di cui età è stata ed è tuttora per alcuni. oggetto di discussione, se cioè sia attribuibile all’Eocene, all’Oligocene o al Miocene medio (Langhiano). Per lo scrivente la questione è ormai superata ; essa costituisce il terreno più basso dell’Eccene di tipo flysch e passa gradatamente e con continuità alla scaglia detta argillosa 0 cinerea, con nummuliti del Luteziano inferiore o del Suessoniano. Nell’ Umbria questa formazione racchiude banchi calcarei con lepidocicline e con nummuliti eoceniche (1), letti argillosi con ptero- podi, qualche bivalve del genere Lucina ed alcuni gasteropodi in gene- rale mal conservati. La sua età eocenica, oltrechè dalla presenza di nummuliti, viene stabilita dal fatto che essa è dovunque ricoperta dalla zona delle argille scagliose, ag, nelle quali sono inclusi strati di puddinghe mi- nute con nummuliti dell’Eocene superiore (2). Nella regione di cui è parola la posizione stratigrafica di questa formazione è pienamente confermata. Essa non solo apparisce in modo indiscutibile, come vedremo, sottostante alle argille scagliose - nell’area del Monte Fumaiolo, ma la vediamo succedere ad esse nello stesso ordine stratigrafico presso Pieve S. Stefano, dove inoltre le argille scagliose sono alla lor volta ricoperte dai calcari marnosi ad Helminthoida notevolmente sviluppati in quei dintorni. Basta per- correre la rotabile risalendo il corso del Tevere, fra Pieve S. Stefano e Valsavignone, ossia per. circa 10 chilometri, per attraversare com- pletamente la serie di quei caratteristici terreni e constatarne la successione. (1) Queste ultime furono ritenute di trasporto dai sostenitori dell’età mioce- cenica della formazione, ma l’idea del trasporto è soltanto una supposizione che non trova appoggio in nessun fatto specifico. (2) Vedere sulla questione : B. LorTI — Relazione sulla campagna geolo- logica dell’anno 1912. (Boll. Comit. geol., 1919-14); P. PRINcIPI — Alcune con- siderazioni sul Terziario dell'Umbria (Boll. Soc. geol. ital., 1914) e B. LoTTI — Sulla questione del Terziario dell'Umbria (Boll. Comit. geol., 3, 1913-14). 4 | IL MONTE FUMAIJIOLO E LE SUE SORGENTI — 12) Questa formazione arenacéo-marnosa am (v. carta geol. Tav. I) costituisce il terreno più sviluppato e diffuso in questo tratto del- l'Appennino. Esso, oltrechè nel versante tirrenico, ove occupa tutta l’area triangolare della Valle del Tevere compresa tra le cime di spartiacque: Monte Fumaiolo, Poggio de’ Tre Vescovi e Poggio del- l'Aquila, stendesi a perdita d’occhio nel versante adriatico ove forma quasi esclusivamente l’alto e medio bacino dei fiumi Marecchia e Savio. Dallo Scarabelli (1) questo iterreno dalle caratteristiche forme | orografiche prodotte dalla denudazione, viene repartito fra il Cretaceo superiore sotto la denominazione litologica di « scisti galestrini e are- narie », il Miocene (Serravalliano) sotto fquella di « marne arenacee con Lucina appenninica Dod. », e l’Eocene superiore sotto quella di « arenaria (macigno) ». Il Sacco (2) individuò nettamente questa formazione e con sufficiente esattezza ne rappresentò la sua estensione sulla carta 1:100.000 (3). Egli dice giustamente « che questa formazione eocenica, mentre verso ovest è costituita in gran parte d’arenaria presen- tante la tipica facies del macigno, verso est tende poco a poco ad assumere in prevalenza una facies marnosa con straterelli arenacei (4). Tale natura prevalentemente marnosa unita alla stratigrafia dolce e complessivamente regolare, dà al paesaggio, arido, grigio-chiaro, a pi- ramidi di erosione ecc., una fisonomia speciale, monotona, triste, _franosa direi, assai caratteristica quale possiamo osservare nella vasta | regione che si stende a NE del gruppo del Monte Falterona e Poggio (1) Loco cit., carta geol. (2) Loco cit. (3) Carta geologica dell’Appennino della Romagna 1:100.000. Libreria Clausen, Torino, 1899. (4) Secondo il rilevamento eseguito dallo scrivente in quella parte del Ca- sentino (Tav. di Poppi) che confina ad oriente colla tav. di Pieve S. Stefano, la formazione isopica am della valle del Savio si suddivide in altre tre formazioni eteropiche diverse oltre quella arenaceo-marnosa stessa, cioè : in marne con scisti marnoso-arenacei ; arenaria con strati calcarei a foraminifere; arenaria in grossi banchi con qualche strato nummulitico. Queste rocce si anastomizzano l'una col- l’altra, ma tutte sono regolarmente coperte dalla zona delle argille scagliose. è TYTN ‘B. LOTTI w allo Spillo, e si sviluppa poi amplissimamente nei monti di Verghe- reto, nell'alta Val Marecchia e nell’alta Val Tevere » (1). « Questa formazione, soggiunge il Sacco, può esser riferita al- l’ Eocene medio parte inferiore ed in essa incontransi resti di bivalvi, Taonurus e Palaeodiciyon ». Io sono in ciò perfettamente d’accordo col Sacco, ma non posso convenire con lui sui rapporti stratigrafici fra essa e la zona delle argille scagliose. Se vi è località dove chiari, evidenti, appariscano tali rapporti di posizione in tagli naturali grandiosi, essa è proprio questa dei dintorni del Monte Fumaiolo. Le due estremità SO e NE della sezione C-D (Tav. I) sono la riproduzione di due tagli naturali nei quali si osserva la sovrappo- sizione delle argi Ue scagliose alla formazione arenaceo-marnosa. Nella estremità NE di questa sezione il taglio naturale si osserva sotto le Velle presso Capanne, sul lato destro del torrente La Para. In tutta questa zona a NE del gruppo del Monte Fumaiolo, da Ca- steldelci sul Senatello, alla Rocchetta nel versante del Savio, gli strati della formazione am presentano la stessa disposizione, quella cioè di una stretta anticlinale raddrizzata, formatasi proprio a contatto. cogli strati delle argille scagliose ag. A primo aspetto, seguendo con uno sguardo a distanza la regolare stratificazione della formazione arenaceo. marnosa, costantemente inclinata verso NE, non si dubiterebbe di as- serire che essa vada a sovrapporsi a quella delle argille scagliose, ma basta non fidarsi di quest’apparenza e seguire il contatto fra le due formazioni per vedere nei tagli naturali, formati dalle numerose sol- cature dei corsi d’acqua, che ad una distanza, fotse non maggiore di 200 metri, gli strati arenaceo-marnosi subitaneamente si rialzano fino alla verticale, continuano così raddrizzati per un centinaio di metri e, vanno poi ad immergersi sotto le argille scagliose con un’ inclinazione variabile da 30 a 60 gradi. Il Monte Faggiola Vecchia, formato di calcare marnoso em, lascia vedere tali condizioni nel suo dirupo verso oriente. Gli strati della formazione am, sottostanti al calcare con leggera inclinazione (1) F. Sacco. — Loco cit., p. 378. i caso della loro utilizzazione come acque potabili. Lo serivente non crede che tale inquinamento possa verificarsi ed eccone le ragioni. Questi imbuti inghiottitori hanno di solito il diametro esterno. piccolissimo, variabile all’incirca da due a cinque metri, e il maggior numero di essi, una diecina, è situato esattamente sopra una linea quasi retta di circa due chilometri che da SE, un po’ a ponente delle vene del Senatello, passando per la pendice occidentale del Monte Aquilone, traversa la valle di S. Alberigo e va, verso NO, in dire- zione del Monticino (v. Carta geol., Tav. I). Sulla pendice occidentale del Monte Aquilone si osservano tre o quattro di questi imbuti, a quanto pare di recente formazione, distanti una diecina di metri l’uno dall’altro. Essi sono scavati nella sabbia ma raggiungono l’are- naria stratificata in cui appare una spaccatura di ampiezza variabile da 40 o 50 centimetri a circa un metro. Di tale spaccatura vedesi la traccia sul terreno sabbioso lungo l’allineamento rettilineo delle dette cavità imbutiformi. Questi inghiottitori non possono dirsi pertanto di formazione carsica, come da qualcuno si suppose, perchè non son dovuti a spro- fondamento del suolo per franamento di cavità sotterranee prodotte dalla dissoluzione del calcare. Essi sono invece attribuibili alla. pre- senza di spaccature nell’arenaria e alla discesa dentro di esse del materiale sabbioso sciolto che la ricuopre, come avverrebbe in uno strato d’arena posto sopra un piano che avesse delle fessure rettilinee sufficientemente strette per non lasciar cadere per il solo peso la sab- bia sovrastante; provocando la penetrazione della sabbia attraverso le fessure, forandola dal disopra del piano e in corrispondenza di esse od anche dal disotto, si produrranno nella sabbia delle cavità imbu- tiformi analoghe. i Le acque scorrenti alla superficie penetrando in questi inghiot— titori vi trasportano la sabbia ed è quindi naturale che le spaccature che ad essi corrispondono siano ripiene di questo materiale e che, per conseguenza, le acque che vi transitano per centinaia di metri giungano al livello idrostatico perfettamente filtrate. Nei calcari il fenomeno è alquanto diverso ed il pericolo di in- hi ae ? 1 , b) fil IL MONTE FUMAIOLO E LE SUE SORGENTI quinamento delle sorgenti di gran lunga maggiore. Le spaccature dei calcari tendono continuamente ad allargarsi per soluzione della roccia e le acque pluviali che scorrono alla superficie generalmente non por- tano in esse detriti di sorta; quindi tali spaccature rimangono aperte. Invece nelle arenarie in genere ed in queste del Fumaiolo in specie le fratture restano quali sono ed inoltre sono generalmente ripiene di materiale filtrante. La presenza di questi inghiottitori non può dunque ingenerare il sospetto di eventuale inquinamento delle acque e le analisi chi- miche e batteriologiche ne hanno infatti constatata la purezza. Pare del resto accertato che le varie sorgenti del gruppo del Fuma- iolo in occasione di piogge mai abbiano dato segno d’intorbidamento ed in proposito devo all’egregio ing. B. Londei della Società Italiana per condotte d’acqua le seguenti notizie: Durante un periodo di piogge dirotte, veri nubifragi, avvenuti nella prima quindicina del decorso ottobre mentre egli trovavasi alle Balze, Si potè verificare lo stato delle varie sorgenti ottenendo per risultato che tutte si mantennero chiare ad eccezione di due: una delle tre sorgenti, vicine fra loro, delle Balze e precisamente quella che alimenta il pubblico lavatoio, e quella del Campaccio a NE presso il fosso delle Scalette. Egli dice che l’intorbidamento, piuttosto accentuato, della prima in seguito a piogge dirotte era già noto e che probabilmente è dovuto ad infiltrazione da un fossetto che passa a monte della sorgente stessa lateralmente alla strada per S. Alberigo. Infatti le altre due sorgenti, benchè vicinissime, non si mostrarono affatto intorbidate. Riguardo alla sorgente del Campaccio osserva l’ing. Londei che il suo leggero intorbidamento debba attribuirsi al fatto che essa scaturisce da una massa detritica, come indica la carta geologica Tav. I, ed a valle della confluenza del fosso delle Scalette coll’altro fosso che scende fra il Monte Aquilone e il Poggio del Passino. Le torbide di questi torrentelli penetranti nel detrito non pos- sono quindi non avere influenza sulle acque della sorgente scorrenti sotto la massa detritica. B. LOTTI, Monte Fumaiolo - Tav BOLL. DEL R. COMIT. GEOL. D'ITALIA - Vol. XLV. e A T— CARTA GEGLOGICA DEL'GRUPPO DEL MONTE FUMAIOLO — SCALA DI 1 50.000 Leggenda Recente È St Detriti. Argille scagliose in frana Cavita imbutiformi (inghiottito; | ; 4 n - a 3 Sorgenti d acqua potabile _ ar 1 Z ” Lo) ag Scisti argillosi con strati calcarei bd . Lego, Aren arie .s, 3 > v | «nerarie sutcee e calcaree d, ed arenacti (argille scagliose ). A. Inclinazione degli strati E a glauconia . 5 em(a/cari marnosi in lenti i (DIL LU mP2tercalato I Strati orizzontali. (©) ue 5 . Arenariee marne in strati ° = (alcari zoogenici. SI al ---- Livello idrostatico i È Ne alternanti sezione A-B Tetenedoì l“ del Buglione MA quifone Senazello Sorg. della Mora 1316 13501 1297 1291 1555 1046 SEZIONE G=D i Cotolo £ Tevere la Costa PI°LABelia 7" Scalette leVelle 1257 1200 1100 875 A.Aureli dis II. VITTORIO NOVARESE ————————— IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA e nelle valli del Canavese PARTE III.(l) Gli Stadii Postwiirmiani. Se per Postwùrmiano s° intende il periodo in cui il grande ghiac- | ciaio valdostano, dopo la costruzione dell’anfiteatro d’ Ivrea, compì la sua ritirata definitiva fino ai ghiacciai dell’ attualità, la valle d’Aosta può dirsi il regno del Postwilrmiano. In essa le morene veramente wirmiane sono poco estese ed in numero non molto maggiore di quelle enumerate nella rassegna fattane per determinare l’altezza massima raggiunta dal ghiacciaio. E’ postwurmiana la quasi totalità del morenico che tappezza i fianchi e colma talora il fondo della valle al disotto di questa massima altezza, al pari di tutto il morenico al disopra dei 2000 m., quota del limite climatico wiùrmiano delle nevi perpetue. Ed altrettanto quanto nella princi— pale sono sviluppate le morene nelle valli secondarie, molte delle quali, non ostante simile epiteto, sono per dimensioni comparabili alle valli del Canavese descritte nella prima parte del presente la- voro, le superano talora di gran lunga per l’importanza delle cime, e sono, non meno di quelle, degne di esame, tanto più che in esse taluni fatti appaiono con maggior chiarezza che non nella principale. (1) Vedi Parte I, Boll. R. Com. Geol., vol. XLII, 1911, fasc. 4° pag. 251, e Parte II, ibidem, vol. XLIV, 1913-14, fasc. 3°, pag. 203. À “ LUPE È i pr VITTORIO NOVARESE La distribuzione topografica di questa enorme estensione di mo- renico è data dalla Carta geologica, ma a cagione della scala al 100.000 che non consente in una carta generale suddivisioni di ordine così minuto, non risultano da essa i rapporti cronologici fra le diverse porzioni di questo terreno deposte successivamente durante il periodo diritirata, rapporti per lo più ovvii e che è superfluo met- tere in evidenza nel caso di una valle semplice, ma la cui cono— scenza diventa indispensabile quando si vogliano confrontare fra loro i singoli rami di una grande valle complessa. L’abbondanza dei depositi non giova certo ad un pronto orien— tamento, e se l'evidenza di parecchi apparati terminali scagelionati ) p g lungo talune valli alpine, suggerì agli autori più antichi l’idea di stazioni più o meno prolungate della fronte dei ghiacciai quaternarii durante la fase di ritirata, il concetto che le più evidenti e cospi— cue di queste soste fossero dovute a cause climatiche generali e non a ragioni locali, e corrispondessero quindi a degli stadii, le cui x tracce devono ritrovarsi in tutto il sistema alpino, è relativamente recente. Nella prima parte di questo lavoro ho già descritto nelle valli dell’Orco e della Soana alcuni apparati morenici appartenenti ad uno stesso stadio, piuttosto antico. La valle d’ Aosta, circondata dalle supreme vette del Sistema, mostra completa la serie degli stadii, così nella valle maggiore come nelle tributarie, serie che concorda con quella stabilita dal Bruckner e dal Penck nelle Alpi orientali. Stadii e soste. x Il ritiro dei ghiacciai Aopo il Wiirmiano si è compiuto mediante. una serie di oscillazioni di varia grandezza, alternative di ritiro e di avanzamento, talune semplici soste, dovute a cieli climatici mi- nori od anche a circostanze topografiche locali, altre invece corri- spondenti a cause di ordine più generale e degne quindi del nome di stadii. Soste e stadii sono rivelati dai depositi lasciati. Però, siccome la costruzione e più ancora la conservazione di una morena è legata sempre ad un complesso di circostanze topografiche che TOS n ee a ld dea tI IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE debbono essere Bocuralamente esaminate caso per caso, assai diverso è il valore di tali depositi come indizio della fase del ghiacciaio nel tempo in cui li lasciò. A prima vista parrebbe che uno degli elementi più utili per» determinare le stazioni di ritirata fossero i terrazzi, dovuti a morene laterali, così numerosi e spesso scaglionati con grande evidenza sui fianchi della valle. Tuttavia nessun carat- tere intrinseco specifico distingue la morena laterale costrutta du— rante una sosta da quella di uno stadio: meno di ogni altro il volume: basta citare l'esempio che ho già illustrato, della relativa scarsità entro valle delle morene wiirmiane, che pure corrispondono a tutto un periodo, per provarlo. Ciò che veramente rivela uno stadio è il volume dell'apparato frontale, quando riuscì a conservarsi in tutto od in parte, e siccome la probabilità di una tale conservazione è maggiore nelle valli se— condarie, spesso in queste si trovano gl’indizi più sicuri. Solo dopo accertato il carattere stadiale di un apparato terminale o dei suoi avanzi, si può ricercare il terrazzo corrispondente e giovarsene come verifica e controllo. Modo di ritirata dei ghiacci nella valle. Nelle considerazioni topografiche premesse alla parte seconda ho rilevato come il grande ghiacciaio polisintetico della Dora Baltea po- tesse in ultima analisi dividersi in due porzioni ben distinte, e cioè in un vasto circo superiore di raccolta, formato dal complesso di valli convergenti nel bacino di Aosta, che ne formava in certo modo il collettore o serbatojo, ed in un emissario fra il circo e la pianura, poderosa corrente maestra che nel tragitto riceveva ancora un certo numero di affluenti laterali, fra cui taluni cospicui, ma sempre de- cisamente subordinati. La ritirata che produsse la scomparsa del grande ghiacciaio augu- stano dovette in conseguenza compiersi in due periodi di carattere diverso. Nel primo, fra la pianura ed il bacino centrale, ossia nella .valle Ù) È) mus vio cati è | VITTORIO NOVARESE inferiore, il ghiacciaio va semplicemente accorciandosi e perdendo suc— | cessivamente i suoi tributari pure in ritirata. Nel secondo periodo, | CS svoltosi dentro il circo di raccolta, il ghiacciaio maestro scompare SI perchè si risolve nelle tre grandi correnti distinte nella parte II, che alla loro volta ritraendosi dentro ai rispettivi bacini si suddividono De via via e scompaiono fino a non lasciare che gli attuali residui. Da ciò la divisione, agli scopi del nostro studio, della valle in ui: due sezioni: l’inferiore, da Ivrea allo sbocco del bacino centrale a * Al Villefranche, e la superiore a monte, che abbraccia il ventaglio di LI È | valli convergenti ad Aosta. Ì 530 Nella Valle d’Aosta si riconoscono tre stadii ben riconoscibili Sr | oltre una grande oscillazione della fronte, che li ha preceduti. Di- A stinguerò nel seguito gli stadii coi numeri d’ordine I, II, III a par- A tire dal più antico, ed anche rispettivamente coi nomi di Chambave, Aymaville e Courmayeur da tre paesi nella valle principale posti colà 3 dove si osservano avanzi ben conservati dei corrispondenti anfiteatri i È stadiali. Avverto fin d’ora, e lo dimostrerò nel seguito, che sebbene si questi tre anfiteatri siano nella valle principale, non sono dovuti , 4 allo stesso ghiacciaio, ma a ghiacciai diversi. “A E’ verosimile che i tre stadii della Valle d’Aosta corrispondano vi a quelli di Bihl (8), di Gschnitz (Y) e di Daun (è), di Brickner e i Penck, come l’oscillazione corrisponde a quella di Achen (2). Ciò sia detto di passaggio perchè dell’argomento di questa equivalenza mi Li occuperò più diffusamente nel capitolo delle conclusioni. È CaPo I. La valle inferiore. p VALLE PRINCIPALE. di Rispetto al carattere delle tracce glaciali postwirmiane l’intiera È valle principale si divide in due tronchi ben distinti; uno corrispon- dente al primo terzo della valle intiera a partire da Ivrea, nel quale sono' scarsi i depositi morenici più bassi delle terrazze wirmiane e $i apr den Mi È Y : PETA 1) Ù o) na A % 4 1 var rea P*L j PA i To 1) e Le ° a ST TR MIO IL Q ATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVE Til et _. sviluppatissimi invece gli arrotondamenti; ed un altro che abbraccia ì i rimanenti due terzi con depositi morenici vistosissimi ed arrotonda- menti subordinati. : A partire dal cordone Perosa Strambino, il più interno degli archi frontali nell’anfiteatro terminale, risalendo il corso della Dora, non si trova più, nè sul fondo della valle, sebbene generalmente largo da 1 a 2 km.,, nè al piede dei suoi fianchi, alcun deposito morenico fino a Verrès, sopra una lunghezza cioè di circa 38 km. Anche dove spuntano presso al fiume affioramenti rocciosi, come ad Ivrea, 4 Monte Buono presso Borgofranco, a Bard, e non si può ritenere che le alluvioni recenti mascherino depositi più antichi, non vi sono morene di qualche entità, ma soltanto piccoli lembi di morene di fondo o materiale erratico sporadico. Soltanto a monte di Verrès cominciano a comparire sui fianchi, a sinistra in ispecie, imponenti ammassi morenici, i quali 7 km. più a monte, oltre Montjovet, occu- pano anche il fondo e continuano in tal modo, alternando con lacune, fino a Courmayeur ed alle morene attuali. Questa differenza così evidente fra i due tronchi della valle sug- gerisce l’idea di un brusco cambiamento di regime del ghiacciaio nel suo movimento di regresso, e di un rallentamento o di una sosta du- rante la ritirata. Così almeno 1’ hanno interpretata gli autori più anti- chi; il Bruno per esempio, nel suo lavoro già citato parla di una ritirata « quasi istantanea » fino a St. Vincent (1). Un’ osservazione più attenta mostra però che non mancano sui fianchi del primo tratto di valle lembi morenici a varia altezza, prova di un ritiro graduale. Tali sono le morene di Alpe Le Cou e di _ Echalogne verso i 1400 m., sulla sinistra, che ho indicato nel profilo longitudinale del ghiacciaio ; le due morene di Courtil e di Retempio, È descritte dal Mattirolo, a quote corrispondentiai due lati dello sbocco della valle di Champorcher, che scendono fino a 1200 m. Un’ altra serie di terrazzi a livello inferiore di questo si disegna più in basso verso i 900 m. presso Pont St. Martin, a Prasignore e Cap- (1) Bruno L. — Loc. cit. pag. 325. pad ‘delli 7 “ VITTORIO NOVARESE pella della Grangia sopra Every. Esistono quindi segni di un ritiro per lo meno a sbalzi, il quale ha lasciato poche tracce unicamente perchè le ripidi pareti rocciose non hanno permesso la costruzione di ammassi detritici stabili. Ciò di cui manca veramente ogni indizio si è di un apparato fron- tale qualsiasi, e bisogna ammettere o la sua distruzione completa o la sua totale assenza fin dall’origine. ° Nè quando a Verrès appaiono le prime morene in basso, queste corrispondono ad un arresto prolungato del ghiacciaio paragonabile ad uno stadio quale lo si intende nella moderna cronologia glaciale, ma sono dovute piuttosto a cause locali, principalmente topografiche. Per interpretare i fenomeni glaciali postwirmiani del tratto di valle fra Chatillon e Verrès, conviene tenere ben presenti due cir— costanze topografiche che hanno esercitato sul regime del ghiacciaio la più grande influenza. In primo luogo, in quel tratto, la valle scendendo, muta brusca- mente direzione da W-E in N-S, in modo da opporre il suo fianco sinistro normalmente al procedere del ghiacciaio. In secondo luogo essa è sbarrata dalla diga rocciosa coronata dal Castello di Montjovet (615m.) causa di un brusco salto di più di 200 m. di altezza sul piano di Verrès (386 m.). La Dora ha tagliato questa diga per tutta la sua altezza nel celebre orrido, largo in qualche punto non più di 2 m., che incomincia al Pont des Chèvres, ma il cuneo di ghiaccio che poteva insinuarsi in questa stretta forra, dato esistesse già nel Wurmiano, era assolutamente insignificante rispetto alla massa totale del ghiacciaio, che per ciò, fra il bacino di St. Vincent-Chatillon e quello di Verrès, veniva col suo fondo a precipitare di 200 m. effettivi. Nel Wiilrmiano questo salto di Montjovet non ha esercitato al- cuna influenza sul livello superiore del ghiacciaio, e difatti le sue tracce si mantengono al disopra della quota di 1600 dal bacino di Aosta fino alla sezione che ho chiamato di San Grato. Nel vastis- simo serbatoio glaciale di potenza superiore ai 1300 m., le differenze di livello del fondo non erano più avvertibili di quel che non siano quelle analoghe dei nostri grandi laghi alpini. Di più, per la grande , A in 7 vita > Sio PIECI " LD AR Ari PRETI ER ROIIRARIO IN VEL'SAORTA E NELLE VALLI DEL CANAVESBIO SIA altezza del ghiaccio, il cambiamento di direzione del filone si com- ‘piva molto più ad E di Montjovet perchè, come ho già avvertito, il ghacciaio wirmiano invadeva tutta la bassa valle di Challant e si spingeva fino a molto in alto nella comba di Dondeuil. Ma coll’abbassarsi dei ghiacci la cresta Keckhorn-Monte St. Gilles (976) emerse, contenendone il movimento, ed il brusco salto di 200 m. di Montjovet incominciò a far sentire la sua influenza. E’ il concorso di questi due fattori topografici che ha determinato essenzialmente quel magnifico sviluppo di morenico che la carta mostra sui due lati della valle da Verrès in sù. In questo morenico si ilicomincia a | disegnare qualche terrazzo ben definito che può seguirsi sopra lunghi tratti, indizio sicuro di una sosta; ed a monte di Montjovet, nella conca di Chatillon si trovano i segni di un’ altra stazione più lunga ossia di un primo vero stadio, nei cordoni morenici frontali e negli altri terreni che descriverò in appresso. La sosta di Verrès. La sosta, che sarebbe la più antica ed anche la«meno pro- lungata delle due stazioni ora accennate, è rivelata specialmente da terrazze. Sulla destra vediamo sul fianco del Monte Barbeston, alle case Etrop, fra 1300 e 1091 m., disegnarsi un terrazzo morenico, continuare a Bellecombe e Perry, e giungere a Rodoz, fra 1150 e 1006 m., sullo spigolo che scende dal Monte Liane. Da questo punto incomincia è scendere più sensibilmente mostrandosi a S del Monte Ouille, a Gettaz e Case Bergers a 900 m. ed a 650 alle case Goaz. Il ripiano su cui sta Champ-de-Praz è probabilmente l’estremo lembo conservato di questo terrazzo di destra. Sulla sinistra il terreno assai più irregolarmente accidentato, ma meno scosceso ha fatto sviluppare sopra una più ampia superficie le morene, al piede della diruta parete occidentale della cresta fra la Testa di Comagna ed il Monte St. Gilles, in modo da formare i ter- razzi digradanti da Eresa(1166) (Emarese) per Ciampeja piana, Arlea | Molignon ed i laghi della Villa di Challant, dai 1200 fino agli 800 m., VITTORIO NOVARESE dea — e da coprire di morene tutte le pendici sottostanti fino al fondo della valle ora popolata da villaggi e fiorente di colture. ; Se un arco frontale ha esistito, esso doveva stare all’incirca alla altezza di Verrès, ma non ne è rimasta altra traccia all’infuori dei lembi di C. Fava e C. Mure sulla destra della Dora; altri ne potreb- bero però esistere sotto le alluvioni. a Tuttavia tutto il complesso morenico se ha una grande esten- sione orizzontale, per cui è sulla carta molto appariscente, non sì presenta mai in massa così poderosa da potersi da esso argomen- tare una lunga stazione, uno stadio vero e proprio, ma può essere piuttosto interpretato come dovuto ad una o più delle molte soste nel periodo di ritiro. E° facile persuadersene esaminando le valli del- l’Evancon e del Chalame (Champ de Praz) che sboccano nella Dora quasi di fronte l’una all’altra appunto dove il ghiacciaio nella sta- zione di Verrès avrebbe avuto il suo termine. Nella valle dell’Evancon, invasa nel Wirmiano dal ghiacciaio maestro almeno fino al capo- luogo di Challant St. Anselme, tutto il fondo di valle, dal piede del Monte di Graine (alla quota 1200 m.) in giù, è coperto da un denso ammanto morenico abbandonato certamente in buona parte dal ghiac- ciaio maestro, dopo il suo distacco da quello dell’Evangon. La valle del Rio Chalame o di Champ de Praz è invece, ad 1 km. circa a monte del suo sbocco, ostruita da una enorme massa morenica potente fino a 500 m. e che s’interna nella valle coi visibilissimi ripiani di Fussè (1210), Barbustè, e Chevrère (1307). Questa morena, causa colle sue frane, del disastroso cono di deiezione di Champ de Praz, è stata anch’essa deposta dopo il distacco del ghiacciaio maestro da quello della valle del Chalame, forse per opera di entrambi i ghiacciai, ma certo precipuamente dal maggiore. Le due quote press’a poco uguali di 1200-1300 m. a eui giunge il morenico prineipale nelle due valli prospettanti proprio nella sezione di Verrès, indicano che il ghiac- ciaio maestro ha fatto una sosta ben altrimenti importante quando giungeva ancora colla superficie a tal quota, ed aveva per ciò una potenza di 800 m. circa, senza che si abbia traccia dell’apparato frontale corrispondente, che avrebbe dovuto essere molto più a valle. , dui i Vest Mi nas uié lA v. sis di Sal Pi Ù ‘ Fade SI) gr r È £ 7 Te . ERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL C sù; Pi dii o n | ; "a "a sa di ; IL QUAT ANAVESE 145 Non si deve perciò interpretare il complesso morenico di Verrès altrimenti ch come opera di una sosta, e per ciò un semplice epi- sodio subordinato della ritirata del ghiacciaio, dovuto più che altro alla influenza del salto di Montjovet. ne L’oscillazione di Chatillon. A monte della stretta di Montjovet si stende il bacino di Chà- tillon, lungo da 5 a 6 km. e circondato da un complesso morenico i più modesto assai che non quello così esteso testè descritto, ma molto | più importante per la storia del ghiacciaio. Questo secondo complesso morenico, che vedremo essere la parte interiore o più esterna di un apparato frontale, sta tutto al disotto e TIR della quota 700-750 m. Sulla destra della Dora esso comincia visi- bilmente colle morene di Ussel e Taxard; ma ciò che meglio lo ca- ratterizza è un cordone laterale ben definito, deposto alquanto più ad Est a mezza costa, in modo da originare sul fianco del monte una curiosa fossa, sul culmine del qual cordone, verso la quota di 650, sì svolge per più centinaia di metri la mulattiera dal Pont des Chèvres a Bellecombe. Questo cordone continua alquanto più ad E nel breve ripiano di Champseterut, già insinuato nella gola rocciosa di Montjo- vet, e che giunge fino a 500 m. Di fronte a questo ripiano, sul fianco opposto della gola, ne sta un altro ad altezza uguale, che la strada provinciale percorre fra il km. 40 e 41, e che, risalendo la valle, si allarga nelle collinette che fiancheggiano la strada dal ponte di Cillan fino a Saint Vincent e Chatillon, coperto talora dai piccoli coni di deiezione dei torrentelli che solcano la faccia meridionale dello Zerbion. Appartengono pure a questo apparato inferiore i lembi morenici nelle vicinanze di Feilley e Perral ad E della provinciale, precisa- mente nel tratto dal 40 al 41 km., sul fianco sinistro della gola di Montjovet. Il fatto però più notevole di questo apparato si è che esso non è deposto unicamente sulle rocce costituenti la valle, ma, parzial- de. Dil, lla ie fit 146 VITTORIO NOVARESE mente, sopra un terreno di trasporto pure quaternario ma più antico, e non di origine direttamente glaciale, sul quale debbo intrattenermi perchè ha grande importanza per lo studio del Quaternario della valle. | Il bacino di Chatillon è limitato a valle dalla soglia rocciosa di t: Montjovet alta fino a 615 m. come ho detto ripetutamente ; a monte dal promontorio roccioso del Cret de Breil potentemente arrotondato dal ghiacciaio e che si eleva fino a 530 m. circa. La Dora però attra- versa il bacino ad una quota notevolmente più bassa; difatti presso le sue rive, ma più in alto, sorgono Ja stazione di St. Vincent & 434 m., e quella di Chatillon a 452. Il fiume entra nella conca ad una quota sotto il Cret di Breil di circa 430 m., per uscirne a 395 m. al ponte di Montjovet (400 m.). T.a grande conca è tutta scavata nella roccia ma è riempita fino ai 500 m. circa, da una formazione stratificata di origine alluvionale composta di ghiaia, sabbia e limo. A monte, verso Chatillon, pre— dominano le ghiaie in banchi, contenenti lenti di sabbia e dovute così alla Dora come al Marmore, il torrente della Valtournanche ; a valle, verso St. Vincent i sedimenti diventano più fini e si hanno sabbie grige sottilmente stratificate, e nelle parti profonde, masse di finissimo limo glaciale di deposizione evidentemente lacustre. Una di queste fu incontrata nel 1883 da una galleria nel tronco di ferrovia allora in costruzione, fra St. Vincent e Chatillon, ed oppose colla fluidità sua tale difficoltà all’avanzamento, che si giudicò più econo- mico deviare per un tratto la linea. Si vede tuttora a N della fer- b; rovia l'imbocco della galleria abbandonata. Questi sedimenti di origine fluviale e lacustre si estendono anche Pe alla parte superiore della gola di Montjovet dove stanno sotto ai 6 lembi di morenico che ho testè descritto. Anzi presso al chilometro 40, non lungi dal villaggio di Perral sì osservano di fianco alla strada, verso W, delle cave di sabbia che offrono un profilo molto istruttivo ed eloquente. In una di esse (fig. 1) sopra il fondo roccioso sta una massa di sabbia grigia finissima a stratificazione parallela di- # scordante (struttura deltina) che viene superiormente a contatto con i una tipica morena di fondo a ciottoletti discoidali, dispersi dentro SÒ , i! x ai UA a fs NPI, SR v, SLA Pi 4 a Ù (a da t KA 4 | IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE i - una specie di marna sabbiosa potente mezzo metro, la quale è sepa- x d | rata dalla sabbia da una superficie di contatto estremamente irre- | golare, come mostra la figura. In una cava dieci metri piu a valle, formata da un pozzo pro- fondo otto metri, fra la morena di fondo e la sabbia grigia è inter- Sezione di una cava di sabbia fra il 40° ed il 41° Km. della strada provinciale della Valle d'Aosta (fra Montjovet e St. Vincent). morena di fondo dello stadio di Chambave. f sabbie grigie finissime con stratificazione deltina, dell’oscillazione di Chatillon. roccia in posto (serpentina). hè: calato un piccolo strato di ghiaia, conferma dell’origine fluviatile «el deposito inferiore. Dentro la conca questi depositi sono stati incisi e terrazzati (fig. 2) tanto dalla Dora quanto dal Marmore, il qual torrente anzi, nella valletta così escavata nelle alluvioni antiche, ha costrutto un se- h; condo cono di deiezione più piccolo e piatto, già conquistato dalla coltivazione, e su cui è pure costrutta la stazione di Chatillon. Al- È quanto più ad ovest, addossato alle rupi di Cret de Breil sta ancora un È lembo dell’ antico riempimento alluvionale terrazzato, costituito da È; ghiaie stratificate, che mostrano chiaramente la loro origine. 3 Siamo adunque in presenza di un terreno preglaciale od inter- Di glaciale, il quale fu deposto quando la conca era libera di ghiacci, e che è stato ricoperto da questi durante una espansione. Il profilo presso il km. 40 non lascia alcun dubbio sopra questo punto. Il dubbio Si può sollevarsi solo intorno all’età del deposito. La morena di fondo ‘ 4 ; i *Uo][MgYO IP euorzegposo, [| egueInp eouoo e[[eu ogsodep ‘ovezze119) epeuoran[[e 07uawiduata ‘GARQUIBY) IP _OoIpeas O][ap ITequoIz © ITe19YC] QUEIOWI ‘QI0ULIE]{ [Op 2709091 07eZze1I9) auorzalap Ip o0uo0o9 *W10( V[[Pp 19U9991 IUOIAN][® e n É TE 8 LE o Lan fà ©) n= E od P rei nione me san ieeen cade de Ù I Ope 00} "UM q0A0(3UON sHures qUODULA ‘98 IP 001d819904p1 UO|TNEUO IP UOIBUO = TRIAL III Ip SUO QUOIZRIS 0)0QUIK]IQVIS QUOIZECIS 0]]99S©9 : Pu sa dali n, pi Î } \ ‘ ica: a) Rio NITRY QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 149 | «che si osserva nel profilo è wiirmiana o postwirmiana? O per meglio . dire fu deposta dal ghiacciaio wilrmiano, od è dovuta invece ad una espansione del ghiacciaio durante una sosta nel suo moto di ritirata? Un argomento assolutamente decisivo per rispondere a questa domanda non è finora noto, ma si può fare una congettura molto verosimile. E’ improbabile che il poderoso ghiacciaio abbia rispettato il debole deposito di sabbia rappresentato in profilo e quello molto più importante che riempiva la conca, senza lasciare almeno traccia della sua pressione disordinandone gli strati. E’ assai più verosimile che dopo il ritiro del ghiacciaio wirmiano a monte di Chatillon, la conca lasciata vuota, abbia formato uno o più laghi, rapidamente colmati dalle alluvioni della Dora e del Marmore, mentre la stretta di Montjovet era ostruita nella sua parte superiore dalle morene abbandonate nella ritirata e forse non ancora incisa in quella stret- tissima inferiore. Dopo questa deposizione che aveva livellato la valle fino a 500 m. circa di altezza, il ghiacciaio che si era arretrato più & “monte non solo sostò nella sua ritirata ma tornò ad avanzare, e nella fase massima di tale stadio, invase di nuovo la conca fino alla soglia di Montjovet, deponendo il cordone costituente l’apparato che ho descritto, di Chatillon, Ussel, St. Vincent. Si capisce che tra le rupi della stretta la lingua estrema del ghiacciaio, di debole potenza e scarsa velocità non abbia potuto asportare i depositi fluviatili chiusi negli anfratti, e li abbia semplice- | mente coperti colle sue morene. Il terrazzamento fu compiuto in un periodo successivo, quando la Dora sgombrò dai materiali accumulati la forra, ed incise più profondamente il suo letto nella roccia. Il Bruno è stato finora l’unico autore che si sia occupato in particolar modo del Quaternario del bacino di Chatillon (1) notando come vi appaiono terreni di età diversa. Però, non ostante la evi- denza della loro origine, per i preconcetti allora regnanti intorno all’era glaciale, ha interpretato i terreni sedimentarii come alternanze di morena superficiale e morena profonda, ed ha attribuito l’appa- (1) BRUNO, l. c., pag. 324-26. Re MT VITTORIO NOVARESE Miti. rato morenico minore al ghiacciaio della Valtournanche che sarebbe sceso nella valle principaie dopo la ritirata del maestro. Come dirò più avanti, quando Ja fronte del thiacciaio maestro si arrestò poco sopra Chatillon, quella del tributario si trovava e” verso Antey; ma se il Bruno errò in questo caso concreto, ebbe il merito di riconoscere la sovrapposizione di un morenico recente ad un terreno quaternario più antico e di intuire la possibilità che nella valle principale scendesse un ghiacciaio tributario dopo che il mae-. stro non vi era più, caso verificatosi in uno stadio successivo nella sezione superiore della Valle d’ Aosta. Lo stadio di Chambave. In presenza del fatto rivelato dalla conca di Chatillon di una notevole ritirata del ghiacciaio maestro, durante la quale si è potuto colmare un bacino lacustre, e di un successivo avanzamento, è im— possibile non pensare subito all’oscillazione di Achen ed allo stadio di Bihl di Bruckner e Penck, e senza soffermarmi per ora ad in- dagare se sussista pure la corrispondenza cronologica, è innegabile che ci troviamo di fronte ad un caso perfettamente analogo. L’oscillazione si è certamente compiuta fra il bacino di Aosta e Chatillon. Nel tratto fra Villefranche e Montjovet il morenico è abbondan- tissimo così sulle pendici più basse come sul fondo valle; anzi in molti luoghi la Dora scorre addirittura sulle morene, come già rico- nobbe il Bruno. A giudicare dalle masse maggiori di morenico la fronte, dopo la sua escursione massima in avanti fin sotto Montjovet, dovette rimanere lungamente stazionaria in vicinanza di Chambave, a monte del qual paese, non ostante gli immensi coni di deiezione, si riconosce ancora nella pianura ben livellata di quota appena su- periore ai 500 m., che risale fino a Nus, l’interno colmato dell’anfi- teatro frontale. Il complesso viene ad avere una lunghezza da 10 a 11 km., con larghezza massima di 3 km. circa, ed una forma notevolmente allungata che è d’altronde comune a tutti questi I ‘ (43 AE nd enti apparati entro valle, nei quali l’espansione del ghiacciaio era limi- tata in larghezza, e consentita solo nel senso longitudinale. Questo che ba lasciato le sue tracce fra Montjovet e Chambave con morene laterali che salgono sui fianchi fino a Villefranche ed oltre, è il primo stadio riconoscibile con certezza del ghiacciaio “maestro, e per distinguerlo da quelli successivi lo chiamerò I o di Chambave. Ed è anche l’unico che il ghiacciaio maestro abbia avuto, perchè negli stadii posteriori, che si trovano nella valle superiore, esso si era già smembrato nei suoi tre elementi principali. Nello stadio di Chambave la lunghezza del ghiacciaio maestro, a partire da Mazzè, era diminuita di oltre 60 km. (64 a Chambave), vale a dire si era ridotta a metà, e la sua superficie di ablazione ad '/, circa. Convien ricordare però che sussistevano ancora nelle tri- butarie diventate indipendenti come le valli della Lys, dell’Evancon, e Valtournanche, dei ghiacciai cospicui che prima erano parte del maestro nonchè numerosissimi ghiacciai minori che da affluenti di- ventavano autonomi, e si avviavano gradatamente alla loro totale scomparsa; perciò la riduzione di superficie glaciale è effettivamente minore. La fronte, tenuto conto della avvenuta demolizione della parte di mezzo della morena frontale per opera della Dora, doveva finire intorno alla quota di 700 m., vale a dire si era innalzata di circa 400 m. rispetto al Wirmiano. Sarebbe però ripetere l'errore del Gastaldi se da questa diffe— renza di livello si volesse dedurre l’innalzamento della linea nivale fra il Wurmiano ed il primo stadio. V’ha però modo di fare una determinazione indiretta molto interessante, che rivela anche di quanto si fosse già abbassato il livello del ghiacciaio nella valle su- periore, mediante la morena del I stadio di un ghiacciaio minore, che nel W ùrmiano era affluente del ghiacciaio del Buthier poco a monte di Aosta. Sulla pendice occidentale del Mt. Mary sopra Aosta, v’ ha la valletta di Parlea (Parleaz della Carta al 100.000), nella quale si trova, alla quota di 1200 m. circa, un piccolo ma conservatissimo apparato frontale, deposto dal ghiacciaio che scendeva dal circo fra ta ® a VITTORIO NOVARESE © tE_* La LA il Mt. Mary (2875) e la Becca di Vlou (2856), limitato da una cresta la cui altezza media è all’incirca 2800 m. Questo apparato, com’è ovvio, può essere stato deposto soltanto dopo che il livello del ghiac- ciaio del Buthier, che nel W iirmiano giungeva a 1650-1700 m., si era abbassato di tanto da lasciare libero campo al ghiacciaio di Parlea, diventato indipendente, di costruirlo, vale a dire era sceso sotto ai 1200 m., cioè di 450-500 m. circa almeno, Più in alto, nella stessà valletta, presso l’Alpe di Vlou, v’ha un altro apparato glaciale dello stadio successivo, verso i 2000-2100 m. Il limite orografico delle nevi nel valloncino esposto verso SE, durante lo stadio di Chambave non poteva essere molto lontano dai 2500 m. perchè dove- vano esservi almeno un 300 metri di intervallo di quota fra la linea nivale e la cresta terminale del circo per raccogliere tanta neve da poter mandare la lingua estrema del ghiacciaio fino alla quota di 1200. Attualmente in tutta la catena che termina al Mt. Mary non v’ha, sul versante di mezzogiorno, alcun ghiacciaio che scenda da vette al disotto dei 3300 m. (P.ta di Cian 3355), vale a dire di poco meno elevato è ora il limite orografico delle nevi perpetue. Dallo stadio di Chambave si è quindi innalzato almeno di 800 m. Tradu-. cendo questa cifra in limite climatico avremo, sapendo che il limite attuale è di circa 3200 nelle Pennine, una quota di 2400 m. circa per quello corrispondente allo stadio di Chambave. Da questo dato possiamo dedurre che un elevarsi della linea nivale di soli 400 m. ha ridotto il ghiacciaio maestro a metà lun- ghezza ed a meno di !/, di superficie, riduzione dovuta tanto alla diminuzione della superficie d’alimentazione propria, quanto e princi- palmente al distacco degli innumerevoli affluenti grandi e piccoli che lo ingrossavano. % v . VEE da ope ch i SH eb ha © : A f* $ \ MEA TO CATE gg A : ra da de, PRI bi : e Ù «Ra h- Pos N al RIA a N pe PI [N | IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANA ® CAPO II. Le tributarie della valle inferiore. Un problema che si presenta subito nello studio del Postwir- miano è di sapere come siano variati i rapporti fra il ghiacciaio maestro ed i tributarii durante il periodo di regresso. Possono verifi- carsi, e si sono realmente verificati, due casi: il distacco del tribu- tario dal maestro prima che la fronte di questo arretrandosi avesse raggiunto la confluenza, e la discesa o per meglio dire la permanenza nella valle principale della fronte del tributario mentre la fronte del principale si era stabilita più a monte indipendentemente da questa. I due casi si sono avverati a seconda non solo dell'importanza di ciascuna valle tributaria, ma ancora della vicinanza maggiore o mi- nore alla principale del rispettivo bacino di raccolta e dell’altitudine media di questo, nonchè di un complesso di altre circostanze di orientazione, abbondanza di precipitazioni, ecc., non sempre tutte sicuramente apprezzabili, Ultraescavazione e valli pensili. Come criterio generale, per giudicare se siasi verificato piuttosto l’uno che l’altro caso, giova tener presente che tutte le valli tribu- tarie rispetto alla principale sono pensili, vale a dire il loro fondo è sopraelevato più o meno considerevolmente rispetto a quello di que- st’ultima. Tutte le valli laterali finiscono ora in strette gole a pareti quasi verticali, più o meno lunghe e che per lo più incominciano 4 quote superiori di più centinaia di metri a quelle della confluenza del torrente rispettivo nella Dora. Tali sono le gole ‘della Lys, del- l’ Evancon, delle Marmore, della Grand’ Eyva, della Savara, della Dora di Rhémes, della Grisanche, del torrente della Thuile, ecc. La stessa valle del Buthier, sebbene in minor grado di tutte, presenta una simile configurazione. L’estremo opposto è rappresentato dalla valle di Saint Barthe- lemy, in cui la gola, quantunque abbia origine molto addentro nella VITTORIO NOVARESE 0° | valle, allo sbocco è ancora relativamente così poco approfondita che il torrente precipita in cascata da un’alta parete. La valle maggiore è per conseguenza ultrascavata rispetto alle sue tributarie, e da ciò risulta che nel Wiirmiano i ghiacciai affluenti erano sensibilmente meno potenti del maestro, ed assai più brevi che non le corrispondenti valli attuali, invase nella loro parte infe- riore più o meno dal poderoso ghiacciaio principale largo da 6 a 7 km. Perciò in parecchie valli conviene distinguere fra il morenico proprio e quello insinuatovi dal ghiacciaio maestro, quando per l’av- venuto distacco del tributario da quest’ultimo, rimase fra i due uno spazio libero sopra cui entrambi lasciarono le loro morene. w Le valli minori di destra. La distribuzione ed i caratteri del morenico nelle tre valli di Champorcher, del Chalame o di.Champ de Praz, e di Fenis, comprese in quelle che si dicono di solito le valli minori della Baltea, danno preziose indicazioni intorno al modo di ritirata del ghiacciaio nella valle maestra inferiore. Le due prime fra queste valli sono già state nominate in pre- cedenza ; le esaminerò ora successivamente tutte. Le tre valli hanno comuni le testate ed in certo modo irradiano da levante a tramontana, dallo stesso gruppo di monti fra la Tersiva e la Rosa dei Banchi. L’elevazione del gruppo è relativamente medesta perchè supera, e non di molto, i 3000 m. in alcuni picchi isolati; solo la superba piramide solitaria della Tersiva fa eccezione, spingendosi fino a 3512 m. Non ostante questa modesta altezza media, il gruppo alberga tuttora una diecina fra ghiacciai e nevati persistenti, tutti annidati nei val- loni rivolti a settentrione, scendenti dalla Tersiva, dal M.te Glacier e dalla Rosa dei Banchi. In questi ghiacciai il limite orografico delle nevi persistenti non supera certo i 2800 m., come ho già detto ac- cadere nei ghiacciai anche più piccoli della Becca di Vlon e del M.te Torchè. QU par de LI ì N° id i “ # TERN? RIO IN VAL DAOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 15 È by Thin fa pie Po Champorcher. — Nel Wirmiano dal gruppo scendevano lungo le valli nominate e giungevano fino al maestro tre ghiacciai. Il maggiore, quello di Champorcher, iniziò già durante il Wiirmiano ai due lati della sua confluenza col maestro, la costruzione delle due morene di Coutil e di Retempio. | Come ha rilevato il Mattirolo, che le descrisse (1), la morena di Coutil è una morena incidente tipica nella quale predominano gli elementi della valle maggiore, mentre in quella di Retempio gli ele- menti sono essenzialmente di quella di Champorcher. | Durante un periodo non breve dopo l’inizio della ritirata, i due Mi ghiacciai pure abbassando gradatamente il loro livello ma senza PI disgiungersi, continuarono ad accrescere le due morene citate che scendono assai in basso. Ma all’infuori di esse, nel tratto inferiore di valle fino allo sbocco ad Hone, non si osserva più alcuna massa di morenico abbastanza importante da interpretarsi come un apparato \ frontale dovuto ad una stazione prolungata, oppure come una morena . | insinuata dal ghiacciaio della valle principale, che indubbiamente ne Ò \ avrebbe costrutta una, se il ghiacciaio tributario si fosse presto stac- È. ato e ritirato più a monte nella propria valle. Ciò significa che i due ghiacciai rimasero lungamente uniti abbassandosi insieme, e si staccarono relativamente tardi, quando il moto di ritirata era diven- ato tanto rapido da non permettere la costruzione di notevoli morene. Chalame. — La valle di Chalame, 10 km. sopra Hone, sbocca A monte della strozzatura di San Grato, già nominata nella se- onda parte, che ha cagionato un notevole rigurgito nel ghiacciaio, | © ne ha perciò rallentato la discesa dal livello superiore aì 1600 m. È raggiunto nel Wiirmiano. Il regresso del tributario, che aveva un . \bacino di raccolta di più modesta altezza che non i due adiacenti, — |fu più rapido dell’abbassamento :del maestro, e questo trovò perciò 0) : spazio per costruire l'imponente morena insinuata di cui ho già Fa | parlato a proposito della sosta di Verrès, e che giunge fino a 1300 m. a Chevrère. . (1) E. MaTtTIROLO. — Rel, sul ril. geol. eseguito nel 1897 nella Valle di Champorcher. Boll. d. R. C. Geol. 1899, n. 2, pag. 21. x è È edi x | VITTORIO NOVARESE "a Clavalitéà. — La terza valle è quella di Fenis o di Clavalité che chiusa dal circo più elevato fra la Tersiva ed il M.te Glacier, è tutta rivolta verso N, mentre le altre due sono aperte verso levante e perciò meglio esposte. Il bellissimo piano di Clavalité, antico lago colmato a poco più di 1500 m. di quota, lungo oltre un chilometro e mezzo, è sicuro indizio di una prolungata stazione del tributario dopo il suo distacco dal ghiacciaio maestro. Il lago è dovuto allo sbarramento formato dalla grande morena sul cui ciglio superiore, verso i 1520 m., stanno le case di Robbio ed al cui piede le Alpi Fontana. E’ facile dimostrare che questa è una morena stadiale della fronte del tributario e non una morena insinuata dal maestro. La su quota massima di 1500 m. circa, esclude che sia wirmiana, perchè na in tal periodo il maestro superava i 1650 m. Non può neppure essere. stata insinuata in una sosta di poco posteriore al Wirmiano, perchè è impossibile che il ghiacciaio tributario di una valle con elevazione tanto cospicua e di lunghezza non eccessiva si sia staccato così presto dal maestro : basta ricordare il ghiacciaio di Parlea tanto minore, scendente dal M.te Mary (2875 m.) e che toccava al suo limite in- feriore i 1200 m. nello stadio di Chambave. Quello di Clavalité è quindi certamente un apparato stadiale. Per conoscere a. quale stadio appartenga dobbiamo cercare la quota della linea nivale cor- rispondente. | Siccome l’elevazione media del circo terminale che comprende punte come la T'ersiva (3512), il Glacier (3186) e qualche altro picco minore come il Rafrè ed il Delaz, è molto vicina ai 3000 m., data la sua esposizione settentrionale perfetta, è probabile che la linea nivale del ghiacciaio che scendeva fino a 1500 m. non fosse al disotto dei 2400-2500 m., congettura che è confermata dalle quote raggiunte dalle grandi masse moreniche laterali della Gran Bella Lana (2316) e la Piccola Bella Lana (2246). Tale quota però è appena di 400 m. più bassa dell’attuale li- . mite orografico delle nevi perpetue nella valle, prossimo ai 2800 m. Il limite climatico è certamente più elevato perchè tutti i valloni vi Ù De è. » y i lO È Lt | IL Qui TERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE] | del gruppo non esposti a N, sono senza ghiacciai, ma probabilmente non giunge fino ai 3150 m. calcolati per il vicino gruppo del Gran Paradiso. Comunque, il limite climatico delle nevi quando il ghiac- ciaio giungeva fino a Robbio, non poteva essere al disotto dell’attuale di più di 600 metri o 700 al massimo, e perciò aveva già compiuta la metà dell’ascensione dal Wiirmiano all’Attuale che è di 1200 m. Lo stadio corrispondente è quindi posteriore a quello di Chambave, nel quale il maestro aveva la fronte poco a valle di Fenis dove sbocca il tributario. L’ apparato di Clavalité appartiene perciò al II stadio o di _ Aymaville. Il distacco del ghiacciaio di Fenis dal maestro dovette avvenire dopo lo stadio di Chambave, perchè nella valle non v’ha traccia di un anfiteatro inferiore a quello di Clavalité, ma solo un | modesto ammanto morenico che tappezza con poche lacune il fondo valle da Barche fino alle Alpi Fontana al piede della grande morena di Robbio. Le grandi valli di sinistra. . VAL DELLA LyS. Ho già detto nella II Parte come il ghiacciaio maestro pene- trasse profondamente nella valle dell’Evancon e lasciasse tracce di | sè perfino nel vallone di Dondeuil. Il profilo longitudinale del ghiac- | Ciaio wiùrmiano (fig. 2 della II Parte) mostra com’esso in corrispon- _ denza di Val della Lys giungesse certamente oltre la quota di 1400 m., | eda prova di ciò stanno le morene del Plan de Chenally (1442), Prà 3 Pian (1476) e Plan Commarial (1450) sopra Lillianes, sulla sinistra della valle, in posizione tale da non potere essere dovute che al ghiacciaio maestro, od a quello tributario della Lys, vicinissimo però alla — confluenza. Il maestro invadeva dunque necessariamente tutto il bacino di Pont St. Martin e si addentrava profondamente in Val della Lys, i È nella quale le morene wiirmiane dell’eventuale tributario vanno perciò ricercate tutte al disopra dei 1450-1500 m. P a TOSI << x et. # cd ya VITTORIO NOVARESE dla a I PARI DPR tone - Però a monte delle morene ora nominate, le quali sono a valle della sezione di Fontainemore, scarseggiano le tracce moreniche, e quelle poche. sono piuttosto attribuibili ai piccoli ghiacciai laterali, tutti poco importanti, che non al ghiacciaio del Lys. Per trovare un ammasso morenico con caratteri di apparato frontale bisogna risalire fino a Gressoney -la-Trinitè, oltrela quota 1600. Quest’apparato però corrisponde èll’ultimo e più recente degli stadii postwirmiani, a quello di Courmayeur. Mancano o non sono più riconoscibili gli altri due. Già il Baretti ha notato questa povertà di morenico nella valle di Gressoney (1) e l’attribuì a scarso apporto glaciale per essere durante il Quaternario il circo terminale, tuttora occupato dal ghiac- ciaio di primo ordine della Lys, totalmente coperto dalle nevi e senza spuntoni rocciosi. Una tale spiegazione non regge perchè la valle, dal Lyskamm a Fontainemore, ha 32 km. di lunghezza e se anche il suo circo terminale fosse stato totalmente sepolto sotto una calotta di neve, i fianchi avrebbero sempre dato un notevole contributo alle morene. | Più plausibile sarebbe l’attribuire la scarsità del morenico antico alla sua rapida scomparsa in grazia dell’eccessiva ripidezza dei monti che cingono la valle, stretto corridoio chiuso fra due giogaie molto scoscese. Però è impossibile il non rilevare l’analogia in molte sue carat- teristiche della Val Lys colla Val Soana, di cui nella I parte ho già descritto la notevole povertà di morenico. Entrambe sono dirette da N a S, e, specialmente nel tronco inferiore, anguste ed a fianchi ripidissimi. Se la Val Soana a settentrione si espande e ramifica in modo da abbracciare un vastissimo circo, non raggiunge però altezze considerevoli, mentre la valle della Lys, se termina con un circo ristretto, compensa questa deficenza colla straordinaria elevazione delle cime (4532 m. al Lyskamm). Tenuto conto delle analogie e delle equivalenze non pare inverosimile che il ghiacciaio della Lys (1) M. BARETTI, — Geol. delta prov, di Torino, pag. 357. o & pl re, uri, p deg : * i, 9 V'ioté. e) x ” . è e b*'C4 Alea 0 do VT iS isa ae È dit ù ARIA! IL QUATERNARIO IN VAL; D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE si sia comportato come quello della Soana, 0, se si è congiunto col maestro, la riunione è avvenuta piuttosto perchè questo, in gra- zia della sua poderosa corrente, ha invaso la valle risalendola fino ad incontrare l’estremità inferiore del tributario, anzichè perchè quello abbia potuto per forza propria occuparne tutto il lunghissimo solco. Un confronto fra i ghiacciai attuali del gruppo del Monte Rosa e del Monte Bianco conforta questa ipotesi. Il ghiacciaio della Lys ha attualmente la sua estremità inferiore sopra i 2150 m. (2175 nel set- tembre 1913 secondo il dott. U. Monterin) (1); nella valle contigua di Ayas il ghiacciaio grande di Verra termina esso pure quasi alla stessa . quota (2200) di fianco al lago Bleu. Entrambi sono rivolti diretta- mente a S. Nel gruppo del Monte Bianco il ghiacciaio della Brenva ha un bacino certo non maggiore dei due sopra nominati, ed una — lunghezza quasi uguale a quello della Lys, eppure scende fino a 1500 $ metri, vale a dire 650 m. più in basso. La sola differenza essenziale fra i due ghiacciai, oltre la diversa distanza dagli orli esterni del Sistema, stà nell’esposizione che è verso SE nella Brenva, ciò che tuttavia non sembra sufficiente a giustificare una differenza così forte | fra le quote a cui scendono le fronti rispettive. Ciò è tanto vero che | il ghiacciaio di Macugnaga rivolto a N non giunge che a 1800 m. E se sì paragonano tutti i ghiacciai dei due gruppi in condizioni ana- | Joghe, si trova sempre la stessa notevole differenza nelle quote delle fronti, la quale risponde certamente ad una diversità nel livello delle nevi perpetue che doveva pure verificarsi nel Quaternario e si è mani- | festata per es. più chiaramente ancora nella Valsesia, nella quale i 4 ghiacciai riuscirono ad oltrepassare a mala pena Varallo e non sboc- carono nella pianurà mentre vi giunsero quelli della più modesta Val d’ Orco. Nella valle della Lys sono anche scarse le tracce di soste di ri- tirata, poichè non si trovano morene un po” notevoli nel basso della valle se non a monte di Gressoney-la-Trinité. Date le condizioni (1) U. MonTERIN. — Osservazioni sui ghiacciai del Gruppo del M.te Rosa. | Boll. del Com. glaciologico ital. Roma 1914, Vol. 1, pag. 96. i pio dtt) Lo "AR, "4 vu °* VITTORIO NOVARESE di altitudine il complesso di morene che stà intorno a questo paese non può essere stato deposto che quando si ‘deponevano quelle alla stessa altezza nelle valli confinanti, e precisamente quelle di St. Jacques d’Ayas che vedremo essere dovute al III stadio, o di Courmayeur. VALLE DELL’EVvANGON. La scarsità del morenico di Val della Lys sorprende anche di più quando la si compari colla Valle dell’Evancon, la quale sebbene contigua ed orientata nello stesso modo, forma con essa il più spic- cato contrasto. La valle ha un vasto circo terminale occupato totalmente dai tre grandi ghiacciai di Ventina, di Verra e dei Gemelli e circoscritto da una cresta elevatissima che dal Breithorn al Castore conta cinque punte sopra i 4000 metri. Pur tuttavia questo circo così importante, alimentava nel Wiirmiano un ghiacciaio che a 20 km. appena dalle origini, all'altezza di Brusson, non può avere avuto una potenza di molto superiore ai 500 metri, perchè riusciva a mala pena a supe— rare il Col di Joux (1638) (1), e ciò non ostante i non piccoli con- tributi laterali dei valloni di Mascogna e di Cunea. Vale a dire il ghiacciaio non era nemmeno paragonabile a quello di Val d’Orco, che a Pont, a dispetto della quota assai minore, aveva ancora una ugnale potenza di 500 metri. A valle di Brusson riceveva il note— vole contributo del vasto circo formato dai due valloni di Lavassey e di Frudière e quasi subito dopo, all’ altezza all’incirca di Quincod, sì congiungeva col maestro, il quale entrava nella valle dal Col di Keckhorn. La lunghezza, totale del ghiacciaio era di 25 a 26 km. dal Breithorn, e la sua potenza di poco superiore ai 600 metri al mas- simo, come dirò fra breve. Non ostante quindi l’abbondanza del morenico vi sono anche per questo ghiacciaio, come per quello della Lys, degli indizi di (1) Nella carta dell'I, G. M. al 50.000 (quadrante di Gressoney) non è indi- cata l'altitudine del Col di Joux; la quota 1707 si riferisce ad un gruppo di rocce più elevate, a S del valico. La quota 1638 è data dalla Guida delle Alpi Ocec. di BospA e VAccaRONE (Torino 1896) senza indicazione di fonte; concorda però, nei limiti dell'approssimazione, colle mie misure barometriche. A LN. 1 IS ge RIE EN î Sat Ai AA Si ;] | IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 171 al disotto del limite nel tempo presente, determinato in 3150 m. pre- cisamente pel gruppo del Gran Paradiso. In questo caso è bastato un abbassamento della linea nivale di 300 m. circa per fare scendere le fronti dei ghiacciai del gruppo, che attualmente stanno tutte sopra i 2600 m., salvo quella del Grand Etret che giunge fino a 2368 m. (Carta dell’ I. G. M. 1908), fino a 1579 m. circa (Ponte di Leviona), cioè di almeno 750 m. Ciò in grazia della notevole altezza media del gruppo, della | esposizione verso N di tutto il campo di raccolta, e della notevole. ristrettezza della valle in cui s’incanalava l'immensa corrente. Si | vede qui come a determinare questo notevole sbalzo entri in giuoco un complesso di circostanze topografiche e geografiche. Nelle altre tre valli del circo delle Graie si trovano, forse meno ben conservati ma non meno evidenti, gli apparati coevi di quello della Savara, o del III stadio. Il più noto è il bacino di Cogne, molto complesso perchè de- posto alla confluenza di parecchie valliimportanti quali la Valnontey, la Valeille e le valli del Grauson e dell’Urtier. Incomincia ad Epinel 2 1400 m.,, cioè all'incirca alla stessa altezza di quello di Valsava- ranche ; verso l’alto il suo limite è meno netto pel suddividersi nei varii valloni, ciò che se ha nociuto alla regolarità dell’apparato mo- renico gli è stato di vantaggio per l'estensione, perchè l’ intiera massa si allunga per quasi 7 km. da Epinel a Champlong. In Val di Rhéme l’apparato stadiale non meno importante di quello della Savara è immediatamente a valle del capoluogo, e si estende lungo la valle per 3 km. circa. In Val Grisanche morene del III stadio si trovano pure a valle del capoluogo fra Plantè e Pra- riond, ed a Planaval, ma qui anzichè uno si hanno almeno due ap- parati del III stadio, dovuti rispettivamente ai gruppi dei ghiacciai del Rutor e della Grande Sassière. è (E 5 VITTORIO NOVARESE IL CIRCO BALTEO. La valle del Buthier (Baltegium) non presenta per il glaciale mi» nor interesse del circo delle Graie e della Valdigne, da cui differisce però sotto parecchi rispetti. Durante il Wiirmiano lo sbocco del ghiacciaio Balteo avveniva ad una quota superiore al 1650 m. fra il Monte Fallère (3061) ed il Monte Mary (2814) coperti entrambi da calotte glaciali che si con- | giungevano senza dubbio col Balteo. Questo fatto è dimostrato dal diversissimo comportamento dei depositi postwirmiani sulle falde dei due monti. Sul fianco occidentale del ERETTI Monte Mary-Becca di Vlou (2856), a N del villaggio di Blave, scarsissimi sono -al disopra dei 1600-1700 m. i lembi di terreno di trasporto glaciale da attribuirsi ad una mo- rena laterale wirmiana. L’unica traccia certa sono alcuni massi erra- tici di calcare triasico e di carniola, uno dei quali enorme, presso l’Alpe Le Rond (1741), provenienti certo dalla Valpelline, e non dagli affioramenti immediatamente sottostanti della nota sinclinale di Roissan, che rimane al disotto di tale quota. La calotta glaciale del Mon'e Mary ha impedito che il ghiac- ciaio del Buthier deponesse le sue morene sui fianchi del monte, perchè anche verso mezzogiorno il morenico generale, per quanto ab- bondante non incomincia se non al disotto dei 1500 m., ed è quindi postw irmiano. Sulle falde del prospiciente Monte Fallère il NS bin dolce ha prodotto effetti del tutto opposti. Se nel Wirmiano non si depose a causa della calotta glaciale alcuna morena, non appena le due masse di ghiaccio si staccarono, incominciò a deporsi quel morenico che ora copre tutto il pendìo, dai 1800-2000 m. fino al Buthier, con un manto uniforme. In esso però si notano alcuni terrazzi, il più evidente dei quali sta press’a poco fra le quote di Gignod (994) e Tercinod (1125). Durante lo stadio di Chambave la separazione fra il ghiacciaio della valle Baltea e quelli che rivestivano le pendici del Monte pioi pitti lie SS re Ella? Mi ind NMOLSLE VALI DELL'O VAVESE ti dr net i è a Ja ad w bhe. " LL VPI vi e È - Mary e del Fallère era già avvenuta. Se ne ha una prova nel piccolo e conservatissimo apparato frontale della valletta di Parlea già de- scritto in precedenza nella ricerca della quota della linea nivale per lo stadio di Chambave. In tale stadio il livello del ghiacciaio Balteo era già sceso quindi al disotto dei 1200 m., in corrispondenza di Parlea, che si trova d’al- tronde poco a monte dello sbocco del Balteo nel bacino di Aosta. Nello stadio seguente, il II, il ghiacciaio diminuì ancora, e co- strusse un apparato proprio presso Aosta. Questo apparato è rap- presentato dai terrazzi sopra St. Cristophe, a Senin, Veyne e Lor- reley, che si spingono fin presso Quart. Non lungi da questo paese, a monte, si notano rudimenti di ar- chi frontali; specialmente ben conservato è il monticello sulla cui cresta stanno le case del villaggio denominato Vallensanaz sulla Carta al 100.000, analogo alla Còte di Gargantua e di altezza quasi uguale (779), ma coperto di vigneti. Si tratta ben inteso della parte laterale del- l’arco ; la parte centrale è scomparsa seppure è mai esistita. E° pro- babile appartengano a questo anfiteatro le basse morene di Charven- sod e Pollein sulla destra della valle, ma gli archi che avrebbero do- vuto congiungerle con quelle della sinistra sono stati demoliti dalla Dora e dal Buthier. Però le rocce arrotondate di Beauregard e di Bus- seia allo sbocco della valle del Buthier ed in alto, provano come l’estremo inferiore del ghiacciaio Balteo durante il II stadio abbia fatto una lunga stazione su di esse, proprio allo sbocco della valle fo Baltea, abbandonandole in seguito del tutto scoperte e prive di am- manto morenico. Come ho detto altrove (1) nei loro anfratti si trova una tipica morena di fondo con elementi triasici provenienti quasi | certamente dalla valle inferiore nel Buthier. | Queste morene frontali si collegano a monte coi terrazzi di Rois- «san da una parte e di Gignod dall’altra, ad altezze corrispondenti lungo i due fianchi della valle, terrazzi che colla loro uniformità atte- stano anche un ritiro molto graduale. . (1) V. NOVARESE. Relazione preliminare sulla campagna geologica del- l’anno 1911. Boll. d. R. Com. Geol., 1912, fasc 1°, pag. 32. 4 a sii Î te a ti i VITTORIO NOVARESE Per la grande complicazione orografica delle valli superiori, special- mente di quella del Gran San Bernardo gli apparati del III stadio non si presentano colla chiarezza che hanno nelle Graie e nella Valdigne. Appartengono al III stadio il morenico del bacino di Ollomont, il cui ghiacciaio si era già staccato da quello della Valpelline; quello di Etroubles, e quello che nella Valpelline superiore sta in alto fra — Bionaz ed Oyace. LA VALDIGNE. La Valdigne incomincia, com’ è noto, alla forra della Pierre Taillée, a valle della quale, nella gorgia d’Avise, v’ hanno nella roccia imponenti tracce glaciali sotto forma di marmitte dei giganti; una di queste, enorme, è stata tagliata dalla strada nazionale. Durante lo stadio di Aymaville il ghiacciaio della Valdigne oc- cupava totalmente il bacino di Morgex e lasciò le sue morene fron- tali fra La Salle ed il Ponte di Equiliva. L’avanzo più cospicuo di questo apparato è il dosso su cui stà il paese di La Salle (1001), mascherato parzialmente dal vasto cono di deiezione del Rio Charvas; esso si prolungava a valle nella gola che precede il ponte di Equiliva, perchè in questa si trova una for- mazione fluvio glaciale, del tipo solito all’estremità inferiore dei ghiac- cia, con letti di ghiaie e sabbia intercalate in cui sono aperte ora delle piccole cave. Nel'a stessa Valdigne vi sono inoltre due bellissimi apparati del III stadio; uno è quello di Courmayeur dovuto ai ghiacciai del Monte Bianco, sul quale si sviluppa per un buon tratto la strada carrozzabile per Prè Saint Didier ;e sono costruiti il villaggio di Ver- rand (1261) ed in parte Courmayeur stessa (1224). Il piccolo pia- noro, subito a monte del paese, è il fondo alluvionale che ha colmato il temporaneo lago morenico formatosi dietro l’apparato frontale dopo l’ultima ritirata dei ghiacci (Tav. III, fig. 2). L’altro apparato è quello delle Thuile dovuto esclusivamente ai ghiacciai del gruppo del Rutor, ed anch’esso ben conservato, come d’altronde la maggior parte degli apparati dell’ultimo stadio. | Li viti cali COSTI hà 4 O DA pic y 19 PR 9 Ju vii pe È : Daze) PAPPE INCI, re ba MICI i ", cargo Ln ; heat ; TÀ i i e o QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 175 Le morene laterali. Il confronto fra la Carta geologica al 100.000 e quella al 500.000 «che accompagna la presente memoria basta a mostrare come il mo - renico degli anfiteatri stadiali sia poca cosa di fronte a quello che tappezza tanta parte della valle sotto forma di morene laterali. Esso si presenta talora nella tipica forma di terrazzo, e già nelle pagine precedenti ne fu nominato qualcuno, ed altri dovremo nominarne, ma predominante è invece quella di ammanto ora continuo, ora in- terrotto da affioramenti della roccia sottostante, nel quale il terrazzo non si distingue o tutt’ al più è rappresentato da larghe ondulazioni a limiti indistinti. Nella II parte ho già notato quanto fossero scarsi i terrazzi wir- miani ben caratterizzati non ostante la durata del periodo corri- spondente; i terrazzi postwùrmiani sono certo più numerosi, ma tuttavia non tanto quanto lascerebbe supporre il lungo periodo di regresso. Fra i meglio conservati figurano quelli più elevati, inferiori da 100 a 200 m. al livello massimo wirmiano. Nella fig. 2 della parte II ne sono rappresentati parecchi dei più alti, là dove quello wirmiano non si ritrova, tanto a valle quanto a monte di Aosta e sarebbero quelli di Còteblina, Derby, Leisere e Pragarin sulla destra; di Vertolana, Avisod, Echallod e Le Cou sulla sinistra. Sarebbe però, come è ovvio, un grave errore ritenere che questi terrazzi, od almeno quelli inferiori dello stesso numero di metri al livello wiirmiano, appartenessero tutti alla medesima sosta. L’abbas- samento di livello dei ghiacciai durante un regresso è note volmente più rapido all’estremità inferiore che non a quella superiore, così che se i terrazzi di Le Cou, Echallod e Pragarin possono essere messi in . relazione coi cordoni più interni dell’anfiteatro d'Ivrea, quelli di Còte- blina e del Derby appartengono certo a tempi assai vicini allo stadio di Chambave. Questa considerazione rivela anche una delle cause che hanno contribuito alla scarsità del morenico già lumeggiata e discussa nel tratto a valle di Verrès, e cioè la relativa rapidità dell’abbassamento 176 VITTORIO NOVARESE di livello del ghiacciaio. Mentre esso nello stadio di Chambave, come abbiamo veduto, ha nel bacino di Aosta perduto circa 500 m. di spessore di fronte a Parlea, nella sezione di San Grato (vedi parte II) era scomparso, perdendone oltre 1300, ed almeno un migliaio a Montjovet. Durante una discesa così rapida il morenico non ha po- . tuto accumularsi, ma si è disperso in velo più sottile sulle pendici, cosicchè più agevole ne è stata la demolizione. Nel citato profilo è registrata pure una morena di sinistra al‘ Monte Cormet a 2300 m. cioè notevolmente al disopra del limite wirmiano delle nevi perpetue. Per quanto fra il limite climatico e l’orografico delle nevi vi possano essere notevoli divarii, e l’esposi- zione meridionale del lembo in questione giustifichi un limite oro— grafico elevato, tuttavia la presenza di una morena a tale altezza sorprende. Il lembo morenico in questione si trova in alto del val- lone o meglio canale del Rio Chénoz (1) di fronte.a Prè St. Didier nel versante SW del Monte Cormet (2476), annidato in una stretta chiostra fra 2000 e 2300 m. circa, direttamente sotto la vetta. La morena è in via di rapida distruzione, e col suo disfacimento dà origine alla nota frana del Rio Chénoz, che quasi ogni anno in occasioni di forti piogge interrompe la vecchia strada nazio’ ale del Piccolo San Bernardo sulla sinistra della valle, ed è anzi stata causa precipua della costruzione della variante sulla destra, fra Morgex e Prè Saint Didier. E’ dubbio se questo lembo morenico in posizione così singolare, posto in un vallone troppo piccolo e troppo inclinato di una vetta isolata per essere dovuto ad una vedretta locale, sia stato deposto in un periodo immediatamente seguente all’apogeo del periodo Wiirmia- no, o se debba considerarsi come una morena interna, oppure di fondo, depostasi in un anfratto formante angolo morto è monte del costolone scendente dal Cormet che il ghiacciaio wirrmiano doveva scavalcare. (1) Il Rio Chénoz non è denominato nella carta al 50.000, ma è facilmente reperibile perchè segna il limite dei due comuni di Morgex e Prè St. Didier fra la vetta del Monte Cormet e la Dora. d [ , PT] i dar Sane dio > RO IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE. "SITA Certo il ghiacciaio wirmiano ha raggiunto nella Valdigne supe- riore una straordinaria altezza perchè si trovano arrotondamenti fino sulla vetta del Monte Chetif (2343) di fronte a Courmayeur. (Tav. II, | fig. 1). Terreni postuwirmiani non glaciali. I terreni deposti dai fiumi, torrenti e sorgenti, dopo il Wirmiano, sopra aree lasciate libere dall’arretrarsi dei ghiacci, sebbene meno estesi dei glaciali, sono pure molto diffusi nella Valle e meritano un breve accenno. Sono in primo luogo i soli di tale origine ancora conservati in Val d’Aosta; quelli anteriori sono stati spazzati dall'avanzata gla— ciale wiirmiana. Ho discusso in precedenza il solo caso in cui può esservi un dubbio, quello delle alluvioni sottostanti al morenico nella Conca di Chatillon. L’età relativa è di facilissima determinazione, specialmente per quanto riguarda i riempimenti alluvionali delle valli che sono tanto più recenti quanto più si risale la valle e ci si avvicina alle fronti attuali dei ghiacciai. Però, salvo il caso di terrazzamenti, di cui mi occuperò in seguito, le alluvioni superficiali di fondo valle sono tutte recentissime, perchè la parte profonda, più antica, è tutta mascherata dal materiale dei greti attuali e dei coni di deiezione attivi, numerosissimi nella valle maestra e nelle tributarie. Il maggiore contributo a questi coni di deiezione è dato in generale da qualche morena in disfacimento per cui l’importanza di ogni cono di deiezione non è di solito in relazione coll’estensione del bacino collettore del torrente rispettivo. Spesso valli di secondaria importanza, e talora valloni di terzo o quart’ordine danno luogo a coni di deiezione enormi, temibili per l'incremento rapido e catastrofico. Così ad esempio i coni di Champ de Praz (Chalame) e di Quart, in grazia appunto delle morene insi- nuate in queste valli minori, sono assai più imponenti ed attivi che non quelli dell’Evancon a Verrès, della Lys a Pont Saint Martin, o 178 ves VrASÌ VITTORIO NOVARESE (UM del Marmore a Chatillon. Quando alla presenza di morene si baia giunga una pendenza fortissima si hanno i coni di deiezione che rappresentano un pericolo permaneate come quelli nominati in pre- cedenza del Rio Chénoz presso Prè Sat Didier e di Estrapiera nella valle dell’Evancon. i Un gruppo particolare di queste alluvioni sono i riempimenti dei laghi formatisi a monte degli sbarramenti morenici delle valli I come il piano di Clavalitè, veramente tipico e conservato nella sua integrità, il piano di Vollon a monte di Brusson ed altri numerosi. Altrove, dopo che il lago è stato interrato parzialmente o del tutto, il torrente ha inciso la diga morenica ed ha terrazzato il deposito alluvionale che stava a monte. Così è accaduto nella conca di Chà- tillon, come ho già detto, nella quale però è dubbio se lo sbarra- mento fosse soltanto morenico, o non piuttosto la soglia rocciosa di Mont Jovet. A questo tipo appartengono il piano terrazzato di Fenis, a monte dell'anfiteatro stadiale di Chambave e quelli di Aymaville e di Courmayeur. Un tipo particolare di questi sbarramenti è dovuto alle morene laterali, che hanno chiuso il deflusso di qualche conca sul fianco del monte o talora di qualche valle più importante. Sono general- mente assai piccoli, ma ve ne può essere taluno maggiore come il piano di Arceza in Val di Challant. Questi laghi morenici sono naturalmente tanto più frequenti e meglio conservati quanto più recente è lo stadio a cui sono dovuti, e se ne possono citare esempi numerosi perchè si ritrovano in tutti o quasi i valloni in cui si suddivide ogni altra valle. Non accorre io li enumeri, mi limiterò a ricordare l’esempio in azione del noto lago di Combal dovuto alla morena di destra del ghiacciaio del Miage ed oramai semi colmato. Altrettanto frequenti sono i laghi di erosione glaciale in roccia, colmati da alluvioni o da torba. L’esempio più tipico è il lungo piano del Nivolet dovuto allo sbarramento roccioso della Croce del- l’Aroley, certamente posteriore allo stadio di Courmayeur. Altri laghi riempiti infine dipendono dagli sbarramenti prodotti % vii ‘ 8 dle e Le i | IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE da coni di deiezione molto attivi in valli molto strette. Ve ne hanno dei recentissimi dovuti a fortissime alluvioni, come quello del torrente che sbocca dal precipitoso vallone fra la Bioula e la P.ta Bianca nella Valsavaranche, le cui deiezioni rovinose sbarrarono nel 1889 il corso della Savara, dando origine ad un lago che occorse un de- cennio a colmare. | Banchi e strati di ghiaia, sabbia, e perfino di argilla appaiono non di rado intercalati nelle morene postwirmiane, quelle laterali in ispecie, e certo dovuti agli innumerevoli torrentelli di acqua di fusione e laghetti temporanei formatisi fra il ghiacciaio e la morena. Le sabbie specialmente sono utilizzate in cave; se ne vedono parecchie lungo la strada del Gran San Bernardo fra Gignod e La Condamine. I travertini. — Fra le formazioni recenti della valle meritano un posto speciale i travertini, deposti dalle acque circolanti nei calcari, nei calcescisti e nelle morene composte da tali rocce; non occupano di solito grandi estensioni ma s’incontrano spesso. La varietà più frequenti di questi travertini, tenera e fragile, e di evidente origine concrezionare, è nota nel dialetto locale col nome di tuf (tufo). Nella Valsavaranche se ne trovano in alto all’Accampamento reale di caccia di Orvielle o dell’Anjouan, sulla sinistra, dove formano una piattaforma presso un laghetto colmato, ed in basso sul fondo di valle presso Maisonasse. Qui i travertini sono dovuti alle acque che scendono dai calcari triasici della nota sinclinale secondaria della Valsavaranche e dalla morena, pure ad elementi calcarei, compresa fra il vallone di Charanche ed il valloncino Rossei che sbocca di fronte a Bien. Il nome di Eau Rousse è dato ad un rigagnolo intermedio per le curiose sereziature della crosta travertinosa formatasi sulla parete di gneiss da cui precipita in cascata. A valle di Maisonasse il tra- vertino forma una piccola piattaforma indicata nella carta geologica; a monte verso Eau Rousse compare solo in frammenti dispersi, forse strappati dalle forti alluvioni alle precedenti incrostazioni. Questi travertini sono spesso, come quello di Eau Rousse, in via di formazione. Un altro bell’ esempio se ne osserva nella Valle 5) Mg et 1 | °° VITTORIO NOVARESE © del Buthier sopra il paese di Valpelline, in alto, sulla verdeggiante pendice che forma il comune di Doues, sotto il massiccio che va dalla punta Champillon alla Croux de Blenche, dove ho indicato esservi AA Vee Ja I De. una grande morena incidente fra le valli di Ollomont e del Gran. San Bernardo. Le acque che provengono dalle sorgenti in questo morenicc e quelle che vi porta il grande canale di irrigazione che lo percorre, dedotto dal torrente del ghiacciaio di By, sono tutte cal- carifere o lo diventano al contatto del substrato di ca'cescisto, e sono per ciò eminentemente incrostanti. Tutte le fonti, i rigagnoli, gli stessi fossatelli d'irrigazione sono rivestiti da inerostazioni gialle di traver- tino; il materiale morenico ne è spesso cementato, le cavità della roccia sono tappezzate da cristallini di calcite. In alto vi hanno crostoni travertinosi talvolta abbastanza potenti da essere usati come cave dalle quali si estrae un materiale leggero e ‘poroso che mostra ancora i modelli degli steli dell'erba e delle festuche intorno a cui si è deposto. Una di queste cave è presso le Grange Favre a 1775 metri. Croste di travertino si trovano pure nelle alluvioni della Dora; così sulla destra di questa, quasi subito a monte del Ponte Suaz di fronte ad Aosta lungo la strada di Gressan. Le acque incrostanti che depongono questi travertini commisti all’ alluvione aumentano spesso quest’ultima, e danno luogo a puddinghe e conglomerati non infrequenti, ma di cui non si conoscono masse un po’ estese. E° però probabile che ve ne siano perchè in parecchi dei monumenti romani di Aosta è stata largamente impiegata una puddinga di tal genere, non molto dura e per ciò facilmente lavorabile, di cui non si cono- scono più le cave; la si vede per esempio benissimo nel basamento dell'Arco di Augusto. | Capo IV. Conclusioni. Del lungo studio compiuto raccolgo i risultati singoli per trarre dal loro confronto argomento ad ulteriori considerazioni e conclusioni d’indole più generale. AI DET ” è ti i Lu ì î è & Fast vi . W vifte l 1° . Ò Ù î) \ATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 181 Prewiirmiano e terrazzi în roccia. Morene prewirmiane si trovano nelle valli dell’Orco, della Chiu- sella e della Dora, sempre nelle vicinanze degli sbocchi rispettivi, e la loro posizione le rivela dovute a glaciazioni maggiori della wir- miana stessa. Mentre nelle altre due valli la glaciazione prewùrmiana sembra unica, nella Valchiusella le morene di Vico più recenti, ed i più antichi terrazzi di Grange Prandino accennano a due stazioni, senza che gli indizi siano sufficienti a decidere se appartengano a due glaciazioni diverse oppure a due stadii della stessa. Sul fianco sinistro della valle inferiore dell’Orco v'ha un livello di terrazzi in roccia, più elevato della maggiore altezza toccata dal ghiacciaio wirmiano, terrazzi non ricoperti di materiale morenico riconoscibile. Di essi, certamente prewirmiani, è incerta l’ origine e Vetà perchè non si collegano agevolmente nonchè col Quaternario più antico, nemmeno col Pliocene dei dintorni di Castellamonte. Morene laterali wirmiane. Le morene laterali wùurmiane dentro la valle d’Aosta sono rela- tivamente scarse e poco estese. Ciò perchè a cagione del basso li- mite delle nevi perpetue, ol(re i maggiori affluenti nominati nel corso dello studio, ve ne era un gran numero di minori scendenti dai val- loni che solcano i fianchi della valle, i quali confluendo col maestro spingevano verso il mezzo di esso le maggiori morene provenienti dall’alta valle, sostituendol» ai fianchi colle proprie, necessariamente minori. Le morene più cospicue del ghiacciaio wiirmiano dovevano perciò essere le mediane, come lo dimostra d’altronde l’enorme svi- luppo degli archi frontali nell’anfiteatro d’Ivrea. Da ciò la povertà di morene e terrazzi laterali dinnanzi all’imponenza dell’apparato frontale. Questo rapporto durante la fase di ritirata è andato inverten— _ tendosi a cagione del distacco degli affluenti maggiori e della scom- parsa dei minori, a favore delle morene laterali; causa questa del Pi ‘ % dla ha VITTORIO NOVARESE magnifico sviluppo del glaciale postwirmiano entro valle e dell’im- portanza sempre minore degli apparati frontali. Queste considerazioni valgono pure a spiegare la mancanza di tracce delle glaciazioni prewùrmiane entro valle, almeno di quelle che hanno superato la wirmiana. Quei depositi morenici dovettero fino dall’origine essere ancora più scarsi e di minore entità degli stessi wirmiani per cui scomparvero rapidamente. Stadii postwirmiani. — Oscillazioni. La ritirata postwirmiana si è compiuta in tre stadii, ognuno dei quali si è verificato in seguito ad un’alternativa di regresso e di avanzata, ossia ad una oscillazione della fronte dei ghiacciai. Di tali oscillazioni si ba però soltanto la prova per la prima, nella conca di Chatillon, lasciata dapprima libera dai ghiacci in ritirata, riempita nell’intervallo dalle alluvioni della Dora e del Marmore ed invasa infine ancora una volta da una avanzata che terminò con uno stadio, periodo di relativa stazionarietà nel quale il ghiacciaio costrusse l'apparato frontale di Chambave, esteso da Fenis a St. Vin- cent e poggiante in parte sulle alluvioni interstadiali testè accennate. Le oscillazioni che hanno preceduto i tre stadii sono state ne- cessariamente di ampiezze decrescenti, ma è impossibile il determi- narne il valore, perchè dell'eventuale stazione a monte, nella quale il moto ha cambiato senso passando dal regresso all'avanzata non può essere rimasta traccia, avendo il ghiacciaio nel nuovo progredire distrutta la propria opera. Però dalla prova indiretta che particolari circostanze topografiche hanno permesso fosse conservata a Chatillon, può arguirsi che queste oscillazioni sono state considerevoli, se du- rante una parte di esse hanno potuto accumularsi alluvioni di oltre cento metri di potenza. Equivalenze cronologiche. Quanto abbiamo potuto stabilire sul numero delle glaciazioni e degli stadii postwirmiani concorda in modo soddisfacente con quanto è stato riconosciuto in altre parti del Sistema Alpino. Ù " Di » Mart i i Vert VA et de "Mt hi CI (o) ì data = (Pe vada ad iii ac 1 STA IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 183 Rispetto alla glaciazione wiirmiana non v’ha alcun dubbio sulla sua identificazione. Se le tracce enumerate della glaciazione che l’ha preceduta siano quelle della rissiana, come pare molto probabile, | non può dirsi con certezza se prima non sono state messe in rela- zione col morenico fuori valle, studio che è fuori del programma del presente lavoro. Per gli stadii e le oscillazioni la concordanza nel numero è per- fetta. L’oscillazione di Chatillon corrisponde a quella di Achen od «; lo stadio di Chambave a Bihlo {; lo stadio di Aymaville a Gschnitz o y, e quello di Courmayeur a Daun o è. Se vi abbia perfetta corrispondenza negli stadii di tutto il Si- stema Alpino non può ancora affermarsi con certezza, sebbene non si veda ragione di escludere la contemporaneità degli stadii, dipen- denti in prima linea da un fatto climatico, e per ciò d’indole gene- rale. Però le condizioni topografiche hanno potuto dar luogo a sen- sibili differenze nello sviluppo di ciascuno stadio nelle singole val- late alpine, perchè se cause geografiche e geologiche determinarono in ognuno di essi l’altezza del limite climatico delle nevi, indipen- dentemente dalla topografia, l’ influenza di quest’ultima si manifestò | sempre nello sviluppo glaciale, che direttamente ne dipende. Quote stadiali della linea nivale. Ad ogni modo il primo elemento da fissarsi per verificare le eventuali differenze da luogo a luogo, è la quota della linea nivale . in ciascuno stadio, quota che è però assai difficile determinare colla necessaria approssimazione. Il Penck, partendo dalla considerazione che l'innalzamento totale del limite delle nevi perpetue dal W irmiano è stato di 1200 m., ha concluso che l'innalzamento corrispondente a | ciascuno stadio ha dovuto essere in media di 300 m. Questo valore {medio non deve però essere preso alla lettera; è semplicemente un criterio per giudicare di che ordine di grandezza furono gli innal- zamenti stadiali, e non significa che essi siano press’a poco uguali . fra loro. Difatti nelle pagine che precedono ho calcolato la quota della linea nivale per Parlea, Clavalitè e Valsavaranche trovando ì ba Md NAS" 184 VITTORIO NOVARESE delle cifre diverse da quelle che si avrebbero applicando la media del Penck. Le differenze però non provano ancora nulla perchè le cifre trovate sono limiti orografici che differiscono dal limite climatico spesso sensibilmente, e per ciò danno un’ approssimazione troppo grossolana, . per giudicare delle differenze fra gli innalzamenti stadiali successivi, Un mezzo meno incerto di giudizio è il paragone fra le dimen- sioni successivamente assunte da uno stesso ghiacciaio o gruppo di ghiacciai durante gli stadii, tenendo ben conto delle circostanze topo- grafiche, le quali non possono avere sensibilmente mutato dal wir miano in quà. Per fare questo confronto abbiamo nelle lunghezze stadiali direttamente misurabili, dei dati più sicuri che non i limiti orografici stadiali delle nevi che si debbono dedurre da altri indizi. La ricerca che intraprendiamo sarebbe molto agevole se una delle valli semplici esaminate presentasse insieme coll’apparato fron- tale wirmiano la serie completa di quelli stadiali. Disgraziatamente nessuna delle nostre valli semplici è in tal caso; nelle valli dell’Orco x e della Stura di Lanzo la serie degli stadii è molto incompleta; in quella dell’ Evancon e nella Valtournanche se vi sono tutti gli stadii manca il Wiirmiano perchè in tale periodo erano tributarie. E° gio- coforza affrontare il problema nella Valle d’Aosta, sede del più complesso fra i sistemi glaciali descritti. Per essa abbiamo alcuni preziosi dati fondamentali già fissati. Nel Wiirmiano fu occupata da un ghiacciaio unico la cui superficie totale non era minore di 3160 km.® (Parte II, pag. 225); attual- mente essa conta circa 130 ghiacciai fra grandi e piccoli con una superticie complessiva di 300 km.® in cifra tonda. Per ciò dal Wir- miano in quà la superficie glaciale si è ridotta di oltre i °/,0, mentre la linea nivale si è innalzata di 1200 m. Questa riduzione a cagione degli stadii è avvenuta drain bensì, ma a sbalzi. Il maggiore di questi, a giudicare dalle lunghezze dei ghiacciai residui, è stato il primo, fra il Wirmiano e lo stadio di Chambave, durante il quale la lunghezza totale del ghiacciaio maestro si è ri- dotta a metà, e se ne sono staccati tutti gli affluenti grandi e pic- , LI 4 pus ‘ da Si a N dti v [a ‘à ; n sp fee) #% Die MRI, » Jdit ere VATI | IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 185 . coli a valle della fronte a Chambave, nonchè una parte di quelli minori a monte, come ad esempio Parlea. Questi accorciamenti e distacchi hanno prodotto una considerevole riduzione della superficie di ablazione, che può calcolarsi con una certa esattezza, e darci per ciò un numero da paragonarsi col suo valore nel Wiirmiano che ci è noto. La maggiore delle perdite subìte è tutto il tratto di valle maestra da Chambave in giù, che comprende l’intiero anfiteatro a eominciare dalla sezione del ponte di Quassolo (Parte II, pag. 225), di 361 km.*, più tutti i 40 km. di valle maestra da questa sezione fino a Chambave, con una larghezza media di 6 km., che fanno altri 240 km. A questi debbono aggiungersi le aree perdute dai tributarii ritiratisi nelle proprie valli, che tutte insieme possiamo computare in 50 km. Abbiamo così una prima perdita sicura di 650 km.', che non è però ancora la perdita totale. La superficie di ablazione dei ghiacciai residui è diminuita pure per l’abbassamento forte di livello fra le pareti inclinate degli alvei, abbassamento che sappiamo essere stato per es. ad Aosta di almeno 500 m.; però d’altra parte ha subìto un certo aumento perchè si è prolungata a monte verso gli alti nevati dalla quota 2000 m. fino a quella della nuova linea nivale. Questo aumento però, come è agevole vedere è ben lungi dal compensare ‘ la perdita dovuta al semplice abbassamento di livello, cosicchè «< erto non si commette un errore per eccesso stimando in non meno di 700 km.° la perdita subìta nel primo interstadio dalla superficie di ablazione dei ghiacciai. Siccome nel Wiirmiano la superficie di ablazione era di 1160 km.°, nello stadio di Chambave al massimo può essere stata di 460 km.®, che sono circa i ?/; di 1160, cioè più prossima ad un terzo che alla metà della superficie wiirmiana. E dato . il rapporto pressochè costante fra superficie d’ablazione e superficie totale del ghiacciaio può ammettersi che dal Wirmiano allo stadio . di Chambave la superficie dei ghiacciai si sia ridotta a molto meno x della metà della primitiva, vale a dire è in tale interstadio che la | riduzione è stata massima e di gran lunga superiore a tutte le suc- Cessive prese insieme. ni s e ° è £ \ T 090 % had = vi È ? cS ‘ ì) 186 VITTORIO NOVARESE 0.0. TEN VENI Ie Se fosse lecito dedurre con rigore geometrico dalla riduzione della superficie dei ghiacciai 1’ innalzamento della linea nivale, basterebbe, per avere la quota cercata, trovare quale è l’isoipsa della valle che circoscrive un’area uguale alla metà o ad un terzo di quella circo, scritta dalla isoipsa 2000, limite climatico wirmiano delle nevi. Anche senza tentare sopra una carta tcpografica questa ricerca, certo molto laboriosa, possiamo convincerci che troveremo così delle cifre elevate e superiori di molto al limite determinato con altro metodo (2400 m.). Infatti sappiamo che la isoipsa 2000 m. racchiude 1975 km.