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DELLA CULTURA

DEGLI

ORTI E GIARDINI

TRAFNVILATO DI

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ORA PER LA PRIMA VOLTA PUBBLICATO

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IN FIRENZE 1814.

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L'EDITORE

Il favorevole accoglimento che gli ÀAma- tori dell’ Arte Agraria, e della Lingua nostra hanno fatto a quella parte dell’ O- pera di Giovanvettorio Soderini da noi pubblicata 1’ anno 1811., la quale pre» cede il Trattato anteriormente edito della Coltivazione delle Viti, e forma con esso il Volume primo del Manoscritto autografo, ci ha indotti a dar ora alla luce l’ altro sulle Piante ortensi che vien di seguito, non senza fiducia d’ incon trare egual gradimento, per le belle nozioni e pe lumi, che tratto tratto sparsi e disseminati vi si ritrovano, utilissimi ai Geoponici, come ancora per la copia che vi si ammira di esatte descrizioni di varj oggetti della Natura e dell’ Arte, spiegati con semplice insieme, e forbita naturalezza di dettatura, e con voci af- fatto proprie e Toscane, atte a riempiere largamente in questa parte il manchevole

IV del Vocabolario della Lingua. Si aggiun- ge a tal pregio il vedervisi tramischiate alcune particolarità concernenti la vita . dello Scrittore medesimo , di cui sono scarse le notizie che sene hanno, con rincrescimento di chi aa siffatte biogra- . fiche indagini, sempremai profittevoli e © perchè elleno accrescono la serie dei Veri tra loro generalmente connessi, e | perchè giovano le più volte a far cono- scere il valor di chi scrive, ed il grado di fede che meritano le sne dottrine. E in realtà da quello ch’ ei dice all’ Ar- ticolo Piz0x intendiamo che il nostro Soderini avea fatto un viaggio in Inghil- terra; e per l'osservazione riferitane in proposito di far parola del Bulbo, e de’ Rosa), venghiamo parimente a sapere che esso visitò pur la Pollonia, esaminando costantemente e notando 1 fatti e le pra- tiche, riconosciute giovevoli al migliora- mento e progresso dell’ Asricoltura, in- torno a cui disegnava di compilare quan- do che fosse universali istruzioni. Si raccoglie poi da ciò che I Autore. scorie ve del Papavero. spumeo, qualmente l’intiero sistema della coltivazione erasi da lui primieramente appreso dalla let- “tura delle Opere degli Antichi, e poscia de quel più che loro aggiunsero di me-

glio provato gli Sperimentatori moderni, e nominatamente il Mattiolo , celebre Vol- garizzatore dei Libri di Dioscoride so- pra la Materia Medica, ed il Ruellio valente Botanico Francese, de’ quali ap- parisce al sommo studioso ; e quasi per- petuo seguace. La scienza però che ne trasse, era frutto eziandio delle molte e- sperienze, che colla sagacità richiesta ad ogni investigatore delle operazioni della - Natura andava del continuo tentando, e riprovando da per se stesso nel Giardino urbano della Casa gentilizia rispondente in sull’ Arno, e nel Semplicista della su- burbana Villa sua propria (*) come re- sulta da quanto si legge all’Articolo della Colutèa, e del Papavero. STO

Del resto non deesi tralasciar di far noto, che essendo il Codice originale anche in questa parte mancante dell’ ul- tima correzione, conforme avvertirono 1 Giunti, e noi pure nell’ Avviso pre- messo alla Parte prima, ci è stato ne- cessario adoperare l’istessa cura nell’ e- mendarne i patenti difetti che abbiam cercato di togliere con quella medesima accuratezza , che usammo dapprima, one de le mutazioni ed i supplimenti che sl facevano, fossero 1 più consentanei al tenor dell’ Autore, e riducessero al mane

Vi co possibile l’ arbitrio del correggere in quei luoghi, ove la cattiva qualità della carta ha col trasudamento confuse le fi- sure delle lettere, o la natura dell’in- chiostro avendole corrose, ne ha del tutto l’ impronta abolita. ci siamo tampoco arditi di resecare se non che le porzioni identicamente ripetute, le quali sarebbono a buona ragione state tolte dall’ Autore stesso se fosse mai tornato a rivedere il getto primiero , e non pun- to ritocco d’ un lungo Lavoro, che amò meglio di lasciare all’ altrui diligenza rac- comandato. Per rendere in ultimo di una maggiore utilità a’ leggitori la nostra qualunque siasi fatica abbiamo sti» mato bene di ridurre in serie alfabetica rigorosa i Nomi tutti delle Piante dal Soderini descritte, aggiugnendo a, cia- scuno dei Nomi Volgari il corrisponden- te Greco, e Latino, e (ciò che più im- porta ) quello , col quale vien distinta. ogni Pianta nel Sistema specialmente di Linneo, a cui son debitori i Botanici degli accertati caratteri di tanti e di- versi Vegetabili, involti per addietro nell'oscurità, e soggetti non poco ad e- quivoco. Per la quale indicazione ci siam prevalsi della gentilezza del nostro dotto Amico il D. Ottaviano Targioni

VII Cl. Professor di Botanica , e d’ Agricol- tura, e Direttore dell'Orto Agrario Spe- rimentale della Società economica de’ Georgofili, al quale rendiam con pia- cere questa pubblica attestazione di gra- titudine .

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(*) Ne” Libri dell’ antico Ufizio delle Decime si trova registrato, qual- mente Giovanvettorio di Tommaso di Messer Giovanvettorio Soderini possedeva fuor di Porta alla Croce una Casa signorile, o Villa con Giardino, la qual fu descritta nel 1594. in conto di Pier Tommaso suo Figlio, da cui nel 1613. venne tra- ‘sferita per vendita in proprietà dei Marchesi Borbon del Monte, che ne sono anche oggidì i possessori; siccome il Palazzo d' abitazione in Citta che aveva in Via del Palagio a dirimpetto di quel de’ Salviati , adesso Borghesi, passò dipoi ne’. Baroncini, e ultimamente in uno della Famiglia Gondi .

DELLA CULTURA

DEGLI

ORTI E GIARDINI.

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Da 1 Giardino, oltre all’ avere nella meno utile e più occupata parte il salvatico, conte- nere in se tre partimenti; il verziere peri frut- tiferi arbori, che sotto abbiano lo spazio netto pulito e spazzato, con erbosa prateria verde, ove altrove non si lavori che sotto ed attorno gli ar- bori; un quadro grande, o in altra forma per gli erbagg] da orto; ed un altro un po’ minore per l’ erbette da insalata, al quale ne sia ag- giuoto un altro più piccolo d’ erbette da fiori dette Coronarie, distinto in var) componimenti pieni di var) fiori, assegnandone a ciascheduno una sorte, che così acconciamente campesgerà. Tra tutti questi siti si elegga un luogo che par- tecipi il più che si può del caldo è del freddo temperatamente con buon fondo e grasso terre- no, per i frutici o sterpi, ed erbe medicinaii, le quali levate dai lor luoghi natii con il lor pane di terra, e con esso traspiantate nel dome-. stico vivano per il più, avvertendo di porle nei luoghi, che sien più conformi di ombra, e di sito alla qualità dell’ essere loro ; e così gover- nardole secondo che bramano alla foresta dove, nate sono, Altre vogliono essere attese col la- voro , ed altre non si curano d'esser punto trassiuate, ma di starsl inculte mantenendosi a quel modo, e così secondando la lor natura, una

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gran parte d'esse vi si alleveranno. E perchè non senza grandissima felicità di paese e terreno si potrà ottenere di aver insieme il verziere e l’ orto in un medesimo lato, si potrà cercare d’ aver questo separato in que’luoghi che sono destinati solo per orti, i quali sogliono essere è appresso la villa, o dentro nella città, o fuo- ra d’ essa non troppo lontani, insieme o di per se, come vi si possono ordinare; staranno bene, se lo comporti ii sito, presso la casa, ed anche nei luoghi di per se dove ne siano degli altri, e si potranno custodire purchè vi sia il sito, ei terreno, è l luogo, e qualità di aere opportuno, Se sia posto. vicino alla villa, sia in lato che l’aie non vi soggiacciano affinchè per la battitu- ta i venti non portino la polvere le paglie e la loppa, ma bene gli soprastiano i letami, che 1 sugo del grasso del lor fracidume coli in quella terra, che quantunque grassa, sempre allegra di nuovo grassume perchè rinnovando- visi ogni due o tre mesi, anzi ogni mese nuove semente e piantette erbe trasposte, ha sempre bisogno di nuovo cibo, e essere aiutato col grasso che continuamente si rinfreschi. Soprat- tutto fa di bisogno aver l'orto chiuso e serrato in maniera che le bestie e gli uomini non ab- biano a poter danneggiarlo, così con istrappare col morso di quelle, come col toccare, trame- nare, e brancicare di questi, e massimamente delle donne menstruate, ritardandosi crescere di tutti gii erbaggj e l’acquistare , per il toe- camento o passeggiarvi. E del fortificarlo attor- no son varie le maniere s altri col loto stempe- rato e ben battuto fin grossi mattoni con le forme, e gli murano; altri fra tavole alte e grandi cacciata questa terra liquida fanno tutte le mura di terra, che si possono incalcinare; altrì con loto annestando i sassi insieme, fanno

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3 un muro a secco che ,abbia dalla parte di fuore una gran fossa che empia d’acqua copiosa- mente, sendo di natura da rattenerla ; perchè re- stando asciutte e vuote le fosse , si leva e sottrae l’amore all’ orto , siccome si campi, i dirupati bo» tri levano il nutrimento ai granie biade semina- tevi; sicchè volendo circondar l’ orto con fossi grandi, principisi lo spazio di esso lontan venti braccia, e dai campi della condizione detta trenta 0 quaranta . Altri vi fanno muri impia- strati di loto, coperti sopra di strame o di mi- rice; altri fan loro attorno un palancate d’ as- serelle di castagni appuntati confitti alle traver- se e fermi a forti e grossi pali.

La diritta è far una buona e fonda fossa intorno al circuito dell’ orto al tempo buono, ‘e presi dei prunì bianchi, e de’ roghi scapez- zati piantarli nel margine della fossa in modo che le si cavin fuore dalla cima un mezzo piè del terreno, tenendole nette con isbarbarvi dentro, e d’ attorno ogui erba, e massimamente nella prima estate cavandole tutte e fuor di quelle traendo gli sterpi e tutto quel che vi sia nato, che porta via il nutrimento che vien loro. La terra così ben netta loro d°intorno, e ben la- vorata da ogni banda, si ricuopra di bnono strame, col quale e la rugiada della notte si cali alle radici, e alla sferza del caldo esse spine e roghi piantativi si difendano; l’anno appresso» vi si mettano degli appoggj e delle traverse fit- te ai pali, ai quali le verghe delle spine ed i roghi leghino; e d'anno in anno alzandogli si faccian d’ ordine in ordine salire a quell’altez- za di siepe che si voglia. Tutto quello che avan- za si pieghi nel piano destro e sinistro della siepe, che si rimbocchi a difficultar maggior- mente il transito, e a così fatto termine condot- ta. si. dee ogni anno rilegare, e dovunque ella

sia rada, massimamente da basso, riempiere co- ricando le messe di traverso, e sarà tanto folta che non vi trapasserà pur un uccello, traspi- rerà alla vista; e così fatta siepe non l’ estirpe- anco il fuoco, anzi abbruciata , più fonda rinascerà . Si dee ancora ogni anno attendere a potar le messe superflue, e le puute che escano dell’ ordine rintuzzare.

Poste le spine come di sopra ed attaccate, s' intacchino al calcio quattro ‘dita da terra con ferro tagliente, e piegati e ricoperti i rami si propaggineranno; ed ancora fra -le due terre dato loro un taglio , quello rimetterà, e da quel mez- zo rotto, scosceso e piegato a terra per lun ghezza , rimetterà nuove messe, le quali a giusta graudezza cresciute si ritagliano , e ripiegano al modo medesimo, tanto che il primo o secondo anno così seguendo, si vada facendo folta . Que- sta riuscirà più forte, ma non pulita come l’al- tra, e massimamente se si faccia di foghi piega- ti in arco di mano in maro a terra ed ancora la punta. E non avendo piante vive si semi nino i semi, e sendo fitti s intreccino ilsieme, che faranno similmente fondissima siepe.

E come di tutte le ville, o d’ogni sorta giardini l’ anima è l’acqua, così degli orti è la vita e°’l mantenimento. Eleggasi adunque per l’ orto un luogo dove non abbia principalmente @ mancar l’acqua; e se non vi sia un rio che naturaimente corra, o fonte che del terreno 0 di sasso surga, o ramo di fiume che vi possa derivare, facciasi un pozzo cavandosi nel mese di settembre, quando il sole otterrà ultima parte della Vergine, innanzi ali’ equinozio au. tunuale, che allora si esperimentano bene le forze delle fonti quando manca la terra de l'umo- re della piozgia; e se non si possa questo, fac- ciasi nella piu alta parte un gran truogolo che

5 racceglia l’ acque del verno, o murato o nella stessa terra rilevata, e se questo ancora manchi, guardisi di elegger terreno di buon fondo, e che sia simile a se stesso da imo a sommo, e. di- vegliasi a dentro due o tre puntate, e così manterrà fresche le radici la estate, facendo !a terra lavorata ben sotto, come le cantine che d'inverno son calde, e di estate fredde. E dove sia modo d’ adacquare, basterà affondar quanto va giù col vanghile la vanga, mandandola giù diritta e pigliando la terra sottile, perchè si faccia più trita; e questo è da osservare dove la natura non aggiovi gli orti con l’acqua, e mas- simamente se siano in costa o spiaggia, sebben l’ orto desidera la pianura. Appresso l’acqua de’ fiumi per adacquare è buona quella delle fonti, poi quella di pozzo, e delle artificiali quella di citerna della piovana ripiena, ed ac- canto a questa quella delle fosse che viene dal cielo. Plinio crede che le freddissime aggiovin le cose, ed a bere sien le più suavi; meo utili son quelle degli stagni che portano assai semen- te d’ erbe. Assaissimo aiutano l’erbe le pioggie, e con esse si ammazzano le bestiolelte, scrive il medesimo. Ed a certe convengono |)’ acque salate, come al Rafano, Bietola, Ruta, Cunela, e Radici, alle quali tutte la salata è particolar medicina, e le fa più saporite e feconde;.e a tutto il resto dan giovamento le acque dolci di buon sapore, e buone ; siccome nuocono le fan- gose, le putride, e di cattivo odore, ond° è che la piovana sia la migliore annaffiando tein- peratamecte per lavar l'erba dalla polvere, ed ammazzare i vermini, e sempre giova che elia non venga che troppo scaldi, 0 con furia ruvi- nosa, che imbelietti 1’ erbe; e porti via il terre- no. lmperciò di estate è più giovevole che in a:lro tempo annaffiare di notte, mai sulia

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sferza del caldo, o la mattina avanti il levar del sole, ola sera quando va sotto. Ma il Bas- si!ico appartiene adacquarlo a mezzodì . E tut- to quello che è seminato, si tiene che dia fuo- ri presto, adacquandolo con acqua ca da avanti al sole. Gon Teofrasto conviene Plinio che la fredda facendo meglio l’ effetto di rinfrescare giovi più all’erbe, purchè la non sia agghiac- _ ciata, e quando si adacqua lascisi la terra che sia bene inzuppata e sazia d’arqua, e nei luoghi che hanno più ombra s’ adoperi acqua stata al . sole, e tiepida. Si semini contro a tempo erbe per farle nascer presto, e si adacquino una volta più dopo mezzogiorno. Quelle dei fiumi generano erba assai, e men di queste quella delle fonti, e poi ancora manco di questa quel. la del pozzo. E quaiunque ella sia, è bene far- la passare per un lato dove ella s’ incorpori con polvere di strade o letame trito; e dipoi farla audare all’ erba, e massimamente quella che uscisse da nevi o fonti gelate; che così si con- tempera ed in uo tempo annafhierà l’ erbe per il bisogno , ingrassando il terreno. Nell’ annaffiare facciasi dare ì’ acqua che s'alzi o con padelledi rame con manico lungo di legno, o altri innaf- fiato); e quando l’erbe son piccole facciasi dar cascando in su finocch] o sermenti secchi, 0 frascovi, 0 vimini. che vi sien posti sopra, che ciò difende dall’ esorbitante calore , e giova as- sai a fir nascere, ed a tenere il terreno fermo . Nou si dee adacquare pianta alcuna essendo in fiore, perchè l’acqua percotendo nella sua hoe- cia la guasta, e scalda, e se con acqua fatta tiepida al fuoco s’° adacqueranno le semente che vorrai far nascere all'inverno, daran fuore più presto, ancorchè sien di natura da nascer tardi. E quelle di tosta nascita ancora tanto più si sol- leciteranno , ma. cid non s ha a usare agli

arbori nati, a fargli nascere, perchè in- fermano ed il lor frutto è più cattivo.

Dove sono arbori fruttiferi, sotto non vi hanno a essere erbagg] sempre, e dove sono er- baggj, non hanno a essere i frutti, e così l’ erbe da insalata, e da cuocere, comei frutici ed erbe medicinali, le quali deono essere di per se spartite dalle altre , senz’ uggia 0 occupazio- ne altro. Ma perchè più acconciamente si po- tranno in varj luoghi della villa accomodare in siti atti, ed in terreni buoni per loro, si potrà distintamente in diverse parti ordinarle facendo- ne due divisioni, delle quali una contenga il giardino, o verziere degli arborì fruttiferi, ed il salvatico, e l’altra abbia l’orto che serva a tutte le sorte frutici medicinali, odorifere e ca- ronarie, e da cuocere e mangiar crude per l’in- salate, ponendo e tutte nei luoghi e nei siti ch’elle desiderano; e così quelle che aman più l’acqua stieno ai rit, e nell’ acqua istessa, come la ninfia ed i triboli, e la sala ed i giunchi; e 1 rosa], e i giglia piè d’essa o dove ella passi. E così tutte convien seminarle in quei lati che di lor natura amano, e dice Varrone, ch'e’ gio- va coltivare gli orti vicini alle città. Ma dovun= que sieno, il sito loro vorrebbe essere una dolcemente piegata pianura, ove piavameunte corresse l’ acqua viva per diversi spaz]j. Dice lo stesso Varrone che la felice disposizione dell’orto consiste nell’ esser posta in un piano a'quauto in- chinato, e ch’e’ vi possa correr l' acqua per tut= ti i pavimenti degli spazj divisi; ed ancera starà bene nel fondo delle vallate aperte, ed alla ra- dice al piè de’ bassi de’ motti verso mezzegiur= no, e nei dorsi de’ collì e coste che non sieno op- pressate o sotto alti monti che ie adombrino o seffoghino. È temendo il troppo caldo, um'do, freddo e secco, staranno bene nei luoghi tempe-

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rati, ma aperti e liberi da tutte le ombre, per- chè negli ombrosi non saran d’alcuna utilità , e l' erbe fuor del cavolo e maceroni non vi pro- fitteranno; imperciò nei freddi facciasi 1’ orto verso oriente, ovvero al lato di mezzodì; nei caldi al contrario, e nei temperati, mezzanamen- te partecipi dell’uno e dell’altro. Ne? siti piani, con il lavoro che vi si fa (che ha da es- ser tuttavia con la vanga lavorato ben trito e fondo ) s' agguagli di modo il terreno che vi re- sti solo tanto pendìo all'acqua ch’ella possa muo- versi senza correre per i solchi ad annaffiar l’aie che la rattengano un poco, acciò non scoli così presto; ed in tutti i siti si riducano l’aie (la- voraudosi il più che può ) a questo modo, per- chè correndo troppo forte l’ acqua porta via il terreno .

Desiderasi ove ha a far orto una qualità di terreno che di sua natura non sia troppo grasso, magro al tutto troppo, ma grasso e resoluto che genera erbe sottili; perchè così fatta condizione di terra è facile a lavorare, esi stritola bene trassinandola , e col letame che se le dia, si può far grassa assai per il bisogno dell’er- be. La spessa e grassa di sua natura è difhcile al lavoro, e vuol più fatica ; ma di vero questa viene largamente ricompensata da lei coli°abbon- danza del frutto; e secondo Columella ie zolle grasse che si risolvano in polvere, che facciano as- sai gra migna, e che producano dell’ ebbio , e siano un po’ umide, si tengono per le atte all’orto. La terra troppo secca come la troppo umida non è a proposito degliorti. Quella che da per se faccia degli olmi, dei meli, e de’ susini, e della farraggine è buona; cattiva è dove si crea il gal- bano o l’ elleboro bianco, el’ tasso. Vuole il giardino tepidità d’ aere e di terra, e benigni- di, cielo, perchè nella terra troppo fredda

. ; 9 niente vale la clemenza del cielo; e per contro

se sia la terra troppo adusta, poco giuverà. Dai cattivi venti sieno ancora difesi gli orti, e mas- simamente dagli aridi ed ardenti che abbruciano l’erbe e le guastano, come le troppo gran bri- nate e nebbie. E per questa cagione non starà meglio in altro sito che in sfogato e dilatato da ogni banda; e sebben richiede terra mezzana- mente soluta, ed umida piuttosto che secca, bra- ma il terreno contuttociò grassissimo , e però abbi ( come disse di sopra ) nella più alta parte il colato del letame e del grassume . Puossi peraltro conservare gli orti nei luoghi aridi, come dice Columella, ma con poco utile, cavando o van- gando all’ ingiù tre o quattro puntate con la van- ga. Meglio sarebbe se si potesse trovar terra di sua natura dolce e delicata, e che si sfarini la- vorandola e smaltisca l’acqua, che piovuto che sia resti asciutta, agevolmente si lavori pe- netrandovi facili i ferri, e faccia zolle tenaci, ma spolverizzi e sia netta da ogni sasso e pietra minuta o grossa, e non si trovando così natural- mente, sia con l’artifizio ingrassata; il che si farà dandole a gni sementata erbe sempre nuovo grasso di letame della miglior sorte, come l’umano digestilo e mescolato con pagliaccia, e colombina e di tutte le stalle che sia bene smaltito .

Il muio fatto con calcina sarà più sicuro. per gli orti con le pergole di vite attorno che s'alzino con i legni fitti all’ insù, e sieno pianta- te le viti dalla banda del muro , perchè altramente ‘ilgrasso, e l’acqua danneggerebbe le radici. Gc- cupa il muro poco luogo, e le siepi molto; e le fusse consumando del buono, se è qualche cantonata sghemba o avanzume di terreno che nor riquadri, si può empiere di canne, braman- do il canneto terreno di grassezza e bontà ugua-

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IO | le a quello degli orti. I quadri poi sieno scom- partiti dai loro viottoli che gli dividano tirati tutti a sesta, ed abbiano di quae di in su i loro orli per lunghezza , (e così gli altri andari più. piccoli intraverso ) spallierette di timo dilevante , d’isopo , di nepitella, puleggio, persa, sermol- lino, origano, rosmarino, spigo, salvia minuta, viole, ed abrotano , e pincri Inghilterra e si mili; le quali tutte erbe occuperanno solo lo’ spazio delle vie, senza pigliar punto del terreno dell’ orto, facendo i solchi che servano a man- dar l’acqua ove bisogni di° la dall’ erbe delle spalliere. Siano gli spazj dell’ aie, dove si hanno a seminare o strapiantar l’erbe dell’ orto, col suolo intorno a loro un po'larghetto, ed essi non più larghi, che aprendo uno quanto può le gambe possa da° solchi arrivar sopra a zappettare, e cavar via radendole col marretto tagliente tutte erbe cattive che nascono, tenendo la schiena arcata senza calpestare il seminato. Così ogni piccola viuzza e sentiero che si partisca per i quadri, abbia larghezza a proporzione di essi, e di quà e di la le spallettine di odoriferi fiori; le aie poi o porche, o come si dice in Toscana 1’ aiudle, ed in Lom- bardia resole che sono nei quadri distinte dai viottoli o piccoli sentieri, hanno a essere un più strette e lunghe per trasporvi erbe, cioè lunghe dodici piedi, e larghe sei, e così medesì- mamente divise per poterle con facilità e senza guastate far nette; ediloro margini, e arginetti, donde si possano adacquare , sarà assai ne’ luoghi umidi inaizargli due piedi, e nei secchi e più asciutti, uno fra |’ aiudle; se l’acqua sia solita traboccare, o allapare gli spazj che contengono l’aiudle, denno essere dagli orli più alte di loro , perchè più facilmente vi facci 1’ entrata all’ acqua che vi si avvia, e poi che abbi satolle l’ assetate erbe, la possi alle altre travoltare. Alcuni usano

ti

senza allargare il tratto, annaffiar due aiudle pet volta trattenendo l’acqua per i lor solchi, e a ogni tante braccia facendo una buchetta larga in tondo concavaa discrezione, e gettando l’ acqua sopra di loro alta ed in quantità , e come ne han succiato il bisogno tramuta l’acqua, é si passa all’altre contigue. |

Deesi rasente i muri o macchie volte a mez- zogioruo innalzare il terreno a scarpa per far pro- de lunghe quanto è il muro, o la macchia, e lar- ghe quindici a venti piedi con buon pendìo per piantare le lattughe.e bietole per l’ invernata, e dipoi per l’ estate i finocch], facendoloro argine del terreno della proda medesima che gli rincalzi, e seminando in quei mezzi o fagiuoli 0 poponi; Ma bisogna concimare a doppio per il pendìo; e se saranno con un muretto da piè che rattenga la terra, si potrà (avendo da capo fatti certi oc- chi di pietra ) piantarvi de’ capperi, i quali ancora posti nel fin della proda sopra esso muro faranno

«bene, ma non vogliono esser lavorati d’attorno,

E perchè nell'autunno, e nella primavera princi- palmente si seminano, e si traspongono l’ erbe negli orti, è cosa convenevole di dividere le sue parti, e quelle lavorare nella primavera che si vo- gliono seminare nell’ autunno ; e il lavoro ha da esser tuttavia fatto con la vanga. Adunque il terreno che sia destinato per seminarsi e pian-. tarsi a orto all’ autunno, si lavori al mese di Maggio, e quelle che sia serbato a seminarsi e

piantarsi a primavera, si lavori a Ottobre e No-

vembre; e l’uno e l’altro si lasci così smosso ri- posare sin’ al suo tempo, perchè cou i freddi e brinate si ricuoca e stagioni, e per i caldi si prepari a buona digestione , e a ricever con per- fezione i seminati, e il postime, avendo per le contrarie ragioni tanto il caldo quanto il freddo, valor di cuocer la terra, e fermentata risolverla,di-

ta

sfar le zollee ammazzar l’erbe triste annichilandone isemi. E se ciò non basti, quandoarriva il tem- po del seminare, quattro o cinque innanzi minutamente ricercandole e leggermente rilavo- rando hanno a cavar 1’ erbe e lelor bacche, e passata la bruma ai 23 di Gennaio vi si cacci il letame in rilavorando il terreno, e marreggian- dolo sotto. Dipoi seminate l’aiuòle hanno a raggiungere e coprire con secchi cespuglj, aven- do prima con i maglj o marra lunga ribattuto il terreno, e le nasciture erbe calcate in modo, che non le serri poi il caldo; e così quattro o cinque invanzi si faccia a quella parte che s'ha a sementare nell’autunno, ai quindici di Settembre e primo d’ Ottobre, e le si dia il letame se si può avere umano ed asinino che mena poche erbe, Nei luoghi freddi si semini nell’ autunno più pre- sto, e nel verno più tardi, ma nei temperati si seminino mese per mese, o due mesi una volta, quelle semente che per tutto l’ anno si voglion rinnovare per tuttavia averne; che perciò è giu- dicata la fatica degli orti maggiore del lavorar l'altre terre, rivoltandosi ilterreno loro almeno sei volte l’anno.

Perchè dell’erbe alcune sono che servono a mangiarsi o cotte o crude, ed -altre per il piacer delia vista, altre per l’odore, ed altre per l’uso medicinale; -ed alcune d’ inverno, alcune d’ esta- te, la prima sementa sarà di Marzo, Aprile, e Maggio, nel qual tempo possiam seminare il cavo- lo, la radice, i navoni, la bietola, la lattuga , la romice, la senapa, il curiandolo, il prezze» molo, gli anici, e il nasturzio. La seconda se- menta è doppo il solstizio dell’ estate da mezzo Settembre in là, eotrando Ottobre, nel qual mese si pianta il porro, l’appio, ilcitiso e l’at- . teplice; e la terza per l’estate si comincia in alcuni luoghi di Maggio, nella quale si pungono

13 il cocomero, la zucca, la bietola, il bassilico, la porcellana, la satureia e molte altre cose. Quelle che tu vorrai che non facciano il seme; si seminino doppo il solstizio , e certe semini- no in due tempi nell’ autunno e nella primavera, ed alcune più spesso, come la lattuga, il cavo- lo, le radici, la ruchetta ; il nasturzio, corian- doli , cerefillo, e gii anici intorno a Marzo ed a Settembre si seminano, ed alcune vengono d’ ogni tempo, potendosene seminare in tutte le stagioni dell’anno, e non ch'altro d’ ogni mese, e mese per mese che hanno di mano in mano a servire negli altri. Rinnovasi la sementa di al- cune piante in sul medesimo terreno ; alcune ne sono che vengono dal seme, alcune dalla radice, altre col capo, altre con l’ una e con l’altro, al- tre colla radice e col seme, altre con la corteccia, altre con la. cartilagine; sonvene a!cune con la carne, ed alcune con le tuniche carnose; cer- te con la marza e con il ramo, come la ruta, l’ori- gano, il timo; ed il bassilico, il quale tagliano come sia pervenuto all’altezza di ur palmo, e?’ ri- mette; certe con la radice e col seme, come le cipolle, l’aglio, ed i bulbi, e tutte quelle che hanno capo. Ma per quanto tutti i semi dell’ erbe facciano, nella ruta la regola fallisce, perchè sep- pur nasce, tardissimamente viene innanzi, e im- perciò si pianta a rami. Di quelle che nasco- no con la radice, la barba è diunturna e frati- cosa, perocchè dalle sue barbe muove e mette, e spesse volte in più si spartisce come i bulbi. I gentaj, e ie squille si pongono, ed alcune con il capo come l’appio, e la bietola, perchè al. largano le radici, dalle quali sorgono le foglie ed i gambi, i quali tagliati, quasi la maggior par- te rimettono , eccetto quelli che hanno il gambo fuori da banda. Il rafino e la rapa (cavate le foglie coperte nella terra ) crescono e bastano

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all'estate tenute nelle canvine. Il frutto di al- cune è in terra. e d’altre fuore, e d’ alcuna neil’uno e nell’ altro luogo. Aleune si aggiac- ciono in terra come il cocomero e la zucca, ed il popone, 1 cetriuoli, e l’ angurie ; ma le zuc- che in' pergola fan maggiori e grandissime ‘:maa- «date sopra gli arbori; altre per innalzarsi ban bisogno d'appoggio, come il convolvolo, la. balsamina, i piselli, e dei fagiuoli alcune sorte,. ed il iuppolo e°l salice. Di certe i più fre- schi semi più presto si generano, come è nel porro, cocomero e zucca. Per il che alcuni il seme del cocomero nel latte, o nell’ aceto,. 0 nell'acqua con quello delle zucche van ma- cerando, facendolo così dar più presto fuore ;; così l’appio, la bietola, il nasturcio , l’origano, la currela, e il coriandro. Particolare e proprio si è quello che si dice della bietoia, cheinun anno la non si generi tutta, ma qualche cosa. che le. manchi nel primo, nel secondo si conduce. a fare un poca più, ed a fine nel :terzo. Per ]a copia di seme importa assai l’ essere il terreno bene a solatìo.

Nell’ ordine de’ semi ci è questo da osser- . vare, che non sieno senza succhio, mescolati, a adulterini. Per la somiglianza in certi il seme vecchio ha tanta forza che muta la natura. Per esempio del seme del cavolo invecchiato nasce la rapa, e di questa il cavolo. Ancora si rac- colgono i semi d’ alcune quando più. presto quando più tardi. Il tempo a proposito è a pri- mavera nella nascita della Canicola, e nell’ au- tunno. avviene ciò per tutto, ma secondo i inogti; la bietola, la lattuga, il bassilico, la ruchetta , e il navone nascon presto; la ruchet- ta in tre dì, la lattuga in quattro, la bietola l’estate in sei, l’ inverno in dieci o dodici, il cu- riandolo passa venti, se sia il suo seme vecchio;

15 se nuova, ricusa di nascere se non acciacchi o stravolga; la currela e l’ origano doppo i venti saltan fuori. Difficultosissimamente esce della terra appio in quaranta dì; se prestissimo , in trenta. perciò da avvertire che importa assai se sopravvenisse sereno, o tempo rabbuffato o cattivo , perchè più presto dan fuori coll’ aiuto del cielo, come avviene ne’ luoghi tiepidi e so- latii. Alcune piante una volta sola in tutto l’anno partoriscono , alcune più spesso, ed in due an- ni come l’appio e’l porro. Il senzio e simili seminati una volta si mantengono più anni, come la terra che ogni anno si risemina. Presso il gambo impongono il porro, il genzio, le ci- polie, e l'aglio, e tutte quelle che dai lati creano 1 figliuoli, e queste tutte desiderano as- sal letame e l’acqua.

Nel gettare in terra i semi dell’ erbe è come negli arbori da tener couto della ragione della Luna, seminandoli e piantandoli quando la cre- sce. Molti credono che sia. bene far l'uno e l’altro dal quarto della luna al decimotta- vo, altri dalla terza giornata della luna, alcuni dalla decima alla vigesima. Come si sia, tutto si dee fare quando la luna è sopra terra. È perchè deil’ erbe che si mangiano è di bisogno tutto l’ anno, sendo elleno un contivuato condi- mento per il meglio vivere, conviene seminarne ogni mese per averne tutto l’anno. E sebbene nei luoghi freddi, come nell’ Alpi, solo si può, attendere all’ erbe ne’ mezzi tempi, tuttavia quel- le che resistono al freddo e poi al caldo ron pe- riscono, vi si potranno avere, come i cavoli, i porri, gli agl), radicchj e simili; è quelle anco che amano la stagione tempetata (coprendole l’ invernata ) come la lattuga, le bietole, prez- zemolo, e maceroni, e massimamente a solatìo in prode ove possano quando si scuopre avere il

16 | riverbero del sole ; aggiungendovi letame e pa-

giia di sopra in quantità .. Nei luoghi temperati il seminare che si avrebbe a fare di primavera , vien meglio fatto al Novembre, o nel principio di Dicembre, che di Febbraio o Marzo ancor- chè i semi non nascano prima di tali mesi. È la ragione è che s'averanno l’erbe più a tempo nella stagione ch’ elle si ricercano, ed iporri e le cipolle si potranno più presto trapiantare, e tutte quelle che banno a trapiantare si possono seminare tra quelle che restano sul terreno, e queste si posson diradare e lasciarvele per ordi- ne, che faranno come le trapiantate, e massima- mente nei tempi dell'estate la lattuga. Si pos- sono ancora seminare mescolatamente più sorte d’ erbe di quelle che s’° hanno a trapiantare, fra quelle che non s' hanno a muovere d°’ia sul ter- reno dove elie son seminate; perchè quando le vi saranno tutte nate, si leveranno quelle, e vi si lasceranno queste, come i porri, le cipolle, gli.aglj, le carote, le pastinache, le bietole, i radicchj; e questi perchè dieno la foglia e si lascino fsr le barbe, e con essi le pastinache e le carote, ed i prezzemoli posson seminare in su i divelti che le fanno grosse e lunghe standovi almeno l’ anno.

Le cattive erbe che tuttavia mena il terre- no, tosto cresciute le buone, si levino o sbar- bando, o con tagliente marretto; e le trapian- tate si ‘sarchino più d’ una volta, e rincalzando- le si dia lòro nuovo letame fradicio . In trapian-. tando avvertiscasi ( fatto il foro con buon pidio ) di non aggrovigliolare le barbe, ma giù dirit- te mandarie, spuntandole sempre, perchè piglian più forza a rimettere, e basta un sol dito svet- tarle. Aggravisi col pidlo ben la terra addosso che si faccia toccare per tutto, e sieno rincal- zate da ogni banda, e subito ch’ elle sieno tra-

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sapiantate , a tempo asciutto annaffino. e i trapiantano nel secco l'estate, annaffisi prima il terreno assai, e smaltita l'acqua si brapiant n quì, ed al gran caldi si ricuopraco con vimini gruticc], o paglia. E se perqua:che impravvista, o repentina pioggia si fosse la pelle della terra o crosta sollevata , o si stringesse e serrasse loro intorno a farle A toroisi destramente con i più piccoli marretti a sarchiare per istaccarla, acciò non dia loro noia

I semi dell’ erbe non passino un anno, esi eleggano quelli più stagionati, più di peso, e più granati. Tutti i semi dell’ erbe seminati in umidiccio, nasceranno meglio, che nei secco asciutto e freddo, perchè questo ritarda, quello incìba a nascere. Nel terreno che a sorte fosse salso, seminisi all'autunno, perchè l’ inverno contempera quella salsedine. Gioverà mescolarvi la sabbia di fiume e della terra buona. I semi posti nei luoghi umidi tralignano piuttosto che nei secchi, e perciò è bene mutargli la seconda volta che ion sien peggiorati. I semi che con benigne aere piantano , sono al germinare più atti, e seminati in luoghi tiepidi ed esposti al sole più tosto nascono. I semi più freschi gene- rano per tempo nel porro, e nel getio, nel co- comero, e nella zucca ; 1] vecchi più tosto nell’ap- pio, nella bietola, nel nasturzio, nell’ origa- no, e nel curiandolo . I posti in luogo caldo fanno i fusti e intalliscono più per tempo, fan- no il seme più presto, ina non è tanto buono, Al’erbe di qualsivoglia ragione s’ innaffierà il seme, perchè non talliscano così tosto , e per mantenerle più verdi, si scavi intorno al pedale quando saran cresciute ; e ciò si faccia spesso riempiendo pur di terra cotta. Dell’ erbe per medicina si colgono i fiori avanti che si mutin di colore e caschino. I semi si raccolgono poi

artta

18 che sia finito il termine della lor maturezza, secca e consumata che sia in loro la crudezza e l’ acquerosità , e le loro barhe s' hanno a cava- re quando sono le lor foglie cadute, ed a quelle ch’ elle non cascano , quando si vede che non crescon più. I fiori quando son bene aperti e ch’ e’ finiscono e cascano, e l’ erbe istesse, quan- do son venute alla lor perfezione, si colgono in giorni buoni e sereni a luna scema;e i fiori ed i semi si deono serbare in lati asciutti secchi ed oscuri sopra tavole. Nei vasi di Bòlo Armeno, e dell’ Elba ben cotti, e di Schiavonìa non solo questi benissimo conserveranno, ma tutte le cose da mangiare, e frutte, ed altro co- perto con coperch] del medesimo bolo che turino e suggellino ben serrati che non isfiatino. Le barbe loro si conservano nell'arena umida, le secche in lati asciutti sospese da terra legate a stanghe in palco e stanze ben chiuse al bujo. Ma i semi de porri e delle cipolle si conservano meglio che in altro lato , neile lor proprie cover» te; VV erbe d'importanza s' adacquino coll’ acqua tiepida, 0 con acqua attinta d'uno o due dì) addietro .

Quanto più si lavora e rilavora la terra degl’or- ti, tanto più si megliora e raffinisce, aggiu- gnendole sempre del grassume , che è quello che nutrica | erbe, e forza al terreno. Se l’ orto covi o stia serrato il terreno che patisca troppo d’ umido, si corregga e si emendicon fogne fat- te sotto, 0 col tramutare il terreno in alto che abbia il suo scolo, 0 far nel più basso un gran pozzo smaltitoio , © cavarne con artifizio l’acqua, e tenerlo poi asciutto. Appresso alle sopraddet- te cose nou si razzoli mai. Solevauo gli An-

tichi fare i pergolati.negli orti mandandovi so-.

pra delle viti; ed a:cuni amano agli orti le stra- de coperte dagli arbori sopraddetti. Ma meglio

®»

I è lasciare 1 viali liberi, e che niuna aia ida sia suggetta a uggia, sebbene vi si comportino i peschi e gli albercocchi , e in su le prode, e nei canti i fichi, ma questi tuttavia usufrut= tano il terreno, e con la loro ombra nuocono agli erbagg).

Deesi da una parte del Giardino che paia più appropriata, o vero in un procinto di esso, che sia separato con muro, o con gran fossa ed argine, piantare il Salvatico d’arbori da ragia, come pini, abeti, larici, nassi, cipressi, gine- pri, pini salvatichi, e storaci; o da perse tutto di lòti e sicomòri. Bisogna considerare il lor sito, aere, e terra naturale, e quivi con l’arte ed industria imitar la Natura dando loro quello che si ch'egli appetiscono, e così andare per le piante in quei lati dove sian piccole, e cavarle con il loro pane, edalla luna Ottobre in luogo conforme al lor paese porle in buoni lavoridi di- velto ben sotto, ma non poi tanto addentro, e con riguardarle dal bestiame. visi potino al- tro chel pino el nasso, aiutando questi a salire all'insù, e volendo seminarli, procaccisi d’ essi . di tutte le sorte semente buone, e stagionate, e pongansi in buche ripiene di buon terriccio 0 in luogo grasso di buona terra spenta, adacquan- doli perchè crescano e vengan presto; e nati che sono vadano diradando, e trasponendoli così piccoli nel luogo dove hanno a stare. E avendo a trasportarli, il secondo anno si può fare in ordine quincunce ombrosa e folta la selva , e fitti come si desideri, o con spazio erboso da passeggia- re; e seminandovi palèo vi starà bene , come pur il cipresso che vi si ponga, che sebbene è tenuta pianta lugubre o funèbre, è bella, vuolesser tocca maida piede per esser maturata a crescere con tuttii suoi rami. ben vero che avendo la punta biforcata, s'ha a tagliare il ramo più de-

20 bole perchè venga innanzi l’altra più gagliarda, e tanto può fare agli Abeti e alla Zampira. Il Pino, e gli Olmi con le lor barbe danneggia- no le muraglie ; petciò piantinsi nel mezzo. Ed ancorchè si pongano simili piante intorno alle case e pianticelle grandi e spaziose nei mezzi e rasente 1 muricciuòli; si possono metter fra gli altri a far bosco, il quale sarà più bello variato, che d’una cosa sola. Ed abbiasia mente d’ usare ogni diligenza possibile, perchè sono piante fastidiose ad allevare, e bisogna porle a ragio- ne, e vezzeggiarle un pezzo, che così cresce- ranno e viveranno . Queste selve fatte cou ar- tifizio vorrebbero esser grandi e capaci di circui- to per potervi con piacere far esercizio, ed an- dare attorno, e perchè così vi nidificheranno uc- celli di varia ragione, e dentro nel procinto del muro visi potranao nutricare diverse sorte d’ani- mali, e tener anco de’ coniglj, Ma bisogna pen- ‘sare che vi sia o fonte o rio che corra, o fiu- me vicino che.si possa derivare, facendovene an- dare un ramo, © sivvero come a Toledo che muova con ruote l’ acqua a farvela andar dentro abbondantemente con trombe aperte, o con altro artifizio.

Dalla cultura degl: Orti chiaramente si può comprendere per i piccoli loro spaz]j, che di gran frutto sono, e come più rende un campo pic- colo ben lavorato, che non fa un grande negii- geotemente trattato. Imperciò, conviene molto bene osservare il terreno che s'ha fra mano, e sebbene gli orti ricercano umidità e freschezza, i non per “questo vogliono esser situati in luoghi ch'e’ restivo affiigati dall’acque, e se pur il campo sia basso, e quivi esse troppo lo predo- mivino, e gli soprastieno, e gli convenga far Orti, è di necessità asciugarlo con l’arte, e operare che dal troppo umido -non rimanga of-

21 feso : il che si procurerà con alzar la terra da un lato, perchè scoli dall'altro, e con il colmar- lo nel mezzo, abbia il calo dalle due bande in una fossa che riceva l’acque, e le sgorghi in qualunque parte, ove essendo più basse camminiu via. Ed è il vero tempodi accomodarciò ( sem- prechè occorra o la prima volta, o più d'una rifarlo) a primavera ed all'autunno ; ed a que- sto medesimo tempo è bene ancora terrazzare i campi che altri voglia disporre alla sementa , © acconciare e preparare per orti, perchè si me- gliorano di terreno e si mantengon sani. Impe rciò quei cavezzali, o caccini (il cui terreno si deve condurre nei campi alla primavera) si arno di Ottobre o Novembre, affinchè la terra bolla in- sieme, e si scaldi; e che ogni corteccia e qua l’al- tra erba vi fosse marcisca, riducendo la lor ter- ra in due gambine, o vaneggie sole, perchè le assai piogge del verno possano scorrer fuore , 0 vero in una sola quando il terreno fosse areno- so», o d'altra sorta che non patisca umore rom- pendoli bene, e sottilmente a Marzo seguevte e dispensando la lor terra nel mezzo de’ campi che patiscano acqua, e facendogii piani a modo di prato con un poco di pendìo. Quelli dipoi che nell'autunno aranno bisogno di tal’ opera, rompano al mudo detto in Febbraio o Marzo precedente , lasciandoli così sin’ al Novembre se- guente, edallora riarandogli, e portandu la ter- Ta per i campi con l’ordine detto. Così questi per il caldo dell’ estate, quelli per il freddo dell'inverno ricuoceranno fermentandosi in modo che spolverizzeranno . arare grossamen- te i cavezzali, e portar via subito il terreno, non giova molto , che non è stagionato, e se pure cccorra portarlo dentro subito, arisi minu- tamente mai quando sia zuppa la terra, e si rifaccia questo ogni tre o quattro anni. Nei

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campi umidi e succhiosi facciasi il eolmo alto nel mezzo per liberargli dal troppo umore . Ed essendo tuttavia asciutti e sabbionosi, non oc- corre fossi, ma bene spesso rifondergli uguale mente di buon terreno ; e la terra che si ha a portar sopra ì campi, dei fossi, o d'altri luoghi cavata, si lasci prima a stagionare cinque , o sei mesi, poi si porti sopra i campi, se sia viscosa tenace e forte e grossa. Ma se sia sabbionosa e risolub le, dolce, leggiera ed asciutta, e che si sfarici doppo breve tempo, vi potrà condur- re. Così riducendo, e sanificando i campi si po- tranno oltre alle semente ordinarie destinare a orti; ma se si incontrerà terreno, che bagnan- done una zolla leggermente con acqua, e pro- vaudo con mano se è tenace, 0 vi s'attenga e resti come pece attaccata alle dita, e gettata in terra non si sparga risolvendosi in minutissime parti, sarà manifesto segno di grassezza. bene ordinare il letamaio dell’ orto ove scolino l’ac-» que , e vi stagnino, e quivi inviare tutte le brut- ture a marcirsi, e stagionarsi, e sia in lato ascoso il più che si può al sole ed ai venti, o si cuopra con tavole, o doppio paglione perchè si mantengano succhiose , e per essere il miglio» re e più caldu letame di tutti gli altri quello de'colombi e galline, si potrà dare a tutte quell’er- be che più rodono e consumano, come cavoli, e lattughe, sparto rado più e meno secondo che sia vecchio o nuovo. L’ umano è molto caldo, e con questo s'ha a mescolar paglia, ed altri letami digestiti , e solo darlo schietto ai cappuc- c), alle iattughe, alle carote, pastinache, e ra- dici per averli sfoggiati, ed a tutte erbe che barbano addentro, come prezzemolo, e radic- chj, e carote fiamminghe. Quello di pecore e capre vale a tutte l’ erbe minute, come bietole, spinaci, prezzemolo seminato fitto, ed insala-

lo) 23 tuzze. Di buoi vacche cavalli e mule non vale agli orti più che tanto; buono è peri prati, e massimamente questi due. tenuto per gli orti lodevolissimo, come si disse, quello degli asivi perchè non genera erbe, e pessimo quel di porcu; ma tutti ben mescolati insieme , e imputriditi di pari gioveranno ai campi e agli orti; eda que- sti tenendo sempre a mente di ridarne a ogni sementa, perchè 1’ erbe succiano assai tutte dal terreno, e conviene, tuttavia che elle si risemi- nano, riletamarle. Perciò non può assegnar tempo determinato agli orti come ai campi da sementa , nei quali si dirittamente a Settem- bre ed a Maggio. Diasi agli orti stagionato e digerito bene, perchè il erudo non gioverà tanto, e bisogna fuggire di sciorinarlo ai gran soli e caldi, perchè questo nel cava la virtù, e più tosto ai tempi nuvolosi e coperti, ed a luna crescente , siccome a questa hanno a gettare in terra tutte le semente degli orti. Ma. se sia il terreno grassissimo, si può anco alla stema, e massimamente seminando un po più tardi; e se il terreno sarà umido, seminisi ne: far della luna, e quattro intornv. E perche l’erbe vengon copiose e con gran rigoglio, ancora per esse si dee avere in uso osservazione della !una , per- ciocchè come il sole ha tutte le virtù elementa- ri, così la luna per virtù sua è padrona della ge- nerazione del fare e diminuire; peril che dan vita a tutto, ed essendo il sole caldo e fuoco, e ia luna umida, si fa tra loro un perfettissimo tem- peramento : il che osservando si fa il maggior benefizio che si possa fare alle piante ed all’ erbe, avendo massimamente la luna facoltà di genera- re, e far crescere dal principio. del suo cresci- mento sino al plenilunio, e di diminuire e sce- mare dali’ opposizione sin alla sua congiunzione. E così com’ ella cresce di lume datole dal sole,

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somigliantemente augumenta d’umidità ap.pre- sa dall’ acqua e dalla terra, e quando comincia a scemare manca insieme il caldo e l’ umido, sicchè nel suo tondo ell’è umida più d’ ogni al- tro tempo. Ciò propriamente si richiede alle fave e massimamente alle grosse che si seminan ne- gli orti, facendo lor bene sempre l’ umido. Ma nella congiunzione o poco innanzi è priva d’umi- do, e secca più che mai, e questo giova alle veccie, e allora è anco ben semivarle per gras- sume de’ campi, e degli orti. Alle biade ed ai grani fa bene quando cresce in seminando, e di- chiara manifestissimamente il suo giovare che fa alle piaute ed erbe con l’ esser ella nell’ estate caldissima nella sua congiunzione, e di verno gelatissima. E per il contrario nell’ estate quan- do è colma le notti son fredde, e nell'inverno tiepide , il che tutto le rinfranca ed aggiova. Restano i giardini, o orti pensili, o che fosse Semiramide la prima che ne facesse, o Ciro Re di Persia. Si fanno per oraamento de’ Palaz- zi; e Cesare Augusto piantò cipressi che crebbe. ro in notabile altezza sopra la muraglia del suo Mausoleo, come oggi a Roma si veggono pian- tare sopra le stalle del Palazzo di S. Marco dove sono vigne ed arbori sopra le volte delle mura- glie, tutte cose pensili. Servono ancora a ricrea- zione delle più belle stanze per il godimento della veduta della .verdura, comecchè il più dei- le, volte si fan venire o in su i cortili dove affacciano l’occhiate di tutte le fioestre, o da una banda, o a rincontro delle stan- ze del primo piano, o della sala senz’ alzare i piedi per arrivarvi, e poter quasi di camera corre l’insalata, e di notte col lume della lu. gerna, e avere le frutte a ore strane. Ancora sopra le loggie dai lati ripieni di buoù terreno si posson fare spalliere d’agrumi, e nel mezzo

25 ordinare l’ orto pensile ripieno di frutti, viti ed erbe a suo modo con forte muraglia, e sotto i suoi scoli, e non ch'altro sopra i tetti istessi delie case si possono ordinare orti o giardini pensili accomodati sopra doppie e furti travi fab- bricandovi sopra con vespa] battuti che tengan l’acqua, e su questi per modo ch’ elia possa scolare mettendo il terreno, e con esso quantità di vasi di grandezza più che ordinaria, o orticini di terra cotta ripieni di terriccio buono e pian- tati di che si vuole. A quel medesimo fine gli antichi nobili e potenti ne fabbricarono noa pure in terraferma, ma in mare altresì (che è gran cosa a dire ) ne fecero, come ne fa fede la Nave di Hierone Siracusano, che era quattro volte maggiore della Septireme di Pirro , sopra la qua» le fu fatto un Giardino ripieno di vitie frutti, ed erbe, fondato iu su grossissimi e gagliardis- simi legnami. Ed un Re Inghilterra fe tauto grande una Nave, che vi si potè giocare con racchette alla palla. Queste così fatte colti- vazioni pensili si deono fare a piacimento e se condo il potere, che fa di bisogno sia grande, perchè vogliono buone volte, grosse doppie e di buon lavoro con gagliarde spalle di muri giossissimi, e con catene di ferro se bisogni a traverso, e grandi sfiatato) e sgorgatoj d'acque; e le volte sieno a mezzo cerchio perchè sien più stabili e forti, e sieno abili a regger peso maggiore. E vi si dee portar sopra la terra ma- cera e buona, più alta e foudata che si possa, ed ai tempi caldi mediante l’acqua mantenervi umore; e così si faccia ai vasi che vi si ten- gano, rinnovando spesso la terra ai piedi delle viti o frutti con tenerli gastigati col potare, e gli uni e gli altri annaffiando semprechè bisogni. È volendo abitar sotto converrà far tanto più grossa la muraglia, che non possa in modo al=-

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cuno penetrar l’ umido, non che acquache vi si adoperi. - Esporrò quì adesso a maggior chiarezza per ordine alfabetico i nomi e la qua. lità di diverse piante. ù

L’Abrotano agguaglia di color cenereccio l’assenzio, nel resto ha la foglia che va somi- gliando la manifattura di quelle del cipresso @ sabino. Nasce così in piano come in monte; questo si tiene per femmina, l’altro per ma- schio; questo con più rametti, quello d’ un fu-. sto solo, e quasi il cipresso degli Orti; l’uno e l’altro posto sott’il guanciale incita a Venere, e fra i panni lani gli difende dalle tigniuole S appicca e si semina come l’ assenzio, ma me» glio vien di rametti che a seminarlo , nascendo il suo seme molto adagio, e qualche volta fal- lendo. L’ uno e l’altro si fa d’Aprile, e si può di Novembre trasporre , sebben teme il gran fred» du, e il troppo caldo. Ama luoghi non molto occupati dal sole , e piuttosto 1’ uggia , nonostan- te che sia caldo; tiene la foglia perpetuamente, e fiorisce l’estate col frassino; fa spalliere basse e minute acconcissimamente quando ‘è piantato fitto e fondo, che sarà quattro o sei dita dali’una all'altra pianta; la femmina fa più belli fiori, e luccicano come l’ oro. È l’ Abrotano erba medi- cante, ed appassito e scaldato in su le teglie di terra cotta, giova ponendolo nel luogo affetto da interna doglia. Fa così nel terren magro come nel grasso, e sopra’ il tufo istesso sene ritrova. Per le spallierette conviene talora ripiantarlo quando ne vien meno qualche pianticella , e bi- sogna tosarle di primavera riordinarle e rasset- tarle . |

L' Acetosa, detta oxalida, nasce da per se nei campi lavorati domestichi la primave:a, doppo l’ estate che sia segato il gianu; fa cespuglio di più cesti iusieme, e si attacca e

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9 mantiensi trapiantata in buon terreno . Roccolo si ancora il suo seme profittando di quel delle aiudle degli orti all’ Aprile. N°è della piccola minuta, e della grande; è erba ottima per l’in- salate.

Agretto è il Nasturzio con foglie piccole e intagliate, cresce di gambo alto ua braccio, fa il fior bianco, e il seme rosso ascuro. Tro vasene del nero e del bianco ; seminasi di pri- mavera, ed è buono nelle mescolanze dell’ in- salate . .

Adraena di campo ha le foglie simili al Semprevivo , un poco più rotonde , più piccole, e men lunghe, e va per terra; solo quando vnol far la sementa distende i rametti in alto ,iquali secchi all’ uggia, e cacciati in pezzetti ed in poca quantità nelle civaie che nun son cottois, le intenerisce e fa cuocere. Le sue foglie son buone per l’insalate, e i gambi conditi nell’ace- to si mangiano . Slega i denti, e si semina a primavera; ne è ancora della minuta, e l’unae l’altra è prodotta naturalmente dalla terra da per se negli stessi orti, prati, campi, vigue, È la medesima Porcellana.

L’ Aizdon, detto il Semprevivo, è di tre spezie. Il maggiore ha le foglie più lunghe, il minore l’ha aovate ; uno e l’ altro nasce, e mas- simamente il minore tra le macìe nelle muraglie, fra i sassi, nelle corone delle mura, e nei se- polcri ove non batte il sole, e su peritetti; e si nutrisce ancora nei vasi trapiantato con la pianta in terra. Ilterzo èl° arborescente che sta attaccato in terra e cresce in alto, massimamea» te sostentato da qualche telaio di legname, e va su rampicando; serve per ispallierette; e questo a ramo, o spiccato dal corpo vecchio di prima- vera s'attacca; gli altri due con un poco di lor pane di terra ai piedi, ed ancora con la radice

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sola attaccano dove altri vuole, e tanto più quello che ha foglie larghe , grosse, ed ammuc- chiate in foggia di un carciofo; vive sugli spi- goli de’ muri, e sulle gronde de’ tetti senz’aiuto alcuno . |

L'Agliada è un’ erba che ha le foglie simili a quelle dell’ amaranto, fa cesto piccolo d°esse, che al sapore ed all’ odore sanno d'aglio; è buo- na nell’ insalata da per se ed in mescolanza; fa seme e si semina di primavera; trovasene e s°usa assai nelle coltivazioni degli orti di Bologna.

Aglio fu grandemente lodato da Galeno medico per rimedio evidente ai veleni, ed all’in- fezione dell’aere, ed egli ne scrisse in partico» lare ; a tal che siccome egli sortisce la prima let- tera, merita ancora fra gli erbaggj dell’ orto il primo luogo, e massimamente ch’ egli è eccellen= te anco per cavare i vermini che tanto infestano i putti piccoli, e talvolta i grandi, e cibo forte e gagliardo giovevole ai marinari, e D' appari- scono di due sorte, bianchi e castagniuòli un po rossiccj, e Ulpico cresce più che 1’ ordi- nario, e chiamanlo talora 1’ Affricano, Potrìa essere che egli fosse quello che oggi si chiama India, molto più grosso degli altri, e di più dolce e delicato sapore, e che meno puzza man- giandosi, e manco sa d’aglio in bocca. Ha que- sto aglio d'India una proprietà stravagante, la quale è questa, che un anno fa una cipolla sola, o bulbo, e l’altro fa spicchj come gli aglj or- dinarj e così seguendo alternativamente ; è se quando fa gli spicch) si trasponga in terra tutto losieme , ciascheduno spicchio genererà un aglio d’un capo solo senza spicchj, e poi piantando quell’ aglio tutto intiero farà i suoi spicchj. Ri- cerca l'uno e l’altro una coltivazione medesima, e sebbene in ambedue si può al tempo suo rac- cogliere il seme, e seminarlo, tuttavia è più si-

2 curo il piantarli a spicchj. Desiderano tutti ich reno grasso, dolce e piacevole a lavorarsi ben trito e sospeso, e più di color bianco, e cavato e smosso ben sotto, e senza letame; perciocchè questo gl’ incuoce o riscalda rendendogli atti a marcirsi, e bastan meno. Vengono ben più gros- si se s'adacquino, e meglio nei terreni non adoperati, ma nuovi dove per qualche tempo addietro non sia stata seminata, piantata cosa alcuna. Volendo valersi del seme si se- mini di Febbraio o Marzo secondo i luoghi, e nati un mese si trapiantino, ma meglio è, (come si è detto) trasporre gli spicch]. Se il pae= se sarà dita o la terra asciutta e secca, piaa- tinsi°al principio di Novembre, ed in sito vol- to al sole; ma dove risiede la neve, ed è fred- do, e ghiaccio, e il terreno basso ombroso ed umido , è meglio a mezzo Settembre , o al prin- cipio d’ Ottobre , e prima ancora, se a questo tempo non possa ivi la neve, el ghiaccio im- pedirlo . Hannosi a mettere gli spicchj ad un per uno lontani un sommesso l’un dali’ altro nel fon- do del solco, ricoprendogli con tre o quattro dita di. terra e non più, e quando han dato fuori con tre foglie, appianisi l’arginetto del solco, e si pareggi il terreno , edindi si sarchi spesso, sen- doche acquisteranno in grossezza quanto più sian frequentemente sarchiati; e quando sono alquan- to cresciuti fuor del terreno, l’ attorcerli e rivol- tarli a terra innanzi che facciano il gambo , gli farà ingrossar sotto, sen’ andranno in foglie: volendo farlo capocchiuto come fuore, pesti- visi il terreno, ed il succhio audrà negli spicch]. Di Gennaio son men furti, e dicesi che se si caccin sotterra, o sene cavino quando la luna è sotterra, o nei suo intermestruo, sapranno men d’aglio, e scemeranno il sito , it quale manda via mangiando doppo una fava cruda, E si ad-

30 dolciranno ponendogli in terra con le bucce ed ossi avanzati dell’ olive. Ancora il mangiar dop- po una radica di bietola arrostita leverà dall’ali to il loro fetore. Fra la paglia, ed al fumo del cammino si conservan bene, e tuffati prima nell’ac- qua salata; l’ appio crudo mangiato anco doppo ammorza il puzzo loro . La calamita strofinata col sugo dell’aglio perde la forza di tirare il ferro, siccome il tirar la paglia vieta l'olio all’ambra che sia unta, o vero ugnendo la paglia. Fa. l’ aglio il seme, e scrivono che cocendoloin mo- do che non possa nascere, e gettato per terra dove bezzicano uccelli, se questi lo mangino stupidisconsi e sbalordiscono , in modo che si pi- glieranno con mano ; e le pecore che mangiano foglie aglio faranno latte che saprà del suo sito, quale non lascerà fattone cacio. I talli dell’aglio cotti lessi, e poi fritti in padella, © conditi a modo d’ insalata non sono disgustevoli . tem- po di cavar della terra i capi degli aglj quan- do son le lor foglie di fuori secche. L°aglio, e le cipolle e la squilla per la soprabbondanza del?’ umore che hanno, mettono da per loro an- corchè riposte in casa fuor di terra quando sia il tempo loro di germogliare . L’aglio mangiato ver- de rende minor sito. opinione d’alcuni che avendosi mangiato prima l’ aglio, non nuocano le cose velenose che si mangino , e che nemmeno sia per far danno il morso delle serpi. Laglio cotto col grasso vecchio giova molto alla tosse, nuoce alla vista ed abbacìna gli occhi, e beuto pesto nel vin pretto mescolativi coriandoli ac- ciaccati stimola al coito. Provoca l’ aglio gran» demente l’ orina, risveglia mangiato col sale l’ap- petito addormentato, ma soprattutto questo cibo o cotto 0 crudo, ma più crudo che cotto cone viene e si confà ai marinari, ed a chi naviga. Assenzio che vien di Ponto, è ditutti il

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valoroso, ed appresso il marino, ed accanto il salvatico, come tutti più del domestico amari, Era quello in pregio appresso i Romani nelle Fe- ste dette Latine; ed al vincitore che aveva supe- rando l’altra quadriga combattuto io esse si dava’) sugo dell’ assenzio a bere in confermazione della sanità , siccome il vino fatto con questo confe- risce al medesimo, come anco gli Antichi ac- costumavano darlo a mangiare ai piccoli fanciul- li in un ficosecco . Correbora lo stomaco, e per- ciò sene assetta da ber col vino. E volendo pi- gliarlo a digiuno asciutto, si dee rinvolger nei sale. Mangiandolo condito con aceto ripara a’ funghi che si sien presi velenosi. Secco all’ug- gia proibisce le tignole dai panni lani. in chiostro da scrivere temperato col suo sugo © cocitura salva il foglio e lo scritto dai topi. Piantasi l’ assenzio in ogni terreno quantunque magrissimo a rametti rattorti, e traspiantando le sue pianticelle nate da per loro a piè de? ce- sti grandi; e si può anco seminare il suo seme quando è secco bene, e come sia alto una spane na traspiantarlo, e por fitto dove si vo- glia fare spallierette basse rasente i vialetti de- gli orti, © giardini segreti, e tosato e pareg- giato colle forbici comparirà bene. assenzio abbrustolato con teglia calda, e posto al luogo affetto leva le doglie interne.

Appio è quella pianta d’erba che dai vol. gari chiama Selino, e dai più idioti Sedano. Ama terra grassa, fondata ed umida, acquitri- nosa ben lavorata e divelta. Seminasi pell’aiòle degli orti all’Aprile, e d' Ottobre per trapian- tarlu come abbia cinque foglie, loitano l'un ce- sto daii° altro un braccio; si dee porre nella buca ove si pianta, molto letame macero; e battuto prima il suo seme nel mortaio, o pesto con i piedi dopo esser nato, o calcato con una maz-

32 zeranga di salcio nascerà più crespo. estate conviene adacquarlo e farà bene intorno alie fon- ti. Allargheranno le foglie se quando si semina metterà insieme in un cencio bagnato, quanto piglisi con tre dita de’ suoi semi. Fa nei luoghi freddi come nei caldi, purchè segli dia l’ acqua conguagliatamente. E posti due o tre de’ suoi, semi in un cacherello di capra o di pecora ver- ranno innanzi più allegramente. I semi vecchi dell’ appio nascono più presto che non i freschi dell’anno. Grandissimi verranno se si faccia loro una fossetta accanto piena di paglia, avendo bene scalzata la sua barba. I talli dell’appio si con- servano con la conditura di due parti d’aceto, e l’altra di salamoia. I pesci che sieno malati in un vivaio, gettando lor dell’ appio trito si recriano e riuvigoriscono. Deesi proibire appio alle ba- lie, perchè rasciuga il latte, e riscalda troppo il fanciullo. buon fiato a chi lo mangia. Pian: tisi nel fondo del solco, e dipoi quando è cre- sciuto un palmo , si vada pareggiando il solco, e ali’ inverno si leghi il cespuglio con giunco, fasciato di paglia, o senza, ammontandogli la ter- ra attorno, si ricuopra fino all’ ultima cima; an- cora s' imbianca posto fra due tegoli, ammontatasi la terra intorno, e come sia fatto bianco, o cotto o crudo si mangi,così le foglie come il suo teneru- me e barba , condito come gli Asparagi. Piantasi anche svelto con le sue radici appresso le fonti, 0 luoghi umidi, dandogli del letame; fa ancora ne iuoghi freddi, e ne’ caldi e negli asciutti e secchi 3 e quando si faccia grande la buca col piòlo, ingrosserà la barba. Fa parecchie -volte il seme, e seminato una volta sola basta per un pezzo. Le sue mésse avanti che dian fuore il se- me, ed induriscano , sono di così buon gusto come le fogiie. Usavano gli Antichi ( scrive Plutarco ) di coronare i sepolcri appio ; a tal che si di-

33 ceva in proverbio quando uno era disperato dui Medici, il malato aver bis.guo dell’ appio . Leg- gesi appresso Omero, Achille aver mescolato l’ appio con lo strame ai cavalli ammalati, e molto a proposito , perchè quando 1 cavalli per istare in ozio hanno mele ai piedi, niun rimedio è migliore che 1’ appio, lavandoli cella sua coci- tura tiepida. L’'appio mangiato e dopoed avan- ti pasto, buon fiato; © per questo l’usavano anticamente nei lupanari le meretrici. Come si sia, accresce grazia e sapore all’insalate ; ed in Genova, dove s' amano varie e delicatissime , vo- lendone sempre ia tavola per ravvivare l’appeti» to e rinvigorire il gusto, è apprezzatissimo. Fan- nosi grandi e belli se avendo loro scalzata la barba vi metterai della paglia. Si trova dell’ap- pio femmina e maschio; questo ha le foglie più piccole e men barba, e quello ha le foglie più dure e crespe, ha più grosso piè, e sapore più pungente, ed è più caldo. Trovasi dell’ appio chiamato Romano, il quale ha la foglia moito larga , dolce, e gustevole più d’ ogni altro; sene ritrova in quelle spaziose campague rasente l’ac- que stagnanti nelle vallate che visono.Spezie d’ap- pio è il prezzemolo , e così ancora il prezzemolo Macedonico .

Apocino è un frutice con fusto senza ner- bo, che da se stesso non si sostiene, rependo per terra o aggraticciandosi a che trova; le sue foglie sono somiglianti a quelle dell’ellera sbian= cate e più fievoli ; s’attorce e avviticchia e da se stesso a terra s’ aggomitola ; fa buon ripieno nelle macchie attaccandosi con esse; ammazza mangiato da loro i cani le golpe e le pantere, dato in pani mescolato col lardo ; attacca a’ ra- mi di modo, che facendone più parti in pezzuòli un mezzo braccio l uno, e con piòlo ficcan- dogli in ogni terreno non troppo anco lavora-

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to, getta le barbe e viene innanzi. Puossi rasens= te a muro piantare a fare spalliere. Fa seme, ma nasce con difficoltà ; meglio è piantarlo stac- eato dal vecchio, strappandone le piante da pie- de. Fa certi fiori paunocchiuti belli a vedere, ma all’ odore cattivi. Ancora la pianta posta scenata fa bel vedere per la varietà.

L’° Amaranto vince tutti gli altri fiori di bel- lezza, manifattura, e vivido colore ; chiamanlo i Franzesi Passavelluto, comecchè sia di più bell’o- pera e più colorito del purpureo di quello che. si dice Chermisi. Fu per constituzione di Alessandro ornata di esso la sepoltura Achille, e così se- guirono molt’ altri. Sementasi a primavera in ter- reno grasso, trito e crivellato , e perchè hai semi mioutissimi mescolasi quando si semina coll’ are- na spargendola con esso sopra l’ aiòle degli orti. Nati si diradino che sia mezzo braccio dall’uno all’altro. Sarchinsi spesso e annaffino secondo ehe vada il secco. il suo fiore d’agosto, e d'agosto riserrato basta alì’ Autunno. Per bel- lezza, e vaghezza non è fior che lo superi, a tal che merita di perse d’ esser piantato nei testi, I fiori che egli fi al fin d’agosto, si posson se- guire a corre per tutto ottobre, nel qual tempo ha caro che si spesseggi a corlo, facendosi di man’in mano più bello, e rinascendo coi nuovi fiori più fitto e fondo. La sementa degli Alessan- drini e la migliore, ed i fiorì di questi si secca- no all’ uggia, e con un poco di vapore di forno tiepido, rivoltandogli spesso; così si mantengono nel lor celore , il quale ravvivano posti nel vin bianco, o vero in acqua E?’ fiore che non mar- cisce, ma non ha odore, sapore. Piantato e nutricato con carezze ne vasi dura un poco più verso il freddo, e rende eterno suo essere. Chia- masi volgarmente sciamito , o fior di velluto ; sec- co, sene fioriscon le tavole, e sene adornano sopra la coperta 1candidi letti.

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L’ Aniso fa la pianta che cresce a foggia del finocchio , facendo il gambo e le ciocche a un modo, e quando è piccolo somiglia nella foglia il prezzemolo Macedonico , la quale è di sapor buo- no, e odorato gusto, e nelle mescolanze fa gra- ziosa varietà e gustevole. Desidera terra buona e divelta, e grassa con letame, e essere adac» quato. Seminasi in questa a primavera, e di Febbraio ancora, e Marzo, ricoprendolo poco; le sue prime foglie sono più larghe dell’ altre che seguono poi, le quali divengono tanto più minori, quanto più s' innalza il fusto, ed ii seme nel sapore è quasi uguale a quel di finocchio, un poco più cocente, e piccante, e delce. In Sorìa, ed in Egitto fa in quantità abbondante, come alcune terre fanno gran finocchio da noi. Cavasi della sua sementa un olio molto salutare allo sto- maco, e per rimedio di molti mali. Portandone in mano , dice Pittagora, che non aggiungerà il mal caduco, e perciò esser da seminarne assai, Grandissima è la sua virtù per rompere le ventu- sità, o vestito di zucchero, o ingnudo. Ghia- masi Aniso, Aneto, e Anice.

Angurie sono di spezie e sapore de’ cetrio= li, lunghe come zucche, e sottili e torte com’esse, di color gialliccio pendente in bianco. Seminansi come i cetrioli, e si procurano come le zucche, ed al tempo suo in terreno grasso, adacquandole spesso. Hanno gran sugo, ma frigido, ed in insa- lata son buone.

Gli Asparagi salvatichi, detti in latino cor= rudae, si possono traspiantare tolti alla foresta «con il lor pane di terra, senza offesa alcuna del- le radici conservate tutte intere nei Iuogh: dove piantano i domestichi; ma non per questo di- ventano troppo più grossi, se già non sl trasce- gliessero nei boschi della più Delia stagiore, ben tenuto che abbiano più sapore, ed arco»

36 i ra più virtù nelle loro operazioni de’ domestichi, ma il migliore è sementarne della razza più ap- prezzata, o trapiantargli nati di un anno, o ve- ramente diradandogli lasciargli stare dove semi. nati si sono, sendo da molti giudicato beu fatto a non gli muovere dalla lor natìa sedia. Quan do son troppo spessi, scopransi le radici al prin» cipio Ottobre , e cavaticon diligenza, e più terra attaccata che si può, si traspiantino quelli che ne avanzano per necessità ; gli altri quivi la- sciati stare si custodiscano. E questo si dee fare ogni cinque o sei anni, per diradargli (che ne hanno di bisogno ogni tanto tempo ) come per levar via le guaste radici, e le fradice , e nettar quelle che vi rimangono, le quali hanno a co- prire l’ una per l’altra con un monticelletto di letame marcito, per ugual porzione con terra crivellata, ponendola bene intorno alle radici, 0 così seguendo di mettervela crivellata fin al pari com’ era prima. E questa è la vera perchè ven- gano grossi senza altramente ritrapiantargli. A quelli che si ritrapiantano: dee fare il mede- simo, ed in ritrapiantandogli non spartir mai gli occhi delle radici, ma lasciargli stare insieme come sone, ed.ingegnarsi di ritrapiantar sempre di quelli che sono fitti d’occhi, e che hanno assai. Ora scelto che tu averai il seme ben fat- to e maturo di buona razza dei domestichi (ai quali si dava anticamente in Italia la. palma a Ravenna, oggiin tutta la Lombardia sene fanno grandi imprese, ed a Verona, a Parma, a Mi- lano quelli della Gagouola sono celebratissimi per grossezza e bontà ) eleggi lato di terreno grassissimo in piano o vallata, o’ piè di collina di sito di paese scoperto, ben fondato, e leta- minato, ben facile a lavorare, netto spugnoso e disciolto, divelto sotto un braccio, minutissima- mente tritando la terra, e preso del seme quan-

3 to puoi strignerne con tre diti, ( cavato dala rosse coccolette ) nel fondo di ciascheduna fossa del divelto ripieno un palmo, avendolo ancora prima macerato nel letame, lo metterai nei luoghi secchi ed asciutti; negli umidi, avendo più che mezza la fossa ripiena, lo porrai verso la cima e ciò si faccia intorno a mezzo febbraio, rico- prendolo tre o quattro diti con terra tutta trita letaminata e grassa. Ancora puoi divisi un mez- zo piè dall’ uno all’ altro porvi due o tre semi insieme come legati ed uniti sinche in quaranta in circa irrigandosi le radici di compagnia, ed avvolgendosi con più lor capelli crescano in- sieme come in un corpo. Allora il primo aspa- rago che vedi nascere il primo anno, rompilo fra le due terre, affinchè non abbia ad aver deboli radici, e sotto rimangano gli occhi ai ringa- gliarditi; i quali si mantengano per due anui rumpeudo tuttavia senza lasciarlo venire innanzi l’asparago che vi nasce sopra in questi due anni senza far frutto, nutricandoli con letame, e sca- pezzandoli spesso, e levando con mano, per te- nerli sotto, ogni sua mossa; gli altri anni non hai a corre l’asparago altramente , disveglien- dolo dal fondo della radice ove egli viene, af- finchè apra gli occhi della sua germinazione; perocchè non facendo così, i muzziconi sotto che restano all’ asparago spezzato, martoriano gli oc chi delle loro radiche , e quasi gli acciecano non lasciando dar fuore asparago. Resterà quella pianta , della quaie tu vuoi pigliare il seme, e dipoi presolo, appicca il fuoco a tutti, e fa ab- bruciare fin rasente terra ogni lor foglia, ramo, e fusto; ed allora vicino al verno cuoprigli tut» ti di buon letame e cenere. Si piavutano ancora cavandogli con diligenza con le lor barbe senza romperne alcuna io luogo appartato di buon la- voro, governandogli come di sopra è detto; e

38 dopo ventiquattro mesi si trasportino in sul di- velto che sia a solatìo, ben letaminato grasso, e bene acconcio. Fannovisi de’ solchi discosti l’un dali’ altro, o vero buche d’ un braccio e non più fonde, ove ricoperte leggermente le piante possan germinare con. più agevolezza. Alla pri- mavera avanti che comincino a spuntare, vi si zappi d:stramente la terra, e marreggi senza rompergli, guastargli o ca'!pestargli, e lo aspa- rago poi nato si svéglia d’in sul ceppo (come s'è detto ) che non venga fuore tutto ; e così seguiterai di coglierli col coltello rasente terra. I più belli e grossi lascino fare il seme, ed amandogli bianchi rinchiudano in cannelli di canna, e volendogli più belli e che imbianchi» no più presto cacciagli in un bocciòlo di piombo. Colti poi, ed abbruciati che sieno, si possono anco coprire con pacciame e pagliaccia per il freddo e dar loro un pugnello di colombina per uno un po’ discosto dal gambo fra le due terre. Poi di marzo alla primavera satollino di leta- me e si scuoprano aprendo loro le barbe e fru- gandole fra l’una e altra con un piòlo. Anco- ra io sul divelto. si possono semplicemente in barbatelle seminare mettendo nelle. quattro dita di ripieno della buca quattro o cinque semi per sementa ; e per il primo anno nettagli bene dall’ erbe, e poicustodiscigli come s' è detto, pi- gliando corna di castrone non castrato, e minuz- zandole o ponendole nel fondo della fossa spar- samente , e ricoprendo, e aunaffiando spesso. Scri» vono alcuni che corrompendosi dall’ umidezza della terra ne nasceranno asparagi; ed ancora Didimo accerta che ponendo sotto terra le inte- re corna di quelli acciaccate, frante e peste be- ne, ne sorgeranno asparagi senz’ altra sementa . Quando avrai colti gli asparagi ( volendone tut- to l’anno) apri le lor barbe, e con un paletto

3 di gentil legno comè è l’ alberoo il salcio, or nandole attorno che sono al sommo del cespu- glio, e nettatele e rifrugatele bene, ricuoprile con terra concotta s e sendo in lato che sia bene a solatìo, e ben letaminato con letame marcio o colombina disfatta, ne daranno qualche volta, siccome di sua natura in molti lati buoni per il tepore del settembre ed ottobre rifigliano . L'aspa- rago avendo grand’ umore in se come le canne, non desidera che secco, e ricusa d’ essere innaf- fiato. Contuttociò usando di dar loro con discre- zione un poco d’acqua nell’ Autunno, si farane no più teneri e doppj come fan da per se senz’al- tro nel terreno che sia grasso ed un poco umi- diccio ; ed il meglio sarà piantargli di fossa in fossa fatta in sul divelto un braccio, o braccio e mezzo, e di mano in mano che gli vasparagi vi si piantano, distendendo bene e non intrican- do insieme le lor barbe, e senza premere e mal. menare gli occhi riempiendo l’una fossa con l’al- tra, la colmando affatto, ma un palmo meno e dipoi in capo all’ anno conguagliandola al pari. Cavate con diligenza le piante, conviea porle in sul fondo della fossa che sia prima ripiena di ter- ra ben lavorata, sapendo che quanto più a fondo mettono, tanto più sono poi gli asparagi gros- sì, e con maggior copia d' occhi da farne 1n ab- bondauza. E prima che si mettan giù, sarà ben fatto cacciare in sul fondo de!la fossa assai corna d'animali, e sopra quelle ricoperte di terreno, o fra quelle piantare gli asparagi, i quali sen- tiranno da Joro giovamento nelle radici maute- nute fresche , ed aiutate a dar fuore più gagliar- damente tenendole asciutte e sospese dali’ acqua piovana, che fermandosi loro addosso infradiciauo. All’ ottobre carchinsi di letame ben marcio, ei putendosi avere, di segatura di corna da coltel- lina), e raschiatura diesse, e vinaccia con i suo

ho ‘acini in quantità. Dipoi al seguente febbraio 0 ‘marzo poni nella fossa un’ altra parte di terra cri- vellata sin quasi al sommo, e poi all’ottebre riempi il terzo del vano che vi resta, della det- ta segatura mescolata con terra netta, ed all’al- tro fbbraio gettavi tutta quella terra che sarà rimasta in sull’ orlo deila fossa, netta, o crivel- lata similmente con vaglio di fil di rame, onde gii asparagi possano dar sélli sòlli. Molti tengono che noù si debbano tagliare ed abbrucia- re prima del terzo anno, così corgli non pri- ma che passato maggio, perchè tanto più fan deboli quanto più spesso si tagliano. E quando gli tagli, caccinsi come è detto di sopra ben sotterra in sul suo ceppo, e seguitisi poi di cu- stodirgli al Febbraio, col marreggiare fra loro l’erbe quattro diti sotto, nettandogli e metten- dovi del letame marcito . Ma a voler di certo due volte l’anno asparagi all’ ottobre ed al marzo, (benchè al marzo e all'aprile è cosa ordinaria nei luoghi temperati ) di subito alle Galende ot- tobre vi si faccia appiccar fuoco, aggiungendo fra gli Asparagi della loppa e della paglia iu quantità, acciocchè il fuoco duri più, e la terra ‘senta tanto più il caldo , e dipei facciasi nettare ‘e zappettaie per tutto, ed a primavera con un ferramento a due punte si stuzzichi la terra per- chè più agevolmente aggiovileradicia farsi più grosse , ed in quel tempo non piovendo, non sa- ra che bene dar loro deli’ acqua, che così germi- ueranno e daran fuore al sicuro ; ed ancora gli farai esser più grussi se quando saran fuore quat- tro dita, tu posi loro in capo il bocciòlo di can- na o piombo che si ficchi interra due diti, non lo rimovendo o toccando sinchè si ‘pensi sian fatti. Così pure diventeranno bianchi candidi di più bella vista, ma saranno meno saporiti che a lasciargli scoperti che sien verdi. Alcuna volta

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si trova asparagi di natura allungarsi più del

bocciòlo e |’ alzano da terra; perciò è bene far, i bocciòli lunghi colla misura del maggiore aspa- rago che s' abbia nell’asparageto . Gli asparazi s'hanno a maogiare innanzi pasto, e deono es- ser cacciati nell’ acqua bollente, e dopo scolati e infarinati si traggano nella padella .

