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SCIENTIFICHE E LETTERARIE
PER
LA SICILIA
TOMO V.
ANNO SECONDO
(Zeviuaw frcD^taio e ll6at^o
pxUrma
DALLA TIPOGRAFIA DI FILIPPO SOLLl
l833
m'^^
EFFEMERIDI
SCIENTIFICHE E LETTERARIE
PER
LA SICILIA
gennaio 1 833
AVVISO DEI COMPILATORI
JCiccoci già pervenuti al secondo anno della no-
stra impresa: le EfI'emeridi siciliatie lian progredito,
e progrediranno sempre; percliè noi nell'immaginar-
ie e compilarle non fumino animali che dal solo
|)ensiei*o ch'elle poteano essere onorevoli alla patria,
e utili alle lettere del nostro paese. La qual cosa è
troppo polente, per le anime che plebee non sono,
onde rilrarsi possano dal cammino che hanno onora-
tamente baltulo. La molla vile dell'interesse non ha
mai mosso la nostra volontà; e noi che siamo sta|.i
lasciali a noi slessi, proseguiremo sempre più fermi
nel nostro divisamenlo, nulla curandoci del resto.
Le Effemeridi han dato gran molo agl'ingegni,
ed hanno spinto i valenti giovani , di cui è ricco
4
il iioslro paese, a calcare più volenlerosi il sentiero
ilegli stuelli, l'unico che guida alla gloria, die ronde
i piccioli superioi^^i grandi, e che ricompensa le
in^ilSlìzie della fijnuna. Tulli gli uomini saggi han
fallo plauso alla nostra impresa ; e questa è siala
e sarà sempre per noi la più generosa ricompen-
sa: poiché a non altro aspiravamo, che al compa-
timento de' buoni della nazione: questo ottenuto ,
siamo appieno conienti. Quindi vani saran sempre
gli sforzi che facciano gl'invidi e i maligni, per ar-
jcslarla e farla venir meno; onde qui solennemente
])rometliamo, ch'ella per noi non verrà meno giam-
mai , e che al contrario raddoppieremo il buon
volere, per meritare sempre più i suUVagi di colo-
ro, che, come noi, amano la patria.
Coi^liamo intanto la presente occasione, per rin-
gr;iziare tulli (juei dolli che ci hanno arricchito dei
Joro lumi, ed onorali de loro scritti: noi avremo
])er essi ognora la più viva riconoscenza; ne vi sarà
jiorsona die non paitticipi iii questo nostro senti-
mento, voggendo ch'essi |>roccurano incessantemente
a render miglioic quel Giornale consacrato a far co-
iioscere i j)rogressi della .civiltà siciliana.
rinalinente gli elogi, che si son degnati di com-
partire alle nostre EflTemeridi i più famosi Giornali
della penisola, come l'Antologia, l'Arcadico, il Li-
gustico , il Poligrafo veronese, l'Ateneo, non che
altri d'oltremonte, secondo l'avviso già ricevuto, sa-
ranno i più potenti stimoli che ricever potessimo,
onde far sempre meglio, e meritare da loro.
Ferdinando Mah'ica.
■ Prìncipe di Granatelli-
Cciv. Jnt. Di Giomrini Mira.
Memorie ineiUle deltab. Paolo BUìsamó
Memori.i V.
Gli incagli nella vendita de frulli della terra sono
stati wì altra cagione del poco progresso che ha
fatto tra noi Vagricoltura.
JCilia sembra una strana contradizione quella di
taluni politici, i quali approvano che i mercatan-
ti , gli artieri e tutti gli altri ordini de cittadi-
ni barattino e dispongano liberamente delle loro
opere d* industria, e pretendono poi che i frutti
della terra debbano a regolamenti assoggettarsi e
a restrizioni. Imperocché questi , uguabnente che
le merci di ogni maniera per le altre classi del-
lo stato , sono l'effetto del travaglio , de' capita-
li e delle speculazioni dell'agricoltore; e suoi sono
non altrimenti che la proprietà di qualsivoglia al-
tro individuo. E benché volgarmente si dicesse che
i grani , le carni, gli oli e somiglianti produzioni
della terra sieno generi di primaria necessità, e al
contrario i panni, i cuoi, i cristalli e in generale
le manifatture oggetto siano di comodo o di puro
lusso ; in seguela di che convenga abbandonar la
consunzione di questi ultimi al naturai corso del
commerzio, e sottoporre quella de' primi alla di-
rezione coattiva delle leggi e de' magistrati a ca-
gione della salvezza del popolo, die è la suprema
legge di ogni corpo [)olitico: pure questi non sono
che metafisici iàllacissiiui couccUi poco valevoli a
6
clisliuggere h sopra stabilita proposizione. Dappoi-
ché , a riguardar le cose non già in astrailo ma
quali veramente sono, appena si sa definire, ed egli
e impossibile di apporre i convenienti confini tra
il necessario e il comodo, tra l'utile e il superfluo,
per la ragione che l'uomo di questo mondo e delle
presenti generazioni , cianci pure quanto si voglia
e specoli e arzigogoli il politico e il filosofo , ha
cotanto bisogno di mangiare e di bere quanto di
abitare una conveniente casa, d'imbandire una netta
e saporita mensa, e di vestirsi in una dicevole ma-
niera. Senza di che i vincoli e gli incagli posti alla
libera vendita e circolazione de' prodotti del suolo
scorag^iscono la loro riproduzione; e così apportan-
done la scarsezza e il caro prezzo, si sperimentano
pregiudizievoli alle classi consumatrici, che per essi
ii voleva favorire. Del che piacciavi, georgofili, di
vederne stamane qualche esempio nella polizia della
Sicilia relativa al commercio int€rno delle derrate
fondiali e sopra tutto del grano, che insieme qualche
altra cagione ci scoprirà dello stalo poco prospere-
revole di nostra agricoltura.
