A DS "Rega ME Ser Ur Lon Se Ra È A | ARRUAL N IAA? Aia Av be \ vai Ki ni VA Ca ARG I È P. Le : = DELLA COLTIVAZIONE CEREALI. Sa DELLA COLTIVAZIONE DELLE CON OSSERVAZIONI RELATIVE AL REGNO DI NAPOLI. TRATTATO 7, del Sig. Filippo dd forioda Paterno ‘4 hai i Laureato in ambidue è Dretti SET VO ISPETTORE DE REALI SCAVI DI ANTICHITÀ NEL DISTRETTO DI S. ANGELO LOMBARDI, SOCIO DEL REAL ISTITUTO D INCORAG- GIAMENTO DI NAPOLI, DELL ILLUSTRE ACCADEMIA PONTANIA- NA, DELLA REALE SOCIETÀ ECONOMICA DI PRINCIPATO ULTRA, DELLA REALE ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI DI MESSINA, DEL COLLEGIO ARCADICO DI ROMA, DELL'ACCADEMIA FLORIMONTANA VIRONESE ee, NAPOLI DALLA TIPOGRAFIA DEL VESUVIO Strada S. Teresa degli Scalzi n.° 78. là a Co ZO i è N Pa | i No È 29 VEE Q po b p Ai TO? seta Foo Do (1a) DEBODODONOAOAD DOD 2 el 70 e't_7090-700/00\/ 00/00/00 Ja t:0d ug Ione. i i ©) che fa maggior parte degli Economisti decfama contto fa coltivazione delle piante cereali sembrerà Senza dubbio del tutto inutile jo Qual folle Civisamente to quello di provuzze opera che della coftura apputi= to di edse di occupi, e di voler tagionaze intozito a cose dalle quali pace non più potezit Jperaze fa nostra prosperità , cd i ziafzamento della Pubbli- ca Economia, Tooi però fa giudichiamo in contra= 240, e forse mou Jeusa tazione Je vogliasi power uen= te ai tom feggiezi ostacoli che Superat gi deb6o- uo per fa divulgazione N quelle piante che oggi giozno sono { oggetto del più efficace incoraggiamenm e sed all impossibilità di muzre fa coltivazione delle ceccafi af sofo mecesfazio Bisogno. E con ciò mom pretendiamo af certo di Jstoruaze fe menti af- tiui da quel Bone che esperienza ed i mmoftipfici fatti ci presentano per tali fodevofi cangiamenti ; IMA perchè ai effettuare una quasi totale civofuzio= se mel Jdiitema di azzicoltura vi abbisognano ci cofari uniformità DI govetmo ) € forze sufficienti a potervi determinare 1 proprietari d i cole debBomo essere 1 piimi a persuaderdì : mon Jatà fiat- ianto diciamo dell'interesse di costozo if trafcuraze quel fe industrie campestri , che accresbero altra volta 10 nostro particola: cendo , e {uzono fa Sorgente d 1m_ amende ricchezze tra noi, dJ quadri Scoraggianti che da taluni di presentano citca l attuate economia pet questo fato, fungi dall’ invifize 10 nogtro spirito , debBomo invece zemderci più animosi a perfezionare fa foro coltura , pezciocchè mon Jsatà da civocazii in daSbio che de i ® LI > nl E ottima quafità , e £ affondanza de’ prodotti non & bit giugnezammno a fivellaze i vafozi a quel grado che 44 Csi 00 RAI Potrebbe , testiturtaumo almeno tamto da compendaze i capitali impiegati , ed 1 favori rurali , Mon c- — (van — S&fuso un competente iutezedie Jul capitali Micdedimii. di 10 . . . ) . E :co duiique cio chie debbesi avere principalmente dd mia , senza per aftio trafasciazre fa moltiplicazio» è De î - . ù 5 ne è4 quelle utili piante ) Specialmente ne tecteuli dal quali potzemo cipromettetci un nom eguivoco effetto. YC s “ si ES dell f 2° Dia È x ci dunque tratteremo della coltivazione è fe cereali, di quelle fenefiche piante che tanti de cofì formarono fa più importante occupazione dei nodtii maggiori, e che coltivate incessantemente por tazono a’ popoli tutti della torta civiltà e cicchezza. ‘ . =. = ° YO6si fortunati de 3% tal guisa potceni concotteze al 6 N 9 1a . Ta . Y £ hi È: ene ce mogtit concittaltm1, presentando ozo una not= ma dicura per miglioraze fe prop.ie indudizie , ed a tendeze più copiode Le ceseafi cicolte! Sarebbe to così cozonati i mosti sforzi ; così divideremumo fa Nd . . i0£ . de È i ch "copie glotta cow tanti iliudti pie cedsott, che tichiiauialie do l attenzione dei dottt naturafisiit suffe fozo fen vegliate fatiche, Spazdezo mom poco fume su questa x 393 Si { , 3 fi Lr p { È parte è1 turate coltura che a uo non CS L aninto . . . a & C* d4 dvjctedtiaze ; che che ne vorrà dire fa dotta scfiie- ra dei mosti Lcomomisti Scrittori. E poichè crediamo ciser pregio cell” opera faz quafefe parola cell 0- Pen) ig rigine delle piante imedediane , co di e de }unenso al la meglio che ci Jazà possibile , dichiarando in fi- tue clie de muovo e di general Sodiifuzione mon ciudci- rà quedto favoto ; Sappiadi afmeno che non mancam asso l4 cafdo amvoze pel pubblico bene , nè questo mat cherà 11 noi dino ache ci sarà dato d potete impie= È Sr. . . e nie «al l'a POLLO. pel vantaggio ce nostri buoni COMCIITadint, ra ESSA DI CAPITOLO IL DELLA ORIGINE DELLE CEREALI. IR origine delle piante cereali si perde nell’o- scurità de’ secoli , e noi invano ci occuperemmo ad indagare da quali (erre furono trasferite nelle nostre regioni. Certo però che lo è uno de’ più grandi e segnalati beneficî che abbia ricevuto il genere umano nell’ età delle Favole, tra le quali si perde così benefica invenzione. Fu perciò che gli uomini riconoscenti l' attribuirono ad esseri su- periori che non esitarono d’ inalzare sino al gra- do de' Numi. I poeti ne cantarono le laudi , ed adorarono in Cerere la divinità inventrice de fru- menti e delle biade , mentre per lo innanzi gli uomini si cibavano di ghiande : prima Ceres un- co giebam dimovit arciro-prima dedit fruges , a'‘imentaque mitia terris : (1) e Plinio L. VII. (1) Ovidio Metam. Ver. 341, e vedi pure Delachaus- se Deorum Simul. Fab. 6. 7omas. de Donar. C. 26. 1 a C. 56 lasciò scritto : veni frumenta cum an- tea glande vescerentur. Eadem molere, et con- ‘cere în Attica, Italia, et Sicilia; ob id Dea jud.cata. Dal qual luogo chiaramente deducesi che le piante, cereali furono per la prima volta colti vate nell’ Attica , in Italia , ed in Sicilia. È fama che la Dea percorrendo la terra onde rinvenire la sua bella Proserpina giungesse nelle pianure di Eleusi, e colà compiacendosi dell’ ac- coglienza ricevuta da que’ popoli, accordò loro due segnalati beneficî , l' agricoltura cioè, e la misti- ca dottrina (1). Nè si vuole ommettere che il det- to del naturalista Romano corrisponde alle paro- le di Diodoro Siculo (2), e di Omero (3). Il pri- mo tra le altre cose afferma che ne’ tempi suoi il grano nascea spontaneo in Sicilia, ed il secondo che i Giclòpi confidando ne’ Numi lo raccoglieva- no senza bisugno di seminarlo, o di coltivarlo. Fu quindi Cerere nominata Madre degli Dei e dei mortali, non che Massima Madre Lrugifera. Ce- RERI. MATRI. MAXIMAE. FRUGIFERAE. QUINTIUS, GEMELLUS.-V. 8. I. M.Ed in conseguenza secon- do ci attesta lo stesso Diodoro Siculo gli Egi- ziani offerivano ad Iside ch’ era la stessa Cerere delle spighe in dono — ava Ceres tibi sit no- (1) Isocrate Paneg. Tom. 1. pag. 132. Aristide Oraz. di Eleusi T. 1. pag. 4bo. (2) Lib. 5. Cap. 2. (3) Odissèa Lib. 1. Vers. 105. diri stro de rure corona-Spicea , quae templi pen- deat ante fores (1) Gli agricoltori dall’ altra parte le offrirono la falce, il vomero, il mulso , il lat- te ed una troja (2‘. Che anzi possiamo assicurare che questa divinità nella Sicilia riscoteva un cul- to tutto particolare (3), siccome le venne pratica- to in non pochi altri luoghi della terra. Ma lasciando da parte tutto ciò ch'è figlio di fa- volose tradizioni, seguiam più da vicino fatti e testimonianze meno lu: sull’ oggetto. Strabone Lib. 50 c insegna che il grano cresceva natural- mente nel Nord delle Indie; quindi da colà facii- mente avrà potuto esser trasportato nelle regioni europee. Alcuni han creduto che il grano così det- to selvatico non fosse tale di sua natura, ma che col tempo lo divenisse per mancanza di coltivazio- ne. Il celebre Buffon pensava essere il frumento non una produzione, ed un genere naturale, ma un risultamento appunto della coltura. Le accura- te ricerche però fatte in taluni luoghi dell Asia dal- l’ illustre Sprengel ci persuadono il contrario, ed egli non ha mancato di sostenerlo con tutta la sua franchezza. Anche il Michaux viaggiando in Per- sia vi trovò sponianeo il Triticum Spelta affine al frumento , ciò che fece sospettare ai Botanici (1) Tiul. L. 1. 21. Paschal. de Coronis 7. 15. Bu- leng. de Conviv. IV. 18 (2) Zginio. Fab. 277. (3) Lactan. XI. 4. Cie. Verr. IV. 4g. pre | nz L che quelle regioni fossero state la prima culla di sì benefiche piante : e ciò in fatti fu verificato dal- l’Heintzelmann botanico e viaggiatore Alemanno, che pochi anni dopo raccolse il frumento sponta- neo ne campi di Boschiv (1). Ritornando ai tem- pi antichi troviamo presso Beroso Caldèo che Sa- bazio Saga insegnò l' agricollura agli uomini, e ne ottenne quasi culto divino da’ suoi Cureti, dai Sabini, e dai Toscani. Giovanni Annio da Viter- bo ai cinque libri dello stesso Beroso ci fa appren- dere che Giano Padre insegnò la semplice rozza agricoltura, e che Saturno Caspio la perfezionò con trovar l’arte di mietere più facilmente, inventan- do cioè la fa!ce, per la qual cosa venne denomi- nato falcifero. Festo poi ci assicura che Argèo por- tò il grano dalla Libia ne’ campi di Roma, e bi- sogna dite che sin da’ tempi più antichi di quei po- ;a si era introdotto 1 uso di farne il pane, in- cumbenza riservata alle sole madri di famiglia , imperciocchè m2ulls annis Romani caruerunt pi- stortbus (2) : cosa che debbe attribuirsi non a man- canza di Arti, ma piuttosto alla barbarie in cui erano quei primi abitatori di Roma (3). (1) Vedi il nostro ch. 7'enore nelle sue Osservazioni bo- taniche agragrie circa la collezione de’ cereali coltivati nel Real Orto Botanico di Napoli. (2) Plinio XVIII. 10. (3) L’ uso infatti delle mole da macinare il frumento se non conoscevasi da quei popoli (*) fu però antichissimo (*) Servio , Eneide I. 183. Or dunque prima della fondazione di Roma il farro era il cibo più usitato dai Latini — fr pre mus antiguis Latio cibus (1) e se ne servivano invece del frumento, chiamando ferrata quella spe- cie di polenta che facevano dal farro — Ponebant igitur tusco farrata catino (2). Inoltre mesco- lavano con esso anche l’ orzo, ma grossamente pe- stato, e per lungo tempo fecero uso di questa po- lenta invece del pane (3. Si vede dunque che l'or- zo fu in uso anche prima del grano. Sappiamo in- fatti che la prima volta fu trovato in Eleusi, e qui- presso de’ Greci , e si fa salire fino ai tempi della stessa Cerere, quae prima homines docuit molere (*). Altri ne attribuiscono l’ invenzione ad un tal Milante e quindi co- nosciute anche ne’ tempi Eroici (**). Presso gli Ebrei ne troviamo l’uso più antico (***), e si destinavano le mere- trici per maneggiarle (****) ; siccome furono anch’ essi i primi nell’arte di cuocere il pane ne’ forni: tutta VAsia ne ricopiò il modello, ed i Greci ne profittarono. I Cappado- ci però, i Lidi, ed i Fenicî furono i più eccellenti fornai. (1) Piinio XVII. (2) Giovenale P. XI. 109. (Val Max. vr. 5. zz: VISI bo. (**) Odiss. VII. 104. (Gen. Gap. x4 n. 18, Exod. Cap. 1: n. 5. Num. Cap. 11 n. 8. Deut. Cap. 24 n. 6, (Ge) Paull'!"Diac! XII =, "SI cose uno sltajo , ed il tutto si mescoli da quan- » do in quando per cinque o sei giorni. A capo » di delto tempo cesserà la fermentazione delle ma- » ferie, e dopo un breve riposo si versi l’ acqua » in una caldaja grande di ferro, ed in essa si » pongano a bollire per cinque o sei minuti 32 » once di nitro cd un pugno di ginestra. Si fac- » cia quindi estinguere in quest acqua la quanti- » tà necessaria' di calce, e dopo averla con un ba- » stone assar ben rimescolata si versi ogni cosa » sopra il frumento destinato per seme , quale » si rivolge tre o quattro volte colla pala fino a » che sia tutto bene inzuppato e molle ». Finalmente vogliamo aggiungere la seguen- te lettera del nobil uomo Francesco Pappadà di Taranto pubblicata nel numero 16 dell’Omredus , anno terzo , ed inculchiamo ad usare il metodo in essa descritto, come quello che anche vien con firmato da falti non equivoci e veri. PER CONCIMARE I CEREALI PRIMA DI SEMINARLI. AI Sig. Vincenzo Torelli Direttore dell’ Omni- bus in Napoli. » Signore — Avendo scoverta una utilissima e vantaggiosa preparazione per concimare 1 cerea- li prima di seminarli , e volendo che la mede- sima si propagasse , affinchè sia di generale u- tilità, la prego d' inserirla nel suo giornale nel modo che la trasmetto , assicurandola fermamen- te che il processo relativo alla preparazione cen- . nata non è stato semplicemente da me attinto, ma bensì dietro replicate esperienze formato. » Si prenda un moggio di biada , si metta in un caldajo grande , vi si versino cinque secchie di acqua. Quindi si fa bollire sul fuoco finchè i granelli si crepino , e che l’acqua s'impregni del sale essenziale della biada. Quest’ acqua si passa per setaccio , mista in seguito a quattro secchie di liscivia di letame di bassa corte e tre libbre di salnitro si fa bollire di nuovo ed il salnitro si scioglierà : ciò fatto si versi in un gran tino dilegno , e vi si metta dentro la bia- da che si vorrà seminare in tanta quantità che l’acqua la superi di quattro dita almeno, e ben- tosto si vedrà gonfiare. Indi si mette in moto questa massa e si covre il tino per conservarvi il calore. In tale stato si lascia 24 ore, affin- chè si carichi de’ sali delle fecondità e del me- for: O struo potente che si serba in quell’ acqua , la quale non mancherà di aprire, di dilatare , e di fare sviluppare gl’ innumerevoli germi con- tenuti in ciascun granello. Levata poscia dal tino la biada si fa asciugare un poco all’ om- bra ed indi si semina con risparmio , perchè se ne impiega un terzo meno dell’ ordinario. » L'acqua che rimane serve al medesimo uso: una misura di quest’ acqua versata sulle radici degli arboscelli più eletti, è un regalo che gli fa fare meraviglie. » Vantaggi — Si avrà dalle biade un prodotto non minore del doppio dell’ordinario; uno svi- luppo precoce de’germi, cosi che gli uccelli gra- nivori, e le formiche processionarie , non han- no affatto il tempo di consumare quella quan- tità che avviene e che sogliono fare nelle semi- ne ordinarie, specialmente quando nell’ incipien- za di queste scarseggiano o mancano le piog- ge : una rigogliosa vegetazione atta a reggere ed a preservare le biade da tutte le malattie a cui vanno soggette, ed in particolare di quella che per la debolezza delle piante , viene ca- gionata da taluni insetti che posti all’ esterno o nell’ interno de’ vegetabili, ne rivolgono il nu- trimento a loro vantaggio , o ne alterano l’or- ganizzazione ; e finalmente gran risparmio di semente e di coltivazione. Perchè dunque conci- mare il terreno prima della semina come comu nemente si usa, e non concimare le biade prima di seminarle? — Taranto 10 Maggio: 1335 ce, — 86 — CAP: VII De diversi modi di seminare. Tre sono le maniere di spargere la semenza sul suolo: 1.° 4 mano volante ; 2.° Col seminato- Jo; 3.° Gol priartatojo. La prima è la più rice- vuta da tutti, ed essa consiste nel gittare i gra- nelli dal contadino innanzi a se verso il suo lato sinistro , e nel tornare in dietro verso il suo lato destro, 0 pure sempre a seconda del vento nel marciare sul lembo dello spazio ove nel getto pre- cedente è pervenuto , purchè questo procedimento sia perfettamente eseguito : nel fatto però il miglior metodo si è quello di scegliere il contadino più e- sercitato. Colui dunque che deve seminare si lighe- rà attorno un grembiule di tela, ed in esso vi por- rà la semenza; altri sogliono metterla in un pa- niere, ma questo non è così comodo come il grem- biule. Chi semina dovrà ben misurare e distribui- re cogli occhi lo spazio da seminarsi , calcolerà sin dove potrà giungere colla mano , e prende- rà tanto di semenza quanto ne possa essere bi- sognevole. Ove si trattasse di seminar grani minu- ii siasi specialmente accorto a servirsi di persone molto pratiche , affinchè la semenza sia sparsa in modo uniforme , e ciò massime nelle vaste te- nufe dove occorrerà impiegare più d’ un semina- li tore. Ma se il vento fosse forte abbastanza sì sospen- da la semina, o almeno si abbassi la mano, al- finchè la sua violenza non porli via irregolarmen- te i granelli. Le difficoltà intanto di aver buoni contadini , le irregolarità che spesso per loro col- pa si osservano han fatto introdurre delle diverse macchine che chiamansi col nome di semanaloy : non tutti però seminano in modo uniforme , sch- bene non manchino de’ luoghi dove si usano con buon successo. Ve ne sono alcuni che spandono semplicemente la semenza ; altri che la ricoprono ancora. Quelli inventati dal Sig. Fellemberg han presentato degli ottimi risultamenti , perchè distri- buiscono il grano con quella possibile uguaglian- za che si può sperare ; ciò non ostante fra una fi- la e l'altra evvi sempre un piccolo vuoto il qua- le è troppo poco considerabile per non venir poi occupato interamente dalle radici del grano , dopo che questo ha tallito ; nelle file stesse le piante so- no numerose sbbastadza per poter reggere agli ac- cidenti dell’ inverno , i quali d’ altronde sono da temersi fanto meno , in quanto che le piante tro- vandosi suflicieniemente divise , possono acquista- re una forza maggiore per resistere alle intempe- rie. Più esse introducono il grano ad una giu- sta profondità , e viene perfettamente coverto , co- si che non ne rimane alla voracità degli uccelli. I semi inoltre non sono disotterrati dalle piogge abbondanti che sopravvengono; spuntano quasi tut- lore, il 9 a (e in un momento perchè sono ad una stessa pro- fondità ; e finalmente si risparmia circa la metà della semenza che s’impiegherebbe seminando a mano. Gl' inconvenienti poi che tali macchine pre- sentano riduconsi a seguenti : 1. S' impiega più tem- po nella semina; infatti anche il seminatojo quando venisse tirato da un cavallo , e si usasse la pre- cauzione di cambiarlo spesso , nemmeno può co- prire tanto di terreno quanto ne coprirebbe un se- minatore a mano; 2. Si richiede maggior pruden- za per parte del contadino che lo guida , nel men- tre che in una vasta tenuta un sol contadino abi- le può assicurare la riuscita di una regolare se- minagione. Gli altri seminato] più conosciuti sono quelli di Machet, di Cook, di Duhamel, di Tull, di Elly, di Huntel, di Montefui, di Diancourt, ec. Questa macchina poi per lo più consiste in una tra- moggia destinata a contenere il grano che si vuol seminare , in un cilindro, due montanti , due ruo- te , due stanghe , due tela]. La tramoggia ha cin- que piedi di altezza , quattro piedi e mezzo di lun- ghezza , e quattordici pollici di apertura a basso. Essa posa sopra del cilindro che ha pure quattro piedi e mezzo di lunghezza e quattordici pollici di diametro , vale a dire eguali alla larghezza ed all'apertura inferiore della tramoggia istessa che metà resta fuori. La superficie interna del cilindro ha de’ buchi situati a scacchiera nella rispettiva distanza circa quattordici pollici ed aventi la for- ma de’ grani che si vogliono seminare, Questi gra- Lil ni gittati nella tramoggia riempiono 1 buchi , ed il cilindro col suo moto li caccia fuori , re- stando così simmetricamente sparsi sul terreno. Il cilindro e la tramoggia sono uniti lateralmente dai due montanti , i quali sono attaccati alla tramog- gia istessa per mezzo di due viti: nel basso veg- gonsi due buchi ne’ quali girano il cilindro e le ruote: queste debbono avere due piedi e pollici di altezza. Le due stanghe traversano la tramoggia verso la parte superiore di essa, ed i due telaj entrano nella medesima sino ai due orli nella sua apertura inferiore ; sono essi mobili ed applicati à due lati anteriori e posteriori della tramoggia lungo de’ quali si può abbassarli o alzarli a piacimento. Verso il basso sono guarniti di una travesa larga e sotlile ricoperta di lana, e di cui l'oggetto si è di chiudere più o meno il piccolo intervallo che si trova tra le tangenti del cilindro e gli orli della tramoggia affinchè nessun granello possa passa- re per quel sito. Esso vien tirato da un cavallo , ed il grano si sparge sempre egualmente sia qua- lunque la celerità dell’ animale : solo quando il movimento della macchina sarà più accelerato si seminerà una più gran quantità di esso nel tem- po medesimo. Ciascuno ora può da se fare il pa- ragone tra la descritta machina , ed il modo ordi- nario di seminare. Solo vogliamo aggiungere che questa non è una scoverta del tutto moderna ; i Chinesi sin dalla più remota età usavano consimi- lì macchine nel seminare il riso , e Lucatello Spa- guuolo di nazione verso la fine del secolo XVII. volendo imitare la seminagione de'Chinesi intro- dusse il seminatojo : esso fu spedito alla Società Reale di Londra , ed il Signor Tull gli diede una gran celebrità in Inghilterra. Il Duhamel lo fece conoscere in Francia nel 1750. Secondo il loro si- stema si volle un completo sminuzzamento delle terre da grani , simile cioè a quelle dei giardmi, e la sostituzione delle replicate rivoltature agl’ in- grassamenti. Da ciò più chiaro riluce ch'esso non sarebbe praticabile se non che nelle terre piane e di buonissimo fondo, sgombre vale a dire di pie- tre, di ceppaje , di ingosbi ec: e perciò riuscireb- be inutile nelle colline, nelle terre appese e sui de- elivî delle montagne. La terza maniera è quella di seminare col pian- tatojo. Nel 1793 si cominciò a diffondere in Fran- cia la voce che gl’ Inglesi avevano adottato que- o sistema trovandolo assai vantaggioso , e su- bifo se ne cominciarono a tentare diversi sperimen- ti. Il piantatojo dunque consiste in un manico al- P estremità del quale evvi una impugnatura vesti- ta di legno per renderne meno aspro il maneggio; il resto è di ferro e si divide inferiormente in due rami che portano al loro termine due coni ca- povolti, la sommità de’ quali è destinata a formare i buchi per collocarvi il grano. Un uomo tiene per ogni mano un piantalojo , camina rinculando , e fa quattro buchi per volta, che impara dall’ abi — gi — tudine a spaziarli egualmente. In ogni buco si pos- sono mettere due granelli. Con questo metodo si otterrebbero due non leggieri vantaggi. Primiera- mente ogni pianta non trovandosi oppressa dalla sua vicina, ed avendo spazio sufficiente da span- dere le sue radici germoglierà più vigorosamente, e produrrà quindi un gran numero di ottime spi- ghe. In secondo luogo è considerevole il rispar- mio di seme che si ottiene con questo metodo , perchè dal calcolo fatto da un agronomo, Ingle- se risulta che seminando i grani a sei pollici di distanza l uno dall’ altro, risparmierebbesi in o- gni anno tanto frumento quanto bastar potrebbe a mantenere 35000 persone , dando a ciascuno una libbra di pane al giorno : e ridotto il di lui cal- colo alle misure di Milano trovasi che con 24704 granelli, vale a dire con meno di quattro libbre e mezza di dodici once, si seminerebbe una per- tica di terreno in cui impiegasi ordinariamente mez- zo stajo , cioè libbre venti e mezza all incirca di frumento ; e ciò supponendo che sia posto un gra- no distante dall’ altro tre once ed un terzo della detta misura di Milano. Ma questo intervallo è ancora troppo piccolo anche riguardo al frumen- to, mentre il formenitone dovrebbe seminarsi nella distanza di un braccio, o mezzo almeno , e le file dovrebbero essere fra di loro lontane più di un braccio, potendosi ne’terreni buoni accrescere più del doppio; ed in tal caso per la seminagione di una pertica di terra basterebbero due libbre sole ed > clap un quarto dì seme; di modo che dove attualmen- te s impiegano nove staia di semenza più non s'im- piegherebbe che un solo stajo. Vero è che per l’ese- cuzione del metodo di cui si parla potrebbe spaven- tare e la maggior fatica e la perdita maggiore di tempo che si fa nella seminagione ; ma anche a questo vi ha un pronto rimedio praticando ciò che siegue. In varie parti d’Italia per seminare a pro- porzionate distanze le fave, ed il grano turco si‘ usa il seguente semplicissimo e comodo strumento. Ad un legno orizzontale lungo tre braccia o più son conficcati di sotto ad uguali intervalli parecchi denti perpendicolari anche dilegno, ed al di sopra è fisso nel mezzo un lungo manico con cui si regge lo strumento. Con questo due persone seminano un argo campo in pochissimo tempo. Arato ed egua- gliato il terreno coll’erpice, l'una di esse va in- nanzi e premendo in terra il descritto istrumento, vi lascia tanti buchi quanti sono i denti che esso ha; l'altro, al quale officio può impiegarsi anche un fanciullo, vien dietro, e distribuito un grano di semente in ciascun buco, lo ricopre col piede. E chi non vede quanto questo metodo potrebbe accelerare il lavoro? Solo resta ad avvertire la di- stanza fra denti del cennato strumento; e la loro profondità ; cose che ciascuno deve proporzionare alla diversa natura del suo terreno. Un buono se- minatore forse potrebbe avere anche questi vantaggi, ma la semplicità, ed il risparmio rendono prefe- ribile questo strumento. Di qualunque ordigno però = od + sì faccia uso i pratici consigliano a piantare sempre il frumento come suol dirsi in cinque once È » È perchè in tal modo vien meglio regolata la semina, mentre in una data estenzione si sparge sempre il maggior numero possibile di acinelli. GAP. IX. Della quantità di semenza per ogni moggio Napolitano. In questa importante materia non ci allontane- remo dalle osservazioni de’celebri Thaer e Tessier, e seguendo le loro idee ne direm tanto da po- tersene contentare ogni agricoltore che vorrà ben coltivare le proprie terre. E risaputo che nel soggetto del quale trattiamo tutte le quistioni si son sempre agitate sulla mag- giore o minore spessezza , 0 quantità dei grani che SÌ vogliono seminare, e de’ casi ne' quali debbasi seminare più o meno folto. Intanto che si vuole in- tendere coll’espressione seminar folto, o seminar rado? Son senza dubbio de’ vocaboli relativi, im- perciocchè queste operazioni debbono variare a se- conda de’ terreni diversi, de luoghi, e de climi ; infatti su questo particolare convengono uniforme- mente quasi tutti i popoli della terra. La quantità media però si può fissare tra noi da quindici a venti misure napolitane per moggio, eccetto l’avena di cui se ne semina ordinariamente un quarto 0 | et una metà di più. Ma quanto non sarebbe eccessiva questa quantità se sì potesse come dicemmo far uso da per tutto del semzzzatozo , 0 del piantatozo, ed in generale se ogni granello si potesse seminare in modo da dare una pianta? Il Conte Podewils ne’ suoi sperimenti di agri, coltura impiegando nel seminare la predetta quan- tità di grano, ha' trovato che in ogni piede qua- drato cadevano novantuno grani di pera ma che avendo in seguito esaminato uno de'sili più folti del carpo non vi trovò che sole trentadue piante di essa. Non dice per altro se tutte tallirono e quindi diedero delle spighe; opportunamente però osservava il prelodato Thacr essere impossibile che abbiano potuto rimanere, perchè non avrebbero avuto dove spaziarsi ed estendersi, nè cavare dal suolo un suf- ficiente nutrimento. Il medesimo illustre Scrittore soggiunge di aver veduto spessissimo in ogni piede quadrato non più di cinque o sei piante, le quali erano molto folte, ma non tanto da potere allettarsi , e tali che avrebbero dato un pro‘'otto superiore di molto a quello che doveva sperarsi dalla fertilità del ter- reno. Secondo le sue osservazioni debbe riguardarsi questo spazio come una condizione interessante pel maggior prodotto delle cereali, e perciò una gran parte delle piante sparisce quando un numero suf- ficiente di esse acquista straordinario vigore, e so- pra-le altre s’inalza. Ma siccome servendosi del metodo ordinario di ati La seminare non si può ottenere un uguale scompar- timento del grano, e molto meno si può sperare che ogni pianta cresca e maturi a perfezione, così non potrem regolarci intorno alla più o meno felice riuscita del ricolto; quindi converrà secondo alcuni seminare bastantemente folto , affinchè non vi resti spazio di terreno coverto da troppo scarsa semenza, abbandonando alla natura l'operazione di scemare le piante ne luoghi ove fossero assai vicine, o pure di strapparle colle mani, che ci sembra più ben fatto e regolare. Inoltre alcune volte diminuendosi l’ordinaria quantità di semenza non sempre il col- livatore ne ha ottenuti prosperi risultamenti, ed in conseguenza pare che abbiansi delle ragioni suffi- cienti per attenersi alle ricevute proporzioni. Se però non si seminasse secondo l'ordinaria maniera, che dicesi anche a z2an0 volante, ed in vece si praticassero gli altri istrumenti di sopra enunciati, cioè il piarlatojo, o il seminatofo , vi sa- rebbe senza dubbio un considerevole risparmio, € forse talvolta anche più della metà; e questo de- riverebbe dalla più esatta distribuzione de’ grani , non che dal modo più convenevole in cui vengono situati, come pure dallo stato del terreno più o meno favorevole al pronto germogliamento de’semi. Pare dunque che la maggiore o minore quan- Utà di semenza debba essere determinata. 1.° Dalla perizia del colono che sappia cioè scompartire egualmente i granelli su l'intera su- perficie del campo. 2°. Dalla buona qualità della semenza istessa , cioè che non vi siano acinelli meschini o infetti , affinchè così nascano piante sane ed arrivino a ma- turità perfetta. 3.° Da una temperatura più o meno vantaggiosa a quel grano che si semina. 4.° Dal maggiore o minore assottigliamento del terreno, e dallo stato in cui trovasi al tempo della seminagione, perchè da questo dipende in gran parte la bontà della germinazione, e la cacciata delle radici. 5. Dalla fertilità del terreno medesimo , e da’ suoi rapporti con la natura del prodotto che visi semina ; questi rapporti possono influire non poco sul germogliamento , e su la riuscita delle piante. 6.