Attrenlice si ficca in terra con una sola radice calante al basso piena di barbicole che si dilatano nel terreno; per tutta la primavera, e sin all’ autunno si può seminare, e di Dicem- bre ancora in terra ben coltivata, e letamineta, ancorchè grassa di sua natura sia. Desidera d’ese sere largamente annaffiata ; cuoprasi il suo seme tostochè sia gettato in terra, cavando spesso dal- le radici quell’ erbe che vi nascono per dentro. Non gode di esser trasposto , tuttavia crescerà as- sai meglio semisandolo rado ; il salvatico e il do- mestico è tutt’ uno. Deesi tagliare continuamea- te, perchè non resta di rimettere. Non rifiuta alcun terreno, e per tutto alla fine viene alle- gramente. Non si semina negli orti di Toscana come in Lombardia copiosamente il marzo e nel principio d’aprile. Usasi a far torte mescolan- dolo con cacio, burro, ed uova; non è erba che più presto nasca e più tosto cresca negli orti, perchè in quindici si semina, o venti, nasce e si mangia; produce le foglie di fattezze larghe appresso al fusto, ed appuntate in cima a modo di saetta , grasse e piene umore, e di colore più presto giallo che verde. Il fusto, il quale il più delle volte rosseggia, cresce per tre ramicelli all’ altezza di tre o quattro gomiti, su per il quale nasce il seme con certi follicoli schiacciati simili a quelli del Nasturzio, ma di forma affatto maggiore. Dura buono per tatto maggio, ed è vana opinione e credenza che sia lo spiaacio ; io tengo che sia queli’ erba chia-

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mata bietone. Cuocesi continuamente senz'acqua nella padella, perchè ne fa da se assai,e si ri ‘volta con la mestola spesso ; cotto, sene fa pal- le che strizzano forte, e poi si rifriggono nel butirro o sell’ olio; vi si aggiugne agresto o ace- to secondo i gusti, o si mangia a quel modo. Il Romano è di maggior foglia e dolce.

Avena, detta Bromos, è vizio del grano, ed in essa degenera l'orzo; della salvafica e della domestica; la domestica è di granello. maggiore, l’ altra è minuta e. pelosetta . Gli an- tichi della domestica fecero pane, e massimamen- te in Germania, dice Plinio. È buona verde e sec- ca per i caval!i, ed altre bestie; le nuoce il ven- to e la nebbia in sul fivrire. buon cibo ‘per i cavalli 1’ estate, perchè gli rinfresca dentro; e loro nutrimento buono. Non ‘affatica troppo le terre, a tal che si può convenientemente se- minare nelle terre stracche per farle riposare e seminarvi poi a tempo grano. Desidera contut- tociò terreno grasso, e basta due volte ararlo.. Nel magro ancora e debole viene, sebbene in questi la non profitta tanto a moltiplicare. La farina nell’ aceto disfatta manda via i nei. Bril- lano alcuni l’avena, e brillata la cuocono con il brodo delle carni grasse, e fa buon gusto. Se la vena ricade , si può far pascere alle pecore come il grano. Credesi che segata che sia le giovi la pioggia, a farla ingrossare ; però lascisi in terra sparsa otto o dieci dì. Seminasi d’ ottobre e no- vembre, e di febbraio, e se sieuo terre umide e fredde, di marzo, mai nel verno, essendo curante come l’ orzo. |

Jia Baciglia, Finocchio marino, Erba Corda detta da Columella, si semina tardìa, percioc- chè ella non si condisce se non quando è la ven- demmia , e più tardi. Nasce nei luoghi maritti- mi da per se, e volentieri tra le fessure delle

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‘pietre scoscese della marina , e nei scogl) A, nei margini di fiumi grandi ove a fatica si può coni piedi e mano arrivare. Si fa nascer di seme a marzo in terra arenosa, e seminandola nei cati- ni, in capo a due ‘mesi nata trapianta in quella, ed anche tra le murirciole e luoghi sas- sosi, e per l’ istesse mura s aggrappa come i cap- peri. E piccola e cavata cun diligenza colle sue barbe, si traspone nel domestico presso i muri ‘8 secco 0 fatti a calcina, 0 accanto a massi gran- di spogliati di terreno, ed ancora in aidle o pro- de che stiano pendenti verso il sole, ed aride, annoiando d’ essere adacquata ; e si condisce co- me i capperi nell’ aceto in vasi invetriati, ed an- cora nella salamoja con i gambi di finocchio, e nell’ agresto che sia salato bene . Trapiantata dal. la marina s' addomestica, e diventa più morbi- da facilmente; e quella che da questa nasce, tanto più mollifica il ventre, e giova a provocar l’orina. Si mantiene insalata come i capperi in- salati, con un suolo di essa ed uno di sale. Posta in un vaso di terra invetriato e secca ali’ uggia mantiene ed ha buon sapore nell’ aceto; fresca e verde aggiugue sapore all’ insalata .

Il Bassilico, detto Ocimo dai Greci, è di tre fatte; uno che produce le fronde larghe, lunghe, e grosse, maggiori di quelle degli sciamiti, so- migilianti a quelle degli aranci, e de’ cedri, onde si chiama per l’odore Bassilico cedrato ; l’altro le produce assai minori di questo, ma maggiori dell’ altro de.la terza spezie che si chia- ma gentile, che cresce all’ altezza d’ un piede a mezzo; e posto con sue ba:be in una guastado d’acqua senza terra vi si conserva gran tempo vivendo fresco e crescendo, e facendovi i suoi rami el cespo in foggia di pino; dove l’altro s allarga con i rami così si rotonda. Non vuo- le il bassilico esser tocco cou ferro, e strappato

44 con le mani rinasce felicemente. fuori in tre dì, e se spesse volte si risemini del suo seme, degenereraà in sermoliino e con maggiore odore, ‘e farà fiori diversi, ma non sarà sermollino na- turale, ma che segli rassomiglia; e sendo semen- tato in luoghi caldi farà questo effetto più facil- mente; e seminato ch’ e’ sia, calcandosi con un - curro, 0 ben calpestandosi, darà fuori più pre- > sto e più lieto. Vuole essere adacquato con acqua calda , o sivvero all’ ora di mezzogiotno, che ab- - batte. tutte le altre erbe per il secco. E' gran cosa del bassilico, che ambra riscaldata con un panno che suol tirare ogni minima pagliuzza, assicurasi che il bassilico mon tira. però è vero che ammaccato tra due pietre e sfracellato generi scorpioni, anzi vale contro al loro morso. Seminasi convenientemente dal principio di mag- gio a mezzo giugro in terra grassa e trita, ed in luoghi temperati, calcandogli e strignendo lor bene la terra addosso, perchè lasciandoglie- la sospesa e sollevata, facilmente il suo seme si guasta e eorrompe. Sono alcuni che dicono ch'e’ si :può seminare nell’ Autunno, e vogliono che seminandosi così verso il verno, sl sparg@ dell’ aceto sopra la sua sementa perchè dicono che più agevolmente nasce se infuso nell’ ace- to si spruzzi colle gocciole d’ esso. E semi nandole al tempo debito ordinariamente na- scerà prestissimo, adacquandolo con acqua bol- lita, e seminando due semi insieme. Si trapian- ta di Maggio alto di quattro diti con piòlo, spuntandogli la maestra, e si dirada seminato, che sia un piede dall’un piede all’ altro. ben trasporlo su argine dell’aie in capo ai solchi perchè goda tavto più adacquandosi della passata di quivi. Alessandria ne viene con foglie lare ghissime, serve nell’insalate di mescolame e loio buon sipore, e odore, essendo quest’ erba

. 49 odorosissima. in uso per la salsa e la di ec- cellente accompagnato e pesto con le punte de? ro- ghi. Ha di proprio il bassilico rompere il vento, mollificar lo stomaco, provocar l’orina, e fare alle donne venir copioso latte.

La Buglossa, così detta perchè la sua foglia è maniata come la lingua del bue, nasce da per se per lo più nei piani, e neiterreni sabbionosi, ed ancora fa nei movti in terreni simili; ed in ambedue questi lati sene ritrova della salvatica e della domestica; quelia ha le foglie più scabro- se e pungenti, ed il fiore dipiù sottigliezza e minore; questa ha le foglie più morbide e deli- cate, ed il fiore di color più vivo con azzurro me- glio fatto e più gentile. luna che l’altra ha la foglia somigliante alla lingua bovina: cosa che non ha la borraggine, che ha le foglie nel mezzo più larghe e di tutta forma da quelle della Bu- glossa differenti . Cogliesi la domestica di luglio se si trapianta negli orti do buon terreno, e rac- cogliendo il suo seme sen’ entra in razza semen- tandola di primavera. Seminasi un po’ rada, e trapianta così, perchè possa far cesto, ed apri- re i rami, e far fiori, i quali fanno insalata delicatissima, massimamente conditi con olio fresco di mandorle dolci; allegrano il cuore co- me quelli della borraggine; e gli uni e gli al» , Bri acconci incomposta con zucchero son lenigi-

vi, e confortano lo stomaco. Niun fiore è dal» tr° erba che agevolmente colga, poi a fatica tocco con la mano esce dalla sua guaina. Alcuni d’ogni tempo che la ritrovano nata aila campagna, A agOe piccola, la trapiantano adacquandola negli orti.

La Borraggine o Borrana (come volgarmene te si dice) è un'erba molto salutare , o sia ella mangiata cotta o cruda; conferisce allo s'oma- co, ed è lenitiva, e così sono i suoi fiori, e mase

simamente conditi con olio di mandorle dolciì in insalata, e con zucchero in composta tanto più . Fa il suo fiore azzurro, e di quella sene ritro- va pure che lo fa bianco; e dicono alcuni, que- sta esser nuova razza, altri tengono che sia una sconciatura naturale causata dal difetto del nu- trimento, siccome avvenne di un piè di givestra ritrovata presso all’ Alpi che aveva i fiori can- didi, la qual trapiantata con gran giubbilo di chi la trovò, subito nel domestico ritorno a fare i fiori gialli, come è suo proprio e suo solito. La Borrana nasce da per se ordinariamente negli orti domestichi, ed anco per icampi, e talora, alla foresta ed alla campagna. Purcogliesi il suo seme, e si semina come l’ altre erbe nell’aidle degli orti a primavera, e piccola si trapianta l'estate, ed al fin del verno, e cosìsi fa durare in tutti i tempi. Ma il meglio è traspiantarla d’ottobre avanti che faccia il tallo da seme. Che se vada asciutto, s' adacqui, e d’ inveruo (amau- do i suoi fiori ) si cuopra con paglione nei lati a solatìo .

Il Belvedere, o erba che eresce per far verdura (di piccolissimo seme, a guisa di cipresso fronzuta di rametti da terra sin’ alla cima con foglie sottili e lunghe e frondose come di gelsomino ) si semina di marzo e d’aprile nelle corti e cortili, ed in testi grandi in lati uggiosi dove poco o di rado batta il sole. Ama terra grassa e sostanziosa. Fa bene nei conven. ti delle pietre come il Bassilico e la Nicoziana, e quelle lo mantengono fresco e crescer lo fan- no a maravigiia, serve ad altro che a dar di se bella e graziosa vista, accompagnando con i fatti il nome ch'egli ha. Accostumasi assai quest erba in Terra di Roma, e per questo efe fetto la tengono ia somma estimazione.

. L’ Erba, detta Buona, o Santa, desidera

di esser piantata a solatìo in luogo umidiccio e grasso, 0 che si possa adacquare . E perchè Ja sua sementa viea tardi, è meglio piantarla di primavera con le sue barbe o cesti spartiti, che coperte sotterra, figliano come i Rosa]. Strapiau- tandola, si mettano le barbe bene spartite, per- chè avviluppate si putrefanno come letame mar- cio. Il terreno sia lavorato ben sotto, andatudo esse con le barbe benadentro. S' appicca eziau= dio torcendo i suoi rametti che abbiano un poco del vecchio , innaffiando bene di marzo e d’apri- le, e per tutta l'estate se vada secco . Dura po- sta in un luogo per tre anni, e dipoi si deono svegliere le sue radici, e ritrapiantare in terre- no ben lavorato, grasso, e copertato di letame marcito, di gennaio e febbraio. Si sdegna que- sta pianta d' esser tocca col ferro, e perciò mi- nuzzisi per l’insalate con mano; sene trova del» la salvatica che è simile alla domestica, e posta negli orti diventa come questa.

Del Bietone è del salvatico e del dome- stico, del verde e del rosso, e l'uno e l’altro nasce da per se nel domestico lavorato e semina- to negli orti tra gli altri ortagg). Raccogliesi il seme del Gomestico quando è fatto, di settem- bre, e si semina a Primavera. Amano terren gras- so e massimamente i rossi, ma i verdi riescono più delicati. Vugliono esser cotti come gli spi- naci, ed aggiuntovi sopra ( quando son cotti e caldi scolati e conditi con l’ olio) buon formag- gio grattugiato, ed agresto, si fan più appete- voli, e di un gusto piccante in agretto grazio- so. Chi brama in essi le foglie larghe gli semi- ni radi sarchiandogli spesso. Sen lenitivi e grati allo stomaco, e più d’ogai aitra erba di facilis- sima. digestione .

La Bietola è opinione che nasca in ventisei seminata quando il granato comincia a fiori-

48 re, e d’inverno in quaranta; e come ella abbia cinque foglie si può traspiantare. estate dee innaffiarsi nelle aidle degli orti piani, e l’inver- no dee essere traspiantata nelle prode a solatìo, nocendole il freddo. Traspiantandosi sele impia- stri la barba di litame marcin, o bovina, e si metta in terreno ben grasso e letamato. allarga il sùo cesto poneudovi sopra una lastra e Jascian- dovela stare . Ne’ paesi temperati si mantiene per tutte le stagioni dell’anno, e per ogni tempo può seminarsi, ma nei lunghi freddi diventa migliore. Vuole star lontana dalle cipolle, ricevendo of- fesa da loro. Ama d'essere spesso sarchiata e netta dall’erbe, e dall’un cesto all’altro due terzi di braccio. Il suo seme basta un anno, ed è migliore quello che il nuovo. Sia il terreno la- vorato ben sotto perchè possa ingrossar le radici, così la bianca come la nera, sendo ambedue buo- nea mangiarle cotte e condite come insalata ordinaria. Quella di Genova e di Napoli che fa le costole più grosse, e si cuoce col cavolo , è miglio- re. Scrivono che le foglie del cavolo nella botte di vino lo guastano, e che postovi quelle della bietola torna ad esser buono, e che ie bianche solveno il ventre, e le nere l’astringono. La radice dell’ una e dell’ altra secca in forno o al sole polverizzata,, e messa nel vino, subito l’ina» cetisce, e cotta sotto la brace e mangiata leva in tutto il sito cattivo dell’aglio. La cocitura delle bietole , così delle foglie come delle radici, lavandosi la testa, leva via le léndini, e la for- fora, ed il lor succhio manda via il dolore antico dei capo, e le vertigini, e provoca l’orina. più astersiva e digestiva la bianca che Ja nera, che ha {come s'e detto) dell’astringeote, e più nelle barbe che altrove . La bietola bianca cotta e mangiata con aglio crudo vale ai vermi del corpo , ed è in tntto, e per tutto erba utilissi-

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ma e comoda per le torte e raviòli minuti, è er dar colore alle frittate, e sapore più grato, infondendo negli uovi sbattuti il suo succhio, venuta di Germania una terza spezie di Bie- tole, la quale ha le foglie rossicce e similmente la barba, la quale ingrossa oltre misura , e s'al- lunga sotto il terreno un braccio e più, e taglia- ta somiglia le carote rosse; convien rinnovare ognianno il seme, il quale si pone iu terra gras- sa di buon fondo, e letamata bene. IDivégliesi così fatto terreno un braccio e mezzo sotto tri- tandolo e minuzzandolo bene, dipoi di braccio in braccio si fa un gran féro con un palo di le- gno sodo o ferro in giù un braccio, e’l pertu- so si riempie di terriccio disfatto nero, e nel mezzo si pongono tre grani del suo seme, lon- tani un dito l’ uno dall’ altro, e dei nati sene lascia venire innanzi un solo, sarchiando ed adac- quando se occorra, e nettando l’altr’ erbe, e ciò si fa all’aprile, e cotta e condita come le carote fa un’ insalata eccellentissima , e tanto più, cotta in una pentola riboccata con fuscelli sullo spazio. del forno. Il Bulbo degli orti domestico dalle Calende di novembre sin a febbraio di terreno trito e ben lavorato dove si semina, si pianta nelle aidle fattivi 1 solchi, rincalzandogli e riempiendogli acconciamente, e mettendo a ciascheduno una la- struccia 0 coccio sotto acciò si faccian le radici maggiori perchè col seme parte ne nasce ll pri- mo anno, e parte il secondo. Ama terra grassa letamata. Del Bulbo scrive così il Mattiolo : Non manca chi crede che le nostre scalogne volgari, o veramente cipolle fissili, le quali noi in To- scana chiamiamo cipolle maligie, fossero i bulbi degli anti.hi; ma si conosce l’error di costoro per quello che scrive Teofrasto, il quale e delle scalogne e delle cipolle fissili scrisse fra le spezie

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delle cipolle e non tra le spezie de’ bulbi. Scris- se de’ bulbi Galeno, e sopra questo scrisse : che tanto i bulbi che si mangiano nei cibi, quanto quelli che mangiati eecitano il vòmito, fossero no» tissimi agli antichi, si può agevolmente conosce- re per non iscrivere Dioscoride come essi si fosser fatti; il che dimostra che ciascheduno gli cono- scesse. Ma ciò non interviene a noi, perciocchè per esserne perso l’uso del mangiargli ne sono di tal sorta incogniti che veruto finora ho potuto ritrovare che veramente me gli dimostri. Finquì il Mattiolo. Io per contra cavalcando per laPol- lonia vi ritrovai universale il bulbo commestibi- le, il quale è un poco minore d’ unaglio ordinario che non fa spicchj , rossetto di fuori, aguzzo ver- so le foglie simili a quelle delle cipollette sal- vatiche che fanno peri campi( dette cipollini ) di sapore eccellente, e si mangia cotto e erudo in iosalata. E questo crederò che sia il bulbo degli antichi, quel commestibile. Il vomitorio è per certo d’ altra fatta, ma questo eccita | appetito di Venere fortificando il coito, siccome quello degli antichi, i quali per questa cagione wolen= tieri sene satollavano, come testifica Marziale in questi due versi citati da lui in questo af- fare :

Cum sit anus coniux, cum sint tibi mortua membra, Nil altud bulbis quam satur esse potes. Ed Ovidio fa menzione del fitto loro: Daunius an Libycis Bulbus tibi missus aboris, An veniat Megaris, noxius omnis erit.

. Fa un seme nero somigliante delle nostre ci- polle. Dilettasi di lnoghi umidicc} ed acquidri- posi, e quivi da per se prodotto dalla natura alle volte si ritrova. E così di quivi traspiantato nel domestico degli vrtì alligna bene ; e serve per

31 insalata delicatissima, non mescolandolo con al- cuna altra erba. Usando in quel paese quasi d’ogni tempo , seminasi al fin di primavera (quando

«son mancate le nevi, e resta il terreno scoperto )

» alla foggia che si seminano i nostri cipollini un poco radetti, volendo lasciargli stare a dove si seminano; e volendo trasporgli si seminan fitti, quiodi si diradino e si traspongano .

Il Bonlando trovo essere ua arbore di gran- dezza e vaghezza assai bello a vedere, che pian- tato in un vaso comodo pieno di terra grassa e letame affinchè per questo nutrimento potesse me- - glio mantenere gl’innesti, aveva tre rami, nell’uno de’ quali era innestata una vite, che faceva l’uva senza vinacciuòli, di più colori, medicinale, di buon sapore, e lassativa del corpo; il secondo annestato di pesco, e nocepesco, che produceva questo frutto senza noccioli, e se alcuno ven’era con essi, era dolce come di mandorle ; il terzo faceva le ciriege senza nocciolo agre e dolci; fa- ceva ancora certi pomi come dorati con le scorze di color d’oro vestiti di fronde. Ifintti suoi erano d’una grandezza stupenda , e che nell’in- vernata venivan più dolci e odoriferi; fruttificava fuor del tempo debito di tutti gli altri frutti, é gli conservava dando frutto d’ogni tempo e ritenendo sopra di se i fiori, ora avendone de- gli allegati, ora de’ tardi, ora in essere, e da fare, ed ora maturi.

La Busnaga è un’ erba simile di fusto al finoc- chio con foglie simili alla cicuta che fa una cioce ca cou molti gambetti e fiori in cima, che son buoni a nettarsi i denti, secondo il proverbio Spagnolo, allusivo a siffatta operazione : o bu- snaga , o oro, 0 nada: Busnaga,yor, y nada. Fa ne’ campi sterili ed anco in quelli di pianure che partecipano umidità .

La Balsamina è una pianta simile a una pic-

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colissima vite e di foglie e d’attaccature di no- delletti; produce assai e lunghi sarmenti, con i ‘quali si va ella avvolsendo ed avviticcchiando a ciò ch’ ella trova, o pergola o sermenti o gra- ticc] o altri telaj fattile sotto, e. ingegna di° ricoprire ed empire ogni cosa arrampandosi con i suoi viticc] simili ancor essi a quelli delle viti ordinarie, e rivestirà ancora frutici o arboscello che le sia al piede; e se sia seccoda poter pa- droneggiarlo meglio, lo rianda tutto e Io ricuo- ‘pre. Il suo fiore è somigliante a quello dei coco-. meri di color pallidiccio, dal quale cascato si ge- nera il frutto simile di figura a una Goloquinti da ronchiosa, avendo sopra di se certe bolle pon- tate ruvide sopra la scorza rilevate a modo di spi- ne. questo frutto, avanti che si maturi, ver- de; maturo, è rosso. Apresi e crepa in più pezzi da se cascandone il seme che è simile a quello delle Angurie. La Balsamina non nasce che se- minata in Italia, e si sementa all’aprile nei testi o muriccie di terriccio buono, ricoprendola poco di terra di sopra. Desidera essere con discri= zione adacquata ; usasi seminarla a piè del verno. Del suo frutto si spreme olio ottimo per le ferite, e vale aidolori del parto , ed all’ emorroide mi- rabilmente .

Ii Calamo è spezie di canna, ma così sotti- le piccolo, e sodo, che serve per penne da scri= vere, e massimamente greco. Il Bolognese in Italia è il più furte e sodo, che nasce nelle ripe del Reno, ma ordinariamente fuori nei laghi, paotani, paduli, e luoghi acquidrinosi; i sodi e duri che han poco véto, servono per tirare con gli archi: traspiantandone nei truogoli grandi d’acqua stagnante vi si alligoeranno , e talvolta da per se stessi vi nasceranno. Fanno nei campi um?di certi «aleggioli che sono minutissimé can nuzze che nascono a cespuglj, le quaii fanno gra-

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vi danni alla terra, e non son buone a cosa che sia, e conviene estirparle e sradicarle. 1] Cala- mo odorato nasce in India, e nella Giudea in «luogo proprio, e rende l’ aere odorifero nelle val- late del Monte Libano dette Giulie. lu Sorìa nasce senza odore, l’ uno, l’altro s'alligna in questi paesi, e nemmeno ( dice il Mattiolo) col suo trasporlo. Un altra sorta di calami sativi che son certe cannuccie nasce nei laghi, e luo- ghi paludosi buona a far graticc] per tenervi su i bachi della seta. Gli altri ancora si possono adoperare al medesimo, ed altri usi di casa, se non ch'altro per abbruciare ,

La Canna vien descritta di cinque sorte di Dioscoride , tuttochè Plinio scriva trovarsene ven- ti in ventinove; ma quelle di che preteado trat- tar io peri servigj dell’ Agricoltura, sono di due; grosse e sottili, e queste sono le canne comuni ed ordinarie, le quali si fanno grosse ne’ terre- ni buoni che addicono loro, nei cattivi di- vengono sottili; ed ancora negli uni e negli al- tri piantate. Stauno ben poste nel fondo dell’aie. da piè d’esse nel più umido e fresco lato che vi sia, e nel più grasso ed acquidrinoso, che que- sto desiderano . Perciò si dilettano delle vallate delle colline buone, e delle pianure grasse a piè delle coste e monti, non si curando anco troppo del sole. Ed hanno tanta conformita ed amicizia con gli asparagi massimamente salvati- chi, che semìinati nei canneti maravigliosamente vi allignano. Per contra scrive Piinio esser la felce e le canne in tanto mortale inimicizia che se legando appresso a vomere (quando ricom- pone i canneti ) de’ pezzi di canne, vi si distrug- ge finalmente le felci. Scrivono alcuni che le canne in India vi siano di tanto stupenda gran- dezza, che tagliate da nodello a snodello, col cannone di esse si fa una barchetta capace di

54 tener dentro a barcheggiare, e pescare tre per- sone. E ne’ nostri paesi sene sono veduti organi assai grandi. Amala canna il terreno un poco più dilavato e non schietta arena, anzi del tut- to umido e non secco, in lato pendente, 0 a più. de’ monti. E si pianta coni suoi occhi spiccatì l'un dall’ altro interi, e posti lontani tra loro due pie- di o due e mezzo, ed.ancora posti a giacere nel fondo del solco sopra i divelti a dentro d’ un braccio e mezzo con gli occhi, che la canna tocchi al fine de’ suoi cannelli, e coperta tutta non troppo sotto quattro diti ed anche più, ec- cettochè la cima che si ha a lasciar fuori , per- chè altramente marcirebbe. Metterà di quivi tan- te canne, ma più avvenenti, e si pianta ancora a pezzi tagliati di tre occhi l'uno, si che i due vadan sotto terra, e il terzo stia rasente il terre- no un poco a traverso, mettendol però di sopra che la brinata non lo danneggi. Rifassi il canne- to dappresso di se medesimo, sbarbicando il vec- chio ed in altro nuovo terreno ripiantandolo, per- chè quel tagiiarlo diradarlo sbarbarlo e strap» parlo quando son lunghe le canne è un lavoro fatto al buio, non apparendo in. terra quello che sia da levare o da lasciare. Che se però s ha a fare cotesta opera è bene che sia fatta avanti che levino le canne, perchè scoprendo e veggendo sarà indizio il di fuori di che s' abbia a levare di dentro. Il tempo di piantare le canne e di ri- trapiantarle avanti che gii occhi comincino a muovere, che suol essere avanti alle Calende di marzo. Crescono sino alla bruma, e finiscono come cominciano a esser dure, ed allora che è a mezzo dicembre, verso gennaio s' hanno a ta- gliare fra terra con ferro affilato, destramente senza offendere le parti che. vi rimangono , che così aiuteranno a rimettere, Governansi le caune da prima per i primi tre. anni, zappan-

55 dole un poco più spesso, e tenendole ben nette dall’ erbe, è allora è da zappare il canneto quando zappan vigne. Desiderano grasso le- tame ben marcito, o cenere; e quando sono i canneti fatti e cresciuti a dovere, e sonò la se- conda o terza volta zappati o vangati, non sarà male seminarvi la prima volta almeno vena o per raccolta secca , o segar fresca. Le canne fan meglio nel terreno resoluto che nel denso, nel fre- sco che nel secco, nelle valli che ne’ pendii, nelle valli de’ piani e a’ confini di esse e de’ campi, e nelli sproni anzichè nel mezzo di loro e all’a- perto. Crescon bene per i vènti e giovan loro. Deono piantarsi a luna crescente, e tagliarsi alla scema. Son buone a palar le viti, più secche che verdi. Tagliato il canneto, l’appiccarvi fuoco ed aggiugnervi del pacciame, e delia robaccia as- sai, e facendo abbruciar tutto, è cosa molto utile. L'acqua della cocitura delle barbe delle canne (ogni lavando la coda ai cavalli che l’avesser corta ) fa crescer loro le setole a ma- raviglia, e similmente la barba e capelli deli’ uo> mo, frequentando di bagnarsi con essa. Scrivono che le serpi una sol volta percosse con la canna si sbalordiscono , e la seconda e la terza percos- sa le fa ritornare in se e le conferma.

La Cannaméie è quella che fi lo zucchero, il quale gli antichi raccoglievano da questa me- desima Cannaméie, della quale oggi fa il noe stro zucchero, e non si tagilando ogni anno co- me si fa ora, venivano a esser più pregne di queli’ umore, il qual soprabbondando in loro, da per se stesse lo stillavano fuori, e le genti da quelle lo ragunavano ; e non è lo zucchero degli antichi di razza di manna, come moltì credono, ma veramente come gomma che stillava da quel. le istesse medesime canne, che come ho detto Gannaméle s’addomandano, Adunque è da cre-

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dere che non avessero la regola artificiale di spremerlo da quelle, ma si servissero di quel po- co, comecchè essendone assai minor quantità , era più in pregio. S'è trovato dipoi il modo di farlo che è questo: Tagliansi le canneméle in pezzi minuti lunghi un dito, e spremuto il liquo- te che v'è dentro, cacciandole in gabbie forti sotto il torchio che serri gagliardo, si cuoce quel liquore, qual poi posto in certe piramidi di le- guo tessute a rovescio ( quando son piene) si fa . congelare ponendovi sopra due diti di ghiaia, e ricotto di nuovo si fa lo zucchero di due cotte e di tre; e rafinato tauto più al fuoco, si fa il candito, e di quello di tre si fa lo zucchero rosato, ponendovi per ogni oncia di rose rosse quattro di zucchero. Sono Je Canneméle simili ai sagginali ed ogni anno tagliate in pezzi di un palmo si seccano in terra grassa ben lavorata con l’aratro, e si rinnuovano. Sono coltivate comu- nemente in Sicilia, in Candia, in Cipri, in Cala- bria, Puglia, San Domingo, in India. Ama- no luogo caldo, e traspiantate ai solatii vivon qualche tempo, difese dal freddo . v

La Canapa ancor essa si semina acconcia- mente nel fondo degli orti, nel più grasso d’essi, e nei bassi dei campi dove secoli il grassume del- le terre, a piè delle buone colline, ove abbon- di umidità e grassezza, sebbene ancora in pog- gio , e nei lati magri alcuai usano di seminarla, ma fa più minuta e sottile, men grande e con ‘manco profitto. Il suo seme primamente nacque nel salvatico , di dove cavato addomesticò . è della femmina e del maschio; questo fa senza fiore, ha il seme olioso, e di var] colori; la femmina fa il fiore bianco ed in quantità, e produce assai seme , il quale e dell’ una e dell’al- tro opera nelle galline il contrario di quello che ne scrive Dioscoride. Imperciocchè negli uomi-

57 ni spegne e rovina la virtù del generare, ed iu

quelle ( dato loro a beccare ) aumenta il generare dell’ uova, sendochè quelle galline che sene sa- ziano l'inverno, ne fanno abbondantissimamente . E la decozione di canape che sia fatta con la

debita espressione, gettata in terra ove sieno

lombrichi terrestri nei buchi loro, subito gli fa uscir fuora, e così gli cavano i pescatori per porre in cima agli ami. Mangiato dall’ uomo si digerisce male, è contrario allo stomaco ed alla testa, risolve le ventosità e disecca. Sono al- cuni che doppo pasto l’ usano ‘mangiare abbru- stolato e pesto per poter più avidamente bere; scalda fortemente e rasciuga, onde si genera dal suo mangiarlo la sete. Il seme della canapa quau» do si vuol cavar fuori stia primamente coperto con strame e pietre, o altri pesi per seio otto dì. Dipoi levando questo aggravio si ponga sotto qualche stuoia o panno lano, e battuto legger- mente alquanto, o serollato cascherà facilmen- te. La canapa salvatica nasce nelle selve da per se, facendo le bacchette in foggia del Maivalischio un poco più nere , più aspre e minori, dell’ al- tezza di un cubito spogliate di foglie. Fa i fiori un poco rossiccj, e 1 seme e la radice è simile al malvalischio. Il succhio cavato di que- sta, come della domestica ammazza i vermi che fossero dentro all'orecchio, e ciò che dentro vi fosse entrato manda di fuori, e tanta forza ha questo succhio che infuso nell’ acqua la fa rap- pigliare, e però sovviene alla sorcorrenza delle bestie. S°iustilla ancora ai dolori degli orecchj un poco scaldato . La canapa salvatica posta in macero, ed assettata come si fa la domestica, fa ancora essa saldissime funi. La domestica ( come s'è detto) amala terra» grassa e letamata bene, ed ancora in lato che si possa bene adacquare, o terreni che sieno per lor natura umidi ;-ed in tut- 8

58 ti i paesi dee osservare di porre quella sola» mente che si sappia per ordinario ch’ella vi fa bene. La cavape e propria in Italia della Lombar- dia, e del Bolognese, dove sene trae grandissimo provento ; 3 fa bene ancora nei lati freddi, e nelle stesse Aipi più che nei caldi. In quei si semina di febbraio, in questi da mezzo marzo in là, e sin’ a mezzo aprile. Desidera il luogo dove ella si semina d°’ esser divelto‘sotto a due puntate di vanga ed essere continuato ed avvezzo a seminar- visi canapa, amando ella tuttavia d’esser semen- tata l’una volta dove l’altra, perciocchè in que- sta maniera ne produrrà sempre più e migliore; ma quando si getta giù il suo seme acconcio sì, che sia un piede in quadro dall'uno all’ altro, convien dar letame marcio in quantità , ed il ter- reno in lavorandosi vuol’ essere minuzzato e tri- to. E volendo farne impresa grande, può rom- pere con i buoi quel luogo dove s ° ha a semina» te, che sia a proposito innanzi al verno, e pas- sato gennaio s'intraversi, e con l’erpice si spiani

diligentemente , e poi all’ ultimo di marzo a luna.

crescente, avendovi messo di molto litame stagio-

nate , si dirizzi le tre volte minuto, ed accanto .

si semini, gittando la sementa non troppo fonda sul terreno che sia, fuor di modo grasso, e rico- prendo bene, perchè nascera fonda, e cresciu- ta ch’ella sia, è di molta fortezza per funi, cana- pi, e tele grosse. Ma volendola per panni lini

di più delicatezza (benchè non sostengano d’ es-

ser molto spesso imbucatati; facendo “il bucato ai panni quello che le medicine ai corpi umani, li quali. esse purgano, ma gl’invecchiano; e così quelle s imbiancano, ma si consumano ) sI se- mini io terra leggiera, e non così grassa, fitto , fondo e spesso.

La Cetronella, o Citraggine è un’ erba mol- to odorata che nasce da per se alla campagna

Mt SO

8 ne’ ciglioni delle fosse, e per le selve, basa di te la domestica, e la salvatica, la quale ha Di: foglia somigliantissima di fazione s ma ruvida,

di cattivissimo odore. Quella è amata dalle “pa chie, e ne traggono méle delicatissimo , e perciò è bene piantarne intorno alle lor cassette, massi- mamente perchè la si mantiene tutta l' inverna- ta fresca e verde ne’ luoghi tiepidi e temperati i Ama grasso il terreno, e sebben fa seme è me- «glio con la sua piatta ‘di terra cavata in la vanga metterla negli orti domestichi a solatiò , tenendola ben netta dall’ altre erbe. E per ovvia-

re a questo piantisi fonda sì, che l’una pianta ___

tocchi quasi l'altra, e colgasi a foglia per fo- glia, o si scapezzino le sue cime, perchè queste e quelle di corto rimetreranno . addomanda da al- cuni Melissa, ed il suo odore è simile a quel- lo del cedro. Deesene far procaccio per aggiu- gner grazia all’iosalate di mescolanza, an- cora per potere strofinare con essa le cassette delle pecchie, perchè le vi stieno volentieri, e non si spergano, amando elle -volentieri quest’ er- ba. E Palladio dice che strofinandosi la mano col succhio d’essa, la si può francamente intro- dur dentro fra loro a cercare dei fuchi che le danneggiano. pianta ocorifera e delicata, l'odore essa si sente più, cogliendo l’ ultima cima. Ha mirabilissima proprietà di rallegrare il cuore, confacendosi molto alla sua qualità.

Lia Cicerbita è di due fatte, domestica e salvatica; questa ka le foglie più aguzze, e che pungono, e più grosse e ruvide; quella l’ ha più delicate geutili, e non punto pungenti; 3 ha mol- to latte, e tenera si mangia nell’insalate cone dita da per se, e mescolata con l’altre erbe, E poi aucora medicinale, provocando l’orina, correggendo il puzzore del fiato a chi ne patie sce; mangiandola. La radice della cicerbita e le

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foglie vagliono assai contro ai morsi dello scor-

pione, rinfrescano non meno che la lattuga, e co- o

me questa generan sangue non molto buono, I suoi grumoli teneri conditi con zucchero in con- serva son molto grati al gusto, e nelle febbri ar-

denti, come quelli della lattuga, estinguon la se-

te. Fa seme, ma è meglio assai sbarbarla con la sua barba intera e traspiantarla nel basso de' solchi degli orti al settembre ed ottobre, e quan- do ella sia cresciuta e multiplicata di foglie, ti- ratole addosso l’ argine del solco, si procurerà (ricoperta con quello ) di farla bianca, più dol- ce, e più tenera, il che si farà ancora nel me- desimo tempo, o più tardi, sbarbandola e riponen- «dola in cantina, scapezzata dalle sue foglie, rico- perta nell'arena, e piantatavi dentro; farà an- cora l’ istesso effetto sotterrandola nella loppa di grano che alquanto marcisca , e sotto if letame più presto. Ma nelle cantine asciutte diventerà più bella siccome fa il radicchio.

Il Gece è di natura d’ ammazzare tutte er- be cattive che gli’ nascon d’ attorno, e fuor di tutti gli altri legumi quando sia il suo granello

guasto 0 Curno non vi si ingenera dentro al-

cuuo animale, siccome nel pisello ed altri. Ab- brucia assai il terreno come il lino, e sebben fa in tutta la terra magra, non disama la grassa, ma in questa darà sempre più fiori che frutti; squali egli è solito mantenere un pezzo, e tosto

lasciatigli ingenera presto il frutto, e presto lo

condue a perfezione . Deonsi tutte le sorte di cecì il innanzi che semivino tener nell’ ac- qua. I ceci riposti nei grana) non fanno farfal- liui, generano animale di sorta alcuna che gli possa offendere; nettati spesso, e scossi dalla polvere durano iu lato asciutto, tempo assai . Sono .i cecì graudemente geverativi della umana geni- tura, per il che per essere molto ventosi stimo-

fs 9 e I

GL lan l’appetito venereo; e per quello e per que- sto è cusa utile darne a mangiare assai agli stal- loni il giorno innanzi, o la mattina innanzi il giorno che abbiano a ire alla monta. A!cuni gli danno loro la sera dinanzi, ed hanno opinio- ne che macinati in polvere, o agciaccati nel mosttaio con pestello di ferro faccian più operar zione. Il brodo de ceci, massimamente de? rossi la mattina a digiuno è molto sano, giova agli attempati, provoca loro |’ orina, giovando assai a chi patisce di renella. I ceci rifritti nella pa- della perdono la forza dell’ enfiagione, ma di- ventano più duri a digerirsi, generando nutri- mento più grosso, ed assai più ristrigneudo . I ceci si mangiano freschi e teneri, ma sono più enfiativi; la cocitura delle sue foglie vieta tutti i mali che posson venire ai piedi, lavandoseli con essa. Niun granello di altro legume è più a proposito, o meglio si può ne’ rottorj accomoda- re. Ridotti i ceci in farina bene stacciata con aggiungervi t6rli d’ uova stemperati con butirro, o olio, fan torta gustevole. una sorta di ceci detti Arietini, perchè hanno similitudine con la testa de montovi, «he si posson seminare tutto il mese di marzo, mentre sta per piovere, o che vada il tempo umidiccio, in lato grassissimo, an- corachè questo offenda ed immagrisca. Questo cece arietino crederei io che fosse di quelli che i volgari chiamano galletti, i quali fanno un gu- scio molto grande, e quello riempiono con un gran cece solo, ma più grosso, e sfoggiato degli altri; ma il sapore è della medesima qualità che tutti. Nulladimeno i rossi ed i neri hanno più saporiti che non i biavchi. Ora tutte le sorte di ce- ci s' hanno a trascerre per la sementa, ed e bene seminargli di maggio, o alla fine aprile; che basta che l’acqua non gli dilgvi quando soo gran- di. Deonsi scerre per seminare ceci grossi, ben

62 fatti e sani; sia il luogo asciutto , alto, penden- te, e libero da ogni umore, che la pioggia non vi si fermi, amando eglino il secco el’ as- ciutto, ed andando pioggie non multiplican mol to. Deonsi seminar radi un palmo e più dall’ un piede all’ altro, e quanto sarà il terreno più a dentro, faranno. miglior pruova. E se andasse as- ciutto al nascere, si possono adacquare, e ‘così da piccoli, bastando che sieno in fiori. Seminansi

col piuolo in giù quattro dita, 0 a solca, foa-.

diil medesimo. Non si sarchino, ma si nettino dali’ erbe quando è la terra asciutta , rincalzin» anchs di terra con porla al lor cesto avanti che comincino a fiorire. S' hanno a corre ben stagionati e secchi nei fin di luna scema, e si. conservano lungo, tempo senza offesa di punzecchj, ( de quali soli tra legumi non patiscono ) in lato asciutto, nei coppi che abbiano fenuto olio, 9 strofinati di morchia quelli che hanno a maa- giares deesi tenere in riposo la terra dove son fatti 1 ceci, per un anno; e volendo risemi» narvegli s' aiuti col letame. Le donne mestrua- te gli "fanno svanire quando sono in fiore; e se- minati fra gli altri iegumi gli difendon da’ pun- zecch) ed altri bachi. Sono dei ceci bianchi, ne- ri, e rossi; questi son più sani dei neri, e di questi i piccoli detti Averni giovano a romper la pietra, beuto il lor brodo , Sono ancora i ceci det- ti galletti, che ne fanno un solo per baccello. Cotto] si fanno tutti i ceci con la cenerata , con i gambi secchi di porcellana, e con la gruma di botte. Mangiati a mezzo pasto sono più utili che da prima. Sono ancora i detti ceci in India. Provocan Il’ orina, e la loro infusione ( cioè di- sfatti con il lor brodo) beuta che sia, fa ri- sentire la venere, ed aumenta lo sperma.

La Ciceschia si semina ne ‘luoghi. caldi di.

novembre .e di geonaio, nei temperati di feb-

sd ae

63 braio e marzo, nei freddi più tardi. Si può se- minare in terra soda come la fava, dipol arare . ed assolcare. Brama il medesimo terreno che il cece, e esser sarchiata; ma nel terreno la- vorato prima che sia riandato due volte con a- ratro, fa meglio. Deesi seminare in gi: nata che non sia fredda perchè può malvolentieri patirlo; perciò nei lati freddi farà meglio seminarla quan- do i morì gonfiano al fin marzo, o principio aprile a luna cresceute. La farina di questa è buona a far pane, massimamente mescolata con quella di miglio e fave. Usasi in cibo come i piselli, e perchè ella resta offesa dai vermicelli della fava, è bene cavarla a luna vecchia con farla ben seccare. Fa bene in lati asciutti di terre leggiere in costa di mooti, che l’ acqua non possa noiarla. E mescolata prima per quat- tro con letame secco di buoi, e poi seminata profitterà meglio. Deonsi le cicerchie riseccar bene al sole, poi raffreddate riporle nei grana], ma si conservano più tempo assai ridotte in fa- rina. Bastano ancora assai serrate nei vasi dove sia stato dell’olio. E buon cibo per gli anima» li, ed ir torte non riescon male; intere son du- re a digerire, cotte son come i ceci o piselli; e sendo poco cotte, cocendole con un vetro den- tro alla pentola, inteneriranno. opinione che le cicerchie mangiate generino le traveggole, che tanto è a dire come veder lun due.

La Gicerbita, così la bianca come la nera, e rossigna si traspianta dalle vigne, e campi la- vorati dove ella naturalmente nasce ( cavando- la con la sua barba, la quale si spunta con le dita ) nei luoghi grassi degli orti alla primavera, per tutta l’ estate innaffiandola d’ugni mese nell’ainole ben lavorate, ed anco raccolto il suo seme vi si semina all’aprile, e nata si dirada perchè la si possa più agevolmente sarchiare ;

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cresciuta in cesti grandi si lega come l’ Endivia e si stravolge in terra a giacere, ricoprendola con altra terra, e così si fa bianca e più tenera. Ancora piantata nel terreno posto nelle cantine, o all’ uggia nelle stanze terrene del primo pia- no, copertata di arena senza legarla s'imbianca . serve per ottima insalata nell’ invernata, nel qual tempo, temendo ella il freddo, alla cam- pagna non sene trova, e negli orti se non si ben cuopre, non campa. Ancora sbarbata e con la pura rena ricoperta s' imbianca nei luo- ghi umidi, ed imbiancata diventa assai più de- licata, e di gusto migliore, massimamente con- dita in insalata con buono aceto e olio fresco di mandorle dolci. Ha virtù di rinfrescare, e si cre- de che il suo succhio sovvenga per rimedio a chi avesse bevuto il sangue del toro. Cresce il latte alle donne, siccome ella è piena di lat- tificcio . Questa” è quell’ erba detta dai Latini Sonchus .

La Coloquintida, o (come si domanda) il Cocomero salvatico o la zucca, ha lefoglie in- tagliuzzate e fa i poponi come zucchette roton- de, aguzze verso l'attaccamento del gambo, di colore per un pezzo da prima verde, poi matu- re che siano, pendente in giallo scuro, e sode e dure come di legno. La sua natura è d’an- dar terragnola come °l cocomero con i suoi vi- ticcj e nodelli nel gambo, ma non è per questo che guidata sopra le pergole di canna, o di te- laio di legname non visi distenda e vi si condu- ca volentieri sopra, facendo bella presenza e ve- dere . Seminasi quando le zucche e al modo loro, «e rende com’ esse il sno seme, amarissima più assai dell’assenzio, e tagligndo altre cose col coltello che abbia tagliata la coloquintida , l’ina- marisce di modo, che non pesson mangiare; è solutiva medicinale.

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Il Cocomero salvatico nasce per tutto, e di seme, e traspiantato nell’o:to, quasiche da per se n’alligna. fuori ordinariamente nei terre- ni sabbionosi, e credesi utile per erba medicina- le, ed il suo decotto spremutone prova al vec- chio e vale alla doglia de’ denti. amari-simo e dentro ha poco di succhio , e staccata l’erba dal gambo e strappata, schizza l’acquoso liquore che ha dentro. Scrive Teofrasto che Elizio (che così ancora si chiama ) mantiene la sua virtù nelle operazioni medicinali oltre a dugento anni,

La Colutèa, scrive Teofrasto esser propria pian- ta di Lipari, dipoi s'è dilatata, ed oltre che in Francia, è veduta in Italia in molti luoghi. I Mauritani la chiaman Sene, e dicono esserne del- la salvatica, e della domestica . Quella di Lipa- ri ch'è questa , è un albero piuttosto grande che piccolo. Io in queste nostre parti ne ho avuta, ma non è mai cresciuta a tropp alta grandezza. Produce il frutto in baccelli gonfj pieni dentro del seme e non d'altro, come lenticchie. Man- giato dalle pecore le ingrassa mirabilmente. Se- minasi il seme ove sia buono il terreno ingras- sato con il letame, e spezialmente di pecora mar- cio. Il tempo di seminarlo è nell’ andar sotto. Arturo nell’autunno, facendo prima stare in macero il seme nell’acqua, tantochè cominci a pugoere, dar fuori, e germinare ; le foglie sono somiglianti a quelle del Fien Greco. I primi tre anni fa un sol gambo, il quale mette fuori i ra» mi e diventa albero grazioso a vedere per la va- rietà . poi un’altra pianta menzionata da Teo- frasto, da questa differente assai, vista dal Mat- tiolo in Valle Anania, la Colanèa così detta, ma ; non rassembra quella. La Colutéa è pianta di va- lore e virtù nelle medicine . Vale all’ invecchia»

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66 to-dolor del capo, allarogna, ed almalc adu co, ed a tutto questo la sua cocitura .

I Carciofi ordinariamente fanno il lor frutto spinoso, e tuttavia ne sono di quelli che nasco- no senza lo e ciò deriva dal seminarli., perciocchè pigliando il seme del carciofo e spun tandolo avanti che sia seminato nasce senz esse; e così avviene quando nel seminarlo . isconde nelle radici della lattuga, e da questò facilmen- te è proceduta poi la razza de’ carciofi senza spi- ne. Desiderano i carciofi la terra grassa e di gran fondo, benissimo letaminata e netta e la- vorata, e ritrovata con diligenza sotto almeno un braccio, e piuttosto piano che monte, o colle piegato, o fine di valle esposto al sole, come quelli che partoreudo grati frutti e cesto e foglie haono di bisogno di cavare gran nutrimento. E perciò, come io dico, convien bene a dentro la- vorar la terra, e ben sotto tritaria, dando loro assai cenere per suo grassume , e del letame mar- cio. di mestiero ( volendo entrare in razza per via del lor seme dei più grussìi ) trascerre la se- menta, fatta, buona e stagionata , e quelle pian- te che si riserbano a questo effetto bisogna li- berarle da tuttii rimettiticcj da piè, e coprire . con ua coccio il carciofo da seme, perchè non v' entri l’acqua a marcirlo . Questo seme poi te- nuto tre o quattro in olio, latte, nardo, o acqua rosa, si ponga ad asciugare , e stiasi al- trettanto nellatte e nel méle perc ciò gli fic- cia do:ci, e quell'altro infonda in essi l odore. Ed ancora perchè sia senza spine (non avendo di quella razza ) tagliata uva barba di lattuga, e Sp rtita in pezzuoli, e cacciato in ognuno di questi un seme dentro , si otterrà l’istesso . Sia= nv posti parecchi semi insieme perchè facciano un. bel cespuglio, e più grossi earciofi più sotto si caccino che tre, dita , e caricandogli o0n

67 terra non si, vada più giù dei primi nodelli, adacquandogli se sia, secco , e piccoli si purghino da!l’erbe. Seminansi al marzo a luna crescente lontani lun dall’ altro due braccia in sul divel- to, facendo certe buchetteà dove hanno a ire i ‘semi, ripiene di vinaccia dove si ritrova. Così si seminino lasciandovegli stare senza strapiantargii, ma è meglio strappando quei rimettiticej ch'è fan- no da piè giovini con più barbe si può, fatta la buca in sul divelto fonda che solo mezzi si sotterrino avendovi messo în fondo e d’ attorno dimolta cenere e letame marcio e buono, ma soprattutto si rifà della cenere; ed in questo cenerone, è ben porveli. insieme con terra cot- ta. Sene può ancora mettere due o tre per buca &irando innanzi poi la più vegnente, ma meglio è (strappate belle piante ) porne e vezzeggiarne una sola, e ciò si pud fare e dee a ottobre o novembre , e a questo tempo è di più profitto, perchè talora governandole bene, daranno il frutto avanti l’anno, che di primavera saranno stentate, e non ne daranno prima che in capo a un anno..Si deono dipoi sarchiare spesso e tener nette dall’erbe e doppo il primo anno, ed an- cora il primo all’ ottobre si deono vangare attor- no e dar loro della cenere e del letame marcio e fradicio, e levar.loro tutte quelle messe e la- sciare a ciascheduna pianta un fusto solo, quel- lo di mezzo più principale, tagliando la punta Nuutinale, e impiastrandolo di bovina . Godesi nei. uoghi temperati recusa i freddi, ed ancora fa ne caldi, ma in questi per conservargli con- viene ai maggiori con foglie coprire il suo seme, che non secchi avanti tempo. Si dee levare molto prima tutte le messe de’ suoi figiiuoli per- chè tutto il rigoglio vada nel mezzo al corp principale, Il seme si manifesta esser fatto quan-

do si stacca fuor di quella peluia azzurra che fa

68 e casca da per se. Si conservano (durando bene a profittare con questo governo la prima volta dove son posti o semicati) per cinque o seiinfino in sette anni. Dipoi conviene svecchiargli affat- to, ripiantando le piante giovani in nuovo lato;

e volendo in quel medesimo, andar più sotto col -

terreno un braccio più divelto; e sappiasi che finito che hanno l’anno le piante di fare il frut- to, si deono tagliar tutte rasente terra perchè le radici non gettiuo il vigore nel fusto vano, ma lo rattengano in loro a nuovo frutto. Faranno i carciofi dolci se stia prima che si semini il suo seme in macero tre o quattro nel latte, mu- tandolo ogni dì, che non inforzi. I topi son molto ghiotti delle barbe de’ carciofi, e scavano sotto terra a trovarle divorandole. La lana in- volta alle loro radici vieta i loro assalti; tanto fa lo sterco di porco posto alle lor barbe, e la ce- nere fatta di legname di fico. Le talpe ancora fan danno grande alie basbe de’ carciofi, pascen- dosene ove v’ arrivano e gli guastano; a questo ripara col piantargli nel sodo terreno e duro non lavorato attorno, che così fatto non posson di facile bucarlo. Arîicora vi si tengono de’gatti a rinconsarli ed ammazzarli. Altri hanno delle donnole che son use a questo effetto addomesti- cate. Alcuniturano i loro pertusi con terra ros- sa, intrisa col sugo del cocomero salvatico. Alcu- ni fanno buchi assai maggiori accanto ai loro, a

causa che impauriti e sbalorditi dai raggj del.

sole si cansino altrove, e molti ne tendon lacci con setole di cavallo. Hanno i Greci con molte lodi celebrato il carciofo, ed alcuni Scrittori tra essi affermano esserne quantità intorno ai monti del Mare Atlanico, e presso a Berenice d’Affrica essere copia grande, ed appresso ai campi detti ‘Carasmici, ed accanto ali'Indo fiume . Sono icar- ciofi ventosi, e per questo si dice che stimolano

o

6 la venere. Ritornano l’appetito cotti e conditi con olio, sale, e aceto, e fritti con olio o gras- so nella padella. Seccansi al sole i lor duri, e tagliati in fette rinvengon nell’ acqua cocendosi, E volendo avere de’ carciofi tutto l’anno, non s'ha a tenere altra regola nel trasporgli che l’or- dinaria, e lavorargli due volte l’anno per au- tunno e avanti la primawera, con dar loro sem- pre assai cenere e del letame ben marcio al pie- di. Ma bisogna a ogni luna crescente traspiaa- targli di nuovo e prendere di quelle messe più grosse, che si conosce che se elle fossero timaste nel suo ceppo, n’averebbero quivi da per loro fatti quell’anno, e di questa maniera averai car- ciofi mese per mese, ma vogliono esser trasposti in lato che sia a solatìo e. piuttosto in proda che piano, o nel pendìo al sole delle vallate 0 col- line, o piè di monte. Gonviene anco nell’esta- te adacquargli lontano dal gambo, e nel mezzo dell’inverno dar loro al piede della colombina piuttosto cruda che macera o disfatta, cavata

di sodo dalle colombaie; e faranno arcor buon.

frutto col pecorile, e col rinchiudere con le fo- glie medesithe la vetta, e il carciofo legandoli bene, e con la pagiia ricoprendoli la notte, e Su per il terreno spargendo ia quantità del cone cime fresco non spento o marcio, che gli tenga caldi, e dipoi il giorno scoprendogli al sole; e

talora la mattina a certi tempi crudi adacquan-#

dogli con acqua tiepida, e «iò s'intende per i paesi freddi, che così si costuma peravergii in Fraucia. Ancora tagliando e sciorinando le pian- te quando ne voglion fare al tempo loro, gli dif- feriranuno*a fare ad altra stagione, che sarà fuor dei lor tempo. Ed ancora levando via i carcio- fetti che dan fuori da principio, e massimamen- te quelli di ‘verso il mezzo tutti, non ne lascian- do alcuno, giova assai ali carciofetti , siccome

vo agli sparagia)!’ attaccarvi fuoco, finito che hanno di fare tutti i lor frutti, aggiugnendovi paglia e pacciame. A Genova dove è il. paese appro- priato, e ne fanno procaccio ed in altri. luoghi simili ne hanno tutto 1’ anno con il buon gover- no del lavorargli e concimargli. bene, e par quasi che quelle piante sieno avvezze ed acco- stumate a render continuo frutto quivi, che al. trove traspiantate non così bene fruttifichereb- ‘booo- Faranno ben meglio che gii altri; però tutti con la sopraddetta cura ne produrrano in tempo e fuor d’otta. da sapere che nel Ge- novese e massimamente vicino alla città per quelli contorni (siccome per tutto sono |’ uve lu- gliole, e l’ uve lugliole agostine ) hanno de’ car- ciofi primaticc], che naturalmente dan fuori pri- ma degli altri; questi hanno la foglia sbiancata e maggiore dell’ altre, e transpiatando di que- sti in altro paese con. la coltivazione sopraddet» ta, ne faranno dei primaticcj come a loro. sono de’ carciofi tre sorte; alcuni bianchi verdognoli non molto grandi, piani in cima; altri sono come pine rotonde rosseggiantì, e questi son men du- ri, delicati più assai e migliori, e senza spine. Un'altra terza sorte è simile a questi con spi- ne, più saporiti di tutti. I carciofi, capovolti fermi a un paletto, ricoperti con terra asciutta ammontinata intorno diventan bianchi, in venti- «cinque e più teneri. Più del suo ordinario ingrosseranno i carciofi, se quando son mezzi fatti storcerai il lor gambo che penda. verso ter- ra legato con un salcio, perciocchè tutto quell’ umore che lo fa crescere anderà in esso. | 11 Coriandolo fa in:tutti i terreni, ma nei grassi meglio e più grosso, ma non così di su» stanza utile come seminato fra i solchi del fru- mento, nei quali viene senza perder virtù per i letami. Ama più presto l’ aere caldo che freddo,

Mis: ed il temperato a solatìo perfetto iagthatvolsioa te. Desidera contuttociò il terreno bene accon- cio e lavorato, piuttosto grasso che mediocre, es- sendo massimamente di sua natura contumace a nascere; e volendo seminarlo per avere ie sue granella, seminisi di primavera, e, per mangiar- lo verde, di febbraio, marzo, aprile, e maggio, ed ancora in tutto l’anno eccettochè nell’ inver= No; e nasce più presto di vecchia sementa che di nuova. Seminasi nelle aiuole degli orti van- gate minutamente, tenuta la sua sementa in ma- cero per tre o quattro nell’ acqua. Ma se si semini di sementa nuova prima che secchi af- fatto, mascerà in ogni modo più presto che se egli si semini di sementa vecchia tenuta in mol» le. Si può seminare ancora con gli altri ortag- g], meglio sempre a solatìo che al fitto merig- gio. Segli dice il letame di pecora o di capra più d’ogmi altro. Cuopronsi i coriandoli di zuc- chero per confetti, rompono le ventosità del ven- tre mangiati doppo pasto, e rendono buono odo- re e fanno buon fiato masticati in bocca ; e ver- di le sue fogiie nelle mescolanze insalata non fanno male. ì

Il Gumino o Comino domestico ( perchè del salvatico nelle nostre parti non sene vede ) pro- duce le frondi quasi simili al finocchio, e fa un solo fusto; dal quale pascono diversi ramuscelli; fiorisce in ombrella come il finocchio, nella qua» le si matura abbondantissimo il seme; ha la fa- dice bianca quasi arida nella superficie della terra. Ama i luoghi putrescibili e caldi. ab- bandante nelle maremme di Siena, ed in Terra di Roma. Seminasi al fin di marzo e d'aprile in terreno grasso ben letamato , e luogo caldo in. sommo al terreno, a fatica reggendovi, e cresce in alto. La pioggia che venga tostochè è seminato, gli nuoce assai; nato, segli-hanno a

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estirpare l’erbe attorno, e così mantenuto, il suo seme come il grano si raccoglie un poco più tardi; setbasied è buono ad allettare ì co- lombi. Rompe anch’ esso il vento, ma offende il gusto, sendo di spiacevol sapore .

Il Cisto nasce di seme da per se nei luoghi più aspri e sassosi dell’ Appennino, e similmente 1’ Ippocisto. Trovasi del Cisto il maschio e la femmina. A questa è il fior bianco fatto in fog- gia di piccola rosa, , onde è che alcuni Rosa Ca- nina la chiamano; è pianta maninconica, la qua- le non si stende iupliò in alto, e nemmeno fa troppi rami, ma per variare si può cercar d’a verla, ed il miglior modo è dove ella si trova trasportarla nel domestico, cavata con il suo pa- ne con l’ intere radici.

Il GCreneoro che ha le foglie come il Ei presso o Sabina, che fa nei luoghi marittimi, trasportato nel domestico con la sua pianta di terra e radice, vi viene e fa bel vedere per istar sempre verde come il Cisto Nasce in ter- ra a Port Ercole, e si dee trasporre aggiran- dolo con molta arena.

La Colocasia, detta Fava Egizia, fa intorno al Nilo con ampissime foglie, delle quali intes- sono quelle genti vasi da bervi dentro 1’ acqua gel Nilo che è ottima più di tutte 1’ altre acque che sieno per bere, e mangiano la sua radice e cotta e cruda. Fa il fiore grande a doppio di quello del papavero, di rosato colore. Trapian- tasi Ja colocasia con le barbe impiastrate di fango intriso con paglia minuzzata ed in luogo a solatào ; e si dee ( volendo mantenerla ne’ no- stri paesi ) coprir da vicino alla foggia de’ li- moni e cedrati ed adacquarla bene con acqua tiepida, e la state tuttavia brama d°’ essere in- naffiata, godendo del sole.

Il Gretano, cioè il Riccio marino, è erba

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che si trova nei luoghi marittimi, e cavato di quelli con diligenza si mantiene nel domestico per far varietà fra le altre erbe , ed è medicina- le come la Celidonia ch’ è bell’erba e sene tro- va di due fatte, una Indiana e l’altra ordina- ria di paesi che insiememente si rassomigliano, e facilmente, posta nel salvatico, vien comoda» mente e s' attacca.

I Capperi nascono da per loro in molte pro- vincie come qua la gramigna ne’ terreni sodi al- la campagna per tutto, e particolarmente in ogni parte Egitto. Ma sono di quelli larghi tenu- ti dai medici più sani purchè sieno tutti man- giati avanti all’altre vivande per il primo cibo; così mandan via, e sbarazzano la flemma ragu- nata nel ventre, giovano alla milza, e ritornano l’appetito pel fastidio che si sia avuto del cibo; e le foglie di qualunque cappero peste e soprap- poste a qualsisia membro scottato, mutandole spesso; levano il dolore del fuoco, e lo guarisco- no .I Capperi in Italia ( di dovunque egli si sieno venuti, o che della razza essendo di quel- li, quì abbiano tralignato ) sono più minuti e vi fanno amari, e quantunque lasciati crescere, per- chè la costuma è di porgli in conserva piccoli- ni, addolcendogli prima molti con l’ acqua chia- ra, dipoi addolciti cacciandogli ricoperti nell’ a- ceto, e molti in esso facendogli dolci, e fatti, mutandolo lero, e lasciandovegli star dentro, nel crescere quà mai non si fan grandialla mi- sura di quelli. Ben si possono lasciare ingrossa- re un poco più chi gli vuol maggiori; ed essen- do più maturi, riesciranno sempre più teoeri. Grescono agevolmente nelle pietre e rottami de’ muri, fra la calcina d’essi nei lor couventi vengono innanzi; amano terreno anco sodo che non si coltivi, e che non vi sia altra pianta o uggia, bramando sempre il sole che gli annoi;

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fs lavori loro attorno, che si perdono e vene gon meno trassinando loro appresso il terreno, e. tutte lerbe uccidono che accanto lor nascono. Imperciò bramano di star sequestrati da tutte. l’al. tre erbe e piante, e stare interamente da. per loro; amano il sito a solatìo , in questo multipli» cando senza comparazione assai più che nell’ om- brìo. Dilettansi di terreno sottile asciutto, e dei sabbionoso e sassoso , siccome da per loro nasco- no in luoghi desertì e sassosi; e sebbene fanno ancora in luoghi di terreno grasso purchè sia in sito caldo, rendono men frutto, come neila- ti fuori del sole, benchè v’ allignino e vengano innanzi. E volendogli in luogo piano, scoperto e largo, facciasi un muro a calcina alto da ter- ra un braccio e mezzo, e lontano da questo un braccio un altro muro alla medesima altezza, ed accanto un altro simile, ma altrettanto distante: poi seguendo a farne un altro discosto un brac- cio come quel primo, e così si seguiti quest’or- dine in largo ed m lungo quanto si voglia fa- re il cappereto; riempiasi poi fra l’ uno e l’al. tro muro di terra sottile mescolata con arena, ed in quello spazio più stretto che è dall’ uno all’al- tro nel mezzo del terrapieno si piantino i cap» peri per lo lungo lontan l'uno dall’ altro un braccio e mezzo, e lo spazio che segue più lar- go fra l’altro muro appresso, lasci a dilatare i rami del cappero riempiendone di terra ordi- naria e così si vada seguitando quanto si voglia. Fanno bene ancora nel terreno arenoso alla vi- sta della marina, ed ai muri volti a quella, ed in grotte, in balze, in luoghi scoscesi difficili aspri deserti di tufo, di créta, d' argilla, e di qua'sisia più trista, e ritrosa terra, purchè sia secca astiutta senz’ umore, e meglio sempre in lato sollevato che a terra. E se pursi vorranno a terra, acconcinsi a pendìo in prode sollevate

i Puna dall’ altra in guisa d’ una scala di siae ni che saglia e scenda, o vero si facciano (se sia il luogo piano ) certe gole a uso di bocche stret- te di pozzo di giro un braccio e mezzo, grosse un palmo e mezzo, murate con calcina, e ri» piene di terra inescolata con arena o sabbia, 0 a secco di pietre grosse alte un braccio e mez» zo d’esse, si piantino i capperi che-da ogni ban- da allargandosi possano prendere in terra, 0 ve- ro nei muri fatti nell’un modo o nell’ altro che abbian dietro assai terreno, e fatti a posta per questo, presso alla cima dei quali si lasci certe buche tonde di diametro d’ un palmo, alle quali si ritiri il terreno bene in cima che di dietro unisca con l’altro; ed in su giiorli seminino o piantino i capperi, che anderanno a ritrova- re il sodo del terrene, siccome trapassando per i fessi de° muri con le radici penetrano a cercar nutrimento di dove lor basti e non ch° altro da- istessi calcinacc]: perocchè si vede che talo- ta le formiche , o gli uccelli avendo portato un seme di cappero nelle crepacciole de’ muri ai- tissimi, vi nasce, alligna e fa prova. Nei cortili larghi aerosi aperti lastricati in terra piana fra l'una pietra, e l’altra fiano buon profitto; nei terreni asciutti e secchi si posso- no ancora seminare che si reggono da per se, come io dissi delle viti che stanno iu piè sen- za pali: e fatto un poco di gambo si manterran= no poi sodi gagliardi e forti. Ancora si possono far fare certi vasi a uso di doccioni tondi, di diametro d’ un palmo, grossi due diti, e con un piede di qualche fatta che li tenga ritti; questi hanno a dispensare lontavi | uno dall’ altro quattro o sei braccia per le viottoie larghe dei giardini dalla banda sola di fuori che sia più al'sole esposta; e s’ hanno a riempir mezzi di ‘arena mescolata insieme, ed in bocca si piantino

6 i superi 1 quali doppo non molto tempo cot la lor fittagnola anderanno a trovare il sodo del viottolo, e quivi afferrati e su per il vaso bar- bicando spargeranno i lor rami penzoloni e fa- anno bel vedere, dando in questo lato ancora \osrenicnte frutto. Deono esser volti a tutti i versi del cielo eccettochè a tramontana, ed a mezzogiorno è la lor pòsta naturale, e appic- cano meglio nel terreno non punto lavorato che nello smosso. Verdeggianoi capperi sino all’an- dar sotto delle Pleiadi, fioriscono l’ estate e di primavera, e si seccano al punto dell’ equinozio, e nell’ andar sotto di quelle perdon le foglie e si seccano i loro rami. E da queste lor boccie di cappero passate a far seme, quando.sono a- perte stagionate e mature, si dee raccogliere il seme, eleggendolo dalle più rigogliose, grosse e gravdi che si veggan fra loro, e così da pian- te simili, e tosto colte così spaccate hanno a tenere per due al sole ; poi spicciolati i semi si sesbino al tempo di seminargli, che è comodo nei luoghi temperati al marzo, aprile, e maggio, e nei terreni caldi e nei freddi, a primavera, e deono seminarsi nei vasi con buon terriccio me= scolato con arena, e di sopra seminato che sia ( non ricoprendo il seme sotto più d'un dito) si dee stendere un altro dito di arena per cagio- ne delle formiche, e perchè innaffiando, l’ acqua non scuopra e smuova il seme ed affichè egli dia fuori più presto, conviene averlo teouto pri- ma nell’olio in molle per una notte sola, e si spruzzi ogni due volte mattina e sera con un granatino minuto dell’ acqua, tanto che si vegga per bene inzuppato. E subito ch e’ son nati, e messa la prima foglia (e perciò vogliono esse- re seminati un p»co radetti un dito dali’ uno all’altro ) tevendo in maso un coltello largo in punta, ed avendo procacciati de’ pignattini

piccoli, 0 altri vasetti pieni di buon talia 7 ve gli trasporterai dentro, annaffiandoli poi é procurandogli secondo il bisogno. Questi così posti. d’ottobre possono tra piantare nellebuche de’ mu- ri (quali hanno a essere innanzi a calcina che fat- tia secco) rompendoglio non gli rompendo come si vuole, perchè come si vede che aprono e sforza- no i muri, similmente spezzeranno quelli che la forza delle barbe loro. E dovunque si alloghino con questi pignatti, si sotterrino setto tutti nel terreno tanto, che venga la pianta sopr’ essi due dita ricoperta, adacquandovi poi tanto , che s'at- tacehino e piglin piede. Esendo in terren cru- do, levinsi l’ erbe d’attorno da principio; che poi fatti grandi, da per loro stessi le spegne- ranno, usufruttuando e *spoppando pur assai i capperi il terreno. E quest’ ordine si tenga tan- to ai capperi ordinar] che sono senza spine, quan- to agli spinosi che hanno pungenti pruni, e so- no di razza da farne più di queli. Ancora s’han- no all’ ottobre nei luoghi caldi, nei freddi al marzo, pigliando quando si putano dal lor ceppo delle più belle messe con del vecchio, e pian- tandole con aggravar loro attorno bene il ter- riccio nelle buche de’ muri, o altrove, rincalzane dogli tanto che entrin due diti solo fuor della terra, scapezzando quel vettone e lasciando due occhi o uno; ed in quel medesimo lato puoi por- re ancora del seme, adacquando (come è det- to ) tanto che nasca e che sia la pianta ferma, e lasciando venire innanzi( facendo prova) l’uno o l’altro qual si vuole; e nen volendo la briga dell’adacquare, quando tu poni questi rampolli metti rasente a loro o vero a una parte di essio al calcio un corno di castrone pos:o col vuoto all'insù, che piovendo empia. acqua che lo manterrà fresco, ed anche di quando in quan» do ( non piovendo ) empiendolo. Ecci un altro

78 modo più bello di tutti, e questo si è: aprile quando cominciano a mettere piglia uno scar- pello, e stacca dal ceppo di quelle messe tene- re che sien lunghe quattro diti, nuovo con vec» chio, e trasponi con diligenza nelle ‘buche, o dove vuoi, ricoprendo il vecchio tutto , e della messa due dita e un'poco più; attaccherassi be- ne e darà frutto presto, ma bisogna il primo an- no adacquargli tutta l’estate, e a modo; che non infradicino per la troppa acqua, e ch'e’ non patiscano di sete; avvertendo che dalle buche con l annaffiare non scoli via il terriccio, e se è possibile, sarà bene e sicuro adacquargli di dietro con uno schizzatoio piccolo , o'vero aven- do fatto all’ aere un pertuso che ritrovi fra °] terre- no la buca per dove è il fondo della pianta. E quan- do vuoi piantare Je messe vecchie, siano di quelle dell’anno passato staccate come si disse , con uh pezzetto della ceppaia; e fattele passare per un cor> no ancor di bue tagliato dal mezzo ‘insu, sicchè la parte più larga venga di fuori alla bocca del- la buca piena di terra in che tu la vuoi pianta- te; e l'altra parte dello stretto che sbocchi a pet» ta dalla punta, caccia in terra e chiudi dentro, poi annaffia spesso per il corno, e s’attaccheran» no. Ma quelle messe tenere prima che mettano dalle bande altre messe, son buone a mangiar cotte come gli asparagi. I piccoli capperi s'han= no a corre spiccandogli con le dita, e accon- ciandogli in conserva prima che gettin fuora il fiore, ponendogli in acqua ben salata calda pri- ma in molle, perchè quivi viene a perdersì il mal sapore, e tanto vi s hanno a tenere mutan- dola , che si senta |’ abbian lasciato , e doppo che sono asciutti hanno a porre in un bariletto di legno, mettendo un suolo di sale, ed un suolo di capperi, e riporgli inlato mezzano, e quando gli vuoi usare laviusi due o tre volte con acqua

tiepida, o vero senza scaldarla ve gli iti stare un fermi, perchè vada via quel tanto sale, o veramente darai loro un bollore per fargli intenerire; e poi medesimamente mettigli in ac- qua: fredda, o lavagli con l'aceto, condendogli poi con questo e con olio, o con olio solo, ed agio di limone come più piace. Ma meglio di tutto è cogliere i capperi piccoli di quindici innanzi ch'e’ si conosca che non farebbono an- cora il fiore, e di man’ir mano in un vaso di terra cotta invetriato pieno d’ aceto furte met- tergli che stieno sempre sotto ali’ aceto come ulive sotto la salamoia ; e quando ti pare che rappresentino lo schietto sapore dell’ aceto, e che il lor cattivo sia passato nell’ aceto medesimo (che si vedrà gustandolo ), ponglia conservare in un altro vaso di terra invetriaro, e tutto ben pie- no di nuovo aceto buono, e serra bene che que- sta è l’importanza, e ch'e’ vi stieno sotto rico- perti aggravati in cima con una lastretta; e così si possono acconciare delle lor messe tenere, e qualche foglia. Ancora si possono assettare di Questa istessa maniera nell’agresto , mutandole con dell’ aceto due volte ed insalandole bene, e così l'aceto la seconda volta, perchè si conservan meglio; e questi si mangian poi conditi sola» mente con l'olio, ed a quell’altra foggia sarà bene corgli un poco più grossi e viciui a fare il fiore. 1 capperi si potano in diverse maniere : chi taglia rasente la buca e manda a terra tutto ?| Ceppo, e chi ha opinione di lasciargli stare, che ‘| seccagginoso si perda da per se, e metta da per se poi a suo modo in sul vivo che vi rimarrà. Mala vera è potargli a luna crescente 1’ anno di marzo, o alfindi febbraio secondo i sitie paesi. E nei luoghi un po’ più caldi, o in siti bene a calore, di ottobre, o novembre, e lasciar loro in sul ceppo comealle viti un occhio o due con

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pennato che. tagli bene, o con tanaglie di ferro; quando ha del seccagginoso levarlo via anno per anno, e così gentilmente andargli rinnovan- do; e se poi si voglia tagliare i lor rampolli rasente il ceppo, si dee fare con uno scarpello ta» gliente che abbia una tòrta come una zappa, e con un martello di legno percotendo la costola, e levando via affatto senza punto guastare la cep- paia. Il fine del cappero è simile a quel dell’ oli- va, il quale condito consale e olio è d’ ottimo sapore, e serve per l’ inverno per insalata. I cap- peri un po maturi cacciano in un paniere, ed il paniere in un paiuolo d’ acqua chiara che bolla, e poi scolata, s'insalano con un suolo di Capperi, e un di sale.

Le Carote si seminan di maggio, e giugno sin’ a tutto agosto per poterne avere poi di tutti i mesi nell’ invernata ; e di marzo e settembre a luna nuova nell’ aiudie degli orti di terreno grasso e grosso sustauzioso e divelto sotto a due puntate di vanga, un poco radette, ed in su i divelti delle viti, ma rade, e queste e il prezze- molo fanno loro il men danno. Adacquansi ne- gli orti continuameote per estate durando il caldo ; desiderano sotto mescolato con la terra ove ell’ hanno a essere, letame ben marcito e d’ essere qualche volta sarchiate ; e se talora in avendole seminate fossero riuscite troppo fonde o fitte, si deono diradare a debita misura , che sotto possano ingrossare e far buona barba; la quale faranno tanto più grossa, quanto siano annaffiate con ac- que correnti di fiumi, e riusciranno più cottoie, e più tenere. Si possono nei paesi o caldi, 0 fred- di, o temperati seminare di novembre, dicem- bre e febbraio, e nasceranno alla primavera e sotto si staranno a terra sin a quel tempo; al no- vembre poi che viene, dicembre, e gennaio sa- ranno ingrossate il bisogno, e si caveranno. Le ca-

81 rote , levate via le foglie, si mantengon sotto la sabbia, e nelle cantine, così le bianche come le rosse. Cuoconsi nel forno con una pentola rim- boccata tagliate in pezzi, e si condiscono in in- salata e con sapa.

La Gicoria è erba che fa alla foresta della campagna, altro è a detta del Mattiolo che l’ endivia salvatica. Puossi far venire negli orti raccogliendo il suo seme, e seminandolo di pri- mavera nell’ aidle di quelli in sul vangato alla foggia dell’altre erbe ordinarie come lattuga e si- mili. Ha il fiore differente dal radicchio, ed è più salvatica erba assai, tanto che quello si pone per domestico, e questa . è abbondanza nel- la campagna di Roma, ed ha la foglia assai più larga che non il radicchio, quale pongon per maschio alcuni, e quella per la femmina de] ra» dicchio; e l’ uno e l’altra ha proprietà di rinfre» ‘scare. La cicoria dura più al freddo, benchè am- bedue coperti con diligenza e nelle prode si man- tengono tutto l'inverno.

La Cuscùta è una pianta, che senza avere ‘in terra fondamento di barba alcuna, sollevata da quella vive sopra l’altre piante, come fa il vischio. Nasce adunque e sale sopr’ esse, e sono ì suoi rossi gambicini simili ai Viticcj sottilissimi delle viti, ma di gran lunghezza, con i qualis’av- viticchia così strettamente all’ erbe che spesso le strangola e tira a terra. Nou fa fronda alcuna, ma bene il fior bianco ed acinoso seme. Nasce frequente sopra il lino, sopra le ginestre , sopra l’ eufragia, e sopra altri frutici bassi; e volendo averne a sua posta, conviene trasporre insieme la. pianta dove sopra lasi ritrova, perchè appassita l'inverno, di primavera ed estate rinasce. Que - «sta. è quell’ erba che siccome ha natura di vivere sopra l'altre, staccata dal suo uatìo, e posta

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ai }: fe @

82 N “i (come disse) sopra l’ uve, fa far loro quella stu» penda e maravigliosa barba. |

Il Cocomero desidera terra grassa, umida di buon fondo, ben concimata, meno ama quella che sia un poco renistia, se vi sia del letame fra- dicio mesticato . Dee essere lavorato con la van- ga a due puntate, ed in iuogo dove possa il sole assai scoperto, e non punto occupato da ombra di vicini arbori. Si seminano di marzo e d’aprile, e quando il suo seme si raccoglie, si dee tenere fra le foglie delle rose conservato secco fino a questo tempo. Verrà ancora ben mantenuto nel- le zucche vòte in luogo asciutto avanti si com- metta alla terra; e quando si vuol porre giù, sia sempre con la punta in terra, e tengasi pri- ma per quattro a macerare nel latte mutato di giorno in giorno per dargli odore, ed anco nell’ olio Sabino ( dice Palladio) ugnendo can esso il suo seme, e strofinandolo con l’ erba Calice, nascerà senza sementa. Alcuni lo tengono a imacerare per tre nell’acqua melata. Serrato il fiore del cocomero col capo del suo viticcio in una canna forata bene in tutti i nodi, o di due parti, bene scavandola e rilegata insieme, e sfessa con diligenza, andrà il cocomero crescen- dovi dentro lungo oltremodo . Come si sia, le sue formelle facciano lontane l’ una dall’ altra due braccia e mezzo, o tre, ed in ciascheduna di esse si caccino ì semi due © tre. per posta per lasciarne poi venire innanzi uno, e lontani l’un dall'altro un dito, e ricoperti quattro ditì con terriccio buono .' Facciasi la buca e lascisi dall’orlo del terreno un mezzo palmo bassa, ponendoli in su quel fondo, dipoi cresciuti sopra la terra due diti, si rincalzino al pari con terra cotta e buo- na, o vero polvere delle strade; e se occorra per il secco adacquargli , facciasi in modo che l’ ac- qua non tocchi più oltre che la radice del cesto ,

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e non le sue messe che faccia lor. danno. Ma volendo ancora nell’ asciutto non gli avere ad adacquare facciasi un solco in sul divelto, fondo due palmi in su quel lavoro di febbraio, ed in su quel cupo pongasi della paglia, e doppo nel mese di marzo pongasi sopra de!l’altra paglia mesti- cata con terreno e levata ben marcita , e quiyi si metta la sementa, e nata ( mentre ch'ella cre- sce ) di man in mano si riempia e conguagili la fossetta. Pigliano i cocomeri freschezza .e go- donsi dell’ erba che nasca loro attorno; imperciò non fa loro di mestiere sarchiargli o zappargli, avendo o facendo in modo che. in sul cocome-, ro s abbiano de’ roghi o ferule in luogo a sola- tìo in terreno ben concimato . Taglinsi al marzo o aprile fra le due terre, e. si può anche doppo equinozio autunnale, e serrata la testa della tagliatura con una punta di legno sodo, come sco- pa o corniolo aguzza, e mettendo fra la midolla del letame marcio e quivi il seme del cocomero, e procurandogli appena nati, faranno frutto. I cocomeri sospesi in aere con corde in luogo asciut- to si conservan lungamente sani, i quali potran- no ‘anco durare ai gran freddi, ricoprendogli ai maggiori rigori.