I nostri padri, che cotanta briga si diedero per
la sicura, e facile sussistenza del popolo, hanno col
liuto dimostralo che il troppo studio e amore del-
l'ordine è soventi volte funesta cagione di disordine,
lufalli non vi è regione in Europa dove, come nel
regno «ostro, sin da lempi antichissimi si prendono
tante delicate precauzioni, e tanti sottili provvedi-
menti si facciano, perchè ciascuna popolazione del
medesimo resti ogni anno , ogni giorno , ogni ora
largamente provveduta de' necessari viveri, e a prez-
zi convenienti e discretissimi: ma al tempo sles-
so sialo non vi è Ibrse in Europa , dove 1' agri-
7
coltura cos\ languida ed imperfetta sìa , dove sia
tanto frequente il flagello della fame, e dove il pub*
blico, considerate le particolari circostanze, consumi
il grano e ie altre vettovaglie a prezzi poco natu-
rali, quanto in questa famosa e latito celebrata par
tria di Cerere. In Ingliillerra, ne' Paesi Bassi, ia
Olanda , nella maggior parte di Lombardia e ia
Toscana nessuna popolazione provvedesi separata*
mente dalle altre di annona e dì viveri; il grano,
le biade ed ogni altra produzione circola liberamente
per tutte le parti dello stato come nel recinto di
un medesimo territorio, di una medesima famiglia;
Fagricollore patifìcandosi ne' sagri drilli di proprietà
con ogni altro cittadino, vende tutto a cui vuole,
come vuole ed al prezzo cUe vuole: così colla magìa
di una pronta, rapida ed utile consumazione si vi-
vifica quivi l'agricoltore, si anima la industria e
la riproduzione ; e quindi si allontanano naturai-,
mente le carestie, e ne proviene l'abbondanza ed
il buon prezzo de' viveri , e compagna sorgere 6
trionfar si vede la ricchezza e la pubblica felicità.
[q Sicilia sperimentasi e verificasi tutto l'opposto,
e per cagioni direttamente contrarie alle surriferite.
Esaminiamone alcune e vediamone gli effetti sopra
Io stalo e gli interessi dell'agricoltura, dell'agricol-
tore, e di ogni altra classe di cittadini. Alcuni mesi
dell'anno e particolarmente in alcuni anni i magi-
strati delle rispettive comunità proibiscono l'esporta-
zione dei grani e delle altre grasce de' loro parti-
colari territori in quelli di altre comunitiì del re-
gno, primachè, come si dice e si pretende, ne fosse
ognuno fra lorosuiricicntemente ed abbondantemente
pwjvvodiito. Non è giusto e dicevole a' principii di
una provvida politica, declamano jjli ignoranti, che
8
] l'ima si provvedano tlel necessario gli al)ilanlì ilei
suolo che lo ha jìrodotlo, e poi si permeila l' esporta-
zione del soprappiù, del superlluo nelle altre popola-
zioni? Ma se tutte le popolazioni di un r^g"? wl>hidi-
scono ad un medesimo principe, sono sottoposte alle
medesime leggi, hanno tutte un medesimo comune
interesse nella prosperità dell'agricoltura e del com-
nicrzio; quale strana ed assurda polizia, distruttiva
dell'ordine e dell'armonia che deve regnare tra le
parti di un medesimo corpo politico, non è mai
quella di?*fare relativamente alla provvista dell'an-
nona e de' viveri delle popolazioni del regno tanti
stati distinti e separati in un medesimo stalo? qua-
le più assurda politica di quella di fare che alcune
comunità manchino o scarseggino di viveri, men-
tre che altre ne abbondano, quando tutte non sono
che parli di un medesimo tutto?
Il vantaggio della civil società si è quello di aju-
tarsi scambievolmente tulli i cittadini nei loro mu-
tui bisogni; donde poi risultar ne potesse una co-
mune e la maggior possibile folicilà di tulli; per
questo la comunicazione dei risp.cllivi prodotli d'in-
dustria dev'esser libera in ogni lenij)0 ed in tulle
le circostanze , perchè tulli soddisfacciano a' loro,
bisogni nella miglior possibile maniera, w La cir-
culazione o sia il commercio interno del granò e
delle altre derrate, dissero i commissari del re d'itj-
ghillerra incaricali ad esaminare lo stato dclfintcr-
no commercio della Gran Brettagna, dev'essere in
ogni parte dell'impero ed in ógni tempo liberissi-
ma: sì fitta libertà non può giammai sperimentarsi
jìregiudizievole o nociva uh a' produttori, uè a' con-
sumatori.w Ed iiifilli dicono bene quesli valenti e
giudiziosissimi polilici: cosa in elicilo aj)porta lab-
9
Loiulanza ed il buon mercato di un genere in fà-=-
vere del popolo, delle classi consumatrici? La mag-
gior concorrenza possibile de' venditori del genere
medesimo. Quando dunque circolano i viveri con
assoluta libertà , e senza queste barbare e odiose
privative, e senza queste abusive distinzioni di anni,
di luoghi e di circostanze, da una parte dello stato
all'altra, dal centro alla estremità, dalla estremità
al centro; si mette eguabilmente in pieno e rapido
movimento tutta la massa circolante, si equilibra-
no i bisogni di tutti, e i mezzi da soddisfarli, e cre-
sce il numero dei compratori con reale vantaggio
e proGtto del povero e, del consumatole. Che di-
remo poi dell'agricoltore? Sì fatto principio di odio-
so e ributtante siUpsismo , che regna nelle comu-
nità del regno, è cagione dei più rei e perniziosi
monopoli, e se ne abusano con cfliillo i grandi ed
i ])otcnli a danno dell' agricultura. Questo anno ,
questo mese non può esportarsi da tale o tale al-
tro territorio il grano, il vino, l'olio, il cacio ec.
ma l'ygricultore ha bisogno di denaro, e quindi di
vendere si fatti generi , e però non può venderli
che nel solo proprio paese a pochissime persone
ricche e benestanti, le quali possono difTcrirne la
vendita a tempi più opportuni e più confacevoU
ai loro interessi , quelle che per mancanza di con-
correnza facendo il più ingiusto monopolio, com-
prano a bassi prezzi e accrescono le loro ricchezze
colla povertà e colla miseria degli indigenti agri-
cultori. Ora è questa la via d'incoraggire, di j)ro-
muovere l'agricoltura con togliere, mediante una vi-
ziosissima polizia, il naturale e logillinio guadagrjo
all'agricoltore del suo danaro della sua fatica e della
sua iuduslria? O pure è questa la maniera di sco-
IO
ragghia e di ritardarne o ItnpeJirne ì progrossi ?
Ma qui^slo no» è il tutto. Quasi ogni anno la più
parte elei cullivalori di questo regno sono obligati
di dare la terza parte o h presso dei loro grani
alle comunità dei loro rispettivi territori, per ser-
vigio e provvista di quelle popolazioni, ed al prez-
zo medio delle vendite di questa preziosa derrata
in quindici giorni dal principio della nuova indi-
zione. E questo a disegno che cosi ogni popolazio-
ne rosli provvista tutto l'anno, ed a prezzi giusti
e plausibili, del necessario alla sua sussistenza....
