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DI GIACOMO LEOPARDI

PUBllCATI CON NUMEROSE VARIANTI

DI SU GLI AUTOGEAFI EECANATESI

CAMILLO ANTONA-TRAVERSI

CITTA DI CASTELLO

S. LA PI TIPOGRAFO, EDITORE

1887

PROPRIETÀ LETTERARIA

a^

ALLA NOBILE SIGNOEINA

BICE ANTONA- TRAVERSI

Mia dilettissima Bice^

" Negli animi che amore si elegge ad abitare, suscita e rinverdisce, per tutto il tempo che egli vi siede, l'infinita speranza e le belle e care immaginazioni de- gli anni teneri.

Queste parole che Giacomo Leopardi lasciò scritte nella Storia del genere umano, mi tornano a mente ora che, comjnuta P opera mia^ sto per intitolarla al tuo dol- cissimo nome.

A nessuno in vero meglio che a te. che mi fosti compa- gna fedele e amorosa per ventidue anni vissuti in intima e soare comunione s\ di gioje e di dolori, io che son nato ari amare, ho amato, e forse con tanto affetto quanto può mai cadere in anima vira potrei volger la mente, dando alla luca alcuni tra gli autografi di quel sublime, quasi divino ingegno, che fu Giacomo Leoptardi, onde tante volte, nella giovinezza nostra, ptasseggiando per gli omhrosi e odorati viali del nostro "Desio,,, abbiamo letto e commentato insicìne i canti immortali.

Rivivere, non fo ss 3 che un'' ora di quelle care memorie; ritornare, fosse pure un istante solo, a quegli anni beati, quando tutto, a cominciare dal volto della. Mamma adorata,

VI

ini sorrideva cV intorno come la fiorente primavera, e per me la suprema sto per dire la sola, la forte mia fjioja.

Nessuna amicizia, ìnia dolcissima sorella, sarà mai e poi mai uguale alla nostra, eh* e fondata in tante rimem- branze, che è antica quanto la nostra nascita; e se e vero e io certo non ne dubito che niuna forza, nittn capriccio umano, puh separare due cuori che si sen- tono stretti indissohd)ilmente Viino all^ altro, io vivrò eterno nel tuo pensiero e nel tuo cuore, come tu nel mio.

Dalla lettura e dallo studio di questi canti del Poeta prediletto della nostra giovinezza, così come furono fer- mati in carta le prime volte, anche tu, mia sorella, trarrai grande e proficuo ammaestramento. Intjnderai meglio ciò che io ehhi pia volte occasione di dirti e far- ti toccar con mano; che, cioì', la poesia non consiste già nel variare il materiale del verso e nelV inventare strava- ganti accopinamenti nelle strofe, s) bene nel variarne il so- stanziale, o, meglio, i pensieri e i sentimenti, e nel dir cose belle, cose grandi, cose molte, con semplicità, con forza, con entusiasmo.

Gradevolissima e assai proficua così a Teresita (che

VII

le Muse lattar jnii cWaltra mai) come a te, riuscirà dun- que questa mia novella e laboriosa fatica ; e la vostra lode, che so di meritare, sarà certo il jjremlo più hello e più ambito alle mie amorose lunghissime cure.

La poesia lasciamelo dire quando e grande e divi- na, ed e questo il caso, tende a farci fortemente e pienamente sentire la nostra esistenza sollevandola di dalle noje che V accompagnano: dimentica dunque per un istante, quando sorgono, le rare nuvolette che abbuiar possono il tuo puris- simo cielo di fanciulla, e lascia che, dal canto mio, ponga in oblio i ìnolti inali che mi amareggiano il vivere.

Sidjlime effetto della poesia immortale, quello di ra- pire Vanimi nostra e trasportarla in un mondo assai mi- gliore, ove tutto e purezza, beatitudine, serenità!

Vivi felice, com.e ne sei degna, a canto a nostra madre, es^.mplare di ogni bella e difficile virtù ; e rileggendo, con Te- rzsita, gVimmortaU canti del poeta delle Ricordanze così come sono usciti dalla sua penna, lascia che le tue lab- bra pronunzino spesse volte il nome dsi tuo affezionatis- simo e immutabile fratello

Camillo.

Boma, 1'^ marzo '87.

PREFAZIONE

PREFAZIONE

Il volume che ora pnblico e che mi è lecito sperare dover essere grandemente utile e prezioso agli studj letterarj e filologici, contiene la ri- produzione fedelissima de' manosci'itti di alcuni componimenti poetici di Giacomo Leopardi. Que- sti manoscritti sono conservati gelosamente dalla nobile famiglia Leopardi, a Recanati, nella ricca biblioteca avita.

Condottomi, tre amii or sono, in Recanati, ebbi il gentile permesso di studiare e trascrivere quei preziosi manoscritti dal presente conte Gia- como Leopardi, primogenito di Pier Francesco. Sebbene ora possa vantarmi di possedere intiera Tamicizia del nobil Uomo, tre anni fa^ allor- ché andai la prima volta in Recanati, io era a lui sconosciuto di persona : onde tanto maggiormente devo essergli grato della squisita cortesia che gli piacque di usarmi.

XII PREFAZIONE

Ora, dunque, per me si publicano in questo volume, a vantaggio sommo degli studj e delle lettere, tutti i manoscritti che si conservano nella biblioteca Leopardi. Sono pochi, ed è doloroso. Eccone l'elenco :

I Traduzione del primo libro della Odissea.

II Traduzione del secondo libro della E-

neide, con preambolo al Lettore.

Ili Inno a Nettuno, con le note.

lY Sul monumento di Dante che si prepara

IN Firenze {Canzone),

Y Ad Angelo Mai (Canzone).

YI La sera del giorno festivo (Idilìio).

YII Alla luna (Idillio).

YIII... La luna o la ricordanza (Idillio).

IX Il sogno.

X Il sogno (Idillio).

XI Imitazione.

XII Canzone per una donna malata di ma- lattia LUNGA E mortale.

XIII... Le Rimembranze (Idillio).

Cinque di questi manoscritti, e, per fortuna, i più importanti, sono di pugno di Giacomo, vo- glio dire la canzone Ad Angelo Mai; la canzone Bui monumento di Dante; Vlnno a Nettuno con le note; il primo libro della Odissea; il secondo li- bro della Eneide. Questi sono interamente auto- grafi: gli altri, di mano della sorella Paolina la quale, insieme con Carlo, era il fedele e amoroso copista di Giacomo. * Ma anche questi manoscritti

PREFAZIONE XIII

cU mano della contessa Paolina hanno grande im- portanza a cagione dello molte varianti, assolu- tamente INEDITE, che essi contengono [vedi spe- cialmente r Idillio intitolato : La sera del gioeno festivo].

Ho detto esser cosa dolorosa che questi mano- scritti (e specialmente gli autografi) sieno cosi pochi. Certo, nella biblioteca Leopardi non ce ne sono altri, salvo questi da me trascritti e stu- diati. Parecchi devono essere posseduti da An- tonio Ranieri ; e sarebbe una vera e grande fortuna che qualche valentuomo autorevole, amico del Ra- nieri, tentasse e venisse a capo d' indurlo alla preziosi-Bsima publicazione degli aurei autografi. Altri manoscritti, come, ad esempio, la canzone fa- mosa AW Italia {Qd è grave jattura) devono essere stati involati da una tale che ingannò sempre la buona fede della contessa Paolina; la quale, come ognun sa, rimase, alla morte di Pier Fran- cesco, usufruttuaria di tutto il patrimonio Leo- pardi. Il furto commesso da questa femmina sarà da me provato in un mio libro di imminente publicazione.^ Quanto a Carlo, non credo recasse con manoscritti di Giacomo. Egli, come tutti sanno, si divise dalla famiglia, a cagione del suo matrimonio con la cugina Paolina Mazzagalli matrimonio a cui il conte Monaldo negò il suo assenso e più non ritornò in famiglia: abitò sempre il palazzo dei Mazzagalli.

Ma la maggior parte de' manoscritti dovettero essere distrutti, com' è naturale supporre^, dallo stesso Giacomo. Le prime bozze dei varj Canti

XIV PREFAZIONE

dovevano certamente rigurgitare di correzioni e varianti immensamente preziose. Ma questi aurei autografi, questi primi abbozzi sovraccarichi di varianti, lian dovuto, C(jm' è naturai cosa, essere di- stratti dallo stesso Poeta (almeno per la maggior parte) a mano a mano che i varj Canti erano rico- piati in netto per la stampa. Laonde gli auto- grafi, consegnati dal Poeta in diversi tempi ai varj editori delle sue cose poetiche e, specialmente, de' suoi Canti non è credibile contenessero un gran tesoro di varianti. Perocché Giacomo era scrupolosissimo nello scrivere nettamente l'ul- tima copia definitiva delle sue cose, specie quando la copia in netto doveva essere consegnata alla stampa. In tali copie definitive, il Leopardi abor- riva le cancellature, gli sgorbj e tutto ciò che potesse render malagevole al tipografo la let- tura del manoscritto. Per queste ragioni, non credo che gli autografi, consegnati dal Poeta ai diversi editori de' suoi Canti, contengano, come ho detto, gran tesoro di correzioni e varianti: e quanto ai primi abbozzi e alle prime copie ma- noscritte, dovettero, si com' è naturale, esser di- strutte dallo stesso Poeta. Tuttavia potrebbe es- sere opera utilissima il fare diligenti indagini presso gli eredi dei varj editori leopardiani per veder modo di ritrovare gli autografi che il Leo- pardi consegnò a quegli editori. Bisognerebbe far ricerche presso gli eredi dello Stella, presso quelli del Brighenti, del Nobili (Bologna), della Stam- peria delle Muse (Bologna), di Guglielmo Piatti (Fi- renze) e di Saverio Starita (Napoli). Qualche cosa.

PREFAZIONE XV

forse, si verrebbe a capo di trovare, e potrebbe an- clie darsi che si rinvenissero autografi importantis- simi. Bisognerebbe anche far indagini presso gli eredi di quegli uomini illustri i quali furono le- gati di calda amicizia al nostro Poeta, e, specia- lissimamente, presso gli eredi delle varie nobil- donne , amate o vagheggiate dal Leopardi in Bologna, Firenze e altrove. È assai facil cosa credere che il Leopardi, nel far la corte a quelle belle e sospirate dame, leggesse loro di quando in quando, negli eleganti e profumati salotti, qualche sua nuova poesia : tanto più quando que- sta nuova poesia trattava di amore ed era stata ispirata al Poeta da quelle stesse nobildonne. Come è possibile che l'innamorato Giacomo non legges- se, in tali occasioni, alle donne amate i versi da loro ispiratigli? E come è possibile credere che quelle gentildonne non chiedessero, e ottenessero, dal Poeta l'autografo prezioso?

Ciò non ostante^ io dubito molto, e per varie ragioni, dell'esito fortunato di co teste possibili in- dagini. A ogni modo, si potrà tentare. Intanto è mio dovere assicurare il lettore di una cosa certa, cioè che nella biblioteca Leopardi non sono altri manoscritti oltre a quelli da me publicati in questo volume a utilità somma della filologia e dell'arte.

XVI TKEF AZIONE

IL

Per molte ragioni, che qui sarebbe troppo lungo enumerare, ho preferito dar fuori questi manoscritti secondo l'ordine con cui furono pri- mieramente stampati, e non secondo quello con cui li compose l'Autore; quantunque le date dei varj manoscritti, contenuti in questo volume, sieno tutte ben certe e indubitate. In fatti, ora si conoscono, in modo sicuro, non solo le da- te delle traduzioni, degl' Idillj e delle Canzoni ((he si trovano in questo volume) , ma anche della Imitazione, il cui manoscritto io publico a pagina 203. Il Pieretti, tanto benemerito della cronologia dei Canti leopai-diani, mostrò acutamente, in un suo dotto articolo, la vera data di questo componimento. Benché, dunque, le date di tutti i manoscritti da me publicati sieno ornai conosciute in modo certo e indubi- tato, pur tuttavia ho preferito dare ad essi quello stesso ordine con cui vennero la prima volta alla luce: perocché, in questo volume, non è mio intento offrire un commentario critico (cosa che farò presto), si bene solo i manoscritti e le va- rianti di cose leopardiane già edite. ^

I varj manoscritti sono da me riprodotti tali e quali, con scrupolosissima esattezza e precisione. Tutto ciò che é scritto in carattere corsivo rap- presenta e riproduce i pentimenti, le correzioni e le cancellature del Poeta: il carattere tondo, al

PREFAZIONE XVII

contrario, r.tppreseiita il tc^sto publicato, cioè la lezione definibivamente prescelta dall'Autore nella prima stampa o edizione delle varie suo cose. In nota, poi, ho messo tutte le varianti clie s'in- contrano — de' varj Canti da me riportati in que- sto volume nelle edizioni procurate e curate dallo stesso Poeta: cioè nella edizione di Roma (1818), in quelle di Bologna (1820, 1824 e 1826), nel Nuovo Ricogìitore (1825-26), nella edizione di Firenze (1831), in quella di Palermo (1834 seb- bene sia ristampa di quella di Firenze 1831), in quella di Napoli (l'ultima, la definitiva 1835), e in quella di Firenze (1836 sebbene sia ristampa della edizione di Napoli 1835). Oltre di die ho an- cora riportate diligentemente tutte le varianti che incontransi nella prima edizione Le Mounier (1845, quella curata da Antonio Ranieri l'ultima an- che autorevole). E ciò per i Canti ^ Idillj e Can- zoni che si trovano in dette edizioni e sono tra le poesie approvate dalV autore non molto tempo prima di morire. Quanto, poi, alle non approvate cioè Eneide, Odissea, Inno a Nettuno ecc.), mi sono servito delle Riviste e dei giornali letterarj, in cui quelle furono la prima volta date fuori a cura del Poeta stesso; e, quindi, della riproduzione fattane dal Pellegrini e dal Viani nel terzo vo- lume della edizione Le Mounier. Nelle note, il modo da me seguito è l'infrascritto: per le varianti propriamente dette uso il carattere tondo; per le va- rianti non propriamente dette, il carattere corsivo. E intendo varianti non propriamente dette quelle citazioni che stanno solamente a indicare una

XVIII PREFAZIONE

differenza d'inberpmizione o d'ortografìa, ovvero l'aggiunta o la sottrazione di qualche particella grammaticale.

III.

Non è difficil cosa accertare a quali edizioni dovettero servire i nostri manoscritti. A ca- gion d'esempio, quello della canzone Sul monu- ììiento di Dante che si prepara in Firenze dovet- te servire (come il confronto evidentissimamente mostra) alla edizione romana del 1818: quello della canzone Ad Angelo Mai, alla edizione bo- lognese del 1820: quello del primo libro della Odissea alla stampa fattane nello Spettatore di Milano (tomo VI, parte italiana, quaderni 65 e 56, 30 giugno e 15 luglio 1816): quello àeW Inno a Nettuno^ alla stampa fattane nello stesso Spet- tatore (tomo Vili, quaderno 75-IIP della nuova serie 1*^ maggio 1817): quello del secondo libro della Eneide, alla edizione di Milano 1817 co' tipi di Giovanni Pirotta. E, sul proposito di questo autografo, è mio dovere avvertire che di esso fu già publicato alcun che dal signor Domenico Ci- cinelli nel 1882 in Frascati. ^ Ma la publica- zione fattane dal Cicinelli è tanto incompiuta, mancante e inesatta, che era assolutamente ne- cessario rifarla da capo, come ho fatto io, in modo compiutissimo ed esattissimo. D'altra parte, il Ci- cinelli si lasciò guidare da criterj e intendi- menti al tutto erronei e falsi. Egli credette

PREFAZIONE XIX

eli publicare (o. non so proprio come diamine abbia potuto credere questa evidente assurdità !) non già l'autografo, tale e quale usci dalle mani del Leo- pardi prima ch'egli si accingesse a rilevarne una nitida copia definitiva per la stampa, ossia un au- tografo totalmente anteriore alla stampa; ma cre- dette, in quella vece, di publicare un autografo con correzioni e rifacimenti deriori alla stampa. Causa di questo errore del Cicinelli fu un passo di una lettera al Giordani, in cui il nostro Poeta così parla della sua t aduziolie deìV Eneide: "Nien- te m' è tanto caro quanto l'intendere i difetti di una cosa mia, perchè ne conosco l'immensa uti- lità; e mi pare che visto una volta e notato un vizio, abbia poi sempre in mente di schivarlo. Ma a ninno ardisco chiedere che me li mostri, per- chè so essere cosa molestissima il ripescare i difetti di un'o^^era, singolarmente quando il cattivo è più del buono. Intanto ella sappia che una co- pia DEL MIO LIBRO È GIÀ TUTTA CARICA DI CORRE- ZIONI E CANGI A.MENTI. Vorrei qualche volta essermi apposto e aver levato via quello che a lei e al Monti dispiace, mi non lo spero „.^ Questo passo iìeìV Epistolario leopardiano fu la prima cagione dell'errore de4 Cicinelli. Vero è che il Leopardi parla di correzioni fatte in uua copia del suo libro ^ ossia in un esemplare sta npato, e ciò ammette lo stesso Cicinelli ; ma il bravo Signore, fondandosi sulla nota meticolosità del nostro Poeta, volle sup- porre che il Leopardi ripetesse, per maggior sicu- rezza, le sue correzioni anche su Vautografo pri- mitivo. Con un po' di buona volontà, che cosa

XX PKEFAZIONE

non si può supporre e credere? Ma se il desiderio di maggior sicurezza indusse il Leopardi a ripe- tere in più copie le correzioni e i cangiamenti^ perchè non le ripetè in copie stampate^ anziché nell'autografo, quasi indecifrabile, irto già di pre- cedenti cancellature e correzioni? Vero è che il Cicinelli fu ajutato, in questa sua ingegnosa fan- tasticheria, da un fatto che, sebbene spiegabilis- simo, è pur curioso e straordinario. Il fatto è que- sto: in un luogo, una intera correzione (consistente in tre o quattro versi senza alcuna cancellatura) è sovrapposta a tr« o quattro versi, che si leggono nella edizione milanese del Pirotta e in quella del Le Mounier, e che nell'autografo primitivo sono cancellati. Questo fatto è veramente un po' cu- rioso ; ma non doveva trarre in inganno un inge- gno acuto e perspicace come quello del Cicinelli. In fatti, se egli avesse osservato che di parecchie correzioni, non apparse nelle edizioni Pirotta e Le Mounier, alcune parole sono sovrapposte, senza cancellatura, a parole cancellate, e altre sono in- frapposte e intercalate, senza disagio e senza an- gustia di spazio, ad altre parole cancellate^ egli avrebbe avuto in mano la chiave dell'enigma, e non sarebbe caduto nel suo ingenuo errore. Mi spiego meglio : di correzioni, senza cancellatura^ sovrapposte a versi cancellati^ e pur riprodotti nelle edizioni Pirotta e Le Mounier, se ne in- contrano diverse nell'autografo primitivo ; ma di tali correzioni cjxa sola è interamente sovrap- posta: tutte le altre sono, in parte sovrapposte, ili j)arte intercalate e infrapposte alle parole

PREFAZIONE XXI

cancellate, senza disagio e senza angustia alcuna eli spazio Ora, quando di una stessa e sola cor- rezione una parte è sovrapposta e un'altra parte intercalata senza disagio alle ' parole cancellate, non si può mai credere, panni, che la correzione sia posteriore alla stampa. Piuttosto bisogna in- ferire che il Poeta, nel rilevare dall'autografo primitivo la copia da spedirsi definitivamente alla stampa, abbia talora ripudiato le correzioni fatte e creduto preferibile la lezione cancellata. E ciò a me sembra matematicamente certo e incon- trastabile. Ora, se questo deve credersi delle cor- rezioni metà sovrapposte e metà intercalate, panni che il medesimo deva credersi di quell'unica tn- teramente sovrapposta. Il Poeta, nel ricopiare l'ul- tima volta per la stampa, il suo manoscritto, s'accorse esser preferibile la lezione cancellata, e la scelse definitivamente. In fatti (per parlare so- lamente della correzione più importante, ossia di quella interamente sovrapposta), il Poeta s'accorse, ricopiando il manoscritto per la stampa, di pa- recchie mende visibilissim3 che trovavansi in essa correzione. Per citarne una sola (che voglio esser breve), egli si avvide di una fastidiosissima ripetizione di uno stesso vocabolo, alla brevissima distanza di quattro versi. E causa del suo accor- gersi fu l'aver ricopiato allora allora i versi pre- cedenti alla correzione: laonde, giunto a questa correzione, e trovandovi (oltre alcune altre mende) fastidiosamente ripetuto un vocabolo che egli aveva ricopiato un minuto iananzi, abbandonò la corre- zione fatta e accettò definitivamente la lezione

XXII ITtEFAZIONE

cancellata. Ma, volando anche concedere al big. Cicinelli, con infiiiLti iiidiil^enzi, che questa cor- rezione sia ver.imente posteriore alla stampa, o, almeno, che possa esser tale, carne fa egli a spie- gare che le correzioni, in veci di essere i.ntfinite (secondo ci fa sapere lo stesso Leopardi), sieno uxA sola'? Abbiamo visto, in fatti, che le altre cor- rezioni, metà sovrapposte, e metà intercalate senza disagio, non possono credersi in vernn modo po- steriori alla stampa.

Resterebbe, dunqne, questa sola correzione, che è interamente sovrapposta. Ma una sola corre- zione è troppo poca cosa e troppo discorda tal miseria dalla abbondanza accennata chiaramente dal Leopardi in una sua lettera allo stesso Gior- dani: "Se questa avesse potuto trovarvi prima che partiste per Milano^ v'avrei pregato che vi faceste dare dallo Stella qualche copia del secondo dell'Eneide da donare a qualcuno degli amici vostri, avvertendoli eh' ella è opera non limata, dove l'autore ha corretti, doj^o la stampa, e mu- titi iN"Fi>r[Ti LuoaHr, e in ispecie cancellata tutta

QUANTA LA STENTATISSIMA PKEFAZTOXE .'' Infiniti

litighi dice il Leopardi; e qui, in vece, sarebbe un luogo solo! Oltre a ciò, il Leopardi afferma di aver cancellata tutta quanta la prefazione: e nel nostro autografo non trovasi traccia alcuna di questa universale e generale cancellatura. Dunque, queste infinite correzioni e queste generali can- cellature non furono ripetute nel povero auto- grafo primitivo (come fantastica il Cicinelli) ; ma

PREFAZIONE XXIII

faite solamonte su nitide copie stampate, e, pro- babilmente, sopra una sola copia.

Del resto, le differenze tra questo autografo e le note edizioni non si ristringono mica alle cor- rezioni e agli emendamenti. In alcuni luoghi tro- viamo notevoli differenze, anche quando Vanto- grafo non porta correzione alcuna. Non fo citazioni perchè lo stesso Cicinelli ha già osservato e rile- vato questo fatto. E che significa ciò? significa che non sempre la lezione prescelta, e rimasta senza cancellatura in questo autografo primitivo, fu poi seguita dal Poeta nella copia definitiva per la stampa. Son poche differenze e di picciola im- portanza, lo concedo (e perciò io potei affermare più sopra che questo autografo servi per l'edizione del Pirotta), ma bastano per aggiungere un va- lido rinforzo alla confutazione della ingegnosa fantasticheria del Cicinelli.

Dunque, riepilogando, nessuna delle correzioni che s'incontrano nell'autografo della Eneide^ da me publicato esattissimamente in questo volume, è, o può essere, posteriore alla stampa. Certo, deve de- j)lorarsi grandemente che non si trovi, o non si sia trovata finora, quella copia stampata in margine al- la quale il Leopardi aveva segnate infinite correzio- ni; ma è anche certo che queste correzioni preziose, fatte dopo la stampa (come assevera lo stesso Leo- pardi), non hanno a far nulla con le correzioni del nostro autografo. Probabilmente, quella tal copia stampata, con postille e correzioni manoscritte del Poeta stesso, deve trovarsi o a Bologna, o presso il

XXIV PREFAZIONE

Eanieri; ma più ve risimil niente trovasi a Bologna e, forse, presso gli eredi del Briglionti. In fatti, nel 1825^ quando il Leopardi si condusse in Bologna, gli fu disegnata una edizione delle sue Opere com- plete. E avendo egli, naturalmente, lasciato a Re- canati tutte le cose sue precedentemente publi- cate in giornali od opuscoli, o tuttora manoscritte scrisse in gran fretta al fratello Carlo (9 novem- bre, 1825) indicandogli i luoghi dove quelle sue cose si trovavano e pregandolo a spedirgliele sol- lecitamente. E avendo Carlo dimenticato nella spedizione il secondo della Eneide e Vlnno a Net- tuno, Giacomo gli riscrive (23 novembre, 1825) dicendo : " Occorrerà il Virgilio e l' Inno postil- lati, e ti dirò poi come bisogni spedirli ^^P Carlo gli mandò subito, col mezzo sicuro del Setacci, il Virgilio e Vlnno postillati, e Giacomo gliene accusò ricevuta con la sua del 9 decembre 1825. L'edizione pomposa delle Opere complete andò poi in fumo; ma il Virgilio e Vlnno postillati non ritornarono più a casa. Se quelle stampe postil- late non furono distrutte, devono trovarsi, dun- que, a Bologna presso gli eredi del Brighenti o quelli del Nobili, o presso quelli della Stamperia delle Muse. Ma può anche darsi che il Leopardi le ritirasse e le recasse finalmente a Napoli con se, lasciandole, preziosa eredità, al Ranieri. Ma che che sia di ciò, è ben certo e indubitato che le cor- rezioni, fatte dopo la stampa, non hanno, ripeto, a far nulla con quelle che si leggono nell'auto- grafo da me publicato in questo volume.

Prima di cessar di parlare di questo autografo

PREFAZIONE XXV

della Eneide, sento la necessità di avvertire clic in quei pochi luoghi, ne' quali le correzioni fu- rono abbandonate dalla stampa e ne' quali le pa- role cancellate rappresentano la lezione definitiva, io ho creduto bene discostarmi, eccezionalmente, dal metodo accennato più sopra. In fatti, sebbene il Leopardi nella copia definitiva per la stampa cangiasse di avviso, pur tuttavia non si può negare che in questo autografo la lezione cancellata rap- presenta la ripudiata, e quella senza cancellature rappresenta la prescelta. Sia pure scelta momen- taneamente e provvisoriamente, ma non si può ne- gare che non apparisca chiaramente accettata. Per- ciò, in questi pochi luoghi, il carattere tondo rap- presenta la lezione finalmente ripudiata nella stampa; e il carattere corsivo, la lezione finalment?. ripresa e accettata nella stampa. Ho creduto ne- cessario avvertire il lettore su questa lievissima e ragionata eccezione al costante metodo da me sem- pre seguito.

E/itornando ora al proposito mio, concludo con l'osservare che i cinque manoscritti sopra menzionati, interamente autografi, servirono evi- dentemente alla prima edizione di qaei componi- menti. Certo, Giacomo dovette rilevar da questi la copia definitiva per la stampa, copia nitida- mente scritta con minuziosa accuratezza da bene- dettino. Co&l s'intende di leggieri come i cinque preziosi manoscritti sieno rimasti in casa Leopardi.

Quanto ai manoscritti, particolare fatica di Pao- lina, sono di piccolissimo momento quei tre che io ho riprodotiio da una raccolta manoscritta di poesie,

XXVI PREFAZIONE

dedicata dalla buona sorella di Giacomo alla ne- potina Virginia, figlia di Pier Francesco. Dico che quei tre brevi manoscritti sono di piccolissima importanza, perchè, evidentissimamente, una co- pia fatta su l'edizione Le Mounier del 1845. A^i s'incontra, è vero, qualche lievissima differenza di interpunzione, di accenti e simiglianti; ma ciò è da attribuirsi chiaramente a una omissione fem- minile e a inesattezza di trascrizione. Tuttavia, per iscrupolo di coscienza, ho voluto ugualmente riprodurli con fedeltà: essi sono il settimo, il nono e Vundecimo di questa raccolta. Ma se l' im- portanza de' medesimi è ben picciola, hanno, in quella vece, importanza somma tutti gli altri ma- noscritti, fattura della stessa Paolina, da me ri- prodotti esattamente di su le Miscellanee mano- scritte della colta e buona Contessa. Essi, in fatti, ci offrono la sconosciuta lezione primitiva dQgVIdillj, quale dovette essere al primo getto. Contengono varianti totalmente inedite e scono- sciute, preziosissime. La buona e ingegnosa Pao- lina, vero angelo di casa Leopardi, era smaniosa di letture e di operosità intellettuale : tanto sma- niosa di operosità, che fa sempre un ajuto prezioso a tutti quanti della famiglia. Monaldo e Giacomo si valsero sommamente delle amorose collabora- zioni della buona Paolina. Giacomo se ne giovava anzi in più modi; ma, specialmente, si valeva di lei come copista diligente e infaticata. Jn compenso, le confidava e donava le primizie delle sue composizioni. E l'ottima sorella, tutta al- tera e superba del genio del fratello, correva

PKEFAZIUNE XXVII

a copiarle subito nelle sue Miscellanee manoscritte, a canto a brani di poeti sommi. Cosi accadde che fossero conservati questi preziosi manoscritti che rappresentano la primissima lezione di parec- chi Idillj.

Alquanto minore importanza ha il manoscritto della Canzone per iena donna malata di malattia lunga e mortale: tuttavia, essendo l'unico mano- scritto veramente autorevole che si abbia di que- sta Canzone giovenile, ho creduto cosa utilissima il riprodurlo esattissimente. Esso varrà a correggere parecchi erroruzzi, scorsi nelle stampe precedenti di questa Canzone, e, specialmente, l'arbitraria in- terpunzione del D'Ancona e del Viani. Varrà, poi, a ripristinare, nell'ultimo verso della strofe quinta, la genuina lezione di conterem, bandita arbitria- mente, nella edizione del Viani, e sostituita da un falso canterem. ^ Il Viani, a pagina 229 della sua Appendice all'Epistolario, volendo render ra- ragione di questo curioso cambiamento, dice: "Accetto canterem, come più cònsono a ^jo^ò^/a . Numi del cielo! Che ha da fare qui la poesia'^ Il Lsopardi dice: " confortati, che risanerai cer- tamente : la tua malattia non è (non posso in- durmi a crederlo) di quelle che non si raccontano-, anzi presto ti riavrai dal morbo crudele, e tu po- trai, insieme con me e co' tuoi cari, raccontare agli amici e ai conoscenti le peripezie e le pene sofferte „. Nelle Marche (e credo anche altrove) è comunissimo questo modo di dire. Volendo, per esempio, significare che una malattia è gravissima e mortale, il Marchigiano dice : " bada, che tu ìion

XXVIII PREFAZIONE

la potrai raccontare! E volendo, in vece, signi- ficare che si spera di non soccombere a un peri- colo o a un infortunio, i Marchigiani dicono: " Hperiani) di poterla raccoìitare „. Dunque, \d^ poe- sia non ha proprio che vedere con questo conte- rem della canzone leopardiana. Il Poeta dice sem- plicemente: " voglio sperare che la tua malattia sia di quelle che si possono poi raccontare.

Quanto alla prosa^ che il Bernardi prima, e il Viani dopo^ preposero a questa Canzone col ti- tolo di Proemio^ io opinai tempo addietro ^ che non avesse a far nulla con la Canzone e fosse un pensiero a e indipendente da essa. Fermo in questa credenza, non so in fatti capire come quegli egregj signori/'^ per il semplice gusto di appiccicar alla Canzone (scritta nel 1818) un Proe- mio qualsiasi, sieno proprio andati a pescar un brano di prosa, la cui origine, o m'inganno, va cercata altrove. Ecco il giudicio uman come spesso erra!

IV.

Quel celebre detto di Buffon, che il genio non è altro che una lunga pazienza, viene confermato dall'esame dei manoscritti de' grandi scrittori. Da questo esame rileviamo, con nostro stupore grande, quanto infinito lavoro di pazientissime elimina- zioni, di rifacimenti, di sostituzioni; quanta len- tezzi di formazione organica; quanta minuzia e incontentabilità scrupolosa di emendamenti sieno

i'REFAZIONE XX iX

cosiate composizioni e scritture, che, o per la veemenza concitata degli affetti, o per la schiet- tezza organica, morbida, spontanea dello stile, sem- brano qua^i improvvise e nate di nn solo getto ! I manoscritti del Petrarca sono rigurgitanti di emend.imenti, di non placet^ di rifacimenti: l'Ariisto rifece ben trenta volte, assicurasi, l'ot- tava famosa:

La verginella è simile alla rosa.

Una sola ottava del Tasso costò dieci o dodici grandi fogli di correzioni, cancellature, rifacimenti . Il Foscolo, e chi noi sa?, correggeva, mutava, li- mava, rifaceva, migliorava incessantemente : i ma- noscritti del Giusti sono un arsenale di cancella- ture, di sgorbj, di sovrapposizioni. Le famose e bellissime ariette del Metastasio, che sembrano im- provvisate, son venute fuori da una moltitudine infinita di correzioni e ricomposizioni.

Come la natura, nella formazione degli orga- nismi più nobili, procede con una lentezza e pa- zienza infinita e con un lavorio incessante, infa- ticato, di eliminazioni, assimilazioni e modificazioni sottilissime e lentissime; così gli scrittori grandi pervengono, a traverso un lunghissimo lavorio di correzioni e rifacimenti, alla formazione organica e perfetta dei loro capilavori. Quanto più lenta, laboriosa, solenne fu la formazione di un' opera d'arte, tanto più lunga, solenne e trionfale sarà la sua vitalità e la sua gloria. Da ciò può in- ferirsi quanto effimera e ignobile vita debbano a- vere le opere d'arte che escono e sono uscite a'

XXX PREFAZIONE

giorni nostri, le quali tutte furono improvvisate in due o tre mesi e, fors' anche, in due o tre set- timane soltanto !

Ma, per ritornare al proposito mio, chi non vede l'immensa utilità che può e deve derivare agli studj dal sorprendere quel lento lavorio occulto, di correzioni o rifacimenti,, nelle opere de' grandi scrittori? E appunto la speranza di apportare agli studj questa immensa utilità mi fu sprone a stu- diar pazientemente e riprodurre con grande fe- deltà i manoscritti leopardiani che veggono la luce in questo volume.

Della eterna incontentahilità del Leopardi nel comporre le cose sue è buon testimonio YEpisto- ìario. Chi esaminerà, poi, con diligente attenzione i manoscritti che io do fuori, troverà in essi una conferma di quella eterna incontentabilità. E qui stimo opportuno riportare alcune parole del Cici- nelli sul proposito del manoscritto autografo del secondo della Eneide^ che fanno assai bene al caso mio: " Io credo che quest'autografo sia il primo manoscritto e non già una copia trascritta dallo stesso autore ; imperocché sono tanti i ricordi, le cancellature, le variazioni, i riscontri che si scorgo- no in esso, che fanno vedere chiaramente la mano che tentenna nell'accettare l'una parola più che l'altra; una frase, una espressione a preferenza di un'altra; tornando più d'una volta a cancellare e a riscrivere quel che già aveva rifiutato; e poi di nuovo a cancellare la medesima cosa in sulla stessa linea. Cosi pare si può notare che, cominciato il verso in un moda, lo canc?lla per cominciarlo di-

PREFAZIONE XXXI

versamente e posticipare quel che prima aveva

cancellato Cosi, a mo' d'esempio, nel verso 29

prima aveva cominciato a scrivere: empion d'ar- mati, e, poi, dopo aver fatto un tratto di penna su quell'espressione, scrive : E le spaziose grotte em- pion d'armati. E nel verso 545 è oltremodo incerto se debba porre indarno o invano; e dopo aver can- cellato e riscritto or l'uno or Taltro vocabolo, final- mente f;crive indarno^. ^^ E quanto alla diligenza minutissima e scrupolosa con cui il Leopardi era solito curare la composizione tecnica e stilistica de'- suoi scritti, non esclusi certo le virgole e i punti e virgola, basti riportare questo passo di una lettera al Briglienti (5 dicembre, 1823J : ^ La punteggiatura (nella quale io soglio essere sofi- stichissimo) è regolata nel manoscritto così dili- gentemente, che non v'è pure una virgola che io non abbia pesata e ripesata più volte e però anche questa parte, che è molto facile a esser trasan- data da chi corregge, ve la raccomando caldissima- mente„.^' Cosi il Leopardi stesso; e il Cicinelli, applicando queste parole al manoscritto della F- neide, soggiunge : " Della quale esattezza a iosa se ne ha nell'autografo, in cui (il Poeta) è atten- tissimo nel cancellar bene una virgola fuor di luogo; nel torre un accento che gli usci inav ver- tentemente, o che fu solo uno scorso di penna,,. ^'^ E questo che il Cicinelli dice del manoscritto au- tografo della Eneide, può dirsi di tutti gli altri autografi, contenuti in questo volume. E quanta fosse la lentezza e la pazienza con cui il Leopardi veniva elaborando le sue sudate composizioni, e,

XXXII PREFAZIONE

specialmente, la parte tecnica delle medesime, può rilevarsi da quest'altro brano di una lettera al Melchiorri (5 marzo, 1824) : " Io non ho scritto in mia vita se non pochissime e brevi poesie. Nello scrivere, non ho mai seguito altro che un'i- spirazione o frenesia, soppraggiungendo la quale in due minuti io formava il disegno e la distri- buzione di tutto il componimento. Fatto questo, soglio sempre aspettare che mi torni un altro momento di vena: e tornandomi fche ordinaria- mente non succede se non di a qualche mese), mi pongo allora a comporre; ma con tanta leìi- tezza, che non mi è possibile terminare una poe- sia, benché brevissima, in meno di due o tre setti- mane^^}^ Questo aureo luogo, e, specialmente, le ultime parole da me sottolineate, rivelano chia- ramente quanto lenta e sudata elaborazione, quanto scrupolosa incontentabilità ponesse il Leo- pardi nel fermare in carta le sue mirabili compo- sizioni.

Preziosissima, quindi, agli studj, alle lettere e all'arte sembrami dover riuscire la publicazione di varj manoscritti primitivi del sommo Recana- tese.

E ora stimo utile additare al cortese lettore alcune principali varianti, contenute in questi manoscritti, perchè possa rilevarne fin d'ora l'im-

PREFAZIONE XXXIII

portanza somma. Non le accompagnerò di com- mento : parlano a bastanza chiaramente da se.

Prendiamo il manoscritto autografo della can- zone Sul monumento di Dante.

Da prima il Poeta avea scritto:

O Italia, 0 Italia^ i tuoi passati onora

Poi che di tali spirti

Oggi vedove son le tue contrade ;

poi corresse nel modo infrascritto:

0 Italia, a cor ti stia

Far a i passati onor, che tValtrettali

Oggi vedove son le tue contrade.

Da prima avea scritto :

Come a la mente accesa

Rinforzerei la vampa e lo splendore? ;

poi corresse cosi:

Come a la mente accesa

Crescerà novi r.xggi e novo ardore ì^

e, da ultimo, ricorresse nel modo seguente :

*SÌ che nell'alma accesa

Nova favilla indurre ahhian valore f

Eccovi poi due versi curiosi^ corretti e rifatti dal- l'incontentabile Poeta ben cinque volte:

XXXIV PREFAZIONE

Or tale e fatta cJi'appo quel che vedi, Allor, dirai, fu nobile e reina,

che furon corretti la prima volta cosi :

Ora e tal che rispetto a quel che vedi, Allor fu nobilissima e reina ;

e la seconda volta :

Ora è tal che rispetto a quel che vedi Allor fu beatissima e regina;

e la terza:

Allor beata pur {qualunque intende yl' novi affanni suoi) donna e reina;

e la quarta:

Oggi ridotta che a quel che vedi, Fu fortunata allor donna e reina.

Andiamo innanzi. Primieramente il Poeta aveva scritto :

Taccio ogni altro nemico, ogni altra sorte Ma non la Francia scellerata e cruda Per cui fin presso a morte Giunse l'Italia mia distesa e nuda;

e poi corresse in cotal guisa :

Taccio gli altri nemici e Pali re doglie Ma non la Francia scellerata e nera

PREFAZIONE XXXV

Per cui presso a le sojlie Vide l'Italia mia Valtima sera.

E veramente fece assai bene a correggere in

quest'ultimo modo, perchè quel giungere distesa

e nuda fin presso a morte era a bastanza goffo e

stentato.

Ma procediamo innanzi. In prima aveva scritto:

Perchè vedemmo noi feri tempi ?, e poi corresse in simil guisa:

Perchè venimmo a perversi tempi ? Anche aveva scritto in principio:

Scemar potemmo il duol che la stracciava,

e poi corresse jiel modo seguente :

Lo spietato dolor che la stracciava Ammollir ne fu dato.

Più sopra, nella terza strofe, aveva scritto in sulle prime :

Ma come a voi convertir assi il canto ?,

dove quel latinismo aspro e forzato del verbo convertirassi spiacque al gusto squisito del Leo- pardi, che corresse subito:

Ma come a voi dirizzerassi il canto?

XXXVI PRKFAZIONE

Così, nella quarta strofe, aveva scritto da prima: E spro:il anttl pramoi-avvi ul seno,

dove quel vocabolo sproni sembrò, forse, troppo cavallino al delicato Poeta, che corresse:

Ed acri punte premeravvi al seno.

Ritornando alla strofe ottava, troviamo un verso corretto e rifatto ben quattro volte :

Qui si ch'io grido e gli occhi il pianto inonda.

X Qui si eh io grido e gli occhi il duol //t'inonda.

X Qui ch'il pianto in/ino al sitol ini gronda.

X Qui Vira al cor, qui la pietada abbonda.

Più sotto, incontriamo un passo importante, per ben tre volte corretto e rimutato dall'incon- tentabilissimo Poeta. Aveva scritto da prima :

Ma ne spegnesse il ferro, e pel tuo bene, 0 patria o patria nostra! Ecco in remoti Paesi, oh quanto e 'l ciel che ne divide!, A tutto il mondo ignoti Moriam per quella gente che t'uccide;

poi corresse così :

Ma ne spegnesse il ferro, e pel tuo bene, 0 Italia, o Italia nostra ! Ecco in remoti Campi, quando Veta mefjlio ci ride A tutto il mondo ignoti, ecc.

PREFAZIONE XXXVII

e, poi, di nuovo corresse:

Ma ne spegnesse il ferro, e pel tuo bene, 0 patria nostra ! Kcco da te rimoti,, Quando jnU bella gioventù ci ride, A tutto il mondo ignoti, ecc.

e, da ultimo, non contento neppure di questo terzo rifacimento, corresse il verso :

Quando più bella gioventù ci ride,

nel modo che tutti conoscono :

Quando più bella a noi Veth sorride.

Ecco, poi, un altro luogo importante, corretto pure tre volte. Il Leopardi aveva scritto in sulle prime :

E i negletti cadaveri a l'aperto

Sbranar frementi su jyer l'arduo mare

Di neve orride belve,

Ed un fla 'l nome a citi verrà de'' forti

K de gli egregi, ed uno

De' vili e de' ribaldi,

dove lo stento della locuzione contorta, l'oscurità del senso, il suono aspro e strascinato del verso, l'improprietà o inopportunità di quell'epiteto di ribaldi e altre mende dettero subito nell'occhio dell'accorto Poeta, che corresse tutto il passo nel modo seguente :

E i negletti cadaveri a l'aperto

Su per quello di neve orrendo mare

Si smozzicar le belile,

XXXVIII PREFAZIONE

E fia Vonor de' generosi e forti Pari mai sempre ed uno Con quel de' tardi e vili.

Ma, in progresso di tempo, neppur questa lezione appagò interamente il gusto squisito e inconten- tabile di lui, urtato specialmente da quell'idioti- smo marchigiano e recanatese di smozzicar: onde corresse finalmente, come tutti sanno:

Su per quello di neve orrido mare Dilacerar le belve; E sarà 7 nome de gli egregi e forti Pari mai sempre, ecc.

Poco innanzi, incontriamo due versi rifatti ben quattro volte. Ecco, senz'altro, i quattro rifaci- menti :

Vide lor fato il pallido deserto Ecl Aquilone e le fischianti selve.

X

Lor tristo fato il pallido deserto E borea vide e le fischianti selve.

X

Ma di lor fato il boreal deserto E conscie fur le sibilanti selve.

X

Di lor querela il boreal deserto E conscie fur le sibilanti selve.

Più sotto troviamo un altro luogo importante. Il Poeta aveva scritto da prima:

Al cui martire e al danno

Forch'il vostro non e che rassomigli:

PREFAZIONE XXXIX

dove la locuzione intralciata e il suono aspro del verso spiacquero al gusto delicato di lui, che cor- resse subito in simil guisa:

Al cui supremo danno

Il vostro solo è tal che rassomigli.

Anche più importanti di queste varianti della can- zone Sul monumento di Dante sono quelle che s'in- contrano nella canzone Ad Angelo Mai e in altri manoscritti, che in questo volume offro all'atten- zione dello studioso. Ma, per non dilungar j^o- verchiamente, mi basti l'aver rilevato fin d'ora le principali varianti della canzone Sul monumento di Dante. Queste saranno più che sufficienti a in- vogliare il lettore all'esame e allo studio delle preziose varianti degli altri manoscritti. Si esa- mini specialmente l'autografo della canzone Ad Angelo Mai e quello della Sera del giorno festivo.

VI.

Avverto anche il lettore che questa publicazione de' Manoscritti recanatesi è, come a dire, una pre- fazione alla mia compiutissima edizione critica (già in corso di stampa) di tutte le poesie del Leo- pardi; edizione condotta su tutte le stampe e su tutti i manoscritti che si conoscono. Questa mia edizione compiutissima per la quale non ho ri- sparmiato e non risparmio spese e fatiche, e che mi auguro poter chiamare definitiva sarà cor-

XL PREFAZIONE

redata di una compiutissima storia, bibliografia, e cronologia di tutti i Canti, nonché di molti do- cumenti sconosciuti.

VII

Ho creduto, inoltre, di far cosa assai utile (sniche per agevolare agli studiosi resame delle varianti contenute in questi manoscritti^ riproducendo tali e quali, in Appendice a questo volume, le prime due edizioni delle prime tre canzoni, cioè l'edi^ zione romana (1818) delle due prime canzoni, come ancora l'edizione bolognese (1820) della terza canzone. La riproduzione, da me fattane, è cosi minutamente esatta e precisa, che può dirsi stereotipica.

Quanto, poi, alla edizione romana delle prime due canzoni, m'è grato aggiungere qui una noti- zia nuova e curiosa, favoritami dalla notissima cortesia dell'egregio marchese Gaetano Ferrajoli. Il curatore della edizione romana delle prime due canzoni fu Francesco Cancellieri, come rilevasi dalla sua " Lettera a Mons, Tommaso Guido Caì- cagnini, in lode del suo Commentario della vita di Celio Calcagnini ^. In fatti, a pagina 35 di que- sto opuscolo, ragionando di Vincenzo Monti, ap- pone al nome di lui la nota che segue :

" Il Principe de' nostri Poeti merita gli omaggi ed il culto di tutti gli altri. Ora ho avuto la compiacenza di essere incaricato dal Chmo Sig.

PHEFAZIUNE XLI

Conte (Tiacomo Leopardi di Recanati, Fenice del- l'età nostra, da me celebrato negli Uomini di Gran Memoria^ p. 88, di accudire alla stampa di due nobilissime sue Canzoni sulV Italia^ e sul mo- numento di Dante che si prepara a Firenze^ de- dicate al suo (del Monti) gloriosissimo nome„.

Se non m'inganno, la cosa è ignorata da' più^ e giova sia conosciuta.

Vili.

Sento, da ultimo, il dovere di porgere innanzi al publico vivi e caldi ringraziamenti al nobile conte Giacomo Leopardi, della cui amicizia alta- mente mi onoro, per avermi generosamente con- cesso lo studio e la trascrizione de' preziosi ma- noscritti da lui posseduti. Ne voglio dimenti- care di render vive grazie all'eruditissimo Licurgo Pieretti e ai valenti professori Cocchia e Cer- quetti, che mi furon larghi di consiglio e d'ajuto. Debbo, poi, in ispecialissimo modO;, professarmi grato e riconoscente al chiaro prof. Giuseppe Piergili^ mio amicissimo, per aver rinunciato, con non comune tratto di amicizia, alla publicazione di due manoscritti contenuti in questo volume, a fine di non diminuire, con la precedenza^ l' impor- tanza del mio lavoro.

E, prima di dar termine alle mie parole, mi corre lo stretto obbligo di pregare tutti i futuri editori di edizioni più o meno critiche, o più o meno

XLII PREFAZIONE

compiute, delle Poesie di Giacomo Leopardi, di non approfittare in modo veruno della stampa da me fatta di questi manoscritti recanatesi. La pro- prietà de' medesimi essendomi stata generosa- mente ceduta per la stampa dalF egregio capo della famiglia Leopardi è, o m'inganno, tutta mia. In questi tempi di facile pirateria e sover- chieria letteraria, non approfitti dunque altri a caor leggiero dello mie non lievi e, spesso, ingrate fatiche.

Camillo Antona-Tra versi.

lioììia, 1.° maggio 1887.

NOTB.

* Vedi le Lettere scritte a Giacomo Leopardi dai suoi pa' renti con giunta di cose inedite o rare, adizione curata sugli autografi da Giuseppe Piergili e corredata dei ritratti di Gia- como e de' genitori. Firenze, Successori Le Monnier, 1878.

^ Studj su Giacomo Leopardi, con notizie e documenti scono- sciuti e inediti. Napoli, Enrico Datken, editore, 1887. [Vedi a pag. 163 (nota 98), e a pag. 156.]

^ Ecco, del rimanente, e per tutta comodità dello studioso, la trascrizione de' varj componimenti contenuti in questo volume, secondo l'ordine con che furono composti:

I. Traduzione del primo libro della Odissea.

II. Inno a Nettuno.

III. Traduzione del secondo libro della Eneide.

IV. Sul monumento di Dante che si prepara in Firenze.

V. Imitazione.

VI. Canzone per una donna malata di malattia lunqa e mortale.

VII. Le rimembranze.

Vili. La sera del giorno festivo.

IX. La luna o la ricordanza.

X. Alla luna. Idillio.

XI. Il sogno.

XII. Il sogno. Idillio. (Lo spavento notturno).

XIII. Ad Angelo Mai.

XLIV NOTE

* Cfr. D. CiciNELLi. Versione ed autografo di Giacomo Leo- pardi sul libro secondo della Eneide. Eoma, presso la libreria Manzoni, 1882.

^ Cfr. Epiitolario di Giacomo Leoiìardi raccolto e ordinato da Prospero Viani. Firenze, Felice Le Monnier, 1849. Voi. i, lett.* 9, pag. 15.

« Cfr. EpizL, voi. I, lett." 31, pag. 72.

' Cfr. Epist., voi. I, lett." 233, pag. 377.

^ Anche nella recente edizione delle Poesie di Giacomo Leo- pardi, curata da Giuseppe Chiarini (In Firenze, G. C. Sansoni editore, ISS-j), si legge questo falsi ssimo canterem (pag. 412).

* Vedi il mio articoletto: Pensieri di Giacomo Leopardi sulle donne noiVOrdine di Ancona (ann. xxvi, num. 207).

Il Chiarini, e mi spiace, è tra questi. (Vedi a pagg. 408- 410 della edizione mentovata.)

*' Cfr. op. cit., pagg. 55-56.

*2 Cfr, Epist., voi. I, lett.» 186, pagg. 311-312.

" Cfr. op. cit., pag. 60.

" Cfr. Exnst., voi. i, lett." 189, pagg. 315-316.

" Per chi noi sapesse, o potesse dimenticarlo, l'editore e io siamo pienamente d'accordo con la legge sulla proprietà letteraria.

ODISSEA

TTn qnadorno di quindici fogli interamente scritti (co- pertina ])ianca). La sci ittuì-a è della contessa Paolina, con alcune correzioni qua e di mano stessa del Leopardi.

ODISSEA

LIBRO PRIMO.

L'uom dal saggio avvisar cantami, o Diva, Che con diverso error, poi che la sacra Ilio distrusse, le città di molti Popoli vide, ^ ed i costumi apprese : * In suo core egli pure di molti affanni Nel pelago soffri, mentre cercava A se ^* la vita, ed ai compagni suoi Comperare il ritorno. Eppur ^ nessuno. Benché ~ il bramasse, ne salvò. '^ Perirò Tutti per lor follia, •' stolti ! che i buoi Mangiar ^^ del sole eccelso : ei del ritorno Lor tolse il di. Figlia di Giove, alquanto

' Canto lihdV Odissea. [SpetL IHK)]. -- Canto Primo. [Fir. 1845]. '' Diva; [Flr. 1845]. =' vide [Spett. 1810]. ' aiìprese. [Spett. 18l(); Flr. 1845]. •■^ [Spett. 181()]. « E pur [Spett. I8l(j; Flr. 1845]. Ben eh' [Spett. 18lf); Flr. 1845]. "* salvo! [Spett. 181(5; Flr. 1845]. « follìa, [Flr. 1845]. *" Mangiar [Flr. 1845],

ODISSEA

Dinne di questi casi ancora a noi.

Gli altri, ^ che il fato acerbo avean fuggito, Nelle lor case erano già, campati Dalla guerra, ^ e dal mar. Lui solo ancora E del ritorno, * e della moglie privo, * In cavi spechi ritenea Calisso, "• Inclita ninfa, " e Diva, " che di farlo Suo sposo avea desio. ^ Ma quando il tempo Venuto fu col volgere degli anni. In che piacque agli Dei, ^ che al patrio tetto In Itaca ei tornasse, ^" allor finiti Non furo i suoi travagli, ancor che in mezzo A' suoi cari egli fosse. Ognun de' numi N'ebbe pietà, tranne ^^ Nettun, ^■^ che fermo Neil' ira sua contro il divino Ulisse Restò i'* fin ch'ei non giunse al suol natio.

Agli Etiopi lontani ito era il Nume ^* (Agli Etiopi ^•"' del Mondo '^' ultima schiatta In due partita: gli uni al sol, ^" che cade. Gli altri sono all'aurora) ^^ onde presente Il sacrificio accor d'un '■' ecatombe

' altri [Sjìett. 1810; Fir. 1845]. •'' guerra [Siiett. 181G; Fir. 18451. » ritorno [Spett. 1816; Fir. 1845].

* 2^rivo [Spett. 1816; Fir. 1845]. •'* Calisto ; [Fir. 1845].

« Ninfa [Spett. 1816; Fir. 1845]. ' Diva [Siyett. 1816].

* dento. [Fir. 1845].

* Dei [Spett. 1816; Fir. 1845].

"^ tornasse; [Sptett. 1816; Fir. 1845]. ^

" salvo [Sptett. 1816; Fir. 1845].

'•^ Nettun; [Fir. 1845].

" Resto, [Spett. 1816; Fir. 1845].

'* nume, [Spett. 1816]. nume [Fir. 1845].

'■■• Etiopi, [Spett. 1816; Fir. 1845].

'" mondo [Spett. 1816; Fir. 1845].

'^ sol [Spett. 1816; Fir. 1845].

"* aurora), [ /*'*>. 1845].

d\tn' [Fir. 1845].

ODISSEA

D'agnelli e tori. Ivi al convito assiso Stavasi con piacer. Ma gli altri Dei S'eran raccolti dell'Olimpio Giove Nella vasta magione. Ad essi il padre Degli uomini e de' numi a parlar prese, ^ Che ricordossi del preclaro Egisto, Cui morto aveva il rinomato figlio D'Agamennone, Oreste. Or lui membrando, Favellò tra gli Eterni in questi accenti. -

0 stolti! i numi accusano i mortali.

