I ‘ ' 1 ' BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA 1875. — Anno VI. l 1875. - Anno VI. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Volume Sesto. N. 1 a 12. ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1875. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° I e 2. Gennaio e Febbraio 1875. ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1875. Bollettino Geologico per il 1870. — Un voi. in-8° di pag. 324. » » PER IL 1871. — Un voi. in-8° di pag. 296. » » PER IL 1872. — Un voi. in-8° di pag. 376. » » PER IL 1873. — Un voi. in-8° di pag. 400. » )) PER IL 1874. — Un voi. in-8® di pag. 408. Prezzo di ciascun volume L. 10. Associazione al Bollettino del 1875 (Anno VP). — Per l’Italia L. 8, Estero L. 10. I fascicoli bimestrali del Bollettino si vendono anche se- paratamente al prezzo di L. 2 ciascuno. Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’ Italia. — Volume P ; Firenze 1871. — 404 pagine in-4“ con 23 tavole, due Carte geologiche e varie incisioni inter- calate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui mine- rali delle valli di Lanzo, di G. Strììver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con quattro tavole. — Descrizione geologica dell’ Isola d’ Elba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifo- nostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo P, con sette tavole. Prezzo del Voi. I'’, Lire 35. Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati Geo- logici e sul R. Comitato Geologico d’ Italia, di I. Cocchi. — Pag. 34 in-4° L. 1. 50 Carta Geologica della parte orientale dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000, di I. Coc- chi. — Un foglio in cromolitografia L. 3. 00 {Continua). BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. N® lei — Gennaio e Febbraio 1875. SOMMARIO. Note geologiche. — I. Dei depositi alluvionali e della mancanza di terreni glaciali neU’Apennino della valle del Serchio e nelle Alpi Apuane, per C. De Stefani. — II. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica del- l’Italia Meridionale, per G. Sequenza. (Continuazione.) — III. Considerazioni stratigrafiche sopra le rocce più antiche delle Alpi Apuane e del Monte Pisano, per C. De Stefani. (Continuazione.) — IV. Sulla Relazione di un viaggio geologico in Italia, per T. Fuchs. — V. Strati a Congeria, forma- zione Oeninghiana e piano del calcare di Leitha nei Monti Livornesi, per G. Capellini. — VI. Le formazioni paleozoiche nelle Alpi Meridionali, per G. Stache. — VII. La formazione permiana nelle Alpi Meridionali, per G. Stache. Notizie bibliografiche. — Jtjles Brunfaut, De V Exploitation des Soufres ; Paris 1874. Cenno necrologico. — G. B. G. d’Omalius d’Halloy. Bibliografìa mineralogica, geologica e paleontologica della Toscana, per A. D’Achiardi. (Continuazione.) NOTE GEOLOGICHE. I. Dei depositi alluvionali e della mancanza di terreni glaciali nell’ Apennino della valle del Serchio e nelle Alpi Apuane^ Osservazioni di Carlo De Stefani. Tempo fa io pubblicai uno scritto intitolato : Gli antichi ghiacciai dell’ Alpe di Corfino ed altri dell’ Apennino settentrio- nale e delle Alpi Apuane {Bollettino del B. Com. geologico d’Ita- lia^ 1874, N. 3 e 4), dopo avere esaminato solo pochi giorni i depositi ghiaiosi di Castiglione sotto V Alpe di Corfino, e quelli degli altipiani di Castelnuovo e di Barga. Peraltro adesso, dopo i * — 4 — averli ristudiati a posta e per lungo tempo, e dopo avere ben riguardato e ripensato a quelli che lo Stoppani {SuW esistenza di un antico ghiacciaio nelle Alpi Apuane, Atti della Società ita- liana di scienze naturali, Voi. XV, fase. II, Milano 1872, e Men- diconti del Reale Istituto Lombardo di scienze e lettere, Serie II, Voi. I, fase. XIV, 1862), il Cocchi {Lei terreno glaciale delle Alpi Apuane. Bollettino del R. Com. geologico cV Italia, 1872, X. 7 e 8), ed il Moro (Il gran ghiacciaio della Toscana, Prato, 1872), hanno citato come indizii di epoca glaciale, sono pervenuto a conchiusioni contrarie a quelle che avevo manifestate nel citato scritto. Attesa V importanza dell’ argomento e per ismentire quello che per un momento credetti io pure, pubblico ora queste con- clusioni, vincendo il timore eh’ è sorto naturalmente in me nel momento di fare obbiezione alle idee di geologi sì illustri come sono il Cocchi e lo Stoppani, il quale ultimo specialmente," at- teso i suoi profondi studii compiuti nelle Alpi, è una delle mag- giori autorità nella discussione di quei fatti geologici che riguar- dano P epoca glaciale. Prima di entrare direttamente in materia, intendo, come punto di partenza, fare una breve esposizione della natura e della formazione dei depositi detritici non glaciali che si pos- sono formare superficialmente, e che si formano nell’ interno delle valli che mi propongo di esaminare ed in specie nell’ interno della valle del Serchio che, allo scopo di questo studio, ho rian- dato da cima a fondo. Alla foce delle valli si arrestano i de- triti trasportati dal fiume e formano un cono di deiezione più 0 meno ampio, e più o meno elevato, specialmente quando il terreno nell’ interno vi si presta per la sua natura litologica, e per la sua nudità, e quando vi si formano delle lavine. Esempi di consimili coni di deiezione si possono vedere in quasi tutte le valli laterali secondarie dell’ Apennino : e dei bellissimi se ne presentano nella valle della Lima confluente nel Serchio. In ge- nerale tutti i fiumi nell’ Apennino, nelle Alpi Apuane, come altrove, rispetto alle loro foci, si possono distinguere in fiumi che solcano e terrazzano, ed in fiumi che si formano un cono di deiezione ; per rispetto a .noi, quelli delle Alpi Apuane del versante del Serchio, i quali traversano roccie calcaree, appar- tengono alla prima categoria, e quelli dell’ Apennino, che tra- 5 — versano roccie arenarie e scliistose facilmente friabili, apparten- gono alla seconda, in particolare quando scendono da valli più corte e perciò più ripide. Qualche volta il cono di deiezione del fiume secondario si estende tanto che raggiunge la sponda op- posta del fiume primario, il quale ne riceve la foce ; il letto di questo ultimo in tal caso si rialza a valle per superare 1’ osta- colo che si trova anteposto. Se avviene poi che cessino o dimi- nuiscano nella valle secondaria le cause che alimentavano di ma- teriali il cono di deiezione, il fiume primario scava il suo letto d’ alluvione, per raggiungere il suo livello naturale, e così all’ un de’ lati di esso rimane isolato 1’ estremo lembo dell’ antico cono che, testimoniando la precedente esistenza di una sbarra al corso del fiume e della valle, potrebbe talora assumere 1’ apparenza di un deposito morenico. Molte volte poi, quando due fiumi di eguale importanza si incontrano ad angolo nell’ interno delle valli, essi confondono i loro depositi, e, se la valle dove s’ incontrano è piut- tosto ampia, si ha un riempimento alluvionale che può simulare pur esso a prima vista un deposito morenico. Esempi di tali de- positi si hanno a Pieve Pelago, nella valle della Scaltenna o del Panaro superiore, dove s’ incontrano il fiume di S. Anna e quello di Fiumalbo, ed in più luoghi nella Val di Lima e nella valle del Serchio ; del resto non moltiplico gli esempi di questo e degli altri casi citati, perchè sono regola generale nell’ Apennino. Questi depositi alluvionali o di deiezione si distinguono come si sa per la situazione loro, per la forma dei detriti e dei ciottoli schiacciati, deposti per piatto, ravvolti nella terra, provenienti da tutti i tratti superiori ed inferiori della valle, anzi più da questi che da quelli, embriciati, cioè colla loro superficie piana superiore inclinata e disposta contro la direzione del fiume, non striati 0 striati meno profondamente e più irregolarmente dei ciottoli glaciali ec. Tutti questi caratteri, o se non tutti insieme taluni almeno, distinguono i depositi fluviatili, nell’ interno delle valli, dai glaciali. Ancora al piede dei dirupi e delle ripide pendici de’ calcari, che facilmente si riducono in frantumi, si formano dei mucchi di sfacelo {talus) e talora delle lunghe accumulazioni, che raggiun- gono l’alveo inferiore della valle, disposte a tracolla sulle pareti della medesima e tenacemente cementate in modo da sfidare le — 6 — azioni del tempo : questi depositi frammentarii, frequenti dovun- que, si distinguono benissimo da quelli di qualsiasi altra natura appunto per la loro forma frammentaria, per la loro disposizione limitata e pella loro derivazione locale da una sola forma di roccia. Gli stessi caratteri distinguono le frane e le lavine, che spesso sono accompagnate da smottamenti di terreno, e nelle quali i massi lavinati ora sono a spigoli acuti, ora, specialmente se di materia con facilità disgregabile, sono a spigoli smussati e arrotondati. Le lavine nelPApennino sono frequenti, attesa la natura ed il vario alternare dei materiali rocciosi, poiché gli strati di certi schisti intramezzati nelle masse si alterano di- venendo argillosi, ed in questo caso le masse sovrastanti, man- cando loro il sostegno e tratte dalla forza di gravità, scivolano sopra i piani di stratificazione ampli e lisci come la diacciaia, trascinando fino al fondo della valle selve e case, e formando depositi grandiosi, la cui natura potrebbe sembrare difficile a spiegarsi per chi non sapesse le cose dalla storia e dalla tra- dizione, e per chi, onde chiarire il fenomeno, ricorresse ad altra supposizione che a quella di una lavina. Per non uscire dalle valli del Serchio e de’ suoi confluenti, dirò come sia ben cono- sciuta in Val di Lima la catastrofe per la quale la maggior parte del grosso paese di Lizzano, nel gennaio dell’anno 1814, avvallò con una falda di monte per lo spazio di quasi due miglia di circonferenza, ed i rottami e le frane precipitando nella Lima, impedirono e chiusero interamente il varco del fiume, costrin- gendolo ad allagare. Avviene eziandio che dalle rupi a picco si stacchino dei grossi massi, i quali rotolando a valle cadono nel fondo, o, preso r abbrivio sopra le pendici più erte, possono fare un cammino relativamente lungo, aiutati anche dalle volute {avalancìies), che d’ inverno non sono infrequenti nell’ Apennino e nelle Alpi Apuane, e che in vernacolo chiamano saiatte. Un masso enorme di serpentino, caduto dai poco alti dirupi contigui, nel bel mezzo dell’ alveo del Serchio a valle del ponte di Sala, sbarra talmente il corso del fiume, che quando questo è in piena, gli impedisce il passo e lo costringe a rigurgitare, formando un bacino a monte, fin tanto che 1’ acqua abbia raggiunto 1’ altezza alla quale può passare. Del resto gli esempi di cotali massi lavinati, che nella _ 7 — loro scesa hanno percorso qualche centinaio di metri, sono fre- quentissimi nelle Alpi Apuane, nelle quali tutte le valli più im- portanti cominciano sotto altissime pareti verticali o quasi. Que- sti massi, se isolati sopra roccie diverse dalla loro, colle loro grandi dimensioni e co’ loro spigoli acuti ed intatti, possono sembrare massi erratici depositati pari pari da ghiacciai, a chi non sia stato testimone di veduta o di udito della loro discesa, ed a chi non conosca discretamente la disposizione geologica della località : però la poca lontananza delle roccie da cui essi provengono e la mancanza di que’ fenomeni che sogliono accom- pagnare i detriti glaciali, provano che massi erratici glaciali non sono. Sotto le rupi del Procinto nella Versilia, ne’ canali di Bro- netino e di Filurchia stanno de’ grandiosi massi di calcare ca- vernoso lavinati dagli strati superiori, e che si trovano posati sopra gli schisti ne’ quali sono scavati i canali suddetti : la loro origine per semplice opera delle frane è spiegata in modo specioso dal fatto che sotto ad uno dei massi fu scavato tempo addietro un lungo tronco di abete, albero che adesso non vive più ne’ dintorni e che vi era rimasto sepolto. Fin qui ho par- lato di que’ depositi superficiali alluviali, che possono simulare fino ad un certo punto depositi glaciali. Quanto alle traccie del loro passaggio, che i corsi d’ acqua lasciano nell’ interno delle valli quando non formano depositi, si sa già che sono 1’ escavamento ed il così detto terrazzamento. Anco i ghiacciai lasciano solchi e gradinate a pareti verticali ne’ luoghi pei quali sono passati, ma i loro canali di sfogo sono i più ampli, e le pareti verticali di questi, quando esistono, indi- pendentemente dalle striature, sono ben lisciate e rettilinee e tirate a lustro, nè 1’ andare de’ tempi può molto a distruggere codeste traccie indelebili. Quando invece i corsi d’ acqua appro- fondano il loro alveo entro roccie solide e tenaci, agiscono bensì sopra di queste anche colla forza dello stropiccio di loro stesse e dei detriti che asportano, come un ghiacciaio, e producono delle pareti verticali, ma con effetti diversi, poiché le superfici di queste rimangono curve, rientranti, non uniformi, ma irregolari, secondo la diversa durezza dei minuti elementi costituenti la roccia, tor- tuose e con creste rilevate, come le ondosità di un mare pros- simo alla spiaggia. Il tempo, come rispetta le traccie dei ghiac- 8 - dai, rispetta andie codeste traccie lasciate dalle acque fluviali, che del resto non si confonderebbero con quelle prodotte da acque pluviali cadenti dalla vòlta dell’ atmosfera. Quelle traccie delle correnti d’ acqua non sono rare nell’ interno delle valli Apuane, a livelli superiori agli alvei attuali, attestando ivi il loro pas- saggio, prima che lo sprofondamento delle valli fosse pervenuto al punto in cui è ora: ne vidi esempii fra gli altri negli schisti cristallini delle rupi di Corvaia, sotto Serravezza, e della valle di Montignoso, sopra l’Acquabona. Tutte queste osservazioni, ben- ché in apparenza superflue e troppo semplici, le ho volute fare, per concludere che ne’ fatti descritti rientrano i depositi super- ficiali e le traccie di passaggio delle acque fluviali neH’Apennino e nelle Alpi Apuane, e che ad essi soltanto si riferiscono la mag- gior parte di quei fenomeni che io e gli altri ritenemmo come indizio di un’ epoca glaciale. A’ resti di antichi laghi ed alle forme particolari dei depositi ghiaiosi che li riempirono, si debbono attribuire, come si vedrà poi, i rimanenti indizii che furono ci- tati da me come traccie di epoca glaciale. Di que’ fenomeni ritenuti per glaciali, comincierò subito a ridare la spiegazione, riportandoli via via alla serie di fatti sopra descritti. Mi rifarò intanto dalla parte inferiore della vai di Ser- chio. Il deposito che si trova a destra della valle a monte delle case superiori di Diecimo, dopo la curva che fa il fiume, depo- sito che io ritenni essere una morena insinuata (Gli antichi ghiac- ciai, ec.), è invece un deposito limitato a piccoli frammenti, deri- vanti dallo sfacelo (tdlus) del calcare grigio con selce neocomiano, che costituisce quelle pendici. Altra formazione, che dubitavo potesse essere morenica, 1’ ho indicata sulla sinistra della Torrita d’Arni, a valle del Ponte di Kontano, e si trova sotto un pon- ticello di legno che serve ad un antico mulino del paese di Tor- rita, a sinistra della confluenza di un torrentello : si tratta di ghiaie schiacciate, spesso embriciate, e cementate da carbonato di calce, di schisti cristallini che ho ritenuti triassici, e di marmi saccaroidi, tutte roccie portate dal fiume Torrita ed arrestate in corrispondenza del cono di deiezione del precitato torrentello, a formare un deposito semplicemente alluvionale, del quale riman- gono ora poche traccie. Un poco più sopra nella valle, parimente a sinistra, sotto il ponte in muratura di Eontano, è, a tracolla — 9 sulla pendice del monte, un deposito di sfacelo del calcare grigio sovrastante. Nel canale di Vagli, il Cocchi {Bèl terreno glaciale, ec.) cita « una estesa morena, la quale da Campocatino per Vagli di Sopra va ad arrestarsi contro le Faete ed Orticaiola » e « traccie dei ghiacci che scendevano a Nord della Penna di Sumbra (o Sum- mora), nel canale di Vagli, che si unisce a Vagli di Sotto colle valli di Arnetola e di Campocatino. » Però, nel primo caso si tratta di semplici frane, le quali si estendono lunghesso tutta la valle, a destra ed a sinistra della medesima; a sinistra sono costituite da frammenti de’ calcari cavernosi e terrosi e degli schisti rasati, che ivi stesso formano il crinale della Tombaccia, fra le valli di Arnetola e quella di Corfigliano o dell’ Acqua- bianca ; a destra poi sono unicamente formate dalla roccia mar- morea della Tambura e delle Faete, la quale ha per P appunto il suo limite, circa lungo P alveo del canale di Campocatino, su- periormente a Vagli di Sopra. In basso del colle di Vagli di Sotto, di fianco agli alvei del canale di Arnetola e di quelli mi- nori che vi affluiscono, pendendo dalla Penna di Summora, esi- stono soltanto dei depositi alluvionali ghiaiosi, degli schisti, dei calcari cavernosi ed infraliassici e dei calcari marmorei, che stanno a monte. Nelle valli dei fiumi di Gramolazzo e di Corfigliano che insieme si riuniscono per sboccare nel Serchio presso Piazza, il Cocchi dice che si trovano delle morene, talune delle quali delle più grandi delle Alpi Apuane. « Una grande ghiacciaia, egli dice, scendeva giù per il Gramolazzo (che viene dal bacino situato fra il Pizzo Maggiore ed il Pizzo d’ Uccello), fin presso la sua giun- zione con il torrente dell’ Acquabianca presso Corfigliano, e ri- ceveva una minore ghiacciaia laterale che scendeva dai monti di Minacciano formati di terreni Passici ed eocenici. Il Piano ed il Poggio di Mandria (alla congiunzione del torrente di Gramolazzo e di quello di Corfigliano) sono formati di un deposito caotico incoerente nel quale molti blocchi (che egli dice veri grandi massi erratici, cui non si smussarono gli angoli e gli spigoli) hanno incavatura e solchi e strie longitudinali » e la loro natura (con- tinua a dire il Cocchi) non permette di dubitare sulla prove- nienza loro dalle alte cime che dominano il Pian di Mandria; P illustre geologo dà poi la misura di uno di quei massi erratici. — 10 soggiungendo che « un deposito morenico analogo prevalentemente agglutinato e cementato si incontra nella valle dell’ Acquabianca, ossia di Corfigliano. » Per verità, è molto atta a far dubitare deir esistenza di antichi ghiacciai, la vista di que’ voluminosi massi del Pian di Mandria, più grandi ancora di quello le cui dimensioni sono state indicate dal Cocchi, sparsi in numero non piccolo a destra ed a sinistra, non solo del canale di Gramo- lazzo dal ponte di Gramolazzo in giù, ma anche di quello di Corfigliano, presso al luogo dove le due vallecole s’ incontrano. Que’ massi sono adagiati sui terrazzi scavati dai due torrenti nel detrito ghiaioso incoerente che riempie il fondo delle due valli, là dove queste, terminato il ripido pendìo, assumono un declivio dolce e quasi piano ; essi però non sono formati da schisto calca- rifero, nè provengono dalla parte più alta e recondita dell’ Orto della Donna, o alta valle del Gramolazzo, cioè dalle alte cime del Pizzo Maggiore, delle Forbici e dell’ Altare, come ha ritenuto il Cocchi ; ma appartengono alle quarziti che sono superiori ai marmi, e derivano dagli strati di questa roccia, che, con potenza non molto grande, circondano la formazione marmorea nella parte più bassa di quelle valli, e che, sottoposti ai calcari infraliassici, sovraincombono al Piano di Mandria ad una distanza non mag- giore di circa 500 metri. Mi parve notevole anzi il non trovare colà nemmeno un masso del calcare marmoreo che, insieme ai banchi di cipollino molto calcarifero e ben distinto, pe’ suoi ca- ratteri, forma, come dice anche il Cocchi, le grandiose sommità e le lunghe pendici sovrastanti alla parte superiore della valle del Gramolazzo, e che avrebbero dovuto predominare se avesse avuto luogo un trasporto di roccie operato da ghiacciai. Il ghiac- ciaio, se fosse esistito, avrebbe del resto ricoperto i banchi delle quarziti affioranti, come si è detto, soltanto nella regione infe- riore di esso, e non ne avrebbe asportato quei massi che si ve- dono in Pian di Mandria. Per queste ragioni, la presenza di codesti massi sembra dovuta a lavine, della natura di quelle sottostanti alle rupi del Procinto e ad altre località, tanto più che non si vedono nelle adiacenze nè detriti morenici, nè solchi, nè strie, operate da ghiacci, nè quelle roccie lisciate e a cavalloni {mou~ tonnées) solite ne’ dintorni de’ ghiacciai. Nei massi citati, sono bensì que’ solchi e quelle strie longitudinali cui allude il Cocchi, 11 - ma desse segnano la direzione degli strati troppo manifestamente; si tratta di effetti dovuti alla azione degli agenti atmosferici, che fu più 0 meno efficace, a seconda della diversa natura degli ele- menti stratificati costituenti la roccia, nè si può in modo alcuno errare distinguendoli dalle striature e dalle incavature eseguite a modo de’ ghiacciai. Quanto poi al « deposito caotico incoerente » che il Cocchi dice morenico, e che s’ incontra da ogni lato in tutta quella regione triangolare, situata fra i due torrenti di Gramolazzo e di Corfigliano, dal ponte di Gramolazzo in giù per una parte, e dai pianali delle Capanne di Corfigliano, sotto lo spartiacque della Tombaccia a valle per 1’ altra parte, non si tratta che di un deposito alluvionale di ghiaie, di calcari marmorei, di schisti cristallini e di calcari infraliassici, che costituiscono il lato occidentale di quelle valli, e di arenarie e schisti eocenici, che ne formano il lato orientale ed inferiore, tanto di faccia a Cor- figliano, quanto di fianco a Gramolazzo. Non vidi ciottoli striati, nè, ripeto, alcun altro di que’ fenomeni che attestano altrove il passaggio de’ ghiacciai. Fuori di queste località, ma sempre nelle Alpi Apuane^ il Cocchi cita depositi morenici ne’ diversi canali che sono alle falde della Tambura nella valle del Frigido, nel basso de’ canali derivanti dal Monte Sagro a valle di Carrara e nelle valli di Equi e di Vinca ; io poi citava un conglomerato, che riteneva morenico, a Canovara, sotto la foce del canale d’An- tona nel Frigido. Però, in tutte le citate località, si tratta di depositi alluvionali della natura di quelli che ho descritto a prin- cipio, depositi che talvolta sono cementati dal carbonato di calce disciolto dai ciottoli calcarei che, attesa la costituzione geologica delle località, ne formano prevalentemente la massa; a Carrara si aggiungono delle frane derivanti dai poggi sovrastanti, le quali, insieme colle alluvioni recenti, ricoprono il cono di deiezione an- tico del Carrione. E inutile che io ripeta come la provenienza alluvionale, in questi casi, sia provata dalla disposizione e dalla natura de’ materiali derivanti spesso da tutti i lati, anche dalle pendici immediatamente sovrastanti, e dalla mancanza di tutte le caratteristiche de’ fenomeni veramente glaciali. Quanto alle valli d’ Equi e di Vinca, le quali scendono dal breve versante di N.O. e di N. delle Alpi Apuane verso la valle della Magra, io non conosco bene le località, ma nè il professor Cocchi vi cita verun — 12 — più particolare indizio, nè vi sono speciali circostanze diverse da quelle delle altre valli apuane, per cui si debba credere che quivi eccezionalmente scendessero de’ ghiacciai. Il professore Stoppani, dopo una gita fatta nel 1872 nelle Alpi Apuane in Val d’ Arni, annunciava {SiiìV esistenza di un antico ghiacciaio nelle Alpi Apuane) di avervi scoperto « un testimonio sicuro dell’ esistenza di un antico ghiacciaio pronostico sicuro della scoperta del terreno glaciale in tutte le Alpi Apuane. » Quella testimonianza era una morena frontale a Campogrino (dove si riuniscono il canale di Arni ed il canale di Gioia) « sotto forma di un gran cumulo detritico, divisa in più parti dai due torrenti e da tor- rentelli minori.... La morena, (continua il citato geologo) è per lo più incoerente; ma, salendo da Campogrino ad Arni, s’incon- tra un conglomerato ad elementi caotici, il quale non è altro che una porzione di morena cementata dal carbonato di calce, per r azione delle acque pluviali o... Alla presenza degli schisti tal- cosi, talora quarziferi, che si veggono sparsi in poca quantità entro il minor detrito della morena, si deve certamente la stria- tura dei massi calcarei, fenomeno che ci si presentò nel modo più evidente alla estremità occidentale della morena, ove discende dal Monte Altissimo. Il geologo potrà senza pena raccogliervi dei ciottoli striati non meno evidenti dei migliori offerti dalle antiche morene subalpine. » Il Cocchi poi {Bel terreno glaciale delle Alpi Apuane) indica che la morena d’ Arni è forse un poco più estesa di quello che sembra apparire dalla relazione dello Stoppani. Non ho riesaminato il deposito d’ Arni in questi ul- timi tempi, ma lo vidi nell’ agosto del 1872, senza conoscere le idee dello Stoppani non ancora mandate alle stampe, però messo in sull’ avviso da un discorso fattomi incidentalmente dal natu- ralista signor Emilio Simi di Levigliani, il quale mi aveva detto esservi 1’ idea che i depositi d’ Arni fossero glaciali. Vidi adun- que i depositi cementati di quella località, e li trovai in banchi, terrazzati, nel basso del canale, e non elevati a ridosso delle valli, formati da ghiaie e colle dimensioni ordinarie, di calcare marmoreo e di schisti, cementate fra loro dal carbonato di calce: esaminando la superficie delle ghiaie non trovai striature che si potessero riferire ad opera di ghiacciai. Kipensando adesso alla forma ed alle circostanze della valle, non ricordo di avervi ve- - 13 - duti quegli indizi! sì caratteristici del passaggio de’ ghiacciai; indizi! del resto, che, salvo « la striatura dei massi calcarei alla estremità o'ccidentale della morena, ove discende dal Monte Al- tissimo, » non sono notati nemmeno dallo Stoppani. Per questa ragione e per i caratteri da me notati sopra, ritengo che il de- posito d’ Arni, formatosi all’ incontro dei canali di Gioia e di Arni, e nel basso di que’ canali, dove il loro ripido pendio dimi- nuisce, sia un deposito semplicemente alluvionale, come tutti gli altri delle Alpi Apuane esaminati. Il professor Moro alla sua volta (Il gran ghiacciaio della Toscana) « non dubita di riaffermare che più certa non può essere la storia di un ghiacciaio gigante che dai più alti monti del Serchio col capo toccava il cielo, e colle immane membra occupava vasto letto in mezzo alla Toscana. » L’ autore poi cita come riprova di questo ghiacciaio, e di un altro che scendeva dalla valle di Pescia, le morene che si trovano lungo la ferrovia da Lucca a Borgo a Buggiano ed a Monte Catini, una grandiosa morena laterale rappresentata dai colli che separano il lago di Bientina da quello di Fucecchio, e i depositi torbosi di Bientina e di Fucecchio simili a quelli che « si incontrano in tutti i grandi bacini che furono letto di un ghiacciaio, » e le argille di Alto- pasclo simili a quelle « delle morene di Maggiora: » finalmente egli cita nell’ interno della Val di Serchio « il più pittoresco monumento geologico che sia a desiderarsi per attestare il cam- mino del ghiacciaio, ed è uno sperone sulla sinistra del Serchio, nel suo corso inferiore, fra Borgo Decimo e Sesto, dove « la roccia raspata, limata, pare una gigantesca trottola che porti in giro segnati gli anelli fatti dal tornio. » Non mi fermerò a parlare degli indizi! che 1’ autore ritiene come glaciali, nei piani di Lucca e della Val di Nievole, alle foci del Serchio e della Pescia : quanto alla roccia raspata e limata che forma uno spe- rone sulla sinistra del Serchio fra Sesto e Decimo, e che si trova eziandio sulla destra del fiume fra Decimo e Val d’ Ottavo, non la si può ritenere come lisciata e solcata da un ghiacciaio ; ma si tratta invece di nuli’ altro che di pendici spoglie di vegeta- zione, di calcare probabilmente neocomiano e non già liassico, siccome ritenevo altre volte, nel quale, coi piccoli banchi del cal- care candido, alternano degli straterelli continui ed uniformi di — 14 — selce nera che, veduta da lungi, dà alla roccia V aspetto di « una gigantesca trottola che porti in giro segnati gli anelli fatti dal tornio. » Sparisce adunque anche codesto indizio di un’ epoca glaciale. Passerò a render conto, per ultimo, di una serie di depositi che io ritenni per glaciali, e che, siccome ho fatto supporre più sopra, vanno spiegati in altro modo che in quello col quale ho spiegato le alluvioni fin qui citate. Parlai della morena frontale di Castiglione, presso Castelnuovo di Garfagnana in Val di Ser- chio « formata da un ghiacciaio che dovea scendere altre volte dall’ Alpe di Corfino, e dalla quale veniva provata in modo non dubbio r esistenza di antichi ghiacciai nell’ Apennino setten- trionale, » e citai, ft un deposito ghiaioso cementato, a monte di Castelnuovo, sulla sinistra della Turrite Secca, che, raffigurava, con poca probabilità di errare, una morena dell’ antico ghiacciaio della Turrite Secca, in continuazione del ghiacciaio d’Arni, di cui il Cocchi e lo Stoppani avean dato notizia ; » come pure « un altro conglomerato morenico sviluppato sulla destna della Cor- sona presso Castelvecchio e manifestissimo a Gallicano, il quale presentava prove non dubbie di un grande ghiacciaio che scen- deva ad Est della Pania, e shoccava nell’ altipiano di Barga per la valle della Turrite di Gallicano o di Petrosciana. » Del con- glomerato, sul quale è il paese di Castiglione, ho già detto nelle Note citate, quale sia la configurazione e quali sieno i carat- teri : esso è formato da banchi di ghiaie, con grande prevalenza derivanti dal calcare grigio cupo infraliassico, e che sembrano provenire in parte dall’ Alpi di Corfino adiacente; però vi alter- nano qualche volta altri banchi di ghiaie più minute, che non avevo notate, derivanti da calcari marmorei saccaroidi e da schisti quarzosi, pure, commiste con ghiaie di calcare infralias- sico, e che possono essere provenute, non dall’Alpe di Corfino, ma dalla vai d’Arni, che ha la sua foce non molto distante e nel lato opposto della valle. Il deposito, di forma allungata, sta con un de’ fianchi più corti addossato all’ Apennino ed è iso- lato da ogni parte, formando la ripa destra del torrente Sauro e la ripa sinistra del canale di Canottora, che affluisce nel Sauro: la ripa sinistra del Sauro e la ripa destra della Canot- tora sono scavate alla loro volta entro ghiaie di macigno eoce- nico, talché il deposito ghiaioso calcareo di Castiglione sembra ristretto e limitato, e se alla vista di codesta circostanza si aggiunga quella degli altri suoi aspetti, che ho descritti nelle Note, sarà ben facile di scambiarlo, alla bella prima, per una morena di un ghiacciaio derivante dalla prossima Alpe di Cor- fino. Però, dalla parte di mezzogiorno V opera escavatrice del Sauro ha profondamente terrazzato le colline, e, senza intermezzo ^i alcun frastagliamento di terreno, si ha una spianata diretta e continua, per V estensione di circa un chilometro e mezzo, fino a certe altre colline di conglomerato prevalentemente calcareo simile a quello di Castiglione, e che sono le colline di Monte Alfonso e del Crocifisso a monte di Castelnuovo, fra la ripa destra del Serchio e la ripa sinistra della Torrite, le quali si staccano dal Monte di Volsci sotto al paese di Cerretoli, e che riposano sopra il conglomerato ghiaioso, che ritenevo fosse un deposito morenico dell’ antico ghiacciaio della Torrite Secca. Le ghiaie, in banchi, sono quivi formate di macigno, di calcare gri- gio con selce, di calcare rosso o verde liassico, di schisto dia- sprino, di calcare grigio cupo infraliassico, di calcare bianco sac- caroide e di schisti cristallini, e la loro natura ne fa nota la provenienza dalla valle della Torrite Secca o d’ Arni, e dal canale di Sassi derivante dalla Pania, il quale confluisce nella Torrite presso alla sua foce nel Serchio. Di queste ghiaie è costituita, non solo la parte inferiore delle colline del Crocifisso e di Monte Alfonso come io dubitavo, ma eziandio tutta la parte superiore che ritenevo rappresentasse la alluvione recente dei due fiumi, della Torrite cioè e del Serchio. Il deposito, alto circa 100 metri sopra le valli adiacenti, assai esteso e di forma allun- gata alla base, ha la sua lunghezza maggiore parallela alla dire- zione delle valli della Torrite e del Serchio e perpendicolare alla direzione della valle di Sassi, talché potrebbe parere al- P ingrosso una morena lasciata da un ghiacciaio derivante da quella valle: però quest’apparenza è affatto superficiale. Infatti il deposito ghiaioso, conservando la stessa natura, si estende ad eguale altezza a ridosso di tutte le pendici circostanti alla parte inferiore della valle della Torrite, e particolarmente sul Monte Perpoli e nel canale della Grignola ; il livello più elevato poi di questi depositi è lo stesso di quello di Castiglione e di quelli — le- di ghiaie di macigno di Campori, del Quario, di Villa ed, in una parola, di tutte le località situate nell’ altipiano irregolare di Castelnuovo: codeste formazioni ghiaiose profondamente ter- razzate dai fiumi e ricoperte da depositi alluvionali, che si innal- zano fino ad un livello costante senza oltrepassarlo, a banchi regolari alternanti di rocce diverse, ma però sempre derivanti dai bacini circostanti, intercalate da strati sabbiosi e più di rado argillosi, includenti tronchi di vegetabili carbonizzati di specie scomparse, riposanti sopra strati argillosi contenenti fossili del- r epoca pliocenica più antica, furono depositate esse pure, come le sottostanti argille, in un antico bacino lacustre, il quale col- r andare del tempo fu riempito. Le ghiaie calcaree trascinate dai torrenti dalla Val d'Arni e dalla valle di Sassi a poco per volta si accumulavano, riem- piendo il fondo sottostante, e spinte dalla forza delle correnti si estendevano talora a ricoprire i depositi circostanti derivanti dalle pendici eoceniche dell’ Apennino, fra i quali infatti qual- che volta si ritrovano ; nell’ immediata adiacenza delle valli sud- dette, nella stessa loro direzione, dove l’ impeto continuato le sospingeva, raggiungevano, dopo breVb cammino, la pendice op- posta della valle, dove è ora Castiglione, e quivi spesso si so- vrapponevano alle ghiaie pure calcaree trasportate da un tor- rente derivante dall’ Alpe di Corfino. Coll’ andar del tempo, riempito il bacino lacustre, i fiumi hanno incominciato la loro opera di terrazzamento, che si estende fino a cento metri sopra il fondo delle valli : il Sauro, scavando, asportò tutte le ghiaie calcarifere, le quali connettevano il deposito del Monte Alfonso e del Crocifisso con quello di Castiglione, e la cavità libera ed aerea per così dire, rimasta fra le serie dei terrazzi, stette e sta a rappresentare il riempimento ghiaioso preesistente. La stessa opera compierono gli altri fiumi e torrenti, e cosi per un lato fu isolato il deposito ghiaioso di Castiglione, e per l’ altro quello del Monte Alfonso, le cui forme possono simulare quella di una morena, ma che, studiando bene le cose, prendendo le mosse dai terrazzi successivamente sovrapposti, colmando i vuoti fra di essi e ristabilendo i depositi come prima dovevano essere, si ricostruisce il fondo dell’antico bacino e si riconducono i ban- chi ghiaiosi più volte mentovati alla loro vera condizione di de- — 17 - positi, non glaciali, ma lacustri. Queste cose, dette per le loca- lità del bacino di Castelnuovo, valgano per quelle del bacino di Barga : semplicemente lacustri sono quivi i depositi di Castel- vecclrio, formati a spese delle ghiaie portate dal corso superiore del Serchio e depositate nel seno dello stesso lago, di livello alquanto inferiore a quello di Castelnuovo ; e lacustri sono le ghiaie di Gallicano alla foce della Borrite, che prende il nome da que- sto paese, altrimenti detta Petrosciana. Un singolare colletto di forma allungata sta dirimpetto alla foce di questa valle, fra il paese di Gallicano e la riva destra del Serchio, intorno al quale gira la Borrite, che lo lascia alla sua sinistra: anclB esso po- trebbe parere una morena frontale, ma esso pure è così for- mato per opera del terrazzamento dei fiumi, cioè del Serchio e della Petrosciana ; la sua sommità è piana e corrisponde ad uno dei terrazzi inferiori del bacino ; ai suoi lati, a ridosso delle pendici montuose continua il terrazzo e continua la stessa qua- lità delia roccia. Avanti di lasciare questa parte del mio argomento, dirò che da prima, quando avevo P idea che si trattasse di depositi mo- renici, vedendo le ghiaie di Castiglione non striate come suole ne’ ghiacciai, pensavo che, attesa la costante natura calcarea delle ghiaie e la conseguente mancanza di diversità nella du- rezza , le strie non fossero state prodotte , ma esaminando poi depositi dove quella diversità di durezza esisteva, a ca- gione della mescolanza di materiali calcarei e di materiali si- licei, e veduta ivi pure mancare la circostanza delle strie proprie de’ detriti glaciali, mi persuasi che così dovea essere, perchè, non glaciali, ma lacustri ed alluvionali erano i depositi. Per finire, dico, e serva il mio detto per tutte le località sopra esa- minate e studiate dall’ ingegnere Moro, dallo Stoppani, dal Coc- chi e da me, e per tutti i depositi alluvionali e lacustri citati, in niun luogo ho trovato ciottoli con strie riferibili ad opera di ghiacciai, nè roccie lustrate, rigate, solcate e a cavalloni, come si ritrovano nelle grandi Alpi, nè ho trovato vere morene, nè altri depositi lateralmente alle valli, che dovrebbero attestare in 0 modo non dubbio il passaggio di ghiacciai che vi fossero stati. Ninna di queste traccie ho veduta nelle parti superiori delle valli del Beno e della Scaltenna o Panaro, nè in alcuna delle — 18 ~ vallate conflaenti nel Serchio e nella Lima, tanto dal versante apenninico quanto dal versante apuano; e per queste cose concludo, che gli indizii fino ad ora citati, nelle Alpi Apuane e nell’Apen- nino della Val di Serchio, non possono provare V esistenza di un periodo di ghiacciai nelle località sopraindicate ; dubito poi che tali prove si possano mai trovare nell’ avvenire. IL Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica dell’ Italia Meridionale^ per G. Sp]GUENZA. (Continuazione. — Vedi Bollettino 1S7', N. 11-12.) § 6. — Esame della fauna della, zona inferiore del pliocene recente. Facendoci ad esaminare complessivamente la fauna esposta nel precedente elenco, il fatto più rimarchevole e che colpisce a prima giunta si è quello che tale fauna della zona che studio si presenta naturalmente divisa in due gruppi di specie, di cui r uno si trova nei depositi littorali o di poca profondità, e li caratterizza a meraviglia, 1’ altro giace nei depositi di mare pro- fondo, e ne forma il distintivo più importante. Comparando la fauna littorale colla fauna submarina si trovano del tutto diffe- renti, cioè le specie sono diverse nei due gruppi, e talune che dall’ elenco risultano comuni ai depositi littorali ed ai profondi, sono quasi tutte delle specie che se trovansi abbondanti negli strati degli uni sono rare e quasi accidentali in quelli degli altri. Cosi ad esempio la Nassa clathrata, la Venus multilamella, il Cardium echinatum, la Caprina islandica, il Pecten operctdaris, e tante altre, non sono che esclusive della fauna littorale, ed in- vece la Pedicularia Desliayesiana, la Pissoa suhsoluta, il Tro- clius gemmulatus, il T. elatJiratus, molte emarginule e tante altre specie, sono caratteristiche della fauna submarina. E non solamente le due faune sono costituite da specie dif- ferenti, ma henanco nell’ una e nell’ altra possono ricordarsi dei 19 generi che sono esclusivi e quindi caratteristici dei depositi lit- torali, ovvero dei submarini, e tutti gli altri che sono comuni alle due nature di depositi sono rappresentati d’ ordinario in ciascuna da un differente gruppo di specie. I sedimenti dei mari profondi presentano ancora un distintivo rimarchevolissimo nella loro fauna, essi hanno riservata esclusi- vamente per loro la classe dei Brachiopodi, della quale veruna specie s’ incontra nei depositi littorali, ed invece nei sedimenti submarini le spoglie di questi molluschi superano di gran lunga tutte le altre, divengono anzi sì profuse in modo che la roccia è sovente costituita dall’ accumolo di tali conchiglie, e sono in tutti i luoghi le medesime specie che si ripetono ; basta dare uno sguardo all’ ultima pagina dell’ elenco per accertarsi che tutte le contrade ricordate presentano la medesima famiglia rappresen- tata sempre dalle stesse specie sparse con una profusione im- mensa, così la Terebratula Scillce, la T. vitrea, la T. minor, la T. caput serpentis, la Megerlia truncata, 1’ Argiope decollata ec. ec. I Pteropodi sono aneli’ essi esclusivi, proprii dei depositi subma- rini, spesso associano abbondantemente ai Brachiopodi le loro fragili spoglie, ed a tali residui si annettono speciali echinidi, abbondanti briozoi, variati coralli ramosi, come la gigantesca Ccenopsammia Scillce, la Bendrophyllia cornigera dai lunghi po- liperiti, la Lopliohelia Befrancei dai profondi calici, e le spoglie di rizopodi a miriadi, che quale sabbia altra volta vivente è dif- fusa dovunque a profusione nella roccia calcarea, marnosa, o sab- biosa. E le spoglie di tante e sì variate classi animali sono esclusive, completamente esclusive dei depositi dei mari profondi. I depositi littorali aneli’ essi presentano fauna somigliantis- sima nelle diverse località, dimodoché riesce ben agevole a chic- chessia giudicare coetanei i diversi lembi. I Gasteropodi e i La- mellibranchi sono tra i molluschi quelli che costituiscono quasi per intiero la loro fauna. Questi fatti di alto momento per la storia geologica del plio- cene, danno origine a considerazioni importantissime. E primie- ramente nel fatto ormai bene stabilito di depositi coetanei a fauna completamente differente a causa della diversa profondità del mare in cui si costituirono non si ha che un’ esatta ripro- duzione del fatto brillantemente dimostrato dalle odierne ricerche — 20 - nelle grandi profondità dei mari attuali, cioè che ivi lungi di mancare la vita essa è rappresentata profusamente da una fauna affatto diversa da quella che abita le piccole e le mediocri pro- fondità. Questo fatto attuale adunque trovasi esattamente ripro- dotto nei depositi della zona inferiore del pliocene recente deir Italia meridionale. Ma se lo consideriamo dal lato della cro- nologia stratigrafica esso ha un alto interesse, inquantochè riu- nisce nei medesimo orizzonte depositi a fauna completamente diversa, che talvolta giacciono anco a brevi distanze; e mentre la più grande somiglianza nella fauna dei varii lembi coetanei depositati alla medesima profondità, conduce agevolmente al loro sincronizzamento, la diversità completa tra la fauna dei depositi littorali e quella dei sedimenti di mari assai profondi ci nega qua- lunque dato per la sincronizzazione, alla quale si perviene a grande stento dopo accurati e minuziosi studii stratigrafìci comparativi. E in questo modo, siccome succintamente ho potuto esporre nel primo capitolo, che io sono pervenuto a riferire al medesimo orizzonte depositi sì diversi ed a fauna così differente, e non solamente per le due zone del pliocene recente, ma benanco per quelle del pliocene antico, dove le faune, come vedremo, pre- sentansi ancora più differenti. Un fatto eccezionale poi per la zona inferiore del recente plio- cene viene in appoggio, anzi in perfetta conferma delle conclu- sioni tratte da un rigoroso studio stratigrafico. Le rocce del territorio di Barcellona e di Castroreale, che rapporto a tale zona offrono V importante fatto della successione di strati di- versi, di cui gl’ inferiori racchiudono la fauna littorale a Gaste- ropodi e Lamellibranchi, i superiori invece la fauna submarina a Brachiopodi, ed in taluni luoghi, come Grotta del Diavolo, una zona di argille intermedie contiene le due faune riunite, siccome riunite in unica colonna, ho voluto presentarle nel mio elenco. Questi fatti che devono ripetersi dalle oscillazioni del fondo sotto- marino avvenute lungo il periodo della zona inferiore del pliocene recente, ci danno assoluta sicurezza della coetaneità dei depositi a Terebratula Scillce e minor, Waìdheimia cranimn e septigera, Megerlia fruncata ed Argiope decollata, con quelli tanto diversi a Nassa clathrata, Xenophora crispa, DeMtalium FMlippi, Cythe- rea multilamella, Cyprina islandica, Ostrea lamellosa ec. — 21 Sicuro del sincronismo esatto dei depositi, nei quali è rac- chiusa la fauna del precedente elenco, passo ad esaminare i rap- porti che la legano alla fauna vivente. Le specie tutte enumerate ascendono a 332 di cui 74 sono sconosciute tra le viventi, cioè circa il 22 per cento, e 17 pro- prie dei mari del Nord, cioè il 5 per cento. Questo primo risul- tamento già è sufficiente a dimostrare una differenza considerevole tra la zona che esamino e la precedente, la quale complessiva- mente ha dato il 15 per cento di specie estinte. Esaminando poi partitamente la fauna dei luoghi più impor- tanti si hanno i dati seguenti. Gli strati di Barcellona-Castroreale ci presentano 193 specie tra le quali 32 non più viventi, cioè circa il 17 per cento di specie estinte, e 12 nordiche, che darebbero pressoché il sei per cento. I calcari a Brachiopodi dei dintorni di Messina, depositati in mare profondo, mi hanno offerto sinora 164 specie di cui 31 sono estinte, quasi il 19 per cento, e 11 nordiche, che corri- sponde quasi al 7 per cento. Le argille e sabbie di Naso, che formano il tipo dei depositi littorali, mi hanno offerto sinora 97 specie di cui 21 estinte, lo che fa circa il 21 per cento, e sole tre nordiche. Da questi tre principali luoghi risulta che, in media, depositi littorali e submarini di questa zona del pliocene racchiudono il 19 per cento di specie estinte, laddove in media i depositi della zona più recente non racchiudono che il 7 per cento di specie sconosciute viventi, lo che fa una differenza considerevole tra le due zone. # Avendo trascurato nell’ elenco dei fossili, per amore di bre- vità, 1’ enumerazione delle specie dello strato c di Monte Mario, spettante alla zona che esamino, siccome abbiamo veduto al § 4, voglio qui ciò non pertanto ricordare i risultamenti ottenuti, esa- minando i cataloghi di quella ricca fauna in rapporto alla vi- vente. L’elenco pubblicato dai signori De Rayneval, Van den Hecke e professor Ponzi, è limitato a 250 specie di molluschi e Cir- l'ipedi, invece il catalogo dato più recentemente dal signor An- gelo Conti è molto più ricco, ed io mi sono valso di questo ultimo depurandolo d’ un certo numero di specie dubbie e da — 22 altre indicate dall’ autore, siccome rarissime, riducendo al loro reale valore tutte quelle specie che non possono ritenersi che come varietà di altre nell’ elenco stesso enumerate, e valen- domi benanco della collezione che da quello strato possiedo. In tal modo io vi ho potuto riconoscere il numero assai considerevole di 387 specie di molluschi con pochi cirripedi, nella quale ricca fauna 84 sono le specie sconosciute viventi, lo che risponde alla proporzione di quasi 22 per cento, ed inoltre vi sono talune poche specie tra le viventi esclusive dei mari del Nord. La pro- porzione delle specie estinte dello strato c di Monte Mario ri- sponde dunque presso a poco a quella che trovasi negli strati della zona inferiore del pliocene recente nell’Italia meridionale, ed è esattamente identica a quella che ci offrono gli strati di Naso, i quali sono del tutto identici a quelli di Monte Mario, perchè depositati nelle medesime condizioni, perchè forniti d’una fauna littorale tipica ed identicissima, le specie di Naso trovan- dosi tutte quante a Monte Mario. Le argille di Ficarazzi considerate nella più recente zona del pliocene, presentano aneli’ esse una fauna littorale molto somigliante a quella di Monte Mario, e probabilmente perciò devono piuttosto rapportarsi alla inferiore zona del pliocene recente anziché all’ ultima. Ma la proporzione di specie estinte è inferiore a quella trovata per tutti i luoghi esaminati. Oltre le differenze sinora enumerate tra la fauna della zona inferiore del pliocene recente e la fauna vivente, cioè circa un quinto di specie sconosciute viventi e buon numero proprie dei mari del Nord, v’ hanno dei distintivi che non possono risultare dal precedente elenco, ma che pure importa di considerare un poco. Un fatto di molta importanza per la geologia è senza dubbio quello del grado di frequenza col quale ciascuna specie si pre- senta in ogni zona del pliocene, comparato colla frequenza o rarità della specie nella fauna vivente; dappoiché occorre spesso di raccogliere raramente molte specie che sono oggi assai comuni e viceversa. Questi fatti costituiscono differenze rimarchevolis- sime tra le faune viventi e le fossili, ed in modo particolare in quella che esamino. Così io ricorderò il Fachylasma giganteum^ la Turritella subangulata, la Venus mulfilameìla, la Terehratuìa 23 — minor, la Waldheimia septigera e molte altre specie, delle quali le ultime due sovente colle loro spoglie ammassate costituiscono quasi per intiero la roccia calcarea, ovvero, come presso Reg- gio, sono sparse profusamente nella roccia sabbiosa, laddove tra i viventi sono poco comuni, ovvero abbastanza rare. Ed invece sono rare la Bissoa pulcJiella, V Alvania cimex, cancellata, reti- culata, il Turbo sanguineus, il Trocìius conulus, exasperatus, la Venus verrucosa, l’ Artemis exoleta, il Loripes leucoma, il Myti- tus eclulis, ec. ec., che abbondano tanto nei nostri mari. Lo che dimostra che i mari del periodo antico del pliocene recente ali- mentarono una fauna nella quale talune specie doveano poi subire il loro massimo sviluppo, ed altre che invece molto abbondanti in queir epoca doveano poscia decrescere sino all’ epoca attuale. In questa zona inoltre si incontrano delle specie molto rara- mente sparse, che hanno avuto grande sviluppo nella zona pre- cedente, nella quale trovansi dovunque comunissime. Così la Scillaelepas carinata, il Turbo filosus e Bomettensis, il Trocìius bullatus, marginulatus, gemmulatus, la Fissurisepta rostrata, r Fmarginula compressa, l’ Arca aspera, la Limopsis minuta, aurita, pygmaea, la Nucula sulcata, la Leda acuminata, excisa, la Lirnea Sarsii, il Pecten vitreus, la Terebratella septata ec. Altre specie inversamente molto comuni in questa zona sono rare nella precedente. Così, per esempio, l’ Astarte sulcata, la Limea elliptica, il Pecten opercidaris, la Terebratida Scillce, la T. minor, la Ter. caputserpentis, la Megerlia truncata, l’ Argiope decollata ec. Infine nella fauna di questa zona le specie tuttavia viventi abitano per la maggior parte nei mari che cingono l’ Italia, se se ne escludono alcune poche, come abbiamo veduto, che vivono nei mari del Nord. § 7. — La zona superiore delV antico plioceno nell’ Balia media e settentrionale. Il plioceno tipico dell’ Alta Italia, che si estende vastamente cingendo 1’ Apennino sul versante adriatico come sul tirreno, e che s’ inoltra sin nelle valli alpine, è quella formazione che è stata tanto esplorata, e che, formando l’oggetto della medita- - 24 zioiie di tanti dotti, ha dato occasione alla comparsa di sì variati lavori paleontologici. Essa è evidentemente più antica del plio- ceno recente, che abbiamo esaminato sinora, che vastamente si estende nell’ Italia meridionale, e che appena è rappresentato da qualche lembo nell’ Italia media. Ricca fauna littorale distingue la zona superiore del pliocene antico nell’ Alta Italia, che è ben distinta dalle faune delle zone più recenti per una maggior proporzione di specie estinte, e ben più grande, e per le numerose specie di generi oggi abbon- danti nei mari caldi come sono i Coni, le Terebre, le vere e grandi Pleurotome, le Cancellarle ed altri. Mancando d’ ordinario le zone più recenti del pliocene ma- rino nell’ Alta Italia, quella che esamino, ha ben naturale il suo limite superiore, quantunque in taluni luoghi della Toscana e del Piemonte essa è sottostante a certi depositi lacustri che senza dubbio tengono il posto degli strati marini del pliocene recente dell’ Italia meridionale. Siffatto isolamento del, pliocene antico sopra vasta superficie, dimostrando la sua emersione pria del periodo recente, aggiunge ai caratteri della fauna un nuovo argomento per la distinzione. Le celebri sabbie gialle e marne blu, quantunque considere- volmente variabili da luogo a luogo, e miste non di rado a strati calcarei e di arenaria, costituiscono nell’ Alta Italia e nella media la zona superiore del pliocene antico. Ma esse sono state d’ ordinario confuse con altre sabbie e con altre marne, che formano una distinta zona che sta alla base del pliocene, e costi- tuisce i più antichi depositi di tale epoca. Nella prima parte di questo lavoro, per la comparazione stratigrafica, sono riuscito a precisare i limiti, e distinguere esattamente le due zone del pliocene antico nell’ Italia meridio- nale. I lavori dell’ egregio professor Capellini sul Bolognese con- cordano esattamente coi miei risultamenti: Egli distingue delle sabbie e delle marne superiori che costituiscono una serie di colline più recenti, e delle sabbie marnose inferiori che si ergono in colline separate, ed a quest’ ultime rapporta il plioceno del Senese.^ Le ricerche sulla fauna malacologica del Bolognese pub- ’ Sul Felsinoterio sirenoide alicoref orme dei depositi littorali pliocenici ec. {Memorie dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, serie III. — 25 - blicate dal Foresti ^ concordano con questi risultamenti, e li con- fermano. In riguardo ai limiti della zona superiore del pliocene antico deir Alta Italia e media, non v’ ha dubbio di sorta, che sieno stati esattamente determinati dal marchese Pareto in quel suo lavoro in cui si fece a proporre una nuova partizione delle for- mazioni terziarie.'^ Tale zona infatti risponde precisamente al suo Astiano, ed il Pareto potè riconoscere sopra numerosi punti e per vaste estensioni il limite inferiore di questa zona, determi- nato dappertutto sopra ambi i versanti dell’ Apennino, da strati sabbiosi più o meno calcariferi ed agglutinati, che racchiudono dappertutto il Pecten diibius, la Terebratula ampolla e varii altri pettini e brachiopodi, terminando la zona più antica del plio- cene; ed a questo riguardo egli dice: Il est rémarquaUe que ce berne cedeaire se mentre sur nne tres-grande étendue de pays, non-seulement dans le Tortonais, le Moìif errai, le Plaisantin et nne partie des Pomagnes, mais aussi sur le versant meridional de VApennin (pag. 2B9). Ed io soggiungo che tale strato si estende ancor di più tra- versando r Italia meridionale e la stessa Sicilia, dove posso ricordare le sabbie ad Ampliistegina, Balani e Pettini di Gerace e monti soprastanti, quelli a Pettini e Brachiopodi di Terreti e Nasiti presso Eeggio, gli strati somigliantissimi nel territorio di Messina e presso Giardini e Caltabiano, e quelli di Altavilla presso Palermo ec. ec. tutti spettanti alla zona più antica, anzi al medesimo gruppo di strati che segnano il limite superiore di essa (Vedi Capitolo primo). . Ma a stabilire pei numerosi luoghi del pliocene antico il limite esatto tra le due zone, bisogna assolutamente uno studio speciale stratigrafico per ciascuna contrada, nè io ardirò d’ in- trattenermi a discorrere di tale distinzione pei numerosi luoghi deir Alta Italia ; sarebbe per me presunzione gravissima, ma sola- tomo I), 1872. — Carte géologique des environs de Bologne et d’une partie de la vallèe dii Reno, 1871. ' Catalogo dei Molluschi fossili pliocenici delle colline bolognesi. {Mem. del- V Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, serie III, tomo IV, 1874.) ^ Note sur les subdivisions que Von pourrait établir dans les terrains tertia- ires de l’Apenin septentrional. [Bidletin de la Société géologique de France, to- me XXII, 2* serie, 1865.) 26 — mente a modo di esempio ne presceglierò taluni, che per varie ragioni mi sono meglio noti. Se volessimo poi dare un’ occhiata alia fauna di questa zona, ci sarebbe agevole riconoscere che nell’ Alta Italia, essa è di mari poco profondi e dappertutto identicissima, e basterebbe riscontrare le varie opere che videro la luce da quella del Broc- chi in poi, per esser convinti come nei varii luoghi, anco i più distanti sul suolo italiano, sono precisamente le medesime specie che si ripetono, è il medesimo insieme, la medesima serie, che non può esser disconosciuta da chicchessia. Sarebbe opera assai lunga e vana il voler comparare la fauna dei moltissimi luoghi, dove il pliocene tipico è conosciuto, e senza uno studio strati- grafico locale si correrebbe rischio di confondere sovente gli strati della zona superiore con quelli della più antica, essendo- ché le sabbie, le marne e tutt’ altre rocce si ripetono spesso in ambe le formazioni. Ciò non pertanto è ben chiaro che dappertutto, come vedemmo, nell’ Italia meridionale così come nella setten- trionale, e discordanze ed isolamenti delle due zone ne marcano bene i limiti, le differenze nella fauna ne distinguono i terreni. Abbiamo veduto tuttociò chiaramente per la Sicilia e pella Calabria, esamineremo soltanto alcuni luoghi dell’ Italia media e settentrionale, quelli che ho potuto io stesso visitare ed esplo- rarne la fauna, ovvero che sono stati esaminati con cura da altri, e ne è stata bene esplorata la stratigrafia. Vedemmo in generale quali sono i limiti della zona supe- riore dell’ antico plioceno nell’ Alta Italia, e come essi rispon- dono esattamente a quelli che tale terreno presenta nell’ Italia meridionale; se vorremo ora comparare dei varii luoghi la fauna, ci sarà ben agevole riconoscere come la fauna littorale del plio- ceno superiore dell’ Astigiano, del Piacentino, del Bolognese, di Val d’ Era e di tanti altri luoghi, risponda a capello con quella degli strati superiori di Altavilla presso Palermo, che forma il tipo della fauna littorale di questa zona nell’ Italia meridionale. Le specie vi sono precisamente le stesse, distribuite colla me- desima abbondanza o rarità; e vi si notano tutte quelle specie di Coni, di grandi Pleurotome, di Cancellarie, di Terebre, che ci offrono analoghe specie tra gli abitanti dei mari caldi. Nel mezzogiorno d’ Italia i lembi della zona che esamino a fauna — 27 — littorale sono rarissimi; oltre quello di Altavilla, potrei ricordare soltanto il plioceno di Santa Cristina in Calabria, lo strato a Tìeur otoma internipta e P. Mortilieti di Caltagirone, ed un ter- reno di sabbie argillose che da Caltabiano si estende verso Bot- teghelle nella provincia di Catania, che ho potuto esplorare recen- temente, e che racchiude molti fossili proprii di questa zona colle solite grandi pleurotome. Tolti questi brevi lembi e forse taluni altri, una grande su- perfìcie deir Italia meridionale offre delle sabbie, delle marne e dei calcari a fauna completamente diversa da quella di Alta- villa, tanto che possono dirsi vere eccezioni quelle specie che sono comuni ai due depositi, eppure essi sono coetanei e m’ in- gegnai a dimostrarlo nella prima parte di questo lavoro per mezzo di numerose comparazioni stratigrafìche, essendoché essi sovrastano a depositi identici per costituzione e per fauna, e sono ugualmente anteriori al pliocene recente. Questi depositi che sono ormai dimostrati coetanei alle ricche marne di Altavilla presentano dappertutto una fauna identicis- sima ancora poco studiata, la quale è costituita da pesci della famiglia degli Squalidi, da speciali Cirripedi, da Molluschi ed Echinodermi, da variatissimi Coralli e Foraminiferi, che annun- ciano depositi che formaronsi a grandi profondità, e che perciò racchiudono fossili sì diversi dai coetanei a fauna littorale. Una conferma validissima alla coetaneità di terreni paleon- tologicamente sì diversi, mi fu apprestata dalle marne scoperte dal Caterini ad alcuni chilometri da Livorno, le quali mentre racchiudono le Pleurotome, le Nasse, le Columbelle ec. ec. della fauna littorale, ci offrono poi le Nucule, le Lede, le Limopsis della fauna submarina. Tale associazione è una conferma vale- volissima alle conclusioni stratigrafìche, che ci fanno riguardare siccome esattamente coetanei depositi, i cui residui organici hanno due facies distintissime. I vasti depositi littorali dell’Italia media e settentrionale adunque hanno negli strati di Altavilla, Caltabiano, Santa Cri- stina ec., limitatissimi lembi identici che li rappresentano nel- P Italia meridionale, ed invece sopra vasta superfìcie sono rap- presentati da sedimenti costituitisi a grandi profondità, e che perciò racchiudono una fauna affatto diversa. 28 — Fra le numerose località dell’ Alta Italia io comincerò dal ricordare il Bolognese studiato stratigraficamente dal prof. Ca- pellini, ed in corrispondenza a tali studii il dottor Foresti vi ha esplorato la fauna inalacologica,^ Da tali ricerche risulta che quei potenti depositi spettano al plioceno antico e devonsi ripar- tire in due zone, di cui la superiore risponde a capello a quella che attualmente esamino, e la fauna è quanto può dirsi identica a quella della zona superiore di Altavilla. Ad Orciano in Toscana sono delle marne ricchissime di fos- sili ben conservati, identicissimi anch’ essi a quelle specie che formano la fauna littorale di questa zona. Così io ho potuto esaminare i fossili delle varie località di Val d’ Era in Toscana, grazie alla ricca collezione avutami dal- 1’ esimio signor R. Lawley, e vi ho riconosciuto la fauna della medesima zona, quantunque in talune debba con certezza esi- stervi la zona più antica. Presso Asti al 1864 ho raccolto dei fossili negli strati sab- biosi superiori, e poi presso Cornarè ho fatto collezione di fos- sili giacenti in istrati marnosi ; ambedue queste raccolte spettano alla medesima zona, avendo riguardo alla fauna che rappresentano. Un lembo di questa zona è benanco presso Masserano in fondo ad una valle alpina costituito da sabbie argillose blu che fu- rono esplorate dal prof. Gastaldi, e dei quali possiedo dei fos- sili che devo alla cortesia dell’ egregio signor cav. L. Rovasenda. Delle marne scoperte dal Caterini presso Livorno, più volte ho ricordato come la loro fauna in parte accorda con quella littorale, ed in parte con quella di depositi di mari profondi, e così ci accerta della loro coetaneità, potendo benanco conchiu- dere che quegli strati si sono depositati ad una profondità media. Importantissime a me sembrano le marne bianchicce o gri- giastre di Monte Mario che sottostanno immediatamente alle sabbie a fauna littorale che ho riferito alla zona inferiore del pliocene recente. Il prof. 0. G. Costa studiò i foraminiferi di tali marne. Il prof. Ponzi pubblicando varie nuove specie dello strato sabbioso superiore figurò varii molluschi, coralli, echinidi delle marne. ‘ Ved. le opere precedentemente citate. — 29 - Kecentemente il signor P. Mantovani lia pubblicato un elenco di fossili raccolti in tali strati ^ e li ha riguardati siccome di epoca miocenica, soggiungendo che alia parte superiore essi pas- sano al plioceno. Io da mia parte, nelle seguenti specie ben note, ci vedo la fauna del plioceno antico dei mari mediocremente profondi : ^ Scaphander lignarius, MarginéUa auris-leporis, Dentalmm éleplian- tinum, Corbula gibha, Neaera cuspidata^ Syndosmia longìccdlis, Nucìda sidcata, Leda dilatata, Limogms attrita, Limea strigitata, Pecten cristatus, ec. ec., aggiungi il Trocliocyathtts crenulahts Ponzi, che ho trovato recentemente a Messina, il Trocliocyathtts ttmbreìla Ponzi che è una specie del mio genere Stephanocya- thiis, ed il Flctbelhim Vaticani Ponzi che è probabilmente il mio F. solidttm. Questa fauna annuncia chiarissimamente la zona su- periore del plioceno antico depositatasi in mari di media pro- fondità come nell’ Italia meridionale. Non per questo io nego la possibilità che taluni strati inferiori delle marne dei colli di Poma spettino al mioceno, come quelli con depositi gessosi ri- cordati dal signor Mantovani nel sopracitato lavoro. Altre località dell’ Italia meridionale, dove si estende la zona che esamino, mi occorre di ricordare qui, perchè da me visitate dopo la pubblicazione del primo capitolo di queste ricerche. Lungo il lato orientale della provincia di Peggio, da Bran- caleone a Catanzaro, si estende una regione dove il plioceno a fauna submarina prende un grande sviluppo inoltrandosi ed ele- vandosi considerevolmente nell’ interno. La massima estensione viene costituita da marne e da sabbie della zona più antica ; ma qua e là poggiano dei lembi di marne più recenti che spettano alla zona superiore dell’ antico plioceno, come presso Gerace, Si- derno, Monasterace, ec. I fossili che vi si contengono sono Cir- ripedi. Molluschi, Coralli, Foraminiferi ec., delle specie stesse racchiuse nelle marne coetanee di Messina e di Peggio ; giova ricordarne qui talune più importanti che io stesso raccolsi: Cyìichna cylindracea, Nassa costidata, Fttlimella Scillae, Turbo filosus, Natica Procchii, Dentalium agile, Sipìionodentalium tetra- ’ Descrizione geologica della campagna romana, 1875. ^ Lo specie qui enumerate sono state da me riconosciute in una collezione inviatami dal signor G. Rigacci, di cui ne deploriamo la perdita. — 30 — gonum, Cadulus ovulimi, Syndosinia longicaìUs, Nucula sidcafa, Nncuìa decipiens, Leda pusio, L. excisa, L. dilatata^ Pecten Prueì, P. opercidaris, P. vitreus, P. pusio, Terebrahda Scillae, T. vitrea^ T. minor, T. sphenoidea, WaìdJiehnia craniiim, W. septigera, Megerlia truncafa, Phynclionella Sicida, Isis péloritana, Steplia- nocyafhus elegans, Geratocyathus communis ec. ec. Questa medesima zona par che debba continuarsi estesamente nella valle Lamato, da dove il Philipp! ci ha dato un catalogo, di cui buon numero di specie sono esclusive di questo periodo. Piiguardo finalmente siccome importantissima la scoperta assai recente di talune colline plioceniche trovate tra Caltabiano e Piedimonte nella Provincia di Catania. La serie degli strati è potente di oltre cento metri. In basso è la roccia sabbiosa-calcarea ricca di Amphistegina, con Balani, Terebratule, Pettini ed Ostree in grande abbondanza, la quale rappresenta pei suoi fossili specificamente determinati la più antica zona del pliocene. Succedono quindi degli strati calcarei più 0 meno sabbiosi formati da immensa quantità .di Briozoi con Brachiopodi, e questi prendono un grande sviluppo. Terminano la serie taluni strati sabbioso-argillosi, spettanti chiarissimamente alla zona che esamino, essi racchiudono una fauna importantis- sima formata da Gasteropodi e Lamellibranchiati propri! di tale periodo, e dei depositi formatisi a poca profondità; tra questi vi sono più comuni le seguenti specie : CyUchna cylindracea, Pleiirotoma dimidicda, P. harptda, P. sygmoidea, Trophon squa- midatus, Fusns ìongiroster, Nassa semistriata, N. costulata (Broc- chi), Turritella subangidata, Cassidaria ecìiinopliora. Natica sor- dida, Dentalium Philippi, Corhula gihha, Venus ovata, V. mul- tilamella, Astarte fusea. Leda commutata, Pectunculus insubricus, Pecten inflexus, P. cristatus. Ma di unita a tali fossili raccolgonsi Gasteropodi e Lamellibranchi, dei Brachiopodi, dei Corallarii, dei Foraminiferi abbondanti, che colle loro specie ben ricordano i depositi dei mari profondi che nel Messinese e nel Reggiano rappresentano siffatto periodo del pliocene. Così ad esempio io ricordo le seguenti specie più importanti : Coronula bifida, Pleuro- tonia nodidifera. Turbo romettensis, Trochus margimdatus, Den- talium Panormum, SypJionodentcdium tetragonum, Limopsis aurita, L. pygmaea, Arca obliqua, Limea Sarsii, Terebratula Pegnolii, 31 T. minor, IlJiynclionella bipartita, Ceratocyatlms communis, C. po- ìymorplms, C. flahélliformis var., Stephanocyathus elegans, JBala- nophyìlia irregularis, ec. ec. Quindi le colline plioceniche presso Caltabiano sono i veri testimonii della coetaneità dei depositi littorali del Bolognese, dell’ Astigiano, di Orciano, di Altavilla ec. con quelli a fauna di mare assai profondo del Messinese e del Reggiano ; essi con caratteri diversi non ci dimostrano meno evi- dentemente tale coetaneità di quanto ci fu chiaramente dimo- strata dalle marne che scuoprironsi presso Livorno, e come quelle a mio credere essi hanno dovuto depositarsi ad una profondità media del mare pliocenico, è così che possono racchiudere una mescolanza di specie littorali e dei mari profondi. Non posso trasandafe in fine un deposito fuori d’ Italia la cui fauna mi colpì grandemente per la immensa somiglianza, direi meglio per la completa identità che presenta con quella dei depositi poco profondi della zona superiore dell’ antico plio- ceno di tutta Italia, intendo parlare del pliocene di Biot (Alte Alpi) in Francia, la cui fauna malacologica fu studiata e pub- blicata dal signor Bell. Esaminando infatti quell’ elenco, ricco di numerose specie, si resta sorpresi vedendovisi ripetere la mag- gior parte delle specie italiane. Bisogna quindi conchiudere che anco a gradi distanze i ter- reni di un medesimo periodo geologico possono racchiudere iden- tica fauna, qualora sieno state identiche le condizioni dei mari in cui si depositarono, ed invece le variazioni di profondità anco a brevi distanze inducono mutamenti rimarchevolissimi nella fauna, sino a mutarla intieramente. (Continua.) III. Considerazioni strati grafiche sopra le rocce più antiche delle Alpi Apuane e del Monte Fisano, di Carlo* De Stefani. (Continuazione. — Vedi Bollettino 1874, N. 11-12.) Al calcare infraliassico, ne’ monti della Spezia, succedono in serie ascendente, degli schisti calcareo-marnosi e dei calcari nerastri con Ammoniti e Belemniti, poi de’ calcari rossi e grigi — 32 con selce, pure ammonitiferi. I calcari neri anzicletti, a cagione de’ fossili che contengono, e dopo tutti gli studii dei geologi che hanno esaminata la serie degli strati dei due promontorii della Spezia, sono riferiti al Lias inferiore. ‘ Ecco la serie delle Am- moniti che sono state trovate in quei calcari, comunicatami dal professor Meneghini, colle aggiunte e colle modificazioni soprav- venute dopo che la maggior parte di esse erano state pubblicate per la prima volta.^ Ammonites bisulcatus Brug. ; )) Conyheari Sow. ; » doricus Mgh. ; )) raricostatus Ziet. ; » Kridion Ziet. ; » coniptus Sow. ; )) catenatus Sow. ; » trape^oidalis Sow. ; )) Goregonensis Sow. ; » Grenouilloiixi D’ Orb. ; )) centauroides Mgh. ; )) actaeonoides Mgh. ; » margaritatus D’ Orb. ; )) Loscombi Sow. ; » Giiidonii Sow. ; » Listeri Sow. ; )) Stella Sow. ; » cylindricus Sow. ; )) ventricosiis Sow. ; )) discretus Sow. ; » Zetes D’ Orb. ; » Fartschi Stur. ; y Lunensis Mgh. ; » fimbriatus D’ Orb. ; . » siiblineatus Op. ; )) biformis Sow. ; » articulatus Sow. ; » Fhillipsi Sow. * G. Capellini, Descrizione geologica elei dintorni del golfo della Spezia. Gap. IV. ^ P. Savi e G. Meneghini, Considerazioni sulla geologia slratigraficci della Toscana. Parte III. 33 In un altro lembo della catena metallifera, nei dintorni di Campiglia in Maremma, si trovano in un calcare cristallino ceroide, insieme a gasteropodi, a bivalvi ed a corollarii, delle Ammoniti simili a quelle della Spezia, e per questi fossili quel calcare è attribuito al lias inferiore. Il Rath riferisce, da una lettera del professor Meneghini,^ i seguenti fossili che vi sono stati trovati, Fentacrinus sp., Pecten sp., Cardium? sp.. Che- mnitzia sp., simile alla Gli. Vesta D’ Orb., e MontivauUia sp.: si possono citare inoltre fossili dei generi Actaeonina, Solarium, Inoceramus, dei frammenti di Cidaris e la Chemnitzia Nardii Mgh. (Nuovi fossili toscani, pag. 7). Si devono poi aggiungere il Felemnites ortJioceropsis Mgh., e le seguenti specie di Ammoniti gentilmente indicatemi dal professor Meneghini. Ammonites muticus D’ Orb. ; y Jamesoni ? Sow. {A. Penar di D’ Orb.) ; » Mimatensis D’ Orb. ; y Fartschi St. ; y cylindricus Sow. ; y Lipoldi V. Hauer ; y ■ Guidonii Sow. ; y margaritatus D’ Orb. . Un calcare ceroide, con piccole Ammoniti e con gasteropodi, simile a quello di Campiglia, si trova sopra al calcare infra- liassico, nel Monte Pisano e nei Monti di Avane, nell’ ultima pendice delle Alpi Apuane sulla destra della Val di Serchio infe- riore. Ad 0. del Monte Pisano, il calcare ceroide si estende dai piano di Pisa al piano di Lucca, da San Giuliano per Santa Maria del Giudice a San Gerbone; nei Monti di Avane esso si estende da Vecchiano alla foce di Pietra a Padule. In que- st’ ultima località è di colore roseo ed impuro, mentre nel Monte Pisano è di grana cristallina, che talora si avvicina a quella dello statuario puro, e facilmente si lavora, talché a San Giuliano ed a Santa Maria del Giudice viene scavato per uso di marmo ; il colore ne è bianco o ceruleo, spesso con vene gialle, ed è interstra- tificato da macchie schistose verdastre, nelle quali si annidano ^ G. voM Rath, Geognostische mineralogische Fragmente aus Italien — Die Berge von Campiglia {Zeitschrift d. deutsch. geol. Gesell. 1868, pag. 318). O 34 — delle piriti di ferro, e che sono analoghe alle madrimacchie dei marmi apuani. Delle crepe e de’ peli, precisamente come ne’ marmi saccaroidi, trinciano le masse calcaree, delle quali le più pure e le più saline stanno rinchiuse specialmente nelle parti superiori degli strati, quasi in una matrice di calcare più impuro che si potrebbe paragonare a bardiglio. La salinità di questi calcari del Monte Pisano è effetto di un metamorfismo locale, il quale del resto invade, non solo gli strati di cui intendo parlare adesso più specialmente, ma eziandio le masse sottostanti e quelle superiori: in generale, perciò, il nome di calcare ceroide, adoperato dagli autori che parlano del Monte Pisano, devesi intendere applicato più a designare una forma litologica che una roccia d’ una data epoca. Anche il professor Paolo Savi nella Carta geologica del Monte Pisano, estende il calcare così detto ceroide a detrimento particolarmente del calcare infraliassico ; quest’ ultimo calcare infatti, come si è veduto altrove, forma una linea continua sotto i calcari ceroidi di San Giuliano e di Santa Maria del Giudice; come pure di calcare infraliassico, per quel che ne dicono i fossili, e non di calcare ceroide, sono i lembi di Asciano, di Agnano e di Uliveto a Sud del Monte Pisano. Un’ altra rettificazione deve farsi a quanto dice il Savi sulla discordanza del calcare ceroide coi calcari inferiori e superiori nei Monti di Avane, da lui detti Monti Oltre Serchio, ed in altre località; infatti quel calcare sta dovunque con perfetta regolarità interstratificato fra gli altri cal- cari che lo rinchiudono (fig 5) ; pei monti di Avane, in particolare ho potuto accertarmi di ciò in una gita fatta in quelle loca- lità col professor Meneghini, ed in più altre occasioni. L’ anda- mento della stratificazione si rileva al solito, facendo astrazione dalle crepe che intersecano il calcare, coll’ esaminare il verso cioè la direzione dei banchi e la disposizione degli straterelli schistosi che vi sono rinchiusi. Il calcare di cui si discorre, nelle località menzionate, è talora sì ricco di fossili che si ha una vera lumachella; numerose raccolte di questi fossili sono state fatte nel Monte Potendo e nel Monte delle Fate presso San Giu- liano, come pure a Vecchiano e di faccia a Pontasserchio. Tra i fossili trovati si possono citare varie specie di ChemniUia, di Actoeonina, di Cerifhium^ di Natica^ di Trochus, di Fleurofoma- ria, di Turbo, di Nautilus, dei frammenti di Cidaris, di Penta- 35 - crimis, di 3Iontivauìtia, V Avicula peregrina Mgh. {Considera- sioni sulla geologia etc.), la Cochloceras {Turrilites) JD' Anconce Mgh. (Nuovi fossili toscani)^ V Ammonites stellaris Sow. e 1’ Am- monites planorljis Sow., oltre a molte ammoniti non determinate. Nelle sue parti superiori poi, tanto alle Avane quanto nel Monte Pisano, si trovano degli straterelli pieni di encrini. Per le consi- derazioni possibili sopra codesti fossili, rimando chi ne vuole notizia agli studii del professor Meneghini e del professor Savi, dopo dei quali io non ho nulla di nuovo a ridire. Si può però aggiungere che ninna delle specie de’ molluschi è stata ricono- sciuta identica a qualcuna di altre località, salvo che a quelle di Campiglia. Il nostro calcare ceroide fu dagl’illustri geologi sopracitati, nelle loro Considerazioni sulla geologia della Toscana^ riguardato, per l’ insieme dei generi fossili, come appartenente al lias piuttostochè al trias, ma in ogni caso alla parte più antica del lias inferiore; e quantunque il Savi più tardi (Sulla costitu- zione geologica delle elissoidi della catena metallifera, pag. 13, Pisa 1864), lo classificasse nell’ Infralias, senza argomenti, ma semplicemente come egli dice, onde non pregiudicar la questione della sua vera epoca; pure dopo, nella pubblicazione del Kath (Fragmente aus Italien, 1868), esso viene considerato di nuovo, dietro una comunicazione del professor Meneghini sui fossili di Campiglia, come veramente liassico inferiore, e come tale deve essere, tanto più, considerato al giorno d’ oggi, dopo la pubblica- zione della nota delle Ammoniti del calcare salino di Campiglia, che ho sopra riportata. Lo Stoppani, dopo aver veduto alcuni fossili del Monte Pisano, credette trovarvi delle impronte riferi- bili al genere Evinospongia, e le univalvi del Monte Pisano e di Vecchiano riferì a quelle di Esine nelle Alpi, da lui studiate, per cui manifestò 1’ opinione, che fossero triassici, come il calcare di Esino, anche i calcari delle citate località toscane compresi in generale dal Savi col nome di calcari salini o ^emi-salini.^ Il Cocchi ha preso conto di questa opinione, ed ha ritenuto il calcare ce- roide de’ Monti di Pisa e di Campiglia triassico,^ dubitando poi che ad esso potessero corrispondere taluni calcari delle Alpi ' Stoppani, Corso di geologia, voi. II, pag. 391. ^ Sulla geologia delV Italia centrale, pag, 33. Apuane di una zona, che distingueva provvisoriamente col nome di ^ona marmorea superiore : ^ il Coquand eziandio ritiene trias- sico il calcare ceroide del Monte Pisano.^ Però conviene osservare che dei fossili del calcare ceroide propriamente detto, parago- nati con cura ai fossili di Esino, non uno è stato trovato speci- ficamente corrispondente a questi; sopratutto poi, come risulta dalle descrizioni fatte e dalle sezioni presentate, il calcare ce- roide del Monte Pisano e delle Avane fu depositato sopra al- r Infralias, è impossibile perciò dirlo triassico, e non è possibile prenderlo per tipo di rocce triassiche, bensì, per la sua posizione stratigrafica fra P Infralias e la parte più recente del lias infe- riore, come vedremo, e per la natura dei fossili, non può essere ascritto se non al lias inferiore medesimo. È inutile poi par- lare del calcare che il Cocchi dubitava fosse ad esso corrispon- dente nelle Alpi Apuane, perchè P illustre geologo, nella sua nota Sulla vera posizione stratigrafica dei marmi saccaroidi delle Alpi Apuane {Boll, del B. Gom. Geol., N. 5-6, 1871), pone a ragione, insieme con tutti gli altri marmi antichi anche "quelli dei monti Sumbra,^ Fiocca, Valiverto, Sella e Tanibura, che prima aveva distinti col nome di zona marmorea superiore. Fuori dei monti presso Pisa, non ho trovato il calcare ceroide con apparenza sì distinta e con fossili ben chiari; però un calcare analogo, sovrap- posto alP Infralias, costituisce i colli di Pietrasanta, di Capez- zano e di Montepreti presso Pietrasanta; è ceroide, cavernoso e spesso dolomitico, ma non vi sono fossili, eccetto che a Monte- preti, dove contiene degli encrini negli strati superiori sotto- stanti a calcari rossi e verdastri, e dove si trova quindi nella stessa posizione stratigrafica del calcare ad encrini del Monte ^ I. Cocchi, loc. cit., pag, 38. ^ H. Coquand, Terrains stratifiés de l’italie centrale {Bull. Soc. Géol. de France, 3^ serie, tomo III, pag. 26).— Il Coquand pone i calcari ceroidi di Campiglia e di Gerfaìco insieme con quelli saccaroidi delle Alpi Apuane e, con questi, li classifica nel carbonifero ; ma invece i calcari ceroidi delle soprad- dette località sono, come ho detto pel calcare di Campiglia, della stessa epoca di quello del Monte Pisano e delle Avane e debbono essere riferiti al lias inferiore. ® Nella carta dello Stato maggiore austriaco questo monte è indicato col nome di Sumbra, col quale lo indica anche il Cocchi ; ma nelle storie antiche della Garfagnana, e nel linguaggio vivente in quelle località, è indicato col nome di Summora o per corruzione Sommora, e questo mi sembra da conservarsi. — 37 — Pisano e delle Avane. Probabilmente a questa stessa epoca del lias inferiore, ma invece alla forma litologica dei calcari della Spezia, si riferiscono : un calcare nero, nella valle della Torrite Secca, fra Decci ed il canale di Rontano, a strati quasi verticali, inclinati verso N. o, presso Decci, verso N.N.O., ed un cal- care scuro, con scliisti interposti, ne’ monti di Careggine e di Roggio, ambedue situati fra le masse calcaree attribuite all’ In- fralias, ed alcuni straterelli di calcare rosso del canale di Ron- tano e della parte inferiore del canale di Vagli. La difficoltà nel distinguere il calcare del lias inferiore dall’ Infralias, quando non vi sieno fossili, deriva dall’apparenza delle rocce die sono spesso identiche fra loro, e dal metamorfismo che agì egual- mente sulle medesime ; del resto è probabile che al lias inferiore appartengano varii de’ calcari che ho ritenuti come infraliassici, nella regione orientale dell’ elissoide principale apuana, fra il canale di Vagli e quello della Torrite Cava. Nel Monte Pisano e nel Monte di Avane e di Vecchiano, al calcare ceroide succedono dei calcari rossi e dei calcari grigi con selce, ammonitiferi, i quali altrove nelle x\lpi Apuane sem- brano riposare direttamente, sempre con stratificazione concor- dante, sul calcare grigio del lias inferiore o dell’ Infralias. Il calcare rosso intensamente argilloso, qualche volta verdognolo o bianco ed anche giallo a S. Maria del Giudice, è spesso al- ternato* da straterelli di schisti rossi o verdi, lionati, e talora arenacei, ed in generale forma banchi di piccola potenza, per cui alle volte può sfuggire all’ osservazione ; sovente è alquanto cri- stallino, ed allora forma dei graziosi marmi ornamentali ; così a questo genere di roccia appartengono : un marmo giallo alquanto simile a quello della Montagnola Senese, scavato a S. Maria del Giudice ; il marmo rosso di Matanna uniforme e discretamente cristallino ; il marmo di Sasso Rosso neH’iVlpe di Corfino, il quale ha r aspetto di grandi frammenti rossi irregolari involti in un cemento di color rosso ancora più scuro ; ed il marmo rosso- chiaro, venato di bianco del colle di Matteo presso Trassi- lico, del quale furono fatte alcune colonne per uno degli altari dell’ Eremita di Calomini. Il calcare con selce sovrapposto forma talora degli strati potenti ; è ceruleo, bianco o grigio, con diverse gradazioni di colore, e contiene frequentissime alternanze di noe- — 38 cicli e di straterelli di selce compatta e cornea, ovvero bianca a granellini disciolti ; sottoposti que’ granellini al microscopio, con forte ingrandimento, non vi trovai spoglie apparenti di sostanze organizzate. Questo calcare con selce io lo chiamerò ammonitifero, ancor quando ammoniti non ve ne siano state trovate, per distin- guerlo da altri calcari grigi con selce di epoca più recente, che si trovano negli stessi Monti Pisani e nelle Alpi Apuane e nel- PApennino. Nel Monte Pisano (fig. 5), a cominciare dalle cave di S. Giuliano fin verso Lucca, il calcare compatto rosso o verdolino forma una cintura continua, con uno strato di 6 o 7 metri di altezza al più, sopra ai calcari ceroidi ; frequentemente è inquinato da straterelli schistosi e non contiene fossili, talora è ceroide esso pure e serve per marmo, come ho detto di sopra, p. e., a S. Maria del Giudice. Il calcare grigio con selce sovrastante comincia a comparire all’ ultimo sperone delle cave dei marmi di S. Giu- liano, nel luogo dove sono le cave della calcina forte del Bru- guier ; un lembo di esso forma la cima del monte, dove sono le cave, ed è pella denudazione di questo che inferiormente com- parisce il calcare bianco ceroide; lo si rivede verso il paese di S. Giuliano dove sono aperte varie cave per levarne pietra da calcina forte. Taluni degli strati di questo calcare, lungo la strada da S. Giuliano a Pigoli, di fianco alla stazione della via ferrata, sono talmente raddrizzati da raggiungere una po- sizione verticale. Da S. Giuliano il calcare traversa * il si- stema montuoso formando le alture di Monte Penna e giun- gendo verso S. Gerbone e Pezzuole, dove terreni più recenti gl’ impediscono di pervenire alla pianura Lucchese. In questa estensione di terreno non sono state trovate che traccie di Ammoniti poco determinabili. Nei monti delle Avane il cal- care rosso forma un cerchio continuo,' al solito di poca po- tenza, intorno a quella rotta elissoide. In certe cave, sulla destra della valle dei Sassigrossi, sono stati trovati dei Pentacrini e le Ammoniti seguenti : Ammonites PeccJiiolii Mgh. ; )) hisulcatus Brug. ; » Conybeari Sow. ; » JBoiicaidtianus D’ Orb. — 39 — Il calcare grigio con selce ammonitifero forma un’ altra cer- cliia di non grande spessezza, dal piano di Veccliiano sin verso i monti di Filettole, dove, insieme colle altre roccie antiche, si nasconde sotto un lembo di terreno eocenico sovrapposto in stra- tificazione discordante. Le Ammoniti trovate in questo calcare sono le seguenti : Ammonites Conyheari Sow. (Repole) ; » Listeri, Sow. in D’ Orb. (Sassigrossi) ; » Aìgovianus Op. Passando alle altre elissoidi delle Alpi Apuane, questi cal- cari ammonitiferi riappariscono al Nord dell’ elissoide di Ca- maiore. Intorno all’ elissoide centrale apuana s’ incontrano poi in diversi lembi, in generale di non molta importanza. A Monte Preti, che è sulla destra del Baccatoio, là dove questo torrente esce nella pianura, oltre agli straterelli con crinoidi già notati altrove, si hanno dei calcari rossi o verdastri senza fossili, che rappresentano là il rosso ammonitifero, si vedono poi dei fram- menti erratici di calcare con selce, identico assolutamente a quello dei monti pisani, e probabilmente derivano da qualche lembo in posto di quel calcare, ovvero sono gli ultimi resti della de- nudazione, che ha finito il suo compito nascondendo i banchi del suddetto calcare sotto la pianura. Fra Capriglia e le Piane, so- pra ai calcari bianchi ceroidi o dolomitici, sono pure traccie di calcari rossi, metamorfici o cavernosi, nei quali si presentano delle sezioni di encrini. In un estremo lembo della massa cal- carea di Porta, che guarda immediatamente sulla sinistra del canale di Montignoso verso la pianura, e sopra al calcare grigio cupo 0 bianchiccio dell’ infralias o del lias inferiore, stanno de- gli straterelli del calcare rosso intensamente colorato, argilloso e scbistoso ; quivi pure si vedono sul terreno de’ frammenti di cal- care con selce, che attestano la prossimità e forse l’antica esi- stenza alla superficie di questo. Prima di passare oltre, è oppor- tuno notare come, dalla Dogana Vecchia, a Kotaio, a Monte Preti, a Pietrasanta, a Porta ed a Montetignoso, le ultime pendici dei monti sieno formate dai calcari infraliassici, o dai piccolissimi lembi dei calcari più recenti ora accennati, senza che superiormente ai medesimi stieno altre roccie. A Massaveccbia, sopra l’ infralias 40 sta direttamente un lembo di terreno eocenico, e lo stesso sem- bra aver luogo a Mirteto e nei monti della Misericordia sopra rinfralias di Bergiola e di Códena. Alle prime case di Carrara (fig. 2), sulla sinistra del fiume, poco sopra le segherie di Walton, il cal- care rosso ricomparisce e forma dei banchi di qualche metro in- tersecato da straterelli di schisti verdi e rossi, ma non credo che vi si trovi sovrapposto il solito calcare grigio con selce. Di qui esso continua il suo giro intorno all’ elissoide, e s’ innalza alla destra del Carrione, attraverso i monti di Gragnana e di Tenerano, nella quale località il Savi raccolse un Ammonite. Il Cocchi accenna fra Castelpoggio e Monte Acuto il calcare grigio ammonitifero con selce ed il rosso, e forse di questa stessa epoca è il calcare con selce, il quale si trova presso 1’ Ajola a Nord dell’ elissoide; però sembra che solamente dei lembi radi ed interrotti di queste due roccie esistano attualmente nel tratto dell’ elissoide che gira fra la valle del Carrione e la valle di Vagli, nel modo stesso che de’ lembi quasi insignificanti e quanto mai interrotti abbiamo veduto esistere nella parte occidentale della mede^sima che guarda il mare, fra le valli di Camaiore e la valle del Carrione. Quel dubbio mi viene confermato dal fatto che nei monti di Corfi- gliano e di Gramolazzo, nel versante del Serchio, ai lembi non molto potenti dell’ infralias sta sovrapposto direttamente il ma- cigno eocenico, senza intermezzo di altra roccia. Nel lato orien- tale dell’ elissoide, il calcare rosso, talora anche verdastro e con straterelli di schisto lionato, incomincia nel monte di Roggio, sulla sinistra del canale di Vagii, ma in strati piccolissimi e senza la sovrapposizione del calcare grigio con selce, e, conser- vando eguale aspetto ed eguale potenza, passa il Monte di Ca- reggine, traversando la valle, presso le Ferriere, e giunge alla valle della Torrite Secca o canale d’ Arni, nella quale 1’ ho in- contrato nel colle di Fontano, dove ha un aspetto analogo a quello che ho descritto di Sassorosso, e dove sembra sottostante ad un calcare zeppo di foraminifere, probabilmente cretaceo. Nell’ estremità superiore del canale di Sassi, che mette nella Torrite Secca, intorno alla Pania, le cose cominciano a variare : il calcare rosso acquista una potenza alquanto maggiore, assume un colore rosso più smorto, o bianco, e sopra del medesimo po- sano degli strati di calcare grigio con selce ammonitifero tanto — 41 — alti, quanto lo sono nel Monte Pisano. Codesta serie di strati gira intorno alla Pania, forma i pizzi sovrapposti a Vergemoli che, fra gli altri, hanno il nome di Forcone e delle Capanne Bruciate, quindi le pendici di Vergemoli e di Calomini nella valle del Forno 0 della Borrite di Gallicano, a ridosso della Pania e sulla sini- stra del canale della Foce, che è fra Vergemoli ed il Forno. Il calcare, che quivi invece di essere rosso, è chiaro e biancastro, perde quasi i suoi caratteri e, senza speciale attenzione, non si distinguerebbe : però, nel canale fra Vergemoli e Calomini, assume un aspetto marmoreo, ed a Vergemoli è accompagnato da strati discretamente alti di schisto arenaceo lionato. I calcari traversan poi la Borrita, e li troviamo sopra il ponte di Panicaglia nel colle di Matteo, donde fu escavato del marmo rosso ; formano le pendici di Brassilico e raggiungono il Monte Matanna, esten- dendosi verso Casoli di Camaiore, dove cessano di comparire, e dove è finito il loro giro intorno alP elissoide centrale apuana. Nel calcare rosso marmoreo di Matanna ho veduto delle Am- moniti, ma non perfettamente conservate e non in istato di es- sere ben determinate. Nelle località circostanti alla Pania ed al Monte Matanna, nel lato orientale dell’ elissoide centrale ora esa- minato, i calcari si estendono assai, poiché senza interruzione formano una veste intorno al nucleo isolato di calcare infralias- sico, che sta nel centro dell’ ondulazione del Monte Palódina, più sopra indicata. Essi si ritrovano a Pescaglia, nella valle della Borrite Cava, ed in quella delle Borrite di Gallicano fra il ponte di Panicaglia e Gallicano ; così in quest’ ultima valle formano le pendici nelle quali fu scavata l’Eremita di Calomini, e quivi inclinano con dolce pendio da E.N.È. a O.S.O. cioè in modo opposto all’ inclinazione che hanno nelle contigue località di Ver- gemoli e di Calomini, a ridosso dell’ elissoide centrale : girano poi sotto il paese di Bruciàno intorno al canale omonimo, il quale segna il punto interno della ondulazione in quel suo estremo lembo, di fianco al Monte Palódina sulla sinistra della Borrite, ed inclinandosi di nuovo da O.N.O. a E.S.E. raggiungono il fondo della valle, alquanto sopra le case di S. Lucia. Così sono enumerate le località delle Alpi Apuane, nelle quali conosco i calcari rosso e grigio con selce ammonitiferi. Anche nel prossimo Apennino, intorno all’ infralias dell’ Alpe di Corfino, formano cerchio i calcari ora nominati. Il calcare rosso di Sassorosso contiene le specie seguenti: Ammonites Raquinianus D’ Orb. ; fimhriatus Sow. ; » Mimatensis D’ Orb. ; )) stellaris Sow. ; » sternalis De Buch ; » planicosta Sow. ; )) subarmatus Young ; » spiratissimus Quenstedt ; )) muticus D’ Orb. ; )) Nodotianus D’ Orb. ; )) Aalensis Ziet. ; » radians Schlot. ; )) hybridus D’ Orb. ; )) bisulcatus^ Brug. ; )) insignis Schlot. ; » rotiformis Sow. ; )) Kridion Ziet. ; » complanatus Brug. ; )) armatiis Sow. ; » JBoucaidtianus D’Orb.; » bifrons Brug. ; » Ceras Giebel ; )) obtusus Sow. ; » heterophillus Sow. ; » tardecrescens Hauer ; » Conybeari Sow. ; )) liasicus D’ Orb. ; » Actceon D’ Orb. Nel calcare con selce della stessa località sono state trovate fossili le seguenti specie: Ammonites Algovianus Oppel ; » pluricosta Mgh. Anche nell’ alta valle dell’ Ozola nel Reggiano si trova il cal- care rosso intorno alle masse infraliassiche. Un lembo di calcare 43 - rosso ammonitifero si torna poi a trovare a Monsummano nella Val di Nievole; ma nè questa roccia, nè il sovrapposto calcare con selce, compariscono in alcuna altra località dell’ Apennino toscano e bolognese, nel tratto fra Monsummano e 1’ Alpe di Corfino. Ho parlato fino adesso insieme e del calcare rosso e del cal- care grigio con selce ammonitiferi, seguendo l’ uso dei geologi toscani ; ma avrei potuto discorrerne partitamente, e paratamente passo a dire ora della loro epoca geologica limitandomi a citare le varie opinioni manifestate dagli autori. Il calcare rosso fu ritenuto da prima dal Savi e dal Pilla come appartenente al lias superiore, credendolo analogo ai calcari rossi ammonitiferi della Lombardia appartenenti a quell’ epoca: ma poi, raccolti numerosi dati paleontologici, tanto il Savi citato, come il Mene- ghini, riconobbero che il medesimo era più antico del calcare lom- bardo, quindi più antico del lias superiore, e che le sue Ammoniti, appartenenti a specie di varie epoche del lias, ma specialmente agli Arieti^ erano con prevalenza riferibili al lias inferiore.’ Questa conclusione era riconfermata poco dopo dal professor Meneghini,^ ed il calcare veniva posto definitivamente nella parte inferiore del lias, considerandolo però superiore al calcare ceroide, il quale alla sua vòlta era considerato come appartenente alla parte più antica del lias inferiore. Anche il Savi più tardi (Sulla costitu- zione delle elissoidi della Catena metallifera) lo considerava come lias inferiore. Come rappresentanti del lias superiore, in questa, regione d’ Italia, furono ritenuti invece gli schisti sovrapposti al calcare grigio con selce contenenti la Fosidonomya JBronni. Però il trovarsi nel nostro calcare, come ho già accennato, delle Am- moniti appartenenti anche ai piani meno antichi del lias, fece sì che il medesimo venisse qualche volta ritenuto rappresentante ^ Considerazioni sulla (jeologia stratigrafica della Toscana. Parte II, capo IV. — Nel quadro che si trova al termine dello scritto del Savi e del Meneghini, il calcare rosso è bensì posto nel lias superiore, ed il Coquand {Terrains stratifiés de VItalie centrale — EnW. Soc. Geol. de France, S® serie, tome III, pag. 26) tenendo conto soltanto di questo fatto, attribuì senz’altro ai citati geologi queir opinione che però è ben diversa da quella che solo deve essere considerata e che quei geologi hanno diffusamente e chiaramente sostenuta nel testo nel punto da me citato. ^ Nuovi fossili toscani, pag. 17. — 44 — del lias medio, e come tale fu considerato eziandio nella pub- blicazione citata del Katli, onde V ho classificato aneli’ io in tal modo nella annessa tavola degli spaccati. Quando però si badi, come fanno notare gli autori, al tipo degli Arieti predomi- nante fra le Ammoniti, il quale è particolarmente caratteri- stico del periodo Massico inferiore, e quando per 1’ altra parte si noti il piccolo numero di quelle specie che si trovano nel vero lias medio, risulterà dai dati paleontologici la conve- nienza di lasciare il calcare rosso nel lias inferiore, e precisa- mente nella parte più recente di esso, anziché nel vero e pro- prio lias medio, e come Massico inferiore lo considererò d’ ora in avanti. Il calcare grigio con selce, ha seguito sempre finora le sorti del calcare rosso: il Savi ed il Meneghini {Considera- zioni sulla geologia della Toscana, Parte I, Capo II) ritennero che il calcare rosso passasse gradatamente al medesimo, e che qualche volta, come ne’ monti del lato occidentale della Spezia 10 si trovasse, non solo al di sopra, ma ancora al di sotto del rosso; anche dopo di loro tutti i geologi toscam considerarono 11 grigio come una cosa sola col rosso, distinguendo soltanto la forma litologica. Adesso è noto come ne’ monti del lato occi- dentale della Spezia un rovesciamento abbia alterata la posizione strati grafica delle roccie, sicché solo in apparenza il calcare gri- gio vi sembra sottostante al rosso, mentre in realtà é superiore al medesimo, ivi come dappertutto. Esso poi é sempre ben di- stinto per la sua forma litologica dal calcare rosso, e forma masse di molta potenza, mentre il rosso non forma che piccoli banchi e si connette piuttosto e fa passaggio ai calcari sottostanti ; per lo contrario, mentre il calcare rosso é ricchissimo di fossili, il grigio ne é povero e soltanto vi sono frequenti le poche specie notate. Ecco la serie delle poche Ammonniti che vi sono state trovate fino ad ora e che ho già indicate di sopra. Ammonites Conyheari Sow. (Repole); » Listeri Sow. in D’Orb. (Sassi grossi); » Algovianus Op. (Sassi grossi. Alpe di CorfinO) ; » pluricosfa Mgh. (Alpe di Corfino). La presenza speciale di talune di queste Ammoniti, p. e., deW Algovianus e la posizione stratigrafica del calcare, sembra 45 lo facciano riferire con maggior probabilità al lias medio e come tale per ora verrà ritenuto. Probabilmente esso deve met- tersi insieme col calcare litologicamente simile, e pure liassico medio, dellbApennino centrale. Eitornando un passo addietro e riparlando del calcare ce- roide, ecco che questo, essendo posto fra il calcare infraliassico ed il calcare rosso appartenente alia parte più recente del lias inferiore, anche secondo le regole della stratigrafia deve essere riferito al lias inferiore. Per quanto riguarda le Alpi Apuane, il Savi confuse i calcari ammonitiferi colla massa dei calcari infraliassici, e con questi li at- tribuì al neocomiano : il Cocchi ha contribuito a fare le dovute distinzioni, senonchè in una sezione che egli presenta di un tratto dei Monti Pisani, da Ripafratta al Monte delle Mulina (I. Cocchi, Sulla geologia, ec. Tav. I, fig. 8) ha scambiato l’epoca delle rocce di queste località. Così il calcare del Monte Maggiore, che egli crede infraliassico, e che è assolutamente privo di fossili, è invece un calcare con selce che si ritrova pure sviluppatissimo a Legnaia ed a Pietra a Padule intorno all’ elissoide di Avane, come pure in tutta la regione orientale delle Alpi Apuane, nella parte inferiore della Val di Serchio a Bruciano, a Gallicano, alla Torrite Cava, al Borgo a Mozzano, a Corsagna, a Decimo, a Pezza ed agli Angeli ; e nell’ Apennino nella Val di Lima, a Prato Fiorito, a Lucchio ed a Vico ; non è ben conosciuto a quale orizzonte questo calcare appartenga, ma probabilmente è proprio neocomiano, come P ha giudicato il Murchison, che lo esaminò a Prato Fiorito, e come 1’ ha considerato, d’ accordo con lui, il Savi. Questo calcare sta sopra gli schisti a Fosido- nomya riferiti al lias superiore, e sotto di questi si trovano il calcare grigio con selce ammonitifero del lias medio ed il rosso, come pure il ceroide liassico inferiore e per ultimo il vero cal- care infraliassico, al Monte Rotondo sopra San Giuliano sovra- stante agli schisti cristallini. Non esistono adunque calcari cavernosi immediatamente al di sotto del calcare con selce di Monte Maggiore, come il Cocchi figura nella sezione che egli dà : nè questo calcare rappresenta P infralias, come veniva da lui supposto. La sezione (fig. 5) che io presento, in rettifica- zione di quella del Cocchi, è poco diversa dalla sezione (fig. X) — 46 — pubblicata dal Savi e dal Meneghini nelle Considerazioni sulla geologia della Toscana. Le materie minerali che si trovano nelle rocce infraliassiche e liassiche, di cui si è discorso finora, astrazion fatta dalle dolo- miti e dai gessi che furon prodotti dal metamorfismo de’ calcari, sono unicamente il cinabro e la malachite, che fan parte di filon- celli quarzosi e spatici, nel calcare con selce ammonitico, e negli altri calcari Massici del Monte delle Fate, presso San Giuliano. I filoni quarzosi non sono frequenti; qualche volta il quarzo, in cristalli jalini ed affumicati, si trova nei calcari dolomitizzati, per esempio, nel Monte delle Fate, nella china verso Asciano; r albite poi è frequente e talora abbondantissima, in cristalli sparsi porfiricamente nelle masse dei calcari infraliassici (Capez- zano, Capriglia) e rossi Massici (San Giuliano). (Continua). IV. Sidla Belazione di un viaggio geologico in Italia, per Teodoro Fuchs. . Sotto il titolo Belazione di un viaggio geologico in Italia, appariva nel N° 7 e 8 di questo Bollettino la traduzione, curata dal signor F. L. Appelius di Livorno, di un breve resoconto di viaggio che io nella primavera del cessato anno dirigeva a Vienna al Consigliere di Corte e Cav. Fr. v. Hauer, e che originaria- mente veniva dato alle stampe nelle Memorie dell’ I. B. Istituto Geologico (pag. 218, anno 1874). Il prof. Seguenza sembra essere rimasto alquanto scosso da alcune mie osservazioni contenute in detto resoconto di viaggio^ tanto che egli si è creduto obbligato a pubblicare nel N® 9 e 10 di questo stesso Bollettino una nota nella quale egli intraprende a farne la critica. Per quanto tutte le obbiezioni fatte da un così distinto e profondo Naturalista, quale è il Seguenza, siano da tenersi in gran conto, pure essendo esse in gran parte fondate sopra un malinteso, io mi sento impegnato a rispondervi brevemente. — 47 La prima obbiezione del prof. Seguenza si rivolge contro la mia asserzione che un vero calcare del Leytha, quale s’ incontra presso Rosignano di Pisa, non fosse prima stato riconosciuto in Italia; mentre già una tale formazione era stata descritta dallo stesso prof. Seguenza presso Messina, e mentre già V apparizione della medesima formazione presso Rosignano veniva particolar- mente accennata dal prof. Capellini. Su di che io debbo osservare, che coll’ espressione in Italia io ho inteso solo di parlare della penisola con esclusione delle isole che vi appartengono. Che il prof. Seguenza avesse già de- scritta r esistenza del vero calcare del Leytha in Sicilia (e non solo presso Messina ma ancora in maggior estensione presso Si- racusa), mi era perfettamente noto: nello stesso modo che mi era noto che il prof. Meneghini diciassette anni or sono aveva già annunziata la presenza in grande estensione di tale forma- zione in Sardegna, e che egualmente del vero calcare del Leytha se ne incontra pure nelle isole di Corsica e di Malta, le quali nei loro rapporti naturali e geografici appartengono all’ Italia così bene come la Sicilia e la Sardegna. Per ciò che riguarda il prof. Capellini, io debbo solo aggiun- gere, come nel mio resoconto di viaggio geologico io abbia espressamente notato che, tanto il miocene di Rosignano e di Castellina Marittima, quanto in genere tutti i fatti da me ri- portati intorno a quella regione, erano al medesimo ben noti, essendomi io nella mia escursione esclusivamente guidato sulle indicazioni dallo stesso prof. Capellini ottenute. La seconda obbiezione del prof. Seguenza a me diretta con- siste nel rimproverarmi per aver io identificato il calcare mio- cenico di Castellina e di Rosignano col calcare concrezionato di Messina e di Gerace ; la quale identificazione supposta dal pro- fessor Seguenza sarebbe erronea. Alla quale obbiezione io debbo rispondere, che io non ho mai inteso di sostenere una cosa simile; ma che solo io ho annun- ziato nel mio resoconto di viaggio che il calcare di Castellina (non quello di Rosignano) fa ricordare molto il calcare concre- zionato di Messina e di Gerace: cioè a dire, che petrografica- mente il primo somiglia molto al secondo. Non ostante pretendo io di dichiarare in questa occasione — 48 — che io ritengo ad ogni modo che il calcare concrezionato di Mes- sina debba essere assegnato al miocene, perchè riposa comple- tamente conforme sulla melassa miocenica e discorda compieta- mente colle formazioni plioceniche che gli stanno sovrapposte, e non possiede fossili che richiedano il suo collocamento nel pliocene. Naturalmente io non intendo parlare qui altro che di quel calcare concrezionato che io stesso ho visto, e del quale ho dato nel mio lavoro descrizioni e figure. E ciò non esclude che in altri punti possano comparire consimili calcari anche nel plio- cene, come lo stesso prof. Seguenza dichiara, chè il calcare con- crezionato non costituisce un determinato piano geologico, ma invece si ripete colle stesse apparenze in piani geologici di età differente. Per quanto concerne il calcare concrezionato di Gerace io lo considero pure come miocenico, per esser anche in modo discor- dante ricoperto dalle formazioni plioceniche, quando anche nella sua giacitura, a differenza delle correlazioni di Messina, non si presentino strati miocenici ma bensì argille scagliose. Io sono adesso dell’ opinione che le marne grigie gessifere, le quali ovunque presso Gerace formano il sottofondo delle val- late, non appartengano al miocene, come io altra volta ho cre- duto,. ma che sieno delle vere argille scagliose; ed io ammetto che il prof. Seguenza avrebbe potuto rimproverarmi con molta maggior ragione di questo errore piuttostochè di tanti altri. Nel seguito della sua nota il prof. Seguenza viene anche a parlare del pliocene di Gerace. Se io ho ben capito il suo assunto, egli è dell’ opinione che presso Gerace appariscano due formazioni plioceniche materialmente diverse; delle quali la più antica che compone di per sè la collina di Gerace, e la più gio- vane che si stende oltre verso il mare comprendendo un piano ad orizzonte più profondo e che si appoggia discordante sulla prenominata più antica; ed egli mi rimprovera di non aver ri- conosciuta questa differenza, e che in genere io ho comparato in maniera erronea le formazioni plioceniche di Gerace con quelle di Messina, mentre le prime sarebbero molto più antiche. Io credo che il prof. Seguenza sia qui in grave errore. Gli strati pliocenici i quali s’ inoltrano maggiormente verso il mare — 49 — sono positivamente la continuazione diretta di quelli che for- mano la collina di Gerace, e la loro più profonda posizione, come r apparente discordanza di giacitura, è solo la conseguenza di un rovesciamento. Se finalmente il prof. Seguenza intende che le formazioni plioceniche di Gerace sieno più antiche di quelle di Messina, a me non resta che fare le seguenti osservazioni. Mentre io nel- r anno 1871 ritornava da Gerace a Messina, e comunicava al prof. Seguenza le fatte osservazioni, e a lui esibivo una piccola scelta di fossili raccolti, egli mi assicurò che le mie comunica- zioni erano sufficienti a convincerlo che le formazioni plioce- niche di Gerace erano corrispondenti a quelle di Messina, e che appunto le marne bianche corrispondevano al Zancleano, e che le sabbie ed il calcare a Briozoi corrispondevano all’ Astiano. Io ho trovato nelle mie ulteriori ricerche presso Messina che questo giudizio si è sempre confermato. Dovesse il prof. Seguenza farsi convinto per mezzo delle sue continue e precise ricerche che egli allora era in errore, così pur io non mi rifiuterei davanti a ragioni sufficienti ad accet- tare un miglior modo di vedere. Teodoro Fuchs, Custode delle Collezioni paleontologiche nell’ I. R. Gabinetto di Mineralogia hi Vienna. Per la traduzione dell’ originale tedesco, Dott. A. Manzoni. V. Strati a Gong cria, formazione OeningJiiana e piano del cal- care di Leitha nei Monti Livornesi., Nota del prof. G. Capellini.'' Dopo la pubblicazione della Memoria Sulla formazione ges- sosa di Castellina Marittima, avendo proseguito lo studio dei ter- reni terziari nella catena dei Monti Livornesi e nella Valle della ‘ Dal Rendiconto dell’ Accademia delle Scienze di Bologna. — Seduta del 19 novembre 1874. 