Ma dilatù si provvedono con esse con questo si-
stema tulle le comunità del regno? Negli anni di
baon raccolto, ne' quali tutti privatamente paniz-
zano, e ne' quali torna poco conto il vendere i grani
delle terze parli a profitto degli amministratori, sì:
ma negli anni di poco felice raccolto, ne' quali i
prezzi della piazza sono assai più alti di quelli delle
terze parti, allora ciò noti si verifica. E per una
prova dol mio assunto ramuieiitatevi, signori, del
(54, 85, e d 'I 92, ne' quali con tutta questa spe-
ciosa e bizzarra polizia delle terze parli pochissime
comuiiitù di questo regno o nessuna si ritrovarono
provviste del necessario grano. In nessun paese del
mondo vi è un cotale o simile sistema di pubblica
annoni; in In2;liillerra , in Olanda, in Francia e
quasi in tutta Tllalia il solo libero e naturai corso
delle cose e del comnercio reputasi suHìciente per
assicurare la sussistenza del popolo, ed ivi abbon-
dano da perlulto i grani, il pane e gli altri viveri;
e l'islesso pu;» dirsi del nostro Valdemone, che non
coiiosceiidu terze parti, dà scnipre meno imbirazzo
al governo per Y annona che le altre due valli ,
UOH ofiliiitc che queste producessero assai più grano.
1 1
Ma il male, si dice, è nell'abuso e nelle ribalderie
degli amministratori; punite questi, impiccategli an-
che per la gola, se bisogna, per loro fare il dovere,
e vedrete che le terze parti avranno pienamente il
salutevole efTetto, al quale sono esse destinale, cioè
di assicurare l' annona alle rispettive popolazioni.
Ma quando agli uomini si offrono delle tentazioni
alle quali ne 1 sangue , ne la carne sa resistere ;
potete voi punirli e raffrenarli dal delitto co' più se-
veri supplizii? Provale, se mai potete, d'impedire i
contrabbandi, che sono utilissimi ai contrabandieri,
con le pene le più severe; e vedrete che tutto è inva-
no, tutto è inutile. In Venezia la forca è il castigo con-
tro i contrabbandi del tabacco; frattanto vi si fanno i
contrabbandi del tabacco più che in qualunque altro
paese: ed in Palermo non cesserebbero i contrabban-
di dell'olio con un dazio di 87 tari a cantaro, ancorché
s'infli gesserò a' contrabandieri di questo genere sup-
plizipiù severi di quelli che seppe inventare il più
barbaro tiranno di Siracusa o di Agrigento. In a-
stratlo è facile il dire: fate che giurati non rubino
nelle terze parti; ma in pratica fallisce ogni misura
a ciò diretta, quante volle uno spiantato o povero
ciabattino, sarto o cittadino di una terra (del quale
ordine di persone si fanno i giurati delle nostre ter-
re) può fare in un anno cogli imbrogli e le rube-
rie delle terze parti venti o trenta onze.
Ma almeno , si replicherà , colle terze parti il
popolo ordinariamente mangia il pane più a buon
mercato. Nò , tulio il contrario: in Palermo , in
cui tanto si grida contro la libertà della pauizza-
zione, il pane, considerando e quantità e qualità,
è assai più a buon mercato che in quelle popola-
zioni del regno che hanno le terze parti per la loro
12
piovvigionc; non oslante tlie lo spese del traspoilo
rincarassero non poco il prezzo iialurale de fruiuenti.
Né può essere altramente. Imperoccliè il ricco ed
il beneslanle dà per terze parti il grano che non
vale la metà di quello che è stato tassato dal ma-
gistrato; ed il povero agricoltore dà il buon grano,
perchè questo sia venduto a profitto di quelli che
non hanno speso e travagliato per raccoglierlo , i
quali invece di quello ne sostituiscono dell'altro assai
pili vile e d' inferior qualità sempre a danno del
pubblico. Nò queste, georgofili, sono mie pure e
semplici declamazioni, poiché il iìuto ne dimostra
le verità: non è infilili il pane delle nostre terre
e città provinciali pessimo, ed appena buono per
mangiarlo i cani, non che gli abitatori fortunati di
questo fertilissimo terreno?
Così il pubblico resta mal provvisto, il povero
aeluso ed oppresso per mezzo delle terze parti, nel
temiìo che per esse ne soffre crudelmente l'agricol-
tore e l'aoricoltura, sorgente di ogni ricchezza e di
ogtù abbondanza. Quale scoraggimento pel coltiva-
tore il vedersi tolta la proprietà d'una parte con-
siderabile delle sue produzioni, frutto della sua in-,
dustria e de' suoi sudori , e vederla passare nelle
mani di persone che spesso ne fanno il più sacri-
lego abuso! Quale il vedersene pagato il prezzo spes-
so arbitrariamenfe , ed a quel tempo che delta il
capriccio o il privalo interesse ! Quale il vederlo
ora rifiutato in tutto, ora in parte, dopo che il
cultivalore è stato obbligato a tenerlo ozioso nei
suoi granai in mezzo al bisogno e talvolta in seno
alla miseria! Si può aver così forze, coraggio, in-
dustria per ben coltivare? Bisogna esser coltivatore
per intenderlo
£sSfS
Sul rapporto dei sig. barone Bìvon a Bernardi,
e C(u>. Dr. D. Mariano^ Dominici intorno
alla maniera d^ bruciare lo zolfo senza recar
pregiudizio ai vegetabili^ ed agli animali^ in-
serito nel giornale di Palermo La Cerere a. aoa.
o*
in diligendo le mie occupazioni nel conslruire una
inaccliiiia da bruciar zollò senza turno apiiaiente ,
lio credulo rinvenire un mezzo opporlunissinio, onde
togliere, in simili operazioni, ogni ancora minimo
nocumento, alla publica salute, non che alla fecon-
dila dei camjii alle zolline vicini. Indicibile fu la
soddisliizioue clic io mi ebbi allorché vidi per [>a-
rccchi mesi e con successo posto in uso il risii! la-
mento delle mie faliclie nei Valli di Caltunisselta,
e di Girgenli; nò essa per certo sarebbe potuta ve-
nir meno , se strunieia culpa , non me ne avesse
jiri'vnlo.