*, area di molto superiore alla metà dell’area totale della valle, che è di 3380 km. fino ad Ivrea. Questo è un segno di fortissima altitudine media, superiore ai 2000 m., e per ciò addirittura non molto discosta dalla metà dell’altezza massima di 4807 m. al Monte Bianco. La forma topografica è adunque tale che al disopra di 2000 m. non soltato picchi isolati ma vaste aree hanno quota elevatissima, cosicchè è da ritenersi che le superfici racchiuse da isoipse di quota crescente non ostante le grandiose accidentalità vadano diminuendo in modo relativamente regolare e non troppo discosto da ciò che avverrebbe delle corrispondenti in un cono di ugual base ed uguale altezza, in cui la diminuzione si fa secondo la legge dei quadrati delle altezze. In tal caso anche senza fare un calcolo numerico può affermarsi che una superficie che stia fra la metà ed il terzo di 1975 km. sarà circoscritta da una isoipsa certo più vicina ai 3000 che non ai 2000 m. ] Queste considerazioni geometriche condurrebbero però ad un risultato erroneo e le ho fatte soltanto per stabilire un limite mas- simo di altezza. Però rivelano la ragione esclusivamente morfologica del grandioso sviluppo del ghiacciaio wiirmiano in Val d’Aosta, non ostante la grande elevazione della linea nivale, certo la maggiore del Sistema in quel periodo. La linea nivale, scendendo fino è 2000 m., ha portato nella regione delle nevi perpetue pressochè i due terzi della superficie della valle, sommergendo sotto la lingua glaciale risultante non solo quasi tutto l’altro terzo ma anche l’area di pianura circo- scritta dall’anfiteatro al suo sbocco. PRI a . i | IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 187 Per quanto riguarda la diminuzione della superficie del ghiac- ciaio, in realtà l’innalzarsi della linea nivale ed il conseguente sgombro delle valli profonde dai ghiacciai ed ingrandimento della zona di terreno libera di nevi fra la linea nivale stessa e la lingua glaciale, fece riacquistare efficacia ad un agente di smaltimento delle nevi, indipendente dal ghiacciaio, la valanga, la cui attività era ridotta al minimo dalla quasi totale invasione della valle,. Per ciò dell’area che in uno stadio rimase al disopra del limite delle nevi perpetue, solo una parte smaltì le proprie nevi mediante i ghiacciai, un’altra ne fu liberata esclusivamente dalle valanghe. Il rapporto ‘ fra le due porzioni variò coll’innalzarsi della linea nivale a favore dell’ultima. Per ciò la diminuzione dell’area al disopra della linea nivale, quando questa si innalza, non è direttamente proporzionale alla diminuzione della superficie di ablazione glaciale, ma è più lenta. Per convincersene basta pensare ai molti gruppi montuosi della valle d’Aosta che pure superando i 3200 m. non hanno attu»lmente ghiacciai oppure li hanno in una misura di gran lunga inferiore alla loro superficie al disopra del limite delle nevi. perpetue. La stessa superficie totale di 300 km.° dei ghiacciai odierni che pure comprende porzioni le quali scendono fino a 1500 m. è molto più piccola della superficie orografica superiore ai 3100-3200 m., massima altezza del — limite delle nevi oggi, che sarà di 500-600 km. almeno. E quanto più progredisce la suddivisione dei ghiacciai tanto più sensibili diventano queste influenze topografiche, perchè in ultima analisi la causa dell’azione ognora prevalente delle valanghe è sem- pre la morfologia. Un esempio tratto da uno dei casi che più minu- tamente ho descritto, varrà meglio di qualunque considerazione teo- retica ad illustrare quest’influenza della forma del terreno sulla ridu- zione dei ghiacciai in funzione dell’innalzamento della linea nivale. Nella Valsavaranche per l'apparato frontale di Degioz dello sta- dio è o di Courmayeur, abbiamo determinato in 2800 m. circa __l’altezza della linea nivale. La fronte stadiale del ghiacciaio giun- geva sino al ponte di Leviona verso la quota di 1575 m.; il circo N) VITTORIO NOVARESE. di raccolta comprendeva tutto il crinale superiore della valle dalla Punta Bianca della Grivola ad oriente, fino alla Roletta ad occidente. Tutto il piano del Nivolet fiancheggiato da creste superiori ai 3000 m. era coperto dal ghiacciaio, la cui superficie totale doveva essere di circa 70 km.' con una lunghezza massima dalla Mare Percia a Degioz di 14 km., ed una larghezza di 10, dal Gran Paradiso al Tout Blane. Attualmente secondo i computi del Baretti la superficie dei ghiac- ciai superstiti in Valsavaranche è di 24 km.', mentre il limite cli- matico delle nevi è di 3100 almeno. Qui per un innalzamento di 300 m. si è avuta una riduzione di circa due terzi nei ghiacciai, ma dipende da ciò che questi 300 m. sono bastati per portare al disotto del limite delle nevi perpetue tutti i vasti altipiani del Vallone del Nivolet che da solo rappre- senta quasi la metà dell’area perduta. Tornando allo stadio di Chambave ricorderò che coll’osservazione delle morene di Parlea ho stimato la quota della linea nivale dello stadio in 2400 m. circa, e siccome essa si riferisce al gruppo del Monte Mary con altezza di 2875, non è probabile che pecchi per eccesso ; anzi le considerazioni geometriche poc'anzi esposte fanno piuttosto temere un errore per difetto, il quale però, sempre per la limitata altezza del monte, non potrà essere superiore ad un centi- naio di metri. | , L’innalzamento della linea nivale nel primo interstadio è stato | adunque il maggiore di tutti, misurando da 400 a 500 m.; fra l’ul- timo stadio e l’attualità è stato di 300 m. (Valsavaranche); nei due stadii intermedii non può quindi essere andato oltre i 200-250 metri per ognuno, visto che la somma totale deve essere di 1200 m. Queste deduzioni sono confermate dalle indicazioni date dalle posizioni degli anfiteatri stadiali ancora conservati nelle varie valli, ad esempio in Val d’Ayas, per cui sono ammissibili. (O ART. ‘ ri ig Pai oitiv; Ò I è +, Pi I : Li 4 sa "7 Y < . ; { lai 103 v A i | ‘IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 189, } Caratteristiché individuali dei ghiacciai wirmiani in dipendenza del fattore morfologico. Un confronto fra i ghiacciai wirmiani delle valli maggiori lu- meggia anche meglio l’influenza esercitata sulla loro estensione e forma dalla configurazione e dall’altitudine di ciascuna valle ed illustra le considerazioni svolte finora. Per agevolarlo ho raccolto in una tabella alcuni fra i più caratteristici dati numerici riguardanti i tre maggiori ghiacciai wiirmiani. Dimensioni e dati altimetrici relativi ai ghiucciai wirmiani della Stura di Lanzo (I) dell'Orco (II) e della Dora Baltea (III). i Ri II III l° Lunghezza della valle attuale . . .inKm. 30 (1) DI (2) 107 8) » » » nel Wirmiano. » SM 44 ? (4) » massima del ghiacciaio . >» #5 45 126 » della lingua glaciale: . . >» 21 dip 110 5° Quota del limite delle nevi perpetue BING AO e“ m: "1900 1950 2000 6° Quota suprema della valle . . . . » 36765) 4061 (6) 4807 7° » terminale del ghiacciaio. . . » 550 250-300 8° Larghezza massima del ghiacciaio . inKm. 1,5-2 9,5 pigro Eotenza: massima: |... LL. nm. 400 1350 «10° Superficie di ablazione . . . . .inKm? 65 105 1160 11° Area di valle tributaria del ghiacciaio . » 254 337 (7) 3329 aprono fra Ri e 100. a 3,8 dee 2,87 13° Pendenza, della lingua glaciale... .. . 645% 417% 15,75% NOTE. (1) Dalla Levanna Orientale (3555) a Lanzo. (2) Dal Col del Rossetto a Cuorgnè. (3) Dal Monte Bianco ad Ivrea. ; (4) Dedotta la parte fra il col del Rossetto ed il bacino dei Chiapili tributaria nel Wirmiano del ghiacciaio valdostano. Vedasi la parte I. (5) Uja della Ciamarella in Val d'Ala. i (6) Gran Paradiso. Se il ghiacciaio dell’Orco si fa incominciare dal Gran Pa- Tradiso invece che dalla Levanna, la sua lunghezza massima sarebbe stata di 39 km. (7) Dedotta l'alta valle di cui a nota (4). VITTORIO NOVARESE Le valli di Lanzo strette fra giogaie parallele, di altezza modesta, senza valli laterali importanti, rappresentano il tipo ideale delle valli semplici. Le due valli di Chialamberto e di Ala hanno dato ‘origine ad un ghiaceiaio che può dirsi a bmon diritto gemino, perchè composto di due rami pressochè uguali congiunti soltanto alla loro estremità inferiore dal breve tratto comune Ceres Pessinetto. Le massime ele- vazioni rispettive Levanna Orientale (3555) e Ciamarella (3676) sono in capo ad ognuna di esse; il ghiacciaio non ha potuto uscire nella pianura ed è rimasto entro valle. La caratteristica della valle dell’Orco è la diversità dei versanti, tanto che potrebbe essere paragonata ad una profonda fossa di rac- colta, ora delle acque, ed a suo tempo dei ghiacciai del versante me- ridionale del colosso che la domina, il Gran Paradiso (4061). Non dai monti in capo alla valle, ma da questo gigante laterale aveva il ghiaccio wiùrmiano veramente il maggiore alimento ; il bacino di Cere- sole dava bensì un affluente cospicuo ma subordinato, e come ho già spiegato era assai meno esteso dell’attuale perchè la sua porzione più alta fu tributaria del ghiacciaio augustano. La vicinanza alla pianura del poderoso massiccio del Gran Paradiso, che si sviluppa in vasti altipiani nella sua parte suprema (Noaschetta e Moncimour) spiega come da una valle relativamente modesta il ghiacciaio dell’Orco abbia potuto svilupparsi ed uscire nel piano: dirò anzi fra breve quale sia stata la ragione per cui questa espansione non fu maggiore. Nella Valle d’ Aosta tutto ha concorso all’incremento del ghiac- ciaio; un vasto anfiteatro di massicci elevatissimi, i supremi del Si- stema, da cui le valli convergono ad un bacino centrale portandovi un tal contingente di ghiacci che per uscire dal canale di deflusso formato dalla valle inferiore, pure stretta fra monti altissimi, ha do- vuto superare i 1300 metri di potenza nel tratto fra Verrès ed Arnas. Una delle cause che più hanno influito sopra questo straordinario sviluppo è la fortissima altitudine media dell’intiera valle, che come abbiamo dimostrato poche pagine prima, è superiore alla quota di 2000 metri, limite nivale del W iirmiano. ì » i Ret - MERITATA | IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVESE 191 Azione delle valanghe. L’influenza dei fattori topografici (altitudine media, forme topo- grafiche ecc.) sopra lo sviluppo glaciale è meglio che da qualunque considerazione rivelata da un indice numerico, che è il rapporto fra la superficie totale di valle che colle nevi può tributare al ghiac- ciaio, e la superficie di ablazione di questo, rapporto che esprime il numero di km.° di superficie totale di valle per ogni km.® di campo d’ablazione. Si può ritenere che sia stata tributaria del ghiacciaio O direttamente o per mezzo delle valanghe che potevano cadere su di esso, tutta la porzione di valle sopra e sotto il limite delle nevi che è a monte della sezione in cui incomincia l’anfiteatro terminale. Per i ghiacciai della Stura questa sezione corrisponde alla con- fluenza e rimane a monte di Ceres; per l’Orco è la stretta a monte di Pont, non avendo la Val Soana portato al ghiacciaio alcun con- tributo. Per la Val d’Aosta è la sezione al ponte di Quassolo o di Andrate, o meglio ancora quella di Pont St. Martin che limita un area di poco minore, non avendo a valle di essa più ricevuto il ghiacciaio alcun affluente. I valori di questo rapporto per la Valle Stura, Val d’Orco, e Valle Dora sono rispettivamente 3.83, 3.2, e 2.87 cioè vanno dimi- nuendo col crescere dell’altitudine media, ed anche della grandezza della valle. Siccome nell’ area tributaria di ogni valle è compresa una parte considerevole della superficie di ablazione, esse ci dicono inoltre che il rapporto di 2 ad 1 fra il campo di alimentazione e campo di ablazione si verificava non solo in Val d’Aosta ma anche nelle valli contigue, ed aveva pel versante meridionale del Sistema Alpino va- lore generale non sensibilmente influenzato dalla maggiore o minore altitudine. Dov’ è adunque la causa della sensibile differenza fra i tre nu- Mmeri3:8, 3.2 è 287? Il confronto colle pendenze rispettive dei tre ghiacciai lo rivela subito; i numeri crescono col crescere della pendenza, ovverosia colla rapidità con cui la superficie glaciale di ablazione si allontana dal f % e divi e asa it Wi; ri sai i î- 19200 VITTORIO NOVARESE limite delle nevi perpetue che corre sulle montagne laterali di ogni valle. Quanto maggiore è la pendenza tanto è maggiore, relativa- mente per ogni singolo ghiacciaio la zona che rimane compresa fra i suoi margini e le nevi perpetue dei monti che lo fiancheggiano. Questa doppia striscia laterale sgombra di ne vi nell’estate costituisce un campo di ablazione sussidiario, indipendente da quello del sistema di ghiacciai di ciascuna valle ed alimentato esclusivamente dalle va- langhe, alla cui azione abbiamo già fatto cenno due volte nelle pa- gine e che precedono, e che possiamo ora analizzare brevemente. Ufficio della valanga è di smaltire l’eccesso delle precipitazioni nevose sulle porzioni fortemente inclinate di un bacino montano, portandolo rapidamente sopra un suolo inferiore di minore inclina- zione. Se il luogo di caduta è al disopra della linea nivale le nevi andranno ad alimentare il ghiacciaio ; se al disotto scompariranno per ablazione indipendentemente da questo, salvo nel caso ecce- zionale che precipitassero sopra di esso, in cui contribuirebbero in- direttamente alla sua conservazione, preservando temporaneamente dall’ablazione ordinaria l’area che ne ricoprono. E’ evidente che l’azione della valanga nel bacino tributario-di un ghiacciaio sarà tanto più efficace a detrimento di questo, quanto maggiore sarà la super- ficie compresa fra il limite orografico effettivo delle nevi perpetue edi margini del campo di ablazione, la qual cosa ci è rivelata dal rapporto numerico di cui ho illustrato l’importanza, e che potrebbe chiamarsi l’indice di efficacia delle valanghe in un determinato ba- cino glaciale. Esso dipende essenzialmente dalle forme del terreno, e come ho già detto discutendo la questione del limite delle nevi negli stadi, aumenta di valore col diminuire delle dimensioni dei ghiacciai di ogni valle. Quest’azione delle valanghe serve anche a spiegare le enormi differenze che si trovano nel rapporto fra i campi. di alimentazione e di ablazione in ghiacciai attuali, comparabili in tutte le altre condizioni all’infuori di quella delle forme topografiche. a ina ‘ [24 PI 18°, 7 PS La - D'AOSTA E NELLE VALLI DEL CANAVES DIFFLUENZE. In queste valli delle Alpi Piemontesi circoscritte da creste ele- vatissime e non comunicanti fra loro mediante alcun profondo solco orografico longitudinale, non si verificano mai quelle transfluenze così frequenti nei ghiacciai insubrici, in cui tutte le singole cor- renti glaciali sono state congiunte le une colle altre da bracci com- pletamente al disotto del limite delle nevi perpetue. In ciò stà una caratteristica differenza fra i ghiacciai quaternarii delle Alpi Piemon- tesi fino allo spartiacque orientale della Valsesia, e quelli insubrici fino alla catena dell'Adamello. Apparentemente i grandi ghiacciai considerati non presentano neppure tracce di quelle diffluenze così caratteristiche nei ghiacci a lombardi dalla Toce all’Oglio, e manifeste pure nel bacino Adige— Sarca. Ma un esame più approfondito rivela anche per essi la dif- fluenza in forma meno evidente ma innegabile. Nei ghiacciai insubrici molte delle diffluenze sono avvenute Hola pianura: così il ghiacciaio dell’Ossola verso il lago d’Orta ed il Ver- bano ; il ghiacciaio del Ticino verso lo stesso lago Maggiore e quello di Lugano, ecc.; invece nei ghiacciai piemontesi il fatto della dif- fluenza si è verificato sempre con un ramo verso la pianura e l’altro entro valle, invadente a ritroso una tributaria. | E’ nella valle dell’Orco che la diffluenza è più chiara: il ghiac— ciaio, uscendo a Pont dalla propria valle, si bipartiva e mentre un suo ramo continuava verso Cuorgn è, l’altro irrompeva, risalendola, nella : Vai Soana inferiore, come già ho detto nella parte I, rilevando che un fatto simile è accaduto pel ghiacciaio dell’Ossola in Val Strona di Omegna. Per ciò l'apparato frontale della valle dell Orco era doppio: incominciava colle morene tuttora conservate a N di Pont sul fianco destro della Val Soana inferiore, la attraversava probabilmente verso Stroba, e risaliva il fianco sinistro della valle fino alla Madonna di . Bellosguardo per congiùngersi coll’apparato di Cuorgnè. Questo sfogo laterale è forse la ragione per cui il ghiacciaio dell’Orco non si spinse più avanti nella pianura. TP NVITTORIO NOVARESE! "o @0e n bea, Nella Valle d’Aosta la diffluenza non è che una presunzione fon- ul data sulla scarsità di morenico nella parte inferiore della Valle della Lys. Ho già insistito sopra l’analogia nella distribuzione del morenico in questa valle e nella Val Soana, cosicchè sembra assai probabile che il ghiacciaio wiirmiano abbia mandato un suo ramo in questa valle risalendola per lo meno fino ad Issime. Nel qual caso l’apparato frontale completo del ghiacciaio valdostano incomincierebbe anche qui a sinistra sul fianco occidentale della Val .Lys, ed il morenico che si trova sulla sinistra della valle maestra dal Plan de Chenally fino allo inizio della Serra, anzichè essere una morena laterale, ne farebbe parte col carattere di morena incidente analoga a quella di Masino nell’anfiteatro eporediese. Ra v segno © ©» Sa ver ta 7 è (1 HI di ; “ 7 SI PMOZATA | ATERNARIO IN VAL D'AOSTA E NELLE VALLI DEI CANAVESE Il quaternario in Val d'Aosta e nelle valli del Canavese INDICE GENERALE PARTE I. Vol. XLII, pag. 251. Il morenico nelle valli del Canavese. La Val Chiusella, 253. — / depositi morenici prewirmiani, 255. — Il ba- | cino di Rueglio, 258. — Il bacino di Issiglio, 259. — La valle dellAssa, 259. — Il massiccio della Verdassa, 260. — La valle dell’Orco, 261. — L'apparecchio frontale, 262.— Le morene laterali entro valle, 263. — Il bacino superiore, 264. — La val Soana, 265. — Ramo del lago d'Orta del ghiacciaio dell’Ossola, 268. Tracce di glaciazioni prewirmiane, 269. — Falde orientali del Monte Soglio, SIL «| — Valli dei Tessi, 21. — La Val Grande di Lanzo, 273. — Gli stadii post- glaciali, 275. — La crosta eluviale delle pendici prealpine esterne, 277. PARTE II. Vol. XLIV, pag. 203. Il ghiacciaio wiirmiano della Val d'Aosta. Cenni bibliografici, 204. --- Considerazioni topografiche, 205. — Limite delle nevi permanenti nel Wilrmiano, 209. — Le morene wilrmiane entro valle, 213. — Morene di destra, 214. — Morene di sinistra, 217. — Forma, dimensioni e | caratteri del ghiacciaio, 219.— Profilo longitudinale del ghiacciaio wùrmiano,219. | — Proporzione fra ghiacciaio e nevato, 224.— Aree non coperte dal ghiac- ciaio, 227. — Volume del ghiacciaio, 221. — Portata probabile del ghiacciaio, 228. . — Le precipitazioni nel Wilrmiano, 236. i $ | VITTORIO NOVARESE — IL QUATERNARIO IN VAL D'AOSTA ECC PARTE III. Vol. XLV, pag. 137. Gli stadii postwiirmiani. Stadii e soste, 138. — Modo di ritirata dei ghiacci nella valle, 139. Capo I — LA VALLE INFERIORE, 140. — Valle principale, 140. — La sosta di Verrés, 143. — L’oscillazione di Chatillon, 145. — Lo stadio di Chambave, 150. Capo II. — LE TRIBUTARIE DELLA VALLE INFERIORE, 153. — Ultra escava- zione e valli pensili, 153. — Le valli minori di destra. Champorcher, Chalame, Clavatité, 154. — Le grandi valli di sinistra. — Val della Lys, 157. — Valle dell’Evangcon, 160. — La Valtournanche, 163. Capo llI. — LA VALLE SUPERIORE, 165.—Il circo delle Graie, 167. — La Cote. de Gargartua, 168. — Il circo Balteo, 172. --- La Valdigne, 174. — Le morene laterali, \75. — Terreni prewùrmiani non glaciali: / travertini, 177. Capo IV. — ConcLUSIONI, 180. — Prewèùrmiano e terrazzi in roccia, 181. — Morene laterali wùrmiane, 181.-— Stadii postwitrmiani.— Oscillazioni 182. — Equiralenze?cronologiche, 182. — Quote stadiali della linea nivale, 183. — Caratterist che individualiidei ghiacciai wùrmiani in dipendenza del fattore morfologien, 189. — Azione delle valanghe, 191. — Diffluenze, 193. Gli apparati frontali dei ghiacciai quaternari nelle valli della Dora Bàltea, dell’Orco e della Stura Boll. R. Com. geol. d’ Italia, Vol. XLV V. NOVARESE, Tav. I ARnr ì s £ NZAM- = (4 Va R ES, mi INNTEZ |a MCV 3 7 ua Va ont j 7 3 7 dita AZ 199 24° i ME Nos Duras \ ZA INIT bs = ebano | AS corblerit fiche VS {Palm ; C'@lenche! f etgtailton So Sorci, MITTE a Ca AN fel 1347 Da >. é “Gigante f TS 4 A SeRochèw 33260 Bi pra ABsadlla das “les oihes C'Vora MM POR:S = 400x-% È xa x AT Ri Golia (I rande VS" Rif*Sella: “a zio 07 + gipo < ani BIT E ot esa Eroju 2538 DU, ai 1676, [ LIS Chamois og. i Vacgues La Saxe Hic} vo fo 19450 im Combal 1A & ne È ‘que re s.Duli EER 3127 5; 1 Graulolg Sol À 2464 hl 0465, Qad 0) 9A e icgna 7 UTTRAY (2201 Mag dei / 3 9 (alananr La Salle | qs Fallore 3061 ylaBalnie Trurgle » ei To, Ven. Sodi "Ì ted i ; ts, A EL) allant erre ek PR ASIO) QNey SI or ST dl Sons ) A)/0 S ) .. 3006 è 0 Tiudiezaz SEO v a eGssogt) ENCIMETO), Ospizi x \CX SEL Se "Grano Oval Node ta d174 m & dial Dondueil “ U ch vy ) rornet/{(S dea 2680 ‘Lor o) £ — gi ats EI a seta Suprrche: pPontbozek 2898 Ret: Rosa NE Bauéhi Le | mM ina br Uerloz Ai ae oh SL cre. RI Fheeml) 4 nt 30 PGISIere M.stalia +3270 246 \ 3708 Maori | Brevieres lal'lagne gd sese “AO } 329160vincirietto IS la i Ta DI Settimo : pra I Vittong 7 2 v "o \)i Tagversella Ag E e} 65 CÎ Va ) N Givino dÌ Romeo Gran x Ahumel, 54 \ ff: #0Ù1 GS ssicro/ ; Dil (da Ss Tasenta 360% NESS tri Afiue e m. ciaforon d E MIGRILI ni | ‘Font } k SY Tgr bi Sg _/ 18599 L IT) \ Val d'ISérò gx af 1663 \ 'oschiettera 9 dA Nivolet di Goui TA pile ì RI Ceresole Di / 1868 (Re sc4 A, Valsoani L04T- - M. ani o f Lp ©) (OA) 3; sceian Tor: ix 2n9,4 S SIONANPEA lar -NSGTÙ Cee Sorg {Arc Liana! (O IF Mena n 3026 Bonneval TA ch, be cfsngda de oche” Dig 8° *RoeNoir Ci E 1970 mM. Sog lio, frascorsano) lA Bohzio ld Miglanihe rto RA ; 35 luntschio o- Fi ‘rn Uja Ciafiracella 1 UHarara N ) 20; YI UjaMondione C'Utia\ N e 7 Noi dla er a) S Te (EI sa i ona. Di ale i a Croce D' Sade! * "3676 À veroliCotteriv Ritorna & Tra IZZLIZA N fer 62€ Lanslebourg 57, E = ans sa + + \ cal a Ldrsdie | LE Hi INA “della Rossà. Go Praida 4 (MAN 1925 A e, pid > iCuetkà : x De E pago n a) Moggi CS a Teli NED “Meja ) pmore SM Maro 53 ì L TESI sorde Grag mn ARR ZZA787] TRI LE DIS M arti * VED (ada RE Vanzone), | SPE lu Villa % da cugndigoz nord ‘ 7) v RAC | a Cignaga Lf 265% 24820 Aurcoforo ba °\ Aima hi Aaa 19 fin sco a Falilobbia n) ‘€ diglimo - 13896 s Magna Valsesia == DA 5 ainng, “abita Scopa VA (e 1930. “; VA \9A77) esso VAUT: tieppi Pe; _7IWetro \ \ \ BIT lario” Postwiùrmiani: x) Alluvioni dell’osci!- lazione di Chatillon (Achen). | Prewiirmiani (Rissiano, Mindeliano?). [n | f) Stadio di Chambave (Biùhl). ” ” IST. GEOGR. DE AGOSTINI (Soc. Anon, Editr.) - (E Postwirmiani: Y NOVARA ) Stadio di Aymaville (Gsehnitz). è) Stadio di Courma- yeur (Daun). Boll. R. Com. geol, VOL. XLV V. NOVARESE, TAV. II Fig. 1 — Mont Chetif (2343). Courmayeur. - Arrotondamenti glaciali della vetta Fig. 2 La Cote de Gargantua presso Gressan. Morena dello stadio di Aymaville Boll. R. Com. geol. VOL. XLV V. NOVARESE. TAV. III a è -» a Tà ni + 2 fa te Fig. 1 — Col de Joux (/638 m.), che fu scavalcato dal ghiacciaio maestro Fig. 2. — La morena stadiale di Courmayeur veduta dalla strada del Piccolo San Bernardo sopra Prè Saint Didier. FOTOINCISIONE ». 5, MICMNELE «ROMA a ai 4 sa c so Del Ce Pai è # . i) LI » ‘ o dr è f PACO III. VENTURINO SABATINI CONSIDERAZIONI SISMOLOGICHE A proposito del terremoto di Linera dell’ 8 Maggio 1914 Il Dott. Martinelli, al quale si deve l'istituzione d’una critica sismologica molto minuziosa, che egli, con l’abituale modestia, chiama «rassegna », a proposito delle mie Note sul terremoto di Linera dell’ 8 maggio 1914, scrive che io «evidentemente ignoro » che a Pennisi e alle Grazie «i danni si verificarono il giorno 7 maggio alle «182% e furono solo di poco aggravati dalla scossa dell’ 8, ciò « che fa escludere del tutto la possibilità d’includere la regione Pen- « nisi-Grazie nell’area epicentrale del terremoto di Linera ».* Se però il Dott. Martinelli, che fu sempre assai diligente nelle sue critiche, avesse letto attentamente ciò che ho scritto a pag. 267 della mia memoria avrebbe trovato che furono i muri abbattuti il 7 che allarmarono la popolazione, la fecero uscire all’aperto, e la salva- rono dalla scossa dell’3; e a pag. 269 avrebbe appreso che la frat- tura di Pennisi, causa per me probabile, sia pure in parte, dei danni di Fiandàca e delle Grazie, « fu una riapertura che avvenne «17 e si accrebbe V8 ». Perciò « evidentemente », ma contrariamente all’affermazione del Martinelli, io non ignoravo che la scossa del 7 fu così disastrosa da produrre crollamenti. La discrepanza fra me e il mio egregio con- tradittore sta nella valutazione delle due scosse. Pel Dott. Martinelli ! Roll. Com. Geol. d'It., 1914. ? Boll. Soc. Sism. It., 1915. 3A s» s A Rei VENTURINO SABATINI quella del 7 « fu di poco aggravata 18 »; per me le due furono ugualmente forti, e quindi è danni del 7 furono di molto, e non di poco, aggravati il giorno dopo. In tale affermazione sono d’ accordo col Prof. G. Platania, che stampò essere state le due scosse « d’intensità poco diversa!». E il Platania è buon testimone, poichè è nato e vive gran parte del suo tempo in Acireale, e de’ fenomeni delle re- gioni etnee è diligente ed assiduo studioso, tanto che fu guida pre- ziosa a tutti coloro che si recarono a visitare gli effetti del terre- moto in discorso. Se dunque lo scuotimento disastroso che si manifestò a Malati Linera e Passopomo, mentre si attenuò nei dintorni di tali abitati, ebbe un forte rinforzo nella Regione Pennisi, tanto da uguagliarvi la scossa del giorno prima — che anche secondo il Martinelli fu abba- stanza disastrosa — era logico ritenere che questa regione dovesse rientrare nell’area epicentrale. Una simile deduzione era tanto più logica in quanto io nell’epi- centro ho incluso due zone, quella di rovina completa e quella di rovina forte ma parziale. Nè ho dimenticato di aggiungere che la mia era « una prima approssimazione », ciò che significa che studii succes- sivi e più estesi potevano correggerla, proprio come per l’epicentro segnato dal Martinelli in un suo studio preliminare.® Difatti i dissesti dei dintorni dello sbocco Nord della galleria di Santa Tecla, che il Prof. Platania ed io mettemmo nell’area epicentrale, il Martinelli re- lega al VII grado Mercalli, mentre il binario vi fu contorto, una ga- ritta abbattuta, e vi furono case crollate completamente a monte e a valle, oltre la casa Greco crollata in parte. Chè se il muro di sostegno della trincea ferroviaria fu dissestato e demolito solo in qualche punto ciò fu dovuto alla sua solida costruzione. Ad una eguale conclusione potrei venire pel cimitero di Zafferana (Rocca ! Sul periodo sismico del maggio 1914, ecc. R. Ac. di Acireale, 1915, nota 1 a pag. 32 dell'estratto. ? Boll. Min. Agr., luglio 1914. ® V. SABATINI, loc. cit., pag. 272. | —‘’©ONSIDERAZIONI SISMOLOGICHE Dig sé Y d’Api), le cui tombe furono sconvolte nel modo da me descritto e figurato ! e che, mentre Platania ed io includemmo del pari nell’area epicentrale, il Dott. Martinelli mise nell’ VITI grado. Ma ciò che per me era essenziale era di stabilire se, secondo l’ipotesi di Platania, la direzione degli assi degli epicentri — con- temporanei o successivi, a me poco importava — coincideva con quella delle zone fratturate — ciò che m’importava moltissimo, giacchè ne risultava una forte presunzione sulla causa, 0 sopra una delle cause del disastro. Ì Il Dott. Martinelli dice pure essere di « opportunità dubbia » il rapporto fra il numero delle case crollate e quello degli abitanti. Invece si tratta d’un concetto già applicato e di evidente « oppor- tunità ». Senza arrivare alla concezione del compianto Mercalli che riteneva essere « in generale evidente che la violenza d’un terremoto « si argomenti non dal numero assoluto, ma da quello relativo dei «morti e feriti»,î è noto che in generale i danni di un terremoto si sono sempre valutati dal rapporto tra il numero delle case cadute e il numero delle case esistenti o delle famiglie. Ma andava notato che fui proprio io ad osservare che tale valutazione è poco precisa, e che è errato considerare la « casa », che è assai mal definita, come sinonimo di « famiglia », ed è quindi errato dedurre il numero delle case, che non sempre è calcolato ed è sempre male calcolabile, da quello delle famiglie che è calcolato nel censimento. Io perciò consigliai di sostituire all’ unità « casa » l’unità « vano » che è meno incerta. Però soggiunsi che, man- 1 Loc. cit., pag. 278 e seg. ? I forti dissesti delle tombe potrebbero sembrare in disaccordo col porticato rimasto in piedi, sebbene più o meno danneggiato ne’ suoi diversi punti. Ma in uno studio definitivo e completo l'esame della struttura di tale porticato avrebbe potuto spiegare l'anomalia, che io spiegai sommariamente dopo un rapido esame (pag. 278). ® Contributo allo studio del terremoto calabro-messinese del 28 dicem- bre 1908. Atti R. Ist. d’Incoragg., Napoli, 1909, pag. 14 dell’estratto. * Contribuzione allo studio der terremoti calabresi. Boll. Com. Geol., 1909, Roma, 1910, S 7. pre, LI ivo hs Pal LR dis” | leo ic bi ivo 200 | VENTURINO SABATINI © (O SOI e Tie CERI ue dI es ,. cando il secondo elemento, si doveva per necessità accontentarsi del primo, considerandolo all’ occorrenza come equivalente dell’elemento « famiglia ». E se ne accontentava anche Mercalli, come può vedersi dalle tabelle da lui pubblicate.! Il ragionamento su cui si fonda tale valutazione è molto semplice. Difatti si sa che nei piccoli cen- tri ad ogni casa corrisponde una famiglia, poichè con 1 aumento continuo della popolazione non solo non restano case vuote, ma se ne costruiscono di nuove per le nuove famiglie, ciò che permette di sostituire il numero di queste al numero di quelle. Ciò posto io ho considerato che la famiglia, in generale ed in media, si compone di quattro persone ® con variazioni di un decimo (da 3,9 a 4,1) nel maggior numero dei casi. Così dall’ ultimo censimento, limitandoci alle località colpite dal terremoto dell’ 8 maggio, risulta che il numero medio di membri delle famiglie è rispettivamente : Zafferana . . DELE Fletic fed vee i 3,6 Viagrande . | 3,8 Tremestieri... . - 3,9 Guardia Sciare ; Mari Pisano... i Bongiardo . . vi . 3,9 Cosentini . : n a: Lines e. E v. SARI AI Santa Venerina size fa 440 Mangano è: >, urti; Quindi il numero delle case, ammettendo sia uguale a quello delle famiglie, è proporzionale al numero degli abitanti; e perciò al rapporto case cadute a case totali si può sostituire l’altro di case _ ! Loc, cit. ? Nelle famiglie così considerate rientrano gli scapoli come famiglie di una persona, senza di cui la media del numero di membri delle famiglie salirebbe a cinque, secondo è ammesso nei progetti del Genio Civile. r Ta À 1, è - 201 | CONSIDERAZIONI SISMOLOGICHE cadute ad abitanti, col coefficiente di proporzionalità La) Da ciò ri- sulta che io non < ignoravo » nulla, ma, salvo un piccolo cambia- mento di forma, quale la sostituzione degli abitanti alle famiglie, non ho fatto che seguire il metodo adottato da molti sismologi, in mancanza di elementi più precisi. Del resto le deduzioni che si ti- rano da tali valutazioni non hanno nulla da perdere, perchè sono infette da errori dello stesso ordine. Il Dott. Martinelli mi fa dire che l’ interpretazione dei fatti pro- dotti dal terremoto sia difficile. Mi duole che le mie parole non vengano riferite esattamente. Io ho detto che sono fallaci « i calcoli « dell’intensità e direzione delle scosse sulla base degli effetti pro- « dotti » come poteva capirsi alla sola lettura del titolo dell’ ultimo paragrafo della mia memoria. Il mio sarà « un concetto noto uni- versalmente », ma ciò non toglie che molti studiosi di moti sismici furono di diverso parere e credettero dai fatti osservati poter de- durre il valore dell’intensità e la direzione delle scosse. Anzi ritennero che perfino la profondità dei centri sismici, che molte volte non esi- stono affatto, e molte altre hanno estesissime e non definibili loca- lizzazioni, si potesse calcolare dalla rappresentazione grafica del terremoto, cioè dalle curve supposte isosismiche (taluni ricorsero ad- dirittura alle omosismiche), e che invece per ora sono intenzional- mente ciò che io chiamerò isoblabiche, ma co’ danni valutati ad occhio e croce e nei soli siti dove c’è roba molto evidentemente danneggiabile. Non sarà inopportuno ricordare qui l’opinione di F. Fouqué, esposta nel suo piccolo volume su Les tremblements de terre, a proposito delle isosisme. Il volume sarà un po’ antiquato, ma il tracciamento di tutte le specie di curve sismiche (isosismiche, omo- sismiche, isoblabiche) da quell’epoca non è affatto divenuto migliore. Fouqué dunque, a proposito della posizione dei centri di scossa, «ou ce que l’on appelle encore quelquefois le foyer d’ un séisme », ‘1 Dopo i terremoti disastrosi importa agli ufficii tecnici locali il conteggio del numero delle case danneggiate e crollate, e non già il numero delle case totali, e pel sismologo non c’è convenienza a far da sè un tale conteggio. | * Paris, Baillière, 1889. Pi e | VENTURINO SABATINI — r dice :! « Assurément ces conclusions, considérées comme absolumen ‘ rigoureuses, dépassent Ia limite des observations, car la décrois « sance de l’intensité des secousses d’un tremblement de terre n’ « jamais été déterminée mécaniquement avec précision; jamais on «n’a donné un tracé certain des courbes isoséistes et méme on est en droit de se demander si le défaut d’ homogénéité des masses qui composent l’écorce terrestre n’empéchera pas à tout jamais d’atteindre le degré d’exactitude cherché...... ». E più avanti: * Quand les courbes isoséistes seront tracées non plus -d’après les effets mécaniques produits GROSSIÈREMENT APPRECIES, mais d’après les intensités véritablement établies d'une facon scientifique, on sera encore en butte à de nombreuses causes accidentelles d’inexactitude DONT L'INFLUENCE EST LOIN D'ÉTRE NEGLIGEABLE ). | E Suess ha seritto: « Il tempo in cui bastava disegnare delle grandi linee ellittiche, o circolari, sulla superficie del paese e ceer- care la profondità d’un centro a mezzo della inclinazione di emer genza sopra muri rotti, è fortunatamente passato ».° Le isosisme dunque, chiamiamole pure così, sono Ila rappresen: tazione grafica d’ un fenomeno pieno d’incognite e d’incertezze, è debbono risentirsi di tali incertezze e di tali incognite, anche se tracciate bene, cioè, come dice benissimo il grande Maestro da me citato, non dai danni più o meno grossolanamente accertati (e va- riabili a seconda degli osservatori, aggiungo io), ma dalle intensità determinate in modo scientifico, ciò che nemmeno oggi — a ventisette anni di distanza — è divenuto possibile di fare. Peggio ancora poi quando i danni alle costruzioni sono valutati da chi della scienza delle costrnzioni non si è mai occupato; quando il tracciamento si fa a tavolino, sulle informazioni dei sindaci, di cui si fidava il buon Mercalli," e che arrivano a dichiarare tutto a terra l'abitato che sta ! Pag. 86. "Pag113, è In F. DE MontTEssns DE BaLLORE, La Science Séismologique. Paris, Colin, pag. 86. ‘ Le«informazioni ufficiali dei sindaci ai prefetti », loc. cit., pag. 14 dell'estratto. x * | —‘’ CONSIDERAZIONI SISMOLOGICHE tutto în piedi, o quando quel tracciamento si fa dopo due 0 tre giorni di eseursioni affrettate e con modesti mezzi di trasporto; e final- mente quando essendo digiuni di Geologia si determina la natura del suolo o con un discutibile esame diretto, o in base alle carte geologiche che sono necessariamente a scala troppo piccola e con nomenc!atura troppo sommaria per uno studio sismico. A proposito di carte geologiche, e in appoggio di quanto pre- cede, noterò prima di tutto che la loro scala è ordinariamente al 100 000. Vi sono le minute, in generale al 50 000, ma chi le desideri lontana » VENTURINO SABATINI | dove formano delle barriere rigide (Horst dei tedeschi) che si solle- vano dal basso resistendo alle reazioni che sospingono talvolta contro di loro le masse più recenti, e contribuendo ad accentuarne il dislo- camento, rendendole più instabili. Quindi sì può enunciare il prin- cipio che % terremoti vanno perdendo terreno concentrandosi sempre più, nel tempo verso le parti più alte della massa della Terra, e nello spazio verso le parti più recenti della sua superficie. Per dare un’ idea delle pressioni a cui sono sottoposti gli strati terrestri ricorderò che dalla metà del secolo passato a tutt’oggi molti fenomeni -di decompressione e di detrazione sono stati osservati nelle superficie messe in libertà dai lavori di cave e di miniere, e che dai tedeschi furono chiamati Bergschlige. Sono fatti riassunti da A. Rzehak * e che mostrano come in punti dove le rocce sono più dure, più compatte e meno fessurate possono avvenire esplosioni, accom- pagnate da detonazioni, che demoliscono non solo i fronti d’avanza- mento, ma anche gallerie già armate. Il materiale, ridotto in grani minuti e in blocchi che possono raggiungere parecchi metri cubi, è lanciato con tale violenza da uccidere gli uomini e dissestare i sot- terranei. In superficie si producono scuotimenti con tutti i caratteri dei terremoti. In uno degli scoppii della miniera di litantrace di Dortmund l’esplosione avvenne a 3-400 m. di profondità, e l’area scossa ebbe 10 chilometri di raggio, con epicentro circolare avente un raggio di 2 chilometri. Vi furono scosse immediatamente antece- denti e susseguenti, il suolo si fratturò, suonò la campana della chiesa. Effetti così considerevoli a profondità inferiori ad un chilometro possono far intendere che cosa può avvenire a 20-30 chilometri. E salendo ad un ordine più vasto di fatti non è azzarlato supporre che nella produzione dei frammenti astrali un tale fenomeno concorra a moltiplicare il frazionamento da cui risultano le meteoriti e le polveri cosmiche. In uno strato o in un fascio di strati si chiama compartimento una parte qualsiasi, limitata da una serie di fratture, senza che sia ne- ! Proc. verb. 22 janv. 1907, Soc. Belge de Géol., Pal. et Hydr. rate; | CONSIDERAZIONI SISMOLOGICHE 1 * IA cessaria l’uniformità di composizione, e che può avere un’ estensione limitata o anche di centinaia di chilometri. Basta la definizione per capire perchè un compartimento o un insieme di compartimenti vi- cini si trovino spesso in un certo equilibrio instabile che la minima causa occasionale potrà turbare, derivandone un movimento di massa con scuotimento dei compartimenti vicini, e potendo accadere che i compartimenti che si abbassano obblighino qualche compartimentò adiacente a sollevarsi e viceversa. Causa effettiva del movimento sarebbe la gravità, ove le masse circostanti fossero fisse, e la gravità più le forze derivanti. ove queste masse spingessero lateralmente; causa occasionale ! sarà il cessare delle resistenze al movimento, cioè delle forze molecolari cimentate oltre i limiti d’elasticità nelle parti meno resistenti dei compartimenti a contatto, e il cessare delle reazioni adiacenti. Può darsi che uno o più compartimenti in seguito a movimenti precedenti siano rimasti sospesi, appoggiati ai compar- timenti vicini o siano restati a contrasto fra loro, e che una solu- zione di continuità si sia determinata. La decompressione che seguì il movimento precedente può avere prolotto una demolizione che riempì parzialmente e imperfettamente il vuoto. Ora al cedere delle forze elastiche l’insieme può abbassarsi di colpo. Il movimento si potrà ottenere altresì coll’ingrandirsi di una vecchia frattura, o col prodursene una nuova. Pure in questo caso, a causa della rottura, ci sarà decompressione e in generale anche detrazione. Notiamo subito però che si tratta d’un fenomeno certa mente non localizzato, ma esteso a tutta la superficie della frattura, e quindi spesso non solo all’intero fianco del compartimento smosso, ma anche al fianco di altri, che si troveranno così preparati per un ! Come appare evidente ho chiamato : causa effettiva 0 causa propriamente detta del fenomero la forza cui si deve Ja quantità d'energia atta a produrlo; causa occasionale la forza cui si deve la trasformazione di tale energia da potenziale in cinetica. E quindi l'origine del fenomeno dovrebbe essere il momento in cui la trasformazione avviene, o co- mincia ad avvenire. Rj f DAI Ira, PRO TA SMR | VENTURINO SABATINI movimento posteriore. In questo caso però non si deve pensare che si tratti d’un terremoto d’esplosione, poichè 1’ esplosione è insita e non estranea alla massa che si muove, ed è estesa ad un’ area com- parabile e talvolta superiore a quella occupata da tale massa. In questo caso poi, come nel precedente, le cause effettive del terremoto sono il peso della massa che si assesta, l’energia che produce l’esplo- sione, se si manifesta anch’ essa contemporaneamente favorendo 0 contrariando la gravità, e le spinte laterali quando esistono. Insomma si vede che nei terremoti tettonici c'è una massa ur- tante costituita dai compartimenti che si muovono prima, abbassan- dosi o sollevandosi ed urtando quelli adiacenti e talvolta anche sot- tostanti o superiori, che sono le masse urtate. La causa che pro- duce il fenomeno, sia la sola gravità, sia la gravità a cui si possono aggiungere le spinte laterali e la decompressione, è sempre un com- plesso di forze applicate ai punti della massa urtante: la gravità a tuttii punti di essa, le spinte laterali e la decompressione ad una loro parte soltanto. « Sarà un solido considerevole nella sua completa inte- rezza che sarà il focolare», dice De Montessus de Ballore.® Invece nei terremoti vulcanici si ha un fenomeno opposto al precedente. I n ? « Dans bien des cas... on est fondé è penser qu'un scisme est cause par «un glissement le long d'une faille ; alors l'origine est une vaste surface... et « dont tous les points ont été en méme temps le siège d'un brusque déplacement, « ordinairement limité à un seul des deux compartiments de l'écorce terrestre « que sépare la faille. Il n°y a pas de foyer à proprement parler, ni par consé- « quent d'épicentre . .. Ce sera un solide considérable tout entier qui sera le « foyer, parce que tous les points auront été mis simultanéiment en mouvement. « Et le phénomène pourra prendre des proportions gigantesques. Au grand trem- « blement de terre de l’Assam du 12 jouin 1897, il semble bien que toute cette « vaste province ait ét6 ébranlée et déplacée en bloc. ., La surface cpicentrale « était ... un immense triangle . .. dont la base, de plus de 340 kilomòtres. . . et « dont la hauteur de 160 kilomètres . .». (La Science Scismologique, pag. 83-84). « Certains tremblements de terre apportent pour ainsi dire en eux-méme la « démonstration qu'une portion de l'écorce terrestre a été déplacée en bloe . . . «ce qui revient à nier l’eristence d'un foyer ». (Idem, pag. 85-86). 1 Badia Di ‘p ci . DI >) è CONSIDERAZIONI SISMOLOGICHE 211 ‘ 9! compartimenti messi in moto prima degli altri, e al momento in cui sono messi in moto, sono spinti verso l’alto e non ora verso l’alto e ora verso il basso; sono masse urtate e non urtanti; le forze cui è dovuto l’urto non risiedono nei punti della massa di quei compar- timenti, ma in una massa ad essi estranea per quanto in essi rac- chiusa o ad essi sottoposta, e contenuta in uno spazio assai ristretto. A chi intende il concetto dell’assestamento, cioè del movimento di massa, dovrebbe riuscire difficile conciliare tale concetto con quelli d’ipocentro e d’epicentro che nessun geologo ammette più — auspice Suess che fu tra i più grandi! — e che sono scomparsi anche dai trattati di Sismologia.*? Quindi mi riesce difficile spiegare come il Dott. Martinelli possa avere scritto queste parole :* « Ammesso pure che le manifestazioni sismiche sieno esclusive, « o almeno massime, lungo le linee sismotettoniche, e presentino un « rinforzo nei punti d’incrocio, ammessso pure che nel terremoto si abbia « il movimento d’insieme d’una porzione più o meno grande della crosta « e che esso ci apparisca come una perturbazione nella posizione di « un compartimento della crosta e per contracolpo del compartimento « vicino, è a domandarsi se non sia logico ammettere che in molti, se « non in tutti i casi, la causa determinante tutto questo debba ricer- « carsi in un fenomeno (non è affatto necessario pensare ad esplosioni I AA Zid e E VC €if.o.. 'VPo. ri TIT III ZZZ%òÈ;ÈÈÈÈ]k[{ksc4\\ ÒQO0]R È NA Le PARO maintenant elle (la Sismologia) rejette cette notion (quella d’epi- « centro) par trop simplifiée, valable seulement pour les ébranlements dùs aux « explosions volcaniques, pour s' élever à celle du mouvement d'ensemble . . . » (Suess, prefazione alla Géologie Séismologique di DE MoNTESSUS). « . .. nella teoria sembra annidarsi un errore già per ciò, che soltanto “n « territorio assai limitato è considerato come punto di partenza, e non si tiene « conto della possibilità che un esteso lembo di terra venga in movimento ». (NEUMAYR, Erdgeschichte, Leipzig, 1886, I, 304). ?«...a-t-il fallu que de grands géologues comme Suess se soient obstinés « à retenir les tremblements de terre dans le cadre de leurs propres travaux « pour que, finalement, leur ait été réservé, plus qu’ aux physiciens, le privilège < de fournir sur leurs causes des informations que les séismographes sont inca— « pables de donner (DE MontEssts, La Science séismologique, 8). ® Considerazioni sugli ipocentri sismici, N. LINcEI, XXXI, 1913. Li È e Ai x % r 1h «u* i o e A Pe dn Se A or soa Pa v 4 pipa 1 AR VISAE E VENTURINO SABATINI e ad un magma generale) localizzato in uno spazio sensibilmente limitato rispetto all’area macrosismica. 1 « Mi sembra che nulla possa la scienza geologica obbiettare ad un concetto così logico e così fisico. Questa regione limitata, da cui irradia l’energia cinetica, che si manifesta nei fenomeni superficiali è l’ipocentro ». Ora la Scienza Geologica non solo, ma anche la Scienza Sismo- logica hanno già risposto esaurientemente. Io credo di dover solo obiettare che non trovo logica la deduzione del Dott. Martinelli, la quale anzi è in contradizione con le proprie premesse. E difatti quando egli ammette « il movimento d’insieme d’una parte più o meno grande della crosta terrestre » non si vede come possa dedurne che « la causa determinante tutto questo sia in uno spazio limitato... da cui irradia l’energia cinetica ..... » che sì manifesta nel terre- moto. Insomma il Dott. Martinelli, partito dalle medesime premesse da cui sono partiti Suess, Neumayr e altri naturalisti eminenti, giunge a conseguenze opposte alle loro. Come e perchè da taluno si sia arrivato a vedere un centro in ogni terremoto si capisce agevolmente. Perchè ci si sia giunti s'intende dal fatto che si comincia col- l’ammettere velatamente quell’ esistenza del centro che poi si vuol dimostrare, ciò che appare dall’ipotesi che nei terremoti tettonici ci sia una « regione da cui irradia l’ energia cinetica » e quindi che esista una massa urtante, che non si sa che cosa sia, ma che è con-. tenuta dentro uno spazio ora grande e ora piccolo secondo Mallet ! e altri, ora limitato ma non troppo secondo il Dott. Martinelli ? e altri ancora, e che sospinge una qualsiasi parte della crosta ter- restre, mentre invece avviene proprio l’opposto, secondo ho già detto. Come poi si sia giunti a tali conseguenze errate s° intende dal fatto che si è partiti dal vecchio concetto che attribuiva i terremoti ! Vedi pag. 21. ? « sensibilmente limitata rispetto all’area macrosismica » (brano citato pre- cedentemente). dimensioni non trascurabili » (brano che citerò in seguito). SA Kiba: © Per I: sa azioni 7) ta CONSIDERAZIONI SISMOLOGICHE ad urti per esplosioni dentro spazii racchiusi dalla massa terrestre, nelle due categorie che si consideravano una volta di terremoti vul- camici e terremoti plutonici, ciò che è vero pei primi, e sarebbe stato vero anche pei secondi se fosse stata giusta l’ipotesi su cui si Ri fondavano. Fu quindi logico ammettere allora il centro di scuoti- | ; mento o focolare sismico. Ma più tardi, venuta la teoria che spiega coll’assestamento i grandi terremoti, si è stornata l’idea di « centro 9 dal suo primitivo significato, cioè di spazio più o meno piccolo da cui partirebbe l’urto iniziale, per opera di forze estranee alla massa su cui avrebbero dovuto agire, per adattarlo, contro logica, a tutti i casì, anche a quelli ai quali non poteva più adattarsi. Che questo avve- nisse nel periodo di transizione fra le due teorie, l’antica e l’attuale, si può spiegare, e s'intende come lo stesso Fouqué, pure notando e. con la sua oculatezza le contradizioni cui si andava incontro, non seppe liberarsi interamente dal vecchio concetto e scrisse che l’epi- centro è l’immagine del centro, grande o piccolo, allungato 0 raccorciato con esso. Le contradizioni erano non solo di natura geologica ma 3 . anche matematica, poichè tutte le formole gli davano risultati strani che egli attribuiva alle formole stesse le quali non arrivavano a riassu- mere il problema, e non già anche all’ipotesi da cui le formole par- tivano. Quello che però non s’intende è come oggi si cerchi ancora da taluno di conciliare le due scuole, che non sono conciliabili per- chè partono da principii troppo diversi, sostenendo che non è vero che il centro sia un punto matematico (ciò che fu detto nelle dimo- strazioni teoriche, ed in pratica avrebbe dovuto significare uno spazio ristrettissimo) ma che è una regione che può avere anche grande estensione, rimanendo però sempre indipendente dalla massa a cui ca comunica lo scuotimento. pi A provare quanto sia malagevole sostenersi sopra un tale ter- reno senza dar di cozzo contro ogni sorta di contradizioni contri- buisce lo stesso, Dott. Martinelli, che nel citato lavoro sugli ipocentri dice testualmente che « dalla somma dell’ energia cinetica che si mani- uu 1111 _—l1_—€@€@€@€—+@€T_—@—_———————— LL; tt. - * Die. cit.,, pag. 15. 214 VENTURINO SABATINI « festa in un terremoto si sarà senz’altro indotti a dare dimensioni « non trascurabili alla regione ipocentrale ». Tale deduzione non è ac- cettabile, non vedendosi quale legge pussa legare l’estensione dello spazio in cui si manifesta una certa energia e il quantitativo del'a medesima. Inoltre, poichè l’ energia si misura dalla forza viva, si vede che non potendosi determinare il suo fattore velocità, che può anche essere molto forte, tanto più che deve essere elevato al quadrato, non può dirsi nulla dell’ importanza del fattore massa urtante (urtante secondo il Martinelli), che può anche essere molto piccola e trascura- bile rispetto alla massa urtata, contrariamente alla conclusione cui il Martinelli perviene. | Anche il Mercalli che fu sismologo di valore, e a dimostrarlo ba- sterebbe la sua monografia sul terremoto d’ Ischia del 1883 che è un buon modello del genere, anche il Mercalli, dicevo, si arrabbia e pole- mizza con De Montessus de Ballore dicendo che questi attribuisce a Mallet e a molti altri dopo di lui «la fausseté de la conception qui faisait « considérer comme un point l’origine d’un tremblement de terre ».! Ma De Montessus si esprime così: « C° est Neumayr qui le premier a demontré la fausseté de la conception.... » ecc., da cui si vede che se la citazione fosse stata completa avrebbe mostrato che occorreva pigliarsela con altri prima che col sismologo francese. Inoltre il compianto diret- tore dell’ Osservatorio Vesuviano cita esempii per dimostrare che non è vero che Mallet ed altri e lui stesso meritarono l’ appunto ricevuto. Ma sta di fatto che le normali di Mallet avrebbero dovuto incontrarsi teoricamente in un punto solo — punto matematico o area ristret- tissima che egli chiamò « focal cavity ».* E se nella pratica si otte- nevano punti diversi con scarti di decine di chilometri, perchè la ! G. MERCALLI, loc. cit., pag. 12 dell'estratto. ? « Focal » significa « centrale », e viene da « focus » che significa « centro di convergenza dei raggi ». I tedeschi adoperarono sempre la parola « centro ». I fran- cesi tradussero « foyer » che significa « fuoco » 0 « punto focale » e « focolare », ma usarono anche « centre d’ébranlement ». In Italia si adoperò « centro » e « ipocentro ». Il concetto teorico era quindi chiarissimo : il centro di scuotimento era un punto, il quale inoltre era situato dentro una Terra omogenea. Ò- | Terra non è omogenea, contrariamente a quanto si supponeva in del 1857, 60 furono utilizzati e 117, cioè è due terzi, che erano i più aberranti, IT Di nai" Hot iii TU dI data ] CONSIDERAZIONI SISMOLOGICHE bll teoria, niente autorizzava a prendere l’inviluppo di questi punti, specialmente dopo avere scartati i più incomodi.' Si capisce quindi come Mallet trovò 3 miglia geografiche (22 ch.) per l’ altezza del foco- lare del terremoto del 1857 e 9 miglia (66 ch.) per la lunghezza, ciò che basta a Mercalli per dire che si trattò d’una « fessura lamelli- forme » di 27 miglia quadrate (1500 ch. q.), la quale avrebbe avuto il suo lato superiore a soli 3, di miglio sotto la superficie terrestre. * Come dunque ho già detto si ammetteva che il focolare fosse piccolo o grande secondo conveniva. Grande quando col metodo di Mallet quelle benedette perpendicolari alle fratture degli edifizii avevano certi punti d’incontro che di stare vicini non volevano saperne; e piccolo quando conveniva per le dimostrazioni. Nè le cose mutarono dopo, poichè se si costruirono formole matematiche, per modo di dire, che misurano la profondità del centro, la riduzione ad un punto o ad uno spazio limitatissimo sulla verticale dovrebbe essere bell’ e ammessa, anche con le formole. Ed è proprio questa la concezione falsa in cui dopo Mallet si volle perseverare, e per cui de Montessus de Ballore ha ragione e Mercalli ha torto. | Lasciamo andare poi che sulle dimensioni orizzontali di questa qualche cosa da cui s’ inizia la scossa, le formole tacciono tutte d’ac- cordo, mentre talvolta si suppone da chi le applica la stessa ridu- zione fatta sulla verticale. Insomma si può dire che le formole sismiche sulla profondità dell’ ipocentro riassumono tutti i dati falsi della quistione, dall’ammissione in ogni caso dell’esistenza d’un centro e d’uno solo, alla considerazione d’una Terra fittizia con semplificazioni tutt’altro che reali, e che poi conducono a quei disaccordi fra la teoria e l’osservazione, di cui qualcuno ha creduto di poter dare una ! Su 177 punti, determinati da Mallet pel terremoto dell’ Italia meridionale furono discussi e scartati. Di quelli utilizzati 48, in proiezione orizzontale, cad- dero in un circolo di mezzo miglio geografico di diametro (3700 m.). ? Mercalli con l’ammettere tale frattura « lamelliforme » non si avvide come fosse vicino al concetto più moderno del movimento di massa, e come una sola quistione di parole lo dividesse dalle idee di Suess, di Neumayr e di tanti altri. dA Li i TUA ei ì 4 i VAI 4 vali 1 Puh VROCILT, VENTURINO SABATINI curiosa dimostrazione, senza preoccuparsi se nelle formole gli elementi del problema c’erano entrati.! | PR Ho pure accennato nelle pagine precedenti alle determinazioni di intensità. Vi sono due modi diversi di considerare l’intensità, poichè oc- corre evidentemente distinguere intensità assoluta e intensità relativa. Cominciamo dalla prima, che in sostanza non è altro che l’in- tensità della scossa iniziale. Di essa in generale i sismologi non ten- gono nessun conto pel fatto che non è misurabile, salvo in un caso specialissimo. Ma anche misurandola grossolanamente in qualche altro caso, la sua importanza non può sfuggire a nessuno, poichè ci per- mette, sia pure per qualche terremoto soltanto, una misura o una graduazione della scossa che lo provocò, indipendentemente da tutti gli elementi che intervengono a modificarla negli strati a traverso i quali si trasmette. Il caso di misura possibile è nei veri terremoti di esplosione, quando si può ammettere l’esistenza d’un ipocentro ristretto da cui parte l’urto, quando di tale ipocentro si può determinare la posizione, e quando questa posizione si trovi in seno ad uno strato o gruppo di strati di composizione uniforme e senza accidenti per tutta la parte compresa fra ipocentro ed epicentro. In questo caso specialissimo, se determineremo sperimentalmente i coefficienti dipendenti dalla. ! « Pour avoir trop souvent oublié que le mouvement séismique n’est pas « assimilable è une énergie mécanique idéale, se propageant suivant des lois « mathématiques dans un milieu de nature géométriquement idéale aussi, les phy- « siciens se sont heurtés à des difficultés et à des contradictions que la: complé- « xité réelle des choses ne leur a pas permis de dénouer à l'aide du caleul. ... « Seul l’eramen des circonstances géologiques dans chaque cas particulier donne « parfois la possibilité d’expliquer les divergences rencontrées à chaque pas PIVA E TTI a Li : LE — —.VENTURINO SABATINI = n ET roccia mobile della superficie. Così pure se dedurremo l’intensità da costruzioni molto vicine, alcune fondate bene sul calcare, altre fon— date male sul conglomerato o non fondate affatto. Così pure consi- derando a distanza maggiore costruzioni sul calcare scoperto e costru- zioni sulla copertura di conglomerato. Le formole per tali determi- ‘f nazioni danno risultati indipendenti dalla natura del suolo e dalla sua pendenza, come le danno indipendenti dalla profondità delle fondazioni. La bontà delle costruzioni vi entra talvolta come resistenza di coe- sione, ma chi ne tiene conto è obbligato a prendere valori teorici dai manuali, non potendo caso per caso eseguire ricerche sulle diverse specie di materiali adoperati, sul tempo dalla messa in opera e sul loro stato attuale di disaggregazione o d’indurimento, sui danni ante- riori sofferti, ecc. Tali ricerche fatte per via diretta o indiretta sono lunghe e difficili, e non sempre concludenti, e non potendo esser fatte in tutti i casi, si finisce col non farle addirittura in nessun caso. Naturalmente anche da chi non fosse familiare con l’uso di tali formole, si vede che esse possono essere talvolta applicate senza critiche di sorta. Così per lo studio delle variazioni d’ intensità sempre che si hanno terreni uniformi per composizione e per pendenza, oltre che per destinazione, grandezza e sistemi di costruzioni. L'intensità relativa tra punti diversi di tali terreni non è più influenzata difatti. dalle condizioni divenute simili, e i valori cercati possono essere rite- nuti proporzionali agli effetti prodotti. E così per la determinazione delle dimensioni da assegnare a costruzioni molto semplici sopra aree molto limitate e i cui punti siano tutti. in condizioni più 0 meno identiche di natura e pendenza di suolo. Quest'ultimo caso ha la sua applicazione alle costruzioni delle città, e fu studiato da Omori e da altri, che dettero le formole per calcolare gli sforzi di rovescia- mento e di fratturazione d’un semplice muro, di colonne, camini, torri, ecc., poichè per le costruzioni più complesse, come sono le case, lo chiese, ecc., non è più possibile ottenere formole sismiche e si deve invece ricorrere alle formole d’ingegneria rigorosamente applicate. TRI sa À CONSIDERAZIONI SISMOLOGICHE là dn Il Dott. Martinelli, passando poi a parlare della elazione della Commissione per la determinazione delle aree sismiche sulle quali deb- bono vietarsi le nuove costruzioni nella regione colpita dal terremoto dell’ 8 maggio 1914 in provincia di Catania," relazione pubblicata dal Comitato ‘speciale del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, lamenta di non | avervi trovate esposte « precise opinioni sull’origine del fenomeno ». È evidente che è sfuggita al Dott. Martinelli la differenza fra una relazione tecnica e una contribuzione scientifica, poichè nella prima le ‘origini, o meglio le cause, dei fenomeni importano poco, si accennano e si passa oltre. Ciò che importa sono gli effetti, che obbligano a prov- vedere se si ripetono troppo spesso. E naturalmente ciò che in ul- timo importa di più sono appunto i provvedimenti. Comunque, se il Dott. Martinelli avesse letta attentamente la detta relazione, vi avrebbe trovato qualche cosa dippiù del semplice accenno sulle cause del feno- meno, le quali sarà bene riassumere. La breve estensione dell’area colpita, il rapido decrescere dell’ in- tensità e la posizione sopra uno dei versanti di un vulcano autoriz- zano ad ammettere si sia trattato di terremoto vulcanico. E il fatto che invece d’investire più o meno fortemente ora l’uno ora l’altro versante della montagna, questi terremoti etnei si manifestano deboli sul versante occidentale e forti sull’orientale obbliga ad ammettere che una causa locale, oltre quella vulcanica, possa intervenire. E siccome sul versanteorientale affiora ripetutamente l’argilla pliocenica, mentre non pare che esista sul versante opposto, si può ritenere che il man- | tello vulcanico scorra in talune zone del primo, sotto l’azione delle scosse sismiche (qualunque ne sia la causa), mentre rimane fermo sul secondo. Le zone che subiscono così un movimento franoso si devono fratturare con o senza nn leggero corrugamento, ed è evidente che mentre le zone fratturate devono essere dirette in pendenza, le frat- ture debbono essere dirette în direzione, e quindi essere trasversali ! Unione editrice, Roma, 1914. i |‘. VENTURINO SABATINI © alle zone stesse. Io ho mostrato chiaramente, anche con uno schizzo, che nella zona che passa per Santa Tecla e Rocca d’Api occorreva distinguere appunto la direzione della zona jfratturata e la direzione delle fratture. Non escludo che taluna di queste fratture possa interessare il sottostante pliocene,' ma è certo che esse talvolta permangono, ria- prendosi nei terremoti successivi. E questo fu detto nella Relazione della Commissione del Consiglio Superiore dei LL. PP., e fu da me ripetuto e sviluppato con maggiori particolari nella mia memoria. Sono però lieto che il Dott. Martinelli ci lasci sperare che studierà meglio l'importante problema, dando alla sua soluzione quella « pre- cisione » che io non ho potuto o saputo darle. Finalmente il Martinelli riferisce la proposta della commissione per l'impianto di strumenti sismici in una regione che ne è sprov- vista, e dove si registra un terremoto disastroso ogni tre anni e mezzo. nea w Tale proposta è da lui trovata di « una opportunità che non ap- parisce chiara ». Invece parve tanto chiara al Prof. Platania e a me, che facemmo parte della commissione suddetta, che non ritengo ne- cessario discuterla. * * * Come si è visto da quanto precede, le recensioni del Dott. Mar- tinelli, che s0 essere mosso da interesse scientifico, e da nessun’altra considerazione estranea a tale interesse, e che, salvo qualche lapsus di forma sfuggitogli ultimamente, fu sempre molto cortese con me, mi sono servite di pretesto per una discussione di principii, che sarà bene riassumere nella sola parte che può servire à qualche norma di metodo. I fenomeni macrosismici, come ormai è noto e come ho. già ri- cordato, sono essenzialmente geologici e vanno interpretati principal- mente co’ lumi della Geologia. Senza la lucida nozione della costi- tuzione della parte più superficiale della Terra e delle sue numerose ' Il bradisismo indicato da Platania a Santa Tecla mostra che almeno per questa località l'ipotesi non è infondata. ant Fi i nto: Milani tas tati n Pa VE rt) COLI rd É n P È | CONSIDERAZIONI SISMOLOGICHE variazioni, che pur troppo non si possono determinare che per piccole profondità ; senza la conoscenza dei suoi accidenti, anch'essi difficil- mente determinabili, e in moltissimi casi non determinabili affatto ; senza le nozioni di teoria e di pratica per riconoscere i diversi ter- reni e il loro stato, ogni interpretazione si allontana dal vero invece di avvicinarcisi, non riuscendosi a capire come la « Logica » e la « Fisica » possano sostituirsi da sole a tutte queste cognizioni, che sono estranee ad entrambe. E difatti col non curare la Geologia, secondo un’ osservazione del Prof. De Montessus de Ballore! « on « est arrivé à négliger le problème fondamental à savoir la cause méme È « des mouvements de la surface terrestre, pour s’en tenir aux parti- « cularités de ses vibrations... »; ed è perciò che lo stesso autore dice che « les sismologues italiens ne se sont guère orientés du còtés des « recherches géologiques, ne suivant en cela l’exemple de leurs voisins « d’Autriche... ».° Ma va soggiunto che le eccezioni alla regola enun- ciata dal sismologo francese sono assai numerose. Difatti non solo ai naturalisti come Issel, Taramelli, Di-Stefano che si sono occupati anche di fenomeni sismici non si può fare l’appunto di avere trascurato il fattore geologico, che per essi invece fu sempre fondamentale; ma nemmeno ai sismologi—fisici come Riccò, Baratta, Mercalli e molti altri. Inoltre poichè le intensità delle scosse finora, purtroppo, non sì sono potute valutare che empiricamente dai danri alle costruzioni, occorre altresì che la sismologia sul terreno sia fatta da chi della Scienza delle Costruzioni e della Resistenza dei Materiali abbia idee non dirò molto precise, ma almeno non troppo vaghe. Tali considerazioni certamente furono tenute presenti da quei fisici e sismologi illustri che, essendo entrati a far parte delle commis- sioni pei diversi terremoti italiani degli ultimi anni, vollero affidare al personale del R. Ufficio Geologico, che si compone d’ingegneri-geologi, la ricerca delle aree di maggior resistenza o di minore instabilità rispetto ai moti sismici per adibirle alle nuove costruzioni, cioè una ! Les tremblements de terre. Paris, Colin, 1906, pag. 4. * Loez-eit;, pag: 204. gl | ll PIRA I ca e UR LA » fi a Md a > VSS ha È k | te Ti v Pa pes È “a $ è A . -d 4 È - aergra Var RTRT 222 | VENTURINO SABATINI - CONSIDERAZIONI SISMOLOGICHE 0 = o E) tt : LI E — + pri de ricerca molto seria, poichè la scienza doveva servirvi a tutelare la . vita e le proprietà d’intere popolazioni. Quindi anche la competenza nella valutazione dei danni prodotti dai terremoti e della stabilità delle aree fabbricate e fabbricabili è ammessa dai nostri scienziati SR più eminenti, risultando così anche più evidente che osservazioni come quella che De Montessus de Ballore fa ai sismologi italiani non sono giustificate per quanto riguarda i più autorevoli. Ed è da spe- et 4 n° è + rare che non sieno più giustificate per nessuno in un avvenire non lontano. Oggi, difatti, un solo studioso non può più abbracciare l’intera Sismologia, nella quale invece trovano posto diverse categorie di specialisti. Perciò anche in Italia, dove la scienza dei terremoti ha magnifiche tradizioni, occorre che tutti coloro i quali sì occupano della parte fisica di tale scienza, di meccanica applicata ai suoi nu- merosi strumenti, del progresso di questi ultimi, del loro funziona» mento e delle loro complicate applicazioni, cioè di materie che assor- i bono con:pletamente l’attività d’un uomo, lascino ad altri specialisti È gli studii delle cause dei macrosismi, che si fanno con nozioni assai diverse sul terreno. E questo salvo i casi di noti eccletismi a cui tutti dobbiamo inchinarci, perchè costituiscono una gloria per la scienza del nostro paese. Roma, gennaio 1916. EVE VENTURINO SABATINI SULLA CONCA DI BOLSENA (Osservazioni di fatto e osservazioni di metodo) Il Sig. P. Moderni ha pubblicato in questo Bollettino del R. Comi- tato Geologico ! una nota in cui discute i fatti osservati dal Prof. H. Simotomai durante il suo studio sulla Conca di Bolsena, e che furono pubblicati, preceduti da una mia prefazione, un anno fa in questo stesso Bollettino.* Sono costretto a rispondere io al Sig. Moderni in assenza del Prof. Simotomai, che, dopo essersi occupato di Geografia Fisica col Prof. Penck, di Vulcanologia con me, e finalmente di Geologia col Prof. De Lorenzo, è ora professore di Geologia e Mineralogia nel- l Università di Sapporo al Giappone. E rispondo io appunto perchè il lavoro del Prof. Simotomai fu fatto alla mia scuola, come il Sig. Moderni sa benissimo e come risulta dalla mia prefazione, onde chi discute con lui discute in sostanza con me. E rispondo io an- che perchè lo studio completo della Conca di Bolsena, al pari di 1 Su la Conca di Bolsena. A proposito d’una nota del DoTT. H. SIMOTOMAI. Boll. Com. Geol., XLV, 1916. ? Ricerche morfologiche sulla Conca di Bolsena con prefazione di VEN- TURINO SABATINI. Boll, Com. Geol., XL1V, 1914. ® Il Prof. Simotomai, che ha fatta una carta della Conca di Bolsena, molto di- versa dalla carta del Sig. Moderni, non ha mai preteso di aver risoluto il pro- blema delle origini di quella conca. Difatti egli riporta testualmente le mie con- clusioni e aggiunge, con molta prudenza e molta precisione, che non ha « potuto trovare alcuna prova che contrasti con l’ ipotesi dell’ing. Sabatini ». (pag. 154). Da ciò si deduce anche meglio che il Sig. Moderni non si è accorto che discuteva con me quando credeva discutere col Prof. Simotomai. P, è ‘ à a n Ò La dd + E° A Ò VENTURINO SABATINI «quello di tutti gli altri vulcani dell’Italia Centrale, fu a me affidato dalla fiducia del R. Comitato Geologico. Passando oltre alla quistione di opportunità sulla pubblicazione del Sig. Moderni, entro nella discussione, avvertendo prima di tutto che non volendo occuparmi di affermazioni estranee ai fatti osservati e alla loro interpretazione lascio da parte tutto ciò che il Prof. Simo- tomai può aver detto o non detto a me o ad altri, limitandomi alla discussione di quei fatti, quali furono stampati nei nostri lavori, e a talune osservazioni di metodo. Come osservazione generale noterò che il lavoro del Prof. Simo- tomai è troppo riassuntivo, troppo scheletrico per poter contenere la discussione delle opinioni altrui. Se egli avesse voluto estendersi di più avrebbe potuto pubblicare invece tutte le sue osservazioni parti colareggiate, una infinità di sezioni, e certe sue originali deduzioni. Ma era troppo occupato ad istruirsi, e gli mancava il tempo di coor- dinare e redigere. Il Sig. Moderni si lagna dunque a torto di non essere stato discusso. * * * Un argomento a cui il sig. Moderni tiene molto è questo: am- messo il supposto cratere di Bolsena più antico di quello di Latera (è un’ ipotesi che per ora si basa su vaghi indizii, ma andiamo avanti) non si spiega come le lave del piccolo Monte Marano che appar- tengono al secondo cratere poggino direttamente sull’argilla pliocenica, a 11 ch. di distanza dall’orlo attuale del primo. Qui c'è molto da obiettare. Difatti come fa il Sig. Moderni dire che le lave di Monte Marano poggiano direttamente sull’argilla pliocenica? La sola lava che potrebbe attribuirsi a Monte Marano, e solo perchè trovasi sul suo fianco ! presso il casale omonimo, non ' Probabilmente neanche questa lava è dovnta al Monte Marano, ma pare un lembo della grande colata che il Sig. Moderni chiama andesite, e di cui un altro lembo trovasi nel fosso a S. E. del detto monte. Effettivamente poi la lava del Casale Marano e quella che fu detta andesite sono leucotefriti basiche, al pari della lava che fu chiamata tefrite, Quest’ultima però si diversitica dalle precedenti di tanto da poterla ritenere dovuta ad un’altra emissione, ciò che del resto si rileva pure dall’esame stratigrafico. é ice i AM ih "16 Be Vv d x T] ui È ; SULLA CONCA DI BOLSEN 225 mostra alcun rapporto col pliocene che ivi non esiste. Questa lava somiglia a quella che lo stesso Sig. Moderni chiama andesite, e non si capisce perchè egli la chiami invece tefrite al pari delle lave che | sì vedono dentro i fossi che vanno a passare presso. Cellere e presso Canino, e che si diversificano dalle altre due col semplice uso degli occhi. Mentre niente autorizza a far provenire queste ultime lave da Monte Marano, esse non pare che poggino direttamente nè sull’ ar- gilla pliocenica, come dice il Sig. Moderni nella sua ultima nota, nè sulla sabbia pliocenica, come dice nella sua memoria primitiva. Io difatti, in numerose sezioni, nel Fosso Canestraccio, presso Pianiano, ‘ecc., ho trovato tra quelle lave e i conglomerati pliocenici tutta una serie di tufi, tufi terrosi diversi, tufi litoidi con scorie nere e tufi litoidi senza tali scorie, cioè un materiale di cui è assai difficile stabi- lire la provenienza, o le provenienze, anche pel petrografo. Tali obie- zioni però non importano affatto, poichè l'argomento che le provocò non ha nessun valore. Ed in vero se l’attuale cratere di Bolsena è a 11 ch. dal sito indicato, prima che l’erosione lo allargasse fino ai limiti odierni doveva essere a distanza anche più grande. Ma, a parte tale considerazione, la distanza di 11 ch. dal cratere è già suf- ficiente a far capire che i materiali da esso riversati potevano essersi assottigliati di molto permettendo all’ erosione di portarli via tutti assai più facilmente che a distanza minore. Questo fatto sembra tanto inammissibile al Sig. Moderni, che da lui non fu nemmeno preso in considerazione. Se invece il Sig. Moderni esaminasse la mia carta dei Cimini o andasse a percorrere la rotabile da Viterbo a Soriano, tro- verebbe di meglio alla Fornacchia, alla Fornace Micci e a Bagnaia, dove, specialmente nelle due prime località, la vera argilla pliocenica fossilifera si vede scoperta proprio sulle falde del srande cono di Monte Cimino, e non già ad una distanza di 11 ch. Se in epoca posteriore alla erezione di questo cono i prodotti di una nuova bocca avessero coperto l’argilla di qualcuna delle anzidette località si sarebbe avuto indiscutibilmente i! fatto di emissioni più recenti di quelle «del vulcano antico che, proprio ai suoi piedi, poggerebbero diretta- mente sul suo basamento sedimentario. E s'intende che l’apparizione n ho . L da - dI VENTURINO SABBATINI del medesimo debba essere tanto più possibile quanto più in alto si solleva la sua superficie, che può avvicinarsi di molto e talvolta in qualche sito tagliare addirittura la superficie del suolo vulcanico più recente.! Nell’ultimo caso talvolta non occorre nemmeno l’erosione a spiegare il fenomeno, poichè i materiali vulcanici possono non aver mai ricoperto l’area intercettata. Del resto si può anche obiet- tare al Sig. Moderni che, oltre l’arenaria d’Ischia di Castro, di cui Di sì parla nella nota precedente, in vicinanza del sito indicato dal Ta Sig. Moderni medesimo, anche il pliocene comincia ad essere comple- tamente scoperto, e quindi se i materiali venuti dal più vicino cratere TE di Latera, cioè da 8 chilometri, vi furono interamente erosi, a più forte ragione vi potettero essere erosi interamente quelli venuti dal più lon- o tano cratere di Bolsena, cioè da 11 chilometri. Non dovrebbe quindi p- meravigliare se si potesse dimostrare che a brevissima distanza esi- È stono ancora i primi e mancano i secondi. In conclusione non è esatto j l'argomento su cui si basa il Sig. Moderni; e se fosse esatto non sarebbe esatta la conseguenza che egli ne deduce. È. 1l Sig. Moderni si lagna che il Prof. Simotomai non abbia. ripor- tato per l’Isola Bisentina le sue delimitazioni. La ragione di tale fatto è chiara: il Prof. Simotomai ha riportato le mie che sono più pre- cise, avendo io potuto studiarle assai più minutamente che non fosse necessario, grazie all'amicizia che ebbe per me il defunto proprietario dell’isola Sig. Alarico Piatti. Il Sig. Moderni ritiene che un cratere subaqueo abbia dovuto esi- stere ad Est dell'Isola Bisentina, deducendolo esclusivamente dalle curve batimetriche del Dott. De Agostini. Tale deduzione fu fatta prima dubitativamente, ora pare venga affermata con minore incertezza. Osserverò che l’esistenza dei crateri deve basarsi su argomenti più positivi, e che le curve subaquee hanno così scarso valore da non poter costituire nemmeno un argomento probabile. ' È ciò che si avvera a distanza anche minore degli 11 chilometri dalla conca di Bolsena, presso Ischia di Castro, dove è scoperta l'arenaria eocenica su di un'area lunga un chilometro e interamente circondata da materiali vulcanici. 4 È PI Ld [Pia LI be da sir PET PARATA SULLA CONCA DI BOLSENA Quanto agli scaglioni, la mia interpretazione per ora non è altro che un’ipotesi, ma pare che il Signor Moderni non se ne sia reso conto, per quanto sia stata nuovamente spiegata nella mia prefazione alla nota del Prof. Simotomai, e specialmente in un brano anche da me redatto e in quella nota intercalato. I crateri multipli difatti si ritro- vano ordinariamente in tutti i vulcani, cominciando dal Vesuvio. Ove si ammetta che una grande conca sia un cratere, è logico dedurre che alcuni dei cordoni paralleli ai fianchi siano resti di vecchi recinti. Ho detto alcuni, non tutti, e ho picchiato e ripicchiato su tale concetto. Il Sig. Moderni sostiene che si tratta invece di colate di questo o di quel cratere intorno alla conca attuale; ma tale affermazione va raccolta come una semplice opinione, giacchè non si appoggia nè a sezioni, nè a studio petrografico di materiali. Naturalmente non si possono considerare come sezioni quelle che il Sig. Moderni ha rica- vato a tavolino dalla carta topografica, mentre occorrono numerose sezioni geologiche. È vero che nella Conca di Bolsena tali sezioni sono difficili ad ottenere, ma il semplice andamento della superficie evidentemente non può ritenersi sufficiente per sostituirle. Restano dunque per ora di fronte niente altro che delle ipotesi; ma mentre io, dopo un lavoro di lunghissimi anni, non ho ancora potuto presen- tare le mie conclusioni definitive, non intendo come il Sig. Moderni, in un tempo assai più breve, abbia potuto presentare le proprie, e soste- nerle in contradittorio con parecchie persone. Ho detto che l’ipotesi sui cordoni suppone quella sulla natura craterica della conca. L'ipotesi del Sig, Moderni, che poi risale fino al Marchese Pareto, impone la necessità di ammettere che molte bocche si sieno aperte a girotondo, disponendosi su di una linea curva chiusa, invece che lungo allineamenti rettilinei. Nè parmi sia il caso di obiet- tare che le bocche principali pel Sig. Moderni sono quattro soltanto e le altre bocche sono avventizie rispetto alle precedenti, quando è notorio che non può stabilirsi la separazione tra bocche principali e bocche secondarie di centri vulcanici spenti, mentre resta sempre il fatto che tutte le numerose bocche stabilite dal Sig. Moderni si tro- vano esclusivamente in una fascia parallela al giro del lago. Questo $ iii, dilatati °° VENTURINO BABATINI' 0 0" OC SIELIEN IO RA ES punto di partenza rende poco probabile l’ ipotesi accolta dallo stesso Sig. Moderni, e che lo ha condotto alla necessità di andare a cercare un’ ultima bocca in fondo al lago, senza cui non può spiegare la depressione che ivi si trova. Tale bocca, che farebbe eccezione alla ubicazione di tutte le altre, mentre dalla mia ipotesi (che poi è l’ipo- tesi di molti miei predecessori) si deduce logicamente, invece dalla ipotesi accettata dal Sig. Moderni non si deduce affatto e, come si è visto, egli è obbligato ad ammetterla senza dimostrarla, per quanto affermi di averne dimostrata la possibilità. E a tale proposito osservo che le ipotesi sull’origine della Conca di Bolsena sono tre e non due, ciò che pare abbia dimenticato il Sig. Moderni. Difatti, oltre le due ipotesi precedentemente discusse, ve n° ha una terza secondo la quale la conca sarebbe dovuta ad uno sprofondamento. Quest’ ultima ipo- tesi ebbe numerosi ed autorevoli sostenitori, e perciò tanto io che il Prof. Simotomai l’abbiamo discussa a lungo. Il Sig. Moderni ripete che la determinazione delle bocche eruttive nello studio geologico di una regione di vulcani spenti passa davanti a tutto, e su di essa si basa la cronologia della regione stessa. Egli evidentemente non tiene conto del fatto che tali bocche sono efimere e di esse non restano che le più resistenti e le più giovani, mentre tutte le altre scompariscono. La cronologia di una regione si basa invece sopra una doppia serie correlativa di elementi. Da una parte quelli dedotti dall’osservazione stratigrafica fatta sul terreno e dallo studio petrografico e chimico di tutti i materiali osservati, compresi gl’inclusi, che si potrebbero chiamare i fossili delle rocce ! e che co- stituiscono la prima verifica delle osservazioni stratigrafiche. D'altro lato gli elementi dedotti dalla evoluzione della scoria e della fuma- rola, quali risultano dalla evoluzione dei prodotti emessi, debbono andare d’accordo, o almeno non essere in disaccordo, con gli elementi della prima serie. Ed ho parlato di « correlazione » poichè ad ogni elemento principale della prima serie dovrebbe corrispondere un ele- mento principale della seconda, e con lo stesso numero d’ordine; @ ! Elie de Beaumont dava invece un tal nome ai minerali accessorii delle rocce eruttive, ) K eni dt PRIRTO IE; . e ì, PI PI, Lia , CA petti te SQ va CURO, ‘ + Pe È, DI - a pi A 1799 - °—°—°’‘’@’‘‘’‘’‘8ULLA CONCA DI BOLSENA | "to 9dg 7 PERNO reciprocamente. La correlazione c’è anche maggiormente nella prima serie fra strati ed inclusi. Ogni ricostruzione stratigrafica fatta sul terreno, e che sia in disaccordo con la serie dedotta dagl’ inclusi è sba- gliata e occorre correggerla o rifarla; ogni contradizione fra quella ricostruzione così corretta o rifatta e l'evoluzione magmatica va seria- mente discussa, potendo essere indizio di errore nelle operazioni sul terreno o in quelle di laboratorio. Il Sig. Moderni, trascurando i me- todi della Petrografia e della Chimica, e per conseguenza tutti quelli sulla teoria dei magmi, che già costituiscono un’intera scienza nuova, si attacca oggi ancora alle bocche eruttive basandosi così sopra una successione parziale nello spazio, incompleta nel tempo, e disordinata | così nel tempo come nello spazio; una successione che è effetto e non causa del fenomeno vulcanico. Dice testualmente il Sig. Moderni che soltanto lo studio di tali bocche può offrire « una base per la rico- « struzione a grandi linee della storia di un vulcano » ciò che è falso, poichè parrebbe che quando manchino tali bocche, come al Mont-Dore, la storia del vulcano, sia pure a grandi linee, non possa farsi, mentre pel Mont-Dore è fatta, ed è fatta benissimo da grandi maestri. Anzi ricorderò che non esiste una sola descrizione di regioni vulcaniche in cui la ricostruzione delle bocche eruttive sia stata elevata a base del criterio cronologico, mentre la ricerca di tali bocche quando è stata possibile non ha avuto che un’ importanza complementare. Nè è il caso di citare come eccezione le ultime ricerche sui Puys d’Alvernia, perchè tali ricerche non fanno che confermare la regola. Difatti, per quanto si tratti di piccoli coni isolati e molto ben conservati, quindi con indivi- dualizzazione ben distinta sopra allineamenti rettilinei abbastanza concordanti con l'allineamento generale della fascia di 30 ch. di lun- ghezza che li contiene; e per quanto la considerazione delle singole bocche s’ imponga ad ogni momento per la speciale configurazione del terreno, è ancora il concetto stratigrafico che ha guidato i diversi autori della regione nello studio delle sue successioni.! 