BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. 1878. - Anno IX. 1878. — Anno IX. BOLLETTINO f DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Volume Nono.. N. 1 a 12. ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1878. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° I e 2. Gennaio e Febbraio 1878. ROMA, >#■*«« **• TIPOGRAFIA BARBÈRA. 18-78. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. 1°. — Bollettino. — Si pubblica regolarmente in fascicoli bime- strali di 5 o più fogli di stampa ciascuno, formanti un vo- lume annuo di 500 e più pagine, con tavole ed incisioni in- tercalate nel testo. Il prezzo dell’ abbuonamento annuo è di L. 8 per V interno e di L. 10 per l’estero. Gli abbuonati ricevono gratuitamente la copertina ed il frontespizio del volume. — Ad annata compiuta i volumi annuali rilegati si vendono al prezzo di L. 10. — I fascicoli separati si vendono al prezzo di L. 2 ciascuno. — La serie incomincia coll’anno 1870. II0. — Memorie per servire alla descrizione della Carta Geo- logica d? Italia. — Pubblicazione di gran formato corre- data da tavole, Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Volume I; Firenze 1871. — Introduzione — Studii geo- logici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui minerali delle valli eli Lanzo, di G. Strùver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con quattro tavole. — Descri- zione geologica delV Isola di Elba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica ita- liana (Parte Ia, Gasteropodi sifonostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo 1°, con sette tavole. — Prezzo Lire 35. Volume II, Parte la; Firenze 1873. — Introduzione. — Monografia geologica dell Isola cV Ischia, di C. W. C. Fuchs, con Carta geologica e incisioni nel testo. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attra- versata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo -Elvetica, di F. Giordano, con Carta geologica e due tavole di Sezioni. — Appendice alla Memoria sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con una tavola. — Malacologia pliocenica italiana (Parte Ia, Gasteropodi sifono- stomi), di C. D’ Ancona, fascicolo 2°, con otto tavole. — Prezzo Lire 25. Volume II, Parte 2a; Firenze 1874. — Studii geologici siile Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, Parte 2a, con due tavole. — Prezzo Lire 5. Volume III, Parte la; Roma 1876. — Il gruppo vulca- nico delle Isole Ponza, monografia geologica di C. Doelter, con tre tavole e una Carta geologica. — Geologia del Monte Pisano, di C. De Stefani, con una tavola. — Prezzo Lire IO. ( Continua. ) BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. JV° 1 e ì. — Gennaio e Febbraio 1878. SOMMARIO. Cenno intorno ai lavori del Comitato Geologico nel 1877. Note geologiche. — I. Sul pliocene dei dintorni di Chianciano (Toscana), per D. P ant anelli. — II. Sulle serpentine e sui' graniti eocenici superiori dell’alta Garfagnana, per C. De Stefani. — III. Una sezione geologica attra- verso il Monte di Murlo presso Siena, a proposito dell’epoca delle serpentine dell’Italia centrale, per B. Lotti. — IV. I Monti della Tolta e la regione cir- costante, per G. Ponzi. Note mineralogiche. — Di alcune prehniti della Toscana, per A. Corsi. Notizie bibliografiche. — L. Bombicci, Contribuzioni di mineralogia ita- liana ; Bologna, 1877. — C. Marinoni, Contribuzioni alla geologia del Friuli; Venezia, 1877. — W. Dames, Die Echinid.en der vicentinischen und vero- nesischen -Terticirablagerun gen ; Cassel, 1877. Tavole ed incisioni. — Sezione geologica attraverso il Monte Murlo, a.pag. 31. — Figure di cristalli, a pag. 57 e 66. CENNO INTORNO AI LAVORI DEL COMITATO GEOLOGICO NEL 1877. Nell’ anno 1877 si è verificato un importante progresso nel lavoro per la Carta geologica cT Italia ; si può dire che in esso si è potuto finalmente organizzare un primo nucleo di ingegneri rilevatori, e dare principio al lavoro regolare della carta in grande scala, mentre negli anni precedenti, per mancanza di personale adatto e di sufficienti mezzi finanziarii non fu possi- bile eseguire altro che studii preparatorii. Già fino dal 1875 alcuni degli ingegneri inviati agli studii all’ estero nel 1873, erano ritornati pronti a prendere servizio nella sezione geologica del Corpo delle miniere cui erano destinati : per poterli collocare in posto, era però necessario un ampliamento di pianta nel per- sonale di esso Corpo, e dall’Ispettore Capo delle Miniere fu t( — 4 — proposta tale modificazione per la quale, senza aumento di spesa sul totale, si facevano disponibili quattro posti per questa parte del servizio. Ma non essendosi allora il Ministero deciso ad adottare tale misura, e in causa altresì di sopravvenute cir- costanze sfavorevoli, trascorse buona parte del 1876 senza che si fosse presa alcuna determinazione in proposito. Per siffatti ritardi dell’ amministrazione, il giovine personale già pronto a mettersi in campagna rimase disoccupato per quasi un anno. Nel settembre 1876, vedendo quale grave danno provenisse da questo stato di cose, lo stesso Ispettore redigeva un rapporto al Ministero, nel quale sollecitava le occorrenti misure affinchè P Ufficio geologico potesse una volta accingersi al suo compito : in conseguenza di tale rapporto venivano date finalmente le op- portune disposizioni, e si provvedeva negli ultimi mesi dell’ anno alla nomina nel R. Corpo dei quattro allievi ingegneri tornati dagli studii all’ estero, e di questi tre vennero immediatamente applicati ai lavori geologici. Rimanevano poi ancora a terminare i loro studii all’ estero altri tre allievi, i quali ritornati in patria verso la fine del 1877 vennero, ad eccezione di uno che non credette di accettare V incarico, impiegati a formare coi loro primi colleglli ed alcun altro ingegnere del Corpo più adatto alla specialità, il nucleo della Sezione degli ingegneri geologi. Alla medesima epoca poi si mandavano all5 estero altri tre gio- vani ingegneri di fresco usciti dalle Scuole di applicazione del Regno, e sperasi che anche questi possano col tempo entrare a far parte della anzidetta Sezione. Come fu detto in altra occa- sione, gli allievi vengono mandati dapprima ad una delle due scuole minerarie di Parigi o di Liegi dove compiono i loro studii pratici, e passano dopo in Inghilterra dove per qualche tempo si esercitano nei rilevamenti geologici sotto la direzione della G-eological Survey di Londra. Cfol personale reso così disponibile si incominciò dal costi- tuire un primo nucleo di operatori in Caltanissetta, per mezzo dei due nuovi ingegneri Baldacci e Mazzetti sotto la direzione dell’ ingegnere Toso già addetto al servizio minerario in Sicilia, e ad esso fu dato P incarico di incominciare il rilevamento geo- logico regolare della zona solfifera: a quei due fu poi aggiunto alla fine del 1877 V ingegnere Travaglia ritornato in quell’ epoca — 5 — dagli stuclii all’ estero. La carta che servì al lavoro è quella alla scala del 50,000 da tempo rilevata dal nostro Istituto topogra- fico militare ; però gli studii sul terreno vengono fatti con carte al 25,000 ottenute per ingrandimento fotografico dallo stesso Istituto. Nel corso dell’ anno quel gruppo di geologi potè rile- vare intieramente i tre fogli di Girgenti, di Caltanissetta e di Piazza Armerina, formanti nel complesso una zona rettangolare dell’ altezza di chil. 24, 5 e della larghezza di 105, con una su- perficie quindi di chil. quadrati 2572, 50. Questi fogli, insieme con qualche altro che si spera di rilevare nei primi mesi del 1878, dovranno figurare nella prossima Esposizione internazionale di Parigi. Contemporaneamente furono tracciate numerose sezioni nelle località più interessanti, e fu formata una triplice colle- zione di rocce e fossili, un esemplare della quale dovrà essere conservato nell’ ufficio centrale a corredo di ciascun foglio della carta. Il lavoro della carta regolare in grande scala fu adunque effettivamente incominciato col rilevamento della formazione sol- fifera di Sicilia; di una regione, cioè, che interessa altamente V industria nazionale, prendendo per centro Caltanissetta che è sede già del Distretto e dell’ Istituto minerario di quell’ isola. A misura che si potrà disporre di altro personale si andrà al- largando il circolo d’ operazione di quel gruppo, estendendolo a poco a poco al rimanente dell’ isola. Altri punti esistono in Italia egualmente ricchi di produzione mineraria, e di cui converrebbe pure iniziare la carta geologica dettagliata, e fra questi la re- gione metallifera dei dintorni di Iglesias in Sardegna ed il gruppo delle Alpi Apuane, da cui si estrae la massima parte dei pre- giati marmi carraresi, che alimentano le nostre arti ed una vi- stosa esportazione all’ estero. Ma per queste, come per molte altre regioni, sussiste ancora la difficoltà della mancanza di buone carte topografiche, le quali anzi per tali paesi industriali andrebbero rilevate a scala maggiore di quella ordinaria del 50,000. Ciò non pertanto un lavoro di dettaglio fu iniziato nei dintorni di Iglesias dagli ingegneri addetti a quel Distretto minerario, ai quali fu aggiunto l’ingegnere Deferrari ritornato nel 1876 dagli studii geologici all’ estero, ed entrato nel Corpo contem- poraneamente ai due sovraccennati. Trattandosi di un rileva- - 6 - mento molto dettagliato si è dovuto incominciare a fare la carta topografica al 10,000, per poi eseguire il rilevamento di una carta litologico -mineraria della regione siluriana metallifera del S.O. della Sardegna, con riguardo speciale alle acque sotterranee che cominciano ad infestare quelle miniere. Siffatto lavoro era già bene avanzato verso la fine dell’ anno, e si conta di ultimarlo nei primi mesi del 1878, e in tempo per la Esposizione di Pa- rigi. In quanto alle Alpi Apuane furono intavolate col Ministero della Guerra le pratiche opportune a che V Istituto topografico avesse a sollecitarne il rilevamento, nella scala del 25,000 per la parte centrale maggiormente interessante V industria marmorea, e in quella del 50,000 pel rimanente. Le pratiche iniziate sor- tirono esito felice, e si spera di avere fra non molto quelle carte in grande scala e di potere fare delle Alpi Apuane un secondo centro di rilevamento. Benché tutti gli sforzi fossero diretti al buon avviamento del lavoro regolare in Sicilia, pure non furono trascurati 1 rileva- menti staccati che erano già in corso nell’ anno precedente ; anzi i medesimi diedero risultati abbastanza soddisfacenti. Quantun- que questi lavori possono dirsi solo preparatorii, pure sono da considerarsi come utili materiali per il lavoro definitivo dell’ av- venire, e come tali sono acconsentiti dal R. Decreto di costi- tuzione dell’Ufficio geologico. Siffatti lavori sono limitati a due regioni, e cioè, alle x\lpi piemontesi per opera del professore Gastaldi coadiuvato dai professori Baretti e Bruno, e alla Toscana centrale per opera dei signori De Stefani e Lotti sotto la direzione del prof. Meneghini : i rilevatori si valgono per la prima regione della antica carta dello Stato Maggiore sardo al 50,000, e per la seconda della carta dello Stato Maggiore austriaco all’ 86400. Nel 1877 il rilevamento delle Alpi Occidentali proseguì con la solita regolarità, per modo che alla fine dell’anno la carta, in- cominciata al Nord, raggiungeva verso Sud l’ altezza di Mondovì, con poche lacune intermedie, fra cui maggiore quella del Monte Bianco. In Toscana poi il dottor Lotti poteva completare il foglio di Massa Marittima che si estende da Follonica sin verso la valle della Cecina, ed il dottor De Stefani rilevava per intiero il fo- glio di Livorno -Volterra, che succede immediatamente al prece- dente e si congiunge coi fogli già rilevati di Pisa-Lucca e di — 7 — Siena. Tanto V uno che V altro corredarono i nuovi fogli di se- zioni geologiche e di una sufficiente raccolta di rocce. Un altro lavoro staccato e, può dirsi, di semplice occasione, fu quello eseguito dal prof. Seguenza coir aiuto di uno degli ingegneri geologi di Caltanissetta nei dintorni dello stretto di Messina, sotto il punto di vista del progettato passaggio ferro- viario sottomarino fra il continente e la Sicilia. Ne risultò un foglio di carta geologica al 25,000 comprendente la punta del Faro e i dintorni di Messina, non che buon tratto della costa di Calabria : alla carta vanno unite alcune sezioni tracciate attra- verso lo stretto e una piccola collezione di rocce. In vista della prossima Esposizione di Parigi, V Ufficio geo- logico doveva occuparsi di redigere una carta generale d’ Italia nella scala del 600,000, nella quale fossero riassunti gli studi fatti finora. Una carta consimile era stata compilata sino dal 1867 dal prof. Cocchi ; ma oltreché in essa si era dovuto omettere completamente la parte più meridionale della penisola e la Si- cilia, era da considerarsi che coi nuovi lavori fatti nel decennio decorso molte parti si potevano migliorare d’ assai. Era però urgente di provvedere a che fossero colmate lacune grandissime in località dove non si era fatto ancora veruno studio nemmeno preliminare, e ciò sovrattutto nelle provincie meridionali. Volendo adunque presentare simile carta generale in stato alquanto più completo, fu in primo luogo necessario di raccogliere quegli studi che sono ancora inediti, e pel rimanente si dovette fare proce- dere a qualche ricognizione di massima per quelle regioni, per le quali non esisteva documento di sorta, e tanto che bastasse ad indicare almeno sulla carta il contorno delle principali masse montuose che * formano V ossatura di quelle provincie. Per tale oggetto si conveniva col prof. De Giorgi di Lecce, che il mede- simo rilevasse sommariamente tutta la regione della Basilicata dal Golfo di Taranto al Vulture, e col prof. Lovisato di Catan- zaro convenivasi lo stesso per la regione calabrese da questa città verso il nord sino all’ altezza di Castr'ovillari. Questi due geologi lavorarono con molto zelo, ed in tempo relativamente breve poterono presentare le carte sommarie di quelle vaste re- gioni, riservandosi di. fornire più tardi dei lavori più dettagliati e muniti di testo descrittivo. Con siffatti materiali e con altri — 8 - che sperasi di poter raccogliere nel seguito, è a credere che tale abbozzo di carta generale potrà essere presentato all’ Esposizione se non del tutto completo, almeno privo delle grandi lacune che abbiamo segnalato. Per la stessa circostanza della Esposizione, fu intrapreso il colorimento geologico del rilievo in rame del Monte Etna ese- guito nell’Istituto topografico militare di Firenze; la scala ne è del 50,000 per le orizzontali, e del 25,000 per le verticali, ed il tutto forma un quadro di lm,13 per 0m,84. Fu presa a base del lavoro la bella carta del Waltershausen, con l’aggiunta delle modificazioni più recenti avvenute nella costituzione del vulcano. La stessa operazione si sarebbe potuta fare pel Vesu- vio, se V Istituto avesse provveduto in tempo all’ esecuzione del rilievo. Infine, fra i lavori eseguiti nell’ anno e in qualche modo aiutati dal Comitato Geologico, va annoverata la carta geologica della Liguria centrale del prof. Mayer di Zurigo, comprendente i fogli di Genova, Roccaverano, Asti ed Acqui della carta dello Stato Maggiore sardo al 50,000. Tutti questi lavori accessorii occasionati dalla Esposizione pa- rigina arrecarono per certo qualche onere finanziario all’Ufficio geologico, il quale fu costretto di provvedere coi limitati mezzi di cui dispone. Era tuttavia necessario al Comitato il fare in modo da riuscire bene rappresentato in tale circostanza, tanto più che non avendo potuto por mano in tempo al lavoro prin- cipale della gran carta, non si potranno per ora presentare di quest’ ultima altro che pochi fogli. Le collezioni geologiche e paleontologiche del Comitato eb- bero in quest’anno qualche incremento per i campioni mandati dai singoli operatori a corredo dei loro lavori ; e fra questi giova citare il Lovisato che mandò una bella raccolta di rocce del gruppo della Sila in Calabria, ricca di più che 600 campioni diversi. Le collezioni finora formate di rocce e di fossili rag- giungono il numero di 12 a 13,000 esemplari, oltre a 4000 pezzi circa di campioni di materiali edilizii in gran formato, e tuttodì si vanno accrescendo e classificando. Oltre a ciò l’Ufficio pos- siede una biblioteca speciale che va aumentando per i continuati scambi di pubblicazioni con altri istituti ; vi si può calcolare a — 9 — più die 2000 il numero dei volumi, e a 200 circa quello delle carte. Nel 1877 non fu fatta altra pubblicazione che quella del Bollettino , il quale incominciato coll’ anno 1870, è ora al suo nono anno di esistenza. La continuazione delle Memorie, rimaste alla parte prima del volume terzo, fu rimandata ad epoca mi* gliore, quando cioè il Comitato potrà disporre di un maggiore assegno, dovendosi per ora consacrare la maggior parte della somma disponibile ai lavori di campagna. La somma totale spesa nel 1877 per lavori geologici fu di circa L. 25,000 distribuita come segue : Stipendii ed indennità al personale dell’ ufficio centrale 1 L. 4,520 Indennità per lavori di campagna .10,950 Stampa del Bollettino 2,062 Provvista di carte e libri per la Biblioteca . . 1,205 Spese di cancelleria e ingrandimento di carte. 1,783 Spese d’ ufficio e postali ; manutenzione del locale, mobili, ec 1,593 Varie 1,048 Spese relative alla raccolta dei materiali da costruzione 2,211 Totale . . . L. 25,372 Per P anno corrente il Comitato geologico potè avere un au- mento di assegno, e si spera di potere accrescere il personale operatore in campagna e di provvedere V Ufficio dei più neces- sari istrumenti scientifici e delle scaffalature occorrenti per le collezioni e per la biblioteca. P. Z. 1 Conviene notare che questa cifra non comprende gli stipendi nè degli in- gegneri geologi propriamente detti, nè del direttore dell’ Ufficio geologico e segretario del Comitato, essendo essi inscritti nel bilancio del Corpo delle Miniere. 10 — NOTE GEOLOGICHE. I. Sul pliocene dei dintorni di CJiicmciano ( Toscana ), nota del dott. Dante Pantanelli. Tra tutti coloro che si sono occupati di Chianciano allo scopo ) - — Fratturate o mosse. Miocene sup. 4. Marne subapennine inferiori . . . Ricca fauna. Pliocene inf. 5. Calcarie del Macco . id. » ' medio. 6. Marne turchine id. » sup. . 7. Sabbie gialle id. Diluviale . . 8. Ghiaie e sabbie marine Resti di elefanti. Glaciale. . . 9. Tufi vulcanici Vegetali. C) — Orizzontali. f 10. Sabbie ferruginose marine .... Fossili quaternari. Alluvionale! 11. Breccie fluviali Numerose ossa. * 12. Travertini Fossili d’ acqua dolce. Moderno . . 13. Depositi in via di formazione . . Fossili viventi. IL — Rocce ignee. 14. Trachite. 15. Limonite, magnetite, oligisto. 16. Lave vulcaniche. 17. Zolfo. 18. Acido carbonico. III. — Rocce metamorfiche. A) — Fruttive. 19. Caolino. 20. Ocre. 21. Allumite. B) — Sedimentarie. 22. Calcarie cristalline. 23. Gessi. - 47 — Gruppo della Tqlfa. — Abbiamo fatto conoscere che il gruppo delle prominenze tolfetane si compone di un gran nocciolo di trachite, cinto dalle assise nettuniane dei tempi eocenici, rad- drizzate e fatte prominenti dal sollevamento di quella stessa massa. Abbiamo altresì rifèrito che quello non fu il solo sbocco delle materie emanate dalla terra, ma che altri di minor conto compariscono sotto forma di mammelloni isolati a distanze di- verse, per indicare che la eruzione non si limitò al centro tol- fetano, ma si diffuse ad occupare una gran parte della Tuscia romana. Moltissimi sono tali rilievi, di varia grandezza ed ele- vazione; però non tutti compariscono, perchè i più bassi furono in seguito ricoperti e nascosti dalle deposizioni subapennine di più recente data. Quelli che ci son dati a citare nell’ area eruttiva centrale, sono i seguenti : Il monte dell’ Elceto ; del Faggeto ; di Cibona ; la Eocca della Tolfa ; la Tolficciola ; il Poggio della Ca- panna ; il Monte del Pagano ; il Monte Casalavio ; la Parentina ; il Monte delle Grazie ; Monte Rovello ; Poggio delle Buffale ; Monte del Castelletto ; Monte Cozzone ; Monte di Sant’Angelo, e forse altri sfuggiti alle osservazioni. L’ ingente quantità di ferro che si rinviene sui monti della Tolfa, può riferirsi alla grande eruzione trachitica che sollevò quel gruppo di prominenze. Esso si presenta sotto forma eruttiva associata e compresa nel seno di calcarie cristalline, che circon- dano la gran massa eruttiva centrale e dove si dirama in grossi filoni di contatto. Se dal villaggio di Allumiere si prenda la via delle vecchie cave, una serie di giganteschi squarci a pareti verticali aperti nelle rocce trachitiche si vedranno succedere, sui quali si notano molti e grossi filoni di pietra alluminosa. Tali sono la cava delle Grazie, quella della Paura, la Cavetta, la Cavagrande, la Gre- goriana, ec. Dall’ altra parte, ossia sulle prominenze che sovra- stano la strada che conduce alla Tolfa, tante altre cave si rin- vengono dirette al medesimo scopo. Fra queste è la Gangalandi o Cavaccia, fàmosa per la sua ampiezza, lungo la quale quattro grossi filoni per molti anni alimentarono la lavorazione, dai quali si diramano bracci minori, che si sieguono oltre la trachite at- traverso le rocce metamorfiche sovraincombenti. Una vasta area circoscritta da Fontana Inversa, la Tolfaccia, 48 — la Tolficciola, e dalle prominenze che corrono fra la Tolfa e le Allumiere, comprendente i Poggi della Stella, richiama a prefe- renza P attenzione del geologo non meno che del mineralogo, siccome un centro di vasto metamorfismo. Quivi le rocce eoce- niche furono rese cristalline e saccaroidi, lasciando qua e là le tracce dei loro originari caratteri, per cui si riconoscono per calcarie alberesi e macigni. Da quest’ area si diparte una gran rete di venature spatiche che si diffonde, diramandosi ed assot- tigliandosi fino a notevoli distanze, a modo di un vasto irrag- giamento. In quell’ area trovansi comprese le più grandi masse di ferro limonitiche, e fra esse si trovano sparsi e sublimati in gruppi cristallini tanti altri metalli in forma di solfuri, associati a diverse sostanze non metalliche; epperciò venne distinta col nome di bacino metallifero. Per altro i filoni di ferro non sono esclusivamente compresi in quell’ area ; imperocché si trovano anche fuori di essa, sempre in vicinanza delle trachiti e in certe località prendono propor- zioni gigantesche da costituire dei distretti ferriferi o addensa- menti, che indicano centri di emanazione. Al Pian Ceraso, due enormi dicchi di ferro limonitico messi allo scoperto dai mina- tori si vedono attraversare, e da essi si propagano tutti quei grossi filoni che trascorrono lo Scopeto e le Sbroccate sotto Ci- bona, in mezzo ai quali fu collocato il forno fusorio. Al Poggio della Capanna sotto la Tolfa si osservano addossati alla roccia trachi tica le assise sedimentarie, con filoni di ferro sui quali si riconoscono ancora le passate lavorazioni. Alla Roccaccia, entro il baranco del Marangone, potenti filoni di ferro limonitico fu- rono fatti soggetto di escavazione, e perciò la contrada fu detta la Cava di ferro. Al Campaccio sotto le Allumiere, vecchie esca- vazioni fecero manifesti altri grossi filoni di ferro, come in molti altri luoghi estese rocce ferruginose accennano a’ giacimenti di quel metallo sotto di loro. I metalli che oltre al ferro fanno comparsa in questa regione sotto forma di solfuri, sono il piombo, lo zinco, 1’ antimonio, il mercurio, il rame, P argento, e forse altri fin qui incogniti. II solfuro di ferro è il più abbondante di tutti. Offre al so- lito il suo colore giallo di ottone e la sua cristallizzazione in piccoli cubetti o in dodecaedri pentagonali, riuniti o sparsi nelle - 49 - rocce. Qualche volta stretti fra loro in masse tenaci, tal’ altra così disgregabili che cadono al più leggiero tocco. Nè manca la calcopirite colle sue cristallizzazioni iridate. Questi solfuri sono spesso in via di decomposizione ed associati a cristalli di selenite. Il solfuro di piombo o galena è molto frequente nelle rocce metamorfiche della Tolfa in masse spesso avviluppate da sostanza argillosa o ferruginosa. La struttura è laminare e lucente ; ma si rinviene altresì in minuti cristalli argentiferi. Qualche volta vi è unita la fluorina ottaedra verde, bianca o violetta, in cri- stalli aggruppati o sparsi. Al Poggio Ombracolo come al Zanfone furono osservati cristalli di galena annidati in un quarzo cellu- lare, e ai Grottini lungo il corso del Marangone, cristalli cubici di quel minerale sparsi in una calcaria bianca e traslucida a frattura romboedrica. Lo zinco solforato o la blenda si trova nella medesima gia- citura degli altri solfuri; però è raro cristallizzata, trovandosi più ordinariamente sotto forma laminare e del suo solito colore grigio giallastro, che spesso risalta entro di una calcaria candida, come alle Pozzarelle. Il solfuro d’ antimonio si presenta in prismi allungati, splen- denti, argentini e non iridescenti; qualche volta raggianti, piu spesso sciolti nella roccia calcare, tendenti a farsi paralleli ; forse argentiferi. Sono compresi spesso in una sostanza biancastra amorfa, che sembra ossido di antimonio. Il mercurio solforato o cinabro nativo, trovasi in compagnia dei sopraindicati. L’ argento solforato o argirosio, a rigore non potrebbe essere accusato che per semplici tracce o macchie rosse proprie di tal minerale, osservate nelle calcarie dei poggi della Stella. Dalle sostanze composte collo solfo, non possiamo escludere la selenite o solfito di calce. Le marne mioceniche che emersero nella seconda eruzione trachitica sono cangiate in gessi, dando origine a ingenti masse capace di alimentare una industria. Però da diversi punti si notano degli spazi, a cui non giunse la ri- duzione e nei quali si vede la roccia coi suoi naturali caratteri. Il prisma obliquo romboidale è la forma che presenta nei cri- stalli, mai geminati ; sempre facili a sfogliarsi in lamine. L’ Ara Vecchia sotto la Tolfa sulla via che conduce a Rota è tutta se- 4 - 50 — minata di quei cristalli eli ogni grandezza. Alle Spinare, alla Cava dell’ oro, a Pian dei Santi si vedono grandi formazioni di gesso a tessitura saccaroide, come il marmo statuario, e a Pian Cisterno il suolo brilla di punti lucenti dovuti al riflesso delle facce delle lamine di quel minerale. Fa d’ uopo avvertire che vari dei sopraccennati solfuri si trovano associati, sebbene in più discreta quantità a carbonati e a fosfati. Il rame, come più facile a passare in carbonato, è il più raro sotto la forma di solfuro. In vicinanza dell’ Edifìcio del Piombo è facile imbattersi nella malachite o nell’ azzurrite, e negli stessi depositi delle antiche lavorazioni di quello stabi- limento, si vede molto rame carbonato che in origine dev’ essere stato piritoso. La cerussa e la calamina sono meno frequenti del carbonato di rame. I fosfati sembrano essere nelle medesime condizioni, come sono quelli di piombo e di zinco. Perciò il ferro limenitico, il più copioso di tutti entro il bacino metalli- fero, quasi sempre contiene fosforo. Nel minerale di Pian Ceraso si rinvengono piccole cristallizzazioni verdastre di ferro fosfato. Ma P area metallifera entro la quale si contengono tante svariate sostanze, non è solo circoscritta dagli accennati confini; ma bensì prolungata sul cammino dei grandi dislocamenti, rife- ribili al sollevamento delle rocce della prima eruzione trachi- tica. Laonde vediamo scorrere il metamorfismo fra la Tolfa e il Monte Virginio, lungo una linea tracciata dalle sorgenti solfuree in vicinanza di Rota, e dalle acque di Stigliano per terminare colle solfatare di Canale. Così si può seguire un altro prolun- gamento col corso del Marangone, ove le rocce metamorfiche per gradi si dileguano e scompariscono. Gli altri sbocchi ausiliari del sistema trachitico della Tuscia romana, sono egualmente accompagnati da formazioni sulfuree, però in proporzioni convenienti alla loro entità. Al piccolo mam- mellone della Torre d’ Orlando, sono contigue masse selenitose, che danno il nome alla Salita del Gesso sulla via Cornetana. Sotto le prominenze del Sasso, le marne subapennine convertite in gesso si distendono sulle radici delle rocce eruttive come nel bacino della Tolfa. Nè mancano i solfuri riferibili con ogni pro- babilità a quel centro di emanazione. Nel comune di Cerveteri fu rinvenuto un masso erratico di macigno eocenico, diroccato — 51 — dalle sovrastanti altitudini e attraversato da grosse venature di calcare spatico in cui erano disseminate piccole masse cristalline del solfuro d’ arsenico realgar, insieme ad orpimento. Sono ben cognite le vaste solfatare e gessaie, che al piede del Monte Vir- ginio si distendono fra Canale ed il paese di Monterano, come fra la Manziana e San Vito. La giacitura di esse sembra di- chiarare altamente la loro attinenza a quel cospicuo mammellone trachitico. Degli altri monti eruttivi, che spettano a questo si- stema, poco o niente possiam dire, trovandosi le loro basi rico- perte da sedimenti posteriori. Le sostanze minerarie di cui 1’ umana industria ha tentato profittare, fra i vari prodotti che offre la regione della Tolfa sono : T allume, il ferro, il piombo, le ocre, il quarzo, il caolino, le ligniti e la pietra litografica. Allume. — La più vasta impresa che siasi fatta sui monti della Tolfa è quella dell’ allume, a causa degli immensi guada- gni recati al governo pontificio in altri tempi ; prova ne sia T istesso paese di Allumiere e lo stabilimento erettovi, surti da quelle lavorazioni. Della scoperta dell’ allume parlano i Commen- tari di Pio li, sotto il cui pontificato nell’ anno 1462 fu fatta. Il metodo che si teneva allora per la estrazione dell’ allume era quello medesimo che si è mantenuto fino ai nostri giorni. Il trattamento del minerale consisteva in una torrefazione in appo- site fornaci seguita da macerazione all’ aria aperta per mezzo di quotidiana inaffìatura. Dopo ciò aveva luogo la lisciviazione in caldaie e quindi la cristallizzazione per raffreddamento in vaste tine, dalle quali le acque madri si riportavano nelle cal- daie per esser di nuovo riscaldate. Ma coll’ andare del tempo, la scoperta all’ estero di altre allumiti, il tenue prezzo dell’ al- lume artificiale che man mano incominciava a correre in com- mercio, fecero declinare l’ industria, che divenne di più in più rovinosa. Finalmente nel 1870 le Allumiere, passate nella proprietà del Demanio, furono da questo vendute alla Società finanziaria di Parigi ; la quale, riformati i metodi di trattamento, coltiva tuttora quella miniera traendone più convenienti profitti. Ferro. — Relativamente al ferro fino dall’ anno 1497 furono edificati molini e forni fusorii per la estrazione di questo metallo, - 52 presso la Mola Farnesiana. Dopo la quale epoca, la quantità del ferro che si presenta sui monti tolfetani, pare abbia sempre lu- singato gli speculatori a tentarne l’ impresa. Imperocché molti sono i forni sparsi in quei luoghi, che sembra abbiano avuto vita sino al passato secolo, e quindi cessarono, non potendo reg- gere alla concorrenza delle grandi imprese straniere. Nel 1841 fu data la concessione a certo Lovatti di usare delle dette miniere, che poi cedette alla Società romana. Questa Società fabbricò alla Tolfa un alto forno vicino a Cibona con uno stabilimento di fusione e una fornace per mattoni refrattari per uso proprio, servendosi del caolino del paese. Cedette poi la sua impresa nel 1875 ad altra Società, la quale si propone di far commercio del minerale in natura, erigere altri tre forni di fusione, ampliare V opificio di fonderia, e costruire una strada ferrata a vapore per esser in comunicazione col porto di Civi- tavecchia. Piombo. — Quantunque siamo avvertiti dalle osservazioni che il piombo della Tolfa sia stato conosciuto da tempi remotissimi, pure non abbiamo positive notizie del suo trattamento che nei tempi moderni. Nel secolo passato furono intrapresi dei lavori di miniera nella contrada detta le Pozzarelle prossima al Pian Ceraso. Ma le escavazioni non furono mai condotte da uomini intelligenti e pratici del luogo, nè le operazioni metallurgiche ebbero una direzione veramente scientifica ; per la qual cosa Y in- dustria del piombo non potè esser proficua a coloro che la eser- citarono. Nel 1860 finalmente una Società tolfetana ottenne la conces- sione dei solfuri di piombo, antimonio, mercurio, zinco -e rame. Si fecero esperimenti, si ricavarono i metalli, e specialmente piombo argentifero in proporzioni convenienti ; ma poi la mede- sima Società non avendo forza ad accingersi ad una più vasta impresa, si arrestò nella inerzia nella quale si trova tuttora. Ocre. — Nelle mie escursioni scientifiche sui monti della Tolfa, avendo notata la quantità delle ocre che ivi si rinvengono, e le loro svariate e brillanti tinte, volli farle esperimentare, come terre a colori. Adoperate da vari pittori, riescirono eccellenti e molto fruttifere. Però la Società romana, avendo il diritto su tutti i minerali di ferro, tentò farne speculazione per metterle in — 53 — commercio ; ma non essendo questo lo scopo della sua istituzione, desistette, e le ocre tolfetane non furono più curate. Quarzo. — Fino dal secolo passato furono fatti esperimenti sul quarzo della Tolfa per la fabbricazione del vetro, i quali non corrisposero all1 aspettazione. Recentemente però feci esperimen- tare il quarzo raccolto nella cava di pietra d1 allume detta la Ballotta in una fornace del Trastevere. Nella fusione si ebbe molto sviluppo di gas, il quale cessato, il vetro risultante riuscì di buona qualità. Caolino. — Nel 1857 una Società ottenne la concessione pel trattamento delle piriti aurifere contenute nel caolino ; ma vedendo di non poterne ricavare grandi profitti, e dalle piriti venuti a co- noscenza che quel minerale poteva esser impiegato come argilla refrattaria, risolvettero di abbandonare il loro trattamento per rivolgersi al commercio del caolino. Ne fu a tale scopo aperta una cava sopra il villaggio della Bianca, e se ne fece deposito per essere messo in commercio come veniva cavato. La Società romana delle miniere del ferro avendo eretta una fabbricazione di mattoni refrattari per uso dei suoi stabilimenti, conoscendo le buone qualità di tale sostanza, fece un contratto coi proprietarii del caolino per la quantità occorrente, e questo fu il solo impiego che di quella terra fu fatto sui monti della Tolfa. Finalmente V antica Società cedette i suoi diritti alla Società Machard e C., che tuttora ne ritiene V impresa. Questo materiale, sperimentato in Francia ed in Italia, per T arte ceramica ha dato sempre risultati sodisfacenti. Ligniti. — Fin dal principio di questo secolo le ligniti del Monte Castagno e del sottostante Fosso Cupo attirarono V atten- zione degli industriali, benché non se ne facesse V estrazione in modo continuo. Nel 1857 una Società della Tolfa ottenne la concessione delle ligniti. Si rinnovarono gli esperimenti applicando questo combu- stibile alla cottura dell1 allumite e della calce, che essendo bene riusciti, se ne intraprese l1 escavazione coll1 apertura di pozzi. Fu scoperta una lunga serie di stratificazioni della formazione dell1 alberese, costituita da un1 alternanza di calcarie argillose, e di schisti più o meno carichi di carbonio, pieni d1 impressioni di piante fucoidi ed al Fosso Cupo un banco contenente grossi pesci — 54 disfatti. I lavori si protrassero per alcun tempo, ma non avendo mai raggiunti i desiderati depositi di combustibile, la Società dovette sospendere le escavazioni di ricerca, nè altro fu fatto per il fine che si era proposto. Pietra litografica. — Le rocce dell’ alberese costituite da cal- carie argillose a fina tessitura, e di un bigio turchiniccio, pos- sono essere adoperate come pietra litografica. La Società romana delle miniere di ferro, volle far prova di quelle della Tolfa e riuscita nell’esperimento, fece ricerca delle migliori e ne estrasse una certa quantità per essere messe in commercio. La specula- zione forse avrebbe potuto dare un buon risultato, ma siccome anche questa era fuori dello scopo sociale, dovette desistere, la- sciando memoria di* questo prodotto tolfetano. NOTE MINERALOGI GHE. Su alcune prehniti della Toscana, nota dell’ Ing. Arnaldo Corsi. Il presente lavoro fu eseguito nel laboratorio di Mineralogia dell’Istituto di Studi Superiori in Firenze riccamente fornito di apparecchi e strumenti fìsici e chimici speciali, e di costruzione ed invenzione recentissima, cui fa corredo una biblioteca minera- logica ed una collezione di studio veramente estese. Al profes- sor Giuseppe Grattarola, direttore del laboratorio, debbo poi ren- dere vive grazie; sia per avermi diretto nello studio generale di questa scienza, nella pratica degli strumenti e nella preparazione delle sezioni pel microscopio, sia per aver messo, in quest’ occa- sione, a mia disposizione tutto il materiale scientifico del labo- ratorio e avermi dato una serie di suggerimenti per completare il mio lavoro. Due cause mi hanno spinto principalmente a pubblicare que- sta nota in aggiunta alla nostra mineralogia. In primo luogo, un discreto materiale procuratomi in varie escursioni, migliore al — 55 — certo eli quello che D’ Achiardi, il valente illustratore dei mine- rali della Toscana, ebbe a disposizione; in secondo luogo alcuni resultati da altri ottenuti, che parevano discostare alquanto il minerale che ci occupa, dal tipo al quale si accordano la massima parte dei resultati fin- ad ora pubblicati. È perciò che le mie ricerche hanno mirato allo scopo di vedere se questa differenza esisteva realmente, e di tentare uno studio più accurato di que- sto minerale che nella nostra mineralogia non ha avuto fin ad ora un grande sviluppo. Le quattro varietà che ho scelte per il mio studio, fra le molte che sono state rinvenute, possono a parer mio dare suf- ficiente idea delle prehniti della Toscana per ciò che riguarda anche i giacimenti. Limando il lettore, per le notizie che si avevano fin ad ora in proposito, al D’ Achiardi (. Mineralogia delia Toscana , voi. II, pag. 143), e passo alla relazione dei campioni da me studiati. Tràmite dell’ Impnmeta. — È un prodotto di alterazione del- T eufotide (roccia che si alterna in vari punti colle serpentine diallagiche) e si deposita nelle spaccature o sola o insieme a thulite rosea, varietà di epidoto, nel nostro caso, eminentemente idrata. Gli esemplari di questa località « ci mostrano delle masse sferoidali, sporgenti a cupole, la di cui superficie è tutta sca- bra per le estreme punte dei cristalli che ne sbucano fuori, ma salvo ciò nessuna forma cristallina decisa mi è riuscito vedervi. » (D1 Achiardi, loco citato). Oltre questa varietà possiedo campioni con cristallini che si prestano non solo a far riconoscere la loro forma ma anche a qualche misurazione goniometrica. In generale le geodi sono ristrette, e danno cristalli molto piccoli (possono giungere al massimo a tre millimetri nella loro maggior dimensione, ma non sono troppo comuni) ; il loro numero compensa la piccolezza. I medesimi si possono addossare in vario modo, ma non presentano (almeno nei campioni da me osser- vati) aggruppamenti degni di nota. Uno solo da rammentarsi è quello dove sparendo quasi ogni traccia di cristalli essi si ammas- sano- formando delle superfìcie scabre, mammellonari, che sotto varie incidenze di luce ci presentano parti che riflettono la luce molto forte ed altre no, producendo in certo qual modo lo stesso — 56 - effetto che producono alcune stoffe al variare della incidenza della luce. Nella rottura si vedono i cristalli addossati a ven- taglio, una disposizione comunissima in questa specie minerale. Là dove poi la geode è venuta a chiudersi, per l’ abbondanza di materia, si ha la prehnite compatta, a grana eminentemente cristallina, che in alcuni esemplari si avvicina a quella del marmo. In alcune parti poi può presentare anche un aspetto zonato. Il minerale ordinariamente è incoloro, ialino quando si ha che fare con pezzi ben conservati, più raramente può vedersi in alcuni esemplari un colore verdastro molto pallido. Quando poi il minerale è in via di alterazione si opaca e si presenta bianco del tutto. Il minerale, che come è noto appartiene al sistema trime- trico,1 offre forme abbastanza semplici, vi si notano due facce parallele predominanti in estensione, cioè le facce basali (uno dei pinacoidi) p (Vedi Fig. I, II, III, che seguono), del resto or- dinariamente i cristalli non sono affatto tabulari. Oltre quelle si possono avere le facce m di un prisma rombico, le facce g ed li degli altri due pinacoidi ed un macrodomo a. Il cristallo sulle sue facce p (pinacoide basico) è striato parallelamente alla sua intersezione colia h (macropinacoide) che può mancare affatto o meglio ridursi ad una linea normale al primo. Veduto al microscopio mostra delle stilature ben marcate parallele ad m ed a g, però interrotte, queste non altro derivano che da un addossamento di cristalli sulle facce in questione. Questa striatura fa sì che è impossibile o almeno ben difficile di adoperarlo per la misurazione, fornendo per riflessione pa- recchie immagini di un oggetto che si faccia riflettere. Di più la faccia è debolmente arrotondata facendo a volte graduato passaggio al macrodomo a. Le facce m (prisma rombico) sono striate parallelamente alla loro intersezione con p ma quando i cristalli non si addos- sano irregolarmente, cioè restano orientati l’ uno rispetto al- 1 Ho adottato per rapporti parametrali quelli che Streng dà nel Neues Jahrb. fur Mineralogie 1870, pag. 16 : « Uber den Prehnit von Harzburg und iiber die Constitution der Hydrosilicate » cioè: 0,84009 : 1 : 1,10988 :: a : b : c. a brachidiagonale (asse x), b macrodiagonale (asse y). — 57 — T altro, possono aversi delle misurazioni abbastanza esatte pre- sentando queste facce molta lucentezza. Le facce h (macropinacoide) son quelle che fra tutte pre- sentano il massimo di lucentezza, ed ivi si può dire quasi nulla la striatura. In quanto poi alle facce g (brachipinacoide) non vi è da farne alcun conto per la misurazione, ed a stento si possono conside- rare come facce del cristallo. Esse sono tutte rugose per stria- ture parallele alla loro intersezione con p per reciproco addos- samento di innumerevoli individui. Il macrodomo a si presenta esso pure abbastanza speculare, ma in generale è molto piccolo, e può mancare anche affatto. Fi g. I. Fi g. II. Fig. III. Inoltre siccome la faccia p poco si presta alla misurazione, ne viene quindi che con certezza non può dirsi di avere a che fare colla faccia di simbolo (038), che fa con (001) un angolo di 153° 38', o con altra meno inclinata, ma ad occhio può sti- marsi che la sua inclinazione rispetto alla faccia basale possa essere dell’ angolo richiesto, faccia d’ altronde che è la più co- mune ad osservarsi nelle prehniti di altre località. I cristalli si attaccano alla matrice per una estremità ( m m) ed ergono dalla medesima normalmente allo spigolo ( p g ) onde vengono a mostrare un solo angolo m /\m. Ecco qui i risultati di 5 misurazioni fatte sull1 angolo m f\m cioè : 100° 3', 100° 1', 100° 1', 99° 59', 99° 57. Onde la media resulta di 100°, valore abbastanza vicino a quello di 99° 58' ottenuto da Naumann e da Streng. — 58 — Le facce osservate hanno i seguenti simboli di Miller e Naumann : m, P, h, O) a. 110, 001, 100, 010, 30S (?) ooP, oP, GoPoO , ooPoo hanno le seguenti combinazioni di forme : I. 001, 010, 110. IL 001, 010, 110, 308. III. 001, 100, 110, 010, 308. Osservato un cristallino adagiato per una delle sue basi sul portaoggetti del microscopio di polarizzazione si può vedere nel campo il principio del doppio sistema di anelli colorati, e i neri pennelli, essendo come è noto, abitualmente, in questa specie, il piano degli assi ottici parallelo al bracbipinacoide. Al cannello sulle punte di platino il minerale grandemente rigonfiasi, producendo poi uno smalto semitrasparente bianco più raramente giallastro a caldo, bianco a freddo. Col borace e sai di fosforo dà reazione del ferro. L’acido cloridrico concen- trato 1’ attacca anche a freddo sebbene dopo lunga digestione ed in polvere molto fina. Calcinato si decompone completamente e facilmente, lasciando silice gelatinosa. Il peso specifico ricer- cato su una varietà compatta, verdastra, semitrasparente, mi offrì in due esperimenti 2,88 e 2,90, media 2,89. In un’ altra varietà bianca a struttura mammellonare di cui più sotto è riportata l’analisi 2,91. Il D’ Achiardi e il Bechi ottennero rispettiva- mente 2,89 e 2,91. La sfaldatura basale abbastanza perfetta, è ben marcata in precedenza dai fenomeni di interferenza che si mostrano se il cristallo è intronato, indizio certo di un principio di sfaldatura. Il calcolo dell’ acqua fu fatto su due campioni differenti, ed ho ottenuto i seguenti resultati : 1. Varietà compatta, alquanto zonata, verdastra, in alcuni punti leggermente semi-trasparente, in altri opaca per altera- zione : 4,79 °/o- 2. Varietà cristallina, mammellonare, semi-trasparente : 4,81 % — 59 — Può osservarsi come quest’acqua per la massima parte viene espulsa coll’ arroventamelo e che quindi è da considerarsi come parte costituente il silicato e non come acqua di cristallizzazione. Un’ analisi quantitativa fatta sulla seconda varietà mediante la disaggregazione coi carbonati alcalini mi ha dato i seguenti risultati : 1 SiO2 .... . ... 42, 35 APO3 .... .... 24, 67 Fe203 . . . . . . . . 0,92 CaO . ... 25, 77 MgO .... . . . . 0,45 Na20 .... H20 .... . . . . 4,81 98, 97 Dalla quale calcolando l’ ossigeno che possiamo riferire ai componenti si hanno i rapporti : H20 RO R203 SiO2 1 : 2 : 3 : 6 da cui deducesi la formula: H20 -f- 2RO -f- R203 4- 3Si02 quindi si ha la formula per la nostra prehnite : H! Ca2 AP SPO12 = ] SiO2 + APO3 2Si02 considerando l’acqua tutta allo stato basico. L’ analisi di un altro prehnite delPImpruneta fatta dal profes- sore E. Bechi diede i seguenti resultati: SiO2 43, -8 APO3 23,9 Fe203 e Mn203 (?) . . 0, 7 CaO 24, 6 MgO 1,7 Na20 e K20 3, 8 H20 0,3 98, 8 1 Noto che in questa come nelle successive analisi per evitare delle in- certezze, ho preferito pesare la polvere del minerale ad una temperatura ordi- naria, senza portare a 100°, talché 1’ acqua risulta di poco maggiore, di quella data dalla formula. - 60 — D’ onde, dice D’ Achiardi, si deduce la formula soprallegata per la specie qualora si supponga che 1,2 di perdita sia in parte almeno rappresentata da acqua. Io non comprendo questa preli- nite così povera d’acqua tale da farne un silicato anidro, men- tre il contenere acqua (ritengasi questa sì o no parte costituente il minerale) è una delle caratteristiche di questa specie. D’Achiardi che nota questa mancanza troppo benigno, ammette che il difetto per cento avuto dalla somma dei componenti sia da riferirsi quasi in totalità ad acqua, ma non vedo ragione come questa non siasi svolta nella calcinazione, perchè le prehniti perdono 1’ acqua ad un arroventamento possibile ad ottenersi nel più modesto laborato- rio. 1 Non potrebbero supporsi che due casi: o avvenne un errore nel calcolare l’acqua, oppure il minerale non apparteneva alla specie prehnite o anche poteva essere un miscuglio di mine- rali. 2 Inoltre la soda e potassa trovata accennano (se anche fosse prehnite, il che potrebbe essere dietro la veduta che l’acqua funzioni da base e quindi possa esser sostituita da ossidi a radi- cale monovalente come potassa, soda ec.) ad un tipo della me- desima che per ora non si è riscontrato nelle varie analisi pub- blicate e tale, da farne con buon fondamento una varietà ben distinta, come si è fatto per altri minerali che presentarono forse più analogia. Quindi io credo che dietro queste incertezze, dietro i resultati da me ottenuti 3 che avvicinano la prehnite dell’ Impru- neta per composizione alla massima parte delle prehniti, la vec- chia analisi del professore Bechi debba mettersi da parte, aspet- tando una nuova conferma dal chiarissimo chimico. 1 II fatto potrebbe forse ammettersi se si trattasse di un minerale che perde la totalità dell’ acqua al bianco come il talco ed altri minerali. 2 Anche a me avvenne di analizzare una sostanza rossigna, appunto come la varietà analizzata dal Bechi, la quale poi sotto il microscopio polarizzante mi risultò composta di vari minerali che mi fece mettere da una parte il resultato. Del resto è strano, nel caso che si contempla, la poca quantità d’ acqua in un minerale che ha origine dall’ idratazione di altri; anche il feldispato labradorite, che è uno dei componenti la roccia del minerale in questione, contiene nelle varietà meno alterate maggior quantità d’ acqua. 3 Anche in altra analisi che feci per meglio assicurarmi della composizione sulla varietà verdastra compatta accennata, e che non riporto per essere in- corso un errore nella determinazione di una base, mi offrì nel resto una com- posizione presso a poco identica alla precedente. — 61 — Prehnite deTU Impruneta pseudomorfica di analcime. — In al- cuni campioni di vena prehnitica non troppo uniforme, eminen- temente cristallina, mi occorse di vedere colla percussione met- tersi a nudo facilmente delle superficie piane di una certa estensione, opache, bianche, intersecantesi e in varii pezzi offrenti la super- ficie di una incompleta piramide triangolare in alcuni casi, qua- drangolare in altri, tutte ad angoli molto ottusi. Le poche ed incomplete forme che io potei ricavare rompendo varii pezzi mi lasciarono il dubbio sulla vera causa del fenomeno. A togliere V incertezza mi venne in aiuto la squisita genti- lezza dell’ egregio cultore di mineralogia il dottore Giorgio Roster, il quale possedeva dei campioni da esso stesso trovati in cima al Poggio Sant’ Antonio (Impruneta). Questi campioni posti a mia disposizione presentarono delle forme simili a quelle che aveva già osservate, grosse in media come un cece, le quali, dopo la rot- tura, emergevano dalla massa prehnitica: alcune di queste potei separarle dalla matrice, alla quale stavano fortemente aderenti, ed ottenerne isolate delle forme, le quali sebbene incomplete mi posero nella buona via. Si trattava di veri e propri cristalli ad abito monometrico che dovevano preesistere al nostro minerale il quale ne aveva sposate le forme, e che poi li aveva ricoperti, cioè la prehnite come vedremo. Ad avvalorare maggiormente la prima ipotesi osservai anche dei cristalli fra di loro compene- trantisi ben nettamente. In alcuni pezzi la forma del cristallo è stata così cambiata che ci presentano delle masse quasi sferoi- dali. in altri casi poi si hanno delle vere superficie mammello- nari colle quali sparisce ogni idea di cristallo. In altri campioni le forme suddette si palesano meglio quando si tolga una leg- giera scorza di prehnite concrezionata, semi-trasparente che si è depositata sulle medesime e le ha involte come un frutto il peri- carpo. Rompendo uno dei cristalli staccati dalla matrice, mostrasi una sostanza analoga alla maggior parte della massa cristallina, tanto di quella concrezionata che di quella su cui sono impian- tati i cristalli, cioè una sostanza semitrasparente, con facce di sfaldatura non molto estese, che tanto all’ aspetto che ai carat- teri al cannello od altri non lascia gran dubbio sulla natura. Essa è tanto più cristallina e trasparente quanto più la guardiamo nel nucleo del cristallo; poi diviene semi opaca, fino a che ter- — 62 — mina in una zona opaca bianca che dà V aspetto latteo al cri- stallo. I cristalli mostrano faccette quadrilatere e parallelogram- miche. L’ esame della forma più accuratamente ho potuto farlo su un cristallo di circa 15 millimetri di diametro che mi pre- sentava ben diciassette facce, due delle quali rombiche, le altre pentagone. L’ angolo delle facce rombiche offrì al goniometro di applicazione 90° circa. Altri angoli oscillarono da 142° a 145°, 131° a 133°, 144° a 148°. Trattasi adunque delle facce 100 (ooOoo) del cubo e 211 (202) di un icositetraedro due forme che accoppiate, oppure sola la seconda, costituiscono le forme più comuni delFanalcime ri- tenutolo approssimativamente monometrico. 1 Che il minerale del quale restano solo le forme fosse anal- cime, piuttostochè altro minerale, è in favore anche il fatto che in una roccia affine all’ eufotide, il gabbro di Monte Catini (Val di Cecina) si vedono nelle spaccature, oltre varii importanti mi- nerali, superbi e limpidi cristalli di picroanalcime ; che tale que- sto sia nel caso nostro oppure V analcime comune od anche il calcoanalcime non è cosa però tanto facile a decidersi. Il peso specifico fatto in due cristalli differenti mi ha dato: 2,74 e 2,82. I caratteri al cannello, ripeto, gli stessi che per la prehnite ordinaria. A completare lo studio di questo interessante caso di pseudo- morfismo, alcuni cristalli incompleti furono scelti onde ottenerne delle lamine sottili. La parte interna di ogni cristallo, si mostrò più facile a divenire trasparente, mentre V esterna si mostrò alquanto restìa. Osservando una lamina a luce naturale con pic- colo ingrandimento, si presenta una massa ben diversa nelle sue parti : si vede in primo luogo una zona che corre parallela al poligono (sezione del cristallo) i cui lati appariscono costituiti meglio che da linee rette da una serie di ondulazioni, ed a questa si confanno i diversi strati che costituiscono la zona suddetta, la quale è alla sùa volta costituita da fittissimi tratti o fibre molto sottili, normali al perimetro (cioè tendenti al centro del cristallo) talché richiama all’ aspetto la sezione macroscopica che si può fare su un minerale fibroso-radiato zonato. Ognuna 1 Vedasi per ciò i resultati dello Schrauf nel N. Jahrb. f. Min 1876, p. 428. - 63 — delle curve ha quindi un cèntro e a volte da questo da ogni parte irradiano i tratti. Questi centri sono in uno strato piccolo, a volte interrotto da materia affatto opaca. La zona sembra es- sere il ricuoprimento di un’ altra che ad essa succede parallela, (andando verso l’ interno) simile alla precedente, poiché la loro linea di separazione presenta gli spigoli più decisi e non ondu- lati come la prima, e a differenza di questa non mostrasi com- posta di successive zone. Pare dunque che questa linea, tendente ad avere lati più approssimativamente retti, fosse il vero con- torno (sezione) del cristallo, che questo venne poi ricoperto da uno strato di altra sostanza, la quale non riprodusse fedelmente, come era naturale, la superficie del cristallo, ma specialmente sugli spigoli si produssero degli arrotondamenti. La seconda zona si compone di un primo straterello opaco, quindi di un altro co- stituito da fibre fittissime, tendenti pure al centro del cristallo, a questa succede una massa più decisamente cristallina traspa- rentissima a cristalli intrecciantisi ; in alcuni dei quali si può riconoscere ben nettamente le forme della prehnite, la quale contiene degli anelli di materia opaca da cui si dipartono, tanto verso il loro centro che oltre la periferia, fibre fittissime del tutto simili a quelle sopraccennate, i quali anelli sono tanto più numerosi quanto più ci avviciniamo alla seconda zona e più de- cisi. Alla luce polarizzata questa sostanza cristallina si manifesta con colori ben vivi di polarizzazione e in alcuni punti si ha T aspetto di lamine disposte a ventaglio, così comune nella prehnite, che non vi ha dubbio per questa parte. In quanto al resto, (cioè la parte fibrosa) salvo la parte opaca che d’ altronde è una ben piccola frazione della massa totale, osservando una lamina ridotta alla massima sottigliezza possibile, mi indusse a ritenere anche questa per prehnite, si hanno gli stessi feno- meni ottici, la stessa disposizione a ventaglio, solo che più fitta. Questa disposizione potrebbe supporre che si trattasse di qualche zeolite radiata come per esempio il mesotipo, la stilbite, ec., che appunto possono avere una simile apparenza e al microscopio pre- sentare analoghi fenomeni, ma i caratteri chimici levano il dubbio su questo, esaminando le successive croste che involsero il cristallo. Da ciò che precede resulta che originariamente nelle spacca- ture dell’ eufotide si formarono notevoli cristalli di analcime, gli elementi del quale erano profusamente offerti nella decom- posizione della roccia per mezzo degli agenti esterni. Più tardi questi cristalli insieme colla roccia soggiacquero alle stesse azioni, ad essi fu tolta una parte dei componenti ed altri elementi ne presero il posto, venendo a costituire una massa prehnitica pseudo- morfica dell’ analcime. La prehnite alla sua volta ne ricoprì le sue vestigia deponendosi allo stato concrezionare in successivi strati fino a che la spaccatura venne a volte anche totalmente a riempirsi. In seguito, per lavorìo molecolare, la parte interna del cristallo cambiò la sua struttura, cristalli fittamente disposti a raggi si adunarono al perimetro dando origine ad una prima zona ; oltre questa si formarono dei singoli centri di attrazione cristallogenica ed ecco gli anelli colle fibre osservati, fino a che nel centro il lavorìo molecolare fu più lento, ma si ebbe il mi- nerale più decisamente cristallino. Gli strati opachi come gli anelli, sono poi evidentemente i punti di partenza della cristalliz- zazione a fibre.1 Prehnite di Figline (Prato). — Questa prehnite è quella che tra tutte rinviensi in maggior quantità e può aversi in uno stato di perfetta conservazione per le escavazioni che continuamente si fanno presso il paese di Figline nella roccia nella quale si annida, cioè l’ eufotide, la quale tuttodì, benché in meno larga scala si scava onde ottenere macine da grano. Il giacimento del resto è identico a quello dell’ Impruneta. Questa prehnite cristallizzata è ialina, quasi incolora, a volte con colorazione verdastra debolissima. I cristalli ordinariamente sono molto piccoli ma possono a volte giungere a 5 o 6 milli- metri. Le combinazioni di forme che presentano non sono in gran numero, ma il predominio di facce, la loro maggiore o minore estensione, dà ai cristalli degli aspetti così variati, che a volte si può restare sul primo in dubbio, se trattasi di una o due specie minerali. 1 Alcuni cristalli mostrano delle cavità con geodi, il che induce a credere 1 che se non tutto, almeno in parte, lo spazio occupato dall’ analcime fu vuotato e successivamente riempito o in totalità o parzialmente. Di più, a volte, fra strato e strato di prehnite concrezionata, si può osservare una materia pastosa, di co- lore bianco giallastro sudicio, untuosa al tatto, che è probabilmente argilla stea- titosa resultante dalle decomposizioni che ebbero luogo. — 65 — Le forme che presenta sono per la maggior parte tabulari per il predominio delle basi, sicché con alcuni cristalli si ha da fare con vere laminette che a volte sono quadratiche a volte rettangolari e allungatissime. La maggior parte di esse sono troncate da un lato e a volte anche dall’opposto, sicché assu- mono un aspetto cuneiforme. Pur tuttavia non mancano di pre- sentarsi cristalli ove il predominio basale è meno forte, anzi ne ho osservati allungatissimi secondo la brachidiagonale, tali da presentare con due pinacoidi l’ aspetto di un prisma quadrato ad una estremità presentando poi le facce 110 ed un macrodomo. Questi cristallini, ialini, incolori, furono trovati in una geode, insieme a cristalli più grossi di albite pure di una ialinità ve- ramente tipica, geminati secondo il modo più comune di questa specie e dei quali renderò conto in altra occasione, insieme ad altri minerali da me rinvenuti nell’ eufotide di Figline. Passando ai cristalli lamellari che sono i più comuni, essi sono fortemente striati e raramente si prestano per una buona riflessione. Però onde avere dei dati abbastanza esatti ò venuto in valevole aiuto il microscopio, il quale oltre che rilevare me- glio la forma nei cristalli più piccoli, ha fornito il mezzo di mi- surare alcuni angoli e ciò in grazia della tabularità delle facce. Adagiandoli in tal caso sul portaoggetti per una loro base, gli angoli del perimetro sono il vero valore degli angoli diedri delle facce gm, mm, mh, ritenendo le medesime lettere. Abbiamo avuto per esempio : g /\ m — 129° 44' Le facce p, m, g, a, sono le facce definitivamente accertate. Le p sono le predominanti a cui succedono le a (macrodomo) che si intersecano sempre facendo sparire la faccia li la quale più esattamente si riduce ad una retta parallela alle facce ba- sali, mentre pel caso dell’ Impruneta era normale. Ambedue que- ste facce sono striate parallelamente ad li ma a volte sono ab- bastanza lucenti da permettere una misurazione, difatti abbiamo ottenuto : p A a = 153° 39' angolo che si avvicina a quello dato dal calcolo e proprio della faccia a a cui corrisponde il simbolo 308. Le facce g (brachi- pinacoide) riescono striate irregolarmente in modo eccezionale, 5 — 66 — le m a volte sono abbastanza lucenti ma per V addossamento di tante punte triangolari che concorrono a formarle sono un po’ ir- regolari. Le figure IV e V rappresentano due forme non troppo comuni. Nella IV si ha la combinazione m, p, a, ma è ben raro non trovare un principio di facce g. In qualche raro caso le facce a possono predominar tanto da far sparire il pinacoide basale, si ha allora la combinazione p, m. In questi casi V al- lungamento del cristallo avviene parallelamente, alla macrodia- gonale. Nella figura V si ha la combinazione p, g, a, V allun- Fig. IV. Fig. v. ganjento è invertito, cioè avviene secondo la brachidiagonale. Una combinazione più comune è quando appariscono anche le facce m e queste allora possono avere più o meno estensione. Colle debite riserve parafi avere osservato in alcuni cristalli altri due macrodomi uno più acuto, l’altro meno, rispetto a quello ben accertato a . Le facce osservate hanno i seguenti simboli di Miller e Nau- mann : m, P, Si a. 110, 001, 010, 308. «P, oP, ooPoo , VsPoo. Si hanno le seguenti combinazioni di forme: I. 010 110 001 IL 010 001 308. III. 001 110 308. IV. no 308. - 67 La forma più comune è la I, le altre sono abbastanza rare. La combinazione II mi venne fatto eli trovarla in una sola geode abbondantissima però di individui. Nelle forme II e IV è ben difficile non vedervi il principio delle facce 010 o 001 respetti- vamente. In quanto al modo di aggrupparsi dei cristalli è vario; al- lorché essi non sono affatto tabulari si uniscono per le loro basi, e i singoli gruppi disponendosi in varie guise formano le ben note superficie irregolari, rugose, rotondeggianti; se questa dispo- sizione avviene attorno ad un centro, si hanno delle vere e proprie palle, come avviene per la prehnite di Val di Fassa nel Tirolo. Talvolta si hanno delle vere superficie mammellonari, rugose, nelle quali tutti i cristalli mostrano le facce g cioè la più sca- bra, la superfìcie appare come vellutata. A volte i cristalli laminari come la koupholite dei Pirenei si ergono dalla matrice separati, degradando dalle due parti e in varie guise intreccian- dosi, talvolta ancora si possono unire parallelamente alle basi senza degradare ed estendersi parallelamente ad li in modo da formare una superficie a zig-zag. Allorché poi i cristalli si al- lungano parallelamente alla macrodiagonale, si possono formare delle superficie mammellonari, rugose, ma a volte si hanno dei cristalli allungati che sporgono normalmente col loro angolo acuto mf\m a guisa dei pungiglioni sul dorso dell’istrice, cosa che dà alle geodi un aspetto che differisce essenzialmente da quello in cui i cristalli sono allungati lungo 1’ altra diagonale. Caratteri al cannello identici a quelli della prehnite precedente. Il peso specifico fatto su diversi campioni oscillò da 2,92 a 2,93. Una analisi quantitativa fatta su una varietà eminentemente cristallina semi-trasparente incolora, senza tracce di alterazione, mi offrì: SiO® .... 42, 36 ALO3. . . . .... 24, 14 Fe203. . . . .... 1, IO CaO .... 26,87 MgO . . . . . . . . 0,30 Na20 . . . . .... tracce H20 .... 4, 85 99,62 dalla quale deducesi la formula che abbiamo già data di sopra. — 68 - Una lamina sottile di una varietà compatta, semi-trasparente composta di cristalli intrecciati, alla luce comune si presenta come una massa chiara, trasparente, attraversata da varie cre- pature o meglio linee di separazione irregolari dei diversi cri- stalli. Alla luce polarizzata può somigliare da vicino aggregati di quarzo, specialmente nella vivace colorazione cromatica, si osservano però frequenti disposizioni delle sezioni dei cristalli a ventaglio e anelli incompleti colorati di interferenza a causa di aggregati cristallini sferici. Altri minerali accompagnano il minerale, cioè dei grossi e frequenti cristalli di calcite di un colore giallo di cera pallido, le cui facce sono la estrema negazione della lucentezza e si mo- strano fortemente seghettate e striate per V addossamento di più individui. Essi risultano dalle combinazioni di due romboedri ad uno dei quali, che è il prevalente, la direzione di sfaldatura è diagonale. Vi sono poi delle geodi con nitidissimi cristalli di albite e dei quali mi riserbo di parlare in altra occasione. Si può osservare a volte una zeolite depositata sui cristalli di prehnite in delicati aghetti. Mi sembra questa poter riferire ad un prodotto di decomposizione della prehnite, tanto più che mi avvenne di trovare una porzione globulare della medesima tra- sformata per buona parte in essa. Osservata al microscopio un poca di polvere grattata dalla superficie, si mostra composta di cristallini di prehnite e di aghetti lunghissimi di estrema tenuità che si intrecciano e che richiamano o il mesotipo o qualche zeolite affine, ma anche coi caratteri ottici non può decidersi niente. Al cannello mostra contenere della calce, soda, silice ed allumina e ribolle fortemente. Come dissi essa può ricuoprire anche i cristalli ed allora si mostra come uno strato niveo, una vaga crosta, come fa appunto la f oresite nelle geodi del granito tormalinifero elbano che ricuopre le tormaline ed altri minerali. Colla lente si possono osservare i lunghi e finissimi aghetti di cui si compone. Alle salbande delle venuzze infine può vedersi la steatite come prodotto di decomposizione dell’ eufotide per effetto dell’ acqua e dell’ acido carbonico che diè origine alla calcite, mentre la silice, V allumina e il resto della calce forma- rono in parte la prehnite lasciando indietro la magnesia allo stato di silicato. - 69 — Un minerale compatto a grana finissima come l’ alabastro, colorato in rosso violaceo sporco, a volte incoloro, e che facil- mente a primo aspetto potrebbe prendersi per saussurite com- patta, trovasi pure in vene nell5 eufotide. Il peso specifico oscilla da 2, 85 a 2, 90. Durezza 6 a 7, sulle punte di platino fonde facilmente, ribollendo anche in grossi pezzi, imbianca e colora molto pallidamente la fiamma in rosso giallastro, si ha poi uno smalto bolloso semi-trasparente. Al microscopio polarizzante, si mostra sotto la forma di aggregato derivante da un unico mi- nerale, con vive colorazioni. E prehnite compatta. Prehnite di Montecatini ( Val di Cecina). — Il professor Bechi in questo Bollettino, anno 1870, pag. 66, pubblicò, unitamente all’analisi riferita più sopra, quella della- roccia prehnitoide, da esso trovata nella miniera di Montecatini, la quale « sotto forma di giunture, traversa o rilega ammassi di gabbro, specialmente nella galleria di scolo. » Trattandosi di un minerale compatto la scelta non mi sembra troppo opportuna, e difatti T autore stesso ci dice che faceva effervescenza coll’ acido cloridrico, dovuta a carbonato di calce, che vi era meccanicamente commisto, per lo chè esso fu costretto a togliere questo col suddetto acido, notando come la roccia prehnitoide vi è affatto insolubile. Ora ciò non è, poiché la prehnite si scioglie è vero con difficoltà negli acidi prima della calcina- zione, ma non vi è affatto insolubile, quindi per me V analisi precedente perde del suo valore, ancorché eseguita coi mezzi più raffinati e coll’abilità più grande, cose di cui non dubito affatto.1 Analizzando una varietà incolora trasparente, composta di cristalli aggruppati, mi ha dato : SiO2. . . . . . . . 42,86 APO3 . . . .... 24, 20 Fe203 . . . . . . . 0,99 CaO. . . . . . . . 27,03 EPO .... . . . . 4,96 100, 04 1 La cosa potrebbe anche stare se tutti componenti si sciogliessero in pro- porzione, il che certamente non avviene. — 70 — composizione che fornisce la formola delle ordinarie prehniti ed in cui forse il piccolo eccesso di calce, può derivare da par- ticelle di calcite commiste. Questa vera e propria prehnite cristallizzata, esiste nelle geodi del gabbro rosso insieme con cristalli assai grossi di cal- cite. L’ esemplare da me analizzato, formava come una colatura alla parte superiore di una geode, e mostrava in qua e in là qualche cristallino di rame nativo, e dei bellissimi cristalli di calcite sovrapposti, colle numerose combinazioni di forme, per le quali sono celebri le calciti di questa località. I cristalli si ag- gruppano nel solito modo, e formano delle creste rotondeggianti con dorsi molto rugosi ; non sono però tubulari, e si distinguono assai bene anche ad occhio nudo, presentando forme semplicis- sime, cioè: 001, 010, 110, analoghe a quelle dell’ Impruneta, Fig. I. Oltre che la varietà incolora, si possono osservare cristalli di un verdolino più o meno chiaro, talvolta verde di vetriolo, come dice D’ Achiardi, e nei quali trovò 2,99 per peso specifico. In tal caso al cannello col borace o sale di fosforo, si ha una reazione più intensa del ferro, il quale è causa della colorazione più forte. Prehnite dell’Elba. — E stata trovata, come riporta D’Achiardi nell’ eufotide a Monte Terrone che rimane nella parte occiden- tale dell’ isola, ma sembrano non esservi altri particolari sul suo rinvenimento. Essendovi eufotidi in varie località di quest’isola, la si potrebbe trovare anche altrove. Nell’ ultimo mio soggiorno all’ Elba (1876) ebbi agio di fare insieme col dottor Roster varie escursioni mineralogiche e rinvenni prehnite in un gia- cimento affatto differente dal citato, vale a dire nelle dioriti che tanto abbondano a contatto dei graniti e dei porfidi. Questo giacimento è nuovo per le nostre località, benché al- trove siasi trovato prehnite in questa medesima roccia, che al- cuni autori citano come una delle più produttive di questo mi- nerale. 1 Nelle spaccature trovansi piccoli, ma nitidi cristalli di 1 Per qualche amatore che bramasse visitare la località ecco alcuni raggua- gli d’ itinerario. Percorrendo la strada che va da Portoferraio a Longone, pas- sate le Grotte giungesi al piede di M. Fabrello, lasciando a destra la strada maestra e salendo lungo un torrente si entra nella vallata dei Catenacci, loca- lità rinomata per 1’ epidoto e i granati, giunti ad un certo punto salendo a si- — 71 — epidoto verde cupo, quarzo latteo in grossi cristalli a volte, più raramente granati, e infine prehnite. Questa, come il quarzo, ha un aspetto latteo per alterazione, ed è affatto opaca. Mostrasi in sferulette depositata sull’ epidoto o insieme commista, alla cui superficie sporgono le punte dei cristalli, oppure in superficie mammellonari coi cristalli disposti in varie guise, infine in creste rotondeggianti (a creste di gallo, Haùy) assai regolari, in que- st’ ultimo modo i cristalli sembrano presentare la stessa forma semplice 001, 010, 110, v. Fig. I, ma per gli altri non si può dire con certezza. Un’ analisi quantitativa, ha dato il seguente resultato : SiO2 . . . 44,03 A1203 . . . . . . . 23,20 Fe203 . . . . ... 2,05 CaO ... 26, 24 Na20 . . . . . . . tracce H20 . . . 4,90 100, 52 Il peso specifico variò in due esperienze da 2,88 a 2,886. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. L. Bombicci. — Contribuzioni di mineralogia italiana. Bologna, 1877. È questo un grosso fascicolo in-4°, corredato da tavole ed estratto dalle Memorie dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna : con esso 1’ egregio Autore pubblica cinque interes- santi articoli che trattano argomenti diversi di mineralogia ita- liana. Li passeremo brevemente in rivista. 1° Descrizione dei cristalli di Datolite e di Prehnite delle eufotidi del Fosso della Castellina presso Lizzo ( Bolognese ). — nistra e scavalcando il contrafforte di M. Orello, si arriva al versante opposto da cui scorgesi il mare e prima di arrivare a questo un luogo detto V Acqua Calda. Dall’ una e dall’ altra parte la diorite è la roccia dominante in cui rin- viensi la prehnite. - 72 — Fino dal 1874 l’Autore accennava alla esistenza di nitidi e lim- pidissimi cristalli di Datolite nella eufotide alterata prehnitifera che si trova nell’ alta parte del rio della Castellina al nord di Lizzo (presso Porretta), ed ora esso ne dà la descrizione. I cri- stalli sono incolori, o leggermente traenti al gialliccio, e traspa- rentissimi ; hanno abito prismatico, con terminazione simmetri- camente obliqua costituita da facce di differenti specie. Nella matrice di loro giacimento tali cristalli sogliono stare impiantati per guisa che P asse del prisma primitivo tende alla normalità sulla superficie cui sono aderenti . di rado però si può verificare questa condizione, poiché i cristalli si trovano sciolti e dispersi insieme al detrito della roccia diallagica molto alterata ed in via di sfacelo completo. Le dimensioni dei cristallini finora rac- colti, raramente raggiungono nei più voluminosi la lunghezza di un centimetro per P asse principale. I cristalli di Datolite pro- vengono di preferenza da certe screpolature della eufotide rive- stite di Prehnite, e sono quindi in essa impiantati : la Prehnite si presenta distesa in sottili rivestimenti costituiti da minimi prismetti romboidali fra loro associati in sistemi lenticolari, con striature dirette normalmente verso il loro margine curvilineo. Questi straterelli incrostanti di Prehnite sono verdognoli, translu- cidi, di pressoché uniforme struttura e grossezza; di rado sono incolori, e allora possono sembrare a prima vista formati da quarzo. 2° La struttura cristallina della Ratchettina (cera fossile) del Monte Falò presso Savigno (Bolognese). — Nuovi studii su questa singolare sostanza hanno dimostrata la sua struttura de- cisamente cristallina. Sino dall’ epoca della sua scoperta ^1876) l’Autore vi riconobbe il potere di doppia rifrazione e notò la sua azione sulla luce polarizzata : tali proprietà ottiche non sono determinabili che nelle più tenui, diafane ed omogenee laminette, talvolta ottenibili col soccorso di una specie di imperfettissima sfaldatura. Siffatte lamelle possiedono due assi ottici, ed offrono due sistemi di anelli elittici : il piano delle due bisettrici sembra perpendicolare alle superficie di sfaldatura, e la dispersione degli assi ottici producesi con perfetta simmetria intorno alle biset- trici medesime : il minerale può adunque essere ritenuto come trimetrico. Colla fusione esso perde il potere birifrangente, e la attività ottica di polarizzazione. L’ Autore tratta anche la que- - 73 - stione dalla genesi di questa cera fossile nel giacimento di Monte Falò. 3° Notizie sui minerali metalliferi e sulle cristallizzazioni elei filoni elei Sarrabus {Sardegna). — I minerali dei quali è pa- rola derivano per la maggior parte da quattro filoni regolari, o di spaccatura, facienti parte di un assai complicato sistema di filoni, alcuni dei quali con ganghe prevalentemente baritiche, altri quarzose, altri calcareo-fluoritiche, più spesso con ganghe promiscue. La galena è sempre il minerale metallifero domi- nante, e i minerali di piombo accessorii (fosfati, carbonati, ec.) si incontrano negli affioramenti ; ma in qualche caso la blenda, la pirite e la calcopirite vi acquistano tale sviluppo da rappre- sentare le ganghe metalliche, sebbene raramente in cristalli. Fra i minerali accidentali vanno segnalati i solfuri di argento, di nichelio e di cobalto, e l’argento nativo capillare ed a cespugli. I quattro filoni esaminati nella Memoria sono : a) Monte Narba ; sta incassato in una formazione di argil- loscisti siluriani, durissimi, in vicinanza di rocce porfiriche, le quali sembra abbiano esercitato ivi una naturale azione di me- tamorfismo: è diretto da Est a Ovest e inclina verso il Nord. La ganga è formata di quarzo, di calcite e di fluorite, e in modo accessorio di baritina, di argilla steatitosa e di taluni silicati verdi terrosi ; le salbande offrono materiali argillosi, steatitosi, con impasti e rilegature di rocce concomitanti. Oltre alla galena tal volta povera, tal’ altra argentifera, e alla blenda che assai di frequente forma ganga metallifera, trovansi sparsi in questo filone : il Cherargirio (argento clorurato), l’ Argento nativo, 1’ Argirose (solfuro di argento), la Pirargirite (argento rosso antimoniale), la Stefanite (argento solforato), la Nichelina (nichelio solforato arsenicale), la Pirite, la Calcopirite e il Mispichel. Vanno pure segnalate le bellissime cristallizzazioni di calcite, con forme assai nitide, sopratutto del tipo prismatico. b) Giovanni Bonu ; diretto e inclinato come il precedente, ha rocce incassanti più dure, verdastre, con abbondanza di pi- rite : le ganghe sono prevalentemente quarzose con baritina, fluo- rina e calcite, quest’ ultima cospicuamente cristallizzata. La blenda compatta, ferruginosa, vi costituisce la ganga metallica domi- nante, con minerali argentiferi e piccole quantità di pirite e pir- — 74 — rotina. I minerali utili sono : il Cherargirio, talora in quantità notevoli, r Argento nativo in piccole masse filiformi o in lamelle dendritiche, 1’ Argirose in cristalli imperfetti o in masse associate alla calcite o adunate in forma di vene nella ganga calcareo- baritica, la Stefanite in una vena parallela al filone principale insieme con Argirose e Pirargirite, la Galena ricca in argento, più di rado povera e antimonifera, la Cerussite in masse litoidi e terrose all’ affioramento e la Nichelina, con tracce di minerali cobaltiferi, in forma di piccoli arnioni con Argento nativo, Ar- girose e Galena. c) Raccu Arrodas ; diretto del pari da Est a Ovest, pos- siede ganghe prevalentemente baritiche e quarzose con belle cri- stallizzazioni di calcite e poca fluorina che suole accompagnare i minerali di argento ; offre inoltre materiali argillosi, steatitosi e terre ferruginose all’ affioramento. I minerali utili sono : la Ga- lena a grana fina, brillante, contenente fino a 2 per 1000 di ar- gento, la Cerussite compatta o aghiforme verso P affioramento, tracce di Piromorfite, il Cherargirio nelle terre ferruginose del- P affioramento, P Argento nativo in copia relativamente grande e con le sue varietà filiformi, lamellari, dendritiche e granulari (sono comuni i pezzi di oltre 100 grammi di peso e se ne rinvennero di 500 e 600), P Argirose con le stesse forme del precedente, la Stefanite in piccoli cristalli, la Pirargirite in rivestimenti o in masse cristalline e dendritiche, la Blenda formante ganga me- tallica, la Pirite, la Marcassite, la Pirrotina e lo Spinello in ottaedri assai regolari e voluminosi. d) Acqua Rubìa; è un filone a ganga quarzosa, po^co me- tallifero, fiancheggiato da una roccia granatifera. Vi si associano in miscuglio irregolare la Galena, la Blenda amorfa, i solfuri di ferro, la Pirrotina, la Calcopirite, con quarzo e calcite; più di rado Argirose, Argento nativo e Molibdenite. A questa descrizione P Autore fa seguire alcune particolarità sulle forme cristalline della Calcite dei giacimenti argentiferi del Sarrabus, e di altre poche specie minerali accessorie e quasi accidentalmente ivi costituitesi, come la Millerite o solfuro di nichelio. 4° Studio comparativo dei minerali e delle cristallizzazioni più notevoli nei giacimenti solfiferi di Sicilia e di Romagna {T Parte). — Da molto tempo si conoscono le grandi analogie che sussistono fra le formazioni mioceniche ed i rispettivi gia- cimenti di minerali utili di queste due regioni italiane, e ciò dimostra che le condizioni generali nelle quali andò costituen- dosi tale formazione furono prevalentemente uguali nel setten- trione e nel mezzodì d1 Italia. I principali minerali cristallizzati e le sostanze litoidi ben definite che finora si trovarono comuni ad ambedue le formazioni, sono i seguenti : Solfo nativo puro in cristalli ortorombici ; Selenite in bei gruppi di cristalli, o in masse bacillari e concrezionate, e in una lunga serie di forme litologiche fino allo stato amorfo e compatto ; Calcite in bellis- sime cristallizzazioni o a struttura concrezionata ; Aragonite in cristalli multipli, geminati, di abito prismatico, apparentemente esagonali ; Celestina in belli e voluminosi cristalli ; Baritina in cristalli tabulari (Romagna) ; Quarzo cristallizzato, assai raro in ambedue le regioni ; Salgemma, uno dei minerali caratteristici della formazione miocenica ; Melanoflogite, minerale nuovo e molto raro (Sicilia) ; Tripoli con impronte di pesci ; infine una serie di materie bituminose. L1 Autore descrive minutamente alcuni di questi minerali comuni alle due formazioni, insistendo a preferenza sulle particolarità offerte dagli esemplari di Ro- magna, i quali sono i meno noti perchè meno diffusi. I minerali descritti sono, oltre allo Solfo, la Calcite in romboedri inversi, la Aragonite cristallizzata, la Celestina e il Quarzo cristallizzato. 5° Il solfo cristallizzato in rombottaedri per via di fusione nei grossi pani di solfo del commercio. — Il principio secondo il quale viene spiegato il dimorfismo dello solfo secondo la quan- tità di calore disponibile all1 atto della solidificazione del mine- rale, sia che essa provenga da precipitazione da una soluzione o dal raffreddamento del solfo fuso, riceve una nuova conferma nel fatto apparentemente anormale di cristalli rombottaedrici nello solfo di fusione del commercio. Infatti, mentre i cristalli monoclini comunemente si producono coll1 ordinaria fusione se- guita dal normale raffreddamento del solfo, gli ortorombici in- vece si sono perfettamente ottenuti coll1 identico processo, avendo cura che la massa liquefatta scenda, raffreddandosi, in istato di superfusione, conseguendo perciò temperature più basse. Il cam- pione esaminato dall1 Autore era stato colato in uno stampo di — 7G — legno e quindi si raffreddò lentamente : la prima crosta esteriore formatasi, difese la massa interna da ogni turbamento e le con- sentì di scendere a temperature prossime, od anche inferiori, ai 90° : i cristalli dovettero quindi costituirsi nelle stesse con- dizioni di temperatura che si verificano nel solfo disciolto dai suoi comuni solventi, e perciò vi corrispose una forma ortorom- bica anziché una monoclina. Alla Memoria vanno unite tre belle tavole di forme cristal- line dei minerali descritti. C. Marinoni. — Contribuzioni alici geologia del Friuli. Venezia, 1877. Questo lavoro è destinato ad illustrare un lembo eocenico esi- stente alle falde settentrionali del Monte Plauris nella valle del Fella, e con esso l’Autore inizia una serie di articoli geologici sul Friuli. Benché dopo gli studi del Fòtterle, dello Stur, del- 1’ Hauer, del Pirona e specialmente del Taramelli questa regione trovisi abbastanza bene conosciuta, pure qualche cosa resta an- cora a farsi e qualche angolo riposto che tuttora rimane ad esplorarsi può dare buona mèsse di osservazioni geologiche. Tale è il compito lodevolissimo al quale sembra voglia dedicarsi l’Au- tore, riempire cioè le lacune lasciate dai suoi predecessori. Il terreno nummulitico che è argomento della Memoria, oc- cupa un alto vallone del Monte Plauris, dal lato che prospetta Campiolo di Moggio, dove riposa, con assoluta discordanza e con leggiera inclinazione verso nord, sugli strati della dolomia superiore triassica. Siffatte condizioni di giacitura fanno credere che, per quanto isolato, il deposito del Monte Plauris deve es- sere stato collegato con qualcuno di quegli altri lembi analoghi che si trovano maggiormente internati nelle Prealpi Giulie. In quanto all’ epoca di sua formazione l’Autore lo riferisce all’ eo- cene medio per ragioni litologiche, stratigrafiche e paleontologi- che : la natura della roccia, marna al di sopra e puddinga quar- zosa al di sotto, corrisponde in modo indubitato a quella di altre località friulane di detta età ; il sincronismo viene poi confer- mato dall’ ordine di sovrapposizione stratigrafica, e meglio ancora - 77 — dalla comunanza delle specie fossili con altre località, ben cono- sciute. Le specie raccolte alle falde settentrionali del monte sommano a 95, delle quali 50 si poterono determinare con piena sicurezza ; fra queste primeggiano i coralli, vengono quindi in ordine di frequenza gli acefali, i gasteropodi, i rizopodi, gli echi- nidi e gli annellidi; 9 specie, fra le quali 6 di coralli, sareb- bero nuove. Un parallelismo evidente esiste fra il deposito del Monte Plauris ed altri di località estranee al Friuli e bene conosciute, e fra questi coi depositi del Vicentino. La fauna studiata dal- T autore infatti ci dà 16 specie del piano di S. Giovanni Ba- rione e di Roncà, 4 del piano di Crosara e di Salcedo, 17 di quello di Gastelgomberto ; in tutto 37 specie , sopra le 50 de- terminate, rapporto che conduce a stabilire la equivalenza stra- tigrafica. W. Dames. — Die Echiniden der vìcenlinisclien und veronesischen Tertiàràblagerungen. — Cassel, 1877. In uno degli ultimi fascicoli della Pdlaeontographica 1 tro- viamo questa importante Memoria del dottor Dames sugli echi- nidi dei terreni terziarii del vicentino e del veronese. Il mate- riale di studio fu fornito dal R. Museo paleontologico di Berlino, il quale negli ultimi anni si è arricchito d’ assai in fossili ter- ziarii dell’ Alta Italia, cui 1’ autore intende ordinare ed illustrare incominciando ora dagli ecbinidi ; esso si valse inoltre di esem- plari fornitigli dal Museo della Università di Vienna, dal Museo di Strasburgo, da quello dell’ Università di Pisa e da diverse collezioni private. Nella Memoria sono descritte N° 104 specie di echinidi ter- ziarii del versante meridionale delle Alpi, il che prova che quella fauna è una delle più ricche che finora si conoscano. Cotteau descrisse bensì 102 specie di echinidi dei Pirenei,2 ma di que- 1 Pdlaeontographica, Beitràge zur Naturgeschichte der Vorzeit, herausgeg. von W. Dunker und K. A. Zittel. Casse]. 2 Cotteau, Echinides fossiles des Pyrenées. Paris, 1863. - 78 ste 9 appartengono al miocene tipico, piano che nel vicentino non diede ancora echinidi ; di queste poi 8 sono estranee al vicentino, cosicché la differenza fra la nostra fauna e quella dei Pirenei aumenta a ben dieci specie. Questa ricca fauna però non appartiene ad un solo livello, e si può quindi suddividere in gruppi disposti per ordine di età e di località ; essi sono i se- guenti procedendo dal basso in alto : 1° Fauna del calcare di Monte Postale e del tufo di Monte Spilecco. 2° Fauna del cal- care e tufo di S. Giovanni Barione. 3° Fauna di Lonigo, Pria- bona e Verona. 4° Fauna di Montecchio Maggiore e Castelgom- berto. 5° Fauna del Castello di Schio e Collalto di Monfumo. Dall’ esame e dal confronto dettagliato di queste cinque faune l’Autore giunge alla conclusione seguente, in ordine alla loro estensione. Se noi facciamo astrazione dalla più antica, la quale trovasi sviluppata soltanto nel vicentino, le altre perdono sempre più in estensione orizzontale, procedendo verso la più recente : mentre la fauna di S. Giovanni Barione trovasi rappresentata nel veronese, nel Friuli, nell’ Istria, nelle Alpi bavaresi e svizzere, nella Francia meridionale e nell’Egitto, e mentre nelle Indie e nelle Antille osservansi faune di poco differenti ; la terza fauna invece trova delle analoghe soltanto nel veronese, nell’ Istria, nel Friuli e nel mezzodì della Francia. La quarta infine riappare appena nel S. 0. della Francia, e P ultima è esclusiva del vicentino e del Monte Titano : devesi poi rimarcare come di queste due faune non trovisi traccia presso Verona, mentre la quarta almeno appare in Francia e anche meglio fornita di specie che nel vi- centino. Fanno corredo alla Memoria undici belle tavole, nelle quali sono maestrevolmente disegnate 52 delle 104 specie descritte nel testo. PUBBLICAZIONI DEL B. COMITATO GEOLOGICO. (CONTIXUAZIONE.) I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Co- mitati Geologici e sul R. Comitato Geologico d’Italia. — Firenze 1871. . L. 1.50 Idem. — Carta Geologica della parte orientale del- l5 Isola d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1871 » 3. 00 F. Giordano. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande galleria della ferrovia ltalo-Elve- tica. — Firenze 1873 » 10. 00 Idem. — Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1873 » 5.00 C. W. C. Fuchs. — Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala di 1 per 25,000. — Firenze 1873. ...» 3.00 G. Ponzi e Fr. Masi. — Catalogo ragionato dei prodotti minerali italiani ad uso edilizio e decorativo spediti dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio all’ Esposizione Internazionale di Tienna. — Roma 1873 » 2. 00 Idem. — Catalogo sommario dei prodotti minerali italiani ec. — Roma 1873 » 1. 00 P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta Geo- logica d’Italia in grande scala. — Roma 1875 . » 1. 50 G. Doelter. — Carta Geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone, nella scala di 1 per 20,000. — Roma 1876 » 2. 00 Per le commissioni dirigersi all’ Ufficio Geologico in Roma, Piazza San Pietro in Vincoli, N. 5, od ai principali librai. Annunzi di pubblicazioni Pio Mantovani. — Intorno ad alcnni ammoniti dell’ Àpennino del- P Emilia. — Reggio d’ Emilia 1877 ; pag. 14 in-8°. D. Pantanelli. — Dei terreni terziari intorno a Siena. — Siena 1877; pag. 16 in-4° con carta geologica ed una tavola. M. Baretti. — Studi! geologici sul Gruppo del Gran Paradiso. — Roma 1877 ; pag. 122 in-4° con sette tavole. L. Bellardi. — I molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria; Parte 2\ Gasteropoda ( Pleurotomidce ). — Torino 1877; pag. 364 in-4° con nove tavole. A. D’Achiardi. — Miniere di mercurio in Toscana e considerazioni ge- nerali sulla genesi loro. — Pisa 1877 ; pag. 20 in-8° con una tavola. G. Curioni. — Geologia applicata delle provincie lombarde e descrizione ragionata delle sostanze utili metalliche e terree raccolte nelle medesime. — Milano 1877 ; 2 volumi in-8°, di pag. compì. 716, con una carta geologica in due fogli nella scala di 172800. A. Issel. — Appunti paleontologici: 2° Cenni sui Mylióbates fossili dei terreni terziari italiani. — Genova 1877 ; pag. 28 in-8°. F. Bassani. — Ittiodontoliti del Veneto. — Padova 1877 ; pag. 40 in-8°. T. Tarahelli. — Catalogo ragionato delle rocce del Friuli. — Ro- ma 1877 ; pag. 68 in-4° con sei tavole. G. Capellini. — Balenottere fossili e Pachi) acanthus dell’ Italia meri- dionale. — Roma 1877 ; pag. 22 in-4° con tre tavole. J. R.oth. — Studien am Monte Somma. — Berlin 1877 ; pag. 48 in-4°. W. Dames. — Die Echiniden der vicentinischen und veronesischen Ter- tiarablagerungen. — Cassel 1877 ; pag. 100 in-4° con 11 tavole. L. Bombicci. — Contribuzioni di mineralogia italiana, — Bologna 1877; pag. 56 in-4° con 3 tavole. C. Marinoni. — Contribuzioni alla geologia del Friuli.— Venezia 1877; pag. 50 in-8°. A. D’Achiardi. — - Minerali toscani (ematite, baritina, farmacosiderite, preenite, epidoto, sperchise). — (Atti della Scc. Toscana duSc. Nat., voi. Ili, fase. 1.) — Pisa 1877; pag. 6 in-4°. W. Branco. — I vulcani degli Erniei nella valle del Sacco. — (Mem. della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. I.) — Roma 1877; pag. 17 in-4° con una tavola. G. Ponzi. — La Tuscia Romana e la Tolfa. — (Mem. della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. I.) — Roma 1877 ; pag. 54 in-4° con due tavole. G. Seguenza. — Nuculidi terziarie rinvenute nelle provincie meridio- nali d’ Italia. — (Mem. della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. I.) — Roma 1877; pag. 38 in-4° con cinque tavole. G. A. Pirona. — Sulla fauna fossile ginrese del Monte Cavallo in Friuli. — (Mem. del R. Istituto Veneto, voi. XX.) — Venezia 1878 ; pag. 62 in-4° con una carta geologica e otto tavole. T. Taramelli. — Del granito nella formazione serpentinosa delPApen nino pavese. — (Rendiconti del R. Istituto Lombardo, voi. XI, serie 2a, fase. 1 e 2. Milano 1878; pag. 25 in-8°. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Marzo e Aprile 1878. ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1878. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. 1°. — Bollettino. — Si pubblica regolarmente in fascicoli bime- strali di 5 o più fogli di stampa ciascuno, formanti un vo- lume annuo di 500 e più pagine, con tavole ed incisioni in- tercalate nel testo. Il prezzo dell’ abbuonamento annuo è di L. 8 per P interno e di L. 10 per l’ estero. Gli abbuonati ricevono gratuitamente la copertina ed il frontespizio del volume. — Ad annata compiuta i volumi annuali rilegati si vendono al prezzo di L. 10. — I fascicoli separati si vendono, al prezzo di L. 2 ciascuno. — La serie incomincia coll’anno 1870. II0. — Memorie per servire alla descrizione della Carta Geo- logica d? Italia. — Pubblicazione di gran formato corre- data da tavole, Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Volume I; Firenze 1871. — Introduzione — Studii geo- logici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui minerali delle valli di Lanzo, di G. Struver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con quattro tavole. — Descri- zione geologica dell ’ Isola d ’ Elba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica . — Malacologia pliocenica ita- liana (Parte Ia, Gasteropodi sifonostomi ) di C. D’ Ancona ; fascicolo 1°, con sette tavole. — Prezzo Lire 35. Volume II, Parte la; Firenze 1873. — Introduzione. — Monografìa geologica dell' Isola dy Ischia, di C. W. C. Fuchs, con Carta geologica e incisioni nel testo. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attra- versata dalla grande Galleria della Ferrovia It alo -Ev etica, di F. Giordano, con Carta geologica e due tavole di Sezioni. — Appendice alla Memoria sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con una tavola. — Malacologia pliocenica italiana (Parte Ia, Gasteropodi sifono- stomi), di C. D’ Ancona, fascicolo 2°, con otto tavole. — Prezzo Lire 25. Volume II, Parte 2a; Firenze 1874. — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, Parte 2a, con due tavole. — Prezzo Lire 5. Volume III, Parte la; Roma 1876. — Il gruppo vulca- nico delle Isole Ponza, monografia geologica di C. Doelter, con tre tavole e una Carta geologica. — Geologia del Monte Pisano, di C. De Stefani, con una tavola. — Prezzo Lire IO. {Continua.) BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. S° 3 e 4, — Marzo e Aprile 1878. SOMMARIO. Note geologiche. — I. Il giacimento antimonifero della Selva presso Pari, le putizze e le sorgenti sulfuree di Petriolo, e il giacimento ramifero del Santo, per B. Lotti. — II. Sulla geologia dei Sette Comuni nel Veneto, per M. Wacek. — III. Sulla geologia dei Tredici Comuni al Nord di Verona, per A. Bittner. — IV. Il terreno terziario di Marostica nel Veneto, per A. Bittner. — V. Sui Sirenoidi fossili dell’ Italia, per A. De Zigno. — VI. Intorno alla posizione degli strati di Pikermi, per T. Fuchs. — VII. Poche parole sui terreni dei dintorni di Termini-Imerese, per S. Ciofalo. Note mineralogiche. — Zeolite ed Aragonite, raccolte nei filoni cupriferi della Liguria, per A. Issel. Notizie bibliografiche. — G-. Seguenza, Nuculidi terziarie rinvenute nelle provinole meridionali d’Italia; Roma, 1877. — W. Branco, I vulcani degli E mici nella Valle del Sacco; Roma, 1877. — G. A. Pirona, Sulla fauna fossile giurese del Monte Cavallo in Friuli; Venezia, 1878. — T. Taramelli, Del granito nella formazione serpentinosa dell’ Apennino pavese; Mila- no, 1878. — A. Verri, Sulla cronologia dei vulcani tirreni e sulla idro- grafìa della Val di Chiana anteriormente al periodo pliocenico ; Milano, 1878. — A. Cossa, Ricerche chimiche sui minerali e rocce dell’Isola di Vulcano ; Roma, 1878. — G. Capellini, Il calcare di Leithd, il Sarmatiano e gli strati a Congerie nei monti di Livorno , ec. ; Roma, 1878. Notizie diverse. — R. Accademia dei Lincei. — Società Toscana di Scienze Naturali. — Il nitrato di soda e altri prodotti minerali del deserto di Atacama nel Chili. Tavole ed incisioni. — Sezione geologica attraverso il Monte di Pari, a pag. 86. NOTE GEOLOGICHE. I. Il giacimento antimonifero della Selva presso Pari , le pu- tizze e le sorgenti sulfuree di Petriolo, e il giacimento ramifero del Santo, per B. Lotti. I luoghi indicati nel titolo della presente breve nota, sono distribuiti in un’ area ristretta presso la confluenza del torrente Tarma colla Merse, e di questa, poco più sotto, coll’Ombrone. L’ aspetto del paese è quanto può dirsi selvaggio, sia per la mancanza, o almeno scarsità di coltivazioni, sia per le più sva- riate accidentalità del terreno, quali devono esser presentate in- ,\ . — 84 — fatti da una località montuosa presso la riunione di tre notevoli corsi d’ acqua. La Farma scende da ponente per entro una pro- fonda incassatura quasi rettilinea fiancheggiata da alture presso a poco ugualmente elevate da ambedue i lati e talmente a ri- dosso del torrente, che presentano verso di esso scoscesi dirupi solcati soltanto da qualche insignificante e precipitoso ruscello. I due crinali di queste alture, quasi esattamente paralleli al thalweg del torrente, formano due linee di spartiacque fra la Farina e la Merse a Nord,, e fra la Farma e V Ombrone a Sud. Evidentemente trattasi qui di una spaccatura rettilinea, avvenuta precisamente lungo 1’ unica linea di displuvio che un tempo do- veva esistere fra i due bacini della Merse e dell’ Ombrone, oc- cupati allora in gran parte dal mare pliocenico. Questi monti costituiti prevalentemente da quarziti, anageniti e schisti, rife- ribili, a quanto sembra, al periodo triassico, e da pochi lembi isolati di calcare cavernoso, infraliassico, secondo il De Stefani, fanno seguito verso Sud alla Montagnola Senese e vanno a riu- nirsi, per mezzo dei monti di Rocca Strada, al gruppo triassico di Monte Orsaio. Il torrente Merse che prende _origine dai poggi di Montieri e di Prata, dopo avere raccolto le acque del bacino pliocenico di Chiusdino, correndo da Ovest verso Est, attraversa la Montagnola presso Monticiano, volgendo il suo corso a Nord poi a Nord Est per ritorcersi bruscamente verso Sud, subito dopo avere oltrepassata quella barriera, persistendo in tale direzione fino al suo imbocco nell’ Ombrone. Quest’ ultimo tratto del tor- rente segna all’ incirca una linea di discontinuità fra le due for- mazioni geologiche quivi predominanti, di epoca differentissima, i terreni quarzosi triassici, cioè, sulla destra e gli eocenici sulla sinistra, costituenti quell’ ampia zona calcareo-serpentinosa dei monti di Murlo. Però mentrechè il trias non passa mai nel lato orientale della Merse, i calcari eocenici colle serpentine invadono in più punti la parte opposta, rimanendo però sempre a breve distanza dal fiume. Lembi pliocenici isolati occupano in più punti quelle porzioni di superficie, ove più difficilmente potè esercitarsi la erosione, attestando colla loro non indifferente elevazione,* come nel periodo pliocenico appena le più alte cime di questa regione montuosa emergevano dalle acque del mare. È su tal proposito degna di nota la mancanza di rappresentanti del periodo miocenico e la — 85 — sovrapposizione immediata del pliocene sulle rocce antiche. Per spiegar questo fatto, che non è limitato soltanto alla zona mon- tuosa presa in considerazione, ma verificasi pure in tutta la Mon- tagnola Senese e credo trovi riscontro nella maggior parte dei gruppi della Catena Metallifera, mi sembra ragionevole e suffi- ciente l1 ammettere un periodo di abbassamento nei monti della Catena stessa, corrispondente alla fine del miocene e al principio del pliocene, e un successivo sollevamento durante la sedimen- tazione degli ultimi terreni pliocenici, sollevamento al quale as- sistiamo anche al presente. In favore di questa ipotesi, che in ultima analisi è conforme alle idee del Savi e del Suess. sullo sprofondamento, non però nel senso di un cataclisma, della Ca- tena Metallifera in un’ epoca relativamente recente, ha portato ultimamente un contributo di molto valore il professor Pantanelli, con un suo lavoro sul pliocene di Chianciano (Vedi Boll . del R. Comit. geol. d'Italia, N. 1-2, 1878). Ma veniamo all’argomento. La miniera antimonifera di Pari, è situata presso la riunione della Farma colla Merse, sulla destra di ambedue, a mezza costa di un monte acuminato, chiamato la Selva, costituito essenzial- mente da rocce triassiche ricoperte per breve tratto, soltanto nel lato orientale da un lembo di calcare cavernoso. Il giacimento trovasi in vicinanza dell’ accennata discontinuità fra le rocce an- tiche e le eoceniche, però nulla sembra avere a comune con quest’ ultime, mostrandosi invece, come vedremo, intimamente collegato col calcare cavernoso e cogli schisti triassici sottostanti. Il minerale d’ antimonio è, come in altri punti della zona metallifera maremmana, il solfuro, stibina, ridotto in gran parte in ossido bianco e più raramente in ossisolfuro rosso. Trovasi più di frequente, cementato da quarzo calcedonioso, in masse irregolari o nidi di grossezza variabile, racchiusi in un’ argilla calcarea, ferruginosa, colorata in giallo, in rosso o in grigio- azzurro, con frammenti angolosi di calcare cavernoso e fibre iso- late di solfuro o d’ ossido d’ antimonio. Vi si rinviene inoltre in vene di piccolo spessore che serpeggiano irregolarmente nella stessa argilla ocracea e in una massa argilloso-micacea, dovuta al disfacimento e alla decomposizione degli schisti micacei trias- sici, dei quali vi si riscontrano pure numerosi frammenti. In tal caso il minerale è completamente convertito in ossido e riempie da solo le vene od è cementato da una steatite di cui trovansi — 86 - anche frammenti angolosi presso le salbande : insiem con questi notansi pure grani arrotondati ed anche piccoli cristalli di quarzo. La massa argillosa giallastra od incolora a contatto delle vene prende una tinta rosso-bruna ed è impregnata di solfo. I cri- stalli aciculari del minerale sono nel complesso disposti col loro asse maggiore nella direzione della vena. Cristalli isolati e druse di piccoli cristallini d’ ossido d’ antimonio trovansi nell’ interno della massa argilloso-micacea in prossimità delle vene metallifere. La presenza di vene antimonifere in una formazione mista di argilla con frammenti calcarei e schistosi e la sua posizione apparente al contatto fra i calcari cavernosi e gli schisti trias- sici, mi sembra non lascino dubbio sugli stretti rapporti di questo giacimento cogli stessi terreni, tantoché sia da escludersi V idea della provenienza dei blocchi metalliferi dalla rottura di un filone o di una massa quarzosa che, per analogia con altre località della Maremma, potrebbe immaginarsi aver fatto parte della vicina formazione calcarea eocenica. Trovasi infatti, come è noto, la stibina presso Pereta circa 30 chilometri a Sud-Est di Grosseto o più oltre nella stessa direzione al Poggio Fuoco e a Monte Auto, sempre in relazione colle rocce eoceniche ; che anzi in quest’ ultima località il modo di presentarsi del minerale offre molta analogia col giacimento di Pari. La stibina vi si troverebbe infatti, secondo Burat, in blocchi sparsi ed annidati entro un’ar- gilla nerastra derivata dalla scomposizione degli schisti del- P alberese. La seguente sezione dimostrativa servirà a dilucidare quanto precedentemente fu esposto: 1 . Serpentina. — 2. Calcari alberesi. — 3. Schisti e ftaniti. — 4. Calcare cavernoso. 5. Giacimento dell’ antimonio. — 6. Schisti triassici. La miniera della Selva viene attualmente coltivata mediante escavazioni a cielo scoperto, in vista forse della irregolarità colla quale -trovansi disseminati i blocchi metalliferi in quella massa — 87 - argillosa di molti metri di potenza. Non credo però che col si- stema di lavori adottato, per la poca consistenza della massa, sia sufficientemente guarentita la sicurezza degli operai. Pare che questo giacimento sia stato conosciuto fino da tempi remotissimi, molto prima della scoperta dell’ antimonio, come lo attestano alcuni pozzi antichi quivi esistenti, in uno dei quali fu rinvenuta una medaglia colla data del 900 ; sarebbe stato però abbandonato in seguito ad inutili tentativi per estrarre il me- tallo da quel minerale. Non so se sia da ricercarsi una relazione fra questo giaci- mento di solfuro d’ antimonio e le sorgenti sulfuree termali di Petriolo ; si citano pertanto come dipendenze dei giacimenti anti- moniferi le solfiere di Pereta, di Selvena e di Monte Auto (Vedi Meneghini, Descrizione geologica della provincia di Gros- seto, 1865). Le sorgenti sulfuree di Petriolo cui sono stretta- mente associati vari gruppi di emanazioni di gaz solfidrico e di acido carbonico scaturiscono dal trias presso il letto della Parma, sulla sua sinistra, subito sotto alla miniera : « La loro tempe- ratura è di 39° essendo 26° quella esterna; lasciate in quiete, formano una pellicola bianca, e depositano alle pareti e nel fondo delle vasche un tartaro bianco che vedesi pure pendente in aria o staiattico nella cascata delle acque stesse nella Farma. L’ odore è leggermente sulfuroso, il sapore acidulo sulfuroso diviene sulla lingua alquanto salso. Contengono acido carbonico, acido solfi- drico, piccola quantità di sali muriatici, solfato di calce e tracce di carbonato di ferro » (Santi, Viaggio III per le due provincie senesi, 1806). Il Giuli (1834) assegna a queste acque la tempe- ratura di 45° e ne dà la seguente analisi : Acido carbonico 0, 04 Id. solfidrico 0.11 Cloruro magnesico 0, 97 Id. sodico 2, 50 Carbonato calcico 0, 28 Id. magnesico 0, 21 Id. ferroso . 0, 07 Solfato calcico 0,28 Id. magnesico 0, 42 Id. sodico 0, 69 Totale delle materie sciolte 5, 57 - 88 - Nella pendice che sovrasta a Petriolo, come anche più a monte, sempre sulla sinistra del torrente, e nel suo stesso letto, manifestansi numerose putizze, accompagnate talvolta da sor- genti calde che dettero luogo ad afflorescenze superficiali e ad accumulamenti di solfo nelle cavità interne delle rocce dalle quali sprigionansi. La non insignificante quantità di solfo estratta da questi depositi meritò ad essi il nome di Solfiere. Le quar- ziti e le anageniti, costituite ordinariamente da quarzo roseo, sono affatto decolorate in presenza delle putizze, e il quarzo stesso, per un fenomeno di gaiserismo vien deposto alla super- ficie in masse testacee concrezionate con cavità ingemmate di minuti cristalli e con efflorescenze di solfo. Le acque termali di Petriolo hanno servito e servono da lungo tempo per le cure idroterapiche, e sembra siano state tenute in gran pregio specialmente dagli antichi. I Senesi fino dal se- colo XIII vi eressero varie fabbriche ad uso di abitazione, ove mantenevano un soprintendente stipendiato, e il castello fu cir- condato di mura per salvare i bagnanti dalle aggressioni delle masnade di ladri che infestavano la contrada. Possono osservarsi tuttora queste mura, ma le abitazioni sono completamente spia- nate. « Ma che sito orribile è egli mai questo ! In un cupo fondo sull’ orlo di uno anzi torrente che fiume, fra lo zolfo e le mo- fete, senz’ acqua buona a bere, senza ventilazione, con un caldo soffocante di giorno ed un umido penetrantissimo di notte, con nebbie folte e frequenti, e coll’ unico asilo di una pretesa osteria, ove nulla trovammo per ristorarci, nè pane, nè vino, nè acqua. Oh che luogo detestabile ! » (Santi, l. c.). Ed il Santi troverebbesi anche al presente nelle stesse con- dizioni, se non avesse la fortuna di essere, come io lo fui, gen- tilmente ospitato dal signor Amidei di Siena, nella sua fattoria del Santo a breve tratto dal bagno. Come fu già avvertito, alla zona di rocce antiche triassiche e infraliassiche, sovrapponesi verso Est e Sud-Est un’ ampia di- stesa di rocce eoceniche o cretacee, costituite da calcari albe- resi, schisti e serpentine. Sarebbe un’ impresa oltremodo difficile quella di delimitare esattamente la formazione serpentinosa di questa contrada; tanto è collegata colla formazione calcarea e schistosa che può dirsi comporre con essa un insieme di lembi — 89 — talvolta estesi, ma ordinariamente insignificanti ed inapprezzabili sopra una carta all’ 86400. Nel complesso però le rocce calcaree e schistose sembrano costituire una coperta di non grande spes- sore sulle rocce ofioliticlie, le quali furono in conseguenza messe a nudo in più punti dalla degradazione degli agenti esterni. Le serpentine qui, come dappertutto, sono più o meno me- tallifere, e dettero luogo in diversi punti ad esplorazioni e a coltivazioni regolari per 1’ estrazione del minerale di rame, come ad esempio nel Monte Acuto presso Pari, a Casenovole e altrove. Di recente poi furono scoperti nei dintorni della fattoria del Santo vari affioramenti ramiferi, che per la loro non comune ric- chezza e per le favorevoli condizioni in cui si trovano, fanno concepire le più lusinghiere speranze per la buona riuscita di una impresa industriale. A pochi passi di distanza dalla fattoria verso Sud fu sco- perto il minerale in una diabase porfiroide. La calcopirite con- vertita nell’ affioramento in carbonato verde e azzurro è distri- buita in vene esilissime o disseminata irregolarmente nella massa della roccia. La stessa diabase impregnata di minerale di rame ritrovasi in diversi punti presso il letto della Merse. Più a monte sempre sulla destra del fiume, dirimpetto a Monte Pescini, ve- desi fra il gabbro rosso e la serpentina una formazione di con- tatto, costituita da una pasta steatitosa grigiastra, in cui son racchiusi filoncelli e vene di calcopirite. Il gabbro è eminente- mente variolitico e le pustole sferiche isolate, grosse talvolta come una nocciuola, sono sparse in gran copia sul terreno. So- vra il gabbro stanno, come di solito, schisti rosso-bruni in parte argillosi, in parte ftanitici. Risalendo il monte verso S.O., in un fosso chiamato Bolarecci, incontrasi la stessa formazione steati- tosa, molto più ricca però di quel che apparisce presso la Merse. Qui pure il minerale è disposto in filoncelli di spessore varia- bile costituiti quasi esclusivamente da calcopirite, con poco ce- mento serpentinoso, che talvolta raccogliesi in vene sottili ser- peggianti per entro la massa del minerale compatto. Sembra mancare il gabbro; vi abbonda però la diabase porfiroide e T eufotide, ed in quest’ ultima può osservarsi gran copia di cri- stallini di pirite. Non è facile apprezzare, nel presente stato di cose, lo spessore massimo della fojmazione steatitosa metalli- — 90 — fera, ma nei due punti ove si scuopre oltrepassa certamente i tre metri. I piccoli saggi superficiali, quando così vogliansi chiamare quei pochi colpi di zappone e di piccone dati più qua e più là nei pressi del Santo, se sono insufficienti per fissare esatta- mente le condizioni geologiche del giacimento metallifero, fanno però conoscere qual grado elevato abbia raggiunto la metalliz- zazione in questa zona serpentinosa. Il signor Amidei proprie- tario della miniera, ha già ceduto ad un impresario il diritto d’ escavazione ed è sperabile che al più presto sorga e prosperi in quei dintorni una nuova industria,1 che non mancherà al certo di produrre notevoli vantaggi. IL Sulla geologia dei Sette Comuni nel Veneto ; nota di M. Vacek. (Vedi Verh. der k. k. geol. ReicTis., 1877, N. 17.) Nella seduta del 18 Dicembre 1877, dell’ I. E. Istituto Geo- logico Austriaco, il signor Vacek presentava la carta dei Sette Comuni rilevata geologicamente nella precedente estate, e la ac- compagnava con un cenno descrittivo che qui sotto riproduciamo sommariamente, in aggiunta alla nota inserita nel Bollettino dello scorso anno, N. 11 e 12, pag. 430. Come già fu detto in quella prima nota, la regione dei Sette Comuni consiste in due altipiani, l’uno settentrionale appoggiato a formazioni cristalline, l’ altro meridionale che raggiunge le formazioni terziarie verso la pianura del Veneto: il primo* si eleva sul secondo all’ incirca quanto questo sovrasta ai terreni terziarii dei dintorni di Marostica. Al nord di questi 'ultimi si elevano 1 Oltre la miniera dell’antimonio e questa del Santo in via d’esplorazione, è attualmente coltivata nel versante meridionale del poggio stesso della Selva presso Sant’Antonio, un filone di galena; esso pure racchiuso nel trias. Nello stesso terreno è racchiusa inoltre la galena, presso il Belagaio, sempre nei monti che fiancheggiano la Farma a destra. — 91 — gli strati secondari con inclinazione prossima alla verticale sino ad una altezza di circa 4000 piedi; si ripiegano quindi verso nord per scendere dolcemente in questa direzione sino all’ orlo dell’ altipiano superiore, il quale a sua volta viene formato da una seconda e ripidissima ripiegatura degli strati, che si elevano ancora di ben 2000 piedi sopra la conca dei Sette Comuni. A questa altitudine gli strati si piegano di nuovo bruscamente, e salgono di continuo verso nord sino all’ incontro dell’ alta catena che segna il limite settentrionale del territorio, nel qual punto la stratificazione si abbassa non solo verso sud, ma ancora, e nello stesso modo, a levante e a ponente verso la valle del Brenta e quella dell’ Astico. Se noi consideriamo la potente massa mon- tuosa formante il versante settentrionale del Monte Yezena, noi troveremmo che gli strati inclinano fortemente verso ponente, cioè dalla parte dell5 Astico : se invece si percorre la strada che da Vezena conduce a Rotzo, osservasi che tale inclinazione comune a tutto il versante di Monte Yezena e Monte Campolungo, cessa verso la Cima di Rotzo, dove gli strati riprendono a salire d’al- quanto. Parimenti si trova nel lato orientale della catena che le grandi stratificazioni di Monte Fossetta, Monte Alpofin, Monte Mandrielle e Monte Fiara inclinano ad est verso la depressione di Marcesina, per poi nuovamente ripiegarsi presso la ripida parete che divide la parte più elevata dei Sette Comuni da quella porzione di conca che sta presso Enego. Da quanto si è detto risulta che la parte elevata dei Sette Comuni consta in complesso degli avanzi di una grande anticli- nale disposta a cupola, e di cui la linea culminante è segnata dalle alte cime settentrionali. Tale avanzo di cupola è verso sud e verso V est circondata da una regione piana e depressa, e que- sta depressione rendesi più distinta col procedere verso oriente, e nei dintorni di Marcesina raggiunge la sua massima larghezza. L’ erta parete che segna il confine settentrionale della conca corre dapprima in direzione Est- Ovest, ma nei dintorni di Fozza piega verso N.E.; essa è formata dalla Cima di Rotzo, Monte Erio, Monte Interrotto, Monte Longara, Monte Meletta, Monte Miela e Monte Lambara. Questa serie di alture continua anche dall’ opposta parte del Brenta fuori del territorio dei Sette Co- muni, e forma una catena continua conformata ad 8 : le eleva- — 92 — zioni dette Col de Barelli, Col Lan, Monte Avena, altro non sono che la continuazione della catena che incomincia con la Cima di Botzo. Nelle ripide pendici di Primolano e Tezze, dove la ca- tena viene tagliata dalla valle del Brenta, vedesi nettamente una striscia di calcare rosso ammoni tico. Gli strati più profondi dei Sette Comuni si vedono affiorare in modo uniforme, tanto lungo il versante settentrionale dell’ an- ticlinale, quanto verso oriente fino ai dintorni di Serravalle, ed a ponente sin sopra Schio. Ad oriente essi formano il lungo dorso che termina il bacino bellunese a mezzodì: dall’ altra parte ab- biamo il Monte Sumano staccato dal rimanente della catena per erosione o in causa di una grande eruzione dioritica. Fra le cir- costanze poi che in modo subordinato hanno a luoghi modificato la regolarità dell’ anzidetta struttura, debbono menzionarsi la parziale demolizione dell’ angolo N.O. della grande cupola, in specie nei dintorni di Monte Dosso, quindi le due depressioni indicate dalla Val Seren e del bacino di Quero. Tutto il territorio, ma in special modo la sua parte setten- trionale, è intersecato da gran numero di profondi burroni e sel- vagge valli di erosione correnti per lo più in direzione Nord-Sud, nel cui fondo appare quasi dovunque il sottostrato costituito da una dolomite compatta grigiastra con Megalodus triqueter Wulf., e Turbo solitarius Ben. Questa dolomite si fa in alto più bianca, grossolanamente cristallina, quasi saccaroide, e contiene a luoghi un Pecten a larghe costole, talvolta formante una vera luma- cliella, come può ad esempio vedersi lungo il sentiero che dal ponte di Cismon nella valle del Brenta conduce verso il Col di Pray. I banchi superiori di tal dolomite saccaroide alternano con strati di un calcare grigio oolitico ovvero bianco compatto; la prima forma vedesi nella parte superiore di Val d’Assa, l’altra in Val Granezza. Questo calcare inferiore contiene scarsi avanzi di una Terebratula affine alla T. sphaeroidalis Sow., ma da que- sta bene distinta. Il calcare si sostituisce qua e là intieramente alla dolomite e forma un complesso della potenza di ben 200 piedi, nel quale, senza alcuna regolarità, si alternano calcari cri- stallini con altri oolitici, senza traccia di fossili, se si eccettuano poche apparenze riferibili ad una piccolissima Chemnitzia. Più in alto i calcari diventano marnosi, e racchiudono di 93 - frequente straterelli di uno scisto marnoso oscuro: il colore della roccia pure varia, e da grigio più o meno chiaro tende &1 giallo, al bruno e talora anche al rosso pallido. Questi piani più ele- vati del calcare grigio sono abbastanza ricchi di fossili, e ad essi appartiene il giacimento a piante di Rotzo. Il livello degli strati grigio-oscuri si può quasi sempre ritrovare con una grande facilità, ma in genere riesce inutile il cercarvi avanzi di vege- tali. Gli strati superiori sono caratterizzati da una fauna di Pelecipodi e Brachiopodi, la quale sembra dividersi in modo che sempre in uno stesso strato trovansi collegate poche specie, delle quali una dominante. Così trovansi banchi con Mytilus e Mo- diolci, banchi con Gervillia, banchi con Megaloclus pumilus, con Terebratula Benieri, con Terebratula Botzoana, e tutto ciò ad un livello più alto di quello del calcare marnoso oscuro con ve- getali. Quest’ ultimo livello contiene di frequente nella sua parte inferiore due specie di orbituliti, da Giimbel riferite alla Orò. prciecursor ed alla Orò. circumvulvata , e un po’ sotto un oriz- zonte scistoso con una grande e piatta Astarte. Queste specie di Orbitulites, Terebratula , Megaloclus ed Astarte si trovano anche nella parte superiore del calcare grigio nei dintorni di Rove- redo; la stessa serie di strati, in tutto analoga a quella dei Sette Comuni, vedesi tanto bene sviluppata nella cava presso Noviglio in Vali’ Arsa. Non priva di interesse è poi la circostanza che nella parte superiore del calcare grigio dei Sette Comuni, insieme con la fauna anzidetta, si trovano anche traccie di ammoniti. Così'nella Val Sella fu trovato un frammento di ammonite, il quale sem- bra possa riferirsi a qualche varietà del Stephanoceras crassum Sow., fauna caratteristica del lias superiore : questo proverebbe nuovamente la veracità dell’ opinione dello Zittel, secondo la quale il calcare con Terebratula Benieri sarebbe di epoca liassica. Mentre nella valle dell’ Adige al complesso del calcare gri- , gio si sovrappongono i potenti strati del calcare con Bhyncho- nélla bilobata e Terebratula curviconcha, nei Sette Comuni tro- vasi immediatamente sopra i banchi con Terebratula Benieri e Ter. Botzoana , per certo appartenenti al calcare grigio supe- riore, un banco della potenza di circa 2 metri, nel quale ap- paiono inclusi dei filaretti di un calcare rosso a crinoidi e delle — 94 — piccole masse di una lumachella con avanzi di Eosidonomia al- pina Gras. In questa lumachella si trovano pure le seguenti specie: Oppelia fnsca Quenst., Stephanoceras Brongniarti d’Orb., Phylloceras Zignodiamim d’Orb., Ehyll. sp., Tenebratala curvi- concha Opp., Ter . Gefion Opp., Ter. Gerda Opp., BliynchoneUa adunca Opp., Eh. orthoptycha Opp., Eh. mietila Opp., insieme con alcune specie, probabilmente nuove, di brachiopodi. In tale banco trovansi dunque gli equivalenti del calcare superiore con Tenebratala curmconcha ; in conseguenza nei Sette Comuni manca tutta la serie del calcare giallo con BliynchoneUa bilobata. La rimanente serie è nei Sette Comuni costituita analoga- mente a quella della valle dell’Adige. Nei calcari ammonitici rossi si distinguono nettamente le tre suddivisioni stabilite dal I)e Zigno : i più bassi specialmente, banchi compatti e molto potenti di un calcare chiaro rosso-giallastro, si staccano benis- simo dai superiori a piccoli strati e di colore rosso intenso. Essi contengono una fauna di ammoniti abbastanza ricca, ma le forme sono sempre mal conservate e immedesimate con la roccia cir- costante : vi si riconosce però una litoceratite riferibile al Li- toceras Eudosianum d’ Orb. È cosa assai probabile che questo piano inferiore del rosso ammonitico trovisi allo stesso orizzonte del giacimento a Peltoceras transversarium riconosciuto presso la Madonna della Corona nella valle dell’ Adige. Il Biancone è nei Sette Comuni assai più potente che nella valle dell’ Adige, ed in esso si rinvennero le forme seguenti : Olcostephanns Astierianus d’Orb., Lytoceras quadrisulcatum d’Orb., Lyt . subfinibriatum d’Orb., Haploceras Grasianum d’Orb., Phil - loceras Eouyanum d’Orb., Eh. Thetys d’Orb., Eh. n. sp., An- cyloceras Villersianum, Hoplites n. sp., Tenebratala euganeensis Pict. — 95 - III. Sulla geologia dei Tredici Comuni al Nord di Verona, nota di A. Bittner. (Vedi Verh. der Jc. k. geol. Reichs., 1878, N, 8). Nel presentare la carta geologica del territorio dei Tredici Comuni, T autore fa le seguenti osservazioni. In aggiunta alla nota pubblicata sul territorio fra Vicenza e Verona (vedi Bollettino 1877, N. 11 e 12, pag. 433) esso fa anzitutto osservare che i nuclei di brachiopodi trovati a Monte Porto presso Campofontana negli strati superiori della dolomite, appartengono ai generi Tenebratala, WaldJieimia e Spirifer ; di quest’ultimo havvi una forma intermedia fra lo Sp. Ministeri Dav., e lo Sp. uncinatus Schafh. : una Terebratula è poi senza dubbio identica a quella trovata dal signor Vacek in Val Gra- nezza nei Sette Comuni, attribuita alla Ter. sphaeroidalis e rin- venuta precisamente al confine della dolomite col calcare su- periore. Poco havvi da aggiungere intorno a questo calcare di tinta chiara, sovente oolitico, che fa seguito alla dolomite e che si vede specialmente sulle pareti delle profonde erosioni, fa- ciente insensibile passaggio alle grandi masse del calcare grigio. La flora di quest’ultimo è conosciuta per tutto quel territorio, e basterebbe riportarsi agli orizzonti fossiliferi di Langri sopra Crespadoro, di Monte Alba, di Pernigotti, di Povere di Velo, di Monte Pastello per formarsi un concetto della estensione di quel terreno. Il piano immediatamente superiore detto dei calcari gialli, va riferito probabilmente al livello degli strati a Bhynchonella bilobata del Tirolo meridionale : esso, all’ infuori di molte Rhyn- chonelle, di Pentacriniti talora formanti banchi intieri e di Echinidi isolati quasi sempre malissimo conservati, ha offerto ben pochi altri fossili. Alcune bivalvi, e precisamente Pecten e Lime, trovansi in questo livello presso Rovere di Velo, sulla strada che conduce a San Vitale in Arco, e più lungi presso l’Osteria Spiazzoi al nord di Velo: alcuni coralli furono trovati — 96 - in quest’ ultima località, più lungi sul sentiero da Casa Rivolto a Cima di Malera e (tosto sotto il rosso ammonitico) presso Podestaria all’ altezza dei Monti Lessini. Le Rhynchonelle, che negli strati più marnosi di questa serie qua e là trovansi anche silicizzate, sono assai affini alla Rhynchonella varians del giurese superiore di Svevia ed alle Rhk - Fiirstenbergensis e Rii. Stein - beissi da Quenstedt ritenute come individui giovani della prima : alcuni esemplari rassomigliano anche assai alla Rii. triplìcosa Qu. La forma disegnata da Quenstedt come Rh. Mantelliana di Monte del Cervo presso Verona ( Rracliiopoden , tav. 71, fig. 14) potrebbe appartenere a questo piano. Le località note pei loro fossili sono finora: Monte Alba presso Campofontana, le bassure che stanno all’ Ovest e N.O. di Campofontana, il sentiero da Casa- Rivolto a Cima di Malera e la sella di questo dorso montuoso verso Val Campegna; i dintorni dell’Osteria Spiazzoi, l’orlo dell’ altipiano che trovasi ad oriente della Malga di Cengio rosso sopra Velo, al di là di Rovere di Velo, la strada da Rovere di Velo a Squa- ranto in Val Squaranto, il versante orientale dell’ altura di Chie- sanova, i dintorni di Tinazzi (con banchi di pentacriniti) ; presso la Malga Moscarda al Nord di Tinazzi, il versante orientale del- P alta Val Fredda, la Cima Sportelle e ponente della Val Fredda, le balze di Val dei Falconi presso Zulli poco lungi da Erbezzo, i dintorni del bel ponte naturale che trovasi in Val Marchiora, finalmente la strada che da Sant’ Ambrogio conduce verso Monte e Vesano (con soli banchi di pentacriniti). Questa citazione di località può bastare a dare una idea della estensione di quel- T orizzonte, il più vasto di tutto il territorio. Verso l’alto si può vedere in molti punti un completo pas- saggio da questo orizzonte in quello del calcare ammonitico rosso, e specialmente presso Campofontana e Chiesanova. In altri luoghi havvi un confine deciso fra il calcare giallo, o la sua forma oo- litica, e il calcare rosso; ciò avviene a S. 0. di Erbezzo e senza che vi sia motivo alcuno di riconoscervi una lacuna: colà, nel basso della Val dei Falconi, affiora prima il calcare chiaro e T oolitico, vi succede il calcare grigio, entro cui in alcuni punti nella vicina Val Marchiara trovasi un banco con Megalodus pumilus Ben., come pure letti marnosi con apparenze analoghe a quelle dell’ orizzonte a piante fossili ; al disopra, a circa due terzi del- — 97 - F altezza della valle, abbiamo la serie marnosa del calcare giallo con Rhynchonelle ed Echinidi, a cui fa seguito la potente massa di un calcare, talora oolitico, con banchi di Pentacriniti. Lungo la nuova strada che guida ad Erbezzo, osservasi che questa do- lomite verso V alto è subitaneamente interrotta e ricoperta da un calcare rosso compatto, entro il quale si trovarono parecchi esem- plari di uno Stephanoceras affine al Desìongchampsii d1 Orb. Più in alto il calcare si fa noduloso, assume la struttura abituale del rosso ammonitico , e per la presenza di specie come la Oppelici RoTbeini Opp., il Simoceras JBenianum Cat. ed altre, dimostrasi equivalente della zona ad Aspidoceras acanthicum; sopra trovasi anche il Fhylloceras pfhychoicum Quenst. e la Terebratula diphya Col, quindi segue il Biancone. L’ ammonite ora menzionato, af- fine allo St. Desìongchampsii , accordasi con nessuna delle figure date di questa specie o dell’altra molto prossima lo St rectelo- batum Hauer, e così pure collo St. linguiferum da Catullo trovato nel suo calcare epioolitico inferiore di Malcesine. Il Benecke ( Geogn palàont. Beitràge , voi. I, pag. 176) riferisce questa forma del Catullo allo St. rectelobatum Hauer degli strati a Posidonia del Tirolo meridionale: entrambi queste forme sono caratteristiche degli strati di Klaus, per cui non puossi avere alcun dubbio che nei banchi inferiori del calcare ammonitico rosso di Erbezzo trovisi l’equivalente degli strati di Klaus, e ciò tanto più che in tutto l’ alto territorio veronese non fu mai segnalata la esistenza degli strati di Klaus col carattere di rocce a Posidonie. Sembra però verosimile che fra la zona ad Oppélia fusca e quella ad Aspido- ceras acanthicum possano esistere altre zone nel calcare rosso di quella regione, in quanto che venne trovato un ammonite del gruppo dei macrocefali, il quale non può riferirsi ad alcuna delle specie descritte, e presenta molta affinità con lo St. chrysoolitJii- cum Waagen degli strati a macrocefali delle Indie Orientali. Tut- tavia il suo livello non si conosce con tutta sicurezza, sapendosi per altro che esso giace più in alto del banco con lo St. affine al Desìongchampsii e non oltrepassa il livello degli strati ad Asp. acanthicum. In altri due punti del territorio furono riconosciute traccie del livello di Klaus : a Pernigotti, dove, entro un calcare rosso con letti marnosi verdastri, petrograficamente del tutto si- mile alla roccia degli strati a Terebratula curviconcha di Rove- 7 — 98 - redo, furono trovati delle Crinoidi, delle Belemniti e un fram- mento di Ammonite, che malgrado la sua cattiva conservazione può riferirsi allo St. Deslongchampsii ; e a Monte Alba presso Campofontana, dove un calcare ammonitico assai basso rappre- senta con ogni probabilità lo stesso livello. A questo apparter- rebbe anche il calcare epioolitico inferiore di Malcesine sul Lago di Garda e forse anche in parte, il calcare rosso più basso dei Sette Comuni, del quale il De Zigno cita un Lytoceras Eudosia- num. Per gli strati a Possidonie e Ter. curviconcha del Tirolo meridionale, che come sembra mancano nei Tredici Comuni, sa- rebbesi pertanto trovato un equivalente ; e laddove il calcare grigio mostrasi tipicamente rappresentato, non si andrebbe di molto errati coll’ identificare il calcare giallo dei monti veronesi con gli strati a Rhynchonella bilobata. Un fatto degno di rimarco è la diversa potenza delle masse calcaree giacenti fra la dolomite inferiore e il rosso ammonitico, sia che si osservino nella parte orientale o nella occidentale del territorio : esso mostrasi in modo assai netto se si fa un con- fronto fra gli affioramenti che vedonsi nelle profonde vallate dell’ Adige da una parte e del torrente filasi dall’ altra. Mentre in quest’ ultima, presso Selva di Progno, due terzi all’ incirca del- P altezza è formata da dolomite, presso Peri nella valle dell’Adige questa roccia appare soltanto al piede del pendìo e tutto il ri- manente, di straordinaria potenza, sino alle alture di Madonna della Corona è formato da calcari ed ooliti, che pertanto sono costì tre volte almeno più potenti che presso Selva di Progno. Conviene però rimarcare che una gran parte dell’ aumento di potenza del calcare va attribuita agli strati superiori, vale a dire al gruppo del calcare giallo , e che questo va sempre più affievo- lendosi quanto più procediamo ad oriente dell’ Illasi, per modo che nei Sette Comuni esso manca quasi affatto. Ma a questa si collega un’ altra considerazione: è noto come Benecke abbia identifi- cato P oolite di San Vigilio, nella cui parte superiore giacciono gli strati con Harpoceras Murchisonae, col calcare grigio, sebbene egli non abbia potuto indicare colà gli strati a Rhynchonella bi- lobata, i quali formano dovunque il tetto del calcare grigio. Lo Zittel più tardi si oppose a questa equivalenza della oolite di San Vigilio col calcare grigio, fondandosi specialmente sul princi- - 99 — pio, che la oolite di San Vigilio fosse identica con gli strati a Rhyn- chonella bilobata , opinione basata soltanto sopra un locale au- mento di potenza del deposito. Da quanto venne ora esposto risulta che un tale aumento degli strati a Rynchonella bilobata ossia del calcare giallo, esiste infatti da oriente verso ponente, e questa circostanza può benissimo valere di appoggio alla induzione che il calcare grigio, ovvero i suoi equivalenti, debbano effettiva- mente ricercarsi sotto l’oolite di San Vigilio, il cui sottosuolo non fu peranco esaminato da alcuno. Basta però dare uno sguardo all’ enorme sviluppo della serie calcarea nella vallata dell’Adige, per giustificare l’opinione che il calcare grigio, nella parte sua più profonda, possa ancora presentare un sufficiente equivalente. Si può inoltre avvertire come il prof. Zittel faccia menzione di una Spiriferina nel calcare grigio del Tirolo meridionale, e come anche nelle collezioni dell’ Istituto geologico viennese fra i vecchi materiali trovinsi molte spiriferine del Tirolo meridionale, le quali non possono provenire altro che dal calcare grigio. Per quanto riguarda la struttura del terreno, l’ autore si riferisce a quanto ha detto nella prima sua nota.1 Le fratture traversali in essa accennate presentano la particolarità che esse, salvo poche eccezioni, separano una regione orientale profonda, da altra più elevata occidentale. Quando sianvi circostanze fa- vorevoli può mostrarsi il prolungamento degli strati della sezione orientale; così al Nord della Purga di Velo il Biancone, che forma il pendìo dalla parte di oriente, sembra raddrizzarsi sul calcare giurese superiore nella erta parete rocciosa di ponente ; lo stesso dicasi presso Chiesanova. Un caso del tutto simile è senza alcun dubbio il raddrizzamento degli strati di Schio a Magrè, San Vito, Malo ed Isola di Malo, lungo 1’ orlo della grande frattura Sehio- Vicenza, frattura che contemporaneamente separa la parte più orientale della intiera regione montuosa dalla pianura di Thiene. In direzione quasi parallela a questa, ma tendente un po’ verso N.N.O., corre una seconda evidentissima linea di frattura in di- rezione di Montecchio, Castelvero, Bolca, Monte Spitz, a ponente della quale tutta la massa degli strati raggiunge un’altezza considerevole, mentre ad oriente si estende la regione terziaria 1 Vedi Bollettino 1877, pag. 433. - 100 - del Vicentino assai più bassa, limitata in parte al Nord dalla linea di frattura verso la dolomite dei monti di Recoaro. Altre linee di frattura ancora più distinte e con identiche circostanze furono constatate al Nord di Velo e presso Chiesa- nova ; quest’ ultima linea può seguirsi sino in Val Ronchi, e ad essa se ne collegano verso ponente altre più o meno distinte fino in Val Fredda, la cui parte superiore presenta una massa staccata sprofondatasi fra due linee parallele di rottura. La direzione di queste altre linee è ancora un po’ più verso N.N.O., e precisa- mente come quella di già accennata nella parte S.O. del territorio nelle vicinanze di Monte Pastello e Monte Pastellette. Ma colà appunto si presenta una delle maggiori fratture dell’ intiera re- gione, una grande linea corrente in direzione N.N.E., sulla si- nistra dell’ Adige, e che porta la dolomite inferiore in immediato contatto con gli strati giuresi superiori ; combinando questa frat- tura con le altre correnti in direzione N.N.O., si può spiegare lo straordinario sollevamento degli strati di Monte Pastello e Monte Pastellette. La dolomite della sinistra dell’ Adige pende quasi verticalmente verso ponente o meglio O.N.O., e per tal guisa sottostà ai terreni più recenti che si inalzano sulla riva destra, i quali affettano uniformemente una forte inclinazione verso ponente. Il corso dell’ Adige fra Ossenigo e Ceraino non corrisponde perciò alla linea di rottura, ma trovasi scavato nella dolomite che si solleva a ponente della rottura. Giova qui finalmente menzionare la catena del Monte Baldo quale un colossale gradino formatosi nello stesso modo degli altri dalla pianura di Schio in poi ; essa mostra ancora una volta, sopra la regione cretacea e terziaria di Ferrara di Monte Baldo, la dolomite sotto forma di una rupe slanciata che non può parago- narsi con nessuna di quelle accennate più sopra. Non bisogna obliare che la particolare disposizione, quasi a ventaglio, della valle maggiore dell’ intiero territorio, può essere stata influen- zata dalle principali direzioni delle linee di frattura o di altri disturbi nella stratificazione. Infine devesi pure ricordare che 1’ angolo S.O. della regione finora esaminata presso Sant’ Ambro- gio offre, oltre a una serie di piccole linee di rottura, anche indizio di un’ ultima ripiegatura in forma di ginocchio ; infatti presso San Giorgio gli strati del Biancone e della Scaglia che 101 — più al Nord sono pianeggianti, immediatamente si raddrizzano verso Sud e nella stessa posizione vengono ricoperti dai terreni terziarii, i quali di già al piede dei monti ridiventano orizzontali. IV. Il terreno terziario di Mar ostica nel Veneto ; nota di A. Bittner. (Vedi, Verhandl. cler k. k. geol. Reichs., 1878, N. 6). L’ intiero territorio terziario del Vicentino dividesi in due regioni nettamente definite, 1’ una più grande a ponente, V altra un po’ meno estesa a levante; la prima che comprende il gruppo eocenico del Vicentino propriamente detto, fu da lungo tempo oggetto delle più accurate ricerche, mentre V altra nei dintorni di Marostica è stata meno studiata, e quasi non si conoscono di essa che poche località segnalate per straordinaria ricchezza di fossili, come Sangonini, Salcedo, Laverda e Crosara. La linea di separazione dei due gruppi terziarii è indicata in modo eccezionalmente distinto, e corrisponde con la linea di frattura Schio-Vicenza. Infatti sono disposti col loro limite orien- tale verso tale linea i contrafforti alpini che più si spingono a mezzodì, e cioè Y altipiano Vicentino, i colli Berici e gli Euganei, mentre più oltre, a levante, le condizioni di giacitura sono * del tutto diverse ed occorre rimontare di molto verso Nord per in- contrarsi nuovamente in regioni terziarie. Mentre dal versante meridionale del Monte Scandolara, fra Schio e Valdagno, formato dal Biancone si spinge verso mezzodì una estesa regione di col- line, formata dall’ eocene in strati pressoché orizzontali, sotto il quale sin verso Malo havvi sicuramente la Scaglia, che di nuovo mostrasi sul versante meridionale dei Berici, e mentre d’altra parte al Nord di Monte Scandolara, e precisamente nell’ alto promontorio che sta sul lato destro del torrente Gogna lungo la strada Schio-Torrebelvicino, si raggiunge la dolomite triassica e sotto ad essa gli scisti argilloso-micacei, ad oriente dello stesso torrente, ed alla stessa altezza, incomincia 1’ eocene con strati — 102 — raddrizzati in un piccolo lembo al piede del Tretto ; esso viene quindi interrotto dall’ ampia valle di erosione dell’ Àstico, per poi, dall’ altra parte di essa, presso Carré, Chiuppano e San Do- nato, nuovamente immergersi sotto la pianura e sotto le masse detritiche dell’ Astico. Oltre la linea Calvene-Lugo-Brega.nze, sten- desi ancora un ampio lembo di questo terreno, il quale però verso la valle del Brenta si riduce a poco a poco ad una striscia assai sottile. I terreni terziarii dei dintorni di Marostica differiscono in modo evidente dai terreni tipici del Vicentino propriamente detto. Mentre in questi ultimi osservasi quasi sempre in basso V oriz- zonte dei tufi di Monte Spilecco, mancano quasi del tutto i tufi nell’ orizzonte inferiore della regione orientale ; invece a po- nente essi vedonsi ancora al nord di Schio e con caratteri pe- trografìci del tutto simili a- quelli dell’ orizzonte di Spilecco. Occorre però rimarcare che anche nel Vicentino i tufi di Spi- lecco si assottigliano verso sud, e che nei contrafforti meridio- nali dei terreni terziarii veronesi, specialmente nei dintorni di filasi, Castagne, Marcelise e Molitorio Veronese, i tufi mancano affatto in questo orizzonte, come pure avviene sul versante me- ridionale dei Colli Berici. Questa osservazione non resta infirmata se anche vuoisi vedere 1’ equivalente dei tufi di Spilecco in un calcare bianco inferiore, per lo più marnoso e con intercalazioni di tufo, il quale ricopre direttamente la Scaglia: roccie del tutto analoghe trovatisi alla base del terreno terziario a Valrovina e Val San Floriano nella parte più orientale del gruppo di Ma- rostica. Colà questi calcari si sovrappongono del tutto regolar- mente alla Scaglia, ed alla lor volta sono ricoperti in modo concordante dagli strati più recenti : come tali si riconoscono anzitutto costantemente nella parte orientale alcuni letti marnosi di poca potenza con grosse e piatte nummuliti, Serpula spiru- Icea e Cancer punctulatus, e sopra essi il calcare compatto num- mulitico, il quale si dà a conoscere come il rappresentante del gruppo calcareo-nummulitico del territorio occidentale. Al di sopra trovansi uno straordinario ammasso di strati, formati di preferenza da roccie marnose, che verso 1* alto ce- dono il posto ad una alternanza di calcari, marne, tufi e basalti. Questo complesso di strati rappresenta completamente pei fossili - 103 — di’ esso contiene il piano di Castelgomberto ; vi si rimarcano cal- cari corallini (assai belli presso San Luca), tufi con gasteropodi (Natica crassatina, Trochus Lucasianus ed altri, presso Molvena) e tutte le altre forme caratteristiche di quel piano. Notoriamente appartengono agli strati più elevati di questa potente massa calcarea gli orizzonti fossiliferi dei dintorni di Montecchio Mag- giore, Monte Viale e Castelgomberto; i quali riposano dovunque sopra il gruppo marnoso di Priabona. Per altra parte gli strati di Castelgomberto nel gruppo di Marostica riposano sopra una assai potente massa di roccie marnose, le quali specialmente verso l’alto presentano la cosiddetta fauna di Laverda, del tutto sco- nosciuta nella regione occidentale. Sarebbe pertanto cosa molto probabile il ritrovare un equivalente della parte superiore delle marne di Laverda nella parte inferiore degli strati di Castel- gomberto, e per contro un equivalente degli strati di Priabona nelle parti profonde delle marne di Laverda. La gran massa basaltica e tufacea che fa seguito agli strati di Castelgomberto nei dintorni di Marostica, non trova alcun terreno analogo a ponente della linea di Schio, poiché il basalto di Monte degli Schiavi presso Castelgomberto appartiene a que- sto stesso giacimento: tuttavia noi vediamo gli strati di Schio presso Sant’ Urbano e Sovizzo, separati dagli strati più elevati del livello di Castelgomberto da certe marne di colore turchino particolare, in parte macchiate di rosso e come abbruciate. La concordanza completa che gli strati della regione terziaria di Marostica mostrano fra di essi e nella sottostante Scaglia, non solo rende del tutto probabile che ivi esista una successione interrotta di tutti gli orizzonti conosciuti a ponente della linea di Schio, ma porta anche alla conclusione che fra la creta e l’eocene non esista colà lacuna di sorta. Sotto questo proposito debbono venire d’ alquanto modificate le viste ultimamente esposte dall’ Hebert,1 secondo il quale la parte più bassa dell’ eocene mancherebbe nel bacino del Mediterraneo, mentre d’ altronde fra P eocene inferiore ed il medio del bacino anglo-parigino sarebbe ammessa una lacuna corrispondente ai membri inferiori dell’ eo- cene nel Vicentino. Se noi esaminiamo la tabella data dall’ He- 1 Vedi Bollettino 1877, N. 9 e 10, pag. 350. — 104 - bert per un confronto fra i terreni del Vicentino e quelli del bacino di Parigi, sorge tosto la domanda se, ad onta delle di- verse forme litologiche, i calcari ad alveoline, gli ittioschisti ed i tufi di Spilecco non potrebbero essere equivalenti dell’ eocene inferiore del bacino parigino. Adottando in tutto la teoria del- P Hebert, si potrebbero rappresentare con una lacuna nel com- plesso degli strati del Vicentino anche i piani eocenici del Friuli e dell’ Istria dai primi tanto diversi ; mentre riesce ovvio P am- mettere che ad un facies tanto diversa dei terreni cretacei su- periori nell’ Istria e nel Vicentino, debba corrispondere una non meno grande differenza nelle formazioni eoceniche inferiori delle due regioni ; e così sopra il calcare littoraneo a Rudiste dell’ Istria fa seguito un deposito di acqua dolce, mentre sopra il calcare pelagico della Scaglia rossa trovasi un eocene inferiore con carattere marino. Per quanto riguarda la struttura della zona terziaria di Ma- rostica, oltre a quanto P Autore disse nella sua nota sui dintorni di Bassano,1 conviene ricordare che verso ponente il rovescia- mento dei sedimenti terziari più antichi si fa così evidente, che gli strati quasi piani si immergono sotto la Scaglia dei contraf- forti montuosi; così si verifica fra Calvene e San Donato, e in modo completo nel profilo da Sant’ Orso a Schio già da tempo conosciuto per le ricerche del Pasini. In immediato contatto e a mezzodì di questi strati inferiori rovesciati, vedesi P orizzonte più alto, i basalti cioè e gli strati di Schio ad essi sovrapposti, contrariamente disposti e inclinati verso il sud. Non havvi pertanto dubbio alcuno intorno alla pos- sibilità che la ripiegatura sia continua sino all’ origine di una rottura nella sinclinale della cupola accompagnata da spostamento di strati. La disposizione ora accennata ricorda quella della nota sezione del torrente Maso in Valsugana. Esiste pertanto una completa analogia di struttura fra i ter- reni che stanno ad oriente della linea di Schio e quelli ad oriente della valle del Brenta : tanto qua che là havvi una frattura che separa la regione di colline terziarie dai monti più antichi e che per tal modo si prolunga in direzione orientale; in ambedue 1 Vedi Bollettino N. li e 12, pag. 425. - 105 — le regioni i terreni terziari si abbassano verso ponente lungo questa linea sino a un’ altra linea ben determinata, la quale., ap- pare in modo marcatissimo nella direzione Schio-Vicenza; però procedendo a levante del Brenta, in causa della minore larghezza della zona terziaria, la linea di separazione anzicennata si rende sempre meno manifesta. Finalmente avvertiremo ancora la circostanza non del tutto priva d’ interesse, che i villaggi di Semonzo, Borso, Possagno, la cui posizione segna precisamente la linea longitudinale di rot- ture ad oriente del Brenta, come anche il borgo di Valdobbia- dene sulla stessa linea oltre la valle del Piave, sono frequente- mente visitati da terremoti. Fu specialmente in seguito ad uno di questi, quello del 20 luglio 1836, avvenuto con straordinaria energia, che tutti i villaggi allineati al piede di quelle alture, fra Borso e Possagno, hanno dovute subire i maggiori danni. V. Sui Sirenoidi fossili dell’ Italia , nota del barone Achille De Zigno. (Presentata alla Società Geologica di Francia nella Seduta tenuta a Venee (Alpi Marittime) il 25 ottobre 1877.) Or fa un mezzo secolo, il professore T. A. Catullo, pubbli- cando nel suo Saggio di Zoologia fossile delle Province Venete (1827) una nota sugli oggetti contenuti nella collezione Castellini, chia- mava T attenzione, fra i numerosi fossili di questa collezione, sopra un gruppo di costole esprimendo V opinione eh’ esse fos- sero appartenute ad un Manatus. Secondo le indicazioni di Ca- stellini, queste costole eran state trovate nel calcare di Castel Gomberto. Era la prima volta che si notava la presenza di un Sirenoide nei terreni terziari d1 Italia. La collezione Castellini, essendo in seguito passata in proprietà all’ Università di Pa- dova, quest’ importante esemplare potè esser a miglior agio stu- diato. Esso consiste in due blocchi calcarei contenenti diverse costole cilindriche ed arcuate, la cui struttura pietrosa e priva — 106 — di cavità spugnose presenta i caratteri delle costole dell’ Hali- thenum. Dodici anni dopo, il dottore G. D. Bruno pubblicò 1 un ec- cellente lavoro sopra un cranio ed una parte della colonna ver- tebrale munita di costole che eransi scoperti nelle sabbie plio- ceniche di Montiglio (Monferrato). Egli attribuì questi ossami ad un Cetaceo avente molta analogia con i Lamantini ed il Dugong, ma differente tuttavia e da quelli e da questo ed a cui egli diede il nome di Cheirófherium subapennimim. Il De Blainville, nella sua Osteografìa, cita il lavoro del Bruno e nomina questo Talassoterio il Lamantino del golfo del Po. Da quest’epoca scorsero una trentina d’anni senza che- al- cun’altra nota fosse pubblicata sugli avanzi di Sirenoidi scoperti in Italia; ed è solo nel 1870 che, nei bei lavori del professore Suess e del Bayan, noi vediam citati dei frammenti di costole d’ Halitherium trovati negli strati a Serpula spirulcea di Pria- bona, Mossali ed Altavilla, e nelle arenarie mioceniche a Sal- tella subrotunda di Schio e di Sovizzo. Due anni dopo comparve la magnifica memoria del Capellini sopra un cranio di Sirenoide scoperto nelle sabbie plioceniche di Biosto, nei dintorni di Bologna, e sopra un frammento d’altro cranio trovato nel medesimo terreno, nella Val di Pugna presso Siena. 