Ciò non pertanto rimasi coalenlo con me rae-
tlesimo di aver dato nel segno; b tenni per fermo
non doversi a mia imjìerizia attribuire il crollo delle
tre macchiiHJ da me uè' mentovati valli conslruite.
Fu circa la metà del settembre ullimo che nel
giornale la Cerere si (è di pubblica ragione per li
«ignori Bivona, e Dominici lo arrovesciamento in-
tlicato: wjSè pulea, dicevano essi, accadere diver-
sametile, consisleiido le predette macchine in una
<:alcara coperta di una cuj>ola, che per un camnji-
jiello mandava i piodotli della combustione dello
xolfo in una vasca di acqua, non assorbendo l'ac-
i]ua il gas atiùc^soliòroso.che nella fjuanlità, secondo
,4
Dallon, di circa venti volle il suo volume, e, fe-
condo Thomson , di un undicesimo del suo peso,
era giuoco forza che saturata l'acqua di gas, esso
retrocedesse ed accumulato facesse scoppiare il for-*
nello, e la volta. » Così eglino^sì generalmente ra-
gionando, rivolgono verso me una colpa non mia,
come quegli che malamente regolare ha saputo la
debita proporzione tra l'acqua, ed il gas acido sol-
foroso.
]Vegare io non saprei aver ciò concorso allo in-
conveniente ch'ebbe luogo, ma il tutto essi non si
dicono, forse mal conoscendo quanto fos.se mai sul-
l'assunto avvenuto. Imperocché ella è verità incon-
testabile, che quelle macchine per lo spazio di più
mesi hanno bruciato senza che quel gas accumulato
si fosse in guisa tale da recar daiino ai fornelli; e
mettendo dallVn de' lati le tante prove, che io po-
trei qui addurre, onde mostrare la veridicità di quel
ch'io mi dico, di gran peso è il rapporto dell' in-
tegro Intendente del Valle di Girgenti diretto al
Goveruo, dietro essersi egli medesimo trasferito nei
siti opportuni , ed accertatosi del tutto , onde da
questo conseguirsi il permesso di bruciar zolfi nelle
predette mie macchine, il che venne a 17 agosto
del 1829 benignamente accordato. — Bruciarono
dunque per lungo tempo tai macchine ; laonde i
due suddetti signori dovrebbero con buona lor pace
confessare non aver io commesso errore veruno nel
calcolare la proporzione tra l'acqua, ed il gas; nel
che fare le orme calcai del Dalton, e del Thomson.
Che se poi il chiarissimo naturalista ed il me-
dico valente avessero letto la memoria da me pre-
sentata in un col disegno, e col modello della mac-
f Jiiiaa , dimandando il brevetto di privativa , alla
15
ieal Camera Commerciale ài Palermo nel febbrajo
del 1825, che rapportò favorevolmente, rimasi sa-
rebbono convinti , che simili lavori non accusano
Vautore di poca intelligenza in teoria, uè tampoco
in pratica. Dappoiché in tal mcnioiia i vantaggi
descrivonsi che il fumo produce nello interno delle
macchine, il quale, deposto nelle aeque, somministra
Taciclo solforoso, da cui di leggieri l'olio di vitriolo
ricavasi; fior di zolfo in abbondanza raccogliesi, il
più perfetto del quale incrosta nelle pareti interiori,
e tante altre utilità eh' io per non esser lungo qn»
non annovero.
Inoltre se avessero i mentovati signori fatta una
disamina più accurata intorno a quel che si appon-
gano, nou avrebbero incolpalo l'artefice, non atreb-
bero condannato le njacchine senza prima vederle;
ed in vero se queste per più tempo bruciarono, se
da ciò seguirono bendici eflelli, se il disegno, ed
il mmlelto trovansi a norma de' principii dcLl'aiie,
e percliè non cercare altrove la cagion \era , e4
unica del loro scoppiameli to? Ne durerà loro gran
fatica a rinvenirla se vogliono con meco riflettere,
che i proprietarii delle zolfare delle grotte nel val-
le di Girgenti , non che di quelle di s. Cataldo
nel valle di Caltauissetta , abbandonairono i già
completi , e da più tempo brucianti fornelli , alla
incuria dei lavoratori, ì quali o per dappocaggine,
o per altro qua! siasi motivo, fusero lo zolfo la-
sciando quelle vasche interne del tutto prive di
acqua; dal che risultò che quel gas, non essendo,
sieeome per lo innanzi, assorbito dalle acque , §è*
crollare porzione delle volte, ma non com' essi as-
seriscono , fabbriche , 9 fomelU\ dimodoché se 1
xolfarai lavoranti, /eome Éitto avevano per lo tensk*
i6 .
pò clie quelle macchine eransi sostenute , Versata
avessero 1' acqua necessaria nei recipienti, ciò non
avrebbe successo; ne quc' signori avrebbero avuto
motivo d'imputare al macchinista il eh litio di quel-
li. E tanto è vero che ninno esame precesse il rap-
porto del Bivona, e del Dominici; motivo che attri-
buirono gratuitamente al gas acido solforoso il totale
rovesciamento delle macchine, senza por mente che
l'acquj piovana vi ebbe parte oltre modo; percioc-
ché non essendo slate queste costruite se non se per
dare un saggio, onde così appagare la curiosità di
quei proprietarii, la fabbrica non fu che di gesso,
serbando ad altra epoca, cioè dopo ottenuta la pri-
vativa, il farla più solida e ben lutata internamente
di argilla , in simile circostanza più acconcia del
piombo, ed il formare di argilla colta i fornelli al
par delle ordinarie fornaci. Unica adunque fu la ra-
gione di cotale disordine quella cioè del gas noa
assorbito, locchc non è da attribuirsi a dilètto di
costruzione nei fornelli, o nelle macchine, ma agli
zolfarai solamente.
Oh quanto meglio riuscito sarebbe ai miei op-
positori accogliere la mia invenzione, modificarla,
s'era d'uopo perfezionarla, anziché metterla in bando,
ed immaginare un novello processo non verificalo,
non facile, se mal non mi avviso, ad eseguirsi, non
di risparmio , non semplice come il mio. Di più
richiede esso l'assistenza indefessa non d'imperito,
e rozzo zolfararo, ma di chimici, di fisici, di va-
lorossimi mineralogisti, giacche come ad ogni tratto
di sulfurea terra cangia il zolfo di natura, cosinoli
VI abbisognerebbero se non questi per analizzare un
tal minerale, e stabilire la proporzione tra il nitro,
ed il zollò che bruciare si deve. Né giova il dife
1 '^.
che i zolfail con progresso eli tempo ponno rendersi
esperti: cfapoicliè iufinili si sono i cambiamenti del
minerale negli strali profondi delle miniere; ed ìq
elìciti l'ho io con piacere osservato nella medesima
zolfara cangiar qualità, colore, prodotto, giacitura;
or come infondere nei corti inlendimenti, di simili
zolfarai conoscenze che agli scienziati si apparten-
gono?