1 Cfr. MicHEL-LÉvy, Notes sur le Chaine des Puys, le Mont-Dore et les éruptions de la Limagne, Soc. Géol. de Fr., 1891; e PH. GLANGEA UD, La Chaine volcanique du Puys de Dome, Bull. de la Carte Géol. de la Fr., n. 135. ta Ù i n Pa 5 "* Pi n "1 VV V 4 Ù To VENTURINO SABATINI Dei punti discussi dal Sig. Moderni col Prof. Simotomai, e quindi con me, non ne resta che uno solo, in risposta al quale ricorderò al- cune soltanto delle sviste incorse nel lavoro dello stesso Sig. Moderni. La colata di S. Giusto a sud di Tuscania, mentre è unica, fu di- cla otia dei tn Brno ln Gi visa in tre parti, perchè di tre campioni studiati dal Prof. Bucca quello proveniente da un punto intermedio era risultato diverso dagli altri due. Il Sig. Moderni evidentemente non tiene conto delle diffe- renze che si possono verificare tra’ diversi punti di una stessa lava. Una delle lave che il Sig. Moderni ritiene uscite dal Monte Marano, e che affiora nel fosso omonimo, comincia circa quattro chilometri più a valle del sito dove egli ne segnò l’ origine, ciò che, insieme ad altre considerazioni, contribuisce a metterne in dubbio la relazione con quel monte. L’arenaria eocenica ad Ischia è in sito e scoperta per circa un chilometro, e il materiale che se ne estrae serve ad inghiaiare la ro- tabile di Farnese che l’attràversa, e servì alla costruzione del cimi- tero che vi fu elevato sopra. Invece il Sig. Moderni l’attribuì, con lunga spiegazione, ai frammenti proiettati dalle bocche eruttive (Boll. Com. Geol., 1903, pag. 180). Nella carta che accompagna la* me- moria del Sig. Moderni, al posto di quest’arenaria si vede segnato il tufo pomiceo. Più tardi, quando nel 1905 io feci notare l’errore, se ne fece la correzione sulla carta al 50 000 conservata inedita in ufficio. Al Monte San Magno fu indicata l’assenza di scorie, le quali vice- versa vi abondano, come si osserva lungo la rotabile che lo. traversa. A Capodimonte vi sono due coni vulcanici, ben determinabili e ben delimitabili: uno più a nord, che non fu indicato, sotto la parte alta dell’abitato, l’altro più a sud e che fu indicato con un’ estensione tripla della vera. Una colata chiaramente uscita dal primo si dirige verso il secondo, mentre fu indicata invece come uscita dal secondo. Il pozzo di Capodimonte che sarebbestato scavato a secco per cento metri davanti la casa comunale (e che fu poi rinchiuso pel caldo che ne emanava) fu invece scavato per soli pochi metri, poichè, come po- teva intendersi a prima vista, a livello del Jago si doveva trovare e si trovò l’acqua. # dl ì ì "af ì N, N pat cd SULLA CONCA DI BOLSENA 231 , Ad est di Monte Rosso di Sorano l’eufotide affiora per un chilo- metro. Il Sig. Moderni l’ha vista perchè l’ha segnata in parte, ma l’ha indicata come tefrite. Il tuto litoide in tutti i punti della carta del Sig. Moderni ha una | estensione esageratissima.! * * * Il Sig. Moderni, che aveva detto di conoscere bene i vuleani tir- reni, dice ora che il suo lavoro sui Vulsinii non è che una contribuzione, ciò di cui nessuno ha mai dubitato. Ma contribuzione significa studio ‘sommario d’una quistione, oppure studio più o meno completo di alcuni suoi elementi. La genesi della formazione d’una regione si de- duce invece dalla sintesi dello studio completo di tutti gli elementi che vi si riferiscono e del loro concatenamento, e appunto perciò non può ricostruirsi sulla base d’una semplice contribuzione. Per fare un para- gone accessibile a tutti dirò che a nessuno verrebbe in mente di fare la storia del risorgimento italiano, sia pure « a grandi linee », in base allo studio sommario dei suoi diversi episodii o allo studio più o meno completo di alcuni di essi. E tornando alla genesi della Conca di Bol- sena ricorderò che lo Struever, che tale conca conosceva bene, soleva dire che per capirci qualche cosa occorrono venti anni, se pure bastano. Io difatti più avanzo in questa ricerca, più ne vedo crescere le difficoltà, e non so nascondere la mia meraviglia davanti alle affermazioni recise di chi ha studiato l’arduo problema assai meno di me e con mezzi incomparabilmente più modesti. Roma, febbraio 1916. ' Il Sig. Moderni nella sua memoria (pag. 188) dice che raccolse 300 cam- pioni, e lamenta che. Bucca non glieli abbia studiati tutti. Siccome si tratta di una estensione di 1200 ch.q., egli avrebbe raccolto in media un campione per ogni 4 ch. q., cioè un materiale assolutamente insufficiente. al 4 ” è, ia > Me ì @ VOTE RE (ERA EL o IA pe - V. InG. S. FRANCHI —___—_— —— LE “ARENARIE DI ANNOT,, ELA “ZONA AD HELMINTHOIDA,, nell’ Focene delle Alpi Marittime e dell'Appennino Genovese Tre successive Missioni per studi agro-geologi in Tripolitania, alle quali ho partecipato, e che si sono compiute nei mesi inverno- primaverili degli anni 1912, 1913 e 1914 (1), mi hanno distolto tem- poraneamente dai miei studi di geologia alpina, così che io ho trovato che si è aggiunto, ai precedenti, un certo numero di lavori di geologi italiani e stranieri, riguardanti regioni da me precedentemente stu- diate, sui quali desidero fare delle osservazioni, onde partecipare alla discussione dei quesiti importantissimi, che in tali lavori sono stati posti o toccati e dei quali si è tentata la soluzione. Uno di tali quesiti è quello che concerne la serie dei terreni terziari antichi delle Alpi Marittime e dell'Appennino Genovese, sulla quale, fra i geclogi che li hanno studiati nelle Alpi Marittime fran- cesi, in quelle italiane e nell'Appennino, non esiste finora nemmeno (1) La Missione del 1912 ha avuto per campo di studio il solo territorio delle oasi tripoline ed un ristretto territorio fra Homs e il Mergheb. Vedasi l’opera pubblicata dal Ministero di Agricoltura alla fine dello stesso anno: Ricerche e studi agrologici sulla Libia, (Bergamo 1912). Della Missione del 1913, molto più numerosa, facevano parte tre geologi, il prof. Parona, chi scrive e l’ing. Crema; vi era pure aggregato il dott. Pietro Zuffardi. La regione esplorata geologicamente comprendeva tutte le pianure marit- time da Taorga e Misrata a Zuara e una zona del Gebel fronteggiante dette pia- nure fra Taorga e Jefren o il mare, presso Homs. Vedasi 1’ opera pubblicata dal Ministero delle colonie nel 1913, avente per titolo La Tripolitania settentrionale, (Roma 1913), nella quale le relazioni sommarie sulla geologia e l' idrologia sono ARTS OP Me BSE VE e ET UT dA 234 ING. S. FRANCHI un lontano accordo, come risulta, oltre che dagli scritti e dalle carte e profili annessi, dalle carte geologiche pubblicate, e particolarmente da quelle all’80.000 ed al 1.000.000 del Servizio della Carta geolo- gica di Francia, pubblicate fra il 1898 e il 1905, da quella al 400.000 delle Alpi Occidentali, pubblicata dal R. ufficio geologico nel 1908 e da quelle manoscritte dell’ Appennino Settentrionale, pubblicate dal prof. Federico Sacco nel 1891 nel 1893 e infine da quella delle Alpi Occidentali stampata da questo geologo nel 1912. Dell’accennato quesito io ho potuto occuparmi subito, essendo in possesso di sufficienti dati per trattarne, senza bisogno di speciali revisioni sul terreno; ed ho voluto farlo perchè i problemi secondari che vi sì connettono sono veramente interessanti e di non piccola portata, per la paleogeografia, la tettonica e la cartografia di vaste regioni alpine ed appenniniche. In una breve comunicazione preliminare, fatta alla riunione iemale della Società geologica italiana, tenutasi in Roma il 28 mar- zo 1915 (1), io ho affermato alcuni fatti fondamentali in ordine allo sviluppo della zona ad Helminthoida labyrinthica nell’Eocene del ba- cino di San Remo e nell'Appennino ligure e ad alcuni cambiamenti laterali di costituzione litologica, fatti che dimostrerebbero errato il riferimento all’Oligocene di una formazione arenacea, sviluppata nel- l’Alta Valle Roja, nella Valle Argentina e fra Alassio ed Albenga, e mi riservavo di darne la dimostrazione. state redatte dallo scrivente, e la notizia « sulla serie dei terreni della Tripo- litania settentrionale, di Parona, Franchi e Crema », (Boll. Soc. geol. ital., 1913). La Missione del 1914, molto ridotta di numero, avente per scopo ricerche geologico-minerarie e botanico-agrarie, esplorò il Gebel fra Garian e Nalut, sì spinse a Misda e a Gheriat in autocarro; percorse in carovana gli itinerari Misda Beni Ulid e Beni-Ulid Bungeim; poscia in autocarro raggiunse Socna e la Mon- tagna Nera, Un lungo periodo di Ghibli e la stagione avanzata le impedirono di andare a Murzuc. Vedasi lo studio preliminare fatto dal prof. Parona sui fossili raccolti dai geologi della Missione del 1913 e in quest’ultima dal dott. Zuffardi e da me: Per la Tripolitania settentrionale, (R. Acc. Sc. di Torino, 1914-1915). (1) La posizione della zona ad Helminthoidea labyrinthica nell'Eocene ligure e l'età dei supposti « grès d'Annot ». Boll. Soc. Geol. It. 1915, fasc. 2, p. 297. dit ne la i TI ST mio alii ie PA ALTO VA TASTO be | LE «ARENARIE DI ANNOT » E LA «ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 235 de f Nella prima delle conclusioni della stessa nota, affermavo inoltre che le arenarie dell’Alta valle Stura e della Valle Grande di Vernante sono per di più anteriori alla suddetta formazione arenacea. Io mi accingo ora a tenere la promessa, persuaso come sono che, trattandosi di decidere l’età della maggior parte dei terreni eocenici delle Alpi Marittime e dell’ Appennino Genovese, in questo periodo di promettente rifioritura di studi sui terreni terziari, l'argomento meriti di essere più ampiamente svolto e documentato, onde offrire una miglior base per la ulteriore discussione, colla speranza che essa condurrà ad un accordo fra i geologi, i cui dispareri riguardo alla | ‘serie di quei terreni ed alla posizione in ‘essi della suddetta zona sono tuttora molto stridenti. E°’ infatti appena concepibile che la zona ad Helminthoida, tanto distinta e tipicamente caratterizzata, possa, in due parti dello stesso bacino, essere ritenuta da alcuni luteziana, lungo il litorale fra Ge- nova e Chiavari e nei monti retrostanti, e da altri lattorfiana fra Alassio e Bordighera e nel vasto bacino comprendente le grandi valli Roja, Argentina, Arroscia, ecc. Certamente la unilateralità delle osservazioni, in parte anche affrettate, il mancato controllo e l’oblìo delle osservazioni e delle conclusioni di quei geologi che avevano in precedenza studiate le due regioni, hanno solo potuto condurre ad opinioni così aberranti, scpra un fatto che, sul terreno, risulta di una rara chiarezza, ed entrambe non poco lontane dal vero. Un rapido sguardo alla bibliografia dimostrerà facilmente la verità di questo asserto, facendoci palese che la questione della posizione della suddetta zona era già stata nettamente posta, e in parte risolta, fin dalla metà del secolo scorso, per quanto lo permettevano i pochi resti organici, e di assai scarso valore crono- logico, in essa rinvenuti; e la discussione che si farà in seguito varrà a dimostrare che il piccolo, ed in parte assai remoto, contributo da me dato alla conoscenza della serie eocenica ed alla tettonica di È | essa nel bacino di San Remo, ha conservato tutto il fondo di ve- 7 È nice e DA CA nt da lodind di. La pra A + 15 i L' A 4 #9 i 179° ; Le” IT rig a ha 236 ING. S. FRANCHI rità, che ad esso veniva dal minuto studio del terreno, per quanto non suffragato dallo studio completo delle Nummuliti e degli altri fossili, raccolti durante il rilevamento (1). CENNI BIBLIOGRAFICI. Nella carta geologica che accompagna l’opera di L. Pareto « De- scrizione di Genova e del Genovesato » la calcarea nummulitica-ma- cigno, considerata come il membro superiore dei terreni secondari, molto sviluppato fra Ventimiglia, Albenga ed il Colle di Tenda e nell'Appennino settentrionale a levante del Polcevera, è distinta dai terreni terziari medi del versante marino (Celle, Portofino, ecc.) e del versante piemontese. Così fin dal 1846 il Pareto distingueva nettamente le due formazioni eocenica e oligocenica della Liguria; e non si può a meno di ammirare la chiarezza delle descrizioni, la giustezza e la perspicacia delle osservazioni e della interpretazione dei rapporti stratigrafici delle due formazioni. Ad esempio egli rico- nosce che i calcari con Nummuliti debbono rappresentare la parte inferiore del terreno del macigno « e che le arenarie ed i calcari a fucoidi » (zona ad Helminthoida), che indica a Capo Berta, a Capo Mele e nei dintorni immediati di Genova (Forte Sperone, Forte Dia- mante, ecc.), rappresentano la parte: superiore. Di questo ultimo ter- reno tratteggia il comportamento tettonico ed indica la ricchezza in impronte meandriformi (Helminthoidi). Il Pareto traccia inoltre la distribuzione di questi calcari a fucoidi, aiutatovi dall’ « esistenza costante sotto di essi di una zona di argille varicolori con diaspri >, nelle quali si mostrano mineralizzazioni di rame e di manganese, zona che egli indica nella valle del Bisagno ed in molti punti « se- (1) Lo studio di questi fossili sarebbe tutt'ora molto interessante, anche e specialmente dopo i recenti grandi lavori sul Nummulitico alpino di Arnold Heim, J. Bonssac, Dainelli e Fabiani, per non parlare che dei principali; e potrà essere compiuto, insieme a quello del materiale che verrà raccolto durante le revisioni del mio antico rilevamento geologico (1891-93), le quali precederanno la pubbli- cazione delle carte al 100.000. LE « ARENARIE .DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 237 guendo la base occidentale del M. Antola, tutta formata sull’alto da calcarea a fucoidi, mentre da una parte e dall'altra, cioè a levante ed a ponente è dessa sorretta dai banchi medi e inferiori della for- mazione ». i Parlando del fatto che i geologi toscani affermano esistere albe— resi e macigni con Nummuliti soprastanti ai calcari a fucoidi, egli dice: « posso assicurare che nelle parti da me vedute in Liguria, le conchiglie foraminifere non sembrano esistere in una formazione la quale sia legata superiormente colla calcarea a fucoidi, ma che invece esistono in quelle roccie clastiche ossia in quelle puddinghe e molasse che soprastanno ben anche a questa calcarea medesima, ma che ne contengono dei numerosi frammienti rotondati, siccome anco conten- gono ciottoli di serpentina, e che tutto indica doversi separare dalla calcarea medesima, per riporli in una divisione superiore e riunirli forse ai terreni dell’epoca terziaria ». L’autore. accenna poi alla esten- sione della « calcarea a fucoidi » nel Tortonese, nel Vogherese e nel Parmigiano. Col lavoro di Angelo Sismonda « Notes sur les dépòts à Num- mulites » (1) è segnato un progresso importante nella conoscenza dei terreni nummulitici, che egli distingue in due gruppi. Riporto testual- mente quanto egli dice nella conclusione della breve nota: « Nous devons conclure qu’ il existe deux terrains avec des Nummulites : un est antérieur au soulèvement pyrénéo-apennin; l’aùtre auralt suivi immediatement cette grande catastrophe. Ces deux terrains dif- fèrent entre eux per leurs fossiles, par leur gisement et par leur na- ture. Le plus récent des deux est en général très riche en fossiles, tandis que son devancier, en Italie, en contient è peine. Ce sont de grandes Nummulites dans les étages inférieurs, et des fucoides dans les supérieurs. Les Nummulites du terrain post-pyrénéo-apennin sont petites et presque plates. Elles sont contenues dans un grè qui n’est presque pas altéré, comme ne le sont pas davantage les roches qui lui sont associées et qui renferment en grande quantité de fossiles, (1) Bull. Soc. Geol. de France, 2® série, tome X, 1852, p. 47-51. “ A A n : S È î 4 #1 Ì si ù ù Cie i Ì è PRI 238 ING. S. FRANCHI appartenant, d’après l’étude qu’ en ont faite M. M. d’Archiac, Bellardi, E. Sismonda, ecc. ecc. è la faune du terrain Focène (Il sistema in- feriore apparteneva ancora secondo le idee di quel tempo alla parte superiore della serie cretacea). L’A. dice che le roccie della serie inferiore (calcare a Nummuliti rigonfie e macigno a fucoidi) sono più o meno alterate e fortemente dislocate, contornate e ripiegate, e che quelle della serie superiore (conglomerati, arenarie, ecc.) « ricoprono in discordanza le roccie del macigno >. Ancora il Pareto, nelPimportantissimo lavoro : Note sur le terrain nummulitique du pied des Appennins (1), accenna alla costituzione della serie nummulitica inferiore, che comprende dei calcari a Num- muliti, il macigno ed i calcari a fucoidi, sia nel Nizzardo che nelle Basse Alpi, ecc., che tra Bordighera ed Alassio e fra Genova e Spezia. Egli parla poi in questi termini della « zone nummulitique plus récente: Or au pied de cette chaine de l’Apennin, et particu- librement sur le versant Nord, lorsqu’on s’éloigne un peu de la ligne de partage des eaux, et qu’on descend vers la plaine, on trouve au dessus des calcaires à fucoides et macignos, ou bien au dessus des couches métamorphiques qui les remplacent (i calcescisti del massiccio secondario a facies piemontese di Voltri, dall’A. ritenuti terziari) une zone considérable de poudingues et mollasses ... . dans lesquelles sont répendus d’assez nombreux fossiles, parmis lesquels ne sont pas rares des espèces de Nummulites ». Nella sezione N. 4 della tavola XI, fra Pietrabissara e Cassano, egli indica in modo chiaro la discordanza fra i calcari a fucoidi « tres-contournés » e gli «agrégats et sables serpentineux avec Nummulites qui n’ont pas subi du tout les étranges contorsions des banes inférieurs ». A pag. 376 aggiunge: « De mèéme a Roccaforte, le poudingue qui se lie aux conches nummulitiques est adossé aux calcaires à fucoides, et semble en éètre tout-à-fait distinet ». E più oltre dice aneora che i fatti osservati dimostrano chiaramente « que le dépòt de la zone (1) Bull. Soc. Geol. de France, 28 serie, tomo XII, 1855. _d'eaid Mn d Y 4 PIA TC dal ì tl A; 1 t VITOTTA à | ud n RT: ME RETE IT FI VR F4 fui dir «di ly LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 239 \ nummulitique récente (tongriana) doit avoir eu lieu lorsque déja le relief des montagnes au pied desquelles elle se trouve, et qui sont en général composées des couches supérieures de la formation num- mulitique alpine ou plus ancienne, avait été puissament modifiée ». Infine, in un lavoro posteriore (1), il Pareto si ricrede sulla opi- nione fino allora professata insieme ad altri geologi che il nummuli- tico, il macigno ed il calcare a fucoidi appartenessero al Cretaceo, e fra le ragioni per giustificarsene adduce quella della necessaria di- stinzione « a causa di fenomeni di stratificazione » del nummulitico più recente (Tongriano), che, come si vide, era allora ritenuto rap- presentare l’Eocene. Il Pareto dà il nome di Niceano alla formazione inferiore ricca in Nummuliti, applica quello di Liguriano, creato nel 1853 da Mayer, al soprastante macigno (che è veramente un flysch argilloso-arenaceo-calcareo) e adotta quello di Modenese pel superiore calcare a fucoidi, che egli assimila cronologicamente alle argille sca- gliose. E sul limite da assegnare all’ Focene così si esprime : « Je suis d’autant plus fondé à faire terminer au calcaire à fucoides inclusivement le terraim Focène, que c’est entre lui et les terrains qui suivent, qu’ en Ligurie se trouve ordinairement, pour ainsi dire, la plus grande discordance entre les différentes couches, là tout in- diquant qu’ il y a eu après le calcaire à fucoides un grand changemeni dans la disposition physique et dans la nature des couches » (p. 219-220). Da questi lavori noi vediamo che, sulle suddivisioni principali dei terreni terziari, e specialmente dell’Eocene, sulla continuità dell’oriz- zonte superiore, cioè della zona ad Helminthoida (calcare a fucoidi) dal bacino di San Remo ai dintorni di Genova, e sulle differenze genetiche, litologiche, di grado di metamorfismo e di comportamento tettonico fra quel terreno ed il soprastante Tongriano, il Sismonda ed il Pareto si erano espressi con accordo così perfetto e con chia- rezza ed efficacia tali, quali sono solamente possibili in presenza di fatti altrettanto chiari ed intuitivi; ed è veramente da rammaricare (1) Note sur les subdivisions que l’on pourrait établir dans les terrains tertiaires de l Appennin septentrional. (Bull. Soc. geol. de France, 2e Série, t. XXII, 1865). sa P ACI | ING. S. FRANCHI © sb . fi È vat che delle loro osservazioni oggettive non sia stato sempre tenuto il debito conto dai geologi che si occuparono in seguito di quelle regioni. Nella sua « Carta geologica di Savoia, Piemonte e Liguria », Ap edita nell’anno 1866, il Sismonda segna colla stessa tinta i terreni | eocenici del bacino di S. Remo e dell’ Appennino genovese, indicandoli i come terreno nummulitico e pone nel terreno terziario medio (miocene) di le formazioni conglomeratiche soprastanti. ra Nell’appendice ad un suo discorso di inaugurazione dell’anno d scolastico 1884-85 ed in un lavoro posteriormente pubblicato (1) Di. A. Issel dava un «quadro cronologico dei terreni della Liguria » in ni cui eran posti nell’« epoca liguriana », e giustamente assimilati, i calcari ‘ I «a fucoidi con Chondrites intricatus, C. Furcatus, Zonarides digitatus, o Helminthoidea labyrinthica, ecc. di Chiavari, Rapallo, Torriglia, Val Bisagno, Genova, Porto Maurizio, Taggia, S. Remo »; con che la corrispondenza delle zone ad Helminthoidi del bacino di San Remo e dell’ Appennino genovese veniva completamente riconosciuta. Alla « Carta geologica delle Riviere liguri e delle Alpi marit- time (1887) » di Issel, Massuoli e Zaccagna, in cui sono pure posti nell’ Eocene i terreni delle due regioni suindicate, sono annessi dei profili di questo ultimo geologo, con uno dei quali è. messo in evi- denza il contrasto fra i vivi ripiegamenti dell’ Eocene del bacino di S. Remo e dei terreni più antichi rispetto all'andamento tranquillo e pianeggiante del Tongriano dei dintorni di Mondovì. Nel detto pro- filo, fra la pianura di Mondovì ed Ospedaletti, i terreni dell’Eocene, dal basso all’alto, sono così indicati : | 1° Calcari scistosi e compatti con nummuliti, con arenarie e galestri ; 2° Galestri e arenarie con calcari ad Helminthoida labyrinthica; 3° Alberesi, arenarie, scisti galestrini con fucoidi. Nella spiegazione di detta carta, pubblicata nel Bollettino della Società geologica italiana pel 1897, il prof. Issel divideva 1’ Eocene (1) La Liguria e i suoi abitanti nei tempi primordiali. — Genova, Tipo- grafia Marittima, 1885 Tn n —_pa 4 * N IT » ì x Vu x 4) : : RO À ie A LE «ARENARIE DI ANNOT» E LA «ZONA AD HELMINTHOIDA » E0C. 241 in tre parti: liguriana, infraliguriana e bartoniana, collocando giu- stamente nella prima e superiore tutti i calcari ad Helminthoida ed a Condriti delle Alpi marittime e dell’ Appennino, come già aveva fatto nell’appendice citata avanti, e conformente alle idee del Pareto. Anche nella « Carta geologica delle Riviere Liguri e dei territori confinanti» di A. Issel e S. Squinabol, edita nel 1890, sono mantenute identiche segnature per l’ Eocene delle due suddette regioni liguri, però vi sono segnati diversi affioramenti di Cretaceo nei dintorni di Genova. In un piccolo lavoro degli stessi Autori (1) è detto di un Pecten indeterminabile rinvenuto in un lastrone di calcare della for- . mazione ad Helminthoida labyrinthica Heer ed H. erassa Schaph, fra Doria e Monte Creto, ed è descritta una formazione di scisti argillosi di color vinato, verdognolo e grigio sottostante alla forma- zione precedente. Detti scisti argillosi, colorati da ossidi di ferro, a luoghi intusibili, affiorano in molti punti e presentano talvolta no- duli di marcassite e pezzetti di rame nativo, che in un caso si è trovato epigenizzare un dente di Oxyrhina, che qualcuno ritenne eocenica altri cretacea (Oxyrhina Mantelli Agass.). Per questo, per la rassomiglianza di questi scisti con quelli del Bolognese ineludenti fossili ecretacei, nonchè per l ammonite di tipo eretaceo trovato a S. O'cese dal Pareto, gli autori non sarebbero alieni dal ritenere come cretacei gli scisti variegati suddetti, pure attribuendo all’ Eocene superiore la formazione ad Helminthoida, come si vide dal quadro indicato nel lavoro precedente. Il Prof. Issel descrisse più tardi, nel suo lavoro « Torriglia e il suo territorio » (Boll. Soc. geol. it. 1906), altri affioramenti di scisti variegati che ritenne sottostare in discordanza agli alberesi con Hel- minthoida, e che ascrisse al Cretaceo, riferendo però ancora all’ Eocene la massima parte della formazione scistosa, includente le masse di roccie ofiolitiche, delle valli Polcevera, Scrivia, ecc., formazione che il Sacco aveva, come ora vedremo, collocata in blocco nel Cretaceo. (1) Di una gita nei dintorni di Genova. Atti d. Soc. Ligustica Sc. Nat. e Geogr., Vol. I, N. II, 1890. La 242 ING. S. FRANCHI Dopo tutti questi lavori, coi quali la assimilazione completa della formazione del bacino di San Remo con quella costituente l'Appennino genovese era concordemente mantenuta, il prof. F.Sacco, nel 1891, col suo lavoro « L’Appennino settentrionale (parte centrale) » (1) e colla carta geologica al 100.000 che lo accompagnava, entrava in un ordine di idee completamente nuovo, contrastante con quelle di tutti i geologi che lo precedettero, i quali ritennero unitaria la potente formazione ineludente le note numerose masse di roccie ofiolitiche, ed avente alla sua sommità la zona di calcari alberesi a fucoidi e ad Helminthoida. Il prof. Sacco attribuì al Cretaceo la parte che, nei dintorni di Genova, corrispondeva all'incirca al Liguriano del Pareto, ossia la formazione scistosa colle roccie ofiolitiche, ed al FParisiano la zona suddetta ad H.labyrinthica, costituente essenzialmente il Modenese dello stesso geo- logo. Il Sacco includeva ancora nell’Eocene, con limiti molto incerti, delle zone marnose a Nummuliti, sottostanti alla stessa zona, e che egli riteneva rappresentassero il Suessoniano. Con questa nuova serie il prof. Sacco intendeva di mettere in accordo i ritrovamenti di fossili cretacei, che si affermano avvenuti in molti punti nella formazione inferiore, e la concordanza evidente di essa colla formazione ad Helminthoida soprastante, la quale perciò avrebbe dovuto rappresentare gli orizzonti interiori del Mesonummuli- tico della regione. Un altro fatto, che certamente ebbe molto peso e contribuì ad indurre l’Autore in quella nuova concezione seriale, è stata la presenza di Nummuliti di tipo bartoniano in una zona mar- nosa poco potente, sottostante al Tongriano e con esso concordante, €@ col quale essa presenterebbe perfino transizioni graduali, stratigrafica e paleontologica (per le Nummuliti, 1. c. p. 880), mentre ricoprirebbe in trasgressione i supposti Cretaceo e Parisiano. Però il Sacco, con una appendice (2) a questo lavoro, modificava alquanto le proprie ‘idee, dando una maggiore estensione al Parisiano, — — —— ———1nitiii == P——__r_rr_11=—=__11=_t———————— (1) Boll. Soc. geol. ital., anno 1891, p. 691. (Carta geologica manoscritta in vendita presso |’ Autore). (2) L'Appennino settentrionale (Appendice prima). Boll. Soc. geol. ital., anno 1903. Ve, RA Li A E) È C $. LE « ARENARIE DI ANNOT» E LA «ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. «Le "243 a detrimento del supposto sottostante Cretaceo, e tali modificazioni il- lustrava con una seconda edizione della carta al 100.000. L’Autore stesso ammetteva inol*re che, col proseguire degli studi potrà accadere che la estensione del Cretaceo possa ancora diminuire a vantaggio del- l’area occupata dall’Eocene, senza però accennare di volersi ricredere sull’età parisiana della zona ad Helminthoida. Ma quello che più inte- ressa in questa appendice, nei riguardi della questione generale della serie, è che l’autore ammette come non improbabile che, aleune zone indicate come barton'ane siano invece riferibili al Tongriano basale, come ad es. a Monteregio, dove delle marne arenacee a Nummudlites . Boucheri ed a N. Fichteli, sovrastanno direttamente a banchi certa— mente oligocenici, nei quali, alle suddette Nummuliti si aggiunge la N. intermedia. Così sarebbe tolto dallo stesso prof. Sacce, il migliore argomento che egli avesse portato per negare che la zona ad Hel- minthoida rappresentasse la parte più alta dell’Eocene della regione. Si vedrà in seguito, però, che non bastano estensioni più o meno grandi dell’Eocene a danno del supposto Cretaceo, ma che, alia luce della serie stratigrafica completa, fornita dal bacino di San Remo, si imporrà una soluzione radicale, che armonizzi, almeno colla parte media e superiore di essa, quella dell'Appennino ligure. A questi nuovi concetti del prof. Sacco si opposero, con lavori pubblicati in vari tempi, Squinabol e Bozano, Pantanelli, C. De Stefani e G. Trabucco. Il Prof. A. Issel nel vol. I della « Liguria geologica e preistorica » (1892), nel capitolo Eocene, ci dà interessanti ragguagli sopra tutti i resti fossili trovati in quel terreno fra Ventimiglia e Spezia, e parti- colarme t° sui foraminiferi. Egli divide ancora l’Eocene in tre parti, di cui la superiore sarebbe la liguriana, comprendente naturalmente la zona ad Helminthoida. Intanto, dopo avere compiuto il rilevamento di buona parte delle Alpi Marittime, chi scrive, in un lavoro col quale dava notizia dei princ:pali risultati ottenuti (1), si occupava pure dell’Eocene dei (1) Contributo allo studio del Titonico e del Cretaceo nelle Alpi Marittime italiane, con carta geologica e profili. (Boll. R. Com. geol. 1894). 9 , 4 Ù pe” n ni ML RINGS S. FRANCHI ha PS n ieri RE dintorni di Ventimiglia, pubblicandone una cartina geologica e alcuni profili, e indicando la serie eocenica divisa in tre membri ben di- stinti (p. 49). Essi erano dal basso all’alto (con riferimento alla Carta. geologica) : | « 1° Una zona N, (Nummulitico inferiore) comprendente gli strati fossiliferi dalle puddinghe, sottostanti agli strati a Nummulites perfo- sq rata, alle marne friabili che vengono sopra, contenenti Orbitoidi i (Ortofragmine), gasteropodi e lamellibranchi ». î «2° Una zona N», molto potente, interposta fra la zona prece- dente e quella superiore ad Helminthoidea labyrinthica, costituita da scisti arenacei, arenarie, alberesi e galestri in straterelli alternanti. - In Valle Roja ed in Valle Nervia vi sono sovente intercalate fascie E” di marne arenacee a diverse altezze, ricordanti quelle plioceniche. In Valle Argentina ed in Valle Arroscia (Albenga) sono inserite in tutta î l’altezza di detta zona delle lenti di calcare cristallino e dei banchi di brecciole calcari contenenti Nummuliti ed Orbitoidi, non notate in alcun punto della zona soprastante ». | de «3° La zona ad Helminthoida labyrinthica ed a Chondrites af- finis, di cui una parte è prevalentemente costituita da arenarie gros- solane, della quale havvi una cava a Vallecrosia ed altre a levante di Bordighera, e di cui un’altra è prevalentemente calcarea ». Riferendomi al profilo della pagina 47, indicavo sopra la sud- È } detta zona una formazione rappresentante < la parte superiore dell’ Eo- cene della regione»; in essa non si trovano più che piccole Chondrites A (Targionii ed intricatus) e tracce di Helmin'hoida ricordanti la H. ér- regularis Squinabol. Di questa zona superiore indicavo i limiti nella cartina fra il Monte Caggio e Borghetto S. Niccolò e da Ospedaletti a Coldirodi ecc. verso nord-est. | E sempre nella stessa pagina 49 aggiungevo : « ricordo che ivi Li. come in tutte le Alpi Marittime, immediatamente al disotto degli strati ad Helminthoida, e superiormente alla grande massa degli scisti galestrini N:, che in alcune regioni, in tutta la loro altezza contengono lenti e sottili banchi di calcari e brecciole con piccole Nummuliti, apparisce costantemente una zona caratteristica, che LI . n meta ri ALSO dd sg POE ATTO » 4 ì fe 4 da , a - ui 7g leali ire ela ky di c > |—LE <«ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. si 4 costituisce un vero orizzonte, di scisti vinati, bruni, nerastri e ver- dognoli, quali ho pure notati in Valle Polcevera presso Zemignano e Camporsella, ai piedi delle piramidi di alberese con Helminthoida labyrinthica, sulle quali stanno i forti Due Fratelli e Diamante. Ivi furono dal Sacco riferiti al Cretaceo ». In questa mia serie adunque, sotto il N. 1, Nummulitico inferiore della regione, erano compresi il Luteziano e l’Auversiano, ora di- stinto da Boussac, nel N. 2 il flysch priaboniano, con lenti di roccie a piccole Nummuliti, e nel N. 3 la « zona ad Helminthoida »; serie questa che, cartograficamente, si potrebbe forse mantenere ancora oggi, viste le grandi difficoltà di separare ovunque l’Auversiano, salvo per quelle regioni autoctone, dove venisse dimostrato sicuramente, che il banco Nummulitico basale sia superiore a questo orizzonte. In questo stesso lavoro, col quale erano rivendicati al Giurese ed al Cretaceo ampie zone di terreni fra il Colle di Tenda e il Gesso, dapprima ascritte al Trias, con alcuni profili e disegni, davo le prime ‘indicazioni chiare sulla struttura imbricata, tanto evidente nella re- gione fra il Colle di Tenda e la Valle Stura, ed accennavo anche alla serie eocenica che si osserva fra il M. Enchastraye ed il Colle della Maddalena, serie di cui dovrò occuparmi in seguito (1. c. p. 74). Il dottor Rovereto pubblicava nel 1397 una tabella comparativa dei terreni eocenici del Nizzardo e della Liguria, nella quale, astrazion fatta delle roccie verdi, che, considerate come intrusive e contem- poranee del sollevamento post-eocenico, non dovrebbero a rigore far parte, come membro a sè, della serie stratigrafica, la serie eocenica è divisa in tre parti, nella superiore delle quali figurano bensì i cal- cari ad Helmin'hoida, ma anche la parte superiore degli scisti argil- losi della Polcevera e del Centa, che, come si vedrà, ne sono ben di-. stinti e subordinati (1). In questa sommaria rassegna bibliografica non esaminerò i nu- merosi ed importanti lavori riguardanti l'Appennino Settentrionale e Toscano, perchè ciò mi trarrebbe troppo in lungo, senza che ne venisse (1) Sulla stratigrafia della valle del Neva. Boll. Soc, geol. it., 1897, p. 91. STR 00. SI OMO” 16 _ 246 ING. S. FRANCHI una luce adeguata ai quesiti che io tratterò, riguardanti specialmente le Alpi Marittime. Tuttavia credo utile ricordare come per le regioni circondanti il gruppo delle Alpi Apuane, l’Ing. Zaccagna indichi pure alla sommità della serie eocenica « calcari alberesi, calcari marnosi ad Hel. Labyrinthica, scisti galestrini ed arenarie a fucoidi »; il che sembrerebbe giustificare la speranza che si possa un giorno giungere a riconoscere fra le serie eoceniche di quelle diverse regioni maggiore armonia di quanto oggi si possa sospettare. Colla pubblicazione della Carta Geologica della Francia ad 1:1.000.000, fatta nel 1905, veniva messo in evidenza il contrasto, per quanto riguarda i terreni eogenici delle Alpi Marittime, fra le due serie al di là e al di quà del confine, poichè mentre pel bacino di S. Remo, su dati forniti dal nostro Ufficio geologico, essi furono tutti posti nell’ Eocene (20), per le regioni oltre confine figurano come oli- gocenicii grès d’Annot ed il flysch, di cui essi costituiscong una facies colà predominante. Tale carta ci offre perciò una visione sintetica della divergenza di vedute che questo mio lavoro si proporrebbe di comporre, a riguardo dell’età di quei grès, secondo le indicazioni dalla carta al 400.000, di cui parleremo fra poco (1). Durante la riunione straordinaria a Torino della Società geolo— gica di Francia nel 1905, i congressisti, nella corsa del 9 settembre, confermarono l’antica osservazione del Pareto, che indicò come a Pietrabissara l Oligocene si sovrapponga in discerdanza sui calerri a fu- coidie ad Helminihoida labyrinthica, vivamente ripiegati (pag. 845-846). E nella escursione del 10 settembre W. Kilian «a été frappé de l’identité presque absolue que présentent les calcaires éocènes à Helmin- thoides (alberese) d s environs de Génes avec de assises très-déve- loppèes dans la région de 1 Ubaye et des Hautes-Alpes et que M. Haug et lui ont désignées sous le nom de « Flysch calcaire ». Ces assises renferment les mèémes empreintes, et appartiennent ègalement, dans (1) Carte géologique de la France à Vechelle da 1.000.000. Ministère des travaux publies. Paris, 1905. | LE ARE ARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 247 \e 2 - les Basses Alpes, à l’Eocène moyen; elles sont faciles à distinguer À du flysch gréseux et argilo-gréseux qui les recouvre » (1). i Col profilo annesso alla cartina che accompagna il resoconto, redatto dal Prof. Sacco, questi, come già fece il Pareto, mette in evidenza la discordanza fra il Tongrianc ed i sottostanti alberesi a fucoidi, i quali però sono ancora mantenuti nel Parisiano. Nello stesso anno chi scrive insisteva ancora sulla identità della — zona ad Helminthoida del bacino di San Remo con quella dell’ Ap- | pennino Genovese, e manifestava di conseguenza la sua opinione sulla inaccettabità della cronologia introdotta dal prof. Sacco nei terreni di questa regione (2). Allo scopo di far rilevare altre divergenze di vedute a proposito di due lavori del Prof. Sacco sulle Alpi Marittime (3) e specialmente del secondo, accompagnato da una carta geologica al 100.000, la cui serie non mi sembrava giustificata dal testo del lavoro, e presentava elle disarmonie e delle lacune incomprensibili, io pubblicavo un breve lavoro nel 1907 (4), e ne traevo occasione per dare alcuni cenni sommarî sulla interessantissima struttura del contrafforte fra Gesso e Stura, dove esistono cinque sinclinali successive di terreni eocenici, comprese entro a pieghe « coricate e rotte e segnite da fratture con scorrimenti molto importanti » (1. c. p. 163); ed indicavo | con schizzi e profili i fatti tettonici più notevoli che si possono os- | servare nelle meravigliose sezioni naturali, prodotte dalle incisioni 4 delle valli Gesso e e Stura. In questo lavoro, che sembra sia sfug- gito all'esame, se non all’ indice bibliografico del Signor Boussac, il (1) Bull Soc. geol. Fr. 4 série, t. V, 1905. (2) A proposito della riunione della Società geologica di Francia in To- | rino nel settembre 1905. (Boll. R. Com. geol., 1505, p. 298, 308, 309). G i (3) F. Sacco. Sur l’dige du gneiss du Mussif de lArgentera. Buli. S MeGoL Er. 4° série, t. VI, n. 7. Sr I monti di Cuneo fra il gruppo della Besimanda e quello dell’Argentera. | Atti d. R. Ace, Sc. Torino, vol. XLIII, adunanza 18 novembre 1906. (4) S. FrANCHI. Osservazioni sopra alcuni recenti lavori sulla geologia delle Alpî Marittime. Boll. R. Com. geol. it., 1907, p. 115. sara» È DI 248 ING. S. FRANCHI quale muove un appunto al Prof. Sacco di non essersi accorto della. tipica struttura imbricata, malgrado le suggestive indicazioni fornite dalla perforazione del Colle di Tenda, dove Baldacci e chi scrive documentarono un ricoprimento di 4 o 5 chilometri, io ho poi elen- cati uno ad uno i fenomeni tettonici che venivano in seguito indi— cati nella carta al 400.000. E pure in esso io accennavo all’esistenza, nella piega ehe segue verso occidente quella di Andonno, di calcari arenacei con Nummulites perforata, ed alla singolare formazione are- naceo-puddingoide costituente il nocciolo della sinelinale (tav. V fig. 4). Nella carta geologica al 400.000 delle Alpi Occidentali, edita dall'Ufficio geologico nel 1908, conformemente alle idee espresse nei precedenti lavori, io suddividevo l’Eocene del bacino di S. Remo in tre membri, del quale il superiore, la zona ad Helminthoida, era indicato con tinta speciale e con sufficiente esattezza di li— miti. Nell'area della carta tale zona terminava po%o a levante del Colle di Tenda, e solo riappariva presso il confine a ponente di Argentera. In tale carta includevo nell’Eocene la zona di arenarie. Lausanier-Pourriac-Servagno ecc., attraversante il confine nell’Alta Valle Stura e le masse di arenarie di Mentone e di Annot a Sud del Mercantour, non parendomi accettabile la loro ascrizione all’Oligocene, indicata nelle carte geologiche francesi. Le principali linee di frattura, di cui una, estesa dalla Valle Argentina attraverso il Colle di Tenda e le valli Vermenagna, Gesso e Stura fino, oltre il confine, alla re- gione dei ricoprimenti dell’Ubaye, sono indicate su detta carta; come sono indicati i principali affioramenti di roccie secondarie che si trovano lungo la suddetta grande linea di frattura con ricoprimento, del Bec Baral, del Colle di Tenda, della Cima Pepino e le altre nu- merosissime, in cui figurano masse di Giurese, di Lias, di Trias e di | Cretaceo, immerse in una zona di flysch con scisti variegati, immedia- tamente sottostante alle arenarie della zona ad Helminthoida. La struttura imbricata della regione in parola ed i parziali ricoprimenti coi «< Klippen » o lembi trainati dal moto delle falde di ricoprimento, erano adunque abbozzati nella suddetta carta, al pari del meraviglioso ricoprimento per ultrapiega e per frattura della Valle Pennavaira, dove ii, vel TE d ) n # Mi sd Ù 4 A rlù . $ Leti " [i ARI . 01 - Re q n fa PRA E è ‘è _ a i < ai sg i é Mal A ù LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA «ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 249 il Lias occupa il fondo di Valle, il Retico fossilifero soprastante è a mezza costa, e la dolomia principale costituisce le cime del Castellermo, del Monte Nero e del Monte Arena. E da quella carta appare pure come l’Eocene tenga il fondo delle valli presso Erli, Zuccarello e Ba- lestrino, in quella interessante e complicatissima regione, sulla quale, anche dopo il lavoro dell’ Ing. Zaccagna e le notizie sommarie di J. Boussac, molto è ancora da dire e da completare; il che farò pros- simamente (1). Per l’ Oligocene, rinviando il lettore ai numerosi lavori del proî. Sacco sul Bacino Terziario piemontese, mi limiterò ad accennare a qualche lavoro recente, nel quale sia particolarmente discussa la questione del limite cronologico inferiore di esso nell'Appennino Ge- novese, limite che presenta un grande interesse per gli argomenti che andiamo svolgendo. Nei lavori del dottor G. Roverete (2) e specialmente nel più | recente, sono dati interessantissimi profili, coi quali è dimostrata al- l'evidenza la discordanza profonda fra l’Eocene dell’ Appennino geno- vese e l’ Oligocene, tanto ricco in fossili, che lo ricopre, e la ero- sione profonda, che ha scavato nel primo terreno tanti seni nei quali quest’ultimo è venuto a depositarsi, dopo una nuova som-. | mersione. E’ opinione del Rovereto, dopo l’esame tettonico par- ticolareggiato da lui compiuto, che le inclinazioni degli strati del Tongriano siano piuttosto dovuti al deposito in masse cuneiformi e (1) D. ZAccAGNA. Conformazione stratigrafica fra il torrente Neva ed il Pennavaria. in territorio di Albenga. Boll. R. Com. geol., 1909, con carta geologica e profili. J. Boussac. Les grands phénoménes de recouvrement dans les Alpes Mariti- mes italiennes et la fenétre de Castelvecchio. (C. R. Akadémie d. Fr., 12 Dé- cembre 1910). (2) G. RovERETO. /UWUustrazione dei molluschi fossili tongriani esistenti nel Museo geologico della R. Università di Genova, con « Osservazioni sul Ton- griano di S. Giustina e Sassello » e Carta geologica di A. Issel. — Atti della R. Università di Genova. Vol. XV, 1900. | Nuovi siudi sulla stratigrafia e sulla fauna dell’ Oligocene ligure. Ge- nova, 1914. MEO e RIT È po e SR C - SEUI " » pe bel” “i “a 250 ING. S. FRANCHI dei conglomerati, anzichè a movimenti posteriori al loro depo- sito. Sempre nel secondo lavoro il Rovereto sostiene che l'orizzonte inferiore del Tongriano ligure è il Sannoisiano, contro l’opinione di Haug che opinerebbe trattarsi invece di Rupeliano. Nella Carta geologica delle Alpi occidentali annessa ad un suo recente grande lavoro sulle Alpi occidentali (1), il prof. Federico Sacco indica tutto il bacino di San Remo come Eocene, ma per l'Appennino ligure egli mantiene le attribuzioni al Parisiano della zona ad Helminthoida labyrinthica e del sottostante flysch al Cre- taceo. Gli scisti variegati sottostanti, frequentemente di color rosso- ‘ vinaccia, che il Sacco, forse sulla base del colore, vorrebbe assimilare alla scaglia rossa delle prealpi lombarde, costituirebbero ancora un . orizzonte inferiore, il Suessioniano, che passerebbe in basso, al supposto Cretaceo superiore (p. 76). Però l’autore in questo lavoro esprime l’opinione che le arenarie del Nummulitico alpino, che alcani tendono a riferire all’Oligocene, siano piuttosto dell’ Eocene superiore (1. c. p. 79 e 81), opinione questa che concorda con qualcuna delle conclusioni di queste lavoro, e che egli esprime anche cartograficamente, indicando come eoce- niche, sulla sua carta, le principali masse di quelle arenarie, analo- gamente a quanto era stato fatto, per una parte di esse, nella carta al 400.000 dell'Ufficio geologico. LE OSSERVAZIONI E UNA IPOTESI DI J. Boussac. Nel 1908 gli studi sul Nummulitico delle Alpi sono stati ripresi con giovanile ardore e con larghe vedute da J. Boussac, incarica- tone dal Servizio della Carta geologica della Francia. Egli visitò le regioni italiane circondanti il Mercantour a NE. e ad E. e pubblicò in una nota riassuntiva prima (2), e poi nel suo poderoso lavoro ec Etudes stratigraphiques sur le Nummulitique alpin » i risultati delle (1) Les Alpes occidentales. Turin, 1913. (2) Le nummulitique de la zone du flysch à l'est et au sud-est du Mer- cantour. Comptes rendus Ac. d, Sc-Séance 3 janvier, 1910. . fila ) ritibaata : n À ? n LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » Ecc. 251 sue osservazioni (1). Per la parte italiana il sig. Boussac visitò, ri- levando numerosi profili, la Valle Stura di Cuneo, la Valle Gesso a Valdieri e ad Andonno, la Valle Grande di Vernante, affluente del Vermenagna, il Colle di Tenda, il vallone del Rio Freddo affluente della Roja, la Valle Argentina, i pressi di Albenga e di Zucca- rello e il M. Armetta nella Valle Tanaro, occupandosi poscia dello studio delle Nummuliti raccolte nei diversi punti, studio a cui si era di lunga mano preparato colla revisione dei terreni nummulitici più noti e più completi di Europa. I risultati a cui egli giunge, e che illustra con numerosi profili e tavole, sono certo interessanti e nuovi e non mancheranno di sollevare proficue discussioni. Principalissimo fra i risultati, nelle regioni che ci interessano, è quello della trasgres- sione del Nummulitico, dal mezzo della grande sinclinale San Remo — Colle di Tenda — Colle della Maddalena, la quale, come è noto, si pro- segue in quella detta dai francesi « des Aiguilles d’Arves » ecc. fino ai Grigioni, verso il suo orlo occidentale; prima attorno al Mercantour, poi verso l’area fra questo massiccio e quello del Pelvoux e quindi verso la parte orientale di questo, fatto che l'A. illustra molto chia- — ramente con carte schematiche (2). Ma quello che più colpisce in questa trasgressione è il fatto che, per effetto di essa, il grande banco nummulitico di base dell’Eocene, ben visibilmente continuo, e che si ‘estende dai dintorni di Ventimi- (1) Mémoires pour servir à l éaplication de la Carte géologique de la France. Ministère des travaux publiques. Paris, 1912. (2) Grandi carte schematiche poleogeografiche dei diversi orizzonti nummu- litici, numerosi profili e schemi stratigrafici e splendide fotografie, arricchiscono la grande opera e rendono chiara la comprensione dei risultati originali degli studi di J. Boussac. i L'A. estende le sue osservazioni dalle Alpi Marittime al Brianzonese, alla Sa- voia, alle varie regioni svizzere autoctone o in ricoprimento, alla Baviera, ecc., giungendo a risultati nuovi ed armonici che provano la bontà del metodo di ricerca adottato. Il quale gli permette di dimostrare che alcune serie prima cre- «dute normali sono invece rovesciate, fatto molto importante che tocca davvicino la questione dell’età dei grès de Taveyannaz, che noi dovremo pure sfiorare. nd ‘ DIP ua 252 ING. S. FRANCHI glia al Colle della Maddalena, circuendo il Mercantour — per non par- lare che della parte più vicina a noi — e che sembra costituire un. vero orizzonte, e come tale è stato ritenuto da tutti e dallo stesso Boussac in principio dei suoi studi, rappre ‘enterebbe invece diversi orizzonti nummulitici, secondo i punti in cui lo si osserva. Ed in gene- rale esso sarebbe, pel sig. Boussac, in tutto il suo spessore, si noti bene, luteziano verso l’asse della sinclinale, auversiano un po’ più verso l'esterno e priaboniano negli affioramenti a ridosso del Mercantour e del Pelvoux e nelle parti più orientali delle digitazioni sinclinali a sud del primo e fra i due massicci cristallini. E qui conviene soffermarci un po’, chè l'ipotesi ben lo merita. Nulla di più naturale che il banco risultasse dal basso all’alto: lu- teziano, auversiano e priaboniano nel mezzo della sinclinale, quindi au- versiano e priaboniano più a ponente e poi semplicemente, cioè tutto priaboniano, a ridosso dei massicci, dove esso rappresenta solo l’ingres- sione priaboniana. Ma certamente molti ceologi avranno meco grande difficoltà a concepire la nuova ipotesi, nel modo in cui la intende e la rappresenta schematicamente il sig. Boussac, nella fig. 42 del suo lavoro, a pag. 74. Esaminiamola brevemente. Secondo essa dovrebbero necessaria- mente verificarsi questi fatti: o 1° All’inizio dell’ingressione auversiana dovrebbe cessare il de- posito del calcare nummulitico sul preesistente banco luteziano, per li- mitarsi, almeno in quella forma litologica, alla prosecnzione del banco di base, a contatto col Cretaceo ; e un analogo fatto dovrebbe ri- petersi all’inizio della ingressione priaboniana : cioè il caleare a Num- muliti priaboniane non si dovrebbe depositàre sul calcare nummauli- tico auversiano, nè su quello luteziano, per limitarsi a ‘proseguire, esso pure, sul fondo ceretaceo, il banco nummulitico auversiano. 2° Il limite superiore dei banchi nummulitici auversiano e pria- boniano, così singolarmente deposti e giust ‘posti rispetto alle forme sci- stose o arenacee coeve, le quali, anzichè depositi successivi, rappresen- tano depositi contemporanei delle diverse parti dei banchi stessi, si do- vrebbe presentare con stratificazione parallela quale noi la osserviamo. ni ed VIP } fi si di 14% [e bid ei “ni "a À ì A 3. i NP ty \ PTAITEI È and è N» Ln) Ù l'iceei la i Li pa Aaa et) n ibi i VOI ARSÀ ie, * Li A 4 : [ ia LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 253 3° Il parallelismo e la concordanza, con apparenza di passag- gio graduale fra il banco nummulitico ed i sottostanti calcari in straterelli del Cretaceo, senza traccia di erosione, non si dovrebbero osservare laddove la trasgressione deve essere più forte, come ad esempio a Bersezio, a Cima delle Lose e nel Vallone di Pourriac, presso Valdieri e in Valle Grande, a causa dell’età priaboniana del banco nummulitico. Inoltre non dovrebbe mancare il conglomerato, che si trova già sovente alla base del Luteziano superiore. Lo stesso Bou:sac riconosce che ivi non esiste traccia di erosione o deposito conglomeratico di base, i due caratteri che dimostrano l’esistenza della trasgressione. Si avrebbe perciò qui il caso singolare di un banco che sembra perfettamente concordante cogli strati sotto e soprastanti, mentre è trasgressivo sui primi e dovrebbe essere, nelle sue diverse porzioni, contemporaneo, almeno in parte, dei secondi. Fatti questi che è difficile concepire e che non si possono am- È mettere a priori, senza una qualche dimostrazione. E° bensì vero che troppi sono, in geologia, i fatti che non si riesce a comprendere e che questo solo non è sufficiente per negarne l’ esistenza; tuttavia io penso che la suddetta ipotesi del signor Boussac, la quale ha un fondamento paleontologico indiscutibile, così come è formulata, presta ancora il fianco a molte obbiezioni, e che forse lo studio più minuto di un bacino non tanto ampio, dove sia possibile seguire passo passo il banco nummulitico ed esaminarlo in tutto il suo spessore, a co- minciare dal punto dove esso presenta in basso Nummuliti del Lute- ziano inferiore a quelli dove esso non contiene che specie priaboniane in tutto il suo spessore, permetterà di modificarla sensibilmente (1). —_—_— Si Pz Pi ———— (1) In conseguenza di questa ipotesi potrà parere che si venga a complicare molto sulle carte geologiche la colorazione del grande banco nummulitico di base dell'Eocene, il quale anzichè con una tinta unica come si era fatto sinora dovrebbe avere più colori e diversi pel Luteziano, per l’Auversiano e per il Priaboniano. Ma le ditficoltà potranno essere praticamente superate, mantenendo una tinta fondamentale unica, il che risponde al fatto dell'unità e. della continuità litologica del banco, e sovrapponendovi segni o lettere indicanti gli orizzonti corrispondenti alle Nummuliti caratteristiche trovate nei diversi punti. ERRO E E 254 ING. S. FRANCHI Lasciando ai paleontologi di discuterla dal loro punto di vista, mi sia permesso di esaminarla da quello della stratigrafia, al che mi dà forse diritto l’aver io rilevato in tutta la sua estensione, dalla costa presso Ventimiglia fino all’Enchastraye, sul confine dell’Ubaye, il Nummulitico delle Alpi Marittime. Io sono un po’ parte in causa in questa questione, avendo io appunto nella cartina del ventimi- gliese nel lavoro citato del 1894, e nella carta geologica delle Alpi occidentali al 400.000 del 1908, rappresentato il banco nummulitico come un orizzonte, ma ciò non mi impedirà di discutere la ipotesi Boussac colla massima oggettività, tanto più che sono in ottima compagnia, essendo tutti caduti nello stesso errore, se errore vi fu; . e Se si potrà rispondere vittoriosamente alle obbiezioni che mi ven- gono spontanee dalla conoscenza dei luoghi dove appunto essa si dovrebbe verificare, modificherò volentieri il mio modo di vedere. Perchè il banco in parola possa rappresentare depositi nummu- litici che vanno dal Luteziano inferiore al Priaboniano esso deve avere stratificazione obliqua, non parallela ai proprii limiti, contro a ciò che è sottinteso nella stessa definizione di banco. Il Boussac ha espressa la sua ipotesi con una figura schematica, la quale può illudere in grazia della piccola scala, ma se noi ci facciamo ad in- grandirne una parte, per farcene una rappresentazione grafica, idonea a soddisfare un po’ il nostro intelletto, urtiamo contro difficoltà che sembrano insormontabili, di cui esamineremo alcune, fra quelle che più sono contraddette dalla osservazione del terreno. Rappresento nella fig. 1 una porzione dello schema anzi citato di Boussac (fig. 42, pag. 74), quella relativa alla trasgressione pria- boniana, esagerando la pendenza del banco nummulitico. Ponlamo il banco di calcare nummulitico priaboniano A BCOD, sovrapposto in apparente concordanza sul Cretaceo; noi dobbiama considerarlo come equivalente laterale di tutta la massa, potente qualche centinaio di metri, di depositi eterogenei BD N H, che è quasi sempre costituita, nella valli Roja, Nervia e Argentina, da scisti marnoso-arenacei, arenacei, scisti calcari, calcari alberesi, lenti di breccie e di calcari nummulitici, ecc., complesso che possiamo comprendere sotto il nome barbaro, ma molto comodo, di flysch. ì m Ta A y G Ù » lu è br) è, a AT È "tal re ‘ APT ue Si v Lett È = Ma \ ae E » vo î we L Î Z . } L) x - È "tai v ri re È I e , ù Cr cd eg, ua val I rei LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 250 Da questa equivalenza laterale necessaria di una parte del banco di base trasgressivo, con un dato spessore di flysch, scaturiscono neces- sariamente altri fatti che noi dovremmo verificare sul terreno, senza di che l’ipotesi suddetta non potrebbe essere accolta : 1° Anzitutto il limite BD, fra il banco calcare o calcareo- arenaceo e l’equivalente deposito di flysch, non può essere retti- È lineo, ma sarà dato da una serie di addentellati lenticolari, i quali per quanto siano minuti ed uniformi non potranno mai, sul ‘99 I terreno, dare l'apparenza di un limite con stratificazione parallela, quale è apparsa finora a tutti gli osservatori ed allo stesso Boussac, Fig. 1. — Schema dimostrativo dei rapporti fra il banco nummulitico priaboniano trasgressivo e il flysch depositatosi contemporaneamente alle varie parti di esso, nell’ ipotesi di J. Boussac (Zone du Priabonien trasgressif). È il quale così pure la indica nei suoi profili delle figure 35, 36, 39, a 48, ecc., in cui quel banco sarebbe priaboniano. | Noi possiamo avere dei banchi di organismi costruttori ossia di i Corallarî, di Rudiste, ecc., che si proseguono attraverso a degli strati i È: terrigeni successivamente contemporanei, ma questo non si può verifi- | care per i banchi di Nammuliti, organismi mobili, i cui depositi devono . d perciò seguire le leggi ovdinarie, della sovrapposizione più o meno pa- rallela degli strati successivi, degli elementi terrigeni. n e do .| d Re È > DA ba coA, uo } È “ r % si 2° Prendiamo ora in esame uno di quei grossi banchi di are- 3 » naria ad elementi silicati, che sono appunto frequenti nel Priabo- niano della regione del Colle di l'enda e dell’alta valle Argentina. Supponiamo che il deposito di esso coincida col livello di deposito G H, al momento in cui la spiaggia è in G. Gli elementi cristallini ir è A a 4 è Pe AS PA Miani ® î 207 4 ha” bd $ » Le ì 256 ING. S. FRANCHI che lo costituiscono hanno dovuto provenire dal massiccio cristallino emerso, e, per trasporto fluviatile, attraversare le testate degli strati » , a hall SER VO $ be secondari, quindi scorrere sulla faccia degli strati cretacei A G, per | essere in seguito distribuiti, dal movimento ondoso, su tutta la estensione che avrà il banco. Così non solo il banco arenaceo dovrà ricoprire il precedente tratto di deposito nummulitico lungo la linea GI, ma esso, in questo tratto e in quello adiacente, avrà elementi più grossolani e potrà pure essere costituito da veri ciottoli, perciò passare a vera puddinga. Cessate le condizioni speciali di correnti, che hanno originato il banco di arenarie, e ritornando i depositi come prima, il banco di arenaria nella sua estremità G I, dove è più gros- solano e anche puddingoide, sarà incluso nel banco di calcare num- mulitico di base. Si verrebbe così ad avere un grosso banco etero- geneo, di forma litologica molto distinta, che attraverserebbe, quanto vuolsi obliquamente, ma nettamente, il banco nummulitico, per inol- trarsi fra i depositi laterali ad elementi fini. Identico ragionamento si può ripetere per una lente di breccia o di brecciola poligenica calcare, con Nummuliti, quali si osservano soventi in quello stesso Priaboniano della Valle Argentina. Ivi pure gli elementi più o meno grossolani di roccie cristalline e di calcari secondari, dopo un percorso terrestre più o meno lungo, scorrendo sulle faccie non erose del Cretaceo, raggiunceranno la spiaggia in L, ed il banco o la lente così costituiti saranno ivi pure inclusi nel banco di calcare nummulitico priaboniano, che ne sarà perciò attraversato obliquamente, per staccarsene con un angolo più 0 meno forte. Ora io non ho visto mai nessun banco eterogeneo staccarsi come devrebbe accadere negli esempi suddetti, dal grande banco di base, dopo averlo attraversato, per andare ad inserirsi nei depositi sopra- stanti; nè credo che nessun altro osservatore abbia notato un simile fatto, chè certo ne sarebbe stato colpito e ne avrebbe dato notizia. Si può obbiettare che l'angolo « delia figura, esagerato per chiarezza di dimostrazione, è sempre molto piccolo, ma anche in questo caso un banco eterogeneo come l’arenaria, o una breccia, roccie che d’or- dinario stanno in forte risalto sulle altre che l’ineludono, ad una é \ dla bile i CA 5 * LA A è È #° Mib na » > 1 Sr | ‘LE d A è e « A . ì; A LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 265 pure a stabilire l’età auversiana della zona marnosa Realdo-Cima di Marta (v. prof. fig. 6, tav. III). In tutto lo spessore di quella formazione multiforme,o flysch, sono lenti di calcari, calcari arenacei, arenarie e brecciole poligeniche con piccole Nummuliti e particolarmente ricche in Ortofragmine, le quali talvolta prevalgono, con esclusione quasi completa delle prime, come nell’alto circo di Triora; e nella parte superiore si trova costan- temente una zona più o meno potente di scisti variegati (bigi, verdicci, bruni, rossi, ocracei, a foglietti sottili a luoghi manganesiferi, con straterelli diasprigni, ecc. In questi scisti si trovano le più alte lenti di roccie con piccole Nummuliti suddette. Questa zona scistosa, molto caratteristica, costante e visibile anche a distanza, che non manca nell’Ubaye e nell’alta Valle Stura, e che è particolarmente sviluppata nel bacino di Sanremo e nell’ Appennino ligure, costituisce un vero orizzonte, che ha servito mirabilmente alla delimitazione della zona ad Helminthoida ; la quale, a sua volta, per la spiccata morfologia se ne stacca fortemente, a causa dei banchi di calcare alberese e di are— narie da cui è costituita, formanti colla fratturazione prismatica pareti scoscese, scalinate, torrioni, guglie e mura ciclopiche, creste dentel- late ece., quali si vedono ad esempio nelle pareti terminali del magnifico | circo dell’Alta Valle Argentina, sopra Triora (v. la ‘fig. 2 e il prof. 6, tav. III), Chi sale da Limone alla Panice è colpito dalla particolare aspe- rità e ripidità delle pareti di una cima, che trovasi a levante del Colle di Tenda, costituita di grossi banchi uniformi di arenarie, viva- mente ripiegati, in mezzo ad una regione ondulata, costituita da roccie scistose minute; è la Cima di Gherra, che costituisce la punta settentrionale del grande affioramento della zona che ci occupa (vedi la tav. I). i tea zona, che ha strutturà sinclinale complessa, presenta una larghezza di oltre un chilometro e mezzo nel senso trasversale, in corrispondenza di quella cima, si restringe a poco più di 300 al Gias della Perla, dove l'erosione ha raggiunto quasi il fondo della sinclinale, per riallargarsi alla Cima del Becco, per cui passa presumi- PRO ING. S. FRANCHI 266 bilmente un profilo di Boussac (1), e si restringe di nuovo nel fondo di valle del Rio Freddo, dove la sinelinale coricata, compresa fra gli scisti variegati, si immerge sotto monte con una larghezza inferiore Colle Tanarello M. Saccarello Fig. 3. — Ripetute pieghe coricate nelle arenarie /@r) e nei calcari alberesi soprastanti (25), della zona ad H. labyrinthica, includenti ristrette cerniere laminate di scisti variegati (scr), che sop- Ri portano direttamente quella zona, e coi quali termina il flysch (77) priaboniano, includente, nella sua parte superiore, le masse esotiche di terreni secondarîì, a 300 metri. Più oltre verso sud-est tutto l’alto contrafforte delle Cime del Vescovo e di Velega, dei M. Bertrand, Missoun e Sacca- rello, separante la Val Roja dal Tanarello (aff. del Tanaro) e quello (1) L'interessantissimo profilo della fig. 41, a pag. 70 del suo grande lavoro. In esso le arenarie n. 7 sono quelle della parte inferiore della zona ad Helmin- thoida labyrinthica, in sinclinale fra gli scisti variegati ed il flysch priaboniano — auversiano, potente oltre a 300 m. Questo fiysch poggia sul calcare a Litotamni n. 5, che rappresenta l'estremo affioramento nord-ovest di un terzo banco lute- ziano, formante un’alta e caratteristica balza, estesa 7 od 8 km. verso sud-est, fin oltre la Regione Ciambuei, dove osservansi calcari a N. millecaput, sormon- . tato da breccie nummulitiche. Si ha così lungo il fondo del Rio freddo, oltre al banco luteziano autoctono (n. 1) e al grosso banco luteziano in ricoprimento (n. 3), prosecuzione di quello del Colle di Tenda e della Cima Pepino, dove la lamina comprende Giurese e Trias, un terzo banco, rappresentante un terzo ritorno, per piega rotta, del Luteziano. Una analoga struttura, ricordante, come questa, la struttura imbricata della Valle del Gesso (annessa tav. IV, fig. 2), si riproduce in alcuni punti della Valle Argentina, dove perciò bisogna diffidare della posizione delle lenti nummulltiche nel giudicarne l’età relativa, rispetto al banco basale. PUTTI r ta N i hi n » Ù i LE « ARENARIE DI ANNOT © E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 267 delle cime Frontè, Monega e Carmo di Brocca, separanti l’alta Ar- gentina dal Tanarello e dall’Arroscia, sono modellate in questa zona, che si mostra intensamente ripiegata, con strette cerniere anticlinali ben visibili, di scisti variegati, laminate fra i grossi banchi di are- narie, colle quali si inizi» in questo tratto la zona ad Helminthoida labyrinthica (v. le fig. 2 e 3). | Alcune di queste cerniere anticlinali hanno direttrici pressochè ‘orizzontali, altre le banno fortemente inclinate, come quella che porta ad affiorare gli scisti rossi alla Colla Rossa, che ne prende il nome, fra M. Bertrand e Cima Missoun. La più bella di queste anticlinali di scisti variegiati, è quella fortemente coricata, che termina nel ver- sante occidentale del Carmo di Brocca, nella quale l'erosione completa delle arenarie del gambo superiore porta allo scoperto quegli scisti ‘al Colle della Mezzaluna, appunto in essi modellato. E’ solo in corrispondenza di questo colle che si interrompe la grande parete di arenarie che comincia alla’ Cima di Gherra, e _ probabilmente, è attraverso ad esso che si prosegue, verso sud-est, la grande frattura del Colle di Tenda; fatto questo non accertato, perchè quella regione era stata da me rilevata prima di compiere lo studio del Colle di Tenda, e io non ebbi più occasione di visitarla. Seguono altre bellissime anticlinali ristrette di scisti variegati laminate fra le arenarie alle falde del M. Grande e dell’Alpe di Bando, quest’ultima estesa cinque chilometri e che termina alle falde di M. Moro, oltre il vallone Campasso. Nelle anticlinali seguenti, al di sopra degli scisti, esiste una zona di alberesi poco potente, che li | separa dalle arenarie, colle quali è perfettamente concordante e pre- senta vere transizioni, rappresentate da intercalazioni di arenarie e di alberesi (v. le figure 1, 2 e 3 della tav. III e il profilo della II). A dimostrare viemeglio che la zona di scisti variegati costituisce come un termine di passaggio fra il flysch e la zona ad Helmin- thoida sta il fatto che, non di rado, queste impronte si riscontrano sulle faccie di banchi calcareo-arenacei intercalati in quegli scisti. Le arenarie formano una zona compatta e potente da 100 a 200 metri, e sono ricoperte a loro volta da una seconda potente no peg ; "$77 » è di: _ , —» di dae i st de 27 > fe X ), - Ù È bi ee A «SY . di + * ni Ù een lA ani 4 rd. tele ha 268 ING, S. FRANCHI formazione di calcari alberesi in banchi più grossi. Sopra questa ultima, nelle conche sinclinali dove è stata meno forte l’erosione, esiste una potente formazione scistoso-arenacea, con alberesi in sottili strati, o flysch, costituente il termine più alto dell’ Eocene del bacino di San Remo. Questa zona affiora presso Bordighera, e in un tratto presso la costa a tergo di Ospedaletti e di San Remo, e attraverso alle parti inferiori delle valli dell'Arma e della fiumara di Taggia, per finire alla costa a S. Stefano al mare; in un’ area d’'immersione (ennoyage) compresa fra le pieghe di Bordighera, dirette sud-sud-ovest e le più basse della Valle Argentina, dirette verso sud-est; dove, per l’immergersi delle pieghe della sottostante formazione di arenarie ed alberesi, quella in parola ha potuto essere risparmiata dalla erosione, Questo flysch, che si sviluppa ancora nel bacino secondario di Ceriana e di Dolcedo fino a nord-ovest di questo abitato, è, come già dissi, caratterizzato da più rare Melminthoida, esclusa la H. labyrinthica, le quali sono del tipo di quella distinta da Squinabol col nome di H. irregularis, e dalle forme di Condriti le più minute. Verso occidente, passato il Capo Mele, costituito da grossi banchi di calcari marnosi ad H. labyrimthica, si rientra nel flysch priabo- niano, che affiora largamente nelle valli che sboccano ad Albenga, dove esso è vivamente ripiegato, e comprende numerose sinclinali del- l’orizzonte superiore (v. la cartina della tavola I). . Questa zona superiore di flysch ad Helminthoida, delimitabile senza troppa difficoltà sul terreno, e che è stata distinta nella carta della tavola II, potrebbe forse rappresentare una facies laterale, svi luppata nella parte meridionale del bacino, della zona principale cal- careo-arenacea ad Helminthoida labyrinthica ; però io sarei piuttosto inclinato a considerarla come una formazione superiore, dovuta alle condizioni del deposito che si andavano mutando, anteriormente al grande diastrofismo che doveva porre termine ai depositi eocenici. Il passaggio fra gli alberesi inferiori. e le arenarie e fra queste e gli alberesi superiori è a volte rapido, e a luoghi presenta vere sfumature, per intercalazioni di banchi sempre più sottili di alberesi nelle arenarie o di queste negli alberesi, fino a quasi totale sparizione. i: s “ hi] MI: sa tà 4% Dei j ele 4 s ; + dial Fi e i de Ù sa 4 n 9 ti e e a n Ei, VA, al 3 è Po ha È du ? è LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 269 I banchi di arenarie sono costantemente separati da sottili strati o di alberesi fogliettati, ma più spesso di scisti ardesiaci-micacei o arenacei ad elementi fini, le cui faccie sono letteralmente coperte . De v dalle note impronte di Helminthoida labyrinthica Herr, e di Chondrites (Ch. Targionii, Ch. Affinis, ecc.), al pari delle faccie dei banchi di albe- rese sotto e soprastanti, e, meno frequentemente, da M Unsteria, H ar- mosira, ecc. E’ notevole l’attenuazione che subiscono i ripiegamenti nelle zone sottostanti a quella ad Helminthoida, quale è messa in evidenza dall'andamento relativamente tranquillo, a grandiose ondulazioni, che si osserva generalmente nel grande banco nummulitico basale, sì nella finestra (boutonnière) di Triora, che in tutta la regione fra le valli Argentina e Nervia e la Roja. Una struttura a strette pieghe, talora rotte, dirette nord-sud e coricate verso ponente, illustrate nel mio lavoro citato innanzi del 1894, la si osserva di nuovo fra la valle ; Roja ed il confine, sul contrafforte del Grammondo. La relativa ‘a plasticità degli scisti sottostanti alle arenarie ed alberesi e special- mente degli scisti variegati e la relativa libertà di movimenti della superiore zona ad H elminthoida hanno dovuto favorire la produ- zione in essi delle superficie di scorrimento delle masse rocciose in È ricoprimento, e delle belle e numerose ripiegature che si ammirano in quella zona nell’estesissimo contrafforte Cima Gherra, M. Sacca- rello, Carmo di Brocca e lungo la valle Argentina fin presso Taggia, distante da quella prima cima non meno di 40 chilometri (v. le figure 2, 3, la carta e il profilo della tav. II e le fig. 1, 2,3, 4,5 e 6 della tav. III). Così tanto le arenarie dell’alta valle del Rio Freddo, sottoposte agli alberesi della grande massa, ivi però non rappresentati a causa dell'erosione, quanto quelle della valle Argentina, che si incastrano a cuneo nella parte inferiore di essi, costituiscono, senza possibile dubbio, una parte integrante della zona ad Helminthoida labyrinthica. si Tali arenarie sono generalmente molto compatte e presentano, ‘al pari degli scisti intercalati, chiari segni di metamorfismo incipiente (lamelle e patine sericitiche lucenti, comuni a molti scisti degli altri and hi 9 w c dl 270 CATA: e RR FERANOCHI O PR ENT orizzonti dell’ Eocene della regione, quarzo rigenerato, vene e druse di cristalli di quarzo, ecc.). Esse rappresentano una: invasione, nel profondo del mare dove si depositarono gli alberesi, delle sabbie di elementi cristallini, fornite dal massiccio dell’Argentera (Mercantour), durante una serie di numerose oscillazioni, subìte dal. sistema montuoso fin dall’inizio dal Luteziano; e, come era da aspettarsi, esse diminuiscono di potenza a misura che si procede verso sud-est, finchè esse scompaiono completamente, cedendo il posto agli alberesi dapprima (Capo Berta), poi ad una alternanza di alberesi e di grossi banchi di calcari marnosi, però sempre leggermente arenacei (Capo Mele) (1). Analoghi passaggi sono molto comuni in tutte le formazioni, ma particolarmente frequenti nell’ Eocene di tutti gli orizzonti, deposto entro a bacini frastagliati e con isole rocciose emerse; e nella zona ad Helminthrida stessa sono stati notati frequentemente anche nell’Appennino toscano, come, ad esempio, quelli descritti dal- l’ing. Lotti nei monti del Casentino (2). Identiche osservazioni io debbo fare per le arenarie del Monte Bignone a N. di Alassio (Albenga), pure riferite da J. Boussac ai grès d’Amnnot. Il profilo dato, colla fig. 79 del suo grande lavoro, fra il mare M. Bignone e Arnasco, con andamenti eccezionalmente tran- quilli per una regione dove egli segnala giustamente la presenza del Wildflysch (3), che egli illustra con fotografie (1. c., tav. V. fig. 1e 2), } (1) Astrazione fatta di un certo tenore in elementi sabbiosi, che li rendono inutilizzabili a quello scopo, i calcari marnosi di Capo Mele avrebbero la costitu- zione richiesta per un buon cemento naturale. Anche dei grossi banchi marnos ; presso Martola, pei tenori in calcare ed argilla, avrebbero potuto fornire ottimi cementi Portland naturali, se qui pure il tenore in sabbia non superasse il limite concesso per tale utilizzazione. (2) B. LortI. Studi sull Eocene dell'Appennino toscano. Boll. R. Com, geol., 1898, pag. 59. (3) Flysch intensamente ripiegato e rotto e sottoposto ad enormi pressioni, per cui i frammenti dei banchi calcarei od arenacei più grossi sono sparsi con- fusamente, quali blocchi, nella massa scistosa pieghettata e trita. da ni 4 r; eiin dh ei a ReI ; i Ù Yi vw “L | —»‘’‘’‘1‘LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. non dà certo un’ idea, nemmeno approssimata, della complessa tet— tonica del contrafforte di M. Bignone. Vediamo rapidamente il collegamento tettonico di questa colla regione precedentemente esaminata. A levante del contrafforte M. Saccarello - M. Monega, la zona ad H elminthoida manca in tutta l’alta valla dell’ Arroscia, dove fu esportata dall’erosione, però essa affiora nei monti a nord di Pieve di Teco, M. Fascianello, M. Bellarasco ece., presentando numerosi ripiegamenti coricati verso nord, tali che, coordinati con quelli della Valle Argentina, ci danno una irregolare struttura a ventaglio, indicata nel profilo, diretto N.S., della tav. II. Queste pieghe hanno il loro proseguimento verso sud-est-est nel contrafforte fra i torrenti Arroscia e Lerrone, nel quale contrafforte, fra Borghetto ed Ortovero, si osservano non meno di cinque sinclinali coricate verso nord-nord-est della zona ad Helminthoida, di cui le principali sono indicate. nella carta al 400.000. Mentre le più occi- dentali sono prevalentemente costituite da alberesi, le più orien- tali, sviluppate fra Ortovero e Garlenda, sono prevalentemente di arenarie. Sono appunto queste sinclinali che, mutando un po’ di- rezione, che diventa sud-est, hanno il loro naturale proseguimento nel contrafforte del M. Bignone: in una più ristretta, essenzialmente calcarea, fra Garlenda, la Madonna della Guardia e Alassio, ed in un’altra più grande ed essenzialmente costituita da arenarie in grossi banchi, fra Villanova e la Costa d’Oreto sul Lerrone, ed il mare fra Capo Santa Croce e Coscia (Alassio); comprendente questa tutta la massa del M. Bignone fino a Casa Bianca. Il M. Pisciavino è costi- tuito invece da alberesi, facenti parte di sinclinali secondarie inter- poste fra le due precedenti. Queste sinclinali sono comprese fra gli scisti variegati, con sviluppo tipico lungo la Valle Arroscia, scisti | che, a levante di M. Bignone sono sostituiti da scisti neri, e costi tuiscono la parte alta di una formazione scistoso-arenacea (/lysch) con lenti di calcari e brecciole con piccole Nummuliti ed Ortofragmine, equivalente a quella della conca di Triora, della Valle Nervia e della bassa Valle Roja, come mostra chiaramente la carta della tavola I. Questa formazione si appoggia con marcata discordanza sul Lias alle falde del M. Nero, e più a levante a quelle del M. Pesalto, dove Le dat Ya i cas ie br II é 9 f : è *- lege <&;Y ING. S. FRANCHI i RE PO sono pure frequenti lenti di brecciole nummulitiche, con abbondanti Ortofragmine, a C. Mortè, a N. di Campochiesa. | Fra questa località, l’abitato di Peagna e la costa presso Ceriale, alla base del flysch, si sviluppa una importante ed interessante for- 19 mazione brecciosa, della quale mi occuperò in un prossimo lavoro. ‘9g 3 Bisogna ora notare che un profilo rettilineo fra M. Bignone ed Arnasco attraverserebbe la sinclinale di arenarie, la cui carena scende bo sotto il livello del mare, quasi in direzione, e si manterrebbe sempre ‘“d nelle arenarie stesse, riuscendo completamente diverso da quello di | J. Boussac, senza darci tuttavia nemmeno una lontana idea delle “ complicazioni che rivelerebbe un profilo diretto sud ovest-nord est, nor- È poi male alle pieghe. I La formazione di potenti banchi di arenarie in questa zona e più a nord presso Cisano è indizio dell’emersione di grandi masse di roc- a) cie cristalline a non grandi distanze (il Permiano con enormi masse di ) Porfidi delle regioni del medio Tanaro), durante il loro deposito. do Le impronte di Helminthoîda sono rare fra le arenarie del M. Bi- gnone, ma sono frequenti nelle sinclinali vicine, dove predominano gli alberesi, di cui le arenarie rappresentano una facies laterale, analo— gamente a quello che si è visto nella Valle . Argentina. Niun dubbio può rimanere adunque, per il complesso delle osser- vazioni fatte, che queste arenarie del M, Bignone, che sono equiva- î lenti a quelle del Rio Freddo e della Valle Argentina, siano qui pure 5 parte integrante della parte inferiore della zona ad Helminthoida SA labyrinthica. | ; Il Boussac non accenna all’esistenza di masse di arenarie di Annot bi nell’Eocene dei dintorni di Zuccarello e del M. Armetta, perciò non mi occuperò, per ora, di queste località. Limiti cronologici della «zona ad Helminthoida » e delle « arenarie superiori ». È Non credo necessario aggiungere altro a quanto ho detto nella rassegna bibliografica e'l in precedenti lavori, per dimostrare la asso- È luta identità di costituzione e di rapporti della zona ad Helminthoida dia i ì ae. ici i A ia x RARI II PE SRTH DI ANNOT> E LA € ZONA AD HELMINTHOIDA.® EO0.. 273 labyrinthica dell'Appennino Genovese delta formazione scistosa sot- tostante, la quale presenta pure alla sua sommità una zona di scisti variegati e lenti di roccie a piccole Nummuliti, come nel bacino di San Remo. Io non voglio dare alle impronte di Helminthoida ed alle Chondrites, maggior valore cronologico di quello che possano avere ; è certo però che noi possiamo considerarle, entro limiti ri- stretti di territorio, almeno quali ausiliari di qualche valore ai cri- teri, già molto chiari, che sono forniti dalle identità delle. formazioni in parola e dei reciproci loro rapporti. Noi possiamo quindi ritenere come pienamente Ruicslrata la corrispondenza stratigrafica e cronologica fra la zona ad Helminthoida del bacino di San Remo e quella dell'Appennino Genovese. Ivi essa è stata vivamente ripiegata, esondata e profondamente erosa ed abrasa, e solo dopo una nuova sommersione è stata ricoperta, in molti punti con forte trasgressione, corrispondente ad una importante la-. cuna, dalla nota formazione tongriana dell’ Appennino ligure. Questo fatto, la cui evidenza ha colpito tutti i geologi che dal Pareto in poi l’hanno osservato, ci permetterà di stabilire un limite superiore della età di quella formazione ; la quale sarà certamente più giovane degli strati più bassi del Tongriano stesso, nei conglome- rati grossolani del quale sono inclusi, come è noto da molto tempo, blocchi delle roccie caratteristiche di quella zona (1). E’ qui il momento di ricordare ancora che sopra la zona ad Helminthoida si è deposta un’altra potente zona scistoso-arenacea, con alberesi in banchi sottili, che io distinsi provvisoriamente col nome di « zona ad Helminthoida irregularis Squinabol ed a piccole (1) Nelle puddinghe tongriane a grandi elementi del promontorio di Porto- fino sono frequenti blocchi di roccie a glaucofane, ie cui similari noi vediamo ora solamente nei dintorni di Pegli, all'Isola di Gorgona e in Corsica, mancando com- pletamente nella Riviera Orientale. Bisogna adunque supporre che quei blocchi provenissero da una regione di terreni a facies cristallina, che esisteva in pros- | simità del promontorio, forse collegata con Pegli e colla Gorgona, e che si è sprofondata durante i movimenti epirogenici post-oligocenici. | ING. S. FRANCHI | | x Chondrites ». Questa zona superiore è stratigraficamente e tettoni- camente così legata alla zona ad Helminthoida labyrinthica che noi possiamo dire che ne sia una parte, la più alta, corrispondente ad un sensibile innalzamento del fondo marino, nel quale si erano deposti ‘ i caleari alberesi e le marne calcari della zona suddetta. Tale innal- zamento preludé certamente al corrugamento grandioso, avvenuto dopo il deposito di questa zona superiore, il quale doveva essere accompa- gnato o seguito dal sollevamento alpino-appenninico. Noi abbiamo perciò in Liguria, a partire dal Luteziano, la succes- sione di fenomeni indicati nella tabella seguente : 1° Deposito del banco nummulitico basale (Luteziano inferiore-Auver- siano) o in concordanza sul Senoniano o in discordanza sui terreni anteriori nel bacino di San Remo — senza corrispondenti noti nell’Appennino genovese. 2° Deposito dell’Auversiano, a luoghi a facies marnosa (con molluschi, corallari, ecc.) nel bacino di San Remo, orizzonte che non mi risulta abbia il corrispondente nell'Appennino genovese propriamente detto. I 3° Deposito del flysch, con lenti di roccie a piccole Nummuliti, termi- nante colla zona di scisti variegati (Priaboniano-Bartoniano) nel bacino di San Remo — e della formazione scistosa argilloso-arenacea delle Valli Pol- cevera, Bisagno e Scrivia, a luoghi con fossili del Creatceo rimaneggiati ovvero con affioramenti di Cretaceo, includente nel basso le masse di roccie ofiolitiche e terminante in alto con una identica zona. di scisti argillosi, varie- OPA cà — Durante |’ Eocene gati, papiracei, diasprigni, manganesiferi, cupriferi, ecc. 4° Deposito della potente zona od Helminthoida labyrinthica e della soprastante zona od Helminthoida irregularis Squinabol, a facies di flysch, | nel bacino di San Remo — e della prima zona, senza che sia finora noto il 1 \ corrispondente della seconda nell'Appennino genovese (Ludiano ?). >; i 5° Intenso corrugamento e sollevamento delle precedenti forma- i | zioni, dalle Alpi Marittime all’Appennino. pi 6° Attiva erosione delle regioni sollevate e particolarmente dei È termini 3° e 4° nell'Appennino Genovese, e contemporanei depositi, # in parte probabilmente non ancora messi a scoperto dalla. erosione (strati più bassi dell’Oligocene). 7° Sommersione ineguale e dissimmetrica delle regioni ripiegate ‘ ed erose (versante padano delle Alpi Liguri, Appennino Ligure). 8° Deposito trasgressivo del Tongriano, avente alla base dei banchi con faune nummulitiche, presentanti affinità eoceniche, e con N. intermedius. I. ( Lacuna II. — Durante l’ Oligocene i Zire ili « . I 0/ ha veti et x hai : : tl ) visi? “ bat pi 4 LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » Ecc. 275 Permangono naturalmente delle incertezze riguardo alla cronolo- gia del n. 5 di detta tabella, il quale comprende due fenomeni, il cor- rugamento e il sollevamento, i quali hanno potuto essere quasi con- temporanei od anche consecutivi, potendo essere uno eocenico e l’altro oligocenico, od entrambi oligocenici; ma la grande potenza della du- plice formazione ad Helminthoida, armonicamente ripiegata, mi fa pro- pendere a collocare la lacuna completamente nell’Oligocene. Il pro- gresso degli studi su questo terreno in Liguria ci permetterà forse di precisare un giorno i limiti e ia estensione di quella lacuna; intanto quello che non sembra dubbio è questo : che i terreni anteriori ad essa | siano eocenici e quelli posteriori oligocenici. Il che corrisponde perfet- tamente al concetto: che la separazione delle due importanti divisioni del Nummulitico della regione alpino-appenninica debba corrispondere all'importante corrugamento e conseguente sollevamento, che si osserva in quel sistema montuoso e nelle regioni contigue. La trasgressione oligocenica essendo una delle più importanti che la storia registri e fra quelle che hanno affetto il sistema alpino, è più che naturale che noi riferiamo ad essa il Jimite fra i terreni che presentano le più spiccate differenze, sia pel comportamento tettonico,. che per la fauna e per la natura litologica. Quindi noi non potremmo mai indurci a collocarla alla base della zona ad Helminthoida, la quale poggia in concordanza sul flysch priaboniano, è con esso armonica- mente ripiegata, ed è costituita, sebbene con sviluppi molto diversi per ciascun tipo, dalle stesse forme litologiche e, quello che importa, collo stesso grado di metamorfismo. E tanto meno noi potremmo consentire ad abbassare quella la- cuna fino a farla corrispondere col limite inferiore delle arenarie di Pourriac e di Servagno, di tanto più antiche, e che roggiano in con- cordanza perfetta sul Nummulitico basale. Il grande distacco corri- spondente a quella importantissima trasgressione è dato certamente, nelle Alpi Marittime e nell'Appennino Genovese, dalla separazione fra i terreni vivamente ripiegati, poveri in fossili e alquanto metamorfici della zona ad Helminthoida, ed i terreni non ripiegati, riccamente fossi- BE eni ING. Sì FRANCHI © liferi e punto metamorfici del Tongriano, che li ricoprono con fortis- sima discordanza; due terreni questi corrispondenti a due mondi geo- i logici diversissimi, quali li riconobbero già sessant'anni or sono il Pareto ed il Sismonda. Sul limite cronologico inferiore della formazione tongriana ligure esiste un disaccordo fra i geologi italiani, che hanno studiato la re- gione ed alcuni geologi francesi. Il Rovereto in un suo primo studio (1) aveva affermato l’esistenza del Sannoisiano (Lattorfiano) e dello Stampiano (Rupeliano), ma Haug (2) afferma che le affinità della ricca fauna del termine inferiore sono piuttosto col Rupeliano; per cui egli crede dover parallelizzare le due suddivisioni suddette col Rupeliano e collo Chattiano. Però in un suo nuovo lavoro il Rove- reto (3) ribatte gli argomenti di Haug e riafferma l’esistenza nel Neonummulitico ligure, del termine inferiore, Sannoisiano o Lattor- fiano, di cui egli indica pure la distribuzione. E’ qui il caso di ricor- dare che il Sacco (4) ha precedentemente accennato all’esistenza del Bartoniano, rappresentato da marne nummulitiche, in molti punti dell'Appennino alla base del Tongriano, e con esso concordante, mentre sarebbe discordante sulla formazione ad Helminthoida; e che il Prever (5) e la signorina Parisch (6) determinarono specie di num- muliti bartoniane, provenienti da località non dubbie del Neonummu- litico, quali ad esempio Voltaggio, Carrosio, Dego, Carcare ecc. ; località queste in cui quel terreno riposa sulla formazione delle pietre verdi (giurassico metamorfosato a facies cristallina), per modo (1) Loc. cit. /Mustrazione ecc.; A. ISSEL: Osservazioni sul Tongriano di Santa Giustina, con carta geologica. (2) E. Hauc. Trasté de geologie, II, p. 1485. (3) Loc. cit. Nuovi studi, ecc. (4) F. Sacco. lc. L'Appennino settentrionale e appendici. (5) PREVER. / terreni nummulitici di Gozzano e di Biarritz. Atti Real. Acc. Sc. Torino, 1905-906. (6) CLELIA PARISCH. Di alcune nummuliti ed orbitoidi dell’ Appennino ligure-piemontese. Mem. Reale Acc. Se. Torino, T. XVII, 1907. CAI o ili NO 4 (PN TI FIIPRERAPIO UA RIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 277 che il significato di quei ritrovamenti di Nummuliti non può essere + diminuito dal dubbio che esse siano state rimaneggiate. Tuttavia la presenza di Orbitoidi e di Nummuliti di tipo eocenico, che avevano indotto il prof. Sacco a distinguere il Sestiano alla base del Tongriano ligure (1891), non potrebbero più ora, secondo l'A. stesso, costituire un argomento per attribuire all’Eocene « un terreno che la chiarissima stratigrafia, la flora e la fauna molto ricche, si accordano ad indicare come Oligocene tipico » (1). E qui mi trovo, ora, pienamente d’accordo col prof. Sacco, perchè potrei difficilmente ammettere che la potentissima zona ad Helmin- thoida, che, come si vide, riposa sopra strati a Nummuliti priabo- niane, possa ancora essere ricoperta, e con forte trasgressione, da strati, siano pure i più alti, del Bartoniano. La osservazione di elementi della fauna eocenica alla base del Neonummulitico ligure sembrano venire a conforto della tesi del Ro- vereto: che tutto l’Oligocene, fino ai suoi termini inferiori, sia rappre- sentato in quello che fu detto prima Bormidiano poi Tongriano nel- l'Appennino ligure. Tuttavia io non sarei alieno dall’ammettere che la parte più profonda dei depositi oligocenici, quella che si formò du- rante la attiva erosione, le cui traccie sono state osservate anche dal Rovereto (1. c.) al disotto del Tongriano, siano nascosti ai nostri occhi. Ciò naturalmente nell’ ipotesi che la lacuna, di cui bisogna riconoscere l’esistenza, siasi fatta a spese dell’Oligocene, e che la parte superiore, a forma di flysch, della zona ad Helminthoida (Ospedaletti, Dolcedo, ecc.) di cui si tenne parola, costituisca al tempo stesso il deposito eocenico più alto formatosi anteriormente alla esondazione pre-bormidiana dell’Appennino ligure e la sommità dell’ Eocene. Noi potremmo avere ad. ogni modo in questa regione, se non tutto, buona parte dell’Oligocene inferiore, in deposito quasi indistur- bato dalle oscillazioni posteriori, e trasgressivo, sui terreni eocenici 0 __—__—______———€< (1) F. Sacco. Les étages et les faunes du Bassin tertiuire du Piémont. Bull. Soc. geol. d. Fr., 4e Série, t. V, p. 896-97, 1905. @ n È pa 278 « ING. Sì FRANCHI SNO LIRE anteriori ripiegati, analogamente a quanto si osserva nelle Basse Alpi, nel bacino di Marsiglia, nell’Alta Garonna e nei Pirineì (1). Così l’età eocenica superiore (forse ludiana) della zona ad Helmin- thoida si può ritenere pienamente dimostrata. D'altra parte sono in ciò d’accordo tutti i geologi, compresi i colleghi francesi che studiarono le regioni oltre confine (Kilian, Haug, L. Beltrand), i quali le assegnano un posto nell’Eocene superiore (2). Lo stesso signor Boussac parlando del flysch à Helminthoides (Etude stratigr. p. 219) sviluppatissimo fra La Condamine e Enbrun, dice‘ che esso, fra l’Empéloutier, il Col de Pélouse e il Parpaillon « parait avoir envahi toute la série nummulitique » e « qu’on ne trouve méme pas de flysch calcaire à la base, entre les calcaires gréseux lutétien du Gerbier et le flysch de l’Empéloutier ». E nello schema stratigra- fico della pagina 255 l'A. considera la zona in parola come subordi- nata ai grès d’Annot. Rimane adunque pienamente dimostrato come nen si possa d’ora innanzi parlare di grès d’Annot in tutto il bacino di San Remo, al- meno fino a tanto che a questo nome si intenda annesso il concetto dell’età oligocenica. È Quali differenze di comportamento tettonico di fauna e di co- stituzione litologica fra le arenarie suddette ed i depositi dell’Oligo- cene ligure! Si tratta evidentemente di due mondi geologici diversi. Quanto al limite cronologico inferiore di quella zona, la quale è costantemente e nettamente sovrapposta alla zona di scisti variegati, non bastando le rare piccole Nummuliti ed Ortofragmine riscontrate nei banchi inferiori delle arenarie con Helminthoida a Valle Crosia, noi potremo forse dedurlo dalla faunula delle masse lenticolari a piccole Nummuliti, che si trovano inserite nel flysch immediatamente (1) La presenza di Lepidocyclina nel Tongriano dell'Appennino non sembra più costituire un argomento per negare che gli strati che le contengono possano essere dell’Oligocene inferiore, dopo i lavori ben documentati di G. Di Stefano, E — Checchia-Rispoli e Prever ed uno recentissimo di H. Douvillé, che viene a confer- mare autorevolmente le idee, che quei geologi vanno esprimendo da un decennio. (2) Vedansi i fogli di Larche e di Gap della carta geologica di Francia. PI PALE - o A PET ipa N I A È a 4 DI ” è «bia na) . È » er ed, LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECCO. sottostante agli scisti variegati, e in qualche punto in mezzo a questi stessi scisti, nella Valle Argentina (1), faunula che ha schietti carat- teri dell’ Eocene superiore o priaboniano. Il suddetto flysch, è potente forse non meno di 1000 metri nei dintorni di Ventimiglia fra il Lute- ziano superiore della Martola e la zona ad Helminthoida, tipicamente sviluppata (arenarie grossolane in basso e alberesi in alto) a Vallecro- sia (v. prof. fig. 2 nel mio lavoro del 1894 e quello della fig4, tav. III); esso è pure potentissimo nel contrafforte fra Carmo Ciaberto e M. Ceppo (fig. 5, tav. III) e nei dintorni di Triora, dove il Boussac lo vide « avente parecchie centinaia di metri » di spessore (1. c. p. 72 ‘ e fig. 20 p. 30) e di Realdo, dove esso misura una potenza non infe- riore a m. 400, fra le marne auversiane e la linea del ricoprimento della Rocca Barbona (fig. 6, tav. III). La zona di flysch è meno po- tente nel Rio Freddo (Boussac, fig. 41, pag. 70) ma al Colle di Tenda (fig. 7, tav. III) è pur sempre rispettabile. Tale fiysch rappresenta, secondo i luoghi, quasi tutto il Bartoniano ovvero l’Auversiano e una parte del Priaboniano. Una parte di questo flysch sarebbe secondo J. Boussac, equivalente laterale del banco nummulitico au- toctono che si sviluppa fra il Colle di Tenda e l’Ubaye. Malgrado quel po’ di indeterminatezza, che sempre rimane for- zatamente in questo limite cronologico inferiore, dal fin qui visto e specialmente dalle carte e dai profili delle annesse tavole I-IV, rimane in modo assoluto escluso che quella zona, sì nel bacino di (1) Il calcare compatto di una piccola lente, grossa solo qualche metro, inse- rita negli scisti variegati, quasi a contatto colle arenarie ad H. ladyrinthica a S.-S.0. di M. Frontè (fig. 6, tav. III), oltre a piccole Nummuliti non isolabili e non determinabili nelle sezioni sottili, presenta abbondanti Ortofragmine, fra cui O. dispansa Sowerby sp., O. ephippium Schlotheim sp., O. Provasendai Prev. e O. aspera Gilmbel sp., rare assiline, globigerine, ecc. Il calcare cristallino bigio, con minuti elementi di calcari secondari, affiorante in grossa lente nel flysch presso il Passo di Collardente, per cui ‘si va da Realdo a Briga, è pure zeppo di piccole Ortofragemine con piccolissime e rare Nummuliti; fra le prime il Dott. Checchia- Rispoli, che vivamente ringrazio per queste come per le altre determinazioni di foraminiferi, ha potuto determinare oltre alle precedenti la Orthophragmina varians Kaufmann. i 280 ING. S. FRANCHI San Remo che nell’Appenrino Genovese, possa comprendere il Bar- toniano inferiore, e tanto meno una minima parte del Luteziano, come vorrebbe sostenere ancora il prof. Sacco (1); il cui /lysch rouge suessoniano (p. 76) è appunto una cosa sola cogli scisti rossi sotto- stanti alla zona ad Helminthoida labyrinthica, i quali saranno al più del Bartoniano superiore. Ed io sono convinto che a questo riguardo non vi può essere dubbio, benchè il prof. Sacco affermi che in quel flysch sono incluse lenti di calcari arenacei, con grandi Nummuliti. Questa osservazione parrebbe stabilire un conflitto fra la Stratigrafia e la Paleontologia, ma certamente questo conflitto non potrà sussistere, quando sì saranno determinate esattamente quelle Nummuliti e, con precisione verificate Sa la posizione tettonica del banco che le contiene, ed eventualmente il modo di loro provenienza. Io, non paleontologo, mi trovo in una singolare situazione, a discutere con due paleontologi sulla asse- 9 gnazione eronologica di una zona, che non ha presentato, finora, fossili di un qualche valore ; zona che uno vorrebbe più giovane e pi l’altro molto più antica che io non creda. Io posso confidare però, È e proprio coll’ausilio delle determinazioni paleontologiche da essi fatte per i terreni sottostanti e per altri più giovani, e con quello della 1 À » mia matura conoscenza delle varie zone e dei Joro rapporti di po- > sizione, di essere giunto ad una soluzione, sulla quale finirà per ma- nifestarsi un accordo completo. e Il signor Boussac, dopo avere indicato chiaramente quali grés } d’Annot le arenarie delle località di cui si parla, sia nel testo che do nei profili — in quello della fig. 20, pag. 30, le arenarie di Valle Ar- gentina sono detti grès d’Anmnot oligocène — nel riassunto stratigrafico della regione circuente a mattino il Mercantour, a pag. 74, dice che È egli le ha poste nel Lattorfiano per due ragioni : 1° Perchè sono sovrapposte al Priaboniano ; 2° Perchè è notorio che esse sono ricoperte in trasgressione dallo Stàmpiano nell’Appennino ligure. (1) Les Alpes occidentales, p. 76-78. Lo LA be Sia di t * di A (e e; “agi* Ca Tore À tt PR . Esaminiamo ora un’altra importantissima e potente zona di are- narie, le quali sono state pure attribuite all’ Oligocene, e sulla cui assegnazione non mi trovo d’accordo con alcuni valentissimi colleghi e amici, che hanno studiato oltre confine la regione attorniante l’estre- mità nord-occidentale del massiccio cristallino dell’Argentera, nelle quali, appunto per la vicinanza di questo, i depositi di arenarie hanno raggiunto grandi potenze e si sviluppano sopra vastissime superficie. IT] Boussac ha equiparate cronologicamente queste arenarie con quelle della zona ad Helminthoida del versante marittimo ligure, sia nel testo che nella tabella riassuntiva, ma io le credo ad essa ante- riori, ed ho voluto discuterne separatamente la età, oltre che per questa mia convinzione, anche pel fatto della continuità diretta stra- tigrafica innegabile, che esse presentano colle estesissime masse di arenarie distinte da 0. Lory col nome di grés de V'’Embrunats, e che sono indicate come oligoceniche nelle carte geologiche francesi, e la cui —_— anto (1) D. PANTANELLI. Sull'estensione dell'’Oligocene nell'Appennino settentrio- nale. Atti Soc. Natur. e Mat., Modena, serie IV, vol, XIII, anno XLIV, 1911. s bi ì Da 4 - - cs» af p he É n Pe i £ I À % sà Ù ) è "w * =» | LE «€ ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 283 età, ritenuta sicura, ha servito, col criterio delle analogie litologiche e di posizione, a stabilire, da parte di alcuni geologi, la pari età oli- gocenica di altre importantissime formazioni di arenarie, distribuite nel giro delle Alpi occidentali, e delle quali parleremo in seguito. La discussione analitica che farò seguire sarà un po’ lunga e te- diosa, perciò desidero fare intravedere subito in sintesi i termini della questione e la soluzione che a mio parere sarebbe inevitabile. A questo scopo occorre avere davanti la carta delle Alpi occi- dentali al 400.000, pubblicata dal R. ufficio geologico..I terreni eoce- nici sono in essa divisi in tre parti e distinti coi numeri della scala 8,9 e 10, corrispondenti rispettivamente il 1° alla zona ad Helmin- thoida, il 2° al flysch potentissimo sottostante, che passa a luoghi ad una formazione essenzialmente arenacea (Valle Grande di Ver- nante e Valle Stura di Cuneo), ed il 3° al banco nummulitico ba—- sale, che si appoggia quasi ovunque sul Cretaceo superiore, ma in alcuni punti è trasgressivo sul Giurese, sul Trias e sugli gneiss. Lasciando da parte la variabile età di questo banco, discussa pre- cedentemente, la questione che qui si dibatte consiste in questo: di decidere se, oltre il confine politico, i lembi di terreni (9) sovrapposti in concordanza, si noti bené, al banco nummulitico e alla formazione marnosa auversiana e priaboniana (con Serpula Spirulea), costituiti in maggior parte da arenarie e da conglomerati, ma che in alcuni punti passano al flysch (fra le valli Tinea e Roja) e in alcuni punti anche a sabbie incoerenti (Puget-Tenier, S.t Antonin), si debbano sincroniz- | zare col terreno 9, di qua del confine, come è indicato nella carta geologica al 400.000, ovvero si debbano considerare come Oligocene inferiore, quindi senza alcuna corrispondenza, nè col terreno 9 nè con quello 8 della carta stessa, siccome è indicato nelle carte geologiche. francesi al 1000.000 ed all’80.000. Per facilitare la lettura della discussione che segue ho ripro- dotto nel clichè della tavoia I l’ Eocene della suddetta carta al 400.000, i cui terreni 8, 9, 10 corrispondono rispettivamente a quelli dei numeri 6, 5 e 4, 3 di esso. Nel cliché sono stati inoltre indicate delle masse del calcare nummulitico basale, che erano sfuggite nella Di Tag! 4 E, * Li è VA * ì # (» ” i Mu : et P : Mi; sati P C È < lE 3 É i i é d 284 ING. S. FRANCHI carta, quali quelle delle valli del Tanaro e della valle Pennavaira. Dal clichè, del quale la carta della tavola II è un particolare, si vede molto chiaramente, che l’area coperta dalla zona ad Helminthoida è fiancheg- giato da ampi affioramenti del flysch priaboniano sottostante, in tutte fi le regioni di erosione profonda delle valli Roja, Nervia, Argentina, Andora, Arroscia, Pennavaira e Tanaro. La visione di quella carta mostra subito che la regione oltre confine a sud del Mercantour, dove tutte le valli sono profondamente scavate nei terreni secondari, corrisponde ad una generale maggiore elevazione della serie stratigrafica dei terreni, per cui si comprende subito che, essendo tutte le valli scavate nei terreni pre-eocenici, il termine superiore dell’Eocene (8) sia stato completamente asportato insieme alla parte superiore di quello sottostante (9); mentre l’ab- bassamento generale di quella stessa serie nell’area sinclinale depressa del bacino di San Remo, dove, ad oriente della Roja, tutte le valli sono quasi totalmente scavate nei terreni eocenici, ha permesso che fossero conservati completamente, sopra grandi estensioni, i ter- È mini 9 e 8, e, lungo la costa, la parte superiore di questo (vedansi le È cartine delle tavole I e II). E Per contro riescirebbe assolutamente incomprensibile lo sviluppo regolare di depositi oligocenici concordanti sull’Eocene in quella prima regione, oltre confine, la quale, come si disse, è sopraelevata ri- spetto alla seconda, mentre in questa non trovasi traccia di Oligo- cene, nè in concordanza sulla parte superiore del termine 8, nè tra- sgressivo sui termini inferiori. Quello che si è detto per la regione a sud del Mercantour si può ripetere per le altre vastissime regioni circuenti il massiccio cristal- lino a sud-ovest e ad ovest, e nelle quali hanno grande sviluppo le arenaTie dette di Annot, come si può vedere d’un colpo d’occhio sulla carta geologica della Francia ad 1.000.000 edita nel 1905, dove il terreno in questione è indicato in giallo cromo carico e col n. 21, Le osservazioni sintentiche sulle carte in piccola scala possono essere completate coll’esame del profilo della fig. 4, tav. III, che attra- versa il piccolo bacino di Mentone e la parte occidentale di quello di im Una É Vo pa fi Ji +0 P 2a > si N î y E È wi + PI K a è, 9 5 = e ell STRO (Toe dt e < si A, a ” sa ne + i à gra F, alli / 7 » ia È van ;a Li tu DI dal » ‘LE «€ ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » Ecc. 285 San Remo. Si tratta di vedere se la linea H H, limite inferiore della zona ad Helminthoida, debba, nel bacino di Mentone, essere abbas- sata di tanto da venire a coincidere col limite inferiore dei grès in- dicati nel profilo, 0, peggio ancora, se questo debba essere considerato corrispondente alla linea H! H!, limite superiore della suddetta zona. Passiamo ora all’analisi, cominciando dall’Alta Valle Stura. La zona di arenarie dette grès d’ Annot, nel foglio di Larche (N. 201) della carta geologica diFrancia all’ 80.000, è indicata con tinta viola e col segno my_11, ed è protratta al di quà del confine, colle stesse segnature, fino alla Stura, fra Bersezio ed Argentera. Questa zona io ho avuto campo di esaminare in varî punti durante le revisioni, eseguite per altri scopi nell’alta valle Stura nello scorso settembre, ma non trovai nessuna nuova ragione per mutare il concetto che mi ero fatto della sua età eocenica, età che le ho naturalmente attribuita nella carta geologica al 400.000 delle Alpi occidentali. Vediamone intanto i limiti e la estensione. Quella zona penetra in Italia dal confine con una larghezza di circa 1500 m. fra il p. 2785 alle falde del M. Enchastraye ed il Passo di Bail (2553), con una potenza di circa 250 m., direzione N.-70°-80°-E. e pendenza regolare di 20°-30° verso Nord (f. 3, tav. IV). Essa attraversa il vallone di Pourriac, profondamente incassato | in corrispondenza di essa, va a formare le alte coste nord delle vette È gemelle Cima delle Lose e Punta Incianao, e scende verso la Stura a monte di Bersezio, velata ivi da una grande massa di morenico, sempre regolarmente sovrapposta, coll’intermediario di una poco po- tente zona scistosa marnoso-arenacea, che costituisce come una gra- duale transizione con esso, sul grosso e regolarissimo banco di cal- care arenaceo a Nummuliti dei gruppi striatus e încrassatus, banco che il Boussac, per l'assenza della N. Fabianîi Prev., ritiene solo probabilmente priaboniano, mentre esso più ad occidente, al Lausanier, è francamente auversiano (1. c. p. 134). 