4 Fine, anzitutto mi riesci di scoprire ivi pure gli strati a Con- geria nelle medesime condizioni di quelli già fatti conoscere presso la Farsica nella valle del Marmolaio. Guidato dalla stratigrafia e dai caratteri particolari di questo importante orizzonte geologico, nello scorso ottobre potei verifi- care la continuazione degli strati a Congeria a Lodolaia presso Paltratico in una proprietà del signor Lobin e a Pane e Vino presso il Gabbro. In entrambi i luoghi i modelli dei piccoli cardii e delle dreis- sene sono convertiti in limonite come alla Farsica ed anche le specie loro sono le stesse ; devo soltanto aggiungere che nelle marne di Lodolaia e Pane e Vino abbondano i cristalli di gesso e i fossili sono più scarsi che alla Farsica. Dopo gli strati a Congeria mi sono occupato del piano cor- rispondente al calcare di Leitha del bacino di Vienna, la cui esistenza in Italia già aveva sospettato fino dal 1868 benché allora non avessi colto esattamente nel segno. Dopo avere di bel nuovo esplorato lo stfato ad Ostrea cochlear delle vicinanze di Castellina Marittima, i calcari a nul- lipore e le altre roccie che vi si collegano., unitamente al cal- care di Rosignano ; seguendo lo sviluppo di queste roccie nei monti livornesi, presso Castelnuovo della Misericordia e a Pal- tratico trovai fossili così abbondanti e così ben conservati da poterne facilmente determinare le specie e risolvere il problema relativo alla fauna della panchina delle Badie, S. Dalmazio e altri luoghi ove si hanno soltanto modelli e impronte poco de- cifrabili. Finalmente non essendo persuaso che il giacimento delle fil- liti del Gabbro, delle quali aveva avuto il catalogo dal prof. Heer, potesse identificarsi col giacimento di Cerretello presso Castel- lina, visitai anche quella importante località e potei verificare che il giacimento principale delle filliti del Gabbro invece di essere costituito da marne a Cypris resulta in grandissima parte di schisti a diatomeé identici a quelli di Mondaino e di Sicilia ove tali roccie costituiscono la base della formazione gessosa. Questi schisti, che con vocabolo molto espressivo i minatori di Mondaino chiamano cartoni^ si separano in fogli sottilissimi, e fra essi stanno le numerose impronte di foglie, molluschi, pesci. 51 — Alla base di questa formazione si trovano strati marnosi con piromaca e connessi con questi vi hanno marne zeppe di im- pronte di Ervilia podolica e di altre bivalvi riferibili ai generi Lucina, Pecten, Modiola, per cui non riesce difficile di scorgere in queste marne il vero corrispondente delle marne a Ervilia del Sarmatiano inferiore del bacino di Vienna ; formazione semi- salmastra che serve di nesso fra la serie superiore degli schisti a diatomee (serie di Mondaino, inferiore alla serie di Sinigallia) ed il calcare di Castelnuovo e la melassa di Paltratico, pan- china delle Badie, Castellina, ecc., corrispondente al calcare di Leitha. Coordinando tutti questi elementi e tenendo conto dell’ or- dine con cui si incontrano nella Valle della Fine, si ha dall’ alto in basso la seguente importantissima serie che mi propongo di illustrare quanto prima con lavoro speciale. 1. Argille turchine plioceniche di tutta la Valle della Fine. IL Sabbie gialle marnose compatte, analoghe a quelle di Biosto, Mongardino, Siena; ma poco potenti. Valle della Fine presso Pane e Vino. III. Strati a Congeria a Lodolaia e Pane e Vino; con fauna identica a quella della Farsica, quindi analoga all’ altra del cal- care di Odessa. IV. Marne argillose con larve di Libellula, filliti, Lebias crassicaudus presso Pane e Vino ; serie analoga a quella di Cer- retello, quindi corrispondente alla formazione di Sinigallia, ossia all’ Oeninghiano superiore. V. Schisti a diatomee con filliti, pesci ec., del Gabbro; for- mazione identica a quella di Mondaino, ossia all’ Oeninghiano inferiore. VI. Schisti a diatomee con selce menilite del Gabbro. VII. Marne indurate con noccioli di piromaca del Gabbro. Vili. Marne a Ervilia del Gabbro, con imprante di bivalvi anche di altri generi; corrispondenti alle marne a Ervilia po- dolica alla base del Sarmatiano nel bacino di Vienna. IX. Melassa di Paltratico ; calcare di Castelnuovo, Rosi- gnano ec.; corrispondente del calcare di Leitha nel bacino di Vienna. 52 — VI. Le formazioni paleozoiche nelle Alpi Meridionali, Nota di G. Stache. (Estratto dai Verhandlungen der h. k. geolog. BeicTis., 1874, N. 14.) Questa seconda parte del mio lavoro sui terreni paleozoici delle Alpi Orientali/ che sarà pubblicata prossimamente, com- prende i dati raccolti in varie pubblicazioni ed i resultati di osservazioni eseguite direttamente sopra le formazioni paleozoiche che si estendono ad occidente del gruppo delle Alpi Carnicbe, ed offre i primi elementi per lo studio della stratigrafia e della costituzione geologica di questa zona. Sebbene mi sia stato possibile di esporre in queste conside- razioni, oltre alle osservazioni fatte nello scorso anno, ancora alcune altre fatte nei mesi di luglio, agosto e settembre di quest’ anno, non ebbi tempo però di aggiungervi le conclusioni, e più esatti schiarimenti alle singole osservazioni e le sezioni illustrative di questa zona del territorio paleozoico alpino. Nella parte successiva del mio lavoro, cioè la terza, che tratterà della zona più orientale o delle Alpi Giulie, avrò occasione di esami- nare in un capitolo di conclusioni l’ intiero distretto alpino me- ridionale e di presentare profili sopra le più importanti zone del medesimo. Le località della zona occidentale di cui ora è parola, e che constano in gran parte di strati e masse paleozoiche, sono : l'" La grande catena delle filladi quarzose della Pusterthal. 2” Le mon- tagne porfiriche del Tirolo meridionale. 3"* Il distretto di Cima d’ Asta con Val Sugana e Vali’ Alta Agordo. L’isola degli scisti di Eecoaro. 5° Il gruppo dell’ Adamello. 6^" Il gruppo prin- cipale della Valtellina. T II distretto del Monte Muffetto con la Val Trompia. Mi sembrano molto interessanti per lo studio della costitu- zione geologica e per lo sviluppo della serie stratigrafica delle * G. Stache, Die palàozoischeyi Gebicte der Ostalpen ; D Mittlerer oder karnischer Hauptzug. {Jahrbuch der k. k. geologischen Richsanstalt, B. XXIV, N. 2; Wien 1874). 53 Alpi Meridionali i seguenti resultati fondati sull’ esame di osser- vazioni antecedenti e di quelle ultimamente da me eseguite. 1° Gli strati del gruppo delle filladi gneissiche formano la base di tutta la zona occidentale, ma compariscono in modo di- stinto soltanto nelle rotture e negli spostamenti degli strati. 2° Lo sviluppo principale del granito orneblendico diversa- mente nominato da vari autori (Granitite, Sienite, Tonalite ec.), si ritrova con molta probabilità al limite del gruppo delle filladi gneissiche con quello delle filladi quarzose. 3° La massa principale delle filladi quarzose circonda a guisa di mantello le masse e le correnti granitiche torreggianti le une sulle altre in forma di cupole. Questa conformazione fu però in parte disturbata in una grande estensione e probabilmente per causa delle rotture per incurvamento degli strati, le quali ebbero per conseguenza uno sprofondamento di certe parti e quindi un più forte sollevamento della massa principale granitica formante r ossatura della montagna, e ciò in seguito a nuove fratture ed a cambiamenti meccanici di equilibrio nel sistema montuoso do- vuti ad ulteriori eruzioni di masse pluto-vulcaniche. 40 II gruppo delle filladi quarzose e il gruppo delle rocce porfiriche, (cioè i conglomerati rossi, le brecce, i tufi e le are- narie che sono connesse per origine colle masse porfiriche) sono i due principali complessi di rocce costituenti la zona occiden- tale, alla cui suddivisione potranno condurre specialmente ulte- riori studi. 5° Il primo gruppo contiene in particolar modo i rappre- sentanti della formazione più antica della Grauvacke e anche di orizzonti più antichi 0 presiluriani. Roccie del gruppo delle fil- ladi calcareo-argillose, come quelle che corrispondono al tipo delle pure grauvacche oppure sono loro molto affini, trovansi in mezzo alla serie potente delle filladi quarzose alle quali sono subordinate. Uno studio più dettagliato di questa zona farà co- noscere se esse vi si trovino solo come masse stratificate con- nesse colla formazione principale, 0 rappresentino forme locali di qualche orizzonte di filladi quarzose. 6® Il secondo gruppo abbraccia particolarmente gli equiva- lenti della formazione permiana, ma in basso colle sue più pro- fonde breccie quarzitiche e colle più antiche masse porfiriche — 54 — raggiunge probabilmente il periodo carbonifero superiore. Le oscillazioni di livello lungo le coste, che vengono dimostrate nella linea principale delle Alpi Gamiche dall -alternanza di strati a fauna marina con depositi del carbonifero superiore ricchi di piante terrestri, trovano una spiegazione nel principio dell’ atti- vità pluto-vulcanica nella zona dell’ antico golfo di Trento. 7° Nel territorio già occupato da questo golfo, durante il periodo dell’ attività eruttiva, il complesso dei depositi già for- matisi fu per conseguenza sconvolto e coperto sopra grandi esten- sioni. Che una volta esistessero in questo territorio strati più antichi, lo provano fra le altre le osservazioni di Giimbel sopra i frammenti di roccie carboniose inclusi nei porfidi di Bolzano, e alcune osservazioni sopra 1’ esistenza di frammenti inclusi di un calcare più antico nel porfido rosso delle vicinanze di Merano. 8° Verso 1’ alto sta il gruppo dei porfidi e dell’ arenaria rossa che , con graduati passaggi si connette col trias inferiore. L’ arenaria di Gròden, o piuttosto tutte quelle formazioni com- prese sotto questa denominazione, rappresentano diversi piani dal permiano fino al trias inferiore. Esse sono connesse in par- ticolar modo coi calcari neri e cogli scisti marnosi di Piccolein e Nombladè presso San Martino nella valle del Gader, che la Carta del Tirolo rappresenta in gran parte come calcare alpino inferiore e che da Richthofen, verso la loro parte superiore, fu- rono aggiunti ai suoi strati di Seiss ; essi sono da riguardarsi come appartenenti al permiano superiore o come membro in- termedio fra la formazione permiana e il trias, e sarebbero equi- valenti in parte al gruppo dello Zechstein, in parte all’ arenaria rossa triassica. 9° If complesso di strati calcarei ora rammentati, molto sviluppato nelle Alpi Meridionali, compreso fra gli strati più pro- fondi dell’ arenaria di Gròden e gli strati di Seiss, contiene nelle parti più alte dei passaggi alla fauna di questi ultimi strati con Fosid. darai e nelle più basse degli indizi di una nuova fauna mista permiana o permiano-triassica. Io credo che una quantità di forme che io trovai in una escursione fatta in compagnia del signor von Hauer allo scopo di fare ricerche sulla esistenza di una fauna più antica in questi calcari, si possono riferire assai bene a specie della formazione permiana. Unitamente al Belle- — 55 rophon sp., Falaechinus sp. (King), Spirifer sp., Turbo cf. Thom- sonianus King, Avicula cf. speluncaria Schlot. sp., Mytilus cf. Fallasi de Vern., vi sono alcune forme paleozoiche trovate da Hòrnes che accennano ad una tale fauna di passaggio. 10° La circostanza che anche nelle montagne della valle della Gail alla base del sistema triassico compaiono faune che differiscono da quelle finora conosciute dell’ orizzonte triassico inferiore, fa credere, dietro le suesposte osservazioni, che nelle Alpi Meridionali possano trovarsi faune di transizione che riem- piano i vacui attualmente esistenti tra la fauna marina della formazione carbonifera e di quella triassica. VII. La formazione permiana nelle Alpi Meridionali, Nota di G. Stache. (Estratto dai Verhandlungen der k. k. geolog. ReicTis., 1874, N. 15.) A conclusione delle notizie già pubblicate ‘ sopra 1’ esistenza della formazione permiana nelle Alpi Meridionali, V autore dà un breve cenno sulla estensione e sulla costituzione del com- plesso di strati che ivi si trovano tra il carbonifero superiore e il trias. Come importante appendice ai dati già pubblicati, mette in rilievo il resultato delle precedenti ricerche sui petrefatti tro- vati nel calcare bituminoso delle valli del Gader e delFAfferer. Sebbene in seguito ad una più copiosa raccolta di materiali e ad uno studio più esatto ne possa derivare una precisa e spe- cifica determinazione, nulladimeno si può fin d’ ora ritenere con una certa sicurezza questa fauna come permiana superiore. An- che i resti di una piccola fauna con nuove specie rinvenuta a Sud di San Martino negli strati a Bellerophon di questo gruppo in una escursione intrapresa per studiare questa zona calcarea, mostrano certi stretti rapporti colle forme permiane da mettere ‘ Ved. la nota precedente. 56 — fuori di dubbio la corrispondenza di questi strati e della sotto- stante arenaria di Grbden colla formazione permiana superiore; inoltre le precedenti ricerche di E,. Hoernes sui calcari fossiliferi raccolti nel complesso di strati già citato presso il piano a JBeì- leropJion (VerhandUtngen 1874, N. 14), dettero a questa opinione un nuovo appoggio. L’ autore constatò in questi calcari grigi che di prevalenza trovansi al Ruefenberg presso le sorgenti dell’Af- ferer, la presenza di Froductus, Ortliis e Spirifer e osservò che una parte di esse era molto analoga alle specie già conosciute della formazione permiana. La formazione permiana delle Alpi Meridionali, come può ri- levarsi dalle ricerche fatte fino al presente, sta in stretto legame col trias in alto e col carbonifero superiore in basso. Se nel complesso degli strati rossi di Werfen o più specialmente degli strati detti di Campii dal von Richthofen si può scorgere un equivalente del Fbth, allora è appunto nel complesso conosciuto col nome di arenaria di Groden che si comprendono tanto le arenarie variegate {Buntsandstein) quanto la parte superiore del permiano, ed un più esatto studio insegnerà di quanto l’una deve esser tenuta separata dall’ altra. Il carattere petrografico e paleontologico è oltracciò, tanto ad Est come ad Ovest, molto differente da quello della zona principale dei porfidi quarzitici permiani del Tirolo meridionale. Ad Ovest nella zona permiana del gruppo dell’ Adamello, della Val Trompia e delle Alpi bergamasche al Sud della Valtellina, prevalgono fino dalla epoca carbonifera le formazioni dei conglo- merati, delle arenarie e dei tufi con resti di piante terrestri e influenzate dalle eruzioni dei porfidi quarziferi. Nella parte più orientale (catena carnica) comincia il predominio delle formazioni calcaree e dolomitiche al limite della formazione carbonifera su- periore, e questo predominio si mantiene fino al trias inferiore. Soltanto in alcuni punti, come in special modo nella zona com- presa tra la Gail e la Brava, prende anche qui un grande svi- luppo la formazione dell’arenaria rossa. A maggior prossimità a Nord e ad Est della zona dei porfidi quarzitici, come ad esem- pio nel tratto compreso tra la valle di Sexten e la zona delle valli del Gader, dell’ Afferer e di Groden il carattere petrografico cambia affatto; alla formazione arenacea si sostituiscono degli — 57 — strati calcarei che compariscono appunto nel piano più alto del sistema permiano. Una disposizione analoga sembra aver luogo in molti punti del limite Est, Sud ed Ovest della zona delle fil- ladi quarzose dei monti di Cima d’Asta, e si osserva anche nei dintorni della valle di Ulten al Sud di Merano uno stretto le- game degli strati calcarei colla arenaria rossa permiana. Dappoiché le ricerche di dettaglio nella zona della forma- zione permiana alpina, come pure la raccolta dei fossili carat- teristici animali e vegetali trovansi ancora nei loro primordii, così r autore spera con lavori successivi di poter stabilire una com- parazione e un parallelismo tra questa e le formazioni permiane della Kussia, della Germania, dell’ Inghilterra, dell’ America, ec. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. JuLES Brune AUT, ing. Ci vii. — De VExploitation des Soufres. Paris 1874. Questo libro è specialmente dedicato all’ Italia, dappoiché essa possiede i più grandi e più ricchi giacimenti di solfo conosciuti al presente, potendosi asserire senza tema di errare, essere essa r unica produttrice di questo importante metalloide. Scopo pre- cipuo dell’Autore é stato quello di dimostrare che l’ industria del solfo in Italia produce una parte ben meschina del frutto di cui é suscettibile, e che la causa principale di ciò sta nel difetto di una legge che ne determini l’ incremento. Incomincia infatti col citare le diverse legislazioni minera- rie che vigevano coi cessati governi, enumera i vantaggi e i danni da esse arrecati alla industria mineraria in generale, e viene alla conseguenza che la legge Sarda del 1859 é la mi- gliore ed é la sola che possa dare maggiore sviluppo alla indu- stria solfifera della Sicilia. A tal fine fa vedere quanto siasi accresciuta la produzione nelle Romagne dal 1868 al 1871, ove é in vigore la legge Sarda, e di quanto é diminuita in Sicilia nello stesso periodo di tempo per il difetto di una legislazione. — 58 — Viene quindi a fare la descrizione topografica e geologica dei giacimenti solfiferi, ed incomincia con una breve discussione sulla formazione dei terreni italiani. Descrive in prima il bacino solfi- fero di Apt nel dipartimento di Val chiusa in Francia, il quale è in via d’ esplorazione e sembra offrire buone speranze. Parla poi della zona solfifera delle Komagne e la illustra con diversi profili geologici : quindi scende alla Toscana, accenna brevemente al bacino solfifero romano ed alla formazione vulcanica che si estende dal Monte Amiata al Vulture, e poi entra a discorrere dei principali giacimenti solfiferi italiani, quelli cioè della Sicilia. Dopo di ciò fa una breve storia della lavorazione delle mi- niere in Italia, e descrive i mezzi impiegati attualmente per la coltivazione del solfo in Sicilia, nelle Romagne e in Vaichiusa. Mette a nudo gli inconvenienti che si verificano specialmente in Sicilia per la mancanza di viabilità, per V inerzia degli operai e per la poca abilità dei preposti alla lavorazione. Parla del modo con cui sono esercitate le miniere del solfo, riguardo alla esca- vazione ed estrazione dall’ interno della miniera, come anche ri- guardo alla aereazione di esse e al trasporto del minerale ai luoghi di deposito. Dimostra che i mezzi adottati allo stesso scopo nelle Romagne sono relativamente molto migliori. Viene poi a dare delle speciali descrizioni minutamente par- ticolareggiate di alcune lavorazioni solfifere ed incomincia dalla Sicilia. Dice che nelle provincie di Catania e Caltanissetta so- pra 457 miniere constatate, solamente 70 sono coltivate. Nelle provincie di Trapani, Girgenti e Palermo sono 563 constatate, delle quali 67 sono abbandonate e 150 poco lavorate. Anche nelle Romagne, di 35 giacimenti solfiferi, soli 17 sono attualmente lavorati essendo gli altri abbandonati per cause diverse. Come conclusione dei suoi studi, 1’ Autore espone alcune con- siderazioni generali sui sistemi da adottarsi per ottenere un mi- glioramento nella coltivazione delle miniere di solfo. Ritorna nuo- vamente sulla necessità di una buona legislazione mineraria che tuteli gli interessi nazionali : dimostra P utilità delle scuole minerarie e propone i mezzi migliori sia per la lavorazione in- terna, sia per i trasporti alla superficie. L’ ultima parte di questo lavoro è dedicata al trattamento del minerale di solfo. In essa sono descritti gli antichi sistemi di — 59 - estrazione del solfo dalla sua roccia in uso anche oggidì (calcarella e calcarone)^ ne sono rappresentati gli inconvenienti e sono discussi metodi nuovi, alcuni fondati sull’ impiego del calore di contatto per la liquefazione del solfo, altri sull’ applicazione al medesimo oggetto del vapore d’ acqua, altri finalmente sullo impiego del solfuro di carbonio. Presenta infine un progetto di fabbricazione dell’ acido solforico e del solfato e carbonato di soda, il quale crede incontrerebbe poche difficoltà in Sicilia; e dimostra che l’Italia, la quale fornisce così abbondante quantità di solfo, potrebbe emanciparsi dalle altre nazioni per 1’ acquisto dei pro- dotti che da esso derivano. CENNO NEGROLOGICO. Annunziamo con dolore la morte dell’ illustre geologo G. B. G. d’ Omalius d’ Hallot avvenuta, dopo lunga e dolorosa malattia, a Bruxelles il 15 gennaio 1875. Egli era nato a Liegi il 16 febbraio 1783. Fu Senatore, membro dell’ Accademia Beale del Belgio, della quale fu pre- sidente nel 1850, corrispondente dell’ Istituto di Francia e membro della Società Geologica di Parigi: pubblicò un gran numero di lavori scientifici, fra i quali citeremo i seguenti 1831. Eléments de géoìogie. 1833. Introduction à la geologie. 1841. JDes rocìies considérées minéralogiquement. 1843. Précis élémentaire de géoìogie. 1853. Abrégé de géoìogie. oltre a molte Memorie inserite nei periodici scientifici della Francia e del Belgio. ^ 60 — Bibliografia mineralogica, geologica e paleontologica della Toscana. (Continuazione. — Vedi Bollettino 1874, N. 11-12.) in. Paleontologia. In questa terza parte si comprendono tanto gli scritti di Pa- leozoologia e Paleoetnologia che di Paleofitologia. Alberti Luigi. Sopra alcuni fossili donati all’ Accademia Yaldarnese. — V. Meni. Vàldarnesi, tom. Ili, pag. 9. Pisa, 1842. Appelius F. L. Catalogo delle Conchiglie fossili del Livornese desunto dalle collezioni del defunto G. B. Caterini. — Y. Boll. Malacolog.., tom. III. Pisa, 1870. Baldassari Giuseppe. Descrizione di una mascella fossile straordinaria trovata nel territorio Sanese. — Y. Att. Acc. Fisiocrit, tom. Ili, pag. 243. Siena 1767. Brocchi G. B. Conchigliologia fossile subappennina ed osservazioni geo- logiche sugli Appennini e sul suolo adiacente. Milano, 1814, ri- stampa, 1843. Caluri Francesco. Osservazioni sopra una conchiglia fossile non alterata creduta di un nuovo genere, ritrovata dentro un’ altra conchiglia fossile non alterata della campagna senese. — Y. Att. Acc. Fisiocr,, tom. ni, pag. 262. Siena, 1767. Cantraine F. Malacologie méditerranéenne et des terrains tertiaires italiens. — Y. Nuov. Meni, de VAc. r. d. Se. et bell. ìettr., tom. XIII. 1840. Capellini Giovanni. Sulla Balena etnisca. — Y. Acc. Ist. Se. Bologna ser. 3, tom. III. Bologna, 1873. Fossili dei dintorni di Porretta. — Y. Boll. Coniit. geol. Ital. N. 7-8, 1874, pag. 248. Cocchi Igino. Sulla supposta antichità delie società umane nella Italia centrale. Firenze, 1864. Lettere su di un sepolcreto umano scoperto in Firenze. — Y. gior- nale La Nazione N. 148 e 153. Firenze, 1864. Di alcuni resti umani e degli oggetti di umana industria dei tempi preistorici raccolti in Toscana. — ■ Y. Meni. Soc. ital. Se. Nat., tom. I, N. 7. Milano, 1865. L’uomo fossile nell’ Italia centrale. — Y. Bleni. Soc. ital. Se. Natur., tom. II, N. 7. Milano, 1867. Su due scimmie fossili italiane. — Y. Boll. Comit. geol. Ital. nu- mero 3-4. 1872. * Nel giornale La Nazione di Firenze, del 27 febbraio 1872, parla delle scimmie fossili di Monte Bamboli e Val d’Arno Superiore. 61 Cocchi Igino. Catalogo N. 1 della collezione centrale italiana di Paleonto- logia. — Raccolta di oggetti dei tempi preistorici. Firenze, 1872. D’Achìardi Antonio. Di alcune caverne e brecce ossifere dei monti Pi- sani. — Y. Nuovo Cimento, voi. XXV, pag. 305. Pisa, 1867. Della Grotta ali’ Onde nel Monte Matanna (Alpi Apuane). — V. Nuovo Cimento, voi. XXVI, pag. 32. Pisa, 1867. Sulla probabile esistenza di resti di antichissime industrie umane nella così detta terra gialla di Siena. — V. Boll. Comit. geol. Ital., X. 11-12. Firenze, 1872. Dami G. B. Sul Museo dell’Accademia Valdarnese e sugli oggetti ivi depositati fino dall’ anno 1845. — V. Mem. Valdarnesi, tom. IV, parte scient. pag. 18. Pisa, 1855. D’ Ancona Cesare. Sulle Xeritine fossili dei terreni terziari superiori dell’ Italia centrale. — V. Bull. Malacol. Italiano, An. II, X. 2. Pisa, 1869. Malacologia pliocenica italiana. — V. Mem. Comit. geol. Italiano voi. 1 e voi. II. 1871-73. Davidson Thomas. On Italian tertiary Brachiopoda. London, 1870. De Saussure ^ De Stefani Carlo. Fossili pliocenici dei dintorni di S. Miniato; mollu- schi bivalvi ed univalvi. — V. Bollettino Malac. It. Pisa 1873. Foresi Raffaele. Prodotti dell’ industria primitiva dell’ uomo all’ isola d’ Elba. — V. giornale II Diritto del 24 agosto 1865. Dell’ età della pietra all’ isola d’ Elba e di altre cose, che le fanno accompagnatura. Lettera al prof. Cocchi. Firenze, 1865. Sopra una collezione composta di oggetti preistorici trovati nel- l’ isole dell’ Arcipelago Toscano e inviati alla mostra universale di Parigi del 1867. Lettera a L. Simonin. Firenze, 1867. Friger. — V. Saemann. Gastaldi Bartolommeo. Intorno ad alcuni fossili della Toscana e del Pie- monte. — Mem. Ac. Se. Torino. Torino, 1865. Gaudin Charles. Xote sur quelques emprumptes végétales des terrains supérieurs de la Toscane. — Bull. Soc. Vaudoise de Se. Natur., X. 41. Lausanne, 1857. Gaudin Ch. e Strozzi G. Mémoire sur quelques gisements de feuilles de la Toscane. Zurich, 1858. Contribution à la flore fossile italieiine. I Val d’ Arno, Zurich, 1859. II Massa Marittima, Zurich, 1859. Ili Travertin^hoscans, Zurich, 1860. Gervais Paul. Coup d’oeil sur les mammifères fossiles de l’Italie, suivi de la déscription d’une éspèce nouvelle provenante des lignites de Monte Bamboli. — V. Bull. Soc. geol. France, ser. 2, tom. XXIX, pag. 92. Paris, 1872. Sur un singe fossile d’éspèce non encore décrite, qui a été de- scrisse sull’ Elba, ma non so che cosa, nè dove. 1 - 62 couverte au Monte Bamboli. — V. Compt. rend. Ac. Se., tom. LXXIY 6 mai, 1872. Paris. Giuli Giuseppe. Sopra il cavallo fossile gigante, 1835. Lawley Roberto. Sopra i resti fossili di pesci trovati ad Orciano. — V. Mem. Soc. tose. Se. nat., 31 maggio 1874. Pisa, 1875. Major C. J. Note sur des singes fossiles trouvés en Italie, précedée d^un apergu sur les quadrumanes fossiles en général, Milan 1872. La faune des vértebrés de Monte Bamboli. — Y. AU. Soc. Itàl. Se. Natur., voi. XY, fase. lY. 1873. Bémarques sur quelques mammifères post-tertiaires de l’Italie, suivies de considérations générales sur la faune de Mammifères postertiaires. — Y, Att. Soc. ital. Se. Natur., voi. XY, fase. Y. 1873. Ueber fossile Rhinoceros-arten Italiens. — Y. Verhandlungen d. h. le. geol. BeicJis., 20 jan. 1874. Sopra alcuni Rinoceronti fossili in Italia, — Y. Boll. Comit. geol. Ital, N. 3-4. 1874. Considerazioni sulla fauna dei Mammiferi pliocenici e postplio- cenici della Toscana. — Y. Mem. Soc. tose. Se. Natur., maggio 1874. Pisa, 1875. Manzoni Angelo. Saggio di Concbiologia fossile subappennina.^ Fauna delle sabbie gialle. Imola, 1868. Briozoi fossili italiani. — Y. Sitsh. d. le. Ale. d. Wissenscìi. Bd. LIX. Wien, 1869. Manzoni Angelo e Gentiluomo Cammillo. Annotazioni al saggio di Con- cbigliologia fossile subappennina. Fauna delle sabbie gialle. — Y. Boll, malacol. Ital, voi. III, N. 1, pag. 24. Pisa, 1870. Martini Francesco. Ragguaglio sull’ escavazione dei fossili della pro- vincia Yaldarnese. — Y. Mem. valdarnesi, tom. Ili, parte 2. pag. 1. Pisa, 1842. Meneghini e Savi. Nuovi fossili del Yerrucano, Pisa, 1851. Meneghini Giuseppe. Nuovi fossili toscani. — Y. Ann. Univers. toscane, tom. III. Pisa, 1853. Notice of thè recent advances of Palaeontological discovery in Tuscany. — Y. The report ofthe Brit. Assoc. avanc. Se. Dublin, 1857. Descrizione dei resti di due fiere trovate nelle Ligniti mioceniche di Monte Bamboli. — Y. Att. Soc. ital. Se. Natur., voi. lY. Milano, 1862. Dentex Mùnsteri, specie di pesce delle argille subappenniniche del Yolterrano. — Y. Ann. Università tose., tom. YIII. Pisa, 1864. Mitra Caterinii. Nuova specie di Conchiglia. Livorno, 1868. Studi sugli Echinodermi fossili neogenici di Toscana. — A. Siena e il suo territorio. Siena, 1862. {Continua.) ‘ Sono segnatamente rammentate le conchiglie fossili di Vallebbiaja presso Fauglia (provincia di Pisa). (Continuazione.) Memorie per servire alla descrizione della Carta teologica d’Italia. — Volume II, Parte P; Firenze 1873. — 272 pa- gine in-4° con 11 tavole, due Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione. — Monografia geologica dell’ Isola d’ Ischia, con la Carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel testo, del professor C. W. C. Fuchs. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvetica, con una Carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’in- gegnere F. Giordano. — Appendice alla Memoria sulla for- mazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, con una tavola, dell’ ingegnere S. Mottura. — Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifonostomi) ; fascicolo 2“, con otto tavole, di C. D’ Ancona. Prezzo del Voi. IT (Parte P), Lire 25. Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000, di F. Giordano. — Un foglio in cro- molitografia L. 5. — Carta Geologica dell’Isola d’IscMa, nella scala di 1 per 25,000 di C. W. C. Fuchs. — Un foglio in cromolitografia L. 3. — Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’ Italia. — Voi. II, Parte 2^; Firenze 1874. — 68 pag. in 4® con due tavole. — Contiene la seguente Memoria : B. Ga- staldi, Studii geologici sulle Alpi Occidentali; Parte T. Prezzo del Voi. IF (Parte 2^), Lire 5. Per le commissioni dirigersi al Segretario del E. Co- mitato Greologico, in Eoma presso il Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Annunzi di pubblicazioni. C. Marinoni. — La terraraara di Eegona di Seniga e le sta- zioni preistoriclie ai coniìuente del Mella nell’ Oglio nella bassa bresciana. — Milano 1874. — Atti della So- cietà Italiana di Scienze Naturali, voi. 17, fase. 2^ — Pag. 78 in-8‘' con 5 tavole. P. Strobel. — Intorno all’ origine delle Terreraare. — Firen- ze 1874. — Archivio per la Antropologia e la Etnologia, voi. IV, fase. 3 e 4. — Pag. 9 in-8°. P. Mantovani. — Descrizione geologica della Campagna Ro- mana.— Torino 1874. — Pag. 116 in-8'’ con 4 tavole e la Carta geologica. G. Jervis. — I tesori sotterranei dell’ Italia ; Parte 2^, Re- gione deir Apennino e vulcani attivi e spenti dipendentivi. — Torino 1874. — Pag. 624 in-8'’ con tavole. E. Paglia. — Vaili salse di Sermide nel Mantovano. — Mila- no 1874. — Atti della Società Italiana di Scienze Naturali, voi. 17, fase. 2”. — ^Pag. 30 in-8^ M. S. De Rossi. — Rnllettino del Vulcanismo- italiano, perio- dico geologico ed archeologico. — Anno I, Roma 1874, pag. 192 in-8° con tavole. A. Favaro. — Intorno ai mezzi usati dagli antichi per atte- nuare le disastrose conseguenze dei terremoti. — Vene- zia-1874. — Pag. 138 10-8". G. Spezia. — Intorno ad un calcilìro della zona delle pietre verdi. — Torino 1875 (pag. 14 in-4'' con una tavola colorata). T. Bertelli. — Osservazioni microslsmiche fatte al Collegio alla Querce presso Firenze nell’ anno meteorico 1873. — Roma 1874 (pag. 40 in-4'’ con una tavola). G. Mazzetti. Catalogo dei fossili miocenici e pliocenici del Modenese e suoi contorni. — Modena 1874. (Annnario della Società dei Naturalisti di Modena.) — Pag. 27 in-8“. C. De Stefani. — I terreni subapennini dei dintorni di San Miniato al Tedesco. — Pisa 1875, pag. 19 in-8‘’. M. S. De Rossi. — Analisi dei tre maggiori terremoti ita- liani avvenuti nel 1874 in ordine specialmente alle fratture del suolo. — Roma 1875, pag. 76 in-4°. 51.» 3 c 4. Anno ìm R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° 3 e 4. Marzo e Aprile 1875. ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1875 OOÌ^< Bollettino Geologico per il 1870. — Un voi. in-8° di pag. 324. » » PER IL 1871. — Un voi. in-8° di pag. 296. » » PER IL 1872. — Un voi. in-8° di pag. 376. » » PER IL 1873. — Un voi. in-8° di pag. 400. » » PER IL 1874. — Un voi. in-8° di pag. 408. Prezzo di ciascun volume L. 10. Associazione al Bollettino del 1875 (Anno VP). — Per r Italia L. 8, Estero L. 10. I fascicoli bimestrali del Bollettino si vendono anche se- paratamente al prezzo di L. 2 ciascuno. Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’Italia. — Volume F; Firenze 1871. — 404 pagine in-4° con 23 tavole, due Carte geologiche e varie incisioni inter- calate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui mine- rali delle valli di Lanzo, di G. Strììver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con quattro tavole. — Descrizione geologica dell’ Isola d’ Elba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifo- nostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo l'’, con sette tavole. Prezzo del Voi. 1% Lire 35. Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati Geo- logici e sul B. Comitato Geologico d’Italia, di I. Cocchi. — Pag. 34 in-4° . . L. 1. 50 Carta Geologica della parte orientale dell’ Isola d’Elba, nella scala di 1 per 50,000, di I. Coc- chi. — Un foglio in cromolitografia L. 3. 00 {Continua). BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. K® 3 e 4. — Marzo e Aprile 1815. SOMMAEIO. Note geologiche. — I. Sulle rocce impastate entro al Serpentino, per U. Botti. — IL Considerazioni stratigraflche sopra le rocce più antiche delle Alpi Apuane e del Monte Pisano, per C. De Stefani. (Continuazione e fine.)— III. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica dell’ Italia Meridionale, per G. Seguenza. (Continuazione.) — IV. Sulla Relazione di un viaggio geo- logico in Italia di T. Fuchs, per G. Sequenza. — V. Sulla formazione della Terra Rossa, per M. Neumayr. Note mineralogiche, — I. Scoperta di minerali d’ argento in Sardegna, per E. Marchese. — li. Un nuovo giacimento di Allumite, per A. De Lasaulx. Notizie bibliografiche. — Ed. Suess, Die Erdbeben des sudlichen Italien ; VVien, 1874. Notizie diverse. — Terremoti presso l’Etna dal 7 al 20 gennaio 1875.— Analisi della meteorite di Orvinio. — Studii sui terreni terziari d’ Italia. — Giacimenti boraciferi nell’America settentrionale. Cenno necrologico. — Sir Carlo Lyell. Bibliografia mineralogica, geologica e paleontologica della Toscana, per A. D’Achiardi. (Continuazione e fine.) Tavole ed incisioni. — Sezione presa nei dintorni di Pontremoli, a pag. 71. Dichiarazione. Avviso. NOTE GEOLOGICHE. I. Sulle rocce impastate entro al Serpentino, Nota di U. Botti. Nell’ ultima Memoria del professor Bartolomeo Gastaldi sulle Alpi Occidentali, recentemente pubblicata dal E. Comitato Geo- logico del Eegno, si legge un paragrafo del seguente tenore: « Io non ebbi mai occasione di osservare detriti di altre rocce » impastati, inglobati entro al serpentino; vidi tuttavia citato - 68 4| » questo fatto in un libro di geologia, e desiderava quindi di » potermi imbattere in qualche cosa di simile. Percorrendo l’estate » scorsa la valle della Trebbia, mi trovai, senza che me ne fossi )) accorto, seduto sopra una massa di serpentino diallagico rac- » chiudente frammenti di alberese, di ftanite, di scisto argil- » loso, ec. Lieto di poter soddisfare il mio desiderio, io mi posi » ad esaminare attentamente la roccia, e dovetti convincermi » eh’ io mi trovava seduto sopra una brecciola, una specie di » talus di cui i detriti vedevansi perfettamente cementati e come )) rimpastati. E una roccia rigenerata, ed è tuttavia attraversata » in più di un senso da vene di crisotilo. ‘ » Il carattere di singolarità, od almeno di non ordinaria fre- quenza, attribuito dal chiarissimo Autore al descritto fenomeno (rocce straniere impastate dal serpentino), mi portò naturalmente a riflettere, se per caso non mi fosse avvenuto di osservare in qualche parte alcun fatto somigliante, e non tardai a ricordarmi di avere infatti studiata una vera breccia o conglomerato ser- pentinoso, presso a Pontremoli, in Lunigiana. Per la stessa ra- gione della non ordinaria frequenza di questo fenomeno, io penso che non sia per riuscire sgradito all’ illustre geologo e mio ve- nerato amico sopra lodato, non che ai lettori di questo BolleU tino in generale, che io porga qui notizia di un fatto, che torna a conferma di quanto Egli stesso, più autorevole osservatore, ebbe già a veriflcare e descrivere. Essendo ormai trascorso poco meno di un decennio da che lasciai la residenza di Pontremoli, dove feci i miei primi studi di geologia, or non mi affido di compilarne una relazione a me- moria; ma, ricercando fra le note di studio che prendeva in quel tempo per ogni giornata di escursione in campagna, una ne trovo che riassume completamente le osservazioni e riflessioni occasio- nate da quel fenomeno, che aveva ripetutamente studiato, aven- domi fino d’ allora colpito ed interessato ; e mi permetterò di qui trascrivere la detta nota, tale quale è concepita, se anche do- vesse notarvisi qualche improprietà di linguaggio o di nomen- '■ B. CtASTALDI, Studi geologici sìdle Alpi Occidentali, parte seconda. Me- morie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’ Italia, pubblicate a cura del R. Comitato Geologico del Regno, voi. II, parte seconda, pag. 51. Firenze, tip. G. Barbèra, 1874. — 69 datura, pur di non spogliarla della sua originaria freschezza, comecché redatta, quasi direi, sul posto ed in presenza del fe- nomeno osservato. Gita, 13 luglio 1865. — Roccie eruttive di Canal d^ Angiolo e La Costa, presso Pontremoli. « Le rinnuovate e più diligenti indagini, varie volte eseguite su questo terreno cristallino, mi hanno stamane convinto che tre ripetuti sollevamenti hanno quivi sconvolto le rocce sedimen- tari del periodo cretaceo, che in fatti si vedono in ogni senso sollevate e contorte. » Nella parte bassa della valle vi ha una roccia quarzosa, con pochi grani di mica verde o clorite, che chiamerò Jalomitto. » Ivi ancora, un conglomerato a cemento granitico rivela una eruzione di Granito, sebbene questa roccia compatta non mi venne fatto di osservare. Ciottoli di jalomitto vi sono inclusi, con altri, e dal granito cementati. » In alto, sulla Costa, si osserva una roccia decisamente ser- pentinosa, che può chiamarsi un Gabbro. Forma talvolta un con- glomerato e ne fan parte ciottoli vari, fra i quali di jalomitto, di granito alterato e del conglomerato granitico. Evidentemente è la più recente. » Considerato bene questo stato di cose ed i reciproci rapporti delle rocce eruttive sopra nominate, non si può a meno di am- mettere i seguenti fatti così disposti nel loro ordine cronologico : I. — Eruzione di Jalomitto, con metamorfismo delle rocce sedimentari ed arenacee che vi furono interessate e che vedonsi prendere nel contatto un aspetto leggermente cristallino ed es- sere penetrate da grani verdi, i quali mineralogicamente ne sta- biliscono il rapporto col fenomeno eruttivo. IL — Eruzione di Granito, composto dei suoi più comuni ele- menti, feldispato, quarzo e mica. Questo fenomeno dette luogo ad un rimaneggiamento delle rocce preesistenti, e ne risultò un conglomerato di frizione, che osservasi meglio sviluppato presso Casa Arzeni. » A questa od alla precedente eruzione può attribuirsi la silicizzazione dei scisti galestrini e loro calcari, che vedonsi can- giati in bellissime ftaniti verdognole. — To- ni. — Eruzione di Serpentina^ od almeno di gaz magnesiaci atti a produrre questo fenomeno, che i moderni considerano di metamorfismo. Ne risultarono grandi masse di gabbro, e di con- glomerato includente ogni sorta di rocce, comprese le antecedenti. » Con questa nota io credo di aver dato la sintesi di tutto quanto mi venne fatto di notare con ripetute osservazioni e di concludere intorno al descritto fenomeno, e così credo di aver detto tutto. Ma altri vorrà forse sapere, in qual relazione si trovi il conglomerato serpentinoso con le rocce stratificate, ed 10 m’ingegnerò di appagare questo desiderio fin dove la me- moria e poche note che ne posseggo, mi aiutino. La piccola città di Pontremoli è costruita, nella sua parte più antica, sul delta, formato dalla confluenza della Magra e del Verde, due grossi torrenti che scendono romoreggiando da Monte Tavola e da Monte Gotra, due quasi opposti vertici, a nord-est e ad ovest, nel grande arco di cerchio della catena apenninica, che ricinge e chiude da ovest per nord ad est, T alta valle della Magra, e questo primo bacino di quel fiume o torrente. Quivi 11 Verde perde il suo nome versando le sue acque nella Magra, sulla cui sinistra sponda succede il sobborgo, o la più moderna parte della città di Pontremoli. Il non ampio bacino è tutto ricinto da monti, e specialmente ad oriente, sulla sinistra appunto del fiume, si distende, affatto appresso alla città, una collina allungata, denominata La Costa. Al di là di questa si ripetono altre parallele consimili colline, con interposte piccole valli, solcate da somiglianti torrentelli, chiamati "canali o rii, e così, per breve tratto, si giunge al piede della catena centrale apenninica, la quale presenta quivi, nel- P orrido fianco di Monte Orsajo, una gigantesca frattura di ster- minata altezza, almeno un migliaio di metri, davanti alla quale si può ad un tempo vedere, con paradossale prossimità, coltivato in basso P ulivo, in alto rigoglioso vegetare il faggio. Le formazioni geologiche di questo territorio potrebbero pren- dersi a tipo del terreno Etrurio del Pilla, perocché quasi esclu- sivamente vi prevalgano il macigno e P alberese coi loro Fucoidi del terreno eocenico, gli scisti galestrini e la pietra-forte coi Nemertiliti del cretaceo superiore. — 71 Una sola eccezione si verifica nel territorio oltre Magra, dove la valle di altro grosso torrente, che porta il nome di Gordana, procedente da ovest ad est, e per conseguenza approssimativa- mente normale a quella della Magra, oltre alla sua bellezza sel- vaggia, offre nuovo interesse al geologo per la presenza di rocce più antiche. Quivi, dopo avere oltrepassato i così detti Stretti di Giaredo, rinomati così pel fantastico orrore del paesaggio, come pel bellissimo diaspro zonato, prodotto da intenso meta- morfismo negli scisti e calcari della formazione cretacea, si scende appresso sopra un calcare ceroide con selce, stratificato in grandi masse, nel quale ricordo aver raccolto Aptichi e Belemniti, da doverlo riferire al periodo giurassico, e più precisamente alla Majolica inferiore di Lombardia.^ Ma, ritornando alla riva sinistra della Magra e più partico- larmente alla Costa, io posso dire che questa e le altre colline che le succedono parallele verso oriente sono costituite princi- palmente da alternanze di scisti galestrini e di sottili stratarelli di pietra forte, con caratteristici fucoidi e nemertiliti,^ e da più massicce stratificazioni di calcare scistoso-marnoso. ^ La qui unita sezione potrà meglio darne una idea: a se c se e q c es a, alluvione — se, scisti con pietra -forte — c, calcare scistoso-marnoso q, quarzite — ce, conglomerato serpentinoso. * Avendo fatto dono di questi fossili al R. Museo di Firenze, gli stessi furono ivi determinati da Zittel e riferiti al piano Titonico. Per quante ricerche ne abbia fatte, io non posso ora ritrovare queste determinazioni, delle quali ben ricordo aver preso nota trovandomi qualche tempo appresso al Museo fiorentino, sulla comunicazione che l’egregio prof. Cesare D’Ancona cortesemente me ne dava. “ Nemertilites meandri tes Mgh. » Strozza » ® Coeehi. — Sulla geologia deir alta Val di Magra, Memorie della Società Italiana di Scienze Naturali, tomo II, n» 5, pag. 9. - 72 — Chi volesse percorrere la linea rappresentata da questo ta- glio, a partire dalla sinistra sponda della Magra, incontrerebbe dapprima, per brevissimo tratto, un deposito di alluvione mo- derna, ma passerebbe tosto, al Rio Carpanella, sulla formazione dei scisti galestrini con subordinati piccoli strati di pietra-forte. A questa sovrasta una massa di calcare scistoso-marnoso, a strati inversamente inclinati nei due versanti della Costa. Per conse- guenza di questa inclinazione a sella rovescia, si ritrovano, di- scendendo lungo il versante orientale, i medesimi scisti e pietra- forte, già descritti nell’ opposto versante, per trovare appresso, dopo oltrepassato il Canal d’ Angiolo, ripetuta la formazione di calcare scistoso-marnoso, che si inalza con strati inclinati 0. 45“ fino sull’ anticlinale successivo. Quivi si può oservare, presso ad una casa colonica del dottor Venturini, denominata El Guvel, una formazione complessa di quarzite scistosa, calcare scistoso marnoso ed argilla ferruginosa, più volte fra loro alternanti, gia- cente concordantemente tra la formazione calcarea sopradescritta, che la ricuopre, ed altra somigliante, che inferiormente le suc- cede. Con questa si discende ad oriente nel Rio di Pala o di Calizzana, il cui fondo è occupato dal conglomerato serpentinoso superiormente descritto, in masse piuttosto ragguardevoli. Le altre colline e vallecole, coi loro ruscelli o torrentelli, che si alternano fino a Monte Orsajo, presentano presso a poco le stesse condizioni stratigrafiche e mineralogiche. Il conglomerato si vede quasi sempre nel fondo di quelle piccole valli, denudato dalla erosione del torrente, ma talvolta ancora lo si trova affio- rare lungo i fianchi delle colline, e se la sezione sopra delineata fosse stata presa qualche centinaio di metri più a nord, si ve- drebbe il conglomerato serpentinoso occupare il fondo del Canal d’ Angiolo ed affiorare nel fianco orientale della Costa, ed in un punto anche nell’ anticlinale della stessa. Similmente si osserva lo stesso conglomerato nell’ anticlinale interposto fra Canal d’ Angiolo e Rio di Calizzana, di fronte al podere Arzeni ad est, come ad ovest nella valle del Rio Carpa- nella, presso al podere Eschini, ed in varie altre località; in guisa che può affermarsi in conclusione: Che il fenomeno dell’ impasto di rocce straniere entro un conglomerato a cemento serpentinoso è largamente sviluppato in quella regione, presso a Pontremoli, che può dirsi circoscritta entro i lati di un triangolo, formato dai corsi d’ acqua Magra e Capria ed il monte o altipiano di Logarghena, massiccio contraf- forte deir Orsajo che si inoltra in direzione di est-ovest. Non intèndo con questo di affermare che tutte quelle masse di breccia o conglomerato sieno mineralogicamente identiche, anzi ben ricordo che in qualche punto sembrano agglutinate per ce- mento ferruginoso, altrove per cemento calcareo ; ma le uniformi condizioni di giacimento e di rapporti stratigrafici avendomi por- tato a considerarle in complesso, ho quindi inteso di darne i ca- ratteri generali, nè ora mi è concesso, per soverchia lontananza dai luoghi, di studiarne e riferirne i particolari dettagli. Io non ebbi d’ altronde con questa nota altro intento che quello di denunziare un fatto, e di richiamare sullo stesso V at- tenzione di chi possa avere migliore opportunità di studiarlo. II. Considerazioni stratigraficJie sopra le rocce più antiche delle Alpi Apuane e del Monte Fisano, di Cablo De Stefani. (Continuazione e fine. — Vedi Bollettino, N. 1-2.) Con questo, sono giunto alla fine del còmpito che m’ ero pro- posto nel descrivere le rocce più antiche delle Alpi Apuane e del Monte Pisano. Avanti di concludere però, voglio parlare di una roccia, che si trova in vari luoghi a varie altezze ed in lembi piccoli ed isolati senza rapporto fra di loro, nel lato occidentale della catena che sembra avere subito maggiormente la corro- sione del tempo, e la quale contiene frammenti degli altri ma- teriali più antichi. E codesta roccia un calcare leggermente rosso 0 giallo, compatto, e finamente stratificato ne’ piccoli tratti nei quali ha una struttura uniforme ; di solito poi contiene fram- menti evidentemente rotolati e ciottolosi, di non grandi dimen- sioni, dei calcari infraliassici o Massici e più di rado di schisti : — 74 — qualche volta i frammenti calcarei sono scomparsi, rimanendo delle cavità riempite da polvere dolomitica o da una rete di cri- stallini di calcite, in guisa che il calcare assume un’ apparenza la quale però si distingue da quella degli altri calcari cavernosi, perchè in questi le cavità si trovano entro la massa stessa, mentre nel caso attuale sono soltanto esportati i ciottoli estra- nei rinchiusi. La densa stratificazione delle piccole masse cal- caree, e r apparenza non dubbia de’ frammenti ciottolosi che desse racchiudono, dimostrano senza dubbio che il deposito si formava alla superficie, a spese di materiali, o poco o molto, corrosi dalle acque. A Capriglia, presso il Palazzo, un calcare consimile con- tiene frammenti rotolati di roccia infraliassica serbante ancora i suoi fossili; al Monte Pepora vi sono ciottoli di calcare rosso ammonitifero, di calcare verdolino e di schisto rosso ; così alla Mariotta, pure presso Capriglia; altrove, nelle vicinanze, contiene frammenti di calcare ceroide. Sotto il canale di Santa Maria della Stregala, presso Capezzano al bottino delle fonti di Pietra- santa, il calcare cementa elettole tti di più rocce^; alla Porta sulla criniera del colle fra il Bottino e l’Argentiera, esso forma degli straterelli quasi orizzontali secondo la direzione della criniera, e cementa frammenti rotolati di calcare infraliassico con fossili, e di schisti a battrilli. Sulla destra della valle di Camaiore, in un lembo situato fra la villa delle Pianole ed i Cappuccini vi si trova anche del calcare grigio con selce. Questa formazione calcarea, come ho detto di sopra, ricopre qua e là la superficie dei colli con una stratificazione inclinata di solito secondo le pendici ; sembra adunque che si tratti di una specie di traver- tino deposto in piccoli strati nelle cavità alla superficie delle roccie della catena, mancano però in quel calcare i fossili, nè l’ ho trovato ancora in rapporto con rocce più recenti delle liassiche, per cui non si può dire di preciso a quale epoca appartenga. Questi travertini che qualche volta possono essere stati confusi collo stesso calcare cavernoso, forse furono coetanei a quei fatti che resero cavernosi i calcari antichi sottostanti : le acque che traversarono questi calcari non lungi dalla superficie, li lasciarono pieni di- cavità e li metamorfosarono, asportando il carbonato di calce e lasciandovi il carbonato di magnesia, talché rimasero dolomitici; sgorgando poi alla superficie, potevano depositarvi il carbonato — 75 - di calce tolto alle rocce traversate e formare i travertini inclu- denti frantumi delle rocce superficiali rotolate. In uno scritto pubblicato nel 1870/ stando all’ idea di alcuni geologi relativa all’ origine eruttiva del calcare cavernoso, e parlando di un cal- care consimile dei colli di Pietrasanta nelle Alpi Apuane, consi- derai pur questo come eruttivo, e trassi la mia opinione, dal vedere quel calcare inferiore a certi strati schistosi a Yelichetta, e dal trovarlo al Borello nel Canale delle Frane, immediata- mente sovrapposto al calcare marmoreo, per cui ritenevo che si fosse svolto da questo. Però gli schisti di Yelichetta sono nella loro posizione naturale, alternanti con straterelli di calcare, forse infraliassico, divenuto cavernoso, ed il calcare cavernoso del Bo- rello, sta come altrove in tanti luoghi che ho notati, natural- mente sovrapposto ai marmi senza intermezzo di schisti, talché il calcare di Pietrasanta non fa eccezione agli altri calcari ca- vernosi delle Alpi Apuane. Delle rocce che sono più recenti di quelle finora descritte, non parlo per adesso, soltanto mi limiterò ad indicare, comin- ciando dalle parti più antiche, la serie loro seguente, che si ritrova particolarmente, anzi quasi esclusivamente sviluppata nel lato orientale delle Alpi Apuane ed eziandio nell’ Apennino adiacente. 1. Schisti a Fosidonomyce ed arenarie del lias superiore. 2. Calcari rossi e verdastri probabilmente corrispondenti ai calcari rossi del lias superiore di Cetona nel Senese. 3. Calcare grigio con selce, corrispondente litologicamente al Biancone dell’ Apennino centrale, ritenuto Neocomiano dal Murchison. 4. Calcari zeppi di foraminifere, cretacei inferiori. 5. Argille scagliose e diaspri della creta superiore. 6. Calcari nummulitici eocenici. 7. Macigno, calcare alberese e rocce serpentinose di for- mazione eocenica. 8. Marne mioceniche di Sarzanello e Caniparola. 9. Argille turchine lacustri delle valli del Serchio e della ’ Note sul calcare cavernoso dei Colli di Pietrasanta nelle Alpi Apuane. [Nuovo Cimento, Serie II, Voi. IV. Dicembre 1870.) — 76 ^ Magra, e marine delle colline di Lucca e di Bientina, plioce- niche. Quanto alle rocce più antiche del Monte Pisano e delle Alpi Apuane, ho creduto utile per la scienza e necessario per me che da vari anni studio quelle regioni, il pubblicare le osservazioni raccolte ed il rettificare varii apprezzamenti che erano stati fatti sulle medesime, e che tacitamente consentiti, avrebbero potuto divenire sempre più tradizionali nelle scuole. Il momento di queste rettificazioni è del resto opportuno, perchè vivono varii dei geologi che si sono affaticati nello studio delle rocce più antiche dell’ Italia centrale, e la discussione che essi possono in- traprendere, non può a meno di risultare utile quanto mai alla scienza. Non ho fatto considerazioni relative alla struttura o, come direbbero alcuni, alla tectonica del sistema montuoso, cui le rocce che sono venuto studiando, appartengono. Questo feci in parte in un altro studio,^ le conclusioni del quale, mantengo inalterate, osservando intanto che alle medesime si accordano interamente talqne delle deduzioni tratte dallo Stoppani relati- vamente ai sollevamenti recenti delle grandi Alpi ; ^ per esaminare poi di nuovo la questione, onde schiarirla sempre più, converrà, prima, esporre eziandio gli studi sopra le rocce più recenti del nostro sistema montuoso. Intanto ripeto che le Alpi x4.puane ed il Monte Pisano, come la maggior parte dei monti facenti parte della così detta Catena Metallifera toscana, sembra comincias- sero a formare un rilievo orografico dopo il terminare del Lias : dopo r eocene, fino ai tempi nostri, essi non hanno subito spro- fondamenti ma si sono sollevati, più o meno, insieme con tutta la regione circostante. Infine, la comunanza della origine e della storia successiva, deve far sì, che le Alpi Apuane come il Monte Pisano, sieno definitivamente accettate a far parte della grande famiglia delle Alpi, che circonda e protegge l’Italia nostra. Le conclusioni finali geologiche e paleontologiche, le quali dal presente scritto si possono dedurre sono poi le seguenti. * Sull’ asse orografico della Catena Metallifera. {Nuovo Cimento, Serie II, Voi. X, 1873). ^ A. Stoppani. Il mare glaciale a’ piedi delle Alpi. [Rivista Italiana, 77 Gli strati più antichi cristallini, gneissici, schistosi, o dolo- mitici delle Alpi Apuane e del Monte Pisano, si trovano soltanto nelle cupole centrali delle elissoidi della valle del Frigido e della valle di Serravezza. I calcari marmorei cristallini continuano essi pure la dispo- sizione elissoide, formando un manto continuo intorno alle due cupole surricordate. Alla lor volta formano la cupola centrale di una ripiegatura laterale all’ elissoide versiliese, nella Val di Castello. La zona marmorea è costituita inferiormente da grezzoni fossiliferi e da calcari ordinari, e superiormente dai calcari cri- stallini e pei fossili in essa contenuti sembra doversi riferire al trias. I calcari cristallini suddetti non hanno una potenza costante e non interrotta, ma sono strettamente connessi agli strati schi- stosi, cui fanno passaggio, ed entro ai quali formano delle man- dorle più 0 meno potenti ed alternanti anche più volte. La formazione dei marmi non sembra esclusivamente dovuta ad un fenomeno di concentramento dei materiali più puri, nè le madrimacchie sono un effetto di quel concentramento ; ma queste rappresentano invece alternanze di veri e propri straterelli schi- stosi, ^e le masse marmoree formano veri strati come le altre 1 rocce ; nemmeno il metamorfismo è dovuto, come universalmente ritengono, all’ intervento di filoni ferrei, che non esistono nel mezzo dei calcari più cristallini. La massa degli schisti superiori ai marmi, il cui posto viene talora occupato dai calcari cristallini medesimi, forma un cinto solo intorno alle due elissoidi di Massa e della Versilia, che in tal guisa per essi divengono una elissoide sola; formano poi la cupola centrale dell’ elissoide non perfetta di Camaiore e di quella perfetta del Monte Pisano, come pure di altre ondulazioni minori. Le rocce finora nominate stanno fra loro strettamente con- nesse e sempre hanno gli strati reciprocamente concordanti. Gli strati del Capo Corvo alla Spezia corrispondono a quelli di Strettoia e della Brugiana, e non riproducono in piccolo tutta la serie degli schisti superiori ed inferiori delle Alpi Apuane, ma soltanto la parte superiore di questa massa di rocce. ~ 78 Il calcare infraliassico succede direttamente alle formazioni schistose e marmoree, e forma un cerchio continuo intorno al- r elissoide centrale apuana, come intorno alla mezza elissoide camaiorese : forma pure un cerchio, però interrotto dalla denu- dazione, intorno all’ elissoide pisana, e la cupola centrale del- r elissoide delle Avane sul Serchio e d’altre ondulazioni minori. I fossili ed i caratteri litologici del calcare lo fanno riconoscere per infraliassico. Sopra all’ infralias, intorno all’ elissoide pisana delle Avane, e da Capriglia a Monte Preti, e forse altrove intorno all’ elis- soide centrale apuana, sta un calcare ceroide in strati non molto potenti, talora scavato come pietra d’ ornamento, e con fossili, rappresentante il lias inferiore. Questo calcare non è triassico come aveva supposto lo Stoppani, nè può essere perciò preso a tipo di calcarie triassiche nelle Alpi Apuane. Succede in lembi continui intorno alle elissoidi del Monte Pisano e delle Avane, ed in lembi interrotti altrove un calcare rosso, spesso con ammoniti, appartenente alla parte più recente del lias inferiore. Sta poi nelle stesse condizioni un calcare grigio con selce pure ammonitifero e di potenza variabile, appartenente al lias medio. Gli strati calcarei sopra menzionati, in specie quelli dell’ in- fralias, sono spesso metamorfosati e ridotti cavernosi, per opera probabilmente di acque che li traversarono ; non si può dire quindi che i calcari cavernosi formino lembi di epoca distinta, nè che rappresentino P epoca triassica. Quanto alla disposizione dei minerali entro alle rocce de- scritte, in generale il solfuro di mercurio (cinabro) è sparso in tutti piani, cioè negli gneiss centrali, negli schisti cristallini superiori ai marmi, e ne’ calcari Passici ; il solfuro di piombo si trova preferibilmente negli schisti centrali, come il solfuro di rame sta con notevole prevalenza negli schisti superiori ai marmi ; anche 1’ oligisto e la magnetite in grandi masse, sem- brano stare quasi esclusivamente negli schisti superiori anzi- detti. Tra i minerali prodotti dal metamorfismo, sono notevoli poi, r Ottrelite (il minerale è conosciuto con questo nome seb- bene non esattamente determinato) degli schisti cristallini, dove — 79 - sono filoni di quarzo con oìigisto ; e FAlbite, che oltre a trovarsi frequente in certi fUoni metallici, abbonda talora ne’ calcari di tutte le epoche, cioè ne’ calcari marmorei, negli infraliassici e nei liassici. Segue ora il quadro riassuntivo delle epoche cui si possono o si debbono riferire i terreni delle Alpi Apuane e del Monte Pi- sano, passati in rivista, colla distinzione delle epoche cui essi furono riferiti dagli scrittori antecedenti. LIAS inper; ~ 80 - ■< -1 H U C5 Epoca geologica SECONDO I DIVEESI GEOLOGI. SERIE DELLE ROCCE. Lias inferiore. — Savi e Mene- ghini {Considerazioni etc.) Lias medio. — Capellini, Mene- ghini in Rath. Neocorniano (Alpi Apuane) Savi e Meneghini. Calcari con selce ammonitiferi, di S. Giu- liano, di Monte Penna, e del Monte di S. Cer- bone nel Monte Pisano della foce di Baraglia del Monte dei Sassigrossi, di Repole (tipo), di Camaiore, di Pescaglia, del Monte Ma- tanna, di Trassilico, di Calómini, di Vergemoli, del Monte Palodina, della Prana, di Aiolo, della Paniella nelle Alpi Apuane, del promon- torio occidentale della Spezia, deH’Alpo di Cor- fìno (tipo), e di Monsummano nelPApennino. o Lias inferiore. — Savi e Mene- ghini. Considerazioni sulla geologia della Toscana. Lias medio. — Capellini, Mene- ghini in Rath. Neocorniano (Alpi Apuane) Savi e Meneghini. O P^ 1^ 5 Lias inferiore. — Savi e Mene- ghini, {Cons. etc.) Trias. — Cocchi. Trias? — (Monte Pisano) Stop- pani. Infralias. — Savi [Sulla costi- tuzione geologica della Cat. metallifera.) Neocorniano (Alpi Apuane) Savi e Meneghini. Calcari rossi, gialli o verdi ammonitiferi, di S. Giuliano e di S. Maria del Giudice nel Monte Pisano, della foce di Baraglia, del Monte dei Sassigrossi (tipo), di Camaiore, di Pe- scaglia, del Monte Matanna, di Trassilico, dell’Eremita di Calómini, di Vergemoli, del canale di Rontano, dei Monti di Careg- giue, del Monte Acuto, di Carrara, di Mon- tiguoso, di Capriglia e di Montepreti nelle Alpi Apuane, dell’Alpe di Corfino (tipo), del- l’Alta Valle deirOzola, e di Monsummano nell’ Apennino. Calcari neri ammonitiferi della Spezia (tipo). Calcari neri di presso Decci, del ca- nale di Vagli e del Monte Matanna nelle Alpi Apuane ? — Calcari ceroidi bianchi o rosei di S. Giuliano (tipo), di S. Maria del Giudice e di S. Gerbone nel Monte Pisano, di Vecchiano (tipo), di Bruceto, di Monte Preti, di Capezzano, di Capriglia? e di Pie- trasanta? nelle Alpi Apuane, di Campiglia in Maremma (tipo). Infralias. — Capellini, Cocchi. Trias. — Savi e Meneghini. Trias. — (Calcari cavernosi e terrosi) Capellini, Cocchi. Giurese. — (Pecchia) Pareto. Neocorniano (Alpi Apuane e Monti della Spezia) Savi e Meneghini. Calcari grigio-cupi, compatti o cavernosi, spesso fossiliferi, e schisti grigio-cupi, di S. Giu- liano, di S. Maria del Giudice, dei Bagni della Duchessa, di Asciano, di Agnano, di Caprona, d’ Uliveto e del Castellare nel Monte Pisano; di Avane, di Vecchiano, di Camaiore, di Pe- scaglia, di S. Lucia, di Monteggiori, di Ro- taie, di Val di Castello, di Pietrasanta, di Capriglia, di Capezzano, di Montignoso, di Massa vecchia, di Códena, dì Carrara, della Tecchia, dì Tenerano, di S. Giorgio, di Cor- figliano, della Tombaccia, di Roggio, del ca- nale di Vagli, del Monte delle Capanne, della Pania, della Torrite dì Gallicano, del Monte forato, del Procinto, di Matanna, del Monte di Compito, del Monte di Gabberi, del Monte Leto, della Culla, del Lombricese etc., nelle Alpi Apuane; calcari gessificati e compatti di Corfino, di Sassalbo, di Mommio, di Soraggio, dell’Ozola, e di A^albona nelPApennino; cal- cari cavernosi di Lericì e probabilmente di altre località nel golfo della Spezia ; calcari grigio cupi compatti e cavernosi delle Alpi marittime. - 81 o c CL( Epoca geologica SECONDO I DIVERSI GEOLOGI. SESIE DELLE ROCCE. e** za <) l-H P3 EH Trias. — Pareto, Paleozoico Carbonifero. — (Mon- te Pisano) Savi e Meneghini. Siluriano. —> Coquand. Trias (quarziti e calcari semi- cristallini del Pizzo d’Uccello e delia Tambura), Permiano (anageniti) e Carbonifero (ar- desie, marmi cristallini), Cocchi. Lias superiore (schisti sopra i marmi delle Alpi Apuane). - Savi e Meneghini. Lias inferiore e trias (marmi delle Alpi Apuane) Savi e Me- neghini. Neoeomiano (Pisanino, Penna di Sumbra, Fatonero, Pizzo d’ Uccello) Savi [Sulla costi- tuzione geologica eie.). Schisti cristallini, micaschisti, quarziti, e anageniti del Monte Pisano, micaschisti di Ca- maiore, del Lombricese e di Val di Castello ; ar- desie tegolari, arenarie, cipollini, schisti grafi- tiferi e bardigli superiori semicristallini, del Forno Volasco, del Canale delle Mulina e della valle della Turrite secca; calcari terrosi e ci- pollini di Turano e del Carrarese, calcari cri- stallini, superiori, cipollini micaciferi, anage- niti, quarziti, micaschisti, cloroschisti, ardesie, gneiss superiori del Carchio, calcari terrosi e compatti etc., del Monte della Brugiana, della valle del Frigido, del canal Magro, della valle di Montignoso, della valle di Strettoia, del Monte Folgorito, di Ripa, di Serravezza del canale di Piastra o di Solaio, del canale di Vagli, e dell’Acquabianca, nelle Alpi Apuane; calcari e schisti cristallini dei Capo Corvo. Calcari cristallini, grezzoni fossiliferi, cal- cari ordinarii con grafite, del Sagro, del Pizzo d’Uccello, del Pisanino, della Tambura, del- l’Altissimo, del Carchio, del Monte Costa, della Cappella e di Trambiserra, del Monte Cerchia, della Val d’Arni e di Val di Cas- tello ; cipollini cloritici o terrosi del Carfaro, di Arni, del Pitone etc.’ d o »-( o N O H Ph (Paleozoico carbonifero. — Savi e Meneghini. Laurenziano 0 Prcsiluriano. — { Cocchi. Gneiss, schisti cloritici, grauioake, schisti grafitici, schisti ardesiaci, cipollini, del Forno, di Caglieglia, di Antona, dei Guadini etc., della foce di Vinca, della Valle del Frigido, delle Valli di Serra e del Giardino, dei canali del Bottino e di Castagnòla etc.; calcari dolomitici del Frigido, dell’Altissimo, di Levigliani etc. 1 Nel principio di questo scritto, là dove si discorre delle opinioni dei geologi sull’ età del calcare marmoreo, si trova il periodo seguente : « Quando poi il Capellini dimostrò che il calcare della Spezia ritenuto triassico era invece infraliassico, il Savi ammise che la parte inferiore dei marmi potesse essere infraliassica invece che triassica; per tal guisa egli poneva nell’infralias gli strati inferiori che supponeva costituiti dal hardiglio, nel lias inferiore gli strati medii costituiti da calcare bianco ceroide o saccaroide, e nel lias medio gli strati superiori, formati secondo lui, da un calcare rosso e grigio con o senza selce. » A codesto periodo deve essere sostituito il seguente. « Quando poi il Capellini dimostrò che il calcare della Spezia ritenuto neoeomiano era invece infraliassico, il Savi, lasciando nel trias gli strati inferiori dei marmi che supponeva costituiti dal hardiglio, ammise che gli strati medi costituiti da calcare bianco ceroide o saccaroide potes- sero essere infraliassici, e lasciò nel lias inferiore gli strati superiori, formati secondo lui, da un calcare rosso e grigio con o senza selce. » 6 III. Stiidii stratigrafici sulla Formatone pliocenica deW Italia Meridionale^ per G. Seguenza. (Continuazione. — Vedi Bollettino, N. 1-2.) § 8. — La fauna delia sona superiore del plioceno antico. La fauna di questa zona è molto ricca e variata, è dessa la fauna del plioceno tipico da tanto tempo esplorata nella por- zione littorale dei mari di quell’ epoca e perciò ben conosciuta, ma invece poco nota in quanto riguarda i depositi submarini, e quindi in quella porzione che abitava le grandi profondità dei mari pliocenici ; a simiglianza della fauna dei mari attuali di cui si conoscono bene le specie littorali e ci sono^ quasi sconosciute quelle dei mari profondi. L’ Italia settentrionale e media ci offre quelle sabbie e quelle marne del plioceno tipico ricche di specie littorali, invece è l’Italia meridionale che abbonda specialmente di depositi dei mari pro- fondi, nei quali, come già accennammo, è una fauna affatto di- versa da quella, eppure esattamente coetanea. Lo studio di que- st’ ultima quindi completa la cognizione della fauna pliocenica, essendoché la porzione delle grandi profondità comprende delle specie affatto diverse e sinora ben poco studiate. Ed è veramente notevole, che gli studii stratigrafici conducano a riguardare sic- come esattamente coetanei dei depositi che racchiudono due faune affatto diverse, tanto differenti che le specie comuni ai due terreni sono delle vere eccezioni, e d’ ordinario s’ incontrano con estrema rarità nell’ uno, se comuni nell’altro, dimanierachè le due faune vicendevolmente si completano, per costituire insieme la fauna pliocenica la più ricca. Questo fatto veramente importante e notevolissimo per le deduzioni geologiche, fa contrasto non lieve colla somiglianza grandissima che la fauna littorale di questa zona pliocenica pre- senta con quelle della zona precedente e seguente ; ma esso trova — 83 — un esatto riscontro nell’ epoca attuale, tra i rapporti che ci of- frono le faune littorali e le profonde, che talvolta anco a brevi distanze sono completamente diverse. Siffatta grande diversità tra faune di terreni coetanei F ab- biamo già notata nella zona precedente ; ma in quella che attual- mente esaminiamo, la vediamo riprodursi sopra grande scala e vieppiù distinta, essendoché la zona superiore dell’ antico plioceno vastamente estesa dall’ uno all’ altro estremo del suolo italiano, mostrasi ripartita come in due distinte regioni con faune com- pletamente diverse; dalla Toscana in su è costituita da depositi littorali, da Livorno e dalle colline di Roma in giù, da depositi di mari assai profondi, e quindi con fauna niente somigliante a quella del plioceno tipico. Nell’ Italia meridionale adunque la fauna dei mari profondi sostituisce quasi dappertutto la fauna littorale, sennonché qua e là in vicinanza dei monti più antichi occorre di vedere, come dicemmo, dei lembi di depositi littorali, i quali racchiudono quella fauna pliocenica classica, tanto comunemente sparsa nell’Alta Italia. La fauna submarina di cui discorro, é distintissima, non solo, ma benanco si presenta con una meravigliosa uniformità, essendo sempre identica a sé stessa in tutti i luoghi dove si estendono i depositi di mari profondi spettanti a questa zona. Essa poi é variatissima e ricca di specie di ogni classe animale. I mammi- feri mi hanno offerto alcuni denti di Delfino, di cui gli uni sem- brano appartenere al D. Cortesii Cuv. e qualcuno forse al D. Brocchii Bals. I pesci vi hanno lasciato numerosi residui, ma so- pratutto bisogna ricordare i variatissimi otoliti e i comuni denti di squalidi, dei quali ricordo le specie seguenti: Càrcharodon megalodon Agass., G. Bondeletii M. H., specie che vive nei nostri mari, Oxyrhina Desori Agass., 0. isocelica Sismonda, 0. mi- nuta Agass., Lamna crassidens Agass., Odontaspis contortidens Agass., 0. duhia Agass. ec. ^ e molte altre specie che bisogna tuttavia studiare. I crostacei poi hanno lasciato numerosi resi- dui di specie anco assai grandi, ma d’ ordinario in cattivo sta- to, il gruppo degli entomostracei colle loro minime conchiglie ‘ Quasi tutte queste specie furono dal signor R. Lawley raccolte ad Orciano in terreno coetaneo. (Vedi: Pesci ed altri vertebrati fossili del plioceno toscano). — 84 bivalvi, hanno contribuito alla formazione di quei depositi mar- nosi, le specie vi sono numerose, ma tuttavia non studiate ; una specie molto comune è la Bairdia subdeltoidea^ tuttora vivente. Il gruppo dei Cirripedi poi, pel Messinese e pel Keggiano, è di altissima importanza, essendo dei fossili estremanaente comuni. Il genere Verruca ci offre cinque specie comunissime, cioè la V. stromia Muller, la V. Zanclea Seg., la Y. dilatata Seg. , la V. Eomettensis Seg., la V. erebricosta Seg. Fra le specie abbondantissime abbiamo poi taluni cirripedi peduncolati. Così lo Scaìpellum Zandeanum Seg., specie gigan- tesca e somigliante a talune della creta, lo S. Micheìottiammi Seg., diversissimo ed affine allo 8. quadratimi Dixon dell’eoceno, le Scillcelepas carinata PhiL ed ornata Seg. — Incontransi ancora più 0 meno sparse, il Balanus myìensis Seg. , l’ Acasta muricata Seg., il Byrgoma costatum Seg., la Coronula bifida Bronn, il Pacliylasma giganteum Pliil. ^ I molluschi poi sono importantis- simi e speciali : i Pteropodi abbondano dappertutto, i Gasteropodi spettano a gruppi particolari e d’ ordinario per la maggior parte sono delle piccole specie, così ancora i Lameliibranchiati; i Bra- chiopodi poi formano un gruppo importantissimo, perchè ci offre specie assai distinte e comunemente sparse. I Briozoi, tuttavia non studiati, formano in taluni luoghi intieri strati, e sono sparsi anco comunemente dappertutto nelle marne e nelle sabbie, e bi- sogna pur dirlo, che hanno contribuito molto all’ aumento di quei depositi. Gli echinodermi sono notevoli pei Crinoidi : un Penta- crinus comune, che da lungo tempo denominai P. Zancleanus, un Bourgueticrinus sparsissimo, alcune Gomatule, ed altri residui varii; gli Echinidi ci offrono assai sparsi lo Stirechinus Scillce, Desor, la Lejocidaris histrix Lk., e varie altre Cidariti con qualche Echinus e spatangoide. Un gruppo importantissimo poi è quello dei Corallarii, che ci offre forme svariatissime, e coralli sì numerosi e variati da formare dei veri banchi madreporici, in taluni luoghi molto sviluppati. La famiglia degli Isidiani ci offre V Isis melitensis Goldf. e 1’ J. peloritana Seg. — I turbinolidi poi formano un importantissimo gruppo, che mi ha offerto forme * Ved. Studi paleontologici intorno ai Cirripedi terziarii della provincia di Messina. 85 numerose ed assai varie. 11 genere GaryophylUa diciotto specie, il nuovo genere Cerafocyathus Seg. colle sue trentaquattro spe- cie, è proprio caratteristico delle marne di questa zona, siccome r altro nuovo genere affine Stephanocyathus Seg. colle sue tre specie, il genere Desmophyllum, ricco di venti diverse specie, il Conotroclms typus Seg. , e sette specie di Flabeìlum. I banchi calcarei poi sono formati dagli Oculinidi e dai Madreporidi a cui si associano i Desmophylli e le Garyophyìice. Fra i primi, il genere Lophohelia con tre specie, il genere Amphihellia con due, ed il genere JDiplohelia con quattro ; tra i secondi, la gigantesca Goenopsammia Scillce Seg., la Balanophyllia irregularis Blainv., la JDendropìiyllia cornigera Blainv.^ Finalmente i Foraminiferi, colle loro infinite spoglie, formano la parte principale della massa tutta delle rocce di questa zona, i generi e le specie vi sono assai numerose. Tanta varietà di organismi non ci offrono al certo i sedimenti a fauna littorale di questa medesima zona; infatti ivi sono i mol- luschi che predominano sopratutto, e costituiscono una fauna ben ricca; ma tra questo gruppo di viventi, i Gasteropodi e i La- mellibranchiati, prendono il predominio sulle altre classi, essen- doché i Pteropodi e i Brachiopodi, sì abbondanti e sì comuni nella fauna submarina, divengono una vera eccezione nella litto- rale, e quelli invece compariscono colle più variate forme pro- prie dei mari caldi, e sono rappresentati da grandi e numerose specie, tra le quali sono notevolissime ed atte a distinguere questa zona dal plioceno più recente i Coni, le grandi e nume- rose Pleurotome, le Terebre, le Cancellarle, e poi i variati Mu~ rex, Nasse, Fusus, Gardife, Venus, ec. ec. Le altre classi animali in questi depositi, a fronte di tanto sviluppo dei molluschi, quasi scompariscono e non hanno al certo che minima importanza. I depositi marnosi di Monte Mario e presso Livorno, e le sabbie di Calatabiano da me ricordati, sono strati a fauna inter- media, che collega benissimo insieme i sedimenti littorali e i submarini di questa zona. Infatti le sabbie marnose di Calata- ‘ Ved. Disquisizioni paleontologiche intorno ai Corallarii fossili dei ter- reni terziari della provincia di Messina. 86 biano associano a Gasteropodi e Lamellibranchi littorali, Gaste- ropodi, Lamellibranchi, Pteropodi e Bracbiopodi dei sedimenti • submarini, ai quali si annettono benanco numerosi polipai dei mari profondi, come dissi nel precedente paragrafo. Siffatta mi- scela fa credere che quei depositi si costituirono a media pro- fondità. Un fatto importantissimo viene in appoggio alle mie conclu- sioni. Nelle pesche fatte in questi ultimi anni, nelle grandi pro- fondità del Mediterraneo e dell’ Atlantico, si è venuta sollevando una fauna che è affatto diversa dalla vivente, conosciuta nelle piccole profondità; in essa furono scoperti non pochi molluschi, che trovansi nei depositi submarini della zona che esamino, e con essi un Fentacrinus e varii coralli, quello probabilmente identico al P. Zancleanus, questi in parte corrispondenti a varie specie degli strati messinesi. Ma nessuna specie fu rinvenuta a quelle profondità, che si trovasse fossile in seno alla fauna classica veramente littorale del pliocene, il quale invece ha le sue specie identiche- alle vi- venti nella fauna littorale odierna. Ecco adunque un legame importantissimo tra la fauna at- tuale e le due sezioni di quella del pliocene antico, legame che conferma precisamente le deduzioni tratte dallo studio dei fos- sili in sè stessi. La distinzione dei depositi in littorali e submarini in questa zona ancor più estesi che nella precedente, mi ha fatto adottare nell’ enumerazione delle specie del seguente elenco la medesima partizione di tutte le località in due categorie, mettendo come intermedie quelle altre che ci offrono una fauna mista, la quale è documento eloquentissimo per la esatta coetaneità delle due nature di depositi a fauna completamente diversa. Fra le molte località di cui mi sono prefìsso di presentare la fauna malacologica nel seguente elenco, ve ne ha molte a fauna submarina e poche a fauna littorale dell’Italia meridio- nale, e come è ragionevole l’inverso per l’Alta Italia. Fra le località a fauna littorale dell’ Italia meridionale ne ho considerato due soltanto che mi sono meglio note, cioè Al- tavilla presso Palermo e Santa Cristina in Calabria. Altavilla ci offre il tipo dei depositi littorali di questa zona, — 87 — e la loro fauna studiata primieramente dal Calcara, quindi dal Libassi, dal Brugnone, dall’Aradas ec., ci presenta belle e nume- rose specie per la determinazione delle quali mi sono valso so- pratutto della collezione che possiedo, in parte raccolta da me stesso, in parte procuratami per mezzo di vari amici. Non ho trascurato di enumerare benanco quelle specie che furono tro- vate da varii esploratori, e che mancano nella mia collezione. La località di Santa Cristina ci offre un lembo di questo plioceno littorale, in mezzo alle rocce cristalline, che racchiude poche specie di fossili. Tra i moltissimi luoghi a fauna littorale che potrebbero sce- gliersi nell’ alta e media Italia, io ho preferito quelli di cui ho po- tuto io stesso esaminare la fauna. E primieramente della Toscana ho scelto la località di Or- ciano, ricca di ben conservati fossili, da dove la fauna malaco- logica mi è ben nota grazie alle belle comunicazioni e raccolte avute dai signori C. D’ Ancona e K. Lawley. Devo alla cortesia di quest’ ultimo gentilissimo signore una collezione dei fossili dei vari luoghi di Val d’ Era, ed un no- tamente di tutte le specie che non possiedo; così nella quarta colonna ho voluto riunire insieme tutte le specie di questi vari luoghi. Grazie alle belle ricerche del prof. Capellini e del dottore Foresti, posso presentare nella quinta colonna i fossili della zona superiore dell’ antico plioceno del Bolognese di cui possiedo bella collezione. Nel 1864 ho raccolto io stesso nell’ Astigiano, in due diverse località, i fossili di questo periodo, che presento in due altre colonne ; un luogo presso Asti mi ha offerto i fossili in sabbie gialle, l’altro per nome Cornaré, presso Castelnuovo, in marne sabbiose bianchicce. Finalmente ho voluto scegliere benanco la fauna littorale di un lembo tra i più settentrionali presso Masserano che è stato esaminato dal prof. Gastaldi ^ e da dove possiedo una colle- zione, che devo alla gentilezza del signor cav. L. Rovasènda. Ho creduto ancora di grande importanza il confronto della * Studii geologici sulle Alpi occidentali. 88 ~ fauna di questa zona italiana con quella degli strati coetanei di Biot in Francia. Valendomi per ciò del catalogo del signore Bell ^ ho enumerato nella nona colonna del mio elenco le specie che quel terreno ha di comune colle località italiane da me con- template. Tale comparazione dimostra ad evidenza come gli strati coetanei, formatisi in condizioni identiche, presentano identica fauna anco sino a grandi distanze. Seguono quindi tre colonne addette ai luoghi che offrono una fauna mista. Così la decima è pei fossili che il sig. G. B. Caterini scuo- priva in un deposito di marne poco lungi da Livorno, e che fu- rono poscia pubblicati dal signor Appelius,^ dei quali possiedo una collezione avuta dallo stesso Caterini. L’ undecima è addetta ai fossili di Calatabiano cotanto istruttivi, che io stesso ho rac- colto nei lembi di pliocene sparsi lungo la pianura di Calata- biano tra Giardini e Piedimonte, da me le molte volte visitata. La duodecima pei fossili delle marne di Monte Mario, che mi furono forniti dal signor Bigacci. Le cinque colonne addette ai depositi a fauna submarina of- frono i fossili di cinque luoghi dell’Italia meridionale. La tredicesima riunisce le specie di Gerace, Siderno, Mona- sterace, tre località del lato orientale della provincia di Keggio ; nel primo luogo i fossili furono raccolti dal Fuchs, nel secondo da me stesso, nel terzo dal Philipp!. La fauna malacologica dei vari luoghi dei dintorni di Peg- gio da me stesso raccolta è riunita nella quattordicesima co- lonna. L’ elenco che dà il Philipp! della Valle Lamato è il più atto a dimostrare in quel luogo il terreno che esamino, quantunque senza dubbio in quel catalogo vi si trovano miste delle specie di zone più recenti, che io eliminerò come saprò meglio. Al Capo Plemmirio presso Siracusa la zona superiore del- Pàntico pliocene è formata di depositi di mari profondi, ed io ho voluto inserire anco i pochi fossili di questa località siccome la più meridionale da me conosciuta. ‘ Catalogue des mollusques fossiles des marnes bleues de Biot, près Antibes (Alpes-Maritiraes). * Catalogo delle conchiglie fossili del Livornese ec. - 89 Infine le varie località del Messinese non meritano alcuna distinzione, essendoché i vari lembi di questa zona presentano fauna affatto identica, la quale studiata da me con cura sin da molto tempo, mi si presenta siccome della più alta importanza, la riunisco quindi in unica colonna, la diciassettesima. Nelle due ultime colonne infine, come nei precedenti elenchi, è indicata V abitazione mediterranea e nordica delle specie tut- tavia viventi. Ho creduto benanco conveniente di disgiungere le specie dei depositi littorali da quelle dei depositi di mari profondi, ripartendo ciascun genere in due gruppi, di cui il primo è costituito dalle specie littorali, ed il secondo dalle submarine, intercalando tra le due sezioni quelle specie rare che sono comuni alle due nature di depositi. Per la distinzione poi ho fatto seguire il numero d’ or- dine di ciascuna specie dalla lettera l per le littorali, s per le submarine e c per quelle che sono comuni alle due nature di depositi,^ ovvero che si sono trovate nei sedimenti a fauna mi- sta nei luoghi contemplati nell’ elenco. {Continua). IV. Sulla relazione di un viaggio geologico in Italia per T. Fuchs. Nota di G. Seguenza. Nei fascicoli 9 e 10 del 1874 del Bollettino del E. Comitato Geologico davo alla luce alcune mie osservazioni sulla relazione del signor Teodoro Fuchs intorno ad un suo viaggio geologico in Italia; il signor Fuchs si è fatto a rispondere alle mie note critiche nei fascicoli 1 e 2 del 1875 del periodico medesimo, ed io sarei lietissimo secolui se sui diversi punti controversi, che toccano la stratigrafia, noi fossimo venuti in accordo, come sopra * È importante notare come per ispecie littorali e submarine qui s’ inten- dano le specie raccolte esclusivamente nei depositi di questa zona, che si for- marono a piccole 0 a grandi profondità, essendo d’ altronde agevole il capire come taluni individui di specie dell’ una possono essersi miste alle specie che vissero nell’altra zona. — 90 — i taluni altri pei quali il disparere era cagionato realmente da taluni malintesi. Difatti il signor Fuchs asseriva che pria del suo viaggio non conoscevasi il calcare di Leitha in Italia, ma alle mie osserva- zioni in contrario, egli soggiunse che intendeva parlare della penisola italiana, ad esclusione delle isole, ed io accetto di buon grado una tale dichiarazione. Un altro malinteso viene segnalato dal signor Fuchs intorno al paragone da lui istituito tra il calcare miocenico di Castel- lina e di Rosignano ed il calcare concrezionato di Messina e di Gerace, paragone che mi ha fatto credere che il signor Fuchs avesse voluto ritenere le due rocce siccome coetanee; ma egli ha dichiarato quindi che non volea farne se non un raffronto litologico, a fine di far notare dei caratteri di somiglianza petro- grafica tra le due formazioni, ed io mi acqueto intieramente a tale dichiarazione. Mi è d’ uopo cionnonpertanto di far notare che il calcare con- crezionato di Messina, studiato con cura in tutti i luoghi dove si presenta, e nelle relazioni che lo legano colle altre rocce, malamente saprebbe definirsi per una roccia che forma regolari strati; essa invece costituisce ammassi irregolarissimi alla base del pliocene, a simiglianza degli ammassi di gesso in seno alle argille mioceniche, ed in alcuni luoghi siffatti ammassi si ripe- tono a varii livelli sempre con identicissimi caratteri, interpo- nendosi agli strati fossiliferi del pliocene antico come vedesi alla contrada Gravitelli, che è intermedia tra Scoppo e Catarratti, luoghi studiati dal signor Fuchs. Siffatte ragioni, nel difetto completo di caratteri paleontologici, credo che valgano bene a riunire il calcare concrezionato al pliocene. La concordanza colle molasse mioceniche, e la discordanza dagli strati pliocenici pro- clamati dal Fuchs credo che non valgano nel caso nostro, essen- doché la stratificazione del calcare non è quasi mai apparente, e la estrema irregolarità che io noto nei banchi che esso costituisce ci vieta di conchiudere alla discordanza cogli strati soprastanti, che d’altronde racchiudono pure dei banchi affatto identici. Quindi io credo che le ragioni propugnate dal Fuchs per annettere al miocene il calcare concrezionato, sieno di poco valore a fronte di quelle per le quali io sono portato a riunirlo al pliocene. - 91 In qualunque modo il calcare concrezionato di Gerace è coe- taneo a quello di Messina, ed il signor Fuchs avendo vaghezza di annunciarci la scoperta del miocene in quei luoghi, avrebbe potuto additarci nei terreni di Gerace una formazione miocenica ben più autentica di quello che non sia il calcare concrezionato. Dal lato settentrionale di Gerace si estende una serie di col- line, che si dirige verso oriente sino alla fiumara di Siderno, costituite da vere molasse più o meno sciolte, che elevandosi scoscese sulle argille scagliose che si estendono a settentrione, formano da quel lato un ciglione che corre quasi diritto dal paese alla valle. Negli strati superiori di tali sabbie non vi si rinviene che qualche raro modello di bivalvi, tra i quali è suf- ficente avere riconosciuto la Cardila louanneti ed un gigantesco modello di Venus che bisogna rapportare alla Vemis umbonaria Lamarck. Negli strati più bassi presso la valle si raccolgono dei grandi pettini, più comunemente in frammenti, delle Ostree, dei Clypeastri ec., e la roccia è ripiena della Operculina complanata D’ Orb. Le specie dunque che io posso ricordare sono le seguenti : Pecten Pesseri Andr. ; P. aduncus Eichw; P. scabreìlus Lamk; Osfrea Poblay Desh.; Clypeaster pyramidalis Michelin; Opercu- lina complanata D’ Orb. Questa roccia dunque porta seco nei fossili la fede di bat- tesimo, ed il signor Fuchs, che non la vide, avrebbe potuto ri- conoscerla siccome il vero ed autentico rappresentante del mio- cene, del quale senza dubbio ne rappresenta più d’ una zona. Correggesi poi il signor Fuchs dell’ errore commesso nel rap- portare al miocene le argille scagliose del territorio di Gerace, e si meraviglia che nella mia rivista non abbia notato un tale errore, che egli giudica siccome il più importante. Non entrava nel mio programma il discorrere delle altre for- mazioni, mentre mi attenni a parlare soltanto del pliocene di Gerace, ed infatti trascurai di parlare del miocene di cui tenni parola qui avanti, nè volli toccare la più grave quistione del- r età delle argille scagliose, nella definizione della quale non mi sarei certamente contentato di dire che le argille che si esten- dono formando la base del pliocene di Gerace non spettano al- r epoca miocenica ma sono delle vere argille scagliose, dappoiché ben si conosce oggigiorno, ed in Italia specialmente, come tale 92 roccia ricomparisca pressoché coi medesimi caratteri nelle for- mazioni di diverse età geologiche; vedonsi infatti argille sca- gliose nel cretaceo, nell’ eoceno, nell’ oligocene, e financo nel miocene e nei varii periodi di siffatte epoche geologiche. Nel- r Italia meridionale, come in tanti altri luoghi d’ Europa, là dove mancano i fossili nelle argille scagliose (ed è il caso più ordi- nario) riesce arduissimo determinare precisamente la loro età. Le argille di Gerace intanto parmi che si ripartano in due zone, la superiore con istrati di calcare bianco a fucoidi e talvolta a piromaca, con limonite e siderioso in istrati ed arnioni, con are- narie quarzose che terminano la serie, spetta senza dubbio al- r oligoceno, e vedesi sviluppata specialmente dal lato nord-ovest. La zona inferiore poi rappresenta l’ eoceno superiore e medio. La stratigrafia e paleontologia che ho studiato in tanti diversi luoghi dove le argille scagliose si presentano nel Messinese e nel Reggiano, siccome nelle provinole di Palermo e di Catania con- fermano a pieno tali vedute.^ Quanto riguarda poi il mio apprezzamento "delle rocce plio- ceniche di Gerace, sia per quanto spetta alla tettonica, come per la definizione del periodo cui ciascuno strato appartiene, parmi che mi tocca più da vicino e con maggiore ragione, sia anco perciò stesso che il signor Fuchs mi crede a tale riguardo in grave errore. Il signor Fuchs è perfettamente d’ accordo colle mie vedute nel riconoscere nell’ Italia meridionale un pliocene recente ed un pliocene antico ; ma se egli avesse esaminato con maggior cura e sopra più vasta estensione gli strati dell’ ultima epoca ter- ziaria si sarebbe agevolmente accorto che tanto il recente plio- cene quanto 1’ antico si dividono naturalmente ciascuno in due zone distintissime e ben riconoscibili dovunque per marcatissime differenze paleontologiche. Le due zone del pliocene antico in tutta l’ Italia meridionale si presentano non solamente distintissime ma benanco discordanti. La zona inferiore è costituita da marne a foraminiferi in ^ Ved, Brevissimi cenni intorno la serie terziaria della provincia di Mes- sina e Deir Oligoceno in Sicilia. — In questi due lavori credo di aver dimostrato stratigraficamente e paleontologicamente l’età diverse delle argille scagliose deir Italia meridionale. — 93 cui grandemente predominano la Globigerina o le Orbuline, e vengono esclusi quasi intieramente i resti di altre classi animali, soltanto qualclie rarissima volta e per vera eccezione vi si trova qualche spoglia di mollusco. Vi si trovano inoltre delle sabbie 0 dei conglomerati, più o meno miste di calcare, le quali invece sono dappertutto caratterizzate dall’ abbondanza di Balani, di Pettini, di Ostree, di Brachiopodi. Queste due diverse forme litologiche, in gran parte originate dalla diversa profondità dei mari, ora si associano, talvolta alternano, sovente mutuamente si sostituiscono, in tutti i casi le due diverse faune che racchiu- dono le caratterizzano a meraviglia e dovunque. L’ Amphistegina milgàris vi si trova sempre, ora sparsa con rarità, e più spesso con grande profusione ; ed invece manca affatto nel pliocene recente. La zona superiore dell’ antico pliocene formata da marne più 0 meno sabbiose, che talvolta alternano con strati calcarei, rac- chiude una fauna variatissima propria dei mari profondi. Tutte le classi dei molluschi vi hanno numerosi rappresentanti, in cui molto abbondano i brachiopodi, e tutte le altre classi animali vi mescolano insieme le loro spoglie, formando un tutto che caratte- rizza a meraviglia questa zona, distinguendola dalla precedente. Dappertutto nelle provincie di Messina, di Peggio, di Pa- lermo, di Catania, di Siracusa gli strati della zona superiore del pliocene antico poggiano in discordanza su quelli della zona infe- riore, la quale sopra grandi estensioni mostrasi del tutto isolata, ed in taluni luoghi si eleva a grandi altezze. Perlochè la quistione non verte soltanto intorno al pliocene di Gerace, ma bensì sul pliocene dell’ Italia meridionale tutta, anzi direi meglio di tutta Italia, dappoiché ormai il pliocene tipico dell’ alta e media Italia si riparte in due zone che credo di aver dimostrate sincrone delle due zone del pliocene antico delle provincie meridionali.^ Il signor Fuchs studiando il pliocene presso Messina e quello di Gerace ha insieme confuse le marne delle due zone, che in- tanto sono distinte stratigraficamente e paleontologicamente. Egli ha dato un elenco di fossili raccolti presso Gerace, che spettano ’ Ved. Studii stratigrafici sulla formazione pliocenica delV Italia meridio- nale. [Bolletiino del R. Comitato geologico, anni 1873-74-75.) 94 — tutti alla zona superiore, provengono perciò da un lembo di marne soprastante a tutta la serie pliocenica rappresentata nelle pittoresche vedute e sezioni che il signor Fuchs annette al suo lavoro, e che tutta intiera deesi rapportare alla zona più antica. La contrada Tenda posta sulla sinistra del torrente di Si- derno è la più atta a dimostrare la successione stratigrafìca delle rocce plioceniche che formano il limitrofo monte di Grerace. Di- fatti dal lato del torrente una roccia di arenaria molto calcari- fera racchiude Balani, Pettini ed Amphistegine proprie della zona inferiore del pliocene, e risponde al membro superiore sab- bioso del monte di Gerace, che si erge dirimpetto. Sopra questa roccia poggiano immediatamente delle marne grigio-biancastre, che costituiscono una serie di colline estendentisi verso Siderno. In tale roccia sono sparsi dei fossili che spettano alla zona superiore dell’ antico pfioceno, in parte rispondenti alle specie che il Fuchs raccoglieva presso Gerace in un lembo di marne esattamente coetaneo alle colline di cui discorro, e quindi come queste posteriore alle sabbie ed arenarie calcarifere di Gerace, e con più ragione posteriore alle marne che a queste sottostanno. Quindi io conchiudo che il signor Fuchs ha commesso un primo errore nel confondere le due marne distintissime, spettanti alle due zone del pliocene antico; questo mio giudizio, emesso già altra volta, e che ora confermo e convalido, è una legittima conseguenza delle idee che possiedo sulla costituzione del plio- cene, e che mi procurai con lunghi ed assidui studii compara- tivi, i quali sono benanco guarentigia non poca delle idee che professo. E se progredendo nei miei studii ho dovuto grado grado modificare le mie vedute a riguardo dell’ età e della par- tizione dell’ ultimo terziario dell’ Italia meridionale, non mi è occorso sinora, nè credo che mi sarà d’ uopo in seguito, di cor- reggere r ordine di successione stratigrafica delle rocce quale la riconobbi sin dal principio de’ miei studii. D’ altro canto poi le rocce di Gerace e di Tenda e le cento diverse località del Mes- sinese, del Keggiano e delle altre provincie sono sempre là per attestare la reciproca relazione degli strati, che dappertutto viene in appoggio alle mie idee. Confuse insieme le due marne ne veniva per conseguenza che le sabbie ed i calcari superiori fossero considerati siccome rap- 95 - presentanti del plioceno recente, ed a ciò il signor Fuclis fu incoraggiato dagli strati a Briozoi, Balani e Brachiopodi, che le sabbie racchiudono, essendoché presso Messina il plioceno più recente offre delle sabbie con Balani e Briozoi. Ma siffatti dati paleontologici, a dir vero troppo generici, inducono facilmente in errore allorché s’ invocano per determinare il sincronismo degli strati. Difatti strati ricchi di Briozoi, di Balani e di Brachiopodi si vedono dappertutto nelle quattro zone del plioceno, e quindi non valgono a nulla per la distinzione stratigrafica, se non si ricorre alla definizione delle specie di tali fossili. Quindi il signor Fuchs é stato indotto in un secondo errore riguardando le sabbie calcarifere di Gerace siccome coetanee alle sabbie del più recente plioceno, e ciò per aver confuso le due marne del plioceno antico, e per aver creduto ad una apparente somiglianza paleontologica. Ma basterebbe P Amphistegina vulgaris profusa- mente sparsa in quelle sabbie per attestare la loro età, essen- doché tale fossile manca affatto nel plioceno recente e caratte- rizza dovunque la più antica zona di quest’ epoca. Un’ altra esattissima osservazione fatta dal signor Fuchs avrebbe dovuto premunirlo contro questo errore e metterlo in guardia ; egli no- tava infatti che le sabbie di Gerace per gradazioni insensibili passano alle marne ed alternano con esse, lo che attesta chia- ramente che le marne e le sabbie si collegano in unica forma- zione che non può esser suddivisa. D’altro canto le sabbie del plioceno recente, di ben altro aspetto e con ben altri fossili possono benanco osservarsi in quelle contrade. Sopra le marne fossilifere di Tenda, di cui ho parlato sopra, poggiano taluni strati di grossolane sabbie che coronano le vette di talune colline, racchiudendo la fauna pro- pria della zona inferiore del plioceno recente, della quale mi basta ricordare la Terébratula Scillae Seg. ; la T. minor Phil. ; la Terebratulina caput-serpentis Lin. ; la Megerlia truncata Gin. ; VArgiope decollata Chemn., ec. Quanto poi alla contradizione in cui ha creduto sorprendermi il signor Fuchs raffrontando il mio scritto con quanto oralmente io gli avea manifestato, é anco questo un altro equivoco in cui é incorso. Ed in vero allorché egli mi parlò della sua visita a Gerace io non conosceva quei terreni ; fu lui che mi presentò la - 96 - sezione del plioceno, ed insieme pochi fossili riferibili alle se- guenti specie : Nassa limata Chemn. ; N. costulata Brocchi ; Turbo filosus Philippi; Natica Broccliii Philippi; JDentalium élephanti- num L. ; Nuciila sulcata Bronn. La sezione presentava dal basso alP alto un conglomerato, delle marne e delle sabbie calcarifere ; ed il signor Fuchs nell’ offrirmi i fossili enumerati dissemi che provenivano tutti dalle marne, e siccome quelle specie spettano alla zona superiore del plioceno antico, io dichiarai allora, e so- stengo oggi, che le marne che le racchiudono spettano a tale zona,^ quindi le mie idee a tale riguardo sono restate immutate e restano immutabili, quindi la contradizione che credesi di sco- prire non esiste. Ma siccome allora il signor Fuchs, come oggi sostiene, mi manifestava che quei fossili offertimi venivano dalle marne rappresentate nella sezione, io dovea necessariamente rap- portare all’ età di quei fossili le marne e quindi ringiovanirle e più ancora le sabbie soprastanti; vorrà perciò il signor Fuchs credermi in contradizione? Ma è ciò un volermi attribuire un errore stratigrafìco che non è mio e che invece gli appartiene di pieno diritto. Dappoiché, come di sopra ho detto, quelle con- chiglie furono raccolte in marne che sono posteriori non solo alle marne della sezione ma benanco alle ultime sabbie. Da tutto ciò si capisce benissimo che il signor Fuchs avrà ben lungo attendere finché io abbia modificate le mie idee in modo da convenire colle sue. Venga piuttosto a visitare nuova- mente il nostro plioceno, e lo studi! con maggior cura di quella usata la prima volta, e qualora con documenti irrefragabili sarà per dimostrare inesatte o anco erronee le mie vedute io sono sempre pronto a ricredermi. * In queir epoca siffatta zona del plioceno era da me chiamata Zancleano superiore; oggi invece ho dimostrato che risponde esattamente all’ Astiano del Pareto. 