2 In questi avanzi il Capellini potè riconoscere un tipo generico più prossimo al Dugong che agli Ralitlierium , onde egli costituì il genere Felsinotheriimi, descrivendo la specie di Bo- logna col nome di F. Foresta e quella di Toscana con quello di F. Gervaisi. Egli dimostrò pure che sotto questo medesimo tipo halicoreforme si dovevano classificare P Halitherium Serresi delle sabbie di Montpellier ed il Ckeirotherhim subapenninum del pliocene di Montiglio. Sembra dunque che questo tipo gene- rico sia caratteristico dell’ epoca pliocenica. L’ anno seguente, io scoprii nell’ arenaria miocenica delle col- line che circondano al nord P altipiano di Belluno, diverse co- stole, una parte di cranio con P occipitale ed il parietale, un 1 Illustrazione di un nuovo Cetaceo fossile, Mem. della R. Accademia delle Scienze di Torino, 2a serie, torno I, pag. 143 ; 1839. 2 Sul Felsinoterio. Sirenoide halicoreforme dei depositi littorali pliocenici dell’antico bacino del Mediterraneo e del Mar Nero. — 107 — intermascellare sinistro con il suo incisivo, due frammenti della mascella superiore, V uno con due molari e 1’ altro con tre, ed i due apofisi zigomatici temporali. Con questi avanzi, che appar- tengono ad una nuova specie di Halitherium, che io descrissi sotto il nome di H. JBellunense si trovavano degli ossami di Crocodilus, di DelpMnus, di Squalodon e dei denti di Plagio - stomi. Ma la scoperta la più importante è quella recentemente fatta di numerosi avanzi di Halitherium nei terreni eocenici del Veronese e del Vicentino. Egli è sul Monte Scuffonaro, presso Lonigo, negli strati calcarei sottoposti al piano a Serpula spi - rulcea, che fu raccolta quella serie di vertebre e di costole che si osserva al Museo di Firenze e di cui il prof. Gervais parlò nel suo Coup d’ceil sur les Mammifères fossiles de V Italie, x ed è in certi strati del medesimo orizzonte che io trovai al Monte Zuello, all1 ovest di Pioncà, diversi crani di Halitherium, due omoplati, tre mandibole, sessanta vertebre ed altrettante co- stole. Fra questi avanzi, io potei constatare P esistenza di tre nuove specie dell1 epoca eocenica, che io descrissi e figurai nella mia memoria sui Sirenoidi fossili del Veneto,2 sotto i nomi di Halitherium Veroneuse, H. angustifrons ed H.m curvidens. Con questi Sirenoidi io trovai numerosi ossami di Crocodilus, di Trionyx, di Palceophis, un becco di Ccelorhynchus, denti rostrali di Pristis ed una tibia di uccello gigantesco. Questa associa- zione di fossili dimostra che i Sirenoidi dell1 epoca terziaria ave- vano una stazione littorale e vivevano specialmente nei golfi ed agli imbocchi dei grandi fiumi, come quelli dell1 epoca attuale. Ultimamente il professore Gastaldi ha arricchito la scienza di un nuovo Sirenoide, con la scoperta di un bellissimo cranio dissotterrato nelle sabbie plioceniche di Brà, presso la valle del Tanaro. Questo cranio, che senza alcun dubbio deve essere rife- rito al genere Felsinotherium, del quale presenta tutti i carat- teri, differisce da tutte le altre specie del genere per le pro- porzioni delle sue ossa e per la curva e la forma delle apofisi zigomatiche temporali. Questo magnifico esemplare, che io de- scriverò in una memoria che comparirà fra breve, porta al nu- 1 Bull. Soc. géol. Fr., 2e serie, tome XXIX, pag. 102. * Annotazioni paleontologiche. Sirenii fossili trovati nel Veneto, Mem. del R. Istituto Veneto di Se., Lett. ed Arti , tomo XVIII. - 108 — mero di otto le specie fossili di Sirenoidi scoperte finora in Italia ; tre di queste appartengono ai terreni eocenici, ed una ai terreni pliocenici della Venezia ; le altre quattro ai terreni pliocenici del Piemonte, della Toscana e dei dintorni di Bolo- .gna. Da ciò ne conseguita che in Italia, in una zona compresa tra il 43mo ed il 47mo grado di latitudine settentrionale, i Si- renoidi (rappresentati con forme diverse) vissero durante i tre periodi dell’ epoca terziaria. Aggiungerò a questa rivista qualche osservazione sui carat- teri che a me sembra possano far distinguere i Sirenoidi di questi periodi. La forma del piano superiore della regione pa- rietale mi ha fin qui servito per distinguere a qual’ età apparte- nevano i crani che io andavo esaminando. Negli Ralitherium dell’ epoca eocenica trovati in Francia ed in Italia, la sezione verticale e trasversale della regione parietale presenta una curva che si unisce ai temporali, senza esserne sensibilmente separata dalle creste temporali che sono molto appiattite ed appena se- gnate, e P unione del parietale con i frontali si fa con una su- tura sagittiforme. Quest’ unione si fa nel medesimo modo negli Ralitherium dell’epoca miocenica, ma in questi le creste tempo- rali sono spesse e rilevate, ed un poco avanti al limite anteriore del parietale desse si ravvicinano 1’ una all’ altra, in modo da restringere considerevolmente il piano superiore della regione parietale. Nei Felsinotherium dell’ epoca pliocenica, il parietale si unisce ai frontali mediante una linea curva e mai sagittiforme e le creste temporali son sottili, lontane assai 1’ una dall’ altra, e si dirigono in avanti quasi in linea retta od un poco obliqua, senza restringere menomamente il piano superiore del parietale. Io accenno questi fatti con tutta riserva, non avendo avuto a mia disposizione un numero abbastanza grande di crani per poter generalizzare i fatti medesimi. Io mi limito per ora a chia- mare P attenzione dei paleontologisti su questi caratteri, che lasciano intravedere la probabilità di poter riunire i Sirenoidi delle differenti epoche terziarie in altrettanti gruppi distinti, dei quali il più recente si ravvicina piuttosto al Dugong dell’ Oceano Indiano che ai Lamantini dell’ Oceano Atlantico. Distribuzione geologica e geografica dei Sirenoidi fossili trovati in Italia. 109 - 110 — VI. Intorno alla posizione degli strati di Fittemi, nota di Teodoro Fuchs. Nell’ ultimo fascicolo del Bollettino del B. Comitato geologico d’ Italia , dell’ anno 1877, che in questo momento mi è giunto, io trovo una breve memoria del signor Carlo De Stefani nella quale egli si pronuncia contro al mio concetto del carattere pliocenico degli strati di Pikermi, affermando egli che questa maniera di vedere « si fonda sopra nuclei di conchiglie o con- chiglie irreconoscibili raccolte al Pireo, tra le quali ne deter- mina (i. e. il Fuchs) alcune, con due o tre di Pikermi stesso che potrebbero poi trovarsi tanto nel pliocene quanto nel mio- cene » (C. De Stefani, Brevi appunti sui terreni pliocenici e miocenici della Toscana). A me rincrescerebbe assai se le mie comunicazioni intorno alle formazioni terziarie della Grecia fos- sero scritte con dosi poca chiarezza da dar . luogo ad una simile interpretazione, che in fatto è assolutamente erronea. E poiché questa erronea maniera d’ intendere, come io scorgo, si è fatta strada, così io voglio qui stesso provare di ricondurre la que- stione alla sua vera base, e d’ indicare in breve quei punti che mi sembrano servire di norma nel giudicare della presente que- stione. Io spero con ciò di rimediare per la meglio a quanto po- tesse venirmi addebitato per causa di una non chiara espo- sizione. Il primo e forse il più decisivo punto d’ appoggio della mia maniera di vedere è dato dal fatto della contemporaneità degli strati a Melanopsis di Dafne e di Megara, poiché i primi sono evidentemente ricoperti in modo discordante dagli strati di Pickermi, ed i secondi contengono gran quantità di conchiglie marine fluitate, che sono così ben conservate come le conchiglie plioceniche di Siena, e sulla età pliocenica delle quali non vi può esser dubbio. Un secondo argomento mi è fornito dai rapporti geologici di Kalamaki. Quivi gli strati a Congeria sono immediatamente e — Ili — con tale intima e concordante congiunzione coperti dagli strati marini di Kalamaki, che è del tutto impossibile V ammettere fra la serie geologica degli strati di queste due formazioni una con- siderevole lacuna. Ora gli strati marini di Kalamaki apparten- gono ad un pliocene così recente, che già per 1’ avanti furono considerati come quaternari; e quindi gli strati a Congeria con Lymneus Adelina, che immediatamente stanno sottoposti, possono tutto al più rappresentare una porzione inferiore del pliocene, ma giammai del miocene. Solo ripeto che è del tutto impossibile di ammettere presso Kalamaki una lacuna fra gli strati a Congeria ed il recente pliocene marino, giacché ambedue le formazioni non solamente fanno transizione fra loro, ma per di più mostrano al loro con- fine un’ alternarsi fra gli strati marini e quelli di acqua sal- mastra. Un ulteriore motivo della mia maniera di vedere sta nella mia interpretazione del calcare di Trakones che io ritengo, mal- grado le masse di Porites e di Astree, non per un vero miocene ma per un piano intermedio fra il miocene ed il pliocene, si- mile al calcare di Rosignano ed agli strati con Nassa Michaudi della valle del Rodano. Questo calcare è coperto in modo con- cordante da strati a Congeria sui quali seguono con discordanza i conglomerati rossi di Pikermi. Un quarto argomento per ultimo io lo trovo nelle conchiglie che si rinvengono sulla spiaggia del mare presso Raphina negli stessi strati di Pikermi. Queste sono in tutto tre specie ; che se però il signor De Stefani ritiene che tutte queste si trovino an- che nel miocene, egli è completamente in errore ; dappoiché fra queste tre specie si trova anche lo Spondilus gaederopus che è una conchiglia del tutto caratteristica del pliocene, e che a me fin ad ora non è conosciuta per -appartenere al miocene. L’ età assolutamente giovane di questa piccola fauna viene convalidata dalla circostanza che le specie trovatevi sono esat- tamente le stesse che attualmente in massima parte giacciono attorno sulla spiaggia del mare; cosicché io da principio ritenni che vi fosse un errore, e che queste conchiglie trovate fossero state aggiunte solo più tardi ai conglomerati ; ciò che veramente dopo un più accurato esame si è dimostrato impossibile. Per ciò - 112 — che riguarda gli strati terziari del Pireo io li ritengo senza dubbio anche adesso per pliocenici; e se il signor De Stefani in questo proposito fa la difficoltà che i fossili per lo più vi si rinvengono allo stato di modelli interni, in tal caso egli saprà certamente che là dove sono i modelli interni vi sono anche le impronte, e che queste impronte per mezzo di stucco possono esser modellate e venir determinate con precisione. Del resto si trova non di rado in uno strato il Pecten varius col guscio ben conservato. Il signor De Stefani cita a fondamento della sua opinione ancora un altro argomento. Egli dice, cioè, che la fauna dei mammiferi rinvenuta nelle argille rosse e nei conglomerati di Pikermi è miocenica, e che perciò gli strati stessi debbono essere pure miocenici. E questo senza dubbio è semplice e logico. Solamente vi è una difficoltà, e cioè : da dove sa il signor De Stefani che detta fauna di mammiferi sia propriamente mio- cenica? dove sono gli strati sicuramente miocenici che conten- gono la fauna di mammiferi di Pikermi ? forse presso Pikermi ? o presso Casino? Gli strati di Casino sono più giovani di quelli di Rosi- gnano, i quali strati il signor De Stefani con gran fervore ed energia dichiarava una volta come un ordinario pliocene, finché poi egli con uua rapida evoluzione ebbe a riconoscere per ordi- nario miocene, mentre io credo che in ambo i casi egli abbia sbagliato. Ma la cosa è ben diversa. Il signor De Stefani sa perfetta- mente che il secondo piano mediterraneo del bacino di Vienna corrisponde al miocene superiore (Tortoniano). Sopra questi strati seguono per primi i depositi del piano Sarmatico, i quali, in quanto possono in genere riferirsi al miocene, rappresentano cer- tamente gli strati più elevati di questa formazione. Senonchè contengono una ricca fauna di mammiferi tanto i depositi del secondo piano mediterraneo, quanto quelli dei piano Sarmatico. Questa fauna di mammiferi corrisponde esattamente alla fauna di Sansans e di Simorre ed è fondamentalmente diversa da quella di Pikermi, la quale è molto più recente. Che se però gli strati miocenici conosciuti per più giovani contengono la fauna di mammiferi di Sansans, in tal caso la - 113 - più giovane fauna di Pikermi deve essere anche più giovane del più recente miocene conosciuto. Ciò è ben chiaro, come mi sembra; Se si volesse riportare la fauna dei mammiferi di Pikermi al miocene, in tal caso si avrebbero due faune mioceniche di mammiferi al tutto diverse, ed io non comprenderei allora per- chè non vi potrebbero essere egualmente due diverse faune plioceniche di mammiferi. — Che io sia decisamente di questa ultima opinione, non ho bisogno di assicurarlo espressamente dopo quello che ho esposto in precedenza. Ma io ho ancora da toccare un altro punto. Il signor De Stefani prende in mala parte una mia espressione di alquanti anni fa, che cioè, la fauna di mammiferi delle formazioni plio- ceniche marine in Italia sarebbe come se non conosciuta ; ed egli cita una lunga serie di autori, in cui figura la maggior parte dei geologi italiani morti e viventi, i quali tutti, secondo ne pensa il signor De Stefani, mi darebbero torto. Io non pretendo affatto di conoscere bene tutti i lavori a cui allude il signor De Stefani, ma egli stesso dovrà convenire che dalla maggior parte di questi non è possibile ottenere una per- fetta sicurezza sul giacimento da cui derivarono gli avanzi di mammiferi. La denominazione di « pliocene » non è sufficiente ad indicare il vero giacimento, poiché le sabbie fluviali del Val- darno vengono pure chiamate pliocene. Gli unici due autori che a mia conoscenza si sono fin ad ora occupati della presente questione dal punto di vista stratigrafico, cioè il Gaudin ed il Gastaldi, stanno decisamente dalla mia parte. Così accentuava Gaudin che in Valdarno la flora e la fauna dei mammiferi delle marne marine plioceniche sia diversa dalla flora e dalla fauna di mammiferi del sovra giacente Sansino ; e Gastaldi ha ripetutamente dimostrato con insistenza che nei dintorni di Asti gli avanzi di mammiferi non sono mai stati trovati negli strati marini pliocenici, ma invece e sempre in un deposito di ghiaia di tinta ocracea, che giace sopra le sabbie marine, e che Gastaldi considera come una formazione fluviatile più recente : asserzione che il Gastaldi fermamente manteneva, anche quando io nell’ anno passato ebbi occasione di parlarne con lui. 8 — 114 - Se di recente il De Stefani ha fornita la prova che anche presso Siena le formazioni plioceniche marine contengono la fauna di mammiferi di Valdarno, io credo che in ciò egli abbia ragione ; solo possa egli condonarmi se io non conobbi prima che fossero pubblicati i fatti da lui citati, avendo io sempre adottate le indicazioni di Gastaldi che mi sembravano più au- torevoli. Quanto cauti si debba essere nell’ adottare le indicazioni de- gli autori me lo ha provato assai bene il De Stefani, il quale cita nel suo lavoro anche i mammiferi di Asti come derivanti dagli strati marini, ciò che per il sopradetto non sembra essere il caso. Lo stesso autore cita bensì VAnthracotherium delle ligniti di Montebamboli, e sostiene nello stesso tempo la con- temporaneità di queste ligniti con quelle del Casino che con- tengono YEippotherium. Infine vorrei ancora menzionare che in questi ultimi tempi è stato indicato dal Yacek ( Ueber Oesterr. Mastodonten, Ab - handl. Geol. Beichsanstalt, 1877), il pliocenico Mastodon Bor- soni negli strati a Congerie di Ungheria, ed anche il Mastodon arvernensis nelle ligniti di Bribir in Dalmazia. Quest’ ultimo si trova accompagnato presso Bribir da Eleplias, Tapirus, Cerva s. VII. Poche parole sui terreni dei dintorni di Termini-Imerese ; lettera del prof. S. CiOFALO all’ing. P. Zezi. Ul.mo signor ingegnere, Nel trasmetterle una copia della Carta geologica del territo- rio di Termini-Imerese da me rilevata, credo opportuno riassu- merle brevemente quali sieno le rocce dei vari terreni in essa rappresentati. Nel territorio di Termini, come potrà osservare nella carta, i terreni più sviluppati sono il giurese e V eocene : gli altri, sebbene si presentino in lembi più o meno piccoli, pure fan co- noscere completa la serie dal giurese al pliocene. 1° Il giurese è rappresentato da marne rosse o brune, con — 115 — degli strati di schisti silicei quasi neri, e banchi di un calcare con molti avanzi di crinoidi ; inoltre da un calcare grigio scuro compatto attraversato alle volte da vene spatiche e qualche nodulo di silice a strati molto potenti nella parte bassa, e strati più sottili nella parte superiore» 2° Il cretaceo è rappresentato da un calcare grigio com- patto ; da un calcare quasi breceiforme con fossili, e superior- mente poi da un calcare grigio-chiaro più o meno compatto e friabile, qualche volta con abbondanti rudiste, come nella roc- cia del Castello, ove è quasi completa la serie. Alle falde del San Calogero poi la serie del cretaceo è più completa. In effetto verso il sud riesce facile osservare nella contrada San Giovanni di Caccamo un lembo del cretaceo me- dio fossilifero, distinto dalle solite marne brunastre. All’ est poi dell’ istesso monte, fra la formazione nummulitica di Castel Brucato, vedonsi spuntare le testate di un calcare che dalla struttura e dai fossili si riferisce al cretaceo superiore. L’ iden- tica formazione trovasi nelle contrade d’ Imera, ove forma la Rocca del Drago. 3° Dell’ eocene si distinguono varie zone : Le argille scagliose grigie con strati di arenaria. Un calcare biancastro con vene spatiche e con la Nummulites perforata e la N. curvispira che sporge di mezzo ai potenti strati di arenaria alternanti con le argille grigie costituiscono 1’ eocene inferiore. Le argille variamente colorate di rosso, di verde e di bruno, con straterelli calcarei od arenosi con delle venature spatiche, che d’ ordinario vengono ridotti in piccoli frammenti per il ram- mollimento delle argille, ricche di foraminifere, indicano 1’ esi- stenza dell’ eocene medio. Le marne bianche indurite a fucoidi e piromaca, le marne grigie e rossastre, le quali alternano con un calcare bianco a piccole nummuliti e numerose alveoline; rappresentano 1’ eocene superiore. 4° A quest’ ultima formazione nummulitica si sovrappon- gono altra volta delle argille scagliose e poi degli strati di are- naria con coralli ed altri fossili caratteristici dell’ oligocene. Di questo terreno un sol lembo mi è riuscito sinora osservarlo nella contrada Rocca. - 116 - 5° Il miocene è rappresentato a Terrebianche dalle argille con ammassi di gesso e molasse fossilifere altercanti con strati di arenaria. A Villaura e Cerda è rappresentato dalle argille con potenti depositi di gesso. 6° Nelle contrade d’ Imera, sovrastanti alle argille ed ai gessi, vi stanno le marne bianche a foraminifere che rappresen- tano il pliocene. Di questo terreno se ne osservano altri lembi dopo Trabia verso San Nicolò, che vanno a concatenare con la formazione pliocenica di Altavilla. In molti punti poi i suddetti terreni terziari trovansi quasi coverti dal terreno alluvionale e dal vegetale. Bellissime sezioni si possono fare per rappresentare la serie tutta dei terreni ; e così : Dalla roccia del Castello a Patura si va dal giurese al num- mulitico superiore ; Nel burrone Trepietre alle falde del San Calogero dall’ al- luvione al giurese. Spero pertanto di poterle mandare in altra occasione un più completo rilevamento geologico, fornendole anche più dettagliate j notizie intorno a questi nostri terreni. Termini, 21 marzo 1878. Dev. Servo s. c. NOTE MINERALOGICHE. Zeolite ed Aragonite . raccolte nei filoni cupriferi della Liguria ; nota di A. Issel. Sulla riva sinistra del torrente Bargonasco, affluente del Pe- tronia, nel territorio di Casarza e precisamente nel burrone de- nominato Val di Spine furono eseguite ultimamente alcune ri- cerche minerarie per minerali di rame. Ivi la roccia è quella che i minatori sogliono distinguere coll’ appellativo generale di metamorfica , e consiste principalmente in gabbri verdi ed anfibo- lia, associati a dioriti porfìroidi, dioriti affanitiche, varioliti e - 117 — granitori (eufotidi dialagiche). Per quanto questa proposizione possa a taluno parere paradossale, mi è pur d’ uopo dichiarare che a parer mio tali specie di rocce provengono tutte dalla me- tamoifosi o sopTcì-nietamonf osi 1 di svariate rocce di sedimento, riferibili all’ eocene medio e superiore, che sono schisti argil- losi, schisti marnosi, calcari ed arenarie. Siffatto modo di vedere emerge da numerose osservazioni che ebbi agio di fare nei pressi di Casarza e di Bargone e non dubito punto che sarebbe ab- bracciato da chiunque volesse visitar meco queste località. Le accennate rocce metamorfiche passano l’una all’altra per infinite gradazioni e il segnarne i limiti rispettivi sopra una carta topografica sarebbe opera non meno ardua che il de- terminare i confini delle acque dolci e salmastre in un mare in cui affluissero acque di molti fiumi e torrenti. Esse costitui- scono in Val di Spine una zona di circa 800 m. di larghezza che attraversa il Bargonasco da N.O. a S.E., e si estende sulla riva destra verso il monte Gallinaria e il monte Treggin, e sulla sinistra verso il territorio di Campegli e oltre il Petronia. Questa zona è limitata a settentrione e à mezzogiorno da due emersioni serpentinose, e i suoi contatti si mantengono in ogni caso perfettamente spiccati, senza la minima sfumatura; distin- guendosi non solo per la diversa natura litologica delle due pa- reti, ma eziandio perchè corrispondono ad una soluzione di con- tinuità occupata da materie steatitose, argillose ed ocracee, con tracce più o meno evidenti di minerali metalliferi. Le gallerie aperte nei fondo della Val di Spine sopra pic- cole vene irregolari di Calcopirite ed Erubescite 2 sono disposte in varii piani ed attraversano dapprima un gabbro verde e te- nace che talvolta per piccoli tratti assume i caratteri della dio- rite o quelli della variolite, poi, verso P interno del monte, si converte grado grado in granitone, senza che intervenga nè un contatto propriamente detto, nè una semplice fessura, nè uno stacco. Tutte le accennate gallerie penetrano a distanze diverse dalla superficie nel granitone, e col comparire di questa roccia 1 Così chiamo la metamorfosi di secondo ordine subita cioè da una roccia già precedentemente metamorfosata. 2 Tali vene hanno generalmente direzione dal N.N.O. al S.S.E. con incli- nazione di 00° a 70° verso O.S.O. i fìloncelli di minerale si isteriliscono, si assottigliano e scom- pariscono. Ad un certo punto nel praticare una traversa alla galleria N° 2, prima che si mostrasse il granitone, fu intersecata una sot- til vena ramifera di due a tre centimetri di spessezza diretta da N. a S. Seguita per piccolo tratto, mediante uno scavo ascen- dente, questa si trovò grado grado più spessa e ricca, tanto che raggiunse circa 50 centimetri di potenza, di cui 25 o 30 erano occupati da Calcopirite quasi pura; poi di bel nuovo si fece sottile povera, sterile e si confuse colla roccia incassante. Siffatta vena, come generalmente si verifica in tutte quelle dei terreni ofiolitici della Toscana e della Liguria, manca di vere salbande, e la sua ganga è costituita di materiali steatitosi e serpentinosi di color bigio azzurrognolo, tanto più molli e in- coerenti quanto più il minerale diventa copioso. Nel punto in cui essa comincia appena ad ingrossarsi, la sua ganga è associata ad Epidoto terroso e ad una sostanza bianca e cristallina, diffusa nella massa in tenui particelle, o concentrata in piccole cavità e fenditure. Tostochè mi fu dato di avvertire la presenza di questo mi- nerale, lo conobbi per una Zeolite e ne feci oggetto di osserva- zioni microscopiche e saggi' chimici. Al microscopio si presenta come un affastellamento di elementi che sembrano parallelepi- pedi assai obliqui. Veduto ad occhio nudo, si presenta opaco, translucido con lucentezza un po’ grassa. Esso scalfisce facil- mente la Fluorina, ma non l1 Apatite ed è assai fragile ; riscal- dato in un tubo da saggi, sviluppa una piccola quantità d1 acqua; esposto alla fiamma di una comune lampada a spirito, si liquefà senza che sia necessario di adoperare il cannello e nel liquefarsi ribolle, si gonfia ed emette luce giallastra, il qual fenomeno si rende più manifesto facendo uso del cannello. Non si scioglie o si scioglie in tenue proporzione nell’ acido cloridrico sì a caldo che a freddo, ma se sia previamente calcinato, la soluzione si compie agevolmente; aggiungendo ammoniaca alla soluzione, si produce un precipitato bianco ed una lieve nubecola giallo-bruna; in grado assai minore, si ottiene pure un precipitato bianco coll’ acido sol- forico e coll1 acido ossalico. All1 incontro, non si verifica intorbida- mento di sorta col fosfato di soda e col cloruro di platino. Cal- s - 119 - dilato, poi bagnato con acido cloridrico e introdotto nella fiamma avvivata dal cannello, il minerale le impartisce una tinta fugace rossa, nel punto in cui si volatilizza V ultimo residuo d’ acido ; calcinato, bagnato con soluzione di nitrato di cobalto, poi di nuovo riscaldato, esso tingesi in azzurro pallido, traente al ci- nereo; misto con carbonato di soda e collocato sul carbone, si liquefa sotto il dardo del cannello, ma non è assorbito dal so- stegno. Allo spettroscopio la Zeolite del Bargonasco provoca T apparizione delle linee caratteristiche del calcio e del sodio. Non potei eseguire per via umida saggi più numerosi, stante la scarsità della materia ; ma da quanto precede è chiaro che si tratta di un silicato idrato di allumina, calce e magnesia, con tracce di soda e di ferro. La Zeolite che, per quanto mi è noto, corrisponde meglio a questa composizione e agli accennati caratteri fisici, è la Laumo- nite, descritta da Dana, poi ritrovata dal Savi e da altri in To- scana. Si ravvisano nel nostro minerale la facile sfaldatura, la fragilità straordinaria, la striatura sulle facce del prisma fon- damentale 110, la lucentezza grassa e quasi madreperlacea pro- prie alla specie suaccennata. « Questa, scrive il professore D1 Achiardi,1 si trova nelle geodi del gabbro-rosso del monte di Caporciano, onde fu detta Capor- cianite, monte nel quale è scavata la miniera di rame ; che trae il nome dal vicino paese di Montecatini e vi si trova associata a Quarzo, Savite (var. di Natrolite), Picrotonsonite, Picroanalci- ma, Rame-nativo, Calcite ec. Quando la Laumonite è ivi decisa- mente cristallizzata, anche la Calcite si presenta in cristalli, fra i quali stanno quelli della Laumonite ; ma quando la Laumonite è solo in masse lamelloso-raggianti, la Calcite è del pari spatica e forma come un invoglio, un mantello, una frangia alla Laumonite e alle altre sostanze analoghe. » Anche all’ Impruneta fu trovata la Laumonite, che presenta tutti gli stessi caratteri di quella del monte di Caporciano, e ivi pure si collega per la sua giacitura alle rocce serpentinose e loro affini. » Il Pilla ( Ricch . min. Tose. 1845), cita anche la Caporcia- 1 Mineralogia della Toscana , studi di Antonio D’ Achiardi, II, pag. 164. Pisa, 1873. - 120 - nite del Botro di Casciano, nelle vicinanze di Gambassi ; e il Kranz la disse rara nel granito di San Piero in Campo ; ma nè io ve l5 ho veduta mai, nè so che da altri ne sia stata più fatta menzione. » La scarsezza d’ acqua e V esistenza della magnesia in pro- porzione non lieve fanno sì che la Zeolite del Bargonasco si accosti forse più che alla Laumonite tipica alla varietà Schnei- derite. Questa, che fu primamente descritta dal professor Me- neghini, si trova nelle condizioni medesime della Laumonite e, secondo il D’ Achiardi, risulterebbe da una alterazione della Laumonite medesima, come forse la Picrothomsonite, la Portite e la Sloanite che ne differiscono assai poco. (( La Schneiderite, soggiunge V autore precitato,1 non diffe- risce dalla Laumonite che per alcuni caratteri poco importanti, per tutto il resto somigliandole moltissimo. Presentasi per il so- lito in masse laminoso-raggianti ; è opaca e ha un colore bianco, tale quale lo prende la Laumonite disidratandola al cannello fer- ruminatorio. Il suo splendore è madreperlaceo ; la durezza presso a poco uguale a quella della Laumonite (Caporcianite), analoga- mente alla quale si comporta anche al cannello ferruminatorio, fondendosi in un vetro bianco, tralucido e quasi opaco, onde si- mula uno smalto. « L’ analisi del Bechi (Lett. Menegh. a Dana , 1852) dette : Acqua H20 3,409 Soda e potassa Na20 e K20 . 1,621 Magnesia MgO 11,029 Calce CaO 16,765 VI Allumina (A12)03 19,382 Anidride silicica SiO2. . . . 47,794 100,000 onde si vede che la Snaiderite (Schneiderite) può considerarsi come Laumonite, ossia Caporcianite disidratata, essendo anche un po1 più ricca di magnesia che questa non soglia essere. » Quantunque io non sia in grado di presentare una compiuta illustrazione chimica e cristallografica di questa Zeolite, mi sem- 1 Opera citata, pag. 165. - 121 — bra utile di segnalarne fin d’ ora V esistenza, perchè si tratta d’un minerale nuovo per la Liguria e soprattutto perchè la sua speciale giacitura ha un alto significato riguardo all’ origine dei nostri filoni metalliferi.1 Il ritrovamento del minerale sopra descritto in una vena cuprifera dimostra che quel giacimento fu sede di fenomeni idrotermici compiutisi, secondo ogni probabilità, nel tempo stesso in cui si depositava la Calcopirite. Ecco ora un secondo fatto osservato in un’ altra vena me- tallifera e che conduce alla medesima conclusione. L’ Aragonite, specie che non si produce, come è noto, se non in seno alle acque calde, fu da me trovata in un filone della miniera di Monte Loreto. Questa miniera, ben conosciuta per aver somministrato in copia ricco minerale di rame ed oro nativo 2 è situata presso il villaggio di Masso, sulla via provinciale fra Sestri Levante e Va- rese Ligure, e in gran parte è compresa fra il torrente Petronia e i suoi affluenti Acquafredda e Pomarolo. Colà i filoni metal- liferi (assai più cospicui di quelli del Bargonasco), come in quasi tutte le miniere ramifere toscane e liguri, corrispondono più o meno perfettamente al contatto fra le solite rocce metamorfiche e la serpentina o sono come rami spiccati dai contatti stessi. La galleria Lucia, aperta sulle rive del Pio Pomarolo, in una metamorfica molto argillosa e ferruginosa, dopo una lunghezza di parecchie diecine di metri nella roccia sterile, incontrò nel suo avanzamento, presso al contatto delle serpentine, un grosso filone quasi verticale a ganga molle, pastosa, steatitosa, con grossi arnioni e vene di Calcopirite decorrenti in varii sensi. Il suddetto filone, 1 Non sfuggirà ad alcuno come la scoperta di questo minerale sia un valido argomento a favore della tesi sostenuta dall’ ingegnere G. Signorile, nella sua pregiata Memoria intitolata : Studi sulle giaciture cuprifere e manganesifere della Liguria , sulle rocce che la compongono ec. Torino, 1871. 2 11 metallo fu scoperto nella Galleria Marsala, lungo l’intersezione d’ una vena quarzosa con un filoncello ramifero, e si presentò in masse dentritiche più o meno voluminose quasi sempre cristalline. I cristalli sono in generale imperfetti, allungati, un po’ curvi ed assottigliati ad una estremità a foggia di virgola ; le faccette loro si mostrano solo distintamente all’estremità più grossa. In due esemplari isolati mi parve di riconoscere un tetrachisesaedro ed un rom- bododecaedro. È frequente e caratteristica in tali cristalli la geminazione di due individui le cui estremità assottigliate si confondono. — 122 — continuatosi per qualche metro nella roccia metamorfica, si in- sinuò nel contatto, poi passò gradatamente nella serpentina (discostandosi sempre pochissimo dal piano del contatto) ed ora prosegue nella medesima. Esso, specialmente da principio, si mostrò ferace di Calcopirite, tanto a livello della galleria quanto ad una certa altezza superiormente. Anche in questo caso, appena il filone cominciò a manife- starsi, apparve nella roccia un minerale insolito, cioè V Arago- nite che insieme alla Zeolite del Bargonasco forma oggetto della mia comunicazione. Essa presentavasi, nell’ avanzamento della gal- leria, come piccole striscie e venature ora bianche, ora verdi, perchè impregnate di carbonato di rame, e compenetrava una ganga di color bigio-azzurrognolo, sparsa di Calcopirite ed Eru- bescite, questa talvolta sotto forma di polvere nerastra. Il minerale offre una struttura minutamente fibrosa ed an- che, in certi punti, fibroso-raggiata e splendore quasi sericeo. È opaco, molle, fragile, poco o punto attaccabile dagli acidi quando si trova in pezzetti ; vi si scioglie però facilmente se sia ridotto in polvere sottile. Al pari dell’ Aràgonite ordinaria decrepita al cannello e non si fonde. Riscaldato nel tubo da saggi emette rnolt’ acqua che necessariamente deve essere acqua d’ interpo- sizione. Reputo inutile lo enumerare gli altri caratteri fisici e chi- mici verificati nel minerale di Monte Loreto, perchè coincidono tutti perfettamente con quelli notissimi dell’ Aràgonite tipica. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. G. Seguenza. — Nuculidi terziarie rinvenute nelle provincie meridionali dJ Italia. — Roma, 1877. La presente monografia è destinata ad illustrazione degli ab- bondanti materiali della famiglia delle Nuculidi raccolti dal- l1 egregio professore di Messina in molti luoghi e terreni terziari delle provincie meridionali d’ Italia ; in essa si compendiano tutte — 123 — le osservazioni precedenti fatte dal Philippi, dal Calcara, dal- P Aradas e da altri, e si aggiunge quanto T Autore ha potuto raccogliere ed osservare insino ad oggi. Tutte le specie descritte sono state raccolte negli orizzonti superiori al Langhiano, cioè dall’ Elveziano in poi, ad eccezione degli strati dello Zancleano (pliocene inferiore), i quali non hanno dato veruna specie di questa famiglia. Nella Memoria sono descritte 58 specie fossili, e cioè 14 di Fucilici, 2 di Nucinetta, 19 di Leda , 14 di Yoldia, 1 di Phaseo- lus, 2 di Molletta, 5 di Nello, e 1 di Pindarici. Le conclusioni alle quali giunge V Autore alla fine del suo lavoro sono le seguenti : 1° Che le nuculide terziarie dell’ Italia meridionale si ri- feriscono a 58 specie, delle quali 15 trovansi nel mioceno, 51 nel plioceno, 5 nel quaternario e 16 vivono nei mari attuali. 2° Delle specie enumerate, soltanto 24 conosconsi in altre regioni, perciò sono esclusive dell’ Italia meridionale 34 specie. 3° Che il plioceno astiano ha somministrato 50 specie quasi tutte comunissimamente sparse, che lo caratterizzano assai bene. 4° Che il plioceno astiano depositatosi in mari assai pro- fondi racchiude numerose e comuni specie, che lo distinguono benissimo dal pliocene littorale ed hanno i loro identici viventi nella zona degli abissi, e specialmente nei mari del Nord. 5° Che sono esclusive, e quindi caratteristiche del mioceno, tra le 15 specie raccolte, soltanto 7, le altre 8 facendo passaggio al plioceno. 6° Che delle 51 specie del plioceno, 35 soltanto sono ca- ratteristiche, perchè esclusive di tale formazione, le altre 16 vi- vono nei mari europei. 7° Che delle 5 specie quaternarie nessuna è caratteristica, essendoché tutte vengono dal plioceno e vivono tuttavia. 8° Che sono ben rare le specie che dal mioceno elveziano e tortoniano giungono sino ai mari attuali ; se ne numerano ap- pena quattro nell’ Italia meridionale. La Memoria è corredata da 5 tavole, nelle quali trovansi figurate 34 delle specie descritte. - 124 - W. Branco. — I vulcani degli Ernici nella Valle del Sacco. Roma, 1877. In questa Memoria, pubblicata dapprima in tedesco nel Neues Jahrbuch fiir Mineralogie, Geologie und Paldontologie (Stutt- gart, 1877) e poscia in italiano nelle Memorie della B. Acca- demia dei Lincei, l’Autore fa la descrizione di quel gruppo di vulcani spenti, detti Ernici dal Ponzi, che si trovano nei din- torni di Frosinone. Dopo un breve cenno dei terreni sedimentarii sviluppati nella Valle del Sacco e nelle due catene che la con- terminano (calcare cretaceo, calcare cristallino e macigno eoce- nici, calcare argilloso miocenico, travertino e alluvione), vengono passati in rivista i vulcani o centri di eruzione finora conosciuti : essi sono quelli di Giuliano fra il Monte di Siserno ed il Ca- cume, di Patrica addossato a quest’ ultimo monte, della Selva dei Muli in mezzo alla pianura alluvionale del Sacco, di Tic- chiena ai piedi del Monte Radicino fra Frosinone e Ferentino, del Callame al N.O. di Ceccano, di San Francesco sulla sinistra del Sacco, di San Marco dietro il Monte di Siserno, di Pofi e di Amara al S.E. di Frosinone. Pochi sono i dati positivi che possono servire per determinare P età geologica di questi vul- cani : P Autore però ammette che essi sieno presso a poco della stessa età geologica e conchiude che sono più recenti del ter- reno pliocenico ma anteriori alle antiche alluvioni, convenendo in questo col Ponzi che ammette P attività vulcanica negli Er- nici anteriore a quella del Lazio. L’ Autore tratta quindi della natura di quei prodotti vulcanici, fra i quali occupano il primo posto le lave ed i tufi ; questi ultimi si distinguerebbero in due tipi, affine al peperino l’uno, a grana finissima P altro : insieme con questi due tipi di tufo compare tutta la serie del prodotti vulcanici sciolti, dai lapilli alle ceneri. Parla finalmente dei mi- nerali trovati nelle geodi e nelle fessure che attraversano le lave, e di quelli eruttati allo stato di cristalli sciolti o trovati nei blocchi erratici. Fra questi ultimi meritano speciale menzione alcuni frammenti di granito ad ortose bianco e mica nera, con granati, tormalina o titanite. Consimili frammenti sarebbero stati — 125 — eruttati dal vulcano eli Amara, e 1’ Autore li ritiene distaccati da rocce che si trovano in posto a grande profondità. Ya unita alla Memoria una carta geologica della regione compresa fra Ferentino, Frosinone, Prossecli e Castro, nella scala di 1 per 86,400. G. A. Pikona. — 'Sulla fauna fossile giurese del Monte Cavallo in Friuli. — Venezia, 1878. Il Monte Cavallo (2248m sul mare) è il punto culminante di una catena alpina la quale, staccandosi dalle Alpi Gamiche, corre in direzione da N.N.E. a S.S.O. e chiude a ponente la vasta pianura friulana. Si giunge al monte per una serie di dossi alti in media da 1000 a 1200 metri, e la sua parte più elevata è fiancheggiata da una specie di altipiano, il quale ad occidente si avvalla nella vasta conca del Cansiglio, e ad oriente ha la sua continuazione nel Pian di Cavallo che raggiunge presso Aviano la pianura del Tagliamento. Le antiche osservazioni del- T Hauer e le più recenti del Taramelli, fecero ritenere come spettanti al giura inferiore tutte le cime che circondano il ba- cino dell’ Alpago, come pure gli elevati fianchi occidentali del Monte Cavallo ; ma per la parte orientale dello stesso monte, come pure per le sue dipendenze, indicavano soltanto la pre- senza della creta superiore. Era però opinione dell’ Autore che alcune rocce calcaree che si mostrano interrottamente a giorno lungo il piede ed i fianchi orientali delle dipendenze di Monte Cavallo fossero da riferirsi al giura superiore, e tale credenza venne ora confermata da ulteriori e più accurate ricerche pa- leontologiche. Le rocce che compongono la gran massa del monte e delle sue dipendenze sono quasi tutte calcaree, e sono litologicamente così poco dissimili tra loro che senza P aiuto dei fossili riesce impossibile lo stabilire se tutte sieno da riferirsi al medesimo o a differenti terreni. La stratificazione è dalla base alla cresta sempre concordante, e forma in complesso una grande anticli- nale che a settentrione si appoggia discordantemente alla dolo- 126 — mia triassica, ed a mezzodì va a sommergersi sotto depositi neogenici che presto degradano nella pianura. La roccia del Monte Cavallo che contiene i fossili descritti, è un calcare di tinte bianche e non mai rosse, come invece sono di solito quelle che rappresentano il giura superiore nelle altre parti delle Alpi Venete, dove anche le rocce neocomiane hanno il tipo ammonitico siccome egregiamente provò il De-Zigno. Nel Friuli i terreni giuresi sono sviluppati assai imperfettamente, e si mostrano estesi solo nelle prealpi che stanno sulla sinistra del Tagliamento, mentre sulla destra appaiono bensì più di frequente ma sempre sopra spazii limitati : sono calcaree rosse o grigie, breccioidi o compatte, selcifere, con ammoniti ed altri fossili del lias, ricoperte da calcari colitici per lo più cinerei o biancastri. Nessuna però di tali rocce del lias e del giura inferiore com- parisce al Monte Cavallo, se ne eccettui pochi strati di calcarie rosse Massiche che si mostrano sopra una strettissima zona a settentrione del gruppo. Le rocce studiate dall’ Autore, calcare corallino, marne silicifere e arenarie marnoso-cloritiche, trovansi invece nella parte orientale del monte presso Polcenigo, dovunque circondate dal terreno cretaceo, e dall’ esame dei fossili che esse contengono si dimostrano decisamente appartenenti al piano titonico. Quella fauna ha dato finora 76 specie, delle quali 11 nuove essendo le altre forme conosciute di altre località e rinvenute in piani giudicati differenti, cioè nel titonico superiore, nel tito- nico inferiore, nel coralliano e nel kimmeridgiano. Delle 76 specie descritte più che due terzi spettano al gruppo delle Nerinee. Dall’ esame poi della intiera fauna risulta che i calcari del Monte Cavallo sono contemporanei ai calcari a Terebratula janitor e Terébratula diphya del nord di Sicilia, considerati come tipici del titonico inferiore. Questo deposito del Friuli rimane finora il solo che nell’ Italia continentale rappresenti il titonico a tipo corallino. Fanno corredo alla Memoria una carta con sezioni geologiche dei dintorni di Aviano e Polcenigo, e otto belle tavole di fossili. — 127 — T. Taramelli. — Bel granito nella formazione serpentinosa dell’ Apennino pavese. — Milano, 1878. È da tempo nota la esistenza di massi erratici di granito sul versante dell’ Apennino pavese e piacentino, e varie furono le opinioni dei geologi in ordine a questo fatto : alcuni lo at- tribuirono a trasporto operato dai ghiacciai quaternari o da ghiacciai miocenici, altri allo sfacelo di rocce in posto collegate colla formazione serpentinosa dell’ eocene superiore. Di questa ultima opinione fu sino dal 1844 lo Studer, il quale però at- tribuiva al cretaceo quelle rocce che più tardi venivano dal Pa- reto riconosciute eoceniche : secondo esso tratterebbesi di una formazione granitica infranta e dirupata, originariamente com- presa nelle rocce dell’ eocene superiore o liguriano (Flysch) ; e cita analoghi esempi di granito erratico dei dintorni di Vevey, del cantone di Lucerna, della valle d’Ormond presso Aigle, e di Bolgen in Baviera, tutti entro terreno di macigno. Tanto nelle indicate località quanto nel nostro Apennino, i massi granitici sono in relazione con giacimenti serpentinosi, e presentano delle vene e rilegature cloritiche od ofiolitiche. Anche il Savi, nella sua monografìa delle rocce ofiolitiche della Toscana, parla di graniti in filoni che all’ Isola d’ Elba attraversano le ofioliti ; fatto questo che fu poscia confermato dalle osservazioni dello Studer, del vom Rath, del Cocchi. Il Pareto aveva già accennata la presenza del granito erra- tico in molti punti della Liguria e la spiega come effetto di un trasporto operato dalle serpentine all’ atto della eruzione delle masse formanti il sottosuolo dell’ Apennino. Il medesimo parla pure di un vero conglomerato granitico, rinvenuto sotto ai cal- cari a fucoidi presso Fornovo nell’ Apennino parmense. . Nello stesso Apennino parmense e reggiano si rinvennero poi più tardi blocchi di granito entro il terreno delle argille scagliose. In conformità alle idee espresse dal Pareto V Autore è di opinione che tali massi od aggregati di massi sieno stati real- mente dilacerati da un sottosuolo granitico ; il quale, profonda- mente alterato per azioni chimiche, avrebbe anche fornito gli - 128 — elementi al complesso delle rocce ofiolitiche, emerse a guisa di lave sul fondo del mare eocenico. Esso descrive gli osservati giacimenti del conglomerato gra- nitico, prima nelle serpentine, quindi nelle argille scagliose. Tutti gli affioramenti serpentinosi che si allineano sull’ Apennino pavese dalle origini della Trebbia sino ai dintorni di Tortona, per una linea di oltre ottanta chilometri, presentano il conglo- merato granitico in discorso. Le località ove tale roccia è in proporzioni colossali e in più evidenti rapporti con le rocce ofiolitiche sono le seguenti, che V Autore descrive dettagliata- mente : il Dosso del Groppo, presso Pregola, alle origini della Staffora; il Monte Pamperdù posto tra la valle del Tidone e quella della Trebbia a nord di Bobbio; dal villaggio di Gari- seto sino a Selva, sul versante sinistro della valle dell’ Aveto ; finalmente presso il villaggio di Pietranegra, a sud di Ottone e a nord-est di Rovegno. Un campione di granito del Pamperdù esaminato dal Cossa, diede la seguente composizione mineralogica : felspato ortosio, di colore rosso, in grossi cristalli ; felspato triclino, di colore bianco, molto alterato ; granuli di quarzo, di colore bianco ci- nereo; clorite color verde in lamine e clorite terrosa; poca cal- cite aderente alla clorite terrosa e al felspato plagioclasio. La mica è molto rara in questa roccia. In giacimenti entro le argille scagliose trovansi i massi gra- nitici nell1 Apennino pavese, a molta distanza dagli affioramenti di rocce ofiolitiche, alla base della salita di Borgoratto ai sud di Montebello. È probabile che colà esistano rocce ofiolitiche sotto P affioramento di argille scagliose contenenti il conglome- rato granitico; tuttavia questo ne appare affatto indipendente, essendo stratificato colie argille scagliose e potendo esistere fra queste e le sepolte serpentine una zona anche potente di rocce prettamente sedimentari. Le particolarità litologiche di questo granito non sono molto diverse da quelle della roccia compresa nelle serpentine : importante è però la presenza di frammenti ofiolitici entro lo stesso conglomerato, il che proverebbe un più recente impasto granitico connesso con la formazione delle ar- gille scagliose. Ulteriori studi soltanto potranno indicarci quale sia il nesso — 129 — che collega le argille colle rocce ofiolitiche, quali sieno precisa- mente i limiti cronologici di quelle rocce ritenute eruttive dal- T Autore, e finalmente per quali meati esse eruppero ed in quali condizioni si espansero. A. Verri, — Sulla cronologia dei vulcani tirreni e sulla idrografia della Val di Chiana anteriormente al periodo pliocenico . — Milano, 1878. Il capitano Verri, noto ai lettori del Bollettino per altro suo lavoro sulla Val di Chiana,1 ha ora pubblicato nei Rendiconti del R. Istituto Lombardo, una interessante Memoria nella quale si occupa dei due argomenti sovraenunciati. Trattando della cronologia dei vulcani tirreni, incomincia col riassumere le opinioni dei geologi che si sono occupati della zona vulcanica dell’ Italia centrale, dall’ abate Rusconi, al Pa- reto, al Ponzi, allo Stoppani ed al vom Rath. Osserva come, nonostante le obbiezioni fatte dal primo, tutti gli altri conven- gono nel ritenere i tufi della Campagna romana come risultanti da dejezioni di vulcani subacquei : un punto ancora discutibile è quello intorno alla natura di queste acque, se lacustri o ma- rine, quantunque P assenza dei fossili marini faccia propendere piuttosto per la prima ipotesi. Volgendo più specialmente la sua attenzione ai crateri Vulsinii, V Autore descrive V aspetto che doveva presentare il territorio fra i Cimini e la valle del Paglia nell’ epoca pliocenica quando fu compiuto il sollevamento della Val di Chiana ; esamina poi quali sieno le rocce che sostengono i tufi vulcanici provenienti da quei crateri, e pone diversi que- siti sulla cronologia e sulla genesi dei suddetti tufi. La prima domanda che esso fa è se il vulcanismo tirreno fu contempo- raneo da Bolsena al Lazio o invece si verificò il fatto del suc- cessivo trasportarsi dell’ attività vulcanica da settentrione a mez- zogiorno; e dietro l’esame dei fatti conchiude col seguente di- lemma : o i tufi possono essere considerati come prodotti di vul- 1 Vedi Bollettino 1877, N. 1 e 2, pag. 82. 9 130 — cani subaerei, e vomitati su superficie di terra non coperta dalle acque, ed allora non havvi difficoltà a concepire le manifesta- zioni vulcaniche dopo l’ epoca terziaria ; oppure i tufi devono essere inevitabilmente considerati come dejezioni in un bacino acquoso, ed allora devesi convenire che la manifestazione del- T attività vulcanica incominciò a settentrione col sollevarsi del pliocene antico, e si spostò man mano verso mezzogiorno. L’ Au- tore si dichiara propenso ad accettare la prima conclusione; la stessa uniformità della formazione tufacea, quando non sia ne- cessario attribuirla ad un mezzo acquoso, potrebbe provare col- T unità dei prodotti il sincronismo di quelle dejezioni che sa- rebbero da attribuirsi ad eruzioni fangose. Nella seconda parte della Memoria V Autore tratta della idrografìa della Val di Chiana anteriormente al periodo plioce- nico, e dimostra che in quella regione una fase terrestre pre- cedette quella del pliocene marino. In prova di ciò accenna alla esistenza di ligniti, le quali dai geologi vennero riferite al mio- cene superiore, i cui giacimenti rappresenterebbero altrettante bassure del periodo maremmano precursore del definitivo in- gresso del mare in quei luoghi dovuto a movimento sismico. Passa quindi a convalidare la sua opinione coll’ esame dei ter- reni componenti il sottosuolo sul quale sono imbasati i depositi marini ; dà poi un’ idea della forma orografica della regione, ed infine esamina quelle rocce che in taluni hanno creato dei dubbi su un precedente mare miocenico. Dobbiamo augurarci che V egregio capitano Verri abbia a proseguire nelle ricerche con tanto amore intraprese, e possa portare coi suoi lavori nuova luce intorno alla storia geologica dell’ Italia centrale. A. Cossa. — Ricerche chimiche su minerali e rocce dell’Isola di Vulcano . ■ — Roma, 1878. E questo un primo studio sui minerali di Vulcano, presen- tato dall’ autore alla R. Accademia dei Lincei, e che tratta del- V allume potassico contenente tallio, cesio e rubidio. — 131 — Ricordata la Nota da lui presentata sovra questo argomento durante le ferie accademiche e stampata nella Gazzetta Uffi- ciale del 25 agosto, espone di aver potuto continuare le sue indagini pel concorso del Ministero d’ Agricoltura e Commercio. Rammenta i precedenti studi chimici finora eseguiti intorno ai- fi isola di Vulcano dallo Spallanzani, dal Dolomieu, dal Lucas, dallo Stromever, dal Saint-Claire Deville, da Warington, da Crookes e da Baltzer. I depositi principali d’ allume nell’ isola di Vulcano si tro- vano nelle grotte del Faraglione e nella cavità del gran cratere. L’ allume potassico del Faraglione è intimamente commisto a solfato d’ allumina, a gesso ed a sale ammoniaco. Nella parete interna settentrionale del cratere di Vulcano, vi è una plaga piuttosto estesa, detta la Schicciola, costituita da una roccia bianca compatta, a cui aderisce in strati di varia grossezza fi al- lume potassico. Quest’ allume osservato come viene staccato dalla roccia con un buon spettroscopio dà appena un indizio delia presenza del tallio, per il sale di sodio che lo inquina. Separando con ripetute cristallizzazioni i cristalli meno solubili, e sottopo- nendo questi all’ analisi spettrale si osservano in modo distinto, oltre all’ unica linea di tallio le linee aejS del cesio e del rubidio. La ricchezza in cesio e rubidio varia nelle diverse località della Schicciola: da due chilogrammi e mezzo di minerale ottenne una volta duecento grammi di un allume molto ricco dei due metalli. Secondo la sua opinione fi allume di Vulcano, fatta eccezione del Polluce, è materia prima più ricca da cui si possano estrarre il cesio ed il rubidio. Accenna al metodo attuale di estrazione dei composti di questi due metalli, che richiede lunghe opera- zioni, mentre nell’ allume la concentrazione dei metalli rari si può fare per semplice cristallizzazione. Posto il quesito se la roccia a cui aderisce fi allume della Schicciola è stata attraversata dalla soluzione di allume cesi- fero, oppure se essa stessa decomposta ha fornito i materiali alla formazione dell’ allume, conclude l’Autore che i due metalli cesio e rubidio si trovano molto probabilmente setto forma di silicati nella roccia stessa. Di questa roccia indica la natura ed i caratteri fisici. Sugli orli di un fumaiolo situato nel fondo del — 132 - cratere di Vulcano trovasi una materia spugnosa di colore ros- signo alla superficie e cinereo-cupo nell’ interno, di tessitura cri- stallina, non omogenea. Essa è composta di zolfo, solfuro di arsenico, solfuro di selenio, acido borico, cloruro d’ ammonio, solfato di litio ed allume di tallio, di rubidio e potassio. Questa sostanza costituirebbe una sorgente di tallio e cesio ancor più ricca dell’ allume della Schicciola. Parla ancora l’Autore d’ altri prodotti vulcanici dell’ isola, dell’ acido borico, dello zolfo ed espone due analisi comparative, una del Saint-Claire Deville, l’altra da lui fatta di gas ema- nanti da un pozzo sito a sud-ovest del Faraglione. Termina con un cenno storico dell’ industria dell’ allume nelle Isole Eolie, citando pei tempi antichi Dioscoride, Plinio e Diodoro Siculo, il quale asserisce che i Romani levavano un grosso tributo da questo sale e nello stesso tempo i Liparoti ne ritraevano gran profitto. Ai tempi nostri ricorda come nel 1813 sotto il Governo Borbonico, la famiglia Nunziante ne ottenesse il monopolio della fabbricazione e dello smercio per tutto il Regno delle Due Sicilie. Per qualche tempo quest’ in- dustria ebbe un certo sviluppo, poi decadde. G. Capellini. — Il calcare di Leitha, il Sarmatiano e gli strati a Congerie nei monti di Livorno , di Castellina Marittima , di Miemo e di Monte Catini. — Roma, 1878. In questa Memoria 1’ Autore, dopo aver ricordato le sue pre- cedenti pubblicazioni sulle stesse formazioni geologiche e sulle medesime località, cominciando dal 1860, accenna le scoperte fatte in questi ultimi anni e i confronti che ha potuto istituire fra i terreni terziari miocenici della regione presa in esame e quelli della Valacchia, della Grecia e dell’ Austria-Ungheria. Parlando del calcare di Leitlia indica le diverse forme lito- logiche che vi si devono riferire, e con 1’ aiuto dei fossili dimo- stra che, mentre un ricco complesso di rocce calcareo-marnose e di conglomerati spetta tutto quanto al così detto calcare di Leitha dei geologi austriaci, le rispettive faune offrono piccole — 133 - variazioni in rapporto con la natura della roccia nella quale si incontrano, e quindi con le molteplici condizioni locali che in- fluenzarono i singoli depositi. I fossili raccolti dal Capellini in alcune di quelle rocce sono d’ una rara bellezza per la loro con- servazione e mentano di essere specialmente ricordati alcuni coralli identici a quelli raccolti nel calcare di Leitha del Bacino di \ ienna e illustrati da Reuss. Alle Parrane, nei Monti Livor- nesi, nota un banco di Porites ramosa e altre specie, della po- tenza di oltre dieci metri, e mette in rilievo V importanza che 1 dintorni di Colognole, Castelnuovo della Misericordia, Rosi- gnano, Castellina e Montecatini offrono per lo studio di questo piano. Passando quindi a dire del Sarmatiano, accenna le ragioni per riportare a questo orizzonte geologico una parte dei calcari che sebbene per la forma litologica tanto assomigliano al cal- care dt Leitha, contengono numerosi fossili caratteristici del Sar- matiano ; e dopo aver citato marne sarmatiane a Cerizii inter- calate con alcune di dette rocce, nota la corrispondenza fra le cose osservate nei Monti di Livorno e ciò che il dottor Fuchs ha egregiamente descritto per i dintorni di Trakones in Grecia. L Autore dimostra che allo stesso piano Sarmatiano spettano indubbiamente le ligniti della Valle della Sterza di Laiatico e i ti'PoIi schistosi del Gabbro e di Paltratico, costituiti in gran parte di diatomee marine, gentilmente studiate dal conte Ab. F. Castracane, e nei quali il prof. Capellini ha altresì riscon- trato circa trenta specie di pesci, in gran parte identici a quelli ( ei tnpoli di Licata in Sicilia e Oran in Algeria, e una straor- dinaria quantità di impronte di foglie delle quali presenta un catalogo provvisorio. Intorno agli Strati a Congerie che l’ Autore fino dal 1860 segnalava per la prima volta in Italia, passa in rivista alcuni nuovi giacimenti fossiliferi recentemente da lui scoperti nei Monti livornesi, e riferisce una interessante sezione geologica, per la duale e dimostrato che le Congerie e piccoli Candii di questa formazione, con specie identiche a quelle riscontrate nello stesso terreno in Grecia e nel mezzogiorno della Russia, si trovano nelle marne che fanno parte essenziale della formazione gessosa nella provincia eli Pisa. E mentre in generale questi strati rap- — 134 — presentano una formazione salmastra, 1’ Autore cita nella stessa regione depositi lacustri e marini da riferire al medesimo oriz- zonte geologico. In questo lavoro incidentalmente sono pure men- zionati alcuni minerali interessanti, taluni segnalati per la prima volta dall’ Autore, e da ultimo sono accennati i rapporti che si potrebbero riscontrare fra gli studi geologici sull’ acquedotto di Vienna, fatti maestrevolmente dal dottor Karrer, e la geologia del terreno percorso dall’ acquedotto di Livorno, la quale offri- rebbe argomento per un lavoro importantissimo. NOTIZIE DIVERSE R. Accademia dei Lincei. — Adunanza del 3 marzo 1878. 1 — In questa adunanza il socio Alfonso Cossa legge una sua Nota sulla diabase peridotifera di Mosso nel JBiellese. Le ricerche microscopiche e chimiche hanno dimostrato che I questa roccia è composta di feldispato triclino, augite, peridoto, i mica, magnetite ed apatite. La roccia non presenta tracce di j alterazione, ed è importante così per la presenza del peridoto i come per l’ intensità del pelicroismo di cui è dotata 1’ augite. La diabase di Mosso presenta qualche analogia con una eu- : fotide d’ Ivrea studiata dal prof. Rosenbusch. Nella medesima seduta il socio Sella presenta la seguente I nota del dott. B. Lotti : Sull’ orizzonte nummolitico presso Castel - 1 nuovo dell’Abate in provincia di Siena, « In tanta penuria di dati paleontologici atti ad offrirci un j criterio esatto per la determinazione e suddivisione cronologica di tutta quella potente serie di calcari, schisti argillosi ed are- ! narie, nota comunemente sotto la denominazione di terreno del- 1’ alberese o del macigno e tanto sviluppata nell’ Italia centrale, ogni più piccolo lembo fossilifero e quasi può dirsi la più oscura j traccia lasciata da organismi animali o vegetali in queste for- : inazioni acquista una importanza straordinaria. Ad eccezione della 1 Estratto dagli Atti dell’ Accademia ; Transunti , voi. II, fase. 4. — 135 — pietra-forte dei dintorni di Firenze, relativamente ricca in fos- sili cretacei per ora, come io credo, non ritrovati altrove in To- scana, e di un calcare screziato a foraminifere indeterminate simulante il nummulitico, aneli’ esso di epoca cretacea, ricono- sciuto di recente dal De Stefani nei Monti Pisani ed in altre località toscane, nuli’ altro viene offerto dai terreni suaccennati che una gran copia di fucoidi ed in pochi luoghi rari banchi di calcare nummulitico. Le fucoidi, ritenute per lungo tempo insi- gnificanti, cominciano ora ad essere prese in considerazione dai geologi ed è sperabile che presto venga alla luce un qualche lavoro speciale su questo argomento, tantoché esse pure contri- buiscano alla determinazione cronologica delle rocce che le rac- chiudono. Frattanto ed in attesa di argomenti più validi dob- biamo riconoscere attualmente nella presenza delle nummuliti il solo mezzo per orientarci in tanta oscurità. È in questa consi- derazione che ho creduto opportuno, ogniqualvolta mi sono im- battuto in strati contenenti un tal genere di foraminifere, di darne espressamente pubblica notizia, ed io penso che sarebbe di somma utilità che venisse fatto altrettanto da tutti coloro che si occupano di ricerche geologiche nell’ Italia centrale. » La stazione di Monte Amiata della linea ferroviaria Asciano-Grosseto è situata sulla riva destra del fiume Orda, ove esso, dopo aver lambito con ampia curva semicircolare da Est verso Nord la base del Monte Amiata, presenta un gomito pic- colo, ma molto pronunziato, colla concavità rivolta a N.N.O. Evidentemente.il fiume, e quindi la ‘ferrovia, approfitta qui di una spaccatura di quei monti che formano le appendici setten- trionali dell’ Amiata, come lo dimostrano le scoscese pendici fra le quali trovasi incassato e l’ inclinazione degli strati in verso contrario dai lati opposti. Il monte che sembra avere interrotta la curva regolare del fiume, obbligandolo a girargli intorno con quella risentita piegatura, chiamasi la Velona, dalla fattoria omonima posta sul suo vertice al di là del quale verso N.O. sorge il paesello di Castelnuovo dell’Abate. È appunto risalendo questo monte dalla stazione verso la cima che si incontrano gli strati nummulitici insieme con le altre rocce concomitanti. Essi compariscono al di sotto di un travertino postpliocenico con fossili d’ acqua dolce che riveste la base del monte, mentre- — 136 — chè lateralmente a N.E. ed anche più in alto presso il vertice sono ricoperti dal pliocene. » La roccia nummulitifera è il solito calcare a struttura frammentario-spatica in banchi assai regolari di spessore varia- bile, ma non superiore a 30 cent. ; intercalati con schisti cal- careo argillosi grigi e rossastri. La direzione degli strati è N. 70° 0. colla inclinazione di circa 35° verso N.E. Non tutti gli strati componenti questa caratteristica formazione racchiudono le nummuliti. Ove la roccia presentasi costituita di elementi re- lativamente grossi, in guisa da prendere V aspetto di conglo- merato, ivi abbondano le foraminifere, che scarsamente invece compariscono o non compariscono affatto nel calcare finamente granuloso, e quasi compatto. Le nummuliti, nella maggior parte piccolissime raggiungono talvolta il diametro di oltre un centi- metro : insieme ad esse trovansi altre foraminifere indetermi- nabili ed articoli di crinoidi. » La potenza di tutta la formazione nummulitifera, in altre località limitata ordinariamente a pochi banchi, è molto note- vole, potendo oltrepassare forse i 30 metri. Negli strati infe- riori in mezzo agli schisti con fucoidi trovasi un calcare bianco, sonoro, a frattura concoide, di cui sulla superficie degli strati ricoperta di una sottile velatura argillosa grigio-chiara, compa- riscono impronte di organismi indeterminabili, probabilmente ve- getali. Questo calcare che io ho veduto dovunque accompagnare il nummulitico e che in altre località dell’ Apennino vien chia- mato biancone, racchiude nel bel mezzo de1 suoi banchi strate- relli lenticolari di selce perfettamente paralleli ai piani di stra- tificazione. » Fra i vari elementi che costituiscono il conglomerato num- mulitico sono riconoscibili : schisto sericeo argentino , mica- schisto chiaro, schisto verde steatitoso, calcare ceroide grigio- chiaro o grigio-cuipo, calcare rosso o roseo saccaroide, calcare giallo pure saccaroide, frammenti spatici di calcite. » Superiormente alla formazione nummulitica, appena valicato il monte della Yelona seguendo la via che conduce a Castel- nuovo, succedono pochi strati di calcare compatto grigio senza fossili, cui fanno seguito in serie ascendente strati di non più di 10 cent, di spessore di un’ arenaria micacea, sulle superficie — 137 — dei quali, coperte di un intonaco argilloso micaceo, compari- scono dei rilievi difficilmente determinabili, ma dovuti certamente a corpi organizzati. Straterelli di ossido di manganese grossi tal- volta 5 mm. stanno intercalati fra gli strati di questa arenaria. » Dall’ altra parte dell’ Orda sulla pendice settentrionale del M. Cucco, ove passa la strada che mette in comunicazione colla ferrovia i luoghi abitati del M. Annata, gli strati presentano la stessa direzione di quelli presi in esame, ma inclinazione con- traria, e lasciano vedere le rocce sottostanti alla serie nummu- litica costituite da calcari e schisti argillosi e da grossi banchi di un’ arenaria durissima poco micacea. » Senza dubbio in un’epoca relativamente recente, l’area sulla quale comparisce ora il terreno nummulitico, fu totalmente ri- coperta dal pliocene, e solo fu messa a nudo dall’ erosione che continua anche al presente ; infatti, come fu già accennato, sulla cima del monte della Yelona trovasi il pliocene costituito da un conglomerato di grossi ciottoli di varia natura, che più in basso trasformasi in un’ arenaria calcarea alquanto somigliante al ma- cigno eocenico. Essa sovrapponesi ad una serie di argille mar- nose giallastre con gesso, apparentemente senza fossili, e sovrain- combenti ad una formazione lacustre lignitifera che dette luogo di recente ad una lavorazione mineraria. Fra le marne stanno intercalati straterelli di schisti arenacei dai quali deducesi una inclinazione notevole verso N.E. di tutta la formazione. » Società Toscana di Scienze Naturali. — Adunanza del 13 gennaio 1878. 1 — Per primo il socio De Stefani dopo aver fatti meritati elogi di un recente scritto di Th. Fuchs sopra gli strati con aspetto sarmatiano, fa alcune osservazioni ad uno scritto del medesimo autore sul Flysch. Nota come egli attribuisca alla così detta zona del Flysch nell’ Apennino un insieme di strati in massima parte fossiliferi che i recenti studii hanno riconosciuto appartenere a sei o sette piani compresi fra il Titoniano e l’Eo- cene superiore, anzi egli cita in appoggio del suo modo di ve- dere anco taluni studi dello Studer sull’ antico macigno dell’ Elba che è triassico; del Pareto sopra le rocce paleozoiche di Cor- 1 Estratto dai Processi Verbali delle Adunanze. — 138 — sica e del Gastaldi sopra conglomerati del Piemonte, che sono miocenici. Pur limitando le osservazioni a quelle rocce apenni- niche che per epoca rispondono al Flysch svizzero, cioè all’ Eo- cene, e che pell’Apennino sono presentemente distinte in tre sottopiani, il Fuchs afferma: 1° Che in quel Flysch non si trovano mai calcari puri, nè conglomerati più o meno grossolani, nè argille tenere; 2° Che, sebbene vi sieno fossili, alghe e vermi e pesci e cefalopodi, mancano banchi di bivalvi, briozoi, coralli, ec. e strati più o meno grossi di lignite ; 3° Che il Flysch dell’ Apennino settentrionale non si trova in rapporto con alcuna roccia preesistente dalla cui denudazione potesse essere derivato. In prova delle sue osservazioni sulla formazione eruttiva di queste rocce adduce poi: 4° Il rapporto di esse colle rocce serpentinose ; 5° La presenza di masse erratiche, che però egli dice rare o mancanti nell’ Apennino. Il De Stefani osserva : 1° Che invece ad ogni passo si trovano nel Flysch del- T Apennino calcari, i quali alimentano numerose fornaci, non solo per calcina forte ma anche per calcina dolce, e schisti talmente argillosi che vengono scavati senz’altro per farne mattoni (Chianti, M. Pisano ec.) ; oltre di che da molto tempo i geologi italiani hanno riconosciuto che il Macigno, ritenuto finora rispondente al vero Flysch nell’ Apennino, è una vera roccia arenacea for- mata di conglomerati più o meno grossolani; questo si verifica in qualunque luogo si trova il detto Macigno; 2° Che, oltre ai fossili indicati dal Fuchs, e lasciando da parte i calcari tanto fossiliferi della Creta media, si possono citare i calcari con briozoi, coralli, foraminiferi ec. dell’Eocene inferiore, le bivalvi ed i gasteropodi simili a quelli del Grès di Fontainebleau, del Macigno della Torretta, e le ligniti del Ma- cigno, che qualche volta furono anche scavate (Val di Lima); 3° Che è noto come il Flysch dell’ Apennino settentrionale si sia depositato tutto intorno all’antico sistema montuoso della così detta Catena Metallifera esistente fin dal Lias: infatti oltre a ghiaiette derivanti verosimilmente dalle Alpi contiene frani- - 139 - menti visibili delle rocce della Catena Metallifera o di altri lembi preesistenti (Vedi Pareto, Omboni, Bianconi, Cocchi, Savi, Pilla, Meneghini, ec.); 4° Che le serpentine si trovano bensì nella zona dell’Eo- cene superiore, benché non in altre zone più antiche; ma ciò non basta a provare l’origine eruttiva de’ calcari, degli schisti e dei conglomerati che alternano con loro; 5° Che vere masse erratiche entro il Flysch, le quali il Fuchs dice rare o mancanti nell’ Apennino, infatti non sono mai state trovate nell’ Apennino Toscano e Ligure. Il De Stefani soggiunge che alcuni geologi italiani hanno ri- tenuto finora che solo le così dette argille scagliose potessero essere eruttive, benché altrettanti geologi non convengano di ciò, e crede che soltanto intorno a queste si potrebbe far discussione. Replicando finalmente al Mantovani, il quale aveva messa in dubbio la rispondenza delle argille scagliose dell’ Emilia colle argille galestrine della Toscana, affermata altra volta dal De Ste- fani stesso, osserva come anche nel linguaggio popolare e ne’ di- zionari del Fanfani e degli altri le definizioni di quelle due de- nominazioni sieno sinonime, e come in Toscana e nell’ Emilia si trovino, benché con vario sviluppo e con aspetto differente, tre zone coetanee di argille scagliose, cioè nella Creta media, in piccola parte della Creta superiore, e nell’Eocene superiore, cioè nel piano liguriano del Mayer. Il socio Bosniaski rispondendo alle considerazioni del De Ste- fani osserva come lo studio che egli ha fatto dei Carpazi con- fermi le deduzioni del Fuchs; egli pure propende per ritenere che alla formazione del Flysch , e segnatamente nei Carpazi, ab- biano presa non piccola parte i vulcani di fango, e in appoggio della sua tesi enumera le fumarole, le acque minerali e altre emanazioni dell’interno della terra, che egli ritiene come non dubbio segno di azione vulcanica. Il socio Forsyth Major svolge alcune considerazioni sui rap- porti dei vertebrati dell’ epoca pliocenica con quelli dell’ epoca attuale. Prescindendo dalle forme di transizione che sono fra i vertebrati pliocenici e quegli attualmente viventi — forme le quali sono principalmente rappresentate dagli animali dell’ epoca intermedia — il Forsyth Major viene al risultato che tutte le così chiamate specie di mammiferi terrestri pliocenici (orizzonte — 140 - del Val d’Arno di sopra) sono oggidì estinte: esse si riparti- scono in 18 generi con 29 specie; di questi soli 2 generi con insieme 4 specie sono estinti; cioè Mastodon e Machairodus. Le altre 25 appartengono a 16 generi tutti viventi oggidì, ma come fu detto, neanche una sola delle 25 specie è oggi vivente. — A ben altri risultati è giunto collo studio dei pesci dei corrispon- denti terreni il Lawley. Di 65 generi quaranta hanno i loro rap- presentanti viventi nel Mediterraneo, appartenenti pure per quanto crede il Lawley alle medesime specie; e tre soli sono i rappre- sentanti di specie di altri mari. — Forsyth Major non è d’ac- cordo con queste conclusioni di Lawley. E vero che si può am- mettere anche a priori che i vertebrati marini del pliocene e specialmente la sottoclasse dei Selachii presenteranno maggiori rapporti coi viventi, perchè gli animali marini vivono in un am- biente molto più uniforme dei terrestri, e perchè i Selachii in special modo sono tipi oltremodo persistenti, principiando essi ad apparire fino dal Siluriano. L’ esame di una parte del ma- teriale, che ha servito agli studi del Lawley, porta il Forsyth Major ad esprimersi in un modo meno assoluto sulla questione dell’ identità dei pesci pliocenici con quelli oggidì viventi nel Mediterraneo. Nei Plagiostomi ed Olocefali lo scheletro pur troppo non si presta punto o pochissimo alla fossilizzazione e le nostre determinazioni dei fossili si fondano quindi in parte sopra or- gani affatto accessorii, quali sono le placche dermiche e le di- fese ; ed in prima linea sopra i denti la cui forma è spesse volte disperatamente semplice. Quindi in molti casi, costatata anche l’identità degli avanzi, con ciò non vien provata l’identità della specie. In altri casi gli avanzi fossili sono troppo insignificanti per potersi pronunziare in modo assoluto ( Uranoscopus Per uz zìi, Trigìoides Van JBenedens, Zeus pliocenicus ec.) In taluni altri il Forsyth Major crede scorgere differenze, che gli sembrano ab- bastanza importanti (Acanthicis Major ec.) ; l’ identità perfetta manca in altri (Prionodon subglaucus, Daciylopterus volitans, Pa- lamys adunca). — Per molti altri sarebbe necessaria la conoscenza di più specie viventi per poter ben fissare i limiti fra le varia- zioni individuali e quelle che potranno essere ammesse come specifiche ; e sopratutto si dovrebbero poter confrontare specie viventi del Mediterraneo con quelle di altri mari. Il presidente Meneghini presenta alla società due resti fos- — 141 — sili di Mcistodon arvernensis provenienti dalle sabbie gialle su- bapenniniche di Monte Castello ad un miglio circa dalla Botta, regalati a questo Museo dai fratelli marchesi Luigi e Alfonso Malaspina. Si vedono in uno dei pezzi il penultimo e 1’ ultimo dente molare superiore destro con gran parte dell’ osso mascel- lare e dei palatini. L’ altro è un cuboide di un piede dello stesso animale. Il presidente fa avvertire l’ importanza di tali oggetti per la giacitura, e per la loro bella conservazione, che con- sente rilevare V età ed il sesso dell’ animale al quale hanno ap- partenuto. Il segretario Antonio I)’ Achiardi presenta un lavoro Sull’ ori- gine dell ’ acido dorico e dei dorati, prendendo occasione da una recente pubblicazione del Dieulafait sulla genesi dell’ acido bo- rico, comparsa di recente nei Comptes rendus dell’ Accademia di Francia e negli Annales de Ch. et Phys., nov. 1877. Mentre con- viene con F autore francese sulla possibilità che V acido borico toscano derivi da un deposito salino con borati e verosimilmente con Boracite, ne confuta e respinge V asserzione che la sede di questo deposito debba essere nel piano salifero del nostro mio- cene toscano, che è ben superiore ai terreni, onde sbuffano i soffioni boraciferi. Venendo poi a parlare dei borati dimostra come dalla co- munanza di’ giacitura con il gesso e il salgemma e altri sali di soda e di calce tanto nell’ antico che nel nuovo continente e in special modo nel Chili, nel Perù, nella Bolivia, negli Stati Uniti, nella Persia e in altre regioni asiatiche, si possa pure per essi borati indurre l1 origine diretta o indiretta dal mare, senza che per questo si debba escludere la possibilità di altre origini, come sembra essere il caso dei borosilicati e borotitanati, che si pre- sentano invece nelle rocce cristalline o per lo meno molto me- tamorfosate. Adunanza del 10 marzo 1878. — Il socio d’ Achiardi discorre di un deposito lagustre che fa parte delle colline pisane. Fa osservare come fin qui trattandosi dei terreni che compongono queste colline non siasi fatto parola che di sabbie gialle e ar- gille turchine, ambedue d’ origine marina, e se fu menzionato talvolta un qualche lembo di deposito di acqua dolce, nulla dice — 142 — aver a che fare con il terreno sul quale richiama 1’ attenzione degli adunati. Si tratta di quelle leggiere ondulazioni di terreno, che dal Fosso Beale o Fosso Nuovo si protendono per un’ estensione as- sai grande fino ai veri e propri colli: ondulazioni di un terreno evidentemente, poco sì, ma pur sollevato su quello della pianura pisana compresa fra il detto fosso e l’ Arno. Or bene, tutto questo terreno ondulato è di origine lagustre ; risulta di argilla e solo localmente di sabbie, o di mescolanze dell’ una e dell’al- tra; le argille ingiallite alla superficie, son bigie in profondità; s’ assomigliano molto alle argille turchine d’ Orciano ec., ma se ne distinguono subito per la presenza di Planorbis Limnece e altri fossili di acqua dolce, anche attualmente viventi. Questo deposito lagustre, in alcuni punti profondo quindici e più metri, è anche qua e là caratterizzato dalla presenza del ferro limonitico, che in noccioletti di varie dimensioni trovasi in copia in alcuni punti, onde sì fatto terreno è anche contrad- distinto dalla gente di campagna col nome di terra cecina. Questo deposito lagustre rappresenta l’ultimo termine dei terreni sollevati nelle nostre colline, ed è di origine molto re- cente. Esso ci porge testimonianza della esistenza di una palude o meglio di una serie di stagni litorali alle falde delle colline stesse, che già erano più o meno sollevate al tempo in cui si formava dentro essi il deposito in questione. Lo stesso socio D’ Achiardi fa un’ altra comunicazione sulla Calcite della Punta alle Mele fra San Piero e Sant’Ilario nel- l’Isola d’ Elba, discorrendo le varie forme cristalline di questa varietà di Calcite e le cagioni che ne hanno determinato la cur- vatura e l’appannatura delle facce. Il nitrato di soda e altri prodotti minerali del deserto di Atacama nel Chili.1 — Quantunque il deserto di Atacama venga generalmente considerato come una vasta pianura com- presa fra la Cordigliera della costa e quella delle Ande, pure il suo interno racchiude molte piccole montagne che vanno nella direzione di N.O. a S.E. da una all’ altra Cordigliera, dividen- Da una pubblicazione ufficiale del governo chileno. - 143 — dolo in grandi bacini idrografici. Questi cordoni trasversali, ben- ché giungano coi loro punti culminanti a notevoli altezze, non hanno però, come si potrebbe supporre, aspetto montagnoso; ma piuttosto quello rotondeggiante di colline che si elevano in dolce pendìo. Altre ramificazioni dividono i grandi bacini in pia- nure minori, di cui alcune chiuse da ogni lato, mostrano di es- ser già state occupate da acque lacustri. È a notarsi come le pianure vanno elevandosi a misura che si avanzano verso la Cor- digliera delle Ande ; per modo che alla distanza di 100 chilom. dalla costa, il loro livello sorpassa quello della catena iittoranea. Tale elevazione progressiva è presso a poco uniforme, ed oscilla fra il 22 ed il 23 per mille ; talché non sarebbe difficile lo sta- bilirvi delle ferrovie, tenendo conto anche della natura alluvio- nale del suolo, che facilmente si presta ai lavori stradali. La struttura geologica della regione che vien presa ad esame, è d’ una regolarità singolare, avendo le diverse formazioni una disposizione in strati paralleli dirette approssimativamente da Nord a Sud. Il lato verso il mare della Cordiglieli Iittoranea mo- stra le rocce stratificate appartenenti a tutte le epoche azoiche e paleozoiche. Questi strati, che si compongono di gneiss, di scisti, quarziti, ghiaie e sabbie per lo più rosse, sono spesso intersecate da masse plutoniche, fra le quali dominano le sieniti e le iperiti, e che modificano profondamente la struttura delle rocce stratificate nelle parti più vicine al contatto. Le rocce stratificate non occupano però che una stretta zona di 12 a 14 chilometri lungo la costa ; poiché al di là le masse plutoniche predominano invadendo tutta la depressione centrale ed esten- dendosi poscia sino al piede delle Ande. L’ età e la natura di tali masse varia per tutta F estensione del deserto ; succedendosi però con un certo ordine andando da Est ad Ovest. Le più antiche sono verso il centro della catena, dove appariscono le rocce sie^ nitiche, le quali a misura che si avanzano verso la grande de- piessione centrale, cedono il posto ai porfidi augitici ed alle amigdale, alle quali succedono le trachiti. Infine sui punti più elevati delle Ande trovansi le trachiti più recenti, le pomici e le lave. Le rocce stratificate riappariscono alla base della Cor- diglieli delle Ande ; ma la loro origine è molto meno antica e riposano in generale sopra le ghiaie e le sabbie rosse sopra ci- — 144 - tate. La serie incomincia con un’ argilla rossa che sembra do- versi riferire al trias, la quale s’ avanza talvolta sino alla Cor- digliera della costa, come alle miniere di Paposo. Sui fianchi della Cordigliera delle Ande appariscono i calcari del giurese ed altri calcari fossiliferi, i cui strati furono infranti e dislocati dalle vigorose azioni dei vulcani ora spenti che incoronano per lungo tratto questa catena. Ma v? ha una formazione molto più moderna che imprime a questo deserto un carattere speciale. Tutta la regione è infatti coperta di sabbia e frantumi di pie- tra, che per esser angolosi, non possono provenire da origine alluvionale. Oltre a questa circostanza attira poi P attenzione del visitatore la forma singolare di frequenti masse rocciose che tratto tratto si vedono elevarsi sulla pianura, e che colle loro acute piramidi, contrastano colle forme rotondeggianti dei monti circonvicini. Questa grande quantità di detriti e queste masse singolari sono dovuti alla distruzione operata sulle rocce pluto- niche, dagli agenti atmosferici, i quali disgregandoli non lasciarono di esse che le parti più interne e più resistenti. Infine le piog- gie, rare sì ma torrenziali che scorrono il deserto, asportando i detriti, li va accumulando nella pianura. La regione in cui i depositi di salnitro (nitratina) trovansi in maggior copia, occupa la parte centrale del deserto situata tra il 26° ed il 24° di latitudine S. La parte più elevata delle pianure minori aprentisi nei grandi bacini idrografici e nei pic- coli bacini chiusi, è d’ ordinario quella che è più ricca in sai- nitro. Questa particolarità è senza dubbio dovuta alla solubilità di questo sale ; essendoché le acque che vengono accumulandosi nelle parti inferiori, asportano il nitrato, che assorbito per fil- trazione va perduto nelle profondità della terra. I terreni salni- triferi si riconoscono ormai a certi caratteri esterni. L’ esperienza ha insegnato che oltre alle così dette Salare, terreni ricoperti di una crosta di terra impregnata di sale, trovasi generalmente il salnitro laddove si mostrano varie depressioni del suolo poste di distanza in distanza per una considerevole estensione. Tali depressioni hanno infatti origine dallo accumularsi delle acque al fondo del bacino, le quali acque disciogliendo il salnitro ed infiltrandosi in seguito nel terreno, questo ha dovuto abbassarsi e formare le depressioni. Un altro indizio che accusa la pre- — 145 — senza del sale è dato dalle numerose screpolature che si mo- strano alla superficie del suolo, e che intersecandosi capricciosa- mente in tutti i sensi, formano una infinità di poligoni di aspetto caratteristico. Queste forme geometriche sono dovute al restrin- gersi delle masse salnitrifere che diminuirono di volume du- rante la cristallizzazione. Qualunque sia poi il modo di mostrarsi del salnitro sotto la crosta superficiale di terra, che varia da uno a più decimetri di spessore, trovasi un terreno di color biancastro compatto, formato per la massima parte di un impa- sto di gesso e di pietruzze che i salnitrai chiamano costras (cro- ste) collo spessore di due a quattro decimetri. È appunto sotto questa crosta che sta il salnitro in strati di potenza assai va- riabile, che può sorpassare perfino i due metri. In uno stesso deposito poi può variare non solo la potenza, ma anche la qua- lità di esso ; così mentre in certi punti esso è compatto e sol- tanto mescolato ad una certa quantità di sai comune e solfato di soda, in altri può essere unito a quantità variabili di so- stanze terrose. Sotto al salnitro si ritrova soventi lo stesso con- glomerato gessoso della crosta, ma non di rado esso riposa di- rettamente sulla roccia che forma V ossatura delle circostanti montagne. Il fatto dimostra che in quest’ ultimo caso il sale è molto più puro che non quando esso riposa sullo strato gessoso. Fra i depositi di salnitro sin qui conosciuti, il più vicino al mare è quello che sta presso la laguna di Cachiyuyal. È situato su d’ una collina di poca altezza, formando una stretta zona di 50 a 60 metri di larghezza che si prolunga per più di 8 chil. Verso la parte centrale del deposito il salnitro raggiunge il suo massimo spessore di un metro, che va diminuendo a misura che si va verso le due estremità. È un salnitro di mediocre ric- chezza non sorpassando essa il 25 per cento, di color giallastro ed inquinato da molto sai comune. Migliore è il salnitro della miniera di Gonzales situata a N.E. della precedente. Il salnitro non contiene come impurità che piccole proporzioni di terra, so- vrastando esso immediatamente ad una roccia porfirica. Il gia- cimento è però molto irregolare. Proseguendo nella stessa dire- zione di N.E., dopo aver attraversata una pianura ricoperta di calcedonie, incontrasi la salnitraia di Baron situata in un bacino di poca profondità. Il salnitro riposa pure sulla roccia porfirica ; 40 — 146 - e perciò è bianco, molto puro. Le materie terrose che contiene raggiungono appena il 25 al 30 per cento. Ma la parte più esplo- rata di questi giacimenti, è quella posseduta dalla Comp. Calleja, Guzman ec. situata al Nord della precedente ed occupante il fondo di un bacino lacustre attorniato di colline e di alte montagne. Alla parte centrale più depressa della regione non v’ ha che uno strato assai sottile di salnitro ; ma a misura che si va verso la periferia salendo le circostanti colline, il deposito acquista mag- giore importanza. Numerosi pozzi furono praticati nella parte Sud dove lo strato acquista il suo massimo spessore di 1“ a 2m,60. Il salnitro è giallastro, compatto e ricco a 30 per cento con grande quantità di solfato di soda. Lo strato riposa sull’ abituale conglomerato gessoso, che in certe parti è sostituito da roccia porfirica decomposta. Altri giacimenti non meno numerosi furono rinvenuti all’ Est verso Cachinal de la Sierra ; ma pochi furono finora i lavori d’ esplorazione, onde non si potè finora formarsi una esatta idea della loro importanza. Un’ altra regione occupata da depositi saliferi è quella che va dalla costa estendendosi verso 1’ Est per ben 65 chil. attorno alla palude di Aguas Blancas. Sotto lo strato di sai comune che copre la superficie di questo terreno trovasi il salnitro in strati di 1 a 2 decimetri, mescolato a sabbia ed a solfato di soda ; ma verso gli orli lo strato piglia uno spessore maggiore ed ar- riva a 50 e 60 cent. Anche i salnitri di questa regione sono stati poco esplorati. Del resto, le difficoltà di ogni specie ed il dispendio dei lavori impediscono di condurre 1’ esplorazione con metodo per giudicare fondatamente della importanza dei giaci- menti. Di solito, chi rinviene un giacimento si contenta di porre allo scoperto lo strato salifero, senza ricercare qual sia la po- tenza e la qualità di esso. Anche la grande irregolarità di que- sti depositi è un ostacolo non lieve pel lavoro di esplorazione ; ma dai fatti raccolti sin qua si può stabilire : 1° Che la parte più ricca non si trova già al centro dei bacini, sibbene verso la circonferenza e precisamente laddove il terreno presenta la più forte inclinazione ; 2° Che questi depositi hanno una immensa estensione occupando tutta la superficie che va dalla Cordigliera della costa a quella delle Ande. Circa 1’ origine del salnitro, la presenza del cloruro di sodio - 147 — in tutti i giacimenti, e Y esser esso sparso su d’ una superficie sì vasta, farebbe credere non essere la formazione marina estra- nea ali’ origine di questi depositi. Ma, d’ altra parte, osservando più da vicino la natura dei medesimi depositi, se si rifletta che non v’ ha in nessuno di essi alcuna formazione stratificata, nè vestigia di conchiglie marine, e se infine si tenga conto del fatto che in parecchi punti il salnitro è mescolato a pietruzze ed ac- cumulato su colline ad altezze considerevoli, ogni idea di un deposito lentamente formato in seno all’ acqua ne viene esclusa. L’ origine sua è adunque locale ; gioverà quindi rintracciare le fonti da cui provengono gli elementi costitutivi del nitrato di soda e gli altri corpi che sempre V accompagnano, cioè i solfati di calce e di soda ed il cloruro di sodio. Tutte le salni traie sono attorniate da montagne rocciose, che come la sabbia del piano sono di natura feldspatica ; si hanno adunque in esse le basi dei sali che incontransi nei depositi di salnitro. L’ acido solforico può esser prodotto dalla ossidazione delle piriti sparse in queste rocce, ed il cloridrico si sa che accompagna in abbon- danza le emanazioni vulcaniche, un tempo sì frequenti in questa regione. Ora è nota la proprietà dei carbonati alcalini, di con- densare cioè gli elementi dell’ aria e trasformarli in acido ni- trico, e d’ altra parte i .feldspati cangiandosi in caolini danno origine a questi carbonati alcalini. Le condizioni richieste per la produzione dell’ acido nitrico sono adunque riunite. Già si disse della rapidità colla quale le rocce del deserto si decom- pongono, rapidità che dopo Y enunciata teoria spiega facilmente la formazione del salnitro, ed il trovarsi esso di preferenza al piede delle montagne accumulato. Per ciò che concerne i metodi di coltivazione delle salni- traie è difficile suggerire delle regole fisse, essendoché lo vieta l’irregolarità e la differenza di ricchezza dei giacimenti. Sic- come però come in ogni industria è necessario ammortizzare le prime spese, sarà bene che i lavori siano iniziati laddove il sai- nitro è di miglior qualità ; ciò che esigerà una esplorazione pre- ventiva ma poco costosa, trovandosi il salnitro a poca profondità e sotto una crosta di facile lavoro. I metodi finora seguiti pej la ricerca del titolo dei salnitri sono complicati o lasciano troppo a desiderare dal lato dell’ esattezza. Il seguente, proposto dal — 148 - prof. Pissis di Santiago, oltre all’ esser abbastanza soddisfacente, è così semplice che può esser applicato da chiunque si occupa delle industrie del salnitro: Si mescola il salnitro con peso eguale di carbone e si scalda al rosso scuro in un crogiolo. Tutti i nitrati si cangiano in carbonati, che, sciolti nell’ acqua, danno al saggio alcalimetrico la quantità di nitrato equivalente. Tutte le manipolazioni che si eseguiscono sul salnitro per la sua separazione dai sali stranieri si fondano sulla differenza delia sua solubilità a caldo ed a freddo. Il combustibile è dunque di prima necessità, e forma il più forte dispendio di questa indu- stria. Forse non sarebbe svantaggioso il sostituire al combusti- bile il calore solare ; ma V azione ne è troppo lenta. E a notarsi che i salnitri più vantaggiosi non sono sempre i più ricchi in nitrato; accade in generale che essendo essi più puri, più com- patti, si disciolgono con difficoltà ; ed allora V intervento delle macchine stritolatoci si rende indispensabile. Quanto al trasporto dei prodotti, egli è necessario in questa come in tutte le industrie i cui prodotti hanno poco valore, che esso si possa compiere col più lieve dispendio possibile. In ge- nerale tutte le nitriere del deserto d’ xitacama sono sotto questo rapporto in condizioni poco vantaggiose ; mancando le vie neces- sarie, e non essendo facile il costruirle colla richiesta economia. La Cordigliera della costa tra il 24° ed il 26°, raggiunge infatti T altezza di 1200 metri in media, e non presenta che tre sole soluzioni di continuità in questa grande estensione. La prima è la valle di Remiendos, che se si presta facilmente alla costru- zione di una strada carrozzabile, non potrebbe superarsi con una ferrovia di economica costruzione ed esercizio. La seconda è la valle di Paposo assai meno favorevole della precedente. La terza infine, detta di Toltal, per essere molto profonda è assai più praticabile. Il terreno si eleva gradatamente dal mare ai piedi delle Ande con una pendenza media di 21 per 1000; è adunque questa la sola valle che si presti al tracciamento di una ferrovia suscettibile di soddisfare ai bisogni d’ una grande industria. Dovrebbe .essa dirigersi al N. dove sono i più impor- tanti giacimenti, e prolungarsi poscia sino ad Aguas Blancas, allorquando siano iniziati i lavori in questa regione. Il porto di Toltal è adunque destinato a divenire il centro principale del- — 149 — 1’ esportazione del nitro e degli altri prodotti dell’ interno del deserto. Fra questi altri prodotti che il deserto racchiude e che util- mente potrebbero essere versati in commercio, havvi il guano, che si mostra sparso qua e là in depositi considerevoli. Questo prodotto non essendo stato finora 1’ oggetto di una particolare industria, si riconobbe solo in quei depositi che le escavazioni operate per la ricerca del salnitro posero in evidenza. Tali de- positi nelle nitriere della Comp. Guzman formano due striscie lunghe almeno un chilometro, e di cui restano incogniti l’ampiezza e lo spessore. Un campione di questo guano conteneva 26 per 100 di materie organiche costituite per la massima parte di urato d’ ammoniaca, con 9 per 100 di nitrato ed 8 per 100 di nitrato di soda e fosfato di calce. Esso conteneva adunque 42 per 100 di materie fertilizzanti le più efficaci ; il resto si componeva di sabbia ed ossido di ferro. E siccome questo campione fu preso alla superficie, è a supporsi che quello della parte inferiore sia ancora migliore. I depositi di guano meritano adunque una spe- ciale considerazione, e per le loro eccellenti qualità e per l’ab- bondanza dei depositi potranno in seguito esser coltivati con profitto. Come pel salnitro, si hanno pel guano dei segni speciali ai quali può riconoscersi la sua presenza. I depositi di guano si mostrano immediatamente alla superficie del suolo e presso alle salnitraie, e laddove esiste, la terra ha un colore giallo-bruno analogo a quello degli ossidi di ferro. Un altro prodotto, che in parecchi punti del deserto si è rinvenuto, è il borato di soda e di calce. Se ne scopersero due depositi nelle lagune di Maricunga e di La Ola; ma essendo esso una emanazione vulcanica, è assai probabile se ne trovino altri depositi presso gli altri vulcani della Cordigliera. Altre sostanze minerali si trovano sparse nel deserto, se non colla profusione del salnitro, almeno in tale abbondanza da as- sicurare una vantaggiosa coltivazione. Pochi sono infatti i punti della Cordigliera che non racchiudine qualche filone metallico. I più abbondanti sono i filoni cupriferi che d’ ordinario sono a contatto delle masse iperitiche c porfiriche laddove queste at- traversarono le rocce sienitiche. A Carrizalillo, il minerale pe- - 150 — netrando la roccia stessa, vi si accumulò in masse considerevoli. La natura del minerale cambia secondochè trovasi a contatto delle iperiti o dei porfidi. Nel primo caso sotto la parte supe- riore che componesi di minerali ossidati, cloruri e silicati, tro- vasi costantemente della calcopirite ; nel secondo, all5 ossidulo della superficie succedono i solfuri polibasici, come il rame vio- letto, la polibasite ec., tutti più o meno argentiferi. Anche le Ande dell’ interno sono ricche di filoni cupriferi, e questi sono assai più ricchi di quelli della costa ; ma la loro grande distanza dal mare e la scarsezza del combustibile li rende quasi affatto dimenticati. I filoni d’ argento sono qua e là sparsi nella regione delle rocce giurassiche. Anch’ essi sono filoni di contatto, trovandosi costantemente situati fra queste rocce calcari e le trachiti del versante occidentale delle Ande. Oltre a queste miniere, esistono pure numerosi filoni di ga- lena argentifera che finora non richiamarono fi attenzione degli industriali a causa specialmente della mancanza dei mezzi di trasporto. II deserto d’ Atacama presenta adunque un largo campo ai- fi industria delle miniere ; ma gravi ostacoli la rendono finora difficile e costosa. Fu segnalato il porto di Toltal come il punto più conveniente della costa, e la vera porta di accesso al de- serto ; ma ancora non esistono facili mezzi di trasporto per ap- prodarvi. I battelli della linea del Pacifico non vi fanno sosta, ed i minatori che devono penetrare nell’ interno devono percor- rere un lungo cammino assai disagevole ; mentre approdando a Toltal, la facilità di procuratisi i mezzi di sussistenza vi chia- merebbe rapidamente una numerosa popolazione. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Co- mitati Geologici e sul B. Comitato Geologico d’Italia. — Firenze 1871 L. 1.50 Idem. — Carta Geologica della parte orientale del- F Isola d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1871 » 3.00 F. Giordano. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande galleria della ferrovia Italo-Elve- tica. — Firenze 1873 10. 00 Idem. — Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1873. ....... 5.00 C. W. C. Fuchs. — Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala di 1 per 25,000. — Firenze 1873. ...» 3.00 G. Ponzi e Fr. Masi. — Catalogo ragionato dei prodotti minerali italiani ad uso edilizio e decorativo spediti dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio all’ Esposizione Internazionale di Yienna. — Roma 1873 » 2. 00 Idem. — Catalogo sommario dei prodotti minerali italiani ec. — Roma 1873 » 1. 00 P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta Geo- logica (l’Italia in grande scala. — Roma 1875 . » G. Doelter. — Carta Geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannoue, nella scala di 1 per 20,000. — Roma 1876 » Per le commissioni dirigersi all’ Ufficio Geologico in Roma, Piazza San Pietro in Vincoli , N. 5, od ai principali librai. 1. 50 2. oo Annunzi di pubblicazioni. T. Taramelli. — Catalogo ragionato delle rocce del Frinii. — Ro ma 1877 ; pag. 68 in-40' con sei tavole. G. Capellini. — Balenottere fossili e Pachyacanthus dell’Italia meri- dionale. — Roma 1877 ; pag. 22 in-4° con tre tavole.' J. Roth. — Studien am Monte Somma. — Berlin 1877; pag. 48 in-4°. W. Dames. — Die Ecliiiìiden der vieentinisclien und veronesisclien Ter- tiarablagerungen. — Cassel 1877; pag. 100 in-4° con 11 tavole. L. Bombicgi. — Contribuzioni di mineralogia italiana, — Bologna 1877: pag. 56 in-4° con 3 tavole. C. Marinoni. — Contribuzioni alla geologia del Friuli. —Venezia 1877 : pag. 50 in-8°. A. D’Achiardi. — Minerali toscani (ematite, baritina, farmacosiderite, preenite, efndoto, sperchise). — (Atti della Soc; Toscana di Se. Nat., voi. Ili, fase. Ij — Pisa 1877; pag. 6 in-4°. W. Branco. — I vulcani degli Ernici nella valle del Sacco. — (Meni, della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. I.) — Roma 1877; pag. 17 in-4° con una tavola. G. Ponzi. — La Tuscia Romana e la Tolfa. — (Mem. della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. I.) — Roma 1877 ; pag. 54 in-4° con due tavole. G. Seguenza. — Nueulidi terziarie rinvenute nelle provinefe meridio- nali d’Italia. — (Mem. della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. I.) — Roma 1877; pag. 38 in-4° con cinque tavole. G. A Pirona. — Sulla fauna fossile giurese del Monte Cavallo in Friuli. — (Mem. del R. Istituto Veneto, voi. XX.) — Venezia 1878 ; pag. 62 in-4° con una carta geologica e otto tavole. T. Taramele!. — Del granito nella formazione > serpent i uosa delPApet- nino pavese, — (Rendiconti del R. Istituto Lombardo, voi. XI. serie 2a, fase. 1 e 2. Milano 1878 ; pag. 25 in-8°. A. Verri. — Sulla cronologia dei vulcani tirreni e sulla idrogralia della Val di Chiana anteriormente al periodo pliocenico. — (Ren- diconti del R. Istituto Lombardo, serie 2a, voi. Xr, fase. 3°.) — Mi- lano 1878; pag. 20 in-8° con tavola. A. Cossa. — Ricerche chimiche sui minerali e rocce dell’Isola di Vul- cano ; 1° Allume potassico contenente allumi di tallio, rubidio e cesio. — Roma 1878; pag. 12 in-4°. G. Omboni. — Le Marocche, antiche morene mascherate da frane. — Milano 1878; pag. 16 in-8°. A. D’Achiardi. — Sull’origine dell’acido borico e dei borati. — Pisa 1878; pag. 22 in-8°. D. Lovisato. — Di alcune azze, scalpelli, martelli e ciottoli dell’epoca della pietra, trovati nella provincia di Catanzaro. — Trieste 1878; pag. 33 in-8° con una tavola. ■ G. Capellini. — Il calcare di Leitha, il Sarmatiano e gli strati a Con- gerie nei monti di Livorno, di Castellina Marittima, di Miemo e di Monte Catini. — Roma 1878; pag. 20 in-4°. A. Ferretti. — Le salse o vulcani di fango e le argille scagliose. — Padova 1878; pag. 38 in-8°. A. Issel. — Nuove ricerche sulle caverne ossifere della Liguria. — Roma 1878; pag. 68 in-4° con cinque tavole. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° 5 e 6. Maggio e Giugno 1878. ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1878. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. — Bollettino. — Si pubblica regolarmente in fascicoli bime- strali di 5 o più fogli di stampa ciascuno, formanti un vo- lume annuo di 500 e più pagine, con tavole ed incisioni in- tercalate nel testo. Il prezzo dell’ abbuonamento annuo è di L. 8 per V interno e di L. 10 per l’estero. Gli abbuonati ricevono gratuitamente la copertina ed il frontespizio del volume. — Ad annata compiuta i volumi annuali rilegati si vendono al prezzo di L. 10. — -I fascicoli separati si vendono al prezzo di L. 2 ciascuno. — La serie incomincia coll’anno 1870. . — Memorie per servire alla descrizione della Carta Geo- logica d? Italia. — Pubblicazione di gran formato corre- data da tavole, Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Volume I; Firenze 1871. — Introduzione — Studii geo- logici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui minerali delle valli di Lanzo, di G. Struver. — Sulla formazione terziaria nella zona solffera della Sicilia, di S. Mottura, con quattro tavole. — Descri- zione geologica dell 9 Isola di Elba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica ita- liana (Parte Ia, Gasteropodi sifonostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo 1°, con sette tavole. — Prezzo Lire 35. Volume II, Parte la; Firenze 1873. — Introduzione. — Monografia geologica dell Isola I Ischia, di C. W. C. Fuchs, con Carta geologica e incisioni nel testo. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attra- versata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvetica, di F. Giordano, con Carta geologica e due tavole di Sezioni. — Appendice alla Memoria sulla formazione terziaria nella zona solffera della Sicilia, di S. Mottura, con una tavola. — Malacologia pliocenica italiana (Parte Ia, Gasteropodi sifono- stomi), di C. D’ Ancona, fascicolo 2°, con otto tavole. — Prezzo Lire 25. Volume II, Parte 2a; Firenze 1874. — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, Parte 2a, con due tavole. — Prezzo Lire 5. Volume III, Parte la; Roma 1876. — Il gruppo vulca- nico delle Isole Ponza, monografìa geologica di C. Doelter, con tre tavole e una Carta geologica. — Geologia del Monte Pisano, di C. De Stefani, con una tavola. — Prezzo Lire IO. {Continua.) BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. 5 e 0. — Maggio e Giugno 1878. SOMMARIO. Note geologiche. — I. Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrio- nale, per D. Lovisato. — II. Sopra i vulcani di fango e le argille scagliose del Modenese, per A. Ferretti. — III. Nuove ricerche sui terreni terziarii del Vicentino, per Ed. Hébert e Munier-Chalmas. Note mineralogiche. — I. Le Nuove specie minerali studiate e descritte nell’anno 1877, per P. Zezi. — II. Rame nativo epigenico sopra un dente di squalo e frustoli di piante convertite in Limonite, per A. Issel. Notizie bibliografiche. — A. Issel, Nuove ricerche sulle caverne ossifere della Liguria; Roma, 1878. Notizie diverse. — Società Toscana di Scienze naturali. Tavole ed incisioni. — Dente di squalo a pag. 227, vegetali convertiti in Limonite a pag. 232, ferro-manganesiferi a pag. 234. NOTE GEOLOGICHE. I. Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrionale, del dott. Domenico Loyisato. PARTE PRIMA. Divisione, orografia ed idrografia della Calabria. La Calabria, compresa fra 37° 56' e 40° 7' di latitudine e fra 3° 20' e 4° 55' di longitudine del meridiano di Roma, per la sua struttura fisica si può dividere in due parti ben distinte, separate fra loro dall’ istmo terziario, che dal golfo di Squillace va a quello di Sant’Eufemia, settentrionale la prima, meridionale la - 156 — seconda. Abbraccia T una tutta la provincia di Cosenza o la Ca- labria Citeriore, con buona parte di quella di Catanzaro, detta Ulteriore Seconda ; 1’ altra la restante parte di questa colla Ca- labria Ulteriore Prima, cioè colla provincia di Reggio. La settentrionale è più vasta, ed in larghezza supera al doppio la meridionale, comprendendo la prima varie catene e dorsi montuosi, cha possono stare fra loro indipendentemente: la meridionale invece è ristretta ed attraversata nel senso della sua lunghezza da un crinale montuoso in forma quasi d’ alti- piano, che finisce con Capo delle Armi e con Capo Sparavento, i punti più meridionali dell’ Italia continentale. A comprendere la forma esteriore della settentrionale Cala- bria, che formerà lo scopo di questa descrizione geognostica e geologica, non credo fuor di proposito per T esattezza delle cifre ripetere qui alcuni cenni, che il Savarese 1 diede nel Giornale Enciclopedico di Napoli : « Da Rocca Imperiale, confine setten- trionale della Calabria dalla parte del Jonio colla Basilicata, fino al torrente Raganello, e dal fiume Castrocucco, confine setten- trionale dalla parte del Tirreno colla Basilicata stessa, fino al- l’ isola di Cirella, le terre scendono e procedono rinchiuse fra i due mari con una distesa quasi uniforme di 36 miglia circa. Fino a questi limiti nè la terra attenta su i confini del mare, nè questo perturba i dominii di quella : ma poi di mano in mano se ne altera la breve tregua e cominciano ad apparire i segni della infranta e mal fida amicizia. Quindi da Diamante a Cetraro dal lato Nord-Ovest sempre più il mare invade, e, per così dire respinge tanto la terra oltre i primi confini, che su quella con- tinua le sue voraci rapine dalla punta di Cetraro fino al Capo Suvero. Ma se dalla parte di Nord-Ovest la terra è vinta dal Tirreno, dal lato di Nord-Est tutto va all’ opposto. Quivi la terra vindica talmente i suoi torti sul Jonio, che dal Coscile al Capo del Trionto, da questo alla punta dell’ Alice e da tal punto al Capo delle Colonne e quindi fino al Capo Rizzuto non veg- gonsi per quasi 45 miglia di lunghezza, che perpetui acquisti 1 Roberto Savarese, nato a Napoli, fu distinto letterato, patriotta, giurecon- sulto e professore a quella Università. Esule, ritornò in Napoli dopo il 1860, e morì il 24 maggio 1875, settantenne. — 157 — fatti dalla terra sul mare, e tali che dalla lunghezza di circa 40 miglia che possedeva prima del Coscile, giunta al Trionto, ne ha 48 circa, pervenuta a Cariati ne ha quasi 58 ed esten- dendosi fino al Capo dell’ Alice ne ha 60 o circa la larghezza maggiore, che è fra i due opposti lati. Al Capo Rizzuto finisce la grandiosa espansione della terra. Quivi cominciano a vedersi sì gravi perdite fatte dalla medesima, che i due mari quasi com- binando le loro forze per lacerarle il seno sono giunti con usura a rivendicare i propri danni. Quindi urtata dal golfo di Sant’Eufe- mia per 1’ Ovest e dal golfo di Squillace per 1’ Est, la terra tro- vasi ridotta in così angusti confini, che mancano appena 18 mi- glia di spazio in larghezza per unirsi il Tirreno al Jonio. Fino al Capo Rizzuto la terra calai) ra mostra di tenere due direzioni, la prima da Nord a Sud, e la seconda dall’ Ovest all’ Est. Da tale punto cangia direzione e fuggendo all’ Est, si estende dai confini dell’ istmo fino al Capo Zambrone, e vi giunge con tale vantaggio, che dalla larghezza di 18 miglia passa a guada- gnarne quasi 33. Quindi, dilatandosi sempre più, si ripiega al- 1’ Ovest e perviene al Capo Vaticano, possedendo quasi 38 miglia di larghezza. » Questa settentrionale Calabria comprende tutte le formazioni geologiche, dalle primitive alle quaternarie. Le roccie primitive, costituite principalmente da gneis, da schisti, da graniti, da dioriti, da porfidi, da sieniti, da ofioliti, da 'calcari cristallini, ec., interrompono qui nettamente 1’ Apen- nino, danno luogo alle vere Alpi Calabresi c costituiscono la massa considerevole della Sila e gli altri due gruppi non meno importanti del Reventino e della catena littorale. Il colosso silano, preso nella sua più vasta estensione, dalle pianure della parte inferiore del Crati a settentrione si stende fino all’altipiano terziario di Catanzaro a Sud, avendo per naturali confini : la valle del Crati, T altipiano terziario di Catanzaro, il Marchesato colla pianura di Cotrone ed il littorale del Jonio, occupando una superficie di 45 miglia in lunghezza, di 36 in larghezza e di 125 in circonferenza. Le altre due masse, se sono di gran lunga minori in esten- sione, non sono dal lato litologico e geologico meno importanti, appagando e compensando colla immensa varietà di roccie e di - 158 - minerali la curiosità del mineralogo e del geologo. Separate di- stintamente fra loro dal fiume Savuto, sono congiunte ad oriente e fanno tutto un sistema colla massa maggiore della Sila, for- mando monti distinti di vertice, non disgiunti di base. Il gruppo del Reventino dalla strada nazionale per Cosenza e per Napoli ad oriente va al Tirreno ad occidente, e comin- ciando le sue elevazioni a Feroleto, a Nicastro, a San Biase, a Gizzeria, ec. a Sud, finisce a Nord alla sponda sinistra del Sa- vuto. La catena littorale poi, larga dapprima, ma molto ristretta in seguito, confinando al Sud col Savuto, ha la sponda sinistra del Crati per limite orientale, il littorale tirreno per occiden- tale e finisce al Nord sotto il calcare apenninico di Cirella e di Sant’Agata d’Esaro. Il baluardo della Sila, che si presenta come un dorso circo- lare a superficie lievemente convessa, così però da formare nel- P alto una distesa quasi orizzontale, dividesi oggigiorno nella Sila grande a Nord, nella Sila piccola a Sud e nella Sila Ba- diale o neWAbadia di S. Giovanni in Fiore 1 al centro e verso oriente. Anticamente vastissima e tale che Strabone ne valutava la sua lunghezza di 700 stadii, comprendendosi allora sotto il nome di Silva o Sila brezia altre regioni, che ora più non ne fanno parte, come il Reventino ed altri monti, andò successivamente diminuendo in estensione, ed oggigiorno si ritiene la sua super- ficie di 33 miglia appena di lunghezza su 23 di larghezza, com- prendenti le Sezioni o Varchi, come si sogliono chiamare, della Sila grande, del Crocifisso, del Purgatorio, di Chiazza, di Ci ri- ciglia, di Agnaturo e di Tacina. Perciò i confini naturali della 1 II misterioso abate Gioachino, monaco di Corazzo, aspirando a vita auto- noma, da quel monastero penetrava con alquanti proseliti nel centro della Sila, che poi fu detto Fiore ; installava un eremo e prendeva molte terre a suo uso, ad onta che i ministri di re Guglielmo il Buono, gliele contrastassero con per- secuzioni, con sequestri e con carcerazioni. Tancredi in omaggio del principio religioso, allora predominante, gliene faceva donazione confermata successiva- mente ed accresciuta dall’ imperatore Enrico IV, e nel 1198 fu anche riconosciuta con atto sovrano da sua moglie Costanza. Federico II nel 1220 confermò il fatto, e poco appresso, nel 1221, per la sua ascensione al trono imperiale, accrebbe di molto quei possessi. Ciò fecero tutti gli altri sovrani, eh’ ebbero seggio in Napoli, per modo che quella parte dapprima usurpata, ha costituito fino ai tempi nostri quella rispettabile massa della Sila, riconosciuta sotto il nome di Sila badiale o dell’ Abadia di San Giovanili in Fiore. - 159 - Sila così ristretta andrebbero da Taverna a mezzogiorno, ad Acri, a Longobucco, a Rossano a mezzanotte, e da Spezzano grande a ponente fino a San Giovanni in Fiore a levante, avendo il suo centro là dove la Ulteriore Seconda confina colla Citeriore Calabria. Conosciuta anticamente col nome già citato di Silva o Sila brezia e soggiogata dai Romani, divenne proprietà latina e Vir- gilio, Strabone e Dionisio d’ Alicarnasso 1 decantarono la magni- ficenza di questa superba regione ricoperta da impenetrabili boschi, per la maggior parte oggi distrutti dall’ ingordigia, dal- T avarizia e dalla ignoranza dell’ uomo, che giorno per giorno concorre alla rovina del suo paese. Le cime più alte ne sono spoglie e se vogliasi eccettuare il veramente incantevole bosco del Cariglione, che appartiene integralmente alla provincia di Catanzaro, una vera e superba selva, di quelle che ci vengono descritte dagli -autori sopra citati, non T abbiamo effettivamente. Lo stesso Monte Nero, il punto più elevato (1880 m.) di tutta la Sila, è assolutamente spoglio d’ alberi alla sua cima, ed è ricoperto da bosco di soli faggi nella sua parte orientale e set- tentrionale verso S. Giovanni in Fiore. Però se per Sila intender dobbiamo non già quel vasto ed immenso tenimento silvano, al quale superiormente abbiamo accennato e che in tempi da noi molto lontani era abitato dai Brezi, ma bensì la zona delle rocce cristalline, allora dovremo rinchiuderla entro questi più angusti confini : i terreni di San De- metrio Corone, di Corigliano Calabro e di Eossano pel N. ; i beni mandamentali di Cropalati, di Pietra Paola, di Campana, di Um- briatico, di Verzino, di Casino, di Cerenzia, di Caccuri, di Co- 1 Ecco come scrive sulla Sila il narratore delle cose romane : « È piena di. piante inservienti alla costruzione di case e di navi ed ogni altro uso. Crescono' ivi in gran copia altissimi abeti e più ampi faggi, frassini ed ogni sorta di al- beri. Sono essi fecondati dalle acque, che vi scorrono e fanno sulle montagne con i rami continua ombra. Gli alberi prossimi al mare ed ai fiumi, tagliati in- tieri dal ceppo, e recati ai vicini porti, forniscono materiali a tutta Italia per navi e case : quelli che ne son lontani, ridotti in pezzi e portati sulle spalle de- gli uomini somministrano remi, pertiche, domestici utensili e mezzi dì ogni arme ; ed infine la più gran parte, che è la più folta, vien destinata a dare la resina, chiamata bruzia, che è la più odorosa di quante io conosca. Quindi è che Roma dall’affitto di cotesto territorio trae in ogni anno ricche rendite.» — Dionisio d’ Alicarnasso, f., VI, L, XX. — 160 — tronei, di Petilia Policastro, di Mesuraca e di Belcastro per PE.; le terre di Cropani, di Sersale, di Zagarise, di Sellia, di Catan- zaro e di Tiriolo per la parte meridionale, formandone Gimi- gliano, Cicala, Carlopoli, Bianchi, Colosimi, Rogliano, Figline, Aprigliano, Pietrafìtta, Spezzano, Celico, San Pietro in Guarano, Rose, Lnzzi, Acri e Santa Sofia d’ Epiro il limite occidentale. Questa immensa massa cristallina, presa complessivamente colle due minori, è nettamente staccata dall’ Apennino. La valle del Crati ne fa una decisa separazione dal Mar Jonio a Castro- villari in linea poco inclinata, ed è a Trebisace, a Francavilla, a Cassano al Jonio, a Castrovillari, che abbiamo l1 estremità me- ridionale della grande catena apenninica. Qui a guisa di baluardo ed a foggia di immensa muraglia, si presenta il calcare bigio della grande catena in dossi rotondi, i quali ben presto si riat- taccano a quella, che coronata ora di vette erte e piramidali, ed ora di cime meno acute ed arrotondate, finisce colla vera catena del M. Pollino, che si estende ad E. verso Amendolara, e con lievi interruzioni si protrae fino al golfo di Taranto. Il M. Pollino è il punto più elevato della catena e della intera Calabria, colla sua vetta, detta Dolce-Dormire, alta 2248 m., a cavaliere di Castrovillari e di Morano. Da Castrovillari scendendo a ritroso per la valle del Crati, troviamo piegarsi P Apennino e prendere una direzione di O.S.O. coi confini nei terreni di San Basile, di Saracena, di Lungro, di Acquaformosa e di San Donato di Ninèa, dove la separazione dell’ Apennino col sistema alpino diviene meno brusca. Già al- P altezza di Lungro si mostrano sotto i calcari gli schisti cri- stallini, che nei dintorni di San Donato di Ninèa si appalesano abbastanza potenti. Quivi la formazione apenninica riappare nella sua maggiore potenza, volge a S. verso San Sosti e Sant’ Agata d’ Esaro, avendo il suo confine meridionale dalla parte del Crati ai monti di Sant’Agata d’Esaro alle pendici del M. Montea (1733 m.) fino sopra Belvedere Marittimo e sul versante tirreno agli sco- gli di Cirella. La separazione adunque dell’ Apennino dalle rocce cristalline della catena littorale la troviamo molto più a S. della valle del fiume Lao, come finora è stato creduto, spingendosi essa non solo oltre la valle del fiume Abate Marco, ma ancora molto più 161 - avanti, giacché non solo Grisolia, Cipollina e Majerà stanno sul non interrotto calcare apenninico, che si spinge fino a mare, formando gli scogli di Cirella e Pisola omonima (41 m.), ma gli stessi terreni di Bonvicino (non Bombicino) appartengono all’ Apennino. Dalla Serra della Contessa in poi troviamo ancora il calcare dell’ Apennino, ma solo in lembi staccati, che però talvolta costituiscono considerevoli masse, le quali partitamente descriveremo. Alla Serra della Contessa siamo in piena zona cristallina colle rocce granitoidi ed amfiboliche. Non mancano però le rocce cri- stalline dal fare capolino anche prima d’ arrivare agli scogli di Cirella, dove P Apennino si sommerse nelle onde del Tirreno, perchè da qui al fiume Abate Marco troviamo vari affioramenti di schisti cristallini sotto i calcari, che si sono ritirati di qual- che miglio dal mare, i quali compariscono ancora fra questo ed il Lao e dal Lao a Scalea, dove la formazione apenninica si avanza nuovamente, torreggia sul mare ed in tal modo prosegue non solo fino al fiume Castrocucco, che forma, come abbiamo detto, il confine settentrionale colla Basilicata, ma va oltre a costituire la spiaggia della provincia di Potenza e del Salerni- tano. Nè sono questi i soli affioramenti delle rocce primitive, chè altri e più importanti ricorderemo : quello fra Lajno Castello e Mormanno, l’altro dei piani del Carro fra Lajno Borgo e Tor- tora, ed il piccolo lembo sotto Tortora, tutti di schisti mi- cacei e filladici, che in alcuni punti ricoprono il gneis, il quale talora fa capolino, come roccia fondamentale di tutti i monti calabri. E quantunque sia fuori dei nostri confini, non lascieremo senza ricordare P affioramento di gneis, ricoperto da schisti quarziferi che sopportano la formazione calcare apenninica fra Mormanno e Rotonda. Anche da Castrovillari a San Basile e da qui a Sa- racena, si mostrano in vari punti gli schisti. Oltre però gli affioramenti delle roccie cristalline menzionate, ricorderemo pure in seno all’ Apennino calabrese P alto deposito terziario della miniera salifera di Tavolara (1172 m.) a N.O. di Lungro ed a tre ore di distanza da questo più ampio deposito di sale. Non dimenticheremo il sedimento più vasto di Lajno, che, poco esteso verso Mormanno, prende dimensioni maggiori — 162 — dalla parte (li Rotonda e Castelluccio ; nè il superbo bacino idrografico di Campotenese dell’ estensione di parecchi chilome- tri (la cantoniera denominata Taverna, 974 m.). Caratteri decisi distinguono i monti dell’ Apennino della Ca- labria da quelli delle sue Alpi : nudi e brulli i primi, ricoperti da rigogliosa vegetazione i secondi ; con pendici a picco gli uni, e con balze che s’ inabbissano rocciose verso le valli, quasi sem- pre inclinate, negli altri ; burroni ristretti con pareti verticali e spaventevoli, in cui serpeggiano le acque, in quelli, sempre più larghi e colle pareti alquanto inclinate in questi ; taciti, torbidi e scorrevoli in belletta o raramente in ghiaia i primi, romoreg- gianti e scorrenti fra grossi massi di roccia per lo più primitiva i secondi. La flora stessa e la fauna separano distintamente i due differenti sistemi di montagne. L’ ammasso montuoso della Sila, come dissi, centro d’ unione fra la provincia di Cosenza e quella di Catanzaro, è cinto tutto all’ intorno da larga e potente zona anulare di formazioni ter- ziarie, costituenti talora altezze a contorni arditi, ma per lo più disposte a colline coronate dalle più grosse borgate, separate le une dalle altre da piani orizzontali o da lievi depressioni, ma il più spesso da burroni. Quest’ ammasso s’ eleva poi dolcemente da tutte parti a guisa di anfiteatro, che nella parte alta si di- vide in parecchi contrafforti, i quali comprendono nelle zone in- termedie altipiani estesi e vastissimi e superbi campi orizzontali. Scende dai dossi rialzati e ricoperti da pini o da faggi dalle belle ombre una numerosa serie di rivoletti dalle acque freschis- sime, che, saltellando romoreggianti attraverso i tronchi secolari e le roccie bizzarre e tagliate a scarpa, precipitano nelle ampie vallate e si riuniscono a formare limpidi ruscelli, i quali rice- vendo sempre nuovi confluenti originano i fiumi principali della Calabria, che scorrono poi in burroni profondi ed abbastanza angusti, specialmente là dove queste acque raggiungono le incon- sistenti formazioni terziarie, nelle quali scavano canali colle pa- reti quasi verticali. Invano si cercherebbero nei bacini più celebrati e nel Mar- chesato stesso, che tanto si decanta, pianure così estese, così lussureggianti, dal più bel tappeto verde-smeraldino, e meglio orizzontalmente aggiustate dalla natura di quelle del Vallo e — 163 — Noce di Chiazza, di Camporotondo, di Cappello di Paglia, di Tassitano, di Caporosa e di altre ancora. I monti della Sila scendono egualmente dolci da tutte le parti, e dappertutto conservano gli stessi caratteri. Sembra che ad oriente le pendici sieno più dolci, ma sono le formazioni suhapennine molto meglio sviluppate che sugli altri versanti, le quali imprimono un apparente carattere all’ orografia orientale. Questa contrada, ricoperta in buona parte dell’ anno dalla neve che vi cade dal novembre all’ aprile, è la più rigida della Calabria ed è impraticabile fino ai mesi dell’ estate. Resta ra- pito chi per la prima volta penetra fra quelle ombre e calpesta quei verdi tappeti, ed indi uscito all’ aprico solleva lo sguardo al cielo, puro e terso come quello delle nostre Alpi settentrio- nali. Ma a quale tremendo contrasto dobbiamo assistere quando usciti da uno di quei deliziosi boschi, ci troviamo dinanzi ad estensioni immense, che senza un albero e senza una traccia di sentiero ci danno l’ idea d’ una solitudine desolante, che stringe il cuore come lo spettacolo d’ una grande sventura ! La felce, che domina sovrana e sola ricopre quelle immense estensioni, è là che ci attesta la mano vandalica dell’ uomo. II secondo gruppo conserva gli stessi caratteri: dalla valle del Lamato dolcemente elevansi i monti fino alla vetta del Re- ventino (1417 m.) e con coste pur lievemente inclinate scendono dalla parte del Tirreno e da quella del Savuto, formando una serie di sinclinali più o meno pronunciate, che costituiscono un abbassamento dal lato orientale, ove congiungonsi col colosso silano. Caratteri eguali conserva il terzo gruppo della catena littorale nella sua prima parte, che ha come per centro T acuta piramide del M. Cocuzzo (1550 m.). Ma ben tosto vediamo mutarsi la scena, appena siam giunti alle falde settentrionali di questo monte. Qui spiccasi grandiosamente la catena littorale, gigan- tesca lingua, che sempre più stringendosi, va a finire sotto T Apennino. È una stretta ed acuminata cresta con ripide e sco- scese pareti, con numerose e variate vallette in forma di bur- roni, che attraversano le pendici in linee parallele, portando le acque al Mar Tirreno da una parte ed al Orati dall’ altra, con- tribuendo così potentemente al suo impaludamento. Specialmente — 164 — le acque, che scendono alla valle del Grati, dopo breve corso, entrano in profondi burroni appena raggiungono le formazioni terziarie e danno origine ad orribili frane. Anche qui la ripidezza dei due versanti sembra differente, di molto maggiore la occidentale della orientale, ma questa dif- ferenza sparirà quasi del tutto ai nostri occhi, se porremo mente che V irato Tirreno in molti punti ha ridotto a picco le forma- zioni terziarie, le quali sono più antiche di quelle che si depo- sitarono sulla sinistra del Orati, nella quale ancora le alluvioni innalzano continuamente il piano fondamentale, e formano fre- quenti coni di deiezione. In generale la mancanza quasi assoluta sulla costa del Tirreno di quella successione perpetua di masse di conglomerato, di sabbie, di argille, che troviamo costante- mente e nella valle del Grati e sul littorale del Jonio, dà a questa spiaggia un certo aspetto di allegria, che esilara V animo e toglie quella tristezza e quella uniformità,* che si trovano at- traversando gli altri luoghi squallidi e deserti. Chi abbia esaminato attentamente la costa tirrena da Capo Suvero a Diamante, lungo la quale trova in molti punti denu- date le roccie cristalline, specialmente da Belmonte Calabro a Paola, agli scogli d’ Intavolata, ai declivi fra Acquappesa (Ca- saletto) e Cetraro, agli scogli schistosi di Capo di Bonifati ed ai lievi affioramenti, che si incontrano a Guardiella prima di giungere a Diamante, si convincerà di quanto fu detto in pro- posito. L’ inclinazione stessa degli strati secondari e terziari sopra le formazioni primitive, come vedremo nel corso di questa descrizione, varranno a dimostrare questo principio. Sulla costa tirrena il mare forma belle e numerose isole, che non sono altro che parti erose del continente o meglio cime di potenti montagne sottomarine, che forse una volta erano con- giunte colla Calabria : così i due scogli d’ Isca fuori d’ Amantea sono lembi del M. Cocuzzo; gli scogli di Corica fan parte della formazione ofiolitica, che si eleva poi sulla costa a 200 m. circa e si ripresenta più elevata sulle sponde del fiume d’ Amantea e s’ eleva ancora di più innanzi dove forma P altipiano di Lago ; lo stesso diremo in seguito e con maggior dettaglio dell’ isola di Cirella e dell’ altra più grande di Dino. Le roccie primitive sono molto dilacerate in Calabria e le - 165 - montagne che esse formano sono attraversate da fenditure, e queste talvolta riempite di ganghe metallifere. Talvolta elevano il loro sublime capo, in forma di irte aguglie innalzano fanta- sticamente le cime rocciose, e come a Longobucco, hanno V aspetto di formidabili castelli : tal’ altra presentano cupole fra le quali scorrono fresche e placide acque, che per orridi burroni scen- dono a formare le varie correnti. Le acque della Calabria si distribuiscono in numerosissimi corsi, che formano torrenti e fiumi torrentizi : un fiume propria- mente detto, non V abbiamo, perchè di qualcuno dei caratteri del vero fiume mancano anche le correnti più grosse, come il Orati, il Lao, il Neto, il Tacina, per non parlare delle minori. Se a questo carattere aggiungiamo ancora le conseguenze terribili derivanti dal disboscamento, si comprenderà facilmente la cagione per la quale le acque della Calabria utili, provvide, benefiche in magra ed in generale durante il riposo, sieno ter- ribili e perniciosissime nelle piene, da poter cagionare in un avvenire non molto lontano la distruzione d’ intieri paesi. Mettono foce nel Jonio procedendo da Nord a Sud: il Canna, il fiume di Ferro, il Riganello, il Crati, la Fiumara di San Mauro, il Coriglianeto, il Cino, il Colognati, il Coseria, il Trionfo, il Fiumenicà o fiumara d’ Umbriatico, il Lipuda, il Neto, T Esaro, il Tacina, il Crocchio o Callistro, il Frasso, lo Scilotraco di Raca, F Uria od Acone, il Simesi, T Umbro di Fegato, T Alli, il Ca- stagi, la Fiumarella, il Corace ed il Pellena che corre sotto Squillace. Sboccano nel Tirreno da Sud a Nord: il Lamato, il fiume dei Bagni (di San Biase), il Tridattoli, il torrente di Fa- lerna, il Savuto, il Torbido, V Oliva, il Colonci, V Arche, il fiume delle Monache, d’Amantea o di Lago, il Cordare, il Yardano, il fiume di Mare, il San Domenico, il San Francesco, il Laponte, il La Serra, il fiume dei Bagni (di Guardia Piemontese), P Arom, il Triolo, il San Gineto, il Sant’ Antonio, il Bonvicino, P Abate Marco, il Lao ed il Castrocucco. Non esiste certamente contrada in Italia, dove maggiormente si manifesti il contrasto dell’ azione potente degli agenti, che dapprima contribuirono alla formazione ed al consolidamento della superficie terrestre come in Calabria. Essa offre caratteri pronunciatissimi di separazione colle regioni circostanti e con - 166 - tutte le altre d’ Italia. Lo studioso che attraversa questa clas- sica terra non avrà a stancarsi per trovare un fatto, che in modo ineluttabile gli attesti l’ azione violenta d’ una forza di solleva- mento, che miriadi di secoli anteriormente alla comparsa del- r uomo scosse queste contrade : non avrà a durar fatica per ve- dere gli effetti di laceramento e di dislocazione violenta nelle grandi masse delle elevazioni calabresi. La maggior parte dei valloni sono d1 erosione, dovuti quindi in massima parte all’ azione lenta e continua delle acque, che scorrendo nelle parti depresse erosero le formazioni diverse, non escluse le primitive, per formarsi un letto sempre più profondo. Altri sono risultati da fenditure che le acque allargarono sempre più e ridussero alla forma di burrone, nel quale gli strati hanno la inclinazione verso il letto. Se la fenditura però avvenne su uno dei lati di una sinclinale, le due sponde si veggono strati- ficate in modo da offrire rispettivamente strati corrispondenti gli uni agli altri per inclinazione : tal fatto si osserva nella mag- gior parte dei valloni dei confluenti. Se la fenditura avvenisse invece nella parte alta di una anticlinale, allora gli strati dei due versanti si presentano raddrizzati in senso contrario : questo fenomeno che può vedersi nel vallone di Nocera Tirinese ed in altri luoghi ancora, presenta V effetto di una massa stratificata rotta in una linea determinata nell1 atto che una forza la solle- vava dal basso all1 alto, oppure per opera di pressioni laterali. Nè con questi valloni, nè colle ordinarie valli di montagna dobbiamo confondere la valle del Orati e l1 altra del Lamato e del Corace. Sono depressioni estese, vere lacune fra due mon- tagne della stessa natura o di natura poco differente. La valle del Orati, chiamata valle Cosentina, perchè comincia presso quella città, è conosciuta anche col nome di Vallo. È una vasta conca montuosa che fino all1 altezza di Tarsia presenta la figura approssimativa di un mezzo ellissoide, limitato ad oriente dalle dolci pendici della Sila, a Sud dai monti di Ro- gliano, ad occidente dalla catena littorale, che si eleva sulle col- line argillose, ed apparentemente troncato a Nord dal gigante Apennino. Da Spezzano Grande a Cerisano avrà una larghezza di 20 chilometri circa, ma questa larghezza aumenta procedendo verso Nord e diviene massima fra Bisignano e San Marco Ar- — 167 - gentaro e più oltre nella direzione di San Sosti. A Tarsia il Orati comincia a correre in letto ristretto e sotto Terranova di Sibari è incassato fra due erte pareti di calcare apenninico, che ricopre le formazioni cristalline, le quali fanno capolino ancora prima sulla sponda sinistra del Orati, prima d1 arrivare a Spez- zano Albanese; ma di nuovo, poco dopo attraversato il ponte, che congiunge la strada nazionale di Napoli con quella per Co- rigliano e Rossano, la valle s1 allarga fino a mare in una pia- nura totalmente disabitata, nella quale un tempo stava la ricca città di Sibari. Il Vallo, nel cui seno scorrono le sempre tor- bide acque del Orati, è regione desolata e melanconica come una steppa, che sviluppa i pestiferi miasmi, che arrivano fino alla stessa Cosenza. Eppure nessuno pensò a mettervi riparo ! L1 abbassamento, che separa le due parti in cui abbiamo di- viso la Calabria e nel quale scorrono il Lamato da una parte ed il Corace dall’ altra, non è neppur esso una valle, ma ben una volta rovesciata formata da una curva, che scendendo dol- cemente inclinata dalle ultime pendici della Sila e continuando colla medesima lieve inclinazione sotto Caraffa, Borgia, S. Floro, va a congiungersi con quella più ripida che dalle Serre discende e finisce alle falde dei monti di Palermiti, di Stalletti e di Squillace. Tracciando questa curva, che segna le due inclina- zioni delle masse cristalline, risulterebbe il punto più depresso della formazione primitiva non già nel mezzo dell’ istmo, ma bensì più avvicinato alla Calabria meridionale che alla setten- trionale, come si potrà vedere in una sezione da Tiriolo a Squil- lace o da questa città a Catanzaro. Il massimo di depressione dovrebbe trovarsi approssimativamente sotto Borgia. L' istmo dal mare di Sant’ Eufemia a quello di Squillace è colmato dalle formazioni terziarie più recenti, che dalle roccie primitive di Tiriolo e di Catanzaro si spingono a coprire quelle di Girifalco, di Amaroni, di Palermiti, di Squillace e di Stallettì. Queste potenti formazioni terziarie, erose verso i due mari dai flutti di questi col concorso delle correnti, una volta più rapide che non sieno le presenti, formano un vasto altipiano ondulato, attraversato da piccoli corsi d’ acqua, che si scaricano da una parte nel Lamato e dall1 altra nel Corace. Rappresenta questo istmo terziario il massimo restringi- — 168 — mento dell’ Italia, che il Botta molto propriamente nominò strozzamento d’ Italia. Infatti dall’ uno all’ altro mare non ab- biamo una larghezza maggiore di 18 miglia secondo il Pilla. Strabone restringeva la distanza fra i due seni a 60 stadii, Plinio a 20 miglia, ed Aristotele ad una mezza giornata di cammino.1 Questa depressione fra i due mari, che separa la massa pri- mitiva della settentrionale Calabria dalla meridionale, deve pre- sentare pel geologo il massimo interesse, quando badi che il medesimo fenomeno si ripresenta alla parte più meridionale d’Italia, allo stretto di Messina, che divide la Calabria dalla Sicilia. Quivi come nell1 istmo terziario abbiamo la separazione delle roccie primitive dell’ Aspromonte (1974 m.) dalle analoghe ; -m 1 Da una tradizione conservataci da Strabone apprendiamo che Dionisio il giovane, tiranno di Siracusa, intendeva con una grande muraglia, come abbiamo esempio nella China, e con una serie di fortificazioni dall’ uno all’ altro mare, separare la meridionale Calabria dalla restante Italia. Alcuni vogliono, per al- zare una barriera contro gli invasori, che spesso- irrompevano nella Locride : altri per separare semplicemente le règioni meridionali dalle settentrionali della Magna Grecia. Ma sembra più probabile, che facendo sembiante di non aver altro scopo che quello d’ impedire ai Lucani ogni comunicazione cogli abitatori delle meridionali regioni, il tiranno intendesse protendere fino a questa mura- glia il suo dominio sull’ Italia, impedendo così ai fieri Lucani di scacciarlo colle loro armi. L’ opera era già cominciata e forse sarebbe stata condotta a termine se i Croton iati, che ne compresero lo scopo non avessero atterrato quei primi murazzi. — Plinio però opina diversamente su questa tradizione : egli crede che Dionisio volesse unire con un canale le acque dei due mari e facilitare così il commercio marittimo. — I Genovesi pare fossero del pensiero di Plinio quando proposero a Carlo III di aprire un canale con esenzione di dazi: se quel re avesse secondato i loro voti, il canale forse sarebbe stato opera compiuta. — Giovacchino Murat pure pensava aprire un canale che unisse i due mari. — 11 Pilla stesso dopo aver fatta una descrizione sommaria dei depositi terziari am- massati fino a grande altezza e saldati come una breccia tegnente (gonfolite) dice : « E da un pensiero all’ altro passando, che la disposizione e forma di quella vallata è tale, che dove un’ .altra ragione del commercio marittimo il portasse, non sarebbe nè impossibile nè assai ardua impresa aprire un canale che riu- nisse i due opposti golfi e risparmiasse alle navi di circuire la penisola per capo Spartivento. » È certo che l’ impresa non sarebbe impossibile, però abbastanza ardua e poco assennata, se si confronta l’utile che ne verrebbe colle enormi spese ne- | cessane : bisogna pensare che il Corace ed il Lamato sono in estate quasi privi di acque e che l’altezza a superarsi nel taglio sarebbe di 250 metri nel punto più ristretto dello spartiacque sulla strada di Marcellinara fra la regione di San- t’ Elia e 1’ altra di Carrupa. A tutto questo convien aggiungere le difficoltà im- mense per mantenere la comunicazione fra i due mari. — 169 — di Messina, e se idealmente colmiamo lo stretto ed eleviamo sopra il mare i depositi terziari come sono quelli, su cui stanno Caraffa, Vena, Borgia, San Floro, avremo un altro istmo ter- ziario. La differenza fra questi due istmi sta in ciò che uno è colmato, nell’ altro le formazioni furono erose ed il mare s’ aprì strada dal Jonio da una parte al Tirreno dall’ altra, A spiegare la formazione dei due stretti, il deposito ter- ziario fra Squillace e Sant’ Eufemia e V altro analogo dello stretto di Messina, che ora non esiste che in parte e sotto mare furono fatte finora diverse ipotesi, delle quali ci occuperemo alla fine di questa descrizione, accontentandoci per ora di dire che quella ipotesi fortunata, che riuscirà a spiegare la formazione dell’ uno degli stretti, detterà la storia dell’ altro, essendo lo stretto di Messina la riproduzione di quello fra Squillace e Sant’ Eufemia. Prima dell’ epoca secondaria la parte cristallina della Cala- bria formava probabilmente una massa sola assieme alla Sicilia, separata dall’ Italia settentrionale mediante un grande mare, nel quale erano seminati soltanto alcuni isolotti, di cui i meno lon- tani doveano essere quelli del M. Gargano, di Benevento ed altri, non escluso V isolotto fra Mormanno e Lajno. Al principio di questa epoca con lenta oscillazione di abbassamento si som- mergeva questa grande massa : V abbassamento deve essere stato maggiore per la Sila che per le altre regioni, perchè solo sulle roccie primitive di Longobucco troviamo disteso il Trias. Dopo questa deposizione le terre calabre debbono essersi risollevate. Successe quindi un periodo di abbassamento generale, maggiore a N. e N.O., dove troviamo prolungato il calcare apenninico che si depositò anche più oltre in masse isolate del Giura e della Creta, qualora per queste ed anco per le altre non s’ abbiano ad ammettere per la Calabria oscillazioni di parziali abbassa- menti, seguiti da sollevamenti rispettivi. A questo probabil- mente ha succeduto un corrispondente sollevamento, trovando noi solo a Nord le roccie secondarie ricoperte dalle terziarie. In seguito al periodo della creta emersero i vari gruppi delle roccie primitive calabresi, ma non tanto da formare una massa sola. Da piccole isole dapprima, col successivo solleva- mento, si formarono delle maggiori, si unirono fra loro, e dopo «2 - 170 — i il periodo della creta e probabilmente dell’ eocene stesso ab- biamo già tutta la Calabria settentrionale, unita alla restante Italia, ma separata dalla meridionale Calabria dal mare fra Squillace e Sant’ Eufemia, ed in essa un profondo, lungo e va- sto seno di mare, che, rompendo le sue onde agli scogli calcari quasi a picco di Cassano al Jonio e di Castrovillari da una parte ed a quelli delle roccie primitive di Rossano e Corigliano Cala- bro dall’ altra, non esclusi quelli dell’ isola secondaria, sulla quale ora stanno Spezzano Albanese, San Lorenzo del Vallo e Terranova di Sibari, s’ interna, si piega a Sud ed arriva alcune miglia oltre Cosenza. Perciò la Calabria settentrionale era durante il periodo ter- ziario come una penisola, bagnata a Sud dal mare che frangeva i suoi flutti alle roccie granitiche e gneissiche di Mesuraca, di Belcastro, di Cropani, di Catanzaro, al calcare che forma il cap- pello del Monte di Tiriolo ed alle roccie primitive di Feroleto, di Nicastro, di San Biase, attaccata all’ Apennino per mezzo di una lingua, che presentava il suo massimo restringimento fra Sant’ Agata d’ Esaro e Belvedere Marittimo nel calcare secon- dario. Continuavano però lentissime le oscillazioni di solleva- mento e di abbassamento, e durante questo lungo periodo si col- mavano l’ istmo fra Squillace e Sant’ Eufemia, la valle del Orati e si formavano quelle potenti zone terziarie, che cingono la Sila e gli altri gruppi di maggiori montagne. Non dobbiamo poi trascurare il fatto che la Calabria più di qualunque altro paese deve essere stata soggetta altresì ad oscillazioni parziali, ad oscillazioni locali e nel progresso della descrizione cercheremo mettere in evidenza i punti che confer- mano questo principio del continuo stato tumultuoso delle terre calabre : fatto che deve aver concorso pure alla formazione degli stessi stretti. Le oscillazioni però delle quali abbiamo finora parlato ben poco hanno a fare cogli scuotimenti, ai quali andò soggetta questa più di qualunque altra terra : quelle furono così lente da non produrre nelle masse pietrose, che formano la crosta di queste regioni, nessuna forte rottura, ma soltanto ripiega- menti. Possono essere avvenute anche oscillazioni rapide, ma in questo caso, nel quale per lo più succedono rotture di strati e tutti quegli altri effetti, che si riportano ad una trasmissione — 171 — rapida del movimento, dobbiamo attribuire queste per la mas- sima parte alle azioni vulcaniche ed ai terremoti. Qui il campo delle oscillazioni dovute alle azioni vulcaniche è assai ristretto, sebbene queste regioni sieno collocate fra l’Etna, il Vesuvio con in mezzo lo Stromboli : questo campo si limita tutto al più alla zona perimetrica immediata. Si potrebbe perciò pensare a qualche cosa di analogo per la Sicilia, che ha il suo dominio vulcanico collocato sul lato Nord-Est dell’isola, precisamente nella direzione dello stretto medesimo. Non neghiamo che abbia esercitata la sua azione questo focolare potente, ma la simultaneità dei fenomeni vulca- nici ci darebbe diritto a concludere egualmente per lo stretto calabrese. Però se le eruzioni vulcaniche dell’Etna, del Vesuvio, dello Stromboli e di altri vulcani ora estinti non crediamo abbiano potuto modificare gran fatto la crosta solida della Calabria, non dobbiamo pensare altrettanto delle oscillazioni rapide e passeg- gere dei tremuoti, capaci di produrre sensibili sollevamenti e sprofondamenti di terreno. Il geologo che attraversa questi paesi resta stupito di vedere accanto alle traccie dei grandi fenomeni manifestati dall’ azione potente degli agenti, che concorsero a dar forma alla nostra terra fino dai suoi primordi, gli effetti pro- dotti dalle catastrofi, che in tempi molto più recenti hanno scon- volto queste regioni ; quelle catastrofi che ancora dai calabresi sono ricordate con orrore, osservando le rovine avvenute pei ter- remoti del 1783 e del 1784, e le altre del 1832, che lasciarono traccie indelebili in tutta la Calabria, producendo qua crepacci e là avvallamenti, da una parte orridi burroni ancora aperti e dall’ altra burroni riempiti, e così città distrutte, sepolte ed edi- fizi cadenti e contrade in rovina.1 Non si può porre il piede sul suolo calabrese senza provare come una specie di timore di sentirlo agitato; non ci si può persuadere a procedere con fidu- cia sopra un terreno che ad ogni piè sospinto palesa le forze endogene, che dal primo formarsi delle roccie granitoidi, le quali costituiscono il nucleo di queste montagne, fino agli ultimi de- positi sabbiosi, turbarono le diverse formazioni calabresi. Ep- 1 Colletta, Storia del Bearne di Napoli. — 172 pure il geologo non trova alcuna traccia di bocche ignivome, e quando ha percorsa tutta la Calabria Citeriore e la Ulteriore Seconda, deve concludere che nulla potè vedere e raccogliere di quelle formazioni laviche, basaltiche, trachi ti che, doleritiche ec., che gli testimoniano con caratteri spiccati la presenza alla su- perficie d’ una forza vulcanica anche estinta, come in tante altre parti d’ Italia. Nulla trova di vulcanico in Calabria, ad onta delle numerose testimonianze, che ad ogni momento gli cadono sott’ occhio e gli manifestano V azione violenta degli agenti in- terni. Numerosissime però egli trova le acque minerali, nè man- cano qui le termali, le quali in Calabria sono anche minerali, non conseguendone per questo che le minerali sieno sempre ter- mali, giacché a migliaia abbiamo in queste regioni le prime, in numero abbastanza ristretto le seconde. E come è noto le acque termali sono in generale la spia dello stato del globo a profon- dità maggiori delle conosciute, e le stesse sorgenti minerali sono una delle caratteristiche dei distretti vulcanici. Fra queste acque ricorderemo le alquanto tiepide di Olmi o Bagni presso Ciro e quelle più importanti di Cocco, di Trabucco e di Stufa su quel di Cassano al Jonio, ma specialmente le termo-minerali, che sgorgano da massa calcare primitiva sulle sponde del fiume Bagni presso San Biase, e le altre di Guardia Piemontese nel circondario di Paola, uscenti da massa calcare giurese, per non parlare di quelle presso la contrada Primarosa e Piano della Croce di Martirano, di quelle della contrada Acquabollita di Gimigliano e di altre. Nè dimenticheremo come manifestazioni del vulcanismo le piccole eminenze crateriformi, che si trovano nel fosso del Drago sotto San Vincenzo la Costa sulla sinistra sponda del Orati,1 che in seguito al terremoto dell’ 8 ottobre del 1870 slanciarono 1 Nelle argille azzurre (chiamate da quei contadini col nome di ombri co ) 1’ 8 ottobre 1870 da specie di eminenze coniche, la cui formazione non è dal- 1’ uomo ricordata, si sollevò un denso vapore rumoreggiante, si fece una spac- catura, quindi cominciò un getto d’acqua e fango che salì ad alcuni metri d’ altezza e durò poco tempo. Ora poca acqua con pochissimo fango escono da due o tre forellini, alla somiglianza delle piccole maccalube, tanto da venir tosto assor- biti dalle sottostanti argille. Non è vero poi, come taluni scrissero, che il fango e 1’ acqua sieno stati mai slanciati all’ altezza di trenta metri e che queste eru- zioni siano state accompagnate da rumori sotterranei. — 173 — acqua e fango ad altezza abbastanza considerevole, e, quantun- que ora sieno ridotti quei piccoli crateri alle più umili propor- zioni, dobbiamo considerarli come una stufa sotto forma di vul- cano di fango, da noi italiani ancora denominata salsa.1 In questa eruzione di acqua e fango si parla anche di una sabbia polve- rosa di odore bituminoso che si vide levarsi e passare, seguendo una linea determinata, precisamente negli istanti delle maggiori convulsioni. In seguito a quel terremoto dell’ 8 ottobre 1870 le acque dei ruscelli, dei pozzi e del fiume Grati crebbero molto e mostraronsi calde e fumanti. Alcune correnti arrestarono il loro corso, altre lo raddoppiarono. Le fontane sorgive general- mente aumentarono quasi della metà, rimanendo torbide per molto tempo. Crebbero anche le acque di Guardia Piemontese, sgorgando a guisa di torrente.2 In ogni modo i terremoti agirono potentemente a sconvol- gere le terre calabre, e fra essi terribili furono quelli del 1783 e 1784, ed i più recenti del 1832 che sembra pure abbiano for- mato fori ad imbuto gettanti acqua e sabbia.3 A tal uopo noteremo che i luoghi dove la terra ebbe a provare scuotimenti maggiori per causa dei terremoti, specialmente in quelli citati, sono nei depositi terziari di marne, di argille e di sabbie sciolte, dove la superficie si trova ancora oggigiorno disposta, come le onde del mare pei movimenti oscillatori impressi dalle scosse dotate di maggiore o minore violenza. E raramente passano più anni senza che queste terre abbiano ad essere agitate da questo tre- mendo flagello. Causa precipua di tali frequenti manifestazioni in questi paesi meridionali convien credere sia la mancanza di quelle valvole 1 I vulcani fangosi hanno comunemente presso gli scrittori della Storia Na- turale il nome di Salsa, nome italiano che lor venne dal fango salato che con- tinuamente vanno rigurgitando. Furono ancora detti Vulcani ad aria, Pseudo- vulcani-aereo-argillosi, nonché Bollitori, Borbogli e Borborismi, i quali ultimi nomi crediamo bene serbare per una specie particolare di questi fenomeni. Le apparenze dei veri vulcani, che assumono le Salse, principalmente nelle loro eruzioni e 1’ elemento ad essi essenziale il fango, ci hanno determinato a pre- ferire il nome di Vulcani fangosi, non senza però valerci all’ uopo di quello di Salse. — Bianconi, Storia Naturale dei terreni ardenti, dei vulcani fangosi, ec. pag. 21. — Bologna 1840. 