° Dall'epoca più o meno precoce della semi- nagione. Il seminar presto favorisce lo sviluppo de’ germi, e da questo spesso dipende l’intera riuscita della messe; essa succede al certo prima della for- mazione del culmo la quale per ogni pianta av- viene in una determinata stagione. E tal circostanza è così importante , che si veggono per esempio ta- lune specie di segale che nel mese di Luglio pos- sonsi seminare per metà più rade che in Ottobre. Dietro tutto ciò un seminatore intelligente dimi- nuirà o accrescerà la quantità de’ grani che vuol seminare, senza darsi carico della quistione se si debba seminare folto sulle terre di buon fondo, e raro sulle magre, o pure tutto al contrario. Del resto generalmente parlando nella pratica cine i coltivatori che si lasciano guidare dalle loro abi- tudini ordinarie si attengono in preferenza alla se- mina folta; il che deriva sicuramente dal pregiùu- dizio, e dalla vecchia massima che si debba fare più tosto troppo, che poco. Inoltre spesso lusinga le speranze dell’ avido colono il vedere nella se- mina folta rigogliose e vegete le piante nel primo periodo della vegetazione; nè si rimove dal suo sistema quantunque 1 fatti gli dimostrino che la maggior partie di esse abbia a rimanere soffocata; poichè nella lot'a in cui sono reciprocamente s'in- deboliscono tra loro e debbono necessariamente perire. Per tal motivo sovente si veggono 1 campi così folti prendere un color gialletto; e se allora la temperatura non sarà favorevole le piante spa- riranno quasi ad un tratto, precisamente in que’ luoghi ove prima erano accumulate di troppo. Nè giova il dire che le piante perdute possono servire di concime alle restanti, imperciocchè operandosi u- na putrefazione quasi generale , la stessa nuocerebbe immensamente al campo, e poi non sarebbe un tal concime estremamente dispendioso ? Più coloro che sostengono la pratica di seminar folto vi trovano il vantaggio di soffocare in tal guisa l’erbe nocive; ma i fatti dimostrano quasi sempre il contrario. Sarebbe ciò da sostenersi per quelle piante che talliscono vigorosamente, e che crescendo non formano sul terreno un tessuto folto e serrato, poichè così facilmente possono soffocare le altre erbe estranee; ma questo non è già il caso delle ce- Ps 4 ) SI Nu reali seminate troppo folte. Più tosto il loro pronto sviluppo «lipende dalla natura del suolo più o meno favorevole alle dette piante, non che dalla tempe- ratura che può influirvi non poco. La stessa spos- sezza eccessiva delle cereali sarà di ostacolo alla loro celere vegetazione. Il prelodato Scriltore ci dice che nelle paludi dell’ Oder, ovesi semina il dop- pio della quantità ordinaria di avena, e sovente an- che di più, l’erbe cattive vi sono altivissime e vi- gorose, lottando sempre prima di tutto contro le ce- reali: la temperatura- poi secondo che favorisce più le une che le altre, decide quali di esse: debbano rimaner vittoriose. D'altronde noi possiamo assicurare che seminan- do più rado non per questo l’erbe cattive pullule- ranno in maggior numero, massimamente se la quantità de grani che si seminano sia sufficiente a coprire il terreno in modo che ogni sito abbia un numero di piante più che bastante. Solo sarà ben fatto il seminar più folta l’avena sopra un pascolo scassato, e ciò perchè non tultl'’i suoi grani cadono nel sito ove possono germinare. Le osservazioni del signor Tessier sono presso a poco le seguenti, e giova quì rapportarle per l’utile non equivoco che può derivarne nella col- tura delle proprie terre. Impossibile egli dice si rende l’assegnare precisamente la quantità di se- menza da spargersi sopra un dato spazio: ciò di- pende da non poche dive rse circostanze , impercioc- chè bisogna aver riguardo all’ atmosfera in gene- — e — rale, ed al clima in particolare, alle qualità del lerreno buono, mediocre, o cattivo. Le semine o sollecite o tarde che siano esigono senza dubbio una differenza nella quantità de’ grani; le prime sogliono ceppare molto , le altre assai poco. Voi vedete de’ terreni differenti nello stesso Distretto, nella stessa Comune, e fino nello stesso podere; se dunque da per tutto seminerete la stessa quan- tà di formento la nascita delle piantoline non sa- rà sicuramente eguale da per tutto, nè da per tut- to svilupperanno nella maniera medesima. In generale però si sparge la semenza più tosto folla che aperta, e quindi ne seguono gravissimi inconvenienti. Se il grano sia sparso troppo folto dice il signor abate Rozier, per poco che dalle stagioni sia favorito nel tallire, e dalle piogge ne' tempi in cui sono esse necessarie, i venti lo alter- reranno sicuramente all’epoca della formazione delle spighe, senza che potrà più rialzarsi: ne raccoglie- rele perciò pochissima quantità , che fermenterà ne’ granili, ove il tempo della messe non sia caldo e sereno. D'altronde seminati meno folti, i loro steli saranno più forti e più capaci di sostenere le spi- ghe; troppo spessi per l'opposto diventeranno lun- ghi e sotuili, che perciò il peso della spiga più lontano dal centro, e sostenuto da uno stelo de- bole, obbligherà questo a cedere al soffio di ogni leggerissimo vento, o all'aumento di peso porta- tovi dalla pioggia. Le piante, gli arbusti, e gli alberi tendono continuamente ad alzarsi verso il x sole; ma siccome le foglie formano nel totale una specie di arco che copre la spiga con la sua om- bra, così ogni stelo adopra tutt'i suoi sforzi per mettersi a livello dello stelo suo vicino, e la sua altezza cresce in pregiudizio del suo diametro. A buon conto dietro tali ragionamenti il signor Rozier conchiude che non bisogna seminar folto secondo il proverbio generale , ma invece stabili sce che quanto più chiaro si semina, tanto più si raccoglie, raccomandando che la semenza sia scelta, e priva di granelli tocchi dalla nebbia, deterio- rali dagl'insetti, e ben coperti al tempo della se- mina. Ragione però vuole che non si pratichi a rigore nè quel che dice 11 proverbio generale, nè quanto inculca l’abate Rozier ; imperciocchè se spargerete poca semenza in un terreno mediocre, la raccolta sarà meschina, mentre ogni granello “non darà più di trè o quattro steli, nè profitterà del terreno che vi si trova d’intorno; seminando però folto il campo sarà più serrato ; avrete un nu- mero maggiore di steli, e quando anche altro pro- fitto non se ne ricavasse avrete al certo maggior quantità di paglia, e questo anche è da calcolarsi nell'economia rurale. In una terra forte succede il contrario : bisogna che si semini chiaro perchè i culmi col tallire di troppo si affogherebbero a vicenda, e perciò si calcoli sempre ciò che ogni terra è al caso di poter portare. Una fittajuola delle più giudiziose dice il prelo- dato Autore faceva seminare le sue migliori terre == EGR = da uno de’ suoi bifolchi che aveva la mano più piccola, perchè anche riempiendola non ne prendeva al di là del bisogno. Inclinando perciò egli alla pratica di seminar 3 I chiaro propose talune esperienze le quali furono da lui stesso replicate ; e siccome tra le altre troviamo la seguente semplicissima, così gioverà anche quì trascriverla, onde possa stabilirsi una giusta pro- porzione nel seminare i grani sul campo. > In un villaggio qualunque le terre generalmente parlando si distinguono in buone, mediocri, e cattive. In ciascuna di queste sorti si scelga uno spazio da dividersi in otto parti eguali, per esem- pio in otto pertiche rivoltate , concìmate, e pre- parate al solito, È necessario che questo spazio sia della stessa quantità in tutta la sua estenzione, e che non siano le une migliori dell’ altre. » Se l’uso del paese è di seminare dae litri di formento per ogni pertica, si sparga un mezzo litro nella prima, un litro nella seconda, un litro e mezzo nella terza, due litri nella quarta, due litri e mezzo nella quinta, tre litri nella se- sta, tre litri e mezzo nella settima, e quattro litri finalmente nell’ ottava; queste proporzioni fissar si possono anche col peso invece che colla misura; supponendo che per ogni pertica semi- nate si fossero ordinariamente due libbre di for- mento, converrebbe spargerne nella prima mezza libbra, nella seconda una libbra, e così in seguilo aumentando sempre una mezza libbra per ogni = MRO ) porzione. Questa esperienza è disposta in modo » che contiene proporzioni di semenze maggiori e » minori di quella del paese ; confrontando poi i » prodotti dell’ esperienza fra loro con i prodotti » del paese si arriverà a conoscere se 1 coltivatori » vi adoperano la proporzione migliore. Ognuno » già intende che le olto parti seminate esser deg- » giono nell’istesso giorno, nell’'istessa maniera , » con la stessa semenza, nello stesso stato, e. » che alla raccolta converrà pesare separatamen- » te il prodotto in paglia, perchè in molti paesi » la paglia forma un oggetto di prima impor- » tanza. Coloro intanto che vorrebbero sostenere la semina folta tra le altre objezioni notano i danni che de- rivar possono dalle gelate; ma questi non avver- ranno se I semi si spargono a quanto precocemen‘e perchè trovandosi le piante ben nutrite e sviluppate, resisteranno con vigore all’ intemperie, ed alle v- cessitudini de’ tempi: deve dunque il coltivatore re- golarsi in modo circa l'epoca da seminare che le piantoline non abbiansi a trovare in latte alle ca- dute delle prime gelatele quali per lo più sogliono es- sere loro di gravissimo danno. Aggiungasi che ne- gli anni di forli geli, ed in caso i grani si trovas- sero così teneri da esserne danneggiati, l'abbon- danza della semenza non potrà al certo far rispettar fante piante, quante bastino per produrre una buona ricolta, imperciocchè tutte son egualmente esposte, e tutte sono sotto il medesimo cielo. — 109 Più notano essi il consumo che si fa della sc- menza dagli uccelli, dalle lepri, da'conigli ec: ma oltre che questi non in tutti i luoghi son tanto nu- merosi da poter portare de’ serì guasti alle cam. pagne , vi si può anche riparare con covrire esat- tamente i granelli de’ cereali; e quindi da un male che si forma egli stesso il coltivatore non debbe irarne argomento per sostenere il metodo di seminar folto, e di giustificare la soprabbondanza di semenza che quasi da per tutto si vede. Si potrebbe anche opporre che in talune terre ove nascono in quantità dell’erbe , seminando a- perto I’ erbe stesse occuperebbero le tenere pian- toline delle cereali; ma 1 fatti fan vedere talvolta anche il contrario ; vi sono a dirittura delle an- nate abbondanti di erbe cattive ed in questi casi le semine folte ne sono ripiene egualmente che l’aperte; perciò vi hanno sempre ragionevoli mo- tivi di altenersi più tosto a quest'ultima che alla prima maniera di seminare. In fine affinchè abbiasi ognuno a persuadere de’ vantaggi che risultano dal seminar chiaro, noi chiuderemo questo Capitolo con due altre esperienze dello stesso Tessier, rapportando quì tradotte le sue precise parole. » In un pezzo di terreno appartenente ad un fit- > tajuolo 10 presi uno spazio di ventotto pertiche di > ventidue piedi quadrati, d’una buona qualità ma » non della prima, che preparata era stata bene, > ma nei modi soliti: quattordici di queste pertiche aa 104 — seminate furono con ventotto libbre di formento,os- sia due libbre per pertica secondo l'uso di que'fit- tajuoli che seminano più chiaro; le altre quattor- dici pertiche seminafe furono con una libbra di formento per ciascheduna. » Queste produssero steli forti ed alti che diedero centoquaranta libbre di formento dedotta la se- mina, le prime seminate col doppio grano non produssero in tutto che novantaquattro libre, ov- vero detraendone la semenza, solo sessantasei; proporzioni che non superò il prodotto del resto di quella terra, e dei campi vicini, ove gli steli erano deboli e Dassi. » Un proprietario di alcuni arpenti di terra, os- servando l'utilità di queste ricerche, ed attento nell'eseguire talune sperienze che si facevano sotto gli occhi suoi, si determinò simultanea- mente a vedere da se stesso gli effetti di dimi- nuzione di semenza in due campi della miglior qualità del paese di venti pertiche l'uno ed in tutto eguali; seminò egli uno di questi campi con trentasei libbre di formento, e l’altro coa quarantacinque, ossia con una quantità maggiore, misura ordinaria per i piccoli pezzi di terra che vogliono qualche cosa di più dei pezzi grandi. Dal primo ne ricavò trecentoquarantatre libbre, e dal secondo duecentosessantacinque libbre di prodotto reale, deducendone la semenza; da che ne segue che l’ultimo campo in cui avea sparso più di semenza gli rese un terzo di meno. LIDIA > In conferma di questa esperienza si aggiun- gono quelle che il signor di Malaspina presentar fece un tempo all'Accademia delle scienze, d’onde risulta che secondo una certa proporzione da esso determinata per il suo paese, quanto più di semenza si sparge in un campo, tanto meno di prodotto se ne ricava. ) Attaccandosi a quella sola delle due esperienze da me riportate, in cui la differenza della se- menza e del prodotto è nel confronto la minore, vale a dire alla seconda, ne segue che semi- nando un'arpento di cento pertiche a ventidue piedi la pertica , con cent’ ottanta libbre di for- mento, in vece di duecentoventicinque, solite ad adoprarsi, raccogliere si possono quattrocen- fonovantacinque libbre di più in una terra anche mediocre. » Partendo da questi fatti si potrebbe senza esa- gerazione supporre che un-villaggio, ove in ogni anno sì coltivano in grano cinquecento arpenti di terra, aumentar potrebbe l’annuo suo pro- dotto di trecento sestieri di formento, se i col- tivatori ivi domiciliati si persuadessero a spar- gere meno di semenza. Permettermi io non oso di estendere questo calcolo sopra tutte le Pro- vincie ove ha luogo lo stesso abuso; giacchè nel verificarlo indispensabile sarebbe un profondo sentimento di afflizione, osservando che un cr- rore sì accreditato tanto torto produce a tutto un regno; ma il tempo che già lo ha distrutto — 106 — > in parle, non mancherà senza dubbio distrug- » gerlo interamente, da che diversi coltivatori più » degli altri istruiti, intraprendere già sanno dei saggi che i loro padri rion si sarebbero fidati di tentare. Ai fisici dilettanti dell’occupazioni cam- pestri dovrà essere attribuito un tal cangiamento tanto lento ad effettuarsi. Chi non sa che con una vana feoria istruir non sl possono i colt- valori, ma invece vi vogliono esperienze fatte con quella semplicità, che può sola essere ido- nea a rendere incontrastabili i loro risultamenti ? a_ tw bb b vw ss S&S sù CFA VB De Dell’ erpicatura. Appena sarà terminata la semina bisogna che i grani si ricoprano o coll’ aratro, o coll’erpice. Nel primo caso alla persona che sparge la semenza vien dietro l’aratore, il quale deve profondar leg- giermente l'aratro, affinchè 1 granelli non siano di troppo coverti. Questo strumento intanto si ado- pra in preferenza dell’erpice specialmente ove le terre sono forti, perchè ’’ altro non giungerebbe a sminuzzarle compiutamente, come pure dove son esse poste in pendio, perchè Î erpice non po- trebbe essere mai bene strascinato dagli animali. Ma poichè l’erpicature presentano anche dei grandi vantaggi, così ne diremo quì qualche cosa, e gli agricoltori ne profittino per quanto le particolari eiscostanze il permettano. ne Jaogti — / L’erpice è di differentissime forme; altri sono più pesanti, ed altri più leggieri, così che per alcuni s impiegano fino a sei cavalli, e per altri un solo semplicemente. Il grande erpice è formato di grossi pezzi di legno con denti di ferro dalla parte di sotto, ciascuno del peso di una o più lib- bre, i quali si dispongono in forma quadrangolare, o triangolare. Questi denti servono a rompere le zolle smosse dall’ aratro , ed a ridurle in parti mi- nute. Se 1 denti si vorranno disporre in forma triangolare è necessario che quei dell'angolo an- teriore siano più piccoli degli altri, i quali cre- scendo progressivamente terminano in modo che quelli della base siano sempre i più lunghi : si so- gliono adattare o perpendicolarmente o inclinati colla punta al di fuori, o curvati come una ronca di giardino: ma vi sia sempre una convenevole disfanza tra loro, onde gli spazî intermedî non abbiansi a riempiere di terra, cosa che sarebbe di non poco nocumento nel lavoro. Gli erpici grandi poi sì praticano dove si vogliono fare di molto pro- fondare i denti nel suolo, mentre i più piccoli si destinano all’ erpicature leggiere, ai terreni sciolti, o sabbiosi, e facendo girare in giro gli animali che li strascinano. Negli erpici piccoli si fa uso anche de’ denti di legno, ma essi son buoni sola- menfe per sotterrare i minuti semi, e per egua- gliare il terreno già lavorato. Ve ne sono pure senza denti, ma fatti invece con rami di alberi e guerniti di spine; se ne ser- — 108 — vono gli agricoltori come il piccolo erpice per appianare le terre già rotte , e per covrire le se- menze minute, nel che riesce sommamente utile: se ne fanno anche degli altri tessuti ed incrocicchiati simili alle ceste, e vengono lodati per i loro buoni effetti. Del resto servendosi degli erpici comuni, i diversi modi di erpicare riduconsi à seguenti. 1.° Erpicatura per lungo, cioè secondo la dire- zione segnata dall’ aratro. II.° Per traverso tagliando cioè a sghembo le porche formate dall’aratro. HI.® Erpicar serpeggiando, vale a dire da un | lato all’altro dell’ajuole alternativamente ed in guisa che 1 tiri si veggono incrocchiati tra loro. IV.* Finalmenie l’ erpicatura in 9270 la quale si può praticare solamente in campi piani e di molta estenzione, mentre si gira sempre circolarmente con 1 quattro o sei cavalli che si guidano da un bifolco. Vi simpiegano gli erpici con denti di legno, perchè i guerniti di ferro sarebbero assai pesanti e l’erpicature non riuscirebbero regolari e perfette. Con tutto ciò pure vi si consuma molto tempo, perchè ogni parte della superficie vien percorsa più volte; ma questa perdita rimane compensata dalla bontà del lavoro che non si ottiene dall’ altre differenti crpicature. Finalmente devesi badare allo stato in cui la terra si ritrova, imperciocchè ove fosse troppo umida o troppo secca, le zolle non si sminuzze- rebbero a dovere, e perciò bisogna scegliere il #: — 10 6) — tempo che si crederà più propizio e convenevole à sì fat lavori. CCA PIENE Del Cilindro. Il Gilindro è anche uno strumento di cui si fà uso con molto vantaggio in agricoltura. Noi perciò prima diremo delle operazioni alle quali si destina, e quindi parleremo delle sue forme , perchè queste debbono essere determinate dallo scopo cui è di- retto. Primieramente dunque col cilindro si ha in veduta di frangere le zolle che non lo furono dal- l erpice, o almeno fenderle in modo da perdere necessariamente una porzione del loro volume. In «simili casi si praticherebbe una seconda erpicatura, e ciò vien consigliato da tutti coloro che regolano con detiano la coltura delle proprie ite In secondo luogo si ha di mira di comprimere convenevolmente i terreni leggieri, e di ravvici- nare le loro particelle. Così la sua azione riesce vantaggiosissima per diminuir il cattivo effetto del- l’arature più volte pe e per mantenere l’umi- dità nel terreno la quale in contrario evaporerebbe ben presto; specialmente poi si deve porre in uso ne terreni spugnosi e di bassi fondi ne’ quali non se ne deve assolutamente fare di meno. Il terzo scopo è di rassodare le piante de’ ce- reali rendendole più aderenti al terreno. Talvolta e si spargono de'semi minutissimi: sarà ben fatto in simili casi di passarvi prima il cilindro perchè così verranno meglio distribuiti ; quindi vi si passa l'er- pice, e poi nuovamente il cilindro fino a che 1 solchi resteranno perfettamente appianati. Il cilin- dro può pure adoprarsi con grand’utilità su i ter- reni non molto forti ed umidi dopo l’erpicatura che ha coverto le semenze; quest’operazione con calcare la terra fa sì che gli steli spuntino con mag- gior vigoria; imperciocchè la germinazione suc- cede assai meglio , si perchè con questa pressione s impedisce alla luce di penetrare nel terreno, cosa che recherebbe nocumento alla germinazione predetta, sì perchè con agguagliare 1 campi , l'azio- ne del cilindro facilita molto la raccolta potendosi falciare più rasente terra, specialmente se si trat- tasse di piselli o di fave. Il quarto scopo si è quello di coprire la terra e di assodarvi le radici rialzate per effelto de’ geli dell'autunno precedente. I terreni abbondanti di umo che trovansi in luoghi bassi rigonfiansi spesso a primavera, e quindi le radici delle piante si smuovono, ed escono fuori: in questi casi non vi ha altro mezzo fuorchè il cilindro per rassettarle, e rimetterle nel pristino stato. Finalmente esso serve per distruggere i piccioli insetti che escono specialmente di notte a ledere le tenere piante; ed è perciò che una tale opera- zione dovrà farsi allor quando il sole sarà scom- parso dall’orizzonte. es tEle- Il cilindro poi è un solido di figura circolare allungata ; si fa di legno forte, e vien posto in molo per mezzo di una incastratura in cui sono fissate le due estremità del suo asse. Si suol co- strure lungo da sei a nove piedi col diametro da uno a due: preferibili però sono i più corti ma di maggior altezza perchè riescono meglio a ras- settare i terreni colla loro pressione. Ve ne sono alcuni di figura esagona, ottagona, ed altri anche scannellati , o coverti da strisce di legno; ciascun comprende che questi sono preferibili in taluni casi, ma van soggetti a riempirsi di terra ove il suolo non fosse convenientemente asciutto , ed in tali casi riescono meno efficaci. Più ve ne sono altri guer- niti di punte di ferro, e questi si adoperano con molto vantaggio ne’ terreni assai asciutti, ed ove sia scorso il tempo di una favorevole erpicatura. Si comprende dunque che non riuscirà bene nelle terre argillose, ed umide soverchiamente; imper- ciocchè gli spazj trà quelle punte ben presto si riempirebbero di terreno, e non produrrebbero più de’ buoni effetti. In fine si praticano in diversi luoghi i cilindri fatti di pietra , ed in Inghilterra a que di legno di tratto in tratto vi pongono de- gli anelli, e de’ cerchi taglienti, cose che tutte ser- vono a stritolare perfettamente il terreno, e farvi delle strisce, delle righe, ed altre operazioni se- condo la diversa maniera di apparecchiare la cam- pagna. L’incastratura del cilindro si fa in varie maniere, a ma l'una non ha de’vantaggi sopra l'altra; sia però sempre fatta in modo che il bifolco possa se- dervisi sopra, tanto per accrescere il peso della macchina , quanto per potere andare con solleci- tua maggiore. Con tale mezzo si risparmia ezian- dio al conduttore l’incomodo della polvere, cui sarebbe inevitabilmente esposto. Vi sono inoltre de’ cilindri privi d’incastratura, l'estremità dell asse: de' quali girano in anelli da per mezzo di uncini sono attaccati anche essi a'tiri. Allora non si fa girare il cilindro ma invece voltano i cavalli to- gliendo per poco gli anelli onde rimetterli quando gli animali sono di bel nuovo al loro posto; con questo mezzo il cilindro non strascinerà seco della terra facendo una corta voltata , inconveniente che non sarà da temersi allor quando il circolo che descrive sia più largo. In Inghilterra finalmente per diverse altre col- ture si praticano de'cilindri guerniti di tratto in tratto di cerchi di ferro, o anelli taglienti, desti- nati a formare delle strisce 0 righe sul terreno, o ad eseguire varie altre operazioni. Per passare il cilindro fa d’uopo pure scegliere una temperatura favorevole, ed il terreno debb'es- sere bastantemente prosciugato , in contrario vi si at- taccherà esso, e l’operazione anzi che vantaggiosa riuscirebbe ncciva. In que'tenaci però non si aspetti che le zolle perdano ogni umidità perchè così non sarebbero nemmeno più schiacciate dal cilindro. RIS CAP MIL Delle pian'e cereali, e della loro vegetazione. Dopo di aver esposto ciocchè riguarda l’appa- recchio delle terre convien far parola delle cereali in genere, e poscia della loro vegetazione , che sarà oggetto della seconda parte di questo capitolo. 1. Col nomedunque di cerea/zintendiamo tutte quel- le piante che producono Spig he, e che appartengono ala famiglia delle graminee : è vero che taluni “lo prendono in un sig SV più esteso , intendendo cioè di tulte quelle ale, che danno semenze atte al nostro alimento; ma siccome queste si lasciano distinguere dalle prime per una diversa natura, e per altri rapporti che non hanno di comune (ra loro; così staremo alla definizione comunemente ricevuta, parlando cioè di quelle che appartengono alle graminee propriamente dette. Intanto questo sarebbe il luogo di favellare del se le cereali nascano spontanee e senza coltura, ma già nel primo capitolo di quest opera se ne parlò a sufficienza: del resto sembra più tosto che queste piante al pari che gli animali domestici ab- biano seguito l’uomo sotto ogni clima, e quindi non è fuor di proposito il eredere che siano un pro- dotto della coltura, tanto più che tal parere non mancò di essere sostenuto da illustri Scrittori, che 3 LEA ila cre possasi aliegare in contrario dalle osservazioni di qualche viaggiatore degli ultimi tempi. Non tutte le cereali poi godono de’ medesimi pregi; ma diconsi migliori quelle che più atte si irovano per alimento; alcune perciò non si coltivano, come per esempio il /o/ez22 femulentum , il quale per essere poco abbondante di parti nutritive, vie- ne estirpato o tolto da ogni economico e giudi- zioso agricoltore. Son queste delle piante annue, almeno ne'luo- ghi più caldi ; si può dire che si moltiplicano quasi all’ infinito ; dai nodi inferiori cacciano nuove ra- dici, le quali gittano novelli germogli; che anzi quando si ha la precauzione di non far allungare il culmo con rincalzare i nodi, questi pullureranno nuovamente , e così potransi ottenere delle grandi ceppaje, le quali sono utilissime nelle piantagioni a piuoli, perchè possono dare un immenso pro- dotto. Si abbiano intanto presenti le seguenti os- servazioni, che senza dubbio riusciranno di non poco vantaggio nell'economia rurale. Distinguendo sempre le cereali di autunno da queile dio primavera sarà cosa vantaggiosa che quelle germoglino subito, ma che restino basse per lungo tempo , perchè in ‘tal guisa le ceppaje si fortifiche- ranno assai meglio, e se ne avrà quindi più sod. disfacente prodotto. La temperatura ha in ciò mot tissima parie, e l'esperienza mostra che poste tutte le altre cose eguali, Je cereali spunteranno assai più presto durante una temperatura favorevole. La — nuda straordinaria siccità per altro non nuoce, imper- ciocchè vi sono infiniti esempi che la semenza re- stata lungo tempo sotterra abbia poi vegeta e folia dato delle copiose r'colte. Per i cereali di primavera è più vantaggioso ch > si elevino prontamente dal suolo, perchè in tal guisa non saranno sopraffalte dall’erbe estranee. Gene- ralmente parlando è sempre un buon segno quando esse erescano in modo uniforme; un andamento opposto , ed un colore ineguale son segni poco fa- vorevoli alle speranze dell’agricoltore: maggior- mente ancora in quelli di primavera se si elevino in due volte, perchè difficilmente si eguaglicranno in appresso. ]l germe che spunta debb' essere di colore oscuro , e le piante dovrebbero conservarlo per molto tempo; le prime foglie si desiderano corte, doppie, ottuse alla cima, ruvide, elastiche, e dovrebbero esser torte nell’incresparsi. Pel frumento di autunno sarà ottimo un color alquanto bruno, per i grani di primavera un verde-cupo, e non giallastro. La temperatura come dicemmo influisce non poco sulla vegetazione; ma il freddo non arriva mai a distruggere le piantoline del frumento ; serban | però ordinariamente un’ apparenza meschina sino a primavera , e quindi sei freddi sono soverchiamen- te rigidi non è che ne'principî di Aprile che si veg- gono cacciare de nuovi germogli. La neve è meno dannosa di questi eccessivi freddi; ciascun sa che le seminagioni rimaste lungo tempo sotto di esse bai LS oa poco o niente ne soffrono. 1° altronde le alterna tive di caldo e freddo sogliono riuscire pericolose : massime ne terreni umidi. Egualmente è nocivo il periodo in cui le nevi ed il gelo spariscono ; sc le prime si scioglieranno troppo precipitosamente, spesso molte pianloline resteranno soffogate, perchè le acque non arriveranno ad avere un convenevole scolo ; in questi casì l'agricoltore dovrà usare tutta la sua altività e la sua industria per far sì ch 7l fluido non si ristagni, ed impedire così la soffo- cazione che ne sarebbe 1’ effetto. Lo scioglimento de’ ghiacci non è meno dannevole in particolare se succederà lentamente e con alternative di gelo. Allorchè il sole st fa vedere in qualche ora del giorno , e quindi si forma il gelo nella notte; o quando anche cade della neve che subito si scio- glie; la superficie del terreno diacciata sì riempie di acqua, la quale non potendo passare ne’ strati inferiori si gelerà nella notte seguente, e le pian- toline ne avranno gravissimo danno. L' effetto di questi geli è di sollevare la terra, la quale ab- bassandosi di nuovo le piante resteranno sguernite di terra, e tante volte anche colle radici esposte all’ in fuori. Ripetendosi ciò per più volte, allorchè cioè i geli sono continuati, ognun comprende quanto dovranno soffrirne le seminagioni, e questo danno crescerà sempre in ragion diretta della porosità del terreno. Spesso accade che dietro una rigida invernata le cereali si mostrano meschine nella primavera, sa ed in conseguenza gli agricoltori destituti di spe- ranze sogliono rovesciarle coll’aratro seminandovi orzo, 0 altre graminee: le nostre insinuazioni son dirette a rincuorare i collivatori, ed a non essere così precipitosi, perchè l’esperienza quasi sempre ci avverte di esserne rimasti pentiti a cagione delle cattive ricolte che poi vi han fatte. L'orzo special- mente riesce male, e quando la necessità consi- gliasse una tal determinazione, st faccia in prefe- renza succedere l’avena che darà in generale un più vantaggioso risultamento. Se per l'opposto a primavera le cereali si mo- strassero vegete e buone, allora è desiderabile che si slarghino sul terreno, e mettano lateral ente molti rampolli, perchè così la ceppaja si fortifica, ed acquista novello vigore : d'altronde se si ele- vassero prontamente cacciando uno o due culmi, il che succede in Aprile e Maggio quando non cadessero delle piogge , questi saranno sempre più deboli del primo , matureranno più tardi, e le spighe saranno poco piene. La convenevole erpicatura, o la sarchiatura con- tribuisecono molto alla produzione de’ rampolli late- rali; imperciocchè smovendosi così leggiermente la terra, le piccole radici vi si possono facilmente insimuare, e daranno de nuovi rampolli, massime quando cadranno di tanto in tanto delle acque in primavera. Non sempre però il ricolto si può dire assicurato da che si veggono moltiplicati e chiusi i rampolli novelli; perchè non di rado a questo (0) = O stato succede un istantaneo sviluppo, ed in Giugno i culmi si veggono sfolti, deboli e sguerniti di spi- ghe. Boia dall’erbe estranee , che in ciò possono avere molta parle, si teng1 per certo che ’l moderato sviluppo de culmi è sempre migliore , val quanto dire che 1 ricolto sarà più sicuro, ove progressivamente succederà il di loro innalzamento. Così infatti verso i primi giorni di Giugno vedrete il campo tutto eguale e serrato, perchè l' eleva- zione è succeduta in un modo uniforme ; han quindi quasi tulti lo stesso vigore, e progredendo si ot- terrà senza dubbio un favorevole ricolto. Dopo di quest epoca incominciano le cereali a fiorire, ed un tal periodo non va esente da peri- coli. Una temperatura molto umida sarà nociva alla fecondazione, ed ecco perchè si teme moltis- simo delle ii acque di Giugno: queste son desiderabili di tanto in tanto e riescono giovevo- lissime ove la temperatura fosse alquanto calda ed asciutta. In questo periedo appunto succede l’a/leltamento delle biade, cioè a dire vanno esse soggette a ca- dere , il che non è di picciolo Lula per l'agri- coltore : ciò avviene per le piogge impetuose e per le tempeste, o per la spessezza delle piante, o per laloro debolezza. Nel primo caso vi sarà più danno se più presto avverrà tale infortunio: Nel secondo il guasto dipende sovente dalla eccessiva grassezza del terreno, ed a ciò dovra il coluvatore riparare a tempo opportuno. Nel terzo caso deriva da che ng le piante son disposte a malattie essendo già patite e poco buone sin dal loro nascimento. Un campo letamato a dovere, arato a debita profondità, non carico in fine di molta semenza, quasi con sicu- rezza andrà esente dall’ allettamento, e Î espe- rienza ce lo ha fatto conoscere per non pochi anni successivi. A_ buon conto culmi forti ; spighe in rap- porto del culmo in modo che questi abbiano tanti pollici di lunghezza per quanti piedi ne hanno 1 culmi ; nodi bruni; foglie infine larghe , nutrito, e ruvide di un verde cupo, sono i segni più si- curi di un abbondante ricolto: Le piante di color giallo son sempre di pessima riuscita, e ciò per- ch' esse contengono sempre più d'idrogeno in pro- porzione del loro carbonio. Premesse ora queste nozioni generali, passiamo a dir qualche cosa in ‘ordine al second’oggetto del presente capitolo. 