97 V. Sulla formazione della Terra Bossa, Nota del Dott. M. Neumayr.' In quasi tutti i distretti nei quali compariscono calcari puri formanti degli altipiani in guisa da venirne impedita una rapida asportazione di detrito dalla superficie, si ritrova disteso alla superficie o accumulato in cavità imbutiformi o dolline un fango rosso molto ricco in ferro. Sugli altipiani delle montagne del Giura, sui selvaggi pianori dei massicci calcarei delle Alpi e so- pratutto nella regione del Carso nel S.E. dell’ Europa, trovasi questa formazione che noi chiamiamo dal nome col quale è co- nosciuta in quest’ ultima località, cioè di terra rossa. Anche il celebre fango rosso ossifero di Pikermi, non è altro che terra rossa accumulata nell’ epoca miocenica in una vallecola, e che sta col marmo del Pentelico nello stesso rapporto come la terra rossa in Istria e Dalmazia col calcare del Carso. La perenne concomitanza del calcare e della terra rossa ha già da gran tempo fatto nascere il sospetto che la presenza di quest’ ultima sia subordinata all’ esistenza del primo, e che essa non sia altro che 1’ ultimo residuo insolubile dello sfacimento del calcare per 1’ azione delle intemperie. Infatti è appena possibile il dubitare della verità di questa supposizione, se pensiamo che in nessun altro caso presentasi la terra rossa fuorché insieme al calcare ; certamente trovasi, per esempio in Dalmazia e in Istria, una fanghiglia rossa anche sull’ arenaria del flysch, però solamente in prossimità del calcare del Carso od in maniera che la sua pre- senza può facilmente venire spiegata ammettendo il dilavamento di un deposito di trasporto. La stessa origine del fango rosso degli altipiani calcarei dob- biamo ascrivere anche al fango rosso che riveste dappertutto le grotte dei monti calcarei ed in parte rappresenta il residuo della dissoluzione del calcare che un tempo riempiva le caverne, * Vedi: Verhandl. der k. k. geolog. Reichs., 1875, n. 3. — 98 - e in parte vi può essere penetrato dall’ alto attraverso le spac- cature. Il principio della formazione della terra rossa ha avuto luogo per le varie località in epoche assai diverse ; però, ovunque la vediamo in grandi masse, sembra che sia in via di formazione da un tempo lunghissimo. Così i resti de’ vertebrati che trovansi •sugli altipiani e nelle spaccature dei monti del Giura fanno ri- portare il principio di questa formazione fino all’ epoca dei pa- leoterii ; il fango rosso del Carso contiene Hippoterii e altri resti delia seconda fauna miocenica, in Gulo e in altre località quelli dell’ epoca diluviale ; noi possiamo perciò in molti casi determi- nare r età di ciascun giacimento di terra rossa, senza potere rife- rire r insieme della sua formazione ad un periodo strettamente limitato. Può apparire sorprendente che calcari straordinariamente puri racchiudano silicati molto ferruginosi ; per provarlo sciolsi negli acidi un calcare bianco il più possibilmente puro e trovai come residuo una piccola parte di argilla rossa; 71,76 grammi di calcare del Carso (di Cherso) bianchissimo e puro, trattato coir acido acetico dette 0, 044 per 7o eli silicato rosso nel quale erano contenuti circa 20 per 7o di ossido di ferro. Completamente oscura rimase finora la causa dalla quale tutti questi calcari ricevettero il loro silicato e precisamente sotto forma di un’ argilla rossa fortemente ferruginosa : ultimamente però sonosi scoperti dei fatti in un’ altra località affatto diversa, i quali hanno messa un poca di luce su questa questione. Le ricerche della spedizione del Challenger hanno mostrato che il fango a globigerine che cuopre per spazio immenso il fondo del mare, ordinariamente non presentasi a profondità maggiori di 2200 braccia (Faden); più oltre fino a 2700 braccia un fango grigio, a profondità maggiori ovunque nei diversi mari vi ha sem- pre un sedimento rosso sottilissimo, ed una argilla molto ferru- ginosa. L’ estensione generale dell’ argilla rossa e il modo e la maniera con cui essa passa all’ argilla grigia e questa al fango tipico bianco a globigerine, hanno schiarito il modo di origine di questo sedimento e la giustezza di questa spiegazione è stata dimostrata da esperimenti diretti. Le globigerine nuotano alla superficie del mare e dopo la — 99 — morte cadono al fondo : le loro conchiglie però si mantengono a profondità minori di 2200 braccia, e per la forte pressione ven- gono attaccate dall’ acqua del mare, nel quale viene a formarsi il fango grigio mediante la loro incompleta decomposizione, men- tre ad una profondità maggiore tutto il carbonato di calce viene disciolto e resta solo un residuo di silicati. In fatto mostrasi al trattamento del fango bianco di globigerine con acidi diluiti un piccolo residuo di un silicato di ferro, il quale corrisponde per- fettamente al fango rosso delle più grandi profondità marine, e sembra essere una delle parti componenti il guscio delle globi- gerine. Per conseguenza non vi può essere alcun dubbio che il fango rosso delle profondità del mare sia formato dal residuo insolubile delle conchiglie di globigerine. È noto che il fango delle globigerine, che per certo non è esclusivamente composto dai gusci di questa specie di forami- nifere, è il sedimento calcareo il più esteso nel fondo dei mari attuali, e ciò dà molta ragione di credere che il maggior numero dei calcari non siano altro che fanghiglie di foraminiferi conso- lidate ..e trasformate. Con ciò viene spiegata V origine della terra rossa : sia che il fango a globigerine venga disciolto dalle acque del mare sotto una pressione di 500 atmosfere o per mezzo di acidi, o sia che, dopo lunghi periodi geologici, trasformato in calcare compatto, venga dall’ acqua e dall’ acido carbonico disgregato, deporrà sempre la stessa argilla rossa, e in quest’ ultimo caso formerà la terra rossa degli altipiani calcarei. Così vediamo che gli alti- forni che trattano il minerale ferrifero della terra rossa, niente altro estraggono che le minime quantità di ferro contenute nei piccoli gusci delle foraminifere, e che anche oggi giorno questo minerale, viene preparato per via umida, in iscala assai più grande, sul fondo dei mari. 100 NOTE MINERALOGICHE. I. Scoperta di minerali d’ argento in Sardegna. Nota delVing. Eugenio Marchese.'' Solo chi ha minutamente visitato e studiato quei tratti clel- r isola di Sardegna nei quali si presenta al giorno il terreno siluriano può farsi un concetto della ricchezza realmente ecce- zionale in giacimenti metalliferi che il medesimo presenta. Le ricerche minerarie che qua e là si vanno facendo nei limiti di esso, sebbene in iscala ancora di gran lunga inferiore air importanza e al numero delle giaciture metallifere che tut- t’ ora rimangono completamente inesplorate, mettono nonpertanto continuamente allo scoperto nuovi modi dt giacimento metalli- feri, e nuovi minerali industrialmente coltivabili. Una delle più recenti scoperte, si è quella di minerali d’ar- gento in quantità industriale e ricchezza notevolissima ; fatta nello scorso mese di gennaio in filone regolare del distretto d’ Iglesias, presso Fluminimaggiore. L’ argento si trova sempre nel distretto d’ Iglesias in maggiori o minori proporzioni coi minerali di piombo, dei quali sono, per così esprimermi, innu- merevoli le giaciture. Esso accompagna la galena nei filoni re- golari che attraversano la formazione scistosa, come accompa- gna la galena e il carbonato di piombo nelle giaciture che si incontrano nella formazione calcarea. Queste ultime possono di- stinguersi in due grandi classi rispetto alla loro ricchezza in argento ; i giacimenti concordanti colla stratificazione del cal- care, ordinariamente poco ricchi in argento : e quelli che attra- versano la formazione stessa, ^otto forma di filoni regolari di spaccatura e caratterizzati da matrice quarzosa, ordinariamente * Comunicata alla R. Accademia dei Lincei dal socio Q. Sella nella seduta del 14 febbraio 1875. Ved. Atti R. Acc. Lincei, serie tomo II. -- 101 meno ricchi in piombo ma molto più ricchi in argento. Egli è su nodesti filoni regolari di spaccatura che i lavori antichi si trovano più sviluppati, ed hanno raggiunto più considerevoli profondità dalla superficie (fino 100-150 metri). Ma in tutte que- ste giaciture fra loro diverse e per la formazione che le con- tiene e per la natura del vano in cui si sono deposte, e più an- cora per differenza di matrici, e differenza di direzione e d’età geologica, sebbene varia sia del pari la ricchezza in argento dei minerali di piombo che ne contengono, 1’ argento si trovò però sempre mascherato dalla galena, e veri minerali d’ argento, sui quali non cada dubbio, non si sono mai rinvenuti ; o per lo meno non così ripetutamente da poter ritenere la loro presenza come un fatto d’ importanza industriale o anche solo un fatto geologico, caratterizzante una data classe di giaciture. Così stavano le cose fino a tutto il 1870, ed infatti il Sella nella sua relazione sulle miniere della Sardegna ^ parla della scoperta di esemplari, ma solo di campioni, di Argento nativo e di Pirargirite con minerali di nichelio e cobalto ne’ filoni a matrice di fluorite nella miniera di Nieddoris e cita esemplari di Argento nativo a Monte Narba nel Sarrabus (pag. 49). Però più innanzi a pag. 52 egli aggiunge : « Gli antichi che lavo- » rarono nel distretto di Iglesias menzionarono delle vene argen- )) tifere nelle giaciture Però nei filoni ai quali abbiam ac- » connato se trovansi minerali di piombo molto argentifero, non » venne ancora constatato si trovino veri minerali (nel senso » industriale) d’ argento, e ci resta così il dubbio sulla vera » natura dei minerali da cui quegli antichi estraevano l’argento, )) che pare fosse 1’ oggetto pricipale delle loro ricerche, e di cui » realmente giunsero ad ottenere una produzione assai ragguar- » devole, che lasciò al paese la fama di argentifero. Ciò nondi- » meno essendo vero il fatto essenziale dell’esistenza di minerali » molto ricchi di questo metallo, ci resta la fondata speranza » che col proseguire i lavori se ne possano rintracciare cospi- » cue vene. » * Q. Sella, Sulle condizioni dell’ industria mineraria dell’ Isola di Sar- degna, Relazione alla Commissione parlamentare d’ inchiesta. Camera dei De- putati, tornata del 3 maggio 1871. 102 - Il pronostico non tardò ad avverarsi. Importanti quantità di minerali argentiferi si scoprirono nel Sarrabus, nella zona orien- tale deir isola. Quivi un filone regolare che attraversa dall’ est all’ ovest la formazione scistosa e che è stato esplorato sopra pa- recchi chilometri presenta importanti arricchimenti di minerali d’ argento propriamente detti, ed ha dato luogo ad importanti coltivazioni. Negli anni 1872-73 e 1873-74 si estrassero 432. tonnellate di minerale, che diedero 120 tonnellate di piombo e 5605 chilogrammi d’ argento, lochè corrisponde ad una ricchezza media di 13 chilogrammi di argento per tonnellata di minerale, e di 4,7 per cento di piombo estratto dal minerale. I minerali che formano la base di questa produzione sono r Argentite (solfuro d’ argento) e l’ Argento nativo : accidental- mente il Kerato (cloruro d’argento) e la Pirargirite (argento rosso, ovvero solfoantimoniuro d’ argento) oltre Galena, Blenda e raramente Nichelina e Cobaltina. Le matrici ordinarie sono la Fluorite, il Calcare, la Baritina, il Quarzo. Ma nel distretto di Iglesias i filoni regolari di spaccatura che attraversano la formazione scistosa dei "terreni siluriani non avevano sinora, al pari dei giacimenti della formazione calcarea, fornito che minerali di piombo variamente argentiferi ; senza presentare minerali d’ argento propriamente detti. Solo alcuni esemplari (d’ interesse esclusivamente mineralo- gico) d’ Argento nativo, erano stati rinvenuti parecchi anni or sono nell’ interessante filone di Nieddoris, nel distretto di Flu- minimaggiore indicato col N. 224 nella Carta mineraria della Sardegna annessa alla Relazione del Sella. In esso si presenta- vano contemporaneamente lenti di minerali assai ricchi di ni- chelio e cobalto, cioè Cobaltina e Nichelina (arsenio-solfuro di cobalto, e arseniuro di nichelio). Una prima lente d’importanza realmente industriale venne scoperta in questi ultimi tempi nel distretto di Iglesias nella miniera di Perda S’ Oliu situata una mezz’ ora a greco del vil- laggio di Fluminimaggiore, e segnata col N. 225 nella Carta mi- neraria annessa alla sovracitata Relazione del Sella. A pochi passi a nord-ovest dell’ abitato di Flumini si scorge emergere dal terreno la testata quarzosa di un filone, denominato, dalla natura stessa della sostanza che lo compone, Perdas de Fogu — 103 (pietra da fuoco) : in questo punto precisamente lo scisto dal quale emerge la testata del filone è completamente impregnato di fossili : è questa la principale località (e si può dire quasi r unica per la sua importanza) in cui la formazione siluriana di Sardegna, presenti in quantità importanti le impronte fossili che hanno servito a caratterizzarla. — Da questa località provengono quasi esclusivamente i fossili siluriani, illustrati nell’ opera geo- logica del La Marmora per le cure del Meneghini. In questa stessa località agli scisti silurii si trova interca- lato qualche piccolo banco subordinato di calcare compatto di color bruno, ricco del pari in fossili dell’ epoca siluria, special- mente ortoceri. La presenza di questi piccoli banchi calcarei su- bordinati nella massa della formazione scistosa, non è ancora stata segnalata in altro punto di detta formazione. Si è pertanto in un terreno perfettamente caratterizzato geo- logicamente dagli studi del La Marmora e del Meneghini ; sul quale non mi occorre arrestarmi. Il filone di Ferdas de Fogu comincia a mostrarsi coi suoi affioramenti come un filone di spaccatura fra gli scisti dell’ epoca siluria ; questo affioramento procede regolarmente da ponente verso levante ; qualche volta emerge in testate sullo scisto cir- costante, talora invece non appare. Questo vario modo di pre- sentarsi è probabilmente dovuto alla materia delle sostanze delle quali il filone è principalmente composto, che sono il quarzo e la fluorite : secondo il predominio dell’ una o dell’ altra sostanza, presenta il filone maggiore o minore resistenza alla decomposi- zione per gli agenti esterni, in confronto del terreno incassante. Il filone traversa così, procedendo verso levante, la regione Perda S’ Oliu, formando un percorso totale, sul quale si può seguire con certezza, di quasi quattro chilometri. Nella regione Perda S’ Oliu, un piccolo scavo fatto nel letto di un rigagnolo, discen- dente dal monte che il filone percorre a mezza costa, aveva messo a scoperto una piccola lente di minerali di nichelio e cobalto di grande ricchezza. La Nichelina e la Cobaltina vi si trovavano frammiste irregolarmente, sotto forma di piccolissimi arnioni, in un quarzo compatto formante una vena secondo la direzione del filone, costantemente accompagnata ai due lati di vene di Siderite (carbonato di ferro). — 104 Nella regione Perdas de Fogu si erano trovati nel filone mi- nerali di piombo nella matrice fiuoritica; e si sono recentissi- mamente scoperti minerali di nichelio e cobalto nella matrice quarzosa come a Perda S’ Oliu. — Questo filone principale con direzione spiccata da levante a ponente, è intersecato da numerosi altri filoni secondarii ancora imperfettissimamente conosciuti. La direzione di questi filoni secondarii è varia, ma pare che in generale tagli quella del filone principale ad angoli assai forti. — Tale almeno è la direzione del filone secondario, nel quale la lente di minerali d’ argento è stata scoperta. — Questo filone è diretto circa N.N.O., e la galleria stata aperta secondo la sua direzione ha il duplice scopo di esplorare il medesimo e di servire di galleria di ribasso per la esplorazione ulteriore del filone principale, senza andare incontro ad un esaurimento di acque per via di pozzo. Nella parte sinora seguitata dalla galleria, il filone si man- tiene costante in natura e potenza ; il suo spessore saggiato con qualche traversa è di cinque a sei metri ; esso è composto esclu- sivamente di fluorite ; in questa si presentano più o meno irre- golarmente arnioni di galena a grandi faccie, pura, non accom- pagnata da altri solfuri metallici, povera in argento (venti grammi per quintale di minerale). — Col raggiungere la zona argentifera, la natura del filone cambia sensibilmente. La massa fiuoritica prima amorfa e compatta, sebbene facile a disaggregarsi presenta delle fenditure nel senso della direzione ; in queste fen- diture a forma di druse la fluorite si presenta spesso in piccoli cristalli ; sopra qualcuna di esse si vedono deposte numerose tavolette di baritina ; nei vani della fluorite si presenta V ar- gento nativo a laminette, a filamenti, a impregnazioni. Final- mente colla fluorite si alternano vene di ocra che indicano la pirite di ferro, come uno degli originari componenti del riem- pimento argentifero; e in mezzo a queste ocre di ferro si tro- vano ancora impregnazioni di argento nativo di ricchezza ecce- zionale. La pirite che ha dato luogo per decomposizione a queste ocre, è stata ancora da me osservata in qualche pezzo alla mi- niera nel suo stato primitivo ; essa è compatta, a grano finis- simo, molto simile ai piccoli nocciuoli di pirite che si trovano spesso isolati in mezzo alla galena della formazione calcarea, i 105 — quali pare abbiano sfuggito alle azioni decomponenti che hanno prodotto le abbondanti ocre che ordinariamente accompagnano simili galene. Qualche cristallino di Cerusite (carbonato di piombo) e qual- che piccola vena di galena trovansi ancora in questa fluorite argentifera ; ma V aspetto di questa galena è differente da quello degli arnioni che si trovano nel resto del filone, e probabilmente si otterrà dal saggio una ben differente ricchezza in argento. Al di là della lente o zona argentifera che ha proseguito in direzione per circa dieci metri, e continua in corona ed ai piedi della galleria di esplorazione, comparve la pirite di ferro, della quale non fu dato ancora riconoscere se sia o non sia argentifera. Questi dati sono certamente incompletissimi; ma chi conosce il lavoro delle miniere, sa che occorre tempo perchè i lavori stessi procedano innanzi e forniscano i dati geologici che pos- sono essere sufficienti a stabilire le leggi d’ andamento di un filone, e quelle del suo arricchimento metallifero. Così pure dal lato mineralogico occorrono mezzi e tempo per esami e per saggi che fanno completamente difetto in una miniera appena iniziata, e non si possono avere che col tempo. In alcuni pezzi dei mi- nerali dei quali si tratta si scorgono, oltre l’Argento nativo, leggere impregnazioni di Pirargirite, nella fluorite ; è probabile che si riconosca anche l’Argentite, come altresì impregnazioni di Kerato fra quelle abbondanti d’ argento nativo che sono ac- compagnate dalle ocre. Così pel rispetto geologico, è tuttora dubbioso se questi mi- nerali argentiferi siano unicamente propri al filone secondario, nel quale sono stati incontrati, o se non siano dovuti alla in- fluenza di un filone o vena parallela al filone principale E. — 0. ; della quale si vedono tracce alla superficie, e che incontrerebbesi il primo all’ incirca nei pressi della zona argentifera. Tutte queste interessantissime questioni non potranno essere schiarite che fra alcuni mesi, quando la esplorazione e del filone argentifero, e della vena diretta Est-Ovest siano abbastanza complete da far conoscere se, e quali relazioni passino fra le due fenditure metallifere. — 106 - IL Un nuovo giacimento cVAllumitey Nota del dottor A. De Lasaulx.'’ La maggior parte dei giacimenti d’Allumite fino al presente conosciuti, rinvengonsi in certo modo collegati alle rocce trachi- tiche, di modo che può spiegarsene la loro origine, ricorrendo alle esalazioni vulcaniche. I più antichi giacimenti conosciuti son quelli di Piombino e quelli della Tolfa non lungi da Civitavecchia : essi sono intimamente collegati coi tufi trachitici e coi conglomerati pomicei, e passano senza intermezzo ad essi, e come essi sono formazioni clastiche. La pietra d’ allume di Egina, secondo il Virlet, è un prodotto di decomposizione di rocce compatte trachitiche e trachito- quarzifere, il quale in causa di un rammolimento collegato con metamorfismo assunse la struttura di una breccia. Anche le Allu- miti ungheresi di Bereghszàsz, Tokaj e Musaj sodo collegate colle rocce e i tufi trachitici, come pure coi conglomerati pomicei. La nota Allumite del Mont Dorè in Francia trovasi ai piedi del Pie de Sancy nel cosiddetto Bavin de la Graie parimente in forma di una breccia che molto assomiglia a quella della Tolfa. E questa una breccia trachitica, le cui condizioni di giacitura sono molto difficili a determinarsi ; il^ suo contenuto in Allumite è variabile ma sempre piccolo, con forte tenore in silice (fino a 28,40 7o secondo Cordier e Gautier-Lacroze), in ossido di ferro (fino a 1,93 7o)? e in solfo (fino a 7,33 7o)- L’ Allumite tappezza tal- volta gli spacchi e le cavità della roccia con piccoli cristalli romboedrici : le cavità appariscono vuote, o sono ripiene di noc- cioli gialli di solfo. Talora il solfo presentasi in forma decisa- mente cristallina. Là dove nelle cavità non è contenuto solfo, vi compariscono piccoli cristalli di pirite. Tutti questi fenomeni accennano a sublimazioni di vapori contenenti acido solforico o acido solfidrico. Anche il giacimento d’Allumite al piede nord della montagna trachitica di Gleichenberg è spiegabile in modo * Dal Neues Jahrhuch fùr Min., Geol., und Pah, von G. Leonhard und H. B. Geinitz. - Jahrg. 1875, H. 2. — 107 - analogo, e P analisi di Fridau {Lieb. Ann. LXXVI, 106) sulla Allumite molto silicifera (50,7 7o) non lascia alcun dubbio intorno alla provenienza della Allumite dalla trachite. In tutti questi casi r esalazioni di acido solfidrico dovettero essere collegate coir acido solforoso o con vapori di acido solforico, i quali ope- rarono la trasformazione della trachite. Secondo il v. Richthofen, esalazioni di acido fluoridrico avrebbero iniziato il processo di formazione delle Allumiti ungheresi, i fluosilicati che ne deriva- rono si convertirono allora in solfati per opera di vapori acquei contenenti acido solforico. Alquanto diverse possono essere state le circostanze di pro- duzione, dove le rocce primitive non erano trachiti ma arenarie impure. Così secondo Richthofen T Allumite di Kawa Tjiwidai nell’ isola di Giava sarebbe stata prodotta dalla trasformazione di un’ arenaria quarzosa, e per l’ Allumite di Musaj J. Grimm espresse nel 1837 ‘ 1’ opinione che essa non provenisse da tra- chiti, ma da arenarie. L’ arenaria che ivi riposa sulla pietra d’allume, passa gradatamente in questa ultima. Anche dalla descrizione di una delle colline che racchiudono la pietra d’ allume, si può conchiudere per una diversa origine. Essa consta secondo Grimm di una roccia bianca cellulosa, spesso di piccolissima soli- dità e triturabile, e colle cellule rivestite di Allumite color rosso pallido. La roccia lascia scorgere una stratificazione, raramente vi sono grani di quarzo, e vi si trovano pure non dubbi resti di vegetali. Grimm crede perciò che quivi l’Allumite difficilmente possa essersi prodotta dalla trachite, ma la ritiene per un cam- biamento subito, da un’ arenaria per causa di acido solforoso durante un’ azione vulcanica. Molto notevole è la osservazione che il tenore in ossido rosso di ferro spesso si accresce tal- mente in questa roccia, che in alcuni punti si sostituisce com- pletamente a tutte le altre parti componenti. L’ oligisto e la ematite rossa micacea attraversano allora insieme col gesso com- patto e cristallino la massa a guisa di filoni. Perciò fra queste Allumiti e il nuovo giacimento di cui verrà data ora notizia, esistono alcune analogie, e non può essere improbabile che anche a queste e ad altre Allumiti sia da attribuirsi la stessa maniera * Vedi: Neues Jahrhruch ec., 1837, pag. 555. — 108 — d’ origine che con molta sicurezza può ritenersi per il nuovo giacimento di che appresso. Per gentile comunicazione del professore Gonnard di Lione ebbi notizia e contemporaneamente un saggio di un giacimento di Allumite di recente scoperto presso il villaggio di Breuil ad ovest d’ Issoire nell’ Alvergna. Questa Allumite ha un colore bianco, a luoghi cangiante in rosso pallido; è affatto terrosa, cavernosa e triturabile, e allappa fortemente la lingua. Al microscopio la polvere mostrasi affatto amorfa; essa consta solamente di un aggregato di grani piccoli e rotondi. Schegge isolate più grandi e cristalline che compari- scono fra esse, possono riconoscersi con sicurezza per quarzo ; esse sono tuttavia molto rare. Questi grani quarzosi possono riconoscersi anche alla maggior durezza nel ridurre in polvere la pietra allumifera. Nel tubo di vetro deposita acqua, e con piccolo riscaldamento dà un odore di acido solforoso ; riscaldata in una soluzione di cobalto diviene di un bel colore azzurro. La determinazione del peso specifico dette 2,601. La composizione chimica secondo un’ analisi eseguita dal professor Truchot alla stazione agrazia di Clermont-Ferrand è la seguente indicata sotto il Num. 1. » I. II. III. IV. SO^ — 37,6 40, 9 39, 1 36, 4 APO^ = 38,3 41,8 46, 5 39,4 K^O — 7 2 — < , ^ 7,9 8, 5 8, 8 Fe^O^ = tracce — — — SiO^ = 8, 2 — — — wo = 8, 5 9, 2 5, 9 15,4 99, 8 99,8 100, 0 100,0 Il contenuto in silice del num. 1, deve essere ritenuto come un semplice miscuglio di impurità. Detraendo il medesimo e rettifi- cando il calcolo dell’analisi, ottiensi la composizione deH’Allumite pura data al IL Ugualmente sono state calcolate le analisi dei num. Ili e IV deH’Allumite del Pie de Sancy. Quella del III è data da Cordier, e ne offre la composizione colla detrazione di 28,4 7o di acido silicico e di 1,44 7o di ossido di ferro. L’ analisi IV è — 109 stata calcolata da Gautier-Lacroze (N. Jahrh., 1864, pag. 723) dopo aver tolto 35,23 "/o d’impurità dovute alla silice, ossido di ferro e solfo. Il più forte tenore d’ acqua dell’ analisi IV potrebbe verosimilmente indicare la presenza di idrato d’ allumina, quindi forse di un miscuglio di Gibsite, per cui l’Allumite vi si trove- rebbe allo stato idrato, mentre le analisi di Cordier conducono alla opinione di Mitscherlich, secondo la quale l’Allumite sarebbe composta, secondo la formula KO . SO3 4- 3 (Ab O3 . SO3) 4- 2 AI2 HO3. L’analisi dell’Allumite di Breuil al contrario mostra nei numeri trovati per 1’ acido solforico, allumina e potassa quasi le condizioni necessarie alla formazione del solfato d’ allumina e di potassa, e perciò essa deve essere ritenuta con certezza come un semplice idrato di ambedue questi sali. La sua composizione conduce quasi esattamente alla formula: KO . SO3 4- 6 Ab O3 . SO3 4~ 6 HO. Questa Allumite presentasi come un esteriore rivestimento di un deposito argilloso ferruginoso rosso, cosicché la forma di esso secondo una notizia del professore Gonnard può ben essere equi- parata ad una gigantesca focaccia, il cui riempimento è composto dell’ indicata argilla rossa e la crosta di Allumite. Il deposito argilloso fa parte del tufo trachitico, potentemente sviluppato in questo territorio, e dei conglomerati basaltici e pomicei che com- pongono le estese colline e gli altipiani ad ovest d’ Issoire. Tutte queste formazioni che sembrano costituite da strati alter- nanti di tufi, argille, arenarie e calcari, appartengono alla for- mazione terziaria. Questo modo così regolare di presentarsi della Allumite come la crosta esterna di un deposito argilloso è diverso da tutti gli altri che abbiamo fin ora accennati. Quivi può rico- noscersi uno stretto legame tra il nucleo d’ argilla rossa ferru- ginosa e la crosta d’Allumite ; tale regolarità non può attribuirsi alla alterazione indotta da esalazioni casualmente sviluppatesi e attraversanti la roccia irregolarmente in tutti i sensi. La causa per la formazione dell’ Allumite deve in questo caso avere avuto luogo nello interno di questo deposito. Un’ argilla con pirite od anche più verosimilmente un’ argilla con marcassita è stato il punto di partenza di questa formazione no — allumitica.^ La marcassita poteva trovarsi sparsa uniformemente 0 accumulata in masse isolate nell’ argilla, e mediante 1’ acqua atmosferica penetratavi vi si potè indurre una rapida decompo- sizione. Per r ossidazione si originò successivamente il solfato d’ ossidalo di ferro ; il vitriolo di ferro e insieme anche acido solforico libero, formazione che pur troppo spesso può osservarsi nelle collezioni, ove V acido solforico che sviluppasi dalla mar- cassita che trovasi in luoghi umidi, corrode e abbrunisce i soste- gni di legno e le scatole di cartone che la contengono. L’ acido solforico, penetrando dall’ esterno, oprò la trasformazione delia parte esterna di questo deposito in Allumite. Il tenore in po- tassa dell’ argilla che rese possibile la produzione del solfato di potassa, non può apparire straordinario in niun caso in queste argille che devono necessariamente riguardarsi come detrito sot- tilissimo di rocce vulcaniche e trachitiche decomposte. Del resto questi processi possono riprodursi artificialmente, come ha già dimostrato Senft {I eìsgemengtlieile pag. 143), ponendo della mar- cassita in un fango argilloso contenente potassa, e lasciandole qualche tempo insieme all’ umidità ; si ottiene - allora una solu- zione dalla quale, evaporata a poco a poco, si separa un miscu- glio di vitriolo di ferro e d’ allume. Il vitriolo formatosi nel primo stadio della decomposizione viene in seguito depauperato del suo acido solforico che viene impiegato nel completamento della formazione allumitica, e per residuo ottiensi allora ossido di ferro che induce la colorazione rossa nei nuclei argillosi. Tali giacimenti d’ Allumite nei quali essa presentasi insieme all’ ossido di ferro rosso, all’ oligisto e al gesso, come anche quello di Musaj, dovettero certamente esser prodotti in tal maniera, seb- bene per questo ultimo la prova non sia tanto evidente come per r Allumite di Breuil. In generale però noi possiamo ritenere per certe due vie di formazione dell’ Allumite che in certo qual modo sono fra loro ’ L’ idea della formazione della Allumite per la decomposizione di piriti non è nuova. La Allumite che trovasi a contatto della massa metallifera delle Ca- panne Vecchie nella Maremma toscana, non può attribuirsi certamente ad azioni vulcaniche perchè di esse non vi è traccia e può riconoscervisi colla massima evidenza il processo di decomposizione delle piriti e la formazione della pietra d’allume. ~ (La Redazione). ~ 111 opposte. Una è dovuta ad esalazioni d’ acido solforico che agi- scono sulle rocce contenenti allumina, potassa e ossido di ferro, e induce in esse PAllumite, il solfo e la pirite: l’altra invece prende origine dalla pirite o marcassita, e i suoi prodotti sono Allurnite, oligisto e ossido rosso di ferro. Ambedue questi pro- cessi si riscontrano nel M. Dorè, dopoché allo antico ma ormai abbandonato giacimento del Bavin de la Graie si è aggiunto questo di Breuil, il quale sarebbe anche di molto valore in- dustriale. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. Ed. Suess. — Die Erdhében des sudlichen Balien. — (Dalle Memorie dell’ Accademia Imperiale delle Scienze). — Vienna, 1874. Questo lavoro importantissimo per la conoscenza della costi- tuzione geologica, come anche dell’ attività sismica dell’ Italia, dividesi in tre parti: la prima, discorre della costituzione geo- logica della Calabria, e della prossima parte dell’ isola di Sicilia. Nella seconda, sono descritti circostanziatamente i terremoti del- r Italia meridionale, deducendoli dai documenti che vi esistono. Nella terza, si tratta dell’ attività sismica dell’ Italia meridionale e si fanno interessanti osservazioni sulle correlazioni fra i ter- remoti ed i vulcani ; e di questa daremo qui un breve cenno. I centri principali dell’ attività sismica non sono distribuiti a caso nell’Italia meridionale; dopo molto tempo, spesso dopo se- coli, una determinata località per la seconda o terza volta di- viene centro di una violenta commozione, e la direzione e la natura di questi moti varia secondo le località. Essi si possono sempre dividere, relativamente a un focolare centrale di eruzione, in scosse radiali e periferiche. La maggior parte delle scosse radiali delle Isole Lipari com- prende la linea principale sismica delle Calabrie, o la linea pe- riferica di esse isole. Una seconda linea molto importante tro- vasi nella Lucania, e corre da Orsomarso nella parte più setten- 112 - trionale della Calabria al Vulture: le scosse di essa hanno il carattere di scosse in una linea periferica. Una prova dello stretto rapporto fra i vulcani e i terremoti si trova specialmente nella distribuzione dei vulcani sulle linee sismiche. La regione vulcanica dell’ Italia .centrale comprende perciò vulcani, i quali anch’ oggi sono centri di terremoti e di eruzioni ; quelli che presentano soltanto terremoti, ovvero solo raramente o mai veri fenomeni eruttivi; finalmente centri abi- tuali di terremoti, nei quali non furono mai osservate eruzioni di lava o cenere. Possiamo in conseguenza distinguere nell’ Italia meridionale: r Gruppi vulcanici, che comunicano a grandi distanze scosse radiali. Come le Lipari, P isola di Pantellaria, e forse anche al- cune località sottomarine nel Mare Jonio. 2° Vulcani isolati sopra una linea periferica. L’ Etna, il Ve- suvio, Bocca Monfina, i Monti Albani, e forse anche il Vulture. 3“ Vulcani isolati sopra una linea radiale: Isola Giulia. Non è ancora bene definito se i Campi Flegrei e le Isole di Ponza, debbano ritenersi come gruppi vulcanici del primo ordine. Si può facilmente comprendere perchè nei centri eruttivi del primo ordine, come nelle Lipari, i gruppi vulcanici tengano il luogo dei vulcani isolati, quando si confronta il complesso della attività vulcanica della zona tirrenica col sistema delle fratture concentriche e radiali che vengono generate dallo sprofondarsi di una crosta solida, come ad esempio, le fratture radiali che si produssero presso Gerocarne in Calabria, in causa del terre- moto del 1713. Si intende facilmente che verso il centro della regione che ha subito tale fenomeno, le fratture radiali apren- tisi verso il basso, si attraversano più volte reciprocamente, e formano una rete irregolare, che può dare origine ad un sistema vulcanico assai complesso. Certamente un sistema di fratture ra- diali può prodursi anche sopra a vulcani isolati periferici, però questi sistemi radiali in vulcani periferici non hanno mai con- dotto alla formazione di gruppi vulcanici. Queste vedute vengono rappresentate in un profilo ideale dalle Lipari fino all’ Aspromonte in Calabria. L’Autore paragona quindi con questo taglio le diverse opinioni state emesse sulla origine dei terremoti. 113 - L’Autore fa poscia il tentativo di applicare all’Austria Infe- riore le osservazioni fatte nella grandiosa zona sismica dell’ Italia meridionale. Al nostro centro delle Isole Lipari corrispondereb- bero colà i dintorni di Neustadt nel mezzo di una depressione della regione alpina. Finalmente havvi una osservazione che forsa potrà gettare qualche luce sulla costituzione intima delle catene montuose. Dove la linea principale calabrese raggiunge la zona del flysch dei Monti Peloritani, trovasi 1’ unico punto nel quale siasi formato un vulcano periferico, 1’ Etna : dove la linea di frattura della Lucania esce dalla zona del dell’ Apennino, trovasi l’ unico punto di essa sul quale siasi formato un vulcano, il Vulture : dove nell’ Austria Inferiore la linea di Kamp esce dalla zona del flysch delle Alpi Noriche, trovasi 1’ abituale punto di partenza dei più violenti terremoti in quelle regioni presso Altlengbach. La deduzione più importante però si è, che dovunque i ter- remoti si manifestano in punti determinati, e seconde linee, le quali in quanto sono linee periferiche, corrispondono per lo più colle linee evidenti di frattura, o con quelle di separazione delle catene montuose. NOTIZIE DIVERSE. Terremoti presso V Etna dal 7 al 20 Gennaio 1875/ — a Nella notte del 7 all’ 8 gennaio in Acireale e suoi dintorni sono avvenute più scosse di terremoto. Si ha ragione di credere che ripetano la loro origine dall’interno lavorio dei fuochi dell’Etna. La prima scossa fu avvertita alle 9. 10' pom., non dissimile in nulla a due brevi e ben distinte sotterranee percosse. Essa fu foriera di un terremoto di ben altra intensità. » Batteva l’ una meno un quarto dopo mezzanotte, quando da molti che si trovavano in veglia, fu udito un sotterraneo ’ Notizie raccolte dai giornali da M. S. De Rossi. — V. Bollettino del Vul- canismo italiano, anno secondo, fase. 1, 2 e 3. 8 114 rombo. Consecutivamente ebbe luogo lo scoppio di un terremoto gagliardo che prolungossi per più secondi, e le cui oscillazioni si confusero a tre grandi urti da produrre dappertutto scompi- glio e spavento. L’uno e l’altro si provò dagli abitanti; molti, uscendo all’ aperto, si riversarono per le strade e per le piazze ; il maggior terrore manifestossi nei quartieri. Il signor sotto- prefetto riunissi allora alla popolazione, i KR. Carabinieri atti- varono la loro perlustrazione. Le ricevute notizie ci fan sicuri che questo non fu se non un terremoto vulcanico locale, il cui centro di radiazione si appalesò nella zona superiore dei terri- torio ad occidente di questa città, specialmente nella contrada denominata Testa di Vipera, e consecutivamente nelle contigue Fossa deir acqua e Malovrio. Si hanno infatti nella prima, per un miglio attorno, diverse fenditure del suolo, l’ atterramento di varie case di campagna; lo scompiglio ed il rovescio di molte mura stradali e di circonvallazione. Le altre due contrade sof- fersero anche danneggiamenti di questo genere. Il terremoto pro- pagò la sua oscillazione ad Aci Sant’ Antonio, Aci Catena, Pisano, Santa Venerina ec. Fortunatamente non si" hanno a lamentare casi di morte; ma parlasi solo di pericoli corsi e di qualche frattura incontrata. Alle ore 7 e un quarto ant. del giorno 8 si replicarono, con breve intervallo, altre due scosse, ma lievi. Vogliamo augurarci che il fenomeno non abbia a ripetersi. » Da Riposto poi, presso Catania, narrandosi più o meno le medesime notizie per ciò che riguarda il territorio di questo comune, si aggiunge che in un piccolo paese, non lungi da Aci- reale, la scossa del venerdì al tocco fu tanto forte che produsse molti danni, cagionò la morte di otto persone, e credevasi indizio certo di prossima eruzione dell’ Etna. Dopo ciò i giornali ci narrano che l’ Etna ai 19 gennaio accennava a qualche risveglio. Nella sera del medesimo giorno i fenomeni divennero più evidenti: nella mattina poi del 20 un forte rombo con fumo denso e vorticoso usciva dal cratere, e pareva iniziare una grande eruzione. Dopo questi fatti nuli’ altro troviamo narrato dai giornali per i giorni successivi. Il chiarissimo professore Silvestri pro- metteva alla Direzione di cotesto Bollettino di raccogliere le notizie e di farne soggetto di una comunicazione, qualora vi fos- - 115 - sero state notizie importanti da aggiungere alle pubblicate dai giornali. Nulla finora ci pervenne per parte dell’ illustre profes- sore. Stando ai dati che finora conosciamo, sembra che dopo il 20 gennaio l’ Etna si sia calmato, e 1’ attività endogena siasi trasferita sotto l’ Apennino di Eomagna ; perchè appunto ai 20 gennaio colà rinforzarono le scosse, le quali però erano comin- ciate già a presentarsi quasi contemporaneamente che in Sicilia, cioè ai 9 ed ai 10 di gennaio. E qui giova osservare che le scosse avvenute nella notte del giorno 8 in Sicilia, dovettero leggermente essere risentite anche nel sistema vulcanico laziale, perchè a Frascati il Lavaggi nel- r osservazione del mezzodì dell’ 8 gennaio trovò nel sismografo tracce di scuotimenti avvenuti nella direzione N — S.* Nella sera poi dello stesso giorno 8, circa le 10. 15' poni., una nuova scossa avveniva nella medesima regione laziale, ed era avvertita in Vel- letri, luogo che altre volte abbiamo notato essere sensibile par- ticolarmente per i movimenti procedenti fra Nord e Sud. Il giorno 9, come abbiamo detto, i terremoti apparivano in Roma- gna con qualche forza. Mi sembra perciò non senza importanza che le scosse laziali cadano precisamente nell’ intervallo di tempo fra i terremoti di Sicilia e quei di Romagna. M. S. De Rossi, Analisi della meteorite di Orviiiio. ’ — Questa analisi fu eseguita dal signor L. Sipòcz nel laboratorio chimico del pro- fessor E. Ludwig a Vienna. Si operò sopra due campioni distinti, il primo appartenente alla pasta della meteorite, il secondo, con- sistente in un pezzo di roccia racchiuso in detta pasta. Analisi del N. 1. Acido silicico 36, 82 Allumina 2, 31 Ossidulo di ferro 9, 41 Calce 2,31 Magnesia 21,69 Potassa 0, 26 Soda . 0, 96 ^ Veri. Jahrhuch der k. k. geol. Reichs., XXIV Band, Wien 1874. IIG — Nichelio 3, 04 Cobalto traccie Solfo 2, 04 Ferro 22, 11 Ossido di cromo traccie Totale 100,95 dalla quale composizione elementare si deducono gli aggruppa- menti seguenti : Ferro metallico 18, 54 Nichelio metallico 3, 04 Cobalto metallico traccie Solfuro di ferro 5, 61 Silicati 73, 76 Ferro cromato traccie Totale 100,95 e per i silicati si avrebbe la seguente composizione: Acido silicico 49, 92 Allumina 3, 13 Ossidalo di ferro . . • 12, 76 Calce 3, 13 Magnesia 29, 41 Potassa 0, 35 Soda 1, 30 Totale 100, 00 Analisi del N. 2. Acido silicico 38, 01 Allumina 2, 22 Ossidalo di ferro 6, 55 Calce 2, 33 Magnesia 24, 11 Potassa 0,31 Soda 1, 46 Nichelio 2, 15 Cobalto traccie 117 Solfo 1, 94 Ferro 22, 34 Ossido di cromo traccie Totale 101, 42 da cui gli aggruppamenti: Ferro metallico 18, 94 Nichelio metallico - . . 2, 15 Cobalto metallico traccie Solfuro di ferro 5, 34 Silicati 74, 99* Ferro cromato traccie Totale 101, 42 e per la composizione dei silicati: Acido silicico 50, 69 Allumina 2, 96 Ossidulo di ferro 8, 73 Calce 3, 11 Magnesia 32, 15 Potassa 0,41 Soda 1, 95 Totale 100,00 Studi sui terreni terziarii d’ Italia. — Nella seduta del 25 febbraio scorso della classe di scienze matematiche e naturali deir 1. Accademia delle Scienze di Vienna, il signor Th. Fuchs presentò due lavori che si riferiscono alle sue ricerche geologi- che sulle formazioni terziarie d’ Italia, effettuate nell’ anno decorso per incarico della stessa Accademia. Uno di essi tratta della a suddivisione delle formazioni terziarie sidle pendici settentrio- nali degli Apennini da Ancona a Bologna » 1’ altro, eseguito dal medesimo in compagnia del signor Al. Bittner, riguarda « le formazioni plioceniche di Siracusa e Lentini. » Nelle formazioni mioceniche dei dintorni di Bologna possono distinguersi in modo assai netto due piani mediterranei, come fu fatto dal professore Suess per il bacino di Vienna, mentre la così detta melassa marnosa di Bologna con Nautilus diluvii, ~ 118 Pecfen denudatus, Sólenomya Doderleini e Lucina sinuosa cor- rispondono alle marne (Schlier)^ ed il giacimento fossilifero di Sogliano e del M. Gibbio alle terre da mattoni (Tegel) di Baden e di Gainfahren ; e qui sembra che fra questi due piani terziari esista una profonda discordanza. Le formazioni d’ acqua dolce, gessifere e solfifere del ver- sante settentrionale degli Apennini con Lebias crassicauda, Libel- lula Boris, Melanopsis Bonelli, Neritina, e piccoli Cardi che cor- rispondono agli strati a congerie, non sono da riferirsi ai mio- cene, ma stanno sovra esso in giacitura discordante alla base delle formazioni plioceniche che vi riposano sopra concordanti. La suddivisione delle formazioni plioceniche di Lentini cor- risponde esattamente con quella - del pliocene di Taranto. Esse sono dall’ alto in basso : 1® Arenarie azzurre a Briozoi con Nullipore, Conglomerati, Ostriche, Pecten Jacobaeus, Pectunculus, Monodonta angulata, Ce- rithium vidgatum, Ger. spina, Murex trunculus, Troclius, Bissoa, Alvania ec. 2° Marne azzurre plastiche con JBuecinum semistriatum, Natica lielicina, Chenopus pespelecani, Bentalium elephantinum. 3® Sabbie chiare, morbide a Briozoi con Coralli, Brachio- podi, Pecten septem radiatus, P. opercidaris ec. Giacimenti boraciferi nell’ America settentrionale.^ — Già da molto tempo è stata scoperta la esistenza del borace naturale nel grande bacino dell’ altipiano situato fra le Monta- gne Rocciose e la Sierra Nevada negli stati occidentali dei- r America del Nord. Fino dal 1856 fu riconosciuta la presenza del boro nelle acque del Clear-Lalce in California e più tardi quella del borace naturale nel lago medesimo, che divenne quindi oggetto di coltivazione. I dintorni di questo lago accennano ad azioni vulcaniche, essendo essi costituiti da rocce eruttive, e pre- sentando tracce di solfatare e di sorgenti calde. Anche i Geyser che trovansi più lungi a S.O. nella valle superiore del Napa po- trebbero avere un qualche rapporto con questa formazione. * Da una lettera del prof. Burkart inserita nel Neiies Jahrbiich fiìr Minera- logie etc. von Leonhard und Geinitz, J. 1874, IL 7. 119 Una depressione formatasi nel lato S.E. di questo lago e separata da esso per mezzo di una bassa diga di frammenti di lava, ossidiana ec., racchiude borace naturale, ed è perciò in- dicata col nome di Lago horacifero. La sua figura è ovale, con una lunghezza di 4000 piedi ed una larghezza di 1800. Il suo letto è formato da una massa gelatinosa della potenza di 4 piedi, semiliquida fino alla profondità di 1 piede e nel resto assai con- sistente. E in questa massa che trovansi i cristalli di borace variabili da una grandezza microscopica a quella di due o tre pollici. Essi sono semitrasparenti, colorati in bianco o giallastro, e della forma di un prisma rombico obliquo. La potenza della massa gelatinosa è molto variabile e in alcuni punti trovansi intercalate in essa masse di fango o d’ argilla prive di borace. Un altro bacino di circa 8 ettari in superficie trovasi in pros- simità del Lago boracifero e presentasi con circostanze quasi identiche. Fino dal 1863 si costituì una società per la coltivazione del borace che in principio offriva una produzione notevole, ma alcuni anni dopo fu interrotta, senza che siasene conosciuto il motivo. Altri giacimenti boraciferi molto estesi esistono nello Stato della Nevada. Nella contea d’ Esmeralda, nella valle del fiume Colombo, sotto una crosta molto estesa di sale comune trovansi dei noduli ora grossi, ora piccoli di borato di calce sovrapposti ad un sottile strato di saie comune che riposa alla sua volta sopra un banco di solfato di soda. Un giacimento interessantissimo e più notevole dei precedenti è stato di recente scoperto nella parte più meridionale della Ca- lifornia, al di là della Sierra Nevada, circa 140 miglia inglesi a N.E. di Bakersfield. Ivi un bacino affatto isolato è compieta- mente ripieno di sale cristallizzato per una estensione di 15 mi- glia in lunghezza e 6 in larghezza e fino ad una profondità di 6 0 8 piedi sotto la superficie. La circostanza più notevole si è che la parte media del bacino è occupata da un deposito di sale comune, intorno al quale sta un banco dello spessore di tre piedi di borato di soda e al disotto un miscuglio di solfato e borato di soda della potenza di 1 a 3 piedi. Questi sali sono tutti cristallizzati ed uniti insieme in una massa solida. Sembra quasi inverosimile il modo di giacimento di questi prodotti sa- — 120 lini, non vedendosi alcuna ragione per spiegare la separazione dei sale comune dal borace e la sua accumulazione sugli altri sali. Tutti questi giacimenti boraciferi sono completamente tras- curati. CENNO NEGROLOGIGO. Il giorno 22 febbraio del corrente anno cessava di vivere uno dei più grandi geologi del nostro tempo, Ltell, la cui in- fluenza fu estesissima e ben meritata. Carlo Lyell nacque a Kinnordy nella Contea di Forfar (In- ghilterra) il 14 novembre 1797, e raggiunse la grave età di più che 78 anni, dopo di avere consacrato una lunga esistenza ed un’ infaticabile attività in servizio della scienza geologica. Egli portò fin da principio la sua attenzione al processo di formazione della crosta terrestre, e dichiarossi ben tosto^ propugnatore della teoria delle cause lenti ed attuali, seguendo in ciò la strada tracciata da Constant Prevost e da De la Deche. Dotato d’ uno spirito eminentemente filosofico, passò in attento esame tutte le forze e tutti gli agenti che concorsero e concorrono tuttora al compimento di questo processo, studiandone il modo di operare, ed applicando su larga scala la teoria da lui propugnata, e che recentemente ebbe nuova conferma dalle scoperte del Challenger : diede per tal modo un nuovo indirizzo ed un potente impulso alle ricerche geologiche, e coi suoi studi permise di applicare con maggiore profitto il metodo sperimentale anche alla geologia. Combattè la vecchia teoria dei crateri di sollevamento del De Buch, ed in molti suoi scritti mostrossi contrario alle idee pro- fessate da Elie de Beaumont sui sistemi di montagne. Ltell è specialmente benemerito della geologia per i suoi trattati generali più che per lavori speciali descrittivi. Le osser- vazioni da lui fatte durante i suoi viaggi in Europa ed in Ame- rica furono raccolte nei suoi trattati, i quali perciò risultarono opere veramente classiche ed originali, e contribuirono a dare alla geologia quell’ indirizzo pratico che poi la fece tanto prò- — 121 — gredire. Il suo gran libro dei Frincipii di Geologia ^ contiene un numero veramente straordinario di fatti, la più parte osservati da lui stesso nei suoi viaggi, e che gli servirono egregiamente, perchè bene interpretati, in appoggio della sua teoria. Questo classico lavoro, come pure gli Elementi di Geologia,^ ebbero V onore di ben dieci edizioni e, tradotti in varie lingue, furono accolti come libro di testo in molte scuole di geologia. Vanno pure notate le sue ricerche sugli ultimi periodi dell’ epoca terziaria, quelle sull’ antichità dell’ uomo, e quelle sul modo di formazione dei coni vulcanici per semplice accumulazione di materie eruttate. L’ Italia fu uno dei campi prediletti dei suoi studi, special- mente per ciò che riguarda i vulcani e i terreni terziarii. Bibliografia mineralogica, geologica e paleontologica della Toscana. (Continuazione e fino. — Vedi Bollettino, N. 1-2.) Mesny B. Observations sur les dents fossiles d’éléphants qui se trouvent en Toscane. Florence. * * Nesti Filippo. Di alcune ossa fossili di Mammiferi che s’incontrano nel Val d’Arno. — Y. Ann. Mus. imp. fis. e st. natur. Firenze, tom. I. Firenze, 1808. Sopra alcune ossa fossili di Rinoceronte. Lettera al dottor Gae- tano Savi prof, di Botanica nello studio di Pisa. Firenze, 1811. Note sur l’existence de deux expèces d’ours fossiles en Toscane communiquée au prof. Pictet. — Y. Bibì. Univers. d. Se., bell. ìettr. et arts. Se. et Arts, Genève, 1823, tom. XXIY, pag. 206. Sulla nuova specie di Elefante fossile del Yal d’Arno. Lettera al prof. Targioni. — Y. Nuovo Giorn. d. Letterati, tom. XI, parte scien- tifica pag. 195. Pisa, 1825. Dell’ osteologia del Mastodonte a denti stretti. Lettera al profes- sore Canali. — Y. Nuovo Giorn, d. Letterati, tom. XII, parte scienti!, pag. 17. Pisa, 1826. Sopra alcune ossa fossili non per anco descritte trovate nel Yal d’Arno superiore. Lettera al prof. Paolo Savi. • — Y. Nuovo Giorn. d. Letterati, tom. XIII, parte scienti!, pag. 3. Pisa, 1826. Parlatore Filippo. Comunicazioni relative ai vegetabili fossili di Monte Bamboli e di Monte Massi. — Y. Coni. Att. Georgof., voi. XXI, pag. 23. Firenze, 1843. ‘ Principles of Geology. — 1853. * Elements of Geology. — 1838. 122 Pecchioli Vittorio. Notice sur un nouveau genre de bivalve fossile (Pec- chiolia) des terrains subapennins. — Y. Bevuè de Zoologie, Yol. IV. Paris, 1852. Lettera su di un nuovo fossile delle argille subapennine. Fi- renze, 1862. Descrizione di alcuni nuovi fossili delle argille subapennine to- scane. — Y. AU. Soc. Ital. Se. Natur., voi. YI, fase. 4. Milano, 1864. Pruner Bey. Exploration de la grotte de Paiamone dans les Maremmes de la Toscane par M. L. Zucebi. -- Y. Bull. Soc. Antlirop. de Paris, ser. 2, tom, II, pag. 299. Paris, 1867. Sur un cràne humain trouvé dans le postpliocene de la vallèe d’iVrno. — Y. Bull. Soc. d’Anthropoì. de Paris, ser. 2, tom. II, 18^7. L’àge de la pierre en Italie. — Y. Bull. Soc. AnthropoL de Paris, ser. 2, tom. II, 1867. Regnoli Carlo. Riberché paleo etnologiche nelle Alpi Apuane, — Y. Nuovo Cimento. Pisa, nov. dee., 1867. Di alcuni oggetti appartenenti alla paleoetnologia rinvenuti entro una caverna della Maremma toscana da L. Zucchi. — V. Nuovo Ci- mento, tom. XXYII, febbraio 1868, pag. 73. Pisa. Saemaan e Triger. Sur les Anemia biplicata et vespertilio de Brocchi. — Y. Bull. Soc. géol. France, ser. 2.ftom. XIX. 1861. Sava R. Iconografìa di mascella craniana fossile di Cetaceo. Prato, 1865. Savi Paolo e Meneghini R. Y. Meneghini. Savi Pietro. Impronte vegetabili osservate nel terreno carbonifero di Monte Bamboli. 1843. Silvestri Orazio. Catalogo dei Rizopodi delle argille turchine plioce- niche senesi. — Y. Siena e il suo territorio. Siena, 1862. Sulla illustrazione delle opere del padre Ambrogio Soldani e della fauna microscopica fossile del terreno pliocenico italiano. — Y. Ait. del X Congres. Scienz. Ital, Siena, 1862. Simonin Louis. Produits primitifs de l’industrie humain e en Italie. — Y. Compt. rend. Ac. se., tom. LXI, pag. 599. Paris, 1865. Soldani Ambrogio. Saggio orittografìco, ovvero osservazioni sopra le terre nautiliche ed ammonitiche della Toscana. Siena, 1780. Testaceographise ac Zoophytographise parvae et microscopicse. Siena, 1789-1798. Strozzi Gr. e Gaudin Ch. Y. Gaudin. Suess Ed. Ueber die tertiàren Landfaunen Mittel-Italien’s. — Y. Verhandl. h. le. geolog. Beichsanstalt. AVien, 1871. Anche per questa terza parte si omettono i titoli di quegli scritti che trattano la paleontologia generale e che solo per in- cidente discorrono di fossili toscani. - 123 IV. Appendice. 1. a) Mineralogia e litologia. Bertacchi da Panie Pompeo. Vari rapporti sulla Società mineralogica residente in Pisa — 1849, 1851, 1852 ec. Pisa. Branchi Griuseppe. Sopra un^ efflorescenza salina, trovata nell’ interiore della cupola della cappella del Campo. Santo di Pisa nel novem- bre 1793. — y. Gior. pisano., tom. 97. Pisa, 1795. Càillaux Alfredo. Rapport sur la mine de cuivre « La Gavina » à Mon- tecatini (Val di Cecina) 1847. Cozzi Andrea. Sulla nocuità o innocuità dei forni fusori del rame sol- forato o Pirite rameica alla coltivazione della Valle di Bisenzio. Firenze, 1848. D’ AcMardi Antonio. Della Natrolite e Analcima di Pomaja (com. di Santa Luce). — V. Boll. Comit. geol. Ital., N. 5-6, pag. 163, 1874. Le Zeoliti del Granito Elbano. — Boll. Comit. geol. Itaì.^ N. 9-10, pag. 306, 1874. Sul dimorfismo del Solfo e di altri minerali, 1875. Cosse L. A. Account of a visit made to thè Baths of St. Filippo in Tu- scany, vith a description of thè modo of forming stone medallions in bassorilievo from thè waters. — V. Edinb. Phil. Journ., II”. Edin- bourg, 1820. Gnidoni Girolamo. Lettera sui marmi e sulle miniere lunensi. — V. Ci- mento. Pisa, 1847. Hanpt Teodoro. Rapporto riguardante la miniera di Monte Vaso. Fi- renze, 1846. Considerazioni sull’ opportunità di riprendere 1’ escavazione della miniera di mercurio in Levigliani. Firenze, 1850. Hopper G. Perizia e rapporto dei lavori necessari per 1’ attivazione di una fonderia di prima fusione in prossimità della miniera di Staz- zema, 1848. Jervis Guglielmo. I tesori sotterranei dell’ Italia. — Parte IL Regione dell’Apennino e Vulcani. Torino, 1874.. L. P. Ragionamento intorno alla riattivazione che si propone d’ intra- prendere di alcune miniere in Toscana. Firenze, 1833. Magenta Carlo. L’ industria dei marmi di Carrara, Massa e Seravezza. — V. Politecnico, voi. 25. Milano, 1865. Moro G. Della Torba italiana sostituita ai Carboni esteri. — V. Ann. Agr. Ind. e Comm. Torino, 1863. Perres e Bìagiui. Relazione dello stato attuale delle miniere di Argento del Vicariato di Pietrasanta. Firenze, 1832. 124 Pilla Leopoldo. Parere sopra la miniera di rame del Poggio alla Villa, appartenente alla Società anonima della Castellina. Pisa, 1846. Pitiot Francesco. Sui lavori eseguiti alle miniere di Carbon fossile di Monte Bamboli e di Monte Massi nella campagna dal 1843 al 1844. Livorno, 1844. Rapport sur les mines des provinces de Garfagnana, Massa-Car- rara e Lnnigiana. Florence, 1852. Rath (vom) G. Su la Foresite, nuovo minerale della famiglia delle Zeo- liti, rinvenuto nelle geodi tormalinifere dell’ isola d’ Elba. — Y. Boll. Com. geol. Ital., N. 7-8, pag. 237, 1874. Savi Paolo. Lettera informativa sulla miniera di Castellina Marittima e sull’ altra di Riparbella, diretta agli azionisti della Società mine- ralogica residente in Pisa. Pisa, 1849. Rapporto sulla miniera della Castellina Marittima e sull’ altra di Riparbella. Pisa, 1851. Rapporti alla Società mineralogica di Pisa sulla miniera della Ca- stellina. Pisa, 1853, 1856 ec. Taddei Gio vacchino. Relazione intorno alle operazioni metallurgiche, che si eseguiscono alla fonderia della Briglia e ai danni che vengono loro attribuiti. Firenze, 1848. Taddei G. e Targioni A. Appendice all’ opuscolo a stampa sulla fon- deria del rame alla Briglia in Val di Bisenzi'o presso Prato. Fi- renze, 1849. Targioni-Tozzetti Antonio. Prima relazione intorno alla formazione della miniera di rame della Briglia. Firenze, 1848. Relazione seconda, relativa ai danni delle esalazioni prodotte alla Briglia nella lavorazione del minerale di rame. Firenze, 1848. Targioni Pozzetti A. e Taddei G. V. Taddei. Vegni A., Remon, Pellico, Geymard, Paret-Marcel, Pianigiani G., Pini G., Bancheri e Hoppner W. Rapporti e pareri di vari savi e rino- mati ingegneri intorno alla miniera di ferro di Stazzema. Weber Guglielmo. Rapporto riguardante le miniere di rame di Monte Vaso. Firenze, 1846. 1. b) Acque minerali. Branchi G. e Savi Paolo. Sulle sostanze che rendono odorosa e sapo- rosa r acqua della fonte artesiana di Pontedera e sul purgatorio progettato. Pisa, 1832. Buonamici Enrico. Acqua termo-minerale di Monsummano. Firenze, 1864. Analisi chimica dell’ acqua della nuova sorgente di proprietà del signor Andrea Nuti di Montecatini in Val di Nievole. Firenze, 1866. Calamai Luigi. Notizia sull’ acqua minerale di Quarrata presso Poscia. Firenze, 1843. 125 — Cappellini (xiuseppe. Analisi chimica dell’ acqua salino-purgativa di Ber- gondola. Parma, 1846. Della Santa Tito e Martini Ad. Condizioni attuali e miglioramenti pos- sibili deir acqua potabile della provincia di Pisa. Pisa, 1864. Fedeli Fedele. Notice sur les propriétés medicales des célèbres eaux minérales des RR. Thermes de Monte Catini. Pise, 1857. Francolini Felice. Delle acque potabili.^ — V. Att. Georgof., N. sèr., 1862. Martini Adolfo. V. Della Santa. Savi Paolo. V. Branchi. Silvestri Orazio. Analisi chimica di una nuova acqua minerale di Mon- tecatini in Toscana, denominata Acqua della Salute. Firenze, 1863. Targioni Pozzetti Antonio. Caratteri fisici, saggi analitici, e composi- zione chimica dell’Acqua della Fortuna; il tutto desunto dalle espe- rienze. Firenze, 1852. IL Geologia. Biamonti Angiolo. Cenni storici, geologici e botanici sull’ isola di Gor- gona nell’ arcipelago toscano. Livorno 1873. Botti Flderigo. Sulle rocce impastate entro al serpentino.* * — V. JBoUet. Comit. geol. Ital. N. 3 e 4, 1875, pag. 67. Capellini Giovanni. Strati a congerie, formazione Oeninghiana e piano del calcare di Leitha nei Monti Livornesi. — Y. Bend. Acc. Bologna, ^19 nov. 1874. Estr. dal Boìlet. Comit. geol. Ital., N. 1-2, 1875. pag. 49. Coqnand H. De l’àge et de la position des marbres blancs statuaires des Pirénées et des Alpes Apuénnes en Toscane. — V. Oompt. rend. Ac. Se., t. 79, pag. 411. Paris, 1874. D’ AcLiardi Antonio. Sulla conversione di una roccia argillosa in Ser- pentino. — Y. Bollet. Comit. geol. Ital., N. 11-12, 1874. Sulle calcarie grossolana e lenticolare della Toscana. — Y. Bollet. Comit. geol. Ital., N. 11-12, 1874. De Stefani Carlo. Dei depositi alluvionali e della mancanza di terreni glaciali nell’Apennino della Yalle del Serchio e nelle Alpi Apuane. — Y. Boll. Comit. geol. Ital., N. 1-2, 1875. De Yaux A. Développement de l’exploitation des minerais de fer de file d’Elbe. — Y. Ann. des Mines, Ser. 7, tom. 4, pag. 623. Paris, 1873. Fuclis T. e Manzoni A. Relazione di un viaggio geologico in Italia, con r aggiunta di notizie e considerazioni del dottor A. Manzoni. — Y. Bollet. Comit. geol. Ital. , N. 7-8, 1874, pag. 226, e Yerhandl. d. le. h. geol. Beicìisanst., N. 9. Wien, 1874. Fuchs Teodoro. Sulla relazione di un viaggio geologico in Italia del medesimo. — Y. Boll. Comit. geol. Ital., N. 1-2, 1875, pag. 46. * Vi si parla di molte acque potabili della Toscana. * Vi si parla dei dintorni di Pontremoli. 126 Lotti B. Considerazioni geologiche sui dintorni di Boccheggiano e Ger- falco presso Massa Marittima. — Y. Bollet. Gomit. geol. Ita!., N. 7-8, pag. 222, 1874. — Cenno sulla costituzione geologica della comunità di Massa Ma- rittima. — Y. Bollet. Comit. geol. Ital.^ N. 9-10, pag. 284, 1874. Ludwig Eudolpli. Geologische Bilder aus Italien. — Y. Boll. Soc. Imp, Natur. de Moscou. Moskau, 1874. Manzoni Angelo. Y. Fuchs. DICHIARAZIONE. Per tutti quei buoni effetti di cui può esser fonte la rettificazione di un errore scientifico, il sottoscritto si trova in obbligo di dichiarare, che nell’ opuscolo dal medesimo pubblicato nel Bollettino del R. Comitato geo- logico d’Italia per l’anno 1873 col titolo II Monte Titano {territorio della BepubUica di San Marino)^ i suoi fossili.^ la sua età ed il suo modo d’ origine^ è intervenuto tale un errore paleontologico grave e fondamentale da togliere ogni valore al significato del detto opuscolo. L’ errore accennato consiste nell’ aver ritenuto essere una Porites quello che ulteriori e più accurate osserva- zioni hanno mostrato non esser altro che una gigantesca e ramosa Cellepora. A. Manzoni. Bologna, 22 aprile 1875. AVVISO. Col 1" Maggio 1875 gli uffizii del E. Comi- tato Geologico saranno trasferiti nell’ ex-convento di San Pietro in Vincoli; Soma, Piazza San Pietro in Vincoli, N. 5, (presso la E. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri). ! (Continuazione.) Memorie per seryire alla descrizione della Carta Geologica d’Italia. — Volume II, Parte F; Firenze 1873. — 272 pa- gine in-4‘’ con 11 tavole, due Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione. — Monografia geologica dell’ Isola d’ Ischia, con la Carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel testo, del professor C. W. C. Fuchs. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elv etica, con una Carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’ in- gegnere F. Giosdano. — Appendice alia Memoria sulla for- mazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, con una tavola, deir ingegnere S. Mottura. — Malacologia pliocenica italiana (Parte F, Gasteropodi sifonostomi) ; fascicolo 2°, con otto tavole, di C. D’ Ancona. , Prezzo del Voi. 11° (Parte F), Lire 25. Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000, di F. Giordano. — Un foglio in cro- molitografia L. 5. — “ Carta Geologica dell’Isola d’IscMa, nella scala di 1 per 25,000 di C. W. C. Fuchs. — Un foglio in cromolitografia L. 3. — Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’ Italia. — Voi. II, Parte 2^; Firenze 1874. — 68 pag. in 4° con due tavole. — Contiene la seguente Memoria : B. Ga- staldi, Studii geologici sidle Alpi Occidentali; Parte T. Prezzo del Voi. IF (Parte 2^), Lire 5. Per le commissioni dirigersi al Segretario del R. Co- mitato Geologico, in Roma, Piazza San Pietro in Vincoli, N.' 5. Annunzi di pubblicazioni. C. De Stefani. — Fossili pliocenici dei dintorni di S. Miniato. — Molluschi bivalvi ed univalvi. — Pisa 1874, pag. 86 in-8''. I terreni subapennini dei dintorni di San Miniato ai ' Tedesco. — Pisa 1875, pag. 19 in-8°. M. S. De Rossi. — Analisi dei tre maggiori terremoti ita- liani avvenuti nel 1874 in ordine specialmente alle fratture del suolo. — Roma 1875, pag. 76 in-4“. E. Paglia. — I terreni glaciali nelle valli alpine confluenti ed adiacenti al bacino dei Garda. — (Atti del R. Istituto Veneto, serie V, t. I, Disp. 3). — Venezia 1875, p. 30 in-8°. A. Crespellani. — Nota geologica sui terreni e sui fossili del Savignanese. — (Annuario della Società dei Naturalisti in Modena, serie IP, anno IX, fase. l^*). — Modena 1875, pag. 29 in-8^ T. Taramelli. — Di alcune condizioni stratigrafìche ed orogra- fiche della provincia di Udine. — Venezia 1875, p. 16 in-8°. G. Ponzi. — Storia dei Vulcani Laziali. — "Roma 1875. .(Atti della R. Accademia dei Lincei, anno 271, serie IP, voi. P, 1873-74), pag. 17 1^4^^ con carta geologica. Storia naturale del Tevere. — Roma 1875. (Bollettino della Società Geogr. Ital.,vol. XII, fase. 1-2), pag. 20 in-8° con 3 tavole. R. Ludwig. — Geologische Bilder aus Italien. — Moskau 1874. (Bulletin de la Société Imp. des Naturai, de Moscou, an- née 1874). G. voM Rate. — Ber Monzoni im Siidostlichen Tirol. — Bonn 1875, pag. 46 in-8“ con due tavole. A. Stoppani. — La purezza del mare e dell’ atmosfera fin dai primordi del mondo animato. — Milano 1875, pag. 484 in-8® con figure nel testo ed una tavola. A. De Zigno. — Sui mammiferi fossili del Veneto. — Pa- dova 1875, pag. 16 111-8^ R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° 5 e 6, Maggio e Giugno 1875. EOMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1875. E. COITATO GEOLOSICO. Bollettino Geologico per il 1870. — Un voi. in-8° di pag. 324. » » PER IL 1871. — Un voi. in-8° di pag. 296. » » PER IL 1872. — Un voi. in-8” di pag. 376. )) » PER IL 1873. — Un voi. in-8“ di pag. 400. » » PER IL 1874. — Un voi. in-8® di pag. 408. Prezzo di ciascun volume L. 10. Associazione al Bollettino del 1875 (Anno VP). — Per l’Italia L. 8, Estero L. 10. I fascicoli bimestrali del Bollettino si vendono anche se- paratamente al prezzo di L. 2 ciascuno. Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’Italia. — Volume P; Firenze 1871. — 404 pagine in-4° con 23 tavole, due Carte geologiche e varie incisioni inter- calate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui mine- rali delle valli di Lanzo, di G. Struver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con quattro tavole. — Descrizione geologica dell’Isola d’ Elba, di 1. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifo- nostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo U, con sette tavole. Prezzo del Voi. 1°, Lire 35. Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati Geo- logici e sul R. Comitato Geologico d’ Italia, di I. Cocchi. — Pag. 34 in-4‘’ L. 1. 50 Carta Geologica della parte orientale dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000, di I. Coc- chi. — Un foglio -in cromolitografia L. 3. 00 {Continua). BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. N'' 5 e 6. — Maggio e Giugno 1875. SOMMARIO. Note geologiche. — I. Notizie preliminari su le Balenoptere fossili sub- appennine del Museo parmense, per P. Strobel. — IL Scoperta di strati nummulitici presso Prata e Gerfalco in provincia di Grosseto, per B. Lotti. — III. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica dell’Italia Meridionale, per G. Seguenza.. (Continuazione.) — IV. Cenni sopra la costituzione geologica delle Isole Ponza, per C. Doelter. — V. Il Vulcano Venda presso Padova, per E. SuESS. — VI. Appunti geologici sull’Italia, per R. Ludwig. — VII. Un brano di storia della geologia toscana, a proposito di una recente pubbli- cazione del signor Coquand, per C. De Stefani. Notizie diverse. — Carta topografica d’Italia. — Pseudomorfismo del serpen- tino.— Studii paleontologici nel Vicentino. — Eruzioni di ceneri tridimitiche. — Giacimento di zaffiri e rubini con corindone. — L’Altaite. Necrologia. — G. P. Deshayes. Tavole ed incisioni. — Sezione del Monte la Guardia nell’ Isola Ponza, a pag. 159. NOTE GEOLOGICHE. I. Notizie preliminari sn le Balenoptere fossili subappennine del Museo parmense^ per P. Strobel. Come è noto, fu Giuseppe Cortesi, che pel primo attirò T at- tenzione di Cuvier e degli altri paleontologi coetanei sui fossili dei nostri Appennini, grazie alle fortunate ed interessanti sue scoperte di avanzi di grandi mammiferi nei depositi subapenninici.^ I fossili da lui raccolti prima del 1809 furono acquistati dal governo del cessato Pegno d’Italia, e nel 1819 trovavansi nel Museo dell’ i. r. Consiglio delle miniere in Milano,^ dal quale pas- * CoccoNi G., Enumerazione sistematica dei Molluschi miocenici e plioce- nici delle proviucie di Parma e Piacenza. Bologna, 1873, pag. 1. ^ Cortesi G., Saggi geologici degli stati di Parma e Piacenza. Piacenza, 1819, pag. 67. — 132 — sarono, non sono molti anni, nel Museo civico di quella città. Quanto il Cortesi riunì dopo il 1809 venne, dopo la sua morte, nel 1841 comperato dal governo dell’ ex-ducato di Parma, pel Museo di storia naturale dell’ università parmense. Alla fine del 1859, allorché venne a me affidata la direzione di questo Museo, quei fossili trovavansi tuttora rinchiusi nella ventina di casse, entro le quali da Piacenza, luogo di dimora del Cor- tesi, erano stati trasportati a Parma. In onta che i mezzi di cui il Museo poteva disporre fossero scarsissimi,^ si riuscì final- mente ad ordinare e porre in mostra tutti quelli avanzi, in parte già illustrati dal Cortesi,^ i quali non costituiscono punto la parte minore delle sue raccolte, nè la meno interessante,^ come erroneamente era stato da taluno asserito, e lo dimostrerò in questo articolo, per ciò che riguarda le Balenoptere fossili. Intorno al 1852 furono acquistati al Museo parmense gli scheletri fossili di un Delfino e di due Balenoptere, rinvenuti da Giovanni Podestà nei colli del piacentino.^ Nel 1859 essi erano collocati alla meglio sopra dei tavolati, ora, disposti entro oppor- tune vetrine, costituiscono uno de’ precipui omamenti dello sta- bilimento. Premessi questi pochi e brevi cenni storici, m’ accingo ad enumerare e descrivere sommariamente i principali avanzi di Ba- lenoptere del Museo in discorso, aggiungendovi i necessari cenni critici. ‘ La dote annua del Museo non arriva alle lire 700, colle quali deve soppe- rire anche alle spese di cancelleria e di riscaldamento. “ Come lo scheletro di Rinoceronte, di cui tratta la memoria sua ; Sulla scoperta dello scheletro di un quadrupede colossale ecc. Piacenza, 1834, in 4° con due tavole; — la mascella inferiore d’altro Rinoceronte, descritta nei ci- tati suoi Saggi geologici, alla pag. 77, e figurata sulla tav. V, flg. 5, la quale ritornò in pezzi dalla esposizione mondiale di Londra del 1862. Veggansi in pro- posito gli Atti della Soc. Ital. di Scienze nat., voi. V. 1863, pag. 122. ® Van Beneden, al quale inviai già alquanti disegni degli avanzi fossili di Cetacei dei Museo, con foglio del 7 giugno dichiara che la massima parte loro meriterebbe di essere modellata. * ScARABELLi L., Bi Una Balena, di un Delfino e molte conchiglie cavate dai colli del Piacentino per opera del signor G. Podestà. Pagine 14 in 16®, senza data. — 133 - Famiglia Balaenopteridae. Sottofamiglia Cetotherin^. Genere Getotlierium J. F. Brandt. Specie F G. Cuvierii Boitard. A questa specie sembrano appartenere gli avanzi di uno scheletro di giovane individuo, raccolti dal Cortesi nelle salibie gialle del piacentino. È a dolersi che nel catalogo della sua se- conda raccolta, della quale quelli avanzi facevan parte, non sia indicato il luogo preciso ove furono da lui scoperti. Consistono del teschio, di 6 coste e di 23 vertebre, una delle quali cervicale, in cattivo stato di conservazione ed in gran parte prive delle loro cartilagini. Del teschio sono ben conservate le ossa mascellari superiori e le intermascellari, 1’ apofisi zigomatica destra, stac- cata dal temporale, e la branca sinistra della mandibola; sono discernibili le ossa frontali ed il vomere, poco le ossa nasali e punto tutte le altre. Mancano le ossa parietali, la massima parte deir occipite e delle ossa temporali e la porzione destra della mascella inferiore. Il cranio è posteriormente stretto, la branca della mandibola è poco curva,^ e per tali caratteri credo di do- ver ascrivere questi avanzi al Cetotheriimi Cuvierii. Debbo però far osservare che per rispetto alla forma delle ossa frontali e della parte posteriore delle mascellari superiori il teschio in di- scorso differisce da quello del G. Cuvierii, sul quale venne sta- bilita la specie,^ e s’ accosta invece al Cet. Capellina Brandt, di cui ragionerò in appresso. ‘ L’ altezza della curva da essa descritta sta alla lunghezza della corda co- me 6 ; 100. ^ Questo scheletro, trovato dal Cortesi nel 1806, faceva parte della sua prima raccolta, e, come ebbi ad accennare in principio, conservasi nei Museo civico di Milano. Fu rappresentato dal Cortesi nei citati Saggi geologici alla tav. Ili, fig. 1. CuviER ne copiò la figura alla tav. 228, n. 1 delle note sue Recherches. Nell’ opera recente di Brandt sui Cetacei fossili d’ Europa, alla tav. XX, fig. 1, vedesi rappresentato il teschio di questo scheletro, veduto dal disopra, dietro un disegno del Cornalia. — 134 — 2® C. Cortesii Desmoulins. Il Museo parmense possiede V esemplare preso per tipo di questa specie. E descritto nei citati Saggi geologici del Cortesi, alla pag. 61, ed ivi figurato sulla tav. V, num. 1-3.^ Fu da lui scoperto nel 1816 in un rivo che discende dal Monte^ago e sbocca nel torrente Chiavenna, nel piacentino. La marna azzurra mica- cea nella quale era impegnato, è per la massima parte indurita pel calcare che V ha cementata, sì che il Cortesi credette bene di lasciare le ossa di questo scheletro, salvo le vertebre cau- dali e parte delle lombari, che potè isolare con facilità, nella situazione in cui le ebbe a rinvenire. I tentativi sinora fatti per sbarazzarle dalla roccia ben poco ancora fruttarono, poiché le ossa, come già avvertiva il Cortesi, sono assai fragili, per cui non si può adoperare lo scarpello per liberarle dalla pietra, e pochissimo il raschiatoio. Inoltre, sono quasi prive del tessuto compatto, e perciò non si ponno rendere dure col silicato di potassa senza che questo, passando attraverso la loro superficie, penetri anche nella roccia stessa, la indurisca maggiormente e la cementi vieppiù colle medesime, sì che allora riesca impossi- bile affatto separamele. Però, V operazione relativa, incominciata or sono due mesi dal signor capitano A. Caggiati, non essendo terminata, poiché devesi procedere assai lentamente, si spera di poter riuscire in seguito a mettere allo scoperto qualche altra parte interessante del teschio e della colonna vertebrale.^ La lunghezza totale delle parti raccolte di questo scheletro, è di metri 4 circa. — Del teschio sono attualmente più o meno vi- sibili r occipite, i temporali colle apofisi zigomatiche e mastoidee, i frontali, i parietali, i mascellari superiori e gli intermascellari, * Non so comprendere come Brandt abbia potuto asserire ripetutamente (pag. 153) che Cortesi non ne abbia dato la figura. — .Tutte le figure del Cor- tesi sono pur troppo insufficienti ed inesatte. Inoltre, per colpa dell’ incisore, sono tutte riuscite al rovescio, sì che le parti destre appaiono sinistre, e vice- versa. — E fu certo un fortunato azzardo, come accenna anche Brandt, quello di avere creato una nuova specie solo dietro la imperfetta descrizione (e le grame figure) del Cortesi. ^ Ora vedesi scoperto tutto il lato sinistro del teschio. [Nota aggiunta in gingilo. J -'135 — la mascella inferiore. Il rimanente del cranio, e specialmente della sua volta, è coperto dalla roccia, entro la quale trovansi impegnate tre coste disposte trasversalmente sopra il medesimo. Le branche della mascella inferiore non trovansi, come asserisce Cortesi, situate quasi naturalmente, ma, pel peso sovrappostosi, hanno descritto sopra sè stesse un quarto di giro verso T interno, sì che mostransi coricate sulla loro faccia interna, ed invece di segnare all’ esterno del teschio una curva sporgente o convessa, ne segnano invece una rientrante nel mezzo, ossia concava. Sono poco curve, descrivendo un arco, 1’ altezza del quale sta alla lun- ghezza della sua corda come 8 a 100. Formano però un an- golo d’ incontro meno acuto di quello che formano le branche della mandibola del G, Cuvierii. La porzione sinistra è scorsa più avanti della destra, sì che sporge maggiormente che questa. L’ intermascellare destro si è spostato e collocato trasversalmente sopra i mascellari e la branca sinistra della mandibola. 11 te- schio è lungo metri 1, 30 dall’ occipite all’ estremità anteriore della mandibola, e metri 1,12 dall’occipite all’estremità della mascella superiore. La larghezza massima, misurata dalla faccia esterna dell’ una a quella dell’ altra delle apofisi sì zigomatiche che mastoidee, è di metri 0. 53. Abbiamo quindi tra la massima larghezza e la lunghezza la proporzione di 47, 30 a 100, ossia la larghezza massima è minore della metà della lunghezza, sì come nel teschio del C. Cuvierii di Milano. La minima di- stanza, tra i parietali, è di metri 0, 19, ciò che dà un rapporto colla lunghezza di 17 a 100. La massima larghezza dell’ occipite è di metri 0, 36, ossia di 32 per 100 rispetto alla lunghezza del teschio. Cortesi nota che quasi tutte le vertebre conservano le loro cartilagini. Questa asserzione vale per le caudali, ma non per quelle altre vertebre ch’egli non riuscì ad isolare. Desse, come ora si può osservare, mancano delle dette cartilagini, e tra ver- tebra e vertebra, in vece loro, si è interposta la sostanza pietrosa. Da questo fatto e dall’ accennata fragilità delle ossa e dalla scarsezza in esse del tessuto compatto devesi arguire, che l’ in- dividuo cui appartenne lo scheletro in questione morì in età an- cora giovanile. ~ 136 - Cortesi diclìiarò che « la forma della testa somiglia perfet- » tamente a quella della Balena, scoperta nel novembre 1806 » che è il Cet. Cuvierii del Museo milanese, come dissi, e Cuvier,- dietro tale asserzione del Cortesi, ritenne pure che ambi gli scheletri spettino alla medesima specie. Ma il teschio parmense del Cet. Gortesii, per la maggior larghezza dell’ occipite (32 ! 100) e per le apofisi zigomatiche pochissimo divergenti, differisce no- tevolmente dal cranio del Cet. Cuvierii, e s’ avvicina invece a quello del Cet. Capellina Brandt, che conservasi nel Museo di Parma, come vedremo in avanti ; all’ opposto per la strettezza della mascella superiore e la lieve curva delle branche della mandibola s’ accosta al teschio del Cet. Cuvierii. I condili occi- pitali sono assai sviluppati, sì come veggonsi nel cranio del Cet. Vandellii van Ben. figurato da Brandt.^ Il teschio del Museo di Torino, descritto e figurato da Brandt ^ quale Cet. Cortesii dif- ferisce dal parmense per la forma dell’ occipite sopra tutto, sì che dovendosi conservare la denominazione di Cet.. Gortesii allo scheletro del Museo di Parma, a quello di Torino dovrà darsi il nomm di Cet. Castalda. 3*^ C. Capellinii Brandt.. Gli altri tre scheletri di Balenoptere, posseduti dal Museo parmense, appartengono a questa forma. Il più completo, lungo metri 7, 50 circa, venne raccolto da Giovanni Podestà nelle marne cerulee presso Castelar guato. Sono ben conservate le ossa mascel- lari inferiori e superiori e le intermascellari, ma la parte cen- trale del cranio è coperta dalla marna e da altri corpi induriti, che non ho ancora osato di far levare dalla medesima per ti- more di guastarla del tutto. La massima parte dell’ occipite e parte dei frontali e temporali colle apofisi zigomatiche trovansi però in istato abbastanza buono da poterne riconoscere le pro- porzioni e la forma.. Ventuna delle vertebre, tra caudali e lom- ‘ Recìierches sur les ossemens fossiles etc. Quatrième édition. Paris, 1836, tome Vili, deuxième partie, page 314. ^ Untersuchungen ùber die fossilen und suhfossilen Cetaceen Europas. Nei Mémoires de VAcad. Imp. des scìenc. de St. Pétershourg , VIP sèrie, to- me XX, rmm 1, 1873, con 34 tavole in 4». — Vedi tav. XXIII, fìg. 3. ^ Loc. cit., pag. 153, tavole XXI e XXII, eseguite dietro disegni inviati al- r autore dal professore Gastaldi. - 137 — bari, sono state isolate, di dieci si ponno distinguere le apofisi spinose e parte del corpo, le altre non sono punto discernibili. Mancano affatto le prime vertebre cervicali, del pari che le ossa degli arti, salvo un omero. La scapola sinistra è intiera, della destra non evvi che la parte inferiore. In ambe osservasi il pro- cesso coracoìdeo e T acromion sviluppatissimi, carattere questo che, oltre agli altri indicati da Brandt, servirà a distinguere ‘ questo Cetotheriwn dal C. Cuvierii. Le dette scapole rassomi- gliano a quella figurata da Cuvier nelle Becherches ec. tav. 227, fig. 10. Ventidue costole sono più o meno visibili, una fu iso- lata. Il teschio dello scheletro di Parma differisce da quello dello scheletro bolognese, sul quale Brandt creò la specie ^ per le branche della mandibola meno curve. La massima sua lar- ghezza oltrepassa la metà della lunghezza, poiché sta a questa come 59 a 100 ; nel teschio bolognese la larghezza massima sta alla lunghezza come 58 a 100. Nelle saUbie gialle, con panchina assai dura, di Montefalcone sulla sinistra sponda dell’ Arda, presso Castelarquato, lo stesso Podestà scopri gli avanzi di un altro scheletro di Cetotherium, che non esito di riferire alla specie in discorso, perchè le sca- pfole del medesimo sono uguali a quelle dello scheletro di cui parlai or ora. Già il Capellini, come asserisce Brandt, op. cit. pag. 157, riteneva questi avanzi più affini a quelli del Museo di Bologna, cioè del G. Capellina, che non a quelli di Milano, ossia del C. Cuvierii. Luciano Scarabelli, nell’ opuscolo citato, descrisse la giacitura di questo scheletro e ne indicò le parti raccolte e le misure loro. Appartennero ad un individuo alquanto maggiore di quello del quale ci è rimasto lo scheletro prece- dentemente descritto, nonché del C. Cuvierii, cui spettava lo scheletro del Museo milanese. Oltre le scapole si raccolsero del Cetotherium in discorso gli omeri, i radii, i cubiti, 8 tra ossa metacarpiche e falangi, 24 costole e 22 vertebre, una delle quali, cervicale, incompleta. Il cubito distinguesi assai da quello del C. Cuvierii, di Milano, ancora più che non il cubito del C. Ga- staldii, C. Cortesii Brandt nec Desmoulins. Il margine inferiore del suo olecrano ascende obliquamente, anzi che prolungarsi in ’ Opera citata, pag. 156, tav. XX, fig. 13 e 15. — 138 direzione orizzontale, come nel C. Ouvierii, o discendere, come nel G. Gastaldii. La forma del cubito servirà dunque del pari a distinguere il G. Gapeìlinii dalle altre forme. — Le parti con- servate dello scheletro di G, Gapeìlinii delle marne azzurre, enu- merate precedentemente, hanno, come dissi, una lunghezza com- plessiva di metri 7, 50. Ma ove si consideri che le vertebre dorsali * e parte delle lombari trovansi disposte in linea curva, e che non poche di esse mancano, converrà calcolare che la lunghezza di questo Getotliermm sia stata di 9 metri circa. L’ omero suo è lungo metri 0, 26, quello invece del Gel. Gapeìlinii delle sab- bie gialle, in questione, giunge alla lunghezza di metri 0, 32. Ammesse le medesime proporzioni fra le singole parti d’ ambo gli individui, si dedurrà che V ultimo avrà avuta la InngliesBa approssimativa di 11 metri. Kitengo, sebbene dubitativamente, che un terzo scheletro del Museo di Parma spetti del pari al G. Gapeìlinii. Proviene dalle salhie gialle di Montezago^ ove lo rinvenne il Cortesi nel 1815. Ne descrisse gli avanzi ne’ suoi Saggi geologici, alla pag. 59 e seguenti, e ne rappresentò, sebbene assai grossolanamente, la branca sinistra della mascella inferiore alla tav. IV, fig. 1. La vertebra cervicale, eh’ egli figurò pessimamente nella medesima tavola (fig. 2), sì come appartenente allo stesso scheletro, spetta invece ad un altro individuo. La porzione della mandibola lunga in linea retta metri 3, 24, e la sua faccia esterna metri 3, 33 ; la corda dell’arco eh’ essa descrive è lunga metri 2,94, e l’al- tezza del medesimo è di metri 0, 37 ; la proporzione tra P al- tezza di questo arco e la sua corda può dunque indicarsi coi seguenti termini 12 •. 100. L’ arco che descrive questa branca di mandibola è dunque più curvo ancora di quello segnato dalle porzioni della mandibola del Gel. Gapeìlinii di Bologna, secondo la figura di Brandt già citata, poiché 1’ altezza di questa non sta alla lunghezza della sua corda che come 11 a 100. QuesLà convessità della mandibola di Montezago era già stata avvertita dal Cortesi, poiché così si esprime in proposito alla pag. 60, de’ suoi Saggi geologici : « La sua curvità mostra che 1’ angolo » di riunione dei due rami era estremamente ottuso, anzi roton- » dato. » Ed é specialmente per tale carattere che ascrivo que- sto scheletro al G. Gapeìlinii. Oltre alla branca sinistra della 139 - mascella inferiore, Cortesi raccolse 17 vertebre, 5 cervicali (man- cano le prime due), le altre dorsali e lombari, nessuna caudale, 6 coste e la punta dello sterno, che è triangolare, frecciforme, convesso e carenato nel mezzo. Tutte le ossa poterono essere isolate dalla sabbia che le conteneva, ma sono alquanto fragili. — La mandibola del G, Capellina della marna azzurra di Castel- arquato è lunga metri 2, e la lunghezza dell’ individuo cui ap- parteneva si suppose, podo sopra, di metri 9. La lunghezza della mascella inferiore dello scheletro di Montezago in discorso è in- vece di metri 3, 24. Adunque, ammesse le medesime proporzioni tra le diverse parti di questi due cetacei, si dedurrà che l’ in- dividuo cui spettava lo scheletro di Montezago, sarà stato lungo metri 14, 50 circa. Appendice. Nel Museo parmense evvi il corpo di un omero il quale non può appartenere che ad un cetaceo, e verosimilmente ad un Ba- lenoicle. E privo dei capi articolari. Faceva parte della seconda collezione del Cortesi, e proviene dalle sabbie gialle del piacen- tino. Pur troppo mancano indicazioni di luogo più precise. E lungo 72 centimetri, e verso V estremità inferiore è largo 42 centimetri ; la maggiore sua circonferenza è di 1 metro circa, È fragile. Se il CetotJi. CapelUnii delle marne di Castelarquato, 1’ omero del quale ha la lunghezza di 26 centimetri, era presu- mibilmente lungo 9 metri, il Balenoide cui apparteneva P omero in questione, dovea avere ad un di presso la lunghezza consi- derevole di 25 metri. Riassumendo i fatti esposti conchiuderemo che il Cetotherium Cuvierii possedeva il muso più stretto ed acuto, ed il C. Capellina il più grosso ed ottuso. Gli estremi sono offerti dagli scheletri del giovane C. Cuvierii del Museo par- mense e del G. Capellina pure del Museo di Parma, raccolto dal Cortesi. In mezzo starebbero, in ordine progressivo, dal muso più stretto al più grosso, il C. Cuvierii di Milano, il G. Gortesii di Parma, o tipico, il C. Gastaldii, il G. Capellina delle marne azzurre di Parma, il G. Capellina del Museo bolognese. 140 — Il Cetothermm Capellina si distingue dal C. Ciwierii per la scapola fornita di apofisi coracoidea e di acromion assai svi- luppati. Il cubito del Cetotherium Ouvierii scostasi per la forma del- r olecrano da quello del C. Capellina più che non il cubito del C. Castalda; questo occuperebbe il posto intermedio. Nei Cetoth. Cortesii, Capellina e Castalda V apofisi zigoma- tica del temporale dirigesi dall’ indietro all’ avanti e pochissimo 0 punto all’ infuori, e va ad incontrare 1’ ala del frontale ; nel C. Ciwierii invece dirigesi obliquamente in avanti ed all’ infuori e rimane discosta dal frontale. Non conosco lo sterno dei Cet. Ciwierii, Cortesii e Castalda, per cui non posso istituire confronti con quello del C. Capellina. Il professor Brandt ebbe ad esprimere il desiderio che si rinvenisse lo scheletro di Cetotherium raccolto dal Cortesi nel 1816, e che si illustrassero e questo e gli altri scheletri di cetacei fos- sili dei nostri musei. Tale suo desiderio, in parte, viene appagato con questo scritto, ed in parte lo sarà per ciò che concerne il Museo parmense, appena che il Ministero della Pubblica Istru- zione darà i fondi promessi per poter incominciare la pubblica- zione d’ una Iconografia delle ossa fossili del Museo di storia naturale dell’ Università di Parma. Parma, maggio 1875. IL Scoperta di strati nummulitici presso Prata e Cer falco in provincia di Grosseto. Lettera di B. Lotti. Stimatissimo Signor Segretario del B. Comitato Geologico d’ Italia. Mi pregio di darle notizia intorno ad una mia recente escur- sione nei gruppi montuosi di Prata e Gerfalco, nella quale fui ben fortunato di ritrovare in ambedue queste località il terreno nummulitico e di raccogliere una notevole quantità di conchiglie fossili specialmente univalvi turricolate nel calcare bianco ceroide — 141 — della Cornata di Gerfalco, sottostante al rosso ammonitico, la cui determinazione cronologica porterà al certo una maggior luce sulla geologia di questa come di altre località, ove ritrovansi le sparse membra della antica catena assiale dell’ Italia, chiamata dal Savi metallifera. Di questi nuovi fossili e delle deduzioni che dalla loro determinazione conseguiranno, non posso al momento farne parola, e ne differisco la relazione allorquando lo studio di essi e dei rapporti stratigrafici fra esso calcare ceroide e i sedi- menti superiori, non che la sua probabile divisione in più piani, mi abbiano messo in grado di attribuirgli con valevoli argomenti la relativa epoca d’ origine. Perciò riferisco soltanto alla scoperta dell’ orizzonte nummulitico la presente nota, della quale Ella potrà, qualora le piaccia, dare pubblicazione nel Bollettino del R. Comitato. In una mia ultima escursione nei monti di Campiglia allo scopo di comparare i terreni di quella interessante località, pro- fondamente studiati da sommi geologi, con quelli di località cir- costanti ed analoghe, come Gavorrano, Massa Marittima, Ger- falco, ec., delle quali ebbi da cotesto K. Comitato 1’ onorevole incarico di fare il rilevamento geologico, mi fu dato di studiarvi gli strati nummulitici e i loro rapporti coi sedimenti superiori ed inferiori. Cosa superflua sarebbe il far qui rilevare l’ importanza scien- tifica di tali strati specialmente nelle nostre località ove è stata sempre lamentata la mancanza o la rarità dell’ orizzonte num- mulitico, orizzonte che solo può guidarci nella determinazione cronologica di quelle formazioni che costituiscono una gran parte della nostra penisola, e che comprendonsi sotto il nome di cal- cari alberesi, macigno, schisti galestrini, argille scagliose, ec. Dalle osservazioni di cui potei profittare nella mia breve gita a Campiglia, riguardo ai rapporti di giacimento degli strati num- mulitici colle rocce sopra- e sottostanti, ne trassi la conseguenza che essi trovansi al disotto di una serie assai potente di strati d’ arenaria, e sovrapposti ad una massa di schisti argillosi rac- chiudenti rari banchi di un calcare grigio-azzurro. Gli strati nummulitici constano di un conglomerato a piccoli elementi per la maggior parte calcarei e tanto strettamente fra loro cemen- tati, da rassomigliare talvolta ad un calcare omogeneo lamelli- 142 — forme. Essi sono racchiusi ed alternano con pochi banchi di cal- care grigio-chiaro e con degli schisti a fucoidi. In prossimità del paese di Campiglia, presso la chiesa di san Giovanni, un solo 0 due strati al più dello spessore di circa 50 centimetri, diretti da N.E. a S.O. con inclinazione a S.E. formano la zona nummulitica, la quale può seguirsi fin sulla pendice occidentale del monte Calvi. Colla scorta di queste osservazioni essendomi recato verso la fine del decorso mese di maggio sui monti di Prata ed avendo ivi incontrate le solite arenarie e la serie schistosa sottoposta, mi posi alla ricerca degli strati nummulitici che mi si presenta- rono infatti framezzo alle due forme di rocce. La loro esistenza può verificarsi in prossimità del lavatoio pubblico, del paese di Prata un poco al disopra della strada provinciale, e precisamente sul ciglio del botro che raccoglie le acque di rifiuto del lava- toio medesimo. Per quanto mi fu dato di vedere, un solo strato di circa 40 centimetri di spessore, racchiuso fra pochi banchi di alberese, e del qual potei seguirne P andamento soltanto per pochi metri, forma quivi il giacimento a nummuliti. La sua direzione corre da E. ad 0. e P inclinazione di circa 30® a N. E molto notevole il fatto che gli schisti sottoposti a questi banchi calcarei sono molto somiglianti agli schisti detti varicolori del lias superiore, e sono convertiti in ftaniti varie- gate a strati bizzarramente contorti. La roccia contenente le nummuliti è affatto identica a quella di Campiglia e di altre località toscane, cioè un conglomerato calcareo lamellare con piccoli elementi eterogenei di uno schisto verdastro o nero, e fra essa ed i banchi calcarei trovansi stratarelli di schisti ar- gilloso-steatitosi di un color verde scuro. Con ricerche più accu- rate che avrò luogo di fare in questa località, spero di potere rinvenire in altri punti la continuazione di questo importante orizzonte geologico. Dopo la scoperta di questi strati nei monti di Prata acqui- stai un pieno convincimento della loro connessione coi banchi calcarei sottoposti alle arenarie e sovrapposti alla serie schistosa, ed era naturale che ovunque avessi incontrato una tale disposi- zione nei sedimenti vi avessi fatto ricerca degli strati nummu- litici. Questa ricerca riesce inoltre molto favorita dalla apparenza — 143 — esterna della roccia rozza alla vista e scabrosa al tatto ; basta una breve pratica per riconoscerla anche a distanza e tra i frammenti staccati di varia natura rotolati pei fossi e ingom- branti i sentieri, e che servono di guida sicura alla scoperta della roccia in posto. Fu appunto in tal maniera che percorrendo io la viottola che da Gerfalco conduce a Monterotondo sul pie- de S.O. della Cornata, prima di giungere al podere detto di Komano incontrai un frammento che riconobbi subito per calcare nummulitico ; mi trovava appunto sopra una massa di arena- rie, sotto alle quali un poco al disopra della strada vidi affio- rare una serie assai sviluppata di banchi della solita roccia nummulitica. La loro potenza certamente non inferiore ad una diecina di metri e la disposizione del terreno si prestano a me- raviglia ad uno studio accurato delle loro circostanze di giaci- mento. I banchi nummulitici alternano con strati di calcare compatto grigio-chiaro, semiceroide e con schisti argillosi varia- mente colorati contenenti bellissime impronte di fucoidi. La roccia possiede struttura diversa nei diversi piani del deposito. Nella parte superiore è un conglomerato a elementi relativa- mente grossi fra i quali possono essere riconosciuti il calcare ceroide bianco della Cornata, il calcare rosso e schisti a varie tinte : oltre le nummuliti, la cui grossezza non oltrepassa i 5’““, vi si possono scorgere anche articoli di crinoidi. Scendendo in basso gli elementi del conglomerato divengono sempre più minuti, fino a che la roccia prende 1’ aspetto di una arenaria calcarea la- mellare molto simile alla pietra forte. Una particolarità assai interessante riscontrasi in questo deposito per cui distinguesi da quelli suaccennati di Prata e di Campiglia, e identificasi con quello di Castellazzara, pure in provincia di Grosseto, descritto dal signor Caillaux, (Lettera al signor prof. G. Bianconi, sopra un terreno nummulitico scoperto in Toscana. Ann. delle Se. Nat. di Bologna, maggio e giugno 1850), voglio dire la presenza di arnioni allungati o stratarelli di selce piromaca. Essi sono pa- ralleli ai piani degli strati e trovansi tanto nei banchi nummu- litici quanto nel calcare grigio-chiaro che V accompagna, non però negli strati superiori di conglomerato grossolano. La serie nummulitica, di cui la direzione generale è E.O. e V inclinazione variabile a S., unitamente ai sedimenti superiori — 144 — ed inferiori si addossa senza alcuna correlazione alla massa del calcare marmoreo costituente la Cornata e scorgesi ad evidenza che in questo punto la denudazione non riuscì a scuoprire quel nucleo centrale nella stessa misura che negli altri punti, dimo- doché le formazioni più recenti giungono fin quasi alla cima di esso. Accennate così brevemente le circostanze geologiche colle quali presentansi questi due giacimenti nummulitici, se ne po- trebbero trarre alcune deduzioni generali a riguardo di quella immensa serie di rocce prive di fossili comprese fra la forma- zione Massica caratterizzata dalle ammoniti e la miocenica, ma io credo meglio rimetterne la discussione allorché nuove scoperte di questo prezioso orizzonte avranno offerto altri argomenti in proposito. E nuove scoperte non mancheranno certamente, al- meno in questi dintorni perché le stesse circostanze geologiche che verificansi a Prata e Gerfalco in prossimità della zona num- mulitica, verificansi pure in altre località limitrofe.' Così a Massa Marittima, Monterotondo, Montieri, Gavorrano, ec., abbiamo are- narie, calcari e schisti argillosi a fucoidi e ricercandovi accura- tamente non sarà, voglio sperarlo, difficile il rintracciarvi qualche strato nummulitifero. Del resto la supposta mancanza di questo orizzonte geologico in queste ed in altre località della Toscana é da attribuirsi alla estrema tenuità di un tale deposito, per cui difficilmente può essere incontrato senza farne una minuta ricerca e senza avere acquistato pratica al riconoscimentó di quegli indizi che ne avvisano della sua presenza. Massa Marittima, 2 giugno 1875. B. Lotti Geologo-operatore del lì. Comitato geologico d' Italia. III. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica délV Italia Meridionale^ per G. Seguenza. (Continuazione. — Vedi Bollettino, N. 3-4.) ELENCO DEI CIRRIPEDI E DEI MOLLUSCHI DELLA ZONA SUPERIORE DELL’ ANTICO PLIOCENO. Per ciascuna località le specie sono indicate colla lettera iniziale del luogo, la quale è maiuscola per tutte quelle che io possiedo. Sono precedute dall’ asterisco (*) tutte le specie non conosciute tra le viventi, e da un (.) quelle altre che più non vivono nel Mediterraneo. I diversi luoghi di Val d’ Era sono distinti con segni differenti : Peccioli P, Legoli Le, Montefoscoli F, Monte Castello C, Forcoli Fo, Tojano To. Laiatico La, Casciana Ca, Colleoli Co, Palaia Pa. I luoghi compresi nella colonna di Gerace sono indicati coi segni seguenti: Bianco B, Gerace G, Siderno S, Monasterace M. — 146 — EIjBNCO dei molluschi e cirripedi dei w ;z; H- ( p p o o Pi w p iz; 1 1. 2 1. 3 s. 4 s.* 5 s. NOMI DELLE SPECIE. OSSERVAZIONI e SINONIMI più IMPORT 's crostaci:!. Gen. Balanus Da Costa. Sotto-Classe Cirripedi. 6 s.* spongicola Browne var. * pliocenica Se- guenza perforatus Bruguiére tulipiformis Ellis Veneticensis Seguenza Mylensis Seguenza B. tulipa Tar. Philippi, B. tulipa (parte) cj: 7 s.^ 8 s.* 9 s.^ 10 s. Gen. Acasta Leach. muricata Seguenza Gen. Pyrgoma Leach. costatum Seguenza Gen. Chelonohia Leach. depressa Seguenza Gen. Coronula Lainarck. bifida Bronn =rB. tulipa var. Philippi. i Prossimo alla precedente specie. ; • • • ■ • = B. balanoides Phil. (parte) fossile in Milp2| in Sardegna (Seguenza), collezione Liberi. Di unita alla varietà coi compartimenti lisci!. Insieme alla var. P. elargatum Seg. Specie affine alla G. testudinaria Gen. Pachylasma Darwin, giganteum Philippi (Chthamalus) 11 c. 12 s. Gen. Verruca Schumacher. stromia Muller (Lepas) dilatata Seguenza = Diadema diluvianum Costa, C. diadema Ar;^ termedia tra la C. diadema e la C. barbargfl fessore Aradas l’ha raccolto a Militello. .| Fossile in tutte le zone del pliocene.^ Vive nell|5 del Faro di Messina ed a Catania j = Ocbthosia stroemia Phil., 0. monstruosj Oplosoma fimbriatum (carena) Costa. . . Affine alla V. prisca e Zanclea | I 147 SUPEEIOEE DEL PLIOCENO ANTICO. 23 c. 24 c. 25 c/ 26 c. 27 s. 28 s. — 148 - 13 s.* Komettensis Seguenza. 14 Zanclca Seguenza . . . 15 s.* crebricosta Seguenza . Gen. Lepas Linneo. 16 s. I Hillii Leach Vive nel golfo di Napoli (Collezione Tiberi) Somiglia alquanto alla V. prisca Somiglia per taluni caratteri alla Y. nexa del' orientali Gen. Scalpellum Leach. 17 c.* magnum Wood 18 s.* fragmentarium Seguenza , 19 s.* Zancleanum Seguenza . . 20 s.* Michelottianum Seguenza Gen. Seillaelepas Seguenza. = Anatìfa laevis (parte) Philipp! Affine al vivente S. vulgare. Fossile nel Crag Un solo frammento della carena . La più grande specie conosciuta. Comunissim Affine allo S. quadratum dell’eoceno d’Inghi' 21 s.* carinata Philipp! (Pollicipes). 22 s.* I ornata Seguenza =• Pollicipes carinatus Darw. Comunissima =::P. ornatus Seg. (M.S.) Comunissima. . . mOliliUSìCBLI. — Classe Pteropodi. Gen. Clio Linneo. subulata Quoy et Gaimard (Cleodora). . pyramidata Browne infundibulum S. Wood (Cleodora) .... cuspidata Lamarck (Hyal«a) ....... striata Rang (Creseis) . . . trigona Seguenza (Cleodora) Gen. HyalcBa Lamarck. 29c,*l Calatabianensis Seguenza. . . . 30 c. 1 trispinosa Leseur = Cleodora spinifera Phil. Clio subulata Moni = Cleodora lanceolata Phil., Benoit, Arad pyramidata Monterosato Specie del Crag inglese = Cleodora cuspidata Phil., Seguenza, Clio c Monterosato ,• — — Creseis striata Phil., C. sulcata Benoit, striata Seguenza, Clio striata Mont. . . Molto affine alla C. pyramidata ol s. I inflexa Leseur . . . 32 s.* 1 peraffinis Seguenza Gen. Spirialis Eydoux et Soni ey et. 33 c. 1 retroversus Fleming (Fusus) 34 s.* globulosus Seguenza. 35 s. 1 diversa Monterosato. Gen. Emholus leffreys. 36 s. I rostralis Souleyet (Spirialis) 37 s.* planorboides n. sp 38 s.* 1 elatus n. sp Specie affine alla H. tridentata, ma ben d; piccola = H. depressa Bivona, Phil. Benoit, Diacria t: Seguenza ; mH. uncinata, H. vaginella Phil. ^ Specie forse da riunirsi alla H. tridentata, sono le var. fornicata, e minor ' = Scaea stenogyra Phil. Atlanta trochifornii Forse S. Jeflfreysii F. et H . . . . Affine alla S. reticulata ma colla spira più I = Protomedea elata Costa. Bellerophina minut Affine e più grande della specie precedente.' Apertura grande in rapporto alla spira . . | I — 149 — 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 M. -t- R. • • • M. M. M. C. M. R. • • • M. R. • • • M. M. M. M. ■+■ R. M. 4- M. M. M.' H- M. • • • • . . . • • • • • • . . . . . . . . . • • • c. • • . • • • M. 4- P M. Tur -f- M. M. 4- 4- M. « M. 4- ■ M. 4- - 150 — 39 s/ 40 1. 41 s. MOiiiiCScm Gbn. Garinaria Lamarck. peloritana Seguenza Gen. Philine Askanias. Classe Criasteropodi. 42 c. 43 c. scabra Mailer (Bulla) • • • • quadrata S. Yood (Bullaea) Gen. ScapJiander Monfort. 44 1/ 45 1.’ 46 1/ lignarius Linneo (Bulla) librarius Loven Gen. Bulla Linneo. miliaris Brocchi. • • • D’Anconeana Cocconi . subampulla B’ Orbigny. 47 1. 48 c. 49 s.^ striata Linneo . . utriculus Brocchi, globosa n. sp. . • 50 c.^ Gen. Haminea Leach. varicosa Eayneval Gen. Acteon Monfort. 51 1.* 52 1.’ 53 1.^ 54 1. depressus Libassi (Tornatella) pinguis B’ Orbiguy. ...••• levidensis S. Wood tornatilis Linneo (Voluta). . . 55 c." 56 c. 57 c. semistriatus Ferussac . . . . pusillus Forbes (Tornatella) exilis Jeffreys . . . 58 1. 59 1. 60 1.* 61 c. 62 s.* 63 s. Gen. Utriculus Brovrn. 64 1/ truncatulus Bruguiére (Bulla) inammillatus Philippi (Bulla) spiratus Brocchi (Voluta). . obtusus Montagu (Bulla) . . Jelasii n. sp expansus Jeffreys Gen. GylicTina Loven. convoluta Brocchi (Bulla) . . . 65 1. 66 1. 67 1.”^ 68 1.* 69 c. 70 c.^ 71 c.' 72 s. ' nitidula Loven umbilicata Montagu (Bulla) Brocchi! Michelotti (Bulla) clathrata Befrance (Bulla) cylindracea Pennant (Bulla) subappennina B’ Ancona (M ovata Jeffreys. alba Brown (Volvaria). . . Vedi Pteropodi ed Eteropodi fossili del Messìi = Bullaea angustata e B. punctata Phil. = Bulla lignaria ^'hilipph Calcara . . ^ Pescato recentemente a Palermo dal M rosato Più allungata della B. ampulla Lin. . • . • Molto affine alla B. ampolla, piu^grande e pi =:B. ampulla Sismonda (non Lin.) Riportata dal Calcara ad Altavilla . . • • - := B. intermedia AraJas, B. utriculus Calcai Sferoidale trasversalmente striata Nelle tavole dei fossili del Mte Mario del Pr. = T.* solcata Grateloup (non Ferussac) . ^Tornatella fasciata Philippi, T. tornatilis fasciata Calcara ‘ = Voluta tornatilis Brocchi (non Lin.) Bulla semisulcata Philippi. Affine all’U. obtusus, più grande e meno g Bulla convoluta Calcara. Esattamente cilinj r apertura più stretta della C. cylindracea, S.) (Bulla). — Bulla truncatula Phil. ....... c=: Bulla ovulata Brocchi (non Lamk) — Bulla cylindroides ? Calcara (non Besh.) r= Bulla ovulata Calcara (non Brocchi). ■ Ritrovata recentemente al Salice presso ^ 151 2 3 4 5 6 7 8 9 1 1 ^ 11 12 13 14 15 16 17 18 19 M. -P M. -H -P p. B. • • • M. b. 1. M. C. -H C. -p • • • • . . . b. M. ? b. -P , 0. Le. B. M. b. L. M. -p M. M. b. M. • • • • P. b. 1. "p • 0. P. B. . . . • • • b. • • • . . . c. M. —f— -p - le. b. -p -p le. b. -p ~p Ca P. b. - c. B. -p -p M. -p P. b. A. c. -p • • . P. -p 0. b. 1. b. • • • • • * • • • • . . . b. 1. • * • c. G. 1. • • • • • • M. -p _p • 0. P. . . . c. . . . . . . . . . . . . c. M. -p ■■‘1 M. "*H Gbn. Volvula H. et A. Adams. 73 1. acuminata Bruguiere (Bulla) — Bulla acuminata Phil Gbn. Ovulo, Bruguiere. 74 c. spelta Linneo (Bulla) — 0. spelta Calcara • Gbn. Fedicularia Swainson 75 s.* Deshayesiana Seguenza Gbn. Trivio Gray. Pescata recentemente nei mari del Nord (Jefl 761.* sphaericulata Laniarck (Cypraea) .... 77 1. pulex Solander (Cypraea) Un solo esemplare d’ Altavilla che conserva ur colore hrunastro 78 1.* affinis Dujardin (Cypraea) 79 1. pediculus Lamarck (Cypraea) . Riportata dal calcara ad Altavill.a 80 c. europaea Montagu (Cypraea) ....... Gbn. Cypraea Linneo. = Cypraea coccinella Lamk. Calcara 1 1 1 81 1.* amygdalum Brocchi 1 = C. amygdalum Calcara j 82 1,* elongata Brocchi = C. elongata Calcara . . . 1 83 ]. physis Brocchi = pyrula Bronn (non Lamk.) ! 84 I. pyrum Gmelin : — : C. f*.ÌTiriamomea Olivi j Gbn. Erato Risso. 85 c. laevis Donovan (Voluta) Gbn. Marginella Laraarck. = Erato cypraeola, E. laevis Philipp!, E. c; Calcara i 861.* suhcincta n. sp Affine alla M. cincta Kiener (un solo esempla tavilla) 87 1. miliaria Linneo (Voluta) . =:M. miliacea Phil, Volvaria miliacea Calcaj. 881. clandestina Brocchi (Voluta) 891.* avena Valencienne .. 90 c.* Bellardiana Semper 91 e.* auris-leporis Brocchi (Voluta) '^Voluta auris-leporis Calcara 92 c. occulta Allery Gbn. Ringicula Deshayes. / 1 1 i 93 c.* huccinea Brocchi (Voluta) » var. intermedia Foresti .... = Marginella auriculata Calcara (non Menai' 94 c.* Brocchii Seguenza (M. S.) R. huccinea var. secondo alcuni, R. stria. Philipp!) secondo altri 95 c. leptocheila Brugnone ..." = R. ventricosa Jefifr. (non Vood) j. Gbn. Voluta Linneo. i il j 96 1.* Altavillae Libassi 1 971.