2 Stoppani, Corso di Geologia , voi. I. pag. 457-8. 8 Le Bèche, Manuel. — 174 — di sicurezza, che come altrettanti tubi mettono in comunicazione la parte centrale del nostro pianeta colla superficie e facilitano l’uscita ai gas, come fanno il Vesuvio, lo Stromboli e l’Etna. È provato che là dove esistono camini vulcanici, i tremuoti sono meno violenti e di una durata di gran lunga minore di quello che lo sieno in Calabria. {Continua.) IL Sopra i vulcani di fango e le argille scagliose del Modenese, sunto di una Memoria dell’ abate A. Ferretti.1 Le salse o vulcani di fango subapennini si presentano sotto due aspetti o fasi diverse. Alcune hanno la forma di coni di fango tronchi al vertice e presentano crateri imbutiformi, dai quali escono ad intervalli gallozzole di gas che sollevano il fango sciolto dalle acque, il quale giù scorre a formare o ad ingros- sare i coni. Altre si presentano sotto forma di laghetti d’acqua torbida fortemente salata, che ribolle per lo sprigionarsi conti- nuo dei gas. Appartengono alla prima categoria le salse di Regnano e Nirano ; alla seconda quelle di Pujanello, Montegibbio, Salvarola nel modenese, e Casola Querzola nel reggiano. Tanto nelle une che nelle altre si manifestano talora violenti eruzioni ; allora hanno luogo forti detonazioni, la terra trema all’ intorno e si inalzano dagli orificii colonne altissime di fango, a cui sono uniti talvolta massi ofiolitici o calcari. Il volume dei fanghi e dei massi eruttati nel 1835 dalla salsa di Montegibbio si fa ammontare a circa un milione e mezzo di metri cubi. Essi costituiscono il piano leggermente inclinato che dalla salsa corre non interrotto sino alla Secchia. La zona penultima dell’ Apennino che segna la linea perime- trica del gran bacino pliocenico è la più ricca di salse o vul- cani di fango. Tra il Panaro e P Enza ve ne hanno sei o sette, cioè a Pujanello, a Nirano, a Montegibbio, a Salvarola, a Re- 1 A. Ferretti, Le salse o vulcani di fango e le argille scagliose. Pa- dova, 1878. — 175 — gnano e a Casola Querzola. Quella di Nirano e quella di Re- gnano sono veramente imponenti. Quest’ ultima oltre di emettere continuamente copia grandissima di gas e fanghi dal suo orifizio, va soggetta ben spesso a violenti convulsioni, allora si fanno sentire in tutta quella zona forti terremoti, hanno luogo deto- nazioni che sono sentite fino a 15 chilometri di distanza, e i fanghi vengono proiettati a considerevolissima altezza ed in tal copia da scorrere a guisa di grossa piena per il torrente Raz- zano. Codesta salsa visitata nel 1873, presentava un cono di puro fango troncato al vertice, avente alla base un diametro di 15 metri con un’altezza di più di 7 metri. Un laghetto d’acqua torbidissima vi si era formato, dal quale sollevavansi a breve intervallo due grosse bolle di gas che scoppiando con rumore faceva traboccare il fango dagli orli. Questo fango che usciva pure da una fenditura laterale, formava una poltiglia densa che sovrapponendosi in dischi concentrici e in cordoni attorno al- l’orifizio ingrossava di continuo il cono. Il fango che scorreva lungo le depressioni di Fazzano diventava per la perdita del gas bolloso come la lava dei vulcani. Nella primavera antecedente aveva corroso le pareti di un altro cono formatosi in tempo di poca attività e travoltolo per la china col fango che eruttava, vi aveva lasciato una cavità di dieci metri di diametro, nella quale si sollevavano in mezzo alla belletta bolle grosse e minute di gaz. Yi erano pure altri due coni in formazione. I terremoti che si fecero sentire nel 1873 specialmente a Regnano e Yezzano sul Crostolo non portarono alcuna alterazione al vulcano, nè lo alterò punto il terremoto del giugno 1876. Yisitato in seguito il vulcano più volte, fu trovato quasi sem- pre identico ; solo si osserva una depressione continua di esso. La causa di questo fenomeno è probabilmente la continua emis- sione di fango che producendo un' vacuo sotterraneo determina 1’ abbassamento del medesimo vulcano. Questo vuoto continuando per le successive deiezioni produrrà in fine la ruina del cono che si trasformerà in un bacino d’ acqua. Altra manifestazione vulcanica si ha nella zona parallela a Nord della depressione del gran bacino pliocenico, dalla quale è separata per mezzo del cordone littorale. Questa è 1’ emana- — 176 — zione di gas solfidrico o idrogeno solforato. Tale emanazione è lentissima e tranquilla, e si effettua in bacini d’ acqua perenne. Di tali putizze ve ne hanno più di dodici nella parrocchia di San Ruffino, una assai imponente a Dinazzano detta Saldino . Queste putizze danno luogo a formazione di gesso e di zolfo come può vedersi a Dinazzano e a San Ruffino. Quivi il gas sol- fidrico attraversando il carbonato di calce ha dato luogo a for- mazione di cristalli di gesso. Si osservano pure soventi i bordi della putizza coperti di solfo libero polverulento. A Casalgrande nel luogo detto i Bossi havvi una putizza ove V acqua della sor- gente è coperta da una crosta di solfo di più millimetri di spessore. Anche nelle salse si verifica questo fatto, ma soltanto nei loro periodi di quiete e quando il gas è a preferenza sol- forato. Le frane e gli scoscendimenti hanno per lo più otturate le putizze; la loro presenza però è constatata da giunchi imbevuti di gas idrogene e dal terriccio nero, untuoso, attaccaticcio che si trova scavando a poca profondità, fra il quale filtra acqua accompagnata da emissione di gas, e avente V odore caratteri- stico dell’ acido solfidrico. Dalle analisi eseguite dai signori Fouqué e Gorceix, risulta che il gas combustibile delle salse contenuto nel gas naturale, è gas delle paludi quasi puro e non un mescuglio d’ idrogeno con uno o più carburi d’ idrogeno. Il gas della salsa di Sassuolo ha questa composizione : Acido carbonico 0, 55 Ossigeno 0,32 Azoto 2, 54 Gas delle paludi 96, 59 100, 00 Il gas di Salvarola è composto come segue : Acido carbonico 0. 78 Azoto 4, 39 Ossigeno 0,21 Gas delle paludi 94, 62 100, 00 — 177 — Supponendo che 1’ ossigeno sia dovuto alla presenza dell1 aria introdottavi accidentalmente nel raccogliere i gas, la composi- zione dei medesimi sarebbe eliminando V ossigeno e V azoto cor- rispondente : Salsa di Sassuolo : Acido carbonico 0,56 Azoto 1, 38 Gas delle paludi 98, 06 100, 00 Salsa di Salvarola : Acido carbonico 0, 79 Azoto 3, 63 Gas delle paludi 95, 58 100, 00 Il principale fattore delle salse sarebbe dunque il gas delle paludi congiunto con acido carbonico. Molti altri principii mi- nerali però furono dall1 analisi constatati nelle acque delle salse : ossigeno, azoto, acido solfidrico, joduro e bromuro di sodio, car- bonati di soda, di calce, di magnesia, silice, allumina, ferro ed arsenico. Sull1 origine di questi gas si fecero diverse supposizioni. Spallanzani riteneva che esso avesse origine dal petrolio, avendo trovato il gas idrogeno carburato delle salse inquinate di pe- trolio, e visto che presso la salsa di Montegibbio erano sorgenti assai ricche di questo minerale. Ciò anche ammesso restava però a conoscere l1 origine di questo petrolio. I chimici dai tempi di Volta abbracciarono l1 opinione che tutti gli idrocarburi fossero d1 origine organica, cioè il risultato di un processo chimico naturale a cui sono sottoposti i resti or- ganici vegetali ed animali nell1 interno del globo. A questa teoria viene però opposto : 1° Che i petrolii si trovano specialmente in roccie, che non contengono depositi di carbon fossile e sono inferiori o su- periori a questi ; 2° Che i petrolii, secondo le analisi di Pelouze e Cabours non contengono benzina, mentre la si trova costantemente negli idrocarburi che si ottengono dalla distillazione del carbon fossile ; — 178 — 3° Che i depositi di carbon fossile sono troppo piccoli per poter dare origine colla distillazione, a tutti i petrolii, asfalti e bitumi che di continuo scaturiscono dal suolo. La salsa di Montegibbjo arde sino dai tempi di Plinio, quella di Regnano è in attività da secoli. Le sorgenti di petrolio di Zante erano in pieno vigore ai tempi di Erodoto e secondo i calcoli di Virlet per alimentarle sino ad oggi si sarebbero richiesti 174 milioni di quintali di carbon fossile. Ora tante e sì svariate sorgenti di gas, di petrolii, di bitumi avrebbero dovuto esaurire le sostanze organiche che loro danno vita; invece queste sorgenti lungi dal- P indebolire vanno ogni giorno aumentando ; 4° Finalmente che ben poche volte si è visto scaturire petrolio dalle miniere di carbon fossile. Dietro tutto questo Humboldt, Delafosse, Yezian e finalmente Stoppani, conclusero che quando gli idrocarburi non sono evi- dentemente il prodotto della decomposizione di sostanze orga- niche, lo sieno per V immediata combinazione dei due elementi operata dalle forze fisiche e chimiche di cui è in balla V in- terno del globo. L’ abbondanza dell’ idrogeno in natura, che entra nella composizione dell’acqua, e quella dell’acido carbonico, l’ affinità estrema degli elementi idrogeno e carbonio, e final- mente le esperienze di Berthelot che coll’elettrico riesci a pro- durre per combinazione dei loro elementi gli idrocarburi e molti altri composti organici, vengono in appoggio della tesi, essere cioè il gas idrogeno carburato un prodotto delle forze fisiche e chimiche che governano il globo. Gli studi sui gas dei pozzi petroliferi d’America hanno di- mostrato che le sorgenti di petrolio più abbondanti sono quelle che danno adito ai gas più carburati della serie 02H4, di guisa che dall’ ispezione dei gas che provengono dalle sorgenti e dai pozzi artesiani si potrebbe predire la ricchezza in petrolio del giacimento. Ora i gas degli Apennini sono generalmente poveri di carbonio e, su 24 di cui fecero 1’ analisi i signori Fouqué e Gorceix, 23 non racchiudono altro elemento combustibile che il gas delle paludi; soltanto quello di Sassuno contiene an- che l’ idruro d’ etile. Da ciò ne consegue che i petrolii non po- tranno essere molto abbondanti nei nostri Apennini. Il numero e l’ importanza delle sorgenti e dei pozzit a petrolio negli Apen- — 179 — nini furono molto esagerati. Nel territorio di Scandiano, se si eccettui- una vena di questi idrocarburi sulla sponda sinistra di Riazzone, che assume proporzioni ragguardevoli nel comune di Casalgrande, in nessuna altra località furono vedute sorgenti di petrolio. Dei pozzi poi, eccettuati quelli a Montegibbio e Pi- gneto nella provincia di Modena, che hanno già dati buoni ri- sultati, nessun altro se ne trova in tutto il territorio delle due provincie di Modena e Reggio. Una sorgente forse ricchissima non accennata finora da alcuno, si trova a San Valentino, sulla destra del Rio Rocca, ove il petrolio geme da un’ arenaria in tal copia da galleggiare sul- l’ acqua con un grande spessore. Altra sorgente trovasi pure sulle sponde del Rio delle Viole in San Romano. Nelle salse oltre il gas vi ha gran copia di sali, fra i quali principalmente il cloruro di sodio che è sciolto nelle acque e trovasi pure nei fanghi. L’ acqua che, secondo le esperienze di Daubrée, sotto forti pressioni e ad alta temperatura dà luogo a tante chimiche com- binazioni nell’ interno del globo scomponendo una quantità di corpi e componendone altri, è quella che ammannisce i sali delle salse, come prepara pure quel gas che produce le salse o vul- cani di fango. La temperatura delle acque delle salse è quasi sempre inferiore a quella dell’ atmosfera. La loro salsedine è in rapporto colla emissione dei gas: quando il vulcano o la salsa è nei periodi di quiete e la emissione dei gas è piccola, la sal- sedine è quasi nulla, mentre quando il gas esce con veemenza e la eruzione è violenta la salsedine diviene grandissima. I fanghi delle salse sono talora argillosi, poco dissimili dalle argille subapennine in mezzo alle quali generalmente si apre il vulcano, ed hanno origine dallo stemperarsi delle argille stesse attraversate dall’ acqua e dal gas. Ciò però si verifica soltanto in quelle salse che presentano uno stato di quiete perfetta e sono costituite da un piccolo laghetto d’ acqua torbida che ribolle per la uscita dei gas. Ma quando il vulcano è soggetto a qualche alterazione, i fanghi presentano sempre una natura affatto diversa da quella della roccia superficiale, e sono impasti fisicamente e chimicamente elaborati. I vulcani di Montegibbio o di Regnano si aprono il primo — 180 — nell1 argille scagliose, l1 altro in fanghi vulcanici antichissimi. I fanghi eruttati da loro contengono più di due terzi di silice, mentre le argille subapennine contengono molta calce ; quelli stemperati nell1 acqua raddoppiano di volume mentre queste di ben poco aumentano il loro volume ; inoltre le argille subapennine contengono pochi cristalli, mentre i fanghi di Regnano conten- gono quantità straordinarie di mica, cristalli quarzosi, calcari, ec. Confrontando poi i fanghi moderni coi fanghi antichi, e questi cogli antichissimi, non può non vedersi che l1 attività ed inten- sità fisica e chimica dei vulcani di fango fu sempre poco dissi- mile da quella dei veri vulcani. A Regnano si osserva una gra- dazione magnifica di fanghi vulcanici. Oltre quelli che sgorgano di continuo dalla bocca del vulcano ve ne hanno altri che fanno cerchio al vulcano e circoscrivono la vailetta entro cui trovasi, e non sono che granelli di quarzo, squame di mica, pezzetti di porfido, di diaspro, di serpentino e non vi mancano ciottoletti di granito. Oltre questi fanghi che non sembrano relativamente tanto antichi perchè presso la bocca del vulcano, a poca altezza del medesimo e di tenue spessore ; esaminato il sottosuolo di tutti i dintorni di Regnano tagliato dalla strada comunale costrutta non è molto, ed osservate le rive dette di Tedia scorgesi evi- dentemente che l1 uno e le altre constano di fango vulcanico an- tichissimo : la loro antichità rilevasi dall1 essere essi coperti da una formazione alluvionale di più metri di spessore su cui sono fabbricate le case di Regnano. Nelle rive del Tedia si contano venticinque strati apparenti che indicano certamente altrettante gettate del vulcano. Esse percorrono in lunghezza più di un chi- lometro, altrettanto in larghezza, e sono alte ben ottanta metri al disopra del vulcano medesimo. Un tale fango lavato, presenta uno sfasciume di materie cristalline silicee con quantità straor- dinaria di mica argentina. Confrontando i veri vulcani con i vulcani di fango si vede che mentre quelli si edificano un cono, le salse si scavano una fossa, mentre i veri vulcani si alzano, le salse si abbassano, il cratere di quelli si forma per eccesso od è positivo, il cratere di queste si forma per difetto od è negativo. L1 emanazione dei gas tiransi dietro il fango reso semifluido per le acque, lo fa traboccare da- gli orli craterici e giù scorre per la china; le pioggie lo traspor- — 181 - tano sempre più lontano, rodono gli stessi coni formati dalla parte più densa dei fanghi e trasformano spesso l’ intera salsa in scorrevole pantano. La salsa dunque è in continua perdita, vi deve perciò essere mia depressione; il colle od il piano ove apresi la salsa devesi abbassare all’ ingiro dell’ orifizio, e così succede infatti nella salsa di Nirano ed in tutte le altre che fun- zionano allo stesso modo. Onde guardando all’ esterno le salse non presenteranno una forma conica, non avranno nemmeno una forma costante e tutto entrerà quanto alla forma nell’ orografia locale che non potrà avere alcun rapporto colla salsa. A Nirano, Regnano, ec. appena varcato l’ orlo del cratere, più non si scorge nè cratere nè salsa, non vedesi altro che la forma ordinaria dei colli subapennini. Guardando ai vulcani di fango attivi del modenese e reg- giano si scorge che tutti apronsi in una vailetta più o meno pro- fonda, più o meno vasta nel bacino pliocenico e sono circoscritti a Nord dal cordone litorale e a Sud da ripide vette che segnano la separazione del bacino pliocenico dal miocenico. Guardando invece le putizze si vede che tutte stanno in mezzo e persino anche a Nord del gran cordone litorale. Tanto le putizze che i vulcani di fango seguono una linea parallela al- 1’ asse dell’ Apennino, trovandosi gli uni e le altre lungo la zona del pliocene e lungo il cordone litorale, i quali seguono T andamento parallelo all’ asse dell’ Apennino. E quindi evidente che i vulcani di fango e le putizze, non di- versamente dai veri vulcani, seguono una rottura della crosta terrestre al piede dei rilievi apenninici avvenuta in forza dei sollevamenti, rottura in parte otturata ed in parte ancora aperta di dove sfuggono i gas ed i vapori. Ultimo a sollevarsi fu certo il cordone litorale, ma siccome il sollevamento fu poca cosa ve- dendosi ovunque al disopra del gran delta padano di pochi metri ; quindi al piede ed in mezzo a quello stanno le putizze, ul- tima e debolissima manifestazione dell’ interna attività del globo. Penultime a sollevarsi furono le erte vette di Montese, della serra di Paullo Modenese, Monte Baranzone e Paullo Reggiano, atti- rando con sè nel sollevamento tutto il bacino pliocenico e parte del cordone littorale, ed è perciò che alla loro base abbiamo i vul- cani di fango, taluni dei quali spenti, altri in piena attività. — 182 — Sollevato il dorso dell’ Àpennino si dovettero formare le linee di rottura al piede del medesimo, ed i vulcani si manifestarono sulle fessure determinate dal sollevamento. Ad un secondo sol- levamento di catene parallelo al primo si otturarono le prime fessure dando luogo a nuove formatesi alla base della seconda catena, ed i vulcani vennero a riempire le medesime. Il solle- vamento di una terza e così di una quarta catena dovette final- mente portare i vulcani più basso ancora, cioè alla base dell’ ul- tima catena di sollevamento. I tufi, le lave, i crateri, i coni lungo la linea di depressione ad occidente dell’ Àpennino formanti una o più linee parallele all* andamento delle zone superiori, rispon- dono per i veri vulcani antichi ; i Campi Flegrei col Vesuvio e le Eolie coll’ Etna nella zona ultima, pei moderni. Le argille sca- gliose, fanghi di vulcani spenti, e le emanazioni gassose lungo la linea di depressione ad oriente all’ Àpennino formanti linee pa- rallele all’ andamento delle zone superiori, rispondono pei vulcani di fango antichi ; le salse e le putizze nella zona ultima pei moderni. Che le argille scagliose tanto sviluppate nei nostri Apennini dalla parte di oriente come dalla parte di occidente accennino evidentemente a fanghi di vulcani spenti lo mostra primamente il loro modo di giacimento, essendo sempre in masse isolate. Difatti mentre i terreni sedimentari sollevati in creste, in dossi, corrono miglia e miglia quasi dighe colossali e ciclopiche mu- raglie, le argille scagliose invece sono sempre in espandimenti isolati, ogni massa si presenta come un’ isola circondata da ter- reni sedimentari. Mentre questi anche spezzati ed erosi sempre si rannodano e ricompaiono dopo essersi nascosti sotto il piano mantenendo una uniformità grandissima sopra linee lunghissime, le argille scagliose per lo- contrario non presentano mai la forma di una catena continua, ma sono masse isolate disposte in file, che quantunque interrotte nel loro prolungamento e sostituite da terreni sedimentari, non si dipartono dalla loro direzione e occupano sempre la linea delle depressioni parallelamente alle zone apennine disposte lungo il gran cordone litorale nel mezzo del bacino pliocenico, dentro la grande depressione miocenica. Si vede quindi che tutte escirono da spiragli di un1 unica rottura prodotta dal sollevamento delle zone apennine. — 183 Le argille scagliose, esaminate nel tratto dal Panaro all’ Enza, dove sono sviluppatissime, furono trovate altre interstratifi- cate con potenti letti di solido calcare che non di rado è so- stituito da un’ arenaria poco solida, ed altre far corpo da sè formando alture straordinarie ed elevandosi sopra le argille az- zurre fossilifere. In entrambi i casi esse appalesano sempre una roccia espansa allo stato pastoso assai plastico. In fatti, quando è interposta al calcare o all’ arenaria si adagia a tutte le loro cavità, ne riempie gli interstizii, si modella entro le rotture, e ne segue tutti gli andamenti. Quando sono in masse isolate la loro stratificazione papiracea si adagia a tutte le irregolarità delle sottoposte formazioni, e ne segue perfettamente la orografia. Ove trova intoppi si crea un rigonfiamento, un promontorio: ogni per- tugio è chiuso, ogni valle è colmata; sono dunque gettate di antichi vulcani. Si aggiunga che gli interclusi coi loro spigoli intatti appalesano la forza meccanica esercitata dai vulcani nel loro irrompere, colla quale fecero saltare in aria le impalcature dei crateri e quanto incontrarono lungo la via. La forma di dicco, che per sè prova 1’ origine eruttiva delle roccie, è comunissima alle argille scagliose. Nella vasta depres- sione detta delie Barche a sud del Monte Vangelo, all’ origine del Riazzone, sulle due sponde si vede che le argille scagliose urtando strati potentissimi di un’ arenaria a grana fina poco solida sono finalmente riuscite a romperli e stritolarli, e da orizzontali portarli alla verticale, ed apertosi un varco in mezzo a loro co- prire cogli espandimenti buona parte del territorio di San Ruf- fino e di quello di Montebabhio intercalandosi col calcare, arre- standosi finalmente entro la crepatura e riempiendola. Si vedono pure a San Romano in una depressione in confine con Baiso le argille scagliose che hanno rotta e sollevata sino quasi alla ver- ticale, le arenarie e i calcari a fucoidi, ed apertosi la via co- prire cogli espandimenti buona parte dei due territori, ed arre- starsi infine riempiendo di sè 1’ enorme spaccatura. A provare P origine di queste argille e il loro apparire allo stato pastoso- basta osservare i massi d’ arenaria della spaccatura; là si veg- gono pezzi di caolino semivetrificato, pezzi di quarzo, di diaspro, di schisti micacei, di porfido e per fino di granito. Le arenarie stesse hanno preso un aspetto di basalte, sembrano quarziti, e - 184 - sono quasi vetrificate. È pure notevole la presenza di molti e svariati minerali metallici, in queste argille. Questi fatti provano un’ azione potente dei vapori e dei gas che si svolgono dai fanghi e ne accompagnano, o ne seguono T emissione come succede nelle lave dei veri vulcani. Camminando sulle argille scagliose, occorre sempre di dover percorrere lun- ghi tratti senza che mai si affacci un solo minerale tranne qualche masso di arenaria o di calcare, o qualche tronco di vegetale car- bonizzato ; mentre d1 un tratto si veggono apparire in copia gran- dissima e nello spazio di pochi passi accatastati e pigiati sì che le argille ne sono quasi sostituite. È questa una prova manifesta del dicco e dell’ espandimento ; in questo non possono essere mi- nerali, ma bensì nel dicco, poiché là i vapori ed i gas uscenti dalle viscere della terra esercitarono la loro attività genetica e metamorfica, come si verifica anche nei veri vulcani. Percorrendo le argille scagliose delle colline di San Ruffino si veggono queste prolungarsi dalla chiesa parrocchiale sino alle tre Croci e al Monte Vangelo e toccare Montabbio. In tutte queste località non si trovano minerali di sorta. Invece nella grande depressione che separa Monte Vangelo dalle argille az- zurre di Montebabbio, si incontrano a Est quantità straordi- narie di solfuri e solfati di ferro in masse cubiche : gesso, si- lice, piromaca, caolino. A Ovest altra grande quantità di pirite lamellare formante masse cilindriche talora iridescenti; pirite di rame, e due filoni di pirite bianca lamellare che denotano il riempimento di due crepacci formatisi poco lontano dal cratere vulcanico, solfo, cloruro di sodio, solfato di barite; e tanto a Est che a Ovest, grandi quantità di ossido di manganese e di ematite. A San Romano le argille scagliose toccano V arenaria mio- cenica quasi vicino alla parrocchiale, si protraggono ai confini di questa, e continuano sino quasi presso quella di Baiso. Misu- rano un’ altezza di cento e più metri, ed hanno una superficie di ben dieci mila metri quadrati. In tutto questo spazio non trovasi un minerale, un cristallo; nella depressione invece lungo il Rio delle Viole sin presso Baiso e a Montegalbone, nel territorio di Visignolo si trovano in copia eccessiva minerali : solfuri e solfati di ferro in tutte le forme, efflorescenze di rame, barite in masse — 185 — sferoidali (di cui una fu trovata di 70 cent, di diametro) man- ganese, calcedonio, druse di quarzo con cristalli colorati in giallo di magnifico aspetto. Tutti questi minerali sono frammisti alle argille scagliose; non vi ha quindi dubbio che esse non riem- pissero le spaccature dalle quali prima sortendo con impeto si spandevano all’ intorno, e poscia col diminuire la forza dei vapori o dei gas che le spingevano, si arrestavano naturalmente entro la crepatura e indurendosi trasformavansi in dicco. Sono dunque le argille scagliose fanghi che uscirono da crateri vulcanici. Questo spiegherebbe come mentre nelle argille azzurre e marne gialle si ha tanta esuberanza di animali marini e terrestri, nelle argille scagliose non si trova alcun frammento di conchiglia che attesti la vita, e solo qualche raro pezzo di legno che colto per via venne impigliato nei fanghi e metamorfosato. I dicchi e quindi le bocche crateriche di San Romano e Vi- signolo, si trovano nella depressione, identica ove soffiano attual- mente i vulcani di fango di San Valentino, San Romano, Visi- gnolo, Regnano e Casola e di Salvarola, Montegibbio, Nirano e Pujanello; i dicchi e le bocche crateriche di San Ruffino nella depressione lungo la formazione litorale ove stanno le pu- tizze di Dinazzano, San Ruffino, Ventoso, Iano, Borsano. Vi ha dunque perfetta armonia tra i vulcani spenti e quelli in attività, vi ha parallelismo fra gli uni e gli altri ; si riferiscono dunque alla medesima linea di spaccatura in forza delle oscillazioni ter- restri. Dovevano però i vulcani di fango antichi essere dotati di alta temperatura, e vi doveva agire in copia il vapore acqueo : mentre infatti i fanghi dei vulcani moderni non sono che argille superficiali spappolate, quelli degli antichi sono impasti chimica- mente e fisicamente elaborati. Le grosse masse di calcare e di arenarie sollevate e portate a distanza favolosa,’ appalesano una forza ben più gagliarda di quella che affettano i vulcani moderni di fango, e questa doveva essere il vapor acqueo. A questo agente è dovuta certamente la gran copia di minerali sublimati intorno agli orifizi craterici. L’ origine vulcanica delle argille scagliose è provata assai brillantemente dal metamorfismo che esse esercitarono nelle roccie a contatto. Nei colli subapennini del Reggiano, per esempio, ai confini tra San Ruffino e Montebabbio, a Ventoso, si trovano molti 13 — 186 — pezzi di caolino convertiti in porcellana in mezzo alle argille. Il Rio delle Prugne o delle Finestre rosse, che nasce a Borzano di mezzo alle argille, e mette nel Tresinaro, si trova gremito di molti minerali argillosi aventi V aspetto di terra cotta e che pas- sano per gradazioni a vero diaspro con cavità tappezzate di cri- stalli di quarzo. A San Romano in confine con Baiso si rinven- gono arnioni di calcedonio pur essi talora riempiti di cristalli brillantissimi di quarzo : queste masse hanno superficie ineguale e screpolata, mostrando il loro passaggio dallo stato di argilla a quello di calcedonio, diminuendo di volume per effetto del- P alta temperatura. A San Ruffino nel campo di San Michele si vede il calcare in contatto delle argille convertito in calcare polverulento. Infiniti sono poi gli esempi di calcare fatto sacca- roide per contatto colle argille stesse. Le arenarie poco solide di San Ruffino sono quasi vetrificate in contatto dei dicchi, e prendono V aspetto di quarziti. I calcari di Ventoso presso le cave di gesso a contatto coi dicchi sono convertiti in lastre di calcare cristallino che potrebbero avere importanza nell’ edilizia. I calcari di Bismantova e Montese convertiti in un bellissimo marmo saccaroide potrebbero fornire materia alla statuaria. I cal- cari a Lucina di San Michele de’ Mochietti, che furono a con- tatto evidentemente colle argille scagliose, hanno i polipai dei coralli, i gusci ed i nuclei delle lueine e delle modiole convertiti in cristallizzazioni dolomitiche formanti talvolta bellissime druse; mentre a Montebabbio e Castellarano la molassa e il conglome- rato non presentano mai un cristallo nelle bivalvi che conten- gono, e ciò per non essersi trovate a contatto delle argille sca- gliose. A San Romano finalmente il solfato di barite a contatto dei dicchi è convertito in bellissimi arnioni e sfere a struttura cristallina, raggiante, bacillare o lamellare. Da tutti questi fatti deve concludersi allo stato d’ incandescenza in cui le argille erup- pero dai vulcani, non dissimili dalle lave dei veri vulcani. La presenza di efflorescenze dei sali di soda tanto nelle argille sca- gliose quanto nei fanghi moderni prova la loro origine comune. Le argille scagliose adunque sono fanghi di antichi vulcani: 1° perchè sono in masse isolate allineate lungo le depressioni ove anche oggi erompono i vulcani di fango; 2° perchè hanno la forma di dicco e di espandimento; 3° perchè manifestano con le — 187 — roccie intercluse la forza meccanica che esercitarono sbranando le roccie che incontrarono durante il loro cammino; 4° perchè a guisa delle lave incandescenti esercitarono un metamorfismo di contatto sulle roccie preesistenti; 5° perchè finalmente conten- gono i sali di soda, comuni ai fanghi e alle salse attuali. La formazione che vedemmo mostrarsi nelle rive di Tedia a Regnano, a ottanta metri sopra il vulcano attuale, e che si ap- palesa per vero fango, non potrebbe attribuirsi apparentemente alle attuali bocche dei vulcani di Regnano e Casola Querzuola, inferiori assai ai medesimi fanghi e per intensità degli effetti e per il livello. Ma riflettendo che i vulcani di fango continua- mente si abbassano per le continue perdite, e che tutto il ter- ritorio di Regnano e buona parte di quello di Casola, sono loca- lità eminentemente vulcaniche, non si avrà difficoltà ad ammettere che tali fanghi sieno il prodotto di quelle bocche, quando tro- vavansi a maggiore altezza ed avevano una più intensa attività. Questi fanghi sarebbero un che di mezzo tra i fanghi moderni delle salse e le argille scagliose, poiché hanno caratteri comuni a queste nei minerali che contengono, nelle roccie intruse, nel- l1 ondulata stratificazione. La differenza è solo nel processo chi- mico, che è più avanzato nelle argille scagliose. III. Nuove ricerche sui terreni terziarii del Vicentino , per Ed. Hébert e Munier-Chalmas.1 (Vedi Compte8 rendus, N° 21 e N° 24, 1878.) Dopo le nostre ultime pubblicazioni 2 sui terreni terziarii del Vicentino, quest’ interessante regione fu all’ estero 1’ oggetto di nuovi lavori, ed uno di noi vi potè fare, nel 1877, un soggiorno che ebbe per risultato un considerevole aumento di documenti d’ ogni genere. Noi fummo condotti a constatare i fatti che qui esporremo nel mentre completeremo quelli osservati nel nostro primo viaggio. 1 Vedi Bollettino , 1877, fase. 9 e 10, pag. 350. * Comptes rendus des Séances de l’Acadétnie des Sciences, tom. LXXXV, pag. 259 e 320. — 188 — I. Limite fra la creta ed il terreno terziario. — Gli strati terziarii i più antichi riposano in stratificazione che sembra concordante sulla creta (scaglia), in ciascun punto particolare. Questa parte superiore del terreno cretaceo è dovunque, in queste regioni, caratterizzato e dai numerosi letti di silice eh’ essa contiene e dai medesimi fossili, che sono Inocerami, grandi Holaster, appartenenti a più specie, V Holaster pillila , gV Infulaster, la grossa varietà di Ananchytes gibba che fu tro- vata a Tereis, e soprattutto la Stenonia tubercolosa ; è il livello della creta di Bidart (Bassi pirenei). Nel Veronese, come nel Vicentino e nei Sette Comuni, a Gallio presso Asiago, noi ab- biamo dappertutto constatata la medesima fauna, che non rap- presenta in alcun modo la fine dei depositi cretacei. Al contatto del calcare cretaceo e degli strati terziarii, la superficie del primo è erosa, soventi attraversata da fori di litofagi. I depositi terziarii che riposano immediatamente sopra, non son sempre i più bassi, vale a dire quelli di Monte Spilecco con BhyncJionella polymorpha. A Gallio, la base del terreno terziario è certamente più recente che V orizzonte di Monte Postale. Vi sono in questi fatti diverse prove incontestabili di una lacuna considerevole tra la fine del deposito della serie cretacea di questa regione ed il principio della serie terziaria. Se gli strati cretacei della scaglia non furon punto sotto- posti a grandi spostamenti od a dislocazioni prima che si for- masse il deposito del primo piano terziario, egli non è perciò meno stabilito che questi strati furono battuti dalle onde e cor- rosi prima di questo deposito ; che giunti a quel punto dessi avevano acquistata la compattezza che posseggono oggidì; eh’ essi furono allora perforati da litofagi e che in certe regioni, come nei Sette Comuni, dessi non furono ricoperti dalle acque marine ter- ziarie che molto tempo dopo la regione di Bolca e di Valdagno. B sistema cretaceo ed il sistema terziario non son dunque in concordanza assoluta ; vi è invece in realtà una vera discor- danza, ma la differenza d’ inclinazione è talmente piccola, che in ciascun punto particolare gli strati di due sistemi paiono pa- ralleli. A Monte Postale la superficie della creta presenta tuttavia — 189 — profondissime erosioni. La roccia fu corrosa irregolarmente fino ad una profondità di circa 10 metri, ed i suoi vani sono riem- piti dal tufo di Spilecco, assai più spesso là che altrove. In generale la scaglia si presenta in letti sottili ; ma, alla parte superiore, dessa termina con banchi a grana meno fina, contenendo molti frammenti di Inocerami e dei frantumi d ' Ho- laster. Questi banchi, d’ uno spessore medio di 3 metri, formano nei dirupi una cornice sporgente ; dessi mancano allorché la creta fu molto corrosa. Contrariamente a quanto si è detto soventi, sonvi nella sca- glia intercalazioni di basalti, che presentano le apparenze di strati frapposti, perfettamente come quelli che esistono nel mezzo dei piani terziarii. Queste intercalazioni si possono verificare in vari punti; così salendo da Crespadoro a Bolca per la stradicciuola che parte dal mulino, s’ incontra a breve distanza dalla vallata, un letto di basalto sensibilmente orizzontale, intercalato nella creta in con- cordanza perfetta ; un poco più in alto un’ intercalazione simile si fa vedere per più di 200 metri di lunghezza ; il letto di ba- salto ha lm50 a 2 metri di potenza. La creta è leggermente nel contatto modificata per uno spessore piccolissimo. Egli è evi- dente che questi non sono altro che filoni strati, che si vedono d’altronde, in altri luoghi, fendere la creta più o meno vertical- mente. Talvolta questi filoni strati sono semplici, talvolta dessi si ramificano, come si può scorgere presso a Yaldagno, nel burrone situato direttamente al disotto dei Bergamini del Fondo. Non è solamente nella creta che queste intrusioni basaltiche paiono intercalate regolarmente. La strada che da Pedescala sale all’ altipiano dei Sette Comuni attraversa una spessa massa di calcare giurassico compatto, che è tagliato da dicchi verticali od obliqui di tufi basaltici o di basalto decomposto. Al contatto di questi dicchi, il calcare disgregato lascia apparire dei fossili che la compattezza della roccia impedisce di esaminare. Or bene, si riscontra nei piani superiori un letto di Gervillia fi. Buchi), il cui guscio libero si stacca facilmente dal sottil letto che contiene questo fossile in abbondanza. Noi riconoscemmo che la roccia di questo letto presenta il medesimo fenomeno di disgregazione che le salbande dei dicchi. Non vi è dunque alcun dubbio, che — 190 - non vi siano nello stesso bel mezzo della serie giurassica, letti di tufi fossiliferi, risultanti da azioni termali, e la cui età non ha rapporti di sorta con 1’ epoca indicata dai fossili contenuti in questi tufi, nè con il posto occupato da questi letti nella serie stratigrafica. Noi possiamo subito aggiungere che queste emissioni, le quali hanno accompagnate e seguite le eruzioni basaltiche, agirono con ben più grande intensità sui calcari terziarii ; ma le circostanze furon perfettamente le stesse, come noi dimostreremo, e, in ogni caso, la formazione dei tufi in tutti i punti che noi abbiamo esa- minati è certamente posteriore ai calcari fra i quali dessi sono intercalati. Noi non potremmo dunque ammettere eruzioni ba- saltiche contemporanee ad alcuno dei piani terziarii del Vicen- tino, fino ed inclusivamente ai giacimenti di Castel Gomberto ed ai calcari con Clypeaster di Schio. IL Calcari con Nummuìites JBolcensis Mun.-Ch. e Rhyncho- nélla polymorpJia Mass, (orizzonte di Monte Spilecco). — Noi abbiamo già dato, nelle nostre prime comunicazioni notizie su questi strati relativamente ai dintorni di Bolca. Dessi sono sviluppatissimi in molti burroni all’ Est di Valdagno. Là per grandi distanze, si può osservare il contatto della creta e del tufo di Spilecco, che qui contiene dei banchi di calcare inter- calati, ed il cui spessore è da 8 a 10 metri ; soventi non è un vero tufo, ma sibbene un’ argilla screziata. Allorché il tufo o quest’ argilla sembra mancare, o che la creta, come nei dintorni di Verona è direttamente ricoperta dal calcare, la compattezza di questa roccia è soventi tale, che non è possibile estrarre qualche fossile, e per conseguenza di stu- diare la fauna e di riconoscere se questo calcare corrisponde o no al tufo di Spilecco. Le località più interessanti sono, indipendentemente dai bur- roni all’ Est di Valdagno : Contrà di Scola, tra Rovale e Monte di Malo, sul versante orientale; Bertoldi, al Nord di Crespa- doro ; Mussolino, al Sud-Est di San Pietro, poscia, presso Ve- stena Nuova, tra Pesoli e Monte Sivieri. Questo piano è variabilissimo nella sua natura mineralogica e nel suo spessore. A Monte Sivieri, per esempio, è composto - 191 — alla base eli oltre 15 metri di tufo, che sostengono un piano calcareo in sottili banchi a struttura compatta, dello spessore di 20 metri, contenente selci, somigliantissimo alla scaglia con la quale si potrebbe confondere se non contenesse Nummuliti e la Bhynchonella polymorfa. Del resto questi fossili vi sono rari, e bisogna guardare ben da presso per ritrovarli. Fino al presente, non si citarono dell’ orizzonte di Spilecco che un piccolo numero di fossili ; noi vi abbiamo osservate 38 spe- cie, delle quali ecco la lista: Specie. Lamna 2 Scalpellimi 1 Cypraea x Terebellum x Cerithium X Teredo 2 Cytherea X Lucina X Anomia X Ostrea 3 Terebratuìa Fumanensis, Men 1 » Bayaniana, Dav. . » 1 » n. X Waldeimia n. Terebratulina X Rhynchonella polymorpha, Mass 1 » Bolcensis, M.-Ch 1 Crania X Pyrina X Cyclaster oblongus, Dames 1 Cidaris spilecensis, Dames 1 Spileccia 1 X Bourgueticrinus Suessi, Heb. e M.-Cli 1 Tetracrinus X Pentacrinus X Pentagonaster X Nummulites Bolcensis, M.-Ch 1 » n. X Orbitoides 5 Operculina X 38 * Genere nuovo prossimo ai Coelopleurus. - 192 — Questa fauna è povera di molluschi, sia come specie, sia come individui, e gli esemplari, in piccolissimo numero, che noi pos- sediamo sono poco determinabili; ella è invece ricchissima in Brachiopodi, in Crinoidi, in Nummuliti ed in Orbitoidi, dei quali certi banchi sono letteralmente ripieni. Un’ altra osservazione a farsi è questa che noi non conosciamo fin qui niente di comune fra questa fauna e le altre faune ter- ziarie. È un insieme di specie affatto particolare. Il gruppo di strati che noi abbiamo ora esaminati si presenta soventi allo stato di tufi senza banchi calcari, ma soventi com- prende pure letti calcarei, talvolta continui per distanze piuttosto grandi, talvolta di poca estensione, e che in tal caso si trovano come immersi nel tufo. Un’ attenta osservazione ci ha condotti invariabilmente a considerare questi tufi, sempre prossimi a dicchi basaltici, non come strati sedimentari, deposti al principio del periodo terziario, ma come il prodotto di una disaggregazione in posto dei calcari compatti od argillosi in forza di agenti acquei venuti dall’ interno del suolo. Anche quando il tufo non contiene banchi calcarei, vi si trovan sempre noduli più o meno volumi- nosi, che non son altro che il residuo dei banchi disaggregati. Questa disaggregazione, distruggendo i gusci della maggior parte dei molluschi, lasciò infatti i Brachiopodi, gli Echinodermi, le Nummuliti, ec. La prevalenza di questo tufo nel contatto della creta e degli strati terziarii si spiega naturalmente con la grande permeabi- lità della superficie di contatto. Le acque termali trovaron là un passaggio naturale, ed agirono con più efficacia sulla base degli strati terziarii, la cui grana grossolana rendeva possibile una facile disaggregazione ; mentre che la scaglia a struttura più compatta, non ci lasciò mai scorgere strati di tufo. III. Strati con alveoline di Monte Valleco e di Monte Tostale. — Noi sostituiamo il nome di Monte Valleco a quello di Monte Bolca, perchè esso indica con maggior precisione la posizione degli strati di cui noi vogliam far cenno. La sovrapposizione immediata di questo sistema al precedente (quello di Monte Spilecco) può essere osservata a Mussolino ed a Monte Sivieri presso Bolca ; vi è concordanza fra i due sistemi, 193 — ma i banchi inferiori degli strati con alveoline hanno una strut- tura brecciata. I tagli, di una grande nettezza, non lasciano alcuna incertezza sulla disposizione relativa degli strati, A Monte Postale, gli strati con alveoline sono sviluppatissimi. Noi già ahbiam detto che questo sistema si suddivide natural- mente in due, cioè : III a. Strati di Yalleco ; III b. Calcare di Monte Postale. III. a. — Strati di Valleco. — Alla base, questi strati pre- sentano calcari ripieni di Nullipore e di piccole Nummuliti, e certi letti contengono numerosi Crostacei. Negli strati medii, le alveoline abbondano. Egli è nella parte superiore che si trovano gli strati con pesci (detti pesci di Bolca) e con vegetali, strati che sembrano locali, perchè non si ritrovan più nè a Monte Sivieri, nè a Mussolino. Ili b. — Calcare di Monte Postale. — La divisione supe- riore, di cui noi abbiam già descritti i principali caratteri, fornì nell’ ottobre scorso ad uno di noi, un’ abbondante raccolta di fos- sili mirabilmente conservati. Fra questi fossili noi faremo men- zione, oltre alle già citate specie, delle seguenti : Cerithium giganteum, Terebellum sopitum, Lucina gigantea, Corbis lamellosa, che si ritrovano nel calcare grossolano parigino, un grossissimo ovulo (0. Eantìceni, n. sp.), ed un certo numero di altre specie nuove. Nella parte media di questa serie sonvi letti ripieni di Or- bitoides complanata. Gli strati superiori sono salmastri ; dessi contengono Cirene, Ceriti in buon numero, Potamidi e Ciclostomi. In prossimità dei dicchi basaltici, il calcare è più friabile, più disaggregato, ed i fossili conservarono i loro gusci. In lonta- nanza da questi dicchi, la roccia, più compatta, non contiene che le impronte. IY. Calcari con Echinidi di Erusa-Ferri e Ligniti di Monte Pulii. — Le esplorazioni eseguite in ottobre 1877, da uno di noi, ci obbligano ad introdurre un nuovo sistema di strati nella serie descritta nelle nostre precedenti comunicazioni. Questo sistema sarà composto di due parti : V una inferiore, IV a, costituita dai calcari con Echinidi e con Nummuliti di Brusa-Ferri; l’altra — 194 — superiore, IV b, sviluppatissima, al Monte Pulii, presso Yalda- gno, e formata di strati generalmente salmastri, con ligniti in- tercalate. IV a. — Orizzonti di Brusa-Ferri. — I fossili caratteri- stici di questo orizzonte sono : Nummulites Bratti, d1 Arch. ; Ra- nina Marestiana, Koenig. Gli Ecliinidi vi son numerosi : Periaster, Scìiizaster, ec. ; le alveoline diventan rare e si riducono ad una sola specie. Nel mezzo dei banchi calcarei, si trovan letti con impronte di palmizi, ed è probabilmente là V orizzonte dei palmizi di Bolca (Monte Vegroni). Questo sistema è potentissimo presso Bolca, al colle di Battaglia. La sovrapposizione degli strati di Brusa-Ferri al calcare di Monte Postale, che non può essere osservato a Monte Postale, in causa di un dislocamento che separa queste due località sì vi- cine, si vede benissimo a Monte Sivieri ed a Mussolino. IV b. — Ligniti di Monte Bulli. — A Monte Pulii, gli strati con Nummulites Bratti son da principio ricoperti da strati con N. granulosa ; poi le Nummuliti spariscono a poco a poco, e si ve- dono ben presto strati con fossili d1 acqua salmastra alternarsi con letti marini ripieni di Ceriti e di Orbitoides complanata, e contener anche delle alveoline. Vi son pure, ma rarissimamente, dei sottili straterelli lacustri. Certi banchi schistosi son bituminosi e somministrano, con la distillazione, una quantità assai considerevole di petrolio ; vi son degli strati di ligniti i quali da gran tempo forman oggetto di una regolare lavorazione. Questo sistema racchiude qualcuna delle specie di Monte Postale, specialmente: Natica coepacea , Ornila Hantheni ; ma ciò che è più degno di nota, egli è che vi si riscontrano diverse specie proprie delle ligniti inferiori dell1 Ungheria ; citeremo fra le altre : Anomya dentata, Hantk. ; Pyrena Hantheni, Mun.-Ch. ; Natica cochlearis, Hantk. ; Cerithium pentagonatum. Noi possediamo di questo sistema una sufficentemente numerosa serie di specie, la maggior parte nuove. Noi non sapremmo dubitare del sincronismo di questo oriz- zonte con gli strati terziarii i più bassi dell1 Ungheria, vale a dire le ligniti con Cyrena grandis, gli strati con Cerithium Ba- — 195 — Jconicum e quelle con Nummulites subplanulata, perchè l’ oriz- zonte che viene in seguito, in Italia come in Ungheria, è quello che caratterizza così nettamente le tre specie di Nummuliti, sempre associate insieme in questo orizzonte : N. perforata, N. spira, N. complanata. Noi ne dobbiam conchiudere che la base del terreno terziario dell’ Italia manca in Ungheria. Dappoiché le ligniti inferiori dell’ Ungheria corrispondono così bene a quelle di Monte Pulii nel Vicentino, malgrado la gran distanza che separa queste contrade, vi è motivo a sperare che si ritroverà il medesimo orizzonte in punti intermedii. Del resto, i depositi lignitiferi sono accidentalità eminentemente locali, poiché in faccia a Monte Pulii, e separata solo dalla vallata del- F Agno, si trova una serie di alture, come i Bergamini di sopra, dove si può osservare la successione stessa che a Pulii, dalla Scaglia fino agli strati con Nummulites perforata ; con questa dif- ferenza però che il sistema salmastro di Pulii e le ligniti man- cano completamente. Questa poca continuità dei depositi d’ acqua salmastra e d’ acqua dolce è un fatto abbastanza generale ed af- fatto naturale. Finora le ligniti dei Pulii non erano ancor mai state clas- sificate geologicamente ; desse non avevan mai formato oggetto di un serio studio; le osservazioni che precedono permettono di fissarne la posizione in un modo preciso, e di far conoscere un nuovo orizzonte per l’Italia settentrionale, mentre forniscono nel tempo stesso un nuovo punto di raccordamento con la serie ter- ziaria dell’ Ungheria. - 196 — NOTE MINERALOGICHE. I. Le nuove specie minerali studiate e descritte nell’anno 1877, notizie raccolte da P. Zezi. (Vedi Bollettino 1877, N. 5 e 6, pag. 200.) Solfuri, Tellururi ed Arseniuri: Plumbomanganite; Youngite ; Co- loradoite; Krennerite; Arsenargentite. Cloruri, Bromuri e Joduri : Lawrencite ; Jodobromite. Ossidi: Eterolite. Silicati : Neocrisolito ; Cuspidina ; Homilite ; Aglaite ; Felspato bari- tico; Duportite; Hyalotekite; Ganomalite; Bowlingite; Yenerite ; Eukrasite ; Waldowyite. Columbati, Tantalati e Titanati : Yietinghoflte ; Hatchettolite ; Rogersite ; Sipilite ; Arrhenite : Disanalite. Fosfati: Strengite; Fosfati di ferro; Ludlamite; Uranocircite. Arseniati e Antimoniati : Ekdemite; Atopite. Borati ; Pandermite ; Franklandite. Solfati e Tellurati : Szmikite ; Sonomaite ; Magnolite ; Ferrotel- lurite. Carbonati: Sferocobaltite ; Bismutosferite ; Idrocerussite. Idrocarburi : Posepnyte. Plumbomanganite. — Questa nuova sostanza proviene da ignota località, e fu trovata dal signor J. B. Hannay nel Museo mine- ralogico dell’ università di Glasgow. Essa è un solfuro doppio di manganese e piombo, e trovasi annidata nelle piccole cavità di un gneiss. Il suo colore è un grigio d’ acciaio oscuro con una gradazione di bronzato quando sia stato esposto all’ aria per un certo, tempo. Presentasi in una massa confusamente cristallina nella quale non fu possibile riconoscere alcuna forma determinata. Peso spe- cifico 4,01. In contatto dell’ acido nitrico si ossida facilmente, ed è de- bolmente attaccato dall’ acido cloridrico diluito a caldo, come pure dall’ acido solforico. -- 197 — L1 analisi chimica diede la seguente composizione : * Manganese 49, 00 Piombo 30, 68 Solfo 20, 73 100, 41 da cui la formola 3Mn2S. PbS. Il minerale proviene probabilmente dai monti dell’ Harz. I oungite. Minerale affine al precedente e che trovasi nello stesso giacimento e sullo stesso esemplare nel Museo di Glasgow. E una sostanza di aspetto cristallino, molto più lucente della plumbomanganite, e che somiglia a solfuro di piombo ; possiede però la durezza dell’ oligisto. Peso specifico 3, 62. L’ analisi chimica eseguita da Hannay diede : 2 Zinco 40,07 Manganese 11, 13 Piombo 2o’92 Solfo 28, 85 I 100, 97 da cui la formola: 6ZnS. 2MnS. PbS. In altri esemplari dello stesso minerale si avrebbe la sosti- tuzione di una certa quantità di ferro a parte del manganese ; infatti dall’ analisi chimica risultarono i numeri seguenti : Zinco 38, 46 37, 92 37, 75 Manganese ... 6, 93 6, 77 7, 00 Ferro 2, 83 2, 80 3, 14 Piombo 24, 22 24, 58 22, 18 Solfo 27,50 26,93 28,99 99,94 99,00 99,06 da cui si avrebbe la formola: 24ZnS. 5PbS. 5MnS. 2FeS. Per le due varietà può servire quindi la formola generale 2ZnS. R2S, dove R indica un radicale monoatomico. Il nome dato a questo minerale viene da quello del direttore del Museo universitario di Glasgow. Coloradoite. — Nuovo tellururo di mercurio scoperto nelle mi- niere di Keystone e di Mountain Lion (Colorado) insieme con tellurio nativo e quarzo, e nella miniera di Smuggler (idem) mescolato con oro nativo, tellurio e tellurite. 1 Vedi The Mineralogical Mag., 1877, N. 5, pag. 151. a Ibidem. - 198 - Questo minerale non è cristalizzato e non presenta alcun cli- vaggio; ha struttura massiccia e talora granulare. Qualche volta offre una struttura imperfettamente colonnare, come nella se- conda delle località indicate. La durezza è 3 all’ incirca, e il peso specifico 8,627. Ha colore nero di ferro, tendente al grigio con un leggerissimo riflesso porporino ; talvolta variegato di azzurro, porporino e verde ; ha lucentezza metallica, ma la superficie è leggermente appannata. La frattura è disuguale e tendente alla subconcoidale. Esposto all’ azione del cannello decrepita debolmente, fonde e dà mercurio metallico in gran copia. Riscaldato sopra il car- bone colora la fiamma in verdastro e dà un sublimato bianco. È solubile nell’ acido nitrico a caldo con separazione di acido tellurico. Le molte analisi chimiche eseguite dal Genth a Filadelfia sopra campioni di località diverse, conducono in media alla for- inola HgTe, la quale esprime la seguente composizione:1 Mercurio = 60, 98 Tellurio ■= 39, 02 100, 00 I campioni analizzati erano tutti più o meno impuri, e riuscì impossibile il separare intieramente i minerali associati. Krennerite. — Sino dal settembre 1875 il professor vom Rath trovandosi in Nagyag (Carpazii) potè procurarsi, oltre a molti pezzi con Silvanite e con Petzite, anche un frammento di filone nel quale, insieme con quarzo e pirite compatta, riscontravansi dei piccoli cristalli prismatici, grossi da 1/2 sino a 2 millimetri, di un colore bianco quasi argentino. Questo minerale che in Nagyag era creduto Silvanite, venne allora, dopo più accurate osservazioni, riconosciuto come affatto nuovo. I piccoli prismi presentano delle striature verticali, le quali, di solito, cessano contro la faccia basale dominante che è paral- lela ad un piano di perfetta sfaldatura. Dall’ esame degli angoli fatto dal vom Rath, risulta che il sistema cristallino è il rombico. 1 Vedi Contributions from thè Laboratory of thè University of Pennsylva- nia. XI. - 199 — Mentre lo stesso professore attendeva all’ esame dei cristalli, in attesa di ricevere altro materiale da Nagyag per intrapren- derne V analisi chimica, il dottor Krenner pubblicava una nota sopra un nuovo minerale di tellurio, da esso denominato JBun- senite. 1 Bentosto si riconobbe che trattavasi dello stesso minerale o di altro con esso isomorfo, essendo quasi identici gli angoli fondamentali misurati dai due autori ; di più 1’ ultimo era stato riconosciuto dal professor Wartha con analisi qualitativa come una combinazione di oro e tellurio. Non avendone in quantità sufficiente per una analisi quantitativa, il vom Bath 2 la fece sem- plicemente qualitativa, e trovò che quei cristalli erano composti di tellurio e di oro, con una piccola quantità di argento e traccio di rame. Siccome già esiste un minerale di nichelio che nel 1858 ri- cevette da Bergemann il nome di Bunsenite, così il vom Rath credette opportuno di dare altro nome alla nuova specie, deno- minandola Krennerite. La Krennerite per la sua natura chimica è molto affine alla Calaverite trovata da Genth nel 1868 nella miniera Stanislaus (Contea di Calaveras, California), rappresentata dalla formola AuTe4 : anche questo minerale è frequentemente associato con la Petzite o tellururo di oro argentifero. Arsenargentite. — Nuovo arseniuro d’ argento d’ ignota loca- lità riconosciuta dal signor J. B. Hannay nel Museo mineralo- gico delPUniversità di Glasgow (Inghilterra). Presentasi in cristallini di forma trimetrica disseminati entro una massa di arsenico metallico e composti unicamente di ar- senico e di argento, a differenza degli arseniuri di argento finora conosciuti che contengono sempre altri metalli, e specialmente antimonio e piombo. Peso specifico 8, 825. L’ arsenico nativo che contiene il nuovo minerale offre al- T esterno un colore grigio scuro, ma nei tagli freschi è bianco quasi d’ argento. Esso porta aderenti dei cristalli di quarzo di un bel colore roseo, e sotto di essi P arsenico non è per niente ossidato. * Vedi Termeszetrajzi Fùzetek etc., Pest, 1877, I, pag. 56. s Vedi Monatsb. der k. Ak. zu Berlin , mai 1877.— Vedi Groth, Zeitschrift fur Kryst. etc., 1877, pag. 614. — 200 — I cristallini di arsenargentite possono essere separati con una certa facilità dall’arsenico, e la loro analisi diede:1 Argento. Arsenico 81, 37 18, 43 Lawrencite. — Il professore Daubrée ha dato questo nome al protocloruro di ferro la cui presenza è stata da esso riconosciuta nel ferro meteorico di Groenlandia. Esso era stato già prima se- parato dal dottor J. Lawrence Smith dal ferro meteorico del Tennessee, e il nome gli fu dato in suo onore.2 Jodobromite. — Minerale d’ argento scoperto a Dernbach presso Montabaur nel Nassau e studiato da Lasaulx. Esso si trova entro le piccole cavità di una quarzite ferri- fera, che forma la ganga di un giacimento limonitico, insieme con Beudantite, Carminite e altro minerale in piccole piramidi esagonali, probabilmente Greenokite. Si presenta talora in bei cristalli isolati ottaedrici regolari, della grossezza di 1 a 2 mil- limetri, con clivaggio ottaedrico bene distinto. Alcuni cristalli presentano la combinazione perfetta del cubottaedro, talvolta con prevalenza dell’ ottaedro. Rimarcasi poi che le faccie del cubo sono liscie e dotate di splendore adamantino, mentre quelle del- 1’ ottaedro sono alquanto irregolari. Il colore è giallo di solfo e nei cristalli isolati tende al verdastro. Peso specifico 5,713. Riscaldato nel tubo chiuso con bisolfato di potassa, fonde ed acquista un colore rosso intenso che per raffreddamento passa all’aranciato e quindi al colore primitivo; sottoposto all’azione dell’ acido solforico in presenza dello zinco si fa nero ; al can- nello sviluppa vapori di bromo e si ottiene per residuo un gra- nello di argento : dà inoltre le reazioni del jodio.3 1 Vedi The Minerai. Mag., 1877, N. 5, pag. 150. 2 Vedi Comptes rendus, janv. 1877. 3 Vedi Neues Jahrbuch fur Mineralogie, 1877, pag. 616. — 201 - L’ analisi chimica diede : 1 Argento 59, 96 Jodio 15,05 Bromo 17,30 Cloro 7, 09 quindi la forinola : 99,40 2 Ag (Cl, Br)-f-Ag J. Questo minerale offre il primo esempio naturale di cristal- lizzazione contemporanea dei tre elementi aloidi, il che po- trebbe interessare per lo studio del dimorfismo del joduro di argento. Eterolite. — Questa nuova specie si trova associata con cal- cofanite entro una limonite ocracea nella miniera di zinco di Passaic (Sterling Hill) nel New Jersey (America). Essa si presenta sotto forma di rivestimenti botrioidali con struttura radiata colonnare, solitamente ricoperti da un leggiero velo di calcofanite. La sua durezza è 5, il peso specifico 4,933 ; è fragile. Colore nero con lucentezza quasi metallica, opaco; polvere nero-brunastra. Esposto all’ azione del cannello non manifesta cambiamento alcuno : nel tubo chiuso sviluppa una certa quantità di acqua. Coi fondenti offre le reazioni del manganese e dello zinco. L’ analisi chimica, fatta da G. E. Moore a Jersey City, conduce alla formula :1 2 ZnO, MnO, Mn02 ovvero ZnO, Mn203 la quale prova la nuova specie non essere altro che una Hauss- mannite zincifera. Per la sua costante associazione colla calcofanite e per P in- tima relazione genetica che a questa lo unisce, il nuovo mine- 1 Vedi Sitzungsb. der Niederrh. Gesell. in Bonn , juli 1877. — Vedi G-roth, Zeitsch. fùr Kryst. und Min., 1877, pag. 506. 2 Vedi American Journal, voi. 14, 1877, pag. 423. 14 - 202 — rale ricevette il nome di Eterolite, che forse sarebbe meglio mutato in quello di Etairite. Neocrisolito. — Nuovo minerale vesuviano studiato dallo Scac- chi e presentato all’ Accademia delle Scienze in Napoli nell’adu- nanza del 14 ottobre 1876. Esso si presenta in minuti cristallini che accompagnano l’or- tose e la sodalite nelle lave vesuviane del 1631, in forma di la- mine oblunghe aderenti alle cavità della lava. Questi cristalli sono neri, talvolta iridati, con splendore semimetallico, ed of- frono i medesimi caratteri cristallografici del peridoto. La poca quantità di materia disponibile non ha ancora permesso di farne una accurata analisi chimica, però da alcuni assaggi sommarii si riconobbe la presenza di una notevole quantità di protossido di ferro con manganese ; per ciò lo Scacchi lo ritiene una va- rietà di peridoto in cui buona parte della magnesia sia stata sostituita dai due ossidi di ferro e di manganese. Il nome proposto accenna alle affinità col crisolito.1 Cuspidina. — Altro minerale rarissimo del Vesuvio che da più anni si conserva nel Museo di Napoli. Esso si presenta in cri- stallini di apparenza trimetrica, ma per alcune particolarità os- servate dallo Scacchi non è improbabile che essi sieno invece monoclini. Hanno colore roseo chiaro ; durezza di poco inferiore a 6, e peso specifico da 2,853 a 2,860. Al cannello fonde con difficoltà in un vetro bolloso : si scio- glie negli acidi diluiti, e nell’ acido acetico lascia un residuo di fluoruro di calcio. Una prima analisi sommaria lo fece ricono- scere composto di silice e calce, con una certa quantità di fluoro e d’ acido carbonico (prodotto di alterazione). La formola chimica probabile sarebbe : 2 CaO, Si02 nella quale circa un terzo della calce sarebbe sostituito dal fluoruro di calcio.2 1 Vedi Rendiconto R. Accademia di Napoli. 2 Ibidem. - 203 — Il nome dato si riferisce alla forma dei cristalli, simili ad una punta di lancia. Homilite. — Nuovo minerale descritto dal signor S. R. Paij-‘ kull come proveniente dall’ isola di Stockòe presso Brevig in Norvegia, ed accompagnato da Erdmannite e da Melanofane. Esso è di colore nero o nero-brunastro dotato di lucentezza ceroide o vitrea, e, nelle scaglie sottili, debolmente trasparente. Durezza da 5 a 6 ; peso specifico 3,28. Fonde con maggiore fa- cilità della natrolite in un vetro nero ; col borace dà la reazione del ferro, col sale di fosforo quella della silice, coll’ acido sol- forico e 1’ alcool quella dell’ acido borico. Trattato con V acido cloridrico si scompone facilmente e completamente. L’ analisi fatta da Paijkull diede : 1 Silice 31, 875 Ossidulo di ferro 16, 250 Sesquiossido di ferro 2, 145 Allumina 1, 500 Calce 27, 275 Magnesia 0, 520 Soda 1, 090 Potassa 0, 410 Perdita al fuoco 0,410 Acido borico 18, 085 99, 560 da cui, trascurando i sesquiossidi, si avrebbe la formola : 3 (CaO, FeO) . 2 Si02 . Bo03 I caratteri cristallografici, studiati da A. E. Nordenskiòld, indicano il sistema rombico o forse il monoclino, essendoché la inclinazione dell’asse principale sulla clinodiagonale misura 90° circa. Questo minerale si avvicina moltissimo alla Datolite, sia per composizione chimica che per caratteri cristallografici. Più tardi i signori Des Cloizeaux e Damour hanno preso in esame lo stesso minerale : il primo vi riconobbe il sistema mo- noclino con una certa analogia di forme con la gadolinite I 1 Vedi Geol. Foer. i Stockholm Foerh, B. Ili, N. 7. — 204 — e la datolite, ed il secondo vi riscontrò la composizione se guente : 1 Silice 33, 00 Ossido di ferro 18, 18 Ossido di manganese 0, 74 Sesquiossido di Ce, La e Di . . 2, 56 Calce 27, 00 Soda 1,01 Acqua 2, 30 Acido borico 15,21 100, 00 Lo stesso Damour avrebbe trovato una durezza da 4 a 5 ed un peso specifico di 3, 34. Aglaite. — Nuova specie che offre molti rapporti con la Pi- lite e la Cimatolite, e al pari di questi dotato di viva lu- centezza. Essa fu studiata dal signor A. A. Julien di Nuova York, il quale ne presenta V analisi seguente : 2 Silice . 58, 11 Allumina * . . 24, 38 Ossido di ferro 1,66 Ossido di manganese 0, 18 Magnesia 0, 75 Calce 0, 48 Litina 0,09 Soda 2, 57 Potassa. 8, 38 Acqua 3, 01 99,61 da cui la forinola empirica 8 (KO, NaO, H20), 3 A1203, 12 Si 02 Il nome dato a questo minerale si riferisce alla viva sua lucentezza. Felspato di Barite. — Nuova specie del gruppo dei felspati scoperta dal Des Cloizeaux in mezzo ad alcuni minerali senza indicazione di località : esso è incoloro, limpido come V acqua o solo trasparente, e presenta una certa analogia con la bella va- 1 Vedi Ann. de Chìm. et de Phys ., XII, 1877. 2 Vedi The Engin. and Min. Journal, voi. 22, pag. 217. — 205 — rietà di albite di San Vincenzo nella Stiria; però l’angolo di 86° e 37' delle due principali direzioni di sfaldatura si avvicina d’ assai a quello della labradorite, mentre tutte le proprietà ottiche dipendenti dalla doppia refrazione sono prossime nello stesso tempo a quelle dell’ albite ed a quelle dell’ oligoclasio. Questo felspato ha un peso specifico di 2,385. L’ analisi chimica fatta da Pisani diede : 1 Silice 55, 10 Allumina 23, 20 Sesquiossido di ferro 0, 45 Barite 7, 30 Calce 1, 83 Magnesia 0, 56 Soda. . *. 7, 45 Potassa 0, 83 Perdita al fuoco 3, 72 100, 44 Il rapporto fra il protossido, il sesquiossido e V acido è 1:3:8. Dai risultati dell’ analisi chimica questa nuova specie di pla- gioclasio potrebbe essere definita una labradorite baritica nello stesso modo che il Jalofane è un ortose baritico. Duportite. — Minerale asbestiforme proveniente da Duporth presso St. Austell nella Cornovaglia. Esso si presenta in masse fibrose incastrate entro le fessure di una serpentina, e formanti delle vene di piccola profondità : le fibre sono disposte in senso trasversale alle vene, e fanno gene- ralmente un angolo di 70° con la direzione di queste, il che prova che la cristallizzazione ne è probabilmente obliqua. Il mi- nerale è di colore verdastro o grigio bruno, con lucentezza se- ricea ; durezza circa 2 e peso specifico 2, 78. Le fibre sottili sono flessibili come quelle dell’ asbesto. Biscaldato nel tubo chiuso emette una piccola quantità di acqua e diviene di colore più chiaro; esposte nella parte più calda della fiamma del cannello, le fibre sottili fondono in un vetro oscuro. Lo spettroscopio mostra distintamente le linee del 1 Vedi Tschermak, Miner. Mitth., 1877, pag. 100. - 206 - sodio e del calcio, e nessuna traccia di potassio o di litio. È in- solubile nell’ acido cloridrico. L’ analisi fatta dal signor J. H. Collins diede :* 1 Silice 49, 21 Allumina 27, 26 Protossido di ferro 6, 20 Magnesia 11, 14 Calce 0, 39 Soda 0, 49 Acqua 3, 90 Perdita sotto i 100° 0, 68 99, 27 da cui la forinola approssimativa: 3 (AIA, Si02) 4- 5 (|Mg, A-Fe, ±H)2 0, Si02. Questo minerale ha qualche rassomiglianza col Crisotilo, colla Antofillite ed anche con la Orneblenda fibrosa, ma differisce da essi per la composizione chimica. Esso è inoltre affine alla Neo- lite, ma ne differisce pel tenore in magnesia ed allumina. Hyalotekite. — Nuovo silicato scoperto a Laangban nella Sve- zia e studiato da Nordenskibld. Si presenta in masse grossolanamente cristalline con due piani di sfaldatura formanti fra di loro un angolo retto o prossimo al retto. Durezza di poco superiore al 5, peso specifico 3,81. È di colore bianco tendente al grigio di perla, semitrasparente, con lucentezza tra la vitrea e la grassa ; fragile. Al cannello fonde facilmente in una perla incolora, la quale nella fiamma di riduzione si fa all’ esterno nera per piombo ri- dotto. Con la soda dà una perla chiara, e col sale di fosforo uno scheletro siliceo. Fuso con la soda sopra il carbone si ha un granulo di piombo ed una aureola gialla. Insolubile nell’ acido cloridrico e nel solforico. Da una analisi incompleta si ebbe : 2 Silice 39, 62 Ossido di piombo 25, 30 Barite 20, 66 Calce 7, 00 Perdita al fuoco 0, 82 Allumina, potassa, ec 1 Vedi Mineralocj. Magaz., 1877, pag. 226. 1 Vedi Geolog. Foer. i Stockholm Foerh., B. Ili, N. 12. - 207 — Questo minerale assomiglia moltissimo ad un felspato bianco- grigiastro, e trovasi insieme con Hedyfane e con Schefferite. Il nome proposto esprime la sua facile fusibilità in un vetro . Gcinomalite. — Altro silicato di piombo trovato nella stessa località del precedente. Esso si trova in masse compatte insieme con la Tefroite, ed è talmente identico a questa nell’ aspetto che in molti casi riesce facilissimo il confonderli. È incoloro o tendente al bianco gri- giastro, con forte lucentezza grassa, e trasparente. Durezza 4 e peso specifico 4, 98. Ha frattura per lo più indistinta, e presenta il fenomeno della doppia refrazione. Al cannello fonde in una perla chiara, la quale nella fiamma riducente si fa nera alla superficie. Con la soda sul carbone da un globulo di piombo ed una aureola gialla. Nell’ acido nitrico si scompone facilmente con separazione di silice gelatinosa e senza sviluppo d’ acido carbonico. Una analisi completa fatta da G. Lindstrom diede la seguente composizione: 1 Silice 34, 55 Ossido di piombo 34, 89 Ossidulo di manganese 20, 01 Calce 4, 89 Magnesia 3, 68 Alcali e perdita 1,86 99, 88 Il nome proposto si riferisce alla lucentezza caratteristica di questo minerale. Boivlingite. — Minerale trovato in Scozia nelle vicinanze di Bowling, sulle rive del Clyde, tre miglia ad oriente di Dum- barton. Il suo giacimento è in una dolerite basaltica che forma la collina di Dun. Esso ha P aspetto di steatite e si mostra in sottili strisce attraversanti la massa della roccia. Fu trovato altresì nelle colline di Cuthbin presso Glasgow. Ha colorazione verde scura, semitrasparente, con lucentezza madreperlacea e striatura colore verde chiaro ; ha poca durezza e peso specifico da 2, 28 a 2, 29. 1 Vedi Geologiska Foer. i Stockholm Foerh., B. Ili, N. 12. - 208 — Riscaldato nel tubo chiuso sviluppa una grande quantità di acqua e si scioglie negli acidi con facilità, in specie nel clori- drico e nel solforico, con residuo di silice gelatinosa. La media di più analisi fatte da Hannay sopra due esemplari di Bowling ed altrettanti di Cuthbin diede : 1 Silice 35, 22 Allumina 16, 54 Sesquiossido di ferro 4, 41 Protossido di ferro 6, 94 Magnesia 10, 98 Carbonato di calce . . 4, 98 Acqua 21,01 100, 08 da cui la forinola generale 12Si02, 6MgO, 3 A1203, 2FeO, FeA, Ca C03, 20HA Facendo astrazione dal carbonato calcareo che può ritenersi come impurità, si avrebbe la formola empirica 3 Si02 (2 RO, R203) 5 HA Venerite. — Nuovo minerale di rame trovato in una miniera presso Springfield nella Contea di Berks (Pensilvania), nella quale località da lungo tempo conoscevasi un grosso giacimento di ferro magnetico contenente più o meno della calcopirite, della mala- chite e della crisocolla. In una parte di questo giacimento, più delle altre ricca in minerali cupriferi, venne scoperto il nuovo minerale sotto forma di una massa terrosa di colore bianco-verdognolo che sotto le dita cade immediatamente in polvere; esaminata questa al mi- croscopio vi si riconoscono delle sottili e trasparenti lamelle, me- scolate con granelli di quarzo e con poca magnetite. Separate le lamelle per mezzo di lavature successive dagli elementi più grossolani, V analisi delle medesime fatta da G. W. Hawes a New Haven diede i risultati seguenti : 2 1 Vedi Mineralog. Magatine, 1877, 5, pag. 155. 2 Vedi Sterry Hunt, A new ore of copper and its metallurgy, Philadel- phia, 1876. - 209 - Silice 30, 73 Allumina 14, 67 Sesquiossido di ferro 5, 35 Protossido di ferro 0, 29 Magnesia 18, 55 Ossido di rame 17, 58 Acqua 12, 83 100, 00 Il rapporto fra RO, R203, Si02 ed H20 è 3 ; 4 : 6 ! 4 quindi la sostanza apparterrebbe al gruppo delle cloriti. JEkkrasite. — Nuovo minerale trovato in una delle piccole isole del fjord di Brevig nella Svezia e studiato da S. R* Paijkull. Questa specie è di colore bruno nerastro, con polvere bruna : durezza di poco inferiore a 5 e peso specifico di 4,39. Frattura disuguale. Cristallizza probabilmente nel sistema rombico. Al cannello fonde sugli spigoli e si fa di colore alquanto più chiaro. La perla col borace è gialla nella fiamma ossidante e violacea nella riducente ; col sale di fosforo si ha uno scheletro siliceo. Nell’ acido cloridrico si scompone parzialmente con svi- luppo di cloro; nel solforico la scomposizione è completa. L1 analisi chimica diede : 1 Acido silicico 16, 20 Acido titanico 1, 27 Biossido di stagno 1,15 Zirconia 0, 60 Biossido di manganese 2, 34 Biossido di torio 35, 96 Biossido di cerio 5, 48 Sesquiossido di cerio 6, 13 Sesquiossidi di lantanio e didimio 2, 42 Sesquiossido di ittrio 4, 33 Sesquiossido di erbio 1, 62 Sesquiossido di ferro 4, 25 Allumina 1, 77 Calce 4, 00 Magnesia 0, 95 Potassa 0, 11 Soda 2, 48 Perdita al fuoco 9, 15 100, 21 1 Vedi Geolog. Foer. i Stockholm Foerh., B. Ili, N. 12. - 210 — Questa assai complessa composizione può esprimersi con la seguente forinola generale : (4R02 4- |R203 4- 4^0) Si02 4- 2H20. È probabile che la Eukrasite corrisponda con quel minerale che fu detto Policrasite da Scheerer e Breithaupt, Torite da al- tri, e che Moller dichiarò identico alla Polimignite. Waldowyite. — Nome dato da Kokscharow ad un minerale proveniente dai Monti. Urali e da esso giudicato per nuovo. È un silicato alluminoso-magnesifero idrato con composizione chimica identica a quella della Xantofillite : cristallizza pure nello stesso sistema ortorombico di quest’ ultima, ma presenta delle forme affatto diverse e che si avvicinano al tipo monoclino.1 Vietinghofite. — Nome dato da Kokscharow ad una varietà assai ferrifera di Samarskite trovata nei dintorni del lago Baikal (Siberia). È un minerale amorfo, di colore nero intenso con lucentezza quasi metallica ed opaco ; ha frattura vetrosa e polvere bruna. Durezza di poco inferiore a 6, peso specifico 5, 53. L’ analisi chimica fattane da Damour diede : 2 Acido columbico 51,00 Zirconia . . 0,96 Acido titanico 1, 84 Ittria 6,57 Ossidi di cerio, lantanio e didimio 1, 57 Sesquiossido d’uranio 8,85 Protossido di ferro 23, 00 Protossido di manganese ..... 2, 67 Magnesia 0, 83 Acqua 1, 80 99, 09 Hatchettolite. — Nuovo columbato proveniente da Marion nella Contea di Mitchell (Carolina del Nord; Stati Uniti) dove tro- vasi insieme con Samarskite, Euxenite e Colombite. 1 Vedi Zeitschr. der deut. geolog. Gesell., B. XXIV, 1878, pag. 638. 2 Vedi Bull, de l’Acad. Imp. des Sciences de S. Pétersbourg , tome X, février 1877. — 211 - Si presenta in cristalli ettaedrici aventi ancora le faccie del cubo, più quelle di un icositetraedro ; mancano di sfaldatura. Il colore ne è bruno giallastro con riflessi grigi e lucentezza re- sinosa: durezza circa 5, peso specifico da 4,78 a 4,85; frat- tura subconcoidale. Al cannello si comporta in modo analogo al pirocloro ; al calor rosso diventa di un giallo verdastro opaco. I cristalli ottaedrici furono trovati entro un felspato disgre- gato e furono dapprima esaminati da E. S. Dana e riferiti prov- visoriamente al Pirocloro e poscia alla Microlite.1 Riesaminati in seguito dal prof. J. L. Smith, questi vi riconobbe una nuova specie che denominò Hatchettolite in onore del chimico inglese Hatchett scopritore del columbio. Il carattere della densità lo distingue nettamente e dal Pirocloro e dalla Microlite, avendosi per il primo un peso specifico di 4, 25 e per la seconda di 5, 48. Lo stesso Smith fece tre analisi del minerale, le quali die- dero i resultati seguenti : 2 Acido columbico 66, 01 67, 86 67, 25 Acidi tungstico e stannico. 0, 75 0, 60 o, 91 Ossido d1 uranio 15, 20 15, 63 16, 01 Calce 7, 72 7, 09 7, 11 Ossidi di ittrio e di cerio 2, 00 0, 86 o, 64 Protossido di ferro. . . . 2, 08 2, 51 2, 12 Potassa 0, 50 1, 21 non det. Perdita al fuoco 5, 16 4, 42 5, 02 99, 42 100, 18 99, 06 Dalle analisi si vede come la differenza specifica fra que- sto minerale e il Pirocloro sta in ciò che nel primo la base pre- dominante è P ossido di uranio, mentre il secondo ne è affatto privo ovvero ne contiene semplici traccie. Poco dopo lo stesso minerale, proveniente ancora dalla Contea di Mitchell, fu ripreso in esame dal prof. Alien, il quale trovò una densità variabile da 4,76 a 4,90 secondo i frammenti pe- sati, e la composizione chimica seguente : 3 * Vedi American Journal , 1876, voi. 11, pag. 204. * Vedi American Journal. 1877, voi. 13, pag. 366. 8 Vedi American Journal , 1877, voi. 14, pag. 128. — 212 - Acido tantalico . 29, 83 Acido columbico . 34, 25 Acido titanico . 1, 61 Acidi tungstico e stannico . . . . 0, 30 Ossido d’ uranio Calce . 8, 87 Protossido di ferro . 2, 19 Magnesia . 0, 15 Potassa . traccie Soda . 1, 37 Perdita al fuoco . 4, 49 98, 56 I risultati delle due analisi concordano con molta appros- simazione, e solo va osservato che nella prima non fu fatta la separazione dell’ acido tantalico e del titanico dall’ acido co- lumbio. II prof. Alien conchiude coll’ esporre l’idea che la Hatchet- tolite possa risultare dall’ alterazione di un minerale avente la stessa composizione chimica essenziale, come pure la sua forma cristallina, quale ad esempio, il Pirocloro ; alterazione che in que- sto caso consisterebbe nella idratazione e nella scomparsa dei fluoruri alcalini. Bogersite. — Altro columbato trovato nello stesso giacimento del precedente e del pari studiato dal prof. Smith. Esso presentasi sotto forma di una crosta bianca che ricopre la Samarskite e più di frequente la Euxenite, e che esaminata colla lente presenta una struttura mammillare. La sua durezza sta fra il 3° e il 4° grado ; il peso specifico è di 3, 313. Un’ analisi fatta su piccola quantità di materia diede : 1 Acqua 17, 41 Acido columbico 18, 10 Ossido di ittrio (ed altre basi) . 60, 12 Questa analisi, che però va considerata come semplicemente approssimativa, dimostra già trattarsi di un minerale interessante essendo esso il primo columbato che si riconosca tanto ricco in acqua. Esso risulta evidentemente dalla decomposizione della Sa- marskite o della Euxenite od anche di ambedue. Il nuovo minerale fu così denominato in onore dell’ illustre geologo americano Rogers. 1 Vedi American Journal , 1877, voi. 13, pag. 367. — 213 — Sipilite. — Nuovo columbato, scoperto insieme con allanite e magnetite, entro un filone di felspato decomposto che si trova nel gneis del Monte Friar, contea di Amherst (Virginia). Esso è molto raro e si presenta talora in frammenti cristallini sopra 1’ allanite o la magnetite, non mostrando che faccie incomplete ; due di esse hanno dato V angolo di 55°, di solito però è in masse affatto irregolari. Ha frattura concoidale ; durezza come 6, peso specifico da 4, 887 a 4, 892 : è fragile. Il colore ne è nero-bru- nastro e bruno-rossiccio sui bordi sottili ; la polvere è colore cannella-chiaro: possiede una debole lucentezza metallica. Esposto alla fiamma del cannello decrepita, ma anche ad ele- vatissima temperatura non dà indizio di fusione. Trattato con acido solforico concentrato e caldo si scompone. L’ analisi fatta da W. G. Brown sotto la direzione di Mallet, a cui devesi la scoperta del minerale, diede : 1 Acidi columbico e tantalico ... 48, 66 Acido tungstico 0, 16 Acido stannico 0, 08 Zirconia 2, 09 Ossidi di erbio ed ittrio .... 27, 94 Ossido di cerio 1, 37 Ossido di lantanio 3, 92 Ossido di didimio 4, 06 Ossidulo di uranio 3, 47 Ossidulo di ferro 2, 04 Glucina 0, 62 Magnesia 0, 05 Calce 2, 61 Soda 0, 16 Potassa 0, 06 Acqua 3, 19 da ciò la forinola empirica : 100, 48 R3 Cb2 08 Per P aspetto esterno questo minerale ricorda la fergusonite di Groenlandia e la Euxenite di Arendal. Arrhenite. — Nuovo tantalato rinvenuto a Itterby nella Svezia e studiato da Nordenskiòld : trovasi insieme con Gadolinite ed Vedi American Journal ; 1877, voi. 14, pag. 397. — 214 - Ittrotantalite, ed assomiglia ad una varietà di quest’ ultima con colore rossastro. Il suo peso specifico è di 3, 68. L’ analisi fatta da Engstròm, diede i resultati seguenti : 1 Acido tantalico . . . 21, 28 Acido columbico. . . 2, 57 Silice 17, 65 Zirconia 3, 42 Allumina 3, 88 Sesquiossido di ferro 1, 87 Ossidi di cerio, lantanio e didimio 2, 59 Ossido di ittrio . . . 22,06 Ossido di erbio . . . 11,10 Calce 5,22 Glucina 0, 74 Acqua 6, 87 99, 25 Disanalite. — Minerale affine alla piroclorite, ritenuto finora come Perowskite, e proveniente da Yogtsburg nel Kaiserstuhl, dove si trova entro un calcare gnor A. Knop di Karlsruhe. granulare. Fu studiato dal si- Esso si presenta in forma di piccoli cubi color nero di ferro con tre distinti piani di clivaggio; peso specifico 4,13. Una analisi erane stata fatta sino dal 1856, e questa diede: Acido titanico . . . . ...... 58, 95 Calce Protossido di ferro. . 6; 23 100, 87 Nel dubbio però che insieme con acido titanico si trovasse anche dell’ acido columbico, Knop riprese in esame quel mine- rale e ne ebbe la seguente composizione : 2 Acido titanico 41,47 Acido columbico 23, 23 Ossido di cerio 5, 72 Calce 19,77 Protossido di ferro 5,81 Protossido di manganese 0, 43 Soda 3,57 100, 00 1 Vedi Akademisch Afhandling. Upsal, 1877. 8 Vedi Groth, Zeitsch. fur Kryst. und Min., 1877, pag. 284. — 215 — Siffatta analisi conduce alla forinola 6RTi03, RCb206 secondo la quale il minerale esaminato si avvicinerebbe alla pi- roclorite. Il nome dato alla nuova specie si riferisce alle difficoltà del- F analisi chimica. Nello stesso giacimento fu trovata la Koppite, la quale in- sieme con la piroclorite e la disanalite forma un gruppo bene unito per analogie di composizione chimica e di forma cri- stallina. Strengite. — Minerale molto affine alla Scorodite, trovato in- sieme con Cacoxeno sopra un blocco isolato di limonite e psi- lomelano e proveniente dagli scisti silicei in vicinanza del grande giacimento limonitico esistente ai piedi del Diinsberg presso Giessen (Germania) e precisamente dalla miniera Eleonora. Esso presentasi in piccoli aggregati, 0 meglio incrostazioni sferoidali, a struttura radiata con superficie irregolare, di rado in cristalli isolati. Ha lucentezza vitrea, colore variabile dal rosso cher- misino come il carbonato di manganese, sin quasi al bianco, ed è semitrasparente ; i cristalli isolati sono quasi incolori, polvere colore bianco-giallognolo ; durezza da 3 a 4 ; peso specifico 2, 87. Al cannello fonde facilmente in una perla nera lucente, colora la fiamma in verde- turchiniccio, e col borace e col sale di fosforo dà le reazioni del ferro ; nel tubo chiuso emette molta acqua. Sciogliesi nell’ acido cloridrico ma non nel nitrico. L’analisi chimica, eseguita da Nies nel gabinetto mineralo- gico del prof. Streng in Giessen, diede i resultati seguenti : 1 Acido fosforico . . . . Sesquiossido di ferro Acqua Parte insolubile . . . da cui la formola Fe2Ph208-4- 4H20. 37, 82 43, 65 19, 61 0, 15 101, 23 1 Vedi Neues Jahrbuch fùr Min. etc., 1877, pag. 8. — 216 — La Strengite pertanto non è altro che una Scorodite nella quale fu sostituito il fosforo all’ arsenico, ecl è isomorfa con la stessa. Cristallizza nel sistema ortorombico con abito tabulare e le forme dei cristalli sono le stesse che siamo usati a riscontrare nella Scorodite. Il nuovo minerale si avvicina anche alla Barrandite di Zepha- rovic, nella quale però, secondo V analisi di Boricky, una metà quasi del sesquiossido di ferro è sostituita dall’ isomorfa allumina. Fosfati di ferro. — Sono due minerali analoghi alla Strengite e scoperti dal signor A. Nies nello stesso giacimento della mi- niera Eleonora a Diinsberg.1 Il primo minerale è cristallino e, come la Strengite, vedesi associato col Cacoxeno : ha colore variabile dal rosso-bruno al bruno-oscuro, lucentezza vitrea, e si presenta in piccolissimi cri- stalli appartenenti al sistema monoclino ; esso si trova di pre- ferenza annidato nelle piccole cavità della limonite. La sua com- posizione chimica viene espressa con molta approssimazione dalla forinola seguente : 3Fe203, 2Ph205 4- 18H20. L’ altro minerale è amorfo e rassomiglia al Picites resinaceus di Breithaupt. La sua composizione è rappresentata dalla forinola : 7Fe203, 4Ph205 -4- 36H20. Tanto nel primo quanto nel secondo una parte dell’ ossido di ferro viene sostituita dall’ allumina. Ludìamite. — È questo un nuovo fosfato basico di ferro idrato trovato in Cornovaglia dove esiste associato con quarzo, siderite, pirite, mispichel, vivianite, galena, blenda e fluorite. Si presenta in piccoli cristalli, con colore verde chiaro, tra- sparente, con bella lucentezza vitrea e polvere bianco-verdognola : durezza fra il 3° e il 4° grado; peso specifico 3, 12. Al cannello sul carbone colora leggermente la fiamma in verde, e dà un residuo semifuso magnetico di colore nerastro. Nel tubo chiuso svolge dell’ acqua, decrepita con violenza, e si divide in lamelle brillanti e cristalline, le quali sono intensamente colorate in verde-azzurrognolo per trasparenza. E solubile nel- 1 Vedi Neues Jahrbuch fur Min. etc., 1877, pag. 15 e 176. - 217 - F acido cloridrico allungato e nel solforico, viene sovraossidato e disciolto nell’ acido nitrico, ed è perfettamente insolubile nel- F acido acetico a freddo. Esposto all’ aria si sovrossida, come la vivianite. La media di varie analisi fatte da Field, diede : 1 Acido fosforico 30, 11 Protossido di ferro 52, 76 Acqua 16, 98 99, 85 da cui la formola 7FeO, 2Ph205, 9H20 molto affine a quella della vivianite, benché assai più povera d’ acqua. Lo studio delle forme cristalline fatto da Maskelyne, ha di- mostrato che il minerale appartiene ad uno dei sistemi obliqui e precisamente al monoclino, con una sfaldatura basale perfetta ed altra secondo V ortodiagonale. Uranocircite. — È un nuovo membro del gruppo delle cosid- dette miche d’ uranio, proveniente dai dintorni di Bergen presso Falkenstein nel Yoitgland sassone e fatto conoscere da Weisbach. Da alcuni anni conoscevasi in quella località questo minerale di colore verde-giallastro, ritenuto per Autunite, entro una pic- cola vena quarzifera del granito la quale corre parallelamente a filoncelli di baritina. Esso presenta la doppia rifrazione a due assi, con un angolo assiale apparente di 15° a 20° e cristallizza nel sistema rombico. La sua densità fu trovata in media di 3,53. Una recente analisi di Winkler, eseguita sopra materiale pu- rissimo e affatto libero da qualsiasi miscela con quarzo e con carbonato di ferro, vi riconobbe un minerale nuovo con la se- guente composizione:2 Barite 14, 57 Ossido d’ uranio 56, 86 Acido fosforico 15, 06 Acqua 13, 99 100, 48 da cui la formola: BaO, 2U203, Ph205, 8H20. 15 1 Vedi Philos. Mag., jan. and febr. 1877. 2 Vedi Jahrb. f. di Berg.-und Hùttenwesen auf 1811 . — 218 - Questo fosfato di uranio e di barite è per composizione chi- mica del tutto analogo alle altre miche d1 uranio, e forma quindi un quinto membro di tal gruppo. Pel carattere della densità distinguesi dall1 autunite, minerale assai affine alla uranocircite, ma che possiede un peso specifico minore, cioè 3,15. Ekdemite. — Nuovo minerale di Laangban nella Svezia stu- diato da A. E. Nordenskiold. Trovasi sotto forma di lamelle entro una calcite mangane- sifera. È grossolanamente cristallino, otticamente uniasse, con un clivaggio basale distinto. Ha colore giallo chiaro con polvere tendente al verdastro; nelle fratture fresche presenta la lucen- tezza grassa e nei piani di sfaldatura una forte lucentezza vi- trea: ridotto in lamelle sottili è trasparente. Durezza di poco inferiore a 3, peso specifico 7,14; è fragile. Scaldato nel tubo chiuso decrepita e cade in polvere; fonde quindi in una materia gialla e contemporaneamente dà un subli- mato di cloruro di piombo. Operando sul carbone si ottiene un granulo di piombo con un1 aureola internamente gialla per ossido di piombo ed all1 esterno bianca per cloruro di piombo. Nell1 ap- parato di Marsch dà la reazione dell1 arsenico. Sciogliesi senza sviluppo di gas nell1 acido nitrico e, per riscaldamento, anche nel cloridrico. L’analisi eseguita sopra materiale purissimo, diede:1 Ossido di piombo 58, 25 Piombo. 23, 39 Cloro 8, 00 Acido arsenico 10, 60 100, 24 Questa composizione viene espressa dalla formola: 5 PbO, As05 -f- 2 PbCl. Nello stesso giacimento rinviensi un minerale di identico aspetto e colla stessa composizione chimica, ma cristallizzante nel sistema rombico: ciò potrebbe dimostrare il dimorfismo della Ekdemite. Atopite. — Altro minerale di Laangban nella Svezia studiato da A. E. Nordenskiold. 1 Vedi Geolog. Foeren. i Stockhohn Foerh., B. Ili, N. 12. — 219 — Ha l’ apparenza di un granato bruno : cristallizza in ottaedri regolari con faccie subordinate del cubo e del dodecaedro, e trao- de dell’ icositetraedro e del tetracbisesaedro. Ha colore bruno- giallastro tendente al bruno con lucentezza grassa; è semitra- sparente. Durezza poco inferiore a 6, peso specifico 5, 03. Esposto all’ azione del cannello nella fiamma ossidante resta intatto ; sul carbone si hanno vapori di antimonio ed un residuo bolloso insolubile. Con la soda si ha una debole reazione di man- ganese ; col sale di fosforo si ottiene una perla gialla a caldo ed incolora a freddo. Insolubile negli acidi. L’ analisi chimica diede : 1 Acido antimonico 72, 61 Calce 17, 85 Ossidulo di ferro 2, 79 Ossidulo di manganese 1, 53 Potassa 0, 86 Soda 4, 40 100, 04 da cui la forinola: 2RO, Sb05. I minerali che più si avvicinano all’ Atopite sono la Moni- molite e la Romeite. Dalla prima si distingue per P assenza del piombo e pel suo forte tenore in acido antimonico, dall’ altra per la bibasicità, la forma cristallina e pel diverso grado di os- sidazione dell’ antimonio. II nome si riferisce alla sua rarità. Tandermite. — Nuovo borato di calce scoperto dal dott. Muck di Bochum (Norvegia) in una sostanza minerale trasmessagli come Boracite dalla Società mineraria Germanico-orientale e prove- niente da Panderma sul Mar Nero. Questo minerale è di colore bianco purissimo ed ha l’aspetto di un marmo finamente cristallino. Esso fu trovato in forma di frammenti o noduli arrotondati entro una massa di gesso. La sostanza, riscaldata preventivamente verso i 100°, diede all’ analisi : 2 * Vedi Geolog. Foeren. i Slockholm Foerh., B. Ili, N. 12. 2 Vedi Sitzung.sb. der Niederrh. Gesell. in Bonn, juli 1877. — 220 — Acido borico 54, 59 Calce 29, 33 Magnesia 0, 15 Ossidulo di ferro 0, 30 Potassa 0,18 Acqua 15, 45 100, 00 da cui la forinola: 2CaO, 3B203, 3H20. Il minerale è assai prossimo alla Borocalcite, che trovasi come materia incrostante nei lagoni di Toscana ovvero in noduli nei dintorni di Iquique nel Perù. FranUandite. — Questo nuovo minerale raccolto nel Perù con- siste in una massa di fibre lunghe e sottili insieme strettamente intrecciate ; esse sono bianche e con aspetto sericeo. La durezza non è di molto superiore al primo grado ; peso specifico 1, 65; sapore leggermente salato e alquanto alcalino. Esposto al calore, prima abbandona molta acqua, quindi fonde facilmente. Nell’ acqua è poco solubile; si scioglie però con facilità e in modo quasi completo nell’ acido cloridrico diluito o nel nitrico. L’ analisi chimica diede i resultati seguenti : 1 Acido borico 43, 76 Calce. 12, 10 Soda 12, 37 Acqua 27, 92 Cloruri di sodio e di potassio. . 2, 41 Solfato di calce idrato 1, 44 100, 00 per cui, fatta astrazione dai cloruri e dal solfato di calce che vi entrano come impurità, si avrebbe la formula 2Na20, 2CaO, 6B203, 15H20. La nuova specie è in conseguenza assai vicina alla Ulexite. Szmikite. — Nuovo solfato di manganese descritto da J. von Schroeckinger e da esso dedicato al consigliere delle miniere Szmik. Proviene da una miniera abbandonata di Felsòbanya in Tran- Vedi Philos. Magaz., aprii 1877. — 221 — silvania e quindi riesce cosa difficile il procurarsene esemplari : trovasi in forma concrezionare staiattica, con superficie botrioi- dale e frattura terrosa ineguale, senza indizio alcuno di sfalda- tura. Il colore dei noduli è biancastro ; nella frattura fresca però è bianco rossiccio passante ad una tinta rosea delicata nell’ in- terno delle masse botrioidali. La sua durezza sta fra il 1° ed il 2° grado, il peso specifico è 3, 15. Due analisi chimiche, eseguite contemporaneamente da Schrauf e da Dietrich, diedero i resultati seguenti : 1 Acido solforico .... 47, 43 47, 11 Ossido di manganese. 41, 78 41, 61 Acqua 10, 92 11, 19 100, 13 99, 91 Questa composizione corrisponde alla formola: MnO, S03 H20. Piccoli frammenti, di 1 a 2 centimetri, lasciati per alcuni giorni in luogo umido, acquistano un leggiero aumento in peso ; inoltre la tinta rosea delle facce fresche di frattura si fa alquanto più intensa. Si possono ottenere cristalli artificiali da una soluzione, ma sono pochissimo distinti; essi appartengono al sistema triclino, ed offrono forme analoghe a quelle della Calcantite o vetriolo verde. Questi cristalli esposti ad elevata temperatura perdono all’ incirca il 3 °/0 di acqua. Sonomaite. — Minerale rinvenuto dal prof. Hayden nelle vi- cinanze del geyser della Contea di Sonoma in California, e descritto dal prof. Goldsmith di Filadelfia. Esso si presenta affatto incoloro e dotato di lucentezza sericea, ha struttura cristallina e densità di 1,604. La media di due analisi chimiche risulta : 2 Acido solforico 38, 54 Allumina 8, 01 Protossido di ferro 1, 78 Magnesia 7, 33 Acqua 44, 34 100, 00 1 Vedi Verhandl. der k. k. geol. Beichs., 1877, 116. * Vedi Proceed. of. thè Acad. of Nat. Selene, of Philadelphia. 1877, pag. 263. — 222 — da cui si ricava la forinola : AIA, 3S03 4- 3Mg0,S03 4- 33H20 la quale si avvicina a quella della Pickeringite od allume di magnesia. Magnolite. — Questo interessantissimo minerale è il risultato della ossidazione della Coloradoite (vedi più sopra), e si trova assai raramente in compagnia del mercurio nativo, della limonite, del psilomelano e del quarzo nella parte più alta e più decom- posta della miniera di Keystone (Colorado). Esso si presenta in sottilissimi cristalli aghiformi, i quali sotto il microscopio si risolvono in aggregati di individui talvolta disposti radialmente. Il colore ne è bianco con lucentezza sericea. Sciogliesi con grande facilità in acido nitrico allungato, e la soluzione dà con acido cloridrico un precipitato bianco di clo- ruro di mercurio. Si scioglie pure in quest’ ultimo acido, e la so- luzione allora contiene HgCl2 e TeCl4, dal che risulta che la composizione del nuovo minerale è la seguente : 1 Hg2 Te04 ossia un tellurato di ossidulo di mercurio. Il nome dato alla nuova specie si riferisce al distretto di Ma- gnolia dove trovasi la miniera di Keystone. Ferrotéllurite. — Trovasi nella stessa miniera di Keystone in compagnia del tellurio nativo, della tellurite e di un particolare solfuro di ferro nel quale una parte dello zolfo è sostituita dal tellurio. Esso si presenta in sottili rivestimenti sul quarzo di strut- tura cristallina, che sotto il microscopio si risolvono in aggre- gati di sottilissimi elementi, talora aghiformi, fra di loro in vario modo aggregati. Mostrasi anche entro le druse in piccolissimi cristalli prismatici di un giallo chiaro tendente al giallo-ver- dognolo. Trattato coll’ idrato ammonico perde l’ anidride tellurica e al- lora può sciogliersi nell’ acido cloridrico : la soluzione contiene biossido di tellurio, sesquiossido di ferro e traccio di ossido di 1 Vedi Groth, Zeitschr. fur Krystall. und Miner ., B. 2, H. ì, pag. 7. — 223 - columbio. Da ciò consegue che la forinola del minerale è pro- babilmente 1 FeTe04. La quantità finora trovata di questo minerale è troppo pic- cola perchè si possa procedere ad una accurata analisi quantitativa. Sferocobaltite. — Nuovo carbonato trovato a Riechelsdorf in Sassonia insieme con roselite, in sferoidi a struttura radiata di co- lore nero vellutato all’ esterno e rosso internamente ; la polvere è di colore fior di pesca. Gli sferoidi al microscopio si mostrano fatti dalla unione di piccoli cristallini, le punte dei quali mostrano la combinazione di una faccia del romboedro con la base. Il peso specifico è da 4, 02, a 4, 13 e la durezza circa 4. Nel tubo chiuso il minerale si fa completamente nero; sciogliesi con effervescenza nell1 acido cloridrico a caldo. L1 analisi chimica fatta da Winkler, in seguito alle ricerche di Weisbach, diede il seguente resultato : 2 Ossidulo di cobalto 58, 86 Calce 1, 80 Ossido di ferro 3, 41 Acido carbonico 34, 65 Acqua 1, 22 99, 94 Considerando pertanto V ossido di ferro, l1 acqua e la calce come materie mescolate allo stato di ferro idrato e di carbonato calcare, si avrebbe la formola del minerale puro: CoO, C02 la quale esprime la composizione: Ossidulo di cobalto 64, 25 Acido carbonico 35, 75 100, 00 Il nome dato al minerale esprime la sua analogia con l’altro denominato Sferosiderite. 1 Vedi Groth, Zeitschr. fur Min. etc B. 2, H. 1. * Vedi Jahrb. fur di Berg.-und Hùttenw. auf 1811. — 224 — Bismuto sferite. — Nuova specie proveniente dalle miniere di Neustàdtel presso Schneeberg e descritta da Weisbach. Questo minerale si presenta in piccole masse formate da strati sferici concentrici, racchiudenti talora un granello di bismuto, di vario colore, essendo i più interni giallo-chiari o bruno-chiari e gli esterni bruni o quasi neri. La polvere ne è giallo-grigia. La durezza è eguale a 3 ; il peso specifico da 7, 28 a 7, 32, molto elevato per un minerale che non possiede aspetto metallico. Esso si accompagna col quarzo e giace sopra la dolomite, entro la quale si mostrano piuttosto abbondanti il bismuto na- tivo e la smaltina. Soventi volte la superficie delle sferoidi è ri- coperta da un indumento bianco, farinaceo. Riscaldato nel tubo chiuso non sviluppa acqua di sorta e la colorazione da giallo-chiara o bruna che era si fa di un bel giallo vivo. L’ analisi eseguita da Winkler diede: 1 Ossido di bismuto 88, 58 Acido carbonico 8, 97 Quarzo 0,28 97, 83 cui corrisponde la forinola Bi203, C02 nella quale si ha: Bi203 = 91,34 e C02 = 8,66. I carbonati di bismuto analizzati fino ad ora contengono in generale una certa proporzione di acqua e minor copia di acido carbonico. Idrocer ussite. — Minerale di Laangban nella Svezia studiato da Nordenskiòld. È un carbonato di piombo idrato il quale cir- conda del piombo nativo. È bianco e visto per trasparenza è affatto incoloro. Nel tubo chiuso decrepita e si colora in bruno giallastro ; al cannello sopra il carbone dà un globulo metallico. Sciogliesi negli acidi con sviluppo di gas. Nordenskiòld ne dà per composizione la seguente forinola : 2 2 PbO, C02 -f- HO. 1 Vedi Jahrb . fur d. Berg.-und Hùttenw. auf 11877. * Vedi Geolog. Foer. i Stockholm Foerh., B. Ili, N. 12. — 225 — Posepnyte. — Nuovo carburo d’idrogeno rinvenuto dall’inge- gnere montanistico Posepny nelle miniere di mercurio in Cali- fornia e studiato da J. von Schroeckinger. Il colore e la consistenza di questa sostanza sono assai va- riabili. In uno stesso esemplare si può vedere la massa princi- pale di colore verde chiaro e dotata di grande durezza, mentre vi si trova o intercalata o in spalmature superficiali una sostanza bianca simile a paraffina, ovvero anche una materia assai porosa, fragile e di un colore variabile dal giallo-bruno al bruno ne- rastro. Tutte queste sostanze abbruciano con fiamma fuligginosa ed odore bituminoso ; la parte bianca poi fonde e cade in gocciole come la cera, ma tosto che diminuisce l’ intensità della fiamma, essa riprende la consistenza primitiva. Il peso specifico varia da 0, 85 a 0, 95. Dalle ricerche fatte dal chimico Dietrich risultò che per di- stillazione asciutta si ottiene dapprima dell’ acqua, poscia un prodotto simile a paraffina, quindi resta una massa viscosa di colore bruno nerastro che fonde. Il tenore in acqua bituminosa fu trovato del 4, 2 per 100 e la quantità delle ceneri dopo la combustione di 0, 13 per 100. L’ analisi elementare diede : 1 Carbonio 71,84 Idrogeno 9, 95 Ossigeno 18,21 100, 00 da cui la formola C22 H36 04. E probabile che questo minerale provenga dalla ossidazione di una materia analoga alla paraffina. 1 Vedi Verhandl. der k. k. geol. Reichs., 1877, pag. 129. - 226 — IL Rame nativo epigenico sopra un dente di squalo e frustoli di piante convertiti in Limonite ; note di A. Issel. I. Parecchie località della Liguria somministrano insieme ad altri minerali cupriferi (Calcopirite, Erubescite, Malachite, Az- zurrite, Ziguelina) piccole quantità di Rame nativo. Se ne trova, per esempio, alla Rossora presso Levanto, a Deiva presso Mo- neglia, a Libiola, a Bargone, a Reppia e a Monte Loreto in quel di Sestri Levante, ora in filoni metalliferi, ora in concentrazioni, ora tra materiali detritici. Qualche tempo addietro mi furono donati dal signor G. B. Parodi di Genova alcuni esemplari di Rame nativo raccolti in una località non conosciuta ancora per cuprìfera, cioè sulla Colla di Sisa, a levante del Monte Creto, nell’ alta valle del Bisagno. Il metallo vi si trova sparso nella terra vegetale dei prati e dei campi, in tal copia che i contadini ne fanno incetta per poi ven- derlo ai calderai della vicina città e proviene dalle roccie sopra- stanti che sono scisti argillosi, di cui il signor Parodi mi comu- nicò alcuni campioni compenetrati o rivestiti di Malachite, minerale che costantemente accompagna il Rame nativo. Avendo visitato io stesso, pochi giorni or sono, la Colla di Sisa, potei accertarmi che tali scisti son veri Galestri non dis- simili da quelli della Toscana.1 Essi presentano d’ ordinario una tinta vinata cupa, che per lievi sfumature passa bene spesso ad un verdastro smorto o ad un bigio-verdastro ; alitandovi sopra sviluppano odore terroso ; siccome i loro piani di scistosità s’ incontrano ad angolo acutissimo coi piani di stratificazione, ne segue che si dividono spontaneamente in piccoli parallelopipedi 1 Sono identici ai Galestri manganesiferi di Rapolano e di Montalcino nel Senese. — 227 — obliquangoli ; altrove si fanno molli, pastosi e passano al- l’ argilla. Sui fianchi del Monte Creto tal formazione non offre che po- chi lembi, forse perchè fu in gran parte asportata dalla denu- dazione. Alla Colla e lungo il rio delle Caselle, sotto r altura di Stassi, gli strati son diretti da E. ad 0. mg., inclinati di 60° a 70° verso N. e giacciono discordantemente sotto potenti assise di calcare marnoso quasi orizzontali, con traccie di fucoidi ed Elmintoidea. In un altro punto meno elevato, cioè sulla vetta della collina detta il Castelluzzo, sopra V Olmo, le stratificazioni dello scisto, similmente molto inclinate, sembrano concordanti con un’ altra massa di calcare a fucoidi, sottoposto, ricco esso pure di Elmintoidea. Da queste osservazioni desumo che la for- mazione scistosa non debba risalire, nella serie dei tempi oltre all’ eocene inferiore, al qual periodo si ascrivono d’ altronde quasi tutti i Galestri della Toscana e certi scisti varicolori del Monte Biassa, presso la Spezia, che loro somigliano moltissimo. I campioni di rame donatimi dal signor Parodi sono lami- nette a contorni dentellati, masserelle ramolose, piccole concre- zioni, il peso delle quali non arriva in generale ai 10 grammi. Quasi tutte sono superficialmente intonacate di Malachite ed Az- zurrite con traccie di Ziguelina. Fig. 1. Dente di squalo convertito in Kame nativo. Esaminando partitamente ciascun pezzetto, ne osservai uno che differisce dagli altri per la sua forma più regolare e per la sua levigatezza. Esso è di figura conica, traente alla triquetra, assai compresso, appuntato, un po’ curvo, munito di due margini — 228 - semplici e taglienti ; una delle sue faccie è alquanto convessa, 1’ altra un po’ meno ; la sua base, evidentemente spezzata, lascia scorgere una cavità interna, parzialmente occupata da Malachite. Il suo colore, eccettuato un piccolo tratto in cui è tinto in verde dal minerale anzidetto, è bruno con lieve splendore metallico ; ma il rosso vivo e la lucentezza caratteristica del rame com- pariscono tostochè si asporti la patina superficiale mediante una punta d’ acciaio. Le dimensioni dell’ esemplare sono : Lunghezza millimetri 19 Larghezza » 9 Spessezza alla base. . » 5 La forma dell’ oggetto che mi sono studiato di descrivere è quella d’ un dente di squalo, d’ un Oxyrhina affine all’ hastalis (Agassiz), e non può credersi accidentale. Si tratta infatti di un vero dente di Oxyrhina, di un fossile i cui materiali calcarei e silicei, in virtù di reazioni chimiche, continuatesi probabilmente per lunghissimo tempo, furono sostituite da Rame nativo. Le con- dizioni della località escludono l’ idea di qualunque reazione che non si sia esercitata per via umida. L’ epigenesi si effettuò completamente per l’ intero fossile, ad eccezione di un piccolo tratto situato presso la base, in cui sussiste un’ area dura, biancastra, tutta fissurata, che è senza dubbio un residuo dello smalto originario. Io m’ immaginavo da principio che questa epigenesi fosse il resultato di fenomeni fisico-chimici assai complessi, e dipendesse da un concorso di circostanze straordinarie non facili a rintrac- ciarsi ; ma un esperimento eseguito in questi giorni mi persuade che le condizioni necessarie perchè abbia a prodursi sono rela- tivamente semplici e non difficili a conseguirsi dall’ arte, laonde sarebbe possibile, io credo, di ottenere artificialmente la conver- sione di un corpo organico in rame. Avendo posto alcuni denti di Oxyrhina plicatilis fossili, raccolti nelle marne plioceniche di Savona, in un vaso contenente una soluzione satura di solfato cuprico, mi accorsi non senza meraviglia che dopo quindici giorni la parte radicale di quei denti cominciava a ricoprirsi d’ un velo sottilissimo di rame metallico e che il metallo già — 229 — produceva delle chiazze piccolissime, quasi microscopiche, alla superficie dello smalto.1 Non dubito che in uno spazio di tempo sufficentemente lungo (forse lunghissimo) si avrebbe, oltre al completo rivestimento di quei denti, la penetrazione del metallo nei loro tessuti e in ul- timo la perfetta epigenesi. Come si spiega la precipitazione del rame sul fossile? La materia organica di esso ha forse il potere di ridurre il solfato? V’ ha forse uno scambio d’ elementi fra i minerali che impre- gnano il dente e la soluzione? La decomposizione non si pro- durrebbe per avventura in conseguenza di una debole corrente elettrica? E in tal caso come si genera siffatta corrente? Io mi tengo pago di formulare questi difficili quesiti e, non volendo uscire dal campo delle mie ricerche, mi astengo dal tentarne la soluzione. L’ esemplare ora descritto è, a mia cognizione, il primo avanzo di vertebrato scoperto nei terreni eocenici della Liguria marit- tima. Esso ritrae, inoltre, una certa importanza da che offre un esempio di epigenesi piuttosto unico che raro, e porge un nuovo argomento favorevole all’ opinione di coloro che ascrivono i gia- cimenti cupriferi della Liguria a formazioni geologicamente re- centi, vale a dire eoceniche o cretacee. II. E fatto ben noto che i vegetali morti, immersi nell’ acqua o sepolti, hanno la proprietà di decomporre certi sali di ferro sciolti nell’ acqua stessa o diffusi nel terreno, e di mettere in libertà idrossido di ferro che per lo più si deposita alla super- ficie del corpo organico. Tutti sanno che ad una azione consimile esercitata dalla Galionella ferruginea si attribuisce la formazione dei depositi limonitici delle paludi e delle torbiere, i quali sono tanto co- spicui da fornire non spregevole tributo alla siderurgia. Talvolta siffatta azione assume i caratteri di una vera epi- * Si tratta di denti assai poco alterati dalla fossilizzazione, in cui è presente ancora una dose non lieve di materia organica. — 230 - genesi, perciocché V idrossido di ferro messo in libertà si sosti- tuisce molecola a molecola ai principii organici dei vegetali e ne riproduce mirabilmente V interna compage e la configurazio- ne, per cui questi si trovano completamente cangiati in Limo- nite. Lecoq descrive nella sua opera sulle acque minerali, un pezzo di betulla di Siberia, in cui veggonsi fibre e vasi perfet- tamente conservati, ma costituiti di puro idrossido di ferro. Si cita parimente il legname d’ un affusto di cannone scoperto a Dunkerque, il quale, dopo una lunga immersione nell’ acqua, era ridotto a pura Limonite. In questo caso è probabile che il ferro di cui il legno è per così dire mineralizzato provenisse dalle ferramenta dello stesso affusto.1 Gli esempi anzidetti si citano come eccezioni o almeno come casi rari ; credo pertanto che non sarà privo d’ interesse il fatto che sto per segnalare d’ un terreno in cui la conversione dei vegetali in idrossido di ferro si verifica normalmente e co- munemente, permodochè è sempre possibile di raccogliere in questo terreno copia di Limonite epigenica. A tergo del villaggio di Vado, nel Savonese, si trova uno dei lembi di quella estesa formazione pliocenica, la quale, come avvertii in altro lavoro, costituisce lungo le riviere liguri un cor- done littorale interrotto da numerose soluzioni di continuità.2 Si tratta di alcune collinette poco elevate, visibili anche ad una certa distanza per la loro tinta ocracea, che risultano di sabbie più o meno marnose e ferruginose. Tali sabbie si depositarono originariamente in un golfo, il cui perimetro è chiaramente segnato dai monti paleozoici di Quiliano, Tessano e Vado, e, siccome i corsi d’ acqua che met- tevano foce in questo golfo attraversavano cospicui ammassi me- talliferi ricchi di Pirite, Limonite e Siderose (ammassi tuttora visibili 3) essi recarono al mare un copioso tributo di materiali ferruginosi, i quali, stante la loro gravità specifica, si accumula- rono nei fondi più prossimi al lido. Si è appunto in questo deposito pliocenico, e precisamente 1 A. Stoppani, La purezza del mare e dell’ atmosfera, pag. 408. Milano, 1875. 2 Appunti paleontologici, I, Fossili delle Marne di Genova. Genova, 1877. EVe ne ha uno situato presso Montagna, in cui si praticarono tempo fa ricerche minerarie per Galena argentifera. - 231 - nella parte di esso che giace dietro la chiesa parrocchiale di Vado che il fenomeno cui poc’ anzi accennavo si verifica con straordinaria frequenza e in modo assai istruttivo. Ivi le sabbie marnose, che s’ innalzano a circa una diecina di metri sul piano del villaggio, offrono una balza tagliata quasi a picco per oltre sei metri d’ altezza, sull’ alto della quale alligna una grama ve- getazione d’erbe e d’arbusti. Osservando da vicino la massa sab- biosa, si vede che contiene numerose concrezioni di Limonite, quasi tutte in forma di fuscelletti, di minuscoli o di radici. Queste sono propriamente, come lo dimostra un attento esame, parti di piante convertite, per epigenesi, in idrossido di ferro e spettano senza dubbio, per la massima parte, alla volgarissima Inula viscosa che vegeta alla superfìcie del deposito. Dagli strati più superficiali in cui verosimilmente si originano, i frustoli di Limonite sono trascinati in basso dalle acque, a misura che ri- mangono isolati, cosicché si raccolgono in maggior copia alla base della balza. Alcuni pezzi sono appena un po’ impregnati di minerale e però si mantengono settili e flessibili, altri, in cui 1’ epigenesi è più inoltrata, son divenuti rigidi e fragili, conservando però la forma loro primitiva e la struttura organica, altri finalmente sono ridotti a concrezioni quasi informi. Raccolsi frammenti che misurano 10 centimetri di lunghezza e ne vidi anche di più lunghi, ma non riuscii a staccarli dalla ganga senza spezzarli ; il loro diametro varia fra 1 e 7 milli- metri. Alla loro superficie vedonsi talvolta le basi di ramoscelli alterni che s’ inserivano sul fusto, e quasi sempre vi si notano le scabrezze e le fenditure proprie alla corteccia dell’ Inula, quando si dissecca, mentre nell’ interno si distingue chiaramente un vacuo assile che corrisponde al midollo. I frammenti di ra- dici si presentano bitorzoluti, assottigliati ad una estremità, come i fittoni della medesima pianta, e mancano di canale interno (Fig. 2). Il colore di questi fossili è, all’ esterno, giallo di ruggine, in- ternamente, bruno rossastro, talvolta con puntini lucenti dovuti ad un po’ di Pirite o di Marcassite quasi sempre associata ai- fi idrossido di ferro. Esaminando al microscopio laminette sottili tagliate nei pezzi — 232 — più perfetti, vi si scorgono gli elementi organici del fusto e della radice, secondo gli esemplari sottoposti alla osservazione.1 Fig. 2. Frustoli d’ Inula viscosa convertiti in Limonite. Il fenomeno in virtù del quale si produce siffatta epigenesi si può spiegare in vari modi, ed ecco a parer mio il più sod- disfacente : Le sabbie di Vado son pregne di particelle piritose, le quali in contatto dell’ aria e dell’ umidità si ossidano e generano sol- fato di protossido di ferro. Questo, allo stato di soluzione o semplicemente diffuso nel terreno, in presenza dell’ aria, passa allo stato di solfato di sesquiossido ed abbandona parte della sua base sotto forma di ossido idrato, che si deposita alla su- perfìcie delle pianticelle e, per assorbimento, penetra anche nei loro tessuti. Intanto il vegetale, decomponendosi, esercita una azione riducente sul solfato, il quale si converte perciò in bisol- furo o Pirite che si fissa negli organi della pianta sostituendosi alle molecole organiche. Il bisolfuro di ferro che risulta dalla riduzione, perde contemporaneamente o posteriormente, sotto la influenza degli agenti esterni, il suo zolfo, e, combinandosi al- P idrogeno e all’ ossigeno, si trasforma ancor esso in Limonite ; ma non completamente, giacché, come si è detto, quasi tutti i frustoli contengono ancora Pirite nella regione assiale. 1 Siccome le laminette, comunque sottili , riescono sempre opache, l’osser- vazione non è possibile se non s’illuminano con raggi concentrati da una lente collocata in posizione opportuna. — 233 — Oltre a ciò, è anche possibile che P acido carbonico allo stato nascente, sviluppato dalle pianticelle in putrefazione, contribuisca a fissare il ferro, generando un carbonato instabile che si can- gia tosto in idrossido. Coll’ intento di studiare la formazione dell’ epigenesi sopra descritta, posi alcuni pezzetti di radici o di fusti d’ Inula in un vaso contenente argilla figulina, impastata con acqua e sol- fato di protossido di ferro. Dopo pochi giorni, parte del solfato era decomposto e una certa quantità di Limonite trovavasi depo- sitata intorno a quei fuscelletti e ne compenetrava i tessuti. Il seguito dell’ esperienza, che ora è appena iniziata, dimostrerà se sia possibile di ottenere così una vera e propria epigenesi. Dopo aver fermato la mia attenzione su quest’ ordine di fatti, che fu fino ad ora assai trascurato dai geologi, verificai che in altri giacimenti pliocenici liguri, per esempio a Savona, a San Fruttuoso, a Porto Maurizio, si trovano pure, ma con minor frequenza, concrezioni e frustoli di Limonite e di Pirite che pel modo di loro formazione non differiscono certamente da quelli di Vado.1 Son persuaso che moltiplicandosi le ricerche se ne troveranno in moltissime località, e si verrà a conoscere che derivano quasi tutti da piante ancora viventi nel paese. Poiché m’ è accaduto d’ investigar le cause da cui ripetono la propria origine le concrezioni ferruginose che abbondano in certi terreni subappennini, mi sia concesso di toccar brevemente e per incidenza un altro tèma, a mio avviso strettamente col- legato al primo. Tutti sanno come in molte località d’Italia e fuori, le forma- zioni terziarie non meno di quelle che risalgono ad età più re- mota, sono talvolta coperte di un deposito più o meno ferrugi- noso, giallastro e rossiccio, che ora ha forma di terre, ora di sabbie, ora di noduletti od arnioni. 1 II prof. G. Gentili mi comunicò tempo fa, col nome di mela fossile , un’ arnione di Limonite di forma discoidale, colla superfìcie irregolarmente rugosa, in parte cavo, in parte occupato da un tessuto minerale celluloso. Quest’ oggetto, raccolto nelle sabbie gialle di Porto Maurizio, sembra, se non propriamente una mela, un frutto (una drupa?) cangiato da lenta epigenesi in idrossido di ferro. 16 - 234 Circa l’origine di siffatti materiali, che sono generalmente ascritti all’ epoca quaternaria, v’ ha tra le opinioni elei geologi molta divergenza, perciocché da alcuni si vuole che sieno pro- dotti da eruzioni vulcaniche, da altri si pretende che proven- gano da fenomeni idrotermici, da altri ancora che, come certe polveri meteoriche, cadano dagli spazi celesti e sieno estranei al nostro pianeta. Fig. 3. Noduli ferro-manganesiferi del Monte Rosso. NB. — Uno dei due è sezionato per mostrar l’interna struttura. Rispetto ai giacimenti siderolitici di questo genere che ap- pariscono in vari punti della Liguria montana, il valente illu- stratore della geologia subappennina, prof. Carlo Mayer, si esprime in questi termini : 1 a A. fianco di questi due prodotti, e mescolantesi talvolta col primo, o meglio impregnandolo col suo vivo colore, si fa notare sopra una quantità di punti del nostro territorio un deposito dei più curiosi, e per la sua natura e per le sue relazioni stra- tigrafiche. È generalmente un’ argilla a noduli e più o meno ferruginosa, di color rosso brunastro o giallastro, d’ uno spes- sore variabilissimo, ma ordinariamente assai debole (10 a 40 centimetri) e non raggiungendo che eccezionalmente uno, due e sino a dieci metri (Monte Rosso, Merlassino, fra Serravalle e Novi) là ove veramente l’ astiano superiore potrebbe essere ri- maneggiato. Ora ciò che vi ha di sorprendente in questo depo- sito, è che esso si trova identico ai due lati dell’ Apennino e a tutti i livelli possibili, ma di preferenza nei luoghi protetti con- tro la denudazione, e sopra le sommità dove forma delle specie di cupole. Questa posizione sino sopra altezze, alle quali certa- mente verun corso d’ acqua diluviano è giunto, domanda perciò una particolare spiegazione. 1 Bollettino del B. Comitato Geologico, 1877, N. 11 e 12, pag. 424. — 235 — » L1 ipotesi che sembrami migliore, quella che conviene in pari tempo all* età, alla natura e alla relazione di questa marna, è quella che ne fa un prodotto aereo e analogo agli elementi della neve rossa delle Alpi. In tale ipotesi, il nord del Sahara, essendo ritornato a secco verso la fine della seconda epoca gla- ciale, avrà cominciato bentosto a riscaldarsi come avanti il suo abbassamento sotto il mare, e la differenza di temperatura fra questa fornace e il nord dell1 Italia avrà prodotto al piede delle Alpi delle spaventevoli tempeste di scirocco apportanti sino a noi la polvere del Sahara. È vero che in questa ipotesi, per spiegare il deposito di 40 decimetri di polvere, bisognerebbe ammettere che la fase del ritiro dei grandi ghiacciai abbia du- rato più migliaia d1 anni, ma la chimica o la petrografia c1 im- pediscono forse di chiamare in nostro aiuto le polveri dei vul- cani di Roma e di Napoli e delle sabbie dell1 astiano superiore? » A questa ipotesi ardirei contrapporne un’ altra, non già con l1 idea che valga in ogni caso a spiegar l’ origine dei depositi siderolitici, ma colla convinzione che possa render conto molte volte della loro formazione. Io credo che tali depositi ripetano la propria origine da fe- nomeni semplicissimi che tuttora si verificano sotto i nostri oc- chi nelle stesse località, non da azioni endogene, non da cause straordinarie. Per me altro non sono infatti che residui più o meno alterati di sedimenti terziari, generalmente pliocenici, i quali, essendo poco coerenti, furono talvolta disgregati dagli agenti meteorici e dilavati dalle acque alluviali, in tal guisa che i loro elementi più leggeri e più tenui furono asportati, e i più pesanti, come le sabbie e soprattutto i noduli e gli arnioni limo- nitici e piritosi rimasero in posto , costituendo, per così dire, un terreno nuovo. La suesposta interpretazione si applica per V appunto al Monte Rosso presso Serravalle, località citata dal Mayer e che ebbi il piacere di visitare Y autunno scorso colla scorta di que- sto illustre geologo e in compagnia del signor R. Tournouér, presidente della Società Geologica di Francia. Ivi, alla superfi- cie del suolo, sulla vetta d’ una collina poco elevata, che risulta di rocce mioceniche, vedemmo uno stratarello di 10 a 15 centi- metri di spessezza, costituito unicamente di noduletti di Limonite — 236 manganesifera, in forma di sferoidi irregolari, il cui diametro varia tra pochi millimetri e due centimetri (Fig. 3). Infranti questi noduli, si presentano formati di una massa di color bruno traente al nero, talora un po’ cristallina, che si fa terrosa alla periferia ed è circondata da un intonaco giallastro, struttura comune a molte concentrazioni di minerali metalliferi. Per ciò, come per la forma e la composizione, sono affatto di- verse da qualsivoglia prodotto vulcanico. Pel loro peso, è quasi impossibile che sieno stati trasportati dal vento. Che più ? Si trova ancora aderente alla superficie di molti noduletti la sab- bia del giacimento in cui erano primamente inclusi, e con essi incontransi nella stessa località septarie manganesifere che si son formate senza dubbio contemporaneamente, in virtù d’ un ana- logo fenomeno di concentrazione. Finalmente, raccolsi in una marna giallastra priva di fossili (non so se pliocenica o miocenica), lungo la via che congiunge Cassano Spinola a Carizzano, dei piccoli arnioni uguali a quelli del Monte Posso, ed osservai masserelle della medesima natura, almeno quanto alla composizione, nella molassa attraversata dal sentiero che conduce da Stazzano al Crosio. Una formazione che ha molta analogia col nostro terreno siderolitico, cioè il diluvium rosso quaternario dei dintorni di Parigi, è pur considerato da taluni come un prodotto d’ altera- zione. Il signor E. Vanden Broeck addusse infatti validi argo- menti per dimostrare che sotto V influenza degli agenti esterni, il diluvium bigio quaternario perde il suo calcare e la massima parte dei suoi fossili, acquista una tinta gialla o rossastra (per P ossidazione della glauconia verde o bigia e d’ altri mi- nerali ferruginosi) e in breve si trasforma in diluvium ros^o.1 Nel caso nostro la metamorfosi si effettuerebbe in terreni comparativamente più antichi, e sarebbe dovuta più che altro a cause meccaniche. 1 E. Vanden Broeck, Note sur l’altération des roches quaternaires des environs de Paris par Les agents atmosphériques. ( Bulletin de la Société gèo- logique de France, 3e sèrie, t. V, pag. 296. Paris, 1877.) — 237 — NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. A. Issel. — Nuove ricerche sulle caverne ossifere della Liguria. — Roma 1878. (R. Accademia dei Lincei ; Memorie della classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Serie 8a, voi. II.) In questa Memoria 1’ Autore descrive gli oggetti raccolti da esso e da altri in alcune caverne del Finalese. Le notizie esposte emergono principalmente dagli scavi sistematici da esso eseguiti lo scorso anno nelle grotte delle Fate, del Sanguineto e di Pol- lerà, e soprattutto in quella delle Arene candide per mandato del Ministero dell’ Istruzione. Riassumeremo qui brevemente le osservazioni dell’ Autore. I. Grotta sepolcrale delle Arene candide. — La grotta è sca- vata sul promontorio detto della Caprazoppa a ponente della piccola città di Finalmarina. Il monte è costituito alla sua parte inferiore da un calcare dolomitico di color bigio chiazzato di ferrigno, che il Pareto ascrive al periodo giurese, in istratifica- zioni quasi verticali. L1 Autore però osservando che il calcare mostrasi in varie località sovrapposto ad un talcoscisto indub- biamente paleozoico con istratificazione concordante, ha motivo di credere che sia pure paleozoico anziché secondario. Superior- mente è coronato da una panchina fossilifera e ferrugginosa di- sposta in banchi orizzontali. I copiosi fossili che in essa si rin- vengono sono denti di Squali e di Sparoidi, pettini e spatanghi, i quali attestano trattarsi di un terreno terziario riferibile al pliocene inferiore. Il versante meridionale del promontorio è coperto fino a 50 o 60 m. d’ altezza di finissima e bianca sabbia silicea scaglia- tavi dai gagliardi venti di mezzogiorno. Poco sopra il limite superiore di questa duna delle Arene candide (89 m. sul livello del mare) apresi 1 q profonda grotta che da esse trae il nome e mette all’ esterno per tre grandi aperture disposte quasi sul me- desimo piano orizzontale. E una vasta camera irregolare che - 238 — misura 74“ di lunghezza, 15 di larghezza massima, e poco meno di 5 di altezza. Alla parte media, le pareti si accostano per modo da restar divisa da una strozzatura in due compartimenti, 1’ uno orientale, 1’ altro occidentale. L’origine della caverna devesi, secondo l’Autore, attri- buire all’ azione erosiva dei flutti sulla panchina, durante il sol- levamento verificatosi alla fine del periodo pliocenico. Questa opinione è corroborata dai seguenti fatti: 1° Dinanzi a due delle tre aperture suindicate, esiste una specie di terrazzo in gran parte minato. 2° Si osservano nel monte parecchie altre caverne alli- neate allo stesso livello ed assai estese nel senso orizzontale. 