2°.Affidato dunque il gran Ho al terreno incomin- cia a putrefarsi, ed a poco a poco il gruppo delle sue piccolissime vene detto cordone unbilicale divien duro, e rimane sotterra ricoperto da suoi esteriori integumenti sino al tempo della messe. In tal guisa il germe esposto perchè non difeso dal lobo, andrebbe al certo soggetto a marcire se la provvida natura non avesse rinchiuso il bot- tone della radichelta in una piccola membrana che gli serve quasi di astuccio, conservando così l’im- percettibili foglioline che dovranno in seguito sbucciare. Intanto nel primo giorno dopo la se- mina l'acinello del grano incomincia a gonfiarsi, —_ (29 — si veggono delle sottilissime aperture intorno al germe , il quale dopo altri due, o tre giorni esce dagli esteriori inviluppi, e si raddrizza in mezzo ciella membrana che lo circonda. Nel quarto e quinto giorno allunga ja sua cima, e contempo- raneamente gonfiasi il bottone che contiene la ra- dichetta; sì generano due piccole laterali protube- ranze, e da queste finalmente sbuccia la radice principale. Intanto la sostanza del lobo si converte in latte zuccheroso, comincia a marcire, poscia si fa viscoso, e finalmente si dissecca: il cordone um- bilicale si gonfia ne primi giorni mercè la copia degli umori che vi circolano, si cambia in una specie di nodo, s' indurisce sino a che le radichette si profondano nel terreno, e così cominciano esse a porgere un maggior nutrimento alla pianta. Verso il dodicesimo giorno si veggono i nodi del grano, ed a capo di un mese si forma un nuovo germe di radici , il numero delle quali determina distintamente quelli dei polloni che potranno ve- getare. Nella primavera spesso avviene che il se- condo nodo si vegga pullulare di altre radici, e sovente seccandosi le prime non sono che queste ultime le quali progrediscono nella vegetazione, e danno i polloni che resteranno per la messe, giusta l’ esatte osservazioni del celebre Bonnet. Durante poi l'inverno le piantoline del grano per la rigidezza della stagione rimangono quasi senza alcuno sviluppo nel terreno, ed è nella pri- .mavera che ripigliano il loro vigore, e s'inalzano — 121 — meravigliosamente per i succhi a/@Mrentizi che cir- colano lungo i cannelli del fusto : così mano mano diventa più duro sino a che giunge allo stato di dare il frutto: Si forma quindi la spiga, e perchè 1 suoi acinelli son delicatissimi, la saggia Natura li situò appunto in distanza dal suolo, e nella estre- miltà del culmo, onde essendo gl elementi agi- tati da: favorevoli venticelli , potessero così libe- rarsi da quell’umido soprabbondante ch'è sempre di gran nocumento alle piante. Uscita la spiga fio- risce ben presto, e tra’ otto, 0 dieci giorni si compie l’opera della generazione. Il fiore ha ambedue Ie parti sessuali; la mascolina consiste in tre filamenti capillari aderenti alle valvule della corolla nella cima de’ quali stanno attaccati a squadra per il loro mezzo con sottilissimi fili gli apici che son lunghi e divisi in due parti da un solco , ed hanno tal gravezza che spiegati si veggono tosto pendenti, c vengono facilmente agitati dal soffio d’ogni aura leggiera. La parte feminea è formata dal fiore istes- so, dal pistillo collocato sull’ovaja, la quale altro non è che un piccolo recipiente che ha del seme non ancora fecondo. Termina il pistillo con due pennacchi tra'quali è l'apertura per dove la pol- vere fecondante passa all’ ovaja; il dotto Needham è di avviso che questa stupenda operazione suc- ceda per mezzo di altri più sottili ed invisibili ca- naletti. La riunione di questi fiori così fecondi, e muniti de’ loro esteriori inviluppi, ed alternativa- mente situati l’uno presso l altro sopra una spe- — 122 > cie di denti, forma ciò che dicesi spiga, la quale in talune piante sì vede munita di barbe che si assomigliano a tante specie di spilli dritti, e ru- vidi; in altre manca totalmente, ed in altre si vede quasi contorta ed arricciata. Appena spiegati i fiori si coutraggono gli apici che divengono ela- stici; e per effetto del calorico solare, o per altra incognita cagione propria della loro natura, si rompono le loro sottilissime membrane, e la pol- vere fecondante viene mirabilmente lanciata verso i ciuffi del sottoposto pistillo, e passando per la predetta apertura o per altri canaletti nell’ovaja, così in un tratto la fecondano coi lori sottilissimi granelli infiammabili e ripieni di uno spirito pro- lifico e vitale. Nel tempo di questa sorprendente operazione , le piante vanno soggette a gravissimi danni; le parti in esse necessarie alla fecondazione sono esposte a tutte le intemperie dell’aria, e tanto il freddo, quanto il soverchio caldo arresta il loro perfezionamento : il freddo strangola e stringe le anfere, o siano gli apici che cennammo di sopra, ed in tal guisa s impedisce l'ejaculazione; l’umi- dità delle nebbie s' introduce nel fiore e nell’ ori- ficio, che dà luogo alla polvere fecondante di pas- sare all’ovaja, e di sciogliere quell’umore gelati- noso che trasmette la polvere predetta: le piogge aspergono le spighe fiorite, portano via una por- zione della polvere istessa , o alterandola la cor- rompono in modo che diventa inutile alle sue fun- sioni: i venti scuotendo le piante stritolano i fiori; a n == 02:53. = e ne portano via le intere stamine e gli apici im- maturi: finalmente il sole troppo cocente, ed anche quando esce dalle nubi sosprendendo le tenere particelle con un vigore sproporzionato le arresta e quasi distrugge la loro organizzazione. Da si- mili cagioni provengono appunto l’ador/o, la ca- lorta, ed altre malattie delle biade delle quali da qui a poco particolarmente ragioneremo. Dopo la fecondazione il fiore si dissecca, cadono le antere, le valvule maggiormente si chiudono, ed il frutto comincia a perfezionarsi. In seguito novelli succhi dalle radici giungono ai granelli depurati dal feltro di più nodi, e di lunghe fibre; così si prepara quella sostanza lattiginosa che formandosi coll’ajuto del calorico nel corso di trenta o quaranta giorni rende il seme perfetto. In questo tempo anche vi è da temere della gragnuola che in tutto può di- struggerlo, dell’afa che lo attrae, delle piogge che rovesciano le piante , impediscono la dissecca- zione di essi acinelli, o corrompendo l'umore lo fanno germogliare immaturo ed acerbo. GAP. XII. Del frumento in generale, e delle varie specie di esso. 6.1. Il frumento appartiene alle piante cereali o gra- minee, della classe terza iriandria, dell'ordine se- condo diginio, e si fa distinguere pe seguenti ca- ratteri. Fiori glumacei per la maggior parte erma- froditi, disposti a spiga, per lo più semplice, com- posta di spighettine sessili , avvicinate , ventricose, multiflore, disposte alternativamente sopra un asse . fatto a sghembo.Ciascuna spighetta è solitaria con una gluma esterna composta di due valve opposte, ovali, concave, che contengono tre, o più fiori. Ogni fiore ha una gluma di due valve quasi eguali, l'esteriore ventrosa e spesso con resta , l’interiore sottile, piana, senza resta. Tre stami e filamenti ca- pillari con antere bislunghe, forcate nell’estremità. Un ovario superiore ovoide munito di due stili distesi con stimmi piumosi. Il frutto consiste in un seme ovato oituso, convesso da una parte, con soleo da un’altra, di sostanza farinosa, con em- brione alla base (1). Da questa famiglia de’ frumenti nascono varie specie distin!e che coltiviamo , e sono : Grano di (1) Vedi Enciclo. Metod. Au mo. Froment. p. 554. — [{29,;}— autunno ( /:licum hybernum o grano gentile: ) grano di primavera (re/icum aestivum o grano grosso ) grano duro ( 4rzlicum lurgidum) grano di Polonia (fralzeum polonicum) grano composto, o del miracolo (4e/icum composttum) Spelta o farro ( ilicum spelta). Da queste poi nascono infinite varzela, e dal quadro che noi daremo in seguito si vedrà quali siano le più coltivate tra noi. | Dioscoride divide i grani in due sole specie, cioè di autunno che si semina in detta stagione , e si raccoglie nella seguente estate; ed.in quello che chiama di ire mesî , perchè si semina in primavera, e si raccoglie nell’ estate se- guente. Del resto rigorosamente parlando que- st'ultimo non può dirsi grano di altra specie , e tra gli Antichi Columella saggiamente 1° avvertì: divise egli quindi il grano in due sole specie, r0- bus e siligo, ed a queste due si sono limitati anche i moderni. Il dottor Giovanni Targioni adotta questa divisione e dice:» Attenendomi adunque alla fissata divisione del #24%co in due principali spe- cie , vale a dire rodo e siligine , dirò che il robo è la più universale, e forse anche l’ unica specie di trilico 0 grano , ed è quello che noi comunemente chiamiamo grano duro , il quale si semina in tutti i climi e paesi caldi. Siligine di- cesi il grano che si raccoglie ne paesi umidi e i) Racionamenti sull’ Agricoltura Toscana p. 122. 5 5 p — 126 — freddi e che noi chiamiamo mnosérale , perchè co- munissimo alla nostra Italia , e si divide in ger- tile e grosso. Il duro ha i granelli suoi più pe- santi e più magri del nosi/rale, trasparenti al- quanto nel giallo , difficili a rompersi coi denti , e rotti che siano appariscon dentro di un color vitreo; finalmente masticati riescono renos!, e non si sciolgono in morbida pasta. Il grano rostrale poi ha i granelli più tozzi e pieni, più leggieri, di color biondo, o gialliccio di varj gradi, un poco pelosi in cima, non trasparenti, candidi den- tro e farinosi, facili a rompersi, e masticali la- sciano in bocca una pasta mordida e bianca. Co- lumella avea fatte le stesse osservazioni, ed aggiun- ge che il tritico ne luoghi umidi dopo la terza seminagione si converte in siligine. Plinio (1) non discorda da lui notando che la siligine sia propria de luoghi umidi, come ve ne sono in Italia, e nella Gallia comata, ne’ quali dopo due anni pas- sa in graro duro. I Botanici ammettono anche questo cangiamento (2) e l’esperienza li ha indotti a convenire in ciò dietro fatti non equivoci ma per- manenti. Qual poi possa essere la cagione di una tale metamorfosi non è cosa facile l'indagarla senza ostacoli; pare però che molto v’influisca il diverso nutrimento che ’1 suolo somministra alle piante ; EI er (1) Nat. Hist. L. 18 Cap:-8. p 468. (2) Vedi Bauhino p. 353. imperciocchè non da altro debbesi ripetere la dif ferente composizione delle farine , -che variano a norma della diversità de’ grani medesimi. In taulli i granelli trovansi gli stessi princip}, ma non cer- tamente nelia medesima proporzione , siccome ha fatto vedere l'analisi Chimica : a che dunque at- tribuirlo , quale potrà esserne la cagione se non la diversa specie di nutrimento , la maggiore o minore quantità de’ princip]} favorevoli, come il carbonio e l’azòto? Nelle terre grasse infatti, ab- bondanti di concimi animali, e per conseguenza di azòto i grani sì avvicinano sempre più al robo, mentre all’ opposto ne terreni magri, petrosi ec. si avvicinano alla siligine, perchè evvi in mag- giore abbondanza il carbonio, e quindi ne’ primi il glutine vegeto animale meno carbonioso ed ami- doso ; ne’ secondi meno azotico 0 glulinoso, ma più carbonioso ed amidoso. Ristringendo dunque le idèe pare che i grani possansi distinguere in fori e leneri ; 1 primi cioè direm quelli che si trovan duri sotto i denti, e rompendosi si assomigliano ad una gomma dissec- cata di color grigio più o meno trasparente ; essi abbondano più di crusca in paragone de’ teneri , e macinandosi si stritolano con tanta celerità che se ne perderebbe gran parte se non si usasse la pre- cauzione di bagnarli prima di sottoporli alla mola. Di più i grani duri allignano ne’ climi caldi come già dicemmo , contengono molta glutine , e perciò son ottimi per il lavoro delle parte; il pane d’'al- ea tronde riesce non molto bianco, ma assai sapo- roso : i grani teneri per l'opposto allignano me- glio nelle terre fredde, si rompono più facilmente sotto i denti hanno una scorza assai liscia, e sono più macinabili de’ primi; danno un pane bianchis- simo e leggiero ma non così saporcso come quello de grani duri. | Pel resto se la metamorfosi anzidetta non am- mette dubbio, anche questa duplice distinzione di specie sarà fallace, e quindi non ingiustamente si vede rigettata nella citata Enciclopedia, e ridotto ad . una sola specie, chiamando il grano, 7ra/cum sati- vum, e si definisce Trelicum spica simpliet ca- lycibus quadrifloris ventricosis imbricatis.. Il grano di Polonia ( 4%cum polonicum) dif- ferisce dal comune in quanto ha una spiga grossa e lunga; gli acinelli sono somiglianti all’avena, trasparenti, ma poco riescono , perchè appena oc- cupano la metà delle grandi cannelle, o glume dove sono rinchiusi. Il grano del Miracolo (rilicum composttum ), prende questo nome dalla sua abbondanza, e perchè altre piccole spighe contornano la principale. Vi sono ragioni da farlo credere pure una varietà del grano comune perchè ritorna in grano grosso detto Lupo , nè dà il profitto che suol rendere seminato ne primi anni. Nel quadro delle pratiche del Regno torneremo su questa specie, e si vedrà la sua me- ravigliosa riproduzione. La Spelta finalmente, o il Farro (fri/zewz speta) è quello che difficilmente si spoglia della /oppa- lo stesso è comunissimo tra noi, ed à eziandio al- cune varietà , come il dzazco , il rosso con ve- ste ; il bianco, il rosso senza veste; con spighe rade e resta allargata ; con spighe strette e re- sta avvicinata ec. , in seguito ne vedremo i diversi modi di coltura, e l’uso che se ne fa nelle no- stre Provincie. Go Descrizione della pianta del frumento, ed esame chimico delle parti che ne compongono l''aci- nello. Inoltre nella pianta del grano distinguesi il culmo (culmus) ossia lo stelo dell'intera pianta; la spiga ossia la parte cereale che contiene i granelli del frumento nella quale si notano l'asse (rachzs), cioè quella linea lungo la quale si veggono si- tuate le spighette; quest’asse è fatto a denti alterni, che in alcuni grani son nudi, ed in altri pelosi; tai denti alle volte siosservano strettamente congiuntitra loro , ed alle volte situati più alargo: è questa una circostan- za degna di essere considerata, perchè se ne argomen- ta la bontà della sua vegetazione. Le spighette (spzew- lae ) sì veggono poste su diverse linee secondo la varietà de grani, ed ogni spighetta contiene da tre a sei fiori avvolti tutti esternamente da due squame concave che formano il calzee, ed anche 9 9 — 100 — guesto è difeso da altre due squame interne che si dicono g/umae ; i Toscani danno il nome di folla e di buccia tanto all’ involto interno cioè al calice, quanto alle g/umae. Per fiore noi non dobbiamo intendere alcun organo colorato e di ag- gradevole aspelto, ma bensì l’unione dei due sessi maschile e feminile, dal quale suda il seme cioè il feto vegetale. Chi desiderasse una notizia più minuta delle funzioni di questi due organi può con- sultare le tavole analiticc-elementari di Botanica del chiarissimo Bayle Barelle. La superficie nuda o lanuginosa del calice, ed il suo apice ora tron- cato, ora bipontulo, ora smozzato, ora acuminato, non che la mancanza, o la presenza della resta somministrano 1 caratteri per distinguere le specie, e la varietà de frumenti. La spighetta in quanto alla fruttificazione dicesi un:/lora, diflora, 0 tr: flora, secondo che si veggono in essa uno, o due, o tre fiori; ciò però varia a norma della nutrizione che ricevono dal terreno, ed in generale gli aci- nelli del frumento corrispondono sempre al numero dei fiori. Inoltre i caratteri che lo distinguono, il che osser- vasi in tutte le altre cereali , sono i seguenti. 1.° Nel germogliare mettono una sola foglietta, onde dicesi che abbia un solo lobo seminale, cioè monocotilidone. 2.° Le sue foglie ordinariamente sono lineari, spadiformi, intere , flessibili ec: , costantemente paralelle , e non mai fatte a rele. 3.° Il culmo è più duro nell’esterno, che nell'in- — 910 terno. 4.° In luogo di corolla ha delle g/z2e le quali racchiudono sempre un seme unico per ogni fiore. Questo seme è convesso da un lato , ed alquanto solcato dall'altro. Il 4ra/zeun2 poi dei Latini si fa distinguere dalla situazione delle spighette, e l’asse ‘vien formato da tanti denti alternativamente dispo- le dette spighette sono attaccate al lato piano di ogni dente dell’ asse medesimo; Il calice final- mente è composto di due pezzi per ciascuna spi- ghetta. In quanto alle parti che costituiscono il seme del frumento , tenendo presenti i chimici risultamenti, queste sono. La scorza ossia la crusca, il germe destinato alla riproduzione, e la parte farinosa nella quale presiede la facoltà nutritiva. Questa è com- posta di quattro sostanze, cioè l'amido , il prin- cipio mucoso zuccheroso , l’albumina vegetale , ed il glutine, quali hanno non solo un grado diverso di nutrizione qualora vengano convertite in cibo, ma presentano pure de’caratteri particolari che le fanno distinguere tra loro. L’amido per esempio ha un color bianco, niun sapore , si attacca al lingua , si vede alla luce composto di piccioli glo- betti trasparenti e brillanti ; ridotto in pasta non è duttile nè tenace , e riesce impossibile di farne il pane quantunque goda in sommo grado della facoltà nutritiva. Esso si ottiene col lavar la fa- rina in una tela, e con raccogliere il deposito della lavatura dopo di averne a poco a poco colata l'acqua che vi era, Il principio mucoso-zuecheroso + TO fu dato dalla natura alla maggior parte de’ vege- tabili, e con particolarità al grano germogliante. È solubile nell'acqua fredda, attrae l’umido atmo- sferico, e quindi si umetta ; diviene attaccaticcio, fermenta, e dà dello spirito di vino se in questo ultimo stato venga sottoposto alla distillazione. Esso infine ha uno spirito ardente, cui si deve la for- mazione della birra che ri estrae dal grano, e contiene molto del principio di nutrizione. L’ albu- bumina vegetale è il terzo prodotto che dà la fa- rina lavata e fu scoperto da Foureroy. Questa so- stanza si assomiglia all’albume delle uova degli animali , e si ottiene dopo dell’acqua ch'è servita a lavare la farina, e dopochè si è levato l'amido. Desso è di color biancastro , solubile nell'acqua, e distillato somministra ammoniaca. Il glutine fi- nalmente differisce dall’albumina, perchè come questa non si discioglie nell'acqua ; si ottiene, e resta nel pannolino allorquando si lava la farina istessa: è vi- schioso , elastico estensibile a guisa di una mem- brana; cose che perde immerso nell’acqua calda: Disseccato all’ aria asciutta prende l'apparenza di una sostanza cornea, e perde la sua dwu/lilila : il suo colore è grigio, nè ha odore nè sapore: sparso nel fuoco si contorce come una fibra animale, span- de un’odore fetido, si accende, ed unito agli acidi convertesi in amido come lo comprovano gli ef- fetti che produce il lievito combinato colle paste anche le più tenaci. Più pare che esso diventi nu- tritivo allora soltanto ; che il calore ha prodotto — 133 — un certo grado di fermentazione. Finalmente gli è dovuta la spugnosità del pane, e la sua maggior quantità in taluni frumenti è pur quella che fa lavorare le tante e diverse paste , che oggi giorno sì veggono in commercio. Il signor Parmentier crede che il glutine si trovi nella sola farina di frumento, ma le osservazioni del Beccàri, e di altri comprovano che esista pure nella segala, nel- l'orzo, ed in altre piante graminacee. Quel che di certo si è che tre libbre di grano nelle annate favoreroli alla vegetazione ne danno una di glu- tine, ma negli anni piovosi appena esso ne rende un quarto del suo peso. G._IL Della Sarchiatura. Quest’ operazione suol praticarsi fra noi nel mese di Gennajo , e secondo le circostanze talvolta si prolunga sino al seguente mese di Febbrajo : ha per oggetto di estirpare tutte l’ erbe estranee che spuntano ne’ grani, e ciò si esegue colle zappette, smovendo leggiermente il terreno, onde le radi- chette del frumento non abbiano ad essere offese. Di più questa terra leggiermente smossa serve a rincalzare le piantoline per dare alle loro cep- paje maggior fortezza e vigore. E pure a quest'epoca ove il grano fosse molto folto che si può dirada- re tagliando quelle pianticelle , che sono esili e meno nutrite. Da tutto ciò rilevasi che tale opera- zione richiede mollo accorgimento, e quindi non è di tutt la sarchiatura. I coltivatori perciò scel- gono sempre in preferenza quelle persone che si conoscono più esperte in consimili lavori, mentre da esso in gran parte dipende la florida vegeta- zione delle piante. Nelle vaste tenute si usa di as- sognare una porca a due donne, le quali situate così in diretta linea con altre, chi egualmente la- vorano, discendono sino alla fine delle porche per quindi passare innanzi. Quest ordine contribuisce moltissimo all’ uniformità del lavoro , imperciocchè il castaldo, o il padrone stesso della tenuta avendo sott'occhi tutti lavoratori si trova nel caso di di- rigere la loro operazione , e di correggere coloro che malamente la eseguissero : s' impiegano poi in preferenza le donne, perchè la di loro mano d'opera SÌ paga quasi per metà di meno di quella degli uomini, ed anche perchè costoro in tal tempo si irovano addetti ad altri interessanti lavori campestri. SG. IV. Della rincalzatura. A quest operazione succede l’altra della rincal- zatura, la quale non differisce dalla precedente. Si eslirpano tutte l’erbe estranee , e le piante si rincalzano con molta terra per lo stesso oggetto detto di sopra. Tale operazione eseguesi da Febbrajo AAT a Marzo, e quindi lasciansi così i seminati sino a che non ripulluleranno nuove erbe. Bisognerà perciò aver sempre la cura di svellerle ,, mentre avanzandosi lo sviluppo delle piante hanno anche bisogno di una maggior quantità di umor nulri- tivo. Intanto spesso avviene che ne' terreni di buon fondo le piante sviluppano e talliscono in breve tratto , e si teme perciò dell’ a/Zettamento. In queste «circostanze si suole ricorrere a due mezzi; o si ta- gliano le loro cime, o vi si fanno pascolare le bestie lanute: nel primo caso bisogna essere oculato a non toccare il cuore delle piante isiesse, ma a togliere semplicemente le foglie erbose , che s'inal- zano troppo in aria e che fan temere del male pre- detto; fa d’uopo dunque servirsi di quelli che son usi a faleiare, ed ai quali non si dona il taglio delle foglie , imperciocchè costoro pel proprio in- teresse potrebbero danneggiare il frumento con ta- gliar troppo al di sotto. In generale però siasi sempre diligente in si fat- fa operazione , e non si esegua senza previa pon- derazione; infatti non di rado avviene che alte- randosi la temperatura , lo sviluppo prende un andamento diverso, e quindi si arresta la vege- tazione. Richiedesi dunque un'occhio perito da po- tere decidere, e ciò non sl acquista senza pratica e lunga esperienza. Del resto si può falciare sen- za timore qualora si veggano le piante incro-ic- chiate , le foglie ben folte, ed i germogli molto vestiti : in opposto sarà sempre meglio il lasciar- le alla loro naturale vegetazione. “i 136 SR Ma se invece di falciare il frumento vi si voles- sero introdurre delle bestie lanute , ciò si faccia in una sola volta , onde il grano resti egualmen- te tagliato. Questo metodo è forse migliore del pre- cedente ; siasi però cauto e pel tempo in cui do- vrà farsi, e per la qualità del terreno che de- v essere abbondante di molto umo ; in contrario mancando succhi nutritivi, potrebbe mancar pu- re la successiva vegetazione , ed allora resterebbe- ro deluse le speranze di una ubertosa ricolta. Gov Osservazioni generali. È questo il luogo di fare alcune osservazioni ge- nerali sulla coltivazione del frumento , e special- mente circa le terre che più gli convengono. Di- cemmo nel principio dell’ Opera in che propor- zione debbano essere l'argilla, la calce , e la sab- bia per la miglior riuscita di questo cereale ; o- ra ripetiamo che quanto il terreno è più argillo- sO, e quanto meno conliene di sabbia tanto più è adaltato peri grani: il migliore sarà quello che contenendo poco di quest'ultima avrà fino al quin- dici per cento di calce , perchè questa mentre gli dà la facilità a dividersi, e conserva la sua con- sistenza , attira nel tempo stesso gli acidi che so- no molto nocivi al grano. Inoltre fa d' uopo che laterracontenga sufficiente umor nutritivo; perchè la ws pianta di questo cereale ne è soverchiamente a- vida ; que’ terreni dunque carichi di terriccio ten- denti ad un color bruno saran sempre i migliori per abbondante ricolta; dove le terre soverchiamen- te sabbiose, come anche quelle cariche di acidi non saranno mai buone per esso: allora devesi ri- correre a dei mezzi per migliorarle , usando cioè argilla, la marna, le ceneri, ed anche brucian- do lo strato superiore di esse, operazione che si è sperimentata utile eziandio per l'orzo, e per le al- tre cereali. Il frumento preparasi bene sulle maggesi , pur- chè siansi letamate, o vi fosse un terriccio provve- duto di sufficienti succhi nutritivi ; essendo d'’ al- tronde soverchiamente grasso , non sarà male di far precedere una ricolta di rape. Vi son delle terre sulle quali sarà meglio seminar l’orzo dopo delle rape, e quindi il frumento ; questa pre- cauzione serve per evitarne l’allettamento : del re- sto noi opiniamo che non sia molto opportuno il far precedere quello a questo, ituperciocchè l’or- zo impoverisce molto, e quindi si va incontro ad un male maggiore. Queste maggesi richiedereb- bero almeno quaitro arature , perchè sebbene il frumento voglia terre forli e consistenti , pure e necessario che queste siano ben rotte e polve- rizzate. ll grano riesce anche a meraviglia dopo il tabacco, e dopo i cavoli; il terreno allo- ra si trova ben preparato , e quindi sarà anche sufficiente una sola aratura. Non riesce poi così n; bene sopra le civaje, quantunque vi siano degli esem- pî di ricolte ubertosissime più sopra queste , che sulle maggesi morte ; ma ciò può dipendere da particolari accidenti , come dalla temperatura, dal regolare andamento delle stagioni , e simili. Co- munque però sia dietro il ricolto delle civaje si spez- zi subbito la terra, e per rompere le stoppie , e per fare scomparire Vl erbe cattive, che si do- vranno estirpare prima di seminare il frumento. Ma quali civaje Impoveriscono più o meno il terreno ? La fava lo fa meno del pisello , e quindi in quelli più grassi sarà ben fatto di far precedere la pri- ma ; sempre meglio sarà poi di seminarle a fila- ri, perchè l’esperienza ha fatto costantemente cono- scere che così avrassi un più abbondante prodotto. Non si ottengono però gli stessi risultamenti dopo la cicerchia, la veccia ed il dolico : perciò si pra- tichi un aratura soverchia per meglio preparare la ierra. Sui campi di trifoglio il grano riesce col più gran successo possibile. Ma quello si debbe far cresce- re ben folto, e sgombro di qualunque erba. Se ne faccia il primo taglio, ed anche il secondo ; alla terza ripullulazione , allorchè si troverà giun- to all’ altezza di otto o dicci pollici , si scassi il ter- reno , si soversci , e dopo qualche le npo si semi- ni il grano in solchi stretti ed alquando profondi: ca ciò ben si comprende che per tal coltura ri- chiedesi un terreno assolutamente di ricco fondo , ed ove il taglio siasi solo falciato basterà una D sola aratura ; sc poi vi si siano menali a pascolo degli animali , sarà ben fatto praticarne una di più per dare miglior preparazione al terreno. Come questa a parer nostro è la miglior coltura che si possa desiderare, così crediamo essere la peg- giore quella di seminare il frumento sulle proprie stoppie. Il celebre Tull ed altri hanno voluto pra- ticare il contrario , seminando cioè in ogni anno framento sullo stesso campo ; ma i risultamenti sfavorevoli persuadono a non imitare consimili ten- talivi. ; Il grano dopo dell’ orzo è sempre debole, quin- di non si deve seminare sopra campi dove sia pre- ceduta sì fatta ricolta. Si pretende che sull’avena riesca meglio ; ma noi in generale crediamo di non affidarlo mai sopra stoppie di altri cereali ; imperciocchè queste piante smungendo troppo il ter- reno ; il prodotto del grano non potrà essere a sufficienza abbondante. Dopo il lino riesce assai male, ma molto meglio dopo la canape; non man- cano però degli esempî in contrario, specialmen- te se il terreno fosse ricco e ben preparato. Dicemmo già qualche cosa intorno alla cover- tura che debbe darsi alla semenza del grano; ma qui pur giova osservare che ne’ terreni argillosi se ne richiede una non al di là di tre pollici, dove ne- gli altri più sciolti si può senza timore arrivare sino a quattro. Il soverchio umido, e le acque ristagnate nuoc- ciono molto a questo cereale; dovrà quindi il col- i 140 — tivatore essere sollecito a ben prosciugare il suo campo. Del pari teme le notti assai fredde , die- iro delle quali cambia di colore, e si vede arre- stato nella sua vegetazione ; riordinando però la sua femperatura ricupererà tra pochi giorni il vi- gore perduto. Altrove vedremo come il frumento spossi il ter- reno più di tutte le altre cereali, e come sopra cento parti nutritive in esso contenute, ne consu- mi circa quaranta. Dà inoltre ordinariamente in pa- glia il doppio del suo peso in grano; qualche co- sa di meno però ne’ terreni elevati, e qualche co- sa di più ne’ terreni bassi, il che nasce senza dub- bio dalla differente temperatura. In fine ad esaurire completamente questa mate- ria diciamo qualche altra parola del frumento di primavera. Questo non differisce nella specie da quello di autunno ; sviluppa solo più presto per la ragione che seminandosi in Marzo si raccoglie nell’ està seguente : ciò deriva dalla temperatura più calda che favorisce la sua vegetazione; ed in fatti si vede, e si sa che il frumento di primave- ra si cangia in frumento autunnale se gli si da- rà la coltura che si dà a’ grani di autunno. Des- so richiede un terreno più sciolto, e riesce benis- simo su quelli leggieri, purchè non siano troppo secchi e mancanti di convenevoli concìmi. Riesce a meraviglia dopo i pomi di terra, ed in gene- rale prende il luogo dell’ 0rzo/a ; attrae una mag- giore quantità di succhi, e quindi debbesi affida- CÀ = ai re ad un terreno conosciulo alto a poterglieli som- ministrare. La state fredda ed asciutta gli è nociva ; una temperatura calda alternata da piogge ha prodot- to gran quantità di carbone , essendosi anche os- servato che in pari circostanze questo frumento va soggetto a tal malattia più di quello autunnale. I suoi granelli son più piccoli del grano comu- ne, ma nella qualità non glie la cedono , quan- tunque poco buoni a farne pane, ottimi invece per amido. CAD. MIX Delle malattie che attaccano il frumento. GL DELLA RUGGINE, OSSIA CARBONE DEL GRANO. La ruggine è una malattia che attacca il fru- mento nella sua parte interna senza mutare le lol- le nelle parti interne de’ fiori. Essa altera e sfigu- ra il germe nutritivo, che viene distrutto e sosti- tuito da polvere nera, la quale ha un cattivo odo- re, specialmente se sia fresca. Il segno per cono- scere quali steli saranno affetti dalla ruggine sì è che prima di svilupparsi le spighe dalle foglie , essi rimangon dritti e non si curvano come tutti gli altri. La polvere che compone la ruggine è minutissima, di figura quasi sferica, può dirsi un composto d’ infiniti granelli bruni, i quali misu- rati colla maggiore esattezza possibile hanno un 2/200 ad un 1/150 di meno di diametro: più pe- santi dell’acqua, ma molti pur vi galleggiano per la loro maggior leggerezza. Circa la loro natura alcuni han preteso che fossero esseri organizzati , e tra costoro il dottissimo signor Prevost nella sua opera sull’ 772n2ediata cagione della ruggine ha con mo'to calore sostenula questa opinione. Egli avendo tenuto per qualche tempo sì fatti germi nell’acqua ne ottenne qualche uredo , e gli steli diedero segni visibilissimi di vegetazione; ne c'as- sificò quindi tre specie, delle quali una la chia- mò semplice, Vl altra filiforme, e la terza a lu cignolo. Questi steli riproducono piante simili a quelle che li hanno «dato origine : ne conchiude perciò che gli acinelli della ruggine si possano ri- guardare come tante semenze di una pianta paras- sita che produce questa malattia. Varie pure sono le opinioni del come 8 introduca negli steli del gra- no; altri pensano che succeda per le vie delle ra- dici unitamente al succo almentizio della pian- ta principale; altri che succeda per le parti este- riori dello stelo stesso , introducendosi però alla di lui superficie, o crescendo nelle sue vicinanze; questa si è la più ricevuta opinione , impercioc- chè sembra difficile a spiegarsi come le sementi della piantolina parassita possano introdursi dalle radici, quindi alimentarsi e spandersi per la to- talità del culmo sino a che vada ad infettare gli acinelli del frumento che sono nella spiga; d'al- A 1/3 ce tronde non è forse men difficile la spiegazione del come la ruggine dalle parli esterne s' introduca nell’ interne , e su questo proposito non vi abbiam pure che semplici congelture. Il prelodato signor Prevost dietro le sue moiti- plici osservazioni fatte su tale oggetto, conchiude ne’ seguenti termini « Io stabilisco in una ma- niera certa, che la cagione immediata della rug- gine sia una pianta del genere degli uredo, o di un genere vicinissimo ; che la vegetazione di questa pianta egualmente che quella della maggior parte degli uredo , comincia nell’ aria libera, e termina nell’ interno della pianta ch' essa attacca». Viene egli dopo a proporre de’ mezzi onde preservare il frumento dà sì fatta malattia, e tra gli altri ne indica alcuni che consistono in diverse preparazioni di rame; raccomanda principalmente il solfato di questo metallo; anzi vuole che la malattia in paro- la sia stata non conosciuta dagli Antichi, perchè prima d’'affidare le semenze al terreno le prepara- vano in vasi di rame ; ma ciò pare che siano delle osservazioni gratuite, o almeno che abbiano biso- gno di prove ulteriori onde raccomandarne agli agricoltori la pratica. Cicerone III.° de natura Deo- rum LXXXVI. parla certamente di questa malattia allorchè dice. Nec si uredo , aut grando quip- piam nocwit, id Jovi animadvertendum fu , e Columella Lib. 1II.