* Cn.llftra.mi Ara.fias j l' w — 153 — 3 4: 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 -4- ?M. M. . . . -+■ 0. ... b. c. A. . . . . . . b. 0. p. b. . . . C. . . . b. 1. M. -+■ H- To. b. P. 0. Le. 0. H- 0. P. B. • • • c. . . . B. I. . . . c. . . . • • • . . . M. 0. B. 0. P. b. 0, 0. L. , 0. To.f. 1. M. c. M. -P -t- 0. P. B. c. B. L. ?c. • • . . . B. 0. P. B. c. B. L. c. 1 M. {Continua,) — 154 — IV. Cenni sopra la costituzione geologica delle Isole Ponza del dottor C. Doelter. (Presentati nella seduta del 7 Gennaio 1875 della I. Accademia delle Scienze di Vienna.) Il piccolo gruppo delle Isole Ponza giace all’ estremità occi- dentale del distretto vulcanico napoletano. Tanto dal lato della loro situazione geografica quanto da quello della loro natura geologica, queste isole vanno divise in un gruppo occidentale, ossia le Isole Ponza propriamente dette, che comprendono tre isole : Ponza, Palmarola e Zannone, e in un gruppo orientale costituito dalle isole Ventotene e di Santo Stefano. Le prime appartengono a un sistema diverso da quello delle altre tanto per P epoca di loro formazione, quanto per i prodotti vulcanici e la costituzione geologica cfie presentano ; essi si trovano rispetto ai vulcani di Napoli nella medesima re- lazione che le Isole Lipari hanno con i vulcani della Sicilia. I loro prodotti appartengono alla classe delle roccie acide, le quali sono più antiche delle basiche ; la costituzione loro è raggiata ed è formata da un sistema di dicchi trachitici che attraversano tufi più antichi. La costituzione delle due isole orientali è al contrario simile a quella di Precida e dei vulcani tufacei dei Campi Flegrei. Noi cominceremo il nostro studio dalle isole orientali di Ven- totene e di Santo Stefano. Isola di Ventotene. — Essa giace a 40° 47' 30" lat. nord, e a 10° 47' 0" long, orientale di Parigi. Il suo circuito è di 4 miglia circa, e la forma è quella di un triangolo, la base del quale è parallela alla direzione levante-ponente. La sua superficie è quasi completamente piana, e dalla punta sud-ovest s’ inchina verso nord e verso est. Il punto più elevato di essa è il Capo dell’ Arco, situato a sud-ovest, a 110 metri circa sopra il livello del mare, mentre a nord-est, alla punta di Eolo e alla punta del Porto, la costa si eleva sopra di esso soltanto 10 metri circa. - 155 — L’ isola, se si eccettuano due bassure alla punta del Porto e al Camposanto, è affatto priva di avvallamenti. Una forma cra- terica distinta non apparisce in nessun luogo; come tale si po- trebbe considerare forse un' avvallatura elittica, diretta dal sud air est, situata in vicinanza della Punta del Telegrafo e che comunica col mare soltanto per mezzo di uno stretto canale ; ma semplicemente dalla forma non si può concludere nulla di preciso. I prodotti vulcanici di quest’ isola sono i seguenti : Una lava nero-azzurrognola, molto cavernosa, di cui la massa compatta contiene molte lamelle di plagioclasio a splendore vitreo, e più raramente piccoli cristalli di augite ; al microscopio si ri- conosce che la più gran parte del feldispato è plagioclasio ; la roccia è, ricchissima di augite e magnetite, e per la struttura e la composizione mineralogica si avvicina molto al basalto. Si possono distinguere quattro varietà di tufo : V Tufo giallo con numerosi noccioli di una roccia augi- tica, compatta, azzurro-cupa e di una trachite scura scoriacea, essa pure molto augitica. 2^^ Tufo friabile rosso, ovvero bigio. 3° Tufo formato da piccoli lapilli di pomice spumosa. 4° Tufo grigio-cupo, terroso, formato di un materiale fino e friabile. La costituzione dell’ isola è semplice, il sotto-suolo essendo formato di una grande e potente corrente di lava ; quindi se- guono gli strati’ del tufo, per solito nell’ ordine seguente : Tufo terroso grigio o nero. Tufo rosso. Tufo pomiceo. Tufo trachitico giallo. Quest’ ultima roccia è importante ancora perchè include nu- merosi frammenti di granito, sienite, gneiss e eufotide, ed inol- tre aggregati minerali come al Monte Somma ; fatto dal quale si potrebbe concludere che le montagne gneissiche e schistose delle Calabrie si continuano nella direzione delle Isole Ponza. Isola di Santo Stefano. — A oriente di Ventotene, e da essa divisa per uno stretto canale, s’ innalza la piccola isola di Santo Stefano, a circa 130 metri sopra il livello del mare. Essa è ta- gliata a picco da ogni lato, talché è approdabile solo in pochi — 156 punti e con mare quieto. Qui pure il lavoro demolitore delle onde marine ha reso poco distinte le forme proprie di una co- stituzione vulcanica. Anche in questa isola i crateri non sono chiaramente deli- neati ; soltanto un burrone situato nel versante sud, lascia ri- conoscere un cratere più per la disposizione delle materie vul- caniche che per la sua forma. La costituzione di questa isola è molto simile a quella di Ventotene ; cioè presenta correnti di lava con strati di tufo so- vrapposti. Isola di Poma. — Delle cinque isole qui descritte, l’ isola di Ponza è la più grande. Essa giace sotto 40“ 54' 30" di lat. nord, e 10“ 25' di long, est di Parigi. Essa si presenta arcuata da sud a est ; la sua lunghezza è di 7 miglia ; la sua larghezza varia fra un miglio e un quinto di miglio. Essa è divisa topo- graficamente in tre parti diverse, ^ delle quali la più meridionale contiene il punto più elevato dell’ isola, cioè il Monte la Guar- dia alto 280 metri. La parte di mezzo, dal paese di Ponza fino al piccolo villaggio di Forneti, è costituita da numerose valli, divise da colline di 100 a 125 metri, mentre la terza parte si estende in un piano elevato di circa 80 metri al di sopra del mare. L’ azione delle onde marine è stata qui pure così forte che appena è permesso distinguere P originaria forma dei crateri ; ciò non ostante il porto di Ponza tanto per la sua forma, quanto per la disposizione delle lave presenta i caratteri di un vero cratere, cosa che attirò pure P attenzione di Dolomieu, il primo che abbia descritto queste isole. Attualmente non è più dato di osservare nell’ isola Ponza resti di attività vulcanica, come esalazioni, sorgenti calde, ec. Prima di passare allo studio della costituzione dell’ isola, descriverò le diverse roccie che vi si trovano ; esse sono le se- guenti : Trachite sanidino-plagioclasica. % E una roccia compatta, verde-nerastra, con feldispati, alcuni dei quali più grossi si riconoscono abbastanza facilmente per — 157 saniclina ; contiene ancora qua e là prismi allungati di antibolo ; il quarzo e la biotite vi mancano completamente ; al microsco- pio vi si riconosce grande abbondanza di plagioclasio, cosicché si rimane in dubbio se si deve considerare quella roccia come andesite ovvero come trachite. Una seconda roccia è la riolite ; essa è di un color grigio rossastro, dura e compatta ed è composta di una pasta omogenea predominante che racchiude qua e là lamelle di biotite e cri- stalli di sanidina, mentre V antibolo manca affatto ; la massa principale della roccia è di natura vetrosa. Trachite sanidino-hiotitica. Boccia alquanto -decomposta, ruvida, porosa, di colore grigio rossastro, con numerosi cristalli di sanidina fessurati, e lamine di biotite ; qua e là contiene ancora dei granelli di quarzo ; r anfibolo manca completamente. Retinite. Vi si trova in varietà nera, verde-nerastra, giallo vinato, o giallo miele; tutte queste roccie si sono formate per la fusione di una breccia trachitica in contatto con la riolite ; la maggior parte hanno aspetto porfirico perchè contengono nella massa ve- trosa sanidina e talora riolite, la quale, sotto il microscopio, ha r aspetto di un’ ossidiana. Tufi. V Tufo friabile stratificato di color giallo-grigio ; non contiene materie incluse. 2° Tufo rosso ; contiene gli stessi minerali che la trachite della Guardia. 3° Tufo in decomposizione con numerosi frammenti di ridite silicizzata e di quarzite. Infine si deve ancora menzionare la breccia trachitica non stratificata, la quale qui è la roccia più antica ; essa è formata — 158 — di un materiale pomiceo molto fino, con numerosi frammenti di una trachite porosa e vetrosa. Riguardo poi alla costituzione dell’ isola, essa ci presenta uno degli esempi più belli di vulcani a forma raggiata. Il porto di Ponza fu il principale centro di eruzione ; da esso irradiano numerosi dicchi riolitici, per lo più verticali, di foima molto ir- regolare, che a modo di correnti si spandono sopra la superficie ; esse attraversano la già menzionata breccia trachitica grigia e po- rosa, la quale costituisce forse la base dell’ intero vulcano. In contatto delle riolite la breccia trachitica è trasformata in reti- nite brecciforme ovvero del tutto compatta. Quest’ ultima si trova sempre in contatto del dicco riolitico mostrando a partire da questo : 1*’ una varietà nero-\eidastia, T una varietà gialla e 3® una varietà brecciforme, la quale poco a poco passa alla breccia trachitica. In taluni punti la perlite rimpiazza la retinite. Un secondo punto di eruzione della riolite è la baia situata al nord del porto di Ponza, la quale porta "il nome di Cala del- P Inferno. Da ambedue irradiano dicchi, potenti di 10 a 40 me- tri ; dal primo centro provengono 10 dicchi e dal secondo 8 sol- tanto. La parte settentrionale dell’ isola, dal villaggio di Forneti fino alla punta più settentrionale, la quale porta il nome di Punta dell’ Incenso, ha un’ altra costituzione ; nella parte sud-est alcuni altri dicchi traversano la breccia trachitica ; peiò la massa principale è costituita di un tufo particolare, ora friabile, ora alquanto più compatto che racchiude numerosi frammenti di riolite silicizzata (senza cristalli di quarzo isolati) ; in altri luo- ghi la roccia non è quasi composta che di simili frammenti. Tale è ancora la costituzione dell’ isola di Cavia divisa dalla Punta dell’ Incenso per mezzo di uno stretto canale. Alla stessa Punta dell’Incenso si osserva ancora un dicco di riolite. La parte meridionale dell’ isola è costituita da un elevato colle trachitico del quale abbiamo già descritto le roccie. Sui suoi pendìi appare la breccia trachitica, ma dai lati nord ed est, esso è ricoperto da tufi grigio-giallastri stratificati : dal lato sud final- mente giace sopra la breccia trachitica un piccolo strato del tufo Monte La Guardia nell’ Isola di Ponza. 159 w — 160 — rosso sopra menzionato. Io ritengo tutta la massa della trachite della Guardia come più antica dei dicchi riolitici ; essa è la più antica lava del vulcano di Ponza. Ci sarebbe ancora da menzionare una roccia la quale, per quanto sembra, non spetta ai due centri di cui già fu parlato ; essa è la trachite sanidino-biotitica grigia ; essa forma nella breccia trachi tica un dicco potente di 10 metri circa e diretto al nord-est; qui pure la breccia trachitica è metamorfizzata in retinite. E possibile che questo dicco della costa occidentale spetti ancora al secondo centro ; però non si può seguire fino alla costa orientale. L’ annesso profilo, preso sopra il pendio nord-ovest del Monte la Guardia sulla spiaggia occidentale, mostra la breccia trachi- tica attraversata dai dicchi di riolite e in parte metamorfizzata in retinite ; dietro questa erta parete situata a picco sul mare, al vertice della quale appare il tufo stratificato, si eleva la massa della trachite della Guardia. Isola Palmarola, — La più occidentale delle Isole Ponza, cioè Palmarola, offre anch’ essa molto interesse. Quest’isola forma un ridosso alto 100-180 metri, diretto dal nord air ovest, lungo un miglio e mezzo e largo un terzo di mi- glio, e che presenta una sola profonda avvallatura nella metà set- tentrionale ; è questa una bassura di forma rotonda posta fra i colli del Rosso e la punta della Tramontana, che s’ inclina molto dolcemente verso il mare e che serve di punto d’ approdo. Quest’ isola pure presenta una costituzione raggiata ; P azione del mare su questa stretta e piccola isola è stata molto efficace, per cui non è dato di osservarne la costituzione raggiata così chiaramente come a Ponza ; tuttavia le traccie di questa costitu- zione sono ancora abbastanza distinte perchè si possa riconoscere che la così detta Marina di Palmarola, avvallamento rotondo il quale poco si solleva sul livello del mare, deve essere stato un centro di eruzione. Partendo da questo punto, numerosi dicchi hanno traversato la breccia trachitica, la quale qui ancora co- stituisce la base dell’ isola. Verso il sud questi dicchi sono trachitici, verso 1’ est sono costituiti invece di una roccia riolitica porfiroide ; verso il nord poi è un gran dicco potente di litoidite, la quale a sua vòlta è — 161 - traversata da piccoli dicchi di ossidiana. Al contrario di quanto avviene a Ponza, ove si osservano dicchi numerosi, ma poco po- tenti, s’incontrano a Palmarola dicchi assai potenti ma in pic- colo numero. La descrizione di ogni roccia particolare sarà da me data dopo più accurate ricerche, in un lavoro più esteso sopra le Isole Ponza. Isola Zannane. — Fra le Isole Ponza questa è la sola che non sia formata unicamente di roccie vulcaniche ; è in pari tempo r isola più vicina alla terra ferma ; essa giace sotto 40® 59' lat. nord e 10® 29' long, est di Parigi; la sua forma è quella di un rettangolo ; il suo circuito è di circa 4 miglia. Essa è for- mata da un ridosso diretto dal nord al sud, tagliato a picco verso est, nord ed ovest, e del quale il punto più alto s’ inalza di 135 metri sopra il livello del mare» La più gran parte dell’ isola è formata di una roccia scolo- rita, la quale presenta entro una pasta omogenea e discreta- mente dura, granelli di quarzo e sanidina ; nelle fessure contiene cristalli di quarzo e limonite. Questa roccia si presenta sotto forma di un dicco molto potente, il quale probabilmente ebbe origine sulla costa orientale di Ponza. La parte nord-est del- l’isola, circa un quarto di essa, è formata da schisti e calcari. Queste roccie sedimentarie sono di diverse epoche ; ma nessuna di esse è più recente del calcare ippuritico delle vicinanze di Terracina ; e ciò ancora è una prova atta a mostrare che gli schisti antichi dell’ Italia meridionale, si estendono sotto le acque del mare nella direzione nord-ovest.^ In contatto fra la riolite e il calcare si sono formati dolomite, calcare dolomitico e cal- care cristallino. Da quel che abbiamo detto si conclude che le isole sopra descritte si dividono in due gruppi. Le due isole orientali, Ven- totene e Santo Stefano, hanno una costituzione simile a quella dei vulcani dei Campi Flegrei e dell’ isola di Procida ; esse sono formate di correnti di lava e di tufi sovrapposti. Le isole del gruppo occidentale si mostrano del tutto diverse : non si cono- * SuESS, 1 terremoti dell’ Italia Meridionale, pag, 2. Il — 162 — scono eruzioni storiche di questi vulcani; tutto invece fa cre- dere, che la loro attività abbia cessato molto tempo prima del- r epoca storica. I prodotti vulcanici che sono stati messi a nudo, sono molto diversi da quelli offerti dai vulcani napoletani ; essi hanno somi- glianza solo con le roccie delle Isole Lipari ; sono poi molto vi- cini alle roccie che compongono i monti trachitici dell’ Ungheria e della Transilvania. Noi abbiamo qui adunque uno di quegli esempi non frequenti di roccie eruttive riolitiche, che sono di origine indubitabilmente neo-vulcanica. II gruppo delle Isole Ponza occupa probabilmente nel sistema vulcanico napoletano quello stesso posto che in altri luoghi occu- pano i prodotti acidi rispetto ai basici : così le roccie acide delle montagne trachitiche dell’ Ungheria hanno iniziato il pe- riodo eruttivo, mentre i basalti comparvero molto dopo ; in molti altri luoghi i porfidi acidi precederono i melafiri basici, e così nella regione napoletana, le roccie acide aprirono il periodo vulcanico. In ultimo mi sia lecito di menzionare con i debiti ringrazia- menti il generoso appoggio che io incontrai dappertutto da parte delle autorità del regno d’ Italia ; mi sento in obbligo poi di fare i miei più vivi ringraziamenti al Comm. Luigi Gorra, se- gretario di Stato al Ministero dell’ Interno, il quale con molta premura e buon volere, volle facilitare il mio viaggio in questi luoghi raramente visitati da forestieri. V. Il Vulcano Venda presso Padova. — Lettura del professor E. SuESS alla R. Accademia delle Scienze in Vienna, il 7 gennaio 1875. j (Sunto). Le eruzioni trachitiche e doleritiche degli Euganei proven- nero, forse tutte, da un unico grande vulcano, paragonabile per dimensioni all’ Etna, e che dicerto s’ ergea ben oltre al limite 163 — delle nevi perenni. Imbasamento ad esso la Scaglia, e qualche lembo della più antica formazione terziaria. Le azioni distrut- trici, che, nella successione del tempo, demolirono il cono erut- tivo e ne dispersero i materiali, denudarono quella base : in qualche luogo anche le formazioni ad essa immediatamente soggiacenti. Risalendo col pensiero alle origini, immaginiamo quel vulcano, quando, al pari di ogni altro, eruttava vapori e ceneri dall’ aperto cratere: nel cratere s’innalza la lava, premente contro le pareti, che, spaccandosi le consentono irrompere all’ esterno del cono erut- tivo e versarsi, dalla sommità in prima dello spacco, appresso da punti sempre più bassi, per il declivio del cono e sulla circo- stante regione. Dighe divergenti a raggi dall’asse, e colate più 0 meno oblique all’ orizzonte : tramezzi ed impalcature di solidi materiali; come chi dicesse lo scheletro, che solo sussisterà poi, quando le azioni denudatici avranno asportato ceneri, lapilli, tufi ed ogni altro materiale incoerente o di facile decomposi- zione. Nè di quelle colate potrà rimaner se non parte: mancato il sostegno a quelle che s’ adagiavano sulle ceneri del cono, do- vettero cadere, frangersi, distruggersi, rimanendone solo lembi, 0 sovrapposti per ripetute eruzioni, od inclusi fra le dighe rag- gianti. Ma dove con crescente spessore si erano distese sull’ im- basamento, ed ebbero quindi a sostegno solide rocce calcari od arenacee, quelle estremità poterono persistere e rimanere a te- stimonii della grandiosità del vulcano, anche quando 1’ azione distruttrice del tempo lo ebbe in massima parte demolito. Da quei resti si può desumere qual fosse il centro principale delle eruzioni euganee, nella china settentrionale del Venda. Numerosi monti formati al basso da Scaglia o da Biancone, coronati alla cima da Trachite o da Dolerite, circondano quel centro : verso il settentrione e verso 1’ oriente, ove la superficie della Scaglia giace a livello più basso di quello che non sia al mezzogiorno ed all’ occidente, i monti sono, in generale, meno elevati, e molti, fino alla base, formati di solida Trachite. Tutte le cupole di Trachite sanidino-oligoclasica che si succedono da Torreglia a Monte Ortone, Monte Benzina, Monte Rosso, Monte Merlo, Monte Bello, Monte Grande e Monte della Madonna, fino al più discosto Monte Albettone ; poi verso sud-ovest il Monte Gian, tutti i monti intorno a Fontanafredda ed il segregato Monte di — 164 — Lezzo ; e, continuando il giro, tutti i lembi di Tracliite che co- ronano i numerosi monti di Scaglia al mezzogiorno, rappresen- tano le estremità delle colate divergenti dallo stesso cratere principale/ Chi oltrepassi quella corona dal nord o dal nord- ovest, salendo a Teoio, vede tosto dinanzi a sè, in forma di mu- raglione gigantesco, la gran diga di Pendise, a ripidi fianchi, colle rovine dell’ antico castello di Ezzelino in vetta. Per essa si giunge al luogo dell’ eruzione, e tosto comparisce una seconda diga più corta e di origine alquanto superiore: gli sparsi fram- menti di Retinite provengono dalle salbande di essi filoni o di un altro filone di Trachite nera incompletamente prodotto. Più corto che quello di Pendise, ma perfettamente caratterizzato, è il filone di Bajamonte. Segue, sempre divergendo dal luogo stesso, il prolungato filone della Forchetta, che sembra emettere a de- stra ed a sinistra altri filoncelli secondarii. E radiale è del pari la direzione del lungo dorso principale del Venda, costituito nella sua parte più elevata di tufo bianco zonato; ed irraggiano dalla sommità, verso P oriente, altri numerosi filoni : precipui i due vicini, sopra uno de’ quali è il chiostro di Rua quello di Venda si ergeva su altro filone minore. Ad ognuno di essi filoni ha dovuto corrispondere qualche grande eruzione. Il lembo di Trachite al molino di Schivanoja, presso Teoio, rinomato qual esempio di filone-strato, è un frammento di colata interchiuso fra filoni irra- dianti che dovettero esserle posteriori. L’ intaglio della strada da Galzignano a Torreglia, nella continuazione del filone di Rua, mostra meravigliosamente conservato un pezzo dell’ antico cono vulcanico, compenetrato da filoncelli di varietà differenti di Trachite. Meglio che nei vulcani attivi, son qui manifeste le correla- zioni della gola eruttiva coi circostanti terreni stratificati. Scaglia e Biancone non sono punto sollevati in massa dalla Tra- ’ Air oriente si eleva, segregato dagli altri, il gruppo, di Sieva, Cattajo e Monte Nuovo. A farlo supporre un centro distinto di eruzione, concorrono: la distanza, la qualità dei materiali e 1’ età più recente. Il tufo bianco pomicoso fossilifero vi è attraversato da filoni, e ricoperto da colate della Trachite nera denominata Sievite: alle salbande di quelli, originata dalla fusione,, la Retinite ; breccia retinitica alla sommità di quel resto dell’ antico cono, altra porzione del quale è il Monte delle Croci ; e prodotto dalla denudazione l’ incavo che simula un cratere. — 165 chite: gli spostamenti interessano egualmente il terreno strati- ficato e le cupole di TracMte che lo ricoprono; le maggiori eruzioni incastrarono a guisa di conio grandi masse di Trachite fra gli strati disgiunti della Scaglia, come presso Teoio da una parte, presso Fontanafredda dall’ altra ; ed i frammenti della Scaglia rimasero spesso inclusi in breccia da cemento trachitico. Considerando sotto tali vedute il caso di Fontanafredda, si di- rebbe che una possente colata di Trachite oligoclasica, inseren- dosi fra i terreni calcari stratificati, ne svellesse un gran lembo e lo trasportasse nel suo corso per un qualche tratto. Gli strati inferiori di quel lembo, chiariti giurassici dalle Belenniti e dai Filloceri che includono, furono al contatto convertiti in marmo; vi succedono gli strati del Biancone a Crioceri; e la Scaglia, che ne costituisce la parte superiore, fu poi ricoperta da po- steriore colata riolitica. Possenti e prolungate dighe irraggianti da un centro, colate largamente estese, testate preservate dalla denudazione in ampia cerchia, monumenti di ripetute e grandi eruzioni, dimostrano qual gigantesco vulcano dovette un tempo essere il Venda. VI. Appunti geologici sulV Italia,'^ del dottor R. Ludwig. (Da una Memoria inserita nel BuUettin de la Société Tmp. des Naturai, de Moscou, Année 1874, N. 1.) Tuttoché nella penisola italiana non sia ancora stata scoperta la intiera serie dei terreni conosciuti nelle altre regioni europee, pure buon numero di questi vi sono rappresentati. Infatti, inco- minciando dai più antichi, nelle vicinanze di Messina trovarsi : gneiss finamente scistosi, grigi, talvolta cloritici; graniti a ele- menti grossolani ; scisti talcosi calcariferi ; scisti argillosi di tinta oscura : i banchi di queste roccie ripidamente raddrizzati, sono ’ L’ Autore ebbe più volte occasione di visitare lavorazioni minerarie in Si- cilia, in Calabria, in Apulia, nei dintorni di Napoli, nel territorio di Roma ed in Toscana, e percorse il nostro paese in diversi sensi: in questa Memoria egli espose le principali cose osservate. — 166 — ricoperti dal calcare liasico. Nel gruppo di Aspromonte e nei monti della Sila in Calabria trovasi un gneiss composto di fel- dispato bianco, quarzo e mica bruna, il quale passa a micascisto ed è accompagnato da un calcare bianco compatto con orne- blenda, quarzo ed epidoto e da uno scisto argilloso nero : presso Lungro questa formazione cristallina è ricoperta dal calcare giu- rese e da un terreno terziario salifero. Nell’ Italia media com- pariscono scisti cristallini e calcari nell’ Apennino abruzzese (Gran Sasso d’ Italia), nei monti di Tivoli, al Capo Circeo, nei monti di Tolfa, ed in Toscana a Gerfalco, a Monticiano, al Monte Argentario, al promontorio di Talamone, nei Monti Pi- sani e nelle Alpi Apuane ; nell’ Isola d’ Elba, e in quelle del Giglio, Capraia e Montecristo si trova anche un vero granito. Alcune di queste roccie scistose costituiscono il terreno cono- sciuto col nome di Verrucano, sulla esatta posizione del quale nella serie cronologica non sono ancora d’ accordo i geologi per deficienza di dati paleontologici. Per lo stesso motivo non si può asserire che la formazione siluriana esista in Italia fuori della Sardegna. J ■ La formazione carbonifera vi esiste senza alcun dubbio e fra gli altri punti fu bene accertata nel gruppo di Jano in To- scana, dove il prof. Meneghini scoperse frammenti di Lepido- dendri, di Sigillane, di Caiamiti e di Felci, insieme con Pro- ductus e Criniti : la roccia ne è uno scisto argilloso nero che presso Jano riposa sulle roccie scistose cristalline, emergendo dalle formazioni giurese, neocomiana e terziaria. — Molta incer- tezza regna tuttora sui rappresentanti del terreno permiano.^ Nei Monti Pisani e nelle Alpi Apuane è frequente il calcare rosso ammonitico (Lias) con Belemniti, Terebratule, Rhynchonelle, Spiriferi e con molte specie di Ammoniti.^ Anche nei calcari brecciati variegati e in quelli compatti giallastri che coprono ^ L’Autore dice inoltre che la formazione triassica nell’ Italia centrale è assai bene conosciuta; ma secondo gli studii degli ultimi dieci anni non si può pensare così ; quei terreni che prima erano attribuiti al trias, ora sono stati riconosciuti infraliassici ; al trias invece, sembra si riferisca la formazione dei marmi e quella degli scisti cristallini sovrapposti. ^ V. Meneghini, Monographie des fossiles appartenant au Calcaire Rouge Arnmonitique de Lornhaìxlie et de VApénnin de V Italie Centrale. Milan {Pa- léonlologie Lombarde). — 167 — il calcare rosso, furono raccolti fossili fra i quali Aulacoceri, Ammoniti, Belemniti, Conchiferi, Brachiopodi e Criniti. I terreni che ricoprono il Lias anzidetto non mancano nel- r Italia centrale : verso V Adriatico havvene alcuni lembi staccati presso Ancona, Manfredonia e Bari : in questi terreni giuresi i fossili sono scarsi e di difficile determinazione. Una forma- zione analoga è costituita dai così detti scisti varicolori di Toscana.^ A questi scisti fa seguito presso Montieri un sottile strato di arenarie e quindi un giacimento di un calcare bianco compatto con fossili e con filoni di minerali di piombo e rame. Gli stessi minerali entro un calcare analogo si trovano anche nei monti della Tolfa presso Civitavecchia. ~ La formazione cretacea si estende assai in Italia, ed è talvolta sollevata a grandi altezze sul livello marino. Nella Italia media vi si distinguono tre piani : l’ inferiore formato da banchi di un calcare bianco cristallino senza fossili, il medio da un calcare compatto rossiccio o bianco con strati marnosi inter- posti e con Ippuriti, Badioliti, Nerinee ed altri fossili, il supe- riore da argille scistose, marne calcaree e gesso con molte specie di fucoidi. Nella Toscana invece distinguesi il Neocomiano ^ (cal- cari di diverse specie) ed il cretaceo superiore con calcari di- versi. Alcuni pozzi eseguiti per la ricerca di soffioni boraciferi a Tra vale presso Montieri hanno traversato questi terreni del cretaceo superiore; essi furono eseguiti poco lungi da un’altura di calcari giuresi e liassici, e trovansi allineati quasi normalmente alla direzione degli strati. Ecco le sezioni di questi pozzi, in- dicando con numeri progressivi i varii fori dal più basso al più elevato. Foro N. 1 {non terminato). M.i 8,89. Terreno smosso superficiale. 5,10. Breccia calcarea. 0,45. Calcare alberese con quarzo. 9,35. Argilla scistosa. 12,61. Argilla con sferoidi di calcare 0,42. Calcare alberese, bianco ed acqua. 8,85. Breccia calcarea. ‘ L’ Autore pone fra gli scisti detti varicolori dal Savi, che appartengono al lias superiore, le roccie di Montieri, di Gerfalco, di Val di Castello e di Ser- ravezza. le quali appartengono invece alla serie anticamente detta del Verrucano, e probabilmente, per la massima parte, al trias. Queste roccie, come dice l’Autore, contengono galena argentifera, rame grigio, stibina, blenda, fluorite e cinabro. * Non è ben certo che il calcare della Toscana, detto dall’Autore e dagli al- tri geologi, finora, Neocomiano, sia tale. 168 Foro N. 2. Distante M. 90 dal N. 1. M.' 17,00. 13.00. 1.50. 6.50. 5,00. Ciottoli impastati nel- V argilla. Argilla scistosa con parti di calcare terroso. Calcare quarzoso. Argilla scistosa con cal- care terroso. Calcare bianco. 1,20. Roccia arenacea con pic- colo getto di vapore. 14,00. Arenaria. 1,80. Gesso. 1,00. Getto di vapore ed acqua con acido borico. M.‘ 61,00 Foro N. 3. Distante M. 265 dal N. 2 {abbandonato). M.^ 4,50. Argilla scistosa. 0,25. Calcare bianco. 0,25. Argilla scistosa. 2.25. Calcare bianco. 0,40. Argilla scistosa. 0,80. Calcare bianco. 0,80. Argilla bianca. 1.10. Breccia calcarea. 0,80. Calcare bianco. 0,50. Argilla scistosa. 2.10. Breccia calcareo-quar- zosa. 0,35. Calcare bianco. 0,75. Argilla scistosa nera. 1.25. Calcare bianco. 0,70. Argilla scistosa. 1,80. Breccia calcareo- quar- zosa. 0,65. Argilla scistosa. 0,25. Breccia. 0,50. Calcare bianco. 0,95. Breccia ed argilla. 2,93. Argilla scistosa. 0,22. Calcare bianco. 0,65. Argilla con nuclei cal- carei. 0,25. Calcare bianco. 0,30. Breccia. 0,35. Argilla scistosa. 0,35. Calcare bianco. 1,20. Breccia con calcare. 4;60. Arenaria argillosa con un getto di vapore. 3,90. Arenaria argilloso-cal- carea. 4,55. Calcare farinoso con forte getto di vapore. 0,20. Calcare bianco. 1.10. Calcare farinoso. 2.15. Arenaria argillosa. 3.95. Calcare farinoso. 0,80. Breccia. 0,70. Quarzo compatto. 0,20. Argilla scistosa nera. 4.00. Arenaria. 1.60. Gesso. 7,55. Calcare farinoso con forte getto di vapore. 0,40. Arenaria e quarzo com- patto. 6.95. Cai care farinoso con forte getto di vapore. 7,25. Breccia calcareo-quar- zosa. 2,70. Gesso. 0,50. Incrostazioni calcaree. 1.00. Calcare terroso con getto di vapore. 0,74. Getto di vapore. 16,61. Calcare bianco. 1,10. Argilla scistosa rossa. 8,50. Incrostazioni calcaree con frequenti cavità. 2.60. Calcare terroso con getto di vapore. 29,93. Alternanza di calcare compatto e terroso con getti di vapore. 4,47. Calcare bianco quarzoso. 0,10. Quarzo. 5,75. Calcare quarzoso con getto di vapore. 2,12. Calcare terroso. 1.16. Arenaria argillosa bianca con gesso. 9,82. Calcare quarzoso. M.‘ 167,25 Da questi esempi appare quale sia la successione del terreno cretaceo superiore in Toscana, e cioè una alternanza di argilla scistosa, calcare alberese, arenaria, calcare quarzoso e gesso. Giova ricordare in questo punto una potente massa di strati arenaceo-calcarei grossamente scistosi, la quale, sottostando al calcare nummulitico di Banco nelle montagne di Fresinone, forma il piede e la pendice di un monte dirupato che porta sulla sua cima la piccola città di Monte San Giovanni. Da questi scisti di colore bruno, e che posti sul carbone bruciano con fiamma lucente, stillano goccio di petrolio : essi racchiudono special- mente alla superficie alcune conchiglie biancastre appartenenti ai generi Pinna, Corbnla, Niicula, Cardium, Venus, Phoìadomya, Ostrea, Pleiir otomaria, Puccinum, ec. La formazione eocenica, assai sviluppata nella penisola ita- liana ed in Sicilia, vi è rappresentata, secondo le località, da potenti strati calcarei a nummuliti, da argille scistose con fu- coidi, e da arenaria (macigno). Il calcare nummulitico di Dauco, Veroli, Alatri ec. nel circondario di Frosinone, è di colore bianco giallastro, di solito assai compatto, ed offre una potenza di oltre cento metri : il suo piano inferiore, grosso da 10 a 12 metri, è assai ricco in asfalto e contiene talvolta grossi blocchi di solfo. Nel gruppo della Tolfa presso Civitavecchia la forma- zione eocenica inferiore consta in parte di marne varicolori e calcari, in parte di arenarie ed argille scistose alternanti in sot- tili strati con depositi di lignite. La formazione miocenica è del pari sviluppata, e in essa si distinguono depositi marini e lacustri. Ai primi appartengono i conglomerati della valle del Noni presso Massa Marittima, con Ostrea corrugata. Brocchi, Comis ponderosus. Brocchi, e varie specie indeterminate di Cardium, Lima, Pecten, ec. Lo stesso terreno in Val di Cecina è formato da argille marnose grigio- azurrognole con alabastri, gessi e depositi di salgemma. Nei dintorni di PiOma il miocene marino mostrasi alla base dei colli sulla destra del Tevere e contiene i seguenti fossili trovati dal Ponzi : Argonauta Marmata, Cleodora pyramidata. Gl. Picciolii, Gl. subulata, Dentalium Noe, D. ìcevigatum, Solemya solida, Phaladomya Vaticana, Pecten cristatus, Ostrea corrugata, Gidaris remiger, Hemiaster Vaticani, Flabellum Vaticani, Trochocyatlius umbrella, ec. Il miocene lacustre è rappresentato in Toscana presso Mon- tebamboli e al Poggio Moretti presso Montemassi : esso consta — 170 di calcare con lignite, di arenaria e di conglomerati, con Vnio, Plcmorbis, JDreissena, ed altri fossili d’ acqua dolce, come pure impronte di foglie. Presso Lungro in Calabria lo stesso terreno è probabilmente rappresentato da strati di arenaria gialla con traccio di lignite e con depositi di gesso intercalati : al di so- pra, per 200 metri di spessore, havvi un’ argilla scistosa e gesso con deposito di salgemma, e più in alto un conglomerato gros- solano solidamente cementato ed una sabbia fangosa con avanzi di Natica^ Ostrea e Fecten. La formazione pliocenica, composta di sabbie, argille, calcari friabili e marne, ricopre estesissime superficie sui due versanti dell’ Aperinino ed in Sicilia, ed è dovunque ricchissima di fos- sili. Noi la troviamo nelle valli dell’ Arno, dell’ Ombrone, del- l’Albegna, al Lago Trasimeno, nelle colline tra Pisa e Volterra, a Siena, a Orvieto, al Monte Mario presso Roma, a Porto- d’Anzio, a Corneto, e, sull’ altro versante, lungo tutta la costa dell’i^dria- tico sino a Barletta ed oltre. Un calcare pliocenico d’ acqua dolce trovasi presso Massa Marittima e contiene impronte di piante. Anche i membri della formazione quaternaria abbondano in Pcalia, e contengono nelle loro parti più antiche resti bene conservati di Elephas antiquus, Falc., E. mericìionalis^ Nesti, E. Arvernensis, Gervais, Ehynoceros tichorhimis, Cuv., Gervus elapJms, Cuv., ed altri, e nelle parti più recenti gli stessi resti rotolati con avanzi d’ industria umana e di animali tuttora vi- venti. Vi abbondano i travertini, e fra gli altri quelli ben noti di Tivoli non lungi da Roma, come pure tufi vulcanici di for- mazione sottomarina o subaerea. Varie sono le altitudini a cui giunsero le roccie delle diverse formazioni. I più antichi terreni del Lias e del Giura si elevano in media a 1200 metri sul mare, salvo alcune punte che raggiun- gono altezze molto maggiori : quelli delle formazioni cretacea ed eocenica stanno in genere dagli 800 ai 1600, quelle mioceniche da 600 ad 800, e le plioceniche per solito al disotto di 200. Un fenomeno di primaria importanza per le coste italiane è la formazione delle lagune e degli stagni littorali per effetto di sollevamento della spiaggia, quale può osservarsi a Barletta nel- P Adriatico ed a Porto d’ Anzio sul Mediterraneo. Nella prima località la costa è formata da una argilla grigiastra pliostoce- — 171 nica con CeritJimm. vidgatum, Lk., JBuccinum reticulakm, Lk., Tellina planata, Limi., PectuncuUts pilosus, Lk., che vivono an- cora oggidì in quei paraggi. Questo deposito forma una diga di più chilometri di larghezza, alta più di tre metri sul livello del mare, la quale divide da questo una serie di lagune che vengono invase dall’ acqua salsa per mezzo di un canale artifi- ciale, ed il Lago di Salpi con acqua dolce. Nel mare si estende una sabbia formata di minerali vulcanici del Vulture trascinati dal fiume Ofanto, e con avanzi di animali marini; nel lago al contrario havvi una fanghiglia calcareo -marnosa con gusci di con- chiglie terrestri e d’acqua dolce. — Presso Porto d’ Anzio la costa, evidentemente sollevata, sovrasta con pareti ripidissime di circa 12 metri sul livello del mare, lasciando all’ asciutto fra essa e il mare un piccolo cumulo di sabbia di formazione recentissima. La costa è formata, dal basso all’ alto, di un calcare compatto pliocenico, di un’argilla fossilifera pliostocenica, di un calcare tenero cogli stessi fossili, e infine di una fanghiglia prodotta dalle materie vulcaniche del Lazio. A Torre Caldara, poco più al nord di Porto d’ Anzio, havvi invece il seguente profilo : nella parte più bassa un’ argilla, alla quale fa seguito una marna grigia, quindi un’ argilla nera con piccoli noduli di solfo e dalla quale sgorga una grossa sorgente solforosa che ricopre il suolo tutto air ingiro di una crosta spessa di solfo bianco ; sopra lo strato solfifero seguono arenarie ferrifere, sabbie, di nuovo are- narie, un’ argilla turchina con Pecten opercularis, Lin., un cal- care conchiglifero con Cardium edule, Lamk. Cerithium vidgatum, Lamk. ec., da ultimo depositi fangosi pleistocenici. — In prossi- mità di Barletta, come anche a Nettuno sulla costa romana, si for- mano depositi di sabbia ferro-magnetica : in quest’ ultima loca- lità il deposito si forma coi prodotti vulcanici dei Monti Albani dilavati dalle onde marine; esso consta di straterelli ciascuno dei quali ha uno spessore variabile sino a 5 centimetri, e sepa- rati fra loro per altri straterelli di sabbia feldispatico-leucitica con granelli di quarzo : vi si trovano mescolati gusci di con- chiglie che il mare accumula sulla spiaggia. A Barletta invece la sabbia magnetica proviene dalla decomposizione dei materiali vulcanici del Vulture trasportativi dall’ Ofanto : questo secondo deposito sorpassa per importanza quello di Nettuno. — 172 Da Porto cP Anzio sino al Capo Circello (P antica isola Circe) si estendono al piede dell’ alpestre catena dei Yolsci le famose Paludi Pontine separate dal mare per mezzo di una duna bassa coperta da folta vegetazione : la formazione di queste paludi non devesi attribuire tutta all’ azione delle onde marine ed a quella delle torbide dei torrenti, ma vi concorse ancora P azione di sorgenti ricche di bicarbonato di calce che originarono rile- vanti depositi di travertino o tufo calcare, i quali si possono vedere a Cisterna, a Sezze, ed in altre località, ricoprire per molto spazio le fanghiglie fluviali. Un fenomeno analogo vedesi nella pianura di Pesto, il suolo della quale va sempre elevandosi per depositi di tufo calcare prodotto da un piccolo ruscello, e questa nuova formazione contribuisce assai all’ impaludamento di quella regione celebre una volta per salubrità. Depositi della stessa natura si vedono anche a Pompei. Un giacimento di tufo calcare molto interessante, della po- tenza di oltre i 100 metri, può osservarsi nella vallecola del fosso detto dell’Acqua Bianca Verginese presso la Tolfa. Esso trovasi sulla pendice di un alto monte e forma un altipiano largo più di 400 metri e lungo 600 con pareti quasi verticali verso la valle: ebbe origine da una sorgente termale (62°,5 C.) ricca di acido carbonico. Dalla parte del monte, una sorgente ferruginosa trasforma il tufo in una vera ematite calcarifera, la quale è attraversata da vene di calcare bianco e di arragonite, per modo che assume bella apparenza e viene così impiegata nei dintorni come pietra da ornamento. Le saline di Lungro in Calabria. — Nelle Calabrie, come già fu detto, havvi un nucleo di scisti cristallini e calcari circon- dato da sedimenti delle formazioni giurese e cretacea, essendo le valli ripiene di strati terziarii : a questi appartengono i po- tenti banchi di conglomerato delle montagne di Castrovillari, costituiti da frammenti calcarei e quarzosi cementati da calcare ; essi raggiungono una notevole potenza e sono usati in paese per le costruzioni. Più verso settentrione si raggiungono i calcari bianchi giuresi alternanti con scisti argillosi e con marne, che si elevano a grandi altezze sul livello marino : è al limite me- ridionale di questa catena montuosa che s’ incontrano i depositi saliferi di Lungro ed Altomonte. — 173 — L’ossatura delle montagne di Lungro è formata da rocce cristalline, da scisti argillosi colorati in verdastro da sostanze cloriticlie, da calcari racchiudenti orneblenda, calcari con vene quarzose, e scisti quarzosi e micacei più volte alternanti fra di loro : questi strati inclinano di 70” a 80” verso sud, mentre al nord riposa sulle loro testate il calcare giurese compatto, bianco- gialliccio e privo di fossili, i cui banchi alternano con scisti argillosi e con una arenaria rossa. Questi terreni sono attraver- sati in tutte le direzioni da filoni di quarzo bianco, ed i calcari racchiudono druse di spato calcare e di anfibolo verde filamen- toso. Sopra di essi riposa in strati quasi orizzontali la forma- zione terziaria salifera, la quale consta al basso di una arenaria quarzosa poco consistente ed alternante con un’ arenaria argil- losa ed un’ argilla scistosa con depositi di lignite ; viene in se- guito un potente deposito di gesso granulare e spatico che in qualche località dette origine a sdrucciolamenti ; vi sta sopra un’ arenaria gialla a fini elementi, la quale è finalmente ricoperta dall’ argilla salifera turchina ricca in gesso : questa argilla al- terna in sottili strati col salgemma e con piccoli banchi di gesso. Sopra 1’ argilla segue un conglomerato di rocce cristalline e calcari cementate da silice ed ossido di ferro, quindi una fan- ghiglia sabbiosa giallastra con Fecten, Ostrea e Natica, d’ epoca probabilmente miocenica, ed infine strati di ciottoli e di fango. Sopra agli strati calcarei giuresi e in parte sopra gli altri depositi più antichi, havvi nei dintorni di Lungro una breccia calcarea nella quale stanno cementati frammenti angolosi grossi e piccoli per mezzo di vene di spato calcare e calcedonio dello spessore di uno a due centimetri. Questa breccia giace in discor- danza colle rocce sottoposte, essa non è stratificata e fu pro- babilmente originata da frane. Il salgemma puro che forma oggetto di coltivazione si trova in depositi assai irregolari e fra di loro isolati : la lavorazione si spinge fino a 176 metri sotto la superficie,, e le masse saline che ne sono oggetto hanno forma irregolarissima e racchiudono piccole masse e sferoidi gessifere, impure; sono però insieme collegate da parti più sottili, di manierachè si possono seguire con facilità. Queste masse sono tutte attraversate da crepacci e da cavità che facilitano molto 1’ escavazione del sale. 174 — Minerali di rame ^ piombo e mercurio. — : Assai conosciuto è il giacimento cuprifero di Montecatini in Val di Cecina (Toscana). Chi dalle Saline, inferiormente a Volterra e Montecatini, sale nella parte superiore della valle, attraversa dapprima le argille grigio-turchine mioceniche, colà assai sviluppate, racchiudenti depositi di salgemma, gesso ed alabastro : dal disotto di queste argille sorgono presso Montecatini gli strati dell’ eocene, e più in alto si mostra sotto all’ eocene un complesso di strati quasi verticali, in mille guise contorti, formati da argilloscisti rossi calcarei e da calcari bianchi e rossi, i quali apparterrebbero alla formazione cretacea. Al limite fra il miocene e l’ eocene havvi presso Montecatini un porfido micaceo grigio, diviso in grossi prismi verticali, e composto di una pasta cristallina di labradorite grigio-rossastra nella quale sono sospese innumere- voli foglietto di biotite. Le cime del Montecatini (700 a 750 metri sul mare) sono formate dal gabbro rosso al quale in po- chi punti si associa anche il verde; quest’ultimo accompagna in profondità il giacimento cuprifero. Al contatto fra il gabbro ed il calcare cretaceo che vi sta sotto, trovasrun conglomerato nel quale stanno racchiusi ciottoli di gabbro e di calcedonio, e ra- ramente di calcare compatto, fra di loro cementati da solfuri di ferro e di rame : in esso conglomerato trovansi sparse delle sferoidi assai ricche in rame. — Il minerale cuprifero ha per ganga un’ argilla prodotta dalla decomposizione del gabbro, in- sieme con frammenti di gabbro e masse conglomerate di quarzo e calcedonio, con minerali verdi cloritici, e più raramente con piccoli cristalli di calcite : il minerale poi consta di piriti di ferro e di rame, di erubescite e di calcosina. Quest’ ultima si ritrova a riempire le spaccature, in pezzi rotondi assai volumi- nosi, specialmente nel muro del filone; la erubescite sta nel mezzo, e la pirite di solito nel tetto. La intiera massa del filone, ed anche una porzione delle salbande formate dal gabbro, è impregnata di minerale cuprifero; questo però di preferenza si accumula in masse irregolari ed isolate, delle quali già quattro se ne raggiunsero coll’ attuale pozzo di escavazione ; la principale di queste, giacente tra il gabbro e la formazione cretacea, misura ben 400 metri di lunghezza, 50 di larghezza e 30 di altezza. Per importanza industriale tengono un posto distinto anche — 175 — i giacimenti cupriferi dei dintorni di Massa Marittima in To- scana. Dalla stazione ferroviaria di Follonica dirigendosi verso questa località, dopo avere attraversata la formazione miocenica e la eocenica, ed altresì il tufo calcare con piante fossili ripo- sante sulle testate degli strati di esse formazioni, si raggiun- gono alcuni strati calcarei, e fra essi potenti banchi di quarzo con piriti di ferro e di rame, galena, malachite, azzurrite, blenda e stibina. Agli affioramenti questi minerali vedonsi decomposti, e specialmente le piriti sono convertite in idrossido di ferro e di rame, ed in carbonato di rame, ed il quarzo vi è ridotto in frantumi. In questi giacimenti sono aperte le lavorazioni delle Capanne Vecchie, di Val Castrucci, di Serra Bottini e del- r Accesa, e parecchie altre intraprese negli antichi tempi ed ora abbandonate. In talune località, per la decomposizione delle pi- riti che trovansi nei banchi di quarzo e nelle rocce circostanti, si generò del solfato d’ allumina ed anche della vera allumite come a Montioni e presso il Lago dell’ Accesa. Accenneremo anche ai giacimenti di galena argentifera con rame grigio di Val di Castello e Serravezza presso Pietrasanta nelle Alpi Apuane. Quivi presso, a Ripa, si hanno scisti talcosi calcariferi, entro ai quali trovasi un banco quarzoso di 2 a 3 metri di potenza, parallelo alla stratificazione, con impregna- zioni di cinabro. A Val di Castello il piede del monte consta degli stessi scisti talcosi calcariferi e di uno scisto argilloso, entro i quali terreni riposano quattro banchi quarzosi con pirite, galena e blenda argentifera; il minerale però trovasi in zone limitate della potenza da un mezzo metro a due e la cui lun- ghezza oltrepassa raramente i dieci metri. Negli stessi scisti furono coltivati molti filoni di rame grigio, con ganga di fluo- rite variamente colorata, talvolta con quarzo e calcite. Più in alto vedesi il calcare cavernoso superiore agli scisti, che si estende sino alla sommità del monte detto dell’ Argentiera, il quale fu oggetto di molte lavorazioni minerarie degli antichi, ed in giornata dà vita alle importanti miniere di galena argen- tifera del Bottino ; sembra che i giacimenti metalliferi vi si tro- vino verso il contatto del calcare cavernoso cogli scisti od an- che in terreni sottostanti a questi, e pare che il minerale siavi concentrato in zone di maggiore o minore ricchezza. 176 — Da ultimo citeremo un altro giacimento eli galena dei monti della Tolta presso Givitaveccliia. Anche qui si riconoscono le tracce di antichissime escavazioni in un filone di galena argen- tifera, calcopirite e blenda con fluorite, calcare, siderite e quarzo, in località detta Poggio della Stella : questa altura è formata da calcare bianco qua e là cristallino, e circondato da strati più giovani specialmente eocenici ; in questo calcare, probabil- mente giurese, stanno rinchiusi i filoni metalliferi. Soffioni, putisse, solfatare e giacimenti di solfo, asfalto ed allumite. — A tutti è nota la storia della coltivazione dei sof- fioni boraciferi di Toscana iniziata dal Larderei presso Monte- cerboli, Castelnuovo, Monterotondo, al Lago sulfureo, a Serraz- zano, Lustignano e Sasso, e più tardi anche a Travale. La tem- peratura di questi getti è tra 90° e 127° C. La produzione to- tale di acido borico in 50 anni di esercizio (1818-1867) fu di circa 40 mila tonnellate rappresentanti un valore di oltre 80 milioni di lire. In questa regione trovansi ancora esalazioni calde di vapore acqueo con acido solfidrico dette putisse, come quella di Travale a S.E,, la sorgente sulfurea di Val di Cecina a N.O., quella di San Michele, due sorgenti fra Castelnuovo e Monte- rotondo, tre nelle vicinanze del Lago sulfureo : vi è inoltre una sorgente minerale ricca d’ acido carbonico al Bagno a Morba presso Larderello. Il gas che si sprigiona insieme coll’ acqua dai soffioni è composto per ben nove decimi di acido carbonico e pel rimanente di acido solfidrico, idrogeno, azoto, ossigeno e carburi di idrogeno. Le solfatare, o meglio putizze, sono strettamente collegate ai soffioni per la natura dei gas eh’ esse emanano, in genere acido carbonico con acido solfidrico. Esse sono molto frequenti in talune parti d’ Italia : alcune, nella stagione asciutta, non producono che gas, come ad esempio quelle della valle del Mi- gnone nei monti di Tolfa e quelle di Monterotondo e Monte- cerboli ; altre invece emettono vapori acquei, come molte presso il Lago sulfureo e presso Travale, e quelle in vicinanza del cratere dello spento vulcano di Pozzuoli. Rimarchevoli sorgenti sulfuree scaturiscono dalle rocce ter- ziarie di Porto d’ Anzio sulla spiaggia romana. Una di esse sgorga da una argilla nera impregnata di solfo e deposita al- 177 — r esterno solfo bianco che ricuopre il letto del ruscello di una grossa crosta; fra le arenarie e gli, strati sabbiosi già citati dei dintorni di questa sorgente, si è depositata una grande quantità di solfo, e le sabbie ne sono talmente impregnate che furono oggetto di estese escavazioni per l’ estrazione del metalloide. Sulla strada da Roma ad Ardea, a circa 30 chilometri dalla città, scaturiscono sorgenti analoghe, le quali hanno parimente impre- gnato di solfo la roccia circostante, e come le precedenti furono un tempo utilizzate. Le sorgenti termali al disotto di Tivoli (Lago dei Tartari ec.) sono parimente sulfuree ed hanno depo- sitato lo solfo nel circostante travertino, e così pure quelle di Vicarello sul lago di Bracciano, quelle di Stigliano nei monti della Tolfa, quelle della tenuta del Sasso presso Cervetri e quelle che trovansi sopra Civitavecchia verso la Tolfa. Nei monti della Tolfa trovasi spesso la selenite in tavole o gruppi di cristalli, frammista alT argilla pliocenica o, in prossi- mità delle solfatare, nelle masse di tufo vulcanico. Gesso com- patto trovasi anche in banchi entro gli strati eocenici, i quali si estendono sotto le correnti di lava trachitica, dando così ori- gine allo sviluppo di acido solfidrico che alimenta le solfatare e le sorgenti fredde e calde. Presso Canale e Monterano, nelle vicinanze del lago di Brac- ciano, 1’ acido solfidrico sviluppasi dalle formazioni di tufo tra- chitico ivi molto estese, e le trasforma in una massa morbida e spugnosa nelle cui cavità si depositano solfo e cristallini aci- culari di solfato d’ allumina : la roccia contiene anche acido sol- forico libero. A Canale lo solfo viene estratto per mezzo della fusione. Queste solfatare sono perfettamente analoghe a quelle di Pozzuoli : anche queste hanno trasformato le rocce vulcaniche nere in una massa bollosa bianca, come pure coll’acido solfi- drico, per mezzo dell’ ossigeno atmosferico, formossi acido sol- forico e quindi solfato d’ allumina ed allumite. I dintorni di Tolfa sono rimarchevoli per un deposito di un tufo vulcanico grigio o giallo, il quale in prossimità di Rota ricuopre le rocce sedimentarie eoceniche e specialmente le col- line a destra del fiume Mignone, là ove sulla riva sinistra si sprigionano alcune putizze che depositarono solfo bianco. Sopra questi tufi e conglomerati sovrastano alte e ripide le scogliere 12 178 trachitiche : la roccia è talvolta di colore nerastro con feldispato vitreo, mica nera in fogliette esagonali, cristallini di orneblenda, ossido di ferro rosso, piccoli granati, pirite e quarzo, ta? altra è una trachite bianca quarzifera. La tracbite verdiccia è ridotta, per una profondità di parecchi metri, in una massa sabbiosa cao- linica e ferruginosa, che alla superficie passa in un terriccio ar- gilloso, quale può vedersi nettamente lungo la nuova strada da Tolfa alla valle del Mignone. La trachite bianca tramutasi fa- cilmente in caolino con quarzo libero frammisto, come può ve- dersi ad un chilometro circa a N.O. dell’ Allumiera, dove una di queste masse caoliniche è messa allo scoperto. Colà si può vedere come il caolino presentisi in masse coi piani di frattura propri alla trachite, e come nelle fenditure siensi riunite delle laminette argillose ferrifere. — Per un processo diverso di decom- posizione della trachite, analogo a quello che anche in giornata si compie a Canale, a Pozzuoli, all’isola Vulcano, ed in molti altri luoghi, formossi il noto deposito di allumite della Tolfa. E probabile che molte esalazioni di acido solfidrico siensi un tempo sviluppate attraverso la trachite fra i due villaggi di Tolfa e di Allumiere : questo acido, sviluppatosi da depositi di gesso giacente a profondità, circolò per le fessure della roccia trachitica, e unendosi coll’ ossido di ferro diede origine alle pi- riti, od anche, giunto in prossimità della superficie ed unitosi all’ ossigeno dell’ aria, formò acido solforico che col feldispato alcalino della trachite diede origine alla allumite : più tardi, al cessare delle esalazioni, un analogo processo ebbe luogo in causa delle piriti prima formatesi. La trasformazione in allumite non raggiunge che pochi centimetri di profondità, raramente un mezzo metro, dalle pareti delle fessure ; originansi quindi caverne e druse nelle quali si accumulano calcedonio, diaspro, quarzo cri- stallizzato, ossido di ferro idrato e talvolta anche cristalli di allumite. In tali condizioni, solamente una piccola parte del ma- teriale escavato è utilizzabile per l’ estrazione dell’ allume. Rimarchevoli sono i giacimenti di asfalto nella estrema parte orientale della provincia romana in territorio di Monte San Gio- vanni. Chi dalla stazione ferroviaria di Coprano imprende a ri- montare la valle del Li ri, raggiunge, poco prima dell’ accennato paese, una valletta laterale che scendendo da Veroli va a rag- — 179 giungere quella del Liri al di' sotto di Monte San Giovanni. Questa piccola città giace sopra una scoscesa rupe calcarea di epoca nummulitica, nella quale il calcare è talmente impre- gnato nei suoi banchi più bassi di asfalto, che pel calore solare trasuda una quantità di catrame. La roccia presentasi al basso di un colore bruno-nerastro tendente al nero, che a poco a poco si cangia in giallastro nelle parti elevate, nelle quali si tro- vano anche scarsi fossili, cioè, una nummulite poco determina- bile, una Ostrea a grossa conchiglia (Osfrea crassissima?) e frammenti di una specie di Scyphia. In più punti poi della valle laterale trovasi entro il calcare dello solfo compatto, tal- volta in molta copia, ed in masse grosse quanto una noce. Sotto al calcare giace uno scisto bituminoso sabbioso-calcareo di colore bruno ed assai ricco in petrolio : esso è accessibile' dalla vallecola sotto Monte San Giovanni, nel qual punto lo scisto presenta ben 80 a 100 metri di potenza. Questa roccia è poco scistosa, ma piuttosto che in lastre si divide in grossi e compatti blocchi a faccio piane ; essa si discioglie nell’ acido cloridrico con efferve- scenza, e lascia un deposito di sostanza bituminosa bruna e vi- scosa. Esaminata questa roccia al microscopio, la si vede consi- stere di piccoli cristallini di calcare con masse nere di asfalto : spezzandone un blocco preso a qualche profondità, e cioè fuori deir azione del sole, vedesi gocciolare il petrolio, ed i frantumi quando sieno posti sopra carboni ardenti, abbruciano con faci- lità ed a lungo e con fiamma lunga, limpida e lucente. Lo sci- sto oleifero contiene fossili, ma sono anneriti e poco si distin- guono. Anche a Banco, Alatri, Filettino, Castro e Collepardo (Trisulti) trovasi in gran copia 1’ asfalto nel calcare eocenico in- feriore. Queste frequenti emanazioni di carburi di idrogeno nei se- dimenti italiani, possono spiegare anche 1’ origine dei soffioni, delle sorgenti termali, delle solfatare e delle putizze, delle quali tanto ricco è il paese. — 180 VII. Un brano di storia della geologia toscana, a proposito di una recente pubblicazione del signor CoQUANi), per Cablo De Stefani. Kecentemente il signor Coquand pubblicava una storia dei terreni stratificati dell’ Italia centrale, compresi fra 1’ epoca pri- maria e la giurese inclusivamente, (H. Coquand, Histoire des terrains stratifiés de Vltalie centrale se référant aux périodes primaire, paléozdique, triasique, rhétienne et jurassique. JBull. Soc. géol. de France. S. 3, T. Ili, 1875, 1), aggiungendo alcune osservazioni sugli ordinamenti finora proposti, e presen- tando una serie dei terreni medesimi secondo il modo nel quale egli la intende. Quando comparisce un lavoro di un geologo spe- rimentato, gli scenziati ne sentono sempre soddisfazione e la scienza ne trae guadagno, tanto più se le questioni geologiche riguardanti ad un paese, vengano svolte con cognizione da uno straniero, come è per noi il signor Coquand, il quale abbia ve- dute numerose e svariate regioni, e le di cui osservazioni esten- dono perciò il campo delle idee, e generalizzano gli studi dei geologi anteriori. A rendere importante il lavoro del signor Co- quand, basterebbe di per sè l’ idea indicata di fuga nel termine del medesimo, di una rispondenza geologica fra gli strati del Campigliese e quelli del Djebel Filfilah nell’ Algeria, idea che r autore si propone di sviluppare distesamente in un altro scritto, eh’ è ad aspettarsi abbia prestò a comparire. Però ai pregi non pochi dei quali va ornata la pubblicazione del signor Coquand, stanno riunite alcune mende, nell’ aver di- sconosciuto 0 nell’ aver attribuito ad altri i meriti di taluni dei geologi che hanno portata maggior luce nella geologia toscana, delle quali mende, per dir la verità, non ha tutta la colpa l’il- lustre geologo, dappoiché non gli si può far carico di non aver conosciuti bene tutti gli scritti comparsi sopra quella parte della geologia d’ Italia della quale egli intendeva fare la storia. Ora, per rendere giustizia a tutti, attribuendo a ciascuno il suo, ed 181 — attesa l’ importanza dell’ argomento, perche non si può ben com- prendere la condizione presente della geologia quando non se ne conosca la storia passata, e perchè conoscendo i pregiudizi che vincolarono la scienza nel passato, sarà più facile liberarsene oggidì e nell’ avvenire, reputo necessario fare alcune aggiunte ed alcune rettificazioni alla storia fatta dal signor Coquand, ri- facendola ora di bel nuovo con brevi parole. Lo studio di questa parte della geologia toscana, allorché i primi cominciarono ad occuparsene, come sempre accade, ebbe per punto di partenza 1’ oscurità e la confusione ; dopo di che, a poco per volta si rischiararono i concetti, si sviluppò 1’ ana- lisi e s’ introdussero le debite distinzioni, il quale lavorio è pur ora ben lungi dall’ essere compiuto. Nello stesso tempo, piano piano, scomparve l’ isolamento che sul primo poteva credersi disgiungesse la geologia della Toscana da quella delle regioni circostanti e del rimanente d’ Italia, e si scoprirono invece le comuni leggi ed i rapporti generali dei nostri terreni : infatti un cotale isolamento, eh’ è naturale sia supposto da coloro che pei primi e per la prima volta si danno a studiare disgiunta- mente diversi paesi, non sarebbe più naturale il supporlo quando, avanzati meglio gli studi, si discopre che la natura non opera a salti, nè in modi difformi da un luogo all’ altro, nè limita le azioni sue a certe piccole regioni determinate, e molto meno a quelle regioni cui 1’ uomo ha imposto dei confini per comodo di sè 0 per fatto della storia. Abbandonate le teoriche Werneriane che erano sì in voga in sul principio di questo secolo, molti geologi si fecero seguaci arditi del Plutonismo, e fra questi fu il Savi, il quale ne’ suoi scritti, fra il 1829 ed il 1832,^ riteneva provata T origine ignea dei calcari cristallini e metamorfici, eh’ egli comprendeva col nome • ’ Lettera al signor Girolamo Guidoni di Massa ducale contenente osserva- zioni geologiche sul Campigliese. — Nuovo Giornale dei letterati. — Torn. XVIII, parte scientifica, 1829. Seconda lettera geognostica al signor Girolamo Guidoni concernente il Bar- gbigiano, la Garfagnana e il Pietrasan tino. — Nuovo Giornale dei letterati, 1829. Sul mischio di Serravezza, roccia plutonica. — Nuovo Giornale dei lette- rati.— Tom. XIX, parte scientifica, 1830. Catalogo ragionato d’ una collezione geognostica contenente le roccie più caratteristiche della Toscana. — Nuovo Giornale dei letterati, 1830. 182 - generale di calcari dolomitici, d’ accordo in ciò cogli altri geo- logi e col Guidoni in particolare/ Questi calcari, a idea sua, erano penetrati a ino’ di dighe entro terreni stratificati sotto- stanti alle roccie terziarie, cioè a quelle che vennero poi attri- buite al miocene, al pliocene ed al pliostocene ; e que’ terreni stratificati, non essendovi mai stati trovati fossili, erano consi- derati come primari, e compresi col nome generale di macigno. Senonchè, fino dal 1829, il Guidoni avea trovato, negli schisti argillosi bruni della Spezia, delle Ammoniti e delle Belemniti, e il De la Deche, parlando dei terreni di quel luogo, aveva pub- blicata la scoperta, notando che le Belemniti potevano apparte- nere al Lias, e le Ammoniti potevano indicare la parte più an- tica deir epoca giurassica/ Nell’ anno successivo, il Guidoni, parlando dei medesimi fossili, diceva non poter esservi più dub- bio sulla natura liassica dei terreni che li racchiudevano, e dava notizia al Savi della scoperta di altri numerosi fossili di vario genere in un calcare grigio cupo, pure della Spezia/ Dal 1830 al 1832 lo stesso geologo fortunato scopriva, alla Tecchia, presso Carrara nelle Alpi Apuane, dei fossili identici a questi del cal- care grigio della Spezia. Finalmente il Savi, nel 1832, pubbli- cava ^ la scoperta di fossili nel calcare di San Giuliano nel Monte Pisano, e fra gli altri di certi nuclei aggruppati, a sfoglie con- centriche, i quali egli aveva sospettato prima fossero d’ Elvite o di altro simile minerale, ma che poi aveva ritenuto appartenere a resti di zoofiti e forse di Alveoliti.^ Questi calcari non pote- vano più esser detti eruttivi, nè le rocce che li racchiudevano ‘ G. Guidoni. Quadro dei terreni che compongono la corteccia del globo, di Alessandro Brongniart. — Nuovo Giornale dei letterati. — Tom. XIX, parte scientifica, 1830. ^ Note sur les différences soit primitives etc. Annales des Sciences naturel- les. — Tom. XVII, Aoùt, 1829. ® Considerazioni geognostiche sopra le Alpi Apuane ed i marmi di Carrara., — Nuovo Giornale dei letterali. — Tom. XIX, 1830. Osservazioni geognostiche sui terreni antichi toscani, concernenti special- mente i Monti Pisani, le Alpi Apuane e la Lunigiana. — Nuovo Giornale dei letterati. — Tom. XXI, parte scientifica, 1832. ® Più tardi, questi medesimi resti, erano attribuiti dallo Stoppani alla sua Evinospongia vesciculosa del calcare triassico di Esilio nelle Alpi Lombarde, ma secondo alcuni studii del Meneghini, sembrano appartenere ad una Nullipora, di specie analoga o forse identica a quella di Esilio. 183 — potevano altrimenti essere attribuite all’ epoca primaria ; ed il Savi infatti cominciò a confermarsi nella credenza di un’ idea che a poco a poco si era sviluppata nella sua mente, che cioè i calcari saccaroidi e cristallini non fossero se non trasformazioni di rocce nettuniane contenenti fossili. Così alle teoriche Werneriane eran succedute quelle del Plutonismo, ed alle teoriche del Plutonismo, nello spiegare i fatti della geologia toscana, succedevano quelle del Metamorfismo nel senso più lato, talché tutti i calcari più 0 meno cristallini erano considerati come una trasformazione degli altri compatti ed ordinari. Queste teoriche hanno avuto il campo fino ai giorni nostri, e la loro autorità è lungi ancora dall’ essere cessata : unico rimasuglio dell’ antico Plutonismo, che neppure ora è scomparso del tutto, rimaneva il ritenere come eruttivi i calcari cavernosi e le carniole. Nella pubblicazione so- pra citata, il Savi, adunque, al di sotto dei terreni terziari, co- minciava a porre, non più terreni primari, ma terreni secondari, ed in questi distingueva la serie del Macigno propriamente detto, quella sottostante del Calcare compatto e litografico qua e là trasformata in calcare cristallino, e la serie più antica di schi- sti cristallini, divenuti tali, essi pure, per metamorfismo, a di- stinguere i quali introdusse per la prima volta il nome di Yer- rucano, nome che ebbe singolare fortuna, e che fu adottato dai geologi fino ad oggi pei terreni schistosi cristallini mancanti di fossili; ora però, dopo le scoperte di resti organici via via au- mentate, è diventato un nome privo di significato e che può dar luogo ad incertezze, talché è stata fatta convenzione di abban- donarlo. Nel 1833, il Savi,^ mantenendo la divisione dei terreni secondari toscani in Macigno, Calcare compatto e Verrucano, accettava 1’ opinione dei geologi d’ allora, che il Macigno cor- rispondesse all’Arenaria verde ed appartenesse, come questa, al- r epoca della creta superiore. Il De la Béche, nello stesso anno,^ tornava a parlare delle Ammoniti Massiche della Spezia, e di- scorrendo delle Alpi Apuane, riconosceva che i banchi marmorei facevano parte della serie delle rocce cristalline sottostanti ai ' Tagli geologici delle Alpi Apuane e del Monte Pisano, e cenni sull’ Isola d’ Elba. — iVuo DO Giornale dei letterati. — Tom. XXII, parte scientifica, 1833. ^ Sur les environs de la Spezia. — Mém. Soc. géol. de France, S. I, Voi. I, pag. 32, 1833. — 184 — calcari liassici, vale a dire dovevano ritenersi come una parte di quelle roccie che il Savi denominava del Verrucano. Così il De la Béche, che era stato il primo a distinguere il lias nei nostri terreni, era il primo e fu forse V unico, fino al comparire degli scritti del Cocchi, nel 1864, che ponesse i marmi Apuani nella loro vera posizione stratigrafica. Nel 1837, il Savi^ con- fermava r ordinamento della parte media dei suoi terreni se- condari, cioè del Calcare compatto nel Lias apenninico, alla quale epoca, e non all’ epoca cretacea, come dice il Coquand (pag. 32) avea dovuto attribuire quella roccia, pei fossili già trovativi e descritti ; al di sotto rimaneva il Verrucano, eh’ egli diceva al- lora più recente del carbonifero, e al di sopra il Macigno, cre- duto, al solito, veramente cretaceo superiore. Non è adunque soltanto dal 1843, come ritiene il Coquand (pag. 33), ma da parecchi anni innanzi, e per effetto degli studi paleontologici già pubblicati da altri, che il Savi distingueva, riponendoli nel lias, una serie di strati calcarei differenti dal suo terreno cretaceo sovrastante. Nel 1839, 1’ Hoffmann, uno dei più illustri geologi tedeschi, in un libro ^ che rimase lungo tempo poco conosciuto da noi, ma che è assai importante, e che tuttora dovrebbe es- sere studiato, riesaminando i monti della Spezia ed i fossili ivi trovati, tornava a distinguere egli pure delle Ammoniti appar- tenenti al Lias inferiore. Nel 1843, il Savi,^ riconosciuta nel Monte Pisano ed, a suo credere, anche altrove, 1’ esistenza di un calcare con selce infe- riore al Macigno, ma superiore agli altri calcari eh’ egli poneva nel così detto Lias apenninico, ordinava quello nella creta infe- riore. Manifestò poi l’ idea che il Verrucano, alternando nella sua parte superiore, alla Brugiana ed al Capo d’ Arco, con de- gli strati calcarei, e mostrando così, come egli diceva, un pas- saggio ai calcari superiori, fosse, come questi, liassico, e più recente del Eeuper ; sebbene poi, vedendo nella parte inferiore ‘ Sui vari sollevamenti ed abbassamenti che han dato alla Toscana la sua attuale configurazione. — Nuovo Giornale dei letterati. — Tom. XXVI, parte scientifica, 1837. Geognostische Beobachtungen gesammelt auf einer Reise iiurch Italien und Sicilien. — Karsten’s Arch. Band. XIII. ® Sopra i carboni fossili delle Maremme toscane. Pisa, Nistri, 1843. 185 del medesimo, e steaschisti e micaschisti e gneis, rocce assai trasformate, non fosse alieno dal porre queste fra i terreni pri- mitivi, 0 dal considerarle per lo meno siccome una mutazione di terreni, in origine stratificati, triassici e paleozoici. Due anni dopo, nel 1845, il Coquand ’ pubblicava uno scritto, nel quale faceva conoscere la discordanza che esisteva, a parer suo, tra i calcari cristallini e ceroidi delle Alpi Apuane e della Toscana, e gli schisti del Verrucano sottostanti, e supponeva quelli stratificati entro profonde valli nel seno di questi, attri- buendo i primi air epoca carbonifera e gli ultimi a quella silu- riana. I calcari rossi sovrastanti, riconosciuto il vero carattere delle ammoniti ivi contenute, li poneva definitivamente nel lias inferiore, mentre il lias superiore, lo trovava rappresentato, a ragione, da alcuni schisti sovrapposti, contenenti la Posidonomya Bronni. Nello stesso anno, il Pilla ^ attribuiva gli schisti cristallini alle epoche comprese fra il trias ed il siluriano, i marmi statuari al lias inferiore, ed i calcari ammonitiferi rossi li voleva eguali a quelli della Lombardia, e perciò tutti Passici superiori. Contem- poraneamente, il march. Pareto, discorrendo della geologia della Liguria,^ si faceva a descrivere il Verrucano, particolarmente quello dei monti della Spezia, e lo considerava come triassico. Nel 1846, il Savi,'^ in uno scritto sui monti Pisani, non modifi- cava le opinioni manifestate anche dal Pilla, intorno all’ epoca dei calcari bianchi e di quelli rossi ammonitiferi, lasciava il Verrucano propriamente detto nel lias inferiore, insieme col so- vrapposto calcare bianco, il Macigno nella creta superiore; ed il calcare con selce sottostante al macigno, da lui esaminato nel 1845, rimaneva nella creta inferiore, insieme con una serie di schisti rasati che egli chiamava e chiamò d’ allora in poi schisti varicolori. In quell’ anno stesso, il Coquand insisteva con- tro il Pilla, “ sull’ epoca liassica inferiore del calcare rosso del- ‘ Tcrrains stratifiés de la Toscane. — Bull. soc. géol. de France, 2® Serie, voi. II. ^ Saggio comparativo dei terreni che compongono il suolo d’ Italia, 1845. ® Cenni geolosici sulla Liguria marittima. O O O * Sulla costituzione geologica dei Monti Pisani, 1846. ® Note sur un gisernent de gypse au promontoire Argentare. — Bull. soc. géol. de France^ 2® Serie, torn. HI. — 186 r Italia centrale, ed attribuiva poi al trias le carniole, i gessi e certi sctiisti variopinti, che egli aveva studiati nel Grossetano. Il Pilla,^ poi, avendo occasione di parlare degli schisti, che il Savi aveva appellati varicolori e posti nella creta inferiore, opi- nava che facessero parte del piano giurassico superiore, ed era nel vero, perchè essi corrispondevano a quelli del Campigliese, nei quali il Coquand aveva trovato la Fosicìonomya Bronni. Que- sto stesso geologo nel 1847, in una replica al Coquand,^ invo- cando in appoggio del suo modo di vedere la disposizione degli strati rocciosi nella Lombardia e nella Toscana, come egli la intendeva, sosteneva di nuovo che il calcare ammonitifero to- scano era liassico superiore, come quello lombardo : nella mede- sima pubblicazione, il signor Ezio de Vecchi faceva conoscere la serie degli strati della Montagna di Cotona nel Senese, dalla quale si palesava T esistenza nella Toscana di una seconda zona di calcare rosso ammonitifero sovrapposta alla prima, che i geo- logi avevano già a lungo esaminato, e contenente eziandio fos- sili di un’ epoca più recente. Dal canto suo il Savi pubblicava un nuovo lavoro,® dove accettava il modo di vedere del Pareto intorno al Verrucano, e propendeva con lui a ritenerlo d’ ora innanzi triassico ; ma, contro P opinione del Pilla, ed in man- canza, come egli diceva, di argomenti positivi, poiché ancora la scoperta del Coquand non aveva portato i suoi frutti, seguitava a ritenere come cretacei inferiori i così detti schisti varicolori. Finalmente nel 1851 compariva una pubblicazione del Savi e del Meneghini,^ che si può dire la prima nella quale fosse ampia- mente descritta la geologia della Toscana, ed ancora oggi a molte delle questioni ivi trattate nulla è stato aggiunto di nuovo, anzi si è dovuto ritornare qualche volta a quella pura fonte, scancellando confusioni introdotte dappoi. In quella pubblicazione. * Distinzione del terreno Etrurio tra i piani secondarii del mezzogiorno d’ Europa, 1846. ^ Pilla. Notice sur le calcaire rouge ammonitifère de l’italie. — Bull. soc. géol., 2® Sèrie, tom. II, 1842. ® Considerazioni sulla struttura geologica delle montagne pietrasantine. Massa, 1847. Osservazioni stratigrafiche e paleontologiche concernenti la geologia della Toscana. — 187 il Verracano era attribuito al Carbonifero, attesa la scoperta di molti fossili di queir epoca negli schisti antichi di Jano ; i cal- cari grigio-cupi sovrastanti erano posti nel trias, d’ accordo in questo cogli studi del Coquand nel Grossetano ; il calcare ce- roide, il calcare rosso e quello grigio -chiaro con selce, erano attribuiti al lias inferiore. Nell’ oolite eran posti finalmente gli schisti varicolori a Fosidonomya JBronni; ed i calcari grigi con selce superiori, d’accordo con una opinione del Murchison, erano lasciati nella creta inferiore, cioè nel Neocomiano. Il signor Coquand (p. 39) dice che il calcare rosso toscano fu dal Savi e dal Meneghini posto nel lias superiore, ma in ogni parte del testo, nella quale sono svolte le considerazioni che possono condurre a determinare la vera epoca di quel terreno, troppo chiaramente più e più volte si palesa che gli autori escludono 1’ attribuzione del calcare rosso e di quello grigio con selce a quell’ epoca. Basterà eh’ io citi fra le altre le parole seguenti : « Esaminando la lista di tutte le ammoniti e degli altri fossili ritrovati negli indicati calcari (rossi), ne apparisce che il maggior numero di questi è dei propri al Lias inferiore, ed il numero minore al superiore. Adunque, fa di mestieri con- venire che il posto da assegnarsi nella serie geologica ai detti calcari si è nella parte inferiore del sistema Giurese, vale a dire nel periodo Liassico, appunto cpme il prof. Coquand lo sostenne fino dal 1846, e non nel Giura superiore come uno di noi lo classò allorquando descrisse i Monti oltre Serchio » (p. 324, 325). Pochi anni dopo la pubblicazione dell’ opera sopraccitata, nel 1853, il Meneghini,’ in un nuovo scritto, dopo avere aggiunta una serie di* nuove specie fossili, e, dopo avere fatte alcune osservazioni sopra la promiscuità di Ammoniti appartenenti a varie epoche del lias ma specialmente al lias inferiore, esistenti nel calcare rosso toscano, conclude (p. 17): «non esitiamo d’asserire confermato da questi nuovi studii quanto fu detto nelle Considerazioni in- torno al nostro calcare rosso ammonitifero, che esso non si può conguagliare a quello dell’Apennino centrale e delle Alpi lom- barde, il quale è decisamente liassico superiore. » Nel 1864 poi, il Savi, in uno scritto che non è conosciuto dal Coquand, e che * Nuovi fossili toscani. — Annali dell’ Università toscana, torn. HI. 188 — fu uno degli ultimi da lui pubblicati,' riferendendosi agli scritti già pubblicati da lui e dal Meneghini sui fossili toscani, diceva (p. 11 e 12) : « la nostra calcaria rossa ammonitifera trovasi cotanto ricca di ben conservati modelli d’ ammoniti e d’ altri fossili da caratterizzarla nel modo il più certo come apparte- nente air epoca del Lias inferiore. » Soltanto la promiscuità di tipi diversi d’ Ammoniti fece sì, secondo il modo diverso di in- tenderla, che il terreno il quale racchiudeva quei fossili potesse venire attribuito all’ uno od all’ altro dei due estremi, al lias inferiore cioè od al lias medio, ma non mai al lias superiore, ed il Meneghini, in una lettera al vom Rath, considera infatti il cal- care rosso ammonitifero toscano, come liassico medio. ^ Ma però, dal 1851 in poi, sempre ed in tutti gli scritti del Meneghini, del Savi e dei loro discepoli, il calcare rosso toscano fu distinto dal calcare rosso ammonitifero della Lombardia e dell’ Apennino centrale, e fu attribuito ad epoca più antica; anzi gli studii pa- leontologici pubblicati dal Meneghini in quell’ anno e negli anni successivi sono stati il fondamento per ischiatire quella vera epoca. Le inesattezze nelle quali cadde il lavoro pubblicato nel 1851 dal Savi e dal Meneghini, derivarono dal non avere riconosciuto il rovesciamento degli strati esistente nel promontorio occiden- tale della Spezia, dall’ aver preso come tipico dei diversi ter- reni un determinato luogo, e dall’ aver voluto ricondurre a quel tipo i terreni di altre regioni, talché furono ringiovaniti di età e non bene disposti, certi sedimenti della Spezia, delle Alpi Apuane e dei monti della Maremma, nei quali apparivano dei terreni più antichi, non tenuti in conto negli ordinamenti proposti. Gli scritti successivi, fino al 1862, del Savi e del Meneghini e del loro discepolo il Cocchi, non si allontanano in sostanza dai principii manifestati nel 1831 e nel 1851. Nel 1862, il Capellini pubblicava i suoi studii sopra i fossili del calcare grigio cupo dei monti della Spezia/ e riconosceva che * Sulla costituzione geologica delle elissoidi della catena metallifera. — Nuovo Cimento, voi. XVIII. ^ Geognostische mineralogische Fragmente aus Italien. Die Berge von Campi- glia (Zeitsch. d. deutsch. geol. Gesell. 1868). ^ Studii stratigrafici paleontologici sull’ Infralias nelle montagne del golfo della Spezia. — 189 — dessi, ritenuti Neocomiani dal Savi e dal Meneghini, e Giuresi, da lungo tempo, dal Pareto, dovevano ascriversi all’ età infraliassica, da non antica data introdotta a far parte della famiglia de’ ter- reni. Questo lavoro del Capellini fu di una importanza grandissima, per aver ben precisata 1’ epoca di una delle più importanti rocce dell’ Italia centrale, e per l’ impulso che n’ è derivato alla deter- minazione degli altri sedimenti delle Alpi Apuane e della To- scana, ed in ciò sta il principalissimo merito di quell’ illustre geologo riguardo allo studio dei terreni più antichi dell’ Italia centrale. In quegli studii ed in quelli successivi del Capellini, le altre rocce sono lasciate in sostanza nel posto già attribuito loro dal Savi e dal Meneghini. Adunque, per amore della giustizia, modificando una parte di quello che il signor Coquand ha detto (p. 40), si deve attribuire al Savi ed al Meneghini, 1’ altro merito di avere, già da un pezzo, fissato « d’une manière, je dirai presque irrévocable. Page et la position des terrains juras- siques qui surmontent l’infralias dans l’Italie centrale. » La scoperta dell’ infralias da parte del professor Capellini fece sì che dipoi, il Meneghini ^ ed il Savi,^ parlando di altri terreni della Toscana, ne abbiano riferiti alcuni a quell’ epoca, p. es., i calcari ceroidi e saccaroidi, benché senza prove mate- riali, come essi stessi riconoscevano. Nel 1864, compariva un lavoro del Cocchi, il quale faceva progredire di molto le cognizioni sulla geologia delle Alpi Apuane.^ Egli dava a conoscere come vi si trovassero dei terreni più an- tichi di quanti erano stati fino allora osservati nella Toscana, e notava come dovesse essere invecchiata d’ assai tutta la serie delle rocce che ivi era stata considerata dal Savi e dal Meneghini; ac- cettando però una opinione dello Stoppani, attribuiva al trias i calcari ceroidi del Monte Pisano e di Maremma, che pei loro fossili erano già stati riconosciuti come appartenenti al lias inferiore. Proponeva poi un ordinamento, dal trias al laurenziano, degli schisti e dei calcari che novellamente aveva fatti osservare come più antichi di tutti gli altri, il quale ordinamento però non poteva se non essere artificiale, mancando ogni documento paleontologico ‘ Saggio sulla costituzione geologica della provincia di Grosseto, 1865, ^ Sulla cost. geol. delle eliss. della cat, met., 1864. ® Sulla geologia dell’ Italia centrale. -- 190 - sul quale fondarlo. I lavori successivi del Cocchi non mutano in sostanza gli ordinamenti da lui proposti. Nel 1868, il Meneghini, in una lettera pubblicata dal vom Eath, manifestando le conclu- sioni da lui tratte dallo studio de’ fossili del calcare dolomitico di Campiglia, confermava che il medesimo dovesse essere attribuito al lias inferiore. Nel 1874, alla mia volta, io pubblicavo le conclusioni di alcuni studii geologici sulle Alpi Apuane e sul Monte Pisa- no ; * riconoscevo la verità degli studii del Cocchi sulla mag- gior antichità delle rocce più profonde delle Alpi Apuane, tor- navo ad attribuire al lias inferiore i calcari ceroidi che il Cocchi aveva ritenuto triassici, confermavo V opinione del Capellini in- torno all’ esistenza dei calcari infraliassici nel Monte Pisano, attribuivo i calcari saccaroidi apuani al trias, fondandomi sugli studii paleontologici del Meneghini, manifestavo 1’ opinione che il calcare grigio ammonitifero potesse distinguersi dal rosso ed attribuirsi al lias medio, e trovavo nelle Alpi Apuane la pre- senza di tutte le rocce giuresi e cretacee i cui tipi erano stati esaminati dal Savi e dal Meneghini nel Monte Pisano. Finalmente il Coquand, nel 1874, pubblicava alcune osservazioni sui marmi delle Alpi Apuane e dei Pirenei,^ e nel 1875 ne aggiun- geva altre sui terreni antichi dell’ Italia centrale nell’ opuscolo, sul quale ho inteso ora di fare le presenti osservazioni. Egli ritiene tuttavia i marmi toscani ed apuani depositati posterior- mente ed in maniera discordante sopra tutta la massa degli schisti sottostanti, confondendo nelle Alpi Apuane gli schisti su- periori ai marmi con quelli inferiori. Ora si sa che i marmi di Yecchiano nelle Alpi Apuane, del Monte Pisano, di Campiglia e di Gerfalco, pella loro posizione stratigrafìca, sono sovrastanti bensì a tutta la serie degli schisti cristallini ; ma i calcari mar- morei intensamente metamorfosati delle Alpi Apuane, del Capo Corvo, dell’ Isola d’ Elba e del Monte Argentare sono frapposti e limitati in concorde stratificazione dagli schisti cristallini, che in conseguenza stanno sotto e sopra i medesimi. Perciò i marmi ’ Considerazioni stratigrafìche sopra le roccie più antiche delle Alpi Apuane e del Monte Pisano {Bollettino B. Com. Geologico, 1874-75). ^ De ì’àge et de la position des maibres blancs statuaires des Pirénées et des Alpes Apuénnes en Toscane. {Compt. rend. Ac. Se. tom. 79). — 191 — primi menzionati non possono venir posti al pari coi secondi, e se questi secondi potrebbero essere carboniferi, come il Coquand vuole (sebbene appaiano piuttosto triassici, pei fossili che con- tengono), i primi rimangono però, per cagione dei loro fossili, nel lias inferiore. Ora, aggiungerò alcune parole sopra talune opinioni mani- festate dal Coquand relativamente a quelle rocce delle quali egli discorre. Egli dice (p. 39), parlando delle Osservazioni stra- tigraficìie del Savi e del Meneghini che, « à coup sur le terrain néocomien n’est représenté nulle part dans les Alpes Apuennes, ni dans la partie centrale de Tltalie dont il est fait mention dans le mémoire que nous analysons. » Invece, gli studi! recenti confermano V esistenza di quel calcare grigio talora con selce, e talora senza, zeppo di foraminifere, superiore alle rocce Mas- siche, che il Murchison, il Savi ed il Meneghini, in parte ave- vano studiato ed attribuito all’ epoca neocomiana, e che per ora va ritenuto come tale, sinché non sia compiuto lo studio dei fos- sili che vi sono. Il nostro Autore poi, in questo nuovo studio, non ha lasciata quella sua idea, non conforme alla realtà delle cose, già manifestata nello scritto intitolato Terrains stratifiés de la Toscane, pubblicato nel 1845, e sulla quale io ho parlato più a lungo altrove.^ L’essere i fossili del calcare ceroide, oltre a tutte le relazioni stratigrafiche e litologiche della roccia, cono- sciuti ai geologi toscani, ha fatto sì che il Cocchi pure ritenesse ben distinti dagli altri i marmi delle Alpi Apuane e « n’ait point donné des raisons pour prouver un non-synchronisme qu’il se contente d’énoncer » (p. 43). Non mi fermerò poi a considerare le ragioni per le quali il signor Coquand, che trova analogia fra gli schisti ampelitici siluriani dei Pirenei e gli schisti ampeli- tici di Levigliani, pone anche questi nel siluriano ; poiché, ne’ ter- reni più antichi ed a non piccole distanze, le rassomiglianze lito- logiche ingannano frequentemente, e, fino a che non intervengano dei fossili, non si potrà riconoscere se siano nel vero il signor Coquand, che attribuisce quelle rocce al siluriano, o gli altri geo- logi, che le attribuiscono ad epoca più recente, forse carbonifera. Ed ora, nel finire, di nuovo dichiaro che ho inteso fare que- ’ Studio sulla stratigrafia degli schisti di Ripa e dei marmi del Monte Costa, della Cappella e di Trambiserra. (Ntiovo Cimento, S. 2, voi. V-VI.) — 192 — ste osservazioni soltanto per amore del vero, e non perché di- sconosca i meriti del signor Coquand, che sono oramai superiori ad ogni critica; ripeto che i lavori di un geologo, come egli è, sono sempre avidamente studiati da chi si occupa della mede- sima scienza, e qualche difetto che entro vi sia, non ne offusca per niente i pregi numerosi, nè scema la utilità che se ne trae. La serie dei fossili, che il signor Coquand ha tratta dalle opere pubblicate fin qui, deve essere oggigiorno assai ampliata e modificata : il signor Bornemann, dopo il Capellini, ha ristudiati alcuni fossili dell’ infralias della Spezia, ed il signor Meneghini ha continuati gli studii sui fossili Massici toscani, e si propone quanto prima di correggere il catalogo dei medesimi. Se il de- siderio dei geologi e dei paleontologi può valer qualche cosa, speriamo che lo induca a non tardare la pubblicazione di quel lavoro che in gran parte ha già compito. Intanto, siccome mo- dificazione all’ ordinamento proposto dal Coquand, presento rin- novato lo specchio dei terreni stratificati dell’ Italia centrale, dal Neocomiano in giù, nel modo che, a parer mio, si dovrebbe intendere, secondo le recenti notizie. Cretaceo Lias superiore. . . Lias medio Lias inferiore. . . Infralias Trias ( Calcari grigi con selce e con foraminifere ; Monte Pisano, Val ( di Lima, Alpi Apuane. / Schisti coticolari e varicolori : Campiglia di Maremma, Campi- ? glia di Spezia, Alpi Apuane, Monte Pisano. \ Calcari rossi: Cotona, Val di Lima, Val di SercMo inferiore. ( Calcare grigio con selce ammonitifero ; Spezia, Corfino, Alpi I Apuane, Monte Pisano, Monsummano, Campiglia, Cotona. (Calcari rossi, gialli e verdi : Spezia, Alpi Apuane, Apennino set- tentrionale, Monte Pisano, Monsummano, Montagnola Senese, Campiglia, Gerfalco, Caldana, Cotona. Calcari neri e .ceroidi : Spezia, Alpi Apuane, Monte Pisano, Mon- tagnola Senese, Campiglia, Gerfalco. / Calcari grigio-cupi, compatti, cavernosi, dolomitici e gessosi : l Spezia, Alpi Apuane, Apennino settentrionale. Monte Pisano, 1 Gorgona, Jano, Montagnola Senese, Monsummano, Campiglia, i Elba, Gerfalco, Montieri, Serrabottini, Casal di Pari, Cotona, r Monte Argentare, Formiche, Gavorrano, Giglio, Monte Orsaio, \ Bella Marsilia, Ansedouia, Capalbio, Capalbiaccio, Giannutri. ! Calcari saccaroidi e grezzoni: Capo Corvo, Alpi Apuane, Monte Argentare, Elba. Schisti micacei e grauvake : Spezia, Camporaglieiia nell’ Apen- nino, Alpi Apuane, Monte Pisano, Jano, Montieri, Serrabot- tiui. Monte Orsaio, Bella Marsilia, Capalbio, Capalbiaccio, Monte Argentare, Elba, Giglio, Gorgona, Montagnola Senese. Carbonifero Schisti carboniferi: Jano (altrove?). Precarbonifbro ? . . . Schisti, gneiss e dolomiti centrali: Alpi Apuane, Alpi marittime. 193 -- NOTIZIE DIVERSE. Carta Topografica (F Italia.* — Questa carta fu iniziata , come è noto, nel 1862, e trattandosi d’ un’ opera al cui com- pimento, senza parlare dei mezzi d’ ogni natura, era necessario un considerevole periodo di tempo, fu saggio consiglio comin- ciarla per le provincie meridionali. Ivi in fatti i lavori per la costruzione di carte topografiche non avevano potuto essere spinti innanzi con tale alacrità da porre le provincie stesse in grado di somministrare al nuovo Stato quel contingente di materiale cartografico che fu dato dalle altre. Il lavoro per la carta delle provincie meridionali è ormai giunto al suo termine, ed è riuscito tale da reggere con onore il confronto coi materiali analoghi ottenuti all’ estero e da sod- disfare pienamente a tutte le esigenze. Colla spesa relativamente tenue di due milioni, non solo si condussero a termine tutti i lavori per la costruzione della carta propriamente detta, e per una sua riproduzione con metodi celeri, ma si potrà anche fare una seconda pubblicazione artisticamente finita. Sennonché oggidì è divenuto, si può dire, altrettanto urgente il proseguire il lavoro anche nelle regioni centrali e settentrio- nali, il cui materiale topografico è ben lungi dal soddisfare' a quelle condizioni che, di fronte agli odierni bisogni, sono, più che desiderabili, assolutamente necessarie. Ed in vero, se vogliasi fare astrazione di alcuni rilievi di limitatissime porzioni di terreno di singolare importanza mili- tare, e di poche carte generali di regione, pubblicate a piccola scala e quindi non appartenenti propriamente alla specie delle topografiche e disadatte agli usi cui queste debbono servire, non possediamo per le summentovate regioni che le seguenti carte : a) Carta delle antiche provincie Sarde alla scala del 50,000 ; ò) Carte dell’ ex-regno Lombardo-Veneto, dei Ducati, della Toscana e degli ex-Stati Pontifici, alla scala del 86,400. * Dai Bollettino della Società Geografica Italiana, voi. II, fase. 1-2. 13 - 194 — Oltreché, per la diversità delle scale e dei metodi di rap- presentazione del terreno, queste carte mancano di quel carat- tere di uniformità che si richiede perchè formino un tutto omo- geneo, sicché si possa confrontarle, connetterle e farne uso promiscuo in quegli studi che abbracciano estese zone di ter- reno, esse presentano anche numerosi e gravi difetti intrìnseci, inerenti ai procedimenti di costruzione. Basti ricordare che nes- suna delle carte in discorso è stata costrutta in seguito a re- golare e minuta triangolazione, base necessaria ad una esatta planimetria ; che anche i particolari topografici furono per lo più desunti da antiche mappe catastali di diversissimo valore anziché direttamente dai terreno, le forme di questo raramente rilevate con metodi regolari e talvolta poco meglio che a vista, le in- dicazioni altimetriche in alcune deficienti, in altre affatto man- canti, e parimenti mancanti le curve orizzontali, elementi essen- zialissimi sia in se stesse sia come guida al tratteggio, per la valutazione delle altezze relative e delle pendenze. Se in altri tempi ed in circostanze nelle quali non era age- vole 0 possibile il rinnovarle, potevano siffatte carte considerarsi come rappresentazioni sufficientemente approssimative del terreno, oggidì si vuole dalla topografia ben più di ciò che esse possono dare, cioè: planimetria geometricamente esatta, entro i limiti della figurazione grafica, ed altezze e pendenze rigorosamente e minutamente determinabili. V Che se a questi argomenti vogliasi aggiungere anche l’ esempio delle idee che prevalgono e di ciò che si fa in simile materia air estero, basti il citare la Germania e 1’ Austria-Ungheria, le quali, sebbene già dotate di ricco materiale topografico, atten- dono ora alacremente a preparare una nuova carta speciale a grande scala dei loro territorii, e la Svizzera stessa, che, non paga della bellissima carta del Dufour al 100,000, ha intrapreso già da alcuni anni e condotto a buon punto la costruzione di un nuovo atlante topografico a scala promiscua del 25,000 e del 50,000 come pure la riduzione di entrambe al 250,000. Riguardo al metodo di esecuzione, il ministro della guerra, in un progetto di legge presentato alla Camera per la continua- zione e il compimento della Carta topografica d’ Italia, propone di continuare quello seguito per la carta delle provincie meri- — 19Ò dionali, il quale consiste nel fare i rilievi ed una prima ripro- duzione speditiva alla scala del 50,000 e quindi una seconda pubblicazione artisticamente finita al 100,000. Questo partito è consigliato dalla bontà dei risultati ottenuti, non meno che da ovvie ragioni di omogeneità. Si faranno tuttavia alcune eccezioni, imperocché nella carta topografica dell’ Italia media e superiore si dovrà, in proporzione assai maggiore che non per le provincie meridionali, adottare la scala del 25,000 nei rilievi di quelle zone per le quali, sia per la loro speciale importanza militare, sia per essere più fittamente cosparse di particolari topografici, la scala al 50,000 riuscirebbe soverchiamente piccola. In tal modo, prendendo per unità di misura il foglio della pubblicazione definitiva al 100,000, che comprende circa 1500 chilometri quadrati di terreno, la carta d’ Italia comprenderà nel suo complesso 287 fogli, i quali però, detratti quelli che non conterranno che scritture e segni convenzionali, e fatta la debita riduzione per molti che, per effetto della configurazione del paese, riusciranno parzialmente vuoti, si possono considerare ridotti a soli 195 effettivamente pieni. Di questi, 67 costituiscono la parte spettante alle provincie meridionali, e per altri 10 circa esistono già levate parziali in varie zone, cosicché il lavoro che realmente rimane a compiersi é rappresentato da 118 di tali fogli, dei quali 93 da levarsi alla scala del 50,000 e 25 a quella del 25,000. La spesa reputata necessaria al compimento della Carta to- pografica d’ Italia é di 4,400,000 lire, e per minor aggravio delle finanze sarà ripartita in ragione di due o trecentomila lire al- r anno. Pseudomorfìsmo del serpentino.^ — Nella seduta del 19 no- vembre 1874 della Imp. Accademia delle Scienze di Berlino il prof. G. vom Bath descrisse alcuni fenomeni di pseudomorfismo osservati nel serpentino dell’ Alpe di Pesmeda nel gruppo dei Monzoni in Tirolo. La sienite, la diorite, ed una pietra verde augitica, che costituiscono la sommità dei Monzoni, si fanno strada attraverso a un calcare triassico in parte cristallino, il quale contiene, presso il contatto con dette rocce, molti silicati cristallizzati, come fassaite, vesuvianite, gehlenite, granato, spi- — 196 - nello, ec. In una alta costa che raggiunge V Alpe di Pesmeda, ad una altitudine di circa 2300 metri, il calcare, al contatto con la pietra verde augitica, offre cristalli colla forma della monti- cellite insieme con altri di anortite, granato e spinello. I cri- stalli di monticellite, alcuni dei quali sono lunghi cinque centi- metri, sono tutti trasformati in serpentino, e si trovano insieme con fassaite, e con uno spinello verde-nerastro il quale è anch’ esso in parte sostituito da serpentino. Il colore dei cristalli pseudo- morti è brunastro, giallastro e talvolta bianco; la loro costitu- zione interna è affatto irregolare. In quella località non si tro- vano traccio di monticellite inalterata, ma essa è visibile allo stato compatto (batrachite di Breithaupt) a ponente dell’ Alpe di Pesmeda e al S. E. dei Monzoni presso il contatto del calcare colla sienite ; questo minerale massiccio è però alterato all’esterno. — Lo stesso vom Patii poi assicura che nella medesima località si rinviene la monticellite alterata in fassaite, in cristalli di 3 cen- timetri 0 meno di lunghezza, i quali hanno talvolta un nucleo | di serpentino o di calcite : ciò dimostrerebbe che questo secondo ; metamorfismo precede sempre quello della serpentina. I ! j studi! paleontologi(d nel Vicentino. — Nella seduta del- P 11 marzo 1875 della Imp. Accademia delle Scienze in Vienna, il prof. Al. Bittner presentò una Memoria sopra i Brachmri dei terreni terziari del Vicentino, nella quale sono descritte parecchie nuove specie e viene completata la descrizione di altre specie non abbastanza conosciute finora. Le specie nuove sono : Banina Ice- vifrons, Nitipus Beyricliii, Hepatiscus Neumayri, H. pidclielliis, Micromaja tubercidata, Feriacanthus horridus, Lanibrus num- muliticus, Neptunus Suessi, Falaeocarpilius anodon, ec. Le specie conosciute dei terreni terziari del Vicentino ammontano a 40. — Dalle conclusioni più generali dell’ autore, avuto riguardo anche alle forme dei granchi a piccola coda, risulterebbe che una certa differenza di faune esiste fra le regioni settentrionali e quelle meridionali dell’ Europa, che più tardi con molta probabilità si potranno distinguere parecchie faune succedentisi le une alle altre, e che la fauna dei crostacei eocenici d’ Europa, come quella dei pesci del Monte Bolca, presentano nelle loro forme dominanti decisamente il carattere delle faune dell’Asia orientale. — 197 — Eruzione di ceneri tridimiticlie. — Nel Nuovo Giornale di Zurigo (1875, N. 21) il dott. A. Baltzer annunciò che il cra- tere deir Isola Vulcano del gruppo delle Lipari aveva avuto nel 7 settembre 1873 una eruzione di tridimite. In quel giorno il Vulcano lanciò durante un periodo di tre ore una cenere bian- chissima, la quale ricoprì tutto all’ intorno il suolo dell’ isola e vi formò un deposito che al lato nord della medesima era alto ben 3 0 4 centimetri. Il dott. Baltzer venne nella persuasione che si trattasse di tridimite in seguito all’ analisi chimica, alla determinazione del peso specifico e del grado di solubilità negli alcali, ed all’ esame colla luce polarizzata, e ne partecipava la notizia alla Società di Scienze Naturali di Zurigo nella seduta V del 4 gennaio 1875. — E questa una osservazione importante per la storia di quel vulcano ed interessante per la teoria della formazione delle ceneri vulcaniche. Criacimento di Zaffiri e Eubini con corindone.^ — Que- sto giacimento trovasi nella miniera di Culsagee, Contea di Macon, nella Carolina del Nord (Stati Uniti) sopra una collina distante circa 9 miglia da Franklin, capitale della contea. La collina, elevantesi 400 piedi sul suolo della valle, consta di ser- pentino racchiuso nella roccia granitica predominante. Il ser- pentino è attraversato da filoni, uno dei quali nella parte più profonda della miniera raggiunge la potenza di 10 piedi. La matrice del filone è formata di Clorito, Jefferisite e Corindone, che spesso forma da due terzi alla metà di essa ed è collegato in cristalli cogli altri minerali. In più piccola quantità trovansi : Crisolite, Antofillite, Margarite, Damourite, Felspato, Talco, Zaf- firo, Rubino, Spinello, Zircone, Orneblenda, Staurolite, Diaspro, Calcedonio, Quarzo, Ferro cromato. Magnetite unitamente a due nuovi minerali descritti da Genth, Kerrite e Maconite. Il corin- done si presenta ordinariamente cristallizzato, e talvolta in cri- stalli assai grossi ; spesso essi racchiudono lamine di Clorite 0 di Jefferisite. Circa 200 tonnellate di corindone furono esca- vate come materiale per levigare e pulire, essendo a ciò più proprio dello smeriglio. Il colore del corindone è molto variabile ; talvolta è affatto incoloro e trasparente, tal’ altra giallo, verde. ’ Ved. Quart. Journal, XXX, N° 119. 198 azzurro, rosso in tutti i gradi : alcuni sono varicolorati. Essi rac- chiudono delle particelle fluide (forse acido carbonico liquido) come osservansi negli Zaffiri di Ceylan. L’ Altaite. — Il dott. F. A. Genth rammenta in un suo re- cente lavoro ^ due nuove località ove trovasi questo raro mine- rale : esse sono la miniera di Iled Cloud nel Colorado e la mi- niera di Kings Mountain nella Contea di Gaston (N. Carolina). In quest’ ultima località trovasi l’ Altaite in un quarzo finamente granulare, accompagnata da Oro, Galena, Antimonite, Pirite, e per lo più ad essi frammista. Essa ha una struttura leggermente granulosa ed è di un colore bianco di stagno. Genth osservò una massa a frattura cubica costituita in parte di Altaite, in parte di Galena senza interruzione nelle superficie di sfaldatura. L’ Altaite della miniera di Ked Cloud si presenta in gran quan- tità, però mista ad altri minerali, specialmente Tellurio, Silvanite, Pirite, Siderite e Quarzo. Vi compariscono anche piccoli esaedri poco distinti rivestiti di galena, più raramente grossi frammenti con facce di sfaldatura, e molto più di frequente pezzi a grana grossolana. L’analisi di due frammenti di questo materiale dette: Peso specifico 8,060 Oro .... . . 0,19 0,16 Argento. . . . 0,62 0,79 Rame . . . . . 0,06 0,06 Piombo . . . . 60,22 60,53 Zinco . . . . . 0,15 0,04 Ferro . . . . . 0,48 0,33 Tellurio . . . . 37,99 37,51 Quarzo . . . . 0,10 0,32 99,81 99,74 NECROLOGIA. — Annunziamo con dispiacere la morte dell’illustre paleontologo G. P. Deshayes avvenuta il giorno 9 giugno 1875 nella sua residenza di Boran (Oise) : Egli era professore ammi- nistratore al Museo di Storia Naturale in Parigi, membro di moltissime Società scientifiche, e già Presidente della Società geologica di Francia. Morì in età di 79 anni. ‘ Ved. Journ. fùr prakt. Chemie, 10, 1874. FlillcazlDIll i l GOETITO GEOLOGICO. (CONTINUAZIONK.) Memorie per seryire alla descrizione della Carta Geologica d’Italia. — Volume II, Parte P; Firenze 1873. — 272 pa- gine in-4® con 11 tavole, due Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione. — Monografia geologica dell’Isola d’ Ischia, con la Carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel testo, del professor C. W. C. Fuchs. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvefica, con una Carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’in- gegnere F. Giokdano. — Appendice alla Memoria sulla for- mazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, con una tavola, dell’ ingegnere S. Mottura. — Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifonostomi) ; fascicolo 2®, con . otto tavole, di C. D’ Ancona. Prezzo del Voi. IF (Parte F), Lire 25. Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000, di F. Giordano. — Un foglio in cro- molitografia L. 5. — Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala di 1 per 25,000 di C. W. C. Fuchs. — Un foglio in cromolitografia L. 3. — Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’ Italia. — Voi. II, Parte 2^ ; Firenze 1874. — 68 pag. in 4° con due tavole. — Contiene la seguente Memoria : B. Ga- staldi, Studii geologici sulle Alpi Occidentali ; Parte 2*. Prezzo del Voi. IF (Parte 2^), Lire 5. Per le commissioni dirigersi al Segretario del R. Go- mitato Greologico, in Roma, Piazza San Pietro in Vincoli, N. 5. Annunzi di pubblicazioni. G. Ponzi. — Storia dei Ynlcani Laziali. — (Atti della R. Accademia dei Lincei, anno 271, serie IP, voi. I, 1873-74). — Roma 1875, pag. 17, in-4° con carta geologica. — Storia naturale del Teyere. — (Bollettino della Società Geogr. Ital. voi. XII, fase. 1-2). — Roma 1875, pag. 20, in-8° con 3 tavole. R. Ludwig. — Geologisclie Bilder aus Italien. — (Bulletin de la Société Imp. des Naturai, de Moscou, année 1874). — Moskau 1874. G. VOM Rath. — Ber Monzoni im Siiddstlielien Tiro!. — Bonn 1875, pag. 46, in-8® con due tavole. A. Stoppani. — La purezza del mare e delP atmosfera fin dai primordi del mondo animato. — Milano 1875, pag. 484, in-8° con figure nel testo ed una tavola. G. G. Bianconi. — Intorno alle argille scagliose di origine miocenica. — (Memorie delPAcc. delle Scienze dell’Ist. di Bologna, S. Ili, t. V, fase. 3). — Bologna 1875, pag. 10, in-4®. G. A. PiuoNA. — Sopra ima nuova specie di Radiolite. — Venezia 1875, pag. 7, in-8® con una tavola. C. J. Foestth Major. — Considerazioni sulla Fauna dei mammiferi plio- cenici e postpliocenici della Toscana. — (Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 33, in-8°. (con- tinua). R. Lawley. — Bei resti di pesci fossili del pliocene toscano. — (Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 8, in-8®. A. D’Achiardi. — Coralli eocenici del Friuli. — (Atti della Società To- scana di Scienze Naturali, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 16, in-8° con due tavole (continua). M. S. De Rossi. — Primi risultati delle osservazioni sulle oscillazioni microscopiche dei pendoli. — Roma 1875, pag. 40, in-4®. C. De Stefani. — Bi alcune conchiglie terrestri fossili nella Terra rossa della pietra calcare di Agnaiio nel Monte Pisano. — Pisa 1875, pag. 5, in-8“. — Natura geologica delle colline della Val di Nievole e delle valli di Lucca e di Bientina. — Pisa 1875, pag. 6, in-8°. — Bescrizìoiie di nuove specie di molluschi iiliocenicì italiani. — (Bull, della Società Malacologica italiana, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 9, in-8®. A. Bellardi. — Novae Pleurotomidarum Pedemontii et Liguriae fossi- lium dispositionis prodromus. — (Bull, della Società Malacologica italiana, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 9, in-8'\ P. Mantovani. — Belle argille scagliose e di alcuni Ammoniti dell’ Ap- pennino dell’Emilia. — (Atti Soc. It. Scienze Naturali, voi. XVIII, fase. 1). — Milano 1875, pag. 35, in-8°. G. Omboni. — Bi alcuni oggetti preistorici delle caverne di Velo nel Veronese. — (Atti Soc. It. Scienze Naturali, voi. XVIII, fase. 1). — Milano 1875, pag. 14, hi-8° con una tavola. A. De Zigno- — Sirenii fossili trovati nel Veneto. — (Memorie del R. Istituto Veneto, voi. XVIII). — Venezia 1875, pag. 30, in-4® con cinque tavole. — Sui mammiferi fossili del Veneto. — Padova 1875, pag. 16, in-8°. L. Bombicci. — Corso dì Mineralogia. — (Seconda edizione grandemente variata ed accresciuta), voi. 2° diviso in due parti. — Bologna 1875, pag. 1032, in-8" con tavole ed incisioni. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° 7 e 8. Luglio e Agosto 1875. ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1875. Bollettino Geologico per il 1870. — Un voi. in-8° di pag. 324. » )) PER IL 1871. — Un voi. in-8'’ di pag. 296. )) » PER IL 1872. — Un voi. in-8° di pag. 376. » » PER IL 1873. — Un voi. in-8° di pag. 400. » » PER IL 1874. — Un voi. in-8® di pag. 408. Prezzo di ciascun volume L. 10. Associazione al Bollettino del 1875 (Anno VP). — Per r Italia L. 8, Estero L. 10. I fascicoli bimestrali dei Bollettino si vendono anche se- paratamente al prezzo di L. 2 ciascuno. Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’Italia. — Volume P; Firenze 1871. — 404 pagine in-4® con 23 tavole, due Carte geologiche e varie incisioni inter- calate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Biemontesi e sui mine- rali delle valli di Lanzo, di G. Struver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con quattro tavole. — Descrizione geologica dell’ Isola d’ Elba, di 1. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifo- nostomi) di C. D’Ancona; fascicolo V, con sette tavole. Prezzo del Voi. P, Lire 35. Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati Geo- logici e sul B,. Comitato Geologico d’Italia, di L Cocchi. — Pag. 34 in-4” L. 1.50 Carta Geologica della parte orientale dell’ Isola d’Elba, nella scala di 1 per 50,000, di I. Coc- chi. — Un foglio in cromolitografìa L. 3. 00 (Continua.) BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. JIM e 8. — luglio e Agosto 187S. SOMMARIO. Wote geologiche, — I. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica del- l’Italia Meridionale, per G. Sequenza. (Continuazione.) — II. Dell’epoca geologica dei marmi dell’Italia Centrale, per C. De Stefani. — III. Il ter- reno nummulitico nel versante orientale della Cornata di Gerfalco, per B. Lotti. — IV. Brevi note sulle Salse modenesi, per F. Coppi. —V. Sulla relazione di un viaggio geologico in Italia, per Th. Fuchs. — VI. Calcare a Amphistegiria, strati a Congeria e calcare di Leitha dei Monti Livornesi, per G. Capellini. — VII. I membri delle formazioni terziarie nel versante set- tentrionale dell’ Apennino fra Ancona e Bologna, per Th. Fuchs. — Vili. Sulla formazione della Terra Rossa, per Th. Fuchs. Notizie bibliografiche. — L. Bombicci, Corso di Mineralogia, edizione variata ed accresciuta ; voi. II ; Bologna, 1875.— G. Capellini, Considerazioni sui Cetoterii bolognesi, con due tavole ; Bologna, 1875. — 0. Heer, Floro, fossilis arctica, voi. Ili; Zurich, 1875. NOTE GEOLOGICHE. I. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica dell’ Italia Meridionale^ per G. Seguenza. (Continuazione. — Vedi Bollettino, N. 5-6.) Elenco dei Cirripedi e dei Molluschi della zona superiore dell’ antico plioceno. — 204 — I Gen. Mitica Lamarck. 98 1. 99 1. turricula Jan fusiformis Brocchi (Voluta) v> T/nr F, Bftl lardi . . .... — M. pseudopapalis Sismonda =: M. Santangeli Calcara (non Maravig^ 100 1. 101 1 Molto affine alla precedente anpillarnidA • • • • • • • B. • • • Le. P.Le. B. t • • • • • M. B. . . . B. b. M. b. 6. Le. B. • • • c. M. B. L. b. • • P. C.Le. B. • • • M. B. L. c. B. \ • • • b. ó. Le. B. • • • c. M. B. L. M. B. P. F. b. 6. Le. • • • A. c. • • • b. • • • Le. L. b. • • • le. 1 +++ 143 1. 1441. 145 1. 146 1. 147 1. 148 1. 149 1. 1501. 151 1. 152 1. 1531. 154 c. 155 c. 156 c. 157 c. 158 c. 159 c. 160 c. 161 c. 162 c. 163 c. 164 c. Partschii Bellardi Bellardii Desmoulins interposita Bellardi Anioni Bellardi Brocchi Bonelli Geslini Desmoulins postulata Brocchi (Murex) . . nohilis Meneghini rustica Brocchi (Murex) . . . interrupta Brocchi (Murex) . Mortilieti Mayer » var. minor . . . . . rotata Brocchi (Murex) . . . , hrevis Bellardi Morchii Maini. (Trophon) . . » var. B . . dimidiata Brocchi (Murex) . » var. B. Powerii. . » var. C nodulifera Philippi > var. B ohtusangula Brocchi (Murex) media n. sp tenuisculpta n. sp galerita Philippi modiola Jan crispa Seguenza 165 c. 166 c. 167 c. 168 s. 169 s. 1701. 171 1. 172 c. 1731. 1741. 1751. Loprestiana Calcara » var. cylindracea .... emendata Monterosato consanguinea n. sp torquata Philippi pygmsea Philippi Sottogenere Conopleura Hinds. paucicosta n. sp Maravignae Bivona » var. B. Bellardi sigmoidea Bronn » var. B Gen. Boia Moller. septangularis Montagu (Murex) . . » var. secalina Gen. Clinura Bellardi 1875. calliope Brocchi (Murex) elegantissima Foresti (Pleurotoma) j Specie che verrà tosto pubblicata dall’ ajo Specie che verrà tosto pubblicata dall’ ari)] = P.brevirostrum Bell, (non Sow.)P.hreTÌri)n = Murex ohlongus Brocchi = P. ohlonga Calcara = P. interupta Calcara, Libassi P. asperulataBrugnone (nonLamlv.)Yar. 1 = P. rotata Calcara, Brugnone, Libassi =: P. cirratum Brugnone (non P. cirrata^ = P. dimidiata (Brugnone, Libassi) . . . . =:P. Powerii Calcara, P. dimidiata var.ji Powerii var. Brugnone = P. dimidiata var. Libassi, P. Powerii ve 1 Carena tagliente senza papille .... = Noduli che si allungano in forma di ]{ =:P. ohtusangula Calcara Affine alla P. intermedia Affine alla P. torquata, mancano i noduli i degli ^.nfratti = P. suhasperum Brugnone r=:P. carinata Bivona = P. crispata Foresti ed altri (non Jan g l’antico plioceno somigliante alla veri* ma diversa per l’ apice e per altre no Cile e più grande rrrP. crispata Philippi (non Jan), P. Tik P. tricinctum Brugnone. Il P. crispatum .1 del miocene di Tortona, Vienna ec. e P. Tarentini Philippi j = P. Renieri Phil. (non Scacchi), P. crk gnone (non Jan, non Philippi). . . • • Molto affine alla precedente, meno gracile numero di linee trasversali — Defrancia torquata Monterosato . . . |. — P. raricosta Brugnone (non Bonelli) !• = P. elegans Scacchi, Philippi, Calcara, i3 P. incrassata Dujardin, Brugnone . . Pieghe meno flessuose =:P. septangularis Philippi, Monterosat =:P. secalina Philippi, Brugnone, Monte'! = Pleurotoma calliope Auctorum . . . . 207 — 208 — 1761. 177 c. 178 1. 179 s. 1801. 181 1. 182 1. 1831. 1841. 185 1. 1861. 187 1. 1881. 1891. 1901. 191 c. 192 c. 193 c. 194 c. 195 c. 196 c. 197 s. 198 s. 199 1. 2001. i 1 Gbn. Pseudotoma Bellardi 1875. Bonelli Bellardi (Pleurotoma). . . . intorta Brocchi (Murex) ....... I — Pleurotoma hracteata Bellardi (non Mur! tus Brocchi) = Pleurotoma intorta Auctorum „ Gen. Dolichotoma Bellardi 1875. cataphracta Brocchi (Murex) = Pleurotoma cataphracta Auctorum . . . . Gen. ApTianitoma Bellardi 1875. Imperati Philippi (Pleurotoma). . . , Le pieghe sulla columella sono indistinte Gen. Defrauda Millet. scalaria Jan (Pleurotoma) Luisag Semper turritelloides Bellardi (Pheurotoma). . . stria Calcara (Pleurotoma) » var. minus Brugnone gibbosa n. sp Desmoulinsii Bellardi (Raphitoma). . . . inflata Jan (Pleurotoma) — Raphitoma scalaria Libassi |. = Pleurotoma turritelloides Libassi, P. turile Brugnone var. majus i. = Pleurotoma semiplicatum Bonelli, Belp gnone, Philippi |. Affine alla precedente, ma cogli anfratti ii più appianati superiormente, colle sutui fonde ep. ec 1. — Pleurotoma Desmoulinsii Brugnone . . {. = Pleurotoma volutella Valenciennes, Bruglc gatum Bivona, Defrancia volutella Mil D. Leufroyi var. Monterosato j. » var. B. Brugnone linearis Montagu (Murex) » var. B reticulata Bronn (Pleurotoma) » var. B. formosa . . . . rudis Scacchi (Pleurotoma) purpurea Montagu (Murex) . gracilis Montagu (Murex) textilis Brocchi (Murex) teres Forbes (Pleurotoma) semicostata Bellardi (Raphitoma) . . . . varietà Leufroyi Michaud (Pleurotoma)’ ...... hystrix De Cristof. e Jan (Pleurotoma). . anceps Eichwald (Pleurotoma) Zanclea n. sp, = Pleurotoma linearis Monterosato, Raphif chii Bellardi, Brugnone Trasversalmente multilineata = Pleurotoma reticulatum Philippi, Calcarali Raphitoma Scacchi Libassi (non Bellarc. = Pleurotoma echinata Calcara, Murex i3i Brocchi I =2 Pleurotoma purpureum Philippi .... =: Pleurotoma purpurea Monterosato ed ad r= Pleurotoma suturalis e gracilis Philipp:') gracilis Monterosato =2 Pleurotoma (Mangelia) Savi Libassi. . Calcara r=5 Fusus La Viae Calcara, Pleurotoma minu ji (non Forbes), P. crispatum Libassi (non ih nutum var. polyzonatum Brugnone, Defili» Monterosato, P. anceps Monterosato (ncjl =: Pleurotoma polyplectum Brugnone. . . , = Pleurotoma inflata e Leufroyi Philippi =: Echion hystrix, Pleurot. (Defrancia) hystr I Non P. anceps Monterosato, che è la P. te specie che sembra diversa dalla attuale linee trasverse lamelliformi Affine alla Homotoma onusta Bellardi . . il Sottogenere Daphnella Hinds. Salinasii Calcara (Pleurotoma). . . Romani Libassi (Pleurotoma). . . . — 209 — « 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 0. c. b. 1. 0. Le. b. • • • • • • • • • b. 1. • • • • . * * ^ • • • • • • t • • • M. Seno gal? 0. Le. B. . . . c. M. B. 1. M. 0. Le. b. . . . . . . . . . b. b. • • P. b. • • • P. b. • -t- b. -h -rf- C. F.To. b. . . . . . . . . . b. 1. ■4- -t- 0. b. 1. H- -h 0. P. B. b. c. \ H- H- c. M. M. -f- M. > M. 201 1. 202 1. 203 1. 204 1. 205 1. 206 1. 207 1. 20S 1. 2C9 1. 210 1. 211 1. 212 1. 213 1. 214 1. 215 1. 216 ]. 217 ]. 218 1. 219 1. 220 1. 221 1. 222 1. 223 l! 224 1. 225 ]. 226 1. 227 1. 228 1. 229 1. 230 1. 231 c. 232 c. 233 c. 234 s. — 210 — Gbn. Mangelia Hinds. Spadae Libassi (Pleurotoma) . . . clathrata De Serres (Pleurotoma) rugulosa Philipp! (Pleurotoma). . . . > var. B. Brugnone rugosissima Brugnone (M. S.) Vauqueliuii Payraudeau (Pleurotoma) Bertrandi Payraudeau (Pleurotoma) . var. coerulans Philipp!. varicosa Libassi (Pleurotoma) angusta Jan (Pleurotoma) Gen. Rapliitoma Bellardi. acantoplecta Brugnone (Pleurotoma) . . Caterini n. sp hispida Bellardi (Pleurotoma). » . var. B plicatella Jan (Pleurotoma) vulpecula Brocchi (Murex) minima Brugnone (Pleurotoma) submarginata Bellardi pseudomarginata n. sp » var. B. minor sulcatula Bonelli (Pleurotoma) scabriuscula Brugnone (Pleurotoma). . . brachystoma Philipp! (Pleurotoma) varietà scalariformis Brugnone (Pleurotoma) . nebula Montagu (Murex) » var. Ginnannana » var. laevigala Columnse Scacchi (Pleurotoma) harpuloidea Brugnone (Pleurotoma) . . Poppelacchii HoernesV (Pleurotoma). . attenuata Montagu (Murex) » var. tonuicosta Brugnone . . » var. Payraudeauti Deshayes costata Donovan (Murex) ambigua Brugnone (Pleurotoma) . . megastoma Brugnone (Pleurotoma) neglecta Brugnone (Pleurotoma) . . nevropleura Brugnone (Pleurotoma) decussata Philipp! (Pleurotoma) . . nana Scacchi (Pleurotoma) harpula Brocchi (Murex) . tenuicosta n. sp : Pleurotoma rude Philipp!, P. cancella P. granum Philipp! : Pleurotoma rugulosa Brugnone, Monterja Pleurotoma rugulosa var. C. Brugnone ; Pleurotoma coerulans Philipp! Gli esemplari dei vari! luoghi enumerati qi col nome di P. spinifera Bell., rispondon'jq plari tipici del Brugnone, e non già alla del Bellardi . . . Affine alla precedente, più gracile, con mero di costole ec. ec j. Questa specie confondesi generalmente col dula Jan, che ha maggior numero di C(ji( Di forma più allungata j. = P. plicatella Libassi = Pleurotoma vulpecula Calcara, Philipp! (Non Brugnone) = Pleurotoma submarginata Brugnone (n( Più piccola, più gracile, colle costole più = Pleurotoma scabriuscula Brugnone. . . = Pleurotoma granuliferum Brugnone, Pleu cellina Bonelli !)( : Pleurotoma Bertrandi Philipp! (non Pa : Pleurotoma Ginnannana Scacchi, Phili : Pleurotoma laevigata Philipp! Fusus costatus Philipp! — Pleurotoma Valenciennesii Maravigna. =: Pleurotoma attenuata var. tenuicosta = Pleurotoma Payraudeauti Deshayes . . — - Pleurotoma prismaticum Brugnone, P. C(|if terosato : Pleurotoma Philipp! Calcara (non Testa|I rimum Tiberi, P. hispidula MonterosatoF e Jan) = Pleurotoma harpula Philipp!, Calcara ( 211 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 b. 1. 0. p. b. 0. Le. B. L. L. 0. Le. B. . . . . . . . . . b.? L. 0. B. b. b. b. b. M. b. • • • P. b. b. b. 1. C. b. . . . le. B. b. 0. Le. B. 0. P. B. 0. b. L. C. M. M. (Continua.) + + + — 212 — IL Bell’ epoca geologica dei marmi dell’ Italia Centrale^ j nota di Carlo de Stefani. j 1 1 i Intendo fare una breve esposizione secondo i resultati dei | recenti studii, dell’ epoca geologica dei marmi dell’ Italia cen- j trale; e voglio dire dei soli marmi veri e propri! costituiti dal j carbonato di calce, escludendo le pietre d’ ornamento, serpenti- \ nose, feldispatiche, silicee o d’ altra natura. Tra le rocce di epoca più recente, soltanto un alberese eoce- nico, di colore bruno, opaco, compatto, criptocristallino, poco lu- cente, in frammenti ravvolti entro una pasta gabbrosa o serpen- tinosa, in banchi per T' -appunto prossimi ad ammassi serpentinosi, i è stato qualche volta scavato ne’ dintorni di Monterufoli, ne’ teni- menti del Maffei, ed impiegato come marmo. Tutti gli altri marmi, eh’ io mi sappia, non sono d’ epoca più recente del lias. Il marmo nero, compatto, molto lucente quando è tirato a lustro, uniforme, o vagamente venato di bianco o più spesso di giallo, nel qual caso è conosciuto col nome di Fortore o Porto- venere, le cui cave principali sono presso il paese di questo nome nel promontorio occidentale della Spezia, è conosciuto come infraliassico, dopo gli studii fatti dal Capellini in quella regione. All’ epoca medesima si debbono riferire, dopo gli studii del Cocchi,^ un marmo nero uniforme o venato di bianco, pro- veniente da Matanna nelle Alpi Apuane; e dopo gli studii miei,- un marmo brecciato di nero e di giallo, di Pescaglia pure nelle i Alpi Apuane, stato descritto pella prima volta dal Savi,^ ed il | marmo nero, uniforme, un poco meno lucente del Portoro, che i qualche volta viene scavato ai Bagni della Duchessa nel Monte Pisano. ‘ I. Cocchi, Sulla geologia dell’Italia centrale. ^ Considerazioni stratigrafìche sopra le rocce più antiche delle Alpi Apuane e del Monte Pisano. Roma 1875. ® P. Savi, Del marmo nero e delle hreccie varicolori dei Monti di Pescaglia. Lucca, 1852. 213 — I marmi summenzionati, con le altre rocce calcaree infralias- siche, riposano sopra schisti ardesiaci od arenarie spesso trasfor- mate in anageniti, in schisti o quarziti cloritiche ed in scisti o quarziti pregrattitiche (damouritiche), la cui vera epoca forma soggetto di disputa fra gli autori, ma che molto probabilmente, siccome si vedrà, debbonsi riferire al trias. In molti altri luo- ghi delle Alpi Apuane, del Monte Pisano e della Maremma, si potrebbero scavare tra i calcari infraliassici dei marmi neri, ma forse il guadagno non pagherebbe la spesa. I bardigli di Cam- piglia, di colore turchino chiaro, assai cristallini, anzi quasi la- mellari, ripieni di piccoli cristalli di Couzeranite, e confusi da alcuni geologi, che li riferiscono all’ epoca carbonifera, coi marmi bianchi che fra poco esamineremo, sembrano invece riferibili essi pure all’ infralias. E vero che l’ insieme degli strati di questo luogo deve essere ristudiato, ma intanto si sa che al di sopra del bardigiio non stanno schisti cristallini che lo facciano com- parire più antico dell’ infralias, anzi vi si trovano dei banchi di calcare bianco che appartengono, come si vedrà, al lias inferiore. D’ altronde l’ aspetto cristallino del calcare non potrebbe ba- stare a farlo credere più antico dell’ infralias, perchè ai Bagni della Duchessa nel Monte Pisano, nel calcare nero veramente infraliassico come sopra ho detto, a posti, il calcare è divenuto cristallino con apparenza non distinguibile da quella del calcare di Campiglia, e quando ciò avviene, esso è oltremodo ricco di idrogeno solforato : evidentemente si tratta di pure e semplici trasformazioni avvenute dopo la sedimentazione dei banchi. Non grandemente soggetta a contestazione è P epoca dei marmi rossi e di quelli gialli. Un bel marmo rosso mattone, alquanto cristallino, uniforme, si trova nel Monte Matanna nelle Alpi Apuane ; e nella stessa giogaia, al Poggio di Matteo presso Trassilico fu scavato qualche volta un marmo rosso venato di giallo. All’ Alpe di Corfino nell’ Apennino della Garfagnana, sono delle cave di marmo rosso a frammenti entro una pasta rossa più scura. Nel Monte Pisano presso Santa Maria del Giudice si trova del marmo giallo ceroide ; marmi rossi, puri o brecciati, si scavano a Campiglia, a Caldana, ed alla Gherardesca in Ma- remma. Del resto i banchi della roccia dalla quale si tolgono i marmi nei luoghi ora accennati, si estendono molto, sebbene con 214 — non grande spessezza, nei Monti della Spezia, nelle Alpi Apuane, nell’ Apennino dell’ Emilia e della Toscana, nel Monte Pisano e nelle Maremme; ed in moltissimi luoghi potrebbero, a volere, esservi aperte nuove cave. Essi rimangono sottoposti ai banchi del calcare grigio con selce liassico medio, identico' al lias medio dell’ Apennino centrale, e 1’ epoca loro, attestata dai numerosi fossili che contengono è del lias inferiore più recente. Sono già note da qualche tempo le specie delle Ammoniti fossili che sono state raccolte nell’ Alpe di Corfino ; ora presenterò quelle del marmo rosso di Campiglia, riportandone 1’ elenco colle recentis- sime correzioni e coll’ aggiunta di alcuni altri fossili, che gen- tilmente mi ha prestato il prof. Meneghini. Ammonites margaritatus Monti, » fimbriatus Sow., )) Heberti Op. (A. brevispina d’ Orb.), )) armatus Sow., » JBaivageri d’ Orb. ? )) Zetes d’ Orb., )) mimatensis d’ Orb., )) N ardii Mgh., )) FartscMi St. (A. striatoco status Mgh.), )) tenuistriatus Mgh., » Normanianus d’ Orb., » Nodotianus d’ Orb., » Conybeari Sow., )) tardecrescens v. H., » spiratissimus Qstd., » muUicostatus Sow. ? , )) bisidcatus Brug. ? , » Ceras Gieb. Fedemnites longissimus Mill.?, Atraxites aìpinus Giimb., Orthoceras liasicus Giimb. Alquanta incertezza si è avuta infino ad ora sull’ epoca del bellissimo marmo, color giallo d’oro, della Montagnola Senese; è più frequente che non si creda il trovare delle sezioni di am- moniti nelle tavole pulimentate di esso, ma ninna specie è stata — 215 — bene studiata ed in conseguenza determinata, salvo V Ammonite della tavola del Palazzo Pitti che sembra un A. fimhriatus Sow., ed intanto la roccia è stata attribuita all’ infralias dal Campani,^ ed al lias in generale dal Capellini,^ senza riconoscere i suoi rapporti precisi cogli altri marmi rossi e gialli della To- scana. Però quel marmo non è infraliassico, sia per le specie delle Ammoniti che contiene, sia perchè è veramente superiore all’ infralias. Infatti i sedimenti di quest’epoca sono rappresen- tati colà da un calcare in origine grigio cupo, che è divenuto intensamente cavernoso e cariato per essere stato lungamente esposto appo la superficie terrestre, prima sotto forma di scoglio poco elevato durante P epoca pliocenica, poi sotto forma di col- lina, la cui massa, traversata dalle acque che abbondanti circo- lano all’esterno, e spogliata di grandissima parte di elementi calcarei, ha dato luogo a grandiosi banchi di travertino, rima- nendo quasi soltanto lo scheletro della roccia compatta che prima esisteva. Ho fatta questa osservazione per concludere che la formazione della cavernosità è un fenomeno per la massima parte recente, e che 1’ apparenza cavernosa del calcare non può ba- stare a toglierlo dall’ infralias ed a riporlo nel trias come era opinione nel passato, e come d’ altronde sarebbe contrariato dal- r apparenza della roccia non alterata. Fra le masse del calcare cavernoso infraliassico, e quelle del calcare giallo, sono dei ban- chi di calcare ceroide o saccaroide bianco, il quale, e lo ve- dremo tra poco, deve essere come il calcare ceroide del rima- nente della Toscana, attribuito al lias inferiore. Non parmi dubbio perciò, accordandosi anche la posizione stratigrafica, che il calcare giallo della Montagnola, come gli altri calcari rossi della Toscana appartenga alla parte superiore del lias inferiore. Il disaccordo fra i geologi si può dire completo, per non avere conosciuto o per non avere interpretato a dovere la serie dei fatti, intorno all’ epoca geologica dei marmi bianchi ceroidi e saccaroidi. Marmi bianchi o venati in diversa maniera, varia- mente cristallini ma più spesso ceroidi, non sempre puri, ven- gono scavati nel Monte Pisano a San Giuliano ed a Santa Maria ‘ G. Campani, Sulla costituzione geologica della provincia di Siena. Siena, 1865. * Atti della Società Italiana di Scienze naturali, Tav. XIV, fig. 4 bis. Milano. — 216 — del Giudice, e si trovano anche a Campiglia, a Gerfalco, a Ce; tona e nella Montagnola Senese. I bellissimi marmi saccaroidi, candidi, impiegati nell’ arte statuaria e come pietra d’ orna- mento, e conosciuti dovunque, provengono però dalle Alpi Apuane, dal Carrarese, dal Massese e da quel di Serravezza, dove li ac- compagnano marmi bardigli, mischi e breccie di varie qualità e di molteplici colori. In banchi assai limitati ma di consimile ap- parenza, si trovano questi stessi calcari al Capo Corvo presso la Spezia ed all’ isola d’ Elba. Questi marmi di vario aspetto e di varii luoghi, furono per lungo tempo confusi insieme e vennero da prima considerati dal Savi e dagli altri come rocce eruttive. Dipoi, scoperti dei fossili qua e là nei banchi loro o nei con- tigui strati calcarei, vennero considerati come trasformazioni di altri calcari non alterati, e furono dal Savi riposti nel lias ed indicati col nome generale di Lias Apenninico. Soltanto i marmi bianchi saccaroidi racchiusi negli schisti cristallini del Capo Corvo nel promontorio orientale della Spezia erano riguardati da questo geologo come appartenenti ad epoca più antica. La parola del De la Deche che fino nel 1833 ^ aveva dimostrato come i marmi delle Alpi Apuane dovessero distinguersi dai calcari sovrastanti ed appartenessero ad un periodo più antico, era rimasta infrut- tuosa. Il Coquand, aveva sostenuto più tardi che que’ marmi e particolarmente questi delle Alpi Apuane e quelli di Campiglia, anzi che come appartenenti all’epoca secondaria dovevano essere riguardati come carboniferi ; ^ ma aveva continuata la confusione antica conservando riuniti quei calcari che non potevano essere riposti in un solo periodo geologico. Gli studii sulla geologia To- scana, avanzati per opera del Savi, del Meneghini, e poi del Capellini, facevano distinguere nella massa dei calcari, attribuiti prima confusamente al lias, i piani del lias inferiore cui erano riferiti i marmi rossi già esaminati, e dell’ infr alias, studiato per la prima volta alla Spezia. I marmi bianchi del Monte Pisano e della Maremma, per la loro posizione stratigrafica, e per certe considerazioni generali sui molluschi fossili ivi rinvenuti, erano ’ Sur les environs de la Spezia. (Mem. Soc. géol. de France, serie I, voi. I, pag. 32.) ^ Sur les terrains stratifiés de la Toscane. (Bull. Soc. géol. de France, serie II, tome II, pag. 155.) — 217 — riposti, coi calcari rossi, nel lias inferiore; ordinamento che il Meneghini confermava più tardi, pei marmi di Campiglia. I marmi delle Alpi Apuane poi, si consideravano come rappresen- tanti comprensivamente dell’ infralias e del lias inferiore, le cui originarie apparenze si riteneva fossero state mascherate dalle trasformazioni posteriori. Al Cocchi spetta 1’ avere dimostrato in modo non dubbio la diversa età dei marmi delle Alpi Apuane, della Spezia e dell’ Elba, da quelli della Toscana rimanente, e la maggiore antichità dei primi che bene spesso sono in fatti separati dagli altri da una lunga serie di rocce schistose cri- stalline. ‘ Quelli vennero dal Cocchi medesimo attribuiti, insieme col Coquand, al carbonifero ; gli altri, al trias, per una opinione che lo Stoppani aveva manifestata sulla analogia delle specie de’ molluschi fossili nel calcare ceroide del Monte Pisano, con quelle del calcare triassico d’ Esino nelle Alpi Lombarde. Re- centemente poi, il Gastaldi,^ supponendo analogia fra i calcari saccaroidi delle Alpi Apuane e le rocce cristalline che li rac- chiudono, ed i calcari e gli schisti pur cristallini di quella zona da lui studiata nelle Alpi Occidentali e da lui denominata delle ][)ietre verdi, li poneva insieme con questa zona nell’ epoca pre- paleozoica. Il Coquand,^ d’ altra parte, in alcuni nuovi scritti, ri- conoscendovi a suo credere analogia coi marmi saccaroidi dei Pirenei che sembrano appartenenti all’ epoca carbonifera, ordi- nava definitivamente nell’ epoca medesima anche i marmi sacca- roidi nostri : accettava poi la maniera di vedere del Cocchi, e riponeva nel trias il marmo ceroide di San Giuliano ; ma con- servava in massima parte le antiche confusioni, e poneva nel carbonifero, insieme coi marmi apuani, quelli di Campiglia, di Gerfalco e di Cetona. Esponendo il risultato di alcuni miei studi sopra le rocce più antiche delle Alpi Apuane e del Monte Pisano, era già stata pub- blicata ^ una lista delle Ammoniti del marmo ceroide di Campiglia, ‘ Sulla geologia deir Italia centrale. ^ Studii geologici siUle Alpi Occidentali, parte II. * De l’àge et de la position des marbres blancs statuaires des Pirénées et des Alpes Apuénììes en Toscane. [Comgt-rend. Acad. Se,, tome XXIX, pag. 411. Paris, 1874.) — Terrai^is stratifìós de VItalie centrale. (Bull. Soc. Géol. de France. sèrie III, tome III, pag. 26.) Considerazioni stratigrafiche, ec. 15 — 218 — che il prof. Meneghini aveva potuto determinare con esattezza, e che mi aveva gentilmente comunicato; la qual cosa poneva fuor d’ogui dubbio r epoca Massica inferiore di que’ sedimenti e confermava le conclusioni già altre volte manifestate a prqposito di essi dal ^le- neghini medesimo. Studiando poi il marmo ceroide del Monte Pi- sano, ed esaminando la sua analogia col marmo di Campiglia e so- prattutto la sua posizione stratigrafica fra il calcare rosso o giallo del lias inferiore ed il calcare grigio o biancastro dolomitico che avevo riconosciuto spettante alP infralias, concludevo che desso apparteneva non già al trias, ma alla parte più antica del lias inferiore. Lo studio dei fossili di quel calcare, da me compiuto dopo d’ allora, ha confermato in maniera evidente il mio ordi- namento, e mi ha dimostrato come veramente esso appartenga al lias inferiore. I fossili sono stati raccolti specialmente nel Monte Rotondo in un colle fra il pisano ed il lucchese, in un calcare friabile, o più spesso entro una lumachella che ne è zeppa quanto mai. Quando il calcare che li racchiude facilmente si sbriciola e si sfarina, i fossili formati da un solido nucleo calcareo ri- mangono per bene isolati, benché talora - alquanto sfarinati e compressi ; bisogna invece staccarli a forza ed a fatica con pru- denti colpi di scalpello quando sono rinchiusi nella lumachella. Avendoli trovati spesso insieme gli uni cogli altri in moltissimi de’ frammenti che ho avuto occasione di rompere, credo non vi sia dubbio sulla loro contemporaneità. La illustrazione di questi fossili verrà da me pubblicata in breve ; ma intanto presento la nota dei medesimi, lasciando le specie non ben determinate, ed anticipo le conclusioni che se ne possono trarre. Nullipora sp. Meneghini, (aff. Evinospongice vessiculosce Stop- pani.) Ammonites nov. sp. Meneghini (A. planorbis non Sow.) (Me- neghini e Savi, Considerazioni sidìa geologia stratigrafica della Toscana.) Rissoina obliqaecostata nov. sp.^ Chemnitzia pseudotumida nov. sp., C. clava nov. sp., C. pliasianelloides nov. sp., C. procera Deslongchamps, 219 C. Meneghiniana nov. sp., Neritopsis Fasserinii nov. sp. Meneghini, N. Saviana nov. sp., Stomatia Juliana nov. sp. Meneghini, Turbo D’Anconce Meneghini (Tiirrilites, Nuovi fossili toscani, pag. 26), Fleur otomaria prmcatoria Deslongchamps, P. pisana nov. sp., F. canaìiculata nov. sp., Mytiìus dispiitabilis nov. sp.. Avicola inceqiiivalvis Sowerhy,' Fecten acutiradiatus Miinster, Gidaris fdograna Agassiz, Fentacrinus subsulcatus Miinster, F. scaìaris Groldfuss, Eugeniocrinus compressus Miinster, Montlivaidtia nov. sp, Devesi avvertire, che delle Ainjnoniti altre volte indicate dal Meneghini come esistenti nel calcare ceroide nel Monte Pisano, col nome di A. planorbis e di A. stellaris, la prima è stata ri- conosciuta dal medesimo, dopo nuovo esame, essere una specie nuova, e la seconda come non bene determinabile, trattandosi di una semplice e non chiara sezione. Come si vede, di 22 specie accennate, 14 sono nuove, e di queste una sola {Turbo, Tvirrilites, JD'Anconcé) è stata altrove descritta dal Meneghini. Queste specie nuove non si possono prestare a paragoni ; ma pur se devesi ricercare qualche analo- gia, si può notare che la Gìiemnitzia pseudotumida del Monte Kotondo, ha somiglianza, sebbene se ne possa distinguere alla prima, colla G. tumida Hòrnes, e la Nullipora rassomiglia ad una delle specie di Esino descritte dallo Stoppani: queste due sono così le uniche delle specie notate che rassomiglino ad alcuna del trias. La Fleurotomaria Fisana appartiene a tipi che incominciano nell’ infralias e nel trias, ma si distingue assai bene da ogni altra specie. Coi fossili d’ Esino non v’ ha alcuna analogia, se non nella citata specie di Nidlipora, alga incrostante che si conserva con tipi quasi inalterati, per lunghe epoche geologiche. Tro- ( ~ 220 — viamo invece otto specie già conosciute altrove, e sono le seguenti; la Pleurotomaria prcecatoria Deslongchamps, specie assai diffusa per la durata, trovandosi dall’ infralias al lias superiore, e per la estensione della sua dimora ; VAvicula incequivalvis Sowerby, ed il Pentacrinus subsulcatus Miinster, effe durano dal lias inferiore al lias medio inclusivo, e che pur si trovano in molti luoghi ; la Cidaris filograna Agassiz, del lias medio, il Pecten aciitiradiatus Miinster, il Pentacrinus scalaris Goldfuss, e V Eii- geniocrinus compressus Miinster, i quali per ora non sono citati se non nel lias inferiore. La Chemnitzia procera Deslongchamps, è una specie indicata come proveniente dall’oolite, ed io confesso di non aver potuto trovare alcuna differenza fra la medesima e la specie da me trovata ed indicata con quel nome nel Monte Pisano ; ma questa identità, o 1’ analogia di qualche specie di Chemnitsia con specie di piani disparati, non significa gran cosa, perchè si sa quanto sieno diffusi e di durata lunga nella serie dei terreni i tipi monotoni e poco svariati delle Chemnitzice ; e vi ha, per esempio, il tipo della C. princeps che dura dal trias (G. Aldrovandi Stoppani) fino all’ osfordiano." In conclusione se si dovessero trarre delle deduzioni sull’ epoca del calcare il quale racchiude i fossili ora accennati, anco senza conoscerne le precise relazioni stratigrafiche, lo si porrebbe senza incertezza nel lias ; la qual cosa è d’ altra parte, come si sa, confermata dalla stratigrafia. Considerando poi la prevalenza di specie del lias inferiore, anzi la presenza di certune che per ora non sono state trovate se non entro terreni di quest’ epoca, è naturale che desso venga riposto più particolarmente nel lias inferiore. Sic- come però in quei fossili si trova una stretta relazione coll’ epoca liassica media, mentre non si scopre alcun simile rapporto col- r infralias, mi pare che si possano porre in un piano intermedio del lias inferiore, mentre il calcare rosso sta nel piano superiore, e la parte più antica è probabilmente rappresentata da alcuni di quegli strati sottos'tanti, che per mancanza di uno studio esatto dei fossili, 0 perchè non ve ne esistono, sono lasciati nell’ infralias. Quel che preme intanto, è il vedere confermata chiaramente r epoca liassica inferiore del marmo ceroide, del quale ora si è discorso. Nel lembo più meridionale delle Alpi Apuane verso il Monte Pisano, a Vecchiano, si trova un calcare ceroide, benché — 221 — non marmoreo, simile a quello del Monterotondo e disposto an- che stratigraficamente come questo ; sebbene non vi si vedano se non semplici sezioni dei fossili, pur questi appariscano simili a quelli di sopra veduti, la qual cosa conferma V analogia. Del calcare ceroide di Campiglia, ho vedute varie specie di Chemnitziod, fra le quali la C. Nardii Meneghini {Nuovi fossili toscani p. 7), ma per verità non ho trovata alcuna di esse identica ad altra del Monte Pisano : però si hanno le Ammoniti determinate dal prof. Meneghini, le quali appartenendo al lias inferiore, indi- cano essere V epoca del calcare ceroide di Campiglia contempo- ranea a quella del calcare ceroide del Monte Pisano. Nella Cor- nata di Gerfalco, nello stesso calcare, V ingegnere” Lotti ha recentemente raccolti vari fossili, fra i quali appariscono la C. Nardii Meneghini già notata a Campiglia, e varie Ammo- niti ; e da ciò viene confermata P epoca Massica inferiore so- lita, che del rimanente si sarebbe dovuta dedurre dal trovare il detto calcare, posto come sempre, fra il calcare grigio infra- liassico ed il calcare rosso che forma la parte più recente del lias inferiore. Il marmo ceroide della Montagnola Senese, sta pure sotto ai marmi gialli e sopra ai calcari cavernosi infra- liassici ; ed il calcare ceroide del Monte di Cetona, ha la me- desima posizione stratigrafica stando alle descrizioni che ne danno gli autori. In conseguenza, se v’ ha una fede nelle leggi della geologia, questi calcari, come gli altri, debbono essere con- siderati Massici inferiori. Quanto ai marmi saccaroidi delle Alpi Apuane, della Spezia, dell’Elba, e si può aggiungere, del Monte Argentare, essi fanno parte di una serie di strati calcarei e schistosi che sot- tostanno immediatamente ai calcari infraliassici. Qualche volta i marmi vi sottostanno direttamente o quasi, senza intermezzo di strati schistosi (Carrara, Canale di Val di Castello) ; altre volte una lunga serie di questi strati rimane frapposta (monte di Strettoia e Corvaia, canali di Montignoso, di Capriglia, e delle Mulina) ; talora la serie degli strati schistosi superiori ai marmi, riposa direttamente, senza intermezzo di banchi marmorei, sopra la serie degli strati schistosi inferiori (Valle del Frigido, della Serra e del Canal delle Frane), e può essere che ciò av- venga di frequente là dove compariscono sotto all’ infralias gran- — 222 — diose masse di schisto, senza banchi marmorei (Camaiore, Monte Pisano, Jano, monti della Maremma). Quasi sempre poi, i ban- chi calcarei, dove se ne trovano, alternano più e più volte, e con varie dimensioni, negli strati schistosi (Brugiana, Strettoia, Mo- sceta. Canal delle Verghe, Stazzema). Non è a credersi, come mi sembra solito, che queste formazioni marmoreo-schistose, sieno tutte eminentemente cristalline; chè anzi strati calcarei, fossili- feri, compatti e punto cristallini, ma con apparenza di calcari ordinari, formano in grandi masse, la parte inferiore della for- mazione marmorea (Cerchia, Sagro) : e gli strati schistosi supe- riori ai marmi in talune regioni, sono semplici arenarie o grauvacche o schisti, che si riterrebbero terziari, come difatti fu- rono ritenuti in sul primo che gli scienziati si volsero a stu- diarli (canali delle Mulina, del Cardoso e delle Verghe). Altrove, codesti strati che hanno serbata quasi intatta la loro appa- renza originaria, sono ridotti a micascisti o micaquarziti (pre- grattitiche) ricche di ottrelite, (monti di Capriglia e di Ripa), in altro luogo, per una azione un poco diversa del metamorfi- smo, sono invece cloroschisti e cloroquarziti (valli del Frigido e di Montagnoso). Gli strati schistosi sottostanti ai marmi sono invece talchischisti e gneiss protoginici, di apparenza poco an- tica, perchè non hanno punto cambiata la stratificazione, sono poco cristallini, e poveri di feldispato, mentre serbano tuttora molta materia schistosa non bene alterata. Fra gli strati infra- liassici e gli strati schistosi o calcarei della formazione mar- morea, non appare discordanza di sorta, nè vi hanno caratteri speciali che possano far dubitare di una interruzione nei sedi- menti, per la qual cosa è naturale che in qualche parte si deb- bano trovare gli strati dell’ epoca triassica immediatamente an- tecedente alla infraliassica. Ora, già da qualche anno, ho disco- perto negli strati del calcare compatto sottostante ai marmi, nel Monte Cerchia come nel Monte Sagro e nel marmo della Tam- bura, dei fossili : quelli del Monte Cerchia che sono i più di- stinti ed appartengono per la massima parte a molluschi, furono esaminati già per mia preghiera dal prof. Meneghini (Cons. stra- tigrafiche ec.), il quale sebbene non ne abbia determinata la specie, è di parere che non possano essere più antichi del trias, e stando almeno all’ esame degli esemplari finora raccolti non -- 223 - si lia ragione di trarne una conclusione diversa. L’ essenziale intanto è V avere trovato negli strati più antichi della forma- zione marmorea, que’ fossili abbastanza conservati, i quali, quando sieno raccolti in buon numero, potranno farci sapere senza dub- bio r epoca tanto disputata dei marmi. E fin d’ ora, non foss’ al- tro il loro ritrovamento e V aspetto loro, escludono in modo assoluto r opinione del Gastaldi, accettata anche dal Jervis,^ che i marmi saccaroidi appartengano all’ epoca pre-paleozoica insieme colla zona delle pietre verdi. Bocce corrispondenti alla zona delle pietre verdi, e di quell’ epoca che loro attribuisce il Ga- staldi, non pare se ne trovino in Toscana, e stando almeno alle descrizioni dell’ illustre geologo, ne paiono più recenti anche le rocce cristalline centrali delle Alpi Apuane (valli del Frigido e di Serravezza), che sono le più antiche dell’ Italia centrale. Fra le regioni finora conosciute, appartenenti a quella serie mon- tuosa che il Savi denominò Catena Metallifera, o fra quelle adia- centi, mi sembra che soltanto nella Corsica si ripetano con molta somiglianza le formazioni studiate dal Gastaldi nelle Alpi Occidentali ; e si noti che la Corsica è in stretta relazione colle antiche giogaie della Toscana, mentre si trova di poco più lon- tana dall’ Elba e da Montecristo, di quello che queste isole sieno dal Giglio 0 dai monti di Campiglia e di Gavorrano che sono i lembi più prossimani appartenenti alla Catena Metallifera in terraferma. Ora, in Corsica al di sopra di graniti e di rocce che hanno perdute le traccie della stratificazione, si trovano de- gli gneiss molto cristallini, degli altri gneiss protoginici meno antichi, dei talcoschisti e delle epidositi con filoni di quarzo, al- bite, oligisto e ripidolite, e dei calcari grigi impuri molto cri- stallini in piccoli banchi continui alternanti a più riprese. Le serpentine e le dioriti alternano tra gli gneiss ed i talcoschisti superiori alle masse cri^alline centrali come sembra avvenire nelle Alpi Occidentali. Questi antichi sedimenti gneissici della Corsica hanno T apparenza più antica dei prossimi sedimenti cristallini dell’Elba, e di quelli delle Alpi Apuane, e soltanto sembra abbiano qualche rispondenza con questi, gli strati delle epidositi e dei calcari saccaroidi che sono assai sviluppati nella ‘ I tesori sotterranei dell’ Italia, parte II. Torino 1874. — 224 — estremità settentrionale dell’ isola e clie, in ogni caso, stanno al di sopra di tutte le altre rocce di colà, e sopra a quella zona che potrebbe essere detta delle pietre verdi. Ma in conclu- sione, rocce antiche corrispondenti alla zona delle pietre verdi, non si trovano allo scoperto in Toscana, e probabilmente, la loro posizione stratigrafica è un poco al di sotto degli gneiss cen- trali delle Alpi Apuane ; in ogni caso, i marmi saccaroidi, e gli schisti cristallini che li racchiudono non vi hanno punto che fare. Passiamo ad esaminare P opinione del Coquand, che per ana- logia coi calcari saccaroidi dei Pirenei, come si è detto, vuole i nostri marmi sieno carboniferi. Il semplice carattere comune fra due calcari, di essere cristallini od anche saccaroidi, in specie fra paesi distanti, non ha valore, e nel caso nostro abbiamo ra- gioni troppo parlanti per affermar ciò, perchè banchi marmorei si alternano nelle Alpi Apuane in piani distanti gli uni dagli altri ; perchè, per analogia, il Coquand fa i nostri marmi carboniferi, mentre, per la solita analogia, il Gastaldi li fa pre-paleozoici ; e perchè finalmente vedemmo il carattere dell’ analogia condurre il Coquand medesimo, e con lui altri, a confondere coi marmi delle Alpi Apuane, quelli di Cetona, di Gerfalco, di Campiglia e del Monte Pisano che appartengono chiaramente al lias infe- riore. L’ apparenza cristallina de’ calcari e di taluni schisti so- vrapposti che potrebbe farli ravvicinare a rocce di epoca più ^ antica, non ha parimente un gran valore, perchè vedemmo nella continuazione degli stessi strati, schisti che non sono affatto cri- stallini, e perchè appunto gli strati fossiliferi più antichi dei calcari marmiferi, non sono cristallini. Se l’ epoca precisa di queste rocce, quindi dei nostri marmi saccaroidi, non la pos- siamo ancora affermare con sicurezza, si deve però tener conto di tutte le circostanze le quali ci son note, e fare quelle sup- posizioni che meglio sembrino accostarsi alla verità e che sieno più consentanee alle leggi della geologia; ora la mancanza di sconcordanza e d’ interruzione colle rocce infraliassiche sovrap- poste, ed insieme P apparenza dei fossili finora studiati, ci deb- bono condurre a ritenere che que’ terreni sieno triassici, fino a che lo studio esatto delle specie fossili non ci abbia persuasi a confermare od a modificare questa opinione. Già che vi sono, mi varrò dell’occasione per rettificare alcune - 225 — idee che si hanno relativamente alla formazione de’ marmi sac- caroidi, e le quali mi paiono non ben corrispondenti alla realtà. Quando si cominciò a considerare queste rocce non più come erut- tive, ma come semplicemente metamorfiche, era comunemente ac- cettata la teorica che attribuiva la trasformazione delle rocce sedi- mentarie al contatto de’ filoni metalliferi e delle così dette rocce plutoniche: in accordo a questa teorica, il metamorfismo de’ marmi ed il loro aspetto saccaroide era attribuito all’ intervento dei filoni ferrei, non tanto a quelli che traversano la roccia stessa, quanto agli altri che compenetravano gli schisti contigui ; e questa opinione è accettata ancora oggidì senza osservazioni. Ma, nella realtà, la formazione marmorea non è attraversata da grandiosi filoni ferrei ; gli unici grandiosi filoni che traversino de’ calcari, sono quelli di Stazzema che stanno in un banco non molto cristallino diviso dalla formazione marmorea da una alta serie di roccia schistosa, e quelli del Monte Arsiccio che stanno fra i calcari infraliassici e quelli marmorei, senza per verità rendere questi ultimi più puri e più cristallini del solito. Altrove, qua e là, ma non sempre, si trovano nel marmo delle sottilissime velature di oligisto, e certo sì minuta cagione non sarebbe stata atta a produrre sì gran fenomeno ; d’ altronde i marmi sono divenuti saccaroidi anche in quelle regioni, e sono le più, dove 1’ oligisto manca del tutto negli schisti o vi è in piccole traccie; bisogna concludere quindi che la formazione dei medesimi è interamente indipendente dall’ intervento dei filoni ferrei. E notevole, che questa opinione la quale attribuiva alla comparsa de’ filoni sud- detti, la forma cristallina del marmo, coesisteva e coesiste con un’ altra maniera di spiegare il fatto stesso. Gli scrittori, chia- mano, con parola adoprata dai cavatori, madremaecMa o madre- cava, certi filari di schisti che si trovano per entro i marmi, e dicono che quella madremacchia è derivata dal concentramento de’ materiali impuri effettuatosi nella nostra calcarea, la quale, così, per lento processo chimico, si purificò e divenne cristal- lina. Questa spiegazione rimasta finora, ha la sua origine in una opinione dei cavatori, che fu riportata dal Repetti, i quali dicevano, e taluni lo dicono ancora, che il marmo si purificava tuttodì nel modo sopra accennato ; è la opinione solita, de’ mi- natori dell’ Elba i quali dicono che il ferro si riproduce ogni — 226 giorno, e dei garimpeiros del Brasile che credono il diamante si formi di nuovo via via nei depositi da loro scavati. Nella realtà, il marmo non si trova in mandorle nè in concentrazioni, ma in banchi continui, e le madrimacchie formano veri e propri stra- terelli schistosi alternanti fra i calcari, nè è vero che il marmo saccaroide sia soltanto presso le madrimacchie o che queste ma- drimacchie sieno sempre presso il marmo medesimo; bensì le troviamo indifferentemente presso tutti i calcari ; è manifesto adunque che il supposto fenomeno non esiste. Bensì, è logico pensare, che la medesima azione la quale rese cristalline le par- ticelle degli straterelli schistosi, formandone clorite, o mica, o talco, fece pure cristallini i marmi ; e dove questi erano meno puri, le materie estranee cristallizzarono entro la massa mede- sima formandovi scagliette di talco, o di mica, o di clorite, senza esserne però espulse sotto forma di concentrazioni. D’ altra parte, è troppo noto il fatto, che non tutti i calcari altamente cristal- lini 0 contigui a rocce cristalline sono puri come questi delle Alpi Apuane ; per la qual cosa, sembra doversi concludere, che, mentre furono fenomeni posteriori alla sedimentazione quelli che resero sì cristallini i calcari apuani, pure, fin dalla loro origine questi si trovavano in circostanze speciali di purezza e di can- didezza. Finirò, col parlare di que’ minerali che si trovano nella for- mazione marmorea e che gli scrittori dicono esistenti nelle ma- drimacchie, la qual cosa non è esattamente vera. Gli straterelli schistosi rinchiusi ne’ marmi, come ho detto, sono costituiti da particelle cloritiche o talcose e forse qualche volta micacee. La Phillite od Ottrelite della quale ha riportata un’ analisi il Dana, se pur. sempre trattasi di una sola sostanza, si trova non nei sottili straterelli, ma in mezzo ai banchi più alti di schisti che alternano fra i banchi marmorei (Cerchia, Altissimo, Massa) ov- vero nei mischi formati da un impasto di materia calcarea e schistosa (Cerchia, Piastraio). Lo stesso dicasi degli Anfiboli, o Actinoto 0 Wollastonite, che spesso si trovano insieme colla Ottrelite (Altissimo, Piastraio). La Zoisite si trova poi sola- mente là dove filoncelli o massarelle di quarzo, stanno a con- tatto nello stesso tempo col calcare e con materie schistose, 0 cipollini, 0 madrimacchie (Cerchia, Brugiana). Finalmente, — 227 l’Albite e la Pirite, si trovano spesso disseminate nella stessa massa calcarea o, qualche volta, insieme con la Dolomite, colla Selenite o collo Zolfo, stanno nelle spaccature e nei così detti peli del calcare, ma non hanno mai che fare colla madremacchia schistosa. III. Il terreno nummulitico nel versante orientale della Cornata di Gerfalco, per B. Lotti. ^ A complemento di quanto venne da me annunziato in una lettera all’ on. Segretario del R. Comitato Geologico d’ Italia, pubblicata nel fascicolo bimestrale maggio e giugno 1875 del BolleUino del Comitato medesimo, intorno alla scoperta di strati nummulitici presso Prata e Gerfalco in provincia di Grosseto, aggiungo ora alcune notizie illustrative, resultato di nuove os- servazioni eseguite nella seconda delle dette località. A tal uopo devo rammentare ciò che altra volta esposi in una breve nota sulla costituzione geologica dei dintorni di Boc- cheggiano e Gerfalco, (Ved. Boll, del B. Comit. geol. d' Italia, N. 7, 8, 1874) cioè che quella pittoresca montagna priva di ve- getazione che nomasi la Cornata, formata da un calcare bianco ceroide o saccaroide, costituisce una massa centrale elissoidica sui fianchi della quale stanno addossate le formazioni più gio- vani, senza aver con essa correlazione alcuna di posizione, se non in quanto che mostrano di aver partecipato insieme ad un ultimo sollevamento avvenuto senza dubbio posteriormente alla deposizione del terreno eocenico. La detta elissoide ha il suo asse maggiore diretto da KO. a S.E. ed è limitata a S.O. dal fiume Pavone che scorre parallelamente all’ asse medesimo, a N.E. dal torrente Bimaggio (Rio maggiore) il quale ha origine verso la sua estremità ÌN'.O. ove al massivo della Cornata si uni- scono per una leggera depressione e quasi ad angolo retto le alture, che costituiscono il gruppo delle Carline, e va a sboc- care all’ estremo opposto nella Cecina, collettore principale di — 228 — questo territorio nel quale più a Nord immette le sue acque an- che il Pavone. Si è appunto nel bacind tributario del Rimaggio ed in quella zona di congiunzione della Cornata colle Carline che in una nuova escursione eseguita di recente potei ritrovare la conti- nuazione del terreno nummulitico già scoperto nel versante opposto. La sua estensione ed il suo sviluppo presentasi incompa- rabilmente maggiore qui che nell’ altro fianco del monte, essen- doché occupa quasi tutta la parte superiore di quella ampia ed ubertosa vallata, denominata le Lame, coperta di vigneti e da lussureggianti selve di castagni ed offrente per ciò alla vista il più meraviglioso e spiccato contrapposto coll’ alpestre nudità del monte che le si inalza al fianco. È qui adunque ove sono da studiarsi le condizioni di giacimento del terreno in parola, per trarne quindi quelle conseguenze che dovranno poi guidarci alla classificazione di terreni analoghi ma privi di questo prezioso orizzonte. Nella precedente relazione facevo notale come i banchi del calcare nummulitico tanto qui come a Prata sottostassero ad una serie di strati d’ un’ arenaria silicea ed avessero per letto certi schisti di colori svariati e racchiudenti gran copia di fucoidi. La estremamente piccola estensione di questo terreno presso Prata ed il suo immediato addossamento al masso calcareo della Cor- nata presso Gerfalco, mi impedirono di stabilire con certezza la formazione che vi faceva seguito nella serie discendente, ciò che è appunto quanto di più chiaro può vedersi nell’ altro lato della Cornata. Ecco pertanto la sezione che quivi si presenta dall’ alto in basso : V Strati di arenarie micacee con schisti argillosi alter- nanti con un calcare marnoso schistoso grigio. 2^’ Banchi di calcare nummulitico dello spessore di circa 50 cent, in perfetta concordanza cogli strati superiori ed alter- nanti con schisti verdastri o violetti con numerose fucoidi. 3° Nuovi strati di arenaria non dissimile dalla superiore e concordante coi banchi nummulitici. 4" Schisti variegati del lias superiore con strati d’ ossido di manganese e discordanti coi terreni superiori. Questa successione di rocce può osservarsi distintamente di- — 229 - scendendo dalla parte più elevata delle Lame, ove trovansi le formazioni più recenti, fin giù nei profondi burroni scavati dal torrente negli scbisti liassici. Le arenarie ed i calcari schistosi superiori al nummulitico hanno una potenza piccola relativa- mente alla massa delle arenarie inferiori che costituiscono quasi per intiero il gruppo delle Carline. I banchi nummulitici insieme agli schisti a fucoidi coi quali alternano, raggiungono una po- tenza non comune a tali giacimenti, potendo ascendere comples- sivamente a più di 50 metri. Insieme al calcare o conglomerato con nummuliti vi è qui pure un calcare semi-cristallino gialla- stro con 0 senza selce secondochè è in banchi grossi qualche piede 0 in sottili lastre di forse 2 cent, di spessore, le cui su- perfici coperte da un intonaco argilloso sono improntate da in- numerevoli corpi di origine organica non ben distinti, ma rife- ribili piuttosto a vegetali che ad animali. La roccia nummulitifera consta o di un conglomerato a fram- menti più 0 meno grossi o di un calcare di struttura affatto caratteristica e propria esclusivamente ai calcari a nummuliti, forse perchè dovuta alla presenza stessa di quegli innumerevoli e minuti organismi. Alcuni banchi son formati da un calcare granulare psammitico analogo alla pietra forte e in questo caso non contengono nummuliti : anzi talora uno stesso banco è for- mato in parte da calcare nummulitico e in parte da calcare psammitico, e le due parti sono nettamente fra loro separate e distinte da un piano parallelo a quello di stratificazione. Le specie che prevalgono in questa roccia e delle quali io debbo la determinazione al professor Meneghini, sono la Num- molites striata D’ Orb. e la N. Bamondi Dfr., inoltre vi sono contenuti altri generi di foraminifere, come Alveolina, Opercu- lina, non che articoli di Crinoidi. Gli schisti intercalati ai banchi calcarei prevalgono talvolta su questi in guisa da simulare una formazione diversa sottopo- sta alla nummulitica, e fu appunto per una tale apparenza che, negli altri punti da me osservati, ove questo terreno aveva uno sviluppo incomparabilmente minore e dove non venivano a giorno i terreni immediatamente sottoposti, fui indotto a giudicare esser la formazione nummulitica racchiusa superiormente da arenarie ed inferiormente da una serie di schisti. 230 - Nella località in discorso, al terreno niimmulitico costituito dai banchi calcarei e dagli schisti a fucoidi, fa seguito, come abbiam detto, in serie discendente una potente massa di arenarie micacee a cemento calcareo, le quali predominano in tutto il gruppo delle Car- line. La loro struttura varia in diversi punti del deposito sia per la grossezza degli elementi, sia per la maggiore o minore quantità di mica che vi è contenuta : ove questa prevale sugli altri com- ponenti la roccia acquista una scistosità più o meno pronun- ziata. Talvolta, e non raramente, vedonsi inclusi nella massa arenacea grossi ciottoli elissoidali di uno scisto argilloso nero di cui per ora non ho potuto rinvenire la sede in questi din- torni, e che sembra quel medesimo che osservasi pure nel con- glomerato nummulitico, sebbene vi comparisca in più minuti frammenti. La colorazione di queste arenarie alla superfìcie e lino ad una certa profondità ove giunse la decomposizione, è d’ un giallo sudicio, ma ove la roccia si conserva inalterata è di un grigio di piombo ; in quelle zone poi ove divien schistosa acquista una tinta più fosca. Nè intercalate a queste arenarie, nè sotto di esse potei rinvenire fìno al presente strati calcarei che potessero avere analogia coi superiori alberesi o nummuli- tici e tutta la serie si adagia sugli schisti varicolori del lias superiore. Sembra adunque esistere qui pure, come in altre località to- scane, una interruzione o, come suol dirsi in geologia, un hiatus fra la parte superiore del lias e i depositi che immediatamente precedettero la formazione nummulitica. Dalle esposte considerazioni io credo che fìn d’ ora se ne possa trarre la conseguenza, almeno per il territorio di Gerfalco, non che per quelli limitrofì di Montieri e di Prata, che il ter- reno nummulitico rappresenta il deposito calcareo più profondo in quella estesa serie di rocce tanto comuni, conosciute col nome di alberesi, galestri, calcari schistosi ec., che perciò devono es- sere complessivamente compresi nel periodo eocenico. I primi strati calcarei che compariscono sotto il nummulitico, col quale però non hanno alcuna dipendenza, sono costituiti da calcari grigio-chiari con piromaca, la cui età vien riferita al lias medio e che stanno sopra ed intimamente connessi al rosso ammoni- tico. In quanto alle arenarie inferiori al nummulitico debbonsi certamente riferire all’ epoca secondaria e più specialmente al periodo cretaceo, ma non contenendo fossili può cadere il, dub- bio se siano da parallelizzarsi per intiero al piano superiore di questo periodo cioè alla creta bianca, oppure se possano essere repartite nei diversi piani di esso. La direzione degli strati che qui corre da N.O. a S.E,, è alquanto diversa da quella dei corrispondenti nell’ altro versante, ma questa anomalia non deve sorprendere in una località che fu ripetutamente oggetto di energici movimenti del suolo e dove le condizioni di giacimento dei terreni più antichi sottoposti, e che hanno servito loro di base, sono affatto diverse. Massa Marittima, 25 agosto 1875. IV. Brevi note sulle Salse modenesi, per Francesco Coppi. Al § 735, pag. 396, voi. I, dell’importante opera: Corso di Geologia del professor A. Stoppani, si legge : I fiancìii dei coni non erano più ingrumati di fango, bensì sparsi di bianca cenere. Questa ultima parola formò nella menté mia un’ impres- sione troppo forte, perchè in venticinque anni, che già trascorro le terre del Modenese, non mi era mai occorso di osservare simile fenomeno, e tosto ritenni tale espressione od errore tipo- grafico, 0 adoperata in senso diverso da quello del proprio significato ossia forse per polvere e non cenere. Tuttavia T impor- tanza del trattato, in cui si trova, che deve servire di guida agli studiosi ; 1’ autorità somma dalla quale venne emessa ; e r argomento diretto ne’ fenomeni delle terre modenesi, le quali ho sempre cercato d’ illustrare, per quanto lo comportano le bene limitate mie cognizioni : tutte siffatte ragioni mi eccitarono a dettare queste brevi note sulle Salse modenesi più volgarmente note anche col nome di Bombi. Il giorno 28 luglio del corrente anno mi portai immantinente alla Salsa di Nirano per di nuovo osservare se io fossi mai stato in — 232 — equivoco, invece dell’ illustre professor Stoppali! ; ma trovai ricon- fermate le mie vecchie osservazioni, che cioè i coni fangosi in, tempo di estate, o meglio di siccità, perchè ciò succede anche in altre stagioni, quando appunto non siano piovose, erano rico- perti non di una cenere, ma sibbene di un’ efflorescenza poìve- rulosa salina Manca. Fenomeno questo che si avvera non solo per la Salsa di Nirano, ma per le altre tutte che vanno fornite di crateri o coni fangosi di eruzione, quali sono a me note qui nel modenese quelle di Puianello e di Ospidaletto. Per avere poi certezza del medesimo non occorre di portarsi sul luogo in tempo di siccità, ma basta raccogliere quel fango anche bagnato e conservarlo in luogo secco, che tosto si copre di detta efflo- rescenza, come io ho osservato nei campioni geognostici, che conservo nella piccola mia collezione, alcuni de’ quali furono da me presi nella Salsa di Nirano istessa dopo il forte tremoto del 1873, periodo in cui detta Salsa mostrò un’attività mag- giore in confronto di tutte le altre del Modenese, come ebbi occa- sione di rispondere al professore M, S. De Possi, che mi avea domandato notizia di tali fenomeni, e di che ne fece cenno nel suo Bullettino del Vulcanismo Italiano, Anno I. Se il chiarissimo Stoppali! avesse toccato semplicemente colla lingua un pezzo di fango asperso della polvere bianca, ne avrebbe tosto sentito l’ intenso sapore salato, dovuto senza dubbio in massima parte, almeno, al cloruro sodico ed allora non avrebbe forse adoperato la parola cenere. Il fatto altresì che gli animali ruminanti, specialmente ovini, sono avidi di lambire o mangiare tale fango, come tutte le marne turchine plioceniche che offrono, ma in minor grado, lo stesso fenomeno, è dovuto alla salsedine del medesimo fango ; non sarebbero al certo sì avidi se fosse cenere invece di sale. Per fino al villico custode della greggia è nota la ragione di questo fenomeno, e deve stare in guardia, onde la greggia non mangi molta terra, che le reca la malattia del marciume. Dietro la testimonianza del Bianconi riferisce lo stesso Stop- pani che il fango delle salse si trova diversamente colorato. Altra particolarità che non si osserva in queste del Modenese ossia di Nirano, Puianello ed Ospidaletto, nelle quali tutte il fango è di un colore turchino intenso, quando sia bagnato e di recente — 233 - emesso dalla salsa, ed acquista un colore biancastro o cenero- gnolo quando sia secco. Dal colore e dal presentare la stessa efflorescenza si direbbe che il fango delle salse sia identico alle marne turchine plio- ceniche. Questo però è messo in dubbio dalla esistenza del fatto che le due salse di Puianello ed Ospidaletto fornite di cono fan- goso, analogo a quella di Nirano, hanno i loro crateri comple- tamente fra le argille scagliose, fuori affatto dalla regione delle marne turchine, il cui ultimo limite delle testate è a qualche chilometro di distanza dal luogo delle salse istesse. Per cui è forse meglio ritenere che tale fango provenga da una decom- posizione delle argille scagliose, abbenchè queste non abbiano un tale colore almeno alla superficie. A siffatto ultimo supposto sem- brerebbe opporsi altro fenomeno presentato dalla Salsa di Mon- tegibio detta anche di Sassuolo, la quale ha pur sede fra le argille scagliose, ma non ha cono di fango. Lo Stoppani dà ragione di ciò col supporre che ivi non vi siano elementi solu- bili attivatori della salsa medesima, ed infatti le argille di Mon- tegibio ove si trova la salsa, appartengono alla categoria delle lapidee o sassose, mentre quelle di Puianello e di Ospidaletto spettano più alle terrose che alle lapidee, ed almeno sono più miste ; come lo indicano eziandio i coni di eruzione di queste ultime due che sono sibbene in massima parte di fango, ma pure hanno eziandio qualche elemento sassoso. Per conseguenza ne inferisco che il fango eruttato dalla Salsa di Nirano non sia pure dovuto alle marne turchine nel centro delle quali essa esiste. Una diretta osservazione panni venire in conferma di questa mia congettura. Tutte le marne turchine, che cingono P alta vallea ove si trovano i crateri di eruzione, (come si può vedere dalla fig. 81, data dallo Stoppani pag. 393, voi. I, che è abbastanza buona quando si suppongano, mi pare, tutti quei crateri posti in basso, trasportati più in alto alla sinistra e precisamente in quell’ area quasi triangolare, che lascia P incontro di quei due rigagnoli tracciati nella stessa figura) contengono, benché in scarso numero fossili* marini, e nel fango eruttato dai crateri non ne ho potuto scorgere traccia; cosa^che non potrebbe, mi pare, accadere se detto fango appartenesse alle stesse marne turchine. In questa occorrenza lungo il pendio orientale del colle 16 — 234 ebbi V accidentalità di trovare una conchiglia di acqua dolce, forse di specie nuova, che su le prime avevo riferita al lAmneus stagnalis, Linn., ma il confronto diretto di esso fossile con gli attuali viventi nei contorni di Modena, mi ha convinto essere una specie diversa intermedia per le forme e le dimensioni alla accennata specie ed al L. palustris. Non so se debba riputarsi contemporaneo degli altri fossili delle marne turchine plioceniche, od abbia vissuto piuttosto in epoca posteriore negli stagni della vallea istessa, ove però al certo oggi non più vive. La Salsa di Nirano, come egregiamente dice lo Stoppani, è la più bella e la più grandiosa, perchè oltre il regolare infos- samento della vallea, cosa però che si osserva anche in tutte le altre, ma in minor grado, contiene in questa dieci o dodici cra- teri principali di eruzione, ciascuno de’ quali non ha meno di tre 0 quattro aperture, che in complesso si possono valutare oltre una quarantina circa, perchè variano assai da periodo in periodo. Le altre due salse non hanno che tre o quattro crateri e con poche bocche. Queste aperture in generale hanno piccole dimen- sioni cioè da 0,“ 10 a 0,“ 30 di diametro. La maggiore è la più orientale in quella di Nirano, che misura più di 3,“ 00 di dia- metro ossia 12,“ 00 di circonferenza come indica lo Stoppani ; ed un’ altra è la più meridionale nella stessa salsa, che ha 1,“ 00 circa di diametro. Si nota poi costantemente che quanto più è larga la bocca tanto meno riesce elevato il cono di eruzione. Di questi il maggiore è il più nordico in detta salsa, il quale si avvicina a 5,“ 00 di altezza con una base di circa 50,“ 00 e con apertura di pochi centimetri. La ragione di tale fenomeno panni averla osservata nella emissione del gaz, alla quale è dovuta la sortita del fango e non all’efflusso dell’acqua, perchè quando questo vi sia, sorte dai declivi maggiori dell’ apice del cratere e discende lungo il medesimo per portarsi nelle parti più basse, senza rendere aumento considerevole al cono istesso ; mentre la emissione del gaz nei crateri ad apertura ristretta, ad ogni scop- pio della bolla gazosa fa uscire un’ ondata di fango che a modo di anello investe 1’ apice del cratere e nel* medesimo si arresta più 0 meno distante secondo la quantità dell’ ondata e secondo r intervallo minore o maggiore che succede tra l’ una e 1’ altra successiva ondata, ed è questa che porta 1’ aumento in altezza - 235 — del cono. Ciò potei di fatto verificare, perchè avendo ristretta r apertura di un cono, nel quale non si avea più emissione di fango, per ottenerne il fenomeno indicato dallo Stoppani della continuata accensione del gaz, che lo ebbi soltanto ad intervalli e non continuo, mi accadde V altro fenomeno ora predetto che ad ogni scoppio di bolla gazosa ne sortiva un’ ondata di fango. Ora nei crateri a larga bocca, ove in via ordinaria il gaz gor- goglia nelle parti più centrali, 1’ ondata di fango che esso genera non può portarsi con forza fino alla periferia da poter salire i limiti imposti dal cratere istesso. Il terreno che forma la cinta principale della Salsa di Nirano non è a giudicarsi così maledetto come dice lo Stoppani, perchè è anzi ovunque coltivato, e somministra discreti raccolti, come io stesso ho più volte veduto ; ma può ben dirsi tale quello della Salsa di Montegibio, che si presenta in qualsiasi epoca assai arido e nudo terreno. Le salse poi di Puianello e di Ospidaletto anche per questo rapporto sono intermedie alle due preaccennate. Vuoisi eziandio notare che i crateri di eruzione occupano in generale la parte o le parti più elevate della vallea ; così ser- vendoci della tipica di Nirano, la cui vallea è naturalmente divisa in tre culmini, i crateri si trovano nei punti più elevati dei due maggiori. Da tale fenomeno panni potersi inferire, non solo come asserisce lo Stoppani che la formazione del fango non è super- ficiale, sibbene profonda, ma ancora che non è d’ immediata sot- toposizione al cratere medesimo. Perchè se fosse vero P opposto che la formazione del fango fosse superficiale ed immediatamente sottoposta al cratere, coll’ aumento della cavità interna, che dovrebbe generare la continuata emissione del fango e coll’ au- mento del cratere, e quindi di pressione all’ esterno, ne dovrebbe nascere 1’ occlusione di quella in causa di questa e per conse- guenza una depressione nel cratere anziché un sollevamento conie ho soprannotato verificarsi. Per cui la formazione del fango non è limitata al cratere di eruzione, ma estesa all’ intiera vallea della salsa, la quale di conseguenza deve andare successivamente abbassandosi, abbenchè non apparisca in breve termine, ma solo col lungo decorso degli anni. Se imperlante nel continuato pe- riodo di oltre 18 secoli, dall’ epoca pliniana al giorno d’ oggi, la vallea della Salsa di Nirano dovrà essersi abbassata in modo — 236 forse più sensibile di quello che noi possiamo attualmente giu- dicare ; e se questa alla base presenta realmente due colli che si possono chiamare incozzati fra di loro, come dice Plinio nella sua Istoria Maturale, ove pur si trovano avanzi del periodo ro- mano ; e se questa è la maggiore di tutte del Modenese per estensione e potenza : perchè non si potrà forse supporre che la narrazione pliniana sia più riferibile a questa salsa che a quella di Montegibio o Sassuolo assai più limitata, e dove V accozza- mento dei due monti attualmente almeno non si osserva ? Non potendomi persuadere che la Salsa di Montegibio possa essere stata causa di sì portentosi fenomeni, essendo presentemente ridotta a semplice polla d’ acqua, che gorgoglia pel gaz svol- gentesi, e che trovasi infossata in un’ area elittica, unica mani- festazione di sua attività maggiore in altri tempi ; che non è però mai da paragonarsi colla estesa vallea di quella di Nirano. Questa dovea 18 secoli fa essere più elevata, e quindi forse me- glio visibile a Modena che quella di Montegibio istesso. Come salsa od assai vicina alla salsa deve essere annoverata anche la polla d’ acqua salata detta della Guana in San Venan- zio alla sinistra del torrente Tiepido/ Questa polla ha il diametro di 3,'“ 00 ed 1,“ 00 circa di profondità, scola continuamente con piccolo flusso in un rigagnolo che a pòchi metri di distanza mette nel predetto torrente. L’ acqua è salsa, ed è notevole perchè con- tiene cloruro di sodio quasi senza traccia di solfato di calce come mi facea osservare con sommaria analisi l’ illustre professore Gri- melli in confronto di quella di mare. E semitrasparente; veduta in massa apparisce di un colore verdastro spiacevole, pure serve ai villici abitatori per cuocere le loro vivande diluendola alquanto con acqua potabile per diminuirne la salsedine in conformità dei gusti. Quelli del Colle di Gaiano ne fanno uso giornaliero. Emette a brevi intervalli una certa quantità di gaz inflammabile, che mi pare più difficile ad accendersi che quello delle altre salse, e detuoni più fortemente. La difficoltà di accendersi può anche dipendere dalla minore stabilità che hanno le bolle gazose che appena for- matesi si rompono, è ciò senza dubbio cagionato dalla minore densità di questa acqua in confronto della pantanosa delle salse, ^ Nel Bollettino del 1872, anno III, pag. 144, fu stampato per errore Tupido in luogo di Tiepido. ove le bolle hanno maggior durata, e prendono anche maggiori dimensioni. Nell’ avvicinare il corpo acceso, V intermittenza del gaz si fa maggiore. In questo anno vi ho trovato vivere prosperosamente una Bana esculenta L., alcune grosse larve di animale ora sconosciuto e molte del Gulex pipiens L. Di vegetali non vi ho scorto che VArundo phragmites^ e poca alga nuotante alla superficie. Il terreno in cui si trova è marno-ghiaioso, avanzo di allu- vione del letto del torrente istesso Tiepido che un tempo dovette occupare anche tale luogo ; è poi sovrastante alla zona delle marne turchine. Tutta la superficie della fossa è coperta di un leggierissimo strato di fango analogo a quello delle salse, ed è forse questo che toglie la limpidezza all’ acqua medesima. Al S.O. in distanza di 4,“ 50 vi ha una sorgente di acqua dolce 0 potabile il cui livello rimane circa 0,“ 50 più basso della salata, ed ambedue fluiscono nel medesimo rigagnolo che sbocca ad Est nel torrente Tiepido. Do termine a queste brevi mie note, forse non del tutto inu- tili per gli equivoci occorsi su tale argomento. V. Sulla Bélazione di un viaggio geologico in Italia. Nota di Th. Fuchs. Nel numero 3 e 4 del Bullettino del Gomitato geologico pel corrente anno, il prof. Seguenza ha per una seconda volta sotto- posto ad esame critico la mia piccola pubblicazione apparsa nel- r anno 1872 ^ intorno alla formazione terziaria di Gerace e di Messina, e non solamente quivi mi ha fatto rimprovero di una osservazione inesatta e superficiale, ma, se io lo capisco bene, anche direttamente di false indicazioni, su di che io mi vedo obbligato a rispondere in proposito qualche riga. * Geologische Studien in den Tertiàrbildungen Sùditaliens. (Sits.-ber. Akad. Wien 1872.) — 238 — Sorvolando sui punti di minore importanza, io mi rivolgo im- mediatamente al punto principale, cioè alle marne bianche. Il prof. Seguenza mi fa il rimprovero di avere considerate della stessa età tutte quante le marne bianche plioceniche di Messina e di Gerace, mentre pur facile sarebbe il persuadersi che nelle due località si trovano marne bianche di due qualità, le quali per 1’ età sono al tutto differenti e per di più sono fra loro separate per mezzo di grandi discordanze. Io non sono al momento nel caso di giudicare se questa as- serzione corrisponda alla realtà della cosa ; giacche disgraziata- mente mi è impossibile dalle pubblicazioni del prof. Seguenza di formarmi un chiaro concetto sopra lo stato delle cose, come inutilmente io cerco di trovare nelle numerose sezioni stratigra- fiche da lui date, quella discordanza dentro la serie degli strati pliocenici, la quale, secondo la sua asserzione, sarebbe un’ ap- parenza generale. In ogni modo adesso è già abbastanza evidente che, se la mia opinione d’ allora fosse veramente stata falsa, che il prof. Seguenza è rimasto per lunghi nove anni precisamente nello stesso errore ; giacche appunto queste marne bianche for- mano pur troppo la parte costitutiva essenziale del suo Ter- reno Zancleano, il quale egli, dopo sei anni di studi, ha esposto nell’ anno 1868,’ e intorno al quale egli era sempre compieta- mente dello stesso parere, quando nell’anno 1871 io ho avuto r onore di parlare con lui sopra questo soggetto. Se il prof. Seguenza di recente ha completamente rinunziato al suo Terreno Zancleano, al quale egli dava una volta una così grande importanza, e nel quale egli trasportò strati enumerati in più divisioni, così allora è chiaro che recentemente egli non abbia solo modificate le sue vedute di prima, ma per di più che le abbia completamente cambiate ; così bene come è egualmente evidente che a me era impossibile poter conoscere già nel- r anno 1871 le opinioni del prof. Seguenza, le quali egli stesso allora non aveva peranco formulate, e che pubblicò solo due anni dopo. Per ciò che concerne specialmente le marne bianche di Ge- race, io non posso che ripetere nuovamente quello stesso che ho * Bulletin Soc. géol. France. ~ 239 — già dichiarato una volta, cioè che nella località da me esplo- rata non si hanno nè marne bianche di due qualità, nè in ge- nerale alcuna vera discordanza dentro gli strati pliocenici, e che questo piuttosto che rassomigliare ad una discordanza non è altro che uno sconvolgimento. Per mia maggior sorpresa il prof. Se- guenza però asserisce inoltre che i fossili da me indicati fuori dalla marna bianca di Gerace non derivano da questa, ma bensì da una marna più alta la quale riposerebbe sopra tutti gli strati che io ho descritto e figurato per Gerace. (Pag. 93 : « egli ha » dato un elenco di fossili raccolti presso Gerace, che spettano » tutti alla zona superiore, provengono perciò da un lembo di )) marne soprastante a tutta la serie pliocenica rappresentata » nelle pittoresche vedute e sezioni che il signor Fuchs annette al )) suo lavoro. » (Pag. 96): a Dappoiché, come di sopra ho detto, » quelle conchiglie furono raccolte in marne, che sono posteriori » non solo alle marne della sezione, ma ben anco alle idtime » sabbie. » Io veramente non so ciò che ha condotto il prof. Seguenza a questa erronea opinione, dopoché nella tavola VI, fig. I del mio lavoro è precisamente indicato il punto del quale * derivano i fossili indicati, e dopoché nel testo è espressamente detto : « Nelle posizioni superiori è posta una piccola fornace da mat- toni, nella quale si trovano fossili in sufficiente abbondanza. Il deposito principale di questi si trova però un poco al di sotto della fornace, circa nel terzo superiore delle marne. La parte sottostante è completamente priva di fossili. » Da questa esposizione si mostra pur chiaramente che i fos- sili da me indicati tuttavia derivano dalle marne bianche dimo- strate nel disegno, e precisamente da quelle tali marne, che ri- posano sotto alle sabbie ; ed io non dubito in nessun modo che il persuadersi dell’ esattezza di questo fatto riuscirà molto fa- cile al signor prof. Seguenza in una visita a Gerace. Per quanto riguarda il calcare concrezionato, del quale il prof. Seguenza dice che presenta delle masse irregolari e con- crezionale, che si possono comparare nel miglior modo con tron- chi di gesso irregolari, io devo riconoscere che questa compara- ‘ È il punto superiormente a destra, pel quale è detto: «Fornace, fossili dello Zancleano. )) 240 — zione bene si adatta principalmente a quelle masse irregolari di calcare che io ho trovate presso Castellina Marittima rinchiuse nelle sabbie serpentinose mioceniche, ma niente affatto a quel calcare concresionato, eh’ io ho avuto occasione di osservare presso Messina e Gerace. Questo calcare apparisce piuttosto to- talmente nella forma di scogli, ai quali le formazioni plioceni- che si collegano completamente discordanti. Per conclusione ancora uno schiarimento. Quando nell’anno 1871 io andai in Sicilia ed in Calabria, r unico motivo del mio viaggio fu di mettere in chiaro se il Terreno Zancleano avesse veramente o no il diritto di essere considerato come un nuovo e indipendente piano terziario, il quale collegasse il miocene ed il pliocene come il prof. Seguenza V asseriva. E noto che io ho creduto di dover accettare come re- sultato delle mie esplorazioni che quest’ultimo caso fosse il vero, che cioè, gli strati attribuiti al Terreno Zancleano non avessero niente che fare col miocene, ma che fossero invece veri strati pliocenici, i quali dovessero la loro singolarità solo alla circo- stanza di essere formazioni di mare profondo, mentre gli altri sedimenti pliocenici erano per la maggior parte depositati in minore profondità. Questo è r unico resultato del mio lavoro al quale io attri- buisco qualche importanza ; e siccome il prof. Seguenza, per quanto io conosco, nel corso ulteriore dei suoi studi è arrivato nella sostanza allo stesso modo di vedere, così io ho bene tutta la ragione di tenermi contento di questo. Bologna, 14 luglio 1875. Per la traduzione dell’ originale tedesco trasmesso dall’ autore A. Manzoni. Th. Fuchs. — 241 VI. Calcare a AmpMstegina, strati a Congeria e calcare di Leitha dei Monti Livornesi, nuove ricerche del professor G. Capellini.' Negli ultimi giorni dello scorso marzo essendomi recato nei Monti Livornesi per continuare le ricerche annunziate a questa Accademia delle Scienze nella seduta 19 novembre 1874,^ mi affretto oggi ad accennare i resultamene di quella rapida ma fortunata escursione. Intendendo di coordinare le nuove ricerche con quanto ho già riferito nella Nota precedente, ricorderò anzitutto che per le nuove osservazioni fatte presso P Acquabuona e a Paltratico ho potuto accertarmi che nei Monti Livornesi, come in quelli della Castellina, il calcare di Leitha con tutte le sue varietà riposa talvolta direttamente sul calcare alberese o sulle rocce ofiolitiche, ma più spesso passa inferiormente a molasse e con- glomerati ofiolitici 0 calcareo-ofiolitici. Anche nei conglomerati di Paltratico si trovano i tronchi di legni silicizzati che altra volta ho citato, parlando dei conglo- merati della valle della Sterza e della valle del Marmolajo. Il giacimento di questi legni fossili ed il modo col quale sono messi allo scoperto per opera della denudazione, ricorda ciò che avviene al Cairo pei legni silicizzati (gen. Nicolia) delle arenarie mioceniche ; con le belle sezioni che ho fatto eseguire a Vienna spero che in seguito riescirò a determinare il genere di coni- fera al quale per la maggior parte si riferiscono. Nelle arenarie calcareo-ofiolitiche con le quali terminano supe- riormente i conglomerati già si incontrano i fossili che diven- tano abbondanti, e talvolta si presentano perfettamente conser- ‘ Dal Beiidìconto dell’ Accademia delle Scienze di Bologna. — Seduta del giorno 8 aprile 1875. ^ Vedi G. Capellini. Strati a Congeria, formazione oeninghiana e piano del calcare di Leitha nei Monti Livornesi. {Bollettino del B. Comitato Geolo- gico^ 1875, n. 1 e 2, pag. 49). — 242 — vati, nella melassa di Paltratico e del Gabbro e nel calcare di Castelnuovo, Rosignano, Acquabuona, San Giovanni, S. al Pog- gio ed altre località nei Monti Livornesi e della Castellina. A questo proposito dirò che a Paltratico e presso Castel- nuovo ho raccolto esemplari di Forites ed alcuni coralli vera- mente eccezionali per lo sviluppo e per la perfetta conservazione, come farò conoscere a suo tempo. Quanto ai molluschi raccolti nella melassa di Paltratico e nel calcare di Castelnuovo, essendo conservati in modo da poterne facilmente riconoscere le specie, mi hanno posto in grado di conguagliare col calcare di Leitha non solo le molasse e i cal- cari stessi, ma eziandio le panchine di San Quirico, San Dal- mazio, Badie Nuove ed altre località ove la così detta panchina rappresenta una delle tante forme litologiche del calcare di Leitha.^ Anche sotto questo punto di vista sono molto istruttivi i passaggi che questa roccia presenta, e che si possono riscon- trare nelle cave presso Castelnuovo e presso P Acquabuona, ove fra le varie forme litologiche ho trovato un importante strato a Bissoa di cui già avevo scoperto un primo saggio al Buchic- chio presso le cave di Castellina Marittima. Gli studii intrapresi sulle piante fossili raccolte al Gabbro, a Paltratico e a Castelnuovo, non solo mi hanno già condotto a distinguere la flora fossile del Gabbro da quella di Cerretello, come Mondaino deve essere distinto da Sinigallia ; ma ho potuto altresì accertarmi dei rapporti intimi fra la flora fossile del Gab- bro e quella del celebre tripoli di Bilin in Boemia e segnata- mente di Kutschling, come dimostrerò a suo tempo col lavoro annunziato nella Nota sopra ricordata. ‘ Fra i fossili di Paltratico ho già potuto riconoscere i seguenti: Fusus Valenciennesi, Grat. ; Buccinum miocenicum, Mich.; B. semistriatum, Br.'; B. Bosthorni, Partsch ; Natica helicina, Chenopus pes-pelecani, Ph.; Tur- vitella turris, Bast. ; Corhula gibha, OV\\ì\ C. Basteroti,B^ÒYn.\ Venus plicata, Gm.: V. multilamella, Lk. ; V. inlandicoides , Lk. ; V. Dujardini, Hòrn.; Ta- pes gregaria, Part. ; Dosinia exoleta, L. ; Lueina horealis, L. ; L. inerassata, Dub.; L. transversa, Bronn; Cardium turonicum, Mayer; C. paucicostatum, Sow. ; Arca turonica, Duj.; A. Breislaki, Bast.; A. diluvii, Lk. ; Nucula nu- cleus, L. ; Leda pella, L.; Modiola Broccliii, May.; Ostrea digitalina, BiyAwn.] 0. lamellosa, Br.; 0. cochlear, Poli; 0., sp.; Pecten aduncus,'E\c\v\N.', P. sub- striatus, d’Orb.; Serpula sp. ; Cellepora sp.; Membranipora anguiosa, Reuss; Lepralia ansata, Svan. ; Porites sp.; Hemiaster? ; Psamniechinus monilis, Desm. — 243 I gessi, tanto sviluppati nella valle del Marmolajo, si riscon- trano in masse amigdaloidi assai distanti le une dalle altre nel versante orientale dei Monti Livornesi, sulla destra del Salvo- lano e della Fine (p. e. sotto Castelnuovo) e appaiono anche nel versante occidentale, e si presentano nei dintorni della Puzzo- lente e di Limone^presso Livorno sempre accompagnati dalle marne con Lebias crassicaudus e larve di Libellula. Al Casino che sta fra Lodolaja e Pane e Vino, gli strati a Congeria, altra volta riscontrati nelle due ultime località, non solo si presentano sviluppatissimi, ma offrono un interesse affatto eccezionale 5 ivi, infatti, i molluschi fossili conservano il guscio appena calcinato, epperò dei piccoli cardii si possono studiare agevolmente non solo gli ornamenti del guscio, ma eziandio il cardine che offre caratteristiche tanto importanti. Oltre i cardii ho raccolto bellissimi esemplari di una Mela- nopsis del tipo della M. Martiniana, Neritine, Littorinelle, Con- geria simplex. Questa bella conservazione dei fossili è da attri- buirsi alla natura litologica degli strati di sabbie marnose compatte le quali ricordano un poco quelle decisamente plioce- niche, e che fanno seguito in serie ascendente. Essendomi recato a Livorno per studiare di bel nuovo i gessi della Puzzolente e di Limone e ricercare se anche in quella parte dei Monti Livornesi si continuavano gli strati a Congeria, ho trovato al loro posto uno strato con fossili di acqua dolce, fra i quali prevalgono le Melanie del tipo della Melania Leto- cliae, Melanopsis del tipo della M. Martiniana, Neritine e Lit- torinelle. La roccia marnosa che contiene questi fossili è pure ricca di concrezioni limonitiche e di cristalli di selenite che carat- terizzano gli strati a Congeria, e vi si notano impronte di Chara. Benché manchino i piccoli Cardii e le Congerie, questo strato per la sua posizione e pei suoi fossili è da ritenersi come rap- presentante locale dei veri, strati a Congeria, e soltanto si ha altresì la prova che dai depositi di acqua dolce del miocene superiore ivi si passa alla formazione marina pliocenica senza intermezzo di depositi di acqua salmastra. Negli strati sovrapposti alla formazione di acqua dolce, giova notare che, fra i pochi esemplari, ho trovato due bellissime Superiormente seguitano le argille turchine plioceniche coi — 244 — soliti fossili caratteristici, assai bene esposte presso il Purgatorio del Condotto, verso il Podere della Ghiaccia e a Suese, e che si continuano sotto formazioni più recenti nella pianura livornese. Sono queste stesse argille che, grandemente sviluppate nel versante orientale dei Monti Livornesi, occupano così gran parte della valle del Salvolano e della Fine, e sono tagliate dalla strada ferrata maremmana. Presso la stazione di Orciano le argille abbondano di fossili e fra le specie più caratteristiche ho raccolto anche la celebre PeccJiiolia argentea; e finalmente al disopra di esse, alla Casa Nuova ossia villa del cavalier Perugia, poco distante dalla indi- cata stazione e presso la strada che va al paese di Orciano, ho trovato il celebre calcare a Amphistegina, o pietra lenticolare di Parlascio, che costituisce un banco lungo circa trenta metri, alto sette a otto metri e composto di strati che inclinano verso la valle della Fine. Questo banco per la sua posizione sul dorso di una collina interamente costituita da argille turchine plioce- niche, qui più chiaramente che altrove nella provincia di Pisa, mostra che questa roccia è pliocenica, ed occupa il posto delle sabbie gialle superiori. Noterò per incidenza che fino dal 1873 ho trovato il calcare a Amphistegina a Boccacciano presso Sar- teano nei monti di Cotona ; ma non ho potuto accertarmi se le argille, sulle quali ivi pure riposa, siano parimente plioceniche ovvero riferibili al miocene. Se avessi fatta la mia escursione verso Orciano prima della pubblicazione della memoria sui gessi di Castellina Marittima, anche la pietra lenticolare fin d’ allora sarebbe stata collocata al suo vero posto ; non posso a meno però di esprimere la mia meraviglia che questa importante località non fosse stata già da altri presa in considerazione, poiché dn tal caso non vi sareb- bero state discussioni sulla età e sulla vera posizione della pie- tra lenticolare di Parlascio, ossia del calcare a Amphistegina. Chiuderò questo cenno ringraziando i fratelli Lobin, il pro- fessor Spagnolini ed il signor E. Nardi che mi furono compagni di escursione nei dintorni di Castelnuovo, di Livorno e del Gabbro. — 245 — VII. 1 membri delle formazioni terziarie nel versante settentrionale dell’ Apennino fra Ancona e Bologna^ per Th. Fuchs. (Estratto dai Rend. delV A.eccideinia delle Scienze di Vienna, fase, di febbr. 1875.) Le formazioni terziarie, le quali accompagnano il versante settentrionale degli Apennini da Ancona fino a Bologna, sono già state fatte oggetto di profondi studi e di esaurienti pubbli- cazioni per parte di tanti ed abili naturalisti (fra i quali basta ch’io solo qui ricordi il Doderlein, il Capellini, il Manzoni, il Bianconi, il Foresti, lo Scarabelli), che con un soggiorno di sole quattro settimane in questa regione io non ho potuto calcolare di scuoprirvi numerosi fatti nuovi per la scienza. Così è che mentre 10 fin da principio ho rinunziato a far simili scoperte, ho invece rivolta la mia cura a riscontrare la disposizione più possibilmente precisa che le formazioni terziarie quivi mostrano, ed a fissare 11 rapporto cronologico dei singoli membri 1’ uno coll’ altro, come anche a fissare detto rapporto con altre formazioni terziarie ben conosciute e principalmente con quelle d’ Austria ed Ungheria. In questo proposito io credo invero di poter presentare qual- che risultato, stantechè mi sia riescito di raccogliere 1 indica- zione che la così chiamata Melassa marnosa (Mergehnolasse) dei dintorni di Bologna e di Modena in ogni rapporto corrisponde col nostro ScJilier,^ che i depositi miocenici di Sogliano e di Monte Gibio corrispondono completamente ai nostri strati di Baden e di Gainfahren, di maniera che questi depositi miocenici di detta regione mostrano precisamente quella separazione in un primo e secondo piano mediterraneo, i quali dal prof. Suess furono prima dimostrati per gli strati marini miocenici del ba- cino di Vienna, e che di poi sono stati ritrovati in tante altre località dell’ Europa meridionale. * L’Autore mi fa noto che la parola ScAZier è un provincialismo che non si presta alla traduzione. Con questa parola si denominano nell’Alta Austria le marne grigie terziarie, cosi bene come si dice Tegel nella Bassa Austria. Il Traduttore. - 246 — In connessione col sopra detto merita di esser notato, clie tanto presso San Marino quanto presso Sogliano le argille di Baden sono sopracoperte da sabbie e ciottoli, le quali corrispon- dono in ogni rapporto colle nostre sabbie di Neudorf, dove inoltre ha luogo la sppraposizione alle argille di Baden di un membro del gruppo del calcare di Leitha. A Monte Gibio però sembra che abbia luogo l’ inverso rapporto, giacché quivi, se- condo Doderlein, le marne turchine ricche di Pleurotome (le quali corrispondono completamente alle nostre argille di Baden), sarebbero sottoposte ad una calcaria con Lucina pomimi. Finalmente merita anche di esser rilevato che mi è riuscito di giungere alla completa persuasione, che la grande formazione gessifera e solfifera, la quale accompagna l’ insieme dei terreni terziari nel versante settentrionale degli Apennini, nelle regioni da me esplorate in nessun modo si presenta inclusa nei depositi miocenici del Tortonese o nelle alcun poco più antiche molasse marnose, come per avventura da molti anche oggi si ritiene; ma che invece detta formazione solfo-gessifera apparisce al tutto e sempre indipendente dai depositi miocenici ed invece trovasi posta alla base del pliocene ed a questa formazione intimamente legata. Questo concorda totalmente coi resultati ai quali sono giunti in riguardo alla posizione di questi strati già da lungo tempo il Pareto in Piemonte, e più recentemente Doderlein nei dintorni di Modena e Reggio, e Capellini in Toscana; e ciò è quindi di particolare interesse, giacché, dopo la brillante scoperta deir ultimo nominato autore, questa formazione di gesso e solfo corrisponde agli strati a Gong cria di Austria e di Russia. In quello che segue io presento la successione delle forma- zioni le quali si possono discernere nel versante settentrionale dell’ Apennino fra Bologna ed Ancona. 1. Formazione del Flysch ed Argille scagliose. — La forma- zione di basamento delle più giovani formazioni terziarie nel versante settentrionale dell’ Apennino é data ovunque da Ancona fino a Modena dal Flysch, ed anzi questo si mostra di prefe- renza in forma di argille scagliose, formazione montuosa così vastamente riprodotta negli Apennini, la quale fuori d’Italia é pressoché niente conosciuta, e sopra la natura speciale della quale regna ancora tanta oscurità. — 247 Là dove le argille scagliose affiorano nel loro tipico sviluppo si rassomigliano viste da. lontano a colossali ammassi di fango; ma ad osservazione più vicina vien fatto di persuadersi die non consistono propriamente di una sostanza plastica e molle, ma piuttosto di un immenso accumulo di piccoli frammenti di argilla poco duri ed irregolari i quali mostrano una frattura scagliosa bene distinta. La stratificazione non si può riscontrare, ovvero apparisce in forma di curiose pieghe e sinuosità che fanno V im- pressione come se la massa intera abbia una volta subito un interno movimento di rotazione e di scorrimento. Il colore della roccia è in genere di un turchino grigio-scuro, ma vi si incon- trano anche delle varietà di color verdastro e rosso. Talvolta la massa intera è gessifera e mostra alla sua superficie diverse efflorescenze. In tali punti si mostrano allora alla superficie dei curiosi rigonfiamenti a modo di monticello che rassomigliano ai rigonfiamenti provenienti dal passaggio di un getto di gas attraT verso la superficie di un torrente di lava, e che nel caso in esame probabilmente sono il prodotto delle accennate efflore- rescenze. Nelle vicinanze di queste località la superficie è spesso colorata in giallo. Di fossili non è dato trovar traccia di sorta alcuna.^ Tutte queste circostanze danno alle argille scagliose un carattere di anormalità ; e se ad esempio uno si ponga al piede del Monte Titano nella Kepubblica di San Marino sopra le nude eminenze delle argille scagliose e passeggi lo sguardo sopra la squarciata e sconvolta superficie, sopra i numerosi rigonfiamenti simili a monticelli, sopra le svariate efflorescenze e le tinte di colore che passano dal grigio al verde, al giallo, al rosso, e che noti da per tutto fino giù in grande profondità le traccie del movimento che ha avuto luogo, crede piuttosto di trovarsi sopra un antico torrente di lava, di quello che sopra una formazione sedimentaria normale. S’ intende da sè che tutto questo vale solo per quelle loca- lità nelle quali le argille scagliose appariscono isolate e non per altrove dove mostrano tutti i passaggi fino alle più comuni for- * Io ho visto due belle Ammoniti globose, raccolte dal dott, Azzaroli, me- dico condotto a Poggio de’ Borghi, nelle frane di argille scagliose colorate in rosso che s’ incontrano sul lato sinistro del torrente di San Marino per salire a San Leo. — Il Traduttore. - 248 — inazioni del Flyscli, nel quale le argille scagliose appariscono solo come parte secondaria costitutiva in strati regolari alternanti con calcari marnosi e banchi di arenaria calcare. Per ciò che concerne V età della formazione del Flysch e delle argille scagliose al versante Nord degli Apennini, esse appartengono secondo le ricerche del Capellini parte alla Creta e parte alla formazione eocenica, senza che per ora sia possibile precisare in genere questa separazione. IL Strati del Monte Titano. — Il membro più profondo delle più giovani formazioni terziarie è formato dagli strati del Monte Titano nella Eepubblica di San Marino, i quali corrispondono alle formazioni terziarie di Dego, Carcare, Beiforte (Bormidiano di Sismonda), agli strati di Schio nel Vicentino e alP Aquitaniano ♦di Mayer. Questi strati' formano il Monte Titano ed inoltre al- cune altre sommità montuose poste ai lati del corso della Ma- recchia, e si ripetono, secondo una amichevole comunicazione del dott. Manzoni, anche al di là del vertice dell’ Apennino nel ver- sante toscano dove essi compongono la sommità del Monte della Verna. La caratteristica costituzione di questa formazione è data da una molto consistente calcaria arenaceo-marnosa a briozoi, nella quale i briozoi sono in genere talmente prevalenti da for- mare la massima parte della massa. Fra questi briozoi s’ incontra anzitutto prevalente una colossale nodoso-ramosa Cellepora,^ la quale raggiunge spesso delle mostruose dimensioni e si atteggia X totalmente a modo di tronchi di Forites. E notevole ancora che una gran parte di queste Cellepore è trasformata del tutto in selce alla guisa di molte spugne mesozoiche. Oltre questa roccia calcaria marnoso-sabbiosa a briozoi, la quale compone la massima parte della formazione, appariscono anche delle schiette arenarie e marne, e d’ altro lato delle cal- carle anche più pure, le quali offrono la più grande rassomi- glianza colle diverse apparenze del nostro calcare di Leitha. I fossili s’ incontrano in tutti gli strati ; però il loro stato di conservazione è in genere molto difettoso e la loro determina- ’ Ho già in questo Bollettino rettificato 1’ errore per il quale io mi ero in- dotto a chiamar Porites ramosa Cat. 1’ organismo che dipoi il mio amico Fuchs mi ha dimostrato non esser altro che una Cellepora. — Il Traduttore. 249 — zione associata quindi a grande difficoltà. Dopo i già ricordati firiozoi vengono avanti in frequenza ed abbondanza gli echino- N dermi, e dopo questi i Tecten e Spondili e i denti di pesci. E notevole invece la mancanza quasi assoluta di coralli e di ga- steropodi; dei primi non sono stati per ora trovati che due specie in malconservati esemplari, e dei secondi non si sono rac- colti negli strati più profondi altro che alcuni grossi nuclei o modelli interni somiglianti a grosse Cassis. Per ciò che riguarda il carattere complessivo della fauna è da notare che vi s’ incontrano quasi in eguali proporzioni delle forme dell’ oligocene e del miocene, oltre ad alcune che sono par- ticolari di quest’ ultimo piano e che si rinvengono negli strati di Schio, Dego, Beiforte e nei più profondi strati di Malta. Manzoni cita in massa le seguenti specie : * Spliaerodus cinctus Agass. ; Carcliarodon megalodon Agass. ; Oxyrrhina isocelica E. Sism. ; Ox. Desori Agass. ; Lamina con- ^ tortidens Agass.; L. cuspidata Agass.; Hemipristis serra Agass.; Otodus sìdcatus E. Sism. ; Sphirna sp. ? ; Corax sp. ; Galeus la- tidens Agass. ; Cassis sp. ? ; Conus sp. ? ; Natica perusta Bronn ; Bissoina sp. ? Pecten latissimus Br. ; P. Raueri Micht. ; P. Bendanti Bast. ; P. aduncus ? Eichw. ; P. Michelotti D’ Ardi. ; P. mioceniciis Micht. ; P. deletus Micht. ; ed altre specie di Pecten non ancora determinate e probabilmente al tutto nuove; Spondilus sp. ? ; Ostrea sp. ? ; Venus sp. ? ; Gardium difficile Micht. ; Tereòratida sinuosa Br. ; T. miocenica Micht. ; Bhyncho- nella sp.? Membranipora sp. ? ; Lepralia sp. ? ; Cellepora polythele Ess. ; CéUepora sp. ? (forma a simiglianza di Porites) ; Retepora sp. ? ; Eschara nudulata Ess. ; E. suhcliartacea D’ Arch. ; Myriozoon sp. ? ; Hornera trabecidaris Ess. ; Yincidaria sp. ? ; Idmonea sp. ? ; Bi- ■scosparsa sp. ? ; Badiopora sp. ? ; Badiopora boletiformis ? Ess. ; Bef rancia sp. ? * La lista di fossili che io qui faccio seguire non è quella data dal Fuchs ■ed estratta dal mio primo lavoro sopra il Monte Titano, ma è un’ altra da me compilata come frutto di ulteriori ricerche e di utili correzioni. Quest’ ultima lista quindi è la sola da tenere in conto. — Il Traduttore. 17 250 — Cidaris (Rabdociclaris) Melitensis Forbes (e rispettivi ra- dioli) ; Cidaris Adamsi in Adams (e rispettivi radioli) ; Cidaris Avenionensis Desmoul. (radioli) ; Cidaris sp. ? (radioli) ; Fsarn- mecìiinus parvus Micht. ; Clypeaster sentimi Laube ; Clyp. JBeau- monti E. Sism. ; Clyp. placunarius Agass. ; Clyp. Martinianns Desmoul. ; Clyp. placenta Micht. ; Sismondia plamdata D’ Arch. ; Echinolampas hemispìiaericus Lk. ; E. Laurillardii x4.gass. ; E. Beshayesii Desor ; E. disciis Desor ; E. similis Agass. ; E. glo- hidits Laube ; PygorJiyncJius Spratti Adams. ; Ecliinocyamus Studeri E. Sism.; Ecliinanthus^? sp. ?; Pygaidus? sp. ? ; Cono- clypus plagiosomiis Agass. ; Pericomus latus Agass. ; P. aeqiialis Desor ; Erissus? sp. ? ; Linthia cruciata Desor ; Periaster? sp. ? ; Hemiaster Scìiillae Wright; Hem. Cotteaui? Wright ; Beni, ro- tundus Laube ; Scìmaster Parhinsoni Defr. ; Sdì. Besori Wright ; Sdì. Leitlianus ? Laube ; Sdì. Karreri ? Laube ; Macropneiistes Meneghini Desor ; Alacrop. ? sp. ? ; Eupatagiis ornatus Defr. ; Spatangus ocellatus Defr. ; Spatangus sp. ? Trodiocyatus sp. ? ; Stylocoenia sp. ? III. Schlier. — Sotto questa denominazione io metto insieme quelle formazioni marnose le quali sono generalmente designate dai geologi italiani come molasse marnose. Esse, a dilferenza delle più giovani marne tortoniane, sono sempre più dure e pie- trose ; il loro colore va dal turchino-grigio fino al biancastro, qual- che volta sono un poco sabbiose e contengono sempre una assai grande quantità di foraminifere, le quali in taluni casi giungono a tal grado di abbondanza da rendere la roccia friabile e facile a sgranarsi. Come fossili vi si incontrano sovente il Nautilus diluvii ed il piccolo Pecten duodecimlamellatus. Presso San Leone dietro la località chiamata Sasso nella vallata del Reno, noi siamo riesciti a raccogliere una maggiore quantità di fossili, i quali sono i seguenti : Aturia Morrisii ; Bentaìiimi sp. ; Cytìierea sp. ; Lucina si- nuosa ; L. sp. ; L. sp. ; Solenoinya Boderleini ; Pecten denudatus; P. duodecimlamellatus ; Ediinidi. Queste specie appartengono in genere ai meglio designati fossili del nostro Schlier e non lasciano il più piccolo dubbio che la Melassa marnosa dei geologi italiani debba venire iden- tificata a questo membro dei nostri terreni terziari. Particolar- — 251 — mente manifesta è la somiglianza collo Schlier di Hall nell’ Alta Austria, dove per di più lo stato di conservazione dei fossili è al tutto simile. Il prof. Capellini nella sua conosciuta Carta geologica dei dintorni di Bologna, ha diviso in due piani i depositi marnosi che noi qui abbiamo messi assieme sotto la denominazione di Schlier; dei quali due piani il più antico è da lui attribuito sotto la designazione di Marnes Ueuàfres al Langhiano ed El- veziano di Mayer, ed il più recente al Messiniano sotto nome di Marne biancastre. Senza voler più disputare, che per mezzo di una minuziosa esplorazione non sì possa forse precisare una simile divisione, mi riesce però malamente accettabile V attri- buire un piano di questi depositi marnosi al Messiniano, quan- doché lo stesso verrebbe in tal caso ad essere più giovane delle marne tortoniane di Sogliano e del Monte Gibio, ciò che non concorda colle mie osservazioni. Oltre a ciò la differenza petro- grafica nei due piani distinti da Capellini è estremamente insi- gnificante ed in molti casi al tutto insussistente ; ed altrettanto può dirsi dei fossili, che, a seconda delle mie osservazioni, sono gli stessi nei due casi ; per modo che io ho preferito di consi- derare in uno solo questi due piani di depositi marnosi. Presso San Leone dietro al Sasso nella valle del Eeno si ve- dono negli strati più superiori delle marne a modo di Schlier banchi di arenaria gialla e friabile. Secondo una amichevole co- municazione del dott. Manzoni queste arenarie raggiungono al disopra delle molasse marnose, nella regione delle alte colline di Modena, un grande sviluppo, e frequentemente acquistano una costituzione a modo di conglomerato minuto contenendo abbon- danti ciottoletti di serpentino e per di più offrendo nella loca- lità di Montese una ricca fauna di echinodermi ed un bellis- simo Pentacrino del quale il dott. Manzoni ha avuto già ad occuparsi.* IV. Tortoniano. — Sotto questa designazione io metto assieme tutte quelle formazioni che corrispondono agli strati di Baden, Gainfahren, Neudorf e Pòtzleinsdorf, ossia alle formazioni del ‘ Vedi Rarità paleozoologica per A. Manzoni. {Bollett. del R. Comit. Geol. d’Italia, N. 5 e 6j 1874.) 252 secondo piano mediterraneo del bacino di Vienna. Esse forma- zioni consistono in parte di marne turchine, in parte di sabbie e di arenarie e conglomerati, le quali però in genere si distin- guono per una minor durezza e consistenza dalle arenarie della stessa natura del piano precedente e più antico, mentre poi le marne stesse non raggiungono mai quella durezza e consistenza la quale caratterizza in genere le marne dello Scliìier. Per di più i fossili sono sempre reperibili in grande quantità ed in buona conservazione. Io ho osservato le formazioni di questo piano in due località : L’una di queste località è posta al piede occidentale del Monte Titano dove si trova un lembo isolato di depositi mioce- nici in parte sopraposto al Flysch in parte alla roccia del Monte Titano stesso, il quale lembo è squarciato in quasi tutta la sua potenza da una profonda gola formata dall’ acqua. In questo punto si vedono dall’ alto al basso i seguenti strati : a) Sabbie gialle con duri banchi arenacei e piani di ciot- toli con frammenti di Ostrea e di Fecfen / Cardmm sp. ; Lu- cina cf. muUilamellata Lam. ; Venus cf. muUilamella Lam. ; Do- nax sp. ; Thracia sp. ; Tellina planata Lin. ; Fuccinum sp. ; Murex sp. ; (Strati di Neudorf e Pòtzleinsdorf). Potenza 10 me- tri circa. l) Argille grigie con banchi induriti e con piani isolati di grossi ed arrotondati blocchi e ciottoli. Numerosi fossili come : JBuccinum coloratum Eichw. ; B. Bujardini Desh. ; B. duplica- tum Sow. ; B. Basteroti Micht. ; Pleurotoma Boderleini Hòrn. ; FI. Sotteri Micht. ; Cerithium doliolum Br. ; Cer. òicinctum Br. ; Cer. nodoso-plicatum Hòrn. ; Natica lielicina Br. ; Corrida sp. ; Venus multilamella Lam. ; Lucina sp. ; Candita sp. ; Gardium Turonicum Mayer ; Arca sp. ; Nucida sp. ; Finna sp. ; Fecten aduncus Eichw. ; Ostrea digitalina Eichw. ; Anemia costata Eichw. (Strati di Grund). Potenza 15 metri circa. c) Argille turchine grassose con traccio di lignite e senza fossili. Potenza 4 metri circa. Sulla nuova strada che conduce alla città di San Marino ad una breve distanza sotto la città si trova immediatamente so- vrapposto alla roccia del Monte Titano un piccolo lembo isolato di argille turchine nel quale abbiamo incontrati i seguenti fos- 253 — sili : Gorhuìa sp. ; Leda sp. ; Niicula sp. ; Tlioìadomya sp. ; Fecten diiodecimlamellaUis ; Vaginella depressa ; Flaheìlum sp. Questo lembo pare che corrisponda alle molasse marnose di Bologna ossivvero al nostro Schlier. L’ altra località nella quale noi abbiamo osservate delle for- mazioni mioceniche è la località di Sogliano illustrata dal Man- zoni, al N.O. di San Marino, dove in mezzo alla regione delle sabbie e marne plioceniche apparisce un isolato lembo miocenico.