-■^^ ^i^ /"//' COLLEZIONE D' OPUSCOLI SCIENTIFICI E LETTERARJ E D ESTRATTI D'OPERE INTERESSANTI Viresque acquirit eundo, VIRG. Voi. V. FIRENZE 1808. NELLA STAMPERIA DI BORGO OGNISSANTI CON APPROVAZIONE. COLLEZIONE B'OPUSCOLI SCIENTIFICI E LETTERAKJ ED ESTRATTI D'OPERE INTERESSANTI. Fine del Frammento di Grammatica di M. Be- nedetto Varchi estratto da un MS. esistente nella Libreria del Sig. Marchese (Jav. Giu- seppe Pucci. Donde si dica , e che sia accento A< .ccinere verbo composto d' ad, e cano signi- fica latinamente cantar appressa,, e quasi secon- dare il canto; e dal verbo cantare così i Greci, come i Latini cavarono il nome à' accento, ì qua- li chiamarono ancora accenzioni, e accenziuncu' le; e per le medesime cagioni imitando i mede- «im^i Greci, tenori. Sono gli accenti senza dubbio alcuno l'animo delle sillabe, e perchè ogni sil- laba si' pronunzia necessariamente, oalta, o bas- sa, quinci è, che gli accenti sono principalmen- te duoi , acuto, e grave:- perchè ogni volta, che la sillaba si pronunzia altamente ; come si irede nella sillaba del mezzo di questo nome 4 Fortuna , o nell' ultimo di questo verbo nel tèmpo dei futuro Amaro ; cotali sillabe , ovvero pronun- zie , cioè quei suoni , che in pronunziandole si seutono, si chiamano alti ; benché i Latini usano chiamargli non alti, ma acuti , perchè feriscono più r orecchie , essendo più sottili , cioè proffe- rendosi con più stretto spirito , ovvero fiato, che i gravi non fanno . Onde i fanciugli per aver essi la gola, e canna più sottile, hanno ancora la voce più acuta, e squillante.il segno di que- sto accento è una picciola linea, ovvero riga, la quale saglie da basso in alto non a dirittura, ma dalla sinistra verso la destra così'. Ogni vol- ta dunque , che trovaremo questo segno sopra qualsivoglia sillaba, allora non già la credere- mo lunga ( come hanno detto alcuni ) ma bene la proffcilremo alta, ovvero acuta. I Greci han- no in costume di segnar tutte le lor sillabe co- gli accenti : onde ogni volta , che la sillaba è alta, essi vi pongono di sopra l'accento acu- to, ma i Latini non fanno così, anzi pochis- sime volte le segnano , e allora per cagione di qualche varietà , e differenza : ma ogni volta , che la sillaba si profferisce bassamente, come si vede nell'ultima, e nella penultima di questo nome carmina , o di questo verbo legero , allo- ra cotali accenti si chiamano bassi, invece del qual nome , i Latini dicono gravi , perchè la voce si manda, e abbassa, come se cadesse, il che è delle cose gravi , verso la gola , e '1 pet- to, e si nota questo accento grave con una ri- ga contraria di quella dell'acuto così ^ . E'' ben vero , che uè i Greci , né i Latini segnano mai questo accento grave, e quando pure alcuna volta lo segnano, non lo segnano come grav# 5 ma invece d' acuto ; e questo si fa ( come dico- no essi ) in conseguenza , cioè quando quella pa- rola, che pronunziata da per se in su l'ultima areblDC 1' accento acuto, come in et /joc, pronun- ziata in conseguenza , cioè quando quella parola insieme coli' altre si profferisce coli' accento gra- ve , come in hòc tèmpio . Onde benché arma , e viruni abbiano , considerati da per se , 1' accento acuto in su la prima, tuttavia, quando si dice ar- ma, virumqiiecdno si pronunziano coli' accento gra- ve, ma non già si segna: perchè tutte quelle silla- be, le quali non hanno 1' accento acuto , sono ne- cessariamente gravi. Onde non può dizione nes- suna aver più d' uno accento principale, cioè r acuto , perchè nel circonflesso si contiene , e comprende 1' acuto, e tutti gli altri: del che se- gue, che qualunche dizione ha necessariamente l'accento acuto considerata per se medesima , e non in conseguenza : e per chiarir meglio que- sta difficoltà cogli esempi ' ^^^ dicesse Homeró cantò profferirebbe cantò coU' accento acuto nel- r ultima, come nel vero è", ma chi dicesse Ho- mcro cantò d' Ulisse , allora cantò non arebbe il suo accento acuto , ma grave , perchè la voce non si ferma se non in su l'acuto, cioè sopra la sillaba del mezzo di quella parola Ulisse: e '1 medesimo intendiamo di tutti gli altri simili. Oltra questi duoi si trovava appo gli antichi, così greci , come latini un altro accento , chia- mato circonflesso , cioè piegato intorno , e que- sto era quando eglino nel pronunziare che che fosse , prima alzavano la voce , e poi 1' abbas- savano; e perchè questo accento, il quale og- gi è smarrito, anzi piuttosto perduto, era com- posto dell' acuto , e del grave , lo segnavano 8 coir un segno, e coli' altro congiunto insieme così /\ e per brevità v . Ma questo ( come s' è detto ) bi profferisce oggi nella lingua Gre- ca poco, nella Latina meno , e nella Tosca- na non punto; e per«iò non favellaremo più di lui, e tanto meno, che il favellar degli ac- centi richiede un luogo, e un'opera particola- re; i quali perchè sono voci, e si fanno colla \'Oce , si chiamano vacuLtzioni , e perchè reggono, e regolano la voce , si chiamano moderamini , ov- vero moderamenti , e perchè si segnano colle no- te sopraddette si chiamano ancora a^^'ice^ , et fa- stigia , cioè le vette , e le cime : e molte volte servono per differenza , cioè a mostrare quello , che significhin quelle parole . le quali sono pospo* ste -j come dicono i Gramatici che fece Vergilio , quando disse: et littora circum , e non circum littora^ e oggi s' usa profferire molti awerb) coir accento acuto a differenza de' nomi, co- me citò , prqfectó , e altri tali , che molti per errore segnano coli' accento grave proféctò , ci' tò . Non voglio già lasciare indietro , che gli ac* centi alcuna volta si trasferiscono de' luoghi lo- ro propj , e si trasportano in pronunziando ne- gli altrui , come si vede in quelle tre particel-!- le, che da questo si chiamano encletice , cioè inclinative , perchè tirano 1' accento a se, e que- ste sono quc ,ve,ene, le quali di necessità hanno sempre l'accento innanzi a loro, come si vede in questo nome littora, il quale pronunziato da se ha r acuto in su la prima sillaba , ma aggiuntovi il que , o il ne , così , littoraqiie , o littorave , 1' ha in su l'ultima-, e medesimamente chi profferisce ego da se lo pronunzia coli' acuto in su la prima, macia ▼' aggiugne l' interrogazione ne , diceud o Egoneì lo profferisce coir acuto in sul* ultima, cioè innanzi zi ne, e nel medesimo modo di tutti gli altri so- miglianti , che sono infiniti . Le quali cose , af- fine che meglio s' intendano porremo in esempio un verso segnato prima con quelli accenti , che si converrebbono alle parole considerate per se, e fuor delia costruzione ; poi con quegli , che gli si convengono pronunziato in conseguenza, e come si debbe. Conticuere omnes , intentique ora tenebant . Contìcuère óinnes, intentique ora tenebant. iS'è paia ad alcuno strano , se egli non inten- de queste cose, perchè s' aspettano al versifica- tore , cioè air arte metrica -, e chi dimandasse per- chè dunque l'insegni qui? Risponderei prima, perchè ( oltra che 1' appararle se non tutte , alme- no parte sarebbe buono ) sono in modo coliegate insieme , che non si possono spiccar del tutto l' una dall' altra , poi perchè tutti gì' imparanti non so- no d' un medesimo ingegno, né d' una stessa ca- pacità, e intelligenza, per non dire, che s'ac- cennano piuttosto in questo luogo , che s' inse-^ gnino . Delle passioni della Sillaba . Tutti e tre gli accidenti detti di sopra , cioè tempo, spirito, e tenore , si possono chiamare accen- ti, perchè tutti sono modi, e misure della sil- laba; ma quelle tre note , ovvero segni, che i Gramatici pongono tra gli accenti , chiamate da loro con nomi Greci hiphen , cioè unione, ovvero congiugnimento , Diastole , cioè disgiunzione , ov- 8 vero sepaf amento, e ApoStrophe , cioè rivolgi" mento (^ benché questa ultima ha ritenuto il nome suo ancora in Toscano ) non sono accenti, ma passioni . La prima delle quali si nota con que- sto V quasi contrario al segno dell'accento cir- conflesso , e si pone tra due dizioni ogni volta , che elle ( per l' essere composte insieme intera- mente , cioè senza mutazioni di lettere ) sono bene congiunte, e appiccate insieme, ma di ma- niera, che per essere intere, non par, che siano appiccate , come si può vedere in queste dizioni appresso Terenzio Inter loci; e in questa altra ap- presso Vergilio nella prima Egloga . Namque erit ille mihl semper Deus , illius aras . Dove semper Deus è una parola sola , e non due, onde non si debl)e profferire sémper Deus con due accenti acuti in su le prime sillabe, come sé fussero due parole, ma con uno in questo modo sempér Deus . Il medesimo si debbe fare in tut- te queste dizioni suaverubens antevolans semper» florens , come si ved« in Vergilio, quando disse. Turnus , ut antevolans primum praecesserat agmen. E in Lucrezio quasi nel principio del libro ; Unde siti efcortam semper fiorentis Homeri Commemorat speciem . La qual cosa si fa ancora ne' sostantivi come Vergilio . O sodi neque enim ignari sumus ante ìnaloruiìi . 9 I)ove ante malontm è una parola sola e non due: onde si debbe pronunziare con uno ac- cento acuto solo , e non con due . E il me- desimo diciamo di tutte l'altre dizioni così fat- te. La seconda , cioè , la disgiunzione è al tutto contraria a questa , cioè si pone a dinotare , che quelle parole , le quali ci potrebbono per av- ventura parere una sola, sono due; onde non con unoaccento ,raa con due sono da essere pro- nunziate : e si segna secondo alcuni con due lineette una di sopra , e una di sotto risguardan- ti r una 1' altra in questa maniera \ e secondo alcuni quasi con un, e, a rovescio in questo mo- do 0 come in quel verso di Vergiliu: littore conspicitur \ sus ^ ovvero conspicitur o sus : per- chè alcuno legge conspicitursus , e così in tutte r altre . La terza , e ultima cioè l' Apostrophe sì «égna anch' ella, come quasi un, e, a rovescio così o , ma si pone di sopra , e non di sotto co- me la disgiunzione , e questa si fa in dne modi ^ perchè alcuna volta si leva una lettera sola , co- me Vergilio : Tu ne ille Aeneas? t alcuna volta si levano due lettere , come ogni volta, che la dizione precedente fornisce nella lettera , m , e la seguente comincia da vocale , come appresso Properzio . Tantum in amore preces ; et bénefacta vaient. che si pronunzia così: Tant' in amor» preces , et benejacta vatent. IO Ben è vero, che i Latini nello scrivere non le levavano come facciamo noi Toscani , ma solo nel pronunziarle , ancoraché anticamen- te si levassero , come si vede ancora in Plau- to , e in Terenzio . Fact^ est , dict* est , invece dìjlictum est , e dictum est , i quali accidenti i versificatori chiamano collisione , cioè percoti- mento y cozzando 1' una lettera , e quasi percoten- dosi coir altra. Usasi ancora l'Apostrofe alcuna volta , quando non seguita la vocale , come Ver- gilio. luppiter omnipotens tanto n* me crimine dignum, in scambio di dire tanto ne ; come si dice an- cora in prosa ditin' in vece di ditine"? e più notabi- le è quella di Catullo , quando disse nel suo leg- giadrissimo Epitalam. Viden' ut perniciter exuluere ? Dove è levato non solo una vocale , ma anco- ra una consonante , dovendo dire interamente vides ne? Del compitare. Quello , che i latini , chiamano dividere sylU" ba5, Fiorentinamente si dice compitare, del qua- le atto molti si sono astenuti di favellare parte per tema d'esser beffati parendo loro il compi- tare cosa da fanciugli ( per non dire bambini ) parte per credere , che ciò fare fusse agevolissi- mo , e tanto noto , che non facesse mestiero d' in- segnarlo , parte ancora affrettandosi di salire a cose alte , e grandissime , non curaro delle bas- se^e menomissime . I primi mostrano male di II sapere , che chi cerca dì giovare agli altri uo- mini , non deve di coloro tener conto , i quali non sappiendo essi , non vorrebbono , che sapes- sero 5IÌ altri . I secondi furono srandissiraamen- te errati . Perciocché molti sono coloro , i quali si tengono, e sono dottissimi, che non sanno compitare, come poco disotto si dirà. I terzi commettono quel medesimo errore , che farebbe uno Architetto , se per desiderio di tosto vedere la facciata fornita , o non facesse i fondamenti , o gli facesse cattivi , Ma venendo al fatto , dico che a me pare ( sia detto con quella modestia , che si conviene ) che non solo Prisciano Grama- tico celebratissimo nell' insegnare compitare , ma ancora Quintiliano famosissimo Retore non di- cesse bene : per ciò , che egli vuole , che questa voce Aruspex , la quale è di tre sillabe , si compiti così A, rUf spex 'f la qual cosa è verissima, ma non è già vera per mio giudizio la ragione, che egli di ciò allega nell' ultima sillaba dicendo , che V s va coli' ultima sillaba, e non con quel- la del mezzo , perchè questo nome nell' ultima sua parte viene ah spectando cioè dal vedere . E io dico, che questa lettera, s, non può mai in nessuna sillaba di nessuna dizione spiccarsi dal, p, come anco il, e, naturalmente non può dalj t, separarsi nel compitare, e per questa ca- gione devemo pensare, chei buoni scrittori con- giugnessero queste lettere , e le legassero 1' una coir altra in questo modo sp,ct,{i) onde chi com- pitasse questa voce despectits in questa guisa, come fanno molti, des , pec, tus , commettereb- be in una parola sola due barbarismi , devendo- (1) Qui le due lettere sono attaccate come nell'an' tiche sciitture . 12 si dire senza dubbio alcuno de , spe , ctus , e co- sì di tutti gli altri . Soggiugne poi Quintiliano , che questa parola abstemius non si debbe divi- dere , e compitar così ah , ste , mi , iw , e la ca- gione è , perchè egli è composto dall' astinen- za del vino ; quasi ahsque ternato , cioè , senza, vino •, ma così ahs , te , mi ^ us , perchè quando si compongono i nomi, non solamente si me- scolano gH accenti , ma ancora le lettere. Onde ahigo , per questa ragione non si devrebbe com- pitare, come ne 'nsegua Prisciano , così ab ,1 ,go, ma a, hi , go . Errasi ancora in compitando que- sto avverbio isthic , o scrivasi coli' aspirazion* ( come crediamo noi ) o senz'essa, perchè al- cuni dicono così is , thic; alcuni i, sthlc , e al- cuni ( il che pensiamo vero ) ist , hic . Peccasi ancora in questa voce Aracne , cioè Ragnate- lo, perchè non si compita, come fanno alcuni, A, rac , ne , ma così A, ra , cne , ancora ci- cnus , ci, cnus , e non eie, nus , e molti altri. Nel medesimo errore si truovano coloro , che di- cono ap , tas y o ap , ti, tu, do , dovendosi dire a, plus , ma perchè i particolari per lo essere egli- no infiniti , non si possono sapere, e conseguen- temente non si debbono insegnare , perciò ver- remo a dare alcune regole generali , mediante le quali ciascuno possa agevolmente per se medesi- mo dividere e compitare tutte le sillabe di tut- te le dizioni . Regola di compitare. Tutte le sillabe sono , o nel principio , © nel mezzo , 0 nella fine delle dizioni , e tutte si possono considerare, o come cominciano, oco- i3 me terminano, perchè è per accidente, che al- cuna dizione cominci , e fornisca in un modo medesimo , e così la parte venga a essere il me- desimo, che il tutto, come si vede in questo imperativo, i, cioè, va, il quale è lettera, e sillaba, e dizione , considerato però variamen- te , e secondo diversi rispetti . Considerando dunque al presente non come cominciano , ma come finiscono le sillabe , e favellando sola- mente di quelle , che si truovano , o nel prin- cipio della dizione , o nel mezzo , diciamo , che tutte forniscono necessariamente , o in vo- cale , o in consonante . Quelle , che forniscono in vocale hanno alcuna volta dopo se un'altra vocale , come in questo nome poeta , pò, e , ta , e alcuna volta una consonante , come in FrarL,ce, SCO, e alcuna volta, due, come trr^'te, e alcu- na volta tre come stirps , e aspra, in vece d'a- spera . Ma in qualunche modo si sia, ogni vol- ta , che la lettera , o le lettere , che sono dopo la vocale possono cominciare sillaba , cioè si può trovare alcuna dizione , che cominci da loro , allora, e in tal caso la sillaba debbe sempre fornire nella vocale, come si vede in video, vi, de ,0, e in tutte l' altre , che non hanno dopo se più d' una consonante , perchè potendo ciascuna consonante cominciare sillaba, sempre la silla- ba precedente fornirà in vocale ; ma quando ara due consonanti dopo, se cotali consonanti potranno cominciare sillaba , allora la sillaba precedente fornirà medesimamente in vocale , come si vede in questa parola Apri , i porci sal- vatichi , la prima sillaba della quale è a sola, e la seconda pri , perchè queste due lettere, pr , j>ossono cominciare sillaba , come si vede in pra- tum , e in altri infiniti ; similmente apto non si divide , come molti fanno ,ap,to, conciosiachè , f)C,può cominciare sillaba, come si vede in Pto- lomeus ; così Astrimi , perchè si trova traho , si divide a , stnim , e di tutti gli altri nel me- desimo modo. Ma quando le due lettere, che seguitano non possono cominciare sillaba , allo- ra la sillaba precedente fornisce non in vocale, ma in consonante, come si vede 'marte, ar , te, e in ardeo , ar , deo, in cantus , ah , nu , o , at , que,ec, quis ^ e in altri infiniti. Quando dopo vocale seguitano tre consonanti , s' osserva la medesima regola , perchè se possono dette tre let- tere cominciare sillaba , la sillaba precedente for- nisce in vocale, come in questa voce astrum le stelle j che si compita A, strum , così aspra, a, spra: ma quando dette tre lettere , non possono co- mindare sillaba, allora la sillaba precedente forni- sce non in vocale , ma in consonante , come in ab- scindo , ab , scin ,do,ab, scori ,do,ab ,ster , go , ben- ché in questo ultimo secondo la regola di Quinti- liano s' arebbe a dire abs ,con , do . Il che chi volesse seguitare , si potrebbe difendere coli' autorità di così dotto , e grave scrittore , e così non direbbe ab ,sti,ne ,0 ,{ come diciamo noi ) ma , ahs , ti , ne , o, e così in abactus , non direbbe, come noi, a, ba , ctus , pia perchè è composto da ah , e ago , direbbe ab, a, ctus; del che seguiterebbe, che la regola nostra data di sopra ( la quale credia- mo verissima ) generalmente, e senza alcuna ec- cezione, sarebbe vera solamente nelle dizioni sem- plici , ma nelle composte alcuna volta fallareb- be. Ma tornando al proposito, dico, che alcuna ▼oita seguitano dopo la vocale quattro consonan- ti, e in tal caso , perchè ninna dizione latina ... iS comincia da quattro consonanti, la sillaba prece- dente di necessità termina in consonante , come in abstrao , ab , stra , o , e secondo Quintiliano , abs , tra,o,e così in questa parola transtrum , il banco delle oaZee, dove e secondo noi, e secondo Quin- tiliano, è forza a dire tran,strum',e perchè Quin- tiliano dice , che nelle sillabe non si debbe u- «are brevità, ma si deono imparare tutte, biso- gna esercitarsi a compitare, e conoscere di quali lettere si possono comporre sillabe, o no, il che fece dottissimamente M. Aldo Manuzio , e con grandisimo giudizio dinanzi alle regole sue, quando cominciò ,ba,be, bi ,bo ,bu , del che merta tanta lode appresso i dotti, e giudiziosi, quan- to è deriso e uccellato da gli altri. E quanti so- no coloro, che insegnando compitare/mu5, dico- iioJ»-a, US , barbarissimamente, dovendosi dire fraiis, e così laus , haud , e infiniti altri! non dicono ancora «ra, 05, come trabs fosse due silla- be ? dicono Eurus , come fusse tre ? e così or ,phe , US, e non Or,pheus? Quanti dicono mag ,' nusl quanti dam , num , e non da , mnum , stam , num , e non , sta , mnutn , tem , no , e non te , nino; e altri infiniti , di cui trattare s' appartiene par- te all' ortografia , cioè alle regole del corret- tamente scrivere, e parte all'arte metrica. Non voglio già lasciare indietro, peramendare quel- i errore, che in iscrivendo si commette da mol- ti che nelle fini de' versi non può mai lasciar- si la sillaba imperfetta, e non compita ( come, per atto di esempio ) dovendosi scrivere nel fi- ne signum, non si può fornire il verso così sig: e nel principio dell' altro verso cominciare nu/n, e così dovendosi scrivere a.spicio, non si può scrivere nel fine as , e seguitare j-'/c/o, nel pria- ì6 cipio dell' altra riga , ma è necessario fornire la. sillaba , o non la cominciare . Onde nel primo e- sempio s' ha a scrivere solamente si e nel se- condo , fl , e nel verso , che seguita poi il re- stante nel primo gnum , e nel secondo spicio. Quante volte si vede dico ancora nelle stampe divise le sillabe barbaramente, come quando nel fine del verso è scritto is , e nel principio del seguente , te , dovendosi scrivere di so- pra, i, solamente, e di sotto ste , e così di tut- ti gli altri così fatti . Avvertimento intorno al compitare. Tutti coloro, i quali hanno scritto alcuna o arte, o scienza con metodo, cioè con alcuna via, e ragione , si sono distesi , e allargati nell' in- segnare i principj, e la cagione è stata, per- chè ne' principj si contengono , se non in at- to , almeno in potenza tutte 1' altre cose di co- tale, o arte, o scienza: onde chi erra ne' pri- mi principi ( come ancora volgarmente si dice ) è al tutto tenuto ignorante : ed è piìi , che ve- ro, che la cagione perchè non si sanno bene il piti delle volte , o l' arti , o le scienze è per- chè non si sanno bene i lor principj ; perchè ( come afferma il Filosofo ) uno errore ancor- ché picciolo nel principio , riesce nella fine gran- dissimo: onde essendo le lettere, e le sillabe i principj di tutte le dizioni , e per conseguen- za di tutta la Gramatica , non e' è paruto scon- venevole , né inutile favellarne alquanto pili lungamente , che non arebbono voluto coloro , i quali non sanno prima quante cose si sono lasciate indietro; poiché niuno può conoscer» I- alcuna cosa perfettamente, il quale perfettamea- te non conosca prima le cagioni, i principi , e gli elementi d'essa. I quali principj come neces- sarissimi , così sono ancora malagevolissimi . Ecco io per me ho sempre dubitato circa il compita- re, non solo nella lingua latina, ma nella gre- ca ancora, e nella toscana, parendomi ( oltra ad alcune altre cose ) che nessuna consonante in nessuna lingua si possa veramente raddop- piare: perchè come ne' principj , e ne' fini delle dizioni oon possono stare due consonanti mede- sime, perchè ninna però né comincia, né forni- sce ( verbi grazia ) in due ■5^' , o in due tt , e così di tutte l'altre; così non pare, che possano porsi ancora negli mezzi , perchè questo prono- me , ille ( per cagione d' esempio ) non pare , che spriraa , e rilevi quella pronunzia , che gli diamo noi oggi dicendo con una voce ille , ma piuttosto seguitando la ragione del compitare, rilievi, e sprima il, le, così Abhas , perchè si dovesse pronunziare come si compita, cioè, aZ>, has , il medesimo addo ad , do , ag ,giun,go , ej^ fido ef, fi , ci , o , ag , ger , V argine , e così di tutte l'altre consonanti raddoppiate. Onde è forza dire, o che elleno si compitino in un mo- do, e rilevinsi in un altro (come pare, che ac- cenni Prisciano) o che cotali lettere non siscri- vano bene, cioè , che i ritrovatori, e compositori dell'alfabeto non lo trovassero , o non lo compo- nessero perfetto, la qual cosa non deve parer miracolo , perchè le lingue furono piuttosto tro-r vate a caso ne' loro principi, e da uomini idio- ti, che altramente. li a me è sempre piaciuto stranamente 1' usanza degli Ebrei , i quali non rajddoppiano mai cotali consonanti,, ma le forti- t8 iìcano , per dir così , e ingagliardiscono con un punto chiamato da loro daghes . Ma tem- po è ornai, che avendo noi fornito di trattar delle parti materiali della dizione , la quale è ( come si disse di sopra ) il subbietto di questa prima parte della Gramatica , valichiamo a trattare d' esso tutto . DELLA DIZIONE. Che signijlchi , e che sia Dizione . Per meglio intender le cose , che dir si deb- bono, è da per se sapere, che il suono , il qua- le non è altro , che il percotimento dell' a- ria , o piuttosto quello dell'aere percosso nasce , e risulta, è il genere della voce, la quale non è altro, che un suono uscito della bocca d' al- cuno animale, e la voce è il genere del sermo- ne, ovvero parlare, il quale non è altro, che un ordine , e disposizione di voci articolate prof- ferte per significare, esprimere alcun sentimento, ovvero nozione della mente, e mediante cotal con- cetto rappresentare quella cosa qualuncheella si fosse , di cui detto concetto era immagine , e somi- glianza, perchè l'anima, e intelletto, ovvero men- te nostra non riceve in se le cose, che si chiamano da Filosofi spezie ; non altramente, che gli spec- chi non ricevono dentro loro esse cose, ma le sembianze ,e similitudini d' esse , le quali i Gre- ci chiamano Idoli , e i Latini simulacri , gli Arabi Intenzioni , e noi Toscanamente concetti . Di questa diffinizione del sermone si vede, che seb- bene la voce è comune a tutti gli animali , il parlare perù solamente agli uomini , non per- ... ^9 che solo ffll uomini abbiano (come hanno mol- ti creduto ) le voci articolate , cioè , che si possano scrivere a differenza delle inarticolate , che non si possono scrivere , come i canti , i fischi , il sof- fiare de' venti, e altri tali; perchè come molte voci d' uomini sono inarticolate , quali sono, quelle de' Genovesi, e d'ultre lingue, che non si possono sprimere colle lettere, così in molti animali si truova delle voci articolate , come ne' Pappagalli, e nel belare delle pecore si co- nosce : ben è vero , che iu loro sono , e le vo- ci, e 1 significati d' esse voci da natura, do- ve in noi le voci da natura, o almeno gli strumenti d' esse , come il polmone, la gola , la lingua, il palato, e i denti , senza le quali cose , o tutte , o parte non si fanno le voci , ma le significazioni delle voci sono a piacimento nostro , cioè , trovate da noi . Onde non sono le medesime appresso tutti i popoli , e si possono mutare. Ebbe dunque di tutti gli animali 1' uo- mo solo il poter parlare, dono inestimabile del- la Natura, perciocché essendo egli animai com- pagnevole, e conversativo, non solo non poteva ben vivere , ma né vivere ancora senza esso. E comecché primieramente fussero le voci, colle quali interpretavano , e mandavano fuori i loc concetti , trovate si può dire a caso , vennero dipoi uomini piìi prudenti , i quali le distinse- ro, e ridussero in regole, e sotto leggi, e am- maestramenti: e questi furono chiamati Grama- tici -, ma perchè tutte le lingue non sono ne co- piose , né leggiadre a un modo, il che avviene sì dalla natura d'esse lingue, e sì massimamen- te da coloro, che esse scrivono; quinci è, che queste tutte quattro sono solamente in pregio 20 a' nostri dì più , che in esse si truovano scritte , e ciò sono i' Ebraica , la Greca , la Latina , e ultimamente la Toscana . Ma noi trattando al presente della Latina, ancorché molte cose, che si dicono siano comuni, o a tutte in genere, o ad alcune particolari, diciamo, che sebbene que- sto verbo dicere appo i latini siguilìca quello, che noi chiamiamo arrìni^are , o jave una diceria o piti latinamente orare, c\oè fare un' orazione , non di meno questo verbale dizio, cioè dizione significa non solamente esso atto dire, e in som- ma esso arringo , e diceria , ma ancora qual si voglia parola. Onde secondo le c-ose dette la po- temo diffinire . La dizione, è un segno d'una specie, ovvero concetto solo, il quale ne rap- presenta quella cosa, di cui egli è spezie, ov- vero concetto,, e per cui rappresentare fu così chiamato. Ne si meravigli alcuno, che io nelle diffinizioni usi verbi sinonimi ( come si dice og- gi ) cioè , che significhino la medesima cosa : perchè non essendo queste cose più trattate in questa lingua, e volendo essere inteso, sono costretto di così fare . Ma perchè, come questa diluizione è vera , non le mancando , o non le a- vanzando cosa nessuna, così è ancora malage- vole-, però aggiugnererao quella de' Gramatici, la quale come è defettiva, e manchevole, così è ancora più agevole, cioè, la dizione è la me- nomiàsima parte dell' orazione costrutta : e se- condo Diomede , la dizione, è una voce con al- cuna significazione, della quale si compone, e nella quale si risolve 1' orazione , come se fuor dell'orazione non si trovassero delle dizioni, le quali sono orazioni perfette, come vive, e tutti gli altri imperativi-, e peggio fece, che 21 non v'aggiunse l'ultime parole , perchè glispur- gi sono voci, e significano -, e vi fu più chi dis- se suono significato, perchè anco gli scoppj del- le dita, e gli scalpici) de' piedi sono suoni, e alcuna volta significano. Ma in qualunche mo- do, per ora basti sapere, che la dizione è una nota, ovvero segno; la quale mediante alcun concetto significa alcuna cosa , la qual cosa non è sempre vera , cioè non si truova sempre nella natura .- perchè alcuna volta è finta , come i Centauri, e la Chimera, alcuna volta è priva- zione, come il buio, il voto, e gli altri tali, i quali non s' intendono, se non mediante gli abi- ti loro , cioè la luce , e il pieno . Come si com- prende ancora questa parola nihil , cioè nulla , benché quello, che non è veramente, non può intendersi in modo nessuno. Onde furono al- cuni , che per fuggire gì' inconvenienti detti di sopra, la difiìnirono così . La dizione, è un conc(^tto , ovvero voce , ovvero scrittura ar- ticolata incoraplessa significativa d'una cosa so- la a placito della quale ( come di parte pro- pinqua ) si può comporre , e in lei risolve- re r orazione ; la quale perchè meglio s' in- tenda dichiareremo particolarmente tutta quan- ta . Disse dunque , o concetto , o voce , o scrit- tura, perchè si truovano di tre sorti dizioni. Men- tali, che sono nella mente; Vocali, che sono nella voce ; Scritte , che sono nella scrittura . Disse Articolata a differenza delle voci inarti- colate , come quelle di molti animali , e alcune degli uomini, verbi grazia, i pianti, e i sospi- ri. Dissero incomplessa a differenza dell'ora- zioni, che sono complesse, cioè di più parole insieme. Bìssevo significativa a differenza d'ai- * l'I Cline voci , che non significano cosa nessuna, co- me hlìieri , e caffiigf^-ea . Dissevo d' una cosa so- la , perchè ogni dizione non significa se non un concetto solo, e mediante quel concetto una cosa sola . E clii dicesse uomo significa animale razionale, mortale, dunque significa piìi cose: diciamo , che tutte le cose sono una delle lor forme , la qual' è una . Onde tanto è uomo , quan- to animale razionale mortale, e quelle tre cose, le quali contengono 1' una 1' altra, come il qua- drato contiene il triangolo , sono una cosa me- desima, come sanno i loici , e il medesimo di-^ clamo di tutte le diffinizioni ; e chi dicesse, che si truovano alcune dizioni composte, le quali significano piìi cose, come signifer , cioè capi- tano di bandiera , Laudum Pompei , cioè , hodi cit- tà , e altre cotali , diciamo , che tutti i nomi com- posti si pigliano come semplici , e non signifi- cano, se non una cosa sola, e che ciò sia vero in questa voce Forum Sempronj , cioè Fossom- hrone citta, quella parola loru7?2 da se, e quella Sempronj , non significa nulla in quel modo, che le sillabe spiccate dalle dizioni loro non signi- ficano cosa alcuna", j)erchè sol cavato da quella dizione solvo, e considerato da per se non si- gnifica nulla , e così di tutte 1' altre . Dissero a placito, per dinotare, che i significati delle parole non sono naturali, ma secondo , che piac^ que a coloro, che posero i nomi alle cose , seb- bene la maggior parte de' nomi furono posti con alcun gindizio, e atti a sprimere la natura, e accidenti di c[uellacosa, a cui significare fu- ron posti . Dissero , che della dizione si poteva comporre , e in lei risolvere V orazione , perchè le dizioni sono ancora dizioni, senza che siano 33 composte noli' orazione , e perciò non dissero della quale si compone, ma della quale si può comporre, e non bastando questo, come dipar- te propinqua , perchè V orazione immerliate si compone , e si risolve nelle dizioni , ma me- diantenieute, cioè mediante le dizioni , e ri- motaniente si com^pone prima delle sillabe, poi 4elle lettere , che sono la menomissima parte delle dizioni. Ma per ridurre tutte le cose nar- rate di sopra a poche paroi^, diciamo, che la dizione è genere ( come si vedrà poco di sotto ) di tutte l'otto parti dell' orazione, cioè 1' ab- braccia, e contiene tutte egualmente, perchè come ciascuno uomo è animale , così ciascuna parte d' orazione è dizione ; la quale essendo il subbietto di questa prima parte della Gra- matica si poteva, anzi si doveva presupporre. Degli accidenti della Dizione. Gli accidenti della Dizione sono ( come in tutte r altre cose composte ) parte della forma , e parte della materia. Onde come alle sillabe accade dalla parte della materia essere di piii lettere, e quando di meno, così accade alla di- zione materialmente essere ora di più sillabe, o- ra di meno; e benché la licenza della lingua Greca, e la felicità del comporre i nomi piutto- sto incredibile che imitabile , abbiano , come si vede , e massimamente ne' Poeti Ditii'ambici , introdotte molte dizioni di gran numero di sil- labe ; tuttavia la R.omana , non so se come più povera , o più modesta, e forse per l'una, e per l'altra di queste due cagioni, si contentò d'assai minor numero. Onde quelle parole, che ^4 èssi della grandezza loro claiamavano sesquipe-' ìÌliU , cioè iV un piede e mezzo, non passavano ordinariamente cinque, o sei sillabe, non chela natura non porti , che ancora in una dizione sem- plice non se ne possano ritrovare molte piìi , co- me si vede in questa parola honorahilitudinitati- hus, la quale è undici, e alcuni allegano ([ue~ st" ^hrdi Diodizianopolitunissimorurn , la quale è tredici; ma perchè (oltrachè ciò avviene radissi- mo ) sono malagevoli a potersi pronunziare, e tanto più ancora , quanto la Lingua Eomana , imitando la Greca, non soffra, che l'accen- to, in qualsivoglia dizione possa essere più lon- tano del fine, che tre sillabe, cioè in su 1' atì- tepenultima: la qualcosa nella Toscana non av- viene , il che nel vero è più naturale . Sono dunque le dizioni latine ordinariamente da una sillaba infino a cinque : benché di sei se ne trovano molte, e quelle per lo più sono super- lativi; da sei in su pochissime, e piuttosto sfor- {:ate in un certo modo, che naturali: onde di loro si fanno piuttosto mostri, che parti, come si può vedere in questo Distico di non so chi . Lcimcntahantur Constaniìnopolitani Bdlerophohteis soUicitudìnìhus . Hanno ancora le dizioni della materia un altro accidente, e questo è di potersi scambiare, e mutare l'una nell' altra , e diventare di nomi av- verb] , e di diclinabili indiclinabili. Ma come non avemo voluto menzionare, né trattare que- sto accidente nò nelle lettere, uè nelle sillabe, così non vogliamo ragionarne nelle dizioni, ri* serbandoci ai luogo propio.Gli altri accidenti, 25 clie avvengono alla dizione, o dalla parte del- la materia , o dalla parte della forma , de' qua- li alcuni sono generici, cioè convengono a tutte le spezie, o a più della dizione, e parte speci- fici, cioè convengono a quella spezie sola, si co- nosceranno tutti pili agevolmente ne' luoghi lo- ro, cioè in ciascuna spezie della dizione, e pe- rò trapassarenio a favellare di loro . Spezie della. Dizione . GÌ' individui , e i singolari , per lo essere in- finiti, non si possono sapere per ninna scienza, né arte, perchè non ragiona mai di cose partico- lari, ma sempre d' universali ; e sebbene-i Medici non curano 1' uomo , che è universale , ma Pie- ro , Giovanni , e Martino , che sono individui e particolari ; nondimeno la medicina non in- segna loro medicare il terzo , e il quarto , che sono particolari , ma 1' uomo universale , cioè tutti gli uomini in spezie. Per questa cagione furono costretti i Gramatici a ridurre in tutte le lingue tutte le parole sotto alcuni capi gene- rali, dando loro alcuna norma, e regola, secon- do, che giudicavano il migliore . Laonde i Gra- matici Romani ridussero tutte le dizioni della lingua latina sotto otto capi, de' quali quattro furono ( come si disse ancora di sopra ) decli- nabili , cioè . I. Nome 2. Verbo 3. Pronome 4. Participio : e quattro indeclinabili . I. Avverbio 2. Preposizione 3. Congiunzioni 4. Interiezione . Sotto queste otto spezie delle dizioni' si contie- ne tutta la lingua latina. Onde ninna parola 26 si truova in lei, la quale noncaggia sottoalcuna di queste otto spezie, le quali comunemente si chiamano parti dell' orazione , perchè tutte 1' ora- zioni , ovvero favel lari latini si compongano di lo- ro, e in loro si risolvono. De' quali tutti ,e di tutti i loro accidenti favellaremo a uno a uno , se- guitando r ordine non della natura , ma della dottrina , cioè cominciando sempre dalle cose più agevoli. Il che fatto sarà fornita la prima parte della Gramatica , cioè arerao imparato a fuggire il barbarismo , il che ho replicato già pivi volte studiosamente, e a bella posta, per mag- giore utilità, e agevolezza . Tine del Frammento . Dissertazione di Vincenzio Pollini Bibliotecario della Pubblica Libreria Maglìabechiana nella Società Colombaria V Ingemmato, letta nella Adunanza di detta Società la mattina del dì 9. Settembre 180-7. y^e io ardisco, illustri Soci, di trattenervi in questa mattina, nella quale ho l'onore di far sentire per la prima volta la mia voce a que- sto dotto consesso, sopra un argomento di per se sterilissimo quaU- si è la descrizione di un Codi- ce Manoscritto , io prendo animo a far ciò, pri- mieramente dalla a me nota vostra gentilezza e cortesia, quindi dal considei-are che all'istituto della nostra società conveiiientissimo è tutto ciò che alla illustrazione dell' antichità figurata 0 scritta appartiene , e finalmente dal riflesso che ìiiente più dicevole è alla mia professione di un simil tema. Quindi è, che se nel mio parlare, di inesatto osservatore, di imperito giudice , di mal fondato ragionatore , e di troppo ardito e vano fabbricatore di congetture avrò la taccia, io andrò certamente da quella esente, di aver poste le mani in cosa aliena ai miei studi e in- cumbenze ; sicché le giuste censure , dal compa- timento dovutomi per questa ragione, saranno in parte compensate. Ma siccome prudente cosa è a chiunque all'altrui esame espone i propri pen- samenti , il prevenire giusta sua possa le ragio- nevoli obiezioni, così io non dissimulo di aver ciò fatto nella mia mente, e che.se a fronte di alcune valide ragioni da me a me medesimo op- poste , dal proposito non mi ritrassi , altro a ciò fare non m' indusse se non se un certo genio di salvar dall'oblio le riflessioni che mi è occorso di fare su questo Còdice , riflessioni che se di niun valore fiano riputate, dimostreranno cer- tamente , rendendosi note, la necessità di ra- gionare sul medesimo . Io mi terrò adunque pa- go e contento se per mezzo di queste muoveran- si altri a più plausibili congetture, ai quali per avventura avrebbe potuto sfuggire il bisogno, non, essendo molto vistosa la causa che a ragio- nare mi indusse, né tale, che non solo ad una momentanea ispezione, ma ad una più scrupo- losa eziandio, non aiutata da un contempora- neo accidentale avviso della mente, sottrarsi non potesse . li Codice adunque di cui prendo a parlare è il trentesimo del Pluteo II. della Pubblica Libreria Magìiabechiana, secondo il nuovo ordine da me dato ai medesimi . Contiene questo una £l8 Istoria di Alessandro Magno in ottava rima , ed è scritto in pergamena. Ha di altezza dieci pol- lici e cinque linee di piede Parigino, e di lar- ghezza sette pollici e una linea . E^ composto di 94 carce , delle quali le prime sei compren- dono le rubriche, o argomenti de' quattro libri in cui il poema è distinto , e ciascuna rubrica è una quartina , i di cui versi rimano a coppie , va- le a dire il primo col secondo ed il terzo col quar- to. Ciascun libro è diviso in più parti o sezio- ni, le quali non portano alcun nome distintivo, ma sono indicate soltanto dalle rubriche che di ciascuna contengono l'argomento. Il primo Li- bro contiene le undici prime sezioni, il secondo dalla duodecima all' ottantesima, il terzo dalla ottantunesima sino alla centocinquantesima se- sta, ed il quarto dalla centocinquantesima set- tima alla centosetrantesima settima. Tanto al- le rubriche che alle sezioni corrispondenti è stato posto da mano piìi recente il numero. Il carattere è pingue e ben formato come usava cilla metà del secolo XIV. I titoli sono scritti col cinabro , come pure una parte delle ini- ziali . Ve ne sono però alcune azzurre , altre az- zurre e rosse , e molte di vari colori dipinte ; e non poche rappresentate per mezzo di figure umane, di animali, di strumenti, fiori, foglie ec. e 60n miniate di maniera assai barbara . Vi sono pure alcune simili miniature nei margini del Libro, relative a quel che si narra nel luo- go ove son poste, cioè al foglio 55 volto la fi- gura dell'Ippopotamo, che è tocca solamente di penna, al foglio 68. volto la figura di un Uo- mo salvatico , al foglio "^ó. volto il Basilisco, che il miniatore ha piacevolmente espresso con la te- 29 sta di gal]o, al foglio Sa. volto una formica grande di quelle che cavan l' oro , secondo che dice il libro , al foglio 83. la effigie di un Ci- clope, ed all'istesso volto, un gigante vecchio non colorito ma tocco di penna come l' Ippopo- tamo del foglio 55., e forse queste due figure so- no aggiunte di mano piìi recente . I poco vaghi colori ed il cattivo disegno, mostrano che nel i355 nel luogo in cui fu scritto questo Codice, di cui parleremo più sotto, le belle arti avean fatti meno progressi che in molti altri di Italia , giacche l'arte del miniare assai più antica, avea dati altrove migliori saggi , come da miniatu- re esistenti rilevasi , e già furono prima di que- sto tempo celebri e un Oderigi da Gubbio , e un Franco Bolognese, che meritarono gli en- comi di Dante , i quali certo sarebbero di na- tura sua di poco peso, considerato il giudizio che far si poteva di pitture in quel tempo. Ma a chiunque però rifletta che la norma del giu- dizio di Dante in questa materia erano le pit- ture del suo amicissimo Giotto, né altre infatti essere io potevano , il giudizio di Dante riusci- rà molto autorevole . Si aggiunga a questo 1' au- torità del Vasari , che possedeva alcune reliquie delle opere di Oderigi e lo chiama valentuo- mo, mentre confessa che Franco, di cui pure al- cuni lavori possedeva era anco miglior mae- stro di lui. Io dico che nel i355. nel luogo ove fu scritto il libro , pochi progressi avean fatti le arti del disegno, perchè in quest'anno Domenico Scolari messe in rima volgare dalla prosa latina questa favolosa storia di Alessandro Magno, e la scrittura del Codice combina con questo tempo, e non vi è dubbio che egli non So sia r originale o 1' archetipo . L' ultima Ottava che precede soltanto il latino epitaffio di Ales- sandro, ci dà notizia dell'opera in questa guisa. Mille trecento con cinquanta e cinque Anni correa poi che Cristo fo nato Innocenzio era papa uno e cinque E Carlo posedea lo imperiato Del mese di dicembre venti e cinque Fo in trivillii questo compilato Domenicho Scolari el trasse in rima Ch' era per prosa e in gramatica prima Dice pertanto che Domenico Scolari il dì 2.5. di Dicemljre i355 essendo Papa Innocenzio VI e Imperatore Carlo, cioè Carlo IV figlio di Gio- vanni Rè di Boemia che regnò dal i342. al iS^S. in Trivillii trasse dalla prosa latina alla rima volgare questa storia. Il dì 25 di Dicem- bre segna certamente il compimento del lavoro, giacché né può esser questo fatto in un giorno , né può intendersi del principio nel quale non jio- teva dirsi il poema già compilato , anzi vi è tut- ta la ragione di credere che riguardi il compi- mento del lavoro al pulito, o sia il termine della scrittura e miniature del Codice, che alla scrit- tura sono certamente contemporanee . Questo Poema non è che una parafrasi di una prosa latina contenente la vita di Alessandro Magno romanzescamente scritta . Gerardo Gio- vanni Vossio nella sua opera de Historicis lati- nis al Libro III. , in cui parla deg'i anonimi di età incerta, nomina una vita di Alessandro Ma- gno piena di prodigiose menzogne, di cui affer- ma il Barzio di possedere un manoscritto, e che 3i si cita da Francesco lureto nelle annotazioni a Simmaco , sotto il nome di un Esopo , e di un Giu- lio Valerio traduttore della medesima in latino, nomi ambedue fittizi , credendosi impostura di qualche Monaco. Nomina ancora il Vossio un' al- tra Vita di Alessandro, e dubita se possa essere ristessa che va sotto il titolod' Alessandride, di cui un esemplare è nella pubblica Accademia di Gambrigde. Il Fabricio nella Biblioteca gre- ca edizione ultima T. III. pag. Sa. rammenta pure questo falso Esopo ed il suo scritto, co- me anco alla pag. 36. dove parla di Callistene, creduto autore senza fondamento , anzi contro ogni probabilità, di quel Romanzo, essendo il vero Callistene condiscepolo di Alessandro .Par- la anco nello stesso luogo del falso Gorionide . traduttore di questa favolosa Storia in Ebraico , che io Scaligero asserisce non dal greco ma dal la- tino averla presa. Fa pure menzione alla pag. 44. di Giulio Valerio preteso latino traduttore. ih da vedersi eziandio alla pag. 5o. dove parla dell' Istoria favolosa di Alessandro in versi ele- giaci latini ridotta da ^Maestro Qualichino Are- tino circa il 1236. Finalmente alla pag. 84. dove parla di una Storia di Alessandro greco-barba- ra , esistente nella Libreria Cesarea di Vienna , e altrove , Da uno pertanto di questi favolosi romanzi di Alessandro, che Domenico Scolari trovò in latina prosa viene questo poema in ottava rima. Pri- ma di parlare del poeta e del luogo ove fu scrit- to il poema , esaminerò quale ordine di tem- po trai poeti volgari che scrissero in ottava ri- ma ad esso appartenga. L'anno i355. , come di sopra ho osservato, appartiene certamente al coni- 32 pimento del lavoro , e probabilmente al termin» del Codice o copia al pulito. Questa data del 25. Dicembre i355. precede si può dire 20. anni in punto la morte di Giovanni Boccaccio , che cessò di vivere il dì 20. di Dicembre iS-jS. il quale si tiene comunemente autore dell'ottava volgare . La Teseide , a cui si attribuisce il pri- mato dell'ottava volgare, fu dedicata alla Fiam- metta nel 1841. come il Sig. Conte Cav. Gio- van Battista Baldelli alla pag. 3-j4. della sua Vita del Boccaccio osserva. Sareblae adunque la Teseide certamente terminata circa a quat- tordici anni prima del Poema dello Scolari , ma chi potrà dirci il principio dell' uno e del- l' altro ? Io non voglio sofisticando render proba- ^ bile che questo poema possa essere anteriore alla Teseide, sì perchè possa t;omparire inferiore di etile, sì perchè lo Scolari dovè perder molto tem- po nel comporlo , e nel procurarne una copia splendida, come può dirsi per quel tempo il no- stro Codice . Questi due argomenti so che pos- sono facilmente dileguarsi, giacché lo stile e bon- tà de' due poemi stanno piuttosto in ragione del- l' ingegno e abilità de' poeti , che del tempo ; ed ognuno sa qual posto occupasse il Boccaccio fra gli ingegni dell'età sua. L'esperienza tuttora ci dimostra, che dopo gli sfolgorantissimi lumi dei- la nostra poesia. Dante, Petrarca, Ariosto, Tas- so , Gasa , e Bembo , sorgono , e sorgeranno sem- pre degli ingegni triviali, che scrivendo poemi e versi resteranno al disotto dei Fra Guittoni , e degli Idcoponi da Todi , anco indipendentemen- te dalla proporzione dei tempi . Che poi lo Sco- lari avesse prima intrapreso il suo poema non si può con fondamento asserire , avendo all' incon-^ ss tro la certezza che lo terminò circa quattordici anni dopo quello del Boccaccio . Io lascerò per- tanto di buon grado l'anzianità alle ottave del Boccaccio su quelle dello Scolari , ma non posso tuttavia accordar loro l'assoluto primato, avendo tutta la ragione di non dipartirmi dall'opinio- ne dei nostro Giovanni Mazzuoli detto lo Stra- dino, che asserì esser Giovanni Boccaccio il se- condo nelle ottave , prendendo per primo il poe- ma di Febusso. Il prelodato Sig. Conte Baldelli in una nota alla pag. 33. riporta questa opinio- ne dello Stradino , ma non dicendo onde l'abbia tratta, si rende necessario il far meglio cono- scere questa opinione, che esiste scritta di sua propria mano nel Cod. 33. del Pluteo II. deiia Libreria MagUabechiana , che è 1' originale di quel poema. EMndubitato che 1' eruditiibimoscnit- tore non ha consultato questo Codice, ma pres- sa d'altronde questa autorità, perchè si vede chiaro eh' ei l'ha tenuto per un poema scritto in lingua francese, né con altro titolo che di Fehus ci fon lo ha nominato. In tal persuasio- ne ha potuto dire con tutta ragione che l'otta- va Francese era in uso prima del Boccaccio, ma che l'ottava volgare sia dovuta ai Toscani, e però nessuno argomento ritrarsi dalla opiuj:»- ne dello Stradino contro il primato del Boccac- cio nelle ottave volgari . Ma la verità si è eh© lo Stradino parla del primato dell'ottava rima, avendo sotto occhio il poema del Febusso che è in vere ottave toscane a norma precisamente delle presenti, benché da storia originariamen- te francese derivi, sicché egli non parlò deile ot- tave in genere quando lo prepose alla Teseide , ma di quelle ottave stesse toscane di cui la Tc- S .^4 iseìtiee formata .Ecco quello che ei scrìve di pro- prio pucjao ili principio del Codice del Febusso, che già fu suo per dono di Iacopo e Giovanni Comparili, trovato nana buca del fondamento della fortezza di Monte bichieri composto per il primo trovatore del comporre 7i' ottava rima , la quale apresso il primo che lo volse imitare fue 3ie-'Ser Giovanni Boccaccio el sicondo Ju Luigi Pulci ilfratel Luca e le sorelle il quarto e 7 quin- to Ju il Conte Matteo Maria Boiardo da Scandia- no, e Mcsser Lodovico Ariostidi Ferrara disceso di Bologna la grassa . Avendo j)aragonati insieme il Febu^so , la Teseide , i poemi dei Pulci e gli al- tri tutti m ottava rima toscana , e scrivendo queste cose in un Codice contenente un poema tosca- no a cui vuole assegnare il primato delle ottave, ninno dubiterà che per primo trovatore del com- porre in ottava rima non intendesse di ottava rima toscana . Lasciando da parte se egli dica il vero da Luigi Pulci in poi , egli è certo che avanti al Pulci dovea mettere, se gii fusse stato noto, Do- menico Scolari , a cui il terzo luogo almeno si con- viene . Il Codice del Febusso mirabilmente spiega la opinione dello Stradino , vale a dire , che ei parlasse precisamente di ottave toscane , a chiun- que r osserva, perchè egli stesso, indipenden- temente dalla composizione del poema, dimostra essere esistito prima del tempo in cui fu la Te- seide pubblicata , ed è atto a provare anco sen« za l'autorità dello Stradino questo primato. In- fatti, se lo Stradino parlò di ottave toscane, sul- la vecchiezza del Libro e della lingua si fon- dò, e se non avesse avuta in mira questa dop- pia vecchiezza non poteva quel primato asserire, perchè ninna storica notizia è probabile che egli 3> ne avesse , e - be sospettare che il moderno possessore del 1466. non avesse fatto altro che restaurare una inscri- zione quasi svanita e contemporanea al disegno, radendo la prima affatto, e con piìi vivace in- chiostro questa scrivendo. Forse la ragione di porla iu più cospicuo luogo piuttostochè lo sva- nimento fece abolire la prima in altra parte del- la membrana scritta, e notarvi questa. Le al- tre parole che di sopra ho riportate scritte da una stessa mano nel 1466. nelle quali la Fiam- metta si dichiara erede di Cesare Augusto, wni tanto nascono dalla tradizione nella Famiglia de' possessori che costei fosse figlia del K.e Ru- berto, che dalla istessa considerazione delle in- segne del Romano Impero di cui è quella im- magine ornata . Non so peraltro intendere ciò che significar vogliano quelle parole voglio il mio trionfo a dispetto del robusto, ne chi, quello an- tonomasticamente robusto appellato, si fosse, che al di lei trionfo si opponeva , né sopra di' ciò congettura alcuna plausibile mi si presenta. _ Del passaggio di questo Codice da Napoli a Firenze non ho trovata alcuna notizia; forse il Magiiabechi ultimo possessore di esso ne avràiu qualche luogo indicato l'acquisto, ma non mi sono avvenuto in alcun documento tra i molti che nelle sue schede registrò, il quale mi nM.ia intorno a ciò somministrato alcun lume. L'e.ie- 5-2 re stato però in mano di una Famiglia di origi- ne fiorentina, secondo le esposte congetture, di cui porzione sempre sussistè in Firenze , fa vedere la probabilità del passaggio da Napo- li a Firenze del Codice. Ma forse la cagione è tntt' altra, né mi occorre sopra ciò dir di più, avendola certezza che da Napoli a Firenze passò, qnaluuque la cagione ne fosse, che non interessa il mio scupo. Io mi credeva sin qui di aver detto abbastan- za, sforzandomi di provare con le mie congettu- re che questo Codice potette essere stato posse- duto da Giovanni Boccaccio , né altre osserva- zioni mi si presentano da fare per rendere vie più proljabiie questa opinione-, ma il non aver voluto trascurare affatto l'autore del poema, mi lia portato ad un'altra opinione relativa al luo- go dove fu scritto, la quale se lascia nel posses- so del Codice il Boccaccio , per altri mezzi lo rende possessore, i quali sopra altre congetture si fondano, che mi piace di esporvi. Io avea già di sopra sospettato che Domenico Scolari fosse Fiorentino, o di famiglia origina- ria di Firenze, e iliii son confermato in questa opinione dopo avere inutilmente fatti consultare per mezzo di amico i Letterati Milanesi, non a- vendo potuto ritrarre niente né dell'autore né della Famiglia Scolari, onde mi pare che a buo- na equità si possa concludere, s'io fui ben ser- vito in queste ricerche, che né in Trevi né iii Milano fu conosciuto questo Poeta, né vi esistè famiglia di questo cognome. Questo solo Dome- nico adunque potrebbe essere esistito in Trevi nel i355. ma forestiero e di passaggio ed in mo- do da non lasciar di se traci;ia in quel luogo o ne' circonvicini . Ma se t\r\ì vi fu forestiero , non 53 essendovi là questa famiglia conosciuta , non po- trebbe essere della troppo conosciuta ed antichis- sima Famiglia nostra degli Scolari? Diamo una occhiata all'Istoria di questa famiglia . Ricorda- no Malespini dice al Gap. LVII. della sua sto- ria , erano nella via di Terma gli Scolari consorti ab antico di linea masculina de' Buondclmonti , e poi vi vennono i Buondclmonti . Gli Scolari a- dunque sono più antichi in Firenze de' Buoudel- monti . Il medesimo al Gap. GV. jjarlaudo delle Famiglie che presero il partito Ghibellino l'an- no i2i5. per il rifiuto fatto da M. Buondelmon- te della fanciulla di Casa Amidei nomina gli Scolari divenuti di consorti nemici de'Buondel- inonti , ed al Gap. GXXXVII. tra le più poten- ti famiglie Ghibelline registra quella degli Sco- lari . Il partito Ghibellino fu adunque la causa per cui questa famiglia andò esule dalla patria, onde all'anno 1268. in una nota de'Ghibe'lini tra i banditi e ribelli dell'Impero e del Gomu- ne di Firenze si trovano Omnes de domo Sclmla- riorum , e questa nota è stampata nel T. VIII. delle Delizie degli Eruditi Toscani del P.Ilde- fonso di S. Luigi e tratta dal Libro del Chiodo. Dino Compagni alla pag. 48. dice che M. Car- lo di Valois nel 1002. condannò molte famigiie tra le quali la farai^^^lia degli Scolari, e diceciie tutti gli individui di queste famiglie furono se- cento, i quali andarono stentando per lo mondo chi qua e chi là. Il Migliore nella nota delle Faini- glie Fiorentine altrove stabilite pone gli Sculari in Treviso. Placido Puccinelli nella sua ttpera della fede e nobiltà del notaio pag. I23. diceche questa famiglia si fnggì a Treviso, Udine e al- tre parti, ed è tanto vero che questa fimig'ia si stabilì in Treviso , quando non lo sia tutto quello (letto dal Puccinelli degli Scolari in grazia di EafFaello Coloinbani , che Giovanni Bonifacio scrittore dell' Istoria Trivigiana non ce ne la- scia dubitare. Dice egli adunque alla pag. 336. dell' edizione del 1744. , che tra le famiglie fio- rentine che colà vennero per le parti nere e bianche vi furono gli Scolari . In altri luoghi poi della sua storia di vari soggetti di questa Famiglia Trivigiana, già Fiorentina, ragiona. Alla pag. 4o3. di Rainerio Scolari carcerato in Novale nella scorreria fatta dai Padovani , Di Niccolò Scolari che l'anno iStS. corse co' suoi cavalli sotto .le mura di Trevigi e rubò ed ar- se il Borgo di S. Leonardo, parla alla pag. 406. Nel medesimo anno pure , come dalla pagina stessa rilevasi, Bernardo Scolari col Conte Ric- ciardo Sanbonifacio Generale di Francesco da Carrara si oppose a Benedetto Unghero ed altri mandati dal Re d'Ungheria contro i Venezia- ni, difendendo Pontelongo con uccisione de' ne- mici. Nel i383. come dalla pag. 42.5. apparisce, essendo Bernardo Capitano di Francesco da Carrara con Simone Lupo conduce 1' esercito nel Trevigiano, e nell' anno seguente venne Trevigi in potere del Carrara, come dice lo stesso Bo- nifacio alla pag. 427. e stette sotto i Carraresi fino al 13B9. in cui passò ai Veneti . Questo Bernardo fu nel l386. seconilo che narra il det- to storico alla pag. 433. da Francesco Novello da Carrara tatto Cavaliere. Noi abbiamo adun- que in Trevigi nel Secolo XIV. gli Scolari già. Trevigiani divenuti, celebri perimprese milita- ri, e aderenti alla famiglia da Carrara. Ma in quale relazione questi Scolari Trivigiàni star })Ossono col Domenico poeta del i355, e Tri- villii con Trevigi, giacche io non posso in ve- <55 runa guisa sospettare che Trivillii invece di Tri- vigi sia stato scritto ? Nessuna relazione certa- mente trovar si può stando attaccati al Trivi Hi Milanese ; ma lasciando questo ed attenendosi a Treville villaggio nel Trevigiano , si vede su- bito la connessione fra gli Scolari Trevigiani ed il nostro Domenico . Il citato Bonifacio nell' Isto- ria Trivigiana parla più volte del Castello di Treville, dei suoi possessori e della sua distru- zione, come può vedersi alle pagg. t8[. 200. SÓ2. 382. Egli ce lo dà distrutto nei loop. L' e- ruditissimo Sig. D. Gio. Batista Rossi Gaucel- lier Vescovile di Trevigi da me consultato, mi ha favorite varie notizie relative al Castello di Treville ed alla Trevigiana famiglia degli Sco- lari , ed altre me ne ha procurate dal Sig. Bartolommeo Gamba . In una Lettera adunque del mese di Marzo del presente anno iHo'^. a me indirizzata , così parla di questo CasteJio. Era questo un Castello signoreggiato dalla fami- glia Camposampieri una delle quattro celebri nel- la 3Iarca Trivigiana . Sara Camposampieri ultimo rampollo di sua prosapia , Jìi costretta a vendere il detto suo Castello alla Repubblica Veneta , la qua- le pochi anni prima era divenuta Signora delTri- vigiano , e tosto lo fece smantellare per gelosia di confine. Ciò fu al 1043, e il Documento è regi- strato nella storia Verci della Marca Trivigiaim Voi. XII. A questa demolizione allude il poeta Baratella di Loreggia 0 di Camposampiero luoghi vicini a Treville e quasi contemporaneo al detto avvenimento. E poco dopo, Treville è rimasto un buon villaggio ameno che conta pur oggi due bei palagi di due Venete Famiglie. Veduto adun- que quel che fu Treville e la sussistenza del suo nome dopo che fu ridotto villaggio, resterebbe 56 a veder chi fu quel Domenico poeta che nel i355. scrivesse in Trevi! le già demolito, il suo poema d'Alessandro Magno .Un solo Domeni- co Scolari mi suggerisce il prefaco Signor Ros- si come proveniente da Venegazzù villaggio Tre- vigiano ove sono le possessioni della Gasa Spi- neda , e venuto in citta, come egli si esprime, in condizione affatto incivile. Da questo Dome- nico mi assicura il Sig. Gamba aver principio un albero della famiglia Scolari, diverso dagli al- tri, intitolato Scolares nelle Genealogie di Nic- colò Mauro autore Manoscritto, ed aggiunge che sotto il nome di un suo Nipote par segnato l'an- no 1490. Non dandomisi per sicuro il 1490. e potendo essere quella data anteriore , non trovo difficultà a creder che costui fosse nipote di uno che scrìveva nel i355. tanto pili che stando an- co fermo il 1490., potrebbe benisimo essergli nipote, considerato che assai giovane potette Do- menico scrivere il poema, e l'anno 1490. essere forse r emortuale del Nipote già vecchio . Il lo- dato Sig. Cane. Rossi mi avvisa che nella Croni- ca intiera di Niccolò Mauro, di cui possiede un MS. trascritto da amanuense mal pratico del la- tino, r albero genealogico degli Scolari comin- cia da Giupo Scolari Gavalier foruscito Fioren- tino del 1.341 . Gapitano di Mastino della Scala contro i Fiorentini . Segue Filippo , e da lui Bar- tolommeo e Ranieri, ed egli sospetta che un altro fratello oun figlio di detto Giupo, se non forse lo stesso Giupo, sia autore del poema, essendo forse guastato il nome dal copista. Se Giupo non fu un soprannome del Pueta Ì)omenico , mal sa- prei combinare in uno, questi due nomi tanto discrepanti, se già l' ignorante copista non aves- se letto stranamente in un Dominicus abbreviato ^1 0 mezzo cancellato o scorbiato Ciupus . Basterà avere accennato questo, perchè altri possa rin- tracciare con piii ostinate ricerche il nostro Poe- ta , il quale fu per proprio nome appellato Do- menico ed in Treviile scrisse il suo Alessandro. Come potè adunque passare il Libro in mano del Boccaccio? Noi sappiamo che il Boccaccio nel i35t. fu a Padova essendovi stato mandato Legato al Petrarca, come si ha dal Sig. Co. Baldelli al- la pag. 379. Non potrebbe allora Domenico Sco- lari appartenente ad una famiglia che circa que- sto tempo era addetta ai Signori da Carrara, a- ver conosciuto allora in Padova il Boccaccio , e comunicato ad esso , come a quegli che dovea tener suo Maestro nell'ottava rima, il non termi- nato Poema, e fattoglielo quindi pervenire do- po averlo finito e fatto elegantemente trascrive- re? Pervenuto in qualunque maniera in mano del Boccaccio, torna in acconcio tutto il detto di sopra riguardo alla figura della Fiammetta ed al passaggio in Napoli e in Firenze di questo Co- dice . Altro non saprei aggiungere , virtuosi ascol- tanti , a queste mie deboli si , ma a un tempo stes- so forse troppo ardite congetture , le quali inten- do che vagliano quanto valer possono, non es- sendo stata mia intenzione che il dare una qual- che spiegazione al monumento della Fiammetta, che pur meritava di esser considerato in questo Codice , se non meritava di troppo esercitare la vostra sofferenza nell' ascoltarmi . 