Desiderano le Cipolle come gli Aglj bianco terreno, rosso, leggieri e non forte, renischio grasso di sua natura, ed anche ingrassato con ar tifizio di letame, lavorato bene sotto e che, biso- gnando , agevolmente si possa adacquare. Amano ancora la terra grossa e sustanziosa di buon fun- do, feconda e lavorata, leggiera che tenga d’a- rena. Nella terra fredda e forte non cresce o iu- grossa molto; ma chi ne voglia far grande im- presa, ed abbia la terra a proposito, dee rom» perla, e lasciare che ella s' inumidisca , e poi ben concimarle di febbraio ed ordinata ed appianata in ala (tirando l Austro o 1 Euro) porvele, e

84 cresciuté dipoi grosse s'hanno a traspiantare un po’ più rade sei diti l’ una dall’altra del mese aprile o maggio, adacquandole . Quelle che si seminano di seme, vengon più grosse, ma fan- no poco seme, e volendone assai, porransi delle cipolle vecchie quando cominciano a metter tallo, tanto delle porraie che si veggon tallite , che per tallirsi, e così alla primavera, e conciansi anco= ra di settembre e di ottobre, e di novembre, e per averne dipoi ancor molte seminansi (come s'è detto) di febbraio, e così le bianche come le rosse si seminano altresì d’ agosto, e si tra- piantano sino alla Pasqua sempre rade perchè così diventano più grosse assai. E dove si trapian- tano sia lavorato prima bene e bagnato il terre- no acciocchè sia più trito, e così si faccia in tal caso dove elle si seminano, sazian- do bene quel terreno d’ acqua, ed il giorno poi seguente essendo chiaro e buono , si trapienteran- no saggiamente sempre a luna scema, perchè a luna crescente per il troppo forte umore aqueo che si solleva loro conforme all’ umido della luna che va crescendo troppo dannoso, anch’ esse non possono intenerire , e perciò è bene tutto quello che si fa alle Cipolle in sementarle , trapiantar- le, o strapparle o corle, farlo a luna scema; così ancora scoperte che sono alquanto, cresceranno in levar loro delle foglie di sopra perchè ingrossan più dipoi; e finalmente quando piccolette si tra- piantano, si strappi lor le foglie di sopra, esi tolga loro delle barbe di sotto, e si calpestino e ammacchino in sul terreno dove son sotto, per farle crescere ed ingrossare, sempre a luna cre- scente , sebbene la cipolla più di tutte altre erbe non seute i danni della luna . Le rosse sono sem- pre secoado alcuni più forti che le bianche . caccino traspiantandole troppo sotterra perchè alte si creano, e da queste divelte sopra pezzo

85 d’asse è da pigliare le radici, che rimangon sotto, se lungo rimanesse il corpo Sn Si strapiantino acconciamente in tempo nuvoloso al tardi , e non succedendo la pioggia e piantate adacquano,} ed in traspiantandole, e levan- do loro tutte le barbicole ed ogni lor capel- latura faranno ilor capi maggiori, avendo pri- ma tenuta la terra a sciorre e rasciugare per ven- ti dov’ elle hanno a piantare. È se spo- gliate della lor prima coverta si metteranno giù delle più belle e grosse, si deono sceglier tonde le quali han da essere state sotterrate all'agosto per il seguente anno. Equando saranno in esse- re che 1 gambo non possa reggersi e mantener- sì, appogginvsi destramente a una canna legan- dole sin al tempo che sia il loro seme maturo, che è quando sia ben nero. Non beccano gli uc- celli il loro seme; imperciò si potrà far di meno di coprirlo. Alle trapiantate può porre iu fon- do nel mezzo a’ solchi una lastra 0 coccio sutto il ceppo delle barbe, e diventeranno più grosse, ed anco negli orti faranno rotonde , più delicate, più crasse, di più dolce odore, le bianche più del- le. rosse ; imperciò le trattiene ed in crescendo troppo (siccome fa più o meno cottoie le carote) gioverà l’adacquarle assai e le farà forti: il che dee farsi verso la sera o di notte, e si denno corre doppo mezzogiorno quando il terreno è asciutto , e (come si disse) a luna scema di giu- gno o luglio e agosto , secche bene , prima o poi sian seminate. E si serrino in luogo oscuro , ed asciutte mettenadovele a luna scema, che ala cre- scente son più vizze. Non germoglieranno da per loro in alcun tempo se con una paletta affocata s'aggravino di sopra il tallo stropiccisudole, e nem- meno talliranno se subito colte sarà dato loro un tuffo nell’ acqua che sia calda per un puco , e poi asciutte riposte in luogo secco. Ma tengansi per

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quattro -dì al sole ‘colte’ che sieno, dipoi ripon» gansi in palco stese su per tavole, e non am- montate, e se si vedranno tallire mettansi a bole lir nell'acqua, e doppo nell’ arena , che si con- serveranno tutto l’ inverno ed anche la state. E non si toccando l’una l’altra nella paglia dell’orzo, basteranno assai; ancora appiccate al palco ba= steranno pure «Sono alcuna razza di cipolle che non talliscono, è di queste ha da cercare d’en- trar in seme, o ben cipollini. Non rifuzgono alcuna sorta d°aere acquitrini. Le cipolle cotte. nel forno o sotto la brace eccitano la Ve- nere, provocan l’orina, ed inducono voglia di dormire. Gonciate in acqua che le copra da due bande , e scolato tutto umore portano neli” ac- . qua cruda la loro amarezza, e si fan più dolci. Non mangiavano in Egitto i Pelusi le cipolle; perchè le non obbedivano alla luna, quale essi hanno in venerazione, perciucchè tutte 1’ altre erbe seguono il suo crescere e scemare., queste fanno tutto al contrario d’essa . Scrive Solone che se ciaschedun si mangeranno cipolle, si man- terrà 1’ uvmo sano. osservato che le cipolle of- fuscano la vista e ottenebrano l'intelletto. Le pannocchie col seme conservano dieci anni at-

taccate iu lato asciutto . | Il Cavolo fu avuto in grandissima: venera- zione dagli antichi Greci comecchè gli Ioni co- stumassero di giurare nel suv nome, siccome Ze- none per il cappero e Socrate per il cane. Scris- sero delle sue lodi con gravità Crisippo e Pit- tagora, e tra i Latini M. Varrone e Catone gran- dissimamente lo commendarono. Sonvene di mol- te sorte, e gli antichi avevano in pregio il Sa- ellico di cresposissima foglia , ed il Lacutorio; quale voglion dire che sia il Cappuccio. Oggi si apprezzano sopra tutti gli altri ancora i Gap- pucc], i quali in Italia ed io Germania per l0

8 più assodando una foglia sopral’altra, era in grosso pallone, diventano bianchi ; ed in Fian- dra di questa sorta ne fa de’ pagonazzi. Oggi- giorno si trovano i Cavoli-rape, i quali nel gam- bo sopra terra ingrossano a uso di rapa, e so- pr’ essa hanno le foglie simili a’ cavoli bianchi. Di questi non è menzione alcuna appo gli an. tichi, come de’ cavoli costoluti, i quali nel mezzo delle foglie hanno una costola di smisu- rata grossezza, e hanno molte che si ristrin» gono insieme l’ una addosso all’ altra. come il Gappuccio, ma restan rade . Medesimamente de’ Gavoli-fiori non è memoria appo gli antichi . Questi hanno le foglie sbiancate, e dentro un fiore sodo ammassato insieme con certi gambi gentili e teneri che gli reggono , ed è gentilis- simo. a mangiare. Di miglior gusto di tutti gl’al- tri sono i Cavoli Romani da molti detti Frunte- sì, che si serrano le foglie in lungo. Sono gl’in- tagliuzzati di foglie, ed a tutti la brinata ac- cresce grazia e sapore; e così fannoi freddi che gli rinteneriscono. Ristringonsi tutte le sorte a due, bianchi e neri; di questi i più crespi e gl’ in- tagliuzzati sono i migliori; di quelli i Fiori principalmente, ed i Cappucc], i quali credono altri che gli antichi addomandassero intretia- ni, e gli coltivavan in questo modo: Seminati all’ ordinario nell’ aiudle degli orti di novembre, e di ii per averne in varie stagioni e nati di tre foglie gli traspiantavano in terreno grasso divelto ; e secoudochè le lor foglie in-

tralciavano da per se cascando a terra o li fug. givano, gli rincalzavano di nuova terra attorno, lasciando scoperta solo la cima, che così ingros- sava, e diventava racchiusa e soda d' ogni tem- po. E sono quelli che i Tedeschi tengono in tanta reputazione, e nella Baviera, e Sas. sonia sene trovan piene tante campagne, ove

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coiti maturi e fatti gl’ insalano nelle botti com- ponendo un suol di sale, ed uno di cavoli cap- puccj; e poi tenuti in molle în acqua calda, con carne, o con burro conditi gli mangiano per tut» to l’inveruo , e gli chiamano Ruder-Crauter. Seminansi in primavera a piena luna di marzo, perchè stiau duelune in terra, e di maggio si tra- spiantano un braccio l’un dall’altro ‘in terreno grasso prima vaugato a due puntate, e sempre rincalzandoli in rotondo che le foglie stieno vi- cine a terra; e così si farà sino a due volte. E lo star sotto le nevi gli fa più teneri, come per coutrario la carne troppo frolla, edi pesci che morti patiscono, ritornano fra la neve nel solito lor valore. Per essere il Gavolo di cre- dito in tutte le provincie, e massimamente. in Regno di Napoli, detta foglia è ricercata per le povere genti, e per le ricche ai tempi suoi, «che sono in tutti quelli mesi, nei quali non. si ritrova le bianche, e sene Ei maggior consumo che di qualsivoglia altra erba. Merita il pregio dell’opera di attendere con diligenza alla natu- ra della sua coltivazione . E primamente si dee sapere che ogni sorta e qualità di cavolo ama il paese freddo, accrescendosegli in questo vigore , fortezza e grazia. Vengono ancora ne luoghi temperati assai bene; nei caldi un po’ meno, ed in questi solo il Fiore oltremodo ben vi prova. Ma in generale quella regione è buona per tut- ti i cavoli che è fredda e piovosa. É così come poi alla fine egli vien bene in ogni aere ( per- ciocchè la Natura di quelle cose che ci son più di bisogno è stata più larga a concederle in tut- ti.i modi ) fa anche in ogni terreno; e sebben nei cattivi divien talora svanito e scriato, come nella cretosa, nell’ arenosa, nella sabbionosa, e nel. la magra, benchè annoi le sabbionacie e le scri- Ye) alcug, tuttavia con l’aiuto del letame, e col

89 sarchiarlo spesso, e rincalzare vi divien ragio- nevole; ma la terra che egli ama di sua catu- fa è ia giassa sustanziosa, di buon fondo, e b»n riposata e senza sassi, ed in questa sene può piantare sugli orli de’ solchi dove sia semina- to il grano, doppo che sieno couguagliate le por- che. Nella mezzana pure aiutato dal concime fa buona prova. Si possono ancora i cavoli tra- piantare e seminare in ogni tempo deil’ anno, ma chilo fa d’aprile, tutto l’ anno vive; e dope po i tredici d’ aprile acconciamente si pianta il cavol nero crespo, ed il Romano, e Franzese, e massimamente nei paesi piovosi e freddi, e ne- gli altri adacquaudo . E si traspiantano quelli che sono stati seminati di marzo e al fin di febbraio , si sfogliano poi sotto e si scalzano di man in mano, avendogli piantati nel basso del solco lontani un braccio l’ un dall’ altro, special- mente i nostrali cappuccj, e gli altri un po’ me- no. Ed in capo all'anno si scapezzano e pri- ma servendosi del grumolo con tutte le foglie; e discimato rimettera dalle bande assai rametti che si chiaman broccoli e si cucinano come gli asparagi avanti dien fuori il fiore per fare il seme. Trapiantasi il cavolo secondo molti quan- do ha sei foglie, spuntatagli la radice principa- le, e impiastrandola di letame stemperato, e rav- volgendola in tre manciate d’ aliga; questo fa che il cavolo mantiene cocendosi il vivace ver- de suo colore senza salnitro. Alcuni lo traspian- tano nei luoghi più caldi, o più a solatìo in Galen di marzo, ma la più parte d’esso sene va in cima con sottil gambo. Si possono anco tutte le sorte di cavoli seminare e trapiaotare tutto ’1 resto dell’ anno, purchè la terra non sia agghiacciata, o così secca e dura che noo si possa lavorare. Quelli che seminano di feb- braio, di marzo, d’apriie, di maggio e di di-

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90 cembre, odono tutta 1’ estate e tutto ’1 verno, nel quale son fatti frolli dalle brine e dal freddo; e se i loro tronconi non si divelgono produco- no i semi a primavera, i quali si raccolgono quando son fatti, secchi e maturi; ma se si leveranno loro i ramoscelli de’ semi più volte quan- do rimettono che vada via tutta la materia del seme, domano e dipoi producono vigoro- se foglie. Ne sono ancora d’una sorta che nen vale lor questa cura; tanto son pronti a mandar fuora il sere. Alcuni altri non sono di questa natura così solleciti a fiorire, ai quali vale la regola detta . E quelli che si seminano a mez» zo agosto sin’ al primo di settembre, e che poi si trapiantano all’ ultimo ottobre “quando sa- ranno alquanto cresciuti, si faranno grandi e buoni per il tempo che vengon seminati, ed an- cora doppo, non producon seme,e non temo- no di freddo, di brinata, ghiaccio, o neve; ma se si semineranno innanzi a detto tempo fa- ranoo i semi la Quadragesima, e non ne faran- no le lor messe tenere avanti al fiore, buone a mangiare. E seminandogli doppo detto tempo saranno teneri al freddo, e converra con letame crudo coprirgli e difendergli che non si perda- no; e tuttociò s'intende dei cavoli crespi verdi, 0 neri, buoni con l’olio, i quali si posson pianta» re, perchè siano buoni per il verno, di giugno luglio ed agosto, annaffiandogii assai, e ponen- dogli un poco più radi ne’ solchi per poter

meglio lavorargli al piede, e si deono traspian- tare quando sono in sui crescere e lor più ga- gliardo aumento. Desiderano questi cavoli d’ es- ser piantati in sul vangato, o piuttosto divelto un braccio, e similmente si posson piantare fra i cavoli grandi di prima quelli che hanno a ser- vire per il tempo quadragesimale ; e volendone in questi tempi medesimi dell’ altre sorte pos-

; 91 sono seminar prima e trapiantargli come i detti.

Il cavolo piantato presso ali’ origino , ed ai ci- clavio, diventa secco perchè tuttavia l’ uno e l’altro vien meno. Gode il cavolo alle radici assai del salnitro, e delia cenere, e con questo aiuto sen’ è viste piante che hanno cresciuto all'altezza di tre e quattro braccia , di grossezza uguale al polso. Nelle vigne ove sien piantati cavoli assai, il vino diventa più dissipito per la inimicizia, che è tra loro. Onde è che il ca- vol crudo mangiato innanzi a che si voglia bon- dato bere, resiste all’ ubriachezza. Si possono ancora seminare rei Inoghi caldi al fio di mar- zo, ma presto per il caldo sene vanno in cene» re; sarchiati spesso e letaminati si fan più bel- li e fermi. Deonsi prima seminar fondi nelle piccole aiuole di buon terriccio degli orti, e dipoi sbarbati trapiantarli, lasciandovi ancora. quivi dei diradati a modo. I Cappuccj che so- pra tutte le altre sorte amano il terreno lavo- rato a due puutate di vanga se non divelto, s hanno a seminare in queste aiuole di febbra- 10 per trasporgli a primavera, affin d’ averne con l’aiuto dell’ acqua a fargli chiusi d’estate, sic- come in quel tempo a Genova sene veggono, ed in altre parti; che l’ acqua al sole con quel caldo che gli strigne gli fa serrare ed assoda, come l’ invernata il freddo; e per questo si se- minano al fine del mese d’ agosto, e di settem- bre si trapiantino per avergli fatti al principio dell’inverno. Ed in somma gi può avvantaggia» re il seminargli ed il trasporgii innanzi o dop- po, secondochè si vogliono avere o prima 0 poi maturi e fatti. Imperciò è bene seminarne 0- gni fatta e trapiantarne per tutti i tempi per averne tutto l’anno. E ponendogli in proda vol. ta a mezzogiorno, si faran più presto, ed a tramontana indugeranno, e massimamente ove

92 ‘possa Questo vento, @ così faranno tutti gli al. tri; e a tutti si deono fare i buchi col piolo nel foudo del solco, piantandovegli dentro, per poter poi rincalzargli con il suo orlo y ed in pars te mettere del letame marcio loro attorno :il che si dee fare finito l anuaffiare, e passato il caldo; nel quale vogliono esser bene adacquati di not- te, massimamente i piccoli: i grandi riparano il caldo. E se si adacquino con acqua salsa, son più saporiti e più teneri siccome i piantati in terreno salso ove fanno benissimo. Ed il me- desimo fauno seminati in terra vicino alla ma= rina; e se si getta loro sopra le foglie o nelle barbe quattro o cinque volte , verran grandi-più presto, ed in perfezione, e più saporiti. Gli fa anco più saporiti e giova loro assai il salni- tro con fargli stare più verdi e teneri. Pesta- si il salnitro quando son piccoli, e si cerne e getta loro addosso leggermente. Ancora si sfà il salnitro in acqua e si spruzza sopra di loro con una scopa, e ciò ammazza i bruchi ed i farfallini, impiastrando ancora loro le radici con letame di bue, odi vacca, o d’asino, che per i cavoli è veramente il migliore; tantopiù se vi aggiugnerai avvolgendola intorno dell’ aliga due o tre pugni. Così manterranno il colore, e coceranno più agevolmente; faranno bru- chi o pidocchi se si seminerà fra loro qualche veccia o lupini. Ancora gli ammazza ja polvere dello sterco secco di pecora o colombina mesco= lato con cenere di fico, o ulivo gettata lor sopra, e la decozione delle foglie dell’ ulivo , e del sambuco, o profumo di zolfo, o di abbrucia- ture di corna di cervo 0 di capra; ed andan- do innanzi si levino loro le foglie inferme, e perchè si creano più nei luoghi aprichi ed umi- di che dove sia vento o aere, è ubbìa il credere, ( come alcuni scrivono ) che trova per esper

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rienza che a zappargli tre venerdì alla ala Tuî doppo l’ altro, proveranno mirabilmente, facen- dolo da principio. In luoghi caldi ed umidi si piantino i cavoli di foglia liscia, e dove possa il vento, e sia il lato scoperto, i crespie neri. Dei Cappuccj non escono i talli come degli al- tri; e perchè nei rampolli quelli sono i miglio- ri che serrano ed assodano bene e doppo non s'aprono, di questi tali ha ad eleggere il se» me. E quando incominciano a chiudere non si tocchino mai con le mani, massimamente nel lor mezzo; che s' impedisce loro il seme, e stan più aperti e si guastano. È quando averanno fatta la palla soda, taglisi in croce sina mez- zo perchè con più facilità dia fuoriil tallo a fa- re il seme. E di tutte le punte che si raccolgo- no de’ cavoli, quella è la migliore che si piglia dalla messa più bassa verso iltronco, e perciò è bene spuntargli da capo, perchè quì, e non altrove si costrigono a generarlo, e basta avver- tire di non romper loro le principali. Il seme di qualunque cavolo doppo dieci anni seminato ( scrivono ) produce rape. Deesi adunque semina- re del fresco e stagionato, maturo d’ un anno, e tuttavia a luna nuova, perchè nasceranno meglio sebben più tosto talliranno a far semen- ta. E la cura, e ’l governo istesso che si è detto doversi dare al cappuccio, dee usarsi ai cavoli costoluti e rapi, romani, e torzuti, i quali tutti con quelli che sono di gran foglie e bassi ( per fargli presto bianchi e teneri ) si possono legare e :ammontar loro la terra addos- so come ai cardoni, ovver fatta loro una buca appresso, farveli sdrucciolar dentro, e ricoprirgli di terra senza sbarbargli affatto, ed ancora la- sciare un po’ la puata scoperta per lato perchè non infradici. Amano questa sorta cavoli più cer- te vallate di costa che i piani, o vero certe col-

4 | line rilevate, grasse, e polpute. Ed ancora fau bene in terreno grasso, gagliardo e forte pur- chè sia addomesticato con il letame. E così fatto bramano il sito i Cavol- fiori, i quali annebbiano agevolmente , ed assai volte pere dono la pipita; e perciò avendo a essere nei piani, conviene allogargli ne’ lu:ghi aperti. E perchè illoro seme tral:igna., e nei nostri pae- non si conduce buono, ficendo il fiore nel cuor del verno, che poi quantunque coperto non si può salvare a maturarsi dopp' il freddo, con- viene ogoi anno procacciare di quel Alessan- dria che è il mig ivre, e il luogo vero di dove vennero prima, e che non imbastardisce come il nostro. Ma per aver buon seme di Cavoli cappuc- Cc] conviene l’ invernata cavar del campo con una gran piota quel cavolo che si ha a serbare per seme, e postolo in cantîna intrattenerlo siù a pri- mavera ed a quella piantarlo nel terreno a tar seme ; altrimenti ancora questo come i fiori con- vien rinnovarlo di Genova, che è lor paese na- tìo, e migliore. Seminisi di questo nell’ aie di buon terriccio al principio di maggio ed un poco prima, o secondo i mesi che si desideri avergli, o prima o poi nel giugno; benchè non si acco- moderanno tutti a dare il frutto del fiore sodo èîutto in un tempo. Aiutinsi a nascere con l’ada- cquare, e sebbene in tutti gli altri si dee osser- vare la regola di trapiantargli interno a mezzo giugno in terreno della qualità detta, vangato a due puntate, e fattovi dentro un solco discosto lun dall'altro un braecio e mezzo fondi una puntata in su quel piano, dando lor buon leta- me fradicio, gli trapianterai adacquandogli con- îinuamente, e secondo che crescono tirerai loro a terra di quel terreno delle prode , e pareggia- îo che sarà (durando ad adacquare sin a setrem- bre ) vi farai un solchetto solo per poter anco-

5 ra seguir d’ adacquare pareggiando, e consi gliando il resto del terreno sin a sommo. E l°a- dacquare è lor necessario massimamente in quei gran caldi. Dipoi passato ottobre, a novembre e decembre, se 1 freddi lor nocessero, convien coprirgii con capannelli di paglia scoprendoli ai tempi buoni, e ricoprendoli ai cattivi; ma il vantaggio è traspiantarli ai solatii ed in faccia del sole. Faranno nel tempo il fiore, il quale è maturo quavdo è con le foglie aperte affatto , ed esso sodo, dipoi declina e s’infradicia, o am- mucidisce. Colti, come i cappuccj conservano in cantina nell’ arena, e non paia fatica che me- ritì il pregio dell’opera; che è eccellentissimo , o sia cotto ordinariamente come l’ altro cavolo, o lessato e poi scolato e spremuto dall’ acqua, fritto in padella e dato in tavola con agro di li- mone e pepe, o con burro, o con la carne. E volendone avere avanti al verno, seminali e tra- piantali innanzi quel tanto che tu disegni di vo» lere avergli. E’ delle viti tanto inimico ilcavo- lo, che esse avendolo accosto , lo rifuggono come torce ancora a contrario il cavolo; ed ogni poco di vino che si metta nella pentola che ha a cuo- cere il cavolo, lo difficulta di maniera acio, che lo fa anco discolorire; e quell’ erba con la quale fa scostare la vite, si fa seccar con’ origano. pan porcino piautatole accanto. Il cavolo è tan- to umoroso che non pur viceve in se altri innesti di bietela, lattuga, e simili, ma ancora de’frut- ti. Ferma il cavolo la crapula, e ne rende la ra-. gione Aristotele ne’ Problemi. Proibisce 1 im- briacarsi 1’ aver innanzi mangiato del cavolo cotto; altri preparandosi a ben bere, mangian prima delle mandorle, o del cavol crudo ; ed al- cuni beono prima due bicchieri olio, poi beo- no a ricorsoio, tutto scolando peri vasi dell’ori- na dilatati e tenuti larghi da quello. La foglia

96 i del cavolo mangiata astrigne il ventre, ed il bro- do d'essa lo solve e mollifica. Il cavolo nano rosso chiamato da i Latini Orobanche abbrac- ciando l’ Ervo, ammazza. H cavolo salvatico” per il più nasce alla marina, nei dirupati delle grette di quella, edè un poco più bianco del do- mestico , pelosetto e non senza amarezza, la qua- le lascia un poco, traspiantato nel domestico; e molto in uso alîe medicine, e sovviene prepara- to a più malori. Scrivono, icavoli Egitto es: ser tutti di sapore amaro; imperciò il cavolfio- re che di viene, ed è ottimo per tutto, fallisce la regola. I

Il Cardo è di due sorte, salvatico e dome- stico; quello nasce tuttavia minore, l’altro è sempre più grande e di fusto e di foglie tanto te- ifaci, sode e concave, che piovendo rattengon acqua per un pezzo, e g'i uccellettì nei gran cal- di, avvisati di ciò , si riparan da questi beendo a spegoversi la sete con essa; siccome i vermi- celletti e bacolini che nascon dentro ai véòti delle lor pinne portati attaccati al collo liberano i quartanarj, e desiderano piuttosto terra risoluta che dura, agevole che forte, grassa che magra, netta e senza sassi; umida piuttosto e paludosa, che secca ed asciutta. Così fatto terreno rotto ‘prima avanti al verno, traversato ed erpicato al febbraio, letamato bene al marzo, e. riarato e riappianato con l’ érpice si semina al fine d’esso, © al privcipio aprile, e isuoi semi piuttosto radi, che foudi. Ricuopresi bene rastrellato con i rastrelli di ferro, ma meglio di questo è ( spar- so il letame sul campo sodo) vangario innanzi al verno; ed a qual’ora voglia seminare, far- lo al modo sopraddetto. Al principio di maggio si dee mondare , e sfogliare il suo fusto , e di giu- gno e di luglio vi ha a sarchiare, edintorno al fin di settembre, o principio ottobre si ca-

ci ‘vano con la vanga, e svettati tutti si ripianta-

no in terreno preparato come di sopra . E meglio è che se non divelto, sia a due puntate lavora- to con la vanga. Piantansi con i piòli, lontan lun dall’ altro un mezzo braccio pillando bene attorno alla radice la terra nel pertuso , che sia stivata tutta. Deonsi poi zappare asciutti quan- do hanno messo. E tuttavia gioverà loro il sar chiargli di marzo, aprile e maggio , purchè non abbian cominciato a mandar fuori il cardo; il quale ( fatto ) si cava tagliando i più grossi e qua- dri per dar sosta di venire innanzia quelli che vi rimangono. E perchè nel lor fiorire comincia a fiorir la mazza d’ognicesto, e di man’in mano sinchè è fiorita tutta, come son caduti i fiorì, appresso un dito al picciuolo taglia lungo un dito quel gambo la mattina o la sera, di quando in quando che sian fatti, e fattine maz- zi legati appiccan separati in luogo dove non abbian vento, umido, sole ; 0 vera- mente si distendono quivi al coperto non più alti d'un palmo; dipoi si fa scelta secondochè son buoni a cardare più in un lavoro che in un al- tro, piccoli, mezzani, o grandi. bene (aven- dogli seminati un po’ radi della miglior sorta ) non far altro che teuergli netti, e raccor quelli che fioriscono il primo avno, e lasciar gli altri restati indietro più piccoli peril secondo;e ri- durgli in mazzi legati attaccati pendenti sopra pertiche in luogo asciutto. Alcuni gli serbano fic- cando il picciuolo nei graticc]j, che il cardo non si strofivi a guastarsi le spine acute che ha. Il seme si raccoglie scotendosi in aere verso ter- ta, e dee serbare il seme dei maggiori e più bel li, Fannosene grandi imprese sul Bolognese, e con gran profitto di chi le fa. Addomandasi per altro nome Dipsaco, e Verga del Pastore .

La Cracca 0 piccola Veccia si ‘gaia quando

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8 le riice appostando di farlo avanti la piog- gia ed esce fuori a primavera; dove i colom- bi la gustano una volta, non sene parton mai.

Il Centone ammazza il Cece, cheammazza tutte 1’ erbe che gli sono appresso; ed il cece ammazza anco se medesimo, e 1 Triolo. Chia- masi Alsinia, ed Orecchia di tono.

I Cetriuoli ordinarj si producono di due fat- te, bianchi e verdi, ma tutti imbiancano ua poco la punta. I verdi quando imbiancano la cima, sono nel loro essere più tenero, che è quando sono in migliore stato per mangiarsi; e quando sono ancora più piccoli e tenerotti, si conserva- no di appetitoso sapore, posti nell’aceto salato, e nell’agresto similmente insalato. Quando sono poi induriti e fatti gialli, son buoni per sementa, e quelli che per ciò hanno a serbare, sienoi più vicini nati al suo gambo principale, ed allora sa- ranno da corre per seme quando sia o appassito af- fatto, o cominciato a seccare tutto il pedale. Apronsi per diritto con un coltello; cavisene l’ac- qua che han dentro, e lavinsi con acqua pura; dipoi st asciughino con un panno lino, e data loro un'occhiata di sole si ripongano sparsi su per tavole in lato asciutto sin’ a che sia tempo di se- minargli, che è passati i freddi, al principio d’ a- prile; e volendone de’ più tardii, semininsi più serotini. Seminansi in fondo o in su l’argine 0 costa di un lungo solco ricoprendoli poco, lonta- ni l’un dall'altro un braccio in terra grassa nell’ aiuole delie cipolle, o lattuga che hanno a levare di maggio, e per illargo sidia uno spa- zio di cinque braccia fra un selco e l’altro af- finchè si possan distendere per l’ aiuole di quà e di là, e s'armi il solco sopra di canne perchè possa sotto correr l’acqua e passare per annaf- fiargli: il che vuo! esser fatto più tosto due vol- te il che una. Ingomberan essi quel luogo, le-

vate le robe d’ortaggj che vi sono; nati, si di- radano lasciandone per dirittura un fijo lontani quanto si è detto. E vicino ai lor gambi si ri» tira quel solco dove si seminarono diritto, copren- dolo ( come dicemmo ) con le canne. Amano d'es- sere adacquati, come il grasso e°’| concime, e senza questo aiuto ( non andaudo tempo piovoso ) divengono amari e di tristo sapore. Ma diveglien- do il terreno a due puntate, e concimandolo bene, si potrà divider lo spazio che sia da una buca all’ altra due braccia, e seminargli a quel modo in sul basso della buca, e dipoi cresciuti che so- no, lasciando una pianta per buca e rincalzan- doli poco a poco, tantochè si agguagli il terre- no. Fanao gagliarde messe, imperciò conviene spesso svettar con li diti tutte le lor cime. Al. legano assai frutti, i quali tutti s' hanno a la» sciar venire innanzi. Amano paesi caldi, ed in questi, seminati in diversì tempi, sene avrà per- sino all’autunno ; fanno ancora nei mezzani taa- to freddi quanto temperati; s' apprezzano i più te- neri ed i più- piccoli nell’insalate. Ancora si mangian crudi così con sale, e cotti conla carne. Ma in tutti i modi acconcio, è cattivo cibo, fri- gido, umoroso, è di niuo nutrimento appresso. , La Camomilla è erba che fa pericampi na- scendovi da per se, e fa un fior giallo, in mezzo di fogliuzze bianche , e quivi dentro crea il suo seme, il quale raccolto con diligenza si può se- minare all'aprile; n'è della grossa e della minu- ta; la minuta è più costumata alle medicine , ed ai clisteri, nei quali è di grandissimo uso.

I) Dragone, o Dragoncello che in Toscana si chiama Targone , è erba oltre a modo delicatissima per l'insalata di mescolanza, e per le salse; si traspianta di piante prendendo i rami che a terra crescono coa le radici; somiglia il lino di quan- do è nato di quattro o sel dita. Non fa fiore

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seme alcuno, ed il verno al gran freddo e pri- ma resta secco sopra la terra; resta solo viva la barba, la quale si cuopre con letame nuovo po- stovi sopra a grossezza di un palmo, che ben lo turi e serri tutto, a primavera poi siscuopre, e di subito si zappetta, e si levan via tutte l’altre erbe natevi; perchè rimetta come fa di nuovo, si strappa sopra terra, o rasente, e rimette sempre più fresco e piùtenero . Ne sono di due fatte, l’or- dinario che ha la foglia distesa e lunga, ed il Lombardo che 1’ ha un poco più corta ed inta- gliuzzata , e più si distende schiacciato a cresce- resu per il terreno. Fassi nascere il Dragone con arte di questa maniera: Piglia la cipolla squilla, e tagliata a diritto pertraverso e secca, avendovi dentro fatti certi piccoli fori con le mol- leite, metti fra le sue doppie scorze del seme di lino a granello per granello fitti quaniì ve ne cape con la punta scempia all'insù. Dipoi seminali in buono e grasso terreno facendo che vi sia sopra per quattro diti e non più; e se va asciutto, aq- paffia, che ne nascerà Dragone, sebben molti han provato e non è riuscito loro. Ancora nel tafano, e nelle cipolle ordinarie si può avere questa speranza; ma poichè l’ umana prudenza consiste, nelle «ose che sono incerte e dubbiose in saper giocare al sicuro, il migliore è cercar d’ avere della più buona sorta Dragoni che si pos- sa ritrovare, e traspiantarne di questi di febbraio all’ ultimo nei luoghi caldi, c al fine di marzo ne temperati, e nei più freddi d’ aprile ; dove coper- to ai tempi cou il letame crudo camperà , e vuol esser piautato nei luoghi grassi a mezzodì, ed ogni rametto spiccato dal suo ceppo s'appirca. erba che grandemente scalda, o ravviva il gusto. A quelle lor novelle messe tenere si un bollore nell’acqua calda tutto a un tratto , poi si scola, e si pongon ricoperte nell’aceto con sale iu vaso invetriato.

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Le Carote hanno la radice al gusto giocondis- sima, quando è cotta e condita in foggia dell’er- ba con sale e aceto, o vero con sapa nel tegame conun intriso di carote medesime cotte, e con olio pure ed aceto, o siano delle rosse, o del co- lore del bossolo, che d’ambe queste due sorte ne sono. Seminansi aprile e di maggio secon- do i luoghi, e che altri ne voglia o primaticcie 0 tardive; comecchè anco di giugno e di luglio, per averle più nel cuor del verno con l’aiuto dell’ac- qua in terreno grassissimo e lavorato a due punta- te ben concimato, e lavorarido con minuzzare sot- tilmente la terra perchè faccia le radici morbide delicate, e non ronchiose. E adacquandole con acqua di fiume saranno più cottoie. Nate folte s hanno a diradare, e zapparle sì, che impedisca 1l far le lor foglie, le quali ancora con mano de- cimandosi faranno le barbs più grosse, e quelle che son fatte al novembre e dicembre, si cava- no, e si conservano in cantina ricoperte con l’a- rena o sabbia in lato caldo, coprendo loro anco il germoglio di sopra. i Le Dradette si seminan fra le fave, ed altri legumi, e finno tanto seme che sene cava gran quantità d'olio: sarchiansi e proccuransi com’esse.

Elleboro bianco è differente dal nero per la, radice, avendola questo nera, e quello bianca; da fuora nel primo principio di primavera, ed allora con la sua piota e pau di terra cavato con diligenza si pianta ed alligna nel domestico.

L' Ella nun si semina perchè non fa seme. Piantasi la sua corona di marzo e del mese d'ot- tobre in terra grassa divelta bene sotto, minuta e trita; sene ritrova di due sorte, domestica e salvatica.

Epitimo è avvoltimento, o volucchio , @ Cuscuta che si ‘voglia dire del Timo; così la chiama Dioscoride perchè la s’ avvolge attorno

102 a' rami del timo prossimo, e legasi attor- no che ne piglia nutrimento dalle radici, e fiorisce come lui, pigliando la sua virtà, e più, talvolta; così fa all’isopo, e alla salvia; fa bel vedere, ed è molto utile nelle medicine.

Erba Massima, è detta Fior di S. Marco , Erba del Sole, e Tazza regia. Venne trasportato il suo seme dall’ Indie di Mezzogiorno; merite- rebbe d’ essere annoverata fra le piante grandi, se ella ciaschedun anno non venisse meno; tan- to s' inalza , ingrossa, e cresce. Somiglia di na- scita la pianta piccola di zucca, dipoi pigliando forza comincia a fare il fusto, prima liscio, poi ronchioso e scabroso per attaccatura delle fo- glie, le quali somigliano quelle delle zucche, ma più nervose e tenaci, e con il gambo più lun- go, ma più sottile, il quale mondo, e cotto a uso degli asparagi non è al gusto disaggradevo- le. Il suo fusto ingrossa quanto il polso d’ un braccio ‘ordinario, crescendo talora all’ altezza d’ una picca, ed în cima fa una boccia grande che è di diametro più d’ un sommesso, più e meno secondo la terra dove è. Questa matura s'apre e dilata, avendo dentro a modo d°’ un ve- spaio i semi che sono mondi come fagiuoli ao- vati di color bigerognolo, dentro con un tene- iume , chè moudandone quantità sene fa grato sàvore, e del calcio di quella boccia monda se- ne Ya pezzi, che cotti nell’ acqua si mangiano conditi come i carciofi cotti, ed ancora si frig- gono, e non sono insoavi. Seminasi di marzo, o al principio d' aprile in fosse fonde un braccio e mezzo, e mezzo ripieno che sia quel letto ti- randogli della terra addosso per ripareggiare a poco a poco perchè fa poca barba, e potta ri- sico di capolevarsi dai venti. Ancora in buche e in su divelti si può fare il medesimo. Il suo fiore ‘è giallo, volto sempre. al sole; ama l’adac- quarsì .

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Le Fave passano nel genere dei legumi, e sono di due sorte, minute e grosse; queste tut- te biancheggiano e son larghe schiacciate; dl. le minute rotonde ne sono di tre colori, nere, rosse, e bianche; le rosse ancora sono qualche volta delle grosse, come quelle che vengono di Napoli, Alessandria un poco più piccole, sem- pre più dure dell’ altre e manco cocitoie . Desi- derano qualsisia d’ esse paese temperato, seb- bene anco vengano nei caldi e nei freddi, ma in questi riescono più malagevoli a cuocersi; edin qualunque luogo le si seminino, amano terra grassa e sustanziosa, facendo in questa la scor- za sottile, e grosso il granello, e tenero , e tan» to più se sien le terre nuove; nelle terre debo- li o magre, o marciscono, o imbastardiscono. Gosì nei monti, e luoghi alti fanno mal:; de- siderano esser o in piani aperti, o in valli sfogate e non chiuse; godonsi nei campi anzi che umidi. E se occorre seminarle in non troppo gagliardo terreno, si dia loro letame mar-. cito assai; non si seminano in lati cccupati dall’om- bre, che le danneggiano come le nebbie. Icam- pi non più seminati, rotti di nuovo, ed i lem- bi che si chiamino i boschi o campiccj disf.tti, con l’abbruciarli e sredirli, Je rendon miezliori, e tutte le terre bonficano ed ingrassano . E vo- lendo sementarle per ingrassare il terreno sot- terrandole (ilche addomanda sovescio , ) si se- minin subito segato nella prima aratura. Nel ter- reno che sia denso non vengon, che bene. Se- minansi le fave nei luoghi caldi e temperati di dicembre, nei freddi di gennaio e di febbraio, ed al fine di questo si seminino quelle che son dette marzuole; come il grano si fanno ia tre mesi, ed ancora le grosse. Si seminano ancora di marzo in terra molto grassa e ben letamata. Nei paesi freddi alcuni le seminano avanti al

104 verno, e sia in luogo bene a solatìo, o dove si semicano le grosse in prode, o pendici, o val- late volte al sole. E le grosse vi si seminino di primavera per averle primaticcie da mangiar verdi, e volendone far grande impresa, farai che nel campo dove l’ hai destinate, sia ai suoi tempi tre volte arata la terra, e appianata con l’erpice; dipoi vi farai certi solchi fondi un pal- mo diritti, e lontani l’ un dall’ altro un braccio, e nel fondo di essi lontane I’ una dall’ altra cin- que dita getterai le fave, ricuprendo e ripareg- giando il terreno, andando per quelli spazj che restano fra l’ uno e l'altro solco a zapparle e marreggiarle: il che si dee fare quando sia al- ta quattro dita, e quanto più si farà, daranno più frutto, e saranno più belle. E deesi fare in giorno asciutto, avvertendo a non le ferire . Pos- sonsi anco in questa maniera seminar le minute; ma meglio sarà che si vanghi il terreno, e per le grosse ancora piantandovele con il piuolo lontane una dall’ altra un palmo, e tutte aven- dole tenute in macero per un giorno nell’ acqua alletamata, che ciò le fortificherà in sul terre- no, e tesute nel salnitro, o morchia d'olio, fa- ran più frutto, cuoceran meglio, e si difen- deranuno dai vermini. Macerate per tre giorni nell’orina vecchia ed acqua faran gran prova. Sono le fave di natura di dar su dal terreno an- cora. fossero sotterrate d’ un braccio e più; imperciò molti usano gettarle in sal sodo, e poi vaugare, E mo!ti usano seminare alla Romana, pigliando un puguello di dodici, 0 quattordici fave, e tutte cacciate in una buca ricoprirle intte a un tratto sotto un palmo ; così faran buon Cesto , e si difenderauno meglio dai venti, meglio fruttificheranno. L'importanza e gettare in terra tutte quelle che si seminano nella quartadecima , crescendo ancora il lume; e se rimangano scoperte,

105 non noceraà loro la rugiada. Così si raccolgono poi quando la luna è sotto innanzi giorno sca- za sbarbare nel fin della luna vecchia; dipoi to- stamente riscaldate nell’ aie e battute rinfresca- te avanti che piglino aumento si ripongano per salvarle dai fonchj. La sementa si dee trascer- re da quelle che son nate prima, e di quei bac- celli che sono stati i primi a apparire. Questa diligenza si potrà usare nelle grosse che man- gian verdi, e si conserveranno ancora bene nei lor baccelli secchi. Bramano acqua grandemen- te quando sono in fiore, e perciò è bene semen- tarle di buon’ora, che non vadano al fiore, ma nei campi dove elle hanno a giovare per far grasso senza sotlerrarsi, vi sian più tardi. Fio- risce quaranta e cresce insieme, si tocchi in quei primi quindici del suo fiorire. Deesi romper subito la terra ove sono state le fave, e più espediente sarà se nel segarle di mao in mano ( spazzato il Jato ) la lavorerai, cacciando pur sotto i suoi fruscoli e fronde prima che si secchino affatto. Non si cuocano in acqua salsa O marina perchè vi diventeranno più dure, ma tenute prima in acqua salnitrificata si faran- no preste e tenere a cuocere, Cotte, ed infrane te in tegame, e condite con olio sotto e sopra, aggiungendovi greco e stemperandole con un terzo di mandorle peste, si contempera assai la lor malizia, e si fanno men paurosi e più mo- derati sogni; per conto delle quali due cose e perchè addormentavano i sentimenti, i Pittagorie cil’avevano sbandite dai lor seguaci. Fanno an- cora diventare sterili le galiine che allevano in casa, mangiandone spesse volte. Ritrovandosi nel lor fiore colori lugubri, per questo an- cora i Pittagorici le vietarono, ed Amfiarao le proibì perchè elle allucinavano la fantasia ne° so- gni, peri quali non si poteva poi scorger le fu-

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106 ture cose, interrompendo esse la quiete e ripo- so della mente, e fu Orfeo della medesima opi- nione. Tenevano i Magi che l’ anime de’ morti risedessero in esse, e che però appresentasser ne’ mortorj; ed ancora oggi doppo le commemo- razioni fatte dei morti in Chiesa si costuma di mangiare a casa le fave, siccome far gli squitti- n) con esse de’ Magistrati.I Greci affermano che i semi delle fave macerate e nel sangue di capro, poi seminate liberino dall’ erbe nocenti, So- no state addomandate Isole Fabarie alcune del Mare Oceano a tramontana, perchè quivi elle nascono da per loro, e così in qualche altra parte come in Mauritania le salvatiche, ma durissi- me. Mescolasi la farina delle fave con. quella del grano a far pane ponendovene un terzo, e fa altrui forte e gagliardo; sono i suoi baccel- li e foglie gratissime a tutte le bestie, verdi e non mature nutriscono manco. i’ acqua delle five stillate fa morbide e delicate le carni, la- vandosi con essa la faccia. Nuocon manco, aven- do lor mutata la prima acqua quando le si cuo- cono; ma Varrone lasciò scritto, che le fave mangiate giovavano alla voce. La fava infranta cotta con l'aglio giova alle tossi invecchiate. Le verdi offendono assai più lo stomaco, e crea- no assai ventosità. Ingrassano le fave i corpi, aumentando la carne, usandole di continuo. Si conservan le fave e gli altri legumi in tutti quei vasi dove sia stato dell’ olio, ed ancora spruz- zate d’ acqua salmastra. Scrivono che scavati i cacherelli delle capre e inchiudendovi dentro i semi delle fave, dipoi seminandole, e sendo grosse, rinvoltino fra essi, e faranno gran- dissima prova come così accuncj tutti gli altri legumi. Scrivono alcuvi, che le fave non hanno caro d’ esser marreggiate , perchè le vincon l’er- be; siccome seminate intorno agli allori, dan»

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107 neggiargli, e condurgli vicini a seccarsi. Non rifuggono la terra un poco umida, e di sito salso, sebben gli altri legumi si godono nel sec- co. S'è trovata una fava di cento baccelli, seri- ve Palladio. Se le fave si sbarbiuo a luna sce- ma, o che ella venga innanzi fuora, e siano scas- se e rinfrescate e tosto riposte , non sogiiono es- sere offese dai gorgoglioni, e se nell’ istesso luogo si seminino ogni anno, ne restan salve.

Il Fagiuolo si dee allogare in terren grasso ben lavorato, e tanto il Manua'e quanto il Tur- chesco, e | Indiano; è grosso quanto una casta- gna con i gusc] durissimi; mon nasce ne’ nostri paesi, come d’ un altra sorta oltremodo grande, che viene d’° Armenia. Ne sono degli Schiavoni e di Soria brizzolati, che quasi tutti nascono, ma non son buoni a mangiare, e son per bellezza. Buoni sono i Romani grossi senza negro, che ai minuti accresce bontà, e diventano cocendosi maggiori, con la punta del coltello levandolo loro, e può ancora più agevolmente far que- sto quando son verdi. Souo così acconc]cotti , manco ventosi e nocivi. Sono anco de’ rossi fo- restieri, de’ gialli, edi diversi colori, che s'usa= no per verzura e coprir pergole, di seminar ne- gli orti, salendo ed avviticchiandosi comei lup» poli e vitalbe. I fagioli teneri cotti e conditi co- me gli asparagi provocau l’ orina; vengono an- cora in terra magra arata bene ed erpica- ta, sarchiando spesso e nettando dall’ erbe. Possonsi seminare subito segato il grano, ced arandole bene, sulle medesime terre, e fra l’un filo di panico e miglio, cioè in quello spazio che è dall'uno all'altro, ma dove è stato il grano, abbruciandovisi le stoppie, faranno prova miglio- re, sarchiandoli cresciuti che sieno, e nettan- doli dall’erbe ; e dipoi raccolti i fagiuoli, visi può seminare ogni biada di spiga. E volendo

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farne imprese a modo, rompasi il terreno libe- ro a marzo, 0 dinovembre, ritagliandolo all’apri= le sin al fin di maggio, rinnovandolo e letaman- dolo. Si semininvo e ricuopransi con Y aratro; e tenuti prima per un solo nell’ acqua sarane no più facili a nascere, e potrà coglierne de’ freschi più d’una volta. Igambi de’ fagiuo- li non si deono lasciar seccare in sul terreno, perchè ne patisce il campo. Imperciò seghinsi verdi, e spargansi così per il terreno; e solleci- tacdosi quivi di seminare il grano, gliaggiove- ranno assai sotterrati verdi. Sia arato profonda- mente il campo dove i fagiuoli si seminano , mas- sime il grasso succoso ed umido perchè |’ acqua non covi; e seminandosi nei solchi goderanno

pei nati essere dal terreno rincalzati. Semininsi - nel secondo quarto della luna crescente di mag- gio, e sia il terreno asciutto e non punto umi- do; nei luoghi sabbionosi e leggieri che ngn te- mono pioggia, si faccia il lavoro più largo an- cora e. poco profondo perchè rattenga assai ac- qua, e pareggiato si semini. Zappisi come egli è fuor di terra quattro diti in tempo asciutto rom- pendo ogni zolla, e cavando ora l’ erba con ma- no, ora rinfrescando lor bene la terra al piede; e se gliela rincalzerai bene avanti al fiorire , sarà loro di grand’ utile, Patisce peril troppo secco, e per il troppo umido , a tal che vuol esser seminato, lavorato, e coltivato al modo detto. Ne sono, come s'è detto, di più colori, che servono per bellezza e verzura, innalberando su per le pergole, e coprendole contro ai raggj del sole. Vanno an- cora alti quelli di Nizza, detti anco Romane- schi, che non hanno alcun nero naturale, ma sono scipiti più degli altri, siccome più di tutti son saporiti quelli miautissimi. E quelli convie- ne aiutare con le frasche, perchè possano su sa» lirvi. Si seminano ancora in alcun luogo caldo di

settembre e novembre , massime i forestieri.

ro

Il Farro è di quella spezie frumento shot siste grandemente el freddo , e di che già ue vis- sero i Romani trecento anni. Sen’è detto altrove abbastanza.

Il Formentone è quella spezie di grano che si connumera fra le biade, così detto nel Tren- tino, e nel Friuli Saracino; ha rosso il fusto, e tutti i bestiami lo mangiano volentieri. Gusto- discesi e semina come il grano.

Il Frumento che universalmente e per tutto addomanda Grano, è stato descritto con tutto l’ordine di suo coltivameuto e natura; aggiun- gerassi, che volendo fare un pane bianco e can- dido come uma neve , piglisi il frumento buono pesante, sodo e-netto il più che sia possibile, e vaglisi scotendolo con diligenza, e spolveran- dolo col vaglio minutamente, dipoi pongasi in una conca piena d’acqua chiara, che vi stia ri- coperto deatro dall’ acqua per quattro dita, e vi si lasci stare in molle per due ore, dandoglivi dentro qualche frugata cun le. mani perchè resti del tutto pulito , e sviluppato dalla polvere; quin- di cavisi, e si ponga in lenzuoli disteso al sole; più appresso si mandi a macinare, e sene faccia pane dimenando la pasta con la gramola, o forte con le pugna, e si cuoca stagionatamente, e sarà ottimo. Abbruciasi la paglia del grano, e quella cenere che rimane, oltre a che netta i piatti d’ argento, e stagno mirabilmente, aggiunta alla soda del vetro, l’ accresce ed aumenta .

La Farraggine delle mondature del Farro si semina fonda al tempo medesimo che i farro, e così fassi di quella dell’ orzo intorno all’ equino- zio autunnale ; si a mangiar tutto alle bee stie in erba verde, e. può seminar mescolato coi le veccie per raccorlo, e servirsene secco come l’aitro,

La Felice ha la femmina e il maschio ; e que-

110 sto ha le frondi che procedono da un sol picciuo- lo, e la radice lunga nera e grossa; la femmina ha un sol fusto, e non è ramuscolosa fol- ta, ma più breve e più tenera Ha più dense foglie, ed è incavata verso le radici; ingrassansi i porcîì delle radici di ambedue , nascono per tut- to, e specialmente in luoghi frigidi. Gredesi che la Natura Je generasse più per fare sterilità che altro ; e che sia vero, neiterreni dove elle na- scono , fa poc altro di buono , sendo elleno sicu- ro segnale della magrezza di quello. Servono le sue foglie a far tre<cia nelle buche dove si tiene il grano, sebbene è migliore l’istessa paglia del frumento che lo tien più sano, e fi* durare con pericolo minore de’ pinzacchj, e massimamente nel tufo ove sono assai più proclivi a generarsi che non quivi, onde è che come si disse, le bu- che murate attorno intonacate ed imbiancate mantengon meglio il grano, e con manco peri- colo de sinistri che sogliono loro col tempo av- venire. Imperciò lo sciorinarlo ai tempi buoni, nettarlo, spolverarlo , ed assolarlo lo fa andare in più d’ogni altra cosa. Le felici traspian- tatene con il lor pane, tuttochè non faccian seme, scavate sotto con tutte le radici e suo pane di terra, pigliando delle manco attempate e poste fitte a fondo nel domestico s'attaccheranno;e nate poi, e ristrette bene insieme posson servire per ispallie- rette, evi rinasceranno ognianno Ed è tanto poten- te a rinascere e rigenerarsi, che io hoin casa una statua di Piutone e Proserpiua di metallo , di ma- no di Peri, piena di terra, conceputa tutta e pre- gna di questo seme, che ogni anno le rinasce nel pertuso che nel fonderla ie fu in testa lascia- to da prima quando la fir colata. La felice ta- gliata non ha succhio alcuno, muorsi in capo a due anni se non le si lascian metter le foglie; e questo efficacissimamente avviene quando i rami

ili che vengon su sfracellino con una bacchetta, che allora per quel poco umore che le cala in giù nelle radici, l’ancide. Le sue radici sono in mol- to uso della medicina, e son buone quando ell’ha tre anni, prima poi. Felci ottime son quel- le che sono in Macedonia ove nascono fra i massi. Giova assai la decottura bevuta delle sue radici, aquelli che hanno la milza ingrossata ; cavasi an- date sotto le Virgilie, e di luglio e d’ agosto sec- cansi le sue radici al sole, ed i porci le mangian volentieri, e di questo cibo diventano grassi, e date a mangiare alle donne le fan diventare ste- vili. inimica la félce alle canne, l’una am- mazzando l’altra; ed i Greci scrivono che ta- gliate con la canna non rimettono mai per alcun tempo.

I Fioravanti vogliono terreno ben arato,. letamato e ordinato, e mescolando il lor seme coll’ arena perchè meglio si compartisca , gelta- in terra e si sparge più conguagliato di febbraio e di marzo, e ricoperto beve coll’érpi- ce o rastrello, poichè è nato sarchia. Racco- gliesi poi di notte, o la mattina per la rugiada, siccome si fa all’ orzo perchè non caschi a terra,

spicciolandosi facilmente . Più appresso si batte e

poi si vaglia, e si netta con lo staccio, e sol- lecitamente si affretta di farne olio, che quan- to più tosto si mette al torchio con acqua che vi va, più sene spreme e più n’ esce, e serve per empierne la lucerna, peri pauni, e sapone.

._ ll Finocchio apparisce di due spezie, cioè deli’ ordinario verde, e del rosso. Quello è più comune, el’ uno el’ altro si semina, e vien bane in luogo ap:tìco, ed un pochetto sassoso; semi- nasi di febbraio nelle parti esposte al sole. Il salvatico, perchè quelle due surte sono del do- mestico , si semina ne’ juogi caldi di febbraio all’ ultimo, e nei più freddi di marzo al fine,

TI2 e d’aprile, e nei più caldi di novembre e di- cembre in terra sempre asciutta nell’ aiuole de- gii orti. Ama piuttosto terreno leggiero ed are- noso che grasso affatto e facile a lavorare, seb- bene nel grasso vien bellissimo quello che è di bonissima razza, come quello di Toscana e massi- mamente in Francia, ove si semina nelle prode degli orti, o nei piani di essi, dove fa grossis- simo e teriero e morbido, o veramente nell’ aiuo- le fitto e fondo, per trapiantarlo quivi lontana }una pianta dall’ altra tre palmi, quando egli sia alto un sommesso. di più sostanza quello che si semina nel domestico leggiero aperto, e che tenga arena. Seminasi ancora di prima- vera, ma perchè di un grano nasce debole, ed anco di due, si dee seminare le ciocchette intere senza spicciolarle, a otto, o dieci grani insieme nell’ aie bene acconce dove abbia a stare, facendo certe buche ripiene di buon ter- . riccio Ja dov” egli si semina; sbarbato della mi- .sura che è detto, si può traspiantare nei lati deve sono le cipolle da levarsi in quei mezzi fra l une e altre, o sivvero dove sia seminata, e venuta innanzi la lattuga, della quale il terre» no abbia presto a rimanere spogliato. E quan- do si semina, o pone fra esse, sieno due terzi di braccio fra l’ una pianta e l’altra, ed altret- tanto fra loro per poter andare a lavorare fra esse, e rimandar loro la terra addosso, poichè si gode e gli giova assai il far sì, dall’ una e dall’al- tra banda che egli rimanga in su lo spigolo. Ancora si farà più dolce e tenero il suo seme, avendolo tenuto per due a macerar nel latte, o vero inacqua melata, e il simile avverra met- tendo i suoi semi in un ficosecco tagliuzzato . Di sementa nuova nasce migliore che di vecchia. Uegliesi nell’ autunno quando si veggono bene ingiallite le ciocche e sodi i suoi granelli, e

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si conserva legato a mazzi, appiccato al palco inluogo asciutto ; e tagliando la sua pianta, ( frut- tificato che ha ) fra le due terre , e coprendosi be- ne con letame di bue, germoglia di nuovo a pri- mavera più dolce; ma meglio rimetterà il sal. vatico così acconcio, il quale se si traspianti ove quello è, diventa meno forte, ed è sempre di più virtù; e le sue messe tenere si mangia- no in minestra condite come il cavolo; e dell’ uno e dell’ altro ricoprendo con terreno le messe, di- ventan bianche, e più tenere. Delle ciocche di finocchio, così domestico come salvatico , sene fanno più conserve così in méle come in zuc- chero, e quando è secco, spicciolato adopra per condimento di quasi tutte le vivande, e le schiacciate 6 pane fatto con esso» serve a rom- pere il vento, siccome l’ uno e l’altro mangia- to semplicemente . Le sue ciocchette e messe ver- di son buone in insalata. E tagliando i gambia terra ne’ solatii, e luoghi riposti dai venti, sar- chiandoli spesso, faranno pullulare qualche cioc- chetta di finocchio nel mezzo dell’inverno ai freddi maggiori. Credesi che ’i finocchio della sementa invecchiata esca fuore più presto, il più tardi in cinquanta dì, il più presto in quaran- ta nascendo più malagevole ogni altro seme. Seminato si calchi con i piedi; seminato una vol- ta dura più anni tagliandolo rasente la terra, come s'è detto; ma meglio è seminarlo di nuo- vo ciaschedun anno. Allegrasi dell’acqua, ma questa lo fa men saporito. Nobilitarono , scrive Plinio, il finocchio gli Spartani, spogliandosi del. la vecchiezza col gustarlo, e rifacendosi la vista già offuscata, acutissima; dal che si conosceva dagli uomini esser esso per gli occhi valoroso ri- medio. Il finocchio che fa in Spagna è molto ef- ficace, e più di tutti gli altri assai laudato. In qualueque modo preso il finocchio in bevanda SIR 15

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aumenta il seme genitale dell’uomo, e giova sì» milmeute ai morsi di tutti gli animali velenosi, ed al polmone ed al fegato confortando queste parti. Le sue barbe cotte nel vino fanno gran giovamento agl’idropici. Provoca ancora valida- mente i menstrui alle donne. Cola il finocchio intaccato nel gambo in Spagna una certa gome ma che è simile a lagrime, la quale si racco- glie, e questa è più profittevole agli occhi che qualsivoglia altra cosa. La decozione delle fo- glie del finocchio conferisce assai alle reni, ed eccita la voglia dell’ orinare. Le ciocche del fi- nocchio si condiscono nell’ aceto insalato, e si acconciano in modo che stando sempre sotto, mantiensi il loro color naturale, e duran assai.

Il Fien Greco fa il fusto assai sottile, ma la . fronde somigliante a quella del trifoglio, che per pastura delle bestie si semina di settembre, e vorrebbe terren nuovo arato minuto con picco- lo aratro, fatto fabbricare così a posta per Guesto , interrandolo bene, e ricoprendolo poi Quando sia gettato in terra col marretto ; perchè restando il suo seme affogato, e sotto terra più di quattro diti, o non nasce, o vien male, co- me fa nella terra sottile, e nella grassa. Vuole temperatura di terra come d°’aere, e vien bene ancora riseminato sopra la terra cruda e sottile. Desidera d’esser sarchiato una volta sola come egli abbia fermo il piede. E volendo raccoglie- re la sementa, si dee sementare di gennaio all’ultimo, o in Calen di fbbraio ; per pasco- lare, più fondo, per quello più rado. È vo- lendolo in terra lavorata, si faccia come è det- to con aratro piccolo, ricopreudolo con i mar- retti. Per pastura si semina di settembre; perla sementa, di febbraio come dicemmo; ui gennaio per ricorlo . Fiorisce di giugno e d. luglio, ed insieme col fiore fa i baccelli; e °l1 seme si rac-

115 coglie d’ agosto; mangiasi come i lupini con ‘ace- to, e puro; altri vi aggiungono ciio. La fava che nasce presso alla radice del Fien greco, di- venta vana o muore; contuttociò ella gli na- sce volentieri appresso.

I Funghi sono di varie ragioni, ed i Bole- ti nascono di questa maniera: primamente la ter ra créa una pallottola, ed esso boléto generato vien dentro a quella pallottola come nell'uovo Pal- bume e ’ltorlo. è meu buonad? esso la cor- teccia che lo ricuopre quando egli è giovine. Rompesi quella corteccia quando fuore da prima, dipoi crescendo col gambo, si consuma con esso; e di rado si generan doppj con un gambo solo. La prima sua origine procede da terra fangosa, e da un succhio inacidito da ter- ra fradicia, e da radice d’arbore di ghianda, Da principio è come una spugna arrendevole, poi fa un corpo com una cartapscora; accanto esce fuora il parto: così nasce il boléto . I Por- cini, i Gromatici; 1 Îl'urcini, e Y Orcelle, le Cardatelle, i Prataiuoli, le Ditole, i Lingnatti, gli Alberini, i Sambuchini, e Prugniuoli na- scono per la proprietà del terreno. nato atto a generargli. Cattivi son tutti quelli che nasco- no appresso a pannucc) fradici, o letame, o pi- scio d’animali, o arbore fradicio imputridito, 0 in lucghi putridi, o dove qualche velenoso ani- male reca loro veleno, o qualche arbore, che ciò genera in lui, come gli Ulivi, e "1 Tasso, ed in somma tutti quelli che nella lor parte della buc- cia di sopra hanno una umidità viscosa cerrotta, e che premuta con la mano, subito muta ili co- loré ch’ ell’ ha, edi a poco marcisce con tri- sto odure. Così sono gli uovoli che hanno certe bolle bianche punteggiate sopra la pelle del lo- ro uovolo, cioè dellor cappello quando allar» ga, che per altro son buoni, e massimamente

116 cotti in su la brace ardente, con olio dentrovi

e sale, e fritti con aglj nella padella, ovviando ( come dicesi ) al danno l’ aglio mangiato col fun- go, siccome le pere salvatiche mangiate doppo; e buoni sono ancora tuttii funghi freschi delica- ti. Inabili a nuocere sono quei che nascono negli Olmi, nelle Picee, e nel Larice, che fa l’ Aga- rico; i neri lividi e rigidi sono il contrario; com- mevdatissimi sono i Prugooli, dei quali si può far d’averne nel Giardino, trasportando in luogo solatio quel medesimo terreno grosso un palmo , per quel verso istesso ponendolo che egli sta- va nella selva, non mutando soprattutto la co- perta di sopra, e spiccando le piote, e ricom- mettendole insieme alla grossezza di un palmo. X perchè talora fanno anche nei Prati, di quivi si levino un poco più grosse e grandi. Si conservano questi interi nell’ olio per tutto an- no, e si seccano ancora forandogli con un ago, e infilzandogli'in un filo tenuti al: sole ; anco- ra possono insalare, avendo lor dato prima un lesso, poi scolati, e posti in salamoia; e così queili come questi quando si voglion mavgiare, si rinvengano nell’ acqua, e freschi sono ottimi, cocendogli con la lor lavatura dell’acqua che gli pulisce, la quale si fa passare per un panno lino mivuto, e colata, vi si cuocon dentro po- nendovi un terzo d’olio; è nel tegame come i tartufi, e fritti nella padella; e così ancora so- no ottimi cotti quella sorta di loro che Femi- gliole s'addomandavo. Del Pioppo nero tagliato a terra, e bagnato da fermento stemperato con acqua nascono funghi, dagli antichi domandati Egiriti. Trova in monte un campo pieno di na- til calami, scope, o sterpi, ed appiccavi f:oco quando piove, che vi nasceranno da per se mol- ti funghi. E se così allora noa vi nascano, con un lenzuolo pieno di acqua di sopra vi si

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faccia spruzzare dalla banda di fuore a uso di pioggia, e vi risorgeranno. Ma miglior funghi son quelli, che doppo l’acqua di state produce il sole accanto scoperto dopo il solstizio, on- de detto è: di giugno nasce il fungo. I na- ti dal fico a esso simili non son cattivi, come di tutti gli arbori di gomma , di faggio, rove- re, cerro, cipresso, rovo, cardo ed albero, che alla buccia del fico s' assomigliano, e certi uniuosi che nascono attaccati alla buccia del cer- ro atterrato . Nascono dalla pietra Licuria detta Licia, spezzata , e cavatane una parte, rinasce l’altra, durando tutto l’anno, e la parte del gambo che vi rimane appiccata, si riduce in pie- tra ; così la pietra cresce e fa funghi di continuo. Nel paese di Ancona sono di questa fatta pie- tre, che generan funghi da per loro. Anco del- la corteccia minuzzata dell’ uno, e dell’ altro Pioppo nero e bianco, di letame imbrattata, nasceranno funghi per assai durando a generarsi non cattivi. Nasce a piè de’ pedali de’ castagni un fungo detto Grifone , di natura untuosa, che cuoce prima ben lesso, poi svolato ed asciut- to bene, e infarinato frigge nella padella, saporito, e bueno; così dal calcio degli A!beri detti Alberelli, ed a’ piedi de’ sambuchi detti Sambuchini, di tutti i migliori; i più mortali sono i verdi, ipagonazzi ed i neri: ilche si co- nosce spezzandogli, ma molte volte non nuocono 1 funghi per esser velenosi (dice Dioscoride ) ma per mangiarsene troppi, sendo tutti cibo tan- lo appetitoso, perciocchè per esser tanto visco- e grassi, e massimamente i Torini, che so- migliano i Pretaioli, oppilano il transito agli spiriti arteriali, e di questa maniera talora sof- focano. Le Vescie che hanno forma di tartufo, e nascono nei prati, nelle macchie, e negli sco- perti de’ boschi, sono di tutte l’altre spezie di

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funghi manco pericolose , e così le Galigarie, e quei che si chiamano Pisciacani, più saporiti di tutti gli altri, come le Luccicherie che na- scono ne’ cerri tagliati. e quercie. Gredesi che tutti i funghi terragnoli che nascono con il gam- bo attornovi un cerchio a uso d’anello una materia più frale di loro, non sieno nocivi; ine tendendosi ciò de’ funghi grandi. Ed appresso son buonii Porcini, dei quali sene ritrovò uno nelle montagne di Genova che s’accostò a trentu- na libbra di peso . Si son ritrovati certi lastroni di pietra nel Regno di Napoli, i quali quando si sut- terrano e ricuoprono alquanto di terreno, gettan- dovisi sopra accanto dell’acqua tiepida, produ- ceno i funghi in termine di quattro dì. Queste si tengono a Roma e a Napoli nelle cantine, e si serbano con diligenza per questo effetto. Non banno - radice ( scrive Teofrasto ) i Funghi, e che intorno agli orli del Mar rosso quando sa- pravvenga gran copia d’ acque in certo luogo d’es- so, dan fuora funghi, che tocchi dal sole in pietre si trasmutano. 1 porcini hanno il vanto de’ funghi grandi detti dai Latini Swuolli, che son quelli che venivano secchi a Roma portati di Bi- tinia, e li seccavano infilzati pendenti al sole con un filo o giunco. Insalansi i veri porcini prima lessati nell'acqua, poi stesi a scolare in su tavo- le si compongono. un suolo di sale ed un suolo d'essi in vaso invetriato; alcuni gli cacciano nel mecesimo vaso ricoperti di salamoia; ma interi e sani come gl’ uovoli si mantengono come quando son colti, sotterrati affatto nell’olio, ed ancora tutti gli altri affogati nei coppi d’ olio vi durano. Sono ancora certi funghi che fanno esca,.i qua- li in pezzi partiti si cuocono nel ranno e posti a asciugare batton forte con bastoni, e si riduco- no stopposi, che vi attacca dentro il fuoco dalle faville della pietra focaia battuta col fucile,

Ti

e sene ritrova della fatta dalla Natura in ag fanghi, che massimamepte nascono dai cerri. Al. cuni altri sopra i medesimi cerri che hanno den- tro certi crespi voti secchi fuor di modo ed asciut- ti, ritrovano altissimi (strofinandosi con essi il capo ) a levarne il sudiciume. Nascono talora 1 funghi dal filato avvolto ai fusi cascati in ter- ra, iquali son buoni. I nocevoli saranno quelli che mentre son posti a fueco e bollono, diventau sempre più duri; meno nocevoli si faranno tutti quelli che si coceranno con mescolarvi un po’ dio salnitro, seppur si vedrà che si cuocano. Più si- curi si faranno, cotti con la carne nel suo Dro- do, o con spicchj} di pera. Giova assai,. man- giati che sono i funghi, soprammangiare delle pere , e le noci ancora doppo i funghimangiate moderano, come ai pesci ia flemma , la malizia loro. Scrive Didimo che i funghi piacciono allo stomaco, muovono il ventre, nutriscono il corno, ma con fatica si smaltiscono; son ventosi, e tali son quelli (dice ) dell’ Isola di Scio. Se si cono- sca per l’ affanno d'aver mangiato funghi veleno- si, sarà buon rimedio mesticare insieme acqua melata, salnitro ed aceto, e berla, che conil vomito si mandin fuora; perciò è bene prepa- rargli incocendo cou aceto, acqua melata, méle, e sale; così si ovviera al pericolo che non am- mazzino. Sono ancora i fuoghi in qualche paste buoni a qualche medicamento come alle piaghe lorde, ed all’ escrescenza della carne nel sesso, diminuendula, e con il tempo consumandola; son buoni ancora a raffreuare flusso del ventre, © usansi come il piombo ai medicamenti degli oc- chi. Rimedia ancora al veleno de’ funghi la co- citura della satureia boli.ta con dell’erigano, e lo sterco di gallina disfattu con aceto , e beuto. In tuttii modi nutriscogno, ma invincibili per natura, escono dal secesso Inìteri come si man- giano,

120 i La Fravola (erba che fa le fravole ) si disten- de ed allarga sopra la terra senza far gambo ; con molti ramicelli lanuginosi che spartiscunsi dalla sua radice, de quali altri ineoronano di bianco fiore, ed altri s'adornano di tre foglie serrate in circuito e piene di vene, ed altri portano il frutto simile a more grossette , al gusto ed all’ oedere suavissime. Sono le fravole fugaci e corruttibili come le more .. buon cibo a chi pa- tisce della milza , lievanla sete, giovano allo sro- “maco, massime che sia pieno di bile , cioè colle- rico, e sono molto aggradevoli l’ estate per rin- frescare , e tanto più piacciono, quanto più con molto zucchero sien mescolate. Aleuni le man- giano volentieri attuffate nel vino, non imancan- do per questo di non vi porre anco del zucche- ro. Dannosi a mangiare col pepe bianco a’ so- spiziosi. Il Jor vino medica l’.ulcere calide del- la faccia, purifica gli occhi quando vi si mette dentro, e spegnevi l’infiammagione e disecca i cossi del viso. la fravola di tre foglie e non di cinque, e non di fiore di color di loto, ma biauco , siccome del frutto istesso vi sono due sorte, la rossa e la bianca; benchè la bianea. credono molti che coll’attendere a coltivarla, vezzeggiarla, letamar!a, lavorarla, e ben custo- dirla, così diventi. Come si sia, nascono da per loro nei luoghi dell’ Alpe , e molto volentieri nei luoghi occupati dall’ombra, siccome elle go- don dell’uggia d’altrui. Traspiantate nel dome- stico dei giardini dilettano d’ esser messe nei luoghi a solatìo e della coltivazione, col mezzo della quale vengon più belle piante, e rendon frutto maggiore, e più in copia. Amano terreno oltremodo grasso e fanno ancora bene lungo le strade e salite delle selve, e negli scoperti ed in certi bassi, e diquivi trasportate del mese d’otto- bre con ilJor pane della sua natìa terra, quanta

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121 più si possa a dentro levandole, s°alleficano nell’ orto anche nella parte più ombrosa e senza sole, dove fan men frutto, ed in quella di mez- zogiorno più abbondante. Trapiantate bastano quattro, 0 cinque anni, poi convien far loro mutar terreno, e ritrapiautarle; e diquesta ma- niera talora nei luoghi buoni ne fan due volte, a primavera, e nell’autununo; e massimamente ogni anno, o ogni due anni diradandole , che luna pianta non possa soffocar altra. Ancora il sarchiarle è loro utile, e v’è chi dando loro al piede della colombina stritolata, tien per fermo che giovi loro a farle fruttificare, e generarle più grosse. Ne sono ( come è detto ) delle bian- che e delle rosse; e queste inquelle stimano al- cuni che elle si trasmutino, adacquandole con il latte, o vero macerando il lor seme in esso per qualche giorno; perciocchè quando elle son ma- ture, strofinandole a una corda di giunchi con le mani, s' attacca il seme, e al tempo di pri- mavera, come si fa delle more, si semina. Ma perchè la sementa è più delicata, ed il granello ehe ha a nascere più delicato e sottile, convien seminarlo poco sotto, e ricoprirlo con terra crivel- lata, e che quella dove egli si semina, -sia tri- tata e minuzzata bene e stritolata. Nate, si tengan nette dalle triste erbe, e si sarchino senz’ altra cura, e non rimanendo ove sono sta- te sementate, si traspiantino come s' è detto. Le fragole che mangiame l’° estate, quando le desi- deriamo d’inverno, comecchè le son bianche in- nanzì che sien maturate, mettausi con le foglie dentro a cannonidi canna, e dipoi si ricuopran bene con paglione di letame grasso, seppellen- dovele dentro. Se si desidera che nonostante il freddo le si faccian rosse, cavato il cannello ai tempi dolchi, operisi che le percuota 1l sole. Sono le Fravole un frutto più che onorato, e mal vo»

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lentieri si trova la via a conservarle alquanto di tempo ; nulladimeno essendo in paese che si pos- sa soggrottare il tufo, ed entrar sotto bene, che non pur la cantina che.vi si fa (la quale senz’al- tro si regge da perse, bastando scavare e votare) getti fresco, ma freddo ghiacciato, vi si conser- veranno per qualche giorno ; ma le ciriegie, le susine , e le persiche più d'un mese, ed ancora due, intere e sane vi basteranno. Vi ha chi sec- ca le fragole al sole, e poi rinvenute nel vino, e ben ricoperte di zucchero le mangia ; cuoconsi ancora col giulebbo destramente e col vino; dassi anco loro un bollore, poi con la pasta ben tirata, da porsi in forno, sene fantorte. Le Na- poletane son grossissime .

La Ferula nasce nei luoghi caldi di la dal mare, perciò è in Sicilia ed in Spagna per tutte le campagne copiosa, sendo di due fatte, una ter- ragnola e sparge i rami; l’altra s’ innalza e li tien più raccolti; ha le foglie simili al finoc- chio, ma di filo più grosso, e quella che sine nalza col fusto, dura un anno, e poi comin- cia a rigenerare, quando l’ altre piante , nel prin- cipio della primavera. Ha una sola, e pro- fonda radice. Sono le ferule ( scrisse Plinio) agli asini gratissimo cibo, ma a tutti gli altri giumenti mortifero veleno; e toccandosi con la ferula quei pesci che si chiaman Murene, subito muoiono. Crescono le ferule in una delle Isole Fortunate in tanta grandezza, che vi diventano alberi. Il lor midollo è costrittivo , e porge aiuto a chi sputa sangue. Cavano i pastori dalle fe. rule quasi nel lor primo nascimento un certo te- nerume di dentro simile a un torlo d’ uovo duro, il qual cotto sotto la biace o cenere calda, ben involto in carta bagnata, come susa ai rocchj della salciccia, o in pezze line immollate, e man= giato con pepe e sale, diventa gratissimo cibo,

123 convenevole assai (scrive il Mattiolo) per for- tificare i venerei appetiti. Le ferule nere hanno un succhio amarissimo, le bianche più dolce, e che quasi è da poter bere. I lor talli ancora si mangiano conditi con salamoia, e méle ove si ‘conservano assai. Le ferule cavate dal suo luogo natìo e trasportate col suo pane di terra si tra- spongono nei lati domestichi , ed il loro seme si semina come il finocchio a primavera. Fanno , buona baldoria, e conservano acceso il fuoco; sec- che bene, dan bastoni leggieri più che altro.

Il Fioraliso suol nascere ne’ campi del grano, e ne sogliono essere di due ragioni, azzurro, e bianco. Allievansi nei testi, e con riguardo del freddo si conservano all’ invernata ; ne sono dei rossi, e de’ bianchi sbiancati.

Il Fiorrancio, così largo come stretto, si se- miua di marzo nell’ aidle degli orti per servirsi delle foglie e de’ fiori alle mescolanze delle in- salate, nelle quali le sue foglie tenere ne accre- scono piacevol gusto; sene ritrova di quella sor- te, che fa il fior doppio, e maggior dell’ altro.

. Il Gelsomino è grato alle pecchie, così il giallo come il ceruleo e il bianco, ma più di tut- ti il più bianco di maggior fiore, e più odoro- so di Catalogna, trasportato in Italia di Spagna da non molto tempo in qua; siccome altro vol. gare ordinario non è gran tempo ehe fu quà da stranieri paesi nelle nostre parti condotto, che resiste al freddo, e mantiene la foglia per tutto l’anno come quello di Gatalogna. Ma questo non comporta il freddu, e convien nutrirlo nei vasi, e tenendolo se l’ aere è rigoroso in casa e nelle cantine e stalle si preserva più sicuramente , seb- bene in quaiche luogo tiepido regge ancor fuo- ri allo scoperto per gentilissima, ed odorata spal- liera; ma bisogna al gelo fasciarla e turarla be- ne ancora con panni lanì grossi a furza di stoie

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e paglia, ricevendo da quello tale offesa, che si secca affatto. Desidera terreno grasso come gli altri, e s' attacca con propagginare i suoi rami fatti passare per un pezzo zucca pieno di ter= ra, turato di sotto, tantochè solo ne possa uscir fuori la cima del gambo del gelsomino, annaf- fiandovi quando vada il tempo molto asciutto; e quando v’ ha create le barbe dentro ( rotta la zucca )si trapianta dove altri vuole. Puossì an- cora accomodare un vaso di terra, e far per es- so pieno di terriccio trapassare un: giovine ramo vegnente e principale del gelsominovecchio, e di- poi tagliato setto, lasciarvelo star dentro etra- sportarlo altrove. Ma meglio è a volere estrar- ne in razza, trasporre in un vaso grande di ter» ra cotta ( perchè quanto più grande sia il vaso, più bella e maggiore vi farà la pianta, e più vi si manterrà ) una pianta fresca e rugiadosa di gelsomino ordinario, il quale ha per natura di far come i roghi, che dove toccan terra con i rami, generano le barbe, e quivi lasciata cre- scere ed assodar bene, conviene innestarvi di quelli di Gatalogna, i quali innestano a oc- chio e a marze ; l’occhio si stacca come all’ae rancio dai rami lisci avanti che dia ben fuori, d’ aprile e maggio; la marza si stacca dal gel somino vecchio da quei rami che nou abbiano spuntato tuora i rametti, ma che sieo per man- dargli fuori, che si conosce benissimo, toglien- do di quelli che non han punto messo, e sian dell’anno passato. Fendesi il grosso del Gelso- mino nel gambo in lato più liscio, e la marza s°augna come d’arbore, e si compone a ‘sesto buccia con buccia, e legno con legno, metten- dovi una marza sola che abbia due occhi soli da dar fuora; legasi stretta con canapa, e siri- cuopre il taglio cen cera rossa senz'altro; e questa operazione si fa di marzo, e di questa

‘maniera vieti più gagliardo cile non a occhio; il quale medesimamente s' impunta nel più liscio ‘e s' avvertisce a non premer la buccia perchè l’ha molto sottile. Ed a farne una spalliera medesimamente si trapiantano de’ nostrali, e so- pra questi a marza 0 a occhio s'’ innestano i Ca- taloguesi, i quali hanno il fiore più odorato, ed accozzatone in quantità si spreme al torchiet- to e sene cava olio, con il quale conciano i coiami gentili per render gratissimo odore, co- me anco riscaldandogli in Golletti o guanti (che gli uni e gli altri si addomandano di Fiori) sen’ empie un fiasco senza veste che vi sie- no seppelliti dentro, e si tura bene il fiasco con pece, che non vi possa penetrar dentro umore alcuno; e così si fa ai fiori d’aran- cio, e di limone, e si mette sotto il monte del letame a lasciarvelo stare venti o trenta dì; di- poi sturato il fiasco, e postogli un panno sotti- le alla bocca, si scola quel liquore, che è in questo modo fatto più di tutti gli altri odorato e buono; e questo e il vero olio de? fiori de’ gel- somini, così de’ nostri, come di quelli di Cata- logna. Etutti si seccano all’ uggia, e si pongono fra i panni così lini, come lani per fare acquistar lo- ro odore. I Gelsomini del fior giallo hanno più dell’arborescente degli altri, avendo il gambo più grosso e più gagliardo, ed assai più legnoso degli altri, ed irami più sparsi e sparpagliati. Non accettano sopra di loro alcun’altro insito di Gelsomini, tampoco dei loro istessi, ed il lor fiore non rende quasi odore; amansi per la varietà, e sitrapiantano con la barba, sveglien- do di quelli che mettono ai piedi. I naturali vanno alto crescendo , e distendendosi quasi quan- to l’ ellera, ritrovando sotto appoggio che gli guidi. Fanno bella spalliera, la quale tanto riu- scirà più bella, quanto saranno posti più folti

126 | rasente i muri, e quanto più s’intrecceranno i

rami l’un coll’ altro; sono obbedientissimi alle forbici, e si loro che forma altri vuole . Con- Vien potargli ogn’ anno a primavera, e dira- dare i rametti, levando via tutto il seccume . Ma quelli di Catalogna conviea potargli a uso delle viti scapezzando i rami nel tronco, ed in su la corona, e secondochè sia rigogliosa la pian- ta lasciar loro più o meno occhi; tagliando i rametti vicin’ al ceppo a quattro diti e non la- sciando per gelsomino più di tre o quattro capi rasente quello; e questo gioco bisogna lor fa- re ogni anno , affinchè nov imboschiscano, ma fac- ciano i fiori - più belli, odorati e maggiori, i quali fanno sempre gli ultimi, cominciando nei luoghi tiepidi di giugno, nei freddi un poco più oltre, e duran poi poco.