^ Quivi si vede sulla strada a piccola distanza dal paese uno spac- cato con la seguente serie di strati : a) Un conglomerato pieno di giganteschi e straordinari esem- plari di Fechmcidus pilosus, e più oltre : Ostrea sp. ; Feeten cf. Tour noli ; F. ef. Tesseri ; F. elegans ; F. Malvinae ; (Strati di Neudorf). Potenza circa 0, 6. h) Sabbie gialle fini con dure lastre di arenarie, piene di piccole bivalvi : Turritella ; Fìeur otoma ; (Strati di Gainfahren ?). Potenza circa 4 metri. c) Argille con Ferna sp. Potenza circa 2 metri. d) Argille turchine di grande potenza con numerosi fossili, i quali in massa corrispondono a quelli delle argille di Baden. Manzoni enumera le seguenti specie : Coniis Aìdrovandi Brocc. ; C. Ferghausi Micht. ; C. fusco- cingulatus Bronn ; C. avellana Lam. ; G. ventricosus Bronn ; G. Tar- heìliamis Grat. ; G. Haueri Partsch ; G. Fuschi Micht. ; G. Fronni Micht. ; G. Fujardini Desh. ; G. sertiferus Manzoni ; Ancillaria obsoleta Brocc. ; A. glandiformis Lam. ; Marginella marginata Bon. ; Fingicida buccinea Desh. ; Voluta rarispina Lam. ; Mitra scrobieidata Brocc. ; M. recticosta Bell, ; Golumbella curta Bell. ; G. scripta Bell. ; Terebra fuscata Brocc. ; T. cinerea Bast. ; T. acuminata Borson ; T. pertusa Bast. ; T. tuberculifera Doderl. ; T. Fasteroti Nyst ; Fseudoliva Frugadina Grat. ; Fuccinum clathratum Lam. ; F. pseudo-clathratum Micht. ; F. semistriatum Brocc. ; F. mutabile Linn. ; F. Fujardini Desh. ; F. duplicatum Sorb. ; F. polygonum Brocc. ; Furpura elata Blainv. ; Gassis sa- buron Lam. ,* Glienopus sp. ; Banella marginata Brong. ; Murex ^ Manzoni, Della Fauna del lembo miocenico di Sogliano presso al Rubicone, (1869, aus demLX. B. d. Sitzb. der Acad. d. Wissensch. Wien. 1869). — 254 - Sedgivicki Micht. ; M. inflexus Dod. ; TypMs liorridiis Brocc. ; Fusus Klipsteini Miclit. ; F. Valenciennesi Grat. ; F. Fuclisii Manzoni ; Cancellaria varicosa Brocc. ; C. cancellata var. Ferto- nensis Bell. ; G. scrohicidata Hoern. ; Fleiirotoma catapliracta Brocc.; FI. ramosa Bast. ; FI. intersecta vel mystica Dod. ; FI. Mor- tilieti Mayer ; FI. inter rupta Brocc. ; FI. asperidata Lam. ; FI. Jouanneti Desm. ; FI. turricula Brocc. ; FI. rotcda Brocc. ; FI. spiralis Serr. ; FI. sinuata Bell. ; FI. intermedia Bronn ; FI. pustulata Brocc. ; FI. tereòra Bast. ; FI. rustica Brocc. ; Ce- ritìiium gramdinum Bon. ; Cer. minutum Serr. ; Turritella tor- nata Brocc. ; T. Brocchii Bronn ; T. vermicidaris Brocc. ; T. hi- carinata Eicli. ; T. Hórnesi Micht. ; Fenopliora sp. ; Troclius patidus Brocc. ; Solarium simplex Bronn ; Natica mUlepunctata Lam. ; N. redempta Micht. ; N. Josephinia Bisso ; N. lielicina Brocc. ; Niso eburnea Bisso ; Crepidula unguiformis Lara. ; F>en- talium Bouei Desìi. ; D. inaequale Bronn ; B. Miclielotti Hoern. ; B. mutabile Dod. ; Chama gryplioides Limi. ; Cardila Jouanneti Bast. ; Nucula piacentina Lam. ; Fectuncidus pilosus Limi. ; F. obtusatus Partsch; Heliastraea Fllisiana Edw. ; Astrea cremdata Edw. ; Forites Collegnana Micht. ; (Argille di Baden). Immediatamente dietro Sogliano a mano destra in fondo alla valle si osservano egualmente strati miocenici in posto e cioè: a) Sabbie fine gialle e sciolte con qualche esemplare di Cerithium lignitarum e Cer. pictum. Potenza 6 a 7 metri. b) Argille sabbiose grigio-verdastre con traccio di lignite e piene di Cer. lignitarum, Cer’. pictum ed inoltre Ostrea crassis- sima e Buccinum mutabile ; (Strati di Grund). Potenza 20 metri circa. In questo punto venne praticata P estrazione della lignite in mediocre profondità, e quindi si sconvolsero e mescolarono tal- mente i terreni all’ intorno da non esser possibile più il farsi una idea esatta della loro relativa posizione. Manzoni enumera provenienti da questi strati lignitiferi oltre i fossili da me osservati anche i seguenti : Cerithium rubiginosum ; Cer. Moravicum ; Hydrobia stagnalis ; Neritina ^ébrina ; Mela- nopsis Bonelli ; Flanorbis cornu. Questi strati lignitiferi sono posti in ogni caso al disotto del — 255 — gruppo di strati nominati e formano probabilmente la base del miocene corrispondendo nel bacino di Vienna agli strati di Grund e di Pitten, come pure di Eibinswalde nella Stiria e di Hidas in Ungheria. Al gruppo del Tortoniano appartengono inoltre le* ben note formazioni mioceniche di Monte Gibio presso Sassuolo al Sud di Modena, eccellentemente esplorate dal Doderlein ; dove secondo la esposizione di questo autore le argille fossilifere con Pleuro- tome sono ricoperte da un calcare con Lucina pomum. V. Formazione solfifera e gessifera d’ acqua dolce. — Come membro immediatamente più elevato nella serie degli strati ter- ziari, posto discordante sopra gli strati del Tortoniano e quasi formante la base del pliocene, si trova una potente formazione di acqua dolce, la quale consiste di marne grigie e di marne schistose fogliacee e bianche contenenti su molti punti am- massi di gesso e di zolfo. A questa formazione appartengono i conosciuti depositi di zolfo e gesso di Sinigaglia, Cesena, Per- ticava, di San Donato presso Bologna, ed altri. Come fossili s’ incontrano in queste marne bianche impronte di foglie ed i resti di piccoli pesci ed insetti (Lehias crassicauda e Lihelhda doris) ; e sono in questo rapporto divenuti celebri i bianchi scisti marnosi di Sinigaglia. Le conchiglie non si trovano che raramente in questi strati ; però Doderlein enumera le seguenti dalle vicinanze di Modena e di Peggio : Melanopsis Lonelli ; Melania curvicosta ; Neritina zebrina ; Hydrobia stagnalis. A queste si aggiungono ancora due nuovi Cardium che egli ha determinati col nome Hemicardium Tilibergense ed Hemic. pectinatum. In seguito alle ricerche del Capellini è stato pienamente sta- bilito che i potenti depositi di gesso e di alabastro di Castellina Marittima in Toscana occupano precisamente lo stesso posto alla base del pliocene e sul dorso del calcare di Leitha del luogo e delle molasse serpentinose mioceniche ; e così non può correre alcun dubbio che la conosciuta formazione di gesso e zolfo di Sicilia appartenga allo stesso orizzonte. Questo complesso di strati di Castellina ha conseguita una particolare importanza, da che per mezzo del Capellini è stata fornita la dimostrazione, nel suo ben conosciuto ed eccellente - 256 — lavoro sulle formazioni terziarie di Castellina Marittima, che i medesimo complesso corrisponde ai nostri strati a Congerie, coi quali anche s’ accorda completamente il deposito della forma- zione d’ acqua dolce di Modena, dove il Doderlein ha indicata r apparizione di singolari specie di Cardium. In ragione di que- sta importanza io mi vedo condotto ad addentrarmi maggior- mente nella questione della posizione di questi strati. La formazione gessifera e solfifera in discorso viene dai geo- logi italiani generalmente considerata come il membro superiore del miocene, e come tale è attribuita al Tortoniano. Capellini poi specialmente ha incluso nella sua carta geologica dei din- torni di Bologna i depositi gessosi fra le sue Marnes Ueuàtres e Marnes hìancMtres, e quindi in mezzo a quel complesso di marne che io ho riunite sotto la denominazione di Sclilier. Io non posso accettare del tutto questo modo di vedere. In nessun luogo dei dintorni di Bologna si osservano i gessi in- clusi nelle marne azzurrognole o biancastre ; dappertutto invece si trovano nel modo più chiaro posti sopra questi strati di marne y' ed immediatamente e concordemente ricoperti da marne plioce- niche, come si può facilmente osservare presso San Donato e nel letto del Kio della Savena presso San Bufillo ; come pure vicino a Casaglia si trovano i potenti massi di gesso posti im- mediatamente sopra le argille scagliose e non già sulle marne biancastre, ma ricoperti in modo concordante dalle ordinarie marne e sabbie plioceniche. Per via di che è nuovamente for- nita la dimostrazione che i depositi gessiferi sono più diretta- mente legati colle formazioni plioceniche, e che non presentano alcun rapporto colle marne biancastre. Altrettanto poco mi par giustificato di riferire al Tortoniano la formazione gessifera in discorso. Sul lungo tratto da Ancona a Sogliano noi abbiamo veduti gli strati solfiferi e gessiferi sem- pre e concordemente ricoperti dalle formazioni plioceniche, men- tre che i depositi tortoniani di San Marino e di Sogliano appa- riscono completamente indipendenti ; e nel nuovo e bel lavoro del Doderlein sopra la costituzione geologica delle provincie di Modena e di Peggio, si rileva che anche in questa regione i depositi di acqua dolce con ammassi di gesso si trovano alla base del pliocene, disposti in completa discordanza verso le for- mazioni mioceniche di Monte Gibio, le quali debbono esser riguardate come il tipo delle formazioni tortoniane. Lo stesso rapporto s’ incontra, come già è stato sopra notato, in Toscana ; ed anche in Sicilia la cosa sembra comportarsi pre- cisamente coi dati sopra esposti, così che per tutta P Italia si presenta come regola generale che gli strati gessiferi e solfiferi in discorso appariscono alla base del pliocene, e si comportano decisamente discordanti rispetto a quelle formazioni che noi dob- biamo considerare come P equivalente del nostro secondo piano mediterraneo. Naturalmente con questo nan si deve in alcun modo ritenere ammessa la proposizione che nel tortoniano non possano anche apparire depositi di gesso, come questi appariscono talvolta nel- P eocene e nelle argille scagliose. VI. Marne e salvie marine plioceniche. — Il membro supe- riore delle formazioni terziarie è formato nella regione in esame dalle ben note marne e sabbie marine plioceniche, che ordina- riamente vengono collegate col nome complessivo di formazioni subapenniniche, e delle quali la ricchezza meravigliosa di ben conservate conchiglie ha attirata sopra di loro P attenzione dei naturalisti prima anche che ne cominciassero gli studi scienti- fici e geologici. Come da per tutto anche qui si possono distinguere con gran precisione delle marne sottostanti con specie di Pleurotome, Fu- sus, Murex e Baccinum, e delle sabbie gialle soprastanti con 0 Street e Pecten. Capellini ha recentemente cercato di separare P insieme com- plessivo di questi strati da un altro punto di vista in due gruppi di diversa età, P uno delle sabbie e marne più antiche e P altro delle sabbie e marne più giovani. Le osservazioni che io stesso ho avuto occasione di fare sul posto non mi hanno tuttavia fatto riconoscere la necessità di una bipartizione simile ; però ultimamente il Foresti ha fatto la prova di dare un fondamento paleontologico a questa divisione, ed ha ottenuti dei resultati che sembrano parlare in favore di questa. Egli ha cioè mostrato che, se si compari la fauna degli strati isolati a seconda della serie ammessa dal Capellini, si osserva una costante e non insignificante diminuzione di specie viventi — 258 — dai più giovani ai più vecchi, come si può vedere nel seguente quadro comparativo: Specie Specie Per cento in totale. vìventi. di specie viventi. Sabbie superiori. . . 141 112 79.4 Marne superiori. . . 332 144 43. 3 Sabbie inferiori . . . 183 71 38. 8 Marne inferiori . . . 78 24 30. 7 Per ciò che concerne ai rapporti di posizione della serie di strati precedentemente tratteggiati, merita anzi tutto di esser notata la circostanza che sulla strada da Ancona fino a Modena, non solo gli strati del Monte Titano e le diverse frazioni del miocene, ma anche tutto il pliocene ha preso parte al movimento di sollevamento, e che quindi si trova in posizione disturbata. A mia cognizione questo caso non si verifica in altro secondo luogo d’ Italia, e dimostra per ciò che la forza che ha sollevate le montagne d’ Italia lungo la nominata distanza, ha spiegato quivi la più grande intensità e la più lunga durata. Questo è tanto più notevole che in Toscana ha luogo precisamente il caso contrario, inquantochè non solo le formazioni plioceniche ma anche quelle del miocene hanno conservato totalmente la posi- zione orizzontale ad eccezione di quei disturbi nella struttura delle colline che usano apparire in compagnia degli ammassi di gesso. Per ciò che concerne il rapporto che i singoli membri della formazione terziaria mostrano fra di loro sulla linea da Bologna ad Ancona, deve venir osservato che questi non si succedono in serie non interrotta e concordante, ma che piuttosto sono dis- giunti e separati da forti discordanze. Così si incontra una discor- danza generale e profonda fra gli strati del Monte Titano ed il vero miocene, un’ altra discordanza fra le marne dello ScMier colla molassa serpentinosa che vi è unita da un lato, e dal- r altro lato colle formazioni del tortoniano, cioè, in altri ter- mini, fra le formazioni del V e del 2® piano mediterraneo, e finalmente una terza discordanza fra il tortoniano da un lato e le più recenti formazioni terziarie dall’ altro lato. Se adesso noi recapitoliamo un’ altra volta il fin qui detto, si ha il seguente schema per la struttura dei depositi terziari — 259 — nel versante settentrionale dell’ Apennino da Ancona fino a Bolo- gna, nel quale schema le linee di separazione designano il posto delle discordanze. 1. Marne e sabbie marine plioceniche, (formazione subap- pennina). 2. Formazione gessifera e solfifera d’ acqua dolce, con Lébias crassicauda, Libellula Loris, Melanopsis Bonelli, Melania curvicosta, Cardii (Strati a Congeria). 3. Tortoniano. Deposito di fossili di Sogliano e del Monte Gibio (2° piano mediterraneo di Suess). 4. Molassa serpentinosa di Montese con numerosi Echi- nidi e molasse dello Schlier di San Leone presso Sasso con Aturia Morrisi, Pecfen denudatus, Solenomya Loderleini, Lucina sinuosa (1° piano mediterraneo di Suess). 5. Strati di Monte Titano. Arenaria calcarea a briozoi con Lecten deletus, P. Haueri, P. Leudanti, Macròpneustes Me- neghini (Strati di Schio, Beiforte, Mornese ; strati inferiori di Malta). 6. Argille scagliose. Fer la traduzione A. Manzoni. Vili. Sulla formazione della terra rossa, Nota di Th. Fuchs.'' Nel numero 3 del Bollettino delVL. e B. Istituto Geologico di Vienna, dell’anno corrente,^ il prof. Neumayr pubblicò una interes- sante comunicazione sulla formazione della così detta terra rossa, cioè di quell’argilla rossa, ferruginosa, caratteristica e che tro- vasi così generalmente sparsa alla superficie del Carso come an- che in tutti i somiglianti gruppi montuosi calcarei dell’Europa meridionale. Siccome da tanto tempo a me pure interessava un tal soggetto, e perciò lo tenni continuamente in vista nei miei ripe- ^ Ved. Verìiandl. der k. k. geolog. Reiclis,, 1875, n° 11. ^ Ved. Bollettino del R. Comitato Geologico, 1875, 3 e 4. — 260 — tuti viaggi in Italia ed anche nella mia recente gita in Grecia, mi sarà permesso di fare alcune osservazioni in proposito allo scopo di ampliare e forse anche in alcuni punti a modificare la relazione del prof. Neumayr. Ciò che più d’ ogni altra cosa mi ha sempre colpito si è che la formazione della terra rossa del Carso fu sempre descritta per i calcari d’ epoca mesozoica e precisamente solo per quelli che manifestavansi come depositi marini, ed anche gli esempi addotti dal prof. Neumayr son ristretti solo a questa cerchia. Questa restrizione tuttavia non esiste affatto in natura. La terra rossa del Carso si forma nell’ identico modo sulle rocce giuresi e cretacee, quanto sopra tutti i calcari terziari, dal calcare num- mulitico eocenico fino ai più giovani calcari pliocenici del Pireo^ ed è assolutamente indifferente se i calcari siano d’ origine ma- rina 0 d’ acqua dolce, se siano di origine animale, oppure, come i calcari a nullipore, vegetale. Nell’ isole di Malta e di Gozzo i calcari terziari, che in parte corrispondono agli strati di Schio, in parte al nostro calcare del Leitha, hanno una grande estensione e costituiscono una parte considerevole della superficie delle due isole. Là dove ciò avviene, r isola offre un aspetto affatto identico a quello delle montagne del Carso : il calcare è in varie guise corroso e decomposto, la superficie della roccia colorata in rosso, tutte le cavità ripiene di una terra rossa, la quale si raduna in gran copia in tutte le depressioni, negli spacchi e nelle caverne. Nei dintorni di Krendi a Malta, predomina da per tutto un bel calcare puro a nullipore : la roccia è formata esclusivamente da nullipore, ha una durezza straordinaria ed un colore bianco lucente; eppure io non vidi mai in altra parte dell’ isola la terra del Carso di un colore rosso così intenso e in sì gran copia come qui. Offrono lo stesso aspetto quelle colline che comprendono il Pireo presso Atene e che constano di un calcare pliocenico molto recente: anche qui la stessa superficie corrosa e la stessa terra di color rosso mattone o rosso bruno. Quivi la roccia è attra- versata da molteplici spaccature e cavità, le quali sono ricoperte e ripiene da una corteccia stalattitica rossa. Per ciò che concerne la produzione della terra rossa sui cal- cari d’ acqua dolce, io ebbi nel mio recente viaggio in Grecia 261 ~ molte volte occasione di osservare un tal fenomeno in più o meno considerevole sviluppo, ma giammai così ad evidenza come presso Markopulo e Calamo. Il calcare d’ acqua dolce raggiunge qui una straordinaria potenza ed è talmiente compatto e massic- cio, che presenta un aspetto identico a quello del prossimo calcare ippuritico : anche la conformazione della superficie affatto identica, gli stessi fenomeni d’erosione e la stessa terra rossa cor- rispondono a questa somiglianza petrografica. Da questi fatti se ne deduce chiaramente che la terra rossa non è in modo affatto esclusivo prodotta da un fango di glohigerine, e che piuttosto tutti i depositi calcarei contengono in piccola quantità jombina- zioni ferruginose e argillose, e per la decomposizione abbando- nano un residuo di argilla ferruginosa. Mi parve sempre degna di nota la circostanza che la terra rossa trovasi sempre in tanto maggior copia e di un rosso tanto più vivo, quanto era più puro, compatto e bianco il cal- care sottoposto. Quando il calcare diveniva più scuro, grigio, op- pure più tenero, poroso e tufaceo, anche la terra rossa andava diminuendo ed io non ricordo di aver mai trovato la terra rossa sui calcari teneri, marnosi o cretosi. Sarebbe certamente possi- bile che nel primo caso soltanto la colorazione rossa intensa di- pendesse effettivamente dalla separazione delle materie estranee esistenti nella roccia, mentre nel secondo la mancanza della terra rossa si dovrebbe in parte alla circostanza che nelle rocce te- nere la superficie resta esposta ad una azione meccanica ener- gica: sembrami però che questa ipotesi non spiegherebbe com- pletamente il fenomeno. Una seconda circostanza ancora più sorprendente in propo- sito alla presenza della terra rossa consiste in ciò, che essa men- tre trovasi dappertutto nella regione del Mediterraneo ove esistono calcari compatti bianchi, nei calcari delle Alpi settentrionali ed anche sulle formazioni calcaree dell’ Europa media e settentrio- nale, sembra mancare completamente. I calcari siluriani bianchi e compatti della Boemia, come anche le molteplici formazioni calcaree paleozoiche e secondarie della Francia, del Belgio e del- r Inghilterra, e sopra tutto le varietà più dure della creta bianca, dovrebbero in realtà offrire il materiale più atto alla produzione della terra rossa ; e con tutto ciò sembra qui mancare affatto : — 262 - lo stesso sarebbe , a dirsi del nostro calcare del Leitba che qua- lora fosse in Italia o in Grecia si cuoprirebbe di terra rossa ^ presso di noi invece non ne mostra traccia. Il prof. Neumayr nel suo sopra citato lavoro rammenta che la terra rossa trovasi da per tutto là ove esistono altipiani di calcare puro, che in certo modo impediscono il rapido asporta- mento del detrito dalla sua superficie. A me sembra che questo rimarco non si accordi intieramente col fatto. Le montagne cal- caree deir Eiibea, come anche quelle a nord d’ Atene verso Tebe non hanno affatto il carattere di altipiani e, piuttosto per ciò che riguarda gli sconcerti nella stratificazione, assomigliano com- pletamente alle Alpi calcaree settentrionali ; contuttociò vi è qui dappertutto la terra rossa che presso Tebe ad esempio trovasi in quantità veramente sorprendente e da vincere il confronto con quella del Carso. Per contrario i nostri calcari a nullipore come già fu detto, non mostrano alcuna traccia di teìTa rossa, sebbene molto frequentemente si presentino in forma di altipiani. Dietro tutto ciò non resterebbe a pensare altro se non che la presenza o la mancanza della terra rossa dipenda essenzial- mente da condizioni di clima ; che essa mostrasi solo colà ove esiste un clima asciutto e una conseguente scarsa vegetazione, mentre che non può comparire ove esiste un clima umido, una ricca vegetazione ed una conseguente accumulazione di sostanze organiche. La sola eccezione che a mio credere si potrebbe opporre a detta regola, sta nell’ altipiano di calcare giurese della Germa- nia citato anche dal prof. Neumayr. Per quanto però è a mia scienza, le argille ferruginose non presentano qui uniformemente sopra r intiero gruppo, come è il caso dovunque della zona me- diterranea e dove essa è in continua formazione ; ma trovasi essa piuttosto in singole depressioni e spaccature insieme alle ossa di mammiferi terziari e si potrebbe benissimo dimandare se questa terra rossa non debba la sua origine al più caldo clima deir epoca terziaria. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. L. Bombicci. Corso di Mineralogia , seconda edizione variata ed accresciuta. — Yol. Il, Bologna, 1875. Nel fascicolo N” 1-2, 1873, di questo nostro periodico, ren- dendo conto ai lettori della prima parte del Corso di Minera- logia, del prof. Bombicci, esprimemmo la speranza che la se- conda parte sarebbe degno seguito alla prima e che tutta r opera sarebbe stata tale da dover andar per le mani degli studiosi di Mineralogia non solo italiani, ma eziandio stranieri. E questa nostra speranza non venne delusa, e noi, facendoci ad adempiere all’ obbligo nostro di annunziare la pubblicazione deir aspettata seconda parte, ci sentiamo in dovere di comin- ciare col proporre un plauso all’ egregio prof. Bombicci e di segnalarlo alla pubblica benemerenza. Questo secondo volume di 1031 pagine tratta esclusivamente della parte descrittiva dei minerali che 1’ Autore ha svolta se- condo la medesima cassazione mineralogica proposta fino dal 1862 nella prima edizione del suo Corso di Mineralogia ; ^ e sa- rebbe precisamente un fuor d’ opera farne qui una minuta ras- segna dopo tanto tempo che essa è in dominio del pubblico scientifico. — Piuttosto saranno da accennare alcune delle più importanti modificazioni e novità che 1’ Autore ha introdotto nel suo libro nello svolgimento del suo programma. In primo luogo è degna di molta considerazione l’ usanza introdotta di aggiungere, come appendice alla descrizione di quelle specie minerali che lo richiedessero, quelle monografie o ‘ Il prospetto della pag. 236 della edizione corrisponde infatti perfetta- mente al prospetto della pagina 386, 1° voi., 2» ediz.-, quando si scambino fra di loro le linee orizzontali della prima con le colonne verticali della seconda. La sola modificazione fatta nella 2^ edizione è quella di aver riunito nello stesso III ordine Binari non ossigenati, l’ordine II e l’ordine III della edizione, cioè Binari non ossigenati e i sulf osali. — 264 — parti (li monografie di scrittori specialisti che più facessero al caso, dando così una splendida dilucidazione a chi volesse occu- parsene ed eliminandola, per così dire, a favore di chi cercasse nel libro soltanto un insegnamento elementare. Tali sono per esempio le appendici alla descrizione delle meteoriti, desunte dalle opere del Daubrée, del Meunier, del Michez (commenta- tore dello Schiaparelli) ; T appendice sulle miniere ferrifere del- V isola d’ Elba ricavata dalla ben nota Memoria del prof. Cocchi ; quella sulle Salse e Maccalube dai lavori del Bianconi, del Sil- vestri e dello Stoppani; quella sulla zona solfifera di Sicilia del- r ingegnere Mottura ; quella sulle analisi di alcuni solfuri del- r Autore ; quelle sui campi diamantiferi del Capo del signor Des Demaines-Hugon ; quelle sulle Gemme; e non poche altre (Vedi pag. 1012, 2° volume). Una seconda buona innovazione fu di aver disseminate lungo il libro le tavole prospettico-descrittive dei minerali, che nella 1^ edizione erano messe tutte di seguito avanti alla descrizione dettagliata delle più importanti specie minerali. E una como- dità grandissima anche in vista della mole del libro, che per- mette difficilmente di riunire in un solo volume le due parti del secondo volume. Fra le molte altre novità di cui è pieno il libro del Bom- bicci merita speciale menzione per la sua grande importanza quella della classazione dei Silicati, scoglio perenne e spesso fa- tale contro cui vanno ad urtare le classazioni mineralogiche proposte da molti autori. Il prof. Bombicci comincia coll’ abbat- tere 1’ antica divisione dei silicati in anidri ed idrati, seguendo in questa via 1’ esempio dato dal prof. A. D’ Achiardi nel II voi. della (( Mineralogia della Toseana » estendendo a tutti i mine- rali conosciuti il metodo che il D’ Achiardi non potè applicare, per T indole della sua pubblicazione, che ai silicati toscani. Se- condo questo principio T acqua vi funge generalmente come ele- mento di cristallizzazione ; mentre secondo il metodo D’ Achiar- diano 1’ acqua ha sempre una funzione basica. Ciò ammesso, i silicati sono considerati come divisi in due distinte categorie : monogenici e poligenici (o multipli). Questi secondi sarebbero formati dall’ associazione meccanica dei primi in proporzioni di- verse. I primi invece sarebbero tutti quelli che si possono ri- — 265 - durre ad una qualunque delle tre formole seguenti di silicati di idrogeno: r H, Si O3 2° Hi Si O4 3” Hg Si O5 Delle quali quella di mezzo costituisce V acido silicico neutro, normale, e a cui corrispondono i silicati normali; la prima rap- presenta un grado di disidratazione della seconda sunnominata, e sarebbe la prima anidride silicica e vi corrispondono i silicati ad eccesso di acido, cioè i così detti soprasilicati; la terza finalmente rappresenta un grado di idratazione della normale cioè il primo idrato silicico e vi corrispondono i silicati basici 0 sottosilicati. Anche in questa divisione troviamo le tracce della ricordata classazione proposta dal D’ Achiardi, quantunque quest’ ultimo l’ abbia proposta per tutti i silicati, mentre il Bom- bicci l’adotta soltanto per i monogenici; e ciò, unito al diverso modo di considerare le funzioni dell’ acqua dà origine ad una sensibile divergenza nelle applicazioni, massime nei sottosilicati e soprasilicati. In quanto ai silicati multipli non è qui luogo di tentare di darne la teoria che ognuno può invece studiare nel libro stesso e nelle pubblicazioni separate del medesimo Autore sull’ argo- mento; soltanto diremo che mentre i monogenici sono classati secondo il tipo di composizione (dipendente dall’ elemento mine- ralizzatore), i poligenici lo sono subordinatamente alla specie che vi prevale 0 di cui sono più manifestamente mantenuti i caratteri. In tal modo si hanno i Firosseni (1° tipo); i Peridoti (2° tipo) e le Andalusiti (3® tipo) ; che comprendono tutti i si- licati monogenici ; dall’ associazione dei Peridoti e dei Pirosseni si hanno i Serpentini; dall’associazione dei Peridoti, dei Piros- seni, delle Andalusiti e dell’ acqua si hanno le Cloriti e le Mi- che ; e se si vuole come caso particolare i Granati ; dall’ asso- ciazione dei Pirosseni, delle Andalusiti, di quarzo e di acqua, i Feldispati e le Zeoliti; e in questi diversi casi di associazione si troverebbero compresi tutti i silicati poligenici. E una classazione degna di ogni studio e di certo non sarà questo un fatto scientifico che possa passare inosservato dagli 18 - 266 — studiosi e speriamo ne venga fatta una completa ed efficace di- scussione. Alcune cose sarebbero ancora qua e là da segnalarsi in que- sto prezioso libro ; per esempio le descrizioni delle principali specie le quali sono per alcune parti vere e proprie monografie, fra cui citiamo quella del Quarzo ; ^ alcune vere e proprie curio- sità scientifiche di cui ci dà un esempio il quadro della pa- gina 661 del II volume dal quale apprendiamo in quanti modi diversi di associazione può immaginarsi prodotto il gr^ato sem- pre coerentemente alla sua forinola generale di associazione. Così per citarne alcuni il granato può essere costituito per as- sociazione poligenica o da Peridoto, Pirosseno e Andalusite, o da Andalusite e Serpentino, o da Peridoto e Vernerite, o da Gehlenite e Silice o da Damouriti e 2R2O, ec. — E ciò è utilis- simo per aiutarci a trovare la paragenesi di tal minerale nei suoi molti e diversi giacimenti. Finalmente, per finire, notiamo la novità di trovare inclusa come varietà della silice idrata anche le agate, i calcedoni!, le selci e i diaspri che finora vennero classate come varietà amorfe e anidre del quarzo, stantechè V Autore le considera come va- rietà composte di silice opalina (silice pura e acqua) e quarzo insieme commisti. Aggiungiamo agli altri suoi pregi quello di un costo mode- rato relativamente alla mole della pubblicazione, e siamo con- vinti che il paese vorrà corrispondere splendidamente alla fiducia che r Autore ha avuta in esso, sobbarcandosi ad una impresa, per la quale saranno di certo necessitati sacrifizi! grandissimi di tempo, di studio, di fatica e di danaro. G. Grattarola. ‘ Con ragione il prof. Bombicci potè dare questa monografìa del quarzo : egli ha potuto ordinare nel Museo universitario di Bologna una delle più belle collezioni di quarzi che si conoscano e vi fanno la prima figura i più belli esem- plari conosciuti di quarzo di Porretta. - 267 - r G. CapeIjLINI. — Considerazioni sui Cetoterii bolognesi. Con due tavole. — Bologna, 1875. Nella seduta 18 marzo scorso, dell’ Accademia delle Scienze deir Istituto di Bologna, il prof. Capellini presentava questo suo lavoro che poi vide la luce nelle Memorie della stessa Accade- mia. In esso l’Autore fa la storia delle scoperte di avanzi di cetacei nelle colline bolognesi, dalle poche vertebre ed altre ossa scavate nel 1751-52 ed illustrate dal Biancani alla balenottera di San Lorenzo in Collina trovata nel 1862 e con tanta fatica e pazienza raccolta e restaurata dal Capellini. Una memoria pubblicata nel 1865 dà a conoscere i primi risultamene dello studio intrapreso su questo interessante individuo ; il presente la- voro ne completa la illustrazione e da esso l’Autore coglie oc- casione per parlare in generale degli avanzi di cetacei finora scoperti in Europa e segnatamente in Italia. Di quanti si occuparono di cetacei fossili, il Brandt trattò diffusamente di questo individuo in una sua memoria pubblicata nel 1873, e conchiuse riferendo la balenottera di San Lorenzo ai Cetoterii e dubitativamente al sottogenere Getotheriophanes fondando la nuova specie C. Capeìlinii. L’Autore dà la descrizione particolareggiata degli avanzi di questo fossile che si conservano nel Museo della K. Università di Bologna, e mette in evidenza le differenze fra il cranio restau- rato ed i frammenti coi quali potè abbozzare la figura d’insieme che fu annessa alla sua prima memoria. Discorre anche di altri avanzi di Cetoterii che probabilmente provengono dai dintorni di Bologna, rinvenuti in occasione del trasporto delle collezioni nel nuovo Museo di paleontologia : ma di questi isolati frammenti è impossibile per ora indicare la specie. Tratta infine nelle sue conclusioni della distribuzione dei re- sti di Cetoterii in Europa, nello scopo di contribuire a far co- noscere in quali condizioni climatologiche si trovavano le regioni ove ora si incontrano gli avanzi di questi animali, e quale doveva essere in quelle epoche la distribuzione delle terre e dei mari; e ciò gii offre argomento di importanti considerazioni. Tutti gli 268 — avanzi di Cetoterii trovati nel mezzodì della Eussia e nel Ba- cino di Vienna sono riferiti al sottogenere Eucetotlieriim, da considerarsi dunque come il tipo più orientale : il sottogenere Plesiocetopsis è riguardato come un tipo esclusivo del nord-ovest d’Europa, e il Cetotheriophanes come tipo del sud-ovest. Tutti questi avanzi provengono da formazioni appartenenti al miocene medio e superiore ed al pliocene inferiore. Il volume è corredato da due tavole rappresentanti a un quinto del vero i resti di Cetoterii esistenti nel Museo bolognese ; nella prima havvi una ricostruzione a un venticinquesimo del vero dell’ intiero scheletro di C. Capellinii, il quale dai calcoli fatti risulterebbe lungo m. 7, 39, cifra che corrisponde con quella tro- vata altra volta con elementi anche meno sicuri. 0. Heer. — Flora fossilis ar etica, voi. III. Zurich, 1875. I primi due volumi della Flora fossile artica del prof. Heer, sono tanto conosciuti dagli studiosi di paleofitologia quanto il nome del loro illustre autore. Un terzo volume è stato pubblicato re- centemente coi materiali raccolti durante la spedizione polare svedese sotto la direzione del prof. Nordenskiold. Questo volume completa assai bene 1’ opera, essendo esso d’ un’ esecuzione inap- puntabile ed offrendo fatti interessanti riguardo alle flore geo- logiche delle regioni artiche e polari : esso contiene, V una nota sulla flora carbonifera dello Spitzberg, con 6 tavole ; 2° la flora cretacea della zona artica, con 38 tavole ; 3° un’ appendice alla flora miocenica della Groenlandia, con 5 tavole ; 4® una rivista generale della flora miocenica della zona artica. Nella prima parte vediamo citate alcune specie ben note, come il Calamites radiatus^ Ugt., e il Lepidodendron Veltìieimianum, Stb., insieme colla Stigmaria ficoides var. inaequalis la quale altro non è probabilmente che la radice della precedente, e colla Cyclostigma Nathorsti, H. La parte più importante di questa pubblicazione è quella che riguarda la flora cretacea, non soltanto per la ragione che la — 269 — vegetazione dell’ epoca della creta è sinora poco conosciuta, ma altresì perchè l’Autore cita fatti relativi a molti interessantis- simi problemi che vi sono abilmente presentati e discussi. Que- sta parte ha inoltre un particolare interesse a cagione della re- cente scoperta fatta nella Nebraska e nel Kansas (America del Nord) d’ una formazione terrestre riferibile alla stessa epoca del cretaceo superiore della Groenlandia, nella quale formazione fu trovato un gran numero di piante fossili che furono da poco tempo descritte dal Lesquereux.* Le piante fossili della Groenlandia appartengono a due piani del cretaceo. L’ inferiore per i caratteri paleontologici va inti- mamente legato al Giura superiore, la flora essendovi special- mente composta di felci, conifere, cicadee con alcune poche monocotiledoni ed una sola dicotiledone rappresentante in appa- renza una specie del genere Fopulus. Il piano superiore poi ha nella sua flora, insieme con una gran quantità di felci e conifere, due sole specie di Cycas e 34 specie di dicotiledoni, (più della metà della intiera flora). Tra queste vi sono specie dei generi Myrica, Ficus, Sassafras (una specie), Andromeda, Diospyros, Magnolia ec., che sono pure rappresentate nel cretaceo di Nebraska con forme identiche od almeno analoghe. Però giova aggiungere che del- le 130 specie descritte del gruppo di Dakota nella Nebraska, 113 sono dicotiledoni, e molte del genere Liquidambar, Salix, JBetuìa, Alnus, Quercus, Fagus, Flatanus, Larus, Liriodendron, Me- nispermum, non sono rappresentate nella flora della Groenlandia. Nella Nebraska vi è pure una preponderanza di specie referibili al genere ^Sassafras mentre per la Groenlandia una sola foglia è descritta come appartenente a questo genere. Una divisione in- termedia, che apparterrebbe al cretaceo medio, è rappresentata nel volume di Heer da un piccolo numero di piante dello Spitzberg, in tutte 16 specie di felci e conifere con un solo Fquisetum. Nella terza parte sono illustrate alcune piante d’ epoca mio- cenica, in aggiunta a quelle descritte nei primi due volumi, in seguito alle scoperte fatte da Nordenskiòld in Groenlandia. Que- sti nuovi fossili sono divisi in tre categorie a norma dei loro giacimenti distinti come segue : l’ inferiore formato da sabbia, ‘ Ved, American Journal, voi. IX, pag. 227. 270 arenaria e scisti, listerelle di carbon fossile e argilla ferrifera; il mediano, da strati di sabbia e argilla ferrifera intercalati in un potente giacimento di basalto, tufo e lava ; il superiore da depositi di sabbia e argilla visibili alle coste meridionali del- r isola Disco, d’età più giovane del basalto il quale posa diret- tamente sulle rocce gneissiche. Per queste ricerche la flora mio- cenica di Groenlandia si è arricchita di 34 nuove specie, cosicché il numero totale di quelle conosciute flnora è di 169. La quarta parte finalmente chiude il terzo volume della Flora fossilis arctica con una rivista generale della flora miocenica delle regioni polari. AVVISO. Si invitano i signori abbonati, i quali non hanno ancora versato la loro quota di abbonamento per 1’ annata in corso, all’ uffizio di Segreteria del R. Co- mitato Geologico (Roma, Piazza San Pietro in Vin- coli, n“ 5), a volerlo fare senza ritardo onde evitare interruzioni nella trasmissione del periodico. La Dieezione. (Continuazione.) Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’Italia. — Volume II, Parte P; Firenze 1873. — 272 pa- gine in-4° con 11 tavole, due Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione. — Monografia geologica déW Isola d’ Ischia, con la Carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel testo, del professor C. W. C. Fuchs. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvetica, con una Carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’in- gegnere F. Giokdano. — Appendice alla Memoria sulla for- mazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, con una tavola, dell’ ingegnere S. Mottura. — Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifonostomi) ; fascicolo 2®, con otto tavole, di C. D’ Ancona. Prezzo del Voi. II" (Parte P), Lire 25. Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000, di F. Giordano. — Un foglio in cro- molitografia L. 5. — Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala di 1 per 25,000 di C. W. C. Fuchs. — Un foglio in cromolitografia L. 3. — Memorie per servire alla descrizione delia Carta Geologica d’ Italia. — Voi. II, Parte 2^ ; Firenze 1874. — 68 pag. in 4" con due tavole. — Contiene la seguente Memoria : B. Ga- . STALDi, Studii geologici sulle Alpi Occidentali; Parte 2®. Prezzo del Voi. Il" (Parte 2"^), Lire 5. Per le commissioni dirigersi al Segretario del E. Co- mitato Greologico, in Eoma, Piazza San Pietro in Vincoli, N, 5. Annunzi di pubblicazioni. C. J. Foksyth Major. — Considerazioni sulla Fauna dei mammiferi plio- cenici e postpliocenici della Toscana. — (Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 33, in-8°. (con- tinua). R. Lawley. — Dei resti di pesci fossili del pliocene toscano. — (Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 8, in-8®. A. D’ Achiardi. — Coralli eocenici del Friuli. — (Atti della Società To- scana di Scienze Naturali, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 16, in-8° con due tavole (continua). M. S. De Rossi. — Primi risultati delle osservazioni sulle oscillazioni microscopiche dei pendoli. — Roma 1875, pag. 40, in-4°. C. De Stefani. — Di alcune conchiglie terrestri fossili nella Terra rossa della pietra calcare di Agnano nel Monte Pisano. — Pisa 1875, pag. 5, in-8°. — Natura geologica delle colline della Val di Nievole e delle valli di Lucca e di Bientina. — Pisa 1875, pag. 6, in-8®. — Descrizione di nuove specie di molluschi pliocenici italiani. — (Bull, della Società Malacologica italiana, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 9, in-8®. A. Bellardt. — Novae Pleurotomidarum Pedemontii et Liguriae fossi- lium dispositioiìis prodromus. — (Bull, della Società Malacologica italiana, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 9, in-8'\ P. Mantovani. — Delle argille scagliose e di alcuni Ammoniti dell’ Ap- pennino dell’Emilia. — (Atti Soc. It. Scienze Naturali, voi. XVIII, fase. 1). — Milano 1875, pag. 35, in-8®. G. Omboni. — Di alcuni oggetti preistorici delle caverne di Velo nel Veronese. — (Atti Soc. It. Scienze Naturali, voi. XVIII, fase. 1). — Milano 1875, pag. 14, in-8® con una tavola. A. De Zigno — Sirenii fossili trovati nel Veneto. — (Memorie del R. Istituto Veneto, voi. XVIII). — Venezia 1875, pag. 30, in-4® con cinque tavole. — Sui mammiferi fossili del Veneto. — Padova 1875, pag. 16, in-8°. L. Bombicci. — Corso di Mineralogia. — (Seconda edizione grandemente variata ed accresciuta), voi. 2® diviso in due parti. — Bologna 1875, pag. 1032, in-8° con tavole ed incisioni. A. Stoppani. — Sui rapporti del terreno glaciale col pliocenico nei dintorni di Como. — Milano 1875 (Atti della Soc. Ital. di Scienze Nat., voi. XVIII, fase. 2); pag. 25 in-8°. A. D’Achiardi. — Sulla Cordìerite nel granito normale dell’ Elba e sulle correlazioni delle rocce granitiche con le trachitiche. — Pisa 1875 (Atti della Soc. Tose, di Scienze Nat., voi. II, fase. 1) ; pag. 12 in-8°. Gemmellaro (G. G.) e Di Beasi (x\.). — Pettini del titonio inferiori, del nord della Sicilia. — Catania 1874 (Atti Acc. Gioenia, serie 3^, tomo IX) ; pag. 44 in-4'’ con quattro tavole. G. Capellini. — Sui Cetoterii bolognesi. — Bologna 1875 (Memorie del- l’Acc. delle Scienze, serie 3®, tomo V, fase. 4) ; pag' 32 in-4 con due tavole. G. Strììver. — Sulla Gastaldite, nuovo minerale del gruppo dei bisili- cati anidri. — Roma 1875 ; pag. 5 in-4°. B. Gastaldi. — Cenni sulla giacitura del Cervus euryceros. — Roma 1875; pag. 6 in-4° con una tavola. T. Taramelli. — Dei terreni morenici ed alluvionali del Friuli. — Udine 1875 (Annali scientifici del R. Istituto Tecnico di Udine, anno Vili); pag. 100 in-8® con 2 tavole. Anno 187S. Il» 9 e 10. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° 9 e IO. Settembee e Ottobre 1875. -O-oJ^JS^OO- O ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1875. Bollettino (teologico per il 1870. — Un voi. in-S*" di pag. 324. » » PER IL 1871. — Un voi. in-8° di pag. 296. » » PER IL 1872. — Un voi. in-8® di pag. 376. » » PER IL 1873. — Un voi. in-8° di pag. 400. » » PER IL 1874. — Un voi. in-8° di pag. 408. Prezzo di ciascun volume L. 10. Associazione al Bollettino del 1875 (Anno YP). — Per l’Italia L. 8, Estero L. 10. I fascicoli bimestrali del Bollettino si vendono anche se- paratamente al prezzo di L. 2 ciascuno. Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’Italia. — Volume P; Firenze 1871. — 404 pagine in-4° con 23 tavole, due Carte geologiche e varie incisioni inter- calate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui mine- rati delle valli di Lanzo, di G. Struver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con quattro tavole. — Descrizione geologica delV Isola d’ Uba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifo- nostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo 1% con sette tavole. Prezzo del Voi. F, Lire 35. Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati Geo- logici e sul B. Comitato Geologico d’ Italia, di I. Cocchi. — Pag. 34 in-d® L. 1.50 Carta Geologica della parte orientale dell’ Isola d’Elba, nella scala di 1 per 50,000, di I. Coc- chi. — Un foglio in cromolitografia L. 3. 00 * {Continua,) | BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. 9 e {0. — Sellembre e Ottobre 1875. SOMMARIO. Note geologiche. — I. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica del- l’Italia Meridionale, per G. Sequenza. (Continuazione.) — II. Notizie pre- liminari su le piante ed insetti fossili della formazione solfifera della Sicilia, per E. Stoehr. — III. Le formazioni plioceniche di Siracusa e di Lentini, per Th, Fuchs e Al. Bittner. — IV. Il territorio di Zoldo e di Agordo nelle Alpi Venete, per K. v. Mojsisovics. — V. Ricerche nella valle superiore del Rienz e nei dintorni di Cortina d’Ampezzo, per R. Hòrnes. — VI. I Caolini e le Argille refrattarie in Italia, per P. Zezi. Notizie bibliografiche. — A. Manzoni, I Briozoi delplioceno antico di Ca- strocaro; Bologna, 1875. — G. vom Rath, I Monzotn nella parte S.E. del Tirolo ; Bonn, 1875. — E. VON Mojsisovics, Sull’estensione e la struttura delle masse dolomitiche nel S.E. del Tirolo. — E. Stoehr, Katechismus der Bergbaukimde; Wien, 1875. — J. Dana, Marmai of Geology, second edition; New-York, 1875. Notizie diverse. — Le ultime eruzioni vulcaniche nell’ Islanda. — Ricerche geologiche nel mezzodì della Spagna. — Le piriti in Francia. — Formazione contemporanea dei minerali. — Minerali tellurici del Chili. — Studii sui terremoti. NOTE GEOLOGICHE. I. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica deir Italia Meridionale., per G. Seguenza. (Continuazione. — Vedi Bollettino, N. 7-8.) ’ Elenco dei Cirripedi e dei Molluschi della zona superiore dell’ antico plioceno. I — 276 235 s. 236 ]. 237 1. •238M. 239* 1. 240* ]. 241*1. 242* 1. *1. 243* 1. 244 c. 245* c. 246 c. 247* c. 248* c. 249* c. 250* c. 251* c. 252* s. 253 1. 2541. 255 1. 256* 1. 257* 1. 258* 1. 259* 1. 260* 1. 261*1. 262* 1. 263 1. 264 1. 265* 1. 266*1. 267* 1. 268* 1. 269* 1. 270* 1. 271* 1. 272* 1. Gen. Lacheais Risso, vulpecula Monterosato Gen. Columbella Lamarck. rustica Linneo (Voluta) ...... scripta Linneo (Murex) semicaudata Bonelli (M. S.) . . . stazzanensis Bellardi (M. S.) . . . turgidula Brocchi (Voluta) . . . . curta Dujardin (Buccinum) . . . . corrugata Brocchi (Buccinum) . . » var. A. Bellardi . . . . Calcarae (Seguenza) Graeci Philippi var. costata erythrostoma Bonelli (M. S.) costolata Cantraine (Fusus) » var. acutecostata Phil. (Bucc.) subulata Brocchi (Murex) Bellardii Seguenza nassoides Bellardi compta Bronn (Fusus). thiara Brocchi (Murex) semicostata Cantraine (Fusus) Gen. Cyclonassa Swainson. neritea Linneo (Buccinum) Gen. Nassa Lamarck. = L. recondita Brugnone, Riportata dal Calcara ad Altavilla = C. scripta e Gervillii Monterosato . . . . = C. semicaudata Bellardi, Sismonda. . . . Nuova specie che sarà descritta daH’autoi Columbella turgidula Bellardi, Sismonda. Linnaei Calcara (non Payraudeau) . . . . = Columbella curta Bellardi, Sismonda . . =r Columbella corrugata Bonelli, Bellardi . Gli ultimi anfratti senza costole Questa specie fu confusa dal Calcara colla che non trovasi ad Altavilla e detta Bucci chi. Ordinariamente credesi una varietà pù C. subulata, ma è ben distinta per P ap altre note =: Mitra striatella Calcara, Mitra olivoidea C. Graeci Monterosato = Mitra columhellaria Scacchi = C. erythrostoma Bellardi, Sismonda . . = Buccinum Testae Aradas, Fusus Caillam Columbella Haliaeti Jeflfr. Costole più rade, conchiglia più rigonfia. . = Fusus politus Philippi. (Non C. subulata =ì C. subulata Bellardi. (Non Murex subulatu r= C. subulata Bonelli (M. S.) (non Sellar politus Calcara = Columbella compta Bellardi =: Columbella thiara Bonelli, Bellardi ec. . Buccinum elegantissimum Aradas, Buccii costatum Seguenza. Specie intermedia tra rugata e la C. costulata Buccinum neritoides Calcara, B. neriteum clope neritea, Cyclonassa neritea Monter gibbosula Linneo (Buccinum) 2 mutabilis Linneo (Buccinum) obliquata Brocchi (Buccinum) Bonelli Bellardi pupa Brocchi (Buccinum) conglobata Brocchi (Buccinum) scalaris Borson semicostata Brocchi (Buccinum) musiva Brocchi (Buccinum) reticolata Linneo (Buccinum) Cuvieri Payraudeau (Buccinum) = Nassa gibbosula Monterosato = Buccinum mutabile Calcara, Philippi. N.j Monterosato ] = B. mutabile var. obliquata Calcara, Phil =: Buccinum mutabile Brocchi (parte). . . . =: Buccinum pupa Calcara i =: N. scalaris Foresti F distinta dalle diverse varietà della N. sif = Buccinum musivum Calcara, Philippi . . = Buccinum reticulatum Calcara, Philippi. lata Monterosato = Buccinum subdiaphanus Bivona, Calcara,! variabile Philippi, Nassa Cuvieri Monter ì Basteroti Michelotti Bufo Doderlein = Nassa Bufo Foresti. . turbinella Brocchi (Buccinum) Strobeliana Bocconi . =: N. Strobeliana Foresti, angolata Brocchi (Buccinum) ringens Bonelli serrati costa Bronn asperata Bocconi 277 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 M. -P G. A. -P • • • P. b. • • • • • • • • • b. . . . P. 0. P- B. b. • • • c. 0. Co. b. • • • C. C. P. B. • • • c. 0. M. M. -P b. 1. M. -P -P m. M. 0. C. c. 0. Le. B. • • • c. B. c. 0. L. 0. . . . B. . . . c. . . . b. L. M. le. B. -P -4- • • • CaP.Fo B. M. B. -P • • P. B. À. * . • le. B. • • Le. • • Le. b. • • • • • • • • • b. . . . b. . . . M. b. A. b. L. B. -P b. -P 0. L. b. • « • t • • b. 0. P. B. • • • c. • • • b. L. b. 0. b. L. 0. 0, M. -- 278 — 273* c. turrita Borson £=: Buccinum Lamarckianum Calcara?. . . 274* c. 275 c. angiostoma Doderlein semistriata Brocchi (Buccinum) = Buccinum corniculum Brocchi (non Olivi) striatum Philipp!, Nassa semistriata Mon c. » var. integro-striata Sismonda. = N. seraistriata var. integro-striata Fore: mistriata var. seconda Calcara. N. semist c. » var. turrita Foresti = N. semistriata var. prima Calcara . . . . 276* c. costolata Brocchi (Buccinum) =B. semistriatum var. 6 . Phil. Non N. costuU 277 c. serrata Brocchi (JBuccinum) 278* c. clathrata Boro. (Buccinum) Buccinum clathratum Brocchi * c. » var. craticulata Foresti. . . . 279 c. prismatica Brocchi (Buccinum) = Buccinum prismaticum Calcara, Philipp! 280 c. limata Chemnitz (Buccinum) = Buccinum prismaticum Calcara, Philipp N. limata Monterosato » var. peloritana Anfratti più convessi, costole rotondate, stri sali assai sottili, apice più ottuso, rotoad distinta specie 281 c. incrassata Muller (Tritonium) = Buccinum asperulum Brocchi, Calcara, B. ascanias Phil,, N. incrassata Monterosat 282* c. pusilla Philipp! (Buccinum) Non è da confondersi menomamente colla costa come alcuni credono 288* s. spinulosa Philipp! (Buccinum) Gen. Phos Monfort. — N. spinulosa Seguenza . 284* 1. polygonus Brocchi (Buccinum) Gex. Terebra Lamarck. / 285* 1. fuscata Brocchi (Buccinum) =3 Terebra fuscàta Philipp!. Terebra subula (non Lamarck) 286* 1. plicatula Lamarck = Buccinum cinereum Brocchi (non Linneo solcata Calcara 287* 1. 288* 1. acuminata Borson pertusa Basterot !=: Buccinum strigilatum Brocchi (non Linn 289*1. Basteroti Nyst . =3 Buccinum duplicatum Brocchi (non Linneo duplicata Calcara, Philipp! 290* 1. reticularis Pecchioli (M. S.) Gen. DoUum Lamarck. Inviatami con tale nome dal signor Lawlej 291*1. denticulatum Deshayes Gen. Cassia Bruguière. == Buccinum pomum Brocchi (non Linne sulcosa Calcara ? (non Lamk.) ■ 292 1. saburon Lamarck = Buccinum saburon Brocchi, Cassis tex Calcara, Cassis saburon Philippi, Monter' 1. » var. B. laevis evaricosa Bronn. — Cassis laevigata Defrance, Monterosato,! areola Brocchi. Var. Calcara ! 1. » » C. laevis varicosa Bronn . 1. » » striata Bronn =3 Cassis striata Defrance, Buccinum saburo 293* 1. crumena Bruguière (Cassidea) ==; Buccinum plicatum Brocchi (non Linne plicata Bronn^ 294*1. variabilis Bellardi e Michelotti = Buccinum intermedium Brocchi, Cassis Borson Gen. Cassidaria Lamarck. [ ( 295 c. echinophora Linneo (Buccinum) =: Buccinum diadema Brocchi. C. echinophoiH 296 c. thyrrhena Chemnitz (Buccinum) =33 C. thyrrhena Philippi, Monterosato . . . 1 279 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 0. Le. B. c. c. 0. Ca. B. A. C. M. B. L. • • • c. G. 1. R. • • • M. G. M. B. 0. CaP.Le B. • • • C. • • • B. L. • • • c. • • . • • • • • • • • • M. 0. Te. B. . • • c. • • • B. • • • « • • c. • • • P.C.Ce. B. A. • • • M. B. Zona lusitanica. « • • • • b. • • • . • • • • • b. 0. P.Te. B. A. c. M. b. L. • • • g- 1. . . . . . . • • • H- M. H- ■ M. • » • Le. B. . . . M. b. . . . • • • • « • • • • * • « • • • M. 0. Le. • • • M. b. • • • • • • c. • • • R. M. 1. M. le. B. M. • • • Le. Ca. b. • • • M. P. B. A. b. A. • • • Le. B. • • • c. M. b. 0. P.Le. B. A. c. M. • • • P. Le. . . . . . . . M. 0. Le. B. • • • • • • M. b. ... c. • • • • • • • • • • • « • • • -H . • . Le. B. . . . le. . . . . . . • • • M. b. “h . . . F. 0. C. B. A. c. . . . b. 0. B. • • • b. 1. • • • c. G. H- 0. C. M. H- — 280 - 297 1. Gen. Euthria Gray. cornea Linneo (Murex) = Murex corneus Brocchi, Fusus lignarius 298^ 1. Altavillae n. sp Fusus lignarius, corneus Phil., Euthria come. Prossima alla precedente, più breve, avv 299* 1. adunca Bronn (Fusus) meno convessi ec 3001. Gen. Pisania Bivona. maculosa Lamarck (Buccinum) = Pisania striatola Bivona. Buccinum m *1. » var. magna Foresti. B. pusio Philippi. P. maculosa Monteross 30r]. Gen. Follia Gray. turrita Borson (Murex) = Murex fiexicauda Bronn. M. fusulus D’An 302 1. fusulus Brocchi (Murex) Brocchi) = Murex Spadae Libassi, M. fiexicauda ] 303* 1. gracilis n. sp (non Bronn) Più gracile della precedente, strie transverse 304* 1. plicata Brocchi (Murex) merose e più grossolane. Specie comune ad = Pollia plicata Bellardi 305* 1. pusilla Bellardi =3 Murex exiguus D’Ancona (non Dujardin). 306* 1. Gen. Anura Bellardi. inflata Brocchi (Murex) = Fusus inflatus Foresti, A. inflata Bellard 307* 1. Gen. Metula H. et A. Adams. mitraeformis Brocchi (Fusus) = Fusus mitraeformis Libassi 308* 1. Geìt. Jania Bellardi. anguiosa Brocchi (Murex) = Jania angolosa Bellardi 309*1. Gen. Fasciolaria Lamarck. fimbriata Brocchi (Murex) = Murex fimbriatus Calcara 310*1. 311*1. Lawleyana D’ Ancona Hornesii Seguenza = Fasciolaria fimbriata Hoernes (non M. 312* 1. etrusca D’Ancona Brocchi) F. fimbriata (parte) Foresti . . “Fusus D’Anconae Pecchioli 313*1. Tarbelliana Grateloup == F. Tarbellianus Foresti i 3141. tarentina Lamarck == Fasciolaria tarentina Phil., F. Ugnarla Md * var. cingolata Foresti 315* 1. fusoidea Pecchioli Denominazione manoscritta datami dal sign 316*1. costata Bonelli • Gen. Clavella Swainson. 1 1 317* s. filosa n. sp ■ — Fnsns fìlnsns Sfie'iip.nzfl. fM. R.ì 1 318*1. 319* 1. Gen. Fusus Lamarck. criapns Borson 1 i — F. rostratus var. Bellardi j cinctus Bellardi e Michelotti — F. rostratus var. Bellardi. . 320* 1. Borsonianus D’Ancona i 281 3 4 5 6 1 8 1 9 10 Il 12 13 14 15 16 17 18 0. p. B. . • • C. . b. . . . . . . . . . . . . . 0. « -h • • • • • B. 0. P.L. B. c. 0. P. B. . . . i 4- c. . . . I ie.G.c. b. A. V b. 0. Le. B. c. . . . . . . 1. . . . C. 1 0. 1. P.Le B. A. • • • Le. Le. • • • • • • M. . . . • • b. . . . . . . . “4“ b. • • • le. • • le. M. . b. . 0. . b. 19 — 282 321M. 322* 1. 323* 1. 324*1. 325*1. 326* 1. *1. 327 c. *c. 328* c. 329 c. 330' s. 331* 1. 332* 1. * 1. 333* 1. *1. 334* 1. 335*1. 336 1. 337*1. 33 S* 1. 339*1. 340* 1. 341 1. 342* 1. 343* 1. 344* 1. 345* 1. 346* 1. 347 1. 348* 1. 349* 1. *1. 350* 1. 351*1. rudis Philipp! . . lamellosus Borson clavatus Brocchi (Murex) etruscus Pecchioli Meneghinianus I)’ Ancona nodifer n. sp » var. B rostratus Olivi (Murex) » var. Bononiensis Foresti . . . longiroster Brocchi (Murex) pulchellus Philipp! Sottogenere Neptunea Bolten. contraria Linneo (Murex) Gen. Murex Linneo. spinicosta Broun altavillensis n. sp » var. B. subspinosa torularius Lamarck ....... » var. B. cornuta Veranyi Paulucci Sowerbyi Michelotti. .' ■ erinaceus Linneo heptagonatus Broun absonus Jan incisus Broderip Constantiae D’Ancona scalarioides Blainville Jani Doderlein brevicanthos Sismonda niulticostatus Pecchioli hirtus n, sp Hornesii D’Ancona trunculus Linneo conglobatus Michelotti Pecchiolianus D’ Ancona. . . . » var. bicoronata Libassi! n. sp truncatulus Foresti, = F. lamellosus Bellardi = F. clavatus Calcara, Philipp!, Bellardi = F. etruscus D’Ancona, Foresti, Bellardi Avvolgimenti carenati, carena nodulosa . Noduli quasi scancellati = Fusus rostratus Calcara, Philipp!, Mure: Brocchi, Monterosato = F. rostratus var. A. Bellardi = F. longiroster Calcara, Philipp! .... — Murex rostratus var. Monterosato . . . = Fusus contrarius Philipp! c=; M. spinicosta D’ Ancona, Bellardi ec. . =: M. brandaris ? (parte) Calcara. Spira sei non spinosi. Distintissimo dal M. l dalla seguente specie. Comune ad Alta'' Avvolgimenti appena carenati, varici nod; rena = Murex J:orularius Bellardi, Murex p daris D’ Ancona, Murex brandaris (] cara =:M. cornutus Calcara (non Linneo). Foi e con lunghi e forti aculei = M. tripterus Brocchi (non Linneo) . . . = M. So^^verbyl D’Ancona, Bellardi. . . . " M. erinaceus et decussatus Brocchi, M. Calcara, M. erinaceus Philipp!, Monterò M. Altavillae Libassi, M. heptagonatr na, Bellardi =: M. saxatilis var. Brocchi (non Linneo), M. Libassi, M. absonus D’Ancona, Bellardi r=: M. incisus D’Aucona, Monterosato. . . = M. Constantiae Bellardi M. distinctus Jan, Calcara, Philipp!, D’ scalarinus Phil., M. scalarioides Bellardi, 3J = M. distinctus var. Jan, M. pseudo-p D’Ancona, M. Jani Bellardi = M. ramosus Brocchi (non Linneo), M. b: D’Ancona, Bellardi = M. multicostatus Bellardi Coste trasverse spinose = M. trunculus var. 2^ Calcara, M. Home: = M. trunculus Calcara (parte), Philippi, k = M. pomum Brocchi (non Linneo), M, vai*. 3^ Calcara, M. conglobatus D’Anpoi (parte) == M. trunculus var. 4^^ Calcara, M. congh B. e C. Bellardi L’ ultimo giro ha una serie di spine e posi una serie di grossi nodi Affine al M. truncatulus ; Spira più elevati strette, coste interposte nell’ ultimo av nulle, suture profonde = M. truncatulus D’Ancona, Bellardi. . . 4 283 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 m. 0. Le. B. • • • C. . P.Lo. b. 0. . • • B. • • T. B. A. C. 1. C. -1- . . • o * B. • • • 0. 0. p. B. • • • c. . • > b. 1. • • . C. c. G. M. -1- M. -H • • « b. • • • c. • • • b. CeCrLe B. • • • • • • M. b.? Le. 6. F. 0. Le. b. H- • • • Ca. 0. C.Le. b. 0. C. 0. 0. • -1- 0. Le. (L 0. Le.f. b. Le.Ce. b. H- • • • P.Fo. • Fo.f.Ce P. B. A. (Continua.) ~ 284 — n. Notile 'preliminari su le piante ed insetti fossili della formazione solfifera di Sicilia, per Emilio Stoehe. f Occupato di presente in uno studio dettagliato della colle- zione da me fatta in Sicilia nella formazione solfifera della pro- vincia di Girgenti, alcuni amici mi hanno favorito la loro coo- perazione in tali ricerche. Il dottor von Heyden di Francoforte si è assunto V incarico della determinazione degli insetti e il dott. Geyler, anch’ esso di Francoforte, quella delle impronte vegetali. I signori von Heyden e Geyler hanno già terminato le loro ricerche ed i resultati ottenuti sono bastantemente interes- santi, perchè io ne dia fin d’ ora comunicazione a titolo di no- tizie preliminari. Le piante e gli insetti studiati provengono per la maggior parte da quella serie di colline, che a settentrione di Kacal- muto e Grotte nella provincia di Girgenti, si stende da Ovest verso Est, e che viene denominata Contrada Cannatone unita- mente al Monte Pernice. Essa elevasi sopra il mare fino a 590 metri, oppure circa 180 metri sul fondo della valle. In questa serie d’alture formate dai diversi membri della forma- zione solfifera, gii strati hanno una inclinazione media di 30 gradi verso Nord e una direzione generale da S.O. a N.E. ; vi esi- stono pure diverse perturbazioni locali. Nella parte superiore vi sono marne calcaree bianchiccie, i trut)i superiori, contenenti una gran quantità di foraminifere, con rare tracce di conchiglie marine. Trovasi al disotto una massa di gesso della potenza di 50 a 70 m. talora costituita da gesso cristallino, tal’ altra divenendo più o meno marnosa con strut- tura lamellare. In questa massa gessosa sono racchiusi due de- positi di solfo (Vanelle), cioè strati calcareo-marnosi contenenti solfo nativo. Ambedue i depositi vengono lavorati in una serie di miniere, l’ inferiore contenendo un minerale puro, ricchis- simo, talvolta con bei cristalli di solfo, mentre il superiore offre un minerale più povero, frammisto a molto bitume, e perciò colla I — 285 - fusione produce uno zolfo colorato in bruno. Sotto il gesso ri- posano i tnibi inferiori in nulla dissimili dai superiori e pari- mente ripieni di foraminifere, contenendo assai raramente resti di Pecten, Ostrea, Turritella, Trochns, Puccimim e coralli. Sotto ai trubi seguono scisti da pulire bianchi, lamellari, il tripoli, pieni d’ infusori. Alla base di tutte queste formazioni e sotto al tripoli stanno certi calcari cavernosi che emergono a ^uisa di scogli. I trubi, tanto superiori che inferiori, sono di formazione ma- rina ; i gessi che vi sono racchiusi insieme alle masse di solfo sono, al contrario, per lo più, formazioni lacustri, come lo dimo- strano i numerosi pesci d’ acqua dolce che contengono, nella maggior parte Lehias crassicauda, e che trovansi negli strati di gesso marnoso e nei depositi di minerale di solfo ; località nelle quali si trovano puranche resti di conchiglie marine, sono assai rare. In questi strati trovansi ancora gli insetti studiati dal von Heyden e, come rarità, impronte di piante. Quest’ ul- time, raccolte da me e dal dottore Nocito di Girgenti, furono determinate dal dott. Geyler e quasi tutte provengono dagli strati in parola. Gli scisti sottoposti ai trubi inferiori, i tripoli, oltre agli infu- sori, dalle corazze silicee dei quali sono quasi intieramente formati, racchiudono molte impronte di pesci, apparentemente gli stessi de- scritti da Sauvage degli strati analoghi di Licata. Per la maggior parte sono marini, misti però a pesci d’acqua dolce, per cui la formazione del tripoli dovrebbe esser riguardata come origina- tasi in un estuario, nel quale si riversavano torrenti e fiumi. Sfortunatamente, per circostanze non prevedute, lo studio, dei pesci da me raccolti non è peranche compiuto, cosicché non è possibile al presente dare su tal proposito un giusto giudizio. In questi tripoli presentansi assai di rado alcune impronte ve- getali, una delle quali fu determinata appunto dal dott. Geyler. Nel calcare cavernoso sottostante, che spesse volte costituisce delle creste pittoresche ed elevate, non è stata fino ad ora rin- venuta traccia alcuna di fossili, e resta perciò in dubbio se debba forse riguardarsi come una formazione più antica. A me sembrano decisamente essere scogliere madreporiche. Premesse queste osservazioni sopra le condizioni del giaci- — 286 — I mento ; passo a dare i resultati delle ricerche dei signori von , Heyden e Geyler. Gli insetti studiati dal signor von Heyden, furono riconosciuti come larve di Libellula Boris, Heer e Libellula Eurynome, Heer ambedue le quali sono state descritte da Heer per il giacimento di Oeningen. Il signor von Heyden aveva in mano abbondante mate- riale per le sue ricerche, e le impronte si trovano precisamente nelle lastre degli strati di gesso marnoso o in quelle dei depo- siti di solfo. La quantità degli esemplari ivi esistenti è così straordinaria, che in un piede quadrato spesso si vedono più di cento impronte. Tutte, secondo il von Heyden, appartengono soltanto alle due specie suaccennate, delle quali tuttavia comparisce quasi esclusivamente la Libellula Boris, mentre che la Libellula Eury- nome trovasi solo in alcuni pochi esemplari. La straordinaria quantità di questi insetti allo stato di larva soltanto, però in tutto le gradazioni d’ età, accenna certamente ad acque placide sul cui fondo sviluppansi le larve. L’insetto perfetto, veloce e vigoroso nel volo, abbandona il luogo di sua nascita e corre alla i rapina esplorando V interno dei boschi. Kesulta da ciò che assai raramente accadrà che un insetto perfetto cada per avventura nell’ acqua e venga quindi ricoperto dalla fanghiglia. Questo è il ; motivo per cui trovansi soltanto larve e non insetti perfetti, fatto identico a quello del giacimento di Oeningen descritto da Heer. Il dott. Geyler determinò le impronte vegetali da esso stu- diate sulle lastre di gesso marnoso, e sono le seguenti : 1. luglans | vetusta, Heer ; 2. Gcesalpinia — P — , Towmshendi aff., Heer ; ; 3. Biospyros brachysepala, Al. Br. ; 4. Cinnamomum pòlymor- \ phum. Al. Br. ; 5. Quercus cMoropliylla, Ung. ; 6, Poacites Ice- vìs. Al. Br. ; 7. Bobinia Regeli, Heer ; 8. Acacia Parschlugiana, ; Ung. ; 9.Alnus — P — , Gastaldi dM., Mass.— Di queste, le 1. 2. 3. 5. 6. 7 sono conosciute pel giacimento di Oeningen, le 4. e 9 per quello di Sinigaglia e la 8 per quello di Parschlug, Ha- j ring ec. Appartengono perciò tutte queste piante alla formazione | di Oeningen ed in conseguenza la formazione solfifera di Sicilia \ è contemporanea a quella; ciò è confermato ancora dallo studio degli insetti. Quindi la formazione solfifera è una formazione ^ quasi esclusivamente d’ acqua dolce, depositatasi in laghi che qua e là furono certamente in comunicazione col mare. ^ — 287 — Queir impronta vegetale rinvenuta nel tripoli fu determinata dal dott. Geyler come una Myrica salicina, Ung. Questa pianta non è stata fino al presente riconosciuta nel piano di Oeningen, ma soltanto nel Mayencien o Helvetien (Radoboj, Losanna, S. Gallo) quindi nelle formazioni sottoposte al piano di Oeningen o nel- r oligocene (Miinzenberg, Bornstatten). Se questo isolato esem- plare accenni ad una più antica formazione del tripoli^ rimarrà indefinito, almeno fino a che non sia compiuto lo studio dei pesci. Sopra il posto che compete alla formazione solfifera di Si- cilia nella serie geologica, non può più esistere alcun dubbio ; essa trovasi alla base del pliocene ed è contemporanea alle for- mazioni d’ acqua dolce gessifere di Castellina Marittima, ai de- positi dei gessi solfiferi di Sinigaglia, Cesena ec., e alle forma- zioni lacustri di Modena e Beggio. Il signor Teodoro Fuchs di Vienna nel suo nuovo lavoro (Die Gliederung der Tertiaerhil- dungen am Nordahliange der Apenninen von Ancona his Bolo- gna, 1875) ha decisamente espresso su tal proposito che tutte queste formazioni dell’ Italia superiore e media non debbono es- sere riferite al più alto piano del miocene, cioè al Tortoniano, ma che stanno alla base del pliocene, intimamente ad esso con- giunte e sono superiori al Tortoniano. Relativamente agli strati lacustri di Modena ebbi luogo di esprimere questa opinione fino dal 1869 {Intorno agli strati terziari superiori del Monte Gihio, Annuario della Società dei Naturalisti di Modena) e riferii i medesimi al Messinien di Carlo Mayer (da non scambiarsi col terreno già denominato Zancleano di Seguenza). Unendomi alla opinione di Fuchs ritengo perciò anche la formazione solfifera di Sicilia più giovane del Tortoniano e la ascrivo al Messi- niano di Mayer, tanto più che nei punti nei quali le condi- zioni di giacimento non furono disturbate, gli strati dell’ Astiano sovrapposto sono in giacitura concordante con quelli della sot- toposta formazione solfifera. Monaco, agosto 1875. V 288 IH. Le formazioni plioceniche di Siracusa e Lentini per Th. Fuchs e Al. Bittnek.’ (Estratto dai Rend, 6i&\V Accademia delle Scienze di Vienna, fase, di febb. 1875). Quella zona ad occidente di Siracusa conformata in altipiani è costituita, come è noto, -da un calcare miocenico che sotto ogni rapporto corrisponde al nostro calcare del Leitha. Qua e là nelle parti più basse a questi altipiani di calcare del Leitha si connettono alcune porzioni isolate di terreno pliocenico che verranno nella presente nota descritte. I fossili furono deter- minati dal signor Bittner. V Fonte Manca. A mezzogiorno di Siracusa in prossimità del piccolo '"fiume Cassibile, presso Fonte Bianca, località notis- sima per le sue grandi cave di pietra nel calcare del Leitha, esiste una piccola lingua di terra sporgente in mare, la quale consta appunto di un lembo isolato di terreni pliocenici. Vi si distinguono gli strati seguenti : {a) un’ arenaria a Briozoi bruna, grossolana e ripiena di cavità contenente Ostrea lameìlosa, Pecten Jacohaeus e Pectuncuìns pilosus. (L’ ultimo conserva in modo notevole il guscio trasfor- mato in spato calcare). Potenza 5 a 6 metri. Al disotto fa seguito : (h) una marna sabbiosa, omogenea, bianco-giallastra senza fossili. Potenza 5 metri. 2® Plemirio. Dirimpetto a Siracusa trovasi il cosidetto Ple- mirio, costituito per un breve tratto da una striscia di terreno pliocenico, che presso la costa si manifesta molto distintamente ed è rimarchevole per la sua straordinaria ricchezza in fossili: gli strati inclinano leggermente ad Est. Dall’ alto al basso si distinguono i seguenti terreni : a) Sabbia grossolana a Briozoi e Nullipore, piena di tuberi di Nullipore, Pettini, Ostriche, Terebratule e Briozoi, separata * V. Sequenza, Il plioceno presso Siracusa {Boll. Comit. Geol. IV, 137, 1873). 289 — in banchi grossi, e di frequente con falsa stratificazione (20 me- tri circa). Ostrea laméllosa Brocc. ; Fecten opercularis L. ; P. piisio L. ; P. septemradiatus Miiller, P. jacohaeus L. ; Terebratula grandis Blumb. ; Grama turbinata Poli ; Bentalium incurvum Brocc.; Balani, innumerevoli Echinidì e Briozoi. b) Sabbia gialla con grande potenza. Essa vien ridotta dalla pioggia e dai flutti del mare in uno scheletro cavernoso, scoriaceo ; questo scheletro consta in molti casi di bastoncelli diritti irregolarmente incrociati che evidentemente furono un tempo tracciati dai vermi. La sabbia è piena di Briozoi ramosi, di Cellepore, Ketepore, Eschare ec. che sono perfettamente con- servati e quasi in situ nel deposito sabbioso. Più lungi si trova la Terebratida grandis, Terebratidina caputserpentis, Fecten ja- cóbaeus, P, opercularis (in intieri strati), P. pusio, P. septem- radiatus, Spondylus gaederopus, come anche nidi di Bitrupa. Nella porzione più profonda della sabbia trovansi numerosi nu- clei pietrosi composti di bivalvi ed anche bivalvi isolate con gusci conservati e calcinati : Isocardia cor, Corbida gibba, Lu- cina boreaìis, Venus sp., Bonax sp., Fectuncidus sp. etc. c) Sabbie marnose sottili, omogenee, giallicce, senza brio- zoi con Fecten cristatus (molto grande), Ostrea cochlear e Tere- bratida grandis. d) Marne sabbiose grigio-giallastre, con piccoli ciottoli di un calcare compatto, come pure con letti e nidi di sabbie grossolane e noccioli pieni di Ostriche {Ostrea cochlear). Nella marna sabbiosa si trovano anche piccole croste e gusci di na- tura concrezionale. Esse sono spesso in tal guisa confusamente fra loro ammassate da prendere P aspetto di frammenti di un calcare schistoso di estranea provenienza. Tutto il complesso manifesta una stratificazione molto irregolare ed a quanto sembra in molte guise sconvolta; ha una potenza di 10 metri circa. e) Calcare marnoso compatto, grigio verdastro, con im- pronte di bivalvi e gasteropodi. 3® Valle délV Anapo. Nella valle dell’ ànapo le forma- zioni plioceniche raggiungono una estensione alquanto più grande, componendo colà, per la maggior parte, quelle basse colline che sono racchiuse da ambedue i lati fra gli altipiani dirupati del calcare del Leitha. Non di meno vi presentano poco interesse. 49 — 290 — Si osserva per lo più solamente una arenaria a Briozoi, grossolana, bruna e stratificata trasversalmente, con ciottoli basaltici, Ostriche, Pecfen jacohaeus, e nuclei pietrosi talvolta composti da grandi bivalvi. A luoghi trovasi un conglomerato di ciottoli di calcare del Leitha e di basalte. 4° Cappuccini. Il deposito pliocenico, che presso il con- vento dei Cappuccini forma per un tratto la spiaggia del mare, corrisponde esattamente agli strati superiori del Plemirio. Esso consta di una roccia cavernosa, grossolana, composta di Nullipore e Briozoi rotolati, con sfere di Nullipore, Ostriche, Pettini, Briozoi e nuclei pietrosi di diverse bivalvi. La identica roccia forma anche le rupi sulle quali riposa la città di Siracusa. Nei tratto Siracusa-Augusta la strada corre alternativamente tra il calcare del Leitha e P arenaria pliocenica a Briozoi. In parecchi tagli notevoli vedesi l’arenaria a Briozoi discordante sul calcare del Leitha. Dietro a Priolo, al disotto dell’ arenaria azzurra a Briozoi viene a giorno P argilla (TegeT) pliocenica che termina a poca distanza e finalmente ricomparisce in grandi masse. Da Augusta fino a Dentini le formazioni plioceniche rag- giungono una notevole potenza ed estensione, essendo soltanto interrotta di quando in quando da rupi e massi isolati di cal- care del Leitha e componendo quasi esclusivamente tutto P al- tipiano, che si stende fino al mare ed alle pianure di Catania. Il letto del terreno pliocenico è per la maggior parte formato da masse eruttive basaltiche, le quali verosimilmente, corrispon- dendo ai basalti della valle di Noto, appartengono al miocene, e manifestansi in parte in forma di basalte massiccio o colonnare, in parte in forma di letti di ceneri e tufi, e, unitamente alle molteplici formazioni terziarie più giovani che vi stanno sopra stratificate, conferiscono alla intiera regione, sotto il punto di vista geologico, una straordinaria varietà. Presso Dentini le formazioni plioceniche mostrano dall’ alto in basso la seguente serie di strati: r Arenaria con Briozoi e Nullipore, rotolati nella massima parte, con falsa stratificazione, contenepte Ostriche, Pettini ed Echinidi. Subordinatamente compariscono strati sabbiosi e con- glomerati di ciottoli basaltici. Verso la base trovasi sulla strada — 291 che conduce a Catania uno strato di circa un metro di potenza di una marna sabbiosa piena di fossili, dei quali presentiamo una lista; le specie più frequenti vi sono contrassegnate con asterisco. Denti di pesce Trivia eiiropcea Mont. ; * liargineìla miliacea Lam. ; Bingi- cuìa hitccinea Desh. ; * Miirex tnincuìiis L. ; * M. cristatus Brocc. ; * ilf. corallinus Scacch. ; Banella lanceolata Menke ; Turbinella Dujardini Hdrn. ; Biiccinim variabile Phil. ; * Columbella scripta Bell. ; * Mitra Savignyi Payr. ; Mangelia Vauquelini Payr. ; Defrauda clatJirata Serr. ; D. Fhilberti Mieli. ; D. reticidata Ben. ; D. sp. indeterminata ; JRaphitoma nana Scacch. ; B, aff. Ginna- niana Phil. ; * Natica helicina Brocc. ; ** Geritìiium vulgatnm Brug. ; ** C. spina Partsch; C. scabrum Olivi; G. pygmcBum Phil. : Triforis perversa L. ; Turritella commiinis Bisso ; Scalaria commnnis Lam. ; Vermetus sp. ? ; Gcecum trachea Mont. ; * Bha- sianella piiTtoj L. ; * P. intermedia Scacc. ; Trochus fanidum L. ; * T. crenidatus Brocc. ; * T. sfriatiis Gmel. ; * T. turgidulns Brocc. ; * Monodonta angulata Eichw. ; M, Jussieui Payr. ; M. Araonis B*ast. ; Adeorbis subcarinatiis Wood. ; A. Woodi Hprn. ; Bissoina Bniguieri Payr. ; Bissoa oblonga Desh. ; B. parva Costa. ; * B. plicatida Bisso ; B. pidcliélla Phil. ; B. similis Scacch. ; B. va- riabilis Mlihlfeld ; B. splendida Eichw. ; Alvania costata Ad. ; * A. Montagui Payr. ; A. subcremdata Micht. ; A. calathisciis Mont. ; A. dictyophora Phil. ; A. crenulata Micht. ; Hyala vi- trea Mont. ? ; Geratia sp. ? ; * Hydrobia sp. ; Turbonilla gracilis Brocc. ; * T. interstincta Mont. ; T. costellata Grat. ; Odostomia conoidea Fér. ; 0. excavata Phil. ; Eidimella acicnla Phil. ; Eu- ìinia subidata Don. ; Trimcatella truncatida Drap. ; GrepicUda un- guiformis Lam. ; Bidla tnmeata Ad. ; B. hydatis L. ; Dentedium incurvimi Brocc. ; P. dentalis L. ; Gorbida micleus Lam. ; Gapsa fragilis L. ; Tapes decussata L. ; T. sp. ; Venus verrucosa L. ; * Cardium exigimm Gmel. ; Ghama gryphoides L. ; Lucina la- ctea L. ; L. aff. dentata Bast. ; Montacuta truncata Wood ; Gar- dita sidcata Brug. ; G. trapezia Brug. ; G. calyculata Lam. ; Nu- cula nucleus L. ; Arca navicidaris Brug. ; * A. diluvi Lam. ; Pecten varius L. ; P. opercidaris L. ; P. hyalinus? P. po- lymorphus Bronn ; Ostrea lamellosa Brocc. ; Echinus sp. 292 — 2° Sabbie gialle senza fossili. 3° Marna plastica, azzurra con petrefatti, fra i quali ; Squame di pesce ** JBuccimm semistriatum Brocc. ; Cassidaria ecliinopliora Lam. ; Chenopus pes pelecani L. ; Ceritliiimi spina Partsch; Odo- stomia conoidea Brocc. ; Cingula fusca Phil. ? ; * Natica lielicina Brocc.; Alvania FartscJii Horn. ; JBidIa utricuìiis Brocc.; Fenta- lium elepliantimim L. ; D. dentalis L. ; D. tetragonum Brocc. ; D. (P) ovìdim Phil.; Nucuìa nucìeus L. ; Leda pusio Phil.; L. tennis Phil. ; Limopsis anomala Eichw. Presso Lentini non compajono altri strati più profondi, ma in una trincea della strada ferrata nelle vicinanze di Bruccoli, sotto la marna azzurra ed immediatamente sovrapposti al basalto si vedono di nuovo strati tufacei sabbiosi giallo-chiari, i quali contengono una straordinaria quantità di Coralli, Briozoi, Tere- bratule ed un gran numero di altre conchiglie ottimamente con- servate. E qui notevole la circostanza che, ad immediata prossi- mità delia trincea, emerge dal terreno pliocenico una massa isolata a guisa di scoglio di calcare del Leitha contenente Clipeastri. Il profilo in questa trincea è il seguente: 1'’ Sabbia bruna, grossolana a Briozoi, con falsa stratifi- cazione, con Ostriche e Pettini. 2'’ Marna azzurra, plastica molto potente. S*" Strati sabbioso-tufacei, cavernosi, giallo-biancastri pieni di Briozoi, Coralli, Brachiopodi ed altre conchiglie. Vi raccogliemmo le specie seguenti: Trivia europcea Mont. ; Marginella miliaria Li ; Columbelìa subulata Bell. ; Biwcinum prismaticuni Brocc. : Cassidaria ecliino- phora Lam. ; Fusus pidchellus Phil. ; * Turritella communis Risso ; Vermetns sp. ; Phasianella pidla L. ; Troclms conulus L. ; T. millegranus Phil. ; T. crenulatus Brocc. ; T. glabratus Phil. ; Craspedotus limbatus Phil. ; Scissurella aff. aspera Phil. ; Tur- bonilla interstincta Mont. ; T. sp. ; Alvania sp. ; Hydrobia sp. : Fissar ella italica Defr. ; Fmarginula cancellata Phil. ; Dentalkim elepliantinum L. ; Spirialis globidosa Seg. ; Saxicava arctica Phil. ; * Venus casina L. ; F. effossa Biv. ; V. ovata Penn.; Circe minima Mont. ; Cardium sp. ; Kellia suborbicidaris Mont. ; * Astante incrassata Brocc. ; A. triangidaris Mont. ; Woodia di- I I:! Is r — 293 — gitaria L. ; * Cardita aculeata Poli ; G. sulcata Brug. ; C. corhis Phil. ; Nucula mideus L. ; Leda tennis Phil. ; Limopsis au- rita Brocc. ; Pectunculus pilosns Lam. ; Arca pectunculoides Scacch. ; * A. navicularis Brug. ; A. barbata L. ; A, lactea L. ; Modiola sp. ; Mytiliis sp» ; Lima squamosa Lam. ; Pecten jacobaeus L. ; * P. opercìdaris L. ; P. pusio Lam. ; P. Testce Biv. ; * P. septemradiatus Miiller ; Ostrea sp. ; Anemia ephippium L. ; ** Terebratida minor Suess ; * ' Terebratulina caputserpenfis L. ; ^ Megerlia truncata L. ; * Argiope decollata Chemn. ; Ar- giope neapolitana Scaccli. ; Crania turbinata Poli ; Ecìiinocyamus sp. ? ; * GarophyUia sp. ; Goenopsammia sp. ; * LophoJielia gra- cilis Seg. ; Amphihelia sp. Spine di Cidariti ed innumerevoli Briozoi. Al basso segue immediatamente il basalte. Molto notevole è la circostanza che la suddivisione degli strati pliocenici presso Lentini corrisponde perfettamente con quella della formazione pliocenica di Taranto, come resulta dal seguente confronto. Lentini Takanto a) Arenaria a Briozoi con Nullipore, Ostriche, Pecten ja- cobaeus, Pectuncidus, 3Ionodonta ungulata, GeritJiium vulgatum, C. spina, Mureao trunculus, Tro- chus, Bissoa, Alvania ec. b) Marne plastiche azzurre, con Buccinum semistriatum. Na- tica lielicina, Ghenopus pes pe- lecani, Lentalium elepJiantinum. c) Sabbie incoerenti a Brio- zoi, di color chiaro, con Coralli', Brachiopodi , Pecten septemra- diatus e P. opercìdaris. a) Sabbie, ciottoli e calcare a Nullipore e Coralli, con Ostri- che, Pecten jacobaeus, Venus ver- rucosa, Murex trunculus, Geri- thium vulgatum, G. spina, Bissoa, Alvania ec. b) Marne plastiche azzurre, con Buccinum semistriatum. Na- tica lielicina, Bentalium éleplian- tinum, Ghenopus pes pelecani, Murex vaginatus, Isocardia cor. c) Calcari a Briozoi, di color chiaro, con Brachiopodi, Echi- nidi, Ostriche, Pecten septemra- diatus e P. opercìdaris. — 294 - IV. Il territorio di Zoldo e di Agordo nelle Alpi Tenete, Nota del dott. E. YON Mojsisoyics. {Verliancllungen der k.h. geolog. JieicJis., TVien, 1875, 12.) In seguito ad una escursione intrapresa nelie Alpi calcaree del Tirolo settentrionale, nella quale, in conformità alle mie de- duzioni teoretiche, potè direttamente dimostrarsi V alternanza della forma madreporica con quella marnosa, mi portai in com- « pagnia del geologo di sezione dott. K. Hornes nei dintorni di Klausen,^ onde imparare a conoscere il giacimento del melafiro che ricopre a guisa di tetto la fillite, come molti sostennero negli ultimi tempi, e che trovasi allo shocco della valle di Villnds. L’ osservazione ci persuase del contrario e quindi della giustezza delle antiche opinioni, avendo trovato il melafiro in- sieme col porfido augitico, soltanto in fortìaa di filoni attraver- santi il terreno fillitico e il porfido quarzifero. Per contrario trovammo qui ancora come nei dintorni di Y^aidbruck e Ca- stelrutt banchi potenti di un’ arenaria grigia tufacea con colate di porfido quarzoso. Quivi insieme col dott. Hornes intrapresi parecchie escursioni in quel terreno ad esso assegnato per un lavoro speciale a Nord e ad Est di Cortina d’ Ampezzo. Dei re- sultati ai quali ivi arrivammo accenno soltanto la scoperta del Lias con sviluppo analogo a quello dei cosiddetti calcari grigi del Tirolo meridionale. Con molta sicurezza, fra i non rari fos- sili, fu potuto riconoscere il Megalodus pumilns e il Lithiotis proUematica. Il limite inferiore verso il calcare del Dachstein non è assolutamente deciso, ma con un poco d’ attenzione si può pervenire a separare approssimativamente nelle nostre carte il Lias dal detto calcare. In compagnia dei volontari dott. Ed. Reyer, dott. Ed. Kotschy e dott. Th. Posewitz, incontrati casualmente, venne eseguita una escursione nel territorio di Zoldo ed Agordo. ‘ Fra Bolzano e Bressanone (Tirolo meridionale). — 295 — La regione esplorata è limitata a Sud da una linea tettonica notevolissima e che si mostra talvolta in forma di un potente dislocamento, talora come una rottura per sollevamento, e si stende da Val Sugana al piede meridionale della Cima d’ Asta sopra Primiero, Agordo, Zoldo, Forcella Cibiana fino nei terri- torii di Pieve di Cadore e di Auronzo. La potente massa calcarea e dolomitica delle Palle di S. Mar- tino presenta tutto P aspetto dolomitico del Muschelkalk corri- spondente agli strati di Buchenstein, di Wengen e di San Cas- siano, e non appartiene, come portano le vecchie carte, al calcare del Dachstein. A Nord di Agordo questa massa dolomitica oltrepassa il Cordevole e forma il Monte Framont e il Monte Alto di Pelsa, il quale ultimo in forma di cuneo, penetrando verso Nord, nella regione dei tufi e delle marne, separa il ter- reno tufaceo di Val Canali da quello tufaceo e marnoso di Zoldo ed Agordo. Il fondo è formato dagli strati di Werfen che scuo- pronsi ancora presso Listolade al piede dei picchi dolomitici del Monte Framont e che predominano fin sopra Col nella valle d’ erosione di Sam Lucano. Una sovrapposizione di strati più giovani ha luogo ad Ovest del Cordevole solamente sulla punta di mezzo delle Palle di San Lucano, ove compariscono gli strati di Eaibl ed una piccola parte del calcare del Dachstein (ana- logo a quello dello Schlern). Ad Est del Cordevole per contra- rio le masse dolomitiche del Monte Framont e Monte Alto di Pelsa sono ricoperte da un ampio mantello di strati di Eaibl, sopra i quali si elevano le masse del Monte Civetta e del Monte Mojazza, costituite dal Dachstein e oltrepassanti la regione mar- nosa di Zoldo ed Agordo. Presso il limite verso la regione tufacea e marnosa fu osser- vato anche in questa località in numerosi punti P intimo pas- saggio fra le due forme litologiche, come ad esempio al Passo Durano, nella parte orientale del Monte Framont, presso Col nella valle di San Lucano, alla Forcella Gesurette, al Monte Alto ec. Nella regione tufacea di Val di Canali sugli strati del Bu- chenstein accompagnati dalla pietra verde compariscono potenti masse di tufo melafirico stratificato alternante con colate, però con nessuna dica melafirica. Nel distretto tufaceo e marnoso di Zoldo ed Agordo la se- — 296 — parazione degli strati di Wengen da quelli di San Cassiano viene resa più diffìcile da ciò, che il carattere petrografico si man- tiene costante in linea ascendente fino agli strati di Kaibl. Fra i fossili trovasi qui negli strati di Wengen frequentissima la Fachycardia rugosa. E molto rimarchevole la frequente presenza di ciottoli quarzosi e porfirici nelle cosiddette arenarie cìoìeriticJie. Per ciò che riguarda la esistenza di più antiche formazioni, basterà rammentare qui V esteso affioramento dei calcare oscuro e della dolomite con Bellerophon alla base degli strati di Werfen presso Agordo in Val di Canali, e quello dei conglomerati (Grau- wacke) fra Dont e Fusine nei dintorni di Zoldo. V. Bicerche nella valle siiperiore del Bienz e nei dintorni di Cortina d’ Ampezzo, del dott. E. Hòenes. {Verhandlungen der k.k. geolog. Beìchs., Wien, 1875, 12.) Ascritto alla seconda sezione sotto la guida del consigliere montanistico E. v. Mojsisovics, fui dal medesimo incaricato della continuazione del mio antico lavoro di rilevamento nel distretto di Enneberg verso Est fino alla valle di Sexten. La superficie ^assegnatami è limitata a Nord dai margini dei monti triassici verso la Pusteria, a S.E., S. e S.O. dalla valle della Piave su- periore e dal fiume Bolle. Di questa regione fin ora mi fu pos- sibile soltanto di studiare i monti triassici dei dintorni di Nie- derdorf, Toblach e Innichen, come anche i dintorni di Cortina d’ Ampezzo, poiché i lavori di rilevamento furono soprattutto resi difficili dal costante tempo cattivo ed oltrediciò dovevasi superare un terreno molto accidentato. Le condizioni geologiche assomigliano là in generale a quelle del territorio studiato negli anni decorsi, solo che per la grande lontananza dai centri di eruzione del melafiro nella valle di Fassa, anche i suoi tufi ces- sano quasi di ricuoprire gli strati di Wengen mentre nei depo- siti permiani accade perfettamente la stessa cosa del porfido quarzifero, del quale trovansi appena tracce nella valle di Sexten. 297 — Per ciò che riguarda in complesso la costituzione geologica, vi sono grandi e piccoli rigetti e rotture che cagionano ripeti- zioni di strati e complicazioni, il cui esatto riconoscimento arreca spesso molto perditempo. La facies del trias superiore è allo stesso modo evidente, come nei territori molto illustrati di Gròden, Buchenstein ed Enneberg ; e sotto questo rapporto, specialmente le alture avanzate a Nord del Diirrenstein tra la valle di Prags e quella di Hòhlenstein, offrono un bello esempio di graduato passaggio dagli strati di San Cassiano a quelli di Wengen. Il trias inferiore è sviluppato specialmente nelle pen- dici del monte verso la Pusteria, ed esso mostra tutti quelli orizzonti che si presentano, a mo’ d’ esempio, nella valle di Gròden presso Sant’ Ulrico. Il calcare scuro, bituminoso, tra gli strati di Werfen e l’arenaria di Gròden è assai potente; esso racchiude anche qui, per esempio presso Alt-Prags la fauna ca- ratteristica illustrata da Stadie con Belleroplion, Froductus, Spi- rifer ec., ed a luoghi si trasforma come un calcare pure a crinoidi. Sono degni di nota i giacimenti mettalliferi di questo oriz- zonte. Presso Sant’ Ulrico, nel torrente Pufler e nelle pendici del Solcedia, sono conosciuti i non rari filoni di galena, e presso Toblach trovai io frequentemente filoni di carbonato di ferro nel calcare scuro. E questo lo stesso livello nel quale compari- scono i giacimenti di Siderite di Posalz presso Colle Santa Lucia, dei quali io ebbi occasione di occuparmi nell’ anno passato e che furono oggetto di lavorazione. Il calcare del Dachstein ha presso Cortina una potenza straor- dinaria : esso costituisce la massa principale di quel gruppo ce- lebre per la sua bellezza e conosciuto coll’ improprio nome di Alpi dolomitiche. Gli strati del Lias e del Giura si presentano per lo più a grandi altezze sulle cime isolate, come sul Tofana, sul Vallone Bianco ec. Questa circostanza che obbliga alla ascen- sione di frequenti vette alte oltre 10,000 piedi e di difficile accesso, impedisce e ritarda notevolmente i lavori di rilevamento. Come poi sia necessaria P ascensione di queste cime, lo dimo- stra ad evidenza la carta di questi dintorni pubblicata dal dottor Loretz nel Bollettino della Società geologica di Berlino del 1874, la quale appunto per ciò che riguarda 1’ estensione del Giura e del — 298 Neocomiano non possiede tutta la esattezza desiderabile. Questo lavoro, che del resto somministra una pregievolissima rappresen- tazione d’ insieme di questo territorio, abbisognerebbe, anche a riguardo dei piani del Trias inferiore, di una correzione di cui già fu fatto cenno in una nota del dott. E. von Mojsisovics in- serita nel Bollettino dell’ I. e B. Istituto geologico di Vienna. Per citare a tal proposito un caso speciale, nei dintorni di Alt-Prags dal dott. Loretz furono scambiati gli strati a cefalopodi del Muschelkalk inferiore col calcare del Buchenstein. Più oltre si trovano i già rammentati rigetti in molte guise traveduti (come tra P xùntelao e il Sorapiss) oppure inesattamente indicati. A riguardo della formazione giurese e neocomiana di questa località deve osservarsi che in seguito alle molteplici faglie e rotture, gli strati del Giura superiore e del Neocomiano spesso compariscono nei fianchi delle vallate in certo modo incastrati fra le masse del Dachstein. Facendo astrazione dalle frequenti curvature di strati che hanno luogo di regola nelle rocce sottil- mente stratificate, e trovansi perciò anche in questi depositi, presentansi in certi punti ancora delle locali dislocazioni che spesso difficilmente possono distinguersi. La divisione in piani dei depositi giuresi non molto potenti potè finora esser fatta soltanto fino dove, al calcare rossastro del Dachstein, succedono calcari petrograficamente identici ma grigi e solo in pochi punti di colorazione scura, che racchiudono resti indeterminabili di bivalvi (forme analoghe ai llytilus ed alle Modiola) ed appartengono probabilmente al Lias. Superior- mente fan seguito calcari rossi a crinoidi (strati di Klaus ?) con brachiopodi mal conservati e come unico, e sino al presente sicuro membro, il calcare rosso noduloso del Titonico con Tere- hratida diphya e innumerevoli cefalopodi. Parimente sono molto ricchi in cefalopodi, pur troppo mal conservati, gli strati mar- nosi del Neocomiano, che furon trovati dal dott. v. Mojsisovics e da me in un’ altra località (finora si conoscevano soltanto nei monti La Stusa e Fosses) verso la piccola valle di Fanis in una escursione che ivi facemmo. — 299 VI. I Caolini e le Argille refrattarie in Italia. Uno dei principali ostacoli che si oppongono, od almeno por- tano ritardi e lentezze, ad un maggiore sviluppo di certe indu- strie in Italia, è quello che deriva dalla scarsità di buoni caolini nazionali e dalla quasi deficienza in paese di vere argille refrat- tarie. La causa di questo fatto, che a prima vista può destare stupore in un paese nel quale le formazioni di rocce feldispati- che (come graniti, porfidi, trachiti ed altre che colla loro decom- posizione dànno appunto origine a siffatte terre) trovansi tanto sviluppate, più che a vera mancanza sarebbe da attribuirsi a deficienza di studii e di ricerche in quelle regioni appunto che offrono maggiore probabilità di scoprire cotali giacimenti. Vi è dunque a sperare che con lo estendersi delle cognizioni geologi- che, e col raddoppiarsi delle ricerche a questo intento rivolte, verrà un giorno nel quale sarà fatta completa luce sull’ interes- sante argomento, e l’Italia cesserà, sotto questo rapporto, di essere tributaria dell’ estero. Un’ argilla plastica perfettamente refrattaria è in natura raris- sima ; per essere tale essa non dovrebbe contenere materie estra- nee al silicato d’ allumina puro, il quale resiste senza la più piccola alterazione alle temperature più elevate dei nostri forni : le argille meno fusibili sono quelle che non sono nè troppo silicee, nè troppo alluminose, ed esse sono tanto più plastiche quanto più elevato è il tenore in allumina. ‘ Fra le argille refrattarie più rinomate si citano quelle dei dintorni di Newcastle in Inghilterra, di Bollène presso Avignone e di Abondant presso Dreux in Francia.^ Le sostanze più comunemente mescolate all’ argilla sono la silice, la calce, 1’ ossido di ferro, la potassa, la soda e la ma- gnesia allo stato di carbonato o di silicato. L’ ossido di ferro * Non esiste in natura un’ argilla tipica la cui composizione sia determinata in modo fisso; i limiti estremi sono, sopra 100 parti: silice = 42 a 66; allumi- na = 18 a 39; acqua = 6 a 24. Una vera argilla plastica, fatta astrazione dal- r acqua, deve contenere : silice =ì 57,42, allumina = 42,58. Il tenore in acqua è per solito dal 7 al 14 per 100. ^ Composizione dell’argilla di Abondant: silice =50,60; allumina =35,20; ossido di ferro =0,40; acqua =13,10. — 300 — comunica all’ argilla una tinta giallastra o rossastra secondo lo stato d’ idratazione dell’ ossido stesso : talvolta il ferro vi si trova allo stato di silicato o di carbonato. Il carbonato di calce e l’ossido di ferro non diminuiscono la plasticità di un’argilla che allorquando vi si trovano in quantità rilevante ; ma anche in piccola dose ne alterano notevolmente la refrattarietà. La magnesia invece aumenta la plasticità dell’ argilla, ed esercita poca influenza sul suo grado di refrattarietà. La potassa e la soda entrano di solito nella composizione delle argille e, anche in piccola dose, hanno per effetto di diminuirne la refrattarietà : così i caolini, contenenti in media da 2 a 3 per 100 di tali so- stanze, non sono completamente refrattari!, e incominciano a ram- mollirsi alla elevata temperatura dei forni a porcellana.^ Gli al-' cali però non comunicano alcun colore al silicato di allumina durante la cottura ; ed essi, colla formazione di silicati alcalini, danno alla porcellana, per effetto di un principio di fusione, la struttura semivitrea e la translucidità che la caratterizzano. I caolini provengono generalmente dalla decomposizione di un feldispato, di solito ortosio ; ^ la roccia che più di ogni altra somministra questo prodotto di buona qualità è la pegmatite. La composizione dei caolini varia a seconda della roccia da cui ebbero origine : ^ rinomati sono quelli di Saint- Yrieix, presso Limoges in Francia, di Santo Stefano in Cornovaglia, di Seilitz presso Meissen in Sassonia, ed i celebri di Tong-Kang nella China. Ecco 1’ analisi di alcune di queste argille : S. Yrieix. S. Stefano. Seilitz. Tong-Kang. Silice 48,68 36,92 43,52 46,46 50,50 Allumina .... 41,68 36,37 33,70 Ossido di ferro. Potassa 1,59 1,22 2,00 Magnesia. . — 1 — f 4,20 Calce 1,10 — 1,47 ) Acqua 13,13 13,70 13,61 8,20 99,83 100,49 99,13 98,60 “ Da 1500 a 1600 gradi centigradi. ^ Sotto r influenza degli agenti esteriori il feldispato ortosio produce del sili- cato d’ allumina idrato, del carbonato e del silicato di potassa e delia silice libera. * In media il caolino si compone come segue ; Silice = 46,3 ; Allumina = 39,8; Acqua =13.9; oltre a piccole quantità assai variabili di soda, potassa, calce e magnesia. 301 — La magnesia può sostituire qualche volta e sino a un certo punto r allumina, ed è a tale proprietà che devesi il pregio in cui erano tenuti i prodotti ceramici di Vinovo in Piemonte di una composizione argillo-magnesiaca veramente eccezionale. La calce, pervenuta ad elevate temperature allo stato di silicato, contribuisce naturalmente, insieme coi silicati alcalini, a comuni- care alla porcellana la caratteristica sua trasparenza. E qui gioverà osservare che, provenendo il caolino general- mente dalla decomposizione del feldispato o di rocce analoghe, esso non è mai assolutamente puro, ma contiene sempre interposti frammenti del minerale primitivo o di altri ad esso associati, di solito quarzo e mica ; per renderlo atto agli usi industriali è quindi necessario sottoporlo a lavatura e decantazione. L’ industria ceramica italiana deve importare quasi tutto il caolino di cui abbisogna dall’ .estero, e precisamente dalla Fran- cia e dall’ Inghilterra che ne fanno commercio su larga scala, e più di rado dalla Germania. I pochi depositi di caolino italiano sono in regioni quasi tutte assai remote dai centri di industria e di consumo, e quindi non possono venire lavorati con molta utilità. Oltre a ciò i caolini nostri, quelli almeno esperimentati finora, non sembrano presentare in grado sufficiente quella pu- rezza e quella plasticità che sono richieste dall’ arte ceramica ; difficilmente essi sono esenti dall’ ossido di ferro il quale, oltre al colorire più o meno intensamente il prodotto, fa sì che il caolino non possa raggiungere elevate temperature senza fondersi. Più grave ancora è il difetto di buone argille refrattarie, ossia di terre plastiche e capaci di resistere senza fondersi ad elevatissime temperature : e questo inconveniente è sommamente sentito dalla industria mineralurgica, dalla ceramica e dalla vetra- ria, le quali tutte debbono ricorrere all’ estero per procurarsi i materiali onde sono costituiti i forni ed i recipienti da sotto- porsi a temperature elevate. Ed a questo proposito aggiungeremo che il maggiore ostacolo che in Italia trova l’industria della porcellana, sta appunto nella mancanza di argille refrattarie, delle quali si fa molto maggiore consumo che del caolino stesso, per la costruzione dei recipienti e per la rivestitura dei forni. Questo stato di cose, dimostrato più chiaramente dai risul- tati della Inchiesta Industriale, destò V attenzione del R. Governo — 302 — il quale con Circolare r Maggio 1872 del Ministero di Agri- coltura, Industria e Commercio, ordinava che si facessero inda- gini intorno alle argille esistenti nelle diverse parti d’ Italia, ed invitava gl’ Ingegneri del R. Corpo delle Miniere ad avere par- ticolare riguardo nei loro viaggi d’ ispezione a questa materia importantissima, ed a fare ispezioni speciali per riconoscere la esistenza di quei giacimenti rispetto ai quali avessero favorevoli indizii. Li invitava inoltre a spedire dei saggi di queste argille, corredandoli di tutte le indicazioni risguardanti la formazione geo- logica, la situazione e la estensione dei giacimenti, con opportune avvertenze rispetto alla regolarità od irregolarità dei medesimi, per quanto è possibile il giudicare da semplici osservazioni sui luoghi. Il Marchese Ginori ebbe la cortesia di offrire il suo gran- dioso stabilimento ceramico di Doccia, presso Firenze, per 1’ ese- cuzione delle prove necessarie ad accertare il pregio industriale delle argille sotto il rispetto della refrattarietà e della loro sostituzione ai caolini esteri per la fabbricazione della porcellana. Gl’ Ingegneri del R. Corpo delle Miniere non mancarono di porsi allo studio dei giacimenti che sapevano o supponevano esi- stere nei rispettivi distretti minerarii, ed uniformandosi alle ■ istruzioni ricevute inviarono i varii campioni da essi raccolti allo stabilimento Ginori, rendendo conto in pari tempo del loro ope- rato coir invio di speciali note redatte ad illustrazione di cia- scun giacimento. I risultati di queste indagini, se non riuscirono a sciogliere definitivamente il problema della scoperta di buoni caolini e di vere argille refrattarie in Italia, servirono però a gettare molta luce sull’ argomento e ad indicare quali sieno le regioni italiane che offrono maggiore probabilità di raggiungere l’ intento. E qui non sarà senza interesse di riassumere brevemente le principali notizie concernenti i giacimenti esplorati, non che le risultanze degli esperimenti fatti sui varii campioni nello stabilimento di Doccia, e le opinioni espresse a riguardo dei campioni stessi dal direttore del medesimo e da altre persone versate in materia. E gioverà notare che se alcune di quelle argille provengono da cave in attività di esercizio, altre derivano da giacimenti tuttora ine- splorati 0 quasi sconosciuti ; cosicché non tutti i campioni stac- 303 cati dagli ingegneri poterono fornir materia a studii completi dei giacimenti rispettivi. Le notizie che seguono, serviranno tut- tavia a dare una prima idea dei resultati ottenuti ed a fare conoscere quale sia lo stato della questione al giorno d’ oggi. Trovincie piemontesi. — Nella provincia di Cuneo, sul ver- sante settentrionale delle prime elevazioni dell’ Apennino, esi- stono, secondo recenti indagini, abbondanti masse di caolino : il giacimento sembra occupare vasta estensione di territorio nel cui centro sta la città di Ceva, che dà appunto il nome al deposito. Da informazioni assunte, questo caolino sarebbe di qualità eccel- lente, assai puro, senza tracce di ossido di ferro ed esente eziandio da calce e magnesia : esso sembra dovuto alla scompo- sizione di rocce feldispaticbe, giacché nelle parti non ancora decomposte trovansi bellissimi cristalli di feldispato. Questi cao- lini, intorno ai quali si manca tuttora di notizie più dettagliate, non sembrano fare oggetto, per il momento, di una escavazione molto attiva. A Barge, nella stessa provincia, scavasi un’ argilla talcosa e alcalina proveniente dalla decomposizione di scisti talcosi : questa terra non è evidentemente un caolino, ma, ove si introduca nelle paste da porcellana, può promuovere un principio di fusione delle sostanze silicee, alluminifere e magnesiache, a somiglianza di quanto farebbe un feldispato. La rinomata porcellana di Vinovo era fabbricata con una pasta composta di questa argilla, di Gio- bertite di Baldissero e di quarzo di Cumiana : è però sempre preferibile il servirsi, per simile industria, di un vero caolino feldispatico anziché di un’ argilla di tal natura. A Frossasco, nel circondario di Pinerolo, trovasi un caolino, che però, a giudizio di persone competenti, non può entrare che in piccola proporzione nella composizione delle paste da porcel- lana : esso contiene dell’ ossido di ferro che colorirebbe la por- cellana, ove se ne introducesse una quantità notevole, mentre in piccola dose non può agire nello stesso modo. Nella provincia di Novara sono da citarsi i caolini di Invorio e di Maggiora, che si scavano a cielo aperto, e dei quali l’ in- dustria ceramica si é servita lungo tempo per la fabbricazione della porcellana ordinaria e segnatamente degli isolatori telegra- 304 — fici. Da Oleggio Castello poi, presso xirona, pervennero allo stabili- mento di Doccia due campioni di argille : entrambi però esposti alla temperatura dei forni a porcellana, si rammollirono assai colorandosi in bruno chiaro, in causa di un eccesso di ossido di ferro che rende quest’ argilla impropria sia per la produzione della porcellana che per la fabbricazione dei mattoni refrattarii. Nella stessa provincia, e più precisamente nelle vicinanze del Lago Maggiore, esisterebbero secondo alcune ricerche indizii di giacimenti analoghi ai precedenti, ma finora non utilizzati. Frovincie lombarde. — Nella Lombardia non sono in lavora- zione nè cave di caolino, nè cave di argille refrattarie, sebbene non vi manchino giacimenti degni di qualche attenzione. Così sono conosciute come dotate di mediocre refrattarietà le argille di San Eocco, presso Letfe, in provincia di Bergamo, dovute pro- babilmente alla decomposizione dei porfidi : sono usate nelle fucine, nei forni per la fabbricazione del ferro, p in genere per intonacare pareti di forni soggetti a temperature non molto elevate. Un importante giacimento di silicato di allumina e potassa trovasi nella sponda occidentale del laghetto di Piona presso Colico, nella parte settentrionale del lago di Como ; questa argilla viene adoperata come materia prima nella fabbricazione delle terraglie, degli smalti da porcellana, dei vetri, ec. Esistono infine tracce di buoni caolini in Valtellina, al monte Zebrù presso Bormio. Frovincie venete. — Assai importanti ed interessanti sono i depositi di caolino nella provincia di Vicenza. Fra i terreni costi- tutivi delle prealpi che formano la parte nordica di questa pro- vincia, distinguesi una grande massa di porfido pirossenico, la quale comincia a mostrarsi presso San Giovanni Barione, e si perde al suo incontro colla Valle dell’ Astice. B porfido trovasi assai carico di pirite di ferro, e là dove fu favorita l’ ossida- zione di questa, anche la roccia si decompose, e diede luogo a grandi depositi di argille caoliniche. B centro di tali depositi è nel comune di Pretti, e più precisamente nel versante destro della Valle Orca, a sei chilometri circa al nord di Schio : però il porfido decomposto s’ incontra anche nei due versanti del Monte Civillina e presso Fongara. Nel 1871 esistevano a Pretti 45 cave in attività, con uno sviluppo di gallerie di circa 8 chi- 305 — lometri complessivamente : i lavori sono tutti sotterranei, tro- vandosi il caolino ad una certa distanza dalla superficie. L’ ar- gilla così escavata viene lasciata esposta all’ aria per qualche tempo onde possa disaggregarsi completamente, e quindi subisce diverse preparazioni che ne asportano le materie estranee, e la riducono in finissima polvere ; viene poi modellata in pani e posta in commercio. Dal 1866 al 1871 la produzione di argilla così preparata nei comuni di Trotti, Sant’ Orso, Schio e Torrebelvi- cino fu di tonnellate 24,569 e perciò in media di tonnellate 4000 all’ anno. Una tonnellata di terra naturale rende da 430 a 560 chilogrammi di caolino preparato. Questo prodotto viene in parte consumato nelle fabbriche di stoviglie delle provincie venete, ed in parte esportato in Oriente. Nello stabilimento di Doccia, nessuna delle argille del vicen- tino fu trovata capace di resistere senza rammollirsi all’ azione della elevatissima temperatura dei forni da porcellana, ed inoltre nessuna parve presentare le qualità necessarie per comporre una buona porcellana. Le migliori di tutte, cioè quelle che conten- gono una minor quantità di ossido di ferro e di sostanze estranee, diedero all’ analisi i risultati seguenti : Caolino N. 1. Caolino N. 2. Silice 55,1 58,0 Allumina 29,4 25,7 Ossido di ferro . • 1,1 1,6 Calce 1,3 1,7 Magnesia 0,8 0,9 Potassa e Soda . 2,9 3,5 Acqua e sostanze organiche. . . 8,7 8,3 99,3 99,7 Pur tuttavia questi caolini, dichiarati non adatti alla fabbri- cazione di una buona porcellana bianca, potrebbero introdursi in tenue dose nella composizione di una porcellana di qualità infe- riore, ossia colorita in grigio verdastro dall’ ossido di ferro : esse possono però servire come materia principale per comporre una terraglia commerciale di discreta bianchezza, e resistente anche ai cambiamenti repentini di temperatura. Provincia Romana. — In questa provincia è noto da molto tempo il caolino della Tolfa, nei monti dello stesso nome nelle 21 — 306 — vicinanze di Civitavecchia : esso deve la sua origine all’ altera- zione delle trachiti. Quale sia 1’ estensione del giacimento, non è ancora bene constatato. Le cave che vi sono aperte producono annualmente circa 1500 tonnellate di caolino, ma sarebbero su- scettibili di una produzione maggiore : esse si trovano a 15 chi- lometri di distanza da Civitavecchia, e vi si accede per la strada provinciale che conduce pure a Canale, Manziana e Bracciano. Il caolino presentasi quando più quando meno bianco, talora intersecato da sottilissime vene di ferro ocraceo, talora commisto a trachite non intieramente decomposta : mediante una scelta accurata sembra che debba essere facile di separare le diverse qualità, riservando le migliori per la fabbricazione delle imrcel- lane e terraglie fini. Questo caolino viene consumato quasi tutto nelle vicinanze di Koma : gli industriali che lo hanno esperi- mentato lo hanno dichiarato come mediocremente refrattario ed atto alla fabbricazione delle terraglie fini e delle porcellane. Le analisi eseguite al Museo Industriale di Torino, diedero i se- guenti resultati : Silice ....... Allumina Ossido di ferro . Calce ....... Magnesia Potassa Soda Acqua Sabbia silicea . . 