58 Notizie di Medicina Pratica e di Fisiologia tra- smesse di Parigi dal Sig. Dott. Giovanni Bi- geschi MEDICINA PRATICA XI Dott. Bertrand Parigino ha annunziato come un rimedio dei più efficaci nelle idropisie asteniche la Scilla combinata ai marziali. Egli riporta dei casi che hanno avuto un ottimo suc- cesso sotto r uso di questo medicamento. Egli suole combinare tre scropuli di Scilla a due scro- puli di etiope marziale , aromatizzato con la cannella sottil mente polverizzata . Fa dividere que. 8ta dose in 24. prese , e ne fa prendere due al «iorno a tre ore di distanza in una infusione di menta piperita — Il Dott. Lalaurìe ha impie- gato non ha molto in queste malattie col massi- mo successo l'acido nitrico. Esso lo amministra alla dose di xxxvi. gocce alcoolizzato in due o tre libbre circa di Tisana d'orzo per bevanda ordinaria-, nel tempo stesso prescrive una pozio- ne da prendersi a cucchiaiate composta di once 4. fiori di tiglio , di un grano di kermes mine- rale , di una mezza oncia di ossimele scillitico , e di zucchero quanto basta per addolcirla . — Il Dott. Bridault celebra nelle emottisi l'uso delle farine pettorali . Esso racconta dei casi di gua- rigioni perfette, ottenute mediante queste fari- ne; l'emottisi le più inveterate hanno ceduto a questo rimedio , Il processo , con cui si com- pongono le farine pettorali da esso indicato è precisamente il seguente. Si fa nettare bene uno staio , e mezzo di orzo , e si fa macinare , avver- tendo però di non servirsi della prima farina ma- cinata, che ordinariamente è impura, essendo mescolata con le farine anteriormente macina- te . La farina buona dopo averla fatta passare per un sottile staccio si mette in uu panno di li- no piuttosto fitto il quale si lega fortemente so- pra la farina con una corda ben resistente, che abbia un cappio superiore da poterci infilare uà pezzo di filo di ferro, onde tenerlo sospeso so- pra una caldaia , contenente due secchie di acqua; questo sacchetto di farina dee però esser sospeso in maniera , che nel tempo , che debb' esser sempre ricoperto dall' acqua della caldaia non dee toc- carne giammai il fondo. Per evitare, che sopran- nuoti^, vi si attacca un peso; quindi si fa bol- lire l'acqua della caldaia per i5. ore continove. In questo tempo si mette al fuoco una marmitta contenente una giusta dose di acqua, in cui vi SI getta un buon pugno di foglie di tussilagine, di polmonaria, di buglossa , di borragine, e di ta'^so barbasso , unitamente a mezza libbra di giug- giole , dì datteri , di uva , e di fichi secchi aper- ti , avvertendo però di spogliare del nocciolo detti frutti. L'acqua di quesra marmitta dee bol- lire per sedici ore a fuoco lento, e serve a riem- piere l'altro vaso della farina. Si procurerà an- cora di tener pronto un vaso di acqua calda per riempiere la marmitta, avvertendo però di non riempierla finché si vedrà, che l'acqua di essa sarà sufficiente per mantener pieno l'altro vaso della farina nel corso delle i6. ore , giacché tut- ta l'acqua della marmitta dee passare nella cal- daia. Dopo questo spazio di tempo si ritirerà dal fuoco il vaso della farina, si laverà il sac- 6o chetto ove è contenuta, e si sospenderà in alto per lasciarlo sgrondare per sei, o sette ore. Si scioglierà quindi il sacco, e la farina bene asciu- gata , che avrà preso la figura di una palla si metterà in forno dopo levato il pane di un'ora; vi si lascia stare per quattro ore , e poi si le- va , e freddata che sia , si separa la crosta for- mata attorno di essa , si pesta il rimanente in un mortaio, e si passa per un sottile staccio — Ija maniera di servirsene è la seguente. Se ne ver- sa una cucchiaiata in otto once circa di latte , e si fa una pappa né troppo liquida né troppo densa, non vi si mette né zucchero, né sale, e si prende due volte al giorno in questa dose, la mattina cioè, e la sera; se mai la dose della sera aggravasse di troppo lo stomaco si può pren- dere la mattina presto , ma bisogna astenersi dal mangiare per due ore dopo. Si può principiare ancora dal farne prendere mezza cucchiaiata il primo giorno, ed accrescerne la dose di mano in mano continovandone 1' uso per molto tem- po. Questa farina col latte forma la pappa ac- cennata; sciolta neir acqua bollente col butir- ro fresco , e col zucchero forma una specie di crema simile a quella dei latte col riso; sciolta nel brodo una minestra leggiera . Così diver- samente preparata sono già quarant'anni , che il Dott. Bertrand se ne serve col più felice suc- cesso non solo nelle emottisi, ma nelle tossi d'ir- ritazione , nei reumatismi invecchiati , ed in molto malattie di languore. Questa farina si conserva per lungo tempo mettendola in un vaso di terra inverniciato , in luogo asciutto , e dimenandola di tempo in tempo — Il Dott. Coilinieres usa con successo il carbone in polvere nelle ulceri putride di e cangrenose . Egli si parte dal princìpio, che il carbone ha la proprietà di purificare l'acqua corrotta, e le carni putrefatte, e cita un gran numero, di guarigioni di ulceri, ottenute per mez- zo di questa polvere unita a delle fila secche, 0 a qualche cataplasma emolliente secondo lo stato dell' ulcere, o cangrena.Egli se ne serve nel- la seguente maniera. Nelle ulceri putride, saaiose, e cangrenose copre la piaga con uno strato di carbone sottilmente polverizzato, alto qualche linea, e vi applica sopra una fascia. Il terzo, o quarto giorno toglie la fasciatura senza tox;care il carbone, che sembra incollato alia carne ; a- sciuga quindi leggermente la parte, e vi aggiun- ge nuova quantità di carbone , che alla fine di qualche giorno forma attorno della piaga un ce- mento , che si avanza gradatamente a misura , che essa guarisce . Allorché la piaga resta co- perta di una crosta secca intieramente , il ma- le non esige secondo Coffinieres piìi alcuna pre- mura, perchè questa crosta difende la tenera ci- catrice dagli agenti esterni. Egli racconta di ave- re osservata una gamba che somigliava ad uno stivale durissimo , da cui lo strato carbonoso si staccò a lembi, e lasciò la pelle in ottimo sta- to ; finalmente esso avverte , che non si dee te- mere l'odore particolare, che nelle prime medi- cature getta la piaga , e consiglia ancora con- temporaneamente l'uso dei convenienti rimedi interni . — Il Dott. loliet ha usato col massimo successo l'etere solforico per ridurre l'ernie in- carcerate, dietro l'uso, che ne 'ha fatto in più casi il Dott. Carlo Lodovico Schiuibz medico a Spirna. Sotto 1' uso di questo ri;ni;ilio esso ha veduto rientrare l'ernie in pochi momenti. Si 62 ordina in frizioni , che si fanno sulla parte mala- ta per otto, odiaci minuti. Contemporaneamen- te non si debbono trascurare i bagni , le fornen- te , ed il sangue , qualora le circostanze lo li- chieg:ffano. Il Dott. Pagez celebra molto per arrestare r emorragie la pianta conosciuta al Perù sotto il nome di Pathanhia ( krameria triandria ) su cui ha pubblicato un' eccellente memoria . Secondo r analisi , che esso ne ha fatto , questa pianta contiene un'abbondante copia di resina, della gomma , del tannino , e dell' acido gallico . Si usa r estratto alla dose di due scropuli nei sogget- ti sotto l'età di 12. anni, e di una dramma e mezzo negli adulti. Si fa sciogliere in una pic- cola quantità di acqua , e vi si aggiunge die- ci, 0 venti gocce di aceto. Se ne continua la stessa dose per più giorni , e si diminuisce per gradi. Si può aumentare l'accennata dose a tre dramme nei casi di forti emorragie. Se irrita lo stomaco si fa prendere dopo un poco di giulebbe di cedro . In Francia si è trovato un gran vantaggio nelle febbri intermittenti dall' uso della china gialla unita al caffè non bruciato , ed al sale ammonia- co . La dose è di onc. una di china , e onc. una di caffè , che si polverizzano separatamente , sa- le ammoniaco 24. grani. Si unisce il tutto in- sieme, e vi si gettano sopra dieci bicchieri di acqua bollente, e si lascia in infusione per una notte ad una calda temperatura . Se ne fa pren- dere tre bicchieri per giorno, ed al terzo gior- no la febbre cessa . Si coma un numero meravi- glioso di persone guarite con questo rimedio. ($3 FISIOLOGIA . Il Dott, Home è di parere in una sua memo- ria sullo stomaco, che tutti gli animali possano ruminare. Dopo avere riportate le osservazioni di vari naturalisti su tal particolare, cita un esempio di cui egli fu testimone , di un uomo cieco , che ruminava incessantemente , e che ave- va un appetito voracissimo; dopo dieci minuti, che aveva mangiato , faceva risalire nella sua bocca una porzione di cibo, che masticava tran- quillamente , e dopo averla ingoiata di nuovo , ne faceva risalire altra porzione. Egli confessava, che questo era il momento più felice della sua vita. — Dupuytren , e Dupuy dopo varie esperienze eseguite su dei cavalli , e dei cani hanno dimo- strato , che la colorazione del sangue nella re- spirazione non è un fenomeno intieramente chi- mico, ma che il color rosso di questo fluido sta in relazione diretta con lo stato dei ner- vi polmonari . Essi hanno messo allo scoperto in tali animali i nervi dell' ottavo paio , che si di- stribuiscono ai polmoni, gli hanno tagliati ora da una parte solamente , ora da amendue insie- me , gli hanno compressi mediante un laccio , ed hanno in somma fatto di tutto per impedire la loro influenza sugli organi polmonari ; con- temporaneamente hanno recisa una arteria, come la faciale ec. ed hanno osservato , che a misura che l'azione dei nervi su i polmoni andava ad estinguersi, il sangue, che usciva dalla recisa arteria di rosso florido , che era per l' avanti , diveniva a poco a poco di un ro,=*o fosco , e nero ; anche il sangue venoso acquistava un color più nero . In tali esperienze la respirazione frattanto 64 . si continuava , sebbene con più fatica , e frequen- za. — Ihenard ha sottoposto ad una nuova , e rigorosa analisi la bile , e vi ha ritrovato dei principi sconosciuti finora. Egli si è assicura- to che 800. parti di bile contengono Acqua - - - -00. parti e piìi . Materia resinosa 24, Piero mei - - 60. 3. (1) Materia gialla - 4. ma varia sovente Soda - - - - 4. Fosfato di soda - 3, Muriato di soda - S. 3. Solfato di soda - o. 8. .Fosfato di calce - i. 2. .. ,; Fosfato di ferrp — qualche traccia, *' Egli crede che l'acqua sia il dissolvente ge- nerale . La resina la causa dell' odore , ed in gran parte del colore, e sapore di essa . Il picromel la rende dissolvente . La materia gialla la rende putrescibile piti, 0 meno, a misura, che abbon- da questo principio , ed è la sorgente dei cal- coli biliari . Gli altri principj vi sono in sì pic- cola quantità, che Ihenard gli crede quasi stra- nieri alla di lei composizione. Finalmente que- sto Chimico ha osservato che la bile non è sem- pre la stessa nell'uomo; essa diviene insipida, e albuminosa intieramente, allorché il fegato su- bisce dei cangiamenti , e specialmente quando di- viene grasso. — Fourcroy, e Vauquelin hanno osservato negli ossidi uno scheletro dell' XI. Se- colo, estratto da un sepolcro della Chiesa di S. (i) Questo è un principio , che esso vi ha scoperto , e gU ha dato un tal nome. J 65' Geneviefa di Parigi , un color ro?so purpureo più intenso nel corpo di dette ossa, che nello loro estremità, e la loro superficie ricoperta dii. una gran quantità di cristalli bianchi, e brillan- ti, composti dalla calce, dall'acido fosforico, e da una piccola quantità di magnesia . Per spie- gare questo nuovo fenomeno, essi suppongono, che si formi una certa quantità di acido fosfori- co nella decomposizione delle ossa, che verisi- milmente contengono il di lui radicale, cioè ii fosforo; e che per mezzo di un cangiamento, la di cui natura è poco finora conosciuta, la mate- ria ossea dia origine ad un bel color rosso, che' diviene verde per l'azione degli alcali ; la so- stanza colorante poi si conserva incorrotta per molti secoli mediante la di lei combinazione coi fosfato acido di calce, e per l'assenza del contatto dell'aria . Finalmente questi Chimici pen sano, che una tal formazione di acido fosfori-. co , e di fosfato acido di calce di una natura dissolubilissima , sia uno dei mezzi di cui si serve la natura per distruggere il tessuto degli; ossi , e per mescolarli agli strati, terrosi . — li Dott. Sims è di parere , che le trombe di E^-. stachio servono a trasmettere il suono della no-, stra propria voce all' organo dell'udito, come il condotto auditorio esterno serve a trasmetter- vi gli altri suoni. Egli ha concepito questa idea dopo avere osservato , che i sordi, in cui le par- ti essenziali dell' organo dell' udito non sono malate, e che vi è solamente una ostruzione nei ijieati auditor] esterni; nel tempo che una, 0 amendue le trombe Eustachiane sono aperte essi intendono bene la propria voce, come avan- ti la sopraggiunta sordità, e da ciò deriva , che parlano piano. 5 66 Li Bassirilìevi antichi di Roma incisi da Tom- maso Piroli colle illustrazioni di Giorgio Zoega pubblicati in Roma da Pietro Piranesi . -lAl on è oggimai 1' Antiquaria un tessuto di opinioni concepite anticipatamente e appoggiate poi a stravolta interpretazione di un qualche luogo di antico Scrittore. In meno di un mezzo secolo ha cangiato aspetto, ed ba dati certi come gli altri rami deli' umano sapere ; i quali dati lesi vanno sempre più aumentando mercè lecon- tinove fatiche dei dotti, Abbiara noi veduti ma- ravigliosi e certissimi progressi neli' Etrusco ( ra- mo di Antichità di cui prima disperavasi ) mer- cè l'opera classica del dottissimo Lanzi; il qua-» le ha pur non ha molto spianata la via per l' in- terpretazione dei Vasi antichi con le tre bellissi- me dissertazioni, di cui rendemmo conto nel pri- mo volume del nostro Giornale. Si passeggia, a così dire, senza inciampi sulla Numismatica do- po le cure del celebratissimo Eckel. L'Antichità Egiziana ha fatti notevoli progressi pei dotti la- vori dell' erudito e critico Sig. Zoega . Le Iscri- zioni e i Papiri han luce di mezzo dì per le opere insigni del eh. Monsignor Marini. E, per arvicinarsi più al nostro scopo, l'antichità figu- rata in Winckelmann , nome di eterna venera- zione, negli Ercolanesi, e nel gran Visconti ha avuti dei sommi maestri che 1' han fatta di mol- to avanzare. Avanza anche assai sotto il Sig. Zoega or or lodato nelle prime distribuzioni del- l'opera che annunziamo , e che dee tenersi in 6: gran conto pel cvìteno e per la somma dottrina. S'incomincia coi Bassirilievi della Gasa Albani , ì qiiali empiono tre distribuzioni , e porzione della quarta . Noi daremo in questo nostro quin- to volumetto l'estratto delle prime due, lascian- do ai seguenti le altre tre già. pervenuteci , e quelle che seguiranno. Tav. I. Giove, Plutone , Nettuno . Siede pal- liato in trono il padre degli uomini e degli Dei tenendo il fulmine nella destra; e presso lui è Plutone , palliato anch' esso , con cornucopio nella sinistra, preso da Winckelmann per Genio bar- bato, ma che veramente ha tutti i caratteri del Nume infernale, eh' è quel di Giove iracondo-, e gli è simile nella foggia del pallio , nella barba e nelT acconciatura della chioma , che non è già, come disse "Winckelmann, calata sulla fronte. Presso Plutone sta una Dea velata, che si raccog le il manto colla destra , ed e a ragio- ne dal N. A. spiegata per Proserpina . Segue Nettuno vestito di pallio con tridente nella si- nistra e appoggiante su di una rupe il manco piede i vicino al quale è un'altra Dea vestita di tunica e manto da lei sollevato sopra la spalla; ed è benissimo spiegata per Anfltrite . Tav. 2. Cadmo ed Armonia . Deesi al valore del Sig. Zoega la vera interpretazione di questo bassorilievo assai ingiuriato dal temi'O , e risar- cito, ma però con giudizio, in varie figure. Lo produsse "Winckelmann ne' suoi monumenti ine- diti, e lo spiegò pel famigerato intrigo di Vene- re con Marte scoperto dal Sole, e palesato agli Dei da Vulcano. Il N. A. annulla le prove di quel grande antiquario : e il piti forte ostaco- lo per "Winckelmann è l'intervento delle De.o, 68 che si veggou nel marmo , e che furono escluse secondo Omero da quella licenziosissima scena , Premesse quindi importantisime e non ovvie no- tizie e belle osservazioni sulla favola di Cadmo avvalora con evidenza la sua nuova spiegazione. Vedesi assisa su di un lettino la figlia di Vene- re col manto , che dee probabilmente credersi il peplo tessuto da Pallade e a lei donato secondo le favole-, e che sollevato da un amorino eh' è in mezzo a lei e allo sposo , la fa restar nu- da, svolazzandole sulla testa, ornata di dia- dema fastigiato . Come spesso i poeti antichi in parlar di nozze non lasciarono di far men- zione del letto nuziale , e Catullo impiega mol- tissimi versi in descrivere il tappeto di quel di Peleo e Teti ; così non lo ha qui trascurato V artefice del nostro marmo . Anzi da Nonno {Dion. /. i3. f. 353. ) è fatta espressa menzione del letto geniale di Armonia, dicendo questo diligente raccoglitore dei piìi antichi miti, che Venere e gli amori l' ornarou degli aurei pomi dei giardino delle Esperidi, Ciò abbiam qui voluto aggiugnere per sempre più confermare l' inter- pretazione del Sig. Zoega. Cadmo è alla destra della Sposa, e interamente nudo con elmo; ed ha in terra deposto corazza e scudo; su' quali salito col pie sinistro si appressa al letto della donna-, e l'atteggiamento del volto, e la mossa di tutta la figura mostrano chiaramente il de- siderio, eh' egli ha di possederla. Seguono a mano destra del letto varie Deità dell' uno e dell' altro gesso tutte in piedi , eccettuatane Ci- bele. Il primo è Vulcano con molta intelligen- za posto dall'antico Scultore accanto al letto, come artefice del famoso vezzo, che nel nostro 60 marmo è in mano ad Armonia; e ciò forma pro- va incontrastabile della nuova spiegazione . Pres- so al letto, ma sul fondo del marmo, vedesi una figura virile , che per la sua forte corporatura è giudiziosamente supposta Marte dal N. A. Ac- canto a Vulcano è Mercurio mandato da Giove nella Samotracia , al dir di Nonno , per reo-ola- re lo sposalizio di Cadmo. Si osserva poi Cibele con due Leoni accanto , e circondata da tre Numi (quattro o cinque dovean essere in antico; «riac- chè il marmo è frantumato ) . Cibele quanto male starebbe alla sorpresa di Marte con Venere, tanto è opportuna nelle nozze di Armonia, che, giusta le antiche tradizioni coli' assistenza di lei si celebrarono. La Dea eh' è alla sua sinistra non può definirsi con certezza; e forse è Venere ma- dre della Sposa, o Elettra l'Atlantide di cui Armonia fu alunna, o Diana, il cui fratello Apollo è dietro alla spalliera del trono della magna Dea all' ombra di un lauro, e con in ma- no la cetra. L'altra figura muliebre non può anch' essa determinarsi per mancanza di simboli; ma assai probabilmente è una Musa , dicendo Teognide, che le Muse e le Grazie canta- ron l'epitalamio; dal quale ( aggiugner deesi ) scostasi Nonno { Dion. l. i3. v. Ss'i. f, facendolo esso camtare alle ninfe Esperidi. Li fine vedesi lina pistrice, dalla quale è da dedursi che le fosse presso scolpito l'Oceano. Dalla parte si- nistra del basso rilievo siede sul suolo la terra seminuda e con cornucopie nella destra , ed ap- poggia il gomito sulla schiena del bue solito suo simbolo. Vi si scorgono inoltre tre figure, tutte con teste moderne; l' una delle quali si e ristaurata per Giove ; dando segni di questo Dio il petLO robusto, e il pallio che riposa sul- la spalla sinistra. Le altre due sono state risar- cite per Ercole e Bacco; ravvisandosi nel primo la clava e la pelle leonina, la pardalide nell'al- tro: le quali Deità crede ottimamente il N. A. che vi stiano come tutelari di Tebe. Tiiv. 3. 3Ierciirio portante Bacco fanciullo. Mer- curio con petaso e clamide, e in mossa assai na- turale e gentilissima sostiene con ambe le mani il bambinello Bacco involto in molto ampio pan- no. Il soggetto ovvio iu gemme annulari è as- sai raro in bassi rilievi. Cita qui il Sig. Zoega per illustrazione del suo monumento la famosa patera borgiana rappresentante il nascimento di Bacco dal femore di Giove, ove parlando di quella Dea, che è ivi appellata Thalna dice : La quale essere V llitìa degli Etruschi senza ri- correre a vaghe ed arbitrarie etimologie Ja fede la patera Cospiana , ove la levatrice assistente al- la nascita di Minerva il medesimo nome ha ascrit^ to; e citando l'altra Dea, che collo stilo scrit- torio fa l'oroscopo di Bacco riflette: Il nome di quesf ultima Dea in parte eraso poteva essere Mean o Ma^n, ajpiejorse a mens Trpóio/a,, non mai Myran o Mysan , come leggere si è voluto contro quello ammette lo spazio della corrosione. Ci permetta il dotto Autore che facciamo al- cuna riflessione su queste sue parole . Varie eti- mologie date si sono alla Dea Thalna della pa* tera Cospiana, e della Borgiana . Il Sig. Ab. Lanzi (i) ne ha proposte due. Nella prima ri* duce questo nome a .J' xXn'ct ravvisandovi l'an- tico articolo TK assorbito dal nome, e aggiu- (i) Saggio T. 2. p. ipo. gnendo ad esso un i ausiliare. Nella seconda legge Thaliiia quasi Thallina, da ^dXXco pul- lulo. Il Sig. Visconti (i) crede Thalna la 0aAA&) Tallona menzionata da Pausania (2). Queste eti- mologie, per vero dire, avuto solamente riguar- do alla voce , sono ingegnosissime , e non ci sem- brano certo vaghe ed arbitrarie. Il solo esame scrupoloso del carattere della figura, cui è an- nessa la voce , può e debbe determinarci per r una piuttosto che per le altre . Seguendo il Sig. Visconti dovrebbe credersi un' Ora , che tale è Tallona nel citato luogo di Pausania ; e per veri- tà, fornito com' è quel dottissimo Antiquario d' in-» gegno, e di estesissima erudizione, adduce va- rie ragioni per provare quanto il ministero di lei sia adattato ai temi delle due patere: ragio- ni però che a noi sono parute atte solo a gua- dagnargli r assenso in relazione al nascimen- to di Bacco espresso nella patera Borgiana,non a quel di Minerva rappresentato nella Gospia- na . Oltre a ciò si veggono in questa presso al- la figura due simboli, che non per Ora, ma per Venere la manifestano ; e sono un ramo- scello di mirto e una colomba su di esso . Si è dubitato del volatile; ma con poco fondamen- to, per quanto almeno ci pare ; e si è anche cre- duto, che, quando sia colomba, debba riferirsi a Giove , ed aversi per una di quelle, che davano in Dodona gli oracoli . Ma se conviene a Gio- ve la colomba, gli disconviene il mirto: e mir- to par quel della patera, e non è certo quer- cia, com' esser dovrebbe se appartenesse all' 0- (i) M. P. C. T. 4. tav. A. (•2) Boeot. e. 3,^. *r3 racolo di Dodon'a. Si arroge l'uso dell' antichi- tà, perpetuo, per quanto abbiam noi osservato, di porre i simboli presso le figure cui apparten- n-ono , salvo quando vi sranno come per indizio del InoTO ove si rappresenta la scena, od altra simil ragione ; il qnal luogo non essendo qui ODodona, si debbe anche escludere la colomba dodonea e ravvisarci quella di Venere. Ciò sta- bilito possiamo senza nessuno sforzo interpretar per Venere la Thdna che esclude il parto an- che nella patera Borgiana; ufizio che conviene a quella Dea, come lo ha ben provato Monsi- -cnor Foggini nelle dissertazioni Gortonesi (i); •cui si aggiunga quel che ne ha scritto Arterni- cLoro (2). Accertati frattanto che quella è Ve- nere, npn si può esitare un momento ad adottar la prima delle due etimologie del Sig. Lanzi. Sono amendue ingegnose e bene appoggiate -, ma^ •ci sembra quella preferibile, reggendo a tutta prova . Eegge nel materiale del nome , avendo f[uesto dott' uomo mostrato incontrastabilmente ■o-li articoli assorbiti dai nomi nell' Etrusco , e la necessità di sostituire bene spesso ausiliarj per pronunziargli. Regge posta al paragone dei no- mi dati a Venere dai Greci , corrispondendo Thalinaz\\?i7n>\ciyiot.y e air'A(ppo//w di quelli; avvertenze già fatte dai eh. Autore nel Saggio; cui può aggiugnersi per nuova conferma 1' 'A(ppo- tf/w ^aikctarcrcnct di Nonno (3). Sia pur dunque Thalna l'Ilitia degli Etruschi , come ben giudica il Sig. Zoega; ma si tenga fermo eh' è Vene- fi) Tom. 2. p. 96. (■2j L. 2. e. 35. p. 1.33. edit. Lai. i6cS. (3j Lib. 33. V. 2-- I 73 re, com' era Lucina e Giunone presso i Greci e i Latini . Neppure possiamo adottare il sentimento del Sig. Zoega intorno alla Dea che fa 1' oroscopo a Bacco ; non ci sapendo scostare da quello del eh. Visconti, che lesse Myran , e il derivò sag- giamente da MoJpot Parca , e ne provò 1' ufizio, con evidenza ; oynnione che nelle correzioni ed acr^innte al Saggio Etrusco adottò l' illustre au- tore di esso , che in avanti avea letto or Mysan , or Nysan. Pare che il N. A. abbia creduto che si sia supplita 1' erosione con due lettere, dicen- do, che non si calcolò bene lo spazio. Ma non è così*, la prima lettera è evidentemente un nesso, e debbe leggersi per my, non già per la sola/n. Può ingannarsi chi vegga la stampa nel tomo 4. del Museo Pio-Clementino ; ma non chi osservi quella del Saggio, ov' è correttamente delineata . Tav. 4. Aerato sorretto da un Satiro . Vedesi il vecchio Sileno grave dal vino e cascante so- stenuto da un Satiro che abbraccia colla sini- stra, mentre la destra tiene appoggiata sul ca- po, mossa che perpetuamente indica riposo nel- le opere degli antichi . Presso Sileno è un' ara con due maschere, un timpano e due tirsi, che vedremmo incrociarsi, se fosse il basso rilievo men frantumato. Il Sileno è osservabile per es- ser vestito di clamide svolazzante, comparendo d'ordinario 0 con pelle d' animale variamente gettatagli sulla persona, 0 con una specie di grembiule, o anche con pallio. Dice qui il N. A. eh' ei lo chiama Aerato perchè così l'appella Pausania-, e promette di render ragione altrove di questo nuovo nome; e veramente il fa alla tav. 2' Ola in maniera che sembra appoggiarsi '34 za una semplice congettura fondata sull' etimo- logia del vocabolo aerato, cioè vin puro; da cui pargli doversi concludere, che dato siasi tal no- me ad un vecchio , perchè il vin puro è gradito dai vecchi, ed è loro opportunissimo . Noi per ve- rità non crediamo necessario sottilizzare così , e giudichiamo anche che Pausania poco favorisca il sentimento del Sig. Zoega. Ci sembra infatti che egli volesse particolarizzar Aerato, dipingen- docelo come un Genio del seguito di Bacco, ù^adfjicov -mv ei(jL(pì à,ióuvarop . Ora se Aerato fosse stato quel Sileno riconosciuto dall' antichità per nutritore di Bacco, non lo avrebbe certo con- fuso con la turba-, ma vi avrebbe aggiunto que- sto particolare ; tanto più che quel freddo de- scrittor della Grecia è diligentissimo e assai mi- nuto nel novero dei monumenti che incontra . Il Satiro in altro tempo sariasi preso per Fau- no : ma dopo ciò che ne ha scritto il dottissimo Lanzi nella seconda dissertazione su' vasi anti- chi , è manifestamente provato che i Satiri non han , come i Pani , piedi caprini . Tav. 5. e 6. Banze Bacchiche. Sono quattro bassi rilievi : nei due primi si veggono quattro Menadi, due per due. Nell'uno vestono tunica peplo e manto , e sollevano in alto il cembalo ; nell'altro cinte sono da ampio manto, ed han cembalo e tirso. Nei due secondi bassi rilievi sono scolpiti quattro Satiri vestiti di pardalidi , due per due anch'essi; gli uni han crotali, gli altri si sollevano con amendue le mani la par- dalide . Tav. 1- Trionfo indico di Bacco. Le rappre- sentanze bacchiche formano spessissimo il sog- getto dei bassi rilievi espressi su' sarcofagi de'Fvo- mani; del qual costume han prodotte varie e plausibilissime ragioni gli antiquarj dell' età no- stra. Il presente monumento sembra accordarsi con quanto della spedizione indica del DioTe- bano narra Euripide nelle Baccanti (i), facen- dovel comparire non già conquistatore, ma solo promulgator delle sue Orgie ; giacché gì' India- ni non si veggono qui con le mani legate , co- me in altri marmi ; ma quali pacifici compagni di Bacco . Sembra però aver lo scultore anche adottata in parte la più estesa opinione , che fa Bacco conquistatore ; rappresentandoci armato di scudo Sileno i il quale vuoisi anche osserva- re per esser contro il costume assiso su di una pantera . Il carro di Bacco è tirato da elefanti , e il Nume su di esso in piedi abbraccia 1' ama- to suo giovinetto Ampelo; figura che il N. A. ottimamente illustra con versi di Nonno. Sono anche degni di osservazione nel nostro marmo i cammelli non ovvii nelle antiche sculture , e i cavalli rarissimi nei monumenti bacchici; ma però rammentati da Nonno. E^ di più il cocchio del Dio fregiato di un grifo; fantastico anima- le , di cui dico alcun che nella mia dissertazio- ne su Nemesi, che fra non molto vedrà luce in- sieme con un' altra sopra Edipo e la famiglia di lui: e sarà il saggio di una nuova mitologia »:ombinata coi monumenti (2). (1) V. i3. segg. e v. 482. segg. (2) Si è a questa impresa meco unito 1' egregio e dottissimo Sig. Gio. Batista Niccolini Profergore di Storia e Mitologia e Bibliotecario nell' Accade- mia delle belle Arti di questa Citta , il quale prc- metterk alle mie sopraccennate dissertazioni un bel- lilsimo ssuo discorso su' sistemi mitologici. Ift se- Ì6 Tav. 8. Pompa del cratere Dionisiaco . Il cra- tere è sopra di un carro a due ruote tirato da Linci. Sul davanti siede un Indiano prigionie- ro , che in segno di mestizia appoggia il gomito destro sul ginocchio , e avvicina la mano al men- to , mentre in atto di chi deplora l' iniqua sor- te ha stesa la sinistra avvinta di catena tenuta da una Baccante, che ha il governo delle Lin- ci. Stan dietro due nudi Satiri, 1' un dei quali guida un elefante , su cui siede un prigioniero Indiano, (^uì il Sig. Zoega fa dottissime osser- vazioni su' cocchi degli antichi, sulla forma del cratere, che riscontra in due descrizioni di Ate- neo, e sulla foggia degli abiti, con cui gli anti- chi vestirono i barbari su' lor monumenti . - l'av. 9. Indi prigionieri. Quel che s'incontra di singolare in questo frammento di quattro fi- gure è una tromba di smisurata grandezza im- boccata da un Satiro. Tav. IO. Sileno crateroforo e Bacca timpanistria . Più grande di quei che veggonsi ordinariamente in simili rappresentanze è il cratere retto sulle spalle dal Sileno i e perciò la sua mossa è di chi gema sotto gran peso . Pare che lo animi la Bac- cante, che percuote il timpano, ed è in atto di ballo. Tav. II. Scena domestica. Non so, dice qui il N. A. in questo marmo di buona scultura, la- vorato a quel che sembra intorno ai tempi d' A- guito ci distiibuiicmo la fatica prendendo ciasche- duno ad illiistrare or quella Deità, or quell' Eroe er. nulla interessando il piano che ho fissato , e di cu» sarà nel primo volume reso conto, il cominciar piuttosto da uno che da altro articolo . , Ariano, a cui tanta erudizione ha profusa Winckel- mann introiiucendovi Nettuno, e Cerere , e Anone, e Pelope (i), altro ravvisare che un Personaggio Romano , che decumbente sur un canapè si trattici ne con una matrona assisa accanto nel tempo che un vernulCL con brocchetta e sottocoppa sta pronto ai suoi comandi, e che nel fondo comparisce il ca- vallo favorito M padrone . Chiediamq nuovamen- te perdono al eh. Autore, se ancor qui uon ab- bracciamo la sua spiegazione, per attenei-ci a Winckelmann, parendoci , che il carattere della, donna e della figura virile giacente sia chiara-. mente di Deità; anzi questa ha molta soraig.han- za con Giove, somiglianza che non disdi.cei,a Nettuno; anzigli conviene, giacché in Stazioni), è chiamato secondo Giove, e nostro Giove fi^àet-- to dalle Nereidi presso Glaudiano (3): autorità che sono non so come a Winckelmann sfuggite... Tay. ,13. Donna al Zui^/io. Si asside^ piangente: su di scabro sasso una donna vestita di tunica e gran manto, mentre altra donna inclinata con spugna o le unge o le bagna il sinistro piede. Crede il primo il Bellori, e la spiega per una sposa che piange la perduta verginità mentre la profumiera le unge i piedi . Winckelmann si at- tiene al secondo, e vi ravvisa una Vergine, che mentre si fa lavare i piedi , quasi sia ella lu procinto di consumare il matrimonio, col pallio si cuopre il volto. E' incerto il N. A. a qual delle due spiegazioni appigliarsi , e lo siamo pur noi sembrandoci amendue assai buone e spontanee. (1) Mon. ined. p. 22. fig. Ip. (2) Achill. I. 48. (3) De nupt. Hon. et Mar. v. l-é. Ma ravvisandoci però egli l'idria colca e colla bocca in fuori crede il marmo ornamento di fon- tana ; e perciò propone per semplice congettura , se esser possa Venere che al fonte di Biblo si fa medicare il piede ferito in occasione della morte di Adone . Ma sembra che il dottissimo il- lustratore non abbia posto mente a quel gran tappeto 0 peripetasma che cuopre il fondo del bas- sorilievo , il quale , per quanto abbiam noi os- servato, è sempre indizio che la scena è domesti- ca, e non mai allo scoperto. Non si oppone a ciò il sasso su cui si asside la donna. Egli è un sedile, ed è opportunamente di pietra, perchè sedile presso un bagno ; e comparisce scabro for- se perchè danneggiato dal tempo . Non discon- viene neppure il peripetasma ad un bagno; giac- ché servendo in antico per divisorio delle stan- ze, vi è posto per mostrare che quello è luogo appartato , ove star possa la donna con tutta sua libertà . Gio. Batista Zannoni. 79 ALLA MAESTÀ D I NAPOLEONE IL MASSIMO IMPERATOR de' FRANCESI, RE d' ITALIA £ CAPO DELLA CONFEDERAZIONE RENANA. SONETTO DI GIOVANNI DE BIZZARRO . I^orgi, disse Natura-, un Dio ti cinse Più che di ferro di valor guerriero : Cesar comparve , e venne , e vide , e vinse Roma , Pompeo , Caton , il mondo intero . Di se non paga ancor la Diva, pinse L'immagine dei Grande in suo pensiero: Marc' Aurelio creò , e con lui spinse Sofia sul trono dei Latino Impero . Ombrar d' ambo le fronti intatti lauri ; Senno e valor chiamar sul patrio suolo Le virtìi degli Scip j , e degli Scauri . Vìn secoli pensosa Ella si tace: De' sublimi Campi on ne forma un solo .^ Egli e' il Dio della Guerra e della Pace. So C. VALERII CATULLI DE NUPTIIS PELEI ET THETIDOS CARMEN JL eliaco (i) quondam prognatae vertice pinns Dicuntur liquidas Neptuni nasse per undas Phasidos ad fluctus , et fìnes -/Eetaeos. (l) E^ famigerata la spedizione degli Argonauti in Coleo, e non solo il cn.duto Orfeo, Apollonio Rodio , e Valerio Fiacco la cantarono ; ma ezian- dio altri Greci e Latini Scrittori la celebrarono a gara. Intorno alla parte storica -di essa veggasi il' Gesnero nella dotta dissertazióne : De Phoenicnm extra coliLvnias Hercidis yiavigationibus , inserita nel- 1^ sua edizione d' Orfeo . Hàn sudato i moderni per lintracciarne l'epoca; e il Petavio , Newton , Sou- ciet , Helley han prodotti . calcoli assai ingegnosi.. L' opinione però , che mi sembra meritar la palma ,' quella si è del dottissimo Gio. RinalJó Carli, il qua- le presi per guida i fasti di Teseo diètro special- mente a Plutarco , che nel teaser la vita di quest' e- Toe la disceverò dalla favola , fissa la spedizione 67. anni prima della presa di Troia. Veggasi la sua beli' opera su questo argomento p. 60. e segg. Tutti convengono , che Pe!eo fosse uno degli Argonauti; ma si scostano da Catullo facendolo Sposo di Teti prima eh' ei navigasse con loro . Anzi Valerio Fiac- co Lib. I. V. l3c. e segg. tra' soggetti delle pittuue, che decoravano il naviglio , vi ripon queste nozze ; e al medesimo libro v. 255. finge che Chirone mostri da St POEMETTO DI CATULLO SUL MARITAGGIO DI PELEO E DI TETI TRADOTTO IN VERSI SCIOLTI DAL P. M. GIUSEPPE M. PAGNINI CARMELITANO. JL ini già un tempo nati al Pelio in vetta Fama è che a nuoto per le liquide onde Nettunie al Fasi andaro e a' lidi Etei, lungi a Peleo il figlioletto Achille : luogo che vuoisi leggere e rileggere; tanta è la leggiadria che spi- ra. Argo non fu certo la prima nave; e dicendo Catullo più sotto : Illa rwiem ctirsit prima imbuit AmpTiitriten , debWe intendersi secondo il Vossio , eh' era essa fabbrÌMta con assai più d' arte delle passate-, onde ti vuol costruita da Pallade, o al- men colla sua presidenza ; e più atta perciò a solcale i flutti . In efFetto solevano talora gli antichi attri- buire ai n»iglioratori il merito dell' invenzione ; in quella guisa appunto che alcuna volta fécer passare i riedificatori delle città, pe' fondatori di esse . V- Heyne excuts. I. ad' 4. Aeneid. La navigazione è anti- chisuima ; e gli alberi schiantati dai venti e galleg- gianti sull'acque, d«bbono ben per tempo aver de- stata l'audacia degli uomini a su montarvi. Si co- struirono in seguito delle zattere, e con inesperti re- mi ( Claud. praef. in lib. f. de raptu Proserp. ) si fecer piccoli tragitti intorno ai lidi . Poi si perfezionò 1' arte e s' intrapresero lunghi viaggi . La popolazio- ne antichissima e incontrastabile di alcune Isole come di Creta c^na della religione e della civiliz- z»iiione di tutta la Grecia è c«tto indizia cheque- 6 Cum lecti iuvenes Aigivae robora pubia Auratara optantes Golchis avertere pellein(i), Ausi sunt vada- salsa cita decurrere puppi , Caerula verrentes abiegnis aequora palinis: Diva quibus retinens in summis urbibus arces Ipsa levi fecit volitantem flamine currum , Pinea coniungens inflexae texta carinae . Illa rudem cursu prima imbuit Amphitriten . Quae simul ac rostro ventosura proscidit aequor , Tortaque remigio spiimis incanuit unda, Emersere feri candenti e gurgite vultus Aequoreae monstrnm Nereides (2) admirant^s^ Illaq'ue, hautque (3) alia viderunt luce mariiias Mortales oculi nudato corpore Nyraphas INutricum (4) tenus éxtantes e gurgite cane. ■st' arte è di remotissima origine. Se nonché lascia arca di Noè rammentata in libro divino , e il più antico di quanti ne abbiamo, dee darne una prova invincibile. Pure in ciò quant^o si è abusato del raziocinio dai dotti ; da quei specialmente che nel trattar le origini della nostra Italia ci han deriva-, to dai Celti ! Non è questo il luogo di riportare i loro delirj . Chi n' abbia desio vegga il Bardotti tiri primi abitatori dell' Italia Tomo I. pag. 67. e segg. per lungo tratto , ove con perpetuo equivoco non si distinguono le colonie dalle emigrazioni , ne le grandi navigazioni dalle mal sicure zattere, le quali certo servirono pei Greci , onde tragittar dall' Epiro in Italia, inseguiti da altre turme selvagge. Ve- dasi la Prefazione di Tucidide alla sua Storia , e il eh. Vermiglioli nel bel discorso premesso al pri- mo Tomo del suo cemento sulle antiche iscrizioni Perugine, flj II dottissimo e diligente Carli nel lodato li- bro p. 98. ha raccolte le opinioni degli antichi e dei moderni sul vello d'oro. In pittura presso gli trcolanesi ( T. 3. p. 19.) vedcsi Frisso tragittar sul 83 Anorchè degli Argivi il Miglior nerho , Gioventù scelta , per rapire a' Colchi. L' aurato vello osò po' salsi guadi Ir su ratto vascel con abetini Eemi sferzando i gran cerulei piani . La Dea, clie tiene alle cittadi in cima Sue rocche , ella medesma i. pin contesti Curvando all' uopo edificò il volante Allo spirar di sotti! aura cocchio . Questo avvezzò primier la non esperta Anfitrite a portar gran moli in corso. Non sì tosto diviso ebb' ei col rostro Gli ondosi campi , e dal remeggio intorto L' equoreo flutto incanutì di spume , Che le Nereidi, fieri volti, uscirò Del bianco golfo, il gran mostro ammiranti. In quel dì, né mai pili, vide occhio umano Ninfe marine con le membra ignude Fuor de' candidi gorghi infino al petto . montone il mare, mentre Elle è vicina ad anne- garsi . (•2) Apollonio Rodio lib. 4- v. pSc. e segg. e Apol- lodoro lib. I. p. ICO. ediz. del eh. Heyne fan passa- re gli Argonauti per le Plancte coil' assistenza di Teti e delle Nereidi . Il primo anzi fa seder la Dea al timone , e il secondo narra che vi fu mandata da Giunone . (3) Correzione del Vossio, che la formò da aniiLP. che prima di lui leggovasi negli stampati. Un ano- nimo ma antico chiosatore netl' esemplare Maglia- bechiano dell' edizione principe legge haiid alia . La stessa lezione di mano di Bernardo Pisano e in una copia dell' edizione del 1481. esistente nella me- desima Libreria. Bernardo Pisano collazionò, coni'eii- so aff(;rma, un emendatissimo Codice di F. Pucci. (4j L Anonimo ha: lam crurnm tenu< ; lezione 84 Tuin Thetidis Peleus incensus fertur amore, Tum Thetis humanos non despexit Hyraenaeos, TurnThetidi pater (i) ipse iugandum Pelea sen- sit (3) . O nimis optato saeclorum tempore nati Heroes(3)salvete ,Deum genus,obona mater (4); Vos ego saepe meo vos Carmine compellabo . Teque adeo eximie taedis felicibus aucte Thessaliae coìumen Peleu (5), quoi luppiter ipse, Ipse suos Divum genitor concessit amores. Tene Thetis tenuit pulcherrima Nepcunine? Tene suam Tethys concessit ducere neptem , Oceanusque iuaritotumquiamplectiturorbem(6)? Quae simul (2) optatae. finito tempore luces Ut venere, domum convento tota frequentat Thessalia : oppletur laetanti regia coetu . Dona ferunt ; prae se declarant gaudia voltu . osservata anche dallo Scaligero ; ma che par da ri- gettarsi . (1) O Nereo padre di Teti , o Giove, chiamato padre per eccellenza dai poeti , dice il Volpi ; il quale si attiene alla seconda opinione seguita an- che dal dotto traduttore . E^ noto che Giove preso dall' amore di Teti da lei si astenne a suggerimen- to di Prometeo, il quale gli predisse, che il figlio, che generato avrebbono , gli toglierebbe il regno , com' avea esso fatto a Saturno . (2) L' Anonimo legge Sanxit ; cogì Bernardo Pi- sano . (3) Alter erit tiun Tiphys , et altera quae veTiat Argo Delectos heroas . Virg. ecl. 4- ^' 35. V. ivi il dottissimo Cerda che illustra questo verso di Ca- tullo e r altro superiore : Quum lecti iuvenes etc. (4) V ha discordia fra gì' interpreti chi sia que- sta madie . Chi crede Teti , chi Argo : sentenza che illustra il Volpi con un passo d' Apollonio Rodio lib. 4. V. lo-li. E^ però esso d' opinione che debba 85 AUor fu clie di Teti arse Peleo , Teti allor non sdegnò terren connubio •, Allor egli medesmo il sommo Padre Assentì , che Peleo s' unisse a Teti . O nata a' più bei dì schiera d' Eroi , Salve, 0 de' Numi prole, e o buona Madre, Voi sì, voi spesso invocherò col canto, E via più te , de' Tessali sostegno , Per fauste nozze glorioso e lieto , Peleo, cui Giove il genitore stesso De' Numi cesse in don sua propria fiamma. Te dunque Teti di Nettun la figlia Più bella in grembo accolse? a te sposare La degna lor nipote indusser Tetia Ed Ocean , che il mondo tutto abbraccia ? Come al prefisso tempo il dì bramato Spuntò , tutta Tessaglia entro s' affolla Al tetto di Peleo . La reggia s' empie Di festeggiante stuol. Recanvi doni, E co' doni la gioja in volto espressa. riferirsi alla Tessaglia , che può dirsi madre degli Argonauti . Catullo stesso nella poesia sopra Ati fa dire a questo : Patria o inea genetri-x . (5) Veggasi l'eruditissimo Heyne nelle osserva- zioni ad Apollodoro p. 3i3. e 3l4- ove cita tutto quel che può ilListrar Peleo e Teti, e le lor nozze. (6) Anche i più antichi Scrittori Greci tennero esser tutta la terra circondata dall' Oceano . Le te- stimonianze si posson vedere appresso Bochart ( Ca- naan p. 707. ) e nella citata dissertazione del Gc- snero p. 420. L' Anonimo in vece di mari legge pater . (7) L'Anonimo e Bernardo Pisano leggono: Qui simili optatae finito tempore litcia-Advenere domum; e questi comenta : idest circa vesperum . Dubito che questa lezione debba all' altra preferirsi . 8(5 Deseritur Scyros (i) : iinquuut Phthiotica Tempe, Cranoaisqiie doinos , ac moenia Larissaea . Pharsaliam coeunt, Pharsalia(2) tecta frequentant. Pvura colit nemo -, moUcscunt colla iuveiicis: Non humilis curvis purgatur vinea rastris : Non glebain prono conveliit vomere taurus: Non falx att«nuat fiondatorum arboris umbram : Squalìda desertis robigo infertur aratris. Ipsius at sedes , quacumque opulenta recessit Pegia, fulgenti splendent auro, aique argento, Gandet ebur soliis, collucent pocuia mcniae : Tota domus gandet regali splendida gaza . Polvinar vero Divae geniale locatur Sedibus in mediis, Indo quod dente politum Tincta tcgit roseo conchyli purpura (3) fuco. Haec vestis priscis hominum variata figuris Heroum mira virtutes indicat arte. Namque fluentisono prospectans litore Diae Tesea cedentem celeri cum classe tuetur Indomitos in corde gerens Ariadna (4) furores, (l) Isola lungi dalla Tessaglia; ma che fu go- vernata dai Tessali Dolopi , come avverte il Vos- sio ; perciò Catullo ne fa qui opportuna menzione. f'i) L' Anonimo e il Pisano hanno Pharsalica . (3) Oltre il Volpi a questo vers'O veggasi sull?u porpora il dottissimo Cerda a Virgilio Aen. ^.v. 262. il eh. Fea a Winckelmann T. I. p. 4^^!. 1' Amati: De reatitutimie piirpiiraruni , il Vossio a questo luo- go , e lo Schvvebelio all'Idillio l. di Bione v. 3. (j) Vedesi 1' abbandono della figlia di Minosse fra le pitture dell' Ercolano T II. tav. l5. e tutto questo Episodio di Catullo l'illustra a maraviglia . V ingannano però quei d(jtti espositori in creder Ne- mesi la Dea che stando dietro ad Arianna le accen- na la vela nera lasciata da Teseo sul naviglio ; quasi le dica che per essa ella è bastantemente vendica- La Ftiotica Tempe in abbandono B.imansi e Sciro ed i Cranonj alberghi E di Larissa i muri. Alla magione Farsalica van tutti a schiere a schiere . B.estano i campi incolti ; il collo a' buoi S' ammorbidisce \ non il curvo rastro Purga r umili vigne , e non le glebe Col vomero inchinato il tauro svelle; Non degli arbori 1' ombre il potatore Con la falce dirada ; e 1' atra e sozza Ruggine scorre su i negletti aratri . Ma il regio tetto di Peleo , dovunque Bieco s'interna, a fulgid' oro e argento Brilla, gli scanni albeggiano d'avorio, E rilucono i nappi in su le mense . La niagion tutta di regal tesoro Superba si rallegra . Al gran palagio In mezzo situato è per la Dea Il letto genial d'indico avorio Terso e lucente , che coverto è d' ostro In roseo succo di conchiglia infuso. Questa di varie umane forme antiche Distinta coltre con mirabil arte Degli Eroi le virtudi al guardo espone . Quivi Arianna appar , che dal sonante Lito di Nasso divorata il core D' indomiti furor sta rimirando Teseo fuggente con veloci antenne ; ta . Ninno ignora che da ciò ne provenne 1' anne- gamento di Egeo . Questa Dea rappresenta certa- mente una Furia. La spiego così dietro la testimo- nianza dello stesso Catullo; il quale più òotto fa ad Arianna invocar le Furie : Eumenides qulbu^ an- gtiinn redimita capillo frons etc. 0 accenna poscia , eli'' essa fu vendicata colla morte di Egeo; com' av^^^ 88 Noe dura etiara se se , quae visit, visere credit (l)i Utpote fallaci quae tum primum excita somiio Desevtam in sola miseratn se cernit arena . Imrnenior at iuvenis fugiens pellit vada retnis. Irrita ventosae linquens promissa procellae: Quem prorul ex alga moestis Minois ocellis, Saxea ut eflìgies bacchantis , prospicit , Evoe , Prospicit, et magnis curarum fluctuat undis , Non flavo(2)retinens subtilem vertice mitram. Non contecta levi velatura pectus amictu , Non tereti strophio (3) 1 uctantes (4) vincta papilla»: Omnia quae tote delapsa e corpore passim Ipsius ante pedes fluctus salis alludebant . Sed ncque tum mitrae , neqwe tum fluitantis ami- ctus Illa vicem curans , toto ex te pectore , Theseu > Toto auimo, tota pendebat perdita mente. Ah misera , assiduis quam luctibus externavit chiesto che Teseo funestasse s« ed i suoi . Forse fece gabbo a quegl' illustri Accademici il veder la figuri alata. EWero che Epchilo nelle £umenidi v. 25c. nega le ali alle Furie; ma le da loro Euripide nel» r Oreste al v. Sl^. (l) Questo verso , che variamente si legge nei co- dici, è stato anche variamente emendato per con- gettura dai dotti . Il Volpi seguì la correzione del Vossìo ; e noi pure lo abbiam date secondo quella. L'edizione principe , quella del 14S1. ed altri libti hanno: nec dum etiam se.'ieque sui tum credidit esse. L'Anonimo, il Poliziano , che anch'esso segnò va- rianti nel citato esemplare Magliabechiano della pri- ma edizione, e Bernardo Pisano lasciano il versò intatto . Non dee dunque credersi allo Scalìgero quando dice: Ultima pars huilis r>t>rsiciili conficta est a correctoyibns. Io non oserei cangiarla; tanto più che fa buon senso , com' ha ottimamente spiegato il 89 Kè veder crede ancor ciò eh* fila vede , Come colei che pur allor dal sonno Ingannevol riscossa ahi sé meschina Abbandonata scorge in erma arena , Ma l' ingrato garzon fuggendo , il mare Batte co' remi , e le promesse vane In preda lascia alle procelle e a' venti. Lui pur dall' alga ornai lontano scopre Con mesti lumi di Minos la figlia, Qual di Baccante immago in sasso incisa, Lui scopre , e in alto mar d' affanni ondeggia . Non ella ha sottil mitra al biondo crine. Non di lieve mantel velato il petto , Non tiene a fren le fluttuanti mamme Attorta fascia; le quai tutte cose Qua e la giii dal bel corpo a' pie' discese De' salsi flutti son trastullo e gioco . Ma senza piii curar mitra o mantello Galleggianti sul mar , con tutto il core , Con tutti i sensi suoi , con tutta 1' alma Dietro a te sol perduta , o Teseo , pende . Ahi sventurata, cui levò di senno Pi.9ano , cioè : csxe apud se , compotem esse men- tis , addubitans an adhuc somniaret . (_') 11 capello biondo fu in pregio presso gli anti- chi ; ma non mancò di celebrità anche il nero.ie- da fiat nigra conspicienda coma, abbiamo in Ovi- dio . Veggansi gli Ercolanesi nel Tomo 3. delle pit- ture pag. 2. e il bellissimo trattato de coma di A- driano Giunio sul fine del capo p. (3) Suir uso di questa fascia vedi il dotto Fische- rò ad Anacreonte ode 2o. v. i3. (4) Lacteiites legge 1' edizione principe con altre parecchi . Bernardo Pisano glossa: Lactentes , niveas , rt lactens centra grammaticulos . Non sappiamo ab- bandonare luctantes . Spiuosas Eryciiia ser'ens in pectore cùras . Illa tempestate ferox , et tempore (i) Theseus Egressus curvis e litoribus Piraei (2) Attigit iniusti (o) regis Cortynia tempia (4) . Nam perhibent olim crudeli peste coactam Androgeoneae poenas exsolvere caedis, Electos iuveiies simul , et decus innuptarum Cecropiam solitam esse dapem dare Minotauro (5). Queis angusta (6) raalis cum moenia vexarentur, Ipse suum Theseus prò caris corpus Athenis P-rojicere optavit potius , quam talia Gretam('j) Funera Gecropiae ne-funera portareutur. Atque ita nave levi nitens, ac lenibus auris , Magnanimum ad. Minoa venit ,sedesque superbas. Hunc simul ac cupido conspexit lumine virgo Eegia, quam suaves expirans castus odores Lectulus, in molli complexu matris alebat: Quales Eurotae progignunt flumina myrtos, Aurave distinctos educit verna colores : {l) Tèmpus dexignat annorum seriem ,tempestas an- ni tempus , la stagione . Così Bernardo Pisano. Qui però sembra tautologia, com' ha giudicato il Volpi. (2) E^ noto esser questa una prolepsi , ossia antici- pazione non rara nei poeti -, giacché Teseo sciolse dal Palerò , e non dal Pireo costruito tanto tempo do- po da Temistocle . (3) Atheniensium scilicet temporarium , et prò af- fectu hostium prolatum . Alioqui Minos justiasimiis fuit , unuxque e judicihus inferis . Nota di Bernardo Pisano . Non il solo Catullo; ma anche altri antichi han tacciato d' ingiusto Minosse. Veggasi il grande Spanhemio a Callimaco nell' inno a Diana v. 194. (4) Tfìcta leggono il Poliziano e Brrnardo Pisano . (5) Dopo la dottissima e criticis.sima dissertazio- ne del Sig. Ab. Lanzi sopra un vetusto vaso trova- to in Girgenti ed esprimente Teseo che uccide il 5>^ Con incessanti gemiti Ciprigna ^Geminandole in cor pungenti cure ! A queir etacle il fier Teseo partito Da' curvi lidi del Pireo pervenne Del Cretese monarca a' tetti ingiusti . Poiché si dice , che il Cecropio suolo Da cruda peste un di le pene astretto A pagar dell' ucciso Androgeo , in uso Avea spedir garzoni eletti e fiore Di verginelle al Minotauro in pasto . Da tai disastri la cittade augusta Teseo mirando oppressa , amò sua vita Avventurar per la diletta Atene , Anziché fosser cotai morte salme Non morte ancor di là portate a Creta . Quinci ei fidato a sottil prora e a' venti Andò del gran Minosse al solio altero. Or tosto che con cupid' occhio il vide La vergine real tra i molli amplessi Della madre educata in casto letto Spirante grati odor , qual vago mirto Che d' Eurota 1' umore alleva , o quale Dipinto fior cui molle auretta avviva, Minotauro, è a dimn.ytrazione che l'antichità scrit- ta e figurata rappresentò questo mostro uomo con capo bovino . (6) Il Poliziano e Bernardo Pisano leggono augu- sta ■■, e questi glossa: Augusta , sanata scilicet propter Minervani et nliorimi Deotum cidtum , nani et Gracci poetati lincee, A^rtll'aq dixerunt . (■]) Il Pisano legge: Potius quam talia Creta Fiuic rn nec funera Cecropiae portarentur ; e chiosa: Por- tarentTir a Creta ipsi Cecropiae tali a funere . Il Vol- pi però ha ottimamente con un passo d' Isocrate spic- j;rtra la lezioue che abbiam noi pur seguita. 92 Non prìus ex ilio flagrantia declinavlt Lumina , quam cuncto concepit pectore flaramam Funditus, atque imis exarsit tota medullis, Heu misere exagitans immiti corde furores. Sancte puer , curis hominum qui gaudia misces ( i ), Quaeque regis Golgos, quaeque Idalium frou- dosam , Qualibus incensam ìactastis mente puellam Fluctibus , in flavo saepe hospite suspirantem ! Quantos illa tulit languenti corde timores Quantum saepe raagis fulgore expalluit auri ! Cu m sae V u m cupiens contra contendere monstrum, Aut mortem oppeteretTIieseus,aut praemia laudi». Non ingrata, tamen frustra, munuscula Divis Promittens , tacito suspendit vota (2) labello. Nam velut in summo quatientem brachia Tauro Quercum,aut conigeram sudanti cortice (3) pinum Indomitus turbo contorquens flamine robur Eruit: illa procul radicibus exturbata (4) Prona cadit, lateque , et èominusobvia frangens: Sic domito saevum prostravit corpore Theseus Nequidquam vanis jactantera cornua ventis . Inde pedem victor multa cum laude reflexit, Eirabunda regens tenui vestigia filo : (l) Con graziosissìma immagine Claudiano nell'E- pitalamio per le nozze di Onorio e di Maria v. 69. ha data ragione di questa mescolanza di dolce e di amaro che distribuisce Amore, dicendo che nel mon» te sacro in Cipro a Venere : Labuntuf gmiini fontr.s : hic dulcis , avianis Alter, et infiiSLS corrumpnnt niella vene nls , Unde CiipidÌTieas armavit fama saglttas. Veggasi anche il Barzio a questo luogo . 9^ Non da lui prima declinò l' acceso Sguardo , che in tutto il sen fin giuso al centr» Concepì fiamma , e divampò per tutte L' ime midolle , ahi pur miseramente Nell'immaturo cor furie agitando. Santo Fanciul, che alle amarezze umane Mesci i dolci diletti , e tu che Golgo E la frondosa reggi Idalia spiaggia , Deh qual destaste mai procella in seno Air accesa fanciulla , onde sì spessi Per r ospite gentil mettea sospiri ? Quanti assalser timori il cor languente! Quante volte piii pallida che 1' oro t Fessi , allor eh' ei bramava ir contro al mostrò Per aver morte o guiderdon di loda ! Ella , quantunque invan , piccioli doni , Ma pur graditi, promettendo a' Numi Sospesi tien sul muto labbro i voti. Qual furioso turbo al Tauro in cima Col soffio ritorcendo i tronchi , schianta Quercia che scote le gran braccia, o carco Di frutti pino che dal buccio stilla ; Ei balzato lontan dalle radici ' ;;'/''",- Giù cade, e quanto se gli porge incontra/'' ■ In largo giro abbatte ; in cotal modo Teseo prostese la feroce belva , Che doma le gran membra indarno ornai Va le corna agitando all' aure vane . Poi di la vincitore il pie ritrasse Con molto onor , le incerte orme reggendo Con tenue filo, onde il fallace giro {'2) Arianna tacitamente fa voti per non farsi sco- prire desiderante la morti- fiiterna . Volpi. (3) Il Poliziano vuolj : muanti corpore . (4j Estirpata il Poliziano . 94 Ne labyrintheis e flexibus egredientem Tecti frustraretur inobservabilis erior. Sed quid ego a primo digressus Carmine plura Gommemorem ? ut linquens genitoris fiiia voitutn. Ut consanguineae complexum , ut denique matris , Quae misera guati misero deperdita lete (i) , Omnibus hisTheseidulcerapraeferret (2) amorem? Aut ut vecta ratis spumosa ad litora Diae (3)? Aut ut eam tristi devictam lumina somno Liquerit immemori discedens pectore coniux? Saepe illam perhibent ardenti corde furentein 'i Glarisonas imo fudisse e pectore voces : : Ac tum praeruptos tristem conscendere jnontes,) Unde aciem in pelagi vastos protenderet aestus : Tum tremuli ealis adversas procurrere in undas, MoUia nudatae toUentem tegmina surae (4): Atque haec extremis moestam dixisse querelisi Frigidulos udo singultus ore cientera : Siccine me patriis avectara , perfide, ab oris. Perfide deserto liquisti in litore Theseu? Siccine discedens neglecto numine Divum Immemor ah devota domum periuria portas? Nullane res potuit crudelis flectere mentis Consi-Uitim? tibi nulla fuit clementia praesto. Immite ut nostri vellet mitescere (5) pectus ? (1) Il Poliziano: Quae jiiiaero gnatae fleret depei-^ dita luctu: V Anonimo: Quae misero gnatae fleret deperdita leto ; e il Pisano Quae misero gnatae fle-^- bat deperdita Inetti . Veggano gli eruditi se fra que- ste varie lezioni siavénc alcuna degna d'essercoxi- siderata . (2) Il Poliziano legge pracoptaret . (3) Bernardo Pisano aggiugne al fine del verso un est . (4) L' Anonimo e Bernardo Pisano hanno : nuda- ta S7ira . 9^ Cieco labìrinteo non gli negasse ha^d non j.i Rifare indietro, le distorte. vie. , :i:iu:aooV Ma a che sviato dal primier subbi^ttpjr.iio-j brjH Più innanzi prendo a dir, come la figliafo o.if>0 Del genitore abbandonand,o il volto , ...,; ,„ t Della suora gli amplessi e.della- m ma per timore , o per vergogna , o per desiderio di gloria: altri intorno ad alcuni affetti non er- rano, ma errano in altri; ora operano lode- volmente , ora biasimevolmente , secondo che dall' impeto deli' animo si lasciano trasportare. Ma essendo veramente virtuoso colui, il qua- le in tutta la vita , e in tutte le sue azioni se- gue r onesto, nò mai piega né a destra , né a sinistra , né da oggetti dolorosi né piacevoli è vinto, segue neces=ariamente che da tutti i vizj tanto sia lontano , quanto il suo opposto è lon- tano da ogni virtìi : perocché se per esemplo i- maffiniaino che degli altri affetti sia vintùtore , ma avaro dell'oro, in prima non sarà semplice- mente virtuoso , poiché non assolutamente ama la virtù , la quale dovrebbe anteporre a tutti ì beni esterni ; dipoi non può essere costante a se^ medesimo , perchè se apprezza quasi som- mo bene la ricchezza, oppur come bene mag- S;iore della virtìi, anzi eleggendo più quella che questa , se accadrà che la forza dell' oggetto bramato lo muova, per conseguire opererà ed ingiustamente ed intemperatamente, e vilmente, e secondo l'altre malvagità, senza alcun riguar- do dell' onesto-, il quale abbandonato in una sorte d'azione facilmente s'abbandona nell'altre, se o timore di disonore o di pena, o altro simil fre- no non ritiene. Il che tanto piìi avrà luogo nel- r intemperante , quanto il piacere essendo alla natura sensitiva amicissimo, e però generando di se continuo e veemente desiderio, ha forza di corrompere il retto discorso dell'intelletto non solo circa le cose gioconde, ma universal- mente in tutte le azioni umane, non altrimenti che dall' ebrietà sia tolto all' occhio il discernere la vera figura, e i veri siti degli oggetti. Per lo ohe diceva Archita Tarentino nessuna cosa es- sere tanto inimica alla mente quanto il. piacere , e nel regno di lui non albergare virtù; e da Platone fu chiamato esca de' mali -, e da Aristo- tele ne' libri della morale sapienza fummo av- vertiti doverci in ciascuna azione guardare dal- l'insidie di esso , e dover verso di lui esser di- .sposti , come verso Elena que' buoni vecchi Tro- jani , i quali benché ella fosse privilegiata di 9 tanta bellezza -, persuadevano pure la partenza di lei dalla loro città. Concludendosi adunque, che chiunque è intemperante intorno a piace- ri non sarà virtuoso intorno agli altri affetti , con ragione avrà detto il poeta , che 1' intem- peranza de' piaceri ha scacciato dal mondo o- gni virtù . Maggior difficoltà cade nelle vir- tù intellettive , che era il secondo dubbio da noi proposto, alle quali l' intemperanza e gli altri vizi non sono centrar), non risedendo nel- la medesima potenza dell' anima , né operan- do verso i medesimi oggetti : perocché , sic- come Aristotele insegnava , colui che ha per- versa opinione intorno al piacere, giudicandolo bene maggiore della virtù, mal giudicherà delle azioni umane quali sieno da eleggersi quali no, ma non avrà perverso concetto nelle matemati- che discipline, né ignorerà che il triangolo abbia gli angoli eguali a due retti , o che il corpo celeste sia sferico , o che le sustanze naturali sieno co- me di principi di forma e di materia composte. Ma cesserà ancora questa difficoltà se conside- reremo quello che dagli uomini saggi n' é stato insegnato 1' anima nostra benché a tante e sì diverse operazioni si estenda, tuttavolta non es- ser se non una di essenza , e però quando in un oggetto s' affissa intorno agli altri imperfetta- mente e negligentemente operare. Sendo dun- que intenta a' piaceri de' sensi , mentre quegli con infuocato desiderio, quasi sommo bene ap- petisce, e di essi pensa e discorre, malagevol- mente può volgersi ad oggetti diversi , quali son quei delle scienze, che non riguardano il fine proposto-, perchè il bramare cose sensibili e con- templare lo intelligibili , ancorché non sieno io operazioni per diametro opposte son pure tanta differenti che mal possono unirsi in guisa ch.6 non può un sol occhio in un medesimo tempo alzar lo sguardo al cielo ed inchinarlo alla ter- ra; e se egli avviene che voglia seguendo i sensi muoversi alle cose corporee , se in questa salita molto meno che nella discesa si compiace , è forza che languidamente e fievolmente 1' ese- guisca , avvenendo comunemente che quello che senza diletto si opera, di rado si operi, e con negligenza ; e per contrario quello che con affe- zione e letizia , spesso e diligentemente ; che al- tro non è operare con diligenza , che operare con affezione . In oltre perché il sapere è non possedere i libri, o l'avere per l' addietro udito ed imparato ; ma il possedere le imngini del- le cose intese ben fisse nella memoria, e que- ste non possono esser ferme e stabilite , se spesso non son rinnovate e rinvigorite , necessaria cosa è che l'anima, la quale ad /ogni altro oggetto piìi volentieri ricorre , le lasci perdere e svanire in guisa che agevolmente ci prende dimentican- za di coloro che poco prezziamo, e per contra- rio tenghiamo viva la memoria degli amici più cari , e ci sdegniamo con quelli che si scordano del nome nostro , facendo ragione che poco ci amassero, e poco di noi si prendessero cura; quindi si fa manifesta la verità di quel detto Aristotelico , che 1' anima standosi quieta acqui- fcta la prudenza e la scienza, perchè siccome il mare dall' impetuosa forza de' venti agitato, sì che sollevandosi l'arene del fondo, tutto si con- turba , non è atto a ricevere né rappresentare r imagini degli oggetti; ma sì quando è placida e tranquillo e chiaro; c<'=ì l'anima cornmohsfi Il dall'onde degli affetti è inabile all' apprendi- mento dell' essenze universali delle cose , e per illuminarsi della luce della verità fa bisogno che s'acqueti, e tranquilli per la virtù (i) delle morali virtù, delle quali è ufizio tenere a freno gli affetti , e rendergli obbedienti alla retta ra- gione. Il medesimo con esemplo di cosa pur sen- sibile ed evidente si fa ancor piìi manifesto. La virtù sensitiva dell'orecchio percossa da grande e sproporzionato suono, come di fulmine, di tuo- no, di bombarda", o di acutissimo e stridentissi- rao grido rimane stordita , e si rende inabile ad udire i suoni minori : or che maraviglia se r anima perturbata dall' impeto de' piaceri cor- porali, de' quali è proprio commuoverla, edal- terarla , è incapace delle suavi voci della sa- pienza , ed aborrisce questi oggetti come vuoti di diletto in comparazione di quelli che per pro- va in se con(>sce giocondissimi? Eesti concluso adunque il Poeta convenientemente aver detto che i piaceri e l' ozio sbandiscono ogni virtìi non solo de' costumi, ma quelle dell' intelletto ancora, che s'acquistano imparando. E cotal vi- ta dedita ai piaceri espresse per gola, sonno, e oziose piume , avendo a questo risguardato ( cred' io ) che i diletti soverchi contrarj alla sobrietà sono i primi a corrompere gli animi , e seco accompagnano successivamente gl'impuri diletti della lascivia, e la mente rendono inabile alle scienze; principalmente per queste due ca- gioni , una perchè gli spiriti men puri generati dal soverchio cibo e vino ottenebrano la vista molto più dell'anima che discorre, che diqiiella (i) Co^ì il MS. IS che vede, T altra perchè si ricerca conseguente- mente lungo sonno , onde si fugge il tempo prezio- sissimo datone da Dio per operare cose grandi ,e degne della nobiltà dell' intelletto umano ; laon- de a sonno soggiunse oziose piume, non essendo hlasimevole il sonno naturale, come concesso per riposo agli animali , acciocché possan poi più vigorosi sorgere ad operare : se già per oziose piume non volle accennare gì' impudichi amori degl' impudichi letti. Questi due impedimenti alla gran(.