1 Si tratta di arenarie bigie in grossi banchi, costituiti da elementi di roccie cristalline, di cui includono talora ciottoletti poco rotolati, grossi qualche centimetro, e lenticole di scisti neri fogliettati, mica- dai +; ui i, 1040 LESÌ LI RA: rif eiain ani di- eri a Se ua ‘ ". lei 286 “00000 "ANG. 8. FRANCHI cei, e attraversati da grosse vene con druse di quarzo. I banchi, ta- lora grossi diversi metri, sono separati da sottili interstrati scistosi scuri, sui quali il Portis (1) dice di avere rinvenute traccie di equi- seti. E’ bene notare fin d’ora che ivi non furono notate traccie di Helminthoida o di Chondrites, le quali sono invece frequentissime nella massa scistoso-arenacea con alberesi del vicino M. Ventasuso, massa che si sovrappone — vedremo in seguito come — alla zona di arenarie di cui parliamo (v. il prof. della fig. 3, tav. IV). I calcari marnosi in straterelli, sottostanti albanco nummulitico, sono in tali rapporti di concordanza con esso, che si ha fatica ad ammettere che esista fra di essi una lacuna, corrispondente a tutto il Luteziano ed all’ Auversiano, lacuna che bisognerebbe supporre, se anche la parte superiore di quei calcari marnosi, ivi molto potenti e senza fossili, rappresentassero ancora il Cretaceo, nel quale si tro- vano più in basso delle Ippuriti, e se, con J. Boussac, dovessimo am- mettere che tutto il banco nummulitico sia effettivamente priabo- niano. E qui mi viene a proposito di ricordare ancora il tatto molto curioso, a cui ho già precedentemente accennato, cioè che in tutti i punti dove il banco nummulitico, per essere priaboniano, dovrebbe essere più fortemente trasgressivo, sì ha invece concordanza assoluta ed assenza della formazione ciottolosa di base, che è invece frequente e potente alla base del Luteziano superiore dei dintorni di Ventimi- glia. Vi sarebbe campo ad una ipotesirche la parte superiore dei cal- cari marnosi, pur avendo la facies litologica del Cretaceo, rappre- senti già il Luteziano e l’Auversiano; in tal caso però il banco num- mulitico dovrebbe tagliare obliquamente e separare due facies di Eocene: una laterale, inferiore, calearea-marnosa, dalla superiore-late- rale marnoso-arenacea, con difficoltà di esplicazione molto superiori a quelle che si hanno per la semplice ipotesi Boussac. Ma ritorniamo alla zona di arenarie, le quali dicemmo presentano inferiormente una vera transizione cogli scisti marnoso—-arenacei e quindi (1) A. PortIs. Sui tereni stratificati di Argentera. Memorie R. Acc. Sc. di Torino, serie 28, T, XXXIV, p. 25. La lati ® i Pad (a si 1 pera (R4 È aci < ; > i LE « ARENARIE DI ANNO e T > E LA «ZONA AD HELMINTHOIDA > ECO. 287 ‘a mezzo di essi, col banco nummulitico; per modo che non è ammis- sibile alcuno hiatus nel deposito dall'uno all’altro, nè alcuna discor- danza di ordine tettonico. Si tratta cioè di concordanza stratigrafica fra due depositi consecutivi, e di età poco differente, il che risulta anche dai profili del sig. Boussac. La grande frattura Bersezio-Colle della Maddalena, per cui i ter- reni secondari della falda o lamina del Colle di Tenda (Trias medio, gessi, Titonico e Cretaceo) sono portati a sovrapporsi all’Eocene della serie autoctona, interrompe appunto a nord-ovest di Bersezio la zona di arenarie, la cui prosecuzione noi troviamo solo circa 2500 m. più a valle, presso la strada nazionale sotto Servagno, dirimpetto alle pareti gneissiche levigate di Preinardo; perciò con un salto, la cui com- ponente orizzontale si deve valutare almeno a qualche chilometro (1). Il banco nummulitico e la zona di arenarie del fondo di valle, presso Servagno (contatto colla grande frattura), salgono a coronare le imponenti rupi giuresi-cretacee dette Le Barricate, poscia quelle della Costa del Gias, che ne sono il naturale proseguimento, e le pittoresche guglie del M. Bersaio e del M. Nebius; quindi le alte balze del Monte di Vinadio e del Corso del Cavallo, lungo il contrafforte separante la Valle Stura dall’affluente vallone dell’ Arma ; balze nelle quali il Bous- sac trovò pure, sopra Aisone, delle Nummuliti che suppone pria- boniane (sempre però senza la N. Fabiani). Nel contrafforte fra Gesso e Stura, nella sinclinale eocenica auto— ctona della Madonna del Colletto (Tav. IV, fig. 2) e nel profilo dei pressi di Valdieri dato dal Boussac prevale il flysch sulle arenarie, che vi figurano solo in banchi isolati. Dette arenarie però, già meno tipiche e associate a scisti, ricoprono ancora il banco nummulitico della serie autoctona più a sud-est nella Valle Grande di Vernante, dove il Boussac le riferisce ancora ai grès d’ Annot; ma più a sud-est esse non sono più in gruppo di banchi compatto, ma solo invece in numerosi grossi banchi arenacei, sparsi nella massa scistosa del flysch, in mezzo al quale si osservano viva- mente ripiegati nel vallone di Limonetto e nei due versanti della Sella * ”- PI " Pe, PA ‘ AIN A GS PR) : a ING. S. FRANCHI — i Lai Me E, di Tenda, alle Falde del M. Pernante, fra il banco nummulitico autoc- tono e la linea di ricoprimento del Colle. Un fatto singolare è pure a notarsi nel contrafforte fra Gesso e Stura, ed è che nelle sincli- nali delle pieghe imbricate soprastanti alla grande frattura, invece di arenarie, si hanno veri conglomerati; così nella sinclinale fra M. Sabench e Rocca Pissusa, dove il banco nummulitico a NM. per- foratus è arenaceo, e nella massa soprastante, formante nocciolo sin- clinale, si ha prevalenza dei conglomerati sulle arenarie, come nella sinelinale molto coricata di Andonno, dove i conglomerati furono notati pure dal Boussac sotto il banco di calcare nummulitico lute- ziano rovesciato, nel basso vallone Roccoston. Quivi, associate alle arenarie, che seguono (per rovesciamento) sotto al banco nummulitico vi sono delle roccie a cemento rossastro, ricordanti le anageniti, con ciottoli rotolati di porfidi, scisti neri, calcari, ecc. (1). Ora bisogna notare ancora un altro fatto, ed è che in tutti i punti dove le arenarie non formano cime isolate, come lungo il Corso del Cavallo, al di sopra di esse sì nota sempre una zona di flysch come al Passo di Bail, sul confine, a Servagno e in tutti gli altri colli che segnano il ricoprimento del secondario sull’ Eocene (Colle della Mon- tagnetta ecc.), i quali sono appunto incisi in corrispondenza della frattura, separante i terreni secondarî dalla zona scistosa che ricopre le arenarie stesse (2). | (1) Conglomerati scistosi, a cemento arenaceo rossastro 0 verdastro, come questi del Nummulitico di Andonno si sviluppano allo sbocco del vallone di Roa- schia (I. c. Osservazioni sopra alcuni ecc., 1907, p. 166), dove sono stati da qualche geologo confusi colle anageniti del Permiano, e si osservano pure più ad ovest in stretti rapporti col banco nummulitico fra Tetti Monfranco e Tetti Colombano, sulla destra del Gesso. La genesi degli elementi di questi conglomerati, che mancano nella sinclinale nummulitica fronteggiante il massiccio cristallino, costituisce un problema interessante, che lo studio comparativo dei porfidi dei blocchi con quelli permiani del Besimanda permetterà di risolvere, spiegando al tempo stesso la se- parazione del Bacino nummulitico piemontese da quello della zona del Colle di Tenda. (2) Nel foglio di Larche della carta geologica francese la linea di eontatto anormale del ricoprimento, coi lembi di terreni secondari, è pure indicata in piena zona scistosa, di cui la parte che sta al muro e che ricopre le arenarie, fa parte con queste della serie autoctona. , } Sa et Da LE « ‘ ARENARIE DI ANNOT » o) ii: ZONA AD HELMINTHOIDA » Ecc, 28 In tutto il lungo percorso, di oltre 30 chilometri, la zona di are- marie in parola, le quali costituiscono talora, ma non sempre, il più alto termine salvato all’erosione, della serie autoctona, e scendono soventi fino al Luteziano, sì presenta quasi sempre cogli stessi carat- teri, salvo maggiori o minori intercalazioni di flysch, come a Servagno, il passaggio a puddinghe come sul Bersaio, e. negli stessi rapporti rispetto al banco nummulitico sottostante fin presso Aisone. Però più a sud-est le arenarie diminuiscono singolarmente di im portanza rispetto al flysch, che le sostituisce quasi totalmente, come già si è detto, nelle regioni autoctone fino alla bassura del Colle di Tenda (fig. 1, tav. IV), e | particolarmente nell’alto contrafforte che divide la testata di Valle Roia «dal Vallone Lamentarghe, tra la Cima del Becco Rosso, la Cima del Tavan ed il M. Corto, dove esso si appoggia al banco nummulitico basale, ivi molto ridotto di potenza, e probabilmente già trasgressivo. Nella valle del Rio Freddo, alla sella di Coll’ Ardente e nel bacino di Triora, dove il banco nummulitico autoctono è luteziano, si 0s- serva sopra di esso o sulla zona marnosa probabilmente auversiana, un flysch in cui le arenarie sono bensì frequenti, ma subordinate ad altri tipi rocciosi, e in cui sono completamente scomparsi i caratteri della massa arenacea compatta dell’alta Valle Stura. In questa re- gione le arenarie, simili a queste per molti rispetti, appartengono alla zona superiore ad Helminthoida. Il flysch diventa sempre più tipico fra la Valle Argentina e la Valle Nervia, ein quest’ultima, quasi com- pletamente in essi scavata, nonchè nella bassa Valle Roja; dove, nella ‘parte inferiore di esso sono interposte alcune zone marnoso-arenacee, che, come già dissi, rappresentano forse quelle a Sernula spirulea della Valle Tinea. Noi siamo adunque in presenza di una zona di depositi unitaria, ‘costituita nella valle Stura essenzialmente da arenarie, le quali verso sud-est vengono per gradi sostituite completamente dal flysch. Questa zona è stata sempre da me ritenuta eocenica non solo, ma, non avendovi io mai osservate le impronte di Helminthoida nè le Chondrites, così abbondanti nelle zone arenacee o calcareo-arenacee delle regioni a S. E. del Colle di Tenda, nè, alla loro base, gli scisti Pet A È i è, È è ia dì, Li Nar ” RI, o i Cia IT DO ‘ING, S. FRANCHI Gigi MEDE St variegati, che formano costantemente, come si disse, il substratum di quelle in tutto il bacino di S. Remo e nell’ Appennino Genovese, l’ho creduta cosa distinta e quindi subordinata alla zona ad Helminthoida labyrinthica, e come tale l’ ho indicata nelle carte, compresa quella al 400.000. A me certamente non poteva venire in mente che quelle arenarie, che poggiavano quasi direttamente sul banco nummulitico e che sono lateralmente sostituite, nella stessa posizione, prima dal flysch con frequenti banchi di arenarie e poi dal semplice flysch, potessero essere più giovani della zona ad Helminthoida, la quale ovunque io avevo visto invece separata da quel banco dalla potente formazione sci- stosa: al Colle di Tenda, nelle basse valli Roja e Nervia e nella Valle Argentina, come indicano chiaramente i profili delle tavole III e IV. A quelle conclusioni ero pure naturalmente portato dal fatto della sparizione completa della zona suddetta a nord-ovest della cima di Gherra e della sua riapparizione solo al di là di Argentera; per cui veniva naturale di pensare che, in tutto questo lungo tratto della fascia di terreni ripiegati cingente a nord-est il Mercantour, dove tutte le pieghe rimanevano abbastanza elevate, la erosione profonda avesse completamente asportata quella zona, e che tutto il terreno terziario rimanente fosse ad essa inferiore. L'ammissione di questi fatti pareva tanto più naturale per me, che ben conoscevo la grande potenza e le frequenti sensibili transizioni litologiche laterali della formazione interposta fra il banco nummulitico e la zona ad Helmin- thoida della regione autoctona della Valle Nervia e della bassa Valle Roja, come indicano i profili delle figure 3 e 4 della tav. III. Ed anche ammessa l’ipotesi Boussac, ed accettato che il banco nummulitico autoctono nelle valli Stura, Gesso ecc. sia non solo pro- babilmente, ma sicuramente priaboniano (1), io non vedrei ancora una (1) Il Boussac, non avendo riscontrata la N. Fabianii nel banco nummulitico di Bersezio è un po incerto sulla sua età priaboniana (I. c., p. 63), ma per ritenerla tale egli trae argomento dalla sovrapposizione ad esso delle arenarie, che ritiene sicuramente lattorfiane, cadendo così in un circolo vizioso. +2) LI pf Sia x n » Pe \RENARIÈ DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 291 ragione per supporre che le arenarie soprastanti ad esso siano addi- rittura oligoceniche e quindi più giovani della zona ad Helminthoida. Perchè le arenarie soprastanti siano oligoceniche non basta che il banco, d’altronde poco potente, sia priaboniano, ma occorre che esso rappresenti tutto il Priaboniano, il che certamente non sarà. Se il banco ha una poteuza di 20 metri ed il Priaboniano nella regione ha la potenza di 400, ne rimangono 380 disponibili per strati pria- boniani sosprastanti. Ho fatto queste cifre non a caso, perchè credo appunto che nelle regioni ad immediata vicinanza del massiccio cri- stallino, che ha fornito gli elementi delle arenarie, queste possano avere | potenze considerevoli, molto superiori alla media potenza di quel terreno a distanza dal massiccio. Infatti i grès d’Annot sono stimati a 400 m. di potenza al Lausanier dal Boussac e i grès mouchetés @ 800 m. di potenza nel gruppo di Chaillol da C. Lory. Io ho seguito passo passo, dalla costa ventimigliese al confine coll’Ubaye, il banco nummulitico di base e la formazione soprastante, interposta fra esso e la zona ad Helminthoida, la quale ho pure se- guita, laddove essa non è stata erosa, lungo tutta la regione auto- cetona; ed ho osservato da punto a punto la evidente continuità, per tutta quell’estensione, dei due primi termini dell’Eocene. La zona superiore suddetta nella serie autoctona cessa nella massa del Monte Ceppo, fra la Nervia e la Valle Argentina, ed in questa, a levante dei Molini di Triora; ma nella massa carreggiata essa si mostra ininter- rotta fino alla Cima di Gherra, a levante del Colle di Tenda, dove termina, per riprendere solo presso il confine dell’Ubaye,ad Argentera. Però malgrado questa interruzione ed il cambiamento litologico di essa, da arenarie ed alberesi in grossi banchi nelle prime regioni ad una specie di flysch con banchi di arenarie e di alberesi nella seconda (Aysch à Helminthoides delle carte francesi), Ja primitiva continuità di tale zona non può, a mio avviso, essere messa in dubbio. Noi vedemmo infatti nella zona in parola cambiamenti litologici importantissimi x nei sensi laterale e verticale da arenarie ad alberesi, da questi a calcari marnosi fra la Valle Argentina e il Capo Mele, e fra questo e i dintorni di Albenga e quindi all’Appennino ligure; ma il netto 12 Sa Roi hi VP ‘ a! bi Vi 3 ING. S. FRANCHI br, A 4 292 distacco litologico dal secondo termine, la zona di scisti variegati con cui esso culmina e le impronte di Helminthoida labyrinthica e delle diverse Chondrites hanno sempre permesso di distinguerla. E siccome gli scisti variegati non mancano ad Argentera, al Passo Goretta, ed, oltre confine, al Col de Pelouze (detto appunto pure Col du Vermillon), al Col de la Sanguinière (dal color sangue di essi) (1) e nei dintorni di Jausiers, dove sovrastanno appunto alla formazione arenacea (2); e le impronte di Helminthoida e Condriti caratterizzano nell’ Ubaye una estesissima e potente formazione, che il Boussac dice invadere in alcuni punti (Empéloutier) tutto il Nummulitico, e il cui affioramento termina appunto presso Argentera ed al Passo Goretta, così, fino a prova contraria, è lecito supporre che anche nella zona di confine e al di là di esso , nell’Ubaye, la serie eocenica sia, come nel bacino di Sanremo, dal basso all’alto la seguente (3): î 1° Banco nummulitico basale (Auversiano-Priaboniano infe- riore ?); 2° Arenarie (grés) e flysch (lysch notr, flysch gréseua ecc.), come formazioni laterali, coronate dagli scisti variegati papiracei. (Priabo- niano medio) ; 3° Zona ad Helminthoida labyrinthica (Priaboniano superiore o Ludian0ò). E qui si impone il seguente dilemma : o si riconosce la serie so- praindicata, che inquadra tutte le formazioni eoceniche della regione e i grès di Annot, ovvero si deve ammettere, nell’Ubaye, l’esistenza di due serie eoceniche : Una prima molto semplice e poco potente, costituita dal banco nummulitico e da una sottile zona di scisti mar- / (1) F. ArnaUD. L' Ubaye et le Haut-Verdon. Barcelonnette, 1906, p. 109. Il nome errato di Co! de Pelouze nell'ultima edizione delie carte è stato sostituito da quello giusto « Col des Granges Communes ». — L. BERTRAND, l. c. études géologique du Nord des Alpes Maritimes. (2) E. Have. Bull. Ser. Carte Geol. d. Fr., C. Rendus des Collaborateurs pour la campagne de 1897, p. 131. (3) In questa serie ho tenuto conto dell’ ipotesi Boussac, ed ho indicati i riferi- menti cronologici solo per fissare le idee o,se si vuole, a titolo di 2potesi di studio. . N kia ii a y La 3 I ri PI È | LE« ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » Eco. 293 noso-arenacei direttamente soprastanti, che al Lausanier ha la potenza di soli 30 m., di 20 m. al Lauzet, secondo Haug e di non maggiore potenza sul confine e al di qua di esso; la quale serie sarebbe | ricoperta în concordanza e con assoluta continuità stratigrafica, dal- l'Oligocene; ed una seconda serie invece molto complessa, costituita dai diversi flysch (flysch calcaire, flysch noir, flysch gréseux e flysch à Helminthoides), con enorme potenza, i cui rapporti coi suddetti grès e coll’altra serie sarebbero ancora veramente molto oscuri. Ora l’esistenza di queste due serie eoceniche, tanto diverse fra loro, in una regione così ristretta, non mi sembra ammissibile, che | quando della loro esistenza distinta siano portate prove irrefragabili, di cui non si ha finora nemmeno il sospetto. La osservazione del- l’unica serie nell’amplissimo bacino di San Remo costituisce certa- mente un argomento contrario di gran valore, e risponde preventi- vamente alla scappatoia, che si tratti colà bensì di due serie, ma una autoctona e l’altra carreggiata dalla zona des Aiguilles d’Arves; la quale, d’altra parte, formava indiscutibilmente un solo mare, di non grande larghezza, con quello in cui avvennero i depositi dei terreni A LI ® x . . . . autoctoni, e certamente molto più ristretto della espansione sincli- nale di San Remo. Così allo stesso modo in cui, quando nelle serie autoctone dei vari profili dalla Valle Argentina al Colle di Tenda (tav. III, fig. 6 e tav. IV, fig. 1), io non vedevo rappresentata la zona ad Helmin- thoida, ritenevo necessario ammettere che essa fosse stata o abrasa dai ricoprimenti o posteriormente erosa, non vedendo io ora nella serie autoctona del profilo Monte Enchastraye — Passo di Bail (ta- vola IV, fig. 3) il fiysch ad Helminthoida, ne deduco che esso è stato asportato per abrasione tettonica o per erosione. E veramente io non vedo come sia possibile ragionare diversamente, se pure dobbiamo annettere alle zone ed al loro modo di successione in regioni ristrette una certa continuità. Quanto alla cronologia del 2° termine di quella mia ipotetica serie dell’Ubaye (arenarie-flysch, sempre della serie autoctona), quando si ammetta l'ipotesi Boussac, essa si restringerà al basso a seconda 294 i ING. S. FRANCHI + 1 N st « dell’innalzarsi nella scala cronologica del banco nummulitico basale, per soppressione correlativa dei termini inferiori, ma essa rimarrà in- variabile per quanto riguarda la sua parte superiore, terminante cogli scisti variegati, i quali sono ovunque ricoperti, quando non ne manchi, dalla zona ad Helminthoida. Il secondo termine sopra indicato potrà comprendere quindi, secondo i luoghi, supponendo ludiana la zona ad Helminthoida, o il Priaboniano medio-inferiore (Bassa Valle Roja, Valle Nervia, media Valle Roja, Rio Freddo) o solo la parte media e frazione dell’ inferiore (Lausanier) o forse anche solo la sua parte media (fra il Colle di Tenda e quello della Maddalena). Pare difatti evidente che, per la assoluta e non discussa conti- nuità di deposito, dai banco nummulitico alla zona scistosa interposta ed ai grès, finoa quando non sarà dimostrato che la suddettà zona sci- stosa rappresenti il livello assolutamente più alto dell’ Eocene, l’at- tribuzione delle arenarie all’Oligocene debba ritenersi completamente infondata ed arbitraria (tav. IV, fig. 3). | Orbene il suddetto fatto non è menomamente dimostrato ; anzi i dati paleontologici forniti dallo stesso signor Boussac ci permet— tono di escluderlo. Nell’interessante profilo del Lausanier (l. c. p. 134) il banco nummulitico auversiano è separato dal grès d’ Annot da soli 30 metri di marne calcari scistose senza fossili ; quindi, per ammet- tere che i suddetti grès rappresentino l’Oligocene, bisogna supporre che in quei trenta metri di scisti marnosi siano rappresentati il /lysch noir a luoghi potente un migliaio di metri ed il /iysch à Helminthoides, che è pure potentissimo. Ma vi ha di più: l’analogia di posizione delle arenarie rispetto al banco nummulitico, al Lausaniere nell’alta valle Stura, sembrerebbe dimostrare che qui pure il banco nummulitico, che il Boussac ri- tenne solo « probabilmente priaboniano » sia ancora auversiano, e che perciò le arenarie quasi immediatamente soprastanti possano ancora rappresentare, per lo meno, la parte media se non pure quella inferiore del Priaboniano stesso. Io mi ritengo quindi autorizzato a concludere, che le arenarie % a” è, Pi en n Via Ù #17 A 2 è : . 4, 4 he = : n $ la ù 4 \ i 4 Fia PIC i , . alle ACI 4 b: N ) $ BRIO SINO Af À — î LE « ARENARIE- DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. del Lausanier, di Pourriac, della Cima delle Lose, di Bersezio, di Ser- vagno col flysch soprastante, e le arenarie e il flysch della serie autoctona delle regioni a sud-est, costituenti una zona continua molto unitaria dall’Ubaye alla Valle Stura, al Colle di Tenda, ecc. sono ancora pria- boniane non solo, ma che sopra di esse sì svilupperebbe, se in qualche punto la serie eocenica fosse completa, il flysch ad Helminthoida. Il che, a giudicare dalle carte, sembra si verifichi all’ Empéloutier. E ciò | sarebbe pienamente conforme a quanto si osserva in varie parti, autoctone o no, del bacino di San Remo, dove la zona ad Helmin- thoida, potente non meno di 500 metri, riposa sopra un flysch, pria- . boniano molto potente, includente lenti di roccie diverse, con piccole Nummuliti e con uno sviluppo eccezionale di piccole Ortofragmine. Tutto al più, osservando le strette analogie litologiche esistenti fra queste arenarie della zona di confine e quella della parte inferiore della zona ad Helmintoida del bacino di San Remo, ana- logie tali che hanno indotto il Boussac ad assimilarle cronologica- mente, si potrebbe emettere l'ipotesi, che quelle arenarie rappresen- tino la zona suddetta nella serie autoctona, sebbene in essa manchino le solite impronte e gli scisti variegati. Ma, lasciando da parte il fatto che la zona ad Helminthoida è pure tipicamente sviluppata — nella regione autoctona delle valli Argentina e Nervia, anche am- mettendo quest’altra ipotesi, la quale, come vedremo in seguito, è assai poco verosimile, le arenarie in questione sarebbero sempre e sicura- mente eoceniche. - ESISTERANNO NELL'UBAYE DUE ORIZZONTI DI ARENARIE COME NEI VERSANTI ITALIANI DEL MERCANTOUR ? Noi abbiamo visto che le arenarie del Rio Freddo e della Valle Argentina, che dicemmo arenarie superiori, fanno parte della zona ad Helminthoida e che quelle della Valle Stura e della regione di con- fine, dette arenarie inferiori, sono parte della zona di flysch sotto- stante, a piccole Nummuliti, e che le prime sono probabilmente lu- ING. S. FRANCHI diane, mentre invece le seconde sono bartoniane 0, secondo la serie adottata dal Boussac, priaboniane (Priab. medio ?). Viene ora naturale di domandarci se esisteranno pure due oriz- zonti di arenarie nelle finitime regioni dell’Ubaye, dei fogli di Gap, di Digne e nel Nizzardo, dove sono ora tutte comprese sotto la de- nominazione di grès d’Annot e di grès de Menton, ed attribuite all’ Oligocene inferiore. Il quesito è molto delicato, trattandosi di regioni a me note solo per la bibliografia e per le carte geologiche; tuttavia procurerò di dire le mie impressioni, basandomi sulle evidenti analogie di condizioni stratigrafiche e sulla continuità delle zone con quelle da me rilevate, quali risultano dalle carte e dai lavori dei colleghi di Francia. Mi si perdonerà se io intraprendo un lavoro ingrato e che non potrà dare grandi risultati ; io mi vi accingo non tanto colla speranza di trovare argomenti decisivi in favore della mia tesi, quanto per ricer- care le cause dell’esistente disaccordo ; eio considererò di aver otte- nuto un risultato soddisfacente se potrò convincermi che nessun ar- gomento indiscutibile esista nelle regioni oltre confine, per stabilire la oligocenicità dei grès d° Annot, contro la quale mi conducono concorde- mente tutte le osservazioni fatte al di quà di esso. Esaminiamo però anzitutto, ancora per un momento, il profilo in- teressantissimo che si presenta lungo il confine, dal banco nummuli- tico dell’ Enchastraye alla zona sovrapposta di arenarie Pourriac- Lausanier, ad un’altra scistosa con scisti papiracei alla sommità e quindi alla massa molto ripiegata di flysch ad Helminthoida del Monte Ventasuso (tav. IV, fig. 3). Questa serie parrebbe molto dimostrativa in favore del mio ordine di idee; senonchè delle masse di Titonico a facies coralligena, ai due lati del contrafforte, dimostrano l’esistenza di una grande frattura in corrispondenza di esse, ed attraverso alla zona scistosa che ricopre le arenarie, frattura collegata con quelle delle grandi nappes de lUbaye, messe in luce da Kilian e Haug, e indicata nelle carte geologiche (foglio di Larche e carta al 400.000). Quella serie non può quindi considerarsi come normale, ed il profilo non può essere portato, da solo, come argomento a sostegno della tesi, che le A La Pe E € \RENARIE DI ANNOT » E LA «ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 297 LI tex o) i di n - . arenarie di Pourriac siano stratigraficamente subordinate agli scisti variegati ed al flysch ad Helminthoida. Però mi pare difficile negare che la massa del Ventasuso, per quanto sia ivi carreggiata, rappresenti un orizzonte superiore alle arenarie di Pourriac, per le grandi analogie di questo col profilo x del Colle di Tenda, dove la dimostrazione è molto più chiara, e meglio ancora con quello M. Fronté-Realdo, dove essa è evidente. In questi ultimi due profili le arenarie della serie autoctona sono so- stituite dal flysch, rispettivamente, con o senza importanti interca- lazioni di banchi arenacei. Nel profilo ultimo sopraindicato i lembi di terreni secondarii affiorano appunto, come in quello di Pourriac, poco al disotto della zona di scisti variegati, dimostrandoci così delle grandi analogie nei rapporti di posizione delle masse che vennero a ricoprire la serie autoctona, nelle due regioni, distanti non meno di sessanta chilometri. | Qualcosa di analogo sembra si osservi più a sud-ovest, al Col des Granges Communes; anticamente detto Col du Vermillon, per lo svi- luppo che vi hanno gli scisti rossi. Ed è qui il caso di osservare come la interpretazione che io sono indotto a dare sia abbastanza conforme alle idee molto chiaramente espresse da Léon Rertrand nel suo ottimo « Etude géologique du Nord des Alpes-Maritimes », specialmente dove egli parla del facies settentrionale dell’ Eogène : « Au dessus de caleaires compacts, ren- fermant de petites Nummulites, vient une très-puissante série de grès quartzeux formés d’éiéments empruntés au massif cristallin (grès d’Annot), et à la partie supérieure desquels on recontre, au moins dans la partie septentrionale de la région, une série de grès micacés en plaquettes, alternant avec des lits marneux schi- steux, constituant le /lysch (p. 103). Mi duole di non poter riportare per intiero, per non tediare il lettore, quanto dice l'A. parlando del suo faciès meridional de l'Eogène (pag. 103 e 104), in cui descrive così chiaramente i passaggi laterali î | della formazione soprastante alle marne a Serpula spirulea, dalle 5 sabbie incoerenti di Puget-Temérs e di St. Antonin ai grès d’Annot | » K di a sl T au x a »_P be D ti rd ° ui, È x db x ? [2 P 298 ile S. PRANOHI tai sottoposti al flysch (parte occidentale del Tournairet), con passaggi verticali insensibili al flysch, che invade tutta la serie, presentando solo intercalazioni di arenarie come quelle di Annot (Aution), al flysch tipico senza intercalazioni arenacee (a nord di Sospello). Voglio però riprodurre testualmente le parole colle quali egli conclude: « Il semble done nécessaire d’admettre, par suite de .ce remplacement latéral des grès d’Annot par le flysch, que l'on a affaire seutement à deux faciès. différents de dépots concontemporains et nonà deux séries sue- cessives ». Conclusione questa che si può ripetere per la parte italiana, dove abbiamo visto che le arenarie soprastanti al banco nummulitico autoctono nella valle Stura non esistono più presso Valdieri, sono poco tipiche nella Valle Grande di Vernante, si presentano solo come inter- calazioni nel flysch nella regione del Colle di Tenda, per mostrarsi più rare ancora nel flysch del bacino di Triora, di tutta la Valle Nervia e della bassa Valle Roja, dove, nella sua parte inferiore, sono varie zone marnose intercalate, probabili rappresentanti spora- dici della formazione marnosa a Serpula spirulea della Valle Tinea. Nella bella carta annessa al suo lavoro e nei numerosi profili, i grès d’Annot sono da L. Bertrand indicati sotto una sola tinta col flysch, e come Oligocene inferiore (01). Lo stesso Léon Bertrand, nel resoconto della riunione straordi- naria della Società geologica di Francia, tenuta a Nizza nel settem- bre 1902, pubblica nuovi profili, nella cui leggenda sono ancora messi assieme grès d’Amnnot e flysch, mostrando così egli di ritenerli sempre equivalenti; e nel testo egli dice di ritenere i grès suddetti come oligocenici « en grande partie du moins, en admettant que la limite entre l’ Eocène et l’Oligocène puisse ne pas coincider éxactement avec celle des marnes a Serpula spirulea et les sables en question (Bull. Soc. geol. da Fr., 4° série, t. II, 1902) ». Il perchè i grès d’Annot, equivalenti delle suddette sabbie e che sono equivalenti cronologi- camente e rappresentino una facies laterale del flysch, sarebbero in parte eocenici ed in parte oligocenici il Bertrand non dice, ma certo tale opinione non è basata su dati paleontologici, perchè fossili man- cano in tutta la estensione dei grès d’Annot. Che poi un gruppo di o" “ - P, È. Ma î doni siii a Pa e a, Mr VE et È nec l Mi | LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. Lr - strati così unitario come quello dei grès d’Annot, possa in una data regione supporsi divisibile fra Eocene ed Oligocene io non riesco a concepire; e tale dubbiosa cronologia mi sembra costituire già di per sè un indizio della mancanza di buoni argomenti per stabilirla. Un’ occhiata ai fogli di Gap, Larche, Digne, Saint Martin L., Nice e Pont Saint Louis (200, 201, 212, 213 e 215) della carta geo- logica di Francia all’80.000, pel grande sviluppo che vi hanno i grès d’ Annot e per rapporti che questi hanno col grande banco num- . mulitico di base e coi soprastanti termini dell’ Eocene, è sommamente istruttiva, e ci convien darla. In moltissimi punti questi grès o il /lysch a cui passano late- ralmente, si sovrappongono al Nummulitico (calcari e marne) seguen- done fedelmente i contorni, nelle sporgenze dei contrafforti e nelle rientranze delle valli; e specialmente nei fogli di Saint Martin Lantosque e di Larche tale fatto ci appare molto suggestivo. Sopra grandissime estensioni il contorno del Nummalitico, poco potente e rappresentato da un sottile nastro, è seguito fedelmente dal limite inferiore di quei grès: ai fianchi della lunga costa del M. Saint Honorat, dell’isolato gruppo del Becco di Baseglio e del grande e frastagliato gruppo della Sanguinière. Lo stesso paralellismo si osserva anche laddove il Nummulitico è fortemente trasgressivo sul Cretaceo e sull’Oxfordiano e nella accidentata. regione sulla quale si sono svolte le falde dell’Ubaye. In alcuni punti poi le arenarie mostrano evidenti passaggi al flysch: all’angolo nord-ovest del foglio di Saint Martin L. e nella parte nord del grande gruppo della Sanguinière, dove è indicata una grande massa di flysch, quella della Téte de la Bouette, sovrapporsi ai grès, che ivi ad esso passerebbero superior- mente, e, più a nord, dove una grande massa di flysch eocenico ad Helminthoida si sovrapporrebbe al precedente. Benchè nella carta non sia indicato un contatto meccanico al limite inferiore, ammetto volentieri, con E. Haug, che quest’ultimo flysch sia carreggiato (1), essendo presumibile che esso costituisca il proseguimento di quello del M. Ventasuso sul confine. de (1) E. Haus. Les grand charriages, etc. d. ill M è Ae) TIE re ANO 7 COSI SIIRNE PISTA Nel foglio di Larche però questo flysch ad Helminthoida, il cui limite inferiore segue in modo singolarmente parallelo, per una linea di ricoprimento, quello inferiore dei grès, dal segnale dell’Empéloutier al villaggio di Argentera, si estende ininterrottamente verso nord— ovest per diecine di chilometri, lasciandoci l’impressione che questa enorme massa, se pure è in a]cuni tratti separata dalle arenarie, su cui si appoggia secondo linee di contatto meccaniche, in altri punti vi sia adagiata sopra naturalmente, come indicherebbe la carta geo- logica stessa (foglio di Larche, angolo sud-est) nel versante orien- tale del Signal de l’Empéloutier. Si è appunto in questo monte che il Boussac avrebbe osservato un grande sviluppo del flysch ad Helmin- thoida, il quale ivi si sovrapporrebbe quasi direttamente sui calcarei arenacei luteziani del Gerbier. L'A. però non dà particolari su questo profilo, che sarebbe molto interessante, pel fatto che quel flysch do- vrebbe ivi rappresentare anche il Priaboniano. D'altra parte nella notizia esplicativa del foglio di Larche redatta da W. Kilian si legge, sui grès d’Annot: « ... ils constituent un faciès spécial, localisé au sommet de l’Eogène (Oligocène?) dans la région ouest, mais qui semblent descendre plus bas dans le voisinage du Mercantour ». Il che ci dice chiaramente che al Kilian non erano sfuggiti due fatti importantissimi: 1° che i grès costituiscono un facies litologico e non un orizzonte geologico; 2° che nell’Ubaye esistono due orizzonti di grès, di cui il più basso si trova nelle vici- nanze del Mercantour. Io sono molto lieto di constatare questo accordo, che viene a dare una preventiva, valida ed autorevole conferma alla tesì che ora sostengo. A riguardo delle regioni ad occidente del Mercantour merita di essere riportato integralmente quello che serive E. Haug a pro- posito di questi grès, nei resoconti dei collaboratori per la campagna 1897, dove _ egli accenna sommariamente ai terreni riscontrati nelle revisioni eseguite nel foglio di Gap (1): « L’Oligocène est .représenté dans l’Embrunais et dans l’Ubaye par une puissante masse de grès (1) Ball. d. Serv. d. 1. Carte geolog. d. Fr., n. 63, p. 129-130 IRE, e 301 RE E TI, | ‘LE <« ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. que Charles Lory désignait sous le nom de « grès de l’ Embrunais » et qui sont connus dans le sud des Basses-Alpes et dans les Alpes Maritimes, sous le nom de «grès d’Annot». « Ces grès, qui ont été souvent décrit, sont au Lauzet, séparès des calcaires à petites Nummulites par des schistes marneux et gré— seux jaunes et gris, atteignant tout au plus 20 mètres de puissance. Vers Barcelonnette, ils sont beaucoup moins siliceux que dans les régions environnantes, et ils constituent par place un véritable « flysch gréseux è. A Uvernet ils peuvent étre facilement, distingués des schistes noirs de l’Eocène supérieur sur lesquels ils reposent, bien que la limite entre les deux termes soit indécise sur une certaine épaisseur, mais il n’en est pas de méme partout, et il nous a semblé, à Ms. Kilian et à moi, que, dans la chaîne du Parpaillon, par exemple, les schistes noirs et le flysch gréseux viennent se fondre en une masse puissante de schistes gréseux et calcaires satinés de la base de l’Eocène supérieur. | « Nous n’ avons d’ailleurs pas étudié encore cette créte du Par- paillon qui sépare l’Embrunais de l'’Ubaye, mais nous avons rencontré des difficultés analogues sur la feuille de Digue, vers la Ilmite des Alpes Maritimes. J’ajonterai que, dans les environs de Jausiers, l’Oligocène se termine par der schistes rouges papyracès qui forment dans les escarpements des bandes colorées, marquant vraisemblablement les emplacement des syncelinaua ». Le lettura di questo brano dell’eminente professore della Sorbona lascia la impressione che esistano appunto nell’Ubaye due orizzonti di grès, come si vide pensasse W. Kilian pel foglio di Larche, sem- brando difficile sincronizzare le arenarie che al Lauzet sono solo separate da 20 metri di scisti marnoso-arenacei dal banco nummu- litico, con quelle che, a Uvernet, riposano sugli schisti neri dell’ Eo- cene superiore. La presenza di una zona di scisti rossi papiracei alla sommità della formazione arenacea dei dintorni di Jausiers, la quale indicherebbe la posizione delle sinclinali, mi sembra di un alto inte- resse, poichè se, come pare dall’aggettivo, tali scisti fossero parago- nabili a quelli della salita del Col d’ Orre e del Passo Goretta alla IT mia: SIOE CITI APRRNAIO ME, RANGO O = base del flysch ad Helminthoida del M. Ventasuso, io sarei indotto a supporre che essi rappresentino l'orizzonte degli scisti variegati (so- venti rossi e papiracei) che vedemmo svilupparsi costantemente al disotto della zona ad Helminthoida labyrinthica, e racchiudere tal- volta lenti di roccie con piccole Nummuliti. In tal caso le arenarie dei dintorni di Jausiers sarebbero come quelle di Lauzet da riferire alle nostre arenarie inferiori e quelle di Uvernet alle arenarie superiori. Non pochi sono i passaggi, nei lavori di Kilian e Haug, dai’‘quali parrebbe si possa trarre argomento per dedurne che i grès d' Amnot sono lungi dal formare un orizzonte distinto e sempre sovrapposto alle varie facies dell’Eocene, e troppo lungo e non concludente sarebbe il riportarli qui; però in una di quelle mnotices explicatives, in cui sono concisamente e chiaramente riassunti i fatti principali riguar- danti i terreni, per ogni foglio di carta geologica pubblicato, quella relativa al foglio di Digne (212), trovo che il testo riguardante i grès d’Amnnot e le formazioni associate merita di essere totalmente riportato : « Les grès d’Annot m1-111 plus ou moins grossiers, siliceux, x à ciment calcaire, d’apparence rose et brunàtre, sont gris sur la cassure fraîche et englobent très-souvent des paquets de schistes noirs ou des galets quartzeux. Ils sont très-dévelloppés dans l’E. et le S. E. (del foglio) et ont été distingués par un figuré spécial. Leur épaisseur est souvent considérable. Ces grès passent latéralement au /lysch grèscur, alternance de grès bruns, cariés, en petits bancs, et de schistes noirs; on y remarques des filons de secrétion quartzeux (quarte hyalin) a Colmars, Valgelaye ». « Il est parfois difficile de séparer le Flysch grèseua du Flysch calcaire à Helminthoides, considéré comme un faciès du nummulitique e* (Priaboniano). Dans ce cas les deux formations ont été réunie et désignées par e* mm) (montagne d’Autapie); la méme désignation a servi à représenter près de la Foux le Ylysch noir, schistes noiràtres feuilletés, qui séparent les couches e* des grès d’Annot et qui, dans le bassin de l’Ubaye, ont été réunis au Flysch calcaire ». (W. Kilian et E. Haug). “ A AS Mae prete DETO AEREA ) LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. Adunque: 1° i grès d’Annot passano lateralmente al Ylysch are- naceo; 2° questo ultimo è difficile da separare dal /lysch ad Helmin- thoida e pare anche dal Flysch noir. Cioè i grès saddetti sono difficil- mente saparabili da due formazioni che sono poste senza esitazione nell’Eocene. E se essi ne sono stati separati dai colleghi, attribuendoli un po’ dubitativamente all’Oligocene, lo si dovrà a molte cause locali: anzitutto la tettonica complicata dalle numerose linee di contatto anormali; secondariamente le diverse facies dei terreni autoctoni e carreggiati; e in terzo luogo le forme assai meno tipiche dei diversi membri dell’Eocene ed i loro frequenti passaggi laterali, nonchè la ‘| costanza, almeno apparente, dei caratteri litologici delle formazioni arenacee, sebbene appartenenti ad orizzonti diversi. © Ad ogni modo, la importanza dei fatti chiaramente esposti nella suddetta notizia esplicativa non può sfuggire a nessuno, perchè essi dimostrano all’evidenza che l’età oligocenica dei grès d’ Annot è lungi dall’essere dimostrata, non solo, ma anche dal rappresentare una ipotesi avente un serio fondamento nella concordanza delle osserva- zioni fatte nelle diverse regioni. Ad esempio nel foglio di Larche sono indicate varie masse di grès d’Amnnot in pieno fiysch ad Helminthoida, la più importante delle quali costituisce la Créte de Rofre e l’aspra Cote de la Dayère, scen- dente all’Ubayette, sopra Mayronne. La sua posizione è molto inte- ressante, sia che essa rappresenti una facies locale arenacea del flysch suddetto, analogamente a quanto si osserva a sud-est del Colle di Tenda, ovvero che rappresenti invece una massa dalle arenarie infe- riori, ivi portate per gioco di fratture e ricoprimenti. Altri punti nei quali il flysch ad Helminthoida sembra sovrapporsi ad una enorme massa di flysch, indicato nelle carte come /lysch noir è nel gruppo montuoso compreso fra le valli del Drac e della Du- ranza, fra Orcière e Embrun. In verità i grandi ricoprimenti ricono- sciuti ultimamente comprenderebbero tutto questo gruppo, cosicchè delle osservazioni di Carlo Lory, che ha sospettato il fenomeno in una regione limitata, e che era lungi dall’ immaginarne la grande ING. S. FRANCHI estensione (1), si può soltanto tener ora conto fino ad un certo punto, specialmente per ciò che riguarda la sovrapposizione di una massa rocciosa ad un’altra; come per esempio della sovrapposizione di tutta la serie del bacino di Orcière ai grès mouchetès del gruppo di Chaillol a nord della valle del Drac, ora che, appunto fra i suoi due versanti è indicata una importante linea di frattura. Ma noi dobbiamo tuttavia considerarle nel loro pieno valore, quando si tratti di dati di fatto, o quando le osservazioni si accordino colle indicazioni delle carte, disegnate dopo il riconoscimento di quei ricoprimenti. Nel gruppo montuoso di Orcières fra le valli del Drac e della Duranza, Carlo Lory descrive una formazione à myrianites, che (penso essere una cosa sola col /lysch à Helmynthoides), la quale egli rico- nosce, in una traversata da Orcières a Embrun, come sovrapposta alla enorme massa /lusch noir del bacino di Orcière, costituendo, con strati nell’insieme orizzontali, il Colle delle Torrette e tutte le altre cime del gruppo, il Mourrefroid (2992 m.) secondo Lory stesso e tutte le altre cime secondo Rozet (2). (1) Sulla cresta della Cavalla, dove « les couches de gréès semblent s’enfoncer sous cette masse et la supporter de toute part »: e altrove « cette créte de la Cavale serait donc un lambeau de calcaire oxfordien, qui, au premier abord, semble reposer sur les grès nummulitique (op. cit., p. 474). E più oltre il Lory tenta di spiegare la posizione singolare dei calcari della cresta della Cavalla e di Soleil-Biou « par une dislocation locale, une ‘poussée, qui aurait fait apparaitre, dans une déchirure des grès supérieur, un lambeau de calcaire oxfordien, entrai- nant avec lui les conches inférieures du dépòt tertiaire qui l’avait recouvert » (Description géologique du Dauphinè, p. 478). (2) Description gèologique du Dauphiné (p. 481) « Ou reconnait ainsi que toutes les assises nummulitiques dont nous avons donnè le détail, y compris celle des grès mouchetès (si sa ora che sono separati invece da una linea di. ricopri- mento) s'enfoncent à l'est, sous une enorme épaisseur de grès alternant avec des assises d'ardoises, des schistes noirs charbonneux, des chistes argilo-calcaires et de calcaires compactes d'un gris foncé. Ces assises variées forment tout le bassin d'Orcière, et ont une épaisseur totale de plus de 1000 mètres; elles paraissent déporvues de fossiles (questo è il flysch noir); dans les sommets les plus élevés, elle sont couronnées, en dernier lieu, par une assise de calcaires gris, en banes * 2’ lA a vm |» dl TANA mist: 0 O pe » p. eta AS , & dhe DES | LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 305 Ora nella carta geologica del foglio di Gap, il flysch noir di Orcière è indicato come eocenico, ed una formazione segnata come grès d’ Annot (Oligocene) molto potente e sviluppata, in cui sono mo- dellati appunto il Col de Tourette, il Mourrefroid e tutte le altre cime del gruppo, ma scendente anche molto in basso, dovrebbe compren- dere la formazione superiore a myrianites (Helminthoida) di cui parla Carlo Lory, e una parte importante (forse quella prevalente— mente arenacea) della formazione inferiore di Orcières, descritta da questo geologo. Orbene, se i grès mouchetés potessero di fatto considerarsi come gli equivalenti di questi del gruppo di Orcière, come appunto è in- dicato nel foglio di Gap, noi avremmo qui una bellissima dimostra— zione che tutti questi grès sono subordinati a degli strati di calcari grigi con Helminthoida, di cui sono costituite appunto tutte le alte cime: Mourrefroid suddetta e le altre, Diablèe, Les Barles, Antoue Roc-Blanc, Deux Piniers, Diolon, Rocheclaire ecc., ovvero ne rap- presentano una facies laterale come nel bacino di San Remo. Questo, degli intimi rapporti, nel gruppo di Orcière, di calcari con Helminthoida con una formazione arenacea, indicata come grés d’ Annot, è un fatto importante, che bisognerà riesaminare alla luce delle grandi complicazioni tettoniche riconosciute in quel gruppo da E. Haug. (Bull. Serv. etc., Campagne 1899). Un’ altra località dove i grès di Annot, secondo una gentile in- formazione di W. Kilian, sembrano strettamente legati col fiysch ad Helminthoida è il vallone di Couleau, presso Chateauroux, nelle Alte Alpi, ma anche qui qualcuno potrebbe osservare che non è comple- | tamente esclusa la possibilità che quei rapporti siano dovuti a com- plicazioni tettoniche. peu épais, alternant avec des marnes feuilletées et avec des grès grisàtres, qui Jaunissent à l'air. Ces caicaires, surtout ceux qui ont une structure du peu feuil- ‘ letée, contièénnent beaucoup d’empreintes sinueuses festonnées, ressemblant à celles que produiraient des annélides diversement enroulées: ces empreintes, dont l’ori- | gine est inconnue, ont été désignées par M, Rozet sous le nom de myrianttes. ING. S. FRANCHI — Er In una regione molto lontana dall’Ubaye un punto che merita un particolare esame è quello dei dintorni di Mentone, il cui bacino terziario è separato da pochi chilometri dal Nummulitico della Mor- tola, estremo lembo sud-occidentale del bacino di San Remo, come sì può vedere d’un colpo d’occhio dalla carta geologica al 400.000, e dalle annesse cartine delle tavole I e II. Del bacino di Mentone una piccola porzione cade nel foglio di Pont St. Louis e il resto nel foglio di Nizza. Nella leggenda di quel primo foglio, rilevato dall’ ing. Poitier nel 1889, sono distinti tre termini e?, e?, e', così descritti nella notizia esplicativa: e. Les Grès de Menton forment ‘la partie supérieure de l’étage éocène dans la région ils renferment quelques débris de bois fossiles à la surface de séparation des grès et des schistes; au toit de ces derniers, on rencontre les empreintes designées sous le nom de Chondrites. e?. Ces grès, schisteux vers la base, reposent immediatement dans le vallon de Garavan sur des Marnes incohérentes, bleuàtres è l’extérieur, brunes à l’intérieur, prolongement de celles qui renfer- ment la Rotulina spirulea et de nombreuses Orbitoides sur la feuille voisinéè (Nice). el. Celles-ci reposent à leur tour sur des calcaires bleuàtres à l’intérieur et jaunes à l’extérieur, dont la base est formée par un gros banc très-solide, exploité comme» pierre de taille è la Mortola et comme pierre è chaux près de la Pointe-Commune; ce banc ren- ferme en grande abondance la Nummulites perforata et des Assilines. Les marnes e* passent insensiblement aux grès supérieurs e3, et aux banes calcaires inférieurs e1; l’apparition des Orbitoides en caractéerise la base; tandis qu’elles sont développées près de Menton, et encore plus, à l’ovest de la feuille, elles sont très amincies è la Mortola; elle sont bien caracterisées dans le petit bassin qui se termine au sud à Saint-Michel (bacino sinelinale di Piena), mais elles n’existent plus sur la Roja en aval d’Airole, ni aux environs de la Téte d’Alpe (Alta Valle Nervia); les banes qui surmontent imme- diatement les conches à Nummulites perforata sont déjà gréseux ». Pl 3 a a, ata ,. ’ ; , } ; Si , Py di Le ì A ° b " n } a x E 1. dv là ha »- E « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 307 LE Da queste notizie è lecito dedurre che, secondo il Poitier, il quale aveva visitato e rilevato in parte la valle Roja, i grès de Menton sarebbero in questa valle rappresentati dal 2° termine della nostra serie, nella quale esclusivamente sono scavati la valle sud- detta e il versante destro dell’adiacente valle Nervia. Tutto al più la indicazione delle Chondrites nei grès stessi, potrebbe far nascere il sospetto che essi rappresentino invece il 3° termine, cioè la zona ad Helminthoida labyrinthica, 1a cui parte inferiore, come si è detto, è essenzialmente costituita da arenarie grossolane, poco coerenti a .. Vallecrosia e nei pressi di Bordighera; però la mancanza delle Hel- minthoida ci fa ritenere che la corrispondenza di quei grès stia invece, come pensava Poitier, col flysch soprastante alla zona marnosa che ricopre gli strati a N. Perforatus alla Mortola, nella regione collinosa che sta a nord, nella Valle Roja, e particolarmente nella conca sincli- nale di Piena. s D’altra parte un noto profilo della Pallarea, la cui ricca fauna è ora riconosciuta auversiana da J. Boussac, mostra che gli strati fossiliferi, potenti poco più di 100 metri, sono ricoperti subito da una alternanza di arenarie e di scisti senza fossili, che certo cor- rispondono al flysch del bacino di San Remo. La parte restante del bacino di Mentone, compresa nel foglio di Nice è stato sommariamente illustrata, sempre colla stessa diligenza, da Léon Bertrand nel lavoro citato avanti (1), dove sono dati alcuni profili, nella cui leggenda sono distinti i grès, le marne a Serpula spi- rulea ed i calcari a Nummulites perforatus. Una importante frattura, diretta N.N.0.-8.S.E. passante per Castelar dal lato di ponente fa riscontro a quelle da me distinte nei dintorni: di Mortola a levante della cresta di confine. Bisogna inoltre notare che la corrispondenza dei grès di Mentone e di quelli dell’area sinelinale del Pagiione e dell’Aution, compren- dente le classiche località fossillifere della Pallarea e di Escarena, col | flysch della Valle Roja è stato documentato da Léon Bertrard con (1) Bull. d. Serv. etc., n. 69, p. 87. 15 rta" 308 ent. ING. S. FRANCHI — PE 27 ARIENZO] una cartina geologica annessa al resoconto della campagna geologica del 1893, cosicchè su questo punto io mi trovo in pieno accordo col mio amico e collega, che ha illustrato in modo completo e con tanta precisione le Alpi Marittime, nel versante marino del Mercantour. Ora è interessante notare come le sopra indicate remote osser- vazioni di Potier e quelle meno antiche di L. Bertrand, collimanti tutte colle mie, sono chiaramente confermate da quelle recenti di J. Boussac. Infatti questo geologo è indotto a ritenere come priabo- niane le formazioni scistoso-marnose con banchi di arenarie sopra- stanti alle marne sabbiose micacee (probabilmente auversiane) le quali ricoprono il Luteziano Superiore nelle pieghe della Mortola, nei din- torni di Sospello e alla Cima del Bose, all'orlo settentrionale della conca sinclinale di Piena, conca indicata nelle tavole I e II annesse al presente lavoro (Etudes strat., p. 83-87). Il Boussac dice anzi di trovarsi per questi punti in disaccordo con L. Bertrand (id., p. 86), perchè questi ha considerato il flysch di Sospello come una facies laterale dei grès d’ Annot. Però convien subito notare che le osservazioni di fatto dei due geologi, in appa- renza contraddittorie, sono in realtà pienamente concordanti : il flyseh della Mortola e dei profili di Sospello e della Cima del Bose corrisponde indubbiamente, e in ciò L. Bertrand non poteva certo ingannarsi, quale facies laterale, ai grès del gruppo dell’ Aution e. del Tournairet e quindi a quelli di Annot; e non è certo meno vero che quel flysch equivalga al flysch (auversiano e priaboniano) sopra- stante al banco nummulitico nei profili del Riofreddo, del Colle di Tenda e di Valdieri, come bene intravvide il Boussac (l..c. p. 86-87); ma, naturalmente, perchè l’accordo dei fatti si riveli anche nelle pa- role, bisogna togliere alle parole grès d’Annot ogni significato che non sia con tutta certezza acquisito. E l'accordo sarà completo quando si supponga che quei grès anzichè lattorfiani siano priaboniani. L’età priaboniana dei grès d’ Annot apparirà assiomatica dopo le citate affermazioni di L. Bertrand e di J. Boussac sulle equivalenze stratigrafiche rispettivamente di quei 9grès e del flysch priaboniano del Rio Freddo, del Colle di Tenda ece., col flysch di Sospello : due \ Ya È Li Peri . pri pa | -, “di x A y h i de ù e} Ven ì tr i lu < ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 309% sal” formazioni equivalenti stratigraficamente ad una terza sono strati- graficamente equivalenti fra di loro. Nell’elenco di profili indicati dal Boussac, il cui flysch corri- — sponderebbe a quello di Sospello e di Cima del Bosc, fra quello del Colle di Tenda e quello dei pressi di Valdieri, egli ha dimenticato quello omologo, ad essi interposto, della Valle Grande di Vernante, dove, a luogo del flysch, havvi uno sviluppo particolare di arenarie, attribuite, come si vide, dall’Autore al lattorfiano. All’egregio collega, ‘che tanto si è avvicinato in queste osservazioni sui dintorni di Mortola, di Sospello e della Cima del Bosc, alla verità, non sarebbe forse sfuggita la visione completa di essa, se egli avesse avuto un concetto meno rigido sull’essenza di orizzonte di quel tipo di arenarie. Noi siamo così giunti ancora per un’altra via, e necessariamente, alla ipotesi della età priaboniana delle arenarie inferiori, comprendenti quelle di Pourriac, del Lausanier, di Annot e di Mentone, la quale si mostra così sempre più fondata in quanto che : solo con essa si riesce ad armonizzare le molteplici osservazioni fatte dai geologi tutto attorno al Mercantour, sempre mantenendo tutto il loro valore ai dati paleonto- logici sicuri, quali l’età priaboniana delle marne a Serpula spirulea e quella auversiana sia del banco nummulitico del Lausanier, che delle marne soprastanti al Luteziano della Mortola, di Sospello, ecc. La continuità stratigrafica fra le marne ed i soprastanti grés de Menton, riconosciuta da Potier e da L. Bertrand, la corrispondenza da essi e da J. Boussac affermata, fra questi e la formazione are- nacea nella sinclinale di Piena in Valle Roja, sopra San Michele, e la posizione analoga della formazione della Mortola e di quella del bacino di Mentone, ai due lati e a poca distanza, della zona secondaria di confine, a struttura anticlinale, paionmi qui pure argo- menti sufficientissimi per dimostrare che noi abbiamo al di là del confine lo stesso terreno eocenico che abbiamo al di quà; e che non havvi alcuna ragione per supporre che l’Oligocene possa avere così grande sviluppo a Mentone, e negli altri lembi più a nord, dove passa al flysch, mentre di esso non esiste traccia nell’adiacente ampio bacino di San Remo, dove la prosecuzione di quello stesso flysch è invece certamente eocenica, e, più precisamente, priaboniana. Re EEE VRANGGI © tt È 2 PUN ro IR Un colpo d’occhio alle carte geologiche d’insieme più volte citate, È francese ad 1:1.000.000, e italiana al 400.000 e al profilo della fig. 4, tav. III, ottenuto combinando un profilo di Léon Bertrand (1902, tav. XLII, fig. 12) con uno mio (1894, fig. 2), è sufficiente a dimostrare come i grès di Mentone debbano corrispondere ad una parte del fiysch soprastante al banco nummulitico di Valle Roja; 0 tutto al più, per dannata ipotesi, ale arenarie grossolane di Valle Crosia e Bordighera, più simili per tipo litologico, ma molto alte nella serie eocenica ; e che, in ogni caso, date le condizioni strati- grafiche, topografiche ed altiméètriche rivelate dalle carte e dal pro- filo suddetti, sia inammissibile l’attribuzione delle arenarie di Men- tone all’Oligocene, mentre questo non è menomamente rappresentato nell’ampio bacino di San Remo; nel quale, per di più, la serie eocenica è profondamente inabissata fra Ospedaletti e Capo Mele, dove appunto affiora la parte più alta della zona ad Helminthoida e quindi dell’ Eocene. Le differenze nella costituzione litologica delle serie nelle due regioni può essere facilmente spiegata colla notoria preesistenza della anticlinale secondaria post-cretacea, dei cui terreni giuresi infatti sono numerosissimi blocchi nelle puddinghe, costituenti la base del banco nummulitico autoctono, ad essa addossato dal lato di levante. Ma oltre che nella bellissima conca sinclinale di Piena, una for- mazione marnosa si osserva in diversi punti, sul banco a grandi Nummuliti, come fra Realdo, Cima di Marta, M. Ceriana, ece., ricca in Nummuliti, Ortofragmine, gasteropodi, lamellibranchi, ece., che vedemmo essere probabilmente auversiana, ed un’altra. è intercalata nella parte inferiore del flisch priaboniano, come presso Trucco, nella bassa Valle Roja. Questi fatti dimostrano appunto viemeglio la cor- rispondenza delle serie di Mentone, della Mortola, di Sospello e di Piena con quelle tipiche le quali, nel bacino di San Remo, sot- tostanno chiaramente alla zona ad Helminthoida. Dai risultati di questo rapido sguardo, gettato sulle regioni oltre confine, colla scorta dei lavori e delle carte dei colleghi francesi, io posso ritenermi molto soddisfatto, perchè essi oltrepassarono di non ’ ì cd MIRI LACVTE ° A E % si ttt dle da Ù db EVITA ; RS) RTP e Sa, : sala Pun DI Mtep) i: > « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » Ecc. 311 My? : fo le mie speranze. Difatti se era già per me di una grande impor- tanza il constatare che nelle regioni oltre confine non esistono fatti che contraddicano, e tanto meno che possano avere valore di argo- menti perentori, da opporre ai fatti invece molto chiari che si osser- vano nel bacino di San Remo, il quale perciò viene ad assumere una grande importanza per l’ulteriore studio della serie eocenica di tutte le Alpi marittime e dell’ Appennino ligure, l’aver inoltre riconosciuto che molte osservazioni di fatti, di cui alcuni importantissimi, sono in pieno accordo col mio ordine di idee, mi induce a sperare che sopra di esse si possa basare una discussione, che condurrà ad un prossimo, completo accordo fra i geologi. Intanto dalle osservazioni fatte da Carlo Lory, W. Kilian e E. Haug nelle regioni ad occidente del Mercantour e in quelle esten- dentisi fra questo ed il Pelvoux si può dedurre: (1) 1° La esistenza di grès simili a quelli di Annot, ma apparte- nenti ad un orizzonte superiore ; 2° La probabilità che una parte di questi grès superiori siano legati al fliysch ad Helminthoida, di cui rappresenterebbero una facies laterale. Inoltre dal ccordinamento delle osservazioni mie con quelle dei Kilian, Haug, L. Bertrand e dal predecessore di quest’ultimo, Ing. Potier, nello studio del Nizzardo, risultano della più chiara evidenza questi fatti : 1° Le arenarie tipo Annot e simili si mostrano a diversi li- velli della serie eccenica, che affiora in ampie regioni attorno al Mer- cantour, cosicchè esse costituiscono una facies litologica laterale di terreni diversi e non un determinato orizzonte geologico. 2° Le arenarie di Annot dall’alta Tinea proseguono al Lau- sanier, e di qui, attraverso il confine, lungo la Valle Stura, e si so- vrappongono in identiche o molto analoghe condizioni, colà alle marne priaboniane, quivi al baneo nummulitico (auversiano o priaboniano) rappresentato da calcari più o meno arenacei. (1) |. e. C. Rendus d. Collaborateurs. Campagne 1898, p. 99. bada (e ING. S. FRANCHI “PREGO CROSRNORI s = 3° Quelle stesse arenarie, nel gruppo del Tournairet, si colle- - gano verso sud colle arenarie di Mentone e verso levante passano ad una facies mista di arenarie e di flysch, quindi al solo flysch fra la Vesubia e la media valle Roja. 4° In modo analogo le belle arenarie di Pourriac, direttamente collegate con quelle del Lausanier, passano a forme meno tipiche a È Servagno e più a sud-est, poi a semplice flysch presso Valdieri; la formazione è di nuovo prevalentemente arenacea per breve tratto nella serie autoctona della Valle Grande di Vernante; poi passa ad una forma mista di flysch, presentante molte intercalazioni di arenarie, attraverso alla depressione del Colle di Tenda; quindi è costituita essenzialmente da filysch nelle valli Nervia e Argentina e nella media e bassa valle Roja, dove si ricollega col flysch della Bevera e della Vesubia e, con passaggi laterali, ai grés di Mentone e del Tournairet. Questi fatti hanno un significato molto chiaro ed incontrover- tibile, ed è che nella maggior parte delle suddette regioni che circon- dano completamente il Mercantour, noi siamo sempre in presenza di una stessa formazione, in qualche punto sabbiosa, in altri esclusiva- mente o prevalentemente arenacea, con tutte le sue forme di tran- sizione al flysch, sì nel senso orizzontale che in quello verticale, che, cioè, noi siamo in presenza del 2° termine della serie eocenica del bacino di San Remo, il quale termine è sovrapposto al banco num- SÒ mulitico basale, 0 all’ Auversiano, dove “questo è rappresentato, e sottostà alla zona ad Helminthoida, laddove questa non sia stata abrasa per azioni tettoniche od erosa dagli agenti esterni. N Questa conclusione, che è indipendente dall’accoglimento più o meno completo dell’ipotesi Boussac, è sostanzialmente ammessa da questo geologo, quando egli nei saggi di ricostituzione paleogeo- grafica, rappresenta il Mercantour come un’ isola in mezzo al mare in cui si deposero i grès di Annot, nelle tavole XIX e XX, alle- gate al suo grande lavoro. Tale ammissione, per ineluttabilità logica, da parte del geologo che solo forse, dopo il Pareto e il Sismonda, abbia avuto la fortuna di studiare da tutti i lati del Mercantour i terreni terziari che lo circondano, viene anzi a suffragare il concetto L) RIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » EC della continuità e della corrispondenza fra i grès di Annot ed una parte delle formazioni terziarie del bacino di San Remo ; però sic- come noi abbiamo dimostrato che ivi queste formazioni sono tutte più antiche dell’Oligocene, così noi dobbiamo dedurre, ancora questa volta, che anche quei grès debbono essere ante-oligocenici. E qui posso aggiungere qualcosa di più, ed è che nel grande lavoro di J. Boussac, sotto altri riguardi tanto documentato e dimo- strativo, io non ho trovato nessun argomento stratigrafico o paleon- tologico che dimostri perentoriamente che i grès d’Annot, soprastanti mediatamente al banco nummulitico basale, siano oligocenici. Lo stesso profilo di Annot (1. c., p. 118), quelli del Lauset, del Lausanier, di Servagno e della Valle di Vernante, ecc., paionmi dimostrare semplice- mente questo: che quei grès sono posteriori a degli strati contenenti fossili auversiani o al più priaboniani. Orbene, allo stesso modo in cui, nell’ Hocene del bacino di San Remo, al di sopra di strati priaboniani secondo Boussac, vi è posto per tutta la formazione ad Helminthoida, potente non meno di 500 metri, così non havvi ragione per negare che lo stesso possa verificarsi per i suddetti famosi grès. E se si pensa alle enormi po- tenze che può prendere, in condizioni propizie (1) in vicinanza della spiaggia, una formazione arenacea, in un periodo di tempo relativa- mente breve, non parrà inverosimile che sul banco nummaulitico auver- stano-priaboniano dell’Ubaye e dell'Alta valle Stura trovi posto, oltre ai « grès d’ Annot » anche il « flysch à Helminthoides ». Così allo schema stratigrafico dato dal Boussac, a pag. 72 del suo noto lavoro, io sostituirei quello della fig. 4 della tav. IV, la cui leggenda è a pag. 333. i 1039. È noto come le formazioni arenacee siano presso la spiaggia molto più potenti che ad una certa distanza da essa, tanto più quando gli elementi sono forniti da un massiccio elevato vicino alla costa stessa, come nel caso nostro è provato dai frequenti banchi di puddinghe. Tipico esempio è fornito dai grès mouchetès equivalenti dei grès d’Annot, i cui strati, nel gruppo di Chaillo], sono appoggiati contro il massiccio cristallino del Pelvoux, e che ivi hanno, secondo Carlo Lory, una potenza di 800 metri. Le considerazioni sintetiche, quali sono suggerite dall’esame delle carte geologiche al 400.000 ed al 1.000.000 per tutta la vasta regione dalle Basse Alpi alle Alpi Marittime, che sono state esposte in prin- cipio di questo capitolo, collimano adunque esattamente coi risultati delle osservazioni analitiche che siamo venuti facendo, e si accordano armonicamente per farci ritenere non solo come eocenici i « grès d’An- not » ed il flysch a cui essi passano lateralmente e superiormente, ma per di più nel dimostrarci che una parte di essi corrisponde precisa- mente alla parte media e superiore di quella potente e continua zona di flysch, passante a luoghi alle formazioni miste di arenarie e flysch od anche essenzialmente di arenaire, la quale, nel bacino di San Remo, è sicuramente e chiaramente interposta fra il banco nummulitico basale e la zona ad « Helminthoida labyrinthica ». Questa conclusione, che non ci sembra Mxcoi E) può tuttavia essere ancora rafforzata da altri argomenti, che passiamo ad esaminare. SUPPOSTO SINCRONISMO DEI « GRÈS D'ANNOT » E DEI < GRÈS DE TA- VEYANNAZ >» RISPETTIVAMENTE COLL’ OLIGOCENE DELLE ZONE ESTERNE DI CASTELLANE E DI DESERT. Una prova chei grès d Annot siano lattorfiani la si avrebbe quando si fosse dimostrata la loro corrispondenza coll’Oligocene della zona esterna, riccamente fossilifera, estendentesi, in zona interrotta, fra Castellane e il Dévouly, e analogamente per i grés di ‘Taveyannaz rispetto all’ Oligocene della zona esterna di Désert, presso Cham- béry; ma tali corrispondenze non sono state dimostrate, anzi giu- stamente il Boussac afferma, che la parte superiore dell’Oligocene di Castellane deve essere considerata come posteriore ai vicini grés d’Annot. Egli scrive difatti a pag. 189-91 del suo lavoro : « On pourrait affirmer, avec de bonnes raisons à l’ appui, que le banc de conglo- merat à Natica crassatina est plus jeune que les grès d’ Annot. On y trouve, a Barrème, des galets de roches vertes, de méème que dans les banes qui viennent au dessus on rencontre des galets de quartzites triasiques brianconnais, de jaspes rouges à Radiolaires, de i INTE i N pr4 i he of Ù n . » } b : la TOA CI 4 Mi da k ia Pi; x b, : © | LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 315. | roches vertes, de grès du flysch, toutes roches qui, au moment du dépòt des grès d’Annot, étaient sous le eaux. Le conglomérat de Bar- rème inaugure le régime stratigraphique de la mollasse, régime dù à la surrection, par productions des nappes, de la chaine alpine; ce phé- nomòène est ici, comme en Ligurie, très-exactement daté entre le dépòt des grès d’Annot et celui des grès et conglomérats rupélien ». Però, noi vedemmo che in Liguria il grande sollevamento al- “pino corrisponde all’alba dell’Oligocene inferiore o Lattorfiano, e non del Rupeliano; perciò, se vi è corrispondenza, come noi cre- diamo con Boussac, fra il movimento ligure e quello delle Basse ‘Alpi, la tesi che sosteniamo sarà certamente vittoriosa. Ora, dopo che Tournoier ha dimostrato che fra la zona esterna fossilifera Castellane-Barrème-Tartonne e le serie di Annot e di Allons esiste bensì analogia di cicli litologici, ma nessuna corrispondenza cero- nologica dei singoli termini di tali cicli, e dopo che ‘sulla ricca fauna delle marne di Allons il Boussac stesso non sa decidere se si tratti di - Bartoniano o di Ludiano (1. c., p. 122), a me sembra che non si possa nemmeno ritenere come dimostrato che le arenarie, assolutamente prive di fossili, soprastanti a queste marne, e che sono appunto i grès d’ Annot, siano oligoceniche e corrispondano precisamente all’Oligocene inferiore della zona di Castellane. Il signor Boussac considera i depositi oligocenici della zona esterna Castellane-Tartonne, ecc., come il risultato della massima ingressione, verso ponente, del mare della geo-sinclinale assiale alpina _ o interalpina, nel quale si depositarono i grès d’ Annot; ma ad una tale ipotesi si possono fare alcune serie obbiezioni. 1° La prima è quella delle differenze tanto profonde che si. avrebbero a così breve distanza fra quell’Oligocene inferiore e i grès de Annot, se fossero depositi contemporanei, mentre questi hanno invece una grande e meravigliosa costanza di caratteri sopra grandi estensioni in senso orizzontale e verticalmente, dal banco nummulitico lute- ziano alla zona ad Helminthoida, in tutte le regioni attorno al Mer- cantour; differenze litologiche non solo ma più ancora paleontologiche, pel contrasto di due formazioni di cui una è ricca e l’altra può dirsi é AO 7 af Se 20 vu bl { War ai Da rta AA ‘i i Lt Pai RR $ dA = >, SCESE "E RETI OOO NS FRANOBI PIRA RT : ni CART e i oo ovunque, e sopra tutta la sua estensione enorme, assolutamente priv di fossili. E ciò mentre vi sono invece molte analogie fra quell’Oligo- cene e quello lontanissimo dell’ Appennino ligure, che pure non ras- somiglia per nulla alle formazioni calcaree che ricopre in trasgres- sione ed a quelle arenacee dell’Eocene del bacino di San Remo, il quale è inoltre molto più metamorfico, come appunto lo sono gene- ralmente i grès d’ Annot. 2° Una seconda grande difficoltà è quella di ammettere che tutta l’area coperta da questi grès abbia potuto esondarsi fino quasi * al limite di quella zona oligocenica esterna, producendo solo i muta- menti litologici relativamente leggeri, quali si notano nei depositi fra la parte inferiore sannoisiana e quella rupeliana superiore; men- tre sono noti i forti contrasti litologici e tettonici che esistono in Li- guria fra la formazione eocenica ripiegata e profondamente erosa e quella ad andamenti tranquilli dell’Oligocene. E tanto meno sono spiegabili quei rapporti fra Sannoisiano e Rupeliano, quando si ri- fletta che, secondo le idee di Boussac, quel primo terreno dovrebbe rappresentare la massima ingressione verso sud-ovest, ossia l’ultimo depo- sito del mare nummulitico interalpino, il quale circuiva il Mercantour, mentre il secondo di quei terreni dovrebbe costituire il primo depo- sito, naturalmente trasgressivo, del mare esterno in cui doveva de— porsi più tardi la mollassa, mare formatosi in seguito all’esondazione di tutta l’area di deposito dei grès d’Annot, all’orlo esterno della ca- tena alpina, individuata e plasmata da quel sollevamento, Ho voluto chiarire questa discussione con dei profili schematici i quali, nella figura 4, rappresentano, i due primi la ipotesi di J. Bous- sac, del deposito dei gròs d° Annot nel mare lattorfiano e del solleva- mento post-lattorfiano delle Alpi, e gli altri due la mia ipotesi, secondo cui il deposito dei suddetti grès avvenne nel mare eocenico, ed il solle- vamento delle Alpi è post-eocenico (post-ludiano). Una tale doppia inversione di regime, da marino a terrestre della regione coperta dal mare che terminava alla zona di Castellane, e da terrestre a marino della regione continentale di cui questa costituiva la zona litoranea sud-occidentale, doppia inversione la quale avrebbe COTE DI ANNOT » E LA «ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 317 e dovuto prodursi con una rotazione, avente il fulcro appunto nelle “vicinanze della zona di Castellane, doveva forse essere in essa sen- - tita in modo assai più intenso, che non lo facciano supporre i rap- porti stratigrafici e paleontologici fra Sannoisiano e Rupeliano de- scritti da J. Boussac. D'altra parte vien naturale di supporre che questi depositi molto analoghi, benchè separati da una trasgressione, siansi prodotti nello Bac" di Mercantour : Castell. i de di " ‘errare’ lallorfiano colle di Tenda === ogg EA Ipotesi Mare E VIfura Boussac rupeliano Casfellane GS ‘G : Dep.lait ag; Cast \ Mass£° cristalli” del Mercantour Sinclartelu? 4 dr Castellane 4° Lo Hd are I uid'i a n 0 Mare i V Ipotesi lattorfiaro « Stura Franchi Casfellfane VY Fig. 4. — Schemi di profili paleo-topografici, esprimenti : I. — L’ipotesi Boussac: Deposito del Lattorfiano dì Castellane nel mare della geosinclinale interalpina, contemporaneamente ai gres d’ Annot — Sollevamento alpino post-lattorfiano — Deposito, nel mare esterno, del Rupeliano sul Lattorfiano suddetto, depositato dal mare interno. II. — L'ipotesi Franchi: Deposito dei varì orizzonti di arenarie del tipo dei gres d’Annot, di cui il superiore è ludiano, nel mare della geosinclinale eocenica interalpina, il quale non arriva a Castellane — Sollevamento alpino post-eocenico — Deposito successivo, nel mare esterno, del Lattorfiano, del Rupeliano e quindi delle Mollasse di Castellane. stesso mare, che non fosse quello in cui si deposero i grès d’Annot, tanto diversi sotto tutti i riguardi. Quelle due forti obbiezioni sarebbero subito tolte dimezzo quando si ammettesse la ipotesi, o meglio, noi possiamo dire ormai la solu- zione, dell’età eocenica dei grès d’ Annot. Per la prima obbiezione, quella delle grandi differenze litologi- che e di metamorfismo e più ancora paleontologiche fra i grès d’Annot ni Da si" # ING. S. F R A CHI bi: "A e l’Oligecene inferiore della zona di Castellane, una volta ammessa l’eocenicità dei grès e la loro esondazione anteriormente al deposito di quell’Oligocene, essa verrebbe subito a mancare, trattandosi in tal caso di depositi non solo di età diversa, ma avvenuti in mari com- pletamente distinti, uno interno, l’altro esterno, uno anteriore, l’altro posteriore ad un grande corrugamento alpino e al conseguente sol- levamento. E simili differenze corrisponderebbero precisamente a quelle che si osservano tra il complesso litologico dell’ Eocene ripie- i, RR dd IA gato del bacino di San Remo e dell’Appennino e l’Oligocene, che in quest’ultima regione lo ricopre in trasgressione, e i cui rispettivi de- positi avvennero appunto in condizioni molto diverse ed in due di- stinti mari, anteriore l’uno, posteriore l’altro, al grande diastrofismo che mutò così profondamente i rapporti delle terre emerse, delle coste e dei mari; la fauna dei quali dovette subire conseguentemente delle variazioni profonde, sì nelle associazioni che nella distribu- zione delle specie. | Uno studio locale ulteriore potrà permettere di decidere se questa ipotesi sia fondata, e di vedere cioè se il deposito dell’Oligocene inferiore della zona esterna sia avvenuto in un mare che si aprisse verso nord- est o si estendesse invece verso sud-ovest; intanto la distribuzione delle « marne azzurre predominanti » al lato di sud-ovest e delle « marne con intercalazioni arenacee » a quello nord-est, come indica il Bous- sac nel saggio di ricostituzione paleo-qeografica del mare lattorfiano (tavola XX), dimostrerebbe appunto che quei depositi si son effet— tuati in un mare aperto verso sud-ovest, conformemente alla sopra enunciata mia ipotesi. Così per la seconda obiezione, considerati eocenici i grès d’Annot e anteoligocenica la esondazione di essi, tutti i depositi dell’Oligocene della zona esterna sarebbero avvenuti nello stesso mare esterno, co- stituitosi dopo quella esondazione, il che ci spiegherebbe naturalmente le differenze litologiche e faunistiche incomparabilmente minori, esi- stenti fra la parte inferiore sannoisiana e quella superiore rupeliana, di quelle che esistessero fra quella prima parte ed i grès d’ Annot. Secondo questa ipotesi, nel versante marino, fra Cadibona e Ca- n : MR da , p®i 3 CERTA »À, 4 LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA A LE « Dì D HELMINTHOIDA » i stellane, salvo la parte asportata dall’erosione, non esisterebbero depo- siti oligocenici, i quali starebbero invece al largo sotto il mare. La ispezione delle carte geologiche mostra d’altronde che se tali depositi si fossero effettuati in questo tratto, il bacino sinclinale di San Remo «è certo quello dove essi avrebbero dovuto meglio essere sviluppati e risparmiati dall’erosione, a preferenza delle regioni alte a sud e ad occidente del massiccio gneissico dell’ Argentera. E un altro indizio che così stiano le cose è dato dal lembo di Elveziano, applicato contro il Permiano ed il Trias presso Finalmarina, dimostrante una forte trasgressione miocenica, la quale si ripete ‘presso Nizza colle mollasse mioceniche di Vence, deposte trasgressiva- mente sopra vari orizzonti dell’ Eocene medio, sopra il Cretaceo e sul Giurese, senza interposizione dei grés d’ Annmot. PROBABILE ETÀ EOCENICA DEI ‘( GRÈS MOUCHETÈS), DEI « GRÈS DE TAVEYANNAZ », ECO. Riconosciuta l’età eocenica dei grès del Lausanier, di Annot e di Mentone, si verrebbe automaticamente a riconoscere la pari età dei grès mouchetès, a cui essi presentano passaggi nella regione a Sud del Pelvoux, dove sono sviluppati con enormi potenze (800 m. secondo C. Lory) nei gruppi di Chaillol e di Méollion, e presentano caratteri litologici speciali (frequenza di elementi di roccie andesitiche); e po- trebbe subito essere posta la questione pei gròs de Taveyannaz e pei grès du flysch e pel flysch, di tanto nota importanza nel Nummulitico dell'Alta Savoia e della Svizzera orientale, nelle serie autoctone ed in quelle carreggiate; dove, con impressionanti analogie, che giustificano la corrispondenza cronologica da molti accettata, con quello che si è osservato nel Nummulitico della regione circuente la estremità sud-est del Mercantour, quelle diverse forme si sostituiscono lateralmente e verticalmente l’una all’altra sopra enormi potenze. L'età di questi grès, che pure si sovrappongono al Nummulitico | fossilifero, e passano, come dissi, a vari tipi di flysch, è ancora poco peo LN, PENE Sì FRANCHI sli). pa LP 4 sicura, tanto che l’abbiamo veduta attribuire da alcuni al Luteziano e da altri al Lattorfiano. Arnold Heim nella sua grande e recente opera Die nummauliten— und Flischbildungen der Schweîzeralpen (1) era giunto ad attribuire ai grès di Taveyannaz l’età luteziana, come risulta in modo chiaro dai profili e dalla tabella riassuntiva a pag. 140; ma il Boussac ha dimo- strato, con argomenti stratigrafici, che nei profili sui quali si era basato lo Heim la serie nummulitica era rovesciata, e che perciò i grès suddetti ed il flysch a cui essi passano, nonchè quelli di Altdorf, sono posteriori e non anteriori agli strati a N. Fabianii a cui erano realmente, in diversi profili, sottoposti. Del rovesciamento della serie si è avuta una valida conferma col ritrovamento di un blocco di calcare a ricca fauna luteziana entro ai grés di Altdorf, fatto dal Boussac, il quale così ne parla (pag. 376): Nous avions admis jusqu' ici l’àge priabonien supérieur ou oligocène des grès du flysch ou de Taveyannaz par simple analogie avec les successions normales que nous connaissions, mais aucun argument direct ne nous prouvait que ces grès du flysch fussent plus récents que le Lutétien qui les surmonte. La découverte dans ces grès de galets de Lutétien supérieur, appartenant à un faciès étranger à la Suisse, en nous démontrant péremptoirement que les grès du flysch sont beaucoup plus récents que le Lutétien, apporte une confirmation inat- tendue et décisive à l’hypothèse du flane renversé ». Queste deduzioni sono pienamente giustificate, ma la scoperta di questo blocco non è tuttavia sufficiente per dimostrare che i grès che lo includevano siano oligocenici anzichè priaboniani; tanto più trattandosi di materiale estraneo alla Svizzera e che può provenire da una zona tettonica, dove siano avvenuti movimenti immediatamente post-luteziani. Tanto meno esso varrebbe poi a dimostrare l’età oligocenica di tutta la . grande massa dei grès di Taveyannaz, i quali sono un po’ più profondi di quelli di Altdorf. Cosicchè, l’età eocenica dei grèés mouchetès, tanto prossimi a quelli di Annot e dei lontani grès de Taveyannaz e dei grès du flysch, coi (1) Abhand, et Schweiz. paliontol. Gesell., vol. XXXV, 1908. Pa taiicice | LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 321 : a to * N quali presentano frequenti passaggi, analogamente a quelli che ab- biamo notati fra le arenarie ed il fiysch attorno al massiccio del- l’Argentera, età che nessun dato permetteva di escludere, appare «ora, pel criterio di analogia, molto probabile; e lo stesso si potrà dire probabilmente ancora pei grès de Altdorf, che sono a quelli “un po’ superiori, e che presso Altdort hanno una potenza da 1000 a 2000 m. (1). A così grande distanza sarebbe assurdo il pretendere di stabi- lire una corrispondenza fra igrès di Altdorf colle nostre arenarie su- periori e dei grès di Taveyannaz colle arenarie inferiori, ma una certa analogia nei due complessi scistoso-arenacei è manifesta, ed uno stu- dio comparativo potrà riuscire molto interessante. EPOCA DEI RICOPRIMENTI DEL COLLE DI TENDA E DELL UBAYE. _ Come corollario delle precedenti osservazioni, noi possiamo ora prendere in esame l’epoca in cui avvennero i carreggiamenti dell’Ubaye e le fratture ed i ricoprimenti delle regioni italiane delle valli Gesso, — Vermenagna, del Colle di Tenda e delle valli Rio Freddo e Argentina, ricoprimenti e fratture che hanno fra loro un legame indiscutibile, stabilito dalla continuità di grandi linee di contatto anormale. Si tratta di linee di frattura e falde di ricoprimento multiple, le quali non saranno avvenute contemporaneamente, ma probabilmente in un periodo di tempo geologicamente ristretto; di questo noi potremo al più stabilire un limite superiore, deducendolo dall’età del più giovane terreno incluso fra le masse carreggiate. | E appunto, la presenza in queste di lembi non dubbi -ed anche (1) Il Sig. W. STAUB, nel suo bel lavoro « Geologische Beschreibung der Gebirge zwischen Schéchental und Maderanertal im kanton Uri » (Beitriige der geologhischen Karte der Schweiz, neue folghe, XXXII lieferung, 1911) considera «come eocenici non solo i Taveyannazsanastein, ma anche i soprastanti Dach- schiefer e gli Altdorfersandstein (p. 49-51). Queste tre forme litologiche inti- mamente legate presentano frequenti e svariati passaggi fra loro. Pi È * ® 4 n ì x LI A db e ha: Ù È importanti di grès d’Annot (1), non potrà più essere considerata come argomento per ritenere i carreggiamenti post-oligocenici. Ciò quando si consideri che nell’Appennino Settentrionale e nelle Alpi Marittime orientali o liguri, il grande corrugamenta eogenico è certamente anteriore al deposito del Sannoisiano, e che non esistono argomenti per supporre che siansi posteriormente potuti verificare nell’Ubaye, più che al Colle di Tenda e nella Valle Argentina, dei carreggiamenti di masse dalla zona Colle di Tenda-Colle della Maddalena (des Aiguilles d’ Arves); e che al contrario i depositi dell’Oligocene inferiore, ricoprenti le testate delle dolomie e delle quarziti del Trias nei dintorni di Mondovì (2), appartenenti alla retrostante zona del Brianzonese, non subirono nessun sensibile ripiegamento. E, certo, una indipendenza assoluta nei movimenti di quelle due zone tettoniche contigue parrà a tutti inammissibile; poichè, sia nel caso che le masse in ricoprimento pro- «vengano solo dalla zona Colle di Tenda-Colle della Maddalena (come pensa W. Kilian per la falda des Séolanes) (3), che nell’altro in cui esse abbiano la loro origine dalla zona retrostante e più interna sopradetta (come pensa invece E. Haug per la stessa falda), la gi- gantesca spinta verso l’esterno, atta a produrre quei movimenti di enormi masse rocciose, doveva sempre essere ricevuta dall’interno e trasmessa da questa ultima zona del Brianzonese, la quale perciò non avrebbe potuto non rimanerne potentemente influenzata, col eo- stipamento delle primitive pieghe e col.corrugamento della formazione oligocenica ad essa trasgressivamente sovrapposta. | Noi possiamo anzi andare oltre, ed invertire i termini del quesito, per dedurre direttamente il limite superiore possibile dell’età dei grés d’Annot, con un ragionamento molto semplice. | . (1) W. KILIAN: Les phénomènes de charriage dans les Alpes delphino- provencales; e E. HAUG: Les grands charriages de l’Embrunais et de l'Ubaye. — Congrès Géol. Int., C. R., IX Sess., Viénne, 1903. (2) D. ZACCAGNA. Profilo attraverso le Alpi Marittime nella carta della Liguria citata avanti e nel Boll. R. Com. Geol., 1897. (3) E. Haue e W. KiLIAN. Bull. «d. Serv. d. 1. Carte geol. d. Fr., Comptes- rendus des Collaborateurs pour la campagne 1901 (nota alla pagina 153). i è vie N I 323 LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. L’Oligocene, con stratificazione indisturbata, ricoprente in trasgres- sione le testate dei banchi del Trias e della zona delle pietre verdi rispettivamente, nei dintorni di Mondovì e nella media valle del Tanaro, dimostra chiaramente che le zone del Brianzonese e del Pie- monte, cui appartengono quei terreni, non hanno subito nessun forte costipamento dopo quello ante-oligocenico (1). Lo stesso ha dovuto necessariamente accadere nella adiacente zona più esterna Colle della Maddalena, Colle di Tenda, Valle Argen- tina (des Arguilles d’Arves); perciò le grandi fratture ed i ricopri- menti in essa osservati (Valle Argentina, Colle di Tenda, Ubaye), possono essere precisamente datati fra la fine dell’Eocene e l’alba dell’ Oligocene., Ora siccome le falde di ricoprimento dell’ Ubaye comprendono lembi di fiysch ad Helminthoida e di grès d’ Annot, nelle loro pieghe sinclinali (2), così questi grés sono, al pari di quel flysch, certamente più antichi dell’Oligocene. SINCRONISMO FRA I « MOVIMENTI PIRENEANI ) E QUELLI ALPINI. I colossali corrugamenti che culminarono colla grandiosa mani- festazione delle falde di ricoprimento dell’Ubaye e del Colle di Tenda, minore questa, ma certamente diminuita dall’erosione, debbono quindi corrispondere alle diverse fasi dell’ultimo grande diastrofismo, con cui sono stati intensamente ripiegati gli strati dell’Eocene, zona ad Hel- minthoida compresa, nelle Alpi Marittime e nell'Appennino ligure; e debbono corrispondere perciò al sollevamento dei Pirinei, che è ap- punto notoriamente ante-oligocenico. Le formazioni arenacee, con frequenti puddinghe, specialmente nel versante sud del Mercantour, incluse sotto il nome di grès d’ Annot, e quelle del versante italiano, (1) La distanza fra l’Oligocene indisturbato dei dintorni di Bagnasco, nella Valle del Tanaro, e l'Eocene ripiegato e rovesciato delle falde settentrionali del —_M. Armetta non è superiore a 15 km., e minore ancora è quella che separa quel primo terreno dall’ Eocene, pure vivamente ripiegato, dell'alta valle della Neva. (2) E. Haue et W. KILIAN (1. avanti c., p. 151). 14 ING. S. FRANCHI appartenenti a diversi orizzonti dell’Eocene, la cui origine è legata alle oscillazioni post-luteziane della regione emersa, avente per nucleo il massiccio cristallino del Mercantour, corrisponderebbero in certo qual modo, nelle grandi linee, alle puddinghe di Palassou e di Mont- serrat nei due versanti dei Pirinei, originate appunto da sollevamenti continuati di questo sistema montuoso, compresi fra il Luteziano e } Oligocene. Altre analogie sarebbero date dalle falde di ricoprimento ante- oligoceniche che si estesero nelle Alpi sui grès d’Annot e nei Pirinei sulle famose puddinghe ora ricordate, e dalla stratificazione indi- sturbata del Tongriano ligure e delle mollasse neogeniche pireneane, rispettivamente sulle formazioni ripiegate dell’ Eocene superiore del- l'Appennino Ligure e sulle puddinghe di° Palassou e di Montserrat. Così verrebbero a rivelarsi rapporti cronologici più armonici fra i movimenti detti pireneani, i quali si manifestarono verso oriente nell’Alta Garonna, in Provenza (1) e nelle Basse Alpi (2), movimenti (1) M. BERTRAND. La grande nappe de recouvrement de la Basse Pro- vence. Bull. des. Serv. d. l. Carte geol. d. l. Fr., t. X, 1898-99. W. KiLIaN. Notes de géologie alpine, 2° article (Ann. Enseign. sup. Gre- noble, t. V, 1893 et C. R. Ace. Sc., t. 115, p. 1024, 1892). P. Lory. Observations sur la coeristance, dans le massif de Chasllol, de dislocation appartenant à deua périodes distinctes. Boll. Soc. geol. d. Fr., 5 no- vembre 1894, t. XXII, p. CXLII-CXLIV. (2) E. Haus. De la coeristance, dans le bassin de la Durance, de deua systémes de plis conjugués d'àge different. C. R. Ac. Se., CKX, p. 1357-60, 1895. W. KILIAN. Remarques sur la tectonique de la Basse Provence. Comptes rendus Collab. in Bull. Serv. d. |. Carte geol. d. 1. Fr. n. 110, 1905, p. 171. L BERTRAND et ANTONIN LANQUINE. Obserrations tectoniques aun environs de Grasse. Comptes rendus, Ac. Sc., t. 156, 16 juin, 1913, p. 1857; Sur la prolon- gation de la nappe des Bessillons dans le sud-ovest des Alpes Maritimes, jusqu' à la vallée du Var, id. id., t. 158, p. 376, 2 février 1914. W. KiILIAN et ANTONIN LANQUINE. Sur les complications tectoniques de la partie sud-est des Basses Alpes (région de Castellane). Compte rendus, Ac. Sc., t. 161, 2 aoîît 1915, p. 93. Sur la coeristence, dans les environs de Castellane, de dislocations pyrénes-provencales et de plissements alpins, et sur la complerité de ces phénomènes orogéniques. Id. id. 17 aoùt 1915, p. 165. -* - pi LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA « ZONA AD HELMINTHOIDA » ECC. 325 | che sono appuntò ante-oligocenici, con quelli che si manifestarono nelle Alpi Marittime e nell’Appennino settentrionale, alla fine del Mesonummulitico. Anzi i movimenti ante-oligocenici, riconosciuti da molti geologi nelle Basse Alpi in questi ultimi anni, dovrebbero, in parte, considerarsi non più come pireneani, ma bensi come genuina— mente alpini, benchè a quelli contemporanei ; e la coesistenza di di- versi sistemi di pieghe nella stessa regione potrebbe spiegarsi colla sovrapposizione di movimenti posteriori rupeliani o miocenici a quelli alpini più antichi. Con queste ipotesi verrebbe tolta di mezzo quell’altra poco ve- | rosimile, secondo la quale i ripiegamenti del sistema pireneano po- tessero giungere quasi nel cuore di un altro sistema montuoso impor- tante come quello alpino, che sarebbe sorto posteriormente; e le Alpi ‘ed i Pirenei, che sono due elementi quasi contigui di un sistema oro- grafico molto più esteso, quello delle AZ»vidi di E. Suess, presentereb- bero nelle fasi più importanti dei loro ripiegamenti una certa euritmia che ben si poteva prevedere come naturale e necessaria. x» * * I miei colleghi e amici, che hanno studiate, con tanti fecondi risultati le regioni confinanti con quelle che sono state oggetto dei miei rilevamenti molti anni or sono (F. Zircher, E. Haug, W. Kilian, L. Bertrand e J. Boussac), vorranno scusare questa incursione che io vi ho fatto col pensiero e colla guida delle loro carte e dei loro la- ‘vori, e perdonare gli errori in cui io sarò incorso, errori certo nu- merosi nei particolari, ma che spero saranno trascurabili, nelle grandi linee della discussione che ho creduto di intraprendere, allo scopo di venire ad un accordo sulla cronologia di importanti masse roc- ciose del Nummulitico delle Alpi Marittime. Io confido che ulteriori revisioni, fatte anche in comune, ai due lati del confine, rinnoveranno ancora una volta il pieno accordo che si è soventi manifestato fra gli studiosi dei due versanti, sopra div rse importantissime e anche fondamentali questioni di geologia delle Alpi Occidentali. } d oa Î pr le hl al iù ge E, 1700, TO, B.FRANCHI al CONCLUSIONI. Dalla esposizione dei fatti e dalla discussione di essi noi possiamo trarre le seguenti conclusioni, tenendo separate quelle riguardanti le regioni italiane da me studiate, rispetto alle quali io posso essere affermativo ed esplicito, da quelle che si riferiscono alle regioni oltre confine e da me non visitate, sulle quali sarò meno reciso, oltre che per questo fatto, per il rispetto in cui tengo i lavori dei Geologi va- lentissimi, lavori che io presi a discutere, e dai quali, su qualche punto, sono indotto a dissentire. A. —- Per le regioni italiane da me esplorate. 1° Gli strati ad Helminthoida labyrinthica ed a Chondrites affinis, Ch. Targionii, Ch. intricatus, cec., con facies di arenarie, di calcari alberesi e di flysch, costituiscono una zona caratteristica dell’ Eocene, facilmente delimitabile nelle Alpi Marittime italiane e nell’ Appennino Genovese. Tali strati, insieme ad una zona che ad essi si sovrappone nella regione costiera, fra Bordighera e Diano Marina, la quale presenta una facies di fiysch ed è caratterizzata da Helminthoida differenti (H. irregularis Squinabol) e da piccole Condriti, costituiscono il termine stratigrafico più alto che si conosca dell’ Eocene di quelle due regioni. I limiti cronologici di questo ‘gruppo, che dicemmo «zona ad Helminthoida », sono dati dall’ Oligocene inferiore (Tongriano), che lo ricopre con marcata discordanza nell'Appennino Genovese, e dal flysch priaboniano sottostante, nelle Alpi Marittime italiane, includente nu- merose lenti di roccie a piccole Nummuliti e Ortofragmine. ; La zona deve perciò essere riferita al Priaboniano superiore ov- vero, se vuolsi, tanto per fissare le idee, e con ogni riserva sull’esat- tezza dei limiti, al Ludiano. In conseguenza noi dobbiamo parimenti escludere : a) L’età oligocenica, voluta da J. Boussac, per le arenarie delle valli Riofreddo e Argentina e dei dintorni di Albenga, le quali appar- Ù (O, E 71 JR SE rale» na ba Po#, a di i Ash È f, AM n e, Niba it ; ‘ PET » ECC. LE « ARENARIE DI ANNOT » E LA «ZONA AD HELMINTHOIDA tengono indiscutibilmente alla zona ad Helminthoida labyrinthica, e che noi dieemmo arenarie superiori. b) L’età luteziana attribuita da F. Sacco a questa zona nel. l'Appennino Genovese. 