E dan la colpa a noi de' lor disastri : ^ E sì, •"' per lor follia soffrono affanni Non voluti dal fato. Egisto appunto Del destino a ritroso or or la moglie D'Agamennon si tolse a sposa, e lui Tornato uccise;*' eppur " l'acerbo fine Che l'attendea, non ignorò: spedito^ Gli avevamo noi già Mercurio, d'Argo Il veggente uccisor, che gli disdisse Spegner l' Atride, e tor la moglie a sposa : ^ Ed avvisato il fé' ^'^ come da Oreste Cresciuto d'anni e in bramosia venuto Delle sue terre, Agamennon vendetta Avuto avria. Cosi Mercurio a lui Saggiamente parlò, ^^ ma noi rimosse Dal suo pensiero. Or quegli a un tempo solo

' ìjrese; [&petL 1816; Fir. 1845].

••-' accenti: [Spett. 1816; Flr. 1815].

' Ci accusano i mortali, oh stolti ! e danno [Spett. 1816].

danno [Fir. 1845]. * Delle sventure lor la colpa ai Numi: [Spett. 1816; Flr. 1845]. •^ [Spett. 1816; Flr. 1845]. « uccise: [Spett. 1816; Flr. 1845]. e pur [Spett. 1816; Flr. 1845]. •* ifinorò. Spedito [Spett. 1816; /Vr. 1815]. " apoHa, [Spett. 1816]. '" fé, [Flr. 1845]. " parlò; [Spett. 1816; Flr. 1845].

ODISSEA

Tutto pagò del maloprare ^ il fio.

A lui * Minerva dalle azzurre luci Cosi poscia rispose : 0 nostro padre - Saturnio d Dio, sommo de' Re, "^ tal sorte Quel meritossi assai ; cosi * perisca Chi com'egli oprerà. Ma per Ulisse Il battaglioso, •'' mi si strugge il core, ^' Misero! che lontan da' cari suoi Di ~ gran tempo sopporta immensi affanni ^ In un'isola d'arbori nutrice,^ Tutta cinta dall'acque, ''^ ove del mare È l'umbilico ; '^ e dove in sua magione Ha ricetto una Dea figlia d'Atlante, ^- Cui tutto è noto, che del mar gli abissi Tutti conosce, e che la terra e il cielo Sopra colonne altissime sorregge. La figliuola di lui ritiene a forza Il misero piangente, ^^ e ognor con dolci Molli detti il carezza, affin che il prenda D' Itaca obblio. ^^ Ma di sua terra almeno Veder bramando Ulisse alzarsi il fumo ^^ Morir desia. da pietade infine

' mal oprare [Flr. 1845]. ■-' padre, [SpetL 1816; Flr. 1845]. ■■' re, [Fir. 1845].

* assaL Così [S2iett. 1816]. assai: Così [Fir. 1845]. •'• battaglioso [Spett. 1816; Fir. 1845]. « core: [Spett. 1816; Fir. 1845]. ' Da [Fir. 1845]. ** ajfanni, [Fir. 1845]. ^ nutrice [Spett. 1816; Fir. 1815], '" acque; [Fir. 1845]. " umhilico, [Spett. 1816; Fir. 1845]. ^' Atlante [Spett. 1816]. Atlante; [Fir. 1845]. '•' piangente ; [Fir. 1845]. '' oblio. [Fir. 184.5]. '\fumo, [Spett. 1816; Fir. 1845].

* Il lui è di mano «lei Leopardi,

ODISSEA

Il tuo cor sarà tocco, Olimpio Nume?^ Nell'ampia Troja - non ti fece Ulisse Presso alle navi Achee ^ gradite offerte? E donde, o Giove, contro lui tant'ira?

Giove de' nembi adunator "* a lei Rispose : 0 figlia mia, quai detti uscirti Dalla chiostra de' denti ? Il Divo "' Ulisse Come obbliar potrei, '' ch'ogni mortale Vince in prudenza, e al par di cui non avvi ' Uom ch'abbia offerte agi' immortali Numi '*^ Ch'abitan l'ampio ciel, vittime sacre? Ma Nettuno, •' che il suol tutto circonda. Di terribile sdegno è sempre acceso "* Per il Ciclope, '^ chf' ei dell'occhio ha privo, Per Polifemo a nume ugual, ^- che avanza Tutti i Ciclopi in gagliardia. ^" La ninfa Toosa partorillo, •* a cui fu padre Forcine ^■"' un Dio dell' infecondo mare, A Nettuno commista in cavi spechi. Morto Ulisse non ha lo scotitore Della terra Nettun, ^'^ ma da quel tempo Lungi lo tiene dalla patria sede. Cerchiam però fra noi come sia duopo '*

' DioV [Siìctt. 181(); Flr. 1845].

■' Troia [Fir. 18i5].

' achee [^pctt. 1810; Fh\ 1815].

-• adunatore [Siìett. 181(5; Fir. 1815].

■• divo [Hpett. 1810; Fir. 1815].

" potrei; [Fir. 1845].

" evvi [Spett. 181()]. òvvi [Fir. 1845].

' numi [Spett. 1810; Fir. 1815].

" Nettano [Spett. 1810; Fir. Is45].

" acceso, [Fir. 1845].

' Ciclopc [Spett. 1810; Fir. 1845].

-' a;/uat [Spett. 1810].

•' <ia;iliar(Via. [Fir. 1845].

' partorilU) ]Spett. 1810].

•• Forcine, [Spett. 181(1; Fir. Isi:)].

" Nettun; [Fir. 1845].

" d'uopo [Fir. 1845].

ODISSEA

onde al suo regno Torni quegli, e Neltun l' ira deponga : ^ Poi che di tutti gli' immortali^ ad onta Niun potere egli avrà, fia che sappia Solo cozzar con tutti i Numi avversi. '*

Ed a lui poscia Tocchi-glauca Diva Minerva replicò : Saturnio Nume, •' Padre di noi, sommo de' Re, ^' se fermo Hanno i beati Dei, " che al patrio tetto Ritorni Ulisse il battaglier, messaggio D'Argo l'ucciditor tosto all'Ogigia Isola si spedisca, ^ ond'ei trascorso Velocissimamente, a quella ninfa Da' bei cincinni, " faccia conto il nostro Infallibil voler {^^ torni il paziente Ulisse al suol nativo) •' e degli Eterni Adempiasi il decreto. Io recherommi In Itaca a destar nel figlio suo Ardimento più grande, e a porgli in core Valenteria, '- si che '^ i chiomati Achivi Raccolti a parlamento, i proci ^^ affronti, ^'' Che sempre dense greggi, e neri buoi Uccidendo gli van di curvi piedi.

' !jlun>ja, [Spett. 1816; Flr. 1845].

'^ dejJOìifja; [S-jjett. 1816; Flr. 18i5].

'■* Inimortall [Spett. 1816; Flr. 1815].

^ Solo cozzar con i contrarii Dei ; [Spett. 1816 ; Flr. 1845

" n>ime, [Spett. 1816; Flr. 1845].

« re, [Flr. 1845]. .

' Del [Spett. 1816; Flr. 1845].

" spedisca; [Flr. 1845].

" cincinni [Spett. 1816; Flr. 1845.]

" voler: [Flr. 1845].

' nativo: [Flr. 1845].

- Valenteria, [Flr. 1845].

■' che, [Spett. 1816; Flr. 1845],

* Proci [Sjìett. 1816; Flr. lS4r>].

'^affronti [Spett. 1816; Flr. 1845].

ODISSEA

A S parta pure, ^ e all'arenosa Pilo

Il manderò, perchè novelle cerchi

Del ritorno del padre, ove pur sia

Che alcuna udirne gli addivenga:- e affine

Che tra gli uomini s'abbia inclita fama.

Ciò detto, a' pie legasi ^ i bei talari D'oro '* immortai, che sopra l'acqua, ^ e sopra L' immensa terra la portavan ratta Come il soffio dei ' venti. In mano quindi Si tolse l'asta poderosa, armata D'acuto rame, ^ grave, salda, enorme, Con cui riversa degli Eroi le squadre, Che lei di forte genitor ' figliuola Han mossa a corrucciarsi ; ^ e giù discese Precipitante dall'Olimpie vette. In Itaca fermossi " e del Palagio "• D'Ulisse si ristet'e anzi alle porte '^ Dell'atrio al limitare, ^- in man tenendo L'asta di rame, '■'* e per sembiante uguale A Mente '^ uno stranier, de' Tafj il rege. Gli alteri proci ^'' ritrovò, ^*' che allora Contra alle porte si prendean sollazzo ^'

' pare [Spett. 1816; Flr. 1845.]

■■* adllvemja, [Spett. 1816], addloenqa ; [Flr. X845]. ■' lej?ossi [Spett. 1816; Flr. 1845]. * D'oro, [Flr. 184.5]. •^ acqua [Spett. 1816; Flr. 1815]. « ferro, [Spett. 1816; Flr. 1845]. ^ Genitor [Spett. 1816; Flr. 1845].

** corrucciarsi, [Spett. 1815]. corrucciarsi: [Flr. 1845]. "^ fermossi, [Spett. 1816; Fir. 1845]. '" paLa<)lo [Flr. 1845]. " lìorte, [Spett. 1816; Flr. 1845]. '■' limitare; [Flr. 1845]. '•' rame; [Flr. 1845]. '' Mente, [Spett. 1816; Flr. 1845]. '" Proci [Spett. 1816; Flr. 1845]. '" ritrovo [Spett. 1816; Flr. 1845], »' sollazzo, [Flr. 1845].

10 ODISSEA

A' calcoli giiiocaiido, e sulle * pelli Sedevansi di buoi da lor già morti. D'intorno araldi,^ e presti servi o l'acqua Mesceano, ^ e il vin nell'urne, o con ispugne Piene di fori detergean le mense, 0 le coprian di cibi, e larga copia Partivano di carni. Or lei primiero Telemaco mirò simile a Nume, '^ Poi che tristo in suo cor sedea tra i proci * Colla mente veggendo "' il padre illustre " E il suo ritorno rivolgea nell'alma, Se pur giammai tornato, ~ ei per la reggia Sperger ** doveva i proci, '^ e onore aversi,^ E de' suoi beni il dritto. E mentre quivi Tenea fisso il pensier tra i proci ^*- assiso, Di Minerva s'accorse, e drittamente Ver la soglia inviossi, ^* a sdegno avendo Che per gran pezza un ospite si stasse ^" *** Anzi alle porte. Gli **** si ^-^ vicino '^ La destra man gli =5=*=^=** prese, e l'enea lancia

' araldi [Siìett. 1816; Flr. 1815].

- Mesceano [Spett. 1810; Flr. 1845].

•' nnnie, [Spett. 1816; Fir. 1845].

' Proci [Spett. 1816; Flr. 1845].

'' vedendo [Spett. 1816; Flr. 1845].

" Illustre, [Spett. 1816; Flr. 1845].

" tornato [Spett. 1816; Flr. 1845].

« Proci, [Spett. 1816; Flr. 18i5].

" aversi [Sjiett. 1816; Flr. 1845]. '" Proci [Spett. 1816; Flr. 1845], " Invlossl ; [Flr. 1845], '■' stesse [Siìett. 1816; Flr. 1845]. '='/e' [Sjjett. 1816]. - fc [Flr. m45]. '■* vicino, [Spett. 1S16 ; Flr. 1815].

* Di pugno del Leopardi.

** Leggevasi qui prima spijner, di mano di Giacomo stesso. *** Stasse per stesse ha dovuto essere, crediamo, eirore di Paolina. ***'" Nell'esemplare dello Spòttatore, che si conserva nella biblio- teca di famiglia, leggesi, corretto a penna: J^e. *****= Nell'e.semplare di famiglia; Le

ODISSEA 13

Si tolse, e indirizzogli * alati detti :

Ospite, il ciel ti salvi; amicamente Noi ti raccoglierem : che t'abbisogni Palese ne farai dopo la cena.

Ciò detto, innanzi andò, Palla il seguia : ^ Poi che fiir dentro alla magione eccelsa, Quegli a un 2 alta colonna appoggiò l'asta In un polito armadio, -^ ove molt' altre N'avea d'Ulisse il paziente, e Palla Ad un seggio condusse, '* un vago strato D' ingegnoso lavor sopra vi stese, E lei seder vi : ■' sotto de' piedi Uno sgabel n'avea. ** Per se ^ li presso Collocò poscia un variato scanno, ~ Lungi da' proci, ^ aiBn che *** in mezzo essendo A que' superbi, e dal tumulto offeso, " L'ospite a schifo non prendesse il pasto; E per chiedere a lui qualche novella Del Genitor ^^ lontano. Acqua a lavarsi Da leggiadra urna d'or piovve una fante Su d'argento bacino, ^^ e loro innanzi Trasse polita mensa. Il pane, ^- e molti Cibi recò, ^'^ che allora in serbo avea,

' sefjnla. [S2ìetL 181G; Flr. 1845].

'' un' [Flr. 1845].

^ armadio [Spett. 1810].

* condusse; [S'pett. 181(5: Flr. 1845].

'/«'• [Spett. V&ì.% ~ fc: [Flr. 1845].

" [Spett. 1816].

"' scanno [Spett. 1810].

« Proci, [Spett. 1816]. Frocl: [Flr. 1845].

" offeso [Spett. 1816; Flr. 1845]. "• ijenltor [Spett. 1816; Flr. 1845]. " bacino; [Flr. 1845]. ''pane [Spett. 1816; Flr. 1845]. '=' recò [Spett. 1HI(\] Flr. 18^15].

* Nell'esemi)lare di famiglijv: indirizzt.Hc. ** Ilnd: " sgabell'avea ^ *"*= Di mano <lel Leopardi.

12 ODISSEA

La vereconda dispensiera. Addusse Sopra i taglieri, ^ e collocò lo scalco Carni d'ogni maniera in sulla mensa, ^ Con auree tazze. Ministrando il vino Un sollecito araldo intorno giva.

Entrar ^ gli alteri proci, * e in ordinanza Su scanni e seggi si locar. Gli ^ araldi Dieron acqua alle mani, e ne' canestri Le ancelle il pane accumularo. Ai cibi Apparecchiati, *• e posti loro innanzi Steser quelli le destre : ' e di bevanda Incoronar on l'urne i giovinetti. Poi che di bere, * e ^ di mangiare i proci ^^ Deposero il desio, d'altro lor calse; ^^ Del canto e della danza: '^ (gli ornamenti Questi son del convito) '-^ e a Femio in mano Pose un araldo la leggiadra lira. Da forza astretto egli cantava innanzi Ar proci, ^* e dilungando il suo bel canto ^•' In pria le corde percuotendo giva.

Ma Telemaco a Palla occhi-cilestra A parlar prese:'" e avvicinolle il capo

' taglieri [Spett. 181G; Flr. 1845].

■' mensa [Siìelt. 1816; Flr. 1845].

« Entrar [Flr. 1845].

* Proci, [Spett. 1816; Flr. 1845].

" locar: gli [Spett. 1816]. locar: gli [Flr. 1845].

« Apparecchiati [Spett. 1816; Flr. 1845].

' destre, [Spett. 1816; Flr. 1845].

« here [Spett. 1816; Flr. 1845].

« o [Fir. 1845]. * '" Proci [Spett. 1816; Flr. 1845]. " calse, [Spett. 1816; Flr. 1845]. '■' danza [Spett. 1816; Flr. 1845]. >•' convito), [Spett. 1816; Fir. 1845]. '* Proci, [Spett. 1816; Flr. 1846]. '•'' canto, [Spett. 1816; Flr. 1845]. '^ Ijrese, [Spett. 1816; Flr. 1845].

* Evidente errore di stampa.

ODISSEA 13

Per ch'altri non l'udisse: Ospite caro ' Ti moverà - quel eh' io dirotti a sdegno ? Questo preme a costor, la cetra e il canto ; ^ E di legger, * che ■' consumando vanno Impunemente il vitto altrui, d'un uomo Di cui le candid' ossa in qualche parte 0 sopra il suol corrompono le piogge,

0 voi ve l'onda in mar. Che se tornato In Itaca il vedessero, più presti Vorrebbon tutti esser di pie, che ricchi Di vestimenta e d'or. Ma d'aspro fine Egli è perito, e speme a noi non resta, '^ Comunque alcun, ' che nella terra alberga, Dica ch'ei tornerà : pur ^ s'è perduto

Il di del suo ritorno. Orsù mi narra

Chi sia tu mai, senza dubbiare, e donde : ^

In qual region co' genitori tuoi

i:ìsi la tua patria: '" e su qual nave or giunto

In Itaca ne sia. Di ^^ pure, e come

1 marinaj ^- quà*'-^ t'hanno scorto? ed essi Chi sono a detta lor? Certo che a piedi Qua sia venuto io non estimo. Il tutto Dimmi sinceramente : ^^ affin eh' io vegga

' caro, [Spett. 1816; Flr. 1845].

•'' muoverà [Spett. 1816; Fir. 1845].

' canto, [Spett. 1816; Fir. 1815].

* lefjgèr, [Siiett. 1816]. lerffjier, [Flr. 1845].

" che [Spett. 1816; Flr. 1815].

« resta; [Spett. 1816; Flr. 1845].

' alcun [Spett. 1816; Flr. 1845].

" tornerà. Par [Spett. 1816; Flr. 18-45].

« donde; [Flr. 1845]. '"^ patria, [Spett. 1816; Flt. 1845]. " DV [Spett. 1816; Flr. 1845]. '■■' marinai [Spett. 1816; Flr. 1845]. " qua [Spett. 1816; Flr. 1845]. '* sinceramente, [Spett. 1816]. s' noe r amente ; [Flr. 1845].

* Evidente trascorso della poniMi di Paolina, come prova chia' ramente il Qua che vien dopo.

14 ODISSEA

Se nuovo or giungi, o se del padre mio Osjjite ancor tu sei: quando molt' altri Alla nostra magion veniano un tempo ^ Che - degli uomini amico era egli pure.

A lui rispose l'occhi-glauca Dea Palla cosi: Tanto dirotti al certo Senza punto dubbiar. Figlio mi vanto D'Anchialo il battaglier. Mentre '^ son io, '* Che impero ai Tafj in navigare esperti. Cosi, •"' con un naviglio e con compagni Il negro mare valicando giunsi. Tra gente d'altra lingua ora ^ in Temesa Kame a torre men vo, meco recando Lucido ferro. La mia nave è al campo Lungi dalla città, ~ nel Porto Retro, ^ Sotto al Neio ^ dall'ampie selve. Invero Mutui de ^'^ padri nostri ospiti antichi Noi ci diciamo; ^^ e udir lo puoi dal vecchio Eroe Laerte, a lui n'andando. E fama Ch'ei più non venga alla città, ma soffra La doglia sua lungi dagli altri, ^^ in villa ^^ Con una vecchia fante, ^^ che di cibo E di bevanda gli ministra, ^■' allora Che spossatezza gli occupa le membra,

' tempo, [Spett. 1816; Flr. 1845].

■' Che [Spett. 181G; Flr. 1845].

''^ hattaijller ; mentre [Sj^ett. 1810; Fir. 1845].

■» io [Spett. 1816; Fir. 1845].

•'■c'osi [Spett. 1816; Flr. 1845].

•> or [Spett. 1816; Flr. 1845].

" citta [Spett. 1816; Flr. 1845].

« Retro [Sijett. 1816; Flr. 1845].

» Nelo [Flr. 1815]. ' '" de' [Spett. 1816; Flr. 1845]. " diciamo, [Spett. 1816]. '■' altri [Spett. 1816; Flr. 1845]. '■' mila, [Spett. 1816; Flr. 1815]. ^* fante [Sp}eti. 1816; Flr. 1815], »* ministra [Spett. 1816; Flr. 1845].

ODISSEA 15

Poi che per entro a una ferace vigna

Strascinando s'andò. Qua dunque io venni

Perchè dicean, ' che s'era già tornato

Alla sua reggia - il padre tuo. Ma fanno

Al suo viaggio impedimento i' Numi : "^

Che * non è morto il Divo •'' Ulisse ancora, ^

Ma vivo in mezzo al vasto mare, in qualche

Isola ' intorno a cui s'aggira il flutto,

E ritenuto, ^ e Aera gente e rozza

D' Itaca mal suo grado il tien lontano.

Pur quello io predirò, ^ che gli ' Immortali ^^

Pongonmi nella mente, e ch'esser dee,

Se mal non penso, poi che vate, ^^ o sperto

Interprete d'augurj io già non sono. '-

Dal suol natio per molto tempo ancora

Ei lungi n^n sarà: cinto ^■* pur fosse

Da ferrei lacci, di tornar saprebbe

Trovar la via, che' astuto egli è. Ma dimmi

Senza dubbiar '■* se figlio sei d'Ulisse '•''

Tale qual ti Yegg' io :. che certo al capo

Ed ai begli occhi lo somigli assai.

Prima ch'ei gisse ad Ilio, ove molt' altri

Su' concavi navigli Argivi Eroi

' dlceaìi [SpeM. 1816; Flr. 1H45].

-' terra [Sitett. 1816; Fir. 1845].

3 numi: [Spett. 1816; Flr. 1845].

^ Che [Spett. 1816; Flr. 1845].

•' divo [Spett. 1816; Flr. 1845].

" ancora; [Flr. 1845].

' Isola, [Spett. 1816; Flr. 1845].

•* ritenuto; [Flr. 1845].

''prediro [Spett. 1816; Flr. 1845]. '" liamortall [Spett. 1816; Flr. 1845]. " vate [Spett. 1816; Flr. 1845]. '■-' sono: [Flr. 1845].

'=' sarà. Cinto [Spett. 1816; Flr. 1815]. '* dubbiar, [Spett, 1816; Flr. 1845]. ^•' ITase, ]Spett. 1816: Flr. 1845].

UJ ODISSEA

i*

Del pari si recar, ^ sovente fiate Ambo noi fummo insiem. Da quindi innanzi Veduto non F ho più, più non m' ha visto. E nuovamente a lei parlando, il saggio Telemaco rispose : Ospite, il vero Senza punto dubbiar dirotti. Afferma La madre mia, - che suo figliuolo io sono :

conto **

Ma questo non m'è certo, e alcun non /?,avvi*** Che il padre suo conosca. Oh stato fossi Figlio d'un uom felice,-^ cui trovato In mezzo a' beni suoi vecchiezza avesse! Ma di chi tra i ' mortali è il più meschino Nato mi dice ognun : * poi che "• mei chiedi.

A lui la Diva dalla glauche luci Minerva replicò : Stirpe, " che deggia Restarsi ignota alle future etadi, ~ I numi non ti dier, ^ poi che qual sei Ti partorì Penelope. Ma dimmi, ^ E palesami il ver: che cosa è mai Questo banchetto, ^*^ e questa turba? e quale Mestier n'hai tu? Forse una festa, " o forse Questa cena è nuzial? che certo a scotto Esser non può: si bruttamente panni

' recar, [Fir. 1845] '' mia [Sjyett. 1816; Fir. 1845]. ^ felice [Spett. 1816]. ■* ofjnun; [Fir. 1845]. •' poiché [Fir. 1845]. " Stirpe [Spett. 1816; Fir. 1845]. ' etadi [Spett. 1816; Fir. 1845]. " dier, [Fir. 1845]. » dimmi [Sjìett. 1816; Fir. 1845]. '" convito [Spett. 1816; Fir. 1845]. " festa [Spett. 1816].

* L' i è di mano del Leopardi. ** La parola conto ugualmente. *** L' h fu cancellata dal Leo; ardi.

odissp:a 17

Che baiicliettin costoro. Un uom di senno Qua venuto, in mirar tanta sconcezza, Chi ch'ei si fosse, monterebbe in ira.

* E Telemaco il saggio a lei rispose : Ospite mio, ^ (poi che di ciò m' inchiedi) - Doviziosa •* sempre, ^ e senza colpa

in fin ■'■ **

Fu questa casa, i/ijin ch'ebbe ricetto

Queir uom nel patrio suolo. Ora altramente

Per voler degli Dei va la bisogna,"

Che volti a farci danno, il padre mio

Più ch'uomo alcuno han reso ignoto. E spento

Noi piangerei cosi, ' se stato ei fosse

Con i compagni suoi da' Teucri domo : ^

0, compiuta la guerra, tra le braccia

Pur de' suoi cari fosse morto. A lui

Tutti avrebbon gli Achei fatta una tomba, ^

E immensa fama al suo figliuolo ancora

Restata ne saria. Ma se 1' han tolto

Inonorato le rapaci Parche:

Perito egli è : ^'^ nullo il conosce, o n'ode

Il nome," e doglia m'ha lasciato,^- e pianto.

già dolente il ploro sol; che d'altri

Acerbi guai m' han fabbricato i numi.

^ mio [Spett. 181(j; Flr. 1845].

■' IncJdedl), [S])ett. 1816; Flr. 1845].

•' Doviziosa [Spett. 1816].

* sempre [Spett. 1816; Flr. 1845]. ' infin [Spett. 1816; Flr. 1845].

" blso(jna; [Flr. 1845].

' così [Sìtett. 1816; Flr. 1845].

** domo, [Spett. 1816]. domo; [Flr. 1815].

" tomba; [Flr. 1845]. '" è; [Spett. 1816; Flr. 1^5]. " nome; [Spett. 1816]. '■- lasciato [Spett. 1816; Flr. 1845].

* A questo verso, tanto nello Spettatore, quanto nell'ediz. fioren- tina, non si va da capo.

** La correzione è di mano del Leopardi.

18 ODISSEA

Ogni Prence ^ che l' isole governa Di Dulichio, di Z Samo, ^ e di Z acinto Dalle molte boscaglie, e que' che impero Hanno in Itaca alpestre, a sposa ognuno Vuol la mia madre, e la magion diserta. l'odiate •* nozze ella ricusa,

male, ^ *

fin può porre al male e quelli intanto Banchettando ruinano la casa ; "■' E me fra poco perderanno ancora.

A sdegno avendo i suoi disastri, a lui Disse Palla Minerva: 0 numi! in vero Grand' uopo hai tu del pellegrino Ulisse " Che giunto, ' i proci ^ inverecondi assalga. Se ritornato adesso e' sulla prima KSoglia ristasse con celata, '^ e targa

lance **

E con due lande, a quella foggia in cui

Nella nostra magion la prima volta

Di bere. ^'^ e di far festa il vidi in atto, ^^

Quando venne d'Ehra, ^' e della reggia

D' Ilo iigliuol di Mermero (che ^"^ Ulisse

s'era tratto su veloce legno

Un veneno omicida a ricercargli, ^^

' prence [Spett. 1816; Flr. 1845],

■' Samo [Spett. 1816; Flr. 1845].

'■' odiate [Spett. 1816].

■' male: [Spett. 1816; Flr. 1845].

'■' casa, [Spett. 1816; Flr. 1845].

" Ulisse, [Flr. 1B15].

' (jluìito [Flr. 1845].

Frocl [Spett. 1816; Flr. 1845],

" celata [Spett. 1816; Flr. 1845]. '" bere [Spett. 1816; Flr. 1845]. " atto; [Flr. 1845]. '- EJira [Spett. 1816; Flr. 1845]. '■' ciiè [Spett. 1816; Flr. 1845]. '' rlcercanjll [Spett. 1816; Flr. 1845]. * Di m£vuo del Leopardi.

** Idm.

ODISSEA 19

Di clie l'enee saette unger potesse:

Ma quel non gliene die, che tema ave a

De' sempiterni Numi, ^ il padre mio

Donogliene - però, ch'assai l'amava) ■*

Se tale a' proci, * ei si mescesse, ognuno

Pronto fato n'avrebbe, •"' e nozze amare.

Ma se tornato, in sua magione ei debba

Rivendicarsi o no, questo de' numi

Si sta sulle ginocchia. Or come possi

Lungi cacciar da questa reggia i proci ^

Esplorar ti consiglio. Attentamente

Ascolta il mio parlar. Gli Achivi Eroi

Chiama domani a parlamento, ~ e presi

In testimoni^ i Dei, tutti gli aringa:^

Di girne alle lor case ordina a' proci, ^*^

Ed alla madre tua ^^ se il cor le invase

Desio di nozze, di tornarsi al tetto

Del Genitor ^'' possente. Ei colla madre

Di sue nozze avrà cura, ^'^ e ricca dote

Gli ^^ appresterà, ^^' quale è mestier che segua

La figlia sua. Ma per te stesso ancora

Saggio consiglio ti darò. Se vuoi

Eare a mio senno, una tua nave (e sia

' numi: [SpetL 1816; Fir. 1845].

■■' Donbyllene [SpetL 1816; Flr. 1845].

•' amava); [SpetL 1816; Fir. 1845].

■* ProcA [SpetL 1816; Fir. 1845].

" avrebbe [Spett. 1816; Fir. 1845].

" Proci, [SpetL 1816; Fir. 1845].

' parlamento ; [Fir. 18^15].

•* tentimoni [Fir. 1845].

" aringa; [Fir. 1845], "• Proci; [Fir. 1845]. " taa, [SpetL 1816; Fh: l8l5]. '- genitor [Siiett. 181(5; Flr. 1845]. '" cura [SpetL 1816]. '' Le [Fir. 1845]. ^^ appresterà; [Fir, 1845].

20 ODISSEA

Questa fra tutte la miglior) di venti Rematori fornisci, ' e di novelle Del padre tuo, ^ che da gran tempo è lungi, In traccia vanne : -^ ove a mortai t'avvenga Che alcuna te ne rechi, o quella voce

Udir tu possi, ^ che da Giove scenda , E ch'agli '' uomini adduce il più di fama. Va prima a Pilo a interrogar Nestorre Simile a Nume : ' quindi a S parta, al tetto Del biondo Menelao, ^ ch'ultimo venne Fra gli Achei che di rame han le corazze. ^ Se vivo il padre ed in ritorno udrai, Benché d'affanni oppresso, un anno ancora Sosterrai d'aspettar. Se fìa che intenda Com'ei s'è morto, e più non è, ^" tornato Alla tua patria terra, un monumento Allor gì' innalza, e quali a lui si denno. Grandi esequie gli fa. Poscia a uno sposo la tua madre: ^^ e ciò fornito, il modo Di trucidar nella tua reggia i proci ^- Con frode o alla scoperta, in cor, nell'alma Va meditando. Or da fanciul non devi Più diportarti, e già non sei piccino.

^ fornisci ; [fii^ 1845].

'' tuo [Spett. 1816].

■' vanne, [Spett. 1816]. vanne; [Fir. 1845].

-> 2Ì0SHÌ [Spett. 1816; Fir. 1815].

'' scende [Spett. 1816; Fir. 1845].

•' tra gli [Spett. 1816 ; Fir. 1845].

' Nume; [Fir. 1845],

*" Menelao [Spett. 1816].

» corazze, [Spett. 1816]. '•'è; [Fir. 1845]. " madre ; [Spett. 1816]. '•' Proci [Spett. 1816 Fir. 1845].

* La corres5ione è di mano del Leopardi.

ODISSEA 21

E non intendi in quanta gloria venne Appo gli nomini tutti il divo Oreste, Poi ch'ebbe spento Egisto, il frodolento Ucciditor del padre suo, del padre Si rinomato già, ch'egli ^ avea morto V Tu pur sii prode, o caro mio, - (che bello Ti veggio, -^ e grande assai) ^ perchè ti lodi Qualche postero anemia. Io torno al mio Veloce legno, •"' e ai *' miei compagni. Intanto ' Forse che loro d'aspettarmi è grave. ^ Abbi te stesso, '' e i miei consigli a cura.

Telemaco il prudente a lei di nuovo Rispose : Amicamente, osjnte, in vero ^^ Come padre a fìgliuol ^^ porti tu m'hai Questi consigli, ^- e non sarà eh' io sappia Unque obbliarli. Ma rimanti un poco. Benché fretta ti dia, si che lavarti, E ricrear ti possi il core : andrai Lieto quindi alla nave, un don recando Prezioso, ^-^ bellissimo, che fia Uno de' miei più ricchi arnesi, e quale A caro ospite dar l'ospite ha in uso.

E a lui Minerva, l'occhi -glauca Dea ^* Poscia disse cosi : Non rattenermi

' eh" e^ gli [Flr. 1845].

-' amico mio( [Spett. 1810; Flr. 1845]

'■' veijffio [Spett. 1816; Flr. 1845].

•• assai), [Spett. 1816; Fir. 1845].

■' kffno [Spett. 1816; Flr. 1845].

•* a' [Spett. 1816; Flr. 1845].

" Intanto, [Fir. 1845].

*" ;/rave, [Flr. 1845].

" stesso [Spett. 1816; Flr. 1845]. »" aero, [Spett. 18L6; Flr. 1845]. '' finllnol, [Spett. 1816; Flr. 1845]. '2 eonsliill; [Flr. 1845]. '=' Prezioso, [Spett. 1816]. '' Dea, [Flr. 1845].

22 ODISSEA

Or che vaghezza ho di partire : il ^ dono Che a farmi il cor ti spinge, allor che giunto Qua di nuovo sarò, mi porgi, ond'io Alla mia casa il rechi, - e sia pur bello, Che di compensazion per te fia degno. Parti, ciò detto, l'occhi-glauca Palla, Volando come augel. ^ che si dilegua, ^ E vigore, '' e baldanza in core a lui Pose, e del Genitor ^' più che non era Ricordevole il fé. ' Seco pensando Quegli stupì, che riputoUa un Nume ; '^ E tosto a' proci •* andò simile a Dio. Cantava innanzi a lor l' inclito vate, •" E sedendosi quelli, chetamente . Stavanlo udendo. Egli cantava il tristo Ritorno d' Ilio degli Achei, che tale Fu per voler di Pallade. Ne intese Dalle superne stanze il divin canto L'Icaride Penelope, la casta, ^^ E giù di sua magion per l'alta scala Scese, ^^ sola non già, che '-^ la seguirò Due fanti. Ella ristette in sulla soglia Del ben costrutto albergo, il suo bel velo Tenendo anzi alle gote; e allato avea D'ambe le parti le due fide ancelle.

' partire. U [Spetf.lHm; Fir. 1845].

- rechi; [Flr. 1845].

-■' aufjel [Spett. 181H; Fir. 1815].

' diler/aa; [Fir. 1815].

•'■ vigore [Siìett. 1816; Fir. 1845].

'• tjenitor [Spett. 181fi ; Fir. 1845].

■/e'. [Spett. 1816]. —fé. [Fir. 1845].

"mime, [Spett. 1816]. ~ nuvie: [Fir. 1845].

•' Proci [Spett. 1816; Fir. 1845]. "• vate; [Fir. 1845]. " casta; [Fir. 1815]. '•' Scese; [Fir. 1845]. '•' che [Sjfett. 181(); Fir. Ift45].

I

ODISSEA 23

Al divino C autor ^ si volse, e disse Lacrimando cosi: Femio, molt' altri Canti, - di che diletto hanno i mortali, E molte'' opre sai tu d'uomini, "* e dei,

qui Cui celebrano i vati. Or qui sedendo, ^

Una ne canta, mentre quelli il vino

Cheti beendo van : ma questa lascia

Dolorosa canzon, ^ che il core in petto

Sempre m'attrista. Acerbo duol m'assalse.

Me sopra tutti, ch'uomo tal desio, ~

E che vo meco rimembrando ognora

Lui che in Grecia, ^ ed in Argo ha immensa fama.

Ed a lei poscia in questi accenti il saggio Telemaco rispose : 0 madre mia, Perchè vuoi tu, '^ che dilettar non })ossa Quest'amabil Cantore^" a suo talento? Non da' Cantori ^^ ma da Giove il male A noi deriva:^- ei de' mortali industri Quello a ciascuno invia, che più gli aggrada. Ma questi, se de' C^reci i casi acerbi Or cantando si sta, biasmar non dessi. ^'^ Che ^^ gli uomini lodar più ch'altra mai Soglion quella canzon, ^-^ che a chi l'ascolta

(•autor [Flr. 1845]. Canti [S-pett. ISIO : Fìr. L^lò]. moli' [Fir. 184::)]. uomini [Spett. 181() ; Fir. 1845]. sedendo [S'pett. 181() ; Fir. 1845]. canzon [Spett. 1816; Fìr. 1845]. desio [Spett. 1816]. Grecia [Spett. 1816; Fir. 1845]. tu [Spett. 1816; Fir. 1^5], ' cantore [Spett. 1816; Fir. 1845]. cantori [Fir. 1845]. derioa; [Spett. 1816; Fir. 1845]. dessi-^ [Spett. 18l()]. —dessi; [Fir. 1845]. Che [Spett. 1816; Fir. 1845]. canzon [Spett. 1816; /'ir. 1845].

24 ODISSEA

Giunge più nuova. E tu fa core e l'odi. Ulisse il sol non fu che del ritorno Perdesse in Ilio il di: molt'altri eroi' Perirono del pari. Alle tue stanze Tu riedi, ed abbi a cor le tue faccende, La tela, '^ e il fuso : '* ed alle ancelle imponi Che diansi all'opre lor. Gli uomini tutti Del sermonare avran la cura, ^ ed io Avrolla più, che la magion governo.

Meravigliando, ■' che del figlio in core Il favellar prudente erasi posto " Quella tornossi alle superne stanze Colle fantesche, * e poi che fuvvi ascesa ^ Si stiè piangendo il suo consorte Ulisse,-' Infìn 1'* che alle palpebre un dolce sonno L'ebbe spedito l'occhi-glauca Palla.

Per l'ombrosa magione i proci '' intanto Givan tumultuando, '- e ognun sui letti A lei bramava coricarsi appresso. Ma Telemaco il saggio in questi accenti A dir si fece : 0 della madre mia Villanissimi proci '•' intollerandi, Or banchettiamo a sollazzarci attesi Senza frastuon, '^ che '"• bello è starsi udendo

' Eroi [Sijett. 1816] .

- tela [S'petL 1816; Fir. 1815].

•' fiifso; [Fir. 1815].

•* cura; [Fir. 18-15].

■' Meravigliando [Spett. 1816; Fir. 1845].

''posto, [Sxìctt. 1816; Fir. 1845].

' fantesclie ; [l^pett. 1816]. fantesche: [Fir. 1845].

** ascesa, [Spett. 1816; Fir. 1815],

" Ulisse [Spett. 1816]. Ulisse; [Fir. 1845]. '" In fin [Hpett. Ì816]. " Proci [Spett. 1816; Fir. 1845]. '-' tniìivltiiando ; [Fir. 1K45]. '■' Proci [Spett. 1816; Fir. 1815]. '\frastaon; [B'ir. 1815]. '•^ che [Sijett. 1816; Fir. 1815].

ODISSEA

Un Cantor ' quale è questi, - che alla voce Gli Dei somiglia. A concion -^ dimani Tutti sediamci la mattina, ^ ond' io Franco vi parli : "' e di sgombrar v' ingiunga Questa magione. Ad altre mense, il vostro "^ Bene ' a mangiar n'andate, ^ e l'un di voi L'altro a vicenda al proprio desco inviti. Se consiglio miglior vi sembra i cibi ^ Impunemente scialacquar d'un solo, Su consumate il tutto : ai Numi '" eterni Io sciamerò, ^' perchè ^^ se piaccia a Giove Che quest'opre abbian pena, in questa reggia Periate, e sia la vostra morte inulta.

Si disse, e quelli si mordean le labbra, E stupefersi, poi eh' e' detto aveva Arditamente. E a lui '•* rispose il figlio D'Eupeite, Antinòo : Davvero i numi, Telemaco, il parlar sublime, '"* e franco Insegnando ti van. D' Itaca cinta Tutta dal mar. deh '"* che il paterno impero Darti non piaccia di Saturno al figlio.

E poscia a lui si fattamente il saggio Telemaco rispose : A sdegno forse,

' (-autor [Spett. 1816; Flr. 1845].

-' questo, [S2)etL 1816; Flr. 1845].

•' concion [Spett. 1816],

■• mattina; [Flr. 1845].

''parli, [Spett. 1816; Flr. 1845].

« i vostri [Spett. 1816; Flr. 1845].

Beni [Siìett. 1816; Flr. 1845].

•* n'andate; [Flr. 1845].

" sembra, il vitto [Spett. 1816; Flr. 1845].

" tatto. Al numi [Spett. 1816; Flr. 1845].

' sciamerò; [Flr. 1845].

-perche, [Spett. 1816; Flr. 1845].

'' Gli [Sjìett. 1816; Flr. 1845].

^ suUlme [Spett. 1816; Flr. 1845].

'' deh! [S2)ett. 1816; Flr. 1845].

26 ODISSEA

Antinoo, prenderai quel che dirotti? Gradevolmente questo ancor, se Giove Mei consentisse, accetterei. Che? dunque Per gli uomini il peggior di tutti i mali Questo ti sembra? E non è già per nulla Dura cosa il regnar. Del re l'albergo Ricco tosto diviene, e a lui si fanno Più grandi onori. In Itaca, ^ che cinta Tutta è dal mare, hanno però molt' altri Regi ^ d'Achei, giovani, e vecchi. E -^ morto Il divo Ulisse, questo regno aversi Può bene alcun di lor. Ma della nostra Magione io sarò prence, e degli schiavi Di che signor m'ha fatto il Divo ^ Ulisse.

A lui rispose di Polibo il figlio Eurimaco cosi : Qual degli Achivi ^ In Itaca dal mar tutta ricinta Abbia a regnar, questo de' ^ numi è posto Sulle ginocchia. I beni tuoi possiedi, " E alla tua casa impera. Alcun giammai La tua sostanza a depredar non venga Contro tuo grado, infin ^ che abitatori In Itaca saran ! Ma chieder voglio, Ottimo Prence, a te, donde quell'uomo Ch'ospite qua ne venne; e di qual terra Egli si dica; in qual regione alberghi La gente di sua schiatta; e dove ei s'abbia

' Itaca [SpetL 1816; Fir. 1815].

■' Prenci [Spett. 1816 ; Fir. 1845].

•' (jlovanl e vecchi; e [S'pett. 1816; Fir. 1845].

' divo [Spctt. 1816; Fir. 1815].

•^ .Irc/uyi* [Spett. 1816].

" dei [Fir. 1845].

' possiedi [Spett. 1816; Fir. 1845].

^ in fin [Spett. 1816; Fir. 1845].

ODISSEA 27

I patrii campi. Reca forse nuova Del genitor che torna, ^ o pagamento Di debito ricerca? Oli come sorse

E dilegnossi immantinente, - e ch'altri

II conoscesse non sostenne! Al certo Uom nequitoso non sembrava al volto.

Telemaco il prudente a lui rispose : Eurimaco, peri del padre mio Il ritorno senz'altro, •* ed a novelle * Se avvien che n'oda alcuna, io più non credo; •"' se la madre mia qualche indovino Chiama alla reggia, " e lo dimanda, io curo I vaticinj suoi. Quegli è di Tafo" Paterno ospite mio : d'esser si pregia Mente ligliuol del battaglioso Anchialo. ^ E regge i Tafj in navigare esperti.

Egli disse cosi, ma ch'una Diva Immortale era quella in cor sapea. * Givansi intanto sollazzando i proci ^ Alle carole attesi, ^" e al dolce canto, In aspettando ch'Esperò giungesse: E mentre a sollazzarsi erano attesi ^^

' tornai* [Spett. 181G; Flr. iHiò].

- immantinente ; [/"'*>'. 1845].

•' altro; [Spett. 1816]. altro: [Flr. 1815].

* novelle, [Spett. 1816; Flr. 1845]. ' Ne, [Sp>etL 1816; Flr. 1845].

•^ re<jijla [Spett. 1816; Flr. 1845].

Tafo, [Spett. 1816; Flr. 1845]. " Anchialo; [Slr. 1845].

"" Proci [S2)ett. 1816; Flr. 1845]. "• 'ntesi, ** [Spett. 1816; Flr. 1845]. " vòlti,*** [Spett. 1816; Flr. 1845[.

* Tanto nello Spettatore, quanto nell'ediz. tioroutina, a questo luogo, si va da capo.

** Nello Spettatore conservato in famigflia. alla parola 'ntcni è so- stituito, a penna, attesi.

*** Alla parola vòlti è sostituito, roiuf s<>iir,i. atteai.

2s ()dissp:a

Il negro Esperò ^ giunse. Ivano allora Quei tutti a riposarsi alle lor case : E Telemaco pure ove un eccelso Talamo avea di bella Corte, ^ in luogo Cospicuo d'ogni parte, al letto andossi, ^ Molte fra se volgendo inquiete cure. Seco giva * recando accese faci '' La pudica Euriclea d'Opi figliuola, Che figlio fu di Pisenor. L'avea Compra Laerte, "' pubescente ancora, * Co' beni suoi, di venti bovi al prezzo, ^ E in sua magione della moglie al pari Onorata Tavea : ma la consorte Per non muovere a sdegno, unqua non s'era Con lei mescliiato in letto. Or ella insieme Con Telemaco già '-^ (cui più di tutte L'altre fantesche amava, ^" e che fanciullo Nutrito avea) ^' recando accese faci. Del ben ^^ costrutto talamo le porte Dischiuse tosto, ^-^ e sopra il letto allora Telemaco s' assise, ^"^ e dispogliossi

' espero [Flr. 184:5].

- corte, [Spett. 181G; Fir. 1.SÌ5].

•' andossi; [Fir. 1845].

^ <jlva, [Spett. 1816; i-'Àr.' 1845].

■'faci, [Spett. 1816; Flr. 1845].

" Laerte [Spett. 1816; Fir. 1845].

" ancora [Spett. 1816; Fir. 1845].

"" prezzo ; [Fir. 1845],

" ijia, [Sptett. 1816].

'" amava [Spett. 1816; Fir. 1845].

" avea), [Fir. 1845].

'- bel* [Spett. 1816; Fir. 1845]. '=• tosto; [Spett. 1816; Fir. 1845].

1+ s' assise [Si^ett. 1816; Fir. 1845].

* Ledi/., tioreiitina ha (niesta nota: * Forse : ben». <he. '•ome vedt'si, trova qui la i-ua jiena iriiistiflcazinnf*. l'^ualniente le^fresi. con correzione a penna, nellesem- plarc dello Sprtliit'.rr < servati! in t'.imiirlia. (Vedi anche a jujr. 4^^'j dell'edlz. fio-

ODISSEA 29

Della tunica molle ; indi all'attenta Vecchia la porse. L'assettò, piegolla Essa, ^ e vicino al pertugiato letto L'appese a un cavicchiuol. Poi dalla stanza Pronta levossi, - e per Tanel d'argento A se -^ tratta la porta, il chiavistello Giù cader fé' ^ colla correggia. Ascoso Sotto coltre di lana, ivi pensando Quegli si stiè tutta la notte, •'"' e seco Cercando già '' come fornir dovesse. Giusta il detto di Palla, " il suo viaggio.

' Essa [Spett. 1816].

•^ levo issi ; [Flr. 1815].

' so [Spett. 1816].

* [Flr. 1815].

5 notte: [Fir. 1815].

' <)ia [Spett. 1816; Fir. 1815].

' 'Falla [Fir. 18J5.]

ENEIDE

Un quadernetto di ventiquattro facciate, interamente scritte, tranne l'ultima mezza pagina (copertina color mar- rone cliiaroì.

AL LETTORE

E' mi par non sia da inculcar soverchiamente quel precetto di Ora/io : -

Versate din quid ferre recusent Quid valeant humeri, ^

essendoché gli uomini grandi ìwn sogliono diffidarsi

menerebbono *

molto (W delle loro forze, torrebbono per avventura mai a fare ad effetto una grande impresa, se innanzi di porvi mano, "' la esaminassero troppo per- minuto. Se io *^ che pur mi sono tutt' altro che uomo grande, avessi

discorso*

diligentemente e partitamente " considerato le infinite altissime difficoltà," cui ad un traduttore di Virgilio

> Lettore! [MU. 1817]. Lettore [F'ir. 1^45]. - Orazio, [MU. 1817J. d'Orazio, [Fir. 1845]. ^ Immeri; [Fir. 1845] ^ menerebbero [Mil. 1817; Fir. 1845]. ■' mano [Mil. 1817; Fir. 1845]. " io, [MU. 1817; Fir. 1845]. particolarmente [Mil. 1817; Fir. 1845|. " discorse [Mil. 1817; Fir. 1845]. •' diffiroUh [Mil. 1817: Fir. 1845].

34 ENEIDE

fa mestieri sormontare, non avrei mai impresa la tra- duzione che ora ti presento. E come tu dirai che avresti sopjDortata questa disgrazia molto agevolmente, io cosi ^ risponderotti che anco il Caro - se troppo fosse stato a considerar Virgilio e gli omeri suoi proprj ^ e la età sua, ìion verosimil ^ cosa è che non ci avrebbe mai lasciata la prima traduzion poetica che abbia

principio

avuto Italia sino al cominciare del secol "' nostro; e me- desimamente molti altri grandi uomini, '' non avreb- bono ~ forse dato pur cominciamento a molte altre loro grandi opere , se prima avesser voluto rintracciare con troppa sollecitudine,^ tutti i luoghi er^/ ed * arti^^ ai quali poteano avvenirsi :^'^ oltreché il genio non sof- fre indugio, ne disamina. Ma perchè ora mio inten- dimento è ora parlarti di me, e non del Caro ^^ di

fatto

alcun altro, dirotti per quale occasione io mi sia indotto a tradurre il secondo Libro della Eneide. Sappi dun- que che a ciò non altri avermi mosso che il tristo con- sigliere di Virgilio. Perciocché letta la Eneide, ^- (si come semj^re soglio, letta qual cosa '•* é '^ o mi par me

' cosi io [MIL 1817 ; Fir. 1845].

- Caro, [MU. 1817; Fir. 1815].

•' lìroiìri \^Mll. 1817] .

^ verisimil \MIL 1817; Fir. 1845],

•^ secolo [Mll. 1817] .

" uomini [iUi7. 1817; Fir. 1845].

* avrebboTi [Fir. 1845].

" sollecitudine [3/i7. 1817; Fir. 1845;.

'■' arti [Wd. 1817; Fir. 1845^. '" avvenirsi ; [Mll. 1817 ; Fir. 1845], " Caro, [Mll 1817; Fir. 1845]. '-' Eneide [Mll. 1817; Fir. 1845]. '•' qualcosa [Fir. 1883]. '^ è, [Mll. 1817; Fir. 1845].

* li'eiì, tanto nell'ediz. di Milano, qnanto in quella di Firenze, in condivo.

i

ENEIDE .-30

veramente ^ bella) - io andava del continuo spassimando, e cercando maniera di far mie ^ ove in qìtalche gìùsa si potesse in alcuna guisa "^ quelle divine bellezze, ~'

infinechè '

mai ebbi pace,'' sinché non ebbi patteggiato con me me- desimo, e non mi fui avventato al secondo libro ^ del sommo poema, il quale più degli altri mi ave a tocco, ^ si che in leggerlo, senza avvedermene, lo recitava, cangiando tuono quando il si convenia fare, ^^ e in- f?/ocandomi, ^^ e forse talvolta mandando fuori alcuna lagrima. Messomi all' '- impresa '^ so ben dirti aver io conosciuto per prova che senza esser poeta non si

vero

può tradurre un fjran poeta, e meno Virgilio, e meno il secondo libro '"* della Eneide, caldo tutto dal pr quasi ad un modo dal principio al fine,^"' talché jìev come qual- volta io cominciava a mancare di ardore e di lena, tosto

avvisavami mi avvedea che il pennello di Virgilio divenia ^^ stilo ^'

in mia mano. E si ho tenuto sempre dietro al testo a motto a motto (perché, quanto alla fedeltà, ^^ di che

' veramente, [Fir. 184.5]. - bella), [Mil. 1817; Fir. 1845]. ' '„lie,[^UL 1817; Fir. 1845]. ■* ijuisa, [Mil. 1817 ; Fir. 1845]. •' bellezze; [J/t7. 1817]. bellezze: [Fir. 1845]. " iìace [Mil. 1817; Fir. 1845]. infinchè [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^ Libro [Mil. 1817; Fir. 1845]. " tiWA'o ; [Fir. 1845].

'" convenia, [Mil. 1817]. —convenia, [Fir. 181;V. " infocandomi [Mil. 1817; Fir. 1845]. '- alla [Mil. 1817; Fir. 1845]. '' impresa, [Mil. 1817; Fir. 1845]. '* Libro [Mil. 1817; Fir. 1845]. ''fine; [Mil. 1817; Fir. 1845J. '" divenia [Fir. 1845]. " stile* [Fir. 1845]. "* fedeltà [Mil. 1817 ; Fir. 1845] .

* K ocrfo, stimiamo. .'rr..r«- ili strinici,

3(> ENEIDE

posso giudicare co' miei due occhi, non temo paragone) ^

dei sinonimi

ma la scelta delle parole , il loro collocamento delle jjarole, la forza del dire, l'armonia espressiva del verso, tutto mancava, o era cattivo, come,- dileguatosi il poeta, restava solo il traduttore. Le immense difficoltà che io lio scontrate per via-^ puoi tu di per te stesso cosi ben penetrare come io che holle sperimentate, posso io darti al tutto ad intendere con parole. Ma che la dif- ficilissima cosa siami stata non intoppar nel gonfio, ^ e non cascar nel basso, ma tenermi sempremmai in quel divino mezzo, "• che é il luogo di verità e di na- tura, e da che mai s''' é dilungata <7'un punto la celeste anima di Virgilio, " questo, io penso, comijrenderai age- volmente. Sporti a parte a parte, come abbia io ado- perato per venire all'intendimento mio, e le leggi che mi son* parute da osservare, disutil cosa sarebbe e

avvenga che,

nocevole anzi che no. '-^ polche se e' parratti che non

indarno

a voto io siami faticato, la traduzione istessa tutto ti mostrerà, troppo meglio che non potrei qui far io,'^ e se il l'opposito addiverrà, nuocerebbemi che tu sapessi come " io conoscendo il modo di ban tradurre Virgilio, lo '- ho })0Ì tradotto male. Pregoti che tenga questo

' lìarcKjone) ; \Mil. 1<S17 : Fir. 1815).

- come [Flr. 1845^.

•' ola, [Mil. 1817; Flr. 1815J.

* ijonfio \\rd. 1817: Flr. 1845]. •^' mezzo [MIL 1S17 : Flr. 1845J. '' si [MIL 1S17: Flr. 1815J.

' Virginio; [MIL 1817; Flr. 1845].

« sono [Mll. 1817; Flr. 1845].

" ed anzi iiocovolo olio no, [Mll. 1817;

Flr. 1845]. * '" lo; [Mll. 1817; Flr. 1845]. com' [Flr. 1845]. '- V [MIL 1817; Flr. 1845].

* Ni'H'ciliz, fion'iitina dopo « «o > pf un jniiit'i-. ma. t'vicli'iitfini'iitf. p>T i f^tanipa,

di

I

ENEIDE ót

adoperato.

per certo, aver io tutto ^ che per me si poteva, fatto, onde fpies V opera fon la breve ma non picciola- ope- ra, •'' fosse, quanto a cosa mia è dato, perfetta.