\ezza. dell' uomo dimostrò Demostene, quel gran ìumq d' eloquenza , con la vigilia e con la sobrietà^ aver superato , quando disse piii olio che vi,iiG aver consumato. Né ad altro risguarda che alla commendazione della sobrietà quell'o- scuro detto d'Eraclito: arido splendore, anima sapientissima : perchè siccome le stelle lontane da ogni nebbia e da ogni nube sono chiarissime C lucidissime , così 1' anima sobria e pura è ca- pace di lume ed atta a scorgere acutissimamente gli oggetti intelligibili, dove l'uomo aggravato dal vino ha offuscata la vista , e stassi oppresso dal sonno vivendo piuttosto vita di pianta, che vita d' animale o vita d' uomo . Avendo palesata l' intenzion del Poeta , ed esposti i due primi versi, seguitano i seguenti, ne' quali e per 1' altezza de' concetti , e per le fìffure della locuzione non manca oscurità . Pe- rocche ove dice : Onde è dal corso suo quasi smarrita, Nostra natura vinta dal costume che diremo , Ascoltatori , che intenda per na- tura , che per vinta dal costume'^ e quando sog^- giunge : i3 ^ Hd è Si spento ogni benigno lame' Del cid , per cui $' informa umana vita Che per cosa mirabile s' addita Chi vuol far d' Elicona nascer fiume . che esporreiTiO che significhi lume del cielo , che informa umana vita, che fiume d'Elicona? In prima essendo natura principio ci' operazione , sic- come in noi sono molte operazioni derivanti da diverse potenze, come crescere, sentire, discor- rere, così si considerano molte nature. Ma per- chè quello si dee dir nostro, che è proprio a noi , nostra natura sarà l'intelletto , col quale in- tendiamo, discorriamo, ed operiamo quello che non operano gii altri animali. Questo essendoci da Dio dato per l'operazioni virtuose, e perle cognizioni nobilissime, ([.uando non opera quello a che è ordinato, ma si volge altrove è detto smarrito e deviato dal suo corso : perchè se sia- mo usati di chiamare l'acqua d'alcun fonte o fiume smarrita quando non corre né perviene ov'è destinata, ma prende altro viaggio, o sot- terra s'asconde, come dell' Alfeo nei Pelopon- neso, e della Guadiana in Ispagna si ragiona, perchè non chiameremo smarrita l'anima ragio- nevole dal proprio cammino quando lasciando d'operare quello, a che l'Autore di lei l'ha indiritta, si tuffa nelle cose terrene? A queste è spinta dalla parte irragionevole non come da lei annichilata, ma come superata e vinta , di libera e di regina fatta serva ed ancella per forza del vi- zioso costume di servire a' lusinghevoli diletti, i quali la tengon legata, né le permettono innal- zarsi alla sua perfezione, non altrimenti che sia impedito l'augello a sollevare l'ali quando in- H eautamente gettandosi al cibo, o alla voce del- la femmina invesca le penne, o dalla rete resta a suo mal grado ricoperto. Ma per benigno lume del cielo, che l'autore afferma essere spento, al- tro non pare che più convenevolmente debba in- terpetrarsi , che benefica cognizione data dalla divina Bontà, da cui come da prima e sovrana cagione ogni verità deriva, perla quale cognizio- ne r umana vita prende forma , e si fa differente dalla vita delle fiere -, perchè siccome i corpi diafani per se privi di lume , ma atti a riceverlo hanno bisogno dello splendore del sole, che pe-- netrando gì' illustri, gì' informi, e gli abbelli- sca , così 1' anima nostra venendo al mondo , quasi semplice villanella alla città nuovamente comparsa , nuda di conoscenza ricevendo in se a o-rado a g-rado la luce della verità di tenebrosa ignorante ed imperfetta , diventa lucida saggia e perfetta , e vive la sua vita , la quale è l' intendere . ]Nè per fiume d'Elicona dobbiamo interpetrare , come forse alcuno s'avviserebbe, le sole poesie, ma tutte le cognizioni nobili e pregiate, le quali tutte alle Muse furono dall' antichità attribuite ; e se ad esse Muse sogliamo sempre accompagnare la poesia e il canto , uon è perchè sola ia poesia e la musica a loro attenga, ma perchè ne' pri- mi tempi con poetica favella addolcita dall'ar- monia per maggiore incitamento con mai^gior diletto solevano le scienze e le dottrine a' popoli rozzi essere comunicate. Soggiugnc poi il Poeta: Qaal vaghezza di lauro qiuil di mirto ? Povera e nuda vai Filo:sojia : JJiee la turba al vii guadamo intesa , iS De' quali versi il primo riceve doppia esp'osizio- ne, perocché o il Poeta istesso dice: Qual va- ghezza di lauro qual di mirto? dove son coloro che di lauro, di mirto s'illustrino la fronte? ov- vero, e questo secondo sentimento pare a noi più proprio e più accomodato a questo luogo, la turba istessa disprez/ando è riferita dire: che vaghezza , o che grandezza è in una corona di lauro , o di mirto ? e tu Filosofia te ne vai po- vera e nuda. E certamente non è gran cosa cir- condarsi le terapie di frondi di lauro, siccome ne anco sopra un carro trionfale fare spettacolo di se stesso: ma è cosa nobile e degna il meri- tarla, essersi allontanato dal volgo, avere ador- nato l'anima di virtù e di perfezioni, esser mi- gliore degli altri in quello che l'uomo è miglio- re delle fiere , non apprezzare i diletti se non in quanto vagliene a conservare 1' essere , né a- mare le facoltà se non come necessarie al man- tenimento della vita, e come instruraenti d'a- zioni virtuose , e non come fine in quel modo che per fine se le propone la turba , la qual vie- ne dall'autore accusata come intesa al guada- gno, il quale essendo piccolo e però vii bene in comparazione della virtù e della sapienza, non merita esser così avidamente ed attentamente bra- mato e procurato. E per turba non intende sem- plicemente l'infima plebe e servi, ma tutti co- loro i quali benché nati nobili , benché copiosi di ricchezze, sono ignobili d'animo, poveri di virtù, non hanno cognizione dell'onesto, dis- pregiano i beni dell' intelletto sommamente pre- giabili, intenti a' diletti de' sensi e all' ozio, o all' acquisto dell' avere senza fine virtuoso. Questi dal Poeta chiamati turba da Aristotele furon detti i6 i molti , perchè molti sono coloro che in tal ma- niera stanno disposti, e pochi per contrario quel- li , i cui animi sieno a fini lodevoli rivolti , e l' or- me imprimano ne' veraci sentieri della gloria*, del quale inconveniente e disordine la facilità e diffi- coltà sono cagione ; essendo facile all' uomo segui- re i beni della natura sensitiva da lui sino dalle fascie conosciuti; difficile i gusti dell'intelletto, i quali tardi conosce e per lo piìi corrotto da viziosa creanza . Per lo che soggiunse : ■ BO' Pochi compagni avrai per V altra via ove dicendo per l' altra via contraria a quella de' molti pare che rimiri a que' due sentieri espressi da Esiodo, oppure dall' epigramma Lati- no intorno alla lettera di Pitagora , de' quali uno si mostra erto, stretto, e difficile, ma nei fine gio- condo, l'altro ampio, e piano nel principio , nel- r estremo precipitoso ; o piuttosto a quelle due vie, che narra Prodico d'aver vedute Ercole, secondo che Socrate appresso Senofonte riferisce, che es- sendo cioè pervenuto Ercole a quelli anni della giovinezza , ne' quali deliberare si suole dell' elcr zione della vita , uscì in una solitudine , ed appre- sentandosegli due strade , una destra , l' altra sini- stra , lungamente stette col pie dubbioso per la quale di esse dovesseincamminarsi; ed eccoseli af- facciare due gran donne, una d' aspetto nobile e liberale, vestita gli occhi e il volto di modestia, coperta di candida veste , 1' altra nutrita in ozio ed in delicatezze, abbellita di vari colori, con occhi vaganti e lascivi; e questa affrettato il pas- so per prevenire l'altra, accostatasi gli promise, &e perla sua strada a seguirlo si disponeva , vita gio^ condissiiua in conviti , in amori , ed in dolcis- simi sonni, senza sentire giammai né molestie, uè fatiche. AUor l'altra donna non Insingando^ ma da principio fatiche promettendo , senza le quali nessun gran bene gli uomini procacciano^ dimostrando la falsità dei diletti nella vita do- gi'intemperanti , che non aspettando il tempo di prendergli, avanti il bisogno gì' invitano, e non per riposo dell' operazioni , ma per mant;imeato di che altro operare dalle piume cercano il son- no le notti e i giorni vilmente e codardamente consumando, lo persuase che lasciando quella che alle azioni di virtiì rende i corpi e gli ani- mi inutili ,se eleggesse per amica e ducejfaccn- dosi operatore d'opere generose, amico a Dio, amabile agli uomini , onorabile alla p-atria , e ne' secoli futuri glorioso . A queste cose avendo riguardo finalmente conchiude : Tanto ti prego più , gentile spirto , Non lassar la magnanima tua impresa-. Ove dal piccol numero di coloro che aspirano alla perfezione prende occasione di maggiormente incitare l'amico, perchè essendo pochi maggiore è il danno e il disonore degli uomini , il quale qualunque può dee sforzarsi di scacciare. E.ssen- do pochi maggiore è la gloria di colui, che è tra' pochi , perchè la gloria siccome non è d' uà solo, cosi non è di molti i onde altrove disse: Poche eran , perchè rara è l'era gloria. . La voce gentile qui non significa cortese ed urna.- «0, m.a nobile ,^ perchè i nobili avendo- prop^ve-^ i8 nome di gente , del quale mancano gV ignobili , furon detti gentili . Neil' istesso senti monto più chiaramente la prese Dante quando disse: i,^ gentilezza dovunque è vertute , ■MiX non verta dov' ella . e per nobile intende ben disposto e bene incli- nato . Ma spirito qui significa animo , benché propriamente significhi alito e vento ; e ciò av- viene perchè l'intelletto nostro avvezzo alle co- se sensibili, sì che da quelle non sa quasi di- partirsi , per denotare la natura incorporea , quale è la mente , ricorre a quella sostanza , che tra le sostanze materiali è piiì sottile e meno materiale , quale è il vento , onde dal volgo ap- pena è stimato corporeo . Neil' istessa significa- zione pare che il prendesse Virgilio quando par- lando di quella gran virtù che dà l'essere alle cose or la chiama spirito, or mente. Ed è da ammirare grandemente l' artifizio del Poeta, che mentre esorta l' amico insieme lo loda , perchè l'esortazione non condita di lodi non è aggra- dita dal nostro gusto, che più appetisce lodi che ammonizioni ; e lodando ed esortando insieme eoa argomenti efficaci lo persuade e convince . Per- chè se il numero de' valorosi è piccolo , è da sforzarsi d' essere uno tra questi , ed essendo pregiato da chi ama , è dovere che compiaccia; se l'impresa è magnanima , è ben degna d'es- sere eletta; s'egli è d'animo nobile, ad azione nobile dee aspirare j se è sua , perchè di già l'ha principiata, sarebbe viltà, incostanza, ed infamia l'abbandonarla; quasi dir gli voglia :0 animo nobile , che conoscendoti celeste e divina »9 hai sdegnato le cose terrene , e sopra la terra e sopra il sole ti sei innalzato, non degenerare da te stesso , sii tu di te medesimo ammonitore e incitatore , non desiare i piccoli beni comuni agli uomini vili, e comuni alle fiere: non sono imprese ma vaneggiamenti gli studi di coloro, che aborriscon la sapienza; questa è tua impre- sa. Seguan gli altri li loro cammini per la stra- da dell'oblio, stiminsi nati a' servili diletti, af- fanninsi per giugnere quello che in lor balìa non è il conseguire. Non accrescere, ma scema tu l'obbrobrio del mondo, e se nessuno ti s'of- ferisce che di te sia degno duce, abbi per duce te medesimo ; avanza te stesso in meglio . Saria stolto colui che avendo corso al premio , quando è vicino ad estendere la destra, fermasse o ri- volgesse il piede indietro. Se alcuno invidiosa alla tua gloria ti propone oggetti indegni di te, non obedire alle lusinghevoli voci ; ma animosa- mente rispondi , che all' altezza dell' intelletto immortale e divino non è proporzionato bene alcun bene mortale e caduco, non le ricchezze degl'Indi, degli Americani, o de'Ghinesi, né pure l'imperio del mondo, se possibil fosse che in un solo si riducesse; ma sì la verità, la sa- pienza, veri beni dell'anima, che ne in vita né in morte da lei si dipartono . Le quali cose tut- te, ed altre a queste conseguenti siccome dall'- autore vengon proposte all' amico suo in bene- fizio di lui , così in benefizio nostro sono state a noi lasciate , né dobbiamo stimare che bene considerate minor giovamento a noi ancora pos- sano apportare . f20 Jja precedente Lezione di Lorenzo Giaco- mini e stata da me fedelmente trascritta da un MS. appartenente al Sig. Avvocato Luigi Belli- ni Vice-Soprinteudence dell' Archivio generale di Firenze, il quale per sua distintissima corte- sia s'è compiiiciuto di permettermi non solo l'e- same del BIS. , ma dato mi ha pur facoltà di irar copia d(?lla suddetta Lezione per pubblicar- la . Il MS. è composto di miscellanee, di cui la massima parte è scritta di mano d' Antonio Gia» comini fratello di Lorenzo. Oltre questa Lezio* ne sopra il Sonetto del Petrarca La gola, il son- no ec.{\} eh' io credo inedita , evvi pur di Loren- 7,0 r Orazione Della nobiltà delle leggi ec. detta all' Accademia degli Alterati nel i586. che è stampata , e il Discorso pure stampato Del Ju- r or poetico fatto per la stessa Accademia. Trala- scio alcune di lui poesie da non ne far molto conto, essendo stato il suo forte non la poesia, ma la prosa Toscana . Accennerò piuttosto per comodo di chi ama sapere ove si trovino gli scritti dei nostri dotti Fiorentini due Orazioni , che esser potrebbero per avventura inedite . Una è di Gio. Battista liicasoli tra gli Alterati l' Arrubi- (l) Due altre Lezioni sopra questo Sonetto sono alle stampe. Una è del Varchi, detta da lui nel- l'Accademia Fiorentina nel l543 e fu pubblicata nel" Voi. 5. della P. II. delle Prose Fiorentine . L' altra è del Mcnagio , stampata tra le di lui Mescolanze. 21 ìiato in lode del Gran-Duca Francesco de' Medici detta all' Accademia nei i587. L'altra è di Fran- cesco Bonciani detto l' Aspro in lode di Cate- rina de' Medici Reina di Francia recitata pure agli Alterati il 28. Aprile iSSp. Or siccome il Giacomini fu attaccatissimo all' Accademia degli Alterati, ed è per altra parte assai benenierito della Toscana eloquenza , essendo dai Collettori delle Prose Fiorentine chiamato in piìi luoghi eloquentissimo , non sarà forse discaro ad al- cuni che io col Diario di essa Accademia alla mano, che esiste nella Pucciana , vada notando alcune fatiche di lui , delle quali nei Fasti Con- solari dell'Accademia Fiorentina punto non par- la il Salvini , Fu Lorenzo introdotto all'Accademia dal Tar- do ( March. Torquato Malaspina ) li 8. Luglio i583. e in essa chiamossi il Mesto. Nel i5. del medesimo lesse l' anticensura, o difesa della Can- zone tratta dall' urna , Candida è sì mia donna ce. la quale era stata già. censurata dai Tenero ( Gio: Battista Strozzi ): e questa Canzone unita al- la censura e all' anticeasura si trova nella Puc- ciana in un MS. di censure e anticensure degli Alterati. Simili lavori del Mesto, come pure i discorsi estemporanei fatti in bigoncia al coman- do dei Reggente sopra qualche soggetto , e le ac- cuse e le difese fatte ai Regjjenti terminato 1' ufi- zio loro saranno da me tralasciate , come cose o di breve lena, o di minore importanza. Il dì I. Dicembre dello stesso anno fece l'orazione che era di consuetudine nel riaprimcnto dei-, l'Accademia dopo le vacanze. In essa ^ dice il I)iario, dopo essersi rallegrato del ritorno dci^U Accademici, pro^'ose {luintu luile J'oss^: alLalingiui 23 nostra tradurre i libri che abbiamo dells scienze, e rnassiine d' Aristotele , e mostrò questa essere opera che. più che aleuti^ altra conveniva agii Ac- cademici Alterati. Nel fi'j. Novembre 1584. re- citò egli una Lezione, in cui sostenne: Che il verso è necessario alla poesia, e che le Comme- die in prosa non son poesia , ma non perciò si deb- bono chiamar mostri. Fu eletto Reggente il l'j. Febbraio i585. giorno in cui celebravasi il Nata- le dèli' Accademia principiata nel 1.S69. (i)e con- tinuò in tale incarico pel solito semestre fino al 19. d' A-gosto. Nel suo Reggimento fu intimata una seduta il dì 17. di Giugno per far conosce- re gli esercizi Accademici a Gabbriello Chiabre- ra . Terminato il Reggimento fu accusato secon- do la costumanza, e condannato a far l'orazio- ne in lode delle leggi mentovata di sopra , la guale egli poi recitò il 3i. Gennaio dell'anno seguente. Il Diario sotto questo giorno così s'e- sprime : Doveva il Mesto per pena del non be- ne amministrato suo Reggimento recitare un' O' razione in lode delle leggi , e dell' osservanza di esse ; e piacquegli di recitarla di presente , la quale Jìi lunga , dotta, e d' alti concetti. Potrebbesi cre- (l) Il Salvini e il Manni ne fissano il principio nel l56S. fondati sul!' inscrizione del salone di Casa del Nero . Il Mazzucchelli gli segue , anzi dubita se ella sia cominciata nel iSó"?. L'equivoco nasce dall'an- tica computazione degli anni ab incarnatione : ecco il principio del Diario che lo toglie. A dì 17. di Fcbbrajo l56:dimcn' li, che gl'i dava la sua poca sanità, e le molle faccende , pnnnise nondimeno che non avrchh' mal mancato aW obbligo d' Alterato ; e di nuovo si ri- conobbe debitore per l orazione del Soai^c , pro- mettendo farla il prima che avesse potuto (2) . Per mantener sempre florida la loro Accademia aveaii pur gli Alterati il lodevol costume fissato dalle loro leggi , che i padri introducevano per Acca- demici i loro figli. Anzi coU'annuenza comune poteva un padre, condurre il figlio anco in assai tenera età per ascoltare gli esercizi Accademici. Così il Desioso , cioè Giulio del Bene , conduceva il suo figlio Tommaso in sì piccola età, che in prin- cipio era chiamato nell' Accademia il Desiosinu ; (l) Alcune altre opere celebri soao state ccri'ide- rate e pulite nell'Accademia degli Alterati. Cite- rò per esempio la versione di Tacito del Davanzati detto in essa Accademia il Silente . (i) Tra le stampate e quella in lode di Monsignor Canigiani detto il Soave. s ^4 e un altro di luì figlio chiamato Pirro, vien detto, dal Diario il Figiiolino dd Desioso . Chi legge r orazion funebre fatta dall'Ardito in morte di questo lagrimabile giovanetto , che è stampata tra le Prose Fiorentine , può vedere con quale interesse gli Alterati secondassero le mire dei pro- vidi genitori di perpetuare nel loro sangue le loro virtù, il loro sapere, eia loro gloria. Felici padri ! che oltre al procurare ai loro figli un vantaggio solido e vero, saranno ancora serviti di memora- bile esempio ai secoli posteriori. Né può negarsi che l'Accademia degli Alterati fosse un Liceo, in cui molta gioventìi nobile di Firenze s'instrui- va nella virtù e nella dottrina. Un solo esempio ne trarrò dal Diario. Nel 22. Luglio iSpp. dice esso Diario che gli adunati proposero più giovani per essere Accademici , e dopo pensata considera^ zione vinsero questi con tutte U uve nere : Fran- cesco Venturi y Averardo de^ Medici , Giovanni Alto vi ti , Carlo BartoU , Piero Venturi , Iacopo Topoleschi , Iacopo Soldani , Pier Francesco de JJardi , Cosimo 3Iinerbetti , Giovanni de' Medici , Andrea Morelli, e Filippo Valori. Sotto il dì 29. dello stesso ecco le notabili parole del Dia- rio . Vennero all' Accademia , e fecero V entrata solenne i dodici Accademici sopranominati con grande allegrezza di undici Accademici vecchi , che vi si trovaron presenti : e il Tenero per coman- damento del Bcggente fece loro in bigoncia nobile discorso, e onj urtandogli allo Studio delle lettere, alle scienze, alla virm . Soggiunse il Reggente ( lo Svanito ) , e disse in qnelV atto quanto si con- veniva a un capo d' uomini e giovani letterati. E V Umido ( Piero B.ucellai ) in fine discorse Pla- tonicamente per infiammare i giovani novelli Ac- 35 CdiUinicl alla virtù , e diede loro moltissimi rii:or~ di intorno al timor d' Iddio , al riverire i genitori , e all' acquisto della virtù ; insegnando' loro il modo dijarsi gloriosi alla patria, all' Italia, , al mondo. Ma in quest'anno medesimo, in cui la virtuosa Accademia si pascolava di così vivo contento nel vedersi occupata in coltivare queste giovani piante, ella dovea per altra parte compiangere la perdita di varjde' membri suoi, e massime del Giacomini. In fatti benché né Salvino Salvini. né il Negri ci dieno l'epoca della di lui morte, si può tuttavia assicurare che egli era morto in quest'anno. Il Diario al i5. Settembre 1599. così s'esprime: il Reggente esortò a onorare gli Accademici passati ali' altra, vita con orazione fu- nerale , e in particolare il Mesto. E. il 20. Gen- najo 1600. nel Reggimento del Debole ( Vin- cenzio Pitti ) fu lo Svanito, per le accuse da- tegli dopo il suo Reggimento, condannato a com- porre una Canzone in lode del Mesto. Da tali distinzioni si può facilmente dedurre- qual' era la stima, che gii Alterati avevano- pel Giaco- mini: e se gli Alterati, come s'è veduto, vale- van tanto, la loro, stima indica pure un gran inerito. Prima di terminare mi sia lecito riferire altro fatto, che parimente mostra aver l'Acca- demia fatto di lui gran conto . Baccio del Bene terso scrittore, di cui cita la Crusca un' ode stam- pata colle poesie del Ronsardo, e una. canzone premessa alla vita d' Antonio Giacomini, scritta dal Nardi, e di cui nel 1/^99. furono, pubblicate in Livorno dal Sig. Poggiali ìe Stwizc alla Ti- na da Campi con un capitolo in morte del Caga, fu spontaneamente richiesto dall' Accademia con lettera dei 18. Agosto i58t. di entrar nel nu- 36 mero degli Alterati, ed egli accettò con sommo piacere mandando la sua impresa, e assumendo il nome di Gravoso. Corsero varie lettere in se* guito tra r Accademia e il Gravoso , che sono copiate in fine del Diario, e che mostrano che r Accademia aveva grande estimazione di lui , come egli dell' Accademia. In una di queste scritta di Parigi gli 8. Maggio iS85. il Gravoso dopo aver dato contezza agli Alterati d' un suo libro intitolato 1' Anno , eh' egli pensava di pub- blicare , invia loro tre Canzoni ^ugii occhi , le quali egli pure co' suoi commenti volea stampare dopo le tre famose del Petrarca sopra lo stesso soggetto. Egli dice perciò ali' Accademia : io de- sidero che sieno diligentemente lette e censurate col maggior rigore che si potrà da tutta la compa- gnia , che a me non può fare più segnalato favo- re ec. Or tale incombenza fu da tutta l'Acca- demia affidata pri nei [talmente al Mesto, senza clie altri facesse le anticensure . L' Accademia scrivendo al Gravoso nel 3. Gennaio i586. gli dice: V Ac e adertila sarebbe pronta a recare incon- tro le difese, se fossero state addomandate , e se non sapesse esser voi piìi atto a ciò fare. Ma il Gravoso nella sua replica del Marzo seguente confessa di far gran caso delle censure inviate- gli dall'Accademia, e di aver animo di seguire i suoi buoni avvertimenti. Non ho alcuna noti- zia se l'opera del Gravoso divisa in dodici li- bri, e intitolata l'anno, come pure le tre can- zoni suddette fossero allora pubblicate altrimen- ti , 0 sieno tra le co?e di lui , che sono state pub- blicate dipoi . Ho fatto di esse diligente ricerca tra le poesie censurate e i^ifcse dall'Accademia, ma invano. Forse erano sciitte a parte, ed ora ó' forse saranno perite . Il mio dubbio è ragione- voJinente fondato. Tre volumi del Diario dal 1569. ai i6o5. , sei volumi di poesie censurate e di prose appartenenti all'Accademia, molti al- tri scritti sciolti degli Alterati , ed altri ancora di scrittori Fiorentini più antichi , tra i quali nominerò solamente la Lezione del Varchi stam- pata nel secondo Volume di questa Collezione, furono da me salvati nel momento in cui per sen- tenza barbara d' una Casa nobile e ricca se n' an- davano privi di coperte , e in abito lacero e squallido a guisa di condannati al pizzicagnolo per r uso d' involtare qiUcquid chartis amicitur ineptis . Forse altre sentenze simili erano state disgraziatamente eseguite. Per dare aquesti una dimora piia stabile, cercai loro un asilo nella Libreria del Sig. Giuseppe Pucci , il quale pel suo attaccamento alla patria letteratura gli ac- colse con estremo piacere . Possano queste mie parole esser considerate non già come un amaro rimprovero ( perciocché io non son tale da con- cepirne pure l'idea) ma piuttosto come un mo- desto avviso, affinchè restino con più cautela e gelosia custoditi i nostri antichi monumenti di letteratura, di scienze, e d'arti^ per decoro e per utile della Patria . Luigi Clasio. 58 ...£>* ^ nr. ■ — . . "■ . ' ;g\j>- a -as pustqiiam moesto profudit pectore voces, Suppliciuin saevis exposcens anxia factis : Annuit invitto (i) caelestiim uumine rector , Quo(2)tvmc et tellus, atque horrida contremuc- nnit Aequora , 'conciissitque micantia sideramundus, Ipse autem raeca mentem caligine Theseus Gonsitus oblito dimisit pectore cuncta , Quae mandata prius constanti mente tenebat: Dulcia nec moesto eustollens signa parenti, Sospitem Erechtheum (3) se ostendit visere por* tum . Namque ferunt, olim classi (4) cum moenia Divae Linquentem gnatum (5) ventis concrederet Ae- geus, Talia coiiiplexum iuveni mandata dedisse: Gnate mihi longa iucnndior unice vita, Gnate , ego quem in dubios cogor dimittere casus, Èeddite in extremae nuper mihi fine senectae: Quandoquidem fortuna mea^ac tua fervida virtus (1) L' edizione principe e la Vicentina rlel 1481. hanno invito : è 1' lian pure i migliori libri -, ed è lezione preferibile all'altra a sentimento anche del Vossio . L'anonimo chiosa nella prima: Invitns enivi bonus luppite.r riocet , sed Justitia cogitur . Lo Stes- so con poca diversità di parole nota nella seconda Bernardo Pisano . (2) Niitu scilicet , Amendue gli annotatori cita- ti. Il colore di questo luogo è preso dal primo li- bro dell'Iliade v. S-lìS. ma quanto Catullo resta ad- 39 Fine del Poemetto di Catullo sul maritaggio di Peleo e di Teti . V. Voi, V. pag. loi. JToichè affannosa al crudo oprar supplizio Ghieggendo, tai parole ebbe disciolte Dal mesto seno, le approvò l'invitto Re de' Celesti, e terra e mare orrendo Tremaro, e il Cielo i fulgid' astri scosse. Frattanto ingombro di caligin cieca Teseo cacciò dall' obblioso petto Gli avvisi , che tenea pria fissi in piente , E al mesto padre le gradite insegne Non levò in alto per mostrar che salvo Tornasse a riveder l'attico porto. Poiché si narra , che allor quando Egeo Commise a' venti il figlio a lasciar pronto Le mura della Dea salendo in nave, Al sen lo strinse, e tai gli fé comandi. O ben a me più caro unico figlio Che la mia lunga età, figlio, ch'io deggio Lasciare ir contro a' fortunosi casi, Poe' anzi reso a me negli anni estrerai , Giacché contro mia voglia a me t' invola dietro al divino Omero . Il cenno di Giove , che (uéyouf ì\iXilw "OXutxvov ha assai più sublime , che questa studiata enumerazione di parti . (3) Et ereptuni\\d,n. le due edizioni citate del Se- colo XV. ove i chiosatori non fanno alcuna variazio- ne. La lezione così ridotta è del Vossio . (4) Aliter castae . Così l'Anonimo . Anche Bernar- do Pisano segue questa lezione e sopra Dirae pone per glossa : Mìnervae . (5j Llnrineret et gnatnm legge il Poliziano . 40 firipit invito mihi te, quoi languida nonduui Lumina sunt gnati cara saturata (i) figura : Non ego te «jaudens iaetanti pectore inittain , Nec te ferre sinaiu fortunae signa secundae : Sed prinuun inultas expromam mente querelai , Canitiem terra, atque infuso puivere foedan?; Inde infecta (2) vago suspcndam Untea malo, Kostros ut luctus , nostraeque incendia mentis Carbasus obscurata dicet ferrugine Ibera (3). Quod tibi si sancti concesserit incola Itoni(4), Qaac nostrum genus , ac sedes defendere Erecli- thei (5) Annuii, ut tauri respergas sanguine dextram : Tum vero facito , ut memori tibi condita corde Haec vigeant mandata, nec uUa obliteret aetas(6): Ut simul ac nostros inviseiit lumina colles , Funestam antemnae dcponant undique vestem, Candidaque intorti sustollant vela rudentes: Quam primum cernens ut laeta gautìia mente Agnoscam,cum tereducemaetas prospera sistet. (l) L' edizione principe ha andata.^ ove V Anoni- mo pene la vtiriante : satiata . ' (-) l^'ii'i'a non alba et nativi coZoris . Bernardo Pi- sano . (3) Le citate edizioni del Secolo XV. hanno : Ccirbams obscnra dicet jerriigine liibcra; Ove l'Anonimo e il Pisano mutano cZicef indicai; e questi osserva ; Ita legenduni ; iJest qiiae Inqua- tiir 'et proferat ; alioquin repngnabtt syllaba . E te- nendo fermo : obscnra ferntgine glossa opportuna- mente: ferrugo iiigricans pnrptira est; proinde hiC prò nigrore accipittir . Virg. Georg. I. V. 4'^7' Cu/7i caput ohactira nitidnm ferrugine texit . V. LI Vossio a questo luogo . 41 Tua fervida virtute e mia sventura. Pria che i languidi lumi io m' abbia ancora Sazj nel dolce filiale aspetto, Non io con lieto cor da me partire Ti lascerò, ne soffrirò che insegne Tu d' amica fortuna all'aure spieghi. Ma pria di terra e polve il crin canuto Bruttando disfogar mi vo' in querele j Voi lini oscuri all'albero vagante Sospenderò, affinchè 1* ispana vela Gol ferrugigno bruno appien dimostri lì duol cocente, ond' ho conquiso il core. Che se del sacro Itun l'alma cultrice. Che il mio legnaggio e d' Eretteo la sede In guardia tiene , assentirà che sia Del taurin sangue la tua destra aspersa , Fa che tu serbi sempre vivi in mente Questi ricordi, e nulla età gli spegna. Tosto che tu riveggia i nostri colli, Spoglin le antenne il lor funesto ammanto, E le ritorte sarte ergano in alto Candidi lini , ond' io con lieto core La mia gioja ravvisi immantenente Che la prospera vita a noi ti renda . (4) Intorno a Itono V. il Vcstjio a questo verso , e intorno a Minerva Itonia V. il grande Spanhemio a Callimaco nel lavacro di Pallade v. ói. (5) Le due mentovate edizioni del XV. Seco- lo hanno sueta . Non so lodare il Vossio che fran- cainento vi ha riposto Erechthei , e m' irritano gli applausi che gli fa il Volpi . Queste non sono emen- dazioni-, ma sfrenate licenze, che han deformati tanti antichi Scrittori , e che pur troppo gli defor- man tuttora . (6) L' Anonimo legge Sors . 4-2 Ilaec mandata prius constanti mcnt« tenenteni Thesea , ceu pulsae ventorum flamine nubes Aerium nivei montis, liquere , cacumen. At pater , ut sumraa prospectum ex arce petebat, Anxia in assiduos absumens lumina fletus : Cum primum inflati (i) conspexit lintea veli, Praecipitem se se scopulorum e vertice jecit , Amissum credens immiti Thesea fato . Sic funesta domus ingressus tecta paterna Morte , ferox Theseus , qualeni Minoidi luctum Obtulerat mente immemori , talem ipse recepit,; Quae tamen adspectans cedentem moesta cari- nam (2) Multiplices animo volvebat saucia curas. At parte ex alia florens volitabat Jacchus(3), Cum thiaso Satyrorum , et Nysigenis Silenis , Te quaerens , Ariadna , tuoque incensus amore : Qui tumalacres passim lymphata mente furebant : Evoe bacchantes , evoe capita inflectentes . Horum pars tecta quatiebant cuspide thyrsos , Pars e divolso raptabant membra juvenco , (l) L' Anonimo e Bernardo Pisano hanno infe- cti : le-cione , pare a me , da adottarsi senza esi- tanza., perchè rende assai più energica la pittu- ra di questa tragica scena . Pausania lib. I. e. 21Ì. Aiyeu(; ùìg iiàcv i\ioti; /^iXaca-i t^v vavv x.ofÀi^oiUivluj , ofot tbv IraXSa 7g6vcévcu (S'oaÙv, a(p^; duièv J'iapS'H^inxi . PreSSO A- tene era il sepolcro di questo padre infelice ( Paus. 1. e. ) (2J L' Anonimo legge: Qiiae ttini prospectann cedenteui moesta carinavi . (3) I Poeti che descrivono Baccanali variano per lo più fia loro nei particolari ; e così esser necessariamente dovea in un tema come qae- '^3 Questi ricordi , che Teseo già tenne In mente fissi , lui lasciar , quai nubi Che l'ardua cima di nevoso monte Lascian disperse dal furor de' venti . Il genitor , che i travagliati lumi Distemperando in un perpetuo pianto Tendea lo sguardo al mar da eccelsa roccia, A pena rimirò le gonfie vele , Spento avvisando da rio fato il figlio, Dal sommo degli scogli in giù lanciossi . Così il fier Teseo in sua magione entrando, Resa funesta dal paterno fine -, Quel lutto ne portò, che sconoscente Porto ei medesmo ad Arianna avea . Costei frattanto di dolor compunta. Via via veggendo allontanarsi il legno , Moltiplici in suo cor cure agitava. In altra parte della coltre in cerca Di te , Arianna , del tuo amore acceso Bacco nel fior degli anni iva scorrendo Co'Satirelli e co' Nisei Sileni , Li quai festosi e furibondi in questa E in quella parte evoè evoè a gran voce Giano urlando, e qua e là storcendo il capo. Chi scotea tirsi con la punta ascosa. Chi le squarciate membra d'un vitello sto , che da luogo alla fantasia di spaziare am- piamente . Gli Scultori guidati per lo più da loro han fatto lo stesso negli antichi cassoni sepolcrali, ove han sì frequentemente ripetute tali rappresen- tanze . Esse come presentano segni manifestissimiper essere al primo sguardo riconosciute-, così gli artefici in iscolpirltr non hanno avuto mestieri di esser così religiosi, come in altri temi, che in riprodurrli , pun- to , o poco almeno gli hanao variati. Pars se se tortis serpentibus incingebant. Pars obscura cavis celebrabant orgia cistis(i). Orgia , (juae frustra cupiunt audire profani . Plaiigebant aliae proceris tympana palmis, Aut tereti tenues tinnitus aere ciebaut . Multi raucisonos efflebant cornua bombos , Barbaraque hornbili stridebat tibia cantu. Talibus amplifice vestis decorata figuris Polvinar complexa suo velabat amictu . Quae postquam cupide spectando Thessala pubes Expleta est, sanctis coepit decedere Divis (2) . A e quali flatu placidum mare raatutino Horrificans Zephyrus proclivas incitat undas Aurora exoriente vagi sub lumina (3) Solis: Quae tarde primura clementi flamine pulsae ^ Procedunt, leni et resonantplangore cachinni: Post vento crescente magis magis increbrescunt , Purpureaque procul nantes a luce (4) refulgent: Sic tum vestibuli linquentes regia tecta Ad se(5)quisque vago passim pede discedebant. Quorum post abituni , princeps e vertice Pelj Advenit Chiron (6) portans silvestria dona . (1) In Bassorilievo del museo Pio dementino { tom. 4. tav. 22. ) rappresentante un Baccanale appare la cista mistica , dalla quale esce fuori il serpente orgio . Può vedersi sulla cista Winckel- mann gemme stoschiane p. iSp. e il dotti^'?imo Vi- gconti Museo P. C. t. I. p- 81. (2) Idest qui jam accedeha/it , ut Chiron, ut Fé- neus , ut Prometheus . Bernardo Pisano . (3) Nell'edizione principe e nella Vicentina leg- gesi llmitia ; lezione che forse è da preferirsi . Il Poliziano però ha lumina . (4) L' Anonimo e Bernardo Pisano leggono va- riantes luce . Quanto è pia poetico ! (5; I medesimi hanno : Pro ie . 4^ Bapìa, chi si cignea d4ntorte serpi, Chi celebrava in rave ceste l'orgie, Orffie a' cupidi irivaii profani occulte. Tal percotea con tese man timballi , O sottil suon da' tersi acciar destava. Molti rauco rimbombo uscir da' corni, E strider fean le tibie in metro orrendo . Di tai figure alteramente ornato Vestìa quel drappo intorno intorno il letto. Poiché la giovanil tessala turba Fu sazia di guatar cupidamente , Incominciò far luogo a' santi Numi. Qual zefiro increspando il mar tranquillo Con mattutina auretta allor che appressa Dopo r aurora il vagabondo sole , L'acque declivi incalza; elle dapprima Al benigno alitar procedon lente , E fanno cotal lieve mormorio , Poscia di mano in man crescendo il vento Rinforzano , e da lunge tremolando Fulgide van di porporina luce: Tal dalle regie soglie alle lor case Chi di qua, chi di là , s'avviano a torme. Dopo il loro partir primo discese Gh^ron dal Pelio con silvestri doni . (6) Con sommo giudizio è messo Chitone alla te- sta, degli altri, dovendo essere 1' istitutore di A- chille . In bellissima Pittura presso gli Ercolanesi tom. I. tav. a. vedesi il sapiente Centauro ammae- strar l'Eroe nel suono della cetra; dalla cui disci- plina la madre a Schiro Trafugò hii dormendo , in le sue braccia , La onde poi gli Greci il dipartirò . 46 Nam quotcumque ferunt campi , quos Thessala. magnis Montibus ora creat,quos propter fluminis undaJ Aura parit fiores tepidi foecunda Favon], Hos indistinctis plexos tulit ipse coroUis , Queis permulsa domus jucundo risit odore, Confestim Peneos adest(i), viridainia Tempe , Tempe, quae silvae cingunt superimpendentes(2) Xyniasi(3)etlinquensDoris celebranda choreis Boebiados . Namque ille tulit radicitus altas Fagos , ac recto proceras stipite lauros , Non sine laetanti platano , fletaque sorore Fiammati Phaetontis, et aeria cupressu : Haec circum sedes late contexta Ipcavit, Vestibulum ut molli velatum fronde vireret. Posthunc consequitur solerti corde Prometheus, Extenuata gerens veteris vestigia poenae (4) : Cliirone educò molti altri Eroi della Grecia. V. Sta- veren ad Igino. Poetic Astron. 38. e il eh. Heyne , ohserv. ad Apollod. p. 229. fi) Il Poliziano vuole ac/ii . {■2) II medesimo varia : swper impediente^. {o) Lo stesso nota in margine Aemonidum ; quin- di cangia ininosim dell' edizione principe ( che leg- ge tutto il verso : Minosim linquens Doris cele- branda choreia ) in minosion , e glossa snnt qui le- gant Minosion , idest Nenuim , idem quod mare , quia Minosias dlcitur aJgae.Dciis, nani ò ff-vtii al' ga , et a- tèi Deus dicitur lingua dorica. Quae vera lectio . Tale interpretazione è in Parienio. L'Ano- nimo poi ha : Nereidiim linquens claris celebranda clioreis : lezioni che trovo anche in Palladio Foschi . Que- sto verso e la voce del seguente , Boebiados ( Nu- 4Z Perocché quanti fior ne' mmpi mette O su i gran monti il tessalo terreno, Quanti lungo i ruscelli apre e nutrica La mite di Favonio aura feconda, Ei portò misti e rannodati insieme In vaghe trecce, e s'allegrò la casa Inebbriata di giocondi odori. Tosto Penco compar, la verde Terape, Cui fan corona i sovrapposti boschi. Abbandonando alle Sinaidi ninfe , Le quali in riva alla Bebea palude Dorici balli esercitar son use. Ei ne recò dalle radici svelti Gran faggi e lauri in dritto ceppo eccelsi.. Platani lieti , ardui cipressi e 1' alte Piagnenti suore di Feton combusto. Gli arbori ben contesti in ampio giro Locò, perchè all'intorno verdeggiasse L' atrio regal di molli fronde ombrato . A lui dietro sen vien Prometeo scaltro. Che i segni porta a mano a man consunti nncrias , il Poliziano , Nonacris Bernardo Pisano ) sono guasti patentemente -, e le correzioni fattevi vorrebbero, pare a me, nuovamente esaminarsi. Se Achille Stazio, per fermarsi sopra una parola sola di questo passo corrotto, dice di aver Uov a.to minosim in tutti i manoscritti, e vi consentono le antiche edizioni , bisognava nel correggere scostarsi meno da questa parola . (4) Un' ingegnosa spiegazione , e che a me par degna di esser molto considerata , die già di que- .sto verso il dottissimo Visconti nel M. P. C. Tom. 4. tav. 34. La folla dcgl' Interpreti intende qui significarsi i quasi cancellati segni delle catene eoa cui fu Prometeo avvinto al Caucaso. Quel prestan- tissimo Antiquario poi spiega jl pa?so di Catullo Quam quondam silici restrlctus membra catena Persolvit , pendens e verticibus praeruptis . Inde pater Divum sanctacum conjuge , natisque Advenìt Goelo , te solum , Plioebe, relinquens, Unigenamque simulcultriceni montibus Idri(i): Pelea nam tecum pariter soror aspernata est , Nec Thetidistaedas voluit celebrare jugales (i). Qui postquam iiiveos flexerunt sedibus artus , Large muitiplici constructae 6unt dape mensae , Cam interea infirmo quatientes corpora motu, Veridicos Parcae (3) ceperunt edere cantus , His corpus tremulum camplectcns undiqucquer- cus (4), con un altro d' Igino ( Poctic A^tron. xr ) ; il quale dopo aver narrato, che Giove sciolse Prometeo in benemerenza di avergli svelato le disgrazie che gli sarebbono avvenute se sposata avesse Teti , soggiu- gne : Sei viemoriae caus.sa ex ittraqne re hoc est la^ inde et ferro digituni sibi vinciri jussit ; eh' è ciò che il Sig. Visconti stima extentiata vestigia veteris poenae . (l) Mnntis ItOTii ha il Poliziano, e Mentis Itho- nis V Anonimo e Bernardo Pisano . Achille Sta- zio ci assicura che in tutti i manoscritti vide o Véri, o Idri; e spiega ottimamente Unigenam per Diana . Adottando Ithonis , dovrebbe anche tenersi Pallada del verso seguente , qhe hanno le antiche edizioni ; cui però il Poliziano pone la variante Pelea; e intendersi iinigeiiam con Partenio per uiii- genitam ; cioè per la sola generata dal cervello d-i Giove. (•2J Procter Achillem inde nascitunun . Phoebus enim dnrdana Pnridis direxit tela corpus in Aea- cidae . Così 1' Anonimo e Bernardo Pisano . Gio- va qui notare che 1' uno di q^uesti dcbbe aver veduto le chiome dell altro ; copiandosi essi in molti luoghi . Il carattere d' amendue certamen- 49- Della pena , die un dì pagb pendente- Da fiet dirupo con le uu-mbra stretto In ferrei lacci ad un'alpestre selce. Con la consorte veneranda e i figli Vien poi Giove dal ciel , te solo, o Febo, Lasciando addietro e lei che nacque tcco , Delle montagne d' Idro abitatrice. IPoichè insieme con, te la tua germana Sprezzò Peleo, né fare onor degnossi Alle di Teti maritali tede . Quando, ben adagiate ebber ne' seggi Le gentil membra, fur di varj cibi Le magnifiche mense alto imbandite. Quinci divincolandosi le Parche Languidamente , a scior veraci carmi Incominciaro . Il tremolante corpo Avvolgea ior di quercia intesto manto, te dello stesso tempo , impedisce ogni liceità d' an- zianità . Del resto Febo che per Catullo non si trc- va con gli altii Dei. a queste nozze , secondo Clau- diano ( De nnpt. Hon. et Mar. in praef. ) , vaticinò la nascita d' Achille . (3) Secondo 1- opinione degli antichi , eia in' Ior mano la vita e la morte degli uomini -, on- d' eran chiamate xXtiJ'où x°i . V. Staveven ad Al- Vricio X. p. 916. Perciò si trovano presenti nel laro bassorilievo del M. P. C. rneritre Prometeo ter- mina colla stecca il limo prescelto a divenir la pri- ma donna. M Ite cose han sulle Parche raccolto i dotti, che sarebbe pe4anterla il voler qui ripetere. Si osservi solo col grande Spanhi-miò al v. 2.3 del- l' inno di Callimaco a Diana che esse avean cura non solo dei parti; ma anche delle nozze. (4j Le 2. mentovate cdizifMii del XV^ Secolo haii questus , e il Poliziano e Bernardo Pisano vi ap- pongono la variante l'e^fM : lezione adottata da Par-^ tcnlo e da Achille Stazio , e che a me par veris^ .sima . 4 50 Candida purpurea quam Tyro ìncinxerat ora(i)- Ambrosio (2) niveae residebant vertice vittatj.^ Acternumque mauus carpebant rite laborem. Laeva colum molli lana retinebat amictum : Dextera tum leviter deducens fila supinis Formabat digitis ; tum prono in pollice torquens Libratum tereti versabat turbine fusum : Atque ita decerpens aequabat semper opus deus , Laneaque aridulis liaerebant morsa labellis, Quae prius in leni fuerant extantia filo . Ante pedes autem candentis molila lanae Veliera virgati custodibant calatliisci . Hae tum clarisona pellentes veliera voce , Talia divino fuderunt Carmine fata, Carmine, perfidiae quod post nulla arguetaetas, 0 decus eximium magnis virtutibus augens, Emathiae tutamen opis (5) , alarissime nato : Accipe , quod laeta tibi pandunt luce sorores , Veridicum oraclum ; serves , quae fata sequuntur, Currite ducentes subtemina, currite fusi. Adveniet tibi jam portans optata maritis Hesperus : adveniet fausto cum .«idere coniux , Quae tibi flexanimo mentem perfundat amore., (1) Il Poliziano legge questo verso: Candida purpureo siipremam intìnxerat orar?! . L' Anonimo : Candida pnrpureis ramis incinxerat ora . E Bernardo Pisano ; Candida pnrpureis radiis perstrinxerat ora. (2) At roseo hanno 1' edizione principe e la Vi- centina-, che il Poliziano e il Pisano cangiano in vt roveo . 5i Che di tìrio ostro il lembo avea ricinto. Ben dispose scdean sul roseo capo Candide bende , e giusta lor costume Kran le mani intente all'opra eterna. Stava a sinistra la vestita rocca Di molle lana; e giìi traendo il filo La destra a poco a poco il già formando Con le dita supine; indi col chino Pollice in giù torcendo il ben librato Fuso, avvolgealo in vorticoso «riro. Quinci il Javor di m.ano in man venièno. Adeguando col dente, il qual carpìa Lanosi fiocchi, che sporgeano in fuori Dal tenue filo, e rimanean poi fissi All' aridette labbra. Innanzi a' piedi Si custodiano in canestrin vergati Della morbida lana i bianchi velli . Esse con chiara risonante voce AUor destando i velli, in divin carme I bei fati svelar, carme, cui nulla Età fia mai che di menzogna incolpi . O tu che l'alto accresci avito onore Con tue magne virtìi, d'Emazia scudo, Cui sommo vanto donerà un tuo fio-lio , Accogli questo che le tre sorelle A te schiudon oracolo verace In lieto giorno, e a' tuoi successi attendi. Gite ratto avvolgendo, o fusi, il filo. A te verrà di sospirate gioje Portatore a' mariti Espero, e seco In buon punto verrà la tua consorte , Che in te trasfonda amor, dell'alme incanto, (3) II Poliziano ripone colarne n Pdeu , com' è nella Vicentina presso Partenio ed altri . Languidulosque par et tecum conjungere somno*> Laevia substernens robusto brachia collo . Currite ducentes subteinina , currite fusi . Nascetur vobis expers terroris A.chilles, ♦ Hostibus haud tergo , sed forti pectore iiotus : Qui persaepe, vago victor certaraine cursus , Flammea,( i ) praevortet celeris \^estigi a cervae (2). Currite ducentes subtemina , currite fusi . ( Nulla doiuus tales unquam contexit aniores: Nullus amor tali coniunxit foedere amantes , Qualis adest Thetidi , qualis concordia Peleo Currite ducentes subtemina, currite fusi. ) Non illi quisquam bello se conferei; heros , Cum Phrygii Teucro, manabunt sanguine rivi : Troicaque obsidens, longinquo moenia bello Per juri (3) Pelopis vastabit tertius haeres . Currite duientes subtemina, currite fusi. UH US egregias virtutes , claraque facta Saepe fatebuntur gnatorum in funere matres, Cum in cinerem canos(4) solvent a vertice crines, Putridaque iniirmis variabunt pectora palmis. Currite ducentes subtemina , currite fusi . Namque , velut densas prosternens messor aristas Sole sub ardenti flaventia demetit arva: Trojugenum infesto prosternet corpora ferro, Currite ducentes subtemina , currite fusi , Testis erit magnis virtutibus unda Scamandri, Quae passim rapido diffunditur Hellesponto : (1) Ccleria spiega tìernardo Pisano. (2) Inde ab Homero m-óSai wxj/'j 'Ax'^^if^'s • Bernar- do Pisano . (3) V. Igino fav. S4. e ivi il Munckero . Il ter- zo erede di Pelope è Agamennone . ^4) Ctim trevmlo incanos . Cns] l'Anonimo. É il terso braccio al tao robusto collo Sottostendendo si disponga a trarre Teco indivisi i languidetti sonni . Gite ratto avvolgendo, o fusi, il filo. Nessuna casa a tali amor ricetto Mai die, nò strinse amanti un nòdo uguale A quel che or Jega insiem Teti e Peleo . Gite ratto avvolgendo , o fusi , il filo . A voi quel nascerà di tema ignaro, Achille, che i nemici al forte petto, E non al tergo , impareran qual sia : Quegli che spesso nel sudato arringo Del corso fia che vincitor trapassi Le rapide fiammanti orme di cerva. Gite ratto avvolgendo, b fusi, il filo; Non altro agguaslierallo in armi eroe. Quando di teucro sangue i frigj fiumi Traboccheranno , e di ben lunga guerra Strette rovescerà le iliache mura Di Pelope spergiuro il terzo erede . Gite ratto avvolgendo, o fusi, il filo: L'egregie sue virtù, le illustri geste Spesso Te madri su 1' urne de' figli Rammenteranno, il bianco crin dal capò Sciogliendo nella polve, e i petti frali. Con debil palma allividir facendo. Gite ratto avvolgendo, o fusi, il filo: Qual mietitore al suol le folte spiche Getta falciando i biondeggianti campi Al sol cocente , ei con intesto ferro A terra getterà le teucre salme. Gite ratto avvolgeudo, o fusi, il filo; Testimone a sue gran virtii fia 1' onda Dello Scamandro, che per cento rivi Sbocca per entro al rapido Ellesponto ; Qiioius iter caesìs angustans corporum acervis , Alta tepefaciet permista fluraina caede. Currite dvicentes subtemina, ciirrite fusi. Denique tcstis erit morti quocjue redditapraeda : Cuni teres(i) excelso coacervatum aggerebustum Excìpiet niveos percnlsae virginis artus . Currite ducentes subtemina, currite fusi. Nam simul ac fessis dederit fors copiam Achivis , Urbis Dardaniae Neptunia solvere vincla : Alta Polixenia (2) madelìent caede sepulcra; Quae, velut ancipiti succumbens victima ferro , Projiciet truncum submisso poplite corpus . Currite ducentes subtemina , currite fusi . <2uare agite optatos animi coniungite amores , Accipiat conjux felici foedere Divani , l)edatur cupido jamdudum nupta marito. Currite ducentes subtemina, currite fusi. Non illam nutrix orienti luce revisens , Hesterno collum poterit circumdare filo. Currite ducentes subtemina , currite fusi . Anxia nec mater discordis moesta puellae Secubitu , caros mittet sperare nepotes . ^ Currite ducentes subtemina, currite fusi. Talia praefantes quondam felicia Pelei Carmina divino cecinerunt omine Parcae . Praesentes namque ante domos invisere càstaé (l) Il Poliziano legge terrae . f2) Pausania 1. I. cap. -l-l. cita una pittura di Po- lignoto, in cui lappresentavasi Polissena condotta af sepolcro d' Achille per esservi sacriHcata . V. pu- re il medesimo lib. le. e 25. Vi fu anche opinio- ne che ella si \iccldesse ivi da se stessa. V. Phi-" lostr. vit. Apoll. Tyan. 1. 3. e 16. 55 A cui con masse di recisi corpi PLCstrignendo il cammin , le gran fiumane Alto fumar farà di misto sangue . Gite ratto avvolgendo, o fusi , il filo. A quelle testimon fia pur la preda A lui morto renduta , allorché eretta Rotonda pira in mole eccelsa i bianchi Membri accorrà della donzella ancisa . Gite ratto avvolgendo, o fusi, il filo. Poiché quando la Sorte a' lassi Achivi Avrà concesso, che i nettunii sieno Ripari sciolti alle dardanie mura. Bagnata fia sua tomba allor col sangue Di Polissena, che il ginocchio inchina, Qual sotto la bipenue ostia cadente. Lascerà givi sul suolo ir tronco il corpo. Gite ratto avvolgendo, o fusi, il filo. Su dunque i desiati amor dell'alma Vosco giugnete . Con felice accordo Lo sposo accolga la sua diva e questa Al cupido marito omai si doni. Gite ratto avvolgendo, ofusi, il filo. Lei riveggendo all'apparir del sole Non potrà la nutrice il cerchio usato Nel giorno pria piti rannodarle al collo. Gite ratto avvolgendo, o fusi, il filo, E 1' ansiosa madre addolorata , Perchè lungi n'andò da lei la figlia. Sperar non cesserà cari nepoti. Gite ratto avvolgendo, o fusi, il filo. Tai cose predicendo un giorno a Peleo , Felici canni con divin presagio Le Parche modular . Poiché presenti Solean da pria gli abitator del cielo Le raagion caste visitar d' eroi , ■'56 Heroiiiu (i), et se se mortali ostendere co'ctù t^aelicolae nondum spreta pietate sulebant. Saepe pater Divum tempio in fulgente re viseiiS'^ Annua (Ju uni festis venissent sacra diebus, Conspexit terra centum procurrere currus(-3)'. Saepe vagus Liber Parnassi (3) vertice summo Thyadas effVisis cvantes crinibus egit : Cium Delphi tota certatim ex urbe ruentes Acciperènt lacti Divum (4) spumantibus aris. Saepe in letilcro belli certamine Blavors, Aut rapidi Tritonis hera , aut Rhamnusia virgo Armatas hominum est praesens hortatacatervas. Sed postquam tellus scelere est imbuta nefando ., Justitiamque omnes cupida de mente fugarunt: Perfudere manus l'iaterno sanguine fratres: Destitit extinctos natus lugerc parentes: Optavit genitoi* primaevi funera nati, Liber ut innuptae poteretur lìove novercae: ignaro^mater substerneus se impia nato, Impia non verità est Divos scclerare Penates : Omnia fanda , nefanda malo permista furore Justificam nobis mentem avertere Deorum . "Quare nec tales dignantur visere coetus , ISIec se contingi patiuntur lamine claro . (i; Suepius legge il Poliziano, con 1' edizione di Vicen7a. {•2} Prnpter Olympia . h' Anonimo e il Pisano. (3) Monv Plioebo Bromiocjiie sacer è chiamato 11 Paniasso da Lucano ( lih. 5. r. 73.) Ci indegna Eusebio { De praep. Evang. /. i. e. p. ) che Apollo si è ve- nerato neir immagine di Bacco-, e questo Dio è detto da Sofocle { Oed. Tyr.v l I-iS. ) scherzare con le Ninfe Eliconie, che sono le Muse, dette Ninfe dai Lidi . V. il Cerda a Virg. egl. 7. v. 'Zi. {\) Il Poliziano legge Dlvoa ■. G. B. Z. E-, quand'era tuttor pìetade in pregio. Alle turbe degli uomini svelarsi. Spesso il gran padre degl'Iddìi tornando Al fulgido suotOTipio, allorché l'anno Riconduceva le solenni feste, Ben cento carri girar vide in terra. Spesso dall'alta cima di Parnasso Bacco vagante le disciolte il crine Baccanti ne menò , quando la gente Di Delfo uscendo in folla onore al Nunlè Fea con sacre di latte are spumanti : Spesso in mortai bellica pugna o Marte, ''O la diva del rapido Tritone, O la Rannusia vergine presente Le armate accalorò d' uomini schiere. Ma poiché il mondo di nefande colpe Contaminossi, e dall'ingorda mente Tutti mandaro la giustizia in bando , E che il fratello nel fraterno sangue Tinse le mani , non degnò il figliuolo Di lagrimare i genitori estinti. Il padre disiò de'primier figli La morte per goder libero il fiore Di verginella sposa, iniqua madre Se al figlio ignaro sommettendo , iniqua Non dubitò macchiare i patrj lari; Confuso insieme aliar per rio furore Quanto lece e non lece incontro a noi Le dritte menti inimicò de' Numi . Perchè né visitar degnan tai genti , Né soffrono affacciarsi a' rai del lume. 58 :BVj G. VALEEII GATULLJ PHASELUS. haselus ille , quem vìdetls, hospites. Alt fuisse naviuin celerrimus , Ncque ullius natantis impetum trabis (i) Nequisse praeterlre , sive palmulis Opus foret volare , sive linteo. Et hoc negat minacis Hadriatici (2) Negare litus , insuiasve Cycladas , E-hodumve nobile m , horridamve Thraciam, Propontida, trucemve Ponticum sinum: Ubi iste , post phaselus , antea fuit Cornata silva ; nani Cytorio in jugo Loquente saepe sibilum edidit coma . Amastri Pontica, et Cytore buxifer, Tibi haec fuisse, et esse cognitissima Ait Phaselus ; ultima ex origine Tuo stetisse dicit in cacumine : Tuo imbuisse palmulas in aequore : Et inde tot per impotentia freta Herum tulisse: laeva sive dextera (j) AUter: Neque ullius i'olands impetum aliti s . Bernardo Pisano . (2) Neque hoc necesse seu minacis Hadriact Rogare littus , insuiasve Cycladas . Così il Poliziano e 1' Anonimo . ^9 tjii'^nr^ rrrr^ : i "Vj... li Battello di G. Valerio Catullo. Traduzione del Sig. Cav. Tommaso Puccini Direttore dell' Imperiai Galleria di Firenze , e C'onser" valore degli Oggetti di Belle Arti ec. Xl Battei , che vedete , Dice che dei navigli e' fu il piìi celere , E non avria non avanzato l' impeto D' ogni natante piii fugace abete. Dovesse o a remi , o a vele Correre il mar crudele. E nega che le sponde Ì3el minaccioso adriaco mare il neghino. Rodi insigne , la Tracia orrida , e 1' isole , Che dell' Egeo galleggiano suU' onde , La Propontide , e tutti Del truce Ponto i flutti . Sulla cui spiaggia algente Questo , fatto Battei , già crebbe in arbore , Poiché sul monte Citoriaco un sibilo L'arguta chioma tramandò sovente. E ciò che narra a noi Dice che ai lidi tuoi Fu noto , e noto è ancora , Pontica Amastri, e a te di bossi fertile Citoro ; e che dalla sua prima origine Fece sugli ardui tuoi gioghi dimora, E del tuo mar sul dorso Fé destri i remi al corso . Quindi per tanti ei trasse Angusti mari d' ogni freno indocili Il suo Signore , o al manco lato , o al desterò Vocaret aura , si ve utrumque luppiter Simul secundus incidisset in pedem (i). Neque uUa vota littoralibus IDiis Sibi esse facta , quum veniret a mare Novissimo hunc ad usque limpidum lacuin Sed haec prius fuere : nunc recondita Senet quiete, seque dedicat tibi, Gemelle Castor , et gemelle Castoris . (l) In utrumque pedem sivnil secrindum lovem, ìJest prosperum simul incidisse ait , prius singulatim làe' l'o , ac dextro explicatis ; nunt enim pedes velorum . Plin. 171 secundo : lisdem autf.m ventis in contrarium jiavigatur prolatis pedibus , ut noctu plerumijtie ad-- versa vela concurrant . Virg. in V. Una omnes fecere pedèm . Servius pndiam exponit . Vulg. l'OGGlA di" cunt ; latus èst navis . Alterum Orza appellant . Bet' natdo Pisano . 6i Il «loffio di leggera aura il chiamasse, O spirasser clementi A poggia , e ad orza i venti . Né quando venne a nuoto Dagli ultimi confìn del Keguo equoreo Insino a questo lago limpidissimo , Duopo ebbe mai tra via pur d' un sol voto Agli Dei , che del mare Su i lidi han templi , ed are . Ma queste sue vicende All' odierna età previe già furono : In questo asilo oggi riposto invecchia Tranquillamente, e sacro egli si rende A Te, o gemello Castore, Gemello e a Te di Castore, 62 Memoria del Dottor Giovanni Bigeschi letta air Accademia dei Georg ofili . Dell' inoculazio- ne della Vaccina alle bestie a lana , e special- mente ai Merini per preservarli dalla malattia conosciuta sotto il volgar nome di fuoco di S. Antonio ( Clavcau dei Francesi . ) K el tempo che le scienze incoraggite e pro- tette fanno dei progressi così rapidi e brillanti , e che la filosofìa spogliandosi ad ogn' istante dei pregiudizi, diviene un ente' reale, non poteva esser di meno che il dotto non dovesse fissare lo sguardo sopra una porzione del regno animale , che ci tocca così da vicino . I bruti , che sono stati per lungo tempo un oggetto di disprezzo, meritavano alfine di essere riguardati sotto un migliore punto di vista. I servigi importanti che ci rendono alcune famiglie di essi , dovevano farcene comprendere tutto il valore, e l'Euro- pa non poteva tardar molto ad eriger dei Licei, in cui, i mezzi della loro conservazione formas- sero il soggetto delle meditazioni dei filosofi. Non si può entrare nella scuola di Veterinaria di Parigi, e di Lione senza sentirsi rapire dal piacere, alla vista dei progressi, che in poco tempo ha fatto quest'arte, piacere, che è supe- rato però ben tosto dalla pena di dover ripen- sare chela sola Toscana non abbia saputo finora formare che dei soli voti per uno stabilimento così utile, e necessario (i); ma il nostro ram- (l) Il mcritisslmo Sig. Dottore Spirito Costanzo 62 marico non può esser di lunga durata in un tem- po in cui tutto si può sperare da quel Genio straordinario , che veglia per la felicità dei popoli , Dopo che la vantaggiosa introduzione dei Merini in Etruria ci ha fatto concepire le piiì lusinghiere speranze sulla miglioranza delle la- ne, tutti i nostri sforzi debbono tendere alla loro conservazione, ed accrescimento . Fra le malat- tie che attaccano questi animali, e le altre spe- cie di bestie a lana , la costante osservazione ha fatto vedere, che il fuoco di S. Antonio è la più frequente, e (funesta, e quella, che essendo contagiosa, ne fa una su'age orribile, che etcr- nizza , come dice il Dott. Brion , la desolazione td il cordoglio fra le famiglie agricole. Dopo due secoli che questa malattia esiste nell'Europa, la Veterinaria ha sempre cercato indarno di farle fronte. La scoperta preziosa all' umanità del- l'immortai lenner aveva fatto nascere dei felici presentimenti: S'ii était possihle ,àìceYZ. il prelo- dato Brion nel suo discorso pronunziato l'anno scorso nella gran sala di Lione ; S'il était pos- sible , que la Vaccine , qui rend de si grands ser- vices à Fesyece humaine , pùt aussi , comme quel- ques experiences le laissent entrevoir , préserver les bétes à laine de cette peste devastatrice , que de hénédictions les Vétérinaires nauraient-ils pas Mannaioni in una memoria letta non ha molto nel- 1 Accademia dei Georgofili , richiamò l'attenzione degli uditori su i grandi vantaggi che ne resulte- rebbero per un paese agiioola, come la Toscana , dall'estesa cognizione dell'arte veterinaria , e pro- pose lo stabilimento di una scuola , che gli amici del pubblico bene ancora desideran». à recueiUir des hcìb'itans d^s canipagnes ! Era per-^ tanto necessario dì estendere , e moltiplicare queste esperienze affine di poter pronunziare un giudizio sicuro suU' efficacia di questo preser- vativo inapprezzabile . Ecco qua! servizio impor- tante ci ha reso non ha molto Albanis-Beaumont possessore di una delle più numerose mandre di Merini in Francia . Desolato per le continue stra- gi che il fuoco di S. Antonio faceva di questi unimali, tentò l' inoculazione della Vaccina, ed il tentativo fu coronato dall' esito il più felice. Replicò l'esperienze, e l'estese a tal segno, che. non poteva restare oramai più alcun dubbio sul- l'efficacia di quel preservativo. Dopo avere ino- culato la vaccina, ad un numero considerabile di Merini , gli espose al contatto di quelli at- taccati da quella malattia , e ne uscirono sem- pre illesi . Non credendosi abbastanza assicurato per questo primo esperimento , ne tentò la ri- prova la più sicura, inoculando fino a tre volte consecutive il fuoco di S, Antonio ai Merini già vaccinati; ma la ferita si consolidò, sempre nel- lo, spazio di quattro giorni, senza formarsi al- cuna suppurazione, e senza che giammai siasi manifestato alcun segno di questa malattia. Ol- tre di queste vantaggiose esperienze , noi siamo debitori al Beaumont della, descrizione di que- sta malattia, della di lei cura, e del metodo, d' inoculare la vaccina alle bestie a lana, ciò, che merita di esser conosciuto. Il fuoco di S. Antonio si annunzia con dei se- gni precursori. L'animale che n' è attaccato per- de l'appetito, e mangia con una specie di re- pugnanza strappando qualche filo d' erba . Se- 6S gue con difficoltà la raandra al pascolo , il muso diviene più rosso dell' ordinario, e la respirazione si fa celere ed affannosa , per cui il ventre si di- lata, e si ristringe con forza, e violenza, e so- praggiunge la febbre. Alla comparsa di questi primi sintomi conviene esaminare la bestia nelle parti prive di pelo, come fra le cosce, e le spalle, ove non tarda molto a comparire una macchia rossa, cbe prende poscia l'aspetto di un bottone dello stesso colore, il quale- caratte- rizza resistenza della malattia. Essendo questa malattia contagiosa, la prima diligenza da usarsi è quella di separare 1' ani- male attaccatone dal commercio degli altri al primo annunzio dei sintomi precursori. I lava- tivi ammollienti sono i rimedi, da cui Beaumont comincia la cura uiitamente al salasso r ma que- st' ultimo va amministrato colia maggior caute- la, e solamente nei casi in cui la febbre è de- eisivamente infiammatoria, mentre 1' esperienza gli ha fatto vedere, che è molto pericoloso il debilitare di troppo l'animale in questa malat- tia. Allorché la febbre non è multo forte, e corre la stagione di primavera , o autunnale , con- viene ricorrere all' amministrazione di una pic- cola dose di vino e moscado dato verso il mezzo giorno , e di una porzione d'avena ,e di ginepro nella mattina. Egli ha ottenuto un successo me- raviglioso dall' uso della China col vino. La stal- la, ove dee restare la bestia ammalata, debb' es- sere di una temperatura moderata ; sul princi- pio dell'eruzione le si può permettere con van- taggio di uscire al pascolo. Per inoculare la vaccina Beaumont tiene il seguente metodo. Verso il duodecimo, o dec»- (i6 mo quarto giorno della malattia egli fa situare l'animale che vuole inoculare accanto a quello, in cui la vaccina è già sviluppata, e lo fa tener ferrilo da 9. degli assistenti j quindi con una lan- cetta fa un'incisione lunga quattro linee sulla faccia incerna della spalla, e circa due pollici sotto l'articolazione della gamba del primo. E^ importante l'osservare di non far queste incisio- ni troppo in alto, affinchè le pustule che vi na- scono in seguito non impediscano i) moto; e di non interessarvi che la semplice pelle , affinchè il sangue , che potrebbe uscire da una ferita più profonda, non impedisca 1' effetto della vaccina. Nel tempo che egli fa quest'operazione, fa in- tingere lentamente un'altra lancetta nel bottone suppurato dell'altro animale attaccato dalla vac- cina, e la porta sulle fatte incisioni, su cui la passa delicatamente tre, o quattro volte. Dopo l'inoculazione l'animale non soffre niente fino al quarto giorno , seguitando ad andare al pa- scolo insieme con gli altri, e a mangiare come per r avanti. A quell'epoca si principia a scor- gere intorno alla ferita un' areola rossa bril- lante, appena lunga una linea. Il sesto giorno si estende a tre linee, e la bestia è assalita da lina leggera febbre, perde l'appetito, e la re- spiraziune diviene affannosa. Il giorno appres- so la febbre si calma, e gli altri sintomi dimi- nuiscono molto d'intensità. A quest' epoca Bea umont comincia 1' uso de' to- nici . Egli suole amministrare ogni mattina una porzione di avena, e di ginepro, e un bicchier di vino, se la debolezza è considerabile. All'ottavo giorno si eleva sopra l'incisione una specie di tumore grosso come una noce, in- 6t torno a cui si fornn soveme qualche altra pic- cola pustLila . Nel XIT. giorno vi si scorge all'in- torno un princiiiio fli suppurazione, la quale al- lorché è stabilita, toglie l'appetito all'animale, quantunque sembri d'altronde star bene. Verso il XVII giorno il tumore, e gli altri bottoni co- minciano ad annerirsi, ed a seccarsi; quindi ca- de la crosta , e la bestia guarisce interamente. Talora accade, che la suppurazione è più ab- bondante, ed estesa, e si prolunga di più. In questi casi conviene esser solleciti a togliere la crosta al tumore, e a dar esito al pus affinchè esso non faccia dei guasti sotto la cute. Le lo- zioni coir acqua vite unita alla China , usate due volte al giorno, sono ottime per astergere la piaga , e corroborare la parte , e l' acqua di Gou- lard ne produce un'intera, e pronta disseccazio- ne. Tal è il mite corso di una malattia sostitui- ta ad una delle più micidiali , per 1' effetto por- tentoso del virus vaccino , per cui si conservano degli animali,, che secondo i più esatti , e scru- polosi calcoli di Beaumont, rendono il 3o. per cento. Eijli è ben sinijolave , che mentre in In- ghilterra si scrivono dei volumi contro la vacci- na (i),sul continente si esperiraenta sempre più (l) Noa sarà affatto inutile , qualora fosse fuori di proposito, r accennare fugacemente il contenuto di una recente opera, intitolata: La Vaccina com- battuta tiel propriiì paese, ove ella e nata, per co- loro , the non la conoscono ; e che si potrebbero la.sciar sedurre da questo imponente titolo . Qucst' o- pera è la riunione di tre dilFerenti opuscoli legati in un volume , e sono dei I>ottori William Rowlei, Moselay , e S'quirtel , i quali si servono tutti dell' i- stesse armi per combattere la vacci nft , « far vp- 68 vantaggiosa , e se ne propcigano tutto giorno gli effetti benefici . dere i mali , che essa produce . Declamazioni va- glie , ptet 'sl pericoli della tras-nissione di un vìnis pre.so dagli animali , qualche fatto di vaiolo venu- to ai "accimri , temerarie asserzioni, che il vaiolo è pccompaiinato da degli accidenti sì miti , come quella malattia, ci conducono al pivi interessante dell' opera . La vaccina, dicon eglino , non ha sola- mente un'inluonza mortifica, essa ne ha ancora deile fisiologiche sulla specie umana, inducendo delle degenerazioni nel fisico , e nel morale . L' e- sercizio dell' arte salutare porta quei Pratici tutto giorno ad osservare, per un efF^tto funesto dell'i- noculazione del virus vaccino , dei tumori nella fac- eia, che la fanno rassomigliare a quella dei bovi , e delle vacche. Il Dott. Moselay ci assicura di aver veduto un bambino attaccato da diversi mali , in seguito della vaccina, il di cui viso pareva trasfor- marsi , e prendere in qualche maniera la forma di una testa di vacca. Opere , ed osservazioni di tal sorte non possono far altro , che far perdere all'Inghilterra il credito nelle scienze , che fino adesso ha goduto presso le nazioni illuminate . 