° Cap. XX. seu /rigidus et prunosus quod non est patiens uredinis. I Greci la conoscevano sotto il nome di Aaz/Amos. sui Ed 4 4 Pea Il signor Losana nel libro intitolato delle ma- latte del grano in erba non curate o ben co- nosciute parla pure a lungo di essa, e secondo lui consiste in quella Pena di varia forma e co- lore di cui sovente veggonsi sparse le foglie, i culmi, ed anche l’intera superficie della pianta. Distingue poi tre varietà, cioè la comune, la neb- bia melume, e la nebbia cartonchio. La prima viene così spiegata da lui medesimo». Dopo alcune notti ruggiadose o lievi piogge precedute e susse- guite da un sole ardente, le quali fanno ordina- riamente sviluppare la ruggine; è egli forse im- probabile che per gli fran delle tenere foglie ove primieramente essa spunta, il calore, l’aria, la luce penetrando la loro mucilagine combinata cogli altri principj suddetti, siasi alquanto essiccata? Il glutine allora , e gli atri principî suddivisati , che facilmente attraggono l’ acqua, nelle notti, e mattine turrita con essa combinandosi en- trar deggiono in fermentazione , per cui gonfian- do e sciogliendosi il parenchima della foglia, il glutine predetto per la naturale connessione de'fluidi co’ solidi, nel venir poscia dal sole susseguente es- siccato, deve alle sponde aderire formandole at- forno uno stato gommoso trasparente. L’albumine convertirsi in lucidi micacei fragmenti , mentre la fermentante massa attraendo lai , questo il ferro di cui quella abbonda, libero rende, ed os- sidandolo , tutta la sostanza con cui egli è fram- misto in ocra polverosa trasforma: così l'acido ni- Ml trico diluto nell'acqua a un dipresso operò nelle foglie del fico a questa diatesi specialmente disposte. La seconda, cioè la nebbia melume è quel mor- bo, secondo il cav. Re nel suo Saggio di No- sologia vegetale, per cui si depone tra gl'involueri che vestono il grano medesimo, una materia gial- liccia, glutinosa, fetida e polverosa”. L'origine di esso si trova nelle stesse cagioni che producono la ruggine comune, e per rimedi dell'una e dell’al- tra, il prelodato cav. Re indica la falce, e la pioggia; vengono però rigeltati dal signor Losana , sebbene siasi certo che la pioggia , almeno all’ap- parire della seconda malattia, riesca di grandissimo giovamenio , purchè sia fresca e leggiera; al con- trario, se fosse lunga, abbondante e calda come lesciroccali, maggior male che benene deriverebbe. La terza, ossia la nebbia carbonchio ricopre tutta la superficie della pianta di macchie longi- tudinali nere , persistenti, più lunghe e più larghe di quelle delle ruggini nominate, mentre la pianta tutta s'imbruna e s'intristisce : si fa distinguere per essere rilucente, tubercolata, senza odore, insi- pida, e non imbratta le dita. Secondo il pensare del medesimo Losana la siccità delle biade, l’aria, umido, ed il calore che alternano col fresco concorrono a questo morbo ch è anche esso una degenerazione delle sostanze corticali. Crede egli dunque , siccome lo crede pure delle altre due pre- cedenti; che queste malattie non siano punto pro- duzioni animali , o vagetali. Per questa terza si 10 cu 140 — propone come per rimedio la sola e semplice fal- ciatura delle biade, perchè così tagliandosi via le parti alterate, ripulluleranno le nuove più vigorose, e saran libere dal morbo di cui vengono affette. Il Thaer opina anche che sia una malattia della pelle, e secondo lui è più frequente in quelle contrade che son soggette a nebbia; ciò è verissimo e noi ne abbiamo non poca esperienza. Dice poi chel crespino derberis vulgaris pro- duca questo male coll’influenza della sua vegeta- zione presso i campi di biade, e che un numero infinito di osservazioni fatte in diversi luoghi sian concordi su quest oggetto. Einhoff fece molti ten- tativi per comunicare il erzspiro0 alle cereali sco- tendo i suoi ramoscelli su di esse, ma niun effetto ne ottenne ; non si comunica dunque, deriva in- vece esclusivamente dalla pessima vegetazione , pre- cisamente quando il crispino più cresce; imper- ciocchè piantatene delle giovani siepi queste non han prodotto alcun triste effetto sino ad una cer- ia grandezza, ma poi crescendo di anno in an- no, si è veduto anche crescere il morbo di cui è parola , cessando totalmente dopochè i medesi- mi vennero strappati. Questi fatti se non ci venis- sero contestati da uomini sì celebri sembrereb- bero tante ridicole invenzioni; quindi dobbiam conchiudere che anche tra le piante esiste una specie di antipatia e simpatta, una specie d'influenza be- nefica e perniciosa, delle quali si veggono gli effetti senza poterne spiegare mai le cagioni. n 2. Germinazione impedita. Deriva dalla poco diligenza che si mette nello scegliere le semenze, o dalla profondità in cui vien gittata una parte di essa. Basterà dunque per ov- viarvi il servirsi di semenza scelta e medicata; il lavorare opportunamente la terra, l’evitare i ri- stagni dell’acque, fare le porche più ampie, € sepellire i grani non molto profondamente. 3.° Germinazione inderrotia. Poco differisce dalla precedente, perchè viene originata dalla profondità con che sono giltati isemi ; perciò le tenere pianticelle rimangono troppo de- boli per lo sforzo fatto onde la piumicciuola esca di sotterra : si prenderanno quindi le stesse pre- cauzioni. 4. Germinazione soppressa. I corvi che scoprono le tenere pianticelle per mangiarne i col/zledoni fanno questo male; si se- mini dunque innanzi che tali volatili manchino di - alimento. 5. Germinazione troncata. Questo male suol verificarsi quando si semina in terre molto asciutte dietro una stagione estiva * age. soverchiamente secca ; alle prime piogge si trovano per tal cagione molte piante sviluppate meschina- mente, ed aventi una sola foglia rubiconda vuota al di dentro : vi s insinua così una larva tonda senza piedi, bianco-gialliccia, e ne rode l'interno: tal volta rimane rosa la sola parte esteriore, e la radice fa nuovi getti; in questo caso il danno non sarà di molto rilievo. La conveniente medicatura del seme invigorendolo, si dice un rimedio di qual che giovamento. 6.° Prolificazione ritardata. Ciò succede quante volte non formasi subito il cespuglio, poichè il primo gambo assorbendo quasi tutto l'alimento, i germogli che spunteranno a pri- mavera saranno deboli e meschini. Bisognerà se- minare per tempo. 7. Soffocazione. — —Vien prodotta dalla neve. L’ esperienza fa cono- scere che dove evvi gran quantità di neve caduta, le biade svilupperanno male, massime se i campi fossero sterili. In questi casi sarà ottimo rimedio spargere su di essa della terra sminuzzata, o del- l'arena , per così accelerarne lo scioglimento. gi 6. Prolificazione morbosa. Si verifica quante volte ad un inverno asciutto succeda un'arida e calda primavera. Le biade_al- lora trovandosi aver gittate profonde radici, pro- lificheranno mentre il primo stelo innalzasi lenta- mente; giunto questo ad una certa altezza rimane inoperoso, e così accade agli altri polloni, che mano mano si succedono. In tali circostanze si è trovato meglio in preferenza colui che avea risto- rata la terra o con soversci di trifoglio , o con concimi ben maturati. 9.° Secchereccio. Talvolta dopo un inverno mite si veggono sec- care le cime delle piante ; esse ingialliscono , ed il tenero gambo presso al nodo superiore cede , e diventa putrido ; tal guasto proviene da un pic- colo insetto; sebbene altri pretenda che il secche- reccio e la ruggine abbiano una stessa origine. 10. Anlipalia vegetale. Vi son piante che non possono vegetare con- giuntamente in uno stesso terreno. Il cavaliere Re poggiato ai fatti riferiti da Brugman , opinò ciò doversi alla traspirazione delle une, che messe in contatto delle altre, le danneggiassero per modo, — 100 — che perita l'una , anche il rimanente perisce. Il signor Losana ha dimostrato il contrario, e crede che tale arnzipatta debbe attribuirsi al terreno atto ad alimentar bene una pianta , e non le altre. a à © 11. Compressione. La spiga talvolta rimane impedita dalla guaima che la investe , ed esce perciò bianca, imperfetta, e spesso anche vuota; non evvi alcun rimedio ma solo si raccomanda la migliore coltura de’ campi. 12. Debolezza. Poco differisce dalla precedente, e si verifica quando la spiga non può uscire dall’ anello della guaina; perciò invece di sbucciare verticalmente esce di lato: deriva dal tempo asciutto , o da venti durevoli che stringendo fortemente le ariste intro- dotte, l'anello s' inaridisce ed esse non possono uscire regolarmente: fiorirà quindi male la spiga, e così darà semi scarsi. ed esìli. 19. /nceppamento. Talvolta la foglia vaginale divien molto gra- cile, e si allunga più della spiga stessa; ripiegan- dosi inviluppa in tal guisa l'artista, onde la spiga riesce mal conformata, e dà frutti abortivi. 14. Paralista. Veggonsi alcune spighe uscite dalla guaina ri- gogliose, ed invece di fiorire impallidiscono dal nodo superiore in su, rimanendo verde il resto della pianta. L'autore di questo male è un insetto che depone le sue uova intorno all’ anello vagi- nale della foglia dopo di aver roso lo stelo infe- riore della spiga. 15. Albugine fungosa. Consiste in una quantità di picciolissimi funghi, che vivono sulle foglie del grano, e che nel prin- cipio presentasi solto forma di bianca lanugine. Il cavaliere Re la chiama /epra mista nella sua Pa- tologia vegetale, e dice che dipende dal sover- chio umido; il signor Losana però dietro le sue esperienze è di avviso che questo morbo si ma- nifesti per difetto di aria e di luce. - 16. Frullificazione abortiva. Vedesi specialmente ne’ terreni magri, e sover- chiamenie ombreggiati. Le spighe che aver dovreb- bero dodici, o tredici coppie di buoni spicoli , non ne hanno che sette in otto. Ciò avviene massima- mente quando sono stati freddi l' autunno e la primavera. I terreni esposti a' venti del Nord sono ERO più soggetti a questo inconveniente come al pari lo sono quel'e terre circondate da’ boschi, ove i vapori gelati vengono a depositarsi in maggiore abbondanza, e recano così un danno incalcola- bile alle tenere spighe. Ne'terreni caldi se con- tengono letame non ben maturo, spesso si orserva una consimile malattia, che attacca tutta la pianta, e ciò deriva senza dubbio dalla mancanza delle acque opportune: ma se il terreno si lascerà ad uso di pascolo , se i concimi saranno ben maturi, e se isolchi si faranno convenevolmente profondi, si avrà un rimedio infallibile a questo male. Vi ha pure un’altra specie di aborto che sconvolgendo d'improvviso le forze vitali della pianta le reca una morte istantanea, come se venisse colpita da una apoplesia ; essa si fa totalmente bianca, e dis- seccasi in brevissimo tempo. Pare che lo stato elet- trico dell’aria, ed il passaggio dell’ elettricismo da questa ella terra, e dalla terra a lei, siano ca- gione di tal danno. Edin fatti si attribuisce ai ba- leni un tristissimo effetto su tutte le biade mas- simamente ove accadessero nella lora fioritura. 17. /Veeròsi. Succede quando le spighe da un freddo notturno passino repentinamente al caldo ardente del sole, e così sl cancrenano. AL IS. Rachitismo. Questa malattia deriva da che l’interna sostanza de’ granelli rachitici si cangia in una massa di piccioi vermi che si sviluppan dalle galle ra- chitiche, e quindi penetrando nelle biade le dan- neggiano non poco. I rimedì consistono 1.° nello svellere le piante che ne sono infette. 2.° nel co- gliere con diligenza le spighe all’atto della messe. 5. nel dar fuoco alle stoppie quando ia natura della coltivazione de fondi lo permetta. 4.° nel cam- biar prodotto al campo. 5.° in fine nel ben net- tare la semenza, e concimarla. 19. Za golpe. La golpe finalmente che noi diciamo dufor? non distrugge tutto il grano ma nealtera la sostanza, siccome lo dimostrano l’odore ed il gusto nauseoso: alcuni grani ne sono attaccati in parte, e non per- dono la forza germinativa. Questa malattia si svi-_ luppa alla formazione del grano, e si scovre dopo la fioritura. Le spighe prendono una cattiva ap- parenza, divengono pallide e si covrono di tanti punti neri. Questo male esiste nella semenza, ed è ereditario. Noi altrove discorremmo a lungo de’ rimedî che si praticano per preservare i grani da questo male, e quindi colà rimandiamo il lettore. Intanto non sarà inutile di aggiungere, che ad ov- — ipa viarvi in taluni luoghi si ricorre all'acqua sa'ata come più efficace , si perchè facilmente i semi gua- stt vi nuotano ; sì perchè non si può negare al sole un'azione di altro genere. Similmente sono efficacissime la calcina, le ceneri, l’allume, il solfato di ferro, e l’arsenico, le quali sostanze o si adoprano isolatamente , o si mescolano con al- tre. La calcìna però si preferisce a tutte, ma che sia di fresco estinta e polverizzata. Si bagna dun- que il grano con acqua calda semplice , sebbene altri vi aggiungano le orine , e le scolature del letame; si sparge poscia la calcina sopra la massa, e si rimescola attentamente ; così ammucchiato si lascia di otto a dodici ore: molto meglio è però di mescolare la calcìna coll’ acqua, e quindi porvi il grano. Altri vi aggiungono una quantità eguale, o almeno la metà di cenere alcalina, e questo me- scuglio si trova efficacissimo in pratica. Le solu- zioni di vitriolo, e di allume sono anche vantate, ma sin'ora l’esprienza non offre molti esempi in loro favore. Finalmente l’ arsenico è troppo per:- coloso perchè si possa affidare a persone idiote, che poco conoscono gli effetti di sì potente veleno. Chat MV Insetti che danneggiano le cereali. Col nome d'7rselto intendiamo quell’ essere ani- male privo di vertebre, il cui corpo e le cui gambe sono formate di molti pezzi facilmente stac- cabili gli uni dagli altri. Essi riproduconsi per mez- zo dell’ uova che la femina depone dopo |’ accop- piamento col maschio : differiscono però moltissi- mo dagli altri animali ovipari che hanno vertebre come 1 polli, gli uccelli ec: , imperciocchè que- sti ultimi serbano sempre sino alla loro morte i caratteri che portano dal guscio , mentre i primi vanno soggetti a diverse metamorfosi , ossia mu- tazioni. La loro vila si può distinguere in tre pe- riodi principali, quello cioè di bruco o larva, di crisalide, e finalmente d’ insetti perfetti. Di- consi poi perfetti perchè in questo ultimo cangia- mento acquistano tutti gli organi necessari a po- tersi riprodurre. In effetto i bachi da seta non si accoppiano se non quando siensi già cangiati in farfalle. Negl insetti generalmente parlando al terzo pe- riodo de’ loro cangiamenti si veggono delle ali che rendono difficile la loro distinzione ;. e comechè in questo stadio essi diventano massimamente no- civi attesa la deposizione che fanno delle uova per riprodursi; così è di assoluta necessità agli a- — 1560 — gricoltori il conoscere si fatta metamorfosi , affinchè possano in tempo utile occuparsi della loro distru- zione. Intanto non sarà vana la spiegazione di alcuni termini coi quali si distinguono le parti prin- cipali di taluni insetti, e sono in primo luogo. L' Anello. Questo vocabolo si applica all’ inte- ro corpo de bruchi per esser composto di tanti pezzi che a guisa di anelli s' incastrano l’ uno co- gli altri. Le Antenne son quelle specie di corni che han- no sul capo, e vengono reputati come organi del falfo. L'Abdome è la parte posteriore di qualunque insetto che noi diciamo venzre. Bruco chiamasi la prima forma che prende l’in- setto allorchè esce dalle uova. Bozzolo è quel corpo fabbricato dà bruchi di figura ovale nel quale si rinchiudono allorchè van- no a cangiarsi in crisalidi. Questi si distinguono in selosi, cartacei , e legnosi. Crisalide è lo stato in cui passa il bruco do- po di aver mutata In sua pelle tre 0 quattro volte. Larva è lo stesso che il Bruco, ma si dà que- sto nome a quegl insetti che non si cangiano in crisalidi a guisa delle farfalle. Palpi chiamansi alcuni organi che accompagna- no quelli della manducazione, come le mandibo- le, la lingua, ec. Proposeide è quell’ organo col quale gl’ insetti succhiano l’ umore loro omogeneo. >) 4 Squama dicesi delia plume che colora le ali della farfalla. Tarso è quella parte della gamba che costilui- sce il loro piede. Torace finalmente è la parte anteriore dell’ in- setto che si unisce alla di lui testa, ed a cui dal- la parte di sotto stanno attaccate le gambe. Premesse queste distinzioni cominciamo dai più osservabili tra gl’ insetti che sogliono danneggiare le piante cereali. Principalmente dunque si fa ve- dere e distinguere la falena gufa, che dicesi fa- Zena del frumento (fhalaena noctua tritici). Bruco; nudo, peloso, con tre linee bianche. Bozzolo ; risultante da pochi fili di seta. Crisalide ; brunastra. Insetto perfelto ; ali cenericce con delle macchie pallide e nereggianti , torace crestato. Questo bruco somiglia molto alla falena cala- milosa nello stato d’ insetto; divora le piante di fru- mento , specialmente se non sono state ancora sar- chiate , e se abbondano d’ erbe gramignacee. Il bruco infatti comincia dal divorare queste ultime , ed in loro mancanza si attacca alle stesse spighe del grano. L' esperienza ha fatto conoscere che in quei seminati dove abbonda la così detta coda di vol- pe (malampyrum pratensis : le falene poco vi al- lignano, e non recano al frumento il minimo dan- no ; che perciò ove quest’ insetti compariscono è di mestieri che 1’ agricoltore spanda sul campo dei semi dell’ erba predetta. ie 2.° Palena della segala (Pha/aena secalis) Bru- coi brillante liscio, verde con dieci righe traver- sali rosse. Bozzolo ; nessuno. . Crisalide; prima verde, indi color rosso carico. Insetto perfetto ; ali rossoscuro con qualche li- nea cenericcia ; nelle superiori evvi una macchia rossa con orlo giallastro simile ad un A. Le ali inferiori sono color rosso con punto giallo. Que- sto bruco ha il costume di salire lungo il piede della segala, e d' insinuarsi tanto nello stelo me- desimo , che nelle foglie. Succhia l umore della pianta, tal chè la stessa se ne muore prima che ma- turi la spiga. Questo bruco suole essere dannosis- simo, e come in preferenza si fa vedere sul mar- gine de’ campi, così appena le piante della sega- la cominciano ad imbianchirsi, fa di mestieri “ist lerlo ed abbruciarlo , allinché muojano anche i bruchi che le danneggiano : Se poi il campo ne fosse assai infestato, in que- sto caso almeno per tre anni non più vi si semi- ni il detto cereale ; perchè riproducendosi i bruchi, e non trovando di che alimentarsi andranno sicu- ramente a perire. 3. Falena del grano (Phalaena gran.L. Br UcO; nudo , bianco , cib Bozzolo; bianco, tessuto entro o con un acinel- lo di grano, o di orzo, o con pochi fili di seta. Crisalide;allungata bruna. Insetto perfetto; ali scre- ziate di nero sudi un fondo nankin, rilevate al lo- Sugi ro apice, e testa bianca. Questa falena ch'è dannosis- sima ai frumenti riposti penetra nei grana] o per le finestre,o vien recata colla messe sulla quale si trova già depostele uova nella campagna. Si moltiplica al- l infinito, e suole rimanere negli angoli, e nei soffitti de’ grana] medesimi; che perciò e prima e dopo che sisarà riposto il frumento bisognerà ben bene spazzarli e pulirli. Il calore avvanzato li favorisce assai, e non di rado le biade esposte nei covoni in luogo caldo si veggono tutto ad un trat- to infeste da queste farfalline che si riproducno ra- pidamente. Il bruco è picciolissimo , e quindi è quasi invisibile il guasto che fa; ma il frumento roso così a poco a poco diventa leggiero , bian- castro e quasi diafano. Un punto bianco circola- re che si vede sugli acinelli di esso fa conoscere la presenza di questi nocivi animaletti. I rimedì riduconsi a due sorti, cioè a quelli di precauzio- ne onde impedire la loro prodigiosa propagazio- ne; ed a quelli curazzvi dove le farfallelte sian- si già manifestate. I primi consistono in battere con ogni accuratezza le biade allorchè si traspor- tano nell’ aja per trebbiarsi Ù e quindi fa d' uopo riporle in granaj bene asciutti , puliti, e ventilati; destinandole però alla semina si usi 1 avvertenza di ben crivellarle , e di prepararle col liscivio e colla calce. Qualora poi essi |ecomparissero bisogne- rebbe soggettare il grano ad un grado di calore su- periore almeno al quinto di Del/ue; imperciocchè l’esperienza ha fatto conoscere che a questa tempe- iO ratura gl’ insetti muojono tutti ; e ciò potrebbe fa- cilmente eseguirsi , massime dove i granili si usa- no chiusi a tavole intorno intorno. E siccome tali animaletti sogliono sempre riunir- si sulla superficie del grano, senza mai penetrare nell’ interno della massa, così si potrebbe ottenere l intento della loro distruzione con fissare in mez- zo a granili de’ grandi bacini accesi sino a che l’a- ria ivi rinchiusa venisse ad acquistare la tempera- tura suddetta. Avverta inoltre il proprietario in que- sti casi di non muovere il grano , e ventilarlo col- la pala, siccome da tutti si suole costumare nella idea di diminuirne il calore che si crede prodotto da fermentazione , perchè con tale operazione non si farebbe altro, che somministrare una nuova su- perficie di esso onde essere rosicchiato. Il grano difficilmente va ariscaldarsi quante volte si ha la cura di. riporlo ben secco , ed ove andasse sog- getto a questa malattia si guadagna più col non muoverlo, che col cangiar:o di luogo. Lodevol è perciò la nostra usanza di riporre tal genere in granili alti chiusi a tavole , ma si dovrebbe pra- ticare l' altra precauzione di spargere la sua su- perficie per circa un palmo di profondità con soitile ed asciutta sabbia, perchè così si manterebbe fresco, e si eviterebbe la riproduzione de’ mentovati insetti. E quantunque in tal caso si rende indispen- sabile il crivellar quello della superficie, pure si fatto incomodo viene bastantemente compensato da vantaggi, che il proprietario ne riporta. — 1651 — Tarma delle biade ( Tinea granella ) Bruco ; nudo , bianco , colla testa bruna. Bozzolo ; cenericcio. Crisalide; bruna Insetto perfelto; con due linee gialle sul capo, e sul torace. Questo bruco vive negli steli della segala ; ne divora la sostanza, e così non la fa crescere al di là di due o tre pollici. Devasta pure l' or- zo comune. Per distruggerlo siccome sta sempre nella parte interna degli steli, così gli agronomi non han saputo indicare altro mezzo che quello di far passare un pesante rotolo sul seminato on- de schiacciarli. Ne’ terreni in particolare sabbiosi ciò si fa senza alcuno inconveniente. Mosca della sommità del grano (musca triti- ch) Larva e ninfa appena percettibili per la loro pic- ciolezza. Insetto perfetto; nero coll’addomine verde pallido. Nello stato di larva è poco più di una pulce. S’ intromette nel glume dell’ orzo, e ne divora la sostanza farinosa. Carruga agricola ( melolonta agricola. L. ) Larva; grigia coi piedi, e colla testa bianca bruno-giallastra. Ninfa; giallognola, rinchiusa in una specie di boz- zolo terroso. Insetto perfetto ; capo e torace pelosi quasi di colore azzurro , astucci giallo-lividi con una mac- Il — neo chia nera in mezzo. Ve ne sono anche privi di questa macchia. Nello stato perfetto si attacca alle spighe de'ce- reali, e vi sta per giornale intere; divora il pol- line delle stigme onde non avendo luogo la fe- condazione de’ germi , le spighe restano prive di seme. Quando esse si sono moltiplicate d’ assai i villici sogliono distruggerle con attaccare ad un bastone un piccolo sacco di tela, che nella boc- ca rimane aperto meiante un filo di ferro, e co- sì dando loro la caccia verso la sera, dopo rac- coltane gran quantità li estraggono dal sacco per abbruciarli. Punteruolo del frumento (curculio granarius, Z.) Larva biancastra. Ninfa bruna. Insetto perfetto ; rostro lungo , ora rosso, ora nero, ora color di pece. Questo insetto, e propriamente la femina tosto che viene fecondata, cosa che accade quante vol- te la temperatura è maggiore di otto a nove gra- di, suol internarsi nel mucchio del grano, vi fa una puntura mediante un organo che porta all’ a- pice del suo addomine, e vi depone un uovo. Da questo nasce la larva, la quale divorando la fa- rina spesso chiude il piccolo foro del granello co proprî escrementi. Così posto al coverto da o- gni ingiuria esterna compie tutte le sue trasfor- mazioni; quando è diventato perfelto s'interna nel grano per stare più al caldo, mentre teme mol- to il freddo, e l’aria gelata. Allor che si avvici- SR) e na l'inverno si trova nelle fessure dei muri o dei granaj, ed in tal modo per lo più muore di freddo. Da ciò che si è detto si vede esser difficile il di- struggerlo nello stato di larva, poichè chiuso nel- la corteccia del grano non ha di che temere. In “questo caso bisogna dare al frumento il grado 5.mo del termometro R. passandolo per una stu- fa, o bisognerà porlo nella liscivia, unendovi una porzione di calce. Quando poi trovasi nello stato d' insetto si di- strugge con suffamigi di zolfo, con tele insuppa- te nel sugo di sambuco, ed applicate al mucchio del grano; ma la miglior cosa si è quella di ri- porre il grano fresco e ventilato , imperciocchè come dicemmo essendo nemico del freddo facil- mente abbandona il luogo dove si trova. Si usi però l'avvertenza di situare in poca distanza del granile infetto un piccolo mucchietto di tal gra- no, acciocchè i punteruoli riunendosi tutti presso dello stesso, si possano facilmente distruggere col versarvi sopra dell’ acqua bollente. Grillo talpa, ossia zeccaruolo (acheta grylotal- pa. Fabr. ) Ha le ali prolungate a foggia di coda ed i pie- di anteriori palmati. Esso dà il guasto agli orti ed alle biade , e perciò si rende notissimo agli agricoltori. Suol vivere sotto terra a guisa delle talpe , ed esce di notte per volare, e per accop- piarsi. Depone Ie uova dentro spazî circolari nel campo che non sono mai meno di 400 ; si mol- ; kK Lili tiplica quindi quasi all’ infinito. I campagnuoli per ucciderli usano scavarli colla zappa, ma questa fatica riesce lunga e dispendiosa: d’ altronde sic- come sono essi molto amanti del letame cavallino, così potrebbe spargersene a piccoli mucchi so- pra i detti buchi circolari , perchè accorrendovi gli animaletti in quantità, e scovrendosi di buon mattino, si possano facilmente uccidere: così si avrebbe anche il vantaggio di concimare il cam- po con buon letame, specialmente ove il terreno fosse argilloso. L' accortissimo Bayle-Barelle rac- comanda in vece la calce, e ciascuno ne com- prenderà facilmente la ragione. Ciò dovrebbe far- si sul prncipio della bella stagione , arando pri- ma il terreno. I campagnuoli sogliono anche formare de fossi con entro dell’acqua, e facen- do dar loro la caccia da’ fanciulli, così facilmen- te vi cadono, perchè non dispiegano molto a lun- go il loro volo. Grillo grosso ( gryllus grossus. L.) Tiene gli astucci verdi, e le cosce sanguigne. È pure non poco nocivo, e si distrugge come i precedenti. Sarebbe benfatto di bruciare le stoppie in Luglio essendo questo un mezzo sicuro per po- tersene liberare. Gorgoglione dell’ avena ( Aphis avenae. L.) Insetto perfetto di color giallo terreo, colle an- tenne e piedi negri, e coll’addomine verde. Attacca i culmi dell’avena, e la rivolge a pro- prio vantaggio, | oa Nel descrivere brevemente i diversi insetti che danneggiano i cereali abbiam pure cennato i vari mezzi che si possono praticare onde ottenerne la distruzione ; ma siccome generalmente vengono essi riguardati come deboli e poco efficaci, perchè non potendosi distruggere tutte le uova, ed i boz- zoli; gli stessi si moltiplicheranno di nuovo, e così ne verranno innumerevoli novelle generazioni, men- tre si sa che il numero de bruchi per ciascuna fa- miglia delle falene processionali arriva a sette ad ottocento. In conseguenza a poter giovare al- l'agricoltura con liberarla per quanto sarà possi- bile da questi dannosi animaletti, non vogliam tralasciare di esporre alcune idee del nostro chia- rissimo Niccola Pilla da Venafro, le quali perchè desunte da una soda e ragionata filosofia, e per- chè facilmente praticabili, ci sono sembrate degne dell'attenzione de’ coloni. Il prelodato Scrittore in una sua memoria sulla generazione degl insetti, e sul vero metodo di combatterli , propone primieramente la necessità di conoscere la causa che dà luogo alla loro ge- nerazione; conosciuta quindi una volta, e poscia rimossa o minorata , si conseguirà sicuramente lo scopo di distruggerli, o di allontanarne consi- derevolmente gli effetti. Opina egli dunque che la grande opera del- la riproduzione cesserà di essere un mistero , e forse sì ravvicineranno ancora più tutte le me- tamorfosi nelle tante e varie generazioni ogni volta — 106 — che il sistema dell'affinità entri ancor esso nel calcolo delle forze riproduttive, animate dall’elez fricismo pur troppo sensibile nell'unione degli es- seri animali , si uniranno per effetto dell’affinità predetta, e formeranno altri esseri simili a loro produttori, quantunque non ci sia dato di spiegare i motivi interiori della natura che li determinano. Si può intanto ritenere, che in fatto di riprodu- zioni zoologiche la fermentazione , e la putrefazione delle sostanze vegetabili dian luogo alla genera- zione degl'insetti. Se dunque allontanar si potesse dalla natura quel moto interiore de'corpi morti sì vegetabili che animali, che li mena alla risolu- zione, cioè a dire ad ogni sorta di fermentazione e di putrefazione, mancherebbero gli elementi pri- mitivi ossia le molecole organiche, ed allora se ne minorerebbe senza altro il numero. Egli dice che forse la posterità vedrà meglio verificata que- sta sua proposizione ove più si avvanzasse nella laboriosa carriera della chimica animale. Ed in effetti pare che le giornaliere scoverte concorrano” a sostenere ciò ch'egli forse credeva una semplice congettura. La insigne scoverta fatta a nostri dì dal rinomato sig. Tranchina per involare i cadaveri alla putrefazione, appoggia di molto il sentimento del nostro Pilla, imperciocchè le preparazioni chimiche dell’ illustre Siciliano opponendosi appun- to al moto interno di cui parla il Naturalista di Venafro, fanno sì che il corpo animale già morto non sì risolva, e quindi non vi si generino rapi- 2a 107 Di damente come prima degl'insetti. E se egli è pur vero che il corpo umano possa pietrificarsi anche con chimiche preparazioni, non sarà così piena- mente comprovata la congettura del nostro dotto Scrittore? I mezzi quindi da lui suggeriti onde ot- tenere la distruzione degl'insetti non saranno più delle circostanze vaghe e poco sicure, ma invece troveranno il loro appoggio e nella sana filoso- fia, e nell'esperienza sostenuta da chimici ritro- fait Ci piace quindi di soggiungere le stesse sue parole, onde l’ agronomo ed il colono ne trag- gano il miglior partito possibile ». Dietro que- sti principî, quanto più la coltura delle terre si rinnoverà, tanto meno gl'insetli si svilupperanno. Quanto più s impediranno le fermentazioni e le putrefazioni , tanto meno insetti si produrranno. Per ottenersi quest'ultimo sco po si dovrebbero adot- tare 1 due seguenti mezzi. 1.° Le materie vegetabili ed animali destinate per gl'ingrassi e che necessariamente deggiono su- bire il moto interiore per essere utili si dovreb- bero mettere raccolte sotterra, al coverto dell’aria atmorferica , ed ad una profondità tale che l’azione della luce, dell'acqua , e di una benefica tempe- ratura le animi. È fuori dubbio che lo stato della loro maturità sarebbe molto più tardi di quel che avviene quando le materie son ordinariamente espo- ste all'aria ; ma si otterrebbero due grandi van- taggi ; il primo che l’ingrasso sarebbe più utile siccome più oglioso, non consumandosi tanto idro- = 108 — geno, e tanto carbonio del gas ossigeno dell'aria, con generare acqua e gas acido carbonico. Mancherebbero gli abozzi delle molecole orga- niche degl’insetti, le quali non possono essere ani- mate che dalla piena presenza dell’aria atmosferica. I.” Fuori delle sostanze vegetabili ed animali destinate per gl’ingrassi, e per le arti, tutti i corpi animali e vegetabili subito che sono privi di vita dovrebbero bruciarsi. La natura allora con queste combustioni più non abbozzerebbe le molecole or- ganiche degl’insetti; ma porterebbe immediata- mente i corpi organici morti alla mineralizzazio- ne, alla quale essi presto o tardi sono destinate senza far loro subire il moto interiore, cioè a dire la fermentazione e la putrefazione, epoche troppo propizie per la generazione e moltiplicazione de- gl’insetti ». Del pari non sarà fuor di proposito soggiungere le altre riflessioni del professor Barelle sulla stessa materia le quali riduconsi alle seguenti. A sei egli dunque limita le cagioni che danno occasione alla propagazione degl’insetti. 1.° All’umi- dità del suolo congiunta ad un certo grado di ca- lore. 2.° Al difettoso e non abbastanza ripetuto la- voro delle terre. 3.° Al difelto di non bene ordi- nata alterna coltivazione. 4.° Alla conservazione degli alberi vecchi e malaticci ed alle cattive se- menze. 5.° Alla distruzione degli animali volatili che divorano gl insetti. 6.° Finalmente alle cattive n 10) concimazioni de terreni, fatte cioè con letame non bene consumato, la cui qualità favorisce la loro ‘propagazione. Sulla 1.° è da osservarsi che ne’climi più caldi si veggono moltiplicare a dismisura gl’insetti, ma la mancanza di umido li fa morire, poichè in qua- lunque stato essi siano, per poco che traspirino restano esiccati, meno i soli grilli che vivono bene ne luoghi adusti; è perciò che questi animaletti cercano delle ombre, vanno di notte ai pascoli , si nascondono tra le foglie e scorze degli albe- ri ec. ec. Più altri insetti secondo la diversa loro natura si producono colle varie stagioni, e quando propriamente trovansi preparati gli alimenti vege- tabili de’ quali si nutriscono : in conseguenza di- minuirà il loro numero se meno piante vegetabili ed erbe parassite allignano sul terreno. Infine siccome le acque stagnanti conservano dell'umido che tan- to li favorisce, così diminuendolo, si allontaneran- no anche gl’insetti. 2.° Le terre malamente lavorate o perchè ri- mangono in una specie di riposo, o perchè sono poco smosse dall’aratro danno pure moltissimi in- setti; quindi sprofondando bene il suolo, e par- ticolarmente in tempo di autunno, gli oviccini, i loro nidi, le larve restano esposte al freddo, ed all’in- temperie dell’aria, e così si distruggono. Più, ab- biamo non pochi volatili, 1 quali con particolar predilezione godono di pascolare lungo i solchi che fa l'aratro, ed_in tal guisa si distruggerà pure una quantità d’insetti (1). 3.