Mal però avviseresti se credessi che ove a questa traduzione non incontrassi^ mala ventura, io avessi in animo di voltar del pari in italiano tutta l'Eneide. L'opera mia comincia dal verso :

Conticuere omnes '• intentique ora tonebant,

ed ha fine nell'altro:

Cessi" et sublato montem genitore petivi:

e questo non perchè sarebbe da gareggiare, non già

per avventura con Annibal Caro. ' (che forse pensi che m'impaurisca,

posciachè

e male,'' da si come non ha forse Italiano che più di me sìa ammiri quel grande scrittore, cosi non ne ha per

potere Italia

sorte alcuno che più fermamente creda mancare aU Ita- lia potersi anco desiderare in Italia una traduzione della Eneide)^ ma con Virgilio. Saggio di traduzione

Libro

da farsi per me ho già dato io nel primo Canto del- l'Odissea venuto in luce il Giugno^" e il Luglio^' di que-

mal grado

st'anno nello Spettatore '^ e malgrado il mio del mio in- ginocchiarmi innanzi ai letterati, e dell'usare 2^<^^ole a

' tutto, [MIL 1816].

'' piccola [MIL 1817; Flr. 1845].

^^ oliera [MIL 1817; Flr. 1845].

* incontrasse \MiL 1817; Flr. 1845].

•^ omnes, [Flr. 1815].

« Cessi, [MIL 1817; Flr. 1845].

" Caro [MIL 1817; Flr. 18 15^.

« viale; [Fir. 1845].

« Eneide), [MIL 1817: Flr. 1815J. '" f]la;ino [MIL 1817 ; Fir. 1845]. " luglio [MIL 1817; /-'ir. 1845]. '* Spettatore; [MIL 1817; Flr. 18451.

38 ENEIDE

bello studio maniere un po' stravaganti, a pregarli che

man-

lor piacesse dirmi se utile o inutil cosa farei conti- d'Ando nuando l'opera innanzi, non altro ho potuto saperne ^

se non che quello inginocchiarmi è paruto un j)ó' strano, -

taluno

(ed io avea voluto che il fosse) '-^ e che ha qualcuno il quale ^ non vorrebbe sentir parlare di chiostra de' denti, di che agevolmente mi consolo colle parole di Omero 'épxoQ ooóvxwv, '' e coll'esempio del Monti e con mille altre cose , : *^' e converrà ~ se pur dilibererò ^ di tradur l'Odissea'^ che ne giudichi per me, e che corra il rischio'" che avrei voluto causare'' di gittar la fatica. Ma già ho scorto assai mende per entro alla tradu- zione di quel libro, '- ne e certo non ridarella al Pub- blico senza molto avervi cangiato : da che sono io di tal tempra che nulla mi va a gusto di quanto ho fatto due o tre mesi innanzi ; e però molto più biasimo ora la cat- tiva traduzione di Mosco data fuora medesimamente

anzi che

nello Spettatore^ e fatta avantiche ponessi mano alla versione dell'Odissea, di qua ad un anno addietro, quando io non ne avea che diciassette. Volesse il cielo che a queste riprovate opere, ''^ tenesse dietro alcuna cosa buona, come al Rinaldo del Tasso, al Giustino del Me-

' saperne, ]Mll. 1817; Fh\ 1845]. •'' strano [Mil. 1817; Fir. 1845J. '^ fosse), [Mil. 1817; Fir. 1845]. * quale [Mil. 1817; Fir. 1845]. 5 ò6óvxo)v [Mil. 1817]. "' cose; [Fir. 1845].

^ converrà, [Mil. 1817]. ; converrà, [Fir. 1845]. « delibererò [Mil. 1817; Fir. 1845]. " Odissea, [Mil. 1817; Fir. 1845]. '" rischio, [Mil. 1817; Fir. 1845]. " cansare, [Mil. 1817; Fir. 1845]. '•-' Libro, [Mil. 1817; Fir. 1845]. '' opere [Mil. 1817; Fir. 1845].

ENEIDE 39

par

tastasio, alla Cleoj)atra dell'Alfieri ; che non e da spe- rare. '

Lettor mio, eccoti In mia tradiizìoiie un'occhiata alla mia traduzione, e se non ti piace, si biastemmia il deturpatore della Eneide, che sei merita, e gettala

t'appaga

Via; se ti'dìi nel genio, danne lode a Virgilio - la cui anima hammi ispirato, anzi ha parlato sola per Locca mia. -^ Sta sano. *

[Mil. 1817; Fir. 1845]. '' Virgilio, [Mii. 1817; Fir. 1845]. •' por mia bocca. [Mil. 1817; Fir. 1&45].

* L'autografo di questa lettera è conservato pur esso in casa Leopardi. È un foglio di quattro pagine, ondo solo tre sono scritte.

** III un t'Ffliipl;ii-c rlic ili i|Ufst;i ciIÌ/Ìmih' si <-(.ii f he alcune parole. !ua ii'in -ià. 'Tcdiniiin almciH". di 'luto hi. dono dallo stesso Anton') ^ tiMvasi niaiMis- «lei secondo foglio della copertina -oidi- venie scu i-orrezione è la seiruente :

l'ug. 8, vers. in sin-arnr ror;-.: sjx rare.

nella Hil.li

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'!'■■ I

,a prima

LIBRO // SECONDO *

della ENEIDE.

Ammutirono tutti ^ e fissi in lui Teneano i volti; allor che il padre Enea Si cominciò da l'alto letto: Infando,

0 Regina, * è il dolor cui tu m' imponi Che rinnovelli. I' dovrò dir da' Greci

1 Teucri averi e il miserando regno Come fosser diserti: io dire i casi Tristissimi dovrò, ciii vidi io stesso

E di che fui gran parte. E qual potrebbe

0 Mirmidòne, o Dolope, o seguace

fero

Del fovìp, Ulisse rattenere il pianto

ragionando

Tai cose in rammentando ? E ffia la omai dal cielo Precipita la notte umida, e gli astri Vanno in cader sollecitando persuadendo il sonno. Ma se cotanto hai di saper desio

1 nostri casi, e l'ultima sciagura

Se ti diletta in brevi accenti espressa

tuta, [MIL 1817; Flr. 1815]. ' regina, [Fìr. 1845]. * Dopo secondo c'era un punto, che, poi, fu tolto.

42 ENEIDE

Di Troja ^ udir;- benché meinlDrarla, ^ orrendo A l'alma sia'' che addolorata il fugge; Comincerò. Da guerra affievoliti

respinti

Gli AcMvi duci, E dal destin sospìnti i duci Acliivi

Dopo tant'anni, da Minerva istrutti

Divinamente, di montagna in guisa

Dansi un cavallo a fabbricar, le sue

Coste intessendo di segato abete,

E voto il fìngon pel ritorno. Errando

Tal fama vassi. Entro dal seno oscuro

Occultai! greci "

Chiudon guerrieri a sorte tratti eletti, e il ventre Enijnon d'' arinoti, E le spaziose grotte empion

d'armati. *Tenedo è incontro ad Ilio," Isola" ovunque Nota per fama, e ricca, allor che il regno Di Priamo stava ; ^ or già non più che seno Ed a' navigli infida stanza. I Greci Qua giunti ^ s'appiattar *" ne l'ermo lido, E noi partiti li credemmo e volti '^ Con opportuno vento inver Micene. Onde il suo lungo duol Dardania tutta 8i disveste: spalancansi le porte: [il campo

È grato Uscirne è grato ^- e degli de gli Adii vi

1 Troia [Fli\ 1845].

■' udir, [3IIL 1817; Flr. 1815J.

=* memorarla [Mil. 1817; Flr. 1845].

* sia, [Mil. 1817; Fir. 1815].

•'^ Greci [Mil. 1817; Fir. 1845].

" Ilio; [Fir. 1815].

' isola [Mil. 1817; Fir. 1845].

« stava, [Mil. 1817].

« giunti, [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^'^ s* appiattar [Mil. 1817; Fir. 1815]. " vòlti [Fir. 1845]. '■' grato, [Mil. 1817; Fir. 1815].

* A questo luogo nelle edizioni di Milano e di Firenze non si va da capo.

ENEIDE 43

Vedere Mirare ^ e i luoghi solitarj,- e il lido Abbandonato. I Dolopi guerrieri Ebbero qui lor tende ; -^ il fero Achille 8'accarnpava colà; qui fur le flotte,^ pugnar si solea. Parte de'Teucri Stupita guarda il fatai don sacrato Alla A la vergine Pallade, e la mole Ammira del cavallo. Entro le mura A trarlo esorta, "• e ne la rocca a porlo Timete il primo : o frode fosse ^ o il fato ~ Che d' Ilio il mal già fermo avea. Ma Capi ^ E chi meglio avvisava, il malsicuro Dono de' Greci insidioso,'^ in mare Volea^i che si gettasse, o con sopposte Fiamme si s'ardesse, o le caverne occulte

esplorar,

Onde ' spiar, se gli forasse il fianco.

Smembrasi parti opposte

Si parte in due contrarj il volgo ^^ incerto. * Innanzi a tutti allor con grande stuolo Laocoonte da la somma rocca Rapido Fervido giù trascorre, e di lontano, 0 sventurati, o cittadini, esclama, E 0 qual demenza mai! partiti dunque i greci '' Credete dunque dunque, e che non rechi inganno, ''

' Mirare, [Fir. 1845].

'' solitari [Mll. 1817; Fir. 1845].

=' tende, [Fir. 1845].

^ flotte; [Mil. 1817;, Fir. 1845].

^ esorta [Mil. 1817; Fir. 1845].

^ fosse, [Mil. 1817; Fir. 1845].

'fato, [Mil. 1817; Fir. 1845].

« Capi, [Mil. 1817; Fir. 1845].

» insidioso, [Mil. 1817]. '" vulgo [Mil. 1817; Fir 1845]. " Greci [Mil. 1817; Fir. 1845]. '■"' inganno [Mil. 1817; Fir. 1845].

* A questo luogo nelle edizioni di Milano e di Firenze non si va da capo.

44 ENEIDE

Dono (l'Achei? conoscete Ulisse? O rimpiattato in questo legno stassi Alcun de' Greci, o a' nostri muri avversa Tal macchina s'alzò, le case forse Ad esplorare, o ad assalir di sopra

qui sotto di cert ) -

La città nostra, ^ o qualche frode al certo

Frode sta rimpiattata. O Teucri, fede •"'

Nascosa è qui. Non sia che fede abbiate

Non abbiate al cavallo. E' sia che vuoisi •*

Al cavallo, o Trojani. I Greci io temo

Temo gli Achei ^

Che che sia ciò , se recan doni ancora.

Si disse, e al fianco del cavallo, in luogo parte

Ove aggiunte del de l' ^ alvo eran due travi '

Con poderoso impulso una gagliarda

Asta avventò. L'asta ondeggiando stette,

E rimbombar * de l'utero a la scossa

Le grotte cupe " e un gemito mandaro.

E se i destini avversi e dissennate

State non fosser nostre menti, indotti

N'avria col ferro a lacerar le occulte

Argoliche caverne, ^"^ e tu staresti,

Troja, ^' jmr per anco, e tu saresti adesso.

Alta reggia di Priamo. Ecco fra tanto, '-

Stuol di Teucri pastori al rege innanzi

> nostra; [MIL 1817; Flr. 18451.

■' o qualche frode al certo [MIL 1817 ; Flr. 184o].

■* Nascosa è qui. Non sia che fede abbiate [Mil. 1817;

Fir. 18451.

■* Al cavallo, o Trojani. I Greci io temo, [MIL 1817J. Troiani. [Fir. 1845J.

" Che che sia ciò, [MIL 1817; Fir. 1845].

« dell' [MIL 1817; Fir. 1815].

travi, [MIL 1817; Fir. 1845].

** rimbombar [Mil. 1817].

» cupe, [MiL 1817; Flr. 1815]. ^" caverne; [Fir. 184.5]. " Troia, \Fir. 1845]. '■' tanto [MiL 1817: Fir. 1845].

p:neide 45

Coi] gran tumulto un giovine traea '

Le mani avvinto dietro al tergo. Ad essi

Ignoto ei s'era al lor venire offerto

Spontaneamente, onde afforzar l'inganno

Ed Ilio ai a' Greci aprir,- di se "^ sicuro.'*

E fermo in mente o di compir la frode,

0 di recarsi a certa morte incontro. Intorno

Al prigionier la gioventù Trojana ■""'

D'ogni banda precipita, bramosa

Di riguardarlo, e lo schernisce a gara.

Or de' Greci le insidie ascolta, e tutti

Da un sol misfatto li conosci/. Inerme,

Turbato, in mezzo de le Frigie schiere, '"'

Com'ei si fu fermato, e gli occhi in giro

Volti, ' a r intorno l'ebbe rimirate,.

accorre '■'

Ahi qual terra "^ esclamò, qual mare infine, *

puote ornai

Me lasso accor j)otrh V che più mi resta? 8e non ho luogo tra gli Achivi, e il sangue

ancora?

Chiedonmi avversi in pena i Teucri anch^essi? Cangiò gli spirti,^" e ogn/ ' impeto represse Quel gemer ne' Trojani. '^ A ragionarne

prosapia

Il confortiamo '- e chi di tpial aangiKi nato Ei sia, che rechi, e prigionier che speri.

' traea, [MU. 1817; Flr. 1S45\ ■^ aprir; [Fir. 1845]. •■• [Mil. 1817].

* sicuro, [Mil. 1817; Fir. 1845]. " Troiani [Fir. 1845]. " schiere [Mil. 1817; Fir. 1845]. ' Vùlti, [Mil. 1817]. « terra, [Mil. 1817; Fir. 1815], " accorre [Mil. 1^15]. "• spirti [Mil. 1817; Fir. 1845]. " Troiani. [Fir. 184.5]. '^ confortiaiìi, [Fir. 1815]. * Altra variante ; affine

4() EX RIDE

Cosi, deposta allìn la tema, ei parla:

* Il tutto, 0 rege, e il vero, e sia che piiote. Confesserò. Non negherommi in prima

padre Argolico: ^

Nato di Greco genitor**: sorte

Perchè misero il fé', - bugiardo, ^ e vano

Sinon l'empia farà: se m conversando udito mai

Abbi tra il ragionar, '* di Palamede

Che dal sangue di Belo origin ebbe •■■'

Il nome a sorte,'' e la gloriosa fama,

Che dal sangue di Belo origin ebbe

Conto non m'è. Di tradigione apposta

Con accusa nefanda il trucidar©

Innocente gli Achei, perchè stornarli

Volea da guerra: il piangon morto adesso.

Socio a questi e parente, a l'armi il mio

Povero genitor da' miei prim'anni

Qua m' inviò.' Finché nel campo illeso

Visse, ^ e fiori pei ' suoi consigli il campo,

Di fama alquanto e d'onoranza anch'io

M'ebbi : ma poi che per livor del blando

Ingannatore Ulisse (ignote cose

favello Io non rammento ) el ' fu disceso a Pluto,

Mesto traea fra il pianto i giorni oscuri,^

E meco già ^^ de l'innocente amico

' Argolico, [Mil. 1817]. Argolico; [Fir. 1845]. •' fé, [Fir. 1845]. ^ ^'bugiardo [Mil. 1817; Fir. 1845]. "* ragionar [Mil. 1817; Fir. 1845]. ■^ ebbe, [Mil. 1817; Fir. 1845]. '" sorte [Mil. 1817; Fir. 1845]. ' invVo. [Mil. 1817]. ** Visse [Mil. 1817; Fir. 1B15J. » oscuri. [Mil. 1817; Fir. 1845]. '" già [Mil. 1817; Fir. 1845].

* Nelle edizioni di Milano e di Firenze, anziché andar qui da capo, si è fatto precedere VII da una lineetta. ** Altra variante : da Greca gente

ENEIDE

La sciagura sdegnando. K già non seppi Tacer ^ folle che ' i' fni : ma se da sorte Stato fossi mai tratto, e vincitore Tornato fossi a la mia patria in Argo, Vendicarlo promisi, aspri movendo Odj ^ co' detti miei. Quindi la prima Origin di mio mal; di quindi innanzi Fu sempre Ulisse ad atterrirmi inteso Con calunnie novelle, e ambigue voci

seminar nel

A fijmrgere tra il * volgo, -^ e in danno mio Armi a cercar di suo misfatto accorto. mai ristette, in fin che di Calcante

A ministro valendosi Ma queste

Spiacevoli novelle a che rimesco?

A che fraj)pongo ■* indugj •'"'? i greci'' tutti

In un sol conto avete : udir vi basta

Che greco ^ io son*^; già mi punite: il brama

Ulisse, e caro il pagheran gli Atridi.

Impazienti ^ allor, di sue sciagure

Il dimandiamo, il provochiam ^*^ di tanta

Malvagità ^^ de l'arte Greca ignari. S

Con finto cor, pavido ei segue e dice; S

Spesso fuggir nascosamente e porre

^roja ^~ partendo ^'^ in abbandono, i Greci ^^

' Tacer, [Mll. 1817; Fir. 1845]. -' Udii [Flr. 1845]. '■" vulgo [MU. 1817; Flr. 1845]. •* trapongo [MIL 1817; Flr. 1845]. '' indwji? [Mii. 1817; Flr. 1845]. " / Greci [MIL 1817 ; Flr. 1845]. '' Greco [MU. 1817; Flr. 1845]. "" son: [MU 1817; Flr. 1845]. " Imjmzientl [MU. 1817]. " 2>rovochlaiit, [MU. 1817; Flr. 1845]. ' Maloafjltà, [MU. 1817; Flr. 1845]. ' Troia, [Fir. 1845]. ^ partendo, [MU. 1817; Flr. 18^4.5]. * Greci, [Mll. 1817; Flr. 1845]. Altra variante: A spargere ira al

48 ENEIDE

Stanchi dal lungo guerreggiar, bramare.

Ed ho oh fatto l'avessero! Sovente Del ma Le ' vie

Del mar so Lor chiusero del mar soventi liate

Dire procelle, -

Aspre tempeste, ed allor più che questo

Cavai di legno stava già, tuonaro

Per l'aria tutta i nembi. Incerti allora

A interrogar l'oracolo di Febo

Euripilo mandiam. Questi da' sacri

Penetrali ei rijiorta acerbi detti :

Con sangue, o Greci, i venti, '^ e co "• la morte

D'una vergin placaste, ^ allor che in prima

Vi conduceste a le Trojane "^^ sponde :

Sangue vuoisi al ritorno ~ e Argiva un'alma

In sacrificio. E' fur del volgo appena

istupidir " gli spirti'"

Giunti a V orecchio, a gli"* orecchi, j)cJ midollo^ a tutti

Ed agghiacciato un tremito per 1' ime

Corse gelato vento ^^ corse un tremito; dai fati

Ossa a tutti discorse, a quale appresti Morte il destiv,

Qual cerco sia, qua! chief/f/a Febo ignari.

Morte il destin, qual chiegga *** Febo ignari.

Qui degli tragge Ulisse de gli Achivi in mezzo

Con gran tumulto l'indovin Calcante:

E qual disegni a dichiarir l'esorta

Il comando de' numi. ^^ E a me V iniqua la fera

' le [Mll. 1S17; Flr. 1845].

'' iirocelle: [Flr. 1845].

=' venti [Mll. 1817; Flr. 1815].

^ con [Mll. 1817; Flr. 1845].

■^ placaste [Mll. 1817; Flr. 184o].

" Troiane [Flr. 1845].

" ritorno, [Mll. 1817; Flr. 1815].

« afjU [Mll. 1817; Flr. 1845].

» Istupidir [Mll. 1817; Flr. 1845]. "> sirlrtl, [Mll. 1817; Flr. 1845]. " Numi. [Mll. 1817; Flr. 1845].

* Altra variante : pei midolli

** gelido orror

*** qual brami

ENEroE -49

de l'empio

Trama del fero * autor ^ molti che quanto . Era per incontrar vedean tacendo -

Indicavano

Predicavano già. Chiuso egli tace

Per dieci giorni ^ e con suo detto alcuno

Di scoprir nega, ^ e di dannare a morte :

Ma Infin che poi dall' ^ alte grida spinto

DelV De l'Itacese, in pattovita foggia

Rompe il silenzio ^ e me destina alVara a l'ara.

Fer "^ plauso tutti ^ e consentir ^ che volto ^^

Quel che temea per se ^' ciascuno, al fato

Fosse d'un sol meschino. E già l'infando

Giorno era giunto presso : a me le sacre cose

e il capo E il Apparecchiarsi, ^- e il salso farro, e cinto

Delle tempia Redimirsi ^^ di bende. I lacci io ruppi, Noi niego, e a morte mi sottrassi. Occulto Entro fangoso stagno in mezzo a Fulva Passai la notte '"* e che le vele al vento e

Dassero i Greci, attesi, ove pur date

» autor, [Mil. 1817; Fir. 1845]. « tacendo, [Mil. 1817; Fìr. 1845]. » giorni, [Mil. 1817; Fir. 1845].

* 'iiega [Mil 1817; Fir. 1845]. « da V [Mil. 1817; Fir. 1845].

« silenzio, [Mil. 1817; Fir. 1845].

'' Fen [Mil. 1817; Fir. 1845].

» tutti, [Mil. 1817; Fir. 1845].

» consentir [Mil. 1817; i^tV. 1845]. »» vòlto [Mil. 1817; i''iV. 1845]. " [Mil. 1817].

'- Apparecchiarsi'^'^ [Mil. 1817; i'Vr. 1845]. '■' Redimirsi *** [Mt7. 1817; Fir. 1845]. " no«e, [ilfi7. 1817 ; Fir. 1845].

* Altra variante: feral

■' Errata Corì-igf : Pag. Ifl, v. fi. Apparcnohiùrfii cùrr.: Apparecchiarsi " ' > > P.aji-. Ifi, V. 7. Redimirsi eorr.: Redimirsi

(Bibì. di Macerata)

50 ENEIDE

Le avesser mai. già la patria antica, ^

Speranza lio più di riveder, i dolci

Figliuoli miei, il desiato " padre : '-^

In chi del mio fuggir forse vendetta

Faran (jli I Pelasgi faran, ^ volti -' col sangue

De' miserelli ad espiar ^ mia colpa.

Or te per ^li Celesti, or te scongiuro

Pe' Dei,' cui noto é che verace io dissi;.

Per la incorrotta fede, ove a' mortali

Punto ancor ne rimanga;

Fior 'p(iT anche * ne resti ; abbi di tante Mie sciagure pietà, pietà d'un'alma Senza merto infelice. ^ A questo pianto Doniam sua vita, e di per noi j?9ietof/e pietosi

Veniamo in

Ahhiain di lui. Che le manette e l'arte **

Catene gli sian tolte il rege istesso

Primiero impone ^ e con amici detti, '^^

Si lui favella. ^^ I tuoi perduti Greci ^^

Chi che sii tu, da questo punto obblia: ^^

Nostro sarai. Veracemente or narra

Quel eh' io ' ti chieggo , . A che tal mole han posta

Di smodato cavallo? Autor de l'opra '^

' antica [Mil. 1817; Fir. 1845].

2 desiato [Mil. 1817].

=' Xtadre ; [Fir. 1815].

* faran [Mil 1817; Fir. 1845].

'' vòlti [Mil. 1817; Fir. 1845.]

« espiar [Mil. 1817].

' Bei [Mil. 1817; Fir. 1845].

« infelice. [Mil. 1817; Fir. 1845].

" impone, [Mil. 1817; Fir. 1845]. detti [Mil. 1817; Fir. 1845]. " favella: [Mil. 1817; Fir. 1845]. '•' Greci, [Mil. 1817; Fir. 1845]. '^ oblia: [Mil. 1817; Fir. 1845]. >* opra, [Mil. 1817; Fir. 1845].

* Altra variante: pur anco ** L'ediz. Le Monnier ha questa nota: [Arda vinclaj.

ENEIDE 51

Scopo qual fu? quale

Chi fu f qual sacra cosa, o qual di guerra Di guerra arnese è questo?

Macchina e questa? Ei' detto avea/ e quegli E quei di d' greca istrutto, ^

Di frodi e di Pelasga arte fornito,

Le disserrate ^ mani al cielo alzando ergendo * Voi, disse, 0 fwochi ^ sempiterni ^ e il vostro Inviolabile nume, e voi n'attesto^ Are, e voi ^ ch'i' fuggii ^^ nefande spade scuri ^^ E voi ^' divine fasce ^^ ond'ebbi cinto Vittima il capo; odiar gli Achei mi lice ^'* Frangerne ^^ i sacri giuri, e al cielo esporre Tutto ch'han ^^ di nascoso: or patria legge Me più non stringe. Tua promessa attieni, narro

S'io dico il ver, se gran mercè ti rendo, E Troja, ^~ solo, e la ^^ serva, servata. ^

Del lieto fin della de l' intrapresa guerra— '=^ Tutta la greca ^^ speme ognor fu posta rg

» aveva: [Mil. 1817; Flr. 1&45].

^ E quei, di frode e d'arte Greca istrutto, [Mil. 1817;

Flr. 1845]. 3 disferrate [MÌl. 1817; Flr. 1845]. * ergendo, [MIL 1817; Flr. 1845]. ' fuochi [MIL 1817; Flr. 1845]. ** sempiterni, [MIL 1817; Flr. 184.5]. ' Inv'iolabll [Mil. 1817]. « attesto, [MIL 1817; Flr. 1845]. » tjoi', [MiL 1817; i^tV. 1845]. '"^ fuggii, [MIL 1817; i'W. 1845]. " scuri, [MIL 1817: i'Vr. 1845]. '2 voi, [Mi7. 1817; i^ir. 1845]. " fasce, [MIL 1817 ; Flr. 1845]. '* Zice, [MIL 1817; /'iV. 1845]. '•^ Franger* [MIL 1817; i^iV. 1845]. c7m?i [3fi7. 1817; jFVr. 1845]. " Troia, [Flr. 1845]. " fé* [Flr. 1845]. Greca [MIL 1817; i^Vr. 1845].

* Errata Corrige: Pag. 17. v. H. —Franger cor»'..- Pranpffrne

(hibl. di Macerata)

52 ENEIDE

Ne gli ^ ajuti ^ di Pallade: ma poscia Che di Tideo l' iniquo germe ^ e Ulisse L' inventor di nefande opre fur osi Il Palladio fatai dal sacro tempio Strappare, uccisi de la somma rocca I custodi, e afferrar * la santa imago, E co ^ le mani insanguinate ardirò

e

Toccar del nume ^ le vzrginee bende ;

Caduta e volta da quel giorno, indietro

Scorse

Sorse de' greci " la speranza, frale

Venne il poter, la Dea nimica. ^ E chiari Prodigi ^ in segno ella ne die. Che posto Nel campo

u Nel camjìo Locossi appena il simolacro, uscirò

Da' torvamente (Annih. Caro) * spalancati lumi Folgoreggianti fiamme, e per le membra Salso sudor discorse ; : ella dal suolo Balzò tre volte (meraviglia!) armata De la tremola ^'^ lancia, ^^ e de lo scudo. Tosto grida Calcante *- esser la fuga]

' Negli [Mil. 1817; Fir. 1845J.

2 aiuti [Fir. 1845].

=* germe, [Mil. 1817; Fir. 1845].

* afferrar [Mil. 1817 ; Fir 1845]. ^ con [Fir. 1845].

« Nume [Mil. 1817; Fir. 1845].

' Greci [Mil. 1817; Fir. 1845].

« nemica. [Mil. 1817; Fir. 1845].

» Prodigj [Fir. 1845]. '" tremula [Mil. 1817; Fir. 1845]. '1 lancia [Mil. 1817; Fir. 1845]. 1- Calcante, [Mil. 1817; Fir. 1845].

* Allude qui ai versi del Caro :

allor ch'ai campo addotta

Fu la sua statua, che posata a pena, Torvamente mirògli, e lampi e fiamme

A'^ibrò per gli occhi

[Firenze, G. Barbèra, 187i3, pag. 62.]

ENEIDE 53

Da tentar sopra l'onde, e non potersi

Spezzar da' brandi Achei l'Iliache mura,

S'a ricercar novelli auspicj in Argo

Non si rivada, e qua la diva imago ^

Cui su' concavi legni han seco addotta -

Non Poi si ritorni. E tratti spinti ora dal vento

Alla A la patria Micene, appresta n armi

E Dei compagni, e rivarcato il mare ^

espon Calcante Qui saran d' improvviso : in questa foggia Cosi Spoìi gli augurj Calcante . Or questa imago han posta

Al nume ^ offeso ^ e del Palladio in vece. Per divino consiglio, onde il funesto Sacrilegio espiar. ^ Ma che la mole Immensa fosse ' e con inteste travi S'ergesse al ciel ^ ne comandò Calcante ^ Perchè raccoglier ne le porte, e dentro Le mura trar la non si possa ^^ e sotto immune

di sua religione ^^ Sotto del sacro patrocinio antica ^- {così vuole Annal.

di scienze e lett.)

Vostra gente a servar ^^. Se violato ^^

Fosse da vostra man questo a Minerva

' imago, [Mil. 1817; Fir. 1845]. - addotta, [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^ mare, [Mil. 1817; Fir. 1815]. * Nume [Mil. 1817; Fir. 1845]. " offeso, [Mil. 1817; Fir. 1845]. « enp-iar. [Mil. 1817]. -'fosse, [Mil. 1817; Fir. 1845]. " ciel, [Mil. 1817; Fir. 1845]. » Calcante, [Mil. 1817; Fir. 1845]. :possa, [Mil. 1817 ; Fir. 1845]. " religione [Mil. 1817]. '■■ antica, [Mil. 1817; Fir. 1845.] '3 asservar. * [Mil 1817]. '* violato [Mil. 1817].

* Errata Corrige. Pag. 19. v. 2. asservar corr.: a servar

(Bibl. di Macerata)

54 ENEIDE

Sacrato dono ^ ei predicea che orrendo

i numi *

Sterminio allora (il quale augurio in lui Prima volgano i nnmi in lui) su i ^ Trigj ^ e il

[vostro Regno verrà verria: (Bandi verria, non: venuto

saria) ma ' se salito in Ilio Fosse per vostra man, con guerra immensa Di Pelope le a le mura ^ Asia verrebbe Di per se' stessa; e che tal fato attenda Nostri nipoti e' vuol. Tai frodi e l'arte Di Sinone spergiuro a dar ne mosse Fede al suo dir: presi da inganni e stretti Da pianti noi ^ cui non domar ^ Tidide ^" Non Achille o dieci anni o mille navi.

* In questa, a noi meschini al incontra, e turba L'alme improvviso altro maggiore e molto Più terribile evento. A sorte eletto Sacerdote a Nettun ^^ Laocoonte Innanzi alt a l'are ^^ con solenne pompa Un gran toro svenava. Ecco due draghi (Accapriccio in ridirlo) da Tenedo ^^ Gettansi in mare ^* e immensi orbi traendo

' doìio, [Mil. 1817; Fir. 18i5]. / 2 Numi [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^ su' [Mil. 1817; Fir. 1845]. * Frigi [Mil. 1817]. ^ .Ma [Mil. 1817; Fir. 1845]. « mure [3Iil 1817; Fir. 1845]. ' [Mil. 1817]. « noi, [Mil. 1817; Fir. 1845]. " domar [Mil. 1817; Fir. 1845]. '" Tidide, [Mil. 1817; Fir. 1845]. " Nettun, [Mil. 1887; Fir. 1845]. '■' ara [Mil. 1817; Fir. 1845]. Tònedo [Fir. 1845]. '* mare, [Mil. ISil ; Fir. 1845].

* Nelle edizioni di Milano e di Firenze a questo luogo non si va da capo; ma Vln è fatto precedere da nna lineetta.

ENEIDE DO

Per la queta marina ^ inver la riva S'avventano del par. Cogli Co - gli erti petti E le sanguigne creste sovrastanno Ai flutti; e l'altra parte si strascina Radendo il l'acqua, e si contorce, in spire Gli smisurati dossi ^ ripiegando. Strepito sorge, e spuma il mare: e' sono Sul lido già, di fìioco foco e sangue infetti

e co * Gli occhi Le roventi pupille, e ribrano le lingue

Lami) Vibrate lambon le fiscliianti bocche. Smorti fuggiamo a quella vista, i I draghi Ambo van dritto a Laocoonte: e i due Teneri figli avviticchiati e stretti, Pascono ^ in pria le miserande membra Co' morsi: e poscia assalgon lui che teli Recava "^ accorso in lor difesa, e d'ampie Spire il van ricingendo, " e già due volte A mezzo il corpo hanlo aggirato, e due Intorno al collo le squamose terga Hangli ravvolto, e sovrastangli al capo Co' capi loro e gli erti colli : e' ^ brutto Di tabe e di veneno atro le bende ^ A un tempo co ^^ le mani sgruppar tenta I nodi ^^ e orrendi al cielo ululi innalza: Quai muggiti il toro allor che fugge

» marina, [Mll. 1817; Flr. 1845]. ■' Con [Flr. 1845]. ' dorsi [Mll. 1817; Flr. 1815]. * con [Flr. 1845]. = Pascon [Mll. 1817; Flr. 1845]. « Recava, [Mll. 1817; Flr. 1845]. ' riclngendo: [Mll. 1817; Flr. 1845]. « colli F' [Mll. 1817]. Ei [Fir. 1845]. 9 bende, [Mll. 1817; Flr. 1&15]. "> con [Flr. 1845]. " nodi, [Mll. 1817; Fir. 1845].

56 ENEIDE

Piagato l'ara, e s'ha dal collo scossa

La mal certa bipenne. I draghi al sommo

Tempio de la terribile Minerva

Rifuggiti strisciando, ed a la Rocca, ^

Sotto i pie de la Diva ~ e dietro a l'orbe

S'appiattan de lo scudo. Allor discorre

A tutti noi pe' palpitanti seni

Nuovo terror. Di Laocoonte al merto

Esser la pena ugual; violato il sacro

Legno aver lui ^ quando avventogli ^ al fianco

La scellerata lancia; , esclaman tutti;

Aversi in Ilio il simulacro a trarre

Partiam le mura, E a supplicar la Dea. S'accinge a l'opra

Spalanchiam la città. S' ^ accinge a l'opra

Il popol tutto, e ruote a ^ piedi ' e funi

d'arraati

Adatta Al collo adatta. A la città^fe ascende

La fatai ??ioZe Pregna ascendea la fatai mole. Intorno

Fanciulli e verginette inni cantando ^

A la fune la man porgono a gara.

Entra il cavallo ^ e minaccioso in mezzo

A la città trascorre. 0 patria mia,

Troja ^^ di numi ^^ albergo, ! o de' Trojani ^'

Mura in armi famose ! quattro volte

Sul limitar medesimo risto', ^^

' rocca, [MU. 1817; Fir. 1845].

- Diva, [MU. 1817; Fir. 1845].

» lui, [MU. 1817; Fir. 1845].

* avventogli [MU. 1817; Fir. 1845].

" cUtà: s' [MU. 1817; Fir. 1845].

« a' [MU. 1817; Fir. 1845].

' piedi, [Mil. 1817 ; Fir. 1845].

« cantando, [Mil. 1817; Fir. 1845].

» cavallo, [Mil. 1817]. 'l cavallo, [Fir. 1845]. Troja, [Mil. 1817]. Troia, [Fir. 1845]. " Numi [Mil. 1817; Fir. 1845]. ''' Troiani [Fir 1845]. " ristè, [Mil. 1817; Fir. 1845].

ENEIDE 57

Quattro dal ventre usci suon d'armi. E folli, ^ Ciechi^ furenti insani E forsennati e ciechi pur

[seguiamo, e il fero Mostro lochiam ne su la sacrata rocca.

le labbra volente il Dio, Cassandra il labbro

Allor - la bocca de' futuri eventi Nuncia, da Febo stretta apre Cassandra,

Non mai creduta apre al futuro : e noi Mai creduta da' Teucri. E noi veliamo

(Miseri cui quel giorno ultimo fora!)

Veliam per la cittàc?e con festiva festa fronde

I delubri de' numi. ^ Il ciel fra tanto

Si cangia ^ e notte a l'ocean ^ ruina,

In grande ombra avvolgendo e terra e polo

E le Argoliche insidie i frodamenti ^ Achei. Tacquero

Per le lor case sparti, " occupa il sonno [i Teucri

Le stanche membra. E su gli armati legni

Le squadre Achee da Tenedo ^ a l'amico

Silenzio mosse de la cheta luna,

Già poi che fiamme alzò la regia nave prora ^

Vernano ai noti lidi; e da gli avversi

Fati Sinon protetto ai chiusi Greci Achivi

Apre d Del ventre ascosamente i pinei chiostri

Disserrato. Disserrata a l'aria i Greci

Rende la Pera. Da la cava mole

Discendon lieti per sospesa fune

Macaone il primier, Toante, il diro

Ulisse, Menelao, d'Achille il germe

' folli [Mil. 1817 ; Fir. 1845]. Allor, [Mil. 1817; Fir. 1845]. Numi. [Mil. 1817; Fir. 1845].

* cangia, [Mil. 1817; Fir. 1845]. •^ ocean [Mil. 1817; Fir. 1845].

« fondamenti * [Fir. 1845].

' sxmrti: [Mil. 1817]. sparti] [Fir. 184.5].

» Tenedo [Fir. 1845].

» prora, [Mil. 1817 ; Fir. 1845].

* Ma non cos\ neWErrnta Corrif/e a pag. 485, dove. cor,ie dincccnl" t il se» so ed il latino, i fondamenti diventano frodamenti.

58 ENEIDE

Neottolemo, e Stenelo, ^ e Tessandro

I duci, ed Acamante , e del doloso Cavallo ei pur l'architettore Epeo. Invadon la città nel vin sepolta

E nel sopor: cadon le guardo: - i socj ■* Son per le porte spalancate accolti Tutti ^ e le conscie lor caterve aggiunte. Era il tempo che a' miseri mortali

* La prima quiete a serpeggiar comincia ^ Don celeste gi-atissimo ^ per l'ossa, Quando nel sonno a gli occhi miei presente

II mestissimo Ettorre esser mi parve Sparso di largo pianto, strascinato ' Qual già, dal cocchio, di sanguigna polve

' Lordo ^ e passato i gonfj ^ pie da funi. Qual era ahimè, quanto da quel diverso Che Ettor che a noi de le Peliache spoglie Tornò vestito, o poi che Frigie fiamme Scagliò su i Grec/ii legni! Era per sangue Rappreso il crine, squallida la barba, ^^ E' ^^ le infinite piaghe avea che intorno Al patrio muro riportò. Sembrommi

' Stenelo [Mil. 1817; Fir. 1845]. '' guardie: [Fir. 1845]. 3 soci [Mil. 1817].

* Tutti, [Mil. 1817; Fir. 1845J.

^ comincia, [Mil. 1817; Fir. 1845].

« gratisslmo, [Mil. 1817; Fir. 1845].

" strascinato, [Mil. 1817; Fir. 1845].

« Lordo, [Mil. 1817; Fir. 1845].

» gonfi [Mil. 1817 ; Fir. 1845]. barba; [Mil. 1817; Fir. 1845]. '1 E** [Mil. 1817; Fir. 1815].

* Nel supplemento generale a tutte le mie carte, che è fra i Mss. leo- pardiani esistenti nella Paladina, questi due versi leggonsi in tal

guisa:

< Comincia il primo sonno e per le membra Don celeste gratissimo serpeggia, »

"* Errata Cnrriqe : Pag. 23, v. 5. E cnrr.: K'

(Tiibl. di Macerato)

ENEIDE . 59

Clie primier gli parlassi ^ e lagrimando

Si gli dicessi in mesti accenti: 0 luce

Di Teucria, Ettor bramato, o de' Trojani -

Fidissima speranza, e che ti strinse

A indugiar tanto? e q da, qual piaggia riedi?

Oh qual,^ fievoli ahimè '* dopo cotanta

Strage de' tuoi, dopo si varie pene

De' Teucri, d'Ilio,"* riveggiamti! E quale

Cagione indegna la serena faccia

Ti difforme ? perchè tai piaghe io scerno ?

Ei nulla a ciò, ma di mie vane inchieste

Non Cura, ma grave dal profondo petto

Sospirando, ^ Ahi, mi dicea, fuggi, t' invola.

Figlio di Cipri, a queste fiamme. In forza

De' Greci è il muro : da la somma cima

Ilio a terra precipita. Pugnato

S'è per la patria e per lo rege assai.

Se Pergamo campar destra potesse '

Questa l'avria campato. A te le sacre sue

Sue cose ed i penati^ Ilio accomanda:

Questi in consorti adduci, e loro in traccia

nuova Vanne Va di altra città, cui dopo lungo

Errar pe' ^ mari, alfine ^^ ampia alta porrai.

Disse ^^ ed tratte le bende e il simulacro

De la possente Vesta, e il fuoco eterno

Da' penetrali, e a me li fida. Intanto

' parlassi, [Mil. 1817; Fir. 18451. 2 Troiani [Fir. 1845]. ' qual [Mil. 1817; Fir. 1845]. * ahimh, [Mil. 1817; Fir. 1845]. " Ilio [Mil. 1817 ; Fir. 1845]. « Cospirando: [Mil. 1817; Fir. 1845]. ' potesse, [Mil. 1817; Fir. 1845]. « Penati [Mil. 1817; Fir. 1845]. » pei [Mil. 1817; Fir. 1845]. '" al fine [Mil. 1817 ; Fir. 1845]. " Bisse, [Mil 1817; Fir, 1845],

60 ENEIDE

Confuso lutto la città mescea, ^

E già benché tuttoché rimoto luogo, - ombrata

D'arbori tenga la magion d'Anchise

Il genitor, più sempre e più distinto

Viene il frastuono ^ e inverso noi s'avventa

L'orror de l'armi. Io desto balzo. Ascendo ^

Del tetto al sommo ^ e a tesi orecchi sto. ^

in messe

Come se fiamma al furiar ' de' venti Noti Piamma è sospinta, o rapido torrente Trabocca giù d'una montagna, e i campi

Diserta e i colti prosperosi ^ e l'opre traggesi

De' buoi devasta, e menasi le selve Precipitanti; del fragor l'ignaro Pastor s'ammira d'erto sasso in cima. AUor la greca ^ fé, ^^ gli orditi inganni Conosco. Incensa ruinò già l'ampia Magion di Deifòbo, arde il vicino

r

Ucalegone, rZe' al fiammeggian<2 de' tetti * {Uc.ale- gone per casa ecc. Caro **) Riluce la Sigea vasta marina. ^^

* mescea; [Mll. 1817; Fir. 1845^* '' luogo [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^frastuono, [Mil. 1817; Fir. 1845],

* balzo: ascendo [Mil. 1817; Fij\ 1845]. ^ sommo, [Mil. 1817; Fiì\ 1845].

« sto: [Mil. 1817; Fir. 1845^.

' furiar [Mil. 1817 ; Fir. 1845].

" 2ìrosperosl, [Mil. 1817 ; Fir. 1845].

« Greca [Mil. 1817; Fir. 1845].

'" fe\ [Fir. 1845].

" marina: [Mil. 1817; Fir. 1845].

* Il verso da prima era il seguente:

roaleg-on de' fiammeggianti tetti

** Alluiie qui a' seguenti versi del Caro:

. . . . , . . . E già '1 palagio

Era di Deifóbo arso e distrutto;

Già "1 suo vicino Ucalegon ardea . . .

(pp. cit., pag. 71.)

ENEIDE 61

S'odoii genti ululare^ e streper tube. L'armi insensato afferro , ^ e che da l'armi Speri, non so, ma di pugnar commisto A' combattenti^ e di scagliarmi insieme Co' soci socj su la rocca, ardo : la mente

Ira

Cieco , furor precipita , : Que sovviemmi

Che bel morir s'acquista in mezzo a 1'* armi. Che chi more ha fra Tarmi ha bella inijTte.

Ecco da' teli Achei scampato io veggo Panto, l'O triade Panto, il sacerdote De la Rocca ^ e di Pebo, in man recando

I sacri arredi e i vinti dei, trar seco ^ / vinti numì^ e il tenero nipote

II tenero nipote ^ e forsennato 'Traendo, correr forsennato al lido.

Correre al lido. A Che di Troja ^ accade,

appena » Panto,? A^" qual rocca andiam? Taciuto ho appena

Che sclama egli gemendo : A^ A Teucria è giunto

L'estremo tempo ^^ inevitabil tempo.

Fu Troja. ^' fummo noi Trojani ^^ e il grande

Gnor del Troice nome. Ad Argo il tutto

' idulare, [Mil. 1817; Fir. 1845]. '' afferro; [Fir. 1845]. « combattenti y [Mil. 1817; Fir. 1845]. * all' [Mil. 1817; Fir. 1845]. •■* rocca [Mil. 1817; Fir. 1845].

® I sacri arredi e i Dei, trar seco [MIL 1817; Fir. 1815*]. ^ nipote, [Mil. 1817; Fir. 1845]. « Troia [Fir. 1845]. " a [Mil. 1817; Fir. 1845]. "' appena, [Mil. 1817; Fir. 1845] . " tempo, [Mil. 1817; Fir. 1845]. '2 Troia, [Fir. 1845]. ^■' Troiani [Fir. 1845].

* N>ir»'dizione (ioi-entina (pafr. 183) loggrpsi questa nota : < Cos^ ha la prima edi- zione; e noi non abbiamo manosr^ritto nhe ci dia il rimedio. > Nella Krmtn Corriqe. più volte innanzi m< ntovata. lejrsresi ; Pag. 25, v. 0»; e i Dei mrr. : e i vinti Dei fOibl. di Macerato).

62 ENEIDE

Giove crudele ha trasferito, ^ in preda

E de gii Achivi (Caro *) Ilio ch'avvampa. Stassi

La Fera immane a la cittade in mezzo -

Armati traboccando: insulti e fiamme

Mesce Sinon vittorioso : ^ ed altri ^

Quanti mai n' inviò ^ Yalta ampia Micene "

Entro le mura a spalancate porte

Sboccano a mille a mille: altri gli angusti

Aditi de le vie co' teli imp in pugno

Assediare ; ' sta la ferrea sta siepe di spade *

Ignude, folgoranti, a uccider preste : ^

Ed ajyp de le i presidj delle de le porte appena

Mescono i primi abbattimenti e in cieca

Zuffa resister tentano. Da questi

Detti di Panto e dagli da //Z' gli Dei son tratto

Era l'armi e il foco ^ ove l' infausta Erinni '"

Ove il fremer m'appella e l'ululato

A gli astri spinto. A me Rifeo compagno

' trasferito: [Mil. 1817; Fir. 1845].

2 mezzo, [Mil. 1817; Fir. 1845].

3 vittortoso: [Mil. 1817J.

* altri, [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^ invm [Mil: 1817].

« Micene, [Mil. 1817; Fir. 1845]. ' Assediano ; ** [Mil. 1817 ; Fir. 1845]. » preste; [Mil. 1817; Fir. 1845]. » fuoco, [Mil. 1817; Fir. 1845]. '" Erinni, [Mil. 1817; i^*V. 1845].

* Allude a' seguenti versi del Cauo, da lui (speeie il Fu Troja, fummo noi Trojani) imitati:

. , . . . . È giunto, Enea,

L' ultimo iriorno, e '1 tempo inevitabile I)e la nostra mina. Ilio fu già; E noi Troiani fiimnio : or è di Troia Ogni gloria caduta ......

{O,:. cit.. pag. 72)

** In calre allVdiz. fiorentina (pag. 184) leggesi : < Cos\ sta nella prima stampa: e Senta sof<?orso di manoscritti non possiamo correggere. >

Nella sopra mentovata Krrntd Corr/pe leggesi : Pag. 25, V. 23: Assediano VOry.: Assedtaro (Hill, di M<{<'f'r<{tn) .

ENEIDE 63

Ihs Bassi ^ ed Epito in armi sommo. Incontro Fanmisi Ipan, Dimante fanmisi - a la luna ^ E nel al fianco mi s'addensano, e Corebo Migdonide, il garzon che di Troja Cassandra Arso da folle amore ^ a Troja ^ giunto

Per sorte

Era a sorte era in quei giorni, e a' Frigj ajuto ^

Dando Dava e al suocero Re, ^ miser, che vano

L'ammonir tenne de l'afflata sposa!

A questi, poi che ragunati e vaghi "

Di combatter li vidi, incominciai

A favellar cosi : Giovani, invano

Eortissim'alme, a che ridotta sia

Nostra sorte il vedete. ^ Ed ed are e tempj ^

Gli Dei per chi ste' ^^ questo imperio, tutti

Ahb Partendo abbandonare, se ^^ fermi in core (Il comune era fermo di non 2)cifJ((ye. Uahhì.)

Siete di seguir me eh' a far l'estreme

Prove innanzi mi caccio, arsa cittade

A soccorrer venite: in mezzo a l'armi

Ruiniamo e moriam, ^- sola che resti

Salute ai vinti è non sperar salute. g^

Cosi furor crebbe in lor alme: e quindi E

Come rapaci lupi in atra nebbia ^^

' Bassi, [Fir. 1845].

-' f ammisi * [Mil. 1817].

=* luna, [Mil. 1817; Fir. 1845].

* amore, [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^ Troia [Fir. 1845].

^ aiuto [Fir. 1845]. ' re; [Fir. 1845]. « vedete: [Mil. 1817; [Fir. 1845]. » templi [Mil. 1817; Fir. 1845]. sth [Fir. 1845].

" abbandonar. Se [Mil. 1817]. abbandonar. Se [Fir. 184^]. ** moriam: [Fir. 18-45'. '^ nebbia, [Mil. 1817; Fir. 1845].

* Errata Corrige: l'air. ^0, v. .",. f.-mmiisi c(.r, . : tamnisi

(lÀbl. di Macera taj

64 ENEIDE

Cui di lor tane rabidi sbalzare

Fé' ^ cruda fame, ed aspettando a secche

Fauci si stan gli abbandonati figli,

Andiam fra l'armi, - e gì' inimici, ^ a morte

Indubitata, e a la cittade in mezzo

Teniam nostro sentiero. Intorno vola

Col Co ^ la cava ombra sua la nera notte.

E chi narrar la clade, o il duol, le morti

Di quella notte adeguar può col pianto ?

Cade antica città che per molt'anni

Regnò. Spenti per vie, per case, ^ e templi *

Senza difesa oppor ~ son mille e mille

Corpi: chè^ scorre sol Trojano de' Teucri il sangue;.

Virtù riede talor de' vinti in petto ; [ed anco

Cadon gli Achei vittoriosi. " Ovunque

È fero duol, terror, morte atteggiata

de' Grreci In mille forme. Incontro a noi,^^ primiero

Be' Greci Primo Androgeo si fa, che congiurata (le schiere conr/ittrate insieme. Caro poco sop. * Congiura per Collegaz. Crusca) crede '^

Schiera ci tiene e con amici detti

Si ci favella. '- Or v'affrettate^ e quale

» [Flr. 1815]. 2 armi [Mil. 1817; Flr. 1845]. •^ inimici \Mil. 1817; Fir. 1845]. ^ Con [Mil. 1817; Fir. 1845].

* case [Mil. 1817; Fir. 1845].

« templi, [Mil. 1817; Fir. 1845].

* oppor, [Mil. 1817; Fir. 1&45]. « [Mil. 1817; Fir. 1845].

» vittoriosi. [Mil. 1817]. '" noi [Mil. 1817; Fir. 1845]. " crede, [Mil. 1817; Fir. 1845]. '-'favella: [Mil. 1817; Fir. 1845].

* Allude a questi versi del Caro:

Mi?er le schiere congiurate insieme; K dier forma a l'assalto .....

('Op. cit., pag, 69.)

ENEIDE 6q

Pigrezza vi rattien? già gli altri a sacco Metton l'arsa città, (jia Troja ^ ire in preda '^ Voi l'alte navi or dismontaste? Appena Di dir finito avea '^ che non udendo Assai fide risposte ^ esser s'avvide Tra' ^ nemici caduto. Il pie, la voce Attonito ritrasse. K quella guisa Ch'uom eh' a terra calcò (Alfieri) fra gli aspri dumi Xon veduto serpente Angue non visto, immantinente

[il fugge Cha Trepido, che stizzoso alto si leva ^ Gonfio il ceruleo collo ; Androgeo i passi Tal pavido volgea torcea ~ posciac/ie s'accorse De l'error suo. Piombiam ristretti in loro ^ E sbigottiti e mal del luogo esperti Ed accerchiati li ^ uccidiamo. Arride Sorte a la prima impresa. Allo E qui Corebo

ventura

Da virtù fatto e da/ successo ardito,

Socj, disse, la via che' inver lo scampo

Sorte n'offre, teniam, per cui benigna

La ne si mostra al primo incontro. Targhe

frode

Mutiam, vestiam le Greche^" insegne, ^^ o dolo

0 virtù sia'- chi nel nemico il cerca?

Armi avrem da gli Achei; dis . Disse ^-^ e il chiomato

' Troia [Flr. 1845J.

- preda ; [Mil. 1817 ; Flr. 1845].

=> avea, [Mil. 1817; Fir. 18i5j.

* risposte, [Mil. 1817; Fir. 1845].

^ Tra [Mil. 1817; Fir. 1845].

•^ leva, [Mil. 1817; Fir. 1845].

' torcea, [Mil. 1817]. torcea: [Fir. 1845].

" loro, [Mil. 1817; Fir. 1845].

» gli [Mil. 1817; Fir. 1845]. '" greche [Mil. 1817; Fir. 1815]. " insegne; [Mil. 1817; Fir. 1845]. '2 sia, [Mil. 1817; Fir. 1845]. " Disse, [Mil. 1817; Fir. 1845'.

6C ENEIDE

Elmo d'Androgeo, e la decora insegna De lo scudo si veste, e al fianco adatta Ciò L' Argiva spada , . Ciò Rifeo, Dimante ^ Ciò lieta fa tutta la schiera ; e - armato Essi -^ ciascun de le recenti spoglie.

A(iU Achlvl A' Pelasgi commisti, andiam o

[deserti 3

Da' nostri numi, ^ e per la cieca notte ^

Molte zuffe mesciam, molti de' Greci Mandiamo a Pluto , . Altri a le navi in fuga Vanno, o a la fida riva. Altri da turpe Temenza presi •* de la fera '' immane Son risaliti al noto ~ ventre ^ e stansi Quivi appiattati. Ahi che ^ nemici i Dei ^^ Nulla lice sperare. ^^ Ecco Cassandra ^ V. l'ult.'^ pag.^

(.sei versi rìfatii e pia volte cancellati)

' Dlniante, [Mll. 1817; Flr. 1845].

'' ; armato [Mil. 1817; Fir. 1845J.

■' Èssi [Fir. 1845].

* Numi, [Mil. 1817; Fir. 1845].

' presi, [Mil. 1817; Fir. 1845J.

« Fera [Mil. 1817; Fir. 1845].

' vóto** [Mil. 1817; Fir. 1815].

^ ventre, [Mil. 1817; Fir. 1845].

« che, [Mil. 1817; Fir. 1845].

'" Dei, [Mil. 1817; Fir. 1845J. ^' sperarci [Mil. 1817; Fir. 1845].

* Così nell'autografo. La chiamata rimanda il lettore a due versi [La V3rgin Prij,mide ecc. Da l'arcano ecc.], che vennero riportati nell'ultima pagina, non essendo stato materialmente possibile al- l'autore di metterli al loro posto, stante i moltissimi pentimenti e le molte correzioni a' medesimi apportate. Noi li abbiamo resti- tuiti alla lor sede naturale, a non ingenerar confusione in chi legge.

** Errata Corrige : Paff. 28, v. 24 : vóto corr. : voto

(Bibl. di Macerata)

ENEIDE G7

La verghi Priamide ^ era dal temj^io - *

Da l'arcano ricovero di Palla ^

Sparte le chiome ^ e strascinata ^ indarno invano

Gli ardenti lumi al ciel levando, i lumi, *'

Che '' non potea ^ da vincoli distrette " **

Le delicate mani. A quella vista

Non si contenne, e infuriato ^'^ in mezzo

A la masnada s'avventò Corebo

A certo fin. Tutti il seguiamo ^^ e stretti

Xer/U Xe gli Achei ci scagliam. Qui primauiente

Da l'alta sommità del tempio i dardi

Opprimonci de' nostri ; e fanno i Teucri

o

Di noi miser« dacie scempio ^^ in error tratti

' Priamide [Mll. 1817; Flr. 1815].