Il Ghiaggiuolo , o Giglio azzurro detto ce- leste , chiamato Iride, è di due spezie, dome- stico e salvatico + ma si tiene che il domestico sia dal salvatico proceduto, sebben questo nei luoghi propr) suoi nat) ( che è negli aspri mon- ti e coste asciutte ove da per se nasce ) vi vie- ne un poco di pianta minore, e più scriata,. Nel casalingo acquista il domestico e cresce. Deonsi le più fresche piante e gentili cavare dai luoghi di dove e’ fanno naturalmente, e pian- targli negli avanzi de’ viali delle possessioni do- mestiche, e su per certi argini di fosse in sul sodo, rivcalzandogli e ricoprendogli bene nella buca sotterra poco, fatta in sul duro. Ancora è da sapere che il ghiaggiuolo ha le barbe fatte a nodi come le canne, ineguali piene di gobbi, che nelle loro estremità sono appuutati per gli occhi che vi son fatti dalla Natura per rinnova- re le loro piante, e questi staccati da quello si Piantano di marzo per tutto aprile come i gi- gli; e sene cava aucora a questo tempo, deci-

12 mando lore ben la radice, ma in modo che i si guasti o offenda il proprio ceppo; ma ster- pano tutte all’ intorno, strappandole con mano e con ferro tagliente; e queste prima monde so0t- tilmente della lor buccia, e tagliate in lunghe fette sottili si pongono un poco in macero nella liscìàa, e dipoi si seccano all’ uggia rivoltandole in su le tavole spesso; e secche s'infilzano in un filo, chel’ una tocchi l’altra, e si pongono tra i panni livi, e lani per dare a questi odore ed a quelli, e di più difendergli dalle tignole . Fassi gran procaccio delle barbe di ghiaggiuolo per le tinte, per le quali s' adopera secco, ed as- ciutto pure ‘all’uggia disteso su per i tavolati, ma prima diligente e sottilmente sl mondano, Conviene a questo effetto farne grand’ imprese , piantandone per tutte le strade rasente gli orti, e riempiendone tutti gli scampoli della posses- «sione, dove al tempo ch'e’ fioriscono, fanno an- cora bel vedere, e massimamente mesticando i bianchi con gli azzurri; perchè ancora di quelli ‘sene ritrova, e le barbe tanto dell'uno quanto dell'altro son buone per tignere, e per quest’ effetto si cavano al fine della primavera, avver- tendo di cavare le radici attorno alla radice principale, senza toccare 0 offender punto quel- la; che così si manterrà la pianta per cinque o sei anni, dando moltiplicazione di barbe ogni anno. Ma in capo a quel tempo bisogna rinno- vare tutta la pianta, e rifarne postime, si può mutandole luogo, ed anche in quel medesimo lato, rilavorando bene il terreno, il quale per lo più, come tutte quasi l’ erbe, amano grasso, sebbene vengano anco nel magro, e nci poggj erti, ed in que’ luoghi quasi dove non sia per fare, e non fara altro. Piantati, che sono, non ricercano cultura alcuna, solochè si tengano netti dall? erbe che gli possono soffocare. Le pian-

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te dei loro occhi sieno fresche e giovani, e si piantino a settembre, o veramente a primavera, 11 ghiaggiuolo ha il suo gambo diritto che s'al- za al più un piede e mezzo, e da tutti i suoi pedali nella cima fa i fiori compartiti di pari i uno dall’ altro , nella vetta de’ suoi rametti coi loro piccioli, risplendenti e luccicanti, di va- ria sorta di colori mesticati alla foggia dell'Ar- co Celeste, e come quest’ arco, che è un imma- gine d’un mal rappresentato sole, avendo rice- vuta una concava nuvola fa falsa vista di var] colori, e cerulee, verdi, bigie, e purpuree li- neazioni guida e distende; così il Ghiaggiuolo con l’incavato fondo del suo fiore in una certa diversa maniera va ombreggiando Arcobaleno, più meno come una gocciola d’ acqua ri- percossa dai ragg) del sole, con la splendente riflessione dell’ aere, una certa rozza immagine deli° Arco celeste fa riverberare nel muro vicino gettandogli-ora in quà, ora in lù. Gosì le boc- cie di quel fiore nella lor concavità col va» rio scorso delle linee che vi sono di più colori, di se una certa sembianza dell’ Arcobaleno, Ingannansi coloro che nel. circuito di tutto il fiore vanno ricercando così fatta varietà, per- chè gli orli delle foglie rivolte han sempre il colore d’ azzurro tinto in purpureo. Il decotto delle barbe del ghiaggiuolo rimediano ai difet- ti delle diarree per di sotto, e sovvengono con l’aceto ai dolori del capo, mesticandovi dell’ac- qua rosata.

. I Garofani sono salvatichi e domestichi; quel- ll piccolissimi e di poche foglie, senza odore. Nascono alla campagna, anzi ia luoghi disabita- t1, ed inculti , in monti aspri, e fra le ginestre, tignamiche e roghi, traspiantati nel domestico , cavati con il lor pane intero, e postia solatìo in terra bmona allignano. Ma non per questo diven»

129 tano migliori, o più belli. I domestichi sono di tre fitte; di quelli che fanno le viole oltremodo grandi, tra i quali sono i Pisani per proprietà di quel paese, di dove in aitra parte trasposti, ed ancora trasportati cou i medesimi vasi loro, poco tempo durano in quella bontà e bellezza a tal chè convien dire che la dia l’ aere e'l pae- se. Sonovi dei mezzani, e de’ piccoli sparuti, e questi ne fanno in copia. I colori più accetti sono de’ rossi morati; sonovi de’ bianchi, de’ros- sì, e di quelli che sono brizzolati , odoratissimi, e che rappresentando quelli India, è opinione d’alcuni che così fatto odore sia loro stato dato dall’ arte, avendo cacciato loro di quelli alla ra- dice, o con avergli innestati con buchi fattivi a posta, e medesimamente con piantargli, ripian- targli, e intraspiantargli più d’ una volta, e che con far loro assai carezze sieno cresciuti , ed ab- biano acquistata varietà di colori, e la grandez- za e la forma delle foglie . Certa cosa è che alcu- na di queste piante un anno ha fatto garofani bianchi, ed un altro rossi, e l’aitro poi brizzo- lati; e di questi ancora sen’ è fatta una spezie da per se, come diversificava il colore nell’istes- so suo natural color rosso, quando più purpura- to, quando più rosso acceso, e quando un poco smorto e pendente in nericcio, più aperti e grane di, e più doppi e copiosi di foglie degli altri, quali sono i Pisani, i quali tengon la palma, e portano il vanto di. questo fiore, che desidera ol. tremodo terreni grassissimi ed alletamati in luogo tiepido, e a solatìo ; nei quali alia campagna a fatica campano l’invernata, coperti con letame fresco al piede, e turati con tavole dai lati, e capanna di sopra, in modo che ai tempi tristi sia per tutto chiuso bene, ed ai buoni ed al sole apra e s' alzi con facilità Ma meglio assaì e più sicuri si conservano in luoghi di terrazzi a

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130 mezzogiorno in vasi di terra cotta portatili, e quanto saran maggiori, più vigorosa verrà la pian- ta che vi sia dentro, purchè sian pieni di terric- cio buono, ed assai letame e grasso, seminando in cima qualche granello d’ orzo, quale al primo nodeggiare si svéglie , riseminandovene dell’ al- tro, e così tuttavia seguendo a fare dar loro fre- scura e giovamento . I vasi, come ’1 Soi volta la dove stanno , si riportino dove egli batte; ed cattivi tempi e d’inverno si tengano nelle stan- ze di casa, e massimamente nelle cantine, e stal- le, e dove si faccia di continuo il fuoco, perchè così governandogli ne faranno ancora a inverno, massimamente spuntando di primavera dove si vede che voglian gonfiare Je sue boccie, ed a- dacquinsi degli otto un tratto, e con acqua tiepida e vin bianco. Si possono far nascer di seme che è quella boccetta soda ch° egli hanno di dentro alle foglie del fiore , le quali vi stanno attaccate, ed è fatto maturo quando quelle si staccano agevolmente, crivellando la terra mi- nutissimamente in quei vasi, e seminandovelo dentro di modo che a fatica sia ricoperto, di inaggio cavandolo alsereno, e tenendolo al sole mentrechè è poco alto, o che abbassa, spruz» zando sopra dell’acqua leggermente, tantochè si mantenga fresco. Poi nati si traspiantano un per vaso alti mezzo palmo. Ma più sicuro e faci- le è nel principio dell’antunno al fin di settem- bre , o al cominciamento ottobre spartire al lor calcio de’ talli, ed atto:ti ed arroncigliati con de- strezza fare un periuso nel mezzo del vaso ripie- no di terriccio buono, gettandovi dentre sette 0 otto granelli d’ orzo, poi ficcarvi il tallo che vada in giù un sommesso, e sia con le mani stivata ben intorno, o ben calcata la terra e (se vada asciutto ) adacquarlo; di questa maniera si man- teugono quatiro, o cinque anni. Poi invecchia

131 la pianta, a tal chè conviene tuttavia rinnovare gli; e si mantiene con zapparla spesso d’ intor- no, e rinfrescarle la terra al®piede, concimnan- dolo di letame macero di colombina ben disfatta, e con questa cura e vezzi custodeadolo, e talora ritrapiantandolo muterà colori, ed una pianta medesima sola farà delle rosse , nere, e bianche. Le foglie de’ garofani cavati della lor guaina e posti in un vaso di vetro turato al sole, rivol- tandovegli dentro tanto ch°elle si secchino, con servano l’odore per compartirlo a tutte quelle cose, fra le quali s’ ioframmetteranno, e massi- me in su l’aceto. Ma le foglie stillate di questo fiore non ritengono cosa che sia del lor natural sito odorato ; ben quest’ acqua bevuta con il Jat- te aumenta le forze di Venere. Racchiudendo le boccie de’ garofani in un bucciòlo di canna, lo ritarderà all’ aprire, e conservandole in un bucciòlo stretto che ve le sigilli appunto, le conserverà ad aprirsi in più largo, ponen» dole di mezzo verno. E nei medesimi boc- cidli di canna pieni d’acqua, postivi dentro i garofani, si manterranno per trasportargli con essi nei paesi più lontani. Deesene fare impre- sa nelle prode degli orti che sien bene a pendìo a prendere il Sole, e vi si posson le piante disporre im piana terra lontane un braccio e mez- zo l’ una dall’ altra, lavorandole e proccurandele, come s'è detto di quelle che sono allogate nei vasi; ma bisogna con tavolato di sopra, o coper- ta grossa di covoni di paglia raddoppiati l’ un sopra |’ altro difenderle dal freddo, accomodan- do la coperta in modo, che nel tempo dell’ in- verno aprendo dalla parte dinanzi possan den- tro ricevere il sole: il che verrà meglio neite- sti e nelle loggie.

La Ginestra produce i rami erba, e per questo tanto atti a legare; i fiori in vetta d’essi,

139 gialli allegri, schiacciati, ed il seme in certi baccelletti simili alle lenti. Tanto sono i fiori cari alle api, che®e godono avendogli intor- no, e strofinando con la ginestra trita pesta l’en- trate delle api, le rattiene dentro volentieri che non fuggano. Stanno ben piantate attorno alle vigne per aver vicine e più comade le lor legature, legando elleno così gentilmente, che non offendono quello che da esse è legato. E perchè le vogliono esser piantate nel divelto, ed amano il terreno che non sia grasso , che è quello

che tutte le sorte delle viti fastidiscono, stando

volentieri in terra magra, e quasi per altro ste- rile ; e lo comporta asciutto e secco fuor di modo. Seminansi col suo seme, raccolto fatto a settem- bre, e semini in terrenotrito, minuto, poco ricoperto. Cresciuto d’un ‘anno si traspianti all’ottobre, dipoi si taglia terra ogni anno e si ‘poti a tronconi. E di questa maniera darà con- tinue vinciglie. Trapiautansi ancora svelte con le barbe dai Inoghi alpestri ove le fanno, con molta della lor terra al piede, e piante giovani, trasponendole in buone fosse, buche, o divelto. Ne sono di più sorte, ma la liscia e morbida ordinaria per legare, e fare assai fiori è la me- glio , ed i suoi fiori stillati rischiarano e man- tengono morbide le carni. Fu ritrovata (ho in- teso ) una Ginestra nell’ Alpi, di fior bianco, la quale il Signor di quel paese fe con diligen- za trasporre nel giardino suo, ove tornò su- bito a farlo giallo. Seminansi ancora le gine-

stre comodamente in Calen di marzo, e prima.

che abbian finiti due anni, si trapiantano tanto vicino un piede all’ altro , che cresciuta toc- chi, dilettandosi questa pianta essere insieme, ed accosto il più si può. Si possono ancora va-

riare 1 colori con fiori che li sterpi producono,

come la rosa e il gelsomino; e perchè il fiore

LOSS i cn li

37 133 della Ginestra è il più giallo, se vorremo asso- migliarlo alla rosa ed al gelsomino (non si po- tendo accompagnare per via di marza, o d'in- fogliamento, cioè a occhio ) pianteremo la rosa accanto alla ginestra, e la traspianteremo con quella terra, con la quale ha fitto le radici, av- vegnachè si allignano meglio, e più sicure van- no innanzi nel seno della madre che in quello della matrigna. Ancora con una Trivella Frao- zese si può bucare la pianta, con innestarvi il rosaio vicino, fatto passare per quel pertuso, e rammarginato si taglia rasente, e farà l'effet- to di prendere il suo colore la rosa; e di questo modo (scrivono ) è stato fatt’ essere il Gelso- mino giallo. Più appresso non è mancato chi m' afferma, aver veduta in Milano una pianta di ginestra, insitatovi sopra a marza un gelsomi- no, e potersi fare ancora a occhio, tanto de’ na- turali, quanto de’ Catalognesi. Scrive Plinio, l Asia produr ginestre che macerate per dieci nell’ acqua e dipoi gramolate, scotolate e filate servono a far reti molto durabili nell'acqua per prendere i pesci; e delle naturali macerate ed acconcie così, si posson far tele grosse buone per sacca. Certa cosa è che io ho veduto un drappo come taffetta grossetto, fitto d’un’erba d’ India, che tessuta senz’ altro la conduce.

1l Giglio è di quattro sorte ; il primo col fior bianco fiorisce di primavera ; il secondo un po più tardi quando il Narcisso; il terzo di estate, il quarto alle prime acque che vengono nell’ autunno. Trovansi de’ gig!j rossi differeuti dai porporini, che sono quelli che hanno i calici erbacei , gli altri come i bianchi, ed i porporini sl, creano coll’ arte ancora. Si pigliano dieci, 0 dodici capi di giglj legati insieme quando han- no sfiorito, e s'appiccano al fumo; e quivi gettan fuora la radice, e cipollette, e quando avvi-

134. cina il tempo del porgli che ha da esser di feb- braio o di marzo, prima si pongano in macero nella feccia del vino nero, tantochè contraggano quel colore avvinato, d'onde nasceranno i fiori porporini; accanto a questo si piantano, siccome tutti s' hanno a piantare, in terra grassa di feb- braio; e tutti hanno a piantar con le loro ci- poile staccate dai vecchj giglj; che perchè fac- ciano i fiori in variato tempo, parte se ne han- n0 a piantare in un solco fondo un sommesso, altri di otto, altri di dodici, ed altri di quindi- ci; così firauno i fiori in varj giorni l’un dopo l’altro. E tanto si può fare con tale esperienza a molti altri fiori, distinguendo le sorte, e ri- coprendo bene i solchi con terra minuta e trita bene. A questo tempo di febbraio i vecchjche son piantati, s hanno a sarchiare, ma con tan- ta diligenza che non si offendano gliocchi delle cipollette che son lor nuove attorno, e massima- meute ai bianchi, che talora ne nitricano in un ceppo cinquanta. I fiori del giglio coglieran- no in sul gambo, serrandogli in un vaso ben chiuso con pece sotto e sopra impiastrando che nou vi penetri aere acqua, quando han cre- sciuta ia boccia, e sian per aprirla: il che fat- io, li porrai subito al sole , o staccati col gambo e posti nell’ acqua. Tura le corteccie delle cipol- le ponendo del cinabrese, e così piantandole fa- rai il giglio rosso. Ma conviene avvertire nel mettervi del cinabrese assai, che non si offenda punto la cipolla; ed è cosa di miracolo che così tignendosi di qualche colore, quello che nasce lo Tappresenti. Si raccoglierà nel mese di luglio la sua cipolla che comincerà a seccarsi, Affinchè i giglj sian sempre in quella medesima stagione, nella quale tu gli hai nascosti e colti, farai così: quando eg'i hanno le bocce chiuse e gonfie, innanzi che le aprano , spiccagli, e coprigli con.

155 le canne ben suggellate insieme che non sfiatino, nascondigli, o serbagli così aprendoli poi quan- do vuoi servirtené. Ancora farai fare un vaso di quercia, il quale empirai di fiori avanti ch° e? sie- no aperti in luogo dove spesso possano avere (sic- come si dilettano) il sole. Fa che il vaso stia ben copeîto che non possa spirare, imperciò fa d’im- peciarlo perchè non vi possa penetrare anche l’acqua, e mettilo al fondo di un pozzo, o cister- na, o vero sotto un fiume d’ acqua corrente per- chè non si putrefacciano, che quivi si conserve- ranno verdi; e quando vuoi che fioriscano ficca il piede del fiore in una mela, o pur bagnalo con aceto mostrandolo al sole. I giglj bianchi si seminano in tutti 1 modi chesi seminan le rose, ed oltre a ciò nascono seminando le lacrime che ne distillano, come |’ Ippuselino . Ritrovansi ane cora giglj purpurei con due gambe, o radice più carnosa, e di maggior capo, ma sola, e chia- mansi Narcissi. stato ancora ritrovato il modo d’ insitargli ( dice: il Mattiuolo ) per maravi- glioso ingegno degli uomini; ma conviene usar maggior diligenza che a’ geisomini insitandogli al medesimo modo ed a marza, ed a occhio dell’ altre sorte di giglj che si ritrovano . gra- ve odore quello del fior del giglio, ed offende assai la testa; contuttociò l'olio che si cava d’es- so, digerisce e mollifica senza mordicare , e però è convenientissimo alla durezza della matrice, e le radici del giglio, e le fiondi trite per se sole disseccano , astergono, e digeriscono moderata- mente; e le sue barbe spolverizzate , e beute col vino vagliono contro ai morsi de’ serpenti, e contro al veleno de’ funghi; e cotte con grasso, e con olio, poste sopra lo scottatu fanno ri- mettere 1 peli, e giovano eziandio poste sopra i nervi offesi. Il Giglio delle Gonvali, detto Lfemito, nasce nei luoghi ombrosi delle selve.

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Trapiantasi col suo pane ove non batta il sole , e sia buono il terrei0; in questi lati vive, fiori- sce, rende buono odore, ed è bello a vedere .

Tl Grogo o Grotrogo è di due fatte, salvati- co, e domestico, e questo è quello che si chia- ma Zafferano, del quale ne è del salvatico an- cora. Il grogo nasce di seme, e si semina in luoghi grassi di primavera, e fa beve intorno ai divelti fatti di nuovo, senza danno delle viti che poste vi sono; e rasente i poponaj sugli orli di essi, ed in su i ciglioni delle fosse che sono dai lati de’ seminati. Raccogliesi il suo fiore di maa in mano che si vede esser fatto e colorito, che è quando da per se comincia a cadere. Ponsi ia luogo asciutto, e Sparso su tavole per asciugarlo ; dipoi disumidito si conserva, e fa offizio su le vivande in cambio di zafferano , postovene sopra in quantità più del doppio. I

Il Guado domestico somiglia nelle fron- de la piantaggine un po più grossa; il salvati. co ha le foglie somiglianti a quelle della latta- ga. Scrive Giulio Cesare che i Brettoni si ti- gnevano i corpi con quest’ erba per apparir più tremendi e paurosi ai loro nemici. Vuole la ter- ra quale il grano, ma spoppa fortemente il ter- reno, e lo smagrisce; ma di sua natura lama risoluta, grassa, e ben divelta piuttosto con la zappa o vanga che con l’aratro. Roncasi nato di poco, e più d’ una volta con diligenza, si sementa d'aprile, e per osservazione del vol- go come la canapa nella Settimana Santa. Al quinto solco che tanto è a dire alla quinta a- ratura della terra grossa rivoltandola, gettano il seme ricoprendo!o modestamente. Quando sarà cresciuto un quarto di braecio non si la- scia fiorire, ma con un ferro fatto per questo, lo ritagliano rasente la vetta della radice in som- mo alla terra; lavasi, e si porta alla mola; ed

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al rimasto nel campo sin alla terza e quarta a ta segli fa quest’ atto, dipoi si lascia a seme, Quest’ erba verde si caccia sotto le ruote trusa- tili, che sono le macine da pestare, per cavar- ne il succhio, e la schiuma che ella ; dipoi sene fanno palle o pastelli raggrovigliandogli in- sieme, e si pongono sopra tavole a seccare. Fassene grande impresa per i tiatori di panni, sendochè quest’ erba gli riduce atti a prender dipoi ogni colore. Ma si dee osservare in que- sto Ja regola del lino, che dove non sene spe- ri, e non profitti assai, non è da farne incet- ta. Vuole i luoghi larghi aperti, e pieni ae- re senza intoppo d' arbori, e fuor di tutte l’om- bre; e non avendo terra che sia ben grassa, non è da impacciarsene, perchè il letame mace- ro postovi ancora copiosissimamente non gli ba- sterebbe. di gran guadagno, e dove si cono- sca ch’ e’ sia per venir bene, non è da tra- scurarlo .

Il Gichero, detto Aro, nasce abbondantis- simamente nel contado di Gorizia, ed in Italia per tutto, e massime in Toscana ne’ campi, nel- le vigne, nelle fosse, rasente le macchie, e nelle maremme di Siena. Trapiautato vive per tutto e fa il suo frutto pieno di coccole rosse in sur un fusto cipressato , ed è tenuto cibo per le ser- pi. Gavansi le sue-radici l'estate, e monde, e tenute bene in molle, dipoi rasciutte all’ ae- re si pestano nel mortaio di pietra, e si spre- mono dentro a un pauno lino con le mani forzate, 0 a strettoio piccolo , e il sugo che esce, mescolato con acqua e senza, si pone in un vaso al sole, cala if fondo e si rappiglia insieme e resta nel fondo del vaso come una cu- faccia » Questo spessamente è bianchissimo, e ser- ve per amido ai panni liu) sottili. vero che li consuma e rode, ma è EEA fuor di modo,

et

158 vantaggiando in queste tutti gli altri amidi. Questa mestura oltre a rendere come nevii pan ni lini, e le rense, e bissi, fa alle donne la carne lucida, e splendente. e bianca, e pulita fuor di mode. La radice dell’ Aro si mangia co- me le rape monda, e cotta, e gettata via la pri- ma cocitura, e subito ribollita in altr’ acqua. Il Giunco, se sia nell’ orto alcun luogo sta- gnante o fossa che rattenga l’acqua, a cagione di legar l’ erbe o altro visi potrà piantare, ca- vando la sua capassa intera o mezza con tutte le barbe e terra motosa dei luoghi pantanosi ed umidi dove naturalmente nasce ; e tanto fa- nel domestico nascendo da per se senz’al- tra cura nei luoghi dove l’ acqua stia ferma, é tanto si appiccherà il rotondo grosso come il sottile, e il triangolare. Ne è d’ una sorta che fa il seme e d’ un’altra che è sterile; quello del seme lo genera rotondo e nero, e questo fa il gambo più grosso degli altri, il cui midollo è ‘buone a fur ripieno ai mazzocchj, e mutando- lo spesso, è buono altresì quanto i crini de’ ca» valli a riempire i cuscinetti da cavalcare. Do- vunque nascono da per se i giunchi, si tiene che abbia ad esser sotto copia d'acqua. I sol. dati d’ Alessandro Magno che navigaron nell’In- die, affermarone di aver veduti de’ Giunchi di pietra, ma piuttosto è da credere petrificati, dacchè scrivono che chi li vedde non li potè discernere dai veri giunchi, dei quali si fanno canapi buoni a star sell’acqua più che la ca- napa, ed a questo sun buoni i minutissimi sottilissimi, ì quali fanao nei luoghi pantanosi di Spagna. 1l seme del giunco abbrustolato e spol- verizzato e beuto ferma il flusso,e così fanno i giua- chi fritti. Il Giuuco odorato (che così volgare ed ordinariamente s' addomanda ) ha le foglie ta- glienti simili a quelle delGhiaggiuolo, ma tre quar-

13 ti men iarghe; s'alligna in ogni terreno Lsba E umido non sia; viene di paese straniero, comec= | chè in Arabia nasca tanto frequente che del suo fiore sene pascano infiniti cammelli oltre» modo di quelli appetitosi; produce giunchi lar- ghi a coltelli; e sono co!orati come molti cre- dono. buono all’ uso di medicina, movendo l’orina, e rompe il vento. Convien piantarlo sbarbato con tutte le sue barbe e semi, Affer- mano molti, quello che ha le foglie taglienti essere il calamo, ed il giunco odorato essere la giunchiglia di Spagna che fa fiore bello e di buon odore. Trovansi di questi fiori di marzo e d'aprile; la sua pianta è alta da terra poco più un braccio, e fa certe verghe come giun- chi nostrali, di grossezza simili, e di color ver- de. Fiorisce in cima del suo giunco, ed ogni suo fiore ha sei foglie gialle piccole, e nel mezzo delle dette foglie vi vede un cer- chietto giallo piccolo intero con quattro campa- nelle per entro piccole, e giallicce; il gambo del fiore è giallo chiaro , e nel fine ove egli si lega al fiore, fa un bottone verde. Questo fio- re colto si mantiene molti posto in fresco nell’ acqua, ove si dee avere avvertenza che tut: ti i fiori che gli nascono di marzo, o di tem- po freddo l’ invernata, si mauteugono colti più tempo che non fanno l’estale; e ciò può servire per regola generale. Pongonsi le piante di det= to Fiore in vasi che sien grandi, o in orticini ben lavorati, in buon terreno, gentile concima- to del mese di settembre ottobre e novembre. Pongoasi ancora detti cipollini che provano me= glio ponendegli quattro diti a fondo in terreno trito, ben mesticato di letame. Chi vuol questi cipoliini gli convieu seminargli del mese di mar- zo e d'aprile in vasi grandi ripieni di buon terriccio , e se vada la stagione asciutta e sec-

140 ca i , e seminano come 1 cavoli e le radici, tenendogli ( nati che sono) netti dall’ erbe cattive. Questi poi in capo a due aa- ni si possono traspiantare dove più piaccia aver- ne, pochi o assai.

L’ Hemaro, è un frutice dell’ altez- za del citiso, e molti tengono che sia il ci- tiso salvatico, somigliandolo alquanto nella fo- glia, la quale ha più rada come i rami, e di co- lore più verde. Ne nasce quasi in ogni bosco sotto i cerri e quercie; serve al pascer delle | capre e pecore, ed ancora sene ciba il grosso bestiame. Trapiantasi con il suo pane di terra. L’Hemerocalle è di foglia e gambo somi- gliante al giglio ordinario di color erba come il porro. Fa tre fiori, e sin in quattro ( per ciascheduna boccia uno ) fatti a modo di quello del gigiio, ma minori assai per di dentro con tanto artifizio della Natura, che non si ve- de altro fiore , che a rappresentarlo con l’arti- fizio bisognasse maggiore ingegne. Non dura molto il suo fiore, che ha un suavissimo odore, ed aprendosi si va mutando in color molto pal- lido. Trovasi nelle aperture delle campagne, e vien da cipolla, e si pianta di settembre, o alla primavera in terreno grasso ben lavorato.

L'Halimo è semigliante. al Ramno, senza. spine, ele foglie sue sono simili a quelle dell’ uli- vo, un poco più larghe; nasce nelle siepi, e verso quelle delle maremme suol. essere assai frequeute; la sna foglia cotta come l'altre er- be, è buona a mangiare. è del salvatico, e quello che è un poco più domestico, svegliesi colle radici dai luoghi alpestri e montuosi dove egii fa, e con molta terra ai piedi si traspian» ta nei domestico.

L' Hiacinto nasce ordinariamente nei campi per tutte le coutrade tra le biade, con frondi e

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sadici cipolline con gambo alto una spanna, sot- tile, liscio e verde di colore. Fiorisce alla fi- ne di marzo e nel principio d’ aprile, quando fio- riscono le viole primaticce. Produce la chioma da mezzo il fusto in tutta piena di porporeg- gianti fiori, che nel maturarsi s' inchinano a ter- ra, e duranvi suso assai tempo avantichè disfio- riscano. In Toscana si chiamano Cipolle canine, «0 salvatiche; 1 Latini le domandano Vaccinie. Trovansene ancora di quelli che fanno il fiore bianco, fatto alla medesima foggia di quelli che lo fanno azzurro . Piantasi di febbraio con le ci- polle in terra grassa, e si tien netto dall’er- be. Vive con la radice, persa che abbia la fo- glia; e cavata si mantiene la sua cipolla tanto che sia tempo di piantarla da settembre altem- po di primavera.

L’ Hisopo si pone intorno all’ equinozio del- ‘la primavera spiccando i fuscelli dal suo ceppo, e scoscendendogli che abbiano del vecchio, e facendoli spaccare fra le due terre in luogo a selatìo. si cura di terreno grasso o magro; sementa ancora di seme un poco doppo, rico- prendolo poco; dipoi trasponendo le piantet- te piccole dove ha da stare, sta bene in su gli argini de’ viali di quà e di posti a di- rittura delle strade; e tenuto ripareggiato con le forbici, fa spallierette nobili. Serve Hisopo alle lavande de’ piedi, e delle gambe, a confor- tar le medesime, ed è buono in molti condimen- ti della cucina, ed appiccato una volta si fa vi- vace, teme in alcun lato l’ ingiuria dell’ in- verno .

Hibisco, detto Altèa, Malvalischio, pro- priamente Malva salvatica, fa nei luoghi umidi nascendovi da per se, come nelle valli ombrose de’ monti. moltoa proposito a guarire i gui- daleschi de’ cavalli pestata, e postavi sopra, im»

142 piastrata . Trapiantata con tutta la sua radica s'a?- tacca nel domestico; e nasce ancorà di sementa seminata di primavera. Piantasi all’ ottobre, e così la sementa si traspone di questo medesimo. tempo.

L’Tuschiamo, o Dente di cavallo, o Cavalli. no, è tutt'uno. Nasce il più delle volte per tutti i campi, pratelli, e luoghi domestichi, e _ciglioni delle fosse; le maniere de’suoi semi son tre, bianco, nero, e rosso, e tutto seminato sen- za molta cura diligenza nasce è viene innanzi, ed è il seme di più valore che altro che abbia. Tiene in se virtù di far dormire.

Indivia, detta Scariola, o Ascariola, è una specie di cicoria, e si può come la lat- tuga, ed il radicchio seminar tutto l’ anno, per- chè verde, tenera ( a Genova e nel Genove- se senza imbiancarla ) siccome grande, fatta, e imbiancata si mangia in insalata, e cotta con la carne. Seminasi per questo nell’ aiole degli orti, di giugno, luglio, agosto, e di settembre, ed hassi poi nel fine dell’ autunno, principio d'in- verno, mezzo e fine. Ma quella che ha a ser» vire al fin dell’inverno, si può semivar ot- tobre come il radicchio ne’ luoghi aprìchi, ed in quel modo la si potrà sotterrare di mese in mese per averla in variato tempo, e che non manchi, con aver agio d’imbiaocarla, e così servirsene. Cresciuta in quelle aiole all’ altezza di mezza spanna, diradandola quivi, e lascian- dovela a sesto, il rimanente si trapianta in aiuo- le assolcate diritte nella costola de’ solchi a mezzo, e s' aiuta con l’adacquare, che senza questo si può mal condurre. Finito il caldo si fi- nisce di conguagliare il terreno, ed interamen- te si riocalza. Divenuta poi grande affatto, © spianato il cesto, e le foglie lunghe raccolte ristrette insieme, ‘sì legano in mezzo, e fatto un

143 solco rasente le barbe che con poca pg tracollino 1 cesti mezzo palmo o più, vi si ca- lan dentro con mano legati anco se bisogni in cima, e si ricoprono col terreno che scavandolo fatto l’altro solco; e così si seguita di man in mano, lasciandovegli ricoperti tutti di ter- ra tantochè sieno bianchi, e tanto si fa a quelli che si sono lasciati in su l’aie diradati prima- mente quando vi si seminorno. S'imbianca an- cora senza legare, cacciatovi sopra dell’ arena tanto che ella resti ricoperta. Ama non solo grassissima terra, ma che sia grandemente leta» mata; la troppa acqua l’infradicia quando è sot- terra, per il che conviene avvertire d’ averla ben legata stretta, perchè l’acqua non possa pene- trare al mezzo del suo grumolo; e similmente porla affatto a giacere, ma in modo che ia sua radice non si sbarbi affatto. Resiste al freddo non solo, ma al ghiaccio, e nel gelo si fa mi- gliore, e rintenerisce. Quando è piccola da tra- spiantare, taglisi le foglie a mezzo, e sele spua- ti la radice, che farà maggior prova, attaccan- dosi meglio. E desiderando d’averla imbiancata presto , si ponga a imbiancare legata, come s°è detto, ma sbarbata affatto sotto il letame crudo. Ancora quando pur ell’è legata, sele ponga sopra una pentola, o altro vaso capovolto , che la radice succi ed attragga il nutrimento : di questa maniera piglierà bianchezza e tenerezza grandis- sima, e se così si ripongano i radicch], lasceran- no l’amaro. Ancora si farà bianca questa come il radicchio, se prima per quattro avanti sa- stata sparsa l’aia d’arena ed annaffiata. Se ne trova della tagliuzzata, crespa, ricciuta che è buona cotta; l’altra è bianca e verde. E? rin- frescativa Endivia assai.

La Lattuga è principalmente di tre sorte fuor della salvatica che è di due; la Cappima

ng

che ammazza gettata sopra l’acqua i pesci di mare, ed un’altra detta Esopon, che nasce alla campagna; una che ha il torso molto grosso, e le foglie strettissime e corte, che s’ allarga as- sal con esse, ed un’altra che fa il cesto roton- do come il Cavol cappuccio, e perciò detta cap- puccina , chiudendosi ed assodandosi come quel- lo; è la terza di Spagna che ha le foglie grandi, e lunghe, aperte e sparse, che dilatandosi ed allungandosi crescono assai. Ne è ancora d’una sorta, che fi le foglie cresposissime ed intagliuz- zate, molto raccolte, con le costole assai più gresse dell’ altre. Ed una sorta ne è che a tutte le sue foglie ha una parte che tira in rossigno con il cesto assai chiuso, sodo e serrato, la qua- le si semina di febbraio, come un’ altra sorta che ne è con le foglie incartocciate minute, bianche alquanto più d’ ogni altra, che sisemi- ‘na di marzo. Ne è di Cipri, che ha la foglia teneris- sima pendente di bianco in rossigno, che sta bene seminata aprile. E quelle che sono più tenere e delci, sono le più delicate e migliori a mangiare, e che convien seminarle doppo l’inverno,come quel- la di Spagna che ha la foglia lunga e larga, tesa in foggia d’indivia e dicesto verde che tira in ne- ro, e le foglie son molto rosse e molto crespe; le quali ancora acconciamente seminano l’au- tunno per servirsene all’ inverno. Tengono in l'oscana la palma le Pratesi tenere, di serrate , e gran coste, e sene semina e trapianta d’ ogni mese per averne tutto l’anno, e l'estate l’adac- quano cen l’acqua di fiume corrente, che loro tutta quella grazia. Gli antichi ebbero in pregio la ceciliana, la betica, e la laconica, la cipriot- ta, e ia cappadoca , e di cicilia, e soprattutto la greca, che tutte conviene che siano di sorta . uguile, e simili alle nostre. Assettinsi adunque ' aie ben lavorate di terra minuta e grassa, for-

145 nita di letame Baiditia di colombi, o di sterco umano. digestito, all’ aere, skemperato con l’ ac- qua, e, mesticato con letame disfitto di paglia stata sotto a’ cavalli. E volendo seminarla per tra- piantare d’inverno, seminisì al fin d' agosto, o al principio di settembre ; e cresciuta di cinque, o sei foglie, bagnando prima il terreno bene, e. lasciato poi suzzare, quando va, gran seccore, si sbarbino., e spuotata la cima. della barba im- piastri 1] rimanente di letame di vacca, pecora, o capra distemperato e col piòlo in costa de’sol- chi diritti si trapiantano nelle prode degli orti

poste a solatìo, ovvero in argioetti fatti a posta

nei piano, volti al sole, lun doppo l’altro alti. da, terra un mezzo braccio, ponendola nella loro. schiena; e lune e l’altre si cuopranodi paglio-

ne.alle. prime briuate. buono a ciò ancora il letame crudo di cavallo, daado loro questo me- desimo marcio.al piede,, e non si scuopra prima che quando, si. couosce una seguenza di giorni tiepidi assolati, ed allora si sarchiano; soprag-

giugnendo. il freddo, al medesimo modosi ricuo- piano, e sieno sempre piantate in terreno grasso, umido, letamato bene. Con questo aiuto di dili- genza. verrauno.i innanzi icesti grandi e belli di. mezzo inverno $ e, più larga si farà se vi si pone

ga rara, 0 quando comincia a fare il grumolo, leggermente decimandolo, vi si porrà sopra una, lastra, una zolla, o un coccio. Per avera ser- virsene l’ estate seminisi di primavera in quelle

aie, dipoi trapianti per tutto dove possa age:

volmente adacquarsi, che altro non vuole, e. questo ogni dì, e pongasi più rada di fol

dell’ inverno quattro diti, perchè si possa senza

offesa sarchiare , e ben lavorare intorno al gam-

bo, che è cagione. che ella non balliaca a file la

sementa, la quale se pur mostrerà di voler fare, avvertiscasi da piccola se sia disposta a ciò, e_

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146 frapiantisi di nuovo quella istessa: che ciò le ie- vera quella messa, facendola stare indietro. E volendo averne in più mesi dell’ estate, in questa maniera conviene averne preparate da seminare e trapiantare in più tempi, e così d’ inverno, cioè seminarne e trapiantarne di mese in mese: S'ovvierà ancora al suo tallire se quando è pic- cola sele ponga una lastra nel mezzo che l'ag- gravi, e s'allargherà, come è detto, facendo. più ampio il cesto. Ancora si può fiaccare ben basso il tallo, e porre nel mezzo del cesto una pietretta che calchi arrivando a quella rottura; e ciù opererà meglio nelle bianche e tenere che nell’altre, pigliando o anici, o finocchio, o al- tro seme di gagliardo odore, e diliseutemente spar- tendolo, e congiungendovi dentro il seme della lattuga, e poi a un per uno impiastraadogli col letame di capra in modo che resti in mezzo il seme così acconcio, ed adacquando poi destra- mente seminata che così sia, perchè non sfac- cia e non segli lievi 1 edore, sinchè sia nato e cresciuto d a trapiantarsi: il che si farà quando avrà cinque, o sei foglie come l'altre, e rap- presenterà l’ istesso odore. Ancora sbarbando la lattuga un po’ grandicella, e levate le foglie più basse, e quivi vicino nel ‘gambo fra terra fo- rando, e mettendo tutti quelli semi oderife- ri, eccettochè del’ rafano, dipoi impiastrando bene la ferita con letame marcio si pianti , e si couseguirà îl medesimo. Ancora saprà di cedro mettendole attorno del suo seme, quando la. semina. Restera piana a terra, farà il tallo, anzi poi si chiudera, e si- farà soda rotondando- sì, se trasposta che ella ‘sia alta quattro diti,

scalzera bene attorno la radice, e si Hieipibte li cerchio di fresca bovina, e * fattole da ogni banda ua arginato che rattenga l’ acqua, sene sa- Ziera. Più tenere e più biauche si faranno se di

147 quaiche innauzi che elle si abbiano a cogliere,

si legheranno le foglie, o senza legarle , si ter- ranno di fresca arena ricoperte. Diligentemeute con un aguzzo ferretto votando un cacherello di capra 0 pecora intiero, e non punto manomes- so (e si può fare con la lesina) e commettea- dovi dentro un granello di bassilico, di rucchet- ta, di nasturzio, d’ appio, di prezzemolo, e di radice, l’appio e queste ponteranno nella barba, uscendo fuore in somu0 con l'altre la lattuga, e rattenendo ciascheduna il suo sapore e la foggia. Altri pongono insieme scavati tre o quattro ca- cherelli di capra 0 pecora, entrovi i sopraddetti semi, e tutti cacciati in un pannolino sottile de- bole, con questo gli seminano , seguendo poi d’ac- carezzargli . Alcuni altri sbarbano la lattuga gran dicella, e strappate le foglie rasente la radice, e fatti certi pertusi dentro a essa da ognibanda delle strappature, vi ficcano dentro que’ semi, eccetto l’appio, e ia radice, facendo questi bu- chi con la cima d’ un punteruolo, e impiastran- dovi bene attorno del letam= fradicio. Così ri- piantata, che venga ricoperta sin alle foglie lasciatele, farà il medesimo effetto più facilmen- te. Se talora avendo piantate le lattughe s' indu- riranno per defetto del luogo, trapiantinsi di quivi ( allorche ciò si conosce ) in altra parte, e diventeranno tenere e candide agevolmente, legando dentro alle foglie di mezzo dell’ arena fresca di fiume, Aristosseno Gireneo le lattughe nate nel suv orto annaffiava la sera con vin me- lato, tantochè elle bene i’ inzuppassero, per ven- der poi la mattina le schiacciate di quelle foglie dolci, affermando che la terra prodotte le avea. La lattuga di Spagoa che ha quelle fogiie lun- she, si fasciadi paglia quaudo è cresc)uta quan- to ha a crescere, e poisi legae si ricuopre coa la terra; e così si fa bianca, come ancora rico-

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prendola d’atèna schietta senz’ altrò . Ed ogni sorta di lattuga adacquata con il latte, diventa morbida tenéra e bianca. Ha virtù la lattuga di grasdemente refrigerare, imperciò è convenien- tissimo cibo lestite: ma continuamente usata ammortisce la materia; e 1’ appetito di Venere . Per il che Fubolo ( scrive il Ruellio ) acremen- te sgridava la sua moglie, perchè aveva poste delle lattughe in tavola. Il torso della Jattuga apporta molto nutrimento, giovano le foglie allo stomaco , e muovono il ventre, massimamente con- dite con aceto, ed olio di mandorle dolci. Le lattughe tenere levan la tiausea dello stomaco, ge- nerano appetito, e conciliano il sonno. Facevan gli antichi della lattuga questa conditura:i torsi di essa mondi e netti da imo a sommo, tanto quanto tengon le foglie, insalavano in un vaso ponendo l’ un fe l’altro, ed inframmetten- dovi il sale , elasgiandovelo stare per un e per utia notte lalitoche mandasser fuora la salamoia ; dipoi levata questa , gli disteadevano su i gra- ticc] di givestra, vitalbi, salice, vimini, 0 giun» chi, tanto che asciùugassero; dipoi fatti certi mazzesti ue riempievano un vaso invetriato, fra essi ponendo assai anici secchi, e finocchio, Di- poi fatta via salamoia di due terzi d’aceto, ed un terzo d’acqua e sale, ve ne versavano den- tro tanto , che stesser sotto tutti ricoperti, con aggiungervi una salsa di finocchio pesto, e so- prattutto con fare che il liquore stesse a galla per tutto ia bocca del vaso, nettando i vasi di fuore, e pulendoglicon una spugua. Columella lisegua che si faccia con essi uva mestura di} por-

ri; e ruta, iutrapponendovi fagiuoli verdi , i qua- li conviene prima aver tenutiin macero in ‘buona salamoia; pel asciutti con i torsi de.la lattuga coin posti iu vaso iovetriato conservargli . Condi- scési alicora lattuga con l'olio, colgreco, è

VIGPRPR ORI PN o PRA 149... con l’ aceto. Galeno da giovine patendo assai di collere gialle sulla.bocca dello stomaco , per re- primere quel fastidio del ritornare in su’ man- giava della lattuga, dipoi invecchiato man- giavala volentieri per dormire, e per questo effetto la mangiava la sera, e ne sentì gran giò: vamento, e fu del mangiar lattuga tanto vago, che mentre potè la mangiò cruda, e dipoi sem- pre cotta. E questa nutrisce più copiosamente, sparsovi sopra dello zucchero in quantità. Af- fermano che se alcuno sendo digiuno gusti lat- tuga assai, non abbia poi ( beendo superfiua- inente ) a sentire ubriachezza. La lattuga dalla copia del lattificcio, di che ella abbonda, gene- ra molto latte alle balie. Giovano le lattughe assai a coloro che hanno lo stomaco caldo; così per conttario. Nei paesi freddi, ove non è como- dità di poter seminarne di mese in mese per averne tutto l’anno, si partiscono i cesti in quattro parti, e levatene le foglie da piè più fiacche, si cacciano in vasi invefriati dentro alla salamoia ; dipoi quando si vuol mangiare, con acqua calda si manda viala salamoia, e rasciut- ti si condiscono al solito in insalata. I torsi della lattuga conditi con assai zucchero candito, fauno una conditura salutare, e massimamente a levar via la sete. | Li

. La. Liquirizia (Regolizia, -Glicirizza, 0 Radice dolce, così chiamata dalla sua barba di sa- por do'ce smaccato ) ha le foglie simili al Lenti- sco, 0 su quel garbo, ma più sottili e larghe. Cresce alto un braccio e mezzo sia ia due . Na- sce abbondantemente in Puglia per tutta la schie- na del Monte Gargano. Ottima è quella di Pon- to e di Gilicia. buono cor la sua barbì nell’an- dar sotto le Vergilie. La barba della liquirizia ristucca assai, ed è di quelle cose che con poco mangiarne mandan via la fime e la sete, onde

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gli Sciti si contentano di satollarsi d' essa per die- ci o dodici dì, anzi ne vivono di coatinuo. Na- sce intorno alla Palude Meotide frequentemente ; ma gli Sciti più che di liquirizia, menan la vita di cacio fatto di latte di cavalle, detto Ippica ; onde scrivono che Zoroastro visse con mangiar solamente cacio ne’ dese:ti vent’ anni, così acconcio che non invietava; come Sesostri di lat- te solo e non d'altro visse tutto il tempo della sua vita. la liquirizia ottima alla tossa, e del tutto idonea ad allargare il petto. Desidera ter- ra ben disciolta, e vien meglio ancora nella sab- bia, ove ella fa molte radici, e da quelle rin- genera le sue piante, le quali con esse cavate si traspongono all'ottobre, e la pianta cresciuta si piega a terra, e dalle barbe ch’ella fa, ricoper- ta quì, eccita nuovo pollone. Cavansi le barbe ch’eli’ha attorno alla madornale, e questa sola la mantien viva, ricreandone sempre attorno a se quantità. Puossi piantare per ispa'liera non mol- to alta, e convien porla fonda e fuor di questo ben intrecciaria insieme; couservasi in luogo fresco ed asciutto colta di settembre .

1l Ligustro cresce nelle spine con le foglie simili alla mortella femmina, o all’ ulivo, ma alquanto più larghe. Manda prima fuora il fior bianco e di buon odore e bello , dipoi le cocco- ie prima verdi, e poich’elle son maturate, nere. Essendo caduto il fiore, del quale si fa ottima tintura nera, si può convenevolmente traspian- ‘tare, ma desidera luoghi caldissimi come in Gi- pri, in Egitto, ed Ascalona. Bisogna aver del suo seme stagionato, e nascerà come il cipresso.

Il Levistico, detto Ligustico, e Rovistico, nasce salvatico nelle Alpi o luoghi salvatichi ed alti, e per le folte macchie ed alla campagna. Ha in quei luoghi alpestri del salvatico ; traspo- sto nei luoghi domestichi diviene più gentil pian-

151 ta, e più amorevole. Ama terreno grasso, seb- ben per tutto s' appicca ; e il suo seme semina- to con diligenza al fin di marzo e aprile, na- sce e viene innanzi traspiantato grandicello; ma meglio è cavarlo con le barbe, e prender di es- so dove si trova fatto a cespuglio, o veramen- te tutto il cespuglio insieme, e metterlo dove ha a stare, che è nelle Ragnaie, o per farne sie- p); le quali riduconsi a sesto, obbedendo alle forbici, e serran bene insieme. Fa fiore bianco odorato; e stillato, esce similmente acqua con. odore. -- Il Levistico di Levante ha la foglia mag- giore, ed è più liscia la sua buccia, e cresce più alto. Fa i fiori molto primaticcj, e grandi, fioc- cuti, di color bianco in pagonazzo, che dura- no pochissmo, come anco in su l’ arbore. Non fa buon seme, perchè svanisce; e si trapianta spiccando delle messe che fa senza numero dal. le sue radici,

Il Luppolo ( Base marina, Lupo, Salictario ) nasce ancor esso fra le spine e siepi, e sopra quelle si fortifica ed aggroviglia. Si pianta a magliuoli come la vite, d'autunno; e se il fred- do o ghiaccio dia impedimento, di marzo Isar- menti si tagliano dalle radici mal trattate in terra, e si cacciano in terren grasso con buon letame quasi in monticelli argia:ti, e così ripo- ste si lasciano nel verno nei lati freddi, Di pri - mavera segli scalza la terra sopra cou la mar- retta, non col marrone, e segli ammonta attor- ho, nettandola dall’ erbe inutili, e dagli stérpi che potessino offeaderlo. ID’ intorno a mag- gio si ficcano i pali, a cui avvolge tutta la messa che egli. fa sopra; il fiore s' ha a tagliare d’ agosto al fine, o di settembre al principio. Si colgono i suoi fiori per temperare la cervogia. Fatta questa prima ricolta, .ilup- poli si tagliano fra le dué terre, e si lascian

/

152 fg la terra un: po” ricoperti, coltivaudogli come.

è detto. Ancora le sue cime tenere e messe, o da principio della” primavera, , poi si condisceno a serbar nell” aceto , éd anco colte e cotte come gli asparagi sono buone ‘ed in mi- nestra, ed in furte.. Giova a provocar l’oripa ,' 6, mollifica le. rene , e beuta' nel siere leva le" femme. nocentissime ‘dello stomaco. Nella doglia. del, capo, che assida nel mezzo di esso, vi strofina il suo ‘succhiîo, o în pezza lina entro cac- ciato si lega, e lo mitiga. addomanda Ji up polo in alcun luogo Pollone.

La Lente tra i legumi è molto commenda- bile, comecchè lessata prima con la polenta , , © impiastrata dove premun le gétte, sia in gratt- de aiuto 'e diminuzione di dolore. È per man- giare quella è ottima che agevolmente si cuoce, benchè il produrre i lesumi” assai colto] il più delle volte procede dal terreno e paese, La lei te poco cotta solve il vento, e mavgiata, da se- ra concilia il | s0an0, e fa sognare assal; sl dice, cotta col porco, e da per con olio, e “con erbette, massimamente odòrifere', come siepitel- la e menta tritatavi dentio . Sono le lenti di due sorte in Egitto, una ché è rotonda e nera) l’altra ordibaria come la nostra. Tieasi. ché quelle lente sieino ottime che succiano assai acqua; | e tali diventeranno e grandi e grosse, se prima. che si seminino siano state in molle nel làser-" pizio, 0 vero macerate con l’ acqua tiepida , ‘di sfattovi dentro del salnitro per da dì. Aocora meglioreranno, e più tosto saran da. cuocersi e maggiori nascerauno se innanzi che le_si semi. nino saran state sotterta per un poco nel litame. di bue, o vero in esso rinvolte si semineranno ;. siccome i ceci dentro al lor guscio non macera- ti nell’ acqua, ‘meglio nasceranno e' maggiori; e più presto. Verranno & far frutto seminandogli

153 insieme, ed il salnitro gli fa cotto]; siccome macerando nel méle o nel latte tutti i semi fa- ranno i lor frutti più dolci. Dove si semina le lente, sia vagliato: il terreno, massimamente di- lettandosi esse di non spessa terra. che si am» massi nel campo ; deono esser seminate a luna crescente in luogo di terra risoluta e gras- sa; ed in quella maniera s' assicureranno dal- le lumache; nei luoghi assai freddi, di feb- braio; nei gelati, di marzo e aprile; nei caldi più per tempo, a mezz’ ottobre, o di novembre. Vengon bene anco in terreno leggie» ro e minuto, come nel grasso e secco sotto cie- lo che non molto piova. Sono ancora due tempi buoni a seminarle; uno presto a mezza sementa, l’altro più tardi, di febbraio. Deesi arare mi» nutamente , e tritar bene la terra con l’erpice, avvertendo sempre di gettar giù il seme che la terra sia asciutta e del tutto disumorata. Fiori» scono di luglio, ed in fiore molte volte han troppo rigoglio, e per il troppo umore si gua= stano; e perciò avantiche elle si seminino, è ben tenerle nel letame secco d’ogni sorta, e ben ricoperte lasciarnele stare per quattro, o cinque dì, e da quello tolte via, subito seminarle. Rac- colgonsi a luna vecchia, chè cosî meglio basta- no, e si conservano da’ punteruoli. Cavate ch’el- le sono dei lor guscj, mettonsi nell’ acqua, get- tando da banda e dispensando ai polli quelle che stanno a galla, e l altre che andranno al fondo :( come sode e buone, punto vane ) si ripongano per serbare, seccate bene prima al sole, e spargeadovi delle radici di Silvio, det- to Assa fetida, peste e macerate con aceto. Doppo averle stropicciate di nuovo risecche bene al sole e raffreddate, saranno meglio rassi- curate nel granaio essendo assai, e le poche si ripongano nei vasi dove sieno stati i salumi, 0

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154 nei céppi dell'olio, coprendogli e serrandogli «bene col gesso. Si conservano anco fra la cene- re. Amano esser sarchiate .

Le Lenticchie son tutt’ una con le Lenti, ma queste sono di razza più minuta; si semina- no di novembre, e di giugno si raccolgono4 a- mano d’ esser seminate dalla vigesimaquinta lu- na alla trigesima. Così in terreno sottile e di- sciolto , come in grasso ed in secco faran bene perciocche dall’ umore e troppo crescere si gua- stano nel fiorire. La Satureia cotta con le len- tiechie le rende più appetitose e saporite, mas- simamente mescolandola nel loro intriso fatto di lenti cotte sfracellate e passate per stamigna, accanto rifriggendovi l’ altre cotte lesse nel te- game. Hanno le Gentildonne Romane una pro- prietà di accouciare unicamente queste lentic- chie che chiamano Romanesche, facendovi so- pra un rifritto di saporite odorifere erbette tri- tate bene e poi mesticate con esse, e mescolan- dovi anco dentro anici pestati e puleggio mi- nuzzato bene; e ciò le fa diventare manco gon- fianti, e ventose; con la sapa sono malsane, cone con tutte le carni insalate. Le bietole tri- te ed il prezzemolo con le lenti cotte si dico- no accovciamente . Scortecciate, si megliorano di condizione più sana, e cotte con la carne grassa sono d’ogn’ altro modo più appetitevoli, chè questo elle desiderano quaato l'olio buo- no; éssi tentato di fare il pane con la farina di lente, ma indarno; chè scanicano, si ten- gono insieme.

Il Lupino è il primo legume a seminarsi, l’ultimo a raccogliersi, e siccome il cappero de-. sidera la negligenza del lavoratore, facendo an- co in sul nudo terreno , e cacciato ben sotto es-. ce fuori, facendo in ogni modo le radici in som- mo del terreno medesimo , disprezzandone al-

i 155 cuna sorta, se- non del cretoso, umoroso, e fan- goso, bramando di sua natura la terra debole, leggiera, e rossa. Quelli che si seminano per ingrassare, seminan d'agosto nei campi e nel- la vigna doppo |’ iuvernata , quivi con l’aratro, e quì con le marre ricoprendogli. arrovescia- no d'aprile o maggio quando son cresciuti a conveniente grandezza; e nei luoghi sabbionosi quando hanno il secondo fiore, e dove è la terra rossa si deono mandar sotto. Nelle vi. goe magre e disfatte fanno meglio che il leta- me, il quale nuoce al piè delle viti, e dan- dune una giomella de’ cotti con acqua, ed ac- canto una al calcio quando si zappa, giovamen- to grandissimo darà loro. Ed ancora quandole viti scoprono e si piantano dentro in quella buca , pongavisene un pugno. Si seminano dop- po la raccolta in sul sodo, e ne’ faùli arati due volte intorno al principio di primavera, e poi del mese di ottobre si tagliano con le marre insino a terra, e si stendono per i solchi rico- prendogli, sopra i quali (seminato il frumento) si rivolge la-terra sozzopra col vomero, e così di nuovo vi riviene ottimo grano, e vi si può riseminare acconciamente ancora l’ altr® anno, ed anco la segale se sia il terren buono. Si posso- no fuor di questo seminare ilupini tra °l miglio nella sua seconda sarchiagione , iquali colti pri- ma procureranno buon grano, purchè vi si se- mini più fondo dell’ ordinario. Ma per raccoglier- ne il seme si spargano i lupini non troppo fon. di a luna crescente d'ottobre e di novembre dopo l’equinozio, cogliendo tempo avanti le pioggie, e di tanto che possa esser gagliardo in- nanzi al freddo; chè trovandosi tenero gli no- cerebbe. Ed avanti ch'e mandin fuora il fiore che fiorisee tre volte, di maggio, di giugno, ed in ultimo di luglio, vi caccino i buoi, che

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pasceranno tutte altr® erbe, non toccando quel lo. Doppo ciaschedun fiore produce i baccelli; le bestie non mangiano i lupini verdi, ed i gam- bali secchi attagliano lor fuor di modo, sicco- me il pane agli uomini fatto di lupini gli nu- trisce e fa campare; ed in Spagna sono popoli interi che di quel solo vivono. Addolciscono i lapini con l’ acqua:, poi rasciutti al sole gli ma- ciano e fanno della farina il pane, rifacendolo spesso; altri vi mescolano farina d’ orzo e di grano. Volendo sarchiargli, conviene intorno a questo tempo a terreno asciutto, e destramente perchè non hanno che una radice, e quella in pelle. E sebbene il sarchiargli non è loro. neces- sario più che tanto, tuttavia il farlo quando sie- no in terreno non troppo buono, non nocerà lo- ro, anzi diventeranno assai più belli. Sono mol- ti che tengono per opinione ch’ e’ faccian me- glio ne” luoghi caldi, che ne’ freddi, e semina- ti ne’ terreni fiacchi e leggieri, deboli ed are- nosi, che nei gagliardi; contuttociò seminando- gli di marzo pur a luna crescente in terreni bene ordinati ed anche letamati ( perchè ognu- no alla fine gode e si allegra del bene ) pro- veranno senza pari. Avvertiscasi tuttavia di lesgiermente ricoprirgli. Si raccolgono di giu- gno o di luglio, e dobbiam mietergli quando sia piovuto, 0 l’aere umido, la sera o la mat- tina avanti al sole. E quando si battono, siano ben secchi i baccelli, chè più facilmente usci» ranno schizzando fuori di essi battendogli bene, e minuzzando i lor gambali con i coreggiati; e

similmente si ripongano in lati asciutti -ove pe- metri il fumo; con cenere ed acqua calda si fanno di più piacevol sapore, e:con l’acqua cal- da sola presto s’indolciscono, e con Ja fredda, mutandola spesso tantochè sene sazino. I lupi- ni fatti dolci e mangiati con pepe e ruta, mon=

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dificano il fegato, e purifican la milza, edama- ri vagliono contro agli aspidi. Gotti cou la ra- dice del Camaleonte inedican la scabbia alle pecore, così lavandole come dando loro di quell’ acqua a bere. Di tutto quel che si man- gia da’ viventi secco, ha meno peso, e più uti- lità.

Il Lupinello nasce da per se in tristissima terra, siccome nel mattaione , sabbia , e creta, fitto per tutto lo produce il terreno; va terra= gnolo, e somiglia alla foglia il domestico , sen- do questo il salvatico. buono strame per le bestie ; fiorisce presto di fior bianco in rosso affatto. Cogliesi segando quando è in fiore e ser- ve acconcio in pagliaio alle bestie grosse, e minute.

Il Lino , dice Plinio gentilissimamente, è un’er= ba che in quattro o cinque si trasporta da Gades a Ostia, ci veste, cicalza, ci ammanta, e fa dormire. Aracne fu la prima ritrovatrice dell’ uso suo. Il lino seminato iotristisce tutte le terre, ancora danneggiando le grassissime e fon- date. E così fatte le richiede, che siano alquan= ‘to fresche ed umide, e massimamente se in tali siano state prima seminate delle rape, e appres- so ben letamato. Alcuni lo giudicano star bene in terreno arato una volta sola , e seminato spes- sissimo per farlo più sottile e fino. Mala diritta è farlo sul vaugato, ed in terreno grasso e buo- no. Ne sono di due sorte, vernio, e staterec> ci10 3 il vernino si semina innanzi l'inverno, neil’au- tunno innanzi at grano per la vendemmia di set» tembre; ne’ paesì caldi, dal principio di settem- bre sio a gennaio, e d’ottobre e dicembre; nei temperati, di febbraio sin’ al fin di marzo; nei freddi il vernio di marzo e nel principio d’ apri- le, e lo statereccio, detto stio, nel fin d’aprile sin a mezzo maggio, ove si possa adacquare, è

158 speri la pioggia, e nei freddiancor più tardi . Il vernio non farà male in terre non molto gras- se, e non molto letamate, e purchè siano leg- gieri, essendo grasse. Riesce male nelle terre mojito pastose; amerebbe di sua natura la terra arenosa, grossa e terrosa. Ama luoghi caldi dove geli poco, e dove a’ bisogni si possa adacquare ; lo stiè non desidera luogo asciutto, ma terre grosse e umide, e bene stabbiate, e rivolte con letame macero, e cenerein abbondanza, e quello sia di capre o pecore. E si seminerà acconciamente in terre temperate , e in più fredde d'aprile. Ad ambedue conviene ben lavorare il terreno con ara- re ben a fondo il primo soîco , l’altro mezzana- mente, ed il terzo manco, minuzzando, tritando, erpicando con diligenza, e si sparga fondo in ore fresche, ricoprendolo poco. È prima si può tene- re anco in molle nell’ acqua, nel secondo quar- to della luna crescente, chè così darà fuori me- glio. Sia il seme d’ un anno, mai passi due, chè per essere umidiecio si corrompe presto. Sia tenuto ben netto dall’ erbe, c quando è piccolo , sarchiato; e più d’ una volta ritocco col marretto, e massimamente ove s' adacqui, perchè più erbe assai vi si generano. Dove convenga adacquarlo, sarà assai una volta la mattina, ed una la sera in una settimana, satollandolo lungamente. si segua più, quando egli comincia a mutare il colore, e perchè stia più saldo e più sodo, e me- glio regga al gramolarlo, convien corlo, ed an- che porlo in macero nell’ acqua dolce, corrente poco, o stagnante. A luna scema è da sveglierlo quando è maturo, ed è maturo quando è giallo il filo, e grossa la boecetta che tien la sementa e gonfia bene, la quale affinchè si faccia tanto più, svelto e fattene le manne, legate strette, si dee aperte voltar le radici al sole dove non sia l’acqua, e questo molto gioverà con tenerlo di-

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teso dalla rugiada. Stato così due giorni, si scuo- tano le manne in sur una tavola di legno, e a- sciughi; altri cavano il seme carminando il lino col pettine di ferro, e con esso cavan le boccie; chè poi poste al sole, ne casca il seme. Dipoi riponga in luogo asciutto. E se si pon- ga in maceto in acqua che non corra, si farà più presto che nella corrente. Stia ben sotto l’acqua aggravato da pietre, ed in tre si stagionerà nella stagnante, e nella corrente in cinque o sei, ‘osservando che mentre che egli sta nell'acqua, non tocchi mai di due lune perchè si sfracelle- rebbe nel gramolarlo. Si conosce che è fatto, quando le sue membrane o fili s’ allargano assai, Gavato dell’ acqua si pouga su per gli arbori @ siepi ad asciugar bene al solatìo, o in sul terre- no asciutto . Ripongasi poi in luogo ove non sia punta umidità, ma quando si a gramolare, sia tenuto prima un poco all’ umido perchè regga meglio; e si pesti col maglio della stoppa, la qua- le si divide col pettine a diversi e più grossi usi. Dalla stoppa ancora si scerne con i medesimi pettini di ferro il capecchio , buono a tesser fila» to, tele da sacchi, e coperte grosse , eda scale dare il forno come la scaglia della prima cortec- cia che gramolando ‘casca a terra del lino; il quale gramolato e ben pettinato si a filare alle donne , benchè già ancora gli uomini nonaveva- no il filare per disdicevole, o cosa non convenien- te. I Cadurci, i Ruteni, i Biturigi, ed i Caleti banno bonissimi lini, e perle coltrici e materas- se ottimo è quello de’ Cadurci. In Francia è ot- timo, e di saldezza e sodezza passa tutti gli al- tri quello di Olanda; il Parigino è eccellente, ed il Trecacino avanza di morbidezza ; ma in Italia ne porta il vanto quello di Napoli, di Pozzuolo , ed il Viterbese, e di fuori l’Alessandrinò . È sta- ta, scrive il Ruellio, ritrovata una sorta di lino

160 che non abbracia al fuoco, e chiamanlo vivo, e già ne’ fuochi de’ conviti si son veduti vasi che si nettano arsa la lor lordura e più assai risplen- denti col fuoco, che non si potrebbero con l’ac- qua. Nasce ne diserti dell’ India abbruciati dal sole, dove non cascan pioggie , fra i serpenti cru» deli, dove s'avvezza a vivere ardendo , raro a ri- trovarsi, e difficile a esser tessuto per la cortez- za. Il suo color rosso risplende al fuoco; quando è ritrovato, pareggia il pregio delle più rare per- le. Questo lino ha il principato in tutto il mondo, prossimo al bissino, che è reputatissimo nelle de- lizie delle donne interno a Eli, generato in Acaia e barattato già uno scropole a quattro denari come loro. Pausania scrive non nascere il bisso in ‘altra parte che in Elide di Grecia di tanta sot- tigliezza che non cede al bisso di Giudea, seb- ben rosseggia manco di questo. Di quel bisso son pieni i Libri delle Lettere Sacre. Scrivono il bisso essere una sorta di lino appresso gl’ Indiani; ed appresso gli Egiz) da un frutice cavasi la lana, colla quale si tessono vesti, dai panni lini sola- mente di grossezza differenti. Produce quel frutice un frutto simile alle noci, mirabile e celebrato per le divisioni che ha, che quando s’ apre per la. maturezza , nella crosta interiore mostra una lanugine che si fila, della quale ordiscono la tra- ma cacciando sotto lo stame che egli ha di lino . Già fece menzione d’ un’ erba in India, deila qua- le si tesse un drappo come taffettà. Ora del mede- simo lino si cava la stoppa, della quale si fila l’ac- cia, la quale quanto è più filata sottile, fa le tele più fini e di pregio maggiore. E volendo il lino sottilissimo e finissimo s si dee seminare in ferre- no magro, fittissimo. E le tele fatte di questo più ialaishetgino all’ aere, all’acqua, ed alla rugiada, e similmente il filo; ed ancora nel ter- reno grasso quanto più sarà seminato fondo, di-

161 verrà più fine, e manco sarà occupato dall’ erbe, le quali anco quando lo noiano, conviene sveglie- re a filo a filo; e se sarà prima da piccolo. sarchia- to, sarà tantopiù utile. Illino che sarà in mace- ro nell’ acqua corrente, farà più biancoil filo, e tanto più, quanto meno starà ammontato nell’ ac- qua l'un mazzo sopra l’altro, perciocchè nelle pile o trogoli acqua tenendolo a macerare, sarà più nero. Ridotto poi ch° egli sia con la rocca a filo, si dee fare un fortissimo ranno di cenere di cerro per porvi dentro le matasse dell’ accia con esso a bollire, facendovi sopra della medesima cenere il ceneraccio che la ricuopra , quivi sopra gettando la liscla bollita, e facendola uscir per di So: e quattro o sei volte rimettendola da capo;

e poi cavate il secondo le matasse, scosse bene e sbattute si pongano in un’ altra conca ‘piena di ranno un po’ più dolce, fatto di cenere di sarmenti o di altro. legname leggieri, che sia chiaro e ben netto. E ciò si dee fare un sì, e uno per quindici dì, e così inzuppate si faccia un altro bucato, e nel metterlo nella con- ca da ciò, vi tagli di man’ in mano del sapo- ne a suolo a suolo, bollasi appresso, cioè getti- visi sopra la liscìa” bollita, ed il seguente scuotasi ad una ad una ogni matassa d’ accia, c si distendano sopra asse ben nette al sole; e il e la sera si ritornino pell istessa liscìa chiara, minuzzandovi sopra dell’ altro sapone, e facendo quest” o:dine di giorno in giorno, babbo lac cie sien diventate bianche quanto bisogna a ref candidissimi che si desiderano per i lavori sotti- li, sfila, rezzati, ed altro d'importanza; e si segua di metter le matasse sopra le tavole, sco- tendo prima sempre dall’ acqua siu al fine, come di far loro la bucata egni notte. E volendo far grande impresa di linî, e che profitti bene, co- minciando primamente a spargere del mese di

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marzo del trifoglio tra le biade, e segata poila stoppia trifogliata avanti mezzo luglio, ed il fieno al. fin d'agosto, letamando il prato avanti Na- tale, e poco doppo, e segatolo tre volte dal mag- gio seguente sin al settembre, arerailo doppo mezzo novembre affinchè sia cotto dal gelo, non facendo troppo dentro andar l’ aratro, percioc- chè il proprio del lino è venir bello ove sieno spesse le radici del trifoglio, che si ritrovano in quella parte rivoltata sozzopra dali’aratro, che viene a esser molto spugnosa , onde con facilità molto vi si allargano dentro le sue tenerissime barbe ; e vi si semini negli ultimi di febbraio, o nei primi di marzo piuttosto fondo che altra-_ mente, sarchiandolo poi e nettandolo dall’ erbe come gli altri, e facendo le porche ove sisemi- na larghe con i solchi dai lati cupi e profondi come i magolati del grano, con i suoi pendii che l’ acqua ne esca, e non vi stia ammortita punto, o vi resti dentro. Ed è buon seme e ne fa in copia ilLin Galavrese, e per tele e lavori grossi non ha pari, e così sottile quello di Poz- zuolo è eccellente accanto quel di Viterbo, e quello di Parigi è-eccelientissimo ed è raro per moltiplicare e profitta. Ed in somma si dee os- servare di cambiar tuttavia il seme dei luoghi. Fassi olio del suo seme, spremendolo al torchio ed è buono ai panni, a ardere, ai legnami ed ancora ai pittori .

, Il Loglio nasce naturalmente da per se nel principio dell’ inverno tra °l1 grano, e tra l'orzo; e facendone pane (macinato che insie- me sia ) fa grandissimo danno all'uomo, facen- dolo diventare stupido, attonito , e come ubria- co, incitandolo a un gravissimo sonno. lm- perciò quando si sarchia il grano, si dee diligen- tissimamente estirpare, c se non si può tutto sver- re se nonquando è battuto, col vassoio di legno

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163 stendendovelo bene, si dee tutto con le dita tra-

scerre, tanto nel grano quanto nell’ orzo; fa- cendo ancorale bestie sonnacchiose ed addormen-

tate. Suol nascere il loglio tra’! grano, e tra

l'orzo, massimamente quando il terreno è troppo umido , quando va piovoso troppo l'inverno. Alcuni tengono opinione che talora nasca dal lino; imperciò il grano dell’ Egitto , e del Ponto manca del loglio; ed in Sicilia. quello che nasce nel paese di Girgento riarde il grano, egli leva il suo nutrimento ;} ed ancora Lena e disecca quella porzione di terra ov’egli nasce; è peste della terra e delle biade: contuttociò cotto con vino e con sterco d'asino, e conseme di lino, e fattone impiastro dissolve le posteme, e le serofole; e cotto con la corteccia delle radici, e posto sulle ferite già putrefatte, le mondifica e sana. Inoltre perturba mangiato mescolo tra la farina del grano grandemente il cerebro e la testa. La Lentaggine è una pianta ché s'alza da terra quanto il Levistico 0 poco più, di foglia sempre verde, e men appuntata di quella dell’a]- loro e più folta, e come il lentischio; tuttavia ha o fiore o coccole fatte o acerbe, facendolo in ciocche com°il finocchio , di color luccicante in argento torbido, bigerognolo. Non ha pari per fare spalliere basse, mezzane, ed alte, e per fare strade coperte nei giardini che non vi possa penetrare il sole; similmente riempie bene i fan- tocc) negli uccellari de’ tordi, o sia ella pianta- ta in essi per farli sola, ponendovene fitte tre o quattro piante insieme, 0 pur mesticate con lec- cio, 0 lecciastrella, o corbezolo ; in tutti i modi fa buono acconcio, e bella sempre perpetua ver- dura. E conveniente ancora nelle raguaie a farvi le strade coperte, ed alla rinfusa piantata fra

l’altre piante, e dalle bande per far siepe agli

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uccelli. Ed a questo è ancora buona intorno agli uccellari tenendole basse e folte. Nasce nelle mac- chie fulte da perse, e nei monti aspri e sassosi, e soprattutto }’ Isolotto dell’ Arno è tutto pie- no. E maturo il suo seme quando si stacca dal gambo agevolmente e casca a terra, ed allora si dee raccogliere ponendolo all’ uggia , e spesso ri- voltandolo al fin di settembre, e di ottobre, o novembre, ed anco di marzo si può seminare in terreno trito minuto e grasso per trapiantarlo nato di a un anno. Nasce da per se con age- volezza, e seminata, con stento ed appena in tre mesi fuore. Imperciò è meglio cavarla con tut- te le barbe piccola di un braccio alta un po’ gran- detta col suo pane d’ottobre a luna crescente. Ob- bedisce alle forbici che ie danno ogni forma, e fa belle chiuse a’ pratelli .

La Malva è di due ragioni, salvatica e do- mestica; ambedue volgono le foglie col sole o co- perto o scoperto, e come l’ altre erbe col fiore lo seguono. I Fisici ne dan la causa alla detra- zione dell’ umore, perciocchè par cosa ragio- nevole. che’! sole gli faccia piegare a se quan- do è grandemeute in calore. La Malva arbore- scente , scrive il Mattiuolo che la procede dall’ar- te, tirandola innauzi dalla malva ordinaria. A1- tri tengono che questa sia una spezie di per se, buona (secco il suo fusto) a far bastoni leggie- ri per appoggiarvisi su. Scrive Plinio che la cre- sca in Arabia in albero in sette mesi. Si legge d’ ua’ altra Malva arborea che fa in Mauritania appresso Lixo, Castello dove si dice esser già sta- ti gli Orti Esperidi, d’altezza di venti piedi, e di grossezza più dell’ abbracciatura d’un uomo. E di questa. medesima grandezza dicesi parimente ritrovarsi del Canape. Se alcuno si diletti di se- minare della domestica, facciasi di ottobre ; di- lettasi di lato grasso ed umido concimato. Tra-

169 piantasi come sia di quattro o cinque foglie, che così tenera appicca meglio; la grande diventa passa . Ritiene più natural sapore, © miglio. re non trapiantandosi, e nata in sul suo letto a lasciarvela stare. Mettesi nel mezzo del suo cesto quando è piccola una zolla, o una lastra che ‘l’aggravi perchè non faccia tallo ; e questo quan- do è tenero, cotto come gli asparagi e condito si mangia , è insuave, ed è lubrico , e muove. Di- lettasi esser sarchiata spesso, ma conviene. avvertire di non ismuevere la barba maestra. In trapiantandole, facendo loro un nodo, resteran basse. I fiori della malva mangiati in insalata non sono insipidi ed hanno del lenitivo. Ingras- sano la terra le malve più di quello che ella è. La malva domestica quantunque ella si trasan- di, punto si procuri, non mai degenera nel- la salvatica, la quale è striata, minuta, e di più piccola foglia. Usavano gli antichi la te- nera malva nell’ insalate. Provocano cotte l’ori- na, e giovano a coloro che patiscono della pie- tra. S ha a porre la malva rada, che così farà più bel cesto, e sarà più vegnente e vigorosa. Ma- lagevole s1 sterpa dove sia una volta abbarbicata. I Malvooi che fanno i fiori ora biavchi, ora incarnati, ed ora varj e brizzolati, sono d’ un’ al- tra spezie. Crescono sopra 1’ altezza ua uomo, e ad ogni rodo dan fuora un fiore, f.tto ia fog- gia del fior delle campanelle. Questi seminati di maczo, si trapiantano d’un mese, e nei divel- ti fan buona prova negli orti.

__ Il Malvalischio, detto Altèa, ancor esso è spe- zie di malva, di foglia un poco grossa, più pal- lida, e scolorita, e s’elèva da terra e fa fusto . nascendo nei iati dove senta nmidità La radi- ce dii questa è perfettissima a tutti gl’ irapiastri che fanno per diversi malori a’ cavalli ; sec- casi all’uggia, riavenendo al mollore.

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La Mercorella ha il maschio e la femmina: questa ha le foglie bianche, quello l’ha nere; nasce nelle campagne e luoghi coltivati , e qual- che volta è frequente nelle vigne, dove quando si vede è di necessità estirparla, dando ella cattivissimo sapore, ed odore di se stessa tristo al vino. È cosa di miracolo quello che serive il Mattiuolo , che si dice che il maschio gene- ri maschio, e la femmina femmina. È erba a molto uso medicinale .

La Mandragora chiamata da Pittagora An- tropomorphos, cioè di forma d’ uomo, ha il maschio e la femmina; questa è nera con le foglie di lattuga, ma più strette, che si disten- dono a terra, pelose e col frutto di grandezza della nespola, di color bigio sbiancato, di for- ma di sorba, di sapor vinoso, dentro la quale è un seme simile a quello del pero, con gran radici intrigate carnose e polpute, dentro bian- che e di fuora nere. Il mastio è bianeo, di foglia somigliante alla bietola Siciliana, deli- cata e bianca, il doppio maggiore della fem- mina e più larga, e così più somigliante il tuor- lo dell’ uovo, di grave odore, ma però non ine grato, e le barbe bianche, le quali bollite con avorio per lo spazio di sei ore, di medo l’in- teneriscono ( facendolo arrendevole e trattabile } che segli può dare qual forma altri si voglia. Nasce da per se la Mandragora nei monti e nel. le alpi, e massimamente nel monte Gargano di Puglia chiamato di Sant’ Angelo. Molti miraco- li racconta d’ essa il Mattiolo, se però son da credere. Inducono i pomi delle Mandragore gra- vezza alla testa ancora con l’odorargli, sebbe- ne in alcuni paesi sia chi gli mangia veggen- doli così belli e non lo sapendo; perchè per il troppo odore grave ammutoliscono , e sorbendo- ne largamente si muoiono. Si fa un vino della

167 corteccia cruda della radice mettendo tre once sole di questo liquore in un vaso di vin dolce; e si a bere a coloro, ai quali si dee segare o dar fuoco a qualche membro, perchè si ad- dormenti i sensi a non sentire 1 dolori. Il seme della mandragora purga la genitalità naturale delle donne ; il sugo posto al luogo manda fuo- ri i menstrui ed i parti morti. Alcuni ancora affermano che °!seme si ricerca per le cose ama- torie. È cosa favolosa ( scrive il Mattiuolo , ) a credere che le mandragere abbiano le radici di forma umana, come crede il volgo ignoraute, e le semplici donnicciòle, e che non si possan cavare - di terra se non con pericolo, e che am- mazzino chi lecava, e che s'impecino gli orec- chj a fuggire il grido.

Il Maro si ha d’ India e fa un cesto come il Timo odorato, ha la foglia piccola, e pare spezie di Persa con la foglia un poco sbiancata. Piantasi nel testi, ove nasce ancora di seme; convien ritirarlo nei tempi freddi in lato caldo, e sendo piantato a solatìo alla campagna, d’in- verno per conservarlo cuoprasi in ogni modo, scoprendolo a’ buon tempi e solatit. Vuol’ esse- te l'estate destramente adacquato. Piantausi an- cora i suoi rametti, e s’ attaccano.

Le Melenzane vengono di sementa d°In- dia, e sono da alcuni chiamate Pomi d’oro; sono queste schiacciate come le melerose, e fatte a spicchj, di color prima verde, e come son mature in alcune piante, prima rosse come sangue, ed in altre di color dell’ oro. Si man- giano cotte, come i tartufi. I suoi semì si con- servano sin’ al tempo del seminarli nei suoi frutti ed a marzo mandano in terra leggermente ri- coperti, e di cinque o sei foglie cresciute si tra- piantano lontane l’ una dall’altra un braccio e mezze negli orticini, o in aiuole di grasso ter-

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reno ben letamato. Vuol’ esser subito traspo- sta, adacquata di continuo. Aggravasi questa pianta talora e di frutti e di frondosi rami che convien ficcarvi attorno delle cannuccie che la sostengano in piedi; quando i suoi frutti son verdi si colgono per mangiare e mondata la lor corteccia tagliati in girelli si cuocono come i tartufi, ed ancora fritti nella padella son gu stevoli .