° Anche una bene intesa alterna coltivazione delle terre diminuisce gl’insetti; essi amano e pre- feriscono per lo più talune piante come adat- tate alla loro natura, e su di esse in preferenza sogliono deporre le uova. Ora alterando la colti- vazione de diversi vegetabili sicuramente si distrug- gono quelle date erbe che sono loro grate, e quindi mancando il necessario alimento, o periranno o si recheranno altrove. Intanto sarà sempre ben fatto seminare di luogo a luogo qualche pianta annua- (1) Preghiamo le nostre Società Economiche di occuparsi de vantaggi, e de’danni che potrebbe recare all’ agricoltura la proibizione di cacciare con arme da fuoco almeno per due anni. Saggi regolamenti si sono adottati da diversi Go- verni per la distruzione de’ bruchi ; ne si è mancato di av- verlire che malamente da cacciatori in Puglia si sono uc- cisi varì animali soliti di cibarsi di tali insetti, anzi alle pa- gini 92, e 93 del Tomo XXIII del Dizionario Economico Rustico di Roma si legge il seguente articolo = Lasciando liberamente pascolar le galline e le anitre neile campa- gne sì diminuisce non poco il numero degl’ insetti : van- taggio che si ricava non meno dall’ abbondanza di varie specie di uccelli che si dicono di bocca gentile ; che però dovrebbero essi andare esenti dalle insidie del cacciatore. Se non che nel tempo istesso che i detti volatili distrug- gono gl’ insetti, danneggiano i teneri germogli delle utili piante — Forse le rondini vanno esenti da simile taccia. Anche le rane distruggono moltissimi insetti ed altri ani- mali nocivi. Vietate dunque la caccia nelle vostre terre, e provvedetele di buone peschiere nelle quali si possano iraltenere e propagare. / le, che per il suo graveo/ente odore, 0 altra pro- prietà a noi ignota possa allontanare gl'insetti da' campi; così per esempio la coda di volpe allon- tana la falena calamitosa, lo stramonio allontana dagli orti le farfalle dette cavolaje cc. 4. I vecchi alberi, i tronchi cariati, ed altri vegetabili malsani non poco influiscono alla mol- liplicazione degl’ insetti ; l'esperienza ce lo fa ve- dere giornalmente , imperciocchè ove questi ab- bondano voi li vedrete crescere a dismisura, ed in que luoghi , ne' quali gli alberi son vegeti e rigogliosi difficilmente troverete moltiplicate le loro famiglie. Dicasi lo stesso delle sementi delle bia- de guaste e patite, mentre tali semi non poten- do dare delle piante robuste , attireranno anche degl’ insetti. . 5. Circa l'utilità degli uccelli insettivori già abbastanza se n’ è detto nella nota precedente; so- lo soggiungiamo che se si potesse fare il calcolo degl’ insetti che son divorati giornalmente da tan- ti e diversi uccelli, resleremmo sorpresi del vantag- gio che questi apportano nell’agricollura; e sarem- mo costrelti a conchiudere che mentre essi sono i perpetui custodi de’ nostri campi, noi li distrug- giamo con riprensibile crudeltà ed ingratitudine. I metodi poi che il signor Barelle propone per distruggere gl’ insetu riduconsi — A cercarli per dar loro la caccia ed ucciderli: sono note a tuttt le pratiche che si usano nelle nostre pro- vincie specialmente nelle Puglie, qualora i grani a lari Led 1°/2 ed altre biade vengono infestate dai bruchi. Altri metodi si propongono pure dal mentovoto profes- sore; ma noi li tralasciamo come quelli che ri- guardano insetti nocivi agli alberi, e non parti- colarmente ai seminati. Finalmente tra le tante aspersioni si loda la seguente, che può aversi co- me innocente— Si prendano diciotto lib : di fuligi- ne in cinquanta d’acqua, o pure sei di tremen- tina in diciotto di acqua : colate il fluido dopo che sarà raffreddato e spargetelo sul campo. Più per i terreni pingu. ed argillosi si raccomanda la calce, il gesso, o la cenere: con tale metodo se i vermi non sì distruggeranno all’in tutto, ne resteranno almeno in buona parte liberate le terre. GC ASPSOXVE Della Messe, Quest operazione è senza dubbio la più interes- sante di quante ne abbiamo descritte perchè me- na a far raccogliere ai coltivatori, ed a’ proprie- tarî il frutto delle loro fatiche e delle loro spese. Prima dunque della maturità de’ cereali è neces- sario che ciascuno apparecchi le sue cose in mo- do da non ritardare in minima parte il ricolto. bisognerà anticipatamente visitare i proprìî magaz- zini, farvi eseguire tutte quelle rifazioni che si cre- deranno necessarie : Siasi sommamente accorto a farli ben pulire, toglierne tutte le fuligini, ed a ad oppilare tutti buchi, ond’ evitare la moltiplicazio- sd, — IT) — 4 ne de' sorci, e di altri insetti nocevoli. Dove si prali- cano de'granili a tavole l'una sopra l’altra bisognerà toglierle tutte, e pulir!e egualmente , facendo altret- tanto per gli angoli de' medesimi, per il loro piano, e per le travate. E necessario eziandio tener pronti gli operai, gli strumenti opportuni, e le ligature di giunchi, e di vimini per comporre i covoni. E vero che tra noi non si manca di braccia, ma spesso avviene che la messe maturi tutta ad un tratto, e quindi vedesi sgranare dagli eccessivi calori; sarà: perciò ben fatto provedersi a tempo de contadini bisognevoli. Nelle Puglie dove le te- nute son vaste i proprietari sogliono disporre giu- diziosamente le genti che potranno bisognare al- l'oggetto. Persone delle limitrofe Provincie usano di colà recarsi nel mese di Maggio, e ricevere delle caparre per poi condurvi compagnie di mie- titori, come pure altri vi si recano alla ventura, ed in conseguenza rare volte si manca di lavoratori. Più l'economia rurale richiede che si conosca con approssimazione che quantità di grano possa raccogliersi da un’ uomo in una giornata. Ciò di- pende dalla posizione de luoghi , dalla maggiore, o minore spessezza de’ grani stessi, ed anche dalla loro maturità. In un luogo piano dove i culmi sono folti, dove le spighe non vanno soggette a sgranarsi, un uomo solo può mietere tanti mani- poli in un giorno da farne circa sessanta covoni: dove poi le terre sono appese, i grani diseguali e rari, se ne faranno senza. dubbio di meno. In quanto a raccogliere i manipoli si suol destinare + Gp ad ogni quattro mietitori un altro uomo per li- garli e formarne i covoni: il trasportarle poi al- l’aja rimane a carico de’ fanciulli e delle donne che vanno a spigolare; nelle vaste tenute però , e ne luoghi piani bisogna in vece esser provveduto di animali e di carri opportuni. La falce che si usa tra noi è la comune , che senza dubbio può dirsi la migliore tra quante se ne siano escogitate per la raccolta de cereali, tra perchè evvi grandissimo risparmio di tempo, tra perchè la è di maggior comodo a° mietitori. La stessa vien formata da una lama ricurva quasi in semicircolo, la cui base vedesi fermata iu un pic- ciolo manico di legno ; suol farsi o tagliente, o con gran numero di picciolissimi denti, anzi varia secondo i diversi paesi ne' quali si usa: in fatti ora forma un semicircolo esatto, ora più allar- gato, ed in qualche luogo si trova anche fissa per- pendicolarmente al suo manico. Per conoscerne la bontà bisogna porre mente alla sua tempera , imperciocchè ove questa non fosse eguale in tutta la estenzione della lama, le sue parti altre si spe- rimenteranno più dure, ed altre più molli. Per farne la prova convien servirsi di una pietra da arrotare , passandola leggiermente ‘per il taglio, e secondo la medesima morderà più o meno, così conoscerete dove il taglio sia duro, dove non ben solido, e dove al suo giusto grado. Potrete anche servirvi di un coltello, o di una lima battendola su di essa, e così le diverse impressioni v'indiche- —__ Ni a ranno l’ ineguaglianza della tempera. Nel bisogno poi le parti molli che si vorran fare più dure deb- bonsi bagnare con un pò di acqua fredda, prati cando lo stesso coll’incudine, e col martello , e si batteranno fino a che si sarà raggiunto lo scopo: le parti dure al contrario si batteranno asciulle , ed in tal guisa la lama si stemprerà acquistando a poco a poco quella dolcezza di taglio che le si vorrà dare. In quanto a’ modi di mietere possiam dire es- ser quasi infiniti. In alcuni luoghi di Europa le ce- reali si tagliano colla sega, perchè così le spighe non sono molto soggelle dl sgranatura: quando però si ha l' dn di reciderle non molto secche e sempre da dirsi preferibile la falce, poten- do inoltre aver per norma che tali debbano essere que grani che si vogliono destinare al commercio: d'altronde si faccian maturare perfettamente quei che si conserveranno per semenza , ed in questo caso far si potrebbe uso della sega, quantunque tra noi la destrezza, e la sollecitudine suppliscano benissimo al vantaggio che quella presenta. Ne'cam- pi dove per le acque abbondanti, o per venti trop- po furiosi le cereali veggonsi sconvolte e quasi ade- gualte al suolo, anche molto gioverebbe il servirsi di questo istrumento , perchè si perderebbe di me- no ; ma se per l’ intemperie dell’ aria, o per altri motivi dovrà il campo rimanere nel medesimo sta- to, si avrà pure una perdita maggiore, massime se vorrete tener conto delle paglie che in buona = ab parte van perdute col taglio della sega , mentre con essa si rimangono sempre le stoppie assai lun- ghe. In questo regno nel 1313 per cura del Mini- stro dell’ Interno st pubblicarono alcune istruzioni sulla falce da mietere il grano , che principal- mente riduconsi a ciò che siegue. Tra le altre co- se nella lettera del dotto Ministro che precede tali istruzioni, e che fu diretta alle Società economiche delle Provincie si dice — Noncredo che possa es- sere malagevole a’ nostri coloni nel segare la mes- se adottare lo stesso meccanismo che usano nel re- cidere il fieno, aggiungendo qualche precauzione che si rende facile coll’ esercizio. In tal modo potre- mo ottenere il vantaggio di salvare con prestezza le nostre messi dalla devastazione de’bruchi, non- chè da quella che spesso ci cagiona la grandine nel tempo della mietitura , oltre al risparmio di un travaglio pur troppo lungo e penoso , ch' ese- guir si dee da’ nostri contadini colla messoja , cau- sa di tante loro mortali infermità. Quindi si vie- ne a far parola della istruzione già pubblicata da quella Società patriotica di Milano , e presso a poco ne’ seguenti termini. Molti agronomi qui- stionano se nella mietitura del grano convenga adoperare la falce che chiamasi anche ranza , o pure la messoja, che i Lombardi chiamano seghez- zo : e tutti son di accordo nel dire che colla pri- ma si faccia più lavoro e meno fatica : ma sog- giungono tali vantaggi non son minori di molto | ai danni che dal di lei uso derivano. In fatti la falce scuote le spighe e perciò si sgranano se le ce- reali per qualche necessità si debbono mietere al-. quanto tardi , le lascia cadere sparpagliate , ed a ricuperarle vi s impiega non poco tempo ; più me- sce le erbe cattive alle piante del frumento , ed in fine non poco nuoce alla salute de’ mielitori. A tali obiezioni si risponde che quando la falce sia ben maneggiata i culmi restano quasi dritti, e ca- dono dolcemente sul rastrello annessovi senza scos- sa, che certamente è minore di quella che produ- ce la messoja. D'altronde per evitare la sgrana- tura si mieta nelle prime ore del mattino o ver- so sera, perchè così sarà senza dubbio minore l’a- zione del sole ; ed inoltre mentre da un lato la falce fa risparmiare gran tempo , gli operai dal- l’altro raccoglieranno anehe più agevolmente. E se poi perdonsi delle spighe , ciò nasce dalla po- ca perizia di coloro che van riunendo il grano mietuto ; sebbene possonsi anche raccoglier dopo separatamente , attesa l'abitudine de’ fanciulli e delle donne che per lo più vi si destmano. Se col- la falce segansi eziandio 1’ erbe estranee , ciò do- vrà aversi piuttosto come un vantaggio , percioc- chè sarà sempre meglio portare i loro semi sull’aja che rimanerli nel terreno , d'onde ripullulerebbe- ro nella ventura primavera. Si sanno poi i mez- zi da purgar i semi del frumento , ed in conse- guenza con facilità potremo ovviare a questo in- conveniente. In fine se usandosi la falce i mieti- tori van soggetti a varie malattie, e particolarmen- 12 See Fi te al mal dei reni , siccome osserva Duhamel, ciò si attribuisca agli operai medesimi che non sanno mantenersi in una convenevole positura recidendo la messe. Guidata da questi principî la Società esa- minò diverse falci che le vennero presentate , coì- le quali aveasi l'oggetto di minorar fatica, e di ab: breviar tempo , onde così con poca spesa , ed al più presto togliere da ogni pericolo la messe per la quale sudò un’ anno intero il povero agricolto- re: ma le stesse non corrisposero allo scopo. Se n'ebbe in seguito un modello dalla Slesia, e fat- tala lavorare di una giusta grandezza , in pratica si trovò buona, perchè riuniva gl’ indicati vantag- gi: ne fè quindi pubblicare il disegno , la descri- zione e l’uso accoppiandovene un’ altro poco dif- ferente ch’ erale stato inviato dal cavalier Bram- billa proto-chirurgo delle armate Imperiali di A- ustria. La prima è poco diversa dalla falce comu- ne che adoperasi per il fieno ; il ferro ne è un pò più picciolo , e vi sono aggiunti quattro denti di legno paralelli al ferro stesso 1 quali son de- stinati a reggere il grano, affinchè reciso non ca- da sparpagliato e scomposto. Quella di Austria è simile a questa, ma il ferro vedesi formato più grande , ed 1 denti anche più lunghi: il manico è pure più basso, ed alquanto ricurvo. In quella corrisponde a sei palmi ed once tre e mezza di nostra misura napolitana ; il ferro ha palmi due ed once undici; il legno dove sono situati i den. tt palmi due, ed once sei e mezza. In quella d’ Au- — age stria poi il manico è di palmi cinque e dieci on- ce , il ferro di palmi quattro e tre once e mezza, il legno di palmi due ed un'oncia e quarta ; si os- servi però che dove segando il fieno si tengono i piedi quasi paralelli , nel segare il grano deb- bonsi tenere l’ uno dietro I° altro spingendo sempre innanzi il destro. Ciò nasce da che il fieno si ta- glia e si lascia cadere sul luogo stesso, mentre il grano si deve in cerlo modo far poggiare sulle spighe che sono a sinistra non ancora recise ; quindi se i mietitori rimanessero con i piedi para- lelli , sarebbero obbligati a fare un giro troppo lungo, ed incomodo per la loro persona. Intanto queste falci pur presentano degl'inconvenienti, mas- sime se i grani fossero inclinati per la soverchia umidità , perciocchè segandosi dal ferro parecchie spighe che vengono strappate e sgranate, bisognò escogitare un raccoglitore di tela , che in segui- to fu renduto anche più semplice da Francesco Pratese : così furon tali falci migliorate, mentre la prima non si lasciava più alcuna spiga in dietro , e l'altra si sperimentò assai utile , spe- cialmente dove non eran erbe , o spighe basse che poteansi introdurre tra i ferri. I disegni delle descritte falci furono inviati a tutte le Società Economiche del Regno, e quindi dovendo esser conosciute ci dispensiamo di quì. nuovamente riportarli , limitandoci solo a racco- mandarne l’uso e la pratica. Riunendo dunque le sparse idée conchiuderemo- * -— di gran quanbtà di carbonico, e per conseguenza > di esser poste fra loro distanti , affine di poter > trarre dall’ aria che sta loro attorno, quantità » maggiore di questo gas. Per la ragione mede- » sima hanno bisogno queste piante che il ter- > reno che le nutre sia spesso rotto colla zappa alle loro radici, e dall’ erbe che facilmente vi > nascono tenuto sgombro >. Giunto il tempo in cui i granoni si diradano bi- sogna pure sarehiarli , cioè a dire dovrà farsi la prima intraversatura. În questa operazione come in quella di tutte le altre cereali fa d’uopo di tulto l'accorgimento possibile, affinchè 1 piedi non re- stino feriti dalle zappezte ; il tempo opportuno per la sarchiatura è quello dopo la pioggia, e ciò per distruggere facilmente I erbe cattive, e render la ferra più minuzzata, ed atta a ricevere l'influenza alinosferica. in seguilo si pratica la ca/za/ura , quando cioè ie piante son pervenute all'altezza di circa un pie- de. Questa ha lo stesso fine che l'operazione pre- cedente ; ma riesce ancora più vantaggiosa perchè ie piante del formentone avendo di tratto in tratto de' nodi, questo covrendosi di terreno , metteranno altre radici serpeggianti lateralmente , le quali as- sorbendo maggior copia di umori nutritivi faranno i che le piante cresceranno anche più vigorose e - perfette. Si badi però a non far terminare in punta sali calzature, imperciocchè non darebbero facile — 2DI— passaggio all’ acque , ed calore del sole, che sono i due principali agenti che immensamente favori- scono il formentone. E per questa particolarità sa- ranno sempre preferibili all'aratro le zappette, le vanghe , mentre con quello l'operazione non potrà mai eseguirsi coli’ accuratezza che vi si richiede. Finalmente se all’ epoca della calzatura si ve- dessero pullulati altri getti sopra i piedi principali, bisognerà estirparli senza ritardo, affinchè non de- fraudino i primi del necessario alimento , e così dovrà praticarsi in prosieguo tanto per i novelli getti medesimi, quanto per tutte le altre erbe nocive. Vi sono alcuni luoghi dove si usa la terza cal- zatura, quando cioè i fiori son prossimi a svi- luppare. L’ esperienza ha fatto vedere che questa non riducesi ad una inutile fatica , imperciocchè se ne ritrarrà sempre una più abbondante ricolta. Bonnet aveva già falte queste osservazioni, ma per convincersene basta leggere la Memoria di Varen- nes di Fenilles, dove si-osserva che questo agro- nomo aumentò di un tredicesimo la sua ricolta facendo circondare di terra un nodo dippiù del suo granone. Terminata la fioritura in alcuni paesi vi ha il costume di tagliare le cime del formentone; a noi però questo. sembra un’ errore condannabile che che se ne possa dire in contrario. Vero è che la- sciandosi intatte le cime, gli umori si dissipano, e simpiegano così inulilmente; ma d'altronde non potrassi negare che si va a formare una piaga ben = Doa= grande, la quale cagiona una perdita considerevole de sughi medesimi, alche debba aggiungersi laman- canza degli assorbimenti, che farebbero le foglie che si vanno a recidere. Sarà dunque ben fatto praticare questa operazione assai tardi , onde le spighe si trovino nutrite, ed in conseguenza meno soggette a soffrire. Gli animali che danneggiano comunemente il granone sono i sorci, i negri ed anche i cani ; questi ultimi parlicolarmente lo trovano gustosis- simo, e ciò debbe attribuirsi sicuramente al sapor zuccherino de'suoi acinelli. Perciò essendo che in preferenza l’amino tutti gli animali erbivori , quin- di se ne fa uso per foraggio con molto risparmio e profitto. Il formentone va eziandìo soggetto alla ruggine la quale è quasi affine al carbone del frumento; noi quì appresso ne ragioneremo con qualche particolarità, e così il leltore potrà giudicare se sia una pianta parassita, o in vece derivi da altra cagione. Conoscerete poi essere il granone già ma- turo appena l’acinello sarà indurito e seccato per- fettamente; così che si durerà fatica a spezzarlo con i denti ; desumesi pure dalla totale dissecca- zione delle sue foglie, ma tante volte non è questo un segno abbastanza sicuro. Dopo raccolto si riu- niscono le spighe sul campo, e quindi si traspor- tano all'aja, per farle compiutamente disseccare. Quindi si battono con i correggiati, ed il granone si ia rimanere anche per qualche altro giorno al sole, E imperciocchè se gli acine!li saranno alquanto umidi si svilupperà immediatamente la malattia del e4- lore, per la quale non solo rimarrà sempre alla massa una muffa insoffribile, ma la farina mede- sima diverrà oltremodo amara, e non potrà far- sene alcun uso, anzi gli stessi animali negri ri- cusano di mangiarla. Altri conservano le spi- ghe senza sgranarle , perchè in tal guisa il for- mentone si mantiene per lungo tempo, ed il Paermentier ci assicura che questa disseccazione è sempre più perfetta di quella de’ grani isolati tanto per la loro conservazione, quanto per la facilità di macinarli , specialmente ove le spighe si potessero disseccare al forno. Non veggo però come ciò possa effettuarsi ove si tratti di grandi masse di formentone, ma la necessità lo richiede- rebbe massime in que luoghi non molto caldi , e quando per l’incostanza della stagione si è co- stretto farlo rimanere sull’aja per lungo tempo ve- stito. Nell'anno 1835 per simili incidenti il gra- none non si ripose prima del mese di Novembre. Or che dovrà essere in que'paesi come la Francia- dove il sole possiam dire in certo modo non ri- scalda ugualmente come il bel sole d’Italia? Fi nalmente per coloro che usano di battere i gra- noni con i correggiati, e così riporli ne’ granaj è indispensabile di vagliarlo, onde purgarlo da tutt'i corpi eterogenei , e delle pellicole dell’asse, imperciocchè trascurandosi questa operazione , il formentone sarà pure soggetto facilmente alla detta — 224 — malattia del calore. Parmentier istesso vorrebbe che si conservasse ne’ sacchi chiusi , poichè così mentre non vien privato totalmente dell’aria, gl’in- setti sono inabilitati a deporre le loro uova sulla superficie. Presso di noi si usano alcuni grossi re- cipienti intessuti di canne, che volgarmente si chia- mano canne-camere , e contengono sino a qua- ranta , o cinquanta tomoli della nostra misura na- politana , avendo l'altezza di sette ad otto palmi, e possiamo assicurare , che son da preferirsi ai grana], e a qualunque altro recipiente, sì perchè l’aria vi gioca meglio che nei sacchi di Parmen- tier, si perchè le canne contenendo pochissimo ca- lorico mantengono il formentone in uno stato di freschezza tale, che rarissime volte lo abbiam ve- duto in esse affetto dalla malattia del calore. Finalmente in quanto agli usi domestici di esso o- gnun sa che se ne fa pane eccellente per la classe dei contadini: è attissimo a somministrare gran quantità di calce, ch'è il principio costitutivo delle ossa, e cre- diamo che il continuato esercizio non influisca poco con questo vilto a rendere i contadini forti e nerbo- ruti,e quindi capaci di sostenere qualunque falica, La classe agiata anche se ne serve, ma per sem- plice capriccio e gusto, e ciascun sa per prova come nella rigida stagionele polente ripiene di tordi, o di altri delicati augelletti riescano saporissime. La classe media suole unire la farina del formen- tone a quella del grano, e se ne fa pane an- che saporoso e nutrilivo. Se ne ingrassano i ma- — 225 — jali con dei beveroni caldi; si dà all’anitre, ai galli d'India, ai polli, agli asini, ai bovi ec. Fa male però al cavalli, e da noi si è sperimentato che quando si dà agli animali neri non macinato, per lo più i loro intestini st trovano soggetti a spezzarsi negli usi domestici, e spesso anche ver- minosi. La farina però non si conserva lungo tempo, mentre dopo un anno, e talvolta anche assai meno diviene amara, ed in conseguenza non più adatta ad uso veruno. La materia glutinosa , dice Bose manca intieramente nella farina del formentone , e perciò non si può convertire in pane senza ag- giungervi la metà, o almeno il terzo di frumen- to ; tutti però fan pane di formentone, ed esso co- me ognun sa riesce ben colto , sollevato, e gu- stoso. CARBONE DEL GRANO D'INDIA. Tra le malattie alle quali è disposta questa pian- ta a noi venuta dalla Turchia si fa distinguere prin- cipalmente il cardonehio, o carbone, che secondo altri viene anche denominata g0/pe. Di essa indarno se ne cerca menzione presso gli antichi Naturalisti, i quali furono Plinio, Dioscoride, Palladio ec. im- percioechè la pianta del grano d'India essendo stata diffusa tra noi non molti anni dietro, non potean certamente farne parola que dotti conoscitori delle cose naturali. Il dotto Fisico Bonnei per quanto 19, ea bi è a nostra notizia fu il primo che si occupò a de- scrivere questa malattia. Egli cercò esaminarla mi- nutamente., e dalle sue osservazioni raccolse che la stessa consiste ora in una specie di furgosità mo- struosa; ora in taluni granelli più o meno grandi, e quasi sempre di figura bislunga o coverti di una sottile pellicola argentina soggetta facilmente a cre- pare. Tra queste specie di borse si veggono sen- sibilmente de vuoti, i quali man mano riempien- desi producono in fine una polvere di color ne- gro, che molto si assomiglia alla go/pe o al car- bonchio del grano.Il grand’ uomo s'intrattenne pure ad indagare l'origine di questo male, ma non ce ne diede una soddisfacente spiegazione. Con mag- giore particolarità se ne occupò il celebre Tillet, e ne presentò ragionata Memoria all'Accademia delle scienze di Parigi, deserivendola quasi conforme- mente al signor Bonnet, e paragonando la pol- vere nera a quella del Lycoperdon ossia vessica di Zupo. Il signor Ghiarurgi, ed il dottor Melandri l’analizzarono col soccorso della Chimica e dalle loro esperienze si dedusse che tal polvere sia com- posta di zucchero , di amido, parte estrattiva, e parte glutinosa, e tutti alterati ; essi pensarono che l'estrattivo resti ossigenato , e che l'’amido mediante l'evoluzione, e combustione dell'idrogeno resti car- bonizzato ; in conseguenza da questo debba ripe- tersi il color nero della polvere. Ciò però non sod- disfece la curiosità de’ dotti, e quindi si vide- ro in campo altre opinioni, nè mancò chi volle E 227 se crederla una pianta parassita 222/i/trata, e cresciuta nella pianta principale del granone medesimo. Il Conte Losana nel suo /raltato delle malattie del grano în erba rammenta anche varî Scrittori Bo- tanici che avanzarono lo stesso pensamento , ed in ultimo il chiarissimo Giovanni Targioni così la pensò non solo per questa malattia, ma pure per il carbonchio di tutte le altre piante frugefere. Final- mente il dottor Carradori sottomettendola a più par- ticolari ed esatte osservazioni confermò quanto i prelodati signor Conte e Targioni aveano con fon- damento opinato: imperciocchè soggettate al mi- croscopio alcune di queste fungosità si venne chia- ramente a conoscere che la malatùa consiste ef- fettivamente in una vera pianta parassita, la quale sviluppando sempre i suoi germi, ed accrescendo vieppiù le sue piccole fibre negre nella massa car- nosa delle borse, va finalmente a terminare in un mescuglio di polvere simile a quella che si osserva nel grano attaccato dalla malattia medesima. Lo stesso sostennero il signor de Candolle, illustre Bo- tanico di Ginevra, ed il signor Bulliard, il quale caratterizzò questa malattia quasi per un fungo, e lo chiamò re&zicularia segetum. Quì però sorge la ragionevole opposizione come mai coteste invisibili piantoline parassite possano vegetare in una bor- sa chiusa senza il necessario principio dell’ ossige- no, che tanto influisce sullo sviluppo di tutte le altre piante. Il Gough però dietro le più accu- rate osservazioni ha dimostrato esservi delle pian K — Napa te che benissimo vegetano in luoghi chiusi , cioè senza l’ajuto dell’aria vitale(1). Ora intanto si doman- derà come possa svilupparsi una tale malattia , se per vie cioè delle radici della pianta principa- le, o se in altra maniera non ancora conosciuta dall’ occhio del sagace Naturalista. Il prelodato Decandolle opina che questa pianta s'introduca in quelle del granone per le radici, ma il Carradori forse con maggior fondamento sostiene che i suoi germi sieno sparsi per l’aria, e così gittati da venti sul- esterna superficie del granone medesimo vengano man mano a svilupparsi , e deviando così l'umore che servir dovrebbe di alimento alla pianta principale , formino quelle diverse borse fungose che bianche sul principio , e screziate di diversi punti vanno finalmente a formare un so'o impasto che più non si discerne , e costituiscono il carbone non dissi- mile da quello delle piante frugifere. Finalmente resta ad indagarsi qual rimedio si possa opporre a questa malattia. Se con certezza non si è potu- to dà Naturalisti scovrirne l’ origine , riuscirà an- cora difficile l' apportarvi rimedio. Le vie della natura sono occulte, ed occulti al pari sono i mezzi ch’ essa impiega nello sviluppo del carbo- ne ; e perciò riuscirà infruttuosa ogni esperienza sull'oggetto ; solo in qualche. maniera si può ri- parare al suo progresso col taglio delle picciole protuberanze allorchè cominciano a comparire , (1) Brugnatelli; Termossigeno. — 229 — imperciocchè usata questa precauzione , le pianti celle parassite vengono a perdere il loro sviluppo , e così l'umore della pianta principale ripigilando il corso regolare , non di rado avviene che si veg- ga di bel nuovo vegeta e rigogliosa ed indi produr- re ben’ anche la spiga. Finalmente crediamo pregio dell’ Opera ripor- fare in breve le risposte del prelodato Carradori alle objezioni fatte dagli altri due illustri Profes- sori Pollini e Bayle Barelle contro l' opinione che la ruggine ed il carbone sian piante parassite. So- no esse estratte da una Memoria di lui letta all’im- periale società dei Georgofili di Firenze nel 1811. Il Professore Pollini dunque riconosce nel car- bone una malattia che chiama fungo , e la fa derivare da uno s/ravasamento di umore nutritivo. Le sue ragioni riduconsi alle seguenti. 1: Questa malattia è rara nè luoghi sterili , asciutti, ed ele- vati, frequentissima nè luoghi bassi, nelle terre grasse ed irrigate. Domina negli anni piovosi, e domina più nelle piante laterali che nelle altre che sono in mezzo , e ciò perchè quelle sono più esposte all’ azione delle meteore. 2.° Lo conferma coll’ analisi chimica , imperciocchè nella polvere negra del fungo si trovano in abbondanza de’ prin- cipî nutritivi, e specialmente il carbonio. 3.° La polvere poi che più si risolve nel fungo , altro non è a suo giudizio , che l umore nutritivo che va a costituire la materia organizzata della pianta guasta e decomposta. Ai Il Carradori risponde. 1.° Que’ punti neri che si veggono nella polpa del fungo nascente col mez- zo delle lenti sembrano tanti nascenti particelle parassite. 2.° Se le piante del granone più lus- sureggianti si veggono infestate dal carbone, ciò nasce da che le particelle parassite trovano ivi un terreno più favorevole al loro sviluppo ed accre- scimento. In vederlo poi «attaccare le piante in an- nate piovose , in luoghi umidi e bassi , deriva da che l’ umidità favorisce la nascita de’ funghi alla famiglia de’ quali appartiene la piantolina del car- bone ; e se le piante esterne vanno più soggette a suoi danni, ciò nasce da che sono più esposte ai minutissimi semi della refzeul/aria mays , che volano come atomi per l’aria. Inoltre non è sem- pre vero che il carbone attacca le piante più ve- gete e rigogliose , mentre si veggono pure in luo- ghi adusti e sterili; all'esempio che il Pollini por- ta del poligonum persicaria egli contropone del- le piante di sanguinnella , panzcum sanguinale colle spighe invaginate attaccate dal carbone, seb- bene cresciute in aridi terreni. 3.° L'analisi chimica non altro fa conoscere se non che essere il carbo- ne una sostanza vegetale. Più questa polvere non ha verun carattere di sostanza disorganizzata , e de- composta come pretende il Pollini, ma invece di un prodotto della vegetazione. Lo confermano le osser- vazioni dell’ illustre Giovanni Targioni che assicu- ra esser molecole organizzate , e l’ Aimen dice che la polvere nera delle vesciche sia una mede- — 231 — sima cosa che quella di cui ragioniamo. Inoltre il Targioni sostiene che sia un ammasso di cor- pieciuoli cristallini e globosi avendo un e- silissimo gambolino o peduncolo, e ne dà la fi- gura corispondente. Soggiunge anche il Carra- dori che in quelle escrescenze niuna decom- posizione sl ravvisa ; non vi ha cattivo odore , la polvere non ha sapore disgustoso , vi si trova un com- plesso di cellule nate dalla soprappesizione di mem- brane filamentese di una sostanza vegetabile , te- nera , e succolenta ; e questa si vede in un’ otti- mo stato di vegetazione ,, onde non è possibile che da esso provenga la polvere nera, che Pollini ri- guarda come un residuo di antecedente putrefa- zione. Se essa provenisse da una natural decom- posizione avrebbe dovuto subire un previo ammol- limento , e disfacimento ch’ è il primo stadio di guesti processi prima di disorganizzarsi all'in tutto; ma ciò non sì osserva; e poi è tanto sicuro che la polvere provenga da organizzazione anzichè da disorganizzazione, che nulla si ottiene di sostanza nera allorchè appostatamente si pongono i funghi a putrefare , o sia a decomporre. E quantunque il Pollini dica essere questa polvere un grado, non l ultimo della decomposizione , pure il Carradori ha provato che tenuta per più giorni nell’ acqua non si decompose, vi restò inalterata, diede qual- che piccolo odore, ed anche del sapore, ma non di materia putrefatta : l’acqua non attacca , vi st veggono sparsi 1 suoi atomi inlieri come quelli 2 lì — 1935 — della cenere di legna bruciate. Nemmeno attacca lo spirito di vino , e ciò prova che non è un pro- dotto della putrefazione, imperciocchè in tal caso Y acqua s' impadronirebbe della parte estrattiva , e lo spirito di vino della resinosa. E come si può sostenere essere questa polvere un prodotto della putrefazione se si trova esistente sotto la forma di tanti piccoli punti, o tante vene nere nella fun- gosità del carbone sin da che questo comincia a comparire , siccome lo comprovano anche le più piccole escrescenze che si aprono ? Se il color ne- ro vien costituito dalla sostanza organizzata simile ad una combustione , queste macchie dovrebbero comparire quando il tumore è al suo termine , cioè allora quando per aver perduta la vegetazione, — è rimasto vittima della putrefazione. Finalmente domanda il Carradori se in effetto il carbone è una malattia procedente da pletora, e se la natura colle sue forze produce questo trabocco o salas- so, perchè apporta del male alla pianta? dovreb- be invece guarirsi e prosperare, ma il fatto di- mostra tutto il contrario, e perciò la malattia in parola deve consistere in una pianta parassita, per- chè vivendo a spese della principale , ne soffoga il prodotta , e la fa morire. Le opposizioni del Barelle sulla ruggine e sul carbone, e le risposte del Carradori ridu- consi alle seguenti. Chiede il Barelle perchè la rug- gine ed il carbone non si manifestano mai dentro lo stelo della pianta? Il Professor Cavaliere rispon- lai — 233 — de perchè quello non è luogo adaltato, mentre la ruggine ama d’ infiammarsi sotto } epidermide dei cereali , e del carbone del granodindia nel paren- chima succolento di alcune parti della pianta del- lo stesso ; esse prescelgono e sito e parte della pianta , onde ivi ritrovano terreno più atto alla loro prosperazione. Il.