33,880 30,510 O,005 0,001 0,013 1,700 1,030 10,790 12,070 Nella terra allo stato grezzo trovasi il caolino in proporzione di 39,3 per 60,7 di ciottoli e sabbia grossa. A poca distanza da Passano di Sutri, nel circondario di \ i- terbo, nella trincea di una strada vedonsi indizii di un altro giacimento di caolino : V origine di questo deposito e analogo a quello dei caolini della Tolfa, essendo il medesimo subordinato alla massa tracMtica di Monte Virginio. Esso è bianco, sonoro e leggiero ; non ha mai fatto oggetto di escavazione per uso in- dustriale, e non è conosciuto altro che nelle vicinanze come terra da pulire. Il deposito trovasi a 60 chilometri da Poma per la via di Bracciano, e a 40 dalla stazione ferroviaria di Borghetto. — 307 — Dai saggi eseguiti su questo materiale nello stabilimento di Doccia, si è potuto rilevare che esso è un caolino poverissimo nella parte alluminifera, ma capace di resistere alle elevatissime temperature delle fornaci di porcellana senza dare indizio di fu- sione. La quantità di ossido di ferro che contiene non sarebbe tale da nuocere al coloramento bianco della porcellana o al più potrebbe colorarla leggiermente in azzurrognolo ; ma V eccesso di silice che contiene e la mancanza assoluta della plasticità che in esso si verifica, escludono affatto la possibilità di impiegarlo nella composizione della porcellana. Manca ancora V analisi chi- mica di questo materiale. Sardegna. — Nell’ isola di Sardegna esistono alcuni importanti giacimenti sia di terre refrattarie che di caolini. Terre refrattarie. — Per le prime i depositi che hanno maggiore probabilità di poter essere utilizzati sono situati nei comuni di Sarrocco e di Teulada, nella parte più meridio- nale dell’ isola, subordinati i primi alle trachiti amfiboliche ed i secondi ai graniti. In prossimità al Capo della Savorra esistono banchi considerevoli di tali terre composte di pasta feldispatica con abbondanti concentrazioni di granelli silicei. Tali banchi si trovano nel versante de’ monti prospicienti il mare e a distanza d’ appena qualche centinaio di metri da questo. Altri giacimenti di terre che dovrebbero pure possedere considerevole refrattarietà si trovano nella località denominata Sa Foxi, alla base orientale de’ monti granitici fra Orru e l’ abitato di Sarrocco. Queste terre sono molto più disaggregate delle prime e sembrano contenere alquanta potassa. La distanza di questi giacimenti dal mare è di circa 72 chil. Sperimentate alla manifattura di Doccia, queste terre non poterono resistere al calore delle fornaci da porcellana senza dare indìzi! di fusione. Oltre a ciò la prima è priva affatto di plasticità, e per servirsene bisognerebbe anzitutto macinarla fina- mente ; ma 1’ azione del fuoco la rammollisce leggermente : la seconda poi fonde allo stato di vetro colorandosi in verde nero. Un altro giacimento di terra refrattaria, di cui furono presi campioni in Sardegna, è quello di Montesanto presso Iglesias, ove da qualche tempo esiste uno stabilimento per la fabbricazione di mattoni refrattari!. Questa terra è un’ argilla azzurrognola 308 che si trova interstratificata colla lignite del terreno eocenico alla profondità di circa 6 metri sotto la superficie. Il banco prin- cipale ha circa 1,50 di potenza, ma V estrazione dovrebbesi fare per lavori sotterranei. Questa argilla fu trovata migliore delle altre, sebbene aneli’ essa alla temperatura delle fornaci da por- cellana siasi alquanto rammollita. A Bacu Abis nel territorio di Gonnesa trovasi un giacimento d’ argilla analogo al precedente fra la lignite ed il calcare della formazione eocenica. Quest’ argilla si è rammollita alquanto al fuoco delle fornaci da porcellana. Nella miniera di manganese di Carloforte, fra le trachiti an- tiche ed i tufi trachitici al di sotto dello strato di manganese, si trova una terra di colore rosso-bruno con noduli e venette rosse, gialle, verdi e bianche, la quale sembra provenire dalla decomposizione di una specie di porfido trachitico. La pasta è argillosa ed i noduli sono per lo più steatitici. La cottura di questa argilla nelle fornaci da porcellana ne ha prodotto la fu- sione vitrea con coloramento in bruno rossastro. La manifattura di Doccia ha ricevuto dalla Sardegna anche alcuni campioni di argille ordinarie, fra cui quelle di Capoterra e Pabillonis nel circondario di Cagliari, e quella di Laconi nel circondario di Lanusei. L’ argilla di Capoterra è usata da qual- che tempo nel nuovo stabilimento ceramico di Cagliari per la fabbricazione delle stoviglie fine, ed è stata riconosciuta anche a Doccia come suscettibile di essere adoperata con vantaggio nella composizione delle terraglie bianche che vengono ricoperte con una vernice piombifera. L’ argilla di Pabillonis è di color rosso, piuttosto marnosa e ferruginosa. E adoperata da tempo immemorabile in Sardegna per la fabbricazione delle stoviglie ordinarie e, qualora sia cor- retta con una conveniente quantità di argilla plastica, può ser- vire, dietro esperienze eseguite a Doccia, per la fabbricazione delle majoliche che si ricoprono con uno smalto stannifero. Finalmente l’argilla di Laconi, della quale fa cenno anche il La Marmora nella sua opera sulla Sardegna, si rammollisce assai nelle fornaci da porcellana, colorandosi in rossastro e verdastro ; ma sarebbe atta a comporre le paste per le stoviglie ordinarie e per le cassette nelle quali esse si collocano per la cottura. — 309 Caolini. — I principali giacimenti di caolino nella Sardegna appartengono a due distinti gruppi, cioè quello di Furtei e quello di Laconi. I primi si trovano nella formazione di trachite am- fibolica che si estende da Serrenti a Furtei e Segario, e si pre- sentano in ammassi o banchi, talvolta assai potenti, alternahtisi colle trachiti suddette, le quali a misura che varia la propor- zione dell’ elemento anfibolico, prendono diverso aspetto e colore dal brifno verdastro al bianco candido. Gli altri trovansi nella puddinga che presso il villaggio di Laconi s’ intercala fra il Sarcidano ed i sottostanti scisti cristallini, ed alternano con ciot- toli quarzosi che costituiscono quasi come zoccolo la base del Sarcidano. I principali giacimenti di caolino presso Serrenti trovansi al monte Ollastu e al Monte Porceddu : nel primo il caolino non si vede in banchi coltivabili, perchè alcune masse di discreta po- tenza che vi si osservano hanno tessitura troppo grossolana, si- mile quasi all’ arenaria, colore tendente per lo più al grigio, e spesso sono inquinate di ocra rossa e gialla che a filetti le at- traversa in tutti i sensi. Talvolta vi si trovano anche straterelli di sostanza trachitica in vario modo contorti, i quali non pote- rono a causa della loro diversa composizione subire le trasfor- mazioni del resto della massa. Nel giacimento di Monte Por- ceddu r affioramento prende considerevole estensione, cioè di circa 100 metri in direzione e 12 a 15 in altezza. Presso Furtei il caolino affiora nelle località denominate Monte Candido , Monte Carbone e Corona Rubia. Le spese d’ pstrazione in queste Tocalità non debbono essere molto elevate, trovandosi i caolini alla superficie del terreno. Allo stabilimento di Doccia fu trovato che tutti questi caolini sono della stessa natura, e che solamente alcuni differiscono fra loro per essere più o meno puri in causa forse della maggiore 0 minore accuratezza adoperata nella scelta. I più puri risulta- rono essere quello di Monte Porceddu e quello di Sa Frigus (La- coni), giacché si potè ottenere con essi una pasta di porcellana in cui gran parte del caolino estero era rimpiazzato dai mede- simi. Questa porcellana, dopo la cottura, non riesci bianchissima, bensì azzurrognola in causa della presenza dell’ossido di ferro; cosicché tali caolini non potranno essere impiegati nella fabbri- — 310 cazione di oggetti fini e di lusso, ma soltanto per quelli or di- narii e commerciali, ne’ quali un leggero coloramento può essere tollerato. Tuttavia non essendosi allora potuto fare con questi caolini esperienze in vasta scala, il giudizio definitivo sul loro pregio industriale restò momentaneamente riservato. Calabria e Sicilia. — Il caolino è stato segnalato anche nella Calabria, specialmente a Tropea in provincia di Catanzaro, non che in Sicilia nel comune di Montagnareale nelle vicinanze di Patti, in provincia di Messina, prodotto dalla decomposizione dei feldispati del granito. Ne vennero inviati a Roma alcuni campioni dalle Giunte locali per la raccolta dei materiali da costruzione ; ma non si hanno sui relativi giacimenti notizie abbastanza pre- cise per poterne dare la descrizione, nè risulta che i campioni sieno stati provati allo stabilimento Ginori. Conclusione. — Riassumendo i risultati delle sue esperienze il direttore della Manifattura Ginori conclude col dire : C Che nessuna delle argille italiane -sinora esaminate in quello stabilimento sembra possedere la refrattarietà necessaria per resistere senza rammollirsi all’ alta temperatura de’ forni da porcellana e di quelli fusorìi ; cosicché non potrebbero tali argille essere adoperate nè per comporre il materiale occorrente alla co- struzione interna dei medesimi, nè per formare le caselle o custo- die destinate a contenere i prodotti che si espongono alla cottura. 2” Che talune argille del Yicentino, sebbene non adatte a far parte di una composizione di porcellana, possono essere utilizzate nella composizione di una buona terraglia, semprechè saggi sistemi di estrazione e di preparazione permettano di con- segnarle alle industrie esenti da ogni impurità e di una qualità costante. 3° Che di tutti i nuovi giacimenti di caolino studiati in seguito all’ invito del R. Governo, quelli che fanno concepire maggiori speranze sono i giacimenti di Sardegna. Esso esprime il desiderio che i proprietarii delle cave del distretto di Schio e quegli industriali che intendessero accin- gersi all’ esercizio delle cave esistenti in Sardegna, si rechino a studiare i metodi di escavazione e di preparazione adottati dai proprietarii delle cave di Cornovaglia, dove i caolini prima di 311 — essere messi in commercio per la fabbricazione delle porcellane e terraglie, della carta, del sapone ec., sono non solo macinati, ma soggetti ad una cernita diligente susseguita da decantazione. E queste operazioni sarebbero tanto più necessarie pei nostri caolini, in quantochè presentando essi qualche impurità allo stato naturale, non possono competere coi caolini esteri se non previa una opportuna preparazione meccanica. Devesi però avvertire che il prezzo dei nostri caolini, anche quando sieno preparati, dovrà sempre mantenersi inferiore a quello de’ caolini inglesi, senza di che questi finirebbero tosto o tardi con incagliarne lo smercio, stante la loro migliore qualità. Più tardi furono riprese le esperienze sopra nuovi campioni di caolino delle due località di Sardegna che avevano date maggiori speranze. Monte Porceddu e Laconi : i risultati riescirono però ben poco soddisfacenti per la circostanza che la porcellana nella quale entrano, benché in parte, queste terre, assume un aspetto sgradevole, e perchè il costo di esse, atteso lo spurgo della parte ferruginosa e la macinazione di cui abbisognano, mal potrebbe sostenere la concorrenza dei caolini esteri e segnatamente degli inglesi, che alla purezza e plasticità completa, accoppiano un re- lativo buon mercato. Ed ecco a questo proposito come si esprime il direttore dello stabilimento di Doccia nella sua relazione : « Sottoposti i due caolini all’ azione dei reagenti chimici, fu rico- nosciuto che entrambi hanno la medesima composizione chimica : si potè però rilevare che la quantità di ossido di ferro che con- tenevano, sebbene tenuissima, poteva nuocere alquanto alla bian- chezza delle paste di porcellana che coi medesimi potessero essere fatte. Venendo quindi a parlare degli esperimenti pratici sui detti caolini, giova osservare che tutti, indistintamente, i medesimi non possono entrare nella composizione della pasta di porcellana se non sono stati triturati e ridotti allo stato di polvere o pol- tiglia impalpabile, mediante la macinazione. Laonde prima di pro- cedere a questa operazione, siccome i pezzi dei medesimi sono macchiati qua e là da delle vene rossastre, formate dal sesquios- sido di ferro, fu scelta la parte bianca scartando accuratamente tutta quella colorata, e fu quindi macinata la prima riducendola in polvere estremamente divisa. Ciò fatto furono composte varie paste di porcellana con ciascuna delle suddette qualità di cao- — 312 lino purificato, e messe quindi in lavorazione per formare degli oggetti, fu trovato che erano alquanto povere di parte plastica 0 alluminifera. Esposti poi al fuoco gli oggetti fabbricati, si trovò dopo cottura che, mentre erano riesciti sufficientemente bene dal lato della solidità della materia, non era così da quello della bellezza. Erano infatti colorati di grigio verdastro, e tutti della stessa intensità di colore, lo che ci confermò che tutte le sud- dette qualità di caolino presentano le stesse proprietà e sono fra loro perfettamente identiche per composizione. Furono allora ma- cinati insieme tutti i suddetti caolini (previa sceglitura e depu- razione) per poter col solo caolino ottenuto, comporre, in grande, varie altre paste di porcellana. E d’ altra parte ne furono fatte altre a base dello stesso caolino addizionato di alquanto caolino estero puro. Colle prime s’ incontrò la solita difficoltà della ma- grezza nella lavorazione degli oggetti, colle seconde poi gli og- getti medesimi si poterono fabbricare molto meglio. Dopo cot- tura si trovò che gli oggetti fatti a base di solo caolino di Sardegna presentavano lo stesso coloramento e le stesse qualità di quelli fatti in piccolo la prima volta. Quelli poi i quali erano stati fatti colla pasta composta collo stesso caolino addizionato di alquanto caolino estero presentavano migliori resultati, ma erano sempre leggermente colorati in grigio verdastro : e que- sta colorazione si vedeva scomparire quanto più si diminuiva la proporzione del caolino di Sardegna nella composizione della pasta. Potei allora convincermi nella mia prima idea, cioè, che il caolino di Sardegna può servire per la composizione della pa- sta di porcellana in rimpiazzo soltanto del 50 per cento della sola parte caolinica pura, ossia può entrare nella pasta di por- cellana approssimativamente per una quarta parte della totalità delle materie che la compongono. E P addizione di questo cao- lino puro non la rende adatta per la fabbricazione di una buona e bianca porcellana, ma soltanto per la fabbricazione di una por- cellana inferiore, perchè, come ho detto di sopra, resulta sempre alquanto colorata in grigio verdastro. In conclusione, da quanto fu esposto, appare dimostrato che in Italia esistono caolini procedenti dalla immediata decomposizione dei feldispati, i quali, qualora fossero posti in commercio debi- — 313 — tamente scelti e preparati, potrebbero benissimo entrare in parte nella fabbricazione delle porcellane, e totalmente in quella delle terraglie fini, della carta, del sapone, e in altre industrie af- fini : che vi esistono pure argille plastiche che possono resistere anche ad elevate temperature ; ma che non si conoscono ancora giacimenti di vere argille refrattarie dotate di tale purezza da potere resistere alle più alte temperature della cottura della porcellana e dei forni a ferro, il consumo delle quali è di gran lunga superiore a quello dei caolini : da ciò la necessità di con- tinuare gli studi intrapresi e di fare nuove ricerche e nuovi esperimenti pratici. Alle notizie che precedono crediamo utile il fare seguire al- cuni dati, desunti da autori diversi, relativi a talune argille italiane, delle quali non è fatto cenno nelle relazioni degli In-, gegneri delle Miniere,, sia perchè abbastanza conosciute, sia per- chè sfuggissero alle loro ricerche. Frovincie piemontesi. — Nei circondario di Mondo vi (provin- cia di Cuneo) esistono argille che, quantunque per sè stesse non refrattarie, possono tuttavia, mescolate nella voluta proporzione con quarzo, dare buoni mattoni refrattarii, come già ebbe a fab- bricarne il signor Besio di Mondovì. ^ E però supponibile che questa terra sia da riferirsi al deposito dei caolini di Ceva del quale è parola più sopra. Gli autori citano anche una argilla refrattaria a Yillanova Mondovì ; e forse allude a questa il Barelli quando dice che « sul territorio di Pianfei (Mondovì), o forse già sul vicino terri- torio della Chiusa, e subordinato al serpentino, trovasi uno strato di argilla apira della varietà litomarga, d’ un bigio sucido traente al bruno : ella è tenera, ontuosa al tatto ed infusibile al cannello : viene essa adoperata alla vetraia della Chiusa nella pasta con cui si formano le padelle, entro le quali si opera la fusione del vetro. La roccia che racchiude questa argilla è pure mista di amianto ed è serpentinosa, e costituisce il monte che forma il limite della provincia di Mondovì con quella di Cuneo.^ » Il me- * Atti Inchiesta Industriale, deposizioni scritte, voi. Ili, cat. 15, par. 6. “ V. Barelli, Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S. M. il Re di Sardegna. Torino, 1835 (pag. 278). — 314 — desimo autore cita poi V esistenza di una argilla bianca, apira, plastica, nel territorio di Frabosa soprana, nello stesso circondario di Mondovì. Da molto tempo conosciuta è 1’ argilla di Castellamonte, in provincia di Torino, proveniente dalla scomposizione di rocce fel- dispatiche : contiene una piccola quantità di idrato di ferro, e gode di una mediocre refrattarietà. Serve ad alimentare molte fabbriche di stufe ed oggetti refrattarii. Nelle vicinanze, a Bal- dissero, si trovano depositi di un carbonato misto a silicato di magnesia assai puro (Giobertite) che alimentò per qualche tempo la fabbrica di porcellana di Vinovo. Non sembra vi esistono però veri caolini, quantunque il Barelli ne citi uno del Monte Spinai, un secondo del Monte Bellasanta, ed un terzo del luogo detto Le Benne 'tra Castellamonte e Baldissero. Nella stessa provincia il Barelli accenna ad un caolino bian- chissimo e di eccellente qualità a due miglia da Pinerolo sulla montagna di Murat ; ad un altro caolino della valle Pellice nel comune di Lusernetta, e ad un terzo a tessitura scistosa della collina di San Michele nel comune di Bricherasio, tutte località del circondario di Pinerolo. Assai conosciuto è pure il caolino di Borgomanero nella provincia di Novara ; la sua composizione, astrazione fatta dai residui non argillosi, è la seguente : Silice 44,5 Allumina 39,3 Ferro e manganese 2,1 Soda e potassa traccio Acqua 13,8 Nella stessa provincia, a Ronco Biellese, esiste una argilla magnesiaca atta a comporre buone paste ceramiche, contenente il 15 per Yo di magnesia: il Barelli poi accenna ad un caolino che si scava nella montagna di Valduggia nella Valsesia, e ad un altro nel territorio di Grignasco, località detta Cugnoli, nel circondario di Novara. Finalmente qualche autore fa menzione di un caolino a Fenolo sul Lago Maggiore, in dipendenza del granito di Baveno ; ed il 315 — Barelli cita nel circondario dell’ Ossola una argilla apira, plastica, bigia a Fossogno, ed un caolino nel comune di Santa Maria Mag- giore, località detta Riale del Ferneccio/ Frovincie venete. — In provincia di Belluno, nel comune stesso di Belluno, trovasi in località detta Mussoi, una argilla atta alla fabbricazione di laterizi refrattari. Argille bianche refrattarie sono citate nella località detta Caucia, in comune di Borea nel Cadore. Nella stessa provincia, nel territorio di Gosaldo, esiste una ar- gilla talcosa, refrattaria, in strati potenti che si estendono per gran parte del territorio comunale ; serve, mista con poco quarzo, alla confezione di crogiuoli e stoviglie. La medesima viene im- piegata alla costruzione dei forni nello stabilimento metallurgico di Vallalta per il trattamento del mercurio. Fhnilia e Bomagna. — In alcuni luoghi della provincia di Pia- cenza si trovano terre refrattarie, ma sino ad ora sono trascurate. ^ In provincia di Reggio, nel comune delle Quattro Castella, si lavora nella località di Salvarano una terra argillosa refrattaria; essa vi esiste in depositi piuttosto abbondanti, e serve per for- mare piani da forni e lastre da camini. Nei contorni di Risano, in provincia di Bologna, havvi una varietà di caolino che deriva dalla dissociazione della eufotide oligoclasica a grandi elementi. La sua composizione è:^ Silice 62,0 Allumina 25,0 Magnesia 4,0 Soda 1,4 Acqua 10,0 102,4 Nella stessa provincia si lavora un’ argilla plastica a Monte Paderno, comune di Bologna, per la confezione di laterizii re- frattarii. Il professor Bombice! scrive in proposito : « Il dilavamento delle vaste formazioni delle marne azurrine e biancastre, delle argille turchine plioceniche e delle stesse argille scagliose, po- ^ Barelli, Cenni ec., pag. 479. ^ Relazione Cam. Comm. di Piacenza. ® Bombicci, Descrizione della Mineralogia generale della provincia di Bo- logna, parte II. 316 - Irebbe produrre, se opportunamente utilizzato in vasta propor- zione, ottimi depositi di argilla plastica e figulina, e di materiale idoneo pei laterizi! refrattari!. ^ » Citiamo anche il fatto che la ditta L. Giuglini e C. di Ri- mini, con terra italiana, fabbrica buoni mattoni refrattari!, i quali sarebbero dotati di una maggiore resistenza e perfezione di quelli che vengono importati dall’ estero. “ Ignoriamo però e la compo- sizione e la provenienza di questa terra. Provincie toscane. — Nel lucchese abbiamo la terra di Monte Carlo e di Altopascio, conosciuta per le sue buone qualità re- frattarie : essa è un’ argilla silicifera, bianchissima, conosciuta in commercio col nome di Terra di Montecarlo ed usata per la co- struzione dei recipienti per la fusione del vetro. Altrettanto conosciuto è il caolino dell’ Isola d’ Elba che ri- sulta dalla decomposizione della eurite del Capo Bianco presso Portoferrajo. Fatta astrazione dalla parte non argillosa, che vi si trova nella proporzione dell’ 8 per 100 circa, e che si può separare facilmente, la composizione di questo caolino è la se- guente : Silice 49,6 Allumina 35,5 Ferro e manganese traccie Potassa, calce e magnesia . 2,4 Acqua 12,5 100,0 A Chiessì, nella parte più occidentale dell’ isola, trovasi pure il caolino derivante dai graniti del Monte Capanna. » Presso San Piero in Campo, nella parte meridionale dell’isola, si lavora una sostanza collegata con roccie serpentinose ed im- propriamente chiamata caolino: essa non è altro che una ma- gnesite (carbonato di magnesia) mescolata con silicato di magnesia, ed analoga alla giobertite di Baldissero in Piemonte. Di composizione molto affine ad un vero caolino magnesifero, è la così detta Alloisite dell’ Isola d’ Elba proveniente dall’ alte- razione dell’ ortose che accompagna le masse ferree di Rio : la ‘ Relazione sulle pietre edilizie e decorative della provincia di Bologna. ^ Relazione Cam. Comm. di Rimini. 317 sua composizione, secondo V analisi fattane dal Gherardi e ri- portata dal D’ Achiardi,^ è la seguente : Silice 55,15 Allumina -7,72 Calce e magnesia 5,10 Potassa 1,15 Acqua 10,20 99,32 Anche nelle isole vicine sembra si trovi il caolino : il Giuli ^ lo cita a San Francesco nell’ isola del Giglio ed a Cala Maestra in quella di Montecristo. Una specie di caolino, proveniente dall’ alterazione della La- bradorite dell’ eufotide, si trova a Jano presso Volterra: ed è probabile che nelle stesse condizioni si trovi anche altrove. ^ Una sostanza che ha tutta 1’ apparenza di caolino si trova alle falde del monte dell’ Acquaviva presso Campiglia nella pro- vincia di Pisa, in correlazione a porfidi trachitici. La sua com- posizione è la seguente : ^ Silice 48,8 Allumina 39,1 Ossido di ferro traccio Calce 0,7 Acqua 10,7 99,3 Nella stessa provincia è conosciuta l’ argilla refrattaria di Lugnano, nel comune di Vico Pisano, proveniente dallo sfacelo degli scisti del Verrucano ; si usa per fabbricare mattoni refrat- tarii e terraglie che sono assai ricercate. All’ Impruneta presso Firenze, ed a Figline presso Prato, la- vorasi una terra derivante dalla decomposizione dell’ eufotide o granitone di quelle località ; è dotata di mediocri qualità refrat- tarie e se ne fabbricano anche pezzi per forni. Il Giuli finalmente cita 1’ esistenza del caolino anche a Quer- ceto nella Montagnola Senese e all’ Ajola nelle Alpi Apuane, alla base settentrionale del Pizzo d’ Uccello. * Sopra alcuni minerali dell’ Elba. ^ Statistica mineralogica della Toscana. ® D’ Achiardi, Mhieralogia della Toscana. ' Idem. 318 — Trovincia Bomana. — Nell’ opera di Angelo Galli, pubblicata in Koma nel 1840,^ leggesi quanto segue: « A Civita Castellana esiste una cava che Brocchi così descrive : Argilla Manca finis- sima, plastica, Mhula. Si adopera nella fabbrica delle teì'raglie e delle porcellane. Tanto che secondo questo profondo conoscitore delle materie minerali, V argilla di Civita Castellana sarebbe idonea alla fabbricazione delle porcellane. S’ egli disse si adopera, sbagliò nel fatto, ma non esclude che egli la riconoscesse atta a simile lavorazione. » Allude probabilmente a questa argilla il professor Omboni nella sua Geologia dell’ Balia, dove dice, a pag. 298, che « al piede del Monte Soratte v’ hanno delle vene di un’ argilla bianca, simile a caolino, e con macchie ocracee, la quale fu adoperata per qualche tempo a fabbricare porcellana. » Il professor Pietro Carpi, che visse in Roma intorno al 1830, analizzò probabil- mente questa argilla : sembra però che la medesima sia molto ricca in magnesia, e che la sua escavazione sia cessata perchè non se ne trovavano che vene piccole, irregolari e non continue. Il Breislak, nel suo Saggio di osservazioni minercdogiclie sulla Tolfa, Oriolo e Latera (Roma 1786) dice esservi nel luogo detto La Torretta presso Oriolo, a 48 chilometri da Roma, una ar- gilla bianca e pastosa che potrebbe a primo aspetto sembrare atta alla porcellana. Avvertisi che questa località trovasi, come Bas- sano di Sutri più sopra ricordato, al N.E. di Monte Virginio ed in maggior vicinanza al monte stesso che non lo sia quest’ ul- timo paese. Notisi da ultimo che nel 1863 il Governo Pontificio accordò una concessione perpetua per lo scavo della creta bianca nei territori di Civita Castellana, Sutri, Fabbrica, Sant’ Oreste e Ponzano, i tre primi nel circondario di Viterbo, gli altri sul versante meridionale ed orientale del Monte Soratte : il conces- sionario era pure autorizzato ad erigere presso Civita Castellana un edificio o laboratorio per la fabbricazione delle maioliche e terraglie. Abruzzi. — « Nella provincia d’Aquila le argille (silicati di ‘ Discorso sull’ Agro Romano e cenni economici statistici sullo Stalo Pon- tificio. 319 — allumina idrati) vi sono di diverse qualità e bontà in grandi ammassi. L’ argilla plastica in talune località è purissima e senza traccie di ossidi metallici, qual per esempio quella di Pettorano presso Solmona, die nei passati secoli animò una fabbrica di finissima maiolica ; ed ora la cava pur serba la stessa proprietà, sebbene condannata a produrre tegoli e mattoni che riescono solidi, sonori e capaci di essere levigati come pietra. La stessa sorte sta subendo V argilla di Campo di Giove, pure nei dintorni di Solmona, e quella della Marsica: in modo analogo sono uti- lizzate le argille di Anversa (circondario di Solmona) e quelle di Sassa, di Capitignano e di Bussi, nel circondario di Aquila. La qualità di queste argille sarebbe dovunque ottima.* » Nella provincia di Chieti si citano giacimenti di argille cao- liniche più o meno refrattarie nei territorii di Guardiagrele, di Rapino e di Gessopalena ; i primi due nel circondario di Chieti, il terzo in quello di Lanciano. Calabria. — Come fu accennato più sopra, havvi in provincia di Catanzaro il caolino di Tropea, bianco e derivato dalla de- composizione dei graniti di Calabria. Si lavora ed è messo in commercio. Nella stessa località havvi anche il Fetunzé^ sotto forma di sabbia bianca. Per la provincia di Reggio si cita un caolino nella comunità di Pedavoli, circondario di Palmi, ad un’ ora di distanza circa dall’ abitato, e in prossimità di una cava di scisto cloritico. Il signor Lenzi, fabbricante di prodotti ceramici in Napoli, assicura che in Calabria si rinviene anche della terra refrattaria, la quale venne da esso esperimentata con successo. ^ Sicilia. — Per la Sicilia il De Bordi nella sua Mineralogie Siciìienne (Turin 1780) dà P elenco di molte terre argillose da esso dichiarate plastiche e refrattarie, e fra le quali presentano i maggiori caratteri di purezza certe argille di Taormina, di Messina, del fiume Niso, di Catania, di Siracusa, di Ragusa, di Butèra,. di Licata, di Castrogiovanni, di Salemi, di Raccuja, del- ’ Relazione della Cam. di Comm. di Aquila pel 1865. ^ Feldispato non alterato misto a granuli di quarzo, che si unisce al caolino per comporre la pasta da porcellana. ® Atti Inchiesta Industriale, dep. scritte, voi. IH, cat. 15, par. 6. — 320 - r Isola Alicuri e dell’ Isola Salina (ambedue del gruppo delle Lipari). Anche il Ferrara parla favorevolmente delle argille siciliane, e nella sua Storia Naturale della Sicilia (Catania 1813) scrisse quanto segue : « L’ argilla da porcellana è comunissima in molti luoghi deir Isola ; ne ho veduto dei grossi filoni nelle montagne del Pelerò ; grigia giallastra, o rossastra, friabile, matta, polve- rulenta, che si attacca alla lingua assorbendone l’umido, magra al tatto e che non si fonde affatto senza addizione. Si sa che secondo le analisi di Vauquelin contiene silice, allumina, calce, ferro, acqua ; e che in altra analisi non vi si è trovata la calce. Ne ho osservati dei grandi ammassi in alcuni discavi nel con- torno di Catania, ed egli è certo che ne potrebbe ritrovare sempre colui che andrebbe in cerca di essa allorché profittando dei filoni del felspato micaceo decomposto in massa terrosa bianca, che così abbondano nelle montagne granitiche del Peloro, vorrebbe impiegarsi alla fabbrica della porcellana che come è noto resulta da questa argilla, e dal felspato che serve di fon- dente per favore senza dubbio della potassa che le analisi del- P esatto Vauquelin ci hanno dimostrato esistervi, e dalla quale deve ripetersi la grande fusibilità del felspato. » E qui cessano le nostre informazioni circa i probabili giaci- menti di caolini e di argille refrattarie in Italia: è a desiderarsi che ulteriori ricerche vengano fatte e che da esse si possa ri- cavare qualche cosa di più positivo sull’ importante questione. P. Zezi. Roma, ottobre 1875. — 321 - NOTIZIE BIBLIOGRÀFICHE. A. Manzoni. — 1 Briozoi del pliocene antico di Castrocaro. Bologna, 1875. Ecco una nuova ed interessante monografia che il dottor Man- zoni aggiunge alle altre già da esso pubblicate intorno ai Briozoi fossili. Ne offre argomento la ricca fauna di Castrocaro presso Forlì, tanto copiosa di forme diverse da caratterizzare da sè sola quel piano quand’ anche vi mancasse qualsiasi altra specie di or- ganismi fossili : questo deposito a briozoi è senza dubbio il più ricco che si conosca finora nei terreni pliocenici italiani ; e nes- sun altro deposito italiano, ad eccezione di quello classico del gruppo di Crosara illustrato dal Reuss, può competere con quello di Castrocaro per la copia e la conservazione dei resti di briozoi. Per queste sue qualità il deposito di Castrocaro può parago- narsi a quello dell’ antico pliocene d’ Inghilterra {Bed and white crag di Suffolk) ed ai ricchissimi dei terreni miocenici d’Austria e d’ Ungheria ; inoltre al par di questi presenta una decisa pre- valenza dei briozoi cheilostomati sui ciclostomati, e, per i primi, una grande preponderanza dei generi Lepralia e Membranipora sugli altri. Il deposito a briozoi italiano al quale quello di Castrocaro si identifica maggiormente, è quello di Parlascio e San Frediano nelle Colline Pisane ; il quale pure, benché in più modeste pro- porzioni, contiene una fauna di briozoi che di per sè sola carat- terizza la formazione. La fauna di queste due località si mostra collegata con quella dei mari attuali e con quella dei pliocenici, piuttostochè colle faune più antiche ; ed a prova di questa asser- zione vedasi il quadro comparativo dall’ Autore posto in fine del lavoro, nel quale i termini di confronto sono : terreni coetanei di Castrocaro, il pliocene di Parlascio e San Frediano ed il Crag d’Inghilterra; più antichi, Crosara ed i depositi austro-ungarici; 22 — 322 — più moderni, il pliocene di Reggio Calabria, il quaternario di Livorno ed i mari attuali. Nell’opera del dottor Manzoni sono descritte 83 forme di briozoi dei deposito di Castrocaro, e fra queste 25 non poterono essere identificate a forme viventi o fossili già conosciute, per cui furono battezzate con nomi nuovi ; di queste specie nuove ben 22 appartengono alla famiglia dei Clieilostomati inaìiicolati, e la più parte di esse è del genere Lepredia. Le specie descritte sono rappresentate da sette tavole egregiamente disegnate dal- r Autore stesso e con molta cura litografate : l’ ingrandimento sotto il quale ciascun briozoo è disegnato nelle tavole, non è \ uguale per tutte le figure, e per alcune specie havvi anche il disegno in grandezza naturale. Aggiungiamo infine che di questa monografia furono stam- pate sole 100 copie a spese esclusive dell’ Autore, e che chiun- que volesse ottenerla per studio potrà rivolgersi direttamente ad esso, non trovandosi la medesima in commercio. Facciamo voto perchè 1’ esempio del dottor Manzoni trovi imitatori in Italia, e che lo studio dei briozoi fossili, finora po- chissimo curato da noi, q)Ossa entrare a far parte della paleon- tologia ben conosciuta dei terreni terziari d’ Italia. G. V. Rate. — I Monconi nella parte S. E. del Tiroh: Bonn 1875. In questa pregevole memoria l’ Autore richiama 1’ attenzione dei geologi e dei mineralogisti sopra alcuni punti di maggiore importanza, riguardanti le roccie ed i minerali dei Monzoni, i quali furono toccati parzialmente nelle molteplici descrizioni di quei classici monti, e ne trae occasione per fare nuove ed interessanti osservazioni. Il gruppo dei Monzoni consta di molte specie di rocce, i cui tipi però sono due, e cioè la Sienite augitica ed il Diabase: questo studio ci insegna dunque a conoscere una nuova varietà della sienite ; anche il diabase dei Monzoni si distingue sostan- zialmente dai soliti tipi. Una gran parte del gruppo consta di 323 Sienite augitica, miscuglio cristallino-granulare di Ortose, Pla- gioclasio ed Augite : i componenti accessori sono Titanite, Orne- blenda, Pirite di ferro, Ferro magnetico, Apatite. In qualche varietà predomina P Ortose (Valle dei Kizzoni e Piano dei Mon- zoni), in altre invece esso cede quasi completamente il posto al Plagioclasio. L’ Autore dà il nome di Diabase a quella forma litologica che prima d’ ora fu chiamata Iperstenite ; essa consta essenzialmente di Labradorite con Ortose, Augite, Biotite, Orne- blenda, Titanite, Ferro magnetico. Pirite ed Apatite; e, più ra- ramente, Tormalina, Granato, Epidoto, Axinite, Cabasite e Preh- nite. In alcune varietà della roccia, la Labradorite scompare quasi completamente, predominandovi quasi per intiero V Augite : in questo caso vi si rinvengono talvolta druse di cristalli d’ Augite ben conformati. E interessante ancora la presenza nei Monzoni di una roccia diallagio-labradoritica ; una mescolanza di granuli grossolani di Labradorite, di Augite molto simile a Diallagite, Olivina, poca Biotite e Ferro magnetico. La presenza deli’ Olivina nelle rocce dei Monzoni non era ancora stata osservata. Impor- tantissime sono le analisi di feldispati, come pure del diallagio e deli’ orneblenda presi da queste rocce ; e interessanti sono pure la determinazione ottica di un diallagio del professor Websky, e le ricerche microscopiche eseguite dal professor Bosenbusch sopra alcuni diabasi. » ’ A questa prima parte del lavoro fa seguito la descrizione dei giacimenti minerali e di alcune , specie che in essi si tro- vano. Al disotto dei giacimenti minerali connessi al contatto delle rocce eruttive e del calcare, ve ne ha uno dei più notevoli; un giacimento cioè di Fassaite, nel versante setten- trionale del Monte Ricorbetta ad un’ altezza di circa 2200 me- tri. Quivi si osserva una massa ellissoidale di calcare cristal- lino, racchiuso tutto alT ingiro da diabase ; e ad immediato contatto di queste due rocce trovasi la Fassaite. Un’ altra lo- calità molto interessante per lo studio dei fenomeni di contatto, trovasi ad un’ altezza di circa 600 metri sopra la parte supe- riore del Piano dei Monzoni : colà, in mezzo ad un selvaggio ed alpestre ammasso di rupi, elevasi uno scoglio arrotondato, la cui metà meridionale è formata di calcare, la settentrionale di sienite. Presso il contatto, il calcare, che a distanza è compatto. 324 — è convertito in un bel marmo cristallino: tra il marmo e la sienite vi è un banco di calcite a grossi cristalli della potenza di 72 ad 1 metro, ripieno di minerali, come Granato e Augite raggiata: immediatamente al limite verso la sienite, presentansi aggregati granulari e lastre di un Granato giallo e bruno, al quale si associano liste di Augite raggiata completamente analoga a quella dell’ Elba. Nella parte S. E. dei Monzoni, al contatto della sienite augitica, trovansi giacimenti di Epidoto accompagnato da Gra- nato, Sfeno, Plagioclasio e Zircone. Una località ancor più ricca, sotto questo riguardo, è la valle dei Eizzoni: colà do- mina la sienite augitica, nella quale son racchiusi strati e noduli di un marmo in molte guise impregnato di minerali di contatto, Anortite, Adularia, Fassaite, Biotite, Monticellite, Pleo- nasto, Titanite, Apatite, Ferro magnetico. Sono molto notevoli i cristalli di Anortite, raggiungendo essi la grossezza di 6 centi- metri, e la Monticellite 0 compatta 0 in granuli cristallini. Fi- nalmente nella valle della Foglia trovasi un giacimento di Cey- lanite e di Brandisite; e la Fassaite, vi si incontra. in cristalli geminati di speciale bellezza. E. yoN Mojsisoyics. — Sull’ estensione e la striiUura delle masse dolomitiche nel S.E. del Tirolo. — (Sitz. k. Ak. der Wiss., B. 71, Mai H., Wien 1875). In questo interessante lavoro l’Autore dà relazione di alcune nuove ed importanti ricerche eseguite nelle vallate di Groden, di Abtey e di Buchenstein nel Tirolo meridionale, e ne trae solidi argomenti per confermare la teoria di Kichthofen, che cioè quelle masse dolomitiche debbano la loro origine a formazioni madreporiche dolomitizzate. Negli ultimi tempi del periodo del Muschelìcalh doveva esi- stere per tutto quel territorio una specie di grande altipiano dolomitico, continuo e pianeggiante, e solo più tardi vi si dovet- tero formare avvallamenti, i quali riempironsi di sedimenti mar- nosi, il cui risultato fu di separare fra di loro sei masse dolo- 325 — mitiche che ora vedonsi affatto isolate : a questa formazione marnosa appartengono i terreni caratteristici di Buchenstein, di Wengen e di San Cassiano. Al limite fra la regione dolomitica e la marnosa, corre dovunque una zona di calcare corallino, il quale e da un lato e dall’ altro passa insensibilmente alle due formazioni contermini. Ad eccezione di qualche indizio di stratificazione nella parte più elevata dei gruppi, corrispondente ai depositi operatisi nella laguna centrale della scogliera madreporica, la dolomite si pre- senta generalmente in masse compatte : la sua struttura è frequen- temente quella di un conglomerato, nel quale si vedono grossi blocchi corallini fra di loro cementati da una pasta dolomitica. L’ incominciare della attività vulcanica nella Valle di Fassa è indicato da una decisa linea di separazione fra la dolomite degli strati di Buchenstein e quella degli strati di Wengen; il che dimostra che vi fu un periodo di sosta nel generale abbas- samento del fondo marino. Seguirono poscia le eruzioni di grandi masse vulcaniche, le quali nelle regioni più settentrionali si vedono intercalate in forma di correnti alla base degli strati di Wengen. Queste sono le conclusioni principali alle quali giunse l’Autore. E. Stoehr. — “ KatecMsmus der BerghatiMnde. Wien, 1875. L’ ingegnere Emilio Stòhr, conosciuto assai favorevolmente in Italia per i suoi studii intorno alle Salse del Modenese, ai ter- reni terziari di Montegibio, alle argille scagliose dell’ Apennino settentrionale ed ai terreni lignitiferi del Valdarno superiore, ha di recente dato alla luce in Germania un interessante e ben fatto prontuario per la lavorazione delle miniere, compilato colla scorta della esperienza dall’ Autore acquistata come direttore di siffatte lavorazioni. Lo scopo del libro è essenzialmente pratico, come quello che si propone di trattare ad uno ad uno tutti i quesiti dell’ arte mineraria, nella forma più facile ed in modo succinto, avuto sempre riguardo tanto ai principii della scienza, quanto ai dati suggeriti dalla pratica : esso è destinato a correre — 326 fra le mani delle persone addette a lavori minerarii, ed a for- nire in poche parole la soluzione di qualsiasi quesito riguardante r arte loro ; la disposizione stessa del manuale, per domanda e risposta, rende le ricerche a questo scopo assai brevi e facili. A dare una idea più esatta del valore del libro, basterà in- dicare quali sieno gli argomenti trattati nelle dodici principali sue divisioni : V Del modo di presentarsi dei giacimenti mi- nerali utili (giacimenti regolari, irregolari, superficiali ; giacimenti nelle varie formazioni geologiche ; ricerca dei medesimi). 2° Dei lavori per raggiungere il giacimento utile (metodi diversi di la- vorazione ; lavoro puramente manuale e lavoro con macchine ; macchine da scavo). S*" Dei lavori di apprestamento (discenderie, gallerie, pozzi ; riattivazione di antichi lavori). 4° Dei vari me- todi di lavorazione (per gradini rovesci o diritti, per montanti trasversali, per pilastri, per camere di scavo ec. ; lavori di ap- profondamento ; lavori allo scoperto). 5° Della sicurezza dei lavori (armature in legno ; murature ; mezzi preventivi contro l’ inva- sione delle acque). 6° Dell’ avanzamento dei lavori (per gallerie, per pozzi, lavori allo scoperto ; trasporto interno, estrazione, strade ferrate, macchine, motori ec.) T Del trasporto degli operai (per pozzi inclinati e per pozzi verticali). 8° Della eduzione delle acque (chiuse di ritegno ; scarico ed elevazione delle acque). 9° Della ventilazione (naturale ed artificiale). 10“ Della illumina- zione (lampade di sicurezza). 11“ Degli incendii nelle miniere. 12“ Del personale lavorante e delle mercedi. Il libro è corredato da 48 incisioni in legno, rappresentanti figure schematiche e disegni di apparecchi, le quali facilitano grandemente l’ intelligenza delle cose esposte nel testo. Da questa semplice enumerazione delle materie trattate ap- pare come l’Autore abbia saputo raccogliere in un volume di piccola mole quanto può occorrere al minatore nell’ esercizio della sua professione, esponendo il tutto in una forma facile ed ac- cessibile alla intelligenza delle persone alle quali il manuale è destinato. Sarebbe perciò desiderabile che si intraprendesse la traduzione e la pubblicazione in italiano di questo libro, onde venga diffuso fra i minatori italiani e forse anche adottato per r insegnamento nelle nostre scuole minerarie. — 327 — J. Dana: Marnai of Geology ; Second Edition. New- York, 1875. Annunciamo con soddisfazione la comparsa di una seconda edizione di quest’ opera capitale dell’ illustre geologo americano. Nella introduzione 1’ Autore giustifica i motivi che lo hanno indotto ad imprimere all’ opera sempre più un carattere prevalen- temente americano. Le principali divisioni sono quelle stesse già prima d’ ora esposte dal Dana, e conformi alle più universali co- gnizioni ed ai sistemi ornai adottati, cioè Geologia fisiografica, Geologia litologica, Geologia istorica e Geologia dinamica. In questa seconda edizione abbiamo osservato le seguenti va- riazioni nella nomenclatura e nell’ aggruppamento dei terreni : r La prima epoca della formazione della terra fu chiamata Ar- caica e non Asoica ed Eosoica come nella prima edizione, e ciò in causa della impossibilità di segnare un limite deciso fra. le formazioni azoiche e la comparsa degli organismi. 2° L’ antica denominazione di Gruppo di Fotsdam od Epoca primordiale, fu sostituito dall’ altra di Periodo primordiale o Cambrico, essendo questo piano affatto identico al Cambriano dei geologi inglesi. 3° L’ Arenaria del Galcifero e il Calcare di Cha^y, dettero luogo al Gruppo Canadese (Siluriano inferiore) che comprende il Gruppo di Quehec cotanto ricco di fossili. 4® Il Calcare di Trenton, gli Scisti e calcari di litica e il Gruppo di Cincinnati, costituiscono il Gruppo di Trenton. 5'’ L’ antico Gruppo di Hudson è abolito, e si passa immediatamente dal Trenton al Niagara. 6° Infine il vocabolo di Fost-ter^iario fu sostituito dal Quaternario od Epoca deìV uomo. Nella conclusione della geologia dinamica, ove vengono trat- tate le leggi più importanti per la formazione della terra, l’Au- tore getta ancora uno sguardo alla storia della creazione biblica, e ne deduce il seguente ordinamento : 1“ Era inorganica, r giorno = Luce cosmica. 2° » == Separazione della terra dai fluidi. I — 328 — i 1 Delimitazione della terra e dell’ acqua. ( 2 Creazione di una vegetazione. Era organica. Luce del sole. Creazione degli ordini inferiori degli animali. i 1 Creazione dei mammiferi. ( 2 Creazione dell’ uomo. Volendo trovare un accordo fra la cosmogonia biblica e la scienza, crediamo non si possa pervenire ad un resultato diverso da questo. Più di 1100 incisioni intercalate nel testo, servono a facili- tare al lettore l’ acquisto di nuove cognizioni in rapporto alla struttura della crosta terrestre, alla distribuzione delle terre e dei mari, alla condizione di giacimento e alla struttura delle rocce, al loro carattere litologico e allo sviluppo della vita or- ganica nelle diverse epoche della formazione del globo. Sotto qualunque aspetto, il Mamtal of Geology del Dana è un’ opera intieramente originale, la quale manifesta le molteplici e profonde ricerche dell’Autore in tutti i rami delle scienze na- turali, e si collega a tutti i preziosi tesori di cognizioni dovute alle recenti importantissime ricerche, specialmente eseguite nel- l’ America del Nord. Però anche altre parti del mondo, e segna- tamente r Europa, entrano nella cerchia delle sue osservazioni, come era da aspettarsi da un uomo che ebbe una parte così cospicua nel promuovere i progressi della scienza, e che per primo assegnò alla fteologia, come scienza universale, il posto che le si conveniva. 3® giorno = 2" 4*^ » = » = » = NOTIZIE DIVERSE. Le ultime eruzioni vulcaniclie dell’ Islanda. — Nella notte dal 29 al 30 marzo di quest’ anno cadde sopra gran parte della Norvegia una cenere vulcanica grigio-chiara che, oltrepassando i confini della Svezia, giunse fino a Stokolma. Era naturale che — 329 — si supponesse provenire la medesima dall’ Islanda, trasportata da venti tempestosi di KO. Questa supposizione rimase infatti pie- namente confermata dalle notizie giunte in seguito da quell’ isola che riferirono quanto segue. Fino dal 15 decembre 1874 nella parte settentrionale ed orientale dell’ isola, terremoti non molto forti, ma continui tal- mente che sarebbe stato impossibile il numerarli, annunziarono r avvicinarsi di eruzioni vulcaniche. Infatti qualche giorno dopo dai villaggi a settentrione del Vatnajokul (Jokul significa mon- tagna coperta di neve) fu veduto un gran fuoco verso il Sud indicante appunto la nuova eruzione. Si venne a sapere in se- guito che questa eruzione aveva avuto luogo nel Dyngufjeld a Nord del Vatnajokul. Fu tentata una spedizione fin là, ma non fu possibile avvicinarvisi più di un centinaio di passi: si potè però constatare che l’ eruzione aveva il suo centro in mezzo ad una montagna di forma circolare e conosciuta col nome di Askja. Il cratere emetteva una grande quantità di cenere e di lava che si elevava a parecchi piedi d’ altezza. Altri crateri secondari emettevano acqua che andava poi a radunarsi in un piccolo lago. Il suolo coperto di lava era screpolato in molti punti, ed aveva dato luogo a fessure e a sprofondamenti. Il 18 febbraio 1875 da Grimsstadir fu osservato un fuoco energico molto esteso in lunghezza nei monti orientali posti fra Myvatnsbygden e il fiume dell’ Jokul (Jòkulsaaen) che prendono il nome di Myvatnsòrkenen ed Oesterfjeldene. Una spedizione giunse fin là, ma 1’ eruzione era già terminata ; la lava però era tuttora rovente : alcuni crateri erano sempre aperti, altri erano stati ot- turati dalle scorie e dalle pomici che vi si riversavano. La cor- rente della lava raggiungeva complessivamente 2 miglia e mezzo geografiche in lunghezza e circa 500 metri in larghezza. Il 10 marzo si aprì un nuovo cratere sugli stessi monti, ma un poco più verso Nord; quindi il 29 dello stesso mese inco- minciò una grande eruzione a Sud dell’ Jokul Herdubreid e ad oriente del Dyngufjeld, i prodotti della quale giunsero appunto fino oltre le coste della Scandinavia. Per ora non si è potuto sapere con precisione se il cratere trovisi nel Vatnajokul o nel Dyngufjeld, ma è certo che emise una quantità di cenere tal- mente straordinaria, che per più giorni rimase impedito il pas- — 330 — saggio del fiume dell’ Jokul. Nella parte orientale dell’ isola la caduta della cenere era così fitta che la luce solare non poteva attraversarla, e si dovette accendere i lumi nel bel mezzo del giorno. Queste tenebre durarono diverso tempo secondo la di- stanza dal vulcano ; così nella valle dell’ Jokul durarono 5 ore, in quella del Fljot 3 ore, nel Seydisfjord 2 ore. Lo strato di cenere era di 6 pollici nella prima località e di 2 nell’ ultima. In seguito alla caduta di queste ceneri, immense estensioni sulle quali si esercitavano le pasture dovranno essere abbandonate e rimarranno deserte. Secondo i calcoli del professor Mohn di Cristiania, le ceneri dell’ Herdubreid per giungere alle coste della Scandinavia, do- vettero percorrere una distanza di 170 miglia geografiche colla velocità di 40 miglia 1’ ora. Non è la prima volta che le ceneri dei vulcani d’ Islanda sono portate fino alla Scandinavia : anche l’eruzione dell’ Hecla nel 1693 mandò le sue ceneri fino alle Faròe e sulle coste norvegesi. La distanza di questi due punti è quasi uguale a quella del Vesuvio da Costantinopoli, ove nella eruzione del 472, secondo una testimonianza di Procopio, furon trasportate le ceneri che misero il terrore nella città. Alla sera del 4 aprile sullo stesso altipiano tra Myvatnsbyg- den e il fiume dell’ Jokul, ma un poco più a Sud dei punti ove accaddero le due eruzioni del 18 febbraio e del 10 marzo, si aprirono tre crateri distribuiti sopra una linea meridiana : il cra- tere più settentrionale era il maggiore. Un centinaio circa di metri ad occidente dei crateri, il suolo era fratturato da una grande spaccatura diretta anche essa da N. a S. : e ad oriente della spaccatura il terreno si era sprofondato per un’ altezza di 3 o 4 metri. Il cratere settentrionale lanciava una colonna di ma- teria infuocata ad un’ altezza di 2 o 300 piedi, prendendo così r apparenza di un Geyser : la estremità superiore della colonna si apriva allora e ricadeva in basso simulando il getto di una fontana. Questa eruzione non era continua, ma intermittente. In mezzo ad un continuo romoreggiare, prodotto certamente dal bollore della massa dentro il cratere, udivasi di tratto in tratto una forte detonazione simile a colpo di cannone, ad ognuna delle quali elevavasi dal cratere una colonna di vapore bluastro; ciò induce a credere che provenissero dallo scoppio di masse — 331 — d’ aria rinchiusa nelle lave. La emissione delle materie infuocate accadeva senza detonazione. Ricerclie geologiche nel mezzodì della Spagna.’ — Anche nella Spagna meridionale si hanno ora prove della esistenza di grandi ghiacciaj in un’ epoca antistorica. Il signor J. Mac-Pherson di Siviglia dette poco tempo fa comunicazione che egli, in una escursione eseguita nella primavera trascorsa nella parte occi- dentale della Sierra Nevada, ha raccolto su tal proposito le prove più indiscutibili. Le traccie le più evidenti di un ghiacciaio fu- rono osservate nella valle del fiume di Lanjaron. Le pareti della valle sono levigate nel modo più perfetto : una evidente morena frontale chiude inferiormente la valle; essa è posta a 700 metri sul livello del mare. Il ghiacciaio può avere avuto una lunghezza di 15 a 18 chilom. I monti dai quali scendono gli affluenti della valle elevansi fino a 3200 metri, ma al presente sulle più grandi altezze nella estate rimane appena qualche piccolo lembo di neve di limitatissima estensione. Il signor J. Mac-Pherson crede pro- babile che anche tutte le altre valli della parte occidentale della Sierra Nevada siano state occupate da ghiacciai. caso è di parere che i depositi di grossi ciottoli che trovansi in molti luoghi verso la base della catena e specialmente nell’ Alhambra presso Granata, siano stati trasportati dai ghiacci : .tutti questi depositi giacciono a un dipresso alla medesima altitudine di 700 metri sul mare; e questo fu verosimilmente il livello fino al quale discesero questi antichi ghiacciai. Il signor J. Mac-Pherson ha fatto di recente anche altre notevoli osservazioni nella provincia di Cadice, poco conosciuta geologicamente, e ne dà alcuni cenni preliminari in alcune brevi memorie.^ Egli ha fatto specialmente oggetto di ripetute inda- gini le montagne della Ronda che elevansi a Nord di Gibilterra. Una scoperta di grande interesse fu qui il ritrovamento di una massa di serpentino straordinariamente estesa, e che evidente- mente è un prodotto di metamorfismo di rocce oliviniche. Essa * Da una lettera del Prof. F. Roemer. (Vedi, Neues Jahrbuch fùr Min. Geol. und Pai., 1875, H. 5.) ^ Memoria sabre la estructura de la Serranìa de Ronda e Geological sketch of thè province of Cadiz. - 332 — domina da Tolosa fino a Manilba per una lunghezza di oltre 42 chilom. ed una larghezza di 18 a 20, superando così in esten- sione tutte le altre masse serpentinose conosciute. La prova più fondata che effettivamente questo serpentino si originò dal me- tamorfismo di rocce oliviniche, fu somministrata dal Mac-Pherson in una speciale memoria (Breves apuntes acerca del origen pe- ridotico de la serpentina de la serrania de Benda. — An. de la Soc. espan. de hist. nat., Tom. IV. Sesion del 3 de fehr. 1875). Il nucleo deir intiera massa è in parte tuttora formato di roccia olivinica : essa contiene piccole particelle di Picotite o Cromospi- nello qua e là sparse ; però anche nella maggior parte dei blocchi di serpentino si possono riconoscere piccole parti di olivina inalterata. I più evidenti passaggi dalla olivina cristallina inal- terata al serpentino perfettamente amorfo, possono osservarsi dappertutto. Per queste ricerche fu praticata con molto vantag- gio anche P osservazione microscopica sulle lastre sottili ; e nella memoria di cui sopra sono presentate due tavole con disegni bene eseguiti di sezioni ingrandite. Per mezzo^ di questa scoperta sono state ampliate le cognizioni che si avevano fino ad ora sulla estensione e sulla trasformazione in serpentino delle rocce peridotiche della catena montuosa di Eonda. Le piriti in Francia. — È noto come in Francia le piriti di ferro sieno oggetto di una lavorazione considerevole per la fabbrica dell’ acido solforico : il consumo di piriti nazionali nello scorso 1874 fu di 180,000 tonnellate per la Francia, e di 520,000 per l’Inghilterra: con tutto ciò P industria francese importa per lo stesso scopo le piriti dal Belgio, dalla Norvegia e dalla Spagna. I giacimenti francesi più celebri possono essere riuniti in due gruppi; il primo situato nel dipartimento del Rodano (Chessy e Saint-Bel), l’altro nei dipartimenti del Gard e delPArdéche e si compone di parecchi importanti giacimenti, come Pallières, Saint-Martin, Saint-Julien, ec. Le piriti del Rodano formano due categorie: la' prima, che appartiene alla regione settentrionale, comprende piriti con 46 a 48 7o solfo e con semplici traccie di arsenico ; la seconda, nella regione meridionale, ha delle pi- riti più pure e con 50 a 53 di solfo. Le piriti del Gard sono ì — 333 - importantissime dal punto di vista del rendimento dei giacimenti, e raggiungono il 45 7o solfo : quelle delFArdéche sono forse meno importanti, contengono 45 a 50 di solfo, ma talvolta hanno per- sino 3 millesimi di arsenico. In quanto alla massa totale di pi- rite che ancora resta ad estrarsi, i signori Girard e Morin, che fecero interessanti studii in proposito, credono che le fabbriche francesi di prodotti chimici possono calcolare di avere questa materia prima assicurata per un centinaio d’ anni almeno, e ciò non tenendo calcolo che dei giacimenti conosciuti finora. Formazione contemporanea dei minerali. — Nella seduta del 26 Luglio scorso dell’ Accademia delle Scienze di Parigi, il Prof. Daubrée ha presentato nuove ed interessanti notizie sulla formazione contemporanea dei minerali nelle sorgenti termali di Bourhonne-les-Bains, dove, in un antico pozzo di epoca romana, si rinvennero, insieme con medaglie di bronzo, argento ed oro, ed altri prodotti artificiali, i seguenti minerali : Càlcosina, in cristalli assai distinti e talvolta geminati, coprente il solfato di rame ; calcopirite colle sue tinte caratteristiche e i suoi cristalli piramidali ; hornite in cristalli ettaedrici od esaedrici ; rame grigio o tetraecìrite con 26, 40 7o di antimonio ; infine galena, anglesite, limonite, pirite, cabasite e armotoma. Furono analizzate due medaglie di bronzo ed una di ottone trovate entro lo stesso pozzo, nello scopo di ricercare d’ onde provenisse P antimonio che servì alla formazione dei cristalli di tetraedrite; e questa analisi non indicò traccia alcuna di questo metallo, ma bensì una proporzione notevole di piombo. La stessa osservazione, eseguita sopra un pezzo di piombo trovato presso le medaglie, in parte ossidato e passato allo stato di carbonato e di solfato, diede il medesimo resultato negativo in quanto all’ antimonio, ma constatò un torace di 10,40 7o di stagno. Sopra un tubo di piombo pro- veniente dalla stessa località si trovarono dei cristalli bianchi, splendenti, in forma di prismi a otto faccio e angoli eguali, of- frenti tutti i caratteri della phosgenite (carbonato di piombo e cloruro di piombo in parti prossimamente uguali) : questo mine- rale formava una crosta sulla superficie del tubo, ed era rico- perto da uno straticello di galena. Infine lo stesso prof. Daubrée ha rimarcato che un pezzo di' ferro, il quale da soli dieci anni — 334 — trovasi in contatto coll’ acqua dei bagni, contiene all’ incirca il 3,5 di silice, offrendo per tal modo un esempio dell’ azione delle acque termo-minerali sui metalli. Minerali tellurici del CMIL — Nella seduta 11 Ottobre u. s. della stessa Accademia il sig. Domeyko fece una comunica- zione sopra i minerali tellurici scoperti di recente al Chili. Questi minerali, che consistono in tellururo d’ argento ed in tel- lurato di piombo, non furono trovati finora che in una sola lo- calità, cioè nella miniera abbandonata di Condoriaco nella pro- vincia di Coquimbo, alla distanza di 15 chilometri verso oriente dalla miniera di Arqueros. I caratteri esterni di questi minerali poterono farli confondere con certi altri, e specialmente col sol- furo d’ argento : 1’ analisi del secondo diede 45 di tellurio per 100 di ossido di piombo. Il sig. Domeyko conchiude col dire che non sarebbe infruttuosa la ricerca del tellurio nelle miniere dalle quali si estraggono minerali ricchi in cloruro e solfuro di ar- gento e in carbonato di piombo, quali sono quelli di Condoriaco. Studii sui terreiuotl. — L’ illustre sismologo francese. Al. Perrey, presentò recentemente all’ Accademia delle Scienze di Pa- rigi uno studio sulla frequenza dei terremoti relativamente alle fasi della luna. Dopo avere dimostrato il modo da esso usato per enumerare i fatti e poi raggrupparli artificialmente per sta- bilire un confronto fra questi due fenomeni, presentò dei pro- spetti i quali mostrano all’ evidenza che il numero dei terremoti offre due massimi alle sizigie e due minimi alle quadrature. Quanto alla frequenza del fenomeno al perigeo ed all’ apogeo, esso potè constatare che il numero più grande è quello corri- spondente al perigeo. AVVISO. Si rinnuova l’ invito ai signori abbonati, i quali non hanno ancora versato la loro quota di abbona- mento per l’annata in corso, di volerlo fare senza altro ritardo, rimanendo sospesa pei medesimi fin d’ ora la trasmissione del periodico. La Direzione. (Continuazione.) Memorie per seryire alla descrizione della Carta teologica d’Italia. — Volume II, Parte T; Firenze 1873. — 272 pa- gine in-4° con 11 tavole, due Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione. — Monografia geologica dell’ Isola d’ Ischia, con la Carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel testo, del professor C. W. C. Fuchs. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvetica, con una Carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’in- gegnere F. Giordano. — Appendice alla Memoria sulla for- mazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, con una tavola, dell’ ingegnere S. Mottura. — Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifonostomi) ', fascicolo 2®, con otto tavole, di C. D’ Ancona. Prezzo del Voi. 11° (Parte P), Lire 25. Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000, di F. Giordano. — Un foglio in cro- molitografia '..... L. 5. — Carta Geologica dell’Isola d’Iscliia, nella scala di 1 per 25,000 di C. W. C. Fuchs. — Un foglio in cromolitografia L. 3. — Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’ Italia. — Voi. II, Parte 2^; Firenze 1874. — 68 pag. in 4° con due tavole. — Contiene la seguente Memoria : B. Ga- staldi, Studii geologici sulle Alpi Occidentali; Parte T. Prezzo del Voi. 11° (Parte 2^), Lire 5. Per le commissioni dirigersi al Segretario del R. Co- mitato G-eologico, in Roma, Piazza San Pietro in Tincoli, N. 5. Annunzi di pubblicazioni. A. D’Achiaudi. — Coralli eocenici del Friuli. — (Atti della Società To- scana di Scienze Naturali, voi. I, fase. 2^). — Pisa 1875, pag. 10, in-8° con due tavole (conliinua). C. De Stefani. — Di alcune conchiglie terrestri fossili nella Terra rossa della pietra calcare di Agnano nel Monte Pisano. — Pisa 1875, pag. 5, in-8^ — Natura geologica delle colline della Tal di Nievole e delle valli di Lucca e di Bientina. ~ Pisa 1875, pag. 6, in-8°. — Descrizione di nuove specie dì inolluscliì pliocenici italiani. — (Bull, della Società Malacologica italiana, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 9, in-8®. A. Bellardi. — Novae Pleurotomidarum Pedeinontii et Liguriae fossi- lium dispositionis prodroinus. — (Bull, della Società Malacologica italiana, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 9, in-8^ P. Mantovani. — Delle argille scagliose e di alcuni Ammoniti dell’ Ap- pennino delP Emilia. — (Atti Soc. It. Scienze Naturali, voi. XVIII, fase. 1). — Milano 1875, pag. 35, in-8“. G. Omboni. ~ Di alcuni oggetti preistorici delle caverne di Telo nel Veronese. — (Atti Soc. It. Scienze Naturali, voi. XYIII, fase. 1). — Milano 1875, pag. 14, in-8^ con una tavola. A. De Zigno. — Sirenii fossili trovati nel Veneto. — (Memorie del E,. Istituto Veneto, voi. XVIII). — Venezia 1875, pag, 30, in-4° con cinque tavole. — Sui mammiferi fossili del Veneto. — Padova 1875, pag. IG, in-8°. L. Bombicci. ™ Corso di Mineralogìa. — (Seconda^edizione grandemente variata ed accresciuta), voi. 2° diviso in due parti. ~ Bologna 1875, pag. 1032, in-8° con tavole ed incisioni. A. Stoppani. — Sui rapporti del terreno glaciale col pliocenico nei dintorni di Como. — Milano 1875 (Atti della Soc. Ital. di Scienze Nat., voi. XVIII, fase. 2); pag. 25 in-8‘’. A. D’Achiardi. — Sulla Cordierite nel granito normale delP Elba e sulle correlazioni delle rocce granitiche con le tracliìtiche. — Pisa 1875 (Atti della Soc. Tose, di Scienze Nat., voi. II, fase. 1) ; pag. 12 in-8°. G. G. Gemmellaro e A. Di Beasi. — Pettini del titonio inferiore del nord della Sicilia. — Catania 1874 (Atti Acc. Gioenia, serie 3% tomo IX) ; pag. 44 in-4° con quattro tavole. G. Capellini. — Sui Cetoterii bolognesi. — Bologna 1875 (Memorie del- TAcc. delle Scienze, serie 3®, tomo V, fase. 4); pag’ 32 in-4 con due tavole. G. Struvbr. — Sulla Gastaldite, nuovo minerale del gruppo dei bisili- cati anidri. — Roma 1875 ; pag. 5 in-4°. B. Gastaldi. — Cenni sulla giacitura del Cervus euryceros. — Roma 1875; pag. 6 in-4° con una tavola. T. Taramelli. — Dei terreni morenici ed alluvionali del Friuli. — Udine 1875 (Annali scientifici del R. Istituto Tecnico di Udine, anno Vili); pag. 100 in-8® con 2 tavole. A. Manzoni. — I briozòi del pliocene antico di Castrocaro. — Bologna 1875; pag. 64, in-4° con sette tavole. G. Meneghini. — Nuove specie dì Fhylloceras e di Lytoeeras del liasse superiore d’Italia. — (Atti della Società Toscana di Scienze Natu- rali, voi. I, fase. 2®.) — Pisa 1875, pag. 6 in-8°. Ch. Ledoux. — Mémoires sur les mines de soufre de Sicile. — (Annales des Mines, serie VII, tome 7, livr. 1.) — Paris 1875, pag. 84 in-8° avec deux planches. Anno 187S S.” H e 11 R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino Nf II e 12. Novembre e Dicembre 1875. ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1875, Bollettino Geologico per il 1870. — Un voi. in-8“ di pag. 324. » » PER IL 1871. — Un voi. in-8° di pag. 296. » » PER IL 1872. — Un voi. in-8° di pag. 376. » » PER IL 1873. — Un voi. in-8° di pag. 400. » » PER IL 1874. — Un voi. in-8° di pag. 408. Prezzo di ciascun volume L. 10. V Italia Associazione al bollettino del 1875 (Anno VP). — Per L. 8, Estero L. 10. I fascicoli bimestrali del Bollettino si vendono anche se- paratamente al prezzo di L. 2 ciascuno. 1 Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’ Italia. — Volume P ; Firenze 1871. — 404 pagine in-4° con 23 tavole, due Carte geologiche e varie incisioni inter- ' calate nel testo. ^ j I Comprende le seguenti Memorie : Introduzione — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di ; B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui mine- ' rali delle valli di Lanzo, di G. Struver. — Sulla formazione i terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, ; con quattro tavole. — Descrizione geologica dell’ Isola d’ Elba, | di L Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — • Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifo- j nostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo P, con sette tavole, f Prezzo del Voi. I®, Lire 35. I * \ I Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati Geo- ( logici e sul B. Comitato Geologico d’ Italia, di ; I. Cocchi. — Pag. 34 in-4° L. 1.50Ì Carta Geologica della parte orientale dell’ Isola | d’Elba, nella scala di 1 per 50,000, di I. Coc- j CHI. — Un foglio in cromolitografia . L. 3. 00 {Continua .) BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. H e 11 — Novembre e Dicembre 1SI5. SOMMARIO. Note geologiche. — I. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica del- l’Italia Meridionale, per G. Seguenza. (Continuazione.) — II. Sui fossili del calcare dolomitico del Chaberton (Alpi Cozie), studiati da G. Michelotti, per B, Gastaldi (con una tavola). — III. Sulla Relazione di un viaggio geològico in Italia di T. Fuchs, per G. Sequenza. — IV. Intorno alle ultime pubblicazioni del prof. Ponzi, sui terreni pliocenici delle Colline di Roma e specialmente intorno ad una così detta Fauna Vaticana, per A. Manzoni. — V. I Porfidi del Lago di Lugano, per B. Studer. — VI. Rilievi nel territorio di Sexten, nel Cadore e nel Comelico (Alpi Venete), per R. Hòrnes. — VII. La forma- zione delle meteoriti e il vulcanismo, per G. Tschermak. Notizie bibliografiche. — A. Cossa, Ricerche di chimica mineralogica sulla Sienite del Biellese; Torino, 1875. — A. D’Achiardi, Coralli eocenici del Friuli; Pisa 1875. — A. Bittner, Die Brachyuren des viceìitinischen Tertiàrgebirges ; AVien, 1875. Notizie diverse. — Studii sulle rocce eruttive. — Formazione contemporanea della pirite. — Mineralizzazione delle materie organiche. — Nuovo animale fossile. — Nuovo metodo per la distinzione dei feldispati. — Giacimenti fer- riferi nella Scandinavia. — Caduta di pietre meteoriche. Avviso. — Fossili miocenici e pliocenici del Modenese. Tavole ed incisioni. — Tavola che accompagna la Nota del prof. Gastaldi sui fossili del Chaberton. — Sezione del pliocene antico nella valle di San Nicandro presso Messina, pag. 361. Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1875. NOTE GEOLOGICHE. I. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica delV Italia Meridionale^ per G. Seguenza. (Continuazione. — Vedi Bollettino^ N. 9-10.) Elenco dei Cirripedi e dei Molluschi della zona superiore dell’ antico plioceno. 352* 353* 354* 355* 256 357* 358* 359* 360 361* 362* 363* 364* 365 366* 367* 368* 369 370* 371 372* 373 374 375 376^ 377 378 379^ 380 381- 382‘ 383 384^ 1. c. Gbn. Murex Linneo. /Continuazione.) truncatulus var. B. rudis Borson Tapparoni Bellardì . . Capellinii Foresti. . . . Lassaignei Basterot . . Edwardsii Payraudeau. polyraorphus Brocchi dertonensis Mayér . . Panormitanus Seguenza Brocchii Monterosato funiculosus Borson concerptus Bellardi » var. A. Bellardi, propinquus n. sp consanguineus n. sp. aciculatus Lamk imhricatus Brocchi, linguabovis Basterot. hracteatus Brocchi. . Mayendorfii? Calcara Delbosianus '? Grateloup cristatus Brocchi scalaris Brocchi lanaellosus Jan (Fusus). sp.?* - 340 — Avvolgimenti nella parte posteriore f ture più profonde = M. rudis D’Ancona, Bellardi. . . Forse anco dal Calcara confuso col Gen. TropJion Montfort. muricatus Montagu (Murex) squamulatus Brocchi (Murex) vaginatus De Cristofori et Jan (Murex), multilamellosus Philippi (Murex) Scillae n. sp Barvicensis Johnston (Murex) truncatus Stromayer (Buccinum) Gen. TypTiis Montfort. horridus Brocchi (Murex) . . . . tetrapterus Bronn fìstulosus Brocchi (Murex) . . . = M. Lassaignei Libassi, D’Ancona, = M. Edwardsii Scacchi, Philippi, Ci Monterosato, M. Meneghinianus D' = M. polymorphus D’Ancona, Bellard = M. dertonensis Bellardi. Un piccole vato ad Altavilla Affine al M. scalaris, ina assai picc aperto, con una forte varice al lai = Fusus craticulatus Philippi, Mui Brocchi, Scacchi, D’Ancona, Bellar — M. craticulatus var. Brocchi, M. f cona, Bellardi Affine al precedente ed al M. scalari Cingolo dell’ultimo anfratto piccolo Di forma affine al M. aciculatus me più costole che sono oblique . . Somigliante al precedente, ma con scu canale aperto = Fusus lavatus Phil. F. corallinus rallinus Scacchi, Aradas, M. aciculai = M. imhricatus D’Ancona Bellardi !=M. pyrulaeformis Libassi = M. polymorphus var. Libassi . . . rr: M. Mayendorfii Monterosato. Un piccolo dubbio r=:M. cristatus. Calcara, Aradas, Ph Libassi =: Fusus scalaris Philippi, M. scalaris D’Ancona, Bellardi :!.= Fusus lamellosus Phil. Pseudom P. hracteatus Monterosato ... Affine al M. binofius Pecchioli, colls degli avvolgimenti meno depressa = Fusus echinatus Philippi, Aradas, Monterosato =3 Murex squamulatus D’Ancona, B Murex carinatus Bivona, M. va Philippi, Aradas, D’Ancona, Bella Murex multilamellosus Monterosa Affine al T. barvicensis, ma distii molto anteriore, coste trasverse ] rr: Murex Barvicensis Tiberi, Monte: =3 Trophon truncatus Jeffreys . — T. horridus D’Ancona, Bellardi — ' M. tetrapterus Philippi, T. tetra|l Bellardi, Monterosato — Murex fistulosus Phil. Typhis D’Ancona, Bellardi ~ M-ì ~ ! 4 5 6 0 1 8 j 9 10 11 12 1 13 14 15 ! 16 17 18 19 1 F.Le. b. 1 Le. B. H- Le. B. A. b. t Le. / b. H- . . . b. -h [jeP.Ce B. Le. b. i. P. b. M. Le. B. b. M. -h M. M. 4- P. B. c. Le. b. 1. c. m. . • • E. . • • M. -h c. G. 1. R. . . . M. M. M. 4- 4- M. • • • 4- ). P. 4- ). P. 1 B. . . C. . . . b. L. 1 342 385*1. 386*1. 387 c. 388* 1. 389 1. 390* 1. 391*1. 392*1. 393* 1. 394* 1. 395* 1. 396 1. 397 c. 398* c. 399* 1. 400* 1. 401* 1. 402* 1. 403* 1. 404 s. s. 405 1. 406* 1. 407* 1. 408* 1. Gen. Banella Lamarck. nodosa Borson (Murex) marginata Martin (Buccinum) gigantea Lamarck Gen. Persona Montfort. = Murex rana Brocchi (non Linneo) Tq biculator Calcara (non Linn.), Ranella cona, Bellardi = Buccinum marginatum Brocchi. B. pi cara, Ranella laevigata Phil. D’Anco nata Bell r= Murex reticularis Brocchi (non Linn laris Scacchi, Phil. R. gigantea Cal( D’Ancona, Bellardi tortuosa Borson (Murex) Gen. Triton Lamarck. = Murex cancellinus Brocchi (non Lam anus Calcara (non Lk.), Tritouium cf bassi (non Lamk.), Triton tortuoso Persona tortuosa Bellardi Olearium Linneo (Murex) Doderleini D’Ancona. distortum Brocchi (Murex) crispum n. sp sulcatum n. sp appenninicum Sassi tuberculiferum Broun (Tritonium) . . . . reticulatura De Blainville nodiferum Lamarck affine Deshayes Gen. Fieula Swainson. geometra Borson (Pyrula). intermedia Sismonda (Pyrula) fìcoides Brocchi (Bulla) . = Murex doliare Brocchi, Tritonium su cara, Phil. T. doliare D’Ancona, T. ' = T. Doderleini Bellardi = Tritoneum distortum Calcara, T. dis cona, Bellardi Affine al precedente : Labro internan 5 grossi denti, costole longitudinali sverse numerose increspano la super] Affine al T. distortum ; col labro interna e cinque grossi denti, che si counet giere pieghe interne == Murex reticularis var. Brocchi (non 1 penninicura D’Ancona, Bellardi. . . . =:T, tuberculiferum D’Ancona, Bellard = Ranella lanceolata Menke, Philippi. ! reticolata Monterosato = F. nodiferum, gyrinoides Brocchi, Ti forum Phil. T. nodiferum D’Ancona 1 = Murex pileare Brocchi (non Linneo) H Brocchi, Tritonium corrugatum Cale T. corrugatum Scacchi, T. affine D’An != Bulla ficus var. Brocchi F. geometra — Bulla ficus var. Brocchi, F. intei Pirula ficus Calcara (non Linn.) . . . = F. ondata Bronn ; F. ficoides Mayer ;i Gen. Buccinum Linneo. Guidicinii Foresti. . . . .' Pauluccianum D’Ancona Humphreysianum Bennet » var. ventricosa . Gen. Purpura Adams. Credo che debbasi riportare più tosto ali = B. ventricosum Kiener (non Lamk)iÌ Phil. (non Penn.). B. Kienelik MouteriÉ hemastoma Linneo (Buccinum) cyclopum Philippi Hbrnesiana Pecchioli = P. hemastoma Calcara, Philippi . . .! = P. cyclopum Calcara [ = P. interlineolata Doderlein j Gen. Monoceros Lamarck. monacanthos Brocchi (Buccinum) - 343 - t ; 4 5 6 7 8 9 IO 11 12 13 14 15 16 17 18 19 • . Le. b. P.Ce. B. A. C. M. B. ). M. -P • • Le. *C.* b. . . . . . . M. M. • P. b. • • • c. P. B. c. B. L. B. \ . . -P M. -P 0. P. B. M.? . . P- b. A. c. P. b.? M. ó. B. Ci. b. M. -P -P M. -P -P • • • P. -P . . B. . F. B. Gen. Ceritliium Bruguiere. '409 1. 1. 1. 410* 1. 4ir 1. 412 1. 413*1. 414*1. *1. 415* 1. 416*1. 417* 1. 418*1. 419* 1. 420 1. 421*1. 422 1. 428 c. 424 c. , 425 c. 11426* c. 427*1. 428* 1. 429*1. 430* c. 431*1. 432 c. Yulgatum Bruguiere » var. gracilis Phil. . . » var. tuberculata Phil. alastrum Brocchi (Murex), . . . Bientinesii D’Ancona (M. S.) . . mediterraneum Deshayes. . . . , doliolum Brocchi (Murex) . . varicosuni Brocchi (Murex) . » var. B Bronnii Partsh bicinctum Brocchi (Murex) . crenatum Brocchi (Murex). . tricinctum Brocchi (Murex). etruscum Meneghini (M. S.). Gen. GeritJiiolum Tiberi. reticulatum Da Costa (Strombiformis). spina Partsch (Cerithium). . . pusillum Jeffreys (Turritella ?) scabrum Olivi (Murex) Gen. Triforis Deshayes. perversa Linneo (Trochus) . . . Gen. CeritMopsis Forbes et Hanley. tubercularis Montagli (Murex) bicarinata (Tiberi M. S.) Appelius. . . Gen. Melania Lanaarck. curvicosta Deshayes Gen. Melanopsis Ferrusac. narzolina Bonelli. nodosa Pecchioli . Gen. Priamus Beck. helicoides Brocchi (Bulla). . . Gen. Stromhus Linneo, coronatus Defrance. Gen. Ghenopus Philipp!, pespelecani Linneo (Strombus) . ^ C. vulgatum Calcara, Philipp!. Monterò = C. vulgatum var. b. angustissima Wein = C. vulgatum var. c. intermedia Weick. = C.^ vulgatum var. plicata Phil. Calcara . Specie affine al C. vulgatum, di più fina s = C. fuscàtum Phil. Monterosato, C. rupe ; rosato Più fortemente striata e pieghettata. . . = C. crenatum Calcara, = Cerithium lima Calcara (parte) Phili C. reticulatum Montcrosato = Cerithium lima Calcara ('parte) Phili; C. reticulalum Monterosato (parte). . . — Cerithium perversum Philipp!, Trifoi Monterosato = Cerithium pygmaeum Philipp!, C. tuber terosato =:M. plicatula Libassi j| Achatina helicoides Calcara = S. fasci atus Brocchi (non Linn.), S. co: ai cara, Philipp! . = Murex gracilis Brocchi, Rostellaria pes cara, C. pespelecani Philippi, Monterei K ti 18 0. F.CaLe 0. 0. 0. 0. 0. CaLeFi C.Ge. F. P- P.Ge CaLeFi Ca.p Fi B. A. C B. P. P. A. A. IVI. B. b. 10 M. 11 b. 12 13 U 15 16 17 H- 0. C. P. b. 0. P.Le. b. 0. 0. 0. 0. Le. 0. P. A. B. B. C.' M. b. 1. . . C. M. H- (Contimia.) + + + - 346 - IL Sui fossili del calcare dolomitico del Chaherton (Alpi Cozie) studiati da G. Michelotti. — Nota di B. Gastaldi. La lunga pratica e la materiale conoscenza da me acquistata della zona delle pietre verdi mi convinsero, già da parecchi anni, che le rocce componenti quella zona, sono azoiche. Tutti i geo- logi saranno disposti a credermi quando dico che non trovai trac- cia di organismo nelle pietre verdi propriamente dette, nei ser- pentini cioè, nelle eufotidi, nelle varioliti, nelle pietre ollari ec. ec. Devo però soggiungere che finora indarno ne cercai nelle altre rocce, che colle accennate, concorrono a formare quella zona, vale a dire nei micascisti gneissici, nei gneiss moderni, nei cal- cescisti ; le prime e ben distinte tracce di esseri organici com- paiono negli strati calcarei racchiusi nei banchi superiori del calcescisto. A proposito di calcescisti e di calcari più o meno cristallini, mi occorre di far parola di un grave errore, anzi di due errori da me commessi, dei quali mi pento e mi dolgo. Nella seconda parte de’ miei Studii geologici sulle Alpi occi- dentali, io dissi che i calcari cristallini alpini, simili a quelli di Carrara, fan parte della zona delle pietre verdi; è questo il pri- mo degli accennati errori. Infatti dopo la pubblicazione di quella memoria, io trovai che le masse principali dei nostri marmi sac- caroidi, quelle di Frali, di Salza nella valle Germagnasca, quelle di Sanfront, delle Calcinere ec. , nella valle del Po, sono rin- chiuse entro al gneiss antico, al gneiss centrale. L’ altro errore mi sfuggì quando, nella stessa memoria, sin- cronizzai i marmi di Carrara coi calcari saccaroidi delle nostre Alpi, e particolarmente con quelli della zona delle pietre verdi. Mentre accennava a tale sincronismo, io non pensava che nei calcari marmorei del Carrarese, e nelle rocce che con essi alter- nano, si era riesciti a scoprire tutta una serie di fossili. Confessato lo sbaglio, non dirò più parola intorno a questi calcari, che io non vidi mai in posto. Mi permetterò tuttavia di — 347 — osservare che oggidì vi ha fra i geologi marcata tendenza ad invecchiarli; che ben pochi sono quei geologi i quali ritengano ancora quei calcari per terreni relativamente recenti metamor- fosati in rocce cristalline ; che, in poche parole, quella benedetta teorica del platonismo, sorgente di tanti errori, va scemando di valore, va perdendo proseliti. Quantunque, pubblicata quella memoria, mi accorgessi subito degli errori nei quali era caduto, io ringrazio sinceramente il signor C. De Stefani di aver rilevato quello che si riferisce ai marmi di Carrara. ^ Non posso però trovarmi d’ accordo con lui quando asserisce che rocce antiche corrispondenti alla zona delle pietre verdi non si trovano allo scoperto in Toscana: Mi permet- terò quindi di esporgli un mio desiderio, quello di sapere in quale zona egli vuol porre i tanti e grandiosi affioramenti di ser- pentino, di eufotide e di altre rocce congeneri che si incontrano sul suolo della Toscana. Ritornando al nostro proposito, e posto che le rocce della zona delle pietre verdi sono azoiche, io dovetti confinare nel- r orizzonte inferiore del paleozoico i calcari dolomitici che al Chaberton, al Balmas, alla Rognosa, al Chinivert (valli della Dora Riparia e del Chisone) si trovano direttamente sovrapposti alla zona delle pietre verdi. Quei calcari dolomitici sono ritenuti, dal signor Lory, lias- sici perchè egli crede che sia triassico il sottostante calcescisto,* il quale oltre ad essere roccia azoica nella quasi totalità della sua enorme grossezza, che è di parecchie migliaia di metri, rac- chiude i serpentini e le altre pietre verdi. Partendo da dati così differenti non deve recar meraviglia se intorno alla età di quei calcari io non potei sinora convenire nell’ opinione del signor Lory. Una discussione in proposito, per riescire seria, dovrebbe esser fatta sul terreno col martello in mano e non al tavolo colla penna. Ad ogni buon fine io dichiarai che mi sarei inchinato davanti al verdetto della paleontologia. Mentre adunque io mi aspettava di veder comparire una memoria paleontologica che venisse a dimostrare la fallacia delle mie con- ’ De Stefani, Dell’epoca geologica dei marmi dell’Italia centrale. Bollett. Comitato geologico, luglio e agosto 1875. (‘Iasioni, per parte mia cercai di ottenere dati più precisi di quelli che già possedeva onde provare che io aveva ragione. Questi dati me li procurò il mio amico Gr. Michelotti come risulta dalla lettera che qui trascrivo. « Torino, 15 novembre 1875. » Carissimo amico. » Seguii il tuo consiglio, e nella seconda metà dello scorso luglio, mi recai a Clavières, ove soggiornai per una ventina di giorni da me impiegati principalmente nella ricerca di fossili al Chaberton. In compagnia del signor P. E. Ghione ispettore do- ganale, distinto alpinista e dilettante geologo salii al colle del Chaberton. La salita sebbene monotona e faticosa, a cagione dei molti ed enormi taìus formati di detriti che cadono dalle sta- gliate pareti del monte, ci riesci gradita per V incontro delle pietre verdi che si mostrano molto in alto, sopportando i ricurvi strati di calcare dolomitico formanti lo spigolo tagliato dal colle e la parte culminante della montagna. Dal colle, dopo breve so- sta, e mentre il signor Ghione colla guida saliva alla vetta del monte, io discesi nel sottoposto anfiteatro. La scena che esso offre è imponente ; tutt’ attorno elevate e quasi verticali pareti di calcare dolomitico nettamente stratificato, presentano all’ oc- chio splendidi esempi di ripiegatura di strati, massime verso il colle. Dopo di aver impiegato molto tempo a cercare sui cumuli di frammenti, che ammucchiati al piede delle pareti, occupano r ampio vano, mi imbattei in alcuni detriti di serpentino, fra mezzo ai quali scopersi varii esemplari di calcare fossilifero. Le ricerche che ebbi occasione di fare nei giorni successivi lungo una parte notevole del perimetro di quel monte, mi convinsero che gli esseri organici fossili si trovano più facilmente e quasi esclusivamente nei detriti calcarei associati a quelli di pietra verde. Tale associazione ci dimostra che sono più specialmente li strati inferiori della zona dolomitica quelli che racchiudono tracce evidenti di esseri organici. » I fossili da me scoperti nell’ anfiteatro che si apre ai piedi del colle del Chaberton erano, in vero, pochi e non tali da poter essere classificati a prima vista. Tuttavia, man mano che andai osservandoli con qualche attenzione, incominciai a persuadermi - 349 - che mi trovava su un terreno di remota antichità, il cui aspetto mi svegliò gradatamente ben vecchie rimembranze, richiamandomi alla mente alcune località delle rive del Eeno e quelle delle estesissime regioni che circondano i laghi Oiitario e Michigan da me visitate negli anni trascorsi. Tutti i fossili che io trovai sia nella escursione al colle del Chaherton, sia in quelle da me succes- sivamente intraprese lungo le falde di quel monte, vennero da me studiati unitamente a quelli da te racccolti nel 1873, sia su quel monte stesso che in altre località della zona dolomitica delle Alpi. » Ho voluto fare speciale menzione della escursione al colle del Chaherton, perchè quella località è ben indicata per la sua posizione topografica, perchè i fossili che colà si incontrano si possono ritenere in posto trovandosi ai piedi delle pareti, dalle quali si staccarono, e finalmente perchè il signor Ghione che salì sino alla vetta del Chaherton, mi fornì cortesemente lo schizzo di uno spaccato geologico di quel monte. Ti mando questo spac- cato (Ved. la tavola annessa, fig. 1) perchè panni che deve interessarti l’ averlo, e vi unisco i risultati dell’ esame da me fatto dei fossili da noi raccolti. » Fra i fossili del Chaherton e delle vicine località del Balmas e del Chinivert vi sono Spongie, impronte di Entomostracei, Coralli e forse anche Encriniti. » I coralli sono rappresentati da parecchi esemplari fra i quali potei distinguere tre generi. La maggior parte degli esemplari di detti coralli presenta i seguenti caratteri : » r II polipajo forma masse globulari che, a giudicarne dagli esemplari intieri da me osservati sul luogo, vale a dire al colle del Chaherton non hanno meno di 0,“ 50 di diametro. » 2® Esso è fascicolato, formato cioè di molti polipieriti aggregati (fig. 7). » 3” I polipieriti componenti il polipajo sono vicini gli uni agli altri, ma non contigui (fig. 16). » 4° Fra i polipieriti esistono tubi di connessione (figg. 6 e 16). » 5° Nei calici terminali si osserva una specie di stella, come già risulta dalla figura (quella di sinistra) inserta a pag. 16 della tua Nota Deux mots sur la geologie des Alpes Gotiennes. » 6'’ Se r osservazione diretta non permette di accertarsi della esistenza di tavolati o diaframmi, a motivo della spatiz- — 350 - zazione del calcare occupante l’ interno dei polipieriti, non è tuttavia preclusa la via per dedurne che una volta vi esistevano. E noto che, in generale i tavolati o diaframmi si trovano in po- sizione normale all’ asse del polipierite ; vi hanno però dei casi nei quali i tavolati si elevano tutt’ attorno all’ asse del polipie- rite formando una successione di coni, come rilevasi nei generi Conaxis, Lithostrontion ec. ; ed accade altresì che, inversamente i tavolati si abbassano tutt’ attorno all’ asse dei polipieriti dando luogo a tanti successivi imbuti come si osserva nel genere Syrin- gopora al quale credo appartengano gli esemplari (figg. 6, 7 e 16) del Chaberton e del Chinivert. » Se mi sono creduto autorizzato a riferire a quel genere i fossili in discorso, non mi pare per ora prudente determinarne la specie, poiché la spatizzazione del calcare occupante l’ interno dei polipieriti mi impedisce di tener conto dei distintivi secon- darii. Tuttavia giudicando dal complesso dei caratteri, panni che la specie si avvicini alla Syringopora ahdita dei signori Milne- Edwards e Haime. ^ Il genere Syringopora non si è trovato finora che nel terreno paleozoico. » Alcuni altri dei fossili rinvenuti al Chaberton appartengono, a mio parere, al genere Halysites che fa parte del gruppo og- gidì assai ridotto dei Zoantari a tavolati, ed è frequentissimo nei terreni più antichi. » In questi fossili si nota: » V Nella parte superiore una serie di costole in rilievo che formano come una rete slacciata sulle quali, negli esemplari meglio conservati, si vedono alcuni ben distinti e separati ca- lici; si nota inoltre nella parte laterale, che i polipieriti pren- dono la forma di costole serpeggianti (figg. 2, 3 e 12) le quali fanno capo ai calici. » 2° Che nelle sezioni verticali il calcare occupante T in- terno dei polipieriti si distingue nettamente da quello che forma la massa del polipajo; quest’ ultimo calcare essendo perfetta- mente nero e bianco il primo. » 3° Che la grossezza dei canali occupati dal calcare spa- tico corrisponde perfettamente a quella dei calici. » 4° E finalmente che ogni polipierite formava una catena Polypiers fossiles (voi. Il, pag. 295. PI. XV, fig. 4). 1 351 od allineamento individuale non connesso lateralmente coi poli- pieriti che lo circondano. Essendo noto che questo genere scom- parve sul terminare del periodo siluriano, la sua presenza nel calcare dolomitico del Chaberton è un prezioso documento che viene in appoggio a quanto scrivesti in ordine al posto che quel calcare deve occupare nella serie dei terreni alpini. » Fra gli esemplari da te rimessimi, e provenienti dal Cha- berton ho notato un polipajo ramoso (fig. 4) i polipieriti del quale oltre ai calici terminali hanno tracce di calici laterali, posti cioè lungo il fusto ; esso presenta inoltre una serie di pic- coli fori (fig. 5) tanto nei muri che nei tramezzi. Non vi si possono, a vero dire, distinguere i diaframmi o tavolati, ma giova notare che questo carattere non si trova ben distinto che negli esem- plari di perfetta conservazione, e ciò non si verifica nel caso nostro. Converrà d’ altronde ricordare che, in genere, nei polipaj a tavolati, quando i tramezzi sono rudimentarii, vedonvisi ben sviluppati i tavolati ; che per contro quando quelli sono ben svi- luppati, questi sono rudimentari, ed è ciò che, a quanto pare, ha luogo nel nostro fossile. » Le accennate particolarità unitamente a quella dell’ assenza del cenenchima mi indussero a riferire questo fossile al genere Favosites anche esso del periodo paleozoico. » Eiassumendo quanto ho detto qui sopra e notando, che nel calcare dolomitico della zona del Chaberton non trovai finora co- rallari che si possano riferire a Zoantari aporosi, i quali dopo il periodo paleozoico divennero preponderanti ; che non vi scopersi neanche polipai tubulosi che sono caratteristici ed esclusivi del devoniano e del carbonifero ; tutte queste osservazioni mi con- fermano nell’ idea già in me destatasi all’ aspetto di quelle rocce, che cioè esse fan parte dell’ orizzonte inferiore del siluriano. » Per non lasciare niente di inosservato ti dirò ancora che fra i fossili di quella zona dolomitica ho notato la presenza di im- pronte che parmi possano riferirsi a facce di articolazione del genere Actinocrinus (fig. 19) a motivo della rassomiglianza che esse presentano con quelle raffigurate da parecchi autori ed in specie da Hall, Tav. IV, fig. 8 e 9. » Vi ho notato altresì resti ben distinti di Entomostracei (figg. 8, 9, 10 e 11) che suppongo siano i fossili dai signori Lory, - 352 — Vignet, Pillet ed altri riferiti a conchiglie bivalvi. Confrontando tuttavia le figure che gli autori danno del genere Cytliere e del sotto genere Cythereis, entrambi marini, si nota una grande analogia coi fossili in discorso, tanto nelle forme generali che nelle speciali, vale a dire nelle spine delle quali vanno muniti gli orli delle valve. Carattere questo che unitamente alla assenza assoluta della cerniera ci pone in grado di non confondere lo sche- letro esterno degli Entomostracei colle bivalve dei molluschi acefali. » Citerò in ultimo una Spongia o Litospongia nella quale si scorgono distintamente li osculi afferenti e deferenti (figg. 17 e 18). Il gruppo delle Litospongie, come altresì quello degli Entomo- stracei, ebbero alcuni rappresentanti nei terreni siluriani. » Chiudo questa mia breve relazione col dirti che sono lieto di aver potuto dimostrare colle mie ricerche paleontologiche che, non a torto, ne’ tuoi studii geologici sulle Alpi occidentali, tu hai classificato quella interessantissima zona di calcari dolomi- tici fra i più antichi terreni paleozoici. » Tuo affezionatissimo )) G. Michelotti. » Accetto tanto più volentieri le conclusioni del signor Miche- lotti in quanto che era proposito mio pubblicarle anche nel caso che fossero contrarie ed affatto opposte alla opinione da me manifestata in ordine alla età di quei calcari. Le avrei dico fatte di pubblica ragione anche nel caso che mi avessero condannato perchè, chiunque intraprende il rilevamento geologico di una parte delle Alpi e lo compie lavorando con coscienza, con pertinacia e senza perdonare a fatica, merita lode, anche se talvolta si sba- glia ne’ suoi apprezzamenti. Invero i fossili descritti dal Michelotti non sono tali, dal lato della loro conservazione, da appagare tutte le esigenze dello stu- dioso, del classificatore ; pare però che il cattivo stato nel quale si trovano sia un argomento in favore della loro antichità remota. In alcuni luoghi, come all’ entrata della valle Gimont, a breve distanza dal Chaberton, si vede il calcare posare diret- tamente sul serpentino, sul serpentino diallagico, sulla eufotide, sulla variolite. Al contatto delle due rocce il calcare non offre alcun cambiamento, non differisce da quello che si trova a no- — 353 tevole distanza dalla pietra verde. Quando si vede il calcare sovrapposto direttamente al serpentino, all’ eufotide, alla vario- lite; quando si vedono a contatto due rocce così differenti per natura ed aspetto, uno può supporre che vi sia un hiatus fra roccia e roccia, uno può supporre che fra il deposito della pietra verde e quello del calcare sia trascorso un lasso di tempo più 0 meno lungo. Ma quando in altre località si trova che gli strati più recenti della zona delle pietre verdi^ i calcescisti cioè, rac- chiudono letti di calcare che offrono evidenti tracce di esseri organici, si capisce che vi è un insensibile, graduato passaggio tra la zona delle pietre verdi e la paleozoica, tra la roccia cri- stallina, azoica e la fossilifera. Non riesce quindi facile il fissare r orizzonte ove incomincia a comparire l’ organismo, ove inco- mincia a manifestarsi la vita. Ma, in pari tempo, non dobbiamo meravigliarci se gli esseri organici trovati in tali condizioni, trovati cioè nella zona di transizione, siano mal conservati, giac- ché lo stesso accade anche in regioni lontane dalle Alpi. Ed infatti i signori Milne-Edwards ed Haime nella loro descrizione dei coralli fossili della Gran Brettagna dopo d’aver detto (pag. 246. Capitolo XVI. Corals from thè Silurian formation) che — most of these corals helong to thè upper Silurian rochs — soggiungono — and those found in thè lower deposits are, in generai, very ili and unsatisfactorily characterised. Una volta dimostrato che quei calcari dolomitici fanno parte del terreno paleozoico inferiore, non si dovranno più incontrare difficoltà per ritenere prepaleozoica la sottostante zona delle pietre verdi, e si cesserà di vedere nei gessi, nelle quarziti e nelle carniole che accompagnano quei calcari altrettanti banchi triasici. Allo stato delle cose mi sia lecito osservare che la clas- sificazione dei gessi, delle quarziti, delle carniole nel Trias ha guastato molti lavori geologici fatti nelle Alpi, nei Pirenei, ed in parecchi altri luoghi. I rilevamenti eseguiti dai miei collaboratori e da me nella campagna geologica del corrente anno mi permettono di tracciare un quadro delle rocce che nelle nostre Alpi, a partire dal Lago Maggiore sino al gruppo del Mercantour — astrazione fatta del gruppo del Monte Bianco — interessar possono il paleontologo. Ad una estremità delle Alpi piemontesi, ad Arona, al Monte 24 - 354 — Fenera abbiamo calcari fossiliferi del Trias, dell’ Infralias e forse anche di più recente epoca. A Montaldo Dora, a Fessolo presso Ivrea, a Rivara, a Levone trovansi calcari dolomitici nella iden- tica giacitura di quelli del Chaberton e collo stesso facies. La zona dei calcari dolomitici del Chaberton si trova, in lembi stac- cati, ma qua e là di grande estensione, a Susa, al Piccolo Mon- cenisio, al Séguret, lungo la frontiera francese tra il colle dei Fréjus ed il Chaberton, al Balmas, alla Rognosa, al Chinivert. Li stessi calcari si adagiano sulle quarziti che ricoprono i banchi antracitiferi di Demonte nella valle della Stura di Cuneo; nella miniera di antracite di Demonte non venne ancora messa in luce alcuna impronta vegetale. Vi ha adunque perfetta analogia tra questo giacimento antracitifero e quelli del Tabor e della Thuille che mai offrirono traccia di impronte vegetali. Se la zona antracitifera della valle della Stura di Cuneo è priva di fossili, fin dal 1757 P Allioni segnalava in quella stessa valle P esistenza di Belemniti e di Ammoniti.’ In ordine ai primi il citato autore scrive — JBeìemnitarum vestigia observavi in marmore quodam lapide Suillo, prope Le Sambuco rep)erienda, Ammonitis pienissimo; sunt vero hi Belemnitoe cylindri apice co- nico, alveolo donati, cui paralleli insistimi radii pene perpendi- culares ; eorum crassities anserinam plumam non videtur supe- rare. Non alibi quam sciam, apud nos JBelemnitce occiirrunt; et mirum sane, in tanta conchiliorum bene servatorum copia qua eolles nostri scateni, neque unum JBélemnitem reperiri potuisse — Intorno agli ammoniti scrive — Gornus Ammonis plitra com- prehendit^ lapis quidam Suilliis, qui reperitur prope Sambuco inter Alpes Vinadienses, fere ad radices altissimi montis. In simili lapide Suillo prope vicum'S. Stephano, loco dicto Los Ribos repe- riuntur etiam similia Ammonis cornua. lis locis major a et minora diversarum specierum specimina observare licei simul commixta.^ Ho creduto di dover trascrivere quanto ci lasciò detto P Al- lioni or sono 118 anni intorno ai soli fossili delle Alpi piemon- * Oryclograpliice Pedemontance Specimen exhibens corpora fossilia terree adventitia, auctore Carolo Allionio. Parisiis ad ripam aiigiistinorurn MDCCLVII. ^ A pag. 2 della citata Orittografm si legge inoltre la seguente nota : Unico loco inter Alpes reperta sunt corpora hcec fossilia ; hoc est prope locurn Le Sambuco, inter ^ pes Vinadienses. Bollettino del B.Coniilalo (oMilocjiro UtZf). 1- 9. — 355 — tesi allora noti. Le località fossilifere indicate dal citato autore non sono ancora state sufficientemente studiate; sulla Carta del Pareto esse sono comprese nella zona giurassica e sulla Carta del Sismonda sono comprese in quella estesissima zona di terreno che r autore ritiene essere terreno giurassico metamorfosato. Nella scorsa estate il professore D. Carlo Bruno mio colla- boratore, lavorando al rilevamento geologico delle valli del Gesso e della Vermenagna trovò che il terreno nummulitico forma una striscia non interrotta a partire dal colle di Tenda sino alla Valle della Stura di Cuneo. Egli mi inviò alcuni belemniti che provengono, a quanto pare, da un banco calcareo sul quale giace la zona nummulitica. Quei belemniti, quantunque lascino molto da desiderare dal lato della loro conservazione, hanno forme che si accordano con quelle di alcuni tipi del cretaceo. Io vedo quindi con piacere che indipendentemente dalle que- stioni da me sollevate in ordine alla origine, distribuzione e clas- sificazione delle rocce cristalline, si apra nelle Alpi nostre un ampio campo alle ricerche ed agli studii paleontologici, ed io spero che i cultori della paleontologia vorranno aiutarci a clas- sificare i terreni alpini fossiliferi e soprattutto a porgerci dati precisi per separare questi dalle zone azoiche. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. , Fig. 1. — Spaccato della parte superiore del Monte Chaberton. N. 1. Cal- care dolomitico. 2. Grè antracitifero di color rosso, con strati neri, ematite laminare ec. 3. Quarzite e lenti di gesso. 4. Cal- cescisto talcoso, verdognolo. Fig. 2, 3 e 12. — Halysites vista lateralmente. — Fig. 13. Calici veduti su superficie artificialmente levigata. — Fig. lo. Calice di Halysites ingrandito. Fig. 4. — Favosites vista lateralmente. — Fig. 5. Fori che si vedono nel corpo del polipierite. — Fig. 14. Calice della F'avosites in- grandito. Fig. 6. — Syringopora mostrante la biforcazione dei polipieriti. — Fig. 7. Calici della Syringopora veduti sulla superficie di un ciottolo rotolato. — F'ig. 16. Biforcazione dei polipieriti della Syringopora vista lateralmente nello stesso ciottolo della fig. 7. Fig. 8, 9, IO e 11. — Entomostracei. La fig. 10 lascia nettamente vedere le punte acuminate di una estremità caratteristica del genere Cythereis. Fig. 17 e 18. — Lytospongia Fig. 19. — Impronta di una faccia di articolazione del genere Aetinocrinus? — 35G — Sulla Belatone di un viaggio geologico in Italia di T. Fuchs^ terza nota di Gr. Sequenza. j Dopo la mia seconda nota intorno alla memoria del signor Fuchs ’ questi si è fatto a rispondere nuovamente “ alle mie os- servazioni, e piuttostocliè combattermi sulla esattezza dei fatti da me pubblicati, intorno ai quali è cominciata la controversia, egli mi attacca principalmente sulle concbiusioni che da essi ne : ho tratto; ma è ben logico, anzi troppo evidente, che se non | veniamo in accordo intorno ai fatti fondamentali della stratigrafia | pliocenica, sarà vano ed affatto inutile il discutere sulle condii- | sioni che se ne possono trarre. | Del resto io sono sempre pronto, e quindi mi accingo a ri- | spondere agli attacchi del signor Fuchs nef più succinto e chiaro | modo possibile, seguendo la sua scritta periodo a periodo. « Sorvolando sui punti di minore importanza io mi rivolgo immediatamente al punto principale, cioè alle marne bfiinche." » Così comincia il signor Fuchs. Ma i punti che egli dichiara di minore importanza, nella mia ultima scritta, sono quelli che trat- | tano delle aTgille scagliose e del niiocenoj soggetti di discussione | ai quali mi chiamò egli stesso, forviando dal nostro precipuo obietto il plioceno, e che sono invece del più alto interesse pei | la geologia italiana; la vastità di tali formazioni conferma a pieno quanto asserisco. Bisogna pure che il signor Fuchs non abbia letto con molta cura quanto io ho scritto intorno al plioceno, nel mio lavoro in j via di pubblicazione, (Studii stratigrafici sidla formazione 'plio- cenica délV Italia meridionale. Vedi Boll, del B. Gomitato geo- logico 1873-74-75) per dire, in riguardo alla questione delle due marne del plioceno antico : « Giacché disgraziatamente mi è im- ’ Relazione d' un viaggio geologico in Italia del doti. T. Fuchs. {Boll, del R. Coynitato geol. d’Italia^ 1874, N. 7 e 8.) 