La Menta salvatica è troppo sappiente ed. acuta, la domestica è delicata e gentile; quel- la nasce alla campagna, ‘questa (così la stretta come la larga ) si procura negli orti. Seminasi a marzo, e piccola si trapianta nell’ aiuole ben grasse e letamate; fa bene così nei luoghi apri- chi, come negli umidi. Tondesi al freddo, e coperta bene con letame fresco nei luoghi cal- di si salva con la foglia o almeno la radice per pullulare, a primavera scoprendola dal letame, e zappettandola e dando nuovo sugo disfatto e marcio'seriza toccarla mai con ferro, ma con la ma- no decimandola, chè quello le fa gran danno. Tra- piantasi ogni suo rametto spiccato dal cesto con un poco di radice, e fa pruova ancora a sola- sìo, in terreno non grasso, non letamato, adac- quata l’estate. In terra dolce presso alle fanti se «ti venga meno la razza della menta, raccolgasi dai campi sodi la menta salvatica , e si ponga con la punta volta in giù; così s ammanserà, e lasciata quella ruvidezza salvatica, piantata di rametto spiccato dal cesto. Deesi alla men- ta ogni due o tre annî mutar terreno e pianta- ta una volta dura assai. L’ estate sta verde il verno 0 secca del tutto, o diviene gialliccia. Aristotile ricerca perchè venisse in proverbio, che non sia da piantare da mangiar menta in tempo di guerra, e risolve che è perchè la in- frigida e debilita icorpi consumando il seme ge-

| 169 nitale, ove consiste la fortezza e la gagliardìa . Il Mentastro, e la Menta salvatica è tuttu na; e la Menta Romana èdi tutte la migliore.

Il Marrobbio si trova per tutto, e soppor» ta ogni terreno. k erba di grave odore, e ri- stucchevole; trito col sale, e posto sopra il mor» so del cane arrabbiato ha gran virtù, e con mé- le mescolato netta le piaghe puzzolenti.

Il Matricale ha l’odore della Gamomilla, nasce per ogni luogo, e fa attorno alle siepi. Si semina di marzo e le sue foglie si posson mettere fra "1 mescuglio delle insalate amare, quando da prima son tenere e fresche.

La Maria Santa , o Erba Santamaria, viene di seme, e s' attaccano i suol rametti staccati dal ceppo. Ha cedore aromatico, e ancor essa condisce l’insalate dell’ erbe amare; ama terren grasso, e acqua. 0

I Melloni sono le Angurie di razza di ci- triuoli, un poco più lunghi e viocidi, di forma torta, sottili dal cominciamento, e nel finire grossi e rotondi . Seminansi nel tempo de’ cetri- uoli, e bramano essere adacquati nn po’ meno.

La Maggiorana, o vero Persa fa bene nei vasi, e posta negli orticini a mezzogiorno; se- minasi di marzo con tre o quattro granelli di seme insieme, lontani l°’ un dall'altro un mezzo piede. Trapiantasi di maggio quando comincia a esser grafide, come il bassilico; viene innan- zi a ramelle spiccate dal cesto con un poco di barba, è si vezzeggia con buon terriccio, e dei- tro ai luoghi caldi si ritira per il gran freddo, al quale talora alla campaga fa resistenza. E si può farne impresa per dar via del suo seme per abbonar la cervogia a’ Tedeschi, e per por- re in su le lor vivande, oltre alle nostre salse e saporetti in che s' adopera, nei quali condi- menti ogni poca serve. Fa bene in terreni die

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170 i sciolti, delicati gentili e senza pietre, ed in tutte le terre dove vien bene il lino. Convien rompere il campo innanzi al verno, e da mez- zo gennaio in ritagliarlo letamato prima be- nissimo di letame vecchio marcito, ed allora se- minarvi il seme della maggiorana spargendolo mesticato con l’arena, perchè venga uguale e fondo quanto fa di bisogno ai "'suci cesti non troppo grandi, al marzo ben rastrellando perchè incorpori, e con il rastrello ricoprendola. An- cora sarà meglio aver vangato di novembre il terreno a mezzo ‘1 mese, ordinandolo come è detto, e seminare . E chi crivellasse questo ter- reno vangato per un palmo gettando il seme fra questo, potrebbe asnettare più belle piante, e maggior ricolta di seme, per essere quest’ erba gentile, ed amare il terreno ben trito e minu- tato. Nata si può conguagliare, e levando do- ve una pianta e dove un’ altra, far che sia un palmo dall’ una all'altra; a questo tempo si sar- chia, e si tien netta dall’erbe triste; dipoi al lug] io, oal giugno, o all'agosto di man’ in ma- no che la si vegga rimettere. Quando esce il seme tagliala, e sbattasi sopra i lenzuoli, stac- ciandolo poi perchè rimanga netto, e prima sec- ca bene, vagliala con minutissimo crivello ; co- pulita e purificata servira al Tedesco cina chiunque voglia servirsene. È di mestiero ogni anno riseminarla, ma piantata " vasi di ter- riccio buono fa gran cespuglio, i I quale con le forbici si può formare a che foggia si vuole, o

di animale, o di aguglia, o palla, o altra figu-

ra, che tutte piglia, essendo alle forbici obbe- dientissima, con le quali si tiene a sesto, e pa- reggiata da ogni banda.

Il Miglio Indiano è stato portato in Italia da certo tempo in quà. È nero di colore, gros» so di granello, e di gambo simile alle canne.

i 171 lu portato anticamente a tempo di Nerone al-

tra volta in Italia, cresce all’altezza di sette iedi con grandissime pannocchie che chiamano Thi , fertilissimo più d'ogni altra sorta di bia- da, profittando di un sol granello sin’a tre mezzette; dee seminarsi di marzo nei lati umi- di. Oggigiorno i Franzesi lo seminano negli or- ti per bellezza, e fa il granello quasi alla gran- dezza di un pisello, di color nero e con un gambo a nodi come la canna, d’altezzadi cin- que insin’in sei piedi. Così scrive il Ruellio, e per altro nome addomandarsi Miglio Saracino, che si è veduto ed avuto nato con le pannoc- chie nere, ma il granello simile ‘al nostrale pur nero. Il Miglio nostrale a tutti gli usi passa innanzi al Panico, ed è migliore, e la sua fa- rina mesticata e cotta col latte fa un grazioso e gustevol cibo a mangiare, massimamente aggiun-0 tovi zucchero e spezierie, riducendolo in foggia. di torta nella teglia di terra, o tegame, chè questo più del rame fa le vivande migliori e più saporite. Cuocesi ancora la farina del mi- glio col grasso del porco, e con l’olio, e si mangia per grata dai contadini. Ma il miglio brillato cotto col brodo della carne, e fattone torta col lardo ed ancora con olio, è cibo mol- to buono ed appetitoso, arrogendovi sopra ca- cio Parmigiano grattugiato e pepe.. ll modo di brillarlo è questo: s’ incava un legno roton- do di bossolo, o sorbo che sia di diametro un terzo, e la buca un quarto, in giù un braccio e mezzo . Fassi a questa buca un pestello bistondo in cima, e con un manico da poter maneggiar- lo a due mani che suggelli appunto per il per- tuso, gettasi a meaate il miglio in fondo del legno voto, e col pestone si percuote per di- ritto con più forza che può, e tanto dura a ripercuoterlo di quà e di per tuttii ver-

172 si che resti mondo della ‘sua spoglia, la quale cavata fuora col miglio ignudo spula soffian- dovi'sopra, e così netto e pulito senz'altro si cuoce nei brodi, e si adopera nelle vivande. Fassi inoltre pane della farina di miglio, ma vuol’ esser mangiato caldo, chè così è di mi- glior sapore assai che freddo; nutrica leggier- mente, imperò costumano i contadini mangiar- ne io gran quantità. Il miglio ferma il flusso del ventre, mandà via i bachi, ed a questo è bene prima abbrustolarlo, e posto in un sac-

‘chetto caldo porlo al lato dove fanno dolore,

e con questo medesimo si sovviene al duolo de’ nervi. Il miglio facilmente si riscalda e cor- rompe se non sia ben secco; ma secco bene e messo in lato asciutto ben stagionato può basta-

re sin io cent'anni, e massimamente nelle bu-

che sane e bene acconcie. Di questa sua così gran durabilità par che ne dia indizio chiaro, che seminandolo di febbraio, 0 marzo, indugia a mascere più di sessanta dì, conservandosi in- corrotto ed illeso dentro al terreno, il quale resta sempre affaticato , debilitato, edimmagrito da questa sementa, se grandemente non gli dia del letame; e per questa cagione non è ben fatto seminarlo tra arbori che abbian vite sopra di loro, o fra altri frutti domestichi. Si dee dun- que piuttosto sementare nelle largure delle cam- pagne aperte, e spaziosi piani, ne’ quali deside- ra terra grassa e ben lavorata. Si gode nella fan- gosa e nell’umida, facendo bene nei letti che hanvo lasciati le piene de’ fiumi. Viene ancora nella leggiera, e disciolta, e nella sabbionosa se vi sia modi adacquarla spesso. Teme il secco, e rifugge il cretoso; disama i monti, ed annoia i colli; nei fondi delle vallate fa bene, purchè non siano intufete ed ombrose. Commendano che si semini prima anco in terren freddoso, acquoso ed

173 umido, e poi nel caldo; ma se sia motoso, e che vi si fermi l’acqua, non vi può far bene, come nel secco e magro, ed in tutti desidera d’essere qualche volta adacquato 0 che vi piova | Imper- ciò si dee sempre seminare in giorno eupesto di nugoli, umido, e da piovere, più che in sereno e chiaro. si semini avanti alla primavera, perchè si gode. dei caldi; seminato adunque di primavera farà bene perchè brama l’ umido. Im- perciò bisogna osservare la qualità de’ paesi: nei caldi più presto, nei freddi ‘più tardi, e vien be» ne anche seminato di maggio, di giugno, é lu- glio, come d' aprile, e quanto più si coglie il tempo ch'egli possa aver qualche rugiada d’ago- sto, che lo fa granire, risponderà meglio; ma dove è il freddo per tempo, sempre meglio è seminarlo senz’ altro di maggio. Il seme che s'ha a eleggere da seminare , dee essere di quel- lo che tuttavia apparisce verderognolo , o del mi- gliore che si ritrovi nel paese, perchè n°è del nuovo, dello spargolo, e del maturo in oro; sia ben secco, ben fatto, stagionato , e non vano. Ed il terreno in che si semina dee prima molto bene essere stato arato tre volte, ed erpicato , e letamato. E se si faccia questo lavoro in prato rotto di nuovo , 0 terreno boschericcio disfatto di fresco, vi proverà bene; siccome anco nei luoghi grassi, per 1 ciglioni de’ solchi, così a mezzo o nel fondo di essi, e tra le fave, quando sien rade in tempo che levate queste, si possa sarchiare e rincalzare ( che questo desidera) e tra 1 fagioli, e tra le viti che sieno piantate rade, ed egli rarissimo. Ma molti tengono i h°e? fac- cia danno tra le viti, e tra gli arbori Hi rl. Ma qualunque volta egli sabbia a semisare, è bene per un e per vena notte porlo in molle nell’ acqua dove sia scolato il letame, o in ac- qua stata al sole a intepidire, o al fuoco,

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stemperatovi dentro letame grasso marcio, dando a’ polli tutto quel che resta a nuoto; e per un’ ora innanzi che si semini spargasi per qualche log- gia in luogo polveroso dove.non batta il sole, e quivi rivoltandolo con la granata 0 altro spesso, si procuri che s asciughi che si spiccino l’un dall’altro granello. Più appresso si semina a tut- ta via rado nell’ ore della mattina avanti al sole, o la sera, o di notte, coprendolo prima bene con l’assolcare- che fa l’ aratro, e poi erpican- dolo, e con V erpice rivolto appianandolo, o con quello di vimini ben pareggiando ed agguaglian- do il terreno, e calcandoglielo addosso, e po- nendo ancora qualche peso sopra l’ erpice di vi- mini, perchè aggravatogli, e condensatogli ben sopra il terreno, men patisce dal sole. “Ed è beve allora la mattina seguente per la rugiada ribattergli il terreno addosso con la marra lunga e ritornando a far questo più d’ una volta si ca- gionerà che faccia prima buone radici che metta fuori le foglie; delle quali avendone cacciate pur una sola 5 dual tantochè sli discerna dall’ altre erbe, si dee zappare intorno senza offeuder]o nel muover la zappa, e rinfrescar la terra da ogui banda ; e poi nella seconda sarchiatura di a venticinque o trenta ricalcarlo, e ciò fatto, quanto più spesso si rifarà, ed anco nel terreno che non sia umido, ma secco, si condurranno ra- gionevolmente, massime ai tempi del lor bisogno lt. degli otto l'uno, sapendo che quan- do nasce ed è in fiore patisce dall’acqua, e dalle nebbie, e freddo. E tanto più quello del miglio

nano, che è il più buono di tutti gli altri, dan- do il moltiplico maggiore, difendendosi meglio dai venti, e cattivi temporali per essere a terra basso. H se in seminando o questo o l’ altro rie- sca troppo fitto e fondo, in sarchiandolo si dira- di a dovere, e massimameate che d’esser sarchia-

175 to e lavorato intorno spesso più d’ ognialtra cosa desidera. Ma tutto si ricuopra e s’ assetti avan- ti chel sole pigli potere e gli dia addosso, e nel secondo quarto della luna erescente si faccia questa operazione. Il rincalzarlo zappando quella seconda volta dee esser fatto avanti che egli fac- ‘cia il fiore, e si rincalzi bene, chè ciò giova a farlo star in piedi ed a maturarlo meglio. Inol- tre tagliato via il grano s’ abbruciano le stoppie nei terreni grassi e buoni; e sparsavi la cenere sara minutamente due volte, e s’ erpica il cam- po, e s'agguaglia la terra con ]’ erpice rimboc- cato, non vilasciando alcun solco che i maestra- li perchè l’acqua piovana vi covi; dipoi si semi- na ristrignendo bene il terreno con l’ erpice di vi- mini carico di sassi, sarchiasi poi all’ ordinario, e rincalza come l’altro, e risponde bene. Ma è necessario questi campi o Jetamargli bene, o siv- vero lasciargli in riposo. Il miglio si matura dop- po che ha fatto il fiore in quaranta dì; imperciò non dee credere a Teofrasto che scrive: il mi- glio seminasi l’ estate, e mietesiin quaranta dì: perchè in manco di due mesi passati non fa. Il miglio matura quando biancheggia tutto , ed è maturo quando resta di biancheggiare. si la- scia maturare in su la pianta perchè cascherebbe in terra, ma ssi taglia di due o tre innanzi, ed ammassato insieme si pone a stagionare , si ri- pone che ben secco e raffrescato. Nel miglio si conserva bene tutte le frutte, e massimamente i poponi verpiticcj, e le zucche marine. Niuna bia- da, o frumento cotto rigonfia e cresce più del mi- glio. Alle passere che gli fan danno niente con- trasta più che assai spaventacch], e levar via tut- te le macchie e boschetti vicini, e lor ricoveri; e questo le spaventa e fa star più lontane assai più che Erba incognita di Plinio, e la Botte de' Greci ; le sue paglie e pannocchie son buone

176 al buoi, e del suo frutto in Etiopia molti popoli vivono lungamente,

La Mortella domestica tanto bianca quanto nera, e similmente la salvatica, come quella che è per tutta la riviera del mar Tirreno, nelle ma- remme di Siena, nelle riviere di Genova, di Roma, e di tutto il Regno di Napoli, abbondantemente si produce dalla Natura. Cresce la domestica ad assai giusta altezza con i suoi rami sarmentosi ed arrendevoli , di corteccia rossigna , e le frondi lunghette grosseite ed acute somiglianti di quel- le de’ pomi granati, più nere nella nera, e nella bianca più candide. Il fiore in tutte le sorte è bianco ed odorifero , e l’acqua che sene trae per lambicco è in uso ai profumieri , ma passa d’édo- re tutte l’ altre quella Egitto odoratissima. Del- la Mortella è della stretta e della larga di fo- glie, e della mezzana. Questa è quella che si trova ordinariamente nei luoghi sopraddetti, e nei boschi salvatica con foglie più rade di tut- te l’ una dall’ altra. La stretta è quella che si chiama di Spagna o T'arentina nera, la quale ha le foglie minutissime e spesse. Un’altra sorto è propria della provincia di Catalogna e da que- sta detta, che ha le foglie larghissime e fonde, i frutti più grossi dell’ altre, come il fiore mag- giore; e la pianta siccome quella stretta di Spa- gna diventa arbore assai grande, più bella, più vaga, e più odorifera di tutte l'altre. Amano tutte le sorti di Mortella aere temperato , 0 cal- do, e nei freddi bisogna l’invernata coprirle bene mantenendole ne’ vasi, che si possano traspor- tarle al coperto. A quella di Spagna minuta con le forbici sele che forma altri vuole, ani- mali, navi, galere, vasi, aguglie, palle, qua- dri fortificazioni, torri, case, e palazzi, avendo prima formate con filo di ferro tutte queste cose, e facendo poi seguire, e ricoprire dai ramicelli

I questo modello. E quella Catalognese IE:

tutte l'altre comporta il freddo . Ogni mortella desidera il terreno leggiero, ed arenoso; vien bene ancora in buona terra e che sia grassa pur- chè non sia segosa, ma grassa leggiera e ben stabbiata, ela grassa in che si pone non vuol’es- ser troppo umida o che patisca di gemitìo d’ac- que stagnanti. Scrivono che si può fare che la mortella faccia i suoi frutti senza quei fiocini dentro, zappando intorno alla pianta in cerchio ed adacquandola spesso con 1’ acqua tepida nell’in= verno; e Teofrasto dice che a caso fu ritrovato questo, avvengachè nascendo una pianta di mor» tella abbandonata appresso a un bagno faceva i frutti senza fiocini e da questa pigliavano i semi e gli seminavano, .e così in Atene cominciò a ese . sere di tal sorta mortella, e questo istesso dice che accade della mela, vernina. Scrivono i Greci essere annestata la mortella ed il salcio, e ri- cevere in se i pomi granati, ed averne così di se prodotti. Fassi olio delle coccole di mortella, ed anco mescolandovi acqua e bollendola e schiue mandola, fa un grato vino. Desidera la mortel» la d’ essere adacquata con l’orina dell’uomo, e con quella di pecora. inseta la mortella bianca alla nera, e così per contrario. Insetasi nel ne- spolo , e nel melo, e farà più bel cespuglio con foglie più verdeggianti dandole per compagnia i r0sa]. Le coccole della mortella si seminano ne’sol- chetti dell’ aidle degli orti dai tredici di feb- braio, avendo peste bene le coccole, e poi strofinatele a una resta e sotterrate . Nate che elle sieno di tre mesi, si possono traspor- re convenientemente. attacca di rami e di paletto in una fossa di tre piedi fonda, e stendendovi il ramo o il palo a giacere di grossezza un dito, ed aguzzando in punta, con avvertenza di non guastar la buccia. (DI 23

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quella di Spagna attacca in terreno ben la- vorato pigliando di piante piccolette i rami di mezzo ed attorcendogli nel calcio, e sotter- randoli in terra trita ben lavorata, e calcandoli ben attorno ricoperti sin alla vetta di due diti più innanzi che la vogli muovere , ed a que- sto tempo eleggerai delle vermène di un anno e non meno, e meglio sarà storcerne quanto sene ficchi in terra (che basta sia un palmo) in fossetta ben lavorata sotto in terren divelto e psi ripiena. Volendo fare spalliere, |’ una por- rai dall’ altra lontana un terzo di- braccio rin- calzando con terra cotta, aggravando e serran- do loro bene addosso il terreno, dipoi ugual- mente le taglierai due dita sopra terra, e se vada troppo asciutto s' adacquerà. Tengasi sem- re netta dall’ erbe e sarchisi e zappisi molte volte, e bramando queste spalliere poco alte, d'un braccio in circa, ogni cinque anni le ta- glierai fra le due terre, e rimetteranno più fit- te, fonde e folte, avendo la. mortella questa na- tura che quanto più è tagliata, più spessa ri- mette, e rimesse ch’ elle sieno le riordinerai ripareggiandole, conguagliandole, e tenendole ri- strette bene insieme. E desiderandole alte all’al- tezza d’un uomo, le custodirai col segolo ven- ti o trent'anni. Dipoi bisogna di nuovo e ' da capo ripiantarle perchè in tanto tempo ingros- sano tanto dal gambo, che rimangono vote di rami. Ancora può spiccare un piantone di mortella, o scoscendere un ramo grosso e “pian- tarlo per il diritto della sua grandezza, ma in terra grassa alletamata bene, divelta a dentro, e sin a tanto- che la metta in rami sarà bene tenerle ammassata la terra attorno, e attac- cherà. Godesi Ja mortella d’' esser piantata tra gli ulivi, e lor giova, e com’ essi piantaa verbène tagliato un ramo di cinque o sel anni,

1 scapezzato di sotto e di sopra, lungo un a posto a traverso a giacere in tina fossetta fatta sopra il divelto . Deesi poi appiccato scavargli la .terra attorno, e riporvene della cotta , e sac- chiare spesso. Ancora si può ammassare ed am- montare della terra stritolata di terriccio buono attorno a un cesto di mortella, che le sole cime rimangano scoperte, del mese. di novembre; e l’altro novembre che hanno fatte le barbe, quelli rami radicati, trapiantar si possono an- cora col volgere i rami del cesto che sono dalla banda di fuori in terra e sotterrargli per la ci- ma, e lasciar loro far la barba, poi staccati dalla madre trapiantargli, e di questo modo le piantette capo-volte s’ attaccano; ed ancora si possono i rametti del cesto piegati a terra pro- pagginare cavando lor fuora la cima, e fatta che hanno la barba staccati dal cesto piantarli. Godesi questa pianta d’ esser tenuta uguale e d’ esser tagliata pari l’una con l’altra, ed an- cora d’ esser potata assai spesso. E che sia ve* ro, quanto più ne cavi da un cesto, tanto più si fa bella e meglio rimette, siccome tagliata an- cora ( comes è detto ) da piedi, è attissima al- le spalliere. Raccogliesi il suo seme di dicem- bre, ed acciaccato, e strofinato alle - corde de’ giunchi si caccia di quel medesimo tempo in alette ben lavorate sotto in solchetti poco fondi, e si ricuopre con terra trita, e come si disse delle pianticelle attaccate ai cesti, si pro- cura. Gavansi ancora de’ monti le mortelle con le loro ceppaie vestite del lor pane di terra pi- gliandole giovinette, e si traspongono nel do- mestico lavorato e divelto bene e s°allignano. Domanda Aristotile perchè i fiori delle mortel- le, non condite le foglie, piuttosto delle condi- te e riserbate nell’ aliga caschino, e risponde perchè i frutti fatta la decozione diventan fiac-

180 chi e cascano: la qnal decozione nei conditi e riposti non può fare e così il vapore dell’ ali- ga proibisce che non si muti l’ umore del frutto, perchè le foglie già seccate si risolvono: il che fa } aliga, che bruciando vien salsa, e però dis- seccativa, e per questa causa non accade il me- desimo alle foglie attaccate all’ arbore che alle condite. Le buschette di mortella ed 1 rametti di fico. conserverai legati insieme in fascetti e cacciati nella morchia ch’ella avanzi di so- pra, e quelle che tu vi cacci siano un poco a- cerbe, ed il vaso dove tu le metti, turato be- ne infardando la bocca con argilla battuta o 16- to disfatto. La salsa di mortelia si fa così: In prima si coglie le coccole di mortella , e come più sarà gran quantità, sarà meglio; poi così

asciutte diasi loro il fuoco pianpiano, ed avan-

ti come sia cominciato a scaldare. aggiungerai un poco di mésto cotto affinchè non abbronzi e si vada scaldando adagio adagio rimesticando- le; e girando e sbattendo con una mestola di legno per fin che tutte sian disfatte e cotte be- ne. Più appresso si passa per stamigna, e per questa colata vi si mette dentro a discrezione gengiovo e caunella, e garofani a bastanza, e si conserva in vaso invetriato per adoprarla all’intinto della carne tuttaviachè occorra. Si colgono ancora le coccole maturissime ed ac- ciaccate con pestello di legno nel mortaio pur di legno si spremono con tutta la possa dentro allo strettoio, ed il sugo che n’esce senz'altro ponendovene il quinto s' infonda fra la mostar- da, e le sapore, ed odore, e gusto buono. Ed il vino con le coccole di mortella si fa bol- lendole col méle purgato, e mesticato poi con vin buono a discrezione. Ancora sene fanno pastelli levatone i semi, passando questa mate- ria per istaccio, e si pongon nel mosto che

i E e nin rta

181 bolla acconciandogli in modo che l’uno non tocchi l’altro, e bollito vi sene rimette, si schiuma e si chiarisce e ripone per usarlo con- tro ai vermini e flusso. Molti tenute le cocco- le di mortella o nere o bianche due ore nell’om- bra ed un po’ riseccandole stringon di modo, che. per quanto si può sene rimangano intere; ed allora per un panno lino fitto passano quello che è stretto, e quel succo quagliato e rappre- so ripongono nei vasi invetriati, non vi mesco- lando altro, e turandogli bene, e così si. man- tiene; è buono all’ uso medicinale detto, e me- glio di salvatica che domestica. acqua di fior di mortella stillata a bagnomaria è ottima al flusso. Una bacchetta di mortella aiuta chi cam- mina a piè, portata in mano. Giulio Polluce scrive che ai Principi si solevano porre innan- zi le tavole di mortella. Seccansi le sue coc- cole e si cacciano nella sapa, e nell’ acqua melata a farne bevanda; e spremute strettamen- te, fanno olio, scrive Catone. Le foglie di mor- tella siccome quelle di lentischio sono di gran- dissimo uso a’ Coiaj per: conciar le cuoia; e quelle foglie che han servito a’ coiami avendo succhiato del grassume d’ essi, nono più buone alla concia, ingrassano la terra. E per aver tutta la foglia dell’una, e dell'altra si tagliano le piante da piè, e questi gambi e rami si di- stendono sopra pertiche di salcio, castagno, o altro, fassi lento fuoco sotto; e cascano; si rac- colgono e vagliano dagli stéccoli, e nette a- doperano.

La Medica, detta Falfala amara, e Fien di Borgogna, comecchè in Francia vasca da per se in molti luoghi, nonè molto differente dal tri- foglio, oude in alcuni luoghi si addomanda tri- foglio maggiore, o gran trifoglio. È erba utilis- sima per pastura di tutti gli animali e secca e

133 fresca ; ed il suo seme, il qual fa certi baccellet- ti dentro come piccole lenticchie, è ottimo a darlo a beccare polli che fa far loro dell’uova, e gl’ ingrassa assai; fa ancora bene al campo la» sciandolo grasso ove ella è stata. Ai cavalli, e asini, e muli disfatti di magrezza non è cibo per rifargli che sia più utile. Venne già dall’Indie, sallignò in Portogallo e in Ispagna, dipoi in Alemagna, in Italia ed in Francia; ne fa men- zione Plinio e dice essere stata addotta da’ Re in Italia, dove quando sortisce luogo a modo suo, come in Lombardia, ove sono terreni fondati e grassi di spaziose campagne, si sega sel e otto volte, e sementato una volta in un luogo vi dura trenta o quarant’ anni. Corrisponde di somiglian- za al trifoglio nel gambo ed di nodi, e tutto quello che vien nel gambo si rizza nelle fo- glie. I baccelletti sono in foggia di cornettini ia- torti e con una piegatura addentellata che in fuori certe piccole punte, nelle quali è un seme solo di piccolezza d’ uno di quelli di Nicoziana o tabacco che è il ininutissimo che tra tutte l’ erbe si ritrovi, ed-il più di copia e numeroso. Desidera terreno donde sieno state cavate tutte le pietre, benissimo alletamato e di fondamento , e sustanzioso, ben lavorato con Varatro sin alla quarta volta e bene sterpatone tutte l’erbe e barbe intere; avvertisci che la non semina in luogo di terra troppo secca, o varia, o tempe- rata. Plinio la vuol sugosa secca, e che si pos- sa adacquare. Columella vuole chel campo in che la ha a seminare si rompa a ottobree lasci inquocere tutto l’ inverno, poi a febbraio. sl riari, e cavalene le pietre con diligenza si marreggi, e intorno a marzo ben rilavorato ed appiaoato, come negli orti vi s' hanno a fare certe aie larghe dieci piedi, e lunghe cinquan- ta, che si possano adacquare e sarchiare te-

183 nendo i piè ne’ solchi senza pestare arrivando sit al mezzo, e dall’altro solco all’ altro mezzo, cacciandovi prima letame vecchio age così acconcie si conservano sin’ a aprile, e al fine esso mese si semina in modo, che ciaschedun bicchiere d’ esso seme occupi un luogo largo cin- que ‘piedi e lungo undici, e subito sparso con rastrello di legno fitto si ricuopra perchè °1 sole mon l’abbruci. Dipoi nati i semi e cresciuti un quarto di braccio, non è lecito prima toccarla col ferro, ma con un rastrello di legno e con le mani nettarla perchè sele levin dinanzi l’altre erbe che la degenererebbero . La prima rico!ta e tagliatura si faccia un po tardi, perchè del suo seme in terra ne ricaschi e smorzi erbe fra essa ; se faccian presto, si dauno alle bestie. Ghi se intende dice che si dee mescolare il suo seme con l’avena, perchè opera di far metter sotto le barbe. Seminasi aprile, e più tardi di mag- gio nei lati più freddi, altramente le fa danno la brinata, e le nuoce ‘più che al frumento. Uosì coltivata si segherà nei lati buoni sei volte, o. almeno cinque. Sei volte fiorisce e qualche vol. ta quattro ed allora non si seghi; segata che sia spesse volte, è bene adacquarla, e quando ha fatto il frutto sarchiarla di nuovo, così durerà buona una dozzina d’anni intera Eerba sana alle bestie ammalate, che in tutti i gradi sene può dar loro, porgevdone da principio lor poca per vol- ta, perche 1 nuovo cibo ron le danveggi, perchè fa ehufiare e gonfiare, e crea sangue assai, Scrive Columella che un jugero fa le spese a tre cavalli in un anno. In alcuni luoghi scaturiscon fuori da per loro quest’ erbe nei prati, o per la na- tura del terreno, o per la condizione del cielo nate. Alcune ancora possono esser vestig] delle già in antico tempo nate, o che molti aoni il seme che casca rigermini con continua fertilità,

ci

184 e cono l’erboso cespuglio rinasca. nelle pra- terie ; e niente pare che proibisca (come non fa a infinite erbe ) che tal pianta non possa nascere .a sua posta, se già per avventura essendo, pere- grina e da un altro Mondo recata non desideri d’ esser seminata; e seminata una volta a mano, e da’ venti, e formiche, ed. uccelli trasportata rinasce e viene innanzi in varj lueghi. Dai se- gatori de’ fieni, e con.la falce fienaia ella me- glio si sega quando comincia a fiorire; è per questo da dire ch° ella non sia matura per- chè più utilmente si acconcia in manne secca» ta ed ammontata. Quelle che sono state sino a tre mesi si conservano con gran frutto de’ be- stiami, perchè i cecchi ottimamente sene pasco- lano, e tutte le bestie ingrassano, come si è detto, con questo cibo, con altro meglio s'al- legrano. Ha la f'alfala la radice che va assai in profondo, imperciò è bene laterra ov’ ella ha da stare lavorarla con una puntata di vanga ed una zappata, e si cominci all’ agosto a romper- la e si rilavori all’ ottubre, dicembre, e febbra- io. Così si vanghi a buon’ otta perchè l’erbe siano ben mortificate dal caldo, e dal freddo; e da mezzo aprile si cuopra il terreno “con le- tame vecchio disfatto che s'incorpori bene mar- reggiaudolovi. Pareggisi appresso e spianisi sen= za solchi, o se pure vi si fanno, siano lontanis- simi l’un dall’ altro tanto quanto basti a cavar ? erba di quà e di senza ammaccar ie pian- te. Dipoi a mezzo aprile a luna crescente vi sparga questa sementa mesticata con. panico piuttosto fonda che altramente, e senza perder tempo, perchè ella si risecca molto dal sole, si ricuopra come s’ è detto con rastrello di legno, perchè è nemica di quel di ferro, massimamen- te fitto di deuti. Il Panico l’ aiuta a nascere, dandole vigore, e nella prima segatura va via,

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185 Nafa, e conosciuto fra essa il panìco, si netta con le mani da tutte l’altre erbe cattive te- nendo i piedi nei solchi per non calpestarla, e se vada la stagione asciutta è di mestieri adac- quarla all’ ottobre, e poi all’ aprile, ma destra- mente; e non volendo averla ad annaffiare ser- virà per questo aver dato prima assai letame fradicio al terreno in che ella si semini, ed ae verlo bene a dentro lavorato perchè si manten- ga séffice morbido e fresco senz’ altr’ acqua; la- scisi andar la sementa del primo anno per esse- re l'erba troppo fievole, e nell’altro, ed in se- guito si tagli la prima fiata; dipoi la seconda si lasci fare il seme , il quale si matura nel caldo di maggio giugno e luglio, richiede manco di tempo, ed oltre a questa ricolta per seme, farai ancora di quella che rimane due tagliate . Ma-conviene che i baccelletti, raccogliendosi l altre foglie, siano talmente secchi che nello spezzarli vi veggano ben maturi, che è quan- do son divennti di color giallo. È perchè er- be medesime ne producono qualche volta dell’ al« tre nuove per tardar tanto a segar le prime, le quali facilmente si piegano e talora calano a terra, bisogna usar diligenza in tagliarle con un rasojo che rada, un poco torto nella banda del taglio, quelle cime che hanno i baccelletti ; 3 que- sti pongansi di mano in mano ne” sacchi per vo- targli subito in su l’aia che sia ben pulita e spazzata facendovegli prima stest ben seccare, e poi battere; accanto levato via quella pagliuz- za vagliarla con il crivello fitto, ritornando a battere i baccelletti restati interi come prima; staccia più appresso ]’ uscito dal vaglio, e si serba all’ asciutto insieme con i cornicelli rotti, 1 quali di per se si gittan sopra all'altra se- menta ricoprendogli bene. Tagliasila prima vol- ta ogn’ anno intorno agli otto della luna,

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ed ‘ancora ogni trenta nei lati dov’ ella s'af- fa. Ma tagliata non si lasci a mucchj più d'un perchè riscalda, e così faccia. al trifoglio ; altramente fa morire tutta quell’ altra che si ritro- va sotto sinchè ella non rimette. Per questa cagione vi si lasci sparsa bene, o si metta a seccare altrove; e la segatura non si lasci pa- scere, che viea danneggiata dal fiato e dai denti delie bestie”. Seccata, è più utile che farne pa- gliaio rassettarla sotto i portici in lati asciutti, e dove l’umido non sia, penetri l’acqua. È stato osservato sopra |’ Erba Medica che sar- chiandola col marretto di ferro, iu breve tempo vien manco nei prati dove per altro fresca e vegnente la ritrova, Erba Medica ancora invano s addomanda, perciocchè della sua se- menta stretta al torchio nei sacchetti di tela forte e fitta, sene cava un olio, sebbene in po- ca quantità ( di assai copia che vi sene ponga dentro essa) il quale è ottimo ed efficacissi- mo ai tremolanti de’ nervi, ed a tutti i parali-

tici ugnendo caldo. Le Melensane in altro nome chiamansi Po- mi d’ amore per la bellezza e bontà loro. È pianta venuta dall’ Indie, ha il fior bianco, le foglie simili a quelle del fico, ma minori; fa i viticc] come la vite ed accanto il frutto di grandezza di mele appiole rotondo, di color pri- ma verde che dipoi ìimbianca, ed allora mon» do e nettato in felte si cuoce come i tartufi . Si conservano così tagliate nella salamoia ed an- cora si friggono nella padella come i funghi ;e col pepe e sale conditi si mangiano, e quantun- que duri a digerire non ingrati al gusto. Si rac- coglie il seme, del quale son piene dentro come i cocomeri, procurandosi e seminandosi nelle aiuo- le degli orti alla foggia loro, ed anco per bel-

lezza nei vasi quando un tal pomo è rosso smac» cato tenero .

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Il Maro è pianta simile alla Persa, gi sl pianta nel medesimo modo, ha il fiore simile a quello dell’ origano , e le foglie sono in sul gam- bo simili a quelle di maiorana o persa, un po- co. più sbiancate, e più odorate e più acute di quella. Non nasce in Italia, ma vien di Can- dia, cresce tanto quanto la Persa.

Le Margherite, chiamate Belliles, fanno ordinariamente nei prati, ove sene ritrovano delle bianche brizzolate, e delle rosse, doppie e scempie, tutte senz’ odore. Svelte de’ prati con la lor piota si trapiantano negli orti, ed anco- ra-si raccoglie il loro seme, e si semina nell’a- iuole del mese di marzo, come la lattuga. Le sue. foglie tenere non sono ingrate nelle insala- te che si fanno di mescolanza, ed anco scévere .

La Madreselva ( caprifoglio, petrolimeno ) non è per certo il ligustro; che quello ha la foglia d’ ulivo, questa d’ellera o cappero pen- dente in rossigno; quello da per se si regge, e fa rami, questa o rutica per terra 0 s’ attac- ca ai pruni, o altre piante vicine, e nelle sie. pi sorge aggavignandosi sopra di loro, e at- tacca con i suoi sermenti vincidi ed arrendevo- li come quelli delle viti, questa ha il fiore a uso di quello della fava, ma triplicato, di odore grave non ingrato; quell’ altro sa di museo. Fa. la madreselva bella verdura, ma perde la foglia el fiore molto presto , che per quel tempo che du- ra è bello ed aggradevole; e si può con essa per i giardini fare strade coperte assai ben alte, per- chè la si distende sopra le guide quanto altri vuole. Fortifica ancora e tien collegate le mac- chie, ed a questi usi bisogna piantarla fonda, e massimamente chi volesse farne spalliere da reggersi sugli asserelli. Gavasi dei boschi e mac- chie fra. sterpi dov’ ella nasce frequente, di pianta giovine con tutte le sue radici, e sitra-

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spianta nel domestico in buon terreno grasso, ( non rifuggendo l’umido) d’ottobre e marzo. Si può far nascere ancora di seme, osservando di rac- corlo con diligenza quando egli è maturo, e semi- nandolo come i SRI: d’ aprile. Si spartiscono ancora i suoi cespugl), e sene fanno più piante da porre. Si stillano i suoi fiori, e fanno acqua odorata, ma non quanto essi quando son freschi.

Il Macerone si tiene che sia il vero Smir- nio degli Antichi, detto Olusatro, e molto te- nuto in pregio dai Siciliani, i quali usano in cibo la sua barba assai, che è di corteccia nera e dentro candida come neve, la quale essi ra- schiano con un coltello tagliente facendone bri- cioli; poi la spremono con mano stringendo for- te, e cavando quell’ acqua che n’esce, la con- discono in insalata. Ancora si cuecono queste barbe, e tagliate in pezzetti di girelli nel me- desimo modo (aggiungendovi pepe) in insalata si mangiano. Nel tempo della primavera man- da fuora certi germoglj o tenerumi, i quali si mangiano come i carciofi ed i cardoni con pe- pe e sale, e quelle foglie fresche in insalata sono ottime scevere, e mescolate con altre er- be come più piace. Fanno bene i Maceroni seminati appo 1 muri rovinati fra calcinacc) e pietre avendovi fatto divelto, e seminandovegli doppo l’ equinozio dell’autunno . Godon dell’om- bra e fanno in tutti i lati, amando pur la ter- ra grassa, e ben sotto lavorata ; e seminato una volta, lasciando fare il seme ad aleune piante, non occorre più seminarlo, che da se lunga- mente rinasce e si mantiene. È frequente ne° mon- ti manco arenosi. Quelli che si seminano a mar- zo fauno le radici buone per l'inverno che vie- ne. Sono più saporiti di monte e fra i sassi, che non in piano. Provocano l’ orina le sue foglie come la radice, la quale si può conservar

189 cruda posta dentro alla salamoia. Il Ruellio rac-

conta d’un condimento loro antico, ma è mi- gliore fresco.

I Mughetti sono odoratissimi, nascono di cipollette, e con la cipolletta piccola fanno ce- sto insieme più fili di lor piante, ed il lor fio- re èin guisa di piccolissime campanelline. Trovan- sene di più sorte, e tuttì con le barbe attacca- tavi la lor cipolletta . Si piantano del mese di febbraio, nelle ainole degli orti accosto l’ uno all’altro che si tocchino e piantati una volta si mantengono un pezzo senza ritrapiantargli. Vo- gliono esser tenuti netti dall’altre erbe, e sar- chiati .

Il Musco Greco è pianta di scali odore nel suo fiore, che è vago ed artifizioso a vedere, e molto gentile. Si trapianta ancor esso avanti la primavera con la sua cipolla in terren grasso, nei testi, e se vada asciutto gode qualche volta d’es- sere adacquato; non vuol esser posto troppo a dentro .

Il Meo è un'erba che fa le foglie simili a quelle dell’ acero o della vite, ma più appunta- te e con due taglj in mezzo, ‘fa certi semi come fagiuoli e fa il fusto a nodi e rami similmente con 1 cannelli come la canna, dentro pieno di materia come il finocchio; è chi ha fatta gran- de impresa in Italia per cavar olio del suo seme spremendolo al torchio; e prima sotto la macine da olive; ed è olio buono a ardere e peri pau-

. Seminasi all’ ottobre in terra grassa in-campi piuttosto vangati che arati e letamati bene. Ma perchè in effetto di gran quantita di lor semi non si cava molt’olio, non è da impacciarsene che per averne qualche pianta per variare e per bel- lezza.

La Nepitella, detta Calaminta, non sola- mente all'odore rassembra al puleggio , ma nel-

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le doglie e nel fusti; n’è di tre sorte, una si- mile al bassilico di fior rossigno ed ama nascer nei monti, detta Galmento montano, di foglie simi- li al mentastro, un poco sbiancate con rami qua- drangolari. N°è assai nella Valle Anania e nelle montagne di Gorizia; altra ha le foglie più minute, ed un’altra più larghe, meno odorata e di sapore men sappiente, e manco acuta di tut- te. Nascono tutte nei luoghi magri lungo i ci- glioni, nelle strade, nei sodi degli argiai dei campi, nelle selve e nei boschi frequentemente e di tutti i luoghi célta con la sua piota come trova si traspone nel domestico, che non sia di grasso terreno , e si alligna e mantiene as- sai verde per l'inverno. Ed ancora si può con di- ligenza raccorre il suo seme e seminarlo; vale nei condimenti delle salse, saporetti, e mine- stre, e soprattutto si dice con il radicchio trita la sua foglia. Ela nepitella incisiva per esser ca- lida sottile e alquanto amara; provoca valorosa- mente i mestrui tanto bevuta quanto applicata , ed è ottimo rimedio ai lebbrosi. Posta sopra la morsicatura delle serpi vale assai, ed anco bevuto il suo decotto , il quale è buono pure a provocar l’orina. Gol suo fumo e col suo sito si scaccia via le serpi; a’ dolori del capo temperata con ace- to o pur disfatta giova fasciando la testa . È tanto amico l’odor della nepitella ai gatti, che subi- to ritrovatala sele soffregano e volentieri ne fan letto e sene pascono . Il fior solo colto , e condi- to per insalata è ottimo cibo ed appetitoso.

Il Nasturzio è un’ erbetta che produce mi- nute foglie intagliuzzate, ed il gambo sottile alto un piè e mezzo; n’è del nero, e del bianco, e l'uno e l’altro nasce il quinto giorno. Il Nastur- zio Milesioè grandemente lodato appresso quel- lo di Babilonia. I Persiani per cibo l’ apprezza- no oltremodo, mangiandolo così fresco col pane,

191 e cavandone utilita ( accanto allo spender rina) di non sputare e non aver molto a soffiarsi il naso, ed ance non molto a orinare. È la natura del nasturzio al tutto simile a quella della senapa e della ruchetta. Ha proprietà di rattenere i ca- pelli che stanno per cadere, lavandosi il capo con la sua decozione. Il nasturzio non teme il fred= do, e fuori così nel verno bene, come l’ esta- te. Nasce ancora in mezzo al verno, ma meglio è che lo trovi nato a solatìo. Seminasi di seme all'aprile, e di pianta si traspone, e s' attacca sbarbato con la radice. Fa il seme simile a quel- lo della senapa, ed il suo sapore è veemente e mordace, e l’ odore acuto penetrativo che fa stranutare . Si può seminare il nasturzio tutto l’anno, ma meglio è di gennaio, febbraio, e marzo, e di settembre in terreno agevole e gras- so. Il Nasturzio d'India è poco tempo che fu di quivi trasportato in Italia. È pianta nuova non più stata veduta nelle nostre parti ; s va repen- do per terra, s'elèva alto che con qualche sostentacolo, ‘ha Je foglie piccole schiacciate in foggia di quelle dei capperi, fa parecchi rami in sul suo ceppo, e fra le foglie certi fioretti gialli piccoli; i suoi gambi son vincidi come Ja porcellana ed arrendevoli, ed hanno fra se stessi certi nodelli contrassegnati ; il color delle foglie è verde sbiancato o cenerognolo, fa il seme da ul- timo quando vuol seccarsi che è verso il fred. do ed è come una veccia: il qual si racco- glie con diligenza, e si conserva al marzo, al principio del qual mese (avendo preparato del terriccio, mesticatovi con terra pecorino disfatto ) sl stritola bene insieme, e fatto séllo , con le dita fattovi un pertuso fondo quanto alza una noc- ciuòla , vi si getta dentro quel seme e si ricuo- pre, ponendovene quanti veve va, lontani quattro diti l’uno dall’ altro. Aiutasi nascere in quaran»

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ta con l’ annaffiare, e cresciuto un sommesso con la terra che glitien ricoperte le barbe si tra- spone nell’ aidle degl’ orti che siano volte a so- latìo , e nelle prode , con ordine da poter qualche volta adacquarlo. È pianta vaga, e si può lasciat giacere e sollevar da terra con le guide come al- tri vuole, o lasciarla acconcia in vasi; la foglia è commestibile buono da per se sola, e con me- scolanze in insalata.

Il Narcisso tre volte fiorendo dimostra i tre tempi di seminarlo; cresce tre quarti alto di pie- de con foglie simili al porro, ma più sottili e minori; iltorso è erboso liscio, più alto di tre quarti d’ un piede e concavo . Il fiore è bianco e nel mezzo giallo, ed in alcani luoghi rende aspetto porporino , ed usasi nelle ghirlande; la radice è in foggia di cipolla, e questa si pianta al fin di febbraio, o a mezzo marzo, edil suo seme che è lungo e nero, in terreno grasso e buo- no. Cresce il narcisso adagio, e perciò non fio- risce se non dopo l’Arturo nell’ equinozio dell’au- tunno, e di primavera. Gascando il seme del nar- cisso rinasce da per se stesso; pone o si se- mina nell’aiòle degli orti, e sitien netto dall’al- tre erbe mettendolo fitto che quasi si tocchi l’una pianta dall’ altra. Fu Narcisso un bellissimo gio- vine che innamorato di se medesimo fu trasfor- mato in questo fiore, così chiamato dal suo no- me. I Tespiensi contendono che ciò avvenisse in Beozia mostrando la fonte Donaca, dove il giovine specchiandosi non sapeva distinguere da se medesimo la sua ombra. odore del narcisso è molte grave, e offende il capo. Del suo fiore si fa unolio per mollificar le durezze, e per ri- scaldar le cose infrigidite ed agghiacciate. La radice è così diseccativa ch° ella salda )’ ulcere grandi, e parimente le ferite profonde perfin ai uervi maestri. Così si trova scritto in Galeno.

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La Nepe, o Nepa è una pianta che doh, tinuamente rattieve verde , e al freddo è più vigorosa e verdeggiante; la qual non ha foglia di sorte alcuna, ma iv quello scambio spine strette acute, e pungenti stecchi che si toccano lun dall’ altro stretti e serrati. Ha una radice sola, e con quella ancora corta ficca in terra doppo l’ equinozio dell’autunno . Fiorisce la nepa di fior giallo assai minore di quello della ginestra, e quanto la ginestra alza. Ha il gambo similmen- te pungente formato di steccolini aguzzi ed ap- puntati. T'raspiantasi d’ ottobre col suo pane di terra, e quanto più piccola cava, meglio s°at- tacca in ogni terreno, e per far siepe ( piantata fonda ) non ha pari e per l'utile e per la bel» lezza ; nasce nei boschi sotto le piante grandi, e nei monti non coltivati.

Della Noce Metella scrive il Mattiuolo così: Oltre alle moscade abbiamo ancora dagli Arabi le Noci vomiche e le metelle, quantunque gli Spe. ziali, e parimente la maggior parte de’ Medici tengano ingannandosi che le vere noci vomiche sieno le vere metelle , e così per contra. Percioc- chè vomiche chiamano quelle che son piatte, e quasi pelosette, con le quali s'ammazzano i cani, e metelle chiaman quelle che sono da ogni banda ‘alquanto rilevate, coa alcuni nodi a modo d’oc- chietti attorno attorno per l’ ambito loro. Cono- scesi questo loro errore manifestamente per Sera- pione, il quale d’ autorità d’Abram descrive es- ser la noce vomica di colore tra ’1 glauco e°l bian co, un poco maggiore della nocciuola tutta pie- na di nodi; il che vediamo non essere manifesta- mente in quelle che chiamano metelle, che non corrispondono alle metelle vere in alcun modo, descritte: da Serapione così dicendo: Il noce me- tello è simile al noce vomico, ed il suo frutto so- migliante a quello della mandragora, la cui cor-

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teccia è pelosa, ed il suo sapore aggradevole, ed untuoso , il che vediamo in quelle che addoman- diamo vomiche, perchè queste hanno la corteccia pelosa, sono untuose , e di assai dilettevol sapo- re al gusto, e nelle facultà loro ( non dico nelle faltezze come ingannandosi credono alcuni che abbia inteso Serapione ) sono simili ai frutti della Mandragora, conciossiachè , come dice Se- rapione, son frigide in quarto grado, è man- giate al peso di due dramme ammazzano, ed ini meno quantità imbriacano . Il quale effetto si vede causarsi nei cani, e talora negli uomini, a cui sono state date quelle che wogliono siano le vo- miche. Imperocchè scrivendo Serapione delle vir- delle vomiche, non disse che fossero velenose, ma che mangiate al peso di due dramme con sale, o beute col decotto dell’ aneto, con facilità provocano il vomito. Per il che diremo, che quel- le che sono alquanto rilevate, e che hanno i nodi ovver occhj sopra di loro, sieno le vere vomiche, e che le piatte ed irsute untuose, occiditrici de’ca- ni sieno le vere metelle. Finquì il Mattiuolo. Come si sia, e l’una e l’altra nascono diseme, o ben fanno ia grasso terreno, e perse si rise- minano a primavera, È vaga, e bella pianta a vedersi, e si dee essere studiosi d’ averne.

I Navoni sono la Rapa maschia ; subito nati e. usciti di terra ingrossano per in fuori. Perciò conviene che sia arato parecchie volte il terreno dove si seminano, affinchè diventi agevole e trito. E perchè da esso cavano e succiano assai, bisogna che sia ben concimato ed ingrassato; siccome ancora grasso di natura lo desiderano , ed asciutto , e leggiero anzichè umido e duro, e tanto innanzi letamato , che vi sia dal terreno smaltito ed incorporato, perchè ’| fresco.0 vecchio secco che li tocchi gli fa diventare spugnosi e fungosi. Ed ilsito dee essere piuttosto di vallata

199 che piano, o altro; se non piano, dolio no, e che al bisogno si possa innaffiare, comec- chè si nutrisca in esso come delle nebbie e brina- te in tre mesi. Amano il freddo e vengon bene nei luoghi sabbionosi, arenosi, e ghiarosi. La proprietà del luogo ne fa mutare il seme, percioc- chè per due anni seminata la rapain diverso ter- reno da quello che ella desidera, si trasmuta in navone, e così questo per contra 11 rapa. Plinio scrive aver visto un Navone di quaranta libbre. Non gli noceranno i bruchi, Je culici se si maceri prima il suo seme col sugo del Sempre- vivo maggiore per una notte. Scrive ciò Columel- la di prova. Verranno più grossi e più grandi assal i navoni, se si vangherà loro il terreno. Deono seminarsi nei luoghi che si possano ada- cquare, e dove sieno state le biade l’anno me- desimo dal solstizio al fin di giugno, e per tutto luglio, e d’agosto, edal principio di settembre, non lo riétoprendo molto. Mescolasi il seme con l arena, perchè così gettandolo in terra sien radi, e nati ancora si diradano, ed un poco cresciuti si sarchiano d'agosto, nei luoghi freddi rincalzan- dogli bene. E per avergli sfoggiati e paffuti si semini ne’ primo o quarto della luna crescente. Se sl semineranno i navoni di marzo, saranno buoni al solstizio, e di luglio; si posson semi- nare d’ agosto ne’ Inoghi freddi, e molte volte levata la segala e l’orzo al terreno al finir dell’in- verno si sementa, e si crede che peril suo fred- do diventino assai più dolci, e più teneri, e per questo tutto °l crescimento volgersi sotto alla barba , e non alle foglie, siccome avviene agli arbori, i quali l’ inverno attendono ad aumenta- re le radici sotto terra, e poi nella primavera, estate , e altri tempi dell’anno, al di fuori fo- glie, e dentro le medesime barbe. Sementansi i navoni ancora di primavera nelle calde ed umide

"(o ) 00000 regioni. Più lieti si faranno e più rigogliosi se avendo tritato della paglia , semineran con quel- la mescolatamente. Scrivono i Greci ch° egli è bene chel seme sia gettato in terra da uomo ignudo che preghi che abbondantemente nascano per se e per i vicini: cosa ch'io reputo che tanto profitti quanto quel documento loro nel po- tar le vigne, che è che il potatore d°’esse in potando sempre tenga una ghirlanda ellera in testa per aver copiose l’ uve e buon vino. Si deono corre i navoni avanti che talliscano , e netti dalla terra si mondano sottilmente, accanto taglia» no sin’al mezzo di quà e di per tutto, e cac- ciato del sale in quelle tacche senza avergli stac- cati dai tagl) ( minuto che penetri ) si compongo- no in un vaso di terra invetriato, mettendovi sopra di nuovo sale, e lasciandovegli star tanto che scolino ; dopo tre assaggiano se hanno preso il sale nel mezzo, e parendo salati assai scola del brodo che han fatto, e sendo‘poco vi si ricaccia della salamoia soda e dura, dipoi caccia- ti per ordine inun cesto di vimini si carican con una tavola piena di grosse e pesanti pietre, e si lasciano a spremere e adasciugarsi per un dì, e per una notte ; dipoi si ripongono in un vaso di terra cotta invetriata, o di vetro, e visi mette aceto e senapa che li ricuopra. Ancora si con- servano in cantina nell’ arena sotterrati in luogo fresco, ma non umido; ed in questo mettono cer- ti talli bianchi, i quali conditi con olio ed aceto, così si mangiano. Godonsi i navoni del freddo, ed in questi si converte il rape, e seminato e ri- seminato più volte ritorna a se medesimo . Con- divano gli antichi le rape ed i navoni a quella foggia; oggigiorno non usa più. Sono 1 navo- a mangiare ventosi, imperciò cocendosi con la carne vi si aggiunga anici o finocchio. Scri- vono alcuni ritrovarsi rape salvatiche in Schiavo»

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nìa . Sono più dicevoli allo stomaco i navoni, che non irapi, o le rape, e più grati al gusto come più dolci e delicati di loro. I Navoni Corintj erano in pregio appo gli antichi, e crescono di sopra fuur della terra più che sotto. I Romani apprezzavano gli Amiternini ed ancora i Norci- ‘ni. Vagliono in comune i navoni il medesime che le rape.

Orzo fa bene negli ortali dove sia il ter- reno asciutto e non umido perchè non rica- schi, perciò nel grasso e secco, e nell’ assai gracile perfetto e ben lavorato; e così la trop- pa acqua, e massime in fiore come al frumento gli fa gran danno. Somigliantemente nel terre- no fangoso otroppo umido degenera , e imbastar- disce quasichè in loglio, o si muore, e perciò farà sempre meglio in terra di mezzana grassez- za purchè sia asciutta, e massimamente perchè è infestato più che °l grano da’ punteroli e dall’ac- que, ed in quella meglio sene difenderà , e di quella sorte che si domanda Etiocrito n°è sicu- ro affatto perchè nasce piegato. Il Franzese, o distico è una sorte d’ orzo di grandezza notabi- le, a tal che mesticato col grano fa buon pane per la famiglia; seminasi in lati grassissimi e freddi intorno al marzo, ma meglio risponde se non andando crudo il verno si semini di genna- io. L°esastico che ha sei ordini di filze di granel- li nella spiga, detto Orzo mondo ( che quasi da se gli casca il granello senza reste ) è ot- tima sorte d'orzo. All’orzo sono var] e diver- si i granelli; alcuno ha maggiore più lungo e più rado; alcuno biancheggia, alcuno pende in rossiccio più pien di farina, e più forte del bianco. Ancora uno ha due soli versi di spighe, ed uno tre, quattro, o cinque al più, al qua- le la spiga è molto vicina alle foglie di gros- sezza ed ampiezza maggiore. L'erzo India

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mette i rami sul suo diritto fusto. Seminasi l’or. zo doppo l’ equinozio autunnale a solchi spartiti nell’ uno.sì è nell'altro in terreno grasso, ma nel gracile più per tempo, Il marzuolo si semirîa per tutto ’1 mese di marzo, e nel mese d’ aprile, e sarà fatto di luglio ; ma di tutto que- sto che di: primavera si semina ( massimamente nel principio ) sarà manco il ricolto, e più tar- do. Desidera il terreno ben letamato e lavorato, massimamente nel non grasso di sna natura, e piuttosto vaogato che arato. Imperciò farà bene sempre ne’ Magolati, e se il terreno dove sia seminato non è gagliardo, perchè sfrutta assai ed immagrisce. Si letami subito o si lascì ripo- sare un anno. Vuole esser sarchiato e netto, e procurato alla maniera del grano e similmen- te atteso; e quando sarà pressochè maturo si raccolga con prestezza, e la mattina per l’ au- rora, chè casca dalle spighe per esser mal ve- stito di coperte. Tagliati i covoni lasciano giacere alquanto nel campo, che così si crede n’ingrossi dentro il granello e si stagioni. Con- ducesi dipoi all’ aia, si trita e batte, e si netta come il grano. orzo da ch'egli ha fiorito in quaranta si fa da mietere, e quello che si tiene in serbo per farne orzate ai malati( le quali si fanno del più candido, cotto, e passa= to per stamigna con zucchero ) vuol’ esser del più sodo e netto bene. Si conserva bene in va- nuovi di terra cotta invetriati, dentro alla sua Joppa o pula. L'altro rinfrescato che sia, si può riporre nelle buche da tenere il grano. Erano appo gli atichi i Gladiatori ordeacei che si ci- Bavano orzo.

._ L'Origano è di due sorte, bianco e nero; il nero non fa semepnta, il bianco minuta. Così è del salvatico, e domestico che si ritrova; que- sto ha le foglie minori di quello, e nasce ne-

vio, i Log

gli orti, e vale nei condimenti delle salse, ed altri intingoli, e nell’ insalate le sue foglie in scambio di nepitella , e fra il radicchio trito si dice bene, come il suo fiore spicciolato sopra l’ acciughe accrescendo lor grazia e sapore, po- nendovene in quantità. Gogliesi origano men- tre ha i fiori finiti d’ aprire, e s’ appicca all’ug- gia, e quì si lascia seccare, e secco si sfarina sopra i pesci salati, olive, e funghi, e fava infranta cotta. Nasce come la nepitella in ari- dissimi luoghi asciutti e secchi, sopra mura- glie disfatte, calcinaccj, e rovine d’edifizj e ne’ più alpestri luoghi. Esce fuor della terra piuttosto del seme vecchio che del nuovo, ma non innanzi ai trenta dì. Mette adagio, ed i suoi rami staccati dal fusto appiccano in terra lavorata minuta, grassa o alletamata, secca, ed asciutta, ed in tale si semina. Diviene ancora migliore che nei luoghi grassi, negli aspri e sassosi; tuttavia ama «d’essere.fomentato con il concime nei terreni deboli e leggieri, e quivi innaffiandosi qualche volta farà meglio. Si se- mina di settembre e d’ ottobre di seme dei lati più aspri, di dove si traspone col suo pane. Sta bene attorno alle cassette delle pecchie; macerato il suo seme nel latte, lo farà meno acuto, e più piacevole. Eracleotico, e 1’ Oni- te non nasce in Italia, e quello che viene di Candia fa il fiere bianco, e questo crede il Mattiuolo che sia il vero Origano salvatico. Gome si sia, il seme dell’ origano è buono a far ingravidar le donne. ;

Osciamoide è una pianta di nuovo dell’ In- dia trasportata ne’ nostri paesi, che fa per lo più un fusto solo, sottile e voto che non s'al. za più di due terzi di braccio, e fa le foglie su per il gambo scompartite con tal ordine che luna non si riscontra su per esso con l’altra,

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ed in cima del suo pedale, che con le foglie diminuisce in foggia di piramide, fa il suo fio- re, il quale è incrociato da cinque pezzi, oc- chinto in mezzo, di notabilissima bellezza per la fazione, come per il colore scarlatto chermi- sino del più vivace che si possa mai ritrovare, piccoletto quanto un garofano in giro, ed i pezzi della croce che egli fa in quinto sono equi- distanti di lunghezza e di larghezza con la sua boccia sotto che gli tiene in sesto come ai ga- rofani fa la sua le sue foglioline. Le foglie dell’ osciamoide sono : somiglianti a quelle del. gelsomino nostrale, un poco più nerbute, enon tanto fiacche e sottili e deboli, Il fiore con- iuttociò non ha sito alcuno d’ odore che vaglia, ma tutto si pregia per la bellezza sua. Il suo seme è piccolo e nero, seminasi nel mese di marzo nei testi, e quì si mantiene e va innanzi bene ; ed in terra ancora seminato nell’ ainole de- gli orti profitta comodamente, ma bisogna ai tempi asciutti e secchi adacquarlo destramente . Vuole esser piantato rado l’ un dall’ altro ua palmo e mezzo, perciecchè qualche volta dal calcio de’ suoi pedali egli mette, e fuora più d’un gambo, a tal che una pianta fa diver- si fiori. Ama il terreno grasso, o che sia con- cimato bene. .

Il Pastricciano è erba simile nelle foglie alle carote, e si può quasi chiamare la Garota salvatica; nasce ne’ campi lavorati da per se, ed ancora se’ sodi, e più in questi chein quelli. Puossi lasciar fare il seme alla campagna, e poi al marzo in terren buono seminarlo nel domestico per servirsi delle sue barbe in in» tingoli, come di quelle del prezzemolo, e sono di buon sapore. .

Il Petonciano ha la foglia non troppo disu- guale a quella del fico quanto alla fazione, ma

201 minore assai. Fa il suo fusto sodo alto da ter- ra due terzi di braccio, ed il suo frutto da prima verde, poi paonazzo; ed una sola pianta ne fa tre o quattro sin’ in cinque. Sene trova de’ bianchi, i quaii sono ancora così candidi quando son maturi. Mangiansi conditi come i funghi con olio, sale e pepe, e tagliati in fet- te e fritti nella padella; e con la carne lessi s'approvano, come spartiti e cotti nella teglia in forno con buon ripieno di cacio, uova, erbe, e pane. Si seminano, e coltivano, ed assettano come i poponi, edi cocomeri, se non che deono esser trapiantati quando son grandicelli in sugli arginuzzi de’ solchi, o trogoletti dove corra l’ac- qua, perchè con questa si nùtricano ed aumen- tano non pur le piante, ma i frutti loro anco- ra. Non è memoria del Petonciano appresso gli Autori antichi, da loro appare alcuna de» scriziene, a tal che convien dire che siccome sono state molte erbe che ora non conosciamo, o che più non si trovano, così ci sia incogni- to il riscontro de’ nomi, come del Bulbo.

I Pomi d’oro sono pianta di seme venuta dall’ Indie; fa le foglie simili alle Melenzane venute similmente di quel paese, e fanno gran cespuglio di rami, e fra le foglie un frutto si. mile al loro, ma è a spicchij, e molto schiac- ciato , ed alquanto più grande. Non è buono a mangiare, ma solo si può cercarne avere per bellezza; seminansi di marzo nell’ aiuole de- gli orti, e dove si possano adacquare in terren grasso .

Il Pepe erbaceo d'India è di due sorte; una fa lunghi i baccelli, aguzzi nel fine, e dal loro attaccagnolo assai più grossi , lunghi quaa- to il dito indice; da prima è verde, poi quan. do è maturo diventa rosso; l’altro fa certe cac- cole come giuggiole rotonde della medesima ma-

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niera, prima verdi, poi rosse quando son mature; l’ une e l'altre colte quando son fatte ( che è quando agevolmente staccano dalla guaina che le tiene attaccate ) si mettono così fresche in una schiacciata di pan crudo, e con essa incor- porate, e, dentro nascose, si mette quella schiac- ciata la forno a biscottare, dipoi si pesta tutto col pestello di legne nel mortaio, e fattone pol- vere s' adopra come il pepe nero ( che è una pianta dell’ India simile alle nostre vitalbe ) su tutte le vivande, ed è pepe più risentito e pun- gente, ed efficace dell’ altro. Fa il seme den- tro a quelle boccie, e si semina di marzo in buona terra nell’ aiuole degli orti, e ne’ vasi adacquando qualche volta. Ha le foglie simili al Solano, e alza due terzi di braccio.

La Pimpinella, o Selbastella che altri si voglia dire, ha le foglie interno al torso , che non s' alza molto da terra, e questo fa quando vuol fare il seme, sempre a due a due, e divise una con l’altra. Nasce fra i sassi, ne’ luoghi alpestri, e ne’ campi sodi più di magro terreno che di gras- so. Si porta la pianta intera nei luoghi dome- stici, ne’ quali semina di marzo , spargendo il suo seme raccolto alla campagna, nelle aidle de- gli orti, dove si mantiene col riseminarla ogn’an- no; seminasi ancora d’aprile adacquandola, e d’ettobre si trasporta dai Inoghi foresti con la sua piota. N°è della stretta e della larga, d’ ambedue si raccoglie il seme, e fa in ogni sor- ta di terreno; serve alla mesticanza dell’ insalate, e bella verdura ed allegria sparsa nelle tazze sopra il vino, causando frescura , e più appetitoso .l'‘bere..

Il Puleggio secco mette il medesimo della bruma ; e similmente attaccato al solaio rinverdi- sce quivi, e fuori il medesimo giorno della bruma, ed ancora nel del solstizio. Aristotele

203 cerca la cagione, e la perchè J’alimento ch'egli ha crudo non potevdo digerirsi altramente per il freddo, dia fuori il giorno del solstizio , che è il maggior caldo, coceudosi allora. Rifiorisce an- co nei rami spiccato dalla madre, edallora è il tempo di piantarlo, e piantato o semiuato all’apri» le in terren buono, basta un pezzo . N’è del mon- tano e dell’ aquatico che ha la foglia di sermol- lino più lunga con fior giallo detto salvatico.

Il Prezzemolo Macedonico ha la fog ia assai più larga e più soda del nostrale, ed al gusto è ancora più saporito dell’ altro ; nasce in Macedo- nia, ed esce di certe grotte scoscese e fra le cre- pature delle pietre; e fu di quivi portato in Ales- sandria ( poichè Alessandrino ancora viene addo- mandato ) e d’indi in Italia. Questa sorta di prez- zemolo largo desidera luogo acquidrinoso, o che Copiosamente si possa adacquare, accostandosi egli assai alla spezie dell’ appio. Domandasi per altro nome Estreatico; nasce di seme seminandolo a primavera nell’ aidle degli orti, ove si possa adacquare, e traspiantato anco d’un piè grandi- cello col piòlo , vien bene in terra grassa, Il Prezzemolo ordinario è tenuto da molti che sia 1’ Appio domestico. Ama terreno sustanzioso, gras- so, stabbiato con letame inarcio, e che non sia il luoge troppo umido . Seminasi avendo prima te- nuto per un ed una notte il suo seme in macero nell’ acqua di letame grasso, nell’ aidle degli orti lavorati triti e minuti, per insalate ed altri con- dimenti, comecchè cotto col castrato si dica nel ‘suo brodo più che altra cosa, pigliaudo le sue fo- glie, e minuzzandovele ben dentro, le quali rico- perte per il verno campano 1 geli per rimettere a primavera. Di dicembre, gennaio, febbraio, e marzo, ed ancora tutto l’ anno nei luoghi tempe- rati si può seminare, e fatto l’equinozio di pri- mavera, massimamente avendo un poco prima pes

204 stati i suoi semiin una pila, © fra l’altr’erbe, o da perse. Vuol’ esser per primo seminato fitto, e adacquato bene. Del vecchio seme più solleci- tamente si crede che esca fuori, e prestissimo in quaranta dì, nascendo ( più di tutti gli altri semi difficilissimo ) in cinquanta. Seminato, vuol’esser calpestato con i piedi; basta un pezzo, seminato una volta. Vuol’ esser posto rado ; rifassi dell’ac- qua datagli spesso. L’irtelletto umano ha avuto ardire di specular prima le cose naturali; fatta poi l’arte industriosa per via dell’ esperienza, non sgomentandosi di manifestare le più interne cose prende ardire non solo d’ accelerare gli effetti, ma ancora le basta )’ animo di produrre il prezze- mole, che fra tutte l’ erbe è tardissimo a nascere. Ma conviene esser sollecito e diligente operatore, perchè ogni piccolo errore che si faccia ( come nel far oro agli Alchinisti che sene valgono per iscusa ) è gettata via tutta 1’ opera interamente , Abbiasi adunque il seme d’ un anno, e nello spun- tar dell’ estate mettilo nell’aceto , lasciavelo sta- re un poco in un luogo tiepido, e dipoi mesco- lato con terra sottile e cenere fatta di favùli. Do- pochè l’ avrai sbruffata con acqua arzente parec- chie volte, cuoprila con un panno affinchè 1 va- pore non svanisca via, e così dopo poco spazio di tempo, e depo poche ore dissipata la terra, leva via il panno bagnato, e si slungherà il gambo, e darà a chi vede gran maraviglia. Volendo il prezzemolo per servirsi delle barbe per intingoli, e cotte semplicemente con acqua, e condite con olio, e sapa rifritte prima in un pignatto, si dee divegliere il terreno, e quivi seminato rado la- sciarlo stare, o veramente seminarlo nel!’ aiòle degli orti all’ ordinario e cresciuto alquanto tra- piantarlo a primavera lontano 1’ un gambo dall al- tro quattro dita nel divelto, senza punto storcet- gli o troncargli le barbe; e perchè quando egli

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è piccolo, il primo anno not suol tallire, 0 se tallisce, tallisce poco, si dee tagliare in su la corona e metterà il tallo non prima che il se- condo anno, facendo nuova e fresca foglia, e più lunga e più grossa la barba; e la sementa del se- condo anno farà meglio , lasciandolo poi per tal’ef. fetto al suo tempo tallire e fare il seme. Ama il prezzemolo l’ ombrìa, e’! luogo umido, e se non si sbarba (attendendo a corre le foglie) dura assai. Le sue radici son buone cotte con la carne l'inverno a rinfrescare il fegato , e le foglie in in- salata di mescolanza, ed anco servira (quando son tenere e fresche nate di poco ) per salsa fatta col prezzemolo e con l’aceto , come savore con l’a- gresto a rinfrescar d’ estate. La sua sementa basta cinque anni buona. Il prezzemolo di Macedonia è il più lodato di tutti, e fa dell’altro maggiore operazione. Muove potentemente l’orina, e il mestruo, e manda via l’enfiagione dello stoma- co e del budello Colon, e beuto il suo decotto vale alle doglie del fianco, e delle reni, bachi e a’ dolori della vescica.

Il Palinuro è uo pruno ch° ha le spine contra- rie, e s' attacca di pianta; sene fanno le fratte Romane.

La Periploca, o Erba del Signore ( così detta perchè ’1 Gran Signore de’ Turchi l’ ama molto, e l’ usa ne’ suoi Giardini ) è denominata dall’av- volgersi con questo nome Greco che vuol dire av- viticchiarsi, perciocchè fa le messe de’ rami che avvincigliano ed aggroviglivlano in lor mede- simi, o perterra, o come pussono, se non rikro- vano a dove attaccarsi, e come l’ apocino, ha grandissima copia di lattificcio sotto la sua cortec- cia, sgorgandolo fuori da ogni taglio per piccolo ch'egli si sia. Hale foglie in sul’ andare del gel- somiao ordinario. Piantasi in terreno che sia gras- so, o letamato bene, a pezzio grossio sottili,

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purchè abbia di sotto da quella parte che si cac- Cia in terra e di sopra un nodo, che voglia .met- tere, con gli occhj gonfj che ingrossino i bottoni all’ ottobre, o veramente si sbarbano dal suo pe- dale certe pianticelle ch° ella vi mette , e con un poco di radice si pianta , ovver tirato a terra uno de’ suoi rami vi sicorica, e lascia star tanto che barbichi, dipvi si cava e pone. Il suo seme che nasce in certi baccelletti a uso di cornicini rac- colto di quivi fatto, semina a marzo con l’av- vedimento dei capperi, e cresciuto d’ un anno si traspianta all'ottobre. Piantasi la Periploca fitta per far le strade coperte , e vestire il pedale d’un arbore grosso, e sene posson fare spalliere, e con la guida sotto si può loro dare che forma al- tri si voglia, perchè s' aggavigna a tutto quello ch° ella trova atto a sostenerla, e reggere sopra di se. È pianta che cresce presto, ma per il freddo perde la foglia.

La Porcellana , chiamata in Greco Andrachne ha le foglie pendenti in rotondo, grosse polpu- te verdi sbiancate sopra rami e fusto rossigno . N’ è della minore, e della maggiore, domestica questa, quella salvatica che ha le foglie minori, ed è più minuta di quella, e più terragnola. Quella si semina al fin di marzo, cal principio d'aprile nell’aidle degli orti come la lattuga in terreno trito e minuzzato bene, ed alletamato, perchè spolpa ed usufrutta la terra assai. Tra- piantasi ancora in terreno grasso, e che s’adacqui, a luna crescente, perchè venga presto e piena di succhio ; ed adacquandola farà il cesto maggiore, e le foglie più larghe, piene d’ umore come il Semprevivo. Trovasi ancora dell’aquatica, che ha le foglie più sottili, e più larghe, ed il suo fiore è largo, giallo e rotondo; cresce e s°' au- meota più dell’ altra. Cogliesi la porcellana con i suoi gambi, lavasi bene e netta, e lasciasi

20 seccare un poco al sole tantochè ella ia . Accanto inzuppata nell’agresto si acconcia in un vaso invetriato di terra cotta a suolo a suolo, met- tendo fra l’uno e l’altro del finocchio salvatico, e del sale tantochè s’ empia, e si cuopre col pe- sto del finocchio verde e sale, tantochè erbe stien giù sotto; e vi si caccia una salamoia fatta d’aceto e d’agresto, empiendonela tanto, che so- pravanzi; e si caccia a riporre in una credenza d’ un luogo asciutto opposto al sole affinchè la non immucidisca, e di quivi cavandone s’avver- tisce che stia sempre a fondo, & ricoperta. Dipoi lavata col vino si mangia condita con l°o- lio. Ancora senza le foglie si trascelgonoi suoi gambi, e si pongono a seccare al sole, e sec- chi stesi sur una tavola si conservano in luogo asciutto, e quando si cuocono le civaie ( per- chè siano tenere e pastose allorchè si mettono a fuoco ) si pone nella pignatta un pezzetto di questa Porcellana a discrizione a cuocere con esse, e ciò le farà frolle, e tenere come pasta, quanto la gruma di botte, e la cenerata, e °l ranno. Vale ancora la Porcellana fresca ( sic- come questi gambali così ridotti masticandoli ) all’ allegazione dei denti, e gli proscioglie quan- to °l sale, il pan molle, il cacio fresco e sec- co. Ricercano alcuni perchè ed in. che modo ell’abbia questa facoltà di slegare i denti, e fi. nalmente si risolve, che come la Galamita at- tirare il ferro, così questa abbia tal proprietà , sendo occulta la cagione ( come ia molte al- tre cose ) del perchè. La porcellana infrigida, e però rallenta gli appetiti di Venere. Le pia» ghe della bocca, e l’ enfiagione delle gengìe masticata suol sanare; ed i denti che si dime» nano, masticandola similmente rafferma ed as- soda. Scrivono i Greci che tenendo sotto la lingua una foglia di porcellana leverà la sete; leva ancora mangiata i sogni delle cose veneree.

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Il Pinox è un’erba, che ho veduta nel)’ Isola d’ Ingilterra, che è quivi così nominata, di fo- glia fitta e spessa, di natura della gramigna che s' aggrappa e strascina per terra; fa il suo seme, il quale semina quì di marzo, e di maggio; puo servire per ispallierette ne’ viali, o viottole. Non perde la foglia, si secca, seminata una volta. Ama terren grasso e fon- dato, e sustanzioso da orti.

Lia Pastinaca salvatica, e la domestica cotte lesse e scolate dall'acqua, e bene spremute ac- conciamente, dipoi infarinate e fritte nella pa- della si mangiano d’inverno . Seminausi radette, in terreno dell’ orto divelto, perchè la strettezza non levi loro il crescimento, nelle aiuole dell’or- to, e nei campi scassati, di maggio, di giugno ed ancora d’ agosto adacquandole ai bisogni; poi anco d’ ottobre, di novembre, e dicembre, e di febbraio pure e di settembre, secondochè si faccia pensiero del tempo d’aversi a servire deile barbe, le quali perchè possano dilatarsi ea ingrossare, si deono ( seminate ch’ elle sie- no nell’aiuole degli orti ) un poco cresciute tra- spiantare nei terreni grassi divelti un braccio e mezzo, ed alletamati, discosto 1’ une dall’ altre due terzi di braccio’ perchè le piglino forza, e si deono bene accarezzare con levar loro 1’ er. ba d’ attorno, e con adacquarle almeno due vole te la settimana nel primo principio; che dipoi avendo barbato bene a dentro non hauno di bi. sogno. Si sbarbano sempre avanti ch’ elle tal- liscano, ed il seme che s'ha a raccorne per riseminare sia di quelle che hanno il midollo sottile. ed il cespuglio che da fuori piccolo. La radice della pastinaca traspiantata grossa un dito, si fa più grossa e più lunga d’un braccio. La radice della domestica nutrisce meno assai che non il rapo; la salvatica agreste ovvero

20 erratica, che fa nei luoghi acquidrinosi, o abi late umide, non si dee mangiare che cotta be- ne, disfatta e sfarinata. Scrivono che iu Min- ritania vengono alte nel gambo di dodici cubi- ti, e grosse quattro palmi. La pastinaca muvuve il corpo, ed è ventosa; manda fuor l’orina, incita a Venere, aggrava le concezioni. Racco- gliendo il seme della pastinaca salvatica, e se- minandolo nel terren coltivato, creerà Je bar- be d°eficacia assai maggiore, e più profittevo- li, e di miglior gusto e sapore, che non le do- mestiche. Scalzando e soffregando i denti con le radici della pastinaca, si libereranno dal do- lore. Sarà ancora di valur maggiure a tutto la pastinaca salvatica , che sia nata nei luoghi sas- sost; e di questa si dee raccogliere il seme per piantar nel domestico. Le pastinache o salva- tiche o domestiche cotte in pezzuoli e scolate dall’ acqua, avendone cavato il duro che hanno in mezzo, si rivolgono nella farina distemperata con l’acqua, e si friggono nella padella per cibo appetitoso.