° Perchè la ruggine infierisce maggiormente in tempi asciutti , e perchè la pioggia ne dimi- nuisce i danni, mentre i funghi tutti si sviluppa- no e crescono dopo l umidità? Risposta. Non è vero che la ruggine in tempi asciutti infierisca. Prima l’acqua, poi il sole, cioè a dire delle giornate calde succedute a tempi u- midi e nebbiosi cagionano la ruggine; la pioggia è vero che ne diminuisce i danni; ma quando sia abbondante, perchè così lava le p'ante, come pu- re accade se il vento le scuote e ne faccia cade- re la soverchia umidità. HH. Gome va che in taluni campi contigui l u- nu sì vede infettato dalla ruggine, e l'altro no? ftisposta. Dipende da che in quel luogo la rug- gine trova un terreno , e trova delle. piante più atte alla sua prosperità , nel modo stesso che al- cuni animali della stessa specie, e nello stesso luogo sono infestati d’ animali parassiti , ed altri non lo sono per una costituzione favorevole allo sviluppo e nutrizione di detti animali. IV.° Ma che razza di funghi è questa cioè la ruggine che si manifesta nei campi più esposti pene al sole, mentre tutt'i funghi a noi noti sfuggono la luce e perciò non manifestano il color verde ? Risposta. Anche la ruggine non ama la luce cd in fatti si sviluppa sotto l'epidermide delle pian- te cereali. E poi è falso che la luce sia con- tcaria alla putrefazione dei funghi ; lo è per qual- che specie, ma non sicuramente per tulte come per esempio la vescza ( Lycoperdon ) ed altri che vegetano nei prati lungo i viottoli , e ne cam- pi. Che poi i funghi non abbiano colore verde proviene da che queste piante non decompongono il gas acido carbonico, e liberano l’ aere termos- sigeno per appropriarsi del carbonio che secondo il Senebier è un componente della tinta verde delle piante. In fatti i funghi quantunque si ten- gano immersi nell’ acqua alla luce del sole, pure non meltono mai gas termossigeno , e perciò non sì fingono in verde. li Professor Barelle oppone che avendo sparsa ia polvere del carbone ne’ campi, ed avendola incculata al granodindia non ne ha oitenuto alcun risultamento. ftisposta. Primieramente non si sa se questa polvere sia la semenza della pianta parassita , ed ove la fosse, bisognerà riflettere che la non riuscita della propagazione artificiale non prova che non si faccia naturalmente. Si oppone come impossibile l’ introduzione del seme- del carbone Rei pori organici di alcune parti del granone, imperciocchè si veggono alcune spighe tutte sane (A CO I E SIT —_ Mo eccetto pochi granelli, essendo le spighe tutte ri- coperte di moltiplici involucri. Come dunque tai semi vi poterono penetrare ? Si risponde se è indubitabile che anche le spi- ghe più coverte danno passaggio all’ aria senza la quale non potrebbero vegetare , è facilissimo che essa nell’ attraversare l’ involucro porti seco dei semi della pianta parassita , i quali prenderanno posto dove troveranno un più comodo asilo , ed un luogo più opportuno , e favorevole al loro svi- luppo. Su tutte le parti della pianta del granone si possono fissare i semi della reticularia ch' è l' o- rigine del carbone, ma non lutti si sviluppano ugualmente siccome ha osservato con molla ocu- latezza il prelodato Signor Carradori, però prospe- rano in preferenza quelle che sono impiantate dove evvi maggior nutrimento e prendono l' aspet- to del carbone quelle che sono nelle parti succu- lenti , o sopra le venature delle foglie, ove si tro- vano 1 vasi apportatori del nutrimento. Più se la malattia è l'effetto di una pletòra universale, per- chè lo sfiancamento del tessuto cellulare è così par- ziale? Perchè in tutti gli anni non fa qualche com- parsa? Vi sono degli anni ne quali sul grano non si vede nemmeno una macchia di ruggine; ed è impossibile che in tanta semenza , in tanti diversi terreni non vi sia almeno una pianta pletorica ? Finalmente il Carradori conchiude non dover- si dubitare che i funghi siano piante parassite , e se si danno de’ funghi che sbucciano dai tron- ad chi delle piante principali, non dovrà mettersi in dubbio che le semenze vi siano state trasportate da una cagione esterna. E poi che si dirà dei funghi che nascono da tronchi già morti, e ne’ qua- li non evvi sicuramente una soprabbondanza di amori? Si conchiuderà dunque che il carbone, e la ruggine sieno delle vere piante parassite prove- nienti da semi che dall’ aria vengono trasportati ed impiantati nelle piante principali del granone e del grano. CAP. XXIL Del Riso. Il riso è da mettersi anche tra le piante cerea- li. Esso richiede un clima caldo, e perciò riesce bene nella nostra Italia ; ma non così nelle re- gioni della Germania , e della Francia. Il cele- bre TAaer dubita a ragione , che tranne dentro Ie stufe, non ne maturi mai una pianta nel nord della Germania. Il suo annotatore però V. Grud fa osservare che se il riso non è riuscito in Fran- cia è da attribuirsi ad altre cagioni del tutto di- verse da quella del clima. Nel nostro Regno si coltivava con successo , e specialmente nelle pia- nure di Salerno, dove usavasi il metodo se- guente. Destinavansi alla semina di esso grandi tenute di terreno sgombre di ogni sorta di albe- ro, poste a mezzogiorno , e che potevano essere EJ bagnate dal fiume Picentino : prima però tl si 231 la suolo si appianava ben bene , s'ingrassava con buon leiame , e si divideva in ajuole nelle quali affidavasi il seme del riso verso la metà del me- se di Marzo. Dopo trenta giorni in circa si svelle- vano le piantoline già nate e si trasportavano nel- le risaje, nel suolo cioè dove piantar si doveano, e che già si trovava atto a riceverle per le acque che vi eran corse, e che lo avean ridolto in uno stato fangoso ; quindi alla distanza di circa palmi due quadrati si siluavano , mettendone tre 0 qual- tro unite insieme, e così si lasciavano per una settimana. Dopo tal tempo pralicavansi le zappa- ture che st ripeteano da 15 in 19 giorni, e si toglievan via tufte l’ erbe estranee come contrarie alla sua vegetazione. Verso i principi di Settem- bre le piante giugevano alla loro malurità dando non già delle spighe come tutte le altre cereali, ma delle spazzole come quelle del miglio , che sorgendo dal medesimo stelo si sfioccano in mol- tiplici gambi, de’ quali ciascuno tiene i propri granelli. Questo era il momento di togliere l’ ac- que in mezzo alle quali queste piante nuotavan sempre, e dopo quattro, o cinque giorni falcia- vasi il riso, se ne formavano de’ fascetti, e si trasportavano sopra un aja di terreno , nella quale si battevano per farne cadere gli acinelli : di là sì trasportavano in un’ altra aja di fabbrica , e vi si faceano rimanere altri due giorni per asciu- gare. Con i molini ad acqua poi si tagliava al riso la pule, de’ quali devesi l’ invenzione a Ni- — 233 — cola Bottiglieri nativo di Pastena borgo di quella città. Noi ci dispensiamo dal darne la descrizione si perchè son generalmente conosciuti, si perchè venne fatta con molta chiarezza e precisione dal nostro illustre Onorati (1). Prima intanto di soggiungere qualche cosa sulla coltivazione del riso presso taluni altri popoli del Globo , diciamo che nelle nostre risije non si facea mai mancar l’acqua, e ciò ad oggetto di macerare il letame che totalmente crudo si trasportava dalle stalle sulle terre, così che se l’ acqua fosse mancata per qual- che giorno , il grande sviluppo del calorico avreb- be fatto subito perire le piante. In fine però per- chè questa coltivazione fu sperimentata nociva alla salute degli abitanti, altesi i miasmi che infetta- vano l’aria, nel 1814 con Decreto di quel Go- verno fu per l’ avvenire proibita, e d° allora in poi quelle terre sono state destinate ad altri lavori non men proficui delle risaje medesime. Coltivazione del riso nell’ Indie. Il riso come cennnammo costituisce il principale alimento degl’ Indiani, e perciò impiegan’essi tutta la loro cura alla sua coltivazione. Ha necessità di acqua, e poichè le loro terre ne mancano , co- sì sì sono applicati ad inventare delle macchine (1) Tom. IV delle sue cose rustiche. Napoli 1804 pagi- na. 128. per supplire a questo naturale bisogno, Le prime pratiche nella coltivazione di questa pianta non differiscono dalle nostre, e quando è matura si taglia con una falcetta all'altezza di petto d'uomo; e mai rasente terra siccome si usa per le nostre ce- reali. Dessi battono il riso anche per la seconda xolta, affinchè n’ escano gli acinelli che forse vi son restati dopo la prima battitura. Le loro terre son divise in larghe aje quadrate ognuna delle quali è provveduta di un serbatojo dove si conservano delle acque necessarie perl’innaf- fiamento del riso. L’estraggono poi coll’ ajuto di una leva non dissimile da quelle che praticano i nostri ortolani, e per mezzo de’rigagnoli le di- stribuiscono per tutta la superficie del terreno. Le risaje dell'India non sono mal sane, perchè im- mediatamente dopo la fioritura sì fa scolare l’acqua, per introdurvele nuovamente poco prima della per- fetta maturità del riso. All'epoca in fine del ri- colto si fa di bel nuovo scolare, e dopo che la stessa sarà bene asciutta si raccoglie il riso, se re sotlerrano le stoppie , e si prepara il suolo alla semina susseguente. Coltivazione del riso nel Giappone. Per i Giapponesi il riso è pure il principale ali- mento. Secondo Thumberg non hanno essi altro pane, e lo mangiano con la carne, e con tutte le vivande di lor uso. Il metodo di coltivazione / riducesi al seguente. Verso i principî di Aprile vangano o rivoltano le terre , e quindi le sommer- gono, purchè la posizione de’ luoghi non sia ta'e da innaffiarli senza alcun soccorso dell’arte. La se- mina si comincia sopra terreni ben preparati e molto densi, e quando le piantoline son giunte all'altezza di un piede, si trapiantano in mazzetti separati alla distanza di dieci in dodici pollici tra loro. Presso que popoli le acque si raccolgono in terreni alti muniti di parapetti , e quindi si span- dono per le sottoposte risaje. Il ricolto si fa in No- vembre , e per estrarre il riso si battono 1 mani- poli contro di un muro, o di una botte , liberan- dolo così da suoi inviluppi. Si trebbia pure innanzi alle porte delle case sopra stuoje battendolo con i correggiati che noi chiamiamo bovelli. Il riso del Giappone è migliore di quanto se ne raccoglie nell’ Indie Orientali, imperciocchè è molto glutmoso, bianco e nutritivo. Nella China, e Cochinchina la coltivazione è quasi la stessa. Nella seconda però vi è il benefi- cio dell’'acque naturali in abbondanza, mentre nella China si servono delle acque piovane al pari che nel Giappone. Inoltre i Cochinchinesi impie- gano 1 bufoli in vece de'bovi perchè più forti in quei paesi caldi; vi coltivano più specie di riso , quali sono il piccolo il cui grano è lungo, mi- nuto e delicato, che perciò dassi a mangiare agli ammalati ; il grosso lungo ch'è di figura roton- da ; il roseo perchè avvolto in una pelle di color = rossastro; e delle tre cennate sorti il popolo si nu- trisce , e ne raccoglie in grande abbondonza. Del riso secco ne'parleremo da quì a poco. Riso di Egilto. Questo cereale vien coltivato specialmente nel basso Egitto, e particolarmente ne’contorni di Da- miata e di Rosetta. Savaryce ne descrive la colti- vazione nel modo seguente. Prima di tutto per mezzo di alcune macchine poste in moto da buoi bendati si spargono di acque 1 terreni, che si fanno così rimanere per una settimana. Quindi uomini, donne, fanciulli nudi fino alla cinlura s' immer- gono in quel terreno fangoso e lo nettano di tutte le radici estranee. Compiuto questo lavoro vi si situano le piantoline che innaffiate giorno per giorno vi crescono meravigliosamente. Ne' terreni bagnati dal Nilo si semina alla fine di Luglio, ed in No- vembre si raccoglie. Si trasportano allora i mani- poli nell’aja , ed ivi distesi vengono trebbiati me- diante una bassa carretta, su di cui sta seduto un uomo, la quale tirata da due buoi gira colle sue ruote taglienti sopra la paglia che minutamente minuzza. Col vaglio in seguito si purgano i grani, e si trasportano ne magazzini, dove per mezzo di un molino si liberano dalla cuticola che li tiene ravvolti. Finalmente si cospargono di sale , e si conservano tra foglie di datteri. 16 - Riso della Carolina. Due specie di riso sì coltivano in questa parle dell’ America Settentrionale, che oggi ne produce tanto in abbondanza, e moltissimo ne somministra all'Europa. La prima è barbata , di picciolo grano e cresce nell'acqua. Il riso della seconda è più grosso, più chiaro, e più generalmente coltivato. Richiede un terreno di buon fondo e che almeno in due mesi dell’anno sia stato coverto da due piedi di acqua. In alcuni luoghi si semina sopra solchi poco profondi, o in piccioli buchi; in altri spargesi a getto sul campo, e sì ricopre con poca quantità di terra. La semina per lo più si pratica in Marzo, ed in Aprile; si esegue dalle donne che affidano i grani ai solchi, e dai Negr: che imme- diatamente li ricoprono. Quindi si sarchiano , e si liberano da tutte le erbe estranee, e si fa entrare l’acqua nel campo in modo da lasciar scoverte le sole cime del riso. Dopo tre o quattro settimane si fanno scolar tali acque, si tornano ad elimi- nare le erbe nocive e vi s'iniroducono allre acque che non sì ritirano se non pochi giorni dopo la raccolta , la quale suol farsi verso la metà di Set- tembre. A quell’ epoca si taglia il riso, e si con- serva in biche fino all’inverno. Si trebbia poi col correggiato: col crivello, e col vento si separa dalle paglie; per pulirlo dalla scorza si fa uso di . un molino clie vica girato da un /Vegro. Il riso Zi — che si destina alla vendita vien riposto in barili, e così si trasporta altrove. Riso della Spagna. Si coltiva principalmente ne regni di Valenza e di Catalogna. Il signor Barrè in una Memoria spedita all’ Accademia Reale delle Scienze dice che si sceglie in preferenza un terreno basso ed umido, alquanto sabbioso, facile a disseccarsi, e dove si possa far scolare facilmente l’acqua. La terra che si destina alla semina del riso si divide in qua- drati eguali divisi fra loro da certe orlature alte due piedi, e larghe onde caminarvi all’ asciutto in ogni tempo per facilitare lo scolo delle acque, e ritenervele secondo il bisogno. Queste terre si rivoltano nel mese di Marzo e si appianano in modo che restano livellate - tra loro. Dopo ciò si allagano ben bene all'altezza di un piede ad un piede e mezzo, e quindi da un uomo si sparge il seme che prima si è tenuto nell’ acqua per 4. o 5 giorni, affinchè così sia ben’ enfiato, e quindi atto a germinare ; per effetto di ciò trovandosi i granelli più pesanti del fluido vanno al fondo, e si altaccano al terreno che per causa dell’ acqua si trova più o meno stemperato. Verso la metà di Maggio si fanno scolar lacque dai terreni per dar luogo alla vegetazione : ne principî di Giugno si sommergono di nuovo durante tutto questo mese ; ne primi giorni di Luglio si svelgono l’ erbe cat- x Li tive, e soprattutto il sefolone, ed una specie di cipero, che son molto contrarie allo sviluppo del riso. Dopo la metà di questo mese si danno le stesse acque di bel nuovo che vi si fanno rima- nere sino alla formazione della spiga, tempo in cui si asciulttano nuovamente i terreni , onde 1 grani giungano alla compiuta maturità. Il ricolto succede nello metà di Ottobre , ed ordinariamente si fa colla falcetta da mietere il grano, o con falce intag'iata a denti di sega assai fini. Si unisce dopo ciò in eovoni, e si porta al molino quando è ben secco per liberarlo dalla sua loppa. Questi molini con- sistono in sei grandi morta} posti im linea retta , in ciascuno de’ quali cade un pestone, che ha la testa guernita di ferro simile ad una pigna della lunghezza di mezzo piede, e del diametro di cin- que pollici, la quale è tutta intagliata intorno, sì- mile ad una mazza da fare spumare il cioccolatie. Riso del Piemonte. In generale la coltivazione non differisce da quella di Spagna; solo è da notarsi che verso la metà di Luglio , e propriamente prima della fioritura si tagliano tutte le sue cime, onde rendere la su- perficie della risaja perfettamente eguale, e ciò ad oggetto di farla fiorire quasi nello stesso giorno, e procurare al riso una maturità. eguale. Quindici giorni dopo questo taglio, il riso fiorisce, e mano 5 mano va a malurarsi, ed in quest'epoca è necessa. È d(00= rio di aver sempre una quantità di acqua, almeno fin all'altezza della metà delle piante; indi si dissec- cano le risaje ed il riso si miete alla metà della paglia, meno che le piante non fossero troppo basse. Si trebbia con i cavalli, e coloro che ne raccolgono in gran quantità lo trasportano nelle vicine tettoje per farlo bene disseccare, a qual fine vien di tanto in tanto rivoltato con i rastrelli, finchè riceva da per tutto l’ influenza del sole. Dopo siffatte operazioni il riso trovasi ancora av- volto nella sua loppa, ed in questo stato i Pie- montesi lo chiamano r7s0r, dando il nome di riso a quello ch'è stato già ben mondato e ripulito. Questa operazione poi si esegue per mezzo di un molino , che vien posto in movimento o dall'acqua, o da un cavallo. Esso è composto di una rota, di una rotella, e di fila di pestoni e di mortaj ; 1 pestoni mossi dalla rotazione del molino battono lun dopo l'altro, e così liberano il riso dal suo in- viluppo. Conchiusione. Da quanto dunque si è detto si raccoglie. 1.° Che il riso sia una pianta annua. 2.° Che non sia vo- race. 3. Che debbe coltivarsi in terre piane, ed esposte al sole. 4.° Che abbisogna di molta acqua. 5. Che i terreni debbano essere alquanto inclinati per poter dare un facile scolo al fluido che vi si è introdotto. 6.° Siccome questa pianta ama molto il caldo, saran da preferirsi prima le acque de' fiumi e — 240 — delle riviere, dopo quelle degli stagni e delle pozze, cd in fine quelle delle fontane, dei pozzi, e delle sorgenti, imperciocchè essendo queste molto fredde non gioverebbero alla loro germinazione. 7.° La terra ama di essere bene ingrassata, e quindi di- visa in tavole, o quadrati. 8.° La semina si fa da per tutto nel mese di Marzo, e si prolunga sino a Maggio. 9g.° La semenza ent: essere prima po- sta nell’ acqua per tre o quattro giorni, ed in- di dopo seminata si ricopre dello stesso fluido, ese- guendosi la coltivazione secondo dicemmo di so- pra. In fine si miete, si forma a covoni, si treb- bia, si vaglia e si n dalla sua loppa qualora si voglia mettere in commercio. Riso secco. Evvi anche il riso che per crescere si contenta delle sole acque piovane al pari del nostro frumen- to. Il signor Povvre nella sua opera intitolata viag- gio di un Filosofo dice che i Cochinchinesi col- tivano due sorte di riso secco, ossia che cresce in © terre secche : ne fanno un gran commercio ne’ paesi lontani. Egli nel 1749 lo vide in quelle regioni e lo trasportò nell'Isola di Francia dove riuscì pure molto bene. Si coltiva la terra colla vanga, si se- mina come il formento verso la fine di Dicembre, e si raccoglie nel solo corso di tre mesi. Il signor Cerè Direttore dell’ Orto bottanico di quell’Isola in una Memoria sul riso diretta alla Società di Agri- } cn 247 o coltura di Parigi parla a lungo della sua coltiva- zione, la quale poco differisce da quella del nostro frumento, ed è quasi la stessa di S. Domingo pel suo riso particolare che vi si raccoglie; diciamo par- ticolare perchè si semina nelle pianure più alte, e per fino ne declivî delle montagne : quel riso è grosso , assai bianco, e colto con un poco di sale e con del burro dà un gratissimo sapore di no- celle. Analisi chimica del riso. Gli acinelli di questo cereale spogliati da'la loro pellicola , son bianchi, tsasparenti e difficili ad es- sere stritolati: sottoposti all’azione della mola danno una farina che per la sola bianchezza somiglia al- l’amido. Essa non è buona per pane poichè non può ridursi in pasta simile a quella del frumento; mescolata però colla stessa dà un pane duro, insipido e difficile a digerirsi; e perchè decom- posto il riso per la distillazione a foco nudo , non somministra prodotti salini ed oleosi in tanta abbondanza, quanti ne dà il frumento; è perciò che questo grano sotto lo stesso peso e volume non | contiene la stessa quantità di nutrimento. Gli usi poi economici del riso presso di noi son da tutti conosciuti, e presso gli altri popoli del Globo per lo più si mangia cotto in acqua bollente ed in altre guise secondo le diverse costumanze. E ben nota la zuppa economica proposta dal si- gnor Rinaldo di Crux, e nella Svizzera negli anni se 40 Ù = I4O = di carestia 1770, 71 e 72 fu adoperata con molto vantaggio. Essa preparasi nel modo seguente. Si prendano due once di riso che si fa bollire in un poco di acqua finchè si apra; nel tempo stesso si tagli un quarto di pane in piccoli quadrelli e vi si gitti dentro ; cotto così per qualche tempo si ag- giungano due once di farina stemprata nell’ acqua dopo di avervi già posto un poco di grasso e sale; la farina serve ad unire il tutto, ed a formare una minestra assai densa: alcuni invece dell’acqua si servono del latte e del siero come più nutritivo , e quando tutto il mescuglio sarà cotto voi ne avrete due grandi scodelle che bastano a ben nudrire un individuo anche quando fosse addetto Î intera gior- nata a lavorare la terra. Nella China il riso sì fa fermentare, e soggettato alla distillazione somministra un /iguore spiritoso nominato arrach. I Chinesi ne formano una spe- cie di pasta che serve a lavorare varî oggetti di scoltura, ed il Professore Decantolle delle cui idee ci siam non poco giovati nella presente materia, ci dice che in Inghilterra presso Lord Anson si vi- dero deile statue di pasta di riso portate dal pa- dre di lui dalla China che aveano la dianchezze, e la solidità dello stucco. — 249 — Ct Be IL Del Miglio. Ve ne sono due specie distinte cioè il panzicum mailiaceum , ed il panicum italicum et germa- nicum ; ambidue hanno più varietà , e si distin- guono dal diverso colore ; il primo ha il grano più grosso, l'altro all'opposto si sgrana meno, ma si coltivano nella stessa guisa. Il miglio propriamente detto richiede un terreno soffice, caldo, e di buon fondo ; riesce assai bene ne'terreni cretacei, sabbiosi , e potrete ripromet- tervi di una abbondante ricolta se le terre si po- tranno concimare convenevolmente. Richieggonsi più arature anzi taluni usano di scassare a molta profondità il suolo, massime se per molti anni fosse stato in riposo : ne’ terreni ricchi di umo vegeta bene sopra una aratura; si semina a Maggio, bisogna usare molta attenzione nel pulirlo da tutte le erbe estranee mediante una buona sarchiatura: in seguito si tornerà a passare ed in una parola fa d’uopo praticarg gli quella cura che si adopera per il frumento, perchè così crescerà prontamente, e di qualità assai buona. All'epoca della maturità prin- cipalmente non si deve abbandonare, imper- ciocchè non matura tutto nel medesimo tempo : nelle piccole tenute si può falciare a ripresa, il che non essendo praticabile nelle grandi, si dovrà — 230 — raccogliere appena maturata la massima parte. Non si può far rimanere in covoni, perchè come dicem- mo è molto soggetto a sgranarsi; si porti dunque subito sull’aja, e ben seccato che sia si trebbi per conservarlo: l’umido lo farebbe riscaldare, ed in tal guisa acquisterebbe un’amarezza nociva agli uo- - mini ed alle bestie. Quello che sì destina a semenza per gli anni successivi debbe esser del migliore pos- sibile, cioè grande, pulito, e maturo perfettamente; si suol conservare nelle stesse parnocchze, delle quali si libererà nel momento del bisogno. Il miglio finora descritto va col genere degli olehi, che secondo i Botanici son piante della fa- miglia delle graminee , e contiene più di venti specie. Il signor P. De Thiene descrivendoci l'e- gregia coltivazione della campagna da lui mena- ta innanzi, parlando del sorgo mazzéo ci fa assa- pere ch’ egli usava seminarlo o piantarlo a teno- re del valore di esso, e raccomanda il risparmio della semente per pagar l' opere necessarie della seminagione. Egli soleva concimare bene le terre, e prepararle nell’ inverno coi traversare i solchi vecchi , operazione che mettendo in lavoro tutto il suolo, lo rendeva naturalmente assai acconcio alla buona riuscita delle piante. Si raccomanda a non far cadere molto profondamente gli acinelli della semenza, in opposto se ne perderebbe una non mediocre porzione. Nelle terre leggiere secon- do lui la seminagione dovrebbe trovarsi termina- ta a tulta la metà di Aprile, specialmente nelle = Dal e terre di natura leggiere. Assicura esser utile il ta- glio delle loro cime ossiano pannocchie appena che sia sparso il pulviscolo fecondatore con una foglia o due al più ; imperciocchè rinvigorendosi in tal guisa maggiormente la pianta , e traman- tando il suo succo , il grano verrà ad ingrandir- si, massime se fosse cinguantino ; le cime son buonissime per ingrassare gli animali bovini e pecorini che le mangiano con molto piacere. A questo stesso genere appartengono le saggire, tra le quali l’ O/co Cafro ( Sorghum Cafrum ), da cui si estrae zucchero di buona qualità, e simile al migliore di America. La earalteristica di esse è di avere nella stessa spazzocchia de’ fiori sterili , cioè senza germe, corredati solo di tre stami, e mescolati e spesso contornanti i fecondi, i quali hanno sfame e pistilio: ambedue questi fiori poi hanno il calice di due foglie: uno simile interio- re alle volte con reste; il seme è rotondo. Il Pro- fessor Arduino nella sua Memoria sulle saggine ossiano meliehe ci ha descritte le più utili specie di esse. La migliore senza dubbio è /0/co cafro, che si alza a guisa delle nostre canne comuni , mantiene le foglie sempre verdi, e la sua spar- nocchia si sfiocca in altre spannocchie secondarie pendenti all’ ingiù a guisa di grappoli. Dopo si fa distinguere per bontà la saggia comune che è Il sorghum di Linnéo, glumis villosis semini- bus aristatis, la cui spannocchia è densa, fitta, ovala , e si può dire qguasz spiga: gli Antichi la E — 292 — chiamavano 29/0, e pare che sia originario del- la grande India, dove si coltiva generalmente. Evvi eziandio la saggina nera , e quella di due cotori la prima ha la spannocchia piramidata con calici neri, lucenti ; la seconda ha i semi più grossi, le foglie larghe al di là di un pollice, ed i fori talvolta di un bianco sudicio, o di un ne- ro di fumo , e spesso bianchi e neri sulla mede- suna spiga; è pure originario dell’ India: propria- mente corrisponde al 722940 grosso del Senegal, ed è molto produttivo. Si conoscono inoltre altri olchi come il perden- e, quello di Aleppo, l’olco molle, il lanoso, ecc. ed in generale si coltivano come il granone : a- mano un suolo di buon fondo, e si crede che smungano il terreno. In Africa, ed in America dove sono sconosciuti i letami si supplisce coll’al- ternare le coltivazioni , e colle replicate intraver- sature di state. Presso di noi si usa di spargerne il seme raramente in mezzo ai campi di grano tur- co, ed anche lateralmente ai campi stessi. Le tene- re piante si sarchiano , e si puliscono dall’ erbe nocive, ed all’epoca della maturità se ne taglia- no le foglie per darle al bestiame. Quando il se- me è maturo si può battere e conservare ne’ gra- naj come si fa del frumento: esso è molto nutri- tivo, ed in alcuni distretti dell’ Africa vien pre- ferito all’ istesso grano. Tra noi non se ne fa grande uso, ma non se gli possano negare le sopradette qualità , come — mn oe ip Lar ata, 0) I 2959 S'SPRI pure non è da mettersi in dubbio il suo abbon- dante prodotto : esso supererebbe anche la fecon- dità del granodindia se gli acinelli fossero egua- li in volume. Noi lo di fuga ad ingrassare il pollame ed i negri, ma in molti luoghi dell’ A- frica e dell’ America lo mangiano come il riso , colto cioè nell’ acqua o nel latte, e condito con diversi aromi. Gli uccelli finalmente lo amano al pari dei volatili domestici , e dà alla loro carne molta solidità e delicatezza. Le sue foglie secche sono anche buone per i be- stiami, ma cosa assai utile sarebbe quella di col- tivarlo per foraggio tagliandolo all’ altezza di uno a due piedi, mentre i bovi , i cavalli, ed altri a- nimali domestici lo mangiano con avidità e piace- re; l’o/fco molle specialmente che si trova in mol- ti prati della nostra Europa è preferito da esso lo- ro, e quindi gli agricoltori dovrebbero moltipli- carlo. L' o/co lanoso poi , che ha gli steli alti un piede , e le foglie lanuginose è più ricercato da- gli animali lanuti ; esso alligna bene nei terreni sabbiosi ed aridi, e UO principi di primavera. Però come fortaa dei folti cesti, così bisogna che sia piantato iso'atamente e sparso verso la fi ne di autunno sopra una semplice intraversalura. Finalmente le parzoccehie quando sono state già spogliate dal loro seme non rimangono inutili , poichè riunendone quattro 0 cinque mazzetii , se ne formano dellespazzole presso di noi, e comunemen- te servono per pulire le stanze. Apa — CAPRLLOLOGILNILLE Delle Varietà de’ cereali e delle diverse prati che di coltivazione che st usano nel Regno di Napoli. Crediamo in fine di non poter meglio chiudere questOpera che col riunire come in un quadro le tante Varietà de’ cereali come anche le diverse pra- tiche da noi ricevute per coltivarle ; imperciocchè in tal modo l’ agricoltore ed il rieco potran sempre avere delle norme ove rivolgersi ne’ lavori delle proprie terre. Noi desumeremo tali interessanti no- zie da varie dotte Memorie scritte da valenti Agro- nomi nostri concittadini, i quali per le loro utili e lodevoli fatiche si son renduti benemeriti della pa- tria, e quindi la posterità ne ricorderà sempre i nomi con venerazione e riconoscenza. — 235 — PROVINCIA DELL'AQUILA. DAL SIGN. PASQUALE GRAVINA. 1.° Grano bianco — Trilicum hybernum. Questo grano si semina da Novembre a Dicem- bre nelle vallate , e nelle radici delle montagne : i terreni debbono essere di buon fondo , e prece- dentemente ridotti a maggesi. In quei luoghi dove si usa di coltivare il gra- none si suole subito dopo seminare il grano , e per ogni tomolo di territorio s° impiega circa un tomolo di semenza. Di questo cereale si fa pane eccellente, e se ne ciba la classe più agiata dei proprietari. 2. Grano rosciòla. Si fa distinguere dal precedente per la spiga di color rossastro. Ricerca terre di montagna dove ve- geterebbe bene il precedente. Ne'piani di Cinque mi- glia , in Rocca rasa, Scanno ec., si semina in Agosto per poi raccoglierlo nell’Agosto seguente. Il pane no è così buono come quello del grano bianco. 3. Grano carosella. Questo si fa distinguere dagli altri per essere sfor- è De nito di spiga, e per avere un acino lucido e gentile. Esso ama terreni ingrassati e ben coltivati: poco si semina appunto per la soverchia spesa di colti- vazione , quantunque come dice l’ Autore potrebbe dare un prodotto doppio del grano bianco. Se ne forma un pane imprezzabile per la sua bianchezza e leggerezza. Se poi si conserva per qualche tempo diventa ben duro, ed è al gusto meno saporoso di quello che si ha dal grano bianco. 4. Grano nero baffone — 7relicum turgidum. Questo ha una spiga quadrangolata colle glume, e le spighe di color nero. Si semina ordinaria- mente ne terreni grassi e ben coltivati nello stesso tempo che il grano bianco; e più comunemente il suo seme si suole affidare in terreni piantati a vigne un anno, o due dopo la piantagione: in questi casi il prodotto suole dare il venti al trenta per uno. Il pane è quasi simile a quello della ca- rosella colla quale conviene per tutto il resto. 