3° Il calcare della Caprazoppa e dei monti vicini, presenta presso a poco a quell’ altezza numerosi fori praticati da mollu- schi litofagi. L’ Autore visitò per la prima volta la grotta nel giugno del 1864, indi a più riprese fino ad una gita dell’agosto 1876. Le ricerche fatte in queste escursioni furono tutte più o meno coronate dalle scoperte di reliquie preistoriche. Nell’ ultima fu posto a nudo il fondo roccioso di quasi tutta la parte orientale e media della grotta, ricoperta da materie terrose regolarmente stratificate con scheletri umani disposti entro tombe, con una ricca serie di manufatti di terra cotta, di pietra e d’ osso. Numerose ossa di vertebrati vennero pure estratte dalla ca- verna; appartengono quasi tutte a mammiferi, e giacevano alla rinfusa presso antichi focolari ed intorno alle tombe. Quasi tutte le ossa dei mammiferi sono rotte, presentando spesso tagli tra- sversali profondi e segni di raschiatura ; dai pezzi di cranio raccolti puossi argomentare che i cavernicoli uccidessero questi animali spaccando loro il cranio per mezzo di strumento tagliente. Manifesta è 1’ azione del fuoco su molte ossa di cui talune sono perfino carbonizzate. Fra i mammiferi abbonda la pecora ( Ovis aries ) assai affine al muffione di Sardegna; la capra ( Capra hircus)\ i suini {Sus scrofa domesticus, Strobel; Sus palustris Kilt.). Si rinviene pure il cane ( C . familiaris palustris, Strobel) ; il lupo ( Canis lupus) ; il cervo ( C . capreolus e G. élaphus, Brooke) ; il tasso ( Meles taxus) ; la faina ( Mustela foina) ; la martora {Mustela martes). Gli avanzi — 239 — del bue ( JBos taurus ) sono piuttosto scarsi e poco caratteristici, per cui non è possibile distinguere la razza cui appartengono. IJ professor ’Strobel è d’ avviso che appartengono a tre varietà diverse il brachycephalus, V eìatior ed il brachyceros. Le ossa di uccelli son rare e poco determinabili. Possono tuttavia registrarsi con certezza due soli generi, la Perdrix petrosa ed un Petras aìbus. Fra i rettili fu raccolto un clipeo di testuggine terrestre ( Cistudo earopcea) e V articolazione superiore d’ un omero destro. I pesci vi mancano completamente, ed è cosa strana, trovandosi la caverna vicinissima al mare. Secondo ogni probabilità, può inferirsi dagli studi su questa regione, essere il clima all’ epoca in cui si effettuava il riempi- mento della caverna, poco diverso dall’ attuale. Tuttavia sia per la vegetazione più abbondante, sia per cause dipendenti da fe- nomeni cosmici, il paese doveva essere più umido e freddo; ed in prova di ciò può addursi il ritrovamento nella caverna di una conchiglia terrestre di tipo alpino e di specie estinta ( Helix Ptamoriniana, Issel). Quanto all’ epoca in cui la caverna fu abitata, e servì di se- polcro, gli è certo che la massima parte dei manufatti ivi rac- colti risale alla seconda età della pietra o neolitica, la quale, avuta origine in tempi antichissimi nel Finalese vi si continuò assai tardi; essendoché nello strato superficiale della grotta i prodotti della più schietta età neolitica si trovano commisti a manufatti propriamente romani. Posto che tale strato della spes- sezza di mezzo metro siasi formato dall’ epoca della romana con- quista fino ai giorni nostri, cioè circa in venti secoli, saremmo condotti ad assegnare un1 età sei volte maggiore agli strati più profondi. Se non che V oscurità in cui ci troviamo circa la legge che presiede all’ accrescimento dei depositi della caverna, e ri- guardo ai mutamenti avvenuti, rende mal sicuri i criteri che servono di fondamento a tali induzioni. II. Caverna del Sanguineto o della Matta. — Apresi questa grotta sulla riva destra dell’ Aquila ed è scavata nel calcare conchiglifero, probabilmente pliocenico. La sua cavità misura nella massima dimensione circa 22m e 9m di altezza. Il suolo è formato di terra giallastra in cui, praticando scavi s’ incontrano zone di color più scuro, ceneri, ossa d’ animali e cocci. Il R. D. — 240 Perrando che per primo vi fece ricerche scientifiche, vi trovò inoltre rozzi manufatti, cioè : punteruoli d’ osso, una scheggia di silice, ciottoli levigati, ossa umane ed ascie di pietra. L’Autore visitò la caverna nell’agosto del 1876, ma la trovò così scon- volta da non giudicare opportuno tentarvi nuovi scavi sistematici. Da parecchi assaggi fatti qua e là trasse tuttavia un certo nu- mero di ossa appartenenti ad un piccolo cervo ed a un cignale, e pezzi di stoviglie rozze e mal cotte. Tutti gli oggetti raccolti in questa grotta sono identici od analoghi a quelli rinvenuti alle Arene candide; per cui devesi argomentare risalgano alla medesima età. Sussiste però una dif- ferenza notevole fra i due depositi, inquantochè nel primo man- cano i frammenti di stoviglie e gli altri avanzi di un’ industria inoltrata che abbondano invece nel secondo; oltreché la grotta delle Arene candide servì alternatamente e fors’ anche contem- poraneamente di abitazione e di sepolcro, mentre quella del San- guineto, fu solo una tomba. III. Caverna di Follerà. — Si apre essa in una collina poco elevata sulla via che da Calice mette a Feglino, a due ore di strada da Finalborgo. La cavità ha 40m di lunghezza, 15“ di larghezza e poco meno di altezza, colle pareti tagliate a picco, costituite del solito calcare pliocenico che è qui arenaceo e facile a disgregarsi. Il suolo inclinato e diseguale è solcato da un pic- colo corso d’ acqua sopra un letto di ghiaia. Anche la caverna di Pollerà fu per la prima volta visitata con intenti scientifici dal signor Perrando, il quale mise in evidenza varie stratificazioni contenenti resti dell’ uomo e della sua industria. Gli scavi posteriormente fatti, eseguiti dall’ Au- tore nella grotta, non dettero che rari frammenti d’ ossa e di vasi, una piccola scheggia di piromaca giallastra, manufatti non dissimili per la forma e la materia dai tipi più frequenti delle Arene candide. IV. Caverna della Rocca di Ferti. — Fu per la prima volta esplorata dal professor E. Celesia. È scavata nella cosiddetta costa di Curletto, sotto il Monte Rocca di Perti, in cui s’ interna per ben 100 metri, e si apre all’ esterno a circa 300 metri sul li- vello del mare. Alcuni manufatti della grotta sono cocci di stoviglie gros- — 241 — solane, ed un rozzo coltellino di arenaria finissima, di sezione triangolare a due tagli, appuntato ad una estremità. La fauna vi è rappresentata da un grossissimo orso ( Ursus spelceus ), un ruminante che è verosimilmente un cervo, e dalle valve del Donax trunculus mollusco abbondante nel Mediterraneo. V. Caverna delle Fate. — Questa è scavata nel Bricco di Peagna, sulla riva sinistra del Rio di Ponci, e mette all’ esterno per due aperture, P inferiore delle quali è situata a 100“ sul livello del torrente. Il Bricco di Peagna, resulta alla parte infe- riore di calcare assai antico, senza fossili e superiormente da una formazione pliocenica assai svariata nei suoi aspetti. La grotta è scavata in quest’ ultima che vi assume i caratteri di un conglomerato a grossi elementi. Il suolo della grotta è .ovunque assai ineguale e formato di una terra grossolana rossiccia mista di massi angolosi coperti spesso di stalattiti. Le ossa dall’ Autore e dagli esploratori precedenti trovate in questa caverna, sono molto numerose, ed appartengono a mam- miferi di ogni età. Sei di esse si riferiscono al genere Felis, due al genere Cervus e le altre sono avanzi d’ orso. Tra quelle dei felini un esemplare appartiene al F. spelceus , o leone delie ca- verne, gli altri cinque spettano al F. antiqua. Quelle di cervo sono probabilmente riferibili al C. elaphus , e finalmente quelle di orso, numerosissime, si riferiscono tutte ad una varietà del- 1’ U. spelceus. Che P uomo poi in tempi assai remoti abbia trovato ricovero nella grotta delle Fate, si può inferire da ciò che la terra rossic- cia ossifera accumulata nel fondo della cavità contiene minuzzoli di carbone e cocci di stoviglie analoghe a quelli che trovansi più comunemente alle Arene candide ed alla caverna del Sanguineto. Fanno corredo alla Memoria cinque belle tavole, nelle quali sono raffigurati i principali oggetti raccolti nella caverna delle Arene candide e in quella delle Fate. — 242 — NOTIZIE DIVERSE. Società Toscana di Scienze Naturali. — Adunanza del 5 mag- gio 1878.’ — Il socio dottor Bosniaski comunica alla Società la continuazione delle sue ricerche e dei suoi studi sui fossili degli scliisti miocenici del Gabbro, e in special modo sui pesci, di cui presenta ora 41 specie diverse ; delle quali specie 4 sole in pes- simo stato di conservazione e quindi indeterminabili, 18 cono- sciute negli strati di Licata e Orano, e 19 formano, come ignote finora, principale soggetto dalla presente comunicazione. Ricorda V aiuto prestatogli per sì fatto studio, sia in mate- riale da confronti sia in libri, dai professori Meneghini, Richiardi e Capellini. Gli strati a pesci occupano due orizzonti o piani geologici. Il superiore è formato dalle marne gessose che rappresentano la parte inferiore degli strati a congerie, ossia in parte la for- mazione gessosa di Castellina Marittima e gli strati di Oenin- geu, ec. Si tratta di un deposito in parte di acqua dolce e in parte di acqua salmastra (strati di Paltratico e del luogo detto Pane e Vino) o marina, ricco di resti fossili, d’ insetti e di piante, delle quali* circa 100 specie poterono essere determinate. Tutto dimostra che quel luogo era una sponda marittima bassa e pa- ludosa, ombreggiata da foreste composte in maggior parte o per metà almeno di Conifere, e fra esse il Bosniaski enumera le più caratteristiche, come Pinus hepios e Pinus Saturni, così come enumera anche 23 generi con molte specie di vegetazione arbo- rea, non che i principali degli arbusti, felci e altre piante mi- nori viventi sotto V ombra di quelle maggiori. Fra gli insetti, di cui presenta alla Società 20 specie in ot- timo stato di conservazione, prevalgono in special modo le Li- bellule, delle quali abbondano le larve, la più comune fra esse, erroneamente finora riferita alla L. Boris , spetta invece a una specie nuova. 1 Estratto dai Processi verbali delle Adunanze. — 243 — Di pesci due soli generi vi sono rappresentati, Pagellus e Lebias, quest’ ultimo in special modo con tre ben determinate specie. Al di sotto di questi strati a Lebias e Libellule segue con- cordemente la serie delle marne biancastre fogliettate a Diato- mee ossia il Tripoli con qualche strato di schisti menilitici, marne che hanno grande sviluppo presso il Gabbro, come meglio che altrove si osserva al podere del signor Tito Nardi ove ne affiora un banco di circa 10 metri. È in questi schisti, costituenti il piano geologico inferiore della formazione ittiolitica del Gabbro, che si raccoglie la mag- gior parte dei pesci fossili, i quali dimostrano la grande paren- tela di questa fauna con quelle di Licata in Sicilia e d’ Orano; con la differenza che al Gabbro tutto dimostra essersi il de- posito a pesci formato in vicinanza della spiaggia, mentre a Licata sembra che si formasse a una qualche distanza man- candovi ogni traccia dei resti vegetali, al Gabbro invece tanto abbondanti. E ciò è pure confermato dalle specie dei pesci rin- venutivi. Premesse queste generali considerazioni presenta il Bosniaski la nota qui sotto allegata delle specie da lui descritte degli schisti ittiolitici del Gabbro, mostrandone i relativi esemplari della sua collezione : Siphonostoma sp. ?; Rhombus Richiardii Bosn. ; R. minutus Bosn. ; R. Nardii Gap. e Bosn.; R. dbropterix Sauv. ; Trigla Nar- dii Bosn. ; Pagellus De Stefanii Bosn. ; P. Peruzzii Bosn. ; Lepi- dopus Meneghina Bosn. ; L. Anguis Sauv. ; Hemithyrsites arma - tus Sauv. ; Acanthonemopsis (n. gerì. Bosn.) Capellina Bosn. ; Gobius Lobini Cap. ; Pseudoeleginus Jonas Bosn. ; P. Majori Bosn. ; P. intermedius Bosn. ; Leuciscus Oeningensis Ag. ; L. Li- catce Sauv. ; Aspius Columnce Sauv. ; Lebias erassicaudus Ag. ; L. Gaudryi Sauv. ? ; L. Zignoi Bosn. ; Anapterus toenia Bosn. ; A. Albyi Sauv. ; A. elongatus Sauv. ; A . sphekodes Sauv. ; Osme- rus D’Achiardi Bosn. ; Clupea opistopteryx Sauv. ; Gl. zanclea Sauv. ; Cl. trinacridis Sauv. ; Cl. caudata Sauv. ; Gl. gregaria Bosn. ; Gl. Meneghina Cap. ; Cl. Sauvagei Bosn. ; Cl. Lawley Bosn. ; Aiosa elaganta Agas. ; e oltre a ciò tre generi con 4 specie non determinate. — 244 — Il socio L. Acconci presenta alcuni resti di mammiferi fossili ritrovati nell’ aprile decorso a Cucigliana nel Monte Pisano presso la casa di suo padre, nel fare degli scassi per la piantagione di ulivi. Fu ivi scoperta una grotta che si interna nel calcare in- fraliassico leggermente inclinata per la lunghezza di circa sedici metri ed una larghezza massima di circa dodici. La volta della grotta è ricoperta di stalattiti, ed il suolo è tutto formato di terra rossa ricca di sostanza organica rivestita in parte o in parte alternata con qualche stratarello di concrezioni calcaree. Nelle parti più superficiali si trovano alcuni fragmenti di carbone, tracce evidenti dell’ uomo, e le seguenti conchiglie, de- terminate dal signor De Stefani: Rulimus decollatus — Gyclostoma elegans — Rulimus tridens — Helix carthusiana — Zonites lucidus — Acicida Hchemvarthi. Superficialmente o a poca profondità si trova una quantità ragguardevole di ossa fossili, una piccolissima parte delle quali egli presenta alla Società; e sono : Un astragalo completo e benissimo conservato di Rhinoceros hemitoecus , Falconer; la sinfisi dell’ omero destro pure dello stesso Rhinoceros hemitoecus ; una branca destra del mascellare inferiore di Hyena spelaea , individuo giovane ; un’ altra branca destra del mascellare inferiore pure di Hyena spelaea, individuo adulto; un dente incisivo della stessa Hyena ; un omero intero benissimo con- servato che probabilmente si riferisce alla stessa specie. Oltre a queste ossa, egli aggiunge, ho anche determinata la porzione craniense di una testa di Sus aper e un pezzo di corno di Cervus elaphus. Yi è poi una gran quantità di ossa già estratte dalla grotta e che aspettano di essere studiate, oltre al gran numero che se ne potrà trovare nella grotta stessa, quando da chi vorrà espor- tarle, saranno intrapresi degli scavi regolari. Avverte per ultimo che la Hyena è la prima volta che è stata trovata nelle caverne ossifere della Toscana, mentre che il Rhi- noceros è già stato trovato nella caverna di Parignana pure nel Monte Pisano, la quale è di epoca postpliocenica come quella di Cucigliana. Il socio De Stefani dà alcune notizie sulla cronologia dei vulcani della Toscana. Dice che in Toscana si trovano cinque - 245 gruppi vulcanici, tre dei quali trachitici, formati tutti da roccie diverse, e sono i seguenti : I. Gruppo di PiTiGLiANO ; formato da leucitofiri e tufi vul- canici, i quali molto estesi e continui presso al confine romano sono connessi coi vulcani romani e vennero formati dalle eruzioni di alcuni di questi. Il Ratli, il Verri ed altri per induzione hanno considerato questi prodotti vulcanici come, almeno in parte, pliocenici ed i più antichi, almeno in qualche luogo, lo sono real- mente, perchè per esempio presso Stimigliano alcune delle for- mazioni vulcaniche alternano più e più volte con argille fossilifere appartenenti al pliocene. L’ eruzioni continuarono però, come provò il Ponzi, fino ad epoca non antica. IL Gruppo del Monte Amiata, che forma un solo monte vulcanico alto 1732 metri, perciò tra i vulcani d’Italia attivi ed estinti inferiore solo all’ Etna. È costituito da Trachite sanidino- oligoclcisica, nella quale manca il quarzo e non si ha perciò una vera Riolite come riteneva il Rath. La Trachite posa in banchi orizzontali o per solito poco inclinati sopra gli strati assai pen- denti delle roccie appartenenti all’ Eocene superiore (Liguriano). Contiene molto abbondantemente dei grani di vetro vulcanico, e non mancano, in specie presso la sommità, delle roccie con ap- parenza di scoria : in qualche luogo, per esempio al Vivo, as- sume 1’ apparenza di colata. Si può ritenere perciò che si tratti di un vulcano vero e proprio. L’ epoca delle eruzioni sembra postpliocenica, non miocenica come ritiene il Verri; perchè mentre nel pliocene di mare profondo, che fino al livello di circa 800 metri circondava e circonda in parte il M. Amiata, si trovano ghiaie delle roccie eoceniche del monte stesso, a poche centinaia di metri più in alto mancano interamente, anche negli strati più recenti, ghiaie della trachite, la quale è tanto più alta del pliocene. III. Gruppo di Roccastrada studiato recentemente dal Lotti ; è formato dai sei lembi che in origine doveano essere un monte solo, di Roccastrada, Rocca Tederighi, Sassoforte, Carni- nino, Civitellaccia e Torniella. È costituito da Biolite cordieritica, e non vi mancano dei tufi vulcanici. Secondo il Lotti, il centro della eruzione sarebbe stato Roccastrada; la Riolite si sarebbe riversata sul pliocene e sarebbe perciò di epoca postpliocenica. - 246 - IV. Gruppo eli Radicofani, formato da Basalti e da scorie. Forse la eruzione cominciò sul finire dell’ epoca pliocenica, in mezzo al mare, ma la massima parte della non grande massa vulcanica è postpliocenica, perchè riversata sopra le argille plio- ceniche di mare profondo, che raggiungono ivi V altezza di 825 metri. V. Gruppo di Monte Catini, il più meridionale, formato dei due lembi di Montecatini in Val di Cecina e di Orciatico nelle Colline Pisane; è costituito non già di Selagite, come si ri- teneva fin qui, ma di Andesite peridotifera. Questa, scompagnata affatto da scorie e da tufi, forma dei banchi omogenei, inclinati, che posano concordanti sull1 arenaria del miocene inferiore. La loro eruzione, benché V epoca ne sia ancora incerta, ebbe luogo probabilmente durante il miocene medio. Il socio R. Lawley presenta infine alcuni resti fossili della Selache per la prima volta trovati nelle Colline Pisane a Ricava aurata Santa Luce, che egli riferisce alla Selache (Hannoveria) presso Van. Ben. I resti presentati all’adunanza sono i seguenti : 1. Un esemplare delle argille con fanoni in posto. 2. Denti di forme diverse secondo la posizione loro. 3. Fanoni di forme di- verse. 4. Sezione microscopica di un dente. 5. Id. di un fanone. Questi avanzi vengono dal socio Lawley offerti in dono al Museo di Pisa. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) I. Cocchi. — Brevi cenni sni principali Istituti e Co- mitati Geologici e sul R. Comitato Geologico d’Italia. — Firenze 1871 L. 1. 50 Idem. — Carta Geologica della parte orientale del- F Isola d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1871 » 3.00 F. Giordano. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande galleria della ferrovia ltalo-Elve- tica. — Firenze 1873 » 10. 00 Idem. — Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1873 » 5.00 C. W. C. Fuchs. — Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala di 1 per 25,000. — Firenze 1873. ...» 3.00 G. Ponzi e Fr. Masi. — Catalogo ragionato dei prodotti minerali italiani ad uso edilizio e decorativo spediti dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio all’ Esposizione Internazionale di Yienna. — Roma 1873 » 2. 00 Idem. — Catalogo sommario dei prodotti minerali italiani ec. — Roma 1873 » 1. 00 P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta Geo- logica d’Italia in grande scala. — Roma 1875 . » 1. 50 G. Doelter. — Carta Geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone, nella scala di 1 per 20,000. — Roma 1876 » 2. 00 Per le commissioni dirigersi all’ Ufficio Geologico in Roma, Piazza San Pietro in Vincoli , N. 5 , od ai principali librai. Annunzi di pubblicazioni C. Marinoni. — Contribuzioni alla geologia del Friuli. —Venezia 1877; pag. 50 in-8°. A. D’Achiardx. — Minerali toscani (ematite, baritina, farmacosiderite, preenite, epidoto, sperchise). — (Atti della Scc. Toscana di Se. Nat., voi. Ili, fase. 1.) — Pisa 1877; pag. 6 in-4°. W. Branco. — I vulcani degli Ernici nella valle del Sacco. — (Mem. della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. I.) — Roma 1877; pag. 17 in-4° con una tavola. G. Ponzi. — La Tuscia Romana e la Tolfa. — (Mem. della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. I.) — Roma 1877 ; pag. 54 in-4° con due tavole. G. Seguenza. — Nuculidi terziarie rinvenute nelle provincie meridio- nali d’ Italia. — (Mem. della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. I.) — Roma 1877; pag. 38 in-4° con cinque tavole. G. A. Pirona. — Sulla fauna fossile giurese del Monte Cavallo in Friuli. — (Mem. del R. Istituto Veneto, voi. XX.) — Venezia 1878 ; pag. 62 in-4° con una carta geologica e otto tavole. T. Taramellt. — Del granito nella formazione serpentinosa dell’Àpen- nino pavese. — (Rendiconti del R. Istituto Lombardo, voi. XI, serie 2a, fase. 1 e 2. Milano 1878 ; pag. 25 in-8°. A. Verri. — Sulla cronologia dei vulcani tirreni e sulla idrografia della Val di Chiana anteriormente al periodo pliocenico. — (Ren- diconti del R. Istituto Lombardo, serie 2a, voi. XI, fase. 3°.) — Mi- lano 1878; pag. 20 in-8° con tavola. A. Cossa. — Ricerche chimiche sui minerali e rocce delP Isola di Vul- cano; 1° Allume potassico contenente allumi di tallio , rubidio c cesio. — Roma 1878; pag. 12 in-4°. G. Omboni. — Le Marocche, antiche morene mascherate da frane. — Milano 1878; pag. 16 in -8°. A, D’Achtardi. — SulForigine dell’acido borico e dei borati. — Pisa 1878; pag. 22 in-8°. D. Lovisato. — Di alcune azze, scalpelli, martelli e ciottoli dell’ epoca della pietra, trovati nella provincia di Catanzaro. — Trieste 1878; pag. 33 in-8° con una tavola. G. Capellini. — Il calcare di Leiilia, il Sarmatiano e gli strati a Con- gerie nei monti di Livorno, di Castellina Marittima, di Miemo e di Monte Catini. — Roma 1878; pag. 20 in-4°. A. Ferretti. — Le salse o vulcani di fango e le argille scagliose. — Padova 1878; pag. 38 in-8°. A. Issel. — Nuove ricerche sulle caverne ossifere della Liguria (dalle Memorie della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. II). — Roma 1878; pag. 68 in-4° con cinque tavole. ' G. Capellini. — Della pietra leccese e di alcuni suoi fossili (dalle Me- morie deirAccademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, serie 3a, tomo 9). — Bologna 1878; pag. 32 in-4° con 3 tavole. — Sulla prehnite dei monti livornesi e sui minerali che l’accom- pagnano (dai Rendiconti della stessa). — Bologna 1878 ; pag. 8 in-8°. U. Botti. — Sopra una nuova specie di Miliobates (dagli Atti della So- cietà Toscana di Scienze Naturali, voi. Ili, fase. 2). — Pisa 1878 ; pag. 14 in-8°. T. Taramelli. — Descrizione geognostica del margraviato d’ Istria. — Milano 1878 ; pag. 196 in-16° con annessa Carta geologica dell’ Istria e delle Isole del Quarnero. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° 7 e 8. Luglio e Agosto 1878. ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1878. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. 1°. — Bollettino. — Si pubblica regolarmente in fascicoli bime- strali di 5 o più fogli di stampa ciascuno, formanti un vo- lume annuo di 500 e più pagine, con tavole ed incisioni in- tercalate nel testo. Il prezzo dell’ abbuonamento annuo è di L. 8 per l’interno e di L. 10 per l’estero. Gli abbuonati ricevono gratuitamente la copertina ed il frontespizio del volume. — Ad annata compiuta i volumi annuali rilegati si vendono al prezzo di L. 10. — I fascicoli separati si vendono al prezzo di L. 2 ciascuno. — La serie incomincia coll’anno 1870. II0. — Memorie per servire alla descrizione della Carta Geo- logica d’ Italia. — Pubblicazione di gran formato corre- data da tavole, Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Volume I; Firenze 1871. — Introduzione — Studii geo- logici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui minerali delle Malli di Lanzo, di G. Struver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con quattro tavole. — Descri- zione geologica dell 9 Isola d ’ Elba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica ita- liana (Parte Ia, Gasteropodi sifonostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo 1°, con sette tavole. — Prezzo Lire 35. Volume II, Parte la; Firenze 1873. — Introduzione. — Monografia geologica dell ’ Isola d’ Ischia, di C. W. C. Fuchs, con Carta geologica e incisioni nel testo. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attra- versata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvetica, ‘ di F. Giordano, con Carta geologica e due tavole di Sezioni. — Appendice alla Memoria sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con una tavola. — Malacologia pliocenica italiana (Parte Ia, Gasteropodi sifono- stomi), di C. D’ Ancona, fascicolo 2°, con otto tavole. Prezzo Lire 25. Volume II, Parte 2a; Firenze 1874. — Studii geologici sidle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, Parte 2a, con due tavole. — Prezzo Lire 5. Volume III, Parte la; Roma 1876. — Il gruppo vulca- nico delle Isole Ponza, monografia geologica di C. Doelter, con tre tavole e una Carta geologica. — Geologia del Monte Pisano, di C. De Stefani, con una tavola. — Prezzo Lire IO. (Continua.) BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. ili0 7 e 8. — Luglio e Agosto 1878. SOMMARIO. Note geologiche. — I. Il Monte Amiata, per B. Lotti. — IL Le grotte di Sant’ Eustachio presso Sanseverino-Marche, appunti geologici sull’Appennino centrale, per M. Canavari. — III. Appunti geologici sulle miniere di Monte Sferruccio nell'Aquilano, per C. De Giorgi. — IV. Alcune osservazioni sul miocene di Ciminna, per S. Ciofalo. — V. Sulla struttura geologica del gruppo del Sempione. per E. Renevier. Bibliografia geologica e paleontologica della provincia di Siena, per D. Pan- T ANELLI. Notizie bibliografiche. — G. Capellini. Della pietra leccese e di alcuni suoi fossili ; Bologna. 1878. — T. Taramelli, Descrizione geognostica del Mar- graviato d’ Istria, con carta geologica dell’ Istria e delle isole del Quar- nero ; Milano, 1878. —A. Manzoni e G. Mazzetti, Echinodermi nuovi della molassa miocene di Montese nella provincia di Modena ; Pisa 1878. — U. Botti, Sopra una nuova specie di Myliobates ; Pisa, 1878. Notizie diverse. — Società Toscana di Scienze naturali. Cenno necrologico. — Th. Oldham; W. B. Clarke. Tavole ed incisioni. — Sezioni geologiche di Monte Sferruccio, a pag. 278 e 279. — Idem dei dintorni di Ciminna, a pag. 284. NOTE GEOLOGICHE. I. Il Monte Amiata, nota di B. Lotti. Cenni geografici e bibliografia. — Questo gigante della Ma- remma grossetana torreggia superbo sopra una vasta regione leggermente ondulata, interrotta soltanto qua e là da gruppi isolati di poco notevoli elevazioni rese ancora più umili dalle sue forme colossali ; son questi i gruppi montuosi, costituiti di rocce liassiche e triassiche, appartenenti al sistema della Catena metallifera, quali, ad esempio, il Monte Orsaio, il Monte Argen- 252 — tarìo, il Monte di Cetona, V Ucceliina, i monti di Roccastrada e di Montieri, la Montagnola senese ed altri. La montagna tra- cliitica dell’ Andata, di cui la sommità raggiunge la ragguarde- vole elevazione di 1721 metri sul livello del mare trova in que- sta contrada degli .emuli degni di nota soltanto nel vicino Monte Labbro, alto 1183 metri, nel Poggio di Montieri, 1050, e nel- P antico vulcano di Radicofani, 897. Il Monte Labbro costituito esclusivamente da rocce sedimentarie, staccasi dal Monte Andata a S.O. ed il suo vertice dista da quello dell’ Andata di circa 12 chilometri; è il punto culminante di una serie longitudinale di elevazioni non inferiori a 1000 metri, diretta all’ incirca da N.O. a S.E. e formata dai monti Buceto, Madonnina, Faggia e Aquilaia. Fra questa catena e il Monte Andata scorre il tor- rente Zancona che immette le sue acque nell’ Ente e questo alla sua volta nell’ Orda tributario dell’ Ombrone. La base del Monte Andata, come anche la sua ossatura, è formata da rocce di sedimento arenacee e calcaree, sulle quali all1 altezza di circa 700 metri sovrapponesi a guisa di cappello una massa impo- nente di rocce trachitiche, comprese volgarmente sotto la de- nominazione impropria di peperino. La parte più elevata della montagna suddividesi in varie cime che prendono nome dalle, diverse comunità che ne tengono il possesso ; si ha quindi la Montagna d1 Arcidosso, quella di Santa Fiora e quella dell1 Ab- badia; quest1 ultima è la più elevata ed è perciò la meta dei visitatori. Verso la sommità è scavata un1 ampia conca coll1 aper- tura rivolta a Sud cui fan corona, quasi in semicerchio, le ac- cennate elevazioni ; è questa la Valle dell ’ Inferno, ritenuta da alcuni naturalisti come il residuo di un antico apparato vulca- nico dell1 Amiata. Fatta astrazione dalle poche accidentalità pro- dotte in gran parte dalla erosione, la massa trachitica presenta in complesso la forma di un cono, avente una base quasi esat- tamente circolare, di 15 chilometri di diametro, tronco verso il vertice, e con uno sventramento dal lato di mezzogiorno corri- spondente alla Valle dell1 Inferno. Il massivo del Monte Amiata, comprendendovi il Monte Lab- bro e sue appendici, è bagnato alla sua base dal fiume Orcia, che prende origine fra i Monti di Cetona e la cupola basaltica di Radicofani, e lo ricinge da Est a Nord e a N.O. con ampia — 253 — curva semicircolare, ricevendo dalla sua sinistra il tributo di numerosi torrenti, che scendono dalla montagna, fra i quali il Formone, la Vellora, V Onfola, la Redola, V Ansedonia e l’Ente, mentre a ponente e a mezzogiorno prendono origine dai suoi fianchi i torrenti Melace e Trasubbie confluenti dell’ Ombrone e i fiumi Albegna, Fiora e Paglia, di cui i due primi han foce direttamente in mare, il terzo è un considerevole tributario del. Tevere. Tutta la montagna fino al suo vertice è rivestita di una ricca vegetazione che puossi agevolmente dividere in tre zone distinte; la inferiore, quella dell’ olivo e della vite, che può giungere fino a circa 600 metri d’ altezza sul mare ; la media, quella del ca- stagno, che dai 600 va a circa 950 metri; la superiore, o zona dei faggi, che da questa quota giunge sino al vertice. I villaggi dell’ Annata, Castel del Piano, Arcidosso, Santa Fiora, Pian Ca- stagnaio, Abbadia San Salvadore, Campiglia e Seggiano, popo- latissimi ed ameni, posti ad una elevazione variabile dai 600 agli 800 metri, trovansi quasi esattamente al limite fra le rocce eruttive e quelle di sedimento e la ragione di ciò vedesi age- volmente nel fatto della presenza di scaturigini acquee, appunto al contatto fra le rocce trachitiche porosissime e le sedimen- tarie specialmente argillose. Tali sorgenti sono meravigliosa- mente ricche e non la cedono ad altre per la freschezza e per il grado di potabilità delle loro acque. Le industrie potrebbero certamente trarre grandi vantaggi da queste forze motrici po- tentissime e gratuite che attualmente, credo, non servono ad altro che alla macinazione dei cereali e delle olive ; non è quindi senza compiacimento che presso Arcidosso vedonsi condotti a termine i lavori per l’ impianto di un lanificio, ove al più presto spiegherà la sua attività una compagnia industriale romana. La trachite del Monte Annata è un ottimo materiale da costru- zione e d’ essa sono infatti, quasi esclusivamente, fabbricati gli edifizi privati e pubblici della montagna ; si presta anche assai bene per opere decorative, come lo dimostra la elegante fac- ciata, di recente costrutta, della chiesa di Castel del Piano ; oltre di che il detrito prodotto da questa roccia facilmente disgregabile, serve ottimamente come arena nella manipolazione delle malte. — 254 — L’ ascensione al vertice dell’ Amiata (Montagna dell’ Abbadia) è un’ impresa tutt’ altro che difficile e pericolosa : basta per compierla una guida ed un somaro. Vi si perviene, qualunque sia il punto di partenza, mediante strade relativamente buone e continuamente ombreggiate prima da grossi castagni, poi da una fitta selva di faggi, impiegandovi circa quattr’ ore di cam- mino, se si ascende dal lato occidentale, tre ore o poco meno se dal lato orientale. Il viaggiatore che visita la Montagna negli ultimi giorni di luglio o nei primi d’ agosto trova, nella sua parte elevata, da appagare V occhio ed il gusto sui rosseggiaci tappeti di fragole e di lamponi del più squisito sapore. Gruppi di fanciulli d’ ambo i sessi, cantando allegre canzoni, rompono il silenzio di quei luoghi solitari, mentre raccolgono i deliziosi frutti che andranno poi, decuplicati di prezzo, a solleticare il palato dei ricchi abitatori della città. Ancora più in alto vedonsi qua e là delle cavità circolari non molto profonde, coperte di rami d’albero, nelle quali con- servasi la neve per la calda stagione. Giunti sulla sommità è d’ uopo arrampicarsi sopra un cumulo di grossi massi allo scopo di render libera la visuale dalla folta vegetazione che quivi pure ne circonda rigogliosa. Il più vasto e grandioso panorama si schiude allora dinanzi agli occhi dell’ attonito spettatore. Vedesi ad oriente una lunga striscia d’ acqua argentina, che a prima vista direbbesi mare ; è il lago Trasimeno ; a mezzogiorno un ampio bacino acqueo circolare nel cui interno spiccano due gra- ziose isolette ; è il lago craterico di Bolsena colle due piccole isole Bisentina e Martana. Distintamente appariscono le elevate vette dell’Apennino toscano, dei Monti romani, delle Alpi Apuane. Le alture circostanti spariscono completamente dinanzi a tale eminenza e solo ne circonda una vasta regione depressa, cosparsa di borgate, castelli e città e solcata da tortuosi corsi d’ acqua di cui scuopresi 1’ origine e la foce. Il Monte Amiata merita di esser profondamente studiato sia per indagare i rapporti del suo sollevamento con quello dei due sistemi montuosi longitudinali della penisola, la Catena metalli- fera cioè e V Appennino, sia per stabilire la maniera di sua eru- zione e scuoprire i legami che possono esistere fra esso e i gruppi eruttivi circostanti di Monte Catini, Campigli a, Sasso- — 255 — forte, Kadicofani, Pitigliano ec., non che il posto che gli com- pete nella serie cronologica del vulcanismo italiano. Finora tale studio è un pio desiderio nella scienza, ad onta che insigni na- turalisti abbiano fino da tempi remotissimi visitato il Monte Annata e riconosciuto V interesse sommo della risoluzione dei molti problemi che offre alla investigazione. Nè tampoco intendo di riempire io il vuoto, poiché in tal sorta d1 indagini, oltreché richiedesi di esser profondi conoscitori almeno di alcuni fra i prin- cipali distretti vulcanici del globo, ed io tale non sono affatto, occorre eziandio dedicare sul posto alle più minute ricerche un tempo non breve, che non può esser concesso a chi è incaricato del semplice rilevamento geologico di una data regione. Unico mio scopo è quello di contribuire ad uno studio completo, che altri porterà ad effetto, di questa montagna interessante sotto molti punti di vista, esponendo quanto mi fu dato di osservare nei pochi giorni che ivi rimasi ed i resultati ottenuti dalle ri- cerche fatte sui campioni raccolti. Dirò, adunque, brevemente qualche cosa, prima sulle rocce sedimentarie del Monte Annata e sui giacimenti minerali che vi si associano, poi sulle rocce eruttive non senza accennare all’ epoca e alla maniera più pro- babile di loro emissione. Premetto frattanto una succinta ras- segna di ciò che, per quanto mi sappia, è stato scritto fin qui sul Monte Amiata. G. Targioni-Tozzetti. Viaggi. ( Relazione del viaggio del Mi- cheli al Monte Amiata), Voi. IX e X, 1733. — Secondo questo Autore la differenza fra il granito e il peperino del Monte Amiata sarebbe la stessa che fra la carne cruda e la cotta. Fa quindi una lunga dissertazione per dimostrare come « il fuoco vulca- nico nelle viscere della Montagna di Santa Fiora abbia offeso e scompaginato i filoni di granito che toccava ed in essi abbia in- cotti. fusi e vetrificati i prismi cristallini bianchi costituenti la principale massa di essi graniti. Fra gli inclusi nella trachite o anime di sasso , come son chiamate volgarmente, V Autore cita masse opache men lucenti, come calcinate ; frammenti angolosi che sembrano di alberese cenerino, rossigno o biancastro ; un pezzetto lungo 7 linee, largo 2 di legno di pianta terrestre indubitato, senza equivoci, divenuto in certa maniera carbon fos- sile tutto granuloso, ma per altro conservante a meraviglia la — 256 - forma delle fibre legnose; sta dentro ad una come incassatura 0 guaina bianca scavata nel peperino. » Questo prova, continua, che il Monte di Santa Fiora era ignivomo in tempo che le sue pendici erano scoperte ed asciutte fuori dell’ antico mare. Dice inoltre sulle anime di sasso che « non sono affatto vetrificate, ma soltanto all’ esterno e quasi illese nell’ interno e pare credi- bile che siano rottami di pietre preesistenti nelle viscere del Monte, spaccate dipoi e scagliate velocemente fuori a guisa di bombe dalla veemenza del fuoco e rotolate giù giù fra la lava. » Dice che sono pure degne di nota « le masserelle di lapis piom- bino » che trovansi incluse nelle trachite e crede che possano essere « rottami di vene o filoni di vero lapis piombino come trovasi nelle viscere delle montagne. » G. Fabbroni. Sopra la miniera di rame esistente nella Co- munità d’Arcidosso in Toscana. Atti dei Georg., tom. Y, Firen- ze, 1792. — Dice che in Terra Rossa presso Arcidosso furono ritro- vati « alcuni insigni pezzi di rame nativo che si manifestano pure dall’ altro lato di quelle balze. La collina ove trovasi il minerale è costituita da schisti di color rossigno. Vi si trova in pezzi della lunghezza di circa mezzo braccio e dell’ altezza di un dito entro un filone di terra metallica la quale veste questi pezzi con sfoglie successive, le une sopra le altre, ora presen- tandosi a guisa di filoni ora di strati. » Tra le commessure de- gli strati schistosi si vede un’ alterazione di colore, si trova dell’ ocra verde, s’ incontrano i frammenti di rame nativo e noc- cioletti di quarzo impastati di scagliette come limatura di rame. Esaminato lo schisto fu trovato che conteneva circa il 5 per cento di rame. G. Santi. Viaggi per la Toscana, Pisa, 1798 e 1806. — Crede intravedere un avanzo del cratere principale del Monte Amiata « nelle scogliere della sommità del Monte stesso, che un tempo forse formarono il labbro o corona del cratere medesimo. 1 frammenti di questo labbro vedonsi giù per quelle dirupate pendici confusamente rovinosi e addossati gli uni sugli altri. » Yi ravvisa altresì alcuni crateri secondari uno dei quali assai cospicuo nella Valle delV Inferno , un altro nella Valle grande, e un terzo nella Piccola valle « ritenente ancora la forma di coppa e circondata da rocche di peperino. » - 257 — M. H. Klaproth. Chemische TJntersuchung des Berg-mehls von Santa Fiora , Journ. f. Chem. und Physik. — Bd X. 1. 91, Norimberg, 1814. E. Repetti. Relazione di una escursione geologica al Monte Amiata, Antologia, tom. XL, Firenze, 1830. — Dice delle anime di sasso che son costituite di una pasta feldspatica gremita di minuti cristalli di mica e di ferro carbonato : quando abbonda quest’ ultima sostanza i nuclei sferoidali acquistano una strut- tura fissile e divengono- untuosi al tatto come la piombàggine. Parlando d’ una trachite scoriacea trovata entro un piccolo av- vallamento, chiamato la piscina, nel lato orientale del Monte verso la sommità, dice che essa è di color grigio nerastro, sca- bra, scoriacea, tappezzata di cellule irregolari di tessuto gra- noso, frattura concoide, leggermente magnetica, avente un peso specifico di 2,080 : presenta molta somiglianza colla lava tefri- nica d’ Acquapendente e molte altre circostanze avvalorano la ipotesi « che all’ epoca di quella eruzione trachitica fosse stato aperto colà uno di quei spiragli vulcanici cotanto frequenti nelle montagne di simil genere, onde furono sollevate fino alla bocca sostanze laviche le quali ricadendo ne richiusero V orifizio. » Intorno alla natura delle anime di sasso sembra dividere la opi- nione del Micheli, che siano dovute cioè « a parziali attrazioni degli elementi costituenti il* peperino allorché questo era lique- fatto per modo che alcune parti dovettero maggiormente con- trarsi, mentre la sostanza impura ed eterogenea esistente fra loro fu 1’ ultima a solidificarsi. » Dice che al modo stesso spie- gherebbesi la presenza dei cogoli nel granito del Giglio, dei roguoni metallici nelle rocce ofiolitiche e delle masse testacee nella diorite orbiculare. L. Pareto. Osservazioni sulle trachiti del Monte Amiata e della Capraia. Atti 3a Riun. Scienz. ital. Firenze 1841. — La base del Monte Amiata è formata principalmente da calcaree alberesi e da arenaria macigno i cui strati son molto sconvolti e in qualche punto alterati. « Dalla parte dei bagni di San Fi- lippo, la calcarea diventa quasi cristallina ed è notevole per certe cavità infundibuliformi al fondo delle quali hanno luogo delle emanazioni costituite per la massima parte di acido carbonico. Questo gas sviluppasi poi abbondantemente ai famosi bagni sun- 258 - nominati, ove le acque sovraccariche di carbonato calcareo de- positano quel bellissimo travertino da tutti conosciuto. » Al colle delle Aiole presso Arcidosso, a levante della strada, vedesi l’ar- gilla del macigno a contatto colla trachite convertita in una roccia argillosa rossa, assai dura, la quale somiglia al mattone. L. Pareto. Osservazioni geologiche dal Monte Amiata a Roma. Giorn. Are. 7, C. 1844. — Dice che la eruzione delle trachiti del Monte Amiata ebbe luogo allo stato pastoso e in terreno eocenico da lungo tempo emerso, dopoché furon depositate le argille e le sabbie plioceniche non che le ghiaie che frequentemente le ri- cuoprono ed anche dei travertini che consolidavansi nelle valli meno profonde contemporaneamente a quei depositi marini (Vedi Meneghini, Stat. della prov. di Grosseto). A. Caillaux. Memoria sopra i depositi di rame contenuti nelle montagne serpentinose della Toscana , e sopra alcune miniere di Cinabro dello stesso paese. Nuovi ann. di Se. nat., ser. 3a, 7, IL — Bologna, 1850. Id. Manifesto per una società per le miniere del Monte Amiata e di Selvena, 1852. Id. Rapport sur les mines du M. Amiata, appartenant à la société nommée « Stabilimento mineralogico Modigliani , » 1852. — In questi opuscoli si tratta quasi esclusivamente dei giacimenti cinabriferi del Monte Amiata allineati sopra una catena di col- line che staccasi dal suo fianco meridionale in direzione Nord-Sud. Tali sono le miniere dell’ Abbadia, di Pian Castagnaio, di Ca- stellazzara, di Selvena. Il minerale trovasi in vene e filoni più o meno potenti negli schisti del macigno, nei calcari nummuli- tici, nelle ftaniti, talvolta associato a rocce quarzose, tal’ altra fra calcari e schisti bituminosi senza apparenza di forma erut- ti va (Vedi Meneghini, Stat. della prov. di Grosseto). . P. Savi. Rapporto della pubblica esposizione ec. Firenze, 1850. — Accenna alla provenienza delle terre bólari del Monte Amiata « da depositi d’ acque che fluivano in epoche remotissime, le quali raccogliendosi in piccoli bacini depositarono sul loro fondo il ferro che avevano disciolto e P argilla che tenevano so- spesa. » G. Meneghini. Saggio sulla costituzione geologica della prov. di Grosseto. (Stat. della prov. di Grosseto. Firenze 1865.) — 259 — G. Meneghini. Rapporto sulla miniera cinabrifera del Siele, ec. — Livorno, 1865. G. vom Kath. Ein Besnch Radicofani’s und des M. Amiata in Toscana. Zeit. d. deut. geol. Gesells. Berlino, 1865. — In tutta la massa trachitica del Monte Amiata domina una grande uniformità che non si riscontra negli Euganei ed in altre con- trade. La trachite è molto somigliante al granito del Monte Ca- panne, e contiene degli inclusi, anime di sasso, che son frequenti nei graniti dell’ Adamello e di Cima d’ Asta. Possono farsene due divisioni, riolite e trachite oligoclasico-sanidinica. La prima è un miscuglio a grana mediocre di sanidina, grani non cristallini grigi, mica di magnesia, oligoclasio e poca augite. L’ altra è piut- tosto un porfido la cui pasta è di sanidina, oligoclasio e mica di magnesia con grossi cristalli di sanidina sparsi nella massa. I grani non cristallini grigiochiari sembrano di quarzo e furon ritenuti per tali fino a che V Autore dimostrò coll’ analisi che avevano la seguente composizione: Silice 76, 82 Allumina 14, 01 Calce 1, 76 Acqua 0, 40 Alcali ..... 7,01 100, 00 Peso sp. 2,351 a 22° cent. Anche al microscopio coll’im- piego della luce polarizzata risultarono costituiti da una sostanza amorfa. Con un ingrandimento di 400 diametri osservansi in questi grani amorfi una infinità di linee vermiformi che son pro- babilmente tubi vuoti. Le anime di sasso non ^ono aderenti alla massa che le involge e constano talvolta di un aggregato di mica magnesiaca, talvolta di trachite porosa scura con cristalli di sanidina, talvolta di una trachite la cui massa fondamentale sembra perlite . « Es sirici echte Eiuschliisse nicht etwa Concre- tionen, sie fallen leicht aus dem sie umhullenden Gestein heraus und zeigen ein eigenthumlich unebene oft lòcherige Oberflàche genau wie die sogenannten Laacher Auswiirflinge. » G. Campani. Geologia del territorio senese. (Siena e il suo territorio. Siena, 1862.) — « Sul fianco del Monte Amiata dalla — 260 - parte di levante presso il termine della formazione trachitica e in mezzo ad essa comparisce una roccia ofiolitica, V eufotide, che ricomparisce quindi a poca distanza attraverso un calcare più o meno argilloso. Non vi è alcun dubbio che la trachite siasi ri- versata su di esso posteriormente alla sua formazione. Dal mo- strarsi la trachite in masse sconnesse e disordinate pare che se ne possa inferire che la elevazione cui esse son giunte sia do- vuta non tanto alla loro eruzione quanto ad un successivo sol- levamento. Dall’ osservare poi che questa roccia ha. dislocato il terreno subapennino è naturale se ne tragga la conclusione che la di lei comparsa sia posteriore o degli ultimi tempi della se- dimentazione di quello. » C. Giannetta Sulle terre gialle e bolarì del Monte Amiata con appendice relativa alla farina fossile del Monte Amiata. Sie- na, 1873. — Vengono considerate dall’Autore le terre bolari dal lato dei loro caratteri o della loro composizione, non che della loro applicazione. La quantità di sesquiossido di ferro contenuta nella terra gialla, varia da 67,724 a 74,071 su 100 parti di terra disseccata a 100°. Quella contenuta nella terra d’ ombra calcinata oscilla fra 56,634 e 74,071. Un’analisi quantitativa eseguita dallo stesso Autore sopra una terra d’ ombra di prima qualità, dette per essa la seguente composizione : Acqua 11,41 Allumina 1,80 Calce 6, 15 Sesquiossido di ferro. . . . 69,58 Silice 11,03 Potassa e Soda 0, 06 Manganese tracce 100,03 I giacimenti principali di questa terra trovansi in prossimità di Castel del Piano, d’ Arcidosso e di Pian Castagnaio. A. Verri. Sulla cronologia dei vulcani tirreni. (Rendiconti del R. Istit. Lomb., serie 2a, voi. XI, fase. 3°. Milano, 1878.) — Riguardo all’ apparato vulcanico dell’ Amiata, dice P Autore che merita d’ essere studiato il Pian delle Macinale, dove aveva tro- vato una trachite scoriacea di color bruno o rosso bruciato sul - 261 versante occidentale della Montagna. In favore di questa opi- nione dice che crede avvenuto un mezzo rovesciamento dell’ isola amiatina, nella quale la formazione pliocenica ad occidente an- dava a seppellirsi sotto le acque del Mediterraneo, mentre si sol- levava T estremità orientale in modo da alzare da quella parte le colate sino a formare il vertice del monte e deprimere nell’ op- posto fianco i crateri. C. De Stefani. Notizie sulla cronologia dei vulcani della To- scana. (Processi verbali delle Adunanze della Soc. Tose, di Se. naturali. Maggio, 1878.) — Trovatisi in Toscana cinque gruppi vulcanici: il gruppo di Pitigliano, quello del Monte Amiata, quello di Roccastrada, 1 quello di Radicofani e quello di Monte Catini. Il Monte Amiata è costituito da trachite sanidino-oligo- clasica, senza quarzo, per cui non avrebbesi una vera riolite. Essa posa in banchi orizzontali o per solito poco inclinati sopra gli strati assai pendenti dell’ eocene superiore (liguriano). a In qual- che luogo come ad esempio al Vivo, assume P apparenza di co- lata. Si può ritenere perciò che si tratti di un vulcano vero e proprio. L’ epoca delle eruzioni sembra postpliocenica, non mio- cenica, come ritiene il Verri; perchè mentre nel pliocene di mare profondo che fino al livello di circa 800 metri circondava e cir- conda in parte il Monte Amiata, si trovano ghiaie dalle rocce eoceniche, nel monte stesso a poche centinaia di metri più in alto mancano intieramente anche negli strati più recenti ghiaie della trachite, la quale è tanto più alta del pliocene. » ( continua ) II. Le grotte di Sant’ Eustachio presso Sanseverino- Marche, appunti geologici sull’ Appennino centrale di M. Canavari. Dalle alte cime ricoperte per buona parte dell’ anno da neve, dei Monti Sibillini, che a sud racchiudono il bacino camerinese, 1 È detto disavvedutamente che secondo il Lotti il centro delle eruzioni, pei diversi lembi che costituiscono questo gruppo, sarebbe stato Roccastrada. Io scrissi invece che ritenevo tal centro nel monte di Sassoforte, punto più elevato e mediano del gruppo stesso, — 262 — un giorno mare miocenico , giacente sopra i terreni superiori cre- tacei (se nuove osservazioni non diranno il contrario) sembra staccarsi parallelamente alla linea appenninica dello spartiacque, la catena orientale dell’ Appennino centrale con la montagna di Fiegni. A nord di questa s1 incontra il monte Favo, tra cui e il monte Letegge s’ apre la vallata del fiume Chienti, il quale trae la sua origine nelle Strette di Serravalle. Dopo il Letegge e sopra i colli di Crispiero, ricoperti da castagneti bellissimi, s’ innalza una grande volta, tagliata da cima a fondo a perpendicolo, formante una pittoresca gola, la quale per buon tratto procede da sud-ovest a nord-est e pel rimanente da sud a nord, leggermente scostandosi verso po- nente dall’ asse dell’ anticipale, gola che in miniatura ricorda il Passo del Furio nel gruppo del Catria. A chi non vuole seguire la via carrozzabile e antepone le comodità a risparmio di tempo, s’ offre per la Gola delle grotte una scorciatoia naturale, che da Camerino conduce a Sanseverino- Marche, passando per la torre di Beregna. « Solitaria nel mezzo alla rasa campagna sulla vetta d’ un alto colle, vedesi la torre di Beregna vera sentinella petrificata a guardia e a cavaliere de’ due bacini, mirabilmente atta a dare ogni maniera di segnali alla città ed alla marziale ghirlanda dei vigili castelli, ond’ era accerchiata in que’ tempi di piccole ed accanite guerre di mu- nicipi e signorotti, in cui ad ogni istante poteasi temere e si doveva prevedere un assalto improvviso e un tradimento. 1 » Il colle di Beregna segna difatti il punto culminante della linea di divisione delle due vallate del Chienti e del Potenza, linea tracciata da una serie di colline, di formazione miocenica, che incominciano presso il villaggio di Morro, poco lungi da Montigneo, e sopra una delle quali, costituita esclusivamente d 'Arenaria a Mactra triangola, intramezzata da sottili strate- relli di lignite e da considerevoli banchi d’ argille turchinicce, corrispondente agli strati superiori della molassa svizzera ( piano tortoniano del Mayer) fu costrutta la città di Camerino da una colonia umbra. Essa con molta accortezza si stabilì in questa collina fino a 670 metri sopra al livello del mare, in tempi di 1 A. Conti, Camerino e i suoi dintorni. Camerino, tip. Rorgarelli, 1872, pag. 119. — 263 — guerre continue perchè vi trovò una fortezza naturale formata dalle ultime testate d’ arenaria. Sul principio del colle di Beregna, al di sotto d’ un calcare marnoso, schistoso, or cenerognolo, or azzurrigno, con spine di cidaridi, con resti di piccoli brachiopodi, di cardio , che credo riferirsi e per fossili e per ordine stratigrafico al miocene inferiore , s’ incontra un calcare scaglioso, grigio verdognolo, che divien poi variegato e finalmente rossastro, insinuandosi in esso filari o piccoli nodoli di piromaca rossa. Questa formazione è assai svi- luppata nell’ Appennino centrale e ricopre quasi tutti i nostri monti. I fossili vi sono rarissimi, purtuttavia il Piccinini vi ha rinvenuto presso il Catria alcuni eehinidi cretacei. 1 Da tali dati paleontologici e dall’ apparenza litologica, analoga alla Scaglia delle Alpi Venete, si riporta questa formazione all’ orizzonte su- periore dei terreni cretacei. Da qualunque parte poi da Camerino ci avviciniamo alla bella corona di monti che lo circonda, ovunque sotto al miocene inferiore si trova la Scaglia. Per il che si può dire che in questo bacino manchi V eocene sia sotto la forma d’ un calcare marnoso, che presso Urbino si denomina bisciaro, con foraminifere e rare nummoliti,2 sia sotto la forma di calcare nummolitico a facies alpina, come si rinviene abbondantissimo a Macereto presso Visso, oltre i 1000 metri sopra il livello del mare, alla torre di Visso ed anche in piccolo lembo sulla cima del Vettore. La Scaglia , che avvicinandosi alla rossa è più compatta, si cangia gradatamente in un calcare rosato , stratificato, senza verun resto organico, da riferirsi come cosa probabile alla creta media. Proseguendo innanzi verso nord-est ecco aprirsi la Gola delle grotte. Due sono le vie che vi conducono, P una orientale, V al- tra occidentale, la prima certamente più comoda. Innanzi d’ arrivare ad una solitaria casa colonica, si scorgono tracce di detriti di schisti a fucoidi, certamente dissimulati sotto la folta boscaglia, che tutta ricopre questa vallèa. Gli schisti a fucoidi per il loro caratteristico colore dal violaceo al roseo sono 1 Piccinini, Osservazioni geologiche sul Catria. Rivista Urbinate, anno II, 1869-70, fascicoli 2, 3. 4-5, 6 e 8. * Federico Mici, I terreni dell’Urbinate. Urbino, tip. del Metauro, 1873. — 204 distinguibili anche ad una notevole distanza, e rappresentano nell’ Appennino centrale il piano inferiore della creta media. Fa seguito un calcare bianchissimo, analogo sotto V aspetto litologico alla maiolica di Lombardia, ammagliato da molte ve- nule spatiche, calcare che forma qua e là e piccole balze e rupi imponenti, ricoperte in parte da verdure e cespugli. Indubbia- mente questa è la formazione del Felsen'kalk dello Zittel (creta inferiore). A Monte Primo a Monte Lago, a Montigneo, a Monte Profoglio, in questo calcare rupestre si trovano innumerevoli no- doli di silice grigiastra, conosciuti col nome di ovoli, perchè or- dinariamente assumono forma ellissoidica. Il calcare rupestre, già ritenuto ippuritico, forma tutte le volte che da monte Pro- foglio si distendono sino a Monte Gemmo ; erroneamente quindi l’ingegnere Rutili riteneva che « Montigneo (come l’altro di Pro- foglio che gli sta di fronte) presenta la rara particolarità di avere investita la sovrapposizione originale e naturale delle rocce, essendo nella parte inferiore costituito della più superfi- ciale formazione dell’ Appennino e nella superiore delle più pro- fonde rocce di esso. 1 » Prendendo poi la strada sulla sinistra del torrente, a due- cento metri circa distante dal secondo calcinaro che in questa parte s’ incontra, in una piccola balza, sotto al calcare rupestre, si rinviene per 15 o 20 metri di potenza un calcare biancastro, stratificato, sonoro, durissimo, in cui i resti organici si possono dire immedesimati con esso, e se per avventura si possono estrarre le loro superficie sono tutte ricoperte d’ un colore ver- dastro. Utilissimo questo calcare come pietra da costruzione e per molti e svariati usi, appartiene al piano titonico dell’ Oppel, corrispondente all’oolite superiore ed ultimo perciò dell’epoca giurese. Il Gemmellaro e lo Zittel 2 nelle loro monografie di questo terreno ci descrivono mirabilmente quel numero stermi- nato di cefalopodi, che popolava il mare d’ allora. E da questi dati paleontologici il dotto tedesco trae la contemporaneità di questo terreno degli Appennini con gli Strati a Terebratula dipliya 1 Relazione sulla revisione dell’ estimo rustico (1848). * Gemmellaro, Studi 'paleontologici sulla Fauna del calcario a Terebratula janitor. Palermo, 1868-70. — Zittel, Die Fauna d. aeltern Cephalopodenfueh- renden Tithonbildungen. Cassel, 1870. - 265 — del Tirolo meridionale o con quelli di Kimmeridge, che apparten- gono alla zona superiore della formazione titoniana. Sviluppatissimo è il titonico alle Grotte, e ricchissimo d’ un maraviglioso numero di fossili. Nella piccola balza accennata ho raccolto un hello esemplare di Phylloceras ptychoicum, Quenst. sp., poco più sopra in mezzo al cespuglio un Lytoceras quadri- sidcatum, d1 Orb. sp. ( Ammonites quaclrisidcatus , Cat., Am. quin- quecostatus, Cat.) un Aptychus pundatus, Yo\tz e \m Apty. Bey ri- chi. Opp. Dipoi questo calcare assume un aspetto veramente marmoreo e tra le sue stratificazioni s’ insinuano sottili strate- relli di marne scliistose; il suo colore incomincia a tendere al verdognolo, tingendosi anche in rosato e presentando macchie d’ossidi di ferro. Questo piano del titonico tanto diverso per caratteri litologici da quello che lo sovrasta, lo è anche pei fossili, che vi sono rarissimi. Invece tale orizzonte nel dosso oc- cidentale di monte Primo e precisamente sopra Agolla e a Ga- gliole è molto ricco d’ ammoniti ; al monte Primo v’ è caratte- ristica V Ammonites venetianus, Zit., a Gagliole vi abbonda il sottogenere Perisphindes, tra cui il Perisph. contiguus, Cat. e il Perisph. eudichotumus, Zittel. Ritornando alle Grotte e scendendo dalla balza nel torrente si vede in esso un masso di calcare titonico minato giù dalla parte destra del monte, tutto tempestato d’ ammoniti grossi e piccoli, ma siffattamente commessi con la roccia, che è mala- gevole estrarne qualcuno. E qui che ho rinvenuto un frammento d’ una notevole terebratula, con bel solco nella valva superiore, appartenente alla Terebratida triangida, Lam. In un altro masso sempre titonico, sopra alla riva destra del torrente, non sarà difficile estrarre qualche esemplare A Ammonites Voìanensis, Opp., di Lytoceras montanum , Op., di Phylloceras Kochi, Op. sp., A Aspidoctras Bogoznicense, Zeuschn. sp., di Perisphindes con- tiguus, Cat., di Perisph. eudichotumus, Zittel., di Aptychus Bey- richi, Op., di Belemnites, sp. in., ed altri. Poco più avanti, sotto al titonico, si scorgono in poca potenza sottili straterelli di silice e di calcare verdigno. Sono gli Schisti ad Aptici, intorno alla cui origine tanto si disputò, senza venire an- cora ad un sicuro resultato, corrispondenti al « calcair impur, verdà- tre ou blanchàtre » dello Spada e dell’ Orsini, i due geologi mar- ia 266 — chigiani, che per primi classarono nei sistemi geologici i terreni dell’ Appennino centrale, quando ancora era pochissimo conosciuta la geologia delle Alpi. 1 Probabilmente questi schisti sono contemporanei agli Strati ad Ammonites fallax, Benecke ( Dogger inferiore) giacché nei nostri monti queste due formazioni si escludono a vicenda. Così mentre al Catria sotto al titonico si rinvengono gli Schisti ad aptici e poi il Lias superiore, al monte Pietralata (Passo del Furio) sotto al titonico si hanno gli strati ad Am. fallax e quindi il Lias superiore. Sulla natura poi degli aptici, quasi unici fossili di questo deposito, indubbiamente giurese, molto si disse : chi li credè placche dentarie di pesci come il Kriiger e il Riippel, chi oper- coli d’ammoniti come il Voltz. I più dotti paleontologi italiani e stranieri, P Oppel e il Meneghini, li riportano ora a conchiglie interne delle ammoniti, destinate, come annunziò il Keferstein, a protezione delle glandule nidamentarie e perciò esclusivi degli individui femminei. 2 In ordine stratigrafico discendente si dovrebbero ora trovare sotto gli Schisti ad aptici le Marne rosse ammonitifere (Lias superiore) come si rinvengono molto sviluppate a monte Gemmo presso Pioraco, nel quale si raccolgono in esse oltre parecchie specie di esili fucoidi, P Ammonites bifrons, Brug., P Am. Mer- cati, Hauer, V Am. comensis, Buch, alcune varietà d 'Am. snbar- matus, tra cui il subarmatus tipico, Young e Bird, e l’elegante varietà carinata, Meneg., P Am. radians, Rein., P Am. insignis, SchiibL, P Am. cliscoides, Ziet., la Phylloceras Nilssoni, Héb., la Thyl. doderleinianum, Cat., ed altri. Ma alle Grotte le Marne rosse ammonitifere mancano e gli Schisti ad aptici riposano so- pra un calcare carnicino, il quale è tutto picchiettato di mac- chie nerastre. Qualche piccolo ammonite eh’ ivi ho potuto rac- cogliere, P Ammonites JBoscensis, Reynès o Lavinianus secondo 1 Spada et Orsini, Quelques observations géologiqucs sur les Apennins de V Italie centrale. Bui. de la Soc. géolog. de France, 2me Sér. XII. pag. 1144, an. 1855. — G. Meneghini, Commemorazione scientifica del conte Alessandro Spada Lavini , letta nell’adunanza della Società Toscana di Scienze Naturali del dì 12 marzo 1876. Pisa, tip. Nistri, 1876. 2 Aptychus , Studi microscopici di G. Meneghini e G. Bornemann. Pisa, 1876. — 267 il Meneghini, fossile molto frequente, la Terebratula Aspasia Meneg., la Ter. Myrto, Meneg., la Ter. panciata, Sa., alcuni frammenti di Bhynchonelle e d’ altri brachiopodi accennano senza dubbio al Lias medio analogo per fossili al calcare a Terebratula Aspasia di Sicilia. 1 Di questa formazione la zona a calcare a cr inoidi, che è tanto sviluppata al Pietralata, ivi è del tutto mancante. Alcuni dei fossili poi che si estraggono in tal terreno sono superficialmente verdastri, e talora si tinge leggermente in verdastro anche il calcare del Lias medio. Passiamo il rivo poco sopra ad una piccola sorgente di acqua, e prendiamo la via che s’ innalza sulla parte destra. Le belle stratificazioni del Lias medio cessano d’ un punto per dar luogo ad un calcare massiccio, durissimo, or leggermente rossigno, or bianco. È questo il nucleo, per ciò che fin qui si conosce, delle diverse ellissoidi di sollevamento, che sull’ aurora dell’ epoca terziaria formarono, non solo il monte in discorso, ma tutte le volte dell’Appennino centrale ; ed è perciò la roccia più antica che si offra ai nostri occhi. A Pioraco, per esempio, sia a monte Primo, sia a monte Gemmo, è rimarchevole in alcuni punti la candidezza di questo calcare, fatto del resto già notato dallo Zittel al Vettore. Lo Spada e l’ Orsini 2 considerarono erroneamente questo calcare come dolomia e lo riportarono al Lias inferiore. CIP esso effettivamente appartenga a questa formazione non si può dire con certezza, giacché non se ne conosce la roccia base, nè si hanno per ora sufficienti dati paleontologici. Nella raccolta di fossili dell’Appennino centrale, e specialmente dei monti Catria, Nerone, Pietralata, del defunto Abate Mariotti parroco di Sec- chiano, villaggio poco lungi da Cagli, s’ ammirava di tal terreno la Tosidomya Janus, Meneg., trovata al Furio, fossile, che presso Campiglia nella Toscana si rinviene abbondantissimo nel Lias Inferiore. 3 * Gemmellaro, Sopra i fossili della zona del Calcare a Terebratula Aspasia, Meneg., di Sicilia. Palermo, 1871. * Spada et Orsini, 1. c. * La raccolta di fossili degli Appennini centrali del fu Mariano Mariotti è forse una delle migliori e più complete che si abbiano ; essa venne ordinata e classata per la più parte dallo Zittel, il quale vi trovò documenti paleontologici — 268 — La compattezza di questo calcare che è assai considerevole ne’ suoi punti d’ affioramento, elevandosi va man mano dimi- nuendo; il colore di roseo chiaro diventa del tutto bianco, la struttura a grana finissima e impercettibile diviene alquanto cri- stallina, e sembra davvero dolomia ; è poi granulare e quindi de- cisamente oolitica. Allora un semplice colpo di martello è suffi- ciente a stritolarlo, laddove prima non ne bastavano parecchi per avere anche semplici schegge, ottenendosene una frattura concoide e cavernosa. Poi gradatamente i grani oolitici van di- minuendo, il calcare ridivien tenacissimo e in fine torna a pren- dere tutti i primitivi caratteri. E in questa zona a calcare in parte d’aspetto cristallino e in parte oolitico, che si rinvengono abbondantissimi fossili, steli di cidaridi, ter ebr afide, pleur otomarie e molti altri, ma tutti fin qui non determinati : e specialmente poi se ne raccoglie sia en- tro la Grotta del gallo e in un masso erratico lungo il torrente e precisamente dinanzi la chiesa, di cui più sotto terremo pa- rola, come in posto nella rupe imponente, che sta dirimpetto ai ruderi della Badia. I tagliatori di pietra, che da tempi assai remoti lavorano questo calcare, lo conoscono sotto il nome di travertino, perchè difatti in alcuni posti assume un’apparenza travertinosa. D’al- tronde il Lias inferiore spesse volte prende quest’ ultimo aspetto ed è ora oolitico or pisolitico, come anche osservò V illustre Zittel.1 II chiarissimo mio amico prof. Federico Mici, che è molto versato nello studio geologico dei nostri Appennini, mi scriveva, or fa un anno, che a Piobbico in Valcarana il Lias inferiore è precisamente or pisolitico, or oolitico ed in alcuni punti mal di- stinguibile col travertino, che sopra ad esso riposa, cosicché i cavapietra Jo chiamano travertino maschio per distinguerlo dal importantissimi per la determinazione, prima incerta, di alcuni terreni secondari. Vicinissima poi corri’ è al Catria, al Nerone, al Pietralata, località ormai divenute classiche per gli studii geologici e in cui furono rinvenuti quasi tutti gli esem- plari che in essa s’ammirano, raddoppia il suo pregio scientifico. Siccome ora, per ciò che sappiamo, questa raccolta è in vendita, sarebbe cosa utile e decorosa che venisse acquistata dal municipio di Cagli, il quale così renderebbe anche un meritato tributo d’ onore all’ estinto Mariotti. 1 Dr C. A. Zittel, Geologiche Beobachtungen aus den Central- Apenninen. Munchen, 1869, pag. 30. — 269 — vero, che lo dicono travertino femmina, a cagione della minor compattezza di quello. La posizione stratigrafìca dell’ orizzonte in discorso in stret- tissima relazione ed anzi senza verun passaggio col massiccio calcare, accenna, con molta probabilità, ad una formazione contemporanea ad esso. Per lo che diligentemente ' studiati i moltissimi e svariati fossili, che ho potuto in esso rinvenire, potranno questi servire a determinare la fauna per ora non conosciuta del Lias inferiore (?) dell’ Appennino centrale. Il complesso di questo terreno a calcare massiccio intramez- zato con calcare oolitico, ricco di fossili, raggiunge una potenza visibile d’ oltre i 100 metri. Seguitando innanzi il cammino il paesaggio cambia intera- mente d’ aspetto : alle folte boscaglie sottentrano rupi a guisa di muri giganteschi, ricoperti qua e là da qualche pianta sel- vaggia, che per avventura ha potuto attecchire tra le fenditure del massiccio calcare di cui sono formate : macigni spaventevoli che pendono sul capo del viandante da un lato e dall’ altro. Ecco intanto che si scorge una grotta, la « Grotta dei pipi- strelli » di forma rettangolare, larga più di 22 metri, sopra 16 metri di massima profondità. L’ apertura di essa è molto bassa e non raggiunge che m. 1.80; nell’ interno poi elevasi fino a 4 metri. Non lungi s1 incontra P apertura della « Grotta affumicata » la quale è alta m. 2. 20, profonda m. 14. 50 e larga m. 21. Sulla parete destra di questa grotta sta un pic- colo ingresso per cui si entra in un’ altra profonda più di 22 metri e larga più di 16, ove penetra solo un fil di luce da un piccolo pertugio. Queste grotte sono dette di Cutiferro dal nome del proprietario della montagna in cui sono scavate. Ritorniamo sulla strada già percorsa e passiamo alla parte opposta del rivo ; da lungi si vede una terza grotta sulle pa- reti del monte di Cutiferro, inaccessibile, poco profonda e larga forse 25 metri. Deviando quindi a sinistra per la strada occi- dentale, che da Camerino conduce alle Grotte, lasciando poi questa direzione e voltando a destra eccoci alla « Grotta del gallo » la maggiore di tutte. Si chiama del gallo perchè la tra- dizione dice che un gallo gettato in una buca in cui è voce si perdessero due monaci, buca che ancora esiste se non che ora — 270 — si vede in parte riempita di sassi, uscisse dall’ altro versante (occidentale) del monte in un’ apertura donde periodicamente sorge acqua. La larghezza dell’ ingresso di questa grotta è di m. 19. 40 e l’altezza di m. 1. 50 in media. Il primo ambiente è presso a poco rotondo di m. 30 di diametro su 4 di altezza massima, declinante a volta. La parete opposta all’ ingresso s’ apre per circa 8 metri, ed abbassandosi tanto nella volta, che qui è in piattaforma, quanto nel suolo, si sprofonda per altri 37 metri : le pareti laterali poi si restringono gradatamente fino a lasciare uno spazio di m. 4 in largo e 3 in altezza. È in questa che si estraevano lastre del così detto traver- tino ; quindi è da credere che essa, come le altre di questo si- stema, da natura abbozzata venisse poi dall’ industria ingrandita. Si vede ancora nel primo ambiente della grotta del gallo un piccolo scavo, che vi tentò, circa tre anni or sono, l’ illustre paleoetnologo Pigorini, scavo che probabilmente per la brevità di tempo in cui fu eseguito, non diede in questi luoghi alcun indizio dell’ esistenza dell’ uomo primitivo. Al di sotto di questa grotta si vede, riprendendo la strada lasciata, una grotta larga sicuramente più di 35 metri, inacces- sibile : a destra poi altra pure inaccessibile larga circa una trentina di metri. Scorgesi quindi ancora a destra, in alto la « Grotta della rondine » con molte viuzze e colonne stallagmi- tiche. Eccoci poi alla « Grotta del torrente » nella quale scorre 1’ acqua, di forma d’ un quarto d’ ellissoide allungata, la cui lar- ghezza nell’ imboccatura è di m. 33 con una profondità massi- ma di 15 metri. Più innanzi, sulla riva sinistra, s’ incontra una grotta malagevole a praticarsi, con profondi buchi, larga oltre i 20 metri. A destra si trova la « Grotta delle stallatati » forse la più pittoresca di tutte. Nell’ ingresso, larga m. 25. 50, è alta in media m. 2. 50 ; va quindi il terreno innalzandosi sino a toc- care la volta ad una distanza di 18 metri. In cima le stalìattiti unite con le stallagmiti hanno formato colonne : nelle pareti la- terali poi, che sono quasi circolari, le stalìattiti paiono tronchi di piante, le quali sostengono altre stalìattiti trasversali distese pel vòlte a guisa di teloni spiegati. Vicinissima a questa è la « Grotta dei muschi » con abbondante stillicidio, a forma di nicchia. E profonda ed alta più di 12 metri, con un’apertura — 271 — di m. 18. 80. Quindi a sinistra, in alto, altra grotta poco pro- fonda, difficilmente accessibile. Siam giunti così ai ruderi della Badia benedettina di San Michele delle Domora 1 detta poi di Sant’ Eustachio, costruita in parte in un’ampia grotta larga 14 metri, lunga 16 ed alta circa m. 13, che a guisa di vestibolo serve d’ entrata ad una seconda, il cui ingresso non raggiunge P altezza di m. 1. 50 per andarsi poi innalzando sino a m. 14 e sprofondandosi per altri m. 31. 50. Nella parete destra di chi entra nella prima di que- ste grotte da una buca posta vicino terra, si scorge una piccola e bassa grotta che serviva d’ ossario, come si può dedurre dalla presenza dei residui umani, ai monaci che colà dimorarono fino al 1393, dopo di che si riunirono a quelli di San Lorenzo in Doliolo a Sanseverino.2 Dinanzi alla « Grotta della Badia » è la « Grotta della fornace » molto aperta, larga oltre i 28 metri e profonda 17. Finalmente sulle pareti del monte, alla destra del torrente, a dieci metri circa dal suolo, scorgesi una piccola grotta impraticabile. In essa, secondo la tradizione, Sant’ Eusta- chio fece penitenza. Tra questa grotta e quella della Badia s’in- nalza una piccola e svelta chiesuola scavata per metà nel sasso, costruita fin dal secolo Vili, ampliata poi verso la seconda metà del XIII secolo secondo lo stile proprio di esso. L’ ultimo re- stauro del 1861 fu fatto a spese dell’abate cisterciense D. Al- berigo Amatori « ne tanta loci religio obsolesceret » come dice 1’ epigrafe. Procedendo innanzi dal Lias inferiore si ritrova tutta la scala ascendente dei terreni secondari comuni in questa loca- lità : finalmente termina la gola e si vede la pittoresca vallata del Potenza, che s’ apre la via tra i colli di Crispiero ed il Dosso Yallonica, mentre giù in fondo giganteggia il gruppo del Sanvicino, il punto culminante della catena orientale dell’ Appen- nino centrale. Camerino, 14 agosto 1878. 1 Domora. Secondo il Mabillon dal torrente Domor , secondo altri e meglio dalle casa ( domus ) un giorno ivi aggruppate per servigio de’ tagliatori di pietra. a A. Angelucci, Sulla Badia di S. Eustachio de Domora in quel di Sanseverino , Verona, Civelli, 1855. — 272 — III. Appunti geologici sulle miniere di Monte Sfer r uccio nel - V Aquilano. Lettera elei dott. C. De Giorgi all’ ing. P. Zezi, Segretario del R. Comitato Geologico. Dopo la pubblicazione del dott. Antonio Amary intitolata Storia naturale inorganica della provincia Teramana (Aquila, tip. Ater- nina, 1854), poco o nulla si è aggiunto riguardo alla geologia di quel contrafforte dell’ Appennino abbruzzese, che spinge i suoi vertici fino a 2921 m. sul livello marino e che vien denominato Gran Sasso d'Italia. Visitata quasi tutti gli anni dalle diverse sezioni del Club alpino, e conosciuta più artisticamente che scientificamente, quella lunga catena di montagne aspetta ancora studii più severi, indagini pazienti ed accurate prima di rivelare al naturalista la sua storia crono-geologica. Nel luglio or decorso, avendo avuto T agio di visitare ed esplorare per scopo industriale uno dei gruppi montuosi appartenenti a cotesto contrafforte, ho raccolto alcuni fatti e documenti che qui Le riferirò e che. ri- guardano precipuamente il monte Sferruccio ed il Campo Im- peratore. 1 Le dirò anzitutto della configurazione orografica esterna. Il contrafforte più importante, che si distacchi dal versante orientale o adriaco dell’ Appennino, è senza dubbio quello che divide l’Abruzzo Aquilano dal Teramano e dal Chietino, e che, sebbene assuma nomi diversi, pure forma una catena continua che comincia dai monti della Sibilla al Nord di Aquila e di Montereale e va a terminare nelle montagne della Majella che ' Stimo necessario avvertire il lettore che là denominazione di questi monti varia moltissimo da una provincia all'altra dell’Abruzzo, e per es. il monte detto Guardiola dai naturali di Castel del Monte vien denominato monte Corno da quei di Penne. Anche nelle carte dell’Istituto topografico militare la nomencla- tura è molto diversa ; e quello che io chiamo monte Sferruccio ivi è intitolato monte Prena e Vado di Ferruccio; quello che qui è detto monte Camicia \ ien detto da quei del luogo Coste a camicia; ed il monte Tremoggia vien denomi- nato invece monte Guardiola, mentre questo nome corrisponde nelle carte mi- litari all’ultimo picco che piomba nella spaccatura montuosa del Tavo. In questa nota ho creduto adottare la nomenclatura locale per comodo di coloro che vorranno visitare ed esplorare quelle miniere. 273 — giungono lino alla valle del fiume Sangro. Questa catena, inter- rotta in diversi punti da spaccature profondissime, raggiunge i culmini più elevati dell’ Appennino monte nel Corno e nella Ma- jella e nella sua parte nord-occidentale o superiore viene deno- minata Gran Sasso d’ Italia. Quelle gole tagliano da parte a parte tutto il contrafforte e riescono altrettanto interessanti pel geologo quanto attraenti agli occhi del viaggiatore e dell’ arti- sta. In altra nota geologica Le ho descritto quelle di Popoli e di San Venanzio, nel fondo delle quali sono incassati il fiume Pescara e P Aterno ; 1 ed ora Le dirò di un’ altra nella quale comincia la valle del fiume Tavo, il quale si scarica nell’ Adria- tico presso la stazione di Moutesilvano. L’ origine di queste gole montuose è sempre la stessa, siccome ora vedremo. Il teatro delle mie esplorazioni fu il tratto dal monte Sfer- ruccio al Vado di monte Siello, entrambi al Nord del comune di Castel del Monte. Partendo da questo paese alla volta delle miniere, si sale dapprima il monte Licciardi (1600 m. sul mare); quindi si rade a mezza costa il monte Bolza, e dopo valicata un’ altra piccola collina, contrafforte di questo monte, si affaccia dinanzi allo sguardo uno spettacolo maestoso ed imponente. Ai nostri piedi si stende un altipiano ondulato ed elevato da 1500 a 1600 m. sul mare, lungo 10 e largo 4 chilometri, che si adima fino alle falde dei monti del Gran Sasso, i quali si levano con ripido pendio fino a spinger le loro vette nel monte San Vito a 1900 m., nel monte Siello a 2033, nel monte Guardiola a 2460 m. e nel monte Sferruccio a 2566 metri. Questi monti formano un magnifico arco di cerchio colla convessità rivolta al S.O. intorno al vallone eli’ è detto Campo Imperatore. Questo è tagliato per traverso da una serie di larghi canali nei quali confluiscono a monte i burroni scavati nelle giogaie delle montagne, ed a valle imboccano in una specie d’ insenatura detta Valle Cortina , che sembra P alveo asciutto di un torrente ed è fiancheggiata da pareti elevate in inedia da 40 a 50 metri. Nel lato occidentale del Campo Imperatore si sollevano due col- line coniche, isolate da tutti i lati e denominate monte Paradiso (1840 m.) e monte Mutri (1766 m.) e si ergono da 200 a 1 C. De Giorgi, Appunti geologici da Pescara ad Aquila. (Vedi Boll, del B. Com. geologico, anno 1877, num. 11 e 12.) - 274 — 300 m. sul fondo della valle, la quale, rigirando alle loro falde, continua verso ponente nel Piano Bacollo, nel quale immette il burrone del monte Brancastello (2387 m.), altro vertice della ca- tena del Gran Sasso. Nella sua parte orientale il Campo Imperatore sembra chiuso dai monti che scendono verso Popoli; però nel fatto continua fino al mare tagliando a mezzo tutto quel gruppo montuoso e formando una gola profondissima con pareti tagliate a picco, in fondo alle quali rugge il torrente Continola che imbocca nel fiume Tavo. Un altro ramo di questa gola continua invece nel Piano dell’ Ospedale e di lì nella valle Cortina. Questa enorme spaccatura pare un semicerchio perfetto ed è avvallata circa 400 m. sotto il vertice dei monti collaterali. Prima di indagarne P origine fa d’ uopo guardare la costituzione petrografia e geo- logica della zona esplorata. Quel che colpisce a prima giunta V occhio del naturalista è la fisonomia diversa che presenta tutta questa catena di monti nei due versanti settentrionale e meridionale ; il primo corri- spondente all’ Abruzzo Teramano, il secondo all’ Aquilano. Nel primo le montagne si sollevano con forti pendenze, da 400 a 500 metri sul mare (colli subapennini) fino a più di due chilo- metri di altezza; ma i fianchi son poco incisi da burroni e sono ricoperti da una lussureggiante vegetazione boschiva. Nel secondo invece le spalle dei monti sembrano come tagliate da cima a fondo, fino al Campo Imperatore, da alte pareti verticali, da burroni profondi prodotti dalle frane e dagli scoscendimenti delle roccie, e sono spoglie di qualsiasi vegetazione. In questi burroni sono state rinvenute le miniere delle quali dirò fra poco. Questi monti appartengono tutti all’ epoca cretacea del pari che molti dei loro contrafforti. Le formazioni calcaree sono le sole che si presentino in tutta la catena. Difatti ho raccolto saggi bellissimi di calcari ippuritici uscendo da Castel del Monte, dopo la chiesa di San Donato, alla base del monte Licciardi, al monte Bolza, sulla via che dal paese mena al fonte Natrella ed al monte Carapellese, dove ho pure trovato un bel corallo fossile nello stesso calcare a rudiste. Questi brachiopodi poi si rinvengono sulla via che mena al monte Capo di Serre, e possono gareg- giare con quelli dei monti Ostunesi ed appartengono alle stesse - 275 — specie caratteristiche del periodo meso-cretaceo. 1 Tutta la ca- tena dal monte Sferruccio al Vado di Siello è pure pertinente alla stessa epoca; però le conchiglie si mostrano rotte e fran- tumate; ma ne ho pure rinvenuto dei discreti esemplari nei massi erratici del monte Sferruccio, e del monte Guardiola ed altri in sito salendo lino al vertice del Vado di Siello. Invece, nel Campo Imperatore, nella contrada della Vettica, nel piano Racollo e nella valle Cortina, predomina il terreno alluvionale costituito dai depositi delle acque pluviali e dei ghiacci discesi dai fianchi delle montagne dei due versanti set- tentrionale e meridionale dello stesso vallone. Questi depositi ora formano un letto di ciottoli ellissoidi di varie dimensioni, ora invece costituiscono dei conglomerati detritici stratificati in senso quasi orizzontale da Est verso Ovest, e incisi in prosieguo dalle acque che si apersero un varco nella valle Cortina. In questi conglomerati ora si scoprono i frammenti delle rocce cre- tacee, ora invece quelli delle rocce eoceniche. Delle prime è facile rintracciarne V origine, dopo quello che Le ho sopra ac- cennato ; delle seconde invece Le dirò che le ho trovate in sito traversando il monte Mutri e le coste del monte Paradiso, le quali son difatti costituite di calcari a nummuliti, simili a quelli da me rinvenuti ai Frusci in Basilicata ed al monte Luco presso Aquila e riferiti all’ Eocene inferiore o nummulitico. I conglomerati sono tutti nella zona meridionale del vallone, ma si incontrano pure alla base dei monti e quivi sono stati incisi dai burroni. Essi sono intercalati da straterelli d’ un cal- care bianco farinoso e leggermente argilloso ; ma in qualche punto sono stati convertiti dalle incrostazioni e dagli infiltra- menti calcarei in solide puddinghe. Tra questi banchi scorrono le acque derivanti dalle piogge o dal disgelo e dalla fusione delle nevi, che in alcune insenature durano tutto V anno, come sui vertici del monte Sferruccio e del monte Guardiola. Esse vengono poi a zampillare in alcune fontane che si trovano nel Campo Imperatore, fra le quali le più copiose e importanti sono : la fontana della Vettica (16 10m sul mare) alle falde del monte Guardiola, la fonte del Macino (1490m) a breve distanza dal 1 C. De Giorgi, Note geologiche sulla provincia di Lecce. Lecce, 1876, — 276 — piano dell’ Ospedale e la fontana Zundrano (1636m) che scorre alle falde del Monte Bolza, in un punto più elevato della valle Cortina. Tutte e tre dànno delle acque fresche, limpide e pota- bilissime, utilizzate dalle numerose mandre di pecore che pas- sano tutta l’estate in quell’ immenso vallone. E intanto il co- mune di Castel del Monte è come il Tantalo della favola ; ma la cerchia dei monti che lo circonda fa riuscire molto dispen- dioso e poco attuabile T incanalamento. I conglomerati che si incontrano valicando T altipiano ondulato della Vettica si tro- vano pure nella contrada Pietrattina, là dove il Campo Impera- tore prosegue e si affonda nella spaccatura del Tavo ; e ne chiu- dono lo sbocco sollevandosi qualche centinaio di metri sul fondo del vallone. Non mi par quindi che sorga dubbio a pensare che il Campo Imperatore fosse in origine un lago di vastissima estensione. Esso era chiuso a mezzogiorno da un contrafforte del Gran Sasso che partendo dal monte Portella, pel monte di Paganica e pei monti Archetto, Cecco d’ Antonio e monte Bolza (tutti elevati più di 1100m sul mare) e pel monte Capo di Serre veniva a congiungersi colla catena suddescritta, che scende verso P Abruzzo Chietino. Al settentrione era limitato dalla detta catena. Le acque di questi monti si accumularono in questa conca estesis- sima priva di scolo, e ne sollevavano il fondo, mentre trascina- vano i materiali di erosione su piani fortemente inclinati e for- mavano in tal modo P attuale Campo Imperatore. Quei materiali detritici si convertivano in conglomerati regolarmente stratificati, che son quelli che si veggono anche oggigiorno. Nella parte occi- dentale del lago spuntavano fuori delle onde due scogli di cal- care nummulitico (monte Paradiso e monte Mutri) ed aneli’ essi venivano erosi e sbranati dalle acque. In un’ epoca più vicina a noi, ma che non riesce agevole precisare, le acque si aper- sero un piccolo varco nella parte orientale della vallata; varco analogo a quello prodotto dal fiume Pescara nei monti da Po- poli a Tocco ; e questo allargandosi ed avvallandosi venne a co- stituire quella gola profondissima che si incontra rimontando alle sorgenti del Tavo. La forte differenza di livello fra P alta valle del Tavo, nel circondario di Penne, e quella del fondo del lago (superiore certamente a 700m), ci spiegano P erosione ope- — 277 — rata nelle rocce calcaree, V incassamento del canale ed il pro- sciugamento di quell’ immenso bacino. Questo alla sua volta fu ricoperto dai nuovi detriti dei monti e poi solcato dalle acque (valle Cortina, piano dell’ Ospedale) che scendevano dal Gran Sasso e ne risultò l’ attuale configurazione del Campo Impera- tore a mo’ di vasto altipiano che rade orizzontalmente le falde delle ripide montagne, siccome abbiamo sopra accennato. Ed ora due parole sulle miniere. Esse si rinvengono in diversi burroni di questi monti, e sono tutte incassate fra terreni cretacei. Sono degli schisti bituminosi alternati da strati di calcare bianco e da straterelli di lignite nera molto alterata. Fin da tempo assai remoto i pastori con- ducendo le loro greggi nel vallone si procuravano sollecitamente del fuoco accendendo alcune pietre nerastre che trovavano nelle valli di erosione del Campo Imperatore. Quelle pietre erano schisti calcarei ricchissimi di asfalto ; ed esposte al fuoco si accendevano rapidamente con fiamma lunga e fuligginosa, che durava un bel pezzo prima di spengersi. Quei pezzi erratici de- rivavano dai burroni che abbiamo notato alle falde e sui fianchi dei monti. Le miniere più ricche son quelle di monte Sferruccio ; ma altri depositi si rinvengono pure nelle Coste a camicia, nel monte Guardiola e nel monte Infornace. Le frane e i burroni tagliando trasversalmente quei bacini asfaltiferi li misero a nudo ; sicché oggi può calcolarsi quasi esattamente 1’ estensione e la profondità di ogni banco ed il suo valore industriale. Per for- marcene un’ idea osserviamole in questo spaccato disegnato sul luogo, nel lato destro del burrone del monte Sferruccio (vedi fig. la). Discendendo d’alto in basso si nota: 1° Un calcare compatto con tenui quantità di argilla e di magnesia, di color grigiastro traente al verdognolo, che dà poca effervescenza cogli acidi, ed esposto al calore brucia con fiamma bianca e poco intensa. Esso è a strati che variano da 10 a 30 centimetri, e rappresenta la parte principale nella pila degli strati. Esposta all’ aria dopo un certo tempo la roccia si fende in prismi romboedrici e sgretola facilmente sotto le influenze atmosferiche e sotto i colpi del piccone. A norma che ci avvici- niamo agli strati N. 2 la roccia calcarea va sempre più traendo — 278 — al grigio cupo ; gli strati si riducono a fogli sottilissimi e sono intercalati da altri del pari esigui di schisti bituminosi, addos- sati e alternati fra loro con grande regolarità, come i tenui se- dimenti delle acque torbide dei laghi e dei fiumi sulle loro sponde. Fig. 1. Sezione stratigrafica lungo il burrone del monte Sferruccio. 2° Questi strati differiscono dai precedenti per la grande quantità di idrocarburi di che sono infiltrati, e che varia in pro- porzioni diverse dal 20 al 35 per cento, e si riconoscono colla combustione che si svolge e si mantiene attivissima con lunga fiamma e con svolgimento di gas bituminosi nelle specie più ric- che. Le varietà più povere svolgono invece un fumo più denso, nel quale si avverte un leggiero odore di anidride solforosa, de- rivante dai solfuri metallici e dai solfati che in piccola dose tro- vansi mescolati nello strato N. 3, sottostante ad essi, o chiuso fra i loro banchi. In alcuni strati la sfogliettatura delle lamine calcaree infiltrate di bitume è poco visibile, ed essi hanno allora un color verde-cupo, un’ apparenza scagliosa, striata, scanalata, lucida, come tirata a pulimento, rivelando le pressioni in tutti i sensi che ha dovuto subire la roccia dopo la primitiva sua sedimentazione. Anche questi calcari bituminosi N. 2 sono inter- calati da letti di calcare argilloso povero di idrocarburi. 3° Gli strati segnati più in nero nella sezione son poi quelli che costituiscono la vera ricchezza della miniera del monte Sferruccio. Essi rappresentano appena il ventesimo della quan- tità totale della roccia nella zona di scavo ; ma in compenso sono ricchissimi di idrocarburi. Un’ analisi praticata in Glascowia ha dato — secondo ciò che mi è stato riferito — colla distilla- zione il 65,90 per cento di idrocarburi liquidi. Essi variano molto nell’aspetto e nella struttura. Ora sono dei banchi veri — 279 — e propri di lignite nera, che rivela al microscopio le cellule del tessuto vegetale originario, e i cristallini di solfuro di ferro e qualche laminetta di selenite. Ha un colore bruno, una frattura resinosa, brucia debolmente e lascia molte ceneri calcaree e ar- gillose perchè difatti è infiltrata di molecole minerali. Altre volte sono dei banchi di lignite più ricca di bitume, facilmente alterabile agli agenti esterni, e intercalata da strati calcarei che passano allo stato di schisti carboniosi. Altre volte invece è una lignite nera, lucida a frattura semiconcoide e scagliosa, ricchis- sima di idrocarburi, che esposta al fuoco arde rapidamente con lunga fiamma e con fumo denso e bituminoso e subisce una se- mifusione come la pece minerale. Essa lascia per residuo po- chissime ceneri, che in alcuni assaggi che ho fatto variano dal 7 al 12 per cento. Questa rappresenta il materiale ricco della miniera, e sebbene gli strati raggiungano uno spessore variabile da 0m, 01 fino a 0m, 08 e 0m, 10 pure essendo molto frequenti si prestano ad una fruttifera escavazione. Nel monte Sferruccio si può seguire tutto 1’ andamento della stratificazione, la quale non ha nulla di deciso e di continuo variando da un punto all’ altro e rivelandoci le compressioni d’ alto in basso e le spinte collaterali subite dall’ enorme pila degli strati lignitiferi che raggiunge quasi gli 800 m. di po- tenza salendo verso il vertice del monte. Nell’ annessa sezione ricavata dal vero in una trincea aperta sotto i miei occhi si può seguire l1 andamento generale degli strati che poi si ripete da per tutto. ! g. 2. Sezione stratigràfica di una trincea dei, monte Sferruccio. 1. Lignite e schisti bituminosi. — 2. Calcare verdastro infiltrato di bitume. 3. Calcare bianco, granuloso, povero di idrocarburi. Questo bacino lignitifero s’ incontra quasi a metà del bur- rone, penetrandovi dal Campo Imperatore e prosegue nelle in- — 280 senature di esso per oltre un chilometro di lunghezza a destra ed a sinistra. Da questo lato è ricoperto da un banco di con- glomerati, mentre dall’ altro si può seguire rimontando verso il vertice del Vado di Sferracelo ; e quivi all’ altezza di 2000 in. sul mare si trovano ancora degli strati molto spessi di lignite che si affondano verticalmente e sono in parte ricoperti da massi erratici di calcare compatto cretaceo, trasportativi dai geli e dalle acque. Più difficile riesce determinare V estensione delle miniere del Monte Guardiola e del Monte Infornace essendo ri- coperte da detriti : ma anche in questi V altezza sul livello ma- rino supera i 2000 metri. Sono però meno fruttifere di quelle del Monte Sferruccio. Dalle cose dette è facile riconoscere V origine di queste li- gniti e le successive fasi che esse hanno subito fino alla infil- trazione degli strati calcarei che le intercalavano, e fino al sollevamento che le ha condotte all’ attuale livello e le ha confi- gurati come sopra abbiamo notato. Esse derivano dalle dense foreste che cingevano i fjords di quel vasto lago ; e restarono se- polti fra gli strati di calcari lacustri per un abbassamento del suolo sotto il livello delle acque. Riguardo alla importanza industriale di queste miniere Le dirò che il materiale che da esse si estrae potrebbe essere uti- lizzato parte per la distillazione (la lignite asfaltifera e gli strati più ricchi degli schisti bituminosi), parte per la combustione, ed il materiale più povero di idrocarburi per la fabbricazione della calce ordinaria. Una esperienza fatta sopra una locomotiva da Pescara a Chieti, alla quale ho assistito, ha dimostrato in modo evidente che anche gli strati N° 2 allo stato grezzo, manten- gono una combustione attiva con lunga fiamma nella caldaia e possono gareggiare col carbon fossile del quale andiamo tanto debitori alle nazioni straniere. Gradisca, egregio ingegnere, gli attestati di stima e di ami- cizia del Lecce, 15 agosto 1878. suo devotissimo Cosimo de Giorgi. — 281 - IV. Alcune osservazioni sul miocene di Ciminna, lettera del professor S. Ciofalo all’ ing. P. Zezi. Illustrissimo signore Ingegnere; Animato dalla gentilezza da Lei altre volte usatami, mi per- metto comunicarle alcune osservazioni fatte sul miocene di Ci- minna con tre sezioni prese sul luogo. Se Ella crede che possano riuscire di qualche utilità, potrà darne pubblicazione nel Bol- lettino Geologico. Nel volume III, serie 3a, degli Atti della Accademia Gioenia venne pubblicato un mio lavoro (1870) su di un lembo fossilifero del miocene superiore scoperto in Ciminna. Enumerai allora i pochi fossili che potei procurarmi, tra i quali ne descrissi una spe- cie come nuova, fregiandola del nome dell’ illustre naturalista professor Giuseppe Seguenza. Tornando nel mese scorso a studiare i dintorni di Ciminna, ebbi a convincermi che il miocene, invece che in un sol lembo, si osserva dappertutto, e costituisce V intero territorio. La for- mazione gessosa è quella che vi predomina, e trovasi sovrapposta ad una formazione molto potente di argille e di sabbie diffe- rentemente colorate e con molti fossili. Ciminna sta all’ ovest da Termini alla distanza di 20 chi- lometri circa, e si eleva sul livello del mare di 500 metri. È un paese ove non si conosce il calcare secondario ; le case pog- giano tutte sovra depositi di gesso, la pietra adoperata per la costruzione e il cemento usato è il gesso. È facile quindi vedere molte case coi muri rigonfiati e poco solidi, non potendo tanto facilmente il solfato di calce resistere all’ azione degli agenti meteorici. Si osserva inoltre qualche movimento franoso prove- niente dal rammollimento delle argille sottostanti al gesso. Una semplice sezione teorica basterebbe a far conoscere quale è la disposizione e la natura delle rocce, che costituiscono il territorio di Ciminna, che si prolunga poi fin verso Baucina e Ventimiglia. 19 — 282 — Partendo da Termini, pria di arrivare a Ciminna si presenta un considerevole avvallamento, e cominciando a salire dal bur- rone che verso est sta sotto il paese, riesce facile vedere un deposito alluvionale, che sovrasta a certe sabbie gialle, quasi sprovviste di fossili. Dette sabbie, tuttoché prive di fossili in questo punto, pure le ritengo come appartenenti al pliocene. Immediatamente sotto a queste sabbie, vicino ai Cappuccini, si osservano delle marne calcari biancastre chiamate nel paese col nome di trubi, e sono a contatto con i gessi abbondantemente sparsi in tutto il territorio. Questi si presentano ora bianchi e cristallini, ora in forma di strati a grana fina e compatta, che coronano quasi tutte le colline mioceniche circondanti il paese. Sottostanno ai gessi gli strati di argilla e sabbia alternanti, e qualche strato della molassa fossilifera. Che la formazione miocenica di Ciminna sia molto estesa è un fatto indubitato, ma il punto ove prende il massimo sviluppo, sia per la potenza degli strati argillosi e sabbiosi, sia per l’ab- bondanza dei fossili è proprio nei dintorni del paese alla di- stanza di 200 metri circa, nel piano Stineone-Quararasi, ove la vera molassa fossilifera poggia sugli strati di argilla molto fina, che viene scavata per la fabbricazione dei vasi, e serve molto bene per confezionare eccellenti tegole e mattoni. In questo sito la roccia è perfettamente denudata ed i fos- sili si trovano sciolti superficialmente, non essendovi al disopra altre sostanze. Si raccolgono senza molta fatica e sono molto ben conservati, mentre in altri posti dovendoli staccare dalle ar- gille spesso si rompono in frammenti. Da questo punto, scen- dendo per più di 100 metri, si arriva al burrone Marrano, ove, si osservano sempre gli stessi strati miocenici. Salendo a destra di questo burrone sempre verso il nord, continuano anche gli strati di sabbia e di argilla sottostanti ai gessi, che arrivano sino al Pizzo San Pantaleo, sul quale è facile osservare com- pleta la serie; poiché sul versante che cade verso Ventimiglia, dopo il gesso si vedono le solite marne biancastre, indi un banco di una specie di tufo conchiliare, che finisce con alcune sabbie gialle e con un deposito alluvionale. Da questa osservazione mi son convinto maggiormente che le sabbie gialle sottostanti al deposito quaternario od alluvio- — 283 - naie osservate all’ est di Ciminna, e proprio sotto ai Cappuc- cini, tuttoché sprovviste di fossili, possono dirsi plioceniche. Nella sezione naturale presa dal Pizzo San Nicasio, ( fig . T ), si vede benissimo come il gesso è soprastante ai depositi argil- losi con avanzi di limonite, ed è in questa località che trovasi cristallizzato colla ben conosciuta forma a ferro di lancia, ed a grossi banchi, senza alcuna idea di stratificazione. A questa prima sezione, che rappresenta il Pizzo San Nica- sio, ne succede un’ altra (fig. 2 a), presa dal piano Stincone fin verso la valle del burrone Marrano. In essa si vedono gli strati della molassa fossilifera, che poggiano sugli strati di argilla e sabbia alternanti, e che continuano fino alla base del cennato burrone. Nella sezione ultima (fig. 3a), che si estende per la lunghezza di metri 500 circa, cominciando dal Pizzo San Vito sino al bur- rone dei mulini e nella direzione est-ovest, si osserva chiara- mente come alcuni piccoli strati di marna bianca sovrastano agli strati del gesso, i quali poi alternano con altri piccoli strate- relli della stessa marna bianca. Poggiano a stratificazione con- cordante sopra le argille con una leggiera inclinazione verso ovest. In questa località i fossili sono più scarsi, anzi rarissimi, per causa forse che vi manca la vera molassa, tanto sviluppata e fossilifera nel burrone Marrano e nella contrada Stincone. Il gesso dal Pizzo San Vito ai mulini osservasi sempre a strati dello spessore di metri 2 circa, e qualche volta anco di meno. È quasi compatto, e si adopera con molta utilità come materiale da costruzione, potendosi facilmente tagliare a pezzi più o meno regolari. Nel burrone dei mulini, occasionalmente agli scavi praticati per la costruzione di un mulino, furono trovati degli strati di lignite, della quale i signori Lo Cascio mi favorirono un bel- lissimo esemplare. Degli avanzi di lignite furono scoverti nel burrone Marrano, ma pure non credo di potere pel momento avventurare alcuna idea certa sulla esistenza di strati miocenici più antichi. Posto V anzidetto, chiuderò questa mia lettera col catalogo dei fossili raccolti, fiducioso che uno studio accurato degli strati di Ciminna, per la fauna che racchiudono, condurrà facilmente - 284 - a conoscere la serie tutta miocenica non solo, ma darà agio altresì a potere con maggiore facilità studiare e conoscere gli strati del terziario tutto, che si osservano nei dintorni del citato paese e si estendono fin verso Caccamo, ove si son raccolti dei fossili identici a quelli di Ciminna fra gli strati di marna ed argilla con abbondanza della Nassa semistriata Brocchi. Termini-Imerese, luglio 1878. Devotissimo S. Clofalo. Fig. 1. Pizzo San Nicasio. a. Gesso in banchi. — b. Strati di sabbia ed argilla. --e. Trubi o marne bianche. Fig. 2. Stincone. Fig. 3. Pizzo San Yito. a a. Gesso a strati. — b. Straterelli di marna bianca ec. c. Strati di argille e sabbie. - 285 Elenco dei fossili di Ciminna. Cancellarla varicosa, Broc. Murex br andar is, Lin. Murex Hòrnesii, d’Anc. Pyrula Seguenzse, Ciof. Nassa semistriata, Broc. Nassa Dujardinii, Mich. Nassa turbinella, Broc. Nassa, sp. Buccinum Caronis, Brong. Ringicula buccinea, Desh. Ringicula striata, Phil. Coiumbella curta, Bell. Columbella subulata, Bell. Coiumbella sp. Pleurotoma bracbesotoma, Phil. Pleurotoma attenuata, v. Brugnone Pleurotoma intermedia, Bronn Pleurotoma dimidiata, Broc. Pleurotoma Agassizii, Bell. Pleurotoma calcarata, Grat. Pleurotoma, sp. Voluta ficulina, Lam. Natica tigrina, Lam. Natica Josephina, Risso Natica, sp. Chenopus pespelecani, Lin. Turritella Archimedis, Brong. Rissoa cimex, Lin. Rissoa Montagui, Payraudeau Trochus rotellaris, Mich. Dentalium, sp. Vermetus, sp. Siliquaria anguina, Lin. Corbula gibba, Olivi Corbula, sp. Venus multilamèlla, Lam. Venus scalaris, Bronn Venus ovata, Penn. Venus plicata, Lin. Venus Agassizii Desh. Cytherea Chione, Lin. Circe minima, Montag. Dosinia exoleta, Lin. Tapes vetula, Bast. Chama gryphoides, Lin. Arca turonica, Duj. Nucula nucleus, Lam. Pectunculus insubricus, Broc. Lutraria elliptica, Lam. Panopaea Rudolphii, Eichw. Diplodonta rotundata, Montag. Lucina dentata, Bast. Cardita Joanneti, Desh. Cardium hians, Broc. Cardium papillosum, Poli Modiola, sp. Pinna nobilis, Lin. Pecten Malvinse, Duboit Pecten scabrellus, Lam. Pecten striatus, D’ Orb. Ostrea cochlear, Lin. Ostrea, sp. Anomia, sp. - 286 - y. Sulla struttura geologica del gruppo del Sempione , sunto di una Memoria del prof. E. Renevier.1 Nella estate del 1877 fui incaricato dalla Compagnia della ferrovia del Sempione di fare coi colleglli Ch. Lory professore alla Facoltà delle Scienze di Grenoble ed A. Heim professore al Poli- tecnico di Zurigo, una esplorazione geologica preliminare della massa alpina che deve essere attraversata dal tunnel progettato. Breve fu il tempo che potemmo consacrare a tale lavoro, che dovea per conseguenza essere molto sommario e diretto verso mire speciali. Nondimeno mi parve che questo studio presen- tasse risultati scientifici abbastanza interessanti da raccogliersi in una breve Memoria, nella quale lascio in disparte ogni que- stione tecnica. La brevità del tempo accordatoci non permettendoci di fare V ascensione delle sommità, e lo scopo prefissoci prescrivendoci invece di esplorare di preferenza le più profonde gole, noi stu- diammo principalmente le valli trasversali alla catena special- mente nelle due direzioni seguenti : 1° All’ Ovest del tunnel progettato le gole della Saltine, la vallata del Kaltwasser-Bach, il passaggio del Sempione, e le valli del Krummbach e della Diveria. 2° Air Est del tunnel, Termen, Rosswald, Bérisal, il pas- saggio della Forchetta, l’Alpe Di veglia e la valle della Cherasca. Fra queste due linee trovasi, colla sua corona di grandi e piccoli ghiacciai, il bel massiccio del Monte Leone che domina tutto il paese. Visitai in seguito la Val di Vedrò sino a Crevola, da dove potetti abbracciare collo sguardo P insieme della regione. Pas- sando in rassegna i terreni che compongono questa massa mon- tagnosa, mi dirigerò da Val di Vedrò a Brieg, traversando la catena da S.E. a N. 0. ; la serie si presenta così press’ a poco 1 Vedi Bulletin de la Société Vàudoise des Sciences naturelles , voi. XV, pag. 79. Lausanne, 1878. - 287 — nell’ ordine di formazione, andando dai terreni più antichi ai più recenti. L — Gneiss d’Antigorio. — Il compianto Gerlach così chia- mò 1 un gneiss granitoide, più o meno compatto che occupa il fondo ed i fianchi delle valli al Sud ed al S.E. del Sempione. Nella Val di Vedrò trovasi sulle due rive della Diveria, dove forma le dirupate pareti dei dintorni di Varzo, Isella, Gondo e si prolunga poscia all’ Ovest non lontano dal rifugio n° 8 ( 1 1 5 7 m) della strada del Sempione. Occupa pure quasi tutta la valle della Cherasca dove rimonta sino a Campo (1337 m) al di là dell’Alpe di Nembro. Si estende ancora maggiormente all’ E. nelle valli di Antigorio, Devero, Formazza. E una roccia resistente, compatta, con fessure qua e là nella massa. La sua scistosità non è uniforme, avendosi banchi molto scistosi, mentre in altri presentasi sotto aspetto quasi massic- cio. Si scava nei dintorni di Gondo e d’ Isella per paracarri, parapetti ec. Il prof. Scheerer 2 di Freiberg, che ne fece l’ana- lisi, riconobbe la sua chimica identità col gneiss bigio ( unterer Plutonit) dell’ Erzgebirge. Nelle valli della Diveria e della Cherasca, questo gneiss è nettamente disposto a volta. Presso Gondo (950 m) la sua schi- stosità è quasi orizzontale e s’ abbassa verso Isella (663m) leg- giermente a S.E. Al rifugio invece s’inclina di 20° al S.O., e questo abbassamento aumenta a misura che si sale la strada del Sempione sino a raggiungere 25° all’ estremità dell’ affioramento. Gerlach dà 25° per l’ inclinazione dell’ estremità N. dell’ affio- ramento nella valle della Cherasca ; mentre io misurai 30 e fino a 35° al N. e al N.E. Finalmente all’ estremità meridionale, l’ in- clinazione è al S. o S.E. e può raggiungere secondo Gerlach sino i 75°. Vi ha adunque un piegamento centrifugo attorno alla massa centrale, pressoché in tutte le direzioni, ed il punto cul- minante dell’ anticipale sarebbe nelle vicinanze di Gondo e d’ Isella. Non mi fu possibile osservare in nessun punto il sottostrato di questo gneiss d’ Antigorio, che vidi invece costantemente sor- 1 Gerlach, Die Penninischen Alpen, pag. 104. (Mèra. Soc. Helv. Se. nat ., XXII, 1869.) — Studer, Index petrogr. d. Schweiz, pag. 11, 1872. * Scheerer, Chemische Constitution der Plutonite, 1866. — 288 - montato dagli altri schisti cristallini. Il suo spessore dev’essere ragguardevole, ed almeno di 1500m, giacché tutto intorno ad Isella (663 m) dove è pressoché orizzontale si eleva sino all’al- tezza di 2200 m nella Punta di Teggiolo e 2300 m al Pizzo di Giezza. Le miniere d’ oro di Gondo, o più esattamente della Val Varza a una lega al Sud di Gondo, appartengono secondo Ger- lach 1 a questo terreno. Comprendono cinque filoni di pirite ra- mosa e pirite aurifera, che furono attaccati con 7 od 8 gallerie. La loro coltivazione è antica, ma i lavori non furono mai spinti con grande attività. Il più ricco minerale si trovò nella galleria Confiance e conteneva 110 gr. d’oro per 100 chilogrammi di minerale. IL — Scisti cristallini. — Una considerevole massa di rocce cristalline, più scistosa e molto varia di composizione mineralo- gica, sovrasta al gneiss di Antigorio e forma tutta la massa centrale del Monte Leone e del Sempione, sino alla valle della Ganther. Sono roccie alquanto più tenere del gneiss, le quali, in conseguenza, danno luogo a vertici molto frastagliati ed acci- dentati. Il loro declivio generale è al N.E., quantunque sia al- quanto variabile. Ecco queste rocce nell’ ordine della loro frequenza : a) Il micascisto è una delle rocce più abbondanti nel gruppo del Sempione, specialmente nella parte ricoprente im- mediatamente il gneiss di Antigorio, e sul versante N. 0. della catena del Wasenhorn. Presenta numerose varietà, risultanti sia dal diverso colore della mica, sia dal miscuglio di altri elementi mineralogici. Una delle più frequenti è il micascisto granatifero assai sviluppato sotto al Wasenhorn ed il Màderhorn (2300 m) sino a Yogelsang con un’ inclinazione di 40° a 48° al N.O. Que- sta stessa varietà si mostra pure sulla strada del Sempione sotto al rifugio n° 4 (1751 m) dove inclina invece di 50° a S.E. Ne rinvenni pure presso 1’ Ospizio ed in altri punti. I granati sono bruno-rossastri, di grandezza varia che può arrivare fino a quella di un pisello, spesso assai ben cristallizzati. 1 Gerlach, Penninischen Alpen, pag. 105. — Bergwerke des Kanton’s Wallis, pag. 98, 1873. — 289 - Altre varietà di micascisti sono più o meno calcarifere; così al rifugio n° 6 presso al punto culminante del passaggio ed al n° 8 sotto Àlgaby. Altri sono talcosi, cloritosi ec. Singolari varietà sono i micascisti a mica bronzata ed a mica dorata che accompagnano il cipollino presso il rifugio n° 8 (1157m). b) Il gneiss scistoso abbonda quanto il micascisto, ed al- terna spesso con esso senza grande regolarità; il passaggio è graduale, per modo che riesce talvolta difficile lo stabilire se abbiasi 1’ una o P altra di queste roccie. I luoghi dove il gneiss sembra predominare sono : al centro della massa montagnosa i dintorni di Bernetsch ed Alpmatten sulla strada del Sempione, dove inclina di 25° a 40° all’ 0., S.O. e N. 0.; presso Bérisal nella valle della Ganther, dove inclina costantemente al N. 0. di 50° a 60°; finalmente sulla sponda destra del Rodano, rim- petto a Brieg, a Naters ec., dove inclina al S.E. di circa 70°. Molte varietà presenta pure questo gneiss, delle quali pas- serò in rassegna le più notevoli. Il prof. Heim ed io, rinve- nimmo sotto Bérisal non lungi da Wintermatten (2010 m) un gneiss nerastro che inclina di 50° al S.E. In varii siti dei din- torni di Bernetsch, Engeloch ec., trovasi gneiss glandolare {Au- gengneiss). Non sono rare le varietà a grossi grani. Quelle a piccoli grani , divengono talvolta pressoché omogenee. c) Gli scisti amfibolici occupano in questa formazione un posto meno importante, ma esistono spesso intercalati in zone di spessore variabile nei micascisti e nei gneiss ; così presso il limite dell’ Antigorio sotto il rifugio n° 8 ; alla galleria sotto Algaby ; alla salita della Forchetta sull’ Alpe Diveglia ; al N. del Sempione a Vogelsang, sopra Màderalp ed infine sotto il Wasenhorn a Bàrenfallen. Il color verde di questi scisti li fa discernere facilmente ; ve n’ ha delle varietà più o meno scure, ma raramente nere. Talvolta contengono alquanto di mica o di clorite, ma non trovai che rari esempi di scisto cloritoso propria- mente detto. Ne vidi sotto P Ospizio verso il Sud. Invano poi cercammo io ed il signor Heim il lembo di ser- pentina che Gerlach indica nella sua carta con una macchia vérde vicino all’ Ospizio del Sempione (2003 m). Non trovammo in questo luogo che scisti cristallini molto micacei. — 290 — d) Sebbene poco abbondanti i calcari cristallini sono di tale importanza teorica e pratica da meritare uno speciale esa- me. Essi formano fra le roccie precedenti tre zone intercalate più o meno regolari, delle quali descriverò gli affioramenti. La la zona calcare limita press1 a poco il gneiss d’Antigorio, da cui non è separata che da un sottile strato di scisti cristal- lini. Può vedersi sulla strada del Sempione al rifugio n° 8 ; die- tro la rovina detta la Caseina, trovasi uno squarcio nella roccia causato dalla estrazione temporaria di questo calcare. I banchi inferiori sono sovraccarichi di mica e formano un vero cipollino, altri sono calcari saccaroidi puri ed altri infine hanno una tinta bigia più o meno scura, serbando pur sempre la struttura cri- stallina. Al disotto stanno dei micascisti frammisti a scisti am- fibolici, fra i quali passa il sentiero che va ad Alpien; più basso sulla strada incomincia il gneiss d’ Antigorio. Dalla Caseina la zona calcare rimonta nella direzione d’Al- pien, Alpienrung e Camoscella, per formare la costa (2384m) detta Dosso del Teggio. Secondo la carta di Gerlach 1 questa cresta prominente è interamente composta di calcare e forma come un promontorio nel mezzo dell’ Antigorio di Val Cherasca. Di là 1’ affioramento calcare discende al N.O. e poi al N. attor- niando il magnifico circo dell’ Alpe di Nembro. A disopra di Campo noi P abbiamo nuovamente incontrato sul sentiero che conduce all’ Alpe Diveglia. Gli strati inclinano uniformemente di 35° a 40° al N.O. contro Diveglia ed i loro affioramenti formano il dirupato circo che termina il piccolo piano di Nembro. A poca distanza dal sentiero il circo è solcato dalle acque rumorose della Cherasca. La base dei picchi è for- mata di gneiss d’Antigorio, press’ a poco al livello del piano ; ad esso sovrasta per un 60 m. il micascisto calcarifero con granati sparsi qua e là nella massa, e verso P alto hannovi intercalati dei banchi di gneiss schistoso. Al disopra è il calcare saccaroide su 30 m. d’ altezza in generale bianco, la di cui stratificazione però è resa molto appariscente da zone micacee più o meno scure che costituiscono vere interstratificazioni di cipollino o 1 Gerlach, Carte géologique des Alpes Pennines au 1/2oo,ooo. ( Mém . Soc. Hélv. Se. nal.j XXII, 1869.) - 291 — meglio di micascisto calcarifero. Il tatto è sormontato dai mi- cascisti che formano tutto il resto della sezione. Da questo punto vedesi chiaramente la zona calcare elevarsi nella direzione di Ciamporino e Monte Cistella. Secondo la carta di Gerlach essa deve contornare questa montagna per spingersi molto lontano nella valle cT Àntigorio. Ritornando al nostro punto di partenza, alla casa n° 8, e seguendo il prolungamento Sud della stessa zona calcare, se- condo Gerlach essa deve elevarsi nella parete di Seehorn sopra Figenen, traversare la valle di Zwischbergen, proseguire a mezza costa sul fianco N. del Pizzo Pioltone e del Pizzo di Giezza per venire a contornare all’ E. il Pizzo d’ Albione e ridiscendere sino alla Diveria dopo un giro all’ 0. sotto il Monte Ossolano. Dal fondo del torrente P affioramento risale sulla riva sinistra contro Enso, traversa la valle d’ Àntigorio sotto Monte Crestese del quale segue il fianco nella . direzione N. passando da Monte Larone, ec. Le. cave famose di marmo bianco di Crevola, ancora attiva- mente lavorate, appartengono adunque allo stesso banco calcare degli affioramenti della Caserna e di Campo ; solo che la massa calcare è quivi molto più potente e la sua inclinazione è più forte (60° a 70°) e diretta in senso contrario. Anche qui il calcare saccaroide è intercalato da banchi di cipollino e di calcare cri- stallino impuro più o meno scuro. Sotto ai banchi calcari tro- vasi pure il gneiss con qualche zona di micascisto, mentre al disopra sonvi micascisti fogliettati, la cui inclinazione va sino a 75° ed 80° al S.E. Sono questi i micascisti che si lavorano in lastra lunga tutta la valle di Domodossola. La 2a sona calcare s1 incontra nelle parti alte del gruppo mon- tagnoso del Sempione, verso il mezzo della gran massa degli scisti cristallini. Apparisce essa molto meno della precedente, ed è perciò meno conosciuta. Gerlach non ne rintracciò che il pro- lungamento al N.E. dell’ Alpe Diveglia. Ciò può spiegarsi col- l’essere gli strati saccaroidi molto più rari; che anzi sulla strada del Sempione questo calcare è scuro e sovraccarico di mica, ma deve avervi certo un grande spessore. Sul punto culminante del passaggio del Sempione (2010m) noi abbiamo tuttavia osservato qualche banco di calcare saccaroide - 292 - che appariva essere stato lavorato per qualche tempo. Può ve- dersi vicino alla strada un po’ avanti la croce sul versante N. ; il calcare vi forma la collina che è sormontata da un chalet che segna precisamente la sommità del colle. Di là il calcare pare dirigersi all’ 0. nella direzione di Bistenen-pass ; mi mancano però dati più precisi non avendo potuto portarmi sul luogo, nè la carta di Gerlach può venirmi in aiuto non facendone menzione. All’ E. al contrario, abbiamo seguita la zona calcare lungo la strada del Sempione, dal rifugio n° 6 sino alla galleria me- diana. Verso la galleria superiore la pendenza è di 35° al N.-O. Dalla galleria mediana V affioramento si eleva per andare a ce- larsi sotto il ghiacciaio di Kaltwasser alle quota di 2533“. Pro- babilmente ne esistono traccie nel piccolo colle posto fra i due ghiacciai di Kaltwasser e di Terrarossa sulla frontiera d’ Italia. Al disopra dell’ Alpe Diveglia osservammo un bell’ affiora- mento di questa stessa zona calcare presso il passaggio della Forchetta. Nel basso della costa vedesi affiorare un gneiss grigio a grana fina che inclina di 15° a 20° al N.O. Poscia, dopo una salita attraverso a dirupi, arrivasi ad un bel banco di calcare saccaroide, interstratificato da zone di cipollino o di micascisto, avente in complesso 13m di spessore e 25° di pendenza al N.O. Sopra di esso si adagia per un’altezza di 30m del micascisto granatifero ; poi un’ altra zona di calcare di 20m di spessore, ricoperto a sua volta di scisti micacei ed anfibolici misuranti circa 40m e seguiti da gneis bigio compatto sino alla sommità del passaggio, dove ha una inclinazione di soli 5° a 10° al N.O. Questa formazione è senza dubbio quella che Gerlach prese di mira nel segnare nella sua carta le due piccole macchie brune presso Diveglia; ma sembra non averne conosciuta la precisa situazione, essendo esse collocate troppo al S. fuori dell’ affio- ramento indicato. La stessa carta assegna invece la sua vera di- rezione alla zona calcare dal colle di Valtendra sin presso il lago di Buscagno e dall’ Alpe Devero fino al di là del lago Codelago. La 3a zona calcare manca interamente sulla carta di Gerlach, e noi pure non V osservammo che in un punto sotto Bérisal pochi passi all’ E. del ponte sulla Saltine (1490m). Le varietà sono le stesse che precedentemente, cioè calcare cristallino grigio e calcare saccaroide; ma quest’ultimo vi è molto — 293 — sviluppato. L’inclinazione è di 50° al N.O. Grazie alla vicinanza della strada, questo giacimento dette luogo a diversi lavori che si distinguono chiaramente anche da lontano. All’ 0. questa zona resta celata sotto il ghiacciaio, ed al- 1’ E. probabilmente si rinviene nella Steinenthal. III. — Zona dolomitica della Ganther. — Gli scisti cristallini sono separati dagli scisti lucenti ( glanz-scliiefer ) da una stretta zona dolomitica che contiene in vari punti del gesso. Noi osser- vammo questa zona solo per il piccolo tratto sul versante N. della valle della Ganther (Saltina supcriore.) Circa a mezza strada fra Bérisal e Schallberg, presso la bi- forcazione del sentiero che sale ad Eisten, trovammo fra i gneiss ed i scisti lucenti un calcare giallastro, bucherato, friabile avente qualche somiglianza colle cargneules delle prealpi svizzere. Al disopra di Eisten, lungo il sentiero di Stafel, questa zona dolomitica diviene più apparente ; ivi è rappresentata da un cal- care dolomitico bianco più o meno polverulento che raggiunge un grande spessore. Più in alto lo strato pare biforcarsi ed in faccia a Bérisal, laddove il torrente la interseca, trovasi una roccia metamorfica grigiastra analoga al gneiss, intercalata ai due banchi dolomitici, con un’inclinazione di 76° al N.O. Seguitai la zona dolomitica inferiore sino a Unterstafel (2015m), che va press’ a poco secondo il sentiero e presenta varietà diverse di do- lomite, dalle vere caryneides giallastre ed i calcari dolomitici compatti e bianchi alle dolomie sabbiose o saccaroidi simili a quelle di Binnenthal. Il prolungamento N.E. è segnato sulla carta di Gerlach dal colle di Stafel ed il Jaffischsthal, sino al fondo della valle di Binn. Al colle di Stafel Gerlach indica inoltre due formazioni gessose che noi potemmo riconoscere da lontano. Al S.E. la continuazione si mostra altrettanto evidente. Sotto Schallberg, sulla sponda della Saltina e vicino al ponte abban- donato della vecchia strada del Sempione, il signor Lory trovò un’ altra formazione gessosa quasi verticale che parvegli sepa- rata da una faglia dal gneiss della riva sinistra. Al di là di Grund la carta di Gerlach indica un altro tratto dolomitico nella stessa direzione dal fondo delle gole di Nessel sino in alto dal lato di Faulhorn. Finalmente, le due formazioni di gesso che veggonsi - 294 — sulla stessa carta al disopra di Visperterminen e presso al lago di Terminen, appartengono senza dubbio alla stessa zona. IV. — Scisti lucenti. — La catena settentrionale che separa la valle della Gantlier da quella del Rodano, e che comprende il Glishorn (2483m) la costa di Rosswald coi vertici più settentrio- nali di Klenenhorn, Tunnetschhorn (2945m), Bettlihorn (2965m), Furggenhorn, Eggerhorn (2530m) ec., è composta di scisti marno- micacei scuri, conosciuti generalmente sotto il nome di scisti grigi o scisti lucenti. Sono scisti fogliettati, poco consistenti, eccetto nelle parti attraversate da numerose venule di calcite o di quarzo. Nella valle della Ganther questi scisti succedono immediata- mente alla zona dolomitica, conservando la stessa inclinazio- ne N. 0.; mentre nel versante opposto hanno una pendenza di 70° al S. E. Sulla strada del Sempione, fra Schallberg e Bleiche Ka- pelle (1241m) si vedono queste due contrarie inclinazioni avvici- narsi gradatamente alla verticale, per modo che nel fondo delle gole della Saltina, gli strati appariscono affatto verticali. Havvi adunque un brusco piegamento a V o meglio ad Y la di cui sinclinale corrisponde press’ a poco alla cresta di Rosswald. Questa disposizione sinclinale è pure ben caratterizzata nella traversata da Unterstafel a Termen della catena situata all’ E. della precedente, passando per Rosswald (1940m). Presso alla zona dolomitica gli scisti lucenti conservano la forte inclinazione di essa al N. E. ; ma al di là di Rosswald a Termen Alp e sino al basso della montagna V inclinazione è dovunque al S. E. Ma la piega sinclinale non è in alcun luogo evidente, come sui fianchi del Klenenhorn dominanti le gole di Termen. Dalla cappella di Rosswald già si scorge nettamente all’ altezza di 2440m. Nei dintorni di Schlucht, i grandi ammassi di ghiaccio im- pediscono di vedere il sottosuolo ; ma gli scisti lucenti ritrovansi al di là di Termen sulla sponda del Rodano, dove inclinano a S.E. di 30° circa. Nelle gole della Saltina invece, a causa della profondità della erosione il sottosuolo apparisce sin presso Brieg. Gli scisti lu- centi, dapprima verticali s’ inclinano a poco a poco verso N. sino ad un affioramento gessoso al disotto di Lingwurm. A valle V in- clinazione è di 83° al S.E. ; gli scisti presentano in seguito varie - 295 — irregolarità finché a monte del Ponte Napoleone affettano un1 in- clinazione inversa N.O. che va diminuendo sino a 50°. V’ ha adunque indizio d’un piegamento anticlinale e forse di due, la cui continuazione dal lato di Schlucht è completamente coperta dal ghiacciaio. Questi scisti a valle dell’ affioramento gessoso sono di colore più scuro, e rammentano gli scisti antraciferi che trovansi nella valle del Rodano più all’ 0., nei dintorni di Tourtemagne. Y. — Gesso e dolomia della valle del Bodano. — L’ erta sponda che segue la riva sinistra del Rodano a monte di Brieg, è formata di scisti lucenti sin presso Termen. Ma di fronte allo sbocco della Massa nel Rodano sotto questi scisti ve- desi apparire una serie di strati di gesso e dolomite (schichten- complex) che a valle trovavasi al disotto del livello dello strato d’alluvione. Questi strati hanno la stessa inclinazione degli scisti sovrastanti, cioè 30° al S.S.E. e si elevano obliquamente attra- verso la sponda nella direzione del N.E. Sotto Termen gli strati occupano quasi tutta 1’ altezza della sponda, che d’ alto in basso offre la sezione seguente : a) Terreno erratico occupante tutto il piano di Termen; b) Scisti lucenti di color bigio, formanti la parte più alta della sponda ; c ) Dolomia saccaroide, bianca, friabile ; avente T aspetto del gesso — potenza 15 m. circa; d) Scisti analoghi ai precedenti, ma in generale di color più scuro — 4 a 5 metri ; e ) Dolomia saccaroide, identica alla precedente. — circa 20m ; f) Gesso granoso, d’ un bel bianco — 35m ; g) Banco di quarzite bianca — 2 a 3m ; h) Gesso identico al precedente — 20 a 25“ ; i) Scisti verdastri — 10 a 12m; le) Scisti argillo-calcari nerastri, costituenti la parte infe- riore della sponda. La zona gessosa nel suo prolungamento N.E. si allontana dalla sponda disparendo sotto 1’ erratico del piano di Termen ; ma da lontano vedesi riapparire nel burrone profondo situato al disotto di Tunnetsch. La carta di Gerlach indica tre affiora- menti di gesso nello stesso allineamento sotto Nasembord, sotto 296 — Sali e nella Binnenthal verso Ausserbinn (1330m) vicino al piede nord dell’ Eggerhorn. Questo gruppo gesso-dolomitico forma evidentemente una zona regolare, parallela a quella delle valli della Ganther e di Jaf- fisch, e limita al N.O. la catena degli scisti lucenti (Glisshorn- Eggerhorn) di cui, come vedemmo, la disposizione sinclinale è fortemente accusata. All’ infuori di questa zona, devo ancora segnalare nella valle del Rodano due importanti giacimenti gessosi. E dapprima, il giacimento delle Saltina inferiore dove il gesso costituisce una formazione isolata, che appare soltanto sulle sponde della Sal- tina delle quali non raggiunge la sommità. La disposizione degli strati è molto confusa, ma sembra accennare ad una anticlinale. Il gesso non racchiude traccia di dolomia e si ompone di due masse separate da un 30 m. di scisti lucenti più o meno scuri. La parte gessosa superiore non ha che un 10 jn. di spessore; P inferiore 50m circa e si eleva quasi fino alla sommità della sponda. Gli è difficile rendersi conto del valore orografico di questa formazione gessosa. Essa non può infatti esser la continuazione della zona di Termen che dispare a S.O. sotto la valle. Alcuna traccia non si trova del suo prolungamento nel burrone che da Klennenhorn discende verso Schlucht; nè il signor Heim potè trovarlo nella gola che discenda dal Glisshon a Wickert ed al Ponte Napoleone. Tuttavia la carta di Gerlach indica un affiora- mento gessoso al disopra di Gamsen, il quale non può essere se non il prolungamento del gesso della Saltina, o di quello di Termen. Il secondo giacimento di cui debbo far menzione è quello di Naters, ossia del corso inferiore della Massa. Sulla destra sponda della valle del Rodano, tutta la costa è composta di gneiss ana- logo a quello delle Alpi bernesi. Solo il monacello che separa Nater dalla Massa ne fa eccezione, apparendo sotto agli enormi ammassi di ghiaccio di cui è perpetuamente vestito, il gesso, la dolomia e gli schisti lucenti. Gli strati sono stati fortemente rialzati, inclinando essi di 70° almeno al S.E. Nella parte più sporgente di questo promontorio può vedersi un affioramento di calcare dolomitico che rappresenta lo strato superiore del complesso se la disposizione non è turbata; più — 297 — lontano, al di là del ponte sulla Massa nello stretto bacino di questo torrente trovasi un affioramento di gesso, poscia gli scisti lucenti, e più lontano, quasi a contatto del gneiss, v’ ha una nuova zona gessosa il cui affioramento si scorge sulle due sponde della Massa. Quivi, le acque del torrente, trovando un terreno meno resistente, si scavarono un largo bacino circolare dal quale la Massa si versa nel Rodano coll’ apparenza di un fiume d’ eguale importanza. VI. — Conclusioni teoriche. — In ciò che precede ho limi- tato il mio esame ai soli fatti, astenendomi a bello studio dal parlare, sia della età dei terreni, sia della loro origine e degli spostamenti cui essi andarono soggetti. Queste teoriche considera- zioni farò oggetto del presente capitolo. Il più antica li tutti i terreni che noi osservammo in que- sta regione del Semph ne è incontestabilmente il gneiss d’ An- tigorio ; formando esso un rilievo regolare sul quale si appoggiano tutti gli altri terreni incontrati nella nostra esplorazione. Ger- lach tuttavia dice di aver osservato nella valle d’Antigorio presso Crodo, lo stesso gneiss riposare sui micascisti, ma spiega il fatto ammettendo un rovesciamento completo degli strati. I caratteri di questo gneiss, e particolarmente la struttura sua più o meno compatta gli danno molta somiglianza colla protogina del Monte Bianco, e deve evidentemente avere la stessa importanza di essa nella formazione delle Alpi. Molti geologi considerano in conse- guenza questo gneiss come una roccia primitiva. Io opino piut- tosto che le roccie cristalline delle nostre Alpi altro non siano che terreni metamorfici, sedimentari in origine; ma devo dichia- rare non aver trovato in questo gneiss alcun dato positivo per fissare la sua origine. Gli scisti cristallini soprapposti che formano la più gran parte del Sempione, sono invece positivamente d1 origine sedimentaria. La loro grande schistosità, la loro variabilità mineralogica nel senso dello spessore con una certa costanza nel senso della lun- ghezza; le intercalazioni di banchi calcari non già in modo ac- cidentale per piccoli tratti, ma costanti su ragguardevoli distanze ; il parallelismo infine della schistosì^' '• questi banchi calcari, dimostrano abbastanza quesfo bigine sedimentaria. Le variazioni mineralogiche non sarebbero ad altro dovute 20 — 298 — che ai cambiamenti avvenuti durante la meccanica azione del sedimento nella natura degli elementi, talvolta più argillosi, tal’ altra più sabbiosi o più calcari. Ed in questo io sono pie- namente d’accordo col Gerlach che comprendeva questi scisti sotto la denominazione generale di scisti metamorfici antichi. Ma se questi scisti rappresentano antichi sedimenti, a quale epoca dovremo noi riferirli ? L’ assenza completa di fossili im- pedisce di dare al problema una positiva soluzione, ammenoché non vogliansi riferire all’ epoca azoica. Ma la presenza dei sedi- menti calcari, parendomi sempre un indizio di vita organica, gli scisti alternanti con banchi calcari devono appartenere ad un’epoca paleozoica, poiché sono evidentemente anteriori ai terreni tria- sici. Che se anche attualmente molte formazioni calcari vanno deponendosi per via idro-chimica, sono questi casi eccezionali, che dan luogo ad ammassi locali irregolari e non a banchi con- tinui, regolarmente stratificati. Lesta ancora a decidersi se, tutti gli scisti cristallini della serie che va dal limite del gneiss d’Antigorio sino alla zona do- lomitica della valle della Ganther, appartengono ad una forma- zione continua coll’ intercalazione di tre strati calcari in epoche successive; oppure se non sia questa formazione la ripetizione degli stessi strati cagionata da ripiegamenti o da dislocazioni. Sollevando io questa questione, i signori Lory ed Heim, opi- navano per la prima alternativa, salvochè il signor Lory ammet- teva una faglia presso il rifugio N. 4 per spiegarsi l’ inversa inclinazione che si osserva in questo punto. Quanto a me, non saprei accettarla, poiché vari fatti mi fanno propendere piutto- sto per la seconda. Ecco gli argomenti che mi conducono a pen- sare che esistono forse due o più ripetizioni degli stessi strati : 1° L’analogia grandissima delle tre zone calcari, che fa pensare ad una comunanza di età e di origine. Il loro spessore è press’ a poco lo stesso e le stesse varietà petrografiche si ritro- vano egualmente nelle tre zone. 2° Il ritorno ripetuto delle stesse varietà di scisti cristal- lini, il quale potrebbe anche provenire è vero dalla ripetizione a differenti epoche delle stesse condizioni di sedimentazione; ma se si pervenisse a trovare in tali variazioni una regolarità simme- trica, sarebbe questo un valido argomento in favore delle flessioni. — 299 — 3° Le variazioni alternative nelle pendenze, parlano pure nel senso medesimo. Infatti è bensì vero che gli scisti inclinano quasi sempre al N.O. ; ma il declivio non è nè costante, nè pro- gressivamente crescente o decrescente, come si osserva nel gneiss d’ Antigorio, e come dovrebbe essere salvo eccezione locale, se i ripiegamenti non esistessero. 4° L’ enorme spessore di questa serie di scisti rende inol- tre improbabile eh’ essi formino una sola massa continua senza ripetizioni. Tale spessore arriva persino a 6000m; e laddove le osservazioni furono possibili si arrivò a riconoscere essere questi enormi spessori dovuti quasi sempre ad amplificazioni risultanti da faglie o da flessioni. 5° Finalmente dal paragone colle parti fossilifere delle Alpi, sorge nuovo argomento per ammettere V esistenza di ripiega- menti in questa formazione. Dovunque i caratteri paleontologici e petrografici permettono di distinguere i diversi orizzonti, si riconoscono nelle Alpi dei piegamenti frequenti ed intensi, e spesso delle faglie. Anche al Sempione stesso noi ne abbiamo un esempio nella catena degli scisti lucenti che formano una sinclinale molto compressa. Lascio queste considerazioni a cui sarà dato percorrere e studiare più minutamente le Alpi Pennine, affinchè possa ri- solvere Y interessante problema. Venendo alla catena laterale lungo la valle del Rodano, ben- ché essa sia evidentemente metamorfica e priva di fossili, la sua origine sedimentaria non potrebbe essere contestata. Noi fummo unanimi nell’ assegnare agli strati che la compongono V epoca mesozoica, in gran parte triasica. I signori Lory ed Heim conside- rano meco i gessi, dolomiti e le cargneules di queste Alpi come appartenenti al trias. Quanto agli scisti lucenti, il signor Lory li riconobbe identici a quelli del Moncenisio, che con valide ragioni egli attribuisce al trias. Tuttavia non sarei alieno dal riferire al lias gli strati superiori posti al centro della sinclinale. Il signor Heim trovava negli scisti più scuri che costeggiano la valle del Rodano una certa somiglianza cogli scisti antraciferi, ma non si hanno suf- ficenti ragioni che ci autorizzino a separarli dagli altri. Abbiamo adunque in questo gruppo probabilmente una serie - 300 — di strati triasici formanti sinclinale, il cui asse corrisponde press’ a poco alla cresta della catena* e di cui i gessi e le do- lomiti rialzati ai due lati formano la base. Altre importanti questioni da risolversi emanano dall’ esame di questa catena ; poiché gli è possibile che questa sinclinale dia luogo ad una anticlinale, come lo indicherebbe la sezione lungo la Saltina, anticlinale che necessita a sua volta una se- conda sinclinale, passante forse vicino a Termen. Qual’ è infine la relazione orografica fra il gesso di Termen e quello della Massa? Sono essi in sovrapposizione regolare? For- mano essi i due rami d’ un ripiegamento sinclinale o la ricor- renza è dovuta ad una faglia ? I punti dubbiosi, come vedesi, sono numerosi ; ma potrebbe egli essere altrimenti per queste centrali regioni delle Alpi? Se P opera ardua del tunnel del Sempione un giorno sarà posta ad effetto, essa potrà contribuire largamente alla solu- zione di tali questioni. Bibliografia geologica e paleontologica della provincia di Siena ? per Dante Pantanelli. 1571. — Bacci Andrea. De Thermis. — Yenetia. Yi si parla di diverse acque minerali della provincia di Siena. 1588. — Schiavetti Andrea. Breve ragionamento sopra F acque di San Casciano — Orvieto. 1817. — Manni Vittorio. De Balneis Sancii Cassiani. — Siena. 1617. — Ghezzi Mariano. Dei Bagni di San Casciano. — Ronciglione. 1625-26. — Temutasi Riugurta. Dell’Historie di Siena. — Yenetia. Yi si parla tanto nel primo come nel secondo volume, delle pro- duzioni naturali del territorio Senese e di molti bagni, tra i quali San Casciano, Rapolano, Petriolo, Macereto, Yignone, ec., ripor- tando una parte della relazione di Jacopo Tondi- del 1334, il cui manoscritto è stato perduto. 1647. — Nerucci Leandro. Trattato dell’acqua Borra. — Siena. 1 La presente bibliografia è limitata alla attuale circoscrizione amministra- tiva della provincia di Siena ; una prima edizione incompleta e per un complesso di circostanze moltissimo scorretta, fu pubblicata nella cronaca del R. liceo di Siena del 1877. L’A. prega i pochissimi che avranno avuto fra le mani quella infelice edizione, di dimenticarla. — 301 — 1705. — Grifoni Teofìlo. Osservazioni intorno alle acque del Bagno di Yignone. — Siena. 171G. — Pinelli Flaminio. Lettera dei Bagni di Petriolo, scritta ad Anton Francesco Bertóni, — Roma. 1719. — Mercati. Metallotheca Vaticana. — Roma. Sono citati in quest’ opera i banchi d’ ostriche fossili dei dintorni di Siena e gli opercoli di Turbo, detti occhi di Santa Lucia, così comuni nelle argille senesi. 1723. — Gigli Girolamo. Diario Senese. — Lucca. Contiene diverse indicazioni su i Bagni della provincia di Siena. 1733. — Bastioni Jacopo. Dei Bagni di San Casciano. — Montefiascone. 1743. — Bianchi Giovanni (Jani Planci). Lettera a Giovali Filippo Breyn. Memorie sopra la Fisica e Storia Naturale. — Lucca. Avverte di aver trovato presso il Palazzo dei Diavoli (Siena) e presso Monte Arioso delle ammoniti minime (foraminifere) analoghe a quelle trovate nella spiaggia di Rimini. 1750. — Baldassarri Giuseppe. Saggio di produzioni naturali dello stato senese che si ritrovano nel Museo del nobil signor Giovanni Venturi - Gallerani. — Siena. Oltre a molti minerali trovasi in questa Nota un breve elenco di fossili, cioè: Penna (Pinna), Turbine pentadattilo (Chenopus pespele- cani?), Spondyius, Porpora echinophora (Murex truncatulus?), Por- pora echinata ( Murex torularius) ; e altri d’ incerta sinonimia. Nello stesso volume hawi una lettera del Baldassarri a Saverio Manetti sopra il sale della creta; questa efflorescenza comune sulle argille è in massima parte formata dal solfato di soda. 1751. — Targioui-Tozzetti Giovanni. Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa. — Firenze. In questa opera omnibus sulla Toscana ben poco trovasi che si ri- ferisca alla provincia di Siena. L’ Autore stesso confessa di cono- scerla poco, e si attiene alle notizie dei pochi Senesi che l’ hanno preceduto. È il primo che distingua i due piani delle sabbie gialle e delle marne, come rappresentanti di epoche geologiche differenti, e fu seguito lungamente in questo errore. Vedi edizioni successive. 1754. — Micheli Pierantonio (in Targioni-Tozzetti). Relazione del viaggio fatto in diversi luoghi dello stato senese. — Firenze. La relazione di questo viaggio fatto nel 1733 è inserita nei viaggi della Toscana del Targioni ed è annotata dal medesimo. Parla dei corni d’ ammone di Cetona, dei quali distingue una ventina di spe- cie. In una nota del Targioni si avverte che dovrebbero chiamarsi ammoniti non essendo questi fossili che nuclei interni di un te- staceo del quale il guscio sottilissimo si è disperso. È citato anche il latte di luna o farina fossile di Santa Fiora reputato dal Micheli — 302 — malamente, un prodotto vulcanico, mentre deriva da detriti orga- nici di esseri vissuti nelle sorgenti ricche di silice sgorganti dalla trachite. 1756. — Baldassarri Giuseppe. Acque minerali di Chianciano. — Siena. E un grosso volume destinato a render nota l’ efficacia di quelle acque minerali ; oltre alle discussioni sull’ uso terapeutico delle me- desime, un primo capitolo è consacrato alle condizioni geologiche e mineralogiche del territorio medesimo. Si ferma volentieri sugli strati pliocenici, ed osserva che questi sono anche oggi paralleli al- V orizzonte : il nostro Autore esamina senza preconcetti, e in ragione di questo modo d’ osservare ha il sommo pregio della chiarezza e della precisione ; così nota che le argille si sono depositate prima delle ghiaie, e mentre si sente incerto a spiegare come sia avve- nuto, crede però che la natura litologica diversa derivi dalle diverse circostanze di sedimento, come avviene nei fiumi ove prima si depo- sitano i materiali più grossi poi i più sottili. Insiste nell’esame dei fori dei litofagi per dimostrare il lungo soggiorno del mare nel territorio che esamina : negando assolutamente che la formazione di quei terreni debbasi ad una azione rapida ed improvvisa come ritenevasi dai naturalisti dei suoi tempi, avverte che i ciottoli dei banchi di ghiaie alternanti colle sabbie provengono dai monti vi- cini. Ma più che qualunque parola un brano di questa medesima opera varrà meglio di ogni altra critica a far conoscere quant’ amore e quale acuto spirito di osservazione animasse il Baldassarri nei suoi studi. « Io, a dire il vero, quanto più considero i monti e le colline nelle quali trovansi siffatte reliquie di mare, in cambio di vederci disor- dine, confusione, sconvolgimento e per così dire, la terra scardinata dai suoi fondamenti, parmi di scorgerci piuttosto ordine, simmetria, regolamento, e tutto disposto con grande uniformità a quelle regole, che nell’ ampio letto del mare naturalmente si osservano. Le varie disposizioni di terra, di ghiaia e di testacei, che in forma di strati sono disposte successivamente una sopra 1’ altra parallele fra loro, e senza seguire 1’ ordine delle proprie gravità specifiche, i testacei, i crostacei, i litofìti conservanti ciascuno il suo luogo particolare e la positura stessa con la quale stanno collocati in mare, le impres- sioni lasciate dai dattili nei sassi spettanti ai monti di anterior for- mazione, sono tutte cose, che invece di svegliare in noi l’idea di un trituramelo universale di tutti i solidi, di un subissamento della terra e di un furioso sconvolgimento di terra e di acqua, fanno piuttosto concepire essere quivi in antico accadute le cose nella maniera stessa, colla quale naturalmente succedono nell’ odierno letto del mare. È vero però che l’ignota ragione di questo ritira- mento delle acque marine, e tante produzioni, e di mare, e di terra non proprie del nostro clima, che su questi luoghi si trovano, fanno — 303 un grande ostacolo a questa opinione, e quando il variato centro dei gravi, che per legge meccanica par naturale, e il variato clima d’ Europa per la variazione dell’ obliquità dell’ Eclittica, sostenuta da insigni astronomi, o la maggiore profondità dell’ antico mare in confronto del moderno, non bastino a mantenerne il peso e il vi- gore. Ma comunque siasi, è sempre giovevol cosa 1’ attenersi a un sentimento, quando i fatti e le osservazioni lo mostrino per vero, ancorché le cagioni o le maniere siano affatto recondite e scono- sciute. » (Pag. 25, 26, 27.) Ed ora, se si nota che il Baldassarri benché posteriore a Lazzaro Moro precede Hutton di circa trent’ anni, e che d’ altra parte le opere di Lazzaro Moro hanno avuto bisogno dei più larghi com- menti per essere intese, senza tema di errare spetta al Baldassarri la priorità del principio fondamentale della geologia, che i fossili rappresentino avanzi di animali che hanno vissuto là dove se ne ritrovano le spoglie. Se il Baldassarri non è annoverato tra i fon- datori della geologia lo si deve al non essere stati i suoi lavori co- nosciuti come meritavano, che certo la chiarezza e la precisione nelle idee non mancavano nel nostro Autore. 1763. — Nerucci Ottavio. Analisi della termale di San Casciano. — Atti dell’Accademia dei Fisiocritici, tom. IL Siena. 