- tempio, [Mil. 1817; Flr. 1845].

« Palla, [Mll. 1817; Flr. 1845].

* chiome, [Mll. 1817; Flr. 1815].

''' strascinata, [Mll. 1817]. straschìata ; [Flr. 1845].

« lumi [Mll. 1817].

' Che [Flr. 1845].

« 2)otea, [Mll. 1817; Flr. 1»45].

•' distrette, [Flr. 1845]. '" Infuriato [Mll. ISYÌ]. " seguiamo, [Mll. 1817; Flr. 1845]. 1-' sèemino, [Mll. 1817; Flr. 1845].

* Di questi, e de' versi che seguono, pieni zeppi di pentimenti e cancellature, diamo in nota le sole varianti che ci è stato possi- bile raccapezzare con certezza in tanta confusione di linee e di parole.

Ben poteva il Leopardi far suoi i noti versi ovidiani : Jnrifit et dì'.'-itct : scii'bit dnmntitqne tnbclìa : Kt notnt rt tiri ri ; m^ilnt nilpnique, 'jftrobatiji'.c.

La Vergin Priamide. Priamea de^ l'ara tempio, delubro

Fuor di Minerva la riposta sede

Fuori degl' imi

Penetrali di Palla è strascinata

Al ciclo invano indarno invano indarno

Sparte lo chiome e alzati gli occhi al cielo

Gli ardenti lumi sollevando al cielo ** Altre varianti :

1 lumi, poi che strette eran da ferri

Gli occhi, da poi ohe strette eran da ferri

68 ENEIDE

Da l'armi Achive Greche ^ e da' cimieri. E mossi Dal gemer de' compagni e d' ira accesi Per la ritolta vergine, gli Achivi,

terribile

Da tutte parti rag II ferissimo Ajace, ambo gli E d'ogni parte ragunate in noi [Atridi,

Dan tutte insiem le Dolopi caterve. Come da Si come in rotto turbine talora (Aljieri)

contrarj

Pugnan nemici venti, Affrico e Noto -

E pe' cavalli del mattin superbo

Euro, ^ fischian le selve, Nereo volge

Spumoso da l'estremo fondo i flutti

Sozzopra e infuria col tridente. Allora

Quei che per l'ombra de l'oscura notte

Spersi incalzammo co ^ le fìnte spoglie

Per tutta la città, riedono, e primi

Conoscon le mentite armi e gli scudi

E le non greche voci. A un tratto oi:>pressi

Dal numero siam noi. Primier Coreho di Palla

Armipossente

Per man di Peneleo prosterne

anzi

Corebo innanzi a Vara aitar : cade Pifeo ^ De' Trojani ^ il più giusto ed il più fermo

Del dritto servatorc.

De' dritti scrutatore. Ipan Dim N'ebbero i numi "^ Altra sentenza. Ipan ^ Dimante a' strali ^

' greche \Mll. 1817; Fir. 1845].

2 Noto; [Fir. 1845].

' ittro* \Mil. 1817].

* con [Fir. 1845].

" Rifeo, [Mil. 1817; Fir. 1845].

« Troiani [Fir. 1845].

' Numi [Mll. 1817; Fir. 1845].

« Ipan, [Mil. 1817; Fir. 1845].

« dardi [Mil. 1817; Fir. 1845 ^

* Krroin Corrige; Pag, 20, v. 21 ; Euro corr.: Euro,

(Libi, di Macerata)

ENEIDE «y

Teucri fiir segno. E te caduto, o Panto, Non tua somma pietà, non la Febea di Apollo Benda coperse. In testimonio or voi^ (Tasso) Ceneri d' Ilio, e voi ne ' appello estreme Fiamme de' miei, quando mia patria cadde ^ Non a gli ^ strali Achei ^ non mi sottrassi * A verun rischio,'' e se mia morte avesse ^

Ferma il destin, la meritai co ^ l'opre. ' 3

Quindi ci divelliam, Pelia ed Ifito

Con meco, e questi è d^ ' ^ anni grave ^ e tardo ^^ Quel fa d'Ulisse un colpo. Incontanente N'appellan gli urli al regio tetto. Or quivi ^^ Come battaglia altrove o morte alcuna Per la città non fosse, orrenda pugna Veggiam di Marte indomito. A la cima Avventansi gli Achivi. Assedian altri Con testuggin le porte. *- A le ^^ pareti Altri appoggian le scale, e su ne vanno Di grado in grado anzi a le porte istesse ^^

' voi, [Mil 1817; Fir. 1845]. ^ cadde, [Mil. 1817; Fir. 1845]. 3 agli [Fir. 1845].

* achei [AJil. 1817 ; Fir. 1845].

» rischio; [Mil. 1817; Fir. 1845.]

« con [Fir. 1845].

' l'opra. [Mil. 1817; Fir. 1845].

* Con meco: è questi d' [f'ir. 1845J.

* grave, ** [Fir. 1»15]. tardo, [Mil. 1817].

" quivi, [Mil. 1817; Fir. 1845].

'-' porte ; [Fir. 1845].

" Alle [Mil. 1817J. alle [Fir. 1845].

»* istesse, [Mil. 1817; Fir. 1845].

* Nel Supplemento onde sopra, questo passo leggesi oome ap- presso:

Non a l'Achivio asciar, non mi sottrassi A nessun rischio; e s'era fermo in cielo, Ch'io vi morissi il meritai con l'opra.

** Coi^\ n«lIVtliz. SiF.i.r.A =: Krratn Corrige: l'afr . 30. v. 16: grave e tardo corr : gravr, e tardo

(Ubi. di Macerata)

70 ENEIDE

Con la sinistra incontro a' colpi schermo De la targa facendosi ^ e le vette

aggrappando.

Con la destra ahbraccìando. I Teucri e torri Svellere e tetti (ornai vicin mirando L'ultimo fato, in lor difesa estrema A queste armi lian ricorso) e travi aurate Giù traboccar, de' genitori antichi

Eccelsi fregi. Altri co' nudi acciari Eccelsa (/loria. Alti ornameiìii

A guardia stan de 1' ime porte in densa

Mano ristretti. Da novello ardore

A soccorrer la reggia e crescer forza

Ai vinti, e lena a/ ' miei recar son mosso.

Era un andito oscuro ed una porta,

Onde insiem rispondean le regie case -

Abbandonata e a l'alte porte opposta: Onde insiem rispondean le reffie case, Per cui solca -^ quando l' imperio stava ^ La sventurata Andromaca sovente

ne

Andar soletta a? ' suoceri ^ e menar.v?'

Il pargoletto Astianatte ^' a l'avo.

Non visto ascendo al sommo, onde i meschini

liovono molti inetti dardi. Grandinan va i teli.

Lanciali vane saette. Era una torre ~

Slanciata al ciel Dal dal sommo tetto a fjli astri sjnn- Su la parete, onàe ' Ilio tutta e i Greci [ta , a filo ^

^ facendosi, [Mll. 1817; Flr. 18451. - case, [Mil. 1817 ; Flr. 1845_;. => solea, [Mll. 1817 ; Flr. 1&15].

* stava, [Mll. 1817 ; Flr. 1845'.

^ suoceri, [Mll. 1817; Flr. 1845].

« Astianatte [Mll. 1817].

' Lanciali vane saette. Era una torre [Mll. 1817; Flr. 1815].

* Del sommo tetto a gli astri spinta, a filo [Mll. 1817*;

Flr. 1845].

* Frvtn rnrrifjr : Pay. :M. v 10; Del r<rr.: Dnl

(libi, Mxrnvitd)

ENEIDE 71

Legni vedeansi e il campo. A questa assalto

Moviam col ferro intorno, ove l'estremo

Tavolato più fievoli non n'oifria

Le congiunture, e da l'eccelsa parte

La dibarbiam, la trabocchiamo . Fracassa

Lnprovviso la torre ^ e con mina

a ' E con frastuono, - e largo eccidio strage piomba

Sopra le greche^ schiere,: invan che * ad elle schiere

(l'avventar fra tanto

Sottentran altre, e di scagliare intanto E sassi ed armi d'ogni sorta, alcuno

Xon si rimane. In

Già non rista. Ma su la prima soglia

Anzi a l'entrata (Caro) istessa imbaldanzisce

Pirro di teli armato, e d'enea luce

In simil gnisa xva. angue

Folgoreggiante. cohihro in guisa A (ju.isa Che Cui tumido sotterra ascoso tenne La fredda bruma, or di mal' ^ erbe pasto, Rinnovato e lucente e ingiovanito, Depos Svestito il vecchio spoglio (Caro * Crusca) Can- Cangiate spoglie, esce a la luce, e s'erge [giaie

i hi Al sole ^ e va divincolando suoi sdrucciolose terga

Divincolando, alzato il petto, e vibra La tricuspide lingua luccicando. Seco il gran Perifante, e il battaglioso De' P eliaci cavalli agitatore

' torre, [Mil. 1817; Fir. 1845].

^frastuono [Mil. 1817; Fir. 1815].

^ Greche [Mil. 1817; Fir. 1815].

•* invan, [Wil. 1817]. invan. ohe [Fir. 1815].

^ mal [yrU. 1817; Fir. 1815].

" sole, [Fir. 1815].

* Vuole alludere al noto verso del Caro:

Quando, deposto il suo ruvido spoglio,

(Op. cit., pag. S2)

72 ENEIDK

Automedonte, e seco tutta al muro

La Sciria gioventù sotto si caccia ^

Fiamme ai tetti avventando. Egli tra' primi

Tolta dura bipenne ^ ha già la soglia (Bondi)

Spezzata, e già da' cardini le porte

Enee divelte Ferrate svelle,* e già nel saldo legno

Dispaccato, ^ e partito ampia finestra

Ha spalancata. Appar dentro la reggia

E gli atrj lunghi e de' vetusti regi

E di Priamo le rimote stanze,

E gli armati custodi in sulla soglia su la prima

Soglia starsi son visti. Empie fra tanto

lagrimabil

Un miserando gemere, un tumulto La più interna magion. Le cave sale stanze Ululan tutte al a ^ femminil lamento (Ariosto) Che l'auree stelle fiede. Per la vasta Reggia le madri paurose errando S'abbracciano, s'appigliano a le porte ^ (Rabbi v. ah-

bracdarsi) E su vi ' imprimon baci. Insiste '' armato Del paterno valor, Pirro, ' ne vale Kiparo più ^ che dei custodi istessi Ogni contesa (Il contendersi) è vana. Addoppia i colpi

1 caccia, [Mil. 1817; Fir. 1845].

- bipenne, [Mil. 1817; Fir. 1845].

^ Disimccato \Mil. 1817; Fir. 1815 1.

•» al [Mil. 1817; Fir. 1845].

" jìorte, [Mil. 1817; Fir. 1845].

" Insiste, [Fir. 1815].

' Pirro; [Fir. 1845].

** ina, [Mil. 1817]. jn^h che [Fir. 1845].

* Sebbene non siavi nessun richiamo al Caro, la frase qui usata è simile a quella dell' illustre traduttor di Vergilio :

ogni ritegno

De la ferrata porta abbatte e frange (Op. cit., pag. 82;

1

ENEIDE 73

L'ariete, ^ già tentenna, già mina Sgangherata la porta (snufolaró. Caro *). Aprono- a

[forza i Greci La strada i Greci e a forza ; ^ sboccano, fan guasto De' primi, e di guerrieri empron la reggia In ogni lato. Non cosi quand'esce * Fracassati i rij^ari e co ^' la piena Vinte le opposte moli, imo spumoso Fiume, corre pe' campi e via con seco Stalle ^ e armenti strascina, infuriando ' Pel gran cumulo d'acque. Io Pirro, io stesso Il vidi furibondo intra lo scempio, Kd a E su la soglia ambo gli Atridi, e scersi Ecuba e cento nuore, * e Priamo i f?mchi ® di' egli stesso sacrò, tinger di sangue Vidi fra l'are. Caddero i cinquanta Talami, di prosapia ahi quanta speme! E le d'oro Barbarico ^^ e di prede Superbamente ornate porte: i luoghi Ove fiamma non giunse, hanno gli Achivi. S

Forse ch'il fato di Priamo'^ ancora ^ -S

Vaga d' intender sei. Poscia che presa

' ariete; [M'd. 1817; Fcr. l&4o\

* Apronsi [Mll. 1817; Flr. 1845]. ^ forza, [Mil 1817; Fir. 1845].

* esce, \MIL 1817; Fir. 1845]. « con [Fir. 1845].

« Stalle e \yrd. 1817; Fir. 1845]. ' infuriando [Mil. 1817]. 8 nuore; [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^fuochi [Mil. 1817; Fir. 1845]. >" barbarico [Mil. 1817; Fir. 1845]. " Priamo [Fir. 1845].

* E il Caro:

Già l'ariete a fieri colpi o spessi Aperta, fracassata, e d'ambi i lati Da' canlini divelta avea la porta... (Op. cit., pag. 88.)

74 ENEIDE

Kuinar Troja ^ vide " e de la reggia

Svelte le porte, e l' inimico in mezzo

A le sue stanze, gli omeri tremanti

Per lunga etade, invan grava de l'armi

Già da gran tempo disusate, e cinge

Ij' inutil ferro, ed a morir si reca

Fra il denso stuolo Acheo. Fu sotto il nudo

Asse del cielo, a la magione in mezzo "^

Una grand' ara ^ e soprastante a lei

col co •"•

Antichissimo lauro che con aW l'ombra I Penati abbracciava. A questa insieme Con sue liglie affollate Ecuba venne '• Come per atro turbine colombe Precipitose colle , e co ' le braccia indarno Ai Divi " simulacri avviticchiate Sedevan tutte. A 11 or che Priamo scorse

Di giovenili armi coverto, e '• quale,

Glovetiilmente armato e quale ti apinse lo spinse Ecuba disse, a rivestir quest'armi, Consorte infelicissimo ^'^ ti spinse

aita

Crudo pensier? Non questo' ajiito al tempo Vuoisi ne schermo tal; non s'anco il mio Ettor qui fosse. Or t'avvicina. 0 " tutti Dìfeìi Ne salverà quest'ara, o insiem cadremo. Disse, e il veglio a se ^- trasse e ne la sacra

» Troia [Flr. 18451. •' vide, [Mll. 1817; Fir. 1&45J. ■' mezzo, [Mil. 1817; Fir. 1845J. ' ara, [Mil. 1817; Fir. 1815]. ^ con [Fir. 1845]. « venne, [Mil. 1817; Fir. 1845]. con [Fir. 1845J. « divi [Mil. 1817; Fir. 1845]. » coperto: E [Mil. 1817; Fir. 1815]. '" infelicissimo, [Mil. 1817 : Fir. 1815). " •• 0 [Fir. 1845]. '■' [Mil. 1817].

ENEIDE

75

Sede locollo. Ecco scampato appena Da la furia di Pirro, un de' suoi figli. Polite, in mezzo a gì' inimici ^ a l'armi Fugge pe' lunghi portici, e piagato Trascorre gli atrj spaziosi. - Ardente

Con preme

Co Tarma telo ostil Pirro l'incalza, e il tocca Già già co ^ l'asta, e co '^ la man l'afferra. Afjli A gli occhi alfin •"' de' genitori innanzi ApDcna giunto e' fu, cadde ^' e la vita Versò con molto sangue. Allor ~ comunque Cinto da morte già ^ non si contenne Priamo'^ frenò la voce e l'ira: A te da' numi "^ se pietade è in cielo Che di ciò curi, a te per l'empio fatto,

la nefanda opra'^

Sclamò, per /' opra scellerata qual merli '- Premio sia reso e degne grazie, il fato Del figliuol mio poi eh' a veder m'hai stretto, E con suo scempio la paterna faccia Hai funestata, ma . Ma ben altro. Achille Pu col nemico Ee, ^^ quegli onde nato

Falso ti vanti.

E^ser tu menti,! ei (Caro*) Ei me supplice ///'accolse^

* inimici, [MU. 1817; l'^ir. 1845\ '■* spaziosi. [Mll. 1817 1.

3 con [Flr. 1845].

* con [Flr. 1845;.

« aljin [Mll. 1817; Flr. 1845;

« cadde, \Mll. 1817: Flr. 1845].

' Allor, [Mll. 1817; Flr. 1845].

« ijlà, [Mll. 1817; Flr. 1845].

» Friànio, [iMll. 1817]. Priamo, [Flr. 1&15]. Numi, [Mll. 1817; Flr. 1845]. '• opra, [Mll. 1S17: Flr. 1845]. '2 inerti, [Mll. 1817; Flr. 1845]. " re, [Flr. 1845]. '* accolse, [Mll. 1817; Flr. 1845J.

* Scrisse il Caro:

Cotal meco non fu, benché nimico, Achille, a cui tu ménti esser iigliolo... (Oi,. cit., pag. ^-6.)

l6 ÉNEIDF.

E rispettò mia fé, ^ miei dritti, e il morto al rogo ^

Rendè l'Ettoreo corpo, e rinviommi ■'

Corpo (TEttorre a seppellir mi rese E rinviommi AÌSimì'dYe^gÌQ.. Imbelle dardo in questa * Una saetta in questo dire il veglio Senz' impeto gettò, che risospintno •' Dal roco bronzo immantinente, appesto ^ Invan restò del sommo scudo al mezzo. Cui Pirro : Or E questo al genitor Pelide Messagger narrerai, ~ sporgli mie colpe Ben nhhi poni Serbati ^ a mente e il tralignar di

[Pirro. ^ Mvori fra tanto. Or muori. E si dicendo '"^ a l'ara Lo trascinò " tremante '^ e sopra il molto [istessa Sangue del figlio sdrucciolante, avvolse Ne' capegli ^'^ la manca, e colla co ^"^ la destra Erse '^ e nel fianco insino al a l'elsa il brando Tutto gli ascose. Il termine fu questo De' fati di Priamo. Avea tal fine sorte Al regnator de l'Asia ^^ un di per tante

' fé', [Flr. 1845].

'' il morto [Mll. 1817; Fir. 1815].

•* Corpo d'Ettorre a seppellir mi rese, [Mll. 1817 ; Fir. 1845].

* E rinviommi a la mia reggia. Imbelle [3//^ 1817].

rinviommi [Flr. 1845].

Una saetta in questo dire il veglio [Mll. 1817; Flr. 1845].

* getto, che risospinta [Mll. 1817]. (jetto; [Flr. 1845].

« appesa [Mll. 1817; Flr. 1845].

' narrerai: [Mll. 1817; Flr. 1845].

« ,9èròa<i [Flr. 1845].

« Pirro: [Flr. 1815]^ »» dicendo, [Mll. 1817; Flr. 1845]. " strascinò [Mll 1817; Flr. 1815]. '- tremante ; [Flr. 1845]. '•' capelli [Mll. 1817; Flr. 1845]. '^ con [Flr. 1845]. >^ Erse, [Mll. 1817: Flr. 1845]. '" ^«m, tJfi7. 1817; /W. 1845].

ENEIDE 77

Terre e popoli alter ^ fissa il destino. -

mirar,

Troja ^ incensa veder, l'Iliache torri

Diroccate in morendo: e' ^ vasto tronco

In su la riva giacesi, dal busto

Partito Divelto un capo ^ e senza nome un corpo, p^

Ma primamente allora atro d'intorno '-

Orror mi si diffuse : istupidii ^ rg

E appresentossi al mio pensier 1' immago

Ed a mio spirto la sembianza apparvend a lo spirto

Del caro genitor, poscia che ' il rege

Ugual d'anni

D'anni uguale ebbi visto in fera guisa

Trapassato spirar, vennemi" a mente

La deserta Creusa, e il patrio tetto

Ai Gr^ci in Preda ai ' nemici, ed il periglio estremo

Del pargoletto Julo. In giro II guardo volgo

Volsi Ad esplorar qual mi rimanga intorno

Copia di socj. ^ Ognun lasciommi, e stanco

Al suol piombò di 'un salto, o l'egro corpo

Scagl Lanciò nel ùioco. ^ E già sol io restava,

Quan E al fiammeggiar del chiaro incendio, errante

Gli occhi volgea per ogni dove altera

Quando in secreta * rimota parte ascosa e cheta

Star del tempio di, Vesta Elena vidi,

Mentre al fiammar del chiaro incendio, errante

Già ^^ tutto rimirando. I Teucri in lei

Da l'avvampar di Troja >^ a sdegno mossi,

» alter, [Mil. 1817; Fir. 1815]. '' destino: [Fir. 1845^ ^ Troia [Fir. 1845].

* ei [Fir. 1815].

' capo, [Fir. 1815].

istupidii, [Mil. 1817; Fir. 1&15]. ' . Vennemi [Mil. 1817; Fir. 1S45J. « soci. [Mil. 1817].

» fuoco. [Mil. 1817; i-W. 1845]. Già [Mil. 1817 ; Fir. 1845]. » Troia [Fir. 1845].

* Altre varianti; ripoxtn , rcrovO.ita

7S ENEIDE

a nn tempo e l' ira

E le Greche vendette e del tradito e T ira a un

[tempo del tradito

Del tradito consorte ella temendo, Consorte V ira ella del ir ad

Di sua patria e di noi comune Erinni,

Acquattata si stava ^ e presso a l'ara

Sedea non vista. Ardo di sdegno e II samfiip r Acceso

Scellerato a versar de la cadente

Jhtria in vendetta irato duol mi sprona

sprona

Dolor mi spinge a vendicar co ^ l'empio Sangue la sfatta patria. E questa dunque Illesa a Sparta e a la natia Micene Regina andrassi e trionfante? E in mezzo

turbe

A Erigj ^ servi ed a Trojane ^ torme, Marito/' e casa, ~ e genitori e figli A veder tornerà? Spento da ferro Stato Priamo sarà, Troja ^ consunta

e tante volte Da ferro fiamme ^ e si sovente il Teucro lido

Molle di sangue? E' ^^ non fia ver: CA' che, avvegua In femmina punir lode non abbia " E senza onor sia la vittoria, estinta Aver l'iniqua pur, la rea punita Piegio mi fia,: godrò che di vendetta

' stava, [Mll. 1817; Fir. 1845].

2 : acceso [Fir. 1845].

•' con [Fir. 1845].

* Frigi [Mil. 1817].

'" Troiane [Fir. 1845].

« Marito [Mil. 1817; Fir. 1845].

'' casa [Mil. 1817; Fir. 1845].

« Troia [Fir. 1845].

''fiamme, [Mil. 1817; Fir. 1845] E [Mil. 1817 *; Fir. L845]. " abbia, [Mil. 1817; Fir. 1845].

* Err.iia Corrige: Pag. 37, v. 19: corr. : E"

[Libi, di Macerata)

ENEIDE 79

L'ardente sete avrò sbramata, e paghe

Le ceneri de' miei. Tali volgendo

Pensieri in mente, dal furor son tratto:

Q>fan AWoY che lampeggiò fra le tenebre *

E in pura luce a gli occhi miei mi s'offerse al guardo

L'alma mia genitrice, unque si chiaro

(la me.

Da me non Pria non vista jjria Diva - al sembiante "^ E quale e quanta la si vede in cielo.

man

Per la destra mi prese, * e mi rattenne, e aprendo Labbr Le rosee labbra, o ^ figlio, disse ^' e quale

avvampa? Fero dolor di tanta ira faccende? infiaìnma?

Euriar ~ che ti giova ? E questa dunque

Ti dai cura

Cura di noi ? ti jyreiidi f Che non più presto tosto

Riguardi ove lasciato abbi l'antico

Tuo genitor? Se ^ in vita anco ti resti

La consorte Creusa, '^ e il parvo Gitdo Julo?

A' quali intorno d'ogni parte errando

Van le nemiche turbe, e che già preda

de le de gli

Foran del fìtoco e defjV spade acciari ostili ^"^ Se ' avuti in guardia io non gli avessi. Il volto Non già che abborri de l' Argiva Elena ^^ Ne l'incolpato Pari: odio de' numi^-

' tenèbre [Mll. 1817].

2 ; diva [Mil. 1817; Fir. 1845J.

3 sembiante, [Mil. 1817; Fir. 1845]. * 2irese [Mil. 1817; Fir. 1845].

"■ : O [Mil. 1817; Fir. 1815]. « disse, [Mil. 1817; Fir. 1845]. ' Furiar [MiL 1817]. « se [Mil. 1817; Fir. 1815J. « Creus.x [Mil. 1817; Fir. 1845]. '" ostili, [Mil 1817; Fir. 1845J. " Fléna, [MiL 1817; Fir. 1815]. « Numi [Mil. 1817 ; Fir. 1845J.

80 ENEIDE

Queste dovizie sporge * e dirovìna

(il vapor tutto

Troja ' dal sommo. Or mira {V intrapposta

Ch'umido intorno ti caliga; ^

Umida densa nube che ti cinge e il guardo

Mortai ti appanna '* i ' ^sgombrerò, : tu cedi

Ai materni comandi, e senza tema

I miei detti seconda) In in quella parte

Ove squarciate moli, ^ e svelti i sassi miri

Svelti da sassi ed ondeggiante un fumo

Misto di polve, i muri fende ^ e squassa scrolla

Le Nettun le fondamenta, e la cittade

Co ~ l'enorme tridente tutta sterpa

Da le radici. Qui di ferro cìnta armata

Giuno in volto ferissima si sta

Presso a le porte Scee primiera, e chiama

Orrendamente il socio stuol da' legni.

Lo^ amico stuol da' legni in guisa orrenda. Già Palla tien le somme rocche. Mira Qual folgoreggia ad una nube in mezzo Con sua dira Gorgon. Giove pur anco Valor, forza agli * Achei ministra, i numi ^ Ne' Dardani eccitando. Ah fuggi, o nato. fine a tanti affanni; : ove che vada '" Sarotti al fianco ^' e in su la patria soglia Porrotti in securtà. Disse '- e fra l'ombre

* sperge, [Fir. 184r»]. ^ Troia [Fir. 1845].

' caliga, [Mil. 1817; Fir. 1^15].

* appanna, [Mil. 1817; Fir. V^ih].

* moli [Mil. 1817; Fir. 1845].

« fende, [Mil. 1817 ; Fir. 1845].

Con [Fir. 1815].

« a gli [Mil. 1817; Fir. 1845].

« Numi [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^" vada, [Mil. 1817; Fir. 1845]. '' fianco, [Mil. 1817; Fir. 1845]. ''' Disse, [Mil. 1817; Fir. 1845].

ENEIDE 81

Dense di notte sparve. Allor vedute

Mi si fer ^ le sembianze orride e i sommi

Numi a Troja ^ nemici: ed Ilio vidi allor nel fuoco ^

La Nettunia città sommersa io vidi

Tutta vidi sommersa Hio ^ e divelta

La Nettunia città da l' imo fondo.

Qual su d'alte montagne orno vetusto^

Cui già con colpi spessi di bipenne

Hanno i villani ad atterrarlao ^ intenti

Per atterrarlo gareggianti han quasi Keoiso a gara intorno, I villani reciso, minacciando Sta lungamente e tremulo tentenna La barcollante Chioma, ~ insin che a' colpi Insi Cedendo a poco a poco, omai divelto Mette l'estremo gemito, e ruina Giù per lo monte ^ e seco sbarba e tragge Parte del giogo. I' scendo e vo securo, Duce la madre ^ intra le fiamme e l'armi: Scostansi l'armi, e mi fa strada il f^^oco.^'^ (Ac. di qua

di Ih facendosi far strada, cioè dalle persone, e così la Crus. in via.)

* Giunto a la patria soglia ed a l'antico Tetto era già •^ quando colui che primo

' fèr [Mil. 1817; Fir. 1815].

2 Troia [Fir. 1815].

« fuoco [Mil. 1817; Fir. 1815].

* Ilio, [Mil. 1817; Fir. 1845].

° vetusto, [Fir. 1815].

« atterrarla [Mil. 1817].

' chioma, [Mil. 1817], chioma] [Fir. 1845].

■* monte, [Mil. 1817; Fir. 1845].

« madre, [Mil. 1817; Fir. 1845].

fuoco. [Mil. 1817; Fir. 1845].

'' già, [Mil. 1817; Fir. 1845].

* A questo luogo l'edizione nailanese, la fiorentina non vanno aa capo .

32 ENEIDE

Portar bramava a gli alti monti, oggetto Primier de le mie cure, il padre mio. Sovvertita Ilion, ^ d" irsene in bando

il 0 di più viver nega. 0 voi che in sangue

Per fresca età, dicea, vivido e salde Anco le forze e intere avete, or voi

i numi -

Itene in fuga. A me servata il cielo (Caro ^)

Avrian , fermo in cielo

Avria questa magion s-e a lui piachito

Posse ch'ance i' vivessi. Un'altra volta

Ilio strutto aver visto, e al cader suo a sua mina

Sopravvissuto aver cotanto, assai, ^

E Troppo ne diede. Qui co ^ l'estremo addio Si composto il mio corpo, itene. A morte Chi mi conduca avrò: pietosi i Greci Agogneran mie spoglie : è leve cosa Mtncar di tomba. In ira ai numi -^ il tempo

traggo " insin

E disutile ^ ^jassato ho già da l'ora

E Che de gli uomini il padre e il re de' numi ^ **

L'aura del fulmin suo spirommi incontra ^

1 Rion, [Mll. 1817].

2 Numi [MIL 1817; Fir. 1845].

3 assai [Mil. 1817; Fir. 1845]. . ^ con [Fir. 1845].

^ Xumi [Mil. 1817; Fir. 1845]. « io [MU. 1817; Fir. 1845]. ' tì^aggo, [Fir. 1845].

8 Numi [3IiL 1817; Fir. 1845].

9 incontra, [3/i7. 1817; Fir. 1845].

* Allude a' seguenti versi del Caro:

A me, s' io pur dovea

Restare in vita, avrebbe il del serbato Questo mio nido .....

{Op. cit., pag. 92.)

^jf* Nel Supplemento onde sopra, il verso leggasi modificato in q[IÌ^a guisa:

Che degli \iomini il Re, padre de' Numi

ENEIDE 83

E con suo fwoco ebbemi tocco. Ei stava

Cosi dicendo immoto./ Inslem no i tìittie saldo. E noi^

a un tempo e il figlio La consorte Creusa e il j^cin'o Jido,

Molli Sparsi di pianto ^ e la magione intera Il supplicliiam, seco non voglia il tutto Distrugger, padre, e al vicin fato offrirsi.

Ricusa * pensier cangia ne loco.

Nega e suo loco e suo j^ensier non cangia :

bramo E Misero chieggo armi di nuovo e morte

Morir. Poi che •'

Bramo. E già da sorte o da consiglio o da fortuna

Che restava a sperar? Dunque cliHo che porti ^

Padre, i' potessi in abbandon credesti?

E tanto orror proiferse il patrio labbro?

Se del volere è del ciel ~ che nulla avanzi

Di cotanta cittade, e tu * se' fermo

A far che ^ Troja^ spenta^" anco ^^ tu pera

E teco i tuoi, schiuso a tal fato è il varco.

E Pirro omai qua giungerà ^- del molto

Sangue di Priamo tinto, ^^ e' che del padre

Innanzi a gli ^^ occhi il figlio, e innanzi a l'are '^

' immoto [Mll. 1817; Fir. 1845].

"" noi, [Fir. 1845].

"^ inanto, [Mil. 1817; Fir. 1845].

* Ricusa, [Mil. 1817; Fir. 1845].

"• Poiché [Mil. 1817; Fir. 1845].

''porti, [Mil. 1817; Fir. 1845].

' Ciel [Fir. 1845].

" che, [Mil. 1817; Fir. 1845].

« Troia [Fir. 1845]. spenta, [Mil. 1817; Fir. 1845]. " ancor [Mil. 1817; Fir. 1845]. '* rjlunrjera, [Mil. 1817; Fir. 1845]. '=• tinto; [Fir. 1845]. '* Innanzi gli [Mil. 1817; Fir. 1845]. " innanzi l'are [Mil. 1817; Fir. 1845]. .

Nell'ediz. milanQg© leggesi: tu', ma, certo, per errore.

84 ENEIDE

Il padre svena. A' questo dunque immune, Alma mia genitrice, infra le fiamme Infra' ^ teli m' hai scorto, affia a fin che in mezzo A mie stanze il nemico af a. fin che Gildo Julo

il genitore e

E il padre seco il padre e sec presso lor Creusa Trucidar mi vedessi innanzi a(/U a gli occhi (mirassi.

Biondi non miri) L'un sul sangue de l'altro. ^ Armi '* qua l'armi. Vinti a morte ne chiama il giorno estremo. Rendetemi a gli Achei, lasciate a nuova Pugna volarmi. Ah non ha ver che tutti

E già rivesto

Oggi inulti moriamo. E già in questa In questa, il ferro

L'armi, e lo scudo

Cingo di nuovo e co "' la manca imbraccio,

Lo scudo E parto. Ecco Creusa in su la soglia

Ferma si stava, Attraversata i pie '^ stringeami ' e Julo

Il pargoletto appresentava al padre.

S'a morir vai, teco noi traggi a tutto.

Se speme ha? pur ne l'armi, e il sai per prova.

Guarda in. _

Pria difendi prima tua casa. Il piccol figlio Cui lasci e il padre e me ^ tua detta un tempo Cosi gridando ^^ la magione empiea Tutta di pianto. Allor che uno stupendo Prodigio a un tratto appare. Ecco tra i baci Dei genitor afflitti E tra gli amplessi de' parenti afflitti '

' Infra [Mil. 1817; Flr. 1845]. ' nemico, [MIL 1817; Fir. 1845]. 3 altro? [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^ Armi, [Fir. 1845]. ^ con [Fir. 1845]. « pie [Mil. 1817; Fir. 1845]. ' stringeami, [Mil. 1817; Fir. 1845]. « me, [Fir. 1845]. » tempo? [Mil. 1817; Fir. 1845]. gridando, [Mil. 1817; Fir. 1845]. " afflitti, [Mil. 1817; Fir. 1845].

ENEIDE 85

lieve sfavillar

La somma cima sfiorar del capo

Al fanciullin si vede ^ e mollemente

Circa le tempie ei^ando senza offesa errando ^

Lambir le chiome ^ e pascere una fiamma.

tremar; * 1' Noi pavidi tremiam. i'acceso crine Scuotere ^ Scuotiamo ed acqua ad ammorzar la santa

versar. Fiamma rersiam. Ma il genitore Anchise, ^

Allor Lieto le palme sollevando e gli occhi Al cielo, " 0, disse, onnipotente Giove, Se da prego sei mosso, or noi rimira, ^ Ciò sol ne basta, o padre, indi se il morta Nostra pietà, dacci soccorso, e questo Segno conferma. Di pregar non prima Ebbe finito il veglio, che da manca Tuonò Tonò subitamente, ^ ed d una stella

sereno, '*> Dal ciel caduta^ corse giù '^ fra V ombre traendo

Face e splendore assai, per mezzo a l'ombre.

De la magion sopra le somme vette

Noi passar la vedemmo '* e ne l'Idea

Selva celarsi luminosa. Appare

Di suo sentier la traccia, un lungo solco

> vede, [Mll. 1817; Flr. 1815].

2 errando, [Mll. 1817; Flr. 1845].

3 chioma* [Mil. 1817]. la chioma [Flr. 1815]. * tremar, [Mil. 1817; Flr. 1845].

•■' Scuotere, [Mll. 1817; Flr. 1845]. « Anchise [Mll. 1817; Flr. 1845]. ' cielo: [Mll. 1817; Flr. 1845]. « rimira; [Mll. 1817; Flr. 1845]. *•' suhitamente ; [Flr. 1845]. '" caduta, [Mll. 1817; Flr. 1845]. " giù, [Mll. 1817; Fir. 1&15]. '■^ vedemmo, [Mll. 1817; Fir. 1845].

* Errata Corrige. Pag 42, V. 12: le chioma corr. : le chiome

(Bibl. di Macerata)

86 EKEIDE

Splender si vede, e tutti intorno i luoghi intorno Mandan sulfureo fumo. Or vinto il padre ^ Al ciel si volge, e favellando ai mmii Dei - La santa stella adora. Indugio alcuno Più non trapjDongo '^ ornai : vi seguo ; vengo Ove che mi meniate. 0 patrii Dii numi ^ Salva per voi sia» la magion, per voi Salvo il nipote Io cedo . È •'' vostro il segno : è Troja ^'' In poter vostro. Io ~ cedo, o figlio, e teco Di venir non ricuso. E' ^ detto aveva ^

strepitar

E per le mura fjih più chiaro s'ode

Già la rincendio

La fiamma strepitar s'udia, già più da presso Ne s'avventava la cocente vampa. Su dunque, o padre amato, or mi ti reca Sul collo, io porterotti ^^ e già tal peso Non graverammi ; e' ^' sia che puote : un fia D'ambo il periglio e la salute. Al fianco

i miei vestigi

Mi Vengami il parvo Julo, '- e piìi lontano

più lontano : '^ e voi,

Calchi Creusa i miei vestigj. Or voi Servi, al mio dir ponete mente. E fuori De la cittade un collicello ^^ e un tempio

1 imdre, [Mil. 1817; Flr. 1845] .~

2 Del, [Mll. 1817; Flr. 1815].

3 trapowjo [Mll. 1817; Flr. 1845], ^ Numi, [^rll. 1817; Flr. 1815].

" ; è [Flr. 1845].

« Troia [Flr. 1845].

' : io [Flr. 1845].

« Ei [Flr. 1845].

« aveva, [Mll. 1817; Flr. 1845].

^"^ porterotti, [Mll. 1817; Flr. 1845].

" e [Flr. 1845].

'2 Jido; [Mil. 1817; Flr. 1845].

1" lontano, [Mll. 1817]. lontano; [Flr. 1845].

1* collicello, [Flr. 1845].

ENEIDE 87

Deserto^ antico- a Cerer sacro: ^ a cui

Un vetusto cipresso alzasi a canto

Venerato da' padri * e ^:)er già per già molt'anni

Servato. A "^ questo per diverse vie

Tutti verrem. Tu, jiadi-e, in man ti reca

La Le sauté cose e i patrj Dei. Toccarli ''

Non lice a me, "^ da tanta guerra e strage

Pur ora uscito, ove non prima in viro asterso

Abbiami vivo fiume. In questo dire ^

Fiume siami purgato: mi purghi (anche il Caro: jrria

che mi lave in vece di mi abbia lavato '^) M' ho de la veste e de la fulva pelle Di lion ^ ricoperto il collo e gli ampj ^^ Omeri ^^ e al peso mi soppongo. Ascanio Imjy II pargoletto impigliami la destra ^- ** E con passo inegual mi segue. Appresso, ^^ Viemmi Creusa. Andiam per luoghi oscuri, E me ^* cui già pria non avventati dardi Non mosser Greche dense opposte schiere squadre ^^ Ora ogni aura atterrisce '^' ogni remore

» Deserto, [Mll. 1817; Flr. 1845]. 2 antico, [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^ sacro] [Fir. 1815]. * 2)adrl, [Flr. 1845]. 5 : a [Flr. 1845]. « ; toccarli [Flr. 1845]. 7 me [Mll. 1817; Flr. 1845]. « dire, [Mll. 1817; Flr. 1845]. « IXon [Mll. 1817]. "' amin [Mll. 1817; Fir. 1815]. •' Omeri, [Mll. 1817; Flr. 1845]. ''' destra, [Flr. 1845].

*^ Appresso [Mll. 1817].— : appresso [Fir. 1845]. '^ me, [Mll. 1817; Flr. 1845]. '^ squadre, [Mll. 1817; i'^ir. 1845]. atterrisce, [Mll. 1817; Flr. 1^45].

* Infatti, il Caro scrisse:

toocar non lere

Pria che ili vivo fiume onda mi lavp.

iOp. cit., pAg. 98.) ** Forse voleva scrivere:

88 ENEIDE

Scuote ed inforsa ^ pel compagno e il peso Del par tremante. Ed alle a le porte ornai

e aver credea

Era mi vicino - e mi parca già tutta Superata la via, quando mi parve Udir subito, spesso calpestio ^ E per mezzo a le tenebre guardando ^ Esclama il padre : figlio, ^ figlio, fuggi, Son presso, veggo il luccicar de l'armi E de gli scudi, Allor non so qual Dio

e o ^ o

Nimico la fu che pavida confusa

Mente A me mi tolse ; ^ poi che mentre uscito Fuor del noto sentiero, occulti calli Seguo correndo, ahi ^ la consorte mia ^ La mia Creusa i' persi; o che da fato Miserando rapita, o per lassezza Ristata fosse, o traviata ^^ errasse ; ^^ Come non so : ma poscia più non parve ;

E per mirarla io non mi volsi '^ e mai

Ne mi volsi a vederla (a, ha forza anche di per) ne

m^ accorsi

Di ciò ch'era m'avvidi '^ insin che giunti

Del caso pria ch^ allora quando giunti

De la vetusta Cerere non fummo

Fummo del tempio antico al santo poggio^

^ inforsa, [Fir. 1845].

2 mcino, [Mil. 1817; Fir. 1845].

^ calpestio, [Mil. 1817]. calpestio] [Fir. 1845].

* guardando, [MIL- 1817; Fir. 1845].

" Figlio, [Mil. 1817; Fir. 1845].

« pavido, [Mil. 1817; Fir. 1845].

'' tolse: [Mil. 1817; Fir. 1845].

« ahi! [Mil. 1817; Fir. 1845].

« mia, [Mil. 1817; Fir. 1845]. traviata [Mil. 1817]. " errasse, [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^2 volsi, [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^3 m'avvidi, [Mil. 1817; Fir. 1845.]

ENEIDE 89

Al santo sacro poggio. .

Quivi iìisiem. Quivi tutti finalmente accolti, ^ *

Sola manconne, ed il i compagni e il figlio

E il consorte deluse. Allora insano

Qual Dio 2 qual uom non incolpai, ? qual vidi

Ne la strutta città caso più diro?'^

Ascanio e il padre Anchise, * e i Teucri numi ^

Ai compagni accomando ^ e ne la curva

inver la inura io torno

Valle ripongo : e a la città rivado

Cinto de l'armi rilucenti;, e fermo

Di rinnovare ogni vicenda ^ e tutta

Troja ^ correr di nuovo, ed a gli estremi

Perigli espormi. In pria mi volgo ai muri

Ed a la cieca porta ond'era uscito, ^

E seguo e cerco per la buja ^^ notte

Co ^^ gli occhi intenti i miei vestigi istessi

Già nel venir segnati. Orror dovunque ^^

Silenzio pur l'alma spaura. Io torno

Quindi a la casa a ricercar se fosse

Ivi a sorte venuta. Invasa e piena

L'aveano i Greci gli Achei. L' ingorda fiamma ratto

Al vento s'alza tortuosa, e il sommo

' accolti [MiL 1817; Flr. 1845].

* Dio, [MiL 1817; Flr. 1845].

3 duro?** [M^. 1817; Flr. 1845].

* Auchise [MIL 1817; Fir. 1845]. ' Numi [MiL 1817; Flr. 1845].

^ accomando, [Flr. 1845].

' vicenda, [MiL 1817; Flr. 1845].

« Troia [Fir. 1845].

» uscito,- [Fir. 1845]. buia [Flr. 1845]. » Con [Flr. 1845]. *2 dovunque, [MiL 1817; Flr. 1845].

* Il verso da prima era il seguente :

Quivi insiem tutti finalmente aconiti ** Errata corrige: Pag. 45, v. 9: duro corr.: diro

(Bibl. di Macerata.)

90 ENEIDE

Tetto sormonta, ^ furiar - per l'aria S'ode l'incendio. Inoltromi e la rocca E la reggia rivedo. E già nel tempio

Sfcavan di Giuno, ^

A G'mnoìi sacro e ne le vote logge ^

Custodi eletti de la preda ^ il fero

Stavan la pregia a custodire eletti

Laerziade e Fenice. Ivi ammontate

Son le Teucre dovizie ; e dagli da gì' incensi

Penetrali de' numi ^ e d'ogni banda

tratte son le sacre mense e i vasi

Di solid'oro e le rapite vesti.

Fanciulli intorno e paurose madri

Stan quivi in lunga fila. (Alfieri) Ardii pur anco

empiere

Gridar fra le temp tenebre, ~ empiendo i calli empien

Di lamentanza, e mesto invan ^ più volte

Creusa ^ ahimè '^ Creusa mia cliiamai!*^

Mentre la cerco ^^ e per senza fine errando

Vo per le case forsennato, apparmi

Il simu miserando simulacro e l'ombra

Di Creusa '^ maggior che pria non era.

Istupidii, rizzossi il crine, ste' ^^

Ne le fauci la voce. Allora a dirmi

Prese Pres'ella e a consolarmi. ^^ A che ti lasci

' sormoìita; [Mil. 1817; Flr. 1845]. '' furiar [Mil. 1817J. 3 Giuno [Mil. 1817; Flr. 1845]. -* logge, [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^ preda, [Mil. 1817; Fir. 1&45]. « Numi [Mil. 1817; Fir. 1845]. "' tenèbre, [Mil. 1817]. « in van [Mil. 1817 ; Fir. 1845]. » Creusa, [Fir. 1845]. »" ahimè! [Mil. 1817; Fir. 1845]. » chiamai. [Mil. 1817; Fir. 1845]. ^'' cerco, [Mil. 1817; Fir. 1845]. *■'' Creusa, [Fir. 1845]. " stè [Mil. 1817; Flr. 1845]. ^^ consolarmi: [Mil. 1817; Flr. 1845].

ENEIDE 91

Si trasportar da folle affanno, o dolce

Consorte mio? Senza voler de' numi ^

Questo già non t'avvien. Quinci (Caro ^) Creusa

Portar compagna a te non lice : il vieta

Del sommo D'Olimpo il sommo rege.^ Esiglio lungo

Soffrir tu ti converrà, solcar gran mari; [Caro'^'^)

In Esperia n'andrai dove tra genti

E feraci campagne il Lidio ^ Tebro

Volve sue placid'onde. Ivi beata beati da' numi *

Placido corre. Ivi fortuna e regno

Lieta ventura a te

E regno sorte da' numi ti s'appresta, •' e regno

E consorte regal. Di pianger lascia

La diletta Creusa. Io le superbe

Mirmidoni o le Dolopi '^ contrade

Già non vedrò. ~ Schiava a lor donne i Greci

Me non trarran, Dardania prole e nuora

che ^ mi ritiene

Alla A. la Ciprigna Dea: Ma la de' Numi

La gran madre de' numi •'

Gran parente ritienimi in queste piagge, (tiemmi.

Caro ***J

1 Numi [Mil. ISllfFlr. 1845]. '' Rege. [Mil. 1817; Fir. 1845]. 3 Lido**** [Mil. 1817]. * Numi [Mil. 1817; Fir. 1845]. •^ s'appresta [Fir. 1845]. « Dòlopi [Fir. 1845]. ' vedrò: [i^ir.. 1845]. « che [Fir. 1845]. » Numi [Mil. 1817; Fir. 1845]. * Allude a questo verso del Caro:

A te qì'hiri timi 1pi"p

Di trasiioi'tarnii

{Gp. cit., pag. 101.) ** Scrisse, in fatti, il Cako:

Che softVir lunghi essigli, arar gran mari

Ti converrà

{Op. cit., pag. 101.) *** Allude a questi altri versi del Caro:

(he la fjran penitrir.' di>sli Dei

Appo tiemmi ,

(Op. cit., pag. 102.) *»»♦ fjy.f.f,ff, forrigr: Pai;. 17. v, 1; Lido corr.: Lidio

[liibl. di Ma cerata)

92 ENEIDE

Or finalmente addio. Serba ^ l'amore {Caro*) Del com^nun figlio : e ^ cosi detto ^ in leve Aere conversa dileguossi, ^ e mentre Piangendo i' pur volea dir cose assai •'' Abbandonommi. Allor tre volte al collo

mani avvincerle,^ tre volte

Tentai le braccia stenderle, (per ahhracc. Rabbi) tre ^

Indarno cinta mi faggi fuggimmi V imago ^

V ombra di man mano iiscimmi indarno cinta; Pari a fugace sogno e ad aura leve.

Cosi la notte consumata invano ^ Riveggo il poggio. Ivi gran copia accolta Di novelli compagni, e madri e sposi Presti a l'esiglio ; ^ miserabil volgo ^^ Meravigliando trovo. Eransi addotti d'ogni banda, a me seguir dovunque Irne pel mar volessi, alme, ^^ e ricchezze Pronte recando. E già su le somme vette D'Ida già l'astro mattutin sorgea ^^ E menavane il giorno. I greci ^'^ intanto Custodivan le porte ^^ e speme alcuna D'aita non avea. Cessi ^•' e ritolto {Cessi. Biondi) Sul collo il padre, a la montagna ascesi.

' : serba [Flr. 1845].

* . E [Fir. 1845].

« detto, [Mil. 1817; Fir. 1845].

* dileguossi; [Mil. 1817; Fir. 1845]. « assai, [Mil. 1817; Fir. 1845].

« avvincerle; [Mil. 18L7; Fir. 1845].

' imago, [Mil. 1817; Fir. 1845].

« invano, [Mil. 1817; Fir. 1845].

" esiglio, [Mil. 1817 ; Fir. 1845]. vulgo [Mil. 1817; Fir. 1845]. " alme [Mil. 1817; Fir. 1845]. '■' sorgea, [Mil. 1817; Fir. 1845]. '■' Greci [Mil. 1817; Fir. 1845]. '* porte, [Mil. 1817 ; Fir. 1845]. »^ Cessi, [Mil. 1817; Fir. 1845].

ENEIDE 93

Versi n. 1068. cioè 264 più che nel testo, e 226. circa meno che nella versione del Caro.*

Dei 12. libri della Eneide 4. sono men lunghi del 2.*^'' e tra questi uno di un intero centinajo, 7. più lunghi e tra questi 3. di pochi versi, e 4. di un intero centinajo circa, tra' quali uno di un centinajo e mezzo.

>^ Crusca. Avvinghiare: Tre volte mi sforzai d'avvin- ghiare le mani al collo. - Avvincere. Le tue braccia il mio collo avvinsero. Tre volie dietro a lei le mani avvinsi. **

Nel computo del Leopardi ci ha non per tanto un errore di calcolo, che i lettori potranno di leggieri verificare.

** Vedi la chiamata a pag. 92, cui questa nota si riferisce.

INNO A NETTUNO

Un quadernetto di 20 facciate interamente scritte (coper- tina verdognola). Di quest'/wno conservasi anche una copia di pugno della contessa Paolina (un quadernetto di sei fac- ciate, di cui l'ultimo mezzo foglio e l'ultima facciata sono in bianco), mancante però delle note; copia, che, certo, fu condotta sull'autografo che qui fedelmente riproduciamo.

INNO A NETTUNO

di datore incerto

Fsoaov Ihoì-r y.aÀÀiatov, àoiSi^ Tcocr. Idill. 22. rerso' u?<.

Lui clie la terra scuote, ceruleo il crine a can-

[tar prendo

Azzurro il crine -

Cantiam Nettuno che la terra scuote '•'* Lui cW azzurre ha le chìoìnc A cantare inco-

[miucio. ***

Ed ha ceruleo il crine. Alati preghi

A te, Nettuno Ke ^ (1), forza è clic indrizzi

' vers. [Spett. 1817: /•'//•. LSÌ5]. •^ crine, [Spett. 1817; Flr. 1815]. •'' re, [Flr. 1815].

* Xella copia che (XalV Inno fece la contessa Paolina, il titolo è il seguente:

Inno a Nettuno attribuito ad Omero, Tradotto per la prima volta. Nello Spettatore, poi, si legge : /n»o a Nettuno d'incerto autore nuovamente sco- rto. Traduzione dal tjreco del conte Giacomo Leopardi da liecanati. ** Ecco un'altra variante di questo verso:

Questi due primi versi vanno letti cosi:

Lui chf la terra SL-uote, azzurro il (-riiie,

A '■niit iri' iii'-omiii'-in. Ahti iin'i;hi

98 INNO A NETTUNO

Il noccliier faticlievole che corre

Il Su veloce naviglio il vasto mare,

Se campar brama dai sonanti flutti

E la morte schivar : che ^ a te l'impero

Del pelago toccò, da che nascesti

Figlio a Saturno ; - e al fulminante Giove

Fratello e al nero Fiuto. E E-ea la Diva

Dal vago crin ti partorì, ma in cielo

Non già: che''' di Saturno astuto nume ^

Gli sguardi paventava. Ella discese

Alla A la selvosa terra, il petto carca

D'acerba doglia, e scolorite avea

Le rosee guance. Mentre il sole eccelso

Ardea su le

Snìle montagne i verdi boschi,

E sul caldo terren s'abbandonava

L'agricoltor, •'''

Il legnajnol. cui spossatezza (irea invaso* Avea le membra, '' (poi che di Semele Il Dal sen ricolmo, ' nato ancor non era

i a gì'

Il figlio alto-sonante, ed agV industri Mortali sconosciuto era pur ^ anche Il vin giocondo che vigore apporta) ^ Ella s'assise a 1'** ombra, e come uscito

» che [Flr. 1845].

'' Saturno, [Spett. 1817; Flr. 1815].

« che [Spett. 1817].

-^ Nume [Spett. 1817; Flr. 1815].

•• afjrkoltor [^'pett. 1817; Fir. 1845].

« membra [Spett. 1817; Flr. 1845].

' ricolmo [Spett. 1817; Flr. 1845].

« per [Spett. 1817; Flr. 1845].

^ apporta), [Spett. Vòil]. apporta). [Flr. 1815].

* Nella copia della contessa Paolina leggesi:

I,";ii,n'ic<iitor fili spossatezza invase

Avi'a le iiicnilira

** Ugualmente uir in vece di a V

IXNO A NETTUNO 99

del *

Fosti dal suo grand' alvo, ti ripose

Su le

Sulle ginocchia assai piangendo, e pi-eghi 0 renerand Porse alla a la T'erra e al a lo stellato

[Cielo :

0 Terra veneranda, o Cielo padre. Deh riguardate a me, se pure è vero Che di voi nacqui, e questo figlio mio Da r ira di Saturno astuto nume

Or mi salvate, si ch'egli noi veda ^ E questi ben ricresca e venga adulto. Cosi pregava Eea di belle chiome,

di fresco nato, in core

Poi che per te temeva e jì^i' ?^ nato

Sentia ^ gran tema (2) : e per gli eccelsi monti

Ed il profondo mare errando giva

L'eco romoreggiante. Udilla il Cielo

E la feconda Terra, e nera notte ^

Venne sul bosco, e si sedè sul monte.

Ammutirono ^ a un tratto, '^ e sbigottirò

1 volatori della de la ** selva, e intorno Con Co '' l'ali stese s'aggirar vicino

Al basso suol. Ma t'accogliea ben tosto La Diva Terra fra sue grandi braccia. (3) ~

' veda, [Spett. 1817; Flr. 1815].

'' Sentia [Siyett. 1817; Flr. 1815].

•■' Notte [Siìett. 1817; Flr. 1845].

* Ammutarono^^-** [Sitett. 1817; Flr. 1845].

•■* tratto [Spett. 1817; Flr. 1845].

« Con [Flr. 1845].

^ braccia (3), [Spett. 1817]. hran-la; [Flr. 1845].