In ultimo, dicendo essi «di restare i fornelli ad
un di[)resso come sono attualmente» e volendoli
tutti porre sotto una grande volta di piombo a me
sembra esser loro intenzione adattare tale processo
a tutte le zolfatare geneialment3; ma questo "jensic-
ro per quanto buono si sia nella teoria non darà per
certo nella pratica dei lelici risullamenli. La lunga
esj)ericnza da me acquistata nelle zolfare di Som-
matino di proprietà di S. E. il sig. Principe di Tra-
bia, cui ho Toner di servire da architetto ed am-
ministratore , e dal quale circa queste materie ho
attinto dei lumi, m'insegna, che le calcare in tutte
le zolfare di Sieilia tracciano una linea retta, com-
posta di circa ventiquattro di esse l'una a l'altra
legata, ed avente il diametro di palmi sette, e mezzo,
occupano però a poco presso centosessantotto pal-
mi di longitudine per quasi palmi dieci di larghez-
za, le quali linee possono essere molte, e costruite
in ogni imboccalura di miniera della stessa zolfara, e
comporre si fattamente un gran numero di calcare
a seconda la ricchezza di questa. Or come polreb-
besi coprire tanta coj)ia di linee di calcare con una
grande volta unicamente; e questa di piombo? E
se per jioco «>i volessero dividere tuli calcare, e fare
ad ognuna di esse una volta di lastra di piombo^
e la camera, come trovare iu qui zolfureie monti
2
i8
tanto spazio tli terra quanto sarebbe di tncslicrl alla
base di quattrocento calcare? Laonde e forza che
io concluda, ammessa anche la malagevole esecu-
zione di questo processo, non potere in veruu modo
i fornelli restare ad un di presso come sona at-
tuai/}/eri te.
E più non intertenendoml nel processo dei so-
pracitali signori, passo ad avvertire, che l'uso dei
fornelli a mia foggia è olire misura necessario nelle
j)icciole zolfi! re, od in quelle prossime ai comuni,
e a coltivali terreni, delle quali il Governo inter-
dice TaUivilà, molto più che possono con tal mezzo
i propriclarii di esse tirarne degl'immensi profitti,
equivalendo, per ragion di esempio, dieci chiusi for-
nelli nel prodollo a pressoché quattro calcare ad
aria libera, bruciando queste con maggiore celerilà,
ma nei primi non vassi.soggelto, siccome nelle se-
conde, al mollo dissipamento del minerale, Feden-
dolo la pioggia ed il vento quasi del tulio in forma
gasosa, e talora osservt^si nel fondo di certune calca-
le un corpo estraneo sottilissimo , perchè lo zolfo
è slato divorato dalle fiamme e dal fumo.
Per le zolfare poi presso i fiumi, o i mari, col-
locale in modo che i venti trasportando il fumo
dalle calcare, e depositando in tal guisa il gas acido
solforoso su quelle acque lo rendono innocuo ai ve-
getabili ed agli animali ben anco , 1' uso del mio
ritrovato non è allora della più grande necessità.
Altro scopo non ho io avuto nel vergare queste
poche pagine se non se rendere il pubblico con-
sapevole della verità dei falli, afliuchè esso la faccia
da giudice, e imparzialmente decida.
Jrchiteito Filippo Volpes.
19
Sulla teoria della gravitazione universale, e sulla
teorica delle scienze — Memorie del prof. A-
GATJNO LoNGO di Catania. — Catania dalla li-
tografia Sciutiaua i832.
jtIl due modi si viene in fama in questo mondo
o col far cose grandi, o col dislruggcie grandi cose.
Questa seconda specie di gloria è quella a cui a-
spirano lutti i novatori in fatto di scienze , e di
lettere ; i quali nulla potendo produrre di grande
da loro stessi, e non sapendo risolversi a lacere ,
che pur qualche fiata è il partito piùi generoso, in-
tendono l'animo a screditare i sommi uomini. Per
avventura potrebbe a taluno sembrare essersi di que-
sta specie di gloria invaghito il nostro professor di
Catania giacche nelle memorie qui sopra annunziate
fa tutti i suoi sforzi per gettare a terra niente me-
no che la più grande delle creazioni d'ingegno di cui
SI onorano i nostri tempi, voglio dire la teoria della
gravitazione universale.
Ne si creda che ei vada al suo scopo per via
di leulalivi, che anzi è tanlo compreso della ve-
rità del suo intendimento, che non esita a grida-
re apertamente la croce addosso a Newton, a la
Place, a Piazzi, ed a tutti i filosofi atlrazionisti.
Dice che » la teoria dtll' attrazione è una ipote-
si, la quale ha arrestato i progressi dell' astrono-
mia teorica , ed ha introdotto molti fiLsi risultati
nei calcoli astronomici(i) che ha rendulo f astro-
CO Pag. ra.
30
iiumia fìsica un romanzo assurdo , e degno del
la riprovazione, del filosofo , e di ogni uomo di
sano intendiinenlo(i) — che lo spirito umano tanto
in ottica, che in astronomia è stalo da Newton ar-
restalo nei suoi progressi (2) — che la meccanica
celeste di la Place è un emporio de' piìi strani pa-
iadossi(3) — che è una scienza immaginaria , una
scienza diametralmente opposta ai concetti più veri
ddla materia, alle verità più incontrastabili della
meccaiiicM razionale, alle leggi più rigorose del ra-
ziocinio (4) — che lo spirito dell'ipotesi ha traviato
la niente altissiina di la Place, e l' ha circondata
di tenebre le più folte(5) — die invano i Newto-
niani noi confessare la propria ignoranza ne incol-
jiano la sfera troj)po limitala dello spirito umano,
e questa una specie d'ipocrisia filosofica (()) — che
è da compiangere la disgrazia delle scienze , che
hanno avulo un la Place, non per far progredire
le verità fisiche, ed intelleltnaii, ma per involgerle
in ragionamenti falsi, ed in calcoli che nulla han
di sublime fuorché il meccanismo della lor costru-
zione, e l'algoritmo inintelligibile con cui sono scrit-
ti (-y) — e linólmente esclama w dimenticate le opere
di Newton, di la Place, di Fourcroy, di Davy,
di Berthollet, di Poisson , di Biot se amate rin-
novellare il vostro intelletto , e fissarlo tutto solo
alla contemplazione della verità (8). 53
Un tal modo di esprimersi parlando di uomini
sommi dovrebbe muover davvero o ad altissimo
sdegno, o alle risa. Ma il Longo non dice tutto que-
sto per sentimento di bassa invidia; ci sembra com-
preso dell'idea di essere stato destinalo a sgombrare
(r) Pag. 58. (2) Paj;. /,i. (3) P.»?. 56. (i) Pjg. 80 (i.) fng. 3a.