1763. — Baldassarri Giuseppe. Analisi di un’ acqua minerale che scatu- risce in vicinanza di Siena chiamata acqua Borra. — Atti dell’Acca- demia dei Fisiocritici, tom. IL Siena. Oltre 1’ analisi di quest’ acqua il Baldassarri osserva con molta giustezza che sgorga da un masso di travertino formato dalle de- posizioni dell’ acqua stessa. 1763. Saggio di osservazioni intorno ad alcuni prodotti naturali fatte a Prata ed altri luoghi della Maremma di Siena. — Atti del- l’Accademia dei Fisiocritici, tom. II. Siena. Sono descritti in questo lavoro molti minerali della provincia di Siena. 1765. — Caluri Francesco. Conghietture ed osservazioni sopra una con- chiglia marina fossile della campagna senese. — Atti dell’ Accademia dei Fisiocritici, tom. III. Siena. Il Caluri divide nella formazione dei nostri terreni le opinioni del Baldassarri, cioè che sieno sedimenti formati sotto le acque del mare. Osserva come le specie tendono a localizzarsi, osservazione riportata dal Brocchi. Descrive e figura una conchiglia che chiama Crepidula parassitica e che crede nuova ; è la Crepidula unguiformis Linn. È a notarsi che il genere Crepidula fu stabilito dal Lamarck almeno quarant’ anni più tardi, e che se il Caluri teneva proprio a trovar delle nuove specie fu davvero sfortunato ; infatti mentre la massima parte dei fossili del Senese erano totalmente nuovi a quei tempi, il nostro Autore andò ad imbattersi in una specie già descritta. Il Caluri è — 304 - il primo italiano che adotta nella nomenclatura dei molluschi il si- stema binomio di Linneo (?) 1767. — Baldassarri Giuseppe. Descrizione di una mascella fossile straor- dinaria trovata nel territorio Senese. — Atti dell’ Accademia dei Fi- siocritici, tom. III. Siena. Parla di una mascella fossile trovata a Monte Follonico e che tuttora si conserva nel Museo dei Fisiocritici : 1’ Autore non sa a che specie riferirla, la crede però eguale ad una proveniente dal Canada indicata dal Guettard e a quelle presentate dal Réaumur all’ Accademia di Francia provenienti dalla Linguadoca. Emette e sostiene 1’ opinione che i fossili tutti, sieno avanzi di animali che hanno vissuto nei luoghi dove essi si trovano e che sieno contem- poranei alla formazione dei terreni medesimi. La mascella in que- stione appartiene al Mastodon arvernensis Cr. e Joub. 1770. — Bastiani Annibale. Delle terme cassianensi e analisi delle acque minerali dei Bagni. — Magazzino Toscano. Tomo primo, parte terza. Firenze. 1771. — Baldassarri Giuseppe. Descrizione di un sale neutro deliquescente che si trova nel tufo intorno alla città di Siena. — Atti deìV Acca- demia dei Fisiocritici, tom. IV. Siena. Parlando di questo sale che è il cloruro di calcio, crede che po- trebbe provenire dalle conchiglie fossili disfatte ; accenna alla quan- tità delle medesime intorno a Siena, ed opina che questi terreni sieno analoghi ai Faìun della Tourraine. 1771. — Pistoi Candido e Niccoletti Domenico. Memoria per avere sciolto il problema che propose V Accademia nel gennaio del 1768. — Atti dell’ Accademia dei Fisiocritici, tom. IV. Siena. Sono riportate varie esperienze istituite sulle sabbie gialle e sulle così dette crete senesi; gli Autori opinano che la sterilità attuale di queste ultime sia recente, e dovuta alla denudazione operata dalle acque. 1774. — Giovanni Arduino. Saggio mineralogico di lythogonia e orogno- sia. — Atti delV Accademia dei Fisiocritici, tom. V. Siena. Contiene qualche accenno sui marmi di Montarrenti e sui galestri del Chianti. 1775. — Petrucci Galgano. Nuova analisi dell’ acqua minerale di Chian- ciano. Siena. 1776. — Bartalini Biagio. Catalogo dei corpi marini fossili che si tro- vano intorno a Siena. — Siena. È questo il primo tentativo di catalogo dei fossili dei terreni in- torno a Siena : molte specie sono indicate con i nomi Linneiani, per molti V Autore si serve delle indicazioni generiche del Gual- tieri ; rammenta un’ ottantina di specie di molluschi, vari briozoi ed altri; di pochissime specie indica la provenienza esatta, per la massima parte di esse si contenta dirle provenienti dalle crete ; sono però tutte, almeno quelle decifrabili, specie assai comuni. - 305 — 1776. — Latapie Charles. Description abrégée de la manufacture de Bas-Keliefs en albàtre des Bains de Saint-Philippe en Toscane. — Observations sur la Physique. A. Mozier. Tomo settimo. Paris. Unitamente ai Bagni di San Filippo descrive alcune mofette della Toscana. 1779. — Baldassarri Giuseppe. Osservazioni ed esperienze intorno al Bagno di Montalceto. — Siena. Il Baldassarri prende occasione dall’ esame di quelle acque aci- dule per tornare a parlare dei molluschi fossili ed insistere sul prin- cipio che essi rappresentino avanzi di animali vissuti dove se ne ritrovano le spoglie; trova per questo un buon argomento nella localizzazione delle diverse specie e nell’ essere non più i ciottoli delle ghiaie ma gli stessi strati della roccia, perforati dalle lito- dome : come tutti gli scritti del Baldassarri, questo pure è im- prontato da quella somma chiarezza tanto abituale nel nostro Autore. 1780. — Soldani Ambrogio. Saggio orittografico ovvero osservazioni sopra le terre nautiliche ed ammonitiche della Toscana con appendice e catalogo dei piccoli testacei. — Siena. E un lavoro ricco di osservazioni le cui interpretazioni non sono ancora state smentite. Dice le breccie ghiarose di Siena provenire dai monti del Chianti e riconosce nelle medesime le diverse rocce di quelle località ; avverte che hanno soggiornato nel fondo del mare essendo sforacchiate dai litodomi. Cita le terre nautiliche (a foraminifere) della Coroncina e di una località dentro Siena, dove in sei oncie ha riscontrate 22,000 nautili ; parla delle sabbie gialle che sovrastano agli strati della lignite nella quale trova le tracce delle teredini ; osserva che le specie tendono a localizzarsi e che in ogni caso per quelle delle argille subcineree per la loro conservazione, è a ritenersi che si sieno depositate in un mare profondo e tranquillo ; finalmente nella conclusione nega che i mari possano essersi ritirati repentinamente ma a poco a poco, avendo lasciato nel decorso di tanti secoli, tanti e così chiari monu- menti di sè medesimi. Fa seguito al lavoro descrittivo un catalogo di fossili, e tra questi ne rammenteremo un solo YOstrea poliginglina che più tardi ebbe il nome di Perna Soldanii ; come disgraziatamente usò poi nella sua opera maggiore, i fossili sono descritti sommariamente e non clas- sati secondo un ordine regolare e sistematico; nonostante essendo unito a questo volùme una serie di tavole contenenti circa duecento figure discretamente incise da Ciro Santi, chi vuole può facilmente riconoscere quali specie intendesse di descrivere il Soldani. Le collezioni del Soldani si conservano oggi con venerazione presso V Accademia dei Fisiocritici in Siena, e se fossero state con- servate sempre con quella cura come si usa da alcuni anni, non si - 306 - avrebbe oggi a lamentare qualche lieve danno recato dal tempo e dai troppo zelanti amatori alle medesime. 1781. — Bartalini Biagio. Osservazioni di Storia Naturale fatte in alcuni luoghi dello Stato di Siena. — Atti dell’Accademia dei Fisiocritici, tom. YI. Siena. Descrive diversi minerali ; riporta alcune osservazioni sui lagoni boraciferi di Travale ; cita le ammoniti delle Cornate di Gerfalco che erano sfuggite al Micheli ; parla nuovamente delle fucoidi nei calcari di Fagnano, Val di Picciola e Pontignano. 1789. — Soldani Ambrogio. Testaceographise ac zoophytographiae parvae et microscopicae. — Siena. Restringere l’opera somma del Soldani in brevi cenni come si esige dall’ indole di una bibliografia è prova ardua e dalla quale non è facile il trarsi d’ impaccio. Limitandosi alla sola parte geolo- gica e paleontologica, va rammentata per la prima la dissertazione geologica sul territorio del Casentino e del Val d’ Arno. In questa si parla e si descrivono con mirabile precisione i diversi strati del Chianti dei dintorni di Gaiole, dai quali V Autore trasse molte fo- raminifere dei terreni del cretaceo medio e che tuttora attendono di essere più accuratamente illustrate, essendo il Soldani l’ unico che abbia studiato quei terreni così importanti e che esaminati con cura porterebbero tanta luce sulla successione geologica dal Lias all’Eocene, periodo pochissimo conosciuto da noi. In questa dissertazione si parla per incidenza dei terreni lacustri di Staggia, e l’Autore osserva come si trovino nelle nostre colline le stesse successioni litologiche che si riscontrano nel fondo del mare ; cioè, le sabbie gialle e le ghiaie rappresentano la zona lito- rale e le argille subcineree, come l’ Autore le chiama, le parti più profonde ; e questa osservazione è tanto più importante che vi sono voluti più di sessant’ anni perchè i geologi accettassero le vedute del Soldani. Parlando delle ossa fossili del Val d’Arno, le dice simili a quelle delle sabbie gialle dei dintorni di Siena con la differenza che mentre quelle hanno soggiornato in strati lacustri, queste per trovarsi co- perte di balani e di ostriche, provengono da strati marini. Verso la fine di questa dissertazione parla delle teredini fossili dei dintorni di Siena, e in un capitolo sul carbon fossile accenna a quello d’ origine lacustre della valle di Lornano, dove attualmente trovasi la miniera di lignite del Casino, e di quelli d’ origine ma- rina tra i quali rammenta le ligniti del Boggione e del Riluogo. Nella seconda parte di quest’ opera, pubblicata nel 1798, si occupa 1’ Autore esclusivamente degli avanzi fossili della provincia o meglio dei dintorni di Siena. Questo volume è diviso in due parti : nella prima si occupa dei sedimenti marini, nella seconda di quelli lacustri. — 307 - Lasciando in disparte tutte le piccole conchiglie e le foraminifere che esso descrive, avvertiremo come V Autore torni con nuovi argo- menti, che desume specialmente dalle conchiglie viventi raccolte nel Mediterraneo, a sostenere l’ opinione che le differenze litologiche dipendano dalle diverse circostanze nelle quali si sono depositati i diversi terreni. L’ Autore non pone neanche in dubbio la perma- nenza del mare sulle colline della Toscana e distingue con molta precisione i sedimenti lacustri da quelli marini, e in questi quelli litorali da quelli di mare profondo. Ritiene che il mare siasi riti- rato dalle nostre terre e che le vallate sieno prodotte dalla erosione delle acque pluviali e da irruzioni marine. Le località più specialmente nominate dal Soldani sono i dintorni di Siena, San Quirico e Volterra, per i sedimenti marini; per questi ultimi avverte che si sono formati lontani da grandi fiumi a diffe- renza di Siena ove scorge l’ azione delle acque terrestri nei nume- rosi banchi di ghiaie ; cita poi i sedimenti d1 origine lacustre di Staggia, Sarteano e Collé. L’ opera è corredata da un volume di tavole incise da Ciro Santi; sono centosettantanove tavole che contengono più di mille e cinque- cento figure. 1793. — Battini Domenico. Relazione intorno alle acque delle fonti di Siena. — Atti dell’ Accademia dei Fisiocritici, tom. Vili. Siena. Per quanto non sia un lavoro geologico, non può essere dimen- ticato in una bibliografia stante la descrizione minuta dei cunicoli che attraverso alle sabbie gialle e alle marne raccolgono le acque di stillicidio, costituendo un vasto sistema di sorgenti artificiali: lavoro gigantesco che cominciato nel XII secolo fu di poi sempre ampliato e continuato. 1793. Ricerche intorno alle acque minerali epatiche ed all* ana- lisi chimica di diverse acque minerali dello Stato Senese. — Atti del- V Accademia dei Fisiocritici, tom. VII. Siena. 1795. — Santi Giorgio. Viaggio al Monte Amiata. — Pisa. Descrive il Monte Amiata ; insiste sulla sua origine vulcanica e la crede sottomarina. Delimita il peperino (trachite) che ritiene uscito dal cratere allo stato pastoso, e lo deduce dalle pietre che racchiude, chiamate volgarmente anime di sasso. Crede che il vul- cano abbia sollevato gli strati sovrapposti e ne trova i crateri se- condari nella Valle dell’ inferno, nella Valle grande e nella Valle pic- cola. Dice le terre bolari essere originate da sorgenti ferruginose, analoghe a quelle dell’Acqua Santa presso l’ Abbadia San Salva- tore e che lasciano un deposito ocraceo. Del resto, questo lavoro è assai più interessante per il lato descrittivo e per la botanica che per quello di cui ci occupiamo. 1798. — Soldani Ambrogio. Relazione del terremoto avvenuto in Siena il dì 26 maggio 1798. — Siena. — 308 — 1799. — Bartalini Biagio. Ragguaglio di alcune produzioni naturali dei- fi agro senese. — Atti dell’ Accademia dei Fisiocritici, tomo Vili. Siena. L’ Autore parla delle ossa fossili dei dintorni di Siena che dice appartenere alle stesse specie di quelle del Valdarno superiore, e questa osservazione è tanto più importante che oggi da alcuni si ritengono sempre e a torto differenti ; pone in dileggio l’ idea che le ossa degli elefanti fossili fossero avanzi degli elefanti condotti da Annibaie : cita molti fossili marini molti dei quali afferma addi- rittura essere stranieri ai nostri mari, come pure dice non esistere più alcune piante fossili dal medesimo ritrovate. A questa memoria sono unite sei tavole contenenti le figure della 'Ranella marginata, della Cancellarla varicosa, del Murex torularius e della Crepidula un- gaiformis e undici specie di fucoidi fossili dell’ alberese di Fagnano. 1802. — De Yegni Leonardo. Descrizione dei Bagni di San Filippo. — Atti dell’ Accademia dei Fisiocritici, toni. IX. Siena. Stampata nel 1802 fu scritta nel 1768. 1806. — Santi Giorgio. Viaggio terzo per le due provincie senesi. — Pisa. 1812. — Cuvier Georges. Recherches sur les ossements fossiles des qua- drupèdes. — Paris. Cita le mascelle di mastodonte di Monte Follonico, illustrate dal Baldassarri, e delle quali, a cura di quest’ ultimo, aveva ricevuto un modello. 1813. — Barzelletti Giacomo. Acque termali e minerali di Chianciano nel dipartimento dell’ Ombrone, illustrate con i lumi della moderna chimica e colla esperienza di tutti i tempi. — Firenze. 1814. — Brocchi Gio. Batta. Conchiologia fossile subapennina. — Milano. In quest’ opera magistrale, la prima pubblicata in Italia sotto un aspetto veramente scientifico, Siena e la sua provincia hanno una bellissima parte, e questo non tanto è dovuto al lavori propri del Brocchi, quanto a quelli dei nostri senesi che avendolo preceduto hanno potuto fornirgli larghi materiali di studi e di ricerche. Senza entrare nelle teorie svolte dall’ illustre geologo bassanese, varrà il rammentare che secondo le vedute dei suoi tempi e se- guace della scuola di Werner, riteneva che l’emersione delle col- line subapennine fosse dovuta al ritiro in alveo più ristretto degli oceani ; riferisce inoltre gli Apennini a formazioni secondarie e di- stingue dagli Apennini quella parte delle montagne toscane che il Savi riunì poi col nome di catena metallifera. Crede che le serpentine rappresentino i terreni primitivi. Chiama terziarie le colline subapennine nelle quali riunisce tanto il pliocene quanto il miocene come posteriormente all’Autore furono definiti ; nei terreni subapennini ritiene che le sabbie gialle rappre- sentino strati cronologicamente differenti dalle argille, distinzione erronea in senso assoluto e che è stata ripetuta fino ai nostri giorni. Un elenco delle località citate dal Brocchi della provincia di Siena — 309 — varrà meglio di ogni altra cosa a far conoscere quanto sia impor- tante quest’ opera per la geologia della provincia. Cita T Autore le serpentine di Frosine, Bell’ Aria, Pieve a Scuola, Galleraie, Pietralata e Lornano. Kiferisce agli Apennini Frosine. Amano e Celsa, ne stacca Mon- tieri, Gerfalco, Prata e Boccheggiano. Delle colline subapennine cita Siena, San Quirico, Radicofani, Montalceto, Chiusdino, Pienza, Monteriggioni, San Gemignano e Montalcino. Dei dintorni di Siena cita Fango Nero, Montechiaro, Colle Mala- merenda, Coroncina, Poggio alla Fame, Riluogo, Pescaia e Mon- taperto. Rammenta i bulicami di Travale e di Petriolo, e la collina di Lecceto per i cristalli di quarzo. Parlando degli avanzi fossili di vertebrati, rammenta quelli ve- duti nelle collezioni del Baldassarri, del Bartalini e di quelli del Museo di Firenze. Le conchiglie fossili dei dintorni di Siena dal medesimo citate, sono 128. Di queste erano nuove per i suoi tempi G5. Furono poi determinate dall’ Autore sopra esemplari, allora esclu- sivamente senesi, le seguenti specie che tuttora conservano il nome dato loro dal Brocchi : Nassa mutabile, Trochus cingulatus, Turritella acutangula, Turritella marginalis, Turritella varicosa, Vermetus tri- quetrum, Marginàlia miliaris, Marginàlia clandestina, Turbo striatus?, Typhis horridus , Pleurotoma pustulata, Pleurotoma interrupta, Pleu- rotoma turricula, Pleurotoma Calliope, Cerithium turbinatimi, Terebra- tula biplicata, Terebratula complanata, Anomia vespertilio, Anomia striata e Cardium cypreum. Nel 1840 fu stampata a Milano una nuova edizione economica della conchiologia del Brocchi. 1818. — Lamarck. Histoire des animaux sans vertèbres. — Paris. Cita dieci specie di molluschi fossili della provincia di Siena, tra le quali sono nuove e determinate sopra individui del Senese la Cyprina gigas ( Venus uiribonaria Auct.) e il Pecten seniensis ( Pecten scabrellus Lek.) Vedi edizioni successive. 1820. — Borson Stefano. Saggio di orittografia piemontese. — Memorie dell’ Accademia delle Scienze di Torino, tom. XXY. Torino. Cita 19 specie di molluschi fossili del Senese. 1821. Saggio di orittografia piemontese. — Memorie dell’ Accade- mia delle Scienze di Torino, tom. XXVI. Torino. Cita 22 specie di molluschi fossili del Senese. 1823. — Targioni-Tozzetti Ottaviano. Di alcuni prodotti naturali del ter- ritorio di Colle di Val d’ Elsa, di San Gemignano e di Volterra. — Opuscoli scientifici di Bologna , tom. V. Bologna. - 310 — 1825. — Cignozzi Filippo. Osservazioni sull’ utilità delle acque minerali di Chianciano. — Fiesole. 1829. — Crini! Giuseppe. Statistica agraria della Val di Chiana. — Pisa. Nella parte di quest’ opera che contiene la descrizione delle con- dizioni geografiche di ciascun paese, vi è per ognuno di essi un breve cenno geologico. 1830. — Paganini Pirro. Notizie compendiate di tutte le acque minerali e bagni d’ Italia. 1831. — Bronn Enrico. Italiens Tertiàr-gebilde und deren organische Einschlusse. — Stuttgart. Cita due briozoi e tre specie di molluschi fossili dei dintorni di Siena. 1832. — Desliayes. Expédition scientifique de Morée, tom. III. — Paris. Cita di Siena e figura la Melania curvicosta (M. plicatula Lib.). 1832. — Znccagni Orlandini Attilio. Atlante geografico fìsico storico del Granducato di Toscana. Tavola geografica fisica e storica della valle superiore dell’ Ombrone e della valle dell’ Abbia e della Merse. — Firenze. E unito alla tavola un cenno mineralogico e geologico. 1833. — Targioni-Tozzetti Antonio. Analisi delle acque minerali di Chian- ciano. — Nuovo giornale dei letterati, voi. XXXVII. Firenze. 1833. — Giuli Giuseppe. Trattato fisico-medico delle acque minerali dei Bagni di Vignone in Valle d’ Orcia. — Siena. 1833. — Repetti Emanuele. Dizionàrio geografico fisico storico della Toscana. — Firenze. 1833. — Targioni-Tozzetti Antonio. Analisi chimica delle acque mine- rali di Chianciano eseguita nel 1832. — Firenze. Oltre alle analisi chimiche di tutte le acque minerali dei dintorni di Chianciano, e a tutte le considerazioni sugli usi terapeutici delle medesime, questo volume contiene alcuni capitoli interessanti circa le condizioni geologiche delle colline intorno a Chianciano ; sono rammentati diversi fossili pliocenici sì vegetali che animali ; con- tiene alcune indicazioni sulle rocce eoceniche e cretacee sulle quali si appoggiano gli strati terziari. Per 1’ epoca pliocenica l’ Autore, mentre distingue i diversi strati secondo la natura litologica, pone in quella i travertini di San- t’ Agnese che chiama strati palustri dicendoli sottostanti agli strati marini: il che non è esatto essendo quei travertini, come quasi tutti i travertini della Toscana, post- pliocenici. 1834. — Giuli Giuseppe. Breve notizia sulle miniere di Zolfo nel Chianti. — Bibliot. Ital., tom. LXXIV. Milano. 1835. — Targioni-Tozzetti Antonio. Analisi chimica dell’ acqua sulfuro- termale di Rapolano su quel di Siena. — Firenze. 1835. Dei Bagni di Montalceto ed analisi chimica delle loro acque minerali. — Firenze. — 311 — 1836. — Cantraine Francois. Diagnoses. — JBulletin de VAcadémie Royale de Bruxelles , tom. II. Bruxelles. Descrive la Neritinci Sena dei dintorni di Siena. 1836. — Giuli Giuseppe. Annunzio sulla breccia calcarea dei monti del Chianti. — Bibliot. Ital., tom. LXXXII. Milano. 1836. — Coli Alessandro. Intorno all’uso delle acque minerali di Chian- ciano. — Firenze. 840. — Nyst H. P. Tableau synoptique et synonimique des espèces vi- vantes et fossiles de la famille des Arcacées. — Mémoires de VAca- démie Royale de Belgique. Bruxelles. Cita tre specie di molluschi fossili. 1841. — Cantraine Francois. Malacologie Mediterranéenne et litorale. — Nouveaìix mémoires de VAcadémie Royale de Bruxelles. Bruxelles. Cita diverse specie fossili di Siena tra le quali sono nuove le se- guenti : Eulima intermedia, Cancellaria fusiformis, Astarte crispata, Arca modioloides. 1841. — Pareto Lorenzo. Atti della terza riunione degli scienziati ita- liani in Firenze. — Firenze. Nell’ adunanza del 28 settembre fu parlato del Monte Amiata. Il Pareto opinò che le trachiti fossero uscite allo stato pastoso e che sieno contemporanee se non posteriori agli strati terziari ; quest’ ultima opinione che con molta probabilità è la più esatta, fu divisa dal Savi. 1843. Sopra alcune alternative di strati marini e fluviatili nei terreni di sedimento superiori dei colli subapennini. — Giornale To- scano di scienze mediche fisiche e naturali, tom. I. N. 4. Firenze. In questa memoria vengon citate per la prima volta le alternanze marine e fluviatili della Pescaia e del Boggione; tra i fossili delle medesime sono rammentate la Melanopsis buccinoidea Fer. ( M . flam- mulata De Stef.) e la Melania striata non Broc. ( M . plicatula Lib.): la Memoria è però destinata alla descrizione delle alternanze ma- rine e fluviatili dei terreni pliocenici e miocenici dell’ Italia set- tentrionale. 1843. — Giuli Giuseppe. Carta geografica di mineralogia utile della Toscana. — Firenze. E la prima e l’ unica carta geologica completa della Toscana che noi possediamo. A parte molte inesattezze dipendenti dalle vedute geologiche dell’epoca nella quale fu redatta, è abbastanza precisa per un primo lavoro di questo genere. I terreni pliocenici, eccet- tuandone la maremma, sono indicati assai bene, come pure sono distinti i terreni mesozoici dai più antichi, purché si tenga conto essere questa una carta litologica più che geologica ; è interessante essendovi notate con sufficiente precisione, le acque minerali e i posti ove sono state osservate tracce di minerali. La provincia di Siena è probabilmente la meglio trattata, e si può ritenere abba- — 312 — stanza esatta dal punto di vista litologico, tenendo conto delle dif- ficoltà inerenti a questi lavori per i quali si levano ad occhio e sovente a memoria i limiti dei diversi terreni. 1843. — Targioni-Tozzetti Antonio. Le acque minerali e termali di Armaiolo nella provincia senese e la loro chimica analisi. — Firenze. 1845. — * Delle acque minerali acidule di Cinciano e loro analisi chimica. — Firenze. 1845. — Coquand H. Sur les terrains stratifiés de la Toscane. — Buìl. Soc. géol. France , ser. 2, tom. IL Paris. In un quadro comparativo dei terreni Italiani, colloca i dintorni di Siena nel pliocene. 1846. — !>’ Orbigny Alcide. Die fossilen Foraminiferen des tertiàren Beckens von Wien. — Paris. Cita trentatrè specie di foraminifere comuni al bacino di Vienna e a quello di Siena. 1846. — Cozzi Andrea. Relazione ed analisi chimica di un’ acqua gassosa salina esistente in prossimità di Poggibonsi. — Gazzetta Toscana di scienze mediche e fisiche. Anno IV. Firenze. 1847. — Pilla Leopoldo. Discorso in occasione di conferimento di laurea in scienze naturali. — Pisa. Nell’ occasione della laurea in scienze naturali del signor Giovanni Campani di Siena, il prof. Pilla tratteggiò rapidamente 1’ aspetto geologico della provincia di Siena ; è una breve descrizione ma fatta da mano maestra, e i pochi particolari che racchiude sono del mas- simo interesse. 1847. — Targioni-Tozzetti Antonio. Corso di materia medica e di bota- nica. — Firenze. Contiene, tra molte analisi d’ acque minerali, quelle delle acque di San Filippo e di Vignone. 1847. Analisi dell’ acqua d’ Armaiolo. — Siena. 1847. — De Vecchi Ezio. Notice géologique sur la montagne de Cetona. — Bull. géol. de France, ser. 2, tom. IV. Paris. Illustra il De Vecchi la montagna di Cetona, che riferisce al Lias, nel quale riscontra tre piani distinti ; descrive diversi fossili carat- teristici ; è questo dopo i lavori del Brocchi, del Baldassarri e del Soldani, escludendo quelli più recenti, uno degli studi più importanti fatti nella nostra provincia. 1848. — Degni Gaetano. Ispezione geologica dei terreni sottoposti a Luciarena nel Senese in luogo detto la Montagnola. — Livorno. Indica i giacimenti del marmo giallo, del marmo statuario, del- T oligisto, e riporta un documento in prova della lavorazione del ferro della Montagna Senese nel XVI secolo. 1848. — Campani Giovanni. Su i terremoti che travagliarono la città e i contorni di Siena nel maggio del 1838. — Giornale II Popolo. Siena. 1849. Analisi chimica dell’ acqua borra. — Siena. - 313 - 1849 — Mnrchison Rodericli. On thè geological structure of thè Alps, Apennins and Carpaties. — Quart. Journ. of thè geol. Soc., N. 19. London. Chiama giurassici i marmi della Montagnola Senese. Descrive un profilo da Siena a San Gemignano, e riferisce i monti di San Gemi- gnano all’ eocene, il che non è esatto, perchè se gli alberesi eocenici sono sviluppati alle falde dei monti circostanti, la massa appartiene alla catena metallifera. 1851. — Paolo Savi e Meneghini Giuseppe. Considerazioni sulla geologia della Toscana. — Firenze. Quest’ opera è il fondamento della geologia della Toscana. I calcari ammonitiferi di Cetona e di Gerfalco sono collocati nel Lias, e sono riconosciuti per mummulitici alcuni strati di Selvena. Il Meneghini cita l’ Ammonites margaritatus d’ Orb. del marmo breceiato di Mon- tarrenti, unico fossile conosciuto di questi strati; oltre a questi cita diversi fossili di Cetona, di Monte Santo e di San Cascian dei Bagni. 1854. — Santi Clemente. Della farina fossile Amiatense. — Montalcino. 1855. — Cerreti Filippo. La galleria di Monte Arioso. — Firenze. È una descrizione tecnica della galleria stessa : al capitolo della natura del terreno descrive i diversi strati dalla galleria stessa at- traversati ; avverte che gli strati sono inclinati dal Nord al Sud e come la galleria cominciata nelle sabbie gialle passi per una serie di strati alternativamente marini e palustri sottoposti alle sabbie gialle. 1855. — Cozzi Andrea. Relazione ed analisi chimica dell’acqua di San Giorgio presso Poggibonsi. — Firenze. 1855. — Ma uteri Vincenzo. Rapporto su diversi campioni di rocce e com- bustibili fossili della provincia senese. — Atti dei Georgofdi (continua- zione) nuova serie, voi. II. Firenze. 1856. — Hornes Moritz. Die fossilen Mollusken des Tertiàr-Beckens von Wien. I. Band, Univalven. — Vienna. In questa classica opera sono citate quarantacinque specie di uni- valvi delle collezioni imperiali e provenienti da Siena. 1857. — Gandin Charles. Note sur quelques empreintes végétales des terrains supérieurs de la Toscane. — Buìletin de la société Vaudoise àes Sciences naturelles, N. 41. Lausanne. Cita quattro specie dei dintorni di Siena e che sono comuni agli strati di Oeningen. 1857. — Pnrgotti Sebastiano. Idrologia generale di San Casciano dei Bagni. — Perugia. Contiene diverse analisi di quelle acque minerali. 1857. — Targioni-Tozzetti Antonio. Analisi dell’acqua di Arunta nella provincia di Siena. — Firenze. 1858. — Buonamici Enrico. Delle acque minerali e termali di San Gia- como a Pelacane presso Rapolano. — Firenze. 21 — 314 — 1859. — Capellini Giovanni. Sulla geologia dei dintorni di Colle in Val d’ Elsa. — Pisa. Si accenna in questo lavoro ai travertini di Colle che l’Autore dice pliostocenici ; induce questo da considerazioni stratigrafiche; ag- giunge che i travertini poggiano direttamente sul pliocene superiore. 1859. — Gaudin Tli. Charles et Carlo Strozzi. Contributions à la flore fossile Italienne (Val d’Arno). Second mémoire. — Zurich. In un quadro comparativo riferiscono, non molto esattamente, al miocene superiore il calcare fetido del Bozzone presso Siena. 1859. — Gaudin Th. Charles et Carlo Strozzi. Contributions à la flore fossile italienne. Troisième mémoire. — Zurich. Contiene alcune considerazioni sui travertini della provincia di Siena. 1859. — Campani Giovanni e Toscani Cesare. Su i terremoti avvenuti in Siena nell’ aprile del 1859 e nei tempi precedenti. — Siena. Contiene un cenno geologico dei dintorni di Siena, una descri- zione dei terremoti del 1859, e una statistica accurata dei terre- moti dal 1320 al 1859, tratta da memorie storiche, da diarii senesi e dai registri dell’ osservatorio meteorologico ; sono in questi quadri registrati qualche migliaio di terremoti, ed è consolante il sapere che non hanno mai recato danni, solo i più violenti del 1798 ca- gionarono la morte di due persone. 1860. — Schwartz ven Mohrenstern. Ueber die Familien der Rissoiden. Wien. Cita tre specie di Èissoce. 1860. — Gaudin Charles Th. e Strozzi Carlo. Contributions à la flore fossile italienne. Quatrième mémoire. Travertins Toscans. — Zurich. Dall’ esame degli avanzi fossili di piante nei travertini deducono che la loro flora si accosta alla attuale, ciò che fa ritenere agli Autori non essere i medesimi pliocenici. Citano cinque specie dei travertini delle Galleraie. 1861. — Semper. Beschreibung neuer Tertiàr-Conchylien. — Archiv des Vereins derFreunden derNaturgeschichte inMehlemburg , 15 Jahr. Altona. Tra le specie nuove descritte in questa memoria, sono citate rac- colte nei dintorni di Siena le seguenti; Fasciolaria Pecchioli, Mar- ginila Bellar diana, Obeliscus obtusatus, Solarium Emilia, Torinia Theresce, Yole Adamsiana e Turbonilla Gastaldi. 1861. — Notiz ueber die Gattung Cancellaria. — Archiv des Vereins der Freunden der Naturgeschichte in Meklemburg , 15 Jahr. Altona. Cita una specie del Senese. 1861. — Buonamici Enrico. Analisi dell’acqua di Cinciano. — Firenze. 1861. — Targioni-Tozzetti Antonio. Analisi dell’ acqua di Cinciano. — Firenze. 1862. — Pecchioli Vittorio. Di un nuovo fossile delle argille subapen- nine. — Firenze. Descrive e figura il Fusus etruscus delle colline plioceniche Senesi- — 315 — 1862. — Gaudin Th. Charles e Strozzi Carlo. Contributions à la flore fossile Italienne. Sixième mémoire. — Zurich. Citano dieci specie di piante fossili raccolte negli strati salmastri e d’ acqua dolce del Bozzone, tra le quali è nuova la specie JRanmus B ozonica Gaud. 1862. — Campani Giovanni. Geologia. — Siena e il suo territorio. Siena. È questo, dopo i lavori del Soldani, il primo lavoro d’ insieme sulla geologia della provincia di Siena, eccettuandone la carta del Giuli e le considerazioni sommarie del Savi : 1* Autore distingue inesattamente come quasi tutti i suoi predecessori e come molti di coloro che l’ hanno seguito, le sabbie gialle dalle argille turchine, assumendole come orizzonti geologici differenti ; accenna che in alcuni punti esse s’ intercalano a vicenda ; sonò riportati in questo lavoro alcuni studi del Capellini, uno sopra un taglio verso la sta- zione della ferrovia attraverso i terreni plioceniei, e 1’ altro lungo il torrente Bosia attraverso i terreni paleozoici e mesozoici ; rife- risce i calcari del Chianti all’ eocene e al cretaceo superiore ; la montagna di Cetona al Lias superiore ; esamina la regione basaltica di Radicofani. Yi è aggiunto un prospetto delle acque minerali e dei minerali utili. 1862. — Silvestri Orazio. Catalogo dei Rizopodi (foraminifere) delle argille turchine plioceniche Senesi. — Siena e il suo territorio. Siena. E un catalogo di centonovantaquattro specie di foraminifere de- dotto dal Silvestri dalle sue ricerche, dalle collezioni dell’ Accademia dei Fisiocritici e dall’opera del Soldani; veramente non tutte appar- tengono alle argille turchine come indicherebbe il titolo, molte di esse provenendo dalle sabbie gialle. 1862. Sulla illustrazione delle opere del P. Ambrogio Soldani e della fauna microscopica fossile del terreno pliocenico Italiano e catalogo dei rizopodi pliocenici del territorio Senese. — Atti del X Congresso degli scienziati Italiani. Siena. 1862. — Meneghini Giuseppe. Sugli echinodermi fossili neogenici della della Toscana. — • Siena e il suo territorio. Siena. Descrive diversi echinodermi fossili della Toscana, tra i quali alcuni provengono dal Senese, e stabilisce in individui di quest’ ul- tima provenienza le seguenti nuove specie ; Astrogonium Senense ; Crenaster Soldani ; Bourguetigrinus italicus ; Bardocidaris oxirine ; Cidaris mar g ariti fera ; Cidaris fessurata. 1863. — Lyell Charles. Manuel de Zoologie élémentaire. — Édit. de Paris. Secondo il Lyell la città di Siena è situata ove nella formazione degli strati terziari sarebbe esistita l’ imboccatura di un corso d’ acqua proveniente dagli Apennini. Questa ipotesi ha la sua ori- gine sulle alternanze degli strati marini, salmastri e d’ acqua dólce, che si avvertono intorno a Siena e specialmente a monte della me- desima. Nello stesso luogo riferisce la marna al vecchio pliocene e — 316 — le sabbie al nuovo pliocene, non avvertendo come la differenza lito- logica possa dipendere più che da un’ epoca geologica differente, da circostanze sedimentarie diverse. 1863. — Savi Paolo. De’ movimenti avvenuti dopo la deposizione del terreno pliocenico sul suolo della Toscana. — Nuovo Cimento , fase, d’ aprile e maggio 1863. Firenze. L’ Autore ritenendo che V eruzioni' serpentinose abbiano sollevato il pliocene Toscano, ammette che la linea di sollevamento sia da ONO a ENE e che il suo effetto principale abbia avuto luogo lungo una linea tra Volterra e Siena. Parlando della Val di Chiana dice che PArno doveva scorrere in quella valle e come il sollevamento dei serpentini, abbia oltre ai terreni pliocenici, sollevato anche il Chianti e gli altri terreni adiacenti al pliocene e più antichi di esso ; l1 emersione sarebbe avvenuta durante 1’ epoca indicata dal Lyell col nome di post-pliocenica. 1863. * — De-Mortillet Gabriel. Coupé géologique de la colline de Sienne. — Atti della società italiana di scienze naturali, voi. V, fase. IV. Milano. L’Autore descrive in questa memoria un taglio, già in parte de- scritto dal Capellini, dal fosso di Malizia passando per la Stazione ferroviaria fino a porta Camollìa ; il taglio è alto 78 metri e vi sono distinti dall’Autore 41 strati differenti : in questi strati riconosce 47 specie delle quali 21 sono viventi tuttora e 26 estinte. La clas- sificazione dei molluschi essendo stata fatta dal Mayer, quest’ ultimo credè riscontrarvi sei specie nuove ; effettivamente però sono tre, la Bithynia fasciata? il Neochilus procerus, e il Cerithium etruscum. L’ Autore riconoscendo le alternanze salmastre e marine, riporta 1’ opinione del Mayer che crede parte di questi strati appartenere al Piacentino o pliocene inferiore, e all’ Astiano o pliocene supe- riore l’ altra parte, ponendone la divisione alla base delle sabbie gialle. Avverte che le specie palustri rappresentano tipi di climi più caldi, appoggiandosi specialmente sulla presenza di una Melanopsis, che inesattamente crede non essere più rappresentata in Toscana. 1864. — Mayer Charles. Description des coquilles fossiles des terrains tertiaires supérieurs. — Journal de concliyliologie, serie III, tom. IV, N. 2. Paris. Descrive la Dreissena senensis, la Neritina zebrina (N. Sena Can.) il Cerithium etruscum , la Pleurotoma Mortilieti (P. romana Defr.) e la Fasciolaria Bainevali {F. Pecchioli Da Cos.) : descrive e figura la Bithynia procera. Queste specie furono raccolte nel 1862 dal Mortillet nel taglio della stazione. 1864. — Semper. Du genre Mathilda. — Journal de Conchyliologie, serie III, tom. V. Paris. Cita una specie fossile del Senese. 1864. — Pecchioli Vittorio. Descrizioni di alcuni fossili delle argille sub- - 317 - apennine Toscane. — Atti della Società Italiana di Scienze naturali, voi. VI, fase. IV. Milano. Sono descritte tra le altre, alcune specie nuove provenienti daL Senese e sono ; Murex binodus, Fusus D’Anconce, (F. Etruscus Pec.) largura Hòrnesana, Conus multilineatus, Natica propinqua (N. li- neala Lek.). 1864. — Cocchi Igino. Monografia dei Pharyngodopilidse nuova famiglia di pesci labroidi. — Firenze. Sono descritte e figurate della provincia di Siena le seguenti spe- cie; Pharingodopilus Alsinensis , P. dilatatus, P. crassus , P. Soldanii. 1865. — Campani Giovanni. Saggio della costituzione geologica. — An- nuario corografico amministrativo della provincia di Siena.- Siena. Sono ripetute con maggiore ampiezza le notizie date nell’opera Siena e il suo territorio. Si accenna agli strati miocenici e si pone tra i medesimi il Palazzone vicino a Montingegnoli, Topina e Cor- sano e quest’ ultimo non sappiamo per quali ragioni ; altri tratti miocenici sarebbero lungo il torrente Fodera tra Trequanda e Ar- maiolo, e tra Radicondoli e Chiusdino; l’Autore dietro l’indicazione dello Strozzi pone nel miocene un tratto lungo il Bozzone che deve invece riferirsi al pliocene. Seguita l’ Autore a distinguere come piani differenti le sabbie gialle e le marne. Fa seguito un prospetto dei minerali utili e delle acque termali della Provincia. A questo lavoro è unita una carta geologica della Provincia da 1 a 200,000 ; è abbastanza esatta, e la massima parte degli errori nei quali cadde il Giuli sono stati corretti. 1865. — Vom Rath G. Ein Besuch Radicofani’s und des Monte Amiata in Toscana. — Zeitschrift der Deutsclien geologiche Gesellschaft. Berlin. 1866. — Bechi Emilio. Voto di scissura nella causa Masson e Schmid. — Firenze. Si riferisce alla miniera di lignite del Casino. 1866. — Campani Giovanni e Blanchard F. Replica al voto di scissura del professore Emilio Bechi. — Firenze. Si riferisce alla miniera di lignite del Casino. 1867. — Semper. Description de deux espèces fossiles du genre Neri- tina. — Journal de Conchyliologie , sér. Ili, tom. VII. Paris. Descrive e figura la Neritina Mayeri e la Neritina Hòrnesana dei dintorni di Siena. 1867. — Semper. Notes sur trois espèces fossiles de Toscane. — Journal de Conchyliologie, ser. 3, tom. VII. Paris. Descrive la Neritina Sena. 1867. — Campani Giovanni. Dell’ acqua termale acidula sulfurea dell’ an- tica Querciolaia presso Rapolano. — Siena. 1867. — Bechi Emilio. Risposta alla replica fatta al suo voto di scissura nella causa Masson e Schmid. — Firenze. Si riferisce alla miniera di lignite del Casino. — 318 — 1868. — Stayer Charles. Catalogne systématique et descriptif des fossiles des terrains tertiaires qui se trouvent au Musée lèderai de Zurich. Cahier III. — Zurich. Cita una specie fossile del Senese. 1868. — Campani Giovanni. Acque minerali e termali delle Galleraie in vai di Cecina nuovamente studiate nella loro composizione chimica. Siena. Contiene due analisi di queste acque. 1868. — Manzoni Angelo. Saggio di Conchiologia fossile subapennina. Fauna delle sabbie gialle. — Imola. Cita due Rissoce del Senese. 1868. — Campani Giovanni. I combustibili fossili della provincia di Siena in servigio delle industrie. — Industriale Romagnolo, periodico d’agri- coltura, industria e commercio. Forlì. Contiene diverse notizie, specialmente la proporzione delle ceneri e il potere calorifero, di 19 ligniti raccolte in altrettante località della provincia. 1868. — Broglio Emilio. Statistica d’ industria mineraria. — Firenze. 1869. — D’ Ancona Cesare. Sulle neritine fossili dei terreni terziari su- periori dell’Italia centrale. — Boll. Malacologico Italiano. Anno II. Pisa. Cita tre Neritine fossili del Senese. Indica come forma nuova la Neritina Mazziana, che è poi una varietà della N. Sena Cant. 1869. — Appelius Francesco. Le conchiglie del mar Tirreno. — Boll. Ma- lacologico Italiano. Anno II. Pisa. Cita 45 specie fossili del Senese. 1870. — Hornes Moritz. Die fossilen Mollusken des Tertiàr-Beckens von Wien. II. Band, Bivalven. — Vienna. Nella seconda parte di quest’ opera pubblicata da Heuss dopo la morte di Hornes sono citate ventotto specie di molluschi bivalvi delle collezioni imperiali e provenienti dai dintorni di Siena. 1870. — Coli Alessandro. Intorno all’ uso delle acque minerali di Chian- ciano. — Firenze. 1872. — D’Ancona Cesare. Malacologia Pliocenica Italiana. — Firenze. Nei primi due fascicoli fin qui pubblicati di questa opera sono citate quarantadue specie di molluschi come provenienti dalle col- line di Siena ; aj^partengono ai generi Stronibus, Murex, Triton, Can- cellarla, Fusus, Ranella e Typhis ; con molta probabilità sotto il nome di colline senesi si comprende una estensione assai più grande di quello che non potrebbe supporsi. 1872. — Capellini Giovanni. Sul Felsinoterio sirenoide Halicoreforme dei depositi litorali pliocenici dell’ antico bacino del Mediterraneo e del Mar Nero. — Memorie delV Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bo- logna, ser. 3, tom. I. Bologna. In questo lavoro l’ Autore pone in guardia contro una vecchia divisione dei terreni pliocenici che faceva ritenere le sabbie gialle — 319 — essere un periodo diverso da quello delle marne turchine. Descrive e figura il Felsinotherìum Gervaisii Gap., trovato in un podere detto il Poggio in Val di Pugna. Il cranio molto danneggiato sul quale è stata determinata la specie si conserva nel Museo dell’ Accademia dei Fisiocritici. 1872. — D’ Achiardi Antonio. Mineralogia della Toscana. — Pisa. Per quanto la provincia di Siena non sia la più fortunata nel- 1’ opera interessantissima dell’ Achiardi, pure è in questo lavoro un elenco assai interessante dei minerali della provincia. In fine del secondo volume vi è un prospetto dei minerali toscani diviso per provincie e comuni. 1872. — Cadolini Giovanni. Sulle miniere carbonifere di Murlo e della provincia di Siena. — Firenze. 1872. — Silvestri Orazio. Saggio di studi sulla fauna microscopica fos- sile appartenente al terreno subapennino italiano. — Atti delV Acca- demia Gioenia, ser. 3, tom. Vili. Catania. Contiene una monografia del genere Nodosaria. Sono citate 23 specie che appartengono alle crete senesi. Sono specie nuove le seguenti: Nodosaria acute-costata, marginuloides , proxima, pupoides, genuina , monilis, aspera, papillosa, calamus, incerta, simplex, palliata, fusifor- mi e interrupta. 1872. — Pantanelli Antonio. Relazione della direzione del Museo mine- ralogico e paleontologico dell’ Accademia dei Fisiocritici in Siena. — Atti dell’Accademia dei Fisiocritici, ser. 3, voi. I, fase. 2. Siena. Si accenna a diversi esemplari fossili trovati nei dintorni di Siena. 1872. — Silvestri Orazio. Ambrogio Soldani e le sue opere. — Atti della Società Italiana di Scienze Naturali, voi. XV. Milano. 1872. — Capellini Giovanni. Una tavola contenente una sezione della Montagnola da Montarrenti a Rosia e una sezione condotta lungo il torrente Rosia. — Atti della Società Italiana di Scienze Naturali, voi. XV. Milano. Questa tavola riproduce degli studi del Capellini fatti nel 1862 e in parte riportati nell’ opera Siena e il suo territorio. In questo la- voro i calcari cavernosi sono assegnati al trias ; il calcare bigio al- l’ infralias, il marmo giallo al lias. 1872. — D’ Achiardi Antonio. Paragone della Montagnola Senese con gli altri monti della catena metallifera della Toscana. — Bollettino del B. Comitato Geologico Italiano, voi. III. Roma. L’ Autore mentre riconosce che la Montagnola Senese appartiene a quel gruppo indicato dal Savi col nome di catena metallifera, crede che debba collocarsi tra le colline subapennine, ammettendo col Savi che siasi inabissata prima dell’ epoca terziaria per poi ri- sollevarsi con i terreni subapennini; così essa avrebbe con la ca- tena metallifera a comune solo la storia antipliocénica ; deduce questo credendo che il pliocene si adagi su tutta la Montagnola. — 320 — 1872. — Campani Giovanni. Sulla storia naturale del territorio di Siena. Discorso pronunziato nell’apertura solenne della VI riunione straor- dinaria della Società di Scienze Naturali in Siena, il dì 22 settem- bre 1872 dal Presidente straordinario prof. Giovanni Campani. — Atti della Società Italiana di Scienze Naturali , voi. XV. Milano. 1872. — Chigi Bnonaventnra. Atti della sesta riunione straordinaria della società di scienze naturali. Milano. Nei verbali della sezione di geologia, trovasi un’ accurata descri- zione fatta dal Chigi di quella parte della montagnola Senese cor- rispondente a Cetinale. 1872. — Ton Koenen A. Das Miocàn Norddeutschlands und seinen mol- lusken-Fauna. Cassel. Cita una nuova specie del Semper la Defrauda ( Clathurella ) I^ouisce, 1873. — Stoppani Antonio. Corso di geologia. — Milano. Riferisce le colline e le così dette crete senesi al Zancleano di Seguenza. 1873 — Campani Giovanni. Relazione medica dell’ acqua ferruginosa della Lisciata. — Firenze. Contiene 1’ analisi di quell’ acqua che trovasi nei pressi di Colle di Val d’ Elsa. 1873. — Mancini Secondo. Relazione medica dell’ acqua ferruginosa della Lisciata in Colle Val d’Elsa. — Firenze. Contiene un’ analisi del prof. G. Campani. 1873.' — Pantanelli Antonio. Relazione della direzione del Museo mine- ralogico e paleontologico dell’ Accademia dei Fisiocritici in Siena. — Atti dell’ Accademia dei Fisiocritici , ser. 3, voi. I, fase. 3. Siena. 1873. — Campani Giovanni e Giannetti Carlo. I combustibili fossili della provincia di Siena in servizio delle industrie. — Atti dell Accademia dei Fisiocritici , ser. 3, voi. I, fase. 4. Siena. In questo lavoro sono studiate 29 ligniti sotto il punto di vista industriale. Sono inoltre descritti accuratamente i giacimenti più importanti di lignite, e sono riportate le determinazioni del Sor- delli di nove specie di vegetabili fossili. 1874. — De Stefani Carlo. Fossili pliocenici dei dintorni di San Mi- niato. — Ballettino Malacologico Italiano , voi. VI. Pisa. Sono citate alcune specie del Senese. 1874. — Capellini Giovanni. Sulla Balcena etrusca. — Memorie dell’Acca- demia deUe Scienze dell’ Istituto di Bologna , ser. 3, voi. III. Bologna. Istituisce questa specie su diversi avanzi di Balcena trovati verso Chiusi ; riferisce alla medesima un frammento di mandibola trovato rifacendo una strada in Siena, e altri avanzi riuniti nel Museo dei Fisiocritici in Siena. 1874. — Burresi Pietro. Sulle virtù terapeutiche dell’ acque termo- minerali di Chianciano. — Siena. Contiene delle nuove analisi di queste acque del prof. G. Campani. — 321 - 1874. — Foresti Lodovico. Catalogo dei molluschi fossili pliocenici delle colline bolognesi. — Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, ser. 3, tom. IV. Bologna. Cita una nuova specie del Senese la Nassa bufo Dod. (N. Bolle- nensis Tour.) 1874. — Campani Giovanni. Analisi chimica delle sabbie gialle..— Siena. 1874. — Tournouer B. Sur les terrains tertiaires supérieurs de Thézier.— Bulletin de la Société Géologique de France, sér. 3. Paris. Cita una specie del Senese. 1874-75. — I)5 Achiardi Antonio. Bibliografìa mineralogica, geologica e paleontologica della Toscana. — Bollettino del B. Comitato Geologico d’Italia, voi. V, YI. Roma. E un’ accurata bibliografia che ha risparmiato molte fatiche al- 1’ autore della presente. 1875. — De Stefani Carlo. Un brano di storia della geologia toscana a proposito di una recente pubblicazione del signor Coquand. — Bol- lettino del B. Comitato Geologico d’Italia, voi. VI. Roma. In uno specchio degli strati dal carbonifero al cretaceo, colloca gli strati della Montagnola nel trias, infralias e lias inferiore, e i monti di Cetona nel lias inferiore, lias medio e lias superiore ; si scosta dalle indicazioni del Capellini che aveva posto gli scisti vio- letti della Rosia nel carbonifero, mentre sono posti dall’ Autore nel trias. 1875. — Sandberger Fridolin. Die Land und-susswasser Conchylien der Vorwelt. — Wiesbaden. Cita la Neritina Mayeri, la Hidrobia assimineiformis, che poi chiamò Assiminea subaurita {H. procera ), e la Melanopsis prcerorsa ( M . flam- mulata DeStef.): queste due ultime sono anche figurate. 1875. — Lawley Roberto. Monografia del genere Notidanus. — Firenze. Cita il Notidanus primigenius Agas. dei dintorni di Siena. 1875. — Campani Giovanni. Nuova analisi dell’ acqua santa di Chian- ciano. Siena. 1875. Analisi chimica delle argille turchine. Siena. 1875. — Capellini Giovanni. L’uomo pliocenico in Toscana. — Bendiconti dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Bologna. 1875. — De Stefani Carlo. Descrizione di nuove specie di molluschi fos- sili italiani. — Ballettino della Società Malacologica Italiana, voi. I. Pisa. E descritta e figurata del Senese la nuova specie Pleurotoma An- gelonii Mgh. 1876. — Capellini Giovanni. Su i terreni terziari di una parte del ver- sante settentrionale dell’ Apennino. — Memorie dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, serie 3, tom. YI. Bologna. Fa risultare i rapporti tra i conglomerati e le sabbie marnose del Bolognese e di Siena, e in un quadro comparativo riportato anche nell’ Annuario Scientifico Italiano del 1876, riferisce le sabbie, — 322 — i conglomerati dei dintorni di Siena, le ligniti o le marne di Fer- raiolo, e le marne della Coroncina al Messiniano superiore di Mayer, Pliocene e Zancleano in parte, e gli strati corrispondenti ai Belve - derstufe del bacino di Vienna; riferisce gli strati a ligniti del Ca- sino al Messiniano medio e li dice corrispondenti ai Congerienstufe di Vienna. 1876. — Capellini Giovanni. L’ uomo pliocenico in Toscana. — Atti del- l’Accademia Beale dei Lincei, tom. Ili, ser. 2. Roma. Parla degli intagli trovati negli avanzi di un Balsenotus trovato a Poggiarone presso Monteaperto e che riferisce alla mano del- l’uomo. Nello stesso lavoro parlando della serie cronologica dei terreni terziari riferisce le marne intercalate con strati sabbiosi del Poggiarone, di Monteaperto, Montauto, Presciano alle marne bigie a Pecchiolia argentea d’ Orciano, e le marne e foraminifere della Co- roncina alle marne bianche a Columbella tliiara ; in altre parole se- condo l’Autore questi ultimi strati sarebbero direttamente sovrap- posti alla serie marnosa del Casino il clie probabilmente non è esatto. 1876. — Sordelli Ferdinando. Nuove osservazioni sulla fauna fossile di Cassina Rizzardi. — Atti della Società Italiana di scienze naturali , voi. XVIII. Milano. Cita una specie del Senese. 1876. — Peruzzi Giuseppe. Descrizione di alcune filliti delle ligniti del Casino. — Nuovo giornale botanico italiano , voi. Vili. Milano. Il Peruzzi dall’ esame della flora del Casino, giudica questi strati corrispondenti a quelli del piano di Oeningen ; ora il piano di Oeningen è pliocenico, mentre gli strati del Casino corrispondono a quelli di Montebamboli e di Pikermi ; appoggia le sue considera- zioni su quelle di F. Major che ha giudicato pliocenica e corrispon- dente al Val d’ Arno superiore la fauna del Casino ; il che non è esatto : descrive ventisei specie, i cui esemplari si trovano al Museo dell’Accademia dei Fisiocritici, tra le quali una Sequoja sp. n. 1876. — Lavrley Roberto. Alcune osservazioni sul genere Splicerodus, Agassiz. — Atti della Società Toscana di scienze naturali residente in Pisa, voi. II, fase. 1. Pisa. Cita dei dintorni di Siena lo Sphcerodus cinctus Agas. 1876. — Sequenza Giuseppe. Studi paleontologici sulla fauna malacoìo- gica dei sedimenti pliocenici depositatisi a grande profondità. — Boll, della Società malacologica Italiana, voi. I. Pisa. Pone gli strati superiori e le alternanze marine e lacustri dei dintorni di Siena nella zona inferiore del pliocene antico. 1876. — Pantanelli Dante. Rapporto della direzione del museo di mine- ralogia e paleontologia. — Atti dell’Accademia dei Fisiocritici, ser. 3, voi. I, fase. VI. Siena. Contiene un elenco dei molluschi fossili pliocenici dei dintorni di Siena; sono citate 330 specie. — 323 — 1876. — Lawley Roberto. Nuovi studi sopra ai pesci ed altri vertebrati fossili delle Colline Toscane. Firenze. In questo importante lavoro dell’ infaticabile Roberto Lawley sono citate dei dintorni di Siena le seguenti specie; Galeocerdo Egertoni Àgas., G. Sismonda Gemei., Sphyrna prisca Agas., Prionodon subglaucus Lawley, Carcharodon megaìodon Agas., C. sulcidens Agas., C. Caifassii Lawley, ’ Oxyrrhina hastalis Agas., 0. plicatilis Agas., 0. quadrans Agas., Latrina elegans Agas., Squatina d’Anconaei Lawley, Paia antiqua Agas., B. suboxyrliinchus Lawley, Pagellus aquitanicus Delfor., Sphcerodus cinctns Agas,, Xipjiias Delfortrìeri Lawley, Bra- cliyrhyncus teretirostris Yan Ben., Tetraodon Scillce Agas. 1876-78. — Forsitli Major C. I. Considerazioni sulla fauna dei Mammiferi pliocenici e postpliocenici della Toscana. — Atti della Società Toscana di scienze naturali residente in Pisa, voi. I, fase. 3 e voi. Ili, fase. 2. Pisa. L1 Autore pone l’ orizzonte del Casino nel pliocene inferiore ed esamina accuratamente diversi avanzi di vertebrati fossili di quelle località che confronta con la fauna di Montpellier, di Alcoy e di Pikermi. Le specie citate sono : Semnopithecus monspessulanus Gar., Hipparion gracile Kaup., Antilope Cordieri De Christol, Antilope Mas- soni Major, Cervus elsanus Major, Myolagus elsanus Major. Nella seconda parte (1878) sono figurati e descritti diversi molari d’ Antilope Cordieri e ài Hipparion gracile . 1876-78. — De Stefani Carlo. Molluschi continentali sino ad ora notati in Italia nei terreni pliocenici ed ordinamento di questi ultimi. — Atti della Società Toscana di scienze naturali residente in Pisa, voi. II, fase. 2 e voi. Ili, fase. 2. Pisa. In questo pregevole lavoro del signor De Stefani, sono accurata- mente discusse le condizioni stratigrafiche dei dintorni di Siena. L’ Autore riferisce questi strati al pliocene e distingue nei medesimi vari piani secondari, caratterizzati respettivamente dalla presenza della Cylhcerea sulcataria Desh., Natica lineata Lam., e Nassa Dujar- dini ( pulchra D’Anc.) Desh. ; avverte che le marne tipiche della Coroncina non rappresentano un piano diverso da quello delle sabbie gialle, ma bensì due membri di uno stesso piano, uno corri- spondente al mare profondo e 1’ altro al litorale. Spiega poi le al- ternanze salmastre e marine non con una serie di oscillazioni, ma colla instabilità degli apparati litorali. Parlando degli strati a li- gniti del Casino li ripone addirittura nel miocene superiore. Riporta un lungo elenco di fossili tra i quali sono nuove forme le seguenti : Scalaria comitalis, Adeorbis Pecchiolianus, Solarium Se- nense, Splncerium ( Ervilia ) minutissimum, S. ( Mactra ) donaciformis. Cydostoma prcecurrens. Nella seconda parte (1878) comincia la descrizione delle nuove specie di molluschi continentali dal medesimo ritrovate e sono del — 324 — Senese esclusive le seguenti : Pyrgula lievissima, Emmericia Lottii , Stallioa acuta. 1877. — Pautanelli Dante. Dei terreni terziari intorno a Siena. — Atti dell’ Accademia dei Fisiocritici, ser. 3, voi. I, fase. 7. Siena. A questo lavoro è unita una carta geologica dei dintorni di Siena e alcuni profili. Vengono distinti nel pliocene tre piani secondari; quello superiore dei conglomerati, il medio comprendente gli strati salmastri, parte delle sabbie azzurre e la parte superiore delle ar- gille turchine, uno inferiore distinto dalla presenza della Natica li- neata. Dubitativamente sono riferiti agli strati del Casino e quindi al miocene superiore gli strati a Nassa Dujardini ( N . pulchra D’Anc.) della Tressa. Per ciascheduno di questi strati è riportato un elenco delle specie fossili più importanti. 1877. — De Stefani Carlo. Stazioni preistoriche nella Garfagnana. — Ar- chivio per V Antropologia e la Etnologia. Firenze. Parlando delle stazioni litiche della Garfagnana e delle loro con- generi in Toscana pone in dubbio che il Balcenotus trovato dal Capellini al Poggiarone presso Siena fosse effettivamente in uno strato litorale. 1877. — Verri Antonio. Alcune linee sulla Val di Chiana e luoghi adia- centi nella storia della terra. — Pavia. In questa memoria è contenuta una descrizione succinta delle valli comprese tra l’ Ombrone e il Tevere ; è corredata di note su i fossili pliocenici della Val di Chiana e di una piccola carta geo- logica. 1877. — De Stefani Carlo. Descrizione degli strati pliocenici dei dintorni di Siena. — Boll, del B. Comit. Geolog. d’Italia, anno 1877, n. 5, 6, 7, 8. Roma. È il lavoro più accurato che si possegga dei dintorni di Siena e tutti gli strati pliocenici che compariscono nelle valli della Tressa, della Pescaia e del Riluogo sono descritti dettagliatamente. Questi strati sono riuniti in tre gruppi principali, strati litorali, strati della zona laminare e strati della zona coralligena; nei primi ven- gono compresi gli strati alternanti salmastri e marini ben noti dei dintorni di Siena. La Memoria è ricca di osservazioni minute ed oltremodo interes- santi riflettendosi sull’ intera storia dei terreni pliocenici. Per ogni strato l’ Autore riporta un elenco dei fossili che nel me- desimo sono stati ritrovati; sono circa 470 specie che l’Autore ha studiato unitamente allo estensore di questi cenni bibliografici; le specie nuove sono le seguenti: degli strati litorali; Lucina Savii De-Stef., Bissoa Aglaice De-Stef. e Pant., B. Thalia De-Stef. e Pant., Trochus simulans De-Stef. e Pant., Golumbella trinodis Mgh., Trochus Seguenzai De-Stef. e Pant., Melanopsis flammulata De*Stef., Nassa pulchra D’ Anc., Trochus Lawleyanus De-Stef. e Pant., Stallioa acuta — 325 — De-Stef.. Cerithium nepos De-Stef., Ervilia Italica De-Stef., Scintilla bipartita De-Stef. e Pant., Turbonilla Mercati De-Stef. e Pant., Aclis Brugnoniana De-Stef. e Pant., Nassa Baulucciana D’ Ano., Clavatula Calurii De-Stef. e Pant. ; delia zona coralligena, Turbonilla terèbri- formis Mgh., Bulla Silvestrii De-Stef. e Pant., Triphoris Bartalinii De-Stef. e Pant., Pleurotoma Monterosatoi De-Stef. e Pant., Pecten Fuchsii De-Stef. e Pant., (P. denadatus Reuss), Pecten Angelonii Mgh. Sono inoltre indicate le specie che tuttora vivono nel Mediterra- neo ; questa interessante memoria è poi corredata da otto incisioni figuranti altrettanti tagli naturali esistenti nelle vallate che l1 Au- tore ha impreso a descrivere : preceduta da un riassunto storico degli studi geologici su i dintorni di Siena, contiene un quadro rias- suntivo per le corrispondenze e la successione dei diversi strati. 1877. — Pantanelli Dante. Rapporto della direzione del museo di mine- ralogia e paleontologia. — Atti dell’ Accademia dei Fisiocritici, ser. 3, voi. I, fase. 8. Siena. Accenna l’ Autore a diversi avanzi di vertebrati fossili del Casino delle sabbie gialle e dei travertini ; contiene un elenco di fossili pliocenici dei dintorni di Staggia e un altro di fossili post-plioce- nici dei travertini di Poggibonsi ; contiene inoltre una nota di mol- luschi fossili degli strati a lignite del Casino, tra i quali sono in- dicate, dandone la relativa diagnosi, come nuove forme le seguenti specie : Helix senensis, Nematurella Silvestri, Emmericia Casinii, Me- lania Lawley, Melania elongatissima, M. De-Stefani, M. Soldaniana De-Stef., Neritina Capellini. 1877. — Lotti Bernardino. Due parole sulla geologia dei dintorni di Chiusdino. — Boll, del B. Comit. geol., N. 9-10. Roma. Sono descritti sommariamente gli strati terziari compresi nella parte superiore del torrente Merse fino a Monticiano e della Cecina fino a Galleraie. 1877. — Verri Antonio. Sui movimenti sismici nella Val di Chiana, e loro influenza nell’ assetto idrografico del bacino del Tevere. — Ben- diconti del B. Istituto Lombardo, ser. 2, voi. X, fase. 18. Milano. In questo lavoro è riassunta la storia geologica della Val di Chiana e della parte superiore del bacino del Tevere. L’ Autore distingue a cominciare dal pliocene antico cinque periodi durante i quali le acque dell’alto Tevere prima sboccanti nel mare in Val di Chiana, quindi riunite con quelle della Chiana, si versavano nel bacino dei- fi Ombrone per la valle della Foenna; poi presero il corso attuale del Tevere finché se ne staccò con fi Arno superiore la maggior parte della Val di Chiana secondo l’orografia attuale. 1877. — De Stefani Carlo. Sulle traccie attribuite all’ uomo pliocenico nel Senese. — B. Accademia dei Lincei, ser. 3, voi. II. Roma. Descrive accuratamente gli strati del Poggiarone ove il Capellini rinvenne gli avanzi di un Balcenotus con incisioni; riporta diversi — 326 — elenchi di fossili e basandosi su criteri paleontologi, esclude che il giacimento stesso sia litorale. 1877. — De Stefani Carlo. Brevi appunti su i terreni pliocenici e miocenici della Toscana. 1 — Boll, del B. Comit. geol. d’Italia, N. 11 e 12. Roma. Cita uno strato del miocene superiore riscontrato presso Siena nel torrente Boggione e che rappresenterebbe il primo termine degli strati del Casino, per i quali con nuovi argomenti insiste perchè sieno ritenuti del miocene superiore. 1877. Descrizione di nuove specie di molluschi pliocenici ita- liani. — Boll, della Società Malacologica Italiana, voi. III. Siena. Descrive e figura le nuove specie del Senese : Loripes Savii, JErvilia Italica, E. minutissima, Mactra donaciformis, Scalaria comitalis, Adeor- bis Pecchiolianus, Cerithium nepos. 1878. — Bechi Emilio, Sulla Hofmannite. — Transunti degli Atti della K. Accademia dei Lincei, voi II, pag. 5. Roma. Descrive un minerale idrocarbonato delle ligniti del Casino. 1878. — Yerri Antonio. Sulla cronologia dei vulcani Tirreni e sulla idro- grafia della Val di Chiana. — B. Istituto Lombardo di Scienze e Let- tere. Rendiconti, ser. 2, voi. XI, fase. 3. Milano. In questo lavoro sono continuate e maggiormente illustrate le idee già svolte dall’ Autore nelle Memorie precedenti. Parlando delle di- verse oscillazioni della Yal di Chiana ammette la possibilità di una oscillazione discendente che cominciava nel miocene, per divenire ascendente durante il pliocene continuando fino all’epoca attuale, ritenendo con altri geologi non essere il movimento ascendente an- cora cessato, 1878. — Criminelli Luigi. Annuario-manuale delle acque minerali. Lipsia. 1878. — Lotti Bernardino. Il giacimento antimonifero della Selva presso Pari, le putizze e le sorgenti sulfuree di Petriolo, e il giacimento ramifero del Santo. — Boll, del Comit. geol. d1 Italia , N. 3, 4. Roma. Descrive l’ Autore il giacimento serpentinoso del Santo e le vene metalliche in esso contenute. Stabilisce inoltre che le vene antimo- nifere sono in strati argillosi di contatto fra il calcare cavernoso e le quarziti triassiche sottostanti. Accenna come quasi tutti questi strati sieno stati ricoperti dal pliocene del quale riscontrasi solo qua e là qualche lembo isolato. 1878. — Pantanelli Dante. Sul pliocene dei dintorni di Chianciano. — Boll, del B. Comit. geol. d' Italia, 1, 2. Roma. Sono descritti in questo lavoro gli strati dei dintorni di Chian- ciano nei quali l’ Autore ha riscontrato diversi giacimenti d’ origine salmastra o marina essendo i primi in generale sottostanti ai se- condi; con la descrizione degli strati sono riportati vari elenchi di fossili. 1878. — Lotti Bernardino. Una sezione geologica attraverso il Monte di Murlo presso Siena. — Boll, del B. Comit. geol. d’ Italia, 1, 2. Roma. — 327 — Riporta l’Autore nuovi argomenti per stabilire i rapporti tra le rocce eoceniche e i serpentini della Toscana. 1878. — Fnchs Tlieodor. Studien iiber die Grliederung der jungeren Tertiarbildungen Ober-Italiens. — Sitzungs-Berichte der le, Akademìe der Wissenschaften, tomo LXXYII. Vienna. Rende conto dei terreni pliocenici dei dintorni di Siena ; riconosce essere le argille e le sabbie gialle due aspetti diversi dello stesso sedimento ; riferisce ai Gongerienschichten gli strati del Casino. 1878. Gaudry Alberto. Enchainements du monde animai dans les temps géologiques. — Paris. In un quadro comparativo dei terreni terziari pone gli strati del Casino nel pliocene inferiore ; avendo però visitato questa località dopo la pubblicazione dei primi fogli di quest’ opera, corregge in una nota finale quella indicazione, riponendo nel miocene superiore gli strati anzidetti. 1878. — Ferri Antonio. Avvenimenti nell’interno del bacino del Tevere antico durante e dopo il periodo pliocenico. — Atti della Società Ita- liana di Scienze naturali, voi. XXI. Milano. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. G. Capellini. — Della pietra leccese e di alcuni suoi fossili. Bologna, 1878. In questa Memoria l’ Autore tratta di alcuni fossili prove- nienti dai terreni terziarii della provincia di Terra d’ Otranto, e specialmente di alcuni interessanti resti di vertebrati della cosiddetta pietra leccese, corredando la sua esposizione di notizie sulla loro giacitura e indicando i confronti che si potrebbero istituire fra i depositi terziari dei dintorni di Lecce e quelli di Malta, fra i vertebrati fossili leccesi* e quelli dei terreni plio- miocenici della Toscana, del Belgio e del bacino di Vienna. La pietra leccese è un calcare talvolta marnoso che assume nomi diversi a seconda delle varietà che presenta ; varietà che hanno speciale importanza per la cronologia stratigrafica, e delle quali ha trattato estesamente il dott. De Giorgi nelle varie sue pubblicazioni. Per darsi ragione del modo di origine della pietra leccese, in modo più sicuro di quanto abbiano fatto i suoi pre- decessori, 1’ Autore incominciò col prepararne lamine sottilissime — 328 - per V esame microscopico. Procedendo in tal modo egli trovò la pietra in esame costituita da elementi calcarei passati tutti quanti per la trafila organica, da granuli e frammenti di glau- coma, da tracce di sostanza giallastra probabilmente dovuta ad avanzi organici, e da granuli piccolissimi di ossido di ferro. Gli elementi calcarei, che costituiscono la parte fondamentale della roccia, rivelano la presenza delle foraminifere fra cui primeggiano le Globigerine : in mezzo alle foraminifere si scorgono abbon- danti Coccoliti e Rab doliti di forme elegantissime, e che in parte si potrebbero identificare con quelle riscontrate dallo Schmidt nel fondo dell’ Adriatico meridionale a profondità variabile da 900m a 1200m, e con le altre che il medesimo ebbe già a no- tare nella pietra di Bari tanto simile alla leccese. Non mancano ancora avanzi di spongiari, sebbene alquanto più rari dei resti di foraminifere e di coccoliti. Passa quindi P Autore allo studio degli avanzi di vertebrati della pietra leccese , incominciando dai Cetodonti. Incomincia col descrivere un piccolo cranio appartenente ad un delfìnorinco, mutilato anteriormente e superiormente, e che fu trovato nelle cave dell’ orfanotrofio presso Lecce : ne istituisce un confronto, per quanto lo permette il cattivo stato di conservazione del fos- sile, con tutti i resti conosciuti di delfinorinchi, e specialmente con quelli raccolti a Baltringen nel Wùrtemberg e ad Anversa nel Belgio, e conchiude coll1 attribuirlo a specie del genere Pri- scodelphinus, la quale per i caratteri dei denti potrebbe chia- marsi sqiialoclontoides. Un1 altra porzione di cranio di delfinoide, proveniente da una cava di pietra leccese presso la strada che mette a Brindisi, viene dall1 Autore attribuita per la forma dei denti ad un Campsodelphis. A questi due aggiunge il fossile pro- veniente da Galatone, preso ad esame in altro lavoro, e che esso riferisce ad un delfìnorinco e forse al Priscodelphinus productus . Viene in seguito la descrizione di un dente di Squalodon , figu- rato dal prof. Costa fino dal 1850 nella parte II della sua Pa- leontologia del Pegno di Napoli , e di altro avanzo di Phocodon pure descritto dal Costa nel 1865, ma da esso riferito allo stesso genere Squalodon : a questi vanno aggiunti altri avanzi di Squa- lodon- scavati di recente e riferibili con probabilità allo Sq. ant- verpiensis, V. Ben. Termina quindi quanto ha riguardo coi ce- — 329 — todonti della pietra leccese , facendo conoscere alcuni avanzi rife- ribili ai generi Orcopsis e Physodon. Accenna da ultimo ad alcuni avanzi di sirenoidi, di uccelli, di rettili e di pesci raccolti finora nello stesso giacimento ; essen- done tuttavia il materiale ancora scarso, si riserva di trattare ampiamente 1’ argomento in altra occasione, e si limita a ricor- dare che in fatto di sirenoidi si conoscono vertebre e coste di Haliterium e di Felsinoterium, e in fatto di rettili alcuni avanzi di Trionyx. Meno rari sono i resti di pesci, dei quali ben 40 spe- cie vennero fatte conoscere dal Costa sino dal 1857, alle quali si aggiunse poi la Luspia Casotti illustrata anche dal Botti nel 1868. L’ Autore ebbe più tardi la fortuna di scoprire pel primo fra gli avanzi di pesci della pietra leccese alcuni resti di due generi molto importanti, cioè dei generi Sphyrcenodus e Bra- chyrhyncuSj istituendo col primo la nuova specie Sphyrcenodus Bottii. Sono annesse alla Memoria tre belle tavole con le figure degli avanzi descritti. T. Taramelli. — Descrizione geognostica del Margraviato cV Istria , con carta geologica dell ’ Istria e delle isole del Quarnero. — Milano, 1878. 1 È questa monografia il frutto di accurate ricerche eseguite da qualche tempo dall’ egregio professore di Pavia nella penisola istriana ed isole adiacenti ; varie circostanze fecero sì che la pubblicazione ne fosse ritardata di oltre un anno. Lo scopo della Memoria essendo di preferenza pratico, P Autore non volle in essa istituire soltanto un’ analisi dettagliata dei piani stratigra- fici sviluppati nella regione studiata, ma eziandio dimostrare le più salienti diversità della natura del suolo, ed interpretare le principali accidentalità oro-idrografiche della contrada. Piutto- stochè di scendere a soverchi dettagli paleontologici e stratigrafici, parve all’ Autore più opportuna una descrizione orografico-litolo- gica, solo ammettendo quelle digressioni che sono indispensabili 1 Vendesi presso l'editore dott. F. Vallardi al prezzo di lire 5. 22 - 330 — per intendere la serie dei fenomeni ai quali la regione esami- nata deve il diverso carattere delle sue naturali suddivisioni e la forma del proprio suolo. Fatti alcuni cenni bibliografici sulla geologia istriana, l’Au- tore espone la divisione orografica della regione in esame, e quindi passa alla descrizione delle singole parti nelle quali essa puossi dividere. Yi distingue tre grandi regioni, e cioè V alti- piano calcareo (Istria bianca) dal torrente Rosandra alla punta di Fianona, la zona arenaceo-marnosa (Istria gialla) dal golfo di Trieste al lago di Cepic, V altipiano calcareo ricoperto dalla terra rossa (Istria rossa) che a guisa di triangolo ha i suoi vertici alla punta di Salvore, al capo Promontore ed al seno di Fia- nona. In queste regioni i terreni più estesi appartengono a tre periodi, cioè al Cretateo superiore, all’ Eocene inferiore ed al- P Eocene medio. Il terreno siderolitico, o la terra rossa, appar- tiene ad un’ epoca più recente. I terreni dei primi due periodi, essenzialmente calcarei, dominano negli altipiani delle regioni la e 3a, quelli dell’ eocene medio trovansi sviluppati nella zona arenaceo-marnosa. Nella terza regione, resa coltivabile in molte sue parti dal mantello di terra rossa, e precisamente nella parte sua meridionale, rimarcasi la presenza di grandi masse di quarzo polverulento detto saldarne, il quale viene utilizzato nelle ve- trerie di Venezia. Esso consta di piccoli cristallini esagonali bi- piramidati associati con geyserite e costituenti degli arnioni assai irregolari nella roccia calcarea, senza che questa presenti al loro contatto alcuna sensibile modificazione. Dopo un capitolo destinato a spiegare T origine della terra rossa, l’ Autore passa alla descrizione geognostica delle Isole del Quarnero dipendenti dalla penisola istriana, e le quali non sono altro che la continuazione dell’ altipiano calcareo : special- mente descritte sono le più grandi fra di esse, e cioè l’ isola di Veglia, quella di Cherso e quella di Lussino. Studia quindi i rapporti stratigrafici passanti tra le formazioni osservate nel mar- graviato, ed a guisa di appendice fa una breve descrizione geolo- gica dei dintorni di Trieste, i quali appartengono alla zona are- naceo-marnosa, fatta solo eccezione per lo scoglio calcareo di Miramare : poco lungi però dalla spiaggia marina elevasi subi- tamente T altipiano del Carso, assolutamente calcareo ed appar- — 331 - tenente alla prima delle tre zone indicate. Chiude infine l’Autore la sua esposizione con un capitolo di sintesi dei principali avve- nimenti geologici di cui fu teatro F area della regione descritta. Unita alla Memoria havvi una bella carta geologica dell’ Istria e delle Isole del Quarnero nella proporzione di 1 per 288,000, corredata da sezioni e da una veduta generale presa dal castello di Pinguente. A. Manzoni e G. Mazzetti. — Echinodermi nuovi della molcissa miocenica di Montese nella provincia di Modena. — Pisa, 1878.1 Colla riserva di pubblicare in seguito una completa mono- grafìa della ricca fauna di echini che caratterizza la molassa serpentinosa di Montese, gli Autori cominciano dal farci cono- scere le specie nuove. Sino dal 1874 il Manzoni pubblicava in questo stesso Bollettino un articolo riguardante la scoperta nella detta molassa di un tronco di Pentacrinus Gastaldi della lunghezza di 15 centimetri, vera rarità paleozoologica: e già in quell’ occasione F Autore affermava che la molassa era da attribuirsi al miocene superiore, ed indicava le specie che prin- cipalmente ne costituiscono la fauna echinodermica. Ora, a questa fauna debbono aggiungersi le seguenti nuove specie illustrate dagli Autori : E&mipneustes italicus, Manz. e Mazz.; questo genere era fin qui conosciuto soltanto nella formazione cretacea superiore e viene ora per la prima volta scoperto in terreni terziari, e anche ad un livello abbastanza elevato, rappresentatovi da una specie affatto nuova. Degli Eemipneustes cretacei quello che più le si avvicina è F H. africanus della creta di Gensac e di Montleon (Alta Garonna). Eeterobrissus Montesii, Manz. e Mazz. ; nuovo genere e nuova specie rappresentati da un unico esemplare. La parola composta Eeterobrissus è intesa a indicare una deviazione dal tipo generico Erissus. Erissus sp.?; anche di questo echinide fu raccolto un solo 1 Atti della Società Toscana di Scienze Naturali , voi. Ili, fase. 2. — 332 - esemplare, e per di più in cattivo stato, tanto che non fu pos- sibile stabilirne la specie. Con verosimiglianza più o meno grande, P esemplare in esame potrebbe appartenere al Br. unicolor Klein dei mari attuali, o al Br. latus Wright di Malta. L’ articolo è corredato da una tavola nella quale sono raffi- gurate le tre nuove specie. U. Botti. — Sopra una nuova specie di Myliobates. 1 Pisa, 1878. Questo nuovo fossile fu rinvenuto nella così detta pietra leccese (miocene medio) delle vicinanze di Galugnano comune di San Donato, sulla via da Lecce a Maglie. Esso consiste in una placca dentaria superiore di un Miliobatide, 0 meglio in un fram- mento di essa, perchè ne resta soltanto circa una metà an- teriore. L’Autore incomincia col dare la lista di tutte le specie finora conosciute del genere Myliobates (una sessantina all’ incirca) : avendo egli potuto confrontare con queste il suo frammento, venne nella persuasione che trattavasi di una specie nuova, e in ricordo della regione nella quale fu scoperta, propone di no- minarlo M. Salentinus. Fa quindi una descrizione dettagliata di quegli avanzi, e da essa vengono poste in rilievo le caratteri- stiche della nuova specie. Le specie conosciute, le quali presentano maggiore analogia con la nuova, sono le seguenti : M. striatus A g., M. punctatus Ag., M. suturalis A g., M. irregularis Dixon, M. duplicatus Munst., ed il M. crassus Gerv. NOTIZIE DIVERSE. Società Toscana di Scienze Naturali. — Adunanza del 7 lu- glio 1878. 2 — Il socio De Stefani dà alcuni cenni intorno alla cro- nologia dei terreni terziarii della Toscana. Questi riposano spesso 1 Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, voi. Ili, fase. 2. * Estratto dai processi verbali delle Adunanze. — 333 — sulla Creta superiore, la quale è rappresentata dalla così detta Pietraforte, arenaria calcarea in cui si trovano Inocerami e Tur- riliti insieme con Fucoidi, che in parte si ritengono proprie del Flysck eocenico svizzero. Succede V Eocene rappresentato dai seguenti piani : 1° Calcare nummulitico, il quale forma piuttosto scogli che lembi continui. È stato scoperto finora dal Murchison, dal Pilla, da Caillaux, da Mortillet, da Lotti, da Savi e Meneghini a Mosciano, presso a Pescaglia, a Sassi, a Pontassieve, nel Pistoie- se, nel Pitiglianese, a Mandano, Castellazzara, presso Sovana, presso Gerfalco, e presso la stazione del Monte Andata; dal De Stefani è stato trovato poi a Soraggio, Corfino, Torrita, Val di Sauro, Monte Perpoli, Filettole e Cortona. I fossili studiati dal Meneghini appartengono all’ Eocene inferiore ; 2° Arenaria detta volgarmente Macigno, confusa sempre finora col piano successivo, e con questo riunita spesso alla Creta superiore. L’ unico fossile animale finora trovatovi, oltre alle numerose impronte di vegetali terrestri e submarini, è la Numnulites del Monte Buono sul Trasimeno nell’ Umbria, specie che secondo il Meneghini sembra appartenente all’ Eocene medio : i molluschi dell’arenaria di Porretta sembrano derivare da un piano più recente. Questa zona è estesissima nella giogaia cen- trale e più elevata dell’ Apennino, dalla Liguria all’Emilia, alle Marche, all’Umbria, fino al Lazio: è invece assai limitata nelle pendici laterali (Carrara, Massa di Carrara, Spezia, Camaiore, Filettole, presso Nozzano, nelle Alpi Apuane ; a Kipafratta, San Ginese nel Monte Pisano; Calatoia nei Monti Livornesi; a Gello nei Monti della Castellina, alla Stazione del Monte Andata, nel Chianti, presso Montepulciano, presso Civitavecchia, ec.); 3° Pioccie appartenenti al così detto piano Liguriano od Eoceno superiore che possono distinguersi in tre serie succes- sive, cioè: I. Calcare marnoso detto pietra colteìlina con numerose impronte di Fucoidi, Helminthoidea, Taonurus, ec. IL Zona delle serpentine, delle diabasi, dei graniti della Garfagnana, della Liguria marittima e dell’ Emilia, dei diaspri di Monte Catini, della Montagnola Senese, dei Monti Livornesi ec., e delle argille scagliose rosse di Monte Amiata. - 334 III. Zona degli alberesi, o calcari da calcina dolce e delle argille scagliose scure alternate talora con arenarie, con- tenenti impronte di fucoidi, e di pesci nei monti della Tolta. Le roccie di questo piano Liguriano sono molto sviluppate nella Liguria, al contrario di quelle della zona precedente; man- cano nel vertice delTApennino dalla Liguria in poi, e sono molto estere invece nelle pendici laterali, che specialmente verso il Tirreno, eccettuate le roccie vulcaniche e quelle più antiche della Catena Metallifera, ne sono quasi per intiero costituite fino al Lazio. Le serpentine di questa zona, le quali cominciano a Nord nella Liguria, terminano a Sud nella Provincia di Gros- seto e nell’ isola del Giglio, per non ricomparire a quanto pare se non nella Basilicata. Cogli alberesi terminano le roccie eoceniche e succede il Miocene, che, per ora, il De Stefani distingue nella Toscana, nelle zone seguenti : la Arenaria simile al Macigno eocenico con impronte fisio- logiche, con fucoidi, anellidi, ecv della Castellina Marittima e di Monte Catini in Val di Cecina: forse appartiene al così detto piano Tongriano. T Arenarie calcaree di Dicomano e del Casentino con Cyrence, Loripes, e con una grossa Lucina nota nelle collezioni sotto i nomi di Lucina pomum Mayer e di L. apenninica Do- derlein, che però deve portare il nome di L. Dicomani Mene- ghini, come quello che fu pubblicato fin dal 1865 (Michelotti, Miocène inf. de Pltalie septent. — Cyprina). Questo terreno non è raro nell’Apennino Ligure e centrale, e probabilmente appar- tiene in parte al Miocene medio. 3a Calcari, conglomerati e arenarie dei Monti Livornesi, della Castellina e della Maremma, che già il Meneghini ed il Savi avevano attribuito al Miocene medio, e che di recente fu- rono osservati dal Fuchs, e studiati specialmente dal Capellini. Questo terreno fu attribuito oggigiorno al Tortoniano ed almeno in parte al Sarmatiano, variando alquanto in proposito P opinione del Fuchs da quella del Capellini. Esso sembra equivalere al vero piano Tortoniano del Pareto, ed in parte almeno risponde al secondo piano mediterraneo dei geologi tedeschi, la qual cosa è ben dimostrata e fu riconosciuta anche dal Suess per la equi- — 335 — valenza dei mammiferi fossili delle ligniti di Montebamboli, le quali fanno parte di questa medesima formazione. È a notarsi che spesso negli strati marini alternano per circostanze locali strati salmastri, che però non autorizzano a ritenere che durante la sedimentazione di quelle roccie si estendesse all’Italia un mare di carattere sarmatiano come nella valle del Danubio. 4a Arenarie ed argille gessose e salifere conosciute com- plessivamente col nome di strati a congeria, e studiate accura- tamente dal Capellini. Si estendono fino nei monti di Civitavec- chia, dove fino ad ora i gessi erano considerati di origine vulcanica. Al Casino presso Siena le ligniti di questa epoca contengono una numerosa fauna di mammiferi. Seguendo l’or- dinamento di Lyell, Meneghini e Savi, Capellini, Boyd Dawkins, Gervais, Gaudry, Coquand, Neumayr ec. ec., contro l’ opinione dei quali sta solo il Fuchs, il De Stefani lascia questi terreni nel Miocene superiore. La generale presenza tutto intorno al Mediterraneo di ter- reni di questo piano, che mostrano di essersi formati talora in acque salmastre, talora in acque assai più ricche che non quelle del Mediterraneo di elementi salini, probabilmente prova che in quei tempi le condizioni di quel mare erano ben diverse da quelle d’ oggi e che per circostanze climatologiche speciali o per altro esso aveva grande analogia con alcuni mari chiusi d’ oggigiorno. Succedono i terreni dell’ epoca pliocenica la quale fu di du- rata equivalente al più ad un terzo del Miocene; consistono in sabbie litorali ed in argille di mare profondo coetanee fra loro, sebbene attribuite le prime al così detto piano Astiano e le se- conde al Messiniano superiore. Il De Stefani è d’ opinione che nessuna delle divisioni proposte finora pel Pliocene sia fondata, e crede anzi difficile una giusta divisione per questo periodo, che è relativamente di durata molto breve. Egli ricorda in fine come i depositi lacustri del Val d’Arno e delle altre valli apen- niniche si debbono ritenere come esattamente equivalenti alle formazioni marine. Il Pliocene termina cogli strati a Cyprina Islandica, i quali segnano il cominciamento del Postpliocene. Il socio D’Achiardi narra come la questione dell’ origine del- P acido borico da lui trattata in una delle precedenti sedute e — 336 - dal Dieulafait negli Annales de Cliemie abbia dato motivo ad alcuni importantissimi esperimenti del prof. Bechi, sui quali gli piace ora richiamare V attenzione degli adunati. Egli, il prof. Bechi, ha per ciò tentato varie sperienze e per prima la scomposizione della Boracite e Carnallite con vapore acqueo, aggiuntovi acido carbonico e gas solfidrico, e ottenu- tone acido borico in gran copia, conclude che se V acido borico dei soffioni si originasse dalla Boracite, tenendo conto della fa- cilità di sua scomposizione se ne dovrebbe trovare nei vapori oltre 10 volte più di quello che vi si trova presentemente. In modo ana- logo si comporta la Bechilite e per essa pure deduce le mede- sime conclusioni. Per lo chè datosi ad indagare da qual roccia potesse derivare V acido borico ed escluse quelle raggiunte e trapassate dalla trivella, le quali non ne son certo la sede, si dette a sperimentare sulle serpentine, che appaiono sempre più o meno prossime ai soffioni boraciferi; e preso il serpentino, anzi diverse sorta di rocce ofiolitiche della miniera cuprifera di Mon- tecatini, trovò che contenevano boro, verosimilmente allo stato di borosilicato di magnesia. Indi fatto un artificiale soffione con vapore acqueo e acido carbonico spingendolo attraverso un tubo di ferro ripieno di roccia serpentinosa, trovò che nell’ acqua in cui faceva gorgogliare quel vapore avevasi presenza di acido borico e sviluppo di solfuro idrico, onde la conclusione che i serpentini della Toscana contengono il boro nei loro elementi. Da una certa profondità di queste rocce erompono bollenti vapori, i quali attraversandole, e in parte compenetrandole, sfumano via V acido borico. Premesse queste notizie, il socio D’Achiardi fa rilevare l’im- portanza degli studi intrapresi dal Bechi, notando per altro due cose: primieramente che la copia di acido borico ottenuto dalla Boracite non gli sembra essere sufficiente ad escludere che da essa non si possa ottenere anche in -copia minore e pur anco nelle proporzioni stesse dei soffioni P acido borico, quando, an- ziché operare sopra il solo minerale di boro come il Bechi, il vapore acqueo agisca sopra un terreno nel quale la Boracite sia relativamente scarsa, come è appunto il caso di molti terreni salino-gessiferi : in secondo luogo, che avendo il Bechi sperimen- tato soltanto su rocce prese ai diversi piani sì, ma pur sempre - 337 — tutte nella miniera di Montecatini, può nascere il dubbio che la presenza del boro anziché doversi a un minerale essenzialmente e dalla sua origine costituente la roccia, possa derivare da mi- nerali, che come la Datolite, siano ad essa di origine posteriore. E difatti nella stessa miniera di Montecatini, nella pasta stessa del filonè, negli stessi solfuri metallici, come nelle screpolature e cavità delle rocce incassanti si trova la Datolite, la quale sem- bra quindi un effetto di quelle azioni, onde tanti minerali si costituirono nella detta miniera. La questione sta dunque tutta nel sapere se il boro trovato dal Bechi nelle serpentine di Monte Catini derivi da questa locale mineralizzazione della roccia in- cassante il filone cuprico, o sia originario in essa e ne sia invece effetto la Datolite. Per risolvere il dubbio converrebbe conoscere se boro esista o no nelle serpentine di altri luoghi, ove si possa escludere ogni possibilità di mineralizzazione posteriore al co- stituirsi della roccia ofiolitica. Tale è il punto cui conviene che il Bechi rivolga i suoi studi, e giova sperare che le sperienze, già da lui principiate anche su rocce di altri luoghi lo conducano a risolvere uno dei problemi che più interessano i nostri studi. Il socio dott. Peruzzi presenta agli adunati delle impronte fossili nei terreni cretacei ed eocenici di Toscana, appartenenti al genere Paleodictyon. Fa una succinta storia di esso genere e ne rivendica la primitiva formazione al prof. Meneghini, che lo descriveva nell’ appendice sulla Geologia della Toscana, all’ opera del Murchison. Ne distingue il Peruzzi tre specie, P. Strozzii , P. majus descritte dal prof. Meneghini, e P. giganteum, che propone come nuova specie. — Mostra poi e descrive altre im- pronte diverse dalle prime e delle quali fa il gen. Paleomeandron, e le due specie P. rude e P. elegans. Il prof. Arcangeli fa notare la somiglianza dei fossili illu- strati dal dott. Peruzzi con alcune alghe marine, adducendo esempi che secondo lui potrebbero in qualche modo spiegare quelle singolari apparenze, che per non sapere a che attribuirle furono spesso indicate anche col nome di Geroglifici. Il socio dott. Bosniaski annunzia che si riserva di rispondere nella ventura adunanza con un dettagliato lavoro alla critica — 33S - del signor Paul sull’ argomento del terreno del Flysch. — Pre- senta poi alcuni esemplari di nuove specie di pesci fossili pro- venienti dagli strati del tripoli del Gabbro al disotto del po- dere Nardi. L’ esemplare grande appartiene ad una specie di Chrysophris molto vicina alla Ghrysophris aurata vivente, ed egli la dedica al celebre geologo Teodoro Fuchs. Altra specie appartenente al genere Gobius chiama Gobius sarmatianus ; si avvicina al ge- nere Niger e proviene dagli strati a diatomacee di Scaforno vicino a Castelnuovo della Misericordia. Così il numero di specie ben deter- minate dei Monti Livornesi da esso trovate e studiate ascende a 39. Il presidente prof. Meneghini fa le seguenti nuove osserva- zioni sui Crinoidi terziarii. Il sig. Schliiter di Bonn ha recentemente pubblicato un im- portante lavoro su alcuni Crinoidi astilidi ( Ueber einige astylide Crinoiden. Zeitschr., v. d. geol. Ges. 1878). Annovera come ter- ziarie le tre specie di Antedon o Comatula del Crag d’Inghil- terra descritte dal Forbes, YAnt. alteceps del Philippi e descrive una nuova specie dell’Eocene inferiore di Spilecco presso Bolca, che denomina Ant. italicus. E omessa in questo novero la specie trovata dal Michelotti nel miocene medio della collina di Torino, descritta e figurata fino dal 1861 (Revue et Magasin de Zoologie) sotto al nome di Aliionia oblila Mieli. Ad esso genere Aliionia , che, quando dovesse mantenersi, comprenderebbe le specie prive di fossette radiali, ossia la seconda delle due sezioni di Antedon dello Schliiter, appartengono pure alcuni esemplari dallo stesso Michelotti trovati nel miocene medio di Baldissero, troppo in- completamente conservati per poter giudicare se debbano o no riferirsi alla All. oblita. Sembra invece spettare agli Antedon della prima sezione un esemplare pure trovato dal Michelotti nella collina di Torino, notevole per la forma conico-piramidata: altezza 5mm, diametro 4mm, con due serie di fossette su ciascuno dei 5 lati della piramide. La imperfetta conservazione non con- sente ulteriori particolari. Per un piccolo crinoide affisso colla estremità inferiore del calice lo Schliiter propone il nuovo genere Gyatliidium, ed intitola C. Spileccense V unica specie, che già il nome accenna provenire dal giacimento superiormente citato di Spilecco. — 339 — E negli strati miocenici della Superga trovasi pure un Co- noide affisso, clie il Miclielin fino dal 1851 denominava ( Bevue et Magasin de Zoologie N° £), rilevandone le analogie e le dif- ferenze col vivente genere Holopas. Il signor D. T. C. Winkler pubblicò la descrizione e le figure di un Crinoide del sistema Heerriano, che denominò Bourgueti- crinus JDeivdlquei ( Archives du Musée Teyler, Harlem, II, 1869) Non sembra probabile che i due oggetti descritti e figurati ap- partengano alla stessa specie e neppure allo stesso genere. Il primo è stelo di Conocrino, il secondo è porzione di calice ve- rosimilmente di Pentacrino. Il signor Munier-Chalmas ha proposto il nome di Bourgueti- crinus Suessi (Comptes rendus ec., voi. LXXXV, 1877, pag. 259) per il Crinoide di Spilecco già avvertito da Bajan (Bull. de la soc. géol. Fr. 2e sér. XXVII, 1870, pag. 452) da noi preceden- temente riferito al Conocrinus pyriformis Miinst. sp. Lo Schluter 10 dichiara un vero Bhizocrinus e ritiene per esso il nome di Bh. biforatus Schloth. sp. Ad esso genere Bhizocrinus fu riferito dal Manzoni il Cri- noide che quarant1 anni fa il Santagata scopriva nelle marne dei contorni di Bologna e venne d1 allora così frequentemente citato sotto all’ usurpato nome di Apiocrinites ellipticus. Senza poter aggiungere alcun argomento al dubbio altre volte mosso su quella determinazione generica e sulla maggiore verosimiglianza quindi trattarsi invece di un Batycrinus, sono ad annoverarsi altri due esseri dubbiosi a quello somiglianti ; trovati 1’ uno dai signori Reusch e Brogger (Boi. B. Com. Geol. 1876, pag. 227) nel macigno dell’ Elba ; P altro dal De Stefani nel miocene inferiore ai Cappuccini presso Caulonia in Calabria. 11 primo ha steli di mezzo millimetro od anche meno di appa- rente larghezza, longitudinalmente solcati sul mezzo forse in causa dell1 ampia cavità e della sofferta pressione. Il secondo ha dimensioni molto maggiori e variabili : gli steli hanno da uno a tre millimetri di larghezza ; il solco longitudinale più o meno deciso ; la cavità ridotta dalla pressione all1 apparenza di una fessura, le articolazioni oscure e lontane, associate talvolta a ru- gosità trasversali irregolarmente ravvicinate. — 340 — Lo stesso prof. Meneghini parla poi di due nuove specie di Suessia E. Desi. Nel calcare rosso ammonitico liassico superiore di Lombardia si trovano incompletissimi resti di due specie di Brachiopodi che conservano caratteri sufficienti a farli riconoscere appartenenti alla famiglia degli Spiriferidi. Presentano pure notevoli somi- glianze colle specie del genere Spiriferina , caratteristico appunto dei terreni Lassici. Un carattere per altro si oppone a questo ravvicinamento, mentre il guscio è nelle Spiriferine tutto per- forato, in questi resti non presenta alcuna traccia di perfora- zioni. E non si tratta di alcuno di quei casi accennati dal Car- penter nel classico suo lavoro sulla struttura del guscio dei Brachiopodi, nei quali le perforazioni risultano mascherate dal processo della fossilizzazione o dal modo stesso della prepara- zione. La struttura fibrosa del guscio è qui ben manifesta, le fibre o cellule appiattite ne sono ben visibili e distinte, e le la- mine da esse formate ed obbliquamente sovrapposte non presen- tano alcuna interruzione. Oltre per altro al genere Spiriferina, si trova nel Lias un altro genere di Spiriferidi che E. Deslongchamps intitolò Suessia (Sur un genre nouveau de JBrachiopodes. Annuaire de l’Inst. des provinces, 1855), comprendendovi due specie che (egli dice) « pendant longtemps je regardais cornine étant des Spiriferina, cependant la grande épaisseur du test et l’absence de ponctuations me faisaient douter de la légitimité de leur place. » Il Deslongchamps sacrificò un gran numero di esemplari di questi piccoli e rari Brachiopodi per iscoprirne l’ interno appa- recchio apofisario, e benché incompletamente, pure riuscì a porne in evidenza alcuni caratteri particolari. I nostri esemplari petrefatti nel solido marmo di Suello non conservano nell’ interno nessun resto di esso caratteristico ap- parecchio; sono inoltre di assai maggiori dimensioni che quelli delle due specie di Suessia (S. imbricata e S. costata ) illustrati da Deslongchamps. È quindi solo dubbiamente che proponiamo le due specie : Suessia Stoppami, subrotonda, rigonfia, seno mediano leggiero o quasi nullo, area concava interrotta da ampia apertura trian- — 341 — golare, superficie ornata da numerose costicine radiali dicotome, e da strie concentriche ; Suessia Villce , trasversa, subsemicircolare, linea cardinale estesa a tutta la larghezza, seno esteso, superfice ornata di coste dicotome trasversalmente rugose. CENNO NECROLOGICO. Corrispondenze dall’ India e dall’Australia ci recano la no- tizia della morte di due eminenti geologi, ben noti per impor- tanti lavori scientifici, Th. Oldham, già Direttore dell’Istituto geologico di Calcutta ed il Rev. W. B. Clarke di Sidney. Th. Oldham, nato neh maggio 1816, fu di origine irlandese, e ricevette la sua educazione nel Trinity College di Dublino : passò quindi in Scozia, dove per alcuni anni dedicossi a lavori di ingegneria, acquistando buone nozioni di geologia e minera- logia, sotto la direzione del prof. Jamieson. Ritornato in patria, fu primo aiutante al generale Portlock che allora dirigeva V uf- ficio geologico in Irlanda, e col medesimo eseguì importanti la- vori di rilevamento geologico, per la prima volta pubblicati nel 1843. Contemporaneamente fu segretario della Società Geo- logica di Dublino, e dell’ Istituto degl’ ingegneri civili d’ Irlanda. Nel 1844 entrò come assistente nel Trinity College ; 1’ anno se- guente succedette al Phillips nella cattedra di geologia dell’Uni- versità di Dublino, e venne nominato Direttore dell’ ufficio geo- logico irlandese: tre anni più tardi era anche presidente di quella Società geologica. Finalmente nel 1851 stabilivasi in Cal- cutta come Direttore dell’ Istituto geologico indiano, ed in questa sua qualità ebbe occasione di rendere eminenti servigi al paese, facendo conoscere sotto il rapporto fisico quelle immense regioni che quasi ci erano sconosciute. Benché nel principio egli non avesse che un ristretto personale a sua disposizione (12 assi- stenti), si mise risolutamente al lavoro, ed alla fine di un de- cennio potè presentare la carta geologica di un’ area più che — 342 — doppia in estensione dell’ intiero Regno Unito. Esso portò spe- cialmente la sua attenzione sui grandi giacimenti carboniferi del- T India, e su questo argomento pubblicò importanti monografìe nelle Memorie dell’ Istituto, oltre ad un elaborato rapporto com- parso nel 1867 sulle risorse carbonifere dell’ India. Uno dei me- riti suoi principali è quello di avere dato tanto sviluppo alle pubblicazioni dell’Istituto, le quali sotto la sua amministra- zione hanno raggiunto una estensione ed una importanza tali da superare forse quelle di qualsiasi altro ufficio congenere. Ritiratosi da pochi anni dalla sua carica nell’ India, faceva ritorno in Europa e si stabiliva a Londra, dove fu esaminatore di geologia all’Università. Ivi moriva il 17 luglio 1878. Fra le molte onorificenze, ben meritate da Th. Oldham, con- vien citare la medaglia d’ oro della Royal Society accordatagli nel 1875. W. B. Clarke, il padre dell’ australiana geologia, nacque pure in Inghilterra nel giugno 1798. Compiuta nel 1821 la sua educazione a Cambridge, esercitando pure il sacerdozio, dedi- cossi con passione alla geologia ed intraprese lunghe escursioni nell’ isola nativa e nel continente, finché nel 1839 fece il viag- gio d’ Australia per motivi di salute e per desio di esaminare la costituzione fisica di quella regione. Stabilitosi colà nella Nuova Galles del Sud, occupossi sempre di geologia percorrendo molte parti di quella contrada, e da ultimo fissando sua dimora nelle vicinanze di Sidney, dove morì il 17 di giugno scorso. Molte sono le pubblicazioni fatte da W. B. Clarke, alcune d’ indole letteraria o religiosa, la più parte d’ argomento geo- logico. In Australia occupossi moltissimo della ricerca dei mi- nerali utili all’industria, ed il suo nome è collegato alla sco- perta dei giacimenti auriferi e carboniferi di quella contrada, come pure alla scoperta dei diamanti e del minerale di stagno. Fu per qualche tempo Presidente della Royal Society della Nuova Galles del Sud, e nel 1877 la Società geologica di Londra conferivagli la medaglia di Murchison. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Co- mitati Geologici e sul B. Comitato Geologico d’Italia. — Firenze 1871 L. 1.50 Idem. — Carta Geologica della parte orientale del- P Isola d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1871 » 3. 00 F. Giordano. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande galleria della ferrovia ltalo-Elve- tica. — Firenze 1873 » 10. 00 Idem. — Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1873 » 5.00 C. W. C. Fuchs. — Carta Geologica dell’Isola d’ Iscliia, nella scala di 1 per 25,000. — Firenze 1873. ...» 3.00 G. Ponzi e Fr. Masi. — Catalogo ragionato dei prodotti minerali italiani ad uso edilizio e decorativo spediti dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio all’ Esposizione Internazionale di Vienna. — Roma 1873 » 2. 00 Idem. — Catalogo sommario dei prodotti minerali italiani ec. — Roma 1873 » 1.00 P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta Geo- logica d’Italia in grande scala. — Roma 1875 .» 1.50 G. Doelter. — Carta Geologica delle isole Ponza, Pai macola e Zannone, nella scala di 1 per 20,000. — Roma 1876 » 2. 00 Per le commissioni dirigersi all* Ufficio G-eologico in Roma, Piazza San Pietro in Vincoli , N. 5 , od ai principali librai. Annunzi di pubblicazioni. W. Branco. — I vulcani degli Ernici nella valle del Sacco. — (Mem. della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. I.) — Roma 1877; pag. 17 in-4° con una tavola. G. Ponzi. — La Tuscia Romana e la Tolfa. — (Mem. della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. I.) — Roma 1877 ; pag. 54 in-4° con due tavole. G. Seguenza. — Nuculidi terziarie rinvenute nelle provineie meridio- nali d’ Italia. — (Mem. della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. I.) — Roma 1877; pag. 38 in-4° con cinque tavole. G. A Pirona. — Sulla fauna fossile giurese del Monte Cavallo in Friuli. — (Mem. del R. Istituto Veneto, voi. XX.) — Venezia 1878 ; pag. 62 in-4° con una carta geologica e otto tavole. T. Taramelli. — Del granito nella formazione serpentinosa dell’Apen- nino pavese. — (Rendiconti del R. Istituto Lombardo, voi. XI, serie 2a, fase. 1 e 2. Milano 1878; pag. 25 in-8°. A. Verri. — Sulla cronologia dei vulcani tirreni e sulla idrografia della Val di Chiana anteriormente al periodo pliocenico. — (Ren- diconti del R. Istituto Lombardo, serie 2a, voi. XI, fase. 3°.) — Mi- lano 1878; pag. 20 in-8° con tavola. A C ossa. — Ricerche chimiche sui minerali e rocce dell’ Isola di Vul- cano ; 1° Allume potassico contenente allumi di tallio , rubidio e cesio. — Roma 1878; pag. 12 in-4°. G. Omboni. — Le Marocche, Antiche morene mascherate da frane. — Milano 1878; pag. 16 in-8°. A. D’Achiardi. — Sull’origine delPacido borico e dei borati. — Pisa 1878; pag. 22 in- 8°. D. Lovisato. — Di alcune azze, scalpelli, martelli e ciottoli dell’ epoca della pietra, trovati nella provincia di Catanzaro. — Trieste 1878; pag. 33 in-8° con una tavola. G. Capellini. — Il calcare di Leitha, il Sarmatiano e gli strati a Con- gerie nei monti di Livorno, di Castellina Marittima, di Miemo e di Monte Catini. — Roma 1878 ; pag. 20 in-4°. A. Ferretti. — Le salse o vulcani di fango e le argille scagliose. — Padova 1878; pag. 38 in-8°. A. Issel. — Nuove ricerche sulle caverne ossifere della Liguria (dalle Memorie della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. II). — Roma 1878 ; pag. 68 in-4° con cinque tavole. G. Capellini. — Della pietra leccese e di alcuni suoi fossili (dalle Me- morie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, serie 3a, tomo 9). — Bologna 1878; pag. 32 in-4° con 3 tavole. — Sulla prehnite dei monti livornesi e sui minerali che 1’ accom- pagnano (dai Rendiconti della stessa). — Bologna 1878 ; pag 8 in-8°. U. Botti. — Sopra una nuova specie di Miliobates (dagli Atti della So- cietà Toscana di Scienze Naturali, voi. ILI, fase. 2). — Pisa 1878 ; pag. 14 in-8°. T. Taramelli. — Descrizione geognostica del margraviato d’ Istria. — Milano 1878; pag. 196in-16°con annessa Carta geologica dell’ Istria e delle Isole del Quarnero. A. Manzoni e G. Mazzetti. — Echinodermi nuovi della inolassa mioce- nica di Montese nella provincia di Modena. — (Atti della Scc. Tose, di Se. Nat., voi. III, fase. 2.) — Pisa 1878; pag. 7 in-8° con tavola. G. Mercalli. — Sulle marmotte fossili trovate nei dintorni di Como. — Milano 1878 ; pag. 8 in-8°. A. Verr:. — Avvenimenti nell’interno del bacino del Tevere antico durante e dopo il periodo pliocenico. — Milano 1878; pag. 32 in-8° con una tavola. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° 9 e IO. Settembre e Ottobre 1878. — ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1878. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. 1°. — Bollettino. — Si pubblica regolarmente in fascicoli bime- strali di 5 o più fogli di stampa ciascuno, formanti un vo- lume annuo di 500 e più pagine, con tavole ed incisioni in- tercalate nel testo. Il prezzo dell’ abbinamento annuo è di L. 8 per V interno e di L. 10 per V estero. Gli abbuonati ricevono gratuitamente la copertina ed il frontespizio del volume. — Ad annata compiuta i volumi annuali rilegati si vendono al prezzo di L. 10. — I fascicoli separati si vendono al prezzo di L. 2 ciascuno. — La serie incomincia coiranno 1870. II0. — Memorie per servire alla descrizione della Carta Geo- logica d’ Italia. — Pubblicazione di gran formato corre- data da tavole, Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Volume I; Firenze 1871. — Introduzione — Studii geo- logici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui minerali delle valli di Lanzo, di G. Strììver. — Sulla formazione terziaria nella zona solffera della Sicilia, di S. Mottura, con quattro tavole. — Descri- zione geologica delV Isola d Elba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica . ita- liana (Parte Ia, Gasteropodi sifonostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo 1°, con sette tavole. — Prezzo Lire 35. Volume II, Parte la; Firenze 1873. — Introduzione. — Monografia geologica dell ’ Isola cT Ischia, di C. W. C. Fuchs, con Carta geologica e incisioni nel testo. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attra- versata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo -Elvetica, di F. Giordano, con Carta geologica e due tavole di Sezioni. — Appendice alla Memoria sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con una tavola. — Mcdacologia pliocenica italiana (Parte Ia, Gasteropodi sifono- stomi), di C. D’ Ancona, fascicolo 2°, con otto tavole. — Prezzo Lire 25. Volume II, Parte 2a; Firenze 1874. — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, Parte 2a, con due tavole. — Prezzo Lire 5. Volume III, Parte la; Ptoma 1876. — Il gruppo vidca- nico delle Isole Ponza, monografia geologica di C. Doelter, con tre tavole e una Carta geologica. — Geologia del Monte Pisano, di C. De Stefani, con una tavola. — Prezzo Lire IO. {Continua.) BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. A 9 e 10. — Sellembre e Ottobre 1878. SOMMARIO. NOtteil?e?p? nÌCihe‘ ~~ L ?nìmÌ ge°snostici e geologici sulla Calabria settentrio- nale per D. Lovisato. (Continuazione.) - II. Il Monte Armata, per B. Lotti (Continuazione e fine.) - III. Sui marmi della Montagnola Senese, per c'de Stepani1 e. T.LvT-~IJ\rSull’eJ)0Ca deg,i Strati ^Pikermi’, pe" _ yf cmf ~ ^ ^ ulcano dl Monte Ferru in Sardegna, per C. Doelter. \ I. Sulle miniere di stagno di Canapiglia, dell’ ing. Blanchard. Cenno necrologico. — G. Curioni. TaVn°.le V" ÌnnÌBÌr0,nÌ,l ~ Sezìone da Stribugliano verso il Monte Armata, a pa_. JOL — 1 rofilo del Monte Armata visto da Siena, a pag. 369. — Sezione ungo il Torrente Rosia, a pag. 388. — Sezione ad ovest di Cetinale, a pag. 390. NOTE GEOLOGICHE. I. Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrionale, del dott. Domenico Loyisato. (Continuazione. — Vedi num. 5-6.) PARTE SECONDA. Capitolo I. Rocce primitive della Sila. Le rocce primitive che compongono la Calabria settentrio- nale sono più varie di quelle della meridionale e forse ancora di quelle di qualunque altra regione. La parte cristallina del colosso silano è formata principal- mente di gneis, quasi dovunque ricoperti da schisti e spessis- simo attraversati od accompagnati da graniti ed assai frequen- — 348 — temente da dioriti. La formazione primitiva che costituisce questo gruppo non arriva al mare da nessun lato, avvicinandosi solo sotto Catanzaro e presso Cropani, Corigliano Calabro e Rossano. Essa è costantemente ricoperta dal miocene a mezzogiorno e ad oriente fino a Rossano ; dal pliocene, dal quaternario e da qual- che lembo staccato del giurese a N. ; quasi esclusivamente dal pliocene nella valle del Crati. La zona terziaria che cinge la massa silana come un anello acquista considerevole estensione specialmente dalla parte di E. e S.E., dove va a formare la pianura di Cotrone. Gli ultimi affioramenti delle rocce granitoidi di Catanzaro sono sulla destra sponda della Fiumarella, non molto lungi dal sentiero, che da Catanzaro conduce a Borgia : esse sporgono dalle sterili argille plioceniche sopportate da sabbie non povere di fossili. Da qui le rocce primitive si ritirano e solo sulle sponde dell’ Alli le vediamo ricomparire ricoperte dal terziario medio che sostiene il così detto tufo calcare di Catanzaro, che noi sempre d’ ora innanzi denomineremo marna bianca ; in un punto solo da un piccolissimo lembo di calcare ippuritico, il più meridionale, che si mostra nella regione, che abbiamo impreso a trattare. In nessuna contrada della Calabria queste rocce cristalline si presentano in maggior numero, più varie, più rare e riunite in un solo punto come a Catanzaro, offrendo una serie di feno- meni importantissimi, che si succedono con una rapidità me- ravigliosa. L’ ondulato altipiano terziario su cui è fabbricata la città (330 m.), limitato da due profondi valloni d’ erosione, inclina alquanto a S.E. verso il mare. In questi corrono le due fiuma- relle, quella di Sant’ Agostino, detta anche fiume Mosofolo, ad Est e la Fiumarella propriamente detta ad Ovest, che si con- giunge all’ altra a mezzogiorno della città al piede della Sala. Immediatamente a N.O. di Catanzaro si può vedere la so- vrapposizione delle formazioni terziarie alle primitive, che per lo più sono schisti argillosi-micacei, dapprima indistintamente cristallini, indi visibilmente compattissimi, oscuri : talvolta però sono i graniti, come sotto il Macello e le dioriti porfiriche, come sotto V Ospitale, od anco i calcari cristallini come sulle — 349 — sponde della Fiumarella che sostengono le formazioni più recenti. Questi schisti ricchissimi di feldispato e di quarzo nello stato di caolinizzazione, alternano con calcari prima bianco-spor- chi e giallognoli con molti cristalli di calcite e rassomiglianti alle dolomie, e poi bigi listati, somministranti alcune varietà di cipollino. Gli schisti oscuri che si trovano alternati con questi calcari sono sconvolti ed attraversati da molti filoni di diorite e questa alla sua volta attraversata da vene di granito bianchiccio. La diorite è a grana piuttosto grossa, composta essenzialmente da oligoclasio ed amfibolo : il granito invece è composto di quarzo ed oligoclasio con mica bruna e pochissima bianca. La inclinazione prevalente è a Sud, essendo la direzione generale da Est ad Ovest. Là dove sta per cominciare V alternanza degli schisti oscuri col calcare listato, abbiamo nel quarzo abbondanti cubi di pirite di ferro, che passano pure anche nel calcare cipollino. Trovasi assieme una sostanza verde, che probabilmente potrebbe essere una pinitoide. Questo calcare metamorfico, che contiene cristalli di idocrasio giallo-rossastri e rosso-bruni della grossezza di 4 centimetri, che si trovano pure in numerose geodi nella massa stessa, di- viene come pulverulento alla sua superficie, non è suscettibile di levigatura, e perde la sua stratificazione in vicinanza delle rocce granitoidi. Contiene ancora cristalli rossastri di granato, che pure talvolta presentansi in geodi : sembrano essere sem- plici superficie di contatto, ma sono vere faccie e tali, che con belli esemplari si possono esattamente determinare le forme. I filoni di diorite e le vene di granito si diramano in modo infinito fra i calcari attraversati : alcuni di questi mandano vene, che penetrano nel calcare e negli schisti, in cui dioriti e gra- niti produssero curiosissimi fenomeni di metamorfismo, assu- mendo 1 idocrasio ed il granato il calcare che più immedia- tamente si trova a contatto, e la massa schistosa poi, prendendo della mica, passa quasi indistintamente allo schisto dioritico per non dire alla vera diorite. Ritornano i calcari bigi listati per lasciar luogo nuovamente ai granatiferi. Essi si sovrappongono a massa granitica in de- — 350 — composizione con mica nera in pagliuzze, alla quale succede nuovamente diorite con fìloncelli di granito bianco e carnicino, seguiti da filoni di rocce che finora passarono fra i gneis od i graniti granatiferi. In queste roccie per un gneis od un granito mancano 1’ or- tose ed il quarzo, e nella roccia di Catanzaro le pareti bianche, che formano il contorno dei granati e che sembrano quarzo, non sono altro che oligoclasio, potendosi esse fondere facilmente al cannello. E molto facile però confondere le particelle di que- sto feldispato con analoghe di quarzo. A questa roccia, ricca di granati in trapezoedri, alle volte regolarksimi, di 14 e più millimetri di asse, V illustre profes- sore Fischer fino dal 1861 1 impose il nome di Cliinzigite dalla valle Ivinzig nel Granducato di Baden dove egli per la prima volta la trovò. Questo nome, accolto in diversi libri e per tacere di altri nella petrografia del prof. Zirkel, quantunque nuovo nella mineralogia italiana, credo si possa accogliere senza ingenerare confusione, essendo chiara la sua costituzione com- ponendosi essenzialmente di oligoclasio, di granato e di mica la roccia destinata a portare il nome di cliinzigite. Essa è svilup- patissima in Calabria, specialmente nella Citeriore, ove dopo il gneis comparisce come la più abbondante, offrendo tante varietà faneromere e criptomere, che si sarebbe tentati a distribuire in altrettante specie, particolarmente per le ultime, molto difficili a riconoscersi. Alcune modificazioni del Granatféls sono pure varietà di chinzigiti, nelle quali il granato ordinariamente predomina sul resto dei componenti. Non negherò che possano avvenire pas- saggi in gneis ed anche in micaschisto, ma allora la roccia as- sume un po’ di quarzo, come si osserva in alcune varietà pure della Calabria. Il granato della chinzigite che si trova a Catanzaro pre- senta le stesse forme cristalline, ed i cristalli così regolari come quella da Dosso Puzzo a Monte Ciuca fra San Demetrio Corone e Santa Sofia d’ Epiro nella provincia di Cosenza, offrendo una delle rocce più interessanti e belle. I trapezoedii con qualche 1 Leonharcl , Jahrbuch, 1861, pag. 641-651. — 351 — piccola faccia lucente e specolare del rombododecaedro sono tanto più perfetti quanto essi sono più piccoli : se ne possono però isolare dei perfetti anche discretamente grandi. Alcuni presen- tano un bel color rosso ed a bella prima li avea presi per piropi, ma alla prova col cannello per mezzo del cromo e del man- ganese si mostrarono negativi. Lo stesso avvenne supponendoli granati manganesiferi, cioè spessartina. Resta quindi il dubbio fra T almandino, granato nobile, che ha la stessa composizione del piropo con sostituzione prevalente di FeO ad MgO e P allo- croite, specialmente se osserviamo il colore della polvere. L’al- locroite è più rosso-bruno e meno pellucido dell’ almandino che d’ ordinario è trasparente, d’ un rosso ciliegia, rosso azzurro- gnolo, ma anche giallo brunastro : ma questi granati della chin- zigite di Catanzaro sono un po’ decomposti, fatto che si può osservare se si guarda la loro polvere colla lente. Un risultato definitivo, se questo granato si debba chiamare almandino od allocroite non potremo sperare di avere che per mezzo di un’ analisi quantitativa. Osservisi però che prima ancora di fare questa analisi sarebbe necessario lo studio microscopico di esso, perchè molti granati includono magnetite, ciò che toglie qua- lunque importanza all’ analisi, la quale molte volte perciò riesce falsa. L n po’ più avanti della chinzigite ora menzionata di Catan- zaro, proprio al gomito che fa la strada per scendere alla Fiu- marella, havvene altra più oscura con granati più piccoli e che senza tema d’ errore possiamo ascrivere all’ almandino : questa varietà troverebbe la sua corrispondente nelle varietà e modifi- cazioni di chinzigiti che s’ incontrano dal Mucone a Luzzi ed oltre procedendo da San Pietro in Guarano a Celico, a Spez- zano Grande e da Pedace e Serra Pedace verso Aprigliano sulla sponda sinistra del Cardone, nonché in quelle della catena lit- t orai e alla Serra della Contessa e nella massa del Reventino sotto Amato prima d’ entrare in paese. Procedendo verso Santa Sofia d’ Epiro da San Demetrio Co- rone manifestasi nuovamente la chinzigite in dossi arrotondati, ma tutti in isfacelo, coi granati liberi, ma anche essi decomposti. Resistentissima però è la roccia che con questa delimita e che si trova anche prima quando da Dosso Puzzo si scende nel primo — 352 — piccolo avvallamento. È candida, forse per V oligoclasio pre- dominante, contiene pochissima mica, granato almandino minu- tissimo, un po’ di quarzo e piccole particelle metalliche che al microscopio sembrano di magnetite, con sfumature verdi, attri- buibili probabilmente all’ epidoto. È forse anche questa una mo- dificazione criptomera di chinzigite. La più superba però di tutte le varietà e che in bellezza supera ed in magnificenza quelle di Germania, di Scozia, di Spagna e di altri siti, è quella che su pel Mucone prende il suo massimo sviluppo alla Sila. Essa è composta di un magni- fico oligoclasio, che mostra stupendamente le caratteristiche strie di geminazione, di granato e di mica : l’ortose manca, e più o meno anche il quarzo. Però in taluni campioni, osservata colla lente la parte bianca, non mi manifestò le strie parallele, quindi si sarebbe indotti alla semplice ispezione a credere che il feldispato di questa roccia sia V ortose, ma anche per questo minerale si presentano troppo poche superficie di sfaldatura nei molti esem- plari da me raccolti : in alcune di queste superficie mancano le striature di geminazione caratteristiche dell’ oligoclasio, e si potrebbe quindi pensare, che esse appartengono ad un ortose, che qua e colà fosse associato all’ oligoclasio di questa roccia. Le osservazioni microscopiche delle piastre sottili di questa su- perba roccia potranno solo decidere la questione e portare ad una diagnosi sicura. Le varietà del Mucone sono così tenaci che per rompere un blocco ci vollero più di 50 colpi di grossa mazza, e lo scalpello grossissimo era entrato nel masso per 4 centimetri, ma il blocco non si sarebbe spezzato tanto facilmente, se non avesse presen- tato in una direzione un principio di decomposizione nella parte interna. Bella è pure la chinzigite che s1 incontra nei monti sopra Serra Pedace con grossissimi granati, e trova l’analoga nei monti fra San Marco Argentaro e Santa Caterina Albanese nella ca- tena littorale : più sotto di quest’ ultima località presentasi la stessa in decomposizione, ma dai resti si potrebbe forse dedurre che sotto siavi un granito granatifero in degradazione. Chinzigiti bellissime sono quelle che formano la sponda si- nistra del Cardone fra Maglie e Sant’ Ippolito. Formano una 353 — grande massa ed una recente frana mette a nudo la formazione molto decomposta per l’ infiltrazione delle acque. Mostrano grossi interclusi di oligoclasio decomposto in un minerale quasi infu- sibile, che diviene azzurro con soluzione di cobalto, quindi allu- minifero o caolinico. Non sarebbe però il petuntzè col quale il caolino è mescolato in China per la fabbricazione della por- cellana, e che si ottiene da rocce feldispatiche quarzose, ric- che di quarzo. In questa chinzigite del Cardone si trovano certe particelle verdi non cristallizzate di pinite, in qualche pezzo molto abbondanti. Più oltre nel Cardone stesso troviamo la chin- zigite formare tutte e due le sponde della fiumarella che confluisce nel Cardone. A Catanzaro sotto il miocene medio rappresentato da sabbie conglomerate, al fondo di quel deposito troviamo blocchi gros- sissimi di una chinzigite durissima e tenacissima : in questa si veggono cristalli triclini di oligoclasio che sulle faccie di sfal- datura recente presentano una lucentezza madreperlacea non tanto viva ; mostra notevolissime traccie di decomposizione e per abbastanza rilevanti estensioni diviene giallognolo, fatto che non si può spiegare, se non col mezzo della sovrossidazione del ferro che contiene. Questi blocchi provengono tutti dal monteleonese, dove questa roccia ha uno sviluppo così considerevole come nel Mucone. Da Palermiti a Monteleone forma la chinzigite il nucleo di quei monti e San Nicola di Crissa, Nicastrello, Capistrano, Monte Fiosso e molti altri paesi sono fabbricati sopra questa roccia. Monteleone stesso sta sulla chinzigite che si spinge a Pizzo e si mostra ricchissima di granati. Sebbene non abbia visitato le mi- niere di grafite di Olivadi e di Monte Rosso, da alcune traccie di quell’ importante minerale, che si scavò in quei luoghi nella prima metà di questo secolo, mi parve comprendere che la gra- fite si trovi alla dipendenza di questa roccia granatifera, com- presa negli strati di questa. Esposta così la natura litologica di quei monti che elevandosi formano le Serre, sarebbe escluso il gneis di Stallettì che da quanti scrissero in proposito, si volea formasse tutti quei monti. È utile osservare che da taluni questa roccia quando è molto ricca di granati si chiama omfacite, ma nulla ha da fare colla — 354 — vera omfacite che è un semplice minerale, nè colla cosiddetta omfacite carinziana, che contiene distene, mentre la nostra ne manca assolutamente. Se ora noi riuniamo tutte le chinzigiti che abbiamo ricor- dato, difficilmente troveremo che una rassomigli all’ altra, ed è solo in seguito a studi comparativi, specialmente relativi agli elementi che le compongono, che abbiamo riunite sotto un nome comune rocce di aspetto così differente. In alcune varietà predominano le parti oscure, costituite dalla mica, in altre le parti lucenti, come il feldispato ed il granato : abbiamo quindi una roccia oscura o lucida e nello stesso tempo una roccia schistosa, se ha predominio la mica, o poco schistosa, se vi predominano gli altri elementi ; però se anche i componenti sono in armonia, non credo si possa avere la facoltà di stabilire roccie differenti, ma solamente varietà. La qualità di Catanzaro, la bellissima del Mucone e quella di Mon- teleone si rassomigliano così poco, che nessuno potrebbe presen- tire che queste roccie abbiano una così forte correlazione da for- mare un’ unica specie. Sopra la chinzigite abbiamo a Catanzaro un filone for- mante un’altra bellissima roccia, composta di oligoclasio, di pi- nitoide (?), di mica, nè roccia consimile rinvenni in tutta la Calabria. Sopra questo compariscono stupende dioriti micacee oscure a grana abbastanza fina, che potrebbero molto facilmente essere confuse coi graniti a minutissimi elementi o coi gneis amfibolici. Comprendono titanite in piccolissimi grani analogamente ad altre che compariscono nella discesa al burrone della Valle dei Molini prima d’ arrivare a Pentone. Queste sono ricoperte da altra dio- rite micacifera con pirite. Ad immediato contatto del calcare che alterna con letti di calcare grafìtico e come nucleo centrale dell’ altipiano di Catan- zaro abbiamo la diorite quarzifera, che si vede affiorare in forma di filone della potenza di 30 metri circa colla stessa inclinazione e direzione degli schisti alla sponda sinistra della Fiumarella, dove serve di solidissimo appoggio alla spalla del ponte sulla strada che da Catanzaro conduce a Tiriolo. Da un’ analisi fatta dal distinto prof, vom Piatii e che si trova — 355 — nelle sue Osservazioni geografico- geognostiche sulla Calabria, ’ que- sta diorite quarzifera, da lui chiamata porfido dioritico, risulte- rebbe composta di feldispato (plagioclasio), di quarzo, di mica, di orniblenda e di augite, sparsi in grani e cristalli in una pasta grigio verdastra e soltanto talvolta rossa. Ma se una varietà contiene esattamente gli elementi citati, •dobbiamo notare che questi variano secondo i luoghi e secondo le accidentalità di struttura di questa importantissima roccia. I cristalli di feldispato giungono fino alla grossezza di 7 mm. ; non tutte le volte li troviamo completamente e nettamente limi- tati nella massa verdastra: il quarzo si presenta in grani arro- tondati e senza colore o trasparenti; nella frattura presentano superficie piane e sembrano talvolta sfaldabili: la mica si trova in prismi esagonali cogli assi secondari di 10 mm. e coll’ asse maggiore di 12 mm. : l’asse maggiore dei cristalli d’ orniblenda non raramente oltrepassa i 20 mm.; lo stesso dicasi di quelli di augite col prisma ad 8 faccie, limitato dal prisma obliquo, il cui angolo è 120° 20' secondo il vom Rath. L’ orniblenda non rara- mente presenta le solite geminazioni. Secondo lo stesso vom Rath, l’ osservazione al microscopio mostrerebbe che la massa fondamentale è ripiena di granelli bruni di clorite: i cristalli di mica, di orniblenda ed anche i più rari di augite, che hanno subito il metamorfismo, racchiudono una grande quantità di granelli rossastri piccolissimi, probabil- mente granati. Essi trovansi soltanto in quei cristalli trasfor- mati in una massa cloritiforme, non nella pasta, ed hanno avuto probabilmente origine in seguito alla modificazione di quei cristalli pseudomorfi. L’ illustre mineralogista aggiunge che il più notevole in questa roccia si è che la mica, 1’ orniblenda e 1’ augite non possiedono più la struttura originaria, ma sono cambiati in una sostanza cloritica verde scura. Ma se ciò si ve- rifica per una varietà e specialmente nel contorno della roccia, non possiamo ammetterlo per le moltissime altre e particolar- mente per la compage interna. Con questa diorite quarzifera furono confuse le altre varietà di dioriti dalla tinta verdognola, ma specialmente rossastra, che 1 Zeilschrift der deut. geol. Gesell.. B. 25, Berlin, 1873. — 356 — si sviluppano in tutta la loro potenza nell’ alto della Fiumarella propriamente detta e sulle due sponde di quella di Sant’ Ago- stino, in particolar modo sulla sinistra. Questa roccia, il cui feldispato è per lo più oligoclasio e che manca assolutamente o quasi di quarzo, forma la vera diorite porfirica, che nella parte bassa a contatto dei graniti doventa un vero porfido, costituito allora da una pasta compatta di color verde oscuro o verde rossastro o rosso bruno, nella quale sono sparsi cristalli bianchi di feldispato, mancando quasi assolutamente V orniblenda e 1’ augi te. La diorite quarzifera, la porfirica ed il porfido secondo il vom Katli, che tutte le abbraccia sotto il nome di porfido dioritico o di diorite porfirica, occuperebbero uno spazio di circa 4 chilo- metri di diametro. Ma gli studi da me fatti in tutta la Calabria settentrionale ci mostrano un’estensione di molto maggiore. Infatti dopo che queste rocce hanno formato per la massima parte il nucleo dell’altipiano di Catanzaro, le vediamo da una parte costituire tutto il versante superiore della valle del Mo- sofolo ed indi, formato il nucleo di quel monte, coperte da schisti cristallini eccole spingersi nella valle dell’ Alli, dove si presen- tano come porfido e porfido dioritico. Dall’ altra parte dopo aver formato 1’ alta Fiumarella spingonsi a N.O. e formano la base del monte di Tiriolo ed il nucleo centrale a Nord del monte su cui sta Gimigliano. Tornano a mostrarsi ancora a Martirano sulla sinistra del Savuto quasi nelle identiche condizioni litologiche di Tiriolo, che si presentano ancora al Monte Chiane fra Ajello e San Pietro d’Amantea e sulla strada da Longobucco a Cori- gliano nella Sila settentrionale. Nell’ alta Fiumarella nel secondo burrone Bianchi ed altri fra il Molino Timp e quello d’ Ort ed ancora più avanti nella diorite porfirica ed in un granito carnicino vediamo grosse vene di baritina candida. Questa baritina lamellare spicca da quelle masse, fra le quali serpeggia, e contiene arnioni e venuzze di galena, che si mostrano tanto nella massa di questo spato pe- sante, quanto al limite colla pasta porfirica, dove troviamo molto spesso traccie abbondanti di calcopirite, di blenda ed in granuli e gruppetti verdi arrotondati, abbastanza pronunciati, la prehnite: non mancano neppure cristallini di azzurrite con iniezioni di car- — 357 — bonato di rame verde, e perossido di manganese in forme den- dritiche. Al limite delle vene della baritina la diorite porfirica presenta un bellissimo aspetto, quello di una vera breccia por- fìrica pesantissima. Il calcare che si trova ad immediato contatto colla diorite porfirica non subì alcuna alterazione per opera del metamorfismo, e gli stessi straterelli d’ argilla con cui alterna non si trovano menomamente diasprizzati, come benissimo osservò V egregio mio amico ingegnere Vincenzo Rambotti in una sua pregevolissima memoria sui dintorni di Catanzaro. 1 In alcune varietà delle rocce granitoidi si osservano piccole geodi di sottilissimi cristalli di tormalina, che costituiscono una proprietà caratteristica di queste rocce. Anche negli schisti cri- stallini con vene di quarzo che s’ incontrano sovrapposti alla diorite porfirica sulla via del Camposanto, si osservano le stesse geodi, colla differenza che i cristalli sono meglio discernibili an- che ad occhio non armato di lente. In generale a Catanzaro abbiamo pochissimi graniti, se ec- cettuiamo la massa che dalla Fiumarella passa sotto il Campo- santo della città, e dirigendosi a Nord del monte Mosofolo si sviluppa fra le due valli deH’Alli e del Simeri, costituendo an- che T ardita vetta su cui sta Sellia. I graniti di Catanzaro sono in semplici vene, raramente in filoni ed in dicchi. Sono bianchi, carnicini, ma per lo più grigi. I bianchi, che presentano in ge- nerale un principio di decomposizione constano di quarzo, di oligoclasio in cristalli imperfetti, di mica bianca argentea in pa- gliette abbastanza minute, con altre giallognole e poche nere, irregolarmente disseminate entro la massa, a frattura prisma- tica, che non permette di levarne bei campioni: il carnicino in- vece è ricco di mica oscura, raramente nera, più spesso verdo- gnola e fa pensare ad un passaggio alla diorite: il feldispato ortose rosso si presenta in magnifici cristalli. La densità di questo granito è 2,611, mentre quella dell’ altro arriva a 2,623. Queste varietà s1 incontrano a metà circa della strada che da Catanzaro mette alla Fiumarella. Le vene bianche di gra- nito, che attraversano le prime dioriti e che presentano una ' Osservazioni geognostiche sui dintorni di Catanzaro dell’ ing. Vincenzo Rambotti. ( Bollettino del R. Comitato Geologico , anno 1876, n. 9-10.) - 358 - leggera tinta rosea peli’ ortose, sono per lo più composte di al- bite con poca mica nera in minute pagliette. Il granito grigio che si trova sotto V ospitale è a grossi elementi, durissimo, colla mica in larghe fogliette nere e con feldispato probabilmente al- bitico. Alternano con queste le euriti micacee, in un filone delle quali sulla sponda destra della fiumarella di Sant’ Agostino sotto lo stesso ospitale trovasi un banco di circa 50 centimetri di po- tenza d’ un minerale metallico, che a bella prima si potrebbe prendere come una galenite, ma che si riconosce facilmente per un’ arseniopirite, dando nettamente delle reazioni d’ arsenico. Da attente osservazioni però mi risulta che questo banco non prende estensione nè sotto la città, nè ricomparisce sulla sponda sini- stra : mi sembra invece molto limitato. Nessun zampillo d’ acqua si trova in quella località, e che potrebbe riuscire di grande importanza. Si approssima per la sua costituzione a questo granito l’altro che abbiamo veduto estendersi dal Camposanto a Selliate passar oltre verso la Sila. Assieme alla mica nera abbiamo anche quella con tinta giallognola; abbonda il quarzo non candido ed assieme al feldispato alquanto grigio dà alla roccia una tinta oscura in molti punti. Sarà uno studio che porterà ad interessantissimi risultati quello delle rocce granitoidi dei dintorni di Catanzaro, e che per la massima parte passarono finora fra i graniti, mentre io credo che per la maggior parte si debbano togliere da quella categoria. Il più grande numero di queste varietà di rocce, delle quali calcolai il peso specifico, supera i 2,66, limite che finora non fu raggiunto da nessun granito. Il porfido analogo a quello di Catanzaro che abbiamo visto sulle sponde dell’ Alli si presenta proprio alla prima ardita risvolta che fa il fiume) sulla sua sinistra, sotto un conglome- rato, sopportato prima dalla marna bianca. Più avanti lo tro- viamo ricoperto da schisti in decomposizione. Queste rocce for- mano qui assieme ai graniti che si veggono anche sulla destra sponda dell’ Alli, una vera cupola, che si estende fino al burrone che separa Crichi (483 m.) da Sellia. E un burrone di comba riempito in parte dal terziario più antico della potenza di 100 e più metri, sostenuto da potentissimo conglomerato nel quale — 359 — predomina il calcare cretaceo. Questa estesa cupola è attraver- sata da filoni di porfido quarzifero sulla linea della squallida borgata di Simeri, distrutta in buona parte dai terremoti e co- struita sopra un conglomerato pliocenico. Questo porfido quar- zifero è quasi nero con cristalli di quarzo vitreo cbe noi tro- viamo ancora a Nord di Zagarise nella regione silana di Ciricilia nelle vicinanze del Passo del Pecoraro. Con questa superba roccia potrebbe confondersi quella contenente pirite, che si trova nell’ alpestre regione fra Macchia Sacra ed Aprigliano nella Sila occidentale di Cosenza. La durezza di questa varietà farebbe pensare al porfido quarzifero, ma vi mancano i cristalli di quarzo nella sua parte oscura, quasi nera, che è fusibile. Si vedono in- vece questi nella parte non nera e la piastra sottile che diffi- cilmente si può portare allo stato di pellucidità, non mostra che particelle informi di quarzo ed alcune piccole vene della stessa sostanza. Sarebbe quindi questa bellissima roccia uno schisto argilloso quarzifero, molto duro, che in favorevoli condizioni e più oltre avrebbe avuto la possibilità di trasformarsi in porfido quarzifero analogo a quello dell1 Alli. Sembra che il granito formando una sella s1 elevi poi mae- stoso al di là del burrone fra Criclii e Sellia per formare P alta rocca, su cui è fabbricata l1 ultima borgata. A Sud sopporta il granito la bella formazione cretacea di Monte Pargolacci. Prima ancora d’arrivare a queste località vediamo sulle sponde dell1 Alli le rocce granitoidi ricoperte da schisti filladici lucenti e micacei, inclinati ad Ovest e colla direzione da N.O. a S.E. Questi schisti filladici si continuano ed acquistano maggiore svi- luppo salendo l1 Alli e passando al Simeri, e non s’interrompono verso Nord fino sotto Taverna. Dall1 altra parte, specialmente sulla sinistra del Simerino, che assieme al Malviano forma il Simeri, abbiamo schisti grigi, alternati con altri antracitiferi, che portandosi sopra Magisano a Zagarise, e formando le alte pendici di Sersale, di Cerva, di Andali si stendono sopra le rocce gra- nitoidi di Mesuraca. L1 inclinazione è varia, vi predomina quella a N.E. 'colla direzione da S.E. a N.O. In mezzo a questi schisti corre impetuoso e rumoreggiante il selvaggio torrente Malviano, fra pareti verticali, talvolta di 100 metri di altezza. Si passa sopra a questi schisti là dove un gradino elevato presentasi con 3G0 — quella levigatezza, che si osserva negli schisti alpini atte- stanti T epoca dei ghiacciai. Però mentre prima erano grigi e ricchi di vene e di noduli di quarzo, ora si presentano più chiari, con maggior numero di vene quarzose e talune di feldispato. Identiche sono le condizioni litologiche e stratigrafiche delle rocce su cui sta Zagarise (581 metri). Filoni granitici si appalesano solo nella parte alta nella direzione di Magisano. Il granito affiora poco dopo nuovamente, e forma la base di Magisano, di Taverna, di Santo Janni sviluppandosi in erta e sca- brosa pendice da questa località fino alla alta borgata di Albi (711 metri), dove gli schisti sericei e micacei lo ricoprono, e si continuano per la contrada Pero, che conduce al Cariglione fino nel cuore della Sila, manifestandosi solo di tanto in tanto il gneis centrale che ricoprono. A chi da Sersale passa ad Andali ed a Cerva, e da queste selvaggie e pittoresche località scende all’ incantevole posizione di Belcastro, e rocce e fauna e flora appalesano una vera zona e regione alpina. Sembra di essere fra le nostre Alpi lombarde o piemontesi. Tutte queste rocce sono da questo lato ricoperte dal ter- ziario medio, in taluni punti lignitifero, che dopo essersi steso come lenzuolo direttamente sui graniti di Sellia, si porta più a Sud sulla sinistra del Simeri fino presso alla fontana detta dei Vivere fra Zagarise e Soveria Simeri. Da Magisano ad Albi abbiamo altresì gli schisti verdi do- lutici e talcosi, passanti gradatamente ai gneissici, ai gneis, ai graniti, che si manifestano ancora nelle vicinanze di Taverna sulla sinistra dell’ Alli. A questi schisti altri ne succedono bian- chicci e micacei, che si possono facilmente separare in lamine sottilissime, ma di nessuna consistenza. Formano questi gli alti dossi, che s’ incontrano da Magisano ad Albi, e ricoprono le rocce compatte sottostanti da Albi a Taverna, e da qui a Santo Janni. Una sezione in queste località darebbe : micaschisti bianchi, ric- chissimi di mica argentina ; schisti cloritici ; schisti antracitiferi che cogli ultimi s’ alternano ; gneis e graniti. Scendendo da Albi per rapidissimo e pericoloso sentiero a Santo Janni (600 metri), si cammina sempre sopra graniti di Sellia. Gli schisti hanno un’ inclinazione oscillante fra Ovest, N.O. — 361 — e Nord, colla direzione pur varia, predominando però quella da Nord a Sud. Si spingono a Taverna (521 metri), ove vengono attraversati dal solito granito di Sellia, che manifestasi in tutta la sua potenza nella parte alta, dove sono le ultime case di quella borgata, rinchiusa in un cerchio di monti e centro d’ escur- sioni alla Sila. Si trovano assieme al gneis oscuro, dirizzati quasi perpendicolarmente colla direzione da N.N.E. a S.S.O. Si met- tono sopra i micaschisti alternanti coi talcoschisti, che conser- vano le stesse condizioni stratigrafiche del gneis sottostante e colla quasi costante inclinazione ad Ovest. Procedendo verso il Torrazzo, il granito continua ancora per mezzo chilometro circa, ma poi prendono dominio assoluto i micaschisti bianchi, ricchi di mica argentina, sui quali alla destra del sentiero, che con- duce alla Sila si dispiega una superba vegetazione di castagni. Mostransi fra questi schisti vene di quarzo talvolta bianco, più spesso grigio-rossastro in veri straterelli, e prima di fare la di- scesa all’ acqua di Calcarella manifestasi ancora qualche raro filone di gneis granitico. Nella contrada di Calcarella si cam- mina sempre sopra schisti ricchissimi di noduli e vene di quarzo che abbondano in tutte le formazioni schistose della Sila. Il sentiero attraversa qui una zona di calcare cristallino, rasso- migliante molto al triassico delle Alpi dei Grigioni nella Svizzera. È un marmo bianco, con qualche cristallino di pirite, in bellezza quasi eguale a quello di Carrara ed incassato fra gli schisti. Conserva la sua bella grana fina e la sua candidezza procedendo verso N.O. nel centro della Sila, ma diviene venato e con tinta tendente all’ az- zurrognolo quando da qui si dirige ad Albi, passa ad oriente di Ma- gisano e per sopra Zagarise verso la così detta Calcara Bonanno scende fino alla fontana dei Vivere, dove finisce questa forma- zione con uno strato di calcite azzurrognola inclinato a N.O. e diretto da Est ad Ovest, che raggiunge il limite del terziario. Questa formazione calcare, che in media ha la potenza dai 4 ai 5 metri, discende da Albi a Vincolise e da qui a San Pietro, attraversando la strada che da Magisano mette ad Albi. È però più compatto dell’ altro, a grana più minuta, di tinta bianco- sporca con vene alquanto oscure e talvolta verdognole. Contiene la pirite di ferro in pentagoni dodecaedri, più abbondantemente di quello della Calcarella, e certi noduli verdi-chiari e verdi- 24 — 362 - oscuri, che a bella prima sembrano di talco, ma non sono tali, perchè fusibili, e perchè fusi con soluzione di cobalto si tin- gono in azzurro. È un silicato d’ allumina e probabilmente que- sta sostanza s’attacca alla maltacite. Riposa questo calcare sopra gli schisti verdi, ed ha il suo massimo sviluppo fra San Pietro e Yincolise. Viene adoperato come pietra da costruzione e som- ministra inoltre una calce eccellente. Non ho potuto seguire a lungo questo calcare nella Sila per poter vedere la sua continuazione, ma non credo seguiti molto, ed in ogni modo non possiamo supporlo congiunto colle masse calcari che si trovano alle pendici occidentali della Sila, perchè di natura affatto diversa.’ Se da Catanzaro procediamo verso Taverna sullo spartiacque delle due Fiumarelle, sul quale corre la strada che per Pentone (708 metri) e Taverna conduce alla Sila, troviamo distesi gli schisti cristallini neri, e gli schisti fìlladici, che compariscono in particolar modo nel fondo della maggior parte dei burroni late- rali. La diorite porfirica oltre Pontegrande sparisce intieramente ricoperta da essi : succedono a questi schisti altri ricchi di talco, quindi untuosi al tatto, e che contengono numerosi arnioni di quarzo. Su queste formazioni schistose ad oriente del sentiero si trova a Galamione (482 metri) una massa calcare cretacea, ana- loga a quella che vedremo al monte di Tiriolo ; assieme a que- sta ed all’altra analoga di Pargolacci (511 metri) fra Crichi e Sellia, si trova questa massa formare una linea retta. Finalmente ad un’ ora da Pontegrande comparisce la grande massa dioritica che forma d’ ora in poi fino oltre Pentone P in- tiero spartiacque fra P Alli ed il Corace. La massa generale di tinta chiara, raramente grigia, attraversata da filoni e vene più oscuri, ben facilmente si potrebbe prendere per un granito, se non si facesse una semplice analisi qualitativa, che designa la nostra roccia per una vera diorite. Il quarzo non manca asso- lutamente, ma non è mai in tal quantità quale si richiede per un granito: manca invece assolutamente l’ortose. Nella massa di questa roccia, che chiameremo, diorite micacea, si trovano altre varietà notevoli pei minerali che contengono. Una varietà assieme all’ oligoclasio contiene un po’ di quarzo e due sorta di minerali micacei : P una, che sembra 'primitiva, è fresca, - 363 — nera o bruno-nera, forse biotite ; V altra, forse clorite. sembra es- sersi prodotta da una decomposizione d’ amfibolo, che raramente in questa roccia si trova in prismi nettamente conservati. Una seconda varietà, che si trova come in grosse amigdale fra la massa, contiene una grande quantità di mica nera, una parte della quale almeno potrebbe essere stata prodotta dall’ amfibolo, del quale si riconoscono ancora alcune traccie, non per anco tra- sformate in mica, oltreché si trovano, benché raramente, bellis- simi cristalli intieri dello stesso amfibolo. Piccoli grani gialli assai numerosi sono disseminati nella roccia, ma non potrei per ora stabilire se questi sieno di quarzo o di altro minerale, forse titanite. Alcuni filoni comprendono V amfibolo ancora più fresco dei precedenti. I filoni oscuri sono pure dioritici. Per scendere al burrone della valle dei Molini presso Santa Maria del Termine, filoni di diorite verdognola, a grana molto fina, assai rassomigliante alla porfirica, ma sempre micacea, attraversano la massa generale sulla quale si mettono i gneis, che attraversati da filoni di granito e ricoperti da schisti mica- cei grigi e ferruginosi passano sotto Pentone, e vanno oltre a congiungersi coi già mentovati a Nord e N.E. {Continua.) IL Il Monte Amicita, nota di B. Lotti. (Continuazione e fine. — Vedi num. 7-8.) Bocce sedimentarie e giacimenti metaniferi associati. — Le rocce di sedimento che formano la massa di base e le appen- dici del Monte Amiata, non offrono molte varietà e cronologi- camente sono repartite fra i due periodi geologici eocenico e cretaceo, quando vogliasi fare astrazione dai terreni pliocenici, che lo recingono da ogni lato. I sedimenti eocenici sono spe- cialmente distribuiti nella parte orientale del gruppo e sosten- gono perciò quasi esclusivamente la cupola trachitica ; quelli cretacei invece presentano il loro massimo sviluppo nella sua parte occidentale e principalmente in quella serie d’ elevazioni — 364 — che dal Monte Labbro dirigesi verso N. 0., comprendente i poggi del Buceto, dell’Aquilaja ed altri, tutti elevati al di sopra dei 1000 metri e col loro fianco occidentale quasi a picco sulla sot- tostante regione montuosa, ma relativamente depressa, ove tra- scorrono i torrenti Trasubbie e Melacce tributari dell’ Ombrone, come fu già detto più sopra. Supponendo asportata la cupola trachitica, il punto più ele- vato della montagna sarebbe rappresentato dal vertice del Monte Labbro, e possiamo intanto fissare un primo dato per la storia di questo vulcano, cioè che l1 eruzione non ebbe luogo sopra un punto culminante di questo gruppo montuoso, ma sopra il suo fianco orientale. Il pliocene stendesi alla base del Monte Amiata e raggiunge la sua massima elevazione di oltre 800 metri dalla parte di le- vante, nel monte di Badicofani, mentrechè a tramontana e a po- nente vari lembi isolati non oltrepassano i 400 metri. Nè puossi ragionevolmente ritenere che in maggior grado siasi qui eser- citata T erosione, poiché in tal caso, oltreché dovrebbersi rinve- nire residui di pliocene in molte località ove non ve n’ è traccia di sorta, quelli che pur si osservano dovrebbero presentare i caratteri di sedimenti d’ alto fondo, ciò che non si verifica affatto. Dappertutto ove m’ imbattei nel pliocene nei dintorni del Monte Amiata non mi fu possibile di rinvenire, nei frequenti conglome- rati da cui risulta costituito, un sol ciottolo di trachite ; fatto che già aveva notato il De Stefani in diversi altri punti della montagna. Gli strati eocenici sono costituiti in gran parte da arenarie, schisti arenaceo -micacei, calcari alberesi, schisti calcarei, schisti argillosi volgarmente galestri, calcari frammentario-spatici e pud- dinghe con nummuliti. Ad eccezione degli strati nummulitiferi, che trovatisi costantemente alla base delle altre formazioni ac- cennate, non può asserirsi che queste occupino una posizione de- terminata nella serie. Anche la trachite sovrapporsi indifferen- temente a rocce di natura diversa ; così presso Seggiano essa riposa su calcari schistosi ; più sopra presso la Ferriera sui ga- lestri ; presso Arcidosso sopra schisti arenacei ; presso Santa Fiora sopra arenarie grigio-azzurre ; presso Pian Castagnaio e al Vivo sui calcari alberesi. — 365 — Il calcare nummulitico è oltremodo sviluppato nei dintorni del Monte Amiata. Esso comparisce primieramente presso il suo piede settentrionale nel Monte della Yelona, in prossimità della stazione ferroviaria ; viene citato inoltre dal Caillaux (. Lettera al signor G. Bianconi. Ann. di Se. n&t. di Bologna, 1830) presso Castel- lazzara in quella linea di colline che staccasi in direzione N.-S. dal piede meridionale della montagna ; raggiunge però il mas- simo sviluppo nel Monte Labbro e nei dintorni. Questo monte, spolto affatto di vegetazione, è intieramente costituito da calcare’ nummulitico, come da calcare nummulitico è quasi per intiero costituito il crinale e la parte più elevata della pendice orien- tale di tutta quella serie di poggi più volte rammentata. Le nummuliti sono assai grandi, talune di oltre un centimetro di diametro, e sono accompagnate da altre foraminifere e da arti- coli di ennoidi. Non è facile giudicare della potenza di questa formazione, ma deve certamente ascendere a molte diecine di metii. Nella sua parte inferiore i calcari alternano con schisti argillosi rossastii pieni di bellissime fucoidi e con calcari grigi compatti a frattura concoide con selce. I iesso \ allerona, sulla sinistra del fosso omonimo, in mezzo a strati di alberese e galestro eocenici compariscono in un’area 1 istiettissima rocce ofioliticbe costituite prevalentemente da eu- fotide e serpentina diallaggica con masserelle steatitose, rifiori- ture di carbonato di rame e pirite di ferro che accennano alla esistenza di una vena metallifera, ed hanno perciò dato luogo a dei piccoli lavori di ricerca. È degna di nota in questo giacimento la presenza dell’ oligisto, avvertita per la prima volta dal Me- neghini nelle serpentine di Monte Ruffoli (Meneghini, BelV olir gisto nei giacimenti ofiolitici di Toscana. Pisa, 1860). Esso tro- vasi in lamelle minutissime, disseminate e talvolta raggruppate insieme in una matrice mista di calcite e di steatite. Pochi chi- lometri più oltre verso levante, presso la Triana, ricompariscono queste rocce nelle stesse condizioni. Tali giacimenti ofiolitici si osservano in vari altri punti del Monte Amiata e sempre in ter- reni eocenici, come ad esempio, nella parte più alta della valle della Redola a Nord, e presso Pian Castagnaio, ove le lamine lucenti del diallaggio fecero credere alla presenza dell’argento, tantoché il luogo prese nome di Vena dell ’ argento ; un giaci- - 366 - mento serpentinoso, del quale io non potei constatare l’esistenza viene inoltre indicato dal Giuli, nella sua carta litologica della Toscana, sotto Stribugliano a ponente. Di tal guisa, può dirsi che le rocce serpentinose sono disposte approssimativamente so- pra una circonferenza intorno alla mostra montagna. Alle rocce eoceniche son pure associate le celebri miniere di mercurio della valle del Siele e di altre prossime località del Monte Amiata più sopra ricordate ; su tali giacimenti però non mi è dato d’ aggiungere altro che sono straordinariamente pro- duttivi ed i più ricchi che vanti T Italia. Presso Selvena lungo il torrente Canala il cinabro è accompagnato nell’ interno di po- tenti masse di quarzo, dalla stibina e come dipendenza di questa viene citata una solfatara esistente in prossimità. I terreni sottostanti alla formazione nummulitica, ritenuti perciò come cretacei, sono costituiti da calcari grigio-chiari zeppi di foraminifere microscopiche, schisti e calcari rossi molto argillosi. Come fu già detto, questo terreno raggiunge il suo massimo sviluppo nella parte occidentale del Monte Amiata, com- parisce però eziandio a mezzogiorno sotto il Monte Labbro, presso Cellena e a Castellazzara. Le pendici S.O. dei poggi di Buceto, del Madonnino, della Faggia, dell’ Aquilaja ed altri che sovrastano a Vallerona e a Stribugliano, son tagliate vertical- mente o presentano le testate degli strati cretacei, nei quali notasi dall’ alto al basso la seguente serie : calcare nummulitico che forma il crinale di quelle alture ; schisti rossastri con fu- coidi alternanti con calcari grigio- chiari con selce e con forami- nifere indeterminabili ; schisti rossi argillosi con calcari rossi pure argillosi, cui succede in basso una potentissima formazione di schisti rossi in parte galestrini manganesiferi, in parte fta- nitici o diasprini. Il minerale di manganese comparisce in questa formazione tanto nel lato orientale di questi monti, come a Terra rossa, quanto nel lato occidentale presso Stribugliano. A Terra rossa, ove se ne fa la escavazione, può osservarsi, nelle trincee aperte a tal uopo, la sua disposizione in fìloncelli len- ticolari aventi la stessa direzione e inclinazione degli schisti fra i quali stanno racchiusi. La presenza del manganese negli schisti rossi cretacei è un fatto che verificasi generalmente in Toscana, come ad esempio, a Gerfalco presso l’ Avveduta e nel fosso Ri- 367 — 368 - maggio ; a Montieri poco sopra il paese ; a Prata lungo la via provinciale ; a Campiglia e all’ Isola dell’ Elba. Associato all’ os- sido di manganese, tanto a Terra rossa, quanto a Stribugliano, trovasi un minerale di rame di singolare apparenza, che è quello stesso di cui fa menzione il Fabbroni. Esso consiste in masse- llile sottilmente stratificate, compatte, d’ una sostanza nera co- stituita prevalentemente da un solfuro di rame, forse un fahlerz, accompagnato da una gran quantità di rame nativo e compene- trato di carbonato verde formato evidentemente in conseguenza di una decomposizione avvenuta framezzo alle esilissime lamine stratiformi del minerale. Disgraziatamente non potei osservare in posto questo curioso minerale nè è a mia notizia che siasi rinvenuto presso Terra rossa cogli attuali lavori per T escava- zione del manganese e soltanto me ne fu offerto dal signor Ri- gacci di Stribugliano un frammento proveniente da quei pressi. Una sezione condotta da Stribugliano verso Arcidosso, nor- male presso a poco alla direzione generale degli strati, che è da nord a sud, presentasi come nella fìg. 1. La mancanza di rocce più antiche della creta o, per dir me- glio, il trovarsi queste ricoperte dai successivi sedimenti supe- riori fino ai cretacei ed eocenici, mi sembra essere una ragione sufficiente per riferire il gruppo del Monte Amiata al sistema apenninico e non a quello della Catena metallifera. La pre- senza del nummulitico sulle cime più elevate di esso e la suc- cessione in basso degli strati cretacei, dice infatti chiaramente, che tutta la massa sedimentaria del Monte Amiata, si trovava tut- tora sommersa sul principio del periodo eocenico, come lo era eziandio durante il periodo anteriore. Dopo o durante il periodo eocenico partecipò al sollevamento delTApennino, come vi avranno partecipato pure i monti della Catena metallifera, i quali però a dif- ferenza di questo preesistevano a quel sollevamento e soltanto rag- giunsero con esso una maggiore elevazione. Il trovarsi poi il plio- cene discordante sui lati di questo gruppo ad un’ altezza di circa 800 metri dal lato orientale, e alquanto minore dal lato occiden- tale, indica manifestamente che nel periodo pliocenico subì un abbassamento considerevole fino a ritornare nella massima parte in seno alle acque, dalle quali riemerse dopo il pliocene per raggiungere quella elevazione che attualmente conserva. È inu- — 369 — tile il dire che il fatto di un potente sollevamento postpliocenico che qui forse raggiunse il suo massimo, verificasi dappertutto nell’ Italia centrale, come verificasi P altro, meno conosciuto, ma non meno evidente, di un notevole abbassamento pliocenico. Bocce eruttive e sorgenti termo-minerali. — Intendo escluse da questa categoria di rocce le ofioliti le quali, sebbene non sia pie- namente dimostrato doversi ritenere come sedimentarie, pure per la costante loro associazione a terreni di un’ epoca determinata, e per la maniera con cui vi si trovano racchiuse, sono da con- siderarsi come strettamente collegate ad essi, alla stessa guisa dei filoni metalliferi, piuttostochè intruse attraverso formazioni differenti e riversate alla superficie, come le rocce vulcaniche. Per questa ragione appunto ne fu fatto un breve cenno più so- pra trattando delle rocce sedimentarie eoceniche. Le sole vere e proprie rocce eruttive del Monte Amiata sono quindi le trachiti le quali, come fu già notato, costituiscono una enorme massa conica sovrapposta a guisa di cappello alle rocce sedimentarie e sulle quali non compariscono tracce o residui di terreni depositativisi posteriormente alla sua formazione. Non credo affatto inutile il riportare qui il profilo del Monte Amiata quale si presenta veduto da Siena. 1. Trachite. — 2. Doleriti peridotifere di Radicofani. — 3. Pliocene. 4. Roccie eoceniche. — 5. Roccie cretacee. Dalla base presso a poco circolare della cupola trachitica avente una superficie di circa 130 chilometri quadri, staccatosi alcuni lembi trachitici allungati, come ad esempio, presso il Vivo, — 370 — Seggiano e Santa Fiora, i quali rammentano le correnti laviche nei vulcani attuali. Nel complesso la massa trachitica presen- tasi alla superficie come un cumulo gigantesco di smisurati bloc- chi più o meno arrotondati, e soltanto sui punti culminanti e nelle balze, ove la roccia mostrasi a nudo, osservasi in essa una grossolana divisione prismatica. Presso Santa Fiora e, credo, in altri luoghi è degna di nota nella trachite la struttura strati- forme, la quale non è da confondersi colla divisione prismatica propria delle rocce di natura vulcanica. Questa disposizione non è esclusiva delle tracliiti dell’ Annata, ma ripetesi con maggiore evidenza e con più lato sviluppo nel gruppo trachitico di Rocca- strada e specialmente presso Sassofortino e Torniella. Trattasi di veri e propri strati di spessore variabile, ma costante per ognuno di essi, ripiegati e contorti ajla stessa guisa degli strati sedimentari. Non saprei spiegarmi questa singolare disposizione che pare non abbia riscontro nelle formazioni vulcaniche attuali e che probabilmente troverà la sua ragione d’ essere nelle stesse condizioni speciali che presiedettero alla origine e alla emis- sione di rocce che sebbene offrano molta analogia colle lave at- tuali, pure se ne discostano talmente da far supporre che la loro uscita avvenisse in circostanze alquanto diverse. Ciò che vi ha di certo si è che non possono affatto ritenersi tali strati come . formazioni tufacee dovute al rimestamento di detriti vulcanici per mezzo delle acque, perchè la struttura della trachite strati - forme, la sua composizione e la disposizione relativa degli ele- menti in nulla differiscono dalla struttura, composizione e dispo- sizione degli elementi nella trachite massiccia. La trachite del Monte Amiata non presenta numerose e no- tevoli varietà. La più frequente è una trachite a piccoli ele- menti, ruvida al tatto, detta dal vom Rath riolitica, costituita da una pasta feldspatica grigio-chiara apparentemente amorfa e alquanto bollosa, in cui stanno disseminati piccoli cristalli di sanidina, oligoclasio, mica nera, grani di una sostanza vetrosa grigia e rari, ma perfetti, cristallini d’ augite verde, alcuni dei quali della lunghezza di circa due millimetri, su cui stanno piantati piccoli ottaedri di magnetite. Questa varietà può dirsi costituire la massa principale del monte, ma predomina presso la base della formazione trachitica. Un’ altra varietà assai svi- — 371 luppata e dalla quale è quasi esclusivamente formata la parte occidentale della montagna fin presso la cima, è una trachite porfiroide simile alla precedente ma di color grigio e con grossi cristalli di sanidina distribuitivi porfiricamente : vi abbonda, al- meno in alcuni campioni, V augite che si aggruppa talvolta in dati punti. I cristalli di sanidina non mostrano di possedere un prevalente orientamento e sono ordinariamente geminati. Puossi osservare nel loro interno la mica, V augite e i soliti granelli vetrosi che trovansi nella pasta. Lungo quasi tutta la strada che da Arcidosso conduce sulla cima della montagna, raccol- gonsi in copia tali cristalli, talvolta perfettissimi, dappoiché re- stano isolati sul suolo in seguito al disfacimento della roccia che li conteneva. Presso il vertice dell’ Amiata predomina una trachite a pasta di colore rossiccio con bianchi cristalli di sani- dina ; trattasi probabilmente della stessa trachite porfiroide pre- cedentemente accennata, in cui il feldspato e la mica della pasta, per una causa qualunque, acquistarono una tinta rossastra come la pozzolana. È degno di esser notato, come presso Pian Castagnajo tro- vinsi nella trachite tracce di cinabro, fatto che ci autorizza a stabilire che la formazione di questo minerale nel Monte Amiata è posteriore a quello della trachite. Se ne possono osservare esemplari nel Museo mineralogico di Massa Marittima.1 Queste varietà di trachite, cui forse dovrassi aggiungerne altre, non sono riunite in masse distinte, tantoché possano ri- guardarsi come correnti diverse dovute ad eruzioni successive, ma formano piuttosto delle lenti per entro la trachite ordina- ria ; fatto che può osservarsi colla massima evidenza in una cava di pietre presso il nuovo lanificio d’ Arcidosso. Altre varietà di trachite, specialmente cellulosa o scoriacea, son citate da alcuni autori nel Monte Amiata : io però non po- tei osservare queste forme in grandi masse e in posto, ma sem- pre in frammenti arrotondati ravvolti nelle altre varietà trachi- tiche predominanti e conosciuti sotto la denominazione volgare di anime eli sasso delle quali ci faremo brevemente a parlare. La presenza di frammenti estranei nelle rocce eruttive o cri- 1 In questo stesso Museo può osservarsi il cinabro in esemplari di un tra- vertino postpliocenico dei dintorni di Capalbio. — 372 stalline in generale è un fatto notissimo che verificasi in molte località. Si citano, ad esempio, tali inclusi nei graniti dell’ Ada- mello, di Cima d’ Asta e dell’ Isola del Giglio, nelle lave del Vesuvio e del Somma e, se non erro, anche nei leucitofìri del Lazio. Nel Monte Amiata il fenomeno raggiunge un tal grado di generalità, che può dirsi non esservi un blocco di benché me- diocri dimensioni il quale non racchiuda un frammento di roccia estranea. I più frequenti tra questi inclusi sono frammenti rotondeg- gianti di rocce eruttive cellulose molto più scure della trachite ove stanno impastate e frammenti talora discoidali, talora an- golosi di una roccia nera costituita per intiero o in parte sol- tanto di grafite compatta. Non mancano inoltre più rari fram- menti angolosi di basalto compatto, afanitico, nero che a prima giunta potrebbersi credere staccati da una formazione argillosa silicizzata. Ordinariamente gli inclusi della prima categoria hanno una forma ellissoidale, se non oltrepassano una grossezza di 20 centimetri di diametro, al disopra di questa misura sono semplicemente arrotondati agli angoli. Il loro diametro massimo varia da circa due centimetri a più che 60 ; quelli grafitiferi non oltrepassano i 15 centimetri. Questi son più frequenti verso la base della massa trachitica, mentre i primi dominano dapper- tutto fino alla sommità. Stimo opportuno riportare qui il resultato di quelle poche ricerche che mi fu possibile eseguire sui singoli esemplari rac- colti e per le quali fui validamente coadiuvato dall’ egregio si- gnor D. Bizzarri assistente al professore di chimica nella Uni- versità di Siena. Sarebbe stato mio vivo desiderio di fare uno studio micropetrografico di tali rocce, ma pur troppo, oltreché la pratica necessaria, mancavanmi a tàl uopo gli indispensabili apparecchi. Ecco frattanto la nota dei più importanti campioni esaminati : Trachite ordinaria con frammento incluso ellissoidale costi- tuito di feldspato bianco, granelli di grafite e mica nera. La trachite al suo contatto è filamentosa come la pomice e tale è pure ove ravvolge i cristalli più voluminosi di sanidina. Trachite come la precedente con frammento costituito dagli stessi elementi della massa che lo involge, con prevalenza però 373 — di mica nera e poca grafite. Intorno al frammento ed ai più grossi cristalli di sanidina la pasta feldspatica della trachite di- viene filamentosa e di un color rosso aranciato. Incluso come il precedente nella cui massa sono disseminate particelle tenuissime di ossido di ferro di un rosso talmente acceso che può scambiarsi con quello del cinabro. Trachite con incluso discoidale costituito superficialmente di grafite compatta e nell’ interno di mica, feldspato bianco e par- ticelle disseminate di grafite. La grafite superficiale bruciata in una .corrente d’ ossigeno, dopo essere stata disseccata, perdeva circa il 30 °/0 del suo peso. Incluso sferoidale celluloso di pasta grigio-cupa costituita da feldspato, mica prevalente e augite in minutissimi cristalli fra i quali alcuni più rari assai grandi. Le cellule sono allungate in varie direzioni, e il loro diametro maggiore raramente oltrepassa un centimetro. Alcune più grandi sono ripiene completamente di sanidina giallastra cristallizzata, altre da un silicato bianco di lucentezza perlacea, fusibilissimo, certamente una zeolite. Alcune celle non sono riempite per intiero ma soltanto rivestite di un intonaco della stessa sostanza. Le celle vuote son tappezzate da cristallini aciculari verdastri o bianchi di una sostanza che dà una forte reazione di fosforo : son forse d’ apatite. La superficie del frammento è ricoperta da sfilacciature feldspatiche che ac- cennano evidentemente ad uno stato pastoso o fluido, in cui si trovava la trachite allorquando vi rimase impastato il fram- mento ; tali sfilacciature non sono però completamente vetrificate e possono vedersi, nell’interno di esse, cristallini feldspatici e mica la quale, in più grosse lamine, trovasi pure impiantata e ravvolta in quella materia pumicosa. A contatto della trachite l’ incluso non mostra d’ aver sofferto alcuna alterazione. Incluso avente la forma di un perfetto ellissoide a tre assi, simile al precedente ma di pasta più chiara per contenere una maggior dose di feldspato. Le sue cellule son tutte ripiene di un silicato bianco e talvolta di feldspato e mica nera ; si ha quindi una vera roccia amigdaloide. In alcune cellule osservansi i soliti cristallini bianchi aciculari, probabilmente d’ apatite. Frequenti cristalli della lunghezza di circa un centimetro d’au- gite verde sono distribuiti porfiricamente nella massa. — 374 — Frammento arrotondato di color violetto-cupo, incluso nella trackite ordinaria, costituito di mica e feldspato rossiccio in mi- nuti cristalli. La roccia è perfettamente amigdaloide e alla su- perficie di contatto colla trachite vedesi quest’ ultima ridotta per un piccolo spessore in una sostanza petroselciosa uniforme. Frammento racchiuso nella trachite rossastra bollosa della cima dell’ Annata, nel quale vedonsi distintamente i cristalli d’ augite alcuni dei quali assai grandi, mica rosso-bruna e un feldspato rossiccio. Apparentemente non è cellulosa, ma sotto la lente scorgonsi minute bollosità nel feldspato. Anche qui al con- tatto vedesi il feldspato ridotto in una pasta petroselciosa. Incluso celluloso, amigdaloide, di color cenerino costituito da un impasto di mica, feldspato e cristalli assai grandi d’ augite. Alcune delle maggiori celle sono ripiene completamente di sani- dina rossastra, altre da un feldspato bianco con laminette di mica nera. Incluso doleritico nero minutamente celluloso, non amigda- loide, ruvido al tatto, di apparenza pumicea ; lascia vedere però i suoi componenti cristallizzati, augite, feldspato e biotite. Il suo contenuto in silice è soltanto 46,47 Yo-1 Piccolo frammento irregolare schistoso che ha l’ apparenza di avere appartenuto in origine ad uno schisto argilloso. Al can- nello fonde in vetro verde-scuro. Incluso di forma irregolare della grossezza d’ un uovo, nero, compattissimo, a fattura concoidale, che a prima vista potrebbe scambiarsi con un calcare alberese molto argilloso. Fonde esso pure al cannello in vetro verde scuro e può ritenersi come un frammento di afanite basaltica. Al microscopio vi si osservano granuli giallo-chiari che potrebbero essere d’ olivina. Incluso di afanite basaltica compatta, più grande del prece- dente, e alquanto più granuloso. Incluso celluloso amigdaloide, grigio-verdastro con cristalli di sanidina anneriti, alcuni dei quali sono parzialmente vetrifi- cati e resi porosi come la pomice. Cristalli perfetti di mica nera sono ravvolti e impastati negli stracci pumicei ; grossi cristalli d’ augite verde sono sparsi nella massa costituita prevalente- 1 Questa determinazione la devo per intiero al prelodato signor D. Bizzarri. — 375 — mente di mica e feldspato. Le più grandi cavità amigdalari sono ripiene di sanidina cristallizzata, annerita, vetrificata presso i bordi e nell’ interno compenetrata d’ ossido di ferro. Questo frammento presenta in un grado maggiore degli altri i fenomeni di fusione ignea. Incluso ellissoidale avente il maggior diametro di non più che due centimetri, di color verdastro e con una sola cellula vuota. La trachite all’ intorno è soltanto leggermente bollosa ed appartiene alla varietà porfiroide. Frammento di retinite giallo-bruna incluso nella trachite, nel quale, insieme ad una sostanza feldspatica bollosa, stanno impiantati cristalli di circa 6 millimetri di lunghezza e 2 di lar- ghezza di un minerale giallo-verdastro sbiadito di lucentezza vitrea. Tali cristalli presentano distintamente le forme monocline con prevalenza delle prime e seconde facce laterali e di quelle d’ un prisma obliquo anteriore e d’ un prisma orizzontale. Dif- ficilmente fusibile, al cannello si imbianca. È inattaccabile dal- 1’ acido cloridrico anche a caldo. La poca quantità di tal mine- rale m’ impedì di fare su esso ulteriori investigazioni. Nel complesso gli inclusi cellulosi della trachite del Monte Amiata presentano una certa analogia colle doleriti peridotifere del vicino Radicofani e soltanto ne differiscono per la mancanza nei primi e 1’ abbondanza nelle seconde dell’ olivina, non che per la presenza in quest’ ultime di nuclei di quarzo un poco vio- letto di forme cristalline indistinte. Anche la trachite di Roccastrada, circa 30 chilometri a N.O., si assomiglia a quella dell’ Amiata presentando aneli’ essa una pasta amorfa alquanto bollosa; ne differisce però inquantochè contiene quarzo e cordierite e non contiene augite ed inclusi di rocce di natura diversa. Nei pochi punti ove potei osservare il contatto fra la tra- chite e le rocce sedimentarie non mi fu dato di notare altera- zioni di sorta. Se qualche modificazione fu indotta dal magma eruttivo nelle rocce che incontrava, come lo attestano vari au- tori, questa fu senza dubbio leggerissima. Sono intimamente collegati alle trachiti per posizione e fors’ anche per origine i giacimenti delle terre bolari e quelli della così detta farina fossile. Molto è stato scritto su tali prò- — 376 — dotti del Monte Amiata interessantissimi sia dal lato scientifico come dal lato industriale, per cui mi limito a poche osserva- zioni generali. Le terre bolari che in copia notevole s’ incontrano soltanto a Castel del Piano, ad Arcidosso e a Pian Castagnajo, ma che in piccola quantità si ritrovano, può dirsi quasi dappertutto sulla trachite, hanno la loro sede in quei punti ove la massa trachitica forma delle depressioni o terrazzature nelle quali po- terono raccogliersi in maggior copia le acque ferruginose ope- randovi il deposito. Il giacimento delle Mazzarelle sotto Castel del Piano è il più rilevante e il solo, credo, che sia di presente attivamente escavato. Presso di esso, nelle alte scarpate delle trincee d’ una strada in costruzione per Monte Giovi, vedonsi grossi frammenti di trachite cementati da un sottile detrito trachitico misto ad ossido di ferro che si concentra più qua e più là in nidi e in letti di vere e proprie terre bolari e special- mente di terra d’ ombra. La configurazione del terreno, ove tro- vasi questo giacimento, è la più atta a risvegliare P idea di un bacino nel quale potevano raccogliersi e depositare acque fer- ruginose. Presso Arcidosso in prossimità del lanificio, ad un li- vello molto più elevato di quello del deposito delle Mazzerelle ne esiste, sempre sulla trachite, un altro posto sopra un ripiano del monte conformato in bacino come il precedente, ma assai più ristretto. Il bolo sembra essersi deposto sopra vegetali; è leggerissimo e contiene concrezioni e geodi di pura limonite. I suoi strati orizzontali sono ricoperti da strati pure orizzontali di detrito trachitico. Ancora più in alto a circa 900 metri sa- lendo la montagna scuopronsi piccoli giacimenti di terre colorate, specialmente in quei punti ove il terreno spianeggia, il qual fatto dimostra che poterono scaturire sorgenti ferruginose anche da punti elevatissimi. Non vi ha dubbio alcuno che tali depositi debbansi riferire ad un’ epoca relativamente recentissima e forse ad un antico periodo dell’ epoca antropozoica, come lo prove- rebbero certe frecce in pietra che, sembra, vi siano state rinve- nute dai paesani. Nelle identiche condizioni di giacitura dei depositi delle terre bolari trovansi i depositi della farina fossile, sostanza candida, leggerissima, costituita esclusivamente da spoglie silicee di dia- — 377 — tomee. Contiene circa 80 % di silice, 8 °/0 d’ allumina e ossido di ferro, 12 % d’acqua. Uno di tali giacimenti trovasi presso la pubblica fonte di Castel del Piano superiore e sufficiente- mente distante da quello delle terre bolari perchè ne apparisca chiara la loro reciproca indipendenza; 1’ altro presso Santa Fiora. Non è difficile che esista un’intima relazione fra questi de- positi silicei e quelle incrostazioni stalattitiche perliformi deno- minate perle di Santa Fiora o fioriti che osservansi nelle frat- ture o nelle cavità della trachi te in vari punti della montagna e in special modo presso le sorgenti della Verna. Non vi è dubbio infatti che queste siano un prodotto di acque silicifere termali, e tale pure deve esser 1’ origine della farina fossile, se riflettesi che anche nell’ attualità si hanno esempi di depositi consimili. Nelle provincie d’Atacama e di Valparaiso nel Chili esistono, ad esempio, vasti depositi di tripoli intieramente formato da spoglie d’ infusorii in prossimità di sorgenti termali silicifere la cui acqua a 62° produce un sedimento siliceo gelatinoso (Bom- bicci, Corso di mineralogia , voi. II, pag. 649). Altro fenomeno, che può avere qualche rapporto colla causa che dette origine alle trachiti e che forse devesi considerare come un residuo di una passata vulcanica attività, è offerto dalle innumerevoli sorgenti termo-minerali disseminate dappertutto sul Monte Amiata, e specialmente presso la base della massa tra- chitica. La più celebre di tali scaturigini, e certamente la più notevole, è quella di San Filippo presso il piede orientale del monte. Le sue numerose polle con una temperatura di 43°, 75 sgorgano da una potente formazione di travertino cui esse stesse dettero origine. Da un’ analisi eseguita dal prof. A. Targioni- Tozzetti (1863) risulta per queste acque la seguente composi- zione : Acido carbonico 0,0967 Solfuro idrico 0,0212 Acido silicico 1,1269 Cloruro sodico 2,8373 Solfato di magnesia . . . 6,8712 Solfato di calce 2,4307 Solfato di soda 2,1691 Carbonato di calce. . . . 17,3414 23 — 378 Carbonato di stronziana . 0,2538 Allumina 0,4231 Protossido di ferro .... tracce Sostanze organiche . . . . 0,2538 Acqua 966,1748 Totale. . . 1000,0000 È troppo ben nota la potenza incrostante di queste acque termali non che le loro virtù terapeutiche, perchè io mi debba trattenere ulteriormente su tale argomento ; cito soltanto, come una dipendenza di queste sorgenti, varie zolfiere in prossimità e la presenza della celestina in una formazione gessosa presso le putizze delle Cannucciaie. A poca distanza presso il torrente Rondinaie scaturisce un’ acqua ferruginosa satura d’ acido carbonico detta V Acqua santa. Un’ altra sorgente acidulo sulfurea trovasi pure presso P Abbadia, ed un’altra ancora a poca distanza, sulfurea e fer- ruginosa, sopraccarica d’ acido carbonico detta P Acqua puzzola. Un poco più sopra presso la Madonnina del Castagno scaturisce V Acqua braca, meno acidula e meno ferruginosa della prece- dente. Alla base meridionale del monte in luogo detto Polle- raia vi è una scaturigine intermittente sulfureo-ferruginosa presso la quale odesi continuamente, anche quando non getta, il ru- more sotterraneo delle acque. A circa sei chilometri dal castello di Santa Fiora presso il fosso degli Ontani trovasi 1’ acqua pur- gativa delle Bagnole. È questa una sorgente ferruginoso-magne- siaca satura di acido carbonico efficacissima nelle malattie al fegato e alla milza, e perciò molto frequentata in estate dagli abitanti della maremma grossetana. Presso le Aiuole, fra Ar- cidosso e Santa Fiora, scaturisce dai calcari un’ acqua termale acidulo ferruginosa detta V Acqua forte, ed alla distanza di forse cento passi esistono varie altre polle fredde ove gorgoglia T acido carbonico. Alla base del Monte Labbro trovansi diverse sorgenti sulfureo-acidule che tutte si riuniscono nel fosso Zolferata, così chiamato per il suo fetore. Queste sorgenti sulfureo-termali più o meno cariche d’acido carbonico, cui altre molte meno conosciute o ignotè affatto sa- rebbero da aggiungersi, compariscono in un’ area relativamente — 379 — limitata e tanto strettamente collegate per posizione colla massa trachitica, che nasce spontaneo il sospetto che esse altro non rappresentino che le ultime manifestazioni di quell’ antica atti- vità vulcanica cui la trachite stessa dovette la sua origine; e ciò tanto maggiormente inquantochè le sorgenti del Monte Amiata sono ricchissime d’ acido carbonico, le cui emanazioni, come è ben noto, succedono alle conflagrazioni dei monti igni- vomi e rimangono lungo tempo dopo la totale loro estinzione ad attestarne la passata attività. Che il Monte Amiata sia stato un vulcano non può cader dubbio alcuno; già nel 1734 il Micheli ne intravide la sua vera natura. Però la parola vulcano deve prendersi in tal caso nel suo più amplio significato, poiché non si può ammettere certa- mente che la eruzione trachitica di questo monte avvenisse con tutte quelle manifestazioni tumultuose e violente, quali le esplo- sioni, le ejezioni di bombe, lapilli, ceneri ec. solite ad accom- pagnare, nella maggior parte dei casi, le conflagrazioni dei vul- cani attuali, dando al fenomeno quella impronta caratteristica di grandiosità e di terrore. Può aversi un vulcano -anche senza tali manifestazioni, che infine debbono riguardarsi come acces- sorie; il fenomeno sostanziale, quello che ha uno speciale inte- resse per la geologia, perchè è il risultato principale delle azioni endogene e perchè contribuisce ad accrescere le forma- zioni superficiali del globo, consiste nella elaborazione e nella successiva emissione dei materiali solidi, delle lave. Il Credner, nel suo trattato di geologia, distingue in proposito due sorta di vulcani, quelli omogenei e quelli stratificati : si hanno i primi allorquando la massa fluida si riversa dall’ orifizio vulcanico, e si ammassa alla superficie in forma di cupola o di mantello, accompagnata da una eruzione debole o nulla di materiali de- tritici e da lieve sviluppo di vapore acqueo: i secondi hanno luogo allorquando, oltre alla emissione delle lave avviene la eie- zione di materie mobili, bombe, lapilli e ceneri che dispongonsi a strati lungo le pendici del monte. Le eruzioni della prima categoria si combinano sovente con quelle dell’ altra, ed allora si hanno i vulcani misti. Lo stesso autore cita esempi anche nell’ attualità di tali maniere d’ eruzione. Santorino era un vul- cano stratificato di cui i bordi del cratere formavano le isole - 380 — di Thera, Therasia e Aspronisi; più tardi nel 1866 s’elevarono d’ un subito dal centro del cratere occupato dal mare le masse vulcaniche omogenee che presero nome di Kaimeni. Nel vulcano Astroni presso Napoli in mezzo a strati di tufo pumicoso s’ eleva un cono di trachi te sanidinica di più che 66 metri d’ altezza. Il Puy de Sarcou in Francia e la Roccamonfina offrono altri esempi di tal genere; il primo è un monte trachitico in forma di campana, uscito fuori da un cono di cenere; il secondo consta di due varietà di trachite, una leucitica e una sanidinica uscite da una formazione tufacea. La trachite sanidinica, che costi- tuisce il gruppo centrale del vulcano, non presenta varietà sco- riacee e nemmeno correnti di lava ben definite, ma è solo al- quanto porosa (G. vom Rath, Zeits. d. deut. geol. Gesélls., 1873). Il Monte Annata manca probabilmente di un vero e proprio cratere, poiché tale non credo potersi a buon dritto ritenere la Valle dell 5 Inferno, la quale se nella forma assomiglia molto ad un antico cratere, non presenta però la struttura degli apparati eruttivi, caratteristica specialmente per la formazione dei dicchi radiati. Non si osservano vere e proprie correnti laviche di dif- ferente natura, poiché quelle masse allungate che staccansi in forma di lingua dalla base della cupola trachitica in nulla dif- feriscono, nella loro composizione, da quella della massa trachi- tica stessa e non possono riguardarsi altrimenti che come ap- pendici di un medesimo espandimento. Le insignificanti varietà della trachite del Monte Andata non possono certamente invo- carsi come rappresentanti di colate distinte e come prodotti di diverse eruzioni, perchè non ne hanno affatto il carattere e for- mano, come fu detto più sopra, delle masse lenticolari, talvolta piccolissime, racchiuse nella varietà predominante. Due sorta di rocce eruttive del Monte Andata nondimeno non possono con- fondersi fra loro, ed è forza ritenerle dovute ad eruzioni distinte. Son queste la trachite ordinaria o quella roccia doleritica cel- lulosa molto micacea, da cui provengono nella massima parte le anime di sasso, e che, per quanto ne dicono vari autori, sem- brano esistere in massa in qualche parte della montagna. In tal caso il Monte Annata sarebbesi. formato coll’ accumulamento di due masse eruttive diverse; una anteriore, quella della trachite cellulosa ed una posteriore quella della trachite ordinaria. Io — 381 — penso quindi che il Monte Annata debbasi riferire ai vulcani omogenei di Credner e che in questa stessa categoria debbansi pure comprendere il vicino gruppo trachitico di Roccastrada, la cupola basaltica di Radicofani e forse tutte le altre formazioni trachitiche della Toscana. Anche la composizione chimica delle trachiti andatine si ac- corda perfettamente colle più moderne e più ragionate teorie sul vulcanismo. E indubitato ormai che T acqua sia uno dei più potenti fattori nelle manifestazioni vulcaniche, e che ad essa siano da attribuirsi tutti quei fenomeni che le rendono tanto imponenti. La maggiore o minore quantità d’ acqua, che prende parte al fenomeno, deve quindi influire grandemente sul carat- tere della eruzione, e perciò in grado minore o maggiore si ma- nifesteranno le esplosioni, le ejezioni di materie mobili, la pro- duzione delle ossidiane, delle scorie e delle pomici. Il Bombicci ( Corso di mineralogia , 2a Ediz., voi. I. Bologna 1873), onde spie- gare le differenze nel modo di manifestazione fra i graniti, le trachiti e le lave, ricorda come nelle rocce granitiche o feldi- spatico-quarzifere sia la silice che funziona da elemento di cri- stallizzazione, mentre che nelle lave basiche è V acqua. La silice resta inerte a temperature elevatissime, ed abbisogna anzi d’ un veicolo acqueo per entrare in attività cristallogenica ; tutto quindi si passa tranquillamente, quando essa presiede al lavorio interno di trasformazione. L’ acqua invece a 100° tende a convertirsi in vapore, determinando tensioni poderosissime, energiche azioni molecolari e, allorché sprigionasi, espansioni violente, esplo- sioni ec. Per tal guisa i graniti ove la silice può raggiungere e oltrepassare V 80 °/0, si eleveranno lentamente, potranno anche non subire movimenti di sorta, ed inoltre mancheranno in essi completamente le ceneri, i lapilli e i prodotti di fusione ; men- trechè le lave basiche, in cui la silice oscilla intorno al 50 %, usciranno con violenza accompagnate da un forte sviluppo di vapore acqueo e da tutti gli altri fenomeni che ne sono la neces- saria conseguenza. Le trachiti quarzifere e quelle non quarzifere, che per il loro contenuto in silice occupano dei termini intermedi fra i gra- niti e le lave augitiche, dovranno presentare naturalmente nel loro modo di formazione fenomeni intermedi. Si riverseranno - 382 — quindi alla superficie alla stessa guisa delle lave, ma non con quella violenza che caratterizza V uscita di queste, e la strut- tura della roccia parteciperà in proporzione di quella dei ter- mini estremi. Che se si confrontano fra loro le rocce eruttive di varie località, troveremo sempre che le forme scoriacee e cel- lulose raggiungono un maggiore sviluppo in quelle ove il quo- ziente dell’acido silicico è minore. Così mentre la trachite del Monte Amiata, contenente 67,06 °/0 di silice (V. Rath), oltre al- 1’ avere il feldispato della pasta bolloso, racchiude ancora delle cavità irregolari con stracci di fusione, e non è raro di vedere i grossi cristalli di sanidina fusi o sfilacciati presso il contorno, in alcune trachiti degli Euganei aventi un quoziente in silice di gran lunga inferiore, abbondano le scorie, i tufi e le pomici ; e, per contrario, in quelle quarzifere di Roccastrada, ove 1’ acido silicico ha potuto restare allo stato libero, manca affatto qualunque traccia di fusione. La dolerite peridotifera di Radicofani che oltre ad esser cellulosa, come gli inclusi della trachite amiatina, presenta eziandio delle forme scoriacee molto pronunziate, ha un tenore in silice di circa 55 %? essendo quello di uno degl’ in- clusi, forse il più basico, soltanto 46,47 %.* Resterebbe a sapersi ora che cosa devesi pensare di tali inclusi, delle cosiddette anime di sasso. Sono esse bombe vulca- niche ? Sono frammenti staccati all’ esterno da una formazione vulcanica preesistente e ravvolti nel successivo espandimento ? 0 piuttosto divelti dalle profondità e portati fuori dal magma trachitico ? Non credo che possano esser bombe vulcaniche, per- chè non ne hanno nè il carattere, nè la forma; non sono, come quelle, ravvolte in una massa fusa, e la loro natura è troppo variabile, il che non si riscontra, credo, nelle bombe vulcaniche. Potrebbero ritenersi quali frammenti staccati dalla superficie, ove espandevasi la trachite e travolti in essa: ma come acqui- 1 La trachite sanidinica del monte La Guardia nell’ isola Ponza che contiene augite e anfibolo ed ha un tenore in silice di 56,09 % (Doelter), è intermedia fra le andesiti e le trachiti. Ve ne sono altre più acide e si presentano in dicchi e in espandimenti. Nell’isola Ventotene vi è una roccia basaltica cellulosa, colle ca- vità ripiene di calcite o zeolite aciculari, di cui il contenuto in silice è 49,42 (Doel- ter). Vi si trovano pure tufi e lapilli. Nell’isola San Stefano vedesi una lava trachitica con 54,13 °/0 di silice disposta in correnti, sulle quali stanno strati di tufo e lapilli. starono la forma sferoidale ? e, perchè trovansi colla stessa forma anche sulla cima della montagna? Cosa rappresenterebbero in tal caso gl’ inclusi di grafite? Non è ammissibile che essi siano resti di vegetali rimasti impigliati nel magma fluido e ineta- morfizzati, perchè non sono costituiti di pura grafite, ma vi si trova insieme feldspato e mica, e talora son questi i minerali predo- minanti. Quantunque resti sempre problematico il perchè della loro forma, a mio parere 1’ opinione più plausibile sarebbe quella di ritenerli divelti dalle formazioni interne del monte, e portati fuori dal magma trachitico. Fu appunto di questa opinione il Targioni (1733), se non che egli riteneva la loro ejezione vio- lenta, la qual cosa non mi sembra confermata dall’ osservazione. Poche parole sull’ epoca cui debbonsi riferire le eruzioni del- T Amiata. Il Savi, il Meneghini, il Pareto, il Campani ed altri espressero già P opinione che queste trachiti fossero comparse posteriormente al pliocene. Agli argomenti addotti da questi insi- gni geologi a sostegno di tale opinione, possiamo ora aggiungere il fatto segnalato più sopra, della mancanza in tutto il pliocene che circonda il Monte Amiata di ciottoli o detriti trachitici, e P epoca pure postpliocenica constatata dei due prossimi gruppi vulcanici di Radicofani e di Roccastrada. 1 L’ eruzione avvenne probabilmente in prossimità dal mare, ma in terreno emerso, poiché manca qualunque traccia di sedimento marino sopra la trachite ed il pliocene dei dintorni si arresta al livello di 800 metri. Il Monte Amiata raggiunse poi la notevole elevazione che attualmente possiede col concorso combinato del solleva- mento postpliocenico e dell’ accumulamento della massa eruttiva. Concludendo, adunque, può ritenersi che sul finire del pe- riodo pliocenico quasi tutto V intiero gruppo dell’ Amiata era sommerso, e solo emergeva dalle acque il Monte Labbro e le sue appendici. Al piede orientale di questa isola pliocenica in prossimità del mare avvenne una eruzione trachitica, preceduta 1 Per questo gruppo, oltre all’ argomento della mancanza di ciottoli trachi- tici nei conglomerati pliocenici, validissimo in tal caso, perchè trovansi ad immediato contatto colle trachiti, devesi aggiungere la sovrapposizione diretta di quelle a questi e la conversione in ftanite rossa di una marna pliocenica presso Sassofortino, alla quale alterazione parteciparono pure i fossili. Deve notarsi però che queste tracce di metamorfismo sono leggerissime. - 384 - forse da altre eruzioni di rocce più basiche, che dette origine al vero e proprio Monte Araiata sorpassando di molto in altezza i monti preesistenti. L’ eruzione non fu accompagnata da grande sviluppo di vapore acqueo, quindi non dette luogo ad esplo- sioni, ad ejezioni di materiali sciolti, nè agli altri fenomeni che caratterizzano la maggior parte delle eruzioni vulcaniche at- tuali ; il magma cristallino traboccò tranquillamente sulla super- ficie trasportando seco frammenti staccati dall’ interno e dispo- nendosi in forma di cupola o di mantello, alla stessa guisa della massa trachitica centrale nel vulcano di Roccamonfina, delle Kaimeni di Santorino, del Puy de Sarcou e del cono tra- chitico nel vulcano Astroni. Il sollevamento postpliocenico, che presso Radicofani misura attualmente oltre 800 metri, trasportò il tutto all’ altezza alla quale ora ammirasi. III. Sui marmi della Montagnola Senese , lettera di D. Pantanelli e B. Lotti al prof. G. Meneghini. Stimatissimo signor Professore, Sottoponiamo volentieri al suo retto giudizio queste poche osservazioni che, se non avranno il merito di un qualche inte- resse scientifico, serviranno, lo speriamo, ad attestarle ancora una volta la stima e P affezione che mai può cancellarsi, nè di- minuire in coloro cui toccò in sorte di esser suoi discepoli. Il Capellini ebbe occasione di visitare il taglio naturale, e in parte artificiale, lungo la strada provinciale e sul torrente Rosìa, che attraversa la Montagnola Senese in una direzione pressoché normale a quella degli strati, verso il 1862 ; rimase però inedito il resultato di questi studi, e solo una copia mano- scritta de’ suoi disegni fu conservata nel Museo della R. Acca- demia dei Fisiocritici in Siena. Questi disegni furono poi pub- blicati nel 1872 negli Atti del Congresso tenuto in Siena dalla Società Italiana di Scienze naturali residente in Milano. - 385 - Avendo avuto occasione ciascuno di noi di percorrere varie volte quella strada, spesso ci nacque il dubbio sulla esattezza del profilo riportato dal Capellini, e finalmente per le cortesi insistenze del marchese Chigi, altrettanto intelligente quanto mo- desto cultore delle scienze mineralogiche e geologiche, ci deci- demmo a visitare più accuratamente quelle località cominciando dai dintorni della villa di Cetinale, proprietà del signor Chigi stesso, e che trovasi nel centro della regione che avevamo de- liberato di esaminare. Le nostre escursioni essendo state continuate in varie altre località della Montagnola, noi saremmo giunti a conclusioni un po’ diverse da quelle alle quali giunse il Capellini, e che non si accorderebbero gran fatto colle opinioni professate sino ad ora dai geologi toscani, sul posto occupato nella serie stratigrafica dalla potente formazione marmifera dalla quale vien tratto il noto giallo di Siena, o anche broccatello di Siena o di Montarrenti. Così, mentre il Capellini ed altri pongono questi calcari ceroidi e saccaroidi superiormente ai cavernosi, per le nostre osserva- zioni deve essere invertita la loro posizione reciproca; conver- rebbe quindi trasportare detti marmi dal Lias inferiore alla parte superiore del Trias, qualora debbansi ritenere definitivamente come rappresentanti dell’ Infralias i nostri calcari cavernosi do- lomitici: ma di questo più specialmente parleremo in seguito. La così detta Montagnola Senese consiste in una breve e ri- stretta ellissoide bilaterale coll’ asse maggiore prossimamente nella direzione N.-S., che si estende da Gambassi fino alla Farina presso Pari, subendo in questo tratto solo una breve interru- zione nei dintorni di Colle. La sua parte più rilevante è però compresa tra il così detto Monte Maggio e Pieve a Tocchi ; così la sua lunghezza comprende circa 40 chilometri, la larghezza nei pressi di Cetinale forse sei o sette. Nella sua zona media in una gola angusta, che meglio non potrebbe rispondere ad una spaccatura trasversale, scorre pro- fondamente incassato fra ripide pendici il torrente Rosìa, lungo il quale è stata condotta la strada provinciale Siena-Massa Ma- rittima. E lungo questa strada che il Capellini studiò i profili di cui abbiamo fatto cenno, è lungo questa strada che noi ab- biamo portato specialmente la nostra attenzione, dopo una lunga - 386 - escursione fatta a Cetinale, ove giungemmo a conclusioni non conformi a quelle alle quali giunse l’ illustre professore dell’ Ateneo Bolognese. Cominciando dall’ estremità occidentale, presso le cave di Montarrenti, rimpetto a queste, e separato dalle medesime dal torrente Rosìa, che in questo punto volge il suo corso a Nord, è situato il castello medioevale di Montarrenti. Esso è costruito sopra una collina costituita da un ammasso di detrito pliocenico, se non miocenico, ed è solo nel letto del torrente che compari- scono gli strati della serie che passeremo ad esaminare. Qui i calcari cavernosi ricuoprono con perfetta concordanza certi strati sottili e quasi schistosi di un calcare ceroide gial- lastro con selce, la direzione dei quali è N.N.O. scendendo verso O.S.O. Sotto a questi calcari succedono sempre concor- danti gli strati marmiferi che alternano con strati di schisti vio- letti e cenerini dei quali si ha pure qualche indizio subito sotto al calcare cavernoso; questi strati vanno continuamente aumen- tando di spessore, diminuendo in pari tempo gli schisti violetti sino a che, questi scomparendo affatto, si passa alla massa prin- cipale dei marmi gialli e bianchi, nella quale perdesi qualunque traccia di stratificazione per i molteplici piani di frattura, nè è più possibile misurare una direzione o una inclinazione qualsiasi. In quei punti, ove lo schisto è tanto intimamente collegato al marmo da formare quasi un cemento ai suoi frammenti nodulosi o amigdaloidi, si hanno i famosi broccatelli di Montarrenti. La massa dei marmi seguita per un lungo tratto sulla strada, fino a che non comparisce sottostante ad essa una potente serie di schisti violetti simili ai precedenti, che alla lor volta si so- vrappongono ed alternano colle anageniti e colle quarziti, pre- cisamente presso al vecchio e fantastico ponte di Santa Lucia, vicino all’ antico romitorio dello stesso nome. Fin qui gli strati conservano la stessa direzione ed anche la stessa inclinazione, per quanto con diverso valore; al di là di questo punto però la inclinazione tende ad invertirsi presentandosi le quarziti presso a poco orizzontali. Oltrepassato il ponte, ritornano gli schisti violetti e poco oltre la inclinazione è completamente invertita. Ricomparisce quindi una massa di marmi saccaroidi bianco-gial- lastri assai notevole, ma non tanto quanto lo era presso Montar- — 387 - renti, i cui strati sono fortemente inclinati e quasi verticali, mantenendosi costante la direzione primitiva. Forse esiste in questo punto una faglia, però le condizioni del terreno non ci permisero di poterla costatare. Seguitando verso Rosìa la inclinazione torna a farsi verso O.S.O., ricomparendo sotto i marmi gli schisti violetti con lenti d’ anagenite che vedonsi distintamente nelle scarpate della strada. Più oltre la inclinazione s’ inverte nuovamente verso E.N.E. tornando a mostrarsi i marmi, però talmente assottigliati che non scorgesi sopra gli schisti violetti che pochi strati di un cal- care ceroide di color giallo sudicio simile a quello sotto al ca- stello di Montarrenti, sui quali come là riposa concordante il calcare cavernoso. Finalmente oltrepassato il fosso di Rigota- glio presso Rosìa comparisce una nuova ondulazione, dove sotto- stante al calcare cavernoso vedonsi i soliti straterelli calcarei sotto ai quali, ove furono erosi, osservasi la zona schistoso-quar- zitica. Da qui innanzi i calcari cavernosi si presentano senza interruzione fino a che vengano ricoperti dai terreni pliocenici dei dintorni di Siena. La sezione (Fig. 1) condotta da Montarrenti al fosso di Rigo- taglio, cambiando in questa località la direzione del torrente Rosìa, che fino a questo punto si era mantenuta normale agli strati, servirà meglio a concretare quello che siamo andati fin qui esponendo. È noto come fino ad ora non furon trovati nei marmi della Montagnola fossili di sorta, se vogliasi eccettuare una ammonite in una tavola di marmo giallo di dubbia provenienza che osser- vasi nel palazzo Pitti a Firenze ; noi fummo quindi relativamente fortunati nelle nostre ricerche avendo rinvenuto in alcuni strati marmorei presso le cave di Montarrenti insieme a numerose, ma confuse tracce di fossili, un nucleo di Cliemnitzia? della lun- ghezza di circa 2 centimetri, ed una non dubbia Terébratuìa: comunissimi poi gli articoli di crinoidi. Questi fossili si trovano specialmente sulle superficie state lungamente esposte all’ intem- perie, poiché presentando quelli un maggior grado di resistenza della massa calcarea che P include, finiscono per sorgere in ri- lievo nella medesima. Questo fatto ci fece sospettare che la so- stanza cristallina dei fossili potesse essere di natura dolomitica, Sezione lungo il torrente Rosìa. — 388 — '■ Quarziti e anageniti. — b. Schisti violetti. — e. Marmi gialli. — i. Schisti calcarei. — d. Calcare cavernoso. — e. Pliocene. — A. Faglia. — 389 — però dopo alcuni saggi chimici riscontrammo essere i fossili co- stituiti da calcite pura, mentre il marmo giallo che V includeva conteneva una dose notevole di magnesia: probabilmente la re- sistenza maggiore della calcite dei fossili devesi alla eteroge- neità dei marmi, che racchiudono diffusi nella loro massa minu- tissimi cristalli di damourite. Prima d’ andare innanzi nella descrizione delle località da noi visitate possiamo fin d’ ora avvertire che la successione dei diversi strati, senza curarsi per il momento degli apprezzamenti cronologici, dovrebbesi intendere nel seguente modo dall’alto al basso : calcari cavernosi sotto ai quali un’ ingente massa schistosa, nella parte superiore prevalentemente calcarea, con lenti mar- moree, le quali dallo spessore di pochi metri possono assumere il diametro di chilometri, nella parte inferiore prevalentemente silicea; sotto a questa formazione schistosa seguono le quarziti e le cmageniti che talora compariscono in strati regolari, talaltra in forma di lenti intercalate negli schisti argillosi. E questo ab- biamo voluto dire per fissare alcune idee che meglio e più chia- ramente saranno sviluppate quando avremo descritto le altre località da noi visitate. Nei colli prossimi a Cetinale, esaminammo la successione de- gli strati, non già in un taglio naturale, ma nel dorso stesso del monte. Cetinale, è situato in una gola tutta scavata nel calcare cavernoso, e solo in un punto più basso compariscono per un breve tratto, le anageniti in un poggetto isolato tra i terreni coltivati e un abbondante detrito pliocenico e postpliocenico, per cui non ci fu possibile determinare i contatti di questa roccia con quelle circostanti ; per induzione le riferiamo allo stesso piano di quelle di Rosìa. Risalendo da Cetinale verso la sommità del colle, oltre il Romitorio (Fig. 2) nel fosso di Riconca, sotto il podere di Gabbreta, compariscono sotto il calcare cavernoso strati sottili di calcare ceroide aventi la direzione meridiana e l’ inclinazione verso Est. (Si noti che siamo nel versante orientale della Mon- tagnola e che procedesi da Est verso Ovest in direzione inversa alla precedente). Più in alto alla fonte di Gabbreta si trovano concordanti cogli strati precedenti gli schisti violetti, intersecati da filoncelli d’ oligisto, e sovrapposti ad una non insignificante - 390 - formazione di marmi gialli e bianchi che predominano fino alla sommità presso il podere del Chiostro. Fig. 2. — Sezione ad ovest di Cetinale. © -+3 co o O o £ 08 o H O O « Anche nei dintorni di Cetinale non mancano dei tagli naturali e artificiali che permettono di determinare nella maniera la più sicura i contatti e i rapporti fra le diverse rocce; così nella strada di Settignano a S.O. di Cetinale sotto al calcare caver- noso notansi straterelli marmorei giallastri, quindi schisti vio- letti di non grande spessore che poi alternano con schisti calcarei e talcosi ; poco lungi alla Grotta di Terravola i calcari cavernosi sovrastano ad una formazione di schisti calcareo-talcosi di color giallo sudicio abbastanza imponente, e tale che una grotta pro- fondissima, a testimonianza del signor Chigi, permette di seguire lungamente nel seno del monte. Una frana avvenuta nell’ imboc- catura della grotta non ci consentì di verificare le asserzioni del medesimo, noi però ci fidiamo ben volentieri ad esse avendo riscontrato in varie circostanze 1’ esattezza delle sue osservazioni ; — 391 — e qui ci piace ringraziarlo della cortese ospitalità offertaci nella sua villa non solo, ma dell’ esserci stato compagno non sapremmo se più gradito o più utile nelle nostre escursioni e di averci permesso con un’ amabilità senza pari di saccheggiare senza ri- guardo le sue importanti collezioni locali. Prima di lasciare Cetinale avvertiremo di aver raccolto in vene attraversanti strati schistosi dei cristalli perfetti di quarzo non inferiori per la loro limpidezza a quelli di Carrara, e nei quali seno comunissime le faccette plagiedre di destra e di si- nistra e le facce rombe. Un’ ultima escursione fu da noi eseguita nei dintorni di Lu- cerena e Marmoraja sul crine del monte al Nord di Cetinale, e quindi all’ estremità settentrionale della Montagnola prima della sua interruzione nei piani di Colle. Risalendo la montagna dalla parte orientale, presso Santa Colomba, trovansi i calcari cavernosi che rimontano fin sotto Celsa ; quivi sotto di essi compariscono, come altrove, i soliti straterelli calcarei che intercalandosi coi marmi e cogli schisti violetti finiscono per dar luogo alla imponente formazione mar- mifera di Lucerena e Marmoraja : la direzione costante degli strati è qui pure N.N.O. e la inclinazione ad Est nel -versante orientale del monte, ad Ovest nel versante opposto. Non è pos- sibile descrivere esattamente questo complesso di strati schistosi e calcarei ; così nel fosso delle Yignacce sotto Lucerena un no- tevole strato di schisti sericei è intercalato tra strati di marmo ; nella strada di Lucerena più in alto osservansi chiaramente grandi e piccole lenti di marmo giallo, racchiuse fra gli schisti, e la villa stessa di Lucerena è sopra una potente formazione di schisti violetti, verdi e cenerini sottostante ai marmi gialli, ma sovrapposta essa pure o per dir meglio intimamente connessa ad altra serie di marmi variamente colorati. Presso Gioma si escavano dei marmi che nella stessa cava presentano due banchi nettamente distinti per la colorazione estremamente diversa, ma che in realtà in nulla differiscono per la struttura della roccia. Il banco inferiore è di un bel verde chiaro uniforme, il supe- riore è nero o almeno di un grigio cupo intenso ; ambedue que- ste varietà sono compattissime e perfettamente cristalline, la- mellari ; presentano notevoli saldezze, e potrebbero utilmente - 392 — essere impiegati per decorazione. A Fonte Pescina al N.O. di Lucerena negli schisti intercalati ai marmi bianchi e gialli tro- vasi, come a Cetinale, qualche filoncello d1 oligisto. I marmi poi offrono in questa località le più grandi varia- zioni di colore e di struttura; così oltre ai verdi e ai neri la- mellari di Gioma, si hanno i bianchi saccaroidi e i paglierini delle Marmoraje ; i bardigli del Poggio alle Case e i bellissimi marmi ceroidi violetti e carnicini, e i broccatelli in prossimità delle stesse Marmoraje. Tutte queste varietà di marmi presentano saldezze sufficienti per meritare d’ essere scavati, e cave antiche o recenti sono in- fatti aperte dappertutto ; soltanto i broccatelli sembrano intatti, e ciò meraviglia tanto maggiormente in quanto chè sono della più bella varietà e notevolmente sviluppati. Son costituiti da frammenti o piuttosto da piccole amigdale di marmi giallastri, carnicini e violetti, impastati da uno schisto argilloso di un color violetto più intenso. Queste amigdale presentano talvolta dimensioni tali che facilmente potrebbersi lavorare a parte, ed allora si avrebbero superbi marmi carnicini chiari, quali rara- mente trovansi in altre località. Come abbiamo detto testé dal lato occidentale del monte la inclinazione degli strati s1 inverte, e alla base da questo lato comparisce nuovamente il calcare cavernoso. In quest1 ultima escursione fummo anche assai fortunati nella ricerca dei fossili; 1 potemmo infatti raccogliere, sempre nei marmi gialli, moltissimi crinoidi nel fosso delle Vignacce, al podere di Piano e a Fonte Pescina. Termineremo col notare che nei broc- catelli in prossimità di Piano trovansi interclusi grossi fram- menti di quarziti, il che ci compensò in parte del non aver potuto vedere questa formazione nei dintorni di Lucerena. Ci giovò grandemente in questa escursione la cortese ospi- talità del signor Senesi che, oltre a molte indicazioni preziose volle fornirci una guida attraverso quei boschi e quei dirupi di non facile accesso. La formazione dei calcari cavernosi dolomitici non è limitata 1 I crinoidi raccolti furono sottoposti all’ esame del prof. Meneghini che li riferiva al Fenlacrinus cfr. psilonoti Qstd. e Millericrinus cfr. Hausmanni et adneticus (ab utroque div.). Per i loro caratteri apparterrebbero al Lias inferiore. — 393 — alla sola Montagnola Senese, ma trovasi estesa a quasi tutta T Italia centrale, e se lo stesso può dirsi degli schisti e delle quar- ziti, non può egualmente ripetersi per i marmi saccaroidi vari- colori, la cui formazione pare limitata a quella stretta regione che cominciando a Montarrenti termina alle Marmoraje. A Petriolo, ad uno degli estremi della Montagnola Senese, il calcare cavernoso sta immediatamente sopra gli schisti violetti e questi alla lor volta sopra le quarziti ; io stesso accade a Pieve a Tocchi sempre sulla Montagnola. Alla estremità Nord invece, a Jano trovansi i terreni carboniferi con fossili ben caratteri- stici sotto le quarziti e gli schisti violetti, ciò che dimostra in- tanto che la zona schistoso-quarzitica superiore, corrispondente ai terreni analoghi presi in considerazione, deve ritenersi post- carbonifera. Uscendo poi dalla Montagnola, presso Serrabottini nel Mas- setano e a Boccheggiano osservasi il calcare cavernoso sopra una potente serie di schisti talcosi lucenti ; il passaggio è bru- sco, e presso il contatto il calcare cavernoso racchiude fram- menti di uno schisto verdastro che non si trova in posto ; pro- babilmente vi è qui una discordanza o una discontinuità nei depositi. Presso Prata e Gavorrano non vedesi il contatto inferiore, però qui al calcare cavernoso è sovrapposto un calcare compatto bianco, quindi il rosso ammonitifero. Ed ecco che, se i carat- teri strutturali potessero esser sufficienti per sincronizzare in una benché limitata regione quelle formazioni che li presentano identici, avremmo i calcari cavernosi, i marmi, gli schisti e le quarziti, limitati fra due ben determinati orizzonti, il Lias in- feriore cioè e il carbonifero. Presso Campiglia mancano i calcari cavernosi, e sotto i cal- cari ammonitiferi seguono i marmi saccaroidi e i bardigli con tale enorme spessore che è probabile stiano a rappresentare il complesso dei calcari cavernosi e dei marmi della Montagnola. Presso Monte Pescali e Roccastrada al calcare cavernoso suc- cedono in basso con perfetta concordanza gli schisti argillosi vio- letti e verdastri, le quarziti e le anageniti. Nel Monte x^rgentario sotto il calcare cavernoso succedono schisti calcarei talcosi, quindi schisti violetti e quarziti. 26 - 394 - All’ Isola d’ Elba presso la Marina di Rio succedono diret- tamente in basso al calcare cavernoso le quarziti e apparente- mente concordanti. Il De Stefani poi ( Considerazioni strat. sulle rocce più anti- che delle Alpi Apuane e del Monte Fisano) al Poggio della Lec- ceta nella china verso Asciano avrebbe riscontrato, sotto ai cal- cari cavernosi, qualche palmo di un calcare color bianco sudicio o grigio rossastro, schistoso, compatto ed alquanto ceroide, che altrove è un cipollino terroso con straterelli di schisto bianco lucente. Questi calcari, che potrebbero esser benissimo gli equi- valenti dei nostri marmi, non sono stati dall’Autore separati dalla massa dei calcari soprastanti. In ogni altro caso egli ha riscon- trato sempre i calcari cavernosi sopra gli schisti cristallini, e alle quarziti in cui son racchiuse le masse marmoree dei Monti Apuani. Ma è ormai tempo di riassumere il fin qui detto, e dedurre, se è possibile, una conclusione dalle fatte osservazioni. Prima di tutto resterebbe a stabilirsi se i calcari cavernosi, in Toscana e nelle Alpi Apuane, segnano un orizzonte geologico ben determinato. Per quanto possa a prima vista sembrare che una data apparenza litologica non possa servire per un buon criterio stratigrafico, potendo le cause che produssero la caver- nosità dei calcari ripetersi in epoche differenti, pure non è pos- sibile non tener conto di un carattere così generale e così spiccato in una regione relativamente ristretta. Si potrà forse discutere se il calcare cavernoso sia un membro del Lias inferiore, o rap- presenti, come vuole il De Stefani, P Infralias, o fors’ anche una parte del Trias, ma non si può certo dubitare che esso sia com- preso sempre fra i calcari liassici e le diverse formazioni triassiche. Devesi inoltre notare che nella Montagnola può osservarsi dovunque e colla massima evidenza il passaggio graduato dai calcari cavernosi ai marmi e da questi alla serie argilloso-quar- zitica per mezzo degli schisti violetti simili a quelli che stan sopra e intercalati ai marmi stessi. Se poi in vista dei caratteri paleontologici i marmi doves- sero definitivamente esser posti nel Lias inferiore, è forza ac- crescere la potenza dei terreni liassici fino a comprendervi i calcari cavernosi e parte della formazione schistoso-marmorea ad essi sottostante, oppure ammettere, che quei calcari caver- - 395 nosi, identici per natura ad altri prossimi indubbiamente infe- riori ai calcari liassici, come a Prata e a Gavorrano, sono qui di epoca diversa ; che i marmi, dei quali non abbiamo corri- spondenti petrograficamente nel Lias delle località limitrofe, stanno qui a rappresentare, forse insieme coi calcari cavernosi, gli schisti e i calcari grigi del Lias superiore e medio, i cal- cari rossi ammonitiferi e i calcari ceroidi bianchi del Lias infe- riore che pure si riscontrano in varie località, benché distinti fra loro, cogli stessi caratteri litologici ; in fine che V Infralias è quivi rappresentato da una parte degli schisti violetti infe- riori ai marmi. Nè può affacciarsi la mancanza dell’ Infralias in questa località perchè, come più volte è stato ripetuto, dal cal- care cavernoso alle quarziti e alle anageniti non vi è discor- danza di sorta, nè discontinuità nei depositi. La prima ipotesi, colla quale verrebbe aumentato lo spes- sore del Lias, potrebbe ricevere un appoggio dal fatto che a Gerfalco la potente massa dei calcari bianchi sottostanti ai rossi ammonitiferi contiene un gran numero di specie del Lias medio, e non può certamente ritenersi come uno dei più antichi mem- bri del Lias inferiore. Concludendo, adunque, noi intendiamo soltanto di avere af- fermato la posizione dei marmi della Montagnola inferiormente ai calcari cavernosi, e collegata strettamente con essi e col Trias sottostante, e di aver constatato in essi la presenza di fossili^ augurando ad altri ed anche a noi stessi la fortuna di risolvere completamente la questione. Siena, 15 ottobre 1878. Devotissimi D. Pantanelli. B. Lotti. 396 - IV. Sull’ epoca degli strati di Pikermi , osservazioni di Carlo De Stefani. Il Fuchs ha pubblicato recentemente un breve scritto 1 per confermare la supposizione sua che gli strati di Pikermi e gli strati così detti a Congeria in generale, rientrino fra i terreni pliocenici. Potrebbero servire implicitamente di risposta alcune mie parole comparse contemporaneamente nel Bollettino dell’ Isti- tuto geologico di Vienna .2 Nondimeno, perchè il Fuchs ha aggiunte alcune considerazioni a quelle che aveva già esposte altre volte, e, se non sbaglio, ha diretto agli scienziati alcune domande, io farò una breve replica, premettendo due cose : P una che questa sarà l1 ultima volta che metto bocca in codesta questione, perchè tanto io che il Fuchs scrìviamo, non per il pubblico che non se ne intende, e non per difendere delle idee che potessimo aver qualche volta manifestate, ma per la verità, e per quelli che co- noscendo i termini della questione possono senz’ altro giudicare del come debbono stare le cose. L’ altra cosa che premetto è questa, che appunto per via di quel che ho detto dianzi non trarrò fuori argomenti ad hominem, come quelli che non sono adattati ad una discussione puramente scientifica, ed anche per- chè non vorrei si credesse venuto meno in me il rispetto che ho per i lavori scientifici del Fuchs. Venendo al fatto, il Fuchs sostiene adunque che gli strati a Hipparion di Pikermi sieno pliocenici veramente ; 1° perchè riposano discordanti sugli strati a Melanopsis di Dafne, coetanei a quelli aventi conchiglie marine, secondo lui non dubbiamente plioceniche, di Megara (pag. 110, linea 31) ; 2° perchè gli strati a Congeria di Kalamaki sono « con intima e concordante con- 1 T. Fuchs. Intorno alla -posizione degli strati di Pikermi. [Boll, del R. Com. Geol., 1878, pag. 110.) 2 K. De Stefani, Ras Verhdltniss derjungeren Tertiàrbildungen (Esterreich - JJngarns za dea Pliocànbildungen Italiens. ( Verli . d. k. k. Geol. Reichs., 1878, nurn. 10.) — 397 — giunzione coperti dagli strati marini » appartenenti ad un plio- cene molto recente (pag. Ili, lin. 1-5); ed anzi nelle zone in- termedie alternano fra loro (lin. 13-15) ; 3° perchè il calcare con Porites di Trakones ritenuto per « un piano intermedio fra il miocene ed il pliocene è coperto in modo concordante da strati a Congeria sui quali stanno discordanti i conglomerati di Pikermi ; » 4° perchè fra le tre conchiglie marine di Pikermi, quelle che io dissi potersi trovare tanto nel pliocene che nel miocene, è lo Spondyìus gcederopus che il Fuchs asserisce « con- chiglia del tutto caratteristica del pliocene » (lin. 30) ; anzi, « P età assolutamente giovane di questa piccola fauna viene con- validata » secondo il Fuchs « dalla circostanza che le specie tro- vatevi sono esattamente le stesse che attualmente in massima parte giacciono attorno sulla spiaggia del mare. » Il Fuchs poi ritiene pliocenici gli strati, coetanei a quelli di Pikermi, del Pireo ; questi sono quelli strati, aggiungo io fra parentesi, che contengono quei nuclei di conchiglie e quelle conchiglie irreco- noscibili sulle quali feci appunto al Fuchs di aver voluto deter- minare P epoca de’ terreni. Il Fuchs ripete e mi ritorce P osser- vazione, senza però aggiungere le parole sue originali, che io ebbi cura di mettere fra parentesi accanto alle mie tradotte, e che m’ avevano dato autorità di concludere a quel modo. (Vedi T. Fuchs, Studien iiber die jiingeren tertiàrbildungen Griechen- lands. Wien 1877, pag. 28, 1. 27-31.) Soggiunge poi che dai nuclei del Pireo « possono per mezzo di stucco essere modellate e venire determinate con precisione le impronte » (pag. 112, lin. 6-7); e che si trova inoltre in uno strato il Pecten varius ben conservato. Se la fauna mammalogica di Pikermi non mostrasse chiara- mente di non essere pliocenica, o almeno di quel pliocene che è stato conosciuto fin qui, questi nuovi argomenti del Fuchs sa- rebbero anche più forti di quel che non appaiano a prima vista ; nondimeno li discuterò brevemente, e lo faccio tanto più volen- tieri in quanto che la questione non è di stratigrafia, nella quale, non avendo visto gli strati di Pikermi, non sarei competente, e sto interamente alle descrizioni del Fuchs ; ma è di paleontologia. Che le 1 2 specie di conchiglie marine (lascio quelle salmastre e di acqua dolce, e le specie non determinate) di Megara ( Tert . — 398 — Griech.f pag. 11) sieno veramente plioceniche potrà darsi; ma non comprendo come con talune specie le quali non si trovano se non ne’ mari attuali ( Lucina lactea, Bulla hyclatis) si trovino poi de’ tipi che mancano al pliocene e sono confinati nel miocene (Murex sub- lavatus, Buccinimi ,di\ coloratimi). Forse si tratterà di una deter- minazione approssimativa e di analogie più o meno grandi coi tipi indicati dal Fuchs ; ma confesso che su questo solo criterio non avrei base a discutere dell’ epoca dei terreni di Megara e non potrei accettare che « sull’ età pliocenica di quelle conchiglie non vi può esser dubbio » (Fuchs, Boll. Geol., pag. 110, lin. 31-32) tanto più se desse sono « fluitate » sebbene « ben conservate come le conchiglie plioceniche di Siena » (lin. 30-31), due fatti che veramente non mi pare si accordino troppo fra loro. Soggiungo però, che dall’ insieme delle conchiglie salmastre e d’ acqua dolce apparisce esservi grande analogia fra gli strati di Megara e quelli più profondi del Senese, che sono anche i più antichi che fin qui sieno stati notati nel pliocene. Feci già notare altra volta questa analogia senza pronunciarmi decisamente sulla contempo- raneità o meno delle due faune greca ed italiana.1 Le mie osservazioni ulteriori mi hanno però indotto la per- suasione che gli strati di Megara sieno un poco più antichi de- gli strati pliocenici più profondi rappresentati dagli strati senesi, ed equivalgano agli strati del Bolgione, di Stazzano, di Castel- larano ec., che ritengo come i più recenti termini di quel ter- reno che io dico miocenico, e che non rispondono certo ad al- cuno degli strati ritenuti fin qui come tipici del pliocene. Questa persuasione proviene in me dalla presenza degli strati di Me- gara come in quelli nostri miocenici del Planorbis cornu che manca nel pliocene e soprattutto dalla tipica Melania curvicosta Deshayes, la quale anche fra noi si trova esclusivamente nei ter- reni miocenici, mentre nel pliocene apparisce la M. plicatula Li- bassi, che è ben distinta. Le altre specie di Megara non si pre- stano a paragoni, salvo la Bythinia (Beringia) simplex Fuchs, conchiglia ben poco caratteristica che io credo aver trovata nel pliocene dell’ Umbria. Fin qui però il collocamento degli strati di Megara (invec- 1 Carlo de Stefani, Descrizione degli strati pliocenici dei dintorni di Siena, pag. 61. - 399 — ridati di poco da quel che riteneva il Fuchs) in quel terreno che io dico ultimo termine del miocene, non altererebbe gran fatto i termini della questione. Ma i terreni di Megara non sono citati se non come termine di paragone coi terreni di Dafne, che il Fuchs dice coetanei a quelli e più antichi dei terreni di Pikermi ; quindi mi rivolgo subito alla considerazione di questi. Il Fuchs pone come fondamentale « la contemporaneità degli strati a Melanopsis di Dafne e di Megara; » ora questa contem- poraneità non risulta da ragioni sfrati grafiche, ma è basata sem- plicemente sull’ affermazione del Fuchs, il quale dopo avere de- scritte le conchiglie di Dafne dice che lo strato a Melanopsis di questo luogo « augenscheinlich ein iEquivalent der Melanopsis - Schichten von Megara darstellt » ( Tert . bild. Griech., pag. 23, lin. 30). Essendoci quindi soltanto questo fondamento mi sarà permesso discutere sulla supposta assoluta corrispondenza. No- terò subito che a Dafne il Fuchs cita solo 4 specie d1 acqua dolce nessuna delle quali risponde ad altre di Megara; ma due (. Melanopsis lanceolata , e M. harpula) si trovano anche negli schisti a Paludine della Slavonia. Per conseguenza P analogia fra gli strati dell’ un luogo e quelli dell’ altro, basata semplicemente sulla presenza in questi ed in quelli di un genere Melanopsis è troppo tenue. Invece dall’ insieme delle faune apparisce con migliore ragione che mentre gli strati di Megara sono analoghi ai nostri miocenici più recenti di Stazzano, gli strati di Dafne sono analoghi agli strati un poco più antichi con Paludine della Slavonia, i quali fanno parte non dubbia di quel complesso di strati che con termine generale vien detto degli strati a Con- gerie, che qualcheduno dice mio-pliocenici, e che io dico mio- cenici superiori. Certo nemmeno i caratteri più generali della presenza di tre Melanopsis ornate, rendono accettabile la sup- posizione che gli strati di Dafne sieno analoghi ai nostri plio- cenici ricchi di Melanopsis liscie affatto differenti ; ed io che fra gli uni strati e gli altri non ho mai trovato analogie, mi sono ben guardato dal paragonarli in quei casi nei quali ne avrei avuto occasione. Dopo ciò, P ammettere senz’ altro che gli strati di Pikermi sieno più recenti degli strati di Dafne ed anche discordanti sopra questi, non cambia P aspetto della questione e non prova — 400 — affatto che questi sieno pliocenici ; tutt’ al più ciò mostrerebbe eh’ essi sono una parte e non il tutto di quella formazione che il Fuclis attribuisce al pliocene, e che io, come gli altri, attri- buisco al miocene superiore. Non voglio però passar oltre senza fare una osservazione, ed è che anche quella sovrapposizione degli strati di Pikenni a quelli di Dafne (che si trovano in tutt’ altra regione) risulta da una semplice affermazione del Fuchs, e che trattandosi di argo- menti delicati e di questioni che non sono di semplici parole, bisognerebbe limitarsi a prendere in considerazione soltanto gli argomenti ' che sono comprovati da fatti. Invero, nella sua im- portante descrizione dei terreni terziari della Grecia il Fuchs dice che sotto agli strati con mammiferi di Pikermi si trova, non il terreno di Dafne, ma un Susswasserkcilk con molasse e con- glomerati (pag. 31, lin. 11-12), e siccome non vi trovò fossili, concluse, e mi pare che ne avesse ragione, « was das Alter dei* vorerwahnten Susswasserkalke, sowie der Conglomerate und Mollassen anbelangt, so lasst sich iiber dasselbe bei dem fast vollstàndigen Mangel an Fossilien kein definitives Urtheil aus- sprechen » (pag. 32, lin. 15-17). Soltanto ora per provare la plio- cenità degli strati fossiliferi di Pikermi dice che questi stanno discordanti sopra gli strati di Dafne. Io però dico che il dubitare di ciò o P ammetterlo, nella presente questione, dopo quel che ho detto, giova poco. Continua il Fuchs con dire che gli strati a Congerie di Ka- lamaki sono sottostanti e fanno passaggio agli strati marini che superiormente hanno P apparenza di un pliocene molto recente. Prendo nota dell’ attribuzione degli strati inferiori alla zona a Congerie, giustificata infatti dai fossili che il Fuchs ha trovato, ed ammetto com’ è naturale che stieno sotto a strati di carat- tere pliocenico più o meno recente. Per dire qualche cosa di più aspetto che il Fuchs m1 abbia descritto paratamente i passaggi ed i fossili degli strati intermedii, della qual cosa per ora non trovo traccia nella pubblicazione prima del Fuchs. Similmente prendo nota del fatto che il calcare con Porites di Trakones sia sottostante agli strati a Congeria, lasciando al Fuchs, per ora, la responsabilità di attribuirlo insieme col cal- care di Ptosignano, o al così detto calcare di Leitha o ad un — 401 — terreno un poco più recente. Rammento solo che nel trattare questo punto il Fuchs riafferma che a quelli strati a Congeria sovrastano discordanti gli strati di Pikermi, per il che mi ri- metto a quello che ho detto dianzi. Finalmente, il Fuchs cita le conchiglie stesse di Pikermi, aggiungendovi le osservazioni che ho indicate, e quelle conchi- glie sono : Ostrea edulis, CeritJiium vidgatum e Spondylus goede- ropus. Coll’ affermare che quest’ ultima conchiglia « è del tutto caratteristica del pliocene » forse il Fuchs voleva dire eh’ essa non giunge al miocene, poiché basta aprire un elenco pur che sia di conchiglie del Mediterraneo o dell’ Atlantico per trovarvi lo Spondylus gcederopus vivente, quindi non affatto caratteristico ed esclusivo del pliocene. Ma io dirò di più che il vero Spon- dylus gcederopus non si trova se non nei mari attuali, e che quando si passa a terreni pliocenici la conchiglia assume certe diversità nelle squame, maggiore statura e maggiore grossezza, per cui si distingue dalla forma vivente, acquista molta analogia collo S. crcissicosta, e seguita quasi cogli stessi caratteri nel mio- cene. Lo stesso dicasi dell’ Ostrea edulis vivente, ma per non di- lungarmi, mi rimetto alle osservazioni pubblicate altrove.1 Le con- chiglie adunque raccolte dal Fuchs a Pikermi, a meno che non sieno propriamente la tipica Ostrea edulis ed il tipico Spondylus , nel qual caso non potrebbero trovarsi in quel terreno se non ruzzolate e portate dalle onde attuali, possono appartenere tanto al pliocene che al miocene. Sono certo poi che il Fuchs non fa gran conto, per provare che questi terreni sono pliocenici, del fatto che le medesime tre specie sieno esattamente le stesse che attualmente giacciono attorno sulla spiaggia del mare. Un’ ana- logia simile che trattandosi di terreni pliocenici non è mai stata e non può essere accennata, potrebbe verificarsi, credo, soltanto nel caso, nè intendo citandolo mancare menomamente di rispetto al Fuchs, che aprendo la bocca ai cavalli i quali pascolano in- torno a Pikermi si trovassero aver mascelle da Hipparion. Del resto, potrei anche opporre al Fuchs che il Gaudry raccolse nei medesimi terreni, oltre P Ostrea lamellosa e lo Spondylus, P Ostrea nudata ed il Pecten benedictus specie, se son tali, emi- 1 C. De Stefani c D. Pantanelli, Molluschi pliocenici dei dintorni di Siena. (Bull, della Soc. Malac. II., 1878.) - 402 - nentemente mioceniche : ora nella peggiore ipotesi, fra due pa- leontologi di eguale valore si ha diritto di rimanere almeno in- certi per ciò che ha riguardo alle conchiglie. Ma argomenti di ben maggiore importanza di quelli ricor- dati decidono la questione: o per meglio dire se anche i fatti ora accennati contribuiscono a dilucidarla, questo dipende da quell’ unicità delle leggi della natura, la quale fa sì che quando una di esse leggi è stabilita, siavi armonia in tutti i fatti i quali concorrono a formarla, nè se mai v’ abbia disaccordo se non re- lativo al fallace modo di vedere degli uomini. L’ argomento di cui dianzi dicevo è quello della fauna dei mammiferi, il quale nella peggiore delle ipotesi, per determinare un terreno, vale ben più, e niuno oserà negarlo, di tre conchi- glie marine. Il Gaudry, le cui determinazioni, se pur ve ne fosse stato bisogno, furono confermate dagli autori successivi, indica come raccolti a Pikermi i seguenti mammiferi fossili : 1 Bhmocerus pachygnatus — Acerotherium incisivum — Sus erymanthius — Helladotherium Duvernoyi — Gabella brevicornis — Tragocenis amalteus — Palaeoreas Lindermayeri — Camélopardalis attica — - Hipparion gracile — Mastodon Pentelici — Dinotherium gigan- teum — Ancylothermm Pentelici — Ictitherium robustum — Idi- theriuni hipparìorum — Ictitherium Orbignyi — Hyaenictis graeca — Hyaena eximia — Mesopithecus Pentelici. Non faccio considerazioni paleontologiche sul posto che questi mammiferi occupano nella serie degli esseri, perchè non voglio uscire dalle mie competenze ; constato soltanto come essi man- chino tutti nei terreni pliocenici e denotino uno stadio di svi- luppo anteriore a quello rappresentato dalla fauna pliocenica. Il Fuchs ammette che se la fauna di Pikermi è miocenica, come dico io, sieno miocenici i terreni che la racchiudono {Poli. G-eol. , pag. 112, lin. 11-14), e di ciò gli rendo grazie; ma soggiunge: « solamente vi è una difficoltà, e cioè, da dove sa il signor De Stefani che detta fauna di mammiferi sia propriamente mio- cenica? Dove sono gli strati sicuramente miocenici che conten- gono la fauna di mammiferi di Pikermi? Forse presso Pikermi? 1 A. Gaudry, Animaux fossiles et Géologie de V Attigue. — 403 — 0 presso Casino ? » Non so se ho compreso bene lo spirito di que- ste domande ; ma prendendole alla lettera, se volessi fare sfog- gio di facondia e di talento oratorio, potrei domandare al signor Fuchs « da dove sa che detta fauna di mammiferi sia propria- mente pliocenica? » come già gli domandai, « dove sono gli strati sicuramente pliocenici che contengono la fauna di mammiferi di Pikermi ? » Forse il Fuchs mi risponderebbe citandomi la sua parola e V ego dim; ma io risponderò invece in altro modo alla domanda che egli mi ha diretto, anzi, non vo’ risponder io, ma pregherò il Fuchs, e chi senza conoscere la questione se ne in- teressa, di esaminare i libri di quei paleontologi che hanno descritte e citate le faune di Pikermi e quelle analoghe di Bal- tavàr, di Alcoy, di Concud, di Monte Léberon, e di sapermi dire se pioprio quelle son messe nel pliocene come dice lui, sempre e senza eccezioni, o nel miocene superiore come dico io. Voglio sperare che nelle sue argomentazioni il Fuchs non mi farà il toi to di credere che egli solo conosca quelle pubblicazioni, e che 10 non conoscendole non mi possa prevalere di esse per rispon- dergli. Potrei citargli tutti i paleontologi odierni d’Europa, egli eccettuato, ed aggiungervi molti dei geologi anche compatriotti al I-uchs; ma io non voglio fare a lui il torto di supporre che non conosca i lavori almeno di questi ultimi. Tanto per dire qual- che cosa alle corte, risparmierò gli autori morti e quelli che hanno scritto negli anni passati, e citerò tre autori, tutti e tre per gran fortuna della scienza vivi e vegeti, tutti e tre presen- tatisi al pubblico propriamente nella prima metà dell’anno 1878. Sono il Gaudry, il Coquand, e Boyd Dawkins : legga il Fuchs 11 profondo lavoro del primo su Les enchainements du monde animai (Paris, 1878), quello del secondo sui petrolii del Cau- caso,' e quello del terzo sui cervi terziarii fossili, comparso nel fascicolo di maggio del Quarterly Journal of Geology, e tro- verà proprio che i terreni di Pikermi e quelli a loro ana- loghi sono senza mezzi termini considerati come Miocene su- periore. Il Fuchs sapeva del resto quanto me che la fauna di Pikermi era miocenica, od almeno ritenuta per tale; ma spiegherò io rv „DTC,,ÌP ‘J0" deS ,errains à fétrole du versant Hu Caucasi [Bull, de la Soc. Géol. de France, S. Ili, t. VI, 1878.) — 404 — colle sue stesse parole, la ragione per cui egli ad onta di ciò P ha ritenuta pliocenica. Dopo aver dedotto adunque dalle tre conchiglie marine ram- mentate a principio e dalle altre conchiglie poco riconoscibili (i unJcenntl ielle ) del Pireo, che i terreni di Pikermi sono certa- mente pliocenici soggiunge : « Es entsteht auf diese Weise aller- dings ein scheinbarer Widerspruch (!) mit den Resultaten, welche die Untersuchung der Saugethierfauna der Pikermi-Formatiou ergeben hat, da man dieselbe bekanntlich stets als eine nuocerne bezeichnet. Dieser Widerspruch ist jedoch in der That nur ein Scheinbarer. Die Saugethierfauna, welche man in der Regel als pliocane bezeichnet, stammt keinesfalls (!) auf den marinen Plio- canbildungen, sondern auf entschieden jungeren Schichten (!). Auf den marinen Pliocanbildungen Italiens sind Sàugethiere iiberhaupt so gut wie gar nicht bekannt (!) und es ist daher immer noch mòglich, ja nacli dem Yorhergehenden ausserst wahrscheinlich (!), dass, wenn man in diesen Àblagerungen Sàu- gethierfauna finden wird, dieselben mit denen von Pikermi ubereinstimmen werden » (!) (Die Tert. Griech., pag. 31, lin. 1-9). I punti ammirativi li ho messi io alle frasi delle quali non con- vengo : aggiungo che queste parole furono pubblicate nel 1877 come risulta dal frontespizio degli Studien uber dìe jiing. tert. Griech. (lin. 13), non « alquanti anni fa » come dice il Fuchs nella sua replica (Boll. Geol., pàg. 113, lin. 11-12). Del resto, per amor del vero il Fuchs medesimo ha riconosciuto l’inesat- tezza delle asserzioni da me pure contrassegnate nei periodi sopra citati, e perciò, non reggendo più il ragionamento fondato sulle medesime, avrebbe forse potuto ricredersi : ma egli sog- giunge : « Se si volesse riportare la fauna dei mammiferi di Pikermi al miocene, in tal caso si avrebbero due faune mioce- niche di mammiferi al tutto diverse, ed io non comprenderei allora perchè non vi potrebbero essere egualmente due diverse faune plioceniche di mammiferi » (Boll. Geol., pag. 113, lin. 4-8). Dico la verità che ad un argomento siffatto, in una discussione avvocatesca saprei forse rispondere ; ma in un areopago scien- tifico mi casca la penna di mano, e non so proprio cosa replicare. Eppure in quel non breve tempo che si chiama miocene non solo due ma più successioni di faune sono state ammesse fin — 405 — qui; nel pliocene invece, che rappresenta un’epoca assai più corta, per quel che si sa, vi è una fauna sola che non è certo quella di Pikermi. Per ultimo si aggiunge che la fauna di mammiferi del se- concio piano mediterraneo nel Viennese e del piano sarmatiano è racchiusa in strati che vengono attribuiti al Tortoniano, cioè, dice il Fuchs, al miocene superiore, ed è analoga alla fauna dì Sansans e Siraorre « la più giovane conosciuta negli strati mio- cenici » e « fondamentalmente diversa da quella di Pikermi, la quale è molto più recente. » Anche questa è la prima volta che odo attribuire al mio- cene superiore gli strati di Sansans e Simorre, che fin qui si usava riporre nel miocene medio. Anche la fauna di Monte- bamboli in Toscana, la quale è analoga a quella del secondo piano Mediterraneo suddetto, fu riposta fin qui nel miocene me- dio. Secondo il Gaudry e qualchedun altro gli strati di Sansans e Simorre sarebbero un poco più antichi del secondo piano Me- diterraneo dei geologi viennesi ; quand’ anche fossero equivalenti, vorrebbe dire che gli uni e gli altri, insieme col piano Torto- niano, che del resto è un termine molto incerto e molto largo, dovrebbero, almeno in parte, essere attribuiti, come furono fin qui, al miocene medio. Del resto, dopo la pubblicazione più recente del Fuchs stesso, gli strati di Pikermi e quelli analoghi non sono più messi da lui insieme cogli strati marini pliocenici d’ Italia, ma sono con- siderati come sottostanti. La questione statigrafìca è dunque stata risoluta come doveva essere: fuori di essa rimane in parte una questione di parole più che d’ altro ; il Fuchs per residuo di un antico equivoco dice pliocene quello che gli altri dicono miocene superiore, e che io dico non essere affatto pliocene ; ma io intendo parlare del pliocene come fu inteso fin qui, non di un pliocene ad usimi deìphini. Evidentemente, se uno dice bigio quel che gli altri dicono bianco, sarà poco facile mettersi d’ accordo. - 406 - V. Il vulcano Monte Ferru in Sardegna, per C. Doelter. (Estratto dalle Memorie della I. e R. Accademia delle Scienze in Vienna, voi. 88, pag. 2.) Osservazioni generali siile formazioni vulcaniche di Sarde- gna. — Il La Marmora, nella sua classica opera sulla Sardegna, distingue le formazioni vulcaniche di questa regione in 4 gruppi : 1° Trachite antica; 2° Trachite amfibolica e Fonolite; 3° Basalto ; 4° Lava recente. Una divisione più dettagliata non sarebbe stata possibile in quel tempo. In questa divisione le formazioni trachitiche e andesitiche specialmente sono distinte in modo saliente dalle basaltiche. Le rocce trachitiche più antiche sono per lo più la riolite, la tra- chite sanidinica, la ossidiana e la perlite. Esse formano in gran parte le isole di San Pietro e di Sant’ Antioco nella parte sud- ovest dell’ Isola. Al nord e precisamente sulla costa occidentale emerge di nuovo un grandissimo ammasso di formazioni trachi- tiche antiche; anche là vengono fuori le formazioni più recenti mentovate, accompagnate però anche da andesite. Dovunque a sud come a nord le rocce massiccie sono accompagnate da masse di tufo e di breccia pomicea. Tutte queste formazioni non hanno un deciso carattere neovulcanico; esse emergono sotto forma di grandi espandimenti e correnti che ricoprono la breccia pomicea, quantunque qua e là si mostrino anche delle parti salienti : pre- sentano la maggior estensione nell’ altipiano Alghero-Bosa, dove i monti trachitici raggiungono considerevole altezza ; questo ter- reno trachitico occupa un’ estensione di 10 miglia quadrate e po- trebbe indicare un grande numero di centri di eruzione. Le trachiti più antiche sembrano essere venute a giorno nel- P epoca miocenica, forse già alla fine del periodo eocenico. Le formazioni segnate dal La Marmora come trachite amfibo- — 407 — lica e fonolite si mostrano in parecchi gruppi distinti, il cui centro sembra all’ incirca situato fra Cagliari ed Oristano alla stazione di Villasor. Abbiamo qui parecchi piccoli gruppi mon- tuosi che si presentano indipendenti e rappresentano diversi cen- tri di eruzione, le singole rocce mostrandosi come correnti o come potenti ammassi. Quanto alla loro natura petrografia ap- partengono essenzialmente alle andesiti ; è dubbio se vi sia vera fonolite. Le andesiti per altro si presentano anche insieme colle traehiti sanidiniche, come specialmente nella regione Alghero- Bosa. Fra i gruppi montuosi isolati sono da mentovarsi qui par- ticolarmente quello di Siliqua e V altro di Nuraminis-Monastir. Anche queste rocce potrebbero essere uscite nell’ epoca miocenica. In Sardegna le formazioni basaltiche sono molto estese ; oltre le grandi masse del Monte Ferru e del vulcano di Arci, ne troviamo ancora parecchie piccole porzioni presso Orosei, presso Guspini al Capo San Marco e altrove. Le più importanti però sono le prime nominate; il carattere loro è affatto diverso da quello delle formazioni trachitiche. Il carattere vulcanico è già più evi- dente, e si può rintracciare assai bene l’origine della corrente lavica; vi appaiono distinte le scorie vulcaniche e si può anche riconoscere nella struttura la forma vulcanica. E singolare l’amal- gamazione colle vere lave trachitiche, che qui si manifesta più chiaramente che altrove; queste lave trachitiche hanno però un altro carattere che le vere traehiti più antiche. Al Monte Ferru si osserva che la trachite si presenta insieme al basalto, e tali rapporti sembrano pure verificarsi al Monte Arci ove accanto al basalto appare 1’ ossidiana. Le lave trachitiche sono anche qui i prodotti più antichi e le basaltiche i più recenti. Secondo il La Marmora il Monte Ferru consta per la maggior parte di basalto ; egli osserva pure che in alcuni punti appare anche la trachite, come presso la miniera di Senneghe e presso Santa Caterina di Pitinuri. L’ interno della montagna secondo esso consta di tufo bianco che passa a domite. Egli tiene quella trachite per antica, simile e contemporanea delle rocce di Bosa, Alghero, Carloforte, ec. E incerto sulla posizione da assegnarsi alla domite o tufo decomposto, e se lo stesso appartenga alle traehiti antiche ovvero alle formazioni più recenti; inclina però per la prima opinione : per lo contrario egli ritiene per lava più — 408 - recente alcune delle rocce che sono simili petrografìcamente alla trachite nominata dapprima, e del pari chimicamente molto acide, e le chiama lava feldispatica grigia. In generale esso non ha rilevato 1’ accordo delle lave basaltiche e trachitiche, quantun- que egli dovesse pure constatare V età più recente delle così dette lave felspatiche ; queste però passano nei tufi o nelle tra- cimiti antiche non essendovi alcun dubbio sulla loro correlazione, mentre si possono più facilmente distinguere le tracimiti che ap- pariscono presso Bosa e in altri punti da quelle del Monte Ferru. Il La Marmora lascia pure aperta la questione se il Monte Ferru realmente appartenga a vulcani recenti o no; propende però ad affermarlo: in ogni modo esso ha riconosciuta l’importanza di questo monte fra le formazioni vulcaniche di Sardegna, e lo ha in modo speciale messo in rilievo. Nella Carta geologica il La Mar- mora ha segnato come basalto la maggior parte dei terreni che sono occupati dal Monte Ferru, ad eccezione di alcune località presso Macomer die distinse come trachitiche. Formazioni vulcaniche recenti. — A nord di Monte Ferru s’ al- linea verso Ozieri una catena di coni vulcanici in direzione da sud a nord-nord-ovest. Secondo il La Marmora V epoca di eru- zione di quei piccoli vulcani cadrebbe fra il periodo terziario ed il quaternario : egli paragona la regione di quei vulcani recenti a quella dei vulcani spenti dell’ Alvernia. Il La Marmora ha distinto fra Sindia e Giave un numero assai grande di piccoli vulcani isolati sempre con una sola cor- rente di lava, mentre io discordo alquanto dal suo modo di ve- dere. La difficoltà di separare V uno dall’ altro i crateri isolati ed i coni non sembra piccola; in ogni modo le bocche di quei vul- cani nella regione meridionale non furono tanto attive, come am- mette il La Marmora, se non era possibile una esatta separazione di ciascuno. Non piccola difficoltà presenta pure lo amalgamarsi di quelle lave più recenti con quelle formanti a quanto sembra la coper- tura basaltica che è continuazione del Monte Ferru. Quanto ai coni vulcanici situati a nord sono essi molto facilmente separabili ; po- trebbero essere di epoca più recente che quelli meridionali con- servando gli stessi assai meglio i crateri che gli ultimi ; ora non è improbabile che i vulcani nordici fossero in attività anche in 409 - epoca storica; in ogni caso potrebbero però tutti essere molto più recenti degli ultimi depositi terziari. Pare che in generale in Sardegna i vulcani più antichi si sieno formati nel sud, ed invece i più recenti nel nord. Questi vulcani recenti, quasi affatto sconosciuti, sono fra tutti i circostanti del più grande interesse: è quindi opportuno di pren- dere ad esame le più recenti formazioni vulcaniche situate in prossimità del Monte Ferru. Topografia. — Il Monte Ferru giace a nord di Oristano, fra la costa e la grande strada militare che conduce da Oristano a Sassari : il territorio da esso occupato è limitato versa nord dal fiume di Posa ; a sud dalla grande pianura di Oristano ; verso oriente è attraversato dal corso inferiore del Tirso e dai suoi affluenti di destra. Esso occupa un’ area di circa 7 miglia qua- drate, mentre le sue lave ne coprono una di circa 16. Nel pendio sud-ovest della estesa catena che per la mag- gior parte consta di granito, scisto e calcari antichi, e che forma una gran parte dell’ Isola, si trova una grande pianura che va da Monte Ferru fino a Cagliari; anche a nord di Monte Ferru questa pianura si estende verso le montagne trachitiche di Al- ghero. Guardando da esse a nord di Monte Ferru le diverse col- line formate di rocce eruttive, si vien alla conclusione che prima della formazione dei monti vulcanici esisteva al pendìo occiden- tale del monte una grande pianura da Sassari a Cagliari, dalla quale si sollevarono più tardi i monti vulcanici, e oggi ancora il Monte Ferru si trova isolato, separato dalle altre montagne dalle pianure circostanti. Il corso inferiore del Tirso, che sbocca presso Oristano, separa approssimativamente la pianura dalle alte catene montuose orien- tali ; però la pianura si estende ancora alquanto verso oriente sopra il Tirso, specialmente presso Sorradillo e Busachi; di qui si elevano poi le dirupate rocce granitiche verso il paese di Fonni ed il vicino Gennargentu, il più alto monte della Sarde- gna (1700ra). Questa magnifica catena da Fonni si dirige verso Nuoro e poscia più lungi nella direzione sud-nord. A nord di Nuoro una diramazione va verso ponente fino presso Macomer e Bortigali dove già stanno il granito e gli scisti. È questa la catena del 27 — 410 — Marghine parimente formata di rocce antiche come la catena principale, dalla quale essa è separata per il corso superiore del Tirso ; essa ha la sua continuazione nel Monte Acuto a nord di Ozieri : presso Sedilo la montagna più antica presenta un’ inse- natura, ed è qui la più considerevole estensione di pianura che circoscrive il Monte Ferru, solo interrotta da alcune colline vul- caniche. Verso nord questa pianura è racchiusa dalla regione montuosa di Bosa, Romana, Giave che corre in direzione di S.E. a N.O. In prossimità della costa la pianura è limitata a nord dal corso del Temo e poscia da quello del Semestene confluente del medesimo. La bassa pianura passa gradatamente in un altipiano nella direzione N.E., ed è V altipiano della Campeda alto 400m. Nella parte nordica di questo altipiano si trova un triplice spar- tiacque. Questo punto è tra la cantoniera di San Simeone e quella di Padre Mannu tanto nota in Sardegna. Le acque de- fluenti verso ponente si versano nel Temo che ha foce presso Bosa ; quelle che colano verso N.E. si versano nel Coghinas che sbocca in mare presso Castel Sardo. Nel pendio S.E. della ca- tena del Marghine le acque defluiscono nel Tirso che sbocca in mare presso Oristano. Dalla Tanca di Padre Mannu lo sparti- acque va verso nord presso Bonorva e Keremule, Borutta, Ar- dara ; le acque dirette verso N.O. sboccano vicino a Porto Torres nel golfo dell’ Asinara. L’ altipiano della Campeda passa verso N.O. in una regione ondulata che come V ultimo è alta da 400m a 600“ Passiamo ora all’ orografia particolare del Monte Ferru.1 La più alta vetta del Monte Ferru è il Monte Urtica che secondo le misure del La Marmora si eleva 1049 metri sul mare. Il pendio più dirupato del Monte Ferru è quello di ponente verso il Capo Nieddu ; la pendenza minima è verso sud-ovest e nord-est ; anche nella direzione di Cuglieri e Seneriolo la montagna si eleva con dolce pendio, mentre verso Santo Lus- 1 II La Marmora aveva dapprima applicato questo nome a tutta la montagna da Milis a Sindia; gli abitanti danno questo nome solo alla parte in vicinanza delle miniere di ferro e verso Santa Caterina ; le altre cime hanno tutte un nome particolare. Un nome per tutta la montagna non esiste, e però seguo in ciò il La Marmora. — 411 - surgiu declina dapprima rapidamente per pianeggiare poi gra- datamente verso Paulilatino. Lo stesso ha luogo nella direzione di nord verso Sindia ; però in direzione di Macomer vi si at- tacca una serie di colline più basse che da quel punto si elevano di nuovo e successivamente passano nell’ alta catena del Marghine. Il Monte Ferru è solcato da tutti i lati da valli più o meno profonde. Il corso d’ acqua più considerevole è quello che dalla vetta più alta del monte scorre verso Cuglieri e sbocca nel mare presso San Marco ed è il gran Rio Mannu. Nella parte supe- riore del suo corso forma coi suoi confluenti, tre dei quali sono considerevoli, una grande valle chiusa di forma elittica che va da Monte Entu verso Cuglieri ; in questa si elevano parecchie colline specialmente in vicinanza dell’ ultimo villaggio, come il monte che porta il castello di Ferru ed altre cime più vicine. Il Rio Mannu riceve al disotto di Cuglieri un confluente di qualche importanza che scorre da Scannu verso Senariolo, e sbocca a metà via fra Cuglieri e San Marco : il suo corso superiore è diretto da S.E. a N.O., quindi parallelo quasi alla valle del Rio Mannu dalla quale è separato per un dosso di mediocre altezza. Il Rio Mannu riceve presso San Marco un confluente meno importante che rac- coglie le acque della bassa regione ondulata di Suni e Sagama. Verso occidente parecchi ruscelli escono da Monte Urtica, dal Monte Ferru ; così il fiume di Capo Nieddu, e le acque che sboc- cano presso Santa Caterina di Pitinuri, le quali in parte pro- vengono dalle parti inferiori del Monte Ferru. Mentre questi corsi d’ acqua si versano direttamente nel mare, quelli del versante sud-est che provengono in maggior parte dalle parti basse dei monti, formano valli strette e poco profonde; tali sono il rio di Senneghe, quello di Bonarcado con quello che proviene da Paulilatino. Lo stesso dicasi delle acque che defluiscono verso sud-est da San Giuseppe, San Leonardo, Sant’ Antonio e che si versano nel Tirso. La più importante però è la grande valle chiusa di Santo Lussurgiu. La cresta del Monte Ferru che occupa due terzi d’un circolo racchiude un gran circo aperto verso oriente ; esso è di- viso in due parti da una cresta un po’ più bassa della princi- pale ; la parte meridionale è di gran lunga più grande, e in que- sta si elevano due punte isolate; la parte minore è meno erta, — 412 più angusta e all1 ingresso di questa si trova Santo Lussurgiu. Nella parte inferiore di questa valle a forma di circo si radu- nano le acque dei rivi alpestri formanti un rio che sotto Santo Lussurgiu scorre verso Bonarcado. Dintorni di Macomer e Donorva. — Le colate formate da correnti di lava del Monte Ferra verso San Leonardo conti- nuano anche verso Macomer. A metà via tra Scannu e Macomer si eleva una punta alta 650 metri circa sul mare o 250 sulla pianura; da questa cima si estende verso Macomer un dosso pianeggiante che inalzandosi a poco a poco verso oriente si con- giunge col Marghine. A nord un altro dosso parallelo al primo continua verso Mulargia, e oltre a questo il Monte Muradu : poco lungi da questo comincia presso Bortig’ali la menzionata catena del Marghine. Macomer giace nel pendio del Monte Muradu che da questo punto si abbassa rapidamente per circa 150 metri. A nord di Macomer verso Bonorva il terreno sale sempre più alto e passa in un altipiano dolcemente ondulato, il cui punto più elevato trovasi presso la Tanca di Padre Mannu e che sale verso S.E. verso il Marghine. Dalla Tanca di Padre Mannu il terreno si abbassa dolcemente verso Sindia e verso Bonorva : verso Bebecca però si vede il terreno abbassarsi in modo al- quanto notevole. Dintorni di Dosa e Padria. — La pianura detta Plana de Murtas forma una continuazione meno elevata dell1 altipiano della Campeda : dessa è interrotta da una catena di coni vulca- nici che va da Semestene verso Sindia. A nord di Bosa sulla destra del Temo si eleva una regione montuosa alquanto erta che si estende gradatamente verso Al- ghero. Da Semestene verso occidente corre una valle poco pro- fonda formata da un confluente del Temo. Al nord di questo si vede una regione ondulata solcata da valli mediocremente pro- fonde. Da Mara e Pozzo Maggiore una valle si dirige verso ovest, e da Cossoine verso Bonvei, un’altra diretta a N.O. Mara e Padria giacciono nella parte inferiore di queste valli. Pozzo Maggiore invece trovasi nella loro parte superiore entro un bacino circondato da colline vulcaniche, e Semestene entro un1 ampia conca separata dalla pianura di Bonorva e Bebecca, da un dosso al- quanto alto e largo. Verso nord il monte si fa più alto e sei- — 413 — vaggio, finché tutto il terreno si abbassa gradatamente presso Keremule. Bocce cìél Monte Ferru e dintorni. — Le rocce vengono di- vise nei quattro gruppi seguenti in ordine di età: I. Le trachiti antiche. IL Le trachiti recenti di Monte Ferru. III. Le lave basaltiche di Monte Ferru. IV. Le lave basaltiche recenti. Le prime rocce che appartengono all’ epoca eocenica e mio- cenica si presentano nei monti presso Bosa, Macomer, Pozzo Maggiore ec. al di fuori del territorio del vulcano Ferru. Al contrario le trachiti recenti e le lave trachitiche si pre- sentano soltanto nel territorio di questo monte. Fra le lave ba- saltiche di Monte* Ferru si distinguono molte rocce diverse per natura mineralogica. Furono del pari distinte fra le lave che defluirono dal recente vulcano presso Pozzo Maggiore diverse varietà che si possono dividere tanto mineralogicamente che per la loro struttura e formano distinte correnti discese da vari cen- tri eruttivi. I. — Trachiti antiche. PiIOLite e trachite (il gruppo più acido della famiglia delle trachiti). Si presentano le forme seguenti : a) Ossidiana passante a perlite ; forma un banco nella trachite sanidinica al Monte Muradu presso Macomer. b) Breccia poinicea, risultante di un cemento di pomice con inclusioni angolose dello stesso materiale; si mostra presso Bosa, a Bonorva e vicinanze. c) Trachite sanidinica, ricca di silice ; roccia rossiccia con sanidina distinta, però senza quarzo come parte costituente; contiene tuttavia per lo più masse separate di calcedonio e di altre varietà di quarzo. Questa roccia è molto estesa : si pre- senta nei dintorni di Bosa presso Padria, Pozzo Maggiore verso il Castangiu, presso Macomer al Monte Muradu e presso Scarni. d) Trachite biotito-sanidinica, così denominata essendo una trachite bianca ricca di biotite e sanidina : su tale roccia è fab- bricato il castello di Bonvei. - 414 - Andesite. — L’ andesite orneblendica si presenta principal- mente a nord di Mara e Pozzo Maggiore. Una bella roccia con grossi cristalli di amfibolo si mostra rimpetto al castello di Bonvei in direzione di ponente, però anche al Monte di Lepre e vicinanze si mostra un’ andesite verdiccia alquanto decomposta che è ana- loga alla precedente. IL — Trachiti recenti. Trachite sanidinica porfirica. — Questa roccia si presenta nella punta di mezzo del Monte Ferru; ha un aspetto porfìrico qua e là con struttura granulare, e contiene in gran numero grossi cristalli di feldspato (sanidina) che formano la massa principale della roccia. È una roccia acida con un tenore di silice supe- riore al 50 % : trovasi principalmente a N.O. di Senneghe poi ad est di Santa Caterina di Pitinuri in vicinanza delle miniere di ferro, dove per altro essa è quarzosa e decomposta. Incon- trasi pure al Monte Urtica, Monte Pertuso, Viajosso e Monte Boe presso Santo Lussurgiu. Lava trachitica compatta. — Il La Marmora designa questa roccia come lava feldspatica. Sono per lo più rocce affatto com- patte, la massa fondamentale ne è grigia omogenea, molto dura con rari cristalli di feldspato. Alcune di esse sono fonolitiche ; contengono il 58 °/0 di silice. Queste lave si trovano presso Cu- glieri, Scannu e Castello Ferru. Tufo trachitico con Trachite e Fonolite. — Il La Marmora paragona queste rocce a domite: sono infatti spesso biancastre, aspre, talora poco coerenti e friabili ; questo peraltro sembra un carattere secondario, poiché si osserva solo nei declivi delle valli. Tali rocce sono pure affatto compatte e mostrano solo rare sa- nidine passando esse gradatamente a trachite sanidinica e a lava trachitica compatta ; la separazione ne è difficile. Tufo trachitico giallo. — È segnato dal La Marmora come tufo pomiceo, e ritenuto quasi coetaneo delle trachiti di Bosa e più antico di quella di Santa Caterina di Pitinuri spettante alle formazioni plioceniche : secondo lui questo tufo appartiene al miocene : una esatta determinazione dell’ età non si può stabi- lire, però si può ritenere questa roccia assolutamente non più — 415 — antica delle formazioni plioceniche, nè sembra esistere la ras- somiglianza di questo col tufo di Carloforte e di Bosa fatta rilevare dal La Marmora. La roccia è porosa di forma spesso brecciosa e contiene inclusioni simili alle rocce ora mentovate ; non si può quindi ritenerla così antica. Essa affiora fra Scanu, Seneriolo, Cuglieri, e trovasi per lo più nelle valli. Anche su- periormente al Castello Ferru sulla via per Santo Lussurgiu s’incontra una roccia che ben si potrebbe qui collocare. III. — Lava basaltica. Basalto feldspatico normale. — Questa roccia si presenta sotto diversi aspetti sia per struttura che per la proporzione dei singoli minerali. Le parti componenti la massa sono plagioclasio, augite, olivina, magnetite e sanidina. In una medesima corrente di lava si presentano spesso rocce compatte con molte varietà porose e bollose ; l’ olivina si mostra in piccoli grani e solo raramente in frammenti più grandi. Queste rocce formano la grande copertura che si estende tutto all’ ingiro del Monte Ferru : esse sono di natura basica, il loro tenore di silice oscilla fra il 45 e il 48 °/0* Basalto leucitico di Scannu. — È una varietà che si scosta alquanto dalle altre rocce appartenenti al gruppo dei basalti; è un basalto ricco di leuciti e di olivina, compatto e nero, 1’ oli- vina evvi in pezzi della grossezza d’ un pugno come anche in piccoli grani. Si distingue pure per diversa natura mineralogica. Questo basalto potrebbe essere la roccia più basica del gruppo contenendo solo il 42 °/0 di silice. Lava biotitica. — Una roccia affatto particolare del gruppo dei basalti si presenta a Ghizo : essa contiene grandi cristalli di biotite e di augite. Forma una corrente di piccola estensione che defluì verso occidente dalla sommità del Monte Ferru. Questa corrente ha coperto il basalto feldspatico normale. In alcuni punti si trovano pure scorie vulcaniche ; esse sono molto porose e di color rosso bruno ; s’ incontrano specialmente nelle vicinanze di Senneghe. Immediatamente vicino a Senneghe trovasi una roccia rossa porosa che dagli abitanti è indicata come poz- zolana. — 416 - IV. — Lave recenti a nord di Monte Ferra. Basalto , olivinico di Pozzo Maggiore. — Rassomiglia a quello di Scannu : è un basalto leucitico molto ricco di olivina, che spesso costituisce più della metà della roccia, sicché questa di- viene una vera breccia olivinica. Si trova a Monte Boe, Monte di Pozzo Maggiore, Monte San Pietro, ed anche al disotto di Pozzo Maggiore. Basalto nero di Padria. — Roccia affatto compatta, nera, molto ricca di zeoliti, e diversifica da tutte le altre dei dintorni ; forma una corrente fra Pozzo Maggiore e Padria. Basalto di Monte Rughi. — Questa roccia ha molta analo- gia con taluni basalti del Monte Ferra; forma il Monte Rughi, il Monte La Marmora, il Monte Andrea, dove si presenta anche insieme con scorie. Struttura del vulcano Ferru. — Il vulcano Ferra consta es- senzialmente di due formazioni, del nocciolo trachitico e dell’ in- volucro basaltico. Benché sieno differenti i prodotti dell1 antico vulcano trachitico da quello del vulcano basaltico recente, pare tuttavia evidente la correlazione di entrambi ; forse qui si tratta di un centro di eruzione rimasto attivo per lungo tempo. La conformazione topografica del monte lo dimostra : in un1 ampia pianura si eleva un monte isolato alto quasi 1100m, la punta più elevata del quale consta di trachite, mentre pochi metri più in basso stanno i basalti ; non può essere accaduto che un recente vulcano cominciasse direttamente a rendersi attivo alla vetta di quel monte ; questo era stato inalzato poco prima dalla stessa attività vulcanica, e solo si cambiarono i prodotti. Il La Marmora considera come una trachite che non ha nulla di comune colle lave del Monte Ferru, quella da noi segnata come trachite sanidinica; appartiene invece secondo lui a questo la lava feldspatica (la nostra lava trachitica) mentre per contro tiene i tufi gialli per più antichi delle formazioni plioceniche. Chi però esamini nel dettaglio sì nella struttura che nella pe- trografia la connessione di quelle formazioni trachitiche, deve convenire che esse sono strettamente collegate e non separabili: — 417 — del resto non esiste veramente una analogia colle trachi ti mioce- niche, le rocce almeno che si presentano al sud-ovest dell’Isola presso Bosa, Bonvei e Bonorva hanno tutt’ altro carattere. Là predomina la breccia pomicea con le singole cime trachitiche e correnti che formano in gran parte le più basse pendici. L’ana- logia fatta rilevare dal La Marmora, che anche al Monte Ferru s’ incontrano corniole e vene e filoni di calcedonio, non vale, di- pendendo ciò dalla natura acida della roccia; questi in ogni modo non sono tanto copiosi nel territorio del Monte Ferru. Considerando dunque che le formazioni trachitiche strettamente fra loro collegate sono in parte, come il La Marni ora riconosce, lave del Monte Ferru, che è inverosimile che le lave basaltiche fossero arrivate alle vette di un alto monte preesistente, che que- sto monte è isolato, che la sua altezza è doppia delle rimanenti formazioni trachitiche, che oltre ciò nessuna identità esiste fra le ultime e le prime, si deve conchiudere essere stato una unica bocca vulcanica che ha fornito tutte quante le rocce e che solo coll’ andar del tempo è subentrato un cambiamento nei prodotti dell’ eruzione. Non mancano del resto anche petrograficamente nessi tra le rocce : talune trachiti si accostano ai basalti, la lava fonolitica sta fra la trachite e il basalto, alcuni basalti hanno più l’ aspetto di trachiti, la lava trachitica di Cuglieri assomiglia a lava basaltica. Questo fatto si verifica pure nei Campi Flegrei, a Bocca mon- fina, ad Ischia, nelle Isole Ponza, nell’ Alvernia, dove si osserva essere intervenuto un cambiamento nel rapporto chimico e mi- neralogico dei prodotti eruttivi. Anche qui come nel nostro caso il prodotto basico è il più recente. Nel maggior numero dei casi si osserva intervenire un lungo periodo di riposo fra le eruzioni trachitiche e le basaltiche, e probabilmente ciò accadde anche per il Monte Ferru. È difficile lo stabilire P età del tufo giallo ; sopra il Castello Ferru trovasi, come dicemmo, un tufo simile che contiene fram- menti del tufo domitico, ed è quindi più recente di questo ; non si può però ammettere con sicurezza la identità di questo col tufo che si presenta presso Cuglieri ; verosimilmente l’ ultimo è quasi coetaneo colla trachite e il tufo bianchi che formano l’interno del Monte Ferru; è probabilmente più antico del più — 418 — recente deposito pliocenico, e le più antiche eruzioni del Monte Ferra hanno forse cominciato al principio dell’ epoca pliocenica. La serie per età, delle rocce diverse del Monte Ferra, può essere così fissata : 1° Tufo trachitico giallo ; 2° Tufo trachitico bianco, decomposto e trachite compatta ; 3° Trachite sanidinica; 4° Trachite compatta e lava fonolitica ; 5° Basalto feldspatico; 6° Lava biotitica ; 7° Basalto leucitico. Il vulcano trachitico. — Esso forma la parte più interna del monte e nello stesso tempo anche le più elevate punte del me- desimo. Abbiamo visto che nel suo lato occidentale si apre una larga e profonda valle chiusa, divisa in due parti ineguali da una costa: la parte a sud è più vasta e profonda, avendosi 1049m nel punto più elevato e 490m allo sbocco della valle. In questo circo non esiste propriamente un esteso fondo di valle, ma dapper- tutto P interno pendìo precipita giù dirupato e profondo, fino al terreno ondulato che a poco a poco si trasforma nella stretta valle che si dirige verso Bonarcado. Si domanda se questa valle chiusa sia da tenersi come cratere o no. In ogni caso così, come ci si mostra, non rappre- senta il cratere primitivo nell’ intero suo circuito : la denuda- zione ha alterato troppo la primitiva orografia perchè fossero possibili ancora chiari avanzi della primitiva formazione. Ciò non ostante non si può disconoscere che questa valle si formò non per sola denudazione, ma che vi cooperarono altre forze. Sem- bra che questa incavatura a foggia di circo sia stato il punto principale di eruzione del vulcano, e probabilmente fu questa la parte superiore del medesimo, come lo indica la sua struttura. Le pareti ripide che ovunque si osservano e che rendono al- quanto difficile la discesa nella valle bassa, non ponno essersi formate soltanto per denudazione, e solo potrebbe attribuirsi a questa il livellamento graduale che ha formato quel terreno ondulato. Il cono che si eleva allo sbocco del circo forse segna il limite del cratere. Il bacino interno consta del menzionato tufo trachitico bianco - 419 — con masse isolate di tracliite sanidinica. In niun luogo dell’ in- terne pareti si vede traccia della copertura basaltica, ma bensì vene isolate di basalto. In ogni caso la maggior parte è di tufo trachitico. Il Monte Entu è formato di trachite sanidinica, con grandi cristalli di sani dina sparsi porfìricamente. Sulla cresta del monte, verso Monte Urtica, si segue una roccia simile, però nell’ interno si trova soltanto tufo, fonolite compatta e trachite. Quanto alle masse isolate di trachite sanidinica, esse sembrano essere venute a giorno come filoni in quelle località, e di là, come si osserva nei pendìi del monte, essersi espanse a guisa di correnti o come potenti filoni-ammassi. Forse sono ancora filoni le masse che si trovano al Monte Urtica, come pure quella che si osserva da questo punto verso Santa Caterina. Mentre V interno del bacino e la sua cresta sono formate dalle suddette rocce, nel versante sud, come anche a nord al di là della cresta, troviamo le formazioni basaltiche. La costa che separa la grande valle descritta dalla piccola, consta invece di formazioni trachitiche; verso est però esse ces- sano subito sotto Santo Lussurgiu, e cedono il posto al basalto : al contrario verso sud-ovest la trachite si estende più lungi verso Santa Caterina. Subito dietro Monte Urtica, la più alta vetta del monte, si eleva un altro culmine più basso, chiamato dal La Marmora Pertuso; esso è di trachite, e all’ ingiro si trova il tufo bianco. A sud-ovest di questo si eleva il Monte Ferru pro- priamente detto: è formato da una varietà scura, fortemente ricca di sanidina, e vi si trovano in diversi punti miniere di ferro con ferro speculare e pirite; in vicinanza di esse la roccia è alterata, bianca e molto silicea. All’ estremo sud, come ultima propagine, trovasi ancora una piccola elevazione di trachite molto alterata, che contiene parimente minerali di ferro ; là vicino evvi la cappella ruinata di Ermannu Matteu. Verso il mare la trachite confina coi depositi terziari presso le ruine di Corneus, città romana. Sono pure di lava trachitica dura e compatta le colline di San Marco e Santa Vittoria vicino al mare. Essendo circondate da lava basaltica, può chiedersi se non sieno avanzi di filoni o correnti, o se non appartengano a eruzioni indipendenti : è più — 420 — verosimile sieno correnti separate che si connettono colla lava di Origlieri. Il centro di tutte queste eruzioni trachitiche potrebbe cer- carsi verso la cima del Monte Entu, non lungi dalla grande valle chiusa di Monte Urtica. Il vulcano basaltico. — Il punto principale di eruzione di questo si mostra in modo più evidente che quello del vulcano trachitico ; le correnti basaltiche sono sgorgate dalla sommità del Monte Urtica : quasi dovunque noi vediamo in vicinanza delle creste, correnti di basalto che si sono riversate in tutte le di- rezioni. Quelle verso Senneghe, Milis e Bonarcado constano in parte di roccia porosa scoriacea, ed in parte di roccia compatta. Dal lato opposto si sono versate correnti verso Santo Lussurgiu, Santa Vittoria e San Leonardo. Sulla cima direttamente a nord, al di là della via che unisce Santo Lussurgiu con Cuglieri, tro- viamo sopra la trachite il basalto, che di qui si espanse sino presso Sindia : altre correnti hanno defluito nella direzione di Scannu. Qui l’ attività vulcanica deve essere stata veemente e di lunga durata, poiché da Tresnuraghes, Bosa e dai punti vicini si riconosce la potenza- considerevole dello strato basaltico. Verso ovest, infine, e sud-ovest si segue la lava adagiata sulla trachite da Monte Entu e da Monte Urtica fino al mare. I contorni topografici delle colline formate da queste cor- renti sono ancora ben conservati, e all’ ingiro di Monte Ferru si vedono formar dighe di lava che a poco a poco si perdono nella pianura ; anche questa però è coperta da strati di basalto, con potenza oltre i 60m, fino oltre Sindia, Suni, Santa Caterina di Pitinuri, Milis, Borore, Bauladu, sicché fa meraviglia che le correnti abbiano potuto estendersi così lontano con così piccola pendenza. Tutte queste lave, sebbene diverse per struttura e per la quantità dei minerali che le compongono, sono però nel com- plesso molto simili tra loro, e quindi da unirsi in un solo grup- po ; sarebbero da eccettuarsi il basalto leucitieo con olivina di Scannu e la lava bioitica di Ghizo. Il primo si presenta in forma di corrente discesa dal versante nord del vulcano nella valle verso Scannu, e si può seguire di qui sino a Seneriolo e verso — 421 - il mare in direzione di ovest. Non si può stabilire se questa corrente sia escita dal cratere principale, ovvero da una bocca secondaria. La lava biotitica forma solo una piccola corrente al di sotto del Monte Entu : essa è molto interessante mineralogicamente, ed è quindi particolarmente distinta ; certamente è defluita dal cratere del Monte Urtica. Coni parassitici. — Come in tutti i grandi vulcani passati e attuali, non mancano anche intorno a Monte Ferra i crateri pa- rassitici ; uno dei più degni di osservazione è quello di Senne- ghe : è contrassegnato topograficamente da un’ altura sulla quale sta questo villaggio; geologicamente si distingue per la roccia rosso bruna, porosa, bollosa e piena di scorie. All’ uscita di que- sto villaggio verso Narbolia si veggono queste scorie traforate da due filoni di basalto, i quali più tardi sono colati in forma di corrente verso San Vero. Altro piccolo cono è contrassegnato da una piccola altura presso Narbolia. Simili alture si trovano pure presso Paulilatino e Bauladu ; verosimilmente questi coni hanno pure potentemente contribuito alla formazione del grande strato basaltico che si estende fino al fiume Tirso, e quindi per quattro miglia geogra- fiche dalla sommità del Monte Ferra. Forse anche nei dintorni di Tresnuraghes e di Suni fuvvi in attività uno di tali coni. Di maggior importanza è il cono di Sant1 Antonio, alto più di 100m, posto a nord di Santo Lussurgiu, le cui lave si sono espanse fino verso Macomer e Sindia. La estesa formazione ba- saltica che copre V altipiano di Campeda non può essere stata prodotta che per mezzo di coni parassitici, essendo il medesimo troppo elevato per poter ammettere che il basalto sia defluito da Monte Ferra, oltre di che le rocce sono alquanto differenti. A maggiore intelligenza della struttura del vulcano, daremo una descrizione delle singole località percorse. Andando da Tramazza verso Milis si attraversa solo l’allu- vione, ma si veggono avanti a sè da per tutto le correnti del Monte Ferru. Una corrente discesa dal cratere parassitico di Senneghe si estende fino a Milis, da un altro lato una larga corrente da Bonarcado scende verso Santa Cristina; le valli che si trovano fra queste due correnti sono pure di basalto, proba- — 422 - talmente più antico, che sgorgò da quelle correnti ben ricono- scibili topograficamente. Andando verso Senneghe si cammina sem- pre su quella corrente. Presso questo villaggio però si osserva in un taglio fatto per una nuova strada, fra i singoli banchi di lava, strati di roccia porosa e scoriacea. Ciò è peraltro meglio visibile sulla strada di Narbolia : là la roccia porosa rosso-bruna, piena di scorie, ha considerevole potenza, è attraversata dal ba- salto che poi si è sparso verso San Vero Milis. Sembra dunque esser qui il punto di eruzione del cratere parassitico. Da Senneghe verso Narbolia si vede ovunque la lava basaltica porosa, grigia, con inclusioni di quarzo, e si va di là sulla lava sino alla pianura verso Ermannu Matteu. La collina presso V an- tica Cappella è di una roccia biancastra compenetrata di limo- nite e oligisto; a nord di questa si osserva una striscia frasta- gliata di tufo basaltico, poi di nuovo la lava grigia porosa. Da Senneghe verso nord-ovest, oltrepassato il ruscello, si trova sempre la lava grigia e nera, ora porosa ora compatta, con inclusioni , scoriacee ; più oltre però presso un rio laterale si trova la trachite con cristalli di sanidina sparsi porfiricamente nella massa. Questa trachite s’ incontra pure procedendo in direzione di Santa Caterina di Pitinuri e si estende molto verso il mare : questa roccia è quarzosa, biancastra specialmente in vicinanza delle miniere di ferro. Al piede del monte andando verso Nar- bolia si trova la lava, che presso Santa Caterina copre i depositi terziari. Da Senneghe verso Bonarcado si attraversa continuamente la lava grigia porosa ; di là verso Santo Lussurgiu s’ incontra la trachite sanidinica grigio -azzurrognola, e più lungi ancora una roccia grigia a grana fine simile al tufo. Santo Lussurgiu giace allo sbocco di una valle alquanto stretta ; presso il villaggio verso est si eleva una collina di roc- cia tufacea che qui ovunque si presenta. Subito dopo comincia la lava basaltica. Proseguendo da Santo Lussurgiu verso Cu- glieri s’incontra una roccia bruna, dura, affatto compatta, che forma il piccolo Monte Injosso ; rimpetto a questo è il Monte Boe, di roccia simile ; tra i due si trova uno stretto banco di lava che appartiene alla corrente che defluì verso oriente. Più — 423 — lungi, salendo sul dosso, si vede la lava basaltica sopra il tufo trachitico. Questo continua sempre verso Monte Entu ; solo sul- l’alto, nello spartiacque verso il mare, evvi la trachite sanidi- nica porfirica. Sulla cresta, verso Santa Caterina, si veggono due cime formate di una roccia simile al tufo. Il punto più elevato, il Monte Urtica, sul quale evvi la piramide eretta dal La Mar- mora, forma il confine fra la lava defluita verso Senneghe ed il tufo che riempie l’interno della valle. Nel mezzo di questa si ergono due monti parimenti di roccia tufacea. L’ orlo del bacino segna il limite fra il tufo e la trachite da una parte e la lava basaltica dall’ altra. Allo sbocco della valle verso la strada, tro- vasi una roccia simile a quella della miniera di Senneghe ; rim- petto a questa però sopra il tufo vi è la lava basaltica. Andando da Santo Lussurgiu a San Leonardo si cammina prima sul tufo trachitico, poi sulla lava basaltica, e di nuovo sulla tra- chite, finalmente sulla lava basaltica che copre V antica pianura. Da San Leonardo verso Cuglieri si trova presto di nuovo la tra- chite. A destra e sinistra dello spartiacque si vede la trachite ed il tufo coperti da correnti basaltiche, una delle quali è di- scesa verso Sindia, 1’ altra verso Santa Vittoria : nelle vicinanze della via verso Cuglieri trovasi una breccia tracliitica gialla. Fino a Castello Ferru s1 incontra soltanto trachite e tufo trachitico; desso giace sopra un’ altura di tufo trachitico coperto da una lava trachitica grigia assai dura ; più oltre verso Cuglieri tro- viamo tufo giallo, e il paese è collocato sopra una corrente di lava trachitica grigia. La parte occidentale del monte è di struttura diversa e più complicata. Una lunga e larga valle di- scende da Monte Entu verso Cuglieri ; essa è nella sua parte inferiore mediocremente larga e piana, ad eccezione di alcune alture che emergono dal fondo di essa ; nella parte superiore si dirama in parecchie piccole valli laterali. Le balze superiori sono dirupate, mentre in basso si cammina quasi in piano. Cuglieri giace ad un’ altezza di 400m all’ estremo del dosso. Anche questa parte consta della suddetta trachite e tufo tra- chitico; soltanto si presenta il basalto sull’altura nello spartiacque fra Cuglieri e Santo Lussurgiu. Nella parte superiore della valle si ha il tufo bianco, ma in basso il tufo giallo grossolano che circonda Cuglieri. Le due alture nella valle, su una delle quali — 424 — è il Castello Ferru, constano nella parte superiore di una tra- dite fonolitica molto dura che probabilmente a guisa di corrente provenne dall’ alto. Cuglieri è fabbricato sopra una lava trachitica grigia che si estende sino verso il confluente di destra del Rio Mannu; questa lava copre il tufo giallo che si vede ovunque verso Scannu e Seneriolo. A sud-est di Scannu evvi tufo trachitico bianco coinè a Santo Lussurgiu. Da Cuglieri verso sud s1 incontra, dopo il tufo giallo, una lava grigia con cristalli di biotite, poscia co- mincia la lava basaltica che copre Monte Su Elzu e il Monte Tuvanari. Si cammina sulla lava basaltica fino sotto Monte Entu nella parte superiore della valle del Rio Nieddu, ove da entrambi i lati della medesima vi è trachite che si dirige verso Monte Entu. In vicinanza del rio si trova lava biotitica che forma una corrente venuta da Monte Entu o da Monte Urtica; la roccia ora è pura, ora sabbiosa rosso pallida e decomposta. Questa lava cessa quasi subito andando verso Senneghe e si trova di nuovo il tufo trachitico compatto. In aitò però, verso Monte Entu si scorge una lava basaltica grigia con inclusioni di una roccia sienitica più. antica ; nelle cavità si trovano zeoliti : questa roc- cia si eleva molto ed è essa pure il residuo di una corrente. A destra e a sinistra si trova la trachite ed il tufo, poi si veg- gono filoni di un- basalte grigio turchino di non considerevole potenza. Andando da questa valle detta di Ghizo in quella di Rio Mannu si vede la lava soprastante, poi tufo trachitico di nuovo, e sotto il tufo giallo. Presso il Castello Ferru evvi un secondo cono formato parimente da una lava grigia. Seguendo il sentiero che da Cuglieri mette a Scannu si in- contra prima lava grigia, poi tufo giallo, di nuovo lava grigia e finalmente ancora il tufo giallo che circonda Scannu. Procedendo da Castello Ferru verso Scannu si scorge prima tufo, poi lava trachitica grigia, ma inferiormente vedesi la trachite bianca e il tufo trachitico. Nella valle che conduce direttamente a Scannu si trova tufo giallo con inclusioni poi trachite simile a quella di Monte Eoe, dura, alquanto schistosa. Giù nella valle ove è tracciata la nuova strada per Scannu trovasi lava nera con oli- vina : questa si dirige verso Scannu dove troviamo nuovamente il tufo giallo. Da Scannu andando verso Sant’ Antonio si trova prima — - 425 — il tufo, poi lava basaltica bruna, indi tufo e tracliite antica che è già decomposta, e sembra una riolite; affatto vicino a questa si trova anche la roccia grigia dura : in una località si vede pure dell’ arenaria. Due strade conducono da Scannu a Seneriolo ; quella sulla sponda destra è sempre sulla lava olivinica, 1’ altra invece nella lava trachitica grigia dura fino poco prima di Seneriolo dove comincia il tufo giallo. Da Seneriolo verso San Marco si vede la lava grigia trachi- tica in prossimità del rio, ma del pari che nella sponda destra essa è coperta da basalto leucitico ricco di olivina identico a quello di Scannu. San Marco e Santa Vittoria stanno sulla tra- chite grigia limitata verso sud da un basalto bruno molto po- roso. Da Seneriolo a Cuglieri si attraversa il tufo, poi la lava trachitica, e di nuovo tufo e lava trachitica. Il basalto leucitico sale da Scannu fino sopra Seneriolo : a nord di questo comincia il solito basalto grigio e nero fino a Suni e Sagama. Presso Sani evvi una piccola valle incassata nella quale sono i due villaggi di Modolo e Magomadas ; qui emergono i terreni terziarii coperti da uno strato di basalto della potenza di 30 a 40 metri. I monti presso Dosa sono formati di riolite accompagnata col tufo. Da Bosa risalendo il fiume Temo si trova nella sinistra il basalto, mentre a destra si vede solo trachi te e breccia trachi- tica. Il basalto ha circa 50 metri di potenza, ed assume strut- tura colonnare nella collina detta Monte Melle. Da Suni a Sindia e da Sindia verso oriente continua senza interruzione la lava basaltica. Prima di giungere a Macomer si trova la trachite antica e la riolite che formano uno dei più alti dossi diretto a est, da Sant’ Antonio verso la Cantoniera di Cam- peda. Si trova specialmente al Monte Muradu ove si mostra an- che un banco di ossidiana entro una trachite che presenta molte apparenze di calcedonia. Al villaggio di Macomer comincia di nuovo il basalto ; esso è compatto grigio -azzurrognolo e proba- bilmente è defluito da Sant’ Antonio : in seguito si trovano di nuovo lave grigie porose che continuano fino a Bauladu sulla strada postale Sassari-Oristano. I dintorni del Monte Ferru. — Si aggiunge alla descrizione 28 — 426 — del Monte Ferra, quella dei vulcani recenti situati a questo vi- cini, che ci mostrano la continuazione dell’ attività del vulcano principale in epoca più recente. A nord del rio che scorre da- vanti a Sindia troviamo parecchie alture che constano di un ba- salto non molto dissimile da quello a nord di Suni. Sono queste il Monte Rughi e la piccola collina a nord di esso : il primo è pure un cono parassitico del Monte Ferru. Più oltre si vede un monte conico, il Monte Andria posto a sud di un piccolo lago ; qui troviamo ancora la stessa roccia, sulla sommità però vi sono delle scorie e della lava porosa ricca di olivina : benché non sia qui nemmeno visibile alcun cratere sembra però vi sia esistito un piccolo vulcano ; lo stesso dicasi per le due colline poste a nord di questa, una delle quali venne da me chiamata Monte La Mar- mora non portando essa prima alcun nome : sono entrambi simili al Monte Andria. Fra di essi si frappone a est la trachite an- tica, mentre a ponente lo strato di basalto si allarga verso la strada principale coprendo evidentemente i terreni terziarii. L’ intero gruppo può considerarsi* come formatosi dopo V at- tività del Monte Ferru ; segnò in certo modo il passaggio fra l’attività di questo vulcano basaltico e quella dei più recenti vulcani situati al nord, e chiuse il periodo eruttivo di quello. Un altro gruppo vulcanico è quello di Pozzo Maggiore. Sono due vulcani indipendenti che hanno sparso le loro lave verso oc- cidente fino a Padria e Mara. Il primo di essi è il Monte Boe presso Pozzo Maggiore; è formato di lava porosa e scorie che sono freschissime, per cui sembra che qui sia stato attivo un vulcano relativamente recente. A sud di questo evvi una col- lina, il Monte San Pietro ; nella quale si vede solo una lava grigia con inclusioni molto copiose di olivina ; questa lava si può se- guire fino al villaggio di Pozzo Maggiore, poi sul fianco nord del Monte Boe e fino verso Semestene ; essa è separata da questo villaggio dai depositi terziarii : questa lava olivinica potrebbe pure essersi espansa dal Monte Boe. Da Pozzo Maggiore a Pa- dria si segue continuamente un’ altra corrente di lava che risulta di un basalto compatto nero : questa corrente si estende verso sud-ovest. Subito dietro il villaggio di Padria si hanno tre pro- minenze che constano del pari della stessa roccia ; al disopra e al disotto della corrente che non è qui molto potente, s’incon- — 427 — trano scorie. Questi tre promontorii potrebbero essere il termine della corrente che da Pozzo Maggiore è defluita ed ha ricoperto ovunque il terreno pliocenico. Più lungi, direttamente a nord di Pozzo Maggiore, troviamo un altro monte vulcanico : per giungervi da questo villàggio, oltre una lava grigia che trovasi' presso la chiesa di Santa Maria simile alla lava olivinica, ma con poche inclusioni di quel mine- rale, si devono ancora oltrepassare i terreni terziarii che da Mara si dirigono al nord. Questo monte ha un’ incavatura crateriforme non totalmente chiusa verso Pozzo Maggiore : i suoi prodotti sono di una lava simile a quella del monte Boe, ma contiene meno olivina ; vi sono pure delle scorie; la roccia contiene in alcuni punti al piede del monte del manganese, cosicché furono fatti lavori di ricerca di questo minerale. Presso di questo si trova verso Mara un se- condo cono parimente vulcanico. Un terzo monte conico final- mente con crateri trovasi a 60 o 70 metri di altezza sopra la strada .Sassari-Oristano presso la Cantoniera di Bonorva, ed ha dato una corrente di lava ; qui pure si hanno scorie e la roccia è identica a quella di San Pietro presso Pozzo Maggiore, di color azzurro cupo e molto ricca di olivina. A nord di Pozzo Maggiore, nella valle che va verso il Castello di Bonvei, troviamo andesite orniblendica e, a destra della valle, trachite rossa riolitica. Il Castello di Bonvei è sulla trachite biotito-sanidinica. Nei dintorni a nord dei monti vulcanici di Pozzo Maggiore si trova soltanto riolite, trachite e andesite. Conclusione. — Il terreno dell’ Isola di Sardegna fu durante P epoca terziaria ed in parte anche durante P epoca attuale fino ai tempi storici più antichi, il teatro di una considerevole atti- vità vulcanica che principalmente si spiegò nella parte occiden- tale e specialmente in quella nord-ovest dell’Isola. Mentre la parte orientale di essa è formata di calcari e schi- sti antichi non che da potenti masse di granito, noi troviamo nei declivi della catena che porta le più elevate vette dell’Isola, estese pianure dalle quali si elevano i vulcani. Questa dispo- sizione si ripete a S.O. ove si ha una piccola catena grani- tica e calcarea parallela alla catena principale, con formazioni vulcaniche sul suo versante occidentale. Ciò si verifica pure nel — 428 — continente italiano ove a S.O. dei terreni antichi veggonsi i vul- cani nella parte depressa. La catena granitica di Sardegna passa nella Corsica ed emerge di nuovo sul continente nel sud della Francia. I Vulcani della Sardegna non hanno però alcuna analogia con quelli del continente italiano, *ma potrebbero averne con quelli dell’ Alvernia. Le eruzioni cominciano in Sardegna come nella maggior parte dei vulcani con prodotti acidi di trachite e rio- lite, che per la maggior parte vennero a giorno nell’epoca mio- cenica. Queste eruzioni non formano vulcani emergenti, ma sono riunite in altipiani e vi sono rappresentati tanto la riolite, la trachite sanidinica, quanto l’ andesite, la trachite e la breccia pomicea. Nell’ epoca pliocenica comincia propriamente l’ attività dei vulcani come il Monte Ferru; prima vennero emesse lave trachi- tiche, trachite sanidinica, fonolite e diversi tufi trachitici, che formarono una montagna conica isolata, alta anche adesso 1049m che estende i suoi prodotti sino al mare, ed il cui centro prin- cipale d’ eruzione si mostra con una grande valle chiusa. So- pravviene poscia un lungo periodo di riposo nel quale ha luogo un cambiamento nella natura dei materiali eruttivi. L’ attività eruttiva si risveglia di nuovo e si origina il vulcano basaltico, cessano le eruzioni di rocce acide e cominciano quelle della lava basica. Qui però non si forma un vulcano concentrico al primo come il Vesuvio nel Monte Somma, e nemmeno un cono interno come a Bocca monfina; si forma invece un più grande vulcano esterno, le cui eruzioni hanno luogo all’ orlo dell’ antico cratere. Nell’ interno della valle si trovano ancora alcuni filoni, ma le correnti ora si presentano soltanto ai fianchi del monte tra- chitico, il punto di eruzione non si è però essenzialmente cam- biato. L’ attività di questo vulcano di lava basaltica deve aver durato lungo tempo, poiché ha lasciato tutt’ intorno uno strato di 100m di potenza che si può seguire per parecchie miglia dal- 1’ origine. Gradatamente però si aprono anche nei fianchi del monte delle bocche secondarie, come presso Senneghe, Narbolia, Sant’An- tonio ec., le quali sono indicate e da alture e dalla presenza di scorie; queste contribuiscono alla formazione di quelli estesi e - 429 — potenti campi di lava che si estendono fino al Tirso e fin quasi a Bonorva ad una distanza di oltre quattro miglia geografiche. Quando però dopo qualche tempo si spegne tanto T attività vulcanica del Monte Ferra, come anche quella dei suoi coni pa- rassitici, si aprono nuove bocche vulcaniche al nord presso Pozzo Maggiore. Le prime a nord di Sindia hanno nei loro prodotti qualche somiglianza con quelli di Monte Ferra, specialmente nei suoi coni parassitici, ma sono meglio conservati nelle loro forme. Quelle di Pozzo Maggiore mostrano ancora chiaramente il cono di scorie : i loro prodotti si scostano alquanto da quelli di Monte Ferra, però sono parimente basaltici e di natura basica : si hanno qui numerose bocche ma molto meno considerevoli che hanno dato ora poche correnti, ora spesso anche una sola. I grandi e po- tenti vulcani cedono il posto a piccoli e numerosi crateri, e que- sta attività dura quasi fino al periodo più recente, forse ancora al principio dei primi tempi storici : presentemente essa è to- talmente spenta e tutto al più dà segno di sè con sorgenti calde ed esalazioni di acido carbonico e queste pure piuttosto rare. Al finire dell’ attività vulcanica si ha in Sardegna un lento passaggio da estesi ed alti monti vulcanici, a piccoli e nume- rosi crateri ; mentre V energia vulcanica è per lungo tempo fìssa nel punto antico di eruzione, più tardi mostra tendenza a spo- starsi. I prodotti al principio di natura trachitica acida si cam- biano più tardi in basici e basaltici. Questi prodotti hanno pochissima analogia con quelli dei vul- cani d’ Italia : le rocce basaltiche sono in Sardegna feldspatiche, molto ricche di olivina, di rado leucitiche, mentre io sono molto frequentemente sul continente : nessuna formazione di tufo si ha là che possa assomigliarsi al peperino, al tufo di Posilippo o a quello della Campagna romana. Qualche somiglianza sembra esi- stere fra le rocce vulcaniche della Sardegna con quelle dell’ Al- vernia specialmente nei prodotti trachitici, ma a giudicarne dalle relazioni che se ne hanno pare vi esistano pure sensibili differenze. - 430 - VI. Sulle miniere di stagno di Campiglia. Lettera dell’ ingegnere Blanchard al comm. Q. Sella.1 Nella lettera che le diressi nel gennaio 1876 2 sulla scoperta che aveva fatta allora della Cassiterite, nelle miniere di ferro da me lavorate per conto dei fratelli Hollway di Londra, le di- ceva che il giacimento di ferro delle Cento Camerelle imitava la forma di un ampio fungo la cui testa ricoperta di calcare era stata lavorata dagli antichi con una successione di camere e di gallerie che le collegavano fra loro, donde il nome di Cento Camerelle. Aggiungeva che aveva trovata la Cassiterite ad alcuni metri di distanza dagli scavi antichi, fra un piccolo filone di ferro ed il calcare, e che la direzione sembrava esserne di Est-Ovest con inclinazione a Sud. Credo oggi necessario dopo due anni di coltivazione rettificare in alcune parti questa prima relazione e completarla. Dopo alcune ricerche sul piccolo filone di ferro ove si tro- vava P ossido di stagno, vidi che questo non era già un filone, ma semplicemente una fessura nel calcare ove il minerale si era espanso in maggiore abbondanza nel punto ove avevamo incon- trata la Cassiterite; e che tanto il minerale di ferro quanto quello di stagno che là affioravano alla superficie, erano i lembi estremi del cappello lavorato dagli antichi ; che il giacimento era quasi orizzontale, e seguendolo per una ventina di metri in piano sotto il calcare, raggiungeva ovunque le antiche lavorazioni for- manti il prolungamento delle Cento Camerelle ; inoltre togliendo la crosta concrezionata che tappezzava le pareti di questi scavi antichi, ritrovavamo mescolate al ferro tracce più o meno ab- bondanti di Cassiterite, ed il ferro essendo restato dovunque, fui condotto a concludere che gli antichi avevano alle Cento Came- 1 Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei ; Transunti, seduta del 2 giu- gno 1878. 