2 Ved. Boll, del R. Comitato geol. d’Italia, 1875, N. 7 e 8, pag. 237. * Ved. pag. 238. — 357 — Possibile dalle pubblicazioni del professore Seguenza di formarmi un chiaro concetto sopra lo stato delle cose ; ^ )) dappoiché in quel mio lavoro risulta chiarissimo, dalla comparazione del plio- cene messinese con quello delle provincie di Siracusa, di Cata- nia, di Palermo e delle Calabrie, come la divisione in quattro zone sia ben naturale, le due superiori formando il pliocene re- cente e le due inferiori il pliocene antico ; le quali conchiusioni vengono tratte dopo aver discusso, con rigore stratigrafico e paleon- tologico, il sincronismo di tutti gli strati pliocenici di tanti differenti e ben lontani luoghi, dalla quale discussione risulta evidente ancora, che il pliocene antico ha una marna nella zona inferiore ed una nella superiore, le quali si associano a sabbie, colle quali talvolta alternano o si sostituiscono completamente, conservandosi sempre e dappertutto distinte in due zone. Mi è necessario supporre che il signor Fuchs non abbia seguito V espo- sizione dei fatti e delle ricerche e delle discussioni svolte nel mio lavoro; ma egli avrebbe potuto benissimo osservare, nelle numerose sezioni da me annesse al lavoro suddetto, che in tutte quelle, in cui il pliocene antico è completo, vi sono due marne, una per ciascuna zona, e bisogna aver gli occhi chiusi per non vederle. Giacché il signor Fuchs non le ha osservate, gliele ad- diterò io. Nella sezione di Altavilla (fig. 1) i terreni distinti coi nu- meri 2, 3 e 4 rappresentano la zona più antica, ed il numero 5 la superiore. Il numero 2 é marna, il numero 5 é marna con sabbie. Nella sezione quinta di San Pantaleo presso Messina, la marna inferiore é rappresentata dal numero 3 e la superiore dal numero 5. Nella sezione nona di San Filippo (presso Santa Lucia del Mela) la marna inferiore é al numero 4 e al • numero 5 la su- periore. Nella sezione presso Reggio, della fig. 11, le sabbie numero 2 sostituiscono le marne inferiori ed il numero 3 é costituito dalle marne superiori. Nella sezione della fig. 14 presa al Plemmirio presso Sira- ‘ Veci, pag. 238, 358 — cusa, la marna inferiore è rappresentata dal numero 4 e dal numero 5 la marna superiore. E qui invero non fa d’uopo della mia sezione; il sig. Fuchs ha veduto coi proprii occhi, ed avrebbe potuto ricordarsi quanto ha scritto intorno al Plemmirio,^ e come il numero 4 della mia sezione egli lo abbia indicato col medesimo segno ed il numero 5 col 5, rapportandovi pressoché gli stessi fossili che io vi avea indicato. Così via via per le altre sezioni, dove la serie del pliocene antico vi è completa. Sarebbe vano continuare 1’ esam-e. Giova invece ricordare che in tutti i luoghi delle sezioni, ed in molti altri ancora, le marne inferiori racchiudono una fauna che è affatto diversa da quella delle marne superiori. Nelle marne inferiori sono quasi esclusi- vamente dei foraminiferi, e nelle sabbie che ad esse si connet- tono sono Balani, Pettini, Ostree e talvolta Brachiopodi ; nelle marne superiori invece sono Gasteropodi, Pteropodi, Lamelli- branchi varii, Brachiopodi, Corallarii, Foraphniferi che costitui- scono una fauna che si ripete identica dappertutto, dove i sedi- menti di quella zona costituironsi in mare profondo, quella fauna stessa che il signor Fuchs raccoglieva presso Gerace. Nel mio lavoro potrà ben leggersi P esame dettagliato di ciascuna località, V enumerazione per esteso della fauna di cia- scuna zona, e convincersi pienamente della corrispondenza stra- tigrafìca e paleontologica nei vari luoghi, e della perfetta distin- zione delle due zone dovunque. Ma il signor Fuchs non ha compreso niente di tuttociò nella mia pubblicazione ; ciò non im- porta, non sarà men vero per questo. Ed era ben ragionevole poi che le mie ricerche venissero disprezzate dal signor Fuchs, essendoché corre grande differenza tra i risultamenti. da lui ottenuti ed i miei, quest’ ultimi dimo- strando che egli si é formata poco esatta idea del nostro plioceno come a Gerace così a Messina. Difatti, a Messina come altrove, io ho riconosciuto le quattro zone del plioceno, ed egli le ha ridotte a due facendo la confu- sione solita tra le due marne del plioceno antico, ed altre di si- mil natura. * Die Pliocmihildungen von Syìxikus und Lentuii, — 359 — Non farò che raffrontare tra loro talune delle sezioni da lui studiate : ^ Allo Scoppo, tra il mioceno ed il quaternario, egli distinse due zone del pliocene, una a, della quale ne descrisse con molta cura le alternanze delle marne col calcare a polipai, V altra h formata da sabbie a briozoj (Vedi Tav. I, fig. 1). Per me il membro ò. forma la zona superiore del pliocene recente, il membro a la zona superiore del pliocene antico, man- cano perciò nella sezione dello Scoppo il membro più antico, ed un altro, intermedio tra i due esistenti, che forma la zona infe- riore del pliocene recente. Il signor Fuchs è stato tratto in inganno dal credere com- pleta la sezione da lui disegnata allo Scoppo. Se diamo uno sguardo alla sezione che chiama di San Ni- cola, Tav. Ili, fig. 1 e 2, è facile convincersi che il signor Fuchs è stato qui indotto alla sincronizzazione cogli strati dello Scoppo da considerazioni litologiche e non già dalle paleontologiche. Di- fatti egli sincronizza le marne bianche (10°) col membro a dello Scoppo, senza considerare che le marne a dello Scoppo sono ricche di resti di molluschi, alternano con calcare a coralli ec., e queste invece uniformi non offrono che foraminiferi. Esse infatti di unita ai ciottoli sottostanti costituiscono la più antica zona del plio- cene. Sincronizzato a questo modo il primo membro, è conse- guenza r erronea sincronizzazione degli altri membri. Difatti il calcare a coralli e Terebratula minor e gli strati ad Isis (1° 3') dimostrano che non si tratta dell’ ultima zona del pliocene. Gli strati a Pettini lisci (P. vitreus Gm.) e la Terebratula Guiscar- diana Seg. (2°) dichiarano colla più grande certezza, siccome i banchi ad Isis, che tutti questi strati spettano alla zona supe- riore del pliocene antico. Intanto il signor Fuchs fa fare loro un gran salto sincronizzandoli cogli strati b dello Scoppo, rappor- tandoli quindi alla zona superiore del pliocene recente, mentre essi sono i veri rappresentanti della potente serie a dello Scoppo stesso. Così le sabbie ed i ciottoli (1°) con Balanus tulipifor- mis, Mytitus edulis, Fecten pusio, F. varius, Ostrea edulis ec. non ‘ Geolocjische Sludien hi den Tertiàrbildunyen Sud-Italiens, von Theodor Fuchs. — 360 — sono che le sabbie h dello Scoppo, ed egli invece le riferisce al quaternario. Quanto poi al calcare a Terebratula Scillce (T. grandis Fuchs, non Blumb.) T. minor Phil. ec., delle sezioni di Zaffaria, Santa Lucia, San Filippo, il signor Fuchs pare che non abbia saputo che farne, per cui non lo sincronizza con veruna zona delle pre- cedenti sezioni, nè ne tien conto nelle conclusioni ultime ; eppure quel calcare costituito dalle spoglie di brachiopodi s’ interpone tra la zona ultima (b Fuchs) del pliocene, e la zona superiore del plioceno antico (a Fuchs), siccome può vedersi a Gravitelli, Kometta, Gesso ec. Passa poi il signor Fuchs a criticare le sezioni da me pub- blicate nei medesimi studii, dicendo : ^ « come inutilmente 10 cerco di trovare nelle numerose sezioni stratigraficlie da lui date, quella discordanza dentro la serie degli strati pliocenici, la quale, secondo la sua asserzione, sarebbe un^ apparenza generale. » Non fa meraviglia alcuna che il signor Fuchs non trovi la discordanza tra due membri che per vederli fa d’ uopo ohe io glieli addi- tassi, sorprende invece che egli la cerchi tra due rocce che non distingue e che anzi confonde in una sola. Io ho scritto:^ « Le due zone del plioceno antico in tutta V Italia meridionale si presentano non solamente distintissime ma benanco discordanti » Ed in seguito : ^ « Dappertutto nelle provincie di Messina, di Peggio, di Palermo, di Catania, di Siracusa gli strati della zona superiore del plioceno antico poggiano in discor- danza su quelli della zona inferiore, la quale sopra grandi esten- sioni mostrasi del tutto isolata, ed in taluni luoghi si eleva a grandi altezze. » Tale discordanza, ben può intendersi, che non deve manifestarsi che in quelle sezioni in cui sono rappresen- tati in esteso contatto i due membri del plioceno antico, sic- come vedesi nella Fig. B e più o meno manifestamente nelle 5% 9% 11% 14^ Nelle altre o manca l’una delle due zone, o vi è poco sviluppata, e cercherebbesi invano la discordanza voluta. A conferma pienissima della mia asserzione, come la chiama 11 signor Fuchs, voglio qui rapportare un esempio preso dai din- ’ Ved. pag. 238. ^ Boll, del R. Comitato geol. d’ Italia, anno 1875, N. 3 c 4, pag. 92. ® Ved. pag. 93. — 361 . ^ o s ■;« bh a> CO e ^ . .. •ts 'oh 5i ® CO ^ e >o o d «D •m s CS e fi £) V 9 •M fa o c 5 § rO 5, « QJ a H . . Co ^ r-H* 1^ « CU ’r W i-H ; " X a § §:s e o • P-l ^ G 5- ^ 1-*?. O •'■-(J &Ì) o r- W tv-< rei CO © & ^ P = 1 S Co •« CS ^ c^ •«* tyi i Sh "cO ■+^ .^hSÌ . ^ .IT &o ^ ^ CD .5 ■S5 o e •- Ct-I U ;3l^ g 8^^ s I O <1> u S CP a, . ^ &C.S 'cc H QP 1^ CD ' CO o- CD S CO ^ £ 8 ^ 11^ C3 ^ 5«* o ai ••■ 8 “ ^ n ’S • »- cp a •«>> c/3 ’§ cg ^ ce 8 S a a • ?«» 0^ 1-^ C/3 t oT O'^ .. • OH So 02 =2 n ’3 S S 02 ^ O C o 1_3 00 Ss g i SP-.§.J O 8 g e 1^ •: s .a il «1:8'^ o §-^ G o 2; P ■+^ O P c3 ce -|J CP P 03 8> OG .-. QP s-l ^o O -4P ^ O -2 g S o OP ® ■f^-2 « « -g fl S O (D C-> S cS a> O M &JD P. c3 o Soo « i-ó 8 0,1 ^ 2 O OS CS] H fU & CQ <1 S25 O ISl — 362 ~ torni di Messina nel quale la discordanza è ben appariscente perchè le rocce trovansi naturalmente sezionate in una direzione tale da riuscire distintissima. D’ altronde la discordanza d’ isolamento, per dirla alla D’ Or- bigny, è un fatto che io ho ricordato più volte e che si osserva estesamente. Così nei monti sopra Canolo ed Agnana in Calabria la zona più antica del pliocene vi è molto estesa, parimenti presso Eeggio a Terreti e Nasiti ec. ; presso Messina a Castanea e Masse, presso Palermo tra Altavilla e Trabia, tra Termini Imerese e Cefalù e così in molti altri luoghi che tralascio per brevità, e questo isolamento dei due membri porta che la zona antica trovasi a grandi altezze, dove ordinariamente non giunge la zona superiore. Così a circa novecento metri sopra Canolo, a circa cinquecento metri presso la Portella di Castanea, ec. La zona superiore invece s’ inalza molto di meno. Continua il signor Fuchs scrivendo : ‘ « In ogni modo adesso è già abbastanza evidente che, se la mia opinione d’ allora fosse veramente stata falsa, che il professore Seguenza è rimasto per lunghi nove anni precisamente nello stesso errore; giacché ap- punto queste marne bianche formano purtroppo la parte costi- tutiva essenziale del suo Terreno Zancleano, il quale egli, dopo sei anni di studii, ha esposto nell’ anno 1868, e intorno al quale egli era sempre completamente dello stesso parere, quando nel- P anno 1871 io ho avuto 1’ onore di parlare con lui sopra questo soggetto. » Qui è d’ uopo che io preghi il signor Fuchs di non volermi assubitare, confondendo in unica quistione due còse che sono per loro natura perfettamente distinte e separate, e che il volerle trattare insieme non può esser consentito dalla logica nè dal buon senso, anzi sembra evidente che sia fatto per intralciare la questione che per sè stessa è semplicissima. Bisogna quindi, pria di discutere, distinguere e disgiungere completamente la quistione stratigrafica da quella delle conclu- sioni che possono trarsi. Ed allora io risponderò bene a propo- sito al signor Fuchs, che la stratigrafia del pliocene messinese mi era esattamente nota sin dal primo momento che la studiai. ' Ved. pag. 238. — 363 siccome lo attesta quanto io scrivea nel 1862/ quando distin- gueva nelle rocce riferite oggi al plioceno antico una marna bianca, un calcare ed una marna giallastra, riconoscendovi fauna diversa in ciascuna di quelle zone, come può leggersi alla pagina 7 e 15 e nel quadro sinottico finale dove la marna infe- riore bianca è distinta colla lettera G, il calcare a polipai colla lettera F, e le marne superiori colla lettera E. Le medesime idee io avea del plioceno antico messinese allor- quando io lo distinsi col nome di Zancleano al 1868,^ si legga infatti alla pag. 467 : « Cette formation se compose à la partie siipérieure de marnes saòleuses jaùnatres, au milieu de calcaire à polypiers, et, à la base de marnes blanclies, très-riches en fora- minifères. » In seguito, le mie conoscenze stratigrafiche non hanno modi- ficato menomamente le mie idee, e può ben leggersi quello che io scriveva nel 1873 ^ alle pagine 19 e 20, ovvero nel riassunto finale dove è detto che la terza zona del plioceno è formata di « Marne giallastre, marne sabbiose, sabbie e calcari a polipai e bracliiopodi ; e la zona quarta da sabbie quarzose sciolte, marne bianche a numerosi foraminiferi, grès e calcari concrezionali. » Bastano i pochi documenti prodotti, pei moltissimi che potrei addurre, a dimostrare lucidamente che le mie idee non si sono mutate menomamente sino ad oggi a riguardo della costituzione del plioceno antico, nè si muteranno giammai ; dappoiché le ricer- che di ben quindici anni mi hanno sempre confermato nella determinazione numerica, litologica e tettonica degli strati plio- cenici, e quindi senza mutamento di sorta ritengo oggi ciò che dal primo giorno ammisi, che, cioè, il plioceno antico costa dap- pertutto di un membro inferiore marnoso-sabbioso e di un mem.- bro superiore marnoso-sabbioso, a quesf ultimo per eccezione nel messinese si associano alla parte inferiore dei calcari coralliferi. Ecco dunque che per la parte stratigrafica fui sempre nel vero e non già in errore come asserisce il signor Fuchs ; vediamo ora dal lato delle deduzioni. , ‘ Notizie succinte intorno alla costituzione geologica dei terreni terziarii del distretto di Messina^ 1862. ^ La formation zancléenne ou recherches sur ime nouvelle formation ter- tiaire. [Bull, de la Società géologique de France, 2® serie, tome XXV, page 465.) ® Brevissimi cenni intorno la serie terziaria della provincia di Messina. ~ 364 Man mano che andai estendendo le mie ricerche dal messi- nese alle provincie limitrofe, e da queste ad altri luoghi d’ Ita- lia, le mie idee si andarono modificando a riguardo dell’ età * degli strati controversi, e bisogna ricordare che all’ epoca delle mie prime pubblicazioni la fauna di questi strati era quasi intie- ramente conosciuta allo stato fossile soltanto, e quindi riguar- data siccome per la maggior parte estinta ; ma grazie alle inve- stigazioni delle grandi profondità dei mari, un gran numero di quelli esseri si è veduto risuscitare a novella vita, e tuttodì si accresce il numero delle specie viventi. A tali inaspettate e sor- prendenti novità operate dalle moderne investigazioni, certo che bisognava rettificare le idee a riguardo dei nostri strati in discussione ; ma felicemente, bisogna che lo ripeta, dopo nove lunghi anni, come dice il Fuchs, e più ancora non mi bisognò di aggiungere uno strato solo alla serie degli ultimi terreni ter- ziarii, e molto meno mutarne il concetto primitivo della loro tettonica. Quindi io non capisco sotto qual punto di vista il signor ^ Fuchs possa rimproverarmi, mentre poi vediamo i più dotti geo- logi dallo studio di più estese regioni, dalla scoperta di nuovi fatti, obbligati sovente a modificare le loro vedute, e quindi a trasformare aggruppamenti stratigrafici, e per addurre tra i mol- tissimi un esempio, mi contento trarlo dalla nostra stessa pole- mica. Molto ha insistito il signor Fuchs a sostenere che il cal- care di Messina e di Gerace, che io dissi concrezionato, è di età miocenica {Vedi Bollettino del B. Comitato geologico, Gen- naio 1875, pag. 47-48), ed intanto in un suo recente lavoro fa conoscere come secondo lui in tutta Italia la formazione solfi- fera e gessosa trovasi in relazione concordante col plioceno, e discordante col tortoniano in modo, che si connettono natural- mente alla prima formazione, anziché alla seconda. Dal che chiaro appare che il signor Fuchs propende ad annettere al plioceno la formazione gessosa, quindi con più ragione vi appartiene il calcare concrezionato che sovrasta a quest’ ultima. Io non so meravigliarmi affatto dei mutamenti che subirono le idee del signor Fuchs a questo riguardo, in sì breve tempo, ma non posso astenermi dal replicare le mie meraviglie a riguardo della critica fatta a me appunto perchè dopo lungo tempo ho - 3G5 — apportato delle modifiche sul modo di aggruppare gli strati ultimi del terziario, e volendo di ciò rendermi ragione ho cre- duto di scoprirla chiaramente nel fatto che il signor Fuchs non sapendo più che opporre in riguardo alla naturale divisione del pliocene antico in due zone, alla esistenza delle due marne, cercò di attaccarmi sopra un punto che ha creduto più debole, sulle modificazioni che hanno subito le mie idee a riguardo delle dedu- zioni stratigrafiche, e confondendo insieme le due quistioni. E poi una gratuita asserzione quella che fa credere che io abbia completamente rimmciato al terreno vandeano,'' Nella mia nota {Brevissimi cenni intorbo la serie terziaria) non lo nomino appunto perchè non ho dato nome alcuno a veruna zona del- r eoceno, del miocene e così del pliocene. Io non ho fatto che modificare alquanto V estensione stratigrafica dello zancleano {Vedi Bollett. della Società Malac. ital., fase. 2), siccome risul- terà dai miei studii comparativi che vado pubblicando nel Bol- lettino del B. Comitato geologico. Quanto alla stratigrafia di Gerace, che non credo differire da tutto il resto dell’ Italia meridionale, io scrivea, come ricorda il signor Fuchs, in riguardo ai fossili pliocenici da lui raccoltivi : ^ « Quelle conchiglie furono raccolte in marne che sono posteriori non solo alle marne della sezione, ma denanco alle ultime sabbie. » Qui bisogna notare che io parlo della sezione che il signor Fuchs mi mostrò allorché venne a Messina, che nella sua pubblicazione è la sezione principale di Gerace, quella rappresentata nella fig. l"" della Tav. V ; e quanto io ho asserito corrisponde a puntino colle mie osservazioni, cioè tutta la serie da quella sezione rappresentata, non comprende le marne dalle quali il signor Fuchs ha estratto i suoi fossili, che invece sono di età posteriore, e costituiscono le colline più basse che si estendono da sotto il paese verso la marina, e fiancheggiano la valle che dalla marina si estende sin presso Gerace ; dimodoché la sezione nella quale è indicata la località fossilifera (Tav. VI, fig. 1) è fatta in quest’ ultime marne, che si connettono ad altre sabbie, formando così una serie che somiglia a quella su cui ergesi Gerace, ma che è posteriore, e diversa pei fossili differenti che ' Ved. pag. 238. ^ Boll, del R. Comitato geol. d’ Italia, anno 1875, N. 3 e 4, pag. 96. — 366 — racchiude, siccome in qualunque altro punto delle Calabrie e di Sicilia. Quanto alla conchiusione divulgata dal signor Fuclis, che la formazione zancleana non è ammissibile, bisogna pur dire che è priva di appoggi valevoli ; false essendo le premesse, non pos- sono accettarsi le conseguenze. Finché il signor Fuchs ignorerà quale sia la vera costituzione stratigrafica del pliocene, non ha dritto di divulgare conchiusioni di sorta ! Da ultimo il signor Fuchs conchiude che i risultati ultimi delle sue ricerche ai quali attribuisce importanza sono, che gli strati del mio zancleano si depositarono in mari profondi, e che spettano all’ epoca pliocenica ; ^ soggiunge quindi : « E siccome il professore Seguen^a,per quanto io conosca, nel corso idteriore dei suoi studii è arrivato nella sostanza allo stesso modo di vedere, così io ho hene tutta la ragione di tenermi contento di cquesto. » Quindi il signor Fuchs è nella illusione che egli abbia per mezzo dei suoi studii raggiunto tali verità, alle qu'ali più tardi io mi sono uniformato, ed invece la faccenda è all’ opposto ; le conchiusioni da lui proclamate non sono che antichi risulta- menti di mie più antiche ricerche. Nel 1864, in un lavoro presentato molto prima all’ Accademia delle scienze di Torino ^ io scriveva : « Or essendo i corallarii del gruppo calcareo-marnoso per la maggior parte spettanti ai Turhinolidi, e tra questi trovandosi gran numero di Gariophyllie e di generi affini, nonché di Eesmofidle, si dee necessariamente inferire, che il mare in cui quelle rocce si depositavano, dovea essere abbastanza profondo. Siffatta conchiusione è perfettamente concordante coi risultamenti somministrati dalle altre classi di fossili che unitamente a siffatti polipai giacciono nelle medesime rocce ; infatti tra i molluschi si vedono abbondantissini i JBra- chiopodi ed i Eriozoarii, e tra le classi inferiori i Rizopodi vi sono sparsi in sì grande abbondanza, da formare quasi da soli la massa tutta delle rocce marnose. » Nel 1868 io scriveva per le rocce messinesi : ^ « Bans le * Ved. pag. 240. * Disquisizioni paleontologiche intorno ai Corallarii fossili delle rocce ter- ziarie del distretto di Messina, pag. 14G. ® La formation zancléenne ou recherche sur ime nouvelle formation ter- - 367 - . 'ìniocène, les gastéropodes et les lamellibrancJies se trouvent avee dbondance, et constituent ime faune entière, décèlant la petite pro- fondeur des mers, où ces moìlusqiies vècurent ; dans les marnes et les ealcaires qui existent au-dessus, il y a une grande abon- dance de brachiopodes, de coralliaires et de foraminifères, qui ne se trouvent que très-rarement dans les couches miocènes, et qui font connaitre la profondeur considérable où se déposèrent les rocJies qui les renferment. » Sarebbe assolutamente vano il riferire altri molti brani dai quali, come chiarissimamente dai precedenti si desume, che io molti anni pria che il signor Fuchs sia venuto in Italia, cono- sceva e faceva conoscere, che gli strati marnosi e calcarei del pliocene dell’ Italia meridionale si depositarono in mari profondi. Il signor Fuchs ci dà come novità che lo zancleano è plio- cene, ma allorquando nel 1868 io chiamava zancleano non altro se non il più antico membro del pliocene, conchiudeva così : ^ « La formation pliocène se divise dono en trois étages : Vastien, Oli pliocène supérieur, formé ordinairement de sables jaunes, le plaisancien, ou pliocène moyen, compose des argiles ou marnes bleues, et enfin le ^ancléen ou pliocène inférieur, consistant en couches marneuses et ealcaires peu colorées, » Quindi dal primo momento in cui diedi nome di zancleano ad alcuni strati tèrziari, li riguardai siccome il membro più antico del pliocene, e così in tutte le pubblicazioni posteriori. Conchiudo perciò a ragione che i risultamenti, invero troppo generici, che ottenne il signor Fuchs coi suoi studii sul pliocene di Messina e di Gerace erano deduzioni di troppo antica data per me allorquando egli venne in Italia, e meglio ancora allor- quando le rese di pubblica ragione ; quindi nei miei studii poste- riori non ho dovuto a questo riguardo modificare menomamente le mie idee, le marne dello zancleano sono state sempre per me depositi pliocenici di mari profondi; perciò invece di dirsi che le mie deduzioni odierne sono concordanti con quelle del signor Fuchs, bisogna dire che le une e le altre a questo riguardo si accordano con le antiche mie conchiusioni. tiaire [Bull, de la Société géologique de France, 2® serie, tome XXV, page 465 e seguenti). * Bidletin de la Société géologique de France, 2^ serie, tome XXV, page 486. — 368 — IV. Intorno alle ultime puhhlicazioni del professor Fonzi sui ter- reni pliocenici delle Colline di Boma^ e specialmente in- torno ad una così detta Fauna Vaticana f — Conside- razioni di A. Manzoni. Le formazioni plioceniche che compongono le colline di Eoma sono state principalmente studiate dal prof. Ponzi al Monte Ma- rio ed al Monte Vaticano. Di queste formazioni il prof. Ponzi ha pubblicato in diverse riprese le sezioni stratigrafiche e le ri- spettive faune. Inoltre egli ha inteso di assegnare ad ognuno dei diversi piani che compongono queste formazioni la rispettiva età geologica e la presunta climatologia specialmente fondandosi so- pra i dati paleontologici. Ora è sopra alcuni di questi dati che mi occorre fare qualche osservazione critica. - Il prof. Ponzi indica nella serie stratigrafica dei sedimenti marini osservabili al Monte Vaticano ed al Monte Mario un piano inferiore costituito da delle marne grigie, ìe quali formano la base del primo monte e leggermente inclinate passano sotto al secondo. Queste marne grigie sono chiamate dal prof. Ponzi marne inferiori vaticane, e la loro fauna fu detta dal medesimo fauna vaticana. Sennonché per la circostanza che le stesse marne non contengono fra i loro fossili la Nassa semistriata Br. (che è considerata dal prof. Ponzi come caratteristica del pliocene) queste marne sono da lui dichiarate di età miocenica. A queste marne inferiori vaticane ne succedono in ordine stratigrafico saliente altre immediatamente superiori, intercalate da letti di sabbione grigio-giallastro. A queste marne superiori il prof. Ponzi assegna una età transitoria fra il miocene più re- cente ed il pliocene più antico. In queste marne fa la sua prima apparizione la Nassa semistriata, e in questo fatto, ritenuto di alta importanza, il prof. Ponzi trova motivo per ammettere che r età volge decisamente dal miocene al pliocene. * Ponzi, Cronaca snbapennina o abbozzo cV un quadro generale del periodo glaciale, Roma, 1875. 369 - Io non posso approvare la importanza paleontologica ecces- siva che il prof. Ponzi accorda alla Nassa semistriata. Questa comunissima e tuttora vivente conchiglia s’incontra regolarmente tanto nel pliocene quanto nel miocene. E se il professor Ponzi avesse consultato le seguenti opere, che trattano di due faune veramente mioceniche (piano Tortoniano), Invertélrés fossiles du Mont Léberon, par P. Fischer et R. Tournouér, Paris 1873, pa- gina 125 ; Delia fauna marina di due lembi mioeenici delVAlta Italia^ per il dott. A. Manzoni, Vienna, Accademia delle scien- ze, 1869, pag. 13, avrebbe visto che la Nassa semistriata non è tal fossile da chiamar caratteristico del pliocene, dacché s’in- contra comunemente anche nei depositi conchiliferi a tipo essen- zialmente tortoniano, come sono appunto quelli a cui si riferi- scono le due citate opere. Passando ad esaminare il caso delle marne inferiori vaticane e della loro fauna, che il prof. Ponzi vuole attribuire al miocene superiore o piano tortoniano di Mayer, mi convien premettere che questa fauna vaticana in numero' di 112 specie viene da diversi anni fatta soggetto di deduzioni cronologiche e climato- logiche da parte del prof. Ponzi, e che negli scritti di lui si trova riprodotta ora colla promessa di farne una più retta espo- sizione, ora col proposito di fornirne P illustrazione per mezzo di tavole. Ambedue questi preconizzati avvenimenti sono molto desiderati, e sono poi nel caso in ispecie necessariamente ri- chiesti per avere un’ idea esatta di detta fauna. La quale, per quanto è stata specificata dal prof. Ponzi, presenta l’inconve- niente di contenere un numero strordinario di specie nuove (più che il 30 7o), le quali intanto non servono che a nasconderne la vera e complessiva natura. Ma lasciando da parte le specie supposte nuove ed esami- nando quelle che si leggono specificate, a me vien fatto di po- ter asserire : 1“ che fra i fossili specificati delle marne inferiori del Vaticano non una sola forma caratteristica del tortoniano vi si trova inclusa : 2*^ che 1’ insieme di questi fossili chiaramente e sicuramente si riferisce alla zona delle marne grigie del plio- cene inferiore. Quanto alla prima asserzione io porto a mia testimonianza le faune essenzialmente e tipicamente tortoniane di Sassuolo c 25 — 370 di Monte Gibio nel modenese, di Vigoleno nel piacentino, di So- gliano nel cesenate, di Bassano, delle colline tortonesi, del Monte Léberon in Francia e del piano tortoniano di tante località del miocene d’ Austria e d’ Ungheria. Voglia il prof. Ponzi prender cognizione di queste faune locali, e ben presto si persuaderà che la sua fauna vaticana non ha con esse niente di comune. Quanto alla seconda asserzione, io porto a testimonianza la fauna delle marne grigie della zona del pliocene inferiore di Fa- biano nel piacentino, e più specialmente di Orciano nelle colline di Pisa. Se il prof. Ponzi prenderà cognizione della ricchissima fauna di quest’ ultima località, ben presto si persuaderà che la sua fauna vaticana non è che una relativamente meschina e po- vera riproduzione di quella di Orciano. La sola presenza nelle marne inferiori del Vaticano della FeccMolea argentea e della Marginella auris-leporis suggerisce questo ravvicinamento di lo- calità; giacché queste due singolari e rare conchiglie si raccol- gono solamente, per quanto io mi ricordo, ad Orciano, a Fa- biano ed al Vaticano. Il prof. Ponzi nel notare nella sua fauna vaticana la preva- lenza di certi generi e famiglie di molluschi (dentali, lede, pet- tini e pteropodi in genere), scrive : « che di questi è così grande la quantità di specie e di individui da dare una fisonomia spe- ciale al Monte Vaticano, per servire di orizzonte geologico. » Ora appunto questa straordinaria abbondanza di pteropidi, di lede e di nucule e di altri molluschi ed animali in genere, che carat- terizzano la fauna di mare profondo a differenza della fauna di spiaggia 0 di mare sottile, si riscontra principalmente ad Or- ciano. Una visita alla grandiosa collezione, che di questa clas- sica località possiede il signor Koberto Lawley, potrà farne persuasi. Ma intanto nessuno ha mai pensato di fare delle marne gri- gie di Orciano un orizzonte geologico ; bensì ognuno che abbia studiata la serie delle formazioni plioceniche delle colline di Pisa, si è contentato di riscontrare in quelle marne il piano in- feriore della zona del pliocene antico. Il quale piano inferiore è ordinariamente formato da un deposito marnoso di alto fondo, con una fauna che analogamente indica essersi trattato di un mare libero ed avente una certa profondità. — 371 — ; Il prof. Ponzi (lice che, anche per ragione stratigrafìca si è creduto autorizzato a riferire le marne inferiori del Vaticano al miocene superiore. Questo non sarebbe accaduto se oltre un più accurato confronto fra le vere faune plioceniche e mioceniche, egli avesse ricordato che nella serie delle formazioni plioceniche si ammettono per ragione litologica e paleontologica due zone, una superiore e V altra inferiore, a due piani ognuna di sabbie e di marne, rappresentando le sabbie il deposito litorale o di basso fondo marino, e le marne quello di alto mare e di pro- fondità. Anche dal lato della posizione stratigrafica non vi è quindi ragione di considerare come mioceniche le marne del Vaticano. Ma con ciò io credo di avere raggiunto lo scopo di questo mio scritto, che era quello di dimostrare che la così detta fauna vaticana non è cosa peculiare a quella collina, mentre s’ incontra anche più riccamente rappresentata altrove, e che per di più questa fauna non è di età miocenica, ma bensì pliocenica; e che infine per la sua natura e per quella litologica del deposito ma- rino in cui si trova contenuta, corrisponde alla fauna di alto fondo 0 di profondità della zona inferiore del pliocene. Ciò detto, senza aver la pretensione di insegnare una cosa . 0 molto difficile o molto nuova, io mi permetto di metter sot- t’ occhio al prof. Ponzi un saggio di divisione del pliocene ma- rino delle colline di Roma, quale mi viene suggerito dal tri- plice elemento paleontologico, litologico e stratigrafico considerato in queste ed in altre località della nostra penisola. 1 ° / O 1 Ji\ 3 o ^ ,2 Sabbie. Deposito di spiaggia o di 1 basso fondo. Sabbie gialle superiori del Monte Mario. • < ® 1 S i S Marne. Marne superiori della Farnesina. y « O K 1 ^ 1 Deposito di alto fondo. M S g 1 Sabbie o detriti conchi- Calcarea grossolana detta Macco con HH Hi 1 ® liferi di solito consoli- Pecten latissimus. 1 O 1 O i dati in banchi. ? Letti di sabbione giallastro senza S i o ® 1 co .fJ Q> ^ ^ s \ Deposito di spiaggia o di fossili del Monte Mario e del Vati- O N ^ alto fondo. cano. B o cj o 03 O) 0 o .1-1 O 1 Marne. Marne grigie inferiori del Vaticano. 04 Deposito di alto fondo. Bologna, Novembre 1875. 372 - V. I Porfidi del Lago di Lugano, per B. Studer. { ZeitscTirift der Deut. geolog. Gesell.,, B. 27, H. 2, Berlin, 1875.) Il pregievole lavoro dei signori Negri e Spreafico * * sui din- torni di Varese e di Lugano, dette occasione alla Commissione geologica svizzera di interpellare gli autori se avessero voluto prendersi V incarico della colorazione geologica del foglio XXIV della Carta del Dufour, dal suo margine occidentale fino alla riva occidentale del Lago di Como ; e questo incarico fu da essi cortesemente accettato. Giova però osservare che per quanto riguarda i porfidi che compariscono in questa regione, sarebbe stato nostro desiderio che nella nuova Carta T argomento fosse trattato in modo diverso. xyiorchè von Buch nell’ anno 1825 insieme a Mousson e a me dedicò parecchi giorni alla geologia del Lago di Lugano, e due anni più tardi visitò nuovamente queste attraenti località, credè di aver trovato colà pure una conferma dei resultati ch’egli aveva da poco tempo ottenuti nel Tirolo meridionale : un por- fido quarzifero rosso alla base della formazione ed un porfido nero più giovane senza quarzo, che egli suppose corrispondente al porfido augitico del Tirolo, il quale sollevò i monti calcarei e produsse la loro conversione in dolomiti. Siccome però nel porfido ^nero del Lago di Lugano non potevasi chiaramente rico- noscere r augite, preferì per esso la denominazione di porfido epi- dotico che più tardi, dopo Brongniart, cangiò in quella di Melafiro.^ Nell’ anno 1833 io visitai nuovamente questa località ed os- servai tra Melano e Maroggia evidenti filoni di porfido rosso nel porfido nero, nella stessa maniera come io aveva veduto per l’ in- nanzi presso Predazzo, sulla pendice del Monte Mulatto, filoni di granito tormalinifero rosso nel melafiro.^ Io credetti perciò ). * Vedi Memorie del R. Istituto Lombardo, 1869. ^ Vedi Ahhandlungen der K. Akad. der TEiss. zu Berlin, p. 193. — Vedi Ann. des Sciences Naturelles, Paris, 1829, voi. 18, p. 258. ® Vedi Leonhard, Zeitschrift fùr Mineralogie, 1829, p. 259. 373 - di dovere riconoscere il porfido rosso come più giovane, e ne feci una relazione alla Società geologica di Parigi/ Nello stesso anno anche i miei amici F. Hoffmann ed A. Escher nel loro ritorno dall’ Italia intrapresero un più dettagliato studio di questi porfidi e mandarono parimente la loro relazione alla Società geologica. Noi non ci eravamo veduti allora nè nel Canton Ticino nè in Berna: i filoni del porfido rosso nel nero furono anche da loro constatati. Contemporaneamente però essi trovarono nella penisola di Carona e di Morcote una così intima connes- sione fra le due forme litologiche ed anche colla roccia feldi- spatica descritta dal von Buch come granito, che credettero di dover riconoscere nelle tre forme di roccia semplici modifica- zioni di una stessa massa, la cui origine deve ritenersi più antica dei depositi calcarei e dolomitici che la ricuoprono.^ Alla stessa conseguenza giunse più tardi C. Brunner di Berna, adesso stabilito in Vienna, poiché anche egli credette di aver veduto filoni di porfido nero nel rosso ; ed in ciò concorda con Girard.^ L’ inclinazione delle montagne calcaree e dolomitiche da tutti i lati intorno al lago e le colline porfiriche che lo circon- dano risvegliano, secondo lui, come per V innanzi secondo von Buch, r imagine di una volta sollevata dal basso in alto e rotta.* * In seguito alle osservazioni di Hoffmann, Brunner, Girard, e alle loro proprie, i signori Negri e Spreafico hanno contrasse- gnato col medesimo colore nella loro carta il porfido rosso e il nero, il granito a druse di Figino e la retinite nera di Grantola; e ciò non può esser approvato. Secondo von Buch anche il gra- nito di Baveno dovrebbe essere riunito a queste rocce. Le nostre carte geologiche sono però prevalentemente petro- grafiche. Esse distinguono il granito dal gneiss, il granito dalla sienite, la trachite dal basalto, il calcare dall’ arenaria sebbene frequentemente vi si riscontrino dei passaggi e la differenza nella età debba spesso mettersi in dubbio o negarsi risolutamente. Petrograficamente però due rocce non sono fra loro mai tal- * Vedi Bull. Soc. Geol., S. 1, T. 4, p. 54. — VediB. Studer, Geologie der Schweiz, Bern, 1851, B. 1, p. 472. 2 Vedi Bull. Soc. Geol., S. 1, T. 4, p. 103. ® Vedi Leonhard, Jahrbuch, 1851, p. 33G. ' * Vedi Neue Denkschr. der Schweiz. Gesell., 1852, B. 12. — 374 — « mente disgiunte come il porfido rosso e il nero del lago di Lugano. Il porfido rosso, che meglio corrisponde alla descrizione di von Buch e ai porfidi quarziferi di altre località, è formato di una pasta rosso-bruna, a frattura scabra, con cristalli geminati di ortose bianco-giallastro, con albite isolata quasi incolora fina- mente striata, ed in cristalli geminati con dodecaedri di quarzo vitrei ed incolori. Esso però non è limitato entro sì angusti confini : presso Maroggia la pasta è di un colore rosso mattone smorto, a elementi grossolani ; il quarzo comparisce in grani arrotondati della grossezza talvolta di un pisello. Nei filoni la pasta è compatta a frattura piana, con lucentezza cerea, e i cri- stalli geminati di ortosio, chiaramente isolati, sono di un colore rosso scuro. Come varietà, nota rHoffmann anche il granito a druse di Figino. Il porfido nero si mostra costantemente nei suoi caratteri. -Non senza ragione von Buch lo paragonò colle rocce oscure del Tirolo meridionale ; esso assomiglia in modo straordinario ai me- lafiri dei Vogesi o dei monti di Lione. Una pasta verde nera- stra, sottilmente scagliosa, con cristalli isolati, piccolissimi, di color bianco tendente al gialliccio od al rossiccio, che von Buch riconobbe per albite (oligoclasio) ; V ortose e il quarzo sembrano mancare affatto. Alcuni cristalli allungati di color verde porro scuro, furono da von Buch ritenuti per augite o epidoto. Le analisi microscopiche sopra lastre sottili, gentilmente ese- guite dal prof. Fischer di Freiburg, conducono a resultati poco differenti. La pasta del porfido rosso non mostra alcuna traccia di strie di geminazione e, se altrimenti non decide V analisi chimica, si può ritenere composta di solo ortosio. Alcuni punti di color verde-olio che non possono isolarsi dalla massa potreb- bero forse esser riguardati come pinitoidi. Anche nella pasta del porfido nero e nei cristalli piccoli incolori in essa dis- seminati crede il prof. Fischer di dovere riconoscere soltanto r ortosio. I cristalli allungati di color verde porro sembrano ad esso di orneblenda; cosicché il porfido nero, se la massa prin- cipale fosse un feldispato triclino, potrebbe ritenersi come una porfirite. Alcuni granuli neri che compaiono nelle lastre sottili, nella roccia polverizzata si danno a conoscere per magnetite, e — 375 le striature color giallo d’ ottone, riconoscibili alla lente, pos- sono essere di pirrotina. Onde esaminar meglio queste rocce, i signori Negri e Sprea- fico hanno fatto analizzare chimicamente sei varietà di esse per mezzo del loro amico Gargantini-Piatti di Milano. Due di esse, che appartengono ai due porfidi di cui è parola, dettero i se- guenti resultati : Porfido quarzifero rosso Porfido nero di Valgana. fra Melano e Rovio. Silice 84,10 69,57 Allumina 10,50 12,30 Protossido di ferro. . 1,10 — Sesquiossido di ferro. — 14,05 Magnesia 0,03 0,49 Calce 0,04 1,50 Potassa e Soda . . . 1,10 0,25 Acqua 1,93 3,25 98,80 101,41 In seguito a queste analisi, anche il dott. Justus Roth non ha più oltre riguardato il porfido nero di Lugano come un melafiro, ma lo ha collocato con i porfidi felsitici.^ Ciò che più mi colpì in queste analisi di rocce prevalente- mente composte di feldispato fu il tenore in alcali ridotto sem- plicemente a tracce. Io supposi che fossero state eseguite con pezzi non freschi, tantopiù che quasi dappertutto la roccia fino ad una certa profondità sotto la superfice è alterata. Per questo allorché per la ferrovia del Gottardo, nel 1873, dovevano fo- rarsi presso Maroggia i due porfidi con un tunnel di 543,50 me- tri, mi feci spedire, parecchi mesi dopo il principio del lavoro, dei campioni il più possibilmente freschi, la cui analisi fu ese- guita dal nostro professore di chimica Schwarzenbach. Da essa risultarono i seguenti numeri che approssimativamente concor- dano con quelli dell’ analisi di Milano : ’ J. Roth, Beitràge zur Petrographie der plutonischen Gesteine, Ber- lin, 1873. X - 376 — Porfido rosso. Porfido nero. Silice 74,706 65,471 Allumina 11,267 15,154 Ossido di ferro. . 4,345 10,642 Magnesia 0,360 0,340 Calce ....... 1,641 3,894 1,611 Potassa e Soda. . 3,647 Acqua 3,690 3,101 99,903 99,966 Nell’ autunno 1874 essendo passato per Maroggia, mi feci dare di nuovo due campioni staccati dal tunnel ivi scavato e già molto avanzato ; e, nella speranza che una separazione più netta degli alcali offrirebbe un punto di appoggio per la distin- zione dei feldispati, pregai il mio amico signor von Fellenberg, conosciutissimo per le sue analisi minerali. a fare P analisi di quei campioni. Per confronto con le già date voglio presentare soltanto i resultati principali ottenuti con una prima analisi : Porfido rosso. Porfido nero. Silice 71,74 61,67 Allumina 12,60 16,38 Ossido di ferro. . 2,45 ' 6,31 Calce . 2,30 2,57 Magnesia . . . . . 1,24 3,02 Ossidalo di mang. 0,84 0,30 Potassa Soda 4,14 3,41 3,50 4,22 3,65 Perdita al fuoco . 3,31 102,22 101,43 Se rimarcliiaino la presenza di quarzo libero nel porfido rosso e del ferro magnetico pure libero nel nero, e specialmente poi la quasi completa consonanza negli alcali, vien tosto l’ idea die ad onta della grande differenza dei caratteri esterni, la compo- sizione chimica sia prossimamente la stessa in ambedue i porfidi. Il signor von Fellenberg, in una nota da esso pubblicata nello stesso periodico,^ espone il processo ed il risultato delle ’ Vedi Zeitschrìft der deiitscheìi B. 27, H. 2, p. 422. 377 - analisi istituite sui due porfidi del luganese, e, dato il primo risultato sommario ora riportato, continua come segue: Queste due analisi abbisognano ancora di una correzione in rapporto al carbonato terroso scoperto nei rispettivi campioni ; per il che, eseguite le operazioni chimiche relative e fatta la riduzione dei numeri, si ha il seguente risultato : Porfido rosso. Porfido nero. Silice 70,18 60,80 Allumina . . . . . 12,33 16,15 Ossido di ferro. . 2,40 6,22 Calce 0,38 0,62 Magnesia 0,26 2,48 Ossidalo di mang. 0,82 0,30 Potassa 4,05 4,16 Soda 3,34 3,60 Acqua 0,93 1,23 Carbonato terroso. 5,31 4,44 100,00 100,00 Eseguite poi le ricerche pei* determinare il quantitativo di ferro magnetico nel porfido nero, dalla media di quattro analisi si ebbe prossimamente il 6,20 7o di questo minerale ; per cui tutto il ferro contenuto in detto porfido, vi si trova allo stato di magnetite. Volendo poi dai precedenti risultati dedurre quale sia la na- tura del feldispato in ambedue i porfidi, si può partire dal quantitativo dei due alcali, e precisamente da quello della po- tassa per la determinazione dell’ ortosio, e da quello della soda per r oligoclasio. Eseguiti i calcoli relativi, si hanno i seguenti risultati definitivi, ad ottenere 1 quali si è eliminato il carbo- nato come elemento estraneo alla roccia : Porfido rosso. Porfido nero. Ortosio . 35,67 61,03 Oligoclasio .... . 28,53 31,29 Quarzo . 32,39 — Ossido di ferro . . 2,53 — Ferro magnetico. • 6,41 Acqua , 0,98 1,27 — 378 — Da ultimo giova osservare che il porfido nero, che dall’ ana- lisi risulta assai più basico dell’ altro, sembra per questo appar- tenere ad un’ epoca di gran lunga posteriore al primo che si dimostra assai ricco di silice, e nel quale i almeno dell’ acido silicico trovansi allo stato di quarzo libero disseminato nella massa feldispatica. VI. Bilievi nel territorio di Sexten, nel Cadore e nel Comelico {Alpi venete)^ del dott. K. Hòrnes. {Verhandlungen der k. k. geolog. Beichs., Wien., 1875, 14.) Nell’ ultimo mese della campagna geologica di quest’ anno fu mia cura di completare nelle valle di Sexten le ricerche sulla continuazione orientale dei terreni secondari dei monti di Ampez- zo, per quanto si estendono nel dominio austriaco, e quindi anche nel territorio veneto limitrofo, allo scopo di 'ottenere mate- ria per rischiarare le condizioni geologiche dei dintorni di Cor- tina d’ Ampezzo già prima d’ ora studiati. Io fui abbastanza fortunato di poter fare in diversi punti scoperte paleontologiche di un certo interesse : per riguardo alla cartografia il maggior lavoro è stato eseguito coi rilevamenti pregevolissimi del dottor LoretZ', i quali addimostrano maggiore esattezza qui che nella parte occidentale. Su tale rapporto non rimase a me che di eseguire, per quanto mi era possibile, quei miglioramenti, o per dir meglio più esatte delimitazioni, atti a fornire un buon materiale carto- grafico per il territorio austriaco. Nel limitrofo territorio veneto la carta del Loretz, al di fuori di alcuni rigetti e ripetizioni di strati dal medesimo non tra- veduti, non abbisognava di alcuna modificazione essenziale, ad eccezione delle masse montuose a Sud di Pieve di Cadore, le quali non sono formate dalla dolomite dello Schlern nel signifi- cato più ampio, come accenna il Loretz (dolomite di Mendola del Piichthofen), ma piuttosto dal calcare del Dachstein. Però questi monti giacciono per la maggior parte fuori della carta del Loretz. 379 — In quanto al modo di presentarsi dei giacimenti triassici, la di cui esatta ricerca nelle regioni occidentali formava lo scopo mio principale, sarebbe da osservarsi che esso è palese anche nelle località più sopra accennate ; ma però in queste le condi- zioni di giacitura non si mostrano mai così caratteristiche come nei monti limitrofi ad Ovest. Sembra che la dolomite dello Schieri! andando verso oriente prenda un carattere affatto diverso. Già nel Comelico cominciano a diminuire i tufi, le marne e le are- narie (che nel versante meridionale dell’ Antelao tengono il posto principale, mentre la dolomite dello Schlern riducesi ad un banco di piccola potenza) ; nello stesso tempo la regione assume un aspetto dolomitico, e quei terreni sono rimpiazzati dai calcari varicolorati, rossicci, grigi e scuri, che anche all’aspetto este- riore sono interamente diversi dalla dolomite dello Schlern. Negli strati più profondi 1’ attenzione fu rivolta specialmente all’ insieme del calcare a Bellerophon. Esso presentasi qui dap- pertutto, spesso con un forte sviluppo di gesso e carniole alla sua base, immediatamente sopra 1’ arenaria di Gròden, ma solo in pochi punti contiene petrefatti ben conservati. Una località specialmente fossilifera trovasi al Kreuzberg, al passo fra Sexten ed il Coinelico, ove io unitamente al Bellerophon peregrinus rac- colsi numerosi brachiopodi e pelecipodi ed alcuni gasteropodi e cefalopodi (Nautilus). Nel Verrucano, conglomerato di contatto tra l’ arenaria di Gròden e la fillite, nel quale presso Santo Stefano e Sexten trovansi alcuni piccoli giacimenti di porfido quarzifero, incon- trai frequentemente frammenti di un calcare paleozoico, per lo più rossiccio 0 grigio, che non di rado contiene fusuline. Questi calcari provengono certamente dalle masse calcaree racchiuse nelle fillite del Monte Silvella, del Kònigswand ec. Dietro richiesta del professore Suess feci un’ escursione a Forni Avoltri per costatarvi 1’ esistenza dei giacimenti metalli- feri negli schisti paleozoici. Nel Monte Avanza vedesi la strut- tura geologica allo scoperto in causa di una lavorazione che data dal 1866. Sotto la massa calcarea del Monte Paralba e del Monte Avanza compariscono schisti di carattere paleozoico ; pre- valgono gli schisti finitici, a luoghi però anche puri schisti mica- cei, ricchi di quarzo, che racchiudono calcopiriti in abbondanza. — 380 Al contatto degli schisti col calcare del Monte Avanza trovansi molte qualità di minerali ; rame grigio, calcopirite, baritina, galena argentifera, che già da gran tempo furono oggetto di lavorazione. Verso Sud segue a breve distanza un forte rigetto in seguito al quale sprofondarono 1’ arenaria di Grdden, gli strati di Werfen e i più antichi membri del Trias insieme cogli schisti metalliferi. Questi grandi rigetti per la maggior parte allineati da Est ad Ovest sono unà regola generale nel territorio da me visitato. Due di essi, quello che attraversa V Antelao e il massiccio del Sorapiss-Marmarole, come anche quello nel quale ha il suo corso la Piave fra Lozzo e Pieve di Cadore, trascorre a Nord del Monte Zucco, e si continua poi più lungi verso O.S.O. fino in Val Sugana, non furono riconosciuti dal dottore Loretz. Questi rigetti da una parte rendono difficile il rilevamento della con- trada, dall’ altra permettono P affioramento di strati che altri- menti sarebbe impossibile di osservare. Il calcare del Dachstein mi somministrò in molti punti ricco bottino di fossili. Così trovai nei Monti Marmar ole a Sud del Monte Rosiana molti resti, sebbene non ben conservati, di coralli e gasteropodi {Turbo, Natica, Ghemnitzia) unitamente ai Mega- lodon caratteristici. Il complesso delle rocce fossilifere anche petrograficamente è diverso dal solito calcare del Dachstein ; è frequentemente formato da una breccia nella quale frammenti calcarei scuri sono racchiusi in una massa rossiccia chiara, e giace all’ incirca nella parte mediana dello spessore del Dachstein. Al Col del Fuoco, un poco sotto il suo vertice, nella Val Traver- nanzes, nelle pareti a picco della Tofana e finalmente in modo migliore nella Valle Oten al piede N.E. dell’ Antelao, potei osser- vare questi giacimenti fossiliferi. Nella Valle Oten io trovai nella stessa roccia una ricchissima fauna di gasteropodi : Chemnitde di forme differenti ed eleganti forme di Trochus, Turbo, Capulus ec. I megalodonti vi erano molto rari, come anche altri pelecipodi dei quali non rinvenni che pochi esemplari. Al contrario nella Val Travernanzes si trovarono solamente megalodonti perfetta- mente conservati, dei quali spesso era zeppa la roccia, dalla quale potevano estrarsi relativamente bene. Nè nei Marmar oli nè sulla cima dell’ Antelao non potei in- contrare strati Passici o giuresi. - 381 - I conglomerati diluviali caratteristici di cui ha fatto cenno il Loretz, compariscono in gran quantità nel Cadore, ricuoprendo presso Calalzo e Domegge tutta quanta la pianura della valle della Piave. In prossimità di Pieve di Cadore trovansi ancora grandi masse di travertino formato da sorgenti, che a quanto sembra escono dal calcare a Beìlerophon, con temperatura al- quanto elevata, È notevole il fatto che quasi tutte le sorgenti salutifere che vengono utilizzate nei numerosi bagni della Poste- ria, sgorgano dal calcare a JBellerophon (Valdanders, Bergfall, Prags, Sextner Wildbad ec.), e sembrano molto ricche in so- stanze minerali, fra le quali lo solfo tiene il primo posto. VII. La formazione delle meteoriti e il vulcanismo^ di G. Tschermak. (Dal voi. LXXI dei Rendiconti delV Imp. Accad. delle Scienze di Vienna, aprile 1875.) Dappoiché per mezzo di Howard, Klaproth, Yauquelin, Ber- zelius, venne dimostrata la composizione chimica elementare di molte meteoriti, si trovò che i materiali di composizione delle meteoriti erano in genere di quelli stessi che appariscono in grande quantità nella scorza della terra. E già anche prima venne riconosciuta dal Chladni la natura planetare di queste masse singolari. La connessione di ambedue questi risultati faceva presumere che anche i rimanenti corpi celesti fossero, come la nostra terra, composti delle medesime sostanze. Per mezzo delle ricerche spet- trali sulla luce del sole, iniziate dal Kirchhoff e dal Bunsen, questa congettura^ circa il nostro centro solare venne elevata a certezza; e per mezzo delle osservazioni istituite da Secchi, Huggins e Miller sullo spettro delle stelle fisse, venne stabilita la verità che P Universo si compone degli stessi materiali. Come V analisi delle meteoriti confermava la conoscenza della natura materiale dei corpi celesti, così la osservazione della forma delle medesime ci promette di aprirci lo sguardo nell’ intimo degli - 382 - avvenimenti degli astri e nei cambiamenti a cui questi vanno soggetti. La forma delle meteoriti è singolare. Poco era stata osser- vata per il passato ; però è estremamente curioso il fatto che le meteoriti si presentano in forma di frammenti. È noto che, chiun- que abbia solo inteso parlare della natura planetare delle me- teoriti, che per la prima volta ne abbia vista una collezione, ri- mane meravigliato di trovare che questi corpi non siano rotondi come i pianeti, ma bensì angolosi ed irregolari, e che anche nell’ interno non lascino notare la benché minima struttura con- centrica. Haidinger esaminò la superficie delle meteoriti con gran cura, e venne in persuasione che la crosta scura con V arrotondamento degli angoli non fosse condizione originaria, ma che la meteorite solo coll’ attraversare 1’ atmosfera si coprisse di una crosta sot- tile, e che per questo fatto perdesse la sua angolosità. Quindi è che tutte le meteoriti prima di entrare nell’ atmosfera terre- stre hanno posseduta una forma irregolare ed angolosa; ed anzi molte fra esse erano direttamente a spigoli acuti. La superficie di questi frammenti erano appunto superficie di frattura, e cia- scuna meteorite sarebbe pervenuta a questa forma mediante il frangersi di una massa maggiore. Tutte le collezioni che contengono delle meteoriti complete, forniscono degli esempi che dimostrano questo fatto come indi- scutibile. Nella collezione di Vienna si distinguono in questo senso il ferro meteorico di Agram, quello di Ilimaé, le pietre di Knyahinya, Seres, Lancé, Chantonnay, Orvinio, Tabor, Pultusk, Stannern, ec. La forma esterna di queste e di altre meteoriti non ha alcuna connessione colla loro struttura interna, ed è in- vece al tutto casuale. Si potrebbe credere che la frammentazione fosse succeduta nell’aria; ed in vero si offrono, per quanto di rado, dei casi in cui r esame della crosta della meteorite insegna che questa deve esser scoppiata durante il suo corso attraverso 1’ atmosfera. Però questo non toglie niente al fatto che le meteoriti raggiungono r atmosfera già allo stato di frammenti. Così nella caduta di meteoriti non lontano da Butsura nelle Indie orientali (12 mag- gio 1861) si trovarono cinque pezzi a distanza l’uno dall’altro - 383 — fin di 6 miglia inglesi. Allorquando Maskelyne in Londra ri- metteva insieme questi pezzi, egli riusciva a ricostruire la forma originale della meteorite prima che questa scoppiasse nell’ atmo- sfera. Si conobbe così che questa meteorite aveva avuta nella sua integrità la forma di una scaglia proporzionatamente sottile ed incurvata. Il riscaldamento ineguale nell’ aria doveva far scop- piare un simile corpo. Questo esempio risparmia 1’ enumerazione di tutti i fatti che dimostrano come le meteoriti non entrino nell’atmosfera come corpi rotondi somiglianti ai pianeti. Le meteoriti dunque giungono a noi sempre e solo come frammenti e come scaglie o particelle derivanti da una o da pa- recchie maggiori masse planetarie. Se sia stata una sola massa che diede luogo a questi frammenti, o se siano state parecchie, ad ogni modo la dimensione ne deve esser stata abbastanza considerevole. Si trova infatti nella maggior parte dei ferri meteorici un modo di compage che dimostra come ciascuno dì questi sia una porzione di un più grande individuo cristallino. La formazione di un così grande individuo presuppone, come già Haidinger os- servava, dei lunghi intervalli di tempo di una cristallizzazione tranquilla sotto una temperatura invariabile; e ciò che solamente avviene ad un gran corpo mondiale. Sopra molte pietre meteo- riche si osservano delle superfici di screpolatura (esempio Cha- teau-Eenard, Pultusk, Alessandria), le quali rassomigliano pre- cisamente alle superfici di screpolatura che si osservano nelle masse rocciose della terra, e che dimostrano il disgiungimento ed il disgregamento di masse maggiori. Alcune pietre meteoriche offrono la congiunzione di frammenti angolosi, come i ferri me- teorici di Copiapo, quello di Tuia, le pietre di Chantonnay, Or- vinio, Weston, le quali corrispondono alle breccie delle roccie terrestri. Molte di tali pietre consistono di molti piccoli frammenti o di minime scheggie, e sono somiglianti ai tufi vulcanici. Queste apparenze accennano di nuovo alla derivazione da maggiori corpi celesti nei quali ebbero luogo azioni metaniche. Così noi giungiamo alla dimostrazione, che una o più mag- giori masse, le quali hanno già sostenuto un più lungo processo di formazione, hanno fornito il materiale alle meteoriti. - 384 - A questo resultato sono già arrivati molti scienziati, i quali si sono occupati dello studio delle meteoriti. Daubrée tentò di rispondere alla questione relativa al modo del frammentarsi delle meteoriti, e si arrestò all’ alternativa che la frammen- tazione possa esser derivata da una collisione o da una esplo- sione. * * L’ opinione che i minori pianeti possano essersi formati in seguito ad una collisione e frammentazione di maggiori corpi celesti è già stata enunciata da Olhers per riguardo agli aste- roidi." Più tardi D’ Arrest e C. v. Littrow, hanno per mezzo di accurati calcoli esaminata la possibilità di un incontro degli asteroidi. In una collisione di due corpi celesti solidi, i quali si muo- vano l’uno verso l’altro con velocità planetaria, avrebbe luogo nel punto di contatto una fusione e più ancora una volatilizza- zione," e nel rimanente succederebbe una frammentazione, ed i frammenti verrebbero dispersi in differenti direzioni. Così si ren- derebbe chiara la formazione delle meteoriti; però è da consi- derare che per una tale frammentazione dovrebbero aversi non solo piccoli, ma anche grossi pezzi. Ma le meteoriti sono invece direttamente piccole. Le più pesanti fra le conosciute sono la pietra meteorica di Knyahinya nel Gabinetto Mineralogico di Vienna del peso di 294 chil., ed il ferro meteorico di Cranbourne nel Museo Britannico del peso di 3700 chil. La maggior parte * Ved. nel Journ. des Savants, 1870, la Memoria del Daubrée. Meunier cre- dette di schivare questo dilemma {Geologie comparée, p. 296), in quanto egli ammette una spontanea frammentazione di un pianeta, il quale sarebbe scop- piato come una lastra di argilla che si disecchi. Anche quando una tale possi- bilità potesse venir ammessa, ne risulterebbe che i frammenti formatisi si mo- verebbero tutti lungo la stessa strada, mentre questo, come si conosce, non è il caso delle meteoriti. * ZA.CH, Menati. Correspondenz, Bd. VI, p. 88. ® Una massa la quale venga ad urtarsi con un altro corpo colla velocità di 3 miglia geografiche, e che coll’ urto si metta in completa quiete, svilupperebbe in tal caso (purché tutta la forza viva si cambi in calore e che nessuna parte di calore si disperda all’ intorno) svilupperebbe, dico, per ogni unità di peso 59630 calorie. Si ammetta pure che la metà del calore venga perduto per irra- diazione e per conducibilità, e che il calore specifico di una massa meteorica sia 5 volte più grande (cioè fatto eguale all’ unità, a fine di calcolare 1 aumento di calore specifico colia temperatura e il calore necessario alla fusione) ; ad ogni modo si produrrebbe sempre una elevazione di temperatura di 29800° C. — 385 — delle meteoriti però sono molto al di sotto di queste dimensioni, e già una pietra di 5 cliil. è considerata appartenere alle maggiori. Tutti questi pezzi, ed anche i maggiori, sono appena dei mi- nimi bricioli e della finissima polvere in confronto anche al più piccolo pianeta, quando anche questo non avesse altro che un miglio di diametro. Quando anche questo fosse spezzato in un milione di parti eguali, ciò non ostante sarebbe ogni porzione 250,000 volte maggiore della gran pietra di Knyahinya, e 10,000 volte maggiore del ferro di Cranbourne. Egli è quindi poco verosimile che le meteoriti debbano la loio forma ad una frammentazione di pianeti per causa di urto; invece è molto più verosimile che la frammentazione sino ai più piccoli pezzi, che si potrebbe chiamare una polverizzazione, sia etfettuata per via di una azione dall’ interno all’ esterno e per via di esplosione. L avvenimento di una esplosione è violento, e sembra esser in contradizione col graduale sviluppo cosmico, ma non è più vio- lento dei movimenti i quali sono stati in parte osservati in parte esplicati sulla superficie del sole e delle comete. I sollevamenti in forma di esplosione, nel modo come sono stati osservati sopra il sole da Zòllner, Young, Respighi, gli uragani a vortice che Lockyei ha valutati, accadono con una velocità che supera tutto ciò che noi conosciamo in fatto di esplosione sopra la terra. L improvviso accendersi di qualche stella accenna non meno ad un violento avvenimento, che I. R. Mayer crede solo poter interpre- tale per una collisione di stelle fisse e per una congiunzione e fusione di queste. Secondo le osservazioni di J. Schmidt lo svol- gersi delle comete avviene con una vivacità la quale fa indurre a degli intensivi movimenti. In faccia a tutti questi fenomeni non è contro 1’ ordine naturale il concetto di una esplosione e di una polverizzazione di un corpo celeste. Che se noi volessimo ora registrare fra le stelle fisse, fra i pianeti o fra le comete il corpo celeste o i molti corpi celesti i quali hanno fornito le meteoriti, sarebbe al tutto inattendibile la conseguenza che simili corpi sieno stati polverizzati per via di una esplosione. Sussistono, tuttavia, obiezioni anche a questo liguardo, al pari che pel concetto di una frammentazione per via di urto. Anche per mezzo di una esplosione, la quale spezzi 26 386 — un intero corpo celeste di considerevole dimensione, sia die questo corpo fosse totalmente solido, sia die in parte fluido, oltre gli innumerevoli piccoli frammenti si avrebbero anche dei grandi, i quali dovrebbero pure cominciare la loro corsa come meteoriti. Ma non si deve perder d’occhio il fatto che tutte le meteoiiti sono proporzionatamente piccole, e non si potrebbe quindi ap- provare r ipotesi di un totale sbriciolamento per via di una sola esplosione. Lo sbriciolarsi di un tale corpo celeste può anche succedere da sè a poco a poco. Invece di una sola esplosione se ne pos- sono immaginare molte le quali lancino pezzi dalla superflcie di un tale corpo nello spazio. Questo avvenimento potrebbe aver luogo sopra ciascun corpo celeste del quale la massa però fosse così piccola che la sua forza di gravità non fosse sufficiente a richiamare di nuovo alla superficie tutti i pezzi lanciati in alto. Questa considerazione richiama il concetto già da lungo tempo ventilato da Olbers, Arago, Laplace, Berzelius^e da altri, ed anche recentemente sostenuto da L. Smith, secondo il quale la luna, di cui la forza di gravità è sei volte minore di quella della terra, potrebbe lanciare tanto lontano dei pezzi, che questi non po- trebbero più tornare addietro. La possibilità di un tale avveni- mento sulla luna non è da negarsi. Ma la superficie della luna, ricoperta da molti accumulamenti circostanti ai crateri vulcanici, ci mostra che la maggior parte delle pietre lanciate in alto sono ricadute ed hanno formate quelli ammassi di rottami all’ intorno delle bocche di deiezione, per modo che anche nel caso favoie- vole solo pochi pezzi possono esser stati dispersi nello spazio. Di fronte alla moltitudine di meteoriti, le quali annualmente si incontrono colla terra, questa sorgente è troppo insignificante. Le meteoriti giungono alla terra in così vaiie dilezioni e sono così frequenti, che noi dobbiamo accettare una origine j^eneiale, la quale non risieda solo nella luna ed in genere non in un solo corpo celeste. ^ . Si devono dunque considerare come officine di meteoriti molti corpi celesti, i quali benché di dimensioni cospicue, pure non lo erano abbastanza da esser più in caso di richiamare indietro quei frammenti che per effetto di esplosione erano stati lanciati in alto. Che tali piccole stelle abbiano in una data età svibip- — 387 - pata una attivitcà esplosiva violenta, è molto verosimile, a se- conda della analogia della lima la quale ha traversato uno stadio di sviluppo vulcanico molto più attivo di quello della terra. Però quelle piccole stelle perdevano sempre della loro massa col con- tinuo lanciar fuori dei frammenti, finché esse erano finalmente ridotte in piccole parti, le quali adesso percorrono lo spazio nelle più differenti direzioni. Si potrebbe sentirsi disposti a vedere nelle comete le rima- menze di tali piccoli astri, e di riconoscere nella loro effusione r ultima fase dell’ attività superiormente descritta. Non è però mia pertinenza lo spingermi più oltre in questo indirizzo; perchè deve esser lasciato a quegli scienziati che s’ intendono della na- tura delle comete il decidere se le osservazioni sieno adatte ad indicare una simile connessione.’ Mi basta di aver mostrato che la forma delle meteoriti ci obbliga ad ammettere che queste furono prodotte per via di mo- vimenti violenti, i quali agirono dall’ interno di un astro verso la sua superficie. Questi movimenti noi possiamo paragonarli a quelli i quali hanno luogo presentemente nello stesso senso sulla terra e sul sole, i quali hanno fabbricati i crateri sulla super- ficie della luna. Questi possono avere cause diverse sopra astri pure diversi; però è permesso di considerare tutti questi movi- menti come vulcanici fino a che la loro causa non sia dovunque conosciuta. Se poi questi agissero solo in modo esplosivo, in quanto essi lanciavano in alto pietre rigide dalla superficie, oppure se agis- sero nello stesso tempo in modo eruttivo, come sulla terra, dove essi portano fuori della materia dall’ interno del pianeta, in am- bedue i casi doveva esserci una differenza fra la scorza ed il nocciolo della massa. Giacché adesso le meteoriti giungono a noi colla forma di aguzzati frammenti, così ne segue che gli astri, ‘ Molti astronomi vogliono riconoscere attualmente una connessione fra le meteoriti e le stelle filanti, dacché 1’ apparizione nell’ atmosfera in ambedue i casi è all’ incirca la stessa. E siccome per mezzo dello Schiapparelli è stata scoperta e spiegata la relazione fra le comete e le stelle filanti, così si presen- terebbe di per sé anche una relazione fra le comete e le meteoriti. Ma 1’ espe- rienza offre ancora la difficoltà che il massimo di frequenza delle stello filanti non è in nessun modo accompagnata da numerose cadute di meteoriti. 388 dai (juali furono distaccati, possedevano una scorza rigida , e noi siamo obbligati a concludere ulteriormente cbe il loro interno non era allo stato rigido o trovavasi tutt’ altrimenti composto. La forma delle meteoriti ci fa riconoscere la loro provenienza da piccoli astri, i quali erano costruiti similmente come la no- stra terra, ma i quali furono gradualmente polverizzati per mezzo di una attività vulcanica. La compagine delle meteoriti e la loro struttura interiore ci fa progredire un passo, in quanto ci fa spingere lo sguardo nella storia di quegli astri prima della loro frammentazione. Alquante meteoriti sono, come già è stato detto, di tale co- stituzione la quale mostra eh’ esse furono formate, durante un processo di cristallizzazione gradualmente tranquillo, altre per contrario lasciano trasparire gli effetti di forze frammentatrici, essendo composte di tanti frammenti. La più gran parte di queste consistono di minime scheggie e di granuli rotondi. Haidinger fu il primo a paragonare le masse meteoriche spugnose e quelle esclusivamente composte di polvere di pietra, coi prodotti di trituramento e di polverizzazione dei vulcani ter- restri, e di chiamarle direttamente twfì vulcttfiici. La conside- revole prevalenza di questo modo di formazione fra le meteoriti insegna che sopra quegli astri, dai quali essi provengono, la quiete è stata molto più rara di quello che il movimento vul- canico. Si mostra però nelle meteoriti a forma di tufi una apparenza di più difficile spiegazione, una apparenza la quale in questa misura non si mostra nei tufi dei nostri vulcani. È questa l’ab- bondante presenza di piccole sferule o granuli che immediatamente colpiscono r occhio di qualsiasi osservatore. Questi granuli o sfe- rule caratterizzano tutte le pietre meteoriche in forma di tufo, le quali, come è stato detto, formano la grande maggioranza. Gustavo Rose le chiamò per questo Ghoudviti (Chondros=gr anuli). Questi granuli hanno le seguenti proprietà per il riconosci- mento del loro modo di struttura.’ ’ Le figure di questi corpi si trovano nelle mie dissertazioni inserite nei Rendiconti della I. Acc. delle Scienze in Vienna, Voi. LXV, parte 1, pag. 122 (Gopalpur) e voi. LXX, parte I, (Orvinio); ved. anche Dhasche, Contrib. mi- nerai. 1875, I parte (Lance). — 389 — r Essi stanno in una matrice composta di particelle più fine e più grossolane. 2° Essi sono sempre più grandi delle più piccole particelle. 3^" Essi si mostrano sempre isolati, giammai riuniti in un certo numero. 4° Essi sono completamente rotondi se consistono di un minerale tenace, altrimenti non lo sono che incompletamente. 5® Essi consistono ora di uno ora di parecchi minerali, però sempre di quegli stessi di cui componesi la matrice. 6° La loro interna compagine non sta in alcun rapporto colla loro figura rotonda. Essi sono o dei pezzi di un cristallo, 0 essi sono fibrosi, ma giammai fibroso-raggiati, o essi sono ir- regolarmente pedunculati, o essi sono granellosi. I granuli dunque non si comportano in nessun ^modo come se fossero pervenuti alla forma granulare per mezzo di cristal- lizzazione; essi non si comportano come nella struttura sferoli- tica deir ossidiana e come nella perlite, nè come i granuli della diorite variolitica, nè come le concrezioni rotonde della calcite, deir aragonite e della marcasita ec. Essi rassomigliano piuttosto a quei granuli che di sovente si osservano nei tufi delle nostre rocce vulcaniche, come, ad esempio, nelle varietà granulose dei tufi trachiticidelGleichenberger, ai granuli nel tufo basaltico nel Venus- berg presso Freudenthal, ma più particolarmente ai granuli di olivina nel tufo basaltico di Kampfenstein e di Feldbach in Stiria. % E certo che questi ultimi granuli sono i prodotti di tritu- razione vulcanica, ‘ e che essi devono la loro forma ad una con- tinua attività esplosiva di un focolare vulcanico, per mezzo del quale delle rocce più antiche furono disgregate, e le loro parti più dure furono arrotondate per forza di un continuo attrito. Le qualità dei granuli nelle meteoriti confermano diretta- mente un tal modo di formazione.^ Tutto al più uno può figu- rarsi che le masse di roccia che erano esposte alla triturazione, sieno state passabilmente molli, e con ciò si approssimerebbe all’ ipotesi di Daubrée,^ il quale suppone una pietra che si irri- ' Questi non devono venir confusi colle bombe vulcaniche le quali consi- stono di lava. ^ Keiclienbach si figurava i granuli come piccole meteoriti. Ma è però solo r idea di una figura planetaria delle meteoriti che ivi si riflette. , * Loc. cit., pag. 88. — 390 — gidisca turbinando in una massa di gas. Però egli è certo che i granuli sono il resultato di una triturazione. I granuli sono talvolta di piccolezza microscopica, ma ordina- riamente sono della grandezza di un granello di miglio ; quelli della grossezza di un nocciolo di ciliega e di una piccola noc- ciola sono molto rari. I granuli nei tufi delle rocce vulcaniche della nostra terra hanno la grandezza di una nocciola fino a quella della testa. Se fosse permesso di concludere da queste ^ differenze alle differenti dimensioni delle rispettive officine, ne risulterebbe T ammettere innumerevoli e piccole fessure vulcani- che come luoghi di origine dei tufi meteorici. Questi ultimi tufi sono particolarmente caratterizzati da ciò, che essi non contengono traccia di una roccia scoriforme e ve- trosa, nè giammai dei cristalli sviluppati nella matrice ; ed in genere non lasciano riconoscere niente che faccia ritenere vero- simile la loro origine dalla lava. Non si vede in essi niente del prodotto di triturazione di una roccia cristallina. Fra le meteoriti simili ai tufi se ne danno alcune, che por- tano sopra di sè V impronta di un posteriore cambiamento per via di calore, come, ad esempio, le meteoriti di Tadjera e Bel- gorod. Altre mostrano apparenze che lasciano comprendere un cambiamento chimico suscettivo alla loro formazione. Così, ad esempio, si vede nella pietra di Mezò-Madaras e di Knyahinya di sovente attorno ai granuli delle accumulazioni concentriche di ferro nativo, le quali appariscono sulla superficie di rottura della pietra come V alone del disco lunare ; pure nell’ interno dei granuli si riscontrano disposizioni consimili. Tutte le pietre meteoriche a modo di tufi sono attraversate da molte minute pagliette di ferro. Sembra che queste apparenze sieno state pro- vocate dall’ azione riduttiva di un gas ; e perciò il Daubrée accetta che sia stato il vapore acqueo che produsse questi cam- biamenti. La scoperta del vapore acqueo nella pietra meteorica di Lenarto per opera di Graham, come pure la riconosciuta pre- senza del vapore acqueo nel sole per opera di Kirchhoff, appog- giano questa veduta. Che in questi casi abbia avuto luogo un riscaldamento è naturalmente presupposto. Chiari indizii di riscaldamento mostrano del resto ancora quelle meteoriti le quali consistono di frammenti cementati — 39] da una massa nera di uniforme composizione, come le pietre di Orvinio e di Chantonnay. ’ Ma non ostante tutti questi esempi di azione di riscaldamento non è conosciuta alcuna meteorite, la quale abbia pure una qualche somiglianza colla scoria vulcanica o colla lava. Noi dobbiamo, per quanto abbiamo paragonate le meteoriti ai tufi vulcanici ed alle breccie, sospen- dere questo ravvicinamento. L’attività vulcanica, testimonio della quale furono le me- teoriti, consisteva nel frammentarsi di rigide pietre, nel riscal- damento e nel cambiamento di solide masse. Non avevano luogo eruzioni di lava, espulsione di lava vetrificata e di cristalli, che, come Zirkel ha dimostrato, compongono la cenere vulcanica. Fu dunque assolutamente una attività esplosiva, per via della quale furono formate le breccie ed i tufi che noi osserviamo nelle meteoriti. Questo ricorda vivamente un fenomeno ben conosciuto sopra la terra, al Maare dell’ Eifel, che con ragione si considera cóme un cratere di esplosione. Questi ci dimostrano che anche sulla terra si può rinvenire il caso di esplosioni vul- caniche che hanno luogo senza eruzioni di lava. Adesso rimane ancora la questione, quale fosse la causa del- r attività esplosiva, per forza della quale da prima sopra quegli astri le pietre della superficie furono soggetti ad una frammen- tazione e triturazione, e per forza della quale interi corpi cele- sti furono gradualmente frantumati. La questione non mira solamente a questo, ma riguarda in generale il vulcanismo cosmico. Soprajl sole e sopra la terra i gas ed i vapori sono i portatori del movimento vulcanico. Sopra la luna manca però una atmosfera, la quale verosimilmente si sarebbe formata se i crateri della luna fossero stati costruiti per via di esplosioni gasose. Per questo in un’ opera recente- mente apparsa ^ è accettata 1’ opinione che 1’ attività vulcanica della luna fu solamente prodotta dall’ aumentarsi del volume nell’ irrigidirsi. Se questo fosse giusto quindi dovrebbe anche nella congelazione dell’ acqua (la quale nell’ irrigidirsi dimostra un aumento di volume), aver luogo almeno qualche volta un’ ap- parizione eruttiva con formazione di crateri, ciò che conosciuta- ‘ Rendiconti dell’ Accademia di Vienna, voi. LXX, parte 1. Nasmyt e Carpenter, The Moon, London, 1874, pag. 98. 392 mente non è mai stato osservato. A me sembra però che non sus- sista questa difficoltà, la quale per via di una tale ipotesi vien scartata. Non devono essere stati gas permanenti quelli i quali promossero le apparizioni vulcaniche sopra la luna ; e se furono vapori, in tal caso questi poterono esser assorbiti dalle roccie della superficie lunare. Intorno a che non vi è ancora bisogno di riferirci all’ipotesi di Saemann,’ il quale si figura in un’epoca remota la luna coperta d’acqua, che più tardi venne assorbita. Si ritornerà sopra questo argomento in un posteriore discorso. Secondo tutte le nostre esperienze un’ attività vulcanica, la quale consista nel disgregamento e nella proiezione di pietre, non è immaginabile senza la cooperazione di gas, oppure di va- pori, oppure di ambedue unitamente. Quindi è giustificata l’ac- cettazione che anche 1’ attività esplosiva, alla quale le meteoriti accennano, venne occasionata per via di una subitanea espan- sione di vapori oppure di gas, fra i quali il vapore d’ acqua potrebbe aver preso una parte considerevole. Le conclusioni alle quali conducono 1’ osservazione accurata e la comparazione delle meteoriti, sono in accordo colle espe- rienze di cui in questi ultimi anni si arricchirono la geologia e r astrofisica. L’ attività vulcanica di cui i testimoni furono quelle misteriose masse di pietra e di ferro, si può paragonare coi violenti movimenti negli esteriori strati del sole, colle deboli commozioni vulcaniche sopra la terra, colle grandiose appari- zioni eruttive delle quali ci parlano i crateri della luna. In questo ravvicinamento si presenta ad ognuno, che abbia in mente la teoria di Kant dello sviluppo omogeneo degli astri, la congettura, che non solamente i sopra enumerati corpi celesti sieno esposti a quei cambiamenti, ma che piuttosto il vulcani- smo sia un fenoifflwao cosmico, nel senso che tutti gli astri nel loro sviluppo abbiano a passare attraverso ad una fase vulca- nica. Fra gli astri però che avevano piccole dimensioni, molti, durante questo spazio di tempo, potrebbero essere stati in parte 0 totalmente polverizzati e dispersi in piccoli frammenti. A. Manzoni Per la traduzione dall’ originale tedesco. ‘ Saemann, Bull, de la Soc. géol., Ser, 2, voi. 18, pag. 322. 393 - NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. A. CosSA. — Bicerche di chimica mineralogica sulla Sienite del Biellese. — Torino 1875. * Questo lavoro è destinato a riempire in parte una lacuna che si è lamentata finora nello studio chimico delle rocce delle Alpi Occidentali, sulle quali tuttavia possediamo copiose notizie geo- logiche e mineralogiche : di questo risveglio dobbiamo esserne grati air egregio Autore, il quale vorrà al certo progredire nella via così bene incominciata, e togliere per quanto è possibile la lacuna anzidetta. Come lo indica il titolo della Memoria, essa ha per scopo la illustrazione di una fra le più interessanti e conosciute rocce massicce delle Alpi Occidentali, cioè della Sienite del Biellese detta anche volgarmente Granito della JBalma. Questa roccia è generalmente di struttura granulare, ma in taluni punti presenta un aspetto porfirico per il grande sviluppo dei cristalli di fel- dispato. Gli elementi mineralogici che la compongono sono : due qualità di feldispato, l’ uno bianco e V altro roseo, 1’ orneblenda di colore verde nerastro contenente cristallini di magnetite, e finalmente lo sfeno in cristallini color giallo di miele disseminati in quantità piccolissima nella roccia. La massa principale della Sienite è formata dai cristalli di ortosio i quali, esaminati al microscopio, appaiono contenere piccolissimi cristalli affatto tra- sparenti di apatite : non mancano però cristallini di oligoclasio, e nella varietà porfiroide si manifestano chiaramente senza ricor- rere ad ingrandimento. In conclusione questa Sienite consta es- senzialmente di ortosio e di orneblenda, e dalla relazione che passa fra la densità di questi minerali e quella della roccia, si gkinge al risultato che la Sienite del Biellese contiene 76,5 di ortosio e 23,5 di orneblenda. L’ analisi quantitativa di più campioni di sienite a struttura - 394 - uniforme, e quasi esclusivamente composti di ortosio e di orne- blenda, ha dato in media il seguente risultato : Silice 59,367 Acido fosforico ' 0,583 Acido titanico 0,260 Allumina 17,923 Sesquiossido di ferro . . . 2,021 Protossido di ferro 6,766 Calce 4,165 Magnesia 1,827 Potassa 6,678 Soda 1,237 Acqua ed acido carbonico. 0,380 101,207 Confrontando questa composizione con quella di altre sieniti conosciute, si ritrova che quella del Biellese rassomiglia moltis- simo alla sienite di Plauenscher-Grund nei dintorni di Dresda, analizzata da Zirkel, colla quale ha analoghi anche i caratteri fisici e chimici, nonché la composizione mineralogica. In gene- rale queste due sieniti differiscono dalle altre per P eccesso della potassa in confronto della soda. Speriamo di potere presto registrare altri lavori consimili deir egregio chimico di Torino. A. D’ Achiakdl — Coralli eocenici del Frkdi. — Pisa, 1875. In questo lavoro, pubblicato per cura della Società Toscana di Scienze Naturali, V egregio professore di Pisa offre ampia e dettagliata descrizione della fauna corallina raccolta dai profes- sori Taramelli e Pirona nei terreni eocenici del Friuli, e in parte fatta conoscere dal primo di essi nella sua Memoria Sitila for- mazione eocenica del Friuli (1869). Le specie descritte, in numero di 123 compreso una settantina di nuove, provengono da Eosazzo, Brazzano, Eussitz e Cormons ; tredici soltanto sono comuni alle quattro località, ma queste poche sono appunto quelle più frequenti nei singoli giacimenti. 395 — Volendo paragonare questa fauna madreporica con le altre ben conosciute, e segnatamente con quelle classiche delle due vicine provincie di Vicenza e Verona (piani di San Giovanni Ila- rionq e Ronca, di Crosara, di Castelgomberto), si hanno tutt’ al più 16 0 17 specie a comune coll’ ultimo (il più moderno ed il più ricco dei tre accennati), il che equivale al 13 7o del numero totale delle specie conosciute di Castelgomberto ; 8 a comune con Crosara, rappresentanti il 16 7o di quest’ ultima fauna: la pro- porzione cresce per Ronca dove, con 9 specie a comune, abbiamo una proporzione del 50 al 60 7o: e più ancora per San Giovanni Ilarione dove, con 30 specie a comune, abbiamo la proporzione del 60 7o ; proporzione che si mantiene ancora per Costalunga e Valle Organa, giaciture classiche di quello stesso orizzonte. Il rapporto si conserva assai elevato per la fauna di Palarea e Mortola presso Nizza, dove abbiamo a un dipresso il 50 7o • esso si fa invece piccolo per Dego, Sassello, Carcare e altre giaciture co- rallifere dell’Apennino ligure, e quasi nullo per la collina di Torino. Per le contrade straniere, troviamo che i terreni num- mulitici dell’ Indo, delle Corbières, del bacino di Parigi e d’ In- ghilterra presentano nelle loro madrepore fossili moltissima ana- logia coi nostri, segnatamente pei due primi. Il risultato di tali confronti è che il giacimento corallifero del Friuli trovasi racchiuso tra P eocene inferiore ed il superiore, ed appartiene di conseguenza all’ eocene medio : a questa impor- tante conclusione era già giunto il Taramelli in seguito allo studio degli altri fossili. Dall’ esame della fauna in sè stessa, nella quale predominano le specie della famiglia delle Astreide, si giunge allo stesso re- sultato circa r età del giacimento friulano : di maniera che, il terreno nummulitico di Palarea, dell’ Indo, dei Pirenei ; le brec- ciuole vulcaniche di San Giovanni Barione e Roncà; le marne di Valle Organa ; la calcaria grossolana inferiore del bacino di Pa- rigi, formano col giacimento in parola altrettanti brani di un unico piano geologico. Nella divisione delle famiglie, l’Autore di poco si stacca dai precetti di Milne Edwards ed Haime. La Memoria è corredata da 16 belle tavole, nelle quali sono accuratamente rappresentate le specie nuove. 396 — A. Bittner. — Die Brachyuren des Vicentinisclien Tertidrgehirges. Wien, 1875. Questa Memoria, annunziata nel nostro Bollettino fino dallo scorso giugno (Vedi N. 5 e 6, pag. 196), ha ora veduto la luce nel volume 34® delle Memorie della I. Accademia delle scienze in Vienna. La importanza e la novità dell’ argomento esigono che di tal libro si faccia un nuovo cenno in aggiunta a quanto fu detto precedentemente. Il presente lavoro segna un rilevantissimo progresso nella conoscenza dei Brachiuri terziari! del Vicentino dal punto al quale r aveva lasciata Reuss nel 1859.^ In esso l’Autore, giovandosi dei materiali esistenti nella collezione geologica della Università di Vienna, nelle collezioni dell’ I. e R. Museo mineralogico di Corte e dell’L e R. Istituto geologico, come pure nella colle- zione paleontologica della Università di Berlino, potè determinare non meno di 43 forme di Brachiuri del Vicentino, delle quali sol- tanto pochissime sono dubbie riguardo alla provenienza od alla determinazione loro. Le ricerche del dott. Bittner hanno con- dotto a dimostrare che la fauna vicentina dei Brachiuri è la più ricca di qualunque altra analoga del terziario antico dell’ Eu- ropa. Anche le ricche faune degli strati nummulitici del S.O. della Francia e delle argille di Londra, non reggono al confronto della fauna del terreno terziario vicentino fatta conoscere dal Bittner. Per la varietà e la novità delle forme incontrate, l’Autore si trovò nella necessità di stabilire cinque nuovi generi, i quali sono: 1. Hepatiscus ; una formala quale si ravvicina molto al genere Hepatus Latr. che abita di presente soltanto le coste del- r America meridionale. 2. Micromaja ; fondasi sopra una specie unica, M. tuherculata Bittn. e mostra analogia coi generi Maja, Paramithrax e Mithrax; nei rilievi però è differente da essi ed avvicinasi a questo riguardo al genere Hyas. La Micromaja tu- berculata Bittn. è anche degna di nota perchè costituisce la sola * Vedi Memorie della I. Accad. delle Scienze, Vienna 1859, voi. 17, pa- gine 1-90. — 397 specie della sua famiglia riconosciuta finora negli strati terziari. 3. Feriacantìiìis ; appartenente al gruppo degli Oxyrhynchi, ana- logo tanto ai Farthenopidi quanto ai Majacei. Esso mostra del resto una certa somiglianza coll’ Fhtrinome^ il quale genere pro- babilmente deve essere ritenuto per il suo rappresentante nei mari attuali. 4. Eumorphactea forma difficile a determinarsi e che si basa sopra un solo cefalotorace. 5. Falaeograpsus ; appartenente al gruppo dei Catametopi che tanto raramente si rinvennero fin qui negli strati terziari antichi, e propriamente ai Grapsidi, e molto simile ai generi Veruna M. Edw., Fseudograpsus M. Edw. c Grapsodes Heller ; mostra inoltre una certa analogia di forme coi generi Trapela e Tetralia appartenenti agli EripMdi. Le specie nuove descritte e quelle incompletamente conosciute dapprima, ed ora esattamente determinate, sommano in tutto a sedici, di cui sette appartenenti ai generi nuovi suindicati. NOTIZIE DIVERSE. Studii sulle rocce eruttive. — Il signor M. Lévy intrattenne l’Accademia delle Scienze di Parigi* con una sua memoria sopra i diversi modi di struttura delle rocce eruttive studiate al mi- croscopio. L’ autore ha passato in rivista le rocce eruttive di tutte le età, dal granito insino alle lave attuali. Queste rocce, secondo esso, si compongono tutte di cristalli rotti e corrosi, di cui la consolidazione, relativamente antica, sembra anteriore alla emer- sione della roccia, e di una pasta o magma cristallizzato che ingloba detti cristalli. Il signor Lévy colloca fra le rocce erut- tive acide quelle la cui pasta ha un tenore in silice superiore a quello dei feldispati acidi, albite o ortosio. La conclusione della Memoria è che la tessitura intima di queste rocce è una conse- * Ved. Comptes rendus, voi. Vili. Novembre 1875. — 398 — guenza immediata dello stato più o meno individualizzato della silice in eccesso che è contenuta nella loro pasta. Le relazioni che esistono fra le strutture diverse delle rocce eruttive acide e r età geologica di queste rocce, hanno condotto ad una con- clusione che Elie de Beaumont aveva già formulata a proposito delle emanazioni vulcaniche e metallifere : V attività chimica del globo ha diminuito durante le epoche geologiche. Le rocce hanno portato alBesterno dei dissolventi sempre di meno in meno ener- gici, e r effetto ne è stato di isolare di meno in meno la si- lice in eccesso nella loro pasta. Formazione contemporanea della pirite/ — Nella seduta dal 15 novembre 1875 della Accademia delle Scienze di Parigi il professor Daubrée citò nuovi esempii di formazione contem- poranea della pirite di ferro nelle sorgenti termali e nell’ acqua del mare. Quantunque la pirite di ferro trovisi assai sparsa nella crosta terrestre, al presente si arriva assai di rado a sorpren- dere questo minerale in via di formazione : fu tuttavia osservata in parecchie località, come a Bourbon-Lancy, Bourbon-!’ Archam- bault, Saint-Nectaire, Aix-la-Chapelle, ec. dove forma sottili ri- vestimenti sopra frammenti di rocce. A questi esempii di forma- zione contemporanea della pirite di ferro, il professor Daubrée aggiunse i seguenti : 1° Nel praticare una trivellazione presso la sorgente termale di Bourbonne-les-Bains, si estrassero piccoli ciot- toli e grani di quarzo rivestiti di pirite; fu trovata egualmente la pirite incrostante alcune selci tagliate dall’ uomo ; 2^" Nelle sorgenti termali di Hamman-Meskoutine, presso Costantina nel- PAlgeria, si trovarono delle pisoliti rivestite da pirite: nell’ in- terno di esse pisoliti si vedono dei filamenti gialli i quali altro non sono che pirite di ferro, e ciò dimostra che il deposito pi- ritoso non è solo superficiale; 3° Il terzo ed ultimo esempio ci- tato dal professor Daubrée non riguarda più 1’ azione delle sor- genti termali, ma bensì quella dell’ acqua marina mescolata coir acqua dolce. Questa pirite fu rinvenuta recentemente in In- ghilterra nell’ interno di un pezzo di legno della nave Osborne : essa forma, entro una fessura di questo legno, un rivestimento * Ved. Bollettino 1S75, N. 9 e 10, pag. 333. sottile dotato di bel colore giallo e di un vivo splendore metal- lico. Prima di essere adoperato, questo legno era stato a lungo immerso in una miscela di acqua marina e di acqua dolce. Mineralizzazione delle materie organiche. — Nella seduta del 29 novembre 1875 della stessa Accademia, il professore Daubrée fece una comunicazione sulla mineralizzazione subita da taluni avanzi organici, vegetali ed animali, nell’ acqua termale di Bourbonne-les-Bains. Gli avanzi vegetali trovati consistono in grossi pali che servivano di fondazione a un piccolo canale; gli avanzi animali consistono in corna di buoi. Queste diverse so- stanze organiche sono state mineralizzate, vale a dire sono state impregnate di un sale minerale e precisamente dal carbonato di calce. Questa mineralizzazione non presenta uniformità alcuna, in quanto che la impregnazione calcarea si è fatta assai irrego- larmente: in certe parti il calcare abbonda, mentre in altre manca assolutamente. Inoltre fu osservato che in vicinanza dei legnami calcarizzati non esiste alcuna incrostazione calcarea : e questo fatto è spiegato dal professor Daubrée coll’ idea di una spe- cie di selezione per la quale la materia lignea ha attratto e con- centrato nelle sue cellule il carbonato di calce. Questo intervento dell’ affinità capillare risulta anche chiaramente dal modo di mine- ralizzazione degli avanzi organici negli strati di tutte le epoche geologiche, e ad esempio dei legni silicizzati i quali, assai di frequente, non hanno alcun deposito siliceo in vicinanza. Nuovo animale fossile. — Nella stessa seduta (29 novembre) il professore A. Gaudry presentò una nota sopra alcuni indizii della esistenza di animali sdentati al principio dell’ epoca mio- cenica. Gli avanzi che l’autore ha esaminato pervengono dalle fosforiti dei dintorni di Caylus, e consistono in due pezzi : una prima falange ed una falange unghiale, le quali sembrano pro- venire dallo stesso dito. Il signor Gaudry colloca questo nuovo animale nel genere Ancylothermm, e gli dà per nome specifico quello di priscum. I fossili che sono stati trovati nello stesso giacimento fanno credere che l’ individuo in questione abbia vis- suto, sia all’ epoca del miocene inferiore (sabbie di Fontainebleau), sia nell’ ultima fase dell’ epoca eocenica (calcare della Brie). — 400 Nuovo metodo per la distinzione dei feidispati/ — Questo metodo, fondato sull’ esame delle proprietà ottiche dei cristalli, può essere applicato a tutti i feldispati ed offre un facile mezzo di distinzione dei medesimi: la sola difficoltà sta in ciò che è necessario di avere una sezione, sufficientemente sottile e tra- sparente, parallela al clivaggio principale, e levigata per modo da riescire omogenea in tutte le sue parti. Tali sezioni, ottenute da cristalli o masse lamellari di albite, oligoclasio, labradorite, e della pluralità dei microclini, offrono delle strisele emitropie, più 0 meno serrate fra di loro, disposte lungo il piano parallelo al secondo clivaggio ; nel caso dell’ ortoclasio e di un microclino nello stesso cristallo, si ottiene lo stesso effetto con due sezioni collocate in direzioni opposte. Le sezioni così ottenute sono collocate fra i due Nicol in- crociati di un microscopio di polarizzazione. Per l’ ortoclasio il massimo di estinzione si verifica allorché le due sezioni sono parallele al loro piano di contatto, trovan- dosi r angolo dei due piani di clivaggio nel piano di polarizza- zione del microscopio. In un feldispato microclino si osservano moltissime striscie parallele assai sottili : va distinto però il caso di un solo micro- clino, 0 di un microclino ed ortoclasio insieme. Nel primo caso la estinzione avrà luogo per un angolo di 30° 54' fra due striscie vicine, e nel secondo per 19° 27'. Per 1’ albite la estinzione fra due striscie si effettua sotto un angolo di 6° 32'. Per P oligoclasio, la estinzione è simultanea nelle due stri- scie, e se il piano di composizione coincide con quello di po- larizzazione del polariscopio, ciò indica che vi è struttura omo- genea. Per la labradorite si ottiene P estinzione sotto un angolo di 10° 24' fra le linee alternate delle lamelle emitropie. Da ciò segue che un piano normale al piano degli assi ta- ‘ Da una lettera del signor Descloizeaux : vedi American Journal, decem» ber 1875. — 401 — glia la base secondo una linea la quale fa colla linea di incontro dei due clivaggi principali gli angoli seguenti: Ortoclasio e microclino 0° Microclino 19® 27' Albite 3® 1 6' Labradorite 7® 12' Giacimenti ferriferi nella Scandinavia.* — Da poco tempo sono stati scoperti nella Norvegia giacimenti ferriferi che po- tranno esercitare una certa influenza sul commercio dei metalli, per la loro estensione, per la ubicazione ed il modo di giacimento. Essi trovansi nella provincia di Nordlanden ad 1 1 chilometri dal golfo di Skjerstad, accessibile a qualunque nave di profonda im- mersione, presso al paese di Bodd. Oltracciò la costruzione di una piccola strada verso il mare non offre alcuna rilevante dif- ficoltà, mentre i boschi estesissimi dei dintorni sembrano de- stinati appositamente a somministrare il combustibile per la fusione del minerale. Questo, diverso dai minerali magnetici svedesi, come pure da quelli manganesiferi e titaniferi, è ecce- zionalmente puro, se vi si eccettua una piccolissima quantità di fosforo. I giacimenti, affatto liberi da materie estranee, trovansi compresi fra due strati calcari e ricuoprono una superfice di 13,000 metri quadri. Le analisi eseguite darebbero un tenore in ferro del 60 7o- Si suppone che in quella località esistano estesissimi giacimenti non ancora riconosciuti, la cui ricchezza potrebbe dirsi inesauribile. Una Società svedese al principio della primavera imprenderà la escavazione del nuovo giacimento scoperto. Caduta di pietre meteoriche. — Da un rapporto del signor J. L. Smith di Louisville, rileviamo i dati seguenti sulla caduta di due pietre meteoriche negli Stati Uniti. La prima di queste pietre è caduta il 12 febbraio 1875 nello Stato di Jowa: il peso totale dei frammenti raccolti è di circa 150 chilogrammi. Questa meteorite appartiene alla varietà la più * Ved. Verhandl. d. k. k. geol. Reichs., VVien, 1875, N. 14. 27 — 402 — dura e si avvicina assai a quella che cadde a Aumale nell’ Al- gerla nell’ agosto 1865. L’ altra pietra è caduta il 14 maggio 1874 presso Castralia, contea di Nash, nella Carolina del Nord. Le esplosioni che ac- compagnarono la sua caduta diedero luogo a rumori che dura- rono per ben quattro minuti. L’ autore del rapporto crede che questa meteorite sia stata ridotta in una dozzina di frammenti. Essa appartiene alla varietà la più comune, con una crosta oscura che, a punti, non copre intieramente i campioni raccolti. AVVISO. Il dottor Francesco Coppi di Modena possiede una raccolta di fossili pliocenici e miocenici del Modenese ricca di più che mille specie, tutte classificate ed ordinate secondo il sistema di Woodward (ved. Manual of thè Moìlusca). Esso n^ mette in vendita delle collezioni parziali ai prezzi seguenti: Collezione di 20 specie (con relativa illustrazione) L. 20 Id. di 100 id 30 Id. di 200 id : . . . . » 70 Id. di 300 id » 120 Id. di 400 id » 250 Le spese di porto sono a carico dell’ acquisitore. È aperto F abbuonamento al BollottillO del B, Comitato Greologico pel 1876 alle condizioni solite: Interno L. 8, Estero L. 10. — Esso si pubblica in fa- scicoli bimestrali di 4 a 5 fogli di stampa, formanti un volume annuo di 400 pagine circa. Gli abbuonajfci rice- veranno gratuitamente la copertina ed il frontespizio del volume. Per le commissioni rivolgersi alla Direzione in Boma, Biazza San Pietro in Vincoli, N. 5. La Direzione. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1875 (Volume Sesto). NOTE GEOLOGICHE. C. De Stefani. — Dei depositi alluvionali e della mancanza di terreni glaciali nell’ Apennino della valle del Sarchio e nelle Alpi Apuane . . Pag. 3 G. Seguenza. — Studii stratigrafìci sulla Formazione pliocenica del- l’Italia Meridionale (continuazione) 18 C. De Stefani. — Considerazioni stratigrafìche sopra le rocce più an- tiche delle Alpi Apuane e Monte Pisano (continuazióne). . ... 31 T. Fuchs. — Sulla relazione di un viaggio geologico in Italia .... 46 G. Capellini. — Strati a Congeria, formazione Oeninghiana e piano del calcare del Leitha nei Monti Livornesi 49 G. Stadie. — Le formazioni paleozoiche nelle Alpi Meridionali .... 52 Idem. — La formazione permiana nelle Alpi Meridionali 55 TJ, Botti. — Sulle rocce impastate entro al Serpentino 67 G. De Stefani. — Considerazioni stratigrafìche sopra le rocce più an- tiche delle Alpi Apuane e del Monte Pisano (continuaz. e fìne). 73 G. Seguenza. — Studii stratigrafìci sulla Formazione pliocenica del- l’ Italia Meridionale (continuazione) 82 Idem. — Sulla relazione di un viaggio geologico in Italia di T. Fuchs. 89 31. Neumayr. — Sulla formazione della Terra Bassa 97 P. Strabei. — Notizie preliminari su le Balenoptere fossili subappen- nine del Museo parmense 131 B. Lotti. — Scoperta di strati nummulitici presso Prata e Gerfalco in prlvincia di Grosseto 140 G. Seguenza. — Studii stratigrafìci sulla Formazione pliocenica del- r Italia Meridionale (continuazione) . 145 C. Doelter. — Cenni sopra la costituzione geologica delle Isole Ponza. 154 E. Suess. — Il vulcano Venda presso Padova. 162 B. Ludwig. — Appunti geologici sull’Italia 165 C. De Stefani. — Un brano di storia della geologia toscana, a pro- posito di una recente pubblicazione del signor Coquand .... 180 ~ 404 G. Seguenza. — Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica dei- fi Italia Meridionale (continuazione) Pag. 203 C. De Stefani. — Delfi epoca geologica dei marmi dell’ Italia Centrale. 212 B. Lotti. — Il terreno nummulitic9 nel versante orientale della Cor- nata di Gerfalco 227 F. Coppi. — Brevi note sulle Salse modenesi 231 Tli. Fiiclis. — Sulla relazione di un viaggio geologico in Italia. . . 237 G. Capellini. — Calcare a Amphistegina, strati a Congeria e calcare di Leitha dei Monti Livornesi 241 Th. Fuchs. — I membri delle formazioni terziarie nel versante set- tentrionale dell’ Apennino fra Ancona e Bologna 245 Idem. — Sulla formazione della Terra Rossa 259 G. Seguenza. — Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica del- l’Italia Meridionale (continuazione) 275 E. Stòhr. — Notizie preliminari su le piante ed insetti fossili della formazione solfifera della Sicilia. 2S4 Th. Fuchs e Al. Bittner. — Le formazioni plioceniche di Siracusa e di Lentini 288 E. V. Mojsisovics. — Il territorio di Zoldo e di Agordo nelle Alpi Venete 294 B. Hórnes. — Ricerche nella valle superiore del Rienz e nei dintorni di Cortina d’Ampezzo 296 P. Zezi. — I caolini e le argille refrattarie in Italia 299 G. Seguenza. — Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica dei- fi Italia Meridionale (continuazione) 339 B. Gastaldi. — Sui fossili del calcare dolomitico del Chaberton (Alpi Cozie) studiati da C. Michelotti 346 G. Seguenza. — Sulla relazione di un viaggio geologico in Italia per T. Fuchs 356 A. Manzoni. — Intorno alle ultime pubblicazioni del professor Ponzi sui terreni pliocenici delle Colline di Roma, e specialmente in- torno ad una così detta Fauna Vaticana 368 B. Studer. — I Porfidi del Lago di Lugano 372 B. Hórnes. — Rilievi geologici nel territorio di Sexten, nel Cadore e nel Comelico (Alpi venete) ; 378 G. Tschermdk. — La formazione delle meteoriti e il vulcanismo. . . . 381 NOTE MINERALOGICHE. E. Marchese. — Scoperta di minerali d’ argento in Sardegna 100 A. De Lasaulx. — Un nuovo giacimento di Allumite 106 NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. Jules Brunfaut. — De l’exploitation des soufres. — Paris 1874 57 Ed. Suess. — Dìe Erdbeben des sudlichen Italien ~Wien 1874 ... Ili 405 ~ L. Bomhicci. — Corso di Mineralogia, 2® edizione variata ed accre- sciuta ; voi. IL — ^ Bologna 1875 263 G. Capellini, — Considerazioni sui Cetoterii bolognesi, con due ta- vole. — Bologna 1875 267 0. Heer. — Flora fossilis arctica ; voi. III. • — Zurich 1875 268 A. Manzoni. — I Briozoi del pliocene antico di Castrocaro. — Bolo- gna 1875 321 G. vom BatJi. — I Monzoni nella parte S.E. del Tirolo. — Bonn 1875. 322 E. von Mojsisovics. — Sull’ estensione e la struttura delle masse do- lomiticbe nel S.E. del Tirolo. — Wien 1875 324 E. Stòhr. — Katechismus der Bergbaukunde. — Wien 1875 325 J. Dana. — Manual of Geology, second edition. — New-York 1875. . 327 A. Cassa. — Ricerche di chimica mineralogica sulla Sienite del Biel- lese. — Torino 1875 393 A. B’ AcMardi. — Coralli eocenici del Friuli. — Pisa 1875 394 A. JBittner. — Die Brachyuren des vicentinischen Tertiàrgebirges. — Wien 1875 396 NOTIZIE DIVERSE. Cenno necrologico. — ■ G. B. G. D’Omalius D’Halloy. . 59 Terremoti presso l’Etna dal 7 al 20 gennaio 1875 113 Analisi della meteorite di Orvinio 115 Studii sui terreni terziari d’Italia 117 Giacimenti boraciferi nell’America Settentrionale 118 Cenno necrologico. — Sir Carlo Lyell 120 Carta topografica d’Italia 193 Pseudomorfismo del serpentino 195 Studii paleontologici nel Vicentino 196 Eruzioni di ceneri tridimitiche 197 Giacimento di zaffiri e rubini con corindone ivi L’ Altaite 198 Necrologia. — G. P. Deshayes ivi Le ultime eruzioni vulcaniche nell’ Islanda 328 Ricerche geologiche nel mezzodì della Spagna 331 Le piriti in Francia 332 Formazione contemporanea dei minerali 333 Minerali tellurici del Chili 334 Studii sui terremoti ivi Studii sulle rocce eruttive 397 Formazione contemporanea della pirite 398 Mineralizzazione delle sostanze organiche 399 Nuovo animale fossile ivi Nuovo metodo per la distinzione dei feldispati 400 Giacimenti ferriferi della Scandinavia 401 Caduta di pietre meteoiiche ivi — 406 — A. D’ Achtaedi. — Bibliografia mineralogica, geologica e paleontologica della Toscana Pag. 60 Idem . Idem (continuazione e fine) . 121 Dichiarazione 126 Avviso . . . ivi Idem 270 Idem 334 Idem. — Fossili pliocenici e miocenici del Modenese 402 ' TAVOLE ED INCISIONI. Sezione presa nei dintorni di Pontremoli 71 Sezione del Monte la Guardia nell’ Isola Ponza 159 Tavola che accompagna la nota del prof. Gastaldi sui fossili del Chaberton 355 Sezione del pliocene antico nella valle di San Nicandro presso Messina 361 Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1875 403 (Continuazione.) Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’Italia. — Volume II, Parte F; Firenze 1873. — 272 pa- gine in-4° con 11 tavole, due Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione, — Monografia geologica dell’ Isola d’ Ischia, con la Carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel testo, del professor C. W. C. Fuchs. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvetica, con una Carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’ in- gegnere F. Giordano. — Appendice alla Memoria sulla for- mazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, con una tavola, deir ingegnere S. Mottura. — Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifonostomi) ; fascicolo 2®, con otto tavole, di C. D’ Ancona. Prezzo del Voi. II® (Parte F), Lire 25. Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000, di F. Giordano. — Un foglio in cro- molitografia L. 5. — Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala dì 1 per 25,000 di C. W. C. Fuchs. — Un foglio in cromolitografia L.3. — Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’ Italia. — Voi. II, Parte 2^; Firenze 1874. — 68 pag. in 4“ con due tavole. — Contiene la seguente Memoria : B. Ga- staldi, Studii geologici sulle Alpi Occidentali ; Parte 2^. Prezzo del Voi. IF (Parte 2^), Lire 5. Per le commissioni dirigersi al Segretario del R. Co- mitato Q-eologico, in Roma, Piazza San Pietro in Vincoli, N. 5. Annunzi di pubblicazioni. G. Sequenza. — Studi paleontologici sulla fauna malacologica dei sedi- menti pliocenici depositatisi a grandi profondità. — (Bollettino della Soc. malacologica ital., voi. I, fase. 2.) — Pisa 1875; pag. 26 in-S®. G. Struver. — Sulla Gastaldite, nuovo minerale del gruppo dei bisili- cati anidri. — Roma 1875 ; pag. 5 in-4®. B. Gastaldi. — Cenni sulla giacitura del Cervus euryceros. — Roma 1875; pag. 6 in-4° con una tavola. T. Taramelli. — Dei terreni morenici ed alluvionali del Friuli. — Udine 1875 (Annali scientifici del R. Istituto Tecnico di Udine, anno Vili); pag. 100 in-8® con 2 tavole. A. Manzoni, — I briozoi del pliocene antico di Castrocaro. — Bologna 1875 ; pag. 64, in-4° con sette tavole. G. Meneghini. — Nuove specie di Phylloceras e di Lytoceras del liasse superiore d’Italia. — (Atti della Società Toscana di Scienze Natu- rali, voi. I, fase. 2®.) Pisa 1875, pag. 6 in-8°. Ch. Ledoux. — Mémoires sur les miiies de soufre de Sicile. — (Annales des Mines, serie VII, tome 7, livr. 1.) — Paris 1875, pag. 84 in-8® avec deux pìanches. G. Ponzi. — Cronaca subapennina o abbozzo d’ un quadro generale del periodo glaciale. — (Atti dell’ XI Congresso degli Scienziati.) — Roma 1875 ; pag. 81 in-4°. — Dei Monti Mario e Vaticano e del loro sollevamento.— (Atti della R. Accademia dei Lincei, serie 2% tomo IL)— Roma 1875 ; pag. 14 in-4° con 2 tavole. E. Paglia. — Nota geologica sopra i terreni, specialmente terziari, nelle adiacenze del bacino del Garda. — (Atti della Società Veneto- Trentina di Se. Nat., ottobre 1875.) — Padova 1875 ; pag. 12 in-8°. A. Ferretti. — Periodo glaciale subapennino od epoca prima dell’era neozoica. — (Idem.) — Padova 1875; pag. 16 in-8°. — Pliocene subapennino od ultimo periodo dell’ èra cenozoica. — (Idem.) — Padova 1875 ; pag. 16 in-8®. A. CossA. — Ricerche di chimica mineralogica sulla Sienite del Biel- lese. — Torino 1875; pag. 33 in-4°. S. CiOFALO. — Cenni sul terreno nummulitico dei dintorni di Termini- Imerese. — (Ann. della Soc. dei Naturai, di Modena, serie 2^ anno IX, fase. 3 e 4.) — Modena 1875; pag. 4 in-8®. A. Ferretti. — Stazioni preistoriche in San Ruffino e Jano, provincia di Reggio-Emilia. — (Idem.) — Id., pag. 3 in-8‘^. F. Molon. — Fossili quaternari del Monte Zoppega in San Lorenzo di San Bonifazio di Verona. — (Atti del R. Istituto Veneto, serie 5^, tomo I, disp. 10.) — Venezia 1875; pag. 22 in-8'" con due tavole. F. SoRDELLi. — La fauna marina di Cassina Rizzardi. — (Atti della Soc. It. di Se. Nat., voi. XVIII, fase. 3.) — Milano 1875. (Continua.) A. D’Achiardi. — Coralli eocenici del Friuli. — Pisa 1875 ; pag. 100 in-8° con sedici tavole. C. De Stefani. — Descrizione delle nuove specie di molluschi pliocenici raccolti nei dintorni di San Miniato al Tedesco. — Pisa 1875 ; pag. 6 in-8° con una tavola. P. Mantovani. — Sulla formazione geologica delle colline presso An- cona. — Roma 1875 ; pag. 24 in-8® con una tavola. I %