69 .. tJ>»—— ■ -- — r^Va.. Sommario di Notizie per servire alla Storia po- litica di Castiglione Fiorentino del Dottor Lui- gi Eustachio Polidori Membro della I. Acca- demia Fiorentina , dcW Etrusca di Cortona , e Socio Ordinario dell' Accademia Italiana , da esso dedicato in segno di rispetto all' Accade- mia di Cortona. . C lastiglione Fiorentino , il quale al tempo dell' Istoriografo Alberti era ben pieno , secon- do eh' ei dice, di jjopolo , e di uomini lettera- ti, e di grande ingegno , risiede a 4.3. gradi , e 16. minuti di longitudine, ed a 29. gradi , 33. minuti primi, e 3o. secondi di latitudine settentrionale. E^ situato sopra una bassa pun- ta dei monti Aretini fra la valle di Caio all'o- riente , e la valle di Chiana all' occidente , e mezzogiorno . Qualcuno ha creduto, che qui la sede fosse di quella delle tre popolazioni degli Anticiii Aretini, alla quale era dato il nome, secoudo che nel Capitolo quinto del terzo libro delia Storia Naturale di Plinio si legge , di Arretini fidentiures . Infatti per Arretium Jidcns lo indua Cluverio nella sua Ceograiìa dell' Etruria , cofei vien chiamato dal celebre Geografo d' Anvil- ie , e tale il segnai' abilissimo BorgLi nella sua carta dell' antica Etruria , dell'Umbria, e (iei Piceno. Negava contro Arduino il P. Politi nella sua Orazione delle /oifi Aretine , che diver- sa sede avessero gli Aretini vetercs , quelli jì- dcntes , e gli n.\tvì juUjnscs : ma sebbene lacou- 7» troversia non si possa aver per finita , una for- te ragione io trovo onde essere del parere di Arduino nel considei*are che Plinio fa nel luo- go citato una pretta descrizione dei luoghi , e pone i nomi dei popoli per significare i luoghi difl'erenti da essi abitati . Non pare certamente che Diodoro Siculo trat- tasse di Castiglione Fiorentino allorquando scri- veva di Ca.'itula espugnata da Q. Fabio, il qua- le sforzò gli Etruschi ad abbandonare 1' assedio di Sutri ; e malamente a lui si appoggia Filip- po Ferrari Alessandrino nel Suo Lessico Geo- grafico , dove si legge ,, Cantala, scii Castilio y oppidum Etruriaa inter Artùnm , et Cortonam , non oh.icunim „ (^. iabio, dice Diodoro „ poi- ché gli Etruschi con gran moltitudine si furono riuniti per espugnare Sutri , fece , non pensando- selo i nemici , attraverso le montagne dei confi- nanti una irruzione nella superiore Etruria , che da lungo tempo invasioni nessune patito avea , ed avendogli assaltati all' improvviso , per ogni la- to devasta il paese, mette in fuga gli abitanti , che se gli fanno insontro , molti ne uccide, e non piccol numero ne fa prigionieri . Dopo di che , vin- ti gli Etruschi in altra battaglia presso Perugia, ed uccisine molti , mise in costernazione quella pente , egli il primo dei Romani, che con l'eser- cito entrato fosse in tal luoghi . Agli Aretini poi , ai Cortonesi , ed ai Perugini concede tregua, ed espugnata Casnda, come la chiamano, sforzò gli Etruschi a tralasciare l'assedio di iS'utri {\) ,,. Come mai , accordata da Q. Fabio la tregua agli Aretini, ai Cortonesi, ed ai Perugini , gli (i) Lib XX. sarebbe restato da espugnare il nostro Casti- glione, supposto CastuLi di Diodoro Siculo JVa Arezzo , e Cortona ? Con tanto maggior ragio- ne poi si dee pensare , che prendessero abba- glio i compilatori del Vocabolario di Turino, i quali volgarizzano il latino vocabolo Casta- la in quello di Castiglione Aretino , o Fiorenti- no, che in Silio Italico, clie essi citano, non 9Ì trova l'appoggio della loro traduzione. E qui sia detto di passaggio die della bat- taglia presso Perugia accennata da Diodoro non convenendo Livio pare che ponga Diodoro fra gì' inesatti storici allorché dice ,. alcuni vi sono , che asseriscono, sì celebre pugna essere accaduta di là dalla Selva Ciminia vicino a Ferugia . ( i ) „ Si può finalaiente pensare , che per buone ra- gioni dessero Cluverio , e D'Anville il nome di Arretium fidens a Castiglione Fiorentino , e fosse dal Borghi situata Castula presso alla im- boccatura della Paglia nel Tevere . Sebbene poi sembri certo , che Annibale , pas- sate le paludi; le quali non erano già in T(j- scana , come da pili d' uno si è preteso , ma bensì nella Calila Cisalpina , o Togata, giacché Polibio ci narra , che egli scelse la pili mala- gevole sì , ma più breve strada , che per le Fa- ludi conducesse In Toscana dalla Gallia nomina- ta ('2); e giunto ad un sito più settentrionale di quel di Arezzo, e più meridionale di quel di Fiesole, avendo la fronte dell'Esercito voltata all' occidente ; poiché al luogo citato assicura il medesimo Polibio , che Annibale mosse il cam- (i) Lib. IX. h) DelJt Sroiie Llb TIT. "9 po a laeva relieto fioste ; da questo si desse a de- predare l'etrusche campagne, e verso Cortona a' incaminasse , lasciatosi dietro sotto ]e mura di Arezzo 1' esercito Romano comandato dal fero- ce , ed inetto Flaminio ; e in (ine , che vicino a Castiglione suo viaggio, tracciato dall'eru- ditissimo Guazzesi , il Duce Cartaginese faces- se , o dalla parte occidentale della Chiana , o dalla orientale , come il sommo Antiquario Avvocato Coltellini il segna in una sua carta a penna del viaggio di Annibale per la To- scana, e dell' ordinanza degli Eserciti Romano, e Cartaginese al Trasimeno , che gentilmente ani ha mostrata ; non ha per altro fondamento ver4ino 1' opinione volgare di coloro , che ten- gono che Castiglione Fiorentino fosse prima no- minato C-iilon . e che riedificato da un Castulo- ne Cartaginese poco dopo la vittoria di Anni- bale al Trasimeno , ne ritenesse il nome . Checché sia per altro dell' antica denomina- zione di Castiglione Fiorentino, e dei snoi abi- tatori , egli è certo che essendo stati governati nel io66. per l'Impero Romano da Ranieri d' Ti- gone Marchese (i), erano così valorosi nel duo- decimo Pecolo, che insieme coi Pisani occupa- rono a forza l' isola d' Ivica , di che fu già ri- cordo in una lapida del Tempio di S. Leonar- do ora detto di S. Francesco, in cui leggevasi. Templi ìmiiLs cives pisani Sua Castilionis virtute anno salutis I I I 4. Ebusi demeta \l) Curali Vite dei Vejicovi Aretini . Christo servatori jundamentum fccerunt T. Aelio Orsilaco Aedili, Avendo non pertanto dovuto Castiglione do» pò quel tempo replicate volte far le comanda- menta degli Aretini , si trova , che ai 3. di Ago- sto 12-3. Carlo Re di Sicilia comanda , per sua lettera data ila Firenze per mezzo di Giovanni Vescovro di Palermo, che sieno revocate tutte le novità indotte dagli Aretini contro i Casti- glionesi , non ne sian fatte delle nuove, e si abbian come nulli tutti gli strumenti fra le det- te parti dai tempo che Guido da Monteforte era Vi(;ario generale in Toscana (i). E riscontrasi ancora, che agli 8. di Maggio 1239. Gerleardo de Arnisten legato Imperiale in Italia accresce il territorio del Comune di Castiglione (2). Do- po del qual tempo non potendo Ridolfo Primo per mezzo del suo Vicario Imperiale ottenere il giuramento di fedeltà dalle Città di Toscana, oh-^-equiuin illis remidt , integnimque libertatem in.' duLiit . ... et ita , UhcriLite pretio empta , privile-^ già maxima, ellcuerunt , come Golnitz espone nel 5U0 Compendio Geografico. Fu allora che il medesimo Vicario Imperiale confermò 1' accennato accrescimento del terri- torio del nostro Castiglione per la costituzione de' 22. Gennaio 1289. (3) , nella quale si dichiara fi) V. air Archivio Diplomatico di Firenze fra le Caitapccore riguardanti il Comune di Castiglione Fiorentino al n. -2. (2) V all' Archivio predetto 11. 5. {ò) V. all' Archivio predetto n. 5. ?4 che esier debbono della Curia dì esso le Vili» di S. Antonino , di Gozzana , di Senaja , della Noceta, di S. Margherita, di Collesecco, di S. Cristina, di S. Agnese, di S. Savino , di S. Martino di Teto , di Vignale , di Agello , di Potenano , di S. Lorenzo , di S. Stefano , della Pieve di Ghio , della Fontanella , di Petreto , la Villa o Castello di Tuoro , il Castello della Montanina con le sue appartenenze, il Castel- lo di Largnano , la Villa di Lusignano , il Ca- stello , e Villa dell' Arsenata , il Castello , e Vil- la di Casteilonchio , e tutti gli abitanti della Pieve di Chio , e valle di Ghio , o quelli ch« in futuro vi potessero abitare , la Villa di Per- gognano , la Villa di S. Lucia , e tutti gli abi- tanti in Rucavo : i quali luoghi costituirono con la Curia di Castiglione Aretino un solo corpo ad omnia servida , munera , et onera . Questa co- stituzione fu confermata dall' Imperatore Arri- go sotto dì 17. Agosto i3ii. con la clausula honore nihìlomimis et jure nostro etc. in omnibus semper salvis (1): e finalmente dall'Imperatore Carlo Quarto in Siena il 3. di Maggio i355. (a). Prima del qua] tempo, cioè nel 1339. si eran fissati per mezzo dei Priori della Bep. Fior. fra Arezzo , e Castiglione nuovi rapporti poli- tici , aboliti gli antichi , ed Arezzo avea rico- nosciuta la piena libertà di quello . Sono le con- venzioni del trattato : i. Che i Castiglionesi debbano scegliersi il Potestà fra i Cittadi ni di Arezzo , quando essi non vogliano eleggersi i Rettori , e i Consoli fra i suoi , nel qual caso (l) Archiv. Dipi. n. 5. (•2) Ivi n. ao. T5 possano tralasciare di darsi un Potestà Areti- no. 2. Che i Castiglionesi sieno in pace, o in guerra con chi sarà in pace , o in guerra Arez- zo. 3. E in caso di guerra d'Arezzo debbano, secondo la possibilità , somministrare combat- tenti. 4. Che per la protezione, e difesa dagli Aretini accordata ai Castiglionesi debbano que- sti pagare al convenuto tempo , e annualmente cinquanta lire denaro corrente di Pisa . 5. Che Castiglione non debba dar ricetto , ma espelle- re dentro otto giorni dall' avviso del Comune di Arezzo tutti i banditi da questo per ribel- lione, e tradimento. 6. Che nessune altre esa- zioni sieno pagate dagli Aretini nel distretto Castiglionese , che quelle che pagheranno i Ca- stiglionesi, e viceversa- 2- Che non si debbano mettere imposizioni sopra i beni degli Aretini nel Castiglionese; 8. e possano trasportarne i frutti senza gabella, parimente con reciproci- tà. 9. Che in Castiglione gli Aretini sien trat- tati, e trattar debbano nelle questioni civili, e criminali i Castiglionesi come non Castiglio- nesi , e neir istessa maniera i Castiglionesi sie- no trattati , e trattar debbano in tutte le que- stioni in Arezzo come i cittadini, io. Che al- le di sopra specificate cose il Comune di Ca- stiglione non sia tenuto , quando in Toscana gli comandi il Principe de'Eomani, o il suo Vi- cario , essendo CcLStigUnne obbligato di fedeltà al B.omano Impero : 1 1. Che debba Arezzo conserva- re , e difendere da chiunque le persone, 1' o- nore , i privilegi , e i beni dei Castiglionesi . \i. Che il Comune di Arezzo lascerà che Ca- stiglione riposi nella naturale , e piena libertà , e i.'he eserciti per se , e per mezzo del -^uoi Potè- sta, e Rettori faccia esercitare il mero, t misto impero la potestà di punire e la giurisdizione ple- naria ( I ) . Ma datosi Castiglione a Gualtieri Duca di Atene ed ammessi nella Terra i di lui Uffiziaii Andrea di Tingo dei Bardi , e Iacopo di Lano dei Pulci, costoro il consegnarono per tradi- mento nel 1043. a Pietro da Pietra mala (a). Dopo di che lo stato politico di Castiglione, nel i34'3. chiamato perugino, perchè era uni- to con Perugia, trovavasi turbolento così nel iS^i., che da Anglico Vescovo Albanese Vi- cario generale per la Santa Sede nelle terre, e piovincie di detta S. Sede in Italia fu ordi- nato al Vescovo Eumoniense , che si portasse a quella Terra per riformarne , e correggerne gli ordini poiché essa allora stava sotto la pro- tezione, e governo della Chiesa Romana (3), Né prima del i38o. per consiglio del perugino Baldo ritornò sotto la protezione degli Areti- ni (4) , che essendosi dati in quell' anno a Car- lo da Durazzo (5) furono così probabilmente ca- gione che i Castiglionesi si sottomisero il io. del 1384. alla giurisdizione dei Fiorentini, ai quali Arezzo neanclie più Signore di se stesso fu venduto per quarantaduemila ducati da In- ghiramo di Cosse l'anno io85. (6). Or nel Trattato di sommissione tra i Fioren- (l) Archiv. Dipi. n. i.l (2j Statuto di Castigl. Fiorent. Lib. XI. cap. ■^o. (3) Archiv, Dipi. n. i5. 26. 27. (4) Sti.r. Perugina fol. 222. (5j Rondinelli descriz. d'Arezzo pag. 5r. (0; Detto pag. 52. 7J tini e Castiglionesi , è stipulato che questi si abbiano a tutti gli effetti come vsri , ad ori°i' narj Cittadini Fiorentini (i). Ed era questa clausula graziosa tanto , che né dovevano i Castiglionesi pagare al Comune di Firenze la gabella dei Contratti (2), né es- ser soggetti a balzelli per parte di detto Co- mune (3). Cosicché forte ebbero ragione di ritornare sotto la soggezione della Bepubblica di Firen- ze dopo che la rivolta Aretina nel iSoa. seco tratto avea Castiglione (4) . Il quale poiché gli Aretini furono costretti da Luaovico XII. Be di Francia oi sottomettersi di nuovo a Firen- ze, per mezzo (iei suoi Sindaci, e Procuratori Marco di Maffuccio , e Matteo di Iacopo co- stituiti personalmente avanti 1' Efiìziodei Dieci di Balìa agii 1 1. di Settembre di detto anno ad essa di nuovo si raccomandò , e tu accettata colla restituzione di tutti i privilegi, esenzio- ni, statuti, pesi ec. che avea per 1' avanti, col- la clausula per altro , che debba stare sub do- minio, imperio, obedicntia , gub^rnatione , et re- gimine communìs 1 lorentia' (5). Frattanto il tempo si avvicinava in cui Cle- mente Settimo dovea preparare la concentrazio- ne in uno dei mal collegati poteri cLc varia- bilmente avean fatto agire le diverse parti dei (l) Scrisse questo Contratto un certo Sor Simone di Agostino di Castiglione. (■2) A\chiv. Dipi. n. óo. (3) Ivi n. lè. {H) Rondinelli pag. 61. (5) Archiv. Dipi. n. j)3. V. 1' ultimo cap. dello Sta- tuto di Castiglione. ^8 dominio Fiorentino , per la ragione che eg^lì non ammetteva possibile quella universale iso- nomia o quell'incorporamento nella propria Co- stituzione , senza di cui una Eepubblica non può acquistarsi il fedele , e costante amore dei popoli soggiogati. A quel tempo la Storia del- le parti di un Principato dovea necessariamente far corpo con quella di lui: e Galluzzi 1' ha copiosamente scritta fino ai suoi giorni. ...L^rrrt " rr — i — '. . ' ^\j... JjÌ Bassi rilievi antichi di Rotna ec. s, ^Jeguitano i Bassi rilievi della Casa Alba- ni , e noi continueremo a darne conto secondo il metodo propostoci nel passato volume . Tav. i3. e 14. La gran Madre ed Ati . Inte- ressante oltre modo è l' illustrazione di questo bassorilievo , arricchita di copiose note , ove si svolge con dottrina del pari che con sagacità tutto ciò che concerne i nomi , e il culto della gran madre presso i diversi popoli; e la favola tanto varia del giovine Ati ; ricercandosi d' a- mendue i primordii, e la successiva promulga- zione nei diversi paesi . Vedesi la Dea assisa sul cocchio tirato da' leoni col velo sul capo turrito . La sinistra si appoggia al tamburo , e la destra il percuote con sferza astragalata u- nita ad un ramo di lauro . Ati si appoggia ad un pino posto fra sé ed il cocchio di Cibe- le; alza colla sinistra il tamburone presso ha il pedo. Fra' rami dell' albero vedesi un gallo, destinato forse, dice il N. A. a palesare il la- 29 tiholo del fuggitivo. Nella iscrizione all' ara ag* giunta si fa menzione del taurobolio e del crio- bolio ; e ad essa alludono il toro e l' ariete , che dal lato opposto col capo cinto di sacre vitte all' ombra stanno di un pino carico d* arnesi proprj delle frigie cerimonie , e di uccelli ; fra' quali comparisce nuovamente il gallo. Nei fianchi dell'ara, dall' una parte è la siringa con due tibie , dall' altra si osservano due faci de- cussate e due cimbali . Ci protestiamo nuovamente di ammirare la profonda dottrina del bravo illustratore , special- mente in questo luogo , ove è tale da sgomen- tar chicchessia; ma non possiamo in due cose con lui convenire. La prima è il sospetto ,ch' e- gli ha che )tv/2i?\ou fosse appellazione generica di monte nella lingua frigia , che perciò il no- me di Gibel« dato alla gran madre corrispon- da all'epiteto òpi/ot dei Tragici; e che non de- rivi essa tal denominazione dai monti Cibeli nominati dagli antichi. A noi per vero dire par troppo autorevole il consenso unanime dei vetusti Scrittori, per non poter loro contradire : e se presso Strabone (i) v'ha contesa fra le àìi verse citta della Mi sia qual fosse il vero mon- te della Dea, ciò nulla importa. Ai tempi del geografo poteva benissimo essersi perduta la me- moria del sito preciso di esso , cancellata forse d.a un nuovo nome. Di casi siglili non sareb- be difficile recarne esempio . L'altro pensamento che non possiamo adot- tare è questo . Parlando il Sig. Zoega dell' in- troduzione del culto di Gibele in Tebe rife- ci) Lib. i3. p. 58p. 8o rlsce ciò che racconta Ar istori emo citato dallo Scoliaste di Pindaro (i). Dice esso dunque, che Olimpico sonator di flauto e discepolo del lirico greco, era col maestro in un bosco, ove questi esercitava si in comporre . quando udì gran fragore e osservò scender giìi una tiamaia; e che Pindaro anch' esso accortosene vide cadere ai suoi piedi una pietra avente espresso il si- mulacro della madre degli Dei , donde egli i- naizò presso la sua casa il simulacro di es- sa 6 di Pane; e spedì alcuni cittadini all'o- racolo di Delfo per interrogarlo intorno al- l'evento. Esso rispose che s'inalzasse un tem- pio sacro alla madre degli Dei. I Tebani ri- masti pieni di stupore verso Pindaro i^er aver avuto r oracolo conforme a quanto avea egli fatto, ivi con le sacre cerimonie veneraron la Dea . Il racconto fu citato anche da Falco- net (2) ; e quel dotto Francese caratterizzò ot- timamente la pietra caduta dall' alto per un betilo . Il N. A. vi si oppone , sospettando^ che le parole àV^^wa Xtd'ii'ov simulacru/n lapi- deum siano corrotte 0 traslocate; e che piutto- sto siasi voluta q^uì intendere un'apparizione. Tre ragioni lo muovono a così pensare. Primie- ramente perchè il secola dei botili non è quello' di Pindaro ; secondariamente perchè i termini u- satiin questo luogo dallo Scrittore non si acco- stano tanto a quelli impiegarci soliti di cale ogget- to ; finalmente perchè sembra incredibile che il hetilo con tanta epijania caduto abbandonato si fisse nella solitudine senza mai pia parlarsene , (i) Pyth. 3. V. 107. (2) Academie des Insciiptions ec. T. 23. p. 2iS. 8r Noi per verità non oseremmo giu'^lu^ar c<>r- rotto il passo dello S('olia»te . sembratìdoci che- cammini assai bene; e se lo supponessimo an- che corrotto . ci -embra impossibile pdter acco- molare ad esso, come ora »i legge parole che mostrassero es-ere stata ivi es])ressa una visio- ne. Dicemmo accomodare, perchè siamo con- vinti che nei testi corrotti debba rit ovarsi ve- stigio della correzione; non sapendo noi mai aytplaudire a quelle lontanissime e alfatto dif- ferenti , che oggi son di moda specialmente oltremonte . Neppur crediamo che si oppon- ga ad ammetter la narrazione il criterio . Ri- guardo air età dei betili può leggersi la bel- la dissertazione di M. Falconnet (i). il quale ha provata la remota antichità di essi con ra- gioni che sono a noi parute di gran peso, e difficili ad abbattersi . Non dee poi fare spe- cie cUe lo Scoliaste differisca nei termini da- gli altri che narr.m lo stesso. Se si trattas- se di formule religiose o riguanlanti leggi po- tria ciò sospettarsi ; non variando esse d' or- dinario né per scrittori , né per età . Ma in un racconto meramente storico dee guardar- si solo alle circostanze ; se si accordin cioè con quelle narrate da altri. Ora lo Scoliaste dice che il sasso cadde giù in mezzo al fuoco; e in mezzo al fuoco cadono i betili al riferir di Damascio (2), L' uyotXfAu )\i^ti'Oi> poi cou- (i) Academ. des inscript, et S. L. T. 6. p. 5l3, e .segg. f2j V. Phot. Cod. '24.2. p. 1062. in fine edit. Ro- thom. l653. V. anche Bochart Googr. Sacr 1. 2. e 3. col. ■208. 6 82 viene a maraviglia con quelle linee osserva- te su' betili , chiamate lettere da Daniascio , e che potevano rappresentare facilmente qualun- que cosa uno si figurasse ; e con quel che al- cuni antichi han detto intorno allo scabro sas- so rappresentante più idealmente che ahro la Magna Dea venuta da Pessinunte a Roma ; co- me Erodiano citato in nota anche dal N. A. che lo chiama appunto a ^ «A /.«cs; Ammiano Mar- cellino, che lo dice Simulacrum \ Glaudiano iie rapili Proserp. 1. i. v. 2,02. da cui è appella- to Rellìgiosa Silex: dalle quali ed altre auto- rità ha ottimamente dedotto M, Falconnet (i) , che fosse anch' esso un betilo . Non dee poi muoverci punto il non trovar più menziona- to il betilo caduto ai piedi di Pindaro; giac- ché quante sono le notizie che solo abbiamo da uno Scoliaste attesa la perdita lacrimevole d'un numero immenso di antichi Scrittori? Tav. i5. Fato e Sonno. E^ un'ara sepolcrale; e nella faccia è la iscrizione funebre fatta da M. Gavio Carino a Q Gecilio Feroce suo figlio che morì di anni i5. mesi i. giorni 2,4. Dall'uà de' lati vedesi il Sonno in sembianza di giova- ne nudo ed alato che dorme sopra la face ro- vesciata nella mossa stessa di quei putti che spes- so vefTffonsi sull'estremità della faccia dei Sar- cofagi , e chiamar si sogliono gen] della morte. Sopra è l' iscrizione : Somno Orestilia jilia . Dal- l'altro iato è una donna che tiene il pie sinistro sopra una ruota coli' epigrafe : Fatis Caecilius- J\jrox fiiius . Il N. A. sospetta che Gecilio Fe- roce della principale iscrizione sia lo stesso coti (i) L. e. e tom. 23. p. 2i3. n «[Vici della laterale, che Orestilia sia sua sorella e che il padre faccia questi voti a nome dei fi- gli già defunti. Ma Orestilia e Gecilio Feroce non potrebbero esser figli gemelli di Q. Gecilio Feroce, cui è dedicata l'iscrizione , nati a lui , che morì di poco più di i5. anni , sul primo di- venir pubere? Non può far ostacolo il veder il figlio col nome stesso del padre , giacché vi so- no esempi ^^ antiche lapidi . Tav. i6. Gabbia dei sacri polli. Questo cele- bre monumento da molti già pubblicato oltre riscrizione, l'aquila legionaria, due insegne, ed altri arnesi ha la gabbia dei' sacri polli, dai Romani consultati prima di far guerra , che u- nicamente qui .comparisce; e vi è voluto, riflette benissimo il N. A. che Admeto già servo , indi Liberto e Pullario , addetto a un rampollo della. famiglia Pompeia , che sotto qualcuno de' Cesari' Ju quartier mastro generale della legione vigesima, vittrice , a tanta opulenza salisse da Jar Alzare nobile sepolcro pel suo antico padrone ed insieme per se e sua famiglia . Tav. 1-7. 3Iaschere Bacchiche. Scorgesi due volte Bacco barbato in unione con Ampelo ; ed il gruppo è ripetuto in modo, che 1' una volta domini la maschera del primo, e l'altra quella del secondo. Tav. i8. Sacrifizio di famiglia . Undi Sacerdo- tessa con un vaso nella destra, e una scodella nella sinistra s' incammina verso un' ara per far sacrifizio a prò d' una famiglia composta di un fanciullo avvolto in ampio manto, d'un uo- mo palliato e di una donna velata . Questi ri- verenti seguono la Sacerdotessa e sono rappre- sentati in più piccola «tatura di lei . Il mezio- 84 globo eh' è presso V ara ptih credersi utia corti- na e sospettarsi, che nella parte in cui è rotto il marmo fosse espre'sso E<5culapio ; e che per- ciò il Sacrifizio sia per render grazie di salute recuperata." Qui finiscono i Bassirilievi del Pa- lazzo Albani, cui succedono quei della villa, il primo dei quali è espresso neila Tav. 19. DatiT-atrici Timdiche . Sono due fi- gure di grandezza quasi naturale ed assai, ele- ganti. L' una ha il cembalo, 1' altra i crotali; lo che indusse altri a chiamarle Baccanti. Ma riflettendo il N. A che questi stromenti non so- no esclusivi dell' Orgie del Nume Tebano, e che le mosse delle Saltatrici han del posato e del grave j si determina a crederle rappresentar quel- le donne dedicate a divertir gli spettatori dette Timeliche dalla Scena, ove principalmente fi- guravano. Tav. 20. e 21. lerndule Saltatrici . K noto che i Santuari degli antichi aveano lerodulee lero* duli ; fra' quali non v'ha dubbio, che non si trovassero delle persone istruite in ogni mestie- re , e in ispecie nel canto , nel suono , e nel bal- lo, onde contribuire a ravvivar 1* allegria , che circondar soleva i templi della Grecia ed ac- compagnare le sue feste. A simil ceto pensa il N. A. che appartengano le ballerine espresse in queste due tavole; e ve lo induce il vestir ser- vile e poco modesto, una certa corona di cui han cinto il capo, la quale pare esser di vinchi a guisa di cestino, e la mossa e attitudine ri- cercata, propria di persone che del ballo fan inestiero ; e diversa tanto dalle mosse graziose e franche dell' Ore e Ninfe , quanto da quelle concitate delle Menadi. La spiegazione è dotta ed ingegnosa; ma non è tale che appaghi pie- 85 inamente il lettore. Né è ciò colpa del valente Antiquario; ma sibbene della rappresentanza; la quale se c'indica che le figure che la forma- no sono danzatrici , ci lascia però all'oscuro del- la lor pertinenza . Forse un giorno ce ne faran venire in chiaro o qualche decisivo passo d'an- tico, o la scoperta di monumenti che al nostro «i assomiglino piìi di quei che or si conoscono, coi quali però non trascura d' istituire il paragone il N. A. Anzi aggiugne di più le spiegazioni di Winckelmarin e del Visconti facendo loro mo- desta , ma giustissima critica . Tav. 22. Donne Sacrificanti. Siede rirapetto a un'ara, in qualche distanza però, e fuori di un tempio una Dea che ha scettro nella sinistra, mentre quattro donne sono preste al sacro ri- to; ed una di esse è in atto di gettar pomi sui- r ara medesima . Non può determinarsi la Dea per la mancanza di simboli proveniente dall' es- ser questo marmo un frammento. Tav. 33. Quinto Loglio Alcamene. Notissimo- è questo marmo agli Antiquarj dopo ciò che va- riamente ne han detto Winckelmann nei Monu- menti antichi inediti, e nella Storia delle Ar- ti ; il dottissimo Marini nelle iscrizioni Alba- no; e il eh. Fea nelle note a Winckelmann, e nell'Appendice dell'Indicazione delia Villa Al- bani. 11 N. A. inclina all'opinione prodotta dal lodato Sig. Fea in questa ultima opera . L'aver dovuto dar luogo in questo nostro vo- lume ad altri articoli ci ha impedito di più di- lungarci nel presente. Nel futuro tomo darem conto almeno di tre distribuzioni , e così in se- guito , finché raggiunghiamo il dottissimo Au- tore. Gio. Batista Zannoui. ..■gi/^l:?r!ÌL-!-!_.!-l' ' '" . ' =^^Vj... Di alcune Pitture antiche nuòvamente scoperte in P^enezia. Conto reso al chlariss. Slg. Ab. Luigi •Lanzi Autore ddla Storia Pittorica Italiana . Venezia i, Gennajo 180Ó. (i) V. enezia da voi illustrata, ridondante di opere dell'arte, specialmente di Pitture anima- te a colori vivissimi e rilucenti , onde son pie- ni i Templi, i Chiostri, i Palagi, e le case de' Cittadini; la bella Venezia offre bene spes- so a' curiosi il diietto di riscontrare de' nomi d'artisti inosservati, che dan nuova luce alle prime epoche della restaurazione dell' arte da voi con bello studio descritta , e con tante gra- zie di stile, e copia di erudizione adornata . Non vi sarà quinci discaro , che io vi renda conto di alcune rarità nuovamente scoperte , le •quali alla vostra critica sagace e circospetta po- iran servire di qualche schiarimento per la nuo- va edizione notabilmente da voi accresciuta e limata della Storia Pittorica Italiana; cui suda- no già di nuovo alacremente i nitidi torchi Ee- mondiniani, assistita dalle cure amorevoli di due amici cultori delle belle arti. Né perciò solo io ve ne do parte , ma anco perchè essen- dovi voi compiaciuto nelle pregiate opere vo- stre di far a tutti palese la incredibile beue- (l) Questa lettera Pittorica dovca stamparsi nel Magazzino Letterario della nuova Accademia Iia- ìiana nell' anno stesso . Tolenza con cui m' avete ne* buoni studj am- maestrato , e sempre con lettere confortato , que- 6ta piccola remunerazione sia un pegno e di sincero affetto , e di eterna gratitudine alla gran- dezza de' vostri beneficii . Tra tante anticaglie anonime or ora da' schiu- 6Ì ricetti al giorno uscite , una gran tavola è ben conservata intatta , e ancor rilucente in campo d'oro. Sarebbe un tesoro, se come ha il nome dell' artefice , finora agnoto, avesse an- cor l'anno in cui fu dipinta; ma la jattura è compensata dalla forma non equivoca del ca- rattei'e, che giusta la frase di Plauto ne segna il secolo, n N^'n haec litterata est: abs se can- tai cuja sit . E,ud. ii, 5. v. ai. Dipinta è su 1' oro una Pietà : il B.edentore colle mani ferite sur petto , coi pie nel sepol- cro, tra la Santissima Madre addolorata , e S. Giovanni tutto dolente. Sopra le tre figure si legge , senza lettere caricate : MR . DÒ . mS . XPS . "S. IOANNES EV. In alto tra due Angeli dolentissimi sopra il Redentore pende una corona col titolo I. N. E.. I. e sotto ANGELVS PINXIT Nell'atrio del Chiostro, ov' era la Tavola, si vede lo stesso soggetto in antica scultura del Sec. XIII. come il carattere è tutto proprio di quella età, simile a quello con cui si soscrive (2) DQNATVS MAGISTER s7 MARCI DE VENECIA ANNO DNI M.CC.LXXVII .HOC OP. FEC. (2J Copiata esattamente dal monumento a Treviso. (Questi due monumenti sono i più antichi , eh' io III' abbia osservati col nome JeH' artefice nella prima epoca della Scultura e Pittura ri- fiorente in Venezia , circa 1' età di Tcc>fanc Greco Maestro di detta Veneta Si'uola ricordata in Za- netti Pittura t'\'nez. pag: 2. Se non che le forme J poste in luce più chiara , verrà meglio a cono* scersi il" merito di questo Artefice , il quale (spento appena quel lume divino di Giotto, e in Città così vicina ai prodigj da quel Pennello coloriti in Padova che ne va ben superba ) sep- pe ciò non ostante sorprendere un gran Sovra- no col suo carattere grandioso originale , e con quel modo suo proprio di esprimere la natura e adornarla . Per esso in queste, e nelle pittu- re di Trevigi pare l'antesignano della Veneta scuola illustrata da Quiricio ed Andrea da Mu- rano, e dalla famiglia de' Vivarini propagata per tutto il secolo XV. fino a' nuovi splendori di Giorgione e di Tiziano; non altrimenti che gli Alemanni lo riconoscono primo Maestro di Teodoro, e di Wumser e capo della insigne lo- ro scuola, illustrata nel secolo XV. dal buon Martino, da Wolgemut , e dal grande Alberto, lume chiarissimo nell' opere del pennello e del bulino. Ma dove mi trasporta l'amore, la reverenza à' primi Maestri scorti dalla natura a risveglia- re il bello dell' arte quasi smarrito? Oserei io di prevenire il vostro giudizio autorevole, quel de' Maestri di color che sanno , a' quali mi ap- pello? Passerò a rendervi conto d' altri Pittori Ve- neti dell' epoca di Tommaso sfuggiti alla dili- genza de' curiosi. Ma prima voglio notare due documenti inosservati , che illustrano il ritorno Cappella Rinaldi dipinta i^So. a S. Francesco ope- re l354. e la Bibbia II. gròssi Volumi MSS. in per- gamena pieni di miniature coli' iscrizione: r/iowia* ^fii est Btirasini filins auctor . l35o. 94 di Carlo IV. in Germania per la via di Treviso e del Friuli , dopo die fu ad essere coronato in Monza (i), indi in Roma dal Sommo Pont. Innocenzio VI. nel giorno di Pasqua 5. Apri- le i355. Vidi il primo nell'anno 17,^6. a Spilimbergo antico Castello dei Friuli. Nella Chiesa mag- giore in grand' urna sepolcrale leggesi a carat- teri Romani 1^ seguente memoria del ponte di legno fatto sul TagUamento pel passaggio di Car- lo IV. per opera di Volterò Signore di quel Castello , ivi creato per benemerenza Cavaliere dall' Imperatore. VOLTERVS . BERTOLDVS . A . CARVLO CAES . SVPER . PONTEM . SVBUCIVM INTER . DC. QVABTVS . EQVES . CREA TVS . TARVISII . PEAETOR . OBIIT . Nella facciata v' è un'altra lunga iscrizione dell' erezione di quella Ciiiesa , nell' anno M.CGC.LXXVI. Domiaantibus Nohb. Viris Vol- terò Bertoldo et NicoLio eius nepote dni^ de Spilimbergo . Di Spilimbergo pasrò Carlo IV. ad Aquileia col Fratello Niccolò di' ebbe compagno nel viag- gio delegatogli dal Papa per la ct)ronazione a Mpnza . Era stato Niccolò lino dal i35o. dal Pont. Clemente VI. dato succeissore al Patriar- ca di Aquileia B. Berirundo martirizzato , al cui sacro Corpo incorrotto 1' Imperatore pose per riverenza iu petto un giojii-llo di pietre pre* (\) Matt Villani 5:orie cap. 3p. e Frisi Mem. stoi. di Monza T. I. pag. 179. 9^ zìose, come fa fede T inscrizione della laminet- ta d'argento , cui è inserto il giojello, a lettere niellate alternativamente nere e rosse . >ì< ISTA . RELIQVIA . D' SCA . ELISABET . REGINA . VNGARIE . QVAM . D. D. CAROLVS . IPATOR . BEATO . BERTRANDO . OB . REVE- RENCIAM . D. CORPORIS . B. BERTRANDI . Pubblico volentieri questa insigne inscrizio- ne comprovante il culto antichissimo reso al Beato Bertrando subito dopo il suo transito; la quale sfuggì anche al dottissimo Monsignor Flo- rio, che con tanto studio si affaticò a raccoglie- re i documenti pubblicati nella vita del Beato l'jSp. , e 2. Edi/, 1791, per r approvazione del culto ottenuta dal Papa Benedetto XIV. Voi foste meco presente e testimonio della sorpresa di quel nobilissimo Capitolo di Udine, dove or 6Ì venera il sacro Corpo , quando all' occhio acutissimo dell' egregio e Nobile giovine anti- quario, allora di anni i3, , venne fatto di scor- ger nei fondo dell'urna le lettere della lami- netta, e tratta alla luce si lesse, ed egli la di- segnò con quella accuratezza , che per altra i- scrizione di Ceneda trasmessavi , a voi è pia- tìiuto ricordare graziosamente nella nuova Edi- zione della Storia Pittorica. T. I. pag. 3?. Ora tornando al tema proposto , da cui mi sono forse non inutilmente svagato , pari a Tom- maso di età e di merito è quel Lorenzo Veneto del quale il Zanetti p. 8. scoprì un' opera sola ma preziosa, col documento che fu pagata all'ar- tefice nel i3o8. al prezzo di trecento zecchini i è , ch'essa ottenne questa preminenza non solo nel parlar pulito e gentile de' Cittadini , ma ben anche nel rozzo ed inculto degli abitatori de' villaggi e delle montagne. Imperocché anche in questo es- sendosi scritte eccellenti poesie e non essendo- vi grande differenza tra l'uno e l'altro dialetto, il lettore si studia di superare quella non grave difncoltà che incontra nell' intendere incognite voci , ed egli si trova altresì bastantemente ri- compensato dal piacere che ha d'udire dalle bocche de' Contadini certe naturali , proprie , vivaci ed espressive parole nate ne' loro tuguri!, e nella loro discendenza custodite come in per- petuo retaggio. Anzi non di rado si ha il van- taggio di veder conservate nel loro parlare molte antiche voci della Toscana favella , che altronde erano andate in dimenticanza e che meritarono esse pure d'essere citale come testo di lingua nel Vocabolario della Crusca . Imperocché , sic- come osserva il dotto Salvini (Pros. Tose. Lez. Sa.) per non avere i villani, e gli abitatori de'mon- ti nelle loro favelle quelle occasioni di cangia- mento, che necessariamente s'incontrano dagli abitatori della Città ^intere vetuste lingue . come in sicuro asilo , e in casa per così dire di re- Jugio si San mantenute illibate ed illese ,, . (Quindi èche molti Poeti Fiorentini invaghiti del rozzo contadinesco favellare produssero com- ponimenti tali da potere stare accanto a quelli «critti nel culto linguaggio, e di questi Poeti vie- ne il N, A. a dar notizie storiche nella stessa Prefazione. Non ha compreso però in questa Raccolta tutti que' Poeti che hanno posto in uso il dialetto del Contado di Firenze, ma ha scelto solamente quelli, che paruti gli sono piii per- fetti imitatori del costume di que' Contadini , sì negli amori, che nelle altre loro villescixe fac- cende . Le Poesie dunque comprese in questa raccolta sono: LaNenciada Barberino di Lorenzo de' Me- dici; la Beca da Dicemano di Luigi Pulci: le stanze dello Sparpaglia alla Silvana sua inna- morata di Francesco Doni : le Rime e Con- cetti villaneschi d' Ameto Pastore composti per la Tonia del Tantera di Gabbriello Simeoni : il Ravanello alla Nenciotta, e la Risposta del- la medesima di Francesco Bracciolini Pistoigse ; il Lamento di Cecco da Varlungo di France- sco Baldovini : il Lamento del medesimo Cec- co in morte della Sandra , imitazione felice di quello del Baldovini fatta dal vivente Ch. Autore Luigi Clasio : 1' Amante Scartato , componimento grazioso del sud. Baldovini : e liuaUusnte le Stanze Husticali di Pippo Lavoratore da Legnaia alle Dame Fiorentine, di Jacopo Cicognini. S' e dato il "Sig. Ferrario tutta la cura per TGn- •der corretta la lezione di queste Poesie, avendo non solo collazionato tutte le migliori edizioni , ma ancora all' occasiona fatto consultare diversi ed accreditati manoscritti. Quanto ai primi due componimenti s'è servito molto dell'edizione di Londra del 1801. presso L. Nardini e Dulau,in cui son raccolte le Poesie del Magnifico Loren- zo, e di altri suoi amici e contemporanei; e in quello di Lorenzo gli è riuscito di supplire il sesto verso della stanza XV. mancante in quasi tutte r edizioni. Nei componimenti poi che se- guono, del Doni e del Simeoni , che son ri- prodotti forse come egli crede per la seconda volta , leggendosi il primo tra i Pistolotti del me- desimo, e il secondo in un Libro intitolato Sa- tire alla Berniesca di Gabriello Symeoni , dico r Autore ch« per non esservi né altre edizioni , né Bianoscritti da consultare , gli è stato necessario usar di tutta la diligenza per correggere non so- lo quegli errori che si riferiscono alla maniera di scrivere, ma ancora non pochi altri, di culla sana critica insegna a non sospettarne autori gli stessi Poeti . Quanto al Lamento di Cecco del Baldovini e a quello in morte della Sandra di L. Clasio ha fatto uso per il primo dell'edizio- ne corretta procurata da Orazio Marrini colle stampe del Mouke , Fir. i^SS., e per l'altro di quella di Gaspero Ricci del 1806. Le Stanze poi di Iacopo Cicognini son riprodotte anch' es- se per la seconda volta , essendo state per la pri- sma pubblicate dal sud. Orazio Marrini n^Ue sue Annotazioni al Lamento di Cecco, per disingan- io5 nare appunto queUi , che crcdevanle lavoro del- lo stesso Baldovini Autore del Lamento , ed ia esse il Sig, Ferrarlo ha dovuto farvi alcun can- giamento . Ha posto ancora dopo ciascun Idillio delle bre- vi, ma critiche e giudiziose note, e che conten- gono osservazioni non fatte da altri , e sono an- cora del tutto necessarie per l' intelligenza di tante incognite voci rusticali, le quali il non intendere avrebbe impedito di ben gustare que- ste araenissime Poesie . Deesi saper grado al Sig. Ferrarlo di tutte queste sue fatiche , e diligenze , che tendono a promovere lo studio della Toscana Favella, e muo- verlo così a dar presto alla luce la Tancia di Michelagnol Buonarroti il Giovane unita colle al- tre migliori drammatiche produzioni di simil ge- nere , come ci fa sperare in questo libro, il che non sarà meno utile e interessante. Tommaso Gelli . to6 .■-g>=g — ' "•' 1 ■ l'I ■ I— -.g^ _ Novità trasmesse di Parigi dal Sig.D. 'Bìgeschi. Berkes di Rothedbourg sulla Fulda ha fatto annunziare nei Giornali di Alemagna, che ha scoperto a caso una nuova materia per far le scarpe, le quali riuniscono molti vantaggi, e so- no specialmente utili alla classe povera della Società, I vantaggi di tali scarpe sono di esse- re inpenneabili ali* acqua ; che si possono ave- re in qualunque luogo, giacché la materia, di cui sono fatte , abbonda per tutto ; che il loro prezzo no-n eccede la somma di 40, ai 54. Kreutzers il pajo; che sono stabili , e durabili ai paragone di quelle di vitello, se si abbia l'av- vertenza di ungerle, ed incerarle di tanto in tanto', e che si possono accomodare facilmente, e con poca spesa, rotte che siano; finalmente, che difendono meglio delle scarpe ordinarie dal fred- do , e dalla umidità. Berkes non vuole farne conoscere la materia finché non avrà due mila soscrizioni, ma frattanto s'impegna di fare per- venire un paro di queste scarpe a chiunque gli invierà 64. Kreutzers franchi di porto . Un particolare di Berlino ha inventate una macchina economica , per mezzo della quale si può lavare, ed imbiancare in un quarto di ora dieci camicie da uomo , 0 da donna , con un rispar- mio almeno della metà del sapone, fuoco, e fa- tica. Un ragazzo di 8., 0 io. anni, può senza stancarsi far agire questa macchina tutto il giorno. Molti Giornali Americani hanno parlato di una T07 abbondante pioggia di pietre caduta il dì 14. Dirernbre dell'anno scorso in varj luoghi dello stato dei Massachusets . Essa fu preceduta da una forte tonazione . Le pietre le piìi grosse pe- sano 36. libbre, "Ponzi Chirurgo dentista a Parigi ha ritrova- to la maniera di fabbricare i denti artificiali di una sostanza terro-inetallica. Questa sostanza è stata esaminata accuratamente da dei Commis- sari scelti a posta, e l'hanno ritrovata incorrut- tibile, resistibile all'azione del calore, degli a- cidì , e dei gas di qualunque specie, e di una consistenza la piti straordinaria. I denti compo- sti di questa pasta non si distinguono ad occhio nudo dai denti naturali . Essi non hanno biso- gno di essere giammai smontati per ripulirli , e resistono a qualunque sforzo della masticazio- ne. Questa pasta prende qualunque specie di tinta, il che fa, che i denti artificiali asso- miglino perfettamente ai naturali. L'invenzio- ne del Fonzi è la migliore che si conosca finora in questo genere . ro8 LIBRI VARJ FIRENZE. D. lustiniani Imperatoris Instìtutiones per Ta- bulas Synopdcas dioestat. 1808. Nella Stampe- ria di Borgo Ognissanti Voi. 1. in Jbgl. Q , Oenzacheci trattenghiamo a rilerare il pregio di questo lavoro , il nome di Sinottiche mostra subito da per se la natura , e qualità del mede- simo, e conseguentemente il merito e vantaggio di esso. Tutto ciò che forma il sostanziale di ciasckedun Titolo de' quattro Libri, in cui soa divise l'Istituzioni, trovasi con sommo discerni- mento, e grande accuratezza disposto nelle sue respettive Tavole . Basta solo gettare lo sguardo sopra qualunque di esse, che subito vedesi a col- po d'ocehiu senza la minima fatica ciò che uno brama di riscontrarvi. Rende ancora sommamen- te interessante , e pregevole qucst' opera , il tro- varsi in essa ripubblicata , e premessa molto a proposito la dottissima Dissertazione di Cristiano Wolfio De Tahularum JInemonicaram construetio- ne et usu: la quale da molta luce alle dette Ta- vole Sinottiche . L' utilità di sì fatte Tavole in generale è stata ben prima d' ora conosciuta ; cosicché non vi ha quasi scienza, che di esse ne vada priva . Le sue ha la Teologia pubblicate ia Parigi nel 1669. Le sue l' istessa Giurispruden- za composte da Ludero Menckenio e stampate in Lipsia nel i^iS. e di Q^sse n'è adorna l' Istoria lOf filosofica di Bruckero edita in Augusta. Anch» a' nostri tempi è stata ridotta in Tavole la Fisi- ca e la Chimica con applauso de' letterati i laon- de ci lusinghiamo che un non dissimile incon- tro avranno le nostre che annunziamo, la di cui edizione è stata eseguita con la massima esattezza . Opuscoli inediti di Celebri Autori Toscani , C op^re dei quali sono citate dal Vocabolario della Crur sca. Firenze i8o7. Nella Stamperia di Boro& Ognissanti . V. I. in 8. Siccome nei volumi di questa Collezione d'O- puscoli Scientifici e Letterarj sono stati inseriti alcuni Opuscoli inediti di Autori citati dal Vo- cabolario , e che meriterebbero d' essere collocati nella Collezione dei Testi stampati di Gru?ca , è stato giudicato necessario il riunirgli tutti in un Volume per comodo degli Amatori, che rac- colgono i detti Testi. Questo Volume stampato in ottima carta papale legato alla Parmense si rilascia al prezzo di paoli 20. al solito Magaz- zino di Borgo Ognissanti . Se alcuno dei Sigg. Associaci alla Collezione che avesse la Raccolta di Crusca gradisse di farne acquisto, sarà rila- sciato per gratitudine ad esso a paoli 18.; av- vertendo per altro, che siccome le Copie di que- sto Volume sono pochissime , non si potrà man- tenere la parola, quando le dette Copie saran- no esaurite . no •- E. O M A Lettera di Filippo Aurelio Visconti al Sig. Con- te Alethy sopra un medaglione inedito di Fau- stina Seniore. 1807.J". Nel diritto è il ritratto dell'Imperatrice con la leggenda: DIVA AVGVSTA FAVSTINA » nel rovescio vedesi un carro a due ruote tratto da due bovi. Seggono entro una donna avente in capo il velo che sembra ritrarre alcun poco colla destra, e un uomo con parazonio o basto- ne, che ben non si distingue, nella sinistra. Crede il N. A. che vi si siano volute rappre- sentare le Feste di Giunone Argiva-, e lo pro- va assai bene. Anzi con autorità di antichi mo- stra che la donna è una Sacerdotessa , e 1' uomo che le siede accanto a sinistra è l'auriga. Una figura poi che par guidar il carro è da lui cre- duta significare la gioventù armata che accom- pagnava quella pompa . PISA Memorie della vita di Messer Cìno da Pistoja raccolte ed illustrate dall' Ab. Sebastiano Ciam- pi Professore di Logica , Metafisica , e Lingua Greca nelV I. Università di Pisa 1808. 8. Ne daremo l'estratto nel Volume seguente. PERUGIA Memorie per servire alla vita di Francesco Ma- turanzio Oratore e Poeta Perugino raccolte da Gio. Batista Vermiglioli. 1807. 8. Ne rende- lem conto nel futuro tometto. F o R L r UJ Dai torchi del Barbiani sono uscite alcune buone iscrizioni in lode del degnissimo Monsi- gnore Stefano Bonsignori Vescovo di Faenza, alle quali va unito un diligente discorso su' versi Saturniii L'autore del Libretto è il Gh. Sig. Ber- nardo Montanari Paroco di S. Biagio in Faenza . AVVISO Le Lezioni in burla, dette altrimenti Cfcafate furono messe in moda in Firenze fino dal pri- mo cominciaraento dell' Accademia della Cru- sca , ed incontrarono tanto plauso , che gli Edi- tori delle Prose Fiorentine raccolsero un buon numero di esse, e le pubblicarono in due Vo- lumi. Non sarà perciò disapprovata dal eulta pubblico r edizione di sei Cicalate inedite d' Au- tori Fiorentini de' nostri tempi, la quale si è intrapresa nella Stamperia di Borgo Ognissanti, Queste si stamperanno e si dispenseranno sepa- ratamente. Ne sono già uscite due: la prima in lode dei Maccheroni del Duttor Gammillo Ca- teni , 1* altra in lode dei Nasi Schiacciati del Sig. Ottavio Canovai , ed in breve sarà pubbli- cata la terza in lode dell' Asino del Sig. Ab. Gio, Batista Zannoni. Il prezzo di esse è di mezza li- ra per ciascheduna. La vendita si fa al Magaz- zino di Libri posto in Borgo Ognissanti, e alia dispensa delle Gazzette . HA INDICE DELLE MATERIE Contenute nel presente Volume. JLiezione di Lorenzo Giacomini Tebalducci Ma- lespini sopra il Sonetto àel Petrarca, La go' la il sonno ec. Pag. 5 Notizie di detto Lorenzo , e dell' Accademia de- gli Alterati . 20 Fine dei Poemetto di Catullo sul Maritaggio di Peleo e di Teti ec. 3j) /Z Battello di C. Valerio Catullo Traduzione del Sig. Cav. Tommaso Puccini Direttore dell' Imp. Galleria di Firenze , e Conservatore degli og- getti di Belle Arti ec 5s> Memoria del Dottor Giovanni Bigeschi letta air Accademia dei Georgolili : Dell' inocula- zione della Vaccina alle bestie a lana , e spe- cialmente ai Merini per preservarli dalla ma- lattia conosciuta sotto il volgar nome di fuo- co di S. Antonio ( Claveau dei Francesi . ) 63 Sommario di Notizie per servire alla storia Po- litica di Castiglion Fiorentino, del D. Luigi Eustachio Polidori ec. 6p Continuazione del ragguaglio del Bassirilievi Antichi di Roma ec 7^ Di alcune Pitture antiche nuovamente scoper- te in Venezia. Conto reso al chiariss. Sig. Ab Luigi Lanzi Autore della Storia Pittorica Italiana . S6 Ragguaglio del Libro intitolato : Poesie Riisti:a- h raccolte, ed illustrate coti note dal Dottor Giulio Ferrarlo ec. lol Novità trasmesse di Parigi dal Dottor Gio. Bigeschi. Io5 Libri Varj io? COLLEZIOISrE D' OPUSCOLI SCIENTIFICI E LETTERARJ E D ESTRATTI D' OPERE INTERESSANTI ViresqvLe acquirit eundo. VIRG. Voi. VII. FIRENZE 1808. NELLA STAMPERIA DI BORGO OGNISSANTI CON APPROVAZIONE. COLLEZIONE D' OPUSCOLI SCIEN Tirici E LETTERAKJ E D ISTRATTI D'OPERE INTERESSANTI, Lettera sullo stato attuale dell' Ostetricia In Fran.' eia del Dott. Giovanni Bigeschi Socio corri- spondente di più illustri Accadi^mie Toscane , di quella Imperiale di Torino , e della Socittà Medica di Emulazione di Parigi. Al Chirurgo Luigi Lotti Maestro nelV Imperiale Arci,>pe' dale di S. Maria Nuova. Stimabile Amico Oodisfò finalmente, stimabile Amico, ai vo^ «ri desiderjjche onorano tanto quei genio, eli»' vi distingue nella onorevole carriera , che bat- tete, dandovi un' idea la piìi precisa dello sta- to attuale della Ostetricia in Francia. Egli è vero, che l'opere celebri degli Ostetrici Fran- cesi annunziano a tutti il grado tli perfezioutì a cui vi è giunta quest' arce, ma gli scritti la- sciano tuttora da risolvere il problema interes- sante = in qual maniera Z' Ostetricia in tanti po- thi secoli vi abbia J atto dei proij;re^'fi co A oo/iit , 4. e hrlllanti , e sìa divenuta una Sciènza come prc pria di questa nazione . Nata r Ostetricia insieme cogli altri rami dell'arte salutare essa non ebbe però a comune con loro la stessa., sorte . Caduta tosto disgrazia- tamente fra le imbelli mani di femmine vi errò negletta di nazione in nazione per ben molti secoli . qua-i die destinata fosse a restar perpe- tuamente nello stato il piìi oscuro della prima infanzia . Invano non dirò fra gli Ebrei , ma bensì fra gli Egizj , fra quel popolo così culto, dei di cui lumi ne risg'ntiamo ancora la vantag- giosa influenza , invano , io diceva, si cerchereb- be fra essi un Genio solo, che sottraesse 1' Oste- tricia al suo disonore , e le imprimesse in fron- te l'augusto nome di Scienza. Ippocrate quel!' uomo sublime^ che dagli a- vanzi di s|)arse polverose tavole seppe dar cor- po, e vita alla medicina, e che vi portò uno spirito di osservazione , che formerà per sempre l'ammirazione dei buoni Pratici , fu il primo, che gettò un colpo d'occhio su quest'arte (i). Ma una teorìa troppo sovente falsa , e assurda , dei pregiudizi i piii ridicoli, i rimedj bizzar- ri, che raccomanda, i precetti in gran parte pe- ricolosi, o fatali, che stabilisce nella pratica, ci fanno conoscere in quale stato era ancora l' Oste- tricia ai suoi tempi fra i Greci: noi siamo però debitori al Medico di Goo di qualche bella e giusta osservazione , di qualche sano consiglio , 6 di aver determinato il primo il parto natura- fi) Ippocrate = De natura pueri = De morbis mu- lierum = De exsectione foetus in userò mortai = De superfoetatione . 5 le. Ma ad onta degli scrìtti d' Ippocrate , e di quelli successivi di Gelso (i), di Galeno (2), di Sorano Efesione (3) , di Moschioue (4) , e di Aezio (5), non per questo migliorò la sorte di quest' arte , sempre avvilita fra le mani delle donne, quantunque divenute piìi sagge (6). Tale fu la condizione della Ostetricia fino sul terminare del secolo V. , secondo Clero , o del VI. secondo Freind, in cui sorse Paolo Egi- neta, il quale non contento dello sterile nome di autore, fu il primo degli uomini ad eserci- tarla , detto perciò dagli Arabi vir obstetrix , e traendola così ad una vera vita, esso le fece fare qualche sensibii progresso riguardando il parto per i piedi come quello , che il meno di tutti si allontana dal naturale, e dando l'importante (1) Celso = De re medica Lib. vn. (2) Galeno = An animai sit , qu )d. in utero est, Lib. I. e II. = De Septimestri partii Lib. 1. (3) S'orano Efesione = De utero , et muliebri pu- dendo = Altri frammenti sulla Ostetricia di questo Autore sono inseriti nell'Opere di Aezio. Questo Autore è il primo , che abbia scritto espressamente sulla Ostetricia . (4) Moschione = De muliebribus affectibus grae- ce , et latine . Basileae i53S. (5) Aezio Amideno = Tetrabilioft . (6J Neil' harmonica Gynaecìorum , si trovano varj consigli , e ricette relative all' arte Ostetricia rile- vate dagli Scritti di Cleopatra , che alcuni credono la famosa regina di tal nome . AcAo riporta dei ca- pitoli interi di una Levatrice chiamata Aspasia , la quale doveva esser molto istruita in quest' arte . Plinio fa menzione di una certa Artemisia regina di Caria , di una Livia , Olimpia Tebana , e di al- tre , fra le quali la più famosa è Agnodice. Ga- leno fa menzione di alcune altre . «x-^viso , che le imprudenti, trazioni sulla pla- centa possono cagionare il rovesciamento dell'u- tero, e che è conveniente lasciarla in quel vi- ncere tutte le volte , che è ad esso fortemente aderente a fine di evitare questo tristo acciden- te. In questo stato cadde nelle mani degli Ara- bi, fra i quali il più celebre è Avicenna, che csercitara la medicina a Ispahan sul principio dell' XI. Secolo, a cui se l'Ostetricia è mai de- bitrice di qualche saggio precetto relativo alla pratica, dee anche ad esso, se non forse l'in- venzione, la prima descrizione almeno di una specie di tanaglia dentata, strumento il pili mi- cidiale, che ha sacrificato più vittime di quel- le che ne abbia forse salvate finora quello di Ghambellain . Avanzandosi così T Ostetricia con i secoli, e sempre divenendo più fatale nella pratica per i ferri micidiali, che ad ogni momento s'inven- tavano, trovò finalmente circa il i53o. Eucario Rodione celebre medico a Francfort sul Meno, il quale assai versato nel di lei studio ne pub- blicò un trattato (i), che si può riguardare co- me il più regolare comparso fin' allora alla lu- ce. Delineò probabilmente il primo delle figu- re per rappresentare le posizioni del feto nel- r utero, indicando un metodo, sempre però u- iiiforme, per ultimare il parto contro-natura in varj casi. La traduzione di quest'opera in La- tino , Inglese , Spagnuolo , Francese , ed in al- tre lingue ci fa comprendere, che il genio del- l' Ostetricia principiava ad estendersi fra le Na- (l) Rodione = De partu hominis , et quae elica ipsum accjdunt. Francofurti l53'2. zioiii le più eulte, e che si cominciava a cono- scerne la necessità , ed i vantaggi . Ma ad onta dei lumi non ordinar) di Rodio- ne, e di tanti altri, che si dedicarono dopo di lui all'esercizio di quest'arte, essa era avvolta tuttora nelle piìi folte tenebre , e nella barba- rie ; insegnava ancora le mutilazioni delle mem- bra del feto, le più crudeli carnificine-, non si aveva alcuna idea del meccanismo del par- to , delle dimensioni della pelvi , e di quelle della testa del feto, dei rapporti di queste due parti. Era ancora in pratica, allorché il feto non si presentava in una posizione favorevole, di agitare la partoriente, di farle prendere dif- ferenti penose situazioni dietro la veduta di ri- durre lo stesso feto nella posizione naturale . Se questi mezzi erano insufficienti per tal fine , o se i piedi non si presentavano per accidente al- l' orifizio dell'utero, onde ultimare il parto per quelle estremità, non si esitava più un momen- to a credere , che il feto fosse morto , e si ri- correva air uso degli onciui appuntati , e di al- tri micidiali strumenti; si dava ancora il pre- cetto di mutilare il braccio, allorché si avan- zava il primo nelle vie della generazione ; si usava tuttora la tanaglia dentata , fra le di cui branche restava schiacciata, e trafitta la testa del feto, si raccomandavano dei riraedj perico- losi , e talora fatali affine di accelerare il par- to, e r espulsione della placenta : tutto in som- ma fa sembrare , che 1' arte Ostetrica non aves- se altro oggetto in quei tempi, che quello di distruggere dei figli nel seno delle loro madri, invece di conservarli. Tale appunto era lo stato dell'Ostetricia al- 8 lorchè la natura, pentita forse di essere stata per tanti secoli così avara di un genio solo verso quest' arte così imjìortante , mentre, tanti ne a- veva già dati alla Medicina, ed alla Chirurgia , volle cancellare il torto, preparandolene una serie continovata , che doveva portarla ben pre- sto al più eminente grado di perfezione , e ren- derla l'Arte la più preziosa, ed utile alla uma- nità. Già si avvicinava il tempo, in cui il gran Pareo fissando in Francia la sede della Scienza ostetrica , doveva aprire quella brillante car- riera, in cui tanti uomini sommi dovevano im- mortalarsi un giorno. Fino da questo tempo noi vedremo fare dei sorprendenti progressi allaO- stetricia , senza mai più retrogradare , né cadere nel languore; noi la vedremo per una serie di epoche 1' una più brillante dell'altra avanzarsi a passo di gigante verso quello stato, a cui og- gi è pervenuta . Restauratore, o piuttosto fondatore della Chi- rurgia il Pareo, portò lo stesso genio nella bran- ca ostetrica (i) si elevò contro la pratica dei suoi predecessori, fa(.-endone vedere i gravi pe- ricoli, ma non fu però abbastanza illuminato per rigettare il barbaro metodo di mutilare il braccio, allorché il feto si presentava con esso air orifizio della vagina, per la di cui più fa- cWe esecuzione egli inventò anzi una specie di Cesoje; ma questo grave fallo gli si può ben perdonare in vista dello stato, in cui trovò l'ar- te, e di tanti salutari precetti, di cui 1' arric- (l) Ambrogio Pareo = Oenvres . Liv. xxiv. = De la generation de l'homme, et maniere d'extraire les cnfìins du \entre de Icur mere . Paris l582. 