2 Vedi: Atti R. Acc.} serie II, voi. Ili, parte II. —Roll. R. Com. Geol., 1876, N. 1 e 2. - 431 — relle lavorato non il ferro, ma lo stagno, il giacimento del quale era là collocato orizzontalmente sotto un tetto di calcare di pochi metri di spessore di natura meno compatta e in stratificazione discordante col calcare ceroide inferiore. Siccome lo stagno non è stato trovato in profondità, ciò spiega la ragione per cui gli antichi non avevano lavorato che la parte superiore del giaci- mento lasciando intatti i tronchi del filone di ferro che scendono quasi verticalmente. Una volta accertato che gli antichi conoscevano ed avevano lavorato lo stagno, fui condotto a ricercare altrove se esistes- sero giacimenti simili, e naturalmente studiammo dapprima la nostra miniera di Monte Valerio, la quale è, ed è sempre pas- sata per una miniera di ferro, pure abbastanza importante, poiché il minerale rende da 55 a 60 per °/0 di ferro, ed il filone, benché un poco irregolare nel suo andamento, è però bene caratterizzato. In questa miniera di Monte Valerio trovammo mescolato al ferro e con tutta V apparenza esteriore del ferro, della Cassite- rite, che noi non avremmo di certo punto riconosciuto per tale se non fossimo già stati posti sull’ avviso e non fossimo stati indotti ad esaminare i pezzi, cui, il peso specifico e l’aspetto più granoso che il ferro portavano a studiare. Noi riconoscemmo per tal guisa che là pure esisteva la Cassiterite del colore di ferro un po’ meno ricca che alle Cento Camerelle, ma ancora con un tenore di stagno metallico del 46 per °/0. Dalle analisi riferite nella mia lettera del gennaio 1876 ed eseguite dal dott. Rosenthal, chimico del laboratorio dei signori Holhvay a Londra, ella ha visto che i minerali di stagno delle Cento Camerelle giungevano a 58 e 72 per °/0 di stagno metal- lico. Tuttavia il tenore di 46 per °/0 del minerale di aspetto fer- ruginoso del Monte Valerio sarebbe ancora stato assai bello se questo minerale fosse stato abbondante, ma fino al dì d’oggi non si sono trovati là, per così dire, che dei saggi. Nella stessa miniera, sparsi nelle argille che sono in vici- nanza del filone di ferro e lo separano dai calcari incassanti, si sono pure trovati dei pezzi coloriti e arrotondati di Cassiterite d’ un bianco sporco a grana finissima ; pezzi grossi al massimo come un pugno, riconosciuti per minerali di stagno al solo loro peso : questi pezzi così disseminati nell’ argilla non hanno con- - 432 — tinuazione, nè regolarità, nè potei finora scoprirne la provenienza primitiva: essi hanno ciato all’analisi il 61 per °jQ di stagno metallico. Spinto dalla speranza d’incontrare altri giacimenti di stagno, facemmo nel gennaio 1877 una nuova ricerca, iniziata sulla testa d’un affioramento di ferro a circa 150 metri all’ est delle Cento Camerelle e nella stessa montagna del Fumacchio. Già due anni prima noi avevamo tentata la coltivazione del ferro sopra questo medesimo affioramento; ma questa ricerca, chiamata la Cavina per la sua poca importanza era stata abbandonata. Su questo stesso affioramento e un po’ più in alto, il nostro caporale avendo incontrato un principio d’ antica escavazione nascosta nei cespu- gli, richiamò la mia attenzione su questo lavoro, che facemmo sgombrare e nettare, e dove trovammo sulle pareti esterne tracce di Cassiterite. Questa escavazione stretta ed irregolare fu ampliata e livel- lata per i 15 metri circa che aveva di estensione, poscia prose- guimmo in galleria di ricerca senza incontrare altro che calcare e qualche rara traccia di Cassiterite fino a 30 metri dall’en- trata; là tagliammo una larga fenditura nel calcare, fenditura guernita sulle pareti di calcare concrezionato, ma riempita al disopra della nostra galleria d’ una terra fina, colore rosso sangue nella quale distinguevansi piccoli cubi di ferro ed anche grani piccolissimi di stagno ossidato ; e di fatto da un’ analisi fatta a Londra da A. E. Arnold conobbi che questa terra conteneva : Biossido di stagno 13. 85 per 7. Fame, bismuto e piombo 0. 28 )) Acido arsenico 20. 10 )) Silice 6.86 » Calce 10. 65 )) Protossido di ferro e allumina . . 43. 61 » Acqua combinata 5. 68 )) 101. 03 )) Stagno metallico 10. 89 Subito dopo l’ incontro di questa terra riconoscemmo rimon- tando in questa fenditura, che essa proveniva non dalla fendi- - 433 — tura stessa, ma da un filone orizzontale di stagno ferruginoso e arsenicale situato precisamente al disopra della nostra galleria ; minerale che gli antichi non avevano trovato e che non avremmo noi stessi scoperto se non avessimo proseguito la nostra galleria sino all incontro di questa fenditura nella quale si era espansa questa ganga rossa ferruginosa. Elevando quindi i nostri lavori di tutta un’ altezza di galleria ci trovammo in un filone vergine di stagno, piatto, orizzontale, che noi lavoriamo da un anno e che ha dato, nel 1877, 63 tonnellate di minerale di stagno, meno ricco invero di quello delle Cento Camerelle, ma tuttavia an- cora assai bello. Nel 1876 non avevamo estratto alle Cento Camerelle che 21 tonnellate, ma ad un titolo più elevato e d’ un minerale più compatto e più puro ; là il filone è durissimo, mentre che quello della Cavina (le abbiamo conservato questo nome) è terroso, fria- bile e dà una grande quantità di minerale di seconda qualità da lavare, del quale non potremo trar partito se non quando sa- remo assicurati sul valore di questo giacimento ed avremo po- tuto procurarci 1’ acqua a ciò necessaria, cosa rara a Campiglia e nei dintorni, e che converrà probabilmente estrarre con mac^ chine a vapore nella pianura a livello del mare, essendo le col- line e le montagne vicine sprovviste di sorgenti un po’ ab- bondanti. La scoperta del minerale di stagno nel Campigliese conside- rata dapprima come una curiosità scientifica, entra quindi oggi nei fatti industriali : una nuova miniera è stata poi ancora sco- perta nel gennaio scorso (1878) ; essa appartiene al signor W. Ro- gers, il quale da alcuni anni ha acquistato i diritti di escava- zione nella proprietà detta di Monte Rombolo. In questa pro- prietà, e in vicinanza dei calcari saccaroidi simili a quelli di Carrara, si conoscevano dei filoni di ferro, alla Buca alle Capre ; di piombo, blenda e piriti di ferro e rame alla Rocca San Sil- vestro ed alcuni affioramenti di ferro ancora sul lembo della strada da San Vincenzo a Campiglia, fra questa e un tentativo di lavorazione di marmo bardiglio, presso il Botro ai Marmi : è là che sotto gli ultimi affioramenti di limonite si è trovata la Cassiterite, mescolata a degli arseniati di piombo in un filone con direzione, sembra, di nord-sud e con inclinazione di 40° a 45° — 434 - verso ovest, cioè verso il luogo detto Campo delle Buche, pia- nura posta verso San Vincenzo al disotto di Monte Bombolo, co- perta da macchia o bosco ceduo ricoprente una vasta estensione crivellata di pozzi la maggior parte antichi, riempiti sin quasi alla bocca e dei quali non si conosce nulla, poiché non esiste all’ intorno alcun materiale di scavo che possa indicare la natura del minerale che gli antichi hanno potuto estrarre, e sul quale non si possono fare congetture. Burat, nella sua opera sui gia- cimenti metalliferi di Toscana, dice che egli crede vi sia stato estratto il ferro; ma gli antichi che avevano al bisogno i gia- cimenti di Monte Valerio e quelli così numerosi e poco lavorati di Monte Calvi, Monte Rombolo, senza contare il minerale del- P Elba che essi sbarcavano allora a Porto Baratto, come lo in- dicano ancora gli enormi cumuli di scorie mescolati ancora con ammassi di minerale oligisto, avrebbero essi estratto il minerale di ferro per mezzo di pozzi profondi e stretti? Ne dubito; ed è perciò che penso che il filone di piombo arseniato e stagno di Monte Bombolo si interni sotto il Campo alle Buche ove ho sta- bilito dei lavori di ricerca per incontrarvelo. Il minerale di Monte Bombolo non rassomiglia per nulla a quello delle Cento Camerelle nè anche a quello della Cavina; la ganga è una terra gialla di color di zolfo, ricca in piombo, il minerale più bello è d’ un grigio verdastro, nè così duro nè così pesante come la vera Cassiterite: un primo campione che aveva assaggiato per via secca con 5 volte il suo peso di cianuro di po- tassio m’aveva dato un bottone metallico fragile del 50 per °/0; altro campione d’ un grigio sporco, celluloso e rassomigliante per T aspetto a calamina mi aveva dato collo stesso processo un bot- tone metallico del 35 per °/0. I medesimi campioni analizzati a Londra dai signori A. E. Arnold e W. E. Dawson mi hanno di- mostrato che questi bottoni metallici fragili ottenuti per via secca erano mescolanze di piombo, arsenico e stagno, avendo le analisi per via umida dato : - 435 - 1° Campione. Biossido di stagno. . 3,25 % Ossido di piombo. . . 39, 12 » Ossido di zinco .... 0, 35 » Sesquiossido di ferro . 1, 71 * * Acido arsenico .... 14, 54 » 1 Cloro 1,41 » 2 Allumina 0, 34 » Calce (trovata) .... 20, 92 » Acido carb. (trovato). 16, 44 » Magnesia 0,58 » Silice 0, 16 » Acqua combinata . . 0, 60 » Acido fosforico .... 0, 15 » 99, 67 Risulta da queste analisi miniera contenente dello stagno è lungi dall’ avere lo stesso va- lore industriale delle precedenti ; ma ciò prova tuttavia, che gli antichi conoscevano e coltivavano lo stagno anche mescolato ad altri metalli, e che bisogna ricercarlo dove s’ incontrano li af- fioramenti di limonite. È evidente per me che altre scoperte seguiranno le prece- denti e ci faranno conoscere di dove gli antichi estraevano tutto lo stagno che impiegavano. È però a notarsi che sino ad oggidì e malgrado attenti ri- cerche, la Cassiterite nel Campigliese non si è trovata nei grandi giacimenti eruttivi, o che passano per tali, che contengono degli amfiboli o augiti e la senite come ganghe e dei minerali solfo- rati di rame, zinco e piombo, *ma solamente con e generalmente sotto e dentro dei filoni o letti di limonite incassati essi stessi nel calcare bianco, o a contatto di questo e di un calcare gial- lastro più fragile passante pure alla dolomia. Questi giacimenti sono del resto ancora troppo poco cono- sciuti perchè se ne possano bene apprezzare gli andamenti e la formazione ; cose che solamente l’ avvenire potrà meglio far pa- lese, specialmente se, come tutto lo fa supporre, altri giacimenti verranno ancora a scoprirsi e a mettersi in lavorazione. 1 Combinato colf ossido di piombo. * Rimpiazzante 1’ ossigeno combinato col piombo. 2° Campione. Perossido di ferro. . . 6, 43 °/0 Allumina 4, 92 » Ossido di piombo ... 7, 99 » Ossido di zinco . . . ^ 1,41 » Biossido di stagno . . 2, 17 » Protoss. di manganese. 0, 37 » Acido arsenico 3, 98 » Acido fosforico 1, 42 » Magnesia 4, 12 » Calce 30, 28 » Acido carbonico .... 23, 77 » Silice 10,-33 * Acqua combinata ... 2, 37 » Solfo 0, 28 » Cloro 0, 37 » 100, 08 che tale nuova scoperta d’ una - 436 CENNO NECROLOGIO 0. G. Curioni. — Adempiamo al doloroso dovere di annunziare ai nostri lettori la morte dell’ illustre geologo Curioni, membro del nostro Comitato, avvenuta in Milano sua patria, il dì 21 dello scorso mese di settembre. Cessava egli di vivere nella grave età di 82 anni, ma la natura sua robusta gli avrebbe permesso ancora più lunga vita, se un repentino malore non lo avesse colpito mentre trovavasi in escursione geologica sulle prealpi lombarde. Nacque Giulio Curioni nel 1796 da nobile famiglia milanese e, dedicatosi dapprima agli studi legali, nel 1815 si laureava in queste materie nella Università di Pavia. Avviatosi nella car- riera degli impieghi, cominciò allora a darsi con passione allo studio della chimica, quindi a quello della mineralogia, da ul- timo alla geologia ; studi questi, che da esso coltivati con amore e con grande vantaggio del paese, furono da quel momento la principale occupazione della lunga sua vita. Allievo ed amico di Breislack e di altri illustri geologi di quel tempo, il Curioni si mise risolutamente e sino dal principio sulla via della osser- vazione : e fu in tal modo che alternando i lavori del laborato- rio con le escursioni ai monti, intraprese a percorrere ed a stu- diare geologicamente tutta P alta regione lombarda, talché può dirsi non esservi angolo riposto di quelle vallate che dall’ inde- fesso Curioni non fosse stato più volte visitato ed esplorato per ricercarvi le ricchezze mineralogiche nascoste. Dedicatosi più specialmente alla parte applicativa della geo- logia, il Curioni si occupò più che ogni altro di ricercare e stu- diare i minerali utili della Lombardia, e si curò non solo di ri- conoscerne la natura chimica e la giacitura, ma insegnò agli industriali il modo di trattarli praticamente per averne un pro- dotto commerciabile. La coltivazione delle miniere metallifere e la industria siderurgica in special modo, si giovarono altamente degli studi che il Curioni andava con tanto amore facendo : che se tali industrie trovansi attualmente in Lombardia in uno sta- dio di reale progresso, non si può sconoscere che nei tempi ad- dietro fossero molto imperfette e che in gran parte non deb- bano al Curioni il merito di averle messe sulla buona strada del progresso. Sia prova di ciò il fatto che ancora negli ultimi anni suoi esso veniva di frequente consultato dagl’ industriali lombardi, i quali vedevano ancora in lui P antico loro consigliere. Il materiale scientifico raccolto nella sua lunga e laboriosa carriera dovette riescire abbondante, e le ricche raccolte di mi- — 437 - nerali, di rocce e di fossili che esso teneva presso di sè, può dirsi rappresentassero in piccolo tutta la geologia delle provin- cie lombarde. Di siffatto materiale egli potè disporre in tempo conveniente ed una collezione completa di minerali, rocce e fos- sili della Lombardia fu dal Curioni ceduta sino dal 1874 al Co- mitato Geologico, che la collocò nella sua raccolta generale. Altra collezione sistematica di minerali e rocce, insieme con una piccola ma scelta biblioteca, legò egli all’ Istituto industriale di Lovere, specialmente destinato alla istruzione dei capi mi- natori : infine una raccolta che comprende i prodotti minerali utili della Lombardia, lasciò egli alla Società d’ incoraggiamento per le arti e mestieri in Milano, onde fosse di giovamento agli industriali. Il compianto Curioni trovavasi stretto da amichevoli rela- zioni con i più eminenti geologi dell’ epoca, e fu membro di molte accademie scientifiche, fra cui l1 Istituto Lombardo, che lo vantava come uno dei suoi membri più antichi. Ebbe più volte onorevoli incarichi dal Governo, e negli ultimi anni fece parte del Consiglio delle Miniere e del Comitato Geologico, i quali uffici egli esercitava con la massima solerzia non mancando a nessuna delle adunanze ; se non che mescendogli troppo gravoso il periodico viaggio da Milano a Roma, vi rinunciava spontanea- mente nella estate trascorsa. Molti sono i lavori lasciati dal Curioni, la più parte dei quali tendono a fare conoscere al pubblico le ricchezze mineralogiche della Lombardia ; di essi parecchi trovansi inseriti nel Politecnico, altri nel Giornale dell ’ Istituto Lombardo , altri finalmente nei Rendiconti e nelle Memorie dello stesso Istituto. Troppo lungo sarebbe il dare anche soltanto il titolo di questi lavori che tutti insieme ammontano a parecchie diecine, ed accenniamo solo al- T ultimo stampato nel 1877, ed intitolato Geologia delle provinole lombarde.' Tale lavoro, che può dirsi la sintesi di tutte le os- servazioni fatte dal Curioni nella sua lunga e laboriosa esistenza, consta di due grossi volumi, la Geologia applicata e la Descri- zione ragionata delle sostanze estrattive utili , corredati dalla carta geologica delle provincie lombarde nella scala del 172800. Questa Memoria, che fu il risultato di tanti anni di fatiche, riuscì molto lodata dagli studiosi e tornò graditissima agli industriali lom- bardi, i quali trovano radunate in essa tutte quante le notizie di cui abbisognano intorno ai giacimenti delle materie mine- rali utili.2 1 Vedi Bollettino , anno 1877, fase. 7-8, pag. 308. 3 Oltre alla suddetta Memoria citiamo anche le seguenti, come quelle che presentano il maggiore interesse : Sui combustibili fossili del Regno Lombardo-Veneto. Milano, 1838 ( Annali di Statistica). — 438 Facciamo voti perchè il nobile esempio lasciato dal Curioni venga seguito da molti, e che al nostro paese non manchino mai gli studiosi che al pari di lui abbiano di mira il progresso delle industrie fondato sui sani principii della scienza. Sulla giacitura della lignite di Brentonico e della miniera di ferro di Besagno. Milano, 1839 {Il Politecnico, voi. I). Cenni geologici sui terreni terziari della Lombardia e specialmente sopra un banco di argilla conchigliacea marina, recentemente osservato nella provin- cia di Bergamo. Milano, 1839 {Il Politecnico, voi. II). Sulla giacitura, 1’ escavazione e il trattamento dei minerali di ferro nella Lom- bardia. Milano, 1842 {Il Politecnico, voi. V). Delle miniere di ferro spatico manganifero dei terreni sedimentari superiori all’arenaria rossa ed inferiori alla calcaria jurassica. Milano, 1843 {Il Poli- tecnico, voi. VI). Sullo stato geologico della Lombardia. Milano, 1844. Sui terreni di sedimento inferiore dell’ Italia settentrionale. Milano, 1845 {Me- morie del! Istituto Lombardo, voi. II). Cenni sopra un nuovo saurio fossile dei monti di Perledo sul Lario. Milano, 1847 {Giornale dell’ Istituto Lombardo ). Buntsandstein-fossilien in der Bergamasker Gebirgen. Wien, 1849. Osservazioni fatte sulla distribuzione dei massi erratici in occasione delle inon- dazioni nella provincia di Brescia nell’ agosto 1850. Milano, 1850 {Giornale dell’ Istituto Lombardo ). Sugli schisti bituminosi di Tignale sul lago di Garda. Milano, 1854 {Giornale dell’ Istituto Lombardo). Sulla successione normale dei diversi membri del terreno triassico nella Lom- bardia. Milano, 1855-59 {Giornale, Memorie ed Atti dell’ Istituto Lombardo ). Osservazioni circa i minerali di Lombardia esposti alla mostra italiana a Firenze nel 1861. Milano, 1861. Sui giacimenti metalliferi e bituminosi nei terreni triasici di Besana (Como). Milano, 1862-63 {Memorie ed Atti dell ’ Istituto Lombardo ). Sui cementi idraulici in Lombardia. Milano, 1865 {Rendiconti dell’ Istituto Lom- bardo). Sopra alcuni vegetali carboniferi scoperti nei monti della Valcamonica. Milano, 1865 {Rendiconti dell ’ Istituto Lombardo). Sui prodotti greggi e lavorati delle industrie estrattive all’ Esposizione interna- zionale del 1867. Firenze, 1869. Osservazioni geologiche sulla Val Trompia. Milano, 1870 {Memorie dell’ Istituto Lombardo, serie III, voi. XII). Ricerche geologiche sull’epoca della emersione delle roccie sienitiche (Tonalite) della catena dei monti deH’Adamello nella provincia di Brescia. Milano, 1872. {Memorie dell’ Istituto Lombardo, serie III, voi. XII). PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Co- mitati Geologici e sul R. Comitato Geologico d’ Italia. — Firenze 1871 L. 1.50 Idem. — Carta Geologica della parte orientale del- F Isola d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1871 » 3. 00 F. Giordano. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, clie deve essere attraversata dalla grande galleria della ferrovia Italo-Elve- tica. — Firenze 1873 » 10. 00 Idem. — Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1873 » 5.00 C. W. C. Fuchs. — Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala di 1 per 25,000. — Firenze 1873. ...» 3.00 G. Ponzi e Fr. Masi. — Catalogo ragionato dei prodotti minerali italiani ad uso edilizio e decorativo spediti dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio all’ Esposizione Internazionale di Yienna. — Roma 1873 » 2. 00 Idem. — Catalogo sommario dei prodotti minerali italiani ec. — Roma 1873 » 1. 00 P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta Geo- logica d’Italia in grande scala. — Roma 1875 .» 1.50 G. Doelter. — Carta Geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone, nella scala di 1 per 20,000. — Roma 1876 » 2. 00 Per le commissioni dirigersi all’ Ufficio Geologico in Poma, Piazza San Pietro in Vincoli , N. 5, od ai principali librai. Annunzi di pubblicazioni. A. Cossa. — Ricerche chimiche sui minerali e rocce dell’ Isola di Vul- cano; 1° Allume potassico contenente allumi di tallio, rubidio e cesio. — Roma 1878; pag. 12 in-4°. G. Omboni. — Le Marocche, antiche morene mascherate da frane. — Milano 1878; pag. 16 in-8°. A. D’Achiardi. — Sull’origine dell’acido borico e dei borati. — Pisa 1878; pag. 22 in-8°. D. Lovisato. — Di alcune azze, scalpelli, martelli e ciottoli dell’ epoca della pietra, trovati nella provincia di Catanzaro. — Trieste 1878; pag. 33 in-8° con una tavola. G. Capellini. — Il calcare di Leitlia, il Sarmatiano e gli strati a Con- gerie nei monti di Livorno, di Castellina Marittima, di Miemo e di Monte Catini. — Roma 1878 ; pag. 20 in-4°. A. Ferretti. — Le salse o vulcani di fango e le argille scagliose. — Padova 1878; pag. 38 in-8°. A. Issel. — Nuove ricerche sulle caverne ossifere della Liguria (dalle Memorie della R. Acc. dei Lincei, serie 3a, voi. II). — Roma 1878 ; pag. 68 in-4° con cinque tavole. G. Capellini. — Della pietra leccese e di alcuni suoi fossili (dalle Me- morie dellAccademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, serie 3a, tomo 9). — Bologna 1878 ; pag. 32 in-4° con 3 tavole. — Sulla prelmite dei monti livornesi e sui minerali che l’accom- pagnano (dai Rendiconti della stessa). — Bologna 1878 ; pag. 8 in-8°. U. Botti. — Sopra una nuova specie di Miliobates (dagli Atti della So- cietà Toscana di Scienze Naturali, voi. Ili, fase. 2). — Pisa 1878; pag. 14 in-8°. T. Taramelli. — Descrizione geognostica del margraviato d’ Istria.— Milano 1878; pag. 196 in-16° con annessa Carta geologica dell’ Istria e delle Isole del Quarnero. A. Manzoni e G. Mazzetti. — Echinodermi nuovi della melassa mioce- nica di Montese nella provincia di Modena. — (Atti della Soc. Tose, di Se. Nat., voi. Ili, fase. 2.) — Pisa 1878; pag. 7 in-8° con tavola. G. Mercalli. — Sulle marmotte fossili trovate nei dintorni di Como. — Milano 1878 ; pag. 8 in-8°. A. Verri. — Avvenimenti nell’ interno del bacino del Tevere antico durante e dopo il periodo pliocenico. — Milano 1878; pag. 32 in-8° con una tavola. P. Zezi. — Indice bibliografico delle pubblicazioni italiane e straniere riguardanti la mineralogia, la geologia e la paleontologia della provincia di Roma, con un’Appendice per le acque potabili, termali e minerali. — Roma 1878 ; pag. 20 in-4°. A. Stoppane — Carattere marino dei grandi anfiteatri morenici del- l’Alta Italia. — Milano 1878; pag. 80 in-4° con sei tavole. D. Lovisato. — Strumenti litici e brevi cenni geologici sulle provincie di Catanzaro e di Cosenza. (Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei; Memorie, serie 3a, voi. IL) — Roma 1878; pag. 22 in-4° con una tavola. G. Ponzi. — Le ossa fossili subapennine dei dintorni di Roma. (Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei ; Memorie, serie 3a, voi. II.) — Roma 1878; pag. 30 in-4°. C. De Stefani e D. Pantanelli. — Molluschi pliocenici dei dintorni di Siena. (Bollettino della Soc. Malacologica italiana, voi. IV, disp. la.) — Pisa 1878. A. e G. B. Villa. — Cenni geologici sul territorio dell’ antico distretto di Oggiono. (Atti della Soc. It. di Se. Nat., voi. XXI, fase. 2°.) — Milano 1878; pag. 20 in-8° con carta geologica. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° li e 12. Novembre e Dicembre 1878. ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1878. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. 1°. — Bollettino. — Si pubblica regolarmente in fascicoli bime- strali eli 5 o più fogli di stampa ciascuno, formanti un vo- lume annuo di 500 e più pagine, con tavole ed incisioni in- tercalate nel testo. Il prezzo dell’ abbinamento annuo è di L. 8 per V interno e di L. 10 per l’estero. Gli abbuonati ricevono gratuitamente la copertina ed il frontespizio del volume. — Ad annata compiuta i volumi annuali rilegati si vendono al prezzo di L. 10. — I fascicoli separati si vendono al prezzo di L. 2 ciascuno. — La serie incomincia coiranno 1870. II0. — Memorie per servire alla descrizione della Carta Geo- logica d5 Italia. — Pubblicazione di gran formato corre- data da tavole, Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Volume I; Firenze 1871.- — Introduzione — Studii geo- logici sulle Alpi Occidentali , di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui minerali delle valli di Lanzo, di G. Struver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia , di S. Mottura, con quattro tavole. — Descri- zione geologica cieli’ Isola cV Elba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica ita- liana (Parte Ia, Gasteropodi sifonostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo 1°, con sette tavole. — Prezzo Lire 35. Volume II, Parte la; Firenze 1873. — Introduzione.— Monografia geologica dell’ Isola d’ Ischia, di C. W. C. Fuchs, con Carta geologica e incisioni nel testo. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attra- versata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo -Elvetica, di F. Giordano, con Carta geologica e due tavole di Sezioni. — Appendice alla Memoria sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con una tavola. — Malacologia pliocenica italiana (Parte Ia, Gasteropodi sifono- stomi), di C. D’ Ancona, fascicolo 2°, con otto tavole. — Prezzo Lire 25. Volume II, Parte 2a; Firenze 1874. — Studii geologici sidle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, Parte 2a, con due tavole. — Prezzo Lire 5. Volume III, Parte la; Roma 1876. — Il gruppo vulca- nico delle Isole Ponza, monografìa geologica di C. Doelter, con tre tavole e una Carta geologica. — Geologia del Monte Pisano, di C. De Stefani, con una tavola. — Prezzo Lire IO. (Continua.) BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Ji° li e 12. — Novembre e Dicembre 1878. SOMMARIO. Note geologiche. — I. Alcune osservazioni sui terreni terziari dei dintorni di Reggio Calabria, per Pio Mantovani. — II. Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrionale, per D. Lovisato. (Continuazione.) — III. Cenni geologici sul Camerinese e particolarmente su di un lembo titonico nel Monte Sanvicino, per M. Canayari. — IY. Sulla posizione geologica del tufo e del tripoli nella zona solfifera di Sicilia, per E. Stòhr. — V. Nota su alcuni Foraminiferi nuovi del tufo di Stretto presso Girgenti, per C. Schwager. Notizie bibliografiche. — A. Stoppàni, Carattere marino dei grandi an- fiteatri morenici dell'Alta Italia; Milano, 1878. — B. Gastaldi, Sui rile- vamenti geologici fatti nelle Alpi piemontesi durante la campagna del 1811 ; Roma, 1878. — G. Ponzi, Le ossa fossili subapennine dei dintorni di Roma; Roma. 1878. — D. Lovisato, Strumenti litici e brevi cernii geologici sulle provincie di Catanzaro e di Cosenza; Roma, 1878. Notizie diverse. — La questione delle argille scagliose. L’ Esposizione Universale e il Congresso Geologico internazionale del 1878 in Parigi. Cenno necrologico. — Angelo Sismonda. — Giuseppe Bianconi. — Vincenzo Rambotti. Tavole ed incisioni. — Sezioni geologiche presso Reggio Calabria, a pag. 445, 448. 456 e 459. — Sezione geologica del bacino di Camerino, a pag. 497.— Tavola che accompagna la Nota del dott. Schwager sui Foraminiferi di Stretto. Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1878. NOTE GEOLOGICHE. I. Alcune osservazioni sui terreni terziari dei dintorni di Reggio Calabria, del prof. Pio Mantovani. Gli studi paleontologici e geologici, che da tanti anni V illu- lustre prof. G. Seguenza va pubblicando sui terreni terziari del- T Italia meridionale, ed in particolare anche della provincia di Reggio Calabria, sono tanti e tali, che in questa regione lasciano ad altri ben poco da spigolare, che possa tornare di qualche in- — 444 — teresse alla storia fisica della nostra penisola. Cionondimeno, qualche minuziosa osservazione, che ebbi occasione di fare nei dintorni di Reggio sul pliocene, e sui rapporti ne’ quali esso si trova con terreni d’ altra età, mi procurò la conoscenza di al- cuni fatti che credo non del tutto privi d’ importanza e che però mi accingo ora a riferire. La città di Reggio si stende alquanto inclinata al mare in un tratto di spiaggia compreso fra due grossi torrenti, il Calo - pinace al S. e la Fiumara dell3 Annunciata al N., i quali trag- gono le loro origini dai Campi di Beggio, porzione di quell’ esteso altipiano elevato oltre a 1000 m. sul livello del mare, da cui sorgono ripide le più alte vette, che costituiscono il gruppo mon- tuoso dell’ estrema Calabria, denominato anche dell’ Aspromonte. Una di queste vette, chiamata per la sua ubicazione Montagna di Beggio (1600 m. circa), sovrasta appunto ai Campi e sommi- nistra a que’ due corsi d’ acqua il primissimo alimento. È perciò naturale che i paesi da loro percorsi siano presso- ché eguali, per quanto ne riguarda la costituzione geologica. Am- bedue i torrenti nascono infatti fra le rocce granitiche che for- mano l’ ossatura de’ monti calabresi e dopo aver solcata per lungo tratto l’ estesa zona dei terreni scistosi primitivi, che quelle circondano, senz’ altro intermezzo si gettano fra terreni terziari medi e superiori, che solo abbandonano in prossimità al mare, dove hanno predominio depositi di più recente data, cioè sabbie e ghiaie quaternarie potentemente sviluppate in que- sta regione ed alluvioni antiche e moderne. Il corso del Calopinace è alquanto più lungo ed alimentato da maggior numero d’ affluenti, per la qual cosa questo torrente porta anche al mare una maggior copia d’ acqua, ha letto più ampio e più pericolose ne sono le piene nella stagione piovosa. Contuttociò osservasi uno strano fenomeno, indicatomi già da persone del paese, che tosto sorprende chi veda anche per una sol volta i due torrenti ; ed è che la Fiumara dell’ Annunziata porta al mare una notevole quantità di grossi massi, di roccia per lo più granitica, che invano si cercherebbero entro il letto del Calopinace, salvo il caso di risalirlo a molta distanza dal mare. Ed è a notarsi che non v’ ha differenza sensibile fra la generale inclinazione dei loro rispettivi letti, per cui possa in - 445 — qualche modo venire giustificata la diversa dimensione dei ma- teriali trasportati. Aggiungerò poi, che nel caso nostro quand’anche esistesse una differenza, non s’ avrebbe tuttavia in essa una ragione suf- ficiente a spiegare il fenomeno sopra indicato, perchè le rocce granitiche, dalle quali quei grossi massi dovettero essere svelti, s’ incontrano solo a molta distanza dal mare, nella parte più elevata del torrente dell’ Annunziata, sopra i paesi di Arasi e Straorini ; e non è ammissibile che il torrente, per quanto sia impetuoso nelle sue piene, abbia forza sufficiente di trascinarli fino al mare. Simili considerazioni ed altre, riguardanti puramente condi- zioni locali, mi condussero a cercare pei grossi materiali della Fiumara dell’ Annunziata una sorgente più vicina al mare, di quel che siano i graniti e 1’ altre rocce cristalline in posto di questa Calabria, nè mi fu difficile il rinvenirla. Pare che il torrente in prossimità al mare segua una rot- tura, avvenuta probabilmente in epoca postpliocenica, perchè mentre la riva diritta si presenta per buon tratto come una forte corrosione di arenarie e marne od argille del miocene, sulla sinistra non v’ ha corrispondenza di strati e tutto ricoprono per lunga pezza le alluvioni antiche ed i terreni quaternari, che dall’ opposto lato invece coronano, sul più alto de’ colli che fian- cheggiano il torrente, i terreni del miocene e del pliocene. Sulla riva sinistra nulla presentasi di notevole per rap- porto ai massi granitici, ben altrimenti è la cosa per l’ altra, che descriverò brevemente, aggiungendo per maggior chiarezza una sezione dimostrativa del tratto, che più interessa all’ argo- mento nostro (fig. 1). Fig. 1. © S. 2 > <© s a. Arenarie, marne ed argille del miocene medio. — b. Alluvione moderna sparsa di grossi massi di roccie cristalline. — c. Alluvione comune. — 446 — Fin quasi a due chilometri dal mare non si ha che terreno sabbioso e ghiaioso quaternario, spesso ricoperto da alluvioni an- tiche e moderne ; giunti al qual punto si elevano alcuni dirupi, costituiti da molassa e marne mioceniche, a • strati alternanti, fortemente inclinati all’ O.N.O., che rappresentano l’estremo d’ un contrafforte del vicino Monte di Pentimele. Dopo questi dirupi, che formano un tratto di riva lungo forse 500 m., si oltrepassa il confluente di un piccolo rio e la roccia miocenica scompare per riapparire soltanto un mezzo chilometro più a monte e se- guitare poi alternata ad argille e conglomerati fino a 9 o 10 chi- lometri dal mare, ove appaiono gli scisti primitivi. Dove la roccia miocenica scompare rimane naturalmente una depressione, una specie di conca, il fondo della quale è occupato da un forte deposito alluvionale, privo di stratificazione e semi- nato di grossi massi di granito, gneis, sienite, leptinite, anfibo- lite, diorite ec., il quale più che ad altro rassomiglia ad un bel- lissimo apparato morenico.1 Due torrentelli che discendono dal M. di Pentimele lo sol- cano in tutta la sua lunghezza togliendoli e trasportando, nel loro breve e rapido corso, alla Fiumara dell’ Annunziata una quantità tale di quei grossi massi, che quasi mina ne ingombra il letto per lungo tratto. Gli è però evidente, che qui noi ab- biamo se non la sola certamente la principalissima origine dei massi, che questo torrente trascina al mare ; ed a conferma di ciò gli è importante a notarsi, come nella parte superiore al- 1’ alluvione ora accennata il suo letto non contenga che mate- riali di più modeste dimensioni. Contuttociò non è spiegata che piccola parte del fenomeno, rimanendo a sapersi d’ onde e come quell’ alluvione abbia avuto origine. Non trattasi di morena glaciale, come ogni apparenza sembra indicare, trattasi invece di un semplice prodotto di di- lavamento dei terreni circostanti. Come ho detto sopra e come 1 In prossimità alla riva del torrente dell’ Annunziata, in un campo che si stende su quest’ alluvione, fra altri massi minori che vi stanno sparsi, bavvene uno di forma irregolarmente parallelepipeda lungo circa 6m., largo in media 2, ed alto, nella sola parte che sporge dal suolo, un poco più di quattro ; per la qual cosa si può calcolare, che abbia un volume non inferiore ai 50 metri cubi. È di un granito grigio gneissoso ed amigdaloide per grossi cristalli di feldispato. Comuni poi sono i massi, che hanno intorno ai 10 metri cubi di volume. - 447 - puossi vedere indicato dalla fìg. 1 e dall’ abbozzo di veduta ge- nerale (fig. 2) delle colline, che sulla diritta fiancheggiano la Fiumara dell’ Annunziata, V alluvione riempie una conca o val- lone formato da rottura e corrosione antica del terreno mioce- nico ; ma al N., dove il vallone è chiuso dal sorgere della parte centrale e più elevata delle colline, essa termina confondendosi con strati indubbiamente pliocenici, i quali posano con stratifi- cazione quasi orizzontale sui già noti terreni del miocene. Tali strati sono d’ alto in basso : A ) Marne azzurre sabbiose poverissime di fossili, per modo, che appena potei riconoscere le seguenti specie : Nassa mutabi- lis, Lin. — Cólumbélla, sp. — Dentatimi agile , Sars. — Tene- bratala minor , Phil. — Ceratocyatus communis , Seg. B) Sabbie grossolane, superiormente quasi prive di fossili, inferiormente invece ricchissime. Noto le specie più abbondanti : Bàlanus tulipiformis, Ellis. — B. pustularis, Lamk. — Ostrea cochlear , Poli. — 0. lamellosa, Brocc. — 0. corrugata, Brocc. — 0. (Federi) pitica, Lin. — Feden dubius, Lin. — F. opercu- laris, Lin. — F. latissimus, Brocc. — P. (Janira) fi ab etti f or - mis, Brocc. — Einnites crispus, Brocc. — Anomia striata, Brocc. — Tenebratala calabra, Seg. — Megerlia eustida, Phil. — Bhiyn- conella bipartita, Brocc. — Scalaria retusa, Brocc. — Clypeaster pliocenicus, Seg.; oltre ad una quantità grandissima di Briozoi e Foraminifere. Quantunque non sia grande il numero delle specie fossili che ho raccolte in questi terreni, pure non v’ ha dubbio alcuno che le marne rappresentino il pliocene classico, mentre le sabbie sono certamente da riferire allo Zancleano del professor Seguenza. Queste posano, come dissi, con discordanza di stratificazione sul miocene, quivi rappresentato da argille ed arenaria prive di fos- sili, se ne eccettui qualche raro avanzo mal determinabile di pteropodi e coralliari. Probabilmente sono gli strati a vaginelle, che il professor Seguenza, avendoli studiati in altri luoghi della provincia, potè con sicurezza collocare nel Langhiano di Pareto.1 Intanto quel che importa maggiormente di notare si è, che le sabbie zancleane abbondano di grossi massi granitici e che * G. Seguenza, Brevissimi cenni intorno le formazioni della Provincia di Reyy io- Calabria. Messina, 1877, pag. 17 e seg. Veduta generale della sponda destra della Fiumara dell’ Annunziata. 448 CN tb Monte Rega (540m). Vito superiore (240m). Vito inferiore (70m). Monte di Pentimele (320m). — 449 — di qui appunto li trasse e li trae la sottostante alluvione. Nè v’ ha luogo a dubitare che essi facciano parte del terreno plio- cenico, poiché un buon numero di quelli, che ancora non furono mossi dal loro posto, sono interamente rivestiti da un vero strato di Ostriche, principalmente la lamellosa, cui aderiscono briozoi e cirripedi sessili delle specie sopra indicate. Inoltre da briozoi veggonsi di frequente fissate ai massi grossissime valve del Pecten latissimus ; ed anche in quelli da tempo travolti nel terreno al- luvionale, quantunque abbiano dovuto soffrire attriti ed urti d’ ogni sorta, si rinvengono non di rado aderenti valve delle so- lite ostriche ; ond’ è chiaramente dimostrata la loro derivazione. La presenza di simili materiali fra un sedimento marino, com- posto in generale di piccolissimi elementi sciolti o debolmente cementati da succo calcare-argilloso, riesce assai strana tenuto conto soprattutto delle loro dimensioni per vero eccezionali. Cio- nonostante potrebbe forse trovare una spiegazione in qualche ac- cidentalità di carattere puramente locale, senza presentare nulla di veramente interessante alla geologia. A giudicare però da una esatta conoscenza, che mi procurai dei terreni terziari prossimi a Reggio, debbo ritenere che trattasi di un fatto, il quale si manifesta ripetutamente su estensione piuttosto vasta, dimo- strando una certa dipendenza da’ fenomeni geologici osservati in altre regioni d’Italia e di cui fu tentata una spiegazione, che a molti parve azzardosa. Credo quindi non inutile un cenno descrittivo di questi ter- reni, che, oltre all’essere per sè stesso di qualche interesse, varrà a giustificare alcune considerazioni, cui sono condotto dal presente studio. Il pliocene forma un’ estesa zona, interrotta qua e là dall’ in- tromettersi di più antiche formazioni o celata da più recenti, che si stende da Villa San Giovanni fino al paese di Motta, cioè lungo quasi tutto il lato occidentale della provincia. Le princi- pali località dove lo si può studiare in prossimità a Reggio, sono, procedendo da N. a S., a poca distanza dammare Archi, Vito, Carubbare e Ravagnese, più entro terra Orti, Trizzino, Terreti, Nasiti e Gallina. Agli Archi si ha una ripetizione di quanto notai per Vito, soltantochè mentre in quest’ ultima località mostrasi quasi solo — 450 lo Zancleano ad Archi abbiamo una serie di strati sabbiosi, che rappresentano in modo più completo il pliocene. Questa serie si può vedere ben distinta salendo il monte, che sta ad Est del villaggio d1 Archi e che è V estremo di uno lunga costa mon- tuosa, compresa fra i torrenti Torbido e Scacciolo, la quale len- tamente elevandosi sale fino ai Campi di Reggio. Tenendo conto del variare della fauna si possono distinguere dal basso all’ alto i seguenti piani : A) Sabbie grigie o giallastre, quasi sciolte e sparse come a Vito di massi granitici incrostati d’ ostriche, balani ec., ab- bondantissime di pettini, anomie, ostriche, delle stesse specie fos- sili infine, che indicai per Vito, salvo una minore quantità di brachiopodi. Queste sabbie, che senza dubbio appartengono allo Zancleano, passano, per quanto mi fu dato vedere, insensibil- mente al seguente terreno; JB) Sabbie marnose ricche di coralliari, fra cui notevoli per abbondanza le Isis (. Isis mélitensis, Goldf. — Isis pelori- tana, Seg.), la Lophoelia Defrancei, Edw. e H. e V EnaTlopsammia Scillce, Seg. Vi si raccolgono inoltre la Nassa costulata, Brocc. — Terébratula minor , Phil. — Cardita intermedia , Lamk. — - Cidaris margaritifera, Mgh., ec. C ) Sabbie come sopra con fauna svariatissima riferibile al pliocene più recente, Piano Siciliano del Doderlein. Questo ter- reno appare meglio sviluppato alle Carubbare ed a Ravagnese, parlando delle quali località darò una nota de1 fossili che più ne sono caratteristici. Su questi strati pliocenici si stendono da ultimo nella parte superiore del monte sabbie quaternarie per qualche tratto piene di pettini, anomie (A. ephippium, Lin.) ed ostriche (0. edulis e var.). Tutta la formazione ora descritta posa con evidente sconcor- danza d’ inclinazione e direzione sopra il miocene, che potentis- simo si stende denudato verso Y Est formando la costa mon- tuosa di sopra accennata. Risalendola però un buon tratto, circa 4 chil., presso il grosso paese d’ Orti sulle arenarie del miocene, elevato in media 600 m. sul livello del mare, si adagia un po- tente lembo di più estesa formazione pliocenica a strati quasi orizzontali, che dà origine al Monte Chiarello (746 m.) tutto — 451 — scosceso ne’ fianchi e superiormente piano per un’ estensione eli oltre un chilometro in lunghezza su una larghezza media di 150 m. Il pliocene si presenta qui con aspetto litologico assai diverso. Non abbiamo più le solite sabbie, ma invece un calcare marnoso bianco o bianco-gialliccio inferiormente formato da un vero ag- glomeramento di foraminifere con poche traccie d’ altri animali e negli strati superiori da un tritume di fossili diversi fra cui predominano le valve di cirripedi peduncolati e alcuni coralliari. Seguendo gli studi del Seguenza panni dover riportare questa formazione al pliocene classico (Astiano, Pareto), salvo gli strati inferiori a foraminifere che, se non erro, sono dal Seguenza stesso 1 indicati come uno dei facies particolari dello Zancleano, mentre non mi consta che vi sia qui un terreno analogo da lui segnato come appartenente ad altro piano. Confesso però che in questa località ed in altre consimili che conosco, non trovo ben netta la distinzione dei due piani, nè potei accorgermi di quella marcata sconcordanza di stratifica- zione, che il professor Seguenza accenna come mezzo facile a separarli, allorché si presentano litologicamente eguali.2 Di ciò dirò più avanti ; per ora quanto m’ interessa di notare è, che nel pliocene d’ Orti mancano i grossi massi di rocce cristalline. Torniamo ora sui nostri passi per seguire dagli Archi una via quasi parallela alla spiaggia e parallela anche alla direzione generale degli strati pliocenici, che va da N. a S. Anzitutto s’ incontra nuovamente il pliocene a Yito, ma di questa località già parlai a sufficienza; oltrepassatala i terreni quaternari 3 celano i più antichi per molta estensione, finché 1 Seguenza, Loc. cit., pag. 24. 2 Seguenza, Loc. cit., pag. 26. — Studi stratigrafìci sulla formazione plioce- nica dell’Italia meridionale , nel Bollettino del R. Comitato geologico, anno 1875, num. 3 e 4, pag. 93. 3 I terreni quaternari sono assai potenti nei dintorni di Reggio. Offrono una serie di sabbie grossolane e ghiaie regolarmente stratificate, le quali negli strati inferiori talvolta si fanno ricche di molluschi marini, limitati però a poche spe- cie tutte bivalvi. Negli strati superiori a pochi passi da Reggio, se non erro, furono anni addietro raccolti avanzi d’ un elefante posseduti in parte dal pro- fessore Seguenza; e allo Spirito Santo, villaggio distante da Reggio poco più d’un chilometro sulla diritta del Calopinace, si raccolsero in un potente strato sab- bioso, oltre ad ossa diverse che io non conosco, parecchie costole d’ un grosso cetaceo ora appartenenti al Gabinetto di Storia Naturale di questo R. Istituto — 452 - 3 chil. all’ Est di Peggio, in luogo detto le Carubbare, com- paiono in una stretta e profonda valle d’ erosione pochi strati di sabbie sciolte ricchissime di fossili, de’ quali enumero le specie più comuni e caratteristiche, che per massima parte si rinven- gono anche nelle sabbie del pliocene superiore d’ Archi. * Terebratuìa vitrea, Lamk. ; 1 * Anomia ephippium , Lin. ; * Ostrea edulis, Lin. ; * 0. lamellosa, Brocc. ; 0o ( Federi ) plica, Lin. ; '* Pecten maximus, Lin. ; * P. Jacobeus, Lin. ; * P. dubius, Lin. ; * P opercularis, Lin. ; * Spondilus goederopus e var., Lin. ; * Pinna nobilis, Lin. ; Arca aspera, Phil. ; * Pedunculus glycime- ris, Lin. ; * P. viólacescens, Lamk. ; Leda, sp. ; * Gardium edule, Lin. ; * G. tubercólatum, Lin. ; * G. echinatum, Lin. ; * C. acu - leatum, Lin. ; * G. oblongum, Lin. ; * Gytherea Chione, Lin. ; Venus gcdlina, Lin. ; V. senilis, Brocc, ; * F. clysera, Lin. ; * F. verrucosa, Lin. ; * F radiata, Brocc. ; * Dosinia linda, Lamk. ; * Mactra triangula, Ben. ; * Lutraria éliptica, Lamk. ; * Panopcea Aldovrandi, Lamk. ; * Solen ensis, Lin. ; Dentalium elephantinum , Lin. ; * D. agile, Sars ; D. coardatum, Brocc. ; * Calyptrea si - nensis, Lin. ; * Pileopsis ungarica, Lamk. ; Br occhia sinuosa, Bronn ; * Fis sur ella italica, Defr. ; * Patella vulgata, Lin.; * Nassa mutabilis, Lin.; N. costulata, Brocc. ; N. musiva , Brocc.; Buccinimi serratum, Brocc. ; B. semicostatum, Brocc.; * Cancel- larici cancellata, Lin. ; * Geriihium vidgatum, Brug, ; * G. sca - bruni, Olivi ; Pleurotomci dimidiata, Brocc. ; P. sp. ; * Fusus ro- stratus, Olivi ; F. sp. ; * Murex scalaris, Brocc. ; * M. trunculus, Lin. ; Tritona distortum, Defr. ; Strombus italicus, Bonelli ; * Conus mediterraneus, Brug. ; Marginella eburnea, Phil. ; Gyprea, sp. ; Bidla, sp. ; Haliotis, sp. ; * Trochus miliaris, Brocc. ; T. sulca- tecnico, cui le donò il signor professore D. Carbone Grio. Disgraziatamente la fragilità e lo stato di conservazione di queste ossa erano tali, che s’ ebbero solo frantumate e logorate per modo da rendere impossibile ogni studio rivolto a de- terminarle. Feci nel luogo ove furono ritrovate qualche scavo colla speranza di poter raccogliere altre di queste ossa e specialmente di quelle caratteristiche, ma fui deluso. Su queste ghiaie e sabbie inclinate alquanto al mare posa este- samente 1’ alluvione antica, costituita da argille limonitiche, alternate a piccoli strati di ghiaie minute e spesso per considerevole spessore abbastanza pure da doversi considerare come un vero Loess. Finalmente questo Loess superiormente contiene in luogo vicino a Reggio gli avanzi umani dell’ età della pietra, dei quali or non è molto parlai nel Bollettino di Paletnologia italiana , 1878, n. 3 e 4. 1 Segno con 1’ asterisco (*) le specie che sono conosciute viventi. — 453 - tus, Lamk. ; Solarium simplex , Bronn ; * Turbo rugosus, Lin. ; Turbo, sp. ; * Natica millepunctata, Lamk. ; N. Jielicina, Brocc. ; Scalaria pseudoscalaris, Brocc. ; S. clathra (?), Lin. ; Turritella tricar inaia, Brocc. ; T. tornata, Brocc. ; T. vermicularis, Brocc.; T. subangulata, Brocc. ; Cleoclora, sp. ; * Desmophyllium costa - tum (?), Edw. e H. ; Diploelia, sp. ; Clcidocora, sp. Quantunque i fossili da me enumerati rappresentino incom- pletamente la fauna svariatissima di queste sabbie, pure non v’ ha dubbio, che esse per la grande quantità di specie viventi debbano collocarsi nel pliocene più recente ; e come queste, sono da collocarvisi altre che s’ incontrano 3 o 4 chilom. più al S. intorno al villaggio di Ravagnese.* 1 Tanto alle Carubbare che a Ravagnese sotto alle sabbie plioceniche, non scorgesi altro terreno che arenarie, con strati marno-argillosi alternati, le quali con direzione N.E. — S.O. circa inclinano fortemente al N.O., dimostrandosi così in perfetta di- scordanza con tutti i sedimenti del terziario superiore di questa regione. Trattasi adunque, io credo, di roccia miocenica, di cui attesa la quasi assoluta mancanza di fossili riesce assai difficile di poter precisare il posto. Alle Carubbare però vi rinvenni, ol- tre ad esilissimi straterelli di lignite, qualche raro corallario appena riconoscibile, e qua e là gran copia di pteropodi, fra i quali parmi ravvisare la Vaginella depressa, Daud. ; onde v’ ha 1 A Ravagnese nelle sabbie fossilifere del pliocene superiore furono raccolte ossa di cetacei e fra l’ altre alcune vertebre, una delle quali mi fu donata pel gabinetto del R. Istituto tecnico dal signor Giuseppe de Marco ; delle altre non ho notizia. Quella che io possiedo è una vertebra lombare colle apofisi spezzate. Pesa 2650 grammi ed il cilindro ha le seguenti dimensioni : Lunghezza M. 0,142 Diametro orizzontale 0,170 » verticale 0,150 I due diametri li ho presi sulle faccie, per cui non esprimono le vere dimensioni del cilindro, essendo 1’ ampiezza di quelle un poco maggiore di una sezione me- diana del cilindro stesso. Per la forma e per le dimensioni questa vertebra cor- risponde perfettamente a quelle disegnate dal Capellini nella Tav. Ili, fig. 7, 8 e 9 della sua Memoria sulle Balenottere fossili del bolognese, Bologna 1865, e rife- rite da lui, dubbiosamente però, al Rorqualus Cortesii, Desmoulins, ma poscia riportate dal Brandt, se mal non mi appongo, ad una nuova specie, che chiamò Cetotheriophanes Capellina (Capellini, Sui Cetoterii bolognesi , 1875). Non credo però che ciò basti per asserire, che la vertebra trovata a Ravagnese sia di un individuo della nuova specie creata dal Brandt. — 454 — ogni motivo per credere, che anche qui come a Vito s’ abbia un terreno riferibile al Piano Langbiano. E mi conferma in ciò V os- servazione del prof. Seguenza,1 che nel reggiano il pliocene pog- gia ovunque o sopra terreni miocenici più antichi dell’ elveziano, 0 sopra gli scisti primitivi. Nè alle Carubbare, nè a Ravagnese havvi traccia dei grossi massi, che già notai nel pliocene inferiore di Yito ed Archi. Abbandoniamo la via prossima al mare e portiamoci più en- tro terra, salendo da Ravagnese i colli, sui quali posa il paese di Gallina. Appaiono questi interamente costituiti dallo stesso terreno miocenico, che sta sotto alle sabbie or ora descritte e che a Gallina sostiene invece un calcare bianco marnoso, a volta a volta tanto sabbioso da fare evidente passaggio ad arenaria. È in banchi quasi orizzontali ed assai esteso ad oriente di Gal- lina, per cui P alto dei colli sui quali è il paese piglia V aspetto di un esteso altipiano appena inclinato all’ 0. Questa formazione prevalentemente calcare è ricchissima di fossili distribuiti per modo da permettere, nonostante insensibili passaggi, di dividere tutto il deposito nei seguenti gruppi, caratterizzati ciascuno dal dominare d’ alcune specie particolari. A) Inferiormente strati abbondanti di foraminifere e scarsi d’ altri fossili. Vi ho raccolti però alcuni grossi balani, parecchie ostriche e pettini (0. lamellosa, Brocc. ; 0. corrugata, Brocc. ; P. dubius, Lin. ; P. flabelliformis, Brocc.) e buon numero di bra- chiopodi ( Terebratula calabra, Seg. ; T. Scillce, Seg. ; EJiinconella bipartita, Brocc.; Megerlia eusticta, Phil. ed altri). P) Strati calcari e sabbiosi alternati ricchi, specialmente gli ultimi, di fossili numerosi in ispecie. Sopratutto abbondano 1 cirripedi, tanto sessili che peduncolati, e fra questi predomina lo Scaìpéllum zancleanum, Seg., ed i brachiopodi di specie di- verse da quelle del pliocene inferiore di Vito, salvo qualche raro esemplare di T. calabra, Seg., e Megerlia eusticta, Phil. Il mag- gior contingente è dato dalla grande T. Scillce, Seg., dalla T. vitrea, Lamk. e dalle Waldlieimice (W. euthira, Phil. e W. pe- loritana, Seg.). Inoltre v’ ha pure notevole quantità di coral- liari, briozoi, echinodermi ( Cidaris margaritifera, Mgh.) e di 1 Seguenza., Brevissimi cenni ec., pag. 22 e 31. — 455 — molluschi acefali e gasteropodi, di cui noto le specie più fre- quenti : * * Ostrea edidis, Lin. ; 0. laméllosa, Brocc. ; * Pecten ma - ximus, Lin. ; * P. cìubius , Lin. ; * P. opercidaris, Lin. ; * Arca dilavii , Lamk. ; Leda acuminata, Jeffr. ; Cardita intermedia, Lamk. ; Venus senilis, Brocc. ; Fenus sp. ; Dentalium elephanti- num , Lin.; *D. agile, Sars ; * Fissurella italica, Defr. ; Patella, sp. ; Cleoclorà infundibulum, Wood. ; Nassa costidata, Brocc. ; * Cassidaria echinopìiora , Lin. ; Turbo peloritanus, Cantr. ; *Tro- chus miliaris, Brocc. ; Scalaria pseucloscalaris, Brocc. ; S. sp. ; 1 Turritella subangulcdci, Brocc. ; T. tornata, Brocc. C) Strati marnosi colla stessa fauna, salvo minor ricchezza di specie, delle Carubbare. Gli strati P costituiscono la parte più ragguardevole del terreno in discorso, che in conseguenza ci rappresenta nel miglior modo il pliocene classico. Ma gli è evidente che superiormente negli strati C contiene una fauna più recente, mentre al basso negli strati A tiene molto del pliocene inferiore o Zancleano. La natura di questo scritto non mi permette di entrare in minuziose discussioni paleontologiche, nè il potrei. Cionondimeno piacemi ripetere V osservazione che feci intorno al M. Chiarello, dove si ha una formazione pressoché identica litologicamente e paleontologicamente a questa di Gallina. Ed è che anche qui non è per alcun riguardo marcata la distinzione fra ciò che do- vrebbe essere Zancleano e ciò che certamente è Astiano ; quando però non s’ abbiano a staccare dallo Zancleano il calcare infe- riore a foraminifere d’Ortì e gli strati A di Gallina, per met- terli nello stesso piano delle sabbie superiori e del calcare con cirripedi pedunculati e brachiopodi. Nel qual caso mi pare che, salvo forse i briozoi, ben poco rimarrebbe di caratteristico alla fauna zancleana, poiché negli strati inferiori di Gallina trovansi quasi tutte le specie fossili di Vito ed Archi.2 A Gallina non esistono massi granitici. 1 È simile a quella che parlando delle Carubbare chiamai dubitativamente clathra, Lin. * Con questa osservazione non intendo punto di mettere in dubbio quanto afferma il mio illustre amico prof. Seguenza sulla assoluta differenza fra le due faune Astiana e Zancleana di questi luoghi. Trattasi del risultato di lunghissimi studi e confronti fatte con quelle estese cognizioni paleontologiche, che ben po- chi, credo, non invidiano al Seguenza ; ed io per quanto conosco del pliocene — 456 — Termino questo cenno descrittivo del pliocene reggiano col far parola di un’ ultima località, che è anche la più importante, poiché in una zona relativamente non molto estesa si hanno riu- nite tutte le diverse forme, sotto cui vedemmo qua e là rap- presentato T ultimo periodo dell’ epoca terziaria. Conviene perciò portarsi circa 7 chilom. all’ E. di Reggio sulla via carrozzabile che da questa città inette ai cosiddetti Campi. Dalla città fino a circa 7 chilometri nulla havvi di interes- sante, perchè la strada mantenendosi assai elevata non taglia che terreni quaternari. A 7 chilometri cominciano a discoprirsi, in luogo ove la strada discende per attraversare una gola, se- dimenti marini fossiliferi, de’ quali sulla dritta della via si ha una sezione assai istruttiva, che per maggior chiarezza disegno nella Fig. 3, aggiungendo una breve descrizione dei terreni, che vi sono messi a nudo. Fig. 3. A) Sabbie e ghiaie quasi sciolte con bivalvi di specie vi- venti, che sono : Ostrea edulis, Lin. ; Anemia ephippium, Lin. ; di qui, non potrei fare a meno di accettare come esatta la divisione che ne fa nei tre piani, Zancleano, Astiano Par. e Siciliano Doderlein. Quanto a me non pare sia ben certo, come credo di avere indicato chiaramente, si è la di- scordanza stratigrafica, che stando alle osservazioni del Seguenza separerebbe sempre con nettezza i due piani e che supporrebbe un grande fenomeno tellu- rico, per cui sarebbe giustificata una repentina trasformazione nella fauna ma- rina di que’ tempi. Ciò per verità sembra verificarsi in alcuni luoghi anche in- torno a Reggio, come sarebbe ad esempio per Vito. La discordanza in questo luogo potrebbe non essere e probabilmente non è altro, che la conseguenza di un rapido abbassamento, pel quale là ove deponevansi sabbie littorali, come lo sono realmente quelle riferibili alla zona delle laminarie, che contengono i massi granitici, si succedettero senz’ altro intervallo marne, che litologicamente e pa- leontologicamente dimostrano un mare profondissimo. Questo abbassamento del suolo rapido a Vito altrove avvenne sì, com’ è dimostrato dall’ essere in questi luoghi la fauna astiana sempre di mare profondo, ma avvenne lentamente, co- sicché al lento scomparire delle specie zancleane fu contemporanea la com- parsa di quelle prettamente astiane. - 457 — Cardium edule, Lin. ; Citherea Chione, Lin. ; Pectuncidus viola- cescens, Lamk. e poc’ altre. B) Marna sabbiosa di poca potenza concordante in strati- ficazione col terreno sottoposto e con fauna marina identica a quella di Ravagnese e Carubbare. C) Marna azzurra scarsa di fossili. Yi potei raccogliere: Lophoelia Befrancei, Edw. e H. ; Ceratocyatus communis , Seg. ; Isis melitensis, Goldf. ; Terebratula vitrea, Lamk. ; Cardita in- termedia, Lamk. ; Venus senilis, Brocc. ; Cleodora, sp. ; Dentalium elephantinum, Lin. ; B. agile, Sars ; B. coarctatum, Brocc. ; Ca- lyptrea sinensis, Lin. ; Nassa costatata, Brocc. ; Pleurotomia, sp. ; Turritella tornata, Brocc. ; Cidaris, sp. ; Schizaster, sp. B) Sabbie giallastre quasi prive di fossili superiormente, salvo una notevole quantità di briozoi e foraminifere. Inferior- mente a questi s’ aggiunge gran copia di cirripedi sessili, delle stesse specie di Yito, e di bivalvi poco variate in specie. Anomia striata, Brocc. ; Ostrea cochlear, Poli ; 0. lamellosa, Brocc.; 0 corrugata, Brocc.; 0. nudata (?) Lamk.; Pecten fla- belliformis, Brocc. ; P. opercularis, Lin. ; Hinnites crispus, Brocc. ; Perna Soldanii , Desh. ; Terebratula calabra, Seg. ; T. Philippi, Seg. ; T. sinuosa, Brocc. ; T. minor , Pbil. ; BJiynconella bipar- tita, Brocc. ; Megerlia eusticta , Phil. È la stessa fauna di Yito ed Archi, tolte poche specie, che qui non mi fu possibile di ve- dere, ma che ritrovai poi in istrati alquanto più profondi, come dirò più avanti. Il terreno A non è pliocenico ma fa parte della formazione quaternaria. Le sabbie inferiori G certamente zancleane hanno, pur conservando la comune direzione N.S., una inclinazione al- P Ovest alquanto maggiore delle sovrastanti marne ; onde qui lo Zancleano rimane per ogni riguardo nettamente separato dal resto del pliocene. Queste sabbie hanno una grande potenza e si estendono molto sulla diritta, ossia, per esprimermi più chia- ramente, a Sud della via Reggio-Campi tutt’ intorno al paese di Nasiti, ove in causa di forti corrosioni appaiono gli strati più antichi del pliocene, sparsi profusamente di grossissimi massi di rocce cristalline. E cosa degna d’ essere menzionata, che coll’ apparire di que- sti la fauna delle sabbie si modifica sensibilmente pel farsi piut- 30 — 458 — tosto rari i brachiopodi e per l’ aggiungersi del Pecten latis- simus, Brocc., della Scalaria refusa, Brocc. e del voluminoso Clypeaster pliocenicus, Seg., fossili che fino ad ora raccolsi sol- tanto negli strati analoghi di Vito ed Archi.1 Continuando, dal punto ove presi la sezione indicata dalla Fig. 3, la strada Reggio-Campi, dopo poco il terreno pliocenico è interrotto dall’ emergere di scisti, probabilmente paleozoici, che nel mare pliocenico dovettero formare ivi una scogliera poco sporgente dall’ acque, poiché a breve distanza sovra di essi com- pare nuovamente il pliocene rappresentato prima ; per quanto si può vedere, da un lembo sottile di marne azzurre e poscia so- pra i paeselli di Trizzino e Terreti da una estesa formazione, analoga a quella di Orti e Gallina, della quale non potei scor- gere alcun rapporto stratigrafico col resto del pliocene. La Fig. 4 è una sezione immaginaria secondo la normale alla direzione degli strati pliocenici, lunga circa 3 chilom., che cominciando dal punto della via ov’ è il taglio naturale, Fig. 3, si protrae un po’ oltre Terreti. Abbiamo qui, ma in proporzioni assai maggiori, una ripeti- zione del M. Chiarello, certamente un altro lembo isolato della medesima formazione chiamato Monte Goni ; e, come constatai io stesso e rilevasi dalla Carta dello Stato Maggiore italiano, l’al- tezza dei due monti è eguale, cioè 746 m. per M. Chiarello e 749 per M. Goni. Dopo quanto dissi per Orti e Gallina trovo inutile lo spendere molte parole per questa località ; noterò sem- plicemente che vi prevalgono gli strati calcari interamente com- posti dall’ associazione di spoglie di foraminifere, senza traccia si può dire d’ altri fossili. Compiuta questa rapida rassegna delle più importanti loca- lità, ove nelle vicinanze di Reggio si mostra il terreno plioce- nico, credo di poterle presentare ordinate secondo i loro rap- porti stratigrafici e paleontologici nel qui unito quadro, che formai tenendo il debito conto degli studi del Seguenza e di 1 Dopo aver scritto questo ho raccolto il P. latissimus ed il P. flabellifor- mis, Brocc., tanto negli strati A che negli strati B di Gallina, ciò che mag- giormente conferma quanto dissi sopra sul mescolarsi delle faune astiana e zancleana. - 460 - alcune più dettagliate osservazioni, che tralasciai d’ indicare, non comportandolo l’ indole di questo lavoro. Pliocene superiore ( Siciliano , Doderlein.) Sabbie di Ravagnese con ossa di cetacei. Sabbie delle Carubbare ; strati superiori del pliocene degli Archi, della via Reggio-Campi e di Gallina. Pliocene inf. (iu parte) e medio {Astiano, Pareto.) Marne azzurre di Vito ^ e della via Reggio- -Ji § Campi. ^ § 2 S u ai * , 4 -J 03 © ri m "Ì ^ o h £ cq .5 © a © © © 'p © . © tó © a © '3 « g 3 ’5 -rtj o Sabbie con Brachiopodi della via « Q t® ° | ^ Reggio-Campi e luoghi circo- S’3 ’S3.h g ^ stanti. ^ oq § J © u © s © e Sabbie di Vito, Archi e Nasiti con Pecten latissimus, Brocc., e con S N eu — ' massi di roccie cristalline ec. Vorrei ora parlare del miocene, che potentissimo quasi ovun- que sostiene con discordante stratificazione il terreno pliocenico. Ma la mancanza quasi assoluta di fossili, che possano servire di guida a caratterizzarlo, non mi permette di aggiungere gran che a quanto incidentalmente ne ho detto fino ad ora. Dagli studi del prof. Seguenza debbo ritenere che trattasi de’ piani più antichi, cioè Langhiano, Aquitaniano e Tongriano, ma più specialmente dei due primi. Per ciò che ne riguarda i caratteri litologici, del massimo interesse pel tema principale di queste osservazioni, noterò che alle arenarie ed alle argille al- terna qualche strato di conglomerato, uno de’ quali, rimarchevole per potenza, si manifesta ne’ monti che stanno immediatamente al di sopra di Vito ed Archi. Gli elementi che lo compongono sono di dimensioni straordinarie, e non la cedono punto a quelli che già vedemmo alla base del pliocene. Per lo più sono di gra- — 461 — nito e rocce affini, ma vi si trovano anche rocce particolari, di cui parlerò più avanti.1 Dal fin qui detto, mi paiono sufficientemente dimostrati due fatti degni d’ attenzione : 1° Che ovunque appaiono gli strati più antichi del plio- cene si hanno sabbie littorali o quasi con fauna sempre eguale e con glande copia di quei massi, che a Vito per speciali con- dizioni orografiche diedero origine alla singolare alluvione che descrissi da principio. 2° Che fra i depositi miocenici di questa regione esiste un conglomerato anormale per la dimensione degli elementi che lo compongono. Questi due fatti hanno fra di loro strettissimi rapporti, o piuttosto il primo non è altro che una conseguenza del secondo. Il prof. Seguenza nel suo lavoro più volte citato a pag. 31 afferma, che in questi luoghi il pliocene poggia estesamente sul conglomerato langhiano, mancando quasi ovunque i piani inter- medi del miocene. Dietro tale asserzione io fui naturalmente condotto a supporre in sulle prime, che i massi del pliocene di Vito e degli altri luoghi rappresentassero la parte superficiale di quel conglomerato, che ne’ primi tempi del periodo pliocenico dovette esser ivi il fondo del mare; onde facilmente si sarebbe spiegato il fenomeno per quanto, s’ intende, ha attinenza col ter- reno pliocenico. Ma le più accurate osservazioni locali mi dimo- strarono, che se il fatto accennato dal Seguenza può in parte aver contribuito a dare al pliocene inferiore di questi luoghi h aspetto, che ora presenta litologicamente aVito, Archi e Na- siti, non è però sufficiente a darne completa ragione. A basiti, per verità, sotto alle sabbie plioceniche si scorge un forte conglomerato privo di fossili ed a grossissimi elementi, che senza dubbio sarà quello riferito dal Seguenza al langhiano, ma nel medesimo tempo gli è facil cosa il notare, come a Na- siti stesso, a \ ito e più di tutto agli Archi si ritrovino i massi a diveisa altezza completamente avvolti dal terreno pliocenico in istrati regolarissimi ; per la qual cosa è indubitabile, che essi dovettero essere trasportati al mare nel corso di questo periodo, 1 11 Seguenza nei Brevissimi cenni ec., a pag. 18, riferisce, parmi, questo conglomerato al terreno langhiano del Pareto. — 462 - cioè contemporaneamente al depositarsi delle sabbie che li in- cludono. In tutt’ altro luogo, in tutt’ altre condizioni orografiche questo fatto potrebbe dar luogo ad ipotesi alquanto strane, ma pel reg- giano ci rimane ancora una semplicissima e naturale spiegazione, per cui non occorre mi dilunghi molto a parlare. Se il conglomerato come fondo del mare pliocenico non prestò sempre i massi che lo compongono ad essere incrostati dai mol- luschi o da altri animali marini, ve li somministrò per certo di- struggendosi sulla spiaggia flagellata dalle onde od attraversata da rapide correnti fluviali. Ma perchè in tal caso, mi si dirà, i soli strati inferiori del pliocene portano le traccie di questa distruzione?... Perchè, mi è facile rispondere e dimostrare, in seguito variarono le condi- zioni del suolo, di che a Vito ed Archi e in tutte V altre loca- lità descritte si hanno prove evidenti. Il potente conglomerato miocenico, che appare ne’ monti so- vrastanti a Vito ed Archi, e le arenarie ad esso sottoposte, hanno le testate de’ loro strati o completamente denudate o ri- coperte da lembi di terreno quaternario ed anche pliocenico, ma non riferibili agli strati più antichi o zancleani, i quali vi si perdono soltanto a poca distanza e assai più bassi con tutti i caratteri di un deposito litorale; il che è confermato dalla qua- lità de’ fossili, dalla natura grossolanamente sabbiosa del deposito e da’ massi che contiene, i quali per qualsivoglia causa non avrebbero mai potuto essere trasportati a molta distanza dalla spiaggia. Da tutto questo, dalla mancanza di consimili massi, almeno pei luoghi da me accennati, nei terreni pliocenici supe- riori e medii e dall’ essere questi ultimi in via generale, sedi- menti di grande profondità, deriva naturalmente una conseguenza, per cui resta pienamente spiegata la variazione sopra indicata nelle condizioni orografiche di questi luoghi durante il periodo pliocenico ; variazione che credo si possa compendiare in queste poche parole. Dopo l’ aurora del pliocene si manifestò qui un notevole abbassamento, in causa del quale il conglomerato ed i terreni che 1’ accompagnano, che prima figurarono come plaga di terra emersa, cedendo al vicino mare il risultato del loro sfa- sciarsi, furono coperti dall’ acque : per la qual cosa preservati da - 463 — ulteriori corrosioni si celarono sotto più recenti depositi marini, dei quali ci rimangono esempi nei lembi, ora isolati, di calcari, marne e sabbie quasi interamente astiane di Orti, Terreti e Gallina. 1 E però il trovarsi i grossi massi negli strati inferiori del pliocene non è un fatto anormale, bensì una naturalissima con- seguenza della vicinanza del conglomerato miocenico, che, come avvertii anche prima, si compone d’ elementi non inferiori a quelli per dimensione ed a loro perfettamente eguali per natura li- tologica. Ogni difficoltà adunque s’ aggruppa intorno a questo conglo- merato, del quale per verità non credo facil cosa lo spiegare 1’ origine senza ricorrere a cause eccezionali. E ciò dico non solo per riguardo alla mole dei suoi elementi, ma anche e più di tutto per la qualità delle roccie, di cui alcuni sono composti. Per la qual cosa panni d’ un certo interesse una breve rassegna 1 Trattandosi di un fenomeno di qualche importanza anche per la Geologia generale, credo di non fare cosa superflua aggiungendo un rapido esame della serie sufficientemente completa de’ sedimenti pliocenici di Nasiti e vicinanze. Gli strati più antichi, come s’è visto, risultano di sabbie sciolte grossolane, coi voluminosi massi granitici e gran quantità di pettini ed ostriche. Risalendo la pila dagli strati che a quelle si sovrappongono, anziché trovare, come dovreb- besi, i caratteri di depositi man mano meno profondi, vedesi subentrare agli al- tri fossili una enorme quantità di brachiopodi poscia sostituiti quasi interamente da briozoi e foraminifere, mentre le sabbie di grossolane si trasformano quasi in marna. Tuttociò nei limiti assegnati al pliocene inferiore. Ma V abbassamento non cessa, che anzi continua più marcato ; infatti alle ultime sabbie marnose con foraminifere indicanti già un mare di notevole profondità, seguono discor- danti le marne azzurre scarsissime di fossili e deposte in mare profondissimo. Nè qui trattasi solo di un fatto locale, poiché il prof. Seguenza nella sua Me- moria -.Studi stratigrafici sulla formazione pliocenica dell’ Italia meridionale, pubblicata nel Bollettino del R. Comitato geologico dell’anno 1875, a pag. 82 e seg., m’insegna che la fauna astiana delle provincie meridionali si distingue nettamente da quella coetanea del settentrione d’ Italia, per essere caratteristica di mari a grandissima profondità. In sul finire dell’ astiano cessò T abbassamento e incominciò il moto ascensionale, che durò poi fin quasi ai nostri tempi, per dar luogo, parmi, ad un nuovo e lento abbassamento, che per quanto potei osser- vare nel lato S. e S.O. della provincia, particolarmente nelle fondazioni di ponti per la ferrovia, continua tuttora. Per tal modo gli ultimi sedimenti del pliocene sono di nuovo sabbie, tanto più grossolane quanto meno antiche, le quali, special- mente dove vengono in contatto col quaternario, contengono una fauna eminen- temente littorale. Le cose dette per Nasiti si possono ripetere per tutte/le altre località. - 464 — delle roccie, che più comunemente vi sono rappresentate e che vi raccolsi io stesso, conservandone esemplari nel Gabinetto mi- neralogico del R. Istituto tecnico. 1° Granito molto variato per dimensione e proporzione di componenti, ordinariamente bianco o grigio con mica argentina, gialla e nera, spesso in lamine di grande estensione. 2° Gneiss colle stesse variazioni del granito. Più di fre- quente se n’ ha una varietà amigdaloide per grossi cristalli di feldispato. 3° Sienite più o meno ricca d’ antibolo, spesso micacea ed essa pure assai variata. 4° Diorite a piccoli elementi, abbondante di mica in la- melle di color giallo-lionato. 5° Leptinite bianca o rossiccia, frequentemente seminata di granati in cristalli spesso voluminosi. 6° Diorite porfiroide di color verde-cupo picchiettata di piccoli cristalli bianchi di felspato e piena di bei prismi esagonali di mica bruna. 7° Porfido quarzifero. Bellissima roccia di color rosso mat- tone vivo, costituita unicamente da ortose in massa leggermente spatica, seminata di granuli e cristallini di quarzo incoloro. "8° Anfibolite ordinariamente schistosa. 9° Diorite (?) ad elementi assai grossi. È anche questa una magnifica roccia che rassomiglia grandemente per V aspetto al- P eufotide di Bombiana nel Bolognese. Componesi di feldispato bianco-perlaceo (anortite) lamellare, in mezzo al quale s’ intrec- ciano piccole masse d’ apparenza prismatica di antibolo verde- cupo. 10° Micaschisto assai variato e frequentemente granatifero. 11° Calcare cristallino bianco, bianco-venato e grigio sparso di minerali diversi, granati, pirite, mica, tormalina, antibolo, ec. che ne indicano V origine metamorfica. 12° Calcare giallognolo sub-cristallino zeppo di grandi num- muliti, fra cui più abbondante la N. complanata, Lamk. Ho enumerate queste rocce nell’ ordine di loro frequenza in- cominciando col granito e collo gneis, che da soli somministrano certamente i due terzi del materiale componente il conglomerato. Le rocce N. 1, 2, 3, 5, 8 e 10 si può ritenere che esistano in — 465 — posto 1 nella massa centrale de’ monti di questa Calabria e però a distanza di non molte miglia dai luoghi ove s’ incontra il con- glomerato. Altrettanto può dirsi del calcare N. 11, che in di- versi punti compare fra gli scisti paleozoici ; un esempio se ne ha presso Bagaladi, ove il calcare presenta tutte le varietà so- pra indicate. Ben altrimenti è la cosa per V altre rocce. Le dioriti N. 4, 6 e 9 si trovano tutte, credo, nella vicina Calabria di Catan- zaro, mancando, per quanto ne so io e potei raccogliere da per- sone praticissime di questi luoghi, in quella di Beggio. Il por- fido quarzifero N. 7 mi è rimasto fino ad ora un’ incognita. Xiuno, compreso il prof. Seguenza da me interrogato, lo conosce in posto nel reggiano e nemmeno potei rintracciarlo nel catan- zarese. Consultai anche qualche lavoro, in cui è fatto cenno della litologia calabra, fra i quali uno recente del signor G-. Buggero 2 ed altro del prof. Lovisato,3 che si sta ora pubblicando nel Bol- lettino del R. Comitato Geologico, ove sono enumerate molte delle rocce delle provincie di Catanzaro e Cosenza e non trovai in proposito alcuna notizia. E per questa roccia debbo notare, che presenta de1 massi fra i più voluminosi,4 e che avendo esaminati altri conglomerati comuni di questi stessi luoghi ed i molti de- positi ghiaiosi del quaternario, non mi fu mai dato di racco- gliere un solo ciottolo di questa bella roccia, mentre ve ne rin- venni sempre qualcuno delle menzionate, dioriti del catanzarese. Finalmente il calcare N. 12 manca pure alla provincia, ed il Seguenza, tanto pratico de’ terreni terziari di questi luoghi, dice 5 Ho detto, si può ritenere che esistano , poiché non ho conoscenza abba- stanza esatta delle rocce cristalline di questi monti, da poter affermare colla massima sicurezza, che qualcheduna delle varietà di granito, gneis ec., possa non esservi estranea ; ciò che potrà solo rilevarsi da accuratissime ricerche. Le collezioni litologiche della provincia, che sto ora facendo pel Gabinetto deì- T Istituto, me ne offriranno il destro ; onde mi sarà allora possibile di istituire più interessanti ed esatti confronti. 2 Oggetti preistorici calabresi del Catanzarese e del Cosentino. (Dagli Atti della Reale Accademia dei Lincei, 1878.) 3 Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrionale. 4 Uno di questi massi rinvenuto sopra gli Archi era di tali dimensioni, che spezzato con mine e lavorato sul posto, somministrò ad un signore di Gallico, del quale non rammento il nome, stipiti, cornici ed altri ornamenti per una sua casa recentemente costruita in detto paese. — 466 - di non averlo mai visto in posto, ma d’ averlo sempre raccolto in massi grandi e piccoli nelle valli prossime a Eeggio. È per- fettamente eguale ai calcari a grandi nummuliti del Gargano. Nella vicina Sicilia, ed anche in provincia di Messina, esistono calcari colle stesse nummuliti, ma non saprei dire se vi assomB glino poi per V aspetto litologico. Considerando la frequenza colla quale si presentano nel con- glomerato queste ultime rocce, si può ritenere che per una bella parte esso si componga di elementi estranei alla provincia e però provenienti da distanze non inferiori ai cento chilometri. Se si trattasse di piccoli materiali ed anche arrotondati, qual si con- viene a1 ciottoli lungamente travolti da correnti fluviali, una di- stanza simile e maggiore non sorprenderebbe certo, ma nel caso nostro abbiamo elementi, le cui dimensioni sono già sproporzio- nate alla forza di trasporto d’ un fiume, per quanto ne sia breve e rapido il corso, ed inoltre di forme il più delle volte irre- golarissime. Alcuni anni or sono uno fra i più illustri geologi italiani, il prof. B. Gastaldi, pubblicò nella Enciclopedia Agraria Italiana uno studio sulla costituzione geologica del Piemonte, in cui fece largo cenno dei potenti conglomerati, che estesamente si appa- lesano alla base del miocene medio nei dintorni di Mondovì, Acqui, Gavi e nella collina di Torino. Trattandosi di depositi marini, come lo sono indubitabilmente i conglomerati del reg- giano, e come questi composti d’elementi di gran mole e deri- vanti da considerevoli distanze, non credette possibile a spie- garne P origine, che V ammettere P esistenza di un’ epoca glaciale miocenica ; per cui il trasporto al largo del mare de’ massi che li compongono, sarebbe stato operato da zattere galleggianti di ghiaccio, che s’ andavano staccando da’ ghiacciai, i quali dall’ Alpi e dall’ Apennino discendevano al mare. L’ opinione del Gastaldi non trovò facilmente il favore dei geologi, poiché non parve ammissibile, che un fenomeno ‘ isolato come quello dei conglomerati del Piemonte, si dovesse far dipen- 1 Leggo questa precisa osservazione a pag. 163 della Descrizione dei terreni componenti il suolo d’ Italia , di G. Negri, che fa parte della grande opera edita dal Vallardi : L’ Italia sotto V aspetto fìsico, storico } artistico e statistico. — 467 — dere da un’ epoca glaciale, la cui esistenza è solo devoluta a grandiose cause telluriche. L’ osservazione è giustissima, nè alcuno credo s’ impegne- rebbe a dimostrare un’ epoca glaciale senza ricorrere a modi- ficazioni generali nella orografìa terrestre e conseguentemente nel clima. Ciò nondimeno io ho la convinzione, che nemmeno sia da mettere in disparte l’opinione del Gastaldi. Infatti i conglomerati del Piemonte sono essi davvero un fe- nomeno isolato? A me sembra di no. Conglomerati sincroni a quelli del Piemonte sono comuni nella Liguria: posano potenti sulla lignite di Cadibona e presso Genova formano intere mon- tagne. L’ Apennino dell’ Emilia e delle Romagne pur ne ha di considerevoli, e nella Toscana i celebri depositi lignitiferi ma- remmani sono quasi ovunque ricoperti, come a Cadibona, da po- tenti conglomerati, che pur si sospettarono di origine glaciale.1 Nell’ Italia meridionale abbiamo ora quelli del reggiano, che non sono limitati ai luoghi che io indicai, ma che si estendono lungo tutta la riviera del Jonio, seguitando anche nella Calabria di Catanzaro ; al qual proposito mi piace di riportare qui alcune parole, che leggo ora in una Memoria del professore D. Lovisato.2 « A Catanzaro sotto il miocene medio rappresentato da sabbie conglomerate, al fondo di quel deposito troviamo blocchi gros- sissimi di una chinzigite durissima e tenacissima:.... Questi blocchi provengono tutti dal monteleonese dove questa roccia ha uno sviluppo così considerevole come nel Mucone. » Nè credo che un tal fenomeno si restringa alla sola Italia. Basta lo scorrere un qualsiasi trattato di geologia per accor- gersi, che, a cominciare dai Nagélfluh della vicina Svizzera, in ogni regione della terra una delle caratteristiche, che segnano il miocene più antico sia data per P appunto da questi depositi ad elementi grossolani, i quali per lo meno costringono ad am- 1 G. Capellini, La formazione gessosa di Castellina marittima, Bolo- gna, 1874. — B. Lotti, Sui terreni miocenici lignitiferi del Massetano. Bollet- tino del R. Comitato geologico , 187G, N. 1 e 2. Secondo le osservazioni del prof. Capellini i conglomerati della Toscana si compongono d’ elementi locali, onde non crede si possa estendere ad essi quanto fu detto dei depositi contemporanei del Piemonte. 2 D. Lovisato, Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrionale ( Bollettino del R. Comitato geologico, 1878, N. 9 e 10, pag. 353). — 468 - mettere in que’ tempi la esistenza di fiumane straordinariamente poderose. Ma queste correnti diffuse in una stessa epoca su tutta la superficie della terra non possono, a parer mio, spiegarsi in altro modo, che ammettendo una vera epoca di diluvi generata da condizioni atmosferiche tutte particolari, che non hanno esatto riscontro in altr’ età geologica, se ne eccettui la quaternaria, in cui i diluvi susseguenti al periodo glaciale poterono dare origine a depositi paragonabili ai Nagelfluh della Svizzera e agli altri conglomerati miocenici. E però io credo non sia fuor di luogo il tenere come cosa probabilissima, se non sicura, che quest’ epoca di grandi diluvi miocenici sia stata accompagnata da un maggiore sviluppo nei ghiacciai, i quali senza dubbio anche in quelle lontane età do- vevano ammantare le più alte regioni montuose. In qualunque modo io concludo coll’ affermare, che una sod- disfacente spiegazione dell’ origine dei conglomerati miocenici del reggiano non è possibile averla, che accettando l’opinione emessa dal Gastaldi per quelli di Superga e delle altre località del- l’Apennino piemontese e ligure. II. Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrionale, del dott. Domenico Lovisato. Continuazione (Capitolo I). — Vedi num. 9-10. In mezzo a questa magnifica formazione di diorite micacea, che, elevandosi in cupole arrotondate, ha tanto dominio nella zona che si mette fra il Corace e 1’ Alli, per lunga pezza serpeggia il sentiero da Ponte Grande a Pentone, ora alto e largo ed ora strettissimo e scavato fra due erte, ripide e nude pareti che lasciano vedere una lista molto ristretta di cielo. E su queste pareti che si può raccogliere in grande abbondanza la mica pro- dotta dall’ amfibolo, nello stadio di sua metamorfosi, e solo qua e là qualche nitido cristallo dello stesso amfibolo. Questa potente massa dioritica non mostra sull’ alto che ra- - 469 — ramente la disposizione stratiforme per causa del grado di de- composizione, in cui si trova. La degradazione è tale, che molte volte sembra di camminare sopra formazioni terziarie, anziché sopra un terreno primitivo, che per vero dire rimonta ad epoca molto antica, certamente anteriore alla carbonifera, perciò alla siluriana od anche alla prepaleozoica, comparendo la diorite mi- cacea sotto schisti neri lucenti e sotto schisti neri impregnati di sostanze carboniose. Questo fenomeno di degradazione, che così spesso si mani- festa in Calabria, specialmente nelle località dove trovansi gneis, graniti, dioriti ed in generale rocce granulose, che fra tutte sono le più permeabili alle acque, e che tanto fa stupire lo studioso, il quale per ore intiere crede di muovere il passo sopra un ter- reno recentissimo, anziché sopra una formazione delle prime età, si appalesa su troppo larga scala, perchè noi lo possiamo attri- buire all’ influenza dei soli agenti atmosferici. È certo che l’azione delle meteore, che sempre così largamente si fa sentire sulle rocce, deve aver potentemente contribuito allo sfacelo di queste rocce e delle analoghe di altri luoghi in Calabria, che tratte- remo in questa nostra descrizione. La stessa natura mineralo- gica della diorite micacea contribuì energicamente nella deter- minazione della misura della degradazione : il feldispato oligoclasio, suo componente essenziale, offre nel clivaggio immense linee di frattura ed apre quindi facili meati all’ infiltrazione. Ma 1’ umi- dità dell’ atmosfera e le correnti terrestri non sarebbero bastate da sole a produrre uno sfacelo così prodigioso. Altre e più po- tenti cause devono avervi contribuito. Alla vista di tanta degradazione non possiamo a meno di pensare ad un mare impetuoso, sebbene non profondo, nel quale questa massa cristallina rimase sommersa per lunghi secoli, e vedere da questo mare iniziata la dissoluzione presente, conti- nuandosi 1’ opera distruggitrice anche durante il periodo del lento sollevamento della massa stessa. Battendo le onde su quelle ter- razze pria che fossero portate al livello attuale, avranno operato una prima disaggregazione dei vari elementi, favorita questa dalle condizioni litologiche delle nostre rocce; gli elementi allontanati avranno facilitato la penetrazione all’ acqua e quindi aumentata 1’ opera di distruzione col separarne sempre più questi vari eie- — 470 - menti, moltiplicando così le vie all’ infiltrazione e quindi le su- perficie attaccabili. In questo stato di progredita disaggregazione possono queste masse aver cominciato F emersione dal mare ed aver avuto il loro attuale livello, lasciando agli agenti atmosfe- rici l’opera di ulteriore distruzione. Non possiamo certamente escludere F opera dei terremoti, i quali per mezzo dei loro in- finiti movimenti oscillatomi impressi al suolo avranno occasionato quelle confricazioni violente fra le parti solide, che perciò veni- vano rotte, separate ; nè estranei al nostro argomento dobbiamo considerare i mutamenti di temperatura per gli ineguali movi- menti di dilatazione o di contrazione nelle diverse parti della massa dioritica. Oltre Pentone predominano gli schisti grigi, colle superficie molto ferruginose, contenenti grosse vene di feldspato, e sembra che insensibilmente si convertano nei gneis sottostanti. Le stesse rocce, con predominio del gneis e gneis-granitico si veggono nel largo burrone che bisogna passare per andare a Fossato Ser- ralta (781 m.) coll’inclinazione a Nord. Questi gneis attraversati da vene granitiche s’ abbassano, s’ approfondano nel letto del- 1’ Àlli e ricompariscono sulla sua sinistra sponda a formare la massa granitica di Sellia, già ricordata. Frane orribili d’ ora in poi fino a Sorbo San Basile si ma- nifestano ad ogni istante, minacciano quelle povere borgate e rendono pericoloso il cammino. Il sentiero, che l’ uno all’ altro congiunge quei villaggi, cangia di posto talvolta da un giorno all’ altro, a seconda degli enormi scoscendimenti, che avvengono e tutto travolgono a rovina per causa del taglio dei boschi. Pe- ricolosissimo è il sentiero da Fossato alla piccola borgata di Ma- ranise. In tutti quei burroni franosi presentasi nuda la massa gneis- granitica, ricoperta superiormente dagli schisti sopportanti ter- reno detritico, abbondantissimo sui piani elevati da Pentone a Fossato. Sono gli schisti che nell’ ascesa a Taverna ricoprono le formazioni cristalline sottostanti. Lapido discende il sentiero al- l’Alli da Sorbo San Basile, nè più dolce è quello che conduce a Taverna fra le rocce summentovate. Da Taverna ad Albi, da Albi a Magisano, a Zagarise e da qui a Sersale (763 m.), a Cerva (851 m.), ad Andali (576 m.), ec., — 471 — abbiamo gli schisti che formano tutte quelle erte pendici e ri- coprono la massa gneis-granitica : variano essi passando dai grigi agli antracitiferi, con predominio dei micacei e scendono a co- prire le rocce di Cropani (300 m.), punto nel quale le forma- zioni primitive della Sila più s’ avvicinano al mare dal lato me- ridionale, essendo Rossano il punto più vicino al Jonio al limite settentrionale. Già al torrente della Fiumarella (di Cropani) ad un’ ora dal mare a S.O. di Cropani manifestasi sulle due sponde, ricoperta dalla marna bianca miocenica di Catanzaro, una magnifica roccia, che da taluni fu presa e descritta per gneis. È bianca con nu- merosissime chiazze verdi, in alcuni punti anche rosse, composta di quarzo, di oligoclasio e di clorite ; non può quindi essere un gneis, ma piuttosto originariamente può essere stata una diorite, l’ amfibolo della quale può essersi tramutato in clorite. Non ar- direi affermare a quale delle tre specie principali, in cui fu di- viso 1’ antico gruppo delle cloriti, cioè in pennina, in clinocloro ed in ripidolite, si debba ascrivere la nostra, ma dai confronti fatti mi sembra che per essa dobbiamo escludere la ripidolite. Questa magnifica e curiosa roccia può osservarsi ancora più oltre la Fiumarella, là dove comparisce nell’ alto della strada, che con- duce a Cropani, ad interrompere la marna bianca, che da qui si distende sul piano inclinato che procede verso mare. Lungo questa strada si manifestano bene le rocce granitoidi, consistenti in filoncelli bianchicci, nei quali tanto abbonda P oligoclasio, al- ternati colla roccia anteriore, divenuta più oscura e verdognola : tutte queste rocce sono appoggiate ai gneis che formano il nu- cleo silano. Nella conca di San Filo, che si deve passare ad arco pria di giungere all’ altipiano su cui sta P aprica borgata, troviamo queste rocce in decomposizione e d’ ora in poi tutto il terreno circostante è costituito dalle stesse rocce, che si fanno a mano a mano più oscure nella vicinanza del paese, costruito su questa potentissima formazione, nella quale è scavata anche la trincea della nuova strada: la disposizione a strati mostra per queste rocce P inclinazione a N.O. e la direzione da Nord a Sud. Non ci siamo creduti autorizzati di dare nomi speciali alle rocce di Cropani, che si presentano sotto tanti aspetti compa- - 472 — rendo ora colla fisonomia del gneis ed ora con quella del gra- nito, talvolta come schisti gneissici e tal altra con un facies di schistì protoginici o di veri protogini, senza delle buone ana- lisi, per non precipitare una questione di sommo interesse rela- tivamente alla loro età, del resto indubbiamente primitiva. La natura litologica delle rocce si mantiene la stessa da Cro- pani a Belcastro (542 m.), se vogliamo eccettuare la comparsa nella parte mediana del gneis con vene di granito, su cui quelle rocce si coricano. Questo gneis-granitico si manifesta a Belcastro stesso e la parte inferiore del paese è fabbricata su questa roc- cia, mentre la superiore è costruita su sabbie gialle, ricchissime di clipeastri, e sopra sabbie compatte e la parte altissima, as- sieme al pittoresco castello, alla chiesa ed alla cosiddetta casa di San Tommaso d’ Aquino, sta sopra un calcare marnoso assai più compatto della marna bianca di Catanzaro e fossilifero. La posizione della romantica ed ospitale borgata è delle più belle e più interessanti, sia sotto V aspetto artistico che geologico. È magnifico il panorama che si gode dal castello e dalle alture circostanti. Una sezione praticata nella direzione del castello da- rebbe dall’ alto al basso : 1° Da 8 a 10 metri di potenza di calcare marnoso. 2° Sabbie a Clipeastri , di 100 e più metri di potenza. 3° Roccie granitoidi nella parte più bassa, ricoperte dal terziario più recente o da alluvione quaternaria. In nessun punto della Calabria si può forse studiare così bene il terziario medio, come a Belcastro. Il calcare marnoso è picchiettato e ricco di vene e di druse di calcite: potrebbe fa- cilmente prendersi per eocenico, come in altri siti fuori di Ca- labria i rapporti col nummolitico lo dicono tale, ma qui i rap- porti colla formazione sottostante lo dicono più recente, non bastando a testimoniarlo i fossili che contiene, non essendo essi caratteristici. Però si rinviene il somigliantissimo nel piano tor - toniano di Mayer, sotto o fra le marne a pleurotome. Le roccie primitive sempre della stessa natura colla ten- denza al vero granito continuano nella direzione di Marcedusa (314 m.), come lo manifestano i vari affioramenti, che si osser- vano nella prima parte della strada, ma poi si ritirano verso N. 0., scomparendo sotto le marne salifere e gessifere, che a Marce- - 473 - elusa vengono ancora a sopportare il pliocene. A N.O. di questa borgata ed a N. di Cerva assieme agli schisti son constratificati dei banchi di calcare a M. Giove in territorio di Petronà (861 m.). È un bellissimo calcare saccaroide, a grana abbastanza fina, di- scretamente sporco, più raramente zonato, ma anche bianco, su- scettibile di polimento e che potrebbe passare in commercio come bellissimo marmo. Fra gli schisti uno specialmente attira la nostra attenzione : è quello di color verde-pomo o verde-oliva, ricchissimo di pirite, sparsa nella massa, che lo rende veramente superbo e che si stende fino nei burroni in prossimità di Pe- tronà. Ha tutta l1 apparenza di appartenere ai silicati d1 allumina, ma la durezza e la densità ne fanno difetto. La sterilità delle colline, che ora si susseguono ed aprono larga zona di mammelloni a S., ad E. ed a N., manifesta il ritiro delle rocce primitive, o meglio, il loro inabissarsi profondo da questa parte del Jonio, e contrasta notabilmente colla forte vegetazione boschiva dell’ alto, dove esse ricompariscono a Me- suraca (415 m.) e poi sopra Petilia Policastro (434 m.), sulla sponda destra del Tacina, ricoperte là dal pliocene e qua dal miocene superiore analogo a quello di Catanzaro : seguono la linea di Cotronei (569 m.), che si trova a cavaliere fra Tacina e Neto nel punto più stretto dello spartiacque di questi due corsi, che sono fra i più grossi della Calabria. La zona di Co- tronei è interessantissima dal lato geologico, come quella che presenta allo studioso P opportunità di fissare la sua attenzione sulle rocce primitive più antiche, su diversi piani del miocene e su taluno del pliocene. Infatti, nell1 altipiano di Cotronéi abbiamo granito, gneis, micaschisto, masse feldispatiche con quarzo, tal- volta con mica in lamine abbastanza estese, insomma qui abbiamo tutto quello che si può ottenere col mescolare in varie propor- zioni, mica, quarzo e feldispato, e passiamo quasi insensibilmente dalla struttura granitoide alla schistosa : nè vi manca l1 amfìbolo il quale cogli elementi soppraddetti ci dà un superbo granito amfibolico. Il gneis granitico di Mesuraca è per lo più in de- composizione : di struttura eminentemente ghiandona o porfiroide fa vedere isolati i superbi e grossi cristalli prismatici di fel- dispato che contiene, i quali per una inoltrata degradazione sono divenuti giallognoli. Questa roccia attraversata da ricchissime 31 - 474 vene eli feldspato e da altre bellissime di pegmatite prende grande estensione nel colosso silano : dirigendosi verso Petilia Polla- stro s’ inoltra nel Cariglione e va a coricarsi sulle granuliti cen- trali di San Giovanni in Fiore e sui gneis, pure centrali, che si volgono alquanto ad occidente nella direzione di M. Nero. Que- sto gneis granitico a struttura eminentemente porfìroide salendo da Petilia Policastro alle alte pendici della Sila, è ricoperto da scliisti micacei, da schisti ferruginosi. Nell’ alto sul confine col Cariglione è un micaschisto rossigno molto ricco di mica e di ferro che ricopre le rocce granitoidi, coll’ inclinazione a S. e colla direzione da N.E. a S.O., le quali condizioni stratigrafi- che durano per lunga pezza, variando solo poco da luogo a luogo. I gneiss a struttura ghiandona ricompariscono solo a 4 chilometri circa sopra Petilia Policastro : presentano lo stesso grado di decomposizione di quelli di Mesuraca, ma il feldispato si conserva bianco: contengono le stesse vene feldispatiche e di pegmatite, le quali qui meglio che a Mesuraca manifestano le superbe striature di geminazione, caratteristiche del feldispato oligoclasio, quantunque a prima vista queste linee parallele in- curvandosi formino delle ondulazioni stupende, che farebbero pensare alla sillimanite. Il quarzo è in granuli, la mica in pa- glie od in lamine che nella parte alta assumono considerevoli dimensioni. L’ andamento stratiforme ha P inclinazione a S.O. colla direzione da E. ad 0. Dove maggiormente compariscono i grossi cristalli di feldispato, là si manifesta il maggior grado di dissoluzione. Questi gneiss a struttura porfìroide sono seguiti da una specie di granulite, molto analoga a quella che vedremo a San Giovanni in Fiore, dove forma tutti i dossi e tutte le colline circostanti a quella grossissima e lunga borgata. Queste rocce anche sopra Policastro vengono ricoperte da un conglome- rato granitico a grossi elementi, di formazione molto recente e spesso da questo deposito terziario vediamo far capolino in forma di acuta piramide o di aguglia in isfacelo il gneis ghiandone, che scompare in vicinanza del paese sotto il miocene superiore che si stende fino a Mesuraca ininterrottamente da una parte e prende maggior sviluppo e si continua dall’ altra fino a Rossano. A Cotronei abbiamo il gneis trasformato in granito ordinario, che si dirige verso il Neto, dove troviamo nuovamente il gneis — 475 — e con esso alternato il gneis amfibolico già menzionato, che do- mina nella valle del Neto particolarmente. Troviamo questo gneis amfibolico assieme al granito con albite e mica magnesiaca o biotite di tinta per lo più nera, ma anche bruna o verde-nera- stra in tavolette irregolari, o esili laminette sparse irregolarmente per entro la massa della roccia. Il granito si continua fino là dove T altipiano terziario, su cui sta Cotronei, finisce nel largo letto del Neto. È come diviso in istrati che hanno l’inclina- zione S.E. colla direzione da S.E. a N.O. Nella valle superiore del Neto troviamo sopra questo granito il gneis a struttura ghiandona di Mesuraca colla tinta bigia e pure in uno stato di inoltrata degradazione. Nei piani di divisione del granito tro- viamo le superficie alquanto verdognole, e questa colorazione tendente al verde compenetra talvolta la stessa massa. Il plio- cene non bastò a ricoprire tutte queste rocce granitoidi anche nella bassa vallata del Neto, dove esse sporgono in erte aguglie, più elevate sulla sponda destra che sulla sinistra, sulla quale un forte sperone, denudato costringe il fiume a fare un gomito e battere colle sue chiare e spumeggianti acque sulla destra, dove più di qualunque altro luogo di questi dintorni si può am- mirare il granito ricchissimo di mica nera. Con lenta vicenda per causa di successive modificazioni, di metamorfosi, di cambia- mento di struttura si sarà trasformato il gneis in granito. Anche il gneis amfibolico può aver generato questo granito colla meta- morfosi lenta dell’ amfibolo in mica e con modificazioni o cam- biamenti strutturali nella massa della roccia stessa. Debbo con- fessare che nessun campione raccolto mi rivelò il secondo fatto : d’ altra parte le mie osservazioni furono sempre fatte di volo, avendo dovuto in pochissimo tempo percorrere vastissime regioni, e dovendo ora più che mai lamentare la mancanza di tempo e di mezzi per istudiare in questa importantissima regione meri- dionale, che ad ogni passo mi richiamava alla mente nel percor- rerla le formazioni delle nostre Alpi settentrionali, una parte relativamente piccola per poterla percorrere più volte, per esa- minarla più attentamente di quello che abbia potuto fare, abbrac- ciando quasi tutta la Calabria settentrionale. La zona terziaria continua ad invadere il dominio delle rocce primitive e, dopo Cutro (220 m.) e Mesuraca, abbiamo che Rocca — 476 eli Neto (82 m.). San Mauro (231 m.), Scandale (345 m.), Santa Severina (325 m.), Attilia (272 m.), Belvedere di Spinello (328 m. castello), Spinello (258 m.), Casabona (309 m.), Zinga (425 m.), San Nicola dell’ Alto (304 m.), stanno in questo do- minio. Volgendo il passo a S.O. di Cotronei, in breve ora si arriva al Tacina. Il sentiero serpeggia nel miocene superiore, dal quale fan capolino i gneis coi graniti ricordati, che in tutta la loro potenza assieme ad altre rocce grani toidi si manifestano sulle sponde del torrentello che corre fra la borgata di Cotronei ed il Tacina e mette in quest’ ultimo dopo breve corso. Fra queste rocce ricchissime di ossidi di ferro, che loro impartiscono una bella tinta rossa, scende a precipizio il pericoloso sentiero fino nel letto del burrone, aperto fra queste rocce, che quindi mo- strano estesissime e scabre pareti. Si spingono più avanti sulla sinistra sponda che sulla destra, dove si ritirano tanto, che lor- chè si raggiunge il Tacina, dopo aver percorso un esteso alti- piano ondulato, ricoperto dal miocene superiore, si deve proce- dere alquanto a monte prima di trovare le rocce primitive, le quali offrono compenso colla loro bellezza e varietà. Fra i gneis, sempre accompagnati dal granito, troviamo per la prima volta lungo la linea percorsa fin qui, la sienite e la diorite che al- ternano fra loro e coi gneis, ricoperti nell’ alto dai micaschisti. Sono rocce tenacissime a grana abbastanza fina che si trovano anche a N. del passo chiamato di Serra della Ciccerata, non che verso T origine del Orati presso Macchia Sacra nella Sila occi- dentale. Sotto Serra della Ciccerata, tanto temuta all’ epoca in cui infieriva il brigantaggio, sia per l’altitudine che per l’esposi- zione, corre in profondo burrone il Tacina. La posizione è delle più romantiche : sulla sinistra boschi di quercie e di faggi ; sulla destra quindi in faccia il superbo bosco del Cariglione, fìtto di secolari pini e che rende appena visibile verso occidente il così detto Vallo di Tirivolo ; boschi e folta vegetazione a destra ed a sinistra, ed a N.O. la cupola gneis-dioritica di M. Nero, rico- perta da questo lato da bel bosco di faggi; e tutto questo so- pra roccie analoghe a quelle di Mesuraca e di Petilia Policastro, però di quelle più compatte, sempre ricchissime di feldispato in — 477 — grossi cristalli, alle quali succedono altre rocce gneissiche con- tenenti cristalli feldispatici in maggior copia,- però più piccoli e più bianchi : queste rocce discendono fino al fiume. Questi gneis granitici si continuano oltre la Serra della Ciccerata verso il centro della Sila, giacché li troviamo sui lati del bel bacino di Tripiroi, dove s’ incontra la strada maestra, che da una parte scende a Cotrone e dall’ altra va a Cosenza. In questo bacino si fanno più compatte queste rocce e nella parte alta alla de- stra di chi va a San Giovanni in Fiore, vediamo distinta la serie dei graniti, dei gneis e degli schisti ricchissimi di quarzo in vene ed in arnioni ; con poca differenza si riproducono le stesse rocce procedendo da Longobucco a San Giovanni in Fiore. Le rocce del Neto continuano ad estendersi dalla sua sini- stra sponda fino a Caccuri (620 m.), fabbricato per la massima parte sopra sabbie gialle, alquanto sciolte, analoghe a quelle di Belcastro, e che si estendono ancora nella direzione di San Gio- vanni in Fiore. Una parte del paese però è costruita ancora so- pra un calcare compatto fossilifero, che si sviluppa dalla parte di 0. e di N.O., sopportato da sabbie compatte a clipeastri, sulle quali poggia altra parte del paese. Tutte queste formazioni terziarie stanno direttamente sopra le rocce primitive, che net- tamente s’appalesano al basso nel burrone, che separa Caccuri da Cerenzia (629 m.). I gneis ricchissimi di mica, quindi oscuri, con tendenza alla diorite, compattissimi, sono accompagnati dal granito che presenta molta analogia con quello di Sellia, e ri- coperti dalle sabbie gialle, che qui complessivamente mostrano la potenza di 100 metri circa. Nella direzione invece di Cerenzia sono i micaschisti grigi che li ricoprono e che d’ ora in poi prendono grande estensione, essendo le rocce predominanti di Casino, di Umbriatico, di Cam- pana, ec. Le sabbie compatte di Caccuri, ricchissime di fossili, si pos- sono osservare nella loro massima potenza lungo l’ erto, sebbene comodo sentiero, che con alcune risvolte si dirige a Cerenzia. L’ altipiano che si deve percorrere per arrivarvi da Caccuri è ricoperto da una estesa alluvione granitica dell’ epoca erratico- diluviale, con grossi ciottoli e massi sciolti, derivanti da un con- glomerato antico, che doveva occupare ragguardevole superficie, 478 — come si può osservare in taluni punti delle falde sitane che di- vidono i dossi granulitici di San Giovanni in Fiore da quelli molto più bassi, su cui stanno Caccimi e Cerenzia. Questa grossa alluvione ricopre tutte quelle pendici e s’ avanza fino ad un’ ora da San Giovanni in Fiore. Le rocce granitoidi, già descritte, spariscono sotto questa alluvione, e s’appoggiano alla granulite di San Giovanni in Fiore. La roccia di San Giovanni in Fiore (870 m. e 988 m.) è un granito finamente granulare, ricchissimo di feldispato, special- mente ortose, il quale oltre formare gran parte della massa, si presenta ancora in numerosissimi cristalli, che magnificamente manifestano i prismi monoclini ben determinati, di discreta grandezza ed isolabili, colle forme (110) (010) (100) (001) (201). La massa generale di questa roccia che forma una granulite o leptinite, è di color bianco-giallognolo, talvolta giallognolo- rossastro, i cristalli sono sempre giallognoli oscuri. Nella posi- zione alta dei Cappuccini si vede come questa granulite occupi immensa estensione, comparendo tutti i nudi mammelloni all’ in- torno formati di essa, che presenta la superficie in decomposi- zione : s’ avanza fino a Cerenzia da una parte e sparisce sotto il conglomerato granitico, verso Longobucco dall’ altra e prende nella direzione fra Longobucco e M. Nero il suo massimo svi- luppo. Si sfalda in lamine che si ottengono dai piani di sovrap- posizione, che portano a pensare ai veri strati, ed in alcuni punti è così compatta e resistente, che si scava per pietra da costruzione. Fino qui in tutte le rocce granitoidi passate in rivista ab- biamo trovato abbondante il feldispato triclino, l’oligoclasio, di- stintamente riconoscibile alle caratteristiche rigature di gemina- zione sui piani di più perfetta sfaldatura, talvolta anche l’albite, rarissime volte abbiamo rinvenuto 1’ ortose o per lo meno l’ab- biamo trovato sempre in proporzioni molto minori rispetto al- 1’ oligoclasio. Nella granulite di San Giovanni in Fiore c’imbat- tiamo per la prima volta in una roccia, dove 1’ ortose primeggia, anzi ne forma la massima parte della massa. Il poco tempo con- cessomi non mi permise di girare tutto all’ intorno questa massa granulitica, nè di attraversare la Sila in molte direzioni come avrei voluto per venire a delle importanti conclusioni, ma dalle - 479 ~ poche osservazioni che potei fare nelle mie escursioni, quasi te- legrafiche, attorno alla Sila, mi pare di poter venire a queste conclusioni : 1° Che questa massa granulitica, trasformata talvolta in vero gneis, ricco d’ ortose, si estende ad occidente della Sila sulle alte montagne di San Demetrio Corone e di Santa Sofìa d’ Epiro, nelle montagne di Acri spingendosi fino oltre la bor- gata nella direzione di Bisignano, con curva rientrante nelle montagne di Buzzi e nelle alte montagne di Uose, con arco sporgente nelle pendici di San Pietro in Guarano, di Celico, di Spezzano Grande, di Spezzano Piccolo, e dopo altra curva rien- trante che ha il suo centro presso le origini del Crati si svi- luppa a Ptogliano ed invade per una parte il gruppo di monta- gne, che abbiamo ascritto al Pieventino. 2° Che a questa grande massa sono appoggiate tutte le altre rocce che finora abbiamo descritto, e tutte quelle che tro- veremo dalla parte di N. e di 0., quindi dioriti, eufotidi (gab- bri), amfiboliti, serpentini, alternate queste rocce con altri gra- niti, gneis, chinzigiti, schisti e calcari cristallini. 3° Che tutte queste rocce debbono il loro sollevamento a quella massa granulitica e gneissica. 4° Che questa grande massa granulitica e gneissica rap- presenta le rocce più antiche della Calabria, il nucleo centrale delle Alpi Calabresi della Calabria settentrionale, le rocce cri- stalline che prima si formarono, e che quindi tutte le altre, che abbiamo superiormente nominate, sebbene antichissime perchè tutte probabilmente prepaleozoiche, rappresentano rocce di for- mazione più recente. 5° Che questa massa granitica-gneissica s’ inabissa dal lato orientale della Sila, mentre dolcemente discende nella valle del Crati cioè dal lato occidentale; quindi le rocce superiormente nominate si trovano in maggiore quantità sul lato occidentale, sviluppandosi bene ancora a Nord ed a Sud, che sul lato orien- tale, dove talvolta le troviamo assolutamente mancanti come a Cerenzia. 6° Che forse le rocce cristalline di formazione posteriore come dioriti, eufotidi (gabbri), amfiboliti, serpentini, chinzigiti, alcuni graniti e gneis recenti, schisti e calcari cristallini, si sono — 480 — dal lato orientale per la massima parte inabissate, nascoste a noi dalle potentissime formazioni terziarie che da questa parte occupano sì larga zona fino a Rossano, oppure elevano il capo dopo lunga ed estesa piegatura per causa di pressioni laterali nel golfo di Taranto o forse più avanti nella Terra d’ Otranto. La massa granulitica-gneissitica, che forma le rocce fonda- mentali della Sila, presenta quasi ovunque alla sua superficie un certo grado di decomposizione, il quale contribuisce forse a togliere allo sguardo quella specie di disposizione alla strati- ficazione che si può osservare in alcune brusche sezioni di ta- luni dei nudi mammelloni che stanno dintorno a San Giovanni in Fiore e nelle analoghe formazioni di Acri e di altre località. A Cerenzia questa roccia ed altre molto analoghe spariscono nella direzione di Est sotto le sabbie sciolte, poi compatte, che bene si dispiegano lungo il sentiero che unisce P attuale borgata di Cerenzia colla Cerenzia vecchia, fabbricata sopra un ammasso di gesso, che somministrò pure il materiale per la costruzione di quella borgata, che si vuole fondata da Filotete e che fu ab- bandonata assolutamente nel 1860 per causa di malaria dai suoi abitatori, che trasportarono le tende verso Ovest sopra una massa di roccia molto analoga a quella di San Giovanni in Fiore di- stante circa tre ore. In pochi punti affiora questa roccia dalle sabbie gialle fra Cerenzia nuova e Cerenzia vecchia. L’ ammasso di gesso, su cui era costruita quella borgata, della potenza di 50 metri circa, è cinto tutto all’ intorno da po- tentissime argille azzurre, che scendono al Lese e si congiun- gono a quelle salifere, che si trovano sulla sinistra sponda di questo grosso confluente del Neto e che danno origine alle sa- line: Neto, Basilica, Stilo, Calderazzi, Santo lane, dipendenti dalla luogotenenza doganale di Caccuri, e le altre sebbene ta- lune alquanto più discoste di: Ogliastri, Petraro, Timpa, Mor- tela, Solfato, Mandra Vecchia, Rosso Mano e Canne, dipendenti da quella di Belvedere di Spinello. Cerenzia vecchia è un am- masso di case per la maggior parte senza copertura, fra le cui muraglie gessose ha il suo nascondiglio la vipera e la civetta il suo nido. Qualche moro rosso e qualche povero ciliegio colle ortiche che tutto ingombrano non servono che ad aumentare la monotonia di quell’altipiano, sul quale tutto spira mestizia. - 481 - In quelle sabbie gialle, che hanno per lo più l’ inclinazione a Sud colla direzione da S.O. a N.E. e nelle formazioni analoghe di tutta la Calabria sono scavate molte caverne, allineate, col- P apertura a mezzogiorno, tutte dirette da Sud a Nord, fra esse qualcuna molto estesa. Delle 6, che qui si presentano, una è lunga 23 metri, larga 6, alta in media 3 : la 4a, la 5a e la 6a sono in comunicazione fra loro. Per queste caverne, che frequen- tissime si rinvengono in Calabria, dovunque si presentino for- mazioni sabbiose, e che noi riscontriamo per la prima volta nel miocene di Catanzaro, poi nelle sabbie analoghe, che s’incon- trano in prossimità del piccolo burrone Tre Torri nel piano di Luria, in seguito nelle sabbie di Belcastro, nelle altre di Cac- curi e più avanti in quelle di Umbriatico, di Calopezzati, di Cropalati, di Rossano, ec., si potrebbe pensare che abbiano ser- vito di abitazione all’ uomo preistorico, se non si opponessero P assoluta mancanza di segni di umano soggiorno, che in altri luoghi così eloquentemente attestano P esistenza di popolazioni preistoriche, e la scarsezza di avanzi dell’ industria umana, tro- vandosi solo raramente qualche oggetto litico in queste contrade, dove specialmente abbondano queste caverne. Nulla risparmiai per scoprire qualche cosa in quelle caverne, scavate per lo più nelle sabbie, sia direttamente col mezzo di scavi, sia indiretta- mente raccogliendo notizie dalle persone meglio informate. Ma a nulla conclusero i miei sforzi e le mie ricerche, e non temo d’ errare, asserendo che tutte quelle caverne o per la massima parte per lo meno, sono frutto dell’ uomo attuale. Nessuna delle 200 azze della mia collezione fu trovata in una caverna. A mezz’ ora forse da Cerenzia nella direzione di Nord e di N.O. le rocce granitoidi vengono ricoperte dai micaschisti, che troviamo meglio sviluppati più oltre nelle vicinanze di Verzino e di Umbriatico, ricoprendo le formazioni schistose quasi intiera- mente le rocce granitoidi. Se tracciamo una linea retta che congiunga Casino colla chiesa di Cerenzia vecchia e la prolunghiamo fino al Lese, abbiamo un punto avanzato, nel quale le rocce primitive si spingono fino al fiume. Questo sperone ne trova degli altri analoghi e più potenti nelle vicinanze di Umbriatico. Questa graziosa borgata cinta di mura, munite di feritoie, e chiusa da due porte, è costruita — 482 — sopra una massa schistosa, che s’ appalesa come breccia nella parte superiore, essendo la parte inferiore della borgata fabbri- cata sopra sabbie conglomerate, che alla formazione schistosa qui si sovrappongono. Più avanti da monte a valle sono le marne ferruginose del miocene che ricoprono le rocce primitive. Quella specie di breccia schistosa, che abbiamo superiormente ricordata, continua fin oltre la porta a N.O. del paese, dove come su cresta tagliente procede il sentiero, che ad Umbriatico conduce chi viene da Verzino. Gli schisti formano le erte pareti dei bur- roni, fra i quali si eleva lo scoglio, su cui è costruito Umbria- tico. È veramente pittoresco questo punto ! Il sentiero, che cam- mina sempre sui micaschisti e schisti grigi ferruginosi, ricoperti nell’ alto come nel fondo Sciliero dalle sabbie gialle che soppor- tano il conglomerato a clipeastri, analogo ad altro che si trova a Verzino e molto somigliante a quello di Caccuri sulla via per San Giovanni in Fiore, scende e poi sale sopra la stretta cresta schistosa, limitata da due burroni, che cadono a perpendicolo fino al letto dei due torrenti, che delimitano la penisola schi- stosa, su cui è fabbricata la borgata : a perpendicolo pure scendono le altre due pareti dei torrenti, che talvolta corrono strettissimi nei burroni ricoperti nella parte alta da folta e lussureggiante vegetazione, che si continua procedendo a Nord. Scendendo al letto del torrente di sinistra lungo la bella strada, che, con forte pendenza e con non poche risvolte, arriva al fondo, troviamo spesse volte le formazioni schistose affiorare o le troviamo ta- gliate e messe a nudo dal tracciato della strada stessa, special- mente al disotto della fontana. Sono micaschisti oscuri, schisti euritici, sfaldabili in lamine abbastanza sottili, ma piccole. Ven- gono attraversati da vene e fìloncelli di feldispato ortose rosso, con qualche nodulo di quarzo pure rossiccio e per lo più involto in pellicola verde oscura o quasi nera. L’ inclinazione è N.O. e la direzione da Est ad Ovest. A 20 minuti circa dal paese s’ in- contra la seconda porta. Salendo a ritroso il torrente di sinistra troviamo sotto ai micaschisti schisti cloritici, che si mantengono nelle stesse con- dizioni stratigrafiche fin oltre Campana. Non infrequenti sono gli straterelli di schisto nero, pieno di sostanze carboniose e rasso- migliante molto agli schisti antracitiferi, tanto sottili che alle - 483 — volte si riducono a vere foglie. Scendendo invece al punto di confluenza dei due torrenti si cammina nel letto, ricoperto da grossi massi arrotondati di micaschisto, di schisto euritico, di schisto cloritico, provenienti per la massima parte dal conglome- rato sovrastante, e chiuso da due erte pareti, che bruscamente s’ elevano quasi a perpendicolo per circa 200 metri : sulla destra si manifesta bene la formazione schistosa, che sulla sinistra s’ ap- palesa appena ricoperta da una parte e dall’ altra dai potenti sedimenti terziari, essendo tutto l’ immenso gradino, che s’ eleva sulla sinistra e più avanti anche sulla destra di sabbie compatte col solito conglomerato. Fan capolino ancora una volta e rag- giungono discreta elevazione gli schisti, che van doventando se- ricei, si avvicinano fra loro e costringono il fiume a correre stretto entro una chiusa. Questi schisti oscuri, alternanti coi mi- caschisti sono sfaldabili in lamine piccolissime. Ma mentre prima inclinavano fortemente a N.O. colla direzione da Ovest ad Est, ora li vediamo divenire orizzontali per inclinare in seguito a S.E. con direzione varia, presentando una anticlinale abbastanza ar- dita. Come largo e potente baluardo alla confluenza dei due tor- renti s’ eleva questa formazione schistosa, che finisce lo sperone o la penisola che sopporta Umbriatico : sopra di esso s’ erge per molti metri e pure verticale la formazione miocenica, che si con- tinua anche sulla destra dell’ alto torrente con pareti verticali e sulla sinistra del primo. Poco appresso il fiume unito esce dalla chiusa e comincia a correre in letto più largo, sempre in mezzo a depositi terziari, che ricoprono d’ ora in poi verso oriente totalmente le rocce primitive. Gli schisti grigi e micacei, più raramente argillosi, si sten- dono nella direzione di Verzino, costruito per la massima parte su un conglomerato miocenico ricco di clipeastri. S’ ergono in ripide pareti, nella direzione di Zinga vengono ricoperti dalle formazioni gessifere, mentre negli avvallamenti essi scompaiono sotto marne azzurre, contenenti magnifici noduli e superbi sfe- roidi di pirite, molto bene conservati ed assai raramente in de- composizione. Nel torrente che corre a S.O. del paese compariscono sotto gli schisti bellissime rocce granitoidi, fra le quali mi pare si possa trovare qualche tenacissima diorite. - 484 - Ogni sorta di roccia primitiva* scompare prendendo la dire- zione di Pallagorio. A Verzino gli schisti sono inclinati ad 0. colla direzione da S.E. a N.O,, e per lo più vengono coperti dal conglomerato granitico menzionato od anche da detrito alluvio- nale. Dove compare qualche strato di schisto nero, con tendenza all’ antracitifero, abbiamo grossi e frequenti noduli di quarzo in- volti quasi sempre in pellicola talcosa o cloritica. La strada da Verzino ad Umbriatico corre quasi sempre en- tro un bosco di giovani quercie, che formerebbero in pochi anni una delle più belle selve, se fossero bene coltivate, e se la mano distruggitrice dell’ uomo, che ha già disboscato tutte le pendici e tutte le alture, non cominciasse fin d’ ora ad abituare il ta- glio della sua scure sulle giovani piante. Da Umbriatico a Campana le formazioni schistose hanno il loro vero dominio : sono micaschisti sopra cloriteschisti, sotto ai quali compariscono gli schisti filladici lucenti, sopportati da al- tri schisti oscuri, molte volte ocracei e ferruginosi, che si divi- dono in tavolette regolari. I micaschisti sono ricchissimi di mica a S. di Campana là dove affiorano schisti gneissici e veri gneis, coi quali presentano transizioni insensibili, nelle vicinanze del confine fra la provincia di Catanzaro e quella di Cosenza. Que- sta interessantissima formazione comparisce ancora per lunga pezza nel corso del fiume di Campana, che mette nel Fiumenica molto prima d1 arrivare a Scala Coeli, e procede oltre nelle vi- cinanze di Pietra Paola. Al paese di Campana si accede per un’ orrida, lunghissima ed estesissima via, che corre in mezzo al conglomerato : è co- struita l’altissima borgata (602 m. convento ?) sopra sabbie giallo-rossastre, ricche' di fossili, da attribuirsi al terziario me- dio o forse anche al pliocene. Ad 0. si manifestano già i graniti a grana minuta, carnicini e rossi, e che nella direzione di Lon- gobucco si fanno ad elementi più grossi e cominciano a soppor- tare un’ arenaria micacea, riferibile alle puddinghe dell’ arenaria variegata del Verrucano. Al dosso di Serra Cavada, dove comincia P allungato spar- tiacque fra la Fiumarella ed il Trionfo oltre Calopezzati, sopra le rocce granitoidi troviamo un calcare radiolitico, un membro forse del cenomaniano, ricoperto dai vari depositi terziari, dai — 485 — più antichi ai più recenti. Alla terrazza allargata, sulla quale sta Cropalati, affiorano i graniti bigi e rosei alternati fra loro, messi a nudo dai mari posteriori al primitivo e dalle forti cor- renti, che erosero i talco-micaschisti, che li coprivano e che si veggono ancora solo nelle insenature superiori per salire alla borgata : per lo più sopportano le sabbie terziarie, che si fanno compatte e molto consistenti all’ altezza del paese di Cropalati, costruito tutto sopra di queste. I talco-micaschisti si mostrano per brevissimo tratto anche sotto il paese : sono lucenti,' friabi- lissimi ed assai difficilmente si possono trarre dei bei campioni. Sempre vengono attraversati da vene e da noduli di quarzo. L’ inclinazione generale è a N.E. colla direzione da S.E. a N.O. Sulla destra del Trionto si trovano gli stessi schisti che ri- piegandosi da monte a mare vanno in parte a ricevere il radio - litico della zona menzionata. La stessa formazione schistosa si trova anche più avanti sulle due sponde del grosso torrente Laurenzano, che scende da Bocchigliero (868 m.) ad 0. di Cam- pana e che confluisce nel Trionto sulla sua destra. Sulla sponda destra di questo impetuoso torrente abbiamo dall’ alto al basso nettamente la seguente serie : 1° Schisti talcosi oscuri. 2° Talco-schisti chiari. 3° Schisti grigi compattissimi. 4° Altri strati di talcoschisti intercalati con talcoschisti cloritici. 5° Schisti grigi ferruginosi con schisti grafitici sfaldabili in piccole lamine irregolari coi piani però perfettamente oriz- zontali. 6° Talcomicaschisti lucentissimi. 7° Talcoschisti grigi. 8° Cloriteschisti abbastanza compatti. .9° Granito porfiroide. La serie di queste rocce si piega spesse volte, e, formando delle anticlinali sempre più elevate, quanto più si procede da valle a monte, dà luogo a bei poggi che vanno elevandosi sulle sponde del Trionto fino nelle vicinanze di Longobucco, dove la regione silana assume V aspetto più selvaggio. Percorrendo questo confluente troviamo che i graniti inabissandosi cessano ben presto, — 486 - e lasciano posto alle formazioni schistose ricoperte dalle arenarie variegate del Yerrucano, che con maggiore potenza troveremo sviluppate a Longobucco Sulla sinistra del Trionto che piega a N.E., le formazioni cristalline si tengono un po’ più addentro. Il granito che qui si mostra è carnicino, attraversato da qualche vena di granito rosso di Eossano e di Longobucco con cristalli regolarissimi di feldi- spato, di dimensioni però più piccole di quelle che raggiungono i cristalli analoghi nella bella roccia granitica, che si rinviene oltreché all’ origine del Trionto, anche da Campana a Longo- bucco e da Longobucco a Corigliano Calabro. Il Trionto porta giù i graniti più superbi assieme a grande quantità di pezzi dell’ arenaria variegata, che abbiamo trovato ad 0. di Campana. Il miocene ricopre le rocce primitive, se noi procediamo verso Eossano. Esse si ritirano sulla sponda sinistra del Coseria e molto s’ addentrano ricoperte dalle solite sabbie gialle, che qui divengono alquanto bianchiccio e sopportano la marna bianca di Catanzaro, la quale continua costante sulle due sponde di questo torrente fino quasi alla salina di Eossano. Le sabbie gialle sulla sinistra sponda del Coseria in taluni punti si fanno rosse pel ferro disciolto che contengono, nonché peli’ ortose scomposto del granito, che, sebbene raramente, pure mostrasi talvolta di sotto. Affiorano di raro gli schisti che ricompaiono nettamente solo sulla sponda sinistra del fiume Colognati, ove raggiungono un grande sviluppo. Sono rosso-bruni lucenti, compattissimi e stra- tificati sopra graniti oscuri coll’ inclinazione a N.O. e direzione da E. ad 0. Il sentiero sale sulla sinistra sponda, e dalla sella alla cui sommità, su formazione miocenica, facilmente s’ arriva, si vede per la prima volta Eossano, separato da questa zona dal tor- rente Celati, che mi sembra confluire nel Colognati. È qui a Eossano che la grande massa granitica manifestasi in tutta la sua bellezza, dirigendosi a Corigliano da una parte e nella Sila dall’ altra per congiungersi colla stupenda forma- zione analoga di Longobucco. Ancora le sabbie gialle ricoprono la formazione granitica, visibile sulla sponda destra del torrente Celati, che corre a S.E. di Eossano. La pittoresca città, posta sulla sua sinistra sponda, che scende quasi a picco, da questa - 487 — parte è costituita sopra sabbie compattissime, sopportate da con- glomerato rosso, che poggia direttamente sopra i graniti. Questa gigantesca massa granitica rossa è attraversata da graniti grigi e biancastri, e questi contengono grosse lamine di mica. Il rosso sviluppasi particolarmente nella parte alta del Celati, 1’ altro nella parte bassa, dove raggiunge colossali dimensioni : il rosso contiene ancora filoni di granito a grana minutissima, da rasso- migliare ad una quarzite, ed è ricoperto da schisti compatti plumbei coll’ inclinazione predominante a S.E. e direzione da E. ad 0. ; il biancastro è attraversato da fìloncelli di granulite. Questi graniti continuano a formare la destra e la sinistra sponda del torrente fino alla così detta Cona, dove vengono ricoperti da sabbie gialle non fossilifere, non molto lungi dal mare. Ra- ramente in città si mostra il conglomerato granitico e più rara- mente affiora il granito, che potrà vedere nel suo massimo svi- luppo ed in tutta la sua magnificenza chi, salito alla torre, vol- gerà lo sguardo a S. e S. 0. sui rosseggiaci dossi che stanno sotto, e sopra uno dei quali sta la chiesa di San Salvatore o Sant’ Antonio che sia. La città (310 m.), come abbiamo già cominciato a dire, è per la massima parte fabbricata sopra banchi di sabbie compat- tissime, sopra una vera arenaria durissima a clipeastri, con fre- quenti sezioni di operculina, genere comunissimo al livello mioce- nico dei clipeastri ricordati. Questa specie di arenaria è molto analoga alla puddinga cretacea di Sirone in Brianza ; ma sebbene la nostra ne abbia tutta la fisonomia, non la possiamo ritenere tale, contenendo essa molti clipeastri, fossili caratteristici del terziario medio, uno solo sembrandomi abbia in Calabria varcato i confini del miocene ed appartenga ai sedimenti pliocenici. La compattezza dell’ arenaria è tale che a grande fatica si possono levare i clipeastri compresi in essa. {Continua.) - 488 - III. Cenni geologici sul Camerinese e particolarmente su di un lembo atonico nel Monte Sanvicino , di M. Canavari. La regione delle Marche, che forma oggetto di questa nota confina a S. coi monti Vettore, Regina, Sibilla, Rotondo, I tre vescovi, Bove, Pietralata, che sono disposti perpendicolarmente all’ asse principale appenninico e costituiscono il culmine più im- portante di sollevamento nell’ Italia centrale ; all’ 0. e al N.O. coi monti Femma, Citronio, Fietone, Prefoglio, Igneo, Lago, Primo, Gemmo, formanti la catena occidentale appenninica; a N. col fiume Esino ; ad E. e al N.E. colla catena orientale, alla quale appartengono i monti Fiegni, Favo, Letegge, Faeta, Termine e il gruppo del Sanvicino. La sinclinale compresa tra queste due linee appenniniche, le quali staccandosi dalla catena Sibillina si protraggono pressoché parallele da S.E. a N.O., è riempita dal terziario medio e in- feriore (non compresovi però il nummulitico a facies alpina), le cui stratificazioni concordano con quelle sottostanti della creta e del giura. In questo bacino terziario scorrono i due fiumi Chienti e Potenza, il primo dei quali taglia la catena orientale tra il monte Favo e il Letegge e il secondo tra i Colli di Crispiero e il Dosso Vallonica. Le colline allineate con Camerino nella dire- zione di S.O. a N.E. formano lo spartiacque dei detti fiumi. Considerevoli banchi di ghiaie, dagli otto ai quindici metri di spessezza, giacenti sopra la molassa miocenica, sono deposi- tati nel fondo delle due vallate camerti. In queste ghiaie, da riferirsi al periodo erratico-diluviale o ad un periodo ancor più recente, è stato rinvenuto un teschio di Cervus euryceros , Aldovr.1 Dell’ uomo preistorico (età della pietra e del bronzo) si hanno tracce sicure su tutta la linea del Potenza compresa nel bacino camerte e su quella del Chienti e massimamente de’ suoi affluenti. Recentemente, a Girotta Lana, presso Pioraco, sono stati rin- 1 L’ Appennino, periodico camerinese, anno II, n. 11, 1° aprile 1877. — 489 - venuti dall’ ab. Ludovici alcuni oggetti preistorici, ma per ora sì scarsamente da non poter determinare nulla riguardo alla loro età.1 E questo un campo colà non ancora esplorato e che lar- gamente promette a chi primo vorrà seriamente esaminarlo. Non istarò qui a considerare quale progresso si verificasse coll’ andar dei secoli nell’ industria umana, non essendo questo il mio com- pito ; ricorderò solo come fin dal 1868 fu dal signor Pietro Don- cecchi scoperta una necropoli ombro-etrusca presso Pievetorina, e come rapporti della stessa epoca si abbiano a Crispiero, a Gagliole, a Pievetorina e dentro P abitato di Camerino.2 Il terziario camerte è costituito superiormente d’ arenaria, inferiormente da argille e marne scagliose, che gradatamente pi- gliano P aspetto della Scaglia, con la quale infine si confondono. Talune volte, come si verifica poco lungi da Pievebovigliana, e precisamente in una località detta la Vignaccia, la parte in- feriore del terziario presenta P aspetto d’ un calcare cenerognolo stratificato, assai ricco di brachiopodi e di echinodermi, di cui il proprietario di quelle terre, prof. A. Conti, ha fatto copio- sissima raccolta. L’ arenaria a sua volta risulta formata da due piani ben distinti. Il piano superiore è costituito di un’ arenaria a piccoli ele- menti e abbastanza resistente, con sottili straterelli lignitici e schisti argillosi intercalati. Talora è un vero conglomerato con- chiglifero, nel quale, oltre a parecchie specie di pettini, predo- mina una piccola bivalve, la Mactra triangola, Ren., onde chiamo questa formazione Arenaria a Mactra triangola, Ren. La te- stata del colle su cui s’ innalza P antica città di Camerino è co- stituita di essa arenaria. Il colore dell’ arenaria è molto variabile dall’ azzurrino al giallognolo, il quale per altro si può dire predominante. Essa è adoperata a Camerino come pietra da costruzione, con ri- sultati però poco soddisfacenti, poiché sotto gli agenti atmo- sferici, e massimamente nei rigidi inverni, che colà si hanno fre- quenti, certamente si riduce a frantumi quando non sia bene ' Periodico citato, anno III, n. 48, 22 ottobre 1878. * A. Conti, Camerino e i suoi dintorni, pag. 88. 