Il Papavero è di più sorte ; il salvatico ha il capo piatto e schiacciato, e’) seme nero; unal- tro salvatico e che è più lungo dell'altro, e fa più lunghi i suoi capi. Veggonsi per le cam- pagne i papaveri salvatichi del mese di maggio, detti dai contadini Resolacc], di fior rosso, ed in tanta copia talora che paiono panni scarlatti distesi, e sono in uso ai contadini questi fiori secchi e triti in polvere per il mal di punta. Di questi non si tiene alcun conto per seminar- li perchè nascono da per loro per ogni campo, e per gli orti fra l'altre erbe si generano nell’ aiuole. Sono de° Papaveri domestichi che si seminano , tre spezie ancora: il bianco, delqua- le si mangiava appresso gli antichi. il seme ab- brustolato con méle alla fine del pasto, e questo

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usano i villani di spargere sopra alla corteccia del loro pane prima bagnata con uova sbattute ; l’ altro fa il seme nero, dal cui capo quando intacca esce un liquore come latte; il terzo è il detto di sopra. Del seme bianco in Lom- bardia, e nelle montagne di Trento si fanno alcune vivande dette Paverate, delle quali man- giano sinchè sene satollino, perciò più dor- mono; come nella Stiria, e nell’ Austria Supe- riore, dove non usano altr” olio nelle vivande che quello che spremono dal seme de’ papaveri, dei quali per questa ragione fanno grandi im- prese, e quando è fatto il seme lo spremono al torchio, e n'esce olio così buono a mangiare come ad ardere. L’ oppio poi si cava dal latte che distilla dai capi de’ papaveri, e dai neri si genera il sonno. Quando gonfia nell’ora del sereno, cioè quando la rugiada in esso rimane asciutta, si taglia sotto °1capo, e sotto il ca- lice, in altra sorta di papaveri si mozza la testa. Il succhio che n°esce si raccoglie con la lana, o veramente con l’ugna del dito gros- so se è poco, comealle lattughe , ed il giorno che viene doppochè più s°è suzzato, allargan- dolo si condensa, e ristrigne insieme, ed in co- faccette piccole si mette a seccare all'ombra. Questa mistura Oppio addomanda, il quale per non sentire i dolori del segare un membro si a termine perchè dato fuor di misura ad- dormenta in perpetuo tutti i sensi ed ammazza; come alcuni non potendo sopportare alcuna ma- lattia s' hanno con una buona partita di questo procacciata la morte. Per cattare il sonno si trita il seme del papavero e s'intride in pa- stelli con latte, e questi pigliano dopochè uno si sia cibato ; ed impastati con olio rosato, fasciando il capo, giovano al suo dolore, e con questo anco si cura. il duolo dell’ orecchie ,; 6

211 alle gotte si distende sopr’ il luogo affetto con il medesimo olio rosato e gruogo. La prova dell’ oppio se è vero, fa nell’ acqua per- chè una nebbia vi nuota, e posto al sol dell’ estate suda sì, che si risolve e disfà come quando era fresco; il finto si rappiglia in certe bolle. Si conserva aggiungendovi seme di Giusqui- amo o fave; suole falsarsi in Alessandia. L'op- pio buono è il denso e grave, l'amaro e che si disfà in acqua agevolmente. approva in es» so la pulitezza e ’l candore; la crosta e roccia si biasima. Approvasi ancor quello che fa ua be] lume accesane la lucerna, e che spenta fi- nalmente ne sappia. Si falsifica col Glaucio e col latte della lattuga salvatica; e questo ape parisce sempre un poco gialliccio come il gruo» go. Puossi ancora raccorre l’ oppio in quest’ al- tra maniera: Tostochè le rugiade sieno rasciu- gate , si dee segnare con un coltello ( con te- ner sospesa la mano leggermente ) il capo del papavero, affinchè °l frego non passi dentro; ac- canto s1 tagliano i calici decussati in cima del- la pelle, dimodochè la lacrima che gocciola, l’ugna grossa che si metta sotto, in tritoli la metta insieme; dipoi si spartisca quivi dopo nou molto affinchè quella che è colata dalla ferita, ritrovi rappresa insieme e rassodata; l’altro si riviene a fare il medesimo. Queste lacri- me tritate in una pila vecchia, e spartite in girellettì si ripongono. Quando s’ intacca il game bo, deesi partir di quivi, perchè le vesti di co- loro che son per raccoglierlo non si strofinino al latte. Alcuni altri pestano le foglie e le gua- ine del papavero, e dipei spremono tutto al tor- chio, e poi rimenandolo nel mortaio, lo ridu- cono in pastelli, e questa sorta di succhio si chiama Meconio, che è di manco valore assai, e men potente dell’ oppio. Il seme del papave-

212 ro domestico mangiato semplicemente ha natura di raffrescare; imperciò induce al sonno, ma se più del dovere altri sene cibi, addormenta i sensi, e difficilmente digerisce , al cor- po nutrizione che vaglia. Il Papavero detto ce- ratites, cioè cornuto , produce il fusto alto una spanna, ele foglie simili a quelle del Verbasco nero, ma però manco nere; ha la barba corta, e poco profonda in terra; fa suoi semi dentro a certi baccelietti come cornicciuoli ritorti; rac- cogliesi al tempo della mietitura; ha le sue fo- glie bianche sottili e pelose , il decotto ed il succhio delle quali leva °l bagliore dagli occhj delle pecore lavandoli con esso, ed ai difetti del fegato umano giova la decozione delle sue ra» dici ridotta bollendo al calo della metà, per aver virtù latente astersiva, ed incisiva. Ghia» masi ancora da alcuni Paralio per nascere ab- bondantemente intorno al mare, ed anco fa nei lati sassosì verso Port’ Ercole ed Orbetello, e nel Monte Argentario è copia grande, come sul territorio di Grosseto. Il Papavero spumeo o Eraclèo è bianco e spugnoso di piccola pian- ta, ed ha il seme che purga la flemma; chiama- si anco Aphrodes; ha la radice bianca e nella superficie della terra. Questo papavero spumeo attesta il Mattiuolo di non aver veduto in Ita- lia, tuttochè io ho avuta una pianta nel mio Semplicista alla Porta alla Croce di Fiorenza, che corrisponde con le fattezze in tutto alla de- scrizione sopraddeita. Un'altra sorta ne mette il Ruellio, chiamata Tithymalus, ma com’ al- tri è quel paralio di leggier foglia, capo bian- co di grandezza di fava, Racceogliesi quando l’ uva è in fiore, e si secca all’uggia, ed è anco questo medicinale. Il Papavero Indiano è ‘stato addotto di quel paese da poco tempo in qua , ed è una sementa che prova nel nostro

213 come là; è piauta che si stende in alto due braccia, e due e mezzo col suo gambo che ha in cima il fiore; hale foglie simili ai papave- ri ordinarj, e così simile la foglia del suo cespu- glio, delquale mette più d’un gambo a fare in vetta il fiore, quale ha dentro piccolissimo capo quanto ed in sull’ andare che s’ abbia il salvatico; ed esso fiore è doppio di foglie e pannocchiuto fuor di modo, che s' apre iu rotondo quanto un più che mezzano carciofo; ha le foglie del fiore di variati colori, alcune ne sono bianche e candi- de come la neve, altre azzurre, ed altre hanno il fiore brizzolato di varj colori. Soprattutto sene trovano de’ rossi scarlattini, e de' pagonazzi, e per questo sono da essere apprezzati. Questi bramano di esser seminati innanzi a tutti gli altri, desiderano essere strapiantati; a- mano di stare dove sono stati seminati la prima volta, e cresciuti d'un poco vogliono es- ser marreggiati, e se vada secco annafhiati, volti al sole ed in luogo caldo. Il lor fiore colto basta poco, ed è senz’ odore come i Rovistichi di Le- vante. Amano di stare insieme accosto l’ uno all’altro con lo spazio d’ un braccio, perchè la lor pianta ragionevolmente allarga, e si distende; sono i primi a fare i lor fiori, e s' hanno per hel- lezza. Ora tutte le razze de’ papaveri domestichi, e gl’ Indiani ed i nostrali bramano, e fanno bene in luoghi caldi e secchi, ma che siano di terra grassa ben lavorata; e meglio proveranno nei cam- pidove sia stato allumato ed attaccato fuoco a fra- scole , e sermenti. Seminansi i papaveri di settem- bre nei luoghi caldi, nei freddi a primavera. Deon- seminare in terreno lavorato sotto una vangata, ed una zappata, o una vangata e mezzo, e se in seminandoli riescon fitti e fondi, diradiusi, chè fanno rami, ed hanno bisoguo di spazio ; e se il caldo gii stringa s’ adacquino , Il lorseme è ma-

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turo quando si stacca dentro sbattendolo daitra- mezzi che lo dividono cartilaginosi, e si conserva benissimo dentro al suo guscio senza cavarnelo; appiccandogli peri gambi al solaio in luogo asciut+ to. Dipoicavato al tempo del seminarlo che è detto, si mescola in seminandulo con arena, chè nascerà rado il bisogno. Nati, tengansi netti dal- le cattive erbe, e volendo far olio del suo seme non s indugi cavatane la sementa a porla sotto il torchio. Quest olio si conserva benissimo in vasi che siano invetriati, ed in lato asciutto; e se sia spremuto di seme cavato di fresco, cioè subito spremuto avanti che riscaldi, sarà gustevole a mangiare °

I) Panico affatica il terreno, e lo smagrisce più del miglio. Fa bene nei paesi che sono caldi e secchi, ed ama terra leggiera e sciolta, ri. getta la ghiarosa, sabbionosa, ed arenosa pur- chè vi sia l’aere umido, e quella fresca; teme la pura secca ed argillosa letamata , gli noia l’asciutta. Fa ancora dove non s' adacqua pur- chè sia terra ben trita, e ben concimata ed acconcia di lavoro come il miglio. La sua semen- ta può essere la di febbraio, marzo, e mezzo aprile, mai avanti l’invernata; di maggio si ha a seminare nei luoghi freddi ed umidi, nei cal- di più oltre tagliato il grano e l’orzo in ‘quel luogo medesimo, subito ben lavorato e letamato di letame marcio. È quì si potrà seminare così rado come fitto, ma meglio è rado e non fendo. Le biade che si seminaa estate bramano piut- tosto luoghi che si possano adacquare, che non. l’acque. Ma il panico e il miglio non vorrebbe acqua quando esce fuor con le foglie, e dipoi noca. Puossi ancora seminare fra i legumi negli orlicc] de’ solchi, e nel piano d’essi, e nei frumenti; e levati i legumi, si sarchi e sia quando comin- cerà a fare i nodi, ed allorasi netti diligente-

I

215 mente dall’ erbe perchè non affoghino. Se sor- tirà il panico terreno e paese a modo suo, in qua» ranta sarà da mietere; e quando e’si avvan- taggi, colgasi con mano, e di due innanzi si lasci finir di farsi ammontato ne’ mazzi, e le- gato sospeso alto al sole. Seccato, si ripone con le sue spighe, fra le quali basta assai in lato asciut- to, come ancora mondo da quelle è durabilissimo, si può nettare acconciamente che non sia ben secco. Trovasi del panico che’! suo granello è rossigno , altro in cui è nero e bianco, ed alcu- no che l’ha negreggiante di color di loto. Se si riponga il panico dove i venti non penetrino, è atto a bastar cent’ anni come il miglio, che è qua» si immarcescibile, e l’uno e l’altro benissimo conserva le frutte che vi si ripongono dentro. Il panico è simile al miglio, e nelle facultà sue è di poco nutrimento, e disseccativo. Ristagna al- quanto ancor esso i flussi del corpo, come fa il miglio, ed applicato di fuori disecca, e rinfrea sca ; perciò è atto ( riscaldato e posto ne’ sacchet- ti, ed appoggiato al luogo affetto )a levare i do- lori, e così ancor dello stomaco, e del petto. Il panico brillato mondo, e scortecciato bene, ed impastato con latte fa poltiglia nou ingrata al gusto, come cotto così brillato con brodo di carne grassa 0 lardo ed anco con olio. Si adopera as- sai per pane in Guascogna, e la gente di Ponto anch’ essa è vaga, e ne vive : È ottimo per bec- care, e ingrassar i colombi e l’ oche, e massime cotto e più macinato, ed intrisa lor la farina con acqua calda, ma tutti gli uccelli di canto beccano volentieri, e nutrisconsi del panico.

11 Pisello è di due sorte , uno che sale in alto, e l’altro che va terragnolo; quello ha di bisogno di sostenimento di legci, e fraschette per appog- giarsi, quest’ altro che è minore si tiene da per se a terra, e quì fruttifica. L'uno e l’altro è

216 buono a mangiare anco dertro a’ gusc) quando soi teneri, così lessi, come fritti nella padella, e sgranati teneri, cotti con olio puroe sale, con- diti ca'di, son cibo delicatissimo e gustevolissimo al palato, sebbene non buon bere. Il pane che è ottimo foudamento per gustare il vino, si può mangiare asciutto quando avendo mangiati piselli, si voglia bere. Secchi ancora, si mangiano cotti simiimente conditi, e fatti passare in stac- cio, si fa una pisellata alla Pollacca , cocendovi dentro del porro, o salato o fresco, molto aggra- devole. Per temere il pisello grandemente il fred- do è da seminarlo nei luoghi a caldìo ; ed in que- sti seminati per tempv ne produrranno ancora d’inverno come i baccelli. Si mette in terra mos- sa di primavera, un tratto di nuovo poi lasciata riposare fin all’ altr’ anno; e meglio sara io cam- po grasso, una volta lavorato e rivolto, o in quelli che si semina un anno e l’altro nò. Gesì de- siderano tutti i legumi essere in terra agevole e disciolta che sia in luogo caldo e tiepido, non privo d’ umidità che non patisca il freddo. Co- lumella vuole che al pisello si concimi bene il campo se subito si segua a lavorarlo con ara- tro, e quelche la falce abbia lasciato prima che si riari, il vomere lo ritagli e ricuopra, e questo anco serve peristerco e letame. Si fa gran ma- raviglia il Ruellio, che Dioscoride non faccia menzione alcuna de?’ piselli, i quali afferma che muovon l’orina, e rendono altrui senza sonno; son ventosi, ma levato lorla corteccia si rettifi- cano. Non rifiutano la terra grossa umida e leg- giera, ben lavorata e ben vangata a dentro, e letamata, ove spesso piova o adacqui. Nei luo- ghi più austeri non si può seminare che a prima- vera, all'aprile, o nell'ultimo di marzo, e nei luoghi caldi al settembre per avergii primaticc], ed anco all'ottobre, e se sia a solatìo e bene ac-

217 carezzato i suoi frutti di mezz? inverno, Co-

prendogli a certi stridori, e con letame marcio posto loro attorno, zappandogli e rincalzandogli, ma che sia lato ove non possa vento. E negli al- tri luoghi accomoda loro il seminargli quanto più tardi si faccia dall’ equinozio autunnale in là, e corrisponderanno meglio. Deonsi seminar lontani un piede l’un dall’ altro col pidlo, o ne’ solchi fatti da poterveli ricoprire quattro diti e non più; e massimamente quelli che vanno retti in su le fra- sche di quercia, di albero, o di. potature di do- mestichi frutti. Gli altri die vanno a terra, si seminano più fondi cioè a pugnelli come si disse delle fave all’ usanza Romanesca ; ma quelli che averanno aiuto dureranno più assai, e manco si pertuseranno da'punteruoli, o da’ tonchj. E quan- do pure n’avessero, posti quando son secchi so- pra lento fuoco, tutti cascheranno în un paniere di vimini, e uscitiche ne sieno ripongansi a con- servarsi in solaio asciutto , avvertendo che sieno secchi prima affatto , perchè così fanno men ver- mi, o si pertusano meno. Si deono cogliere nel fin dello sminuir della luna, e si deono semina- re nel crescer di essa. I gambi de’ piselli arati sot- to freschi ingrassano il campo; mangiansi le cime de’ piselli verdi, condite crude solamente con olio sale e aceto, ma cotte come le cime delle zucche (cavatine i viticc]j) saranno migliori. Si libere- ranno dai bachi che gli forano, messi în un panie- re e dato loro un tuffo in acqua bollita e poi po- sti a rasciugare al sole, o veramente posti sopr’ al fumo in una paniera di vimini rada e scoperta di sopra, verranno fuora, ed agevolmente si cave- ranno. Tutti i piselli, veccie , cicerchie e mochi e lenti e ceci ed insomma ogni generazione di legumi vogliono esser seminati a luna scema a cagione del troppo gran rigoglio ch'e’ prendono sopra la terra, altramente ricascheranno, e dise- 28

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gualmente fioriranno; e tutti gli altri semi di biade, e frumento a luna crescente. Il Pisel- lo verde è una sementa di piselli differenti da- gli altri, che tuttavia dentro e fuori de’ suoi gu- sc] sta verde, e cotto ancora mantiene il color verde; e sono sempre più delicati e teneri che non son gli altri; e questa razza è molto frequente in Toscana, ed ancor fuori in Danzica sene fa grande impresa, e di procacciando il seme farà quì assai miglior prova. Desiderano soprattutto terra grassa, e d’esser piantati radi. Nel rima- nente amano la coltivazione medesima degli altri.

Il Porro indugia a nascere ben venti dì, e più secondo il freddo; e volendo un porro che sia gros- so e sfoggiato come un grandissimo appio, scavisi uncacherello di capra conun ferruzzo a proposito e vi si caccin dentro cinque o sette semi di por- ro, e riturisi quel pertuso con la medesima ma- teria di sterco caprino, e si ponga in un buon terreno lavorato ben sotto, ma ricoperto pocu, e mascerà un porro di smisurata grandezza, e gros- sezza, iucorporandosi insieme tutti quei semi nati inun corpo d'una pianta sola. E non saperrà di porri colui che ne abbia mangiati, se prima averà mangiato due o tre bocconi di comino. Alcuni scrivono che nasce in diciotto dì, e di due mesi può traspiavtare. D’un anno, si contenta solo d’ essere sfogliato, e rità foglie maggiori; di due anni fa il gambo lungo dentro veto con mol ti fiori in cima aggorvitolzti in una palla roton- Ga, e quivi fa il suo seme. Vogliono i porri la serra grassa, e sustanziosa, ma agevole e leggie- ra, e vengon bene nell’ arenosa e grassa, e tut- ta ben concimata di letame grasso marcio, lavora» ta minutamente, e ben trita, e piuttosto che arata, vangata. Si seminano i porri nei paesi cal- di di dicembre e di gennaio, e trapiautando di poi i porrini di marzo, e aprile per usarli

21 l’anno che ha a venir dipoi; ond’ è che cli tolani si lamentano del porro dicendo, che niun altro erbaggio sta più in sulterreno a occuparlo di lui, Nelle fredde regioni al fin di marzo, e di febbraio è ben seminarli per trapiantarli all’ u)- timo di maggio, e di giugno, per servirsene il verno che segue dipoi; nei luoghi temperati, di gennaio, febbraio, e marzo, e trapiantarli al fin d’ aprile, o al principio di maggio per l’anno a venire. Seminansi ancora in principio d’agosto, e di settembre per chi li volesse avere alla ve- gnente primavera; ma nonsaranno così buoni co- me quelli seminati di febbraio o di marzo. Si tra- piantano di dicembre, il che s' ha a fare nei luo- ghi temperati. Nelseminarli ha a osservare che sia sempre aluna crescente, come nel traspiantar- li; ed in questo si cuoprano prima bene l’ aiuole di letame marcio, e si adacqui bene il terreno per sollecitargli a nascere, e quivi diradando» gli a modo, si possono lasciare stare ( nati che seno ) accomodaudogli larghi l’ uno dall’ altro un palmo, ed amando che ingrossino, si tirino per la cima tanto che si sentano con mano solle- vate le radici dal lor fondamento, ma non sbar- bargli affatto; così darassi loro occasione d’ in- grossar più e crescere a riempire quel luogo ca- vernoso e voto; e ciò si dee fare mentre ancora di lor natura non crescon sotto. E volendo tra- piantargli nel terreno ben vangato e ben leta- mato, vi farai i solchi distendendovi i porri di due mesi giovini senza aver tagliato lor punto le radici, solo spuntaudole (lontani l'uno dall’al- tro sei diti) e tosate le foglie, ed avendo po- sto sotto nelfondo una lastretta dove risegga, e posi affinchè non potendo forare in giù, si disten- da in largo ed ingrossi. E con la terra che tu caverai del secondo solco riempierai il primo, così seguendo sin all’ ultimo , e nella prima gettata di

220 terra aggravala ben lor sopra alle barbe dirizzan- do il fusto mentre riempi affatto . E volendo tra- piantarvegli con un gran piòlo, mozza lor tutte le barbe, poi ficcagli nel pertuso ristrignendo lor bene la terra attorno col medesimo piòlo. E tut- ti passate tre settimane si sarchino nettando gli da tutte l’ erbe nate fra essi. Sitraspiantano an- cora con doppio profitto fra le cipolle che sien già quasi grosse, e levate poi le cipolle affatto, si sarchino e rincalzino, e vi faran bene. E per- chè i porri si seminano e si traspiantano in due modi, hanno dagli antichi sortiti due nomi , il sa- tivo, e il capitato. Seminasi quello spesso e fitto su l’aie per tagliargli le foglie ed i germugl), il che si mangia in varjcondimenti di carne, ed altro. Capitato s'addomanda quello lasciato per tal. effetto nell’aiuole ove è stato seminato, che in capo a due mesi dalla sua nascita si può cominciar a se- gare, ma ogni volta ch'e’ si taglia convien ricrearlo con l’acqua, e rinvigorirlo con il letame, e sarchiar- lo spesso tenendolo netto dall’erbe. Altri hanno opi- nioneche il sativo regga meglio traspiantato dal suo natìo letto in luogo ben lavorato, rado l’un dall’al- tro quattro diti, e fermo e bene appiccato, e non prima tagli, seguendo pur tuttaviachè ciò si faccia a rinfrescarlo con il letame, e adacquarlo e sarchiarlo. Etrapiantando il porro giovine, ta- gliandogli prima quelle sue piccole barbette, e to- saido molto bene tutte le cime dei suoi capelli, ponendo sotto a ciascheduno di essi un pezzodi te- goletta o di coccio rotto , e rincalzardogli bene la terra attorno, e tagliandogli appresso ogni vol- ta che ne rimetta le foglie siutantochè non cre- sca più, nontoccando però dove mette il tallo , e gettando tuttaviachè si tagliano fra essi delNe- tame marcito; e ciò ancor più quando segli toc- chino più le foglie che la prima volta che egli trapianta per servirsi del capo e non delle fo-

291 glie , le quali per questo tratto solo segli hanno a tagliar tutte rasente a dove è la messa sua principale; e quanto più si trapianterà è Opi- nione che più ingrossi, e si faccia capocchiuto, il quale si coltiva sarchiandolo spesse volte, e tuttaviachè si sarchia dandogli del grassume, vi si fa differenza nel coltivarlo dal sativo, se non che questo si dee adacquare, letamare, e sarchiare a tutt’ ora che segli taglia la chio- ma; al capitato quando è ben fermo in terra perchè ingrossi ancora più, si dee ( avendogli fitto sotto il marretto ) sollevarlo un poco de- stramente tirandolo con le mani, smovendolo dal luogo suo, e facendogli far lato sotto, perchè pos- sa riempiere quel. voto col crescere. ‘Ancora le- gando parecchi semi di porro in un cencio bian= co sottile, e cacciandolo sotterra nel lavorato tre diti, farà corpo per un porro che deggia es- ser grandemente capocchiuto, ed anco mettendo- gli fra le barbe quando si-trapianta o mattone pesto , o polvere che si cava spazzando gli am- matlonati, impiastrandogliela alle barbe con ‘acqua di colatura di letame. Ordinariamente i tempi di trapiantare i piccoli ne’ suoi so!chi son due, avvertendo che non stia il gambo a gia- cere , chè così non profitterebbero. ll tempo pri- mo è di maggio e di giuguo in terra ben ba- gnata, prima fatto il dinanzi il foro dove ha da ire, e poi il che si pianta, la mattina, e piantarlo la sera, e di subito dargli dell’ altra acqua piantato che eg!i sia. Il secondo è di settembre e di ottebre, e quanto più spesso si sarchieranno , e si darà iero nuovo letame vec- chio, più capacciuti diventeranno; come ancora scalzandoli spesso sin sul capo, e quivi sen- za altramente muoverli, o scrollarli, con un fu- scello o canna appuntati fatto un foro gioverà ficcarvi un seme di rapa o di cocomero ogni

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volta che si scalzino. Ancora quando si Mutti tano si dee mescolare assai con la terra dell’a

rena che lor tocchi il capo ed .i capelli; e di più pigliando quanto seme tu possi con tre diti, impiastrato di Jetame ed incolto in una carta lo seminerai, e ne nascerà un porro capacciutis- simo. Ancora ingrosseranno assai, e saranno ap- provatissimi i porri, se quando gli averai semi- nati in sul’ aie, tu le calpesterai | per tre 0 quat- tro coni piedia dilungo straccurandogli, poi il quinto gli annaffierai ed accarezzerai. ac- costuma per avergli grossi in alcun paese, come nella Lunigiana, e verso Genova , fare il foro ai porretti assai ben grande, ed in quel foro senza altramente riempierlo sine dentro diritti, e lasciargli così stare. Coaliscono con la terra, e si sforzano di riempire il pertuso coll’ ingros» sare. Per raccogliere il seme si deono lasciar venire innanzi i più belli, e quando è fatto ap- piccandogli in mazzi in luogo asciutto vi dure- buono per tre anni. Fu grato il Porro alla Dea Latona, onde fu fatta legge in Delfo che chi gliene portasse uno che fosse. oltremodo smisurato, avesse in guadagno la parte del Sa- cerdote di lei; gliene fu portato uno grossissi- mo quanto una grossa Rapa, e di questo essen- dosi cibata (trovandosi ristucca, ed avendo per- so il gusto ) con esso riebbe l’ appetito , essen- do ella impregnata da Apolline. Così scrive A- taneo. Tutti i porri si stendono in terra scalza- ti sin'in sul capo nel tempo dell’ inverno, e po- sti a giacere si ricoprono di terreno, lasciando fuori la sola cima delle foglie, e s' imbiancano e così imbiancati si mangiano o crudi o cotti; sotto ia brace, e nel forno; conditi poi con olio sale ed aceto sono eccellenti, ed ancora cotti lessi, poi spremuta l’acqua, usavano gli antichi condirgli con méle, e giovano assai a ri-

223 schiarar la voce e farla più del solito canora, allargando, il petto e facendo giovamento alla tosse ed al polmone. E per questo rispetto scri- ve Aristotile che le pernici volentieri sene ciba» no, e manco maraviglia dee parere che Nero- ne quando dava opera a cantare ne dovesse man- giare abbondantemente, ma con l'olio. Il por- ro trito ed appiastrato su i morsi delle serpi, scrive Sozione essere insinuante , e presto rime- dio. Credesi che i porri nutriscano quanto le carni, massime cotti che asciughino. Arro- stiti ed abbrustolati si mangiano subito con- tro al veleno de’ funghi cattivi, cotti con l’acqua due volte mutata fermano ?] flusso del ventre riscaldano "1 corpo, assottigliano i grose si umori, e digeriscono i lenti, Scrive ’l Mat- tiolo che si deono seminare i porri, e poi quando si trapiantano tagliar loro le frondi, e le barbe, e por loro sotto una lastra, e che co slargheranno, e faran più grossa la testa. Il Porro salvatico, detto Ampolopraso, nasce per le vigne e per i campi, serbasi nell’ aceto per tutto l’ anno, ed è molto medicinale a più usi, e vale assai a provocar l’orina..

I Poponi ( dei quali alcuna sorta è che pi» gliando la ‘forma dei pomi s' addemandano Me- lopoponi ) a voler avergli convien ricercarne buo- na razza di sementa, la quale dee esser trascel- ta di quelli che hanno la scorza grossa, o sia- no eglino Gornetani, Dommaschini, o Turches- chi, Cotognoli, o Zatte Padovane, o Cetronel- li, che tutti questi sono i nomi loro. E volen- do averli odorati convien tenere il seme per qualche settimana fra le rose odorate secche all’uggia; e questo odore grandemente piglierà la sementa di quelli che addomandano Zucche- rini, e soprattutto quelli ‘che nascono con le granella monde in corpo senza guscio alcuno ;

224 e questi ancora meglio degli altri ( tenuto il seme fra l’ambra, musco, o zibetto ) piglieran- o il loro odore. Oltre a doversi eleggere la sementa di quelli che hanno la scorza dura, si dee cercare ch’ ella sia di color naturale verde, perchè questi resisteranno più al sole, si gua- sferanno così presto . Ma se sieno de’ vernerecc], dei quali una sorta è che hanno la scorza gialla, ed un’altra che l'han bianca, si dee procacciare in ogni modo di quelli che l’ab- bian soda o dura, perchè questi tali basteranno più ai freddi del verno, ed in sul terreno mag- gior vigore acquisteranno, e saranno di meglio sapore. Secondo poi la bontà del terreno che s'af- facci» minore o maggiore, e se sian di sorta di buccia delicata, come quelli che si chiama- no dommaschini , e così ancora d’ ogni altra sor- ta, si pigli la sementa dei più fatti, e che sia- no più accosti al gambo principale. Il seme sia ben granito, e tutto di quello che posto nell’ac- qua vada a fondo, e sia del più nuovo che si possa avere che non passi l’anno, e scelga quello che sia dal mezzo popone indietro, e pri- ma nato, se già non sia di quella razza che vengon tardi, e di questi si scelgano quelli che sieno ultimamente nati e si bagnino o lavino per serbarli per seme, perchè si conserverà all’ asciutto, sparso e disteso fra le sue marci- daglie, o sivvero spartito da esse con la mano posto all’ ug ggia sparpagliato sopra tavolette di legno secco in lato asciutto. E prima gentile e destramente si asciughi con un panno lino . So- no, come s'è detto, di più sorte Poponi, ma ristringono a due dalla polpa di dentro dif- ferenziati, perchè di fuori le buccie sono in- finiti colori. Adunque o hanno la polpa bianca o rossa, e sebbene tutti sono più saporiti nel secco ca asciutto terreno, i di bianca polpa

225 in terreno che sia grasso ed umido pèggiorano fuor di modo, sono così buoni, e più fallaci de’ rossi che meglio vi si comportano; siccome ancor quelli che si addomandano Zatte, i quali maturi quando da se si spiccano sul gambo, si conservano così per un mese e più buoni per il priacipio dell’ inverno. I Dommaschini brama- no fresco terreno e grasso; i Cornetani asciutto e sano, e le Cetronelle vengon bene nei più gras- si fondati e sustanziosi ed umidi, e non meno che quelli di Genova e Ghioggia sogliono esser tut- ti d’ una buccia ed’unsapore, come si dice in proverbio , e grossi al pari l’uno dell’ altro. I Tur- cheschi desiderano la medesima qualità di terra di quelli. Deesì essere studioso del seme de’Cor- netani e de Turcheschi, e dei Cotognoli come delle altre razze, che tutte riescono quà sapori- te e buone; e massimamente che così fatti semi non sono punto fallaci, come anco riescono i cocomeri, che di là, e di Alessandria venuti sono. I poponi gialli di scorza che colti avrai, inzafferanati bene, e tenuti al sole per quattro 0 sei dì, dipoi riposti sotto 1 monti dell’orzo, grano, miglio, o panico bastano buona parte dell’ invernata; desiderano terra grassa e fonda- ta più di tutti gli altri perchè vengan grossi, ma perchè durino assai, asciutta e leggiera. Il sito de’ poponi dee esser del tutto scoperto, e non punto occupato da uggia, eche sia disbri- gato da arbori e macchie, e la terra netta da ogni banda di tutte l’erbe, minutamente lavo- rata sotto a dentro una vangata e mezzo, 0 una vangata ed una zappata. affanno ai poponi le valli opposte al sole, Ricercano per questo luogo pendente ed a scancìo verso mezzodì, e massimamente se sia un paese ove soglia piovere spesso, © vi sia troppo umido il terreno . Non ri- fiutano i luoghi grassi e fondati del piano, ma se

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226 sieno troppo umidi, facciansi l’aie da piantarveli

nel mezzo assettandoie rilevate a comignolo ; ino

quello spigolo che sarà il più rialto luogo di lore, e diquà e di siane i solchi con la vanga fatti, as- sal cupi, che sbocchino in fosse maestrali da sgor- gar 1’ acque e scolarle tostochè sia piovuto. Brama- noì poponi paesi e luoghi caldi anzichè freddi, ed in questi si scelga sito concavo a solatìo, e che sia soprattutto difeso dalla Tramontana . Desidera. no tutte le sorte per lo più terreno grasso per natura e sustanzioso sugoso e non umido, Fan- no ancora e buoni e saporiti negli arenosi, e nei terreni nuovi e ben riposati, e nei prati grassi disfatti, vangati a due puntate, purchè sieno ben netii dalle radici dell’erbe. Non ama- no terra che sia letamata di fresco, ma di tem- po assai innanzi incorporata e smaltita, che ab- bia levato quel tanfo di cattivo fetore, che da- rìa loro il sapor cattivo. sia il letame che si loro di animali grossi, come buoi, vac- che, asini, cavalli e muli, ma di pecore, ca- pre e colombi, o polli; ma meglio è che im- pacciarsi con letame, nel principio dell’ inver- nata abbruciare in sul Juogo del Poponaio, pa- glie, stérpi, legnami o sterco vecchio o secco, e di tutto fatta cenere spargervela, e di subito vangare con questa materia a una puntata e mezzo almeno Îla terra, rimesticando bene, e ri- veltolando il tutto con questa: O veramente in sul terreno lavorato, dentro alle buche de? po- poni dare a ciascheduna pianta nella buca im seminandoli una giumella di lupini cotti; e si pongano sotto a dove hanno a barbicare le gra- nella, ie quali lascerai prima che tu le semini, per tre a macerare nel latte, poi asciugate e secche le porrai, e saranno i poponi più soavi, e odorati se subito cavate le granella del popone ed asciutte bene , tu le ponerai nella

29/7 banca tra °l musco, o ambra, o rose secche

dommaschine, o altro buon adones e volendogli ben dolci ici; il suo seme per quattro in acquaròsa, stemperatovi dentro del zucchero, o in acqua melata disfattovi dentro del musco, 0 in vin melato, o in zucchero disfatto in acqua lanfa di fiori di limone. Ma così fatti artifiz] si facciano in terreni asciutti anzichè in terre morbide e grasse, le quali lavorate come è detto, e piuttosto a due vangate che altro, si pareggino e si facciano bene spianate minute con l' érpice, e poi con i rastrelli assolcate, 0 volendo fare spazj di piazze grandi si dìa loro gran colmo a comignolo, e buono scolo; faccian- si appresso certe buchette con una zappa o vane ga, fonde un palmo ed altrettanto larghe, e si riempiano di terra cotta, e sotto quella lupi- ni cotti, e piantinvisi accanto grato (0) ciuque granelli di seme con la punta volta in lon- tani l’uno dall’altro tre dili. Ricuopransi poi leggermente che vi rimanga più di quattro diti di voto di buca, la quale nella prima sar- chiatura si riempia di terra cotta rincalzando bene una sola pianta Ja più vegoente che si ha a lasciare, o siano le buche l’una dall'altra lontane due braccia o due e mezzo con ordine quincunce, chè ancora in questo darà bella vi- sta e tornerà bene. Seminansi i poponi di mar- z0, d'aprile, e di maggio, più tardio più pet tempo secondo la qualità del paese, e posizione del cielo. E chi gli volesse aver più per tem- po maturi seminigli più a buon’ otta in una ce- sta 0 vaso pieno “li terriccio , e facciasi come si disse dei cocomeri. Ancora si possono porre i semi nella scopertura del monte del letame , e come veggano aprire, e cominciar a germa= gliare, convien porgii nelle buche dove hanno a stare in quei vasi, 0 sul poponaiò in sul

228 basso della buca per. poter . poi diradargli cre- sciuti che sieno, e lasciarvene un solo .il.. più. bello, e riucalzarlo al pari. Desiderano d’ es- ser tenuti molto netti e liberi da ogn’ erba sintantochè nascano, e dipoi s' hanno a sarchia- re e zappare, e sollevar lor bene la terra at- torno alle radici senza toccarla pianta , o smuo- verla. Si deono anco quando son cresciuti e fatti grandi che hanno il fiore, spuntare , e sem- prechè rimettano ne’ rami divettargli. I poponi s' hanno a cogliere la mattina al levar del sole, e si conosce se son maturi, quando dal picciuo- lo fan segno di spiccarsi; e si possono conser- vare colti così quattro o cinque per mandar-. gli lontano, cogliendogli senza ferro che fa lor danno, non tanto fatti; e quando più o meno son fatti si manifesta dal più o manco inteneri- mento del fiore con le dita aggravandolo alla buccia che resta senza peluia, e all’odore fiu- tando il fiore. Affermano Aristotile, e Teofra- sto che i cespuglj così de’ cocomeri come de? po- poni si conserveranno per l’anno seguente, se dopochè gli averanno tutti maturati, e saran stati colti 1 suoi frutti, si scapezzerà in tondo rasente alla radice coprendo con terra buona per difesa del ghiaccio dell’ inverno seguente; ma conviene ch°ella sia terra molto sana ed as- ciutta di sua natura, e da non inzuppar l’umi- do. Di questa maniera acconcj gettano poi a tempo nuovo nuove messe a far nuovi poponi, maturandogli più presto degli altri. Alcuni seri- vono che per mezzo dell’infusione avverrà dei poponi e dei cocomeri quel tanto ch'io dissi del prezzemolo a produrlo ; e propongono che il lor seme si metterà l' estate quando esso è fre- sco dentro al sangue ( siccome quello che pre- parato con la jerapigra e beulto può anco se- condo loro riugiovinire una persona che sia ole

22 tre di tempo ) e che lascivisi stare per una a timana, poi pigli il seme come si cava del sangue, e facciansi le buche in terra che sia fertile e ben lavorata, ma avvertiscasi di non gli piantar rivolti, e mettendovi sopra un piz- zicotto di calcina viva non nuocerà. Dipoi se- minato che sia, si bagni con acqua calda, e vedrai uscir fuori il gambo; cuopresi con pan- no affinchè non svanisca il colore, e lo ve- drai andare storcendosi se non vi metti qualche cosa che vi si possa appoggiare ed attenere; ed acconciandolo in questa maniera crescerà in grandezza mostruosa con le sue foglie, gambi, e frutti. È ben vero che come cosa forzata e violenta presto muore, perciocchè tutte quelle piante che producono così innanzi al tempo il frutto loro , sono più deboli, non potendo lungo tempo sofferire quell’ impeto e quella forza di fu- ria fatta loro dall’ arte . Farannosi ancora questi, ed i cocomeri, e le zucche,e molti altri frutti tardii e serotini in questo modo. Noi sappiamo che tutte le frutte temono le cose fredde , onde avviene che l’ estate si semina col letame, e così fanno resi- stenza al freddo. A!tramente ancora possono du- | rare le cose assai: semina quello che tu vuoi appres- so al pozzo, e quelle frutte che vengono al suo tempo favvele calare, e cuoprile di sopra, e fa che il sole ed i venti non le dissecchino . Giovano loro In modo i vapori che escono dall’ acqua, che tem- po assai manterranno quel color verde immatu- 10; 0 veramente mettile in luoghi alletamati ed a solatìo ove vuoi seminare, se hanno dei révi o delle ferule, dopo l’equinozio dell’ autunno tagliale terra terra e scavale, poi con uno stecco dentro fra ’l midollo, ficcatovi delletame marcio, e quivi messo dentro il seme de’? cocome- tl é poponl ne vedremo nascere i frutti, i quali 1 freddo non varrà ad offendergli, I poponi

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un po schiacciati sono i melopoponi, o vero che hanno la buccia più gentile come i dommaschi- ni, 0 i vernereccj gialli, o vero quelli così det- ti che rassembrano le ci Come si sia, il seme di tutti tenuto per poche ore nell’ aceto diver- atto a più presto nascere, ponendolo anco in su la terra scriva senza porlo sul terriccio, 0 le- tane, 0 in vasi. I poponi mangiati con zucche» ro o cannella assai rettificano con miglior sapo- re di virtù refrigerativa , sendo i poponi frigi» di ed assai umidi, ed hanno una certa facoltà astersiva, e perciò provocan l’ orina, e piuttosto sene vanno a basso che non fanno le zucche. Generano i poponi nel corpo molti cattivi umo: ri, e, massimamente quando non si digeriscon be- ne. E opinione d’ alcuni che inducano il vomito: se non si.mangian sopra cibì di nutrimento buo- no, e perchè molto agevolmente si corrompono in su lo stomaco, sono da esser mangiati prima di tutte altre cose siccome tutti i cibi liquidi e corruttibili, importando molto alla sanità il saper disporre con ordine i cibi in corpo; e que- sto ha da essere col mangiar di man'in mano primamente le cose più liquide, e che agevol- mente sono da cerrompersi, e poì l'altre più dure, e sebbene il nostro stomaco è assomiglia- to a una pentola che sia al fuoco e bolla di con- tinuo, nella quale tutto quello che vi si mette dentro si cuoce , tuttavia quella regola è più eli- gibile e migliore. I poponi hanno a odio |’ olio a maraviglia, e ponendoglielo vicino in vaso, lo rifuggono. La carne del popone secca al sole, cotta ne ° brodi e fritta è buona vivanda.

Il Pugnitopo è pianta .che ha le foglie spia- nate. piccole, pungenti in cima come quelle dell’ agrifoglio , ed ha le barbe a occhj come gli asparagi e come le canne, e da quelli occhi

germoglia fuori a fare il fusto; ha il seme cheè.

234 dentro a una pallottola rossa che nasce attacca- ta nel mezzo d' alcuna delle sue foglie, la quale tuttavia vi nasce sola, ed è ben matura quando è ben rossa e tenera, e che strizzandola con le dita, esce fuora asciutto senza punto rima- nervi attaccata della sua carne il suo seme; il quale si semina con la cura e governo della di- ligenza degli asparagi in terriccio buono, o in un vaso; e nati e cresciuti di tre mesi si tra- piantano (avendogli seminati un poco radetti per cagione delle loro radici intrigate ) di novembre o di marzo. Ma la più diritta è col suv pane {avendogli cavati ) piantargli in una buca fatta in sul sodo, o in sul lavorato, chè nell’ uno e nell’ altro luogo s’ attacca e fa prova. Nascone ordinariamente i pugnitopi per le macchie rasen- te le strade, e per tutte’l folto de’ boschi. Deonsi trascerre le piante che sien giovinette, e piantarsi con tutta la lor ceppaia insieme. Son buoni per ispalliere terragnole ponendogli fondi, Fanno buona siepe impenetrabile , e tagliati in mazzi, ed opposti ai topi nei luoghi, ove possan passare, con le lor punture gli offendono, e proi- biscono.

Il Quamocritto è una pianta stata trasporta» ta in sementa dall’ Indie da poco tempo inquà. Fa il fuste sottilissimo, e gremito di foglioline piccole e sottili, che rassembrano quelle dei ger- moglj dell’ asparago quando fa il seme, un po- co più piccolo. Fra queste foglie fa certi fio- rellini a campanelle rosse in chermisi, dentro ai quali genera il suo seme simile a una vecciuo- la quadra di color tanè. La natura di questa pianta è di camminare all’ insù con una guida, la quale basta che sia un filo sottile, avvolgen dovisi ed avvolticchiandosegli attorno mirabil- mente, e ad un’ altezza notabile di molte brac- cia, dando tanta bella vista di se per il natu-

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ral vivo verde che ha, che nulla pianta è più graziosa e più piena d’arte di questa. Disama il freddo, basta più punto di tutta l’ estate, e nel principio di essa, cioè al fine della pri- mavera si semina in terreno crivellato che sia mesticato con un terzo di pecorile disfatto con esso, e poi rasciutto e vagliato insieme, posto in un vaso, o orticino volto al sole. Preparata di questa maniera la terra, si piglia questo se- me in mano, e con un dito si caccia sotto quan- to è per traverso l’ ugna del dito grosso, e si frequenta d’ innaffiare con una granatina tanto- chè nasca; e nato di un mese, levato con la terra e tutte sue barbe si traspone nel più bel lato del giardino che s’ abbia rasente il muro, o libero raccomandato a un filo di spago. Altri, voto un cacherello di capra, lo sotterrano e fan nascere.

La Robiglia (ervum ) è molto pronta che ‘î s attacchi l’ Orobanche, cioè il Vilucchio che I uccide strangolandola con lo strignerla e ser- rarla per tutto ’1 gambo; imperciò è di mestie- ro trovarle terreno che sele affaccia, che sarà in luogo magro e asciutto ove non sia punto d’ umidità , chè in questo sente più noia, ove cresce talora tanto in rigoglio che tutta sene va in aumento senza frutto. Teme manco il freddo che non il pisello, e perciò seminata un poco innanzi a questo darà i suoi frutti prima- ticcj, ma non saranno mai di quella bontà e sa- pore del pisello, essendo sempre la robiglia più dura di sua natura, e più soda e renitente a cuocersi. Ma perchè seminandola venti, o venti- cinque avanti al pisello nascerà felice senza temere il freddo, è da tenerne conto, spaccian- dosi poi essa a pari de’ piselli che dopo essa ven- £000; e non essendo coltoia così fresca come è , sele faccia una cenerata leggiera mutando l’acqua

233 della prima cottura, o vero sele ponga fra essa quando si mette a fuoco due o tre pezzetti di gambi di porcellana, o vero un pezzo di gruma di botte, chè così si cocerà comodamente , e sarà frolla così secca come fresca. Si può seminare neli’ autunno , ed alla fine di gennaio, e per tut- to febbraio, purchè sia avanti Calen di marzo, nei luoghi temperati; nei freddi un poco più tar. di, benchè seminata di marzo il più delle volte nuoce ai buoi facendo loro intronare il capo, e così fa danno alle pecore, pazzìiandole. Nel ter- ren grasso non fa bene ed ingrassa i campi. La robiglia patisce de’ tonchj , al che si rimedia co- me ai piselli. Nel rimanente la basta assaissimo tempo , e il suo fiore è gratissimo alle api.

La Robbia, che i Lombardi Rozza addoman- dano, ama terren sano e buono, non troppo for- te leggiero, lavorato con la vanga anzichè cor l’aratro, e piuttosto di sopra dove si get- ta il seme, ben crivellato, dividendo il terreno in aie, edalprincipio di marzo gettandolo giù fitto come la canapa, e riconrendolo bene con l’erpice e col rastrello, perchè incorpori e coa- lisca; occorre altro che tenerla netta dall’er- be sin’ a settembre che si tagliano tutti i rami prodotti per raccogliere la sementa , e poi si cuo- prono tutte le radici da piede a piede con due dita di terra cavata de’ solchi maestrali, affin- chè non l'offenda il gelo, e più ingrossino le sue barbe, dalle quali scoperte l’anno seguente al marzo (ritrassinandole con destrezza ) rina- sceranno nuovi rami, che alsettembre si taglia- no di auovo; e siano coperte di novembre come s' è detto, e così si segua tanto che si cavi le radici da ridursi in Rozza, e Pergolino. Sono alcuni che avendo tagliato il primo anno i rami raccolgono la sementa , e coperte le radici avan- ti mezzo novembre, e fatto il EARRTI poi l’an-

O)

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no seguente intorno al tagliare i rami, e coglier la sementa, cavano le barbe, le quali essendo gatte seccano al sole, e ancora nei forni grandi, e questa si domanda Rozza buona, e non Per- folin fino. Ma i più cavano non solo per cinque o sei anni con quell’ ordine di coprire, il seme ed i rami, ma per otto e dieci e dodici, avendo espe- rimentato che quanto più s' indugia di cavar le radici, tanto più raccoglie del pergolino anno per auno,, ed anco sempre più fine che in altra maniera. Ora raccolte che tu hai l’ ultimo anno le semente , che le vuoi cavare al settembre, si cavino con le vanghe tutte quelle che vi si ri- trovano, le quali seccate al sole, nette dalla terra si portano ogni volta: che pare ne’ forni caldi e puliti, e ben secche e macinate, si va- glia minuto la polvere buona e più fine dei guscj, e macinati che siano un’altra volta, si mescola questa polvere con la macinata grossamente della radice di diciotto mesi, e questa si chiama Roz- za terzanina, e tutta l’altra pergolino; la quale è tanto più bella e tanto più fina, quanto più sarauno state sotterrate le radici. Ed a questa pianta rende di rimbuono l’un anno per l’ al- tro la terra più che a frumento, il quale semi- nato in questa terra di dove s’° è cavata la ruzza, per due o tre anni vi fa molto acconciamente, potendosi dire che sia riposato quel terreno, non facendo altro le radici che i rami della sementa che si raccoglie d’ anno ìn anno, ed ingrassan- do per la cascata delle lor foglie. Poi alla pri- mavera volendo riseminar la rozza, simuti cam- po- La Robbia salvatica , o Rozza chesi vo- glia dire, si cava de’ boschi stuzzicaodo il ter- reno dove si vede esserne, e sene fa l’istesso concio perle tinte; e le sue foglie per esser ru- vide son buone a pulire e. tener netti i piatti di stagno.

- P Cal

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Il Rusco non si semina, perchè egli non fa sementa alcun valore, e per far d’ averne in copia si propaggina rivolgendolo sotto terra di piede in piede, ed alla primavera seguente si cava, e si pianta l’uno appresso al)’ altro di ramo con le barbe un braccio per lungo e per traverso affin- chè si possano bea lavorare d’attorno, e rincal- zare ammontando loro la terra addosso per il fred- do, scoprendogli poi a primavera ; si tocca al- tramente fin’ all’ agosto, al qual tempo nel prin- cipio troncano tutti i rami ben bassi, eccetto quello che vorrai propagginare, e secondochè si tagliano, si legano in tanti mazzi d’ una bran- cata, e condotti all’ aia, e minuzzatine quant'è l’ altezza d'un dito, si distendono così tagliuzza- ti al sole, rivoltandoli con i rastrelli ogni sin- chè siano ben seccati. Dipoi si portano nei sac- chi per quando gli vuoi vendere a conservarsi nei grana], 0 luoghi di palco asciutto e neito; e perchè fa così nei mediocri come nei buoni ter- reni, e nei leggieri, si può piantare nei più de- boli campi della villa, che per altro rendereb- bono a fatica, o non molto a legumi o adaltro. ‘E. perchè conviene con le viti e non con gli al- tri arbori, vi si possono ordinare i filari di que- ste, e lasciarvi star quelli. Godesi contuttociò, che gli sia letamato il terreno, e di quando in quando datogliene ; e più altro rifà il Rusco della polvere che si raccoglie per le strade.

Il Ramno è detto da alcuni paliurus , da al- tri leucantha, che inferisce spina bianca. Dio- scoride ne pone tre spezie; la prima e terza, sic- come attesta il Mattiuolo, è abbondantissima in tutta la Toscana, ove si chiamano ambedue vole garmente Marruche . Nascono propriamente per le siepi, e massime il primo, ilquale adoperano le donne a seccare al sole i fichi, infilzandogli nel- le sue lunghe spine mentre son freschi. Produce

9,36 questo Ramno le spine simili all’acuta Spina, e le fronde simili a quelle dell’ olivo tonde e grasset- te. Il terzo che è il nero o fosco cresce ( sic- come dice Dioscoride ) circa all’ altezza di cin- que gomiti, ha le spine più deboli, e produce il frutto follicolare sottile e ritondo simile a un fu- saidlo , di quelli che adoperano le donne a filare. Quello della seconda spezie è più bianco degli altri, edin alcun luogo di Toscana s addomanda Ceceprete. Tutte le sorte del ramno sitrapian- tano con le radici da dove nascono, strappando dal suo cespuglio certe frascole che in terra han create le barbe. Appiccausi ancora a rami ta- gliandone pezzetti, e ficcandogli nella terra ben lavorata sopra gli argini delle fosse per far siepe. Questi si piantano di primavera a mezzo marzo, e prima se sien paesi caldi, avanti cominci a met- tere, chè suol farlo avanti assai talora, se è dolcore, e molto per tempo. Gon le barbe si tra- pianta ottobre, e novembre ed anco a marzo. 1l ramno disecca e digerisce e sana l’ erisipele, o resipole. Delle pungenti spine di queste Mar- ruche fu fatta la corona di N.$S. e delle cime si fa salsa. Il Régo, quanto è di schiatta più grossa e crescente, tanto più intreccia le siepi, e le for- tifica a tarle impenetrabili; il che avviene in quanto più grasso terreno egli sia piantato, che è di quella sorte ch’ egli desidera, dandone manifesto indizio quando vi nasce da per se. Sene trova di più razze; alcuno ne è che cresce in alto ed ingrossa, avendo il gambo tutto pieno di certe spinette corte rattorte sode che penetra= no, siccome ritrovano nelle sue barbe talora

certi spugnetti di durezza di pietra». Avviluppa=

si presto, e s’attortigiia agli arbori, ed a ciò che egli trova. Alcun altro ne è che si rutica per terra, sottile piccolo $ ma similmente pun»

23 gente, ed ambedue arrivando con la punta in A ra. nel piegarsi o distendersi rigeneran quivi nuova radice e ripullulano nuova pianta; e così va seguendo il secondo ed il terzo, non avendo iu- toppo che glielo proibisca , e di quì veramente si può dire che si sla imparato a far le propag- gini delle viti, e di molte altre piante, che di- stendendosi per la terra vanno mettendo nuove radici come loro. Fa ] uno e l’altro certe mòre che mature si mangiano quantunque di poco nu- trimento, e di sdolcinato e sciocco sapore elle sieno. Queste more mature, che è quando si stac- cano dalla madre da per luro, o con poca fati- ca, si seminano come si disse de’ Mori a far fol- ta siepe nel mese di marzo , e novembre ne’pae- si temperati. Piantansi ancora svelti con le ra- dici di novembre, e per tutto ’1 verno sin’ a tut= to marzo, e le cime tenere di questi mesco!ate con l’altre erbe, e con esse peste nel mortaio fanno una salsa eccellente. Le corteccie del régo fanno gagliarda legatura alle gravate, e sene possono intessere forti céste e graticc]j; ed esse tengono forte insieme le bugnoje da tever il gra-. no ed altre robe. Ancora le vétte de’ réghi stil- late a bagnomarìa giovano agli occh) rossi in- fiammati. Ritrovansi nei monti di tuttoil distret- to di Trento alcuni réghi che portano le mére rosse, senza noccioli, chiamate dai paesani Am- pomole, simili alle fravole, veramente nell’ esta- te al gusto molto aggradevoli. Piacciono agli orsi, e però nel tempo ch’elle si maturano, che è da mezza l’estate in là, agevolmente vi son giuuti dai cacciatori. In Toscana si addomandano A po» ni, e le lor mòre strizzate, ed anco intere le- gate in un mazzetto si fanno pendìo dal cocchiu- me nel Raspato , al quale quell’ agretto che han» no da grazioso sapore, e si possono aucora por- vi spicciolate fra i granelli dell’ uve, e la quan

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tità per un barile di Raspato sarà assai una dop- pia menata, e parimente alla medesima propor- zione. Questo rògo per nascer nei monti credeno alcuni ch’ egli sia il vero Ré6z0 Idèo, ma non con- suona, dice il Mattiuolo, poichè Idèo è così detto perchè fa nel solo monte d’ Ida; contutto- ciò alcuni affermano altrove ritrovarsene.

La Romice è di più sorte. Alcuna ha le foglie più larghe e lunghe, alcuna più strette e corte; ma talora questa differenza nasce dai terreni dove le fanno, e dalla qualità del pae- se dov” elle nascono. Ne nascon d’ una piccola spezie dette Bietoni, alcuni rossigni, ed altri verdi, che s’ attribuiscono alla sorte delle Ro- mici, ed alcuni tengono che questi sieno di raz- za di Bietole, ed hanno il sapore un poco agret- to, e si cuocono a foggia di spinaci, ed in mi- pestra, non essendo nell’ una maniera, e nell’al- tra disgustevoli. Tutte le sorte delle romici so- no salvatiche, per cultura che lor si faccia addomesticano; benchè è dismesso seminarle negli orti, chè vi nascono da per loro come alla campagna. È ancora una sorta di romici che fa intorno all’ acque; la razza di queste ha le foglie men saporite dell’ altre, le quali cotte lesse si mangiano da’ contadini in minestra, e sene fanno anco le térte che sono aggradevoli per il piccante sapore che hanno. Han le ro- mici secondo Galeno la virtù moderatamente dige- stiva. I Ramoracc} sono della medesima fazione, ma più grandi, e ne sono dei domestichi che

seminano, e nell’aiuole degli orti vengon be-.

ne. Il Reobarbaro reale ha le foglie simili alle Romici, ed ha la radice assai più grossa, e le sue foglie servono al medesimo che le delle Romiei. |

La Ruta salvatica nasce, si nutrica e cresce e mantiene sott' il fico, ed insetandosele tra la

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23 corteccia con copertura di loto rasente self È diverrà d’odor più soave e meno acuta e più lieta, fresca, e rigogliosa ch’ altrove seminata e piantata; perchè il suo seme nasce per tre prima macerato nell’ acqua, e poco ricoperto in terra grassa, e trita, volta a solatìo. Le sue piante s’ assettano di ramo attorto e staccato dal tronco con un poco del vecchio. Ama luogo volto a mezzogiorno, e vien bene in ogni ter- reno che umido non sia, e nel letamato uon fa bene, chè l’ odia. Nei lati secchi ancora ve- de sorgere da per se, e solamente si diletta d’es- ser fomentata con la cenere, della quale oltre- modo ella si nutrisce. E cavati 1 suoi semi del- le sue invoglie a uno per uno, se non sono sco perti e netti, sparsi per la campagna, si semi. .nano nell’ aie di settembre e d’ottobre, e di marzo si traspiantano dove Datta bene il sole in luogo asciutto e magro, sebbene ancora ama e nun rifugge il grasso, ed allora sele dee por- re dimolta cenere attorno, e durando spesse a sarchiare sinchè sia gagliarda. E' quantunque si trovi in alcuni scritto che ella non nasce di se- me, è falso, perchè non ch’altro da quello che sotto casca nasce felicemente; e così che ella si secchi sbarbata e tenuta scoperta all’aere, perchè non patisce, e traspiantata Ss’ appicca. Piantasi a marzo di ramo uu poco storto o con Ae radici, ma non dee esser tocca con le mani che coperte, perchè in altra maniera ella si scorteccia, e s'impiaga; e se per ignoranza, e per inavvertenza elia si tocchi con la mano ignu- da, e che si vegga patire, ed esserlela buccia ronchiosa o enfiata, ungavisi con l’ olio e sane- rassi. Basta la pianta tempo assai, se a sorte non sia tocca da donna ch’ abbia i suoi mestrui, che la faccia seccare. Fa bene fra i pezzami di mattoni, e fra i calcinaccj, e nei luoghi al-

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tl, di dove ogni umore, e acqua siscoli. E se

la porrai nell'orto, verrà più bella, adacquata con l’acqua salsa marina, o fatta salata con ar- te. La pianta nata da seme involto nelle sue coperte e chiuso, mascerà più lietamente, e più rigogliosa, ed il suo rametto spiccato, e pas- sato per mezzo d'una fava bucata, verrà me- glio innanzi, e la nutricherà come a ficcarla nel bulbo e sotterrarla. sciocchezza alcuni il dire che le bestemmie e le maledicenze det- tele in ponendola, la faranno diventare assai più rigogliosa e vegnente del solito suo, e massimamente in terra di mattoni disfatti e mar- citi ove fa bene; come pure che il bassilico an- cora e ‘1comino bestemmiato e maladetto ven- ga meglio ; e che la stessa ruta rubata o tolta

di soppiatto faccia più profitto. E si per esser. più bella non desidera la Ruta essere scava-

ta per isbarbarsi, ma strappata. Gode dell’ om- brìa del fico, e si spaventa, teme, e patisce assai per l’ andarvi attorno donna disonesta ed impura. Non vorrebbe mai esser tocca con fer- ro, e con mano ancora paventa . Si fa delle spal- lierette basse che riescon bene , ed anco in un vaso di terra cotta fa bel cesto. I pittori e scultori mangiano la ruta per assottigliar bene la vista.

Le Radici vogliono ia terra sustanziosa, e grassa di sua natura, ed anco ben letaminata di letame marcio bene incorporato, ed agevole a lavorare, e lavorata bene in dentro nei luo- ghi Austrini. Seminansi acconciamente d’ agosto per l'inverno, e di marzo per l’ estate . Ma per- chè elle vengon presto, e tosto vannosene, nei luoghi temperati si posson seminare d'ogni me- se per averne tutto l’ anno come della lattuga. Credesi che sieno radici femmine quelle che hanno le foglie più dell’altre larghe, più de-

| a 241 licate e più allegre nel verde, e la barba loro che mangia è meno forte. Ne sono d’una razza che hanno la foglia somigliante a quella della ruchetta, ed il suo cesto si ficca e si schiaccia ben serrato e folto in terra, e ha la barba più forte assai di tutte 1’ altre, come le Radici ne- re, e bianche, le quali fanno corpo sotto terra come la rapa, ma non tanto grosso; di queste convien mutare il seme ogni anno , procacciando- lo di quel paese dove naturalmente elle fanno, come di Genova, Napoli, e Roma. Sono delle radici ordinarie due sorte di semente, una sta» tereccia, e l’altra d’ inverno, che l’ une non fanno bene scambiate nel tempo dell’ altre ; im- perciò si deono seminare ai tempi loro. La se- menta delle radici statereccie Sanesi passa tutte l’ altre di bontà, luoghezza, e tenerezza e bian- chezza. Desiderano queste il terreno renischio facile e ben fondato, volto al sole, ed aprico. Altri dicono che le radici annoiano il letame, e solo amano la paglia. Gome si sia, bramano il terreno vangato a dentro, e per questo è be- ne dare una zappata, e una vangata. Quan do le radici han preso un certo aumento, biso- sna ammontar loro la terra intorno perchè se elle sopraccresceranno al terreno, quella par- te che ne resterà fuori, sarà dura e fungosa. Per questa cagione sono da esser seminate ra. de per poter attenderle di quella maniera. E ancora una sorta di radici scarlattine di colore tanto vermiglio, che rassembrano il chermisiy quanto al rimanente sono della fazione dell’ al- tre. Plinio scrive averne viste in Alemagna al- la grandezza di un bambino in fasce. Seminan- si come s'è detto, due volte l’anno; per ser- virsene a primavera, di febbraio e marzo a lu- na scema perchè non sene vadano in rigoglio di foglie; e vorrieno esser into lontane l’u- 1

242 De na dall’ altra quattro diti per la causa di poter rincalzarle, e nate sarchiarle, e nettarle bene dalle cattive erbe, e d’agosto per averle più presto, e questa sementa è meglio nei luoghi freddi. Quelle che si seminano dal solstizio in la, siccome tutte 1’ altre erbe, non fanno seme . Il lor solito è nascere in tre o cinque giorni. Nei luoghi caldi Austrini, e nei tempi sereni più tosto fanno il gambo e il seme. Le foglie s' hanno a calcare e pestare perchè la barba cresca loro, altrimenti sene vanno in foglie, in queste mandando il suo augumento, e non nel le barbe, le quali si disfanno, scrive Ersa. E quanto più le radici hanno le foglie delica- te e leggiere, tanto sarà più gentile e tenera la sua barba. Il freddo ancora le aiuta inte- nerìr la radicee avendole ricoperte col terreno, nel seguente anno scoperte rigermineranno, per- chè così acconcie posson crescere, e durare fin all’estate. Fanno le radici la lor sementa nei baccelletti tondi in guisa di cornetto, i quali col sale son buoni a mangiare, e conditi triti in insalata. Sarà più dolce la lor barba avendo- ne macerato il seme prima che semini, nella sapa, 0 nell’uve secche pestate; ed adacquan- dole con )’ acqua salata si leverà lor l’ amarez- za; le addolcisce ancora il freddo come la rapa, e per questo posson servire essendo cotte. Le radici da principio impediscono la digestione, siccome a digiuno eccitano il vomito, ma però mangiate dopo pasto aiutano a digerire facendo per la loro gra-

vezza avrallare il cibo nello stomaco 3 sono ven-°

tose e dure a digerire. Puossi al fine dell’ estate tagliar Joro le foglie, e ricoprirle di terra per iscoprirle ad ogni tempo che altri voglia ser- virsene, ma diventerà così talora la barba le- gnosa. Il letame le fa spugnose e bruciolenti. Le robiglie si deono seminare fra loro perchè

2/3 non facciano farfallini come talora sogliono ge» nerare. Si fanno tenere e saporite dove è neb- bia e umidità, e per questo divengono eccel- leuti nelle rive dei fiumi, e intorno a dove è loto, ed in quei luoghi dove i fiumi han lascia» ta la belletta d’ inverno , e in tutti i terreni a- renosi, e in ogni sorta d’ arena che abbia un poco di sostanza. Quantunque fossero Je radici oltre a modo forti, si mitigheranno e addolci» ranno avendole tenute per un ed una notte in acqua melata, o veramente nel latte, o con sugo dell’ uve passerine di Corinto Quelle che si seminan verso l’ inverno, si seminano nelle prode degli orti volte a solatìo, e siano da prin- cipio ricoperte, e difese dal letame crudo, sen- do sparso lor sopra, e tenutovi tanto che sieno fatte grandicelle. Se non riescono seminate ra- de, quando son nate si diradino , e ben sotto si getti il seme. Se farai un buco in terra con piuolo grosso, ed in quello ripieno di terriccio porrai all’ autunno un seme di radice rinvolto in terra disfatta con letame ben marcio, coprene dolo bene con paglia e terra si conserverà dal freddo, e la radice durerà grossa quanto sia la forina del f6ro fatto col piuolo. Quelle che tu vuoi serbare per seme, dei traspiantarle, e sas ran migliori all'autunno. La miglior sementa di tutte è di quel seme che si semina alla. pri- mavera. Neon si deono setninar le radici at torno alle viti, perchè son loro nemiche, sfrut- tando troppo e consumando il terreno. I Ras vanelli sono spezie di quelle Radici nere che si disse di sopra, ma non gonfiano sotto come le Rape; come quelle sono sottili, e lunghi co- me l’ altre, e così questi come quelle mutan sa: pere secondo la qualità de’ terreni, ed in mon= te sempre sono più forti l une e l’ altre che non in piano; e così nei terreni aspri che non nei

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gentili3 ne’ terreni sassosi fanno torti, ma più saporosi. —. I Ramoraccj sono propriamente le Radici salvatiche, che sene vanno in foglie ben serrate ed appiastrate in terra senza far molto grano barba, ma questeson più saporite e. più pungenti, e forti delle. domestiche. Seminanle alcuni negli orti per ammansarle, ma poco rie- sce. Nascono vicino alle strade, o nei campi sodi, o che sieno di fresco lavorati. Sono fre- quentissime nelle campagne e largure di Sici- lia. Le Ravestine sono le Radici salvatiche naturali che ancor esse hanno le foglie fiite in terra schiacciate e regolari, e si trovano sparse per i campi; sono più acute di sapore, e più

piccole dell’ altre, e seminate nel domestico ac-

quistano morbidezza diventando più dolci e gen- tili.

Il Rafano Tedesco ba le foglie grandi come le Romici, un poco più delicate , più sottili e più appuntate. Vuol terreno divelto, e si pian- ta di primavera ed all’ottobre; e piantasi di questa maniera : Pigliasi la testa del rafano con le sue messe, e ciascheduna messa si taglia per di- ritto con il rafano, ed è assai che vi siano due o tre diti con esse di rafano; così spartito 10 cin- que o sei parti ogni capo di rafano ciaschedun, pezzetto si ricuopre con la terra tanto, che ap-

parisca una menoma vetta d’ esso, la quale di

sopra forma le foglie, e di sotto la radice in- tera, e di questa maniera si vien perpetuando la razza sua, È il rafanodi putentissimo acuto pun- gente e piccante sapore, che mordica la lingua, e sralda a meraviglia il palato, e lo stomaro . Questa radice grattugiata mivuta si cuoce nei bro- di, edà grazioso sapore, ed in qua ui. que modo cotta con la carne sele affa, e cruda mangiata dopo pasto con sale aiuta !a digestione. Questo rafano tagliato in pezzi e piantato ancora senza il

249 verde o messa della sua corona fuori del tere reno a far nuova pianta, e rimette, ma meglio è tagliarlo con una parte della sua ceppaia. Il rimanente della sua radice è quello che adope- ra agli usi che occorrono , perciocchè il suo sugo ancor buona senza senapa ]’ acconciatura del- la mostarda, e seccata la radice all’ ombra, e poi grattugiata minuta si mescola con la carne grossa e buon gusto.

Il Raperonzoio, o Rapa selvaggia è erba di foglia stretta e nuda, aguzza in punta, ed ha i piccioli fusti con più cantoni. Il fiore è azzur- ro simile a quello dell’ erba liquida, e ne prudu- ce in maggior numero. Fa una radicetta sotto terra piccola, e le foglie e questa di per se ed in compagnia d’ altre erbe fanno un insalata sa- porita , e delicatissima; e così le foglie intere co- me le minuzzate hanno gratissimo sapore condite similmente con olio aceto e sale. Scuopronsi lun- go iciglioni delle strade maestre , e de tragetti, e viali, e nelle grotte de’ campi, ed intornoagli argini delle lor fosse, e duran da primavera a tutta l'estate. Traspiantasi nel domestico con la sua piòta, e campa governato e procurato con diligenza come |’ altr’ erbe degli oirtì agli altri anni. Ancora si può osservare quando si conosce fiorito il suo seme, e quaudo è se:co si tiene per fatto , e può seminarsi come il seme del prez- zemolo nell’ aidle degli orti, e manter:assi nato il medesimo tempo ; poi perse le fogiie, gli ver- ra sotto la radice per risorgere a primavera co- me fa quando è nato alla foresta, che si perde di fuori, e sotto vive con le radici per a tem- po nuovo. | | © Le Rape Bergamasche sono come i Navoni lunghe, e grosse e diritte, rosseggianti per lo più dal capo, massimamente quando da quella parte o rimangono scoperte, o son cresciute se-

216 pra il terreno. Rosseggiano ancora sotto terra al- cune sorte di esse, ma per Jo più son bianche lattate. Desiderano terra fondata sottile e divel= ta ben sotto, cioè lavorata a due puntate di vane ga, ed ancora nelterreno che sia di natura gras- so, ma non letamato (che questo le fa fungose ) vengono bevissimo. Nella terra ove sg averà seminar le Rape Bergamasche, avendo seminato prima lupini nel tempo di primavera, e poi a lugiio ( nel qual tempo è ben seminarie, giusta ia sentenza del proverbio: chi vuole il buon ra- puglio lo semini di luglio ) vangande lor sotto faranno bovissima pruova, siccome nei terreni renischj saranno più saporite. Queste sorte di fape si accostumano per tutta }a Lombardia ove so:0 in pregio più di tutte I’ altre, avendo opi- nione che queste sieno di grandissimo nutrimen- to, ed oltre a modo aumentative del seme ge= nitale per far poi razza d’ uomini di gran faftez- ze, e di più che ordinaria statura. Seno ottime con la carne, e per insalata nel forno. La rapa si tieue che sia femmina quella che sotto terra si dilata e distende in larghezza, più delicata, più gentile e più piana, e maschio quella ehe fa ampia in retondo. Diviene una dell’altra spe- zie per il mode del seminarle, perciocchè fitte e fonde, e nella terra che sia aspra cattiva e dif- ficile diventan maschj. ll seme delle rape è te- nuto migliore, quanto più egli sia minuto e sot- tile; e seminato neî luoghitiepidi tallisce presto, nei freddi si conserva, e diventa più dolce di sa- pore, e migliore e maggiore ; che così fanno tutte le semente che fan gran radici, e che per- don la foglia inverno. Desideran terra grassa e sustanziosa ed umida, della sorte di quella che è amata dal panico , e dal miglio, e dove venga assai nebbia e brinata- Vogliono campagua aperta, o vallata che nen abbia occupazione di altr

247 arbori 0 ombre. Si dee tenere il seme in mol- le per un ed una notte in acqua melata, © in latte perchè riescan poi le rape più sapo- rite, più dolci e migliori; e difenderanno, saranno rése dai bruchi, che sogliono mol» te volte assaltare le lor tenere foglie, se quan do s' hanno a seminare si mescoleranno in semi- nandole con la fuliggine, o veramente se si sa- tenuto il seme per un e per una notte a macerare nel succhio del Semprevivo maggiore. Durano le rape nel suo terreno, e poi colte ap- passite, sin a un’altra raccolta, e bastano as- sal riposte in cantina. Chi le semina di estate, guardi che per cagion del secco i bruchi o fare fallini non divorino le lor novelle e fresche mes» se; la qual cosa fuggirà se la polvere, o fi» liggine che si ritrova nelle stanze e nel cammi» no si raccoglierà , e dipoi un innanzi che si abbia a seminare si stemperi con l’acqua, e quivi per una notte intera tenga il seme a inzuppare in quell'acqua, esi semineranno |’ al- tro giorno a modo. Scrivono erroneamente gli antichi che a voler ch’elle vengano perfette be+ ne, è di mestiero che chi le semina stia ignudo a seminarle, pregando che belle riescano per se e peri vicini. Affermano i Greci che il se- me delle rape seminato, che abbia tre anni, creerà cavoli, e così questi per contrario . Se- minanle alcuni innanzi Calen di marzo in terra buona, che sia cinque volte con l’aritro riauda- ta, per servirsene nell’ estate. Si dee gettare il seme in terra fra la paglia trita perchè vengan più belle. Seminansi di primavera nei luoghi caldi ed umidi, nei freddi di maggio, ed ua poco innanzi dove sia comudo di poter adacqua- re, 0 che siavo terreni umidi, ed anco ii que- sti nel solstizio, o un poco innanzi 0 poeo do- po ; e nei luoghi assai freddi, dove sia temen-

2/8 za che la seminata dell’ autunno si perda per il freddo del verno vicino, si cnoprono con paglia e strame assai, disteso sopra canne. Così si di- fendono ancor tenere dalle brinate, che fatte adulte non le temono, anzi diventan più dolci e tenere nei gran freddi. Di luglio però con-

viene aver la terra preparata, ed al primo rab-

bruscare dell’ aere quando conosce che sia inu- midito il cielo, s' hanno a seminare , ricopren- do il seme a modo col rastrello o marra, anzi che nò. poco messo sotto. E si può attendere la stagion comoda sin alli dieci, 0 quindici d’a- gosto a luna crescente in terreno benissimo la. verato minuto, e concimato di letame marcio, avendo ben tritato tutto con l’erpice; seminan- rade, e se riescono troppo fonde, si diradi- no, ed in questo modo renderanno più frutto, e vi si potrà dipoi sementare il frumento, per- chè preparano il terreno levitandolo e ficendolo soffice rimanere, ingrassandolo assai, massima- mente se dopo ch’ elle son cresciute, e fatte grosse sari ben con esse quella terra, perchè si marciscano a farla grassa. Quest’ usanza è di Lombardia, e può fare e farà bene per tutto. Se si ficcia un gran pertuso con una grossa stan- ga quanto vada ingiù la terra lavorata, poi si riempia di buon terriccio, e vi si getti la se- menta delle rape due o tre granelli ( lasciandovene poi un solo ) diventeranno le rape grossissime in- grossando dai fianchi. Si può anco gettare il seme delle rape tra i solchi del panico e del miglio per- chè levato quello visi accomodano acconciamente. Dopochè sia battuto il grano raccogliendo quel- le paglie trite dell’aia e spargendoie sopra le rape, farà lor bene ad aiutarle ingrossare, ed il parar Joro il caldo del sole. Le rape, delle quali si desidera di serbare il seme, che hanno a es- sere le più badiali e paffute, s’ hanno del mese

249 d’ ottobre a levare con tutta la terra che haano

d’ attorno, e trasporre in buoni inoghi, e ben Ja- vorati sotto, avendo lor prima levate tutte le fo- glie, e produrranno ottima sementa la vesnente. estate. Igino si pensa che doppo la battitura giacendo ancora le paglie nell’aia, seminando fra le paglie le rape in sul suolo duro abbiano a far maggior capi, non comportando il terreno sodo che vada a fondo la sua radice, ecosì at- tenda a ingrossare il capo. Scrive Golumella d'aver provato ciò e non gli essere riescito, ed esser assai meglio ricoprire il seme nel ben la- vorato e buon terreno, mel quale afferma Plinio averne vedute di quaranta libbre, ed il Mattioio di trenta nella valle Anania, e scrive in Savoia esserne di più di cento libbre; ma queste così grosse riescono stoppose e spugnose dentro il più delle volte, a tal che più salde sono , e tutte uni- te dentro sole quelle di ragionevol peso , sin’ in sette o otto libbre , ed anco quelle che di men peso sieno , riusciranno migliori. È cosa certa che del. le schiacciate e delle più rotonde, come ancora de Navoni lunghi, le più piccole sono le più sa- porose, e grate. Le rape sono di tre colori: al- cune rosse, e per lo più la parte sola che so- pra terra resta e cresce, e l’altra che va sotto bianca; alcune sotto e sopra son tutte bianche, ed alcune per tutto di color giallo, e queste sono le più delicate e gentili, e v'è a Genova ed a Napoli ottimo seme, ma non diventano mai così grosse come l’altre che son bianche, il seme delle quali è migliore quello che si cava dei luo- ghi di vallate o di piè de’ monti vicino all’Alpi, nel mezzo delle quali fanno talora grossissime. Le rape si conservano o sotterrate in luogo asciut- to, o ammontate con la sua terra; le minori si mavtengon meglio lavate e nette bene fra la re- na ricoperte affatto. Ancora durano insino all'al-

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tre con la lor terra attorno, e poi appassite, e domate con acrimonia della senapa massima- mente disfatta in aceto, e con la conditura ac- concie che si disse de’ ravoni. Le rape mangiate non lasciano ( ancorachè in poca quantità ) sen- tir la fame; e le lor foglie affettate con esse, ed intrise con la crusca ingrassano mirabilmente, e presto i buoi, vacche, e vitelli. Cotte sotto la brace, e nel forno , e dipoi tagliate monde in pezzi minuti, e condite con olio sale e aceto son grato cibo. Ancor grattugiate, e spremutane con mano l’acqua che fanno, e cotte con me- scolarvi cacio ed uova, o veramente con lar- do, son buon mangiare, come .cotte nel lardo solo, tagliate in pezzi come le cipolle, e cotte nel brodo della carne lesse, similmente abbo- niscono ; ed anco si mangiano cotte con sale, ma migliori sono ben cotte, e cotte ben due volte nell’acqua, ed in tutti i modi generano umori grossi. Sono ventose e nuocono allo stomaco qualche volta, dando dentro certe fitte, e pun- ture. Conservansi per tutto anno nella sempli- ce salamoia, aggiuntovi aceto. Le salvatiche, scrive Possidonio che frequentemente nascono in Dalmazia. Quando si voglian mangiar crude, a detta di Galeno si dee mangiar la parte che si tro- va sopra la terra scoperta di fuori, che è più te» nera e delicata, ed al dente più trattabile ; al- tra di sotto 1 contrario. Le rape arrostite e pe- ste con sugna, ed appiastrate al luogo affetto da dolor di giunture, sono di gran giovamento, come peste con sale a tutti i malori de’ piedi. Democrito sbandì le rape, prima perchè creano grossi umori, e perchè danneggiano fuor di modo il fegato magagnato. Il seme loro beuto vale con- tro alle serpi, e mangiato aumenta lo sperma. Scrivono alcuni, che le rape riscaldano nel se- condo grado , ed umettano nel primo.

251

Il Ripo sativo, o Rapaccio che abbia a dire, è spezie, e da rapa deriva, così salvati» co come domestico , la cui radice va lunga e di- riltta all’ingiù come quella del rafano, con la foglia ruvida e scabrosa com'’all’ altre sorte , ma con il gambo che mette assai rami a cannelli, e la cima piena del suo frutto. La sua barba è inu- tile, ma solo si semina per raccogiier la semen- ta, della quale si cava dell’ olio per servigio della cucina de’ poveri, ed alle lucerne, massi- mamente in Germania, la quale peri gran fred- di che vi sono manca d'olio, edin quella vece siserve di quello, edi contadini ne fanno grand'in- cetta, e ne traggono grande utilità. Nei paesi caldi non s' accostuma questa sementa, perchè vi fanno gli ulivi, e sene servono solo per dar da beccare agli ucceili di canto. Seminasi nel fine d'agosto, o al principio di settembre, ed ancora di marzo si semina tra 1 semi dell’ estale, ma «non con tanto profitto. Ama terren grosso, 0 grasso, o letamato, ben lavorato , e tre volte ritocco con l’aratro. Seminasi radissimo, e per esser seme minutissimo, non si gelta giù a piena mano, ma con tre diti soli. Fiorisce di marzo, o prima secondo la temperatura del cielo. Ha il fiore di color di léto, e di suavissimo odore, alle pecchie grato, e come è sfiorito , allora è ma- turo; fa il seme in baccelletti, e alza due go- miti, ed uno staio di seme ne fa cento. Fra le prime mietiture è quella del seme rapaccio; e per- chè quando i baccelletti cominciano a ingialli- re, è segno d'esser maturo , tosto è da mietere perchè agevolmente uscendo, a terra casca. E fa bene porvi sotto un lenzuolo, scotendovel so* pra; portasi nel granaio con esso, perchè sopra i carri non caschi giù; e perchè la pioggia gli nuoce , convieo prevenirla. Il Gran- faggino fa bene dove sia stato il rapaccio .

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Il Rosmarino , spezie di Libanoto, nasce naturalmente in terre calde o. temperate, e se elle sieno oltremodo fredde, convien porlo in sito ch’ egli stia a solatìo, e riparato dai venti. V? è ancora chi fa attorno alla pianta una capanna di scope impiastrate di stegco cavallino, e così lo difende dal freddo; altri per assicurarsene più , lo piantano in vasi, che inverno metto-

no al coperto, ed in lato chiuso, cavandogli.

poi fuori di primavera, e avvertendo che non dia loto addosso il sole di marzo, a poco a poco scoprendolo all’ aere, e ponendolo prima all’ om- brìa che al sole aperto; ma di sua natura fugge i luoghi ombrosi, eccettochè dove egli fa a sel- ve, come per tutto°l1 paese di Narbona. Vien bene in terreni leggeri sterili e secchi, nel tufo istesso s’ attacca, e nei muri fattia secco, ed al- ligna in quelli di calcina, e, soprattutto nelle coste e rive del mare volle al sole, onde è Ru- smarino detto. Contuttociò viene in tutti i ter- reni, purchè non siano troppo umidi, fan- gosi. Il tempo del piantarlo è i ciaque iu- naozi ch'e’ si conosce che è per mettere. Deon-

scegliere ramucelli piccoli, o punte lunghe

un mezzo braccio delle più fresche che abbia la pianta grande, giovine e non vecchiereccia, sia quando ha de’ fiori, sendo opinione che pian» tandolo con i fiori, sempre sia per farne, ed essendo senza, non ne faccia pei più, benchè ne è dello sterile, e del fruttuoso. Fiorisce due volte l’anno, di primavera , e d autunno. Nel sommo de’rami fa certe bocciette piene di seme bianco e roton-

do, il quale masticandosi cuoce la lingua. Evvi

un'altra spezie in ogni cosa simile a questo } che produce il seme largo che non pugce nel gustarlo. Quello ha la radice bianca d’odor d’inceaso, questo ha la barba di fuori nera, e dentro bianca. Ma quella specie comecchè ella sla si-

253 mile alle predette, non produce frutto fiori, seme, e nasce per lo più in luoghi sas- sosi ed aspri. I fiori son tenuti cordiali, massimamente conditi con zucchero in conserva ; ed ancora colti netti e in insalata mangiati gio- vano, e confortan lo stomaco, rendendo al fiato buon odore ; contuttociò lo Strada, medico de’no- stri tempì di grande esperienza e nome usava di dire, che mangiati in insalata generavan la renel- la, e la pietra, e che erano io tutto contrarie a questo malore le foglie dei Ramerino colte con diligenza senza il Jegno, e peste nel mortaio in

buona quantità minutamente, e fatte bollire nell°o- liosì che vi galleggino ; ed intrisone e rimenatone bene la pasta, sene fa pane che è molto guste- vole, ed ha valore di riscaldar lo stomaco man- giato innanzi, e solo bevendovi sopra Greco. Al- tri abbrùstolano le foglie fra due teglie roven- ti, o nel forno caldo, dipoi le pestauo, e con olio fan pane. Le cime tenere cotte fra i cecì accrescono lor grazia, come nel marinare i pesci; e quasi si dicono a tutte le civaie , ed alla fava infranta. Nell’ àrista, ed in tutte le cose ar- rosto che grasse sieno, ed in insalata le sue ci- mette tenere ed in poca quautità mescolate con 1 tenerumi del cedro non fanno male. Si può ancora del mese ottobre porre il Ramerino, ed al fin di marzo, avendo ben vangato, e tri» tato il terreno dove ha a stare con ramicelli e piante delle più fresche, giovini, e piccole at- torte dal mezzo in giù, e tanto mettendo sotto col piuolo ( che sia di legno sodo come scopa 0 di ferro voto) stringerdogli con esso bene la terra attorno, che apparisca fuor solamente due O tre diti della cima. Si possuno ancora tra- piantare i cesti interi del salvatico con le bar- be all’ ottobre, e se vada seccore, adacquarlo tanto che s’ appigli. Ancora cogliendosi la se-

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menta del rosmarino di quella sorta che fa quan- do è matura, prima che sia di giugno o un po’ prima, ed asciutta al sole, si semini nell' aiuole minutatavi bene la terra, e crivellata, e nasce- rà, coll’aiuto dell’ annaffiare per esser poi tra- spiantato a ottobre o navembre, e si dee se- minarue assai, perchè faccia de’ fori alle pec- chie con egual profitto del fior de’ Susini, e ciò si può fare di settembre e di primavera, Fa di bisogno scaizar bene la terra attorno a questa pianta quando è piccola, si cura di letame; contuttociò il marciv postole al piede sarà ca- gione di farla crescere assai; ma meglio è dar- le intorno al calcio del terreno grasso, e su- stanzioso. Il ramerino è ottimo per le spalliere, ma convien rinnovarle e ripiantarle ogni cinque o sette anni secondo i terreni. E obbedientis- simo alle forbici, e segli può dare, come alla mortella di Spagna , quella forma che altri vuo- le, e mantenerla con lo studio. ed artifizio delle medesime forbici. E volendo le piante per lasciar crescere, si pongano in sul divelto lonta- ne luna dall’altra tre braccia, e non si toc- chino con ferro perchè sene sdegnano. La pian- ta del ramerino in dieci 0 dodici anni invecchia, e convien rinnovarla; il suo legno secco rende la fiamma del fuoco chiara, e di se stesso buon odore.