9 diì , e dell' ardore, e della emulazione, che risvegliò nei Chirurghi Francesi per il di lei studio, e finalmente per avere egli fatto il pri- mo degli illustri allievi, capaci di formarne sem- pre dei più grandi. Ben presto infatti Guille- mau di suo disce|tolo ne divenne emulo, e hu- perdio nella reitutazione , e nelle cognizioni in quest' arte, nella quale portò dell'ottime vedu- te, dei solidi principi, alcuni dei quali ne for- mano anche al dì d' oggi la base , e 1' arricchì d' interessanti osservazioni (i) . Po esso , che diede la storia della donna gravida, e dei par- to, che gettò un bel colpo d'occhio sulle puer- pere, sulleNutrici , su i nuovo-nati, che parlò delle loro malattie, e della maniera di trattar- le. Ma Severino Pineaut (2) celebre per le sue belle ricerche sulla ossificazione del feto, e sul- lo scostamento degli ossi del pube nel tempo del parto, oscurò la gloria di questi due suoi contemporanei, e Maestri , e chiuse il Secolo XVI. Frattanto le Belle Lettere principiando a fio- rire anch'esse in Francia, e dileguandosi al loro apparire i pregiudizj, le donne comincia- rono a farsi assistere generalmente dagli uomini nei parti laboriosi ; la fondazione dello Spedai maggiore ( hotel Dieu) in cui fu offerto un* pre- zioso asilo alle gravide ; tutto contribuì ad of- frire dei mezzi piìi estesi per istruirsi, per os- (1) Guillemau - De la grossesse et accouchenienc des femmes. Paris i6ci. (2) Pineaut = Opuscul. anatom. physiol. in duos libellos distinctum , in quibus primum de integrita- tis, et concepcionis virginum notis , deinde de gra- viditatc , et partu naturali mulierum,. in quo ossa pubisi distnihi demonstrantur . Parisiis xSp^. IO servare , e per estendere 11 genio dell* Ostetri- cia, in cui principiarono a distinguersi ,suir e- sempio delle Greche, le donne Francesi, fra le quali fu la prima a spiegare dei talenti supe- riori Luisa Bourgeois, Levatrice di Maria dei Medici E-egina di Francia, divenuta celebre per un suo trattato su quest' arte (i) , in cui ingegnò il mezzo fin' allora sfuggito a tutti di vista di riparare alle perdite uterine, che sopraggiuu- gono sugli ultimi tempi della gravidanza . Coli' avanzar del Secolo XVII, si avvicinava a gran passi un' epoca veramente brillante, 1' e- poca dell' iraraortal Mauriceau . Dotato di un genio sublime, di un giusto spirito di osserva- zione egli seppe trarre il piìi gran profitto dai casi , che gli offriva 1' esercizio dell' Ostetricia nel vasto Spedai maggiore, e per la Città di Pa- rigi, e s' immortalò con varj trattati (2), i di cui errori , pregio raro di un' opera , non furo- no svelati , che dal tempo, e dagli ulteriori progressi dell' arte . L' Ostetricia fra le mani di Mauriceau prese un aspetto quasi tutto nuovo; adottando egli i precetti del Pareo, e di Guil- (1) Luisa Bourgeois - Observations diverses sur la sterilite, parte des fruits , fecondité , accouche- mens , et maladics des femmes et enfans nouveaux- nés . Paris loop. (2) Mauriceau = Traité des maladles des femmes grosses, et de celles qui sont accouchées. Paris 1668. = Observations sur la grossesse , et l'accouchement des femmes. Paris lópS. = Aphorismes touchant la grossesse, 1' aceouchemcnt , et les maladies des fem- mes grosses. Paris 1694. = Dernieres observations «ur les maladiei) des femmes grosses, et accouchées. Paris 171 5. II kmau gli estese non poco, e ne accrebbe la soli- dità, e la sicurezza. Dettagliò le varie situa- zioni, che può prendere il feto nei parti detti finotsi contro-natura , insegnando particolarmen- te la maniera di estrarlo in ciascuna situazio- ne, che delineò con delle figure non disprezza- bili per quel tempo. Egli stabilì fissamente il precetto di estrarre il fero per i piedi , allor- ché non si ]iresenta con la testa, ma cadde an- ch'esso nell'errore di approvare la mutilazione del braccio presentato il primo, allorché, se- condo il suo metodo, non è possibile di respin- gerlo neir utero. Fu esso, che consigliò il pri- mo ad accelerare 1' ultimazione del parto arti- ficialmente nei casi di emorrogia uterina, e die- de la descrizione di un tira-testa da lui inven- tato. Dietro la propria osservazione descrisse pure estesamente le malattie delle donne gra- vide, delle puerpere, e dei nuovo-nati, inse- gnando il modo di prevenirle, e di guarirle . Questo è quel trattato, di cui per farne com- prendere il merito basta solo accennare , che r immortai Boerhave ne consigliava la lettu- ra , e la meditazione ai suoi scolari . Fondò sulla pratica dell' arte molti aforismi, di cui po- chi ne trovò da rigettare, e correggere il Le- vret, e che formano ancora i canoni dell'ope- re moderne, e 1' arricchì di circa ottocento in- teressanti osservazioni . Fu egli il primo final- mente, che stabilì nell'Ostetricia delle regole precise, e dei prìncipj invariabili, che ne rese la pratica più sicura, e meglio ragionata, per cui meritò dal grand' Haller quell'elogio: pri^ inus et'uiin justo opere rem ohstt:tricìam tradiJit. L'opere di Mauriceau, quantunque gli avau- 13 za menti dell' arte vi abbiano fatto scoprir nTolti errori , meritano però anche oggi di essere me- ditate dai sommi Ostetrici, e sono sempre con- sultate dai moderni Autori. Dopo la comparsa di Mauriceau fu appunto, che cominciarono a fiorire dei buoni Scrittori ancora fra le altre nazioni , i quali fecero fare dei rimarcabili pro- gressi all' arte, ajntati dalle osservazioni di ce- lebri Anatomici, fra i quali meritano il primo posto il Vesalio, ed il Kuischio . Portai (i), e specialmente Filippo Peu de- gno emulo di Mauriceau sorse ad illustrare la fine dello spirante Secolo XVII. con un trat- tato (a), unico frutto di una pratica continova- ta per ben quarant' anni, e di cinque mila parti osservati . A questo illustre Ostetrico noi siamo debitori della prima , e più esatta descrizione dei segni della gravidanza, e della distinzione dei dolori veri , e dei falsi : fu egli che fece ve- dere gì' inconvenienti di un riscontro troppo fre- quente nel tempo del travaglio del parto, che si elevò contro 1' uso fino allora invalso di ac- celerare questa funzione con delle pericolose manuvre, e con dei rimedj interni; fu egli in- fine , che osservò il primo , che le donne , che hanno la pelvi viziata partoriscono talora natu- ralmente, e felicemente, fenomeno importante, di cui ne ha svelata la causa lo studio del mecca- nismo del parto naturale , e che ha tanto in- fluito sulla pratica dell' arte . L' opera di Peu «ara sempre stimata dai buoni Ostetrici . (1) Portai = Pratlque des accoucht-mens , snutenne d'un grand nombre d'observations . Paris l6S5. (2) Peu = La Pratlque des accouchemens . Paris 1694. Pietro Araand (i) dovrebbe aver qui luogo, se il suo tira-testa fatto come una specie di fion- da avesse recato all' arte quei vantaggj, di cui egli si lusingava, ed avesse cooperato ai di lei progressi . Giacomo De la Motlie aprì il Secolo XVIII. mai sempre glorioso per l'arte Ostetrica .Un' ope- ra {J.) ricca di solidi precetti fondati su di una ben lunga esperienza, e dietro quattrocento os- servazioni esatte, ed interessanti, riportate coil un candore proprio unicamente degli uomini grandi, annunziò l'abilità di questo Pratico, ed i progressi, che egli fece fare alla scienza, a cui rese ancora un importante servizio Mesnard (3) con r invenzione dell' oncino curvo, e con i nuo- vi precetti, che diede sulla estrazione della placenta. Alla non tarda comparsa di Puzos per sempre celebre, l'Ostetricia acquistò ancora un nuovo lustro , e splendore . Degno allievo di CUmcnt , famoso ostetrico Parigino ne ereditò tutto il ge- nio, e le profonde cognizioni, le quali brillano nel suo trattato (4) su quest' arte , da cui si e- «traggono ancora tanti materiali per fabbricare dell'opere moderne. Una esatta descrizione dei (1) Amand - Nouvelles observatìons sut la prt- tìque des accouchemens . Paris l^lS. (2) De la Mothe = Traitc complet des accouche- mens naturels, non naturels , et concie nature . Pa- ris i^ai. (3) Mesnaid = la guide des accoucheurs , ou le maitre dans l'art d'accoucher les femmes . Paris 1743. (4i Puzos - Traité des accouchemens contenent des observations importantes sut la pratique de cec art ec. Paris 17 Sp. vizjdel bacino considerato relativamente al par-» to; la cognizione della forza contrattile dell'u- tero, per cui il feto è obbligato a venire alla luce; due eccellenti capitoli sul riscontro, in cui dà la prima idea di quel segno prezioso , elio ci somministra lo stesso riscontro , chiamato po- scia dai Francesi baliottement ,y unico che ci pos- sa far distinguere per tempo non solo se una donna è gravida , ma eziandio se la gravidanza è vera , o falsa ; la confutazione di molti errori degli antichi, le nuove, e belle vedute ed i sa- ni precetti, che egli porta, e stabilisce tanto nella teorìa , che nella pratica dell' arte Ostetrica, mostrano a tutti i di lui elevati talenti , e pro- fondi lumi. Ma quali progetti non meditava an- cora questo sommo Ostetrico, a qual perfezione non avrebb' egli portato quest'arte, qual' esten- sione non avrebbe dato alla sua opera, se una immatura morte non avesse troncato il filo di quei giorni , che esso consacrava al bene dell' uma- nità , e dei posteri ! L'opera di Puzos, quantunque troppo ristret- ta , merita ancora un rango distinto fra le pivi moderne, e la di lei rarità ci fa conoscere qual caso ne fanno gli Ostetrici viventi . Ecco qual uo- mo illustre annunziò all' Europa un' epoca la più memorabile nei fasti dell'Ostetricia; ecco, chi fu il precursore dell' immortai Levret. Alla comparsa di questo genio sublime verso la metà del Secolo XVIII. la teorìa dell' arte , ed in gran parte la pratica cangiò quasi totalmente di faccia. I principi inconcussi, su cui la basò, le utili, e grandiose scoperte di cui l'arricchì sono tali, e tante, che superano esse sole dirò an- ch'io con Sue f tutte quelle fatte nello spazio di due Secoli da tanti uomini sommi, che l'aveva- no preceduto. L'Ostetricia dee infatti ad esso un numero esteso di osservazioni le più interes- santi sulla causa , e gli accidenti di varj parti laboriosi, (i) in cui sono discussi i punti più importanti della pratica; il metodo di guarire radicalmente i polipi della matrice, e di altre parti ancora, metodo, che ad onta della corre- zione di Desault molti lo praticano tuttora (2); i princip) geometrici, a cui ha ridotto la teoria del parto , e la prima cognizione dei diametri obliqui della pelvi, sfuggita a Smelile, scopri- tore degli altri (3): le luminose vedute sul mec- canismo della gravidanza , spiegato per mezzo di varie figure : un eccellente memoria sulla ma- niera di estrarre la placenta , che racchiude le più belle cognizioni, ed i veri precetti, che si osservano rigorosamente anch'oggi in questa o- perazione (4) : i commenti agli aforismi di Mau- riceau , un trattato sull'abuso delle regole gene- rali , e su i pregiudizi , che si oppongono ai pro- (1) Levret = Observations sur les causes , et le* accidens de plusieurs accouchemens laborieux . Pa- ris 17AZ- - Suite des observations sur les causes ec Paris 1751. (2) Observations sur la cure radicale de plusieurs polypes de la matrice, de la gorge, et dunez,o- pérés par de nouveaux rnoyens. Paris 1749. (3) L' art des accouchemens demontré par des principea de physique, et de mechanique ec. Pari* J75Ó. (4; Memoire sur la méthode de délivrer les fem- mes après l'accouchemens , et sur les diiFcrentes precautions qu'exige certe opération , suivant le* circostances . = Meraoires de l'Acad. Rovai, de Chi- lurg. T. III. ì6 gressi dell'arte in cui la scelta delle nutrici, e l'allattamento, fra gli altri articoli, vi godono unpostoe[ninente(i): l'invenzione delle pinzet- te -d falso g\irtm ,che possono essere utili in molti casi, e di an tira-testa a tre branche; che per verità non corrispose all' espettati va , Ma per ninna opera, per nessuna intenzione l'arte, e l'umanità potevano essere giammai pili ricono- scenti al Levret, quanto per la correzione della tanaglia, immaginata probabilmente da Chain- bellain in Inghilterra , e fatta coaoscere in Fran- cia dal Pallino. Riilucendo egli , qua&i nel tem- po stesso del gran Smelile a Litndra, le branche curve, di rette, che erano, rese la tanaglia lo strumento il più preziMS0,ed utile che vanti l'ar- mamentario Ostetrico, e s' immortalò presso i po- steri . A quest'epoca la preponderanza , che la Fran- cia aveva già acquistata sulle altre nazioni nel- l'arte Ostetrica si cangiò in una superiorità de- cisiva , e gli Ostetrici dell' Europa corsero in folla a Parigi a mischiarsi fra gli allievi del Le- vret, onde ascoltarne 1' oracolo, ed arricchirsi delle di lui vaste cognizioni . Questo elogio giustamente dovuto a questo grand' uomo non vi faccia però credere, stima- bile amico, che l'arte Ostetrica fosse giunta al- l' ultimo grado di perfezione fra le di lui mani . Una imperfetta cognizione dei rapporti fra le dimensioni dei diametri della testa del feto , e quelli del bacino, e per conseguenza!' ignoran- (l) Essai sur l'abus des regles générales et contre les préjugés qui s'opposent aux piogrés de l'art dea accouchemcns . Paris 1766. r za del vero meccanismo, col quale essa viene alla luce nel parta naturiile; la falsa spiegazione dataavarj fenomeni che si presentano nella gra- vidanza, e nei parti laboriosi, trasse il Levret in tina folla di errori , che adombrano alqnanto la diluì pratica. Il metodo generale pernicioso, con cui insegnava nei suoi corsi privati , ap- plicare la tanaglia ; l' insufficiente cognizione dei rapporti della forma di questo strumento da lui corretto con la struttura della pelvi , cui insegnò introdurlo in alcuni casi in una manie- ra affatto svantaggiosa, e sovente pericolosa, tutto prova , che restava ancora molto all' Oste- tricia onde perfezionarsi . Finalmente 1' appli- cazione della tanaglia sullo stretto superiore del bacino, fatta alla di lui presenza nella sua età. avanzata , che lo fece esclamare in un momento di meraviglia: ahi vedo bene che s' impara an- che da vecchj : gli fece comprendere, che esso lasciava un vasto campo ai posteri per segna- larei nella carriera dell' arte . Dovrei parlarvi qui di Astruc, e di Oelen- rye , se le loro opere presentassero qualche cosa di nuovo . Il primo dopo aver assai ben trattato delle malattie delle donne, pubblicò un'opera in Ostetricia , in cui , in mezzo ad una sfarzosa erudizione vi si trovano dei precetti così as- surdi e perniciosi , che si vede bene , che esso non ha mai esercitato 1' Ostetricia, come real- mente confessa nella prefazione (i). Il secon- do, cognito per varj trattati (2}, quantunque (l) Asri'uc = L'art d'accoticher reduit a. ses pvinci- pes . Paris 1766. {■2.) Dt'leuryc = Tralté d'accouchemens en faveur i8 sia uno Scrittore accurato , e buono osserva- tore , la di lui pratica ci offre anch' essa molti inconvenienti . Noi gli saremmo tenuti per il nuovo metodo di applicare la tanaglia sullo stret- to superiore, se egli non avesse involato que- st' onore a Smellie, e se Solayres non l'avesse fatto conoscere in Francia prima di lui. Io non passerò però sotto silenzio il nome di una illustre levatrice Margherita Decoudray, la quale non solo si distinse con un trattato sul- l'Ostetricia (i) , ma per r invenzione ancora della macchina ostetrica, sulla quale insegnò essa la prima a manovrare . E^ questa celebre donna quel- la , che per ordine del Re Luigi XV. percor- se il Regno Francese , onde insegnare nelle va- rie Provincie quest' arte salutare, e farvi degli allievi, e che salvò dalle più orribili carnifici- ne migliaja d'innocenti vittime, sacrificate dal- l'ignoranza per le campagne. Alfonso le Roy attuai pubblico professore di Ostetricia alla scuola di medicina di Parigi , quantunque siasi annunziato la prima volta al pubblico con un'opera (2), che sembra ideata in generale per far retrogradare quest' arte , e des élevcs ec. 1770. = La mere selon l'oidie de la nature, avec un traitc des maladies des enfans. Pa- ris 117/2. - Nouvclle methode de porter le forceps au-dessus du detroit superieur = Ob.servations sur l'opératiori césarlenne faite k la signe bianche -, et sur l'usage du forceps , la tcte arrétee au detroit superieur . Paris 1779. (1) Decoudray = Abrégé de l'art des accouche- mens ec. Paris 1777. (2) Le Roy = La pratique des aceouchemens pre- miere partie ec Paris 1776. ^9 screditare tutti i di lui predecessori , e sel)lita gettare gli occh) suU' opera citata T. I. p. 3j4- ove accusa sfacciatamente 1' Accademia di Ciiirur- «la di Parigi di avere coronato V ignoranza , e la mala fede , accordando 1' approvazione all' opera di Baudelocque . (2) Sacombe = Elcmens de la Science des accou- chenicns. Paris liìcl. - La Lucine franc;aise. Journ. pcriod. la Luciniade , poeme en dix chants, sur l'art des accouchemens . (3j Saccmbe ha esercitato per qualche tempo 1' O- stetricia in Parigi , ove è rimasto celebre non già per i suoi talenti, ma bensì per le sue follie, e per 25 Millot , quantunque nel confutare i pretesi errori di Baudelocque , ne abbia voluti per- le sue opinioni le più ridicole, e stravolte, che so- no però perdonabili se si rifletta che era veramente più poeta , che Ostetrico . Dotato di uno spirito il più turbolento , si dichiarò nemico di tutti i migliori Ostetrici , e uomini grandi contro di cui ha sfoga- to tutta la sua rabbia con delle espressioni degne unicamente di un forsennato nel giornale di cui era egli stesso T autore . Esso dava dei corsi privati di Ostetricia , a cui interveniva un numero estraor- dinario di Scolari , quali aveva fanatizzato a segno, che fu capace d'indurii a rappresentare una com- media scritta da lui stesso a bella posta per mette- re in ridicolo alcuni sommi Ostetrici . La maniera , con cui esso si annunziava al pub- blico lo caratterizza per un ciarlatano . Per convin- cersi di questo basta leggere il suo avviso al pub- blico in occasione di cangiare di abitazione , con- forme il costume Parigino ; esso è concepito in que- sti termini: Le Docteur Sacombe a Vhonneuy de voiis prevenir que sori dnmicile actuel est ec. - fori de Vexperien.' ce , et de Vohservation , il se charge d'accoucher toujours hetirensement , et sans opérations , la fem- me la plus contrafaite , et deguerir radicalement les pertes , ori hérjwì-ragzes uttriiies , les epanchemens laiteiLx , et les fleurs blanches , quelque invétcrées qiie puissent etra ces nialadies ec. Nemico acerrimo della operazione Cesarea, esso giunse perfino a negare la possibilità dei casi , in cui ella può convenire, e ad asserire francamente che giammai è stata fatta questa operazione con suc- cesso , trattando di mala fede tutti gli autori, eh» ne riportano degli esempj . Esso sosteneva , che non 26 petuare dei veri nell' Ostetricia , pure merita un qualche riguardo per le vedute nuove , o almeno migliori, che vi ha portato su varj punti tanto teorici , che pratici , e principal- mente sulle cause della sterilità, sull' origine del cordone ombellicale , sulla classazione del- le diverse specie del parto , dando specialmen- te il giusto nome di contro-natura a quello, che si effettua artificialmente per tutte altre vie , che per le naturali ; su i mezzi di con- servare in vita i figli settimestri , sulla manie- ra di evitare, e di prevenire 1' emorrogie nel tempo, e dopo l'estrazione della placenta, sul pericolo degli astringenti presi internamente in tali casi; sul metodo di rimediare alle per- dite derivanti dall' inerzia dell' utero, metodo vi può esser donna così contrafatta , che non sia ca> pace di partorir felicemente con le sole forze della natura, che non esistono vizj di conformazione del- la pelvi , e che i bacini mal conformati che forma- no le collezioni degli Ostetrici appartengono a dei maschj . Sosteneva inoltre, fra tante altre ajssurdi- ta., che giammai può accadere la rottura dell'ute- ro spontaneamente nel tempo del travaglio del parto. ^ Per meglio far conoscere quanto era contrario al- l'operazione cesarea, intitolò la sua scuola Antiie- sariana , ed il suo fanatismo arrivò tant' oltre , che aveva ideato il disegno di una piramide , che do- veva essere figurata nell' anfiteatro , ove dava i suoi corsi privati , ed alcuni asseriscono che vi ha esi- stito . Essa era destinata a serbare i nomi Ji alcu- ni celebri Ostetrici , che avevano eseguita questa o- perazione senza buon successo . E^ curioso il conte- nuto di questa piramide, che .si osserva delineata nella seguente forma nei registri della Scuola An- ti-Cenariana . 27 A la Posterità vengeresse du Crime et juge impartiale de la Vérité L' ÉCOl E ANTI-CÉSAR TENNE transmet les mms DES DUBOIS , Des BAUDELOCQUE atné : le premier , c^mme auteur ; le second , comme complice di l'assassinar de la femme Va seub ues CoUToULV , qui ouvrit le tìanc '^e la citoyenne Denos : enfin , de» "ei.letan , qui éventra qratre fem- ^es enceintes au grard hrspice d'Hu f'manité de Paris, quoiqur le fondateni' de certe École eùt donne . L'an II. dans' se.s' Observations , k tous If'S instrumeii- feurs , crocheteurs, Opérateurs-césariens et symphisiens , le Défi Loyal et Solennel de terminer tout accouchnment avec la main Sommes-nous au XVI. ou au XVIII. Sie- de , chez les Francois , ou chez les Antr pophages ? Mànes des Bailly , des Roucher ,^ des Lavoisier , répondez-nous ! Ma queste non sono le sole indecenze, che Sa- combe si permesse contro tanti uomini grandi , e specialmente contro Baudelocquc . Questo ultimo 28 eccellente , ma dì cui egli pretende a torto d'es- serne l'inventore (i). Fra i benemeriti dell'arte Ostetrica va giusta- mente distinto il Dott. Maygrier (a) , il quale ne ha semplicizzato il 3Ianuale , diminuendo di Ostetrico fu chiamato ad assistere una partoriente, la di cui p^lvi era rimarcabilmcnte viziata di ri- strettezza, ed il feto era già. morto da qualche gior- no-, nel tempo che Baudelocque si accingeva alla operazione , la donna essendo di una natura som- mamente irascibile , e dandosi in preda ai più vio- lenti moti del corpo , accadde la rottura dell' ute- ro , come egli aveva già predetto , e la partoriente morì poco tempo dopo questo tristo accidente . Sa- combe si approfittò di questa circostanza per scre- ditare Baudelocque , su cui gettò tutta la causa del- la lugubre catastrofe , alterando maliziosamente le circostanze del fatto ; esso fece circolare dei libelli così ingiuriosi , e infamatori , che Baudelocque fu alfine costretto a reclamare il favore delle leggi . S' intraprese il processo contro Sacombe , il quale essendo stato ritrovato un vero calunniatore , fu condannato a pagarne tutte le spese , ciò , che finì di sconcertare le di lui finanze , di già estremamen- te dissestate, per cui fu costretto ad abbandonar Parigi, ove una condotta imprudente l'aveva gik reso odioso a molti . Presentemente alcuni credono che sia in Russia , altri asseriscono , che vive in- cognito in Parigi . Plaidoyev^' poiir le Sieiir Baudelocqiie cantre Jean FrangoLS Sacombe, se disant niédecin-accoucheur , prononcés par Mr. Delainalle aux audiences des 28, 3o. Messidor , et 7. Thermld. An. XII. (1804. ) (l) Millot = Supplérnent a tous les traités tant étrangers , que nationaux sur l'art des accouchcmcns . Paris 1804. = L'art de procréer les sexes a volonrc . (■2) Maygrier = Nouvelle méthode pour manoevrer les accouchemens . Paris 1804. = Dissertaticn sur la delivrance . assai le posizioni del feto descritte dal Baude- Incque, e dando una nuova nomenclatura delle vane specie del parto , la quale , quantunque non sia stata per anche abbracciata , non è però disprezzabile , essendo la prima , che richiama col nome alla memoria la presentazione dei fe- to , e la maniera con cui si dee agire . La sua dissertazione sulla estrazione della placenta in tutti i casi , che possono darsi è degna di esser meditata, e fa concepire le più belle speranze 8u questo giovane Ostetrico, che sì prest»»ha co- minciato a distinguersi nella carriera, che per- corre , ed in cui darà quanto prima altre riprore del suo genio neli' arte . Noi non possiamo ve- dere però che con pena , che egli abbia oltre- passato d'alquanto i limili di una giusta sempli- cità nel manuak , e che il processo, che esso in- segna per ultimare il parto per i piedi sia in al- cune posizioni del feto assai piti diffìcile ad ese- guirsi di quello dettagliato dal Baudelocque . Lo stesso si può dire dell'applicazione della le- va nel caso della testa rovesciata, in cui corri- sponde con la fronte al pube . In un Secolo così illumuiato, in cui 1' 0.=te- tricia è divenuta in Francia il principale studio di sommi medici, e chirurghi, essa si vede ad ogni momento arricchita di preziosi scritti, ove si leggono delle interessanti osservazioni , la correzione di qualche errore , la perfezione di qualche metodo, qualche nuova teorìa, o scoperta. Troppo ci vorrebbe, stiiiiiibùe amico, a passare in rivista tutti coloro , che hanno scritto su qual- che punto di quest' arte dopo 1' opera di Bau- delocque. lo VI citerò Solamente i più illustri, come Flamraant pubblico Professore di Ostetricia 3o a Strasburgo , il quale ha tentato in questi ultimi tempi di far rivivere la dottrina d' Ippocrate , in- segnando a ricondurre il feto nella posizione del parto naturale in vece di estrarlo per i piedi , allorché si presenta all'orifizio dell'utero con tutt' altra parte fuori della sommità della testa , e quindi lasciare il parto in braccio alla natura, o ultimarlo con la tanaglia. I gravi pericoli, a cui resta sempre esposto il feto allorché si estrae per i piedi hanno indotto quest' uomo stimabile a raccomandare un tal metodo, che segue egli stes- so. Quantunque questo motivo sia n^ahnente giusto agli occtii di tutti li Ostetrici illu^iinati , ognun vede però , che la pratica pro])0«^ta da Flammant, commendabile d' altronde , non è ese- guibile, che nei soli casi di somma mobilità del feto sullo stretto superiore della pelvi , e che man- cando questa circostanza non solamente essa sa- rebbe pericolosa al figlio, ma molto più ancora, alla madre (i) . Il Dott. Lobstein (2) pubblico Professore di Anatomia nella stessa Città di Strasburgo ha pubblicato un'opera estesa, ed interessante sul- la nutrizione del feto, e di varie altre specie di animali. Thouret , direttore della Scuola di medicina di Parigi, dopo un seguito di belle, e nuove esperien/.e, ha teso dei servizj impor- tanti all' arte , determinando qual parte della te- sta del feto è compressibile, e fino a qual pun- (l) Dopo che Flammant aveva fatto stampare la sua memoria a Strasburgo ne impedì la pubblica- zione . (•2) Lobstein = Essai sur la nutrition du foetug . Srrasbourff. i8c3. to può essere utile per l'effettn azione del parto ]a riduzione di essa ; ed ha istituito inoltre del- le ricerche sulla compressione , che è capace di soffrire senza pericolo il cordone ombellicale. Chaussier ha insegnato a distinguere l'età del feto per mezzo della misura del di lui corpo presa dall' ombellico, mettendo così in grado gli Ostetrici di portare un giudizio sicuro sul- le nascite premature, e forse ritardate ancora; ha immaginato parimente un tubo per ispirare r aria nei polmoni dei feti asfìttici, e si occu- pa presentemente d' interessanti esperienze . Lau- verjat ha indicato un nuovo metodo per fare l'o- perazione cesarea (i). Valentin, e Rouget (2), hanno pubblicato delie belle vedute sulla ma- niera di ariestare V emorrogie uterine nel tem- po della gravidanza , e dopo il parto , acci- dente terribile, contro di cui è sovente perni- cioso, o inutile il metodo dei celebre Leroux di Digione (3). Ma dopo tanti sommi Ostetrici, che hanno illustrato quest'arte fino all'anno iSo'^., e ne hanno estesi di tanto i confini, la natura non e- ra ancora stanca nel donarle degli uomini gran- di; produceudo Gardien, ultimo Scrittore della (1) Lauverjat = nouvellc méthode de pratiquer l'opération Césaiienne . Paris 1SL4. (2) Valentin = Esàai sur les perces qui préct-dént, accompagnent , ou suivent l'accouchemens . Paris 1804. - Rouget = Mc-thode nouvelie pour arrctcr une hemmoragie uterine après l'accouchemens . Pa- ris 1807. (3j Leroux = Sur les pevtes de sang des femines cn cjuches, et sur les moyens de le guerir . Dijon 127Ó. 52 Francia fino a questi giorni , sembra , che essa abbia voluto cancellare affatto la rimembranza dei torti passati . L' opera che ha pubblicato que- sto medico, superiore a qualunque elogio, ha oscurato il pregio di tutte le altre, e rendendolo famoso per tutta l'Europa, gli ha assicurato l'immortalità nei secoli futuri (i). Se in essa non vi si scorge il genio creatore , vi si trova almeno tutto ciò , che è stato scritto fino a qui su quest' arte fra tutte le nazioni ; a livello di tut- te le moderne cognizioni fisiologiche, e di tutte le scoperte la teorìa vi ha una parte brillante , e così estesa, che non lascia alcuna cosa da de- siderare: meno complicata di quella di Baude- locque sebbene basata sugli stessi principj ,e j)ià estesa, e dettagliata di quella dì Maygrier la pratica vi ottiene un posto eminente , e vi brilla per la sua bella , ed utile semplicità , e per T or- dine con cui vi è esposta, resultante da una nuo- va, e giudiziosa divisione del parto. Le malat- tie delle donne gravide , partorienti , e delle puerpere, il trattamento, e le malattie dei nuo- vo-nati vi sono esposte con la maggiore esten- sione, secondo i princip] della buona medicina Inglese, Tedesca, ed Italiana, e con quel pro- fondo criterio, che distingue questo eccellen- te medico. L'educazione medico-fisica dei bam- bini vi e trattata in una maniera la più bella, ed interessante . Questa è 1' opera la più grande , ed estesa , che finora sia comparsa alla luce, e 1' unica , (l) Gardien = Traitè d'accouchemens , des mala- dies dcs femmes , de l'éducation medicinale des en- fan» , et des maladies propies acet àge. Paris l8o7. 33 che si possa dire veramente completa , e chs non lasci alcun vuoto nella Ostetricia nello sta- to dello attuali comune a Parigi, che non si possa meglio- rare in qualche parte la tanaglia di Dubois senza Éarle perdere «lei vantaggi pet altre. 36 esercitava con tanta reputazione , e vant3gsiae an. 1795. si\ onta di tutti gli sforzi di tanti gen] immor- ali di ogni nazione, 1' Ostetricia sia arrivata o- ramai ad un «[rado tale di perfezione , cui 1' età future non poissano più nulla agtjiungere . Egli è vero, che fra le altre branche dell'arte sa- lutare essa è la più perfetta , che è basata su dei principi capaci di una dimostrazione geo- metrica; ma senza parlare della teorìa invilup- pata ancora in gran parte nel velo misterioso d'eli' ipotesi , che presenta la fisica animale , e che il filosofo ha sovente tentato invano di squarciare, di quanta perfezione non sono an- cora suscettibili i var) processi indicati per ul- timare il parto nelle varie posizioni in cui si può ])resentare il feto nei parti laboriosi ? La quasi assiduta impossibilità d' incontrare nella pratica la più estesa tutti questi casi obbliga sii Scrittori a realizzare sulla macchina artiti- ciale la maggior parte dei metodi insegnati per la manovra (i), ma qual differenza da una mac- china ad una donna vivente! con qual faiùlivà non si opera sulla priuja, e quali ostacoli non s'incontrano ben sovente sulla seconda, che fan- no versare più di una goccia di sudore ai più abili operatori! Ecco il vero motivo, per cui si trovano dettagliate iii tanti Autori , d'altron- de !«rimabili, delle manovre iinpo.-silnli ad ese- guirsi sulla partoriente, senza es[)orla ai più fi) Dalle osservazioni fatre da! Baiidflocque al- l'ospizio della maternità, di Parigi resulta, che di ìll^l. parto, l-l^iS., nono Htati naturali , e 178. soli si sono ultimati artificialmente, cioè iò'2. con la Tna- no , 3l con la tanaglia , e p. con gli oncini = Ta- bleau des accouchemens ec. 1 gravi evidenti pericoli, oppure così difficili, che stancano inutilmente i pratici; questa è la ragione , per cui la manovra ostetrica è tuttora in gran parte imperfetta , e lo sarà forse anco- ra per lungo tempo. Molti altri articoli final- mente di quest'arte offrono ancora il campo a nuove indagini, a nuove scoperte, in cui po- tranno segnalarsi dei talenti felici . Ma in qual maniera dopo il Pareo l' Ostetri- cia Ila cosi vivamente brillato in Francia, e vi si contano tanti celebri Ostetrici ; perchè vi pas- sa di generazione in generazione acquistandovi sempre un nuovo lustro, e splendore? Eccoci giunti a quel problema , di cui spero potervi dare una soddisfacente soluzione. Egli è qui ove quadrerebbe bene il paragone delle Scienze al- le piante esotiche , le quali non allignano nel clima estero, che in forza di una diligente col- tura. L' Egitto , e la Grecia ci fornirebbero principalmente delle prove evidenti di questa verità. Se la Francia ha acquistato una superiorità as- soluta sulle altre nazioni per 1' Ostetricia , ciò non deriva, che dalla maniera, con cui vi si coltiva, vi s'insegna, e si propaga il genio di quest'arte, e dagli stabilimenti destinati a rice- vere le donne partorienti. Fra questi! piìi con- siderabili sono r Ospizio della maternità e 1' Ho- tel Dica. Io non potrei darvi meglio una idea esatta del primo, destinato a ricevere unicamen- te le donne gravifie, che col farvi osservare, che dal dì io. Dicembre 1^97. fino al Si.ljuglio 1806. vi sono nati r2"5i. figli (i). Questo stabi- fl) Tableau dts; accouctemens ec. par M. Bau- delocque . 40 Cimento è destinato pariieolarraente alla istruzione d.elle levatrici di tutto l'Impero Francese. Il nu- mero prodigioso dei parti giornalieri , che danno liiofo ad una pratica la più estesa , i corsi d' Oste- tricia clie vi dà Baudelocque, Ostetrico in capo di quest'ospizio , mettono le stesse levatrici a livello de' mi^^liori pratici nelle cognizioni dell' arte . Se non è uno dei principali oggetti per i progressi della O.stetricia che le levatrici siano bene istrui- te, lo è certamente per il bene della umanità. E^ una verità, che non ha bisogno di prova, che tutti i parti dovrebbero essere felici , ec- cettuati i casi di viziata conformazione della pel- vi, delle vie della generazione, o del feto , se gli Ostetrici fossero chiamati per tempo presso lo partorienti. Nei primi stadj del travaglio del parto allorché il feto è del tutto mobile sullo stretto superiore del bacino , qualunque sia la posizione contro natura, nella quale esso si pre- senta è sempre facile di eseguire qualunque ma- novra o per ridurlo alla posizione naturale, o per estrarlo per i piedi; l'esperienza insegna tutto TÌorno , che il cangiamento della situazio- «c della partoriente, un solo dito introdotto a tempo neir utero può ricondurre al centro del bacino la testa del feto, che s'impegnava obli- quamente nello stretto superiore , e che annun- ziava un parto laborioso, in cui la vita dello stesso feto corre trop[>o sovente i piìi gravi peri- coli. Ma per mala avventura l' antico uso non anche totalmente abolito richiama al letto del- le partorienti le levatrici prima dell' Ostetrico ; esse sole si trovano presenti a tutti quei prezio- si momenti , in cui è tanto facile prevenire i pili disastrosi accidenti ; ma affinchè possano es- 4t s€re utili in tali medienti, conviene, che elle- no siano profondamente istruite nel riscontro, che conoscano perfettamente il meccanismo del parto naturale, che sappiano bene manovrare, che posseggano in somma i lumi i più estesi tanto teorici, che pratici; senza di questo esse sono veramente fatali ai la società , e cimentano sovente ancora 1' onore dei migliori Ostetrici , Una levatrice ignorante lascia percorrere tran- quillamente tutti gli stadj del travaglio di un parto laborioso , lascia impegnare nella piccola pelvi il feto in una posizione, in cui non può venire naturalmente alla luce , ed allora quando vede il caso disperato , ridotto così ben S]oesso mercè dell'imprudenti njanovre, allora ricerca il. soccorso di un O-tetrico, che giunge il piìi delle volte troppo tardi per impiegarlo utilmen- te , il figlio, e la madre periscono, ed a luiso- 1-0 frattanto si attribuisce la causa di una tale catastrofe. E^^-enilo pertanto di sì alta importan- za che le levatrici siano bene al possesso dell' ar- te, vedrete quanto è saggia la misura di avere destinato il gran Baudelocque alla loro partico- lare istruzione. Jj' Hotel Dieii uno fra i più grandi spedali di Europa , racchiude delle vaste sale destinate per ]e donne gravide . I numerosi parti , che contino- vamente vi accadono oft're il ijubblico comodo d'istruirsi nella pratica dell'Ostetricia agli uo- mini, mentre Alfonso Leroy ne insegnala teorìa alla scuola di medicina . Ma non è né all' hó'el Dieu , né alla pubbli- ca Scuola , ove s'impara a perfezione quest'ar- te; sono i corsi privati, che formano i grandi Ostetrici. I più celebri professori si dedicano 42 da un anno all'altro senza alcuna interruzione alla privata istruzione dei giovani. E' vero, che questi corsi sono molto dispendiosi , ma se si fac- cia attenzione a qual prezzo si hanno delle donne, che vengano ad offrirsi al riscontro, ed a partorire alle sale, quanto costa il loro mantenimento nel tempo del travaglio del par- to, e se si defalchino ancora molte altre picco- le spese , si vede , che non è 1' interesse , che muove questi uomini celebri ad istruire in tal guisa la gioventìi, ma bensì il solo patriotti- smo, il desio di mantenere sempre brillante lo splendore dell'arte, e quello principalmente di rendersi utili ai loro simili . Ecco da quali sen- timenti sono animati i Gardien, i Danyau , i Maygrier, i Murat, Fleury , Marre , Feu , i Ca- purron , ed altri , che danno tutti dei corsi pri- vati di Ostetricia . Ciascun corso , che dura più di quattro mesi è diviso in quattro parti , nella teorìa, cioè , nel manuale , o sia 1' esercizio della manovra sulla macchina, nel riscontro , e nel ^iarto. Due ore continove in ciascun giorno della settimana sono dedicate all' insegnamento della parte teo- rica della Ostetricia; le malattie delle donne gravide , delle partorienti , delle puerpere , ed il trattamento dei nuovo-nati , tutto viene espo- sto cun la più bella accuratezza. Terminata la teorìa si passa all' esercizio della manovra su di alcune rozze macchine senza utero formate sem- plicemente da una pelvi naturale, a cui sono uniti due terzi di colonna vertebrale con le cosce, ed i femori , il tutto rivestito convenien- temente di pelle. Una macchina corredata del- l'utero, qualora esso si facesse servire per na- 45 ecoiidervì dentro il fantoccio rtel tempo dell' o- pera/àone , sarebbe riguardata dagli Ostetrici Parigini come V invenzione la piìi fatale per l'umanità. Infatti non si può ignorare, che la parte la più importaiite, che l'anima della O- stetricia è la sola manovra: se un Ostetrico non è ben provvisto di lumi medici per opporsi al- le malattie che possono sopraggiungere alle par- torienti , molte delle quali secondo l'ideai di- visione entrano nel dominio della medicina è geaj[)re un semplice spettatore della funzione del parto naturale : la sua opera non diviene necessaria , che nei parti laboriosi , ove vi è di bisogno o . . 44 timare il parto eoa la mano : Quelquhin peut-il ìgnorer , que la JaiUe la plus légcre et la plus pe- tite omisslon dans ces opérations ne soient quel" quefols mortelle^ pour Vun ou Uautre de ces ìndi- vidus , et mime pour le deux , ou ne puissent don- ner lieu à de grandes et longues infirmite's (i)? In vista di questa verità non si può deplorare abbastanza sulla trista necessità, stante la man- canza dei casi, di dovere esercitarsi a manovra- te sulle macchine artificiali, le quali non posso- no presentare giammai gli ostacoli e le difficoltà grandi , che offre 1' utero di una donna vivente ; non vie che l'arte, ed un metodo il più severo, e preciso, che regoli la manovra, ed un esercizio il più continovato , che possa rimediare bastan- temente a questo inevitabile inconveniente. Ma come si potrebbe insegnare, ed imparare a ma- novrare in un utero chiuso, ove la mano, che agisce fosse affatto invisibile agli occhi del mae- stro? Come si potrebbe insegnare 1* attitudine della stessa mano, da cui dipende intieramente r esito felice della operazione ; come corregger- ne i difetti, mostrarle il processo, che dee se- guire in ciascuna delle tante, e differenti posi- zioni del feto nei parti contro natura , e la ma- niera di disimpegnare i piedi , di fare eseguire al tronco la necessaria rivoluzione senza incorre- re in alcun perìcolo? Come si potrebbe fare os- servare infine all'operatore tutte le difficoltà, che presenta ciascuna delle diverse posizioni, le cause, che le producono, il modo di superar- le? Quali errori non dovrebbe commettere un (i) Princip. sur l'art des accouchemens en fav. des sag. fem. avertissement p. xv. . 4'^ allievo ignavo affatto delle leggi , cui è rigoro- samente sottoposta la manovra; errori che nel. tempo, che si oppongono ai progressi dell' arte la renderebbero più pericolosa , che utile alla società . Le sole mani del Professore fanno le veci del- l'utero mancante nelle macchine Parigine, rite- nendo egli il fantoccio in ciascuna posizione , di cui insegna il processo per ultimare il parto artificiale: gli occhj di esso non perdono un mo- mento di vista la mano dell' operatore , che egli dirige , insegnandole il cammino piìi breve , e fa- cile per estrarre il feto, la maniera con cui dee superare gli ostacoli, che può presentare l'ute- ro, e l'attitudine con la quale si dee condurre, su cui egli invigila nel modo pivi rigoroso , e seve- ro , persuaso , che una operazione di Ostetricia può essere paragonata ad una chimica esperienza , di cui poco giovando sapere bene la teorìa, la sola abilità delle mani ne garantisce la riuscita, e quest'attitudine non s'impara già su i libri, ma solo sotto eccellenti maestri , che sanno inse- gnarla. Qual mano infatti non così addestrata potrebbe mai lusingarsi di ultimare felicemente un parto in quei casi , in cui , per servirmi di uu paragone dei Francesi , il feto è così serrato, e stretto neir utero contratto, come una figura di gesso nella sua forma? Guai alla madre, ed ai figlio se la mano non fosse veramente abile in tali circostanze , se le dita non sono bene riunite insieme , se fanno degli angoli , delle curve , se s ignorasse la maniera di farle scor- rere sulle varie parti del feto se se ne ignoras- se in somma la vera attitudine; 1' Ostetritna diverrebbe un oggetto d'orrore, e porterebbe 4^ . . la desolazione in seno delle famiglie; e se ì casi funesti non fossero così frequenti , come dovreb- bero essere in tal supposizione , ciò derivereb- be dallo scarsissimo numero dei parti contro natura , e dalla fortunata combinazione , che l'Ostetrico giungendo per tempo presso la par- toriente , allorché l'utero non è per anche con- tratto sul feto , 1' operazione è facile ad ese- guirsi ed i due individui non restano tanto e- sposti alle conseguenze di una cattiva manovra; ma eccettuata questa favorevole circostanza , noi ci esporremo a rompere, o cagionare l' in- fiammazione dell'utero, a lussare, o fratturare l'estremità del feto, o ad estrarlo morto, do- po una penosa, e lunga operazione ultimata eoa la sola forza in luogo della abilità , oppure ci converrebbe ricorrere alle amputazioni , alle per- forazioni del cranio , ed a mettere in pezzi del- le vittime deplorabili , come accade sovente per le campagne , ove i professori non possono es- sere sempre pronti alle chiamate delle parto- rienti. E^ pure r Ostetricia quella branca del- l'arte salutare la piìi perfetta , quella, che è ve- ramente utile, e vantaggiosa alla umanità, ed allo stato, un arte divina al dir di Plenclc,che senza carnifìcine, né mutilazioni, senza spargi- mento di sangue salva nello stesso tempo due individui dalla morte, donandone uno , e con- servando l'altro sempre utile alla società; ma quest' arte divina può divenire facilmente fata- le per nostra propria colpa :qual riflessione per un uomo onesto, tra le di cui mani una sicu- ra fiducia confida la vita di due individui i piìi cari , e preziosi ? . . . . L'applicazione della tanaglia uon potrebbe es- ter meglio diretta della introduzione della ma. no su di una macchina con 1' utero-, la testa del fanto'jcio restando inviluppata in quell' organo artificiale, non si potrebbe aver luogo di esami- nare il cammino , che debbono percorrere le bran- che di questo strumento, né d'insegnare la ma- niera di bene introdurle , che è assai difficile . Ad onta di tutto ciò, che dir potessi, io non vi darei giammai una giusta idea della diligenza , e premu- ra con la quale i Professori Parigini insegnano la maniera di servirsi della tanaglia nelle varie, e differenti posizioni , in cui si può presentare la testa del feto tanto sullo stretto superiore, che inferiore , avanti , e dopo 1' uscita del tronco da poi che essi rÌ2;uardano questo strumento co- me una delle maggiori risorse dell* arte. Non è già, che pretendano con Flammant , che nelle presentazioni contro natura , si debba sempre ri- condurre la testa del feto al centro del bacino per quindi lasciare il parto in braccio alle forze uterine, o ultimarlo con la tanaglia, ma essi so- stengono bensì, che è sempre preferibile l'uso di questo strumento alla versione dei feto, ed alla estrazione per i piedi in quei casi , in cui la scelta è libera dell' uno ,o dell'altro di questi due soccorsi, e specialmente allorquando ci pos- siamo servire della tanaglia come un semplice mezzo di estrazione, e non di riduzione insie- me della testa del feto, come nei casi in cui ad onta, chela testa si presenti bene sullo stretto superiore della pelvi , siamo obbligati ad ultima- re il parto artificialmente stante qualche grave accidente, che ne domanda imperiosamente una pronta terminazione. Infatti quante cautele non sono necessarie, ultimando il parto per i piedi 48 in tal posizione elei feto, in cui quelle estremitk sono molto lontane dell'orifìzio dell' utero, affi- ne di evitare la compressione del cordone om- bellicale-, quanta diligenza per non esercitare delle pericolose trazioni sulla midolla spinale; quanto conviene essere abili , ed i-truiti nella manovra per estrarre la te-ta , affi, le di non strap- parla dal tronco , accidente orribile, che non dee giammai accadere ad un vero Ostetrico , ec- cettuato il solo caso di morte , e putrefazione del feto; ma non ostante ancora tutte queste cau- tele il figlio. perisce il piìi delle volte in questi casi , talché è prudenza che l'O-^tetrico faccia presentire il pericolo dell' operazii^ne . L' appli- cazione della tauaglia preserva il feto da questo fatale accidente, ed ultima sollecitamente un parto, che anche felice, sarebbe costato però sempre molte pene alla paziente, ed airojiera- tore terminandolo con la mano . Ecco dietro quali vedute si è portato questo strumento fino sullo stretto superiore della pelvi, ove si appli- ca comunemente dagli abili pratici dopo i can- giamenti di Péan , e di Dubois . Il discredito grande, in cui era caduta la tanaglia, e l'opi- nione, che fosse un ferro micidiale è nata in conseguenza di non saperla applicare. Levree insegnava nei suoi corsi privati il metudu ge- nerale d' introdurne sempre le branche lungo le parti laterali del bacino , fosse qualunque la posizione della testa del feto, talché ora re- stavano applicate sulle tempie, ed ora sull'oc- cipite , e sulla faccia , ed in alcuni casi le fa- ceva introdurre rovesciate, o sia con T incava^ tura dei bordi rivolta verso 1' osso sacro , ciò che repugna fino alla direzione degli assi de- ^9 gli stretti della pe]fi,ecl ai rapporti nella stret- tura di quuitcì cavità con quf ila dello strumen- to meciesi ino . Questo metodo seguito per un i- stante da molti aon poteva f\ire a meno di pro- durre i piìi tristi accidenti, ai quali ài univano ancora i mali , che cagionava 1' oilo rilevato , che contornale cucchiaje della tanaglia del pre- Jotlito Livret, il quale lacera, o strappa quasi sempre i tegumenti della testa del feto nel luo- go , ove esso resta applicato. Alcuni prudenti pratici, dopo avere osservato taiite triste con- seguenze, che resultavano dall' applica/ione di un tale strumento si contentaruno di proscriver- lo dalla loro pratica; ma Baudelocque piìj pro- fondo osservatore, avendo riconosciuto la vera causa di tali accidenti si elevò , sono oramai ven- tisette anni, non già contro la tanaglia, ma con- tro il uietodo di Levret, e facendone conoscere tutti i gravi pericoli , a cui esponeva la madre, ed il figlio, lo proscrisse rigorosamente, e ve ne sostituì un altro abbracciato universalmente da tutti i pratici illuminati , per cui que-to strumento è divenuto il pitr innocente, ed uti- le nella pratica deli' arte. La tanaglia dell'ul- time correzioni di Péan , e di Dubois^ serven- dosene secondo il metodo prescritto da Baude- locque , non può giammai produrre alcuno in- conveniente ,allurcliè uno 1' usa specialmente co- me un mezzo di estrazione, e di riduzione an- cora , qualora però si conoscano pcrttttamente i casi ben limitati , in cui può essere impiega- ta come per l'ultimo mezzo indi<;ato; senza di questo la tanaglia sarà sempre fat;ile, come lo pnò divenire egualmente la lancetta in mano di uno, che non sa levar sauijue. In questo ca- 4 5o so non sono gli strumenti che bisogna bandire dalla pratica dell' arte salutare, ma bensì colo- ro, che non sanno maneggiarli. Il riscontro è un' altra parte della pratica dell' Ostetrica non meno interessante della mano- vra; l' immortai Gardien lo considera come la base de tout Vari des accouchemens (i). Esso è la sola sicura sorgente di tutti i lumi, ciie un O- stetrico può acquistare relativamente alla gravi- danza , ed al parto, ed è la guida di tutte l'o- perazioni, che si fanno in quest'arte. Per mez- zo del riscontro si arriva a conoscere le malat- tie delle vie della generazione, dell'utero, la gravidanza, il tempo di essa, e la di lei specie praticandolo in maniera da produrre il hallot- tamento : dietro di esso si può solo giudicare della vicinanza del parto, della posizione del feto, della conformazione della pelvi; ma per ricavare dal riscontro tutte queste necessarie, ed importanti cognizioni bisogna averlo prati- rato certamente piìi di qualche centina jo di vol- te , fino cioè, che le punta delle dita non siano rapaci di vederci come gli stessi occhj, i quali debbono essere sempre esclusi dalle operazioni di Ostetricia, si ultimi il parto con la mano, o con la tanaglia ; di qui è nato quel vero det- to, che un Ostetrico dee vederci con la punta delle dita. Senza di questo requisito, che non si acquista, che in seguito di un lungo, e conti- novato esercizio noi ci esporremmo a commette- re i piìi gravi e pericolosi sbagli nella pratica dell' arte , e cimenteremmo ad ogni istante il nostro decoro. Persuasi di questa verità i Pro- (l) Tiairé d'accouchemens T. I. p. 5cp. 5i fessori Prancrsi fanno de] riscontro una tieiie parti essenziali ilei loro corsi , e vi esercitano continovaineate gli allievi su di un nuiiicro bea grande di donne tanto gravide, che non gravi- de affine di fare delle esperienze comparative . Qnal prezioso esercizio ! Il parto è quella funzione con cui debbono essere familiari/czatl gli allievi in Ostetricia co- me i giovani Medici , e Chirurghi con le ma- lattie. Con qual coraggio infatti ci potremmo accostare presso una partoriente , quali soccorsi potrebbe ella sperare da noi, allorché non si fosse visto ancora effettuare un parto prima di uscire dalle scuole? Ecco per qua! ragione la prima cura di un Ostetrico Parigino , che vuo- le aprire un corso privato è quella di prepa- rare una Sala, ove s'invitano le partorienti , delle quali se ne assegna una per ciascuno al- lievo , affinchè le presti tutti quei soccorsi , e particolare assistenza, di cui ella può aver bi- sogno nel parto , a cui debbono assistere anco- ra tutti gli altri allievi insieme col Pruiess(>re, il quale è sempre pronto a cogliere tutte le oc- casioni , onde realizzare ai suoi scuolari i pre- cetti della teorìa , che insegna . Quantunque per verità il maggior numero dei parti sia'na- turale sono però tutti della pi ir grande istru- zione . I soccorsi , che può esigere una partn- riente, la maniera di regolare il travaglio al- lorché è troppo celere, o troppo lento; 1' as- suefazione ai pianti, ed ai gridi della pazici;- te , da cui nasce quella presenza di spirito, e quel sangue freddo così necessario ai pratici , e da cui dipende sovente 1' esito felice di una Operazione i lo studio del meccapismo del par- 52 to , realizzato per mezzo del riscontro pratica- to liei vari stad) del travaglio; i soccorsi da ap- prestarsi ai nuovo-nati; l'estrazione della pla- centa, sono tutti i vantaggi incalcolabili, che si ritraggono dall'assistenza dei parti i piii fa- cili , e naturali . Questo è il metodo , mio stimabile Amico , con cui s'insegna 1' Ostetricia a Parigi; questi sono quei famosi corsi privati da cui non e- sconosolo degli eccellenti Ostetrici , ma dei buo- ni pratici insieme; e questo è il solo sistema , che può formare degli uomini sommi nell' ar- te, e veramente utili alla umanità. Non sono le teorìe, non sono i soli libri, che formano i grandi Ostetrici ; è la pratica fatta sotto di ec- cellenti Maestri . Il far conoscere quest' arte in tutta la sua e- stensione, farne comprendere tutta la perfezio- ne , e la certezza , il rendere più sicuro , evi- dente , e facile l'acquisto di tutti i mezzi , e cognizioni pratiche, che assicurano 1" ostetrico di poterla esercitare con decoro, e con un vero vantaggio per la società , e che gliene fanno conoscere tutta 1' utilità, è il solo mezzo di ri- svegliare il genio , e 1' ardore per il di lei stu- dio, e possesso; di mantenere sempre florido, e brillante lo stato dell' Ostetricia in un pae- se , e di aumentarne la perfezione. Gli stessi Francesi ce n'ofl'rono un esempio luminoso .Essi hanno spinto tant' oltre l'entusiasmo per questa scienza, che quantunque autori di tante opere immortali, quantunque maestri di tutte le na- zioni in quest'arte, pure quasi poco contenti dei loro propri lumi, hanno tradotto , e tradu- cono sempre con avidità le migliori opere degli 5S esteri. Quelle di Deventer , Plenck , i?meliie , Bourton , Denman , e perfino quelle dei loro stessi allievi Koederer, p Stein, tutte se le so- no fatte proprie. Fa veramente meraviglia frattanto , che l'Ita- lia, che possiede un così scarso numero di trat- tati su quest'arte, i quali, quantunque scritti da nomini abili o sono incompleti , o non a li- vello delle moderne cognizioni , non vanti che pochissime traduzioni, e che fra. queste non vi conti ancora quella dell' opera di Baudelocque: abbondante delle traduzioni di tante opere Chi- rurgiche , e Scientifiche, occupata rontinovamen- te a farne delle nuove, essa ha trascurato quel- la dell'opera Ostetrica, che per tanto tempo è stata la più grande, la pivi utile, e necessaria, a cui ha potuto recentemente anteporre , non si comprende per quali strane ragioni, quella di Stein, in cui non vi è di buono, che quasi la sola teorìa del parto. Io debbo però rendere giu- stizia al vostro genio, il quale vi aveva spinto non ha molto ad intraprendere la traduzione del trattato di Baudelocque, da cui, mi rammento con pena, che vi distolsero le vostre moltiplici occupazioni . Eccovi, stimabile Amico, data un'idea del- lo stato attuale dell'Ostetricia in Francia. Io son persuaso , che ora non vi farà piìi specie , che tutti i pili saggi Governi dell' Europa spe- discano a Parigi dei Medici , e Chirurghi af- fine di perfezionarsi in quest' arte , per quin- di migliorarne le condizioni nei proprj paesi , eosa non difìit;ile, quando non s'impari dai Pro- fessori Parigini solamente l'Ostetricia, ma bensì ancora il ^cnio di coltivarla, e la vera manie- H -; ra di propagarla . Questo doppio acquisto è il solo mezzo che ci può render veramente utili alla patria, ed ai nostri simili, unico scopo, a cui debbono tendere tutte le mire dei veri Filan- tropi .Gradite pertanto questo attestato della mia perfetta stima , ed amicizia . Parigi 14. Maggio 1808. Ignatii Rossii Etyinologiae Aegypdae Romae J 808. C, Comparisce alla pubblica luce un libro frut- to dì molti anni di fatica , di una vastiasiuia erudizione , e specialmente di una cognizione profonda in fatto di lingue. L' autore il Sig. Ab. It^nazio de' R-ossi già conosciuto per le sue correzioni Laerziane distese con una chiarezza , acume, precisione che sorpre.5e non solamente l'Italia, ma le provincia estere, ha spiegata in quest'opera una incomparabil perizia di quelle liu^ue orientali, di cui è applauditisteimo Pro- fessore nella Università Gregoriana, e oltre a CIÒ del greco, e copto, e de' dialetti loro, che sorprende . Sembra non ad altro abbia atte- so che a studiare in lingue tutto il tempo del- la sua vita; mentre si sa altronde che molta parte di essa glie ne hanno assorbita gli studj della filosofìa, della matematica, e specialmen- te della teologìa, delle quali facoltà è stato non pur coltivatore, ma di alcune professore anco- ra . Ma che non può un raro talento , accom- pagnato da una prodigiosa memoria! Non ci ac- 55 cusi il lettore di esagerazione perchè abbiatn la sorte di conoscerlo personalmente; sorte che si procurano molti di colti forestieri che a Ro- ma capitano , e restaa sorpresi della sua, ben- ché modesta e riguardata , pure eruditissima con- versazione. Venendo all'opera piìi dappresso, noi noteremo eh' è difficile impresa cimentarsi alle etimologie delle lingue ancor conosciute , se non v' è ottimo ino-egno da discernere le naturali deduzioni d' una in altra parola , giu- sta r osservazione di Quintiliano : inde pravis ingeniis ad Joedissima usque ludibria delahuntur . Quale ingegno dunque è richiesto a rintracciar l'etimologìa di una lingua, com'è la Egizia, di cui sì poco ci è rimaso, e questo sfigurato assai volte, e alterato per modo, che solo per congettura si può raggiungere il vero primiti- vo vocabolo? Ma a tanto è giunto il Si?, de' Rossi servendosi de' lumi che eli haa dato le lingue orientali, comecché l' egizio pili se ne di- scosti ch'elle non si discostano scambievolmen- te. Ha pur notate 1' etimologie che dall' egizio son derivate nel greco; e ciò con tanta chiarez- za, che chi anche mezzanamente è tinto della cognizione di tal linguaggio, facilmente ne rav- visa la convenienza . Il libro tutto è a portata della intelligenza di pochissimi letterati , che hanno speso gran tempo nella lingua santa, e nell'araba, studj che a' dì nostri (colpa de' tempi ) in Italia spe- cialmente son poco in moda. Quindi nel dar conto di questo libro ci risparmieremo quella esattezza, che slam soliti di usare in altri ; af- finché non paja che vogliamo abusare della sof- ferenza della massima parte di que' lettori, a f>6 quali perverrà in mano il nostro estratto. E i quali preghiamo a leggere tuttavia alcuni po- chi articoli, scelti dalla prima lettera di que- sto etimologico ; affinchè i predetti lettori da questo picciol saggio prendano in considerazio- ne sì degna opera che ha migliaja di vocabuli discifrati colla medesima felicità. E^ in Plinio la voce adipson , nome dato in Egitto a un viaggio mancante di acque. In gre- co ha un signilìcato del tutto opposto ritenen- dosi la i. vale a dire non .iitiens . Quindi par- ve all'Arduino di dover ricorrere per ispiegar tal voce all' antifrasi ; esposizione meno plausi- bile. Cambiata la r in e , torna a maraviglia , niercechè adepso in egiziana lingua esprime dp- ■puino ^nnc pota . Ahtig.ainl gig :ifica vctru; la vo- ce è persiana ahgine , e vuol dir cosa che abbia color di acqua. Akori significa Aspide, e la sua etimologìa è mortem aff'erens; poiché il suo mor- so tenevasi per immedicabile . Alachroes è in Pli- nio , ove l'Arduino derivando dal greco il vo- cabolo vuol che sia lo stesso, che marini colovis , viri', ma egli s'inganna-, mentre Alachroes ,c\\g non vuol dir secondo Plinio altro che lotophagi non erano altrimenti di color marino; ma bensì mangiavano un cibo dolce ,e dilettevole; del qual vocabolo egizio ebbono anche iJ nome . 'AXr,7\M , è il solano d'orto, che nelT ap])endice a Diosoo- ride chiamasi strynchos . Nota l' Autore , che Al significa in egizio linguaggio e r^iei^e , ed El to- 9;liere; e appunto da' Bledici gli si dà questa virtìi, che tolga, ovvero medichi il uiale del- l'erpete . .^na/nei fu S])iegato dal Kircher ma poco felicemente. E' vocUbolo composto da oui, e mei, che aiguihca lapis cariis quale in gcm- 57 ma , che in greco pur si denomina }yl^oc,riuio(;', e questo sigriUicato di gemma gli è dato dal N. A. Anzeb scuola da Assep congregare in e- braico , e asepha congrcgatio . Antrax ctKoc, car- hone è voce da non cert^arne 1' etimologia in altro linguaggio che nell'egizio, ove Antrak'ii sitrnitica incetidiante . Al contrario asmi ciie si- gnifica gelsomino è dall' arabico jasmin , co- me appare dall'analogia del nome. Arisch città situata ne' confini dell' Egitto , Il celebre Mi- clielis ebbe grandissimo desiderio di sapere co- me in egizio si nominasse ; giacché in greco si chiama Rhinocolura , né si avvide che dee leg- gersi Garise , che appunto vale in egizio ciò che Rhinocolura in greco . ^tface5 locusta pres- so i settanta interpreti, che perciò é stimata pa- rola di orreca origine. Ma è di egizia , da .