32 — 490 — scelta e scalpellata. Sono da notarsi le cave d’ arenaria come materiale da costruzione di San Luca, ottime per selciati. Cave d’ arenaria si trovano poi dappertutto intorno a Camerino, ma più abbondantemente nel versante del Potenza. Il piano inferiore è costituito di un’ arenaria quasi totalmente disgregata, ora a piccoli ed ora a grossi elementi. Assume poi caratteri litologici assai diversi in località anche non molto lon- tane. Al Colle d’ Arena Cavata, sopra i Cappuccini, è giallognola e ricchissima di mica, stratificata in erti banchi, nei quali e pa- rallelamente ad essi sono disposti nuclei arrotondati della stessa arenaria a guisa di grosse palle da cannone. Poco lungi da qui e precisamente presso Paganico, ed anche al Colle dell’Arena, ad 0. del Borgo San Giorgio, è a grossi elementi, con notevoli cristalli di quarzo e di feldspato, da parere un detrito grani- tico. Questa arenaria può dirsi priva di fossili non avendovi trovato che un semplice aculeo di Cidaris. In tal piano s’ in- sinuano o piccoli filari o noduli d’ argilla o d’ un calcare con marnoso azzurrastro o cenerognolo, di quel calcare marnoso, strati di argilla, che va poi a costituire P orizzonte inferiore all’ arenaria. Il passaggio quindi tra queste due formazioni, come avviene anche tra la Scaglia e l’ eocene superiore, si stabilisce assai difficilmente, massime in alcuni punti nei quali P arenaria va stratificandosi a guisa di mattoni e assumendo una durezza assai notevole. Questo fatto si verifica presso al villaggio dei Ponti, ove si estrae argilla per fabbricazione ce- ramica. Terminata P arenaria principia con poca uniformità un gruppo di strati argillosi con resti di foglie, di pesci, di echini e si- mili. Le nominate argille dei Ponti sono assai fossilifere. Le argille riposano sopra un calcare marnoso, schistoso, azzur- rastro o cenerognolo. Questa formazione, superiore alla Scaglia, è assai sviluppata nel bacino camerte ; di essa si raccolgono molti fossili al Ponte delle Caselle, negli strati posti lungo la strada gregoriana che passa per Morro, e propriamente dinnanzi al casino dei fratelli Buccolini, al Pian d’ Ajello, negli strati che si manifestano lungo la nuova strada che conduce alla Muccia, presso il Torrone, nei dintorni di Pievebovigliana e in molte altre località. In alcuni strati poi hanno gran predominio le - 491 fucoiclì, come si verifica nelle vicinanze del Torrone, in altri gli aculei di Gidaris, come si osserva sul principio della Mezza Via, accorciatoia che da Camerino conduce alla Muccia. A questo gruppo di strati, eh’ io riferiva al miocene infe- riore,1 mi sono potuto convincere appartenere anche V eocene superiore. Da Camerino scendendo alle due vallate del Chienti e del Potenza si vedono predominare i gessi. Si estraggono ottimi per costruzioni diverse in ambe le rive del Fiastra, in quel di Ces- sapalombo, e poi a Beiforte presso la corrente principale del Chienti, non che nei dintorni di Matelica e di Sanseverino nel versante del Potenza. Gli strati che complessivamente formano il bacino terziario camerinese hanno ancora bisogno per P esatta loro determinazione e comparazione con quelli già noti d’ un accurato studio paleon- tologico. Il nummulitico a facies alpina non si rinviene che a Mace- reto, a Visso e al Vettore. Le testate dei monti nella catena orientale, o catena del Sanvicino, che ha una media d’ altitudine assai minore di quella occidentale, o catena del Catria, sono quasi tutte formate dalla Scaglia, che segna nell’ Appennino, come nell’ alto Veneto, la fine dell’ epoca secondaria. Nella catena invece occidentale la Scaglia non arriva che alle sue pendici mentre le vette de’ suoi monti sono quasi tutte formate dal Calcare rupestre (Felsenkalk). Il Calcare rosato , che viene immediatamente dopo la Scaglia, è talmente collegato a questa da potersi ritenere come cretaceo superiore. La Creta media quindi nell’ Appennino sarebbe rap- presentata solamente dagli Schisti a fucoicli e dagli Schisti 'bitumi- nosi, i quali abbondano a Monte Lago e in altre località. Tanto nell’ una come nell’altra catena si riscontrano, salvo poche eccezioni, i medesimi terreni con eguali caratteri litolo- gici e paleontologici. Non istarò a descrivere parti tamente i diversi piani della creta e del giura per non ripetere quanto già dissi in un’altra 1 Vedi la mia nota : Le Grotte di Sant’ Eustachio presso Sanseverino- Marche , inserita in questo Bollettino (n. 7 e 8, 1878). — 492 mia nota;1 mi limiterò solo a fare osservazioni generali intorno a quei punti, che riterrò di maggiore importanza. In quanto al periodo della creta, tranne la povertà dei fos- sili, e talora la mancanza o del calcare rosato o degli schisti bituminosi, tra le diverse ellissoidi di sollevamento appenninico, non si ha altro a ridire. Riguardo al giura dobbiamo invece fare importanti osservazioni. Il primo fatto che si verifica nel para- gone delle due catene è il seguente : nella catena occidentale ha un predominio grandissimo la zona a Posidonomya Bronni del Lias superiore, sotto la nota forma d’ un calcare terroso di color rosso mattone, con una ricca fauna di cefalopodi, piano stabi- lito già sin dal 1851 dal Meneghini ; 2 nella catena orientale in- vece non ho sino ad ora rinvenuto quella zona in alcun posto. La località più importante fossilifera di tale orizzonte è il Campo della Ha rossa (notevole combinazione del nome volgare con quello scientifico) a Monte Gemmo. Ecco la nota dei fossili rinvenutivi : Ammonites Begleyi, H. v. Thiol.? ; Harpoceras bifrons, Brug. ; H. falcifer , Sow. ; H. discoides, Ziet. ; H. Comense, De Buch ; H. Mercati, Hauer ; H. radians, Rein. ; H. insigne, Schubl. ; H. sub - carmatum, Y. et B. ; H. sternale, De Buch ; Stephanoceras sub- armatum, Y. et B. ; S. JDesplacei, d’ Orb. ; Phylloceras Nilsoni, Hèb. ; Pii. Doderleinianum, Cat. ; Ph. selinoides, Mengh. ; Lytoce- ras Cornucopice, Y. et B. ; L. cfr. spirorbis, Mengh. ; Aidacoceras Orsini, Mengh. ; Pleur otomaria (?) sp. n., Fucoides sp. Il terreno invece che ha maggior predominio, che si estende con molta uniformità tra 1’ una e 1’ altra catena, occidentale ed orientale, e che a cagione dei molti fossili che vi si raccolgono forma un orizzonte geologico dei più importanti nell’ Appennino centrale, è quello corrispondente al Malm superiore e precisa- mente agli strati a Terebratula diphya, ed a quelli ad Aspidoceras acanthicum del Tirolo meridionale e delle Alpi venete, a quel terreno cioè che i tedeschi ora denominano titonico, indicato come Calcaire à dalles dallo Spada e dall’ Orsini. 1 Bollettino del R. Comitato Geologico , anno 1878, n. 7 e 8. Le Grotte di Sant’ Eustachio ec. * Paragone dei varii\lembi di Lias superiore in Lombardia, Memoria di G. Meneghini, letta all’ Accademia dei Lincei nella sessione del 6 giugno 1875. — 493 — Già lo Zittel fin dal 1869 1 aveva riconosciuto il titoniano appenninico e dimostrata 1’ equivalenza di esso coll’ alpino e col carpatico ; ed il Gemmellaro 2 ne dimostrò poi il grande sviluppo nella Sicilia. Nell’ Appennino il titonico or riposa, e più di fre- quente, sopra un calcare scliistoso, selcifero, verdastro ad aptici, ed ora sopra una marna giallognola e sabbiosa ad Ammonites fal- lax, Ben., intercalata da strati di tenera marna grigia. Gli Schisti ad aptici e il Dogger inferiore, rappresentato dai citati strati ad Ani. fallax, giacciono alla lor volta sopra il Lias superiore o, mancando questo, sopra il Lias medio, come accade alle Grotte di Sant’ Eustachio. Il Dogger inferiore è rarissimo. Lo Zittel, come aneli’ io ebbi campo di constatare in più luoghi, osservò che il piano ad aptici e quello ad Am. fallax si escludono a vicenda ; il che po- trebbe far ritenere contemporanea la formazione di questi due orizzonti e considerare quindi il piano ad aptici come un cor- rispondente dell’ oolite inferiore. Da considerazioni che esporrò in seguito risulterà invece come si possa arrivare a diversa con- clusione da quella accennata. Il titonico che avevo fin qui osservato a Monte Primo in una località denominata la Serra, sopra il villaggio d’Agolla, e a Monte Guallo nella catena orientale ; alle Grotte di Sant’ Eusta- chio e a Dosso Yallonica al Campo delle monnecce, presso Gagliole, in quella orientale, si presentava, con poche diversità, sotto 1’ aspetto d’ un calcare marmoreo biancastro o verdastro (come descrisse anche lo Zittel quello del Catria, del Pietralata [Passo del Furio] del Nerone e di altre località) con la seguente fauna: JBelemnites cfr. semisulcatus , Munst., Monte Primo ; JB. sp. ind., Grotte di Sant’ Eustachio, Gagliole ; Aptychns punctatus, Voltz., Monte Primo, Grotte di Sant’ Eustachio, Gagliole; A. Beyri- chi, Opp., Grotte di Sant’ Eustachio, Monte Guallo, Gagliole ; A. imbricatus, Ooster, Monte Primo ; A. latus, H. v. M., Grotte di Sant’ Eustachio, Gagliole ; Phylloceras Kochi, Opp., Monte Primo, 1 K. A. Zittel, Geologisclie Beobachtungen aus den Central-Apenninen nelle Geognostisch-palàontologische Beitràge von Benecke. 2. B. , li Heft. Monaco, 1869. * G. G. Gemmellaro, Studi paleontologici sulla Fauna del calcarlo a Terebratula, janitor del nord di Sicilia , 1868-1876. — 494 - Grotte eli Sant’ Eustachio, Gagliole ; Fh. serum, Opp., Monte Primo, Monte Guallo, Gagliole; Fh. serum , Opp. (var. ad Fh. Kuder- natschi aecedens ), Monte Primo; Fh. Canavarii, Meneghini, sp. n., Monte Primo ; Fh. Zignodianum, d’ Orb., Gagliole ; Fh. ptychoi - cum, Quenst., Monte Primo, Grotte di Sant’ Eustachio ; Lytoceras sutile, Opp., Monte Primo, Gagliole ; L. montanum, Opp., Monte Primo, Grotte di Sant’ Eustachio, Gagliole; L. Liebigi, Opp., Grotte di Sant’ Eustachio, Gagliole; L. quadrisulcatum, d’ Orb,, Monte Primo, Monte Guallo, Grotte di Sant’ Eustachio, Gagliole ; Haploceras elimatum, Opp., Monte Primo ; Aspidoceras iphy ce- rimi, Opp., Monte Primo ; A. Fogoznicense , Zeuschn., Monte Primo, Grotte di Sant’ Eustachio ; A. Uhlandi, Opp. (= A. Garibdldii, Gem.), Monte Primo ; A. Montis-Frimi, Canavari, sp. n., Monte Primo ; Simoceras Vólanense, Opp., Grotte di Sant’ Eustachio ; Ferisphinctes geron, Zitt., Monte Primo, Gagliole ; F. Venetia- nus, Zitt., Monte Primo ; P. cfr. eudichotomus, Zitt., Monte Primo, Grotte di Sant’ Eustachio, Gagliole ; P. cfr. microcanthus, Opp., ♦ Monte Primo ; P. transitorius, Opp., Grotte di Sant’ Eustachio, Gagliole; P. Senex, Opp., Gagliole; P. Albertinus, Cat., Monte Primo ; P. cfr. scruposus, Opp. con Aptychus nell’ interno della conchiglia, ma non in posto, Monte Primo; P. contiguus , Cat., Grotte di Sant’ Eustachio, Gagliole ; Terebratula triangulus, Lam., Grotte di Sant’ Eustachio, Gagliole ; Trochocyatus Canavarii, D’ Achiardi, sp. n., Monte Primo. In tutte le località osservate fin qui la zona titonica inoltre presentava litologicamente e paleontologicamente un rapido e de- cisivo distacco dai sottostanti schisti ad aptici. Difatti, nel mentre quella si presentava sotto la forma d’ un marmo verdegrigio con una fauna di cefalopodi importantissima, questi apparivano come un complesso di schisti calcarei, verdastri, selciferi, con resti fos- sili del solo genere Aptychus. E noto come nei giacimenti secondari dell’ Appennino centrale e dell’ alta Italia sia stata verificata una concordanza assai rilevante in quanto al Lias superiore. In ambedue questi lontani giacimenti il Lias superiore si presenta difatti sotto i medesimi caratteri litologici e paleontologici. Il Meneghini nel suo clas- sico lavoro sull’ Ammonitifero rosso di Lombardia e dell’ Appen- nino, nella Paleontologia lombarda dello Stoppani, ha già dimo- — 495 — strato non solo la identità delle specie di fossili rinvenuti in questi due depositi, ma eziandio la stessa distribuzione degli in- dividui e 1’ eguale habitus delle specie. Riguardo al titonico dell1 Appennino sebbene paleontologica- mente si verificasse un1 equivalenza col Calcare a diphya delle Alpi meridionali e del Veneto, tuttavia si notava sempre una sconcordanza litologica non solo, ma in quanto al piano ad aptici, così distinto nell1 Appennino dal sovrastante marmo titonico, nelle Alpi Venete si osservava connesso intimamente ad esso. Studiando ora la parte settentrionale del gruppo montano del Sanvicino, in una località denominata Le Sassa, a circa 4 chi- lometri ad ovest di Ficano, ho avuto campo di osservare un gruppo di strati dai 5 ai 6 metri di potenza d1 un calcare rosso mattone , or marnoso, or marmoreo, spesso qua e là biancastro o verdognolo, ora stratificato a lastre notevoli, ora schisioso, con sottili letti di piromcica rossa. Questo complesso di strati che ha tutta l1 apparenza del Lias superiore è assai ricco di petrefatti, tra cui predomina il genere Aptychus, per modo che in poco d1 ora ne raccolsi oltre ottanta individui. E noto come gli schisti ad aptici nei loro strati inferiori siano rossastri a cagione del sottostante Lias superiore, dal quale spesso è malagevole separarli ; credei quindi trovarmi nel pas- saggio delle due formazioni. Esaminati però con diligente cura gli strati e sottostanti e superiori a quello ad aptici e tornato ad esaminare questo ultimo, raccolsi ovunque fossili titoniani. Ecco di fatti la nota dei resti organici che vi rinvenni, coadim vato nella determinazione di essi dal professore Meneghini : JBelcmnites conophorus, Opp. ; JB. semisulcatus, Mlinst. ; J3. sub- fusiformis, B. ; Aptychus punctatus, Voltz. ; A. JBeyrichi, Opp. ; A. latus, H. v. M. ; A. excidptvs, Schau. ; A. sp. sp. ( cellulosi ) ; Phylloceras serum, Opp. ; Ph. sp. ind. (cfr. ptychoicum) ; Ph. sp. ind. (cfr. serum) ; Lytoceras montanum, Opp.; L. qucidrisul- catum, d1 Orb. ; L. sp. ind. (cfr. quadrisidcatum)\ L. sp. ind.; Haplocercis elimatum, Opp. ; Oppelia (?) sp. ind. ; Aspidoceras cyclotum, Opp. ; A. Piogoznicense, Zeuschn. ; A. cfr. Avéllanum, Zitt. ; Perisphinctes Albertinus, Cat. ; P. transitoria, Opp. ; P. contiguus, Cat. ; Terebrcitida triangidus, Lam. ; Phynchoteuthis ti- tànica, Meneghini, sp. n. ; Uh. denticidata , Canavari, sp. n. — 496 — Abbiamo così nell’ ellissoide del Sanvicino a Dosso Vallonica presso Gagliole a S., e a Le Sassa presso Ficano a N. dal mag- gior centro di sollevamento, il ti tonico con caratteri litologici al tutto diversi e con i medesimi fossili. Inoltre a Le Sassa il piano ad aptici fa parte del titonico ; possiamo quindi conclu- dere che nel gruppo del Sanvicino, in una località denominata Le Sassa, presso Ficano, si manifesta un lembo titonico, sotto la forma d ’ un calcare rosso mattone, di cui fa parte il piano ad aptici, come precisamente accade nelle Alpi venete. Senza stare a generalizzare questo fatto, il quale per se stesso è fecondo d’ importanti deduzioni, non farò altro che ci- tare ciò che diceva lo Zittel intorno agli Schisti ad aptici del- P Appennino : 1 « Sie sind jedenfalls das Aequivalent der Apty- chenschiefer der Nordalpen, sowie eines Theils der Majolica in den Sudalpen, welche beide moglicherweise schon der tithoni- schen Stufe angehòren oder doch jedenfalls einen hochjurassi- schen Horizont vertreten. » Finalmente non mi rimane altro che dire alcune poche cose intorno al Lias inferiore. Questo infimo orizzonte dell’ Appennino centrale era stato fin qui ritenuto come quasi totalmente privo di fossili. Non vi s’ era difatti trovato altro fossile all’ infuori di una piccola conchiglia che il Meneghini riconobbe per la Fosidonomya Janus, identica a quella che si rinviene abbondantissima nel Campigliese. Nel- l’ Appennino centrale il Lias inferiore (?) forma il nucleo di tutte le diverse ellissoidi di sollevamento, assume una potenza d’ oltre i 100 metri ed ha pertanto notevole importanza. Ordi- nariamente si presenta sotto P aspetto d’ un calcare brecciforme e leggermente roseo o massiccio, bianchissimo e in questo caso sembra dolomia, e come tale ritenuto dallo Spada e dall’ Orsini; talune volte, come è alle Grotte di Sant’ Eustachio e al Sanvi- cino, è intramezzato da strati d’ un calcare alquanto oolitico e di minor durezza di quelli superiori ed inferiori. Questi strati sono assai fossiliferi ; di essi non faccio qui altro che accennare la fauna, senza trarne per ora quelle con- clusioni stratigrafiche che saranno consigliate da ulteriori studi paleontologici. 1 K. A. Zittel, lib. cit., pag. 53. Sezione geologica del bacino di Camerino. 497 Torre di Beregna. I Ponti. Camerino. Morro. Monte Igneo. — 498 — Fauna elei Lias inferiore (?) delle Grotte di Sant’ Eustachio : Terébratiila Eustachiana, sp. n. ; Pleurotomaria, sp. sp. ; Turritélla, sp. ; Cerithium, sp. ; TrocJius , sp. ; Phasianella, sp. ; Natica, sp. ; Cypricardia, sp. ; Cardinia, sp. ; Arca, sp. ; Opis, sp. ; Pecten, sp. sp. ; Lima, sp. ; Lucina (?) sp. ; Straparolus , sp. n. ; Cidaris Icevis, sp. n. ; Cidaris , sp. ; Emarginula, sp. n. ; Crostaceo, sp. Fauna del Lias inferiore (?) del San vicino : Terebratida, sp. n. ; Bhynchonella, sp. sp. ; Pleurotomaria cfr. rotundata, Mlinst. ; Pleurotomaria , sp. n. ; Pleurotomaria , sp. ; Phasianella , sp. ; Turbo (?), sp. ; Straparolus, sp. n. (identico a quello del Lias inferiore delle Grotte di Sant’ Eustachio) ; Ci- daris py rifera, sp. n. Per maggiore intelligenza dei cenni precedenti do una sezione schematica del bacino camerinese (v. pag. prec.) condotta nella direzione da S.O. a N.E. dal Monte Igneo (catena occidentale) alla Torre di Beregna sotto Monte Letegge (catena orientale). IV. Sulla posizione geologica del tufo e del tripoli nella zona solfifera di Sicilia 7 per Emilio . Stòhr. I terreni solfiferi propriamente detti di Sicilia constano, com’ è noto, di potenti depositi di gesso, marna e calcare, quasi tutti d’ origine d’ acqua dolce, nei quali si trovano intercalati i letti di solfo conosciuti col nome di ranelle : sopra ad essi stanno strati marini, ed al disotto si trovano il tufo ed i tripoli, del pari depositi marini, cosicché il terreno solfifero lacustre è in- tercalato tra due formazioni marine. In una mia nota (Bolletti- no 1876, fase. 11 e 12, Il terreno pliocenico dei dintorni di Gir - genti ) ho considerato il terreno solfifero come appartenente al Messiniano II di C. Mayer, il tufo al Messiniano I, colla ri- serva però, che forse i tufi sarebbero da collocarsi in un piano alquanto più antico; la stessa riserva fu fatta a riguardo dei tripoli. Dalle considerazioni seguenti si vedrà che in fatto la cosa sta in questi termini. - 499 - Da molto tempo sono conosciuti diversi fossili elei tripoli : impronte eli pesci, alcuni foraminiferi, ecl una fauna microsco- pica ricca eli Kadiolarie, Diatomee e resti di Spongiari. Del tufo però si conosceva quasi nulla, se non che nell’anno 1872 ho avuto la fortuna di trovare in una galleria della miniera di Stretto (presso Grotte, provincia di Girgenti) alcuni fossili marini, come pure una fauna ricchissima di foraminiferi. Nella adunanza te- nuta dalla Società geologica germanica in Vienna nel 1877, (ved. Zeitschrift cler Deutschen geolog. Gesellschaft, 1877, pag. 638) ho dato una notizia preliminare di questa fauna ; oggi essendo terminati i miei studi, ed avendo avuto il dottore C. Schwager la cortesia di fare una revisione esatta delle specie, come pure di descrivere e figurare le specie nuove, posso pubblicare la lista intiera. Nella miniera di Stretto fu praticata una galleria per vedere, se sotto la più bassa vanella conosciuta, non si potesse sco- prirne altre. Essendo l’ inclinazione degli strati verso S.E., la galleria aveva la direzione di N.O. ; entrava essa dapprima in un gesso marnoso con- impronte di pesci d’ acqua dolce ( Lebias crassicauda ec.) : sotto i gessi si ebbe uno strato di poca po- tenza, di un calcare biancastro compatto e marnoso, contenente alcune squame di Leuciscus. Credetti di vedervi anche alcuni resti di foraminiferi, ma sotto il microscopio non ritrovai nulla, e così resta per ora indeciso se questo calcare sia un deposito lacu- stre oppure salmastro. Al di sotto del calcare si trovò una nuova vanella della potenza di circa 1 metro e V2 e inclinata di 20° verso S.E. La vanella era totalmente differente dalle altre di quella miniera ; in queste si aveva solfo translucido, cristallino che im- pregnava tutta la massa della vanella, mentre nella nuova lo solfo era saponaceo, opaco, con tinta ocracea e si trovava sparso nel calcare in piccoli noduli, per modo che l’insieme aveva l’aspetto di pezzi calcarei cementati dallo solfo ; talvolta il calcare aveva anche un aspetto dolomitico. Sotto il microscopio non fu pos- sibile di trovare nelle sezioni sottili alcun fossile. Sotto la va- nella giaceva un deposito di schisti bituminosi, di 20 centimetri di potenza, e poi venne il tufo, argilla quasi plastica, più o meno untuosa al tatto, talvolta sabbionosa, di colore scuro ver- dastro, e tanto bituminosa che dai pezzi raccolti nell’ anno 1872, — 500 oggi pure emana F odore caratteristico ; diverse analisi hanno dato un tenore di 2 a 3 per cento di bitume. L’ analisi fatta dal signor A. Schwager ha dato il risultato seguente : SiO2 27.43 A1203 15.68 Fe503 4. 79 CaO 14. 15 MgO 5. 39 K20 0. 84 Na20 0.86 CO2 15.96 Acqua 13. 55 Materia bituminosa ... 2. 07 100. 72 Kiscaldato oltre i 100°, perdette dapprima F acqua e poi la materia bituminosa, la quale si può anche estrarre per mezzo dell’ etere ; consiste essa in goccie oleose di un colore scuro ver- dastro. A questo bitume è dovuto principalmente il colore scuro verdastro del tufo, nel quale si trovavano impronte di pesci marini {SygnatJms ec.), inoltre la ricca fauna dei foraminiferi, come pure alcuni coralli e conchiglie marine spesso trasmutate in pi- rite ; sotto il microscopio si potevano anche distinguere qua e là delle Radiolarie. Furono trovate anche, benché assai rare, alcune impronte di piante e dei frammenti di legno. Più in basso questi depositi passavano a poco a poco ai tripoli ; il colore comincia a farsi meno scuro, schisti fogliettati di tufo, dello spessore di un cartone, alternano con altri di tripoli, e finalmente lo strato consta per intiero del solito tripoli. Siccome questo terreno indica sempre il limite inferiore della zona solfifera e non havvi speranza di trovare più in basso altro solfo, fu sospesa la galleria dopo un traforo della lunghezza di 91 metri. Il Mottura nella sua memoria sopra la zona solfifera di Si- cilia dice (pag. 70-71), che tra il tufo ed il tripoli si trova il calcare siliceo, e da una comunicazione fatta dal Giordano alla Accademia dei Lincei, nel maggio scorso, sento che nella Carta geologica di Sicilia è indicato come sovrastante ai tripoli — 501 — il calcare lacustre con noduli silicei. Nella galleria di Stretto il fatto era tutt’ altro, e nemmeno una separazione distinta esi- steva tra tufo e tripoli. Transizioni tali si possono anche os- servare in altre località, per esempio, nella miniera di Sinatra vicina allo Stretto, e non di rado è difficile di precisare se lo strato appartenga al tufo o al tripoli; in casi simili mi ser- viva come guida il colore più o meno scuro, come pure il pre- dominio dei foraminiferi o delle Radiolarie, per attribuire uno strato al tufo piuttostochè ai tripoli. Tra i fossili del tufo sono importantissimi i Foraminiferi. La lista I qui unita ne enumera 115 specie, (comprese 2 del tufo di Girgenti) : in essa ho adottato i segni consueti per la fre- quenza : 1 indica frequentissimo, 5 rarissimo. Nella prima co- lonna sono notate le specie trovate in altre località, principal- mente in Sicilia, nel plioceno (Astiano), nella seconda quelle dei Trubi siciliani e della Coroncina (Messiniano III), la terza in- dica le specie trovate nelle marne (Tegel) di Baden o a Lapugy (Mediterraneo superiore secondo i geologi viennesi), la quarta le specie trovate in terreni più antichi delle marne di Baden; le due ultime colonne indicano se la specie in questione vive tuttora, o sia estinta ( + ). Fra le 115 specie 23 sono nuove, e di queste il dottor Schwager ne descrisse e figurò 17 ; altre 5 furono descritte ma non figurate, perchè stavano a nostra disposizione soltanto esem- plari non bene conservati (vedi la seguente nota dello Schwager: Foraminiferi nuovi del tufo di Stretto).' Appartengono esse a 33 ge- neri cioè: Lagena 6 specie, Fissurina 1; Nodosaria 31, Glanduli- na 2, Lingulina 1, Frondicularia 4, Dentalina 1, Citharina 1, Pul- lenia 3, Marginulina 8, Cristellaria 1, Robulina 6, Polymor- phina 3, Uvigerina 4, Bulimina 6, Sphmroidina 1, Pulvulina 3, Rotalia 1, Orbulina 1, Globigerina 1, Discorbina 7, Truncatu- lina 4, Anomalina 2, Planulina 2, Siphonina 1, Textilaria 1, Bo- livina 3, Reussia 1, Chilostomella 1, Haplophragmium 1, Cla- 1 Nello Zeitschrift der deutschen geolog. Gesellschaft, 1877, furono menzio- nate 17 nuove specie soltanto ; dàlia rettificazione della lista risulta, che 6 spe- cie, considerate affini a specie già conosciute sono invece specie nuove ( Lagena pyriformis Costa, Nodosaria pycnostyla Gbl., N. pachycephala Gbl., N. abso- lescens Rss., Bulimina infiala Seg., Chilostomella cylindroides Rss. , Dentalina aff. nodosa D’Orb. e Nodosaria ( Dentalina ) gracilis Costa). — 502 — vulina 3, Plecanium 3, Spiroloculina 1. Degna di nota è la mancanza delle Milliolidee (la Spiroloculina tennis fu trovata in un solo esemplare), delle Amphistegine, Heterostegine e Polysto- melle, mentre grandissima è la quantità delle Rhabdoidee (38 specie), Cristellaroidee (14), Globigerinidee (17), non soltanto per il numero delle specie, ma anche per la copia di individui; seguono poi le Lagenide (7), Polymorpbinide (7), Buliminide (7), Textilaride (5). Abbiamo dunque una fauna di mare profondo, il qual fatto è confermato dalle Radiolarie, che si trovano sparse qua e là, mentre nei tripoli sono frequentissime ; e ciò prova, che durante la formazione dei tripoli il mare era anche più profondo. Considerando la frequenza degli individui sorprende P ana- logia colle marne di Baden. Frequentissime sono due specie : Orbulina universa d’ Orb. e Grlobigerina bulloides d’ Orb. ; fre- quenti 3: Nodosaria monilis Silv., Botalia Soldani d’ Orb., Uvi- gerina semiornata D’Orb.; non rare 11 : Nodosaria raphanistnm L., Pullenia bidloides D’Orb., Pullenia falx Czk., Bobulina ad- irata D’ Orb., SpJiceroiclina austriaca D’Orb., Discorbina sachari- narici Schwag., Planulina Ariminensis D’ Orb., Flanulina Willlers- torfi Schwag., Siphonina fimbriata Rss., Bolivina antiqua D’Orb.; 32 specie sono rare, e 67 rarissime, tra le quali tutte le specie nuove ad eccezione di 4. E però da notare che il materiale disponibile era limitatissimo, e con una quantità maggiore pro- babilmente P indicazione della frequenza per alcune specie po- trebbero cambiarsi. Fatta deduzione delle 23 specie nuove, e di 3 figurate dal Costa, ma prive d’ indicazione di provenienza e di diagnosi ( Nodosaria gracilis, Discorbina subcequalis, Truncatulina peraf- finis) restano 89 specie, delle quali se ne trovano a Baden e a Lapagy 64, dunque il 75 per cento. Inoltre 3 sono conosciute del Neogeno di Kar Nicobar, deposito contemporaneo alle marne di Baden secondo lo Scbwager ( Nodosaria tympaniplectiformis, Dentalina sacharinaria, Planulina WiUlerstorfi ), e la Lagena vul- garis Will., quantunque non conosciuta a Baden, è però nota in depositi superiori e inferiori. Restano dunque 21 specie non co- nosciute nelle marne di Baden o in depositi contemporanei, delle quali 15 appartengono esclusivamente a terreni più recenti (3 all’ Astiano, 1 1 all’ Astiano e Messiniano insieme , e 1 al - 503 — Sarmatiano). Provenienti esclusivamente da terreni più antichi, sono 6, cioè dal Salzthon di Wieliczka, 3 di Reuss (. Bulimina tenera , Pulvinulina cordiformis, Haplophragmium crassum) 1 dal- P Oligoceno ( Ornatenthon ) 2, (. Nodosaria soluta, PolymorpMna lanceolata di Reuss), e da terreni eocenici 1, ( Clavulina triquetra Rss.). Resulta da queste considerazioni, che la fauna dei forami- niferi del tufo di Stretto rassomiglia non soltanto molto a quella delle marne ( Tegel ) di Baden, ma è quasi identica ad essa, il qual fatto viene provato anche dagli altri fossili trovati (vedi P elenco). Fra questi il Flabellum Royssianum, la Cellepora rosala, la Co- Umbella nassoides, il Pecten spinulosus , come pure la Citharina dilatata, sono fossili caratteristici delle marne di Baden ; il Pecten spinulosus è anzi considerato come fossile eminentemente carat- teristico. La Cancellarla mitrceformis è poi caratteristica del Tortoniano in generale. Due sono i resti vegetali trovati nel tufo : V uno è secondo il dottor Geyler una Furcellaria, pianta marina ; P altro è un pezzo di Potamogeton geniculatum, pianta terrestre e deve es- sere stato portato nel mare dai fiumi al pari dei frammenti di legno ; questa pianta si trova anche nei terreni solfiferi pro- priamente detti. Si deve dunque considerare il Tufo di Stretto come con- temporaneo alle Marne di Baden, ossia appartenente al Mediter- raneo superiore, o al Tortoniano ; altrimenti si dovrebbe ammet- tere che nel Sud dell’ Europa diverse specie più antiche avessero vissuto anche in periodi più recenti. In favore del Tortoniano havvi anche una scoperta fatta ad un miglio circa distante da Stretto, ove in un campo seminato al di sotto della vera formazione solfifera potei raccogliere una quantità di Bentalium Bouei, specie caratteristica pel Tortoniano. Il tufo in conseguenza va separato dai terreni solfiferi propriamente detti, che il Fuchs riferisce agli strati a Congerie, mentre secondo il mio parere appartengono non soltanto al Messiniano II (Strati a Congerie), 1 Debbo qui rettificare un errore che si trova nel rendiconto della mia co- municazione fatta a Vienna ( Zeitschrift der deutschen geolog. Gesellschaft, 1877, pag. 642), ove sono stampate come specie provenienti da Wieliczka: Marginu- lina turgidula , Discorbina subaequalis, Truncatalina peraffinis ^ mentre sono le tre sopranominate. Le specie in questione sono invece quelle di Costa già menzionate. — 504 — ma in parte anche al Sarmatiano (Messiniano I). Che la cosa sia effettivamente così., e che il solfo già cominciasse a depositarsi in quell’ epoca m1 hanno convinti i miei studi sopra i tripoli. I tripoli sono schisti fogliettati, leggerissimi depositi di silice polverulenta, più o meno calcarei e argillosi, con colore bianco. Talvolta divengono duri, ed allora risuonano al colpo del mar- tello. Assai di rado, sono pur anche impregnati di solfo. Sono rinomati per la quantità d’ impronte di pesci che essi racchiu- dono, così che quasi nessun frammento è privo di squame o al- tro avanzo di pesci, come pure per i fossili microscopici, come scheletri silicei di Radiolarie e Diatomee che vi si trovano spesso in quantità enorme. Per quel che io so finora in essi non fu- rono trovate conchiglie; contengono però dei foraminiferi, prin- cipalmente nelle varietà calcaree. L’Hoffman ha già descritto il tripoli di Caltanissetta nel quale Ehrenberg ha trovato 31 specie di Radiolarie, 30 di Dia- tomee, 8 resti di Spongiari, 4 di Foraminiferi ; tutte le specie sono figurate nella sua Microgeologia. Poi hanno dato notizie su questo stesso argomento il Parodi e il Mottura; il Sauvage da ultimo descrisse i tripoli di Licata. Analisi ne abbiamo del Mottura (Caltanissetta), del Frémy (Licata) e dell’A. Schwager (Cannetone). L’ ultimo ha analizzato del tripoli della mia collezione, prove- niente da Cannetone presso Grotte, molto ricco d’ impronte di pesci ; esistono però anche dei tripoli argillosi e calcarei, e con- tengono meno silice che i tripoli di un’ altra località presso Grotte, nei quali si trova la ricchissima fauna di Radiolarie che ho studiato. I resultati delle analisi sono : PER PER PER Caltanissetta Licata Cannetone Silice . . 86, 6 30, 98 58, 58 Allumina • • j 3, 6 17, 54 11, 51 Sesquiossido di ferro .... 0, 33 1,84 Calce Magnesia . J12'1 ì 38, 09 8, 49 0,41 Acqua e materia organica. . ' ' i 15,2 j 13,06 11,26 Acido carbonico 7, 12 99, 5 100,00 99, 11 — 505 - Nei tripoli cambia la fauna del tufo in tal modo, che dimi- nuiscono le specie dei foraminiferi non solo, ma puranche il numero degli individui. L’ Orbulina universa q la Globigerina bidloides, vi si trovano però ancora in quantità grandissima. Nei tripoli della provincia di Girgenti ho trovato le specie se- guenti : 1. Orbulina universa D’Orb. 2. Globigerina bidloicles D’Orb. 3. Virgulina sp. aff. Schreibersi 4. Textilaria globosa Ehr. (non Heuss) 5. Discorbina Ariminiensis D’Orb. 6. » cf. ammonoides Rss. 7. Dent alina sp. Le specie dal 3 al 7 furono trovate soltanto in forme mi- croscopiche; tutte poi rappresentano forme, che si trovano esclu- sivamente in mari profondi. Nella fauna microscopica sono importantissime le Radiolarie, che si trovano spesso in quantità enorme, cosicché formano da loro una parte almeno dei tripoli. I lavori di Ehrenberg furono già menzionati; nei tripoli di Licata Fischer a Parigi ha tro- vato Ì4 Radiolarie, 15 Diatomee, un resto di Spongiari, 2 Fo- raminiferi. Poco distante da Grotte, sulla strada maestra che con- duce a Racalmuto, ho trovato un deposito di tripoli molto silicei; è quella finora la località più ricca di Radiolarie di tutta la Sicilia. L’anno scorso alla riunione dei Naturalisti in Monaco potei già presentare una lista di 81 specie, appartenenti a 31 generi. I miei studi posteriori hanno aumentato di molto la serie, ed oggi si tro- veranno nella tavola II aggiunte 109 specie appartenenti a 38 ge- neri ; 68 specie sono nove, e 41 già conosciute di altre località, fra le quali 29 viventi, la metà nel Mediterraneo; 12 sono specie viventi e fossili parimente e 12 soltanto conosciute come fos- sili. Nella sua Microgeologia Ehrenberg ne ha figurate 31 specie (21 Polycystine proprie e 10 specie dei generi Dictyocha e Mesocena) provenienti di Caltanissetta ; di queste 19 specie fu- rono anche trovate presso Grotte. Riservandomi la pubblica- zione delle figure e diagnosi delle specie nuove, ho messo però nella tavola II tutte le Radiolarie trovate da me, e questa lista potrà riescire gradita puranche a tutti coloro ai quali 53 - 506 - finora furono mandate da me le piccole collezioni delle Radiolarie di Grotte. Oltre V indicazione della frequenza si trova nella tavola una colonna indicante se la specie in questione vive tuttora ed in quali mari (m significa il Mediterraneo, a altri mari), o sia estinta (+). Nella quarta colonna sono indicate le specie di Caltanissetta e la quinta registra le specie nuoye. Le citazioni si riferiscono alle opere seguenti: Microgeologia di Ehrenberg, 1854, Die Bacliolarien, di Hackel 1862, e alcune Memorie di Ehrenberg stampate nelle Abhandlungen dell’ Acca- demia di Berlino. Risultano dall’ elenco che presento alcuni fatti interessanti. Molte Radiolarie di Grotte, 27 per cento, vivono anche oggi in diversi mari, la metà nel Mediterraneo. Finora si conoscevano in generale poche specie nello stesso tempo viventi e fossili; a Grotte sonvene già 29. La fauna delle Radiolarie viventi e fossili fu studiata finora da pochi autori, principalmente da Ehrenberg, Hàchel, J. Miiller e Bailey, e sono persuaso che, quando saranno descritte le Radiolarie di molte località, si ve- drà, che moltissime Radiolarie fossili si trovano pure anche vi- venti; o almeno resteranno pochissimi generi che non sieno contemporaneamente viventi e fossili, principalmente quando si tratta di Radiolarie del periodo terziario. In Grotte almeno fu- rono già trovate delle Radiolarie appartenenti a famiglie, che finora si conosceva soltanto viventi. Così della grande famiglia delle Sponguridce non si conosceva alcuna specie fossile, mentre adesso ne sono note nove specie appartenenti a 7 generi. Della famiglia grandissima delle Discidce si conoscevano già diversi generi e diverse specie fossili, ma generi importantissimi come V Euchitonia si conoscevano soltanto viventi, mentre a Grotte sono frequentissimi e così diverse specie identiche con quelle viventi nello Stretto di Messina. Il genere Euchitonia è spesso talmente rappresentato a Grotte, che si potrebbe in qualche caso chiamare quel tripoli una massa di Euchitonie. Le località delle quali furono da me esaminati i tripoli, sono : Grotte , Cannetone, Stretto, Sinatra , Cozzo d’ Oro, Girgenti, Comi- tini, tutte della provincia di Girgenti; osservai anche alcuni tripoli della provincia di Caltanissetta. Da tale esame risulta, che la fauna delle Radiolarie muta non soltanto nelle diverse località, — 507 - mav che anche nella stessa località esistono diversità grandissime; cosi in un campione di Grotte non si trova quasi altro che Spon- guride e Discide mentre in un altro prevalgono le Ommatide e le Cyrtide. Il tripoli di Grotte pare anche non essere così ricco di Acanthodesmide come quelli di Licata e di Caltanissetta. Tra le 68 nuove specie di Grotte se ne trovano diverse ap- partenenti a nuovi generi e nuove sottofamiglie. Il nuovo genere Spongospira differisce dallo Spongocyclia per i giri a spirale; la nuova sottofamiglia delle Ommatodiscide comprende forme singo- lari che fanno il passaggio dalle Ommatide alle Discide. Secondo il Mottura si trovano nei tripoli anche degli insetti (larve di Libellula Boris) ; questo deve essere un errore ed a me non è riuscito di trovare insetti nei diversi tripoli esaminati, mentre esistono negli strati gessosi e marnosi della formazione solfifera propria, quantunque in generale di rado; così a Racal- muto. Quanto ai pesci il Mottura è d’ opinione che fossero prin- cipalmente lacustri ( Lebias crassicauda e Leuciscus Oeningensis). Certo è che tra la grande quantità delle impronte di pesci se ne trovarono anche moltissime lacustri, ma la pluralità delle specie consiste in pesci marini. A Licata Sauvage ha trovato 22 generi di pesci marini con 53 specie, e 3 generi d’acqua dolce con 22 spe- cie ; per cui conchiude essere il tripoli di Licata una formazione marina, e che i pesci d’ acqua dolce trovati in esso sieno stati tra- sportati nel mare da fiumi. Spero di potere fra poco dare una nota esatta non soltanto dei pesci di Cannetone, ma puranche un’altra nota dei pesci dei diversi strati della formazione sol- fitela propria, nota fatta da persona competentissima e che viene a comprovare le suddette conclusioni, e principalmente che il ge- nere lacustre Lebias si trova soltanto nella formazione solfifera lacustre, e mai nei tripoli. Dai pesci di Licata conchiude il Sau- vage inoltre, che allora esistevano colà delle isole, dalle quali i fiumi sboccavano in un mare profondo; un mare profondis- simo provano anche le Radiolarie. Non è cosa straordinaria il vedere sboccare fiumi direttamente in tali profondità; così il Gange, dopo avere percorso il suo esteso delta, sbocca diretta- mente in un vero abisso di mare. A ere rarità sono i resti vegetali trovati nei tripoli, descritti dal dottore Geyler (ved. TJeber fossile Pflanzen aus den obertertidren — 508 AUagerungen Siciliens. Palseontographiea, 1876): sono alcune alghe (. Algacites sp.), lo stelo di una graminacea, il Phragmites Oenin- gensis (?) Al. Br., e una foglia della Myrica sedicina Ung. sulla quale si trova un piccolo fungo ( Xylomites ). Le alghe dimostrano anche una formazione marina e in quanto alle piante terrestri, Geyler è d’ opinione che sieno state trasportate dalle piene dei fiumi in un placido seno di mare. Rimarchevole è la presenza della Myrica sedicina , essendo questa pianta, secondo Schimper, appartenente di solito a depositi terziari più antichi, mentre non fu trovata nè a Oeningen, nè a Sinigaglia, nè a Castellina marittima. La Myrica sedicina non è però un fossile caratteristico per un distinto orizzonte geologico, avendomi comunicato il profes- sore von Ettingshausen, che ultimamente essa fu anche trovata in terreni più recenti, come nel Sarmatiano. Siccome il tripoli sta sottoposto al tufo, così non può essere più recente di questo, e considerando la intima connessione tra tufo e tripoli, come abbiamo visto, anche il tripoli non si può consi- derare più antico del tufo. Appartengono dunque allo stesso piano geologico, vale a dire al Mediterraneo superiore, al Tor- toniàno.1 Fu già detto che esistono dei tripoli impregnati di solfo, per esempio, nella miniera di Sinatra. Questo fatto interessantissimo prova che il solfo fa deposito non soltanto nei terreni lacustri della vera formazione solfifera, ma già aveva cominciato a formarsi prima, sia durante la deposizione dei tripoli, sia con molta pro- babilità, subito dopo. Ne risulta, che già in questo periodo hanno cominciato le esalazioni solfidriche e le vere solfatare, in un periodo di certo più antico di quello degli Strati a Congerie (Messi- niano II) ; a questo ultimo piano però si debbono sempre attri- 1 Nella sua memoria: II calcare di Leitha, il Sarmatiano e gli strati a Congerie nei monti di Livorno , 1818 , il professore Capellini dice a pag. 13, che io ho sostenuto nella mia nota: JJeber die Radiolarien fauna der Tripolischich- ten von Grotte , Naturforscher Versammlung, 1811 , « che il tripoli di Grotte si abbia da considerare come sarmatiano, e ne ha dimostrato F intima connes- sione per la base con il Tortoniano superiore, e superiormente con la forma- zione gessoso solfifera, che in taluni casi egli pure ritiene referibile in parte al Sarmatiano. » Esiste qui per la prima parte un malinteso, avendo io già soste- nuto nella suddetta nota, che i tripoli fossero da considerarsi come apparte- nenti al Tortoniano. — 509 - buire i grandi depositi di solfo, mentre nel Sarmatiano (Messi- cano I) hanno incominciato ad apparire. Essendo il Sarmatiano una formazione marina o salmastra, così si dovrebbero trovare depositi di solfo (vanelle) d’ origine marina o salmastra pure in Sicilia ; così è infatti. Nella collezione di Palermo ho veduto dei fossili marini provenienti dai terreni solfiferi di Cattolica, come Corbula nucleus, Arca sp., Pinna? ; il dottore Nocito di Girgenti possiede da Cianciana una Ostrea e dei denti di Squalo, ed io medesimo tengo della stessa località e provenienti dalla miniera Montagna dei denti di Squalo e di Lamna. Riassumo finalmente le mie conclusioni. I tripoli come il tufo appartengono al Tortoniano e sono in generale depositi di mare profondissimo. Dopo la loro formazione cominciava il suolo a sollevarsi e contemporaneamente cominciavano le prime esalazioni di solfo; col tempo il mare divenne meno salato e da ultimo il suolo si era tanto elevato, che poterono formarsi laghi d’ acqua dolce e paduli, ' nei quali cominciavano a depositarsi le vanelle di solfo. Tutto il periodo del solleva- mento del suolo fu un periodo di continue perturbazioni, e per ciò il terreno fu molto fratturato. Finalmente venne una sosta, durante la quale si formarono le vanelle più estese ed i gessi lacustri sovrastanti. Dopo questa sosta il suolo si abbassava di nuovo, ed i trubi vi poterono depositarsi in mari più o meno profondi. Così i depositi di solfo si formarono durante tutto il periodo del Messiniano I (Sarmatiano), e del Messiniano li (Strati a Congerie) ed ebbero il loro più grande sviluppo nel Messiniano IL È anche possibile che i depositi di solfo non terminassero col Messiniano II, ma entrassero anche nel Mes- siniano 111, corrispondente al piano d’ acqua dolce di Bel- vedere. In ogni caso però, la formazione dei terreni solfi- feri ha avuto luogo durante il Messiniano di C. Mayer, piano mio-pìiocenico, secondo V autore, e nell’ intervallo che passò tra il miocene Tortoniano ed il pliocene Astiano. Il Fuchs (Die jiingeren Tertiàrbildungen des Wiener Deckens, 1877) non adottando i piani di Mayer, considera il Sarmatiano come mioceno supremo, ed il piano degli strati a Congerie, con gessi e solfo, come la base del plioceno. In fondo le divisioni dei due autori sono le stesse, e T unica differenza è, che secondo il — 510 — Fuclis il miocene termina col piano Sarmatiano, mentre secondo Mayer termina col Tortoniano e col Sarmatiano comincia il piano mio-pliocenico, il Messiniano. Per la geologia di Sicilia la divi- sione di Mayer mi pare molto conveniente, perchè sono compresi in tal modo, in un solo piano tutti i depositi di solfo, salmastri e lacustri, il cui deposito cominciò col sollevarsi del suolo dopo il periodo tortoniano. Dai trubi sovrastanti al vero terreno solfìfero, il Seguenza ha preso argomento pel suo Zancleano, limitandolo alla epoca plio- cenica, perciò totalmente differente dal Messiniano di Mayer. Il Fuclis considera i trubi come una facies della formazione subap- pennina depositata in mari profondissimi, e come tali apparter- rebbero all’Astiano : in favore di questa maniera di vedere militano molte circostanze, ed è principalmente convalidata da ciò che in Sicilia si chiuderebbe in alto il Messiniano coi terreni solfiferi lacustri. Inoltre non si può trascurare il fatto che alcune volte, come presso Girgenti, i trubi si trovano in perfetta concordanza coi terreni del vero Astiano, e in tal modo che una separa- zione precisa non riesce possibile. Ma questo non accade dap- pertutto, trovandosi invece per lo più i trubi in discordanza coi sovrapposti strati dell1 Astiano ; oltre a ciò i trubi sono assai strettamente connessi coi veri terreni solfiferi, mancando essi quasi mai al disopra di questi. Per tal motivo io li ho lasciati per ora nel Messiniano, come appartenenti al piano III. Il Messi- niano III consiste altrove in depositi d’acqua dolce, mentre i trubi, d1 origine marina, sarebbero in tal caso Y equivalente ma- rino, finora sconosciuto, di altre località. L1 anno scorso però il Mayer ha richiamato P attenzione sugli strati marini di Matera in Basilicata, rappresentati da depositi calcarei marnosi bianchi e friabili ( Bulletin de la società géol. de France, juillet) e li ha dichiarati equivalenti del Messiniano III. ( Seguono gli elenchi.) I. ELENCO DEI FOSSILI TROVATI NEL TUFO DI STRETTO. NOMI. A. — FORAMIJUFEEI. Lagena clavata D’ Orb. . . . » apiculata Rss. » marginata Walk » vulgaris Williamson .... » striata Seg » ellipsoidalis Schwag Fissurina JBouei Karrer Nodosaria raphanistrum L. . . » óbliqueco stata Silv » monilis (Sold.) Silv » scabriuscula Costa » Adolphina D’ Orb » hispida D1 Orb. ........ » Murice D’ Orb. ........ » elegans D’ Orb » farcimen Silv » Ehrenbergi Ngb » Gemizi Ngb » Beussi Ngb » spec » solata Rss » gemina Silv » conica cf. Sold » tympaniplectiformis Schwag. » longicauda D’ Orb » Hòrnesii Ngb » calamus Silv » marginuloides Silv » antennula D’ Orb » cf. rudis D’ Orb . . » consobrina D’ Orb » gracilis Costa Stcehri Schwag spec clavulceformis Schwag. Erbessina Schwag. . . splendidula Schwag. . SP SINONIMI e OSSERVAZIONI. Oolina clavata I)’ Orb. Ampho- riua gracillima Seg anche nel terreno oligoceno, e nel Gauli . Oolina compressa D’ Orb cf. Phyalina propinqua Seg. . . Ovulina striata Seg. ....... sp. n., vedi Schwager, n. 1, fig. 1 1 Si trovano Baden, Lapugy Dentalina elegans D’ Orb. . . Baden, Lapugy Baden, Lapugy Baden, Lapugy an sp. n. an varietas? aff.Reussi Pitzpuhl, oligoceno non Neugeboren Kar^ Nicobar, terreno neogeno . sp. imperfecte costata Silv. . . Baden, Lapugy Dentalina antennula D’ Orb. . . Dentalina consobrina D’ Orb. . Pai. XII, 26, figurata senza dia- gnosi nè località sp. n. vedi Schwag. n. 2, fig. 2. . sp. n. vedi Schwag. n. 3 diagnosi, sp. n. vedi Schwag. n. 5, fig. 4. . sp. n. vedi Schwag. n. 4, fig. 3. . sp. n. vedi Schwag. n. 6, fig. 5. . sp. n., frammento interessante, vedi Schwag., n. 7, diagnosi. Segue. . . . 1 — 1 — 1 — — H~ 1 — i . 1- 1 lì— 1 1 — 1 — -+- H- 11 17 Le citazioni si riferiscono alla nota dello Schwager, i Foraminiferi nuovi del tufo di Stretto 17 1316 — 512 — Numero progressivo, j NOMI. Frequenza. SINONIMI e OSSERVAZIONI. s © © © .2 p< 'S : s* ;i troTano ; © ; '2 3 a * 3 O £ rs u +s - o © M - fi 53 .3 © O > > J f c Riporto. . . . 11 17 17 5 1316 39 Glandulina Icevigata D’ Orb. . . . 5 — 1 1 1 1 40 » extensa Schwag. ....... 5 sp. n. vedi Schwag. n. 8, fig. 6. . I — — — — 41 Lingulina costata D’ Orb. ..... 4 ] 42 Frondicularia cf. Lapugensis Ngb. 4 Lapugy. rr j-j — 1 — — 43 » cf. venusta Ngb 5 Lapugfv. rr 1 44 » speciosa Ngb 5 Lapugy. rr !— __ 1 _ — . 45 » compressa Costa ........ 5 _■ 1 ; 46 Dentalina Bouei D’ Orb. ..... 5 1 ! 1 _ 47 Citharina italica Cost 4 Yaginula italica Costa — 1 r |- 48 Pullenia bulloides D’Orb 3 Nonionina sphseroides D’Orb. . ì 1 i 1 — 49 » falx Czk. 3 Nonionina falx Czk.’ 1 i 1 50 » compressiuscula Rss. 5 var. quinqueloba Rss., Wieliczka, Septarienthon, Tegel di Grin- J zmg. — — - i 1 — + 51 Marginulina limitanea Schwag. . 5 sp. n. vedi Schwag. n. 9, fig. 7 . — ___ __ — ! 52 » hirsuta, TV Orb- , 4 1 i — ! i ! 53 » raphanus L. ......... . 4 1 ? l 54 » italica Dfr 5 Cristellaria italica D’ Orb. . . . — 1 ì — 1 _ 55 » turgidula Costa 5 Nodosaria turgidula Costa . . . i — _ — 56 » regularis D’ Orb . 5 — 1 i — — -T- 57 » compressa Costa r . 5 ì i — 58 » perornata Schwag 4 sp. n. vedi Schwag. n. 10, fig. 8. — i „ — — 59 Cristellaria Josephince D’ Orb. . 4 __ i _4_ 60 Routtt.tva /mitrata TI’ Orb. , . . 3 i 1 i l 61 » similis TV Orb , , , , 4 i 1 i 62 » intermedia TV Orb 4 1 i 63 » A rim.inensis TV Orb. .... 5 1 i _U 64 » inornata, TV Orb 4 i 1 i il !_J -4-1 65 » simplex D’ Orb 5 forma di Girgenti ; non trovata ! I a Stretto ì 1 i i rf 66 Polymorphina gibba D’ Orb. . . . 5 ì — i i T JL — 67 » com, unis TV Orb. . . 5 i ? 1 Ì 68 » lanceolata Rss . 5 Guttulina lanceolata Rss., Offen- bach, Pitzpuhl nel Septarienth. — — — l' — -4- 69 Uvigerina pygmcea D’ Orb 4 ì 1 i l! ! 1 — | 70 » semiornata D’Orb. ...... 2 Nussdorf. (bacino di Vienna) non Baden — — — : __ 71 » asperula Czk . 4 cf. Uvig. hispida Schwag. Kar Nicobar — 1 i —1 — — 72 » baccalis Schwag 5 sp. n. vedi Schwag. n. 11, fig. 9 . — — — — — — 1 73 Bulimina Buchiana D’ Orb. . . . 4 ì 1 i — T — 74 » tenera Rss 5 Wieliczka, Salzthon. — — 1 — 75 » cf. pyrula D’ Orb . 5 1 i -H 76 » spec 5 sp. n. vedi Schwag. n. 12, diagnosi — _J i „ 77 » pupoides D’ Orb 5 ì 1 i 1 — 78 » spec 5 sp. n. vedi Schwag. n. 13, fig. 10 — — — 79 Sphaeroidina austriaca D’Orb. . 3 i 1 i 1 -- -4- 80 Pulvulina Partschiana D’ Orb. . 4 Rotalina Partschiana D’ Orb. . . ì 1 i 1 — ! -4- ì 81 » auricola F. e M 5 Rotalina auricula F. e M. ... i 1 i — 1 82 » cordiformis (Cost.) Rss. . „ . 5 Valvulina cordiformis Costa, Wie- liczka, Lequile presso Lecce. — — — 1 i 4- Segue. . . . 26 41 tójiejjaejfl — 513 — NOMI. » saclicirinaria Schwag. . . » anomala Schwag » indistinta Schwag i * Agrigentina Schwag. . . . ’runcatulina Dutemplei Rss. » spec » Schreibersi Rss » cf. peraffinis Costa .... uifOMALiNA austriaca D’ Orb. . , » rotula D’ Orb lanulina Ariminensis D’ Orb. * Wiillerstorfì Schwag fphonina fimbriata Rss extilaria prcelonga Czk. . . . olivina antiqua D’ Orb » cenariensis Costa » peregrina Schwag eussia levigata Schwag ìilostomella oolina Schwag. APLOPHRAGMiUM crassum Rss. . jAvulina comunis D’Orb. . . . » spec » triquetrum Rss ìECanium palum Czk » corrugatum Costa » aratriforme Schwag iroloculina tennis Czk Totale dei Foraminiferi . . . . B. — CORALLARIX. ratotrochus simplex Seg. . . . abellum Boyssianum M. Ed. . 3 specie indeterminabile . . . . C. — ECHINODERMI. immenti di piccolissimi aculei. B. — MOLLUSCHI. [ìLepoea rosala Rss Rotalia Soldani D’ Orb Orbulina universa D’ Orb. . . Globigerina bulloides D’Orb. . Discorbina Ungeriana D’Orb. . » subaequalis Costa SINONIMI e OSSERVAZIONI. Boueana D’ Orb 4 Riporto. . Rotalina Ungeriana D’ Orb. . . Pai. XXII, 18, senza diagnc si nè località forma di Girgenti, non trovata a Stretto Kar Nicobar, neogeno sp. n. vedi Schwag. n. 14, fig. IL SP* n- vedi Schwag. n. 15, fi g. 12 sp. n. vedi Schwag. n. 16, fig. 13 Si trovano .2 i > w sp. n. vedi Schwag. n. 17, diagnosi Pai. IL Tav. XXII, 17, figurata senza diagnosi nè località . Kar Nicobar, neogeno . Brizalina amariensis Cost. Ischia, sp. n. vedi Schwag. n. 18, fig. 14. sp. n. vedi Schwag, n. 19, fig. 15. sp. n. vedi Schwag. n. 20, fig. 18. Wieliczka, Salzthon sp. n. vedi Schwag. n. 2*1, diagn.* eoceno Textilaria pala Czk. ...**. ! !' ! Textilaria corrugata Cost. . .* sp. n. vedi Schwag. n. 22, fig. 17. ne fu trovato un solo esemplare. Specie nuove 23 2641 1!— Il 1 — 1 — 1 — — 1 1 — 1 1 iH 1~ l-li __L 1-1 1 — 9 _ 1 - 35|54[63|24|[38j'52| - Tegel di Baden | + frammenti 1 4- 1 4-1 Segue. 514 — Numero progressivo. NOMI. j Frequenza. 1 \ SINONIMI e ANNOTAZIONI. Marno di Baden. Vivente. Biporto. . . . fi T\ 1 ; — ~ 2 Coltjmbella nassoides Bell 5 si trova dall’ Elveziano I fino al- T Astiano II 1 3 Cancellaria mitrceformis Broch. . 4 nel plioceno e mioceno d1 Italia, con- H I i chiglia caratteristica pel Tortoniano. i !h~ 4 Buccinum semistriatam Brocchi. . 3 si trova dal Tortoniano fino all’ Astia- no II e vivente i ì- 5 Ttjootttts sp 5 _ . 6 Corbula gibba Olivi 5 3a,l Tori forieri in poi e vivente i ì- 7 Pecten cristatus Bronn 5 Elveziano I, Messiniano, Astiano. . . 1 ih" 8 » spinulosus Mùnster 5 dall’ Elveziano I sino all’ Astiano I. Conchiglia caratteristica delle mar- ne di Baden i — - 9 Ostrea cochlear Poli 3 dall’ Elveziano in poi è vivente. . . . i i- E. — ENTOMOSTEACA. i | 1 Cttttartna dilafp.f,a T?,ss 4 1 1— H F. — PESCI. 1 Hemithyrsites spec 3 denti piccolissimi — — 2 Siphonostoma Albyi Sauv 4 !; -« G. — PIANTE. 1 Furcellakia specie 4 aff. Furc. lumbricalis Ktz. Alga marina — — | ’ 2 Potamogeton geniculatum var. gra- Trasportato dai fiumi. Si trova anche e cile M. Br 5 nel gesso solfifero 3 Frammenti di legno 4 Trasportato dai fiumi — 1 — , •il IL ELENCO DELLE RADIOLARIE FOSSILI DEL TRIPOLI DI GROTTE. Conosciute NOMI. ] Frequenza. © sa © > > Fossile. | di ' Caltanisetta. , Specie nuova. L — SPHAERIDA (Ommatida ec). 1. — Monosphaerida. Cenosphaera Plutonis Ehr 2 a » solida sp. n 5 — — 1 » acanthica sp. n 5 — — — 1 2. — Disphaerida (Haliommatida). Ialiomma modestum sp. n 3 — — 1 » cf. notile Ehr 4 — -f- » cf. hexacantlium Muli 3 m — » Tiorridum sp. n 2 — — — 1 » asperum sp. n 4 — — — 1 » infundibiliforme sp. n 5 — — 1 » Erbessinum sp. n 5 — — 1 » ellypticum sp. n 5 — — — 1 » ( Stylosphaera ) hispidum Ehr. . . 4 m 4~ — — » » dixyphos Ehr. . . 4 — + 1 — Ieltodiscus grottensis sp. n 2 — — — 1 » Humboldti (Ehr.) Hack 5 — 4- chizomma ( Tetrapyle ) quadriloba Ehr. 5 a — — — )mmatospyris entomocora Ehr 5 — -t- 1 — •mmatocampe trinacria sp. n. . . . 3 — — — 1 » increscens sp. n 3 — — — 1 . — Polysphaerida (Actinommatida). -Ctinomma Medusa Ehr 2 a 1 — » tetracantha sp. n 2 — 1 » aequorea Ehr 1 a 4- 1 » daturaeforme sp. n 2 — — 1 » hexactis sp. n 5 — — 1 » aculeatum sp. n 4 — _ 1 » Schioageri sp. n 2 — — __ 1 » entactinia Ehr. 5 — 4- — » crenatura Ehr 4 — 4- 1 » anomalum sp. n 5 1 » rotula sp. n. . . » triplex Ehr 4 — 1 5 a » deforme sp. n 5 — — 1 » ellypticum sp. n 2 — — — 1 » fenestratum sp. n 3 — — — 1 Segue. . . . 1 7 9 1 5 1 21 ANNOTAZIONI. Microgeologia XXXV, 13, 20. Microgeologia XXVII, 6. cf. Haliomma castanea Hack. Microgeol. Tav. XXXVI, 26. Microgeologia Tav. XXIX, 31. Microgeol. Tav. XXXVI, 27. Abhandl. 1872 Tav. X, 12, 14. Microgeologia Tav. XXII, 32. Microg. Tav. XX, 21, 22, XXI, Microg.Tav.XIX, 51; XXII, 31. Abhandl. 1875 Tav. XXVI, 4. = Haliomma. icrogeologia Tav. XXII, 36. = Haliomma. — 516 — Numero. N 0 M I. | Frequenza. Co CD t> > | Fossile. : | Caltanisetta. ) | Specie nuova. ANNOTAZIONI. Biporto. . . . . . 7 9 5 21 35 Crommyomma micropora sp. n. . 4 — ■ — — 1 36 » ? perplexum sp. n. ........ IL — CYRTIDA. 1. — Monocyrtida. 5 1 37 Corretele a ? aff. quadr afelio Ehr. . 5 — — — ? 38 Cyrtocalpis cassis Ehr 4 — + 1 — Microgeologia Tav, XXII, 3q 39 » amphora Hack. 3 m — — — Radiolarien Tav. V, 2. 40 Carpo canium calycothes sp. n 3 — -- — 1 aff. Carpocanium diadema Hai 41 » py riforme sp. n 5 — — — 1 42 » campanula sp. n 2. — Zygocyrtida. 3 1 ' Microg. Tav. XXII, 37. = Ce ratospyris radicata. 43 Petalospiris radicata (Ehr.) Hack. . 4 — 1 — 44 » seminolum sp. 5 — — — 1 X 45 Ceratospyris Muìleri sp. n 5 — — — 1 Abhandl. 1872 X, 15. 46 » pentagona Ehr 5 a — — — 47 Dictyocephalus obtusus Ehr 3 — 4- 1 — Microg. Tav. XXII, 40. = Lo}| phophaena obtusa. 48 Lophophaena galea Orci Ehr 5 a — — 1 49 Anthocyrtis Éhrenbergi sp. n 3. -- Sfcichocyrtida. 3 , 50 Dictyomitra punctata Ehr 3 — . + 1 — Microgeologia Tav. XXII, 24[ 51 » lineata Ehr 3 a “i" 1 — Microgeologia Tav. XIX, 54 XXII, 26 ; XXXVI, 6. 52 Eucyrtidium auritum Ehr 5 a + 1 — Microgeologia Tav. XXII, 2ot 53 » acuminatum Ehr 4 m 4- 1 — Microgeologia Tav. XXII, 7. 54 » elongatum sp. n 3 — — — 1 55 » raphanus sp. n 3 — — — 1 56 » infraaculeatum sp. n 5 — — — 1 57 » incassatura sp. n 3 — — — 1 58 » acutatum sp. n 5 — — — 1 59 » lagena sp. n . . „ 5 — — — 1 Microgeologia Tav. XXII, 23 60 Lithocampe radicala Ehr '2 — -+- 1 — 61 » compressa sp. n 5 — — — - 1 62 » subligata sp. n 4 — — — 1 63 » eminens sp. n 2 — — — 1 64 » fimbriata sp. n 4 — — — 1 65 Pterocanium bibracliiatum sp. n. . . . 4 — — — 1 66 » falcifórmi sp. n III. — SPONGURIDA. 1. — Spongodiscida. 5 1 Microg. Tav. XXXV, B; iv, 16 67 Spongodisctjs resurgens Ehr 1 a — — > — 68 » mediterraneus Hackl 1 m — — Radiolarien Tav. XII, 14, 15 69 Spongotrochus craticulatus sp. n . . 4 — — — 1 70 Dictyocoryne Agrigentina sp. n. . . 3 — — — 1 71 » pentagona sp. n 4 — — — 1 Radiolarien Tav. XXVII, 1. 72 Spongurus cylindricus Segue. . . . 3 m 16 17 13 45 - 517 - Conosciule - — NOMI. ì i 03 N 0 ® 0 C* © u ® a © > > © *C/2 Tfl o c3 ■4-3 © yi S *3 c3 o ce t> o 0 0 •® o ® p. T/l ANNOTAZIONI. Biporto. . . . 2. — Spongosphaerida. 3 Spongosphaera ? sp 4 3 4 3 q 16 17 13 45 ? soltanto frammenti di aculei. genere nuovo. Radiolarien Tav. XXIX, 1. RorlinloT»!'^ HPo tt YYTY Q 3. — Spongocyclia, i Spongocyclia triangularis sp. n. . . . d Spongcspyra fllorealis gen. et sp. n. IV. - DISCIDA. 1. — Trematodiscida. 3 Trematodiscus orbicuìatus Hack. . . r » heterocyclus Hack m — — 1 1 ] » concentricus Ehr Q \ - Jtiaaioiarien ±av. A Al A, o. Microg. Tav. XIX, 61 ; XX, 40. ) » ellypticus sp. n Q 1 ) » micropor a sp. n A 1 1 . Perichlamydeum limbatum Ehr. . . . ì » praetextum Ehr 3 q a -t- -4- 1 i 1 Microgeologia Tav. XXII, 20. Microgeologia Tav. XXII, 21. : » spongiosum sp. n K A 1 1 » aeguale sp. n. A Rhopalastrum lagenosum Ehr » pistillum sp. n 3 A a + 1 1 1 1 1 Microgeol. XIX, 60; XXII, 22. Stylactis triangulus Ehr Euchitonia acuta sp. n 2 5 a — — Abhandl. 1872 Tav. Vili, 9. aff. Pteractis elegans Ehr. » Zitteli sp. n X » Guembeli sp. n o J. 1 » Leydìgii Hack Ci 2 m Radiolarien Tav. XXXI, 4, 5. » anomala sp. n 4 Il V 1 » Miilleri Hack 1 5 /yyì. 1 Radiolarien Tav. XXX, 5-10. » cruciata sp. n HO 1 1 1 1 1 1 1 2. — Discospìrida. E Discospira helicoides Hack » densispiralis sp. n 3 3 m „ Radiolarien Tav. XXIX, 7. aff.Perichlamydium spirale Ehr. » accrescens sp. n. . 4 f » duplex sp. n 4 4 aff. Stylodictya setigera Ehr. aff. Stylodictya bispiralis Ehr. Famiglia nuova, genere nuovo. f » bilix sp. n 3. — Ommatodiscida. ! Ommatodiscus Hàckeli g. sp. n. . . . » laevigatus sp. n. . . .A 2 3 1 » decipiens sp. n 4 » } » fragilis sp. n 5 i » V. — ACANTHODESMXDA. i Dictyocha fibula Ehr » Messanensis Hack 1 » aculeata Ehr j » corona sp. n * Mesocena triangularis Ehr ^ » annulus sp. n 3 4 4 5 5 3 m m a + + 1 1 1 i 1 1 » Microgeologia Tav. XXII, 42. Radiolarien Tav. XII, 3, 6. Microgeologia Tav. XXH, 48. Microgeologia Tav. XXII, 41. Totale. . . . • . 29 j : 24 19 68 41 ; — 518 - _ Numero. NOMI. C< d i > > moscii 6 *U2 m di 1 5T j Caltanisetta. / | Specie nuora. i ANNOTAZIONI. Riassunto. 36 Sphaerida. . . 3. Monosphaerida . . . . 1 — — 2 16. Disphaerida 3 5 2 9 17. Poìy sphaerida .... 3 4 3 12 30 Cyrtida .... 6. Monocyrtida 1 1 1 4 7. Zygocyrtida 2 2 2 3 17. Stichocyrtida 3 5 5 12 9 Spongurida . . 6. Spongodiscida 3 — — 3 1. Spongosphaerida . . . — — — 1 2. Spongocyclia — — 2 28 Discida 19. Tremato discida . . . . 9 4 3 IO 5. JDiscospirida 1 — — 4 4. Ommatodiscida .... — : — — 4 6 Acanhtodesmida 3 3 3 2 109 29 24 19 68 sp. viv.nel mare mediterraneo 1* » in altri mari li — 519 Y. Nota su alcuni Foraminiferi nuovi del tufo di Stretto presso Girgenti, per Corrado Schwager. La maggior parte dei Foraminiferi trovati dal signor inge- gnere di miniere Stohr 1 nel tufo terziario di Stretto in Si- cilia, consta di specie già conosciute, ma tra essi si trovano anche forme finora ignote e non descritte, che sono assai inte- ressanti e meritevoli di esser descritte e figurate. Prima di dare queste descrizioni stimo opportuno di esprimere la mia convin- zione che sarebbe molto conveniente una più ampia separazione delle specie, essendo in tal modo soltanto possibile di caratte- rizzare paleontologicamente con esattezza i diversi strati. I. — Foraminiferi porosi puramente calcarei. A) Loggie disposte in una sola linea ed in un piano. 1. — Lagenoidea. 1. — Lagena ellipsoidalis mihi. (Y. la tavola annessa, fig. I; nota Stohr, N. 6). — Tra le molte e diverse forme di Lagena, pubblicate dal Seguenza come provenienti dalle argille di Caltanis- setta, non posso trovare alcuna forma che sia a questa identica. La nostra specie ha in generale una forma leggermente ellis- soidale, in pochi esemplari alquanto assottigliata verso V alto, avvicinandosi così alla Lagena pyriformis Costa. L’ apertura in- distintamente rigata sta attaccata sopra di una punta distinta abbastanza grossa. Anche la parte opposta porta una punta ma breve e sottile. Dimensione massima della conchiglia 0. 2 mm. Come forme più vicine si possono considerare la Lagena pyriformis Costa, della quale differisce per i suoi contorni, e la Lagena inornata D’ Orb., alla quale manca però la punta inferiore. 1 Vedi la nota precedente : Stoehr, Sulla posizione geologica del tufo e del tripoli nella zona solfifera di Sicilia, ove si trova la serie completa dei forami- niferi del suddetto tufo. A quella nota si riferiscono le citazioni della presente. — 520 — 2. — Rhabdoidea. 2. — Nodosaria Stòhri, m., fig. 2, (nota Stohr N. 33). — Di questa specie non furono trovati che pochi frammenti, ma di forma così caratteristica, da giustificare la introduzione di una nuova specie. Il frammento più grande consta di cinque loggie, che a poco a poco verso 1’ alto aumentano in grandezza ; la loro altezza supera di molto la lunghezza, per modo che può divenire quasi il doppio. Le loggie sono divise da suture poco profonde. Lungo tutta la conchiglia scorrono da sei a otto coste longitudinali, in forma di tetto, che di rado si moltiplicano per frapposizione; è notevole che il loro margine esteriore scorre quasi perfettamente parallelo ai contorni della conchiglia. L’ aper- tura è piccola e sottilmente striata. Dimensione massima della conchiglia 1, 7 min. Tra le forme conosciute si può paragonarla principalmente alla Nodosaria decemcostata Egger, la quale però ha loggie più lunghe e le coste in numero minore e molto più rialzate. 3. — Nodosaria, sp. nova, (nota Stohr, N. 34). — Forma breve, trovata in pochi esemplari soltanto. E formatà da quattro loggie al più, ed è un fatto caratteristico che la loggia embrio- nale globosa ha quasi la stessa grandezza della piriforme loggia finale, mentre le loggie intermedie sono invece più piccole. Super- ficie liscia, l1 orlo della apertura con scalfitture in forma di raggi. 4. — Nodosaria Erbessina, m., fig. 3, (nota N. 36). — Forma tipica, che pare non essere tanto rara nel tufo. Varia molto quanto alla sveltezza o grossezza della conchiglia, così che a prima vista si potrebbe credere di vedervi differenti forme ; però la sua organizzazione architettonica resta sempre ugualmente ordinata, così che la specie è sempre facile a riconoscersi. La con- chiglia è allungato-conica con lati alquanto turgidi. Le loggie crescono rapidamente verso P alto, le suture disgiuntive sono in principio totalmente piane, e soltanto tra le ultime loggie di- vengono profonde. Caratteristica è la forma paraboloide dell’ ul- tima loggia. La loggia embrionale è relativamente grande, ot- tuso-rotondata, più o meno distintamente strozzata. Lungo tutta la conchiglia scorrono sottili e bassi listelli longitudinali assai — 521 — distanti V uno dall’ altro, che verso V alto si moltipjicano per frapposizione. Dimensione massima della conchiglia 0. 6 mm. La specie fu denominata dall’ antico Erbessus che occupava il posto dell’ attuale abitato di Grotte. 5. — Nodosaria clavulceformis , m., fig. 4, (nota N. .35). — Forma breve, accorciata, alquanto ricurva, bene caratterizzata per la sua figura. Le loggie assai convesse, principalmente nella parte superiore, sono riparate da profonde suture e cre- scono in larghezza a poco a poco e proporzionalmente. La loggia finale rotondata porta al suo termine troncato 1’ apertura piuttosto grande e striata. La loggia embrionale non differisce molto dalle altre ; è troncata di sotto e porta un piccolo bot- tone centrale. Tutta la conchiglia è coperta da sottili listelli longitudinali, e nello stesso tempo da sottili listelli alquanto obliqui. Dimensione massima della conchiglia 1 mm. 6. — Nodosaria splendiduìa, m., fig. 5, (nota N. 37). — Forma svelta, curvata a modo di Dentaìina, liscia, con guscio sottile. La forma delle loggie è discernibile soltanto dalle septe traslucenti. Le loggie sono un poco più alte che larghe, lenta- mente crescenti ; la loggia embrionale è più grande della succes- siva, con forma quasi ellissoidale. Apertura sottilmente striata. In generale la nostra specie rassomiglia molto alla Dentaìina Koninghi var. tumida di Reuss, dalla quale però si distingue per la posizione degli spartimenti delle loggie, per la loggia embrionale liscia, e per la sua grandezza. Dimensione massima della conchiglia 1, 1 mm. 7. — Nodosaria sp. n. (nota N. 38). — Di questa forma, bella e grande, fu trovato soltanto un grosso frammento. La specie è molto bene caratterizzata per la sua loggia embrionale, gonfiata e brevemente appuntata verso il basso, come pure per le poche coste ascendenti spirali in forma di tetto, ma non è possibile darne una caratteristica esatta, prima che siensi tro- vati individui intieri. 8. — Glandulina extensa, m., fig. 6, (nota N. 40). — Ap- partiene ad un gruppo di forme che stanno in qualche modo framezzo tra le Nodosarie e le Glanduline, essendo le loro loggie non così perfettamente abbraccianti come nelle Glanduline tipi- che, e non così apertamente visibili come nelle vere Nodosa- 34 - 522 - rie. La conchiglia è abbastante breve, formata da tre a quattro loggie rapidamente crescenti, le quali in principio sono liscie e si uniscono senza interruzione, per venire poi separate da su- ture profonde. L’ apertura è grande e circondata da incisioni in forma di raggi, per le quali 1’ orlo della apertura ha 1’ aspetto quasi di una palizzata. Il guscio è passabilmente grosso, liscio e lucente come nelle Glanduline tipiche. Una forma assai vicina a questa è la Glandulina elongata Bornemann trovata a Hermsdorf ; in essa però tutte le loggie si riuniscono in modo liscio. Dimen- sione massima della conchiglia 0. 5. mm. 3. — Cristellaroidea. 9. — Marginulina limitanea, m., fig. 7, (nota N. 51). — Specie semplice ma in parte molto caratteristica. La conchi- glia è breve, ottuso-acuminata in basso, con punta alquanto elongata ed ornata di sottili costelle ; oltre di ciò il guscio è liscio e lucente. Tutte le pareti settali delle loggie crescenti ra- pidamente verso T alto, sono quasi parallele, e così la specie si avvicina molto in apparenza ad una forma giurassica la Margi - niilina flaccida Schwager, della quale però si distingue per la maggior grandezza e per la sezione quasi perfettamente roton- da; è anche affine alla Marginulina similis D’Orb., ma questa possiede setti convergenti. Dimensione massima della conchi- glia 0. 4 mm. 10. — Marginulina perornata, m., fig. 8, (nota N. 58). — Le loggie primitive di questa bella specie sono quasi comple- tamente ravvolte in modo cristellaroide ; prima però che si chiuda totalmente il giro, comincia il passaggio al successivo, nel quale le loggie divergono pochissimo a forma di ventaglio. La parte primitiva, cristellaroide a spigoli acuti, in parte quasi a forma di ali : il resto della conchiglia presenta una sezione elittica assai schiacciata. Le loggie abbastanza basse sono in principio piane, poi più o meno ricurve ; scorrono su tutte dei sottili listelli longitudinali, che in parte si moltiplicano verso P alto per intercalazioni, in parte scorrono anche alquanto obli- quamente. La punta della apertura assai grossa si eleva dal piano settale poco .ricurvo, in forma di camino. La nostra specie — 523 — si avvicina alquanto alla Margimdina itàlica Costa, dalla quale però differisce per le loggie embrionali carenate. Dimensione massima della conchiglia 1, 1 mm. B) Loggie disposte in una sola linea ed a spira. 1. — POLYMORPHINIDEA. 11. — Uvigerina bacealis, in., fig. 9, (nota N. 72). — La specie si accosta molto per il suo portamento generale alla TJvigerina gradite, Rss., dell’ oligoceno, ed anche di più alla Uvigerina hispida, Schwag. del terziario superiore di Kar Nico- bar, specie tutte che possiedono loggie quasi globose, disposte in una spirale rapidamente crescente in altezza ; ne diffe- risce però essenzialmente per 1’ ornamentazione superficiale. Mentre le suddette specie hanno una superficie spinosa, si ve- dono nella nostra delle liste perpendicolarmente scendenti, e for- manti sopra ciascuna loggia in certo modo un sistema indipen- dente, per maniera che verso la base della loggia le liste si di- vidono, ed i rami formatisi così, si riuniscono poi più in basso alla metà del loro intervallo. Parimente corrono poi le liste so- pra la prossima loggia più vecchia, dividendosi e riunendosi come in precedenza. L’ apertura è circondata da una stella di fissure e si trova al. termine della punta che si alza a poco a poco della loggia terminale in forma di proboscide ; non possiede affatto P allargamento in forma di tromba, il quale è caratteri- stico della Uvigerina asperula , Czk. e della Uvigerina pygmaea , D’Orb., forme che sono più vicine alla nostra. La nostra specie rassomiglia anche alquanto alla Uvigerina striatella, Rss., del- V alta Slesia, ma P ultima è molto più grossa e possiede delle strie più fini e più irregolari. Dimensione massima della con- chiglia 0. 6 mm. 2. — Buliminidea. 12. — Bidimina sp. aff. pupoides, D’Orb,, fig. 10a (nota N. 76). — La specie s’ accosta molto per la sua parte superiore piri- forme, per la sezione rotondata e per la superficie liscia e lu- cente del guscio alla Bulimina pupoides, D’Orb. Soltanto le — 524 - loggie primitive distintamente separate, sporgenti in forma co- nica, quali non si vedono nelle JBuìimina pupoides tipica lasciano in dubbio se questa forma sia da riunirsi con la specie ora indicata. Dimensione massima della conchiglia 0. 4 mm. 13. — Bulimina sp., fig. 10b (nota N. 78). — Esistono al- cune, e come pare costanti diversità di non poco rilievo, che mi lasciano in dubbio se la nostra forma sia da unirsi o no alla JBuìimina infiala Seg., o puranche, se non è una specie nuova, sia da identificarsi con quella descritta e figurata da Williamson come JBuìimina pupoides var. marginata. Differisce però già per la sua piccolezza della forma nicobarica (la iden- tità della quale colla JBuìimina inflata, Seguenza, mi pare però oggi alquanto dubbiosa). La nostra specie assume un carattere molto particolare per V inclinazione in forma di tetto delle log- gie, le quali sono molto più acute che nelle forme vicine, e per- chè la parte inferiore primitiva in forma di zaffo, è più conico- appuntata. Inoltre la specie è di rado così spinosa, nemmeno con approssimazione, come la forma figurata dal Seguenza. 3. — Globigerinidea. 14. — JDiscorbina anomala , m., fig. 11, (nota N. 90). — Per quanto mi fu possibile di esaminare la costituzione del guscio, la specie è una vera Discobrina ; essa riproduce però molto nella sua figura generale V apparenza di alcune vere Ro- taline. La parte ombellicale di questa forma lascia vedere otto o nove loggie, separate da setti semplici, radiali, quasi di- retti ; in questo lato le loggie sono anche gonfiate e verso il mezzo dell’ orlo settale un poco compresse. L’ ombellico è riempito da una grossa callosità. Nel lato della curvatura, eh’ è il più alto e rotondato, si trovano quattro o cinque giri assai vicini V uno all’ altro, ognuno dei quali è per sè po- chissimo ricurvo ; nello stesso lato, i setti sono alquanto cur- vati, ripiegati molto in dietro, e bene discernibili quasi fin alla loggia embrionale ; così pure in questo lato i pori sono assai grandi e più facili a vedersi che nel lato ombellicale. Il guscio in generale è grosso e inegualmente lenticolare con orli roton- dati. L’ apertura è breve, semilunare, munita di orli alquanto - 525 - elevati; essa si trova alla base del piano settale dal lato om- belicale, toccando la periferia dell’ ultimo giro con un suo ter- mine. Dimensione massima della conchiglia 0.3 mm. 15. — Discorbìna indistincta, m., fig. 12, (nota N. 91). Forma elegante che si accosta al sotto genere Planulina per lo schiacciamento del guscio, ma non può collocarsi colà princi- palmente pel poco sviluppo della fascia periferica. Il guscio è molto schiacciato e Cuticolare, quasi in forma di disco, con orli rotondati. Dal lato ombelicale la cavità ombelicale è coperta da una grossissima e piatta callosità, dalla quale corrono le pareti settali, poco profonde, in mezzo spezzate ad angolo ed in generale alquanto ripiegate all’ indietro. Il lato della spirale è pochissimo distinto e soltanto per analogia può così chiamarsi, essendo per lo più 1’ ultimo giro soltanto bene discernibile, men- tre in generale le loggie più vecchie lo sono appresso, trovan- dosi affondate in conseguenza della piegatura della conchiglia intiera. Le loggie di questo lato sono alquanto curvate e sepa- rate per setti ricurvi un poco ripiegati all’ indietro, ed al di fuori non molto marcati. L’ apertura, la quale però in nessun esemplare si potè distinguere con sufficiente chiarezza, ha la stessa posizione della specie precedente, ma sembra essere più stretta e lunga. Dalla Anomalina austriaca, D’ Orb., alla quale la nostra specie ha qualche rassomiglianza, si distingue essa fa- cilmente soprattutto per le suture quasi dirette del lato ombel- icale. 16. — Discorbìna Agrigentina, m., fig. 13, (nota N. 92). — Forma elegante e delicatamente ornata, alla quale ho dato il nome della sua patria provincia. La conchiglia è piatta e lenticolare, talvolta da due lati ugualmente ricurva, più spesso però al lato della spirale più piatto che al lato ombelicale. L’ orlo è acuto e tagliente, talvolta anche assottigliato, senza però essere dilatato in forma di ali. Le loggie, delle quali V ul- timo giro ne possiede undici o tredici, si trovano assai vicine 1’ una all’ altra, e corrono dal lato ombelicale alquanto piegate in una bella linea in forma di S verso il poco distinto ombel- ico, talvolta chiuso da una callosità, mentre dall’ altro lato pas- sano a poco a poco all’ orlo periferico della conchiglia. Dal lato della spirale le pareti settali sono alquanto curvate, ripiegate - 526 - indietro, e lasciano bene vedere un legame ricurvo col penul- timo giro. Dai giri più recenti esse sporgono alla superficie in forma di striscie elevate, spiccandosi anche alquanto, e dando così il rilievo elegante già menzionato. Talvolta la specie è an- che maggiormente ornata, perchè non di rado traspariscono le pareti delle loggie, principalmente al lato della spirale. Esistono forme curvate verso destra ed altre verso sinistra. I pori sono assai grandi e pare che sieno più frequenti soltanto negli esem- plari più vecchi nei quali si trovò anche non di rado sopra T ombellico un callo sottile. L’ apertura è semilunare con orli alquanto ingrossati, e scende dall’ orlo periferico del penultimo giro verso il lato ombelicale. Dimensione massima della con- chiglia 0. 8 mm. 17. — Truncatulina sp. aff. Dutemplei , D’Orb. (nota N. 96). Nel tufo di Stretto si trova non molto rara una Truncatu- lina.i quasi sempre in stato giovanile, che molto si accosta alla Dutemplei , D’Orb. Al lato ombelicale però si vedono i termini interni delle loggie, più o meno curvati all’indietro, il che non esiste nelle forme tipiche del bacino di Vienna. Non ostante sarei d’opinione che la nostra forma sia da identificare con quella. 4. — Textilaridea. 18. — Bólivina peregrina, m., fig. 14, (nota N. 105). Conchi- glia relativamente corta e larga, con contorni quadrilaterali e con lati alquanto ricurvi, i quali scendono dal mezzo simmetrica- mente verso F orlo assai sottile e rotondato. La forma possiede un carattere molto singolare per i setti secondari, sollevandosi dalle basi delle loggie delle listelle perpendicolari visibili già dal lato esterno, e per le quali le linee settali assumono F apparenza di un pettine. Le loggie scendono alquanto oblique e si riuni- scono per lo più all’ orlo della conchiglia in una linea di con- torno continua. Lungo il mezzo dei piani laterali si trovano delle listelle piatte e non sempre bene discernibili. L’ apertura è for- mata da una fessura un poco dilatata verso l’alto e rotondata. Dimensione massima della conchiglia 0. 7 mm. 19. — Beussia Icevigata, m., fig. 15, (nota N. 106). Per la sua forma esterna si avvicina molto alla Textilaria quadrilatera , — 527 - Schwag., dalla quale però si distingue benissimo per i caratteri generici (ved. Bollettino , 1877, Schwager, Quadro del proposto sistema di classificazione dei Foraminiferi , pag. 21, N. 66). Ha una forma oblunga triangolare con lateri concavi e con orli assottigliati in forma di ali. Le loggie sono un poco ricurve e non molto oblique; hanno bensì suture assai distinte. L’apertura la quale però non era totalmente discernibile in nessuno degli esemplari trovati, pare essere formata da un taglio stretto prati- cato nella parte inferiore del piano settale. Il guscio è sottile e finamente poroso. Dimensione massima della conchiglia 0. 4 m. 5. — Cryptostegia. 20. — Chilostomella oolina, m., fig. 16, (nota N. 107). La conchiglia è oblunga ed oviforme, e negli individui giovani in forma di bastone ; differisce dalla Chilostomella Cziczéki , Rss., del bacino di Vienna, quasi unicamente per le estremità più appuntate. Anche la loggia ultima della nostra specie abbraccia la massima parte della penultima, ed i suoi orli scendono quasi direttamente dagli estremi dell’ apertura boccale per riunirsi nel dorso con un breve arco. Dimensione massima della conchi- glia 0. 5 mm. H. — Foraminiferi agglutinanti. A) Disposti secondo una sola linea. 1. — Ataxophragmidea. 21. — Clavulina sp. (nota N. 111). — Nel tufo di Stretto si trovano di rado alcuni foraminiferi con guscio siliceo, i quali per la torsione distinta a spirale dell’orlo inferiore, 'che è però costruito secondo due linee, appartengono alle Clavuline. D’ al- tronde si accostano molto alla Biginerina agglutinans, D’Orb., e così sono in dubbio se si debbano collocare nell’ uno piuttosto che nell’ altro genere. B) A due o più ordini di loggie. 1. — Plecanioidea. 22. — Flecanium aratriforme, m., fig. 17, (nota N. 114). Per la sua forma breve, cuneiforme, rassomiglia non poco al - 528 - Plecanium ( Textilaria ) palum , Czk,, del bacino di Vienna, col quale ha anche comune la stessa sezione trasversale. La nostra specie ha però un numero minore di loggie, scendenti in forma di tetto. Nella linea mediana dei lati si può vedere un dorso assai distinto, dal quale essi alquanto ricurvi, scendono verso l’orlo assottigliato. Il piano settale è piatto e pochissimo cur- vato ; F apertura è discretamente grande. Avendo caratterizzato succintamente così le nuove forme del Tufo di Stretto, mi sembra opportuno F aggiungere anche la de- scrizione dei pochi Foraminiferi, finora non caratterizzati, tro- vati parimente dal signor Stòhr nell’ Astiano e nei Trubi di Girgenti, per quanto appartengono a nuove specie, o meritano una descrizione speciale. Sono cinque forme, de’ quali tre del- F Astiano e due dei Trubi.1 Le forme dell’ Astiano, sono tre (N. 12, 38 e 41, della lista I nella nota menzionata : ved. Boll. 1876, pag. 467, 468), cioè : N. 12; è la Bobulina ( Gristellccria ) calcar D’Orb. varietas. Quantunque nell’ Astiano non sieno state trovate forme della vera Cristellaria calcar , munite degli aculei caratteristici, però il Karrer, distintissimo conoscitore dei Foraminiferi terziari, è d’ opinione che si debbano considerare come appartenenti a que- sta specie anche le forme alle quali mancano soltanto gli aculei suddetti. Per questa ragione abbiamo deciso di attribuire alla suddetta specie anche le forme dell’ Astiano di Girgenti. N. 38 ; è una specie nuova: J Bolivina cylindracea, m., fig. 18. — La conchiglia in forma di bastone non presenta grandi dif- ferenze di grossezza nelle due dimensioni; va però crescendo a poco a poco in larghezza. Le loggie sono quasi tanto alte quanto larghe, poco ricurve, assai grosse e porose, e la loro super- fìcie è ornata con sottili listelle longitudinali, curvate e confuse. L’ apertura si trova in una scanalatura profonda, ed è formata da una fessura che giunge quasi al vertice e scende fino alla base. N. 41; è la Buliniina inflata Seg. varietas ?, fig. 19. Dap- prima mi pareva opportuno di separare questa forma dalla Buli- mina inflata, Seg., dalla quale differisce principalmente per la 1 Vedi Stòhr, Il terreno pliocenico dei dintorni di Girgenti. Bollettino 1876, pag. 451 e seg. - 529 - sua grande sveltezza, per le coste più robuste e rotondate. Da ultimo però mi sono deciso di riunirla colla suddetta specie. Di- mensione massima della conchiglia 0. 3 mm. Le forme provenienti dai Trubi sono due (N. 2 e 52, della li- sta II nella nota menzionata ; ved. Boll. 1876, pag. 473, 474), cioè : N. 2 ; spec. nuova. Spiriloculina foliacea , m., fìg. 20. Specie assai caratteristica pel suo guscio sottile : ha la forma di una foglia simile alla Spiriloculina canaliculata, D’ Orb., dalla quale si distingue però per le loggie rotondate, che si ricoprono d’ al- quanto anche nei giri più vecchi. Pare che non di rado l1 apertura si trovi sopra di un allungamento della loggia ultima. In nessuno degli esemplari studiati fu possibile di discernere abbastanza bene il dente. Dimensione massima della conchiglia 0. 3 mm. N. 52 ; è la Pleurostomella alternans, Schwag. — Come già dissi in altro luogo,1 finora non fu possibile per me di trovare una differenza costante, per la quale si possano distinguere le Pleurostomelle siciliane dalla suddetta specie, se non forse una forma alquanto differente della apertura ; nella forma siciliana que- sta è una fessura mediana che, in tal modo sviluppata almeno, non si trova nelle forme delle isole nicobariche. La forma nico- barica inoltre non è mai tanto grossa quanto la siciliana. Tali fatti però debbono soltanto applicarsi colla massima cautela come caratteri distintivi dei Foraminiferi. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. FORAMINIFERI DEL TUFO DI STRETTO. Fig. 1. Lagena ellipsoidalis Schwag.; 2. Nodosaria Stoehri id . ; 3. N. Er- bessina id. ; 4. N. clavulaeformis id. ; 5. N. splendidula id. ; 6. Glandulina extensa id. ; 7. Margimdina limitanea id. ; 8. M. perornata id. ; 9. Uvigerina baccalis id. ; 10. a Bxdimina aff. pupoides D’ Orb. ; 10.b B. aff. infiala Seg. ; 11. Discorbina anomala Schwag. ; 12. D . indistincta id. : 13. D. Agrigentina id. ; 14. Bolivina, peregrina id.; 15. Beussia laevigata id. : 16. Chilostomella ooli- na id. ; 17. Plecanium aratriforme id. DELL’ ASTIANO DI GIRGENTI. 18. Bolivina cylindracea Schwag. ; 19. Bulimina inftata Seg. varietas ? DEI TRUBI DI GIRGENTI. 20. Spiriloculina foliacea Schwag. 1 Vedi Schwager, Quadro del proposto sistema di classificazione dei Fo- raminiferi. Bollettino 1877, pag. 25, con tavola, nella quale è figurata la specie siciliana N. 37. - 530 - NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. A. Stoppani. — Carattere marino dei grandi anfiteatri morenici dell ’ Alta Italia f — Milano, 1878. La geologia della superficie, che ha per principale oggetto lo studio dei terreni rappresentanti V èra neozoica, offre per l’ Italia un interesse tutto speciale, giacché allo sviluppo delle formazioni detritiche superficiali (terreno glaciale, alluvioni, an- tichi depositi lacustri, terrazzi) devesi principalmente la sua fisica costituzione e la ricchezza del suolo vegetale. Un sì vasto argo- mento fu impreso a trattare dallo Stoppani con quella cogni- zione di causa che tutti riconoscono in lui, e colla monografia che ora prendiamo in esame incomincia a trattare dello sviluppo degli antichi ghiacciai, fatto che può ritenersi come il più gran- dioso ed il più caratteristico ad un tempo della storia fìsica del- l’ Italia settentrionale dal momento della sua emersione durante F epoca cenozoica in poi. Basandosi sull’ esame dei sistemi e dei gruppi degli attuali ghiacciai nelle Alpi italiane, l’Autore passa a stabilire la divi- sione degli antichi ghiacciai in tanti sistemi principali e secon- dari, quali sono quelli della Dora Riparia, della Dora Baltea, del Lago Maggiore, del Lago di Como, dell’ Oglio, della Sarca, dell’Adige, della Piave e del Tagliamento, oltre ad altri di se- condaria importanza. Nel presente lavoro 1’ Autore tratta parti- colarmente di tre di cotali sistemi scelti fra i principali, e cioè quelli del Lago di Como, del Lago Maggiore e della Dora Baltea, ed insiste in modo speciale sulle recenti scoperte da cui risul- terebbe che i grandi ghiacciai dell’ Alta Italia mettevano capo al mare che copriva ancora tutta la pianura al piede delle Alpi, insinuandosi nella catena con altrettanti fjords quante sono at- tualmente le grandi valli alpine. Parla quindi a lungo delle sco- 1 Estratto dall’ opera Geologia d ’ Italia che fa parte della pubblicazione L* Italia sotto V aspetto fisico , storico , letterario, artistico ec., edita a Milano da Fr. Vallardi. - 531 — perte fatte nel bacino di Balerna, del carattere littorale marino della morena presso Cassina nizzardi e risponde alle obbiezioni relative alla scoperta del terreno glaciale in quest’ ultima loca- lità : dimostra che la natura glaciale-marina del deposito di Cas- sina Rizzardi è comune a tutto P anfiteatro morenico del Lago di Como, e dà il catalogo dei fossili marini rinvenuti nelle mo- rene alla base di detto anfiteatro. Appoggiando le sue conclu- sioni ai risultati di alcune recenti osservazioni sui ghiacciai cir- cumpolari, dimostra allo stesso modo P origine glaciale-marina dei grandi altipiani premorenici dell’ Alta Italia, come pure degli anfiteatri morenici del Lago Maggiore e della Dora Baltea. La monografìa è corredata da una carta geografica dell’Alta Italia nell’ epoca pliocenica, da un’ altra del sistema glaciale del Lago d’ Iseo, e dalle vedute dell’ anfiteatro morenico della Dora Baltea, di quello del Lago di Como e del terreno a fossili ma- rini presso Cassina Rizzardi. B. Gastaldi. — Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi piemontesi durante la campagna del 1877. — Roma, 1878.1 Il Gastaldi, che da molti anni lavora coll’ aiuto di valenti collaboratori al rilevamento geologico delle Alpi occidentali, de- dicò la campagna dello scorso anno allo studio di una grande zona calcarea che corre alla base del massiccio gneissico del Mercantour ( gneis antico ) dal colle di Pouriac a quello di Tenda nelle Alpi Marittime : lo scopo era soprattutto quello di trovare fossili che permettessero di determinare l’età dei terreni com- ponenti quella zona, la quale presentava varie difficoltà a mo- tivo del numero già grande di varietà di calcare che si in- contrano nelle Alpi. Dall’ esito delle ricerche fatte in quella campagna, P Autore potè comporre il seguente quadro dei ter- reni stratificati coi relativi fossili che si incontrano nelle cinque valli della Macra, della Stura di Cuneo, del Gesso, della Ver- menagna e della Bormida di Millesimo : Paleozoico. — Antracite non accompagnata da impronte. 1 Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei, serie 3a, Memorie , voi. II. — 532 — Trias (Muschelkalk e Wettersteinkalk). — JEncrinus entrocka ; Gyroporélla emulata Schaph. ; G. debilis Giimbel ; G. discita G. ; G. multiserialis G.; G. cequalis G. Lias inferiore. — Ammonites aff. spiratissimus Quenst. ; Be- lemnites sp. Lias medio. — Ammonites Kurrii Oppel. Cretaceo medio. — • Ammonites Bhotomagensis Lamk. Nummulitico. — Nummulites Brongniafti ; N. Bamondi. Dal presente prospetto sembra adunque dimostrato che nelle Alpi piemontesi non si è ancora scoperto traccia di fossili al disotto dell’ orizzonte antracitifero, e che al disopra di questo orizzonte si trova, contrariamente a quanto prima credevasi, una serie di strati secondarii e terziarii a cominciare dal trias sino al nummulitico, al pliocenico, al quaternario. Un altro risultato della campagna del 1877 è la scoperta di parecchi affioramenti di serpentina i quali collegano assieme il gran banco di pietra verde che costituisce il Monviso col gran massiccio serpentinoso-eufotico della Liguria occidentale. Per tal modo resta dimostrato che le pietre verdi dell’ Apennino si tro- vano direttamente unite a quelle delle Alpi, e ne sono in certo modo la continuazione. La Memoria è accompagnata da due tavole in colori. Nella prima vien data una sezione ideale per mostrare la serie e la sovrapposizione delle principali rocce delle Alpi piemontesi, di- vise nei cinque gruppi del gneis centrale, delle pietre verdi, del paleozoico e dei terreni secondarii e terziarii. La seconda è una carta geologica delle Alpi piemontesi in piccola scala, nella quale si vede la curva regolarissima che descrive il terreno antraciti- fero, affiorando, a riprese, ora sul versante italiano ora su quello francese : questa curva è con quasi uguale regolarità seguita dal calcescisto, dalle pietre verdi e dalla zona calcareo-dolomitica del carbonifero, del trias, del lias e dei terreni più recenti. Que- sto fatto prova che non vi sono spostamenti o che non sono tali da interrompere 1’ andamento regolare delle varie zone. - 533 — G. Ponzi. — Le ossa fossili subapennine dei dintorni di 'Roma j — Poma, 1878. Da questo lavoro, destinato acl illustrare una fauna di ver- tebrati i cui avanzi furono raccolti da molto tempo nei depositi alluvionali dei dintorni di Roma, l’ Autore trae occasione per ripresentare la serie dei terreni subapennini, ossia di quei ter- reni che si depositarono dopo V ultimo sollevamento apenninico e che trovano posto dall’ epoca miocenica in poi. Tutto questo lasso di tempo viene dall’ Autore distinto in tre periodi, nel primo dei quali si comprendono le due epoche miocenica e plio- cenica, nel secondo la diluviale e la glaciale e nel terzo V epoca alluvionale alla quale fa seguito l’ epoca moderna. La Memoria è divisa in cinque parti. Nella prima viene pas- sata in rivista la serie dei terreni subapennini, e si indicano gli strati dai quali furono estratte le ossa fossili, notando la loro qualità e giacitura. Nella seconda T Autore fa la storia delle vicende a cui andarono soggetti gli animali per cambiamenti climatologici nell’ attraversare il periodo diluvio-glaciale ; nella terza distingue le due faune che hanno vissuto prima e dopo di detto periodo, e nella quarta dà i cataloghi degli animali di cui esse si compongono, desumendoli dalle ossa fossili rinvenute ; nella quinta parte infine riassume i fatti e ne deduce le conse- guenze. Le due faune prese in esame, la terziaria preglaciale del primo periodo e la quaternaria postglaciale del terzo, compren- dono le specie seguenti, messe insieme coi materiali conservati nel Museo paleontologico della Università romana : Fauna preglaciale. — Elephas meridionalis, Nesti; _E7. afri- canus , Lin. ; El. antiquus, Falc. ; El. primigenius, Blum. ; El. mélitensis, Falc.; Mastodon arvernensis, Croiz. et Job.; Hippo- potamus major, Cuv. ; H. Eentlandi? Mey.; H. sp.?; Rhinoceros leptorhinus, Cuv. ; Equus caballus, Lin. ; Eq. Stenonis, Cocchi ; Hipparion gracile, Haup ; Ros primigenius, Boj. ; E. bubalus, Lin. ; Cervus megaceros, Cuv. ; C. elaphus, Lin. ; G. dama, Lin. ; 1 Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei, serie 3a, Memorie , voi. II. G. capreólus,' Lin.; Félis spelcea, Gold.; Gynothérium fossile; Hycena spelcea, Gold.; TJrsus spelceus, Blum.; Castor fiber; Ha- Icenotus sp.?; Delphinus sp .; Gr alice; Lacerta sp.?; Lamna sp.?; OxyrJiina hastalis, Agas. ; Clupea sp.? Fauna postglaciale — Sus sp.?; Equus caballus, Lin.; Hos primigenius, Boj.; Gervus megaceros, Cuv. ; G. élaphus, Lin.; G. capreólus, Lin.; G. sp.?; Félis sp.?; Hycena spelcea , Gold.; Gyno- therium fossile?; Meles antediluvianus, Schmerl.; Erinaceus eu- ropceus, Lin.; Lepus timidus, Lin. ; Sciurus sp.?; Mus sp.?; Emys sp.?; Anguilla sp. ? Queste serie, benché non troppo copiose, sono sufficienti però a formarci un criterio dei due periodi ai quali appartengono ; esse sono una prova di quanto 1’ Autore espose nel passare in rassegna i terreni che le contengono, e le vicende alle quali an- darono soggetti quegli animali per cause telluriche durante il periodo vulcanico-glaciale intermedio. D. Lovisato. ■ — Strumenti litici e brevi cenni geologici sulle provin.de di Catanzaro e di Cosenza — Roma, 1878. Il prof. Lovisato, che per incarico speciale dell’ Ufficio Geo- logico ebbe, negli ultimi mesi del 1877 e nei primi del corrente anno, a percorrere tutta quella parte di Calabria che sta al nord dell’ istmo di Catanzaro, si occupò non solo delle osservazioni geologiche e della raccolta di rocce di cui era incaricato, ma estese eziandio il suo campo di azione allo studio degli avanzi d’ epoca preistorica che in quelle sue escursioni andava assidua- mente raccogliendo. Un primo risultato di cotale studio pubbli- cava egli pochi mesi addietro in Trieste,2 e questa seconda sua Memoria, quasi continuazione di quella, veniva presentata nello scorso giugno alla R. Accademia dei Lincei che ne decretava T inserzione nei propri Atti. 1 Memoria inserita negli Atti della R. Accademia dei Lincei , serie 3a, voi. II, sedata del 16 giugno 1878. 1 Di alcune azze, scalpelli, martelli e ciottoli dell’ epoca delloj pietra trovati nella provincia di Catanzaro, Trieste, 1878. - 535 — Gli oggetti litici delle provincie calabresi si possono divi- dere in due categorie ; quelli cioè di roccia indigena e quelli di sostanza esotica. In questo lavoro, di indole mineralogica piut- tostochè paleoetnologica, l’Autore tratta specialmente delle armi in pietra formate di sostanza estranea alla Calabria e riduce ad una semplice enumerazione quelle formate di rocce comuni alla regione presa in esame. Nelle ultime, e sono le più abbondanti, predomina la diorite con tutte le sue varietà; nelle prime tro- vasi la eclogite, la nefrite, la cloromelanite, la giadeite, la sil- limanite, ed altre rocce estranee alla Calabria. Curioso a no- tarsi è la assoluta mancanza di armi in granito o in serpentino, rocce che tanto di frequente occorrono in quelle regioni. Abbondantissimi sono gli oggetti di roccia indigena, parti- colarmente in diorite micacea : infatti comunissima è la diorite in Calabria, e la si trova incominciando da Catanzaro sino a San Demetrio Corone nella parte superiore della provincia di Cosenza : essa abbonda adunque in tutta la Sila e la cima stessa del Monte Nero (1880), punto culminante del gruppo, ne offre diverse specie che servirono all’uomo preistorico per fabbricare le sue armi ed i suoi utensili. Fra gli oggetti di roccia esotica vanno notate le bellissime armi in cloromelanite, in giadeite e in nefrite, rocce tutte di provenienza incerta. Parlando delle rocce indigene che hanno servito, o che avreb- bero potuto servire, alla confezione di armi in pietra, l’Autore tratta della giacitura di tali rocce e della loro età relativa ; così oltre alla diorite, si estende in interessanti osservazioni sulle giaciture del serpentino e delle selce piromaca, la quale si trova entro calcari o entro breccie di epoche diverse dalla giu- rese venendo sino alla miocenica. Un fatto notevolissimo per la scienza paleoetnologica risulta dalla abbondanza relativa di oggetti formati da rocce tanto rare, come la nefrite e la cloromelanite, ed assolutamente estranee alla Calabria. A giudizio dell’ Autore tali rocce dovevano prove- nire almeno dall’Asia settentrionale, e ciò farebbe pensare ad un commercio attivo con quelle lontane regioni od altrimenti che 1’ uomo primo abitatore della Calabria le abbia seco portate nel- V atto della sua trasmigrazione da quei paesi nordici. Volendo designare a queste reliquie una meno lontana provenienza, si po- - 536 — trebbe ricercarla nelle più vicine coste dell’ Africa ; ma le poche nozioni geologiche che si hanno di codesti luoghi non autoriz- zano ad ammettervi 1’ esistenza di tali rocce, nè le opportune verifiche sarebbero facili a farsi. NOTIZIE DIVERSE. La questione delle argille scagliose. — N ei processi ver- bali della Società Toscana di scienze naturali, adunanza del 10 no- vembre 1878, troviamo quanto segue : Il socio professor De Stefani parla delle argille galestrine. Dice che nel linguaggio comune le denominazioni di argille scagliose, argille galestrine o galestri sono sinonime, e si riferi- scono ad argille fini, di colori per lo più oscuri, le quali ester- namente si rompono in scaglie ed in piccoli frammenti a super- fici curve. Quei nomi riferendosi al carattere litologico della roccia, non potrebbero indicare degli orizzonti di età determi- nata. Infatti argille scagliose se ne trovano di parecchie età, ed al De Stefani sono note fino ad ora negli orizzonti seguenti : 1° Galestri rossi del Lias superiore nel Monte di Detona (Prov. di Siena) alternanti spesso con schisti ad Aitici, a Mo- notis, ec. 2° Galestri rossi e neri della Creta Media nell’ alto Apen- nino settentrionale, con Taonurus e Fucoidi alternanti con are- narie ammonitifere, e specialmente con banchi di foraminifere. 3° Galestri scuri della Creta superiore della Sicilia e della Calabria meridionale, con abbondanti Molluschi, Echini, Briozoi, e galestri rossi e neri della stessa epoca, alternati con arenarie e calcari in Toscana e nell’ Umbria. 4° Galestri scuri, rossi, verdi o neri, nell’Eocene superiore con denti di Sgualidi (parte superiore del piano Liguriano) i quali accompagnano quasi sempre le serpentine nell’ Apennino settentrionale ed in parte di quello centrale. A strati poco più antichi di questi si debbono attribuire i galestri che accompa- gnano il Flysch nel Cantone di Vaud ed altrove in Svizzera. — 537 5° Galestri rossastri del Miocene medio delle Calabrie con Taonurus e Fucoicìi, alternanti con banchi d’ Orbitoidi e di altre foraminifere. Il De Stefani dice che intorno alla formazione di queste ar- gille sono state fatte molte ipotesi. Il Santagata le crede pro- dotte da una alterazione di rocce arenarie o calcaree, avvenuta in posto per via di acque ; Bianconi e Bombicci da qualche straor- dinario scombussolamento di rocce sedimentarie, spesso ingoiate e tritate nell’ interno della terra, quindi rimesse allo scoperto; Stoppani, Taramelli, Stohr, Ferretti, Fuchs, Omboni, Pio Man- tovani ed altri le ritengono prodotte da vulcani di fango subaerei o sottomarini; altri le credono sedimentarie. Quanto alle ipotesi del Santagata e del Bianconi il De Ste- fani non le crede sostenibili perchè la regolare disposizione delle rocce sottostanti e circostanti alle argille, la mancanza di tracce di passaggio fra queste e le arenarie ed i calcari da cui sareb- bero derivate, e la disposizione stratigrafica loro, non danno in- dizio alcuno di quei cataclismi che secondo i citati autori avreb- bero dovuto accadere. Quanto al ritenerle eruttive o sedimentarie, il De Stefani reputa che non sieno sufficente criterio per risolvere la questione le osservazioni superficiali sull’ aspetto litologico, il quale può esser comune a fanghi vulcanici ed a fanghi sedimentarii, e forse nemmeno le analisi della natura chimica delle une e delle altre. Le poche analisi di argille scagliose fatte finora mostrano le mag- giori analogie colle analisi dei sedimenti raccolti nelle maggiori profondità dei mari; ma sono nello stesso tempo analoghe alle analisi di fanghi vulcanici. In prova di ciò il De Stefani cita le seguenti analisi: di un’argilla scagliosa cretacea del Monte Pi- sano, di Martini e Funaro ; di un’ argilla pliocenica del Senese di mare piuttosto profondo, di Campani ; di sedimenti raccolti nell’Atlantico a più di 2700 fathoms, di Brazier; e di fanghi vulcanici del Caucaso, di John e di Abich : egli notò come sieno comuni la ricchezza di silice, e la povertà di carbonato di calce. Date delle argille fini e pure, alternanti o no con strati cal- carei od arenacei, qualunque sia la loro origine si debbono pro- durre i medesimi fenomeni esteriori di disseccazione, ed i me- desimi movimenti e scivolamenti interni, per cui gli strati non ss — 538 — argillosi, più resistenti, si disordinano, ed i frammenti loro ri- mangono poi cumulati sulla superficie, mentre le acque portano via le argille; per cui qualcheduno potrebbe credere che quei frammenti fossero stati portati dall’ interno in modo eruttivo. Nè potrebbero provare 1’ origine eruttiva delle argille la pre- senza in esse di glebe minerali, le quali del resto non si tro- vano nemmeno nei fanghi vulcanici, e si possono formare in qua- lunque terreno, nè le efflorescenze superficiali di sali che si trovano pure sulle argille plioceniche, sopra schisti carboniferi e sopra altre rocce indubbiamente sedimentarie : molto meno poi quelle glebe minerali si potrebbero credere derivate da sublima- zione come alcuno ritenne, nè si potrebbe addurre come prova di vulcanicità la vicinanza di argille rosse, di arenarie screpo- late, di caolini e di diaspri, fatti che si pretesero prodotti da bruciamenti seguiti all’ eruzione dei fanghi. Nemmeno può esser prova sufficiente di origine vulcanica la contiguità di serpentine, di graniti ed altre rocce eruttive, le quali sono state notate finora in uno solo dei tanti piani geologici delle argille sca- gliose ; nè d’ altronde colle trachi ti, coi basalti e con rocce simili certamente vulcaniche si trovano tali argille. Negano i vulcanisti la stratificazione delle argille ; mentre il De Stefani ritiene quella provata dalla diversa colorazione delle zone parallele fra loro e colle rocce solide alternanti, e coll’ an- damento delle masse, e colle superfici delle Fucoidi e dei Tao- nurus che non si potrebbero vedere in altri versi : oltre di che mancano nelle argille, che sono caratteristiche d’ intieri oriz- zonti, quegli ammassi irregolari e grandiosi che si dovrebbero trovare in qualche luogo se le avessero prodotte dei vulcani di fango. Fu detto che P allineamento delle argille eoceniche lungo la base dell’ Apennino dell’ Emilia, mostrava la serie antica di que’ vulcani; mentre quel fatto comune a tutte le zone sedimen- tarie della regione, è conseguenza della loro disposizione intorno all’ anticipale apenninico. Taluno cita dei frammenti estranei trovati nelle argille che proverebbero evidentemente la loro provenienza dall’interno. I fatti citati sono i seguenti. Il Mantovani adduce un ammonite trovato nelle argille dello Scandianese che però andò disperso; sicché non avendolo visto nessuno non se ne può discorrere: 539 - adduce pure i frammenti di eufotide, di serpentino e di granito nelle argille dell’ Emilia ; ma que’ frammenti derivano dal disfa- cimento delle masse le quali si trovano nella zona stessa, col- l’argilla, m posto; adduce finalmente un Ammonite liassico in un pezzo di calcare trovato alla superficie delle argille di Ran- zano in alto sopra il torrente Enza, ed esistente in un Museo deU’ Emilia : ma questo calcare trovato alla superficie non prova nulla, mentre in luoghi poco lontani, nella valle dell’ Enza e nelle alte vallate dell’ Apennino contiguo, ogni anno si trovano nuove e più estese masse di calcari del Mas medio ed inferiore. Final- mente sui fossili cretacei che dicono trovati nelle argille scagliose della Porretta che, presso qualcheduno per equivoco sono diven- tati Ippuriti, bisogna sospendere ogni giudizio, perchè ancora non si sa se quelle argille sieno eoceniche, o più probabilmente cretacee. Il De Stefani soggiunge che in nessun luogo ha tro- vato nell’interno delle argille frammenti estranei alla formazione. La presenza costante di fossili nelle rocce alternanti colle argille, e nelle argille stesse, od almeno la loro rarità non mag- giore che in certe argille plioceniche ed in altre rocce sedimen- tane non argillose nè arenacee, non è creduta da molti incon- ciliabile coll’esistenza di vulcani sottomarini. Alcuni la negano ed aggiungono che le apparenze di fossili sono dovute a spruzzi ed a bollosità conseguenti all’ eruzione fangosa. Di questo parere non saranno quelli che studiando minutamente le impronte, in- sieme con talune che sono indecifrabili, troveranno i Paleomean- dron, i Paleodyction , i Cylindrites, le Lumbricarice, oltre alle Helminthoidea, ai Taonunis, ai Fucoidi descritti da Heer, e da altri. Importante a notarsi è la comune presenza di certi fossili negli strati differenti delle argille; vale a dire la presenza di tucoidi, di Taomrus, e di resti di squali, e 1’ alternanza fre- quente di accumulazioni grandiose di foraminifere. Questa sorta di fossili proprii dei mari profondi può mostrare che le argille scagliose furono depositate ne’ mari a grandi profondità, la qual cosa non è contraddetta ma confermata dalle analisi chimiche e dalla loro tenuità. L’attribuirle a prodotto dei vulcani di fango sembra al De Stefani una deduzione fondata sopra fatti ideali prioristici, al di fuori di ciò che realmente accade al dì d’oggi o che si può verificare con facili induzioni nei tempi geologici - 540 — meno lontani : unico esempio di grandiosità relativa sono i vul- cani del Caspio e del mar d’ Azof, mentre quelli Italiani sono semplici pozze che si formano per fenomeni esteriori dove V idro- geno carburato, venendo fuori con acqua, incontra delle argille che sono disciolte ; mentre dove non è questo insieme di circo- stanze, rimangono getti secchi d’ idrogeno, come a Barigazzo, Pietramala, Porretta, Monte Arioso, ec. La presenza delle argille scagliose è un fatto grandioso ed universale ; se tali fossero stati gli effetti delle salse e dei vulcani di fango, quali sedimenti non avrebbero dovuto lasciare, invece delle relativamente limitatis- sime masse, i vulcani veri e proprii che pure hanno una esten- sione ed una importanza, senza possibili paragoni maggiore delle salse? Perciò il De Stefani ritiene le argille scagliose formate per regolare sedimento, nei mari, a profondità. Il presidente professor Meneghini si associa al De Stefani nel riguardare le argille scagliose quali formazioni sedimentari di varie epoche geologiche ; ed oltreché nella profondità più o meno grande dei mari ove si accumularono, cerca la origine dei par- ticolari caratteri che presentano nelle azioni posteriori meccaniche e chimiche alle quali furono soggette. La contorsione delle sca- glie nelle quali si sfogliano, la levigatezza della superficie e le varie colorazioni delle argille scagliose propriamente dette nonché la frammentazione degli strati calcari interposti e le alterazioni dei frammenti che interrottamente ma in paralleli allineamenti rimangono a rappresentare essi strati, attestano la intensità e la moltiplicità di quelle pressioni laterali, insieme all’ energia delle contemporanee azioni chimiche. Accenna pure alla ricca fauna cretacea delle argille scagliose di Calabria e di Sicilia, descritta dal Seguenza in un’ opera che sta ora per esser pubblicata. Il segretario professor Antonio D’ Achiardi dice brevi parole in conferma alla origine sedimentaria marina dei galestri e ar- gille scagliose, e sulla natura dei sedimenti che si formano nelle varie profondità pelagiche. — 541 - L’ESPOSIZIONE UNIVERSALE ED IL CONGRESSO GEOLOGICO INTERNAZIONALE DEL 1878 IN PARIGI. La trascorsa stagione durante cui stava aperta in Parigi 1 Esposizione Universale, fu epoca specialmente interessante alfa scienza geologica. Infatti oltre al trovarsi colà una delle più ric- che i accolte di carte geologiche, di roccie e di minerali di quasi tutte le parti del mondo, vi si adunava il primo Congresso geo- logico internazionale allo scopo di risolvere in comune ite questioni che tuttavia dividono più o meno i cultori di questa scienza. Per Italia poi fu la circostanza eccezionalmente feconda i buon risultato, poiché oltre ai segni di stima accordati ai la- vori dei suoi geologi coi premi a loro accordati dai giurati si ebbe H paese nostro il più lusinghiero segno di stima e simpa- la nro .T da,.SUddett° C0“greSSO Anazionale deciso che piossima sua riunione debba aver luogo in Italia Di tutto ciò sarà riferito più tardi con la debita estensione • per ora intanto si darà un cenno inteso a porgere una prima che può avere simiIe event0 per 1 nostri ai lavori 1 p°, r:;ma, dei premi acc0rdati dal giurì internazionale adottata nef r ! i ^ D°Stn seologI- Secondo la classificazione adottata pel Catalogo generale dell’Esposizione, le carte geolo- cnl C°f‘U1Vano lnsieme topografiche, alle idrografiche cosmografiche, ec. la classe XVI. Per questa classe l’Italia non eva gnnato speciale, ed il giurì giudicante dovette stare al piopno esame. Tuttavia potè poi avere da alcuno degl’ingegneri «ddet„ alla sesione itali,., !pieg„loni e dati e® revano per (ormarsi un sufficiente criterio dei presentati lavori. Questi lavori, consistenti essenzialmente in esemplari delle carte ultimamente rilevate, non erano molti.' Gli espositori erano 20 - 542 in complesso fra geologia e topografìa, e 14 di essi ebbero pre- mio, tra cui IO per lavori geologici. Eccone il prospetto: Diploma d ’ onore \ R. Istituto Topografico Firenze Carte topografiche. — Saggi della nuova carta d’ Italia (al 50,000 militare. equivalente ed al 100,000). a gran medaglia. ' R. Comitato Geologico Roma Carte geologiche (al 600/m, al 50/m, 25/m, 10/m). Medaglia d ’ oro f Gastaldi professor Bar- Torino Carta geologica delle Alpi Occiden- [ tolomeo tali al 50/m con collezione di roccie. 1 f Meyer professor Carlo Roma-Zurigo Carta geologica della Liguria al 50/m con collezione di rrccie. Medaglia ' i Ponzi professor Giu- Roma Carta geologica della Provincia Ro- di argento < J seppe (conferma di 1 precedente) mana al 250/m con Memoria. Taramelli professorTor- Pavia Atlante geologico delle Alpi Orientali \ quato i con Memoria. 1 f Curioni Giulio Milano Carta geologica della Lombardia e 2 voi. testo. Medaglia ) Salivetta Felice e Mar- Roma Gran carta postale d’ Italia. di bronzo ì chisio D. ' Scarabelli G. F. Sena- Forlì Carta geologica di parte dell’ Appen- ^ tore Giuseppe 1 nino al 200/m. I ( Camera di commercio Catania Carta agronomica della Provincia di Catania. Cherubini Claudio — Carta fisica in rilievo dell’Italia (Mi- nistero dell’ Istruzione Pubblica). Al • j De Stefani professor Pisa Carta geologica di parte della Tosca- 1kl€TIZ1071G onorevole l Carlo i De Stefani professor na al 86,400. Carta geologica della Toscana Cen- f Carlo e Lotti dottor Bernardino trale al 86,400. i SeguenzaprofessorGiu- Messina Carta e Sezione geologica dello stretto \ seppe 1 di Messina. Sarebbe lungo il descrivere le varie carte, onde ci limitiamo per ora a toccare delle principali e che ottennero i premi maggiori. L’ Uffizio topografico militare non espose che poche carte, però quelle essenziali per dare una precisa idea dei suoi lavori ; ed erano alcune tavolette di campagna alla scala ordinaria del rilevamento che è il 50/m ; V intera Sicilia al 100/m, ridotta col sistema del generale Avet : infine due fogli come saggio della Carta d’ Italia al 100/m quale verrà data alle stampe, cioè om- breggiata a tratti e con le curve equidistanti di 50 metri. Que- sta carta sarà una delle migliori fra le esistenti. L’ Uffizio del R. Comitato Geologico espose aneli’ esso sol- tanto pochi saggi, essendo d’ altronde soltanto sul principio — 543 — dei suoi lavori regolari. Una carta complessiva d’ Italia al 600/m sulla quale si riferirono tutti gli studii, qualunque ne sia il me- rito, stati sin ora eseguiti dai varii geologi privati. Tale carta non può dirsi che un abbozzo e presenta varie lacune ; ma è tuttavia un lavoro di relativa utilità e che già veniva iniziato più volte ed assai raccomandato all’ attenzione dell’ Uffizio geo- logico. Come primo saggio poi della carta geologica in grande scala si presentò una parte della Sicilia meridionale, cioè della sua zona solfifera già rilevata dagli ingegneri geologi del R. Corpo delle Miniere addetti a quel Distretto (Toso, Baldacci, Mazzetti e Travaglia) e consistente in 5 fogli completi della carta al 50/m. Vi si unirono i fogli di rilevamento sul terreno o minute di campagna che sono a scala doppia, cioè al 25/m, ottenuti con in- grandimento fotografico. Simile lavoro condotto con metodo ri- goroso venne molto apprezzato dal giurì internazionale. Della Sicilia venne anche presentato un modello dell’ Etna in rilievo colorato, presentante la distinzione di tutte le sue formazioni geologiche e specialmente delle lave dei vari secoli. Altro lavoro importante presentato dall’ Uffizio geologico è la carta geognostico-mineraria di una parte delia regione Igle- siente in Sardegna, dove stanno le sue principali miniere. Questa carta alla scala del 10/m fu opera particolare degli ingegneri delle miniere di quel distretto (Testore, Zoppi, Lambert e Deferrari). Essa è dettagliatissima e serve in pari tempo all’ industria. Fra le altre carte che sono di privati geologi, alcune, come quelle dei professori Gastaldi, Meyer, Curioni, Lotti, De Stefani e Seguenza, vennero sussidiate più o meno dal Comitato geolo- gico : tuttavia le medesime vennero esposte sotto i nomi dei re- spettivi autori, i quali così ne ottennero le ricompense; mentre gl’ ingegneri delle miniere che lavorarono direttamente per il Co- mitato non ebbero individuale ricompensa, ma questa venne con- centrata nel grosso premio conferito al R. Comitato stesso. Gli altri geologi, Ponzi, Taramelli e Scarabelli esposero per conto proprio ed ebbero in proprio nome le ricompense. Ora un cenno sul Congresso Geologico internazionale. L’ opportunità, per non dire la necessità di un Congresso a cui convenissero geologi delle varie regioni del globo, incominciò particolarmente a sentirsi dacché moltiplicandosi gli studii in parti — 544 — lontane del globo sorse V idea di stabilire la contemporaneità e corrispondenza di certi terreni; come anche si dovette pensare ad uniformare in quanto possibile le denominazioni ornai troppo svariate dei terreni medesimi e la colorazione delle carte in guisa da evitare confusioni. Già nelle riunioni tenute fra i geo- logi italiani nel 1861 e nel 1874 si era sentito simile bisogno, tanto fra le varie regioni d’ Italia che in riguardo a questa con le altre parti del mondo, ed il professor Capellini particolarmente aveva proposto al Ministero il tentativo d’ un Congresso interna- zionale da tenere in Italia. Questo non venne allora ravvisato eseguibile, ma nella Esposizione del 1876 in Filadelfia diversi geologi colà riuniti ne fecero la mozione ed istituivansi in Co- mitato promotore sotto la presidenza del geologo James Hall, mandando inviti onde il Congresso potesse tenersi per la prima volta in Parigi, nella occasione, invero molto propizia, della Espo- sizione Universale che dovea ivi aver luogo nel 1878. La cosa venne infatti combinata, ed un comitato organizzatore si istituiva poscia in Parigi sotto la presidenza del professor di geologia Hebert, membro dell’ Istituto. Il Congresso venne aperto in Parigi il 29 d’ agosto nel pa- lazzo del Trocadero, alla presenza del Ministro dell’ Istruzione pubblica, presidente onorario. L’ Uffizio direttivo del Congresso costituivasi egualmente con la presidenza del signor Hebert, ed un certo numero di vice- presidenti che rappresentavano le diverse nazioni. Per l’Italia veniva nominato rappresentante il professore Capellini. Il numero totale dei membri soscrittori del Congresso fu di oltre 350, di cui la massima parte intervenuti. Il Congresso tenne 6 sedute, cioè il 29, 30, 31 agosto e 2, 3 e 4 settembre. Si. fecero inoltre varie escursioni geologiche dal 5 al 13 settembre. Il programma delle conferenze o sedute era stato diramato dal Comitato organizzatore, ed accennava in massima alle que- stioni di unificazione della nomenclatura geologica, della colori- tura delle carte, studii di roccie, ec., senza però precisare esat- tamente i punti da decidere. Nelle varie sedute poi vennero lette circa 50 memorie, per la massima parte semplici descrizioni o monografie di date re- gioni o di dati terreni ; e soltanto poche trattavano direttamente ♦ — ■ 545 — delle questioni essenziali, cioè di quelle relative alla unificazione dei diversi sistemi ed usi geologici. Ne avvenne che il Congresso di Parigi non prese alcuna deliberazione in proposito, ma dovette rimandare la soluzione delle varie questioni ad un futuro Con- gresso, il cui programma sarebbe più precisamente determinato. Simile deliberazione venne presa e formulata nell’ ultima se- duta del 4 settembre, ed è simile deliberazione che riuscì par- ticolarmente importante per V Italia, poiché venne deciso che la prossima riunione del Congresso, che sarà nel 1881, abbia luogo in Bologna. La scelta di questa città anziché, della capitale Roma, venne fatta dietro due speciali considerazioni: la prima che un Congresso simile dovendo tenersi in autunno, Roma colla sua campagna in quell’ epoca alquanto soggetta alle febbri, non molto si presta alle escursioni. La seconda è che simile città non pos- siede ancora dei corredi di materiali geologici proporzionati alla famosità del suo nome. Invece Bologna, la dotta, e che già fu nel 1871 la sede del Congresso internazionale che vi ebbe ottimo successo, si presta relativamente assai meglio e senza la pretesa del nome, ad un comodo ed efficace convegno di tal genere. Del resto il Municipio di Bologna ed il Governo italiano per la parte che il riguarda, interpellati risposero per telegrafo che accettavano molto volontieri il patronato di simile Congresso. E questo accolse tra vivi applausi i loro telegrammi. Insieme a questa scelta si venne fortunatamente a meglio preci- sare le questioni da trattarsi e furono tosto nominate speciali com- missioni che debbano intanto studiarle e prepararne la soluzione. Ecco in sunto le deliberazioni prese in quella seduta. 1° Il prossimo Congresso geologico internazionale avrà luogo fra tre anni, cioè nel 1881. 2° Sulla proposta dei signori Seda e Capellini il medesimo si riunirà in Bologna. 3° L’ epoca della riunione sarà probabilmente fissata ai primi di ottobre. 4° Il signor Sella, Presidente dell’ Accademia dei Lincei a Roma è nominato Presidente Onorario del Congresso. 5° È nominato un Comitato organizzatore composto dei signori Capellini, Pirona, Gastaldi, Gemmcllaro, Giordano, Gui- scardi, Meneghini, Omboni, Ponzi e Taramelli. 35* — 546 - Per ciò che riguarda i lavori del prossimo Congresso, venne deciso quanto segue: 1° È nominata una Commissione internazionale per V uni- ficazione del disegno delle carte geologiche, composta sin da ora dei seguenti individui, rappresentanti le varie nazioni: De-Chancourtois (Francia), Dupont (Belgio), Giordano (Italia), De-Hantken (Ungheria), Lesley (Stati Uniti), Liversidge (Au- stralia), De-Moeller (Russia), Renevier (Svizzera), Ribeiro (Spagna e Portogallo), Selwyn (Canada), Torell (Scandinavia), suo presi- dente Selwyn, segretario Renevier. 2° È costituita una Commissione internazionale per V uni- ficazione della nomenclatura geologica, composta sin da ora dai signori Capellini (Italia), Dewalque (Belgio), Favre (Svizzera), Hebert (Francia), Hall (Stati Uniti), Inostranzeff (Russia), Li- versidge (Australia), Sundgreen (Scandinavia), Stefanesco (Ru- mania), Sterry-Hunt (Canadà), Szabo (Ungheria), Villano va (Spa- gna e Portogallo). 3° Queste Commissioni si completeranno da sè medesime per i paesi non ancora rappresentati, come anche in caso di decesso di alcuno dei loro membri. Ognuno dei membri sudde- signati formerà un Comitato locale nella propria nazione. Le stesse Commissioni dovranno inviare le proprie conclusioni e pro - poste al Comitato organizzatore entro il 1880, ed esso Comitato le farà stampare e distribuire prima dell’ apertura del Congresso. Finalmente dietro proposta dei signori Jannetaz e Gosselet, venne istituita una terza Commissione per studiare la questione delle norme da tenere onde stabilire la nomenclatura delle specie sia dei fossili che dei minerali, e vennero eletti membri di essa : per la paleontologia i signori Cotteau, Douville, Gaudry, Gos- selet, Saporta; e per la mineralogia Descloiseaux e Jannetaz. Come si vede adunque il compito non stato adempiuto dal Congresso di Parigi, venne in certo modo affidato con più pre- ciso programma a quello che sarà tenuto in Bologna. E dunque essenziale che il Comitato organizzatore italiano, e le speciali commissioni internazionali fissino in modo preciso e semplice le basi delle tre principali questioni da risolvere. E benché sia molto difficile che una completa soluzione si possa nè presto, nè per parecchi anni ancora ottenere, ciò non di meno è sperabile - 547 - che il primo e più importante passo nella buona via venga avan- zato nel Congresso che sarà onore del nostro paese. Questo che fu già sede dei primi serii conati della geologia e che tra le sue formazioni geologiche assai ne offre, le quali possono ornai servire di tipo alle altre nazioni, non era indegno della scelta fattane nel Congresso di Parigi, e dobbiamo attenderci a che tale scelta sarà ben giustificata dal suo successo. CENNO NECROLOGICO. Angelo Sismonda. — Una dolorosa perdita faceva V Italia negli ultimi giorni del dicembre 1878 per la morte di Angelo Sismonda, scienziato illustre e benemerito del suo paese per molti lavori sulla geologia del Piemonte e per avere potentemente contri- buito alla effettuazione di un’ opera che può dirsi una delle più grandiose ed utili dei nostri tempi, il traforo delle Alpi Cozie. Nacque il Sismonda in Corneliano d’ Alba nell’agosto 1807, e fatti i suoi primi studi in Saluzzo andava a compierli in To- rino dove si dedicò intieramente alla fìsica, alla chimica e in modo speciale alla mineralogia. Compiuti gli studi in patria sotto la direzione di valenti maestri che ispirarongli vivo amore per le scienze naturali, recavasi egli a Parigi dove attese a perfe- zionarsi coll’ aiuto degli illustri professori che allora insegnavano alla Scuola delle Miniere, al Giardino delle Piante, alla Sorbona ed al Collegio di Francia. Ritornato in patria nel 1828 fu per quattro anni assistente alla cattedra di Mineralogia della R. Uni- versità di Torino e, dopo la morte dell’ illustre Borson, nominato professore e direttore del Museo mineralogico in luogo del suo maestro. Fu allora che il Sismonda concepì P idea di formare la carta geologica della Savoia, del Piemonte e della Liguria ed incominciò a mettere insieme i materiali che raccolse in lunghe escursioni sulle Alpi, nelle quali ebbe sovente a compagno l’il- lustre Elie de Beaumont : frutto di tanto lavoro fu la carta pub- blicata nel 1866, e che è ancora, dopo tanto progresso della scienza, documento importantissimo per la geologia di quelle contrade. Gloria imperitura del compianto Sismonda è di avere reso possibile col valido suo consiglio il progetto grandioso della gal- leria del Fréjus, che doveva mettere in comunicazione diretta col mezzo di una ferrovia il Piemonte con le valli della Savoia. Questa idea, messa avanti dal Médail sino dal 1844 e poscia — 548 — lasciata in oblio, veniva ripresa nel 1845 dal Des Ambrois, al- lora ministro dell’ interno e dei lavori pubblici, il quale incari- cava il nostro geologo di esaminare la possibilità del traforo alpino. Gli studi fatti dal Sismonda sulla geologia delle Alpi giungevano opportuni, e venuto era il momento per dimostrarne ampiamente la pratica utilità : infatti egli, esaminato il colossale progetto secondo i criterii della scienza,, conchiuse nettamente che T impresa, quantunque audace, era peraltro possibilissima ; e devesi alla sua voce autorevole se il Governo, vinti tutti gli ostacoli, potè dar mano alla gigantesca impresa e portarla a compimento: in tutto il corso del lavoro le dotte previsioni del Sismonda ebbero una splendida conferma. In altre occasioni il Governo ebbe a ricorrere all’ opera in- telligente dell’ illustre geologo per lavori di pubblica utilità, e in special modo da quando si pose mano alla costruzione di strade ferrate. Nè siffatte cure distoglievano il Sismonda dall’ amore inde- fesso che egli portava alla sua Scuola ed al Museo mineralogico, che anzi in quel campo possiamo meglio ammirare la sua atti- vità scientifica. Nel lungo periodo durante il quale occupò la cattedra di mineralogia in Torino, egli potè dotare quella città di uno fra i più importanti stabilimenti scientifici di cui essa si vanti, dovuto in gran ^arte alle sue diligenti cure ed alla sua paziente attività. Allo stesso Museo esso lasciava in dono ancora prima di morire tutta la sua biblioteca, ricca di molti volumi e di pubblicazioni rarissime. Oltre alla sua Carta geologica della Savoia, del Piemonte e della Liguria, il Sismonda ha lasciato una quantità di dotte pub- blicazioni la maggiore parte delle quali si trovano inserite nelle Memorie e negli Atti della R. Accademia delle scienze in To- rino, nei Rendiconti dell’ Istituto di Francia e nel Bollettino della Società geologica di Francia. Giuseppe Bianconi. — Il giorno 18 dello scorso mese di ot- tobre moriva in Bologna sua patria, in età di 69 anni, questo egregio cultore delle scienze naturali e in special modo della geologia, la cui vita non fu che una continua applicazione alle lettere ed alle scienze da lui predilette. Dopo il corso degli studi liceali il Bianconi attese a quelli di filologia e filosofia nell’Ateneo bolognese, non trascurando di frequentare nello stesso tempo tutti i corsi di scienze naturali che vi si davano in quell’epoca, non che quelli di agronomia e di anatomia comparata ; e più che a tutto dedicò il suo tempo alle scienze naturali, guidato in questo studio dal Ranzani che allora professava Storia Naturale in Bologna. Animato da vero amore per le scienze di osservazione, intraprese una serie di escursioni pei monti della sua provincia, dalle quali risultarono — 549 — studi speciali che esso poi clava alla luce, come quello notevo- lissimo sui terreni ardenti e F altro sui fenomeni prodotti dal- l’ idrogeno nei vulcani di fango, lavori questi che gli procaccia- rono la stima dei naturalisti per le diligentissime descrizioni e per le acute osservazioni in essi raccolte. Esso ha specialmente il merito di avere pel primo distinte e caratterizzate benissimo quelle argille che chiamò scagliose , denominazione che venne al- l’ unanimità accettata dai geologi. Nell’ anno 1842 il Bianconi veniva nominato professore della cattedra di storia naturale in Bologna, e sua prima cura fu P ordinamento delle collezioni del Museo, le quali venivano aperte al pubblico dieci anni dopo grandemente ampliate e disposte in nuovi e più adatti locali. D’ allora in poi dettò lezioni in tutti i rami della vasta scienza eh’ egli professava, sino a che avve- nuta nel 1860 la divisione della cattedra di Storia Naturale nelle diverse sue parti, egli ritenne per sè la zoologia. Nella lunga sua carriera la geologia è sempre stata dal Bian- coni coltivata con grande amore, e di ciò fanno fede le molte sue pubblicazioni su questa materia sparse nelle raccolte scien- tifiche e specialmente nei Nuovi annali delle Scienze Naturali e nel Bollettino della Società Geologica di Francia. Fino dal 1838 intraprese osservazioni intorno alle fìlliti onde potere distinguere fra di loro gli avanzi di tali vegetali che vissero nelle diverse epoche geologiche. Interessanti sono i suoi lavori sul livello an- tico delle acque del Mediterraneo e sulla formazione attuale dei delta, non che quelli sulle argille scagliose e sulla emersione del terreno subapennino, i quali tutti gli dettero argomento di dotte memorie. Molto interesse egli poneva nello esame delle dottrine nuove che la geologia è venuta svolgendo negli ultimi tempi ; di queste stava appunto occupandosi da ultimo, e certa- mente avrebbe dato saggi interessanti di sue considerazioni se la vita gli fosse durata. Fra i manoscritti da esso lasciati si ri- trovano i materiali di un lavoro che aveva per scopo di dimo- strare la insufficienza dei caratteri paleontologici e stratigrafici nella determinazione cronologica delle formazioni. Vincenzo Bambotti. — Nei primi del corrente dicembre mo- riva in Caltanissetta, nella fresca età di 33 anni, F ingegnere Vincenzo Bambotti che aveva dato di sè ottimi saggi nella scienza geologica. Di cuore affettuoso e di indole soave, accom- pagnati da rara modestia e da una attività instancabile, era caro a quanti lo conobbero e dava buone speranze di una splendida riescita. Nato a Desenzano sul Lago (Lombardia) il Bambotti com- pieva con molta lode gli studi liceali nella città sua nativa, dopodiché attese allo studio delle matematiche, prima nell’Ateneo pavese e poscia in quello di Bologna. Ottenuto un posto gover- - 550 - nativo nella costruzione delle ferrovie calabresi, si fu in Cala- bria che potè esercitare la passione sua per gli studi geologici, ai quali dedicava il tempo che libero gli lasciavano i lavori della sua professione. Risiedendo in Catanzaro ebbe agio di fare uno esame dettagliato della costituzione geologica di quella interes- sante contrada, e tale suo studio rese di pubblica ragione con due dotte Memorie inserite nel nostro 'Bollettino del 1876 e del 1877. Nello stesso anno 1877 veniva incaricato dalla Dire- zione dei lavori ferroviari di una dettagliata descrizione geolo- gica dei terreni attraversati dalla linea calabrese per tutto il suo percorso in provincia di Catanzaro, onde corredarne una re- lazione che fu poi mandata alla Esposizione internazionale in Pa- rigi. Il Rambotti si applicò al faticoso lavoro con tutta la sua attività e in tempo relativamente breve potè tracciare con la più scrupolosa esattezza una lunga zona di carta geologica, tale da illustrare gran parte del versante ionico della provincia di Ca- tanzaro : tanto la carta quanto il testo descrittivo che V accom- pagna sono lavori che possono fare onore ad un geologo provetto. Trasferito più tardi dalla Calabria in Sicilia per attendervi ai lavori ferroviari, avrebbe per certo esercitata anche là la sua attività collo studio della costituzione geologica dell’ isola, se una malattia acquistata nelle insalubri regioni del littorale ionico non V avesse tolto troppo presto all’ affetto della famiglia ed alle speranze che in esso giustamente fondava la scienza geologica. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1877. (Volume Nono.) P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori del Comitato Geologico nel 1877 Pag. 8 NOTE GEOLOGICHE. I). Pantcmelli . — Sul pliocene dei dintorni di Chianciano (Toscana) . 10 C. De Stefani. — Sulle serpentine e sui graniti eocenici superiori del- 1’ alta Garfagnana. . 19 B. Lotti. — Una sezione geologica attraverso il Monte di Murlo presso Siena, a proposito dell’ epoca delle serpentine dell’ Italia centrale 29 G. Ponzi. — I monti della Tolfa e la regione circostante 84 B. Lotti. — Il giacimento antimonifero della Selva presso Pari, le putizze e le sorgenti sulfuree di Petriolo e il giacimento ra- mifero del Santo 83~ M. VaceTc. — Sulla geologia dei Sette Comuni nel Veneto 90 A. Bittner. — Sulla geologia dei Tredici Comuni al Nord di Verona. 95 A. Bittner. — Il terreno terziario di Marostica nel Veneto 101 A. De Zigno. — Sui sirenoidi fossili dell’ Italia 105 T. Fnclis. — Intorno alla posizione degli strati di Pikermi 110 S. Ciofàlo. — Poche parole sui terreni dei dintorni di Termini-Imerese 114 D. Lovisato. — Cenni geognostici e geologici sulla Calabria setten- trionale 155 A. Ferretti. — Sopra i vulcani di fango e le argille scagliose del Modenese 174 Ed. Hebert e Munier-Chalmas. — Nuove ricerche sui terreni terziarii del Vicentino. . . 187 B. Lotti. — Il Monte Amiata 251 M. Canavari. — Le grotte di Sant’ Eustachio presso Sanseverino- Marche, appunti geologici sull’ Appennino centrale 261 C. De Giorgi. — Appunti geologici sulle miniere di Monte Sferruc- cio nell’Aquilano 272 — 552 — S. Ciofalo. — Alcune osservazioni sul miocene di Ciminna . . . Pag. 281 E. Benevier. — Sulla struttura geologica del gruppo del Sempione 286 D. Pantanelli. — Bibliografia geologica e paleontologica della pro- vincia di Siena 300 D. Lovisato. — Cenni geognostici 'e geologici sulla Calabria setten- trionale (continuazione) 347 B. Lotti. — Il Monte Annata (continuazione e fine) 363 D. Pantanelli e B. Lotti. — Sui marmi della Montagnola Senese. . . 384 C. De Stefani. — Sull’ epoca degli strati di Pikermi 396 C. Doelter. — Il vulcano di Monte Ferra in Sardegna 406 Blanchard. — Sulle miniere di stagno di Canapiglia 430 Pio Mantovani. — Alcune osservazioni sui terreni terziari dei din- torni di Reggio Calabria 443 D. Lovisato. — Cenni geognostici e geologici sulla Calabria setten- trionale (continuazione) M. Canavari. — Cenni geologici sul Camerinese e particolarmente su di un lembo titonico nel Monte Sanvicino 488 E. Stohr. — Sulla posizione geologica del tufo e del tripoli nella zona solfifera di Sicilia 497 C. Schwager. — Nota su alcuni foraminiferi nuovi del tufo di Stretto presso Girgenti 519 NOTE MINERALOGICHE. A. Corsi. — Di alcune prelaniti della Toscana 54 A. Issel .v — Zeolite ed Aragonite raccolte nei filoni cupriferi della Liguria *...... 116 P. Zezi. — Le nuove specie minerali studiate e descritte nell’ an- no 1877 196 A. Issel. Rame nativo epigenico sopra un dente di squalo e fru- stoli di piante convertite in limonite 226 NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. L. Bombicci. — Contribuzioni di mineralogia italiana. — Bolo- gna 1877 71 C. Marinoni.— Contribuzioni alla geologia del Friuli. — Venezia 1877. 76 W. Dames. — Die Echiniden der vicentinischen und veronesischen Tertiàrablagerungen. — Cassel 1877 77 G. Seguenza. — Nuculidi terziarie rinvenute nelle provincie meridio- nali d’Italia. — Roma 1877 122 W. Branco. — I vulcani degli Ernici nella valle del Sacco. — Ro- ma 1877 124 G. A. Pirona. — Sulla fauna fossile giurese del Monte CavaJlo in Friuli. — Venezia 1878 125 — 553 - T. Taramelli. — Del granito nella formazione serpentinosa dell’ Apen- nino pavese. — Milano 1878 Pag. 127 A. Verri. — Sulla cronologia dei vulcani tirreni e sulla idrografia della Val di Chiana anteriormente al periodo pliocenico. — Mi- lano 1878 129 A. Cossa. — Ricerche chimiche sui minerali e rocce dell’ Isola di Vul- cano. — Roma 1878 130 G. Capellini. — Il calcare di Leitha, il Sarmatiano e gli strati a Con- gerie nei monti di Livorno, ec. — Roma 1878 132 A. Issel. — Nuove ricerche sulle caverne ossifere della Liguria. — Ro- ma 1878 237 G. Capellini . — Della pietra leccese e di alcuni suoi fossili. — Bolo- gna 1878 327 T. Taramelli. — Descrizione geognostica del Margraviato d’ Istria. — Milano 1878 329 A. Manzoni e G. Mazzetti. — Echinodermi nuovi della molassa mio- cenica di Montese. — Pisa 1878 331 U. Botti. — Sopra una nuova specie di Myliobates. — Pisa 1878. . . 332 A. Stoppani. — Carattere marino dei grandi anfiteatri morenici del- l’ Alta Italia. — Milano 1878 530 B. Gastaldi. — Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi piemontesi durante la campagna del 1877. — Roma 1878 531 G. Bonzi. — Le ossa fossili subapennine dei dintorni di Roma. — Roma 1878 533 T). Lovisato. — Strumenti litici e brevi cenni geologici sulle pro- vincie di Catanzaro e di Cosenza. — Roma 1878 534 NOTIZIE DIVERSE. R. Accademia dei Lincei 134 Società toscana di scienze naturali 137 Il nitrato di soda e altri prodotti minerali del deserto di Atacama nel Chili 142 Società toscana di scienze naturali 242 Idem 332 La questione delle argille scagliose 536 Cenno necrologico. Th. Oldham 341 Id. W. B. Clarke 342 Id. G. Curioni 436 Id. A. Sismonda 547 Id. G. Bianconi 548 Id. V. Rambotti . 549 TAVOLE ED INCISIONI. Sezione geologica attraverso il Monte Murlo 31 Figure di cristalli 57 e 66 - 554 — Sezione geologica attraverso il Monte di Pari Pag. 86 Dente di squalo . 227 Vegetali convertiti in limonite 232 Noduli ferro-manganesiferi di Monte Rosso 234 Sezioni geologiche di Monte Sferruccio 278 e 279 Sezioni geologiche dei dintorni di Ciminna 284 Sezione da Stribugliano verso il Monte Amiata 367 Profilo del Monte Amiata visto da Siena 369 Sezione lungo il torrente Rosìa 388 Sezione ad Ovest di Cetinale 399 Sezioni geologiche dei dintorni di Reggio Calabria. . 445, 448, 456 e 459 Sezione geologica del bacino di Camerino 497 Tavola dei foraminiferi nuovi del tufo di Stretto presso Girgenti . 529 L’ Esposizione Universale ed il Congresso geologico internazionale del 1878 in Parigi ^ 541 i PUBBLICAZIONI DEL B. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) I, Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Co- mitati Geologici e sul B. Comitato Geologico d’Italia. — Firenze 1871 L. 1.50 Idem. — Carta Geologica della parte orientale del- F Isola d’ Elba, nella scala eli 1 per 50,000. — Firenze 1871 » 3. 00 F. Giordano. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande galleria della ferrovia Italo-Elve- tica. — Firenze 1873 10. 00 Idem. — Carta Geologica del San Gottardo, nella scala eli 1 per 50,000. — Firenze 1873 » 5.00 C. W. C. Fuchs. — Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala eli 1 per 25,000. — Firenze 1873. ...» 3.00 G. Ponzi e Fr. Masi. — Catalogo ragionato dei prodotti minerali italiani ad uso edilizio e decorativo spediti dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio all’ Esposizione Internazionale di Vienna. — Boma 1873 » 2. 00 Idem. — Catalogo sommario dei prodotti minerali italiani ec. — Roma 1873 ...» 1. 00 P. Zezi. — Cepni intorno ai lavori per la Carta Geo- logica d’Italia in grande scala. — Roma 1875 . » 1. 50 G. Doelter. — Carta Geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone, nella scala di 1 per 20,000. — Roma 1876 » 2. 00 Per le commissioni dirigersi all’ Ufficio Geologico in Roma, Piazza San Pietro in Vincoli, N. 5 , od ai principali librai. Annunzi di pubblicazioni. / r U. Botti. — Sopra mia nuova specie di Miliobates (dagli Atti della So- cietà Toscana di Scienze Naturali, voi. Ili, fase. 2). — Pisa 1878; pag. 14 in-8°. T. Taramelli. — Descrizione geognostica del margraviato dJ Istria. — Milano 1878 ; pag. 196 in-16° con annessa Carta geologica dell’ Istria e delle Isole del Quarnero. A. Manzoni e G. Mazzetti. — Echinodermi nuovi della melassa mioce- nica di Montese nella provincia di Modena. — (Atti della Soc. Tose, di Se. Nat., voi. III, fase. 2.) — Pisa 1878; pag. 7 in-8° con tavola. G. Mekcalli. — Sulle marmotte fossili trovate nei dintorni di Como. — Milano 1878 ; pag. 8 in-8°. A. Verri. — Avvenimenti nell’ interno del bacino del Tevere antico durante e dopo il periodo pliocenico. — Milano 1878; pag. 32 in-8° con una tavola. P. Zezi. — Indice bibliografico delle pubblicazioni italiane e straniere riguardanti la mineralogia, la geologia e la paleontologia della provincia di Roma, con un’Appendice per le acque potabili, termali e minerali. — Roma 1878; pag. 20 in-4 . A. Stoppane — Carattere marino dei grandi anfiteatri morenici del- PAlta Italia. — Milano 1878; pag. 80 in-4° con sei tavole. D. Lovisato. — Strumenti litici e brevi cenni geologici sulle provincie di Catanzaro e di Cosenza. (Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei; Memorie, serie 3a, voi. II.) — Roma 1878; pag. 22 in-4° con lina tavola. G. Ponzi. — Le ossa fossili subapennine dei dintorni di Roma. (Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei ; Memorie, serie 3a, voi. II.) — Roma 1878; pag. 30 in-4°. C. De Stefani e D. Pantànelli. — Molluschi pliocenici dei dintorni di Siena. (Bollettino della Soc. Malacologica italiana, voi. IV, disp. la.) — Pisa 1878. A. e G. B. Villa. — Cenni geologici sul territorio dell’ antico distretto di Oggiono. (Atti della Soc. It. di Se. Nat., voi. XXI, fase. 2°.) — Milano 1878; pag. 20 in-8° con carta geologica. A. De Zigno. — Annotazioni paleontologiche. Aggiunte alla ittiologia dell’epoca eocena (dalle Memorie dell’Istituto Veneto, voi. XX). — Venezia 1878; pag. 14 in-4° con tre tavole. — Sulla distribuzione geologica e geografica delle conifere fossili. — Padova 1878; pag. 14 in-8° con tre tabelle. B. Gastaldi. — Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi piemontesi durante la campagna del 1877 (dagli Atti della R. Accademia dei Lìncei ; Memorie, serie 3a, voi. II). — Roma 1878 ; pag. 12 in-4° con due tavole colorate. I. Cafici. — Da Vizzini a Licodia, note geologiche. — Siracusa 1878 ; pag. 36 in-8° — Studi sulla geologia del Vizzinese. — Catania 1878 ; pag. 23 in-4°. A. De Zigno. — Sopra un nuovo sirenio fossile scoperto nelle colline di Brà in Piemonte (dagli Atti della R. Accademia dei Lincei; Me- morie, serie 3a, voi. II). — Roma 1878 ; pag. 13 in-4° con sei tavole. G. F. Rodwell. — Etna, a history of thè mountain and of its eruptions. — London 1878; pag. 146 in-8° con tavole e figure intercalate. D. Lovisato. — Il Monte di Tiriolo. — Catanzaro 1878 ; pag. 26 in-4°. 4