Il Rovaiotto ( Besi s’addomanda a Vine- gia ) nei paesi caldi si semiva nell’ aie ben lavorate e tritate minute sotto e sopra con la vanga, anzichè con la zappa, del mese d’ otto- bre e di novembre; di gennaio e di febbraio nei paesi temp: rati, e di febbraio, e di marzo nei freddi, in luozo aperto, e che non venga da alcuna parte occupato dall’ombra. E di pri- mavera tuttavia si semina acconciamente in ter. reno agevole a lavorare e molto sciolto a so,

255 latìo. Genera de’ vermi in se medesimo, e ne patisce ; imperciò si ha a seminare a luna cre- scente perchè nasca a scema, ed in luogo di terreno asciutto. Si pianta ancora cominciando a mezzo febbraio, e poi ogni quindici per averne di mese in mese del verde; si secca al sole per conservarsi e mangiarsi nel quadra» gesimali, che è cibo delicato e buono.

Il Radicchio vien meglio traspiantato che dal suo seme, tanto il salvatico che si trova alla campagna, e nelle grotte e ciglioni de’ cam- pi, quanto il domestico. Seminasi in terra mol- to sciolta ed umida grassa e putrida, profonda- mente lavorata e sotto minuzzata bene e strito- lata perchè non faccia la barba ronchiosa, ma li- scia e delicata; e così acconcia la terra, segli destinano le sue aiuole, e di febbraio e di mar- zO Vi getta il suo seme piuttosto in sito pia- no che in pendente o monte, perchè uon ri- mangano le radici dalla terra abbandonate o ignu- de. E perchè sopporta ilverno agevolmente, nei paesi freddi si può seminare nell’ autunno io la- to a solatìo. E se talora lo strigne il freddo, può coprire con paglia o sagginali, e da quel- lo si difenderà. Trapiantasi in terreno vangato a due puntate quando è di quattro foglie, lon- tana l'una dall’altra pianta quattro diti, per servirsi delle barbe che cotte e condite con olio ed agro di limone ed anco aceto, sono molto gu- stevoli ed appetitose, massimamente cavando il duro ch’elle si ritrovano dentro. Concimando di letame fradicio, faran Je radici più dolci, e più belle le foglie , le quali ancor esse trite mivu- ie con aceto, ove sia stato dentro dell’ aglio pesto ( ponendovi qualche foglia di nipitella ) si fan gratissime aggiuntovi l’olio in insalata. Il radicchio che ha a servire per il verno si se- mina di settembre e d'ottobre, e si traspune

256 nel principio di novembre, e crescicto di foglie si legano, e segli pone in capo uva pentola ro- vesciata a farlo bianco, ed alcuni legatogli le foglie le ricuoprono di terra, e lasciano star tauto che imbianchino; così avverrà se tagliate a corona le radici per cuocere, la- sciando due o tre diti soli della barba con le sue foglie, si sotterrerà tutto nella ter- ra o paglia, o si coprirà d’arena, e saranno le foglie dolci e delicate, come sbarbandolo affat- to; e ponendolo in cantina piantato nell’arena, e ricoperto di sopra, avendogli prima tagliate tutte le foglie, le rimetterà quivi senz'altro tut- te bianche lattite delicate e sottili; e ritagliato in quel lato di nuovo , e da capo ricoperto, f1- il medesimo, e le radici saranno similmen- te. bianche, e rasciugheranno la lor cortec- cia, e si deono ( volendo mangiarle ) porre a fuo: co con l’acqua fredda. Se le porrai in terreno che si stritoli e si sfarini sin’ in fondo, diven- teranno morbide e pastose, come si veggono es- sere in Genova; ed ancora farà bene il procacciar di quel seme. E perchè il radicchio non talli- sca, quando si pensa che sia vicino a poter far- lo, segli pougasopra una pietra, 0 coccio, o la- stra, che lo terrà a segno, e lo fara allargare. Si vede ancora che imbiancano di lor natura vei campi arencsi dove nascono da per loro, e nel- le costiere e monti lavorati con |’ aratro, se re- stano in qualche maniera così mezzi dal terreno ricoperti, e talora scoprendo la sola cima, chè così si ritrovano le sue foglie del tutto imbian- cate. Sono i radicchj di due maniere; di foglia stretta e di foglia più larga, e più lunga, e di questa fatta è quello che addomandano Radicchio Romano, men'attoa imbiancare, e di barba as- sai minuta; altri lo dicono Ascaruola, ma Asca- ruola molti chiamano 1’ Invidia, Le messe del

25 radicchio sono dette dai Romani mazzocchj; pio” ria domandano essi il radicchio, la quale è di due sorte, domestica. e salvatica; questa ha le foglie più strette, quella più larghe; le messe d’ ambedue son buone cotte e crude, e condite a usanza d’insalata son grate al gusto, e crude tutte minute; e così tenere avanti che faccia- no il fiore con le sue foglie, poste in un vaso di terra cotta invetriato s' insalano, e di a tre con quella salamoia che han resa si lavano, e spremute distendono in su’ graticcj tanto- chè suzzino, e messo sotto nel fondo del vaso degli anici secchi, e del finocchio simile, vi pongon sopra i mazzetti del radicchio, e nel brodo ch° egli averà accettato si cacci due parti d’ aceto, ed una di salamoia, aggravandoli con una lastra acciocchè quelle messe stien sempre ricoperte. Vi mette assa! finocchio acciaccato secco, ed asciugandosi quell’ intinto vi si rimet- ta di nuovo perchè non ne restassino in secco. Dipoi conditi con olio ed agro di limone, sco- latane ben la salamoia, s' adoperano, e mangia- no ai bisogni. Del radicchio comporta meglio il verno quello che ha la foglia stretta, e che coglie per i campi, che non quel domestico che ‘si semina negli orti; e l'uno e l’altro la- sciato dove sia coperto di sabbia o ghiaia s' im- bianca più che non queil’ altra sopraddetta ma- nifattura, e massimamente gettandovi sopra di quand’ in quando dell’ acqua, non piovendo. E quando si pianta è bene imbrattar la sua barba con bovina macera. Il radicchio che di giugno si semina, fa il seme buono, ed ancora di lu- glio, dipoi non fa più seme, ed il seme sene cava tenendo in molle quattro o cinque i gambi che |’ hanno; poi rasciutto battendolo n’e- sce, e si conserva al bisogno di seminare, Avea-

do il radicchio mandate fuori le foglie, segli 33

258 legano leggermente, avendole ristrette iu giro, ed in vaso di terra cotta si ripongono, che tut- tavia gli stia attaccato, col quale piglino nutri- mento dalla radice. Di questa maniera acqui- stano una candidezza, e teneritudine grande, e si spoglian della maggior parte dell’ amarezza. I fiori del radicchio colti con diligenza e senza ii bottone in che son commessi, e netti bene, che non vi resti invoglia di sua veste, da. per. loro fanno un’insalata molto gustevole, ed han- no virtù lenitiva, e molto allo stomaco aggra- devo!e Il Radicchio che s’ addomanda Roma- no è quello che ha le foglie più larghe e più lunghe di tutti gli altri, e non punto addentel- late, ed a mangiare è il più dolce di tutti, ed il più tenero al dente. Questo come gli altri per averne d’ogni tempo, siccome si fa della lattuga e delle radici, nei luoghi tiepidi può d’ ogni mese seminare, e se accaggia qualche nodo di vento ritroso, o di freddo straordina» rio, si può e dee ricoprir con la paglia, ovve- ro quando è nato di quattro foglie, si traspian- ta discosto l’una piaota da!l’altra quattro diti, covertando la terra in quei mezzi di letame cru- do di cavallo, mesticato con men paglia che sia possibile. Legasi questo e sotterrasi come l’ invidia, e diventa bianco; benchè nou aven- do in se amarezza si può mangiar verde. Tut- to il radicchio tagliato rasente terra. quando. è cresciuto ed ancortenero rimette più d’ una vol- ta, massimimente l’ estate, annaffiandolo ab- bondantissimameute.

Il Rosaio, cioè il frutice che fa le rose, la-= sciò scritto Filestrato in una certa sua Episto- la, ch'egli era dedicato all’ Amore, perchè co- me l’istesso Cupido rinigiovanisce, così la rosa fresca per la giovinezza riluce, e morbida e de- licata apparisce come lui; lun e l’altra con 3

25 crini innorati s inchioma, e se h1 a far a parazione dell’altre sue parti , i Rosaj in cambio di saette hanno le spine, e per facelle portan le cime gialle; con le foglie oltr’ a questo quasi alati in quella vece si veggono. la Rosa Cupido non conoscono tempo alcuno; e così per certo l’amore è nemico alla fugace forma e bellezza, non altramente che le Rose che danno fuori. Quelli che per Roma già andavano vendendo le rose, affrettavano il passo, deno- tandoci che non è da confidarsi al vigore, ed alla forma con il testimonio di quella prestezza; perciocchè elle fuggono presto e-1rrevocabilmen- te, e quel venderle correndo ci dimostra con gran documento d’ ammonizione, che la bellezza age- volissimamente sene va via, come tutte quel- le cose che fuordi modo belle fioriscono, prestis- simamente marcie diventano. Sono le rose di va- tie sorte, oltre a quelle che nascono di spine e rovi chiamate da’ Greci canine, e molte altre di non meno odore, ma quelle di ottimo, o sono: incarnate che ne hanno un poco meno , 0 son ros- se bene e purpuree alquanto minori, ma di gran» dissimo edore, come le dommaschine che son bianche scempie e doppie, ma queste n' hanno meno, ed ambe sono le più di tutte piccole, le quali si possono ancor dire Rose moscade per- chè sanno di musco. Le rosse scarlattine, che anch’ esse da Damasco s’ addomandano, che han- no i Rosa} bassi, sono pur di due sorte , doppie e scempie, e le doppie fanno a Napoli. Oltre a questo sono i Rosaj bianchi di molte spezie, e delle odorate è delle non odorate, come le ceuto- foglie bianche; e n'è una sorta che non ha odo- re, fa bene che ne’ luoghi umidi, mai pos- sano dentro e fuor della lor boccia cinque foglie, come !e salvatiche, delle quali ne sono assai sor- te e di quelle che escono da’ rosa} terragnoli e

260 | da’ grandi ‘che: inalzano sopra la terra a far fortissime siepi, l’une e l’altre odoratissime. Ne sono delle salvatiche che non hanno odore, e sono le ‘sbiaucate candide, e di rosaj deboli più di | tutti gli altri. Delle salvatiche ch? hanno buon odore, n0n va troppo in alto il rosaio, e la rosa è di coler bianco, ia qualche. parte di foglia in= carnabticcia, e pendente in rossigno, ed ha le foglie che si soprappongono. T'rapiantato questo rosaio nel domestico vien bene, ma convien tra- piantarlo da piccolo cavato con la sua barba con diligenza, e le rose si mantengono odoratissi me. Fanno alla foresca nelle poscondule delle macchie e de' boschi, e su per i ciglioni delle strage aperte che sono per il salvatico. Tutta questa sorta di salvatiche che si trovano con odore, cacciate le foglie con quella gialluria che han dentro, spicciolate nei fiaschi pieni d'aceto bian- co, lo fanno fortissimo (turandoli bene e tenen- doli al sole) ed ancora mettendone quantità ‘nell’ aceto che si ritrova nelle botti, o nei vasi invetriati di terra cotta, purchè siano tenuti nei soppalchi alti dove batta spesso il sole; operan- do sempre meglio nell’ aceto bianco che non nel nero. I Rosa] di Damasco così i doppj come gli scemp], durano a far rose tutta estate e dav- vantaggio, e le fanno a ciocche, quando matu- randone una, e quando un’altra, e talora s°ac- cozzano a maturarsi tutte insieme. Commenda Plinio le Milesie, comecchè elle fossero un: accesissimo celore; l’ Alabandiche di bianche: foglie, le nota per meno pregevoli. Sono le rose damaschine, o demmaschine, le scempie come le doppie , tutte bianche , differenziate tra loro. per la moltitudine delle foglie, dall’ asprezza, morbidezza, e colore, ed odore; le scempie son più odorate assai che non le doppie. Scrive Pli- Bio che l’indizio dell’odore vien conosciuto dal-

26r

la ruvidezza del: rosaio. Sono pallidette quelle che si chiamano incarnate, dette da alenni pro- vinciali, le quali piantate una volta :si dilatano e germogliando dalie radici fuor di modo, e ri- pullulando tuttavia abbondantemente dalle barbe di sotto, abbracciano tutto. il paese che hanno d’intorno, eda fatica quando si voglia si posso -

no spegnere. Di quelle «di Damasco ne sono al« cune: di cinque foglie, le doppie. ne banno più di: tre volte altrettante, e quelle scempie distil- late fauno acqua più odorifera di tutte l'altre.

Ne sono delle bianche domandate di cento foglie più dell’ altre grandi, come di queste han tante più foglie piene, e senza. odore; le quali stil- late con: le ordinarie. accrescono ja quantità dell’acqua, ma riesce meno odorata assai; im- perciò è bene non le. mescolare. Ne sono delle. bianche, le quali non hanno tante foglie, e ren- dono odore, ma grave che offende il capo; le salvatiche tutte rendono odore ; le rosse, !’ incar- nate, e le bianche sono le nina comuni. Le rosse sono le più eccellenti, ed accanto l’ incarnate; di men pregio ditutte sono le bianche, non però le damaschine , che fra queste. non intendono; le quali sono le più solutive di tutte l’ altre, e le più odorifere, e che fan di rose copia maggiore. Fanno il pedale grosso con diversi rami sopra în foggia arbore, che da perse si sostiene; segli che forma altri si voglia, colla guida sotto, facendola di legname forte atto a poter reggere, che mettono a piè de’ polloni, ma è meglio levare li via, se già per multiplicarele piante non si propagginino sotterrandoli due terzi di braccio, cavando lor fuori la punta, ed in capo a due anni tagliando. sotto, e traspiantandoli. Le rose ine carnate son le. prime che cominciano, ele prime a finire. Le purpuree che hanno le piante più piccole d’ogni altra sorta, vengolio appresso a

262 queste, e dopo queste le dommaschine , che per- ciò duran più dell’altre per l'autunno. Le sal- vatiche che tengon più la rosa e chiusa ed aper- ta, e bastan più a fiorire di niuna domestica, non passando ciuque foglie per lo più; sono le più odorifete, e migliori, e delle domestiche le più tardìe, che non passano le dodici foglie. Le rose tutte quanto hanno le foglie maggiori tan- to è il loro odor minore, stando tuttavia la lor virtù constipata, e ristretta. I semi delle rose non son quei fiorellini che sono 11 mezzo di loro di color giallo oro, ma fanno certe boccette sode in foggia di pere rotonde pregne della lor sementa dentro , le quali dopo la vendemmia si posso cogliere per mature, che sono quando elle son di color fosco e belio, ed asciugati quei semi al sole, si deono a luna crescente seminare a marzo nelle aidle degli orti bene stabbiate, e ricoprirsi con poca terra crivellata per traspian- tar all’ ottobre dove si vogliano, adacquandovi secondo il bisogno, e cavandone tutte l’erbe. I rosa) comportano ogni qualità d’aere e nei freddissimi supplisce la Natura a farlì sollecita mente crescere, come in Pollonia, ove seminati piantati subito distrutte le nevi al fin apri» le, s’affrettano a venire innanzi, e come i car- ciofi veggono anmentare per dì, ed alzarsi quasi ogni giorno mezzo dito o più per condursi avaoti i ghiacc] e le nevi ad aver fatto questi le rose, e quelli i carciofi. Ed io mi vi son tro- vato a porre un segno ficcando a pari del rosaio una cauna iu terra, e guardando la mattina ,. aver veduto sopravanzare il rosaio la misura di supra detta, e così i carciofi di seme in meno di due mesi fare il fiore. Tuttavia nelle regioni calde o temperate profittano più che in altre, come nel terreno caldo ed umido fanno miglior prova, e son più continui. Fan bene ancor

263 con terra che sia mescolata con sassi, e massi» mamente ove ne sian cavati di fresco, e che vi rimanga della terra mescolata . Ma propriamente amano un terreno rozzo che non sia più stato la- vorato, e che non vi sia stata altra cosa pian- tata, non grasso, argilloso, troppo umi- do; si contentano de’ terreni crudi, ma non aspri, disamando i troppo grassi, nei quali fan pochissime rose, come nei troppo umidi acqui- drinosi. Il sito in tutti i luoghi sia vòlto a mez- zogiorno, e se sia ben difeso dai venti, e bene a caldìo, daran frutto di nuovo nell’ autuano, e talora ne faranno continuamente ancor d’ in- verno, come a Genova, e a Napoli, dovesi ri- trovano de’ rosa] porporati che fan le rose di fo- glie doppie. Vogliono il terreno ben lavorato, e bene a dentro una vangata e mezzo, ed ancora a due puntate sarà loro assai più utile. Il rosaio nasce della spina più naturale, e più vero che non del suo frutice, veneodo ancora nel régo. Germoglia primamente chiuso dentro ad una cor- teccia piena di graneili, la quale ingrossando in dieci spiga ed alzandosi s’° apre nel mezzo del calice, abbracciaodo certi punti di color di loto. Deve il terreno esser lavorato trito minuto, senza mettervi alcuna sorta diletame. Piantansi d'ot- tobre, novembre, e dicembre nella terra che sia calda e fresca; ma se sia terra umida, oche possa adacquare, di gennaio, febbraio, e mar- zo, e nella fredda ancora avaoti Galen di mar- zo, o a marzo. Faranno anco bene nella terra che sia moderatamente grassa ed umida ben so- stanziosa, e nella leggiera e magra purchè non sia creta. Alcuni intrecciano insieme i rosa} a corona per cavarne più odore, come anco si deon potare, e col tagliarli fra le due terre faranno più crespe le rose , che per altro sarau- no più scempie di foglie. Piglinsi le radici dei,

264 rosa] quando : cominciano a spuntar fuori tenere, e questo nelle contrade calde si può far di no- vembre, nelle fredde di febbraio e marzo, e tut- taviachè elle si veggono apparir fuor della ter- ra, taglinsi a pezzi di quà e di là, e queste messe abbiano due o tre occhj, e fatto ‘un sol- coin sul’ aiuole ben lavorato sotto con un poco di letame marcito, ed adacquando se bisogna vi si pongan dentro un palmo sotto, tantochè avan» zino della messa tre diti o quattro fuora, e:ri- eoperti con terra trita si pareggi ‘il terreno, Le- nendolo tuttavia netto dall’erbe, e zappettan- dovi qualche volta, ed in capo a due anni ca- vati con diligenza si traspongano ‘a dove han- no avstare, potandosi ogni anno e levando:loro. il vecchiume e il secchereccio da dosso; e.da piede i gambi vecchj tagliando rasente terra e rinnovando loro. le messe, ed abbruciandoli quan- to gli asparagi, più giovamento ne sentiranno. Quelli che si traspiantano più tardi, cioè almar- zo, faranno delle rose in quell’anno, siccome quelli. che avendoli staccati dal loro cesto pian- terai subito dove hanno a rimagere , con. pian- ticelle giovani dell’ anno dinanzi radicate. Vo- lendo ampliare il rosaio, quindici innanzi ch’ e’ voglia mettere, o vero d’ottobre e novem- bre tirinsi a terra le più rigogliose messe del cesto, e fatta una fossa fonda un terzo di brac- cio ben lavorata innanzi sotto, e poi ripiena, vi si distendan dentro; cavando sol fuori la cima di tutti 1 rami, e dipoi con terra cotta ripareggiando, e ricoprendo s'averà di quivi a due anni tante piante quanti sien rami, o. ri» mettiticc]} ricoricati; ed in questo modo mede- simo «staccandoli dal loro cesto con le lor radi- ci, come di sopra si disse, gli puoi piantare do- ve hanno a stare ed è meglio piautarli a muc- chj, cioè dieci o dodici piaote. insieme, lonta:

265 ne mezzo braccio l’ una dall’ altra, ed i mucchj

discosto quattro braccia, 0 poco meno, tanto- chè altri si possa raggirar loro attorno. E attaccheranno pure a rami, staccandoli con un poco del vecchio e giovini d’ un anno ad- dietro, e lunghi un terzo di braccio, attorti nel calcio, 0 sfessi e fittovi una pietra, e senz’ al- tro in terren fresco, o che si possa adacquare. Ma sia con le radici, o senza il ramo del rosa- io che si pianta, stendasi sempre per il lungo della fossa a giacere, cavando fuori la punta un palmo, che così benissimo s' attaccherà. E se il ramo che si corica abbia parecchj rametti, cavisi fuora ciascheduno di essi, perchè a un per uno tutti faranno una pianta sicura, ta- gliando poi fra l’una e l’altra sotto il ramo, fatte che vi abbia di nuovo le barbe, e perchè le faccia più agevolmente è di mestieri quando si mette sotto calcargli con i piedi ben la terra attorno asciutta, e se si può cotta dal sole, chè «così vi farà miglior prova, e gettera fuori radi- | ci migliori, ed il tempo di coricarli è di mezzo inverno in verso la primavera. I rosa] rossi sa- assai sotterrarli la metà .di quello che son lunghe le piante, e per esser corte non impor- ta stenderli per le fosse quando piantano. Se si distenderanno i Rosa] bianchi da Damasco scempj, o dopp]j, o di ogni altra sorta quando son lunghi per il fondo della fossa , calcando lor bene la terra attorno, e lasciando solamente fuo- ri la cima, abbarbicheranno sotto meglio, e più assai dureranno. E se si pianteranno cavati con le radici sotterrati tutti e posti diritti eccetto la punta che ha da esser tutta del nuovo, tutto il vecchio cacciando sotto in una fossa lunga e cupa, getteranno fuora un bello e fitto cespuglio in forma circolare rotonda; e sendo da Damasco, per esser molto obbedienti al pennato, potrassi

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266 loro dare ( creandola da piccola) che forma .si voglia, come si disse, d’animale, o altro vaso come più piaccia, e posti nei vasi si manterran» no bene governandoli come gli aranc], adacquan- doli qualche volta. E di questa sorta amano il terreno grasso ed umido, e d’essere adacquati, assai, massimamente posti al sole, contuttochè eglino vadan comportando più l’uggia degli al- tri. Ma tutte le sorte de’ Rosa] allo scoperto ed al ciel libero fanno meglio alla largura della campagna, e non occupata da arbore, alcuno. Quantunque d’ ogni sorta domestichi si possan fare spalliere e tirarli in alto (eccettuati iros- - si, che ordinariamente non s’ alzano da terra due braccia ) le macchie degl’ incarnati , mesco- landovi de’ salvatichi si posson fare acconciamen- te, ed intricandogli insieme si faranno impene- trabili, e oltre a questo saranno utili per il frutto che dalle rose viene e si faranno folte e gagliarde, scalzandogli spesso, e rinnovando lor la terra ai piedi, e ponendovi assai terra cotta, e vadasi sotto con la zappa più che non si fa agli ortagg) e biade, e meno che alle viti; e facciasi questa operazione a quelli delle siepi ( come a tutti ) di gennaio, e febbraio. IRo- sa) rossi scailattini, o porporati non hanno bi- sogno di essere adacquati, perchè questo farìa lor danno , sendo causa che svaporerebbe 1’ odo- re, e tavto più, avendone manco che gli altri, i quali ( e massimamente i bianchi ) amano l’acqua, e quando si scalzano sia posto loro at- torno del letame fradicio. Bramano più degli ale tri d’ essere castrugiati. Mescolisi il letamecon terra trita o cotta, ma megliv farà Joro la pu- ra cenere. I rossi scarlattini fau tanto bene con lavorarli spesso attorno, quanto con attaccarvi fuoco ed abbruciarli essendo vecchj; ed intan- to si zappino due volte l’anno, e sia ‘di feb-

267 braio e di ottobre, ed ogoi cinque anni s' ar- dano di novembre e dicembre. Volendo o di questi o d’ altri far munizione di piante, taglia dai rosa] i suoi occhj che mettono, con quattro diti o poco più del loro rametto di quà e di là, e mettilo a giacere nel solco che sia ben la. vorato sotto a uso di propaggine, ed aitagli con letame marcio e adacqua, ed in capo a un anno e non prima trapiantaglia dove hanno a sta- re, lontani 1)’ un dall’ altro un piede, governan- dogli da quivi in come di sopra. In luoghi secchi saranno sempre le rose più odorate, che negli altri, ed al sole più che all’ombrìo, e piantando fra essi vicinissimi a loro gli agij, renderanno maggiore, e più acuto odore. Ed è chi scrive che piantandogliene assai attorno , ne faranno un mese più della metà dell’anno, e se s'infonderà sopr’ essi sugo di foglie d’ olivo, odi sambuco non si seccheranno loro le foglie. Per cosa certa spessicheranno di farne, e più a buon’o= ra ne faranno in questa maniera: farai una fossetta in giù lontana dal suo gambo due pal- mi, e con acqua calda gli annaffierai due vol- te il di, ed amando di aver rose d’ogni mese, (avendo il sito tiepido accomodato ) ne traspian- terai d’ogni mese in terra ben lavorata e le- tamata di letame fradicio, adacquandoli a’ bi- sogni, e vezzeggiandoli assai come si disse de° carciofi. Annaffiando ancora semplicemente i rosa] con acqua ordinaria, scrive Didimo. che daran delle rose di gennaio; e Zoroastro affer- ma che non dorranno in quell’anno gli occhja colui, che segli abbia strofinati leggermente con tre boccie delle rose avanti ch° elle s’ apra» no, senza staccarle dal rosaio. E peraver cia- que colori di rose in un gambo solo, scrivono che bisegna far così : in quel tempo che le boc- cie cominciano a gonfiare forerai con una trivel= *

268 i la il gambo dalla banda di sotto, e farai pas- sare in quel ramo del rosaio bucato un panno. tinto con la cottura del verzino per quel per-. tuso, e nel medesimo un altro ramo o gambo bucato v°infonderai del color verde, ed in un altro del giallo, e così acconcia d’ altro colore gli aitri; e fatto questo, cioè avendo ben pieni ‘dei colori tutti e cinque i pertusi, metterai lor d'attorno fasciando per tutto bovina, o ferra grassa, e chiudendo ovuaque lascerai così sta- re. Se tu vorrai. aver le rose più temporali, scalza bene il rosaio attorno , e dàgli della co- lombina in lato umido, e ch’elia pon tocchi il gambo, riempiendo con terra cotta, ed annaffian- dolo due volte il pur come si disse con acqua calda. I rosa}; ( avendo impiastrate le lo-, ro radici col sangue di qualsisia animale, e con il medesimo sangue adacquandoli poichè sieno stati posti ) così faran le rose d’inverno, mas- simamente se di primavera leggermente si leghi- no i suoi rami stretti perchè non mandin fuo» ra l'umore conceputo. Desiderando di aver quel- le rose, che per le tante foglie si chiaman cen- tofoglie ( per altro. che sien odorate ) inueste-- raile in un Rosaio moscadello, cioè da Dama- sco, di cui le rose son tanto odorifere e soavi, rinnovando spesso l’ innèsto sopra innesto stes- so. Quella rugiada che risedendo in su le ro- se vi si trova stare attaccata, raccolta con una pulita penna, e strofinatosi leggermente agli oc- chj scerpellini intorno alle palpebre, rimedia a quella cispa. Manterrassi Ja vita e il vigore a quelle rose, che affonderanno di maniera nel- la morchia, che questa resti tuttavia di sopra, ed esse con le boccie sotterratevi. Altri perchè elle buondato si couservino, mentre che l’orze. è iu erba, sbarb.tolo con le sue radici, voglio- no che si metta dentro a vaso di terra cotta

26 non-impeciato, e quivi si ponga la rosa ari ti che aprendosi nella boccia ella allarghi . Al- cuni altri stendono sopra l’ammattonato la bia- da verde dell’orzo, e quivi l’ istesse rose nascono. Sono chi fresche le conservano, così facendo che reggano ( avendovi fatto un fesso in una canna giovine ) il gambo con la boccia gonfia» ta, leggermente con carta, o giunco restringene do quella fessura, che l’aere vi possa traspi- rare. Ancora piantando una canna vicino al ro- sa10 che stia diritta, ed al pari della rosa fen- dendola , la caccerai dentro con la boccia non per anco aperta, rannestando insieme quella fessura senz offender Ja rosa, o suo gambo, e fa- cendola combaciare, che piovendo non vi possa penetrar. )’ acqua, ed a quel tempo che tu vogli aver le rose taglia la canna, e le troverai ben conservate, e tutte fresche man= tenute. Alcuni le cacciano in una pignatta roz- za ben turata per tutto , ed allo scoperto lasciatele attaccate al rosaio, e così si conservano. Scrive Didimo, che continuamente s’° averauno rose, se di continuo mese per mese piantinsi rosa], le- tamandoli con marcito concime, cacciando la boccia della rosa in un cannello di cauna, e sot- terrandolo acconcio in modo che non vi penetri l’acqua, e così salverai la -rosa per aprirla a tua posta. Quando la rosa comincia ad aprirsi in fo- glie , facendole sotto un profumo di zolfo, tosto diventerà bianca. Insetando l’ occhio del rosaio nel melo, darà le rose sue. quando sien mature le mele; e così farà nel mandorlo, scrivono i. Greci. Alcuni affermano che i rosaj si possono in- nestare nei Granati, ma certa cosa è che s'in- setano i rosa) nei pruni simili che fau rose, ed in quella sorta di rosaj salvatichi della razza dei biauchi, e s' insetano a bocciudlo; così questi come tutti gli altri dell’ una sorte nell’ altra,

27 0 possono anco aver le rose primaticcie con questa, operazione, e molte altre sorte di fiori : Scegli il fiore qual vuoi, perchè quello che affà a uno conviene a tutti, come sarìa a direla rosa, ed anticipato il tempo circa al fin d’ottobre, pianta un rosaio in terra crivellata bagnata e mesticata con letame tantochè sia tenera, in un vaso di terra cotta grande e capace, e datogli il giorno due volte dell’acqua calda, e quando sia vento 0 pioggia fallo portare in casa al coperto in lato che non venga offeso, non lo lasciando mai la notte al sereno; cessate poi le brinate, ed i freddi, all’aere temperato mettilo al sole ;, quando è poi di primavera che le rose voglian cominciare, annaffia ogni.dì con acqua un po’ più calda, perchè ella gode di produr tardi di pro-, pria natura ; così farà tutto innanzi tutti. Un° al. tra sorta_di rose s'inserisce di razza pallida, e spinosa, che ha i gambi lunghissimi, ed ha cin- que foglie; ed un’altra sorta è, che ha rac- colti insieme i pannicoli delle fogiie, la quale: mon s' apre se non sforzata con mano, e simile a quella che le nasce sopra di larghissime foglie. Serive Didimo che le rose faranno il fior doppio, e di questa fatta più rose, se tu metterai insie- me in un fascetto tre o quattro semi dei granelli de’ rosa], e così gli sotterrerai a far nascere. Le rose di Damasco che uscirono già da Pesto, ger- mugliano dne volte l’anno, e faranno ancor esse come le rose scarlattine, 0 rose a ciocche non pur. l’aceto, ma il zucchero rosato eccellente; ma a questo sono più atte le scarlattiue di cinque fo- glie , siccome secche non per anco apérte a fare odoriferi cucivetti, arrogendo fra esse muschio, o zibetto, o ambra, e cucendo fitto il guancia- le perchè non svapori; e l’aceto eccellente fan- no le salvatiche, così quelle dei rosaietti piccoli, come le grandi, tutte rose di cinque foglie, e

271 vi pone dentro il fior giallo, e tutte lo fo- glie, tenendo il vaso che va procurato dentro, al sole tanto, che sia oltremodo forte, e dipoi ri- ponendolo in luogo asciutto volto a mezzodì , te- nendo sempre ben turato. Queste salvatiche fanno pur l’acqua rosa più d’odore piena che tutte l’ altre. Le rose fresche rendono più odore delle secche, e più lontano che d’appresso; le secche per contrario: e quanto più in giorno chiaro e sereno si coglieranno, getteranno più odore, e più cogliendole nelle giornate calde che nelle fredde, e tuttavia tre ore avanti mezzogior- no. La rosa suol essere l’ultimo fiore a fiorire di primavera, e con la regola detta sarà de’pri- mi. Oltre a ciò è da sapere, e porre in consi- derazione, che la germogliazione de’ fiori quan- to è più l’invernata piacevole, è sempre più presta, e massimamente quando segue appresso una primavera che non sia con stridori di gelo o neve, e (come dice Teofrasto ) secondochè la virtù di generare, e 1’ umor freddo s’ aduna ine sieme alcuna volta da per se stesso, altre volte per cagione di quell’ umore raccelto , e conceputo ine nanzi al tempo e rimastovi prima nel tenor dell'in» verno passato. Le rose colte nel tempo ed ora che s' è detto s' ammontano insieme in lato a- sciutto, e così l’una sopra l’ altra lasciano star a riscaldare per quattro, o cinque ore, di- poi si spicciolano con mano premendole poco , tantochè la foglia si stacchi, e piuttosto senza forza caschi quasi che da per se, e si pongono in luogo alto ed asciutto ove.non batta sole stese in su tavole, perchè in su’ pannilini, che tira- no ed attraggono a se, perdono odore, che più ratterranno racchiuse in vaso di vetro ser rato bene. Galieno Imperadore faceva di prima- vera i letti di rose, e dentro per sentir odore, e frescura vi si addormentava. Le rose seccate

Bird all'uggia, col rivoltarle spesso sopra le tavole, poi ristrette insieme in sacchetti ben stivati rattengono l’ edore. Dalle rose quanto più fre- sche si distillano nelle campane di piombo, tan- tu maggior quantità d’ acqua si cava, avverten- do che non sian guazzose. Piantando rosa) in terreno divelto grasso, prenderanno tale aumento e cresceranno di modo che potran fare anch'essi oltre a forti siepi, come si disse, strade coper- te, mettendovegli fitti perchè reudan più quan- tità di rose, e riparino più acconciamente il sole. Stanno i rosa] benissimo, piantati attorno alle

cassette delle pecchie, che fanno utilissimo la-

voro. Faranno sempre grandissima prova se egli- no sieno piantati alla luna crescente di ottobre, cavati con diligenza con le lor barbe non pun- to offese, e piante giovini; e facendo lor vezzi come s'è detto, faranno il medesimo atino delle rose. E non accade adacquarli, aver loro altra cura per quell’ anno, ponendoli di questo tempo. E sebbene s' è detto ogoi cinque anni, meglio è ogni tre anni tagliarli fra le due terre, o abbruciarli per tenerli giovini, e rinnovarli; e si dee per averne più utile fare il taglio, 0 l’abbruciamento mezzo per anno. Averannosi da’ rosa] le rose d’ inverno nei luoghi tiepidi sce- mando loro le punte e messe delle boccie tosto- chè appaiono di primavera. L'olio rosato fu in pregio, e menzionato da Omero; e le rose scem- pie da Damasco, e le scarlattine messe nell’olio comune dentro a vasi ben chiusi lo fanno otti- mo. Scrivono i Greci che i rosa] faranno le rose verdi, se piantandogli a piè d’ un lauro giovine di gambo liscio e pulito, e scapezzando l’ uno e l’altro si farà passare per il pedale del lanro bucato per il mezzo ed impiastrato d’ intorno il

pertuso di bovina, e quando sia beu rintasato e

vammarginato taglisi rasente, affinchè movendo

273 nel lauro la verde virtù sua, si spanda a far la rosa del colore medesimo; come ancora si procu- reranno con l’ arte di variati colori oltre al modo di sopra detto, e cosìi fiori di sambo sodo, Fendasi il gambo del fiore o rosajo vicino alla radice, e parimente tutti i suoi rami vicini al tronco, empiendogli tutti di colore a tuo pia- cimento , e volendo vi congiugnerai del verde- rame, indaco, azzurro, 0 lapislazuli, e gial- lo di zafferano; ma questo s’avvertisca , pri- ma di farne polvere, e soprattutto guardisi di non vi mettere orpimento , o cose simili perchè seccherebbe la pianta, e dipoidàgli del leta- me fradicio, e lega bene intorno alle fessure ri- congiungendo il taglio coi giunchi; così pro- mettono i Greci che nascerà il fiore di quel colore che averai dentro le fessure impiastrato ; e dipiù che avviene il medesimo piantando i ro- sa] o fiori appartatamente in un vaso di terra cotta pieno di terreno crivellato, e due volte il giorno innaffiando con acqua colorita di quel co- lore il quale tu vuoi, ed ascondendolo la notte dai freddi e dal sereno, e sendo il sole tiepido e temperato mettendolo allo scoperto , e lasciando- lo star quivi; l’acqua vuol esser ben colorita, e così non nuocerà. Volendo color rosso fa con le more delle siepi non mature, seccate all’ uggia, e salvate a questo effetto, ed amando giallo fa con queste medesime, ma che non sien mature; così negli altri, ed averai il fiore di quel colo. re che saprai desiderare. E bramando di più co» lori, facciasi l’acqua mesticata di colori diversi; e in diversi tempi adacquando la pianta secondo il bisogno, quanto più ciò farai, sarà il fiore o rosa più colorita. Questo medesimo a lor detta si può fare nei frutti, ed a questo bisogna ta- gliare diversi occhj di piante, e quelli spartire ‘con diligenza per il mezzo, ed innestargli in qual,

% è

274 che scorza fendendola per il mezzo, ed accomo= dandovi un impiastro, il quale abbi preparato convenevole a quell’ innesto. A conservar le rose ed i giglj, e molti altri fiori, convien così fare: si colgono non nel tempo che son fatti aperti e ben fioritî, ma quando cominciano ad apparir dentro alla boccia le foglie; affondisi accanto al ‘taglio dentro la pece disfatta, poi mettasi in un cannello di canna, e bene impegolata la parte che resta del cannello aperta, esi sotterri inluo- go a solatìo perchè non si bagni. Delle foglie delle rose colte fresche si fa:col zucchero distrut- to una conserva molto solutiva, ma convien cuo- cervi dentro le foglie a lentissimo fuoco, e co- stiparle poi nel vaso ben serrate insieme, rin- fondendo sopra dell’ altro zucchero liquido. Il fiore di dentro gialliccio che si trova nelle rose, giova secco e spruzzato alle piaghe delle gen- gìe. Scrive il Mattiolo che mangiandosi venti 0 venticinque foglie di rose dommaschine adigiu-" no, solvono comodamente il corpo, e senza mo- lestia. alcuna. Il succo delle rose è aperitivo astersivo e solutivo , e perciò solve ila collera, e mondifica il sangue da quella, e vale al tra- bocco del fiele. Lambiccansi le rose in var mo- di, ma quello che si fa in bagnomarìa è il più approvato e ‘migliore. Gogliendo le foglie delle rose fresche e con la guazza sopra, e condite.in insalata, muovono il ventre, ma con dolore ;.e quelli stoppioni che son dentro ai ballerani, mes- si nell’ aceto alla rinfusa, l’inforzano.

La Ruchetta par che sia nata per istimo- lare, poichè ( come dice it Mattiolo ) ella scalda manifestissimamente; credesi che mangiata sceve» ra aumenti lo sperma. Il seme beuto giova al morso del toporagno; mangiata sola esala agevolmente alla testa, e Ja fa dolere; si rettifica col man- giarla insieme con le foglie della. lattuga.condis

275 ta ininsalata. I Greci l’addomandarono da quasichè ella sia grata cotta nei brodi della car- he. Sono alcuni che usano il suo seme per con- dir le vivande; e perchè più lungamente si con- servi, mesticato: e rimenato con aceto e latte, di- sfacendolo insieme , si ripone assetto in pastelli. Scrive il Ruellio che induce una .certa durezza. contro al senso, e che perciò giova a chi abbia a toccar delle busse. La ruchetta nasce in Spa- gna frequentemente alla campagna, e del suo seme si servon in cambio della senapa. La ruchetta è contraria alla lattuga che è frigida, questa non punto; e sebben talora si perdan le sue foglie d’ inverno , rinasce a primavera tenera e fresca. Trovasene della salvatica , la quale na- sce volentieri nelle rovine delle muraglie tra’ sas- si e calcinaccj, e nei campi magri e grotte secche ed asciutte, e talora negli orti da per se. La domestica si semina nelle aidle degli orti co me la lattuga, e tagliata rimette. Ne sono di due sorte, della stretta, e della larga; questa è men saporita , e la salvatica è più efficace, e massimamente «a provocar l’orina. È opinione che tutte le sorte delle ruchette generin cat- tivo sangue; seminansi a primavera, e all’au- tunno. pasta

Il Sosolo o Riso si semina nell'acqua, ed è specie di frumento in vista come il loglio, fa- cendo dentro nell'acqua il gambo, e fuori la spiga come quello. Di due sorte ne pone il Ruel- lio, una che ha i granelli un po’ rossigni, e al- {tra bianca, e l'uno e l’altro si rende facile a cuocersi brillato eome la spelda, cavandone la prima scorza. Della farina del bianco si fa il bianco mangiare, vivanda delicatissima, e di pregio in questo modo: Mettesi a bollire in. un ‘vaso di rame pulito e netto dentro, posto in ‘mezzo di una stanza, e fatto bollire con ac-

276 cesi carboni quella farina, entrovi zucchero e. latte, e polpe di cappone tolte fredde, e sfi- late con diligenza; e con un bastone ritondo acero, o altro legno pulito gira intorno rimestando di continuo quella mestura, tantochè veggia rassodata insieme, e ridotta come ve- tro liquefatto; s'acconcia ne’piatti, e mangia calda o fredda come più piace, e si prepara in torte con le sfoglie di pasta sottosopra nella te- glia, aggiungendovi lardo, o butirro da tutte le bande. Convien porvi assai zucchero, e latte a discrezione, ma la polpa del cappone sfilata basta ogni poca; così la farina del. riso ha da essere moderatamente e tutto sia secondo la quane tità che sene voglia fare, purchè il zucchero e fiore avanzi il tutto in misura. Cuocesi intero nei brodi,i quali quanto più sien grassi, lo fa- ranno migliore. Fassene ancor frittelle nell’ olio con la padella, disfatto a cuocer con l’ acqua, siccome scrive il Ruellio, ma trovo per tutto non esser così , che gl’Italiani fanno l’orzata col riso, la quale tutto il resto degli uomini fanno con l'orzo; e certamente poichè così si chiama, è da credere, che’) più dritto sia. farla con l’orzo, ma così nell’una come nell’ altra convien mette- re zucchero assai. Fassi pure col riso il latte di mandorle , pigliando di queste una parte, e due di riso, e facendo mescolare e bollir insieme con zucchero l'una e l’altro cotti nell’acqua. An» cora sl cuoce il riso nella teglia con cacio ed uova disfatte, ed impastato insieme distesovi dentro con sfoglia e senza. E molte altre vivande si fan- no con .il riso, il quale anco si prepara coo il latte perchè riunisca il sangue, ed aumenti la genitura. In molte parti dell’ India non si vive che di riso e di maiz in cambio di frumento; ed Il Ormus, ove è per costume di quella gente sor- bir la vivanda senza masticare; a sorsi da un Ca

2 tino preparato per ciò, non bevono 0 ssa che riso, avendovelo disfatto dentro cotto con zucchero, ed a sorsi (invitandosi l’un altro ) con una canna vota lo succiano. Ha il riso al. quanto del costrittivo, e perciò ristrigne il cure po mediocremente. Dicono che gl’ Indiani cava- no spremendolo con torchj l’ olio del riso, sic- come si fa del sesamo, e questo è migliore. Lo seminano nelle paludi, e nei luoghi ove ri- siede l’acqua, ma di dove si possa a certi tempi cavare, e da quella via rimettervela. I terreni grassi, seminandovi dentro il riso, desiderano man- co acqua chei magri e deboli, bastando in quelli tener ricoperto con due diti d’acqua, ed in questi un quarto di braccio e un terzo, e convien circon- darlicon argini attorno che la rattengano , e che la terra sia sotto uguale, ma in modo però, che sene possa cavar l’acqua ognivoltachè si voglia. ara il campo avanti il gelo, e poi si rifende al fin di gennaio, e si semina al principio d’ a- prile, mettendo di seme uno staio per staioro , avendolo prima tenuto in molle un giorno inte- ro; altri lo mettono in un sacco, e affondato il sacco nell’ acqua ve lo lasciano star tanto comin- ci non solo a gonfiare, ma mettere, e così poi seminato nasce più presto, avvertendo che se non sia sito da poter allagare tutto lo spazio di cam- po, si facciano certe porche con arginetti attor- no che di qua e di per lo lungo sostengano l’acqua ugualmente : il che si conosce, niuna cosa mostrando più il piano pari che l’ acqua istessa, la quale stia acconcia di modo, o fer- ma, o che si muova lentamente, ch'ella si pos- sa cavare, perchè quando s' immo:ibida troppo il riso bisogna levarla, e non ritornarla primachè vegga che il sole abbia mortificato; e come si vede ch'egli è per far la spiga (sapendo anco

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che allora fiorisce, e produce in un tempo il gra nello ) subito si raddoppia l’acqua per assicurare lo, annebbiandosi quando non è dall’ acqua dife- so. Per tre anni continui si può in quei campi seguir di seminare il medesimo riso, e poi grano per altri tre anni, che migliòdra il campo. Molti avendo ben lavorato prima ‘il campo vi fanno venir l’acqua alta mezzo braccio, e aprile so- pra quella geltano il seme del riso; in capo a quindici levan l’ acqua e nettan l’ erba venuta fra "1 riso nato, accanto ve la ritornano sin’a ricolta, e quando è maturo (che si conosce che esce ed è sodo ) in un legno incavato rotondo lo brillano, e mondano dalla spoglia, e questo non nasce. Macinasi con miglio e segala, e sene fa pan ragionevole, ed anco solo, ma facendolo ogni due dì. Il riso in luogo asciutto basta lun» go tempo. . o

Il Sesamo (che volgarmente si chiama Giug- giolena ) l’annovera, chi tra i frumenti, e chi fra’ legumi. Quello che si sementa d’ estate, vie- ne in quaranta in fiore, ed è ]a sua semeata di giugno e luglio, in Pantelia, e Gilicia a- gosto ; in Italia nelle regioni umide si può se- minare di giugno. In Levante molti mangiano il sesamo brillato, mastucca presto; nuoce l’ac- qua, se piove tostochè egli sia stato seminato. Mentre che è verde, non lo tocca animal che sia; mon è sementa che immagrisca più il ter- reno di questa, comecchè ella sia di più sodo fusto e più copiosa radice del miglio. Non a- veudo da seminarlo in terreno umido come egli desidera, bisogna a certi tempi adacquarlo. Nell’ acqua calda macerato, si cavi fuori; stro- picciato poi insieme faccia notar neli’ acqua fredda, che le paglie vadano a galla; dipoi si spanda sopra un lenzuolo al sole: il che se non

2

si farà presto, diventa di sporco. colore, a marcendosi. Desidera terra grassa che sia séf- fice. Fa bene nelle grasse arene, e soprattut» to nel terren posticcio, e tutto ben arato e trito. Venne trasportato dall’ Indie ( scrive Plinio ) e cotto nell’acqua si prepara in cibo. Del seme del sesamo si strizza. l'olio con la forza del torchio, ed è più buono a ardere che a mangiare . Il sesamo o suo olio , in qua- lunque modo cibatosene, guasta lo stomaco, nel quale mal si digerisce, e genera grosso nutri- mento, i

La Senapa, il Coriandro , la Ruchetta, 1’Oci- mo, e la Bietoia ove son seminati una sol vol» ta, continuano per molti anni esservi tuttavia. Della senapa sene ritrova di tre spezie; una che produce le foglie sottili, altra come fronde di rape, e la terza che le produce simili a quelle della ruchetta. Quella che è più piccola, minu- ta di pianta e di seme, è la salvatica. Quella che ha le fronde come le rape, sebben minori e più ruvide, e che cresce in alto con molti ra- mi, è l’ordinaria che si semina; la terza si se- mina parimente, e produce il seme bianco, il quale :chiamano Ruchetta, molto meno acuto di tutti gli altri. Quella messa nel mosto che non abbia ancora bollito, lo mantiene così dolce as- sai giorni, e però l’adoperan coloro che por. tano i mosti dolci del Trentino per venderli ai Tedeschi in Alemagna . Sementasi la senapa nell'autunno per averla fatta di primavera. Suol comparir fuori seminata il quinto dì, desi- dera altra coltivazione, se non che datole del letame marcio assai, si zappi d’intorno. Ma la sua pianta trasponendola nell'inverno , farà mag- giore e niù bella cima la primavera. Ama la terra che sia bene arata, e se far si possa, ter: reno che sia posticcio, sebbene nasce in ogni

280 lato, e senza alcuna cura germoglia per tutto. Si gode e fomenta con la polvere sottile, per- ciò è bene sarchiarla , perchè circondata da quel- la dia fuor più allegra. manco gode dell’u- mido, o dell’acqua; ma quella che tu hai in animo d’avere a servirtene per seme, non la muovere del suo luogo natìo, e quella che si prepara per maogiare si farà più robusta, aven- dola fatta trapiantare. Il seme della senapa di- seccato e rasciutto dall’ antichità , diventa disu- tile per l’uno,e per l’altro affare. Se schiac- ciato coi denti apparisca dentro verde, sarà se- gno di fresco e nuovo; se bianco, di vecchio e stantìo. Le cime della senapa cotte nella pa-. della lascian quell’ acrimonia, e servon per vi- vanda; si cuocono ancora le foglie come dell’al- tre erbe. Le pecchie sono de’ suoi fiori appeti- tosissime. Il seme della senapa poi va variando nelle sorti sue; in una rosseggia, nell’altra è tutto bianco, e questo fa la mostarda bianca, e quello nera. É un proverbio usitato appo gli oltramontani che dice: Tu sei più astuto della senapa, comecchè questa con la sua caldezza penetrativa conferisca al piangere, manifestamea- te facendo apparire le lacrime. l'engono in ma- cero per una notte il suo seme maturo, dipoi aggiuntovi dell’aceto e spremuto con le mani, lo pestano in una pila di pietra, e così fanno uu condimento acutissimo per intingervi la carne; altri per la vendemmia avendo bagnato il seme della senapa nel mosto lo pestano, e così sal- vandolo in vasi invetriati di terra cotta, rima- ne spogliato d’ una gran parte di quella sua acu- ta forza. Ed avendo lo stomaco fastidito da’ci- bi, questa gli ritorna °! gusto e l’ appetito. . è cosa che più velocemente assaglia la testa, e più presto penetri al cervello provocando gli star- nuti di subito. Gli antichi il seme della. se-

281 sapa ben purgato e netto, e ben vagliato lava= vano con l’acqua fresca, e come vi fosse stato in molle per due ore, avendolo diligentemente spremuto con le mani, lo cacciavano in un mor- taio pulitissimo, e con i pestelli pestato tutto quell’ intridimento, lo ritenevan in mezzo alla pila , e ristretto insieme con la mano, ed aggra- vato (messivi sotto certi pochi carboni accesi ) lo rarificavano, e v’infondevano dell’ acqua sal- nitrata per fare andar via la sua pallidezza, ed amaritudine, e dirizzato il mortaio perchè tut- to 1 umore s’ intenerisse e disfacesse , v’ aggiun- gevano aceto bianco forte, e ripestato insieme e rimescolato col pestello, lo riponevano, aven- do prima tutto con diligenza colato. Ma colo- ro che per uso de’ conviti la preparavano, quane do avevan voto il mortaio della senapa, entro vi pestavano pinocch) de’ più freschi ed amido; . versatovi dell’aceto tutto insieme con diligenza. Di questa sorte senapa mon solo si servivano per la tintura, ma ancora per bellezza, perchè se ella sia fatta con curiosità, diventerà di bian- chezza straordinaria. Nell’invernata si può ado- | perar così per intingervi dentro la carne. Ma la mostarda ordinaria contempera con la se- napa a discrezione, disficendola prima con 1’ a- ceto, e poi trasmettendovela dentro; e vuole stare un e uha notte in molle nell’ aceto fore te, e più appresso pestata bene nel mortaio, e fat. ta liquida col pestello, si v’ infonde dentro la senapa intrisa con l’ aceto, e con essa stropic- ciandosi le mani forte, poi lavandosi con acqua, le rende morbide e pulitissime ; quando dolgono i denti, la senapa masticata leva il dolore. Quel- la dell’ Egitto, e Assiria è la più potente di tutte 1’ altre. Fa la senapa bene intorno ai fos- si umidi delle città che son poste nelle pianure; serve anco a fare una poltiglia dia marina,

282 | o vero acqua insalata a conservar dentro l’uve lungo tempo, che poi si lavano.

Il Sesaro si gode de’ luoghi freddi; ha per la lunghezza un midollo sodo che stiacciando» lo. segli cava, e fa lasciar gran parte della sua amarezza, la quale temperata con acqua me- lata la fa diventar graziosa. Del sesaro si mao- gia solamente la barba; somiglia la domestica pastinaca , e così fritto come lesso è buono in cibo. Gli antichi ne facevano un condimento in questa maniera: cavavan fuori la sua radice, dili- gentemente la nettavano stropicciandola, e stro- finandola assai dalla terra che vi era attaccata, e messala nell’aceto e nel sale, dopo trenta la cavavano, e sbucciatane la corteccia la getta- van via; e tagliata in pezzetti la cacciavano in un vaso invetriato , o di vetro, e dopo un me- se presa dell’uva secca, e delle cipolle simil- mente secche con del farro abbrustolato, e un poco di méle, tutto tritavano insieme e pesta- vano, ed essendo ben pestate vi mescolavano due parti di sapa ed una d’aceto, e di questa ma: niera l’ inzipillavano nel vaso, coprendolo be- ne con una pelle in bocca, e quando volevan servirsene, cavavan fuori quello che volevano di quelle barbette così acconcie, e con un poco d’os- simele ed olio )’ usavano in cibo. Trovasene del domestico e del salvatico; quello si semina di febbraio, marzo, aprile, agosto, settembre e ot- tobre, come la lattuga, dipoi dirada . Tiberio Imperadore vago di questo cibo, ne faceva ogni anno venir di Germania. Provoca l’orina.

La Satureia, detta ancora Timbra, e San- toreggia, è domestica e salvatica. Siccome is- sopo, si gode di grasso terreno, ama luoghi col- tivati, sebben fa anche in luoghi aspri ed in- «culti 3 perciò vien bene altresì nei terreni sot- tili. E simile al Timo, un poco minore e più

MN,

583 tenera: La domestica è più piccola della salva- tica, e per aver più acuto sapore s’accetta nei Cibi; porta la spiga piena di fiori di color d’er- ba verde. Piace il suo fiore alle pecchie, per- ciò si dee averne intorno alle lor cassette. Se- minasi la satureia al mese di febbraio nell’ aiuòd- le degli orti, e mescolata in spagna col seme della Cepina, che dicono essere gli scalogni, vien più allegramente, e si fa migliore. Nasce in su la satureia una certa erba rossiccia, come tante volte è veduto in fior origano , simile alla cùscuta che viene in quello senza prima toc- car terra. Fatta intorno alle strade degli orti, sene può allevare spallierette basse. Scrivono es- . serne una terza sorte poco differente da queste due, domestica e salvatica. Tengono alcuni che sia spezie di Timbra istessa. Columella par che l’accetti per la Cuaila, ed allega ch’ ella ten- da al sapore della Timbra, e se sia trapiantata vien meglio, e si può spartire come sia nata di tre mesi.

Gli Scalogni sono stati addotti da Ascalona, Castello della Gindea, d’ onde egli hanno rica» vato il nome. Tengono diversa natura e con- dizione dagli aglj, perciocchè producendo uno spicchio d’ aglio più spicchJ fa nascere sopra la terra un cesto di fuglie lunghe e larghe; e ben- chè un capo di scalogno faccia più spicchj e sfessi l’ un dall’ altro, non coperti tutti insieme come quelli dell’ aglio, fa nascer sopra terra una foglielta per capo, e non un cesto di più foglie insieme, ma di per se che dura per più mesi. Sono le scalogne sfesse 1’ una dall’ altra, e steri. Ji da quella parte che ha le radici, non ingros- sando punto. Impercidò dal lor ceppo spiccando l’uno dall’ altro, e ponendogli in solchi diritti fatti con la marra nell’aiuòle degli orti di grasso terreno, e concimato bene di letame marcito

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perchè il crudo ed indigesto gli fa svanire, sì”

piantano discosti quattro-diti 1’ uno dall’ altro, con tanta terra sopra che appena gli tenga ri- coperti, sarchiandoli quando hanno messe le nuo- ve foglie, e tenendoli «netti dall’ erbe cattive, così governandoli sinchè sien fatti: il che si co- nosce quando hanno le foglie secche che si mar- ciscono. Nei luoghi caldi si pongono al marzo quando cominciano a mettere da per loro, os- servando la luna; nei freddi, di settembre e ottobre, ed anco di febbraio e marzo. Golti e secchi al sole si conservano coperti con un po’ d’ arena asciutta, in lato non-umido , ed ap- piccati all’ ultimo solaio basteranno sino agli al- tri. Son buonicrudi minuzzati in insalata ; e sen- za minuzzarli, conditì con olio ed aceto; ma cot- ti nell'acqua bollente, poi spremuti fra due ta- glieri, infarinati e fritti nella padella con buon olio, sono ottimi al gusto, e non punto nocivi allo stomaco, e così sene può mangiar senza danno buona quantità. Sono ancor buoni, cotti lessi col brodo della carne, e massimamente con quella di castrato. Somigliano gli scalogni le ci-

poile maligie , le quali hanno a seminare, e non

a porre, ma sibben traspiantare a primavera co- me le panaie; perciocchè se elle si pongano sen za seminare, perdono il gambo e il seme, o sva- niscono, e gli scalogni posti si distendono in gambo ed a seme. Nei terreni sottili e leggierì sono più delicati e gentili. Se tu metterai gli spicchj dell’ aglio in una cipolla forata, piantane dola sopra terra che le barbe sole la tocchi- no, non la ricoprendo altramente, nasceranno scalogni. Leva il sito degli aglj, cipolie, e sca- logni il mangiar dopo del succhio della ruta. Le Scalogne piccole dette da Columella Cepine de- siderano il terreno più spesso vangato , che spes- so rivoltato con l’aratro. Vanghisi adunque il

pren

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terreno dopo Galen di novembre affinchè dai | freddi e geli del verno si fermenti e ricuoca; arisi dipoi; e si rilavori di a quaranta la terza_volta , poi si rivanighi appianandolo , e ri- ducendolo in aiudle, levando via tutte le radi. che , e nettando bene da tutte l'erbe triste. Se- minasi poi in Calendi febbraio in sereno, me- scolandolo col seme della satureia per averla in- sieme. La Cepina si sarchi spesso , meno di quattro volte . Se vorrai raccorre il seme degli sca- logni, pianta ne’ solchi dei campi scalogni più grandi, lontani quattro diti l’un dall’ altro, e to- stochè cominciano a verdeggiare, per tre volte gli zapperai, e fatto il gambo, con canne ap» poggiati gli assicurerai dai. venti perchè non gli rompano, o faccian cascare ilseme, quale si dee raccogliere quando è maturo, che è quando spicciola agevolmente , ed è nero; ma meglio è assai senza questa marifattura conservargli come s'è detto di sopra, e porre i loro capi, perchè gli scalogni buoni non conducono il seme, e sopravvenendo la primavera riscaldano, diven- tano voti, abbruciaticc], e non son buoni.

Lo Scarsapepe, o peverello o pilatro, tutto è buono sulle minestre e salse, come tutte sorte d’erbe che trasportate dal salvatico si conservan nel domestico.

La Sclarèa si semina di dicembre, gennaio, febbraio, marzo ed aprile in terreno grasso; si taglia rasente terra, e si rinnuova nell’autunno ; seminasi nelle aiuòdle degli orti, e basta nettarla dali’ erbe.

Il Solano è di più sorte secondochè scrive Mattiolo, ma la più vaga pianta d’ esso è quel- la che fa certe coccole rosse, le quali somiglia» no al colore quelie del pugnitopo, ma son più ritonde, ed alquanto più grosse. Seminasiin ter- reno grasso, e seminato una volta mantiene

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assai, perchè tagliato rasente la terra rimette nuovo fusto, e fa rami. Questo è meno perico- loso di quello che ha le coccole nere, cheè ve- lenoso, e quelle coccole del rosso muovono il corpo con dolori da sbonzolare; ed il solano bel- la donna è un’ altra spezie, e tutto si semina e campa contro ai freddi.

La Stella ( erba ) nasce per il più nei prati delle montagne, e lungo la riva della marina dove si abbatte a essere con la rena mescolato terreno, e molte volte nella scriva arena. Nasce il maggio, e fiorisce il giugno, e pertutto lu- glio ha fatto il suo seme maturo, il quale si raccoglie e si semina ogni mese da chi ne vuole aver sempre della fresca, e di estate si può adac- quare, 0 aiutarla nascere, e farla più rugiado- sa e tenera, e di questa qualità fa gustevol va- riazione nel mescuglio dell’insalate. Gavata con le sue radici di dovunque ella fa, si può tra- spiantare spuntandole un po’ la maestra, e si al- lignerà acconciamente . |

La Spina di cane, detta Cynobatos, è un fruti- ce spinoso, che manda fuora gran rami; chia- masi anco Révo di cane. Ha le foglie più larghe che la mortella, ed il fiore simile, ma minore e senz’ odore; produce certi ballerini rossì e lun- ghi in foggia di noccioli d’ oliva, entrovii semi con lana attaccati. Trapiantasi all’ ottobre di radici per far folte siepi, e seminato di marzo nasce. Trovasi in Franeia, scrive il Ruellio, uno sterpo, che cresce in arbore assai grandetto con foglia rotonda intagliuzzata nell’orlo; irami sono spinosi come la bianca spina, le coccole roton- de e rosse in foggia di mirto, ma assai mag- giori, al gusto soavi, e poste nel vino gli ac- crescon sapor buono. La pianta di questa sorta che non fa baccelli ed ha gli spini torti al con- trario l’un dell’altro. su per il fusto, e fa in

237 cambio di baccelletti certi semi sodi nel mezzo, che hanno intorno una foglietta o cartilagine sottile in forma di cappello da Vescovi, si chia- ma Paliuro, e fa la più forte siepe che sia, ed è quello di che si fan le fratte Romanesche. Il suo seme nasce difficilmente. Trovasene per i monti, e di quivi traspiantato giovine conla sua radice attacca in ogni terra e luogo.

La Spina-acuta, detta oxyacantha,e per al. tro nome Berberi, è un arboscello di vista di pero salvatico nelle foglie, ma non cresce mai tanto; ha le spine sottili, e pungentissime su per il gambo, e per i rami, e le sue foglie sono in- torno intorno prunose. Produce un frutto somi- gliante a quello della mortella, un po’ maggio-

retto e rosso , facile a rompersi. Hanno i ber-

beri le barbe per entro gialle, che mandan fuo- ri assai figlioli, e perciò fanno folta siepe, ed i suoi frutti maturi spremuti al torchio fanno un vino che può servire in iscambio di quello

de pomi-egranati. Germoglia nell’ entrar di pri-

mavera, e nell’andar sotto delle Vergilie rende il frutto. Ne sono quantità nel monte Olimpo, e nei luoghi aspri delle selve sene ritrovano, di dove cavati con le lor barbe salve attaccano nel domestico, ed ancora i suoi semi gettati in terra, nascono. Le coccole de’ berberi si con- discono col zucchero, e sene fa composta buo» na per chi ha abbandonato il gusto per la feb- bre; e vale a estinguer la sete. Si possono an- cora condir col mele. I berberi che metton da piede ; si possono propagginare a far siepe più folta; ed i suoi rami intrecciandogli insieme fra loro stessi la faranno impenetrabile, e più anco- ra piantando i berberi fitti che si tocchino l’ un l’altro, vivendo volentieri insieme. Il Mattio- lo gli contrassegna in tutto e per tutto al Cre- spino.

288 ° La Spina Topiazia ( acantha) piglia ogni. forma; fa buona siepe, ed è obbediente alla for- bice . i etna ; pr de Lo Spin-cervino, somiglia di foglia, di gam- bo e di scorza i Susini. Piantasi di seme che nasce dalle coccole che egli fa, le quali hanno virtù valorosa di muovere il corpo, mangiate sem- plicemente, ed acconce col nocciolo e senza, in composta di zucchero; e quello è che si semina in terreno trito e grasso con la cura de’ semi del pero, ed adacquandolo se faccia di bisogno, e nasce felicemente, e nato d’un anno, si tra- spianta dove ha da stare. Trovasi questa pianta (la qual cresce alta quanto la razza de°Susini Amoscini ) nelle selve fonde, e nei boschi pie- ni di sterpi e pruni; e di quivi trapiantata con le sue radici attacca bene; tenuta bassa è buo- na per siepi, avendo certi stecchi alquanto ra- detti, su per i rami tra le foglie, i quali pun- gono. I frutti suoi sono simili a quelli della mor- tella, ma neri di fuori, e dentro verdi, usati dai Pittori per tal colore; fannosi del suo legno archi fortissimi, e lavorato a tornio piglia lu- stro, e comparisce bene. La Spina-fagiana è un frutice che nasce ancor esso nelle selve fra gii sterpi più folti, e nei luoghi dove ella fa non cresce molto. Fala foglia simile a quella del Gran-bianco, e molti han creduto che sia la Spina-fagiana questo mede- simo; altri tengono che questa sia differente nella buccia, e che la Spina-fagiana non crei quelle coccole rosse. Come si sia, la Spina-fagiana riceve volentieri in se l'innesto de’ Nespoli, e ie nespole vi maturan come le mollesi; tra- spònsi con le barbe. La Squilla o Scilla è di due fatte, il ma- schio, e la femmina; questa ha la foglia pen- dente in negro, e quello 1’ ha biancheggiante, ed

28 ambedue simili a quelle del giglio. Una er spezie è grata ne’ cibi, e tenera da mavgiare, più piccola degli agl) ordinarj, e questa crede Nonio che sia quella cipolletta, della quale si servono per insalata inverno i Pollacchi, e man- giandola cruda condita d’ olio, sale ed aceto, è molto gustosa e dilettevole, la quale-fa un seme nero accantonato come le nostre cipolle. Nasce in Pollonia da per se per la pianura che vi è ed ancora seminata moltiplica . E la scilla vi- vace per il grande interno umore che ha di sua natura, ond’ è che attaccata al palco mette, e vi si mantiene un pezzo. Ha paracchie scorze come la cipolla, e sene ritrovano delle grosse come il capo umano. Le scille in terren gras- so e ben lavorato sotto, pigliando delle cipol- lette che nascono intorno a lei, e piantate, si sotterrano loro le foglie che calano a terra, e co- tirano a se tutto l’umore, e crescon presto- In Sicilia ed in molti altri luoghi crescono da per se siccome nascono; nei luoghi marittimi di Spagna ne fa una sorta che ha la foglia gros. sa ed umorosa come l’ Aloe epatico. Perdonola foglia nei luoghi freddi il verno, eda primave- ra la rimettono. Germogliano più prestamente alcune cose poste dentro al corpo della scilla, e Teofrasto afferma che le scille poste attorno alle piante de’ fichi, faranno il lor frutto ma- turare più presto, e meno sarà dai vermini of- - feso. In somma ciò che sarà cacciato per entro la scilla, più agevolmente ‘germoglierà, e più tosto verrà innanzi a crescere. Conserva la scil. la 1 frutti che altri desidera che bastino , e mas- simamente i Granati, avendo loro cavato il pic- ciòlo . Il fiore della scilla che fuora con cer- ti spigoli, osservando che non marcisca così presto , segno di gran ricolta di grano e biade.

Q, o ea

Agor:

Cuocesi la scilla con il mele per mangiare, mas- simamente perchè faccia digerire, ed in questo modo purga gl’ interiori; Sono ottime le scille a far fortissimo aceto. Levasi a quelle che sieno bianchissime ogni corteccia seccagginosa sin’in sul vivo, e quello che avanza si sospende appic- cato a un filo discosto l’ un dall’ altro un pal- mo in lato che sta asciutto e caldo; dipoi fattine pezzi si affondano (secchi ch’egli sieno ) in un vaso pie d’ aceto, che non tocchino il vaso da banda alcuna, con filo accomodando tutto, ed il vaso da quella via si chiude con gesso, e pone al sole, così tenendovelo sinchè pigli il gole di tutto il giorno per quarantasette dì, ap- presso a' quali si piglia il vaso, sene cava la scilla, e si tramuta l’aceto che sarà fortissimo e medicinale, buono allo stomaco, e al dolor de’ fianchi, pigliandone ogni ‘due per bocca poco per volta. Questo aceto scillitico fa anco- ra la vista più chiara e più acuta, e fa venire appetito di essere accoppiate alle cavalle. Inna- sprisce il suo sugo ogni taglio su la carne, e fa frizzar dove tocca. La scilla nel primo tempo manda fuora di mezzo un fusto che spiega tre boccie; quando la prima apre , è tempo della priiua aratura, quando la seconda fuori. è se- gno della seconda, e quando la terza della ter- za, ed ultima aratura.

La Spina bianca fa un fiore con che si può rappigliare il latte ed assodare il cacio. Gresce con molte spine poco meno di qualsivoglia pian- ta di carciofo maggiore, anzi nei terreni buo- ni e grassi, quanto essa, e più. Il suo fiore è pa- gonazzo, simile a quel del carciofo, ma minore, ed il suo seme a quel del cardone si rassomiglia, come le foglie che ha pungenti ed il fior suo è quel- lo che si disfa nel siere, che con poca quantità mescolato con il latte lo rappiglia, ond’è che

291 con un sol nome Presame addomanda. Nasce talora nei boschi, e sparsamente per i campi; piantasi, e si assetta come i carciofi, ma pianta- to una volta non segli fa altro, servendo solo a quello. La Spina-bianca ( frutice ) cresce in arbore come un susino, avendo la corteccia similmente delicata e morbida, come la foglia simile a quella del pioppo, ma minore. Nasce da per se per tutti i boschi e selve, fa certe coccole rosse, le quali hanno dentro i loro semi che seminati di marzo nell’ aie degli orti nasco- no lietamente per traspiantarsi d’ un anno, cavati con le loro radici s’ attaccano sui divelti per insetarsi su’ peri, nespoli, peri-cotogni e me- li. Fa siepe eccellente piantato fitto ed è obbe- diente al taglio per mantenersi pareggiato lun- gamente. Traspiantasi all’ ottobre. Il suo fiore gettato nell'acqua di mare ha forza corrompen- dosi di ammazzare i pesci marini. Le sue spine son sode ed acutissime. i

La Sassefrica è detta ancora Barba di bec- co, siecome suona il suo vocabolo greco trago- pògon; ha la foglia somigliantissima di quella del zafferano alquanto più larghetta. Sene tro- va della domestica, e della salvatica. Questa nasce di sna natura, nei luoghi aspri e foreste e traspiantata nel domestico ammansa; la do- mestica si semina nelle aiuole degli orti divelte a due puntate, l’un anno per l’altro, di mar- zo e d’ aprile, per servirsi delle sue barbe, all’ in- vernata che viene, le quali cotte nell’ acqua e spremute, tagliate in girelle si mangian con- dite calde con olio sale ed aceto. Ancora ta- gliate in pezzi e poste ia una pentola rimboc- cata, con fuscelli a traverso nel vano accomo: dati che elle non escano, si mettono nel forno caldo quando ’l pane, e quand’ esso si ca- vano; e tagliate similmente in girelle si condi-

292 scono in insalata, E tanto fa alle bietole rose se, ed alle carote, le quali tutte radiche in que- sta maniera acquistano al gusto sapore, e deli- catezza maggiore. La sassefrica provoca l’ori- na valorosamente, e perciò giova a quelli che patiscono di renel! a, se Wi pietra. Vuole esser seminata rada, e se si caldo dell’ estate la strin- ga, adacquata. Ama grassissimo terreno, ed ol. tre a questo ben letamato di marcio letame. Il seme è fatto quando vuol cadere.

Il Sisembrio degenera iti menta per indili- genza del coutivario, ed è propriamente la Men- ta Romana; e la negligenza nasce dal non aver- gli la debita cura del cavargli fuor le radici; imperocchè avendone egli molte e creandone as- sai, la virtù la bontà e I’ odore sene scende in quelle, e resta la pianta svanita, e perdendo la forma con parte del suo naturale odore, si convertisce in menta. Alcuni altri scrivono che straccurata e lasciata stare, si trasmuta in ne- pitella. Seminasi di seme all'aprile, e con i rametti in terra fitti, e troncati ancora appic- ca; e seminala di seme, in manco di tre anni non sarà buona; ma se alcuno dal capo della radice scevererà una gemma, la qual molti chia- mano Occhio, nel medesimo anno sarà egli buo- no. Godesi di terra buona, che sia posta a so- latìo, e di sito che sia ugualmente risguarda- to dal sole, netto dagli arbori, venendo me- glio al cielo scoperto e non occupato . nutrie sce sotto la terra, e quivi cresce ; ha natura di riscaldare, e ferma il vomito, e manda via il singhiozzo, ed i bachi. Seminato o posto una volta sola basta tempo assai. Il Sisembrio aquatico, volgarmente s’' addomanda Crescione; nasce da per se, nell’ acque stagnanti e nelle lacune, e mette neli’ acqua rami, i quali con certe capellature bianche di nodo in node van-

293 no collegandosi insieme, e quasi di pato sono le sue barbe , le quali tirando umore dall’ ac- que van nutricando, e pigliando augumento Mangiasi condito con olio sale ed aceto in in- salata, ed ancora cotto, acconcio nel medesimo modo, ed in tutte le maniere provoca l’orina. È dolce di sapore, e gustevole ed appetitoso; sbarbato dall’ acque natìe-e posto nell’ altre, s'at- tacca e viene innanzi.

La Spellicciosa, detta cardoncello, ed inla- tino sanicio, ha i suoi fusti rossigni, le foglie lunghe intagliuzzate alla foggia della ruchetta, minori e più aspre, produce i fiori gialli, che dipoi diventan canuti pelosi che sene volano all’aere. Nasce per tutto di primavera, e sin sopra le muraglie vecchie; piantasi con la sua piota, ed alligna nel domestico; le foglie a- doprano in mescolanze.

La Stache somiglia il Marrobbio, cresce con assai verghe quadrangolari, tntte procedenti da una sola radice, più pelose, più bianche, e più lunghe. Produce i fieri che nel bianco rosseg- giano, ed il seme per divisati tramezzi appresso alle foglie su per ì fusti, come fa proprio il mar- robbio . Si può mescolare nelle insalate amare, che con questo sapore ha dell’acoto. Trapian- tasì con la piota; fa sconciare , e tira a terra le secondine . |

La Spuria o Spezie (erba l'odesca che s’ alza un mezzo braccio, spandendosi in molti rami ) fa un fiore bianco senza foglie, e va maturan- dosi in certe boccette tonde a modo di quel del lino. Il seme è minntissimo come quel delie rape; si fa d'altra pastura in Alemagna latte più soave, butirro raccolto migliore, a talche il suo seme v°è in pregio quanto quel dell’ orzo, « delle biade. Il suo strame passa la bontà del fie- Ro, e nutre il bestiame più d’ ogni escremento

D,

della Cervisia. Il seme nutrisce soprattutto d’ ine verno i colombi, e tutti i domestichi uccelli. Seminasi in luoghi sabbionosi e di terra agevole tutta l'estate, e d’autunno per avere il seme di primavera quando si semina la vena, e di ricolta per pasturare ; godonne le pecchie, ed i. buoi, ed i cavalli, ed ognialtra sorta di bestia- me ; più se è fresca, ma benancor secca.

La Salvia salvatica nasce in magri ed aspri terreni e fra le pietre; e la domestica parimen- te ( purchè non sia piantata in terreni paludosi, gessosi e cretosi, benchè siano magri e pieni di sassi ) vien florida e sempre vi mantiene come nelle buone terre e nelle grasse , purchè sia in siti aperti, e non ombrosi umidi; sebbene ama talora essere adacquata, e massimamente piantandosi a rametti, facendo da quei bel ce- spuglio, e si pianta come il rosmarino attorcen» do un poco il piè del ramo quanto asconde in terra, la quale ama che gli sia ben calcata at- torno. Si staccano aucora i suoi rami colle bar- be, e bene a dentro in terreno smosso si tra- spongono. Desidera la salvia di sua natura ter- reno asciutto. Della domestica ne sono due sor- te; una che ha gran foglie lunghe un po? ra- dette; un’altra che le ha piccole minute e cor- te, chiamata Salvia minuta, che ha le foglie più fitte e serrate l’ una coll’ altra ; e questa è alquanto più odorante, e di più sostanza; im-- perciò è più atta e migliore cotta fra i tordi, e soprala fava infranta; e così semplicemente ri- fritta nell'olio, siccome le frittelle di questa son migliori, ed il vino fatto con questa è più ef- ficace e potente. Agrippa chiamò Ja Salvia Erba sacra, la quale mangiano le donne gravide quan- do patiscono i flussi dell’ umidità della matrice, imperocchè ella ritiene la creatura, e fortifica lo spirito vitale. La Salvia, si semina di semen-

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295 ta, laquale essa porta in quel fiore che par Pia panelle, in aiuole ben disposte di lavoro senza le- tame, di gennaio, febbraio, marzo, e di set- tembre, ed anco di ottobre e novembre, rico- prendola poco e con terreno crivellato , nettan do poi dall’erbe, e da un anno ina traspian- tandola dove ha da stare nei medesimi mesi, nei quali in luoghi più freddi si pianta a rami in solchi ben lavorati mezzi ripieni, pareggiando: gli come appiccata ella sia, e togliendo de’ suoi rami che abbiano un poco del vecchio dell’anno passato, e torcendo loro quanto ne va sotto dal terreno ricoperto. Ama che le sia lavorato attor- no, e smossole il terreno al piede una volta l’aa- no d'inverno, e quando la si scalza, d’ esser rincalzata colla cenere della liscìa avanzata al bucato. Quando cammina la salvia all’invecchiar- si, taglisi del mese di febbraio fra le due terre, che in poca d’otta rinnoverà più tenera, più fre- sca, più bella e più forte di prima. Sele tagli- no continuamente tutti i seccumi che si scuo- prono per conservarla sempre più verde e vigo- rosa. Piantata fonda fa belle spallierette, non la lasciando più che tanto alzare, perchè elia ri- cuopra il gambo che non resti spogliato di fo- glie, delle quali per esser folta la minuta più assai, le fa più graziose e belle a vedersi. ac- qua ( cottavi dentro la salvia e massimamente la liscìa ) fa buona lavanda ai piedi indolenziti, ed anco giova ai nervi, come cotta nel vino e cru- da ai denti.

La Saggina, detta da alcuni Sérgo, da al- trì Melega, si trova esser di cinque sorte, tutte diverse e differenziate. ordinaria è la rossa, e la bianca lattata che usa di seminare 5 un°al- tra detta Sagginella, quale ha il seme più minu- to, si semina sempre innanzi all’ altra più folta e più fitta per pasto de’ buoi, che loroforza

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e vigore per arare, siccome i Sagginali triti dati. loro in cibo. Una sorte è tutta nera come car- bone, e un’allra da fare scopette, che fa la pan- nocchia a rametti sodi, ed il seme ha come l’oî- dinaria. Sta bene tra’l terreno temperato, umi- do, e secco, ma piuttosto umido e fondato; de- sidera terra grassa , e piuttosto sciolta, cretosa e leggiera. Ama le pianure de’ campi aperti, non punto intufati, uggiosi; si allegra ancora di luoghi paludosi ed acquidrinosi, e di quelli che di nuovo si riducono a cultura,, come boschi, prati e simili, che sieno sustanziosi, e di buon nervo, e massime quando vi si vuol seminar fru- ‘mento dopochè vi si sia prima seminata la sag- gina, la quale si può anco seminar per i solchi «del frumento, e ceci, o altri legumi che di cor- to poichè v'è quella seminata abbiano a mie- tere : il che fatto, essa si dee subito sarchiare, e ben rincalzare. Deesi seminar rada mezzo brac- cio dall’un piede all’ altro , letaminando bene, e . tuttavia in terreno riposato debitamente , ed in- grassato a sufficienza, chè così fara bene e con più frutto; e si tenga prima che si semini in mace- so in acqua letaminata per un dì, e per una notte, come si disse del miglio, gettavdo via quella che va a galla. Alcunila seminano fra | miglio e panico, ecosì vien più rada ,-e profitta ineglio. Ne’ paesi temperati si dee seminare alla fine di marzo, o nel principio d’ aprile; nei pae- si caldi più presto, e ne’ freddi più tardi. E quel- la premice minuta che ha a servir per cibarei buoi, si dee seminar più fonda, e innanzi all’al- tra un mese, per segarla di man’in mano ver- de, e darla loro, e deesi serbarne una parte per eouservare il seme all'anno avvenire, Semiuisi ogni sorta di saggina a luna crescente, e perchè Guando è piccola in erba patisce assai, e teme il freddo e le brinate, spargasi il sno seme dopo

297 la venuta delle Rondini, e rina Mori, fermi segnali del passato freddo nei luo» ghi freddi 3 e com'ella è nata, ancorchè sia pic- cola si sarchi intorno al fine d’ aprile , 0al prin- cipio di maggio; edallora si scalza intorno al gambo perchè meglio metta, e bene poi con ter- ra cotta si rincalza; e la seconda volta di giu- gno si razzoli di nuovo e si zappetti ammon- tandole bene la terra addosso perchè si difenda dal caldo e dal sole. Raccogliesi agosto e di settembre , tagliando il gambo rasente terra, e poi le pannocchie, legandole a manne e ponen- dole a seccare sopra i pedali stese non montica- te, e rade e ben secche si battono con i co- reggiati; e quando la saggina l’è ben secca ed asciutta si ripone in lato che non patisca d’ u- mido, spianata in terra, e non ammontata, ed in luogo aperto, e sventolato perchè non riscal- di. I gambi della saggina, oltre a cibarsene i buoi, son buoni a far chiudende per difesa de’ venti, e a coprire spalliere d’ aranci. La sag- gina macinata fa pane zotico e ruvido, ma se- ne vive, benchè non vuol’ esser tenuto troppo fatto. È buon cibo per i porci, e per i colom- bi, e cotta bollita in acqua, per i polli; cotta similmente ingrassa l’ oche, e si può per neces- sità dare ai cavalli ed ai muli. Smagrisce il ter- reno, e perciò dee letaminarsi e ben rilavorar quello dove è stata .