(6) Pag. 23. (7) i'..g. 6G. C8) Pai;. i>,j.
21
le lencbiT dell'errore, a bandire la verità; quindi
si è clic invasato della gloria di questa specie di
apostolato scientifico si crede superiore ad ogni u-
mano rispetto , e delle ingiurie scagliale contro i
sommi uomini ae dà gloria a Dio. Egli dunque
è di buona fede; merita di esser disingannato, teu-
tiamolo.
L'A. ammette le tre leggi di Keplero, cioè che
nei movimenti planetari i° le aree sono proporzio-
nali ai tempi 2° che i pianeti descrivono una el-
lisse attorno al sole collocato in uno dei fuochi 3"
che i quadrati dei tempi delle loro rivoluzioni pe-
riodiche sono proporzionali ai cubi dogli assi mag-
giori delle ellissi. Ma egli poco accortamente pro-
cede a questa concessione, imperciocché se si am-
mettono le leggi di Keplero (e come non ammet-
terle?) subito con ragionamenti semplicissimi se ne
deduce il grari principio della teoria Newtoniana
cioè che w le molecole tutte della miterla recipro-
camente si attraggono in ragion diretta delle masse;
ed inversa del quadrato delle distanze. w
Dapprima se le aree sono proporzionali ai tem-
pi nei movimenti planetari, è duopo conchiudere
che la forza, che muove i pianeti, è diretta verso
il Sole. Ecco come ragiona la Place per dimostra-
re questa proposizione 53 Se la curva è descritta ia
virtù di una forza diretta verso un punto fisso, si
può decomporre questa forza in due, l'una giusta
la direzione del raggio osculatore , 1' altra secon-
do l'elemento di questa curva. La prima fa equi-
librio alla forza centrifuga, la seconda aumenta, o
diminuisce la velocità del corpo; questa velocità è
dunque continuamente variabile. Ma ella è sempre
tale che le aree descritte dal raggio vettore attor-
22
HO all'origine della foiza sono proporzionali ai tem-
pi, recipiocanieiite se le arce tracciate dal raggio
vettore attorno ad un punto fisso crescano come i
tempi, la forza che li fa descrivere e certamente
diretta verso quel punto. Questa proposizione fon-
damentale della teoria del sistema del mondo si di-
mostra facilmente nel modo seguente. La forza
acceleratrice può supporsi agire al principio di ogni
istante durante il quale il movimento del corpo è
uniforme; il raggio vettore descrive allora un pic-
colo triangolo. Se la forza cessasse di agire nello
istante seguente , il raggio vettore traccerebbe in
questo istante novello un nuovo triangolo uguale al
primo, perchè questi due triangoli avendo il ver-
tice al punto fisso origine della forza; le loro basi
situate sopra una stessa retta sarebbero uguali come
descritte colla stessa velocità, ed in istanti che noi
su-ppongliiamo uguali. Ma al principio del novello
istante la forza acceleratrice si combina colla forza
tangenziale del corpo, e fa descriveie la diagonale
del parallelogrammo, i cui lati rappresentano que-
ste forze. Il triangolo che il raggio vettore descri-
ve in virtù di questa Ibiza combinala è uguale a
quello ch'esso avrebbe descritto senza l'azione della
forza acceleratrice; [)erchè questi due triangoli hau
per, base comune il raggio vettore della fine dei
primo istante: ed i loro vertici sono io una retta
jìarallela a questa base; l'aera tracciata dal raggio
vetture è dunque ugnale in due istanti consecutivi
uguali , ed in conseguenza il settore descritto da
quet.10 raggio cresce come il numero di questi i-
slanti , o come il tem[)o. È visibile che ciò non
ha luogo se non perchè la forza acceleratrice è di-
retta verso il punto fisso; altrimenti i triangoli che
23
vengliiain di considerare non avrebbero la slessa
altezza. Quindi la proporzionalità delle aree ai tem-
pi dimostra che la forza accelcralrice è costante-
mente diretta verso l'origine del raggio vettore(i).ij
Dunque è d'uopo conchiudcre che il professor di
Catania si dà egli stesso a due mani la zappa in
sui piedi; perchè dalla legge, che egli ammette,
della proporzionalità delle aree ai tempi ne risulta
per un ragionamento, che va certamente nella sua
classe prediletta dei ragionamenti a priorì{o)^ che
la forza la quale ritiene i pianeti nelle loro orbile
è diretta verso il Sole. Se poi quel ragionamento
più chiaro della luce del giorno sembrasse al Lon-
go un algoritmo inintelligibile dì Laplace, suo dan-
no , non abbiam che fargli ; però siam certi che
per questo niuno sarà tentato di tacciar Laplace di
stravaganza
La legge della ragione inversa dei quadrati delle
distanze è una conseguenza semplicissima della se-
conda legge di Keplero cioè della ellil licita delle
orbite planetarie. Vero è che questa ellitticità noti
è rigorosa, o almeno non si è ancora dimostrata tale;
(i) Exposilion du sysleme du mond. 3e. editton pag. i5t i52.