^ipfa^e, che vuol dir reca danno', e tal è la natura di questo insetto; il qual danneggia i campi , e le messi . I gradatici uederivan l'origine da a.rr'tiv saltare. Asceb^n ,c\\& dee leggersi ascemai spie- gaci Si'^.picns magus . Quindi in ebraico Hasce- manim nel Salmo 68. vcnient Magi ex Aegypto , o\'e comunemente spiegano venient legati ex Ae- gypto . Achom aquila è dall'Arabico, ove si tro- va il n\edesimo vocabolo , e nel medesimo signi- ficato . Altre pressoché innumerabili voci di animali, di piante, di astri , di città , di Dei, d'uomi- ni, di cibi, di vesti si trovan qui dichiarate ; anzi se n' è fatto pure un breve compendio che esteso a poche lettere si trova a parte. Noi non abbiam fatto che scerre un picciolissimo nume- ro fra migliaia di voci , e presentarlo al letto- re nella maniera piii chiava che abbiam putti- 58 to -, ond' egli possa argomentare del resto di questa grande opera , la quale può paragonarsi a quanto di più difficile han fatto i Salmasj, G i Mazzocchi. L. L. Congetture di Pompilio Pozzetti delle Scuole Pie Regio Bibliotecario , e Pubblico Professore nel- la R. Università di Bologna , Membro della Società Italiana delle Scienze, dell' Accademia Napoleone ec. ec. Intorno un capitolo delle Notti Attiche di Aulo Gelilo . Jjenchè gli Eruditi discordino tra loro in giudicar dello stile usato da Aulo Gelilo nel- le celebri sue Notti Attiche, \e quali parvero al Lipsio scritte con purissima latinità , ed al- l'opposto con aspra e disadorna a Lodovico Vi- ves ; certo è non pertanto che riguardando alla sostanza delle medesime, utili sono a chiamarsi per gli Studiosi , giacché questi vi rintracciano elette notizie e pellegrine , concernenti , in ispe- cial modo, l' isterica Facoltà. In mezzo alla ricca letteraria suppellettile che quivi il Racco- glitor laborioso dischiude, merita, a mio avvi- so, particolare attenzione, l'ottavo capo del li- bro decimo, ove c'informa di un'ignota sorta di medicina, poi di gastigo , stabilita dagli an- tichi Romani contro la timidezza , e la stupidi- tà subitanea de' Soldati . II fare , egli narra , lo- ro trar sangue per ignominia dalla vena media- na , fu primitivamente una militar punizione, la ragion della quale, soggiunge , non trovasi in alcuna delle vetuste memorie che sianmi cadute sott' occhio . Fuit haec quoque antiquitus militaris anima dversio . iubere , ìgnominiae caassa , militi vcnam solvici sanguinem dimitti , cuius rei ratio in literis veterihus , quas equideni invenire potui , non exstat . Assume ei però ad indovinarla tantosto, e pensa che da principio fosse questo un rime- dio per gli stupidi, e destituti del naturale co- ragii;io , e che poscia divenisse ordinaria pena di falli consumati nel mestiere deli' armi , qua- siché appunto i delinquenti in esso considerar si dovessero sempre non altramente chenialsani. Sed opinar factum hoc primitus in jnilitihus stu- pcntis animi , atque a naturali habitu declinantis . Postea tamen , ob pleraque alia delieta , idem Jactitatuni esse credo per consiietudinem , quasi ininas sani viderentur onmes qui delinquerent . Po- libio e Svetonio tacquero di ciò, anche allora quando l'analogia de' trattati argomenti sembra- va sollecitarli a favellarne . Innanzi che io passi a discutere i divisamenti del mentovato illustre Gr;imatico , gioverà inda- gare la remota epoca, omessa da lui, nella qua- le si vide introdotto siaiil costume ne' bellici cara- pi della gente un dì la più valorosa dell'Uni- verso. Ci si fanno immantinente incontro, bra- mosi di appagare la curiosità nostra gl'immorta- li Giovanni Federico , e Iacopo Gronovii nella loro annotazione al riferito passo di Gelilo. Di- reste che eglino ravvisin l'origine della condan- na laddove pullulò il delitto, cioè laddove le fa- langi di Roma, per 1' avanti ognora imperterrite , riabbandonarono in preda a' moci ed a' consigli 6o pusillanimi della paura. Il che niuno ignora es- sere, in u'otabi", maniera accaduto sul declinare del quinto secolo dàlia fondazione di quella Cit- tà regina. Nella aieiuoranda battaglia, che diede allora Pirro al Console Publio Valerio Levino presso il fiuHse Siri nella Lucania , le trunpc roma- ne , atterrite, secondo affermano Plutarco , Pli- nio , Varrone , Giustino, Solino ed altri, dalla straordinaiia figura , dall' enorme altezza, e dal- le, torri cariclie di couibattenti che recavan sul dorso gli Elefanti per l' intrepido Re d'Epiro sospinti entro le scompigliate e rotte file de' ne- mici, presero, scordevoli d'esser figlie e difen- ditrici di Eoma, ino[)inataraente la fuga. Li- capaci furono di sostener l'aspetto e l'urto vio- lento di siffatti animali, che veduti non aveva- no unquemai , che il grande Alessandro, vin- citore di Poro, mostrò il primo all' Europa, e che divennero poi altra fiata dannosi alle stesse Aquile latine, sotto la condotta di quel fulmi- ne di guerra, il feroce Annibale. E ben siamo dalla esperienza ammaestrati che gli strani ogget- ti , onde i sensi rimangono all' improvviso per- cossi, vaglionoa riempier gli animi d'incredibile costernazione ed i.smarrimento . Determinato co,«ì , per via di semplice con- ghiettura, il tempo, in cui i Ivomani comincia- rono ad annoverare fra le militari Discipline il salasso, potrem noi chiarirci del titolo eziandio pel quale si mossero ad ordinarlo ? Somma cura ed industria collocarono essi del continuo nel regolar massimamente le ricompense ed i gastiglii meglio confacenti all' esercito. E non seppero convertire in efficacissimi eccitamenti all'ardue marziali imprese, guiderdoni di niua intrinseco 6i prezzo ; sicché i pugnatori gn reggi assero ad offe- rire il petto alle sguainate spade , lieti di rii.iorta- re , in premio della cimentata vita e dell' azzardo- so trionfo, una sterile corona di quercia , odi lau- ro ? Bastò a contenerli ne' proprii sacri doveri la minaccia di sveriroauarli , o digradandoìi , o co- stringendoli ad impiegare, spogliati delle pristi- ne illustri divise, le loro fatiche in abbietti ser- vigi, 0 cacciandoli dai trinceramenti quai codar- di indegni di starsi in compagnia de' forti. Che se tanto senno rifulse nel codice della romana milizia ad imprimere in ciascheduno le idee ilel- r onore e dell'infamia le più acconce per accen- derli e confortarli alle nobili geste , e per disto- glierli dalle vituperevoli, sarà conceduto infe- rire a buon diritto che da usjual sapienza e con- venevolezza derivasse la legge, di cui ho tolto a ragionare . Il dotto Mureto nelle sue Varie Lezioni, ri- gettati i pensamenti di Gelilo, cretlèciie i Roma- ni , nel prescrivere a' pavidi Soldati la flebotomia, intendessero di forzarli a perder con disdoro quei sangue che ricusato aveano di profonder, con eterno lor vanto, ad utilità della Patria nel con- flitto . Ego id factum puto ut sanguineni , quem cum gloria Jundere prò patria noluerant , eum cum ignominia amittcrent . Spiegazione che per altro non aggrada all'autorevole Giusto liipsio. fi- gli, al libro quinto dell'eccellente suo Commen- tario de militia romana j nel dilucidare un testo delle storie di Polibio , allega il passo ricava- to dagli Stratagemmi militari di Frontino, ove è detto , che Marco Porcio Catone racconta essersi praticato fra le schiere di Roma il recidere , in presenza de' Commilitoni, la destra a chi stato 6i fosse colto sull'atto di commettere ladroneccio , ed aggiugne , che qualora si procedeva inverso di, essi benignamente, solcasi per la prima volta inci- der loro la vena. In ramaiemorare i sensi Cato- niani, che Sesto Giulio Frontino ci tramandò, mi sono appigliato alle emendazioni del Lipsio stesso , e di Pietro Fabri nel primo libro de' suoi Semestri, senza intrattenermi a ventilar le prove Onde Godescalco Stewecchio , spositore di Fron- tino , rifiutoUe , stancechè tal disamina , oltre l'al- lontanarmi dal proposito avvolgerebbe spiacevol- mente chi legge fra le gramaticali superfluità de' verbosi Chiosatori. Soggiungo adunque subi- to, che il Letterato Brabanzese dissentì dall' ac- cennata sentenza di Marcantonio Mureto perchè essendo invalsa appo i Romani, giusta Catone, la consuetudine di cacciar parimente sangue a' Soldati convinti di furto , non isc.orgesi quindi la cercata proporzione tra simii colpa, e quella specie singolare di ammenda. Infatti ben può taluno di essi farsi lecito d' involare l'altrui al- lora pure che la tromba guerriera per avventu- ra non 1' appelli a spendere nel decorso aringo di Marte la vita. E' dato però salvar dall' op- posizione di Giusto Lipsio il Mureto, solo che ne piaccia avvertire, molto esser verisimile che l'emissione del sangue, decretata da principio contro i timidi, siasi poi estesa ad altre classi di prevaricatori . Ciò si afferma per Gelilo nel riportato capitolo, uè v' è in effetto cosa più ra- gionevole quanto l'applicare a' rapaci il puni- mento dovuto alle auiuie imbelli . E qual mai viltà maagiore df quella, onde intorvicnc che ia mano medesima, scelta a custodire ed a pru- 63 tegger vigorosa e fida le proprietà de' Cittadi- ni, bruttamente rivolgesi ad usurparle? Ma dappoiciiè uno de' piìi leggiadri Spiriti Italiani , il rinomatissimo Alessandro Tassoni , consacrò alcuni de' suoi, così intitolati , Pen- sieri diversi all'attuale inchiesta, sarei d'arro- ganza tacciato ; qualora accostandomi io ad un soggetto , cui un taiit' uomo pose 1' ingegno , trascurassi di palesare il motivo che m' incora a parlare dopo di lui, che quello è di sottomet- tere al sano discernimento altrui qualche dub- bio natomi intorno la solidità delle cose , che egli ivi, al quesito vigesimo quinto del libro nono, vien significando nella presente materia . L'incision della vena, assegnata da' Romani a' tralignanti seguaci di Bellona; ei s'immagina fosse istituita, affinchè la diminuzione dell'in- fetta massa sanguigna facesse loro acquistare vi- vacità ed ardire. Ora, a questo discorso nie- gheremo d' arrenderci , riflettendo , che tra le cause fisiche generanti lo stordimento, non è di leggieri ammissibile la corruzione del flui- do vitale. Dipende quello principalmente dalla debolezza, e quasi inazione del cerebro e del- l' interno sistema nervoso, e quand' anche ne sorgesse fantasia di attribuirlelo , sarebbe a ri- prendersi il partito del salasso, conciossiachè , ueir ipotesi, non si dovesse, no, tendere ad i- scemar la quantità del sangue, bensì a miglio- rarne la depravata qualità. Appresso , dichiara il Tassoni che l'indicata pena la sia stata sein- pre ciglia codardia , e per tal rispetto avuta per ignominiosa. Il qual concetto, o m' inganno as- saissimo , rimanda scontenti coloro che sf^no dal- le parole di breilio invogliati di conoscere il ^4 . perchè negli accampamenti espiassero colla ca- vata del sangue, il reato loro, non, in gene- re, gl'infingardi per inclinazion naturale, quelli sì bene, che, atteso il st»pravveninicnto d' ina- spettato disastro, si niirassero istupidire, e per- dere l'innata energia. Né so comprendi^re co- me lo Scrittor perspicace, intento ad approvar la vecchia usanza di segnare i codardi , ram- menti Vegezio che asserisce , i timorosi penu- riare di sangue, e come inoltre pretenda che quanto uno ha minor copia di saniiue e di calo- re, tanto più teme delle J'crite . A lui (he ac- cettava simile teoria conveniva piuttosto biasi- mare un metodo, che nell' impoverir viepiù del- l' umor vivifico la fievole macchina de' paven- tosi, li necessita quasi a reiterarle prove dei- la lor dappocagijine . Ed io mi persuado volen- tieri che r arguto Cantore del memorando sdegno, Che infiammò già nefieri petti umani Un' infelice e vii Secchia di legno , Che tolsero ai Vetroni i Gemignani , invaghisse degli scherzi anche nel seguente trat- to di questa sua Oficra, nella quale di fatti , a sentimento dell' insigne Tiraboschi, ( Storia della Lett. hai tomo Vili., parte H. ,pag.3ó5. della sec. ediz. Modcn. ) s' incontrano spesso an- zi i sottili e gai paradossi che le fondate opi- nioni. Non ad. altro scopo forse ei pronunziò, che il Capitano faceva dalla vena del braccio trar sangue a' suoi; acciocch: per i.^perienza conosces- sero che si può esser feriti , e spander copia di sangue senza morire . E' pressoché impossibile 65 trovare iioin sì grossolano che non vaglia a di- stinguere il repentaglio manifesto di essere, nel. calor della iniscliia, spenta pe' rabbiosi colpi dei ferro ostile, dal niuu rischia di perire sot- to la placida operazion d' un salasso eseguito dall'Arte la più benelica all' umanità . Infine , se .Aulo Gelilo ed xilessandro Tassoni si ap- ponessero, spacciando la flebotomia qual elHca- ce soccorso degli sbigottiti , lo giudicheranno i cortesi miei Leggitori „ dopo che avrò loro, in poche note , e lungi dalla pretensione di dom- matizzare, comunicato ciò che andomnii per l'animo, allora quando m'imbattei nell' addot- to luogo delle Notti Attiche. Farmi dunque che i Romani Legislatori nel prescrivere 1' emissione del sangue al Soldato sopraffatto repente dalla tema, gli dices=iero : tu cui bassa passione giunse a render tremante , pallido, insensato ed inerte lii dove la gioria e la Patria t' invitavano a segnalarti per coraggio e per gagliardia, soffrirai l'onta d'assoggettarti solennemente a tal puntura che dichiari in pub- blico il turpe carattere del tuo mancamento , perchè solita farsi alle spregevoli vittime dello spavento. Ahi se 1' orror del sangue ti dissua- se dal versarlo, con fama di prode, sul campo abiti ora lo scorno di vederlo spicciar dall' a- perta tua vena inutile ed obbrobrioso ! Tal militare stato, anche in questa semplicis- sima guisa interpretato, non lascia , egli è vero, di accreditare la flebotomia per sollievo di tut- ti coloro che si fossero raccapricciati a soini-' glianza di que' Troiani , descritti nei deciiuose- sto canto dell' Iliade, dal i'rimu FitLgr ìL-IU memorie antichi , 66 i quali alla vista 'di Patroclo rilucente nelle armi impetrate da xlchille , stimatolo desso il pronto , r iracondo , V inesorabile , il fiero fi- gliuolo di Peleo rimasero compresi di gelido ribrezzo e si dispersero . Ma chi ignora essere stato r anzidetto rimedio ben accolto dalla Cli- nica greca e dalla latina? In istagione piii a noi prossima non ottenne esso il voto dei Luminari e dei Padri della Medicina pratica , d' un Ermanno Boerhaave , d'un Vanswieten {Comment. in Her- manni Boerhaave aphorismos etc. Taurini tomo 2. par. II. pagg. 4Ó5 , 421 , 5o-2, e 5ió ), d' un Giambatista Borsieri , che pregiavasi appunto di battere il sentiero additato dagli Antichi? Annovera egli nelle sue mediche Istituzioni tra le cause del malinconioso delirio il terror grave e repentino , autenticando, a prò di quel- li che ne furono predominati , 1' anzidetto provvedimento. Non dobbiamo pertanto mara- vigliare che in somigliante massima concorres- sero gli autori delle leggi promulgate per le romane squadre, ed altresì i Filologi, che in addietro ce ne porsero contezza. A noi , istrui- ti oggigiorno da miglior filosofia , vieterebbe quejta l'acconsentire, nel ricordato caso, al sa- lasso. E^ il timore un patema che indebolisce la somma della vita, onde il cavar sangue in quello stato viene ad attenuarla vie maggior- mente, col privar l'organismo d'un umore es- senzialissimo a produrre il necessario rinvigo- rimento e restauro dello stesso organismo. Per la qua! cosa non entrerà nella mente de' mo- derni sacerdoti d' Esculapio che potesse la se- zion della vena ridondare , salvo forse qualche singoiar emergenza, a vantaggio di coloro che 6- abbrivìdarnno per la paura, conforme suppose l'antichità, ed espresse Aulo Gelilo nel luo- go, su cui mi sono brevemente arrestato. Memorie per servire alla vita di Francesco Ma- turanzio , Oratore e Poeta Perugino , raccolte la maggior parte dalle sue opere inedite da Gio. Batista Vermiglioli. Perugia 180^. in 8. JLigli è sempre a gran profìtto della storia Letteraria quando uomini dotti tessono sepa- ratamente le vite di quei che si distinsero in un qualche ramo dell' umano sapere . L' esser essi allora tutti intenti ad un solo ogtjetto da loro agio di porre a luce cose in prima sfug- gite e di far anche piti esatti giudizj. Ciò be- ne ha conosciuto il Sig. Vermiglioli; e dopo a- ver illustrate con lode le patrie antichità e la patria tipografia , si è dato indefessamente a questo genere di studj; e ne presenta al colto Pubblico il primo saggio nella vita del Matu- ranzio , non ultimo certo fra' letterati Perugi- ni: di cui però poco si è detto da' suoi elogisti concittadini , e poco in conseguenza dal dottis- simo Tiraboschi, che compilando la Storia let- teraria di una nazione e di un ben lungo pe- riodo dovette quasi sempre riportarsi a quel che partitamente altri avea raccolto su cia- schedun soggetto . Nacque il Maturanzio circa l'anno 1443. es- sendo morto nel i5i8. di anni -jS. Eb:>e per pa- dre Marco di Matteo Materazzi . Si chiamò Ma- terazzo alcuna volta anch' esso •■, e pai e eh' ei 68 medesimo o per ringentilimento o per la sma- nia di latinizzare, com' allora era in uso, can- giasse Materazzo in Maturanzio . Felice chia- inoftsi la madre. Se ne ignora il casato, e sap- piamo il nome perchè ce lo ha conservato Fran- cesco in due epigrammi composti in morte di lei . Anzi in uno di essi ella di sé dice , che partorì vates gcminos ; dalle quali espressioni non si dee arguire come fa il N. A. che Fran- cesco avesse un solo fratello ; ma sibbene che un suo fratello fu, coin' esso, poeta. La sua stirpe fu illustre-, ed è comprovato dalle nobili parentele. Non altro sappiamo dei primi anni dei Maturanzio , se non che fino da essi strinse amicizia con Iacopo Antiquario uomo pe' suoi tempi dottissimo, e che ancor giovinetto scelto fu per comporre gli elogj e le iscrizioni da sot- toporsi ai ritratti degli illustri Perugini fatti dipingere da Braccio Bajlioni nella sala del suo nuovo palazzo . Talora il Maturanzio si e- sentò da Perugia; nel 14Ó4. scrive da Ferrara. E^ però ignoto quando e a qual fine vi si por- tasse. Non contento poi della istituzione avuta in Patria si diresse prima del i4"30. a Ognibe- ne da Lunigo professore di lettere umane in Vicenza, di cui in piìi scritti fece onorevol menzione. Da Vicenza tornò in Perugia; e pa- re che ivi fosse nel 14'ji. e nel seguente anno. Desideroso poi di profondarsi nelle greche let- tere intraprese il viaggio della Grecia ; fece lunga dimora in Rodi sotto la disciplina di Me- trofane ; e ivi con 1' antica lingua apprese la volgare in guisa, che parea , com' egli di sé afferma , nato ed educato in Grecia . Tornato in Patria fu da Niccolò Perotti da Sassoferra- 6(} to , allora al governo di Perugia , eletto suo Se- gretario , e fatto istitutore dì due suoi nipoti . Prima del 1477. sembra che insegnasse in Pe- rugia pubblicamente umane lettere ; e in varie orazioni die luminose prove del suo sapere : lo che fece anche in Roma in occasione di esser- visi trasportato con Lorenzo Zane preside di Pe- rugia , di cui era esso al servizio . Ma divenu- to Ognibene da Lonigo per la decrepita età i- nabile all' esercizio della Cattedra di belle Let- tere in Vicenza , si fé ricorso al Maturanzio; il quale dopo qualche dilazione là si portò , vi fu accolto con plauso , e vi dimorò 5. anni-, nel quale spazio di tempo recitò pubblicamen- te alcune orazioni. Ma non avendolo in segui- to bea trattato i Vicentini , e richiesto dalla Pa- tria , di cui anch' esso avea desio , vi ritornò do- po essersi trattenuto in Venezia per un anno , ove attese di proposito agli studj di filosofia, e fu invitato alla Cattedra di lettere umane , occupata in avanti da Giorgio Valla. Nel 1497. era certamente il Maturanzio in Perugia , aven- dovi recitata una sua oraziou funerale in lode di Frate Andrea di Casa Castalda nelle splen- dide esequie , che gli si fecero in S. Maria de' Servi, ma fu ricondotto solo alla cattedra V anno seguente con condizioni vantaggiose . Quindi di circa 55. anni si accasò con Seniidca di Averardo Montesperelli chiamata daìuìuxor casta , . nec uUis nobilitate minor . V' ha chi ha preteso che nel i5oo. leggesse il Maturanzio in Este ; ma con troppo deboli ragioni distrutte bravamente dal N. A. con incontrastabil docu- mento, dal quale è cìiiaro che apiìunto in quel- l'anno fu riconfermato nella cattedra di Perù- IO già. In questo luogo fa il Sig. Veriniglioli una digressione non piccola re'ativa ad un opusco- lo scritto dal Sig. Pietro Brandolese contro la sua Tipografia Perugina del Secolo XV. Con- viene di essere stato in alcuni luoghi ripreso a ragione; ma si lagna, né a torto, della trop- pa acerbità , con cui è ivi trattato . Noi volen- tieri lasciamo i particolari di tal questione , con- tenti solo per la stima, in che tenghiamo a- mendue , di far sapere che il Sig. Brandolese si scusò per lettera col N. A. che questi tutto ha dimenticato, e che han convenuto di gio- varsi a vicenda negli studj tipografici. Tor- nando al Maturanzio è da sapersi, che finché visse insegnò belle lettere in Patria; la quale gli die la carica di pubblico Cancelliere ; ca- rica dalla quale fu rimosso per calunnia, e in cui fu dopo non molto restituito, conosciuta- ne r innocenza . Fu pure eletto per decorose ambascerie insiem con altri reputati concitta- dini, fra' quali ei si distinse d'assai. L'epoca della morte di lui avvenuta nel 20. Agosto del i5i8. come sopra fu detto, è accertata da Te- seo Alfani che la segnò nei suoi ricordi MSS. P/i^oduce il documento il N. A. eh' è stato pur diligentissimo nel citare e riferir quelli ai quali si appoggia r esposto fin qui ; e nel fare un e- satto novero delle opere del Maturanzio siedi- le , che inedite . Speriamo di poter fra non mol- to dar conto di lavori del Sig. Vermiglioli si- mili a questo ; giacche ci fa in esso sapere d' aver materiali per tessere le vite di altri uomini illustri della dotta sua patria. G. B. Z. 21 Imitazione di due Sonetti Francesi , V uno di Monsieur de Barreaux , e V altro del P. lamin Benedettino . SONETTO I. E. iquità regge i tuoi giuclizj . Ognora Alta di noi pietà, gran Dio, ti prende. Ma se a' falli miei tanti ofFre tuttora La tua bontà pei'don, Giustizia offende. Dal tuo Poter, che meta e legge ignoi*a. Sol di mia pena ornai la scelta pende . Tua gloria del mio mal s'allegra e onora: Fin tua Clemenza lo mio scempio attende , Non in te 1' Ira disarmata e vinta Ceda a' miei pianti. Con dimesso ciglio Tua destra adoro a guerra e strazio accinta Dal furor prendi in saettar consiglio. Ma in qual parte cadrà lo strai che tinta Non sia del Sangue del divin tuo Figlio? :-2 SONETTO II. ^ì , pietoso al mio seno accolgo ognora Chi sue colpe a lavar col pianto prende. Ah perchè indugi, ingrato Cuor, tuttora? Più che il fallire il tuo tai'dar m' offende. Le vie di scampo all'uomo aperte ignora Chi tra dubbj s'avvolge e incerto pende. E Clemenza e Giustizia in un s' onora Dall'empio che perdon contrito attende. Da vivo intenso duol conquisa e vinta Spandi a me l'alma or che propizio il cigli» Grazia in te volge a tuo soccorso accinta. Se piii resisti , dal furor consiglio Mia destra prenderà nel Sangue tinta , Che per te sparse in van 1' eterno Figlio. Del V. Maestro G. M. Pagnini Carmelitano . 23 Memorie della vita di Messcr Gino da Pistoia raccolte ed illustrate c/aW -46. Sebastiano Ciam- pi Professore di Logica , Metafisica e lingua Greca neW Imperiale Università di Pisa . Pi^ sa 1808. .1* aro è che le memorie degli uomini som- mi vissuti in gran distanza dai tempi nostri ci siano giunte scevre di favole ridicolissime. La stessa loro celebrità n' è la ragione. Essa fa 6Ì che di loro molto si parli e dai dotti e da- gl' indotti ; col passar di bocca in bocca si tra- sformau le geste; talora cosi alterate si conse- gnano allo scritto ; ed ecco una serie di filisi documenti , coi quali taluno studiasi di autenti- care stranissime opinioni. La sola critica in tal caso può disceverare il vero dai falso , tome protestasi di voler fare Plutarco nel tesser la vita di Teseo-, le cui azioni erano involte, di falsi racconti per colpa dei Tragici, per quan- to ne afferma Pausania . Gino non andò esente da simil sciagura*, e molte fole narraron di es- so gli Storici Pistoiesi ed altri. Ne smentirono alcune il Mazzucciielli , il Sarti, e il Tirabo- èclii; e tutte le ha combattute nell' opera, di cui diara l'estratto, il dotto , diligente e bene- merito Sig. Professor Ciampi; il quale per dar- ci una completa, per quanto poteasi , e sincera vita di Gino ha scorsi tutti i voluminosi Codici delle Riforme e Provvisioni del Comune di Pi- stoia dal iSiC). ( epoca la più remota a cui quei libri risalgono per esser l' avanzo di più incendj ) fino al i356. circa al qual anno morì Messer Ci^ u .... no ; ed ha consultati e fatti visitar per altri do- cumenti sì di Pistoia , come di altri luoghi . Nacque Gino in Pistoia 1' anno 1270. da Ser Francesco di Guittoncino di Sigisbuldo Sini- buldi famiglia nobilissima e da Madonna Dia- mante di Bonaventura di Tonello , ambedue Pistoiesi . Il casato di lui , che variamente tro- vasi scritto , è provato dal N. A. dopo incon- trastabili documenti, ai quali in tutto il corso dell'opera appoggia ogni sua asserzione, esser veramente dei Slnibuldi. Il primo .suo istitu- tore fu il grammatico Francesco da Colle, uo- mo se d'altronde ignoto, non da annoverarsi però fra gli oscuri per l'ottima istruzione da- ta a Gino sì nell' amena letteratura , come nel- le (llosofiche facoltà. Ebbe probabilmente Gi- no in Pistoia i primi elementi del sapere , Fu io essa aperto nel 1279. uno Studio di Leggi; onde par certo che vi fosse anche scuola di graraatica per iniziarvisi ; della cui esistenza ])erò la piìi antica e certa memoria è circa il iSi5. Prima di Gino poetò in Pistoia nel laSo. Meo Abbracciavacca , inaizio evidente che vi si coltivarono ben per tempo gli ameni studj, e poetò con Gino in fra gli altri Vanni Puc- ci ladro alla sacristia de belli arredi (i). E' pur (1) Aggiugniamo qui una nota interessante tra- smerisaci dal Sig. Ciampi . Ho scritto nella vita di Cina a pag. 22o. che il furto di Vanni Facci ladro nella Sacrestia de' belli arredi accadde nel 1296. Per fissare (["-est' epoca mi fondavo sulla relazione che ho pubblicato della condanna seguita nel tem- po che Giani della bella era Podestà in Pistoia » che secondo il Macchiavello vcnnevi nel I2y5. Ma non è vero , perchè molti documenti da yfie poste' di quest'epoca un volgarizzamento dei trattati morali di Albertano fatto da S^r Soffredi del Grathia di Santo Aiuolo nel 1275. Codice mem- branaceo esistente nell' Archivio Comunitativo di Pistoia scoperto dal diligentissimo N. A. che in nota lo descrive, lo illustra, il paragona coir edito da Bastiano de' Rossi . e dalle gran- di diversità che v' incontra e dalle spesse vo- ci di antico dialetto Pistoiese rimaste in boc- ca dei contadini , sospetta giustamente che lo stampato venga da diverso traduttore . Ritornando a Gino, ben a propositi riflette il Sig. Ciampi che le Arti e le Scienze si pie- gano secondo le circostanze e la maniera di pensare del secolo in cui si vive. In quel di Gino insorgevano varie e contino ve controver- sie sì fra' privati , come fra* potenti , nelle qua- li si avea ricorso agì' interpreti delle leggi . Ciò mosse Gino allo studio della giurispruden- za , in cui ebbe Dino per maestro in Pistoia , Bernardino Ramponi e Francesco d' Accorso in rlormente ritrovati dimostrano che Giani venne po- destà a Pistoia l'anno 1 294. Altri documenti die ho trovati, dopo aver gin pnbhlicato la vita di Ci' no , danno sicura prova , che qtial furto avvenne nel Gennaro del r2p3. Dal furto poi alV essere sco- perto il ladro , e alla condanna decorse un annoi onde si giunse al 1294- anno in cui ju Podestà. Giani . Nella Storia della Sacrestia dei belli arre" di che sarà da me data in luce con molti docu" menti interessanrissÌ77ii per le belle Arti, ed in ispc eie per la pittura e per V oreficeria , darò un cU' rioso ragguaglio del rubhamento di Vanni Facci , avendo trovato nota autentica dei danni recati dal furto e dei risarcimenti fatti dagli Operai di S- Ia- copo . 76 Bologna; e il suo felice ingegno It fé primeg- giare in essa fra' contemporanei. IJ secolo pu- re gli destò brama di poetare , non riputan- dosi allora scienziato e di spirito se non chi sa- pea far versi; e il suo genio lo re-ie il prodi- prio dei coetanei e l' ammirazione dei posteri. Par poi falso che studiasse in Padova e che ivi approvato non fosse per la laurea: lo che alcuno ha opinato essergli in Bologna accadu- to . Ivi certamente fu a studio; ma non ne eb- be tal disonore; anzi dalle memorie che abbia- mo si raccoglie che due esami vi sostenne i' uno probabilmente pel grado di baccelliere , V altro pel dottorato con molto suo decoro . Restituito in Patria fu impiegato nella giudicatura ; ed era assessore delle cause civili nel i3o7. anno turbolentissimo per aver la Fazione dei Neri «uperato i Bianchi ed essersi impossessati di Pistoia. Era Gino fra' perdenti; e perciò dopo tal epoca saria vano ricercarlo in Patria. In un Sonetto ad Agatone Drusi assicura di aver preso da lei volontario esigUo , e in nn altro a Dante duolsi d'essere stato mandato in ban- do . Forse spontaneo lasciò la patria per non esporsi alla furia della vincitrice fazione, e fu poscia fatto dai Neri contr' esso il decreto d'esilio. Comunque ciò fosse si diresse verso la Lombardia; e forse ricovrossi presso Filip» pò Vergiolesi Capo dei Bianchi ritirato in Pi- teccio fortilizio delia- Montagna pistoiese , e per la stretta amicizia che avea con esso e per amar perdutamente Selvaggia fàglia di lui , eh' ei vivente e morta celebrò con delicati e vivaci componimenti . E'' costante tradizione , ammessa anche dal Tiraboschi, che di là an- da?se in Francia. Certo nel suo cemento sul CoUice , di cui or or faremu parola si troia- no diverse pratiche di piti città e tribunali Francesi ; ed egli stesso asserisce aver sentito disputare frate Egidio dell' Ordine Eremita* no, che fu professore di Teologia in Parigi. Ritornato Gino in Italia fu Assessore di Lodo- vico di Savoia creato da Papa Clemente V. Se- natore di Roma nel i3io. 11 N. A. riferisce a quest' epoca varj Sonetti nei quali Gino fa sapere di aver passato l'Appennino e di aver pietosamente in quell' occasione visitato il Se- polcro di Selvaggia : lo che, oltre le altre pro- ve addotte, è argomento ch'ella morì mentre il padre da Piteccio passato era alla Sambuca piantata appunto suU' Appenino. Lodovico era stato spedito da Arrigo settimo venuto in Ita- lia per farsi riconoscer Sovrano, e per aver dal Papa la corona imperiale . Ma dovette fuggi- re poiché gli affari dell' Imperatore comincia- rono a andare in sinistro. Morto poi Arrigo a Bonconvento, mentre andava contro Roberto Re di Sicilia, dopo averlo già dichiarato de- caduto dal Regno e toltigli tutti gli altri pos- ledimenii ,che erano sotto l'alto dominio del- l' impero , Roberto chiese al Papa che annul- lasse una tal sentenza. Il Papa l'annullo: lo che risvegliar fece gran rumore nelle Scuole dei Decretalisti e dei giureconsulti civili. Gi- no prese le parti di Arrigo senza però pensar mai a porre in dubbio i supremi gerarciiici diritti che dai Cattolici nel Romano Ponteii- ce si riconoscono , come ben osserva dopo va- lidissime prove il N. A. Ovunque ei dimoras- se dopo r assessorato di Roma e la morte di ?8 Arrigo, è certo che verso l'anno 1S12. inco- minciò a scrivere il famoso comento , e lo ter- minò agli 1 1. di Luglio dei i3i4. E' degno d' es- ser letto ciò che su questo libro riflette il N, A. In brevi tratti fa egli lo stato della giuri- sprudenza ai tempi di Gino, rileva i pregi dell' opera che sono tali da costituirla libro di secolo, e gli sforzi fino eh' ei fece per an- dar pili oltre ; i quali se talora furon vani col- pa fu del secolo , non dell' uomo . Divenuto ce- lebre per tal lavoro fu sollecitamente invitato a leggere in varie università . Quella di Tre- vigi allora nascente 1' ebbe prima d' ogni al- tra. Poscia pertossi a Perugia, ove lesse per lo spazio certamente non minore di 2- anni : epo- ca in cui la sua patria provò varie dolorose vi- cende dominata da Ermanno *'Ted lei , e poscia da Castrudcio : vicende in cui ebbe assai parte Mino suo figlio . Ebbe in Perugia a discepolo il famoso Bartolo , che se vinse nella professio- ne il maestro , ebbe però a confessare a Bal- do, che gli scritti e le istruzioni di Gino avea- no fabbricato il suo ingegno. Insegnò quindi leg- gi civili in Firenze , non mai diritto canonico, come taluno ha creduto, confondendo probabil- mente il nostro Gino con Gino Tebaldi suo ni- pote (i). Sbagliò pure chi il credè maestro del fi) Nella Raccolra del Calogeik è pubblicata una lettera sotto nome di Gino Sinibuldi.La riproduce il N. A. nelle note e la crede di Gino Tebaldi. E^ certamente ed eccone le ragioni comunicateci per lctt(.'ra dal Sig. Ciampi medesimo . Nella vita di Cino a p"g. l4l- dico che la lettera già da altri pubblicata sotto nome di Cino Sinihnldi probabil- mente devft credersi dell' altro Cino Tebaldi suo ni- ■^9 Petrarca nella legge civile, e del Boccaccio nel Gius Canonico : e sono certamente apocrifi i documenti da cui si traggon le prove. Fin qui di Gino legista. Si considera in ultimo dal N. A come poeta . La stessa critica con cui fece egli il prospetto del diritto civile ai tempi dì lui, lo ha guidato a stender quello della poe- sia all' epoca stessa . In seguito fa chiaro che Gino contribuì molto al perfezionamento della nostra favella, e che il Petrarca molto di lui si valse nella sua lirica . Del primo vi hanno solenni testimonian/x nel trattato della volgare eloquenza di Dante; il secondo si manifesta dal confronto fatto dal N. A. di non pochi compo- nimenti di amendue. Intorno poi alla morte di Gino il Tiraboschi mosse dubbio che veramen- te accadesse nel i33ó. come porta l'iscrizione del cenotafio , e tenne opinione che seguisse potè . Allora mi determinai a creder ciò per plau' sibili congetture . Ora poi ne ho la certezza essen- domi incontrato nel seguente documento che spiega il motivo di quella lettera. — Messer Gino di A'Ios- ser Marche f Tebn.ldi ) per dare il consiglio suggiel- lato e per rivedere i capitoli e sopra quelli consi- gliare .sicché il Comune e S. Iacopo abiano il do- minio del detto Mjnastero delle Vergini di S. Ma- ria della Nieve e di S. Orsola diede e rende il con- siglio sugiellato con suo sugiello e appre.sso lui a sua istanzi^ vi puosono il loro sugiello Messere . .... e Messere ( mancano i nomi perchè chi scrisse forse non seli rammentava ) Dottori di Decretale Questo consiglio bisognò perchè Messi-r lo Veschovo di Pistoia non volea sagrar^:; il Muni- stero ne la Badessa secondo i Chapitoli ec. ( da li- bro d'entrata e uscita dell'opera di S. Iacopo dal iS^o. al l3S4. all'anno I3^So. pag. iSi. tergo ) 8o nel 1341, Sebbene la torma delle lettere non co la mostri sincrona , se ne avvalora però la da- ta del Sig. Ciampi con la nota delle spese per la malattia , morte , e sepoltura di Gino, insiem con altri documenti somiglianti , che parte han la data dei 28. Gennaio, parte deli' 11. Feb- braio 1333. Le non poche cose nuove tratte fuori dal Sig. Ciampi in questo iibro ci fan desiderare a bene della storia delle lettere, che, dopo aver pubblicato le interessantissime inedite notizie riguardanti la Sacristui dei belli arr<:di , dia a luce i non pochi lavori da esso fatti per illu- «trar le geste di altri dotti Pistoiesi . G. B. Z. ^.fc/* . ■ ' .- ' ''r\a Continuazione dei Bassi rilievi antichi di Koma ec. Tav, 24. Poeta Tragico. Collocata è in mez- zo una Maschera Tiagica su di un cippo coper- to di clamide eroica. A sinistra siede su di un sasso scabro una {Ignra ammantata, che guarda attentamente Ja maschera, e in atto di profon- da meditazione. A destra vedesi altra figura se- dente su di coHsimii sasso, men dignitosa però , involta anch'essa in manto, e ci'n un papiro in mano . Neil' indica/Jone antiquaria della vil- la Albani sono amendue le figure caratterizza- te per poeti. Vi si oppone il N. A. e pensa che il poeta sia il primo da noi mentovato , e che nell'altro siasi espresso 0 un Amanuense, o un Attore. A noi più piace ravvisarvi l'Ama- nnense e crediamo accrescer probabilità alla sen- tenza del Sig. Zocga ,che vede nel marmo un solo poeta, col riflettere che la maschera è in profilo, e ad un solo rivolta. Tav. 25. J'rastulli rurali . Due figure -, una re- gtita in foggia più conforme al greco che al costume romano, 1' altra in abito servile -, uu capro , una lepre , una pernice ; un tirso , un tron- co, e un disco, sono gli oggetti di questo mar- mo. Winckehnann ne ha parlato nei monumenti antichi inediti e ci ha veduto il teatro unito con dei giuochi 'y e dice che 1' uom palliato è vui tragico e 1' altro col vestiario servile e con una maschera, un poeta comico. Il N. A. poi tro- va nel primo un Romano, od anche un Greco datosi a vita gioiale nella villa Tiburtina ( Da Tivoli fu trasportato il marmo ) , nel secondo un servo che mostra la maschera barbata che ha in mano al padrone, o la reca in seguito del suo comando; e alla caccia riferisce gli animali, e ai trastulli villerecci si' istrumenti da sjiuoco.La principal ragione poi per cui non adotta la spie- gazione di Winckelmann è perchè la rappre- sentanza è in lastra tolta da un Sepolcro. Oia le lastre erano fatte ajìposta e all' occasione, e perciò rappresentavano sempre cose attenenti al defunto; e non eran come i Sarcofagi, che gli artefici tenevano lavorati nelle loro ufficine .Non neghiamo che a prima vista faciia specie il ve- dere un uomo di senno fra. quei balocchi pue- rili ; ma cessa tosto la sorpresa, anzi ci sentia- mo invitati ad adottare la nuova spiegazione del Sig. Zoega al ripensare , La:7zum sjmperj'e- re cuin Scipione soUtum rudticari , eosquc incre- dibiliur repueraiccrn a se Sijiuu»- , ciun ras ex ur- 6 83 he tamquam e vincuUs evolavìssent , . , . conchas eos et umbilicos ad Cajetam et ad L'aurentum legere consuesse , et ad oinnem animi remissionein , ludumque descendere (i). Tav. -26. Lavori della vend.inmia . Incomincia la rappresentanza a sinistra del riguardante da due contadini con gran corba piena d' uva ; 1' un dei quali s' iucaìninina verso il tino , ove l'altro è giunto evi depone il suo carico ; men- tre tre altri presisi scambievolmente per mano pigiano le uve. xlccanto al tino è una tinelJa, presso a cui è situato lo strettoio. Segue un uomo giovane che con boccale infonde del vi- no in un vaso tessuto di vinchi ed impeciato , ed un altro che vuota simil recipiente in un dolio. 11 non essersi molto trattenuto ii N. A. su questo monumento, e il dissentir noi in al- cun particolare da lui ci determina a ritesserne brevemente l' illustrazione. La rappresentanza dei due giovani che por- tano le uve e dei tre che le calcano nel tino par tratta dalla bellissima egloga di Nemesia- 110 (2), ove i Satiri dopo aver colti i grappoli .... portant calathis , celerique illidcre pianta Concava j>axa super ^roperant ^ vindemiajervet , Quelli poi che sono nel tino non per altra ra- gione si tengon stretti per mano , che per farsi sostegno scambievolmente-, in quella guisa che i nostri per simil motivo si attengono al tino. In tessera riportata dal Caylus (3) e non citata (l) Cic. de Orat. 1. 2. e 6. (3^ Ecl. 3. V. 4'2. (3) Tom. 5. pi. 72. n. 4. 5. 83 dal N. A. veggonsi due che presisi per ambe le mani premua le uve tenendo un pie levato in mossa uniforme. Nel primo dei due monu- menti Matteiani (i), citati anche dal N. A. i tre giovani che ammostano non si tengon per mano, ma si abbracciano; e nel secondo i duQ genj che pigiano le uve si abbracciano pure, ma con 1' una mano, mentre con 1' altra si at- tengono a un bastone biforcato. Cade poi in acconcio di trattenersi alcun po- co a considerare il tino. EMi forma rettangola- re nei marmi Matteiani e nel nostro ; rotondo nella tessera del Gaylus e a cono rovesciato, for- ma contraria a quella che si reputa la più uti- le dagli agronomi moderni . Dal monumento che illustriamo non potremmo comprendere il metodo con cui gli antichi estraevano il mosto dal tino, non comparendo qui nessun foro. Pal- ladio però e i monumenti sopraccitati cel met- tono in chiaro , Ex his lacubus , die' egli (2) , canale^- structi vel tubi -flctiles circa extrcmos pa- rietes currant , et suhjectis lateri suo doliis per vicinos meatUi- jnananLia vina defundant . Questi tubi erano certamente interi.i; e il dirsi da Pal- ladio che ricorreano all' estremità delle pare- ti del tino pone in chiaro , perchè quasi sempre si osservino nei monumenti antichi posti nell' al- to del tino uno o più mascheroni, dai quali infondeasi il vino nei sottoposti vasi. Egli è dunque indubitato che gli antichi nel calcar le uve tiravano a por giù la vinaccia, e a far (i) Tom. 3- tav. 45. fig. 'i. tav. .|6. (2J Lib. I. tic. iS. » 84 galleggiare il vino; forse per averlo più puri- ficato. Se nel nostro tino non si osserva alcun foro dovea aversi per una delle tante reticen- ze usate dagli antichi artefici , e non dirsi mai che il mosto passa in altra tinelLi piccola . Il piccolo tino è per ricevere lo stretto; giacché gli antichi ne conobber talora uno destinato esclusivamente a tal uso. Il mostra Columella da cui sono mentovati lacus vinarii et torcala^ rii (i); il mostra il nostro monumento, che ha presso questo tino scolpito lo strettoio; e il mo- stra finalmente una pittura ercolanese (a) non osservata dal N. A. in cui è uno stiettojo con re- cipiente assai pili piccolo in proporzione dei tini da calcarvi le uve. E^ dunque vino stret- to e non mosto quel che un ragazzo con broc- ca dai tinello trafonde in un vaso grande ; e ci sembra pure mén vero che sia mosto quel che il suo compagno da siwil cratere versa in un dolio. Se il disegno è esatto, quei che dal va- so si versa non è certamente mosto. Noi ten- ghiamo opinione che siano gli acini già stret- ti, e che ivi si pongano per farne 1' acquerello non ignoto agli antichi (3) . Ne è anche non equivoco indizio lo strettoio, il quale compa- risce vuoto, mentre Jervet vindemia e pieni so- no i tini ed i vasi . Tav. 2'^. Bottega di Vivandiere. Sono appic- (1) De R. R. lib. 12. e. l8. (2) Pitt. t. I. tav. 35. {o) Expresxi ac'uioruni folUculi in dolìa conjicitiH- ttir , coque aqua additar : ea vocatur lora , quod lo' ta aciria , ac prò vino opcrariis datar hieme.. Var. de R. R. 1, I. cap. 5|. V. anche Catone de R. R. »:. 25. 85 cate a varj oncini lepri , porcelli , ed oche . Una donna assisa presso una piccola tavola stringe colla sinistra un coltello di cui non ve- desi che il manico, colla destra il collo d' un* oca sospesa in alto per le gambe , ed è volta- ta ad ascoltare un' altra donna , che con la de- stra accenna verso l'oca mentovata. Pare al N. A. che questa contratti con la vivandiera . A noi par verisimile che sia la padrona della bottega, che dia alla sua sottoposta gli ordini opportuni . Che ella infatti appartenga alla bot- tega si può arguire dal vederla discinta, co- me costumavano di stare in Roma alcuni arti- giani; onde abbiamo in Ovidio (i) dlò-ctnctus institor . Anzi avendo ella il cinto nella sini- stra , cosa che non è osservata dal N. A. ci confermiamo nell' esposta opinione, ch'ella sia in atto di partire; e prima dia le convenienti disposizioni. Hawi ai di so[)ra della lastra que- sto curioso motto preso da Virgilio (i): JJ»/7i moTitibus umbrac Lustrahunt , convexa polus duin sìdera pascci , Semper honos , nomenque tuuin , laii- desque manehunt . Tav. 28. Bottega di Pizzicagnolo . E' fram- mento di gran basso rilievo e rapuresenta da una parte un uomo che con una coltella alza- ta è io atto di spezzare una testa di cinghiale. Pendono da una trave la testa di un porco , una coratella , ed altre carni ; sotto è l' iscrizio- ne Marcio . Semper . Ebria'. Dall' altra parte vedesi il busto di un uomo attempato coli' i- scriziune. Ti. luliu . f^ itali . li N. A. ripete la fi) Amor. 1. I. (2) Acneid. 1. I. v. 611. 86 spiegazione data al marmo dal eh. Morcelli nell'indicazione della Villa Albani. Tav. 29. Giovane che va al bagno. Involge il corpo nudo ^in grandioso pallio , ed ha nella sinistra il vasetto dell' olio e lo striglie. Op- portunamente il N. A. si riporta a quanto di questo Bassorilievo ha detto il dottissimo Vi- sconti nella tav. B. del tomo 3. del Museo P.G. Tav. 3o. Alessandro e Diogene . Diogene è nel dolio , sopra cui si asside il cane , e dirim- petto vedesi Alessandro che è in atto di do- mandare al filosofo se da lui bramasse alcuna cosa : domanda a cui il Cinico rispose solo , che se gli levasse dal sole. Se il N. A. è sta- to neir illustrazione di questo monumento pre- venuto da Winckelmann che ne ha esaurito la materia , ha sayìuto renderla interessante perle belle osservazioni eh' ei fa sulla scarsezza dei monumenti , che rappresentino fatti spettanti ai tempi istorici della Grecia , e sulle anticaglie appartenenti ad Alessandro, ninna delle quali è (^oeva a questo insigne conquistatore. Tav. 3i. B.onia seduta su delle spoglie. Que- sta estesa illustrazione dee riguardarsi , come una giudiziosa riunione di tutto ciò che può sapersi intorno alla personificazione della città eterna , facendosi un esatto e ragionato novero dei monumenti che la rappresentano, e notan- dosi inoltre ogni più minuta variazione sì nella positura, come netl' abbigliamento e nei sim- boli . Tav, 3a. e 33. Alimentarie Faustiniane . L'i- stituzione è di Antonino Pio che fé tal libera- lità dopo la morte di Faustina sua consorte ; e da lei nominate volle tali fanciulle. Winckel- 8: mann scoperse il soggetto di questo marmo col confronto eli una medaglia Veggonsi due don^ ne in piedi su di un suggesto ; una delle quali creduta ragionevolmente dal N. A. Faustina giuniore ( vi si riconoscono le fattezze -, ed è assai naturale supporta incaricata dal padre del- l' annua distribuzione di questi alimenti) ver- sa alcuna cosa da un vaso quasi cilindrico nel manto di una fanciulla, che di esso fa seno , mentre dall'una parte e dall' altra concorrono schiere dì simili ragazze. Tav. 34. Meta Circense. E' un cono intero di quelli che congiunti a tre a tre si poneva- no sulle mete . Al basso si rappresenta in bas- so rilievo una danza bacchica ; e verso la ci- ma vedonsi una clava ed uà pedo , simboli del- la tragedia e della commedia , ritenuti da lar- go nastro che cinge il cono . Gli spartimenti che sono sopra e sotto il predetto nastro sono fre- giati di corone di ulivo sospese a dei cavicchi. Tav. 35. Auriga Circense. Han parlato non poco di questo monumento Winckelmann nei monumenti antichi inediti, il Bianconi nella descrizione del Circo di Caracalla, e il Vi- sconti nel Museo V. C. Il N. A. da essi sce- glie le osservazioni che pivi fanno all' uopo e aggiugne una congettura "su di una colonnet- ta che vedesi nel marmo , e da ninno fin qui stata considerata . Opina , che sostener potes- se nella cima, che ora è rotta , la statua del- l' auriga trionfante; giacché esso in circostan- za tjile e rappresentato . Tav. 36. Coniugi a mensa . Conforme è que- sto monumento a quel deila tav. 11. di cui noi rendemmo conto nei voi. V. p. 76. Allora ci ap- 88 pigliammo al sentimento di Winckeiraaiin , e aggiugnemmo alcuna cosa che pinci parve com- provarlo. Non lo abbandoTiiaiuo iieppur qui ; anzi ci par più vero comparando la testa del personaggio decurabente che nella predetta ta- vola e in questa ha 1' istesso carattere eh' è somiglianza con Giove , e che conviene , come ullora provammo con incontrastabili autorità , a Nettuno. Il presente marmo varia in ciò dal- l'altro. Manca in questo il nudo garzone. Fra le due Deità spuntar si vede un albero; e la testa del cavallo comparisce come da una (ìne- strina . Quattro femmine d'assai piccola statu- ra r una dietro 1' altra sembrano avanzarsi ver- so il letto, presso cui è una tavola imbandita, sotto la quale giace un cane . Questo non dee prendersi per alcun simbolo , ma solo ripetersi dalla bizzarria dell' arteiice , die op{)ortuna- mente l'ha ivi collocato. Quella mensa stessa pare a'.lditarcl , che si è voluto nel monumen- to rappresentare un lettisteruio a Nettuno e Cerere-, e perciò dovrem nelle femmine ravvl- «are delle snpplicaiiti . Tav. 37. CacciiUore . Un cacciatore che al- l' ombra di due querele palpa il suo cavallo bardato di pelle di tigre o leone che sia , due giavellotti, e un Priapo cinto di giiirlanda e su di una rupe , sono gli oggetti di questo frammento di per sé [)Oco signiiìcante. Tav. 38 Oreste in Beiti. Oreste si rifugia suir ara di Apollo , appoggiandovi sopra i' de- stro ginocchio. Pilude gli è presso, e auìcaidue han sguainato il ferro contn» cinque Furie <;he gì' inscguono , una con pugnale e serpe , ed una con face: nelle altre tre sono distrutti in gran ì ^9 . ^arte i simboli ; ma avanzi mostrano essere di faci . Osserva opportunamente il N. A. con- tro WiuckeUnanu e il Visconti , che quel cin- to incrociato sul petto, ovvio in ligure etru- «clie , e da (juesti ùut; grandi antiquari spiega- to pel fermaglio delle ali , non può così inter- pretarsi -, mentre in questo monumento ve;lesi in una Furia che non ha ali. Non possiamo i)e- rò soscrivere alla bassa idea che il N. A. sem- bra avere di tutte le urne etrusche ..K.oma ,che. ne ha in scarso numero, e i trascurati disegni che si sono dati di non poche di quelle di To- scana, non possono esser norma al giudizio. Nella doviziosissima raccolta del Museo di Vol- terra se ne scorgono delle bellissinie ; e nella I. Galleria di Firen7e v' ha il Filottete di ma- raviglioso lavoro ; ed è pur trattata con molta intelligenza l'urna che rappresenta T accieca- mento d'Edipo: argomento ch'io già scopersi, e che trattai in ana estesa illustrazione , ancor manoscritta, confutando il Gori e il P. Pauli, che r aveano male interpretata . Tav. 09. i.yszpi/e venduta a Licurgo . Si cono- scono cinque repliche in poco variate di que- sto monumento, e sono diverse le interpreta- zioni che gii si danno dai dotti. Il Guaruac- ci vi vede le matrone Ateniesi rapite da' Pe- lasghi di Lenno -, il Gori nel Museo Etrusco Auge e Teutrante , e il eh. Morcelli nell' in- dicazione della villa Alhaiii il ratto d' Elena. UN. A. propone anch'esso mo^iestamente la Sua congettura col dargli il titolo or riportato. A sinistra del riguardante vedesi una nave , entrovi una figura presso ad un remo. Accan- to si asside un uomo con tunica, so^'ravveste pò succinta e manto , che situato col davanti ver- so essa nave rivolge dall'opposta parte il guar- do alla donna piangente da due giovani spin- ta , innanzi al qual gruppo sono due servi con un vaso e dietro un' altra figura. Il vaso è chiaro dalla tav. i38. del Museo Etrusco dei Gori che dall' un servo si da all' altro perch' ei lo rechi nella nave. La donna poi non può sup- porsi tratta già dalla nave come pensa ilN. A., ma patentemente vi è guidata . Ciò osta perchè ammettiamo la nuova congettura. Non abbiam potuto vedere su quali dati appoggi la sua in- terpretazione il eh. Morcelli ; ma ci siamo sen- titi invitati da prima ad adottarla. E^ vero che Euripide (i) e Coluto (2) fan fuggir spontanea Elena con Paride dalla casa di Menelao ; ma non manca fra gli antichi chi l'abbia detta a forza rapita (3) come qui comparisce . Spiega- vamo allora il vaso come il continente di quei tesori ch'essa rapì nella fuga (4). Ma ci di- stolse da tale opinione 1' uomo sedente presso la nave, che par volgersi sdegnato alla donna 1 e che non è certo in atteggiamento convenien- te a Paride -, che sebbene secondo Darete Fri- gio (5) rapir facesse Elena dai suoi servi , pu- re preso com' era dalla passione dovea espri- mersi desioso ed impaziente che gli fosse re- cata in braccio. Non credemmo però d'andar fi) Troad. V. Ic37. seq. (•2) De Raptu Hel. v. 3c5. seq. (3) V. Dar. Phryg. deExc. Tr. e. IO. ibiq. nota*. (4) V. Herod. in Euterpe par. I14. Homer. liiad, 1. 3. V. 70. ibiq. Euscath. et Dictyn de bello Troia- no 1. l. e. 3. (5) Gap. ic. 9^ lungi dal vero supponendo rappresentata Ele- na neir atto eh' è guidata a Menelao , mentre egli vinti e disfatti i Troiani hi portò in Troia per ripeterla; e il fatto è narrato da Euripi- de neileTroadi (i), Giunto là il tradito consorte protestasi tosto di voler nel la nave (lì; ricondurre in Grecia l'infida moglie , e coujanda ai servi che fuor la traggano a forza: lo che essi esegui- scono, ed ella se ne lagna con Menelao (3) . Ec- co dunque perchè comparisce la nave nel monu- mento, e perchè quegli eh' è assido accanto ad essa , ed è Menelao , si rappresenta sdegnato . Opportuaissimo poi è il vaso; giacché è assai naturale che Menelao s' impossessasse anche dei tesori involatigli ; tanto piii che appena avvenuta la fuga d' Elena si portò egli con Pa- lamede ed Ulisse (4) a Troia per richiedergli in un colla moglie ; e per lei e per eshi pugnò con Paride (5). Non ci trattien molto il giovi- netto che nella replica del MafFei (6) spinge la donna; giacché il vederlo piia adulto presso il Gori (2) assai più nei nostro , e mancante nel Guarnacci (8) ,cel fa credere arbitrio dello scul- tore. Ecco in breve il nostro parere su questo monumento ; i dotti giudichino se abbiamo , co- me a noi pare, dato nei segno. (i) V. 860. seqq. (aj vat/iropw eT' àjav nr\arri 'EWvvi^' àg yHv . v. S7'J--78. (3) "Tfos ■}àf ^Epo-/ TTf oj-TTiXcjv o-i^tv 'Zia nr^i TOJ'd'S ^lOfJci'iwv tx.rriiJi'TrofJou . y. 8QÓ--7. (4; V. Dictyn 1. i. cap. 4. (5j V. Hom. Uiad. 1. 3. v, 70. (6j Museo Voron. tav. 5. n. 2. (j) Museo Etrus t. l38. {>^) Orig. Ital. 1. '2. p. 34- ediz. di Lucca. 91 Tav. 4o. E e hello .In mezzo a tre combattenti , due Furie, ed un morto si vede un giovane , che puntato il sinistro ginocchio sul dorso d'un uo- mo rovesciato boccone a terra 1' uccide con un aratro . Il soggetto è dei più ripetuti in urne e- trusche ; ed è stato spiegato da Wìnckelmann e dal Sig. Lanzi, 11 primo vi ha veduto quel- r Eroe incognito che alla battaglia di Marato- na pugnò contro i Persi iu favor degli Atenie- si , e che fu chiamato Echetlo dalla stiva del- l'aratro che f u . r arme, con cui fé la strage . Per quanto Winckelmann e il Sig. Fea non trovino strano un tale argomento; pure a noi lo pare ( ha qualche difficoltà ad ammetterlo anche il N. A. ) , non potendoci persuadere che gii Etruschi volessero rappresentar sulle lor ur- ne un soggetto storico d' un' altra nazione a pre- ferenza di un mitologico . Il Sig. Ab. Lanzi poi (i) congetturò che vi si rappresenti Gia- sone mentre uccide i guerrieri nati dai den- ti , da lui seminati . Si è opposto a questa sen» tenza , che gli antichi dicono eh' ei gli ammaz- zasse coi sassi e colla spada ; ma ci sembra che con ciò non si rovesci la congettura , poten- do con. facilità la operazione rustica di semi- nare i denti aver dettata l'invenzione d'espu- gnar coir aratro i guerrieri germogliati da lo- ro. E' vero che dai poter essere all' essere in realtà non v' ha illazione*, ma rammentiamoci che parlasi di congettura, non di evidenza. G. B. Z. (i) V. il eh. Fea a Winckel. t. 3. p. 4S3. 93 L' OCIPO DI LUCIANO VERSIONE INEDITA DELL' AB ANT. MARIA SALVINI Tratta da un Codice autografo della Libreria Marucelliana . on sarà alieno da uno de' principali og- getti, che ebbero in vista i Compilatori di que- sta Periodica Collezione, quello cioè di giova- re alla conservazione e al miglioramento del buon Toscano linguaggio, se dopo la versione del Podagroso , pubblicata nel prirrto Voi. della medesima , si presenta adesso quella àelV Ocipo parto dell' incomparabile sapere di colui, che in fatto di lingua può a tutta ragione chiamarsi 3Iaestro di color che sanno . Oltre di questo, essendo V Ocipo di Luciano come il seguito dei Podagroso , rendeasi necessa- rio che l'uno non andasse separato dall'altro. Grazioso e lepido al par di quello è 1' argo- mento di questo piccolo Dramma , che può citarsi come uno dei piii bei componimenti burleschi de' Greci. Fiijge in esso l'Autore, che Ocipo, che in volgar lingua sonerebbe velocipede , agl'io di Pudalirio, e d' Astasia , giovane dotato di somma bellezza, e di gran furza,ed amantedella caccia, e di tutti i gimnastici eserciz), derides- se sovente, e motteggiasse quegl' infelici, che erano molestati dagli acerbi dolori della Poda- 94 gra, dicendo che questa malattia era cosa da nul- la . La Podagra adunque , personalizzata da Luciano (■••me Dea , i-ileguatasi iierameiite del di- spre/zo di costui , lo investe tutto quanto coi suoi malori . e lo punisce così della sua impu- dente maldicenza. Ecco in sostanza 1' argomen- to di questo lei)idissimo Dramma , nel quale £ono introdotti a parlare la Fodagra , Ocipo , il 6UO Ai) e un Medico. La scena si rappresenta in Tebe. L' OCIPO , OVVERO IL CELERIPEDE La Podagra fa il prologo . X erribile e di reo nome nel mondo , Podagra detta son , lerribil male. . Lego con lacci nervei le gambe, • Penetrando gli articoli non vista. Rido di quei che gon da me percossi, E non dicono il ver di lor sciagura. Ma preparati a varie scuse sono. Che O'Tuun se stesso inganna con bugie. Come scrollato, o battuto abbia il piede. Dice agli amici , la cagion tacemioj Ma quello, eh' ei non ilice, con pensare Che gli altri non s'accorgano del vero, Veneìido il tempo, mostra, suo malgrado. E vinto allor, chiamandomi per nome. Tutti gli amici portanlo in trionfo. La fatica coopera a' miei mali , Che sola sen/.a questa, io non son nulla. Questo mi pugne, e sì m' arriva al cuore. Che niun la fatica, eh' è cagione Di mali a tutti quanti , con malefiche Bestemmie biasma , 0 svillaneggia mai. Ma conerà me maledizioni mandano. Quasi scampare i nodi miei sperando. Perchè sì ciancio , e non dico a che fine Son qui, non sopportando la mia bile? Che questo generoso Ocipo ardito E' contra noi, e dice, eh' io son nulla. Ed io punta dall'ira, come donna. Lui inianabil contrappunsi a modo, Come era usa a chiappar pugno del piede» Or sottil luogo tiene il fier dolore, E la base trapana con punture; Ed egli come avesse il pie percosso Da carriere, o da lotta, inganna il vecchio Sorvo governatore , e ii pie posando , In modo che non paia che sia zoppo , Il meschino di casa ora se n'esce. Ocipo . Donde a' piedi esto duol terribil venne , Senza ferita, instabile, inaccesso? Io tendo '1 nervo , qual uom saettiere Lo strai tirando , ed a dir son costretto. Adagio va dei faticanti il sommo. Niitricia , ovvero Aio , Balio . Sollevati, 0 figlinolo, e ti sorreggi, Che col cader tu zoppo non m'atterri. Oc/po. Senza aggravarmi , io t' ubbidisco, tengoti. E'I dolente pie fermo, e il dolor soffro. Verso^na è a un ^iovan insultare Invalido ministro, e vecchio querulo. 'Balio. Non pugnermi così, o scimunito. Né qu:il giovan ti vanta, ciò sapendo, Che «riovane è ogni vecchio ne' bisogni . Ubbidirei allorché io sì te '1 dico i Se'l termine sottraggo, io che son vecchrò Stommi in pie, imi tu giovan cadi a terra. Oc. Se inciamiìi seii7a diiol tu cadi, o vecchio; La volontade i vecchi n'accompagna, Ma non riesce il tatto poi gasrliarda. Bai. Che tante sottigliezze di parlare? Perchè non dici a un tratto in qual maniera Eutrotti il duol del ine in la cava base' Oc. Provandomi nel corso per far agile Il pie; m' airre&to , ed il dolor mi prende. Sai. Corri di luufvo; diss'un che sedea Sotto il barbi(|!r peiandosi la barba. Oc. Ora lottando mentr' io vo' gettare La Parembida fui ferito, credimi. Bai. Glie soldato tu fusti , che Parembola Gittando avesti ad essere ferito? Nelle bugie tu sempre ti raggiri; Dicevamo ancor noi ristesse cose, A niun degli amici il ver dicendo. Or vedi adesso come tutte cose Il duol ben per le membra ne rivolge. Medico. U' troverò il chiaro Oc^ipo , amici , Ch'ha duolo al pieiie , e vacillante il passo? Ch'io medico udii da alcuno amico Ch'assai costui da instabil mal patisce. Ma eccolo qui presso agli occhi miei , Giace in letto supin, colto dal maie . Io ti saluto per li sommi Dei ; Che è questo, dimmi su , Ocipo, presto? Che s' io '1 saprò, sanerò forse il fiero Duolo, e dell' infertatle la sciagura. Oc. Vedi , mio Salvatore, e mio S aerico, Soterico eh' hai '1 nome d' una tromba, Fiero dolor de! pie mi crucia e morde, E tardo fo, non ispedito il passo. 91 Jfei. Come? perchè? dicliiara ; in qnaJ maniera? Che'i medico che sa il vero appunio, Meglio visita, sbaglia no '1 sapendo. Oc. Giocando al corso . ed all' arte ginnastica Fai dagli eguali miei forte percosso. Med Come non v' è l'amara infìammagione Nella parte, e non hai tu bagnata fascia? Oc. Perchè di lane io già non tengo lacci , Bellezza inutil per lo popol bella. Med. Or che ti pare? gratterotti il piede? Se mei porgi, bisogna che tu sappia. Ti voterò co' tagli assai di sangue. Oc. Fallo, se puoi trovar qualcosa nuova Per tosto far cessare il fier dolore. Med. Ecco di ferro temperato il taglio, Acuto , bevisangue , mezzo-tondo . Oc. Lascia lascia. Bai. Che fai, o Salvadore ? Che possa tu non esser giammai salvo. Dolor dal ferro seminato incastri ? Di tutto ignaro, aggiugni male ai piedi. Son quei discorsi, che tu udisti , falsi . Non per lotte, com' ei dice, o per corsi. Giocando fu ferito, or tu m'ascolta. Venne primieramente sano a casa ; Ma lo sciaurato avendo assai mangiato E bevuto , gettatosi sul letto , Addormentasi tosto , e poi ia notte Trattosi il sonno grida , come fue Dal demon colto, e prese una paura. Disse, ohimè, com' ho mala ventura; Il demone di fuor mi prese il piede. Or la notte sul letto sol sedendo, Qual banditor, lamentasi del piede. Poiché '1 di il gallo itrombcttando annunzia , \ 9^ . . Costui viene , e la man mi porge amara Piangendo, lamentando, ed appoggiandosi. Quel eh' a te disse pria, tutto è bugiardo, I mister] del mal così celando. Oc. Il vecchio ognor di ciarle si fornisce Vantandosi di tutto, e non può nulla. Quel che si duol , né il ver dice agli amici. Sembra afFamato masticar la mastice. Med. Tu inganni tutti , or una or altra cosa Dicendo; dici che ti duoli, e poi Ciò che ti duole non per anco dici. Oc. Goni' dirotti di mio mal la sciagura? Dolgomi, ma non so, se non ch'io dolgomi . 3Ied. Quando a un duole il piede senza causa , Quei vani ch'egli vuol, finge discorsi, Sapendo il male in cui sta inviluppato. Bai. Or ti duol l'un, poi l'altro pie dorratti; Sospiri, e piagni: una cosa vo' dirti: Questo è quello, o tu vogli, o non vogli . Oc. Qual è quello? deh dimmi, e come appellasi? Bai. Ha un nome pieno di doppia sciagura. Oc. Oimè che è ciò? dimmelti prego, o vecchio. Bai Dal luogo che ti duole egli ha principio. Oc. A quel che dì, dal pie principio ha'l nome. Bai. A questo aggiugni in line una fin' Agra. Oc. E come me mescili n Podagra crucia? Bai Fiera per certo , che niun risparmia . Oc. Che dici Salvator? che fia di me? Med. Lasciami un po': per amor tuo son matto. Oc. Che è questa disgrazia in che m'avvenni? Mtd. Di piede in fiero irremediabil duolo. Oc. Dunque è duopo succiarmel zoppicando? Med. Niente è se sii zoppo, non temere. Oc. Qua! è il peggior? JledNe'due piedi incepparsi. 99 Oc. Oìiiiè, qual nuovo a me dolor ne venne Dall'altro pie e mi maltratta assai? Come inchiodato, volend' io andare! E molto peno a tramutare il piede, Come fanciul che preso abbia paura. Pregoti per gli Dei, Salvadorino, Se alcuna cosa puute l'arte tua. Niente invidiando, e tu ci sana. Se no , io me ne vo ; che occultamente Patisco , e saettato sOn ne' piedi . Med. I fallaci discorsi ora troncando De' medici , che sol fan molte visite , Ma in fatti non san nulla di salubre, A te soffrente tutto io dirò breve. Caduto in prima in un cattivo male, E incurabil tu sei ; quasi che entrasti In ferrei ceppi, invenzion pe'rei; Fiera , ed occulta , a tutti quanti mala , Di cui il peso non può l'uomo portare. Oc. Ai ai ai ai, oimè oimè! Come ascoso dolore il pie traforami! .Prendete le mie mani pria ch'io cada. Come i Satiri fan sotto le braccia. Bai. Son vecchio; ma pur ecco t'ubbidisco. E te giovali conduco, essendo anziano. F. Del Furia. lOO AURELIl PRUDENTII DESCRIPTIO TAUROBOLII Ex hyinno in S. Romanum Martyrem v. loi i. «eqq. kJummns Sacerdos nenipe f^ub terram scrobc Acta in profundum consecrandns mergitur. Mitra infulatus, festa vittis tempora Nectens, corona tura repexus aurea, Cinctu Gablno sericaiQ fultus togara . Tabulis su|)erne strata texunt pulpita, E.imosa rari pegmatis compagibus : Scindunt subinde vel terebrant aream, Crebroque signum perforant acuinine , Pateat niinutis ut frequens hiatibus. Huc taurus ingens, fronte torva et hispida » Pertis revinctus aut per armos floreis , Aut inipeditis cornibus deiucitur: Necnon et auro frons coruscat bostiae, Setasque fulgor bractealis inficit. Hic ut statuta est itnraolanda bellua , Pectus sacrata dividunt venabula: Eructat ainpiura vulnus undam sanguinis Ferventis, inque texta poiitis subditi Fundit vaporum flumeu, et late ae?tnat. lOI ...e/* ■ — =: -r^ DESCRIZIONE DEL TAUROBOLIO PRESA dall' inno DI AURELIO PRUDENZIO In lode di S. Romano Martire v. loii. e sego- o»' J^otterra in cupa fossa ecco discende Il gran ministro a consecrarsi intento. Con alia mitra e bende al capo attorte: Entro a corona d'oro il crin raccolto Serico manto si raggruppa a i lombi , La fossa a ricovrir di mal ordite E rade e fesse tavole s' appresta Palco qua là scheggiato e in mille fori E mille aperto con aguzzi ferri. Là guidasi di torva is[)ida fronte Un grosso toro ad immolar, cui serti Di fior contesti adornano le spalle , E intrecciano le corna: alto risplende D'oro la testa, e di lucenti lame Fregiato sorge il setoloso collo. Con sacro spiedo a lui nel petto s'apre Vasta caverna , onde trabocca e ssorga ' OS? Fervido sangue, e vaporosa ardente Fiumana allaga il sottoposto piano. ^ I0i2 Tuin , per frequentes mille rimarum vias Illap.sus imber , tabidura rorem pluit : Defossus intus quem Sacerdos excipit, Guttas ad omnes turpe subiectans caput, Et veste et omni putefactus corpore , Quin OS supinat , obvias offert getias, Supponit avires, labra , nares objicit, 0(Hilos et ipsos perluit liquoribiis : Nec jam palato parcit, et linguaui rigat, Donec cruorem totus atruru combibat. Postquain cadaver sanguine egesto rigens, Corapage ab illa Flamines retraxeriut , Procedit inde Pontifex, visu horridus, Ostentat udurn verticem , barbam graveni , Vittas madentes, atque amictus ebrios. Huiic inquinatum talibus contagiis , Tabo receutis sordidum piaculi , Omnes salutant atque adorant eraiinis : Viiis quod illuin sanguis et bos mortuus Foedis latentera sub cavernis laverint. io3 Il pestifero mnor per le frequenti Dischiuse vie trapassa ove raccorlo Il Sacerdote col proteso capo Anela, ed inaffiarne e membri e panni . Supina ancora erge la farcia , e guance E oreccliie e labbra e nari avido tuffa Entro la sozza pioggia , e gli occhi stessi V immerge e insozza ancor palato e lingua. Poiché rimossa è dal sanguigno palco Vota le vene , irrigidita e fredda Del bue la salma, di sotterra sbuca. Fiera vista! il poniedce ostentando E volto e chioma e barba e fasce e vesti Infuse e gravi di grumosa tabe. Tutta la sente allor saluta e adora Da lunge lui contaminato e lordo Di quel fumante ancor sordido lezzo , Qual se purgato in fetida cloaca L' abbia vii sangue di svenato bue . Del P. M. Pagnini Carmelitano. 