Lo Spigo-nardo, e quello che si domanda Lavanda, son differenti. Questa ha le foglie più ‘morbide e delicate, si stendono i suvi rami frascoluti, ed il suo fiore è più corto. Tiensi aduuque, che questa sia la femmina , e quello il maschio, il quale produce le foglie più grosse, più robuste e più larghe, ed ancor più bian- cheggianti. Dalle cime de’ ramuscelli nascono in ambedue i fiori spiccati di color purpurev con

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298 i i lungo picciolo , quadrati e sottili; ma nella fem- mina sono più coleriti, e più aperti, odor molto grato, ina bene acuto. Fassi ambedue i fiori a lambicco un olio acutissimo penetrati- vo, che untatane la bocca dello stomaco lo scal- da fuor di modo. Trovasi anc@r del salvatico , che in tutto e per tutto il doméstico rassomiglia, e ne son pieni i monti delle contrade di Nar- bona. Il fiore dello spigo spruzzato con la guaz- za de ceci scossagli sopra diventa rosso ver- miglio. Il fiore d’ambe le specie , secco all’ ug- gia in luogo caldo, rattiene l'odore e si sparge fra i panvilini, i quali tenendo ie casse serra- te sen’ impregnano ed è molto confortativo, sic- come la lavanda fatta con spigo, ramerino, e salvia bolliti tutti e tre nell’ acqua fa bene ai piedi a sdolenzirli e disenfiarli, se 1’ enfiagione venisse dall'aver patito freddo. Ama lo spigo luoghi domestici ed asciutti, e fa ancora ne” sas- sosi e secchi. Piantasi al marzo nei luoghi più freddi, e di novembre nei più caldi, spiccando dal suo cesto i rametti che sono dalle bande, ed attorcendogli come si disse della salvia. Non vuo)” esser giammai adacquato. Sene fa spallie- rette basse sugli orli de’ viali, e piantano fit- ti, e cresciuti a quell’ altezza che si desidera, si formano con le forbici uguali, e così con esse mantengono, ma è di mestiero ripiantare ogni cinque o sei anni.

La Spelda se si semini brillata , cioè pesta» ta come si fa al riso, è opivione che passì in gravo, ma non prima che finito il terz° anno. Convien brillarla in legno incavato, e col pe- stello di legno, perchè nella pietra ammacche- rebbe. Non è sorta a'cuva di biada che più af- fatichi la terra e l’immagrisca della spelda . La brillano con la rena, ed a questo modo ancora difficilmente ammaccano le sue coverte che dop-.

2 pie sono, questo st fa con mettervi la SI dell'una, e la metà dell’ altra, dipoi sene spare ge sopra la quarta parte di gesso, e quand’ ella si è attaccata insieme, si cerne con lo staccio della farina; quella che in esso rimane si addo- manda trascelta ed è grandissima, e nuuvo quel la che passa si cerne con uno stacc:0 più fitto, e chiama seconda, Si stacci poi nuovamente quel- la che in simil modo rimane nel terzo staccio fittissimo , per il quale passau solamente arene. Dioscoride la pone di due sorte, uva che ha il granello puro e semplice, altra che l’ha dope pio involto tra due coperte; ha valor mezzano tra il frumento e l’orzo, e tantu cede al grano in cibo, quanto ell’è preferita all’orzo nel farne pane; il quale e Jeggiero e bianchissimo, ma dif- ficile a digerire, e nuoce allo stomaco. E me- scolato un quarto di farina di fave, e tre quarti di quella di spelda, fara pane ragionevole. Nei paesi freddi, perchè ella riceve da quelli men dan- no di tutte l’ altre biade, sene vive, ed il suo pane sufficiente nutrimento, e mantiene il corpo lubrico . E buona biada peri cavalli all’ in- verno . Desidera la spelda terra alquanto umidic- cia grassa e sustanziosa; seminasi nel modo me- desimo che ’l frumento, e nell’ istesso si procura di settembre e ottobre . Fiorisce di giugno, e si fa matura di luglio. Colla spelda s’ ingrassano gli ortolani, e si conserva in lato asciutto quane to si faccia qualsisia altra biada.

La Scandella nasce volentieri, e vien bene nelle manegge di terre che sentan d’ umido in luoghi aperti ed alti. Il terreno ancora che è denso e cretoso, utilmente affà alla scan- della, come i terreni dolcì e sottili agevoli a lavorare, ma assai meglio in campi grassi e ben coltivati, ed i siti dove il sole riscaldi lunga- “mente. Si semina a luna crescente, avendo ac»

360 concio il campo di quella maniera che si fa per il frumento, del quale dicesi la scandella esser vizio, e di più bianchezza, ma di men peso, e venir meglio nei climi umidiccj, e si aggiunge non esser da curarsi molto della segala, percioc- chè affermano d’ aver conosciuto, che quella spe- zie frumento seminato in terreno pantanoso con- vertesi dopo ne’ seminati in scandella. Plinio per contra scrive, la scandella esser le delizie del gra- no. Di dall’ Alpe nelle campagne degli Al- lobrogi, e Overnia solamente si mantiene in suo essere; nelle altre parti quì circonvicine fra i due anni trapassa in grano; ed il rimedio è di rin novare il suo pesantissimo seme traendol di fuori,

La scandella non matura mai tutta a untempo,.

altra biada è che patisca per esser segata di- lazion minore, per la sua tenerezza cascando i granelli a terra quando è matura; ma mentre che è in paglia porta meno pericolo dell’ altre semente da’ temporali, perchè è sempre diritta e non mai piegata la spiga, e perchè non la può of- fendere attaccarvisi la rugiada, e massima- mente ancora perchè non fa reste non può crea- re, o esser guasta da nocenti animaletti. E ben vero che la Laconica genera le reste. Seminasi alquanto avanti al grano. La scandella sola fa il pane più bianco che non il grano per esser più bianca, e più farina rende macinata secca; e quella che sarà bagnata con acqua salsa di mare, o salata, furà più bianco il pane, ma rende più crusca. Accostumasi mescolare la sua farina con quella dell’ altre biade, e con quella del grano è più eligibile. Ù

La Segala non sdegna la terra sciolta e sab- bionosa, ma meglio produce nel campo grasso ed aperto , ed appetisce |’ aere di quella fatta che il fiumento , sostenendo il più freddo come vell'AL- pi, dove si tagliano tutti i rami degli arbori di

Byron IN pars po 2 ere |

di 301 maggio e di giugno, e poichè sieno ben secchi s'abbruciano, e del mese d’agosto si zappano i campi, e la cenere da lor cavata vi sparge a seminar la segala; lasciansi poi riposare sei o set- te anni, eda quì inlàsi fa lo stesso. E dove non son boschi si scotenna l’ erba, e s’ abbrucia, e la- vorata, vi si semina ogni otto anni. Fiorisce in otto intorno al fin d’aprile, e nel principio di maggio, nei luoghi temperati, ed allora non bisogna trassinarla ; matura avanti al frumento, siccome avanti esso ella si semina; cascato il fio- re si fa in quaranta dì. E chi la semina in com- pagnia del farro e del frumento per farsene insiememente pane, ma meglio profitta di per se perchè le più volte matura prima . La farina che fa, mescolata con quella dell’ altre biade la fa tener insieme, ed il pane che sene cava è mi- gliore. Sono alcuni che la segan primatiecia men- trechè ancor ella sia in fiore, e seccata al so- le quando si vendemmia mettono nel tino un suolo di quella, ed un suolo di uve, e quel vino che premendo sene cava due volte, l’ una doppo l’altra, lo rimettono iu sul tino a ripi- giare, dipoi s' imbotta e sapore al vino, ed odor molto buono; e di questa maniera gli osti oltramontani, molte volte falsificano il vino. In molti luoghi il grano, scrive l’ Eresbacchio, si converte in segala ed in scandella, se si semi- ni in luogo magro e debole, e per contra la se- gala in frumento se si semini in campo grasso, e sostanzioso , e cita Celso affermante che ciò avviene in assai paesi. Seminasi al fin di settem- bre, o al principio d’ ottobre in terra buona; nella sabbionosa ancora di febbraio, e questa s°addomanda segala statereccia. In lato asciutto basta assai.

La Tifa cereale è di razza non troppo dif- ferente dalla scandella, di una sola spiga. Il suo

302 granello ha assai coperte di folta barba; in tre anni durata a seminare, brillandola diventa gra» no, e più presto d'ogni altra spezie degenera sendo da luogo a luogo mutata, e tralignata ritorna a esser frumento. Il suo granello è leg- gerissimo ed ingrossa dopochè e sfiorito : il che si fa in quaranta dì. Non desidera terra grassa lieta, ma debole e sottile. Seminasi in terra lavorata come e quaudo la scandella; fa pane neio, brutto e cattivo. La Tifa ordinaria è detta erba-sala o mazza-sorda perchè entrata negli orecch] altrui assordisce. Sene può far col. trici e materasse, ma conviene spesso ribatter- le e rifarle. Delle sue foglie si fan le sporte, e le veste ai fiaschi, e corde per iatreccia- re. Nasce da per se ne’ paduli, ed in ogoi acqua stagnante, di dove trasportata con la sua piota vien beve nei peliaghi d’acqua ferma.

Il Turchesco ( frumento ) teme danno dall’ac» qua seminato che e; la sua erba e paglia piace e fa bene a tutte le bestie; la sua farina è bianchissima, e si può dire che per le carestie faccia buon pane. Quando il suo granello è ma- turo, cavato de’ suoi invoglj, è simile aila sag- gina, e sene ingrassa ogni bestiame, e lo man- gia con appetito; i suoi granelli, alcuni son di color rosso, altri di bianco. Seminasi al tem- pu, al modo, e nella terra che l’altro. Altri lo chiaman Grano India.

I Tartufi son tenuti un vizio della terra la quale gli genera dentro alla superficie di se stes- sa della materia di se medesima , raccogliendosi e condensandosi; e questo si vede certo nelle co- se che nascono, e nun si posson seminare. Na» scono nell’ autunno quando spesso piove , e spesso tuona; sono teneri la primavera. In alcuni luo- ghi nascono e vengon trasportati dai fiumi, co- me nel paese di Mitilene, dove si tiene che non

308 nascano che per l’inondazioni de’ fumi, iquali gli trasportano da Tiara, luogo ove nascono co- piosissimamente. KRitrovansene in Toscana quasi per tutto, e per il più come in Lombardia bianchi dentro, econla scorza ruvida, e d’ un? altra sor- te brinata chiazzata di bianco. N'è nella valle Anania de’ piccoli poco al gusto aggradevoli, e scipiti; laudati sono gli Affricani, e da noi quel- li Norcia, ed ovunque nascono fan crepar la terra, e non apparisce fessura alcuna, circon- dati da ogni banda dalla terra senz’ essere con cosa alcuna attaccati ad essa. Par che sia con- stante che la grassezza della terra aggomitoli in quella escrescenza: il che si fa per questo ma- nifesto, perchè spesse volte intrìcano dentro con pezzetti di pietra o di ferro che vi si ritro» va, ed a Laerzio Licinio Romano avvenne che mangiando un Tartufo crudo con avidità , gl’ in- clinò i denti dinanzi per esservi dentro una pie- tretta. Non si mantengono ove nascono sotto terra puouto più d’un anno, e piuttosto meno; mai due, come scrivono alcuni. Talora fen- dono di sopra un poco la terra, e si scuopro- no. Nascono alcuna volta in luoghi secchi ed arenosi, e tslora nelle coste è vallate delle as- prissime montagne, e sotto a dove è alta la ne- Ve, e sotto stérpi e terra piena di fruscoli, e qualche volta in luoghi più domestichi ed uma» ni terreni. inverno son più duri. Un°erba che sopr’ essi nasce, detta Nidiosella, da. indi- zio ch’ e’son sotto a quattro diti. Rende il luogo anzichenò odore , siccome quelle piante, sopra le quali si fonda Arcobaleno, restano per alquanto spazio rendendo grato sito odorato. Alcuni sene ritrovano profondati quasi un braccio, ed altri come s’ è detto rompono la terra in cima. Ne fanno in Grecia assai, ma in Italia quelli di Nore cia sono tenuti eccellentissimi come più sa-

304 poriti e d’odore più grato degli altri. In quel le montagne di Norcia sene ritrovano alcu- na volta de’ grossi quanto una pera - cotogna, ma i mezzani o piccoli son tenuti di miglior sapore. Contuttociò a tempo di Leon Decimo ne fu trovato uno in quel paese, e portatogli che pesò ventiquattro libbre, e riuscì al gu- sto gratissimo. Hanno quei Norcini avvezzo i porchetti, che perciò tengono a quel sito, ai quali condotti da loro sciolti, o legati in quei lati dove fanno, lascian fiutare la terra, e quan- do gli odorano cominciano a grufolare, ed es si allutta con un marretto scavano quivi ol. tre, e gli trovano, stimando gran pregio quel- le porchette a questa tale iodustria assuefatte. chi afferma che trasportata la terra che fa i tartufi, volta al medesimo stato del cielo, e ca- vata sotto un braccio in altro paese più assomi- gliato che si può a quello di dove ella si le- va, genererà tartufi se. non così grandi e. così buoni come nel natìo suolo, almeno poco man- co, e ciò affermano quelli che non dai tuoni eredono generarsi i tartufi. È chi racconta, to- nando, o per altra furza dell’ aere entro pene- trandovi il sole, far la terra certe. fessure, e guardando per quelle crepature conietturarsi quivi esser creati i tartufi; per la qual cosa molti credono che non si possa chiarire che i tuoni sien causa della generazione de?’ tartufi, non altramente che se alcun si pensi, che le chiocciolette sien create da qualche acqua che piova, piuttostochè generarsi da qualche umo- re fra le pietre e muricciòli. Agemaco Greco eredeva che fosse miracolo, che però non pas- sasse i termini del poterlo credere; e veramen- te considerando che molti prodig) delle saette. e de’ tuoni hanno incognite e cieche cagio- ni e difficilissime a potersi sapere, e delle.

305 quali niuno al tutto può origin conoscere, mi mossi con riso a dire: Il bulbo non per la sua sottigliezza può rimuover da se le saette, ma per miracolo che fa discordare, e disunire e contrariare fra loro due segrete virtù, come il fico, e il lauro non son tocchi dalle saette, queste abbruciano mai le rene al Vitel-marino o, alla Jena, colle cui pelli sogliono i marinari circondar l’ estremità delle vele perchè non re- stino offese. I contadini tengono che l’acque ( risplendendo i baleni con esse) nutriscano le biade; ed al tutto hanno opinione che sia da stolti maravigliarsi di così fatte cose, massima- mente vedendo in quei tali effetti acqua ( co» sa molle e delicata ) con aspro scoppiettamento talora accendere c gittare il fuoco in più parti e produrre i baleni. Il che al certo di fatto non può in alcun modo far capaci colla persuasione, come pu- re che una guastada piena d’acqua volta alla spe- ra del sole ecciti sotto la fiamma del fuoco, at- taccanadolo a quello che posto vi sia, sebbene dicono che il reflesso con l’ unione de’ razzi del sole che quivi accozzano, di questo sia la cagione; ma Plutarco per gl’intimi penetrali della Filosofia ricercando le cause ( avendo Agie- maco datogli sulla destra mano) dice che rom- pendo e spezzando e fracassando i tuoni i ba- leni e le saette con forza, l’acqua essere fera- ce e feconda, si può di presente ciò più e- videntemente conoscere, dandone la causa all’ab- bruciamento ed eccitamento di fiamma che fac- cia il fuoco; perciocchè il puro fuoco velocissi: mo si muove con rovina, illuminando il baleno, e mentre incrudiscono le tempeste , contrariando e rivoltando con furore il vento, doma il freddo e cavane fuora l'umore, a tal che viene adap- portare alle cose che germogliano una certa soa- vità, colla quale più presto ingrossino, e pi-

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306 o glino augumeato, sendochè la proprietà delle temperature , e la differenza de’ succhj vien con- ferita a bastanza da quelle cose che queste tali fanno uscir fuori ; non altrimenti che le rugiade somministrano assai più dolce il pascolo e più .scave, grondando sopra l’erbe e foglie delle piante ed arbori, e come si disse deli’ arco-ba- leno che immoscada le piante ove esso pon so- pra il suo cominciamento, seminandovi il dolce alito del cielo; ond’ è che molto più è verisimi- le, che coll’ acqua celestiale, i tuoni, le saette e l’impeto de’ venti, e col caldo cacciatisi in- teramente nelle viscere della terra raccolgano in se il terreno, e certi rotondi e circolari racco- glimenti, e ascessi fungosi commuovansi e man- dinsì fuora come nei corpi umani il soverchio calore e ’l sangue alcuna volta va creando le gangole strumose, ed i fignoli, e gli enfiamen- ti. Sicchè i tartufi conviene che non si creino senz’ il calore e senza l’acqua che a fargli con- corrano, e piglin dalla terra paziente e muta- ta quell’ incremento insieme ammassarsi in quel- la forma. La terra adunque impregnata col fer- mento dell’ acqua che vien dal cielo, si raggro- viglia insieme, e con l’aiuto del calore riscal- data si congela in quei tartufi. Scrisse Deifilo , che i tartufi sien duri a digerire, ma che facciano util nutrimento , e scarichino ed alleggeriscano il ventre. erba che nasce sopra i tartufi, la qual trovata segno che sotto e’ vi sieno, Pan- filo la chiama Idrosillia. Dice ’l Ruellio contut- tocidò che i tartufi generano umori grossi e me- lancolici, per altro è creduto che incitino la Venere che per la loro ventosità , e per accom- pagnar nel lor condimento il pepe. Grudi mon- dati si mangiano con sale, e similmente mondi con diligenza ( ed è chi ben lava con acqua calda le mondature , e cotte con olio le marigia )

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si tagliano in fette piccole, e si fan bollire con olio nel tegame, mettendovi pepe assai. Ancos ra cuocon sotto la brace, e dipoi si monda- no, e si mangiano con il sale a quel modo. Cuo- consi pure in minestra con acqua, olio e sale, e sene fanno torte e pasticcj soavissimi, ed è cibo appetitoso, e da ravvivare e rinvigorire il gusto.

Del Timo n'è di due specie, il nostrale e quel di Levante che è assai più fitto e fondo di foglie, ed è d’acutezza e d’ odor maggiore, e di sapore al gusto più pungitivo e sappiente. Dai fiori del timo raccolgono le api vantaggia- tissimo méle, e diquì predicono quelli che han- no la cura delle api la carestia e la dovizia del méle , percioechè se il timo.presto sfiorisce (il che per le continue pioggie gli suole spesso ac- cadere ) il méle non succede in copia abbondan- te. Il seme della satureia e dell’ origano chiara- mente apparisce , ma quel del timo, per essere in un certo modo incorporato co’ suoi fiori, non Ci dimostra apertamente , e per questo si se- mina in marzo con 1 fiori, e così nasce. Il mi- glior timo Italia è quel di Puglia, ed è ec- cellente quel di Candia. Ne è abbondante il contado di Gorizia, e quivi sopra quello nasce il vero Epitimo. Quel timo che è nero non è accettato tra i buoni, perchè corrompe la com- plessione, e genera collera; |’ eletto è quello del fior purpureo, ma di più valore è quello che lo fa bianco. Non ama luogo grasso letamato, ma sibbene aprìco. Vien bene dai rametti sco- scesi sino a terra dal cespuglio della pianta, avendogli attorti da piede, e disponendogli col piolo in solchettì piccoli di terreno ben lavora- to, e trito. I cestì del timo secco fatto con i suoi fiori, e posto in macero nell’ acqua per un dì, poi ricoperte con la terra, daranno un timo

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fresco e rigoglioso. Gli nuoce l’acqua, e gode del secco ed asciutto in terreno magro. È buo- no a fare spalliere basse, ed è obbediente alle forbici per tutti i lavori. Adoprasi pesto nelle salse ponendone poco, come nei cibi che si bra- mano acuti.

Il Trifoglio è di tre snezie; .il maggiore che ha le foglie edi fusti più grandi di tutti gli al- tri; il minore che produce le foglie aguzze; un terzo n’è il più minuto di tutti questi, e può chiamare il salvatico. Scrisse una spezie d'acu- to Scribonio Largo, così dicendo : nasce il trifo- glio aguzzo copiosissimamente in Sicilia, e non lho mai veduto in Italia se nen nel porto di Luni, quando con Claudio Cesare andavàmo in Brettagna, dove assaissimo era per il circuito di quei monti. Il Mattiolo ne pone d’un°altra spezie in Italia con forma nelle frondi di More, detto da molti acetoso, e da alcuni pancucolo . Il trifoglio che nasce in Italia ne’ prati è di tre spezie. anch’ esso; il primo fa le frondi rotonde e grandi, il secondo lunghette , ed il terzo pur rotonde, ma piccole: sono variati anco nel fiore, perchè è bianco, rosso, e giallo. Predice il tri- foglio de’ prati la tempesta, scrive Plinio, per- chè tutto arruffa. Ha esso le frondi si- mili all’ arbore Lòto, e ciascheduna sua méssa conforme al nome ha sempre tre foglie : quando egli è tenerello rende odore di ruta. Il fiore. pur- pureo ha il seme largo, ed in alcuna parte di se peloso, e dall’ altro suo termine è cornuto ; ha la barba lunga ben soda, e fortemente fitta in terra. Fa menzione del trifoglio Simontalo , il quale dice far nei luoghi pietrosi, ed è più degli altri di valore, e stimato. Il sugo del trifoglio infuso per un corno nella gola delle pecore 0 ca- pre’ moersicate dalle vipere presentane loro il ra1- medio. Danno per precetto alcuni che si deggia

30 tuttavia cogliere con la sinistra mano: Fu na vato primieramente nell'Isola di Corsica e di qui» vi trasportato alle Cicladi, e in Grecia con gran guadagno del cacio, profittando egli benissimo a tutti i bestiami di latte, e dato ai cavalli per istrame è di grandissimo nutrimento. Non teme venti tempesta neve ghiaccj pioggia, ma andando asciutto ha di bisogno d’es: sere adacquato, e tosto nato si dee sarchiare, e doppo tre anni tagliare e darlo alle bestie, avendolo in terra adentro ben lavorata seminato fitto col se- me del cavolo per poi cavarlo di lì, e trasportarlo in simil terra, ponendolo lontano un piede e mez- zo l’un cesto dall’ altro; così scrisse Varrone. Oggigiorno si costuma seminarlo di marzo nelle biade, e vien forse meglio seminato dal fin d’ago- sto sin ai dieci di settembre o quindici in terre- no seminato di segala ed erpicato , perciocchè gittando allora quella sementa nella polvere, ed erpicandola a deotro almeno due volte oltre all’er- picature fatte alla segala, s' incorpora talmente in quella terra, che ve ne resta poca che non appigli. Ma seminandola di marzo; non solo non può nascere così bene, come fa nel detto termi- ne per esser gettata sopra la terra dura, ma muore anco tutta quella che rimane sopra le fo- glie della biada , oltre a che così è più cresciu- ta a tutto novembre, che non è quella a prima- vera quando si tagliano le biade. Non teme anco le pioggie, altro sinistro, perchè bene abbarbicata, e segandola doppo che sieno se- gate quelle biade, non pur si fara una stoppia ben trifogliata , ma produrrà due segate fieno. Quanto a cernere il seme, è meglio quello col guscio che lo spogliato, perchè quello 1’ aiuta & nascere, sene perde; e migliore ancora è il seme che si raccoglie del monte , che non quello del guscio , o il netto, perchè occupa più

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terreno con men seme; e questa sementa, sicco=« me la Medica, tuttavia desidera d’ esser semen- tata fonda. Si può seminare ancora al findi set- tembre, e al principio ottobre sopra il frumen- to; ma o sopra questo o sopra altro, o sia di che tempo si voglia che si semini il trifoglio, usisi diligenza che non rimanga scoperto, per- chè allora il freddo lo diserterebbe, come al marzo il caldo, e il secco ; imperciò vuol terre- no temperato fra’! caldo e’l freddo, umido e Secco, e però in campo rotto avanti al verno, bene erpicato, e rastrellato, minutamente lavo- rato e letamato. Si seminerà ancora da per se senza mescuglio convenientissimamente di marzo, avendolo posto in molle come il miglio nel secon- do quarto della luna crescente. Si semina pure a questo tempo sopra le biade stando per piove- te, o veramente gettando il seme in terra da mezzogiorno in verso il tardi, e col rastrello facendo bene unirlo e incorporare al terreno perchè tanto più presto nasca ; e così anco tras- sinato il terreno gioverà al grano. Si dee poi nato sarchiare con diligenza, e tener tutto netto da tutte l’ erbe nocenti che vi nascessero. Si ras- setta e ripone come l’altro fieno, del quale più ‘giova e nutre le bestie, si dee lasciare star ( segato che sia ) ammontato in sul terreno, per- chè riscalda diventando cattivo.

ll Titimalo è di sette maniere, ma il più bello e da vedere è il Ciparissio, che rappre- senta la similitudine dell’ arcipresso , essendo ar- borescente, ed alzandosi da terra con rami e fusto assai valoroso più di due Draccia ; l’altro cresce sopra la terra alquanto, ma non è così vago , così bello a vedere. Il suo seme rac- colto d’ estate, o d'autunno seminasi di marzo in terreno grasso e ben fondato , dove anco all’ot- tobre si può trasporre, cavato con buona piota .

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Tre o quattro coccole di questa pianta spremute e cacciate in un ficosecco e mangiate muovono il corpo. Scrivendo col suo succhio in su la carne viva, ogni concettu si spiega e legge con gettarvi sopra della polvere di cenere vagliata, esprimendosi acconciamente le parole; ed il suo latte fresco avendone unti al sole i peli gli cava fuori, e quelli che rinascono fa esser gialliccj e graciliz finalmente facendoli gli altri e spelan- doli gli consuma e manda via. Il suo latte mede- simamente cacciato nei fori dei denti, e ratte- nutovi con turami con cera perchè non offenda la gola e il palato, leva il dolore che vi fosse. Quest’ erba pestata , e gettata in fascetti nell’ac- qua che stia ferma, o che corra lentamente, am- mazza i pesci non meno di quel che faccia il Guaraguasto, detto Barba Iovis.

Il Terracrepolo è un’erba che nasce alla campagna nelle grotte , e nei ciglioni delle fos- se. Raccogliesi il suo seme di estate e si semina, nelle aidle degli orti come l’altr'erbe; ed è buona a mescolare nell’ insalate, e tagliate le fo- glie rimette, ma è più saporito lo svelto alla foresta .

Dei Tiiboli ne son di due sorte, e n°’ è pieno il Mondo , che è la nostra carcere. Ilter- restre è di due fatte, uno ha le fronde simili ai ceci, e l’altro le produce spinose; ambedue sono copiosi di sermenti. Nasce quello delle fronde spinose più tardi, e suol ritrovare ap- presso alle siepi delle valli. Il frutice della pri- ma è simile al sesamo , ma quello del più tardi- vo è tondo e nero e serrato ne’ baccelli, ed una terza specie sene ritrova, e dice averne visto il Mattiolo, che ha le foglie in sull’andar del- la porcellana; l’altro è l’ aquatico, del quile sene ritrova assai in molti fiumi, e massima men» te nei laghi stagnanti, e questo non solameute

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nasce nell'acqua dolce, ma ancor nella salsa; come son quelli chiamati marini che .si vedono in più. luoghi e fanno intorno alle lagune di. Vinegia , e sogliono i pellegrini farne filze di gran corone. Hanno dentro certo tenerume dol- ce al gusto, che si mangia crudo e cotto sotto la cenere calda nel tribolo stesso triangolare. Il suo sapore è simile a quello delle castagne . aquatico cavato dell’ acque ‘ferme ove fa, quando ha poco tempo s’alligna ne’ truogoli dell’ acqua che si muova, racconciandovelo den- tro di quella medesima maniera che si trova sta» re nel suo natìo luogo; tutte le sorte proibisco- no il geoerarsi dell’ infiammazioni, ed il calor de flussi. Gonvien cavarli dell’ acqua natìa di primavera e gli altri terrestri ancora di questo istesso tempo si possono traspiantare.

Uva spiva si trova e salvatica, e dome- stica; è questa di due sorte, una che cresce me- no, e fa il granello dell’ uva rossigno, e i’ altra che si alza un poco più, è più piena di pun gen» ti spine, e crea l'uva prima verde, poi verdero- gniola soda, ed in ultimo matura, lividiccia e te- nera. La domestica , siccome la salvatica, è bua- na per le macchie de’ giardini, e per le spalliere de’ viali degli orti. Ama terreno asciutto e foa- dato, e vien bene nei luoghi grassi, ma fa mi- ner frutto, e non saporito, più grosso che nei: lati magri, doveancora fa bene e s' alligna, pur- chè sia qualche volta ititorno lavorata e zappa- ta e rincalzata bene. Non si pota l’uva-spina, e solamente sele levan d’ attorno i seccumi, e dopo dieci, o dodici anni si torna a ripiantarla, strappando dal suo cesto i polloni giovini, o mes- se con'le barbe. uva sua matura si mangia, a quel modo; i’ acerba fa l’ufizio d’ agresto così nei brodi come nelle salse, e chi ne ragunas- se quantità farebbe un agresto grazioso, s1ec0-

318 me della matura buon vino. La vera uva-spi- na ha le foglie simili alle azzeruole; attacca ancora senza barba, spiccando con la pianta un poco del vecchio, ed i suoi acini seminati con la diligenza de’ cipressi nascono, e dopo un anno si trapiantano. Piantasi di novembre acconciamente, ed isuoi rami giovini scapezza- ti ed atlorti, di primavera piantati afferma- no. Giova nelle minestre data nelle febbri acu- te; piace assai alle donne che son gravide .

Urtica, ovvero Ortica è di due sorte; la più domestica, e la men salvatica. La femmi- na è d'un po’ minor piavta, ma ambedue pun- gono, e subito levano in su la carne le cocciuo- le: il rimedio è strofinar forte ed ugnere con olio d’ ulive il luogo affetto. Quella che è alquanto biancheggiante è ia più eligibile, e le sue ci- mette cotte e condite in insalata non son di- sgustevoli.. Nasce da per se nella primavera in su fe rovine delle muraglie, ed in terra umida, non rifuggendo l'ombra, e volentieri viene in terre grasse e sustanziose. La radice dell’ osti. ca cotta fra le caroi dure le fa frollare, e il lavarsi i piedi colla cottura delle foglie e delle barbe in acqua è un amuleto contro al freddo de’ piedi patito quando si cavalca per i diaccj e nevi, a riconfortarli la sera. ortica mora è di foglie manse, e non punto pungenti, e sono più grandi dell’ altra, ed il fusto più tenero co- me loro; l’une e l'altre fan seme possopo se- miparsi comè altr” erbe .

Il Verbasco è di due sorte, una di foglia bianca, l’altra di nera, ed il bianco di nuovo si distingue in maschio ed in femmina. Questa ha le foglie somiglianti del cavolo, il maschio uo poco più lunghette, e biancheggianti. Ri- trovasi il verbasco salvatico, che ha le foglie simili a quelle della salvia, ed è arborescente,

Ad

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e cresce con rami, e fa certi fiori gialli pan».

nocchiuti, iquali sfioriti lasciano certi fori co- me quelli de’ fiali delle pecchie, e delle vespe; l’uno e l’altro verbasco si traspianta: dai luoghi ove trova nel domestico, ed alligna. L’ erba fresca della femmina pesta con due pietre vive, e messa nell’ inchiodature de’ cavalli le sana. Dicono, scrive il Ruellio, che i fichi ravvolti nelle foglie di quella che è femmina nonsi pu- trefanno. Tutti i verbaschi hanno l’istessa vir- l’un che l’altro.

La Vinca o Pervinca è un’ erba, la qua» ie mantiene la foglia perpetuamente, facendo

certi fiori azznrri in guisa di piccole campanel-

lette, stende con un fusto sottile per terra, e vi si coricano 1 suoi rametti rincalzati rin- novando le radiche come fanno i roghi. Ha le foglie simili a quelle degli olivi, un poco più grandette e più nere . La migliore e più bella Vin- ca-Pervinca che si .ritrovi è quella che si fa addurre di Spagna, la quale s'inalza, ed e più folta e fitta di foglie della nostrale, la qual na- sce ne’ boschi, e di quivi si traspianta d’ autun» no nel domestico a fare spalliere terragnole, o veramente verdura in terra piana, e può anco vestire le ingraticolate non troppo alte.

Il Visco è simile alla Cùscuta, che nasce così com° ella sopra Îa ginestra, e sopra il lino senza punto teccar terra, avvicinandosi ed av- viluppandosi al suo fusto; così questo vive attac- candosi ai rami degli arbori, crescendovi in for» ma rotonda con rametti di foglia com'° il bosso- lo, e coccolette piccole senza fiori. Grande è il vischio per lato di un piè e mezzo edè lento, sempre verde, di grave odore se non sia nel leccio e nella quercia , su cui lo rende buono. Nasce adunque sopra questi due, e sopra i cer- ri, ed ia su’ castagni, terebinti, pini ed abeti,

Too

315 ed ancora ne’ meli e perì salvatichi e domesti- chi, e sui sorbi reputato inutile, e nella mag- gior parte delle regioni si trova che nasce in su questi e non altri, e massimamente nelle Ma- remme Sanesi. Pasconsi di vischio, cioè de’ suoi acini le tordele ed i tordi, dal cui sterco pieno ancora di semi che resta attaccato sopra gli ar- bori dove albergano e si riparano, nasce la pianta che lo produce; e perciò diceva Plauto che i tordi cacan la morte. Nasce anche dal- lo sterco de colombi salvatichi che similmente selo mangiano , ed è scritto . non nascer pri» ma che sia digestito, e passato per il ven tre e secesso di questi uccelli. Quello che na- sce nei pini, e negli abeti e ne’ mandorli (che è assai nella Valle Anania) è reputato di poco valore come s'è detto di quello de’ pe- ri e meli, perdendo virtù nel batterlo ed accon- ciarlo. Imperciò quello che si cava dai castagni, cerri e quercie è il più robusto e di più ner- vo, e di tutti gli altri migliore, e riesce di color d’oro. Il visco si fa de’ suoi acini acerbi, cioè verdi, e non ancor bianchi, iquali si rac- colgono nel tempo della ricolta, si seccano, e secchi pestano in mortaio di pietra , e messi nell’ acqua si lasciano putrefare , il che avviene in dodici dì; e questo solo nell’ infradiciarsi re- ca utilità. Accanto a questo di nuovo cacciati nell’ acqua, e di nuovo ammaccati col pestone inteneriscono con la materia di dentro, avendo lasciata la corteceia di fuori; rimestica ap- | presso a ciò nel mortaio, e con l'olio rimestie cato si conserva agli usi. Alcuni gli acini pe= stati cuocon nell'acqua tantochè stiano a galla; alcuni trassinando gli acini fra i denti gli spo- gliano della corteccia sputandola. Se nondimee no sieno gran pioggie nella battitura del fru- mento e biade, quelli acini crescono per l’ ac-

116 qua e nel visco istesso si marciscono. Ottimo è quel visco che non ha buccia, e che è legge- rissimo. Certi hanno opinione che quel visco sia più efficace che è cavato via senza ferro al- la prima luna nuova. Fassi ancora vischio delle corteccie delle radici dell’ agrifoglio , e delle barbe di viburno, o lantana, e di quel- le. dell’ hibisco, cioè altèa, o malvavischio. Pigliansi le scorze delle radici di questi e si seppelliscono sotto terra in luoghi umidi tra lor frondi medesime rinvoltate, e quivi si lasciano putrefare alquanto tempo; appresso marcite ca- vano e pestano in una pila di pietra con pesto- ne di sorbo tantochè diventano una paniccia vi- scosa che attacca ; lavansi per ultimo in acqua corrente dalle sue immondizie. Si maneggia il vischio con l’olio uliva o di noce, e con que- sto s' impasta e si stira e prepara per impia- strar sopra rametti o altro per invescare gli uc- celli. è cosa alcuna che più s'attacchi, e tenga ferme l’ ali degli uccelli, 1 Sacerdoti Drui- di non avevano gia in venerazione cosa aicuna come venuta dal Cielo più del vischio, ed all'ar- bore del vischio, che era pieno, massimamen- te se fosse quercia, sacrificavan fiori, ed altre cerimonie facevano. Si conserva il vischio in va- si di terra invetriata, o in bigonce di legno, aggiungendovi olio d’ olive o noci, col quale sempre si distende. Fassi anco il vischio in Si- ria del Sebaste, che il Ruellio tiene esser la. Mixa de° Greci, ed in onore di Augusto dice essersi così chiamato . È un arboscello piccolo di. corteccia bianca, verde di rami, di foglia rotonda e grande. Fa nei rami i frutti dolci pieni di candido liquore entro a dei noccioli co- me d'oliva, e questo chiama vischio di Da- masco, che è quello che si vende in molti luo-

a .

ghi Italia; ma è migliore e più tenace il po»

Sup strale. Trovasi ancora da poter fare il vischio dalle corteccie di alcuni altri frutici, che si co- nosce aver in loro del viscoso e del glutinoso . È il visco medicinale, mollificando e poi dis- seccando gli umori; e mescolata la pania con ragia e cera manda via le strume. La pania più eligibile è quella che è più leggiera, di fuori gialla, e dentro di color di porro; pania vecchia di due anni non è tenace come d’ uno,

Il Viburno produce i rami della grossezza un dito alti due braccia. Ha le foglie simili a quelle degli olmi, ma biancheggianti e più pelose, le quali per pari e distante tra esse ver- sano su per li rami a due a due, e d’intorno sono sottilmente dentate. Fa i fiori bianchi a modo d’ ombrella, dalla quale procedono gli aci. ni; e de’ frutti schiacciati in un mazzo moltipli- cati ed accozzati insieme di gran scorza, minori delle coccole dell’agrifoglio. Da principio ca- vansi verdi, nel processo rossi; e quando son maturi, neri morati, e le barbe viscosissime, ed hanno i semi dentro a quelle coccole, i qua- li con difficoltà nascono; perciò è meglio tra- sporre la pianta di dove sia, a novembre.

La Vetriòla ( per altro nome Paretaria, per- chè nasce volentieri nelle macìe, ed anco in ter- ra rasente quelle ) è così chiamata perchè strofi- nando con essa e con acqua i vetri si fanno pu- litissimi, come colle fanfalucole della paglia ab- bruciata e acqua calda i piatti d’argento e d’oro, e come colle foglie de’ fichi si fanno netti tutti i vetri, ai quali veramente più di tutt'altro è essa appropriata. La Vetriola de’ Ruisti si ritrova per tutto rasente le muraglie abbattute.

Le Viole. mammole sono indizio della pri- mavera; fassi delle secche polvere odorifera, e si in sacchetti al vino per dargli grato odore . Le Vivuole ordinarie venendo la: rino sono

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le prime a fiorire, annunziandola esse tra tutti.

1 fiori; ed essendo tepor d’aere nell’ autunno e verso l’ inverno, ne fanno ancora in quel tempo abbondantemente; siccome avviene talora di ri- fruttificare in quella stagione ai susini, e di fio- rire ai mandorli, che dipoi sopravvenendo il fred- do banno a rifare. Ora delle vivuole di tutte le sorte che non perdan mai la foglia, e faccia- . no continuamente, o il più delie volte il fiore, chi brama averne copia, faccia arginuzzi volti al sole in grasso terreno, rimuginato colla vanga minutamente, ben letamato di concime putrefat- to e marcito; e fattivi fossetti fondi un piede, ponga piante d’un anno innanzi al principio di marzo. Seminasi il seme delle vivòle a questi tempi, oppure innanzi, e. a novembre ne luoghi temperati, in vasi pieni di terriccio buono come l’ altre erbe, com’anco si coltivano sarchiando- le a’ tempi; cogliendole e tosandole, e levando loro tutti i seccumi; e quando son fatte vecchie cacciandole in terra ben sotto a rifar nuove bar- be, si rinnuovano. Tra tutte le sorte ( perchè oltre alle bianche ne sono delle oscure color di loto, delle purpuree, pagonazze, ed altre briz- zolate ) le cerulee dice Mattiolo non ritrovarsi : Le candide sono di tutte le altre più durabili; la purpurea, o rossa dura ne’ luoghi a caldìo a fiorir tutto l’anno. Vengou bene di pianta le vivòle gialle doppie Indiane, dette per altro nome Garofani Indiani; e queste che son mag- giori delle nostre e più doppie e fogliute, ma di cattivissimo ed incomportabile odore , si trovan venute India, e al fin di marzo si seminano ne’ testi, o in terreno grasso letamato , adac- quandole ai bisogni, e quando sarchiano rin- calzandole da piedi, che farà loro utile. Le vidle-mammole desiderano terren fresco, e luogo grasso , siccome si vede che ne’ boschi sorgono

fa rage o iii ti nti n nce ra

319 trà #1 grassume dove son marcite le frasche, o sivvero dove nelle vallate è calato tutto il conci- me di sopra. Trovansene delle doppie, e delle scempie, e tutte si piantano a piote cavate del lor luogo natìo, trasponendole rasente 1’ una all’ altra fitte insieme. -

La Vite-nera (in Toscana Tamno, vocabolo tolto dai Latini che chiamavano la sua Uva, Tamina ) fa i suoi germoglj alla primavera, quan- do novellamente spuntano dalla terra , simili nel- la lor fattezza agli asparagi, e si mangiano cotti al modo medesimo, e nell’istesso tempo, ma non così gustevoli. Enno per tutta Toscana, e nel Contado di Gorizia abbondantemente ; è da maravigliarsi, dice il Mattiolo, che quella che descrive Dioscoride discordi dalla nostra nel co- lor dell’ uva, sendo quella nera, e la nostra ros- sa, quandochè anco il solano ordinario , che si semina negli orti, in alcun lato fa le coccole rosse, ed in altri nere. Traspiantasi la Brionia (che così ancora si chiama ) dai luoghi dov'ella fa, cavata con tutte le sue radici, e si pone nei luoghi domestichi dove bene allefica. Le sue coc- cole adoperano dai conciatori dei coiami per porli in concia.

« —La Vitalba è di natura d’ attaccarsi a tutto quello ch’ ella trova che la sostenga ; ancora per i muri, purchè vi sieno chiodi, o piuoli chela reggano, si va appiccando, e condotta all’ ug- gia sotto le loggie a rivestirle e circondarle in- torno a tutte le loro rivolte, si guida a diritto ed a traverso per tutto , e vicresce, e vifa ver. dura piacevole altempo suo, camminando quane to dura la scorta di chi la sostiene, e d’ anno in anno mettendo sempre all’ innanzi vi si au- menta ed acquista senza sole. Le sue messe tene- re cotte e condite come gli asparagi, o in mi- pestra minuzzate muovono il ventre, e provocan

320 orina. Ha lavitalba i sermenti come la vite, ed i suoi gambi simili a quella. Da per se stessa ancora cresce , e si regge facendo macchia fol- ta nel calare a terra. Sta bene piantata nelle ragnaie, e si pigliano dai boschi le piante pic- cole di novembre , e allignano trasposte in ogai terreno da certi fiori bianchi d’ ua odore smac- cato di niun valore. Le radici di vitalba sec- cate all'ombra, e cacciate nelle botti dell’aceto lo fanno diventar fortissimo ; legansi queste bar-

be con un filo, e secondo la quantità dell’ace-.

to si vi legano o poche, è assai, facendole pen- dere dal cocchinme ch’ elle non Socchino il fondo, e come l’aceto abbia presa quella fortez- za che si desidera, si levan via. Si ritrova. un’al-

tra sorta di vitalba, che fa i suoi rametti più.

grossi più rotondi e maggiori, che non cresce s’ attacca tanto, quanto questa; e medesi- mamente fa i fiori bianchi un poco più odo- re, e questa anco si traspone al modo mede- simo.

La Veccia in qualunque modo seminata gio- va al campo, nel quale ella si semina, e massi- mamente se l’ aratro quando è verde seguiti aran- do a troncarla e sotterrarla , e meglio è con la vanga; e quando si sega, quello che la falce ha

lasciato indietro; innanzichè secchi convien

sotterrare, e mandar sotto con esso vomere, 0 con la vanga, perchè se le radici sue tagliato il verde si secchino, torranno tutto il succhio al terreno, e porteranno via tutta la forza: il che a tutti i legumi accade, dei quali par che la terra ne goda. La veccia ama i luoghi di sito freddo anzichè caldi, amando ancora terreno secco e asciutto, curandosi de’ grassi e sostaa- ziosi, ne’ quali ricasca dando poco. frutto; non teme anco l'ombra. Seminata nei verzieri fa danno ai fsutti, e alle viti. Si contenta d'esser

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321 seminata sulla rottura d’una volta sola, ed ans

cora viene in sul terren sodo e duro, e così fa per tutto. Il meglio è levato il grano d’un cam- po romperlo arandolo bene, e seminarvi il miglio a giugno verso il fine, e cavarne questo frutto, e di novembre coprirlo ben di letame, e con l’ara- tro ben sotto rivoltarlo , e cotto dal freddo al gennaio riararlo ed erpicarlo, e di nuovo al fin del mese seminarlo di veccia e vena per metà, ed a mezzo maggio seccar questa pastura segalala e riporla: chè nulla è che ingrassi più i cavalli che questa sola, e con l’ avena mescolata anche meglio; ed allora riarato il campo visi potrà se- minar fagiuoli, o miglio, e ciò si dee fare ai campi gagliardi., sustanziosi e grassi di propria natura, perderanno punto per ciò, anzi ac- quisteranno. Si può ancora (dove non si abbia la mira ad altroche a raccor le veccie, e che siano ben granite ) lasciare in questi così fat- ti campi che faccia il seme, e seminarlo ot- tobre, perciocchè di marzo o febbraio è me- glio sementarlo per la pastura al fine dell’ uno, o principio dell’ altro, si semina avanti la quinta o vigesima luna , perchè le lumache non l’ aunoino. Per pascolo si sega intorno al solsti- zio, si dee dar fresca secca al bestia- me pregno, perchè rispetto a com ell’è ventosa potria dargli dolori e fatica. Fugge la veccia d’esser tocca dalla rugiada, imperciò seminisi verso il mezzodì quando il sole, 0°] vento ab- bia rasciugato ogni umore; e tanto del suo seme si spanda in terra, quanto sene possa ricoprire. . avanti all’ andar sotto il sole, perchè la rugia- da della notte non la raggiunga a far marcire. Se doppo che sia segato il grano si seminerà la veccia (aratovi subito ) fonda e fitta assai, a, settembre rivoltata la terra con J’aratro, le ra- dici delle veccie co’ rametti e foglie faran gras 41

329

gume per seminarvisi dopo. Così è buono alle bestie il vecciule, che segate le veccie in sul terreno rimane. Vogliono alcuni che i vecciuli serbino interi con i lor baccelletti pieni, af- fiuchè elle così riposte caschino alla pastura del- le bestie. Le veccie con le fave ed orzo si soglion seminare insieme a far mistura per miglior pane, perchè da per se sole lo fan cattivo, e miste col grano, comportabile. Il' pane delle veccie conferma ed assoda lo stomaco, creando grosso e tristo succhio molto atto di a non molto tem- po a generare in copia grande l’atrabile.

Il Vilucchio è una pianta che s' avvolge vo- lentieri a tutto quel ch’ ella trova vicino a se, e non trovando serpe per terra, o attacca alle contigue erbe; fa certi fiori azzurri in guisa di campanelle piccole, e sene ritrova di quello che le fa del medesimo colore, e delle bianche assai grandi, e questo ancora s’ avvolge a ogni. guida che gli sia data. Seminasi di seme in ter- ra grasso a primavera appoggiandolo a legni.

Lo Xilon, che alcuni chiaman Gossipio , è un’erba piccola in foggia di frutice, grande quant’ un fagiuolo, portante lana, ed ha la fo- glia della palma. Produce un fusto simile alla noce con la barba che nella parte di fuori fa una delicatissima lanugine e candidissima , della quale si fa il cotone o la bambagia. Fa una noce che quando apre fuor quella lava bian- ca, la quale si stacca con un istrumento fitto a ciò, che la va intorno tagliando sin in sul seme, che è nero picco:o sedo com’ osso dentro a quel- la, grande quauto un vinacciuolo. Semioasi in terra asciutta sustanziosa e buona, lavorata bene con i bui tre volte. In paese caldo, si semina di novembre, ed in non tanto caldo, di marzo. Raccogliesi il settembre, e l’agosto, ed asciuf= ta e secca bene si a tagliare all’ instrumen=

3:3 to. Fassene corde, materasse, ed altri vestiti, e le camicie tessute di questo e di lino tengon cal- do. Nell’ Indie sono arbori che producono il co» tone .

Lo Zafferano fiorisce ogni anno, e sta vere de nel verno, e l'autunno si raccoglie, facen do il fiore somigliante a quel del giglio. Del domestico il più odorato s’ approva; è copia in Italia verso l’ Aquila; e fuori nell’ Arciducato d’ Austria intorno a Vienna, e per molte parti di Germania, ed in Toscana in quei di Siena, ed altrove ne fa dell’ elettissimo , e tutto ha gran» de spaccio agli oltramontani che l’usano assai, In Galavria fi con assai profitto. A cimentare s’egli è sincero, si mette in sula mano, ed è tale sei crepi come le fragole; il lavato e molliccio ce- de. Vuol’ essere di color oro odoratissimo e fresco un po’ biancheggiante nel viticcio, e che ha i fili corti, i quali s' hanno a corre quan= do si mostra in mezzo aperto lieto con le fo- glie il fiore, nel mezzo del quale si pigliano , e per tre o quattro si seccano al sole perchè bastino, o a lento fuoco rivoltandogli,e ripon- gono in vaso di legno dentro a carta turato be- ne. In Goricio di Cilicia è eccellente, in Sici- lia buono. Viene lo zafferano bellissimo intorno alle fonti e alle vie quandochè allegra d’es- ser calpestato, ed ammaccato, e retto con i piedi, e stando per perire, meglio poi viene. Fa il fiore innanzi alla foglia. Si falsifica col gruogo, sapa, e piombaggine, colla schiuma dell’ argento perchè pesi più; ma si comprende dalle polveri che ne scorrono, e dalla sapa che ne sa. Fa certe cipollette che si colgono nel mese d'aprile, o di maggio quando son matu- re, e colte si lasciano ammontate per otto af- finchè si macerino, e poi si mundano dalle loro invoglie, e si seccano in lato €aldo easciutto,

324

ed anco al sole purchè si‘cuocano. La loro ma-' turità sl conosce quando fuor della terra ha qua- sichè secche le foglie, e si conservano sopra s0- laio, 0 graticcio sospeso da terra sin all’ agosto, e di questo mese a tutto settembre si piantano iu terra vangata, posta bene a solatìo, noo trop- po magra, troppo grassa, sebben fa, nelle lesgiere e sottili, ed in magro, e sempre in monte o costa, e se si piantiin piano, facciansi le prode a posta per ciò, -e pongano lontane le cipollette l’una dall'altra un palmo, e sotto terra quattro diti e non più con le loro radici in solchi fattivi diritti, e vi si lascino per due o tre anni, tuttavia di maggio, giugno e lu» glio zappandovi la terra di sopra nella cortec- cia due diti sotto perchè non si offendano le cipollette. Tengasi di continuo netto dall’ erbe, e al fin d’agosto è settembre si radano con una, marra ftaglieute. Si raccolgono dei fili de lor fiori aperti mattina e sera d'ottobre, e meglio è corgli con le foglie, e poi scergli seccati che sieno al sole, perchè così meglio il zafferrano vi si conserva e si cava, e lasciate quelle ci- pollette così si cuoprono al principio di novem- bre di vinaccia o graspi, e si cavano al marzo da che averan prodotti i fiori per tre anni e non più, e di aprile mutando luogo si ripiauti- no. Brama terra cretosa o mezzana, e verrà sem pre bene ove si sieno cavate le cipolle ordina- rie. Ama più lo scoperto che |’ ombrìo, ma all’ug- gia ancora fa. Itupi terragaoli lo danneggiano assal sotto, al che vale turare i lor buchi con morchia, e tender lor trappole. Deonsi acco- modare in medo cell’ aiuole degli orti i solchi per lo zafferano, che l’acqua non nuoca ai bul- bi, che lor nuocerebbe assai. I terreni sterili e magri tutti si fan buoni per zafferano, le cui fo» glie in iusalata per variare son’ di quando 19 quando buone, vi

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325

Le Zucche sono di più maniere, ma tutte si ristringono a due; lunghe o rotonde. Tra queste sene ritrovano delle schiacciate, delle fatte in foggia di rosoni, o berlingozzi; col col- lo, e senza ; di gran collo, e piccolo ; grosse nel mezzo, altre sottili. Le schiacciate interamente che sono della buccia delle Innghe, s asciuga- no mature ch° elle siero al sole, e secche bene s'armano con cigne, e legate sopra le spalle so- stengono altrui nell’ acqua a imparar a notare. Di questa medesima sorta, e che hanno il collo, seccano medesimamente, ed impeciate dentro conservano il vino, e l’olio molto bene; e sene son vedute di tal grandezza, che tengono den- tro di loro una notabil quantità d’esso, comec- chè una ne sia a Ceuli di Toscana, che riceve dentro a se tre barili d’olio, stupenda a vedersi e grossa nel corpo e per tutto fuor di modo. Queste tutte sono della razza delle bianche lun- ghe, delle quali alcune sono corpacciute, ed altre s' allungano sin in tre braccia e più, mas- sime aiuta:dole prima con l’annaffiare, e dipoi con tener continuamente sotto di loro una con- ca piena acqua lontana sempre tre o quattro ditì; che si sforzeran d°’arrivarla cel crescere verso quella. Hanno le lunghe non tutte color bianco quando son fatte, ma ne sono delle ver- di, e delle chiazzate; ed il seme di quelle di Spagna, che da capo hanno una capassa roton- da, chè di grossezza avanza il lor largo, è il migliore; ed accanto quello di Genova, dove usano avanti che sien mature affatto, tagliarle all’intorno in striscie sottilissime come nastri, e seccarle al sole, e farne gomitoli e matasse, poi nell’ acqua rinvenute cuocerle con la carne, o frig- gerle nella padella, o in minestra come il cavolo. Ancora accostumano di queste zucche pigliar le vette; e cavatine i viticc} cuocerle nell’ acqua bollita , e dipoi spremute (ben cotte che sieno )

326 fra due tazlieri, condirie con olio sale ed aceto in insalata. Le zucche lunghe tenere monde della lor prima sottile scorza, e tagliate in girelli, e tenute sotto due taglieri (calcato quel di so- pra da un gran mortaio, 0 altro peso) a scolare quell’ acqua che han dentro, infarinate fritte in padella sun molto aggradevoli al gusto, e lascia» no così molta di quella umidità . Nondimeno per la sua aquea natural qualità si deono mangiar on l’origano, imperciocchè tutte quelle cose ehe sono di cotal natura, si deono mischiare con cose acute salse ed austere, volendosi ch' elle sien manco nocive, e che più sieno aggradevoli al gusto. Ancora cotte semplicemente nel forno cal- do, messe in su lo spazzo quando si mette il pane , così intere le zucche lunghe tenere, sco- leranno quella loro umidità, e diventate vizze, e cotte bene , condite similmente con olio sale ed aceto saran buone. Si possono anco tagliare In pezzi, e cacciate in una pentola rimboccata, rette da fuscelii, cuocer nel forno. Son buone a coudirsi in composta di-zucchero e. di méle, avendone cavato quel bambagioso tenerume che hanno dentro, e la scorza di fuori. Le zucche sebben si dividano in terragnole , e che vadan vo- leotieri in pergola, è cosa certa che tutte le sorte mandandole in alto faranno maggior prova che. non.in terra, e massimamente le lunghe, che più di tutte si distenderanno. Ed a voler che facciano in sul terreno una gran prova, e crear le zucche maggiori e più lunghe, conviene nella pianura dove elle si mettono (perchè questa ama- no senza comparazione più che il poggio ) fare una fossa cupa due braccia, e riempierla di ter- riccio sin a mezzo, 0 di terra buona mesticata con letame marcito, ed in su quel piano metter le zucche, le quali averan fatte nascere con avere scoperto il primo suojo del monte del le- tame; e quivi portato un po’ di buon terriccio,

32 seminativi i semi, presto per il gran caldo! di sotto verranno fuori; ed anco ponendo il terric- cio fuori, posto sopra il letame cavato di fresco della stalla, che sfumi e ribolla, seminarvele sopra 3 e quando nate saranno e cresciute di quine dici e non più, levate colla loro piotetta, si traspongano in quella terra della mezza fossa, e di mano in mano ch’ elle crescano rincalzarie tanto, che si conduca la fossa a sommo, e pareggiata sele faccia un solco per annaffiarlein ognì modo estate; accanto vi si faccia la pergola di le» gname e canna, e sopra visi guidino; ed anco» ra cresciuto il gambo due braccia , si corichin queste due braccia che cavin fuora la vetta, e questa si mandi sulla pergola, che sarà con maggior rigoglio Îa messa; e s' hanno a spun- tar nelle vette due o tre volte perchè il vi- gore ritornando nel fusto costringa le zucche ad essere di maggior grandezza e lunghezza; e così la mattina come la sera, e innanzi giorno s'a» dacquino, e tengasi lor sotto il vaso d’acqua pie» no, che si disse ; e se fosse olio ritornerebbe indietro, e si rintuzzerebbe la zucca. Tutte le zucche rotonde e corpacciute di scorza tenera compaiono di natura terragnole per produrre i loro frutti grossissimi; nondimeno mandate in per gola non perderanno di grossezza, di gran- dezza, avendo molto letame al piede ed al nasce re acqua assai, ed il terreno bene scassato, po- ste a mezzo il terren della fossa ripiena di buon ‘terriccio, e poi di man in mano che si veggon crescere, rincalzate. L’Indiane verdi, gialle , e brizzolate, e nere crescono in questa maniera ol- tre misura, avendo perciò terreno grasso sotto da dilatarsi. Il simile faano le zucche che s'addoman- dano marive, le quali tra Je tende sono ver. mente della razza migliore, e quando son mature (che è quando hanno la scorza soda , e che i lor gambi si seccano ) bastano ragionevolmente all’ inverno e

td

328 cotte colla carne, 0 in altro modo, sono di miglior. gusto di tutte. Delle Indiane ne sono delle pri- maticcie per essere state seminate a buon’ ora: il che avverra ‘anche alle lunghe, che ven gon presto , .se queste pure si seminino a buon’ otta, e si difendano dalle brinate, e dai freddi col ben ceprirle; e meglio ancora elle sien iseminate nei vasi ripieni di buon terriccio, ed a’ tempi buoni cavate fuori al sole, ed ai cat- givi riposte dentro coperte. Sono di vantaggiosa sorte le Zucche Alessandrine della razza delle bianche e grandi, ma nei cibi le più lunghe e sottili son le più grate quando non hanno ancor fatto il seme, e che sou tenere, e saggiandole al dente che non sieno amare ; ed affinchè na- scano. tali si dee traseerre dal collo della zueca il seme per averle mezzane di mezzo, e grosse nel fine. Quelle s' hanno a porre colla punta all’iusù per mantenerle scarze e sottili, queste all’ingiù; e tutte desiderano terreno di sua na» tura grasso e sustanzioso, di fondamento, e ben letamato di marcio concime, e la terra sia non meno che a due puntate di vanga lavorata. Il sito a tutte è buono di valle umida scoperta, o di pia- no, e comodo a potersi innaffiare, benchè le non adacquate saranno sempre più saporite, sebben verranno meno più presto, dureranno tanto a farne. E dove non sia comdo di poter adac- quare convien disvegliere il terreno un braccio e mezzo sotto, e farvi dentro le buche due terzi di braccio fonde , e nel cupo in terriccio buono piantar le zucche, e dipoi secondochè elle van crescendo agguagliar loro attorno il terreno tan. tochè la buca si pareggi, e dipoi lasciarle sta- re, solo come si disse seapezzate le cime per rintuzzar la forza indietro a generare più frutti. Ma avvertiscasi bene che non vi si accostino don- ne, massimamente menstruate , perchè toccando- le impediscono loro il crescere, e tanto nuoce

329 ciò, che lo sguardo menstruato fa maggior cat- tivo effetto. Quelle che si serbano per cavarne il seme vogliono esser delle prime seminate, sil hanno da spiccar dalla pianta più presto che nel prineipio dell’ inverno perchè sieno più ammassic- ciate e dure. Tengansi dipoi colte al sole, o al fumo a stagionarsi sinchè sien benissimo secche, altramente si putrefà loro il seme in corpo. Ama- no le zucche maravigliosamente 1’ acqua. Nasco- no senza seme dentro, se prima di porlo iu terra, si tiene nell’ olio di sesamo per tre o quattro a macerare. Il seme delle zucche fuora dopo il settimo o ottavo dì. Gresce la zucca in quella forma ch’ è forzata di crescere, perciocchè cac- ciata, tostochè ella dimette il fiore, in un vaso di terra che sia lungo e sottile, s' allunga ed as» sottiglia alla maniera di quello; e cacciandola in un cavo di una maschera, e riserrandovela lo riempie in tutti i voti, e rappresenta tutta la figura che dentro vi sia. Scrivono i Greci, che la zucca, il cocomero non faranno seme se primieramente secondochè si fa alle viti si cacci sotto terra il suo ramo che ha a crear la zucca, di modo che cavi fuor essa la vetta sola, e che di nuovo crescendo sele ammonti la terra attorno; ma è da ingegnarsi che quelle propaggini (la- sciata solamente fuori la cima) si stendano per il mezzo ; e governate cresceranno senza fare i semi ch’ ell’ hanno per ordinario dentro. Levando alle zucche i suoi viticej, produrranno i frutti loro più soliecitamente; ancora se di fresco le zucchettine che dan fuora, con i suoi viticc] ‘caccerai in una canna, alla quale prima abbi forati tuttii nodi, quivi dentro cresceranno quan» to sia lunga la canna, avvertendo di levare i nodi scavando quanto ella sia di grossezza. Tut- te le zucche come i cocomeri si fan più grosse mettendo in terra la puuta del seme all’ingiù. Se le zucche giovinette siano mangiate da lom-

42

sie | brichi, o altri nocenti animali pongano lore accanto rami d’origano o di cunila, percioc- chè quelli che di già vi sono attaccati gli am- mazzano, e quelli che stanno per nascervi non lascian venire innanzi. Dureranno le zucche lun= ghe fresche, s’elle si facciano ricoprire in un vaso invetriato e ben turato in bocca, ripieno di pura feccia di vin bianco . Ancora sotterrate ed acconcie che luna l’altra non tocchi nella salamoia , si manterranno salve. Gran tempo si conserverà loro la vita el vigore, se sopra vasi pieni dentro d’aceto accomodino di maniera che in nessun modo tocchin l’aceto che per quattro dita, ma conviene impeciare in bocca questi vasi che a tutto si risolve che servano, e fin- chè lo spirito dell’ aceto non dia fuora. Gosì fre» sche s' averanno tutta l’invernata spartite in pez- zi. Quando son verdi si cacciano in acqua bol- lita, dipoi cavate dopochè elle sieno state una notte intera a rinfrescarsi in una forte e gagliar- da salamoia, riposte e coperte gran tempo si con- servano. La zucca diqualunque sorta è di nutri- mento leggiero ed acquoso, ed è frigida e umi- da nel secondo grado, e mangiata cruda è insua- vissima al gusto, cattivissima allo stomaco, e del tutto indigestibile. Correggesi la sua malizia co- cendola spartita in fette sottili in una teglia con agresto e olio, e sopra cacio grattugiato, posta nel forno tantochè diseccata sia cotta bene. al corpo umido e frigido nutrimento , il quale è poco, ma agevolmente passa e si digestisce. Le zucchettine piccole cel collo Innghetto e corpo rotondo sono della sorte medesima delle bianche; si coltivano al modo medesimo, e vanno in per- gola con produrne numero grande; fannosene. vasetti accomodati a tenervi dentro la sapa, ed il vino, e così in queste come nell’ altre, mas- sime impeciate, o incerate dentro , si conservaa bene . FINE

i

IND

ICEK

e Botanici Linneani corrispondenti .

331

Delle Piante in questo Volume descritte, coll’ aggiunta de’ Nomi Greci, Latini,

DEL SODERINI 26 Abrotano 26 Acetosa 27 Adraena 2$ Agliada 28 Aglio 27 Agretto, o Nasturzio 27 Aizdon, o Semprevivo

34 Anaranto

35 Anguria

35 Aniso

31 Appio, o Sedano

33 Apocino

35 Asparago

Assenzio pontico

41 Attreplice

42 Avena

Baciglia o Finocc. mar. 51 Balsamina

Bassilico

Belvedere

47 Bietola

47 Bietone

51 Bonlando

45 Borraggins , 0 Borrana Buon’erba , 0 Erba-buo- na, o santa.

Buglossa

Buibo oCipolla maligia 51 Basnaga

52 Calamo

Camomilla

) Canapa

Canna

55 Cannaméle

73 Cappero

Carciofo

96 Cardo

Carota

Cavolo

Cece

98 Centone

Cetriolo

58 Cetronella o Cetraggine Cicerbita

62 Cicerchia

81 Cicoria

83 Cipolla

72 Cisto maschio

82 Cocomero domestico 72 Colocasia

N O

LATI NI

Abrotanum

Acetosa

Poriulaca

Thlaspi

Allium

Nasiurtiunt

Sedum majus , et Semper- vivum majus

Amaranthus

Anisum

Apium palustre

Apocynum

Asparagus

Absinthiun ponticum

Atriplex

Avena

Crithmum

Qeimum

Beta

Atriplex

(a) ° o O e

Borago

® . ° .

Buglossum . ni . (]

Gingidium , Arundo scriptoria Chamaemelum Cannabis Arundo Seccharum Capparis Cynara . Cardunculus Labrum Veneris Datcus Brassica Cicer Alsine Cucumis UYelissa Sonchus laevis Cicercula Cichorium Caepa . ; Cistus mas Anguria Faba aegyptia

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64 65 Coloquintida o Coco-|Colocinthis

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Kuyapos aryuntios KoroxuyBis

Artemisia Abrotanuni Rumex Acetosa

Portulaca oleracea, sylvetrie Thlaspi alliaceum

Allinm sativum

Lepidium sativum Sempervivum tectorura

BOTANICI

Celosia castrensis Cucumis flexuosus ? Pimpinella Anisum Apium graveolens Cynanchum erectum Asparagus officinalis Artemisia pontica Atriplex hortensis Avena sativa Crithmum maritimuta Momordica Balsamina Ocimum Basilicum Chenopodium Scoparia Beta vulgaris Atriplex. hortensis

| Borago officinalis

Auchusa italica. Persoon Allinmn Caepa oblonga? Daucus Visnaga Arundo epige]os ? Matricaria Chamomilla Cannabis sativa

Arundo Donax Saccharum officinarum Capparis spinosa

Cynara Scolymus 195) Dipsacus fullonum Daucus Carota

Brassica oleracea

Cicer arietinum

Alsine media

Cucumis sativus Melissa officinalis Sonchus oleraceus laevis Lathyrus sativus Cichorium inthybus Allium Caepa

Cistus incanus

Cucurbita citrulius Arum Colocasia Cucumis Colocinthis

È vulgaris. Persoon

_—_———_—_—_—_—P———_————_—_—_—_———_———————T—r—_c<=<=rrcm02rk]tt_—__—————__—_—mt (a) Von è questa una specie di pianta, ma una specie d’innesto di più piante, che si fa mettendo tre 0 più piante forzatamente dentro il vuoto di un osso di zampa di Bove, e sotterrando le dette piante in modo, che resti fuori l’ osso , e così le piante si uniscono per l'innesto di ap- prossimazione , e macerato l’ osso appariscono di un sol tronco, che produca più specie di frutti .

d$2

DEL: SODERINI

65 Colutèa .. 70 279 Coriandolo

72 Creneoro

97 Cracca o piccola Veccia 71 Cumino, o Comino 81 Cuscuta

301 Dradetta

99 Dragone o Dragoncello 101 Ella

101 Elleboro bianco

101 307 Epitimo

102 Erba-massima , 0 Fio - di S. Marco

107 Fagiuolo

109 Farraggine

109 Farro

103 Fava

109 Felice o Felce 122 Ferula

114 Fien-greco 31: Finocchio 123 Fioraliso

123 Fiorrancio 111 Fioravanti 109 Formentone 120 Fragola

109 Frumento

115 Fungo

128 Garofano dom. o Viola 123 Gelsomino

126 Ghiaggiuolo o Giaggiolo! 137 Gichero 133 Giglio 131 Ginestra 138 Giunco 136 Grogo , o Zafferano 136 Guado

140 Halimo

140 Hemaro

340 Hemerocalle

140 Hiacinto , o Giacinto 141 H.bisco, o Altèa Ù 141 Hissopo, o Iscno

142 Indivia, o Scariola 142 Iusquiamo o Giusquiamo 143 Lattuga

163 Lentaggine

152 Lente

154 Leuticchia |

150 Levistico 150 Ligustro 157 Lino 149 Liquirizia 162 Loglio 157 Lupinello

Tor rr__01rrr 1’ rPPrrPré °°° °rei[PL-i:.---iìîi

(a) Won si può determinare qual pianta sia questa ; forse è l’ Enula campana ? È (b) Von si possono bene determinare le specie dei Funghi, i quali nomina il Soderini, e soltanto

soro certi i seguenti.

Porcini

D'tole A

Ovolo con punti sul cappello Fungo della Pietra lincuria Fungo d’ Esca

N

LATINI Colylea Coriandrum Cneorum Craéca Cuminum Cuscuta

Dracunculus (a) : 1 È : Helleborus altus Epithymum

Corona solis

Phaseolus . . . . Farrum. Triticum odoreunm

Faba major )

Faba minor

Filix Ferula Foenum graecum Foeniculum Cyanus Caltha . Luteola Virg. Phagopyrum Fraga . l'ragaria Triticum Fungus Iris Aruni

Lilium Genista Crocus Glastuei

Lilium Sylvestre

\Hyacinthus

Hibiscus

{Hyssopus !Endivia . Intybum

Hyosciamus Lactuca

. . . ° Lens

Ligustrum ? Ligustrum Linum Dulcis radix Lolium

Boletus edulis Pers. Clavaria coralloides Pers. Amanita muscaria Pers. Boletus tuberaster Pers. Bvietus fometarius Pers.

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| GRECI KoXvria è Mia Kepioy. Kopiavoy Kynspov vi Kupror j ; j Opofayyn. Ocaporeovra EMA eBopos DEE i EmiBupoy pa Leva Onupa . Cesa

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{Camelina sativa'? +.

Theophr.

| Boletus purgans Pers.

e BOTANICI Colutea arborescens... Ccriandrum sativam 0 Daphne Cneorum . ..' Vicia craccast. ic. Cuminum Ciminum Cuscuta enropaea

Artemisia Dracunculus Veratrum albom 0 Cuscuta Epithymum Helianthus annuus ‘| Phaseolus vulgaris. Triticum monococùm Triticum Spelta | |. Vicia Faba perni Vicia Faba minor #. Aspidium-Filix steel co. Ferula communis 0/0 Li Trigonella Foenum.grtaecum | Anethum Foeniculuai: Centaurea Cyanus. © > Calendula ofiieinalis! > Brassica Napus 2 i 23 Polygonuer i'hagopyfum . Fragariavescarecinio fi su Triticum sativum-. . 0

Enc.

fi > oqgei Bn Dianthus Caryophyllus.. Jasminum officinale. Iris florentina, et germanica | Arum maculatum.. Lilium candidum: ‘. Spartium junceum » Scirpus lacustris . Carthamus tinctorius ‘satis tinctoria Atriplex halimus Coronilla ewerus Lilium bu!biferum Hyacinthus comosus Althaea officinalis Hyssopus officinalis Cichorium endivia i Hyosciamus albus; et mg Lactuca sativa 1 Viburnum Tinus i e Ervum Lens i Ervum Lens minor Ligustrum valgare Ligustrum vulgare

|Linum usitatissimum

G'ycirrhiza glabra . Loiium temulentum Hedysarum coronanium ,

Agaricus campestris Pers. | Agaricus Prunulus Pers. |

Eycoperdon pretense Pers, Amanita caesarea Pers.

: i

333

N O M I DEL SOBERINI LATINI GRECI BOTANICI 154 Lupino Lupinus Oeppos Lupinus albus 15: Luppolo Lupulus | , - Ù . Humulus: Lupulus 188 Macerene Olusatrum Ixrocehiyoy Smyrnium Olusatrum 187 Madreselva Caprifolium KuogavSepcoy xi9IiQUANeva | Lonicera Caprifolium AixXapvos ETEPp—% 169 Maggiorana , o Persa 4 P 4 È A papexos Oryganum Majorana 164 Malva domestica ——|Malva Marayn Malva rotundifolia 165 Malvalischio o Hibisco . LIETI A et a cangnni. 165 Malvone . . : SER Althaea rosea Pers, 166 Mandragora: Mandrageora Maydpayopa At:opa Mandragora 187 Margherita Bellis i i È Ù Belhs-parennis 167 187 Maro. Marum Mapoy Teucrium Marum 169 Marrobbio Marrubium TIpaoior Marrubium vulgare 169 Matricale. Mairicaria TTapdeytoy Matricaria Parthenicum 181 Medica x A L Mudixn Medicago sativa 167 186 Melenzana, o Me- ; * } È Solanum insanum lensana È È EUSPHE Zrpunvos Solanum lycopersicon ) (a) 169 Mellone . Melo 6 a ) ; i ; Cucumis flexuosus 163 Menta domestica Mentha MuwSos » Hdveopoy uprEpov Mentha viridis . 169 Mentastro ; } è È ; { a Mentba rotundifolia 189-Meo. Ricinus ? Kporov. Kit Ricinus communis 166 Mercorelia Mercurialis AmoLwsis Mercurialis annua 170 Miglio nostrale Milium Mera Panicum miliaceum 176 Morteila Myrtus Mupann Myrtus communis 189 Mughetto Lilium convallium E i 7 k Convallaria majalis 189 Musco greco Bulbus vomitorius Matt. È x ; } Hyacinthus Muscari 192 Narcisso o Narciso |/Varcissus Napysrsos Narcissus poeticus 190 Nastarzio Nasturtium. Lepidium Aeridioy Lepidium sativum 194 Navone Napus i L E A Brassica Napus 193 Nepe o Nepa Genista spinosa È 4 E . Ulex europaeus 189 Nepitella Nepeta TIoXuxyiz4oY Melissa Nepeta 193 Noce-metella Nux metella Iamopeves Datura Metel 198. Origano Origanum Opiyavov Griganum vulgare 197 Orzo Hordeum K psba Hordeum vulgare 199 Osciamoide. Ocymoides TloSoc Lychnis calcedonica 205 Paliuro Paliurus IleAispos Zizyphus Paliurus 214 Panico Panicum Keyypoy Panicum italicum 209 Papavero Glaucium Myxey xepariris |, Glaucium luteum. Pers! 208 Pastinaca Pastinaca Zicapev Pastinaca sativa 200 Pastricciano Daucus $ylvestris EraquAwos aypios [Daucus Carota sylvestris 20: Pepe erbaceo d'India |Piperitis , Siliguastrum x : £ Capsicum annuum > 209 Periploca o erba del sig. . È Lisa ) > ; ì Periploca graeca 200 Petonciano ; A À s ) Hi 3 E Solanum insanum, fructa a purpureo 202 Pimpineila o Selbastrel-| Sanguisorba { i È P |Poterium' sanguisorba la, e Selvastrella price Ì 208 Pinox A L < È . È i 4 {b) i 2:5 Pisello Pisunr EpeBwSes Pisam sativuo 223 Popone Melo Zixvos 7:m7wy Cucumis melo 206 Porcellana Portulaca Aydpayva Portulaca oleracea 218 Porro Porrum IIpasoy Allium Porrum 203 Prezzemolo | PetroselinumMMacedonicum F E t é Bubon Macedonicum 230 Pugsnitopo (uiscus ; Mupowy aypia \Ruscus aculeatus 202 Puieggio | Pulegium T'AnNX0y {Mentha Pulegium 231 Quamocritto | 7 : ì : . 3 . . ipomaea Quamoclit 240 Radice | taphanus Pagparie Raphanus sativus 255 Radicchio Cichorium Inthybus Key apioy Cichorium Intbybus 244 Rafano tedesco Raphanus rusticanus Pa@avis uypia Cochlearia Armoracia 235 Ramno Paliurus i IHaXtspos, {Zizyphus Paliurus 245 Rapa bergamasca Rapa ToyyuM iBrassica Rapa 245 Raperonzolo Rapunewlus Epivos [Campanula Rapunculas 25: Rapo Napus AR e ; , Brassìca napus sylvestris 233 Robbia Rubia \EpiSpodavos iBubia tinctorum

n

(a) Queste due piante assai diverse, sono confuse del Soderini .

\b) Won si sa a qual pianta corrisponda questo nome , come neppur gli altri, a’ guali nen alcun termine corrispondente .

è appo sto

DEL SODERINI |

252 Robiglia 2356 Rozo

258 Rémice 255 Roszio 254 Rovajotto 274 Ruchetta 235 Rusco 233 Ruta

295 Saggina 204 Salvia 241 Sassefrica .

252 Satureia

283 Scalogno

- 299 Scandella

286 Scilla

283 Sciarèa o Gallitrico 285 Scarsapepe

Zoo Segala

279 Senapa

278 Sesamo , 0 Giuggiolena 282 Sesaro

292 Sisembrio

285 Solano

275 Sosolo o Riso

298 Spelda

203 Spellicciosa 0 Cardon- 297 Spigo-nardo (cello 287 Spina-acuta

290 Spina-bianca

286 Spina di Cane .

288 Spina-fagiana

288 Spina topiazia

288 Spin cervino

263 Spuria o spezie

288 Squilla o scilla

293 Stache

286 Stella (erba)

d3o2 Tartufo

311 3o1

Terracrepolo Tifa

307 Timo

dio Titimalo ciparissio Sit Tribolo

308 Trifoglio

302 Turchesco ( frrmento ) 315 Urtica ovvero Ortica 312 Uva-spina

320 Veccia

318 Verbasco

317 Vetriola > 317 Viburno

322 Vilucchio

314 Vinca, o Pervînca 317 Viola mammola

314 Visco

3:19 Vitalba

319 Vite-nera

322 Xilon, o Gossipio o Cotone

323 Zafferano

325 Zucca po)

N

| LATINI

Ervum .

TAunbus |Rumex

Rosa

© è î » Eruca

. 1] .

Ruta

{Sorghum Selovia

Barbula hirci

Salureia Ascalonia

Sila

Horminun

Secale Sinapis Sesamuni Sisarum

Solanum

Oryza Senecio

Berberis, o & o. . o

Rhamnus

Stachys Coronopus

Tuber

Thymus Cyparissias Melilothws

3 Urtica Grossularia Vicia Verbascum Parietaria Viburnum

® . Pervinca

Viola martia

|Viscuni

{Clematis

Tamus?® Bryonia

|Gossypium

Crocus Cucurbita

td è s © o

Mc Ava - GRECI

OpoBos

Buros

OfuraraSoy

Podoy Eufwpoy i i TInyayvov i ; ; EreLirpaxoo $ ; PAYOTGY OY | QuuBpa Txopodoy atgaXeyioy Kpiradiciga Tx a Opgatvoy Ovitis opem Tipn Naru Znoapey ErapoBoryey I STPINoIoe FRI I Optra e » feta Lesa Hpiyspey Kaxros | . C] °

Pupe i È

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4 Ret, Zrayxus . * Kopwvorss dla. Yovoy xepauvioy j. xpeyioy ;

yipavetov P . . . . . . .

EpmixAos, Quvpos Tidvparos avrapionias MeaMiXwros

Axarupa T; ay urea

Aquxn QNopos IN e1& Exgwa ° ° . . a Kanmaris Io Loy peday Ila | AaxQvosides Apmernos aypra ., Apamehos data K poxos

{Hex aquifolum

{Solanum nigrum

4 5 ai fe . h e : {Stachys arvensis ?

-{'Fuber cibariuma Persi

\Euphorbia Ciparissias . |Melilothus officinalis

BOTANICI Lathyrus sativust? Rubus fruticosus Rumex acutus

. . r%

. . Brassica Eruca

Ruta graveolens Holicus sorghum i Salvia officinalis uu Tregopogon pratense , et 4 porrifoliuam Di Satureia vulgaris Allium ascalonicum Hordeum distichum Scilla maritima Salvia Sclarea Origanum Opites Secale cereale Sinapis migra Sesamum orientale Sium Sisarum 2 Mentha Pulegiun

Oryza sativa Triticum Monococcum Senecio vulgaris Lavendula dentata Pi, Berberis vulgaris Pi Cynara cardanculus

Rhamnus Catarticus Spergula arvensis ?

Plantago Coronopus 14

Scorzonera picroides po Triticam Spelta spica + oblonga gracili e Thymus vulgaris “i Pers.

Trifolium pratense pa Lea mays |

Urtica urens , et dioica Ribes uva crispa Vicia sativa Verbascum Thapsus Parietaria officinalis Viburnum Lantana Convolvulus arvensis Vinca major Viola odorata Viscum album Ciematis vitalba 0 Biyonia alba ? Tamus com= munis ! ha © Gossypium herbaceum , Gossypium arboream | Crocus sativus e? Cucurbita lagenaria SA

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