(2) Per quanto ci sembra il ragionamento a priori è 1' idolo
vagheggiato sempre dal sig. Longo nelle sue produzioni; ei spesse
Iiatc Io i-accomirida, come l'unico mezzo per giungere a risulta-
menti cerli nelle scienze naturali. Non possiamo dissimulare che
in questo s:am di un avviso totalmente contrario al suo. Per ra-
gionare a priori bisogna partire da piincipii razionali cerli in-
dipcndenu dalle osservazioni, e dai f,.iti; or se nelle scienze na-
turali SI lascian da parte le osservazioni; ed i fatti si corre a bri-
glia sciolta verso gli spazii immaginaria Giacché non conosciamo
e non potremo giammai conoscere l'essenza delle cose, ragionia-
mo sempre a posteriori nelle scienze naturali. E se gilminai fos-
simo tentati a contrarre in questi studii rahiluJine del ragiona-
nipitto a priori ne saremmo certamente distolti dall' osservare il
lacrimevole guasto , che questa sciagurata abltud.iic ha prodotto
nella mcnic del s,g. Lon-o, di cui per altro 1 talculi, e lo co-ni-
zioiu nm M jmo negare andar oltre al mediocre. °
ma seirlianio Laplace stesso rispondere a questa dlOTi-
collà. wGli errori di cui sono suscettibili lo osserva-
zioni, e le piccole alterazioni del movimento ellit-
tico dei pianeti lasciando un poco d'incertezza sui
risultati che abbiam tratto dalle leggi di questo mo-
vimento, si può dubitare che la gravitazione solare
non diminuisca esattamente in ragione inversa del
quadrato delle disianze. Ma se si allontanasse al-
cun poco da questa legge , la differeuza sarebbe
sensibilissima nei movimenti dei perieli! delle or-
bite planetarie. 11 perdio dell'orbita terrestre avreb-
be un movimento annuo di 200» se si aumentasse
soltanto di un diecimillesimo la potenza della di-
stanza alla quale l'attrazione solare è reciprocamen-
te proporzionale; or questo movimento non è che
di 36, 4 "giusta le osservazioni, e ne vedremo ap-
presso la causa; la legge della gravitazione recipro-
ca al quadrato delle distanze è dunque per lo meno
estremamente approssimata, e la sua gran sempli-
cità deve farla ammettere sinché le osservazioni non
ci forzeranno ad abbandonarla. Senza dubbio non
bisogna misurare la semplicità delle leggi della na-
tura dalla nostra facilità a concej)iile, ma qu:indo
quelle che ci sembrano le jnù semplici si accorda-
Lo perfettamente con tutti i fenomeni , noi siamo
autorizzati a riguardarle come rigorose (i). «
Finalmente la j>roporzionalilà dell'attrazione alle
masse si deriva ancora con un ragionamento sempli-
cissimo dalla terza legge di Keplero. Imperciocché se
i quadrali dei tempi delle rivoluzioni sono propor-
zionali ai cubi degli assi maggiori delle ellissi , si
dimostra che ove i piatieli fossero ad ugual disian-
za dal Sole, l'attrazione agirebbe ugualmente sopra
(1) Oj). Cit. pag. 187 188.
25
ognuno di loro, e ila ciò è facile dedurre clic l'at-
trazione opera ugualraerilu sopra ogni molecola della
materia, vai quanto a dire che è proporzionale alle
masse; perchè se così non fosse i pianeti aiulie ad
ugual distanza avendo masse diverse si muovereb-
bero diversamente.
Dunque, replicliiamolo, se si ammettono le leggi
di Keplero, ed il Longo le ammette, bisogna es-
sere non scettico, non pirronista, non anti-newto-
niano, ma privo di senso comune per non ammet-
tere il principio della gravitazione universale, che
spontaneo da quelle leggi deiiva.
"Questo principio non è una semplice ipolesi (è
Laplace che parla(i), che soddisfi» a fenomeni su-
scettibili di essere spiegati altrimenti come si sod-
disfa in diverse guise alle equazioni di un proble-
ma indeterminato. Qui il problema è determinato
dalle leggi osservale nei movimenti celesti di cui
questo principio e un risultato necessaiio. La gra-
vitazione dei pianeti verso il Sole è dimostrata dalla
legge delle aree proporzionali ai tempi; la sua di-
iiìinuzionc in ragione inversa del quadrato delle di-
stanze è provata dalla ellitticilà delle orbite pla-
netarie, e la legge dei quadrati dei temj)i delle ri-
voluzioni proporzionali ai cubi dei grandi assi mo-
stra evidentemente che l'alliazione solare agirebbe
Ugualmente su tulli i pianeti su[>posti alla slessa
distanza dal Sole , ed i di cui pesi sarebbero in
conseguenza proporzionali alle masse. L'ugualtà del-
l'azione alla reazione fa vedere che il Sole pesa a
vicenda verso i pianeti proporzionalmente alle loio
masse divise pei quadrali delle loro distanze a que-
(i) 1, tanta la foiz^ tti razioeiiro clie si trova nelle oprre di
Laplace, clic spessii per rispondere a clii I' attacca basta parlate
le sue parole iiictlesiuie.
25
sl'aslro. I movimenti dei satelliti ci provano che essi
pesano vicondevolmente vciso il Sole, e verso i loro
pianeti, che pesano reci[)roca mente su di essi; di-
modocchè esiste fra tutti i corpi del sistema solare
una mutua attrazione proporxionàle alle mosse, e
reciproca ai quadrati delle distanze. Finalmente la
loro Ij5»ura sferica, ed i fonoineni dell'attrazione alla
superficie delia terra non lasciano alcun dubjjio che
questa attrazione non ap[)artenga solamente a que-
sti corpi considerali in massa, ma che essa h pro-
pria a ciascuna delle loro moIecole(i).w
Or cosa dice il professor di Catania per distrug-
gere un sistema colanto ragionato? Prima di tutto
dice che non si può dimostrare, che l'attrazione agi-
sca in ragion diretta delle masse, perchè il razio-
cinio che conduce a questa proposizione si appog-
gia ad un'ipotesi, e se egli rigetta l'ipotesi, il che
j)uò fare impunemente, sarà anli-newtoniano ^ ma
noìi sarà né anti- meccanico^ né anti matematico.
Però noi avendo dimostrato che questa proposizio-
ne proviene direttamente dalla terza legge di Ke-
plero, la quale non è una ipotesi, ma un fatto, sia-
mo autorizzati a conchiudere che il signor Longo
se si ostina a non riconoscerla è non solo antinew-
toniano; ma anti-meccaiiico, ed anti-matemalico.
Ei sostiene poscia che la legge della ragione in-
versa del quadralo delle distanze non è esatta per-
chè dipende dalh ellilticità delle orbite, la quale non
è tuttora perfcllaniente conosciuta. Abbiamo già ve-
duto come si risponde a questa diUicoltà, ma il sig.