2° Una zona molto caratteristica di scisti variegati, che sop- porta direttamente la precedente zona, colla quale presenta una ra- pida transizione, costituisce la parte più alta del secondo membro stratigrafico dell’Eocene, in molti punti, potente non meno di 1000 m. | e avente, nelle regioni italiane, prevalentemente la facies di flysch. . Questo include banchi a piccole Nummuliti, e poggia direttamente sopra una zona marnoso-arenacea non continua, nè sempre tacilmente delimitabile, la quale presenta in taluni punti una fauna auversiana a facies litoranea; ma in alcuni altri esso sembra invadere pure questo orizzonte e raggiungere il Luteziano superiore. Questo flysch in alcune regioni (bassa Valle Roja) presenta an- cora nella sua parte bassa qualche intercalazione di marne arenacee | prive di fossili; in altre, come attorno al Colle di Tenda, mostra una particolare ricchezza di banchi di arenarie, le quali prevalgono poi localmente (Valle Grande di Vernante) in mezzo a regioni dove pre- « domina il flysch. Nella Valle Stura il membro stratigrafico di cui parliamo è sempre | prevalentemente arenaceo ma la facies flysch non vi manca mai; e le caratteristiche arenarie che, di preferenza, lo costituiscono pog- | giano quasi direttamente, separatene solo da una sottile zona mar- noso-arenacea, sul banco nummulitico basale, con Nummuliti dei gruppi N. striatus e N. incrassatus. Finalmente presso il confine, ai due lati di esso, quello stesso membro stratigrafico è costituito esclusivamente da arenarie nella parte bassa, ricoperte però da flysch. i L’età di questo secondo membro, litologicamente molto vario, nel i suo complesso e da regione a regione, deve quindi corrispondere al | Priaboniano medio e inferiore, e comprenderà forse in qualche punto, È sotto la stessa facies litologica, anche 1’ Auversiano. Le arenarie di questa formazione apparterrebbero perciò ad un * TA bel 9 È ai edi Ù *Lo oe x Neg he orizzonte sensibilmente sia basso che la zona ad H elmintho Mio L rono perciò dette arenarie inferiori. Noi dobbiamo quindi escludere, in modo assoluto, e a maggior ragione che per le arenarie superiori, l’età oligocenica delle arenarie del Peirolet (Valle Grande), di Servagno e di Pourriac. Tale esclu- sione avrebbe valore anche quando, per dannata ipotesi, si giungesse a dimostrare, che queste arenarie della serie autoctona corrispondano a quelle della zona ad Helminthoida, pur non presentandone le ca- ratteristiche impronte organiche. 38° La corrispondenza stratigrafica e cronologica della zona ad Helminthoida labyrinthica e della zona di scisti variegati sottostanti, nelle Alpi Marittime e nell'Appennino Genovese e gli identici rapporti di questi scisti con quella zona e col flysch, di cui sono la parte più alta, flysch costituente le Valli Polcevera, Bisagno e Scrivia, parlano in favore dell’età priaboniana (media-inferiore ?) di questa potente formazione scistosa dei dintorni di Genova. i La mancanza del banco nummulitico basale luteziano-auversiano, e la presenza, nella parte inferiore di essa, di numerose masse di roccie ofiolitiche, ci impediscono di stabilire una corrispondenza esatta col flysch delle Alpi Marittime. Tuttavia, siccome le similari masse di roccie verdi, che il corteggio delle radiolariti dimostra coeve degli strati che le comprendono, sono più giovani di strati nummulitici (cal- cari screziati o compatti, breccie ece.) di molti punti delle Apuane, dei dintorni di Spezia ecc., così l’età eocenica di tutta la formazione scistosa, dalle roccie verdi della zona Cornegliano-M. Figogna agli scisti va- riegati di Zemignano e Camporsella, ed ai sovraincombenti strati ad Helminthoida labyrinthica dei forti Due Fratelli e Diamante, si può ritenere come dimostrata. | Al pari dell’età luteziana degli strati superiori ad Helminthoida saranno quindi da escludere l’età suessoniana degli scisti variegati sottostanti e quella cretacea del flysch potentissimo della Polcevera, del Bisagno, della Scrivia, ecc., il quale, nemmeno coi suoi strati più bassi, non sembra raggiungere ancora il Luteziano stesso. | 4° I movimenti orogenici che produssero gli intensi ripiega- i menti, le fratture ed i ricoprimenti che interessarono tutta la serie i di terreni, dalla zona ad Helminthoida al Permiano, fra il Colle di di Tenda ed il mare, e che non hanno invece disturbato l’Oligocene del versante padano delle Alpi marittime, debbono corrispondere cero- nologicamente al grande diastrofismo che, nell’ Appennino Genovese, ha vivamente corrugata quella stessa zona, anteriormente al deposito del Tongriano. Cosicchè, astrazion fatta dei movimenti susseguenti, relativamente di assai minore importanza, che poterono accompa- gnare quelli epirogenici delle regioni interne, noi dobbiamo rite- nere che le più importanti dislocazioni che si osservano nei terreni eocenici in quella parte delle Alpi Marittime, debbono datare dalla fine dell’Eocene o dell’aurora dell’Oligocene, o meglio debbono cor- rispondere alla lacuna che intercede fra i depositi di quei due ter- reni nella regione appenninica genovese. B. — Per le regioni alpine adiacenti. 1° A simiglianza di quanto sì osserva nell’Eocene dell’ Appen- nino settentrionale, delle Alpi marittime italiane e delle Alpi della Savoia e della Svizzera orientale, esisteranno anche Eocene dell’ Ubaye e delle Basse Alpi vari orizzonti di arenarie, i quali d’altronde sono | già stati sospettati da qualche geologo (Kilian). 2° Le arenarie degli orizzonti più bassi, con frequenti intercala- lazioni di puddinghe, tanto sviluppate nelle regioni a sud e ad ovest del Mercantour, e note sotto i nomi di grès de Menton e di grès d’ Annot, le quali verso occidente si collegano direttamente alle arenarie del Lausanier, di Pourriac e della Valle Stura, e verso sud-est invece, a mezzo di passaggi visibili e graduali, al flysch dell’ Aution, di Sospello, della Conca di Piena, della Valle Roja, del Colle di Tenda ; e quindi alle arenarie della Valle Grande e di nuovo al flysch di Valdieri, per passare di nuovo da questo lato alle arenarie di Val Stura, debbono essere considerate come una facies regionale laterale del flysch priabo- niano suddetto, e quindi ancora di età priaboniana. x r qua i é | ; È A N n PE): E° adunque permesso di dubitare chela ipotesi della corrispon- denza cronologica e stratigrafica fra le suddette arenarie e l’Oligocene inferiore fossilifero della zona esterna di Castellane non sia sicura- mente fondata; e lo stesso dubbio si potrà probabilmente esprimere per quell’altra ipotesi, che vorrebbe basare l’età oligocenica dei grès de Taveyannaz sulla corrispondenza di essi coll’Oligocene fossilifero della omologa zona esterna di Désert, presso Chambery. E’ riservato a studi ulteriori di determinare quali masse di are- narie debbano, anche nelle regioni dell’Ubaye e delle Basse Alpi, es- sere riferite alle arenarie superiori della zona ad Helminthoida, ma crediamo di poter affermare : che tutto porta a credere che debba esi- stere una corrispondenza cronologica, sia pure larga e non estesa ai particolari, fra i diversi orizzonti di arenarie dell’Eogene che in fascia unitaria ed ininterrotta cinge da ogni lato il massiccio dell’ Argentera (Mercantour). 3° La continuità di alcune grandi linee di dislocazione, dal ver- sante marino del Colle di Tenda fino all’Ubaye, sembrano dimostrare la corrispondenza tra le falde diricoprimento (nappes) delle regioni oltre confine e quelle delle regioni italiane appartenenti alla zona Albenga — Colle di Tenda — Colle della Maddalena (2. des Aiguilles d’Arves), falde che noi vedemmo essersi prodotte anteriormente o, tutto al più, all’ inizio dell’ Oligocene inferiore. Per tal modo sembra lecito affermare che nelle Alpi Marittime gli importanti corrugamenti terziari che originarono le grandi falde di ricoprimento dell’ Ubaye e del margine orientale del massiccio gneissico dell’Argentera siano ante-oligocenici. E’ questa una conelu- sione importante, in forza della quale verrebbe a rivelarsi un, ben comprensibile e prevedibile, maggior sincronismo fra i movimenti orogenici terziari dei Pirinei, i quali interessarono tutto il Mezzodì della Francia e il vicino massiccio dell’ Esterel, e che diversi autori hanno già segnalati nelle regioni sud-occidentali delle Alpi marittime, dove si tratta già probabilmente di veri movimenti alpini, e ì mo- vimenti sopraindicati, prettamente alpini ed alpino-appenninici. LEGGENDE DELLE TAVOLE. Le leggende delle tavole I e II stanno in calce alle medesime. TAVOLA III. Fig. 1,2 e 3. — Cerniere anticlinali lungo la valle Argentina, mostranti un gruppo di banchi di alberesi ad Helminthoida labyrinthica (alt) interposto fra gli scisti variegati (scv) e le arenarie (ar), sormontate alla loro volta da una più potente zona di alberesi recanti le stesse impronte. N — lente di calcare a pic- cole Nummuliti, Ortofragmine, Crinoidi, ecc. inserita nel fiysch (/7) poco sotto gli scisti variegati. Fig. 4. — Profilo attraverso i bacini di Mentone e della Mortola e le valli Roja e Nervia, fino al mare ad Ospedaletti. T — Trias superiore e Retico; G — Giurese ; Cr — Cretaceo; N —- Cal- cari marnoso-arenacei, riccamente fossiliferi del Luteziano superiore, soventi con un banco di conglomerato grossolano alla base, nelle adiacenze dell’ anticlinale di Confine ; xl — Marne cinerognole auversiane soprastanti; m — marne au- versiane e priaboniane e arm — arenarie, con banchi di conglomerati del bacino di Mentone (grés de Menton); fl — flysch priaboniano, con zone marnoso-are- nacee inserite nella sua parte bassa, e frequenti banchi di arenaria e lenti di roccie a piccole Nummuliti ed Ortofragmine, in tutta la sua enorme potenza ; scr — scisti variegati che coronano il flysch suddetto ; arf — arenarie, raramente poco coe- | renti, a luoghi (Vallecrosia) con piccole Nummuliti, Ortofragmine, Rotalidi, ecc. e con interstrati ardesiaci coperti da H. labyrinthica e da Chondrites; alh — cal- cari alberesi recanti le stesse impronte ; flh — flysch superiore al H. irregularis | e piccole Condriti; PZ — Pliocene. Fig. 5. — Profilo lungo lo spiovente Nervia-Argentina, fra la costa orientale di Carmo Ciaberta e il M. Ceppo a S. di Triora. Gr — Calcari marnosi del Senoniano ; Lu — Luteziano ; /f — fiysch priabo- niano, con lenti (N) di calcare quarzoso a piccole Nummuliti ed Ortofragmine; sev — scisti variegati; alh — alberesi e arh — arenarie con H. labyrinthica. Fig. 6. — Profilo fra le balze di Realdo e il M. Frontè, nell'alto circo di Triora. i Cr — Calcari marnosi del Senoniano; Lu° — Luteziano 1 — grande banco «calcareo inferiore, a piccole e grandi Nummuliti (Nummulites discorbina Schlo- theim B e N. perforatus Denis de Montfort A), Litotanni e grandi Ostriche ; RIST NCR Tp 2 — Potente zona calcareo marnosa con 2 banchi di calcari compatti scuri di brachiopodi, con Nummuliti ed Ortofragmine, ecc., 3 — Zona di calcari com- patti, pietraforte, arenarie e breccie, con grandi Nummuliti (N. millecaput, N. per- foratus) Ortofragmine e qualche banco di calcare arenaceo con brachiopodi oltre alle Nummuliti) i; Au-Auversiano ? 4 — potente zona calcareo-mar- noso-arenacea con lamellibranchi, gasteropodi, polipai, ecc. presentante verso il basso lenti di roccie arenacee zeppe di grandi Ortofragmine, fra cui O. Pratti, e piccole e grandi Nummuliti (N. perforatus) |; flysch priaboniano (sc carb — scisti carboniosi, br — breccie, arg — argilloscisti, alb — alberese, ar — arenarie, 7 — fiysch con banco di breccia nummulitica N, scv — scisti variegati con lente di calcare bigio compatto, con Nummuliti striate, Ortofragmine, rare Assiline, Globigerine ecc. È Zona ad H. labyrinthica (arh — arenarie, alh — alberesi) | ,, Zolla di terreni secondari T — dolomie del Neotrias; L — calcari giurassici con Rinconelle costate indet. e Belemniti; Te — Titonico con brachiopodi (T. diphya, T.janitor,ecc.) e cefalopodi i; Lamina, di Giurese calcareo-marnoso con Belemniti c.B. TAVOLA IV. Fig. 1. — Profilo lungo la bassura del Colle di Tenda. Gn — Gneiss dell'’Argentera; cg — carriole; L — Lias e Retico (?), dolomie e scisti ocracei piritiferi; do — calcari dolomitici e dolomie saccaroidi (Giurese?);, G — calcari cristallini con corallari e Belemniti; Cr — calcari marnosi in strate- relli del Cretaceo; N1 — arenarie grossolane, con interstrati conglomeratici, a N. perforatus, del Luteziano superiore ; N? calcare a piccole Nummuliti della serie autoctona; / — flysch priaboniano, con frequenti grossi banchi di arenarie ar; scr — scisti variegati; arA -— arenarie con sottili interstrati ardesiaci ad H. la- byrinthica e Chondrites; an — anidrite (lungo il tunnel) ; Y F — linee di con- tatto meccanico e di ricoprimento. Fig. 2, — Profilo lungo il contrafforte fra Stura e Gesso (In parte non ancora. definitivo). Gn — Gneiss del Mercantour; C — scisti della zona assiale permo-carbonifera ;, Ti— quarziti dell’Eotrias ; 7 — dolomie del Mesotrias; 7 — dolomie del Neotrias con scisti del Retico; L — calcari e scisti con Pecten Textorius e scisti ocracei ; G— calce. chiari marmorei, a luoghi dolomitici, del Giurese ; Cr? — calcari mar- morei (cretacei?); Cr — calcari marnosi in straterelli, soprastanti a strati con- tenenti Duvalia dilatata; Ni — cale. luteziano a N. millecaput; Na — cale. arenaceo a N. perforatus (Lut.° sup.e ?); N3 — cale. a piccole Nummuliti (Auver- siano ?); 7f — flysch priaboniano ; dot — dolomie chiare con Loronema del zeppi “9 * pe. fi A Pi * £ ; chi î RITI 6 III ZI NTALA 9 NI KIRI è 1 A 7 x IDT X NIITIIAITV A s mr J YZ2929 DI ANN » E «€ ZO! TA AD HELMINTHOIDA » ECC. doc Le EOS “er Dr Li he é ' 9 f <«ARRFNARTF E « ARENA] xIE sei * Me. È pa 10): R > A st DIC: ‘ Neotrias (Tsx) e cs — calcescisti, con banchi di breccie dolomitiche (0r), di calcari cristallini micacei (cx) e lenti di serpentina (s) del Lias a facies piemontese (Lx) della cosidetta «zona del Piemonte » 0 « zona delle pietre verdi»; qz e an — quarziti ed anageniti (Eotrias?) di una falda locale di ricoprimento. Fig. 3. — Profilo presso il Confine franco-italiano, dal contrafforte del Monte Enchastraye alla strada del Colle della Maddalena. Falda di Argentera } Tr — Dolomie bigie ad Encrinus Uiliiformis delle balze di Argentera, ge — gessi soprastanti, Ti — calc. bigi del Titonico a facies di brachiopodi, Tic — facies coralligena del Titonico (cale. compatti rosei e persi- chini con cefalopodi), CZ — calcari listati lucenti con banchi di breccie poligeniche e di arenarie, con Belemniti ie falda del M. Ventasuso fl — flysch priaboniano, ser — scisti rossi papiracei lucenti, 7% — fiysch con banchi di alberese con /H. Za- byrinthica e Chondrites, Tic — calce. coralligeno a cefalopodi E serie autoctona Cr — calcari marnosi del Cretaceo superiore (Senoniano?) N — calce. arenaceo con Nummuliti dei gruppi N. striatus e N. incrassatus, sc — scisti arenacei di transizione, ar — arenarie in grossi banchi (grès d’Annot), scr scisti neri are- nacei (flysch noir?) |. a 4 Fig. 4. — Schema statigrafico della serie eocenica fra il Confine franco-ita- liano nell’Alta Val Stura e il bacino di Mentone. Ah — fiysch superiore ad H. iîrregularis; fih — flysch con calcari (c) ad Helminthoida dell’ Ubaye; alh — alberesi e ar — arenarie (a luoghi con piccole Nummuliti ed Ortofragmine) della zona suddetta nel versante marittimo del Colle di Tenda; scr — scisti rossi papiracei e scv — scisti variegati della sommità del flysch; / — flysch priaboniano includente con maggiore o minore frequenza banchi di arenarie e passante regionalmente in parte maggiore o minore alle arenarie (ar) del tipo di Annot (Alta Val Stura, Valle Grande di Vernante) ed a puddinghe (Andonno, Mentone), ed a forme scistose scure (//n); N — lenti di calcari, arenarie e breccie a piccole Nummuliti ed Ortofragmine, inserite in tutta l altezza del flysch e negli scisti variegati; Au? Zona marnoso-sabbiosa a luoghi fossilifera, ricoprente il Luteziano superiore (Mortola, Sospello, Conca di Piena, Triora, Realdo Cima di Marta, ecc.) la quale sembra passare, a Nord del Colle di Tenda, al cal- care compatto o arenaceo costituente la base del Nummulitico (Auversiano ?); ; Lut. sup. e inf. Luteziano superiore e inferiore riccamente fossiliferi; antic. lutez:— posizione della anticlinale ante-luteziana, separante il bacino di Mentone da quello i della Mortola, (e i Va Rf ile È NRE ei fee N e MATTA UO7 - 9 ‘(70UUy p j9 uozuay ap $243) 9Unuoo 31}]O YOSA]} JI essed ino è oueu ATEULIOUE 0}}EZUO9 IP aaUII - J ‘9U990!1]d - L ‘( OUEIPNI) Dp10Y7UN4]aH7 Pe (YOSAT Is9J9gje ‘olieudIe) è Hd YOSA[I - } ‘9UNUoo [Ap RIP Je esouIRtI S91IDf V OUBIUOQRIIJ 9 OUPISIAA -91V - G ‘QUIUSEIJO}IO 9 MIMUNUNN 9[099]d È 919901 IP IU] 9 ALIEUAIE Ipiyoueg MHuonbaz nod 1YSon] è ‘ouermoge 1Q}UOSIV,]JOP OUIT[EISLIO OI9DISSEW - [ — INDIS 130 ANCIZVDAIdS “ny ‘ougizazn] ‘enb Ip [e oueisIDAnY ad OUEIZaINT] - E *INBUOIANI[J 1U9LI9} 3 JOIFIIMUIUNUSZUE IUOLIOL - € *(INo3}uedIIN) È ‘51p 0UNozzo) { E AND fieri PUZaTt(| oil | più [> - Sosa an È } TE a Ì i DI USO, P.Z2d PILIY 1P Pu) (000‘00p IE eoIS0]0ad erIES EIleg) TINFOVIOW INOIDIU ATTIN I ONT NVS IG ONIOVE TIN ODILITNNNAON TI IP ALIEUSIE » a " fida RAI i val ‘AVI 1999 « 20UuY R. Com, geol, d’Italia, VOL. XLV Ing. S. FRANCHI - Le «arenarie di Annot » ecc. TAV, Il CARTA GEOLOGICA DELLA RIVIERA DI PONENTE FRA LA MORTOLA E CAPO MELE (Da rilevamenti eseguiti dal 1891 al 1893) nr _—=— ——————6’ (CTSTAI _—_cruusì RURGOMAR di* lin° pesi VAN AIMO M.F P'°d'Ormea 1 Faudo M Moro M.Aurigo Vdikezzo V: Arrascia , P?° Richelmo V. [anaro 67 ICIOIDA UO USO CRON OY 4 î Badalucco ee 1908 “ M.Neré Ò / pers P'°Merlo P 795, N SI LEE PAS & GI ®& 5 CUS x DID RI i SS CN Td S fl Fig. 5 TS 775 NVIN Na XX |Y!°:Y\'\YWwW NERRTRYS (o) 500 1000 L Si Esta i ASTE Il Poggio Realdo R°° Barbona RARossa M.Fronte 1123 1010 x 1626 1801 Sar 1 | o oplhoil. |m! i Sue: | è RZ RARO ONTO La. esi MG DI x Ù Ì Do È " og i i fn 1 a GORICA dir 99 SÒ CA Je n ar TN S .) Merci bia arg 9 5\VSS S SÒ ì N ©clB ser dia [LÙ!)S SS Ò \ trtoà tà ° arearg Ù X%*Y a 1b CE G è alb CA [0] ©. 250 500 1000 m 900 5.117. ar e sc.carb DEE A 4 I g Mer FOTOINGISIONE 6.5, MICHELE-KOMA Boll. del R. Com. geol. d’Italia. VOL. XLV Ing. S. FRANCHI - dì «arenarie di Annot » ecc. TAV. IV | M. Pernante Passo Colle di Tenda Cima di Gherra Vî“di S.Giovanni Ss e rie aufocfona4+ —u a YEN gn I del Mercantonr 121:4500 8.111. S — 3 )I rofà SL I 500 (ace) fare , an 9A Fig. 2 M.l'Ar ve C.*Pissusa C°*Sabene, B° Tiracul Borgo . 2 (1880). i 1674) i peC Piastre Zona (905) S.Dalmazzo Serie/aulochona\.. A Tei dSD; P, S.Antonio i (0 DI colea\ «Zora 07 di Terrda- 01 d Madaalern a» Zona d. ermr Nyc i 000 PONI n CE : GUESAIRN D di Brianz:carb: le---- -- Zona del Piemonte N dio a Vi = dass! Tm h) I] No MZ <À 9 finiva ; ! cere WLYTWTTùk 3 dol TRN =YNTTà Ò Cus N Det La i NS I LO gn 0 Gontr. Enchastraye Passo di Bail M. Ventasuso Strada (2790) (2553) Passo Goretta (2714) Golle Maddalena Serie auloclona i ì - 3 ar I Serie secondarie Pig.9 N_YSY À x Sa 7 ricoprimento SCAN N m. 15005147 Q —— i ——__——______ l__—_—_ Pr Tr su na ri Argentera Fig. 4 Lausanier Pourriac Servagno Demonte Valdieri Valgrande Golle di Tenda Riofreddo Realdo Triora Badalucco Val Roja Mortola Mentone O e LL NI EEE RE TETTE Verant rase SEE bf BY eranle o. 2... “I =3FSZIIENZZZZZAL th È 7 = Erosione o IS lo È "i ® 3) S $ èà o Se 7 Pe TSNSNAN AI % È orfano ese. S INDICE IE MOIS A Le osservazioni e una ipotesi di J. Boussac. . . . .... Due principali orizzonti di arenarie eoceniche . . . . ..... Ul Arenarie della « zona ad Helminthoida » 0 « arenarie su- periori » i DI . . . . . . . . . . . . . . . . . Limiti cronologici della « zona ad Helminthoida » e delle ro ia RL RE ARRECARE Arenarie di Servagno, di Pourriac, del Lausanier, ecc. 0 MCR RR ORTONE I a nlna Esisteranno nell’Ubaye due orizzonti di arenarie come nei versanti pr e nta + Supposto sincronismo dei « grès d’Annot» e dei «grès de Taveyannaz » rispettivamente coll’Oligocene delle zone esterne di Castellane e MM el, Probabile età eocenica dei « grès mouchetés », dei « grès de Tave- CL Lea PR ASCIORITACSNE Ae Epoca dei ricoprimenti del Colle di Tenda e dell’Ubaye . . . . . Sincronismo fra i « movimenti pireneani » e quelli alpini. . . . . MM E Li la | Leggende delle tavole. SR LT IRR SAPPIATE Pag. 236 » 250 » 258 » 260 » a 272 » 283 » 295 #4 » 319 » 321 INR » » NI ING. C. CREMA. ALCUNE NOTIZIE SULLA POLLA DI CADIMARE, SULLA SPRUGOLA DELLA SPEZIA E SUI TENTATIVI FATTI PER CAPTARNE LE ACQUE E’ noto che a levante della catena occidentale del Golfo di Spezia, al contatto fra le roccie mesozoiche e le cenozoiche si originarono — in relazione, secondo il prof. CAPELLINI, alla grande faglia da lui quivi segnalata — dei meati sotterranei il cui insieme fa capo, in alto, ad una serie di inghiottitoi, ove si raccolgono direttamente 0 filtrando attraverso il terreno di copertura le acque di alcuni tor- tentelli ed, in basso, a sfiatatoi per i quali sia liberamente, sia attra- verso le alluvioni della pianura od anche attraverso le acque marine defluiscono le acque adunatesi in questi meati. Questo sistema artesiano ad efflusso naturale viene alimentato da una parte delle acque che cadono sui monti a nord-ovest della Spezia ; lo smaltimento ha luogo in una zona che si stende dal seno di Panigaglia fino ai piedi del monte Parodi dando luogo ad una serie di polle risorgive di vario tipo, tra le quali degne di nota quelle delle Sprugole dell’Arsenale e di Via De Nobili, e giustamente famosa altre volte quella sottomarina di Cadimare. In una mia recente pubblicazione, nella quale cercai di raccogliere e coordinare fra di loro i fatti messi in luce dalle trivellazioni ese- gui'e nella Liguria orientale per la ricerca e l’ utilizzazione di acque salienti, ebbi ad occuparmi anche delle risorgive ora ricordate (1) ba- (1) C. CREMA. Acque salienti della Liguria orientale e della Lunigiana. Boll. d. R. Comit. geol. d’It., vol. XLII, Roma, 1911, p. 324 e seg. LR C. CREMA sandomi in gran parte su notizie avute dalla locale Direzione del Genio per la R. Marina. La quale nel darmele volle gentilmente im- pegnarsi a comunicarmi pure quelle altre che eventualmente fossero per ricavarsi in seguito dai suoi importanti archivi; nè tale eventua- lità tardò a verificarsi, poichè le ricerche compiute nell’autunno del 1913, in occasione di uno studio idrologico che io. ebbi l’onore di ese- guire nell’ interesse del R. Arsenale, condussero al ritrovamento di nuovi documenti i quali furono senz’ altro messi a mia disposizione. Contemporaneamente altre informazioni mi venivano dalla cortesia degli Ing. A. FARINA e L. GIULIANI ed infine, per l'esecuzione del mio studio, io compieva alcune visite e ricerche nella zona considerata, cosicchè ritengo opportuno di ritornare ora sull'argomento per portare qualche nuovo e forse non inutile contributo per una più completa conoscenza delle vicende di queste risorgive e per lo studio, non scevro di difficoltà, della loro utilizzazione. Ed innanzi tutto adempio ad un grato dovere porgendo i più vivi ringraziamenti alla prefata Direzione del Genio ed agli Ing. A. FARINA e L. GIULIANI. E. La polla d’acqua dolce di Cadimare non figura più nelle carte venute in luce dopo la costruzione del grande Arsenale, siano esse topografiche, idrografiche o geologiche (1), ma solo in quelle più an- tiche, ad esempio nelle carte al 50.000 (f. LXXXIV) ed al 250.000 (f. VI) pubblicate dall’ UFFICIO TOPOGRAFICO DELLO Stato MAG- GIORE SARDO, nel Plan du Golje de la Spezia rilevato nel 1846 da BoUuRGNIGNON, DUPERRE e BEGAT, sc. 1:15.000 (Parigi, 1849) e nella prima edizione della Carta geologica dei dintorni del Golfo della Spezia e Val di Magra inferiore del prof. G. CAPELLINI, (1) La posizione della polla a vero dire trovasi indicata nella cartina dei din- torni di Spezia al 25000, annessa (tav. II) alla nota dell’ ing. A. RADDI: Le sorgenti che alimentano l'acquedotto cirico di Spezia e le possibili cause di diminuzione della loro portata (Il Politecnico, Milano 1891), ma si tratta di una carta puramente schematica. IE SULLA POLLA DI CADIMARE ECC. iii a i de Ai - se. 1:50.000 (Bologna, 1863). Ma da tali carte, per quanto prege- voli, difficilmente si potrebbe ricavare l’esatta posizione della polla, sia per la piccolezza della loro scala, sia principalmente per le impor- tanti modificazioni che ebbe a subire per opera dell’uomo la topo- grafia di quella parte del Golfo a partire dal 1862, nel quale anno ebbero inizio i lavori per crearvi l'importante piazza marittima che la posizione geografica della località suggeriva ed il felice compiersi dell’unità nazionale richiedeva. Fortunatamente, per cura del Genio Militare l’area attualmente occupata dall’Arsenale con un’ampia zoria all’ intorno fu oggetto, prima del 1862, di accurati rilevamenti in grande scala, rimasti ine- diti ma conservati negli archivi dell’Arsenale, i quali permettono tuttora di rendersi conto delle modificazioni apportate a questa por- zione di costa e di fissare il punto dove sgorgava la scomparsa polla sottomarina. In base appunto a tali documenti, nella cartina data nella fig. 1 e rappresentante nella scala di 1:6000 il tratto di costa compreso fra Fezzano e Marola, si potè indicare l’antica linea di spiaggia e l’esatta ubicazione P della polla allorchè del tutto inalterata costituiva ancora una delle più curiose attrattive di questo Golfo, verso cui pure la natura si mostrò tanto benigna. Rimandando per una più ampia descrizione a quanto ne scrisse il prof. CAPELLINI (1), ricorderò soltanto che questa sorgente d’acqua dolce sgorgava copiosa in ogni stagione dal fondo del mare e ribol- liva attraverso la massa d’acqua incombente fino alla superficie, dove si manifestava a m. 55 circa dalla punta allora esistente fra Marola e Cadimare, con un leggero rigonfiamento alla cui periferia era ben visi- bile la lotta fra le onde marine e la corrente ascendente d’acqua dolce. Malgrado una contraria affermazione del MARTINIÈRE, non pare che le acque della polla venissero mai in alcun modo utilizzate (2) : (1) G. CAPELLINI. Descrizione geologica dei dintorni del Golfo della Spe- zia ecc. Bologna, 1864, p. 112 e seg. (2) SPADONI P. — Lettere odeporiche sulle montagne ligustiche, 22 ed., Bo- logna, 1793, p. 132. - ma È PAM ai vai Ai ‘ CI i ri RO: PRI RERE VINI: > e TM I CI 1% CNIL a $i Cri e SENO DELLA VARICELLA nuit I, I D w oc < z 6 < Ù fa w I Ù D < > PRIORE OE da idedi di E Ari pi P'4 Cadimare Ò È, ‘e, 6 ra 7 6 ..Avireli dis. Fig. 1. — (Scala 1:6000). DAT. PUT, f ; MENO di METE n ii | ‘ALCUNE NOTIZIE SULLA POLLA DI CADIMARE ECC. in quanto al problema della loro captazione, esso formò per la prima volta oggetto di studii nel 1857, quando il Governo Piemontese, avendo deciso di trasferire da Genova al golfo di Spezia la sede della sua Marina, stabilì dapprima che il nuovo arsenale marittimo dovesse sor- gere nella località del Varignano. Era naturale che in quell'occasione si pensasse a sfruttare una così ricca sorgente, data da una parte la quasi assoluta mancanza d’acqua nel seno di Varignano e nelle sue attinenze e dall’altra la grande quantità d’acqua, che sarebbe occorsa per la costruzione e l'esercizio di un così vasto stabilimento. » Questi studi, eseguiti a cura del Genio Militare, ebbero prin- cipio nel dicembre del 1857 con una diligente esplorazione del fondo del mare nel punto ove scaturiva l’ acqua dolce. Si riconobbe così che esso era roccioso, costituito da calcare e presentava numerosi zampilli alcuni dei quali, più larghi e copiosi, sembravano potersi facilmente riunire in uno solo. Si tentò di stabilire sulle scaturi- gini un’ incerata fissandola al fondo con masselli di ghisa e di portare a livello del mare mediante un doccione di tela l’acqua della sor- gente, ma la forza di questa svelse, sempre la tela di sotto ai pesi. In uno dei fori, che il palombaro, il quale faceva le indagini, asserì del diametro di circa 40 cm., si introdusse allora un tubo in rame col- legato al suddetto di tela e l’acqua si sollevò subito sino a m. 0,60 sul livello del mare, per quanto la semplicità dell'apparecchio impie- gato non permettesse un completo isolamento dell’acqua dolce dalla salsa. Dopo queste indagini preliminari, nel gennaio del 1858 si pro- cedette ad un regolare rilevamento del fondo precedentemente rico- nosciuto, rilevamento che venne eseguito nella scala di 1:250, e che, ridotto alla scala di 1:750, trovasi riprodotto nella fig. 2. Le acque sgorgavano principalmente dalle fessure esistenti nei tre punti contras- segnati colla lettera a, in fondo a due fosse imbutiformi, scavate nella Toccia probabilmente per opera delle polle stesse, che interrompevano - colla loro presenza e colla loro natura rocciosa il fondo del mare, all’ intorno assai meno profondo, generalmente PaosO e dolcemente degradante verso il mezzo del golfo. Anche una società francese pare studiasse per proprio conto in i Lt ire la. y ? 4 td r io ae vr PR pei é ML ca DIN È ul d EM i A Va 5 è h ll Y 4 » DA î 4 < (O e T| quel tempo il modo di utilizzare la polla, ma il Genio Militare scon- sigliò, ed a ragione, di accogliere qualsiasi domanda di concessione, persistendo nel suo progetto di allacciamento della sorgente sottoma- rina. Senonchè, mutate ben presto per le sopravvenute annessioni le condizioni politico-geografiche dello Stato Sardo e divenuto il Vari- gnano ristretto ed inadatto ad accogliere uno stabilimento che stava per assumere un’ importanza tanto maggiore del previsto, l’idea di Fig. 2. — (Scala 1: 750). costruire quivi l’arsenale marittimo veniva abbandonata ed i lavori già in corso furono sospesi: la captazione della polla perdette così, almeno momentaneamente, quasi ogni importanza e gli studi compiuti rimasero senza seguito. Stabilitosi di poi che l’erigendo arsenale dovesse sorgere dove ora lo vediamo, fra la Spezia e Marola, i lavori, iniziati come già si disse nel 1862, venivano spinti con ogni attività ma senza l n vita 2/4 ue ALCUNE NOTIZIE SULLA POLLA DI CADIMARE ECC. 343 altra preoccupazione che l’interesse della difesa nazionale. I ma- teriali sciolti provenienti dallo scavo dei grandi bacini presso il Lagora e quelli rocciosi costituenti i rifiuti di una grande cava aperta alla punta di Cadimare per i lavori dell’arsenale ‘venendo gettati in mare lungo quel tratto di costa, si provocò un graduale interrimento del fondo, cosicchè la polla andò man mano diminuendo ‘di forza e nel 1886 rimase completamente soffocata in seguito alla costruzione delle due vasche dette di Cadimare e specialmente della gettata per la diga che le separa. L’interrimento delle grandi polle in P (fig. 1) pro- . dusse la comparsa di molte pollette ma prive tutte d’ogni importanza, . salvo una presso la costa, in p}, che si cercò di isolare dal mare me- diante l’infissione nella sabbia di un grande anello di lamiera senza però riuscirvi completamente, cosicchè essa non servì generalmente che per usi non potabili. Questa polla è attualmente protetta da un piccolo casotto. Più tardi (1902) in seguito ad alcuni scavi eseguiti colla draga per la costruzione di un pontile si manifestò in p* una nuova piccola polla sottomarina, ma questa a somiglianza di quella esistente, come è noto, poco a Nord di Fezzano (p), non è visibile se non quando l’acqua diviene più o meno torbida. L’interrimento della polla non fece però abbandonare il progetto di captarne almeno in parte le acque; chè anzi questo veniva ripreso nel 1896 dalla Direzione dell’arsenale e sul finire dello stesso anno aveva | un principio d’esecuzione. Si infisse dapprima un tubo presso la polletta pì, indi sette altri avanzando progressivamente in direzione del mare e raggiungendo profondità variabili dagli 8 ai 18 m.: ma questi tubi, che non raggiunsero probabilmente sempre la roccia viva, non die- dero che poca acqua, più o meno salsa e dotata di pochissima forza ascensionale. Ma successivamente si potè rintracciare in base ai vecchi riferimenti topografici esistenti nell’archivio dell’arsenale il punto P dove sgorgava l’antica polla ed infiggervi un tubo del dia- metro interno di mm. 180. Attraversati m. 6,40 d’acqua e 11,30 di materiali ghiaiosi e fangosi la tubazione incontrò il fondo roccioso fessurato, nel quale venne approfondita, e questa volta con successo, perchè giunti ad una profondità di 18 m. sotto il livello del mare tela dii sf CA È è * . fra x a pit he MA Ph ino da A SI ? re è si n " PESTE LI 1 P a 19 È | li #1 A à C. CREMA SU l’acqua raccolta diede origine ad uno zampillo alto. un metro sul. l'apertura del tubo che sporgeva m. 2,50 sul mare. L’acqua continuò a zampillare per un paio d’anni circa, ma il getto andò sempre di- minuendo di forza, perchè il tubo andava logorandosi e smovendosi alla base in causa delle mareggiate, finchè andò distrutto del tutto. L’acqua estratta venne replicatamente sottoposta ad analisi chimica e ad esame batteriologico, ma sarebbe inutile riportare quì i risultati ottenuti avendo essi dimostrato che all'acqua della sorgente erasi mescolata, sia pure in piccola quantità, quella del mare. Probabilmente anzi fu questa la ragione per cui anche questo secondo tentativo venne abbandonato. Per quanto non si possa escludere a priori che per un fenomeno d’aspirazione analogo a quello che si verifica negli iniettori Giffard l’acqua marina possa, attraverso a piccole fenditure della roccia, giun- gere fino al condotto sotterraneo della polle e quivi mescolarsi al- l’acqua dolce, un tale fatto sembra estremamente improbabile ed è invece da presumersi che con una buona presa si possano isolare le acque delle polla da quelle del mare, con che si verrebbe ad usufruire di una ragguardevole quantità d’acqua di buona compo-. I sizione chimica e forse anche, data la distanza relativamente grande che intercede fra la sorgente ed il suo bacino d’alimentazione, abba- | stanza pura da potersi direttamente utilizzare per usi potabili. La captazione di una sorgente sottomarina presenta naturalmente particolari difficoltà, ma non vi è ragione di ritenere che nel nostro » caso queste siano per essere eccezionalmente gravi, cosicchè è lecito sperare che, se la già tanto ammirata polla di Cadimare ha pur troppo cessato di essere una delle meraviglie del golfo di Spezia, essa non sia almeno intieramente perduta e possa ancora in qualche modo servire per la grandiosa opera cui venne sacrificata. II. Nella regione spezzina il nome di sprugola (in dial. spriigoa), che propriamente significherebbe ‘baratro (dal verbo spriigoae, disperdere), si applica anche a tutte quelle depressioni acquitrinose nelle alluvioni 4 » : e sd Vi alli dall . i À n N é 1 È robe to Wadi ai, Lget! RR TIA OE è) ù ga di lea r È i ie a ere (2) » i + (ATTO SANT IUO LE AFER RA E 1 - Tad salti ir diet POLIA ALCUNE NOTIZIE SULLA POLLA DI CADIMARE ECC. 345 recenti dalle quali sgorga naturalmente acqua in quantità più o meno grande in dipendenza delle circostanze meteorologiche; però, prima della costruzione dell’ Arsenale, quando la Spezia occupava un’ esten- sione di tanto inferiore all’attuale, per antonomasia veniva senz’ altro designato col nome di Sprugola il più noto ed importante di tali la- ghetti, cioè quello esistente un centinaio di metri fuori dell’antica porta Biassa ed a distanza pressochè eguale dal corso allora seguito dal torrente Lagora. Sembra che questo lago abbia sempre presentato una configura- zione molto variabile: nel 1827 (GUIDONI) era quasi ovale ed in prossimità di esso, verso Spezia, esistevano tre piccoli stagni che nel 1864 (CAPELLINI) si erano riuniti al lago principale, nel quale era manifesta ‘una lenta ma continua tendenza ad ingrandirsi a danno della circostante campagna. Dai rilevamenti eseguiti all’incirca in quell’epoca dal Genio militare, risulta che la Sprugola si presentava allora come un laghetto di forma irregolarmente allungata da S-O a N-E, con due emissarii da quest’ultimo lato, che colle acque espor- tavano pure i materiali leggieri che le innumerevoli scaturigini del fondo andavano continuamente innalzando. Il lago era lungo circa 120 metri e nel punto della sua maggior larghezza misurava una quarantina di metri. Circa 20 m. a Nord della sua estremità orien- è tale vi era un secondo laghetto di forma subcircolare con un dia- metro di una ventina di «metri, . detto lo Sprugolotto. La confi- gurazione dei due bacini della Sprugola (C B) e dello Sprugolotto (A), quale risultò da detti rilevamenti, venne riportata nella unita car- tina (fig. 3) indicandola con linee tratteggiate. Colla creazione dell’arsenale ed il conseguente enorme sviluppo. assunto dall’abitato le condizioni della località cambiarono radical- mente. Il nuovo canale, che sostituisce l’antico letto del Lagora, fian- cheggiato a destra dal muraglione di cinta dell’arsenale, a sinistra dall’ ampio viale Savoia, venne ad attraversare il lago nella sua parte mediana la quale fu tutta colmata, cosicchè l’antico specchio d’acqua si ridusse alle sue due porzioni estreme ed anche queste si ancora ulteriormente ristrette: quella ad occidente, rimasta racchiusa Pia iii PArT | aa ca Pn "POTZSNOO O SPTRNTCRI Lod: nell’interno dell’arsenale e contigua al suo muro di cinta, mediante la costruzione di un muro di sponda; quella orientale, per gli inter- rimenti occorsi dapprima (1884) per l’apertura della via De Nobili e più tardi (1910) per adibirne all’edificazione la porzione a Nord Ovest di tale via. Dopo questa bipartizione e riduzione dell’antica Sprugola, A DE LA IDE DI GENOVA a ARSENALE Fig. 3. — (Scala 1:2000). . il nome di Sprugola rimase al laghetto orientale B, mentre il laghetto occidentale C, molto più esteso, venne detto Sprugola dell’ Arsenale. In quanto all’antieo Sprugolotto A esistente, come fu detto, presso, l'estremità N-E della bipartita grande Sprugola, esso può ormai dirsi scomparso, poichè per trasformarne gli orli in terreno fab- TO ‘ HI bricabile e per tracciare la via Colombo esso venne quasi tutto colmato ed anche la piccola porzione residua, rimasta circondata da ogni lato dai fabbricati costrutti dopo il 1883, venne sempre più a ridursi, essendosi compensare largamente con nuovo gettito di materiale la naturale costipazione di quello precedentemente introdotto. Oggidì questo mi- nuscolo sprugolotto viene denominato Sprugolotto Cozzani dal nome del proprietario, ma la sua esistenza sembra generalmente ignorata. . Verso il 1883 si era tentato di utilizzare le acque sorgenti dallo sprugolotto Cozzani mediante un pozzo in muratura, che per altro «non potè vinata la traccia. Attualmente l’acqua dello sprugolotto è convogliata nella fognatura cittadina mediante un condotto profondo circa 2 metri. Più tardi anche le acque che alimentano la nuova Sprugola e la Sprugola dell’ Arsenale furono oggetto di tentativi per la loro utilizzazione, ma questi furono entrambi coronati da successo. Presso la Sprugola, all'incrocio della via De Nobili con via Colombo, zione la quale avendo incontrato una delle vene alimentatrici del la- ghetto ne deviò una parte : l’acqua così ottenuta servì per alimen- tare una mediante metrico scendeva talora anche al disotto del suolo. Questa fontanella, indicata con un cerchietto nero nella fig. 3, venne però tolta nel 1911 per ragioni d’igiene, cosicchè da allora la perforazione rimase, come è tuttora, inutilizzata. In quanto all’acqua, che naturalmente sgorga nella Sprugola, un’ apposita chiavica la immette nella fognatura cittadina. A proposito di questa Sprugola l’esattezza richiede un’ osserva- zione a quanto trovasi su di essa a pagina 403 del 36° volume delle Memorie illustrative della Carta idrografica d’ Italia : Corsi d’acqua del | litorale toscano a Nord del Serchio e della Rivicra Ligure (Roma, 1912). In via De Nobili, dall'altro lato del laghetto, presso il viale Savoia i oe, 347 + N \ si : V Ò "I e i P uit } i) rosi, : È i x i di vi È n hi ve * ALCUNE NOTIZIE SULLA POLLA DI CADIMARE ECC. dub. e P_i continuamente provveduto e provvedendosi anche ora a venir condotto a termine essendo ad un certo punto ro- porzione già costruita e della quale non rimane oggi più x fu pratîcata nel 1894 per cura del Municipio una trivella- fontanella, per forza propria durante i periodi di piena, una pompa durante le magre, nelle quali il livello piezo- MER CAI E IO. PR, Co hi Last 348 i C. CREMA esiste è vero un modesto impianto che forvisce acqua per l’inaffia- mento ed alimenta una fontanella, ma esso, contrariamente a quanto è detto in tale volume, non ha alcuna relazione nè colia Sprugola nè coll’accennata terebrazione, perchè è alimentato esclusivamente dal- l'acquedotto della Compagnie générale des eaux pour l’Etranger, di Parigi. Per la Sprugola dell’ Arsenale si infisse nell’ inverno 1896-97 un tubo nel centro del laghetto e quando la tubazione ebbe raggiunto una profondità di circa 30 m. si ottenne un getto d’acqua (fig. 4) Fig. 4. — Da una fotografia presa il 1° gennaio 1897. così violento da trasportare anche ghiaia e grossi ciottoli e così alto che esso poteva scorgersi, all’esterno dell’arsenale, da chi si trovava dall’altro lato del viale Savoia. Questo getto presentava però delle forti ed improvvise oscillazioni dovute certo ai materiali rocciosi tra- | scinati dall’acqua che venivano di tempo in tempo ad ostruire par- zialmente la tubazione. Essendosi però avute delle proteste da parte dW d US td a Ù ER bu: : ( Ci È + \ A de FL vie % o EN MIRI TA ARA NOTIZIE SULLA POLLA DI CADIMARE ECC. ved À Si i LETT, MET lea ari Li bi Li id ALCUNE dei proprietari prospicienti, forse timorosi che avessero a verificarsi degli avvallamenti in quei paraggi, sì ritenne opportuno, pare, di ridurre la portata del getto. Dopo d’allora nessuna modificazione venne apportata alla tubazione. L’acqua di questa sprugola, tanto quella che continua a sorgere direttamente dal laghetto quanto quella fornita dalla tubazione, è attualmente utilizzata per i bisogni dell’arsenale: sollevata mediante pompe centrifughe essa è convogliata al filtro di Pegazzano, donde passa in una vicina officina per essere sterilizzata mediante l’ozonizzazione. Dopo quanto si è esposto non può esser dubbio che le due . . Sprugole potrebbero fornire una quantità di acqua (1) assai mag- 3 giore solo che convenientemente se ne intercettassero le vene che le alimentano, mediante opportune trivellazioni. Nè queste potrebbero esser causa diretta od indiretta di avvallamenti nelle vicinanze, ove si adottino provvedimenti atti ad impedire che l’acqua trascini con sè materiali solidi, cosa questa del resto necessaria anche per assi- curare la regolarità e la continuità dell’ emungimento. Chè anzi, venendo a diminuire nei dintorni dei due laghetti le acque va- ganti nel. sottosuolo, si contribuirebbe probabilmente a diminuire anche l’instabilità della zona colmata, nella quale ripetutamente si produssero avallamenti e si manifestarono piccole sorgive special- mente in occasione di pioggie lunghe e prolungate, tanto che il mu- raglione di cinta dell’arsenale per tutto il tratto corrispondente a questa zona si presenta da molti anni gravemente lesionato e sen- sibilmente abbassato per i continui cedimenti del sottosuolo. F (1) Sulla potabilità di queste acque vedasi l'importante pubblicazione del Ten. Colonnello Medico della R. Marina, Prof. L. SesTINI: Sw! alimentazione idrica del R. Arsenale di Spezia e sulla potabilità dell’acqua della Sprugola (Ann. di Medic. nav., Anno XII, Roma, 1906), nella quale si troveranno anche molte altre interessanti notizie su queste sorgenti. pae dee EP ci ku si Sd (RE VII. M. TARICCO NOTA PRELIMINARE SU LOCALITÀ FOSSILIFERE NEL SARRABUS (SARDEGNA) Avendo avuto occasione di esaminare rapidamente la zona di calcari dell’ Arco Gennarella, tra il km. 10 e 11 della Nazionale Mu- ravera-Tortolì (vedi tavoletta al 50.000 di Muravera), vi ho trovato fossili degni di nota, per quanto già l’ing. O. De Castro (1) vi avesse notato abbondanti avanzi di crinoidi non ben determinabili, che a giudizio dei prof. Meneghini e Canavari e del dott. Bornemann po- tevano riferirsi tanto al Silurico quanto al Devonico. Tali calcari, di color grigio nerastro, cristallini, compaiono già in un piccolo isolotto comprendente le tre alture di quota 54,61 e cirea 80 di Giba Nurazzolas, poco ad est della Nazionale tra i km. 8 e 9 e già quivi si notano rare ma chiare tracce di crinoidi, aventi l’aspetto figurato dal Meneghini nell’opera del Lamarmora alla tavola C, fig. 1 e 2 sotto il nome di Orthoceras sp. ind. L’isclotto più importante sotto vari aspetti è quello più a nord culminante a Pizzu Agus (m. 190), ai cui piedi trovasi l’ Arco Gen- narella. I calcari di Pizzu Agus hanno in complesso una potenza di qualche decina di metri; poggiano su scisti cenerognoli-chiari, provenienti dalla decolorazione alla superficie di scisti neri, quali si incontrano nelle vicine trincee sottostanti della strada. Tali calcari hanno un’andamento ondulato con direzione media Nord-Sud e forti —————____—_____T_/}T!_t.—_— <—____——_—————n ———__________________ (1) C. De CastRO. — Descrizione geologico-mineraria della zona argen- —_ tifera del Sarrabus. Roma, R. Uff. Geol., 1890. pendenze ; l’ondulazione ad anticlinale che trovasi a circa m. 200 ad est della vetta 190 è erosa nella parte calcarea, cosicchè nella insenatura si hanno gli scisti biancastri e su di essi, ai fianchi, i cal- cari. Sul fianco ovest gli scisti contengono delle intercalazioni len- tiformi, di un bel colore verde chiaro della variscite descritta dal Pelloux (1). Gli stessi strati nei quali si trova il raro minerale contengono vistosi esemplari di Monograptus, abbastanza bene conservati da permetterne la determinazione ‘in seguito. La zona graptolitica si. ritrova sulla falda occidentale dei Pizzu Agus al contatto tra i cal- cari soprastanti a fitto cespugliato di lentischio e la parte scistosa a vigneto sottostante. Cogli scisti a Monograptus si hanno quivi sottili straterelli di calcari neri cristallini con evidenti Orthoceras biancastri, identici ai calcari ad Orthoceras e a Monograptus di Xea S. Antonio nel Fluminese. I calcari di Pizzu Agus si estendono per circa 2 km. a sud-ovest e formano la parte superiore dei Bruncu Girone (m. 237) e la col- linetta di quota 162 a sud di esso. Sul versante sud e particolarmente nella zona che si trova sull’ aliineamento Brunceu Girone-Bruncu Crobecadas tali calcari sono riccamente fossiliferi; vi notai, presso il contatto cogli scisti, degli steli continui e ben conservati di cri- noidi di ben 40 centimetri di lunghezza; spero che ricerche meno affrettate possano dare in queste località esemplari determinabili specificamente di crinoidi. Anche gli scisti sottostanti sono fossiliferi, per quanto non vi abbia trovato graptoliti. L’insieme di calcari e di scisti neri, ove però le loro alternanze passano gradatamente a calcoscisti ardesiaci, riappare a nord di Sa Modditzi (m. 250) e per Areun Puncioni arriva al mare, prolun- gandosi poi verso sud sotto Nuraghe Su Franzesu ed arrivando fin quasi a Giba Mastru Perdu (m. 121). Negli straterelli sottili di scisti calcarei nerissimi dopo qualche ricerca trovai una sottile ma ricca zona di orthoceratiti e di ceri- (1) A. PeLLOUX. — Variscite del Sarrabus (Sardegna). Ann. d. Museo Civico di Storia Nat., Genova, 1912. i ale noidi (?) limonitizzati da pirite; tanto la roccia quanto la natura dei fossili e il modo di fossilizzazione ricordano da vicino le rocce di Rio Marina all’Elba, studiate dal Lotti. Le zone a calcari e scisti neri, decolorati alla superficie, di Giba Nurazzolas, Fizzu Agus, Bruncu Girone e Arcu Puccioni sono interes- santi anche dal lato minerario per la presenza di lenti di ‘limonite, talora, come a Giba Nurazzolas, anche di potenza e ricchezza tale da poter dar luogo, perla vicinanza del mare, a qualche estrazione; tali lenti sono poste al contatto tra i calcari a tetto e gli scisti a letto e rappresentano la mineralizzazione dei banchi più bassi del calcare per opera di acque ferruginose. La piccola zona di Pizzu Agus è, in conclusione, degna di nota sotto vari aspetti. I Monograptus e gli Orthoceras la ricollegano, come avevo supposto (1), al Gothlandiano del Fluminese, del Gado- nese, ecc. ; la presenza della limonite al contatto tra calcari e scisti neri ha un certo carattere di continuità che giova,tener presente per ricerche analoghe nel Gothlandiano in Sardegna; il trovarsi in-- fine la variscite intercalata negli scisti a Monograptus, che non pre- sentano alcuna traccia di metamorfismo, restringe notevolmente il campo delle ipotesi sulla genesi del minerale. Roma, gennaio 1916. (1) Boll. Soc. Geologica Ital, Vol. XXX, pag. 120 e 149. (ORFRITRO IENA, VAIO, TAP O | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA PER L’ANNO 1913. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA o PER L'ANNO 1913) AGUILAR E. — La Metavoltina tra le sublimazioni della Solfatara di Pozzuoli, (Boll. Soc, Naturalisti di Napoli, Vol. XXV (Serie II, Vol. V) pag. 28-30). — Napoli. Nella Solfatara di Pozzuoli l’autore rinvenne un minerale presentantesi sotto forma di laminette splendenti dì colore giallo-ore o giallo-bronzino, mi- | nerale che il prof. Zambonini identificò con la Metavoltina di Blaas, e che è rappresentato dalla formula 5 K,0, 3 Fe,0,, 12 SO,, 18H,0. Esso deve dunque riguardarsi come un solfito doppio di ferro e di potas- sio; però nei cristallini naturali parte del potassio è sostituito dal sodio, come appunto verificasi nella Metavoltina di Madeni Zakh, studiata dal Blaas. La metavoltina è stata pure rinvenuta dallo Zambonini allo stato natu- rale nelle fumarole ad acido solfidrico e vapore d’acqua nell’ Atrio del Cavallo. Quella della Solfatara si presenta sotto forma di laminette splendenti sparse sulle sublimazioni di allume, allumogeno, coquimbite, voltaite ecc.; frequente- mente le laminette, per la loro piccolezza, non sono visibili ad occhio nudo, ma formano come degli agglomeramenti spesso mescolati con altri sublimati. Osser- | vata al microscopio la sostanza risulta costituita da una grande quantità di piccole laminette di colore giallo chiaro, a contorno esagonale e raramente romboidale, uniassiche negative. Le laminette ben visibili ad occhio nudo in- vece, osservate a forte ingrandimento, raramente mostrano la forma cristallina regolare ed appaiono quasi sempre come smussate agli angoli. La Metavol- tina si rinviene di solito in diverse grotticelle della parete orientale del cra- tere della Solfatara, «ome pure in altre cavità e specialmente nelle così dette stufe, adibite in passato a sudatorii. (E. TIssI). (1) Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni che, pur trattando di località estere, interessano la geologia d'Italia od hanno rapporto con essa. en ? @ KOLOGICA ITALIANA) 1919" «Ye MEGAI Pen v ; Po » Co BIBLIOGRAFIA ALMAGIÀ R. — Forme e fenomeni di erosione nei dintorni di Bagnorea. (Boll. Soe. geogr. it., S. V., Vol. II, N. 2, pag. 176-184, con 5 fig.) — Roma. La nota ha per oggetto la descrizione di quei fenomeni di intensa e rapida erosione e demolizione che si manifestano nella regione compresa fra il me- dio Tevere ed il lago di Bolsena, e più specialmente la sua parte orientale tra Bagnorea, Lubriano, Castiglione, Civitella d’ Agliano e S. Michele in Teve- rina, ove si producono i così detti Calanchi, le Ripe ed altre forme affini, fe- — nomeni che modificano assai rapidamente la topografia superficiale della re- gione anzidetta, nonchè di alcune zone dell’Emilia e delle Romagne e di al- tre plaghe d’analoga costituzione nella fascia argillosa periadriatica. La nota porge numerosi dati, misure e notizie tendenti a fornire un’idea della rapidità dei processi erosivi e demolitori che inducono profonde trasfor- mazioni nel rilievo delle regioni anzidette, e fornisce eziandio abbondanti dati morfometriei atti a chiarire alcune particolarità relative allo speciale profilo dei bacini di erosione. i (E. TISSI). ANELLI M. — I terreni miocenici tra il Parma e il Baganza (prov. di Parma). (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXII, fasc. 19-2°, pag. 195-272, con l tav.). — Roma. Dopo aver rilevato che sulla regione che forma oggetto della presente memoria assai scarse sono le notizie geologiche e di queste aleune anche non completamente esatte, e dopo aver esposti i motivi di un tale fatto e forniti alcuni cenni sulla formazione eocenica della regione in parola, l’autore viene a parlare dei terreni miocenici e delle cause che nel mare pliocenico che ba- gnava quelle terre favorirono lo sviluppo di organismi silicei le cui spoglie formarono i colossali candidi accumuli che si vedono oggidì scaglionati sul margine dell’ Appennino emiliano. L’autore cerca altresì di spiegare una serie di fenomeni apparentemente contradditorii, e cioè il contemporaneo sviluppo, entro ristretto spazio, di due formazioni antagoniste, quali sono quella ad organismi calcarei e quella ad organismi silicei, sopratutto diatomee; prossima alla zona litoranea la prima, più lontana la seconda. (E. TISSI). Azzi G. — I fenomeni della erosione nelle sabbie gialle del Pliocene nel bacino del Correcchio (Romagna). (Boll. Soe. geogr. it., S. V, Vol. II, N. 6, pag. 637-660). — Roma. Con la presente nota l’autore porta un contributo alla conoscenza dei fenomeni di erosione nella zona delle sabbie gialle compresa nella parte col- linosa del bacino del Santerno, discutendo anzitutto la natura delle rocce del PROPRI TRA SR, ST \ VENE di. Sa «È i 4 l i ai È Ta BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 cet i 4 SPIA ip € Ù suddetto bacino (tra cui anche le argille turchine del Pliocene) dal punto di vista geomorfologico, a seconda cioè delle forme che in dette rocce imprime l’azione erosiva delle acque. | (E. TISSI) BALDACCI L. — Le condizioni minerarie dell’ Eritrea. (Bibl. Geogr. De Ago- stini, Vol. I: L’Eritrea Economica, pag. 225-246, con 9 fig.). — Nevara. In questa nota l’autore porge anzitutto la descrizione geologica della serie dei terreni che costituiscono il territorio della Colonia Eritrea ed in particolar modo di quelli che racchiudono la massima parte dei giacimenti minerari. La serie in parola è, dal basso all’alto, cosî costituita: a) Serie cristallina, comprendente gneiss, calcescisti, filladi, scisti eri- stallini di varia natura e rocce granitoidi; b) Gruppo delle arenarie, dette di Adigrat dal Blanford, che in alcune località raggiungono una potenza di oltre 200 metri. Sono arenarie a grani > di quarzo con cemento siliceo o felspatico e con colore variabile. La loro età geologica è tuttora incerta, ma dal fatto che al sud della Colonia sono rico- perte da calcari giuresi è lecito arguire che esse possano spettare ad orizzonti compresi tra il Giurese ed il Trias; i c) Basalti dell’altipiano costituenti il complesso denominate Serie trappica dal Blanford, serie che nella nostra Colonia ha una grande estensione ed è notevolmente diffusa in tutto il territorio etiopico. d): Terreni della serie costiera. Sono compresi tra il ciglio dell’altipiano e la costa e costituiti da formazioni del Terziario superiore e del Quaternario (argille, marne, molasse, conglomerati, calcari concrezionati, gessi, calcari coralligeni). Coi terreni di questa serie si alternano anche formazioni di ori- gine vulcanica e più spesso vi si sovrappongono con apparati vulcanici ben definiti e talvolta imponenti, del più alto interesse scientifico. La serie dei terreni cristallini, potente e complessa, costituisce l’imbasa- mento e la massa principale dei monti etiopici e di tutto il continente africano. All’odierno stato degli studi, torna assai difficile l’assegnare a quel po- tente complesso di rocce una precisa età geologica; si può tuttavia ritenerlo, almeno nella sua massima parte, prepaleozoico ed arcaico. La serie cristallina può astrattamente suddividersi in due grandi gruppi; quello — cioè — delle rocce massicce e quello delle rocce scistose. Tra le prime si annoverano graniti normali, granititi, granititi orniblen- diche, granodiorite (adamellite), diorite quarzifera, orniblendite pirossenica, ecc.; nella serie cristallino-scistosa invece, che è la principale sede dei giaci- menti metalliferi eritrei, si trovano in predominio scisti filladici, e, succes- e xe. de DO è Ù è î, Ù | Y N È Mib: if «2, era e dit BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 19180 sivamente, scisti quarzitici, calcescisti con calcari cristallini, micascisti, an- fiboloscisti, prasiniti, scisti cloritici, scisti serieitici, gneiss, ecc. La formazione cristallina è frequentemente attraversata da filoni di porfidi, di quarziti, di trachiti, di basalti, ecc. È | Assai frequenti i filoni di quarzo, ed in questi si trova quasi sempre l’oro in pagliuzze o diffuso nella massa. I filoni di quarzo aurifero sono incassati negli scisti cristallini e presen- tano dimensioni variabilissime e variabilissimo contenuto in oro. I filoni eritrei, analogamente a quanto si verifica in altre regioni, hanno direzione prevalentemente parallela a quella delle assise del terreno che li racchiude. Per ciò che concerne la loro genesi sembra possa ammettersi che si sieno formati per il riempimento di spaccature prodottesi nel terreno du- rante movimenti orogenici per opera di soluzioni acquee contenenti l’acido silicico insieme agli elementi mineralizzanti. L’autore viene quindi.a parlare delle concessioni accordate dal Governo, soffermandosi specialmente su quella dello Hamasèn, ottenuta dalla Società Eritrea per le Miniere d’oro, concessione che occupa una estensione di circa 20 mila ettare, e che oltre alla miniera di Medrizien, in corso di lavorazione, comprende i giacimenti auriferi più o meno esplorati di Sciumaghellé, Adi Conzì, Regina di Saba, Tombe Abissine e Az Nefàs. L’autore descrive particolareggiatamente i giacimenti in parola, i lavori che vi sono stati eseguiti, i tratti caratteristici dei rispettivi filoni, ed in par- ticolar modo del filone Martini che si lavora a Medrizien, la natura e l’entità degli impianti installativi, le modalità della coltivazione e del trattamento metallurgico, le previsioni sul loro avvenire, ece. Viene quindi a parlare delle concessioni del Maldi e del Torat, dei mi- nerali cupriferi di Adi Nefas, dei filoni di Tucul, dei giacimenti della Valle dell’Ànseba, dell'ammasso mineralizzato di Angia-Hai, dei giacimenti au- riferi nei Com missariati di Agordat e di Barentù (giacimenti di Gahafì, di Dasè, filone di Alamù) e finalmente dei giacimenti di altri metalli, cioè di rame, di ferro e di manganese di Ghedam. Riassumendo il contesto della sua memoria l’autore conclude col rilevare che principalmente due regioni, cioò quelle dell’Asmara, con la miniera di Medrizien e coi promettenti filoni di Adi Conzì e di Az Nefàs, e quella del Gash, con i filoni di Dasè, presentano già le caratteristiche di campi mine- rari di decisa importanza, e che anche la valle dell’Ànseba coi suoi filoni di Seroà potrebbe dar luogo ad una industria mineraria remunerativa. Il proficuo sfruttamento degli accennati giacimenti è però subordinato alle tre condizioni seguenti: 1°) che possa crearsi una conveniente viabilità ehe consenta l’econo- ah DI » fl a n sd Ù ; pro 3 iù atti. 4 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 mico trasporto di macchine, di combustibile e di altri prodotti inerenti al- l’esercizio delle miniere e delle officine; ] 20) provvedere ai rifornimenti d’acqua creando laghi artificiali in località opportune; 3°). applicare, nel trattamento metallurgico, anche il metodo della — cianurazione, avendo l’esperienza fatta a Medrizien, a Seroà ed anche a Dasè dimostrato che l’oro del quarzo non è tutto direttamente amalgamabile, e che anzi coll’amalgamazione non è possibile estrarre che poco più della metà dell’oro contenuto nel minerale e rilevato dalle analisi. | (E. TIssI). BERNARDINI L. — L'acido borico nei prodotti del Vesuvio. (Rend. Soc. chim. it., S. II, vol. V, pag. 15-16; Rass. min., Vol. XXXVIII, N. 9, pag. 165). — Torino. Riferisce l’autore che l'acido borico è un prodotto che si riscontra fre- quentemente nei vulcani attivi ma che al Vesuvio è piuttosto raro. Esso vi fu rinvenuto per la prima volta da Monticelli e Covelli nel 1817, e dopo d’allora fu trovato due volte dal Palmieri, il quale, in base a ricerche spet - troscopiche, ritenne che l’acido borico fosse un prodotto costante delle fu- . marole vesuviane. Nonostante questa affermazione l’acido borieo dopo il 1861 è stato ri- trovato solamente nel 1908 da Zambonini e Laeroix come prodotto delle fumarole del gran cono. Af L’autore, sebbene da qualche tempo visiti frequentemente, nella sua qua- lità di chimico del R. Osservatorio Vesuviano, le fumarole attualmente esi- stenti al Vesuvio, solo una volta, e precisamente il 20 giugno 1912, ha potuto rinvenire dell’acido borico fra i prodotti di sublimazione delle emanazioni gassose del vulcano. Egli lo rinvenne, in una quantità di circa 9 grammi, sotto forma di la- mine cristalline di una purezza chimica assoluta, in una fumarola esistente nell’orlo craterico Nord-Nord-Est e precisamente pochi metri a levante di quella sella nota col nome di « échanerure ». L’autore raccolse con cura l’acido borico in modo da non lasciarne trae- cia visibile; ma dopo quella volta, sebbene la temperatura della fumarola e ‘ la composizione dell’emanazione non abbiano sensibilmente variato, egli non ha mai più potuto notare la presenza dell’acido borico nè nell’indicata fuma- rola nè in quelle altre che attualmente esistono all’orlo, sui fianchi e alla base _ del Vesuvio. i (E. TISSI) ty . Ù , ‘ \ fi, è | PTT af) dè: { ARR LL e n * DI cPO | A di i Hal "a c£. P; “Mr : ; ni È BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 BonoMINI C. — Il monte Gardio. (Boll. Soc. geol., it., Vol. XXXI, fase. 3-4, pag. 462-470). — Roma. La presente nota non intende rappresentare uno studio completo ma solamente un preliminare contributo alla geologia e alle tettonica del Monte Gardio, costituito dagli orizzonti del Muschelkallk, del Buchenstein, di Wen- gen e di Reibl, e il cui complesso è caratterizzato da tre fratture che ne di- sturbano la successione stratigrafica e ne rendono complicata la determina- zione tectonica. (E. TIssI). BorrI C. — Sulla costituzione geologica dei terreni dei Bagni di Casciana, (Atti Soc. tose. se. nat. (Memorie), Vol. XXIX, pag. 239-285). — Pisa. Fa notare l’autore com’egli abbia ritenuto opportuno illustrare una re- gione sulla quale l’occhio dei geologi si era solo fugacemente soffermato, no- nostante essa presenti speciale interesse per la notevole varietà di terreni. Egli ha quindi sensibilmente modificato il foglio 112 della Carta del R. Ufficio Geologico, sia per l’aggiunta di nuovi terreni sfuggiti nei precedenti rilievi, sia per la delimitazione o per il riferimento cronologico di altri, ed afferma che non ha esitato ad introdurre le accennate varianti, sicuro com’è che i risultati cui giunse sono esatti perchè derivanti da lunghe, pazienti e spassionate osservazioni. Egli divide il suo lavoro nei seguenti Capitoli: 1°) Cenni bibliografici; 20) Cenni topografici; 3°) Tectonica; 4°) Retico; 5°) Lias (e terreni ad esso riferiti, cioè Hettangiano, Sinemuriano, Liasiano, Toarciano). 6°) Giura superiore (comprendente il calcare piechiettato ed i diaspri); 7°) Creta; 8°) Eocene (comprendente calcari argillosi e galestri, scisti, calcari, — rocce ofiolitiche, caleare nummulitico, arenaria, alberese); i 9°) Miocene (comprendente calcari a Lithothamnium, conglomerati, molasse, calcari a Cirripedi, calcari brecciati e cavernosi); -9 10°) Pliocene (comprendente le argille, le sabbie, il calcare ad Amphi- stegina); | 11°) Quaternario (travertino, oere ed alluvioni); 12°) Sorgenti (termali, minerali e comuni). (E. TISSI). n “A EN x (ot Ul Li "RAY ia Abit ite A i CI PI dad EEE SL: f me A, NT ELO » Pa, n : ci L'® 4 Ù 13) I a è d # BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 BusacHI A. — Su alcuni giacimenti mangamesiferi in Sardegna — Sulla ge- nesi dei giacimenti listati periodici. (Opus. di 6 pag.). — Iglesias. In merito ai giacimenti manganesiferi della Sardegna l’autore ritiene verosimile la seguente ipotesi: Delle venute filoniane di biossido di manga- nese, come manifestazione termale susseguente ad un primo periodo delle venute trachitiche posteoceniche, si verificarono a Carloforte, Portoscuso, Gonnesa, Banari, Castelsardo, dando luogo a filoncelli di psilomelano a Nu- raxi Figus dove trovarono delle spaccature ove depositarsi; a filoncelli e ad espansioni sotto forma di concrezioni nei tufi non troppo compatti, talvolta sabbiosi, di Capo Giordano; ad uno strato di pirolusite a Capo Becco, Capo _ Rosso ed a Bricco Pittiecheddu (Carloforte) inquantochè ivi le soluzioni man- ganesifere sboccarono in un braccio di mare o in un lago, donde poi precipi- | tarono, dando luogo in molti punti a delle splendide alternanze di straterelli limonitici e di pirolusite. In una nota suppletiva, riassumendo le considerazioni sulla genesi dei giacimenti in istrati alternati periodici della Sardegna, l’autore così si esprime: a) Esiste identità tra le mescolanze saline e quelle che si designano col nome di soluzioni; alla curva di fusibilità corrisponde quella di solubilità; b) Non è possibile, o — meglio — è troppo artificioso spiegare questi giacimenti listati con sorgenti alimentatrici dei bacini di deposizione varianti ed alternantisi come i sedimenti, od altrimenti come dovuti ad alterazione di temperatura; c) Si può invece ammettere pei giacimenti listati periodici uno svi- luppo analogo a quello che può presentarsi negli eutectici, giacchè in tal caso soltanto il fenomeno ha un significato ed un decorso ben definito. In altri termini i depositi in istrati alternati sono paragonabili, come derivazione e come risultato, alla perthite (strati alternati di albite e di orto- clasio), al diallaggio interlaminato con pirosseno ortorombico, agli sferoidi esistenti nei graniti di Ghistorrai (Fonni) ece.; l’unica differenza consisterebbe in ciò che la tranquillità di deposizione nei bacini sedimentari ha permesso e favorito l’integrazione dei singoli individui, che si trovano invece sparsi nelle roccie eruttive. (E. TissI). CACCIAMALI G. B. — Struttura geologica del gruppo del Monte Guglielmo. (Comm. Ateneo Brescia per l’anno 1912, pag. 84-104). — Brescia. autore, facendo seguito ad un suo precedente lavoro dal titolo « Geo- logia bresciana alla luce dei nuovi concetti orogenici», si propone di dimo- strare con la presente memoria la struttura a falde stratigrafiche embricate BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 19130 ba del versante occidentale della Val Trompia, struttura che coi recenti suoi studi crede di avere sicuramente determinata. Egli, in sostanza, ritiene che lo stesso motivo teetonico del Bresciano con- tinui anche nel Bergamasco, motivo che può essere riassunto come segue: 1°) Corrugamento in senso alpino od orobieo, ossia ENE e rovescia- mento delle pieghe a SSE. 2°) Formazione di falde stratigrafiche embricate, per degenerazione delle pieghe più intense in fratture sub—orizzontali, con conseguente sovra- scorrimento delle anticlinali ed obliterazione delle sinclinali. 3°) Nelle zone a falde, strati a blande pieghe se in copertura avanzante, ed a pieghe strette se in substrato pigiato. Quanto all’età il corrugamento è sempre oligocenico, e quanto alle cone dizioni in eui si produsse è sempre ipogeo, cioè in masse plastiche. Epigee, e quindi in masse rigide, furono soltanto pressioni tangenziali posteriori (plio- ceniche) le quali determinarono fratture normali all’asse del corrugamento, con relativi affondamenti di zolle e spostamenti delle linee teetoniche anteriori. (E. TISSI). CACCIAMALI G. B. — Revisione della geologia UCamumna. (Comm. Ateneo Bre- scia per l’anno 1912, pag. 158-182). — Brescia. - Prendendo occasione da due importanti lavori recentemente compiuti sulla V. Camonica dal Porro e dal Wilchens, l’autore intende con la presente memoria di rettificare alcune osservazioni da lui fatte in precedenza e, nel medesimo tempo, formulare sulla geologia bresciana nuove considerazioni generali che possono riassumersi come in appresso: A partire dalla grande cicatrice tonalitica e procedendo verso sud, si trovano successivamente in V. Camonica due grandi zone a teetonica diversa, e precisamente dapprima una zona a falde di carreggiamento, e poscia una zona a blandi corrugamenti, disturbata però, nella sua parte meridionale, da fratture con rigetti. i Procedendo ancora più a sud si rinvengono nella V. Trompia due zone consimili, essendo anche qui l’alta valle un paese di falde e la bassa valle un paese a pieghe ordinarie. Allo stesso modo che la cicatrice tonalitica funzionò da ostacolo deter- minando a sud di essa falde carreggiate, parimente funzionò da ostacolo il massiccio cristallino dell’alta V. Trompia determinando analoghe falde a sud del massiecio stesso. Stando all’antica ipotesi del Suess, in tutta la regione periadriatica do- vrebbero escludersi i carreggiamenti, e dovrebbe ammettersi la regione stessa e ar ded — BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 costituita unicamente da zone affondate a sud, ossia da successive serie di strati disposte a scala verso la pianura padana. Ma siccome non si possono negare in provincia di Brescia parziali feno- meni di carreggiamento, così è d’uopo concludere che gli accennati due sistemi tectonici delle falde sovrascorse e delle zone affondate coesistano, si associno e si alternino. E la possibilità di tale coesistenza viene dall’autore spiegata ammettendo che durante l’orogenesi possa essersi determinato — a seconda delle condizioni locali — or l’uno or l’altro dei due sistemi, o che i medesimi si siano costituiti in tempi diversi. In questo secondo caso si sarebbero dapprima prodotti i carreggiamenti, generatisi in profondità e quindi in masse plastiche, e succes- sivamente i rigetti, generatisi verso la superficie e quindi in masse rigide. (E. TIssi). CACCIAMALI G. B. — Fratture della Bassa Val Camonica. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXII, fase. 3° pag. 465-470, con 1 tav.). — Roma. L’autore deserive in questa nota le rotture o soluzioni di continuità ma- nifestantisi negli strati della Bassa Val Camonica in dipendenza del raccordo ‘stratigrafico a curva semicircolare determinato da una piega anticlinale ro- veseiata a sud, rotta e colla gamba settentrionale sovrascorsa sulla meridionale. Le due ali di detta piega sono costituite da formazioni permo-trias- siche e si uniscono fra loro ad cvest, cireuendo a guisa di ellissoide il nocciolo degli scisti cristallini. La più importante delle accennate dislocazioni o fratture è diretta se- condo la linea S. Silvestro-Gorzone-Boario, frattura della quale — sempre secondo l’autore — è rialzato il labbro sud ed abbassato invece il labbro nord, mentre l’immergenza del suo piano è verosimilmente a sud. (E. TISSI). CACCIAMALI G. B. — L’altopiano di Borno. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXII, fase. 19-2°, pag. 165-194, con 1 tav.). — Roma. Riferisce l’autore che la metà settentrionale dell’altopiano di Borno of- fre una tectonica alquanto complicata e relativamente anormale, resa com- plessa da una singolare concomitanza di fatti. _ Le particolarità tectoniche sono anzitutto caratterizzate dalla presenza di fratture, tanto nell’estremo occidentale quanto in quello orientale dell’alto- piano. In dipendenza di questi due fasci di fratture la plaga viene suddivisa in tre zolle di cui la centrale è sopraelevata, mentre le laterali sono affondate. CP Maia Si DEI vee (SORA j AE vata } ti: Po I BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 Furono tali fratture, e più ancora i conseguenti moti verticali, che ven- nero, in tempi posteriori, a complicare una tectonica originariamente abba- stanza semplice e normale, la quale doveva consistere in una falda di ricopri- mento che fuin seguito quasi totalmente abrasa nella parte intermedia e verso. la Val Camonica, mentre si è assai meglio conservata nelle zone laterali af- fondate. (E. TIssi). CAFFARATTI dott.® M. — Il bacino del Chiampo. (R. Mag. Acque — Uff. Idrogr., Pubb. N. 46 e 47, con 4 fig. e 6 tav.). — Venezia. Il bacino del Chiampo si trova nei Lessini vicentini e confina a setten- trione e ad oriente col bacino dell’Agno, ad ovest ed a sud-ovest per un certo tratto col Progno d’Illasi e pel resto col bacino dell’ Alpone. Il suo studio forma oggetto della pubblicazione N. 46 e 47 dell’ Ufficio Idrografico del R. Magistrato alle Acque e tratta della morfologia, dell’ idro- grafia e della permeabilità delle roccie di quella regione. Lo studio di cui trattasi venne dal Magistrato alle Acque affidato alla autrice, dott.® M. Caffaratti, allieva dell’Istituto di Geologia della R. Univer- sità di Padova, e ciò in vista della particolare conoscenza della regione che l’autriee medesima aveva acquisito in occasione di precedenti lavori. Nella presente memoria vien data una descrizione generale delle condi- zioni litologiche, cronologiche e tettoniche dell’area presa in esame, e ven- gono particolareggiatamente studiati i fenomeni concernenti la morfologia e l’idrologia del torrente principale e dei suoi affluenti, mettendo in opportuno rilievo irapporti che legano il funzionamento idrografico alla natura geologica del bacino. Il lavoro è diviso in 3 capitoli principali. Nel primo sono definite la po- sizione, i limiti del bacino, la sua estensione ed i suoi tratti morfologiei prin- cipali e delineate le condizioni geotettoniche e petrografiche della regione ; nel secondo sono deseritti il fiume Chiampo ed i suci affluenti; e nel terzo sono esposti i risultati più notevoli e le conclusioni che da essi possono trarsi in merito all’età del sistema idrografico ed al suo probabile sviluppo. La nota è corredata da 4 figure e da sei tavole tra cui la carta della per- meabilità delle rocce nel rapporto di 1-a 100 mila. i (E. TISSI). CANAVARI I. — La Carta geo-agronomica di Casalina (Perugia). (Atti Soc. tosc. se. nat. (Memorie), Vol. XXIX, pag. 3-38). — Pisa. La nota riassume i caratteri fisico-geografici, i caratteri geologici e le osservazioni meteorologiche dei terreni che si estendono lungo la Valle del e : | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, ]913 Tevere da nord a sud fra Deruta e Collepepe e da est ad ovest fra Castelleone e Papiano, ossia della zona che comprende la Tenuta di Casalina. Tali terreni si suddividono, quanto all’origine, nelle due solite catego- rie di autoctoni e di alloctoni. Alla prima categoria si debbono riferire tutti i terreni della collina, ed alla seconda quelli dovuti alle alluvioni del Tevere e del suo affluente Paglia. i È “ Dal punto di vista chimico poi, in base ai resultati delle analisi eseguite, se gli stessi terreni possono classificarsi nel modo seguente: 1°) Silicei, quali ad esempio quelli provenienti dal disfacimento delle sabbie con eiottoli attribuite al Quaternario antico; 20) Silico-calcarei, come (quelli provenienti dal disfacimento delle sabbie, pure riferite alla stessa epoca; 39) Silico-alluminosi, quali sono quelli che provengono da una parte delle argille del Quaternario antico e delle sabbie con ciottoli, e dagli autoctoni; 49) Silico-alluminoso—calcarei, come quelli provenienti dal disfacimento dei galestri eocenici; 5°) Silico-alluminoso-subcalcarei, come quelli provenienti da una parte degli strati argillosi e da una parte degli strati sabbiosi con ciottoli. (E. TISSI). CANAVARI M. — Relazioni compilate dalla Commissione tecnica per lo stu- dio delle condizioni presenti del Campanile di Pisa. — Studi geologici del sottosuolo. (Vol. in 4° di 36 pag. con 7 tavole). — Firenze. La presente nota concerne gli studi geologici del sottosuolo del Campa- nile di Pisa e sue adiacenze, ed è un estratto delle Relazioni compilate dalla Commissione tecnica per la ricerca delle condizioni presenti del medesimo Campanile, in seguito al dubbio sorto che la stabilità dell’insigne Monumento potesse essere compromessa dalle polle d’acqua che scaturiscono presso la sua base. | Per avere un’idea della natura e dell'andamento dei terreni sottostanti al Campanile furono eseguiti dei saggi nel 1907 a cui fecero seguito altri pra- ticati nel 1910, e questi ultimi effettuati a scopo gneognostico ed idrologico, allo intento, cioè, di conoscere più esattamente la successione stratigrafico - litologica dei terreni ed il regime delle falde acquifere. Nella nota sono dettagliatamente indicate le particolarità gneognostiche e stratigrafiche messe in evidenza dai saggi, ed è del pari indicata la natura e la quantità delle materie portate a giorno dalle polle d’acqua. L’autore dichiara bensì che la quantità di tali materie non è ancora tale da preoccupare per l’odierna stabilità del celebre Monumento, ma ricorda x Y pr 3 # a 4 Li o ONE rs (e * ; ; l lai ele af 14 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 191300 ui 0, è 1) ua "ed tuttavia che le cause piccole ma continue sono appunto quelle che col tempo producono effetti imponenti. E poichè nel caso attuale il fenomeno tende a produrre vuoti nel sottosuolo immediato del Campanile, ritiene sia opera provvida di cercare il modo di eliminarlo o per lo meno di attenuarlo. (E. TISsI). CANESTRINI S. — I minerali dell’Ossola. (Illustr. Ossolana, Anno IV, N. 3A, pag. 48-53, e N. 5-6, pag. 80-83). — Domodossola. Dopo aver ricordato che nella regione Ossolana ha grande sviluppo e prevalenza la formazione gneissico-scistosa nelle più complete varietà di struttura, l’autore descrive i minerali che rinvengonsi o che furono rinvenuti in passato nella regione medesima, la massima parte dei quali però non ha che un interesse puramente scientifico. "(E SEBBb), CERUTI G. — Sulla radioattività delle acque minerali di Courmayeur. (Rend. R. Ist. Lomb., $. II, Vol. XLV, fase. XIX, pag. 936-944). — Milano. Riferisce l’autore che le principali sorgenti minerali di (ourmayeur sono la Vittoria, la Regina e la Margherita, la cui temperatura è, rispettivamente, di 149, 9° e 24° centigradi. Dopo aver ricordato che quasi tutte le acque del sottosuolo sono radio- attive e che le acque minerali e termali lo sono in grado maggiore, l’autore descrive il metodo da lui seguito per la determinazione della radioattività di quelle acque ed espone i risultati ottenuti, da cui emerge che le sorgenti Vittoria e Regina hanno la stessa radioattività mentre la sorgente Margherita è più radioattiva. Soggiunge l’autore che tale radioattività, molto debole per tutte, do- vuta alle emanazioni sciolte nelle acque è data certamente in parte da ema- nazione di radio. i Nella nota sono indicati anche i risultati delle analisi chimiche eseguite su ciascuna delle tre acque anzidette. (E. TISsI). CHECCHIA-RISPOLI &. — Sopra alcuni Echinidi oligocenici della Cirenaica. (Estr. ‘dal Giorn. di sc. nat. ed econ., Vol. XXX, opus. di 10 pagine con 1 tav.). — Palermo. Questa nota concerne lo studio di alcuni Echinidi provenienti da una località situata tra Derna e Cirene, trovati dal Cav. Ignazio Sanfilippo in un” calcare marnoso di colore giallo cupo, talora rossastro per l'abbondanza del- |, l’ossido di ferro, aserivibile all’Oligoeene inferiore. \ GEOLOGICA ITALIANA, 1913 Nella nota sono descritti ed illustrati il Tretodiscus Duffi (Amphiope Duffi Greg.) e l’Echinolampas chericherensis Gauth. (E. TIssi). | CHECCHIA-RISPOLI G. — Osservazioni geologiche sullAppennino della Ca- pitanata. Parte II. (Estr. dal Giorn. di se. nat., ed econ., Vol. XXX, Anno 1913, opus. di 10 pag.). — Palermo. » In questa monografia, che fa seguito ad altra dello stesso autore e che ha per oggetto la descrizione geologica dell’ Appennino della Capitanata, si prende a considerare il territorio compreso tra il corso del Fortore ed i paesi di Car- lantino, Castelnuovo della Daunia, Pietra Montecorvino e S. Marco la Catola, nel quale territorio prevalgono le argille seagliose con strati di caleare ed are- narie dell’Eocene, nonchè la formazione calcareo-marnoso-arenacea del Mio- ‘cene medio. Le argille scagliose sono dall’autore riferite a strati di passaggio fra il Luteziano e l Auversiano, ed un tale riferimento è desunto dall’esame dei foraminiferi. Al Langhiano l’autore riferisce la parte inferiore della torma- zione miocenica, rappresentata da marne e calcari marnosi, ossia da quei medesimi strati che si incontrano in altri punti dell’Appennino e che molti geologi insistono a ritenere eocenici. i L’autore li crede invece miocenici, e ciò sia perchè riposano in trasgres- sione sull’Eocene, sia perchè non contengono nummuliti, ma soltanto Lepi- docyclina e Miogypsina. Gli strati arenaceo argillosi, che costituiscono la parte superiore di quella | compagine, sono dall’autore riferiti all’Elveziano. (E. TIssI). CHECCHIA-RIsPoLI G. — Marmitte di erosione marina lungo la costa di Castellammare del Golfo. (Estr. dal Giorn. di sc. nat. ed econ., Vol. XXX, opus. di 4 pag. con 2 tav.). — Palermo. L’autore descrive in questa nota le marmitte o buche, dette anche mo- lini di mare, che si osservano nel tufo caleare (breccia conchigliare di color bianco gialliccio o rossiccio, più o meno compatta, di età post—pliocenica) assai sviluppato nella parte nord-ovest della Sicilia e specialmente nel tratto di costa che si estende dalla stazione dello Zucco a Castellammare del Golfo e si interna fin sotto Alcamo. Sono eavità verticali, a sezione cilindro—conica, disposte secondo una linea parallela a quella della spiaggia, ad ineguale distanza l’una dall’altra. Le loro dimensioni variano da 1 a 3 metri di profondità e da 0,40 ad 1 _ metro di diametro. Hanno le pareti levigate e vi si osservano dei solchi spi- rali grossolani oltre ai piani di divisione degli strati. seri ama ba Arie ari L’autore erede che le cavità di cui trattasi siano dovute ad una erosione prodotta dal mare durante la elevazione di quelle terrazze litorali sul cui ciglione sono escavate. Altri esempi di simili cavità furono segnalati nell’isola di Aci-Trezza, nella penisola Salentina, nella Liguria e lungo la costa garganica a sinistra di Vieste. Due tavole corredano la nota. (E. TIssI). CaeLUSssI I. — Sulla natura e sulla origine dei conglomerati terziari delle colline di Torino. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXII, fase, 3°, pag. 371-397). — Roma. Nella memoria sono esposti i risultati dello studio petrografico, eseguito dall’autore, di una numerosa serie di ciottoli e di frammenti di roece, per lo più cristalline, che costituiscono i conglomerati terziari delle colline che si estendono da Torino a Casale. Dopo aver descritto, uno ad uno, i ciottoli presi in esame, l’autore spe- cifica,in apposito quadro, le principali roccie da cuii ciottoli stessi provennero, e dall’esame di detto quadro possono trarsi le seguenti deduzioni: 1°) In quasi tutti i conglomerati delle colline di Torino si trovano, in ordine di frequenza, micascisti e gneiss, porfidi quarziferi, graniti e grani- titi tipo Baveno, roccie metamorfiche a glaucofane, serpentine, gabbri; rari i calcari e le arenarie. 2°) Caratteristici appaiono: i porfidi quarziferi, il granito roseo tipo Baveno, le roccie a glaucofane e — sebbene scarsa — la diorite quarzifera a tipo dioritieo del serizzo ghiandone valtellinese. 3°) I porfidi quarziferi sembrano più frequenti nei conglomerati più antichi; i gabbri invece compariscono soltanto nel conglomerato più recente dell’Elveziano. 4°) I porfidi quarziferi, la granitite tipo Baveno, alcuni, sebbene rari, caicescisti con serpentino,i gneiss ed i mieascisti con la loro frequenza e la dio- rite quarzifera determinano, secondo l’autore, con sufficiente esattezza l’area della regione dalla quale derivano molti di questi ciottoli, area compresa tra il Lago Maggiore e il Lago d’Orta, il Monte Rosa ed il Gran Paradiso, inquan- tochè soltanto nella medesima si trovano i porfidi quarziferi e le dioriti quar- zifere. Le roccie verdi, di cui si hanno abbondanti ciottoli nelle colline di Torino, possono prevenire dalle Alpi Cozie, dalle Graie e dalle Pennine. Nulla prova che i ciottoli dei conglomerati torinesi provengano dalle Alpi Marittime; le serpentine ed i gabbri non possono provenire dalle forma- zioni ofiolitiche del Bobbiese per l'abbondanza di porfidi, dioriti, pietre verdì a glaucofane ecc. e per l’assenza delle diabasi che sempre accompagnano le formazioni ofiolitiche dell’ Appennino. Ò è fd BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 17 In conelusione l’esame petrografico degli accennati ciottoli indusse l’au- tore nella convinzione che le roccie da cui essi provengono sono situate nelle Alpi a nord delle colline di Torino. (E. TISSI). CHELUSSI I. — Nuove ricerche petrografiche sopra alcuni fondi di mare del Mediterruneo. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXII, fase. 1°-2°, pag. 143-159). — Roma. Facendo seguito ad una sua precedente memoria, nella quale espose la composizione mineralogica di 16 saggi di fondo del Mediterraneo, raccolti in diverse Campagne idrografiche dalle navi della R. Marina, l’autore presenta in questa nota l’analisi petrografica di un’altra serie di saggi di fondo, pure . del Mediterraneo e parimente raccolti da alcune navi della R. Marina italiana. Dall’esame di questi 39 saggi e dei 16 studiati nella nota peoonare l’autore crede di poter dedurre le conclusioni seguenti: 1°) I fondi di mare dopo lavaggio e decalcificazione dànno un residuo generalmente assai scarso, che può essere di natura argillosa o di natura are- nacea, povero il primo, molto ricco il secondo di minerali colorati; 20) La ricchezza in minerali dei saggi di fondo marino è assolutamente indipendente dalla profondità a cui furono prelevati; 3°) Prescindendo dal quarzo, dai feldspati e dai carbonati, esiste, in generale, molta maggiore affinità nella composizione mineralogica tra i fondi di mare e le sabbie litorali della costa più prossima ai punti di preleva- mento, che non tra le sabbie litorali e le rocce della costa e dell’entroterra; 49)Gli anfiboli azzurri sembrano sparire nei saggi del Tirreno meri- dionale; questi saggi, per la relativa abbondanza dell’augite verde, si avvici- nano alle sabbie della costa Calabro-Napoletana, quasi ovunque ricchissime di questo minerale; 5°) Nel golfo di Taranto vi sono fondi di mare ricchi d’anfibolo az- zurro e di pirosseno verde. L’autore ritiene che la presenza dell’anfibolo azzurro sia dovuta alla corrente che discende [lungoila costa adriatica d’Italia, corrente che tra- sporta dapprima le torbide jdel Po e dei fiumi appenninici e successiva- mente il pirosseno verde della costa pugliese fino al Capo di S. Maria di Leuca, volgendo? quindi verso Nord in direzione di Taranto e verso Ovest pro la costa calabrese. L’autore non ritiene probabile l’origine del glaucofane di Taranto dagli scisti cristallini della Grecia, e ciò non solo per la grande distanza che se- para le due località ma anche per la natura alquanto diversa dell’anfibolo azzurro dell’ Arcipelago greco. (E. TISSI). - I) i ro * DI 18 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 CIAMPI A. — Fossili della Nurra. (Res. Ass. min. Sarda, Anno XVIII, n. 7, pag. 7-9). — Iglesias. Nella zona dei giacimenti ferriferi della Nurra, l’autore ebbe occasione di notare delle impronte fossili in una roccia scistosa di colore verde chiaro, dura e compatta, untuosa al tatto e contenente minute particelle di mica. Le accennate impronte constano di piccoli corpi tronco-cilindrici o tronco-conici a superficie formata da sottili anelli sovrapposti; le deduzioni dell’autore e di altri studiosi al cui esame i fossili furono presentati, con- cordano nel ritenere trattarsi di fossili del genere Tentaculites, riferibili al Siluriano superiore e al Devoniano. (E. TISSI). CLERICI E. — Sui sedimenti dei laghi di Scanno e di Piediluco. (Boll. Soc. geol. it., vol, XXXII, fase. 4°, pag. CCIMI-CCVI con 1 tav.). — Roma, In questa nota sono esposti i risultati delle analisi dei saggi di fondo raccolti nei laghi di Scanno e di Piediluco in occasione delle escursioni ese- guite dai membri della Società geologica nel settembre 1913. Il saggio di fondo preso nel lago di Scanno è di colore piuttosto chiaro per l'abbondanza del calcare. La porzione di minerali pesanti è prevalente- mente costituita da augite; vi sono poi magnetite, melanite,î scarse orne- blenda e biotite, scarsissimi anfibolo, tormalina, zircone, granato. La sabbia è ricca di fossili, o frammenti di fossili consistentij in spongoliti, radiolarie e foraminifere. La sabbia raccolta nel lago di Piediluco differisce da quella del lago di Scanno per il quantitativo di carbonato di calcio e per l’insieme dei minerali pesanti. L’augite non è più il minerale prevalente, bensì le miche, il gra- nato roseo, la tormalina, l’anfibolo azzurro. lo zircone. Abbondanti sono anche qui i fossili, cioè foraminifere, radiolarie e pezzi di spongoliti. Il saggio raccolto nel medesimo lago, ma sulla opposta sponda, è invece alquanto diverso e si ravvicina a quello del lago di Scanno per l’abbondanza dell’augite e per l’insieme dei minerali pesanti. (E. TISSI). CoLamonIco C. — Le acque sotterranee in Puglia. (Boll. Soc. geogr. it., S. V., Vol. II, n. 5, pag. 527-538). — Roma. L’autore esordisce col rilevare che la grande semplicità che distingue l’idrografia sotterranea nei calcari compatti di Puglia, (costituisce "anche il carattere fondamentale della circolazione delle acque nei terreni più re- centi che vi si sono originati. # " bara i Ì CI % \ è q° b » 4 » è "° pr Li - ” a hu Pi «È D 3 & ne : sella A n ne: Lo% 4 Questi terreni, prevalentemente pliopleistocenici, sono quasi tutti di natura calcarea, argillosa o sabbiosa e si sono depositati sopra i calcari cretacei di base. E’ quindi evidente che le forme diverse con cui la cir- colazione delle acque vi si compie, dipendono dalla presenza delle argille e dalla posizione che queste hanno rispetto alle* altre roccie da cui sono co- perte e sorrette. Bisogna altresì tener presente che le argille pugliesi sono di solito marnose o sabbiose, onde la loro impermeabilità è strettamente connessa a questo diverso grado d’impurità. D’ordinario esse riposano sui calcari sabbiosi pliocenici o direttamente sui calcari cretacei fondamentali e sorreggono depositi più recenti di arenarie e sabbie giallastre, di ciottoli e conglomerati grigio giallastri e di ciottoli ed argilla terrosa rossastra. Là dove presentano condizioni di sufficiente impermeabilità arrestano delle falde non molto profonde di acque freatiche; dove invece le argille man- cano, l’idrografia sotterranea segue sempre le leggi già note della circolazione delle acque nei calcari cretacei di quella regione. Relativamente alla localizzazione delle roccie permeabili in Puglia, l’au- tore ricorda che i calcari eocenici s’incontrano quasi [esclusivamente nel promontorio del Gargano, dove vengono utilizzate non poche sorgenti lito- ranee, talune delle quali con acque potabili veramente buone. Di grande importanza sono nella regione pugliese le acque trattenute dagli strati argillosi pleistocenici, i quali largamente estesi nel Salento e nel Tavoliere e, meno diffusamente, nella zona murgiana, costituiscono l’unico vero deposito impermeabile delle Puglie. Frequente è il caso in cui le argille sottostanno a depositi sabbiosi ed arenacei che assorbono le acque di pioggia. Si determina per tal modo una vera falda di acque freatiche, che in molti luoghi è abbondante e costante ed alimenta migliaia di pozzi. Negli strati argillosi sono spesso interposti banchi più o meno potenti di sabbie e ghiaie che dànno luogo a diversi li- velli acquiferi di portata variabile. Resta con ciò spiegata la facoltà ascen- sionale onde sono dotate alcune falde acquifere intercluse tra due strati impermeabili o semi-impermeabili argillosi. Nel Tavoliere pertanto, ove simili terreni si sono più ampiamente deposi- tati, s’ incontrano acque sotto pressione che salgono anche al livello del suolo, Il Tavoliere di Puglia è quasi interamente costituito dagli anzidetti terreni quaternari, che vi si rinvengono fino a notevole profondità e che ren- dono più varia e complessa la circolazione delle acque sotterranee. Il Gar- gano finisce sul Tavoliere con le rocce calcaree del Pliocene e con quelle del Cretaceo, le quali sono ricoperte in discordanza dagli strati sabbiosi e ghia- iosi dell’Olocene che vi si sono addossati. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 19 i de nea Da) l r - y z É n Pea BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 Premesso quaato sopra, risu'ta chiaro che l’idrografia del Tavoliere debba essere rizuarlata da due diversi punti di vista, a ssconla che si tratti delle acque scorrenti in strati ghiaiosi intercala:i alla potente formazione argil.. losa, o delle a-que ch: da queste madssime argille vengono sostenute: le prime — vere acque profonle — sono particolari del. Tavoliere; le seconde invece — semplici a:que freatiche — sono comuni alle altre zone pugliesi. Le acque sotterranee profonde, superiormente protette da una coltre impermeabile, inclinano dall’Appennino al mare e si presentano meno co- piose nelle rezioni periferiche, mentre si manifestano a diversi livelli, a di- versa profondità ed in più larga misura nelle zone più lontane dalle alture appenniniche. Questa maggiore ricchezza di acque profonde nella parte orien- tale del Tavoliere vals: perfino ad ingenerare in qualcuno l’errata supposi- zione che esse derivassaro dal Gargano anzichè dall’Appennino, non tenendo conto del distacco evideatissim> che il promontorio garganic) pressata dal Tavoliere sulla valle del Candelaro. i L’autore deduce pertanto non potersi in alcun modo sostenere che l’acqua profonda incontrata col pozzo artesiano di Trinitapoli provenga dal Gar- gano, mancando nel Gargano il duplice potente strato impermeabile, tra mezzo al quale dovrebbe scorrere l’acqua sutto pressione rinvenuta a Tri- nitapoli, ossia nella parte sud-orientale del Tavoliere. E’ quindi — insiste l’autore — fuori di dubbio che l'acqua jprofonda nel Tavoliere orientale deriva dall’Appennino, sul cui fianco di levante la fascia di terreni argillosi pl>istocenici si disteade assai ampiamente, affio- rando nelle zone più alte e sottostanlo nelle m>no elevate a depositi fpiù recenti. ù Del resto la potente massa argillosa del Tavoliere non si presenta in» terrotta da un solo banco ghiaioso acquifero ed a profondità tanto conside» revole, giacchè nella stessa perforazione di Trinitapoli sì incontrarono acque sotto pressione anche a minore distanza dal piano di campagna. Risulta dal fin qui detto che l’idrografia profonda del Tavoliere resta, allo stato delle cose, affermata dal solo pozzo di Trinitapoli, mentre tranne il tentativo di Foggia ed uno ancora più modesto press» Lucera, nessuna ricerca, neppure superficiale, è stata compiuta nella zona occidentale del bassopiano. Nella regione murgiana non mancano conche quaternarie impermeabili . coperte da terreni di facile assorbimento ; sono però di solito addossate ai calcari cretacei fondamentali e di limitata potenza. Più diffusi si presentano questi depositi pleistocenici nalla penisola Sa- lentina, ove i calcari m>sozoici costituiscono uzualmente la stratificazione di - TATE Sere 2 n° a 3EOLOGICA ALIANA, 19 base, ma scrreggono non di rado dec'ne e decire di metri di terreni più re- centi, nei quali la circolazione delle acque si compie con caratteri più vari e complessi. Dalle suesposte considerazicni si posscno trarre le ecnelusioni seguenti : 1°) Nella massima parte della regione pugliese, fondamentalmente co- stituita dai calcari ecmpatti dal Cretaceo, predc mina l’idrografia sotterranea carsica che ha per livello di base quello del mare, verso cui sono quindi di- rette, in forma di esilissime vene, le acque dell’interno; 2°) Nella parte sud-orientale della Terra d’Otranto i calcari compatti di base sorreggono depositi più o meno potenti di pietra leccese miocenica, nei quali si manifestano dei jivelli gequiferi a profcndità variabili; 3°) In molte zcne superficiali del Tavoliere, delle Murge e dei Salento, ove si sono depositati terreni pliopieistocenici, le acque meteoriche, dopo attraversati i calcari sabbiosi detti tufi, o le arenarie, sabbie e ciottoli, si arrestano su benchi più o meno potenti di argille, determinznco falde frea- tiche poco profinde, cui attingono miglizia di pozzi locali; 4°) Negli strati profondi del Tavoliere, ove ccn le argille sialternano terreni permeabili ghiaiosi o sabbiosi, le acque si trovano sotto pressione, e, dotate di potere ascensionale, si spirgono enche s&pra il livello del suolo se vengono raggiunte dalla sonda. (E. TISSI). CouLanT E. — Sull’esplorazicne mineraria dell’Italia Libica. (Rass. min., vol. XXXVIII, n. 5, pag. 81-83). — Torino. L’autore espone alcune considerazionijsull’utilità di un accurato studio per la ricerca di sostanze minerali utili nella Libia italiana ed in modo speciale dei giacimenti fosfatici. (E. TISSI). CraveRI M. — Cenni di geologia applicata sul territorio di Calliano Mon- ferrato. (Boll. Soc. geol., vol. XXXI, fasc. 3-4, pag. 395-411). — Roma. La nota contiene alcune osservazioni di geologia pratica che l’autore ebbe occasione di fare nel 1911 sul territorio di Calliano Monferrato. Oltre la descrizione della costituzione geolegica e dei caratteri orogra- fici ed :drografici della località, l’autore si occupa anche dell’agricoltura, dell’igiene e celle risorse industriali di quella plaga monferrina. (E. TISSI). L'at Ure n + : } ’ Cai 2,4 4 Lat * Feto A LL BIBLIOGRAF GEOLOGICA ITALIANA, 19130 " CREMA C. — Relazione preliminare sulla campagna geologica dell’anno 1911. Abruzzo Aquilano. Foglio 145. (Avezzano). (Boll. R. Com. geol. it., vol. XLIII, fase. 1°, pag. 61-68). — Roma. La zona studiata è compresa fra il fiume Salto e la conca aquilana esten- dendosi all’incirea dal rio Torbo alla valle Amara presso M. Orsello. L’impalcatura della regione è costituita dai calcari eretacei nei quali i fossili raccolti hanno permesso di accertare la presenza di almeno 3 piani: il Cenomaniano, il Turoniano ed il Senoniano. Su quest’impaleatura si ada- giano in perfetta concordanza pochi lembi di calcari numulitici (Eoc. inf.). Il Miocene è largamente rappresentato dalla nota formazione caleareo— marnosa-arenacea e sì adagia indifferentemente snl Cretaceo o sull’ Eocene. L’A. insiste particolarmente sull’importanza delle discordanze per ero- sione, che si osservano fra i calcari nummulitiei ed i caleari marnosi con fossili mioceniei e che talvolta sono messe in maggior evidenza dall’ inter- posizione fra le due serie di un conglomerato costituito. esclusivamente da ciottoli dei varii calcari eocenici, poichè questo fatto ben accertato permette di considerare come chinsa per la regione la così detta questione eo-miocenica. Il Quaternario comprende alluvioni a grossi ciottoli con ossa di grossi mammiferi; argille a Planorbis od a filliti con interletti tripolacei o ligniti- feri, piccoli lembi di pozzolane, ecc. Trattandosi di una regione poco estesa, priva di regolare delimitazione come di ogni unità orografica ed inoltre in gran parte circondata da terri- torii non per anco rilevati l'A. accenna appena alla tettonica essenzial- mente determinata da alcune grandi faglie. (C.-C.). CRUCIANI A. — Uno sguardo ai giacimenti metalliferi dei territori di Fiu- medinisi e di Novara di Sicilia, in provincia di Messina, ed alle loro condizioni di sfruttamento industriale. (Rass. ind. solf., Anno XXV, n. 2, pag. 1-6). — Caltanissetta. In questa nota, che fa seguito ad altra precedente sullo stesso argomento, l’autore enumera le località da lui visitate nel giugno 1911 nei territori di Fiumedinisi e di Novara di Sicilia (Messina), nelle quali scorgonsi traece più o meno promettenti di mineralizzazioni piombifere e eruprifere nonchè ve- stigia di lavorazioni eseguite in passato. Riferiti i rilievi fatti sul posto l’autore espone alcune considerazioni intorno alle modalità secondo cui dovrebbero condursi gli eventuali lavori di ricerca. (E. TISSI). METTO ; | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 ii; - RI0I CRUCIANI A. — Sui fenomeni di alterazione che si osservano agli affioramenti dei depositi metalliferi. (Rass. ind. solf., Anno XXV, n. 5, pag. 1-3). — Caltanissetta. La nota riassume il contesto di due articoli, l’uno dell’ing. F. Peters (Etude des altérations superficielles des gites métallifères) e l’altro del sig. W. H. Emmons (Afloramientos de los yacimentos metalliferos), pubblicati, il primo, nella « Révue Universelle des Mines et de la Métallurgie », e l’altro nel « Boletin de le Sociedad Nacional de Mineria del Chile », e l’autore ne applica le deduzioni ai giacimenti metalliferi di Fiumedimisi e di Novara di Sicilia — dei quali è parola nella precedente bibliografia — per ciò che con- cerne i ‘caratteri che essi presentano in vicinanza della superficie. (E. TISSI). CRUCIANI A. — Brevi appunti sulle concentrazioni di solfato di soda con rife- rimento agli analoghi depositi della Sicilia. (Rass. ind. solf., Anno XXV, n. 7, pag. 1-7). — Caltanissetta. La nota ha per oggetto i giacimenti di solfato di soda che rinvengonsi in contrada Mangiabue, territorio. Comunale di Montedoro (Caltanissetta) e che per qualche tempo formarono oggetto di coltivazione. 7 _ L’autore riassume le teorie esposte da vari studiosi sulle caratteristiche e sul modo di formazione del solfato di soda e ritiene che la sua minero- genesi sia intimamente connessa con quella dei depositi di salgemma della Sicilia, dei quali egli ebbe ad occuparsi in precedenti scritti. (E. TISSI). Cuccia L.— Sull’ematite del Vesuvio. (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, Vol. XXII, fasc. 11°, pag. 587-593). — Roma. Sono esposti i risultati degli studi dall’autore eseguiti su di un cam- pione di ematite proveniente dal Fosso di Cancherone (Somma-Vesuvio) e che si conserva nel Museo mineralogico della R. Università di Parma. Scopo della memoria è di aumentare il numero di osservazioni per la determinazione del rapporto assiale dell’ematite, per il quale furono, da pa- recchi cristallografi, trovati valori non del tutto concordanti. (E. TISssI). DE ALESSANDRI G. — Sopra l'età degli scisti bituminosi di Besano. — Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXII, fasc. 10-20, pag. 160-164). — Roma. In un suo precedente lavoro sopra l’ittiofauna triasica lombarda, l’autore stabiliva che gli scisti di Besano potevano considerarsi coevi a quelli di Raibl, ed alla medesima conclusione erano prima di lui pervenuti altri studiosi. PRI e STE PALE PI) RP INR e cd. MTA RI Re PR TIE UU 9 , ÙI TRI GPL M GUTN DC SITOPRLA ARTI gr La 4 vit A dalia Dit lla BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 191 Ma in un recente studio sui molluschi fossili degli stessi giacimenti, il dott. Airaghi affermò che gli strati contenenti i fossili dall’autore studiati, che sono gli strati più profondi della zona bituminosa, siano da riferirsi alla parte superiore del Muschelkalk inferiore o precisamente alla zona a Ceratites. trinodososus. \ Una tale affermazione è recisamente combattuta dall’autore nella pre- sente nota, nella quale si fa notare che l’appartenere i molluschi a tipi del Muschelkak non indica affatto che la formazione non appartenga al Rai- bliano, mentre potrebbe invece indurre la persistenza di una fauna sopra- vissuta e rappresentare precisamente i legami fra due faune di zone che si susseguono. (E. TISSI). De GasPrRI G. B. — Ghiacciai e traccie glaciali nelle Valli di Salarno e Adamè (Gruppo dell'Adamello). (Boll. del Club Alp. it., Vol. XLI, n. 74, pag. 53-80, con 10 fig.). — Torino. Pai Questa nota riassume le ricerche eseguite dall’autore per incarico della Commissione del Club Alpino Italiano per lo studio dei ghiacciai, allo scopo specialmente di porre i primi segni sulle fronti di quelli che scendono dal Pian di Neve dell'Adamello verso la Val Camonica. Il lavoro di segnalazione fu in parte impedito dalle particolari condi- zioni delle ‘fronti e dai rivestimenti nevosi; nella circostanza l’autore ha potuto tuttavia fare alcune osservazioni sulle caratteristiche forme di mo- dellamento glaciale, splendidamente conservate nelle due valli di Salarno ed Adamè, grazie alla resistenza della roccia granitica che costituisce la quasi totalità del Gruppo dell’ Adamello. Nella nota sono descritti : 1° i ghiacciai dell'Adamello ; 2° le valli che circondano il Gruppo del- l’ Adamello ; 3° la topografia della Valle di Salarno ; 4° i profili trasversali nella Valle di Salarno; 5° il fondo della Valle di Salarno; 6° il Ghiacciaio di Salarno ; 7° le rappresentazioni cartografiche del Ghiacciaio di Salarno ; 8° i segni sul Ghiacciaio di Salarno ; 9° la Vedretta Millor; 10° i lembi di ghiaccio e nevai tra il Cornetto di Salarno ed il Corno Triangolo ; 11° il Ghiacciaio del Giojà; 12° il Ghiacciaio di Poja; 13° altri nevai sotto la Cresta Gioià-Lendeno ; 14° i Laghi di Salarmno e Macesso "i 15° il Laghetto di Gana; 16° la topografia della Valle Adamè; 17° la morfologia dei fianchi della Valle d’Adamè; 18° il fondo della Valle Adamò ed i bacini lacustri col- ‘ mati; 19° il Ghiacciaio d’Adamò; 20° la Cartografia del Ghiacciaio d' Adamò; 210 il Ghiacciaio sotto la Cima Levade; 22° i ghiacciai e nevai sotto la Cresta M. Fumo-Corno di Greno; 23° le variazioni dei ghiacciai nella zona CI w Pd n i «A * VA NAS Eta Usi | RIBLIOGRAFIA eta ITALIA Dall’esame diretto dei ghiacciai l’autore ha potuto raccogliere indizi assai appariscenti di un forte ritiro dei ghiacciai maggiori e della non antica scom- parsa di altri che si trovavano nei circhi delle due creste di Poja e Buciaga. | Le prove migliori del ritiro si hanno nei ghiacciai principali che scen- dono dal Pian di Neve e nelle morene, pur esse moderne, che cingono le fronti dei due ghiacciai e che attestano del notevole sviluppo e del susse- guente ritiro di questi. (E. Tissi) DE Gasperi G. B. — Doline alluvionali nell’anfiteatro morenico del Taglia- mento. (Mondo sott., Anno IX, N. 3, pag. 65-68). — Udine. Sono descritte in questa nota le piccole conche scodelliformi esistenti nella località denominata « Valle morta », fra S. Daniele del Friuli e Faga— gna, che l’autore riconobbe peridoline di sprofondamento, per le quali hanno appunto scolo le acque che precipitano entro i limiti del baciro. Sono circa una trentina con diametro di 7 a 10 metri e con profondità non superante i due metri; la loro forma prevalente è quella @ piatto. L’affondamento del terreno è l’origine prima della dolina e l’ingrandi- mento della medesima si effettua mediante successivi smottamenti dei cigli della depressione. In certe doline è dato seguire il fenomeno pelle varie fasi del suo ciclo di sviluppo. La causa dello sprofondo è la suberosione della roccia sottostante al materiale detritico della superficie. Le doline di quell’anfiteatro morenico riproducono in piccolo gli spro- fondi della pianura pontina edi forans di Vicinale di Buttrio. Consimili doline furono osservate in Carnia nei materiali detritici che ricoprono i gessi e sul Piano di Cansiglio ed in generale in tutte le regioni ‘carsiche ricoperte di detriti e di terra rossa. Anche le conche lacustri sopra ai gessi di Sicilia, studiate dal Marinelli, entrerebbero — secondo l’autore- in questo ordine di fenomeni. (E. TISSI). DEL CAMPANA D. — Nuovo contributo alla (conoscenza del cane quaternario della Vaidichiana. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXI, fasc. 3-4, pag. 343-358, con 2 tav.). — Roma. Il risultato delle osservazioni svolte nella memoria è quello di consta- tare, una volta ancora per la Toscana, l’esistenza di resti di un Cane qua- ternario avente notevoli somiglianze al Canis familiaris Linn., e che po-. teva raggiungere dimensioni assai vicine a quelle di un grosso lupo. Il cane di cui trattasi, vissuto durante il Post—-pliocene nella Val di Chiana, presentava caratteri abbastanza uniformi, i quali allontanavano — È a: î E è | vo eta, Mi - n : Ro BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 191 come lo ha dimostrato l’esame minuzioso dei resti fossili — il Cane della Val di Chiana dal Canis lupus Linn., avvicinandolo invece al Canis familiaris Linn. Con ciò resta provata l’esistenza, [anche nel Quaternario d’Italia, di quella forma speciale di Cane che già da tempo era stata segnalata in Francia e che il Bourguignat chiamò col nome di Canis ferus, forma che — - secondo l’opinione di autorevoli scienziati — sarebbe stata addomesticata dall’uomo neolitico ed avrebbe dato origine, per via di selezioni e di ineroci, alle razze domestiche attuali. (E. TISSI). DEL CAMPANA D. — Batraci e rettili della grotta di Cucigliana ( Monti Pisani). (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXI, fasc. 3-4, pag. 412-418). — Roma. Le specie che l’autore viene illustrando in questa nota sono le seguenti: Bufo rulgaris Laur. Bujo viridis Laur. Zamonis viridiflavus Lacèp., ed i relativi avanzi provengono dallo strato superiore della Caverna, che è formato di terra rossa con frammenti di calcare, coproliti ed ossa, crani e mandibole di Hyaena, ossa e denti di Cervus, Bos, Equus, Lepus, Sus, ecc. Mancano resti di Carnivori e del EkQinoceros. La determinazione specifica dei due batraci è stata fatta in seguito a confronti con materiale di altre località toscane; pel rettile è solo da no- tare che è di maggiori dimensioni dei termini di confronto viventi. (E. TISSI). D’Erasmo G. — Il Saurorhamphus Freyeri Heckel degli scisti bituminosi cretacei del Carso triestino. (Riv. it. di Paleont., Anno XIX, fase. II, pag. 27-28). — Parma. Nella memoria sono descritti ed illustrati i fossili provenienti dagli strati di calcare bituminoso seuro del Carso triestino, resti che comparati con gli esemplari stati in precedenza studiati da Heckel e da Kner per- mettono di stabilire com’essi appartengano alla famiglia Enchodontidae e al genere Saurorhamphus, elementi rappresentati finora da una sola specie, la Freyeri Heckel, riscontrata esclusivamente nel Cretacico del Carso triestino. Gli strati da cui derivarono i fossili furono riferiti al Cenomaniano ; gli esemplari studiati sono di pertinenza del Museo di Storia naturale di Trieste. (E. TISSI). tlc I AT AL an ne PISO. eil ti LA RPG d st “PRI i. d 4 % a i “{ SIRo® | DI D , “i “ " BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 n° e DE STEFANI (\. — La zona serpentinosa della Liguria occidentale. (Rend. R. Ace. Lincei, S. V., Vol. XXII, fase. 10°, 1° sem., pag. 661-671). — Roma. Riassumendo il contesto delle osservazioni esposte nella memoria, l’au- tore afferma che nella sezione esaminata a ponente della Polcevera i cal- cari triassici non formano già un unico anticlinale ma bensì una serie di cupole anticlinali e di ellissoidi distinte, aventi direzione meridiama, salvo lievi spostamenti prodotti dai moti più recenti dei terreni circostanti. Afferma altresì che la medesima disposizione ad anticlinale si ripete nelle rocce tutte che sovrastano al Trias, le quali continuano da occidente “ad oriente costituendo una sola formazione riferibile ad una medesima età. Sostiene l’autore che sono i metamorfismi che hanno dato a gran parte delle rocce sedimentarie coceniche e ad una parte delle coetanee rocce erut- tive l’aspetto attuale alquanto diverso da quello delle consimili rocce orientali. La qual cosa, del resto, si verifica — sempre secondo l’autore — in tante altre regioni dell’Eocene superiore, come nella Montagna Reggiana, a Boccheggiano, aTalamonaccio ed in vari punti circostanti i graniti di MonteCapanne all’Elba. Quanto ai diaspri che sitrovano intercalati nelle masse più alte e presso al limite occidentale della massa serpentinosa l’autore ritiene che essi, egual- mente che altri dell'Appennino già noti ed egualmente che le rocce nelle quali alternano, appartengono all’Eocene superiore. Il Secondario, soggiunge l’autore, è rappresentato da rocce ben diverse, esattamente rispondenti fra loro, alquanto più ad occidente nelle Alpi! marittime e più ad oriente nel- l'Appennino Ligure e Toscano, onde non si può ritenere che la serie com- prensiva del Secondario e dell’Eocene sia rappresentata dalla zona delle si rocce verdi della Liguria occidentale. Relativamente ai carreggiamenti, cioè alle tracce di trasporto dell’intera zona serpentinosa da lontane regioni, l’autore sostiene che non ve ne sono, e che anzi la zona è nell’insieme talmente 1egolare che ben mostra di essersi formata in posto come le altre simili dell’Eocene superiore, anche fossilifero, dell'Appennino. Termier e Boussac sostengono l’esistenza di carreggiamenti Ù nel massiccio cristallino Savonese, come pure sostengono che i mierogneiss del litorale di Savona formino tutt’ una continuazione ed un ricoprimento coi graniti e coi gneiss cloritici dell’interno, aventi anche tutt’altra disposizione stratigrafica ed età più antica. Ma una tale concezione non è condivisa dal- l’autore, il quale ritiene che l’ipotesi di un carreggiamento o scorrimento, quando questo s’ intenda in senso molto più lato di un locale rovesciamento, non regge all’analisi stratigrafica e le due isole granito-gneissiche del Savonese hanno tutta l’aria di avere radice in situ. (E. TISSI). » % va o A è, sm ii SR PRI È NI o) PRETI ‘ dl agli fa Gi DA, 28 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 x LAN pv. DE STEFANI C. — L’arcipelago di ‘ Malta. (Rend. R. Ace. Lincei, S. V, vol. XXXII, fasc. 1°, 1° sem., pag. 3-12, e fasc. 2°, I° sem., pag. 55-64). — Roma. La successione stratigrafica dei terreni nel gruppo maltese è, secondo l’autore, la seguente, cominciando dall’alto: 7°) Calcari superiori a Nulliporae: Elveziano. 6°) Sabbie verdi: Elveziano. i 5°) Argille turchine superiori: Langhiano con passaggio al Tortoniano. mi, 49) Marne a Globigerinae : Langhiano. È; 3°) Calcari inferiori a Nulliporae Amphisteginae e Orbitoides : Elveziano. 2°) Argille turchine inferiori: Tortoniano con passaggio al Langhiano, 1°) Calcari inferiori di Ras il Kala: Aquitaniano od Elveziano. Mancano nelle isole terreni rappresentanti del Pliocene. Gli anzidescritti orizzonti formano, nell’insieme, un tutto inscindibile tanto stratigraficamente che paleontologicamente ; gli strati non hanno uno spessore uniforme, ma sono piuttosto masse prevalentemente marnose, nelle quali alternano lenti argillose di variabili dimensioni, con intercalazioni e sovrapposizioni di calcari a Nulliporae. Numerosi fossili sono stati dall’autore raccolti nei diversi livelli. Relativamente alla morfologia l’autore rileva che spiccato carattere delle coste di tutto il gruppo è quello di essere ripidissime, il quale fatto è dovuto alla attivissima corrosione marina. Sulla superficie dei calcari e puranco delle marne si osservano fenomeni carsici di qualche importanza. | Dove il calcare è più compatto, la superficie è conformata a Karren; origine carsica, hanno pure — sempre secondo l’autore — molte cavità cir- colari visibili in varie località, nonchè molte delle caverne e fessure nelle marne e nei calcari che ricettarono brecce ossifere del Postpliocene. (E. TISSI). DE SrEFANI C. e Srorza M. — Creta superiore da Orjella al Gebel Soda in Tripolitania. (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, vol. XXII, fase. 11°, 1° sem., pag. 744-749). — Roma. In questa nota sono descritti i fossili raccolti dallo Sforza nel suo for- tunoso viaggio in Tripolitania, lungo il percorso da Orfella al Gebel Soda. ‘ I fossili in parola furono determinati dal De Stefani; essi appartengono tutti alla parte più alta della Creta superiore, al Maestrichtiano e forse in parte anche al Daniano, cioè al limite inferiore dell’ Eocene. Le rocce che Pe sel > [egg vg (ee @ Riad (0 8] 4a, { + ‘ if e i La BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 racchiudono i fossili sono calcari gialli o bianchi, calcari con selce e cal- cari con noduli limonitici, i quali indicano un mare cretaceo molto esteso e poco profondo. (E. TISSI). DE STEFANO G. — Studio sopra due forme fossili del genere Bos Linneo attri - | buite al Quaternario dell’isola di Pianosa. (Boll. Soc. geo]. it., vol. XXXII, d pag. 49-100, con 2 tav.). — Roma. di DE STEFANO G. — Alcuni avanzi di mammiferi fossili attribuiti al Quaternario dell’isola di Pianosa. (Atti Soc. it. Sc. nat., vol. LII, pag. 1-8, con 1 tav.). — Milano. DE STEFANO G. — I cervi e le antilopi fossili attribuiti al Quaternario dell’isola di Pianosa. (Atti Soc. it. Sc. nat., vol. LII, pag. 105-155, con 1 tav.). — Milano. DE STEFANO G. — Osservazioni paleontologiche e deduzioni cronologiche sulla fauna dei mammiferi fossili attribuiti al Quaternario dell’isola di Pia- 3 nosa. (Riv. it. di Paleont., Anno XIX, fasc. IV, pag. 88-104). — Parma. Premette l’autore che nel 1861 il ministro della Pubblica Istruzione acquistò per il Museo di Torino, da un certo Pisani, una ricca collezione mineralogica e paleontologica proveniente dalle isole dell'Arcipelago toscano, e precisamente da quelle del Giglio, della Pianosa e dell'Elba. Secondo le indicazioni fornite dallo stesso Pisani gli avanzi dei mammiferi fossili del- l’accennata collezione erano stati raccolti alla Pianosa, e infatti alle breccie ossifere quaternarie della stessa isola essi furono in seguito attribuiti tanto dal Gastaldi quanto dal Ritimeyer,i quali ebbero più volte occasione di occuparsene nelle loroîricerche scientifiche ed anche di illustrarli e descriverli. Senonchè dopo la pubblicazione dei loro lavori, la provenienza dalla isola di Pianosa dei resti fossili di cui trattasi è [stata messa iu dubbio dal Forsyth Major, il quale nel 1882 e 1883 ebbe a dichiarare che le ossa fossili citate dal Gastaldi erano, almeno in parte, state raccolte all’ isola d’Elba, mentre alla Pianosa non si conoscevano con certèzza altro che avanzi poco î‘coneludenti di Cervus e di Sus, conservati nel Museo di Firenze. Il dubbio veniva in seguito avvalorato dalle ricerche geo-paleontologiche | eseguite dal Simonelli sulle formazioni della stessa isola di Pianosa, ricerche che conducevano ad appoggiare indirettamente l’ipotesi già espressa dal Major. è PI Pa P I) E e £ <= 7% al. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, lea 7 ve 6 i Convinto che un esame di osteologia comparata intorno ai fossili di cui trattasi avrebbe permesso di portare un po’ di luce sul controverso problema della loro età e della loro provenienza, l’autore si è deciso a riprenderli in esame. I risultati di tale studio sono stati recentemente pubblicati nei tre precedenti lavori nei quali sono illustrati tutti gli avanzi attribuiti al Qua- ternario dell’ isola di Pianosa. Nella presente nota l’autore riassume sinteti- camente il complesso delle sue osservazioni, e rileva che gli avanzi dei mammiferi fossili conservati nel Museo geologico dell’Università di Torino, appartenenti alla così detta collezione Pisani, non rappresentano già un mi- scuglio di forme quasi tutte nuove e spettanti a diverse epoche geologiche, ma indicano invece, nel loro complesso, una fauna mammologica i cui ele- menti debbono associarsi quasi tutti a specie viventi, senza tuttavia escludere che qualche forma fossile possa essere considerata come una varietà pleisto- cenica delle specie viventi. La fauna in discussione deve verosimilmente riferirsi al Pleistocene più antico o a quei terreni considerati da alcuni geologi come formanti il pe- riodo di transizione fra il Pliocene e il Quaternario. Gli ossami di cui trattasi presentano tutti lo stesso grado o stadio di tossilizzazione e probabilmente appartengono tutti ad un medesimo giaci- mento o deposito che non può essere nè la Grotta di Reale presso Porto Longone all’isola d'Elba, nè alcuna delle breccie ossifere della Corsica, ma potrebbero assai verosilmente appartenere alla Pianosa. A favore di tale ipotesi militano molteplici ragioni, tra cui non ultima quella dei caratteri morfologici della fauna. Se poi i fossili in discussione non appartenessero alle breccie ossiìfere dell’isola di Pianosa e nello stesso tempo non potessero assere attribuiti nè all’Elba nè alla Corsica, allora il problema relativo alla loro provenienza diverrebbe di difficilissima soluzione. In tal caso — osserva l’autore — occorrerebbe vedere fino a qual punto sia ammissibile l’opinione che tali fossili possano considerarsi come appar- tenenti all’antico scomparso continente Thyrrenis, di cui alcuni geologi ne- gano l’esistenza mentre diversi fatti paleontologici inducono a ritenerlo effet- tivamente esistito. (E. TIssI). De STEFANO G. — Sul Pleistocene marino calabrese. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXII, fasc. 3°, pag. 359-370). — Roma. Prendendo occasione da alcune recenti pubblicazioni del naturalista fran- cese Gignoux sulle formazioni quaternarie marine del bacino mediterraneo occidentale, ed in ispecial modo su quelle della Calabria e della Sicilia, l’au- 8 2 rs LIO d | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 tore richiama alla memoria i lavori che sul medesimo argomento sono stati fatti in passato da altri studiosi e quelli altresì che — prima ancora degli altri — furono da lui stesso pubblicati sulle formazioni pleistoceniche ma- | rine della provincia di Reggio C., sull’origine dei terrazzi pleistocenici della Calabria e sul problema concernente la mescolanza di forme malacologiche contenute nei depositi marini quaternari ed oggi viventiin regioni assai di- verse per clima. i > Nella presente nota egli si duole ehe nonostante la indiscussa priorità cronologica, i suoi lavori non siano stati citati, neppure a semplice titolo bibliografico, dagli studiosi che dopo di lui si occuparono dell’ importante argomento, e tiene ora a far rimarcare che fra le tante ipotesi fornite dai geologi per spiegare la presenza delle specie nordiche nella fauna marina pleistocenica calabrese, una ve n’è sua, la quale potrebbe anche essere vero- simile perchè confortata da notevoli riprove d’indole geo-fisica. Soggiunge quindi che tali specie nordiche non dimostrano per nulla lo spostamento del polo boreale, il quale — secondo l’ipotesi prospettata da qualche studioso —- all’epoca glaciale si trovava prossimo alle nostre Alpi piemontesi. (E RISSI), i) DE STEFANO G. — Sul Chelone (Euclastes) Melii Misuri sp. del calcare mio- cenico leccese. (Riv. it. di Paleont., Anno XIX, fasc. 1°, pag. 17-22}. — Roma. La nota ha per oggetto una tartaruga fossile, trovata nel calcare mio- cenico di Lecce e che il dott. Alfredo Misuri aveva riferito ad una nuova specie del genere Euclastes Cope ( Euclastes Melii Misuri), genere che, se- condo le osservazioni di vari studiosi, deve rientrare in sinonimia col ge- nere Lytoloma, fondato dallo stesso Cope. L'autore però ritiene che il genere in discussione non può essere asso- ciato al genere Lytoloma (= Euclastes) come ha creduto il dott. Misuri e come, in dipendenza d’un esame superficiale, aveva nel 1909 opinato anche l’autore medesimo, il quale ora invece crede che la tartaruga fossile leccese debba essere verosimilmente ascritta all’odierno genere Chelone Brongniart. Ciononostante l’autore riconosce che il lavoro del dott. Misuriha grande interesse perchè il nuovo tipo in esso descritto indica — salvo errore — il primo rappresentante miocenico del genere Chelone finora conosciuto in Italia. (E. TISSI). PSI) «TONE STR en i È la Ai I, TT, n 6. ; Lidi n E VETO SITA NPA o BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 191300 FABIANI R. — / bacini bell’ Alpone, del Tramigna e del Progno d’Illasi mei Lessini medî. (R. Mag. Acque — Uff. Idrogr., Pubbl. N. 44 e 45, con 10 tav.). — Venezia. In seguito all'accordo intervenuto tra l’Ufficio Idrografico del R. Magi- strato alle Acque e l’Istituto di Geologia della R. Università di Padova per il rilevamento geologico-idrografico della regione vicentina e veronese, l’au- tore, per incarico avuto dal prof. Dal Piaz, Capo della Sezione Geologica dell’ Ufficio Idrografico, seguendo le norme concretate per gli studi di cui trattasi, eseguì il rilevamento dei bacini montani dell’Alpone, del Tramigna e del Progno d’Illasi, nei Lessini ‘medî, e ne espone i risultati nella presente pubblicazione. Dopo studiata la serie cronologica e litologica dei vari terreni, l’autore ne prende in esame la tettonica, illustrandola con opportune descrizioni e con spaccati che mettono in evidenza la struttura della parte montuosa ed i suoi rapporti con la morfologia e col funzionamento idrologico generale. L’autore ha infquesta occasione rilevato ex novo la carta geologica della regione portando con ciò notevoli modificazioni alle carte geologiche prece- denti, specialmente per ciò che concerne i terreni eruttivi. L’autore divide il suo lavoro in due parti principali. La 12 parte com- prende lo studio geologico, morfologico ed idrografico della regione e costi- tuisce la pubblicazione n. 44; la 2 parte, che forma la pubblicazione 45, tratta della permeabilità delle roccie nei bacini dell’Alpone, del Tramigna e del Progno d’Illasi. è La pubblicazione è corredata da numerose figure e tavole, tra cui la carta geologica dei Lessini medii alla scala di 1: 75.000; la carta geologica dei dintorni di Bolca alla scala di 1:10.000; varie sezioni geologiche nel rapporto di 1: 50.000; alcuni profili longitudinali dei torrenti e — finalmente — la carta della permeabilità) delle rocce, con indicazioni idrologiche, nella scala di 1 a 100.000. (E. TISSI). FeruGLIO E. — Fenomeni carsici nella valle fdell’Alberone. (Mondo sott., Anno IX, n. 2, pag. 37-42). — Udine. Riferisce l’autore che nelle colline comprese fra i torrenti Alberone e Cosizza, e precisamente nell’ultimo tratto che si spinge fino alla confluenza delle valli formate dai suddetti torrenti, si trovano parecchie doline di cui alcune notevoli per forma e per dimensioni. Le colline eoceniche sono litologicamente costituite di conglomerati pseudo-cretacei ad elementi piuttosto minuti, alternanti con marne e brecciole peri ue” ; i PA *. Fe ui LO 11 ig h4 LA Het È) SÙ PR OGICA ITALIANA, 1913 Ad do A < LI G Pi BIBLIOGRAFIA GEOL calcaree ; il conglomerato apparisce raramente alla superficie e spesso si disgrega in una ghiaietta ad elementi svariati. Dopo di avere partitamente descritte ed illustrate alcune di quelle do- line, l’autore fa notare che rispetto ai loro caratteri morfologici esse pos- sono dividersi in due tipi speciali. | A11° tipo appartengono le doline provviste di inghiottitoio, il quale serve ad assorbire un corso d’acqua superficiale. L° inghiottitoio ha dimensioni molto variabili e può essere una piccola grotta assorbente od una voragine. ‘Al 2° tipo appartengono le doline non provviste di inghiottitoio, varia- bilissime — come le precedenti — per dimensioni, coperte da una coltre er- bosa e da cespugli attraverso cui raramente affiora la roccia. In entrambi gli accennati tipi si possono distinguere doline a piatto, doline a scodella e doline ad imbuto. L’autore espone, per ultimo, alcune considerazioni circa l’origine di tali doline, ritenendo che la loro orogenesi non debba disgiungersi da quella delle doline che si trovano nei terreni fessurati. (E. TISSI). FucINnI A. — Sulla fauna di Ballino illustrata dal dott. Otto Haas. (Atti Soc. tosc., Proc. Verb., Vol. XXII, N. 4, pag. 46-48). — Pisa. Dopo avere ricordato che il dott. Otto Haas ha di recente pubblicato una bella ed interessante monografia sulla fauna del Lias medio di Ballino (località non molto discosta da Riva di Trento), ‘pubblicazione fche {è di grande importanza per la geologia e la paleontologia italiana, perchè illustra una fauna per l’avanti poco conosciuta, l’autore osserva tuttavia che la fauna in parola, dall’Haas riferita indistintamente al Domeriano, dovrebbe invece per i Brachiopodi ascriversi al {Charmouthiano inferiore, assoluta- mente straordinaria essendo la loro corrispondenza con quelli di tale età dell’ Appennino Centrale. Relativamente alla fauna ammonitica, ricchissima di specie e che ri- specchia perfettamente le nostre faune medoliane, l’autore osserva che in essa vengono dall’Haas con sicurezza elencate alcune specie di Arieti, distri - buiti anche in diversi sottogeneri. L’autore invece è d’avviso che tali forme possano più logicamente ri- ferirsi ad Arieticeras, ed esprime la speranza che l’Haas, riprendendo in esame l’importante questione con migliore e più copioso materiale, possa chia - rirla anche per ie altre specie da lui riferite al genere Arietites. (E. TISSI). Uta o, ns, ni ATTRI rat A Lal | AVA I ht 4 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913/00 FuciNnI A. — Cenni preventivi sulla geologia del Monte Pisano. (Atti Soc. tose., Proc. Verb., Vol. XXII, n. 4, pag. 43-46). — Pisa. Le concezioni dell’autore per ciò che concerne le formazioni del Verru-. cano, concezioni in molte circostanze accennate ma più concretamente esposte nella Geologia del Promontorio Argentario differiscono sostanzialmente da quelle finorà sostenute da altri studiosi. L’autore ritiene mesozoico ed anzi cretaceo il Verrucano del Monte Pi- sano, mentre altri sostengono essere esso tutto permiano. Ciò stante, sorse nell’autore il proposito di intensificare le proprie inve- stigazioni sulla formazione verrucana del Monte Pisano e su quelle che l’ac- compagnano, e ciò allo intento di stabilire quali delle esposte teorie fossero più attendibili. Egli afferma che lo studio intrapreso è a buon punto e con la presente nota accenna ai risultati generali ottenuti relativamente alla successione cronologica dei terreni. Nelle formazioni scistose del Monte Pisano egli rin- venne numerosi fossili, di cui determina 24 specie, che — a suo avviso — indicano la corrispondenza della formazione toscana con quella del Wealdiano inglese ed annoverese, a facies d’estuario. È (E. TISSI). GALDIERI A. — L'origine della terra rossa. {Ann. Scuola sup. agr. Portici, S. II, Vol. XI). — Portici. La grande importanza che per l'agricoltura meridionale presentano i de- positi di terra rossa, indusse l’autore a riprendere in esame l'argomento, anche in considerazione che il problema non è stato finora sufficientemente studiato e non può quindi ritenersi esaurientemente risolto. L’autore è anzi d’avviso che le interpretazioni fin qui date non solo non spiegano tutti i fatti, ma sono anzi in contraddizione con molti di essi, e ritiene perciò probabile un’ altra ipotesi, che in questa nota egli si limita ad esporre nei suoi tratti principali, riservandosi di dare in seguito l'illustrazione completa delle sue osservazioni. Dopo discusse e confutate le precedenti ipotesi, basandosi sulla valuta- zione dei caratteri desunti dalla giacitura e dalla costituzione mineralogica e morfologica delle terre rosse dell’Italia meridionale, egli osserva che per spie- gare tutti i fatti bisogna ricorrere ad una nuova ipotesi: bisogna, cioè, am- mettere che esse non siano terreni eluviali ma bensì colluviali. in altri termini devesi ritenere che si tratti di depositi eolici analoghi al loess, allo fschernosem, al regur, all’adobe, ecc. Egli afferma che in ciascuna delle ipotesi fin qui pro- spettate sull'origine della terra rossa vi è qualche cosa di vero. Intatti alla d » Pe * * ? "VW TATA i na Pra x Bi) "i ” va f È i, ‘a TELI fi 44 1 MID, si i à BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 sua formazione hanno contribuito anche dei materiali di origine endogena; vi sono delle terre rosse derivanti dal rimaneggiamento di altri giacimenti con- simili assai più”antichi; il residuo insolubile dei calcari può avere anch'esso contribuito alla formazione della terra rossa per quella qualsiasi parte che può essere divenuta preda del vento; anche i geli di idrato ferrico e di idrato alluminico precipitati dalle soluzioni dei calcari possono avere prodotto da soli qualche terra rossa. Però nessuna delle suddette ipotesi, presa isolatamente, può spiegare l’origine delle terre rosse dell’Italia meridionale. Queste, infatti, devono ritenersi, in base ai loro caratteri stratigrafici, mineralogici e morfologici, derivate dal limo atmosferico depositatosi sul suolo calcareo quando questo era stato già modellato presso a poco nella sua forma attuale e le parti che sovrastavano alla superficie di deposizione erano già state erose e fluitate; e deve la sua particolare composizione spe- cialmente a processi chimici speciali, e, fra l’altro, alla presenza del carbo- nato calcico ed alla elevata temperatura che le località ove ora la troviamo avevano quando essa vi si è depositata. {E. TISSI). GALDIERI A. — Sw di una calcite feltriforme di Nocera. (Annali R. Scuola sup. agr. Portici, S. II, Vol. XI). — Portici. Il minerale che forma oggetto della presente nota fu rinvenuto fra alcuni tagli vulcanici nella collina di Torricchio, presso Nocera dei Pagani, ed in altri punti della Campania, immediatamente al di sotto della terra vegetale. Esso trovasi fra gli interstizî del lapillo che riempie quasi interamente, e ad occhio nudo si presenta come una massa poco coerente, soffice, leg- gera, di color bianco niveo, talora bianco latte o anche bianco sporco per impurità. Fsaminato con la lente lo si riconosce costituito da un feltro di cristallini minutissimi, molto allungati. Il suo peso specifico è = 2,67 a 22° C. Sia per il suo aspetto, sia per i suoi caratteri ottici rassomiglia grande- mente al carbonato di calcio idrato trovato da Ivanoff nelle cavità delle marne eoceniche presso Gora Pulawska, in Russia. L’uno e l’altro infatti non sono che varietà di calcite, a struttura feltrosa, in grado di condensare l'umidità atmosferica. L'autore ritiene che questo carbonato di calcio provenga dal calcare sot- tostante. Nel caso di Nocera il minerale è abbondante perchè le condizioni sono ivi assai favorevoli, trovandosi, a piccola profondità, una falda idrica nel calcare. L'acqua di imbibizione di questo, ricca di bicarbonato di calcio, sale con facilità, specialmente d’estate, per le litoclasi o per i piani di stra- tificazione, verso il terreno vegetàle, aspiratavi per effetto della intensa | > tali i. a vitae PLETRI re pato Re n, sé sa ev RA RARORO stra » cad 7 4, Y R, "È Li . a È rt Te sn I ue _ n * tri DI rel LIL Li pali SE A 4 St È ei ; i) } la {fears Mad up» 6 i v MAZZI ha n p F el ‘4 È 84 4 rata - ha dl | "i ; A È (Po) SUR Ù v% vi si x Do . Red» 36 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 evaporazione superficiale. Essa fluisce in forma di veli lentamente ascendenti, che rivestono i singoli lapilli. Negli interstizi del lapillo, straordinariamente poroso e permeabile, la soluzione viene estesamente a contatto con l’aria cui cede vapor d’acqua ed anidride carbonica, lasciando lentamente cristallizzare la calcite in aghetti finissimi e perciò fortemente igroscopici. (E. TISSI). GALDIERI A. — Sul bolo di Terra d'Otranto. Portici, S. II, Vol. XI). — Portici. (Annali R. Scuola sup. agr. Le considerazioni esposte in questa nota possono riassumersi come segue : 1° Che molti autori, menzionando la terra rossa dell’Italia meridionale, la chiamano senz’altro bolo o terra bolare, mentre ciò non è esatto inquan- tochè in Terra d'Otranto vi è del così detto bolo, finora confuso con l’ordi- naria terra rossa e ritenuto superficiale, che giace invece intercalato nei calcari; 2° Che un tale bolo, finora ritenuto quaternario, anzi recente, è invece più antico, probabilmente miocenico o anche premiocenico e contiene grosse pisoliti ocracee, dette localmente uddìe ; 3° I calcari sopportanti il bolo ad uddèe hanno sofferto, prima della sua deposizione, una intensa degradazione ; | 4° Il bolo ad «ddèe, posteriormente alla sua formazione, ha subìto, in alcune sue parti, una lisciviazione del ferro. (E. TISSI). GALDIERIA. — Osservazioni sui calcari di Pietraroia in provincia dì Benevento. (Rend. R. Acc. Sc. Napoli, S. 3a, Vol. XIX, fasc. 6° a 10°, pag. 164-171, con 1 tav.). — Napoli. La nota mette in rilievo i caratteri litologici e le determinazioni ero- nologiche e paleontologiche dei calcari ad ittioliti di Pietraroia, che hanno fornito la celebre itticfauna illustrata dal Costa e dal Bassani, e che proven- gono specialmente dalle cave situate un centinaio di metri a Nord di Pietraroia. (E. TIssI). GALDIERI A. — Sulla fosforite di Leuco.* (Estr. Atti R. Ist. Tncorag Na- poli, S. VI, Vol. X, opus. di 10 pag.). — Napoli. La nota contiene varie considerazioni, in aggiunta a quelle in precedenza esposte da altri scrittori, sul giacimento di fosforite di S. Maria di Leuca, che affiora ad Ovest della cosi detta Torre Mozza, presso le Casine di Leuca, e che si può comodamente osservare nella località detta Grotta dei Panni, a brevissima distanza dalla spiaggia e a pochi metri sul livello del mare. Il i doti0'0l4i 0a: rie ia N, À É DE È 5 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 giacimento, che affiora per parecchie centinaia di metri, è costituito da uno speciale strato di càrpero, dello spessore di circa 80 cent., intercalato fra altri. . strati della medesima roccia. Com’è noto, il carparo è un tufo calcareo sabbioso, chiaro. leggero, po- roso, a grana piuttosto fina, ed essenzialmente costituito di sabbia conchi- gliare scarsamente cementata. Esso è molto diffuso nel Leccese,. e viene ascritto al Plistocene. Nello strato che costituisce il giacimento, a diffe renza che negli altri sopra o sottostanti al medesimo, sono racchiusi molti ciottoli di varia grandezza, di color bruno rossastro, duri e pesanti, che sono appunto i noduli di fosforite e che l’autore erede di origine alloctona. Nella nota sono espresse varie considerazioni sulla possibilità e conve- nienza di utilizzare quelle fosforiti a beneficio dell’agricoltura locale. (E. TISSI). GALDIERI A. — Su di una leucofonolite haiynitica del vulcano di Roccamonfina. (Rend. R. Ace. Se. Napoli, $. 32, Vol. XIX, fase. 6° e 10°, pag. 107-112). — Napoli. Osserva anzitutto l’autore come il vnleano di Roccamonfina, nonostante il grande interesse scientifico che presenta, sia stato finora studiato più dal punto di vista dei crateri di sollevamento che dal lato petrografico, e che anzi tutti gli studi finora compiuti su quel vulcano non valgono a far co- noscere con esattezza nè l’ordine di successione dei vari magmi eruttivi nè la vera loro natura petrografica, essendo state fin qui le rocce di Rocca- | monfina descritte con nomi diversi, senza gli opportuni richiami. La presente nota ha {specialmente per oggetto di far conoscere un mi- nerale di colore azzurrastro o verdastro, racchiuso inuna.lava: minerale che l’autore credette subito di poter ascrivere al gruppo della haiynite, ciò che i saggi di laboratorio hanno poi confermato. Ilî minerale in questione è infatti isotropo, presenta tracce riconoscibili di sfaldatura rombododecaedrica, è facilmente intaccato dall’acido cloridrico con separazione di silice gelatinosa, e dopo eliminata {la silice dà netta- mente la reazione dell’acido solforico. La roccia nella quale l’autore ha riscontrato l’haiynite appartiene falla formazione più recente di Roccamonfina e fu rinvenuta in località detta Taballario, alle falde del M. Mattone, ma fu dall’autore stesso {osservata anche in altre località non molto lontane, come lungo la via vecchia da Roccamonfina a Fontanafredda, dove si presenta in misura tutt’ altro che scarsa e facilmente distinguibile ad occhio nudo. Macroscopicamente la roccia mostrasi di colore grigio scuro, con grossi cristalli di leucite e di pirosseno, granelli di :haiiynite e laminette di mica. * d MR p SIUZOSEIOI TSE ATI, va ali Hib gra paia CARRA 38 STRLIOEMA MI GROTOGICI ERI 1913 CIR E Al microscopio si osserva una struttura che somiglia molto a quella delle leucititi; si ha, cioè, una massa fondamentale composta prevalente- mente di piccole leuciti rotondeggianti e subordinatamente di sanidino e di plagioclasio. Il pirosseno e la magnetite prendono pure parte ‘alla forma- zione della massa fondamentale, nella quale spiccano individui porfirici {di leucite, pirosseno, haiynite e biotite. i La presenza della haiiynite nella roccia in questione ed in generale in quel gruppo vulcanico non è certamente senza interesse, non essendo un tale minerale stato prima d’ora mai segnalato. (E. TISSI). GALDIERI A. e PAOLINI V.— Iltufo Campano di Vico Equense. (Atti R. Acc. Sc. Napoli, S. II, Vol. XV, N. 15, con 1 tav.). — Napoli. i Premettono gli autori che l’ossatura della penisola Sorrentina è {prin- cipalmente costituita da dolomiti del Trias superiore e da grandi masse cal- caree del Cretaceo cui si sovrappongono scarsi lembi del Terziario, e che su questi terreni fondamentali si vedono spesso depositi più o meno potenti di tufi vulcanici, tra i quali ha notevole importanza il tufo Campano, detto anche tufo pipernoide perchè somiglia al piperno. Esso è ordinariamente di colore grigio bruno, tendente talora al giallo ; più raramente è rossiccio o violaceo. Assai vario è il suo grado di compattezza ed è caratterizzato dalla pre- senza di piccole scerie nere e di geodi fluorifere ; altri? caratteri frequenti e facilmenti rilevabili sono la sonorità e la configurazione in grossi prismi irregolari. Ricordati gli studiosi che si sono in precedenza occupati del tufo cam- pano, tra cui vanno specialmente annoverati il Breislak, il Pilla, lo Scacchi, il Johnston-Lavis, il Deecke, il Ricciardi, il Tenore, il fFranco, il De Lo- renzo, gli autori espongono neila presente nota i risultati delle ricerche da loro eseguite sul tufo medesimo, e parlano della sua estensione e del suo spessore nei diversi punti della plaga occupata, della sua giacitura in rap- porto agli altri materiali vulcanici e alle rocce sedimentarie, ed esponendo, infine, alcune censiderazioni sulla sua origine e sulla sua età, che essi ri- tengono debba essere postwurmiana, ossia molto meno antica di quanto fu dapprima creduto. (E. TISSI). — GALLI I. — Il passato e il presente delle Paludi Pontine. (Atti Pont. Ace. Nuovi Lincei, Anno LXVI, Sess. III, pag. 85-90). — Roma, In questa nota l’autore dà diffusa notizia di un’opera sulle Paludi Pon- tine dell’Ing. Romolo Remiddi, che fu per qualche tempo direttore dell’uf- MERA dali Ma ) bet, cli n° di p° 4 sai Me ( Sic bia fi Sag x pie : | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 ficio tecnico fondato a Terracina dal Consorzio per la bonifica del territorio Pontino. L’opera pubblicata nel 1911, ha per titolo: «Memorie storiche e tecniche sulla bonifica delle Paludi Pontine ». (E. TISSI). GEMMELLARO M. — Crostacei e pesci fossili del Piano Siciliano dei dintorni di Palermo. (Giorn. Sc. Nat, ed Econ., Vol. XXX). — Palermo. In questa nota, corredata da nitide tavole, l’autore descrive ed illustra i crostacei ed i pesci fossili del piano Siciliano dei dintorni di Palermo, del quale erano stati, in precedenti pubblicazioni, descritti soltanto i molluschi e gli echinidi. Son descritte 19 forme di crostacei (tra cui due nuove) e 10. forme di | pesci; le specie studiate, salvo poche eccezioni, sono tuttora viventi nel Me- diterraneo ed anche in mari più freddi. Lo studio di questi resti, esistenti nelle raccolte del Museo di Palermo e del Marchese di Monterosato, viene a dimostrare che il piano . Siciliano dev'essere considerato come il membro più basso del Pleistocene e quindi distinto dal Pliocene. (E. TISSI). GORTANI M. — La serie devoniana nella giogaia del Coglians (Alpi Carniche). (Boll. Com. geol. it., Vol. XLIII, Anno 1912, fase. 2°-39, pag. 235-276). — Roma. Osserva l’autore che poche regioni alpine furono studiate da numerosi geologi quanto la regione del Coglians. Senonchè gli studi si erano di prefe- renza limitati al versante settentrionale od austriaco della giogaia, onde poche e contradditorie notizie si possedevano per ciò che concerne il ver- sante italiano. Una tale circostanza indusse l’autore a concentrare le sue investigazioni sul versante meridionale, ed i suoi studi permisero di stabilire la tettonica ela stratigrafia particolareggiata dell'intero versante, dimostrando altresì che le località italiane nulla hanno da invidiare alle austriache nè per interesse stratigrafico nè per importanza paleontologica. | Il recente studio dell’autore permise anzi di riconoscere nel versante italiano una sere molto più particolareggiata e completa, che risulta co— stituita come segue: 9°) Neocarbonifero. Scisti trasgressivi sui terreni più antichi. 8°) Neodevonico superiore. Calcari selciferi e reticolati. 7°) Neodevonico inferiore. Calcari reticolati. 6°) Mesodevonico superiore. Calcari grigi massicci con ricchissima fauna. AR nia Ì fx Ù i }s - È N dio A d AS 40 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 5°) Mesodevonico inferiore. Calcari grigi, compatti, fossiliferi. 4°) Eodevonico superiore. Calcari con fossili. 3°) Eodevonico medio. Calcari con ricca fauna. 2°) Eodevonico inferiore. Calcari grigi e neri, fossiliferi. 1°) Neosilurico superiore. Calcari neri, pure fossiliferi. Vengono pertanto accertati il Mesodevonico inferiore e l’Eodevonico %; medio, per l’innanzi non segnalati in Italia. Soggiunge l’autore che la serie devoniana: nella giogaia del Coglians è ora la più completa delle Alpi. Nel versante italiano si riscontrarono fos- silifere tutte le suddivisioni finora stabilite. La serie posa in perfetta concordanza sul Neosilurico più recente ed è ricoperta dagli scisti carboniteri trasgressivi: la trasgressione risulta tanto 6) dalle condizioni di giacitura quanto dalle risultanze paleontologiche. L’età neocarbonifera della formazione scistosa sembra, nel suo com- plesso, ormai fuori di discussione, e si può quindi escludere che la massa principale spetti all’ Eocarbonico; onde l’autore è tratto a concludere che È Va il corrugamento orogenico paleocarnico si verifica nel Carbonifero inferiore Li e non già nel Carbonifero medio come affermano gli studiosi oltramontani. Nel lavoro sono descritte e figurate le forme più caratteristiche dei di- versi piani, tra cui alcune forme nuove. (E. TISSI). i 1900 GoRrTANI M. — Sull’età delle antiche alluvioni cementate nella valle del Taglia- i mento. (Boll. Soc. geol., Vol. XXXI, fasc. 3-4, pag. 388-394). — Roma. Ù La nota concerne le varie interpretazioni prospettate circa l’età dei conglomerati esistenti nella valle del Tagliamento, in molte località della quale è dato rimarcare la coesistenza di due tipi di conglomerati, spesso molto simili fra di loro, ma di origine e di età ben diverse. Il conglomerato inferiore infatti sarebbe — secondo l’autore — un vero % conglomerato alluvionale; l’altro, invece, un conglomerato glaciale o fluvio- glaciale. sf Con ciò l’autore viene a dimostrare errata l'opinione del Brilekner il quale ritiene interglaciali i conglomerati di Ampezzo e di Verzegnis in Carnia, asserendo trattarsi di un delta del Tagliamento di età interglaciale. (E. TISSI). WTA sit: iodialint ii BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 heel 41 GorzincER G. — Zur Morphologie der Diamara in Dalmaetien. (M. d. k. k. Geogr. Ges., 55, H. 7-8, S. 468-474, Wien 1912, sunto nel Geol. Zentr., Bd., 19, N. 1, pag. 23). — Leipzig. Nei suoi tratti generali la costituzione geologica del Dianara si pre- senta come un complesso stratigrafico normale, immergente ad Est e costi- tuito da calcari, dolomiti e scisti marnosi dei periodi dal Giurese al Cretaceo. L’autore potè rinvenirvi, fino ad un’altezza di m. 1831, sicure tracce . di anticho glaciazioni e ne dedusse l’esistenza di un antico ghiacciaio pre- pe no PE Ere sentante due diramazioni, di cui la più corta diretta verso Nord e la più lunga verso Est. Nel versante occidentale mancano invece i tipici depositi glaciali, ma vi sì notano invece due coni di deiezione sovrincombenti alle rocce in posto. | Si tratta di formazioni diluviali le quali stanno a provare la diversità delle . condizioni climatiche d’allora in conironto delle attuali. (E. TISSI). GRILL E. — Osservazioni cristallografiche sull’ilvaite elbana. (Mem. di mat. e fis. della Soc. it. delle Sc., detta dei XL, S. terza, Vol. XVIII, pag. 223-237, con 2 tav.). — Roma. La nota concerne lo studio, eseguito dall’autore, di alcuni cristalli d’ il- vaite con abito particolarmente interessante, facenti parte delle ricchissime collezioni elbane del Museo di Firenze. Da un tale studio l’autore ha potuto trovare diverse forme nuove per la specie, recando per tal modo un nuovo contributo alla conoscenza cri- stallografica dell’ilvaite in genere e di quella dell'Elba in particolare. Com’è noto l’Elba è una delle poche località, finora conosciute, che fornisca l’ilvaite in bellissimi cristalli, assai riechi di facce. Tra le forme (comprese le vicinali) già note e le nuove osservate dall’autore se ne cono- scono ora 36. In un quadro allegato alla nota l’autore ha radunato tutte le forme conosciute dell’ilvaite, unitamente ai luoghi ed ai nomi degli osservatori, riportando i simboli numerici o letterali con cui esse furono indicate. (E. TIssI). GUZZANTI C. — Le registrazioni sismiche dell’Osservatorio di Mineo. (Atti Acc. Gioenia, S. 22, fasc. 25, pag. 4-8, marzo 1913). — Catania. Allo scopo di mettere in evidenza quale contributo abbia apportato alla sismologia l’Osservatorio di Mineo, che non è nè governativo nè di prim’ordine, l’autore ha compilato una statistica delle registrazioni sismiche 5; 4 ‘ N " è * (Ri cd 7 tre: Lc n s 4 î: è ‘® s , n gi fe + big dh, = ue i 7 he, cy ; v a bi ne A 5A > 2 ù - 42 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913. : avutesi a Mineo nel dodicennio 1901-1912, periodo di tempo nel quale gli NE strumenti non subirono alcuna variazione per la loro postura, nè modifica- zioni che avessero potuto alterarne la sensibilità. Nell’accennato periodo si ebbero in quell’Osservatorio 2905 registra- zioni, che l’autore graficamente rappresenta in un diagramma ed espone p iN”, ; rt — ripartite per annata — in un apposito quadro. d Dal confronto coi risultati forniti da altri Osservatorî l’autore viene a concludere che non piccolo contributo ha portato alle determinazioni sismo- K logiche l'Osservatorio di Mineo, il quale in ciò che ha tratto a registrazioni (segnalazioni) di terremoti non è stato inferiore ai primari Osservatorî d’ Italia. (E. TISSI). ;9 HeNROTIN L.— Nota sopra alcune roccie caratteristiche della miniera di Santa b Lucia. (Res. Ass. Min. Sarda, Anno XVIII, n. 6, pag. 11-12). — Iglesias. Osserva, sostanzialmente, l’autore che mentre ‘nella carta geologica mi- neraria del 1888 l’affioramento calcareo di S. Lucia è classificato come cal. care siluriano intercalato negli scisti e nelle anageniti silurici, i lavori ‘ME eseguiti lungo il contatto della miniera di S. Lucia fanno invece supporre che il calcare esista dappertutto sotto gli scisti e che il masso calcareo di Se S’oreri si colleghi in profondità col calcare di Cumpigeddu e di Candiazzus, Br nonchè colle altre masse calcaree di Monte Argenta vicino a Flumini. N. Relativamente al conglomerato calcareo, con cemento scistoso, che si hi. manifesta nella vallata di Rio Sa Palma e che probabilmente costituisce il Ù conglomerato di base degli scisti silurici. l’autore erede che dallo studio fs del medesimo potrebbesi arrivare alla divisione degli scisti del Fluminese in r due categorie ; quelli, cioè, cambriani inferiori alle assise di Candiazzus, e ca quelli silurici che affiorano nelle vicinanze di Flumini e che sono assai fossiferi. be, Ad Est del Rio Sa Palma l’autore avrebbe poi notato emergere tra le roccie scistose una specie di porfido che egli crede non sia stata per lo de avanti segnalata. (E. TISSI). " Hess H. — Die mprdéglaziale Alpenoberfltiche. Beobactungen am Iscosee, im fo. Ogliotal und in Siidtirol. (Peterm. mitt,, 59 Jahrg. 1913, Juni-H., S. 286- 288). — Gotha. In seguito ad osservazioni eseguite nella regione della Rhone e succes- sivamente nella zona dei vecchi ghiacciai del bacino dell’Oglio, nei dintorni del lago d’Iseo e nel Tirolo meridionale, l’autore ha avuto occasione di rimar- care nelle anzidette regioni una notevole analogia di profilo e di forme orografiche in dipendenza delle antiche glaciazioni cui andarono soggette : le regioni in parola. (E. TISSI). i — dd et ® BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 HorpHaus K.— Der Monte Gargano und die Adriatisfrage. (Mitt. d. Sekt. f. Naturk. d. Osterr. Touristenklubs, XXIV Jahr., S. 17-20, Wien, 1912— sunto nel Geol. Zentr., Bd. 19, n. 2, pag. 61). — Leipzig. Con una serie di considerazioni d’ordine bio-geografico l’autore esprime il convincimento che nel più recente periodo dell’Eocene l’Italia meridionale e la Dalmazia anzichè divise dal mare Adriatico fossero tra loro continen- talmente unite. (E. TISSI). ISPETTORATO DELLE MINIERE. —- Industria dei marmi colorati e dell’'alabastro in Italia. (Append. alla Riv. del Serv. Min. nel 1912. opuse. di 42 pag.). — Roma. E’ una pubblicazione compilata dai singoli uffici distrettuali delle Mi- niere allo scopo di riunire in un solo opuscolo le notizie concernenti le attuali condizioni dell'industria dei marmi colorati e dell’alabastro in Italia, e ciò allo intento di poter dare soddisfazione alle ripetute domande che venivano al riguardo rivolte all’Ispettorato del R. Corpo delle Miniere. (E. TISSI). nnt de Lurisia. “(Abi R.\Aeo. fo. di Torino, Vol. XLVIII, disp. 15%, pag. 959-967). — Torino. L’autunite di Lurisia (Cuneo), di cui è oggetto la presente nota, è un minerale nuovo per l’Italia e si avvicina, | per la sua composizione chimica, a quella di Autun, di cui l’autore riporta un’analisi. Il minerale è cristallizzato in tavolette quadrate, talora libere, presen- tanti sulla base delle tavolette più piccole coorientate o raggruppate con la tavoletta più grande con lieve inclinazione a guisa di ventaglio chiuso. Dagli esperimenti eseguiti dall'autore è risultato che l’autunite di Lurisia , è distintamente radioattiva, ma però in grado più debole dell’uraninite. Il minerale riempie i vani di piccole litoclasi in una roccia gneissiforme inclinata di circa. 459. L’autore crede che la formazione dell’autunite di Lurisia sia dovuta all’azione di acque d’infiltrazione su qualche giacimento minerale o su roccia contenente minerali uraniferi. Tali acque mineralizzate avrebbero depositato l’autunite nelle piccole litoclasi della roccia. (E. TISSI). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALI ANA, IA Lorri B. — Sul giacimento cinabrifero dì Cerreto Piano presso Pereta in To- scana. (Rass. min., Vol. XXXIX, n. 10, pag. 177-178). — Roma. Dopo aver riassunta la storia della scoperta di questo interessante e curioso giacimento, già esposta nello stesso periodico fino dal 1908, l’autore enumera i lavori ivi eseguiti in quest’ultimo periodo di tempo allo scopo di esplorarlo e di mettere in evidenza la sua importanza industriale. Con questi lavori, oltre ad aver confermata la esistenza di uno strato di sabbia pliocenica cinabrifera con lo spessore medio di due metri e col tenore in mercurio di 0,8 per 100, si osservarono dei fatti pei quali resta ormai fuori di dubbio la origine endogena del giacimento e quindi la proba- bilità di trovarne le radici e la continuazione in profondità nelle rocce eoceniche sottostanti. Lo strato di sabbia cinabrifera non sta sopra alle argille, come si potè credere all’inizio dei lavori, ma è a queste sottoposto e quindi il cinabro che impregna le sabbie non potè introdursi in esse dal disopra perchè a ciò sarebbe stato d’ostacolo il diaframma impermeabile d’argilia. E’ immediata- mente sotto questa coperta argillosa che si avverte un costante arricchi- mento delle sabbie ed è evidente che la presenza di questo strato impermea- bile dovette fare ostacolo alla ascéhsione delle soluzioni cinabrifere-costrin- gendole a soggiornare nello strato poroso sottostante, provocando una più abbondante precipitazione del cinabro, e ad espandersi lateralmente. Il fe- nomeno si ripete alla base del deposito pliocenico formato da un sottile strato argilloso-carbonioso che riposa sopra una breccia formata da detriti di calcari eocenici. Questa breccia e parte delle argille carboniose sono tal- mente ricche di cinabro da raggiungere il tenore in mercurio di 55 per 100. Accertata l'origine endogena del giacimento l’autore ritiene fuori di dubbio che la frattura lungo la quale dovettero farsi strada le soluzioni cinabrifere debba trovarsi nelle rocce eoceniche sottostanti allo strato cina- brifero pliocenico esplorato e sul prolungamento della direzione del filone quarzoso antimonifero delle zolfiere che comparisce due chilometri più a nord. (E. TISSI). LorTI B. — Le due « facies» del Cretaceo superiore nell’ Umbria e nell’ Abruzzo. (Boll. Soc. geol. it., Vol XXXII, fasc. 4°, pag. LXKIV-LXVI). — Roma. Sono poche parole dette dall’autore mentre si inaugurava il congresso della Società geologica in Aquila, per dimostrare l'opportunità della scelta di quella città a sede del congresso, dopo quello tenuto l’anno precedente in Spoleto, inquantochè i terreni eretacei delle due regioni, benchè limitrofe, sono essenzialmente diversi: di mare profondo nell’ Umbria, di mare basso o di scogliera negli Abruzzi. | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 « Queste due facies di terreni cretacei contemporanei dimostrano l’esi- stenza di condizioni batimetriche diverse le quali dovettero influire sui de- positi successivi dell’epoca terziaria. Con ciò l’autore trova la spiegazione d’un fenomeno, apparentemente contradittorio, che si osserva nelle due regioni limitrofe: cioè la mancanza del fiysch eocenico e la trasgressione di un flysch, probabilmente miocenico, sui terreni della facies abruzzese, in contrapposto alla presenza del flysch eocenico e della sua coneordanza e continuità sui terreni della facies umbra. (B. L.). Lovisato D.— Altro contributo echinologico con nuove specie di è Clypeaster è in Sardegna. (Boll. Soc. geol., Vol. XXXI, fase. 3-4. pag. 359-378 con 2 tav.). — Roma. Dopo aver osservato come una certa confusione sussista ancora intorno al Clypeaster gibbosus, confusione che l’autore si ripromette tuttavia di dile- guare valendosi dell’abbondantissimo materiale raccolto in Sardegna, egli fa intanto notare che di circa un centinaio d’individui, quasi tutti raccolti negli immediati dintorni di Cagliari e che dal Cotteau e dal Gauthier erano stati nettamente riferiti all’ indicata specie, oggidì appena 14 possano rigorosamente riferirsi alla specie medesima. Nella presente nota l’autore descrive e figura le specie nuove seguenti: Clypeaster Nulloi, C. Canziei, C. Birioi, C. Piloi, C. Lombardi. (E. TISSI). LovisaTto D. — Nuove specie di « Clypeaster » miocenici sardi dal vulcano S. Matteo di Ploaghe per Nureccì e Senis alla regione Fraos nella Pla- nargia e all’amba del Capo della Frasca. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXII‘ fasc. 3°, pag. 401-438, con 2 tav.). — Roma. Ricordato che in Sardegna egli ha raccolto finora oltre 1000 esemplari di Clypeaster, di cui più di 700 figurano nella sua collezione privata. e ricor- dato altresì che le specie assolutamente nuove di questo echinoide rinvenute nella sola Sardegna ascendono a 28 e che ne restano da illustrare altrettante e forse anche più, l’autore passa alla descrizione di forme nuove, che sono figurate in due tavole allegate alla nota. Tali forme sono: Clypeaster Cairolii Lovis., C. Di Benedettoi Lovis., C. Manarai Lovis., C. Mamelii Lovis., C. Avezzanai Lovis., C. Riparii Lovis., C. Fabrizii Lovis. (E. TISssI). 46 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 ni lg i e 2A Lovisato ID. — La montmorillonite nelle granuliti di Cala Francese (Tsola della Maddalena). (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, Vol. XXII, fasc. 12, 2° sem., pag. 670-675). — Roma. Il minerale che forma oggetto di questa memoria e che fu rinvenuto nelle granuliti di Cala Francese dal sig. Carlo Zanat, si presenta di un bel- lissimo color roseo di pesca nella parte più pura, colore che però va gra— datamente sbiadendo negli altri punti della sua massa. E’ untuoso al tatto, - oi molto tenero ma non molle; ha debole lucentezza resinosa, si rammollisce nell’acqua, spappolandosi quasi completamente. E’ infusibile al cannello ed insolubile negli acidi; il suo peso specifico è uguale a 2.027. Dalle analisi eseguite l’autore riconobbe trattarsi di una montmorillonite, somigliante a quella di Montmorillon in Francia e che per la prima volta si presenta fra le sostanze minerali della Sardegna. (E. TISSI). LuIGGI L. — Primo contributo allo studio dei materiali per costruzioni idrau- liche della Libia). (Ann. Soc. Ing., Arch. it., Anno XXVIII, n. 4, pag. 81-93). — Roma. L’autore, incaricato dello studio di lavori marittimi da eseguirsi lungo la costa libica. dovette — col concorso di alcuni suoi collaboratori — ini- ziare una serie di ricerche sui materiali più adatti per le opere idrauliche fr di immediata urgenza (moli, calate, opere di arginatura e di fognatura, condotte e serbatoi d’acqua potabile, ecc.) e. dei risultati delle accennate ricerche egli rende conto nella presente nota di carattere essenzialmente tecnico. (E. TISSI). |, MANAssE E. — Azzurrite di alabona presso Alghero. (Atti Soc. tose. sc. nat, « Memorie, Vol. XXIX, pag. 196-212). — Pisa. ) 41 R: i Premette l’autore che la svariata e ricca mineralizzazione del territorio N: di Calabona, a S-SE di Alghero, in Sardegna, sembra geneticamente colle- gata alle eruzioni delle rocce trachiandesitiche e trachidacitiche, assai svi- luppate nel Sassarese e riferite al Miocene inferiore ( Aquitaniano) e come a queste medesime rocge eruttive si colleghi l’origine dei numerosi giaci- F menti di piombo, di zinco e di rame esistenti in gran parte del circondario di Alghero. ; di Nelle porzioni meno profonde del giacimento cuprifero di Calabona le masse prevalenti, in forma di grosse tasche, consistono di un materiale limonitico-argilloso tutto impregnato di malachite, e, insieme, di diaspri } 4 TRPP) SO TR, PSE PI Visa i KIEL A ta) de BLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 ferriferi ricchi di crisocolla. Un po’ meno abbondanti della malachite e della erisocolla sono l’azzurrite e la cuprite, quest’ultima includente talora dei noccioletti di rame nativo. In profondità esiste il filone regolare e continuo dei minerali solforati, costituito da pirite di ferro più o meno ramifera, associata a calcosina, a covellina ed a tracce di calcopirite. Con riserva di ritornare per esteso più tardi sugli svariati minerali me- talliferi e litoidi di Calabona, l’autore si occupa in questa nota — ed uni- camente dal punto di vista cristallografico — dell’azzurrite, la quale, dal lato scientifico se non da quello industriale, è il minerale più importante fra tutti per la sua abbondanza e per la bellezza dei suoi cristalli, che possono paragonarsi a quelli celebri di Chessy, del Banato, dell’ Utah, del- l’Arizona, del Laurion, ecc. I cristalli di azzurrite sono impiantati in un materiale argilloso-limonitico nel quale si trovano anche, in più o meno grande quantità, cuprite, ma- lachite, crisocolla, alloisite. L’azzurrite si trova pure disseminata nella roccia trachitico-andesitica decomposta e nei diaspri. Con ampiezza di particolari l’autore descrive ed illustra i caratteri eristallografici del minerale in parola, il quale confrontato con quello di Rosas nel Sulcis, pure in Sardegna, lascia scorgere differenze assai notevoli sia per ciò che concerne la diversità delle forme sia per il diverso sviluppo di quelle comuni. (E. Tissi). MARTELLI A. — Su di un’ammonite della pietraforte delle Grotte in Val d’Ema. (Boll. Soc. geol., Vol. XXXI, fasc. 3-4, pag. 337-342). — Roma. Prima di passare alla descrizione particolareggiata del modello interno di ammonite rinvenuto, insieme ad abbondanti traccie di fossili non ben precisabili, nei banchi di pietraforte delle Grotte, corrispondenti ai livelli fossiliferi di Monteripaldi, l’autore parla piuttosto diffusamente della mine- rogenesi della pietraforte, ricordando anzitutto che la formazione di questa arenaria calcarifera, potentemente sviluppata fra l’ Arno e Ema e largamente impiegata nell'arte edilizia e decorativa fiorentina, ha suscitato sul suo rife- rimento eronologico tenaci controversie fra gli studiosi di geologia toscana, Alcuni di tali studiosi sostengono che la pietraforte della Val d’Ema sarebbe riferibile ad uno dei più bassi livelli della serie eocenica, a quello cioè dell’arenaria inferiore, e i fossili in essa ritrovati dovrebbero conside- rarsi non di diretto deposito ma bensì provenienti da terreni cretacei, e quindi come fossili di trasporto o di rimaneggiamento. Le varie opinioni concordano tuttavia nell’assegnare alla serie delle for- mazioni di pietraforte della Valle dell’Éma, che si presenta localmente come Li el È " ia * r Se it 1 vata BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 191 la più profonda, una posizione definita sotto agli altri sedimenti arenacei, argillo-scistosi e calcarei dell’Eocene, come altresì nel riconoscere in essa uno speciale sedimento elastico marino, originatosi in particolari condizioni di profondità e di distanza dalle coste, così da risultare meno litoraneo delle comuni arenarie e meno pelagico dei calcari. ; L’esame diretto delle sezioni sottili al microscopio polarizzatore porta a stabilire che la pietraforte di Monteripaldi e delle Grotte risulta costi- tuita in parte minore da frammenti cristallini di calcite ed in prevalenza da granuli e frammenti cristallini di quarzo frammisti a scarsi elementi mi- cacei e feldispatici ordinariamente caolinizzati, a raro anfibolo e pirosseno di facile alterazione e ad ancor più raro e quasi eccezionale rutilo, zircone e granato, conglobati insieme da un tenacissimo cemento calcareo-argilloso inquinato da quegli idrossidi di ferro e di manganese, ai quali vanno attri. SE buite le tinte giallo-brune e grigio-turchiniecie della pietratorte in parola. Complessivamente, quindi, in queste roccie sedimentarie trovansi rice- i‘ mentati, per azione cataclastica della calcite e degli elementi silicei, i rap- presentanti minutissimi dei vari componenti delle formazioni più antiche e forse in maggioranza cristalline ; cosicchè la compattezza e tenacità della pietraforte e la sua resistenza agli agenti esterni vengono determinate dalla saldezza del cemento ed al medesimo tempo dalla durezza dei preponderanti frammenti minerari di questa particolare forma di arenaria. : Gli indicati accenni al carattere petrografico valgono soprattutto a mettere in evidenza che la pietraforte si è principalmente costituita a spese di preesistenti rocce cristalline e che l'elemento calcareo è anche qua con i ogni probabilità e in maggioranza dovuto ai prodotti di disfacimento di resti organici marini, depositati nel fondo insieme ai materiali provenienti dal continente. NL; Relativamente all’esemplare di ammonite rinvenuto nei banchi di pie- | traforte delle Grotte l’autore osserva che si tratta di una forma abbastanza comune a Monteripaldi e rara invece a Monte Cuccioli, forma che venne descritta dal De Stefani come Schloenbachia Cocchii Men., adottando per essa il nome generico proposto dal Neumayr. Descritte le caratteristiche principali del fossile ed esposte alcune con- siderazioni circa l’habitat della S. Cocchii, l’autore conclude affermando che non solo per la regione appenninica settentrionale ma anche per gran parte dello stesso bacino mediterraneo, studi recenti hanno trovato così marcata la concordanza e continuità di formazione fra Cretaceo ed Eocene che, man- cando l’appoggio dei fossili, gi è più volte affacciata l’ impossibilità di distin- guere nettamente i depositi drun periodo da quelli dell’altro. (E. TISSI). | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, }913 MARTELLI A. — Metamorfismo sul contatto fra serpentine antiche e scisti a Campo Ligure. (Boll. Soc. geol., Vol. XXXI, fasc. 3-4, pag. 285-302, con 1 tav.). — Roma. Osserva anzitutto l’autore che le serpentine sono, fra le rocce di Campo Ligure, quelle che presentano una maggiore importanza per lo sviluppo localmente raggiunto e pel complesso delle questioni geologiche e dei feno- meni di metamorfismo che con esse si connettono. i Osserva altresì che dopo i recenti studi sulle. serpentine compiuti da chiari scienziati, studi che dimostrarono la possibilità che il serpentino possa derivare non solo dall’olivina ma anche da altri minerali come pi- rosseno e anfibolo, purchè privi di allumina, portando con ciò la conferma dell’origine pseudomorfa del serpentino, anche i petrografi hanno dovuto studiare le rocce serpentinose non solo negli elementi che le costituiscono ma altresì in rapporto alle rocce da cui sarebbero derivate. I campioni descritti nella presente nota e raccolti presso Campo Ligure in una zona di confine fra le serpentine e gli scisti sottostanti, dimostrano non solo la complessità della formazione serpentinosa, ma anche l’intensità delle modificazioni petrografiche compiutesi per metamorfismo nei terreni a contatto colle serpentine. Alla descrizione delle serpentine a contatto con le altre formazioni di Campo Ligure, e degli scisti serpentinosi dovuti a quello stesso metamor- fismo chimico-meccanico delle serpentine a cui suolsi generalmente riferire l'origine degli scisti verdi, l’autore fa seguire la descrizione di quegli scisti che per avere assunta una composizione e struttura analoga a quella dei paragneiss, dei micascisti e degli anfiboloscisti, meritano di essere distinti con la denominazione adottata dai petrografi per gli scisti cristallini che più si avvicinano a quelli di Campo Ligure per la composizione mineralo- gica, pur rimanendone disgiunti per ìa genesi e per la modificazione dei propri elementi cristallini. Sono pertanto descritte nella presente nota le serpentine compatte, gli scisti serpentinosi, gli scisti anfibolici, gli scisti taleoso-micacei gneissici e gli scisti taleoso-micacei ad andalusite, le quali rocce sono anche illustrate in una tavola allegata alla nota. (E. TISSI). MELI R. — Di un blocco di marna pliocenica nel peperino presso Ariccia. (Boll. Soc. geol., Vol. XXXI, fasc. 3-4, pag. LKX XIV). — Roma. In occasione dell’adunanza dei membri della Società geologica Italiana, tenutasi a Spoleto nel settembre 1912, l’autore comunicò di aver trovato un blocco di marna pliocenica fossilifera racchiuso nel peperino laziale del 49 È bia te nd #TTRS BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 parco Chigi presso Ariccia; la marna contiene il Pecten flabelliformis ed il P. amussiocristatum, specie rare nel Pliocene romano. (E. TISsI). MERCALLI G. — Il riposo attuale del Vesuvio. (Rend. R. Acc. Se. Napoli, $. 3a, Vol. XIX, fase. 3°, 49, 5°, pag. 64-66). — Napoli. La presente nota è stata originata dal fatto che alcuni giornali, tanto italiani che stranieri, pubblicarono, nel marzo 1913, la falsa notizia che il Vesuvio si era rimesso in attività. Per informare quindi il mondo scientifico sul vero stato del classico | vulcano, l’autore riferisce che dopo la grande eruzione dell’aprile 1906 il Vesuvio non presentò più sino alla pubblicazione della presente memoria (aprile 1913) nè efflussi lavici, nè esplosioni, o, in altri termini, restò allo stato di solfatara più o meno attiva. L’accennato riposo, soggiunge l’au- tore, che dura da circa 7 anni, non può, del resto, recar meraviglia alcuna, quando si pensi che il Vesuvio — dal 1700 ad oggi — presentò 9 eruzioni laterali, tipo 1872, e 3 eruzioni eccentriche, tipo 1760, e tutte furono precedute da più o meno lunghi periodi di attività e seguite da completi riposi della durata di 2 a 7 anni. Dopo aver accennato alle condizioni dell’ interno del cratere, dove i piccoli ma continui franamenti che si verificano dall’orlo e dalle pareti hanno rialzato di aleuni metri il fondo, e dopo avere particolareggiatamente descritte le fumarole esistenti all’interno e all’esterno del cratere medesimo, l’autore rileva che durante l’attuale periodo di riposo del Vesuvio si ve- rificarono frequenti scosse di terremoto, in generale leggere ed evidente- mente locali, ossia provenienti dal condotto centrale del Vulcano e da piccole profondità, come si argomenta dalla rapida diminuzione d’intensità. che subirono con l’allontanarsi dal gran cono Vesuviano. Relativamente alla causa di dette scosse l’autore erede che in maggio - ranza siano dovute a fenomeni di assestamento che vanno compiendosi nell’interno del condotto centrale; alcune però probabilmente rivelano gli ‘ sforzi del magma o di materie gassose ad alta tensione che tentano di squarciare la massa di materiali solidi che ostruisce il condotto vulcanico. Circa la domanda poi, stata ripetutamente rivolta all’autore, se, cioè, il Vesuvio si trovi attualmente in uno di quei riposi secolari che si verifi- carono, per lo stesso vulcano, tra il 79 e il 1631, egli crede di poter ri- . spondere negativamente, sussistendo molteplici indizi di una non lontana ripresa di attività. Tali indizi sono: 1°) la persistenza di numerose fuma- role, tanto all’interno quanto all’esterno del cratere, e la temperatura molto elevata di alcune di esse; 2°) le scosse di terremoto locali ed i boati Pi ne x f n° di Sgt °-? , e BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 ” È è à sotterranei sentiti nelle vicinanze del cratere; 3°)l’acido cloridrico persistente nelle fumarole a più alta temperatura e gli sprofondamenti recentemente verificatisi nel fondo craterico. (E. Tissi). MERCIAI G. — Contribuzioni allo studio di fenomeni carsici nelle Alpi Apuane. (Atti Soc. tosc., Proc. Verb., Vol. XXII, n. 3, pag. 21-25). — Pisa. Osserva l’autore che quantunque i fenomeni carsici non presentino nella regione apuana quella rilevante importanza che offrono nelle Alpi calcaree occidentali, nell’ Istria ed in altri gruppi calcarei, essi sono tut tavia, anche in alcuni punti delle Alpi Apuane, abbastanza frequenti e quindi meritevoli di essere ricordati e descritti. All’ intento di portare un qualche contributo alla conoscenza geologica delle Apuane e con riserva di più particolareggiatamente illustrare e de— scrivere in una prossima nota i fatti osservati, l’autore riporta brevemente in questa memoria i risultati delle osservazioni da lui recentemente effet- tuate a nord del Pisanino, della Tambura edin altre parti di quel gruppo montuoso, risultati che non solo confermano l’esistenza in esso dei fenomeni carsici, ma porgono altresì un’idea dell’estensione e dell’importanza che i medesimi hanno assunto in qualche parte di quella catena. Oltre alle 31 voragini già in precedenza segnalate da altri studiosi, | l’autore enumera e descrive 11 cavità da lui constatate nel versante NE del Pisanino ed altre 5 scoperte attorno alla Tambura. Tra le 11 del Pisanino, 8 si trovano nei calcari marmorei fortemente pieghettati e fratturati del Trias e possono riferirsi al tipo delle doline a pozzo; le altre tre invece sono scavate nei calcari cavernosi e dolomitici del Retico e appartengono al tipo delle doline con inghiottitoio. | Le 5 doline scoperte attorno alla Tambura sono prevalentemente aperte nei marmi triassici. Dopo aver accennato alle dimensioni delle doline in parola ed alle ipotesi enunciate sulla loro origine, l’autore parla dei Karren da lui osservati nella zona a NE del Pisanino ed a quelli, più belli ancora, che si scorgono nei marmi del Lias inferiore costituenti il gruppo delle Panie, lungo la strada che dalla Paniella scende a Colle Palestra. (E. TISSI). MiLLosevIicH F. — Clinozoisite di Campo a’ Peri (Elba). (Rend. R. Ace. Lincei, S. V, Vol. XXII, fase. 11°, 20° sem., pag. 544-546). — Roma. Il campione studiato dall’autore proviene dal giacimento di Campo a’ Peri, nelle pendici di Monte Orello (Elba), e reca piccoli cristalli lucenti e ben determinabili di quella varietà di epidoto poco ferrifera chiamata clino- zoisite e che è nuova per l’ Elba. | »j ge ; ht I h ” Ù og STT (PR, PCS piste 7 i ì db ‘ TA BIBLIOGRAFIA GPROLOGICA ITALIANA, 1913 I cristalli di cui trattasi si trovano sopra una roccia gabbrica meta- morfosata, e sono accompagnati da cristalli di granato (grossularia) di colore rosso carnicino. Essi sono quasi incolori o con leggera tonalità rosea in alcuni casì, appena giallognola in altri. Sono limpidissimi, con lucentezza vitrea, con facce prive di striature e che per riflessione porgono buone immagini. Il peso specifico, determinato dall'autore col pienometro, risultò = 3,339. La doppia rifrazione è debole e positiva, ed in relazione con questo basso indice di rifrazione è da arguirsi uno scarso tenore in ferro. Concludendo, l’autore afferma che questa di Campo a’ Peri è da ritenersi la più pura e la più tipica clinozoisite fra quelle finora conosciute. (E. TISSI). MiLLosEvIcH F. — Sulla cosidetta idrodolomite di Marino ( Vulcano Laziale). (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, Vol. XXII, fase. 9°, 1° sem., pag. 642-647). — Roma. Premette l’autore che G. vom Rath, nel 1866, diede l’analisi di alcuni inclusi dolomitici nel peperino del Vulcano Laziale, inclusi che egli chiamò genericamente idrodolomite per analogia con prodotti similari del Vesuvio, pur rilevando la somiglianza di costituzione chimica di alcuni di essi con le predazziti. Gli inclusi analizzati dal vom Rath sono pertanto dei frammenti di rocce calcareo-dolomitiche più o meno metamorfosate e conglobate nel pe- perino. Ma nel peperino si trovano altresì dei blocchi che hanno la stessa struttura e lo stesso aspetto di quel materiale vesuviano che Rammelsberg chiamò idromagnocalcite o idrodolomite, cioè aggregati di sferoidi bianchi, opachi, piuttosto friabili e di apparenza terrosa. Parecchi esemplari ne possiede il Museo di mineralogia dell’ Università di Roma, alcuni dei quali provengono dall’antica collezione Spada, mentre altri furono trovati nel Parco Chigi, presso Ariccia e, più recentemente, anche nel peperino di Marino. Î L’autore ha compiuto lo studio appunto sui campioni dell’ultima ci- tata località, onde constatare se effettivamente esso corrisponda, anche per le proprietà fisiche e chimiche, a quello del Vesuvio, e sopratutto per dimostrare che anch’esso non è un minerale vero e proprio, ma bensì un aggregato di minerali con particolare e caratteristica struttura. Le ricerche dell'autore, suftragate da osservazioni di altri studiosi, porterebbero a stabilire che le idrodolomiti sarebbero dei frammenti di cal- care dolomitico 0 di dolomite strappati dalle antiche eruzioni, i quali al ; è C) * be Sani RMB It A iaia È BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 contatto con le lave si sono completamente calcinati trasformandosi in ossido di calcio ein ossido di magnesio, riprendendo in seguito dall'atmosfera acqua e anidride carbonica passando così a calcite e aa idromagnesite. Conclude l’autore che dovendosi pur conservare un nome a questo che, se non è un minerale, è una tipica associazione di minerali, sia op- portuno continuare a chiamarlo con la denominazione di idrodolomite, o, meglio ancora, con quella prima datagli dal Rammelsberg di idromagno- calcite, la quale ricorda nel medesimo tempo anche i suoi due minerali ca- ratteristici, cioè la calcite e l’idromagnesite. (E. TISSI). MoDERNI P. — Contributo alla conoscenza del sottosuolo dell’estuario veneto. (Boll. del R. Comit. Geol. d’Italia, Vol. XLIII (3° della Serie V), anno 1912, fasc. 4°, pag. 336-343). — Roma. L’autore descrive dapprimai materiali attraversati nella perforazione d’un pozzo trivellato nell’isola di Pellestrina, fra i porti di Chioggia e Mala- ‘mocco, pozzo che giunto alla profondità di 53 metri si dovette abbandonare per ragioni tecniche. Accenna poi sommariamente ai risultati di due altri pozzi perforati nell’isola stessa e ne mette in rilievo le differenze nella di- sposizione e potenza dei materiali. | Passa quindi ad esaminare quali pos- sono essere le condizioni del sottosuolo dell’ estuario, perchè le medesime abbiano permesso di avere acqua saliente in alcuni pozzi trivellati, perfo- rati a Venezia ed isole vicine. Da ultimo indica approssimativamente la provenienza dei materiali che hanno costituito il cordone litoraneo il quale separa il mare dalla laguna. (D, MODERNI). MoDERNI P. — Quel che vale la nostra nuova colonia. (L’Esercito Italiano, Anno XXXIV, n. 34). —- Roma. E’ un articolo di giornale nel quale sono riportate le citazioni del Ghi- sleri, dell’Hildebrandt e di altri, più specialmente di quelle contenute nel volume pubblicato dalla Commissione Agrologica per la Libia, nominata dal Ministero di Agricoltura, circa la probabile esistenza di giacimenti di minerali in quella vasta regione e le poche speranze che si hanno (dalle osservazioni geologiche che si son potute fare sinora) di trovare la conti- nuazione dei ricchi giacimenti di fosfati esistenti in Tunisia. L’autore dopo aver citato il parere dei competenti circa la possibilità di coltivare quasi tutta la Gefara o steppeto tripolino, estendentesi per circa 16.000 chilom. quadr. propone una speciale colonizzazione militare, come quella che potrebbe ridurre al minimo possibile le spese per l'occupazione militare della nuova colonia. (P. MODERNI). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913/00 MoLa E. — Laraccolta di minerali Ossolani esistenti nel Museo « Galletti » di Domodossola. (Illustr. Ossolana, Anno IV, n. 1-2, pag. 12-17, e n. 3-4, pag. 45-48). — Domodossola. La nota porge l'elenco dei campioni minerali esistenti nel Museo Galletti di Domodossola. L’eleneo comprende 124 esemplari. (E. TIssI). MiLLER Fr. C. — Die Erelagerstatten von Traversella in Piemont. (Z. f£. pr. Geol. Jah. XX, 1912, H. 6, S. 209-240; sunto nel Geol. Zentr. Bd. 19, n, 3, pag. 101). — Leipzig. i Fa notare l’autore che presso Traversella (11 km. a nord d’Ivrea) rin- vengonsi scisti micacei, gneiss, calcari, rocce granatifere ece., contorti e di età imprecisata e rileva come tale complesso sia intersecato da roccie dio- ritiche acide, che, alla loro volta, sono attraversate da filoni piritosi. La massa mineralizzata principale va ritenuta come formazione di con- tatto in relazione alle rocce eruttive. Tali formazioni di contatto sono stret- tamente connesse alle formazioni calcaree e stanno, di solito, sotto le stra- tificazioni scistose. Accompagnano d’ordinario la massa mineralizzata lo spato fluore, la scheelite e più raramente la wolframite. Oltre ai solfuri il giacimento contiene anche la magnetite ; i filoni sono prettamente piritosi (pirite co- mune e pirite arsenicale. La ganga è sempre quarzosa. La memoria è corredata da 4 carte geologiche a colori e da varie sezioni. (E. TISSI). MusonI F. — Doline di sprofondamento presso Carraria (Cividale). (Mondo ‘ sott., Anno IX, n. 8, pag. 71-72). Udine. L'autore descrive tre doline situate poco a levante dell'abitato di Car. raria, presso Cividale, la maggiore delle quali si trova nella località detta. « Braida dietro l’ Orto », sulla linea di falda meridionale dello sprone mon- tuoso risalito dalla carreggiabile che da Carraria conduce a Castelmonte. La sua forma la rivela subito per una dolina di sprofondamento, del tipo di quelle alluvionali, e le cui varie fasi di formazione sono state osser- vate e seguite da testimoni oculari. Alcuni anni fa, il suolo nel quale oggi essa s' immerge, allora perfet- tamente orizzontale, cominciò prima a deprimersi, poi crollò tutto ad un tratto, producendo una cavità quasi cilindrica, a pozzo, con pareti verti- FEEENSRITTA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 IO cali. Durante i periodi di pioggia un canaletto artificiale gi scolo versava in essa le sue acque, che, prima ancora che si fosse prodotta, restavano in quel punto assorbite senza generare alcun ristagno. La cavità venne in seguito artificialmente colmata dai proprietari del fondo, ma qualche tempo dopo si riaperse nello stesso punto e nello stesso modo di prima. L’orifizio ne è quasi circolare con diametro di circa 6 metri; la pro- fondità è di metri tre. La dolina in parola, come tutte quelle alluvionali, è dovuta a subero- sione delle acque, già ivi penetranti per un mascherato inghiottitoio; al- trettanto può dirsi di altre due doline più piccole esistenti a breve distanza da quella ora descritta. (E. TIssi). NELLI B. — Fossili del Miocene medio delle colline bolognesi. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXII, fase. 3°, pag. 305-358, con 1 tav.). — Roma. I fossili del Miocene medio bolognese, conservati nel Museo paleonto- logico dell’Istituto di Studi superiori a Firenze, provengono da una marna cenerognola, talora a glauconia, sottilmente stratificata, più o meno arenacea ma sempre calearifera per le abbondanti foraminifere (specialmente globi- gerine) che contiene, le quali, insieme alla rimanente fauna, attestano trat- tarsi di un deposito di mare piuttosto profondo e lontano dal litorale. Le forme descritte in questa nota sono: 2 foraminiferi, 7 coraliarî, 1 briozoario, 2 brachiopodi, 33 gasteropodi, 2 pteropodi, 50 lamellibranchi, 2 scafopodi, 2 cefalopodi, 1 cirripede e di pesci la sola Oxyrlima hastalis Ag. / Aleune forme sono nuove. (E. Tissi). PANICHI U. — Millosevichite, nuovo minerale del Faraglione di Levante, nell’ Isola di Vulcano. ( Rend. R. Acc. Lincei, S. V, Vol. XXII, fase. V, 1° sem., pag. 303). — Roma. Con riserva di trattarne più diffusamente in una prossima pubblicazione, l’autore con la presente nota dà intanto notizia di una specie nuova da lui trovata fra i minerali della Grotta dell’ Allume, situata nel « Faraglione », presso il Porto di Levante, fra Vulcano e Vulcanello. La nuova specie è, secondo l’autore, un minerale di formazione molto recente, e risulterebbe essere un solfato ferrico alluminieo normale, a formula definita, con idratazione minore di tutti i solfati analoghi fin qui conosciuti. | Sitrovain masseincrostenti di un bel color viola, con lucentezza vitrea. I cristalli sono triclini. Il minerale è igroscopico e col tempo va per- dendo il bel colore violetto. (E. TISSI). pla da BIBLIOGRAFI£ x Lei | GEOLOGICA ITA è LIANA, 1913 PANTANELLI D. — Discussione sul Terziario medio în Italia. (Boll. Soc. geol., Vol. XXXI, fase. 3-4, pag. XCIII). — Roma. In una delle adunanze della Società geologica italiana, riunitasi in Con- gresso a Spoleto nel settembre 1912, l’autore espose che lungo la pendice di Barigazzo scendente allo Sceoltonna, nella massa degli strati da lui riferiti, fin dal 1883, all’Oligocene, gli unici strati fossiliferi sono rappresentati da strati a Lucine, da strati a Pecten e da straterelli a Lepidocicline, che ri- salgono fin sotto al lago Scaffaiolo; tali strati fossiliferisi trovano alla base della serie stratigrafica che sovrasta direttamente alle argille scagliose dell’Eocene superiore. i (E. TIssI). , fasc. II, pag. 29-30). — Parma. 