* Nella copia della contessa Paolina leggesi: dal *** n n n ! Amìiiutaroìio

100 INNO A NETTUNO

Saturno il sapea, che ' nera notte - Era su la montagna. E tu crescevi, Ile dal tridente d'oro, ed in robusta Giovinezza venivi. Allor che voi Di Rea leggiadra figli e di Saturno, Tutto fra voi partiste ; '•' ebbesi Giove ^ Che i nembi aduna, lo stellato Cielo: Il mar ceruleo tu; s'ebbe Plutone I)eW De V * Averno le tenebre. Ma tutti Tu della de la terra scotitor vincevi. Salvo Giove e Minerva. E chi potrebbe Coli' Co ^ V Olimpio cozzare impunemente ? Il cielo ** tu lasciasti,- e teco scese il figlio Della De la bianca Latona in terra scese, : Ed al superbo Laomedonte alzavi Tu cleW de l'ampio Ilion le sacre mura, ^' (4) Mentre ne' boschi opachi e nelle ne le valli JJjW De l'Ida nuvolosa, ~ i neri armenti Febo Apollo pascea: ma Laomedonte, Compita l'opra tua, la pattuita Mercede ti negò: stolto, che*'' l'onde Biancheggianti del pelago spingesti

sormontar '"

Contr' Ilio tu, ^ (5) che soverchiar le mura Con gran frastuono mormorando, e tutta

» clic [Spctt. 1817; Flr. 1845]. -' Notte [Spctt. 1817: Flr. 181Ò]. "" partite, [Hpett. 1817: Flr. 181-5]. ■^ (ilooc, [Spctt. 1817; Flr. I8i5]. •^ Con [Flr. 18151

" mura {4), [Spe't. 1817]. mirra; [Flr. 1815]. ' nuvolosa [Sjìcti. 1817; Flr. 1845]. « che [Fir. 1815]. '-> tu (5), [Spctt. 1817]. ''^* sormontaF [Flr. 1815].

* Nella copia della contessa Paolina si logge: Dall' *=* . , : Cielo

INNO A NETTUNO lOl

Empierò la città di sabbia e limo, ^

Co' prati,'-* e lo

C(.n le campagne e l prati. E tal preiulesti/ta-^'.s/i Del fier Laomedonte aspra vendetta I>

Ma qiial cagione a tenzonar ti mosse Con Palla Diva occhi-cilestra? Atene La Cecropia città: ^ jìoi eli' appellata Tu la volevi dal tuo nome, e Palla Il suo darle voleva. E la •' ti vinse : Che colla co ^ la lancia poderosa il suolo Percosse' e uscir ne fé' '"^ virente olivo Di rami sparsi. Ma tu pur fiedesti La diva Terra ^ col tridente d'oro ^^ E tosto fuor n'usci destrier cli'avea Florido il crine: '' ((>) onde a te diero i fati I cavalli domar veloci al corso.

i pastori Pan.^-** gli arcieri Febo ;, ***

Ama Febo i canto vi: a Marte (irati

Cari a Vulcano sono i fabbii ; , '^"•"="-' a Marte

Gli eroi gagliardi in guerra ; ,'^"-'-'"-'''' i cacciatori

A la vergine Cinzia. A te son grati

I domatori de' cavalli: '-^ e primo

' limo [Spett. 1817: Flr. IRl-".].

- prati [S2)etf. ISIT: Fir. ISI.')].

•■' vendetta. [Spett. 1817; Flr. 1845^.

* città, [Siìett. 1817: Flr. 1815].

' Ella [Flr. 1815].

« con [Fir. 1815].

' Percosse, [Fir. 1845].

« [Flr. 1845].

« terra [Spett. 1817: Flr. 1845]. oro, [^pett. 1817: Flr. JS45]. " crine (6): [Spett. 1817].

''^ I pastori ama Pan, [Spett. 1817: Flr. 181-5]. " cavalli; [Spett. 1817; Fir. 1845]. * Nella copia della con.""" Paolina dopo prati non ci lia la vir^^ola.

** dopo Pun ci ha un punto e virgola.

*** ^ ,1 il punto e virgola dopo Febo è con-

servato. ^*** Ugiialmente dopo /uhi, ri. !<**♦ Ugiialmente dopo guerra.

102 INXO A NETTUNO

Tu della de la terra scotitor possente

A?' chiomati destrieri il fren ponesti. ' (7)

Salve *, equestre Nettuno. - (8) I tuoi cavalli

Van pasturando negli ne gli Argivi prati

Che a te sacri pur sono, ^ e colla co ■* la zappa

Il faticoso agricoltor non fende

Quel fatic terreno giammai, coW co '' 1' aratro.

presti come

Ma ratti son ^jì^^ che gli alati augelli

I tuoi destrieri, ed erta han la cervice, '' **

ci *** trar li ^

c' ha ~ mortai che sotto il giogo possa innanzi

Al cocchio sotto il giogo, e co ■* le

Unqne condurli e reggerne le briglie

Reggerli, ^" e col flagello****

E col flagello guidarli e co ^^ la voce.

Qua! però delle de le *=^=*** ninfe a te dilette, 0 Signor del mare, io canterò ? la figlia Di Nereo forse e Doride, Anfitrite? 0 Libia cinomi-bella ; ^' (9) o Menalippe

^ ponesti (7). [Spett. 1817].

2 Nettano (8). [Sjiett. 1817].

•'' so7io; [Flr. 1845].

4 con [Fir. 1845].

" con [Fir. 1815].

^ cervice; [Flr. 1845].

^ ci ha [Siìett. 1817; Flr. 1815].

* ti [S2)ett. lHll](evldentc errore di stampa). trarli [Flr. 1845].

» con [Flr. 1845].

'•' lìcqfjerll [Spett. 1817; Flr. 1845].

" con [Flr. 1815].

'^ chloìiil-hella (0), [Spett. 1817]. chloml-hella [Flr. 1845].

* La virgola dopo Salve manca nell'autografo della contessa Paolina.

*" dopo cervice ci ha un pu.nto e virgola.

*** ,, ,, si legge : v'ha

**** ,, ,, dopo flagello c'è una virgola*

***** si le-'ge : (ielle

INNO A NETTUNO 103

Alto-succinta, (10) o Alòpe; ^ * (11) o Calliròo

rosee

Di .sette guance, 'MI 2) o la leggiadra Alcione,

e

0 Ippotoe, (13) 0 Mecionica, * (14) o di Pitteo La figlia, Etra occhi-nera, -^ (15) o Cliione, (IG) od

[Olbia; «(17)

0 l'Eolide Canace, ' (18) o Toosa

Dal vago piede, ^' (19) o la Telchine Alia, ^(20) Od Amimone candida, ^'^(21) o la figlia D' Epidanno, Melissa ? (22) E chi potrebbe Tutte nomarle? e a noverar chi basta

1 figli tuoi? Cercion feroce, Eufemo, ^' (23) Il Tessalo Triòpe, ^^(24) Astaco, i- e Rodo ^' Onde nome ha del Sol l'Isola sacra, ^^ (25)

E Teseo, '•^(2G) et ^" Alirrozio; '•'^ (27) ed il possente Triton,!^ (28) Dirrachio, ^o (29) e il battaglioso Eu-

[molpo, ^1 (30)

1 Alto - succinta (10), [Spett. 1817J.

■' Alope (11), [Spett. 1817].

"" r)aance.(12), [Spett. 1817].

•* Ippotoe (13), o Meclonìce (14), [Spett. 1817].

'=' occhi-nera (15), [Spett. 1817].

« CUonc (16), od Olbia (17), [Spett. mil]. Olbia, [Fir. 1845].

Canace (18), [Spett. 1817].

*• jAede (19), [Spett. 1817].

•' Alia (20), [Spett. 1817]. Alia, [Fir. 1815]. '•» candida (21), [Spett. 1817]. " Eufemo (23), [Spett. 1817]. '■' Triòpe (24), [Spett. 1817]. '•' Astaco [Spett. 1817; Fir. 1845]. '•* Rodo, [Spett. 1817: Fir. 1815]. >■' sacra (25), [Spett. 1817].

Teseo (26) [Sjyett. 1817]. Teseo [Fir. ■^>^\->\. '" ed [Spett. 1817; Fir. 1845].

'^ Alirrozio (27) [Spett. l'^ll]. Alirrozio [Fir. 1815]. '" Dirrachio (29) [Spett. 1817]. Dirrachio [Fir. 1845]. ^'' Triton (28), [Spett. 1817]. 2' Eumolpo (30) [Spett. 1817]. Knninl,,n 'Fir. 1S15;.

* Nella copia della ".ontcssa Paolina dopo Alòpc ci ha una virgola.

104 INNO A NETTUNO

E Polifemo a nume ugual. ^ (31) Ma questo Cauto è meglio lasciar, che spesso i tigli

di duolo lutto.

Cagion furouo a te d'acerbao doglia.

Polifemo de l'occhio il saggio Ulisse

lu Trinacria fé'" cieco: ^^(32) Eumolpo spense

In Attica Eretteo ; ^ ma tu ben vendetta

Tu ne prendesti, o Scoti -terra, e morto

Lui con un colpo del tridente, a terra al suolo

La casa ne gettasti. ^ (33) E Marte istesso

ImjHinemente non t'uccise il figlio

Alirrozio leggiadro : ^ (34) i numi * tutti

Lui concordi dannar. ' (35) Salve, o Nettuno

Ampio-possente : a te gì' Istmici ludi

E le corse de' cocchi e (lefjìi de gli Atleti

Son sacre, ^ e l'aspre lotte: e neri tori (30)

Li Trezene " (37) in Geresto ^'- (38) e in cento

[grandi Città di Grecia ogni anno alV a l'are tue Cadono innanzi; e nella ne la Doric/i ' Lstmo

Vittimo in folla traggono

Vìttime In folla. Traggono le turbe allegre turhe

[al tuo tempio tuo

^ urinai (31). [Sjìctf. 1817]. - [Fir. 1845]. ^ 'cieco (32): [Spett. 1817]. "* Eretteo : [Fir. 1845]. "• (iettasti (33). [Spett. 1817]. « leggiadro (34): [Spett. 1817].

' dannar (35). .[S])ett. 1817]. dannar'. [Fir. 1815]. ** sacre; [Sj>etl. 1817].

« Trezene (.77), [Spett. 1817]. Trezene, [Fir.] 1815]. ^^ Pereste (38), [Sp)ett. 1817] (eoi'ìenfc errore di stampa).

(Presto, [Fir. 1845].

* Neil' autografo della contessa Paolina numi è con lettera maiuscola.

INNO A NETTUNO 105

Le allegre turbe.

Vittime in folla. 0 salve, ^ azzurro Dio, -

la terra circondi, alti-sonante,

Che tiitio cingi il i^iiol. gravi-fremente

Gravi-fremente.

Romoreggiante. I boschi su le cime De le montagne crollansi, e le mura De le cittadi popolose, e i tempj ^

Ondeggiano

Coìnmuovonsi persino, "* allor che scuoti Tu col tridente flebile la terra, E gran fracasso s'ode e molto pianto (39) Per ogni strada. mortale ardisce Immoto starsi, •"* ma per tema a tutti Si sciolgon le ginocchia, e «//' a Tare tue Corre ciascun, t' indrizza preghi, e molte Allor S'offrono a te vittime grate. ^ (40)

Il tuo

Salve, o gran figlio di Saturno. In Ega Lucente cocchio è in Ega, nel profondo

romoroso

Del fragoroso pelago: ~ (41) Vulcano Tel fabbricò,: divina opra ammiranda. Ha le ruote di bronzo, ed il timone D'argento, e d'oro tutto è ricoperto L' incorruttibil seggio. Allor che poni Tu sotto il giogo i tuoi cavalli, e volano Essi pel mare indomito ^ fendendo

> salve [Spett. 1817 ; Flr. ISir,]. - Blo [Spetl 1817: Flr. 1845].

templi [Spett. 1817; Flr. 1845]. "" perfino, [Spett. 1817; Flr. 1815]. ^ starsi; [Flr. 1845]. « (jrate (40). [Spett. 1817]. '' pelago (41) : [Spett. 1817] " Indomito,'' [Spett. 1817; Flr. 1815].

* Anche nella copia della contessa Paolina cV' una virgola dopo indomito.

ioti INNO A NETTUNO

I biancheggianti flntti, e sui lor colli Disperge il vento gli aurei crini; intorno A te che siedi e il gran tridente rechi Nelle Ne le divine mani, uscite fuori De le case d'argento * a galla ' tutte Le guanci-belle figlie di Nereo, - ^'^ Vengono tosto, e innanzi a te s'abbassa L'onda/'^ e t'apre la via, ■^ l'alza il vento;: Che •"* tu del mar l' impero in sorte avesti.

chiamarti,*** o del tridente

Ma qual mai potrò dirti, o dei delfini

Agitatore? altri

Doiiiinatorf molti Eliconio, ''(42) e molti ed altri T'appella??. Suniarato. " (4B) A Sparta detto Sei Natalizio, ^ (44) ed Ippodromio a Tebe, ■' (45)

Chiamanti Elateri

In Atene Eretteo. i" (40) jyOnchestio molti

Molti' altri,**** '-(17) e molti di Trezenio, '•' (-18)

Ti danno il lìonie, o di Trezenio, o d' Istmio, ^' (49)

Ti danno il nome.

0 di Cinade. I Tessali Petreo

' gala [Spett. 1817]. (evidente errore di stanijia)

- Nereo [Sxìctt 1817; Flr. 1845].

■' onda [Spett. 1817; Fir. 1815].

^ via; [Siiett. 1817; Fiì\ 1845].

'' Che [Sjiett. 1817; Fir. 1845].

•' Eliconio (42), [^pett. 1817].

Suniarato f4H). [Speli. 1817].

"" Natalizio (44), [Spett. 1817].

» Tet^e (45), [Sj^ett. 1817]. '" Eretteo (46). [Spett. 1817]. ^' Elate [Spett. 1817; Fir. 1845]. ^■' Molti altri (47), [Spctt. 1817: /•';/•. IsJO]. '■' Trc-:enio (48) [Spett. 1817]. Trezenio [Fir. 1845]. " Jstjitlo [49) [Spett. 1817]. Minio [BHr. 1845].

* Nell'autografo della contessa Paolina c'è una virgola dopo avjento.

** non c'è la virgola dopo Nereo

*** ,, non ci è la virgola dopo chiamarti

**** ugualmente dopo altri

INNO A NETTUNO 107

Diconti, ' (50) Oncliestio: -' (ni; ed altri pure

Chiamanti, ed altri Elate, ed altri Oiichestio^ Elate, Egeo ti noma (52) e Cinade (53) e Fitalmio.^ (54)

10 dirotti Asfaleo, iwì che * salute

Tu rechi ai a' naviganti. "' (55) ,- A te fa voti

11 nocchier quando si s'alzano del mare L'onde canute, e quando in nera notte Percote i fianchi al ben composto legno

alti-sonante, "

Il flutto altisonante^ che s'incurva Spumando, e stanno temj^estose nubi Sulle Su le cime degli alberi, * ed al soffio e del

[vento Mormora il bosco al soffio (orrore invade ingom-

[bra / petti Le menti de' mortali) ~ e quando cade Precipitando giù dal ciel gran nembo Sopra l' immenso mare. 0 Dio possente, "'^ j ** Che Tenaro (56) e la sacra Onchestia selva, ^(57 E M.icale, (58) e Trezene, " ed il pinoso

' Diconti C50), [Sj^ett. 1817].

2 Onchestw (51), [Spett. 1817]. Onchestlo, [Flr. 1815].

3 Fltalnùo (54). [Sj^ett. 1817].

* poiché [S2)ett. 1817; Flr. 1815].

^ navlfjantl (55). [S2>ctt. 1817].

^ altisonante [Speli. 1817].

' mortali), [Flr. 1815].

^possente [Spett. 1817; Flr. 1845].

" selva (57) [Spett. 1817]. selva [Flr. 1845].

'" Mlcale (58) [Spett. 1817] Mlcale [Flr. 1845].

" Trezenc [Spett. 1817; Flr. 184.Ò].

* Nella copia della contessa Paolina dopo alberi ci ha un punto e virgola.

** Questo segno dell'Autore è un richiamo al leggitore perchè vada all'ultima pagina, dove troverà i tre versi che seguono nella loro ultima forma, che è quella da noi riprodotta. Il Leopardi, avendoli più volte rifatti, e sempre cancellati, fu costretto (per non avere più carta disponibilei a riscriverli noli' ultima imgina del fascicoletto.

108 INNO A NETTUNO

Istillo,^ ed Ega, ' e Geresto(59) in guardia tieni,

Soccorri a' naviganti "^ e fra le rotte

Nubi fa che si scorga vegga il cielo azzurro

Ne la tempesta, e su la nave splenda

Del sole '^ o delia de la luna ** un qualche rag-

0 de le stelle, ed il soffiar de' venti Cessi; e tu l'onde romorose appiana, Si che campin dal rischio i marinaj. ■' 0 nume, salve, e con benigna mente Proteggi i vati che de gì' inni han cura.

' Istmo [Fiiìett. 1817; Flr. 1845].

■-• Efja [%e«. 1817; Flr. 18 i5].

^ navlfiantl, [Sj.ctt. 1817]. iiavhjautl; [Flr. 1815].

* ra(/(jlo [S2ìeft. 1817; Flr. 1&45].

^ marinai. [Sjìett. 1817; Flr. 1845].

* Nelhi coina della contessa Paolina sole è con lettera maiuscoli

INNO A NETTINO 109

NOTE

(1) A te > Nettuno Re.

A Nettuno davasi il nome di Ile da quei di Trezene. Si veda la nota 37.

(2) Poi che per te di fresco nato, in core Sentia gran pena tema.

Non ho saputo tradur meglio questo luogo, - ove l'Ori-

tolta

ginale ^ lia qualche difficoltà, ^ che forse vedremo appia-

via

nata nella Edizione Greco-latina'' di quest'Inno, la qual

farassi di corto, y **

(4) Ed al superbo Laomedonte alzavi

Tu dell' de l'ampio Ilion le sacre mura.

fabbricò

È noto che, secondo i poeti, Nettuno edificò le mura di Troja dopo aver essere stato discacciato dal cielo con Apolline per aver cospirato contro Giove: e però l'autore parla delle fabbri dell'edifìcamento di quelle mura dopo aver detto che Nettuno non potè vincere Giove Minerva, della quale fa parola appresso.

(5) L' ond e Biancheggianti del pelago spingesti Contr' Ilio tu, ec.

^ te, [Spctt. 1«17].

* liwijo

•' originale

* dljjicolta

^ edizione (jr eco-latina

* Non diamo qui le varianti che si riscontrano nell'ediz. fio- rentina, perchè troppe, e troppo evidente l'arbitrio dell'editore.

** Nell'autografo manca qui la nota 3', e al luogo deHa modoi sima ci ha il sogno che abbiamo riiirodotto, il quale servo da ri. chiamo, come vodesi a pag. 114.

110 INNO A NETTUNO

Ovidio, Metamorfosi Libro XI. Favola^ 8: =rz Non impune feres, rector niaris inquit, et omnes Inclinavit aquas ad avarae litora Trojae, Inque freti formam terras convertit, opesque Abstulit agricolis, et fluvibus * obrnit agros. =-.

(6) E tosto fuor n'uscì destrier ch'avea

Florido il ci'ine.

Questo passo è interessante per chi ama la Mitologia. ^ E assai celebre la contesa,-^ ài cui j) a ri a fa qui menzione il poeta'' e ne hanno parlato"' fra gli altri, Varrone presso S. Agostino, Della Città di Dio Libro XVIII. Capo 9. ^' Cicerone nella Orazione in difesa di L. Fiacco ; f** Plutarco nella yf*** Simposiache Libro IX. ' Quistione VI. ■** Aristide nella Panatenaica ; Eusebio nella Cronica ; Nonno nei libri XXXVI. e XLIII. Twv" Aiovua'.ay.wv; Ausonio nel Ca- talogo delle Città famose ; Proclo nel Comentario Comento al Timeo di Platone ; e Menandro il Rettorico ; il Pseudo- Didimo nelle note al Libro e il Comen l'antico Comenta- tore d'Aristofane nelle note^*^ alle Nubi. •[***** Ora arde con- troversia fra gli Eruditi, ^^ de' quali altri vogliono che Net- tuno facesse uscir della terra, ^- acqua, altri che un cavallo.

' Uhro XI, favola

- mitologia.

■^ contesa

** poeta,

'' 2^(^rlato,

*"' Dio, libro XVin, cnjìo 9 ;

"' libro IX,

« VI;

^ "càv (evidente errore di stampa)

"> Note '* eruditi, '- terra

* Fluvibus anche nell'autografo, anziché, come dovrebbe leg- gersi, fluctihus.

t** Plinio, libro XVI. Capo XLIV; (così nell'autojrafo)

tt*** vita di Temistocle, e nelle (idem.)

t**** Questo segno fu posto dall'autore quale richiamo a una lunga aggiunta, che, riproducendo noi, come già avvertimmo, esat- tamente l'autografo, il lettore troverà alla fine dell' /»j)?o.

INNO A NETTUNO 111

Per l'acqna è Apollodoro, i Biblioteca Libro III. - del quale di cui ecco le parole: Hv.sv oOv'^ -pwTO? IIo'S'.owv (sìf*) è t: l T yj V 'a t - '. y. 'i\ v . y. 7, l - À r^ ; a ? t r t p -, a i v t^ y. a - à |i é j r^ v xf/V àx pó-oÀ'. V. aviry//3 l^-à À 7. ^ j y. v vj v vOv 'Epsy^ v>r^ io x y. :zÀo'')ai =: Primo dunque Nettui\o venne nell'Attica, e percosso col tridente il suolo nel mezzo della rocca, fó' veduto il mare, ** che ora chiamano Erelteo ^r. Secondo Varrone citato da S. Agostino, r= quum apparuisset •' re- pente olivae arbor, et alio loco aqua erupisset, regera prodigia ista moverunt : et misit ad Apollinem Delphicum sciscitatum quid intelligendum esset, ^ quidve faciendum. lUe respondit quod olea Minervam signitìcaret, unda Nep- tunum :=. Lo Pseudo-Didimo nelle noie al Libro" XVII. della Iliade ci dice ^ come Apollodoro, che II oasiòwv v.xi 5V 9- r< V a 71 £ p i -%~ \-~.'.y.r^^ 3 u i À 0 v 3 ■. y. e -j v y. 7 1 li 0 3 3 -. ò co 7 È -i T ^ ? à 'A p 0 - ó À 3 ro ? z'Ì^T Xz- : v. r^ - v. p 0 'j r 7 ^ t r - p '. 7 i v 7, y. 0 H 7 !>■ 7 À a " - "/, r 3-0 : r^ r 3 v 7 v 7 ò 0 !)• r^ va'.* X !>• r//à oh 3 À a '.' 7 v == Nettuno e Minerva lacean quistione per l'Attica : e Net- tuno 2)ercossa dato nella rocca dell' Attica un colpo di tridente,^ fé' spicciarne scaturirne acqua marina : Minerva fé' uscir fuori un olivo :=. Nel Libro IX. Capo L ^^ della Collezione Geoponica, l'avvenimento è narrato con qualche differenza, poiché vi si legge che no-3'.$wv,.. À'.;j.éai y.ai v£0)p io i ; xa'j tr,v^^ ('V' -óÀiv) iy. ó r;i3 -. ^— Nettuno ornolla (la città) di porti e di arsenali z=z. A dir d'Igino, Tavo- la i- CLXIV. = inter Neptunum et Minervam quum esset orta contentio certatio, qui primus oppidum in terra At-

' Apollodoro;

•-' lib. HI,

■' oOv

■* mare

'"' apjìarulsset , . . .

" esset

'' libro

* dice,

" tridente

"* libro TX, capo I

" xz'jxr/j (evidente errore d'i .sf.nnjhi)

'•^ favola * L's:? frt prima scritto, e, poi, caueellato.

112 INNO A NETTUNO

tica conderet, Jovem jndicem ceperuut. ^ Minerva quod primum in ea terra oleam serit^ quae adliuc dicitnr stare, secnndnm eam judicatiim est. At Neptunns iratus, eam in eam terram, mare coepit irrigare velie; quod Mercurins, Jovis jussn, id ne facei^et proliibuit =:. Quanta varietà di sentenze intorno a un fatto così certo ! Sin qui però tutti sono 79er l'acq in qualclie guisa per l'acqua, e nessuno pel cavallo. Erodoto i^ure Similmente Erodoto nel Libro '^ Vili, afferma che nella rocca d'Atene avea un tempio in cui si vedeasi un olivo, ^ e dell'acqua marina postevi, a detta degli Ateniesi, da Nettuno e da Minerva. Ne altra- mente Pausania ci conta che nella voc in quella rocca erano erano frc s 71 o : r, "c a 'f' )'/.-/.''. 7 ò z 'j t ò v ~ r, ^■' è À a i a S 'A B r^ v à, ■/. y. ':

% 0 |i X à V a 9 a 0 V w v ** II 0 a 3 i ò v : i simulacri di Minerva e di Nettuno che facean comparire '' ([nella un olivo, e questo acqua =-. Battista Egnazio dunque nel Capo ~ Vili, del Libro *^ che intitolò = Uacemationes = credè conchiu- dere a buon dritto che Nettuno nella contesa avuta con Minerva le' uscir della terra acqua e non un cavallo. Ma Virgilio dice a chiare note il contrar l'opposto nel principio delle Georgiche, invocando Nettuno:

=: Tuque o '•' cui prima frementem Fudit equum magno tellus percussa tridenti, Neptune. '" =

' coeperunt (evidente errore di stamjìa)

^ sevit {lezione da jìrefcrirsi a quella dell' auto(jra/o)

' libro

■* olivo

^' xr^S

" comparire,

^ capo

** libro

^" Xcptnnc:

* La parentesi indica anche qui che la parola fu cancellata. ** Così anche nell'autografo, anziché, come dovrebbe leggersi,

INNO A NETTUNO 113

Dove alcuno vorrebbe leggere : ^ = Fudit aquam = . - ma invano, che noi permettono i Codici. Servio-^ spie- gando questo passo, espone tutta la favola cosi: = Cum Neptunus et Minerva de Atlienarura nomine contenderent, placLiit diis ut ejus nomine civitas appellaretur, qui mu- nus meJius mortalibus obtulisset. Tunc Neptunus, per- culso littore, equum, animai bellis aptum produxit: Mi- nerva, jacta basta, olivam creavit : quae res est melior comprobata, ut pacis insigne. Ut autem modo Neptunum invocet, causa ejus muneris facit, quia de equis est dictu- rus in tertio: alioqviin incongruum est, si de agricultura locuturus, * numen invocet marie. Equum autem a Nep- tuno progenitum alii Scythium, alii Syronem, alii Ario- nem dicunt fuisse nominatum : "^ (e quanto al nome di Arione, veggasi appresso la nota il luogo di Stazio nella nota 7.) et ideo dicitur equum invenisse, quia velox est ejus numen et mobile sicut mare =. L'autorità d'Ovidio, Metamorfosi Libro VI. Favola III. ^ è controversa. Egli dice descrivendo una tela tessuta da Pallade:

= Stare Deum pelagi, ~ longoque ferire tridente A spera saxa facit, rriedioque e vulnere saxi Exsiluisse ferum, quo pignore vindicet urbem. =

Ma altri sostiene che per = ferum =: si ha a leggere : = fretum =:. Stazio, Tebaide Libro ^ XII. non parla di cavallo, ma di mare:

= Ipse quoque in pugnas vacuatur Collis, ubi ingens Lis superum, dubiis donec nova surgeret arbor Rupibus, et longa refugum mare frangeret umbra.

Ma Luttazio Placido il suo Comentatore, " Luttazio Pla-

' leggere

* aquam = ^ Servio,

* locaturus, (evidente errore di stanqm)

* nominatum

" libro VI, favola 3, ' pelagi

* libro

® comentatore

114 INNO A NETTUNO

ciclo scrive cosi : ^ :^ Acropolin dicit arceni Tkeharum : leggasi Atlienarmii de qua Neptuno et Minervae dici- tur fuisse certamen. Percnssa Neptuno terra equum dadit indicium belli ; Minerva vero olivam, ^ pacis in- signe. =

^' Il Benedetto Averani nelle sue Dissertazioni sta tiene anch'esso dal cavallo. Quest'inno'^ avrebbe potuto fornir- gli somministrargli una prova di più, molto valevole, se egli l'avesse conosciuto.

tenga

** (3) Pare che il 2^0 età non faccia conto della favola, secondo la quale

(H) Ma t'accogliea ben tosto

La diva Terra fra sue grandi braccia, oc.

Pare che il poeta non tenga conto della favola, secondo la quale Nettuno fu cresciuto da alcuni pastori.

^7) Onde a te diero i fati

I cavalli domar veloci al corso

E primo

Tu, * della de la terra scotitor possente, A' chiomati destrieri il fren ponesti.''

È noto che gli antichi teneano Nettuno ìion solo per Dio non solo del mare, ma anche dei cavalli, dei cava- lieri e dell'arte del cavalcare, dei giuoclii equestri e dell'arte equestre, della quale Sofocle, Pausania nel Li- bro ^' VII. e, a quel che sembra, il nostro poeta, ' \o fanno inventore. Panfo Ateniese, antichissimo Scrittor *^ d'inni,^ lo chiama presso Pausania, 'i~~ fo v òoxripx :=z dator dei ca-

* cosi;

'^ olivani ^ Inno ^ Tn •'' 2ioncstl , ..

* libro ' poeta

^ scrlttor " Inni,

* Nello Spctlaforc, a qnesto laoT;o, non si va da capo. ** Vedi a pag. Kl9 (contronota **) di questo volume.

INNO A NETTCNO 115

valli =; e Pindaro nell'Ode Olimpica XIII. ^ \'x\xxìov 71 xzkpx =-- Padre domatore =:r ; y * Omero fìnge che Net- tuno donasse a Peleo i cavalli die poi furono di d' - Achille. Nestore nel Libro -^ XXIII. della Iliade dice ad Antiloco :

'A V - ìa e, •/' r^-oi j_i i V 32 V é 0 V £ p è ó v t' è'^ i À v; a a v Z 2 ù S T ; ' II G :; 2 '. ò a ;-) V t = , ■/.%': i ti - o a j v 7. ? à 5 i $ z ; a v n a V T 0 t a S

Alcerto, •''

Benché garzon sii ta, Giove e Nettuno,

Antiloco, t' amaro, e l'arti equestri

T' insegnar tutte.

E Menelao nello stesso libro, finito il combattimento eque- stre, comanda impone ad Antiloco che giuri per Nettuno. Pindaro nella prima Ode Olimpica dice che Nettuno diede a Pelope

E 5 03 X £ 5 i ::p p 0 V y ,o 0 - £ s v , £ v - t £ p o : -

Un aurjo cocchio d'oro a lui - E cavalli donò d'ali indefesse —, Ed alati instancabili destrieri

parlando di Pelope: e nel fine dell'Ode quinta chiama II 0 a £ '. 5 z V i 0 'j ? ='=* r= Nettunii = i cavalli di Psaumide Cama- rineo, vincitore Olimpico. Si fece pur discendere i cavalli Si volle ancora che alcuni cavalli fossero della razza di Nettuno.

=r Quamvis saepe fuga versos ille egerit hostes. Et patriam Epirum referat fortesque Mycenas, Neptunique ipsa deducat origine gent.em : =

dice Virgilio di un cavallo nel libro III. delle Georgiche.

» XIII,

' (li ^ libro

'^,

^ Alcerto

t * e nella quarta Pitia I ~ - z > •/ > v , ohe è quanto diro, Principe de' cavalli, o de' cavalieri. (Ajgianta dell'Autore)

*!= Cosi ancheugiio Spettai >rà ; ma paro a noi si dovrebbe leggere :

II 0 3 £ '. ò o> V '! 0 'J ? ,

116 INNO A NETTUNO

Stazio nel sesto della Tebaide canta del cavallo di Adrasto:

Ducitur ante omnes rvitilae manifestus Arion Igne jubae. Nuptunus equo, si certa priorum Fama, pater: primus teneris laesi se lupatis Ora ' et litfcoroo domitasse in pulvere fertur Verberibus parcens, '^tenim insatiatus eundi Ardor, et hiberno par incostanti-i ponto. Saepe per Jonium Libyeumque natantibvis ire Interjunctus equis, omnesque assuetus in oras Caeruleum deferre patrem. Stupuere relieta Nubila: certantes Eurique Notique sequuntur.

Veggasi pili sopra nella nota 6. il passo di Servio, - e altresì il Libro ^ XXIII. della Iliade, verso 345. e se- guente. Farmi che non ben s'appongano Servio e gli altri interpreti che spiegando il verso 691. del settimo della Eneide:

At Messapus rquuni domitor, Xeptunia proles,

dicono avere il poeta chiamato Messapo, prole di Nettuno, perchè egli era venuto per mare in Italia : spiegazione assai stiracchiata: e penso che Virgilio stesso medesimo spieghi assai ottimamente la seconda parte del verso colla prima, in cui chiama Messapo, domator di cavalli, qualità, per cagione della quale, se non erro, egli lo IH poi figlio di Nettuno. E notisi come nella Eneide non si noma Messapo non è mai detto figlio di Nettuno, che non sia chiamato altresì domatore di cavalli o in altra simil guisa : onde nel Libro * IX. si ripete tutto intero il verso citato ; •'' nel duodecimo esso si trovasi pure quasi intero, mutato solo r = At = in = Et '^ = e nel decimo si legge :

Subit et Neptunia i)roles, ' Insignis Messapus equis.

^ Ora,

^ Servio

^ libro

* libro

" citato,

" l'At in Ft,

'' proles

IXXO A NETTUNO 117

/8) Salve, equ\stro Nettuno.

I Greci davano spesso a Nettuno il noma d' Izrcio; =z equestre ^ =r, del quale, come della sentenza di quelli che reputavano Nettuno essere stato il primo domatore de* cavalli ed avere insegnata l'arte del cavalcare, fa men- zione Diodoro nel libro Y. Capo ^ XV. della Biblioteca, y* Fuori di Atene in un luogo de'to Colono avoa un tempio di Nettuno Equestre, ricordato da Tucidide nel Libro YIII. '^ da Arpocrazione, alla voce K wv 'Jt-c?, e dall'an- tico Comentatore di Sofocle nelle note all'Edipo nell'argo- mento dell' Edipo Colonese, ^ e neWargomen nelle note a quella tragedia. Pausania '-> parlando del Colono ^ rammenta un l'altare di Nettuno Equestre.

(9) O Libia chiomi-bella.

Mosco, Idillio II." verso 36. e seguenti:

A ù X yj 5 s y p 'j a ì 0 V t à À a s o v z ìoz^/ E 0 p t: s i a

6 r^ r, T ò V , 1 1 s y x !> y. 0 \i.y. , [J- ^ Y ^ - ó v o v U z xiax o'.o ,

0 V A '. p -j r^ - 0 p £ •'^ ò w p 0 V 0 -' ì~ Ài •/ s ? H v v o - '. y y. i ou

11-5 V

Aveva zj= li e cava Europa aveva Aureo panier bellissimo, ammirando, Grand'opra di Vulcano che il a Libia in dono

Dato l'uvea di Nettano

// die II diede allor quand'ella al talamo recossi Lo Scoti-terra," al talamo era gita recossi = . Di Ini che scuote il suolo. =:

^ = Equestre =, ^ Y, capo 3 libro Vili,

* Colonese

^ Pausania,

* Colono, 'II,

" Scoti-terra t* Questo sigilo di richiamo manda il lettore alla fine dell' Inno.

118 INNO A NETTUNO

Veggasi Apollodoro, Biblioteca Libro ^ II.

(10) O Menalippe

Alto-succinta.

Aì'ìiohio Clemente Alessandrino, Esortazione ai Gentili: K a À 3 L |i 0 '. X ò V n 0 :; s '. 5 y. a l T ò V •/ ó p 0 V - - ò v x i s :p !> x p - liivov UTi' aO-O'j, xf, V '-^11- V '• ~P - ~"V^r ~ V^ A;i')H(ó VTj V, xrjv Xààó Tir/ V, 3 xyj V 3l£v t Tt.Ti r, V . x i, v AÀv.'jóvr^v, xyjv Iti- ti o 9- ó tj v,^ X yj V X i ó V Yj V, X à S a À À a ? x à ? (i -j p i a ?. :rz Chia- mami qua Nettuno e la schiera violata da lui ; •'' Anfitrite, Amimone, Alope, Menalippe, Alcione, Ippotoe, Chione '^ e le altre infinite innumerevoli =r. Arnobio, Con tra le Gen- tili Nazioni Libro ~ IV: z= Numquid enim a nobis arguitur rex maris, Amphitritas, Halcyonas, Hippothoas, Amymo- nas, Menalippas, Alcyonas per furiosae cupiditatis ardorem, castimoniae virginitate privasse? =: Giulio Firmico, Dell'Er- rore delle religioni profane Capo'' 13 : i= Quis Amymonem, ^ quis Alopen, quis Menalippen, quis Chionem Hippothoen- que corrupity Nempe Deus vester haec fecisse memo- ratur =r. Possono vedersi S. Teofilo, Ad Autolieo. Libro II. Capo^*^ 7. S. Giustino, Orazione ai Greci Capo 2. i' S. Cirillo, Contra Giuliano Libro ^- VI. Alcuno Taluno credea che il vero nome della questa ninfa fanciulla fosse Melanippe. Ma anche il codice di quest'Inno ha Menalippe.

' libro

2 XOp-.V

3 'A^sÓTtr^v,

"* 'l7i7io9-ir^v,

* lui,

* Chione, ^ libro

^ profane, capo

" Amyonem, Autolieo libro IT, capo " capo IL '■■^ libro

INNO A NETTUNO 119

(11) O Mrfrii Alòpc.

Si veda il iao(jo Si veggano i passi di Clemente Ales- sandrino e di Giulio Finnico ^ nella nota precedente, e (jli autori S. Teolilo, S: Giustino, e S. Cirillo nel luogo quivi citato.

(12) O Calliròei rosee guance.

Calliroe^ una delle Xereidi figlie dell'Oceano e di Teti ^ è ricordata da molti scrittori antichi, ma nessuno, die io sappia, tranne il nro poeta, ne fa avvisati clic amolla Nettuno.

(IH) O la legggiadra Alcione,

O Ippotoe.

(15) O di Pittco

La figlia, Etra occhi-nera.

Madre di Tosco. Veggasi appresso la nota 26. (10) O Chione.

Si veggi più sopra la nota 10. (17) Od Olbia.

Stefano il Geografo, alla voce "Latxy. ò?: "ij-:/ xò?, -ÓÀ'. ? I*> '. ^/')v ia? , y.KÒ kaTay.oO/ x o •) Ilo 's lòto vo ? X7.1 •/•')lizv^' '»/.,v.aS = Astaco, città di Bitinia, cosi detta da Astaco figlio di Nettuno e della ninfa Olbia, i::^

' Firmino {evidente errore di stampa)

^ Calllroe, •■' Tetl, * 'Aaizxo'j

*t Qjesto segno di richiamo manda il lettore alcune pagino appresso, ove trovasi, infatti, la corrispondente nota 1^. (Vedi a pag. 121.)

120 INNO A NETTUNO

(18) O l'Eolide Canace.

Può vedersi l'Inno a Cerere di Callimaco.

(19) O Toosa Dal vago piede.

Omero, Odissea Libro I. ^ verso 68 e seguenti:

A À X à n 0 a s 1 5 a (0 V y oc 1 1^ o-/ o » à 3 x s À s S a ì s v ^ KùxXtoTioS xsxóXwxxi, 6v &--f0xÀ(xoo àXàwasv, A V T i D- s 0 V n 0 À u -^ Tj [1 0 V 6 0 'j -/.patos s a x l |i é y '. a t o v n a a t. K u X X oj 71 £ a a '. . B ó o) a a 5 s [i -. v x i x s vO jj. -^ y^ '^ $ópxuvoS O-oydxr^p àXò? àxp'jyéxoio (liSovxoS-* £v^ aTiéaai yXa'^upota'. IToas'. Sdojv. [jli ysTaz

la terra intorno aggira i-»t07'7io , = Ma Nettuno che il suolo tutto circonda, Di terribile sdegno è sempre acceso Per il lo Ciclope ch'ei dell' de l'oocliio ha privo, Per Polifemo a nume ugual, che avanza Tutti i Ciclopi in gagliardia. La ninfa Toosa partorillo, a cui fu padre Forcine, un Dio de 1' infecondo mare, A Nettuno commista in cavi spechi. =

(20) ' O la Telchine Alia.

Diodoro, Biblioteca Libro V. Capo ^ 13 : IT o a s e S w v a ok (•fxaiv) àvSptoS-ivxx £pxa9"^va'-' x*^S^ xwv TsÀ^tvwv àÒBX'-pfji^ AXtzS, xai (itX9-£vxxxxóxr/'^y£vv^axt du-

cono che Nettuno fatto adulto, innamorossi di Alia ^- so-

* libro I,

2 àlSV

4 [léSovxof,

s'Ev

^ Ziòro V, cajpo

"' èpxaOyjxi (evidente errore di staìupa)

* xr^S

10

XZ'JXTJ,

11 póeov

INNO A NETTUNO 121

rella dei Telchini, e avuto affare a fare seco lei, generonne lina figlia ^^e/- nome chiamata Rodo, dalla quale vogliono che r Isola abbia tratto il nome =r. Telchini appellavansi. come è fama, gli antichissimi abitatori di Rodi.

(21j Od Amìmonc candida.

Si veda Una delle Danaidi. Si vedano gli Scrittori ^ di favole, e più sopra la nota 10.

(22) O la figlia

D'Epidanno, Melissa?

Costantino Porfirogeneta, Dei Temi Libro II. ^ Tema 9 : ^

T 0 0 T 0 'j ("K r: i S à |x V 0 u) i)- \) 'fxxr^ p M é À '- a 3 x,* >^ ? ■" y. a l x o 'j n 0 a £ '. 0 co V 0 S ó A 'j p p a X i 0 ? à r y^ ^ è 3 t t x ó re o S è v 'i<; - i-

g d |IV r;) ( •/. -/, À 0 j ;i 2 V 0 ? * ) M S À '. 3 3 V !, 0 ?, £ V i> Z II 0 3 £ '. 5 (0 V

a 0 X 7j 3 u V f^ À ;►- £ .

**::iz Di questi (di Epidauno)^ fu figlia Melissa' della quale e di Nettuno nacque Dirrachio. Da essa ha tratto il suo nome un luogo di Epidanno, detto Melissonio, ove Net- tuno ebbe affare a fare ^ con lei. :=

t *** (U) O Mecionìce.

Esiodo nello Scudo d'Ercole, e l'antico Comentatore di Pindaro nelle note all'Ode Pitia I alla quarta Ode Pi- tica, dicono scrivono che Eufemo, figlio di Nettuno uno

' scrittori

2 libro li,

3 9;

^^

* (Epidanno)

' Melissa,

^ affare

* La parentesi indica che la parola fu cancellata. ** A questo luogo, nello Spettatore, non si va da capo. *** Qui, nell'autografo, che fedelmente riproduciamo, troviamo la nota 14, onde abbiamo detto a pag. 119.

122 INNO A NETTUNO

de^li Argonauti, figlio di Nettuno, fu partorito da Mecio- liice. Pindaro però nell'Ode medesima afferma dice die Eufemo fu era /ùjlio di Netta messo al mondo da Europa i figlia di Tizio, sulla sulle rive del Cefiso. Notisi che Mecio- nice ù detta figlia di Eurota, e die Pindaro cliiama Europa la madre di Eufemo.

(23) Eufemo.

Si vegga la nota 14.

(24) Il Tessalo Triòpe.

Partorito da Caiiac3. Si vegga l'inno- a Cerere di Callimaco.

(25) Astaco. •' e Eudo Onde nomo ha del Sol l' Isola sacra.

Pah vedersi la nota Possono vedersi le note 17. e 20.

(2G) E Teseo.-*

Questo Eroe da alcuni fu fatto figlio di Teseo Egeo, da altri di Nettuno. Veggaiisi Plutarco nella sua Vita, Euiipide e Seneca negl' Ippoliti, Isocrate nell'Elogio di Elena, Diodoro nel Libro IV. Capo 5. •"' dolla Biblioteca, Apollodoro nel Libro III. " Igino nella Favola XXXV. '^ Cicerone nel terzo Libro ^ Della Natura degli Dei, Aristide nella Orazione in lode degli Asclepiadi.

At procul ingenti Neptunius agmina Theseus Angustat clypeo, proi^riaeque exordia laudis, Centum urbes umboue gerit, centenaque Cretao Moenia: ^

dice Stazio nell'ultimo libro della Tebaide.

^ Euroiìa,

■-' Inno

^ Astaco

■* Teseo.

^ libro IV, caiìo 5

" libro III,

^ favola 35,

^ libro

" Moenia =

INNO A NETTUNO 123

(27) Ed Alirrozio.

Epoche d' O vford ; raascniut, Libro I. Euripide nel fine della Elettra ; Demostene, Centra Aristocrate; Eschine, Epistola XI. ^ Epoche d'Oxford ; ,Pausania, Libro I. ' S. Massimo. Prologo dei Comentarj ^ alle opere'* di S. Dio- nigi Areopagita; Antico Comentatore •» di Giovenale, Note alla Satira IX.

(28) Ed il possente

Triton.

Esiodo, Teogonia verso 929. e seguente:

K ■/. ò' "V ;i v' ' ~ P - ~ 'ft ? "/- y-'- i p i */. T 'j - 0 'j 'E V V 0 a L y xiz-j

1' ;: ■■ - •') V 3 0 p 'j ;, : r^ r ■; i v s t o |i é y z S '^

- Ma d'Anfitrite E de lo Scoti-terra alti-sonante Xac(iiio il gr.indo Triton da l'ampia possa.

i29) Dirracliio.

E da vedere la nota 22.

(30) E il battaglioso Éumolpo. Si legga appresso la nota 33.

(31) E Polifemo a nume ugual. " Può vedersi più so2)ra, ^ la nota 19.

(32) Polifemo de l'occhio il saggio Ulisse In Trinacria fé' cieco.

Omero, Odissea Libro '^ IX.

^ epistola XI, 2 libro I; ' Cementi * Opere •'' comentatore

^ egual, ** sopra ^ libro

124 INNO A NETTUNO

(. 3) Eumolpo spense

In Attica Eretteo; ma l en vendetta Tu ne prendesti, o Scoti-terra, e morto Lui con un colpo del tridente, al suolo La casa ne gettasti.

Igino, Favola XLYI. ^ narra la cosa un poco altramente. Ecco le sue parole: ^r. Eumolpus Neptuni fìlius, Atlienas venit oppugnaturus, quod patris sui terram Atticam fuisse diceret. Is victus cum exercitu, cum esset ab Atlieniensi- bus interfectus, Neptunus, ne filii sui morte Erechtheus lae- tarelur, expostulavit ut ejus filia Neptuno inimolaretur. Itaque Otionia filia cum esset immolata, ceterae, fide data, se ipsae interfecerunt : ipse Erechtheus, Neptuni rogatu, fulmine est ictus r_r. Euripide p3rò nello Jone è d'accordo col nostro poeta. Dice Creusa di Eretteo suo padre :

n À yj Y X l T 2 '. z i V r^ S t: o v i i o o a :f ' à ;: À s 3 x v

--=- Da' colpi Del marino tridente egli fu morto. =r

* ApoUodoro non disegna - il genere di morte onde peri Eretteo, ma dice, come l'autore di questo ' inno, ^ che Net- tuno rovinò anche la sua casa.

(34) E Marte istesso

Impunemente non t'uccise il figlio Alirrozio leggiadro.

Pausania, Libro ^ I: ?i a 1 1 ^ Ss èv aO iw xpr^vr^,^' Tixp" r^ X 5 Y 0 0 3 i n 0 3 s '. 5 w V 0 S 7C x e 5 z A À t p p ó i '. o v, (? u y 3c x s- p X A p £ (0 ? A ?v X 1 7T 71 7j V a 1 3 )( ó V a V T a , à t: o 9- z v s i v 6 :: ò ApstoS = Quivi ha vina fonte presso cui dicono che Mar- te uccidesse Alirrozio figlio di Nettuno, il quale avea vio- lata la sua figlia Alcippe. =:

* favola 46 ,

^ disdegna (evidente errore di stampa)

^ Inno,

* libro

^ ÌG3Xt ^ Xp7]VVj

" 71 vp

* Ò71Ò

* Nello Spettatore, a questo luogo, non si va da capo.

INNO A NETTUNO 125

(àòi I numi tutti

Lui concordi dannar.

Aristide, Orazione Panatenaica : A 7. y / i v e i II 0 - s : 5 ò» v (- fo * i A p 2 '. T yj V òr.ìp TO') tz x '. 5 ò S, ^ v. :cl v '. x à ] è v a z a a '. T e i ; H ; 0 : ?• Vv X l T yj V è tc w vj [Ji i oc v ó x ó ti 0 S (0 A p £ 1 0 S ti a- yo e ) Àaiipdvc'. xrjv aOxvjv =z Intenta Muove lite Net- tuno a Marte per cagione del proprio figlio, - e la vince j>j^ co 3 voti di tutti gli Dei ; e da questo avvenimento il luogo (l'Areopago) trae il suo nome=:. Sono da vedere però intorno a questo famosissimo giudizio,-* *S'. Agostino Lat- tanzio, Libro I. Capo 10. e Libro II. Cap. V. Cap. 3. ^ S. Agostino, Della Città di Dio Libro XVIII. Capo 10.'' ed altri, ~ fra' quali i citati nella nota 27.

("6) E neri tori.

S'immolavano tori a Nettuno*^ comesi rileva da rac- coglie anclie da Omero, Iliade. Libro XI. verso 727. ^ da Pindaro, Ode Olimpica XIII. verso 98. e seguente, '*^ Piti- ca IV. verso 365. e seguente, ^^ Nemea VI. verso 69. '- >ì<** e i tori erano neri, come il clie apparisce si da questo luogo dell'Inno come dal libro III.'-^ verso 6. deW della Odissea. Parmi da notare clie in Efeso i giovani che facean da coppieri nella festa di Nettuno ^^ In Trezene eran detti TxOpoi zzr Tauri = Citta di ossia Tori, come vedesi in

2 figlio

•■' co'

* giudizio

^ libro I, capo IO, e libro V, capo 3\

« Dio, libro XVIII, capo 10,

^ altri,

^ Nettuno,

^ Iliade libro XI, verso 727] '"^ XIII, verso 98 e seguente; " ZF, verso 365 e seguente; ^' VI, veì^so 60; '' III, ^* Nettuno,

* La parentesi indica che la parola è stata cancellata. **|* e da Virgilio, Eneide Libro II. verso 201. e seguente. Libro III. verso 119. {Aggiunta dell'Autore)

12G INNO A NETTUNO

o Ateneo, Libro X. ^ e in Eustazio, Conimentarzo al ven- tesimo deW della Iliade: ~ e forse questa festa era'^ quella chiamata Tai.-^six m Taurea =r= che Esichio dice essersi celebrata in onore di Nettuno,

(37) In Trezene.

Città deirArgolide sacra a Nettuno, e però detta Po- sidonia, cioè, •* Nettunia, al rapportare di Strabene. Dice Plutarco nella Vita di Teseo •* che n o a s i o w v x *' T p o g v

V '. 0 '. a i ^ 0 'j a '. 5 '. y. -^ 2 0 ó V t (>) ?. y. z l %-zbi~ o 0 t ó ? s a - i v a ò ~ 0 e S t: 0 À : 0 'j •/ 0 ? , o) '/. a l 7. z p ~ w v à - d p X o v ~ z t. , X a l X p i a '. V z V è - i :; r^ a o v è •/ o 'j a '. t o 0 v o |a t a ji, a x o S ■=. Che i Tre quei di Treze.ie rendono un singolare onore a Nettu.no, Dio tutelare della loro città, gli offrono le pri- mizie dei de' ^ frutti, ed hanno il tridente per insegna della loro moneta 1=. Pausania, Libro II." nota lo stesso delle antiche monete de' **^ Trezenii, e dice inoltre che essi Iloas'.Sw V % (ji^o'jai) 11 ^ za-.Àsz è- cy,À y; a-.v = onorano Nettuno sotto dandogli il sotto il titolo di Ke. =

(38) la Goresto.

Porto illustre,^- e castello,^'^ che PI nio nomina chiama città, nel promontorio dello stesso nome,^-* in Eubea. V'avea

' libro X,

2 Iliade;

^ questa era

loe

•' Teseo,

f' Il03£'.§à)VX.

^ dei

*• libro II, »« dei

'- illustre *^ castello *' nome

INXo A XETTU-Ko 127

un teni])io famosissimo di Nettuno ricordato da Strabene . Libro X. ^ e da Stotano il G eogmtb. alla voce T zpx'.'xi^. Il comentator Greco- di Pindaro nelle note all''^ Ode^ Olim- pica XIII. ■"' scrive che 1 v E ì ;3 o i x F? 0,7. i - t •. a 0 n ò - d v t (o v r z p 7. '. j - i f) V a Y 3 X a '■ ~ 0 j II 0 :; s '. ò o) vi'' g '. à - ò v cj [jl ^ d v t v ys'.;it')va' Trspl rsp-z-.-TÒv = nell'Eubea tutti quei di Ge- resto celebrano una festa in onore di Nettuno^ a cagione di una procella accaduta presso Gere-to. =

(B9) E gran fracasso s'ode e molto pianto.

Ho cercato di serbare nella traduzione, -^ per quanto era possilnle, nella traduzione l'armon'a espressiva che è

nel testo.

(40) E a clt l'aro tuo

Corre ciascun, ti t'intirizza preghi, '" e molte Allor s'offrono a te vittime grate.

Senofonte, Della Repubblica de' Lacedemoni: Is-, ajioO ys V 0 II 3 V o'j, 0'. A a7. sSa'-iió V i G L 'jiivy^aav* -òv -spi Ilo- a £ '. 5 V 0 ? 7c a i à V 7,, x xl ' A y r^ a i - 0 À t ? zf. 'jzxzoxi% 0 u a d- [1 s V 0 ? Il G - 2 •- 5 V i = Sentitosi un tremito. ^^ i Lacedemoni cantarono il Peana di Nettuno a cui nel di vegnente Age- .^ipoli offri un sacrificio. =::

(il) Il tuo

Lucente cocchio è in Ega, nel profondo Del fra romoroso pelago.

Omero, Iliade Libro XIII. verso 21. i- e seguenti.

' libro X,

^ Comentator greco

* Ode, ' XIII,

^' IloastSwv'.,

" ys'.ixwvsc

'^ Nettuno,

" nella traduzione di serbare, '" 2ìrefjhl " tromuoto, ^- Iliade, llhro XI II, vcrs^> 21

* Cosi anche nello >^i,eltiit.)re : invoce dnvrohbe leggersi : -j vn-ivi

128 IXNO A NETTUNO

(42) Altri Eliconio.

la

Veggasi >^ * il luogo di E. Str abone netta nota 58 e V Inni a Nettano attribuito ad Omero, verso 3.

(43) Ed altri T'appella Suniarato.

Nettuno fu così detto ch'amato cosi, percliè se gli ren- deva uti culto 1 particolare in Sunio 2 promontorio dell'At- tica. Possono vedersi Aristofane ne' Cavalieri e negli Uccelli, e il suo antico Comentatore nelle note a quelle Commedie. '^

(44) A Sparta detto Sei Natalizio.