1C4 LIBRIVARJ B A S S A N O. Storia pittorica della Italia dal risorp,bnento ddU Belle Arti fin presso al fine del XVI li. Se- colo deir Ab. Luigi Lanzi Aiìtijuario I. e R. in Firenze . adizione terza ctìrrctta ed accre- sciuta dall' Autore . Ha la data del 1809. To- mi 6. in 8. Diara notizia della ristampa di quest' opera veramente classica attesa con ansietà dai dotti e dagli artisti , e ci riserbiamo a parlarne per disteso nei seguente voluinc . FIRENZE. Hesiodi Ascraei opera et dies te. 1808. in 4. Greco, Latino, e Italiano. E^ pure r Autore di questo libro il dottissi- mo egualmente che instancabile Sig. Ab. Lan- zi. Vi ha fatta una versione in terza rima cli« par piuttosto originale; ha steso sopra questo interessante jjoeuidtto un comento critico ed eruditissimo; vi ha ])reinefsse due bellissime dis- sertazioni, 1' una sopra Esiodo e le opere diluì, 1* altra , che serve di prefazione, e che contem- pla varii importantissimi [lunti relativi all'ope- ra ; ed ha coronato il libro con varianti tratte da So. Codici . Siam eerti che il poco che ne abbiam detto^epiii la fama dell' Autore meri- 103 tevolmente grandissima inviterà alla lettura di quest'opera in ogni numero finita; e tutti così farann' eco a noi che ne rileveremo piii a lungo i pregi nei seguente volume. MILANO. Notizie intorno alle opere di Feo Belcari pub- blicate da Bartolo uimeo Gamba di Bassano . 1808. Abbiamo altre volte fatta menzione del Sig. Gamba in questo nostro Giornale, e T abbia ni fatta con lode. Il suo sapere, la sua critica , la sua diligenza ci obbligano ad adoperare con lui ugualmente neir annunziare il presente opu- scolo . Egli è interessante per ogni colto leg- gitore, e di un'assoluta necessita pe' raccogli- tori delle opere e delle edizioui,di cui fecer tesoro i benemeriti compilatori del gran Vo- cabolario della Crusca. E' diviso come in due parti . Nella prima si parla dei componiraenti del Belcari ; si accennano le occasioni che gii dier motivo di scrivergli ; e se ne riportano de* bei saggi, che soli vagliono a correggere lo svantaggioso giuiizio , che alcuno ha dato dello stile e ilei la locuzione di quel piissimo e purga- to Scrittore . Nella seconda parte fa il N. A. un esatto novero delle edizioni delle opere di Feo; le descrive scrupolosamente , ne rileva il meri- to , e talora corregge se stesso in quel che sdis- se di lui nel suo libro: Serie dei i\ssLÌ di Lin- gua ec. libro die fu iten ricevuto e di cui ci fé già sperare u .a nuova edizione accresciuta ed emendata da' piccoii nei inevitabili in simili ìo6 lavori . Le prelodate Notizie del Sig. Gamba si trovano inserite nel Giornale della Società d' incoraggimento delle scienze e dell'arti sta- bilita in Milano al Volume del Luglio 1808. Opera periodica eccellente , e piena d' interes- santi Opuscoli . Vita di Francesco Filelfo da Tolentino del Ca- valiere Carlo de' Rosmini Roveretano . To- mi III. 8. 1808. Fresso Luigi Massi. Ne da- remo l'estratto nel seguente Volume. P A I» O V A. Duhhj suW esistenza del Pittore Giovanni Viva- rino da Murano nuovamente confermati , e con- fivtazione d' una recente pretesa autorità per so- stenerla. 1807. in 8. Il dottissimo Sig. Ab. Lanzi avea nella sua Storia pittorica opinato che il Ridolfi e lo Za- netti, i quali hanno i primi dietro una soscri- zion di un quadro in S. Pantaleone data esi- stenza a questo pittore, avessero equivocato con Giovanni di Alemagna , che talora dipinse con Antonio Vivarini. Il eh. V. Moschini impugnò tal sentenza appogiato ad una pittura acquista- ta dal Sìtà [u;inchevole Della leggiadra ro:-ia ; Ma presto lia 1' amabile Di lei beltà svanita; Sul ceppo suo potevasi Sofo serbare in vita. Il Inion succo, che serpere Nel figliolin di Flora Uso è, senza cui languido S'avvizza , e si scolora, Se cessa, oimè! di sctn-rere Per le segrete vene , ISon ti doler, se pallido. Glori, il tuo fior diviene. Il vano tuo rammarico Dar non potria conforto Al duol, che sì ti macera Pel fior' svanito, e morto. Sol per lo stelo il vegeto Butcon di vita è pieno , Del fanciuUin lo stipite Sol della madre è il seno. DEL LA FONTAINE LES DEUX MULETS. Deux mu]etscheminoient,rund'aveinechargéec. VEUSIONE 1 DUE MULI. Givan due muli, l'un d'avena carco, E l'altro del danar della gabella j Di soma così bella Superbo questi non avria voluto Per qualcosa di bello esserne scarco. Con passo sostenuto Se n già pertanto, e fea dal collo teso Il campanello risonare appeso. Quand'ecco un rio ladrone Repente afferra al morso Il mulo, clie sul dorso L' oro godea portar . Mentre il giumento cerca ^^ Da lui difese invano. Dalla nemica mano Ei sentesi piagar. Di duol geme, e sospira; E questo è dnnque, dice. Me misero! il felice Promessomi destin ? Avventurato al rischio Involasi il compagno; Io vittima rimagno D' un barbaro assassin ! Amico, a lui disse il compagno allora, Or tu vedrai , che ognora Non ha miglior ventura Chi nel mondo sostien splendida cura. Se te , di noi al paro , Con umil sorte il fato A servir destinava un mulinaro, Or non saresti in così duro stata. Ufi INDICE DELLE MATEKIE Contenute nel presente Volume. JLiettera sullo stato attuale dell' Ostetricia in Francia del Dote. Giovanni IJigeschi ec al Chirurgo Luigi Lotti ec. Pag. .S Ragguaglio di un'Opera intitolata: Ignatii Ros- sii Etymolngiae Aegyptiae Roniae l{5o8. 64 Congetture di Pomf^iuo Pozzetti disile Scuole Pie ec intorno un capitolo delle Notti Atti- che di Aulo Gellio . 58 Estratto di un' Opera col titolo „ Memorie per Servire alla vita di Francesco Maturanzio, O- ratore e Poeta Perugino , raccolte la maggior parte dalle sue opc-re inedite da Gio. Batista Vermiglioli . Perugia 1807. in 8. „ 63 Imitazione di Due Sonetti Francesi , 1' uno di Monsieur de Barreaux , e l'altro del P. lamin Benedettino. Il Estratto di un'Opera intitolata „ Memorie della vita di Messer Gino da Pistoia raccolte ed illu- strate dall' Ab. Sebastiano Ciampi ec. Pisa 180S. „ . . . . "^^ Continuazione del raggualio dei Bassi rilievi an- tichi di Roma ec. 80 L' Ocipo di Luciano ,Veràicne inedita dell' Ab. Anton Maria S'alvini. J)ó Descrizione del Taurobolio presa dall'Inno di Aurelio Prudenzio in lode di S. Romano Mar- tire. ICJ Libri Varj . COLLEZIONE D' OPUSCOLI SCIENTIFICI E LETTERARJ E n ESTRATTI D' OPERE INTERESSANTI Viresque acquirìt eundo. VIRG. Voi. Vili. FIRENZE 1809. NELLA STAMPERIA DI BORGO OGNISSAKTl CON A P P Jl O V AZ 1 ONE . COLLEZIONE D'OPUSCOLI SCIENTIFICI E JliETTERARJ E D ESTRATTI D' OPERE INTERESSANTI. Illustrazione di un Talismano Arabico . .1 Ja Superstizione ha sempre formata una gran parte deli' ibtoria degli errori umani : essa non è mai stata separata dall' uomo, ma con lui nata per così dire , e cresciuta , lo ha accompa- gnato in ogni più remoto angolo della terra , ed i suoi progressi tanto più rapidi sono stati , quanto più grandi erano i vantaggi, che sem- brava promettere ai suoi seguaci . Difatti , la so- la idea, che le Arti Superstiziose, gl'Incante- simi, i Filtri, il Fascino, e cento altre ridico- le invenzioni d'uomini impostori, e di donnic- ciuole astute e fanatiche , potessero render gli uo- mini o esenti dal male , o sottoposti e forzati a cedere all'altrui volontà, non poteva fare a me- no di non renderle interessantissime alla innu- merabile schiera degl' ignoranti . Così questi er- rori , dall' Oriente ov' ebbero sempre la principa- le loro sede, serpeggiando su tutta quanta la terra, talmente penetrarono in ogni secolo pres- 4. so ciascuna Nazione, che neppure nella luce dei tempi presenti si sono potuti affatto dimenticare . Senza risalire ali'Epoclie mitologiche ili Cir- ce e di Medea, i Marsi , i Tessa)!, gli Psilli, gli Egiziani, e dopo di essi gli Arahi, e gl'In- diani, quindi gli Eretici Basilidiani , e la lunga serie de' loro seguaci, Oflci , Gnostici , e Me- nandriani, somministrano amiiia materia per la Storia della Superstizione. Né meno di questi furono, e lo sono tuttora alle arti magiche at- taccatissimi , i Negri e i Pcruani . Presso di lo- ro, il tatto d'una mano, un circolo formato sul terreno, bevande composte di varie erbe, il suo- no di parole barbare , lamine di metallo inta- gliate di segni vari ed arcani, medaglie , pietre, e legni mostruosamente effigiati , sono i gran- d' istrumenci , sopra i quali quei popoli sempli- ci e grossolani fondano tutte le loro speranze. Per mezzo di questi , credono essi di potere al- lontanare i serpenti velenosi, frequentissimi in quelle contrade, e liberarsi dai loro morsi , trar- li a forza dalle caverne , essere affatto liberi da ogni pericolo e infermità, fortunati nell'amore, invulnerabili perfino , in una parola credono di poter combattere colla stessa natura, ed obbli- garla a secondare ogni loro idea, per quanto strana esser possa, e contraria alle immutabili leggi della medesima. Non vi è stato però, come accennai, luogo alcuno sulla terra più dedito a questa sorte di superstizione, quanto l'Oriente, e nell'Oriente non v'ha nazione che l'abbia piti degli Arabi coltivata. Presso loro, quasi ciascuno è muni- to di misteriosi Talismani, di Amuleti, e d'al- tri magici istrumenti , in varie guise composti . 5 Gli stessi Sciiti nella Persia , ed i Sunniti iielT In- dia , Sette della più stretta osservanza dell' Esla- uiiswio,come attesta il Sig. Niebuhr (i) portano pubblicamente appese alle loro vesti, delle ta- volette dipinte in varie maniere, e piene di se- gni superstiziosi', e nella Città del Cairo ap- presso un erudito Maomettano egli osservò an- cora delle tavole di rame incise, e perfino qual- che statua , dal che si può congetturare , che quel precetto del Corano, col quale viene agli Esla- miti proibito di aver figure rappresentanti uma- ne forme, è assai negletto, come lo è quello che loro vieta 1' uso del vino: che anzi sembra, che negl' istrumenti magici sia affatto permesso di scolpir figure d' uomini e d'animali, come si rileva da due antiche tazze magiche, che si con- servano nel Museo Borgiano,in una delle quali si vedono nella parte interna, oltre a diverse for- mule superstiziose , incise figure di serpenti , di scorpioni, e di feti umani non per anco ma- turi, e neir esteriore sta scritto, che chiunque Leverà da quella tazza, o acqua, o succo d'a- loe riscaldato, sarà sicuro dai morsi dei serpen- ti, degli scorpioni , dei cani, e dai dolori di colica; e trattandosi di donne , avranno esse un facile e placidissimo parto. L'altra parimente promette gli stessi vantaggi , e presenta quasi le medesime figure, che delineate si vedono nel celebre tempio della Mecca . Tutto quello per altro , che riguarda la scien- za magica di questa nazione , si può considera- re come diviso in tre classi, in quella cioè de- gli Oroscopi, in c[uella degli Amuleti, e final- mente in quella dei Talismani. (ì) Drscripfion de V Arabie ptrg. 2"^. 6 Gli Oroscopi , noti ancora appresso i Greci ed ì Latini, e in Secoli men felici anche presso di noi , altro non erano che certe osservazio- ni fatte sulle Costellazioni, nell'atto che uno veiii^'a alla luce. Così dalle varie posizioni, e aspetti delle medesime , si presagivano tutte le vicende buone o cattive, alle quali il na- scente doveva esser sottoposto per tutto il cor- so della sua vita . Erano gli Orientali cosi per- suasi, che le cose celesti influissero sulle ter- restri , da credere perfino , che le Città fabbri- cate o situate in un modo piuttosto che in un altro, fossero immuni da qualsivoglia pericolo e disastro. Ce lo assicura l'autore della Geo- grafia Nubiense, il quale parlando della Città di Emessa, posta nella quinta parte del terzo Clima , secondo la disposizione di Tolemeo se- guita dai Geografi Arabi , fra gli altri singola- ri prodigi di quella, dice ancora, che essa è così magicamente fabbricata , che non vi entra- no mai ne serpenti , ne scorpioni •, che anzi , se mai posti vengouo sulle di lei porte , nelT i- stante restano privi di vita: e poco dopo sog- giunge, ohe in una parete della medesima Cit- tà era inserita una pietra maravigliosa , in cui vede vasi scolpita la figura di uno scorpione , toccando la quale veniva guarito chiunque fos- se stato morso o punto da quel!' animale , che in Oriente è velenosissimo, e molto più grande che presso di noi . Gli Arabi , nazione estremamente dedita al- l'osservazione degli Astri, e de'loro movimen- ti , trasportarono facilmente l'oggetto della scien- za astronomica, ai sogni ed ai deliri dell'Astro- logia . Per questo ebbero così familiare 1' uso di far gli Oroscopi, ohe lasciarono perfino degl'in- teri volumi sull'arte di comporli. Il Sig. As- seraanui nella prima parte del suo Catalogo dei Godici Orientali della Biblioteca Naniana , ci rassuatriia di un MS, x\rabico , intitolato Oro- scopo del Jato degli uomini , ove questa materia è ampiamente trattata . Tutta 1' opera è divisa in quattro pani, Nella prima parla l'autore del- le azioni umane, e degli .avvenimenti che deb- bono succedere agli uomini nel corso della lo- ro vita, come soggetti all' influenza di quella costellazione, sotto la quale essi nascono. Così chi è nato , die' egli , sotto 1' Oroscopo di Ve- nere , per r influenza di questo Pianeta , sorti- rà una complessione molle ed eflemminata , e sarà dedito ai voluttuosi piaceri . Così degli al- tri-, e termina questa prima parte con prescri- vere diverse regole per comporre Amuleti e Talismani diversi, per liberarsi da questo de- stino dominante, o Genio malefico, com' esso lo chiama . La seconda parte è piena di raccon- ti favolosi , inventati dalla calda fantasìa degli Arabi, riguardanti la scienza di Salomone, che anche in materia di tal genere gli attribuisco- no. Fra le altre favole die' egli, che quel sa- pientissimo Re aveva una figlia , la quale per lo spazio di 29. anni fu sterile. Convocò per questo 73. Demoni , e dopo essersi da quelli in- formato , in qual modo cagionassero la sterilità nelle donne , volle che lo istruissero come si potevano liberare da cotesto maleficio, per ren- dere la sua figlia feconda. Soddisfecero essi pie- namente alla sua richiesta, segue l'Arabo Au- tore, e gì' insegnarono i Talismani necessarjper togliere non solo la sterilita delle donne, ma liberarle ancora da qualsisia sinistro accidente , La terza comprende due piccoli trattati sopra varie pietre e minerali, cui l'autore attribui- sce alcune proprietà favolose , ed effetti raara- vitrliosi . Nel numero di queste è il Bclzoar ,g il Fetriulo Ciprino, {\) due principali ingredien- (l) Si formavano Talismani ancora con diver- se paste , e vetrificazioni . Di tal sorta certamen- te è quello, che vidi tempo fa nel museo dei PP. Ser- viti di questa Citta . Esso è di un color verde bril- lantissimo , di figura quasi parallele{>ipeda , intagliato da due lati di segni misteriosi , ma assai rozzamen- te abbozzati . E' forato da una parte all' altra , al- l'oggetto d'inserirvi una corda, o catenella, per tenerlo appeso al collo , o alle vesti . Osservai pu- re nello stesso Museo un'antica bi.lla di rame, che forse una volta fu tutta dorata . Piacemi far qui di essa menzione , perchè non sono presso gli Antiquarj così frequenti simili monumenti , come afferma Montfaucon f Tom. III. P. I. pag. 71. Antiquit. ) e perchè ha essa qualche particolarità , che non si os- serva in altre , già state descritte . Quc sta bolla è di figura perfettamente rof-nda , piana al disotto, e leg- germente convessa al disopra . E' armata didueanel- letti , che probabilmente dovean servire per tenerla sospesa . Vi si vede inoltre dalla parte superiore un foro ben largo , per mezzo del quale forse s' intro- duceva nel vuoto della medesima qualche oggetto sacro e religioso , per difesa di chi la portava. Me- rita o.?servazione la figura di un'Aquila ad ale spie- gate, che si vede incisa nella sua parte convessa, cosa non ordinaria , poiché le bolle di rado esser solcano figurate . Si appendevano queste bolle al col- lo dei fanciulli ingcniii presso i Romani, ed i Gre- ci le chiamavano (pv\ax7?i^ini , per questo appunto perchè erano destinate a guardarli da qualunque incontro peric-oloso. Erano comunemente di figura rotonda, o quasi rotonda; moltissime perù sene fa- y ti nella compoi^izione dei Talismani, e termina con assegnar vari precetti d'arte magica, e chi- mica superstiziosa. La quarta parte finalmente contiene quanto di favoloso hanno scritto gli Arabi e gli altri popoli dell' Oriente sulla Peo- nia. Insegna il modo di adoprare questa pianta maravigliosa -, descrive i prodigiosi effetti, e la straordinaria virtìi che essi pretendono in questa ritrovarsi. Da in seguito varie ricette magiche, composte per lo più di cifre arcane, e di voci barbare, alcune per servir contro al maligno in- flusso degli Astri, altre per rimedj a diverse specie di malattie . Da questo può ciascuno com- prendere, quanto gli Arabi dediti fossero a si- mili superstizioni . Gli Amuleti (i) , che i Greci chiamarono cevano a forma di cuore , della qual cosa ne rende ragione Macrobio, dicendo; iVon«j:ZZi vredunt inge- nuis pueris attvibntiim , ut cordis figurarli in bidla ante pectus adnecterent , quam insplclentes ita de- mum se homines cogttarent , si corde praestarent , togamqtie praetextani additavi , ut ex purpurae ru- bare i/igenuitutis pudore tegerentur . I così detti bre- vi de' nostri bamliiai , non sono che una derivazio- ne delle antiche bolle . (ij Si è fatta questa distinzione per maggior chia- rezza, benché in sostanza sieno queste denomina- zioni proprie di qualunque magica operazione . La voce Amtdeto trae la sua origine ab amoliendo , poi- ché r oggetto di questo era precisamente diretto ad allontanare le malattie , ed era come una specie di medicamento inventato dalla medicina superstizio- sa. Vedasi Plinio lib. -iS. e. 9. e 87. e. 3. Sembra per questo che fra 1' Amuleto , e il Talismano vi fosse qualche differenza, soltanto riguardo all'applica- zione, servendo quello per il fisico, questo per il morale, benché, come si è accennato, si prenda indistintamente l'uno per l'altro. tt7rorpo7rtet(r^.oiìC,^ (pvXetKTìfptct y à\i^i(pct guatila, , sono ordinariamente composti di carte o membra- ne piegate a f^rma di rotolo, o in altra guisa, scritte neir intèrno in vari modi, ed i Maomet- tani creduli e devoti sogliono anche presente- mente portargli addosso, per difesa del fascino e delle malie. Uno di questi rotoli esiste nei Mu- seo Naniano , scritto colla massima eleganza , come si ha dal Gh. Asseraanni (i) , ma forse non eguaglia in bellezza quello che esiste nella Biblio- teca Mediceo-Laurenziana . Esso è formato di un sottilissimo volume memVjranaceo, lungo circa 3o. piedi , e largo tre pollici . Contiene esso 1' un sotto r altro disposti nel mezzo della membrana i 99. nomi di lode, o vogliam dire attributi , che i Maomettani dar sogliono a Dio, e questi sono scritti colla massima eleganza a caratteri grandissimi d' oro , e di azzurro , alternativamen- te disposti . Negli spazi che restano framezzo a questi nomi , sta scritto tutto quanto il Corano a caratteri estremamente minuti , ma nel tempo stesso nitidissimi , e quanto mai dir si possa di- stinti, e di facile lettura. Questo elegante volu- me esser dovea probabilmente un Amuleto di qualche personaggio assai distinto , poiché fu tro- vato fra le spoglie di un Campo Turco nell'Un- g!icria , al tempo di Francesco I. Imperatore , che li> donò alla Biblioteca Medicea , per mezzo del Sig. Valentino Du-Val, suo Bibliotecario. Ordinariamente questi Amuleti non contengo- no se non se passi del Corano , o preghiere e- stratte da quello, come pure nomi immaginar] di Spiriti e di Genj , per mezzo dei quali an- (i) Cataloga dei MSS. Orientali della Biblioteca Naniana . 11 che i Maomettani d'oggi giorno si stimano si- curi da ogni male, ed usano ancora, oltre a queste carte misteriose e potenti , di portare sot- to gli ubiti un piccolo piatto o disco di metal- lo," sospeso al collo, nel quale sono impresse al- cune formule magiche, e cifre a loro medesimi ignote, frammiste di vari simboli o figure, mer- cè le quali credono di esser sicuri dalie armi da ferro e da fuoco. E' antichissimo in Oriente V uso di questi A- muleti . Lo avevano gli stessi Ebrei , sebben presso di loro un simile uso non fosse in ori- gine dettato dalla superstizione, ma piuttosto da un principio sacro e religioso. Deduco ciò dal significato primitivo della voce Ebraica Mi- ctàm, che sta scritta, come per titolo, sul prin- cipio di alcuni Salmi di David (i). Il valore di questa voce sembra che non sia stato mai chia- ramente noto agi' Interpreti, che invano nel lin- guaggio Ebreo'ne hanno cercata 1' origine , con- servataci solo dall' Arabo , in cui appunto vale lo stesso clie cosa da tenersi riposta con molto ri- guardo (a) , come faceasi appunto degli Amuleti. 1 Salmi adunque che sono intitolati Mictàm,z\- tro non furono che sacri Amuleti degli Ebrei; ed infatti furono essi composti da David nelle circostanze più pericolose della sua vita, ed al- tro non contengono che pregliiere a Dio, ond' es- ser liberato dai mali e dai pericoli , che lo cir- condavano . (i) Vedi il Salmo XVI LVII. LVIII. LTX. LX. ('i) MLtam trae la sua origine dal verbo catani. pcrduio nella lingua Ebraica , e conservato nell' A- rabica , ove significa, abdidit , celavit rem. 12 Ma gli Ebrei, dopo il decadiraento della loro Religione, e dopo che questa fu deturpata dal- le Talmudiche e Rabbiuiche interpretazioni , a- busarono delle auguste parole del sacro testo, per farle servire alla pili ridicola superstizione. Fra le altre sciocchezze cotnpor solevano alcuni Amuleti , consistenti in una semplice carta , o membrana , ov' era scritta la parola Sciabrirì , che significa. Vertigine , Q oscurità, di vista, e per mezzo di questa membrana appesa al collo, cre- devano di guarire dalla cecità. L' Amuleto era formato a guisa di triangolo, che avea per base l'intera voce Sciabrirì, la quale fino al suo ver- tice andava a perdere una lettera , nel modo che qui viene rappresentato, cioè (i) Sciabrirì Brirì RlRÌ Irì Ri I. Or siccome questa parola così disposta e pro- nunziata, va sempre a diminuirsi, e finalmente ad annientarsi, così credea Io stolto volgo giù- daico , che io stesso accadesse alla cecità, por- tandosi appesa al collo una tavoletta , ove questa parola così fosse scritta . (l) Ved. Andrea Beyero , Additam- ad Seld.eni Syn- tagma de Diis Syria . Si avverta che la parola ebrai- ca Sciabrirì è scrìtta con sole sei lettere nella sua lingua originale . Il eia risulta dal suono ,• dalla vocale della prima lettera, che è Scia con Patuih. i3 Né di ciò solo fa contenta la giudaica super- stizione. Flavio Giuseppe racconta, che a suo tempo solevano co;nporsi Amuleti del Bitume dell'Arra di Noè, di cui una parte pretende- vasi esistere ancora nell'Armenia sul monte dei \ Cifrili.'/ , opinione che i furbi impostori procu- ravano di confermare , per sostenere il credito delle loro male arti, e trovar di che vivere a spese del volgo credulo ed ignorante (i) . I Talismani poi , benché sieno anch' essi com- posti per oggetti di simile superstizione, sono però nella loro forma assai diversi dagli Amu- leti . Consistono essi in Idoletti , medaglie, piatti, tazze, ]>ietre d' ogni sorta (2), e legni diversa- mente figurati, da tenersi dentro alle domesti- che stanze , o da portarsi anche indosso sospesi al (l) Llb. I. Gap, 4. Ai'yiTxi Si jgt^ «rf 'jrXoltt tv tri 'Af- X^iv rrja^ t»?; aVpaXTw aipozssvTst; . K^ùvrou Si uàXi^Tst ot' av^^wiroi T(ji x.oui^ouiv(f) "TTfaj tv; àirorfO'Tri'XTUciJg . (•Z) Non si escludevano le pietre più preziose, ma s' inserivano così talismanizzate negli anelli , nei monili, ed in altri simili ornamenti. Per questo chiamansi anco presso di noi tuttora Talismani , alcune f^gje particolari d' Anelli . Due bellissimi antichi Talismani vidi non ha m>lto nel museo Riccardiano, ambedue di Agata orientale.il primo tatto a guisa di cuore , porta scolpite a caratteri d' o- ro le seguenti arabiche parole Qnl , hu Allah Ac.lid , allah Azianid , lam iaFtid , ualam nlad, ttnlìim ia- eòn lah cofu achd , cioè = Di' [queste parole); Dio e unico , Dìo è eterno , non generò ne è stato gè' nerato , ne v'ha alcuno eguale ad. esso. Il secon- do , assai pivi antico, ha da una parte scalpito un piccolo Leone di bt»lla maniera, e dall' altra vi si legge a caratteri Cufici AlwaVech allah eluaohed Ali^ahh- , cioè, Dio Re, solo Jone . collo. Queste immagini sono chiamate dagli Ara- bi Talismàt , voce presa dalla Greca 'iiXieiripre le stes- se trasversalmente per le diagonali dei piccoli quadrati fino alla metà, e poi proseguono for- mando un angolo, nel modo che più distinta- mente pu^ vedersi, percorrendo coli' occhio la 22 sua figura. Finalmente sopra i quattro lati di questo quadrato, ossia nei segmenti del cerchio, che dalla iscrizione del quadrato in esso risul- tano, si trovano sempre ripetute queste parole. Dio è luce dei Celi e della Terra: dopo le quali niun altro segno s' incontra, che meriti conside- razione . Trovandosi però in questo Talismano fatta menzione dei Genj , non sarà fuor di proposi- to uè alieno alla illustrazione del medesimo, il trattenersi un momento ad osservare quali opi- nioni abbiano gii Arabi riguardo ad essi, che anzi potrà a questa servire come di Corollario. Credono essi, in conseguenza d'uno stravagan- tissimo errore, ricevuto dai Teologi del corrot- to Giudaismo , che esista un genere di creatu- re intellettuali, posto di mezzo fra gli Angeli e gli Uomini, ed avente alcune cose comuni con questi, altre con quelli. Chiamano questi esseri Gen (i), voce che assai corrisponde alla la- tina Genii. Gli Ebrei però gli chiamano indistinta- mente De77Joni,o spiriti familiari , la natura dei quali è veramente curiosa, secondo quel che ne riferiscono i Talmudisti (2), Dicono essi, che questi Demoni hanno sei proprietà, in tre delle quali sono simili agii Angeli, in tre agli uomi- ni. In virtù delle prime, hanno ali come gli Anf^eli , e volano com' essi da un estremità al- l'altra del mondo, e sanno ancora le cose av- (l) La paiola G(Ui deriva dal verbo Gianna Arab. texit , recondidlt , occultavit . Dal non trovarsi pres- so i Latini origine della voce genius , potrebbcsi ripetere dall' Oriente ? (3) V. Bert-scit Kabba sez. Gp, 23 venire. In conseguenza però delle seconde tre proprietà , mangiano e bevono come gli uomi- ni, come essi generano e si moltiplicano, e fi- nalmente sono soggetti alla morte. Né queste solamente sono le stolte opinioni giudaiche, ma stimano di più che tali Demoni, o Gen),sieno stati generati da Adamo in quello spazio di tempo, nel quale per il suo peccato visse co- me scomunicato da Dio, che fu per 3o. anni . Questa stravagante sentenza è confermata dallo stesso Talmud, e molto più estesa da uno de' suoi Coraentatori li. Salomone, il quale su tal proposito dice, che questi Spiriti furono gene- rati dalle naturali polluzioni notturne di Ada- mo, alle quali fu soggetto per tutto quel tem- po , in cui anatematizzato da Dio dovette vi- vere separato dalla sua Consorte . Si giudichi da questo quanto profonda sia la Dottrina dei Eab- bini , e degl' interpreti della Talmudica Teo- logia . Gli Arabi per altro sono di parere, che que- sti Genjsieno stati generati da l^ò/ì^' (i) ; così essi chiamano lo Spirito Calunniatore. Dicono, che un giorno si trovarono presenti alla lettura del Corano (2) , e che mossi dalla maravigliosa bel- lezza di quello j promettessero di seguirne i pre- cetti : dicono, che altra volta congiurarono con- tro il Celo (3), che tentarono di occuparlo , ma che- trovatolo da ogni parte circondato da vigi- (1) Non dalla voce Greca ^/«/SoXof per afercsi , co- me alcuni lessicografi pensano, ma pixittosto da Ba- las , in Ebraico pe/-(^U£5:i'rt , in Cald. inuvnit , in Ara- bo de^peravit • (2) Sura 22. (3) Ivi V. 8. -4 lantissinie e terribili guardie, e difeso da fiam- me scintillanti , se ne ritrassero . Forse la favo- la dei Titani somministrò al fantastico Autore di quel libro l'idea della sua , giacché in quel- l'opera non fece egli che un informe impasto delle opinioni teologiche degli Ebrei, dei Gen- tili , e dei Cristiani . Gontuttociò gli Arabi han- no sempre grandissimo timore delle insidie di questi Genj,e della loro maligna influenza '.ed ecco la ragione , per la quale nel nostro Tali- smano vi sono state inserite delle preci e delle formule espressamente dirette ad allontanarli. E tanto basti per formarsi un' idea di questo mouuinento di Arabica superstizione. D. Furia. ...i/^r=s 1 — — "V?-. Del vicendevole vantaggio che la religione reca alle Belle Ani , e le Belle Arti recano alla Religione: Del Conte Galeaui Napione di To- rino . xfuando il celebre Poeta ed acuto Critico francese Boileau disse, che i Mister] terribili della Cristiana Religione ricevere non poteva- no vaghezza nessuna di ornamenti, e che il Vangelo uoii presenta da ogni parte se non penitenza da farsi, e meritati tormenti (i), pa- (l) De la foi d'un Chrétien Ics misteres terriblcs , D'ornemens égayés ne sont point susceptibles : L'Evangile a l'espiit n'offre de tous cótés , Quc pénitence k fairp et touimens méiités . Despréaux Art. Poctique Cliant III. 25 re che avesse a^^anti al pensiero i documenti piut- tosto di quella setta tetrica e pervicace nata a' suoi tempi , noti dissimile dagli antichi Druidi feroci, che non le massime e gli scritti degli antichi Cristiani Padri segnatamente della Gre- ca Chiesa. Ma quando il nostro Conte Algarot- ti(i)non teme di affermare chela Mitologia su cui fondavasi la religion Pagana-, era miniera ricchissima di nobili soggetti, e che ne ac- cresceva il piìr delle volte il sublime ed il pa- tetico , ondechè di grandi vantaggi avessero gli antichi Artisti sopra quelli del tempo pre- sente ; quando mostra quasi rincrescimento , che pili non abbiamo sensibili e quasi visibili Deità, che il Mare non sia piiì popolato di Tri- toni e di Nereidi, di Najadi i fiumi, che nelle selve non abitino pih Ninfe e Silvani, e che a' fianchi degli Eroi non stieno piìi, come la ne' Campi di Troja , i Numi armati, non direm- mo noi che soverchiamente acceso e trasporta- to di amore quello Scrittor nostro leg;giadro ver- so gli Scrittori ei monumenti della Grecia anti- ca e di Ivoma , al pari di que' primi Umanisti ed Antiquari Italiani del secolo XV (a) , gi desse (l) Algarotti , Saggio sopra la Pittura della Inven- zione pag. 169— I7C. Tom. II. Opere, ediz. di Li- vorno . {'2) Il dotto Fleury f Moeurs dea Chretiens N. Lxviil.) pare che incolpar voglia gli Italiani di avere .sparsi i primi .semi della Incredulità , accennando special- mente que' no,stri Letterati appunto del Secolo XV. che come quegli dell' Accademia di Pomponio Le- to , incantati ed entusiasti amatori de' Monumenti Greci e Romani, non potevano, die' egli , soppor- tar cosa yeiuna che non si accorda.sse cogli usi e 2(5 egli falsamente a credere che assai piii che non la Cristiana Religione, proprio fosse il Genti- lesimo ad animar i pennelli dei Dipintori, per- chè appunto pareva espressamente fatto per lu- co! costximi di queste antiche Nazioni. Da questa taccia di empietà e d' irreligione per altro valoro- samente difende quegli Eruditi il celebre Tirabo- schi , mostrando che, esaminata da dotti Teologi ogni opinione loro, decisero, che non erano essi rei in nessuna cosa d' Eresia f Tirabosch. Stor. del- la Letterat. Ital. Tom. VI. P.I.pag. 8l— 84. /. ec/j?.. di Modena). I vari semi della Incredulità, e dello Scetticismo si debbono bensì attribuire alle Eresie na- te fuori d'Italia nel Secolo XVI. susseguente, co- me presagirono i savj Cattolici che le videro sor- gere . Lo stesso Gibbon non può a meno di dar lo- ro ragione. Difatti parlando egli della sfrenatali- berta di pensare introdottasi fra' Protestanti , dice espressamente , che chi ama il Cristianesimo resta spaventato al vedere una propensione così illimita- ta alle discussioni ed allo Scetticismo , e che la predi- zione de' Cattolici si è avverata ( The friend^ of Christianity are alarnied at the boundless inipnl.se of enqiiiry and Scepticisrit . The predictiori of the Cu- tholics are accomplished ec. V. ciò che segue e la no- ta 42. ibi . ~ The Decline and Fall of the Roman Empire Chap. LIV. pag. 83. Tom. X. Basii.) Di na.- tura diversa erano i mancamenti degli Accademici di Pomponio Leto , ch;^ furono ben tosto repressi dal Pontefice Paolo II. altronde protettor delle Let- tere , come appare dalle Vindiniae dei Cardinal Qui- rini premesse alla vita anticamente scrittane da Mi- chele Canense, che che ne dica in contrario Io Scrittor Inglese della Vita di Lorenzo de' Medici il Dottor Guglielmo Roscoe confutato perciò anche in questa parte meritamente dal P. Pompilio Pozzetti in una Dissertazione pubblicata in Firenze nell' an- no i8có. sopra alcuni passi di quella Vita. singare i sensi ne' seguaci suoi , esaltarne le pas- sioni, infiammarne la fantasia . Ma quanto an- dassero entrambi lungi dal vero, il dimostra la storia non soio delle arti figurative, ma della E- loquenza , della Poesia, e delle Celle x\rti tut- to, che dalla Religione Cristiana rifcvettero nuovi spiriti, nuovo vigore e pia sublimi di- vennero perchè non disgiunte dal vero, e piiì vantaggiose agli uomini , perchè di verace vir- tù ministre e promulgatrici. Laonde la ISeligio- ne nuovi ed ami>lis.simi vantaggi recò alle Bielle Arti, e vicendevolmente le iseile Arti non po- co contribuirono a rendere la Kcligioue medesi- ma pii^i amabile e cara. Non fa d'uopo per restare convinto di tale verità lo internarsi in lunghe e sottili ricer- che, come sarebbe lo esaminare l'intima na- tura delle Belle Arti tutte . Dir si potrebbe che altro non essendo le Belle Arti se non se imitazione del vero, per conseguente anche nel- la parte piìi sublime di esse, vale a dire nella espressione del Bello Ideale, essendo imitazio- ne (languida bensì e difettosa), ma imitazione mai sempre o copia che vogliam dire di un bello infinito, ineffabile, eterno , che balena più o meno innanzi alla mente delle anime più privi- legiate , perciò uttu ijossono malie arti imitatrici dal vero andar disgiunte . Rifletter si j)otrebbe che l'idea del Bello non può in nessun modo venir separata da quella dell' ordine, e per con- seguente da quella del giusto e dell' onesto, per la qual cosa e Poeti ed Oratori ed Artisti , simu- lacri almeno di virtù se non virtù reali, costret- ti sono ad esprimere , se vogliono ri])Ortare ap- plausi popolari. Ma lasciando per ora in dispar- 28 te tutte queste speculazioni , ci basterà una sola considerazione facile, anzi palpabile e pratica, percorrendo rapidamente la storia delie vicen- de delle Ijettere piià gentili e delle Belle Arti dopo lo stabilimento del Cristianesimo , e consi- derandole in quanto colla Religione medesima congiunte . Troppo in lungo ci condurrebbe lo esaminarne la storia ne' primi secoli della Chie- sa . Accenneremo di volo, che non solo i pivi dotti, ma eziandio i piii eloquenti Scrittori Gre- ci di que' secoli furono un Atanasio , un Basilio, un Grisostomo ; che perciò lo stesso astuto e se- ducente Edoardo Gibbon (r), non potò a meno di confessare che sulle cattedre degli Oratori Greci Cristiani rinata era 1' animosa Eloquenza della Tribuna di Atene da si lungo tempo e- stinta. Che se il dire dei Padri e degli Scritto- ri Ecclesiastici della Chiesa d' Africa, di un Ci- priano, di un Agostino, di un Tertulliano , non ha tutta la fluidità , non ha 1' eleganza di quel- lo di Cicerone , son pur essi ciò non ostante i piii eloquenti prosatori del secolo loro , ed un Lattanzio, un Girolamo, in una età già tinta di barbarie , alla purità ed alla facondia Tul- liana si accostarono vie maggiormente . Prima poi che le armi de' Barbari settentrionali por- tassero l'ultimo esterrainio nelle provincie Ilo- mane , le ultime Basiliche che s' innalzarono con qualche sapore di buona architettura , le ultime opere di scalpello, e di pennello furono o Im- magini , 0 Pitture , 0 Sarcofagi , o Musali:! Cri- stiani, che nelle Catacombe specialmente si (i) V. Gibbon Hist. of the Decline and fall of the Roman Empire . I "9 conservarono; come gli ultimi versi di qualche venustà forniti furono quelli di un Seduiio, di un Prudenzio, e di altri Cristiani Poeti. Più convincente argomento per altro sarà il volgere lo sguardo all'ampio e luminoso spet- tacolo che ci si apre al nascimento delle Arti e delle Lettere in Italia nel secolo XIV'". , ed alla pomposa comparsa che fecero poi in ap- presso, massime nel secolo XVI. Io non so in nessuna maniera comprendere come per ragion della Religione Cristiana si vogliano far credere gli Artisti moderni in più svantaggiose circo- stanze di quelle in cui si trovassero gli antichi, e come si ardisca asserire, che la Religione ve- race ricusi quegli ornamenti , e quasi gli abbor- risca , clie sebben di natura loro innocenti , ser- virono ad accendere passioni malaugurate, ed a promuovere 1' abominevole suiìerstÌ7.ione pa- gana presso gli antichi . Non parlo dell' Archi- tettura che dopo di avere sfoggiato tutta la ter- ribilità di cui era capace anche ne' tempi di mezzo nelle vaste Gotiche Cattedrali , risorta quindi dai ruderi della Grecia e di Roma ve- stì forme ])iù venuste, al vasto, al grande, al terribile unir potè il maestoso ed il bello , e fece vaga mostra di se mediante i tesori che da' Som- mi Pontefici , da' Priucipi, e da' Popoli Cristia- ni tutti s' impiegarono nello innalzar nuovi Tem- pli alla Divinità, onde e Brauuinte, e Miche- langelo, e il Palladio, e tanti altri per via della Religione Cristiana poterono dare quelle lumi- nose prove del loro valore , che li rese im- mortali. Dei Dipintori bensì intendo di ragio- nar più particolarmente e degli Scultori, co- me quelli di cui parla di proposito V AlgaroL- oo ti, e dico, che ben lungi la Eeligione Cristia- na sia stata ad essi d' impedimento per poter giungere alla maggior perfezione dell' arte, a questa sono essi tenuti della loro fama mag- giore . Difatti non solo rinacquero le arti figura- tive in seno alla Religione , e Niccola Pisano coli' arca rinomata di S. Domenico, e Cima- bue, e Giotto, e tanti altri con dipinture di sacro argomento le richiamarono a nuova vita; ma rianimati poscia eziandio gli studj profani e riaperti i fonti della Greca e della Latina eleganza, non è forse indubitato, che i qua- dri e le scolture , che ottennero anche presso le più irreligiose persone la piìi estesa celebri- tà e la pili costante j furono tutti lavori di sa- cro argomento? Erano pure agli Artisti del se- colo XV., e piii anche a quelli del XVI. schiu- se le porte dell' antica erudizione . Nessuno vie- tava loro lo scegliere a preferenza soggetti trat- ti dalla Mitologia o dalla Storia Profana, e mol- ti difatto con non ordinaria bravura , e talvolta con soverchia profanità ne trattarono .Non man- cavano loro i favori ed i premii de' Grandi , cui pure non era vietato ne' loro grandiosi palagj, nelle gallerie .nelle ville il riempir ogni cosa di Numi'^e di Eroi del Paganesimo . Molti di essi Ar- tisti , assai operurono da giovani, e menaron vita. non troppo costumata, come tra gli altri, per somma sventura sua e dell'arte, lo stesso gran Bafl'aello.Ciò non ostante non parlasi che delS. Giorgio, del Davidde di Donatello, delle Por- te del Battisteri o di Firenze del Ghiberti giu- dicate degne di esserlo del Paradiso da un Mi- chelangelo, della Cena del Signore del Vinci , del 3i Giudìzio , del Mosè , del Salvatore del mentovato Buonarroti grande egualmente nelle tre arti so- relle , della Natività, del S. Girolamo del Co- reggio , del S. Pietro m?.rtire del Tiziano , e della Santa Cecilia e della Trasliguraziime di Raffaello medesimo, tavola portata in trionfo per tutta Ro- ma dopo la morte di lui, il primo quadro del mon- do . Quanti non sono i chiostri come quello in Fi- renze di Andrea del Sarto, quante le cupole ce- lebratissime ,nel che tanto si distinse il Coreg- gio medesimo , quanti i quadri di Madonne , di Martiri , di i^anti che portano il primo van- to tra le varie'opere dei D)])intori piii rinoma- ti, per modo cl;e gli Eterodossi piìa doviziosi , ed i Miscredenti pili dissoluti, ogni qual volta intendono fare raccolta de' capi d' opera della Pittura , sono costretti a comperare ed a l'onqui- stare quadri di sacro e di cristiano argomento? Ed a questi nostri ultimi tem])i e Pompeo Bat- toni , e Mengs ed il vivente Scultore celebratis- simo Antonio Canova non levarono grido per tavole, per freschi dipinti nelle Chiese, per mausolei di Papi, e per istatue sacre ? Ciò posto io dico così , essendo a' sommi Ar- tisti libera la scelta de' loro soggetti, avendone essi trattati molti profani, ed eziandio soventi volte troppo pili dei dover lusinghieri , e ciò non ostante le opere loro che ottennero mag- giore celebrità e piìì universale , anche presso professori e Tiilertuiti di credenza diversa od affatto irreligiosi, essendo quelle di argomento sacro, ne risulta perciò ad evidenza senza en- trare in altra i.isamina , che la Religione Cri- stiana ben lun(i;i da ripugnare e ricusar gli or- namenti delie urti belle, somministra ajuti uiag- 0 2 glori agli Artisti per poter giungere alla perfe- zione; ne risulta che maggior lustro ricevono le arti dalle cristiane virtù, che non dalie pas- sioni sfrenate de' Gentili*, che in somma è piìi connaturale e più confacente alla Pittura, alla Statuaria, la Religione del vero Iddio, che non r assurda Mitologia Pagana . Né diverso è il caso della Eloquenza, della Poesia. Quali sono gli oggetti piii patetici e pili sublimi ad un tempo, di cui trattar possa un Oratore, a fronte de' religiosi ? Se una spec- chiata probità esigeva Quintiliano nell'Orato- re, dove potrà questa rinvenirsi piii perfetta che in un Oratore Cristiano? Non mi estendo mag- giormente , che la cosa da per se stessa è abba- stanza manifesta; e per non parlar di nuovo de' Padri Greci di cui si è toccato sopra, un Bossuet , un Fenelon tra' Francesi, e diciam an- che tra noi un Segneri , un Turchi, un Pelle- grini, ed altri cui forse mancò soltanto m.aggior teatro per acquistar maggior rinomanza , non danno palesemente a divedere quanto la Reli- gione verace sia propria a dare anima, vita, e vigore alla vera eloquenza? Per quello poi che a' Poeti si* appartiene furono questi dopo il ri- nascimento delle Lettere nelle stesse circostanze degli Artisti. Potevano pur essi scegliere argo- menti mitologici e profani , ed il fecero frequen- temente ; ma quanto diverso ne sia stato Te- sito è cosa troppo palese . Lascio star Dante , che tinto ancora di pece Gotica, e della ruggine degli Scolastici, dal suo argomento scbben re- ligioso non seppe ricavar tutto ciò che avrebbe potuto ritrarre. Ma quanto abbia di pivi subli- me, di pili patetico il Petrarca, massimamente 3.1 nella seconrla Parte delle sue rime immortali , noi dohblam forse tutto alla Religione? E gli altri Lirici nostri più famosi, il Ghiatrera , il Guidi, il Cotta, il Filicaja , non trassero da* Profeti, e dalle Sacre Lettere quelle espressio- ni energiche, quelle enfatiche forme, quelle vi- vaci immagini terribili e grandi, che non te- mono il confronto delle Pindariche? L'Ariosto medesimo non credette che il sistema della Re- ligione Cristiana ( la cui morale egli però non sempre rispettò ) impedir lo potesse nel libero corso della sua indomita e capricciosa fantasia. Ma il Poema Epico piii regolare e piti celebre non dirò dell'Italia, ma di tutte le Nazioni moderne, voglio dir la Gerusalemme, non è cosa tutta Cristiana ? Non ci rappresenta que- sto le Crociate non quali furono, come disse taluno, ma quali avrebbono dovuto essere? E se nell'Episodio di Clorinda e Tancredi il Tas- so superò Virgilio in quello di Niso e di Eu- i-ialo, come Virgilio avea già in questo parti- colare, a giudicio di esperti Critici, superato Omero, non lo deve egli interamente a quel non so che di patetico e di divoto , che me- diante la Religione ebbe il modo d' insinuare in quella romanzesca avventura? Se finalmente il martire Cristiano Polieuto è una delle Tra- gedie migliori del famoso Poeta francese Cor- neille, il capo d'opera dell'altro gran Tragi- co di quella nazione Racine l'Atalia è parimen- te argomento tratto dalle Sacre Carte. Se poi spaziar volessi nelle altre contrade di Europa, potrei accennare e il Paradiso perduto del Mil- ton , l'Omero o per meglio dire il Dante degli Inglesi , e la Messiade dei Kiopstoch , e la mor- ^4 te di Abele del Gesner , i più celebri Poemi Epici della Germania. Del resto anche i mi- gliori Poemi Latini , i più Virgiliani dopo la ristaurata latinità , ognun sa che son pure di sacro argomento. Tali sono per accennarne due soltanto il Parto della Vergine del Sannazza- ro , e la Cristiade del nostro Vescovo di Alba Girolamo Vida entrambi celebratissimi . Vero è però che si potrebbe replicar da ta- luno non esservi dubbio che le umane lettere e le belle arti tutte grandi ajuti traggano dal- le Sacre Carte e dalla Cristiana Religione, ma che perciò non si deve inferire che la Religio- ne medesima abbisogni di sì fatti ajuti , e che in questo modo può ricevere sana interpretazio- ne il detto sopraccitato del Boileau. Ecertamen* te né gli Apostoli , né il divino loro Maestro non abbisognarono dell'opera né di Oratori, né di Poeti, né di Artisti per fondare la Cristiana Re- ligione stabilita colla predicazione , co' miracoli, e col Sangue di Cristo e de' Martiri . Ma si vuol poi anche riflettere che diversa è la condizione della primitiva Chiesa , quando la fondazion sua dovea esser miracolosa, affinché questo prodi- gio medesimo servisse di una delle prove della sua Divinità , e la desse a divedere cosa tutta divina, e la condizione della Chiesa stessa , qua- lora già fondata e stabilita, ed ampiamente e- stesa , doveano alla conservazion sua contribui- re eziandio coli' opera loro i fedeli. Che se è verità inconcussa che co' loro sforzi replicati non potranno i malvagi abbatterla e distruggerla giammai, gravi danni ciò non pertanto recar le possono e le arrecano di continuo colle armi loro e colle insidie d'ogni maniera. Perciò non OD solamente permette tcldio a' seguaci suoi , ma ezianàio ad essi espressamente impone di pre- valersi dal canto loro dei mezzi umani tutti on- de contribuire a mantenere intero e saldo l'e- dificio, e ad estenderne sempre più i confini. Siccome pertanto con indefessa cura si studiano dai dotti Maestri in Divinità le antiche lingue Orientali e le Greche Lettere per ben inten- dere i libri dell'antico e del nuovo Testamen- to*, siccome da zelanti promulgatori del Van- gelo s'imparano con lunga fatica gli idiomi e- sotici delle Indie , né sì presume da essi che il dono delle lingue e la scienza più arcana delle sacre cose venga loro dal Cielo, come già agli Apostoli prodigiosamente infusa , così non diversamente adoprar si dee rispetto alle altre professioni ed arti che utilmente rivolger si pos- sono a promuovere ed a difendere la Religione verace . L'erudizione profana, per via di cui s'invi- gorisce r eloquenza e si fa più insinuante , chia- mavasì spoglie e vasi rapiti agli Egizj dal col- tissimo e fervido Dalmata Santo Padre Girola- mo-, e libri degli ignoranti chiamati furono da altri Padri e Scrittori Sacri le Statue e Dipin- ture . Ghe se quel giovane pagano scostumato presso Terenzio da Pittura , in cui rappresenta- te scorgevansi le scelleraggini vituperose del fal- so JorO Re de' Numi , ne traeva incentivo al mal fare, e perchè mai dagli esemp] di magnanimità, di magnificenza, di amore, dì fortezza, e di o- gni cristiana virtù elegantemente espressi in ta- vole ed in simulacri non rimarranno altamente e vantaggiosamente colpite le menti non solo de' giovani, e degli indotti, ma quelle ezian- 35 dio delle persone addottrinate e mature? Un tempio di architettura maestosa insieme elegan- te e Iumin(>.sa presenterà certamente una imma- gine che più ai vero si avvicini della grandezza e della bontà di un Dio giusto e clemente , as- sai meglio di quello che far possa un edificio di Gotica struttura, che colle alte sottili co- lonne, colla smorta luce, e col òupo delle lun- ghe oscure navi desti soltanto un sacro orrore e sembri destinato a rappresentarlo sotto le for- me unicamente di punitore severo. Qual rae/.zo più sicuro per crear diletto in menti giovanili, porgere ad esse quell'alimento che la vivace fantasia di quella età ricerca, iustillar in esse soavemente sentimenti ed affet- ti virtuosi , come quello che la Poesia sommi- nistra co' Sacri Cantici secondochè ne' tempi del- l'antica legge , ed in quelli della primitiva Chie- sa costumavasi. E come mai per ultimo si potrà fare argine alla immonda piena di tanti scritti profani , che fanno pompa sfacciatamente di tutti i lenocinj di una eloquenza seduttrice, se non 6e imitando gli antichi Padri , ed opponendo a quegli scritti perversi altri libri e ragionamen- ti dettati non solamente con soda dottrina, ma con quella eloquenza, che fondata sulla veri- tà, s'impadronisce poi infallantemente una vol- ta del cuore, e trionfa, e signoreggia, e ben di- mostra quanto diverso sia quel falso lume in- gannatore che sorge dal putrido paludoso fondo de' vizj e della perfìdia, dalla luce vivifica e dallo splendore ricreante che diffondono le pa- role di un Oratore animato dalla Religione e dalla virtìi . ,:^'- " ' " . i- ■ ■ ■- — •^?-. T'aita di Francesco Filelfo da Tolentino del Ca- valitire Carlo de' Rosmini Rov eretano , Tomi II L 8. Milano. Presso Luigi Mussi 1808. N. el primo Volume di questa Collezione fu da noi annunziata al colto pubblico la Vita di Guarino Veronese scritta dal Ch Sig. Gav. Rosmini , ed ora (;i è grato di poter fare altret- tanto di quella del celebre Filelfo. Coi pregi intrinseci dell'opera concordano quelli dell'e- dizione, per i buoni e nitidi caratteri con i quali si è correttamente eseguita , e [ler tre bel- lissime stampe in rame che l'adornano, una a ciaschedun tomo, esprimente la prima il ritrat- to del Filelfo copiato dall' originale di A. Mau- tegna ; la seconda altro ritratto del medesimo preso da quello esistente nell'Archivio di To- lentino, e la terza finalmente la di lui meda- glia tratta da quella edita nel Museo Mazzu- chelliano. La Storia Letteraria ci addita i nomi di pa- recchi non ignobili Autori , che in varj tempi hanno scritto del Filelfo, ella però non aveva finora una Vita di esso, che potesse dirsi in tutte le sue parti veramente completa . Deesi pertanto saper grado al N. A. per aver lui in- trapreso untai lavoro, cui ha altresì perfetta- mente eseguito. Egli ha fatto precedere un'at- tenta e critica lettura non solo di tutti i pas- sati Scrittori del Filelfo, ma degli scritti diluì eziandio , non omettendo ancora di rintracciare ciò che peravventura si trovasse tuttora d' ine- 3» dito risguardo al medesimo nelle Biblioteche e negli Archivj , in che è stato ben fortu- nato. Nella copiosa e scelta Libreria del Sig. Gian-Giacomo Trivulzio di Milano, a cui egli ha dedicata meritamente questa Vita trovò un Epistolario del Fiielfo, in cui oltre ai 3^. li- bri di lettere già edite, undici altri se ne con- tengono d'inedite, co' quali illustransi quattro anni della vita di esso a' precedenti Biografi i- gnoti. Oltr'a ciò negli altri libri che si leggono tra gì' impressi , 90. epistole qua e là sparse in quel codice trovansi parimente inedite, e molte di esse sono della massima importanza. Cento- sette altre lettere greche similmente inedite del Fiielfo esistono in detta Libreria, e di più un altro Codice contenente gli otto libri del Poe- ma inedito intitolato Sphortias . Anco la Biblio- teca Ambrosiana, oltre molte orazioni , poesie, ed epistole inedite, conserva l'opera pure ine- dita del Fiielfo De locb et Seriis . Finalmen- te molte altre lettere e documenti inediti egli ha avuto dall'Archivio Generale di Milano, da quello della vecchia Segreteria di Stato di Fi- renze, dalla Biblioteca Laurenziana, ed alcune poesie da quella di Napoli, oltre molti altri monumenti trasmessigli da varj Letterati suoi amici, da lui con onore nominati. I più impor- tanti di questi inediti monumenti sono stati da esso pubblicati respettivamente in fine di ognu- no de' tre Libri, in cui è divisa la Vita. Pas- siamo or^ a dare l'estratto di essa. Nacque Francesco Fiielfo in Tolentino 1' an- no iSpB. ai 25. di Luglio, da onesti e civili pa- renti. Mandato ancor giovinetto a studio a Pa- dova apparò il diritto civile e le leggi da Raf- faello Fulgoso Piacentino e da Baffaello Kai* mondo da Como , 1' oratoria da Gasparino Bar* zizza, e la filosofia da Paolo Nicoletti Venezia- no dell'Ordine degli Eremitani. Tali notizie le ha tratte il primo il N. A. da una lettera ine- dita del Filelfo del Cod. Trivulziano, poiché i passati Biografi non danno altro precettore ad esso in Italia che il Barzizza . I rapidi progressi fatti sotto questi celebri Professori gli merita- rono nell'età di i8. anni incirca la cattedra di. eloquenza in Padova stessa . Dopo non molto tempo passò a Venezia Professore di eloquenza e di filosofia morale, e vi ottenne il titolo di Veneto Cittadino con pubblico decreto . Ne' due anni che qui si trattenne ebbe tra i suoi alun- ni i pili cospicui Patrizi di quella città, intra i quali il celebre Bernardo Giustiniani ; conob- be la prima volta i due celebri uomini Vittori- no da Feltre e Guarin Veronese, molto piìi a- vanzati di lui in età, Professori ancor eglino di greca e latina letteratura, co' i quali strinse un' affettuosa amicizia. Gli venne in pensiero in questo tempo di abbandonare il mondo, e vestir l'abito di S. Benedetto nel Monastero di S. Gior- gio Maggiore , ma Bartolommeo Fracanzano suo amico , cui manifestò tal risoluzione , ne lo di- stolse .Bramando poi oltremodo di perfezionarsi neir eloquenza , e di acquistare una profonda ed universale erudizione, e vedendo a ciò necessa- ria la cognizione della lingua greca , desiderava ardentemente di portarsi per qualche anno in Gre- cia , suU' esempio di Guarino e di altri suoi dot- ti amici. Gli mancavano a ciò gli opportuni mezzi; ma i suoi Veneti protettori si adopera- ron per lui, ed in ispecie Leonardo Giustinia- 40 ni , che gli ottenne dal Senato il posto di Se- gretario del Bailo di Costantinopoli, e il sov- venne ancor di denari. L'anno pertanto i^-zo. si mosse da Vicenza , ove pure fu Professore di eloquenza due anni, per Costantinopoli, e vi giunse dopo cinque mesi all' incirca di viag- gio. Appena arrivato si mise subito sotto la di- sciplina di Giovanni Grisolora per apprendere la lingua, e l'erudizione greca, cui talmente attese senza che ne soffrisse l'impiego di Se- gretario , che in poco tempo fece rapidissimi pro- gressi . Si parlava perciò di lui con gran loda fino alla corte dell'Imperatore Giovanni Paleo- logo , onde questi due anni dopo il suo arrivo dichiaroUo suo segretario, e consigliere, e pro- fittò del suo valore e della sua destrezza in va- rie importanti commissioni. Nel 1423. lo man- dò in qualità di suo oratore e ministro all'Im- perator Sigismondo a Buda , ove , nel men- tre che stava per partire dopo terminata la sua commissione, ricevè un nunzio speditogli da Uladislao Re di Polonia ad invitarlo ad as- sistere come ministro imperiale alle sue nozze. Portossi adunque col seguito dell' Iraperator Si- gismondo a Cracovia, e qui il dì la. di Feb- braio del 1433. giorno degli augusti Sponsali, recitò alla presenza di moltissimi spettatori, di Sovrani, e gran Signori un'orazione epitalami- ca. Tornato colla corte imperiale a Buda, vi giunse poco dopo di ritorno dall' Italia l* Im- perator Paleologo , per trattare con Sigismondo di rilevanti affari. Trattati questi , pensò il Pa- leologo di far precedere a Costantinopoli il Fi- lelfo, perchè vi osservasse la condotta del fra- tello Demetrio, che avea lasciato in sua assen- 4? za governatore dell'impero, e per quietare que* tumulti, che egli giovine violento e torbido, e gli altri congiunti bramosi sempre di mutazio- ni , vi avrebber forse fatto nascere . Prese per- tanto il Filelfo la via più spedita per Costanti- nopoli , ma avvisato da i suoi amici de' grandi pericoli che avrebbe incontrati in passando per paesi dominati da' Turchi , de* quali nemico al sommo era Sigismondo, fu costretto a tornare indietro , e prendere altra strada . Finalmente do- po lunghi giri ,e mfi>lti disastri arrivò ad Aspro- Gastro luogo della Moldavia, dove, dopo lungo tempo giunto l' istesso Imperator Paleologo, ac- compagnatisi insieme restituironsi dopo un an- no e 4. mesi d'assenza a Costantinopoli. Prese qui poscia in moglie Teodora figlia del Gri- solora suo precettore, bellissima giovine, in età di anni 18. e parente dell' Imperatore, dalla quale ebbe ricca dote, e molti splendidi doni , e colla familiare conversazione di lei potè ap- prendere meglio le finezze , 1' eleganza , e la proprietà del greco linguaggio. Morto in tal tempo il suo precettore e suocero , per non tralasciare gl'inoltrati suoi studj si mise a fre- quentare la scuola del Crisococce, 0 Criìococca , ove fu condiscepolo del celebre Cardinal Bessa- rione , col quale strinse amicizia e lo ebbe poi per fedele protettore ed amico. Correvano eia sette anni del suo soggiorno a Costantinopoli talmente a lui grato che non pen- sava punto a ritornare in Italia . Alle calde istanze però fattegli da i suoi amici di Venezia , ed in ispecie da Leonardo Giustiniani , e da France- sco Barbaro , perchè ritornasse fra loro a tenere scuola di greca letteratura coli' offerta di cinquo- cento annui zecchini di provvisione; il dì z^ d'Agosto del 14J7. partì da Costantinopoli col- la consorte, col figliuolo, con quattro schiave, e due servitori, e ai io. d'Ottobre sul mezzodì arrivò a Venezia dopo sette anni e cinque mesi che avea lasciato l' Italia, Rimase molto sorpre- so per non trovarvi nessuno de' suoi amici e pro- tettori, che usciti erano di citta per motivo di pestilenza. Die subito contezza del suo arrivo a Leonardo Giustiniani che se ne stava ritirato a Murano , ed ebbe in risposta una lettera pie- na di amichevoli e lusinghiere espressioni , ma proibizione di andare a vederlo, prima che da lui non fosse invitato. Risolvette pertanto , per non perdere aftatto il tempo, e per sostentare se e la sua famiglia di aprire scuola , il che fece con molto suo onore, per quanto egli dice in una sua lettera, ma con iscarso guadagno, giu- sta le lagnanze eh' ei fa ; il che era molto na- turale in una città infetta di peste. In tali cri- tiche circostanze si rivolse a scrivere agli auto- ri del suo ritorno, rammentando loro le pro- messe, l'esibizioni , e le ricche offerte , che fat- te gli aveano, e richiedendogli di aiuto e con- siglio, ma le risposte non contennero che com- plimenti, buoni e salutari avvisi ri^guardo al contagio, uiun largo soccorso però di denaro per i bisogni della famiglia. A sì fatte angustie dell'animo suo, si aggiunse anco quella di non poter usare de' libri acquistati a Costantinopoli , che poco prima dì partire di lì avea in gran parte spediti a Venezia dirigendogli a Leonardo Giustiniani, perchè nella stanza ov' erano stare deposte le casse in cui si contenevano vi era morto un uomo di peste. Non ricevendo per- 43 tanto il Filelfo da i suoi amici che parole, e ve- dendo sempre più infierire la pestilenza, da cui gli fu tolta una giovine serva, abbandonò Vene- zia il di i3. di Febbraio del 14-28. e presa col- la famiglia la strada di Ferrara, andò a posarsi a B(»logna.Nel giorno istesso del suo arrivo cor- sero a salutarlo non solo i Professori e Lette- rati di questa Città coi loro scolari, ma cora'ei si esprime, la Città quasi tutta. Il giorno do- po il Cartlinale Alamando Legato Pontificio desideroso di vederlo , e di conoscerlo spedì a lui un suo Uditore della nobil famiglia degli Alberti di Firenze, perchè glielo conducesse. Presentatosi al Legato, fu da esso accolto con singoiar cortesia ed umanità, e quindi eletto Professore di eloquenza e filosofia morale col- r annuo stipendio di 4,50. zecchini, 3oo.de' qua- li avrebbe riscosso dal pubblico erario, e iSo. dalla cassa privata del Cardinale , che gliene fece contar subito 5o. e nel congedarlo il col- mò di molti preziosi doni . Sì lieta e felice sem- brava la sua sorte al Filelfo, e talmente piace- vagli Bologna per la di lei amenità, e dovizia di tutto il necessario alla vita, e per i costumi gentili degli abitanti, e per l'amore da tutti a lui portato , che avendo inteso adoperarsi Leo- nardo Giustiniano, perche venisse chiamato Pro- fessore a Padova 0 a Venezia, incontanente gli scrisse pregandolo a desistere da ogni pratica , e ad inviargli tosto i suoi libri, e l'altre co- se, dicendogli ancora, che avea piti a cuore l'onestà, che un lucro maggiore. Qui in Bolo- gna pare che desse 1' ultima mano alla tradu- zione lodata da Leonardo Aretino come elegan- te e fedele, dell' orazione di Dione Crisosto- 44 mo De Ilio non capto , fatta prima da lui in viaggio in tornando da Costantinopoli , e che sembra il primo suo lavoro in tal genere . Sappia- mo ancora da due sue lettere aver lui incomin- ciato la traduzione della Vita di Mosc scritta da Filone; non si sa però s' ei 1' ultimò , né co- sta fin qui che alcuno la citi come stampata . Suscitatesi poscia di lì a poco in Bolog la fie- ri tumulti ed acerbe fazioni , per cui cessò 1' u- niversità, né si fecero piai pagamenti, pensò di accettare l'offerta che da del tempo gli fa- ceva la Repubblica Fiorentina , ricusando di andare a Roma, e a Ferrara alla corte del Mar- chese Niccolò d'Ente. Niccolò Niccoli, Leonar- do Aretino, Ambrogio Gamaldolense , Palla Strozzi , quegli si furono che più adoperarono perchè egli ottenesse ed accettasse il partito . Partii dunque da Bologna ai primi di Aprile del 1429. dopo superate non poche difficoltà, e pre- so il cammino della Romagna, e trattenutosi un giorno ad Imola , giunse poi felicemente a Fi- renze. Se debbasi a lui credere, indicibile si fu l'applauso, l'amore che riscosse generalmente da i Fiorentini, singolarissime le distinzioni, e gli onori avuti da essi. Fino l' istesso Cosimo de' Medici il primo e più possente Cittadino , appena sentito il suo arrivo , si portò subito al- la sua casa, come fece anche più volte appres- so , per esibirgli tutto ciò di cui abbisognar po- tesse. Felice invero il Filelfo se usando mode- razione, e prudenza, e raffrenando la sua mor- dace lingua avesse sfuggito ogni nimistà cogli altri letterati , ed in ispecie con Niccolò Nicco- li, uomo anch'esso invidioso, inclinato a i so- spetti, e di una smoderata libertà nel parlare. 