4 PAOLI G. — Rivista degli Insetti fossili. (Riv. it. di Paleont., Anno XIX, La Rivista degli insetti fossili riassume le attuali conoscenze intorno alle faune entomologiche fossili, ed è arricchita da belle figure e da cenni storici. La Rivista in parola prende le mosse dalle forme fossili del Paleozoico e termina cogli insetti del Quaternario. Nel Paleozoico, il primato per varietà e numero di forme spetta al Carbonifero. Abbastanza numerose sono anche le forme del Permiano ; meno numerose quelle del Trias. Un nuovo ciclo ascen- dente presentano gli insetti nei periodi Liasico e Giurese ed una nuova de- crescenza nel Cretaceo. Degli insetti dell’Era cenozoica vengono con maggior diffusione trattati quelli del Miocene. (E. TIssI). PELLOUX A. — Nota preliminare sulla fosfosiderite della miniera di S. Gio- vanneddu presso Gonnesa (Sardegna). (Estr. dagli Ann. St. Nat. Genova, S. 38, Vol. VI (XLVI), opus. di 3 pag.). — Genova. Questa nota concerne due interessanti esemplari di un minerale in eri- stalli di colore violetto, impiantati sulla galena, che fanno parte della colle- zione mineralogica del Museo Civico di Genova, a cui sono stati recente- mente donati. Per abito trimetrico e per la paragonesi, i cristalli di cui trattasi fu- rono dapprima ritenuti come una varietà violetta dell’anglesite, ma l’autore, dalle misure cristallografiche e dall'analisi chimica qualitativa constatò trattarsi invece di un fosfato idrato di ferro che, per il complesso dei suoi caratteri, corrisponde alla fosfosiderite, specie rarissima, rinvenuta finora soltanto a Kalterborn presso Eiserfeld nel distretto minerario di Siegen in Germania. dA di n ee vp e PR DE | MP AT ì A il NA, 1913 Resti BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIA La durezza del minerale è di poco inferiore a quella della fluorite ; il suo peso specifico, determinato col pienometro, è =2.75. Fonde facilmente al can- nello, ed è solubile negli acidi cloridrico e solforico ma non nell’acido nitrico. L’autore si riserva di descrivere più diffusamente questo minerale in una successiva pubblicazione, dopo che ne avrà eseguito l’analisi quantitativa e ) completato lo studio ottico e cristallografico. (E. TISSI). PELLOUX A. — Sulla Senarmontite di Su Suergiu (Gerrei) e di Su Leonargiu (Sarrabus) in Sardegna. (Estr. dagli Ann. St. Nat. Genova, S. 34, Vol. VI (XLVI), opus. di 3 pag.). — Genova. La senarmontite, che non era stata prima d’ora osservata in nessuna delle miniere antimonifere della Sardegna nè in quelle del continente, fu testè rinvenuta fra i prodotti delle miniere di Su Suergiu e Su Leonargiu. A Su Suergiu essa si presenta sotto un aspetto singolare, formando delle (D masse friabili in mezzo agli scisti neri siluriani molto disgregati e poco lu- centi, nella parte superiore del giacimento, presso la superficie. Nella miniera di Su Leonargiu la senarmontite fu osservata in un esem- plare di antimonio nativo, che si rinviene con una certa frequenza entro vene argillose molto irregolari che attraversano gli scisti, pure argillosi, della località. | | È Il comportamento ottico di questa senarmontite è identico a quello del minerale di Su Suergiu. (E. TISSI). A PeLLOUX A. — Nuove forme della Romeina di S. Marcel in Valle d'Aosta. me (Estr. dagli Ann. St. Nat. Genova, S. 38, Vol. VI (XLVI), opus. di 3 pag.). A — Genova. Scopo della presente nota è di segnalare alcune nuove forme riscontrate in cristalli di romeina che l’autore raccolse nell’antica miniera di Praborna, presso S. Marcel, ritenendo che la esistenza di tali forme confermi la sim- metria pseudo-regolare di questa rara specie. P L’autore descrive le forme da lui osservate, tra cui è predominante l’ottaedro. > L’abito di questi cristalli di romeina ricorda quello dello spinello ; il co- lore prevalente è il giallo giacinto, la lucentezza vitrea, la birefrangenza forte. I cristalli nei quali sono presenti le nuove forme indicate sono estrema- mente rari, non avendole l’autore osservate finora che in due soli esemplari __ fra inumerosi da lui raccolti alla miniera di Praborna. À; (E. TISSI). vi sk di 4 À, Di EA tà "ny 3 si Lu ; vi L4 fi, na / bot Pi LI BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 191300 © de PELLOUX A. — Nota preliminare sulla brucite, idromagnesste ed altri minerali della miniera di Monte Ramazzo presso Borzoli (Liguria). (Estr. dagli Ann. St. Nat. Genova, S. 38, Vol. VI (XLVI), opus. di 4 pag.) — Genova. Presso la vetta del Monte Ramazzo, a circa due ore di salita da Bor- zoli, nelle vicinanze di Genova, esiste una miniera che fu coltivata al prin- cipio del XIX secolo per la preparazione del solfato di magnesia. Fra i minerali più interessanti rinvenuti in quel giacimento e che non erano stati prima d’ora descritti, va anzitutto annoverata la brucite, mine- rale che fu trovato in poche altre località italiane, e cioè: a Cogne in Val d’Aosta, in Val Malenco, nella valle di Viù e fra i minerali vesuviani, ma sempre in non grande quantità o quale elemento di aleune rocce come nei calcari di Teulada in Sardegna e nella predazzite della Val di Fassa. A Monte Ramazzo invece la brucite è piuttosto abbondante, e se questa sua frequenza non venne fin qui segnalata da altri, lo si deve alla grande rassomiglianza che la brucite lamellare ha con il talco, col quale venne da altri confusa. i La brucite attraversa in tutti i sensi la serpentina alterata formando | delle vene che si intersecano a guisa di reticolato. In alcuni casi la brucite deriva dall’alterazione di vene di crisotilo, anzi in alcuni campioni il pas- saggio dall’uno all’altro minerale è palese, poichè si scorgono le fibre del crisotilo cambiarsi gradatamente in lamelle di brucite. Altrettanto frequenti della brucite sono a Monte Ramazzo gli idrocar- bonati di magnesio derivanti dalla alterazione della brucite, tra cui alcuni potrebbero riferirsi alla brugnatellite, rinvenuta nelle cave di amianto di Ciappanico, in Val Malenco. Abbondantissima a Monte Ramazzo è l’idromagnesite, che per lo più si presenta in concrezioni globulari. L'autore vi rinvenne pure l’epsomite, la melanterite e la calcantite. (E. TISSI). | PeELLOUX A. — Sopra alcuni minerali dei dintorni di S. Vincent e Chatillon in Valle d’ Aosta. (Estr. dagli Ann. St. Nat. Genova, $. 32, Vol. VI (XLVI), opus. di 9 pag.). — Genova. In questa nota l’autore descrive alcuni minerali da lui raccolti nei din- torni di S. Vincent e Chatillon, lungo la sponda destra della Dura, in Valle d’Aosta, minerali degni di speciale menzione per la loro paragenesi e perla . nitidezza dei cristalli. L’autore descrive specialmente i cristalli di granato, di diopside e di clorite, che si trovano nelle spaccature della granatite e che costituiscono esemplari identici a quelli provenienti dal Pian della Mussa in Val d’Ala. vi dui sb sd) "d DACO Pas a IC x Pr: »* E Ven di BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 Nelle vicinanze di Chatillon l’autore raccolse anche qualche campione d’idocrasio, che forma delle sottili vene nella prasinite cloritica ; trovò pure, nella medesima località, della mussite, racchiusa nella serpentina scistosa. (E. TISSI) PERRET F. A. — Report on the recent great eruption of the volcano « Stromboli ». (From the Smithsonian report for 1912, pag. 285-289, with 9-plates). — Washington. Le ragioni che indussero l’autore a pubblicare la presente memoria sono principalmente le seguenti: 1°) Che l’eruzione di cui trattasi (1912), insieme alla precedente del 1907, differisce notevolmente da quelle che caratterizzano l’ordinaria at- tività dello Stromboli, tanto da costituire una nuova éra nell’abito erut- tivo di quel vulcano; 2°) Che l’eruzione del 1912, sebbene sia stata la più grandiosa di quelle verificatesi negli ultimi decenni ed abbia messo in serio pericolo gli abitanti dell’isola, fu quasi inavvertita dalla stampa. 3°) Che tanto nel 1907 quanto nel 1912, l’autore fu di quelle eru- zione l’unico spettatore scientifico. I vulcanologi italiani si limitarono a ‘visitare l’isola dopo chiusa la fase eruttiva. Dopo alcune indicazioni concernenti la posizione geografica dell’ isola, l’autore osserva che lo Stromboli è, in sostanza, un piccolo cono vulcanico elevantesi a circa 925 m. sul livello del mare, quantunque la parte emersa non rappresenti che la sommità di una montagna vulcanica subacquea di ben più vaste proporzioni. i Principali caratteristiche della parte emersa sono: una sommità fra- stagliata-e divisa, un cratere eccentrico situato a circa 200 metri sotto la cima del cono, una ripida parete, detta Sciarra del Fuoco, discendente dal cratere al mare e due ripiani situati nell’opposto versante del monte e che costituiscono la parte abitata dell’isola. Il cratere non è pertanto visibile dall’abitato, e ciò contribuisce non poco a mantenere una relativa tranquillità in quella popolazione, la quale non avverte molti dei fenomeni caratteristici che precedono o che aecom- pagnano le eruzioni. Durante la presente generazione la normale attività del vulcano fu caratterizzata — anteriormente agli eventi del 1907 e del 1912 — da una moderata ma quasi continua forma eruttiva, con frequenti proiezioni di frammenti di lava incandescente, i quali davano una illuminazione così re- golare e brillante da far meritare allo Stromboli il nome di « Lanterna del Mediterraneo ». LI BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913. Nella primavera del 1907 l’anzidetta normale attività fu interrotta da una violentissima eruzione. La fase eruttiva durò parecchie settimane con ingente fuoruscita di lava e con la formazione di un vero e proprio cratere di circa 200 m. di diametro. All’accennata fase parossismica succedette un lungo periodo di quasî completo riposo, onde anche per lo Stromboli ebbero allora a verificarsi gli alterni caratteri di attività e di inazione che si manifestano per l’Etna e pel Vesuvio. Durante quel periodo di quiete non il più lieve bagliore sprigionò da quel cratere, e quando l’autore visitò nuovamente il vulcano nel 1909 esso era ancora allo stato quiescente. L’eruzione del luglio-agosto 1912 fu, nell’ insieme, più imponente di quella del 1907 e fu preceduta da locali violenti scosse di terremoto. Furono eruttatianche grossi blocchi dilava basaltica solida, compatta, contenente proporzione rilevante di olivina. Insieme alla lava ebbesi ab- bondante emissione di lapilli e di cenere, che sulla sommità del monte raggiunse lo spessore di due metri. L'autore così riassume le sue osservazioni: a) La cenere dell’eruzione del 1907 era acida, quella del 1912 alca- lina, entrambe nocive alla vegetazione; b) Il periodo parossismico delle citate due eruzioni coincide con le fasi luni-solari, per le quali lo Stromboli mostra grande sensibilità; c) L'emissione di ceneri, verificatasi nell’eruzione del 1912, fu ac- compagnata da forti manifestazioni elettriche con vividi e quasi incessanti bagliori; d) Iprodottidelle fumarole nell’eruzione del 1912, raccolti ‘dall’autore : consistono principalmente in Al, Fe e Mg, combinati con H,S0, e HCl; I le manifestazioni gasose erano costituite da SO, e da tracce di H, S. e) Le bocche eruttive erano in numero di sei; f) L’eruzione durò dal 22 luglio al 14 agosto 1912; g) Il cratere del 1907 aveva circa 200 m. di diametro ed era molto profondo; la gola del vulcano rimase quasi libera, così che i gas ebbero modo di svolgersi liberamente e continuamente dopo l'eruzione; h) L’eruzione del 1912 allargò fino a 300 m. il preesistente cratere e d lo lasciò parzialmente riempito di materiali franati dalle pareti del cratere medesimo; i) I gas sprigionantisi nei periodi parossismici avevano approssimati- È vamente la composizione dell’aria atmosferica, analogamente a quanto ve- rificossi al Vesuvio nel 1906. {E. TISsI). ‘ Da 1 rar è BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 PIACENTINI G. — Scavi nella grotta « Ta-Pot-Figonzo ». (Mondo sott., Anno IX, N. 3, pag. 69-71). — Udine. La grotta di Ta-Pot-Figonzo si apre con due bocche in una parete di brecciola calcarea eocenica che si incontra percorrendo la mulattiera che dal ponte di Barlog conduce a Gabrovizza, nell’ Udinese. La grotta ha circa 15 metri di lunghezza. Il suo suolo ‘è formato da un terriccio asciutto e friabilissimo, la volta e le pareti sono rese irrego- lari da abbondanti incrostazioni stratificate e mammelliformi. La Ta-Pot-Figonzo (sotto il fico) era grotta di sbocco, ma ora lo stil- licidio manca affatto. Il terriccio, completamente asciutto, e le condizioni del terreno all’esterno dimostrano come neppure nei giorni piovosi da essa escono acque. Escavando nel suolo della grotta, apparvero, dopo un primo strato di terriccio, grosse lamine d’incrostazioni calcaree e sottili strati limosi. Il materiale osteologico rinvenuto non fu abbondante, ma tuttavia sufficiente per la sicura determinazione delle seguenti specie: 1°) Cervus capreolus Linn.; 2°) Cervus elaphus Linn; Ovis Aries Linn.; Capra hircus Linn. Si trovarono pure pochi resti di carboni ed un frammento di roccia calcareo-argillosa arrossato ed annerito dal fuoco. Questi ultimi trovamenti testimoniano della presenza dell’uomo nella grotta in epoca abbastanza antica, data la profondità a cui furono rinvenuti e la loro giacenza sotto i crostoni stalagmitici. (E. Tissi). PLATANIA G. — Le recenti variazioni del livello del mare in Italia e la causa del terremoto di Messina e Reggio nel 1908. (Riv. geogr. it., Anno XX, fasc. 1X, pag. 562-566). — Firenze. Nella nota sono riassunte le varie argomentazioni che il sismologo giapponese prof. Omori ha presentate in una sua recente pubblicazione in merito alle variazioni del livello medio del mare nelle diverse stazioni ma- reografiche italiane ed austriache, variazioni che, secondo lo stesso autore, avrebbero stretta attinenza con la causa del terremoto Calabro-Siculo del 28 dicembre 1908 e porterebbero a confermare l'innalzamento del livello medio del mare dopo il suaccennato cataclisma. (E. TIssI). Ponte G. — Sulla indipendenza delle acque sotterranee dell'Etna dalle pre- cipitazioni atmosferiche. (Rend. R. Ace. Lincei, S. V, Vol. XXII, fase. 89, 1° sem., pag. 502-507). — Roma. Con la presente nota l’autore tende a stabilire che le importanti sor- genti d’acqua minerale e potabile che sgorgano dal versante sud-orientale > de» | < MST VII RT ee ia ITA SCAVI CSR BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, -19ta- Cgasroe dà dell’ Etna, non provengono — come altri crede — da infiltrazioni di a piovane, e sì riserva di documentare il proprio asserto con più ampie dimo- strazioni in una successiva memoria. _ (E. Tissi). PreveRr P. L. — Gita a S. Valentino Caramanico. (Boll. Soc. geol. it.,. vol. XXXII, fasc. 4°, pag. CKXXI-CLII). — Roma. E’ la descrizione della gita da Sulmona a S. Vaientino Caramanico compiuta dai membri della Società geologica italiana in occasione dell’ Adu- nanza estiva tenutasi ad Aquila nel settembre 1913. La gita di cui trattasi ha fornito occasione ai Congressisti di ammirare spettàcoli indimenticabili di bellezza e di asprezza, come il pittoresco paesaggio offerto dalla conca Sulmontina, dalle gole di Popoli e di Val Lavino, dal panorama della Majella, del Morrone e delle cime del Gran Sasso ammirato dalla valle del Pescara, come pure dal contrasto fra questi aspri nudi monti ed i bassi colli terziari, a dolce contorno, riechi di vegetazione, che degradano verso l’Adriatico. L’autcre descrive i tratti geo—litologici e le fattezze morfologiche della regione esaminata. Descrive la gita alle miniere asfaltifere ed agli stabilimenti delle due Società Reh e C. e Neuchatel Asphalte, la forra e la cascatella del torrente Cusano ; ricorda i caratteri litologici delle roccie asfaltiche e le discussioni sulla loro età geologica; enumera le faunule nummulitiche ed orbitoidiche desunte dall’esanie di esemplari raccolti nelle cave o nei pressi delle mede— sime ed espone infine varie particolarità che hanno attinenza coll’indu- stria asfaltifera. (E. TISSI). PrINncIPI P. — Intorno ad alcuni fenomeni di erosione sotterranea nei calcari cretacei ad ovest di Assisi. (Boll. Soc. geol., vol. XXXI, fase. 3-4, pag. 334-336). — Roma. In questa nota l’autore si occupa delle cavità canaliformi ordinaria- mente riempite di argilla bruna, che scorgonsi negli strati di calcare rosato % del Cretaceo superiore, messi a nudo da una profonda trincea aperta per l'estrazione di materiale edilizio lungo la strada passante tra Colle S. Ru- fino e Col Caprile a circa mezzo chilom. ad ovest di Assisi, L’autore spiega la causa del fenomeno, dovuta alle acque percolanti lungo © la stratificazione inclinata; mentre l'argilla bruna rappresenta il prodotto dell'erosione del calcare e corrisponderebbe precisamente alla terra rossa, che giace accumulata all’esterno, sul fondo di doline o di altre depressioni. (E. TIssI). d f Pai ds il — trai % fi i " | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 PRINCIPI P. — Secondo contributo allo studio dei fenomeni carsici dell'Umbria (Catena dei Monti Martani). (Mondo sott., anno IX, n. 3, pag. 49-65). — Udine. La catena dei Monti Martani, costituita essenzialmente da calcari, pre- senta — come molti altri rilievi secondari dell'Umbria — una serie di fe- nomeni carsici che meritano di essere rilevati. : L'autore divide i fenomeni carsici di cui trattasi in tre categorie, cioè : doline propriamente dette, voragini e grotte. Tra le doline meritano di essere specialmente menzionate la così detta Corva di Mezzanelli, da riferirsi al tipo delle doline a calice; il Caccaro (dolina a scodella), il Tifeno (dolina a ciotola), il Caccaro di Pascuccio (tipo inter- medio tra le doline a piatto e quelle a scodella), il Fondo Cricchio (dolina a piatto). Tra le voragini l’autore menziona particolarmente il Pozzale e la Poz- zicula; tra le grotte la Grotta dei Cani, la Grotta dei Banditi e la Grotta del Ticchetacche. La maggior parte delle doline che si osservano nella Catena Martana sono dovute alla erosione 0 corrosione superficiale esercitata intorno ad una fessura o ad un reticolato di fessure preesistenti. I fenomeni carsici nel territorio in esame non assumono la grandiosità che è dato osservare in altre regioni calcaree, e ciò specialmente a causa dello sviluppo che assumono i caleari cretacei e giurassici intercalati a strati marnosi ed argillosi (scisti a fucoidi, strati ad aptici, ecc.) che osta- colano ed interrompono la circolazione delle acque nel sottosuolo. | (E. TIssI). \ Principi P. — Alcune osservazioni sulle dicotiledoni fossili del giacimento 0ligo- cenico di Santa Giustina (Liguria). (Estr. dagli Atti Soe. it. per il progr. Scienze, VI Riunione, Genova, ottobre 1912, opuse. di 5 pag.). — Roma. Mentre lo Squinabol si è assunto il compito di studiare le crittogame, le monocotiledoni e le conifere, l’autore rende conto, in questa nota preven- tiva, delle dicotiledoni facenti parte della flora fossile di S. Giustina. Al numero di 120 ascendono le forme studiate dall’autore, tra cui vanno annoverate 20 forme nuove. Il complesso della flora dimostra chiaramente l’età oligocenica del gia- cimento in parola, comecchè alcune forme si presentino anche nel Pliocene. Ventuna specie sono comuni ai giacimenti oligocenici esteri più conosciuti (E. TIssI). UO, Veg ® n ni A . Oy: ui a): É Re Mua BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 Pi > PRINCIPI P. — Osservazioni sui terreni agrari della Somalia italiana meridio- nale. (Giorn. geol. pr., Anno XI, fase. II, pag. 1-53). — Parma-T'orino. La nota concerne lo studio eseguito dall'autore di numerosi campioni di terreni della Somalia meridionale italiana (Regione del Basso Giuba e del basso Uebi Scebeli), campioni raccolti dai dottori Giuseppe Scassellati-Sfor- zolini e Nello Mazzocchi-Alemenni durante il loro viaggio in quella colonia. Premessi alcuni cenni sulla costituzione geologica e sui caratteri mor- fologici della regione, l’autore enumera partitamente le risultanze dell’analisi fisico-litologica, meccanica e mineralogica dei campioni esaminati, deducen- done che i terreni della Somalia meridionale si possono dividere in due gruppi, cioè in terreni sabbiosi formanti le dune e altri rilievi che si svolgono lungo l’Qceano e formanti altresì alcuni fembi di depositi fluviatili, e terrené più o meno argillosi e compatti che costituiscono gran parte della pianura alluvionale che si estende ai due lati del Giuba e dell’Uebi Scebeli. (E. TISSI). PuLLÉ G. — La Torbiera di Campotosto. (Boll. Soc. geol. it., vol. XXXII, fase. 4°, pag. CLXXXIX-CCII, con 2 tav.). — Roma. Durante il Congresso tenuto in Aquila nel settembre del 1913, la Società geologica italiana visitò la torbiera di Campotosto. In relazione a tale eseursione l’A. dà in allegato agli atti del Congresso alcuni cenni illustra- tivi di questa potente ed estesa torbiera che può anno verarsi fra gli esempi classici delle formazioni torbifere d’altipiano. Dopo aver delineato i principali caratteri geo-morfologici del bacino, l’A. accenna alla distribuzione della torba nelle sue diverse zone, alle prin- cipali proprietà fisiche e chimiche di questa, ed ailavori in corso ed in pro- getto per la messa in valore della torbiera. La nota è corredata di una cartina illustrativa e di ‘una sezione del giacimento torbifero. (GP. i PoLLé G. — Sulla probabile esistenza di una motevole dislocazione nelle formazioni mesozoiche dei Pizzoni di Laveno (Nota preliminare). (Boll. Soc. geol. it., vol. XXXII, fasc. 1°-2°, pag. 293-296). — Roma. Questa breve nota preliminare è frutto dei lavori di rilevamento iniziati - a cura del R. Ufficio geologico nella regione posta ad Oriente del Verbano I durante l’estate del 1912, È L’A. prendendo argomento dalla determinazione stratigrafica e erono- logica di uno stretto orizzonte marnoso riferibile alla base della dolomia » > ri i n fa ù AP ly (oT Lul vd ‘ î Da Sy SET n° o N dA ù rà; Îi N, " Nine "| MAL d pr: h 9 Ù i BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 65 principale, induce la probabile esistenza di una notevole dislocazione nelle formazioni mesozoiche dei Pizzoni di Laveno, facendo notare che un rilievo dettagliato della regione permetterà di dimostrare l’esistenza di numerose fratture che debbono avere interessato i terreni secondari (1). (G. P.)L PuLLÉ G. — Il manganese della regione di Portoscuso (Sardegna) e le forma- zioni trachitiche che lo accompagnano. (Boll. Com. geol. it., Vol. XLIII, fase. 49, pag. 321-335, con 7 fig. e 1 tav.), — Roma. La nota consta di due parti distinte. Nella prima si descrivono som- mariamente i caratteri geologici e petrografici delle formazioni vulcaniche della regione di Portoscuso, sovrappostesi ai terreni sedimentarii del Ter- ziario, le quali sono costituite da un’alternranza di trachiti e di tufi in cui è possibile distinguere almeno tre colate laviche e due sedimenti di tufo ora brecciforme ora cineritico. Nella seconda parte si prende in esame un interessante fenomeno ‘di mineralizzazione per cui si originarono in queste stesse formazioni delle impregnazioni e delle vene di manganese, le quali debbono considerarsi come il prodotto di una contrazione operatasi, per azione degli agenti su- perficiali, sui sali di manganese venuti a giorno colle trachiti e da queste | liberatisi in seguito ad un processo di estrazione magmatica. Si osserva che la mineralizzazione è notevelmente diffusa, ma finora non furono messe a giorno concentrazioni tali da alimentare serie speranze di successo in giacimenti di questo genere, la cui disparizione in profondità può rendere instabili e precarie le coltivazioni. (G. P.). RiBonI P. — I giacimenti di petrolio di San Giovanni Incarico. (Rivista del Servizio Minerario peril 1911, pag. 135-139). — Roma. (Rass. min., MoLXXRXA VET, nil) pag. 1-3). = Torinos In questa nota è riportata la cronistoria delle vicende alle quali andò soggetta — dal punto di vista industriale e minerario — la zona petrolei- fera esistente in provincia di Caserta e precisamente nei Comuni di San Giovanni Incarico e di Pico, nella zona compresa fra il fiume Liri ed i monti San Leucio, Pota, Vaglio e Cervaro. (1) Nota dell’ Autore. — In realtà alcune escursioni eseguite durante l’estate del 1913 hanno per- messo di determinare e localizzare meglio sul terreno alcune linee principali dl dislocazione, ma essen- dosi dovuti troncare i lavori per ragioni interne di ufficio, questo studio regionale è rimasto fino ad oggì sospeso. GIARI [RINO BIBLIOGRAFIA: GEOLOGICA ITALIANA, 19130 Dopo aver rilevato che gli strati nei quali il petrolio fu incontrato appartengono alla formazione terziaria, e specialmente al Miocene, e con- sistono in marne più o meno dure, marne sabbiose ed argille colorate, al- ternanti fra loro e ricoprenti degli ammassi di conglomerati che alla loro volta rivestono i calcari nummulitici e eretacei sottostanti, l’autore espone le fasi per le quali passarono le esplorazioni di petrolio fatte in quella re- gione, ne enumera i risultati e gli insuccessi, cita le epoche in cui le ri- cerche furono eseguite e le profondità raggiunte dai singoli pozzi, descrive le caratteristiche fisico-chimiche del petrolio e termina formulando il voto che possano venire riprese non solo le trivellazioni ma benanco gli studi tettonici di tutta la zona asfaltico-bituminoso-petroleifera estendentesi dagli Abruzzi alla Terra di Lavoro, nonchè quelli della zona petroleifera Salerni- tana e Potentina, le quali pure presentano qualche interesse. (E. TISSI). ROCcCATI A. — Brevi cenni geologici e litologici sopra il Vallone del Mont Colomb. (Opus. di 11 pag., Società Tipo-litogr. Ligure, E. Olivieri e C.). — (Genova. Il vallone del Mont Colomb — osserva l’autore — appartiene geologi- camente al noto ed importante « Gruppo dell’ Argentera » ed è scavato nelle roccie gneissiche, che sono predominanti, per non dire esclusive, in quella regione. Sono gneiss a scistosità generalmente irregolare e poco evidente e comprendono diverse varietà, come il gneiss micaceo, il micaceo—cloritico, l’anfibolico, il pirossenico, il granatiféero, il cloritico, il gneiss a pirite ece.; vi manca però il vero gneiss normale tipico che è invece predominante nella Serra dell’ Argentera. L’autore si addentra quindi a parlare di altre caratteristiche petro- grafiche di quella massa gneissica, degli inclusi che vi si osservano e della natura lito-mineralogica dei medesimi, della tettonica dell’ampia zona gneissica in cui è scavato il vallone di cui trattasi, dell’età di quelle for- mazioni e dei caratteri glaciologici che nella regione si riscontrano. Per ciò che concerne l’età l’autore ritiene che le formazioni in parola anzichè all’Arcaico (al quale si volle aserivere tutto il gruppo gneissico dell’ Argentera ed a cui possono riferirsi le parti più profonde del Massie- cio) debbano invece riferirsi al Paleozoico. Le varie roccie ivi esistenti sarebbero in generale di origine clastico-detritica e dovrebbero la loro accen- tuata cristallinità a fenomeni di profondo metamorfismo. Dal lato glaciologico — soggiunge l’autore — la regione del Mont Co- lomb può dirsi l’unica delle Alpi marittime in cui esistano veri ghiaeciai, che sono i più meridionali della catena alpina. 6 a sii Ri { y a bi i ta) bl; 4 id th È I ine gi, | —BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 67 Oggidì essi più non sono che piccoli ghiacciai, di cui nessuno ha lun- ghezza superiore ad un chilometro, i quali fortemente risentono delle pre- cipitazioni nevose più o meno abbondanti dell'annata precedente e pre- sentano quindi bruschi scarti di avanzamento e di regresso; ma durante il periodo glaciale anche in quella regione il glacialismo doveva presentare uno sviluppo veramente grandioso. (E. TISSI). RoccatI A. — Il quarto tronco della linea Vievola-Tenda (ferrovia Cuneo— Ventimiglia-Nizza). (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXII, fasc. 3°, pag. 451- 464). — Roma. Quale contributo alla conoscenza della natura geo-litologica dell’alta valle della Roia, l’autore deserive in questa nota le varie roccie incon- trate lungo il quarto tronco della linea Vievola-Tenda, della ferrovia Cu- neo-Ventimiglia-Nizza. Il tronco in parola si svolge tutto ed esclusivamente nelle formazioni del Monte Cagnolina, in territorio di Tenda, formazioni che costituiscono il rilievo divisorio tra il vallone di Rio Freddo e la valle della Roia. Tale tronco, compreso tra le progressive m. 4400.00 e 5970.31, com- | prende quattro gallerie in curva, cioè la galleria di Rio Freddo, la galleria Morga, la galleria Gerbo e la galleria Cagnolina. Il rimanente del tronco è costituito da un rilevato, dalle trincee d’approccio alle gallerie, da due altre trincee e da quattro manufatti. Mentre i primi tre tronchi della suddetta ferrovia furono scavati parte in calcari dolomitici del Trias medio o superiore e parte nelle anageniti a cemento micaceo-metamorfico, caratteristiche del Permo-Trias nell’alta valle della Roia, il quarto tronco Rio Freddo—Cagnolina si svolge invece in formazioni che appartengono in parte ai terreni giurassici ed in parte a quelli del Cretaceo. Le formazioni del Giura e del Cretaceo, che hanno grande sviluppo in questa importante zona delle Alpi Marittime, vi sono rappresentate essen- zialmente da calcari sempre più o meno magnesiferi e da scisti calcarei ed argillosi. Tali roccie sono caratterizzate dalla presenza di abbondante sostanza carboniosa, che imparte loro una tinta nera; in esse non si rinvennero si- nora che scarsi resti fossili, anzi nella località in esame proprio nessuno. Alle suesposte indicazioni l’autore fa quindi seguire la descrizione par- ticolareggiata delle formazioni incontrate nello scavo del mentovato quarto tronco Rio Freddo—Cagnolina. (E. TIssI). ui DO BIBLIOGRAFIA GEOLOG CA ITALIANA, 1913 \ PES: + I. PT Tae EA ES ola, RoccatI A. — Il talco delle « Grangie Subiaschi » in Val Pellice (Alpi Cozie) ed i minerali ad esso associati. (Atti R. Ace. Se. Torino, Vol. XLVIII, disp. 103, pag. 630-642). — Torino. La nota ha per oggetto la descrizione di un giacimento di talco situato nella parte nord-occidentale del vallone dei Subiaschi (Valle del Pellice) e precisamente nella località detta Combà Fionira, presso le così dette « Grangie Subiaschi ». In detta località il talco affiora alle falde orientali della Punta Cour- nour, alla quota di circa 2200 metri, e sembra che alcune decine d’anni fa abbia formato oggetto d’una lavorazione abbastanza intensa. Il giacimento di talco alle « Grangie Subiaschi » è rappresentato da banchi compresi fra i calcari bianchi saccaroidi, nettamente stratificati, che costi- tuiscono la formazione assolutamente predominante in quella parte della Valle del Pellice, ed in perfetta concordanza stratigrafica coi medesimi. Si ha quindi un tipo di giacitura che esattamente corrisponde a quella di parecchie delle cave di talco attualmente lavorate nella vicina valle della Germanasca, nella quale i banchi di talco si trovano generalmente al con- tatto fra i gneiss od i micascisti ed i caleari cistallini, oppure sono interstra- tificati ai calcari cristallini stessi. Il minerale è tenero ed untuoso al tatto; ha lucentezza perlacea-sub- metallica e color bianco argenteo tendente al verdognolo, con numerose chiazze a tinta gialla più o meno intensa derivante da inquinazione di limo- nite, la quale probabilmente deriva dall’alterazione dei cristalli di pirite che trovansi inclusi nella massa. Inglobati in questo talco, che ha struttura fogliacea, vi sono cristallini di attinoto, cristalli di pirite e piccoli cristalli di granato. I cristalli di attinoto, che sono abbondantissimi, hanno forma prismatica più o meno allungata; i cristalli di pirite hanno dimensioni massime non superiori a quelle di un pisello e forma risultante dall’associazione del pen- tagonododecaedro con il cubo; i cristalli di granato presentano esclusiva- mente la forma del rombododecaedro. i Oltre al talco fogliaceo esiste in alcuni punti anche il talco compatto, bianco, con lucentezza sub-perlacea, saponaceo, untuoso al tatto, tenero, con perfetta apparenza di steatite. Questo talco compatto, omogeneo, senza minerali accessorî inglobati nella massa, ha composizione chimica molto prossima a quella teorica, cioè: SiO, = 63.5; MgO= 31.7; HHO= 4.8, edi rapporti molecolarì por- tano con grande approssimazione alla formula H, Mg; Si, 0,3, che è appunto la formula di composizione generalmente ammessa per il talco. | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 Tanto nel talco delle « Grangie Subiaschi » quanto in quello della valle Germanasca è caratteristica anche la presenza dei così detti « rognoni », cioè di certe masse tondeggianti, di variabilissime dimensioni, che si incontrano saltuariamente inglobate nel talco e che sono generalmente costituite da quarzo ialino. L’autore ritiene che questi rognoni abbiano notevole importanza per la ricerca della genesi dei giacimenti di talco. (E. TIssi). RoccatI A. — Il pozzo trivellato dell'Ospedale S. Lorenzo nella città di Car- magnola. (Estr. dalla Riv. di Ing. Sanit. e di Edil. moderna, opus. di 7 pag.). — Torino. Nell'agosto 1912 l’ Amministrazione dell’Ospedale di $. Lorenzo, nella città di Carmagnola, affidò alla Ditta Audoli e Bertola di Torino l’incarico di eseguire un pozzo trivellato per la ricerca di acqua potabile da servire pei bisogni dell’Ospedale medesimo. Alla profondità di 70 metri la perforazione raggiunse una zona marnoso- argillosa al di sotto della quale incontrò una copiosa falda acquifera saliente, il cui zampillo salì fino a m. 3.80 sopra il piano di campagna, con una portata di circa 4 litri al minuto secondo, avendo l’acqua una temperatura di 139.2. L’autore passa ora a partitamente descrivere il materiale incontrato con la trivellazione a diversi livelli, materiale che si conserva presso il Museo Geo-Mineralogico del R. Politecnico di Torino, e la cui composizione mine- ralogica permette di stabilire che le formazioni attraversate sono tutte rife- ribili al Quaternario recente e che le alluvioni provengono quasi esclusiva- mente dalle Alpi Marittime in cui sono appunto caratteristiche le roccie quarzitiche, anagenitiche e scistose, porgendo così una conferma che nel- l’alluvionamento del sottosuolo di Carmagnola poca o nessuna influenza ebbe il Po, il quale doveva scorrere a notevole distanza verso occidente. Soggiunge l’autore che il materiale estratto dal fondo del pozzo fino a 50 metri sotto il livello del suolo rappresenta le alluvioni depositate durante il primo ed il secondo periodo delle Terrazze dal fiume Tanaro, nel quale già avevano confluito i torrenti Gesso, Stura, Grana, Maira e Varaita. Superiormente ai 50 metri si avrebbero invece le alluvioni corrispondenti al terzo periodo delle Terrazze, durante il quale l’alluvionamento fu ancora operato dal Tanaro e dagli altri suoi affluenti, ad eccezione della Varaita. L’acqua rintracciata è perfettamente limpida, incolora, inodora e di sapore grato e risulta ottima anche dall’eseguita analisi chimica, quantunque il suo grado di durezza sia piuttosto sensibile. | (E. TISSI). Cai | BIBLIOGRAFIA 70 GEOLOGICA ITALIANA, 1913 © e Roccati A. — Tremolite e talco lamellare nel calcare del vallone dei Subiaschi (Valle Pellice). (Riv. di min. e crist. it., Vol. XLII, fasc. Ve VI, pag. 65-75). — Padova. L’autore porge in questa nota la descrizione dell’anfibolo del calcare del vallone dei Subiaschi, che egli afferma essere una tipica tremolite, nonchè del talco disseminato in una varietà di quella roccia calcarea sotto forma di esilissime laminette. (E. TISSI). - RoccaTI A. — I ghiacciai del gruppo Clapier-Maledìa-Gelas ( Alpi Marittime). (Estr. dalla Riv. del Club Alp. Ital., Vol. XXXII, N. 5, Anno 1913, opus. di 9 pag.). — Torino. In questa nota l’autore descrive le condizioni in cui si trovavano, nel- l’estate del 1912, i ghiacciai Clapier, Peirabroc, Maledìîa, Muraion e Gelas, compresi nella zona delle Alpi Marittime, e rende conto delle osservazioni fattevi e delle operazioni ivi eseguite per il collocamento di segnali. (E. TrssiI). Sacco F. — La geotettonica dell'Appennino meridionale. (Boll. Soc. geol., it., Vol. XXXI, fasc. 3-4, pag. 379-387). — Roma. Facendo seguito ad un precedente lavoro sull’ Appennino meridionale, pubblicato due anni or sono nel Bollettino della Società geologica italiana, l’autore presenta ora, a naturale complemento del primo, la presente nota corredata della cartina geotettonica ed accompagnata dalle opportune indi- cazioni a chiarimento della medesima. Dall’esame di questa cartina geotettonica dell’ Appennino meridionale, chiaramente emerge che la parte orientale od adriatica dell’ Appennino è costituita essenzialmente da rughe più o meno ondulate e serpeggianti } È mentre che la sua parte occidentale o tirrena è principalmente costituita da fratture più o meno lineari. Tra queste due grandi zone principali si va insinuando a sud, ossia nella regione della Lucania-Basilicata, una specie di zona intermedia a grandiose e complesse anticlinali ondulate. Una tale differenza geo-tettonica è essenzialmente dovuta alla differente costituzione geo-litologica della catena appenninica in esame, giacchè mentre “A la regione occidentale-tirrenica è costituita, nel suo complesso, da una po- tente serie di banchi calcarei compatti, rigidi, cretacei e giura-triassici, nella sua parte orientale-adriatica invece è formata specialmente da terreni eoce- nici, rappresentati da strati calcarei ed arenacei alternati con scisti argillosi. peo) vd Pia ale PR da FEGIPPTA Ai i, i Ai “è wii î + Bri i BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 71 Ora sotto l’intensa azione orogenica, ripetutasi più volte dalla fine del- l’Eocene al Quaternario, i banchi calcari mesozoici, grossi e compatti della regione tirrenica si fratturarono secondo varie direzioni, risultandone un complesso di giganteschi frammenti, che nei successivi sforzi orogenici su- birono vari spostamenti, di sollevamento alcuni, di sprofondamento altri, con accompagnamento di inclinazioni diverse e di irregolarità svariatissime.. La regione appenninica orientale-adriatica invece, essendo parzialmente costituita da formazioni scistose, tenere, piegabili e scorribili, anzichè a frat- turazioni, andò soggetta a multiformi corrugamenti e ripiegamenti, più o meno accentuati, ripetuti e ondulati. Nel primo caso ne risultò una orografia a grandi gradini, a giganteschi tavolati, separati da grandi e profonde vallate ; nel secondo caso invece ne risultò un’orografia tormentata, un paesaggio a serie di monti e colline più o meno sub-parallele, separate da valli poco larghe e poco profonde. (E. TISSI). Sacco F. — Osservazioni geo-idrologiche circa il problema dell’acqua potabile per Este. (Opusc. di 11 pag.). — Stab. tip. P. Pastorio, Este. Premette l’autore che la regione Euganea che forma oggetto della pre- sente nota è geologicamente costituita da una impalcatura generale di cal- cari più o meno marnosi, Qua e là siliciferi, di età cretacica, grigi o biancastri o rosati, che passano, nella parte più alta, a calcari marnosi grigio—giallo- gnoli di età eocenica. i Tutti gli accennati calcari (detti volgarmente scaglia per la loro facile suddivisione e frantumazione in scaglie irregolari), che si presentano in strati o banchi a tettonica generalmente assai dolce, sono ricoperti da potenti formazioni trachitiche e tutta la regione è ammantata da un depo- sito più o meno ingente di detrito di falda, calcareo o trachitico, relativa- mente recente (quaternario), irregolarmente breccioide, il quale trovasi accumulato tanto nelle depressioni superiori quanto nelle pianeggianti vallate inferiori ove costituisce parte importante del deposito alluvionale dei basso- piani vallivi. ” | Esposte le accennate indicazioni geologiche generali necessarie per la conoscenza dei fenomeni idrologici che hanno attinenza col soggetto della presente nota, l’autore passa a trattare del regime acqueo sotterraneo, osser- vando anzitutto, in linea generale, che per le acque sotterranee della regione Euganea in esame è da escludersi qualunque origine alpina od altrimenti lontana, come da alcuni era stato supposto, e che si tratta invece unica- mente di acqua di pioggia o di locale fondita di nevi. 4 . M La POLE n 4 sf till i 4 er: \ val so ne, BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, P i L’autore viene quindi alla conclusione essere del tutto presumibile che con opportune opere di estrazione si potrà ottenere dalla località detta Fontanazza una quantità d’acqua sufficientemente abbondante e costante da alimentare la città di Este, con o senza — a seconda delle circostanze — ulteriori allacciamenti di sorgenti dalle cireonvicine pendici. (E. TISSI). SACCO F. — Les Alpes Occidentales. (Vol. in-4° di 196 pag. con carta geolog., carta tectonica e sezioni). — Torino. In questa pubblicazione, l’autore sinteticamente riassume tutto ciò che oggidì sì conosce intorno alla genesi ed alla struttura geo—litologica delle Alpi Occidentali, dividendo, a tal uopo, il suo lavoro come segue: Sunto istorico-bibliografico, nel quale vengono segnalati i principali studi di natura geologica finera compiuti sulle Alpi Occidentali, ed al quale fa seguito l’esame delle diverse formazioni a partire dall’ Arcaico-Paleozoico (gneiss, scisti cristallini e roccie massive) e dedicando un capitolo speciale all’ Antracolitico più o meno metamorfico. Segue quindi la descrizione del Mesozoico, cominciando dal caratteristico Mesozoico metamorfico e venendo successivamente ad esaminare il Mesozoico Normale, distinto nei suoi piani principali Trias, Retico, Lias, Giuraliassico e Cretaceo e nelle sue suddivisioni secondarie. Fa quindi seguito la descrizione del Cenozoico, distinto pur esso nei suoi piani principali (Eocene, Oligocene, Miocene, Miopliocene e Pliocene) e nei sotto—piani rispettivi: segue poscia la descrizione del MNeozoico, diviso in Plistocene ed Olocene. Uno speciale capitolo è destinato alla disamina del Metamorfismo, il quale nella costituzione delle Alpi Desio rat ha una Li disease ed indiscu- tibile importanza. ù Un capitolo è destinato alla Tettonica, eccezionalmente completa in quel gruppo montuoso, la quale viene illustrata da una tavola di sezioni geologiche dimostranti i complicati ripiegamenti, contorsioni ed accavalla- menti cui quelle formazioni andarono soggette e per i quali ebbe a derivarne la complessiva configurazione di quella catena alpina. Chiude l’opera un capitolo di geologia applicata ed un vir ee geo- istorico, il quale in rapida sintesi compendia la ceronistoria geologica delle Alpi Occidentali a cominciare dalle più antiche formazioni e via via risalendo fino ai nostri giorni. Corredano la memoria, oltre alle già accennate tavole di sezioni, una carta geologica ed una carta tettonica. (E. Tissi). i Li % e bai £i FR Tae Per, i PERL i € î bd ni e VA i l'e RAI PI d Ù o A BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 Sacco F. — Rinvenimento di Fenestelle all’Elba. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXII, fasc. 3°, pag. 439-444). — Roma. Nel tratto dal Malpasso alla Spiaggia di Ripabianca (versante Nord- orientale dell’isola d’Elba), fra gli argilloscisti ondulatamente inclinati N.-NO., l’autore rinvenne parecchi resti di Fenestella che, per la forma complessiva, le maglie, ecc., ricordavano le specie di Fenestelle tanto fre- quenti in certe formazioni del Permo-Carbonifero. Anche il prof. Gortani, assai pratico in materia per avere recentemente studiate le Fenestelle del Paleozoico Carnico, ed al quale fu sottoposto uno dei migliori esemplari dell’ Elba, dichiarò che la forma esaminata si può, dall’ insieme dei suoi caratteri, con fondamento avvicinare alla Fenestella Veneris Fischer, propria del Carbonifero delle Alpi Carniche, della Russia e forse del Belgio. Dagli emersi risultati l’autore crede di poter dedurre che la complessa formazione brunastra, essenzialmente argillo scistosa, che si sviluppa a nord ‘di Rio Marina, dal Malpasso sin oltre la spiaggia di Ripabianca, piuttosto che al Siluriano sia riferibile al Carbonifero. (E. TISSI). _SANNA E. — Cenni sulla importanza dei filoni, detti radiali, del massiccio granitico dell’ Arborese, in regione di Gennamari-Ingurtosu (Sardegna). Rass. min., Vol. XXXIX, N. 3, pag. 41-43). — Torino. I filoni detti radiali — osserva l’autore — ugualmente che quelli detti periferici del nucleo granitico dell’altipiano d’ Arbus, si ritennero dapprin- cipio originati direttamente dal sollevamento dei graniti e si supposero tutte quelle fratture generate dalla contrazione per raffreddamento e conso- lidamento del magma granitico. In seguito poi a particolareggiati studi del giacimento di Gennamari- Ingurtosu potè stabilirsi che gli accennati filoni appartengono a due sistemi distinti, e ciò tanto in riguardo alle cause che provocarono le fenditure quanto per ciò che concerne la formazione metallifera. Secondo l’autore, i filoni radiali, ritenuti finora di esigua importanza, potrebbero fornire, con ulteriori esplorazioni in profondità, un vasto campo di proficue coltivazioni, e ciò in considerazione che i laccoliti riscontrati nei punti dei filoni in cui si verificarono le maggiori concentrazioni metallifere, potrebbero costituire altrettante colonne mineralizzate in profondità e spe— cialmente al limite d’influenza della zona di circolazione delle acque, cioè immediatamente sotto il così detto livello idrostatico, \ Osserva altresì l’autore esservi probabilità di scoprire, nelle regioni profonde, dei giacimenti di altri metalli (rame, nichelio, stagno), giacchè i filoni radiali appunto perchè d’origine più recente e formati quasi da emana- Ra 74 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 — Ta è ip Li zioni metallifere dovrebbero, in profondità, dare ricetto a minerali di rame, essendovi stata in Sardegna un’epoca metallifera più recente, caratterizzata dalla grande quantità di calcopirite che trovasi disseminata nelle trachiti. porfiriche della costa occidentale dell’ isola. (E. TIssiI). SARTORI F. e TesTtA L. — La stratigrafia del Paleozoico d’Iglesias. (Res. Ass. min. sarda, Anno XVIII, N. 2, pag. 9-13 con 2 tav.). — Iglesias. In seguito a nuove escursioni eseguite dagli autori, le quali conferma- rono la ripetizione costante dei fatti stratigrafici sui quali poggiavano le loro primitive osservazioni, e dopo che i fossili trovati negli scisti silurici di Planudentis, Candiazzus e Domusnovas ne sommistrarono anche la riprova paleontclogica, gli autori stessi riassumono come segue le loro deduzioni: lo gli scisti cambriani di Cabitza sono sottostanti alle arenarie cambriane ; 2° la dolomia rigata passa gradatamente alle arenarie alle quali è sottostante; essa fa quindi parte della formazione cambriana ; 30 la massa calcarea di Monteponi e quella pure di S. Giovanni, S. Giovaneddu, S. Giorgio e Cabitza, vale a dire la massa che racchiude la mineralizzazione, nulla ha di comune con la dolomia rigata, ed altro non è se non una grande formazione brecciosa composta di calcare ceroide e calcare dolomitico metamorfico ; 4° la massa brecciosa metallifera è stretta tra lo scisto cambriano a Sud e la dolomia rigata a Nord. Il contatto tra lo scisto cambriano e la breccia metallifera è estremamente irregolare, rotto, in molte regioni rad- drizzato verticalmente o addirittura pendente a Sud, con discontinua in- terposizione di calcescisti e dolomitoscisti anch’essi estremamente rotti e contorti; 5° la massa brecciosa metallifera a sua volta non ha una vera strati- ficazione, ed ha una direzione che nulla ha che vedere nè con la stratifica- zione della dolomia rigata nè coll’andamento del contatto cogli scisti cambriani; 6° la massa brecciosa metallifera deve quindi ritenersi un ineluso, estraneo e pesteriore alle rocce cambriane che lo contengono; 7° astrazion fatta delle miniere filoniane negli scisti, quali Monte- vecchio e Ingurtosu, le rimanenti miniere dell’Iglesiente sono strettamente legate alla presenza del calcare ceroide e della breccia, motivo per cui po- trebbe trarsene la seguente illazione : che î giacimenti tipici dell’Iglesiente sono nel calcare a grotte siluriano 0 postsiluriano 0 nella breccia che l’accompagna, e che la dolomia rigata cambriana dà luogo a mineralizzazioni di grande importanza. (E. TISSI). 4 - hà , seit et vie 9 tes PES reni mie. GEOLOGICA ITALIANA, 1913 Va PRG legia mi BIBLIOGRAFIA SawicnHi L. R. — Die eiszeitliche Vergletscherung des Orjen in Siddalmatien. (Z. f. Gletscherkde, V, H, 5, 1911, S. 339-355; sunto nel Geol. Zentr., Bd. 18, N. 12, 1467). — Leipzig. Dalla nota si desume che la regione dell’ Orjen, nella Dalmazia meri dionale, presenta nelle sue parti orientale ed occidentale marcatissime di— versità per ciò che concerne le vestigia delle antiche glaciazioni, diversità che vanno indubbiamente attribuite alla differente natura dei venti che vi dominano, essendo i venti occidentali sensibilmente più caldi di quelli che spirano nella parte orientale di quella regione. Oltre ai caratteri morfologici, assai diversi nelle opposte parti di quella plaga, i ghiacciai differivano notevolmente anche in rapporto alla loro estensione; infatti mentre quelli del versante occidentale raggiungevano al massimo tre km. di lunghezza e non scendevano sotto la quota di 1000 metri, quelli del versante orientale presentavano invece uno sviluppo longitudinale di 8-10 km. e scendevano fino a 600 m. i (E. TISSI). SIEBERG A. — Ein Besuch des Stromboli.(Natur, VIII Jahr, 1912, S. 289-295, 338-341; sunto nel Geol. Zentr., Bd. 19, N. 1, pag. 16). — Leipzig. Riferisce l’autore di avere visitato lo Stromboli in un periodo di sua straordinaria attività, cioè al principio dell’agosto 1911. Dopo alcune considerazioni d’ indole generale e dopo alcune indicazioni concernenti la morfologia del vulcano, l’autore fa notare che le esplosioni si verificavano ad intervalli variabili da 3 a 26 minuti ed erano tanto più violente quanto più lungo era il periodo che le separava. Esse erano gene- ralmente accompagnate da un leggero tremolìo o scuotimento del suolo, al quale, dopo pochi secondi, seguiva un rombo sordo e prolungato e talvolta | uno schianto paragonabile a quello di un colpo di cannone. Immediatamente dopo elevavasi dal cratere una densa e scura nube di fumo e cenere, avente la forma d’un cavolfiore, e subito dopo un gettito di lava che ricadeva parte nel cratere e parte sui suoi orli e sui fianchi. La caduta dei proietti cagionava un crepitìo simile a quello che produce una pioggia torrenziale sulla platea lastricata d’una strada o d’una piazza. (E. TISSI). Min pi > a RE PIRALI IE è, - 6 : ) v$4 desc: b i 76 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 SIEBERG A. — Streifzige in suditalienischen Erdbeben-und Vulkangebieten, mit besonderer Beriicksichtigung des Atna und seiner letzen Eruption. (Ans. d. Natur, VII Jahr, 1911, S. 268-275, 302-3I1, 334-348, 376-383; - sunto nel Geol. Zentr., Bd. 19, N. 3, pag. 111). — Leipzig. In questa nota l’autore riassume i risultati di due escursioni scientifiche da lui eseguite in Italia nel 1910 e 1911. | Dopo alcuni cenni sul Vesuvio e sui Campi Flegrei l’autore passa a descrivere le caratteristiche geologiehe delle zone Siciliana e Calabrese che furono teatro del memorabile cataclisma del 28 dieembre 1908, come pure delle plaghe della Campania e della Basilicata state funestate dal terremoto del 7 giugno 1910, osservando al riguardo che i danni risentiti dalle co- struzioni edilizie hanno concomitanza non soltanto con la costituzione geo- logica del terreno ma eziandio colle modalità di costruzione e col grado di decomposizione dei materiali. Segue quindi la descrizione dell’ Etna, coi particolari inerenti alla sua topografia, alla sua struttura geologica ed alle sue memorabili eruzioni, tra cui deve annoverarsi quella laterale del marzo-aprile 1910, stata partico larmente studiata dall’autore e della quale rieorda e deserive le varie bocche, le spaccature, ecce., nonchè la natura dei prodotti eruttati anche in rapporto alla quota dei rispettivi orifizi d’uscita. (E. TISSI). SIEBERG A. — Die topographischen Umgestaltungen auf dem Atna, hervor- gerufen durch die Eruption in der Zeit vom 9bis 26 september 1911. (Geol. Beitr. z. Geophys., XI Bd., 2-4 H., S. 162-176, Leipzig; sunto nel Geol. Zentr., Bd. 19. N. i, pag. 14). — Leipzig. In questa nota l’autore rende conto delle osservazioni da lui effettuate sul posto in occasione dell’eruzione etnea verificatasi nel settembre 1911. (E. TISSI). SQuINABOL S. — Radiolari della strada nazionale al Monginevro. { Boll. Com. geol. it., vol. XLIII, fase. 2°-3°, pag. 281-289). — Roma. La nota concerne le radiolarie raccolte nel 1910 dall’ ing. Franchi lungo la strada nazionale del Monginevro, dello studio delle quali venne incaricato l’autore. v Molte delle forme raccolte vennero in seguito sceartate perehè non si prestavano a determinazioni precise. L’esame particolareggiato si restrinse quindi a 14 forme, di cui 5 mon hanno aleun riscontro in altre già note. v- ea e Po RT i 1 Ver va 4 SP 0 L’autore osserva che il citato numero di specie esaminato sarebbe in- vero troppo esiguo per poterne fare deduzioni cronologiche rigorosamente certe, se non vi fossero fra esse alcuni esemplari speciali e caratteristici che non consentono aleun dubbio sull’ orizzonte a cui deve riferirsi la roccia a radiolarie del Monginevro, cioè al Neo-giurassico. (E. TISSI). STEFANINI G. — Osservazioni geologiche nella Somalia italiana meridionale. (Boll. Soc. geol. it., vol. XXXII, fase. 3°, pag. 398-400). — Roma. Premette l’autore che dopo oltrepassata una larga zona costiera for- mata di depositi eolici ed alluvionali, inoltrandosi verso l’interno del paese si entra, quasi insensibilmente, in una regione pianeggiante ma costituita di rocce assai più antiche. Di questa regione l’autore ha visitato solo la parte che si stende a mezzogiorno. e ad oriente di Bardera, tra il corso inferiore del Giuba, il Monte Meldac e il Monte Egherta, ed è appunto di essa che si occupa la presente nota. Questa regione è costituita da un massiccio di roccie cristalline (gra- nititi, quarziti, gneiss) che si estende fra Egherta, Monte Mun e Bur Meldac; a tale massiccio si addossa in trasgressione una serie di depositi calcari mesozeici, i quali generalmente presentano strati pochissimo in- clinati. I primi strati immediatamente al di sopra delle rocce cristalline sono arenacei: trattasi di arenarie quarzose o calcari grigi con granelli di quarzo, per lo spessore di qualche decimetro. Succedono dei banchi di lumachella con grosse bivalvi, gasteropodi, brachiopodi, coralli. ece., alternanti con banchi di calcari grigi poveri di fossili o includenti nidi di fossili tutti frantumati. L’autore la ritiene una formazione neritica, originatasi molto vicino alla spiaggia; al di sopra però i depositi si fanno più marnosi e presen- tano solo tracce di gasteropodi in cattivo stato di conservazione. A questa prima serie di strati — della complessiva potenza di una cinquantina di metri — fa seguito una pila di calcari generalmente grigi, privi di fossili, a cui succedono, in alto, nuovi orizzonti fossiliferi, che l’autore specificatamente descrive enumerando anche i fossili contenutivi, senza però indicare per essi alcuna attribuzione specifica e senza potere assegnare un sicuro riferimento cronologico ai depositi che li contengono. (E. TISSI). ea a «o e BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 "PR URI La” O ni gi ata da FIR { ei | 78 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 GG STEINMANN G. — Uber Tiefenabsdatze des Oberjura im Apennin. (Vortr. der Geolog. Vereinig, in Marburg am Mai 1913). — Wien. Osserva l’autore che nella zona a facies lepontinica degli Appennini, si ebbe ripetute volte occasione di notare formazioni di mare profondo sotto forma di kadiolariti, nonchè depositi argillosi e calearei abissali, e che una delle più rimarchevoli di tali formazioni si trova presso Figline di Prato, tra Firenze e Pistoia, vale a dire nella zona che racchiude il rinomato « Verde di Prato », ossia il serpentino del Monteferrato. Poco lunge dal villaggio di Figline, nelle vicinanze di quel Camposanto, l’autore ha desunto, trasversalmente al vallone detto di Ripa, una sezione geologica riportata nella presente nota, la cui successione stratigrafica è co- stituita, in alto, da alberese in grossi banchi, ed in basso da un complesso di tipiche radiolariti, il tutto riposante su serpentini, gabbri, oficalei. Tra gli alberesi e le radiolariti tipiche trovansi alternatamente interposte stra- tificazioni di rocce abissali, argillose e silicee, le quali racchiudono anche uno straterello prettamente calcare. | | _ La massa principale delle Radiolariti (nettamente visibile in una cava presso il Camposanto del villaggio) ha una potenza di circa 40 metri, ed è, secondo l’autore, la schietta rappresentante del medesimo tipo litologico che rinviensi in altre parti degli Appennini a facies lepontinica, nelle falde retiche delle Alpi e nell’Alta Brianza. Una particolarità interessante è offerta anche da un banco radiolaritico piuttosto potente, visibile nella cava presso il Cimitero. La radiolarite com- patta presenta numerose cavità prismatiche di circa 7 cent. di lunghezza e 3 cent. di larghezza e rientranza, le quali — secondo l’autore — derive- rebbero da celestina o da barite. La fauna radivlaritica corrisponde in ogni sua particolarità a quella cosidetta titoniana, rinvenuta in vari punti delle sinclinali abissali alpino- appenniniche, e già descritte dal Rist, dal Pantanelli e dal Parona. Le argille ed i calcari, a struttura estremamente fina, intercalati nella parte superiore della serie, possono essere pure abissali, ugualmente che le radiolariti. Le formazioni argillose sono assolutamente prive di fossili e nei banchi calcarei le radiolarie sono distinguibili solo in determinate oirco- stanze, quando cioè il loro scheletro è trasformato in limonite. I depositi abissali silieeo-argillosi sono qui, come in altre località dell’ Appennino, ricoperti dalle ingenti masse calcaree dell’alberese. Stante l'estrema povertà di fossili maeroseopici (astrazion fatta dalle alghe), la loro microfauna, fin qui sconosciuta, viene ad assumere una particolare importanza. ; À esi big Ù "N A LI [RR " AOP Y DAL 72 AO EV A |; tn IN 4 ” nr) Ri 0 re BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 79 Le radiolarie si presentano piuttosto numerose nei finissimi calcari, ma . di ancor maggiore importanza, nei riguardi dell’alberese, sono le foraminifere. Specialmente l’alberese di Figline contiene spesso la Calpionella alpina Lorenz, la quale costituisce un fossile decisamente caratteristico delle for- mazioni calcaree del Giura superiore o del Cretaceo inferiore, nelle quali soltanto l’autore afferma che la piccola foraminifera fu finora trovata. Dalle suesposte osservazioni e dalle conseguenti deduzioni l’autore crede di poter affermare che l’alberese deve riferirsi al Giura superiore (Titoniano) o al Cretaceo inferiore e probabilmente all’uno ed all’altro, e che l’assoluta mancanza di fossili è un argomento di più per ritenerlo quale un prodotto calcareo abissale. L’autore afferma eziandio di aver rinvenuto i medesimi caratteri anche in altre località. Così egli trovò Calpionella con Radiolarie anche nell’albe- ‘rese di Monte Maggiore, presso Gabbro nei Colli Livornesi, nonchè a Por- toferraio ed in altri punti dell’ Elba. Negli orizzonti superiori dell’alberese l’accennata mierofauna diventa più rara, mentre si fanno più frequenti le alghe e le Globigerine. L’autore assegna pertanto alla potente compagine stratigrafica dell’ Ap- pennino toscano la seguente determinazione cronologica : Il macigno lo ascrive al Turoniano o al Senoniano; la pietraforte l’ascrive al Cenomaniano;. l’alberese superiore lo aserive al Cretaceo inferiore (Gault ?); l’alberese inferiore lo aserive al Malm medio, pure ammettendo tuttavia che una parte del macigno possa aseriversi al Terziario. Osserva poscia l’autore che l’accennata compagine stratigrafica associata alle rocce ofiolitiche viene dalla massima parte dei geologi italiani attri- buita all’ Eocene superiore e designata ancora col nome di « Terziario oflo- litico ». Ma una tale classificazione è dall’autore ritenuta erronea ed ormai insostenibile, anche in considerazione che la fauna della pietraforte in To- scana è costituita da ammoniti di tipo cenomaniano, da Inocerami, eco. Soggiunge l’autore che all’età del Terziario ofiolitico nell’ Appennino si riconnette un’altra questione di capitale importanza geologica, quella, cioè, che coneerne l’istessa orogenesi appenninica. La maggior parte dei geologi italiani vede nell’ Appennino un gruppo autoctono, ripiegato, con locali e parziali scorrimenti. Egli invece vi di- stingue una parte autoctona, l'Appennino calcareo, con facies austro-alpina, ed una parte alloctona, sovrapposta alla prima, con facies lepontinica e che rappresenta l’ Appennino scistoso. tt dA een iu x; + n N i One lelen i: _ ie | BIBLIOGRAFIA' GEOLOGICA ITALIANA, 1913 . Una tale ipotesi è combattuta dai geologi italiani, i quali vogliono riguardare la parte scistosa come il normale ricoprimento dell’ Appennino calcareo, ma l’autore osserva che tutti ì resti fossili, tanto macroscopici che microscopici, depongono in favore della sua teoria, inquantochè la fauna radiolaritica è caratteristica del Giura superiore e da esso inseparabile, e che le Calpionelle dell’alberese inferiore depongono indubbiamente per un’età titonico-sottonecomiana. Rileva, per ultimo, l’autore che tutta la serie litologica del « Terziario ofiolitico » tanto sedimentare che eruttiva, si rinviene, con sorprendente identità di caratteri, nelle falde del Retico alpino, mentre la medesima serie non trova esatto riscontro nelle roccie terziarie d’ Europa, con le quali non corrisponde nè per le rammentate analogie nè per le determinazioni paleon- tologiche. (E. TIssI). STEINMANN G. — Die Bedeutung der jungeren Granite in den Alpen. (Vortr. der Geolog. Vereining. zu Frankfurt am Main am Januar, 1913). — Wien. La nota ha per oggetto le intrusioni granitiche che si manifestano in molti punti della distesa Alpina e che costituiscono uno dei più intricati ed interessanti problemi che abbiano riferimento all’orogenesi di quella classica catena di monti, assai discordi essendo al riguardo i pareri degli studiosi che si sono finora occupati dell'argomento. Dopo avere accennato alle varie particolarità ed ai vari aspetti che € nella catena alpina presentano le intrusioni granitiche, l’autore ricorda le i imponenti intrusioni granitiche e dioritiche di età sicuramente terziaria che si manifestano nelle Cordigliere americane, dall’ Alaska alla Patagonia. Ricorda altresì le analoghe intrusioni al confine tra le Alpi orientali e le Dinaridi, le intrusioni di Ivrea e del Gran Paradiso, quelle del Gruppo della Disgrazia fra Bergell, la Valtellina e Malenco, quelle di Maloja, nell’Enga- dina, le intrusioni sienitiche di Biella, quelle dioritiche di Traversella (mas- sivo della Torritta) con cui sembrano essere in stretta relazione orogenetica i giacimenti ferro-cupriferi di Traversella. All’odierno stato delle cognizioni in materia l’autore crede di poter affermare che l’ultima grande fase positiva del movimento orogenetico alpino è caratterizzata da imponenti iniezioni granitiche visibili nel versante po- steriore della catena, e che un identico fatto si manifesta negli Appennini. Infatti mentre nella zona anteriore di questi non si ha traccia di formazioni granitiche, quest'ultime si manifestano nella zona interna, ad esempio, all’Elba. (E. TISSI). alia Ù i be b . x AP . Cà 4 9 ; pa ‘ad + 41" Th Ò BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 81 STELLA A. — Le miniere di Cogne. (Rass. min., vol. XXXVIII, N. 70, . | pag. 181-183). — Torino. i Rileva l’autore che le note miniere di Cogne, in Val d’Aosta, sono escavazioni, più o meno antiche, di minerale di ferro, aperte in ammassi a “i mineralizzazione di magnetite, inclusi in una massa lentieclare di serpentina A incuneata fra roccie calcaree stratificate. Le roccie del tetto sono costituite LI da scisti fissili calcareo—micacei (calcescisti) e quelle del letto da grossi banchi di calcari più o meno dolomitici, i quali — poco più sotto — ripo- sano su calcescisti identici a quelli del tetto. B°. Nella massa dei calcescisti, così del muro come del tetto, s’ intercalano , masse varie di roccie basiche, talora uguali alla serpentina della massa principale, talora da quella diversa. Detriti di falda e depositi morenici ri- coprono ia moltissimi punti le roccie in posto. I giacimenti minerari degni di tal nome sono quelli denominati mi- miera di Liconi, miniera di Larcinaz e affioramenti di Colonna. Quello di Liconi, che è il più importante, presenta notevole ricchezza Ji e grande omogeneità di costituzione: si tratta infatti di un ammasso costi- | tuente quasi un unico blocco di buon minerale compatto a base di ma- Mg ì gnetite, alla quale ordinariamente si associano pirosseno, olivina, serpentino, | clorite e talvolta anche venuzze di epidoto, granato e calcite. dia E’ — in sostanza — un minerale a base di magnetite con matrice essenzialmente silico-alluminosa-magnesiaca-calcarea-ferrosa. I L’autore descrive partitamente gli accennati giacimenti anche nelle rispettive caratteristiche topografico-mineralogiche, prospettando anche l’am- montare della loro presunta ricchezza. (E. TISSI). STELLA STARABBA F. — Sulla cuspidina degli inclusi nel peperino dei Monti Albani. (Rend. R. Ace. Lincei. S. V., vol. XXII, 1° sem,, fase, 129, sE pag. 871-875). — Roma. "a ì La nota concerne lo studio, effettuato dall’ autore, di un interessante campione proveniente dal peperino d’Ariecia, studio che ha permesso di P. . annoverare fra i minerali dei Monti Albani una specie non mai riscontratavi in passato, cioè la cuspidina. La presenza della cuspidina nei prodotti dei vulcani Laziali è interes- sante anche per il fatto che di tale minerale non si conoscevano che due sole giaciture, cioè quella classica di Monte Somma, e quella, nota solo da . poco tempo, di Franklin-Furnace nello Stato di New-Jersey (S. U. di 5 America). “a” AL agi vd ANA, 19130— D et DI % a. 82, BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALI Tutte le cuspidine finora conosciute provengono da calcari metamorfo- sati; anche il campione d’Ariccia consiste appunto in un frammento di blocco di calcare metamorfosato, incluso nel peperino e rinvenuto in una. cava aperta nel Parco Chigi (dintorni di Ariccia). L’autore descrive i caratteri fisici, chimici e eristallografici del minerale in \ parola, del quale la composizione chimica rimane, per ora, indeterminata. (E. TISSI). STELLA STARABBA F. — Contributo allo studio chimico della sodalite del n Monte Somma e del Vesuvio. (Riv. di min. e erist. it., vol. XLII, 3a fase. 1°, 29, 3°, 4°, pag. 20-40). — Padova. cd Premesso che sulla vera composizione chimica della sodalite molto è 4 stato discusso senza tuttavia poter giungere ad una formula conclusiva e definitivamente accettata, l’autore espone in questa nota i risultati degli studi da lui eseguiti sopra una certa quantità di minerale messo a sua di- sposizione dal prof. Zambonini. i Come risultato essenziale dello studio di cui trattasi emerge la neces- . sità di considerare la sodalite come una soluzione solida di un ortosilicato È e di un clorosilicato, spiegando con ciò la variabilità del contenuto in eloro SÙ nelle numerose analisi finora date. Per il clorosilicato viene proposta una ‘ formula atta a meglio spiegare le proprietà chimiche del minerale. Dalle ricerche dell’autore viene altresì dimostrata la possibilità della î coesistenza, accanto al sodio, di notevoli quantità di potassio. In relazione con quello dei caratteri chimici, è stato condotto anche lo studio dei carat- x teri fisici e principalmente degli ottici, per i quali poterono essere osservate importanti anomalie nelle disposizioni sfuggite nelle precedenti ricerche. E Vengono, per ultimo, riferite alcune osservazioni ceristallografiche che interessano il granato e l’idrocrasio e che furono eseguite su cristalli accom- pagnanti la sodalite in vari campioni. (E. TISSI). 53 StELLA StARABBA F. — Contributo allo studio dei carbonati di sodio delle lave dell’ Etna. (Riv. di min. e crist. it., vol. XLII, fase. 1°, 2°, 3° e 49, A pag. 41-57). — Padova. La nota si occupa dei carbonati alcalini rinvenuti nelle lave etnee e i stati anche, in più 0 meno larga misura, utilizzati a scopo industriale. L’autore ebbe recentemente occasione di raccogliere alcuni campioni di oarbonato di sodio in alcune grotte nelle lave della grande eruzione sr » ve av. , vette ia ) “ x VIA ct) i ($ nr cis ‘tg | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 del 1669. Di tali campioni egli porge varie analisi, descrive i caratteri fisici, chimici e cristallografici ed esprime varie ipotesi da lui e da altri prospet- tate per spiegarne l’origine. (E. TISSI). TACCONI E. — Prime osservazioni sul gruppo vulcanico di M. Narcao nel ‘Sulcis (Sardegna). (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, vol. XXIII, fase. 119, 1° sem., pag. 803-810). — Roma. In questa nota l’autore si limita a dare un sommario cenno del gruppo vulcanico di M. Narcao, nel Sulcis, ed a descrivere i due più importanti tipi di roccie che vi si rinvengono, quelli, cioè, che secondo lui corrispon- dono a due successive fasi eruttive, riservandosi di dare la descrizione dei tufi, degli inelusi, dei proietti, ecc., nel lavoro definitivo che presenterà più tardi, nel quale procurerà di ricostruire i diversi momenti dell’attività vulcanica di quella plaga. Gli accennati due più importanti tipi di rocce sono i seguenti : a) la roccia chiamata dal Lamarmora trachite peridotica e fonolitica e che l’autore definisce per andesite iperstenica-augitica ; b) la roccia denominata dal Lamarmora trachite porfirica, ed alla quale l’autore non erede ancora opportuno di dare una denominazione de- finitiva, riservandosi di ciò fare quando avrà esaminato altro materiale o compiuta qualche ulteriore analisi. Ad opportuna intelligenza egli fa notare fin d’ora che col nome di gruppo di M. Narcao egli intende il complesso di quei tre rilievi che coi nomi di M. Narcao, M. Essu e M. Murden sorgono a Sud del paese di Narcao. Complessivamente considerati si direbbe che i medesimi, ora per- fettamente distinti l’uno dall’altro, formassero in origine un unieo pianoro, stato in seguito suddiviso negli attuali per l’azione erosiva dell’acqua. (E. TISSI). TARAMELLI T. — Se le Dinaridi costituiscano realmente una massa carreg» giata. (Rend. R. Ist. lomb., S. II, Vol. XLV, pag. 1009-1015) — Milano. Premesse alcune considerazioni sulla attendibilità delle ipotesi comparse in questi ultimi anni circa gli accavallamenti o scorrimenti di coltri (nappes o decke), così di rocce sedimentarie come di rocce scistoso-cristalline ed annesse formazioni laccolitiche, fenomeni che secondo vari studiosi, tra cui Edoardo Suess ed Emilio Argand, si sarebbero ripetuti in quasi tutte le . catene montuose, l’autore si occupa in questa nota particolarmente delle Dinaridi per quanto ha attinenza coll’area sud-alpina, intendendo dimostrare LA % LI BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 come manchino seri argomenti per ritenerla una regione di ricoprimento, mentre molti fatti porterebbero invece a stabilire che essa sia una regione | autoctona con formazioni deposte nell’area stessa e corrugate per pressioni laterali, combinate queste o seguite da un abbassamento in corrispondenza al bacino Adriatico. Relativamente ai limiti assegnati dal Suess alle Dinaridi l’autore non li ritiene esatti, perchè essi escludono terreni aventi le maggiori analogie con quelli compresi nei limiti stessi. L’autore ritiene che non si possano interpretare come finestre, ossia aree di affioramento del sottosuolo della falda carreggiata, quegli affiora— menti di micascisti e talcoscisti che sì osservano dove la serie dei terreni è più disturbata o più profondamente erosa, quali sono gli affioramenti del Comelico, dei dintorni di Agordo, della Valsugana, dall’ Alto Vicentino, delle Alpi Orobiche e del bacino Ceresio. Assai difficile poi sarebbe, secondo l’autore, stabilire quale sia stata la provenienza e quale il senso di trasporto della supposta coltre delle Dina- ridi, inquantochè mentre le pieghe-faglie della regione Periadriatica, gli accavallamenti della regione del Garda e gli altri assai noti dell’alta Val Trompia, del Resegone e delle Grigne accennano ad un movimento da Nord verso Sud, altri scorrimenti non meno pronunciati, ed in particolare quello della Presolana, indicano invece un trasporto di masse da Sud a Nord. Non si può pertanto affermare che tutta la massa delle Dinaridi abbia presentato un movimento in un determinato senso, ma piuttosto sì può affermare ch’essa sia in varie direzioni dislocata e pigiata, come appunto doveva verificarsi in una massa decisamente autoctona. Nè meno difficile sarebbe poi conciliare col supposte ricoprimento delle Dinaridi l’attività endogena permiana, mesozoica e terziaria; motivo per cui l’autore erede che dal complesso dei fatti constatati possa dedursi come la supposizione di questo ricoprimento non sia punto necessaria e che serva più ad ostacolare che a chiarire la retta interpretazione delle condizioni tettoniche della regione. L’autore conclude col dichiarare che scorrimenti e ricoprimenti sì scopri. ranno in buon numero specialmente nelle regioni più tormentate, ma che tali sconcerti stratigrafici potranno sempre conciliarsi coll’origine autoctona delle masse rocciose, corrugate, infrante e dislocate nei loro frammenti. (E, TISSI). ca NA d A na È nei i i po ori. } K : i BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 85 TARAMELLI T. — Se l'Appennino settentrionale rappresenti in realtà un car- reggiamento. ( Rend..R. Ist. lomb., S. II, Vol. XLVI, fasc. 3° pag. 128-182). — Milano. In questa nota l’autore enumera e svolge le considerazioni che lo indu- cono a non accogliere l’ ipotesi prospettata dai sigg. Termier e Boussac, secondo la quale il tratto di Appennino compreso tra il golfo di Gènova e la pianura padana sarebbe una regione carreggiata, o — se meglio vuolsi — di ricoprimento. Non può accogliere una tale ipotesi perchè contro di essa stanno le osservazioni del Franchi, del Mazzuoli e dell’Issel; perchè alla medesima si ‘oppone il fatto che gli argilloseisti del Liguriano, con scarse alternanze di arenarie, sono equivalenti alla zona emiliana delle argille scagliose e perciò sicuramente eocenici, e sopratutto perchè nell'Appennino pavese, partendo dalle arenarie del macigno inferiore, probabilmente ceretacee, e | venendo al calcare nummulitico dei dintorni di Bobbio, poi ai galestri colle rocce ofiolitiche, quindi ai calcari ad helmintoidea e poscia al calcare albe- rese, la serie è perfettamente in posto e si sussegue con perfetta regolarità dal basso in alto, e quindi niente affatto invertita come suppongono il _Termier, il Boussac e con essi l’ Argand. Alla enunciata ipotesi viene pertanto a LAO — a parere dell’au— p p tore — il suo principale argomento, ond’egli è tratto a soggiungere che se si rimane perplessi ad accettare la teoria dei ricoprimenti per la regione delle Dinaridi, che i signori Termier e Boussae vorrebbero estesi sino alla Liguria, a maggior ragione si rimane increduli di fronte all’ipotesi di un ricopri- mento, per piega coricata, che abbracci tutto l'Appennino, dal mare alla pianura padana. (E. TISSI). TARAMELLI T. — Dell’influenza del moto rotatorio terrestre sul fenomeno dei carreggiamenti alpini. (Rend. R. Ist. lomb., S. II, Vol. XLVI, fasc. IX, pag. 390-395). — Milano. L’autore confuta, in questa nota, la teoria espressa dal prof. Vladimiro Hermann dell’Università di Lione, secondo la quale a spiegazione del fe- nomeno dei grandiosi ricoprimenti alpini si invoca come causa cooperante la rotazione terrestre. | Con una serie di argomentazioni l’autore combatte l’accennata ipotesi, asserendo ch’essa urta contro il fatto che gli affioramenti di terreni meso— zoici e terziari lungo le prealpi e nella regione euganea non accennano ad alcuna formazione che possa considerarsi come elemento delle radicé invo- cate dall’ Hermann. C'e LI 9 p î r E | ‘ » è s % 24; x Mie. £ LA he CERRO A Len PRE CA ITALIANA, 191300 _ 86 BIBLIOGRAFIA GEOLOGI et L’autore crede pertanto di poter concludere che mentre l’applicazione dell’ipotesi enunciata dall’Hermann non risponde all’indole della causa invocata, essa urta eziandio contro l’obbiezione che nel resto della catena alpina, pure ammessi i molteplici ricoprimenti, l’ipotesi esposta non corri— sponderebbe ai fatti accertati. i (E. TISSI). TARAMELLI T. — Sul lembo pliocenico di San Bartolomeo presso Salò. — (Rend. R. Ist. lomb., Vol. XLVI, fasc. 18-19, pag. 963-967). — Pavia. La nota concerne il deposito pliocenico marino, situato presso il vil- laggio di S. Bartolomeo alla notevole altitudine di 561 metri. Si tratta di una potente massa di conglomerato, appoggiata alla col- lina cretacea di scaglia rossa, rotta ed erosa, con prevalente inclinazione a sud-ovest, nella zolla che forma il Cornon. Avendo parecchi anni addietro l’autore ed il prof. Cozzaglio osservato quella massa di conglomerato più in basso delle argille e sabbie fossilifere riferite al Pliocene, essi ritennero il conglomerato medesimo miocenico 0, meglio, messiniano e coevo al noto conglomerato del colle di Rovato o Montorfano bresciano. Recenti e più accurate osservazioni hanno però fatto modificare le suaccennate precedenti ipotesi, inducendo l’autore stesso a ritenere che il conglomerato di cui trattasi debba riferirsi a quell’ultimo periodo ter- ziario, per aleuni geologi già facente parte dell'era diluviale, che successe immediatamente all’emersione delle spiaggie plioceniche, confermando in tal modo le asserzioni del Penck. (E. 1IssI). TARAMELLI T. — La Guida delle Prealpi Giulie della Società Alpina Friulana. (Riv. geogr. it., anno XX, fase. VII, pag. 431-435). — Firenze. In questa nota viene riassunto il contesto di un libro testè pubblicato sotto il titolo di « Guida delle Prealpi Giulie », nel quale trova anzitutto posto la descrizione generale dei monti situati fra il Tagliamento e l’Isonzo, dei colli che ne formano le falde e dell’anfiteatro morenico del Tagliamento, a cui fanno seguito importanti notizie sull’idrografia superficiale e sotter- ranea, sul clima, sulla flora, sulla fauna, sulla densità della popolazione in rapporto all’altimetria ed alla struttura geologica, sull’ubicazione dei prin- cipali centri abitati, sull’emigrazione, sui caratteri fisici degli abitanti, sulle condizioni agricole delle varie zone, sulla natura ed importanza dei giaci- menti minerari, sulle cave per materiali da costruzione, sul regime ed uti- lizzazione delle acque, sulle industrie, sui commerci, sulle vicende storiche della regione e, infine, sugli uomini ragguardevoli che vi hanno avuto i natali. ‘ ae n Fi E 7 è = cani leto Ci it ERA i > draisd 1 are È 2A RE sd © A den a ste » pe RIA E, PETE VICI VT E n Th er NOT "© e n. Ltd dn: Peel F a ts fr, LE d MPRDATE PETE j Ù i: pari "E q Pe LA cy i >. Pe ” , RL 4 9) A ACI BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 Per ciò che concerne la geologia e l’orografia la nota riprospetta l’im- portante particolare relativo alla discordanza fra i terreni cretacei e quelli eocenici ed al motivo stratigrafico che predomina nella massa montuosa fra il Tagliamento e l’Isonzo, motivo caratterizzato da un sistema di pieghe e di pieghe-faglie nella parte settentrionale della regione. Sono poscia riassunte le osservazioni sugli antichi ghiacciai dell’Isonzo e della Resia e sulle minori vedrette quaternarie del versante settentrionale della catena dei monti Ciampon e Maggiore, deducendosi che nell’ultimo periodo glaciale il livello delle nevi perpetue in questa parte del Friuli doveva essere circa un migliaio di metri più basso dell’attuale. Viene quindi descritta ed illustrata da uno schizzo geologico la serie dei terreni mesozoici e tetziari e la conseguente morfologia del terreno. Non man- cano notizie sui fenomeni sismici ricordati dalla storia con speciale riferi- mento ai terremoti del 1348 e del 1511. Il capitolo che tratta delle acque descrive l'estensione dei singoli bacini idrografici, il decorso, la portata e le condizioni di pendenza dei corsi di acqua principali, menziona i canali artificiali, le grotte e le zone caratte- rizzate da orografia carsica. La pubblicazione è grandemente apprezzata per l’importanza degli argo- menti e per l’indiscussa competenza degli studiosi che cooperarono alla sua compilazione. (E. Tissi). TArIcco M. — Il Gothlandiano in Sardegna. ( Rend. R. Acc. Lincei, S. 58, Vol. XXII, fasc. 2°, 1° sem., pag. 109-115). — Roma. Mentre in precedenti suoi scritti l’autore ha già dimostrata l’esistenza del Gothlandiano in vari punti della Sardegna orientale, con la presente me- moria egli rende nota l’esistenza del medesimo orizzonte cronologico in quattro nuove località dell’Iglesiente-Arborese ed indica come assai proba- bile la presenza del Gothlandiano anche in un’altra località fossilifera della Sardegna orientale media. L’autore è quindi tratto ad affermare che il Gothlandiano si presenta in numerosi punti della Sardegna meridionale, ed è fra i piani del Paleozoico sardo quello che offre un contenuto paleontologico e litologico più caratte- ristico. Soggiunge altresì che se all’indicato orizzonte potranno con sicu- rezza ascriversi gli scisti neri ardesiani e quelli nodulosi e chiastolitici di Villacidro, la sua importanza crescerà per la notevole estensione che verrà ad occupare in Sardegna. (E. TISSI). T, °° VERI i SI, LE IT ‘BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 Testa L. e SARTORI F. — Giacimenti della dolomia cambriana. (Res. Ans; min. Sarda, Anno XVIII, n. 4, pag. 5). — Iglesias. La nota riguarda i propositi formulati dagli autori di stabilire, cioè, con criteri fondamentali le leggi della minerogenesi dei giacimenti metalliferi dell’ Iglesiente, in rapporto specialmente alla dolomia cambriana, nella quale sembra non siano racchiuse mineralizzazioni di grande importanza, mentre mineralizzazioni notevoli, almeno come quantità, esistono al contatto tra la dolomia medesima ed altre roccie di epoca posteriore, come calcare bianco o breccia, scisto silurico, ecc. In quest’ultimo caso però in luogo della bella calamina stalattitica, che si rinviene soltanto nel calcare ceroide, si trova soltanto della calamina molto ferruginosa, talvolta a struttura scheletrica, giusta quanto è stato osservato nei giacimenti di Baueddu, S. Beast: Campo Pisano, Cungians Lai, 4 Tintillonis, ecc. Soggiungono gli autori che altra legge, accertata in gran numero di miniere, è che i filoni di piombo, contenuti nella dolomia cambriana, sono sempre di alto tenore in argento, e di ciò hanno dato conferma i filoni di Ma.acalzetta, Monte Intro, Monte Palmas, Is Fossas, S. Barbara, S. Gio- vanni, ecc. (E. TISssI). TEstA L. e SARTORI F. — Ulteriori osservazioni sulla stratigrafia del Paleozoico d’Iglesias. (Res. Ass. min. Sarda, Anno XVIII, n. 6, pag. 13-16). — Iglesias. Nella presente nota vengono riprospettati i concetti relativi alla ripar- ) tizione approssimativa nell’Iglesiente del calcare ceroide e della dolomia cambriana, e viene con ciò collegato alla legge generale, di cui nella pre- cedente nota, anche il Monte Marganai, che nella sua massa calcarea impo- nente poteva apparire come un’eccezione, | Osservano gli autori che a Masua, ad Acquaresi, ed in altri pes i can-. didi e grandiosi appicchi, che danno l’illusione di enormi monti completa- q i: mente di calcare, non rappresentano invece che un semplice mantello di | non grande potenza che cela le sottostanti dolomie cambriane le quali costi- tuiscono la vera ossatura del monte. In dipendenza alle citate constatazioni è necessario — soggiungono gli "A autori — ammettere l’esistenza della dolomia cambriana verso levante sul . K monte Marganai, come è pure necessario ammettere altre varianti alle con- cezioni fin qui prevalse sulla stratigrafia del Paleozoico d’Iglesias, e quindi anche un nuovo indirizzo da imprimere alle ricerche minerarie di quella plaga, il cui concetto si ridurrebbe, in definitiva, a saper ben distinguere, in - % BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 quelle miniere, le zone occupate dalla dolomia cambriana da quelle delle roccie più recenti (calcare ceroide, calcare dolomitico, breccia dolomitica). i (E. TISsSI). Toso P. — Sul modo di formazione dei principali giacimenti metalliferi aventi forma di irregolari ammassi o di strati, coltivati in Toscana ed in altre regioni d’Italia. (Boll. Com. geol. it., Vol. XLIII, Anno 1912, fase. 20.39, pag. 113-233). — Roma. Con questa pubblicazione l’autore prospetta, con concezioni genetiche per lo innanzi mai concretamente affacciate, la minerogenesi dei più im- portanti giacimenti metalliferi italiani ed in particolar modo di quelli della Toscana. Premesse alcune considerazioni di carattere generale sulla genesi dei giacimenti metalliferi, ricordata la fondamentale distinzione tra giacimenti primitivi e giacimenti derivati e la conseguente diversità di formazione tra i depositi di origine pneumatolitica e quelli dovuti al processo di differenzia- zione, l’autore svolge alcune considerazioni sui soffioni boraciferi della To- scana, rilevando la grande analogia dei fenomeni da essi presentati con quelli che dovettero produrre i giacimenti metalliferi primitivi della regione Massetana. | Ciò premesso l’autore divide il suo lavoro in 6 parti o capitoli princi- pali. Nella prima parte tratta dei filoni di frattura e degli ammassi metalli- feri irregolari, e come conclusione di questa prima parte ne fa emergere la deduzione che alla antica distinzione di giacimenti filoniani regolari e di ammassi irregolari, di giacimenti laccolitici, di filoni-strati, di filoni di con- tatto, possa — in seguito alla nuova teoria da lui prospettata — logi- camente sostituirsi le denominazioni di filoni di frattura e di filoni di scor- rimento, racchiudendo così, nella definizione stessa, le ‘cause che originarono gli irregolari ammassi metalliferi. Coll’accennato appellativo di filoni di scorrimento, l’autore intende di definire un giacimento . filoniano formatosi entro il piano di scorrimento generato da una faglia altempo stesso in cui la faglia si andava formando. Ammette pertanto l’autore che per molti giacimenti le stesse emana- zioni metallifere abbiano predisposto la sede dei depositi di minerale nei piani di scorrimento delle faglie, dappoichè le venute di vapore ad alta pressione, mineralizzatrici, fisicamente analoghe ai soffioni, avrebbero — in molti casi — agito meccanicamente lungo il loro percorso, ereando per tal modo i vuoti nei quali si sarebbe successivamente depositato il minerale ; questi giacimenti quindi — malgrado la loro forma — non sarebbero, in ROTA » è bona BIBLIOGRAFIA FOLOGICA ITALIANA, 1913/00 sostanza, che dei filoni, che tuttavia, per distinguerli da quelli di schietta spaccatura, vengono dall’autore chiamati filoni di scorrimento. E per viemmeglio dimostrare come gli ammassi metalliferi sotto le forme. più irregolari non sono — purchè originati da processo pneumatolitico — che filoni di scorrimento, l’autore descrive i diversi tipi dei giacimenti me- talliferi del Massetano e ne analizza e discute le singole genesi, ciò che egli fa nella seconda parte della sua monografia, nella quale egli viene specifica- tamente a parlare: a) dei giacimenti metalliferi negli scisti permiani, sotto forma di esili filoni di frattura; | b) dei giacimenti piritosi al contatto fra gli scisti permiani ed il eal- care retico ; c) dei giacimenti al contatto fra gli scisti permiani e gli scisti argillosi eocenici ; d) dei giacimenti fra il calcare retico; e) dei giacimenti al contatto fra il calcare retico e gli scisti eocenici; f) dei giacimenti fra gli scisti eocenici; g) dei giacimenti interposti fra i graniti e di quelli esistenti al con- tatto fra graniti ed i calcari triassici retici, E ciò dopo aver premesso che i giacimenti metalliferi del Massetano si trovano racchiusi fra cinque potenti formazioni, e precisamenie: 1° scisti argillosi, di color violetto chiaro, lucenti, micacei, con noduli di quarzo, attribuiti al Permiano ; 2° calcari alternanti con scisti argillosi varicolori, triassici; 3° calcare cavernoso dolomitico di color grigio cupo, appartenente al Retico ; 4° scisti argillosi ed arenarie alternanti con banchi di calcare mar- noso (alberese), attribuiti all’Eocene; 5° granito porfirico, attraversato da filoni di microgranito tormali- nifero, la cui eruzione si suppone avvenuta nel periodo miocenico. Nella parte terza l’autore tratta del quarzo che accompagna i giaci- menti metalliferi del Massetano e quelli antimoniferi del Senese, e viene poscia a parlare dei minerali depositati dalle emanazioni n tallifere nel loro percorso ascendente. Nella IV parte l’autore si fa a considerare le analogie e le differenze fra i giacimenti metalliferi del Massetano e quelli cinabriterìi della regione Amiatina, e viene poscia a partitamente descrivere i vari g «vimenti della regione medesima, deducendone che tali giacimenti, pur rit:nendoli origi- nati da fratture di scorrimento, debbono tuttavia cons.dera:s originati da bg N pece Dr 4% i Vaio Agi lia de Pare ge” NSD IRAN nto | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913/00 emanazioni a bassa temperatura, giusta la distinzione fondamentale da lui esposta al principio della sua memorià, secondo la quale da una lava in via di raffreddamento si sprigionano : a temperatura superiore ai 500°, cloruri e fluoruri d’oro e di stagno accompagnati da bismuto e tungsteno, ed in piccola quantità solfuri di zinco, piombo, rame e ferro, nonchè carburi mascherati da predominanza di cloruri; | a temperatura fra 300° e 400°, solfuri d’antimonio, piombo, zineo con rame e ferro; a temperatura fra 100° e 2009, mercurio con presenza di carburi che abbondano nei giacimenti cinabriferi; a temperatura inferiore ai 100°, ferro e manganese allo stato di car- bonato. Nel Capitolo V l’autore descrive i giacimenti piritosi cupriferi di Agordo o del Bett-Ghinivert, nonchè quelli di Saint Avold e Wallerfangen (Vosgi), e del Capo Garonne, nell’Alpi marittime francesi. Discorre poscia del giacimento di ferro di Pazzano (Calabria), di quello antimonifero di Su Sergiu, in Sardegna, e dei filoni antimoniferi dell’Alver- nia (Francia), e, per ultimo, nel Capitolo VI, parla dei giacimenti cupriferi racchiusi nelle roccie ofiolitiche della Toscana e della Liguria, e termina formulando il voto che la nuova teoria da lui prospettata sui filoni di scorrimento valga ad apportar: novella luce sulla minerogenesi degli am- massi irregolari, dei filoni di contatto, dei filoni strati, delle fahlbande, la quale, nonostante gli studi e le teorie esposte da illustri cultori, non aveva ‘ ancora trovato una spiegazion» suffragata da argomentazioni attendibili. (E. Tissi). Toso P. — Sulla genesi dei giacimenti solfiferi della Sicilia. (Boll. Soe. geol. it., vol. XXXII, fase. 1°--0, pag. 297-303). — Roma. I giacimenti solfiferi della Sicilia — osserva l’autore — rappresentano tuttora un’incognita per ciò ele riguarda la loro genesi, e le varie ipotesi prospettate dagli studiosi che si sono finora occupati dell'importante ar- gomento, possono ridursi a du tipi fondamentali, di cui uno ha per base la riduzione del gesso, mentre l’altro esclude l’intervento di questo ed ammette invece l'origine endogena dello zolfo. Ricordato poi che dei giacimenti solfiferi siciliani i tecnici hanno fatto una suddivisione pratica basati sulla loro importanza industriale e sulla morfologia ed ubicazione dei giacimenti per rispetto ai banchi di gesso, comprendendo pertanto in una prima categoria i giacimenti di forma amigda- , BIBI OGRAFIA GEC LOGICA . pate Ao lare, di grande potenza e piccola estensione, generalmente assai ricchi in solfo, intercalati fra i gessi o fra questi e le soprastanti marne plioce- niche, e raggruppando in una seconda categoria i giacimenti caratterizzati da grande regolarità ed estensione, piccola potenza, generalmente più po- veri di solfo, giacenti tutti sotto la formazione gessosa, l’autore ritiene che l’indicata suddivisione possa pure rispecchiare una distinzione geologica per rispetto .ad un diverso modo di origine e ad un diverso riferimento cronologico dei giacimenti medesimi. I giacimenti della prima categoria, i quali forniscono la maggior quan- Bi. Re. tità di solfo prodotto in Sicilia, rappresenterebbero, secondo l’autore, gia- | pia cimenti dovuti alla riduzione del gesso, causata da emanazioni di idrocar- È buri del tutto analoghe a quelle delle attuali maccalube, emanazioni che x dovettero insinuarsi fra i banchi di gesso posteriormente alla loro forma- I zione, ossia durante il Pliocene. n I giacimenti solfiferi della seconda categoria invece, attesa la loro grande regolarità ed estensione e le minori dislocazioni -subìte presentano tutti i caratteri di formazioni sedimentarie avvenute entro bacini lacustri prima della deposizione gessosa e prodotte da emanazioni di maccalube 3 miogeniche contenenti acido solfidrico, dalla decomposizione del quale si ori- ginò il solfo di quei depositi. L’autore conclude col ritenere che le emanazioni endogene sviluppatesi nella regione gessoso-solfifera siciliana dall’epoca miocenica fino ai nostri giorni poterono dapprima produrre dei giacimenti solfiferi sedimentari, in seguito originare l’estesa e potente formazione gessosa e da ultimo indurre in queste parziali riduzioni, nei punti dove le emanazioni termali di idro» - carburi poterono inoltrarsì fra i banchi di gesso. L’autore fa, infine, notare come le suaccennate ipotesi sulla genesi dei giacimenti siciliani valgono anche per quelli della Romagna e delle Marche. Il potente giacimento di Ca Bernardi starebbe a rappresentare la prima. categoria, mentre nella miniera Perticara si sarebbero incontrate le forma- ] zioni tanto della prima quanto della seconda suddivisione. i È (E. TISsI). TRraBUCco G. — Sulla classificazione e sull'origine delle frane. (Riv. geogr. it., Annata XX, fase. V-VI, pag. 330-341). — Firenze, Dalle sue personali osservazioni, fatte in vari punti dell’ Appennino, l’autore è indotto a ritenere che nell’ imponente fenomeno della franosità il fattore principale debba ricercarsi nella natura dei terreni. Ricordati i nomi degli studiosi che si seno finora occupati del feno- di meno della franosità, tra cui vanno specialmente annoverati il Pilla, lo -_ BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 19 il Ù 13 93 è x R4 Stoppani, il Baltzer, ’ Heim, il Neumayr, il Giinther, il Pantanelli, il Braun, lAlmagià, l’Issel, ’Howe, ed enumerate le nomenclature dai medesimi sug- gerite per classificare le frane in determinati gruppi o categorie, a seconda dei loro peculiari caratteri, l’autore a sua volta propone, per le frane italiane, una sua speciale classificazione, la quale tende a raggruppare i fenomeni franosi in due grandi categorie, cioè in frane di tipo semplice ed in frane di tipo complesso. . i Tra quelle del primo tipo egli comprende le frane per colata, per smottamento, per scorrimento, per scoscendimento e per sprofondamento. Le frane del secondo tipo invece sono quelle che partecipano di due o più tipi semplici. L’autore enumera partitamente le frane contemplate da ciascuno degli accennati raggruppamenti, ed in seguito viene a parlare delle cause che le producono, distinguendo queste in intrinseche o predisponenti ed in estrinseche, ossia concorrenti a preparare e a determinare il fenomeno. Tra le cause intrinseche egli annovera la natura delle rocce, la disposi- zione degli strati, l'inclinazione del terreno e le litoclasi. Tra le cause estrinseche l’autore colloca il disboscamento, la piovosità, Perosione delle acque, il gelo e disgelo, la soluzione chimica delle rocce, le sor- genti, îè terremoti, le oscillazioni nel livello delle acque dei laghi, la azioni umane, lo scioglimento delle nevi e dei ghiacci, lazione delle onde marine e l’azione dei venti impetuosi. Relativamente alla distribuzione geografica delle frane l’autore dimostra che nel nostro Appennino il fenomeno è ordinariamente localizzato nei ter- reni per loro natura franosi, come filladi, argille scagliose e galestrine, argilloseisti, marne, lehm, sabbie, tufi, mollasse, detriti rocciosi, morene. Soggiunge che sono, in generale, immuni da frane le sommità delle catene e delle alture, perchè costituite da rocce più salde (arenarie, calcari, serpentine) e che, a parità di condizioni, il fenomeno sì accentua nei ve1- santi a forte pendìo e dove le precipitazioni sono più abbondanti e più co- piose le nevi. Quanto agli effetti delle frane l’autore li distingue in diretti ed indiretti. I primi dànno origine a ripe o gradinate nella zona di distacco, a conoidi piatte, a ristagni d’acqua od a piccoli bacini lacustri nella zona di deposito. Producono altresì; a) alterazione della circolazione superficiale delle acque, come deviazioni od ostruzioni dei piccoli torrenti e formazione di vallette secondarie; b) alterazione della circolazione acquea sotterranea, e quindi intorbi- damento delle acque delle sorgenti e dei pozzi, scomparsa o ricomparsa di sorgenti di frana; 4* ’ ni A (td ' FATTA 4 dh È à d A; n , , * n) 0 MAT î ta a è BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, te" so “i avo fui 7 a 4 c) ostruzione completa o parziale di corsi d’acqua, con conseguente #01 origine di bacini lacustri temporanei o permanenti; d) formazione di valli di erosione normali alle coste. 