Pausania, L bro "♦ III: ToO O-socxpo-j (toO sv ifl

ItKipZYj) O'J TlÓppW, rioaSlSojVÓS d) icOÒV è ZZI Ts-

'/s d-Xiou, •' X X l H p d) a KXBotxiox) zob i'XXou^ y.xi 0 ò ^ i À 0 0 zir Non lungi dal teatro (di Sparta) e sono il tem- pio di Nettuno Natalizio,''^ e i monumenti eroici di Cleodeo figlio d' Ilio, ^ e di Ebaio. =:r

(45) Ed Ippodromio a Tebe. Pindaro, Ode Istmical." verso 78.

(46) In Atene Eretteo.

Plutarco, Vita di Licurgo; Ateiiagora, Orazione Am- basciata per li Cristiani Capo I."^ Esicliio, voce 'Ep£X{>£'jS; Apollodoro, Biblioteca Libro III.'^ ove si legge: Erittonio.

* rendeva culto ^ Sun io,

^ commedie.

* libro

s r£V£Ì>Àiou

^ Natalizio

« Ilio

® Ode, Istmica I, '* capo I ; '' libro III,

4^* La chiamata, come altrove, rimanda il lettore alla fine delV Inno.

INNO A NETTUNO 129

(47) Chiamanti Elate

Molt" altri.

Esichio, voce V] Xùxyi'^.

(43) Di Trezeni'o.

Veggasi più sopra la nota 37.

(49) O d'Istmio.

Pindaro, Ode Olimpica XIII. verso 4 e seguente. I ginoclii Istniici, ^ e l'Istmo medesimo ove era un tem- pio di Nettuno mentovato da Pausania, Libro II.'* erano sacri a quella Divinità a quel Dio. >^ ^

(50) . I Tessali Petreo Diconti.

Anche Pindaro, Ode Pitica IV. verso 246 ^ questo nome a Nettuno.

(.51) Ei altri Onchestio.

In onore di Nettuno Onchestio celebravano i Tebani una festa ricordata da Pausania, Libro ^ IX. Veggasi la nota 57.

(52) Ed altri pure

Egeo ti noma.

Virgilio, Eneide Libro III. ~ verso 73. e seguente:

r— Sacra mari colitur medio gratissima tellus Nereidum matri et Neptuno Aegeo. --

Licofrone, verso 135.^ chiama Nettuno, AlYX'-wva, e Pindaro, Ode NemeaV. ^ verso 68. e seguente'*^ dice che

' Molti

•'' Olimpia XIII,

' Istmicl

* libro II,

* Ode, Pitica IV, verso 246, ^ libro

'' Eneide, libro III , « 135,

^ Ode, Nemea V, '* seguente,

* La chiamata, come sempre, rimanda il lettore all'ultima pa- gina.

9

130 INNO A NETTUNO

egli soventi volte recavasi all' Istmo, Alyà^-sv = da Ega =r. Veggansi il passo di Stazio nella nota 56. Omero, Iliade Libro XIII. 1 verso 20. e seguenti, e Odissea Libro V. verso 381. V inno ^ a Nettuno ascritto al med Omero al poeta stesso, ^ verso 3. Stefano il Geogra Strabone, Li- bro VIII. e IX. •* e Stefano il Geografo.

(53) E Cinade. Esicbio, voce K u v d 5 r^ S .

(54) E Fitalmio.

Il significato del nome «^oiaXiiio» zzz Fitalmio =:= non è abbastanza a bastanza '•* certo. Esichio dice esser questo un epiteto di Giove xofji ^woyóvou, cioè. Gene- ratore ^ di animali, daZ che potrebbe argomentarsi che il nome Fitalunio questo nome non fosse diverso da quello di rsvéS-Xtos che io poco sopra in quest'Inno ho ren- duto : " =::= Natalizio ^=. Ma che cotesti siano due nomi dif- ferenti apparisce da quest'Inno medesimo, come da Plutarco che nelle Simposiache, Libro V. Quistione III. * riferisce il nome Fitalmio non agli animali a cui appar- tiene l'altro. Natalizio, ma alle piante ; ed è superfluo l'os- servare che 9 u X ó V in effetto vale , : ^ = pianta. =r

(55) Io dirotti Asfaleo, poi che salute Tu rechi a' naviganti.

Antico, Comentatore di Aristofane, note alla Com- media agli Acarnesi: 'Aa-^àXstoS IloasiSòjv ti api 'Af>y,- vxioiS T'.tiàTxt, i'vx àacp aXwS tcXìwj'.v rrz A Nettuno

' Iliade, libro XI li,

' Odissea, libro V, verso 381, l'Inno

* stesso ;

* libro Vili e IX, ' abbastanza

* Penetratore (evidente errore di stampa) ' venduto =

* libro V, Quistione 3,

* vale =

INNO A NETTUNO 131

Asfaleo rendon culto gli Ateniesi, a fine di navigare alla sicura =:: . Strabene, Libro I. ^ parla di un tempio 11^- csiSwvoS Aa-^aXìou=:di Nettuno Asfaleo = o =: Asfa- lio =: ' alzato da quei di in certa Isola ^ da quei di Rodi. Veggasi ^ il luogo di Snida nella nota che segue, f *

(56) Che Tenaro.

Comentator Greco ■'' di Tucidide, note al Libro ^' ì : Tatvapov, à.Y.pozrfpio^^ ( Iloas '.$ v o ? **) Axy.cov i y. ^ ?, tspòv TloastSwvoa. = Tenaro, promontorio di Laconia, ''' e sacro a tempio di Nettuno =. Aristofane, Acarnesi:

0 IloasiSwv, O'jTil* Tatvàpoj O-sò* =1: Nettuno, il Dio che in Tenaro s'onora =:.f ***

Cornelio Nipote, Vita di Pausania: = Fanum Neptuni est Taenari, quod violare nefas putant Graeci =. Pomponio Mela, Libro II. Capo III:* = In ipso Taenaro, Neptuni templum =:. Questo tempio, a dir di Strabene, Libro Vili. ^ era in un bosco, e per testimonianza di Pausania, Libro III.^'^ somigliava una spelonca. Avanti ad esso era la una sta-

(evidente errore di stampa)

' libro I,

' Asfalia

* isola

* Veggansi

i

" greco

« libro

' Laconia

* IIo^js'.S ì)v,

oj-l

» libro II,

capo

'" libro 8,

" libro ni,

* Anche qui la chiamata rimandi il lettore all'ultima pagina. ** La parentesi indica che la parola è stata cancellata. *•* t Stazio, Tebaide Libro II :

= uhi prona Ast dies lonofos super a«quora ftiies Bxigit, atque ingen» medio natat umbra pro.'iiiido. Interiore sinu frangentia littora curvat TaenaruR, expositos 1 non audax scandere fluctus. Illii- Aegeo Neptunus gurgite fessos In portum dedueit equos. =

(Aggiunta dell'autore)

\ exposita (Spett.) (ovidmie errore di stampo)

132 INNO A NETTUNO

tua di Nettuno, clie onoravasi in quel tempio sotto il ti- tolo di Asfaleo, si come ne insegnano queste parole di Snida : T x e v x p o v , à x p 03 x vj p t o v A x x to v. x ■^ S , s v O- a x a l Iloas'.^òjvoS ispòv AacpaXio'j = Tenaro, promontorio della Laconia, dove è pure un tempio di Nettuno Asfaleo =:. Si celebrava in Tenaro una festa ad onore di Nettuno, ^ della quale è fatta menzione da Esichio, alla voce T a i v x- p i a S Possono vedersi Tucidide nel Libro I. - Plutarco nella Vita di Pompeo, e Stefano il Geografo.

(57) E la sacra Onchestia selva.

Omero, Iliade Libro •' II, Beozia verso lo :

"Oyx'^^'^°'^ 0' ispòv IIoGiSr^iov^ àyÀaòv aXaoS

=r Ed Oiichesto Nettunia illustre selva. =z

Ed Onchesto, ^ Sacra a Nettuno luminosa selva. =:

Dione Crisostomo,^ ne Orazione Corintiaca: Co 5 03' [lèv 'HÀiou, '0fxri<3xò£ lIoaei5à)voS r= Rodi è sacra al Sole, Onchesto a Nettuno =. Onchesto era città di Beozia. Pindaro nella quarta Ode Istmica, Lib verso 33. ^ chiama Nettuno, 'Oyx'*ì^'^°'J oìxiovtx =: abitatore di Onchesto =:. E Sono da vedere anche l'Ode I. •' verso 46. e Pausania nel Libro IX. i" Eustazio nelle nel Cemento alla Iliade, verso citato, e più sopra, la nota 51.

(58) E Micale

Micale era un luogo della Jonia, che Erodoto, libro I. Capo 148. 1^ chiama sacro, situato incontro a Samo, in

* Nettuno 2 libro I, " Iliade, libro

•■^ Onchesto " Aristodemo, " PóSoS »* 38,

' I,

1" libro IX; ^' I, capo 148,

INNO A NETTUNO 133

nel quale, al rapportare di Diodoro, Libro V. ^ gli abitanti di sette città della .Ionia si adunavano per fare a Net- tuno grandi sacrificj ^ di antiopa istituzione a Nettuno xG) EÀixtoviw-^ rrr Eliconio —, come dice Strabone, Questa festa chiamavasi II a v. (óve a, cioè, Ragunamento di tutti que' della Jonia. y*

il pinoso Istmo e Geresto. (59) E Trezene ed il pinoso E Trezene ed il pinoso

Istmo, ed Ega, e Geresto. Itsmo,'' ed Ega, •'' e Geresto.

Si veggano le note 37. 49. 52. « e 38.

Avvertimento. ** Quest' inno e stato scoperto da Un mio amico in Roma

r"

nel rimnginautZo i pochissimi manoscritti di una pic- cola biblioteca il *** di quesV dell'anno corrente, trovò in un Codice tutto lacero ^ di cui non rimangono che po- che pagine, quest'inno Greco,-' e poco appresso me ne speditamene una copia, e lietissimo per la scoperta, m'in- citò ad imprenderne la traduzione poetica italiana, facen- domi avvisato che egli era tutto atteso a lo ad emendare il testo greco, e a lavorarne due versioni latine, l'una let-

' libro V, "^ sacri fidi » 'EX'.xwviw =r:

* Istmo « Ega

« ò'7, 49, 52 ~ rimuginare

* lacero,

" Inno greco ;

* La chiamata, come sempre, manda il lettore alla fine del- l' Inno.

** Nello Spettatore, qnesV Avvertimento, anziché seguire, precede V Inno, con poche parole di dedicatoria (che non trovansi nel ma- noscritto che abbiamo sott'occhio) all' amico diletto, che gli fu occa- sione a tradurre Vlnno. (Vedi a pagg. 142-143 del Tomo Vili 118171 dello Spettatore.)

*** Cosi nell'autografo. Nello Spsttatore, in vece, si legge: il G gennaio.

134 INNO A NETTUNO

ferale e l'altra metrica, e a compilare ampie note sopra l'antica poesia. Condussi a fine in poco d'ora l'opera mia assai meno faticosa della sua, ^ ed egli ^ malgrado la ri- jntgnanza che io aveva ad aimunz tutto che tuttoché io ri- pugnassi moltissimo, non volendo annunziare il primo la sua scoperta, 3 e farmi bello di cosa non mia, volle im- posemi che ad ogni patto dessi incontanente al pubblico ^ V opera la mia traduzione, dicendo essersi già tardato anche troppo a far tutti consapevoli dell'accaduto, e tor- nar meglio con una traduzione versione della cosa sco- perta far conto ai letterati lo scoprimento, che darne loro

da clie d'ordinariu son

la secca novella in una gazzetta, gettandoli ne nnwven- eglino per il lo più sono mossi ad impazienza, e doli ad impazienza , e stringendoli stretti quasi a mormo- rare d'ogn' indugio che trappon l'Editore, il quale non può spacciarsi così tosto. Fu forza cedere; ed ecco che io do ad un'ora al pubblico ■' la nuova della scoperta, la tradu- zione dell'Inno in compagnia di alcune note, e la pro- messa di un'altra molto migliore edizione dello stesso greco componimento.

L'Inno pare antichissimo, avvenga che avvengachè il Codice non sembri scritto avanti innanzi al trecento. Comincia nel greco, ^ cosi :

'E vvoa ly X ìov,''' %!j5c v 0)(a cxyjv àpyo|Ji' àst'Ssiv.

Termina con questo verso:

'A [1 :p' àp àLO\.lol<i ^5ctv*, 'juvwv yàp -colai {iéfiyjXs.

Non può di leggeri indovinarsene l'autore, non es- sendone il nome in quello non essendone II nome del- l'autore non è nelle pagine che ci avanzano del Codice, ^

^ sua;

^ scoperta

* Pubblico ° Pubblico •* greco

'' 'Evvociyzlov

* Codice

INNO A NETTUNO 135

già molto più ampio, e non si può di leggeri ind .vinario. L' Inno porta per titolo : T o ù a ù x o 0 E e ?: II o a e -. S w v a ^ = Dello stesso Del medesimo : A - Nettuno ^, da che appa- risce che avea?iO nel manoscritto altri componimenti dello stesso poeta, e di questi si leggono a gran fatica nel Co- dice qua e alcuni frammenti, ^ che non mi è parso

ma, ancora

paruto necessario tradurre, ma ne manco e manco pos- sibile tradurre, ma che il mio dotto e generoso amico pubblicherà insieme coli' Inno ^ descrivendo il Codice troppo più minutamente che io non ho voluto fare. Simonide^ (Scholiastes Euripidis, ad Med. vers. 4. *) e Mirone, ^ o Merone " poetessa di Bisanzio ^ (Eustathius, ad Hom. Il Lib. II. Boeot. vers. 218, segg. ^ **) scrissero Inni a Net- tuno. Ma l'autore di questo mi par bene istrutto delle cose degli Ateniesi, che io lo credo d'Atene, o per lo meno dell'Attica. Panfo Ateniese scrisse anch'egli pure altresì un Inno a Nettuno ^'^ come si raccoglie da Pausania, ^^ (Pau- sanias, in Achaicis Lib. VII. ***) ma quello ora scoperto, benché molto antico, non può essere di quel poeta che si dice vissuto avanti di Omero ;f**** Mi sono Ho adoperato

^ Iloist 5(5'J3c =: (evidente errore di stampa)

' a

' frammenti

* Inno,

* Simonide (1)

* Mirone ' Merone,

® Bisanzio (2),

* seq.

»" Nettuno,

" Pausania (3),

* Nello Spettatore si legge in nota. ** Idem *** Idem ****t oltreché' quivi non ha ciò che Pausania lesse neW Inno del nel compimento di Panfo. Nulla dirò dico dell' Inno a Nettuno'^ non più lungo di sette versi, che è fra gli attribuiti ad Omero quest'ultimo ad Omero.

1 al trecche (SpettJ » Nettuno, (Jd.j

136 INNO A NETTUNO

molto

con ogni cura per tradurre fedelissimamente; e non ho trascurata^ veruna par pure una parola del testo, di che potrà agevolmente venire in chiaro chi vorrà porre ragguagliare la traduzione al confronto dell' coll'origi- nale, uscito che sarà questo alla luce.

Varianti *

[ u{xvoJv yàp B' o'C ys laéXovxai. oiivot, yàp xolai iisXoust.

oi yàp t'oiiytoy yz [LsXovx.

Inno a Nettuno

D'incerto autore sconosciuto ,

nuovamente scoperto.

Traduzione dal Greco

del Conte Giacomo Leopardi

da Recanati.

rjjtvoi òk Y-xl àS-zvàtwv yépoc^ aùxò)/. Teocr. lei ili. 17. vers. 8. **

181(1

* trascurato

* Queste Varianti non sono nello Spettatore. ** Questo verso di Teocrito, nello Spettatore, trovasi subito dopo il titolo dell' /«no (v. a pag. 142 , ma senza gli accenti, che F)ur sono nel manoscritto. Nello Spettatore ^pagg. 16ij-164) seguono, poi, le due Odae adespotae, die non si leggono nel nostro manoscritto.

INNO A NETTUNO 137

, e tra' nostri, Dante nel quintodecimo del Purgatorio:

= Se tu se' sire della villa Del cui nome ne' Dei fu tanta lite. =

(Vedi a pag. 110 di questo libro, e a pag. 150 dello Spettatore.)

Aristofane nelle Nubi, Atto I. Scena I. fa giurare Fi- dippide per Nettuno equestre.

(Vedi a pag. Ili di questo libro, e a pag. 154 dello Spettatore.)

Veggansi Omero, Iliade verso Libro xxiii. verso 404. e i Comentatori a quel luogo ; Pausania, Libro vii ; Eustazio, Comeìitario Comento all' alla Iliade Libro ii ; Beozia verso 82 ; l'Inno a Nettuno attribuito ad Omero, verso 3. e la

(Vedi a 2)ag. 128 di questo libro, e a pag. 100 dello Spet atore.)

*^ Da un passo dell' Inno di Callimaco a Delo par si debba raccogliere che Ceneri = In eo (Isthmo) dice Pom- ponio Mela Libro ii. Capo 3. oppidum Cenchreae fanum Neptuni, ludis quos Isthmicos vocant, celebre nomina Ceneri =.* Callimaco nell'Inno a Delo nomina Ceneri come luogo singolarmente sacro a Nettuno.

(Vedi a pag. 129 di questo libro, e a pag. 161 dello Spettatore.^ * Nello Spettatore mancano le due ultime parole.

138 INNO A NETTUNO

*f ; Macrobio, Saturnali Libro i. Capo 17. ed Eustazio, nel Covientario Comento al primo della Iliade, verso 36. e al quinto, verso 311. e seguenti. ' X'j:f±Xt'.x vale: =: si- curtà nr.

(Vedi a pag. 131 di questo libro, e a pag. lh'2 dello Spettatore.)

SUL MONUiMExNTO DI DANTE

CHE SI PREPARA IN FIRENZE.

Un quadornotto di sei facciate interamente scritto (co^ìer fina cenero(jnola) .

SUL MONUMENTO DI DANTE

CHE SI PREPARA IN FIRENZE.

Perchè le nostre genti S(jtto Pace sotto le bianche ali raccolga, Non fien da' lacci sciolte De * l'antico sopor h l' itale menti, '^

S'

/S'è a i ^ patri"' esempi'' de la" prisca etade Questa terra fatai non si rivolga.

a cuor ti stia

0 Italia, o Italia, i tuoi passati onora

Far ai** passati onor, '•* che d'altrettali

Poi che di tali spirti

' Sopra il monumento di Dante che si prei)ara in Firenze.

[Boi. 1824].

Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze.

[Fir. 1S31; Pater. 1834; Nap. 1835; Fir. 183G; Flr. 1845].

-' DeW [Nap. 1835; Fir. 1836; Flr. 1845].

■'' nienti [Boi. 1824; Fir. 1831; Pater. 1834; Xnp. 1835;

Fir. 183(3; Fir. 1845]!

* ai [Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].

"patrj [Roma 1818].— pa^rii [Xap. 1835; FtV. 1836; Fir. 1845].

* esempi [Roma 1818].

' della [Nap. 1835; Fir, 1836; Fir. 18^15]. « ai [Boi. 1821; /^iV. 1831; Pater. 1834; .Y«^). 1835; /Vr. 1836;

Fir. 1845]. ^ o?ìor; [Nop. 1835; /Vr. 1836; i-'ir. 1845].

142 SUL MONUMENTO DI DANTE

Oggi vedove son le tue contrade, c'è^ chi d'onorar ti si convegna. ^ Volgiti indietro ^ e guarda, "* o patria mia^ Quella turba •' infinita d' immortali, E piangi e di te stessa ti disdegna; ^ Che se non piangi, ogni speranza è stolta : ~ Volgiti e ti vergogna e ti riscteoti, ^ E ti punga una volta Pensier de gli^ avi nostri e de' nipoti. *^ D'aria e d'ingegno e di parlar diverso Per lo toscano suol cercando già '^ L'ospite desioso

Dove giaccia colui per lo cui verso Il Meonio ^- cantor non è più solo;^'^

> v'è [Xap. 1835; Fir. 1830) ; Fir. 1845], ■^ convegna, [Paler. 1834]. conveng-a.* [Boi. 1821]. ■' indietro, [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1831; Nap. 1835;

Fir. 1836; Fir. 1845].

* gtiarda [Boi. 1824].

«* schiera [Fol. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835;

Fir.lSm; Fir. 1845].

* disdegna: [Paler. 1834]. ' stolta. [Paler. 1834].

Che senza sdegno ornai la doglia è stolta: [y<^'p- 1835;

Fir. imy] Fir. 1845]. « riscuoti, [Roma 1818; Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Na2J. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. » degli [Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. '" nepoti. [Nap. 1835; Fir. 1836]. " ^ìa [i?oma 1818].

'•-' meonlo [Boi. 1824; Fir. 1831; /Wer. 1834; .Ya^j. 1835;

Fir. 1836; /Vr. 1845]. '■'' solo. [Boi. 1824; i'^ir. 1831; Paler. 1834; lYa^j. 1835; Mr. im\;

Fir. 1845].

* Cosi nel testo; ma a pag. 201 leggesi:

ERRORI CORREZIONI

Pag. Un. *2Q 13 convenga convegna.

SUL MONUMENTO DI DANTE 143

Ed oh vergogna ! ^ * udia -

Che non ch'iP cener freddo e l'ossa nude

Giaccian esuli ancora

Dopo il funereo di sott' altro suolo, *

Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso, ^

Firenze, a quello per la cui virtude

Tutt^ Tutto il mondo t'onora.

Oh voi pietosi ^ ** onde si tristo e basso

Obbrobrio laverà nostro paese ! "

Bell'opra hai tolta, ^ e di eh' ^ amor ti rende,

Schiera prode e cortese,

Qualunque petto amor d' Italia accende.

Amor d' Italia, ^^ o cari. Amor di questa misera vi sproni. Ver cui pietade è morta

che

In ogni petto omai, perciò c/f' amari Giorni dopo il seren dato n'ha il cielo. '^

' Ed (oh vergogna) [Boi. 1824; Flr. 1831; Paler. 1834]. Ed, oh vergogna! [Xaxy. 1835; Flr. 1836; Fir. 1845]. 2 udìa [Roma 1818].

» che '1 [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834]. che il [Xap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845], * suolo; [Roma 1818]. ' sasso [Boi. 1824].

'''pietosi, [Flr. 1831; Paler. imi] Xap. 1835; Flr. 1836;

Flr. 1815]. ''paese: [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834]. » tolta [Boi. 1824; Flr. 1831; Paler. 1831; xY«p. 1835; Flr. 183(5;

Flr. 184P.]. » che [Flr. 1845]. '" Italia [Boi. 18^]. " Cielo. [Boi. 1824]. cielo*** [Paler. 1834].

* Dopo Ed, e dopo vergogna, nell'autografo, la virgola fu cancel- lata dall'Autore.

** La virgola dopo pietosi, nell'autografo, fu prima scritta e, poi, cancellata.

*** Evidente errore di stampa.

144 SUL MONUMENTO DI DANTE

Forza ^ v'aggiunga^ e vostra opra coroni Misericordia, -^ o figli,

affanno, *

E duolo e sdegno di cotanto lutto, Onde bagna costei le guance e '1 -^ velo.

dirizzorassi

Ma come a voi convertirassi il canto ^ Cui non pur de le cure e de' consigli, ^ Ma de 1' '* ingegno e de la ^ man daranno I secoli futuri eccelso vanto

e mostre »

Oprate a (java ne la ^^ dolce impresa? Come a gran forza i- ecciteravvi il core?^^ Come a la mente accesa ^^

Crescerà novi raggi e novo ardore? '^

Rinforzerà la vampa e lo splendoreì Voi spirerà l'altissimo subbietto.

" Spirti [Boi. 1824 ; Flr. 1831 ; Paler. 1834 ; Nap. 1835 ; Flr 1836 ;

Fir. 1845]. ^ aggiunga, [Roma 1818]. \ Misericordia [Boi. 1824].

* affanno [Boi. 1824; Fir. 1831; Valer. 1834; Nap. 1835;

F.r. 1836; Fir. 1845]. •^ il [Naiì. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].

" Ma voi di quale ornar parola o canto [Boi. 1824; Fir. 1831; Faler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. ^ Si debbe, a cui non pur cure o consigli, [Boi. 1824; Fir. 1831; Pater. 1834; Nai). 1835; i^ir. 183(3; i^*V. 1845]. « ^ZeZ^' [.Y«7>. 1835; Fir. 1836; /'tV. 1845]. « della [Nap. 1835; i'^V. 1836; Fir. 1845]. "• I sensi e le virtudi eterno vanto [Boi. 1824; i-'iV. 1831; Pater. 1834; Na2ì. 1835; /'ir. 1836; i^ir. 1845]. '• netta [Nap. imo,. Fir. 1836; Fir. 1845]. '■^ foga [Roma 1818].

'•■' Quali a voi note invio, si che nel core, [Boi. 1824;

Fir. 1831; Pater. 1834; A^a^?. 1835; Fir. 1836; i^ir. 1845].

^* Si che ne l'alma accesa [Bot. 1824; Fir. 1831 ; Pater. 1834].

7ie^^' [xV«2J. 1835; Fir. 1836; i'^ir. 1845].

^^ Xova favilla indurre abbian valore? [Boi. 1824; Fir. 1831;

Pa^er. 1834; Nap. 1835; /\>. 1836; Fir. 1845].

SUL MONUMENTO DI DANTE 145

Bd acri punte

E sproni acuti premeravvi al seno.

Chi dirà l'onda e '1 ^ turbo

Del furor vostro e de 1' ^ immenso affetto?

Chi pingerà l'attonito sembiante?

Chi de ^ gli occhi il baleno?

Qual può voce mortai celeste cosa

Agguagliar

Aden (ar ligur an d o ?

Mano a lo scalpro scalpro scalpro.

A Vopra a Vopra Oh quanti plausi * oh quante ^

Lagrime a voi la bella Italia serba ! •'

Come cadrà? come dal tempo rosa"

Fia vostra gloria o quando?

Voi ' di eh' il ^^ nostro mal si disacerba ^

Sempre vivete, ^^ o care arti divine,

nostra sventurata gente,

Conforto a nostre sventurate sorti Su " r itale ruine

1 il [Nap. 1835; Flr. 1836; Fir. 1845]. -' deW [S^ap. 1^35; Fir. 1836; Fir. 1845]. ^^ de<)li [Nap. 1S35; Fir. 1836; P'ir. 1845].

* Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante [Boi. 1824

i''ir. 1831; P«Zer. 1834; Xap. 1835; i'Vr. 1836; Fir. 1815] ^ Lagrime al chiaro avello Italia serba. [Boi. 1824; Fir. 1831

Pater. 1834] Lacrime al nobil sasso Italia serba! [Nay.lQSò-^ Fir. 1^Q>

Fir. 1845].

rósa [Boi. 1824].

ròsa [Flr. 1831; Pater. 1834]. " Voi, [Boi. 1821 ; Fir. 1831 ; Pater. 1834 ; Na^y. 1835 ; Fir. 1836 ;

Fir. 1&15 .

che '1 [Boi. 1824; P'ir. 1831; Pater. 1834]. eh' il [Xajì. 1835; Fir. 1836].

che il [P'ir. 1845].

* disarerha, [Boi. 1824; Fir. 1831; Pater. 1834; Na^^. 1835;

Fir. 1836; Fir. 1845]. '" vivete [Boi. 1824].

" Fra [Boi. 1824; Fir. 1831; Pater. 1834; Xap. 1835; T-'ir. 1886;

P'ir. 1845]. * Dopo p?attn, col microscopio, parrebbe vedere una virgola.

10

146 SUL MONUMENTO DI DANTE

a celebrare

GÌ' itali pregi ^ ad onorare intente.

Ecco Ecco voglioso anch' io Ad onorar nostra dolente madre

Por Porto

Reco quel che mi lice,

E mesco a 1' ^ opra vostra il canto mio ^

Sedendo u' l vostro ferro i marmi avviva.

0 de l'Ausonio ^ carme ^ inclito padre,

Se di cosa terrena ^

Se di colei " che tanto alto locasti

a i ^

Qualche novella ai vostri lidi arriva, Io so ben che per te gioia " non senti, ^^ Che ^' saldi men che cera e* men ch'arena ^-

Verso la

Verso la fama che di te lasciasti ^^

* prefij [Roma 1818].

•' alV \Naiì. 1835; Flr. 1830; Flr. 1845]. » mio, [Nap. 1835; Flr. 1836; Fir. 1845].

* aìiaonio [Boi. 1824].

^ O de l'etrusco metro [Flr. 1831; Paler. 1834].

dell' [Xa2i. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].

« terrena, [Boi. 1824; Flr. 1831; Palei^ 1834; Naj). 1835;

Flr. 1836; jF^/r. 1845]. ' costei [i^ir. 1831; Paleì\ 1834; .Va^j. 1835; /^i'r. 1845].

* «t [A^«2'- 1835; Flr ^ gioja [Eoma 1818].

" senti.* [Boi. 1824].

Che [Boi. 1824; i'^ir. 1831; Paler. 1834]. " «re?i«, [/^o^. 1824; Flr. 1831; Pa^er. 1834; AV/^j. 1835; i^'/r. 1836;

i'^ir. 1815]. '3 Lisciasti, [Boi. 1824; i^iV. 1831; PaZ«r. 1834; .Ya^>. 1835;

Flr. 1836; Pt>. 1845].

* Nell'edizione di Bologna [182l], a ] ag. 27, leggesi:

file saldi men che rt>ra. è men ch'arena,

ma, a pag. 201, trovasi corretto l'evidente errore di stampa, e 1' "è„ diventa: " a men

*Cofì nel tofto, ma alla pag. 201 dianzi citata; non senti uon senti.

SUL MONUMENTO DI DANTE 147

Son bronzi e marmi, ^ e se da le ^ nostre menti

Se mai cadesti ancor, shmqiie s'unqua cadrai cadrai.

Cresca, se crescer può, nostra sciagura, ^

E in sempiterni guai

Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura.

Ma non per te, ^ per questa ti rallegri Povera patria tua, shinque s'unqua l'esempio De gli 5

Degli avi e de' parenti Ponga Porrà ne' figli sonnacchiosi ed egri

Tanto valor eh' ^ un tratto alzino il viso.

0 secol turpe e scempio! ~

Qual vedi Italia ch'era si meschina, ^

Leggiadro spirto, allora *

Che di novo ^*^ salisti al paradiso! ^^

' marmi; [Boi 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; X^q). 1835; i^t'r. 183G

Fir. 1845] « dalle [Xap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. 3 sciagura, [Roma 1818; Fir. 1831; Paler. 1834].

* te ; [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Xa2). 1835; Fir. 1830

Fir. 1845] ' Begli [Xajì. 1835; Fir. 1836; Fir. 1815]. « che [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; .V«2J. 18a5; /«'tV. 1836

Fir. 1845] ' Quale e da quanto scempio [Boi. 1824; Fir. 1831; Pa-

Zer. 1834] Ahi, da che lungo scempio [Xa^). 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]

Vedi guasta colei che si meschina [5o^. 1824; Fir. 1831

Paler. 1834; A^a^?. 1835; Fir. 1836] Vedi afflitta costei, che si meschina [Fir. 1845]. » Te salutava allora [Boi. 1824; Fir. 1831; Pa/er. 1834 Xap. 1835; i^tV. 1836; Fir. 184'>] nuovo [Po;. 1824; Fir. 1831; Pa^er. 1834]. " Paradiso! [Eoma 1818].

i^ararftso; [Boi. 1824; Kr. 1831; Paier. 1834].

148 SUL MONUMENTO DI DANTE

Ora è tal che rispetto a quel che vedi ' *

Ora Or tale e fatta chiappo quel che vedi, AUor fu noUlissima fu beatissima e regina. '^ Aliar, dirai, fu nobile e reina.

Mostrar chi si rincora'^

eh'

Il mal che e'^ fia gran che, s'udendo il credi?

gli altri nemici e l'altre doglie "

Taccio ogni altro nemico ogni altra sorte

nera ^

Ma non la Francia scellerata " e cruda nera

lo" soglie

Per cui fin presso a morte

Vide l'ultima sera.

Giunse l' Italia ^"^ mia ^' distesa e nuda.

' AUor beata pur ((qualunque intende [Boi. 1824; Flr. 1831;

Pater. 1831] Oggi ridotta si clie a quel che vedi, [Nap. 1835 ; Fir. 183G

Flr. 1845] '^ A' novi affanni suoi) donna e reina; [Boi. 1824; Flr. 1831

Pater. 1834] Fu fortunata allor donna e reina. [Nap. 1835 ; Flr. 1836

Flr. 1845] ^ Ch'or nulla, ove non fora [Boi. 1824].

fora [Flr. 1831; Paler. 1834]. Tal miseria l'accora [Nap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].

* è** [Roma 1818].

^ Somma pietade assai, pietade attende. [Boi. 1^1^] Flr. 1831;

Paler. 1834]. Qnal tu forse vedendo a te non credi. [Nap. 1835; Flr. 1836]. mirando [Flr. 1845].

« do(jlle ; [Boi. 1824 ; Flr. 1831 ; Nap. 1835 ; Flr. 183t) ; Flr. 1845].

doylle.*^* [Paler. l':34]. ' scelerata [Boi. 1824]. « nera, [Boi. 1824]. Ma non la più recente e la più fera, [Flr. 1881; Paler. 1834; Na2ì. 1885; Flr. 1836; Flr. 1845]. " alle [Nap. 1835; Fir. 1836; Flr. 1845;. '" la patria [Boi. 1824; Flr. 1831; Paler. 1834]. " tua [Nap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].

* Dopo rcrft, la virgola, nell'autogralo, fu cancellata dall'Autore. ** Evidente errore di stampa.

*** Idem

SUL MONUMENTO DI DANTE 149

Beato te eh' il ^ fato

tant 'orrore, tanto orrore, *

A viver non dannò fra tanti orrori

Che non vedesti in braccio

L' itala moglie a barbaro soldato, ^

colti -^ Non predar ^ non guastar cittadi e ville

Di Franche torme il bestiai furore, ^

Non de gì' " itali ingegni

Tratte l'opre cattive * h miseranda

Schiavitude oltre l'alpe, e non de'^ folti

Carri impedita la dolente via, ^^

Non gli aspri cenni ed i superbi regni, ''

Non le minacce udisti gli udisti cltraggi e la ne-

Voce di libertà che ne schernia [fanda

Tra de le '^

t ra '1 ^- suon delle catene e de' flagelli. *

' che H [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834]. che il [Xa2). 18:35; Flr. 1836; Fir. 1845]. « orrore; [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Xap. 18:5;

i^iV.1836; i^tV. 1845].

* soldato; [Boi. 1824; Flr. 1831; Paler. 1834; Kaj,. 1835;

Fir. 1830; Fir. 1815],

* jìredar, [Xai). iaS5; Fir. 1836; Fir. 1845]. ' còlti [Fir. LS31; Paler. 1834].

® L'asta inimica e '1 perogrin furore; [Boi. 1824; Fir. 1831;

PaYer. 1834]. il [Aa2>-1835; /Vr. 183f5;

i^iV. 1845]. def^r [Xaji. 18a5; Fir. 18 r); i-Vr. 184-5]. « divine [Boi. 1824; /-'*>-. 1331; Paler. 18:34; .Vaj^ 1835: /'^r. iHdCy,

Fir. 1845]. » da' [Boi. 1824].

uta; [5oZ. 1824; Fir. 1831; Pc^^er. 1831; Xaj). 1835; i'V/-. 18:3(>;

/'ir. 1845]. " reffui; [Boi. 1824; Fir. 1831; 7^a/er. 1834; .Yw;». 1835;

Fir.lHm;Fir.imh\. '■' il [Xap. 1«35; Fir. 1836; Pir. 1845]. '^ ^/ei^e [.Va^>. 1835; P*'r. 1886; Fir. 1^5].

* Dopo^ajiWt, nell'autrigrafo, c'è un punto interrogativo, che venne cancellato dall'Autore.

150 SUL MONUMENTO DI DANTE

soffrimmo ? intatto

Chi non si duol? che non soffrimmo f* intatto "i

Che lasciaron quei felli?

Qual tempio ^ quale altare o qual misfatto ?

venimmo a si perversi

Perchè vedemmo mA ù feri tempi? Perch'iP nascer ne desti ^ o perchè prima Non ne desti ^ il morire, Acerbo fato? onde a stranieri ed empi Nostra patria vedemmo vedendo ancella e schiava,

da mordace

E roder suo valore acuta lima

la sua virtù,

Roder lo suo valor ^ di nuli' aita E di nullo conforto

Lo spietato dolor che la stracciava

Scemar potemmo il duol che la stracciava.

Ammollir ne fu dato in parte alcuna.

Ahi non il n** sangue nostro e non la vita

Avesti, ^ o cara, ^ e morto

Io non sou per la tua dira ' fortuna.

il pianto infino al suol mi gronda. * duol m ' inonda.

Qui si eh' io grido e gli occhi il pianto inonda.

' tempo, [Boi. 1824]. tempio, [Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836;

Fir. 18451. » Perchè '1 [Boi. 1824; Fir. 1831; Paer.lHU]. il [Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. » désti [Boi. 1824; Fir. 1831; Faler. 1834].

* désti [Fir. 1831; Paler. 1834] .

* Avesti [Boi. 1824]. " cara; [Fir. 1845].

" cruda [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 18::6;

Fir. 1845].

* Qui l'ira al cor, qui la piatale abbonda: [Boi. 1824].

pietade [Fir. 1831; Paler. 1834;

Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].

* L'interrogativo, dopo soffrimmo, vedesi cancellato, e scritto dopo intatto.

** Avéva incominciato, come si vede, a scriver nostro.

SUL MONUMENTO DI DANTE 151

Pugnò ^ * cadde gran parte anche di noi, ^ Ma per la moribonda Italia no, ^ per li tiranni suoi. Padre, se non ti sdegni,"*

Cambiato ^ quel

Cangiato se' ^ da qual che fosti in terra. Morian ' fra le Rutene ^

Orride^ piagge, ** ahi d^ d'altra morte degni, GÌ' itali prodi, ^^ e lor fea Varia aere e '1 ^^ cielo *** E gli uomini e le belve immensa guerra.

a squadre a squadre

C adeano e a schiere a schiere

maceri

Semivestiti ^~ e squallidi e cruenti, '^

Ed era letto strato letto a gli ^^ egri corpi il gelo.

Allor Allor, quando traean l'ultime pene,

' Pugnò, [Fu: 1831; Pater. 1834; Xap. 1835; Fir. 1838;

Fir. 1845]. 2 noi; [Boi. 1824; Paler. 1834]. noi: [Fir. 1831; Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].

•'' no; [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Xap. 1835; Fir. 1845].

* sdegni [Roma 1818].

^ Mutato [Boi. 1821; Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835;

Fir. 1836; Fir. 1845]. « s^i [Nap. 1835; i-^/r. 1836; Fir. 1845]. ^ .Uorla7i [/^o»t« 1818].

^ per le rutene [Boi. 1824; Fir. l>i'òl] Paler. 1834; Nap. 1835;

i'^ir. 1836; Fir. 1845]. » Squallide [Z^oZ. 1824; Fir. 1831; P«/er. 1831; .Vai?. 1835;

Fir. 1836; Fir. 1845]. '" ptrodi; [Boi. 1824; Fir. 1&31; Paler. 1834; .Ya^?. 1835;

Fir. 1836; Fir. 1845]. ''il [Naiì. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].

'^ Semivestiti, [Boi. 1824; Fir. 1831; FaZer. 1834; X/^j». 1835;

Fir. 1836; i-'ir. 1845]. " crMe?i«i [/ioZ. 1824]. '* agli [lioma 1818; .V«2?. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].

* La virgola dopo pugnò, nell' autografo, fu cancellata dall'Autore. ** La virgola dopo piagge, fu prima tolta, e, poi, rimessa.

*♦♦ La virgola dopo cielo, nell'autografo, fu cancellata dall'Autore.

152 SUL MONUMENTO DI DANTE

Membravan ^ queste questa desiata madre ' Dicendo, Oh ^ non le nubi e non i venti * Ma ne spegnesse il ferro, e pel ^ tuo bene, ^

O Italia o Italia O patria da te rimoti,'

O jmtria o 2)atria nostra!" Ecco in remoti,

Quando più bella gioventù ci ride,*^ Campi, oh quanto, quando l'età meglio ci ride,

Paesi, oh quanto è 7 del che ne divide,!

A tutto il mondo ignoti ^

Moriam per quella gente che t'uccide.

Lor tristo

Vide lor fall fato il pallido deserto

E Borea vide borea vide

Eie Ed Aquilone e le fischianti selve. '^

Cosi vennero al passo,

E i negletti cadev cadaveri al''- aperto

Su per quello di neve orrendo'^ mare

Sbranar frementi su ^^e?' V arduo mare

> Membrando [Nap. 1835; Flr. 1836; Fir. 1845]. « mjidre, [Boi. 1824; Fir. 1831; Pater. 1834; Xaj). 1835;

Fir. 1Mb]. 3 Dicendo; oh [Boi. 1824].

Dicendo: oh [Flì\ 1831; Paler. 1834].

Diceano: oh [Na2). 1S35; Fir. 183G; i^'ir. 1845].

* venti, [Boi. 1824; Flr. 1831; Pater. 1834; Xa2). 1835;

i^ir. 1836; i^^r. 1845]. ' per [Xap. 1835; Flr. 1836; Flr. 184.5]. « ìjene [Boi. 1824: ' nostra. [Boi. Ì824; Flr. 1831; PaZer. 1834; .Y./^?. 1835;

i-^'r. 1836; i-Vr. 1845].

* Quando più bella a noi l'età sorride, [Boi. 1824; Fir. 1831;

Paler. 1834; .Y«i>. 1835; i-^i'r. 1836; Fir. 1845]. » i>io<i', [Boi. 1824; PtV. 18*1; 7'aZer. 1834; Nap. 1835;

i-Vr. 18-6; i'V'r. 1845]. Ma di lor fato il boreal deserto [Boi. 1824].

Di lor querela [Flr. 1831; P«Zer. 1834;

Yajj. 1835; Flr. 1836; i-Vr. 1845].

'' E conscie fnr le sibilanti selve. [Boi. 1824; Pir. 1831;

Pater. 1834; Ya^?. 1835; Flr. 1836; i'/r. 1845].

1-' all' [.Va^j. 1835; P^'r. 1836; Flr. 1845].

'^ orrido (PoZ. 1821; Flr. 1831; PaZer. 1834; Xaji. 1835;

i'V. 1836; Pi r. 1845].

SUL MONUMENTO DI DANTE 153

Si smozzicar le

Di nere orride belve, ^

E fia l'onor de' generosi e forti -

Ed un fia 7 nome a chi verrei de^ forti

Pari mai sempre ed uno

E de (fU ec/ref/iy ed imo

Con quel de' tardi e vili.

Z>e' vili e Je' vibahli. Anime care, Bendi' ^ infinita sia vostra sciaiira, ^ Datevi pace, •'* e questo vi confv^rti Che conforto nessuno

o

Avrete in questa e no 1' ^ età futura. In seno al vostro smisurato affanno Posate." 0 di costei veraci figli,

supremo

Alain Al cui lììartire e al danno

Il vostro solo è tal

Forch il vostro non e che rassomigli. ^

Di voi già non si lagna La patria vostra, ma di chi vi spinse A pugnar contra lei ® Si ch'ella sempre amaramente piagna

' Dilaniar le belve; [Boi. 1824]. Dilacerar [Flr. 1831; Pater. 1834; Xap. 1835:

Flr. 1845]. Dilacerar [Fir. 1836].

* E sarà '1 nome de gli egregi e forti [Boi. 1824; Fir. 1831;

Pater. 1834]. r, il degli [Xaiì. 1835; Fir. 183G;

Fir. 1845]. » Ben che [Boi. 1824; Flr. 1831; Pater. 18-34].

* sciagura, [Xap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].

' 2mce; [Boi. 1824; Fir. 1831 ; Xap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].

pace: [Pater. 18^]. « neti' [Xap. 1835; Fir. 1836; Flr. 18-15], ' Posate [Boi. 1824]. « s'assomigli. [.Vo^?. 1835; Fir. 1836; i-^'r. 1845].

* tei, [Xap. 1835; /^iV. 1836; Fir. 1845]. t7 [xVa^^. 1835; Flr. 1836; i'^ù-. 1845].

" lacrimar [Xap. 18a5; i'^iV. 1836; Flr. 1845].

154 SUL MONUMENTO DI DANTE

Oh di costei ^ che tanta verga strinse ^ Pietà nascesse in core A tal de' suoi che ^ affaticata e lenta Di si buia ■* vorago -' e si profonda La ritraesse ! ^ 0 glorioso spirto, Limmi, ~ d'Italia tua morto è l'amore?

Dimmi, gran la vampa

Dimmi la fiamma che t'accese ^ è spenta?

Dimmi, mai ^ rinverdirà quel mirto

Che tu festi sollazzo al nostro male?^^

E saran tue fatiche a l'aria sparte? ^^

sorgerà mai tale

Che ti rassembri in qualsivoglia parte?

In eterno peri la gloria nostra? ( ,2

E non d'Italia il pianto e non lo scorno l

Ebbe n * verun confine ? ^^

Io mentre vivo viva andrò ^ sciamando intorno,*^

' costei, [Boi. 1824; Flr. 1831; Paler. imi]. 2 stri7ise, [Boi. 1824; Fir. 1831; Faler. 1834].

Oh di costei ch'ogni altra gloria vinse [Fir. 1845]. « eh' [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836;

Fir. 1845].

* buja [Rovi a 1818].

» Di si torbida notte [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1334]. « ritraesse. [Boi. 1824].

' Binimi: [Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; i'^/r. 1836;

Fir. 1845].

8 ^'accese, [Roma 1818; 2?oZ. 1824].

Di: quella fiamma che t'accese, [Fir. 1831; Paler. 1834;

iVa2>- 1835; Fir. 1836; Kr. 1815].

» Di: più mai [Fir. 1831; Paler. 1834; .Va^?. 1835;

i^tV. 1836; i'W. 1815].

Ch'alleggiò per gran tempo il nostro male? [Fir. 1831;

Paler. 1834; .Vce^^. 1835; Fir. 1836; i^ir. 1845].

*' Nostre corone al suol fien tutte sparte? [Nap. 3^35;

Fir. 1836; Fir. 1845]. ''^ In eterno perimmo? e il nostro scorno [Nap. 1835;

Fir. 1836; Fir. 1845]. '' Non ha verun confine? [Nap. 1835; i'^ir. 1836; Fir. 1845]. '^ tn^orjio; [Fir. 1845].

* Si vede chiaramente che voleva scrivere nessun.

SUL MONUMENTO DI DANTE 155

Volgiti a gli' avi ^ tuoi, guasto legnaggio, "^

Mira queste ruine *

E le carte** e le tele e

Le tele , e i marmi ed l palagi e i templi, *

E se le carte divine,

qual terra premi, "

Pensa che terra e questa, e se svegliarti ^ Non può la luce di cotanti esempli," Che stai? levati ^ e parti.

si corrotta usanza

Non si conviene ^ a vostra turpe turpe Questa d'eccelse menti '^ altrice e scola: Se di codardi '' è stanza, '"- Meglio r è rimaner vedova e sola.

1 agli [Nap. 1835; Fir. 1836; Plr. 1815;.

2 a' padri [Boi. 1824].

" legnaggio; [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1831; Xajj. 1835;

* tèmpi : [Boi. 1824]. templi; [Fir. 1831; Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. templi: [Paler. 1834]. ^ preni] [Fir. imi] Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836;

Fir. 1845]. « destarti [Fir. 1831; Pa^er. 1831; JVajj. 1835; Fir. 1836;

i'^ir. 1845]. L'avite ossa rimembra, e se destarti [Boi. 1824]. ' Il radiar non può di tanti esempi, [Boi. 1824]. « levati [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834]. ® convien [i?o?>ia 1818].

»" (^ues^a di prodi ingegni [Boi. 1824; i'^i'r. 1831; PaZer. 1834]. d'animi eccelsi [Nap. 1835; Fir. 1836; PtV. 1845]. " d'infingardi [Fir. 1831; Pa;er. 1834]. '^ stanza; [Roma 1818].

* Dopo ruine, nell'autografo, era una virgola, che fa cancellata dall'Autore.

** Anche dopo carte la virgola fu cancellata.

AD ANGELO MAI

Un quadernetto di otto facciate, onde le due ultime in bianco (copertina verde).

AD ANGELO MAI'

Italo ingegno, - a che già ^ mai non posi * Di svegliar da le ^ tombe I nostri padri? e a favellar^ gli meni A questo secol morto " * al quale incombe

come

Si gran "^ nebbia di tedio? E per or vieni

* Canzone ] di | Giacomo Leopardi j ad [ Angelo Mai [Bolo-

gna MDCCCXX].

Ad Angelo Mai* | quand'ebbe trovato i libri | di Cicerone

della Repubblica [Boi. 1824] Ad Angelo Mai, | quand'ebbe trovato i libri [ di Cicerone della Eepubblica. [Fir. 1831; Paler. 18M; Na2i. 1835

Fir. 1836; F.r. 1845] 2 ardito, [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; NajJ. 1835

Flv.l^G) Fir. 1815] ^giammai [i^'ir. 1831; Paler. 1834; Xop. 1835; Fir. 1836

Fir. 1845]

* pósi [Boi. 1824].

posi [Fir. 1831 ; Paler. I-M]. » dalle [Xa2i. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845], « ed a parlar [Xap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. ' morto, [Fir. 1831; Puler. 1834; .V«^. 1835; Fir. 183(5;

i^ir. 1845]. » Tanta [Z?oZ. 1824; Fir. 1831; Pai. 1834; iVap. 1835; Fir. 1836].

* Noli' autografo, dopo morto, si vede una virgola, che fu can- cellata dall'Autore.

160 AD ANGELO MAI

Si forte a' nostri orecchi e frequente, Voce antica de' nostri ^ * Muta si lunga etade? e perchè tanti Risorgimenti? In un balen feconde Venner le carte f] e a la ^ stagion presente

I polverosi chiostri ^

Serbaro intatti * i generosi e santi

Detti de gli ^ avi f . E che valor t' infonde ^

II cielo ^ e '1 fato, italo lidXo illustre? e quale Tanto avvivar fu degno altro mortale ? ^

Certo S3nza divino ^^ alto consiglio Non è ch'ove più lento E grave è '1 ^^ nostro disperato obblio,

percoter rieda

A jjerciioter ne riecìe ogni momento Novo grido de' padri. Ancora è pio

' nostri, [Fh\ 1831; Pater. 1834; Naji. 1835; Fir. 1836;

Fir. 1815]. ^ ] a la [Fir. 1831; Paler. 1834].

; ali 2 [Xaj). 1835; Fir. 183(5; Fir. 1845]. " Chiostri [Boi. mucccxx].

* occulti [Fir. 1831; Faler. 1834; Xap. 1835; Fir. 1836;

Fir. 1845]. « degli [Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1815]. « f infonde, [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Fir. 1845]. ^ Cielo [Boi. MDCccxx].

« Italo egregio, il fato? O con rumano [Boi. 1824; Fir. 1831:

P«Zer. 1834; .Y«^;. 1835; Fir. 1836; iPir. 1845]

^ Valor contrasta il duro fato invano? [Boi. 1824; i'^'r. 1831

Paler, 1834] Valor forse contrasta il fato invano? [Nap. 1835

i^ir. 1836; Fir. 1845] 1" de' numi [Boi. 1824; /^ir. 1831; Paler. 18M; A^. 1835

Fir. 1836; i^ir. 1845]. '^ il [Nap. 1835; /^ir. 1836; Fir. 1845].

* Dopo nostri, nell'autografo, si vede una virgola, che fu cancel- lata dall'Autore.

AD ANGELO MAI 161

Dunque a 1' '•■ italia ^ il cielo, ^ anco si cura Di noi qualche immortale ; ^

nessun' Che poi eh' è questa * ^ o verwi' altra poi

L'ora da ripor mano a la ^ virtude Rugginosa de l' ^ itala natura, Tanto e si strano e tale ^ È '1 "^ clamor de' sepolti ; , e de gli ^^ eroi Dimenticati il nome si ^' dischiude, 0 patria o patria, anco in età si tarda '^ Chiedendo se ti giovi esser codarda. '^ Spirti sublimi, ancor di noi serbate '* Qualche speranza? ^-^ in tutto

' all' [Xap. 1835; Fir. ISÒC,; Flr. 1845].

'' Italia [Boi. 1824; Flr. 1831; Fai. 1834; Nap. 1835; Fir. 183fi;

Flr. 1845]. 3 Cielo] [Boi. 1824]. cielo; [Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836;

Fir. 1845]. ' immortale: [Boi. 1824; i-^r. 1831; P«Zcr. 18^4; Nap. 1835;

i^ir. 1836; i'^^r. 1845]. '' Che dov' è questa [Boi. 1824]. Ch'essendo [Fir. 1831; P«^er. 1834; .Ya^?. 1835;

Fir. 1836 ; i^'ir. 1845]. « a^Za [.V«jj. 1835; Fir. 1836; Fi'/-. 1845], ^ delV [Nap. 1835; i^'i'r. 1836; Fir. 1845]. ** Ve^giam che tanto e tale [Flr. 1831; Pai. 1834; .Vrtj>. 18a5;

i^^'r. 1836; Fir. 1845].

" i7 [i^i'r. 1831; Pai. 1834; .Yc/7>. 1835; Fir. 1836; i'^ir. 1845].

'" che [Fir. 1831; P«Zer. 1834; Nap. 1835; i'VV. 1836; i-'/r. 1845].

" Dimenticati il suol quasi [Fir. 1831; Paler. 1834; .Ya/:>. 1835;

Pir. 1836; i^/r. 1845].

'-' A ricercar s'a questa età si tarda [Fir. 1831; Pai. 1834;

Nap. 1835; Pir. 1836; Fir. 1845].

' ' Anco ti giovi , o patria, esser codarda. [Fir. 1831 ;

Paler. 18'34; Nap. 1835; Pir. 1836; Fir. 1845].

" Noi miseri la speme aurea non fugge, [Boi. 1824].

Di noi serbate, o gloriosi, ancora [Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. '^ O gloriosi? [Boi. 1824].

* Dopo questa, nell'autografo, la virgola fu cancellata dall'Autore.

11

162 AD ANGELO MAI

Non slam periti ? a A voi certo * il futuro

io

Ignoranza non copre: Io son distrutto ^

annientato

Ed annullato dal dolor, che scuro ^

M' è l'avvenire, e tutto quanto io scemo

È tal che sogno e fola

P'a parer la speranza. Anime prodi,

Voi non sapete a che siam giunti? È morta ^

Italia vostra ; a' vostri figli è scherno ^

E d'opra e di parola

; di vostre eterne ^ lodi

Ogni valor . Non più di vostre lodi

Non è chi pensi, nullo si conforta, ^

Si cura alcun c?e' nostri, o

Del vostro rimembrar, che di viltade ** Di vostro nome, esemplo,

Cile noi d'ignavia esemplo e di viltade

' forse [Nap. 1835; Flr. 1.S3G; Flr. 1845]. ^ Non volano i destini: altro ohe lutto [Boi. 1824]. Conoscer non si toglie. Io son distrutto []Sfa2y. 1835

Flr. 1836; Fir. 1845]

^ Sdegnano i sensi miei, che torbo e scuro [Boi. 1824]

Ed annullato dal dolor, che scuro [Flr. 1831; Pcd. 1834]

schermo alcuno ho dal dolor, che scuro [Xap. 1835:

Flr. 1836; Fir. 1845] * A i tetti vostri inonorata, immonda [Boi. 1824; Flr. 1831

Pater. 18M] Ai [Xap. ISm; Fir. 1^6

Fir. 1845]

^ Plebe successe; al vostro sangue è scherno [Boi. 1824;

Fir. 1831; Pater. 1834; Nap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].