5. Grano a raspi, o a racioppo— 7ri/icum com- postum. Questo cereale ha la spiga fatta a racemi ossia a grappi, e per tutto il dippiù gli si può applicare quel che si è detto del grano precedente. Intanto = lie — giova il notare che la carosella, il grano nero, e questo altro a racioppi hanno una quantità di amido più abbondante degli altri. 6. Segala. Questo può dirsi il grano della cesmnazione di tult'i terreni dove non alligna il grano bianco, sic- come sono le cime delle montagne: si semina nel mese di Agosto e si raccoglie nello stesso mese del- l’anno seguente. Il terreno su cui si affidano 1 suoi germi ha dovuto riposare almeno per un'anno, Jl pane che dà è molto nero, pesante, ed abbon- dante di colla. Lo combinano perciò col formen- tone, e così se ne serve la classe del popolo. La quantità della semina è di un tomolo per opera, la quale in que paesi vien valutata per 34340 pal- mi quadrati napolitani. 7. Orzo vestito, majatico volgare. Il tutto si fa come il grano bianco. L’uso però è limitato a’ soli animali. S. Orzo mondato. Come il precedente; se ne coltiva pochissimo facendosene uso sì per malattie, che per gli ani- mali; st suol vendere perciò a minuto. all 9. Farro ordinario — 7rzcum Spelta. Conviene con quanto si è detto nel n. 1.° Se ne fanno minestre dopo minuzzato sotto la macina, e spogliato dalle sue glume. ro. Farro mondo. È meno ricercato del precedente, perchè si spe- rimenta più duro a cuocersi, e non è così sapo- roso. Pel dippiù come al num. 1. rr. Orzo marzuolo. Questo dà la sua spiga bilaterale e sfornita di ariste. Si semina verso la fine di Dicembre, e si raccoglie a Giugno. In preferenza si suole colti- vare nella vallata di Celano. 12. Granodindia bianco, ed ordinario. Queste due varietà alle volte si coltivano distin- tamente, ed altre volte confuse l'una coll’altra : esso è divenuto necessario per quei coloni , men- tre circa cmquanta anni dietro poco se ne coltiva- va, e destinavasi all’ingrassamento de’ soli majali. La vallata di Sulmona, ele campagne bagnate dal Gizzo, dal Sagittario, e dall'Aterno sono sempre coverte di granone. Si semina o col sarchio , 0 — 259 — coll’ aratro in distanza di qualche palmo l’un acino dall'altro nel mese di Aprile. In Maggio si sar- chia, e si rincalza col terreno ; ed in Ottobre si raccoglie. Si suole anche irrigare ne'terreni dove evvi il vantaggio dell’acqua , in contrario resta in balia della stagione che rare volte è piovosa nei mesi di Luglio e di Agosto, cioè quando ha que- sta pianta più bisogno di umido. La quantità della semenza è di un $8.° di tomolo per opera. Il granodindia bianco però è meno pregiato del- l’ ordinario. 19. Granone quarantino. Questo differisce da! precedente perchè matura più presto, e perchè produce una spiga alquanto più sottile dell'altra specie , che nella sua estre- mità porta sempre un pennacchietto. Se si semina in Aprile si raccoglie a Luglio, e se si semina in Giugno dopo mietuto l' orzo si raccoglie a Settem- bre. Questa specie è costante, ma non sono tali le due precedenti, nè l’altra di color rosso-oscuro, le quali dipendono dalla varietà delle stagioni e de terreni, dalla coltura ec. , osservandosi che il bianco diviene rosso , ed il rosso bianco, e così degli altri. =_{a0o 2 e i. Soroco nero , e rosso-melica. Si coltivano come il granone; si sarchiano, s'ir- rigano , e se ne fanno delle granate per ispazzare allorchè se n'è tolto il seme. Si danno a polli, ed a majali, e sovente 1 contadini le mangiano a minestra; macinati si combinano pure colla farina di granone facendosene o pane, o farinate per g i animali. In fine difficile si trova a comprarli pei mercati perchè ciascuno li coltiva per uso proprio. Di. Spella, Sbeuza volg. Questa specie di farro si coltiva sulle montagne, si semina in Marzo ed in Aprile, e si raccoglie a Luglio. Se ne fa pessimo pane, imperciocchè non si possono mai collo staceio separare le glu- me che racchiude nel seme, e passa insieme colla farina. 16. Loglio. Si propaga in mezzo ai grani da’ quali facilmente si separa perla sua figura, e serve esclusivamente per ingrassare ì polli. a PROVINCIA DI APRUZZO CITRA. DAL DE ANGELIS. 1. Rosciola. Questa varietà di grano si colliva nel Distretto di Chieti. Si semma da Settembre a Dicembre so- pra terre tenute a riposo , o su quelle dalle quali si è tolto il granone. Le maggesi si preparano nella primavera, quindi si fa un secondo lavoro nell’està, e nel tempo debito il grano si semina a getto, ricoprendolo coll’ aratro, e livellando il terreno colla zappa: ordinariamente s' impiega una misura di esso , ossia una ventiquattresima parte di tomolo in ventiquattro canne quadrate napoli- tane. Alla fine di Maggio si puliscono 1 seminati dall’ erbe spontanee, e la messe si effettua dalla metà di Luglio ad Agosto. La trebbiatura si ese- gue nel modo comune. La farina di questo grano esige molt acqua per impastarsi, ed il pane che se ne fa si trova pastoso , pesante, nutritivo, ma bruno, 2. Solina. Si coltiva ne'luoghi montuosi come il precedente, Fa pane bianco, leggiero, e di facile coltura. | (O) (r (SO) | 3. Grano grosso. Richiede terre pingui, e vegeta lussureggiante molto più chè si semina a solco. Ha le stesse pro- prietà della rosciola ed anche di un grado mag- giore. 4. Marzola. Si semina a Marzo, si raccoglie in Agosto , e se ne fa pane bruno pei contadini. b. Farro. Si semina a getto o a solchi ne’ mesi di Ottobre a Febbrajo ; si coltiva come la rosciola, è questo grano pesalo in un mortajo, o sottoposto a piccola macina, si prepara col brodo di carne, e dà una polenta assai nutritiva. 6. Farrono. Coltura ed uso simile al grano. 7. Carosella. Si coltiva simile alla rosciola; produce ottimo pane, e si usa anche per il lavoro di paste. — 60 8. Saragolla. Coltura ed uso simile al farro. La semola s'im- piega anche a diversi lavori di paste. g. Orzo. Coltura come i grani. Si usa darlo ai cavalli, e mescolato col granone ne fanno anche pane i contadini. 10. Secala. Richiede luoghi montuosi, perciò si vede colti- vata in abbondanza sulla Majella; la ragione è che resiste ai geli. Fa pessimo pane, ma i con- tadini lo rendono di facile digestione, ponendovi o farina di altro grano, o farina di granone. 11. Granodindia quarantino. Si coltiva in luoghi freddi ed elevati; ama terre argillose concimate: languisce nelle calcaree pur- chè non sieno innaffiate. Si semina dalla fine di Aprile a tutto Maggio impiantandolo nei solchi con piccioli piuoli alla distanza di un piede, sotterrando due granelli per ogni buco. Allorchè son giunti all'altezza di sette pollici si toglie la più debole delle due nate allo stesso sito : si zappa intorno a quella che resta senza offendere le radici , e quindi — 204 — s° ripianano 1 solchi. Quando si sviluppano le spi- ghe si rincalzano 1 fusti accumulandovi intorno della terra, e si to'gono le erbe spontanee. Si ta- gliano le pannocchie appena i peli delle spighe cominciano a cangiar colore. In seguito si tagliano anche le foglie e si conservano per foraggio de'be- stiami. Finalmente si raccoglie ad Ottobre. I con- tadini lo mangiano in forma di pane unito o al grano , 0 alla segala; ne fanno anche delle focacce non fermentate, e l’usano pure per polenta. Si dà anche a majali, ed ai polli. Granodindia paesano. Si coltiva in luoghi caldi perchè richiede mag- gior lempo per giungere alla maturità. È impie- gato ai medesimi usi del precedente, sebbene sia di qualità inferiore per tutti rapporti. PROVINCIA DI MOLISE. DA GIOSUÈ SCARANO,. JI terreni di questa Provincia sono l’argilloso che volgarmente dicesi porezze, il margoidèo, chia- mato cretone, ed il cretoso che dicesi rezazza, 0 stbisone. La coltura de’ grani-è quivi molto super- ficiale. In Maggio ed in Giugno si sogliono arare due volte le terre per prepararle alla semina; ne’ luoghi Setlentrionali questa operazione si esegue E tra Luglio ed Agosto : i coloni poveri appena rompono la terra una sola volta ; e la semina si principia in Ottobre, e ne luoghi caldi dura sino a tutto Dicembre. La semina si esegue coll’aratro, e dopo coverto il terreno si appiana dagli uomini colla zappa. Nel mese di Aprile si sarchiano i gra- ni, e siestirpano l’erbe nocive. Per ogni moggio simpiega circa un tomolo di semenza. I grani che si costumano sono le caroselle, la saragolla, ed i grani bianchi , facendosi degli altri pochissimo uso. Le biade sono l’avena, l'oryola, la spelta , la segala. Per l'orzo, e per l’avena si costuma una sola aratura, e si seminano da Ot- tobre a Novembre ; se però il suolo fosse stabbiato prima si semina l'orzo, e dopo si appiana colla zap- pa: questa maniera dicesi 22eonticare. L'oryola, la spelta, ed il farro amano un ter- reno vegetabile , e bene dissodato. L’orzo, l’avena, e la spelta si danno per cibo agli animali. L’oryola s impiega per pane, il farro per vivanda e per pane, siccome principalmente costumasi verso la parte occidentale della Provincia dove il farro co- piosamente si coltiva. Il granone si semina in quelle terre dove nel- l'anno precedente si è raccolto il grano. Nel mese di Gennajo si prepara la terra colla zappa , e dalla metà di Marzo sino a tutto Aprile si affida il seme alla terra impiegando per ogni moggio di terra la sedicesima parte di un tomolo di semenza. Nel mese di Maggio si sarchia per toglierne le pian- — 206 — toline inutili e nocive. Nel mese di Giugno si rin- calza, e quest’ operazione dicesi a//oppare. Il gra- none finalmente serve di alimento alla gente po- vera, e se ne ingrassano anche i majali. PROVINCIA DI TERRA DI LAVORO. DA FRANCESCANTONIO NOTARIANNI. . Il grano che generalmente si coltiva in terra di Lavoro è il (relieum degli Antichi; le varietà di esso che ivi st seminano riduconsi alle seguenti. 1. La germanella, ossia romanella, friticum sa- livum aestivum. 2. La carosella, &rlicum sativum hybernum ca- lyce submulico. 5. Le saragolla, varietà del num. 1. A. Grano bianco, ossia 4rileum polonicum. 5. Grano grosso ér/zcum polonicum turgidum. 6. Grano grosso , o di Barbaria , &re{cum po- lonicum turgidum , glumis fuscis. 7. Farro. 4rit'cum spelta. 8. Grano a grappoli, 4rilicum compositum. 9. Spreuta o farro vestito /rz/7eum monococcum. La prima, la terza, e la quarta specie amano i terreni buoni e piani; le altre sei prosperano in terreni forti, elevati, e ventilati, e non sog- getli a ristagni di aria o di acqua: quelle prime sono primaticce , e le altre sono più tardive. La prima specie è più stimatà, e suol dare il sei, o miao a » 49 ei “= Pea il sette per uno. Il pane da se ne prepara riesce eccellente ; quello di carosella è meno bianco, e meno dui le altre danno un pane più bruno, e di più dura digestione; la saragolla poi perchè più glut'nosa s' impiega a lavori di paste e di maccheroni. Il farro s' impiega a fare le minestre dopo di essere stato franto con macina adattata; la quinta e sesta specie non è molto buona per le fabbriche de’ maccheroni; l'ottava si coltiva da pochi perchè i culmi sono soggetti a rompersi, e contrae vo- lentieri de’ vizj nel terreno ; la nona finalmente si dà per cibo alle bestie da soma, e suol rendere il quindici per uno. La germanella però, come dicemmo, è quella che più generalmente si coltiva, ma l' esperienza ha fatt osservare che dopo qualche anno degenera in grano bianco, e quindi in quello indicato nella sesta classe: a questa poi suol succedere l'opposto. Da ciò la necessità di cangiare spesso le sementi onde sì possa avere il grano nella sua primitiva natura. Ciò pure fa vedere che esse sono tante va- rietà del 4r4icum sativum. V influisce ‘al pari non poco la qualità del terreno più o meno carico di azòto , e di carbonio. L'esperienza ha pure di- mostrato che tutti grani vegetano meglio nelle terre dove predomina la calcarea, che in quelli ne quali signoreggia l'alluminosa. A circostanze eguali un tomolo di terra della prima qualità dà un terzo di più del fruttato, Gli aggregati calca- —=.. 408 rei per l'azione dell’ aria si scompongono, e spri- gionando molto gas acido carbonico, diviene così fa terra adatta alla vegetazione. Lungo le sponde del Liri nelle terre argillose il grano si vede pal- lido e meschino , mentre all’ opposto nelle pianu- re, e nelle valli a sinistra si fa distinguere per n bel verde , e per le spighe palmari e pesanti ; in ferra di Lavoro però non si conosce affatto il modo di correggere il vizio delle terre mescolan- dole tra loro, operazione senza dubbio di facile esecuzione, e che recherebbe gran vantaggio al- l' agricoltura. L'esperienza. ha pure fatto conoscere che 1 grani raccolti in terre bene concimate frut- tano più in semola che in fiore mentre avviene l’ opposto negli altri. Le rotazioni agrarie non hanno altro circolo che it biennale, o triennale, cioè seminando grano nel primo anno ; granodindia nel secondo; fave, iupini, e foraggi nel terzo. Se poi si traltasse di una terra nuova, e da poco dissodata la semina st prepara nel modo seguente. In Maggio si rompe la terra o colla zappa, o coll'aratro, o colla vanga; in Giugno si ripassa che dicesi rzcea//are ; verso ia metà di Ottobre si semina. Se il campo è stato antecedentemente pian- ato a granodindia si rifonde prima il solco vec- chio, e poi si 2202c4nepa sbassando le alture de’ sclehi con un legno traverso, acciò il seme vi si sparga egualmente. In generale si è adottato il sistema di seminare presto anzichè nò ; in quin- = 209 — dici anni appena ve ne ha uno che dia luogo a pentirsi di averlo adottato. Dopo che si è manca- nepjato nel giorno medesimo si spacca; in Gennaro si zappolea, e si solca coll aratro : priachè alzi la spiga, si monda levando colle mani l’erba; fi- nalmente si miete , e si uniscono in branche, quat- tro delle quali formano una posza; quattro di queste formano una gregna; dodici di queste formano un ceignone col quale si compone il pignone , od il casaccio. Quindi si trasporta neil'aja, si treb- bia co buoi o colle giumente , e dopo pulito e bene asciutto sì ripone ne magazzini. In ultimo resta ad avvertire che in talune parti piane e grasse il grano si semina anche a piuolo , o a buchi, e la raccolta riesce sempre abbondante e superiore al- le altre. La concimazione ha poco luogo in terra di Lavoro : alle volte ne campi si fanno pernot-, tare le pecore, e si premette la semina de’ lupini per soverscio. Per la semina poi si sceglie sempre la migliore semenza, e lodevolmente si è intro- dotto l uso di medicare il seme colla calce con- vinti del vantaggio della medesima. La segala o sicina; secale cereale. Se ne fa poco in questa Provincia, e si semina sopra le monta- gne, ne luoghi meno fertili dove il grano non ha una rigogliosa vegetazione ; la sua pianta è più alta del grano medesimo ; dà un pane molto glu- tinoso, ed i contadini per renderlo più asciutto lo mischiano colla farina di granone, e pure con tutto ciò non si tollera se non dai robusti montanari. dii) Lion Orzo. Orzo, orgio, vuorgio, vorio— Hordeum vulgare; orzo duro, o zingarello, e marzatico—Z. V. Coe- leste, orzo primaticcio , o di San Giovanni. //or- deum hesastycon. L'orzo si coltiva quasi come il grano, e per lo più si semina in quelle terre nelle quali è stato prima questo cereale ; le dette tre specie, massima- mente il nudo, amano terre grasse non umide, e piut- tosto calcaree. L’orzo marzatico quantunque si se- mini in Marzo , pure si raccoglie insieme con gli altri : il solo orzo di S. Giovanni matura prima, ed in annate scarse gli agricoltori ritrovano il loro sollievo col farne pane. Panico. Panìco ossia miglio piccolo. Parnzeun Malicum; miglio, o miglio grosso. Panzceum militum. Que- ste due specie si coltivano generalmente in quelle terre che non si credono adatte al granodindia , e si sogliono seminare nel mese di Maggio a Lu- glio ; si raccoglie tra novanta giorni, e si crede che renda molto sterile il terreno che si suole arare tre volte prima di seminare ; si dà per alimento agli animali, agli uccelli , ed à pesci, e la gente povera suole farne anche pane. Avena, vena saliva— Var. Valvulis calyer e e nis acutis bifloris , flore mutico pedicillato, a- ristato sexili; arista longiori contorta, genicu- lata seminibus apice barbatis. La biada in terra di Lavoro si dà per alimento agli anima- li. Si fa molto minor conto dell’avena , e se ne fa anche pane per uso della gente povera, mischian- dola coll’ orzo. Ordinariamente si semina come la spelta in quei terreni ne quali prima è stato semi- nato il grano. Granodindia; Zea mays. Se ne conoscono nella Provincia quattro varietà. 1. seme giallo tondo. Sezze lavo subrotundo. 2. A seme giallo lungo, o a zappa. Semzne cuneato quatrilatero. 3. A seme rosso tondo. Semane purpureo su- brotundo. 4. Aseme bianco tondo. Sezze albo subrotundo. Nelle rotazioni agrarie occupa il primo anno. Nel solstizio d'inverno si rompe la terra coll’ara- tro; dopo venti o trenta giorni si spacca l'alto del solco, quindi ss? rzca//a , tirando de’ solchi op- posti à primi, e ne paesi pantanosi si traversa di nuovo spaccando l altura de’ solchi già fatti. Poi si ciglia alzando cioè i solchi secondo la prima direzione. Finalmente si r:spacca per la se- conda volta, e si semina appresso all aratro. Ne'luo- ghi paludosi si pianta col piuolo di fianco, ossia nell’acecza del solco , affinchè inondandosi il ter- reno, e piantato nel fondo non perisca. Quando poi il terreno non può lavorarsi coll’ aratro si vanga da Dicembre a Marzo, e quando si semina si alza‘a solchi colla zappa. Questa pianta si comincia a sar- chiare quando ha cinque fronde, e si ripianano i sol- chi. La rincalzatura sì fa o coll’aratro, o colla zappa. Raccolte le spighe si fanno seccare al sole nell’aja, e quindi si battono. Il granodindia a seme rosso tondo fa piante molto lunghe,. caceza la spiga in alto, è tardivo, ed ama terre crefose e fresche. Quello di seme giallo a zappa ha la pianta più bassa, ‘e più primitiva, e dà un frutto più copioso. Il bianco vegeta bene in luoghi paludosi, fa la pianta più lunga, e le spighe più in alto. Le piante tenere del lerzo vanno soggette a guasti del verme cipollaro quando sono tenere ( Acheta gryllo tal- pa ). Della farina se ne fa pane che riesce gra- tissimo a que contadini. Si suole usare facendone focacce ogni sera. Ques'o modo però di cuocerlo puot' essere dannoso alla loro salute, imperciocchè non venendo mai ben cotte apportano molto pe- so allo stomaco. Salgina, solgo, o sorgo. Ve ne sono quattro va- rietà, il rosso il gialletto , il negro, e quello delle scope. Queste piante per lo più si veggono colti- vate alla sinistra del Garigliano, e richieggono quella stessa collura che si dà al granone. Il seme serve per gli animali di bassa corte, e per i porci. Delle pannocchie dell'ultima varietà se ne forma- no scope. Le foglie secche e verdi servono di fo- raggio. RA te I MEP. SIR n ae FRI I DUKE PRINCIPATT. Principato ULTRA —1. Granecchia. Corrisponde alla Siligine di Varrone, di Plinio, e di Columella. Ama terreni leggieri; è uno de’ più robusti tra i grani teneri, e dà una farina bianchissima. 2. Grano saragolla. Spiga flava aristis longis- simis rachi subimberbi. Si coltiva in gran quan- tità dai naturali di questa Provincia. Si semina in terreni piani e di buon fondo ; dà una forma di farina molto glutinosa , e perciò in tutte le altre Provincie s' impiega a lavori di paste. Il pane che se ne ottiene è molto bruno. 5. Grano meschia. Si semina in luoghi forti e montagnosi. Spzica lara aristis albicantibus; s'im- piega per paste, e pane, ma sì l’une che l’altro sono di cattiva qualità, 4. Grano cignarella. Spica laziuscula albican- fe aristis concoloribus. Come alnumero precedente. 5. Grano risciola. Spica rufa aristata. Si semi- na in terreni forti e ben lavorati; dà un pane bru- ‘no, ma pastoso, pesante, ed assai nutritivo. 5. Grano rosso forte. Ricerca terreni forli, e ben coltivati. Si usa per lavori di paste ; se ne fa anche del pane, ma non riesce di molta buona qualità. | 7. Grano carosella. St/gineum spica mutica al- ba. Richiede terreni umidi e sostanziosi ; si usa per pane delle persone comode , poichè riesce bianchissimo e leggiero ; le paste però non sono buone, 18 -—— 5 sr | RETTE "/ + no s. Grano Ciceriello. Spica compacliori. ven'ri- cosa aristis subfusis. Si semina in terre leggier e, ma ben coltivate : dà buonissimo pane, e si man- gia anche cotto dopo spezzato in un mortajo a guisa di farro. g. Grano marzuolo, o marzatico. Tri/ieum ae- stivum. Si semina in ace in terreni montagnosi, ma che non siano assai rigidi ; dà pane non molta buono, ma di peso maggior di quello che si fa da grani bianchi. 10. Spelta o speuta. 7rz/ieum Farrum di Barelle. Glumis nitidis spiga compactiori. Si coltiva in ter- re vegetabili e ben dissodate. Si suol mangiare a minestra, ed è molto sostanziosa. Si semina o in autunno, o in primavera, e matura un mese dopo il grano comune. 11. Grermano o jermano. Seca/e cereale. Si se- mina in terreni montagnosi : dà pane catlivo e pe- sante; ond’ è che la classe del popolo suol mischiarlo colla farina di granone. 12. Orzo. Mordeum disticum ossia marzatico ve- stito. 13. Orzo di S. Giavanni. /ordeum hexasticon. 1/4. Orzo comune. /Zordeum vulgare. Queste tre specie si coltivano tra noi: amano delle buone terre, e per lo più la loro seminagione o si fa precedere, o si fa seguire da quella de’ grani. 15. Avena. Avena ‘sativa.Si semina come l’or- 20, € sopra una sola aratura. 16. Melica. //o/cus saccheratus semine nigro a- LATO TI TE aa. « pice flavescente. Si semina esi coltiva in terre di maggesi, e si richiede la stessa cura che si usa pel granone. 17. Granodindia. Zea mays. Quarantino #rime- stris. Agustano. Senune mapori: sisemina fra Marzo ed Aprile sopra terre ben lavorate a zappa, che ne’ tre mesi precedenti riduconsi a maggesi. Per tutto il dippiù la sua coltura non differisce da quella de- gli altri luoghi. In generale circa la coltura di questa Provincia è da osservarsi che i lavori si eseguono coll’ ara- tro, o colla zappa; col primo si seminano tutt’ i cereali predetti, e colla seconda si sogliono fare siccome già cennammo le maggesi, ed affidarvi il seme del granone. L’aratro suol’ essere anche armato di un'altro pezzo di ferro che volgarmente dicesi col/tella, la quale serve per meglio rompere le terre , le zolle , e tagliare le radici che vi s'in- contrano. Si usano pure le zappette, la vanga , la pala, l'erpice, il correggiato , il rastrello, la forca a tre denti ec., i quali s' impiegano a norma del bisogno, e delle fatiche che si vogliono eseguire. La semina ne terreni freddi si comincia verso la metà di Ottobre, ne' luoghi caldi si vede talvolta trasferita sino al solstizio di Dicembre. Essa da per tutto si esegue a mano, e per mezzo dell’ aratro: si vuol fare sopra due o tre arature che sì son fatte precedere ne’ mesi di Agosto, Settembre , ed Ottobre : ma il ricolto riesce senza dubbio più ab- bondante quante volte la semina si fa sopra terreni 3 La 270 LE da' quali si è estirpato il granone. Ne' mesi di Gen- najo e Febbrajo si sarchiano le piantoline del grano , quindi si rincalzano, e se ne tolgono tutte l’erbe estranee e dannose. Nel mese di Maggio si tornano a ripulire, e tale operazione si prosiegue sino a che si può andare ne’ grani senza pericolo di romperli. Il rico!to si fa nel mese di Luglio, e ne luoghi più freddi de:la Provincia anche nel mese di Agosto. La messe si falcia in manipoli che diconsi 7erz2zt, de’ quali circa otto a dieci formano un covone o gregna; ventuno di queste formano il eignone che dicesi ausrello Pugliese ; e così il grano raccolto sì lascia per qualche giorno nel campo medesimo finchè gli acinelli si possano ben disseccare al calore del sole. In seguito le gregne sì trasportano nell’aja o sopra carri, 0 sulla testa dalle donne, e se ne formano i così detti pignoni, 0 casazze. Finalmente si trebbiano da bovi, si spogliano dalle paglie coll’ajuto del vento , e Così sì ripongono ne grana]. Principato citra — Granecchia ; grano cicirello ; grano saragolla; grano meschia ; risciola ; segala; orzo comune ; avena volgare ; avena lunga, e granodindia. Sono queste le cereali che in prefe- renza si coltivano nell’ altro Principato; e sieco- me praticasi l'istessa coltura che ne’ grani prece- denti, così ci asterremo di parlarne per non ripe- tere le medesime cose. _. QNT — 4 i PROVINCIA DI CAPITANATA DA GAETANO BASELICE, La coltivazione de’ cereali si esegue in questa Provincia coll’ aratro ne'luoghi piani, e colla zappa ne luoghi montuosi. Il terreno si ara come al soli- to, e questa prima operazione dicesi rompere ; la seconda che consiste nel tirare 1 solchi a traverso de’ primi, dicesi rzstoccare; la terza dicesi rinfer- zare, la quarta riaguartare, la quinta dissodare, le quali tutte consistono nel tirar de’ solchi trasver- salmente gli uni agli altri. Nella sesta ed ultima aratura finalmente sì semina. Sopra le stoppie poi non si eseguono: se non che gli ultimi due lavori. I semi cereali prima di affidarsi al terreno si sogliono incalcinare in un gran vase pieno di acqua nella quale vien disciolta della calce ; visi fanno stare sei ore in circa , indi si cacciano, e dopo averli bene asciugati si semina- no.La semenza si sparge a mano, ed il terreno si divide in tante piccole ajuole di quattro passi di larghezza dette comunemente porche. Il contadino vi sparge il seme, percorrendole prima dal lato destro, ed indi ritornando dal sinistro. I seminati si sarchiano due volte. La prima sarchiatura si fa in Gennajo e Febbrajo , e dicesi zappoliare ; la seconda si fa in Aprile e Maggio, e dicesi pwr- gente , e vi simpiega il sarchio, e si suol fare anche colle mani. — 278 — }l terreno che si destina alle cereali s ingrassa di tre maniere , o col farlo stare in riposo per qual- che anno , o si letama con porvi lo stabbio degli animali ruminanti, o quello da soma; ovvero si stabbiano col farvi pernottare le pecore. La mietitura si comincia ne luoghi piani verso la metà di Giugno, e dura sino alla metà di Lu- glio; ne luoghi montuosi si comincia verso la metà di Luglio, e termina in Agosto. La messe poi si trasporta sopra i carri neli’aja , si formano delle grosse biche , ed in seguito si fanno trebbiare da giumenti. Le cereali chesi coltivano sono le seguenti. 1. La saragolla. Ama un terreno forte , piano, cd ingrassato ; si semina in Novembre, e si de- stina a pane che non risulta di buona qualità. Nei luoghi di montagna i contadini vi mischiano qual- che poco di grano. S' impiega pure a fare delle diverse paste. 2. Risciola. Richiede terre forti , e ben con- cimate. Nelle montagne si semina ad Ottobre, e nella Puglia a Novembre. 3. Grano grosso. Riesce bene ne’ terreni /a- most, come pure ne petrosi; si semina a Novem- bre, si coltiva in picciola quantità nelle montagne per uso proprio, e dà pane di mediocre qualità. 4. Carosella. Lussureggia bene in terre umide e sostanziose. Si semina a Novembre, e fa eccel- lente pane. Le paste però che se ne lavorano non sono così buone. Dà pure dell’amido col far ma- cerare l infero seme lungo tempo nell’ acqua. Ang 5. Cicirello. Vegeta assai bene ne’ colli, si sc- mina come sopra, e dà pane di pessima qualità. Qualche villico vi unisce pure un poco di farina di granone. 6. Cignarella. Prospera ne’ terreni di montagna ; per il resto come al numero precedente. 7. Pannella. Vegeta bene ne'colli petrosi , e pel resto come al precedente. 8. Grano calabrese. Ama un terreno forte e letamato. Si semina in Novembre; dà ottimo pane ed eccellenti paste. g. Verminine ossia Marzatico. Vegeta bene ne’ luoghi montagnosi , umidi, e petrosi. S' impiega per formarne pane , ed allorchè è perfetto ne pro- duce di più, e di maggior peso. ro. Romanella. Vegeta ne’ luoghi montuosi, as- sai forti, o petrosi. Si semina in Novembre; se ne fa poco uso, e dà pane di mediocre qualità. 11. Grano rosso. Vegeta bene ne’ colli petrosi. Si semina in Ottobre, e nel resto come al nu- mero precedente. 12. Majolica. Richiede terre piane e sostanzio- se ; si coltiva ne luoghi di montagna, ma riesce di minor quantità» forma un'ottimo pane, ed. ec. cellenti paste. 13. Majellese. Prospera in terreno forte , leta- mato , e piano. Si semina a Novembre, e se ne fa pane che e non riesce tanto buono. 1/4. Mesea. Vegeta bene ne' luoghi montagnosi e petrosi. Si semina a Novembre e se ne fa del alabota pane mediocre, e qualche villico vi unisce la fa- rina di frumentone. 15. Carmentina , e lustrante. Ama un terreno forte, piano e sostanzioso. Si semina a Novembre, e dà pane di buonissima qualità. 16.0rzo. Volgarmente vorg70. Si coltiva nelle pia- nure, ed in terreni forti e sostanziosi. Si semina a Novembre e si dà alle bestie da soma che molto le nutrisce. Si dà anche ai majali, ma fa più gio- vamento se siasi prima macinato. L'orzo cotto si dà anche alle galline, poichè come dice Palladio fa fare uova grosse è più spesso. 17.0rzo di Germania, ossia marzajuolo.Prospera neluoghi di montagna, e si semina a Marzo. S'im- piega come l’orzo comune. 18.Vena, o Avena. Ama terre forti; sostanziose, e piane. Si semina in Ottobre, e si dà alle bestie da soma, ed a'buoi per 1 quali riesce di oltimo cibo. PROVINCIA DI BARI DAI, CAN. LUIGI DI TARSIA, 1. Grano forte. 7ralzeum durum. Questo cereale si semina in terreni forti, di buon fondo, e sopra tre arature delle quali la prima si fa alla metà di Agosto, l’altra verso la metà di Settembre, e la terza in Ottobre. In questo mese si dà princi- pio alla seminagione che può continuarsi sino ai principî di Novembre. Essa si fa a getto, o alla #a- CARE ERE 0, ART, pei si 201 — mosera come dicono, cioè impiantando gli acinelli del frumento ne solchi, e quindi si ricopre col- l’aratro. Alcuni praticano di far precedere due ara- ture, ma è migliore il primo metodo del secondo. La semenza si lava pure nell'acqua di calce per impedire le malattie alle quali può andar soggetta. Per ogni pariechio ossia mezzo tomolo di terreno s impiegano sei sfoppelli di grano, se trattasi di terre libere, ossia sgombre da alberi: in contrario se ne impiegheranno cinque. La coltivazione sì ri- duce a mondarlo dell’ erbe nocive ; in Luglio st miete , si trebbia, e sì pone ne’granaj. L'uso è di estrarne la semola pe maccheroni; se ne fa an- che del pane, ma non riesce di buona qualità. 2. Majorica. 7relicum hybernum. Richiede terre dove abbonda il carbonato calcareo. Si semina al- quanto prima del precedente, e si pratica la stessa coltura; dà pane bianco ed eccellente , perciò generalmente quasi da tutti se ne fa uso. 9. Grano Calò. Richiede buone terre, ma se ne fa poco uso, imperciocchè venendo attaccato da diverse malatle, diventa così incerto il suo pro- dotto. S'impiega per pane, e per paste. 4. Carlantina. Richiede terre leggiere, dà un prodotto ubertoso, ed è ottimo per pane. 5. Grano de Turchi volgarmente adavena. Ri- chiede terreni calcarei, che non sieno stati con- cimati di fresco. Dà un prodotto assai scarso, € perciò poco si coltiva: non dà nè buono pane, nè buone paste: mangiasi invece cotto dopo averlo — 2852 — spogliato dell’albume che lo ricopre, cd è di molto nutrimento altesa la molta fecola che contiene. 6. Grano imperadore. Vuole terre forti, e che siano state lavorate a maggese ; è buono per mac- cheroni, ma il pane è duro, e quindi di difficile di- gestione. 7. Grano cicerello. Si coltiva da particolari ne’ giardini, e riesce piacevole a mangiarsi cotto dopo »pezzato in un mortajo. 8. Grano saragolla. Vuole terre forti, e 7209- gesate nell’anno precedente; si rimove per ben quattro volte coll’aratro, oltre la così detta ver- galura che si fa verso i principi di Settembre per purgarlo dell’erbe spontanee. Si semina dalla metà di Ottobre, fino alla metà di Novembre, e richiede sette s/oppolt di semenza per ogni tomolo. Il pro- dotto è di venti a ventiquattro per ogni tomolo di seminato: se ne fa dell'ottimo pane e delle paste. 9. Grano della Regina. Come il precedente. ro. Grano Siciliano. ldem. 11. Grano Calabrese, o zingarello. Non richiede terreno tanto forte quanto la saragolla ; ne’ così ben lavorato, potendosi seminare nelle stoppie di prima semenza dopo che siano state arate due volte recisa la messe. Si semina nel tempo stesso , e s impiega un tomolo di semenza per un tomolo di terreno: Dà un buon pane , ed ottimi mac- cheroni. 12. Grano Siciliano ad acino rotondetto. SI se- mina a getto ed a solco in terreni di buon fondo = 5000 — preparato con tre arature. Il suo prodotto è por- ientoso perchè si calcola in ragione di un tomolo e mezzo per lo sfoppello, ossia tomoli dodici per ogni tomolo di semenza. Nelle terre ortensi ha dato tomoli quattro per ogni mezzo s/oppello, cioè to- moli 64 per ogni tomolo di semenza. Pesa 54 ro- toi. Se ne fa buonissimo pane. 15. Farro. Si semina come il grano , e si man- gia cotto, e spogliato a minestra. 