4^ Irritato il Filelfo, perchè il Niccoli non gli lo- dava le sue composizioni neir atto di leggerglie- ne , ma anzi tratto tratto glie le censurava sen- za alcuna dissimulazione com'era il suo fare, concepì subito una fiera avversione contro di lui, che in seguito manifestò co i discorsi, e co- gli scrirti , chiamandolo violatore dell' amici- zia, ignorante, e scrivendo e pubblicando, un' orribile invettiva contro di esso, in gran parte però piena di nere calunnie . Per cagione pure di sì fatta sfrenatezza di sua lingua poco man- cò, che quasi due anni dopo il suo arrivo a Fi- renze non venisse da essa ignominiosaraente e- spulso , leggendosi un decreto della medesima dei IO. Marzo 143 1. in cui si ordina che Fran- cesco Filelfo da Tolentino sia cacciato da Fi- renze e confinato per tre anni a Ruma in ga- stigo di avere disonestamente e temerariamente parlato dtl Dominio Veneto , e del Ministro di quella Repubblica. Da alcune lettere di Ambro- gio Traversari, e del Filelfo stesso a Leonardo Giustiniani si rileva esservi stati de' motivi di disgusto fra il detto Giustiniani e il Filelfo , r ultimo de' quali sdegnato per non poter mai riavere i suoi libri e le sue vesti dall'altro, pro- ruppe forse in dell' espressioni poco onorevoli al decoro del Giustiniani, della Bepubblica Ve- neta , e del suo Ministro ; dal che forse ne na- cque che eglino irritati si maneggiarono perchè fosse emanato contro di lui il soprammentovato decreto-, sebbene poi terminò il tutto pacifica- mente, poiché proseguì a stare ancora moki an- ni a Firenze il Filelfo in corrispondenza col Giustiniani sempre amichevole , riportandosi da Salvine Saivini nella Prefazione ai Fasti Con- 4^ molari pag. xvni. altro decreto de' 12. Marzo I43f. due giorni dopo il precedente, col quale dichiarasi detto Filelfo Cittadin Fiorentino. Ninna cosa poi meglio prova la smoderatezza della sua lingua, e insieme il dimostra di cuore sconoscente; quanto la condotta da lui tenuta con Ambrogio Camaldolense . Si era questi molto ado- prato perchè il Filelfo fosse chiamato Professore a Firenze ; quasi ogni giorno l' accoglieva in sua casa per instruirlo nella lingua latina, in cui pel lungo suo trattenimento in Grecia non era molto valente; gli riformava, e poliva le sue traduzioni dal greco : con tutto ciò pregato da Ambrogio a tradurgli in versi que' parecchi squarci di poesia che sono nelle vite di Dio- gene Laerzio , cui egli traduceva , non solo non ne fece mai nulla, dopo anche reiterate promesse, ma giunse di più a chiamare in una sua Satira il Traversar! importuno, vanaglorio- so, e il consiglia a tradurre que' versi da se , e che se non è poeta procuri di diventarlo istu- diandOjCon altre sì fatte mordaci ed ingiurio- se espressioni. Ma non termina qui l'ingratitu- dine del Filelfo verso di Ambrogio , Dopo di es- sere divenuti nemici tra loro il Niccoli e il Fi- lelfo, scrisse quest'ultimo, sebbene sotto altro nome, una velenosissima satira contro il primo, e avanti di pubblicarla l' inviò con lettera de- dicatoria ad Ambrogio, che era uno de' pivi in- timi amici del Niccoli , quasiché egli lo avesse a ciò stimolato , e credesse veri i pivi sordidi e vili delitti al Niccoli da esso imputati . Restò altamente sorpreso Ambrogio ad un tal fatto ; pure alquanto cai matosi, pio , com'egli era , pen- sò subito al rimedio, e scrisse al Filelfo una lunghissima lettera, in cui usò di tutte l'arti dell'eloquenza per indurlo a seppellire quell' in- fame ed oltraggioso scritto -, ma questi invece di placarsi, e di condescendere alle di lui istanze, si ostinò maggiormente nel suo indegno propo- sito, e fatta precedere la dedicatoria ad Ambro- gio, pubblicò con la massima solennità la sua Satira . Ambrogio però non ostante un sì iniquo procedere, non serbò in seguito nel suo cuore nessun' amarezza contro di lui, anzi in varie oc- casioni gli giovò placando lo sdegno di potenti persone irritate contro di esso per i suoi male- dici scritti . Di sì fatta moderazione però non eran dotati gli altri letterati d' allora a Firenze , special- mente Carlo Aretino , e Poggio Fiorentino , i quali sdegnati della vanità e maldicenza del Fi- ' lelfo facevan di tutto per metterlo in disgrazia de' due fratelli Cosimo e Lorenzo de' Medici , cosicché egli meditava di lasciar Firenze. Es- sendosi però per la pestilenza insorta in questa Città sul finir del 1480. portati a Verona Co- simo e Lorenzo con Niccolò Niccoli e Carlo Are- tino , durante la loro assenza , vide di poter trat- tenersi in Firenze, onde accettò il decreto che lo confermava Professore di Rettorica e di Fi- losofia morale per altri tre anni, cominciando dai 17. Ottobre del 1431, coli' annuo stipendio di 35o. zecchini . Parla ora 1' A. delle fatiche letterarie di lui in Firenze, e delle opere che vi compose, che sono parecchie traduzioni quasi tutte edite di opuscoli di varj classici greci . Lesse ancora pubblicamente il Filelfo nel nostro Duomo ne' giorni festivi, e commentò il pda, frater. Tecum una tota est nostra sepulta domus. Omnia tecum una perierunt gauilia nostra , Quae tuus in vita dulcis aiebat amor. Quojus ego interitu tota de mente fugavi Haec studia, atque omnes delicias animi. Quare , quod scribi? , Veronae turpe Catullo Esse: quod hic quisquis de nieliore noia (2) Frigida deserto tepefecit membra cubili; Id , Manli , non est turpe ; magis raiserum est . Ignosres igitur, si, quae mihi luctus adeniit , Haec tibi non tribuo niunera , cum nequeo. Nam quod scrii)torumnon magna est copia apud me , Hoc fit , quod (3) Romae vivimus : illa domus, Illa mihi seoes, illic mea carpitur (4; aetas: Huc una ex multis capsula me sequitur . Quod quum ita sit , nolim statuas , me mente ma- ligna Id facere , aut animo non satis ingenuo, (i) "Epc" ^.^"f àv^oi . Così d' Enea Omero al L. xvi. dell' II. V. 484. (2) Est aggiunge Bern. Pis. {3) Quum . Anon. (4J Vocabolo usato qui con doppia nozione ; 1' una di staccare , tor vìa a poco a poco , e insinua 1' età. che declina insensibilmente ; 1' altra di fiiaie , come il carpere peiisam d' Orazio e rammenta la gentile- sca opinione, che la Parca filasse ad ogni uomo gli stami della vita . 65 Prima il fianco mi rinsi, e che gioconda Prima-'era videa su' miei verd'anni; Fai ben prode in amor; non sono oscure Le mie geste alla Dea , cui mescer piace Dolce amarezza alle amorose cure*, Ma tutto ornai ne spense in me il desio Della fraterna morte acerbo lutto. German , che il fato ahi lasso ! mi rapio . Tu in morendo, o German, tu n'hai distrutta La mia felicità; teco la nostra Famiglia a un punto ahimè! sepolta è tutta. Teco il fonte perì d'ogni diletto, Che già soleva inebriar nostr' alma Alimentato dal tuo dolce affetto. Di Lui l'acerbo caso in fuga volse Dall' egra mente i lieti studj, e tutte Le delizie dall'anima mi tolse. Onde quel , che ai tuoi sguardi obbrobrio sembra. Che mentre i primi Cittadin nel letto Che abbandonò, fan tepide le membra, Dell* Adige natio Catullo in riva S' arresti intanto ; a obbrobrio no , ma d' uopo E^ che a fortuna rea, Maulio, lo ascriva. Dunque negar non mi vorrai perdono. Se ciò , che amaro lutto anche a me tolse , Sol che dartel non posso, io non ti dono. Poiché se dei Scrittori appo me rari Sono i volumi, è sol perch'io men vivo Di Roma in seno; ivi i miei dolci Lari , Ivi ho la sede , ivi dell' età mia Scorrono i giorni, e una sol cassa appena. Delle molte ch'io n'ho, traggo per via. Or poiché tal , quale io tei narro , è il vero , Ti guarda ben di non figgerti in mente JBsser d'uomo maligno, o men sincero, 6 66 Quod tibi non «triusque petenti copia facta est. Ultro ego deferrem , copia si qua toret. Non possum reticere , Deae ,qua Manlius in re Juverit , aut quantis juverit officiis ; Ne fugiens saeclis obliviscentibus aetas lUius hoc caeca nocte tegat studium . Sed dicam vobis: vos poiro dicite niultis Minibus , et facile haec charta loquatur a- nus . . Notescatque magis raortuus, atque magis: Ne tenuem texens sublirais aranea telam. In deserto Auli nomine opus faciat. Nani mihi quam dederit duplex Aniathusia (i) curain , Scitis , et in quo me torruevit genere : Cum tantum arderem , quantum Trinacria ru- pes , Lymphaque in Oetaeis Malia (3) Thermo- pylis, Moesta neque assiduo tabescere lumina fletu Cessarent , tristique imbre inadere genae . Qualis in aerii pellucens vertice montis Rivus , muscoi>iO prusilit e lapide. Qui quum de prona praeceps est valle volutus. Per medium densi transit iter populi, Dulce viatori lasso in sudore levamen, Quum gravis exustos aestus hiulcat agros: (1) Dicitur enim gemina Venus et a Platone ; qtim. ratione et ab Ovidio gemini amores . Bern. Pis. (2) Bagni d' acqua calda nel Monce Oeta pres- so le Termopile . V. Herod. ifi Polyhymn. Volpi L' Anonin «ui òintis Che qual si converria non ti fo copia Dell' un , dell'altro don che da me vuoi; Io tei darei, se non ne avessi inopia. Tacer non posso , o Dee , quanti a me porse Utili offici d'amicizia, e come Manlio sovente all'uopo rni soccorse. Perchè di Lui non celi il bel desio In cieca notte mai l' età che fugge Coi secoli che son pieni d' oblio . A voi li narrerò , cura vi prenda Narrarli a mille, e oprate sì che questa Carta eloquente ai posteri discenda. E nuova fama al cener suo s'aggiunga. Sicché dagli alti laquearj annosi Di Manlio mio suU' obliato nome La sottil tela Aracne ordir non osi . Poiché qual diemmi al cor coi strali suoi Di doppia punta armati acerbo affanno. Come m'arse Aiuatunzia è noto a voi Quando a) fuoco d'amor del pari ardea , Che in mezzo alle Termopile d' Oeta La Melid' onda , e l'alta rupe Etnea. Né cessavan più mai lividi farse I mesti lumi pel continuo pianto. Né le gote irrigar lacrime sparse , Sulla cima cosi d'aerio monte Spiccia di sasso fuor, che il musco verde Cuopre d' intorno , cristallino fonte. Che della valle ruinoso appena Giii dal pendio discese, il pie d' argento Muove per via di denso popol piena ; Dolce ristoro al passeggier, cui bagna Sudor la fronte affaticata, allora Che fende igneo caior 1' arsa campagna . 68 A e velut in nigro jactatis turbine nautis Lenius aspirans aura secunda venit , Jam prece PoUucis , jam Gastovis(i) implorata: Tale fuit nobis Manliiis auxiliiim. Is clausum lato patefecit limite canipum , Isque donium nobis, isque dedit doaiinam: Ad quam cominunes(2j exerceremus amores; Quo mea se molli candida Diva pede Intulit , et trito fulgentem in limine plantam Tnnixa arguta constituit solea : Coniugis ut quondam flagrans advenit amore, Protesilaeam Laodamia (3) domum Inceptam frustra (4), nondum cum sanguine sacro Hostia caclestes pacificasset heros . (l) L' Hemsterhuslo a Luciano ( T. 3. p. 282. ) il Munckero e Staveien a Igino ( p. i5l. ) e il di'tcis- 8Ìmo Heyne ad Apollodoro ( Ob-jcrv. p 290. ) hanno adunate copiose e non ovvie notiiiie su' Dioscuri . Rimando ad essi i miei lettori. (2j S-ilicet Cattilli et daminae . Poliz. Interpreta- zione però da non a dottarsi. (3j Nel Museo Pio-Clenientino è scolpita in bas- Borilitivo la favola di Protesilao . Vi si rappresenta lo sbarco, la morte dell' Eroe, il colloquio con Lao- damia e il ritorno ali' inferno nella barca di Ca.-on- te . L' incompaiabil Winckelmann ne scoperse 1' ar- gomento . Vedasi la sua illustrazione e quel che aggiunse e corresse il dottissimo Visconti nelle sue spiegazioni al Museo suddetto Tom. 5. tav. 18. (4) Accppta. et frustra ha il Poliziano , ed è pur nella edizione di Vicenza del [48'- ove Bernardo Pisano chiosa : idest frtistra est aecepta in eani do- nium , hoc est non diuturni coniu^h ornine. Si riten- ga però l' incoptam frustra derivato dalla edizio- re principe , ove è incoepta frustra , ed è imita- zione ù' Òmero, da cui fu detta appunto la casa di 69 E qual, se negro turbine nell' onda Lo incalza e preme, al pallido nocchiero Vien più mite spirando aura seconda, Mercè le preci , che implorò da' duoi Figli di Leda al gran Padre dei Numi, Tal Manlio amica porse aita a noi . Egli a goder mi aperse ampio terreno, Ei dell'albergo mi fé largo dono, Diemrai Colei, che ha di mie voglie il freno: Donna, cui pari ardor, cui desir pare Ambo infiammar dovesse; albergo, dovè Bianca qual neve, e di un leggiadro andare Venne, e sul trito limitar la Dea Pose le piante in lieve socco accolte , Che cigolava, e d'oro risplendea. Tal dall' Emonia un dì sede natia Calda d'amor pel suo Protesilao Venne al tetto regal Laodamia ; Sposa , ma invan ; che d' esser Madre a Lei Negar dal Cielo non placati ancora Coi sangue delie vittime g-li Dei. Protesilao JoV-o? ^fJuttXvi ( Ili. 1. a. v. 7©!.). Questo luogo del div'ino poeta è variamente spiegato dagli antichi grammatici e dai moderni eruditi . Chi vi ve- de il talamo non condotto al suo termine , chi la mancanza dei figli , per cui rendasi dimezzate^ il niatrimonio. A me piace questa seconda interpreta- zione, perchè la fiancheggiano, e Sofocle nell'E- dipo Re V. 949 ore Giocasta è chiamata irowrsXtlg J'a/jctf , perfecta iixor per aver figli; e il vecchio Scoliaste che ivi appunto cita questo verso d' O- mero . Ecco dunque nuova conferma al sentimento del Volpi , che spiegò in questo stesso senso il pre- sente luogo di Catullo . Nil mihi tam (i)ciplinat as nensurae . Bern. Pis. 1^ L* empio gaudio in livor converte, e in scorno, E il rapace avvoltojo in alto leva , Che s'aggirava al canuto avo intorno; Né di Colombo bianco come latte Fosca compagna mai 'fu lieta tanto, Che a carpir baci col rostro combatte Lasciva più, che ogni altra esser non soglia. La femmina però d'indole è vaga, Ed or di questo, ora di quel s'invoglia. Ma i trasporti d'amor tutti già foro Dai tuo sol vinti , appena amor ti strinse Al giovin sposo dai capelli d'oro; Cui ntilk allor seconda o poco almeno Quella , che al par degli occhi miei m' è cara. Di noi sen venne a coricarsi in seno. Di qua di là se le aggirava intorno Amor sovente, e candido com'era, Pm risplendea di crocea veste adorno. Ma sebben di me sol paga non sia , Finché n' abbia rossor, soffrirò in pace I rari furti della Donna mia. Onde qual folle non divenga a lei Coi frequenti rimproveri molesto. La superba regina degli Dei Di rabbia, e di vergogna arse sovente, Perchè del vago adultero marito Spiar volea l'infedeltà frequente. Ma ingiuria fa chi gli uomini assomiglia Ai Dei ; disdice a me , sol di tremante Padre è vegliar custode a vergin figlia . Paterna man non trassela già fuori Dal natio tetto, e ad abitar non venne L'albergo mio spirante Assir) odori. ?6 Sed furtiva dedit mira (i) munuscula nocte , Ipsius ex ipso (lempta viri gremio . Quare illud satis est , si nobis is datur unis , Qiiem lapide illa diem candidiore notat(s). Hoctibi ,qnod potui , confectum cannine niunus Pro multis aliis (3) redditur officiis: Ne vostruni scabra tangat robigine nomen Haec atque illa dies , atque alia , atque alia : Huc addentDivi quainplurima,quaeThemis clini Antiquis solita est munera ferro piis. Sitis felices et tu simul , et tua vita , Et domus, ipse in qua lusimus et domina: Et qui principio (4) nobis terram dedit ,auctore A quo sunt primo omnia nata bona: Et longe ante omnes, mihi quae me carior ipso est. Lux mea: qua viva vivere dulce mihi est. (1) Nigra . Anonimo. (2) Neir edizione principe leggesi questo distico così: Quare illud satis est si nobis id datur unis Quem lapide illa dies candidiore notat . Il Poliziano glossar tinis nobis', eà emenda il pen- tametro in questa guisa : Quod lapide illa dies candidiore notet . Bernardo Pisano ha is datur umis { Giudichino i dotti qiial lezione sia preferibile ) e chiosa il penta- metro : Sic Pers. Hunc Macrine diem numera meliore lapillo . Et illud: Illa prius creta , mox haec carbone notasti. (3) Manli . L' Anonimo e Bern. Pisano . Il Ma tolta al seno del consorte stesso Ella mi die d'amor furtivi pegni Nella notte cui par non m* ebbi appresso^ Onde pago sarò quando le piaccia Segnar con bianca pietra il fausto giorno, Che tra gli amplessi suoi sol io mi giaccia. Questo, di che maggior la Musa mia Darte non sa poetico lavoro Pei molti officj tuoi , Manlio , t' invia j Perchè di scabra ruggine non cuopra Il nome tuo questo , e quel giorno , e quanti A questo e a quello poi ne verran sopra. Al dono mio ne aggiungan pure i Numi Quei tanti , onde solca dei prischi Eroi Premiar Temi il valor, gli aurei costumi. Se(.ondi il cielo ogni vostro desio: Te, r Idol tuo renda felici, e il loco. Ove lieti si fu madonna, ed io; E lui , che primo e solo autor già fue D' ogni mio ben, da che con largo dono E' mi fé parte delle terre sue . E piìa che altri colei , eh' è la mia face A me di me piìi cara , e per cui sola Questa vita mortai tanto mi piace. (4) Scilicet tu Malli . Così il Poliziano , il quala legge questo distico : Et qui principio nobis terram dedit , atriiie A quo sunt nobis omnia nata bona . Si avverta però che questo è nel margine inferio- re . Dal Poliziano medesimo poi e dall' Anonimo si fanno sullo stampato alcune correzioni, da cui ne risulta tal lezione: Et qui principio nobis domitiam dedit', a quo Sunt primo nobis omnia nata bona . G. B. Z. 7» LA MORTE DI EURIALO E DI NISO Tradotta dal nono libro dì Vergilio in lingua Toscana DA BENEDETTO VARCHI FIORENTINO. Benedetto Varchi al Molto Magnifico e Rev. Mon- signor M. Bernardo Salviati Priore di Roma. X. latone Ateniese, illustre, e sacro signore, il quale dall' investigazione delle cose celesti, come veramente fu , così è ancora oggi meri- tamente chiamato divino; tra le molte sentenze da lui non meno teologo, che filosofo, dette divinamente, lasciò scritto nelle sue Opere, Quel- la repubblica avere a esser finalmente del tut- to inespugnabile da qualunche forza, alla cui guardia fusse uno esercito posto, la metà dei quale fussero tutti giovani amati, e l'altra tutti uomini di quelli amatori; ne aggiungnerei qui scrivendo a V. S. che egli di quello amare inten- deva , il quale da lui , che castissimo fu e da Socrate suo maestro uomo santissimo ora plato- nico , e ora socratico si chiamava; se non che l'ignoranza dirò,o la malvagità del secolo no- stro ! anzi e 1' una , e l' akra insieme hanno in guisa con npn minore danno che universale vergogna operato che degli uomini volgari la maggior parte si crede, che ninno giovane, altro che disonestamente amare non si possa, empia cre- denza certamente , e tutta così dal vero come dalla natura lontana. Onde Vergilio onore, co- ?9 . me disse Dante , e lume degli altri poeti , il quale, come che in ogni maniera di tutte le filosofie, e teologie antiche fus&e maestro gran- dissimo, seguitò nientedimeno pili che le altre la setta, e oppenione di Platone, volendo di- mostrare in un certo modb coi fatti quello, che esso avendo detto colle parole, ciò è, quamo fusse giovevole, e pubblicamente, e privata- mente una vera, e perfetta amicizia, fìnse nella sua tanto , e tanto meritamente lodata e celebra- ta Eneide, la quale è come lucidissimo specchio di tutte le virtuose azioni, uno non meno bello e nobile , che prode e costumato garzone troia- no, chiamato Eurialo, amato castamente e di pio amore , il che testifica Vergilio medesi- mo, da un altro coraggioso cittadino e solda- to, il cui nome fu Niso; e sì come egli fece, che amendue questi in Cicilia onorassero insie- me correndo r essequie , e mortorio d'Anchise padre d'Enea nel quinto libro, così poi nel no- no, essendo i Troiani in Lazio, dove fu poi Ro- ma, assediati strettamente da Rutoli , e trovan- dosi in grandissimo bisogno e periglio per l'as- senza di Enea, gli indusse con maraviglioso co- raggio e incredibile prodezza a fare una mara- vigliosa e quasi incredibile fazione , avendo osato due soli passare per mezzo il campo fra tan- ti nemici aprendosi la via col ferro , e questo per bene pubblico solamente, e utilità comune, e la racconta anzi piìi tosto dipingne con tanta gravità e maestà di sentenze , con tanti fiori e^ ornamenti di parole, contanti lumi, e quasi splendori d' ingegno , e finalmente con tanta arte e con tale gindizio, che, s'io non m'inganno, tra le tante e tante belle e si bene ornate in- 8o venzionì, e narrazioni di così ricco e facondo poeta questa è, come pare , ch'egli stesso an- cora volesse dimostrare negli ultimi versi , la piìì bella e la meg'io ornata; la quale avendo io già, che mai senza stupore, e lagrime leggerla non potei; con alcune altre cose più per mia esercitazione , e quasi diporto che per altro tradotta nella nostra lingua in versi sciolti la mi serbava nascosta aspettando , se forse un dì mi fusse venuto fatto di tradurre tutto il libro: ma .avendo a' giorni passati inteso da M. Fran- cesco de' Pazzi, il quale io amo e onoro non punto meno, che si meritino, oltra l'amicizia nostra antica, ie tante, e sì rade qualità sue, quanto piacere avesse preso V. S. insieme con Monsignor Reverendiss. suo fratello, e quanto lodato la traduzione delle due orazioni di Aia- ce, e di Ulisse tradotte da me dal Tredecimo libro delle trasformazioni d'Ovidio: presi ardi- re disiderando di mostrare in qualche parte a V. S. l'animo e osservanza mia verso lei , e non avendo ora cosa piti cara, né agio pur di ri- vedere , e amendare questa , non che di tradur- re più per essere in altri studii e molto diversi occupato tutto, di farla scrivere, qualunche si fusse, e indirizagliela , giudicando che nna ec- cellentissima dipintura o scultura di mano di Mi- chelagnolo fusse, tutto che ritratta poi da buon maestro, ma d'assai meno, che mediocre garzo- ne o più tosto fattore, dono non indegno di qualunche alto e nobile spirito quale è senza alcuno dubbio quello di V. S. e se non altro, almeno si conoscerà in parte , che differenza sia dai poeti buoni antichi , che cercavano principal- mente d' insegnare alle genti, e insegnando dilet- 8i tare, e farle migUori, a quelli che scrivono le battaglie nei turaci nostri , lo studio de' quali per il più non pare, che sia altro, che induce- re il volgo a ridere scrivendo cose non solamen- te da non eredersi, ma bene spesso impossibili e fuori d' ogni uso , e ragione , benché di que- sto non faceva punto mestiero a V. S. la quale, oltra la scienza delle cose militari, ha la pra- tica ancora, avendo tante volte non meno con animo di soldato, che con prudenza di Ca- pitano, così per mare come per terra combat- turo valorosamente; ma quello, che m'ha for- se con poco giudizio, ma certo con molta fe- de ed affezione mosso è, come ho detto disopra, il disiderio , che io ho grandissimo che queiia per tale mi tenga e riconosca quale io le sono, ed il parermi che cotale opera non meno a re- ligioso uomo che armigero si convenisse; senza che per dirne il vero m' ha a ciò fare non poco spinto il vedere', che ella tra i suoi tanti e sì valorosi uomini ha in casa una coppia tale appun- to, quale discrive Vergilio questa; perciocché siccome io non dubito, che il Capitano Marco da Empoli non sia inferiore, né ceda in niuna parte a Niso, così tengo per fermo, che Cencio Guasconi agguagli in ogni cosa, e forse tra- passi Eurialo. Piglila dunque V.S. tale quale ella è, con quello animo, che io gliela mando, e si degne di mantenermi in buona grazia sua, e di Monsignor Keverendiss. suo fratello, a cui di continovo umilmente baciando le mani mi raccomando. Di Bologna il xij giorno di lu- glio dell'anno MUXXXXI. La morte di Eurialo e di Niso tradotta dal no- no libro di Vergilio in lingua Toscana da Be- nedetto Varchi Fiorentino . E ra alla guardia della porta Niso Figliuol d' Irtaco , valoroso, e forte, Cui compagno ad Enea mandato avea Ida sua madre cacciatrice , presto A lanciar dardi e saettar quadrella; E 'l caro, e lido suo compagno presso Eurialo, di cui nessun più bello Tra gli Eneadi fu ; ne vestì arme Troiane alcun più grazioso, e lieto, Di prima barba giovinetto ancora . Questi un medesmo amor teneva , e sempra Givano in guerra insieme, e allora anco Facean la guardia della porta insieme: Niso prima parlò: muoven gli Dii Ne' petti nostri questo ardore? oppure A ciascun è l'alta sua voglia Dio, Eurialo? che già buon pezzo sento Nella mente disio volgersi ardente. Che quiete non può trovar, né posa, O d'affrontar soletto il campo, ovvero Qualche altra opra tentar famosa, e degna. Tu vedi come i K.utoli sicuri Per lo campo si «stanno e quanto radi Splendono i fuochi: essi dal sonno, e vino Ghiaceno oppressi, e d'ognintorno lungi Alto silenzio a mezza notte tace : Or ascolta quanto io nel petto volga , E quel che d' operar fermato sia . Il popol tutto col senato cerca. Gif Enea si chiami, e di mandar alcuno. Che riferisca senza fallo il tutto. Se quel ch'io chieggio, a te clonar vorranno ( Ch' à me basta 1' onor ci' impresa tale) E' mi da'] cuor di la sotto quel colle Trovar la via , che ne conduca infino Sotto le mura di Pallanto, salvo r-^ Maraviglia ebbe anch' ei d'onore e gloria Eurialo acceso, e così dice. Dunque avermi compagnio a l'alte imprese Teco , Niso , rifiuti? e pensi ch'io Andar ti lasci a sì gran rischio/solo? Non ra' allevò così mio padre 'Ofclte Pratico in guerra tra 'i terror de" Greci, E gli arFanai di Troia, e non ho fatto Tai cose teco: in ogni strema sorte Il magnanimo Enea seguendo sempre. Ben so spregiare anch'io la vita , bene Credo ancor io , che colla morte stessa L' onor comprarsi , che tu cerchi , debba . Niso rispose a tai parole ; io certo Di te tal cose non temeva , e lece Non m'èinon,se'l gran Giove à te mi torni Felice, e lieto, o s'altri è'n ciel,che queste Cose quaggiìi con dritto occhio mire; Ma , s' alcun , che ben vedi quanti sono Perigli in cotal rischio, o caso, o Dio Troncasse il bello ardir, vorrei che 'u vita Kestassi tu , la cui tenera etnde E^ di viver più degna, acciocché fusse Chi tolto a forza de* nemici in mezzo O con prieghi e danar ricompro alfine Sotterrasse il mio corpo, o se questo anco Mi vietasse il destin , di lungi almeno Potesse al cener mio pietoso, e tristo Dare i suoi pianti : e di sepolcro ornarmi : «4 E per non esser di cotanto duolo All'infelice madre tua cagione. La quale ardì fra mille madri sola Venirti drieto , èia citrk di Aceste Per te , figlio, seguir niente cura. Ed egli: indarno vai tessendo vane Cdgion , Niso , soggiunse, ne per questo Cede, o si muta il mio voler primiero: Aftrettiamoci pure: e parte tosto. Desta i compagni , e quell' invece loro Entrano a far l'ascolta, ond' ei lasciata La guardia, insieme il Re cercando vanno. Gli altri animai per tutto il mondo sciolti Dalie fatiche , e dai pensier del giorno lliposavan dormendo: e i primi capi Do' Troian coi pia saggi e più pregiati Giovan, gran cuse appartenenti al regno CoFisuitavan fra lor , che fare, e come Devessero , e chi or nunzio ad Enea Si potessi mauflar , stand») appoggiati Sopra lunghe aste, e'n man tenendo i forti Scudi , ilei campo in mezzo j allora Niso Ed Eurialo frettolosi molto D'essere uditi incontanente, e drento Messi dimanf.lan , (;h' han gran cose, e degne Di frettai primo, sì turbati, lulo Gli ricevette, e comandò, che Niso Dicesse, e Niso cominciò: con giusta Mente udite, o Troian, né dai nostri anni Misurate il valor de' netti nostri , E quel , che n' apportiara , nel vin , nel sonno Ghiacen sepolti i Rutoli , e noi stessi Veduto averao un luogo atto agli agguati Là da la porta ])iù vicina al mare. Sou quasi spenti i fuochi tutti, e '1 fumo 8i Nero s'adflrizza all'alte stelle ; ou voi Se ne lasciate usar ventura tale , Tosto vedrete comparire Enea Da noi trovato a Pallanto, con molte Spoglie a' nemici vinti, e morti tolte: Nò smarrirem la via, che ben vedemmo Da valli scure già cacciando i primi Muri della cittade, e^l fiume ancora Più volte tutto ricercammo intorno. A tai parole d'anni grave Alete , E maturo di senno , alzando al cielo Gli occhi e le mani; o Dii paterni, sotto La cui gran deità fu Troia sempre. Non dal tutto però volete, disse, Disfar la gente dei Troiani ancora, Posciachè cuor sì valorosi , e petti Si fermi e pronti in giovenile etade Ne produceste: e sì dicendo abbraccia Gli omeri ad ambi, e le lor destre tiene, E di lagrime il volto e'I petto bagna; Quai premi, dice, a tal valor? quai doni Degni di tanto ardir, d'opra sì bella Potran pagarvi in alcun tempo mai , Generosi gnerrier? ma gli alti Dii Primieramente, e 1' opre vostre, frutti Degni v' appoTtaranno; e poscia Enea Pietoso tosto guiflerdon da^ravvi , Né meno Ascanio giovin d'anni ancora , Di sì gran merto ricordevol sempre. Anzi io, ch'altra non ho salute, e speme, Che la tornata di mio padre Enea, Riprese Ascanio, per gli Dii Penati, Per la casa d' Assdr:[ico , per essi Luoghi segreti della bianca Versta Ti giuro, o Niso; qualunche in me sia «6 Fortuna, ofede, in voi ripongo e fido, E-ichiaraate mio padre, e fate, ch'io Vedere il possa*, nulla cosa lui Eianto, mi fia noiosa, o grave: Due belle tazze di smaltato argento Ch'ebbe mio padre, quando prese Arisba, Ti darò, con due tripodi, e con duci Talenti d'oro grandi, ed uno antico Bicchier, che gli donò la bella Dido . Ma se pigliare Italia, e di lei farsi Signor fia lece al vincitore , e trarre L'alta preda per sorte; il bel cavallo Ch'adopra Turno, e le dorate sue Armi hai veduto, quello stesso scudo Infin da ora, e quel pennaccio rtìsso Senza altra sorte , a te per premio dono . Oltra questo mio padre elette, e scelte Dodici schiave, ed altrettanti pnggi Con le armi insieme, e con gli arnesi loro Pregion daratti , e'I terren tutto ancora Ch' oggi il gran Re Latin possiede , e regge. Ma te, chiaro garzon , cui gli anni miei Molto piìi presso van , con tutto il core Di già ricevo, e per compagno sempre In ciascun caso mio t' abbraccio, e piglio. Niuna lode alle mie cose, e* gloria O viva io'n pace , o faccia guerra, mai Senza te cercare ; tu solo i miei Segreti sempre piti d'ogni altro avrai. Centra cui lieto tai parole dice Eurialo; mai giorno ninno Dissomigliante a così forti imprege Potrà mostrarmi ; solo o venga amica Fortuna, o caggia avversa; e sopra ogn' altra Grazia, questa ti chieggio: io ho mia madre 87 Di Priamo parente , cui meschina Non poteo ritener Troia, che meco Non si partisse allor; né poscia volle Restar coli' altre alla città ci' Aceste : Questa, che non sa ancor, qualunche sia Il periglio, ch'io prendo, e cui pur senza Dirle addio lascio abbandonata, e sola. Sol perchè non potrei, siami la notte, E la tua destra testimonio vero , Di mia madre soffrir la doglia e'I pianto. Ma tu , ti priego consola , e soccorri La poverella abbandonata , e lascia , Che di te porti questa speme: in ogni Periglio audrò via piiì sicuro. A questo IjÌ discesi di Dardano versaro Tocchi la mente di pietà, e doglia, Lacrime tutti, e più che gli altri mesto Piange il beli' lulo, e gli sovvien 1' immago Della pietà del suo buon padre al cuore . Allor così favella. Quauto conviensi a tue sì grandi imprese Tanto prometto , perchè lei per propia Madre terrò , e di Greusa solo Mancarà il nome ; né parto sì degno Picciola grazia seguir dee , qualunche Sorte accompagni oprasi rara. Io giuro Per questo capo , per cui già solca Giurar mio padre, che quanto io prometto A te salvo tornando, e vincitore. Tanto tua madre ,e ituoi per sempre avranno. Così disse piangendo, e dal sinistro Omero scinse una forbita spada , Fatta per man di Licaon da Greti Con divina arte lavorata d' oro , E glie la die colla guaina eburna . J58 A Niso dona Mnesteo nna pelle, Spoglia d'un fìer leone, e '1 fido Alete Poco lo scudo e la celata scambia. Tosto armati sen vanni»; e i primi tutti , Giovani, e vecchi in lunga schitira insino ■ Sotto le porte gli accouipaguan lieti Con prieghi , e voti: e'I beli' Tulo ch'aveva Sotto biondi capei canuta mente , Molti ricordi ed ambasciate dava , Che portassero al padre; e tutte indarno. Che 'l vento ne portava le parole. Saltan le sbarre, e per l'ombrosa notte Sen vanno al campo de' nemici ; e molti Pria n' anciflranno : e per tutto dal vino Vinti, e dal sonno ritrovar per l'erba Corpi distesi, e tra i carri , che dritti Eran nel lido in questa parte e 'n quella, Uomini , ed arme, e vin ghiacere insieme ; Onde Niso così cominciò pria . Or è tempo Euvialo, or bisogna La destra opra*, quinci è la strada: guarda Tu che nessun diCtro le spalle venga, E guarda ben lontan,- qui farò io Col ferro piazza, e per ampio cammino Ti condurrò. Cosi pian dite, e insieme Rannete assalta, il qual sopra tappeti Russava forte, ed era rege , e grato Augure a Turno Re-, ma l'agurio Scampar noi poteo già; tre famigliari L'un presso l'altro, che ghiacean per terra Distesi a caso, e'I portator dell'armi Di Remo assaglie, e 'l carradore in mezzo Dei suoi cavagli , e culla spada i colli Pendenti sega: e u-ji d'un colpo liev^ La testa al signor loro, e tronco il lascia Signozando di sangue , onde la terra Tinta d'oscuro rosso, e i letti sono Bagnati e molli ; e parimente uccide La miro , e Lamo , e '1 bel Serran , che quella Notte giucato , giovinetto avea Gran pezza, e vinto poi dal sonno in terra Giacca prosteso: aventuroso lui, Se quella notte infìno al giorno avesse , Giucato sempre. Come propio dentro -A i pieni ovili uno affamato lupo Strascina, e mangia dalla fame spinto Le pecorelle timidette, e chete Per la paura; e sanguinoso rugge: Tal pien di sangue ammazza , e squarta Niso. Né minor d'Eurialo si vede L' occisione , anch' egli irato freme, E molta plebe senza nome , e Fado, Ed Ebeso assalisce , ed Abari anco Non 1' aspettando , e Reto , che vegliava E ve dea '1 tutto ; ma temendo , dietro Un gran vaso di vin nascosto s'era: A questi che volea rizzarsi tutta La spada mise in mezzo il fianco, e piena Iia ritrasse di sansue e morte, ond' egli Manda fuor 1' alma e vin con sangue insieme Versa morendo per la bocca allora. Con maggior forza Eurialo innanzi SI spinge, e già n'andava al padiglione Di Messapo e i compagni , ove mancare Vede l'ultimo fuoco, e pascer 1' erbe Quinci e quindi i destrier legati; quando Niso tai cose con parole brevi Veggendo lui volontaroso troppo Proceder oltra in ammazzando, dice: Fermiamci ornai , che la nemica luce S'appressa, assai n' avem feriti e morti. 9» Per il mezzo di lor passati a forza . Molte armi fatte di massiccio argento Lasciano , e molte tazze , e molti insieme Ricchi tappeti*, Eurialo toglie Al destrier di Rannete i fornimenti. Ed una cinta colle borchie d'oro. Che Gedico ricchissimo volendo Fare amicizia con Remolo figlio Di Tiburto donogli , ed ei morendo Al nipote lasciolla , e poi che preso Ebbe Rùtolo , e morto e queste indarno Sopra gli omeri forti adatta, e pone, E la celata di Mesapo molto Atta e leggier d' un bel pennacchio adorna Si mise in capo ; e già del campo fuori Piglian la strada ornai sicuri, e lieti. In questo mezzo cavalier trecento Mandati innanzi da Lavinio , in mentre Che l'altra gente sotto l'armi aspetta. Andavano a portar risposta a Turno , Sotto la guida di Volscente , e tutti Avean gli scudi in braccio, e già vicini S' accostavano al campo , e sotto il muro Entravan , quando di lontano i duoi Vider voltar da man sinistra , e '1 chiaro Splendor della celata , che rifulse Sotto alcun lustro della notte scura Eurialo scoperse , che di lei Più non si ricordava ; e non a caso Lor parve ; onde Volscente dalla schiera Subito grida. Fermatevi, quale Cagion vi mena? chi sete? ove armati Andate ? E quei niente incontra loro Risponden, ma più ratti entro le selve S'affrettavan fuggir; ma i cavalieri Che sapean ben tutte 1e strade , tosto .91 Corsero a' passi, e quinci, e quindi chiuse Ebber 1' uscite , e le cercondan tutte . Era una selva d' elei negre folta , Di pruni e sterpi d' ognintorno piena , Dove menava per occnlti calli Una via stretta. Eurialo da' rami Spessi impedito, e dalla preda grave Non sapendo '1 caniin s'aggira, e teme. Niso sen giva, e già passato aveva Non s'accorgendo gli nemici, e i luoghi Che furon poi dal nome d' Alba detti I colli Albani; in quel tempo le stalle V'eran del Re Latin: subito ch'egli Fermato, indarno si rivolse indrieto Per riveder l'assente amico, grida: Infelice Eurialo, in qual, luogo. Misero me, t'ho io lasciato? e dove Lasso ti cercarò? cosi dicendo L' intricato cammin della fallace Selva di nuovo cerca, e addietro torna Per le medesime orme, e'nfrale chete Macchie aggirando si ravvolge, ed erra. Ode i cavalli, ode'l romore , e 'i suono Sente di quei, che'l seguivatl; né molto Tempo in quel mezzo andò, che'l grido scorto Gli perviene all' orecchie, e vede solo Eurialo, cui già la squadra tutta lìal luogo oppresso , e da la notte preso Mena con gran romor, ^mentre eh' e' 'ndarno Per sua salute ogni difesa tenta. Che debbe ei far? con che forze? con quali Armi osi , o possa il giovinetto torre? Deve ei gì trarsi de' nemici in mezzo Per morir solo? e sempiterna gloria Cercar per mezzo di sì bella morte? Tosto avventando un forte dardo indietro 9^ Tirato iJ braccio , e risguarùo al cielo La bella Luna con tal voce prìega. Tu, Dea, tu favorevol soccorri All'alta impresa perigliosa, o Hc^lia Di Lacona , ornamento delle stelle, E de' boschi guardiana; se mio padre Irtaco dono alcun sovra i tuoi altari Per me giammai t'offerse,© s'io medesmo Della mia cacciagion gli accrebbi, e dentro 11 sacro tempio tuo n'appesi, e iìssi ; Reggi il dardo per l'aria, e lascia, ch'io Questa turba sbaragli; e così detto. Con tutto il corpo pontatosi il ferro Lasciò; l'asta volando l'ombre scure Della notte recide, e colse a punto Nelle rene a Sulmone , e quivi rotto Rimase il legno, e gli trapassò 'l core. Cade egli , e freddo un caldo jìume versa Del petto, e con signozi il fianco fere. Guardan tutti da torno, e Niso in quella N'avventa un altro con pii^i forza , e questo, Mentre sospesi staniu) , a Tago 1' una Tempia e l'altra stridendo passa, e fitto Rimase dentro nel cervello; allora Incrudelito il fier Volscente rode \ Se stesso dentro , e pur guarda , e non vede Chi ciò fatto abbia, e non sa dove possa Gittarsi a disfar col ferro l'ira. Tu pure intanto col tuo sangue, dice, D' ambi la pena pagherami ; e tratta La spada addosso ad Eurial corre. Tutto allor Niso spaventato , e fuori Di se stesso gridò . uè piii cel;irsi Poteo , né sostener dolor sì grande . Me, me, io son che '1 feci; in me volg-ite Rutoli il ferro; mia la frode, mia 93 La colpa e tutta; nulla avrebbe osato Cotestui , né potuto-, il ciel , le stelle, Glie reden tutto in testimon vi chiamo: Cotanto amava 1' infelice amico . Mentre così dicea la spada giunse Con tal furor , che per le coste dietro Trapassò tutta, e'I bianco petto roppe . Cade morendo Eurialo , e'I sangue Riga le belle me.nbra , e'I collo chino Sopra le spalle abbandonato penac : Qual purpureo lìor reciso suole Dall'aratro sbiancar morendo, o come Quando gravati da soverchia pioggia Piegato il collo i papaveri, a terra Bassano il capo languidetto, e molle. Ma Niso in mezzo lor s'aventa, e solo Fra tutti addosso a Volsccnte si scaglia, • Volscente sol fra tutti gli altri affronta , Sol lui vuol , sol lui cerca , a lui sol bada; Intorno al qual tutti ristretti , quinci Lo ributtano e quindi, ed ei non meno Il serra e'I segue, la possente spada Quasi folgor dal ciel girando intorno; Né mai restò, finche a Volscente in bocca Che gridava 1' ascose , e così 1' alma Morendo tolse al fier nemico; e poi IJa mille colpi trapassato, so])ra Eurialo si getta; e quivi alfine Vendicato morì contento e lieto . Fortunati amlio diioi ; s' alcuna cosa Puonno i miei versi, nessuu tempo mai Verrà, che insieme non v'onori, e pianga. Estratto dal Cnd. '369. ci. Vii. Fai 8. ddV hnrp. Lib. dlagliabechiana . Gio. Battista ZaunoniSottobibliot. m. p. 94 Hesiodi Ascraei Opera et Dies etc. Firenze iBoB. in 4. Jlicco ,per questo poemetto d' Esiodo, sorto nella persona del Ch. Sig. Lanzi quel valente illustratore , che a tutto il greco poeta , non o- stante le non poche fatiche dei dotti, desiderò già r onor della Germania il chiarissimo Hey- ne (i) . Primieramente ammesso , come è di fatti , che il pili bel comento di un classico sia un' ottima e sincera lezione , nulla resta a deside- rare nel libro che annunziamo. Se non è da lusingarsi di aver le opere degli antichi qua- li precisamente uscirono dalle lor mani ; si può certo affermare , che Omero ed Esio- do giunti sono a noi assai più degli altri in- terpolati : effetto della loro antichità e del lo- ro merito . I grammatici che gli hanno trascritti , spiegati, comentati,vi hanno successivamente fatte capricciose mutazioni. Ve le han pur fat- te i Rapsodi per accomodargli al canto, come appunto alcuni maestri di Cappella deturpano i drammi dell' immortai Metastasi© : e intorno ad Esiodo aggiuguer dessi Plutarco, il quale, come Beoto , prevenuto a favore di lui spesso lo alterò , quasi ogni neo che vi osservava gli fosse un' imputazione . Proclo e gli altri Sco- liasti son di ciò testimoni; anzi ne riferiscono le sue correzioni . Da questo però dovea trarsi partito per dare un' edizione d' Esiodo il più fi) Excurs. I. ad Lib. i. Georg. Virg. 95 che si potesse emendata, e libera dalle poste- riori alterazioni ; non essendo possibile. coi mez- zi che abbiamo, di disceverarlo dagli anticliis- siini arbitrar] cangiamenti, e cosa assurdissi- ma il pretendere di ottenerlo per via di con- gettura : (io che ha mostrato col fatto il Guie- to , il quale si è ad essa piii che ogni altro com- mentatore abbandonato. Il Sig. Lanzi criticissimo come egli è , ha trovata la vera via di emen- darlo, che è la sopra accennata, il ridurlo cioè , per quanto è possibile, qual era alla età di Plutarco. Ha a quest' uopo in ispecie ne' luo- ghi controversi intrapreso il confronto di ben cinquanta codici e degli antichi editi esem- plari-.te il consenso di essi insieme colle unani- mi spiegazioni dei vetusti grammatici Io han ma- ravigliosamente condotto all' eifctto.Ha pur de- corata r edizione con perpetuo e apprezzabilissi- mo commentario , in cui apparisce quanto dovi- ziosamente questo grand' uomo fornito sia di gu- sto , di criterio, di erudizione. Si veggono ri- levate in esso le bellezze del poeta; pregio che manca d* ordinario nei comentatori , se si eccet- tuino il Gerda , THeyne, e pochi altri. Chiama in sussidio l' antichità figurata , in cui è gran maestro , fatto così emulatore del grande Span- hemio a Callimaco. Nulla poi di volgare è in questa erudizione -, e per quanto dotti uomini prima di lui abbiano scritto su questo antico poeta, ciò punto non lo spaventa per dir cose nuove ad ogni pagina •, e questo con disinvol- tura e come ha usato il Buonarroti, il quale nelle sue dottissime opere , in cui ha insegnata la via agli antiquari , se mostrasi uomo di let- tura estesissima citando assai Scrittori ; col icic- 96 ^ chiudere però in poche parole ciò eh' è essen- ziale, ammaestra e non stanca : metodo che final- mente ha oggi adottato anche la Germania-, e se ne debbe a parer nostro tutta la gloria al eh. "Heyne. Crediamo ancora dover lodare assaissi- mo il N. A. perchè talora per comentare Esio- do è ricorso alla Sacra Scrittura. Il popolo E- Ireo dimorato per tanti anni schiavo in Egitto lasciò ivi certo assai tradizioni di sua religio- ne; parte delle quali per le antichissime rela- zioni tra r Egitto -e la Grecia dove da quello })assare in questa insieme con gli Dei le Arti e le Scienze. Egli però ha tenuta quella mode- razione che in tal sistema non conobbe I' Huezio e dietro a lui Madama Dacier uel comento di Omero : i quali non si accorsero che il piìi si- curo sistema in mitologia è quello di non aver- ne nessuno ; non si potendo certo per quanti sforzi fatti si siano e si facciano in avvenire , ridurre tutte le favole ad un solo principio. Ma a se ci richiama il 'N. A. colle due bel- lissime dissertazioni poste in principio de'l' O- pera, le quali non potevano farsi ne piti criti- che, né piti dotte , ne più eleganti, uè piìi con- cise . Tratta la prima della vita e delle opere d'Esiodo. Per quanto siano varie le opinioni sull'età d'Omero e d'Esiodo, ])ure le autore- voli testimonianze del marmo Arundelliano, di Erodoto, di Cornelio Nipote ,edi altri antichi, ci obbligano a dedurre che vissero contemporanea- mente 900. anni in circa prima dell'era cristia- na, e che Esiodo precede Omero quasi di 3o. an- ni . Questa sentenza abbraccia e difende con saldo raziocinio il N. A. e di piii in conferma dell'anteriorità d' Esiodo osserva egli prima 91 »V ogni altro moderno dietro le tracce dello Sco- liaste d' Aristofiine (i), che i più degli antichi la favoriscono , allorché nel f\ir menzione dei due grandi poeti nominano Esiodo avanti d' O- mero , e scioglie valorosamente tutte le obie- zioni con cui alcuni dotti han tentato di abbat- terla . Tratta pure con ugual felicità tutto ciò che riguarda la patria, la istituzione, la poesia di Esiodo, la lite ch'egli ebbe con Perse suo dissimil fratello , il contrasto con Omero , il modo tragico con cui immeritamente fu priva- to di vita, gli onori prestatigli dopo morte e il ritratto che di esso ne resta". Crede il dot- tissimo nostro A. che questo lo abbiamo nel- r Erma doppio del Museo P. dementino , in cui è certo scolpito Omero . Questo , dice egli , è il pia sicuro Esiodo , che m' abbia veduto . Egli è nominato insieme con Omero suo coetaneo da quasi tutti i Classici , ed è troppo connaturale , che anche ne' marmi si- accompagnassero , coni' c- ran usi di Jan gli Statuari de' soggetti simili ; unendo verbigrazia Milziade e Temistocle , Ero- . doto e Tucidide , Epicuro e Metrodoro in ermi o teste duplicate . Noi di buon grado soscrivia- mo al parere del N. A. e sebbene abbiamo al- tissima stima del grande Antiquario Ennio Qui- rino Visconti , non possiam consentirgli allor- ché ei vede in quest' erma Omero ed Archilo- co . Termina la dissertazione un succinto elen- co delle poesie d'Esiodo esistenti e perdute , degli espositori sì antichi che moderni, e delle più pregevoli edizioni. (i) Ad Ran. v. io65. Seg;ue la seconda dissertazione, in cui dopò avere i! N \. intorniato i leggitori del metodo che ha tenuto in questo dotto lavoro , passa a parlare ^livi dapi-iresso del poemetto d' Esiodo. Lo scorretto e scioperato Perse suo minor fra- tello gli die motivo di scriverlo. .S'ingegna in cssit il poeta con ogni maniera d'argomenti di ridurlo a buon senno e a voglia di faticare ; peTÌò jo istruisce prima nella miglior morale de' suoi tempi, e poscia nella coltivazione e nel- la mercatura. La forma dello scrivere è sul co- stume degli Antichi Savj e all' indole si avvici- na dei Sapienziali. Presso gli Ateniesi prima, quindi presso i Romani avea questo libro par- te nella educazione dei fanciulli . Servì essodi esemplare a Virgilio nella Georgica : e qui è da vedere il ciusto e sensato confronto che si fa ilal N. A. del greco col latino poeta , in cui per pronunziar retto giudizio, e mostrargli quai sono amendue nel suo genere maravigliosi esa- mina il fine diverso che n' ebbero, avendo Esio- do scritto a correzione del fratello , Virgilio a diletto di Mecenate . Sullo scopo di quest' ope- ra pronunziò già 1' £in>io che essa non appar- tiene strf'ttaraente all' agricoltura, ma general- mente all'economica facoltà; e tenne che Esio- do avesse composta una Georgica oggi smarri- ta . E (M>me a quella facoltà, diceva egli , pre- siede la Fortuna; così pretese, che questa Dea adombrata fosse nella Pandora menzionata da Esiodo. Tai strani pensamenti sono stati o ap- plauditi o ricevuti con indifferenza da' dotti, o in qualche parte non approvati; ma non mai co- me si conveniva , confutati . En.tra il N. A. nell' ar- ringo e , come a noi pare,giugne vittorioso alla 99 ineta.Primieramente,che Esiodo componesse una Georgica da questa diversa , è altissimo sìlf^nzio presso tutti gli antichi che han dato il catalo- go delle opere di lui. Varrone, Plinio , Go!u- mella non ne danno alcun sentore , e solo fan menzione di quella che abbiamo; come ajjpun- ro Servio e gli altri che iJlustraron Virgilio , che avrian pur dovuto protlur versi da lei per esser ella servita di modello al latino poeta . Quelite ed altre ragioni pone in campo il dot- to Autore, e scioglie, anzi distrugge tutte le o- j3Ìezioni piìi sottili che vere avanzate dall' Ein- zio per sostenere falsità sì patente. Né meno quel dotto uomo s'ingannò nell'avere in conto di opera d'economia le Opere i Giorni d' Esio- do. Entra a dir vero quel poemetto nella serie di alquante opere antiche, delle quali facil non è determinare né lo scopo né la partizione. Qui però giovar dee il ])rincipio che Quintiliano suggerisce per quando si dubita se un' orazio- ne debba ridursi ad un od un altro genere-, ed è che si osservi quid sit quod orator sihl praecipue ohtinendiim lrttellip,it , Abbia pur duiì- que il poemetto precetti d' economia, d'etica, Mi mercatura; ma essendo lo scopo, che prin- cipalmente si prefigge , formare un agricolro- re , dovrà chiamarsi esso francamente gcorgi- co . Per ciò mostrare intraprende il N. A. una succinta e ben intesa analisi di esso. Felice è ugualmente nella confutazione del- la favola di Pandora . Coin cpos^ihiU , die' egli , ch'essa nella Teogonia , ciò che l'Einsio conced: , sia rij'erita par modo d' istoria , e nelle Opere e Giornate per modo di alirgoria'? A chi può ca- pire neW animo , che la Fortuna tu ;;^ii nemmeno ^'ia 100 nominata da Omero nella Iliade e nella Odissea , e al più ne' suoi inni sia mentovata bensì , ma non come Dea potente : e da Esiodo nel secolo stesso sia come dispensatrice de' beni tutti della Terra cantata e proposta a quanti leggessero il suo poe- ma? Com' esser può, che fin da que tempi fosser noti i suoi simboli i il Cornucopia che la dichiara Reina della Terra , e preside deW agricoltura ; il timone , che la dichiara Deità marittima e preside duella mercatura ; se Bupalo statuario ju il primo , che le mise il corno di Amaltea in una mano , e il timone in più bassi secoli le fu messo nelC altra ? Gonchiude poi che in Pandora rico- nosf'er si debba la prima donna Eva cagione di tutti "i mali nel mondo; ciò che tennero an- che i primi padri della Chiesa. Pestaci ora a parlare della traduzione fatta dal Sig. Lanzi in terza rima a questo poemet- to. Ei l'ha divisa in io. capitoli riflettendo ottimamente che tal divisione , oltre esser con- forme ai canti di Dante e del Petrarca , è ac- concissima a mostrar r ordine di questa poesia che ad alcuni suol parer disordinata e scritta con poco metodo . La troverà il lettore , fe- dele, armoniosa, sostenuta , e vi rinverrà gran- de imitazione dell' Alighieri. Ma piìi che le nostre parole mostrerà meglio ciò che asseria- mo un eaggio della medesima . Eccone dunque il sesto capitolo. Nel tempo che l' inverno si rinnova , Quando gli uomini un giel preme gagliardo, E assai l' industre a la famiglia giova j Trapassa , sì che non ti dian ritardo De' fabbri le fucine , e 1' altre sedi , Ove si scalda e garre ogn' infingardo , lOI Perchè lo stremo e il mal non ti depredi In quella rea st.igion , né ti convenga Premer con magra mano enfiati i piedi. Chi senza cibo aver che lo sostenga Sta aspettando ozioso in vana spene, E^ forza che gran mal covando venga. Non buona' è la speranza a cui s' attiene Chi del vitto ha penuria e le giornate A' ridotti sedendo s' intertiene . E dillo a' servi infin da nier.za state: Non sempre sarà esiate e tempo gajo : I tugurj per tempo fabbricate. Fatevi schermo contro il fier Febbrajo, E i mali dì, che i buoi menano a morte, E r aspro giel che in terra crea Ruvajo , Quando coli' aure sue di Tracia sorte Di destrier madre, muove del mar l'onde E piagge e boschi si costipan forte; E per valli da' monti al suol diffonde Opachi abeti, e querce uscendo in terra. Ed ogni selva con fragor risponde. Trema qualunque fiera per boschi erra. Benché d' irsuto pel cinta e difesa , E la ritorta coda al ventre serra . Che se ispida è la cute , a farle offesa II freddo vento arriva: i bovi anch' elli Provan che i duri cuoj non fan difesa . Fiede le capre ancor che lunghi han velli; Le Pecorelle nò: che mai non passa Eigor di Borea sì lanose pelli. Gli omeri e '1 capo al vecchierello abbassa: Solo di molle vergine pudica Per le tenere membra non trapassa ; Che appo sua madre in casa si uodrica; Si lava, e d'olio s'unge, e a notte riede Di verno al letticciuolo , e vi s' implica. « IOf2 3Ieiure ne' freddi suoi tristi antri il piede Il {Tfasso jìolpo a roder si conduce; Che pasco da sfriiiiarsi allor non vede; Né gliene scopre il Sol, clie '1 carro adduce Sovra regni e città di gente fosca , Ed a tutti gli Achei piìi tardo luce . Ciascuna belva cui la selva offusca, Di corno annata o inerme , i denti batte , E per erte fujgen'lo si rimbosca. Tutte punge una cura, e cercan ratte Il noto asilo di bo-^chetto folft , Edi petrosa tana, che le apj)iatte. E van di Jieve paventose moito , Ili guisa d' uom , che con tre pie s' avaccia, 'Rutto le spalle ed atterrato il volto. A sciierrao delle membra allor procaccia Morbido manto e lunga sottovesta , E in poc' ordito assai ripien si faccia. Di lei vo' che ti copra, e ti rivesta, Che non tremino i peli , e intirizziti Ergans' indosso come secca resta . A' piedi porta acconciamente uniti Calzar di bue per viva for^a estinto, Cile dentro di buon feltro sian vestiti. E perchè da la pioggia non sii vinto , Pelli di primogeniti capretti Cuci con bovin nervo; e vanne cinto Agli omeri nel freddo: e 'n capo metti JBenfatto un pileo , che gli orecchi tegna All' umido del giel chiusi e costretti. Gelida r alba è quando Borea regna , E dal Ciel nel mattino un aer si stende Sopra i colti de' ricchi , e '1 suolo impregna ; Che da' perenni fiumi il vapor prende; Poi turbinoso vento in aito 1' erge Tanto che lungi dalla terra ascende; T03 Ed or di pioggia a sera la cospei'ge , Ed altre volte soffia , alior che i densi Nugoli il trace Borea muove, e sperge . A prevenir quest'ora io vo' che pensi; E al tuo nido per tem'>o ti raccolga, L' opra compiuta de' diurni j'cnsi; Sì che la tb«ca nube non ti cu'ga Di colassuso , e non t'imnoUe i panni, E fra l'umido suo te stesso involga. Guardati; che cagion~Tri moui affanni Questo mese del verno è sempre stato, E danni a gregei, e ad uomini fa danni. Alior a la metà del vitto usato Il bove, e a poco pili l'u-m sia ri-lutto, Che lor da. le gran notti ajuto è dato . Questa norma di cibo, onde t' ho istrutto, Paragonando colle notti i giorni, Tutto l'anno terrai; fin che ogni frutto La madre antica a germinar ritorni. Non dee qui tacersi che anche la version latina è stata a luogo a luogo corretta dal N. A. Gradiremmo ora vedere a luce le tra- duzioni della Buc'dica di Teocrito e delle poe- sie di Catullo , che egli ha giada molto tempo eseguite , e di cui la sua modestia ci priva ; e siara sicuri che ugualmente clie la presente d'Esiodo, sarebbero Ciise applaudite ed ammi- rate dai dotti. Dobbiam in fine avvertire i nostri lettori , che i prefissi limiti del tometto ci hanno im- pedito di dar conto come promettemmo . della Storia pittorica d'Italia , dotta fdtica dello stes- so esimio Autore: il faremo però nel prossimo volume . G. B, Z. 104 LIBRI VARJ ITALIA Dello Siato delle belle Arti in Toscana . Lettera del Cav. Tommaso Puccini Segretario della R. Accademia di Fiorenza al Sig. PrinceHoa- re Segretario della R. Accademia di Londra . Italia i^oi- in 8. E' ben degno questo libretto che se ne fac- cia con lode menzione , e per 1' onore che da esso ne deriva alla Toscana , e in ispecie a Fi- renze, e per la somma perizia delle Arti bel- le, con cui è trattato dal dottissimo Autore. Interrogato egli dello stato attuale di esse in Toscana, per ben soddisfare alla richiesta scor- re prima rapidamente gli Annali delle Arti to- scane osservandone le diverse vicende , e ripor- ta poi ad essi lo stile dei nostri odierni artefi- ci . Giotto dee tenersi in conto del vero padre e ristaurator della Pittura ; come Niccola e Giovanni Pisani sono della Scoltura, e 1' Or- cagna è della Architettura. Se non che per questi crebber sempre l'Arti loro fino a Dona- tello e Lorcnzetto , e al Brunellesco e all' Al- berti ; laddove per la servile imitazione di Giot- to si videro ritardare i progressi della Pittura. Paolo Uccello, Alessio Baldovinetti , fra Gio. Angelico incominciarono a scuotere il giogo , il genio sublime di Masaccio emancipò totalmen- te l'Arte, e Lionardo vi aggiunse il sublime ; mostrando così la via a Fra I?artolommeo,a An- io5 drea del Sarto, e a Michelangelo , il quale re- so, e non a torto, 1' ammirazione del suo secolo divenne l'unico modello della scuola toscana in tutte e tre le Arti sorelle , e non produsse , com' egli sagacemente avea previsto , che dei goffi imitatori, alla cui testa è il Vasari: motivo per cui crede il N. A. e bene il dimostra , che l'e- poca prima de' seguaci di Giotto e la seconda di quei di Masaccio meritino i^opra qu^;sta la preferenza. Si scosse finalmente la scuola fio- rentina dal suo letargo; e ne ebbero il vanto r Empoli, il Passignano , Cristofano Allori, e pili di tutti il Cigoli , che vinse tutti i concor- renti , e non fu vinto da alcuno de' suoi segua- ci . Non ebber pari fortuna la scultura e l' ar- chitettura. In questa quarta epoca esercitate fu- rono da mediocri artefici, e rimasero [)0Ì abiet- ti insieme con la pittura, che chiuse gli occhi nella morte del Baldi, del Gimignani, del Mo- randi , di Pier Dandini, del Gabbiani e del Lu- ti, seguaci del Cortona, il quale al tempo stes- so del Cigoli fu padre di uno stile men vero , ma più gajo, e perciò pericoloso per la iniita- zinue . Le provide cure del G. D. Leopoldo fe- cer di nuovo fra noi sollevar le Arti, e per es- so sono oggi in istato di rapido avanzamento . Qua egli condusse egregj vetusti marmi, qua. gessi tratti da' capi d'opera Jegli antichi; ed «resse quasi dai fondamenti sontuosa Accude- mia di belle Arti. Pietro Benvenuti, e Luigi Sabatelli emersero dalla folla dei concorrenti ; € morto il Pedroni, cui deesi la gloria di aver- gli ammaestrati , fu quegli nominato diretto- re di essa. Da quell' epoca incomincia un nuov' ordin di cose . Avvalorando egli i prcLCtti col- io6 le sue opere, che tutto giorno , e bellissime, pro- duce , e rettificando le idee , e correggendo i disegni de' suoi Creati, ha fatto in piccolo spa- ccio di tempo cambiare affatto d'aspetto la no- stra Accademia. La scoltura sebbene sia molti passi indietro alla sorella per essere e troppo laboriosa e poco frequenti le occasioni di eser- citarla , ha però in Stefano Ricci un arteii(;e che assai onora con le sue opere la memoria dello Spinazzi suo maestro . L' Architettura pe- rò pareggia ora , e prevenne anche il risorgi- mento delia pittura nella persona di Gaspero Paoletti maestro esso pure alla nostra Accade- mia, le cui opere sono celebratissime . Passa quin- di il N. A. a fare il confronto fra le opere de- gli odierni artefici e quelle del bel secolo , di Lionardo cioè, di Michel Angelo, del Fra- te, ed' Andrea , e couchiude che (juelle sostener non possono sì alto confronto ; persuaso però che trasportati i moderni in quel tempo avrebbero emulato il valore dei genj che lo illustrarono. Giunte infatti le Arti progressivaniente-al som- mo apice, e da esso precipitate nell'abiezio- ne, si potrà, superati gli ostacoli o delle con- tratte abitudini, o del gusto nazionale corrot- to , aprire una nuova via , come se 1' aprirono Cristofano Alltiri , e il Cigoli; ma non mai ri- guadagnare con passo retrogrado quell' altez- za ; perchè il solo mezzo ciie vi avrebbe, eh' e quel dell'imitazione, è assai inefncace; essendo sempre l' imitatore secondo al soggetto imita- to. Considera anche il N. A. in questo prospet- to le Arti subalterne, cioè l'intaglio in pietre dure, l'incisione in rame, e 1' ornato . Il ])rimo era già vegeto all'età del magnifico Lorenzo, ed è alla nostra in gran fiore nel Santarel- li, Il secondo inromincia con nomi celebri , quali sono il Finiguerra, il Baldini, il Botti- celli, il Pollaiolo, e passando per altre epoche luminose giugne a Raffaello Morglieri, cui si dà di buon grado il primato in quest' Arte . L' or- nato poi se fu sobrio alla età del BruneHesco, divenne poi licenzioso-, e se oggi è pia nobile , poco però d' ordinario sodisfa all' intelletto pren- dendo qua e là in prestito soggetti poco con- facenti alla loro destinazione. Termina l'opu- scolo col rintracciar le cause di un così florido stato delle Arti in Toscana, e conchiut;e che debbasi per 1' una parte al gusto del belio an- tico suscitatosi in Eoraa e per lo scavo di bei monumenti e per le illustrazioni di Winckel- mann e del Visconti; e per l'altra alla prote- zione accordata loro da Leopoldo e dai Princi- pi che lo hanno seguito . F I E. E N Z E ' 3Ieniorie istorìco-crìtiche di Antonello degli An- ton] Pittore Messinese compilate dal Cav. Tom- maso Puccini Conservatore degli stabilimenti d--lle Arti , delV Archivio Diplomatico , delle Biblioteche, e dei Monumenti pubblici, Diret- tore dcW Imp. Galleria di lirenze 1809. in 1^, E^ stato fin qui Antonello soggetto di dispu- te fra gli Scrittori di belle Arti , ma non lo sarà certo in avvenire , perchè il dotto Auto- re di questo opuscolo ha schiarito ogni dubbio, rimossa ogni ijuestione . Può esso < onsiiltrarsi come divitO in tre parti . Nella prima ài rac- io8 diiule conri«=amente ciò che di più interessan- te han gli Siorici intorno ad Antonello e si dà conto dei dij.inti di lui esistenti e peruuti con quel criterio di' è proi^rio del N. A. così ver- sato nella cognizione delle Arti, e con quella dis ii>pass!<>n.itezza clic non sempre s'incontra ne' bioarifì , ma che è il carattere dell' istori- co e 'iell'uomo d'onere . NeMa seconda si trat- ta (iella famosa questione sulla pittura ad olio. Ti e sono le sentenze che coirono su di essa. Ne fanno alcuni inventore Giovanni Van-Eyck da Brnggia , altri Antonello, altri la ripetono da pili remota origine. Da solenni testimonianze che riporta il N. A. e con diritto raziocinio discute , risulta che a Giovanni si dee la gloria dell'invenzione, e ad Antonello quella di averla il primo mostrata all' Italia , appresone da lui il segreto; e dall'esame delle asserzioni e delle e- speriente prodotte per mostrare la magfriore an- tichità di questo metodo, si deduce a ragione che non si fecero prima di Giovanni , che dei tentativi per riuscirvi. Nella terza parte poi si conciliano maravigliosamente le tante contradi- zioni occasionate dall'epoche dei vivere di An- tonello, e con autorità, e con inconcussi razio- cini ^^ prova ad evidenza che esso nacque in- torno al 1414. e che visse almeno fino al 1493. Riflessioni sopra Michelangelo Buonarroti del CcLV. Onofrio Boni ec. 1809. in 8. Siccome questo bell'Opuscolo dee inserirsi nèìV idea dAla perfezione della Pittura di Rolan- do rrciTrf tradotta dal Francese da Anton Maria Salvini, che è per uscire a luce dai torchi del 109 Carli , ci riserbiamo a darne allora insieme il ragguaglio . PISA Bella Patria di Cristoforo Colombo Tlisser» tdzime ec. 1808 in 8. Parleremo in seguito di questo libro assa-i:"interessante. PARIGI Tableau des Aranci de s , on Caracteres essentìAs des tribus , o-cnres J'aniiUes et. rac^s qiie renj'^r- me le genre Aranea de hinné , avec la d si- gnation des espzces comprises dans chacum dì ces divisi ms . i-'ar G. A. Walckenaer. De l'Ini- primerie de Denta i8o5. 8. Non son mancati autori , come Lister , Glerr k, Albin e De Geer , che ci abbiano dato del- le Opere sali' Istoria Naturale degl' Insetti . Que- sta però dei Sig. Walckenaer sugli Aracncidi può formare un suppiemento neces:^ario,e un* addizio- ne utile a quelle de' sopraddetti autori, l'agli ha aumentato la quauiirà ilelle specie che contiene la storia naturale dei R.igni , ha (;lassato tutte que- ste diverge specie con chiarezza grau