« inclite [Boi. 1824; Flr. 1831; Pater. 1834].

' conforta [Boi. mdcccxx].

Tace ritala riva; egro circonda [Boi. 1824; Fir. 1831;

Pater. 1834]. rossor più invidia; ozio circonda [Nap. 1835;

i^ir. 1836; Flr. 1845]. ^ Ozio le tombe vostre, e di viltade [Boi. 1824].

vostre; [Vir. 1831; Pa^er. 1834].

I monumenti vostri; e di viltade [A'a^j. 1835; Fir. 1836;

Fir. 1845].

AD ANGELO MAI 163

Siam tutti' esempio a qualsivoglia

N^of siamo a questa e a la trascorsa etade.

Bennato ingegno, or j)^'' quando aìtrni non calo Do' nostri alti parenti, A te ne caglia, a te cui '1 fato ^ aspira Benigno si * che per tua man presenti Paion que' giorni allor che da la •' dira Obblivione ^ antica ergean la chioma ' Con gii studi ^ sepolti ^ I vetusti divini ^^ a cui natura '^ Parlò senza svelarsi, *- onde i riposi Magnanimi allegrar ^^ d'Atene e Roma. Oh tempi ^* oh tempi avvolti

Xel In not sonno eterno! '^ allora"^

III ombra eterna! Aìlora anco immatura

' fatti [Boi. MDCCCxx],

- Siam fatti esempio a la futura etade. [Boi. 1824; Flr. 1831:

Pater. 18S4]. alla .. [Xa2)- 1835; Flr. 1830;

Flr. 1845]. » ciù fato [Boi. 1824: Flr. 1831: Faler. 1834; NajJ. 1835;

Flr. 1836; Flr, 18451.

* sì, [Flr. 1845].

" dalla [Xa2). 1835; Flr. 183G; Flr. 1845]. ** Obblivione [Boi. mdcccxx ; Boi. 1824; Fir. 1831]. 'chioma, [Boi. 1824; Flr. ISSI : Pater. 1834; iV««- 18B5:

Flr. 1836 ; i'^ir. 1845]. « 6'^«f?J [i-'ir. 1815].

' sejyoltl, [Boi. 1824; i^^'r. 1831; Paler. 1834; iV ««. 1835; i^ir. 183(^;

/'à'.1815]. '" i>;ymi [5o^. 1824; Flr. 1831; PaZer. 1834].

dlolìil, [Xaj). 1835; /Vr. 1836; Flr. 1845]. " Natura [Boi. 1824]. '- Parlò disvellossi, [Boi. 1824].

•^ allegrar [Boi. 1824; i'^ir. 1831; /^«^('r. 1834; Nap. 1835:

i'^ir. 1845]: allegrar [Flr. 1836]. " /c/uj?;, [i'Vr. 1831; Pater. 1834; AVm. 1835; Flr. 1836;

i''ir. 1»15]. '■' eterno. [Boi. mdcccxx; Boi. 1824; Flr. 1831; P.j^m 1834]. ' M/^om f/?o/. Mi.(((xx: l}ol. 1821; i-'ìr. 1831; Pater. 18ìM; A«2>. 1835; i-Vr. 1836; Pir. 1845].

* Forse voleva scrivere ; or poi che altrui ecc.

l(ji AD ANGELO MAI

La riiiiia cV Italia, ^ anco sdegnosi

turpe,

Eravam d'ozio vile, e l'aere- a volo

da questo

Una ^ favilla ergea dal nostro suolo. ^ Eran calde le tue ceneri sante,

Intrepido nemico Indomito Non domito nemico

Fortissimo nemico Impavido nemico

masclUo sdegno e dolore

De la ^' fortuna, ''' al cui sdegno e dolore Fu più l'averno ' che la terra amico ; ,:^ L' a verno ;;'^ e qual non è parte migliore Di questa nostra? E le tue dolci corde

Tremolavano '" Tremolavano Sussurravano

Trepidavano ancora

]>al _ sfortunato sfortunato **

J)el tocco di tua destra *^^ o sventurato Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce

grava pesa

L' italo canto. E pur men '- ^;e.9rt e morde

' [tallo, [Boi. 1824; Flr. 1881; IWer. 1884; Xap. 1885;

^W. 1836; i<^i)'. 1845]. -' laura [Xap. 1885; Flr. 188(5; Fir. 1845]. ■' Qualche [Flr. 1881; rale7\ 1884].

^ Più faville rapia da questo suolo. [Xap. 1885 ; Flr. 188'5 ;

Flr. 1845]. ■"• Bella [Xap. 1885: Flr. 188' 5 ; Flr. 1845]. •^ Fortuna, [Boi. 1824]. " l'Averìio [Boi. 1824].

** amico. [Boi. 1824 ; Fir. 1881 ; Faler. 1884 ; Xaj). 1885 ;

Flr. 188r,; Flr. 1845]. » L'Aoerno: [Boi. 1824]. L'aoerno: [Flr. 1881; 2\der. 1884; Xap. 1835; Flr. 188G;

Flr. 1845]. '" Susurravano [Flr. 1881; Faler. 1884; Xap. 1835; i'^i'r. 1836;

i'^ir. 1845]. ''destra, [Flr. 1881; 7Wer. 1834; .V«^>. 1835; Fir. 1836;

i''ir. 1845]. >•-' '//iè»i [Z^o^. 1824; Fir. 1831]. 7;i6'n [P«Zer. 1834].

* L' Autore dopo destra pose da iirima una virgola, che. poi, can- celU").

"^^ Fu riscritto, non già per pentimento, si bene per maggioro chiarezza.

AD ANGELO MAI 105

Il mal che n'addolora sciaura

La sventura che 7 tedio, e la (lìmora

Del tedio, ^ che n'affoga. faticoso

Pih che V arduo cammino. Oh te beato,- A cui fu vita il pianto.'^ A noi le fasce Cinse la noia, e siede accan accanto il nulla "* Immoto e ne la tomba e ne la culla. ■'

Ma tua vita era allor con o-li astri e '1 '' mare. Ligure ardita prole,

Quando' oltre a le' colonne^ ed oltre a i^ liti'" Cui strider l'onde a 1' '' attuifar del solo '-

Pareva udir

Parca vicino la sera, a gl'infiniti'' . Flutti commesso, ritrovasti il raggio Del sol '^ caduto, e '1 '•"* giorno

'tedio [Boi. MDCccxx: Jhl. 1824: /•'//•. lsp,l : Palcr. l^M Xa2i. 1SH5: J-'ir. IsHli: /'/,■. 184;)] -' h'?ato \lìol. MDCCCXX ; Boi. 1824J. iHo.nto! \Naiì. 1^"^] Flr. 18"36; Flr. 1845]. ' (Jiiiso il fastidio ; a noi presso la culla [/Jo/. 1824; Flr. 18B1 ; Paler. 18M; Xap. 1835; Fir. 1836; Flr. 1^5].

Immoto siede, e su la tomba, il nulla. \BoL 1824: Flr. 1831;

Fahr. 1834; Nap. 1835; Flr. lHn\\ Flr. 1815]. '•• U [Xaiì. 18:-55; Flr. 1830; Flr. 1845J.

alle [Xap. 18 55; Flr. 1836; Flr. 1845].

- rnhnuir. f/'Vr. IsU : /V/c/-, ls34': Xap. 1835: Flr. 1836;

Flr. 1845]. '■' al [Xap. 18J5; /''/:/•. 1H;!<;: Flr. I845j. "> un, [Flr. 1&45].

" aW [Xap. 1835: Flr. 1833; Flr. 1845].

'-' Cui strider parve in seno a l'onda il sole, * [Boi. 1824;

Flr. 1831; Paler. 1834]. '■'■ Xovo di prore iiicarcd a i>rinfìniti [/>o?. 1824; i*^ir. 1831:

Paler. 1834] i Parve ulir su la sora.*^- ai>'r infiniti [Xap. 1835; Flr. 1836;

Flr. 1845]. " Sol [Boi. lH2i] Flr. imi; Xap. 1835; /^V'r. IS-VI: /•';/•. 1815|. '• Il [Xaji. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].

Nelle edizioni di Firenze [i^i] e di ì'<ilc,->.i<, \\^;i]. dn]„> snir o\ ha la chiamata della nota: [sole (l),]

** Nelle edizioni di Xuitoìi [l&ió] e di Firenze \\<'A\ e IST)!. doi.o sera è la chiamata della nota: [sera {2).\

1(J6 AD ANGELO MAI

giunto

Clie nasce allor eli' a i ' nostri è (l'ito al fondo ; E vinto - di natura '' ogni contrasto, Ignota immensa terra al tuo viaggio Far Fu gloria, * e del ritorno A i ^ rischi. Ahi ahi ^ che ' conosciuto il mondo Non cresce ^ ma ^ si scema, e assai più vasto È al fanciullin che a quello a cui del cielo "^ Gli arcani e de la terra lian perso il velo. '^

Nostri beati sogni ^- ove son giti De r ''Mg-noto ricetto

o diurno

D' ignoti abitatori, e del not *

De gli ^^ astri albergo, e del rimoto letto

' al [Paler. 1834; Xap. 1835; Flr. 183(3; Flr. 1845]. -' rotto [Boi. 1821; Flr. 1831; Pai. 1834; .Ya7).1835; Flr. 1836;

Flr. 1845J. Natura [Boi. 1824;. •» ;/lorla [Boi. 1824].' ■• U/ [.VrtiJ. 1835; Flr. 183G; i-'ir. 18151.

" ahi, [fio^. 1824; i-'ir. 1831; P«^. 1834: AV^;. 1835; Flr. 1836;

i»'*)'. 1845^ ' lUca [7ioZ. 1824; Flr. 1831; Faler. 1834; A'ap- 1^^^; ^'"'- 1^^

Flr. 18451 '^ c/'e6'ce. [Boi. 1824; /'ir. 1831; Pa^er. 1834; Naj). 1835; i^ir. 1836

Flr. 1845] •' anzi [/j'o^. 1821: Flr. 1831; PaZer. 1834; Xap. 1835; Pir. 1836

Pt'r. 1845] '" L'etra sonante e l-alina terra e "1 mare [Boi. 1824; Flr. 1831

Faler. 1834]

U [Xap. 1835; PÌ>\ 183(3

Flr. 1845]

" Al fanciullin. clic non al sag^io,*--= appare. [Boi. 1824

Flr. ISòi; Faler. 1834; Xap. 1835; Pir. 1836; Pir. 1845]

'- Nostri sogni leggiadri [Xap. 1835; Flr. 1836; Pir. 1845]

>•• DjW [.Vrt^>. 1835; Flr. 1836; Pir. 1845].

'^ Degli [Xap. 1835; /'«r. 183(3; Flr. 1845].

* È chiaro olio volca scriverò ììottìirno.

*** Dopo siKjdio nella sola o<Iiziono di />,iì,'rii)o non ci ha la vir- gola.

AD ANGELO MAI 167

De la ^ giovane aurora, " e del notturno

Occulto sonno del magfì-ior pianeta? *

Sete svaniti a un punto. ^

Ecco tu ** descritto il mondo in breve carta, ^

Ecco tutto è simile, ^ e discopi'endo, ^

Solo il nulla s'accresce. A noi ti vieta

Il vero appena è giunto,

0 caro immaginar; da te s'apparta

Nostra mente per sempre;, a lo stupendo"

Poter tuo primo ne sottraggon gli anni, '"^

E rifugio non resta a i nostri aiFanni. ^

Nascevi a' ^^ dolci sogni intanto, e '1 " piimo Sole splendeati in vista, ***

^ Della [Nap. 1835; Flr. 1836; Fir. 1845]. ^Aurora, [Boi. 1824; Flr. 1831; Paler. 1834; Xap. 1835;

Flv. 1836; Flr. 18-45]. ^ Ecco svanirò a un punto, [Boi. ISil: Flr. 1831; Fai. 1834; Nap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845]. ■* E figurato ò '1 mondo in breve carta: [Boi. 1824]. carta, [Fir. 1831;

Paler. 1834]. il carta] [Nap. 1835;

Fir. 1836; Fir. 1845]. - simile, [Fir. 1831; Pai. 1834]. « ritrovando, [/^oZ. 1824].

' Nostra mcute in eterno; a l'ammirando [Boi. 1824]. a lo stupendo [Firenze 1831

Paler. 1834] allo [Xap. 1835; i^ir,

1836; Flr. 1845] " «ma'; [Nap. 1835; i''^;-. 1836; J'i'r. 1845]. " f] il co-iforto peri de' nostri affanni. [Boi. 1824; Flr. 1831 PaZer. 1834; Nap. 1835; i-'t'y. 1836; i'^r. 1^45] '" a [Boi. MDCccxx].

ai [Nap. 1835; Flr. 1836: Flr. 1845]. " i7 [xYajp. 1835; Flr. 183fi; i^ir. 1845].

* Nelle edizioni di i'Yye»re [1831], di Palermo [1834], di A«i?o?« [Is^So.] e di Firenze [1836 e 1845], dopo pianeta ci è la chiamata della nota: [pianeta (2) f] e [pianeta {s)f].

** Volea scrivere cortamente: tatto

*** Nell'autografo dopo vista si vede una virgola, die fu cancel- lata, e, poi, rimessa dall'Autore.

1G8 AD ANGELO MAI

arme

Cantor vago de V^ anni e de gii- amori ^

Ch'oche

Che in età de la * nostra assai men trista

Empier"^ la vita di felici errori:^'

Nova speme d'italia. " 0 torri ^ o celle ^

0 donne ^^ o cavalieri '^

0 giardini'" o palagi, ^'^ a voi pensando^'*

In mille vane amenità si perde

L' ingegno mio. '^ Di vanità, di belle

Fole, e strani pensieri

Si componea l'umana vita:

L'umana vita era composta; in bando

Gli ^~ cacciammo: or che resta? or poi che '1'*^

[verde

' dell' [Nap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].

2 degli [Xap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1815].

3 amori, [Xap. 1885; Fir. 1836; Fir. 1845],

* delia [Boi. mdcccxx; .V«p. 1835; Fir. 1836; Fir. 1815]. •^ Empier [Fir. 1836]. « errori; [Paler. 1834].

' d'Italia. [Boi. 1821; Fir. 1831; Paler. 1834: X^p. 1835;

Flr. 1836; Fir. 1845]. " torri, [Fir. 1831; P«^. 1834; Xaj). 1835; i^ìr. 1836; F^J^ 1845], » ce/^e, [Fir. 1831; Pai. 1834; .Yajj. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. >o ^?o«ne, [Flr. 1831; P<r.er. 1834; iVaj9. 1835; Flr. 1836;

Fir. 1845]. '1 cavalieri, [Fir. 1831; PaZer. 18 M; A7r^). 1835; /^'ir. 1836;

Flr. 1845]. '■- qlardlnl, [Flr. 1831; Paler. 1834; A'a^). 1835; Fir. 183(5;

Fir. 1845]. '^ palagi! [Flr. 1831 ; P«Zer. 1834; A7rjj. 1835; Fir. 1836;

Flr. 1845J. 1* ^9eiz5a7i^?o, [/?oZ. 1824; Fir. 1831; P«Zer. 1834; .Ya^j. 1835;

Flr. 1836; Fir. 1845]. '•^ La mente mia. [Flr. 1831; Pai. 1834; .Va^j. 1835; Fir. 1836;

Flr. 1815]. "^ /'o^c [Boi. 1824; Fir. 1831; Pa^er. 1834; Naj^. 1835; Fir. 1836;

Flr. 1845]. '" X^ [.Va^j. 1835; Flr. 1836; Fir. 1845]. »« t7 [.V«^j. 1835; Fir. 1836; Flr. 1845].

AD ANGELO MAI 100

È rapito a le cose?^ il ^ certo e solo Veder che tutto è vano altro che '1 " duolo.

0 Torquato ^ o Torquato, a noi promesso •"' Eri tu allora, ^ il pianto " A te, nuir altro prometteva il cielo. ^ 0 ^ misero Torquato, ^'^ il dolce canto Non valse a consolarti, '^ o a sciorre il gelo

Onde l'alma t'avean'-' ch'era si calda''*

C7f' a, l'alma

Di che il cor ti cingea

Onde il cor ti cingea

Cinta l'odia e

Ch'era calcio^ i neri odi e l'immondo

Rancar del volgo Livor privato Jìagg ricchi atri

Livor privato e de' ^"^ tiranni. Amore,

» È spogliato a le cose? [Boi. 1824; Flr. 1831 ;P«Zer. 1834]. alle . [Xaj}. 1835; Flr. 183G; Flr. 184oJ.' 2 II [Xa2>. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845]. ^ il [Xap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].

' Torquato, [Flr. 1831; Faler. 1834; Xap. 1835; Flr. 1826;

Flr. 1845]. l'eccelsa [Xap. 1835: Flr. 1836; Flr. 1845]. « allora; [Boi. 1824; Flr. 1831; Faler. 1834]. 'Tua mente allora, il pianto [Xap. 1835; Flr. 18;-36;

i'^ir. 1845]. •* A te, non altro, prometteva il Cielo. [Boi. 1824].

cielo. [i^iV. 1831; P«Z. 1834].

, preparava [Xap. 1835 ; Flren.

1836; Flr. 1845]. » Oh [Boi. 1824: i-Vr. 1831; Pai. 1834: A^^j. 1835; i-^ir. 1336;

Flr. 1845]. '" Torquato; [Boi. 1824; i-^/r. 1831; P«7e?\ 1834].

Torquato! [Xa2ì. 1835; i''ù\ 1836; Flr. 1845]. 1' consolarti [Boi. 1824: Ft'r. 1831; P«Zer. 1834; Xap. I.s;i5:

Fir. 1836; Flr. 1845]. '•-' ray^««, f/io/. 1824; Flr. 1831; Pa/er. 1834; Xap. 1835;

PiV. 1836; i''ir. 1845]. '' calda, [Boi. 1824: Flr. 1831: Pa^cr. 183^i: A«^>. 1835: Flr. 18:^6;

/•'//■.1S15. '* privalo de' [Pi;-. 1836].

170 AD ANGELO MAI

o

Amor ^ di nostra vita ultima .s-^ * inganno -

T' abbandonava. Ombra reale e salda

Ti parve il nulla, e '1 '^ mondo

'fi Tutto un deserto. Onor die giova a un core *

Sj già Poi che d' inganno sollievo uscio ? morie non sorte non danno "

Folto d'error? Sollievo a te non danno

L'estrema ora Estrema vita Jj'ultim'ora

Ma ventura ti fu. ^ Morte domanda

Chi '1 nostro ~ mal conobbe, e non ghirlanda.

Torna torna fra noi, sorgi dal muto E sconsolato avello ^

Se vuoi strider d'angoscia, " o miserando Esempio di sciaura. ^^ Assai da quella quello ^- Che ti parve si mesto e si nefando ^^

' Amor, [Boi. 1821; /'i'r. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836;

Fir. 1815]. ■' lufjanno, [Boi. 1824: Fir. 1831; Faler. 1834; Nap. 1835;

Fir. 183G; Fir. 1815]. ' il [Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845J.

■* Inabitata piaggia. Al tardo onore ='* [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. •"' Xon sorsor gli occhi tuoi ; mercè, non danno, [Boi. 1824 ; Fir. 1831; P«Zer. 1834; Nap. 1835; j^'ir. 1836; Fir. 1845]. « L'ora estrema ti fu. [Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. ' Chi nostro [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835;

Fir. 1836; Fir. 1845]. •* «ocZ^o, [J5o;. 1824; Fir. 1831; PaZer. 1834; .Y«jj. 1835;

Fir. 1836 ; i^^r. 1845].

'' Se d'angoscia se' vago, [Boi. 1824; i-^ir. 1831; Paler. 183^1].

sci [.Y«2'- l^^ò; i-'ir. 1836; i-Vr. 1845].

'" Esemplo [Boi. 1824; i-Vr. 1831; Paler. 1834; .Y«^j. 1835;

Fir. 1836; i^^i'r. 1845]. " sciagura. [Nap. 1835; i'^/r. 1836; Fir. 1845]. '^ (^ueZL, [^oZ. 1824; Fir. 1831; Pa^er. 1834]. '^ nefando, [Boi. 1824; i^^ir. 1831; Paler. 1834; Ya^?. 1835;

Fir. 1836; PiV. 1845].

* V'olea scri\-cre eertnmente : stella

** Uopo onore, nelle edizioni di Napoli [1835] e nelle due edizioni fiorentine [1836 e 1815], ci ha la chiamata della n.ota: [onore (4)\

AD ANGELO MAI 171

È peggiorato il viver nostro. 0 caro,

Chi ti compiangeria,

Se ^ fuor che di se stesso ^ altri non cura V

Chi stolto non direbbe il tuo mortale

Affanno anche oggidì, se '1 ^ grande e '1 ' raro

Ha nome di

Or si chiama follia, ''

livor più ^ ma ben più grave e dura'

La noncuranza avviene a i^ sommi? o quale,

s' ascolta ,

Se più de' carmi, il computar ascoltar T' ^ appresterebbe il lauro un'altra volta?

Da te fino a quest'ora uom non è sorto, "^ 0 sventurato ingegno, '^ Pari a 1' ^' italo nome, altro ch'un solo, Solo di sua codarda etate indegno AUobrogo feroce, a cui dal polo Maschio valor, non già da questa mia ^ '

' Se, [Boi. 1821; Flr. 1831; Paler. 1834; X«^7. 1835; Flr. 1836;

Fir. 1815]. 2 stesso, [Boi. 1824; Flr. 1831; Paler. 1834: Xap. 1835;

Fir. 183(5: Fir. 1845]. •' il [Xap. 1835; Fir. mòG- Fir. 1845]. * il [Xaj). 1835; Fir. 1836; Fir. 1845^.

\follia] [Boi. 1824; Fir. 1851; Paler. 1834; Xaj. 1835;

Fir. 1836; Fir. 18-15]. Or si chiama follia, [Boi. mocccxx]. " xnU, [Boi. 1824; i^'ir.' 1831; Paler. 1834: X«y>. 1835; Fir. 1836;

Fir. 1845]. ' ma ben di lui più dura [Boi. 1824; Fir. l^òi] Paler. 1834; .Vrt2>. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. « «i [.Y«^^. 1835; Fir. 1836; F/r. 1845].

" Ti [Boi. 1824; /-'in 1831; Pai. 1834; .Ya^?. 1835; Z-'n-. 1836;

Fir. 1845.] "^ «o/-<o [Boi. 1824: /-Vr. 1881; P«Zer. 1834\ " (0 sventurato iwjer/no), [Boi. 1824; Fir. 1831; /V«Zcr. 1834]. •-' air [Xap. 1835; i-'ir. 183(3; i-Vr. 1845].

" Disusata virtù, non da la mia [Boi. 1824; Fir. 1831;

Pa^cr. 18H4]. Maschia virtù, non già da questa mia [Xap. 1835;

Fir. 1836; /''ir. 1^45].

172 AD ANGELO MAI

Stanca ed arida terra,

inerme -

Scese nel petto; ^ onde privato, inerme, (Memorando ardimento) in su la scena

almen

Mosse guerra a' tiranni; Aìmev si dia Questa misera guerra

A le schiacciate genti.

E questo vano campo a Tire inferme-' Del mondo. Ei primo e sol dentro a V ^ Scese, e nullo il segui, che ^ l'ozio e 'H' brutto Silenzio or preme ai" nostri innanzi a tutto.

Disdegnando e fremendo, immacolata Trasse la vita intera, E morte lo scampò dal veder peggio. Vittorio mio, questa per te non era

suolo.

Età ne ser/f/io. Altri anni ed altro seggio

E d'uopo ^ Son d'uopo

È cViiopo a gli ^ alti ingegni. Or di riposo È vaso il mondo. '*^ e scorti

' coro, [Bùi. miA:] Fh\ \mi: Palcr.mM].

Tonno n(-l inetto; [Xap. 1835; Fir. ISBG; Flr. 1845/. - inenne, [Fir. 18B1 ; Paler. 1834; Xap. 1835; Fir. 1830;

Flr. 1815]. ^ E questo vano campo a l'ire infermo [Boi. 1824; Flr. 1831;

Falcr. 1834]. air ^ [X«i>. 1835; T^Vr. 1830;

Flr. 18451. '^ alV [Xap. 1835: Flr. 1836: Flr. 1845]. •■ che [Boi. 1824; Flr. 1S)M{ Paler. 18'31]. •' il [Xap. 1835: Flr. 1830; Flr. 1845]. ' ai [Xajì. 1835: Flr. 1836; Flr. 1845].

"^ Conviene [Boi. 1824: Flr. 1831; Paler. 1834; Xap. 18-^):

Flr. 1830: Flr. 1845J. » arjll [Xap. 1835: Flr. 1S30: Flr. 1845].

"^ Pao-hi viviamo. \B>1. 1821: /''//•. 1S31: Paler. ISÒi; Xap. 1835:

/VV. 1830; i-Vr. 18451

AD ANGELO MAI 173

Siam da mediocrità; sceso.* è '1 sapiente^

E salita è la turba a un sol confine -

Che '1 ^ mondo agguaglia. 0 scopritor famoso,

Segui, * risveglia i morti/' ,

arma ergan

Poi che dormono i vivi, ^ apri le spente

Glorie Lingue in fine

Voci de'' de' prischi eroi, ~ tanto che infi . . .■•'^

o vita agogni

Questo secol di fango o lode a . . .***

atti illustri, alti fatti

E sorga ad cdte gcste o si vei-gogni.

' l)a mediocrità: seeso il saijiente [Boi. 1S24:] Fir. 1881;

Faler. 1834: Xap. 1835; Fir. 183G; Fir. 1845]'.

'' confine, [Boi. Ib24; Fir. 1831; Faler. 1834; Nap. 1835;

Fir. 1836; Fir. 1845J. ■• Il [Nap. 1835; Fir. 183G; Fir. 1845].

•* Senili ; [Boi. 1824; Fir. 1831; Faler, 1834; Nap. 1-35; i-^/r. 183G;

i-^ir. 1845]. '' morti, [Boi. 1824; Fir. 1831; Pa^er. 1834; .Y«^j. 1835; Fir. 1836;

Pir. 1845]. " vivi ; [i/oZ. 1824 ; Fir. 1831; PaZer. 1834 ; Fir. 1835 ; Pir. 1836 ;

Fir. 1845]. ' eroi; [Boi. 1824; i^'i>-. 1831; Faler. 1834; i-Vr. 1835; Pi'r. 1866;

Fir. 1845]. ^^ Nel testo della edizione di Bologna [mdcccxx] leggesi : " 6eco è'I apicnte n ; ma a pag. 17 si trova questa :

Errata ' Corrige

pag. 16. Vers. 8. seco sceso

** È chiaro che stava per iscriverò : infine *"■'* Avea prima scritto: o lode agogni

LA SERA DEL GIORNO FESTIVO

IDILLIO.

Dal tomo VII- Vili dello Mitsccllance manoscritte fpag^ 127-12{)j della contessa Paolina.

LA SERA DEL GIORNO FESTIVO.

Dolce e chiara è la notte e senza vento, E queta in mezzo agli - orti e in cima a i -^ tetti La luna si riposa ^ e le montagne ^ Si discopron da lungi. '' 0 donna mia, Già tace ogni sentiero, e pe' ~ balconi

* LA SERA DEL GIOKXO FESTIVO IDILLIO II.

XII.

LA SERA

DEL GlOnXO FESTIVO.

XIII. LA SKIIA DEL DI FESTA.

[.Y. Rico(jl. 1825; Boi. 182G].

[Flr. isHi: Palcr. ISai].

[Nap. 18;i5; Flr. 18ì5(3: Flr. 18 lo]. ■' a 1)11 [X. Rlcogl. 1825; Boi. 1826; Flr. 1831; Paler. 1834]. ■' e sovra i [Flr. 1831 ; Palcr. 1834].

E queta e sovra i tetti e in mezzo a^li orti [Xaj). ÌSÌò].

queta sovra ^ [Fir. im^: Fir.lSXò].

* rljìom, [N. Blro;jL 1S27>-, Boi. 1820; i^'ir. 1831; /^7Ìer. 1834].

Posa la lima, o di lontan rivela [Xnp. 1835; Flr. 183<i;

' Fir. 18-15].

" Sm-ona oo,ni moutaiifiia. [Xaj). 18:^5; /-Vr. 183fi; Flr. 181.5].

i>rl |.V. RlnyjL 1825; Boi. 1820; Flr. 1831; Paler. 18 VI;

.V«2>. 1835; /-Yr.lSSGj i'^fr. 1845].

178 LA SERA DEL GIORNO FESTIVO

Rara traluce la notturna lampa: ^

Tu dormi, che - t'accolse agevol sonno

Ne le ^ tue chete stanze, ^ e non ti morde

Cura nessuna:"* e già non pensi o stimi *^'

Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.

E bene sta, che amor da poi eh' io nacqui \

Non ebbi sperai merto. Il cielo /

Io qui m'affaccio a salutare, il cielo i '

Che mi fece al travaglio. A te la speme )

Nego, mi disse, anche la speme, ^ e d'altro

Non brillin gli occhi tuoi fuor che " di pianto.

Questo di fu solenne ; ^^ or da' trastulli

Prendi riposo," e forse ti rimembra

In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti

Piacquero a te;^- non io certo giammai ^-^

' Lampa. [Palcr. 1834]. ■' che [X. Rlco'il. 1825; Boi. 182G]. ■' Nelle [Xap. 1885; Fir. 1831 J; Flr. 1845]. ' stan-e; [X. likonl. 1825; Boi. 182() ; Flr. 1831; Palcr. 1834; Xap. 1835; Fir. 1830; Fir. 18451. '" nt'.^iitnt,- [X. Rlcogl. 1825; Boi. 182G; Fir. 1831; Paler. 1834; Xap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845J. •^ ; o già non sai pensi [Xaxì. 1835; Fir. 183); Fir. 1815].

[ Tu dormi: io questo ciel, che si benigno

\ Appare in vista, a salutar m'affaccio,

» E Fantica Natura * onnipossente,

f Che mi fece a 1' ** affanno. A te la speme

\X. Rl'onl. 1825; Boi. 182G; Fir. 1831; Paler. 1834; Xap. 1835; ^ Fir. 1836; Fir. 1815].

« smvie; \X. Rico il. 1825; Boi. 1826; Fir. 1831; Pa^er. 1834; .V.^^^. 1835; Fir. 1836; Fir. 1815]. » s^ non [Xap. 1835; Fir. ISBG; Fir. 1845]. '" solenne: [X. Riconl. 1825; Boi. 182(3; Fir. 1831; Paler. 1834 Xajy. 1835; Fir. 1833; i^'ir. 1845] " rl]>o^o; [Boi. 1823; /'ir. 1831; Paler. 1831; AV^^a 18B5

Fir. 1836; i''ir. 1845]

'2 te: \X. inco'jl. 1825: 7?oZ. 1826; Fir. 1831; 7^rt^er. 1834

A^a^. 1835; i^iV. 183(i; i^'ir. 1845]

'^ ; mn io, non già, ch'io speri, [Xap. 1835; Fir. 1836]. r/ià [Fi/-. 1^45].

* ììatura [Fir. 1831: r<iìor. 1831: AV^p. ,1835; iV;-. 1836; Fir. 1815], ** fd/' [Xax>. 1S35; /•'/,•. Is;ii; /••//•. is^ò].

45]. i

LA SERA DEL GIORNO FESTIVO 179

Ti ricorro al pensiero. ' Intanto io chieggio - Quanto al ^ viver mi resti, e qui per terra Mi getto e mi ravvolgo. "* Oli '' giorni orrendi In cosi verde etate ! Ahi ^ per la via Sento ~ non lunge il solitario canto De 1' ^^ artigian ^ che riede a tarda notte "^ Dopo i sollazzi " al suo povero ostello. *- E fieramente mi si stringe il core ^-^ A pensar come tutto al mondo passa E vestigio ^^ noQ lascia. Ecco è fuggito Il di festivo, ed al festivo il giorno Volgar succede, e si travolge ^'' il tempo Ogni umano accidente. Or dov' è '1 ^*" suono Di que' popoli antichi? or dov'è 'P' grido

' Al pensier ti ricorro. [N'j.p. 1835; Flr. 1330; Flr. 1815]. - ohie.o;^! [S'ap. 1835; Flr. 1830; Flr. 1845]. 3 a [.V. Iil,'o;jl. 1S25; Boi. 1826; Flr. 1831; Paler . 1834; Xap. 1835; Flr. 1830; Flr. 1845]. ^ Mi gfìtto, e grido, e fremo. [.Y. Eacogl. 1825; Boi. 182:'); i^Vr. 1831; Paler. 1834; .Yaj>. lSa5; Flr. 1836; Flr. 1815]. •^ 0 [Flr. 1845].

^ Ahi, [Boi. 1826; Flr. 1831; Faler . 1834; Xap. 18.35;

Flr. 1830; Flr. 1845]. Odo [Ar«27. 1835; Flr. 1836; i^^^r. 1845]. ** IJcll' [Xa]). 18a5; /W. 1836; Flr. 1845]. » artljlan, [Boi. 1826; /'ir. 1831; /V^Zcr. 1834: Xap. 1835;

/•'ir. 183(5; /''ir. 1845]. "" notte, [Boi. 1820; /^y. 1831; Paler. 1834; .Ya^^. 1835;

Flr. 1836; i^Vr. 1845]. " so/ Lizzi, [Boi. 1820 ; /-'ir. 18 51: Pulcr. 1834; .Y«2>. 1835;

Fir. 18-,36; Flr. 1845]. '■- o.*/eZ/o; [Hol. 1826; Fir. 1831; At^er. 1834; Xaj». 1835;

/''ir. 1836; Flr. 1845]. " *;ore, [/^ir. 1831; Paler. 1834; .Yaj>. 1835; /^ir. 1830;

Flr. 1845]. '* E quasi orma [.V. Plrofjl. 1825; Boi. 1826; i^'ir. 1831; 7'a^er. 1834; xYa^A 1835; Flr. 183f); /'ir. 1845]. "• .0 so no porta [.Ya;:». 1835; /'ir. ISm; Flr. 18-15]. '" iZ \.\ap. 1835; /'ir. 1830; /'ir. 1845]. ''' U [Xajj, 1835; Flr, IHÒtr^ Flr. 1845).

180 LA SERA DEL GIORNO FESTIVO

De' nostri avi famosi, e '1 ^ grande impero Di quella E,oma,~ e l'armi ^ e '1 ^ fragorio Che n'andò per la terra e l'oceano? Tutto è silenzio e pace ^ e tutto cheto ^ E '1 mondo ~ e più di lor non si favella. ^ Ne la^ mia prima età, quando s'aspetta Bramosamente il di festivo, or poscia Ch' egli era spento, io doloroso ^^ e desto ^^ Premea le piume, '^ e per la muta^^ notte Questo canto ch'*^ udia per lo sentiero ^^ E moria slontanando a poco a poco ^^ Al modo istesso ^" mi stringeva il core.

(G. L. *)

' il [Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. » Roma; [N. JRicogL 1825].

^ l'anni, [Fir. 1831; Faler. 1834; Najì. 1835; Fir. 1836:

Fir. 1845J.

* il [Xajì. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. •'^ pace, [N. Ricogl. 1825; Boi. 1826].

'^ Tutto è pace e silenzio, e tutto pòsa [Fir. 1831; Paler. 1834]. ^ ^josa [Nap. 1835 ; Fir. 1836 ;

Fir. 1845]. ' mondo j [N. Ricogl. 1825; Boi. 1826]. Il mondo, [Fir. 1^1; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836;

Fir. 1845]. " ragiona. [Nap. 1835; Fir. 1836; i'^tr. 1845]. » Nella [Nap. 1835; i'^ir. 1836; Fir. 1845]. doloroso, [Fir. 1831; P«Zer. 1834; .^^iA 1835; Fir. 1836

i^W. 1845] " in veglia. [ Fir. 1881; Paler. 1834; .Y«w. 1835; i^ir. 1836:

Fir. 1845] »•'' «itme; fPoZ. 1826; Fir. 1831; PaZe;-. 1834; iV««. 1835

Fir. 1836; Pir. 1845] *3 ed a la tarda [Fir. 1831; Paler. 1834].

a^^a [Nap. 1835; Pir. 1836; Fir. 1845]. " che [.V. Ricogl. 182.5].

*^ Un canto che s'udia per li sentieri [Fir. 1831; Paler. 1834; .Vrt«. 1835; Fir. 1836; Pir. 1845]. i>oco, [Po^. 1826].

Lontanando morire a poco a poco, [N. Ricogl. 1825; P*r. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; i^'m 18:06; Fir. 1845]. '' Pur similmente [Fir. mH] Paltr. 1834].

flià [Nap. 1835; Pù-, 1836; P/r. 1845].

* Cosi nell'autografo die abbiamo dinanzi. Nel Kuovo HicogìHore (pag. 904) si legge : (Sarà continuato.)

AI.LA LUNA

Da una raccolta manoscritta di poesie, dedicata dalla con- tessa Paolina alla nepotina Virginia, figlia di Pier Francesco (pagg. 43-45).

ALLA LUNA.'

0 graziosa luna,- io mi rammento Che, or volge l'"^ anno, sopra ^ questo colle

10 venia pien ^' d'angoscia a rimirarti : E tu pendevi allor su quella selva Siccome or fai, che tutta la rischiari. Ma nebuloso e tremulo dal pianto

Che mi sorgea sul ciglio, alle ' mie luci

11 tuo volto apparia,'"^ che '' travagliosa

' La Ki('>i;i>a\/-.v. Idillio UT.

[.V. incofjLitori' ls-2:i; Boi. 182li]. '^ Lana, [N lilco;/L 1826; Boi. 1823J. un [.V. Hicofjl. Ì826; Boi. 1828]. ' sovra [Xap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].

io sovra [Fir, 1831; Paler. 183(ì]. •"' io sopra questo poggio [.V. Ricofil. 1826; Boi. 1826]. « Venia carco [X. Rironl. 1826; Boi. Ì826: Fir. 1831 : Poi. ISM].

., i)ieno [Xf',}). 18351. a le [X. liiro;jl. 182); Boi. iHUi: Fir. \s.\\ : J'a/rr. is:"!]. " apparici ; L\.' Birocfl. 1823; Boi. 1826 : Fir. 1831 ; Poler. 1834]. « che [X. Ricog'.. 182 >; Boi. 1826; Fir. 1831; Paler. 1834].

184 ALLA LUNA

Era mia vita: ed è, cangia stile,

0 mia diletta luna.' E pur mi giova

La ricordanza, e il * noverar l'età *

Del mio dolore. Oh ^ come grato occorre

Nel tempo gio vanii, quando ancor lungo /

La speme e breve liP- la memoria il corso, \ ^"^

Il rimembrar ^ delle -^ passate cose,^'

Ancor che triste, e che l'affanno duri ! ' **=^=

' Luna. [X. Elcofjl. 182G; Boi. 182G]. ■' n [X lìicoql. 182G; Boi. 182G; Vir. 1831; Valer. 18B4]. ^ O {Fir. 1830].

' sovvenir [.Y. Ricofjl. 1821; Boi. 182G; Fir. 1831; Pr//. 1834:

Xo'p. 1835; Fir. 183G]. '' de le [X.Bicofjl. ÌS23\ Boi. 182G; Fir. 1831; Falcr. ISM]. « rose [X. Bicofjl. 182G].

^ AncDr elio triste,© ancor che il pianto duri ![A". Bicogl.lS2Cì].

duri. [Boi. 182G; Fir.

1831; Paler. 18^; .Ya^?. 1835; Fir. 1830].

* Cosi nel nostro autografo.

** Questi (lue versi mancano in tutto lo odizioni. salvo olio nella fiorentina del 1845.

*** Nel nostro au!-oo:rafo. sotto questo verso, leggonsi «limano di Paolina lo secriiPiiti ])arole: '• (// G'/ncnmn Leopardi „.

LA LUNA. O LA RICORDANZA

Dal tomo VII-VIII delle MUceilaìice vianoscrlUc (pagg. 121-122) della contessa Paolina.

IDILLIO.

LA LUNA, 0 LA RICORDANZA.'

0 graziosa Luna,- io mi rammento Ch' è presso a un anno,"^ io sopra questo poggio Venia carco ' d'angoscia a rimirarti : E tu pendevi allor su quella selva/' Coni' ora fai "^ che tutta la rischiari.

LA RICORDANZA.

Idillio in.

XIII. ^ ALLA LUNA.

[.Y. Ricofil. 1826; Boi. 1826].

[Fir. 1831; Paler

ir. 18d4; Nai). 1885; Fir. 1836; l'ir. 1845].

- Una, [Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. =' Che, or volge un anno, [N. lilcogl. 1826; Boi. 1826].

r [Fir.lS'òl: Paler. 1SS4:; Nap. lyiìò; Fir. 1836; Fir. 1845].

* , io sovra questo colle [FtV. 1831; Paler. 183'!].

, sovra questo colle [Xap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. •' pieno [Xap. 1835].

Io venia pien [Fir. 1836; Fir. 18^15].

" selva [X. Ricogl. 1826; Boi. 1826; Fir. 1831; Paler. 1834;

.V«;>. 18H5; Fir. 183(5; i^'ir. 1815].

" Siccome or t'^i, [X. Ricxjl. 1826; Boi. 182(>; /'ir. 1831;

Paler. 1831; A'a;*. 1835; /'ir. IK-T); /'ir. 1845].

* Bei\ inteso, nelle eflizioni «li X'ijxili e utllp duo di FirPvze 11 numero è il XIV.

188 LA LUNA, 0 LA RICORDANZA

Ma nebuloso e tremulo dal pianto^^ Che mi sorgea sul ciglio, a le - mie luci Il tuo volto apparia,^ che * travagliosa Era mia vita: ed è, cangia stile, 0 mia diletta Luna. •""' E pur mi giova La ricordanza, e '1 ^ noverar l'etate Del mio dolore. Oh ~ quanto ^ grato occorre Il sovvenir® de le '" passate cose ^' Ancor che triste, e ancor che 'P- pianto duri!^-^

(G. L. *)

' jnanto [X. Rkofjl. 182G : Boi. 1820; Flr. 1831; PaZer. 1834; Naj). 1^35; jPir. 1836; Flr. 1845]. •-' alle [yap. 1S35; Flr. 183G; Flr. 1845]. => apparla; [X. Rlcogl. 182G; Boi. 1820; Pi'r. 1831; Pater. 18JM]

* eM [N. Rlcofjl. 1826; Boi. 1826; Flr. 1831; P«Zer. 1834]. ' •' lana. [Flr. 1831; Paler. 1834; Xaj). 1835; Flr. 1836; Flr. 1845]. « il [Xap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].

" O [Flr. 18-361.

« come [A". Rlcogl. 1826; Boi. 1826; Flr. 1831; Pa'er. 1834; i^^a^'- l'^'SS; Pir. 1836; Flr. 1845]. ^ rimembrar \Fir. 1845]. </eZ^e [.Va;?. 1835; Flr. 1836; /^ir. 1845]. " rose, [Boi. 1826; PiV. 1831; Paler. 1834; .V^^j. 1835; Flr. 1836;

Flr. 1845]. '- ^7 [X. Plcogl.lS2Cy, Boi. 1826; F/r. 1831; Paler. 1834 A«ix 1885;

Flr. 1836] . ^3 J/,ri. [/?oZ.1826; Flr. 1831; P«Zer. 1834: Xai). 1835; Fir. 1836]. ,e che l'affanno duri] [Fir. 1845],

* Cosi nell'autografo che abbiamo dinanzi.

IL SOGiSO

Dalla stossa raccolta manoscritta di poesie dedicata dalla contessa Paolina alla nepotina Virginia (pagg. r)!;-(;9).

IL SOGNO J

ALCETA.

Odi, Melisso,- io vo ^ contarti un sogno Di questa notte, che mi torna a niente In riveder la luna. Io me ne stava A la ^ finestra che risponde al prato, ^ Guardando in alto: ed ecco a 1'^' improvviso Distaccarsi ' la luna ; e mi parca

' Lo Spavento Xotti'rxo, Idillio. V.

[X. nirofilitorc 182<1: Boi. 1820]. Frammenti.

XXXV. *

[Naiì. 1.S35; Fir. 1830; Flr. 184')]. - Mclluo: [X. UlcogL 182^); BjL 19,2^, \ Xap. 1835; Flr. 183i) ;

T^'/r. 1845]. ' oo' [.V. UhogL 1820; BoL ISiO: Xup. 18i35; Fir. 183.»;

Fir. 1845].

* Alla [Nap. 18a5; Fir. 18» 5; Flr. 1.845]. '• lirato [N. Ricogl. 1820].

cdV [Xap. 1835; Flr. 1830; Flr. 1845].

" Distaccasi [.V. lilr.oyl. 18-20: Boi. 1S20: Xap. 18:i5: Flr. 1830;

Fir. 1845].

* Ben intpso. nella e.lizIoae./?rt/v'j/i rv dol ISl"» il uumor > roimu o lon è il medesimo: [xxxvnj.

192 IL SOGNO

Che quanto nel cader s'approssimava '

Tanto crescesse al f^uardo ; infìn che venne

A dar di colpo in mezzo al prato ; ed era

Grande quanto una secchia, e di scintille

Vomitava una nebbia,- che stridea

forte come quando un carbon vivo

Nell'-^ acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo

La luna, come ho detto, in mezzo al prato

Si spegneva * annerando '' a poco a poco ^

E ne fumavan l'erbe intorno intorno.

Allor mirando in ciel ' vidi rimase

Come un barlume,^ o un'orma, anzi una nicchia^

Ond'ella fosse svelta:'" in cotal guisa,'*

Ch'io n'agghiacciava, '- e ancor non m'assicuro.

MELISSO.

E ben ••' hai che temer, che ^* iigevol cosa Fora cader la luna in sul tuo campo.

' n' a2>prossìniciv(i , [X. Ricoyl. 1826; Boi. 1826; Nap. 1885;

Fir. 1836; Fir. 1815]. -' nebbia [N. Ricoql. 182JJ. 3 .Ve V [N. Ricogl. 1826; Boi. 1826]. * spegìieva, [Boi. 1826]. '" annerando, [Boi. 1826]. « poco; [Boi. 1826].

poco, [N. Ricogl. 1826; Xap. 1805; Fir. 1886; Fir. 1815]. " ciel, [X. Ricogì. 182(>; Boi. 1826; Na^). 1835; Fir. LS»^;

Fir. 1815]. « barlume [X. Ricogl. 1823; Boi. 1826]. « nicchia, [Boi. 1826; V«i>. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845j. '" svelta: [Boi. 1826].

" in guisa ch'io [.Y. Ricogl. 1826; Boi. 1-826]. '■^ n' agghiacciaoa ; [Xap. 1835; Fir. 1836: Fir. 1815].

N'accapricciava; [X. Ricogl. 1826; Boi. 1826]. '^ borio [.V. Ricogl. 1826: Boi. 1826J. '* che [X. Rirogl. J826; Boi. 1826].

IL SOGNO 193

ALCETA.

Chi sa? non ' veggiam noi spesso di state Cader le stelle?

MELISSO.

Egli ci ha tante stelle - Che picciol danno è cader l'ima o l'altra Di loro, e mille rimaner. Ma sola Ha questa luna in ciel, che da nessuno Cader fu vista mai se non in sogno. *

' Xon [N. Rkoijl. 1826; Boi. 182(i].

2 atelie/ [N. Ricogl. I82(j; Boi. 182"^; Xap. 1835: Fir. 1836;

Fir. 1845].

* Nel nostro autografo, sotto questo verso, leggesi di mano di Pao- lina: " G. Leopardi „.

L SOriNO

IDILLIO.

Dal tomo VII-VIII delle MlsccUanee mcinotscrittc (pagg. 116-1'2J:) della contessa Paolina.

IL SOGNO. IDILLIO.'

ALCETA. *

Senti,- Melisso,^ io ve' contarti un sogno

Di questa notte, che mi torna a mente

In riveder la luna. Io me ne stava

A la ■* fenestra •"' che risponde al prato

Guardando in alto. ' Ed ^ ecco a l' ^ improvviso

Distaccasi^la luna, ^^ e mi parca

' Lo Sp.wexto Xottuuxo. Jdillio V.

[X. Rlcogl. 1820; Boi. 1826]. Frammenti.

XXXV.* *

[Nap. 18B5: Fir. 1830; Fir. 1845]. ' Odi. r.V. RlcofiL 182(3; Boi 1^^): Noi). 1835; Fir, 1845].

Odi [FirMmy]. 3 Melisso: [X. liicorjl. 1826; Boi. ì>'l)- Xaj'.l^^^'r. Fir. 18B6;

Fir. 1845]. " alla [Xaji. 1^35; Fir. 1836; Fir. 18451. '' jìnestrcf \X. h'in>,jl. ls2G : Boi. 1826: V./y/. lS;-%5; Fir. 18^6;

Fir. 1845]. '' jyrcUo, [Boi. 1826; Xaji. 1835; Fir. l6B<3; /'i/-. 1845]. " alto: [X. lìicogl. 1826; Boi. 1826: .V^i?. 1835; i^ir. 1836;

Fir. 1845]. « e^ f.V. Ricoql. 1826; 5o^. 1826 ; Xap. 1835; i^^'r. 1836; Fir. 1845]. « aZZ' [A^a^. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]. ^•^ luna; [X. Ricogl. 1826; i?oZ. 1826; Xap. 1835; Fir. ia36 ;

Fir. 1845].

* Tanto nel nostro antoojrafo, quanto nel Nuovo Ricoglitore, i nomi, anzinhè nel mezzo, sono scritti nel margine di sinistra.

*=^ Ben inte.so, nella edizione fioreatiwx del ISA") il numero ro- mano non è il m3dn3Ìmo: [xxxvii].

198 IL SOGNO

Che quanto nel cader s'approssimava ^

Tanto crescesse al guardo,- in fin ^ che venne

A dar di colpo in mezzo al prato/ ed era

Grande quant' •"' una secchia, e di scintille

Vomitava una nebbia *' che stridea

Si forte come quando un carbon vivo

Ne l'acqua è spento, e ne fumavan V erbe. i

Allor mirando in ciel vidi un barlume

RimasbD, com'3 un'orma, anzi una nicchia \

Ond'ella fosse svelta,^ in guisa eh' io ^

N' accapricciava, *^ e ancor non m'assicuro.

' s\vpi)vosshìiao:i, [N. lileotjL 182G: Boi. 182(3; Xa2). 1885;

Flr. 183(); Flr. 1845]. -' <] nardo; [N. Rlco'jl. 182(5; Boi. 1823; .Va^>. 1835; Fir. 1836;

Flr. 1845]. 3 hifin [N. Rkojl. 1816; Boi. 182 5; Nap. 1835; Flr. 1836;

Flr. 1845]. * prato; [X. Rlcojl. 1826; Boi. 1823: Xaj^. 1835; Flr. 183(3;

Flr. 1845]. ^ quanto [.V. Rlroijl. 182(3; Bui. 1826; Xajy. 1835; Flr. 1836;

' Flr. 1845]. « nebbia, [Boi. 1826; Xap. 1835; i'^iV. 1836; Flr. 1845J.

1 ]S[e Piacqui immergi e spegni. Anzi a quel modo \ Si spegneva ** annerando *** a poco a poco, =^*** '' E ne fumavan l'erbe intorno intorno. 1 Allor mirando in ciel, vidi rimaso I Come un barlume***''* o un'orma, anzi una nicchia******

[.V. Rlcogl. 1S26; Boi. 1823; Xap. 1835; Flr. 1S36; i^'iV. 1845]. « sye^^a: [i^o^. 1826].

svelta; [X. Rlcogl. 1826; .Va^. 1835; Flr. 1836; Kr. 1845]. " ; in cotal guisa. [Xap. 1835; Flr. 1836; i'\*r. 1845]. '" X'accajìrlcciava ; [X. Mlco'jl. 1826; Boi. 1826].

Ch'io n'agghiacciava : [.Vaj). 1885; Flr. 1836; i^'«>', 1845].

* ^^el^ [xVap. 183 -i; /7y. 1836: Fir. 1845].

** spegneva, [Boi. 1826].

*** annerando, [Boi. 1826].

**** poco; [Bo?. 1826].

***** barlume, [Nai). 1885; /'ó-. 1836; Fir. 1845].

****** nicchia, [Boi. 1826; Aai>. 1835; ^»V. 1836; Fir. 1845].

IL SOGNO 199

mp:lisso.

E ben hai da temer, eh' è facil cosa ' Cader proprio la luna in sul tuo ])rato. -

ALCETA.

Chi sa? forse di state hai poche notti '^ Visto cader le stelle '? ^

MELISSO.

Egli n' ha tante '^ Lassù che ne potria ben senza danno *' Precipitar più che non fa.' Ma sola Ha questa luna in ciel, che da nessuno Cader fu vista mai se non in sogno.

(G. L.*)

' E b^nc hai cho temer, che agevol cosa [.V. Biconi. 1826

Boi. 1826|, ben , che [Xaiì- 1885; Fir

1836; Flr. 1845]

-' Fora cader la luna in sul tuo campo. [X. lilcogl. 1826

Boi. 1826; Naj). 1835; Flr.mòG] F*r. 1815]

^ Chi sa? Xoii veggiam noi spesso di state [.V. Ricoijl. 1826

Boi. 1826], ? 71071 [Aa;j>. 1835; Flr

1836; Fir. 1815]

* Cader le stelle? [.V. Ricofjl. 1826; Boi. 18-26; Nap. 1835:

Flr. 1836; Fir. 1845] ^ Egli ci ha tante stelle, [.Y. Rlcofjl. 1826; Boi. 1826; Nap. 1835

J^'ir. 1836; Flr. 1845] •* Che picciol danno è cader Tuna o l'altra [N. lilcocjl. 1826^ Boi. 1826; Xaji. 1835; i'7r. 1836; i^ir. 1845] " Di loro, e mille rimaner. [X. lilcogl. 1826; Boi. 18*^6

Na2J. 1835; Flr. 183(3; Flr. 1845]

* Cosi noi nostro autografo.

niiTAzroNE

Dalla stessa raccolta manoscritta di poesie dedicata dalla contessa Paolina alla neiiotina Virginia (p^lgg- 42-18).

IMITA ZIONP:.

Lungi dal proprio ramo,

Povera foglia frale,

Dove vai tu? ' Dal faggio

dov'io nacqui, mi divise il vento.

Esso, tornando, a volo

Dal bosco alla campagna,

Dalla valle mi porla alla montagna.

Seco perpetuamente

Vo' - pellegrina, e tutto l'altro ignoro.

Vo' ^ dove ogn' * altra cosa.

Dove naturalmente

Va la foglia di rosa,

E la foglia d' alloro. *

' tu? {Fh\ 183GJ.

- Vo \Nai). 1835; Flr. 1836; Nai^. 1845].

-' Vo [Nav. 18a5; Fh\ 1836; Flr. 1845].

* o,jni {Nap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].