1/.Orzo volgare.Si semina in Ottobre sopra due arature nelle stoppie. Si dà a mangiare agli ani- mali; ed in caso di necessità sì mangia anche dalla povera gente. 15.Orzo a quadrillo. Si semina in buone terre a mano , 0 a solco : spogliato e cotto in brodo riesce saporosissimo , leggiero e nutritivo. 16.Avena. Sisemina in Ottobre sopra terreni me- diocri dietro una sola aratura che si fa anticipata, quantunque generalmente si semina sulle stoppie bruciate che si dicono a//eucorate, ed è certo che in queste modo si ottiene un prodotto più co pioso. Si dà a mangiare a'bovi ed agli animali . da soma. — 284 — PROVIAACGILA ;DI-LECLE DA MARTINO MARINOSCI. t. Grano forle. Trilicum turgidum. Vuole ferra negra , cretosa , o novale. Generalmente st sogliono preparare i terreni con due, o più ara tire. Questa specie di grano riesce bene ne' lavori di pasle, dà una farina consistente e nutritiva , e se ne fa gran consumo in quella Provincia. 2.° Grano forte rosso. Conviene col precedente, ma è così detto dal color del seme. 9. Grano calò. Si fa distinguere dalle ariste che ha lunghe e nere. Richiede miglior coltura e migliori terreni de’ precedenti. Si semina pure in Ottobre, ed è forse anche più nutritivo de’ men- tovati di sopra. 4.° Grano imperatore. Si somiglia al grano cicerello. Si semina negli ortali, e ne’ vigneti tra Ottobre a Novembre. È meno valido del forte e molto meno del calò. L'esperienza ha dimostrato che va soggetto a degenerare, e perciò ogni due anni se ne rinnova la semenza. 5. Carosella — Trilicum muticum. Da taluni si chiama anche monachella. Cresce bene in ter- reni magri, ed è meno nutritiva de’ precedenti. 6. Saragolla — Poco se ne coltiva perchè si vede in preferenza attaccata dai bruchi. 7. Majorica. Trilicum hybernum. MT OLE TT ST RR TO E a en Le (eYg, pe pregi 23) 9 na Hai semi piccoli e bianchi. Esige terra leggie- ra, ed un minor coltivamento; dà cattiva farina, e molta crusca, quindi non è buona per pane. In vece è impiegata per lavori di paste bianche, per dolci, e per maccheroni fini: se ne coltiva in gran quantità perchè è più adatta alle terre di quei luoghi. 8.° Verminia. Trimenia , friicum trimenon — Richiede terra mediocre; si semina in Marzo, ed è poco usata. | 9.° Biancolella. Vuol terra forte, e fa bellis- simo pane. ro. Grano turchesco. Ha una spiga comples- sa; sì semina in buonissime terre; è specialmen- te coltivato ad orto. Si usa per polvere di cipro. rt.° Carlentina. 1 semi son lunghi, e la spi- ga a grappoli di avena. Si chiama ancora. 12.° Grano di S. Pasquale. Vuol terre forti, ma poco si usa pel dufore che lo attacca, o per il co- sì detto mal nero. 13.° Avena nostrale volgare. Avena sativa. Ri- chiede terre magre , e vuol essere seminata su terre dalle quali si è raccolto il grano. Prepara come le leguminose le terre al nuovo grano. Si semina dai principî alla fine di Settembre , e sì dà a’ cavalli, ed a’ bovi. 14.° Orzo comune. Mordeum vulgare. Si se- mina in terre buone verso la metà di Ottobre. Se ne fa della farina grossolana ; e si dà in cibo a- gli animali. *’a6b — 15.° Orzo turchesco. M/ordeum hexastycon. Si semina ne’ vigneti, se ne fa uso come al prece- dente, e nel Capo di Lecce se ne servono per pane. 16. Orzo grano. Se ne fa grand'uso nella det- ta Provincia; se ne ciba la maggior parte degli abitanti, e ciò perch’ è di facilissima digestione. 17. Miglio. Molcus bicolor. Sisemina in terre pingui ed ortali nel mese di Maggio ; se ne fa poco uso in quei luoghi, e segue il destino delle piante cucurbitacee colle quali cresce. 18.° Miglione. Pianta di scope — Zo/cus sol- gum. Si piante anche in terre di orti, e sc ne fa l’ uso cennato ; si dà a colombi, e si semina parimenti a Maggio. 19. Granodindia. Zea mays. Si coltivano tut- te tre le varietà, e si suol seminare negli orti. Se ne fa poco uso, e qualche volta si mangia o a lesso, o fritto. CONTRADE DI CALABRIA. Grano rosia. Si semina in terre sciolte , ed in preferenza in quelle concimate dalle pecore. La ro- sia detta di Cortaglia è preferibile a tutte le altre. 2.° Romanella. Si semina in terre umide dette in que luoghi ombre. 3.° Grano resina. Questo desidera un terreno molto grasso. 4.° Majorica. Si semina in terreni arenosi che tendono al tufo. = 207 — 5.° Gutronese. Vuole terreni forti e grassi. Sisti- ma per grano di peso. 6.° Mazzanello. Il tutto come al precedente. 7.° Squatrene. Si semina in luoghi asciutti, cioè abbondanti di carbonato calcineo. 8.° Orzo. Si semina in luoghi asciutti ed areno- si; vuole una sola coltivazione , cioè la zappetta. Si semina in Novembre , e talvolta anche in Fe- brajo, ma richiede terre 22a9gesate, o Ingrassa- te dalle pecore. g.° Avena. Richiede terreni sciolti, e si coltiva come l’ orzo. 10. Germano. Come la precedente ; si semina anche in terreni arenosi , e vi vegeta molto be- Il seme si affida alla terra in Dicembre e Gennajo , ed ordinariamente va unito coll’avena e colla rosia. 11.° Spelta, o speutra. Si coltiva nel circonda- rio di Mileto, ed in parecchi altri luoghi. Richie- de un terreno forte , e se ne affida il seme alla . terra in Febrajo e Marzo; si coltiva due volte col- la zappulla o dubbra. 12.° Ziggiaparo, Avena fatua. Questo seme nasce naturalmente ne’ grani specialmente quando il ter- reno è ben maggesalo. 13.° Gioglio. Questo cresce naturalmente ne’ gra- ni, e se ne toglie colle mani nel mese di Maggio perchè dannoso. 14. Soriaca paesana. Vuole un terreno fresco e grasso . — 288 — 15. Soriachella minuta. Si semina come la pre- cedente , e vegeta anche bene ne’ terreni magri. In questa Provincia si colliva pure il granone , e si usa di farlo come qui appresso. Raccolti i gra- ni, e bruciata la stoppia , si seminano lupini e fave per uso di pascolo , cioè i lupini si sotterra- no nel mese di Settembre in terreni sciolti ed are- nosi per mezzo dell’ aratro, e le fave ne’ terreni for- ti ed umidi nel mese di Ottobre. In Gennajo e Feb- brajo si pascolano i primi, in Marzo ed in Apri- le i secondi, e quindi si dà principio alla coltura del granone. L’ esperienza ha fatto conoscere che tali pascoli riescono anche d’ ingrassamento ai terre- ni, specialmente per quei succhi i quali senza di siffatti erbaggi dopo di pochi anni resterebbero ste- rili. Si ara dunque il terreno che in quei luoghi dicesi gAzacciare, dopo venti giorni si ara nuova- mente e dicesi dubbrare; si riara per la terza vol- ta dopo altri venti giorni , e dicesi 22/ergare , e ‘così preparasi la maggese per affidarvi il seme del granone. L'esperienza ha pure fatto conoscere che ne luoghi caldi nelle terre arenose e secche , la maggese debbe prepararsi in tempo d' inverno, per- chè così sarà più atta alla produzione; ne’ luoghi poi molto freddi, ed umidi è meglio che si pre- pari nel mese di Maggio. Verso questo mese poi si sotterra il granone coll’ aratro , e si appiana il terreno coll’ erpice, sebbene nelle pi//ose si fa uso solamente di quest’ ultimo. Dopo un mese si passa il terreno colla zappa togliendo le piccole piante AO > +. 1 RI Et Ad «a 83 — È che sono folte, restando le altre alla distanza di circa due palmi; quindi si passano di nuovo, e si puliscono tutte le pianle estranee, c presso ogni piede si ammassa un piccolo monticello di terra, cosa che dicesi dubbra. Nel mese di Settembre, ed Ottobre si raccoglie dalle donne di campagna, si trasporta nelle aje, si spogliano le spighe , si battone con izmazzoni, e dopo seccato al sole si conserva ne’ magazzini. Le spoglie che si son tolte si usano per fieno, e sono gratissime ai bovi. Dopo di ciò ne' mesi di Settembre , ed Ot- tobre si ripassa subito il terreno coll’aratro, e vi sì semina il grano, cioè in Ottobre nelle terre fredde, ed in Novembre ne’ luoghi caldi. Quando la piantolina ha cinque foglie si zappetta; e verso Marzo si dubbra ossia si rincalza; in Maggio si netta da tulte le erbe estranee, e questa opera- zione dicesi fillta. In Giugno e Luglio si miete colla falce, si unisce in manipoli detti erm, i quali raccolti da un ligatore da tre in quattro per un fascetto , formano la gregna : così si portano sulle aje ne'campi dove innalzansi a guisa di tanti paglia] e questi diconsi #7ogne. Si dà principio in seguito alla trebbia per mezzo de’ bovi con una grossa pietra trasportata da bovi medesimi: e quindi dopo pulito dalle paglie col favor del vento si ri- pone ne’ magazzini. Ed è questo come dicemmo una specie di gua- dro generale che sott'occhio fa vedere le diverse maniere di collivazione che si praticano nelle va- 19 rie Provincie del Regno; ma pure a dirla con sin- cerità non ne presenta un'idea minuta ed esat- ta siccome sarebbe desiderabile per formare una interessante raccolta, la quale servir dovrebbe co- me un codice in questa maleria, onde i pro- prietari, ed i coloni vi potessero rinvenire di che migliorare la nostra agricoltura. Intanto riassumen- do l’idee sparse pissiam ridurre alle seguenti le varietà de’ cereali che si coltivano tra noi. Grano a grappoli, o a raspi, o a racioppi — Grano baffone — Bianco — Calabrese — Saragol- la — Romanella — Calò — Forte, o biancolella— Mischia — Cignarella — Rosso — Risciola— Caro- sella —Majonica—Marzatico — Turco ossia il Tur- gido — Siciliano — Imperatore — Ciceriello — Ci- cirinella — Granodindia ; a seme. giallo tondo; gial- lo lungo ; rosso tondo ; bianco tondo —Orzo ; majatico volgare ; mondato ; di S. Giovanni cc. Spelta — Segala — Avena ; avena ventolana — Panico—Salgìna,o sorgo ec:Con ciò però non voglia- modaread intendere che diverse siano effettivamente le specie de’ grani. La distinzione de’ loro nomi deriva dal diverso loro esteriore, non che dà tem- pi in cui si sogliono seminare. Dioscoride perciò ne distinse due specie principali l’ invernale cioè, e l’estiva; la prima abbraccia tutti quelli che si seminano in autunno , e la seconda quei che si seminano in primavera, In seguito furono classi- ficati dalla diversità de’semi, delle spighe, de’ co- lori, e così le moltiplicarono considerabilmente. Nel 1790 però il celebre Lamarch fece rilevare la fallacia di tutte queste classificazioni, e ridus- se le due specie di Linnèo , cioè l aestivum, e l’aybernum ad una sola che disse #rlicum sati- vum ; ond'è che nell’ Enciclopedia Metodica a que- sta specie, ed al tritzcum spelta, al trilicum Po- lonicum, ed al {&riticum monococcum, limitò tut- te le specie de’ grani coltivate per l’uso economi- co. Il signor Barelle in fine ne diede una più esatta monografia , e noi alla stessa mandiamo il lettore che fosse vago d'’istruirsene, bastandoci di aver sommariamente descritti quelli che si coltiva- no nelle nostre Provincie , affinchè gl’ industriosi agricoltori ed economisti possano bene regolare le coltivazioni delle cereali con affidarvi semenze adattate in tempi proprî , ed applicarne quindi il prodotto a quegli usi domestici e di commercio, che sono più conducenti al bene della società , ed al vantaggio delle famiglie. FINE. AVMVZTLITBUULITIITTLLTLITLTITITLIILITITITIZTTITUTLIZZLIVIILTITL LILLA Z ZIA MA ina aITtDIGLB DELLE MATERIE CONTENUTE NELL’ OPERA INTRODUZIONIE NECWUSSITÀ DI BEN CONOSCERE E MIGLIORARE LÀ GOLTIVAZIONE DELLE CEREALI. CAPITOLO È Dell” Origine delle Cereal. Farro; Orzo; Grano; Avena; Segala; Scandella; Grano- RR Le E è nl pag. 1 e seg. CAPITOLO II. Della natura di varie terre , e delle particolarità che le distinguono dalle altre. Che s' intende per terra — Terre semplici; silice, al- lumina, o terra argillosa, calce o terra calcarea. Loro ste- rilità per propria natura; divengono coltivabili unite ad al- tre sostanze; l’ umo risulta dalla vita vegetabile ed anima- le; diverse proprietà chimiche delle terre semplici ; come na 294 sei conoscere l’ adesione che le unisce; non si combinano col- I’ azòto, col carbonio ece. Opinioni di Humbold e di Saus- surre intorno all’ossigeno , e parte che questo prende nel- la vegetazione ; della terra silicea e sue particolari quali- tà ; dell’ allumina, e proprietà che la distinguono ; della calce e suoi particolari caratteri — Terre composte ; ma- gnesia ; come si trovi in natura ; si rinviene nelle acque marine , ne corpi degli animali unita all’ acido solforico , nelle ceneri ecc. Opinione di Lampadio , ed esperienze di Einhoff. Carbonato di magnesia; come si distingue dalla cal- ce.L’ umo feconda le piante ; sua definizione, suo colore, e sue proprietà; come giudicare della quantità che n° esi- ste nelle terre, e come conoscere se sia di origine anima- le, o vegetabile; come sia soggetto ad inacetirsi, e come possa correggersi colle ceneri bruciate, colla marna ecc. Del gesso. Sue qualità ; ricerche di Bucholtz; in che sta- to si trovi in natura — Della marna. È una combinazione del carbonato di calce coll’ argilla; s' incontra da per tut- to ; presso le montagne secondarie , ne’ borroni ec. piante spontanee che fan giudicare dell’ esistenza della marna ne- gli strati di terreni sottoposti ; sue proprietà, ed altre ter- re che vi si trovano combinate — Della torba. E una spe- cie di umo; si forma ne’ luoghi bassi e padulosi, e contie- ne più carbonio dell’ umo istesso. . . . . . pag. 9 e seg. CAPITOLO III. Preparazioni delle terre che si vogliono destinare alle cereali. >] . C7] Degl’ ingrassamenti. Necessità di conoscere i mezzi come restituire la fertili- tà alle terre spossate ; ciò forma la materia degl’ ingrassa- » La 290 Sa menti. Decomposizione delle sostanze animali, vegetabili — animali, o solo vegetabili ; principi che contengono favo- revoli alla vegetazione j; come agiscano sui terreni. Opere di Lord Drudenald, Anderson ec, su quesia materia. Calce considerata come ingrassamento ; promove la decomposi- zione delle sostanze , distrugge le radici nocive e gl’ inset- ti, mescolata con altre terre attrae l’ umido dall’ aria, e la soprabbondanza degli acidi — Del gesso trovato utilissimo nelle praterie arteficiali ; esperimenti del signor d° Urupt, e dell’ autore dell’ Almanacco campestre. Deila creta e della m24rna. Come sostanze saline promovono la vegeta- zione; parole di ffozier circa la natura delle terre cretose: opinione di Beumé; come si formi la marna; suoi diver- si colori; conosciuta dagli antichi ; diverse specie di essa; come debba servirsene l’ agricoltore ; in che quantità deb- ba spandersi sul terreno; tempo di marnare — Brucciamen- to delle terre ; idèe di Dickson su questo particolare; iso- la di Madèra migliorata colle ceneri ; come queste possa- no aversi per acconciare i terreni — Insegnamenti di Par- mentier per bene adoperarle in agricoltura.Ceneri di buca- to; osservazioni di /Mowrerois. Concime animale — Come si ottenga e conservi ; avviso del Parroco Samminiatese; quali di questi concimi sia il migliore; del seme colomb:- no ec. — Concîme vegetabile. Erbe da soverscio; utile che proviene da quest ingrassamento. Acido carbonico favore- vole alla vegetazione ; materia pingue estrattiva che si ha dalla putrefazione ; il continuo lavoro spossa le terre ; si bonificano colle sostanze pinguedinose; esperimenti di 7°u//. e di Duhamel ; avvisi di Columella e di Giovanni Fab- broni circa il riposo di esse ; Idrogeno carbonio ed azòto che sviluppasi nella decomposizione de’ concimi ; gas am- moniacale dannoso alle piante ; il carbonio si ottiene col soverscio di piante a fogliame largo e succolento; vantag- gi di quest ingrassamenti sul concime animale ; sostanza siponacea di Gioberti ; altri vantaggi del concime vegeta- bile; isola di Nerfonlk ; concimi animali più atti per le cereali ; loro diversa bontà secondo il grado di animaliza- zioni che posseggono; analisi di Yauquelin su gli escremen- ti de’ polli; gas che si formano sotto i fogliami delle vec- cie, del trifoglio, ec, alcune osservazioni sull’avvicenda men- to dell’ erbe da sowversezo colle cereali — Cicerchia; deseri- zione di questa pianta; terre che richiede; sua coltivazio- ne — Veccia ; sue diverse specie; osservazione di Qlivzer de Serres ; terra che le conviene; riguardata come concì- me anche dagli antichi; lupino; elogi che ne fa Columel- la; come si semini — Fave; buonissime per concime ; vanno soggette quasi alle stesse malattie de’ grani — Oro- banche ; consiglio di Col/umella per farle scomparire — Dolico ; diverse specie di esso ; esige le stesse cure della cicerchia ; era conosciuto da’ Greci — Pisello; suo colore e sua forma; suolo che ama quando debbasi sotterrare — Trifoglio; eccellente per riparare le perdite de’ terreni ; quando debbe soversciarsi; coltivazione del trifoglio incar- nato — Fieno greco, o trigonella conosciuto dagli antichi; coltivato oggi con successo dal Segretario di nostra Socie- tà economica Federigo Cassitto . . . . pag. 25 e seg. CAPITOLO. Del modo di apparecchiare la terra. Dell’ aratura; come fare i solchi, come profondare il vo- mero ; angolo retto da farsi dall’ aratro ; le porche siano paralelle ; regola dove dovessero lavorare più aratori; lar- ghezza de’ solchi ; quanto debbano più o meno profondar- si; regole generali su questa materia; numero di solchi che debb’'avere ogni porca; ragioni a preferire le larghe; opposizioni di coloro che preferiscono le strette; come deb- a RE SIRO (EJ gi, Tot, TAGE IT — 207 — 4 basi arare il terreno in pendio; come il suolo irregolare; la profondità delle arature varia secondo i diversi semi che st vogliono affidare al suolo ; per ottenere un buon ricol- to bisogna che avanzi sempre sotto le radici delle piante altro terriccio; norma per le terre soffici, di buon fondo, dure , poco porose; necessità di svolgere il suolo sino al- l’ultimo fondo coltivabile , ma non aunualmente, siccome da taluni si vorrebbe; cose che debbonsi tener presenti nel determinarsi a portar su la terra vergine solloposta; nume- ro delle arature che debbonsi praticare ; nostre riflessioni per questa Provincia di Principato Ultra; il numero come sopra può fissarsi da tre a cinque; come eran disegnate da’ Romani; opinione di Munehkausen non sempre abbrac- ciabile ; quando debbesi sotterrare il letame ; arature da precedere i grani dì primavera ; come lavorare coll’ aratro ne'campi di vasta estenzione; come l’aratore debba procedere in voltare l’ aratro per fare i solchi novelli. pag. 59 e seg. GAPITOLO V. Della seminagione delle biade , e specialmente del grano. Del tempo della semina; importanza di questa circostan- za ; norma da tenersi per i grani di aulunno, e per quel- li di primavera ; se la luna abbia dell’ influenza sulla se- mina ; riflessioni intorno alla sua luce in rapporto a que- sto particolare; opinione di coloro che sostengono doversi semi- nare dopo il ricollo; opposizioni in contrario. pag. 73 e seg. CATTIITO LOVE Della qualità della semenza. Regole da tenersi presenti ; come fare per averla per- fetta; si cangi spesso, e per quali ragioni. I semi ben con- See. 295 LS servati non si alterano ; massime di Virgilio nelle Geor- giche,. e; (SM i a pg CAPITOLO VI. Del modo di preparare la semenza. Precetto del medesimo Virgilio; pratiche odierne ; opi- nioni contrarie di /Wal/erio e Duhamel ; ragioni del si- gnor Home ; esperienze di Bonnet; fecondità del nitro se- condo Zallemont; elogi che ne fanno Digby , Bacone; ec, scoperta del Conte di £2eZigry; grano fermentato dal Cava- lier Barbaro; calcina vantata dagli astronomi; modo d’ in- calcinare proposto da Sulzeres; e per ultimo quello di Fran- cesco Pappadà de’ Baroni di Civitella pubblicato nel 1835 sul classico Giornale l’ Omnibus. . . pag. 78 e seg. E APITOLO VIE De’ diversi modi di seminare. 1.° A mano volante. 2.° Col seminatojo. 3.° Col pianta- tojo ; quali di questi tre sia il migliore. Diversi avverti- menti sull’ oggetto; del seminatojo di /e//emberg; vantag- gi di questa machina ; inconvenienti che offre ; seminaloj di Machet di Cock, di Huntel di Diancourts. Descrizio- ne di m seminatojo ; i Chinesi usavano consimili machi- ne; il primo fu costruito in Europa da Lucatello Spagno- io; semina col piantalojo; quando sia cominciata a diffon- dersi; come si pratichi ; vantaggio di questo metodo; ris- parmio considerevole di semenza ; istrumento usato iu di- verse: parti “d’Ialia.- 240"... IDE i CAPITPLO IX- Della quantità di semenza per ogni moggio Napolitano. Diverse opinioni sull’ oggetto ; che s’ intenda per semi- nar folto; che per seminar raro ; quantità media tra noi; esperimenti del Conte Podewils; maggiore, o minore quan- tità di semenza; ‘alcune osservazioni sulla semina folta; ed altre sulia rara ; idèe del signor Tessier ; conchiusione di Rozier; objezioni di coloro che vorrebbero sostenere la se- mina chiara; esperienze del prelodato Tessier. pag. 99 eseg- CAPITOLO X. Dell’Erpicatura. Che cosa sia; quando si adoperì l’ erpice, e quando l’a- ratro ; differenti forme di esso ; diversi modi di erpicare; erpireva denti dilegno.;.. .. +... pag. 106€ seg. CAPITOLO XI. Del Cilindro. È un’ istrumento utilissimo nel)’ agricoltura; si destina a rompere le zolle, a comprimere le terre leggiere , a raf- fermare le piante cereali , ad assodare le radici rialzate ; sua descrizione, e diversi modi di costruirlo ; cilindri in- glesi; tempo in cui debbesi far uso di quest’ utilissimo Istrumento. . +. +... +... . 709. 109 € sS€g- = bo = CAPITO LO MII. Delle piante cereali e della loro vegetazione. . Che s'intende col nome di cereale; pregi che le distin- guono ; cereali di autunno, e di primavera; tempo neces- sario per germinare ; caratteristiche che distinguono quel- fe di primavera ; osservazioni sulla temperatura , sulla ne- ve, e sui geli; pratica male intesa di rovesciare i semina- ti che si mostrano meschini; necessità di slargarli ove fos- sero soverchiamente folti ; segni per prevedere um buon ricolto ; come regolarsi in caso di allettamento ; funzioni della vegetazione de’ semi; loro stato nell’ inverno; forma- zione della spiga ; polvere fecondante ; perfezionamento degli acinelli; doude derivino I’ aborto e la caloria. pag. 113 eseg. CAPITOLO XII. Del frumento in generale , e delle varie specie di esso. A quali piante appartenga il frumento; sua descrizione; diverse specie di esso ; divisione che ne fecero Dioscori- de , Columella, e Targioni; alterazioni alle quali va sog- gelto ; si distinguono in fort, e fenerî; grano di Polo- nia ; del miracolo: farro; descrizione della pianta del fru. mento ; caratteri che lo distinguono j esame chimico de * suoi acinelli. Della sarchiatura ; oggetto di questa opera- zione ; modo di effettuarla. Della rincalzatura; quando, e come debba farsi ; osservazioni generali; terre che più si convengono al frumento ; riesce bene sulle maggesi, dopo il tabacco, dopo i cavoli, dopo le civaje ; quale di queste più spossi il terreno; riesce eccellente sui campi di tri- foglio; malamente sulle proprie stoppie, dopo il orzo, il li- no ; l’umido e le acque risiagnaie lo danneggiano non poco ; qualche parola su’ grani di primavera. pc9g. 124 e seg. CAPITOLO XIV. Delle malattie che attaccano il frumento. Della ruggine, o carbone; caratteri che lo distinguono; sua polvere ; opinioni del signor Prevost intorno alia sua na- tura ; come s’ introduca nel grano ; ‘conosciuta dagli anti- chi; parole di Colume/la, e di Cicerone; come vien con- siderata dal signor Zosena ; nebbia comune ; nebbia me- lume; nebbia carbonchio; opinioni di 7%aer, Linkoff: ec. Germinazione impedita — Germinazione interrotta — Ger- minazione soppressa — Germinazione troncala — Prolifica- zione ritardata — Soffocazione — Prolificazione morbosa — Secchereccio — Abntipatia vegetale — Compressione — De- bolezza — Inceppamento — Paralisia — Albugine fungosa— Fruitificazione abortiva — Necrosi — Rachitismo — Della ne a LI è 09 1/1 e seg. CAPITOLO XV. Insetti che danneggiano i cereali. Nozioni generali riguardanii gl’ insetti — Falena gufa— Falena della segala — Falena del grano — Tarma delle bia- de -— Mosca della sommità del grano — Carruga agricola — Punteruolo del frumento — Grillo talpa — Grillo grosso— Gorgoglione dell’ avena—Idèe del nostro Niccolò Pilla per distruggerli — Riflessioni del professor Bare//e sul medesi- uunonsello 0.0. ug evo» lag IO @ SEG: a CAPITO IONE Della Messe. x Importanza di quest’ operazione ; si apparecchiano e si puliscano i grana} ; si tengan pronti gli operaj e gli stru- menti opportuni ; falce che si usa tra noi; sua descrizio- ne; modo di provarne la tempera; diverse maniere di mie- tere ; dove si possa usare la sega , e dove il seghezzo dei Lombardi ; istruzioni del Ministro dell’ Interno sulla falce da mietere il grano— Falce di Slesia ; del Cavalier 5ram- billa; raccoglitore di Francesco Pratese; altre osservazio- ni sul medesimo soggetto; operazioni che si fanno dopo la messe; trebbiatura; diversi modi di eseguirla ; machina di Pesseller e di Karst ; tribolo di Yarrone; come si conser- vino i grani; camini di Russia, e di Svezia; fosse di Ger- mania; altre osservazioni sugl’ insetti nocivi che sogliono es- sere nocevoli ne’ magazini. . . . . 7@9. 172 e seg. CAPITOLO XVYVH. Dell’ Orzo. A quale famiglia appartenga : conosciuto in tempi anti- chissimi ; sue varietà; sua farina ; principio zuccheroso ch’ esiste ne’ suoi acinelli; sua coltivazione ; riesce bene sulle patate; tentativi fatti in Inghilterra; sua sarchiatura; come si fabbrichi la birra ; conosciuta dagli Egiziani; usi economici dell’ orzo ; orzo di Siberia ; orzo mondato ; or- zo perlato. LU. No 9 0 AREE GA P_UT.O:LO XVI Dell’ Avena. Conosciuta degli antichi ; sua natura ; in quali terre ve- geti bene; modo di apparecchiarle; preparazione delle sua Do sua 010 Arza semenza; quantità necessaria per ogni moggio; diversi mo- di di seminarla , e sua coltivazione; del suo ricolto, e del uso che può farsene ; le sue farinate molto in uso in In- ghilterra ; lo stesso presso gli antichi popoli della Germa- nia ; in Francia se ne fa una specie di birra ; avena. che si coltiva in Principato Citra detta verzolana ; quando si semini ; eccellente per pascolo de’ besliami; quanutà di fie- no che se ne raccoglie; regole generali per eusemnara (i. I pago gl e seg. CAPTIRO LO Xe Della Segala. A quali piante appartenga ; su quali terreni si semini; tempo di seminarla ne’ monti; quantità necessaria di semen- za; sua coltivazione ; sua fioritura ; male dello sperone ; tempo di sua maturità ; precetto di Cafore ; sua ricolta ; suo pane ; giovevole ai bestiami. . . pag 204 e seg. CAPITOLO XX. Della Spelta. Differisce dal frumento ; trovata selvatica in Persia; sua coltivazione, e sue malattie ; uso che se ne fa in Francia, ini Germaniae bra 'nol . 0 0. page 212 e’ seg. CAPITOLO XXI. Del Formentone. Che si eichiede in questa coltivazione — Tempo della se- mina — Quantità di semenza necessaria — Calcinazione del- la medesima — Sua nascita e vegetazione — Sarchiatura e rincalzatura — Animali che danneggiano il formentone — Sua ruggine — Malattia del calore — Usi domestici di que- — 304 a sto cereale — Carbone del granodindia — Esperienze di Po» net, Villet, Chiarugi, e Melandri — Opinioni di Targio- ni, di de Candolle, di Bullard, e di Gough—Quistioni del proff. Carradori, e del proff. Pollini — Opposizioni del si- guor Barelle.y i. 0 02027 1.0, 00, pe CAPI T.0:L0) AGE Del Riso. Sua coltivazione nel nostro Reguo sulle pianure ‘di Sa- lerno — Riso dell’ Indie — Del Giappone — Dell’ Egitto — Della Carolina — Della Spagna — Del Piemonte — Conchiu- sione — Riso secco — Analisichimica delriso. pag. 236 eseg. CA-P.ILO,. LO DAIUIR Del Miglio. Diverse specie di esso — Sua coltivazione — Pratica di De Thiene — Olco Cafro del proff. Arduino. pag. 249 e seg. Appendice. Capitolo unico. Coltivazioni delle cereali nella Provincia dell’ Aquila e- stratto dal Sig. Pasquale Gravina — Abruzzo Citra dal sign. de Angelis — Contado di Molise — dal Sig. Grosuè Scarano— Terra di Lavoro da Francesco Notarpanni — I due Principati — Capitanata da Gaetano Baselice — Provincia di Bari al Canonico Tarsie— Provincia di Lecce — Dal Sig. Marinosci — Contrada di Calabria — Con- chiusione... ii ii a e 2 — 305 — ERRORI e CORREZIONI. 00) to Pas. 32. verso 14. faciltà — leggete — facilità; pag. 33. v. 16. infie — infine ; pag. 99. v. 21. granili— grana]; pag. 116. v.9.ch1— che 1; pag. 144. v. 19. ruggiadosa — rugiadosa, id. v. 25. stato — strato; pag. 150. v. 29. artista — arista ; pag. 152. v. 19. elle — alle; pag. 154. v. 4. sole —sale ; pag. 160. v. 2. 8. 22. granili — grana] ; pag. 206. v. 9. che — e; pag. 2:0. v. II. esiccarla — essiccarla; pag. 217. ed sole — ed il sole ; pag. 219. v. 13. ò più — piò ; pag. 221. v. 1. ed calore — ed al calore; pag. 224. v. 27. saporissima — saporosissima ; pag. 250. v. 28. nelle terre leggiere — st tolgano queste parole ; pag. 262. v. 15. farrono — farrone ; pag. 263. v. 8. secala — segala; peg. 279. v. 28. che e — che, 20 — 307 — COSE PUBBLICATE DAL DE JORIO. Elogi biografici di Serafino Biscardi; Gaetano d’ Ancora ; Fi- lippo Bello; Monsignor Francesco Verde; Sebastiano Bartoli ; Francesco Rapolla; Giovannantonio Carafa; Tristano Caracciolo; Alessandro d’ Andrea ; Canonico Lombardi; Giuliano Erelico Ve- scovo di Eclano; Domenico Caracciolo; Girolamo Carafa; Gela- sio I1.; S. Celestino; Urbano VI; Bonifizio IX; S. Gennaro Mar- tire ; Giovannantonio Cassitto ; Giovanni Elisio Calenzio ; Pirro- ne; Antonio di Monforte; Leonzio Pilato; Alessandro Vitale; e Trojano Marulli — Vedi la SBrografia degli Uomini Illustri del Re- gno di Napoli: An. 1318 a 1828. Canto Epitalamico per le nozze dell’ Avv. D. P. colla Sig. V. de J.—In una Ruccoita. Nap. 1822. Sonetto sul medesimo soggetto — ivi. Saggio di una nuova Versione di Anacreontie. Nap. 1822. Versione intera delle Odi del medesimo dal testo greco: Nel. la Biblioteca Poetica Scelta : Vol. IX : Nap. 1326. Sonetto a Sua Mzersra’ Francesco I. Sul giornale il Sedero. Nap. 1825 — Ode alla Sig. C. M. Sul giornale delle Dame ed in foglio volante. Nap. 1826. Saffico sul rinvenimento de’ Mss. del Z'asso sul Topo Letterato , sul Glissons di Milano ec. Sul Circondario di Paterno: Memoria Fisico-Economica: Nap. 1930. Elogio Storico Critico dell’ Ah. Marciano di Leo ; del Consi- gliere Filippo de Jorio : in 3. Nap. 1836. Illustrazione di una iscrizione sull’ antica Avellino ; nel gior- nale La Farfalla. Traduzione in versi sciolti del poema di Tommaso Niccolò d’ Aquino - Libri IV in 8. Nap. 1831. Meleagro ; tragedia con un saggio di poesie liriche; del Con- sigliere Filippo de Jorio: in 8. Nap. 1835. MB Yo de Sonetto in morte di N. de J. A/tro in morte del P. Generale Vincenzo M. d’ Addiego delle Scuole Pie, già lettore di Filoso- fia e Matemalica dell’ Autore. Aro sulla vita nella Strenna del- te Ziolette ; an. I. Nap. 1836. Trionfo di Alfonso di Aragona; nelle Zzo/etie an. II. asi 1898. L’ amore di 15 anni ; sull’'Amico delie donne: Messina: 1835. Ode sulla rugiada ; nella Strenna del Zopo: an. I. Ode sulla Primavera; nell’ Omn2bus — Sull’ invenzione del Termometro : prosa: ivi — Sul grano di 7a di Greve coltivato in Toscana dal ch. Leopoldo Fabbroni : ivi. Iscrizioni sulla morte di Sua Marsra’? M. Crisrina delle Due Sicilie. Sonetio sulla proclamazione di Ayjone a Duca di Bene- vento. Sezolto in morte di N. Sarni. Sezolti , ossia frammento iratto dall’ Esagerazioni di Zippo Kreptt sopra Byron — /dem sull’ avvicinarsi dell’ inverno. Diversi Epigrammi del greco sul l Omnibus , sulla Specula , nella Strenna l’/ride ec. Prose — Sull’ educazione popolare — Sul zucchero di barbabie- tola — Processo per la sua fabbricazione — Di alcuni uomini ce- lebri che si servirono con profitto delle opere altrui — Delle mo- nete coniate sotto le diverse dinastie del Regno di Napoli — Sul Santuario di Montevergine — Sul famoso Castel-Monte in Puglia— I Cavalieri Bandierati — Modo di conservare i vini — Palazzo di Persepoli — Alfonso Borrelli — Giuochi Floreali in Tolosa — Sul- l origine del dritto punitivo — Progresso della lingua francese— Istituzioni Cavalleresche in Europa — Sull’ invenzione del Telo- scopio— Coltivazione del grano di America del Petuniel — Sul la battaglia di Sessano — Sulle quistioni Apruzzesi del Canonico Palma — Origine e progresso della tragedia italiana del 1000 si- no a tutto il sec. XVIII. cc. : Trattato sulla coltivazione delle cereali: Nap. 1838. _COSE INEDITE. Istituzioni di dritto civile romano : Vol. 2. Comentario sulle leggi patrie di conciliazione. L'iovo — tragedia. Cajo Gracco — tragedia. d'raduzione di Anacreonte Teo con molte correzioni al Testo, e con copiose Annotazioni. : AIA A TA ie A AA A En AAT pe ENT Vita Aaa AA MERA Md TAN ce MLEGI 2 - 4 F ti di - \ ni Ai )l da A ZA (SERI RI È | LI LIZICHA | 2 A Ni è) - LENTE M 1 È A 9 & A a } fee o ì \ i falf \ Ta Rd IO la Pi PA AA PRO | VARI a ab Dè AD 4 4 VR A RO A i dal IA n 7 RT Nel Uia’ A Ù p i MALL RAR MMana 1 A NA (AGLA , 2 PREDA TN nn A n NARA ROTA, TA Y \ MALA M x V \ RA MA A BD DID: p I RIPA A AN IBAN n..ài, NAlALa { Ta) «Ra LALA NEI SE 7S e Lon Lala LI Deacidified using the Bookkeeper process. A | RATA PIA Neutralizing agent: Magnesium Oxide IR Anita ATA GIÀ JAR gg 'reatment Date: September 2012 Va AG LA. AAMA PreservationTechnologies y! 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