1 Gli effetti indiretti si esplicano d’ordinario lentamente sulla plastica del suolo delle regioni franose, contribuendo alla morfologia generale delle A medesime e cioè a generare il cosidetto paesaggio di frana (balze, fosse, SI calanchi, lame, serimoni). : NO . L'autore accenna, infine, ai rimedi atti a limitare i danni della fra- vi; nosità, purtroppo così imponenti in Italia. I provvedimenti, secondo lui più ia SL opportuni a frenare l’ irruenza catastrofica delle acque selvagge e ROSI si riducono, sostanzialmente, ai seguenti: Contro le frane di colate e di smottamento: Inerbimento, arbustimento, rimboscamento delle pendici. Contro gli altri tipi di frane: Consolidamento delle masse franose con muri di sostegno, argini ed opere di fognatura. L'autore termina col dichiarare che soltanto un fattore plastico, uni- s versale, continuo qual’è la foresta può efficacemente combattere il lavorìo dell’acqua che è l'elemento naturale più vivo della crosta terrestre. 1 (E. TISSI). i TraBucco G. — Sulla origine ed età del giacimento gessifero di Roccastrada. (Boll. Soc. geol.,, Vol. XXXI, fasc. 3-4, pag. 419-432). — Roma. Riferite le conclusioni degli studiosi che si sono, prima di lui, occupati dell’origine e dell’età degli interessanti giacimenti gessiferi esistenti in ter- ritorio comunale di Roccastrada, l’autore descrive le condizioni di giaciturna È nonchè i caratteri litologici e stratigrafici dei giacimenti stessi e viene alle o ‘ seguenti conclusioni: 1° Che i giacimenti di cui trattasi hanno origine metamorfica, dovuta E alla trasformazione in gesso del calcare retico por influenza di emanazioni solforose ; x 2° Che il metamorfismo, ossia la trasformazione del calcare in gesso, avvenne in epoca geolcgica molto posteriore a quella della deposizione del calcare, e propriamente nel periodo pleistocenico, per opera di emanazioni di venute dall’interno attraverso spaccature prodotte dall’innalzamento post- terziario e dallo sprofondamento dalla regione tirrenica, da alcuna delle di Ì quali spaccature emersero le trachiti della regione. | (E. TIssI). i bi 1 , d ‘t-# ; di ,% pù LT Lab x A è. PR ®» ma iL "» =! Ni ’ dr LAT P sà | ‘BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 UGoLINI U. — Nota botanico-geologica sui rapporti tra la vegetazione ed il suolo. (Comm. Ateneo Brescia per l’anno 1912, pag. 183-201). — Brescia. Scopo di questa nota è di mettere in evidenza gli intimi rapporti che intercedono tra la geologia e la botanica sulla base delle strette e varie atti- nenze fra la vegetazione ed il suolo, essendo l’autore convinto che il terreno è inceontrastabilmente un fattore dello accantonamento delle piante, o, in altri termini, della loro distribuzione nelle varie plaghe, e che la botanica può portare un utile contributo alla geologia in quanto che la vegetazione può sempre fornire un criterio, almeno sussidiario, per riconoscere in certi casì l’età relativa delle formazioni geologiche. Soggiunge l’autore essere questo un criterio da lui applicato alla clas- sificazione delle morene delle diverse glaciazioni, avendo egli potuto osservare che gli apparati morenici offrono un paesaggio botanico differente a seconda della loro età. L’autore ritiene altresì che la flora possa fornire un criterio per la clas- sificazione cronologica delle alluvioni, e che le condizioni della oroplastica, mentre possono ingenerare circostanze influenti sulla alterazione delle roccie e sugli avvicendamenti delle flore, determinano eziandio la inversione di livello nella successiva altimetria delle zone botaniche. Anche la forma delle piante— soggiunge l’autore — del pari che la loro vita risentono l’influenza del terreno, onde egli pensa che sarebbe grande- mente utile stabilire una specie di programma per un lavoro concorde fra geologo e botanico, stabilendo anzitutto che il geologo non dovesse limi- tarsi allo studio geologico delle formazioni ma dovesse rilevarne — accanto all’età ed alla genesi — anche le caratteristiche litologiche, lo stato di alte- razione, la natura e distribuzione del detrito alla superficie, la topografia, ecc., interessandosi — in una parola — del soprasuolo un pò più che non faccia in confronto del sottosuolo. (E. TISSI). | VERRI A. — Sulla gita della Società geologica italiana alle Marmore. (Boll. Soc. geol. it.) Vol. XXXII, fase. 49, pag. CLIII-CLXXXVIII).— Roma. Avverte anzitutto l’autore che lasciata la Conca Aquilana, usciti dalle Gole di Antrodoco, l'aspetto del paese cambia sostanzialmente. Infatti, non più monti di rocce sempre uniformemente grigie che la nudità rende ancora più severi ; i massicci calcarei nivei del Lias inferiore, i caleari grigi del Lias medio, gli scisti rossi del Lias superiore, i calcari rossi e gli scisti selciosi verdi del Giura, i calcari bianchi del Neocomiano ; la zona listata di calcare bianco e selce nera del Cenomaniano, gli scisti vio- Si Mil S » POT | na Pa 9 a Lodi / RI 96 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 191: lacei dell’ Appiano, i caleari rosati e gli scisti rossi e verdi del Senoniano, gli scisti cilestrini dell’Eocene inferiore, sia per distribuzione originaria, sia per le pieghe che li corrugano, sia — infine — per il verde che riveste le masse rocciose, imprimono al paesaggio gaia varietà di profilo e di colorito. La linea che segna il confine dell’ Umbria coll’ Abruzzo, segna pure, ap- prossimativamente, i limiti di due differenti condizioni nei fondi marini del Secondario superiore e del Terziario inferiore. Nell’Abruzzo calcari madre- Î porici e quindi mare poco profondo ; nell’Umbria invece deposizioni strati- ficate di caleari compatti e di argille denotanti un mare più profondo. L’autore osserva quindi che nei bacini della Nera e del Velino il sistema orografico è costituito da una serie di anticlinali, susseguentisi l’una all’altra - ma con altitudine decrescente. Per la diversa intensità delle pressioni che ‘ hanno corrugato il sistema, un’anticlinale si serra talvolta contro l’altra sino a sopprimere la sinelinale interposta; altri disturbi poi sono prodotti ; dalle varie troncature nelle antielinali e dagli inerespamenti delle masse strette nelle pieghe concave. Relativamente agli effetti, il processo orogenico potrebbe essere così sin- tetizzato : come prima manifestazione una serie di curve anticlinali e sin- clinali regolarmente proseguite fintantochè si mantennero costanti i rapporti tra le forze agenti e quelle resistenti e fino a che le linee di curvatura fu- rono larghe. Alla fine del movimento rimase bensì l’impronta caratteristica della prima mossa, ma nello stabilirsi del sistema idrografico i fiumi passarono da una sinclinale all’altra tagliando l’anticlinale divisoria. L’autore parla poi diffusamente dei bacini del Velino e del Nera, della i. portata di questi fiumi, della cascata delle Marmore. delle esplosioni vulea- niche che accompagnarono il sollevamento quaternario nel subappennino A Tirrenico, dei depositi travertinosi e tartarosi formatisi in aleune depres- ” sioni vallive, dell’interrimento e prosciugamento dello spazio lacustre della Conca di Terni, dei rinvenutivi avanzi dell’industria umana e di tombe attestanti l’esistenza dell’uomo preistorico nella Conea medesima, delle varie correnti immigratorie che vi ebbero luogo e delle vicende storiche che vi si verificarono anteriormente e posteriormente alla conquista Romana; delle mura ciclopiche rinvenute a S. Onofrio e a Cesi e di varie altre particolarità storiche ed etnografiche concernenti gli antichi abitatori di quella regione. i (E. TISSI). | % LI dit (Re ue + ” du Ve È è » lo ”: pro, % P 3 Ù ‘ BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 da 97 VERRI A. — Sulle escursioni della Società Geologica Italiana nel 1912-913. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXII, fasc. 4°, pag. CCVII-CCVIII). — Roma. L’autore fa notare con questa nota che le escursioni effettuate dai Membri della Società geologica italiana negli anni 1912 e I913 possono ritenersi A complementari nei riguardi degli insegnamenti che possono trarsi dalle osservazioni fattevi, avendo le accennate escursioni avuto per oggetto lo studio del problema concernente i rapporti tra le formazioni del Terziario antico e di questo col Secondario. L’autore mette poscia in evidenza l’insegnamento derivante dallo studio dei saggi di fondo raccolti nei laghi di Scanno e di Piediluco nei riguardi del lembo di marne grigie con foraminifere trovato sopra al Senoniano nel monte di Spoleto, inquantochè il rinvenimento di quelle marne, reputate plioceniche, portava a stabilire o che il mare pliocenico si fosse esteso nel- l’Umbria o che l’accavallamento liasico del monte di Spoleto sia avvenuto nel Quaternario. Le foraminifere marine, contenute in buono stato di conservazione negli attuali fondi dei laghi di Scanno e di Piediluco, stanno a dimostrare — se— condo l’ autore — che la presenza di una determinata faunula non è de— cisiva per qualificare marino un sedimento, onde l’autore ritiene siano da escludersi dai sedimenti prettamente marini i depositi pliocenici in posto tra i monti Martani ad Amerini e le formazioni incontrate dalla trivella nel sottosuolo della pianura di Foligno. Quanto alla data geologica del ricoprimento liasico di Spoleto, in re— lazione al lembo di marne con foraminifere in posto nella gola della Val- loechia, l’autore è d’avviso sia necessario accertare se non possa per avven- tura trattarsi di marne del Terziario antico messe sotto dall’accavallamento, giacchè in questo caso l’accavallamento potrebbe riportarsi ai movimenti avvenuti tra le deposizioni dell’Eocene e del Miocene; se poi quelle marne debbono assolutamente riferirsi ai Pliocene, allora l’accavallamento si ri- collega ai movimenti del sollevamento quaternario. (E. TISSI). Vinassa DE REGNY P. — Notizie geologiche sulla Tripolitania. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXII, fase. 10-2°, pag. 15-22). Roma. L’autore descrive in questa nota alcuni materiali provenienti da Bu Kamez e dal Gharian, materiali che a suo avviso stanno a confermare la grandissima uniformità di tutta la Gefara litoranea. I dintorni di Bu Kamez offrono un solo tipo di roccia ; la solita massa | arenaceo—-quarzosa, molto calcarea, di tipo conglomeratico non molto forte- RIE + Sali e 98 | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913" pg! hat da AA / URTO ì mente cemèntato, che affiora lungo il litorale di quasi tutta la Tripoli- È if tania, roccia che fu usata in antico e che si usa anche DIGRENTRIDERAE come da materiale da costruzione. Trattando con acido cloridrico diluito la polvere della roccia di Bu Ka- mez, l’autore ottenne una vera e propria sabbia a grana abbastanza fina, | 0° costituita in prevalenza da quarzo. Il caleare forma la parte principale della roccia ed è di vario tipo. Il Si quarzo è sempre di forma arrotondata. TA L’autore non ha mai accertato la presenza di. dolomite e neppure di a: anatasia. , Relativamente frequenti sono l’ortoclasio, il mierolino, i granati, le tor- maline, lo zircone, il rutilo. Scarsi i plagioclasi sodico—calcici, i pirosseni, | gli anfiboli, l’epidoto, l’oligisto, la magnetite, la biotite. Rarissimi l’apatite e il distene. L’autore crede di aver constatata anche la presenza della sillimanite e della brookite; non trovò invece mai titanite. In conclusione la roccia di Bu Kamez è identica a quelle che si tro- vano in altri punti della Tripolitania costiera. L’autore crede che le roccie ha conglomeratiche siano, almeno in gran parte, antiche dune cementate dal carbonato di calce. Queste rocce, a loro volta, si frantumano dando così origine a sabbie molto simili, se non identiche, a quelle che il vento del sud porta verso la riva dalle regioni interne, ed il materiale viene così a risultarne uniforme. Quanto all’origine dei citati minerali l’autore è d’avviso ch’essa sia identica a quello dei minerali delle sabbie sciolte e che provengano dal di- sfacimento dei calcari del Gebel. Il materiale dei dintorni di Casr Gharian, del quale pure l’autore si occupa nella presente nota, venne raccolto parte in posto e parte in una Uadi. Si tratta di calcari di vario tipo racchiudenti qua e là del gesso. Tutti i caleari sono privi di fossili. Nei loro residui l’autore rinvenne quarzo, felspato, tormalina, pirosseni, orneblenda verde, zircone, oligisto, biotite, |‘ materiale ocraceo, ecc., cioò la maggior parte di quei minerali che sì tro- vano anche nelle sabbie, locchè — osserva l’autore — viene a confermare l’accennata ipotesi relativa all’origine dei materiali su mentovati. I gessi mostrano le caratteristiche deinostri gessi metamorfici triassioi. (E. T1ss1). n° è » «Lao *» aid die A A AA Le $ ai i + | e Salani _ BIB LIOGRA FIA. GE OLOGICA ITALIANA, 19 13 affare È »i | VINASSA DE REGNY P. e GORTANI M. — Le condizioni geologiche della Conca CS di Volaia e dell Alta Valentina (Alpî Carniche) (Boll. Soc. geol. ital., A Vol. XXXII, fase. 3°, pag. 445-450). — Roma. ; Premesso che il rilevamento geole gico del Nucleo centrale carnico, ormai ‘O compiuto dagli autori, differisce profendamente dai rilievi in precedenza Bi eseguiti da altri geologi e segnatamente dagli Austriaci, e rilevato come le maggiori discrepanze concernano l’età della grande massa scistosa paleo- VA zoica, che i geologi austriaci rifericono quasi esclusivamente al Siluriano inferiore, mentre è quasi esclusivamente neocarbonifera per gli autori di questa nota, questi così riassumono il contesto delle loro osservazioni: 4 1°) La serie della base del Monte Capolago (Seekopfsockel dei geologi vì austriaci) non è una serie neosilurica regolare, ma bensi una serie rove— sciata, che dagli scisti neocarboniferi trasgressivi per l’Eodevonico e il Neo- È silurico arriva all’Ordoviciano ; f 20) Il motivo tettonico è dato da una piega anticlinale rovesciata e fagliata in rispondenza dei meno resistenti strati Ordoviciani, onde su - a questi si appoggiano i calcari e)devonici del Capolago sovraspinti e in ap- parente concordanza; 3°} IL rovesciamento non si limita al Seekopîf, ma si continua pure D). s | alla Corona Rossa, al passo della Valentina e sul versante meridionale del f er Rauchkofel ; | A si 4°) Gli scisti, ritenuti finora sottostanti alla base del Neosilurico, À | sono invece rovesciati al di sotto dell’Eodevonico e appartengono al Neo- A carbonifero trasgressivo. (E.T1ISssI). WASHINGTON H. S. — The volcanie Cycles in Sardinia. (Opus. di 11 pag.). lp — Washington. | A L’autore che nel 1905 ebbe occasione di studiare i vulcani e le rocce eruttive della Sardegna per incarico della Carnegie Institution di Washin- gton, fa notare che nei vulcani Cenozoici della Sardegna possono ravvisarsi tre cicli vulcanici, ossia tre successivi periodi nella loro cronistoria eruttiva, Le ki periodi nei quali la variabilità di composizione delle lave si alterna più o CN fc. meno regolarmente e completamente, locchè -- secondo l’autore — dimostra pr è che tutte quelle roccie eruttive derivano da un medesimo magma fonda- Ro mentale ma assumono diversità di carattere in seguito a processi di diffe- renziazione. Il primo ciclo è rappresentato da estese colate che coprono gran parte della Sardegna nord-occidentale. 100 | BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 - VR, i = i ps Le più antiche di tali colate sono costituite da riolite e sono inter- calate da tufi riolitici e da marne terziarie (forse oligoceniche). Le rioliti soggiaciono ai così detti basalti, di età pure terziaria, varia- bilissimi di carattere e che in realtà sono daciti, trachiti, latiti, andesiti è basalti felspatici. Le ultime due varietà sono caratterizzate dalla presenza dell’ iperstene. 4 Il secondo cielo è quello che comprende i due grandi vuleani di Monte La Ferru e Monte Arci, verso la metà della costa occidentale. fo Alquanto incerta è l’età di questi due vulcani, ma, secondo ogni pro- babilità, essi ebbero principio in epoca post-miocenica e continuarono attivi forse fino al quaternario. L’autore ritiene che il vuleano di Monte Arci sia alquanto più antieo di Monte Ferru. Le lave dell’ Arci coprono un’area di circa 500 kmq. e formarono dspprincipio un cono alto circa 800 metri costituito da riolite ed ossidiana, alle quali fecero seguito trachiti, andesiti, fonoliti e per ultimo basalti. i » Anche Monte Ferru (la cui area ascende a 700 kmq.) cominciò eon trachiti e fonoliti, che dettero origine ad un cono alto cirea 1000 metri. Seguirono poscia non abbondanti emissioni di lava trachi-doleritica, e . To dopo una corta pausa furono eruttate enormi quantità di basalto felspatieo che coprì il duomo trachitico e si estese largamente all’intorno. Il ciclo dell’attività vulcanica si chiuse con l’emissione di non grande De quantità della così detta basanite leucitica. Il terzo ed ultimo ciclo o periodo è rappresentato dalle piccole e re- centi colate di materiale scoriaceo. che caratterizzano i distretti di. Logo- sr. duro ed Ozieri. Si tratta di eruzioni recenti, le cui lave, di composizione piuttosto uniforme, sono costituite da basalti felspatici, parte con e parte senza olivina. | (E. TISSI). WAsHINGTON H. S. — Some lavas of Monte Arci, Sardinia. (American Journal i of Science, Vol. XXXVI, december 1913, pag. 577-590). — Washington. i Facendo seguito alla precedente memoria l’autore porge in questa nota 2; una più particolareggiata descrizione della ubicazione e dei caratteri mor- foligici e petrografici del vulcano Monte Arci, nella costa occidentale della \ Sardegna, e riporta numerose analisi mineralogiche e chimiche dei materiali Be eruttati da quel vulcano. (E. TIssI). Pa d iu i Maia e it » - È LA x : EAT Lili sant » 3° cus ai ” WiLLIs B. — Report on an investigation of the geological structure of the Alps. (Smitsonian Miscellaneous Colleetions, Vol. 56, N. 31,13 pp., 3 figs, 1912). E’ una confutazione delle ipotesi prospettate dal Lugeon in merito alla struttura ed alla costituzione geologica delle Alpi. i (E. TISSI). ZACCAGNA D. — Sui giacimenti marmiferi del bacino di Camajore. ( Rass. min., Vol. XXXVIII, n. 13, pag. 241-245, e Vol. XXXIX, n. 1, pag. 1-4). — Torino. | L’autore tratta in questa nota delle notevoli risorse in marmi colorati esistenti in vari punti della cerchia esterna del gruppo montuoso Apuano, marmi che si trovano specialmente nelle formazioni del Retico, del Lias e del Titonico e sono stati finora o poco sfruttati od anche in alcune parti completamente sconosciuti. La presente nota si occupa in special modo dei marmi colorati (rossi, neri, brecciati) del bacino di Camajore, rilevando l’importanza dei depositi esistenti in vari punti di quella regione, come nella Valle di Torcigliano, nella Pedogna, nella Valle dei Colli, nel Monte Matanna, a Gallena e Coc- ciolini, al Rezzajo, ecc., importanza che deriva non soltanto dalla. grande varietà e vaghezza delle tinte ma benanco dalle loro caratteristiche orogra- fiche e stratigrafiche, dalla entità dei depositi e dalla possibilità del loro economico sfruttamento. (E. TIssI). ZUFFARDI P. — Studio geologico sulla frana di Bard (Valle d’ Aosta). Atti Soc. it. sc. nat., e Museo civ. st. nat., Milano, Vol. LII, fase. 1°, pag. 32-48, con 2 tav.). — Pavia. La nota ha per oggetto la grossa frana staccatasi la sera del 7 di- cembre 1911 dal fianco sud-ovest della Tète de Cou, in Val d’ Aosta, a circa 1 km. a monte di Bard, e precisamente nel tratto fra Bard ed Arnaz, di contro alla Cappella Lieron. Il terreno interessato è un lembo di gneiss ad elementi minuti, che, insieme ai micascisti, fanno parte della grande zona di massicci cristallini (Monte Rosa, Gran Paradiso, Gran San Bernardo), venendo ad affiorare in larga fascia dalla Stura di Lanzo fin oltre -la Sesia, parallelamente alla zona dioritica d’Ivrea. In detta roccia che, come si disse, È rappresentata esclusivamente da gneiss a minuti elementi, talora passanti a micascisto chiaro, manca asso- lutamente il calcare, che pure in qualche altro punto si presenta in forma di lenti nella accennata fascia gneissica. i fra ded tà “ ha BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 CPF LI «l . | È Ri rei si Tetto, A Tara BIBLIOGE \FIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 A » €‘ . 5 ‘te >. ai bd 1° Tad Dopo descritte le caratteristiche litologiche e morfologiche di c nella plaga valdostana, l’autore prospetta le cause che diedero origine alla frana di cui trattasi e delle altre consimili ch’egli suppone in altri tempi cadute — sul tratto da Bard ad Arnaz. Tali cause sono: a) la fitta fratturazione © della massa gneissica; b) l’azione glaciale; e) l’azione idroatmosferica; d) la sismicità della regione. i Soggiunge l’autore che la frana in parola può, nel complesso, ritenersi un episodio di un fenomeno iniziatosi da secoli e via via riprodottosi | sempre nelle stesse condizioni. Volendola coonestare nelle diverse classificazioni o categorie proposte da vari autori, si dovrebbe principalmente aseriverla alle frane del IV tipo di Heim (frane per crollo di materiale compatto o Felsstirze), ma tuttavia, per varie caratteristiche, essa corrisponde assai bene anche alle frane del IV e del V tipo dell’Almagià (frane per rotolìo e frane per crollo), corri- spondenti alle frane per scalzamento dell’Issel. Quest'ultimo autore infatti osserva come questo tipo di frane sia frequente nelle valli un tempo occu- pate dai ghiacciai, i quali, in virtù della loro azione erosiva, avevano più o meno scalzato le roccie alla base, ma che prima di scomparire o di abbas- sarsi esercitavano pur sempre l’ufficio» di sostegni o puntelli, ufficio che . venuto meno col loro ritiro diede origine a franamenti in molte valli alpine. | (E. Tissi). ZUFFARDI P. — Escursione alle gole del Sagittario e a Scanno. (Boll. Soc. geol. it., Vol. XXXII, fase. 4°, pag. CIX-CXXX). — Roma. L’autore deserive nella presente l'escursione dei membri della Società geologica alle gole del Sagittario ed a Scanno, eseguita nella giornata del 12 settembre 1913. La memoria ricorda l’itinerario percorso dalla comitiva e la pittoresca varietà del paesaggio, costituita specialmente dalle numerose e profonde gole che incidono in più punti quel territorio, dall’irruente corso del Sagit- tario, spumeggiante in profondo baratro ineisosi nell’aspra roccia, dal pitto- resco lago di Scanno e da altri minori, dalla cosidetta frana di Frattura che dette origine al lago di Scanno e da altre speciali caratteristiche della regione. - Relativamente alla costituzione geologica l’autore osserva che l’ossatura della regione è prevalentemente costituita da terreni mesozoici, riscontran- - dovisi il Lias inferiore, caratterizzato da un insieme di dolomie bianche più o meno compatte e talvolta sabbiose ; il Lias superiore, rappresentato da potenti pile di strati calcarei, alternatamente compatti, marnosi, bian- | castri, con Ammoniti e Brachiopodi; il Giura, con facies di calcari bianchi Ra; , na LL N Ò È CAL ù xi o art de co ee. it wu ia i ; P i |_°»‘’‘’‘’‘’‘—‘—0‘’‘BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1913 1% + RE RI n NES > li Tali SIA + fà P È i is Lf cristallini a Rhynchonella Sacharoidea De Greg. ; il Cretaceo, che affiora con i calcari neocomiani a Rhynchonella peregrina è con calcari urgoniani quasi tutti bianchi, semicristallini, più o meno tenaci, spesso disseminati di grossi e piccoli Crinoidi e di Coralli, con numerosi Idrozoi e Itieriae. Tra i terreni terziari, oltre quelli Miopliocenici ravvisabili nei dintorni del paese d’Anversa, è pure rimarcabile una striscia di calcari, talvolta num- .mulitici, e marne calcaree che partendo da Anversa arriva sino a M. Godi e si sviluppa poscia in potente massa sui due versanti del bacino di Scanno. | L’autore rileva quindi altre particolarità stratigrafiche e morfologiche della regione, descrivendo poi i tratti caratteristici del lago di Scanno e della frana che lo ha originato. (E. TIssi). Appendice alla Bibliografia per il 1912 TARAMELLI T. — Sulla tectonica del Verbano. (Rend. R. Ist. lomb., S. II, Vol. XLIV, fase. XVIII-XIX, pag. 1020-1025). — Milano. L’autore riassume nella presente nota i tratti più importanti della tec- tonica del bacino del Verbano, in vista delle ipotesi antiche e recenti sulla origine di questo lago. Rileva anzitutto come principale carattere tectonico della regione Ver- bana sia la dissimetria geologica delle due sponde del lago, dovuta al s5 contatto delle formazioni del paleozoico recente cogli scisti cristallini d’età J ancora imprecisata. Afferma che, in complesso, la sponda orientale del bacino, come la È: massa prealpina della catena Orobica, si presenta — presso al contatto colle formazioni scistoso-cristalline — dilacerata e fracassata, senza che però vi si avvertano ricoprimenti od accavallamenti. L’autore ritiene che l’erosione glaciale sia intervenuta a completare l’opera erosiva delle fiumane torrepziali quaternarie, alle quali è principal- mente dovuta la incisione della conca Verbana quanto delle contermini valli. Egli ammette che lo studio orogenetico del Verbano reclami il concorso del fenomeno glaciale; non ammette però che al citato fenomeno debba esclusivamente attribuirsi l’esistenza di questo e degli altri laghi alpini e prealpini, come ammettono altri cultori della scienza geologica. (E. TISSI). PETIT ETA ui met. Me sale. - : toe : a VIRO ) na di Ù i A Mit ì | — BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 19138 INDICE | Aguilar E. 3 | Feruglio E. | Almagià R. ‘4 | Fucini A. 33, 34 Anelli M. 4 | Galdieri A. 34-37 Azzi G. 4 | Galdieri A. e Paolini V. 38 Baldacci L. 5 | Galli I. 38 Bernardini L. 7! Gemmellaro M. 39 Bonomini C. 8 | Gortani M. 39, 40. Borri C. 8 | Gòotzinger G. 4] | Busachi A, 9 | Grill E. 4I 0 Cacciamali G. B. . 9-11 | Guzzanti C. 4l | Caffaratti M. © 12 | Henrotin L. 42 __ Canavari I. 12 | Hess H. 42 __ Canavari M. 13 | Holdhaus K. Marge > « Canestrini S. 14 | Ispettorato delle miniere 43 $:. Ceruti G. 14 | Lincio G. 43 Checchia-Rispoli G. 14, 15 | Lotti B. 44 Chelussi I. i 16, 17 | Lovisato D. 45, 46 . Ciampi A. 18 | Luiggi L. 46 Clerici E. 18 | Manasse E. 46 Colamonico C. | 18 | Martelli A. 47, 49 Coulant E. 21 | Meli R. 47 - Craveri M. 21 | Mercalli G. 50 Crema C. 22 | Merciai A. 51 (0 Cruciani AL | 22, 23 | Millosevich F. NEL) RG a | Cuccia L. I 23 | Moderni P. | 53 È |. De Alessandri G. i 23 | Mola E. 54 | De Gasperi G. B. 24, 25 | Muller Fr. C. 54 SA Del Campana D. 25, 26 | Musoni F. | D’Erasmo G. | 26 | Nelli B. 55 De Stefani C. | 27, 28 | Panichi U. 55 | De Stefani C. e Sforza M. 28 | Pantanelli D. 56 | De Stefano G._ 29-31 | Paoli G. | 56 _ Fabiani R.. | i 32 | Pelloux A. 56, 58 Na Settala SATIC a Le 275° af’ 1 FIA G BOLOGICA AL ANA SLIDE i n. “lt Perret F. A. Stella A. Piacentini G. Stella Starrabba F. Platania G. Tacconi E. Ponte G. Taramelli T. Prover P. L. y Taricco M. Principi P. Testa L. e Sartori F. Pullé G. | Toso P. Riboni P. Trabucco G. Roccati A. | Ugolini U. Sacco F. Verri A. Sanna E. Vinassa de Regny P. Sartov F. e Testa L. Vinassa de Regny e Gortani M. 99 Sarvichi L. R. Washington H. S. 99, 100 | Sieberg A. i Willis B. 101 Sqrinabol S. Zaccagna D. i 101 Stefanini G. Zuffardi P. 1017408 Steinmann G. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. VoLume quarantAcinquesIMo (5° della V Serie) 1915 ATTI UFFICIALI NOMINE NEL R. COMITATO GEOLOGICO # Con Decreto Peali del 21 dicembre 1913: i professori signori: MARIO CERMENATI, deputato al Parlamento nazionale; GIusEPPE DE LoRENZO, senatore del Regno; ARTURO ISSEL; GIOVANNI STRilyER; FERRUCCIO ZAMBONINI; sono confermati membri del R. Comi. tato geologico per il biennio 1914-1915; i il signor ing. Lucio MazzuoLi è eletto membro sino al 31 dicembre 1914; il prof. signor ARTURO IssEL è confermato Presidente per il 1914. PONE ud a ù n A ‘ * * * Con Decreto Reale del 28 marzo 1915: il prof. FEDERICO Sacco è eletto membro sino al 31 dicembre 1915, in sosti- — tuzione del defunto prof. Striiver. tò ‘IE “di * È. Con Decreto Reale del 20 giugno 1915: i signori: prof. FRANCESCO BASSANI, prof. GIOVANNI Di STEFANO PEREZ, ing. Lucio MazzuoLi, prof. CARLO FABRIZIO PARONA, prof. TORQUATO © TARAMELLI, sono confermati membri per il biennio 1915-1916; il I prof signor ARTURO Issel è confermato Presidente per l’anno 191 5. € ? . % , | V'ARTEOTI RR RIT RT 3 4 76 PA st À n wr ATTI UFFICIALI R. COMITATO GEOLOGICO VERBALE DELL’ADUNANZA DEL 26 cIuGNO 1915. La seduta è aperta alle 9,30. Sono presenti: il Presidente Issel, i membri Cermenati, Mazzuoli, Parona, Sacco, Taramelli, Zambonini, il Direttore del Servizio geologico, ispettore Baldacci, il Direttore dell’Istituto geografico militare, tenente generale Gliamas, il Presidente della Società geologica. Ja prof. D’Achiardi, il Direttore dell’ Ufficio geologico, ing. tar e l’ing. Crema incaricato delle funzioni di segretario. Il PRESIDENTE dà il benvenuto al nuovo eletto prof. Sacco, che porterà al Comitato un ausilio prezioso colla sua feconda operosità e colla sua com- beato petenza nei varii rami delle discipline geologiche, ed esprime il suo compia- cimento per. la presenza del prof. D’Achiardi, cultore pregiatissimo. della mineralogia e degno presidente della nostra Società geologica. Annunzia quindi che hanno scusato la loro assenza i colleghi Bassani, De Lorenzo, Di Stefano e Mazzetti, impediti il primo da motivi di salute, | gli altri da speciali circostanze di famiglia o da altri impegni. Chiede il per- P messo di trasmettere il saluto del Comitato ai colleghi assenti aggiungendovi pel prof. Bassani l’augurio fervidissimo di un pronto ristabilimento. 6 Il COMITATO approva. Il PRESIDENTE è dolente che gli spetti ora un triste compito. Di Uno degli eminenti membri del Comitato, Giovanni Striiver, si è spento D improvvisamente in Roma all’età di 73 anni, il 21 febbraio scorso, e qui, ove risuonò la sua parola autorevole, è doverosa una parola di rimpianto | per la grave perdita. Un’ affettuosa biografia, che di lui scrisse un suo diletto discepolo, il prof. Zambonini, comparirà nel Bollettino; intanto è opportuno ricordare alcuni episodi della sua vita scientifica. Studente a Gottinga fu scelto a coadiutore dell’insigne Sartorius di Waltershausen ; di x poi, appena conseguita la laurea, invitato da Quintino Sella, accettò l’ufficio di assistente alla cattedra di mineralogia e geologia presso la R. Scuola d’ap- plicazione per gli ingegneri di Torino. Ma ben presto conseguì il posto di professore di mineralogia e di geologia nell'Università torinese, che egli conservò fino al1873, data del suo trasferimento a Roma, in qualità di or- A } WII R. COMITATO GEOLOGICO dinario di mineralogia e direttore dell’annesso Museo. All’Italia, sua seconda patria, diede l’esempio di una vita tutta consacrata alla scienza ed all’insegna- mento e del più coscienzioso adempimento dei doveri inerenti ai suoi uffici. Al Comitato apparteneva fin dal 1886. Tutti coloro che si tengono in corrente del movimento scientifico in Italia non ignorano che lo Strilver fu propriamente il maestro dei! maestri, e come a lui spetti il merito di aver diffuso nelle scuole superiori i metodi della mineralogia moderna e spe- cialmente della indagine cristallografica, nella quale fu sommo. Rimarranno insuperabili modelli di illustrazioni mineralogiche le sue classiche monografie ; sulla Pirite dei Piemonte e del)’ Elba, sul giacimento di Val d’Ala e lo studio ie cristallografico sui derivati della Santonina. Alla memoria di Giovanni ’‘Strilver si tributi da tutti la gratitudine e l’ammirazione che egli ha ben meritata per l’opera sua. E’ doveroso del pari dedicare un mesto ricordo all’Ispettore superiore ing. Pietro Zezi e all’aiutante principale Pietro Fossen, l’uno e l’altro da breve tempo mancati ai vivi. Il primo fu Direttore dell'Ufficio geclogico fin . dal suo inizio rimanendo in tale carica per oltre un trentennio; per molti n anni fu zelantissimo segretario del Comitato e poi suo componente; si se- « gnalò con lodate pubblicazioni di geologia applicata e di lui e della sua | opera dirà degnamente nel Bollettino l’ing. Novarese che ne sta preparando la neerologia. Il secondo collaborò cogli ingegneri Zaccagna, Lotti e Testore al rileramento delle Alpi Apuane ed estese le proprie osservazioni all’isola dell'Elba, nella quale determinò l’estensione in profondità dei giacimenti sw. ferriferi; diede inoltre una buona descrizione dell’isolotto di Cerboli nello 4 Arcipelago toscano. È «Anche fuori del Comitato e dell Ufficio si hanno a deplorare in Italia sO perdite dolorose, fra le quali menzionerà quelle del prof. Giuseppe Mercalli, principe dei nostri vulcanologi, dell’Ispettore onorario del R. C. delle mi- niere ing. Enrico Niccoli, del dott. Giorgio Morando Trentanove, dell'ing G. B. Traverso, della dottoressa Giuseppina Osimo, vittima del terremoto di Avezzano, e di Antonio De Toni, testè caduto strenuamente combattendo per la patria. All’estero mancarono ai vivi James Geikie, professore di geologia e di mineralogia nell’ Università di Edimburgo, già presidente della « Royal Society » della stessa città, del quale tutti conoscono i memorabili lavori, e l’illù. stre vulcanologo prof. Johston-Lavis, che si occupò specialmente del Vesuvio. Fra i giovani geologi stranieri i lutti furono assai più numerosi del consueto pel fatto della guerra che infierisce in gran parte d’Europa. Soc- combettero sul campo di. battaglia Robert Douvillé, Jean Breton, Alberto è ATTI UFFICIALI de Romé, francesi, Ernst Fischer. F. Hahn, Alfred Grund, Hans Krauss, © Heinrich Miller, Mertens, tedeschi ed austriaci. Ignora se vi siano altre vit- » time, in ispecie tra gli inglesi e i russi. io PL Con voce commossa il presidente così pone fine al suo dire: « Spargiamo fiori sulle tombe appena cdischiuse, e rivolgiamo un pen- siero di rimpianto a quei nostri colleghi dell’una e dell’altra riva, che in- fai contrarono una morte prematura, adempiendo al proprio dovere. « Intanto, quantunaue ci troviamo qui raccolti per occuparci precipua «mente della carta geologica del Regno, non riesco ad allontanare dalla mia « mente il pensiero della guerra, nella quale è stato travolto testè anche il « nostro paese, nè posso dimenticare come in questo momento sì preparì un «nuovo assetto che avrà per conseguenza profondi mutamenti negli aggrup- « pamenti politici e nelle reciproche relazioni fra i popoli. Mi sia concesso > : È - î si a 5 - ® « di formulare il voto che la formidabile conflagrazione si risolva col trionfo « della giustizia e assicuri alle generazioni future un lungo periodo di pace « e di prosperità proficuo alla scienza e alla civiltà. Per quanto concerne « l’Italia, mi rendo interprete dei presenti affermando la nostra inalte- « rabile fiducia nella legittimità dei suoi diritti e la ferma speranza che, z superando ogni ostacolo, conseguirà questa volta l'alta e nobile meta cui « agogna da sì lungo tempo. Il senno dei governanti, l’abnegazione degli Ù « Italiani d’ogni provincia e d’ogni classe, il valore dell’esercito e dell’ar- | mata sono tali da confortare le nostre speranze ». : « Rivolgo infine il nostro saluto augurale ai geologi che hanno seam- biato in questi giorni il martello col moschetto o colla sciabola, alludo « fra gli altri al Gortani, al Martelli ed allo Zuffardi, e lo estendo ai cari « nostri che affrontano o stanno per affrontare il periglioso cimento ». (Vive approvazioni). i CERMENATI alle nobili frasi del Presidente in memoria dei geologi morti per legge naturale o per la barbarie della guerra aggiungerà un pen- siero di dolore e di orgoglio per la morte del prof. Antonio De Toni. Figlio di un professore di scienze naturali, era pieno di entusiasmo per le ricerche scientifiche che aveva iniziate occupandosi di botanica per poi passare alla geologia, dove doveva affermarsi subito valente; in qualità appunto di geologo e paleontologo aveva preso parte alla importante spedizione scien- tifica inviata nel 1913 in Albania. L’esile corpo lo aveva esonerato da ogni obbligo di leva, ma quando intuì che anche l’Italia non avrebbe po- tuto sottrarsi dal partecipare alla conflagrazione europea chiese insistente— mente ed ottenne di entrare nell’esercito. Ferito a Misurina, rimase ancora in vita 36 ore, morendo l'indomani a soli 26 anni di età. Con lui si rinnova n VT P ira die A SV 49 di (A ” ; & n A { > AS x aa, È R. COMITATO GEOLOGICO VII la tradizione dell’eroica morte del Pilla e quella della valorosa azione di Pantanelli e di Taramelli. BALDACCI mentre di cuore si associa alle belle parole del Presidente e del prof. Cermenati in omaggio ai geologi testè mancati ai vivi, rivolge a nome del R. Corpo delle Miniere un mesto ultimo saluto alla memoria dei tre valenti funzionarii comm. ing. Zezi, comm. ing. Niccoli e cav. P. Fossen. ZAMBONINI ha parole di elogio e di compianto per Mertens, morto appena venticinquenne, ricordandone il grande amore per il nostro Paese ed i pregevoli studi sui giacimenti di nefrite dell’alta valle del Sinni. Iì PRESIDENTE dà quindi la parola all’Ispettore Baldacci per le comu- nicazioni della Direzione del Servizio. BALDACCI presenta e legge una lettera del prof. Di Stefano nella quale questi informa come il prot. (. Checchia-Rispoli abbia eseguito dietro suo consiglio uno studio stratigrafico e paleontologico dei terreni terziari inte— . riori del versante Nord delle Madonie, corredandolo con una carta geolo— gica al 50,000 e con 10 tavole fotografiche, che per la sua importanza meriterebbe di comparire nelle Memorie in 4° pubblicate dall'Ufficio geolo- gico. Consente pienamente nella proposta. PARONA trova che questo studio farà degno riscontro all’analogo lavoro del Prever. ISSEL e ZAMBONINI sì associano. Il ComiTATO approva. | BALDACCI presenta uno studio sulla regione petroleifera di S. Giovanni Incarico e Pico (Caserta), studio eseguito dall’ing. Galdi dietro incarico datogli dal Ministero, come pure un lavoro dell’ ing. Toso sui giacimenti petroleife:i e solfiferi. Potranno entrambi trovar posto nelle memorie dell’ Uf- _ »ficio o nel Bollettino. LorTI informa che il dott. Aloisi ha compiuto un importante studio petrografico sulle roccie metamorfiche dell’isola d’Elba, aggiungendo che parte del materiale studiato appartiene all’ Ufficio. BALDACCI propone che, come il Comitato ha già fatto in altri casi ana- loghi, all’autore venga accordato un sussidio per la pubblicazione. Il Comrrato approva fissando il sussidio in lire 500. D’ACHIARDI ringrazia a nome dell'autore, suo assistente. IssEL presenta, completa nel testo e nelle tavole, la memoria del dott. Principi sulla flora tongriana di S. Giustina e propone che ii suo esame venga affidato ai colleghi Parona e Sacco. Parona crede tale esame superfluo per un lavoro presentato dal prof. Issel; anche il collega Sacco ne approva senz'altro la pubblicazione. [ET Si # 3 Rin fan a ATTI UFFICIALI BALDACCI si associa al prof. Parona. IsseL ringrazia, ritenendo che il Comitato, salvo le consuete riserve - d’ordine finanziario, aderisca al voto dei colleghi. BALDACCI presenta le minute di alcuni fogli della Carta geologica d’Italia nella scala di 1:250,000 attualmente in preparazione; dice che ad ogni foglio andrà unito un fascicolo illustrativo. In quanto alla base topo- grafica converrebbe adottare quella stessa della carta d’Italia pubblicata dal T. C. I. previi gli opportuni accordi coll’Istituto Geografico De Agostini ed eventualmente colla Direzione del T. C. I. Il ComitaTO, confermando il suo precedente voto a tale riguardo, approva che si inizino le pratiche necessarie per l'importante pubblicazione. Sacco segnala la necessità di una ristampa della carta geologica d’Italia nella scala di 1:1,000,000. 1 BALDACCI accetta volentieri la raccomandazione, della quale terrà conto beninteso nei limiti del bilancio e delia possibilità di farne disegnare le minute. LoTTI presenta e distribuisce agli intervenuti la Carta geologica di Roma, pubblicata per cura dell'ufficio sui rilevamenti del Ten. Gen, Verri. IssEL si compiace vivamente per il compimento di quest'opera tanto coll’Ufficio quanto coll’autore, al quale propone venga inviato un plauso da parte del Comitato. IL COMITATO approva all'unanimità. LoTTI, ad invito del Direttore del Servizio, fa una sommaria esposizione dei lavori eseguiti nel 1914 e nel primo semestre del 1915. Pur rimandando per più ampii particolari alla relazione dattilografata che è stata distribuita ai componenti il Comitato, è pronto a dare tutti quegli schiarimenti che fos- sero desiderati. i | ZAMBONINI ritiene di dover nuovamente richiamare l’attenzione del Co- mitato sull'importanza delle analisi chimiche nella determinazione delle roccie e sulla conseguente necessità che all’ing. Aichino, attuale Direttore del laboratorio chimico, vengano dati dei coadiutori mettendo nel tempo stesso a sua disposizione più ampii locali. Ritiene che il provvedimento ri- chiesto non dovrebbe presentare difficoltà poichè si potrebbe ricorrere al personale dell’Ufficio idraulico il quale, come è noto, non possiede alcun È laboratorio. MazzuoLi associandosi al collega Zambonini dice che non vi è alcuna ragione perchè vi sia uno speciale laboratorio per l'Ufficio idraulico e che si i perciò i chimici, i quali attualmente ne fanno parte, dovrebbero venir agi gregati al laboratorio dell’ Ufficio geologico. sl d \ te @ sé. fe audi % ‘R. COMITATO GEOLOGICO BALDACCI spiega come la predominanza di chimici nel personale del- l'Ufficio idraulico sia puramente casuale, aggiungendo che spera di poter “ dare ben presto un aiuto all’ing. Aichino e che terrà in ogni caso presenti i desideri del Comitato, CeRMENATI vorrebbe che i rilevatori non potessero essere distratti per studi applicativi, i quali dovrebbero invece venire affidati ad un per- sonale apposito ; crede che tale disposizione dovrebbe far parte dell’impor- tante ampliamento da lui caldeggiato per l'Ufficio. IsseL ricorda di essersi anch’egli adoperato per quest’ultimo scopo, ma è evidente che ragioni finanziarie rendono pel momento inopportuna ogni proposta importante nuovi aggravi al bilancio dello Stato. TARAMELLI erede che converrebbe utilizzare per i rilevamenti i numerosi dati ricavati dalle costruzioni delle ferrovie ed esistenti presso l’ Ammini- strazione ferroviaria, la quale non dovrebbe avere difficoltà a comunicarli. IssEL consente perfettamente col collega Taramelli; ricorda anzi di SI aver altre volte proposto la formazione presso l'Ufficio geologico di un ca- sellario per la raccolta sistematica di indicazioni geologiche ntili rispetto î all’Italia, da compiersi in modo analogo a quanto si faceva nel Belgio in A virtù di disposizioni legislative che dovrebbero attuarsi anche da noi. Ri- _ tiene chesi tratti di una vera funzione di Stato, che potrebbe dare grandi vantaggi con una non grande spesa e che non bisognerà dimenticare quando Aa il personale dell’Ufficio geologico potrà essere aumentato, MazzuoLi vorrebbe che l Amministrazione dei LL. PP. meglio apprez- zasse la necessità che i progetti vengano accuratamente studiati anche dal lato geologico prima della loro definiiiva approvazione. tea CERMENATI dice che solamente con una propaganda continua si potrà far conoscere l’importanza pratica della geologia; ricorda la sua opera per la formazione di un demanio forestale e per la sistemazione dei bacini % montani. CA LOTTI passa ad esporre sommariamente il programma dei lavori da ese- guirsi nella prossima campagna 1915-16 spiegando come nelle attuali cir- costanze non sia facile prevedere in quali località questi possano essere ostacolati od anche impediti del tutto. ZAMBONINI ritiene che dovunque sia possibile sarà bene non interrom- pere i lavori. MAZZUOLI ricordando i voti dell’ Associazione mineraria Sarda racco- manda di intensificare i rilevamenti nell’Iglesiente. PATATE RR PERE PELLI PEA Y 1 TA) ITA GIS IR ATTI UFFIC P t | Wi fe Uù i d , BALDACCI osserva che ciò è già nel programma ed informa ‘chel | rilevamenti sarebbero stati continuati anche questa primavera se il terremote Fo marsicano non avesse disgraziatamente obbligato a disporre altrimenti. del personale. Deve aggiungere che la Direzione è intenzionata di proseguirli il più attivamente possibile, ma non può accettare i criteri coi quali D'Asso- ciazione mineraria sarda vorrebbe fossero eseguiti,-e ciò tanto per la scelta del personale quanto pel metodo di formazione della Carta geologica, poichè nella esecuzione di questa non si può in aleun modo prescindere dagli ele- menti essenziali della sua base scientifica rivolgendola soltanto ad uno scopo. speciale. MAZzzuoLI non dixsente dal collega Baldacci. ZAMBONINI crede che il Comitato debba approvare l’opera ed i propo- siti della Direzione del servizio. Il COMITATO approva. LortI non crede sia il caso di interrompere il rilevamento dell’Igle- siente, ma è di parere che dal punto di vista degli interessi minerari sa- rebbe anche necessaria l’esplorazione geologica del Sulcis. CERMENATI informa che non si tarderà ad iniziare i lavori per la co- struzione Gi una linea ferroviaria in tale regione; ritiene che la loro ese- cuzione potrà riuscire utile anche ai rilevatori i quali farebbero bene a prendere accordi cogli ingegneri della costruenda ferrovia. BALDACCI non mancherà di raccomandare a suo tempo una tal cosa al personale. -.. PARONA e Sacco chiedono se non sia intenzione della Direzione di far seguire alla avvenuta pubblicazione dei fogli delle Alpi Occidentali quella delle sezioni relative. ù BALDACCI risponde che è suo intendimento di provvedervi al più presto, ma non si nasconde le difficoltà che potranno sorgere a questo proposito, specialmente a cagione della differenza di vedute esistenti fra i rilevatori riguardo alla posizione nella serie cronologica di alcune importanti formazioni. ZAMBONINI ritiene che intrapreso il rilevamento di una data regione questo dovrebbe essere continuato fino à che sia completato e quindi pub- blicato il più sollecitamente possibile. i BALDACCI ed Isser. rispondono che tale sistema è evidentemente il mi-. gliore e che in massima si cercò sempre di seguirlo. DR ì: A CERMENATI dice di aver appreso con vivo rinerescimento come il fondo della Carta geologica sia stato diminuito di 10,000 lire per l’esercizio 1915-16; i, $i raccomanda alla Direzione del Servizio di non tralasciare occasione per ricor- | dare a S. E. il Ministro le promesse di aumento fatte dai suoi predecessori. f | Li a “TION | R. COMITATO GEOLOGICO dl; Barpacci informa che i bilanci sono bensì preparati dopo avere inter- 9 | pellati i Capi dei singoli Servizi, ma che le proposte fatte da questi ultimi . se vengono spesso modificate a loro insaputa, specialmente per opera del Mi- | nistro del Tesoro per imprescindibili ragioni di bilaacio. Riterrebbe ad ogni | modo opportuno un voto del Comitato perchè almeno le 10,000 lire testè tolte vengano restituite al Capitolo. Il ComirATO approva calorosamente. > La seduta viene tolta alle 11,45 dopo avere autorizzato il Presidente a firmare il verbale. Li Il Presidente A. ISSEL Il Segretario Ing. C. CREMA RELAZIONE ci sui lavori di campagna e d’ufficio eseguiti nell’anno 1914 e 1° semestre del 1915, e proposte per quelli da eseguirsi durante l’anno finanziario 1915-916. RILEVAMENTI. La crisi europea ebbe una ripercussione anche sui nostri lavori di rileva- mento, almeno nel 2° semestre dell’anno decorso, sia perchè, essendo quello il periodo del maggior lavoro, non si potè dedicare ad esso che la metà del fondo destinato alle trasferte, come faceva obbligo l’esercizio provvisorio, sia perchè . i lavori nelle Alpi presso ai confini non poterono essere eseguiti per ragioni militari. N Nel 1° semestre di quest'anno un’altra causa disgraziata si aggiunse per È impedire la prosecuzione. dei lavori fissati nel programma e specialmente di quelli da eseguire in Sardegna. In seguito alla catastrofe tellurica del 13 gennaio u. s. l'Ufficio Geolo- gico fu chiamato a concorrere largamente ai lavori del Comitato speciale del . Consiglio Superiore dei LL. PP. per lo studio delle questioni relative alle costru- zioni nei paesi colpiti dal terremoto. L’ing. capo Franchi e gli ingegneri Crema, Pilotti, Fiorentin e Pullé ebbero l’incarico di visitare, in unione ad ingegneri «el Genio Civile, i paesi più danneggiati principalmente per stabilire la pos- sibilità di mantenerli in tutto od in parte sulle antiche sedi o sulla necessità di trasferirli in località più sicure. Ora questo lavoro è terminato e le rela- tive relazioni vennero consegnate al Presidente di detto Comitato speciale. Ò Agli ingegneri incaricati di queste visite venne raccomandato di raccogliere % anche tutto quel materiale che sarà loro possibile per lo studio scientifico del luttuoso avvenimento, studio che si spera possa essere quanto prima com- piuto e pubblicato nel Bollettino. | * * È: Nel mese di maggio il sottoscritto, Direttore dell’Ufficio, fece alcune escursioni presso la Tolfa allo scopo di stabilire con argomenti positivi ed i so 4% Vl OTO. n Ù tea vini Re ice af cd - nera ATO RIO ATTI UFFICIALI (00000 PST {APT LA Noa LP, incontestabili l’età controversa della trachite di quella località e quin di dei giacimenti metalliferi ad essa collegati. I risultati delle sue osservazioni furo n0 n SI consegnati in una nota pubblicata nel fase. 2°, vol. XLIV, del nostro Bollettino. Sottraendo un po’ di tempo alle cure d’ Ufficio, grazie al valido aiuto del È CEE vicedirettore ing. capo G. Aichino, potè poi anche in quest’anno attendere | ue al rilevamento dell'Umbria, ormai presso al suo termine, e dedicando ad esso € SA alcuni giorni del mese di giugno ed altri mesi di agosto e di settembre, riuscì ; è a compiere il rilevamento della Tav. di Massa Martana. 5 pet L’area rilevata fu 220 kmq. impiegandovi 31 giorni con un percorso di | fi. km. 779 ed una spesa complessiva di L. 743,98. da +*, L'ing. Zaccagna nella prima metà dell’anno 1914 rimase a dispo- d sizione del Ministero delle Colonie per la missione affidatagli dello studio idro- e ì logico e geologico della regione occidentale della Tripolitania compresa fra il D "2 Gebel Nefusa e Ghadames. i Partito da Roma il 21 gennaio, non fu di ritorno che alla fine di giugno. +M In questo periodo, percorrendo il piano. sottostante al Gebel da Azizia a Nalut di; egli compì dapprima varie traversate sulla scarpata di quello scaglione mon- tuoso. Da Nalut, attraverso il deserto, per Saniet Regil e l’altopiano di El Ogba fas sì recò a Sinaun ed a Mesceghig e raggiunse quindi Ghadames. Da Ghadames, mentre si stabiliva l'impianto del pozzo artesiano che formava lo scopo prin- # cipale della sua missione, sì spinse fino all’Oasi di Dergi, nella quale, dopo la visita fattavi nel 1860 dal Duveyrier, nessun europeo era più penetrato. In molti dei luoghi percorsi egli raccolse gli elementi per lo studio geolo- dA gico ed idrologico della regione; rilevò numerosi profili geologici e fece copiosa o raccolta di fossili, i quali vennero passati per lo studio al prof. Di Stefano e 58 formeranno insieme ai profili geologici oggetto di un’apposita nota illustrativa. fu Nell’estate egli operò alcune revisioni nei dintorni di Camajore sulla i tavoletta di Pietrasanta della quale, insieme alle altre tavolette delle Apuane all’ 1:25.000 dovevasi iniziare la pubblicazione. Condusse quindi a termine la tavoletta di Gardone Valtrompia sulla quale doveva completarsi la conca . di Sulzano, sulla sponda sinistra del Lago d’Iseo e terminò la campagna geo- Ri logica con alcune escursioni sui monti di Recco in Liguria: escursioni che — Sa dovette interrompere verso la metà del mese di ottobre per la limitazione dei fondi destinati al rilevamento. + *, L'ing. capo V. Novarese, sebbene trascorresse in Sardegna la prima- - vera, non potè consacrare questo periodo di tempo al rilevamento geolegico i dell’Iglesiente, perchè per ordine ministeriale dovette percorrere, insieme cogli d ingegneri capi del Genio Civile di Cagliari e di Sassari, gran parte dell’Isola (® ‘SP allo scopo di ricercarvi i luoghi più opportuni per praticare trivellazioni od ‘ i /

VERE È VORI DI CAMPAGNA E D'UFFICIO KI E e ricerche d’acqua, urgendo trovar pronti rimedi per riparare al tremendo fi, della siccità che con danno incalcolabile infieriva da lungo tempo in — Sardegna. \ G A Furono dedicati a questa ricerca 35 giorni con un percorso di 1908 chilo- metri, la massima parte dei quali fatti in automobile. La spesa relativa fu di L. 763,19. I gravi avvenimenti politici del luglio e agosto obbligarono a modificare | il programma della campagna geologica alpina, rimandando a tempi più tran- quilli la continuazione del rilevamento nell’alta Valcamonica, zona fortificata di confine, e facendo passare le revisioni e il compimento del lavoro di rileva- mento intorno al Verbano d’altronde indispensabile per terminare gli originali dei due fogli di Cannobio e Varallo per la pubblicazione. Furono difatti rive- dute le tavolette di Cannobio, M. Limidario, M. Zeda, Santa Maria Maggiore, Ghiffa, Pallanza, Luino, Omegna, Gozzano e Borgo Manero, portando così a termine il foglio 16 Cannobio, pronto ormai per la pubblicazione. Non fu però possibile fare altrettanto per Varallo, essendosi dovuta chiudere prematu- ramente la campagna geologica per insufficienza di fondi. La superficie riveduta fu di 500 kmq. su strade ordinarie. La spesa fu di L. 680,02. « "x L'ing. capo V. Sabatini estese il suo rilevamento nei dintorni della Tolta e "di Canino per circa 45 kmq. e fece delle ricognizioni e revisioni presso Cerveteri e nell’Isola di Montecristo, già studiata nell’anno precedente. Con- tinuò inoltre lo studio del gruppo dei Vulsini presso Montefiascone. La spesa complessiva fu di L. 2046,84, con giorni 86 e km. 1980. x» L'ing. capo S. Franchi tra l’agosto e l’ottobre si occupò di portare a termine il rilevamento e le revisioni nelle tavolette a 1:25.000 di Biella, Andorno-Cacciorna, Borgo Sesia, Varallo ed in quelle a 1:50.000 di Bannio e Omegna. Il nuovo rilevamento può valutarsi a kmq. 60 per il quale e per le revisioni furono impiegati giorni 45 con un percorso di km. 866 ed una spesa complessiva di L. 1048,48. *« La campagna dell’ing. C. Crema ebbe principalmente per oggetto il rilevamento della catena del Monte Nuria, situata, come è noto, a cavaliere dellè tavolette di Fiamignano, Antrodoco, Borgocollefegato ed Aquila; ma, per gli scarsi mezzi dei quali si potè disporre, questo rilevamento non potè | essere del tutto ultimato e nella porzione settentrionale della catena verso La _ Antrodoco nella valle del Corno non vennero eseguite che poche ricognizioni | preliminari. La zona definitivamente rilevata rimane così compresa fra il Rio Torto, il fiume Salto fin sotto Calcariola, ed i piani di Peschiera, della pitoron di Cornino, Di Rascino e delle Macchiole con una superficie di poco il inferiore a duecento chilometri quadrati, # ©»: \ »< ATTI UFFICIALI © La spesa complessiva fu di L. 735,42 con un percorso di Toma 796 in giorni di lavoro. «= L'ing. C. Pilotti nei mesi di aprile-giugno sirecò in Sardegna per con È tinuare il rilevamento geologico dell’Iglesiente; essendo però sopravvenuta la | necessità di procedere a studi di ricerca di acque egli fu incaricato di occuparsi di tali studi per la Sardegna settentrionale, dimodochè in complesso non potè — b dedicare alla geologia che 36 giorni, profittando delle soste negli studi idrolo- gici e continuando i lavori da lui iniziati in tale regione negli anni precedenti, ed i rimanenti, che furono divisi in periodi, nei dintorni di Iglesias. Stante la scarsità di tal numero di giorni (in essi vanno compresi anche quelli impiegati pei viaggi di andata e ritorno in Sardegna e di spostamento fra il Cagliaritano ed il Sassarese), e la loro divisione in periodi ristretti, egli credette opportuno di dedicare il tempo ad un lavoro speciale, e che del resto aveva rapporto coi suoi studi anteriori, cioè, in prosecuzione della tavoletta di Domusnovas, allo studio di quella di Siliqua, in cui si notano delle forma- zioni eruttive, analogamente a quanto avviene nei dintorni di Villamassargia. Fece anche alcune escursioni in tavoletta di Domusnovas, trovando nuove località fossilifere siluriane in regione S. Marco presso Domusnovas. In com- plesso nell’Iglesiente, rilevò 110 kmq. Nell’autunno, gli studi di ricerca di acque nella provincia di Sassari, di cui seguitò ad essere incaricato dall’ Ufficio speciale per la Sardegna, e sui quali presentò a quest’ufficio la relazione, gli impedirono nuovamente di occuparsi i: di geologia, tranne qualche escursione compiuta, sempre in provincia di Sas- sari, nei giorni di riposo. Nell’insieme per la geologia impiegò giorni 45 con un percorso di km. 819 ed una spesa di L. 1056,57. «*, L'ing. Fiorentin, in conseguenza di una grave malattia acquistata in - Libia ove passò una gran parte del 1° semestre dell’anno e durata l’intiero t, 2° semestre, non potè attendere ad alcun lavoro di rilevamento durante l’anno 1914, e nel 1° settembre 1915 ne fu distratto, insieme agli altri, in seguito allo sh incarico avuto dal Ministero dei LL. PP. per il terremoto. 4 «*, L'ing. Pullè proseguì il rilevamento geologico in Sardegna e nella regione dei Laghi Lombardi. In Sardegna estese le sue osservazioni nelle ta- volette 1:25.000 di Barbusi, Iglesias e S. Pietro rilevandone circa 50 kmq. ed "i inoltre eseguì ricognizioni e revisioni in queste ed in quella di Nebida. Nei Laghi Lombardi continuò lo studio speciale dei Pizzoni di Laveno ed estese. Li per 10 kmq. circa il rilevamento in quella di Ghiffa. 4 +" Durante l’anno solare 1914 e il successivo 1° semestre 1915 l’aiutante — principale Cassetti si recò prima in Terra d'Otranto, allo scopo di determinare la i i ì Pa v } pre, ala , i Pes ? agi; , ul if di i o a i cita AZIONE SUI LAVORI DI CAMPAGNA E D UFFICIO XVI ws eo es osatta posizione di alcuni giacimenti di terra rossa con pisoliti (indicati local- y tI col nome di bolo ad uddie), e nel contempo raccogliere campioni di detta | roccia, molto somigliante alla bauxite. Procedette poscia alla revisione del rilevamento geologico dei monti del Cilento, compresi nelle due tavolette di Calabritto e di Monte Corvino Ro- vella (186 — III e IV), eseguito più di 20 annivor sono da altri operatori che la- sciarono il servizio BRE: Tale revisione è stata portata a buon punto in un tempo relativamente breve, dapoichè della tavoletta di Calabritto, nella quale cadono le importanti sorgenti di Capo Sele, sono stati quasi completamente percorsi ì due quadranti N-E e S-E, mentre nella contigua tavoletta di Montecorvino non manca di |. rivedere che una piccola zona del lato orientale. In complesso il Cassetti fece n. 75 giorni di campagna, compiendo la re- visione del rilevamento geologico di una superficie di terreno di kmq. 450 circa con una spesa di L. 956,49. INCARICHI SPECIALI AFFIDATI AL PERSONALE. Il sottoscritto ing. LOTTI In questo periodo di tempo continuò a far parte della Commissione centrale per le sistemazioni idrauliche e forestali e per le bonifiche e del R. Comitato talassografico italiano e prese parte nel maggio | 1914ailavori del Congresso forestale di Napoli come rappresentante dell’ Uf- ficio geologico. Nel febbraio 1915 con decreto ministeriale fu aggregato al Comitato spe- ciale del Consiglio superiore dei LL. PP. per lo studio delle questione sotto- poste all’esame di quel consesso relative al terremoto «della Marsica e prese parte insieme ai membri del Comitato stesso a varie visite eseguite sui luoghi colpiti. Ad invito del ministero dei LL. PP. fu nello stesso periodo di tempo in- caricato dall’Ispettorato dello studio di speciali fenomeni sismici verificatisi | in quel di Bevagna presso Foligno. Nel mese d’aprile ad istanza del prefetto di Perugia visitò due frane presso a Assisi riferendo sulla loro entità e sui relativi provvedimenti. I Oltre all’incarico della missione in Libia, l’ing. capo ZACCAGNA ebbe quello x | dello studio geologico del tronco ferroviario Monzone-Piazza al Serchio sulla co- struenda linea Aulla-Lucca, nel qual tronco sono comprese le due importanti He, si allerie di Ugliancaldo e di Lapacino. vi rire : 4 pai A* Salt % e bl DI ” n= * " è : XNII — ATTI UFFICIALIO AL L’ing. capo AICHINO, vice Direttore dell’ Ufficio e Direttore del Lab torio chimico, fece parte, come Presidente, della commissione giudicatrice fi un concorso per esami ad aiutante nel C. R. delle Miniere e, come membro, di quella giudicatrice dei concorsi a direttore, assistente e sorvegliante espert Ù) delle R. Cattedre ambulanti di Agricoltura. v34 Per incarico del Ministero dei LL. PP., insieme coll’ Ispettore Capo ing. Baldacci, l’ing. capo NOVARESE fece parte di una Commissione composta. È di funzionari del Genio Civile e dell'Ispettorato ferroviario, incaricato del’ collaudo del tronco ferroviario Perarolo-Calalzo-Pieve di Cadore. Ù Ancora per incarico del Ministero dei LL. PP., insieme cogli ingegneri — capi del Genio Civile di Treviso e di Belluno ebbe ad occuparsi del collaudo del Ponte sul Sile a Musestre, nella quale opera si erano verificati singolari. | movimenti dovuti alla particolare natura dei terreni di sedimento recenti } all’estuario veneto. vo Nel mese di febbraio e marzo 1915 visitò le due frane di Savoia di Lucania e di Latronico in Basilicata per incarico del Ministero dei LL. PP. L’ing. capo SABATINI per incarico del Ministero dei LL. PP. eseguì lo studio x geologico per il progetto di spostamento d’un tratto della costruenda strada rotabile 110 in provincia di Cosenza e per lo spostamento, in seguito a frane, — dell’abitato di Castiglione Cosentino nella stessa provincia. \ Fu aggregato al Comitato speciale del Consiglio superiore dei Lil PPS per gli studi sul terremoto dell’8 maggio in provincia di Catania e per le re-- lative proposte di provvedimenti. Per invito del Ministero dei LL. PP. fu pure incaricato della visita degli abitati di S. Pier Fedele e di S. Ilario in provincia di Reggio Calabria per i Lu k si proponeva lo spostamento in seguito a frana e terremoto. Ad invito del Ministero degli Interni fu incaricato della revisione del progetto per lo spostamento d’ Acquappesa in provincia di Cosenza. L’ing. capo FRANCHI fu dal Ministero delle Colonie chiamato a far parte, in qualità di Presidente, della Commissione per lo studio geologico-minerario | e botanico-agrario della Tripolitania. Detta Commissione dopo percorso ill Gebel Nefusa, si spinse fino a Misda, Gheriat, Ofella, Bungeim, Sokna e il Gebel Soda, ritornando per Misurata. Come fu detto più sopra fu inoltre affidato ad esso l’incarico di visita; 4 gli abitati più colpiti dal terremoto. Nel 1914 l’ing. CREMA fece parte di una Commissione nominata dal M n stero dei LL. PP. per la risoluzione di alcune difficoltà insorte per lo spost ì } e { | i POTRO I a | rr PT PE TI GI POT IO ih Sia Re ei n dt 0 RA - * k r - Lr ì 49 PEA 4 y Ag GRA 2 9 ’ ì ), yo (SARA ssi di "IR R ; RELAZIONE SUI LAVORI DI CAMPAGNA E D'UFFICIO XIX mento dell’abitato di Locadi e nello stesso mese visitò la zona destinata a nuova sede della frazione Limpidi del Comune di Aequaro in provincia di Catanzaro. Compiè ancora per incarico del Ministero dei LL. PP., lo studio geognostico dello sbarramento del bacino del Mucone sulla Sila. Fece parte di una commissione nominata dal Ministero dell’Interno per lo studio del rifornimento idrico di Città della Pieve. Le relazioni relative a queste diverse missioni furono a suo tempo pre- sentate ai rispettivi ministeri, per conto dei quali erano state eseguite. Dietro richiesta del Municipio di Fiamignano (Aquila) e autorizzato dal- l’Ispettorato, l’ing. Crema visitò per conto -dell’Ufficio Geologico le due fra- zioni di S.: Lucia e di Mercato, entrambe minacciate da frane. Il recente disa- stroso terremoto avendo però duramente colpito tali abitati, questi dovettero essere nuovamente visitati per modificare opportunatamente, in base alle nuove condizioni di fatto, i provvedimenti precedentemente proposti. Nel 1915 fu incaricato di studiare gli svariati fenomeni carsici prodot- tisi nella valle del Velino presso Castel S. Angelo per quei provvedimenti che risultassero del caso. La relativa relazione venne comunicata al Ministero dei LL. PP. Fece parte di una commissione nominata dal Ministero dei LL. PP. per gli spostamenti di Scido e di Cànolo in provincia di Reggio Calabria e nella stessa occasione visitò pure l’abitato di Palizzi per la stessa ragione. Con decreto del Ministero dei LL. PP. fu poi temporaneamente aggregato al Comitato speciale del Consiglio superiore per il terremoto ed ebbe perciò a partecipare alle visite della sottocommissione sui luoghi colpiti. Infine prese parte, come fu detto, ai sopraluoghi, in unione agli ingegneri del Genio Civile, pei provvedimenti in relazione al terremoto stesso. Nei mesi di maggio-giugno e novembre-dicembre l’ing. PILOTTI, in seguito alla notevole siccità avvenuta in Sardegna, fu incaricato di procedere a studi di ricerca d’acque nella provincia di Sassari. In seguito a tali studi compilò una relazione, da cui risulta come, oltre ad alcune trivellazioni per ricerca d’acque profonde, si possa in quella regione, per le speciali sue condizioni geologiche, procedere a numerosi lavori di ricerca d’acque superficiali sia per uso potabile, sia, e soprattutto, per uso agricolo. Ritornò poi in Sardegna nei mesi di febbraio-marzo 1915 e nel mese di aprile, sia per ispezionare le trivellazioni iniziate in provincia di Sassari, sia per fissare alcune località adatte per i lavori di ricerca d’acque superficiali più sopra accennati: località che sono frequenti nelle regioni scistoso-granitiche (Ozierese, Nuorese), dove i contatti fra scisti e graniti od altre roccie eruttive, e "4 è: To» TT — ve a #1 sd Si VETTA ve ua | o . ” Ro CI» di #9 Î XX ATTI UFFICIALI fra scisti e calcari paleozoici in essi inclusi, essendo spesso acquiferi, offrono la possibilità d’iniziare molti di tali lavori. Durante la sua permanenza in Sardegna, fu pure Fanelli dalla Dire- zione Generale della Carceri di fare studi di ricerca d’acque per le Colonie Penali della provincia di Sassari; specialmente per quella di Mamone (Bitti), potè dare delle direttive per lavori del genere ora accennati. ur Nel mese di ottobre 1914 prese parte in Roma ad alcune sedute della Com- missione di esami per aspiranti conduttori di caldaie a vapore. Nel marzo 1915 fu incaricato del Ministero dei LL. PP. di studiare, insieme all’ing. capo dell’Ufficio Idraulico del Genio Civile di Reggio Calabria, la TARA Pitia minacciante l’abitato di Camini. Nell'aprile 1915 si recò in Calabria, per incarico della Direzione Generale di Sanità, onde studiare la possibilità di aumentare, con speciali opere, la portata dell’acqua da allacciarsi per gli acquedotti progettati per Amendolara e Francavilla Marittima (Cosenza). Ebbe infine, come fu detto, l’incarico della visita degli abitati danneg- giati dal terremoto. L’ing. FIORENTIN durante il primo semestre del 1914 rimase in Libia per compiere la sua missione geologica—-idrografica iniziatasi fino dall’aprile 1913 e in occasione del ritorno fece un breve viaggio in Tunisia. Anch’egli, come si disse, prese parte ai lavori pel terremoto della Marsica. L’ing. PuLL£ nella primavera del 1914 fu incaricato di compiere studi idrologici in Sardegna per conto dell'Ufficio speciale all'uopo creato dal Mini- stero d’Agricoltura, Industria e Commercio. Nell'autunno proseguendo i detti studi, si occupò del rifornimento idrico di Carloforte. Nel 1915 contribuì, come gli altri di cui fu fatto cenno, allo studio dei provvedimenti per gli abitati colpiti dal terremoto. CORSI LIBERI UNIVERSITARI TENUTI DAL PERSONALE DEL R. UFFICIO (XEOLOGICO. L’attività degli ingegneri del nostro ufficio di manifesta anche neì corsì che alcuni di essi tengono quali liberi docenti presso la R. Università di Roma e la R. Scuola d’ Applicazione degli Ingegneri. Per tali corsi, occorrendo l’uso di collezioni e di strumenti, la Direzione della Carta geologica, da parecchi anni, dette l’autorizzazione a servirsi del proprio laboratorio. Non essendo difatti possibile il trasporto del materiale di studio fuori dell’ Ufficio Geologico, i singoli insegnanti ottennero di fare le loro lezioni o una parte di esse, nei locali dello stesso Ufficio. E con ciò si ottenne pure che corsi tenuti dai nostri geologi e RELAZIONE SUl LAVORI DI CAMPAGNA E D'UFFICIO per materie attinenti al proprio ufficio poterono avere nei medesimi una sede più opportuna. Da parecchi anni tali corsi vengono tenuti "dall’ing. prof. V. Novarese e dall’ing. prof. V. Sabatini, il primo per la Geologia applicata alle Miniere, il secondo per un ciclo d’insegnamento sulla Vulcanologia generale, Vulcanologia descrittiva, Ottica microscopica e Petrografia, di cui ì programmi per l’anno testè finito saranno allegati in calce alla presente relazione. PUBBLICAZIONI. Durante il periodo dal 1° gennaio 1914 al 30 giugno 1915 furono pubbli- cati i fogli alla scala di 1:100.000 di Oulx, 54, e Cesana Torinese, 66, nelle Alpi Occidentali, e quello di Chiavari; 94, in Liguria. } Fu inoltre pubblicata una carta speciale alla scala di 1:40.000 dei dintorni di Brescia destinata specialmente alla illustrazione degli importanti giaci- menti di pietra da costruzione del Botticino. La Carta, accompagnata da una grande tavola di sezioni geologiche in cromolitografia, correda la memoria relativa ad opera dell’ing. capo Zaccagna. La carta geologica della città di Roma e dintorni alla scala di 1:15.000, dovuta agli studi ed ai rilevamenti del gen. ing. A. Verri, ha finalmente ve- duto la luce in questi giorni ed è un lavoro che sarà giustamente apprezzato pel suo interesse scientifico e pratico. Sono state infine pubblicate 5 tavolette alla scala di 1:25.000 della regione marmifera delle Alpi Apuane. La serie delle Memorie descrittive si arricchì in questo tempo dei volumi XVI e XVII contenenti rispettivamente il lavoro dell’ing. capo De Castro « Le miniere di mercurio del M. Amiata » e quello del prof. ing. Stella « Idro- grafia sotterranea della valle del Po ». La pubblicazione del Bollettino ha subìto, come al solito, notevoli ritardi indipendentemente dal nostro Ufficio, il quale si propone quindi di studiare il modo di ovviare a tale inconveniente. Dal vol XLIV, 1913-14 sono stati pubblicati tre fascicoli ed è in corso di stampa il 4° che chiuderà il volume. E’ stato infine pubblicato l’8° supplemento al catalogo della Biblioteca. LABORATORIO CHIMICO, Poichè il Comitato ha nella sua ultima riunione unanimemente ricono- sciuta l’assoluta necessità di accrescere il personale del Laboratorio chimico, basterebbe quì lamentare che nessun provvedimento siasi potuto prendere a un rimedio di un male che non fa che aggravarsi. PP dp rt AR TI DIS MEIITE sd ” “ dito gli i Faro” nei il RARO, 1 dg i RR SME e f:£ PRSAIZIO "$ * Si È è a ed Ci «a di SA > Mena is 7 ‘ i ac [N a =" , LA A dh: ‘i A si N PASSA P 7 Pia è POVERE XXII ATTI UFFICIALI SATTA “ Pi ra cp, ticolar modo di quella dell’ingegnere che da solo attende al laboratorio stesso, de si ripete che l’utilità di questo, così come è ridotto, non può essere che minima, î qualunque possa essere la diligenza dell’ingegnere stesso. E’ ovvio infatti, per chiunque intenda cosa sia il lavoro del chimico ana- lista, che un laboratorio affidato ad una sola persona (alla quale per giunta spetta di occuparsi di troppe altre cose) e destinato ad un tempo all’analisi di rocce per intenti strettamente scientifici ed a saggi e ricerche di tutt’altro carattere, che, per quanto partitamente considerati possono essere di lieve en- tità, assorbono tempo e, ciò che più è, interrompono le analisi rigorose e con l’interruzione nuocciono loro doppiamente; un tale laboratorio, diciamo, non offre soddisfazione per chi vi dedica il proprio tempo e non presenta che un’utilità molto inferiore a quella che si potrebbe attenderne. Nella lusinga che si trovi un qualche rimedio a questa deficienza di perso- nale, la direzione ha intanto disposto, nella progettata nuova sistemazione dell'Ufficio nei locali notevolmente acceresciuti, che al Laboratorio sia data una conveniente estensione; in modo che lo spazio non abbia a difettare per il lavoro proficuo di un sufficiente personale. Anche. perchè l’ing. Aichino, cui è affidato attualmente il Laboratorio, insiste — e pare ragionevolmente — perchè questo Laboratorio, ingrandito, sia a servizio, non del solo Corpo delle Mi- niere, ma anche dell’Ispettorato Idraulico, il quale comprende fra il suo per- sonale parecchi chimici e dovrebbe avere, secondo le norme che lo regolano, un laboratorio; ed anzi, ha persino del materiale per esso, materiale che ora è immagazzinato, inutile ingombro, in un locale del Ministero di Agricoltura. Pensa l’ing. Aichino, e desidera sia detto innanzi al Comitato geologico e ri- manga negli atti, sia cosa in niun modo giustificabile che due servizi, il mine- rario-geologico e l'idraulico, dipendenti da uno stesso Ministero, non solo, ma da uno stesso Ispettorato generale, figurino di avere ciascuno un laboratorio chi- mico, all’uno dei quali manca il personale ed all’altro il locale. Aggiunge egli che sarebbe logico riunire i mezzi disponibili, per quanto limitati essi siano, per creare un solo laboratorio; il quale sarebbe un Laboratorio di chimica minerale, che potrebbe gradatamente svilupparsi e del quale l’utilità pratica e scienti- fica non ha bisogno di essere illustrata ai membri del Comitato. Tanto ho detto a soddisfazione del desiderio formalmente espressomi dall’ing. Aichino. SISTEMAZIONE DELL’ UFFICIO NEL LOCALE INGRANDITO. Come è già noto al Comitato, S. E. il Ministro ha disposto che tutto l’edi- ficio in cui ha sede l'Ufficio geologico venga a questo assegnato. Una parte ne è tuttora occupata dalla R. Stazione di Patologia Vegetale, della quale però è RELAZIONE SUI LAVORI DI CAMPAGNA E D'UFFICIO XXIII già stabilito il trasferimento in un altro locale, più conforme alla natura di tale ufficio, attualmente molto a disagio. Intanto però abbiamo cominciata la nuova sistemazione delle nostre collezioni alle quali sarà possibile finalmente dare quell’ordinamento e quello sviluppo che l’importanza loro da tempo reclamava. E poichè i nuovi locali sin d’ora disponibili sono quelli del primo piano in cui è ovvio collocare il materiale più pesante, che nel tempo stesso è quello che richiamerà di preferenza l’attenzione del pubblico, così abbiamo cominciato col disporvi le collezioni di carattere industriale, prodotti di mi- niere e cave, riservando una sala all’esposizione dei marmi di cui possediamo già raccolte di gran valore, che con relativa facilità si potranno completare. Siccome tutte le spese gravano sul bilancio (già tanto magro) del Servi- zio geologico, non potremo procedere con quella sollecitudine che sarebbe nei nostri desideri. Ma conseguiremo egualmente subito un vantaggio diretto per i nostri lavori; in quanto col trasporto di quelle collezioni industriali di- verrà disponibile un buon numero di scaffali (al 2° piano) in cui ordinare i campioni del rilevamento. I quali per gran parte — e cioè per quella raccolta negli ultimi anni — sono ora ammassati all’ultimo piano in modo tale, che oltre ad essere sottratti all’esame degli studiosi estranei, non possono essere utilizzati dai nostri funzionari che a costo di grandi difficoltà e di notevole spreco di tempo. Aggiungiamo che, pur rammaricandoci di non poter destinare alla Società geologica un locale più degno, saremo in grado di sostituire (e forse in questo stesso anno) all’attuale stanzino in cui sono depositati i libri, un ambiente suf- ficientemente vasto per poter dare ed essi una conveniente sistemazione, pre- vedendo almeno i bisogni di un discreto numero di anni. BIBLIOTECA. Durante l’anno finanziario 1914-1915 sono giunti alla Biblioteca circa 1644 (volumi, fascicoli ed opuscoli) e 205 carte. Questo materiale fu in parte acquistato nella misura indicata dall’annessa nota delle spese, ma la parte maggiore di esso è pervenuta per cambi o doni. Il valore totale di tutto questo materiale, quale risulta dalle variazioni fatte all’inventario della Biblioteca, è di L. 3968,65. Le riviste di Società ed. Istituti scientifici pervenute alla Biblioteca si dividono, secondo le lingue, in: italiane n. 97, francesi n. 47, tedesche n. 77, inglesi n. 82, spagnole n. 21, olandesi n. 2, slave n. 25, diverse n. 10. Oltre alla sistemazione di questo materiale e la sua registrazione a cata- logo e ad inventario, fu spinta avanti per quanto si è potuto (visto il disgraziato contratto che ci lega al tipografo) la stampa dell’8° Supplemento al Catalogo, l’originale del quale fu consegnato all’Economato nel maggio 1913. Furono a . ni Dave ig > “ DE. i ** a RI ie e - ie DE e) a bi) È Sia db se fi A ATTI UFFICIALI. o r ae è dr MT anche preparate 1647 schede per il nuovo schedario della Biblipicht ch sommate con le 4768, eseguite negli anni precedenti, danno un totale di 6415 schede; e 1275 per il nuovo schedario bibliografico, che sommate con le 943 precedentemente eseguite danno un totale di 2218 schede. Le spese per la Biblioteca fatte in quest'anno finanziario sono le seguenti: | per 14 cassette di noce lustre . . . . nr RR per abbonamenti ed acquisto di libri e Brico o CALATE DI per .rilegature “ne < a... O SL) a 383,25 L..: 2377505 COLLEZIONI, Nessuna variazione è avvenuta nelle collezioni geologiche e paleontolo- giche ad eccezione di qualche lieve aumento in quelle dell'Umbria, degli A- bruzzi, della Sardegna e della Libia in accordo col limitato procedere del ri- levamento ed in conseguenza della missione dell’ing. capo Zaccagna nella regione occidentale della Tripolitania come fu detto più sopra. La collezione dei materiali edilizi e ornamentali fu invece momentanea- mente privata della importante collezione dei marmi apuani, inviata all’espo- sizione mondiale di S. Francisco in California. PROGRAMMA DEI LAVORI E DELLE PUBBLICAZIONI DA FARSI DURANTE L’ANNO FINANZIARIO 1915-16 In questo momento in cui il nostro paese è chiamato a preparare colle armi il suo avvenire non è possibile fissare in termini precisi un programma di lavori di campagna, anche per il fatto che tali lavori potrebbero essere osta- colati in certe date località dall’attiva e serupolosa sorveglianza delle autorità civili e militari contro lo spionaggio. Potrà dirsi soltanto che sarà dato speciale impulso al rilevamento dell’Iglesiente applicando ad esso la maggior parte del corpo operatore e che sarà proseguito quello della Liguria, dell'Umbria, dello Aquilano e dei Vulsini. Saranno inoltre continuate le revisioni nella Campania per la preparazione dei fogli alla scala di 1:100.000 destinati ad una prossima pubblicazione, e possibilmente quelle di alcuni fogli delle Alpi Occidentali già pronti per la stampa che non fu possibile rivedere nella passata campagna. Quanto alle pubblicazioni si prevedono quelle di aleuni fogli delle Alpi Occidentali e Marittime già disegnati alla scala di 1:100.000, quali Cannobio, — Biella, Varallo, Argentera, Dronero, Demonte, Boves, S. Remo e Porto Mau- rizio. Potrà inoltre iniziarsi la pubblicazione di quelli della carta geologica d’insieme alla scala di 1:250.000, secondo i voti già espressi dal Comitato nella | riunione dell’anno scorso. I fogli pronti per la stampa [sarebbero quelli di Siena, Livorno, Orbetello, Napoli e Potenza. I d APPENDICE ALLA RELAZIONE APPENDICE ALLA RELAZIONE VITTORIO NOVARESE Programma del corso di “ Geologia applicata alle miniere , nella R. Scuola d'applicazione per gli ingegneri di Roma I giacimenti di sestanze minerali utili e loro coltivazione. RI Generalità — Cenni introduttivi sommarii di litologia, stratigrafia e tettonica. Giacitura delle masse minerali — Forma — Classificazione secondo la forma — Strati — Filoni — Ammassi.î i Natura delle masse minerali — Litoidi — Metallifere — Minerali che le | costituiscono. | Struttura delle masse minerali — Varia distribuzione della parte utile dentro la loro massa. Origine dei giacimenti — (Classificazione genetica. Giacimenti sedimentari — Caratteri — Banchi — ‘Strati — Potenza; estensione — Forma originaria e forma acquisita — Particolarità — Giaci- cimenti clastici. | Giacimenti eruttivi o massicci — Impregnazioni — Concentrazione ed estrazione magmatica. Giacimenti dovuti a riempimenti di cavità o concrezionarii — Filoni; loro classificazione: di spaccatura, di contatto; filoni-strati — Mineralizza- zione dei filoni — Classificazione a seconda della mineralizzazione. Giacimenti metasomatici.. _ Le accidentalità nella forma dei giacimenti — Pieghe — Fratture — Rigetti. 130 II. Rassegna dei giacimenti più noti di minerali utili, con particolare ardo di quelli italiani. | ATTI UFFICIAI VI Solfo — Combustibili fossili solidi — Ferro — Manganese © 2, - Piombé — Zinco — Argento — Antimonio — Mercurio — Oro — Rame — Nicheli — (Cobalto — Pirite — Grafite. Acido borico — Salgemma — Allumite — Beauxite — Asfalto — Bitusgi liquidi (petrolii ecc.). Sostanze lapidee di uso industriale: Caolino, talco, coti ecc. Sostanze lapidee di uso ornamentale ed edilizio: Marmi; Graniti; Are— narie; Gesso; argille, sabbie, ecc. III. Cenni di arte mineraria — Ricerca dei giacimenti minerarii e loro esplo- razione — Ricerca geologica — Ricerca archeologica — Lavori di ricerca ordinarii — Trivellazioni — Varii metodi di trivellazione — Ricerche di acqua e di petrolio. s Lavori di preparazione e tracciamento del campo minerario — Gallerie — Pozzi. i Coltivazione — Metodi varii di coltivazione nei banchi, nei filoni ed in altre forme di giacimenti. Servizi vari di miniera — Trasporto interno — Estrazione — Trasporto esterno — Esaurimento delle acque — Ventilazione. Cenni di preparazione meccanica. Legislazione mineraria. VENTURINO SABATINI Programma del corso libero di * Studio delle rocce » tenuto nella R. Università di Roma durante l’anno 1914-915 PARTE l. Microscopio polaraizzante. 1. Riassunto della teoria della luce — Movimento vibratorio, sua pro- pagazione, luce naturale e polarizzata — Composizione dei movimenti vi- bratorii — Colorazione della luce pel fenomeno delle interferenze — Frange di Fresnel — Onde luminose, riflessione e rifrazione — Dispersione, rifles-. sione totale — Doppia rifrazione —# Idem nei cristalli. x Pi Ù APPENDICE ALLA RELAZIONE 2. Lenti e strumenti di ottica -- Microscopio — Cammino dei raggi . . . . . LI . CD . luminosi — Diaframmi — Obiettivi ed apertura numerica — Oculari — Oculare di Huygens, oculare di Ramsden — Ingrandimento per opera d’un obbiettivo, d’un oculare e delle loro combinazioni — Misura di tale ingran. dimento — Camera chiara — Operazioni che si possono effettuare col mi- eroscopio ordinario. 3. Apparecchi di polarizzazione — Polarizzatori diversi — i Prisma di Nicol, sua teoria — Prisma di Foucault, di Hartnack e di Urompson. 4. Microscopii ;polarizzanti — Microscopii con centramento fisso, con centramento facoltativo, con nicol girevoli. 5. Riassunto delle teorie per l’esame dei cristalli in luce jparallela e in luce convergente. ; 6. Ricerca degli assi di elasticità e dell’ordine cui appartiene una data colorazione nella scala di Newton — Misure di birifrangenza — Comparatori e compensatori — Comparatore di Michel-1,évy, compensatore di Babinet. 7. Piatto mobile — Apparecchio di Fedorof, apparecchio di Wallerant. 8. Estinzioni — Tavole di Michel-Lévy sui felspati e loro uso — Teoria del loro tracciamento. 9. Assorbimento e policroismo. PARTE II. Studio delle rocce. 1. Costituzione della Terra e divisioni fondamentali delle sue rocce (erut- ‘tive, sedimentarie e cristallofilliane). 2. Facies geologica delle rocce. Modo di giacimento per ogni categoria. 3. Dislocazione delle rocce — Disgiunzione e divisibilità. 4. Separazione degli elementi delle rocce — Metodo col peso specifico, metodi magnetici ed elettro-magnetici, metodi chimici. 5. Durezza, fusibilità, saggi chimici e mierochimici. 6. Elementi delle rocce — Composizione chimica delle rocce, loro forma, dimensioni, struttura, importanza relativa — Accenni sulla loro genesi. 7. Elementi più importanti delle rocce e loro caratteri principali. 8. Proprietà più importanti delle rocce dal punto di vista tecnico — Condizioni di estrazione, facilità di lavoro, rapidità di consumo, resistenza, res'istenza alla compressione, alla trazione e alla flessione, 9. Peso specifico. | 10. Resistenza al gelo, dissoluzione e trasformazione chimica, distru- fa zione per opera della vegetazione. mt GE ba è ee, è y Mt ” hu e i o i uc ATTI UFFICIALI — APPENDICE ALLA RE . Permeabilità — Conduttibilità calorifica. . Aspetto della frattura, colore, polimento. . Rocce adoperate nei monumenti antichi e moderni. . Rocce eruttive. — Composizione chimica, principii della differenzia- zione dei magmi — Solidificazione delle rocce eruttive. . È 15. Loro struttura e tessitura — Loro classificazione. di 16. Rocce con felspati alcalini, con felspati alcalini e felspatoidi, [con felspati calcosodici, con felspati calcosodici e con felspatoidi, con soli felspa- Hi toidi, senza felspati nè felspatoidi. i 17. Metamorfismo di [contatto, endomorfismo, esomorfismo — Meta- morfismo regionale. 18. Meteoriti. 19. Rocce sedimentarie — Loro distruzione coll’acqua, l’aria, il ghiaccio, i l'irraggiamento solare, gli elementi biologici. i 20. Ablazione e trasporto dei prodotti della distruzione. 21. Deposito dei prodotti precedenti. 22. Sedimenti detritici, di precipitazione chimica, d’origine organica. 23. Rocce cristallofilliane (scisti cristallini). — Loro origine, tipi principali. Ano 1915 - fan l d. - —@—@@@11 ———mm@uerr9u1r [O GROLOGICO ITALIA N et SOMMARIO DEL FASCICOLO v. Novannse: P. Zezi (Necrologia). = Note originali. — I. - P. Toso: Sul modo di formazione dei giacimenti petroliferi e soltiferi. — II. - P. MopeRNI: Su Ja conca di Bolsena. — III. - G. CarccHIa-RispoLi: Sopra alcuni echinidi del Cretaceo superiore della Tripolitania. i | Parte ufficiale: — Nomine nel R. Comitato geologico. — Verbale dell'adunanza del 28 Giugno 1915. — Relazione del Direttore. & Bibliografia geologica italiana BEE ib 1918. i 3 issel; ARTURO, prof, di geologia, R. Thlegià di Genova, Presidente. + 1 _DI SterANO GIOVANNI, prof. di geologia, R. Università di Palermo. ey Il Presidente della Società geologica italiana. ( Dicermbre FTA R. Comitato geologico. i E Sal Dei vani BASSANI FRANCESCO, prof. di geologia, R. Università di Napoli. pa CERMENATI MARIO, Deputato al Parlamento, poi di storia delle Scienze naturali, R. Università di Roma. ne De LORENZO GIUSEPPE, Senatore, prof. di geografia fisica, He; Università di Napo MazzuoLI Lucio, Ispettore superiore del R. Corpo delle Miniere, in riposo, Roma, PARONA CARLO FABRIZIO, prof. di geologia, R. Università di Torino. TRE TARAMELLI TORQUATO, prof. di geologia, R. Università di Pavia. ZAMBONINI FERRUCCIO, prof. di mineralogia, R. Università di Torino. Il Direttore del R. Istituto geografico militare, in Firenze. Ca RC BaLpacct Luiei, Ispettore superiore, Capo del R. ce delle Miniere, “Roma. MAZZETTI Lopovico, Ispettore superiore del R. Corpo delle Miniere, Roma. Lorrti BERNARDINO, Ing. Capo del R. CONS delle Miniere, Direttore del R Ufti | geologico. ag. II Personale addetto ai lavori della Carta geologica. ; 3 È i: Direzione: Ing. BALDACCI LUIGI, predetto. R. Ufficio geologico : | LOTTI BERNARDINO, diret- Cassetti MICHELE. © : 509 tore. Aintanti }Tissi ENRICO: Sa ZACCAGNA DOMENICO. . principali. ) MoDERNI PomPEO, biblio= — : . (G I, Pe: È (6; . Ing. capi < IPASRIRO, IOTATRE vice tecario, — I Novin bar iVintonio. i AB FILIEPO SABININI VENTURINA isegnatori URELI AMEDEO. ‘ FRANCHI SECONDO. | Ifficiale d'ordine: CHELOTTI GIUSEPPE SPARVOLI VINCENZO N - i C) 410. 3 a itaca pedi. paratore presso il labora- TARICCO MICHELE, siga torio chimico-petrogr Ingegneri ‘ Pilotti Camino. >! Uscieri fico). sc aa GRossi MARIO, =] FRANCESCONI Luigi. FIORENTIN LUIGI. — | NI SALVATELLI FILIPPO, Di ns Note ori imatì. = -B. Lori: Il morte Fumaiolo e le sue sorgenti. — IL « NOVARESE : Il Quaternario in Val d’Aosta e nelle valli del Ca- è navese. Parte III. — III. - V. SaBATINI: Considerazioni sismologiche. PS N SABATINI: Su la conca di Bolsena. — V.- S. FRANCHI: . Le. « arenarie di Annot » e la «zona ad Helminthoida » nell’Eocene ‘delle Alpi Marittime e dell’Appennino genovese. — VI.- C. CREMA: ‘Alcune notizie sulla polla di Cadimare, sulla Sprugola della Spezia e | ' suî tentativi fatti per captarne le acque. — VII, - M, TARIcco: Nota- ite su Jocala fogsuuora, nel SUAnpr (Sardegna). SR ROMA” TIPOGRAFIA DITTA 1 LUDOYICO ) CECCHINI 1916 È e 7 E 3 Ag 85 ET } |a s* ‘ " Sd n © fap x. IAS dà vi z na È. Me 17 “ot -/ i t% 4 x De » e - *. Ie pri 3 “-, ran \ ii - fe ca ca 4 >: sot Ret arr goE s x, ria x 3 2 I CR & Dar se | RES ARNO SES MO Ri , i rpg sa ELENCO= tu DEI COMPONENTI IL COMITATO E L’UFFICIO GROLOGIO! (Aprile 1916) R. Comitato geologico. siti n IsseL ARTURO, prof. di geologia, R. Università di Genova, Presidente: 9 BASSANI FRANCEScO, prof. di geologia, R. Università di Napoli. Tr 05 CE CERMENATI Mario, Deputato al Parlamento, prof. di storia delle scienze nature li, vu R. Università di Roma. e DA De LoRENZO GIUSEPPE, Senatore, prof. di geografia fisica, R. Università di Napoli Me Lat: DI STEFANO GIOVANNI, prof. di geologia, R. Università di Palermo. Sia Sega MazzuoLI Lucio, Ispettore superiore del R. Corpo delle Miniere, in riposo, Roma, è ti Bar rai PARONA CARLO FABRIZIO, pro:. di geologia, R. Università di Torino. {°°} ie TARAMELLI TORQUATO, prof. di geologia, R. Università di Pavia. 24 SRD co Di ZAMBONINI FERRUCCIO, prof. di mineralogia, R. Università di Torino. ro CE Il Direttore del R. Istituto geografico militare, in Firenze. : i Il Presidente della Società geologica italiana. © do 3 ti BaLpacci Luici, Ispettore superiore, Capo del R. Corpo delle Miniere, “Roia? x HS: = MAzzETTI Lopovico, Ispettore-superiore del R. Corpo delle Miniere, Roma. e. E: LorTI BERNARDINO, Ing. Capo, del R. Vorpadi delle Miniere, Direttore del R. ie O È geologico. $ Personale addetto ai i lavori della Carta. geologica. — Soi Direzione: ea Ing. BALDACCI LUIGI, predetto. ai) i R. Ufficio geologico : / LOTTI BERNARDINO, diret- | visr CASSETTI MICHELE. tore. i. Aiutanti )Tissi ENRICO. © ZACCAGNA DOMENICO. | principali ) MoDERNI POMPEO; Ing. capi RO Ara das ha tecario. a ELISA NOVARESE VITTORIO. | a det) FiLIePo. nia RZ A SABATINI VENTURINO. | Iseguatori {, AURELI \AMEDRO;, Seo: RO FRANCHI SECONDO. O d'ordine: CHELOTTI cin i ic; Dt o SPARVOLI VINCENZO (H re- CREMA CAMILLO. paratore presso ille TAR1CCO MICHELE. SR torio chimico-pet O Ingegneri / PILOTTI CAMILLO. i. Uscieri fico). È Grossi MARIO. So FRANCESCONI Lurar. | . . FIORENTIN LUIGI. fl SALVATELLI FiripPo.. ti La sede del R. Urricio GEOLOGICO è in Roma, Via .S. Susanna, Pi -° à, Lal x 39 asta ma 16 “ dà: RECE ONTI PUBBLICAZIONI. 3 ; del R. Ufficio geologico a PR uri ge. : è. 4A ri PRAHA ; ni ad Memorie descrittive della Carta dA d' Italia. Vol. XVII — Studi sulla — pri | idrologia sotterranea della pianura del Po, del prof. A. STELLA, già cet i ESE | Ingegnere nel (©. R. delle Miniere. — 1 vol. di cm. IOoSAA, “pag. 1,151, | i con lo tavole —. sti et ni 3 AES SEE P Li ri REA Carta geologica di Roma nella scala di 1 a 15. 000, con cenni spiegativi; "3 Da, 3 = pubblicata dal R. Ufficio geologico su rilevamento del sona te generale. RE SI ata PorÈ ASSVERRI 0 i RA e ARRE O AL 4 an 1%. # mp4, Abbonamento annuo al Rollettino ssi per l'Italia, L. 8; per estero, Li AA IR à Va pre "è Pross Prezzo del volume L. 10; del abusi fascicolo. I. di 9 vst x | ; : : 1 RE Perl spo delle pubblicazioni del R. Ufficio geologico rodig asti a n i “Fratelli Treves; ed all'Istituto MERA De apri Uli go; Roma): RL IARI : pa ANO 1 Abbonamento annuo al « ‘ Bollettino del R Comitato per l’Italia, L 8; per Vestero, I. 10 Prezzo del volume L 10; del fascicolo semplice L sob; / n o} *