* Nel nostro autografo, sotto quest' ultimo verso, leggonsi. sem- pre (li mano di Paolina, le solite parole : " (ìi Giacomo Leopardi _

CANZONE

PER UNA DONNA MALATA DI MALATTIA

LUx\GA E MORTALE

"Dal t.omr» VII- Vili flolle Miscellanee manoscrhte (pagg'. 12r)-127) tlella onntossa Paolina.

UNA DONNA MALATA DI MALATTIA

LUNGA E MORTALE

Io SO ben che non vale Beltà giovanezza ^ incontro a morte, E pur ^ sempre ch'io '1 veggio^ m'addoloro: Che ^ s' i' noi veggio'^ il mio desir prevale Tanto ~ eh' io spero pur che l'enea ^ sorte Altrove ° ad altri casi ad altri tempi Riservi i tristi esempi, ^^

* Per una donna, malata di malattia lunga e mortalk Canzone giovanile inedita

DI

Giacomo Leopardi

[Pisa 1871; Barettl 1872] Per una donna malata DI malattia lunga e mortale. Canzone.

"^ tfiovinezza [Pisa 1871 : Flr. 1878].

•'' pur, [Pisa 1871].

^ vcf/fflo, [Pisa 1871].

•' Chi [Bar. 1872]. Che, [Pisa 1871; Flr. 1878].

" vegfiio, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].

' Tanto, [Pisa 1871; Flr. 1878].

•* rénea [/**'.*./ 1871 ; Bar. 1872^; i-Vr. 1878].

* Altrove, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878]. '" casi, [Pisa ISIV; Bar. 1872; Flr. 1878]. " esempi, [Bar. 1S12J,

Flren-e. 1878].

208. PER UNA DONNA MALATA DI MALATTIA

Fin che dal mal presente è sbigottita

La misera speranza.^

Com'or cli'a l'occiLlente di sua vita

Veggio precipitar questa dogliosa,

Poi eh' altro non m'avanza,

Già mai di lagrimarla - io non lo posa.

Ed è pur tanto bella ^ E tanto schietta'* e in cosi verde etate,'' E poco andrà eh' i' * potrò dire,*^ è morta, E' morta, e non risponde; ahi poverella! ^ '^* Che dolor,'^ che lamento,"^ che piotate," Chiusi quest' '• occhi, e morto questo volto '^ E '1 popolo raccolto

Dirle per sempre addio, ch'esser doveva Tanto tempo fra noi,'* Or non so chi ^" come ce la leva : Solo a pensarlo mi si schianta il core,^*^ Ben eh' '* i parenti tuoi Son d'altro sangue, e tu sei d'altro amore.

' speranza : [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].

■■* lacrimarla [Pisa 1871].

^ bella, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878^

^ schietta, [Pisa 1871: Bar. 1872; Flr. 1878].

^ etate! [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].

« dire: [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].

" È [Pisa 1871; Flr. 1878].

^ poveretta ! [Pisa 1871].

■' dolor! [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878]. '" lamento! [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].

" jnetate! [Pisa 1871; Bar. 1872; Fli\ 1878].

''■^ questi [Pisa 1871].

'^^ volto! [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].

'* noi! [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].

'■' chi, [Bar. 1872; Fir. 1878].

'" core: [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].

'' che [Pisa 1878].

* Prima aveva scritto ch'io; poi, cancellò.

** Prima aveva scritto: poveretta; poi, cancellò.

LUNGA E MORTALE 209

Quando de l' infelice Vietumi ^ taluri recando aspre novelle, Mi studio quanto so farle più levi: - Chi sa,'^ dunqu' esser puote/ or òhi tei dice? Tal patteggiando vo ^ con quello e quelle,^ Ma d'ogni patto il nunzio si disdegna, E quanto può s'ingegna Ch'io creda ch'ei non dica altro che vero," E provando mi scaccia D'ogni rifugio in sin ch'io mi dispero,"^ E veggio ben che tu ci lasci soli, E la tua bella faccia Poco può ^ che sempre a noi s'involi.*

Deh che mostra ^'^ per Dio ' ' Quel sospiroso e languido sembiante '- Che par che dica,^^ io ^* di pietà son degna ^^ Che nacqui sfortunata.'^ Io ^~ '1 so ben io, ^^ Tristo me, tristo me,'^ questa ^^ di tante

' Vienmi [Pisa 1871].

2 levi. [Pisa 1871].

^ sa? [Pisa 1871; B:ir. J872; Fir. 1878J.

* puote? [Pisa 1871].

•^ vo' [Bar. 1872].

« quelle; [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878 i.

' vero; [Pisa 1871; Fir. 1878].

" dispero: [Pisx 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].

' Poco può andar [Pisa 1871]. Poco andar può [Bar. 1872; Fir. 1878]. '" mostra, [Pisa 1871; Fir. 1878]. '> Dio, [Pisa 1871; P^lr. 1878]. '- sembiante, [Pisa 1871 ; Bar. 1872 ; Fir. 1878]. '' dica: [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878]. " Io [Pisa 1871; Fir. 1878]. '•• degna, [Fir. 1878].

""' sfortunata? [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878]. '- lo [Bar, 1872]. '*^ io: [P/s« 1871; Fir. 1878]. " me.' [Pisi, 1871; /^«r. 1872; i^tV. 1878]. 2" <^Mes^a [Pisa 1871; Bar. 1872; i^^ir. 1878].

Cosi nell'autograio cljc abbiamo dinanzi.

14

210 PER UNA DONNA MALATA DI MALATTIA

Sventure ch'i' sostenni ^ è la più dura.

Ahi, ahi,'- ma ^ cosi pura

E così vaga, di,^ forse ti stai

Temendo di morire?

Non temer, non temer, che non morrai.

Non può mai far."' Non " vedi? io pur saria

(Che t' ho certo a seguire)

Vicino a morte, e son quello di pria.

Dico che t* ho per cei'to A seguitar.' che '' s' a ^ la tua non viene Dietro la vita mia, partir non puote : so perchè, ma pur mi sembra apei'to. Ben che d'amarti il vanto altri si tiene. Ch'io dica,'" è morta quell'istessa, quella Ch'io veggio e mi favella? Or s'ella è morta, ed io come son vivo? Questo io so che mai vero Non fìa, eira intender pure io non l'arrivo. Fa cor, fa cor, che '' senza fallo alcuno '^ Passato il tempo nero, Conterem '•* questi affanni ad uno ad uno.

Misero me, eh'''' invano Lusingando me stesso un tempo e lei. Rinforza il mais, e '1 gran dolor s'accosta.'"

' sostenni, [Bar 1872].

' ahi! [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].

=' Ma [Pisa 1871; Bar. 1ST2- Flr. 1878].

* di', [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].

'•far: [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].

*' non [Pisa 1871; Flr. 1878].

' seguitar; [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].

« che, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].

« se a [Pisa 1871; Bar. 1872: Flr. 1878]. '" dica: [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878]. " che [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878]. '' alcuno, [Pisa 1871; Bar. 18T2:Flr. 1878]. '3 Cauterem [Bar. 1872; Flr. 1878]. '* che [Pisa 1871; Fir. 1878]. ^^ s'accosta! [Pisa 1871; Flr. 1878].

LUNGA E MORTALE 211

Dell per pietà non sia cor si villano

Che non si mova ^ a sovvenir costei/-

Deli troviam qualche via, troviam qualche' arte,

Che -^ questa se ne parte,

E s'altri non l'aita ha poco andare.

Oimè * nulla non giova!

Io non so far che '1 creda: io vo' provare

Io stesso, io vo ' vedere. E "1 veggio 'ocne -"^

Sciaurato " per prova,

Che disperarmi al tutto mi conviene.

Poveri noi mortali * Che contro al fato non abhiam valore.'^ Sta come sconcio masso, e noi ghermito Meglio che può, con queste braccia frali Poniam di sbarbicarlo ogni sudore,^ Ma quello è tal da poi qual fu davante: Ed io pregando quante

Possanze ha '1 ciclo, e tutto foco in faccia, E ambasciato e sudato,'*^ E stese fortemente ambe le braccia, Morir vedrotti, ch'io nulla non posso A contrastarlo, e '1 fiato Tardar che dtt' tuoi labbri in fuga è mosso.

Dunque, o donna, morrai V certo, si, co.s-a altra mi resra Se non che moribonda io la consoli.

' muova [Pis:i 1871].

2 costei: [Pisa 1871; liar. Ur2: Flr. 1878]. ^ Che [Pisa 1871: Bar. 1872: Flr. 1878]. ^ Oline! [Pisa 1871; Flr. 187s].

Ohlmìi! [Bar. 1872]. bene, [Pisa 1871: Bar. 1872; Flr. 1878]. " Sclanrato, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878]. " mortali. [l'Isa 1871; Bar. 1872: Flr. 1878]. " valore! [Pisa 1871; Flr. 1878].' 9 sudore; [Pisa 1871; Ba\ 1872; Flr. 1878]. ^^ sudato [Pisa 1871].

212 PER UNA DONNA MALATA DI MALATTIA

0 cara mia, confortati ; ^ se mai

Tua gente - e me con lei ^ tutta funesta

Vorrà far Dio, ripiglia cor: natura

N'a '' * fatti a la sciaura

Tutti quanti siam nati. Anima mia,

Non pianger;^ gli occhi gira,

Qual puoi veder clie misero non sia?

Ben che ti par, non ti verrà trovato.

Or poi che si sospira

E piange invano, oifriamci al nostro fato.

Vero è che la fortuna E teco più spietata che non suole ^ Che '^ '1 fior di giovanezza * ti rapisce. Pur datti posa; han di piacere alcuna Sembianza i mali^ estremi. Or vedi"* il sole Non andrà molto ch'io sarò sotterra. '* Che '- se '1 veder non erra ^^^ Anche a me breve corso il ciel misura.'^ E pur di mia giornata Son presso a 1' ^^ alba, di morte ho cura.'^

' confortati; [Pt'sa 1871 ; Bar. 1872; Flr. 1878].

- iiente, [Pisa 1871; Fir. 1878].

'' lei, [Fisa 1871; Fir. 1878].

* ha [Pisa 1%11, Bar. 1872; Fir. 1878].

^ pianger, [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].

« suole, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].

' Che [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].

'' giovinezza [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].

'' mal [Bar. 1872].

'*• vedi: [Pisa 1871; Bar. 1872; Fii\ 1878], " sotterra, [Pisa 1871]. sotterra; [Fir. 1878]. '^ Chh, [Pisa 1871 ; Flr. 1878]. " erra, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878]. " misura : [Pisa 1871 ; Flr. 1878]. '•' aW [Fir. 1878]. cura, [Pisa 1871]. cura; [Flr. 1878].

* Così nell'autografo che abbiamo dinanzi.

LDNOA E MORTALE

Che ' qual mai visse più, quei visse poco,-

E ^ chi diritto guata ^

Nostra famiglia a la natura è gioco.

Ma questo ti conforti Sopra ogni cosa, eh'-' innocente mori. '1 mondo ti spirò suo puzzo in viso. Tutti tuoi pari andran tosto fra *^ morti, E avranno ' il più di lor '^ fracidi i cori ; Che ^ questo mondo è scellerata cosa/*' E quel mal che non osa Candida gioventude, è scherzo al vile Senno d'età provetta,'' E nefanda vecchiezza,'* e in cor gentile Quel che natura '-^ spegne l'esempio, Tanto che poco aspetta Quel giusto ed alto a farsi abbietto ed empio.

E te jDur tocca avria L'indegna mota,'-* che sei tanto bianca; '■'' Tutti, qualunque ha più robusto il petto, Io de' malvagi, io fora,'*' o donna mia,

' Che [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878]. ^ jjoco, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878]. ^ E, [Pisa 1871; Flr. 1878].

* fjiiati., [Pisa 1871; Flr. 1878]. " che [Pisa 1871; Flr. 1878].

" fra' [Pisa 1871 ; Flr. 1878]. ' avranno^ [Pisa 1871; Flr. 1878]. \ lor, [Pisa 1871 ; Flr. 1878]. » Che [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878]. '•' cosa. [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878]. " provetta [Pisa 1871 ; Flr. 1878]. '- vecchiezza: [Pisa 1871].

vecchiezza ; [Flr. 1878]. '\fe [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878]. '* iiota,=* [Pisa 1871].

mota [Bar. 1872]. '"• bianca : [Pisa 1871 : Flr. 1878]. >" forse, [Bar. 1872].

* Evidente errore di stampa.

214 PER DONNA MALATA DI MALATTIA ECC.

E sarò pnr,^ se 1 tempo non mi manca,

Che virtù prezzo più che gioventude,-

E ^ se virtù non chiude,

Fuggo beltà ^ che pur m' •"' è tanto cara ;

Me, s' io non ho già presso

L'estremo sol, me di sua pece amara

Imbratterà la velenosa etade,

E questo core istesso

Eia di malizia speco e di viltade.

Or ti rallegra, o sventurata mia,'"' Tutto ti teglia r iin])lacanda sorte,' Non r innocenza de la corsa vita Non ti tor'-à,'*^ morte ^ '1 cielo '•" possauza altra che sia. Fra nequitosa" gente, Qual se' discesa, tale a la partita. Cara, o cara beltà, mori innocente.

1878].

pur [Bar. 1872; Flv. 1878]. - (jlooentade. [Bar. 1872].

(/lovcntadc ; [Fir. 1878]. ' F, [Pisa 1871; Bar, 1872; Flr ■» balta, [Flr. 1878]. •'• mi [Fisa 1871]. '= mia: [Pisa 1871; Fir. 1878]. Sìrie] [Pisa 1871; Bar. 1872].

sorto.: [Fir. 1878]. " torra [Pisa 1871 : Fir. 1878J. " morte, [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878]. >-' cielo,' [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878]. " neghittosa** [Bar. 1872].

(G. L.*)

* Cosi nel nostro autografo, Segue 1' idillio La lina, e la ri- cordanza (pagg. 121-122^.

** Xel Baretli (pag. 27) si legge questa nota dell'Editore : " La " mia copia fedelissima legge neghittosa, ma dopo i precedenti sta forse meglio nequitosa, come stampavasi [Bernardi]. Ora, noi possiamo assiciirare il lettore che nell'autografo che abbiamo di- nanzi, il solo che si abbia di questa Canzone, leggesi chiarissima- mente nequitosa, e non già neghittosa.

LE RTxMEMBPvANZE

Un quaderno (cojìertma bianca) di quattro farciate rrgo- dclla contossa Paolina.

LE RnrE:\rBRANZE

IDILLIO.

Era in mezzo del ciel la curva luna ' E di Micon- la povera capanna Sol piccola da un lato ombra spandea. Chino sul destro braccio, ed appoggiando Alle ginocchia il cubito, dell'uscio Sul facile gradin sedea Micone. Egli era triste,'^ e muto. Il tenerello Dameta^ il figliuolin, che ad ogni istante Temea la mamma udir chiamarlo al sonno, Scherzavagli d'intorno, e saltellando La mano gli prendeva, or d'una cosa Or d'altra il ricercava: un panierino Mostravagli talor da lui tessuto, Talor raccolto un fresco fior, talora Nella socchiusa man lucido insetto Sorpreso in aria dal sagace colpo:

' Inno, [Ciirjiìnnì, l'^SO]

■'' Milon {evidente errore di stampa)

^ triste

* Davieta,

218 LE RIMEMBRANZE

E il rimirava in faccia, e avidamente Plauso cliiedea col guardo, * e col sorriso. Quel - serio, " e taciturno "* a stento ai detti 0 a fuggitivo riso apriva i labbri apriva. Aliin prorujjpe :

M ICONE

0 amabile Dameta "• Di," figlio mio, del tuo maggior fratello Non ti ricordi tu? più non rammenti Il tuo Filino? Ei t'ha lasciato, e un anno È che noi vedi più. Le prime rose Spuntavano come or su quella fratta, Quando" i suoi giuochi abbandonati, il vidi Seder pallido, ^ e muto. Io gli chiedea : Figlio" perchè qui sei? perchè non giuochi? Pe^'chè non vai con tuo fratello al prato? 8u '*^ scendi a sollazzarti. Hai forse male? Nò,* padre, ei mi dicea, no, nulla io sento, Ma stanco io sono, e qui riposo ; or ora Tornerò con Dameta a trastullarmi. Cosi sempre ei dicea, ma sempre il male Più gli apj^aria sul viso. Un di di Festa Alfine ei si levò l'ultima volta" Poi più non sorse. Oh come allor, '- che a casa

' fj nardo ' Quel, ^ serio

* tacltanio, ^ Dameta,

« Di',

^ Quando,

" 2)aUido

" Fhjlio, '" Sa, " volta. allor

* Cosi nel nostro avitografo.

LE rimembraxzp: 219

La sera mi vedea tornar dal campo.

Lieto in chiamarmi mi tendea le mani,

E la mia mi baciava, e mi chiedea

Se stanco fossi, e sempre a se ^ vicino

M'avria voluto. L'n giorno alfin (dimani

Quel di funesto riconduce il sole)

Mi levai, corsi a lui, chino sul letto

Gli diedi un bacio, e come stasse il chiesi.

Ei più non rispondea: l'occhio mi volse '^

Cui luccicante lacrima copria:

]Ma nulla dir potè, più non dischiuse

Il moribondo labbro. Un opportuno

Eimedio al male, il vecchio Alcon, quel Saggio, ^

Cui si spesso vedesti, e cui si spesso

Della villa consultano i pastori''

Lidicato ci avea. Per procacciarlo

Impaziente •"" alla città mi volsi.

Saliva il sole in cielo, e la marina

Di lontano splendea:^ Ma la campagna

Era tacita ancor. Passni non lungi

A quell'alto palagio, che alla luna

Or vedi biancheggiar dietro alle piante,

Colà vicino alla maestra via.

Della villa i Signori" eran sepolti

Nel dolce sonno del mattin. Pur vidi

Aperta una finestra ^ intorno a cui

Sporgea ferrea ringhiera, e dentro l'ampia

Camera Signoril, ^ sul pavimento

'

■'' volse, ^ saggio,

* jìastorl,

^ Impaziente " splendea. ■^ signori " finestra,

* signoril,

220 LE RIMEMBRANZE

E il lucido apparato, che l'opposta

Parete ricopria, dal sol dipinta

L' immagine mirai della finestra :

A cui dinnanzi con negletta veste

Un dei servi passar vidi, che intento

Sulla scopa pendea. Quanto lugubri

Per me fur quei momenti! Alla cittade

Giunsi, tolsi il rimedio, e qua tornai.

Fra speme, ' e fra timor, tremante, incerto

Entrai sospeso . . , Morto era Filino.

Pallido il rimirai: finito io vidi

Il respirar sulle gelate labbra:

Serrate le palpebre, e rilucenti

Pel ghiacciato sudor l'umide chiome.

Ahi mio Filino ! Da quel tempo ancora

Quel mesto orror, quei funebri momenti,

Quel tristo di dimenticar non posso.

DAMETA

Ben men sovvengo anch' io, che nel levarmi Quella mattina, oltre l'usato io vidi Triste la mamma. Al mio Filino io tosto Correr voleva: ella il vietò, mi disse Che ancor dormiva, e uscir mi fece al prato. Ma nel tornar con festa, e saltellando Pianger la vidi. Io m'acchetai, jDian piano Le venni appresso, e presale la gonna. Mesto le dimandai perchè piangesse. Ella china abbracciommi, ed appoggiando Alla mia la sua fronte, ah figlio, disse, Caro Dameta mio, Filino è morto. AUor piansi ancor io. La mamma invano Trattenermi volea : poich' ella il guardo

^ speme

LE RIMEMBRANZE 221

Rivolse altrove, al letticciuolo io corsi

Del mio caro Filin. Fiso dapprima

Il rimirai, poi sullo smorto viso

Mille baci gli diedi, e colla mano

Toccai la fredda guancia, e gli occhi chiusi

Di riaprirgli cercai. Deh quanto io piansi

In veder come più non si movea!

Filin ! fratello ! ^ io gli diceva, oh Dio !

Tu non mi vedi più . . . Che far giammai

Potrò senza di te? Quanto t'amava!

Quanto m'amavi! alla selvetta, al prato

Sempre eravamo insieme: oh quante volte

Corremmo a gara, e a gara tra le foglie

Cogliemmo - i più bei fior ! quante sull'erba

La sera assisi al raggio della luna

Cantammo insiem ! Tu m' insegnavi il suono

Sopra le canne a modular, che spesso

Di tua man mi apprestavi; o a far panieri

Per empirli di fiori; o a lanciar sassi

A un albero lontan. Spesso nel bosco

Tendemmo insidie agli augelletti, e insieme

Ci partimmo la preda. Entro un canneto

Spesso nascosto "^ io l'amor tuo cercai

Deludere un momento : ansioso allora

Tu di me givi in traccia. Il riso mio,

A lo scrosciar delle vicine canne ^

Mi tradiva talor: tu mi scoprivi,

E lieto a me correvi, e in abbracciarmi

Del mio crudo piacer mi riprendevi.

Oh quanto ci amavamo! Ah tutto tutto

È finito per noi. Caro fratello

' Fratello!

^ Cogliemo (evidente errore di stampa)

' nascosto,

* canne.

2 LE RIMEMBRANZE

Tu mi lasciasti ... ^ Al giuoco, - in casa io sempre Solo restar dovrò ?. . Nò, ^ che la vita Menar più non jjotrei . . . Caro Filino Ah tu moristi, ali morir voglio anch' io.

Egli piangea: tra le ginocchia il prese Il buon Micone, e gli nsoiugnva il pianto, E consolando il già. ^

MICOXE

Diman condurti Alla citfcade io vo', diman la tomba Ti mostrerò di tu3 fivitelli, e voglio Che venga insiem cm noi la mamma ancora. Ah figlio ! ah tu sei morto ! il padre tuo '' Che si t'amb, dimenticar sapresti?

' lasciasti.

- qiiioco

=* So

' //''< .'

^ tuo,

APPENDICE

CANZONI

DI

GIACOMO LEOPARDI

SULV ITALIA

Sul Monumento di Dante che si j)^epara

in Firenze

ROMA MDCccxviiI. Presso FRA^XEsco Bovrlie' .

227

AL CHIAEISSIMO

SIG. CAVALIEEE VINCENZO MONTI

GIACOMO LEOPAEDI

§.

^aando mi risolsi di pubblicai' e queste Canzoni, come non mi sarei lasciato condurre da nessuna cosa del mondo a intitolarle a verun polente, così mi parve dolce e beato il consacrarle a Voi, Signor Car oliere. Stante che oggidì chiunque deplora o esorta la patria nostra, non puh fare che non si ricordi con infinita con- solazione di Voi che insieme con quegli altri pochissimi, i quali tacendo non vengo a dinotare niente meno di quello che farei nominando, sof^tenete l'idttma gloria nostra, io dico quella che deriva dagli studj, e sìngolarmen'e dalle lettere e arti belle, tanto che per anche non si può

2:>S

dire che V Italia sia morta. Di queste Canzoni, se lujua- (jliiio il soggetto, che quando lo uguagliassero, non mancherebbe loro ne grandiosità ne veemenza, sarà giudizio non tanto dell'universale quanto vostro ; giacche da quando veniste in quella fama che dovevate^ si può dire che nessuno scrittore italiano, se non altro, di quanti non ebbero la vista imjìedita nìi da, scarsezza, d' intelletto, ne da 2>resunzione e amore di se medesimi, stimò die va- lessero jmnto a rifarlo delle riprensioni vostre le lodi dell'altra gente, o lodato da voi riputò mal pagate le sue fatiche, o si curò de' biasimi o dello spregio del po- polo. Basterei che intorno al caido di Simonide che sta nella lìrima Canzone io significhi non per Voi, ma per li pili de' lettori, e domandandovi perdono questo, ch'io mi fo coraggio e non mi vergogno di scriverlo a

229

5

Voi, che quel gran fatto delle Termopile fa celebrato real- mente da un Poeta greco di molta fama, e quel eh' e 2^iì<, vissuto in quei medesimi tempi, cioè Simonide, come si ve- de appresso Diodoro neWundecimo libro, dove recita an- che certe parole di esso Poeta; lasciando V epitaffio ripor- tato da Cicerone e da altri. Due o tre delle quali parole recate da Diodoro sono espresse nel quinto verso delVul- tima strofe. Ora io giudicava che a nessun altro Poeta lirico ne prima ne dopo toccasse mai verun soggetto così grande ne conveniente. Imperocché quello che raccontato o letto dopo ventitre secoli, tidtavia spreme da occhi stra- nieri le lagrime a viva forza, pare che quasi veduto, e certamente udito a magnificare da chicchessia nello stesso fervore della Grecia vincitrice di un' armata quale non si vide in Kìiropa se noìi allora, fra le maraviglie

2:o

i tripudj gli appìmiiii le lagrima di tutta una eccellen- iissiina nazione siddimata oltre a quanto si ino dire o /pensare dalla coscienza della gloria acquistata, e da queW amore incredibile della patria eh' e i^assato in com- jjagnia de' secoli antichi, dovesse ispirare in qualsivo- glia Greco, massimamente Poeta, affetto e furore onnina- mente indicibile e sovrumano. Per la qual cosa dolendomi assai che il sovraddetto componimento fosse perduto^ alla fine presi cuore di mettermi, come si dice, nei panni di Simonide, e così, quanto portava la mediocrità mia, ri- fare il suo canto, del quale non dubito di affermare, che se no i fu maraciglioso, allora e la fama di Simonide fu vano rumore, e gli scritti consumati degnamente dal tem- po. Di questo mio fatto, se sia stato coraggio o temerità^ sentenzierete Voi, Signor Cavaliere, e altresì, quando

231

vi paia da tanto, giudichevete della seconda Canzone, la liliale io v'offro umilmente e semplicemente insieme col- l'altra, acceso d'^aniore verso la jjovera Italia, e quindi animato di vivissimo affetto e gratitudine e riverenza verso cotesto numero presso che impercettibile d'Italiani che sojyravvive. Ne temo se non ch'altri mi vituperi e schernisca della indegnità e miseria del donativo; che quanto a voi non ignoro che siccome l'eccellenza del vo- stro ingegno vi dimostrerà necessariamente a prima vista la qualità dell'offerta, così la dolcezza del cuor vostro vi sforzerà d'accettarla, j^er molto ch'ella sia povera e vile, e conoscendo la vanità del dono, a ogni modo procure- rete di scusare la confidenza del donatore, forse anche vi sarà grato quello che non ostante la benignità vostra, vi converrà tenere per dispregevole.

233

SULL'ITALIA

O

patria mia, vedo le mura e ,^li archi E le colonne e i simulacri e l'erme Torri de gli avi nostri; Ma la gloria non vedo, Non vedo il lauro e '1 ferro ond' eran carchi

I nostri padri antichi. Or fatta inerme, Nuda la fronte e nudo il petto mostri. Oimé quante ferite,

Che lividor che sangue ! oh qual ti veggio,

Formosissima donna ! Io chiedo al cielo

E al mondo, dite, dite.

Chi la ridusse a tale? E questo é '1 peggio

Che di catene ha carche ambe le braccia,

che sparte le chiome e senza velo

Siede in terra negletta e sconsolata

Nascondendo la faccia

Tra le ginocchia, e piange.

Piangi, che n' hai ben donde. Italia mia,

II mondo a vincer nata

E ne la fausta sorte e ne la ria.

234

10

Se fosse r gli occhi miei due fonti vive Non potrei pianger tanto Ch' adeguassi il tuo danno e men lo scorno, Che fosti donna, or se' povera ancella. Chi di te parla o scrive Che rimembrando il tuo passato vanto Non dica, già fu grande, or non è quella? Perchè perchè? dov'è la forza antica. Dove l'armi, e '1 valore e la costanza? Chi ti discinse il brando? Chi ti tradì? qual arte o qual fatica O qual tanta possanza

Valse a spogliarti il manto e l'auree bende? Come cadesti o quando Da tanta altezza in cosi basso loco? Nessun pugna per te? non ti difende Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo Combatterò, procomberò sol io. Dammi, o ciel, che sia foco A gì' italici petti il sangue mio.

235 11

Dove sono i tuoi figli ? Odo suoii d' armi E di carri e di voci e di timballi: In estranie contrade Pugnano i tuoi figliuoli. Attendi. Italia, attendi. Io veggio, o parmi Un fluttuar di fanti e di cavalli, E polve e fumo e luccicar di spade Come tra nebbia lampi. Ne ti conforti? ed oltre al tuo costume T'affanni e piangi? or che fia quel ch'io sento? A che pugna in quei campi L'itala gioventude? O Nume, o Nume! Pugnan per altra terra itali acciari. Oh misero colui che in guerra è spento, Non per li patrii lidi e per la pia Consorte e i figli cari, Ma da' nemici altrui

Per altra gente, e non può dir morendo, Dolce terra natia, La vita che mi desti ecco ti rerdo.

236

12

Oh venturose e care e benedette Le antich' età che a morte Per la patria correan le genti a squadre, E voi sempra onorate e gloriose, O Tessaliche strette

Dove la Persia e' 1 fato assai men forte Fu di podi' alme franche e generose. Io credo che le piante e i sa=;si e l'onle E le montagne vostre al passeggere Con indistinta voce Narrin, come tutte quelle sponde Coprir le invitte schiere De' corpi eh' a la Grecia eran devoti. Allor vile e feroce Serse per l'Ellesponto si fuggla Fatto ludibrio a gli ultimi nipoti, E sul colle d'Antela ove morendo Si sottrasse da morte il santo stuolo Simonide salia Guardando 1' etra e la marina e '1 suolo.

237

13

E di lagrime sparso ambe le guance E ansante il petto e vacillante il piede, Toglieasi in man la lira : Beatissimi voi

Ch'ofiriste il petto a le nemiche lance Per amor di costei eli' al sol vi diede, Voi che la grecia cole e '1 mondo ammira: In sempiterno viva, Cari, la vostra fama «ippo le genti. Qual tanto, o figli, a sera amor vi trasse ? Come cosi giuliva

L'ora estrema vi parve, onde ridenti Correste al fato lagrimoso e duro ? Parea eh' a danza e non a morte andasse Ciascun de' vostri o a splendido convito : Ma v' attendea lo scuro Tartaro e l'onda morta, Ne le spose vi foro o i figli accanto Quando su l'aspro lito Senza baci moriste e senza pianto.

2B8

14

Ma non senza de' Persi orrida pena Ed immortale angoscia. Come lion di tori entro una mandra Or salta a quello in tergo e si gli scava Con le zanne la schiena. Or questo fianco addenta or quella coscia; Tal fra le Perse torme infuriava L'ira de' greci petti e la virtute. Ye' cavalli supini e cavalieri. Vedi intralciar di tutti La fuga i carri e le tende cadute, E correr fra' primieri Pallido e scapigliato esso tiranno; Ve come intrisi e brutti Del barbarico sangue i greci eroi Cagione a i Persi d' infinito affanno, A poco a poco vinti da le piaghe, L'un sopra l'altro cade. Evviva evviva : Beatissimi voi Fin ch'il mondo quassù favelli o scriva.

239

15

Prima divelte, in mar precipitando, Spente ne l' imo strideran le stelle, Che la memoria e '1 vostro Amor trascorra o scemi.

La tomba vostra è un' ara , e qua' mostrando Verran le madri a i parvoli le belle Orme del vostro sangue. Ecco i^ mi prostro, O benedetti, al suolo, E bacio questi sassi e queste zolle Che fien lodate e chiare eternamente Da l'uno a l'altro polo.

Oh foss'io pure con voi qui sotto, e molle Fosse del sangue mio quest' alma terra ! Che se ripugna il fato, e non consente Ch' io per la grecia i moribondi lumi Chiuda prostrato in guerra, Cosi la vereconda

Fama del vostro vate appo i futuri Possa, volendo i numi, Tanto durar quanto la vostra duri,

8

241

17

SUL MONUMENTO

DI DANTE

che si prepara in Firenze

X erchè le nostre genti Pace sotto le bianche ali raccolga, Non fien da' lacci sciolte De l'antico sopor l' itale menti, S' a i patrj esempj de la prisca etade Questa terra fatai non si rivolga. O Italia, a cor ti stia Far a i passati onor, che d' altrettali Oggi vedove son le tue contrade, Ne e' è chi d' onorar ti si convegna. Volgiti indietro e guarda, o patria mia. Quella turba infinita d' immortali, E piangi e di te stessa ti disdegna; Che se non piangi, ogni speranza è stolta: Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti, E ti punga una volta Pensier de gli avi nostri e de' nipoti.

16

242

18

D' aria e d' ingegno e di parlar diverso Per lo toscano suol cercando già L' ospite desioso

Dove giaccia colui per lo cui verso Il Meonio cantor non è più solo; Ed oh vergogna ! udia Che non eh' il cener freddo e 1' ossa nude Giaccian esuli ancora Dopo il funereo di sott' altro suolo ; Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso, Firenze, a quello per la cui virtude Tutto il mondo t' onora. Oh voi pietosi onde si tristo e basso Obbrobrio laverà nostro paese! Beli' opra hai tolta, e di eh' amor ti rende, Schiera prode e cortese, Qualunque petto amor d' Italia accende.

243

19

Amor d' Italia, o cari, Amor di questa misera sproni, Ver cui pietade è morta In ogni petto omai, perciò che amari Giorni dopo il seren dato n'ha il cielo. Forza v' aggiunga, e vostra opra coroni Misericordia, o figli, E duolo e sdegno di cotanto affanno, Onde bagna costei le guance e '1 velo. Ma come a voi dirizzerassi il canto Cui non pur de le cure e de' consigli, Ma de 1' ingegno e de la man daranno I secoli futuri eccelso vanto Oprate e mostre ne la dolce impi'esa? Come a gran foga ecciteravvi il core? Come a la mente accosa Crescerà novi raggi e novo ardore ?

244

20

Voi spirerà l'altissimo subbietto, Ed acri punte premeravvi al seno. Chi dirà l'onda e '1 turbo Del furor vostro e de l' immenso affetto ? Chi pingerà l'attonito sembiante ? Chi de gli occhi il baleno ? Qual può voce mortai celeste cosa Agguagliar figurando ?

Mano a lo scalpro. Oh quanti plausi oh quante Lagrime a voi la bella Italia serba ! Come cadrà ? come dal tempo rosa ria vostra gloria o quando ? Voi di eh' il nostro mal si disacerba Sempre vivete, o care arti divine, Conforto a nostra sventurata gente, Su r itale ruine Gl'itali pregj a celebrare intente.

245

21

Ecco voglioso anch' io Ad onorar nostra dolente madre Porto quel che mi lice, E mesco a l'opra vostra il canto mio Sedendo u' vostro ferro i marmi avviva. O de l'Ausonio carme inclito jDadre, Se di cosa terrena Se di colei che tanto alto locasti Qualche novella a i vostri lidi arriva, Io so ben che per te gioja non senti, Che saldi men che cera e men ch'arena Verso la fama che di te lasciasti Son bronzi e marmi, e da le nostre menti Se mai cadesti ancor, s'unqua cadrai. Cresca, se crescer può, nostra sciagura, E in sempiterni guai Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura.

246

22

Ma non per te, per questa ti rallegri Povera patria tua, s' unqua 1' esempio De gli avi e de' parenti Ponga ne' figli sonnacchiosi ed egri Tanto valor eh' un tratto alzino il viso. O secol turpe e scempio ! Qual vedi Italia eh' era si meschina, Leggiadro spirto, allora Che di novo salisti al Paradiso ! Ora è tal che rispetto a quel che vedi AUor fu beatissima e regina. Mostrar chi si rincora

Il mal eh' è fia gran che, s' udendo il credi ? Taccio gli altri nemici e 1' altre doglie Ma non la Francia scellerata e nera Per cui presso a le soglie Vide r Italia mia l' ultima sera.

247 23

Beato te eli' il fato A viver non dannò fra tanto orrore, Che non vedesti in braccio L'itala moglie a barbaro soldato, Non predar non guastar cittadi e colti Di Franche torme il bestiai furore, Non de gl'itali ingegni Tratte l'opre cattive a miseranda Schiavitude oltre l'alpe, e non de' folti Carri impedita la dolente via, Non gli aspri cenni ed i superbi regni, Non udisti gli oltraggi e la nefanda Voce di libertà che ne schernia Tra '1 suon de le catene e de' flagelli. Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto Che lasciaron quei felli? Qual tempio quale altare o qual misfatto?

248'

24

Perch' venimmo a si perversi tempi?

Perdi' il nascer ne desti o perchè prima

Non ne desti il morire,

Acerbo fato? onde a stranieri ed empi

Nostra patria vedendo ancella e schiava,

E da mordace lima

Roder la sua virtù, di nuli' aita

E di nullo conforto

Lo spietato dolor che la stracciava

Ammollir ne fu dato in parte alcuna.

Ahi non il sangue nostro e non la vita

Avesti, o cara, e morto

Io non son per la tua dira fortuna.

Qui si eh' il pianto infino al suol mi gronda.

Pugnò cadde gran parte anche di noi,

Ma per la moribonda

Italia no, per li tiranni suoi.

249

25

Padre, se non ti sdegni Cambiato se' da quel che fosti in terra. Morian fra le Rutene Orride piagge, ahi d'altra morte degni, GÌ' itali prodi, e lor fea l'aere e '1 cielo E gli uomini e le belve immensa guerra. Cadeano a squadre a squadre Semivestiti maceri e cruenti, Ed era letto agli egri corpi il gelo. Allor, quando traean l'ultime pene, Membravan questa desiata madre Dicendo, Oh non le nubi e non i venti Ma ne spegnesse il ferro, e pel tuo bene, 0 patria nostra! Ecco da te rimoti, Quando più bella gioventù ci ride, A tutto il mondo ignoti Moriam per quella gente che t'uccide.

250

26

Lor tristo fato il pallido deserto E borea vide e le fischianti selve. Cosi vennero al passo, E i negletti cadaveri a l'aperto Su per quello di neve orrendo mare Si smozzicar le belve, E fia l'onor de' generosi e forti Pari mai sempre ed uno Con quel de' tardi e vili. Anime care, Bendi' infinita sia vostra sciaura, Datevi pace, e questo vi conforti Che conforto nessuno Avrete in questa o ne l'età futura. In seno al vostro smisurato affanno Posate, o di costei veraci figli, Al cui supremo danno Il vostro solo è tal clie rassomigli.

251

27

Di voi già non si lagna La patria vostra, ma di chi vi spinse A pugnar contra lei Si ch'ella sempre amaramente piagna E '1 suo col vostro lagrimar confonda. Oh di costei che tanta verga strinse Pietà nascesse in core A tal de' suoi che aJBfaticata e lenta Di si buja vorago e si profonda La ritraesse! O glorioso spirto, Dimmi, d' Italia tua morto è l'amore ? Dimmi, la vampa che t'accese, è spenta"? Dimmi, mai rinverdirà quel mirto Che tu festi sollazzo al nostro male? E saran tue fatiche a l'aria sparte ? sorgerà mai tale Che ti rassembri in qualsivoglia parte?

252

28

In eterno peri la gloria nostra? E non d'Italia il pianto e non lo scorno Ebbe verun confine?

Io mentre viva andrò sciamando intorno, Volgiti a gli avi tuoi, guasto legnaggio, Mira queste mine

E le carte e le tele e i marmi e i templi, Pensa qual terra premi, e se svegliarti Non può la luce di cotanti esempli, Che stai? levati e parti. Non si convien a si corretta usanza Questa d'eccelse menti altrice e scola: Se di codardi è stanza ; Meglio l'è rimaner vedova e sola.

253

IMPRIMATUE

Si videbitur Revino Patri Sac. Palatii Apostolici Magistro

Candidus Maria Frattini Avchiep. Philip. Vicesg.

IMPEIMATUR

Fr. Th. Dominicus Piazza 0. P. Magister et Soc. Rmi P. M. S. P. A.

CANZONE

DI

GIACOMO LEOPARDI

AD

ANGELO MAI

BOLOGNA. MDCCCXX

PER LE STAMPE DI IACOPO MAESIOLI

COy APPUOVAZIÙXL-

257

GIACOMO LEOPARDI

AL CONTE

LEONARDO TRISSINO

yoi per animarmi a scrivere mi solete ricordare che la storia cW nostri tempi non darà lode agP italiani, altro che nelle lettere e nelle scolture. Ma eziandio nelle lettere siamo fatti servi e tributari; e io non vedo in che pre- gio ne dovremo esser tenuti dai posteri, considerando che la facoltà delV immaginare e del ritrovare e spenta in ita- lia, ancorché gli stranieri ce V attribuiscano tuttavia come nostra spedale e primaria qualità, ed e secca ogni vena di affetto e di vera eloquenza. E contuttociò quello che gli

258

antichi adoperavano in luogo di passatempo, a noi resta in luogo di affare. Sicché diamoci alle lettere quanto jy orlano le nostre forze^ e ap)plichiamo V ingegno a dilet- tare colle parole, giacche la fortima ci toglie il giovare co^ fatti compera usanza di qualunque c/e' nostri maggiori volse l'animo alla gloria. E voi non isdegnate questi po- chi versi chHo vi ìuando. Ma ricordatevi ch'ai disgraziati si conviene il vestire a lutto, ed è forza che le nostre canzoni rassomiglino ai versi funebri. Diceva il Petrarca, ed io son un di quei che '1 pianger giova. Io non j^osso dir questo, perche il piangere non e inclinazione mia pro- pria, Dia necessità de' tempi e volere della fortuna.

259

5

Italo ingegno, a che già mai non posi Di svegliar da le tombe I nostri padri? e a favellar gli meni A questo secol morto al quale incombe . SI gran nebbia di tedio? E come or vieni Si forte a' nostri orecchi e si frequente, Voce antica de' nostri Muta si lunga etade? e perchè tanti Kisorgimenti? In un balen feconde Yenner le carte; e a la stagion presente

I polverosi Chiostri

Serbaro intatti i generosi e santi Detti de gli avi. E che valor t' infonde

II Cielo e '1 fato, Italo illustre? e quale Tanto avvivar fu degno altro mortale ?

260

6

Certo senza divino alto consiglio Non è ch'ove più lento E grave è '1 nostro disperato obblio, A percoter ne rieda ogni momento Novo grido de' padri. Ancora è pio Dunque a l' Italia il cielo, anco si cura Di noi qualche immortale; Che poi eh' è questa o nessun' altra poi L'ora da ripor mano a la virtude Rugginosa de l'itala natura, Tanto e si strano e tale E '1 clamor de' sepolti, e de gli eroi Dimenticati il nome si dischiude, O patria o patria, anco in età si tarda Chiedendo se ti giovi esser codarda.

2G1

7

Spirti sublimi, ancor di noi serbate Qualche speranza? in tutto Non siam periti? A voi certo il futuro Ignoranza non copre: io son distrutto Ed annientato dal dolor, che scuro M'è l'avvenire, e tutto quanto io scerno E tal che sogno e fola Fa parer la s])eranza. Anime prodi. Voi non sapete a che siam giunti? E morta Italia vostra; a' vostri figli è scherno E d'opra e di parola Ogni valor; di vostre eterne lodi Non è chi pensi, nullo si conforta ^ Del vostro rimembrar, che di viltade Siam fatti esempio a qualsivoglia etade.

262

y^^^m^^^

Bennato ingegno, or quando altrui non cale De' nostri alti parenti, A te ne caglia, a te cui '1 fato aspira Benigno si che per tua man presenti Paion que' giorni allor che da la dira Obblivione antica ergean la chioma Con gli studi sepolti I vetusti divini a cui natura Parlò senza svelarsi, onde i riposi Magnanimi allegrar d'Atene e Roma. Oh tempi oh tempi avvolti In sonno eterno. Allora anco immatura La mina d' italia^ anco sdegnosi Eravam d'ozio turpe, e l'aere a volo Una favilla ergea da questo suolo.

263

9

Eran calde le tue ceneri sante, Non domito nemico De la fortuna, al cui sdegno e dolore Fu più l'averno che la terra amico : L'averno; e qual non è parte migliore Di questa nostra? E le tue dolci corde Tremolavano ancora Dal tocco di tua destra o sfortunato Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce L'italo canto. E pur men grava e morde Il mal che n'addolora Del tedio che n'affoga. Oh te beato A. cui fu vita il pianto. A noi le fasce Cinse la noia, e siede accanto il nulla Immoto e ne la tomba e ne la culla.

264

10

Ma tua vita era allor con gli astri e '1 mare, Ligure ardita prole,

Quand' oltre a le colonne ed oltre a i liti Cui strider l'onde a l'attuffar del sole Pareva udir la sera, a gl'infiniti Flutti commesso, ritrovasti il raggio Del sol caduto, e '1 giorno

Che nasce allor ch'a i nostri è giunto al fóndo: E vinto di natura ogni contrasto. Ignota immensa terra al tuo viaggio Fu gloria, e del ritorno

A i rischi. Ahi ahi che conosciuto il mondo Non cresce ma si scema, e assai più vasto È al fanciullin che a quello a cui del cielo Gli arcani e de la terra han perso il velo.

265

11

Nostri beati sogni ove son giti De r ignoto ricetto D' ignoti abitatori, o del diurno De gli astri albergo, e del rimoto letto De la giovane aurora, e del notturno Occulto sonno del maggior pianeta? Sete svaniti a un punto. Ecco descritto il mondo in breve carta, Ecco tutto è simile, e discoprendo, Solo il nulla s'accresce. A noi ti vieta Il vero appena è giunto. 0 caro immaginar; da te s'apparta Nostra mente per sempre, a lo stupendo Poter tuo primo ne sottraggon gli anni, E rifugio non resta a i nostri affanni.

266

12

Nascevi a dolci sogni intanto, e '1 primo Sole splendeati in vista, Cantor vago de l'arme e de gli amori die in età della nostra assai men trista Empier la vita di felici errori: Nova speme d'italia. 0 torri o celle 0 donne o cavalieri 0 giardini o palagi, a voi pensando In mille vane amenità si perde L'ingegno mio. Di vanità, di belle Fole, e strani pensieri Si componea l'umana vita: in bando Gli cacciammo: or che resta? or poi che '1 verde È rapito a le cose? il certo e solo Veder che tutto è vano altro che '1 duolo.

267

13

0 Torquato o Torquato, a noi promesso Eri tu allora, il pianto A te, null'altro prometteva il cielo. 0 misero Torquato, il dolce canto Non valse a consolarti, o a sciorre il gelo Onde l'alma t'avean ch'era si calda Cinta l'odio e l'immondo Livor privato e de' tiranni. Amore, Amor di nostra vita ultimo inganno T'abbandonava. Ombra reale e salda Ti parve il nulla, e '1 mondo Tutto un deserto. Onor che giova a un core Poi che d'inganno uscio? sorte non danno L'estrema ora ti fu. Morte domanda Chi '1 nostro mal conobbe, e non ghirlanda.

208

14

Torna torna fra noi, sorgi dal muto E sconsolato avello

Se vuoi strider d'angoscia, o miserando Esempio di sciaura. Assai da quello Che ti parve si mesto e si nefando E peggiorato il viver nostro. 0 caro, Chi ti compiangerla. Se fuor che di se stesso altri non cura? Chi stolto non direbbe il tuo mortale Affanno anche oggidì, se '1 grande e '1 raro Or si chiama follia.

Ne livor più ma ben più grave e dura La noncuranza avviene a i sommi? o quale, Se più de' carmi, il computar s'ascolta, T'appresterebbe il lauro un' altra volta?

269

15

Da te fino a quest'ora uom non è sorto, 0 sventurato ingegno, Pari a l'italo nome, altro eh' un solo, Solo di sua codarda etate indegno Allobrogo feroce, a cui dal polo Maschio valor, non già da questa mia Stanca ed arida terra. Scese nel petto; onde privato, inerme (Memorando ardimento) in su la scena Mosse guerra a' tiranni: almen si dia Questa misera guerra A le schiacciate genti, a l' ire inferme Del mondo. Ei primo e sol dentro a l'arena Scese, e nullo il segui, che l'ozio e '1 brutto Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.

270

16

Disdegnando e fremendo, immacolata Trasse la vita intera, E morte lo scampò dal veder peggio. Vittorio mio, questa per te non era Età suolo. Altri anni ed altro seggio È d'uopo a gli alti ingegni. Or di riposo E vago il mondo, e scorti Siam da mediocrità; seco è '1 sapiente E salita è la turba a un sol confine Che '1 mondo agguaglia. 0 scopritor famoso. Segui, risveglia i morti Poi elle dormono i vivi, arma le spente Lingue de' prischi eroi, tanto che in fine Questo secol di fango o vita agogni E sorga ad atti illustri, o si vergogni.

271

ERRATA . CORRIGE

pag. IG. Vers. 8. sec^o sceso

INDICE

Alla Signorina Bice Antona-Tr aversi Pag. ni

Prefazione ix

Odissea 1

Eneide 31

Al lettore 33

Libro secondo ^ 41

Inno a Nettuno 95

Sul monumento di Dante 139

Ad Angelo Mai 157

La sera del giorno festivo 175

Alla luna 181

La luna o la ricordanza . 185

Il sogno 189

Il sogno. Idillio 195

Imitazione 201

Canzone per una donna malata di una malattia lunga

e mortale 205

Lo rimembranze , 215

Appendice ^ 223

Canzoni di Giacomo Leopardi 225

Al Chiarissimo Sig. Cavaliere Vincenzo Monti . 227

Sull'Italia ^ 233

Sul Monumento di Dante 241

Canzone di Giacomo Leopardi ad Angelo Mai . 255

Giacomo Leopardi al conte Leonardo Trissino . 257

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15 GIUGNO 1887

CATALOGO

S. LAPI Editore

IN CITTA' DI CASTELLO

HA PUBBLICATO

Allnda Bonacci Brunamonti Nuovi Canti Rile- gato e dorato con finissimo ritratto in acciaio L. 3,50 Giacomo Leopardi Canti e versioni pnbbicati da ca:\iillo an tona T^vA^'El^,SI di su gli autografi

recanatesi 5,00

F. D' Onufrio Pathos 3,00

iVIorandi Luigi. Origine della Lingua Italiana.

Terza edizione, emendata e accresciuta . . . . 1, 00. " Il libro è breve; ma è difficile trovarne uno più succoso, più proporzionato al modo in cui l'autore ha inteso trattare il soggetto suo, più chiaro, e in cui meno manchi e meno abbondi. E,. Bonghi, nel Fanfulla del 1-1 genn. 1884.

" Libro piccolo, ma istruttivo. A. Gaspauy, Geschichfe der Italìenischen Literaiar ; Berlin, 1885; pag. 483. Belli. 6. G. I Sonetti Romaneschi. Unica edizione fatta sugli autografi, a cura di Luigi Moran-

Di. Voi. 2«, o\ 40 e 5*^ complessivamente 16,00

Id. là. id., in carta di Fabriano 20,00

C. A. Traversi " Greve Tuono Dantesco 1,00

O. Guerrini. Avventure di Giuseppe Pignata... 2,50 Giachi V. Amori e costumi latini edizione di lusso rilegata e dorata 1 poche copie disponi- bili) 4,00

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R. De Cesare (Simmaco) ~ Il Conclave di Leone XlII

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LA GIURÌA, Traduzione dall'Inglese 1,00

A. Gabrielli. Le Rovine dei Nibelunghi 3,00

P. Goodwill Le XII Tavole dell'antica Roma.. 1,00 G. L. Piccardi (Lelio). La moglie di Collatino. 2,00 A. Borgognoni - Matella 0,50

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E. Faelli Saggio sulle biblicgr. degli incunabili. L. 1,00 Mariani Cesare Grammatica Italiana per le

Scuole, parte I. dell'etimologia ,, 1^50

Zanella Giacomo L'evoluzione, fCarme) tradotto

dallo stesso in versi latini 0.50

Morandi Luigi. Antologia della nostra Critica letteraria moderna, per uso delle persone còl- te e delle &cuole. Terza impressione 4,00

Morandi Luigi. Voltaire contro Shakespeare, Ba- retti contro Voltaire; con un'Appendice alla Frusta Letteraria e XLIV Lettere del Ba- retti inedite o sparse. Nuova edizione, miglio- rata e molto accresciuta 4,00

Morandi Luigi. La Francesca di Dante. Studio

con Appendice inedita 0,50

Bonazzi Luigi. Gustavo Modena e l'Arte sua, con

Prefazione di Luigi Morandi. Seconda edizione 2,00

0. Bruni La nostra redenzione morale, libro of- ferto al Popolo Italiano 1,00

Teocrito. Idilli tradotti da Giacomo Zanella.

RILEGATO y, 3,00

A. Ademollo Le Annotazioni di Mastro Titta.... 1,50 Aristofane. Le Rane. Traduzione di A. Fran- CHETTi con prefazione di D. Comparetti. Ri- legato 3,00

F. d'Ovidio e L. Sailer. Discussioni Manzoniane 3,00 Mamiani T. Poesie e prose scelte, con un di- scorso su la vita e le opere dell'autore a cura

di Giovanni Mestica 4,00

G. Magherlni-Graziani Il Diavolo, Novelle Val- darnesi 4,00

Pinzi G. Della presente letteratura in Italia.. 1,00 Spedalieri N. L'Arte di governare, con prefa- zione di Giuseppe Cimbali 2,00

Mastri gli L. Beethoven, la sua vita e le sue opere 3,50

Bongiil R. Eloisa 0,80

Spencer Herbert. Istituzioni ecclesiastiche. Tra- duzione di Sofia Fortini-Santarelli 3,00

Clodd Edward Le Credenze Religiose dell'Uma- nità. Traduzione di Sofia Fortini-Santarel-

4

LI, col consenso dell'autore. Rilegato. 2" Ediz. L. 3,00 Spencer Herbert. L' Individuo e lo Stato. Tradu- zione di Sofia Fortini-Santarelli con prefa- zione del prof. Giacomo Barzellotti 2* Ediz. 2,50 Sancti Thomae Aqulnatls. Opuscula selecta. Edi- zione curata dal prof. Michele De Maria, con prefazione e note del medesimo. Volumi 3 in 8*^ 15,00

Nannarelll F. TJsca la Settimia 2,50

Bonghi Ruggero. Francesco d'Assisi. Studio ,. 1,50

Angeletti N. Cronologia delle Opere Minori

di Dante ,, 1,00

Zanella Giacomo. Della letteratura italiana nel- l'ultimo secolo, 2."^ impressione. Rilegato e

Dorato 3,00

Barbìera R. Chi l'ascolta? 1,00

Lombroso C. Pazzi e Anomali 1,50

Badia R. Lezioni di Geometria complementare. 2,50 Mestica G. Discorso su la vita e le opere di

Terenzio Mamiani 1,00

Borgognoni A. La Questione Maianesca 1,60

De Viti De Marco A. Moneta e Prezzi 4.00

Thayer W. M. Tatto, Energia, Princìpi]' 1,00

Mengotti F. Idraulica fisica e sperimentale 2,00

Bartolucci Lorenzo. Pensieri, massime e giudizi

estratti dalla Divina Commedia. 2,50

Magherini e Gatteschi. Casentino, con disegni

del Fabbi 2,00

Marasca Alessandro. La Henriade del Voltaire 2,00 Martinozzi G. Del Pantagruele di F. Rabelais 1,50 Carducci Giosuè. Sei odi Barbare, traduzione la- tina di Amedeo Crivellucci 2,00

Bonghi Ruggero. Arnaldo da Brescia ,.... 1,00

Marchetti Alessandro. I Tarli dell'Arte dramma- tica 1,50

Bonghi Ruggero. Leone XIII. Seconda edizione 1,50 Rara (Biblioteca dei Bibliofili). Del Governo

della Corte di un Signore in Roma 4,00

Gigliarelli Dott. Raniero. Bacco, bozzetti pato- logici .... 300

E. Mannucci Guida di Città di Castello ,. 1,50

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