Longo vi annette una ben lunga dimostrazione (alme-
no egli la crede tale) teiidentea provare che l'allrazio-
110 non è un piiucipio a priori. Qui ci fa d'uopo con-
(.) Op. cit pig. 3-;i, 379.
27
fessale la nostra insufficienza. Che cosa intende mai
il nostro professore per principio a prìori? Intende
forse un principio razionale che risulti da falli certi?
Ma allora l'attrazione sarebbe un principio a priori.
Intende forse un principio isolato, che non risulta
da alcun fatto, e che sta appoggiato alle sole leggi
del raziocinio? Ma allora come mai l'attrazione può
essere un j)rincipio a priori? Le leggi della natura
sono state forse stabilite da noi? Cosa dunque no i
possiam fare? Conoscere soltanto il modo coinè esse
operano, e non altro; e sarebbe follia il perder tem-
po, e fatica a voler rintracciare la natura, e l'ori-
guie delle forze, che sono da queste leggi regolate.
Wc Newton, ne la Place tentaron mai questa stolta
infra-presa. Qua causa efficiente, scrisse il Newton,
hae aitractiones peragantur in id vero hic non in-
quiro. Quain ego atiractionein appello fieri sane
potesi ut ea ejjiciatur impulsu vel alio aìicpio mo-
do nobis ignoto. Hanc vocein attractionis ita hic
accipi velini, ut in universum sohimmodo vini a-
lirpuun significare intelligatur, cpia corpora ad se
mutuo tendant cuicumque demumcausae atlrihuen-
da su dia vis. Nani ex phenomenis naturae illud
nospnus edoctos oportet, cpiaenam corpora se invì-
cem atlrahaiit, et quaenam sint leges, et proprie-
tates istius attractionis, quam in id inquirere par-
su quanam effiiciente causa peragatur attractio(i).
>^ Noi chiameremo, scrisse Laplace, questa gra-
wvitazione attrazione solare; perchè senza conoscerne
>3 la causa, possiamo per uno di qnei concelti, di
»cui 1 geometri fanno sovente uso, supporre que-
wsta forza prodotta da un potere attrattivo che ri-
>:> siede nel sole (2).»
(0 Oplic. lib. 3. Quist. 3i in ,,r. (.)- Op. cit. pg. ,87.
28
Neuwlon dunque, e Laplace, ed i loro seguaci
si sono iìmilati a studiare le It-'ggi cou lo quali ope-
ra questa altiazione; hau tralasciato ci' ii;tiagare (e
come lo avrebber potuto?) la natura di questa turza.
Che perciò? Hanno essi f.itlo poco? il loro concc-
piuiento merita forse per questo di essere dileggia-
to? Dunque, esclama il Longo, i Newtoniani non
sanno se l'attrazione sia veramente atlraoione, o sia
conseguenza di un impulso primitivo. |Ebbene i
Newtoniani noi sanno, ma il professor di Catania
lo sa egli? E se lo sa, lo dica, lo provi, E se lo
prova lo ammireremo quanto Newton, quanto La-
place, e forse più, ma non per questo Ne^vlon, e
Laplace cesseranno giammai d'esser grandissimi.
Passa il nostro A. a parlar delle masse dei pia-
neti; dice che il modo con cui esse sono state cal-
colate da Laplace è arbitrario , ed ipotetico ; che
la massa della luna determinata a priori e — di
. . . ^9
quella della terra, e ci (a avvertiti che egli ha tro-
vato col calcolo che vi bisognano in volume poco
più di diciolto lune per aversi un peso eguale a quel-
lo del globo terrestre. Quindi soggiunge un quadro
delle masse, dei volumi, e delle densità della luna,
di Venere, e di Mercurio da lui calcolate, e che
molto si scostano dai lisultameiiti ottenuti da La-
jilace. Qui però siamo nella impotenza di rispon-
dere; l'A. ci dà i risultati, ma non i principii dai
quali questi risultamenti provengono; promette di
esporli nella sua memoria sull'Astronomia. Quando
avremo letto questa memoria domanderemo poscia
al sig. Longo come si determini a priori la massa
della luna, come nella tnisura della ugualtà del peso
possa entrare la considerazione del i'olume ; e ve-
dremo allora la serie dei ruziocinii puri, clic ì'hàu-
no condotto ai rlsultamcnti espostici in qucsla pai te
della sua memoria.
Laplace per dimostrare la generalità , e quindi
la somma j)ro])aljilità del sisleuìa newtoniano, pa-
ragona la forza che fa cader i gravi alla superficie
della terra colla forza che fa muovere la luna nella
orbita sua, e ne dimostra l'identità. Secondo i suoi
calcoli lo spazio che percorrebbe la luna in un se-
condo cadendo in virli!i della fòrza che la fa muo-
* 111
vere nell'orbita sua sarebbe di o,ooioo546, nsen-
tre lo spazio che la luna percorrebbe nello sles-
so tetiipo in foiza della gravità terrestre sarebbe
0,00100^73. Dalla pochissima differenza di que-
sti numeri si può faciliiicnle conchiudere che la luna
jiercoire la sua orbita in (òrza^ddla allrazlone che su
di essa esercita il nostro pianeta. INJa nel ca'colo di
J^apiace entra per elemento la massa della luna che
p\[ ritiene come uguale ad -7——= di qudla della
terra; Bissel però ha trovalo questa massa uguale
ad - y di quella della terra Qui sì che il pro-
fessor di Catania compreso di gioja esclama w can-
» gialo il rapporto cangia il risultato, Bcssel dun-
w que dislrude Laplace, e Newton è latto in 'brani
» dai suoi slessi discepoli. Omne rcgnuni i/i se di-
y> vissiiin desolahitur.^i
Or vedi dove si è lasciato trascinare il sig. Longo
dalla ostinazione a voler tutto mettere a soqquadro!
Certo egli qui parlò alla cieca, e non rifece il cal-
colo secondo gli elementi novelli somministrati dal
Bcssel ; [lorchè se lo avesse fatto avrebbe veduto
; clie coiiiuiHjuc s'introduca nel calcolo il novello va-
3o
loie della massa lunare il risultato non cangia per
questo, e Newton, e Laplace restano ancor sani,
e salvi(i).
Del resto il professor di Catania non sa persua-
dersi w come gli Asfionomi non si sono accorti non
stessere paragonabile la luna che corre la sua or-
bila , e la pietra che cade liberamente dall' allo,
wll primo corpo è animato dalla forza tangenziale,
we quindi dalla forza centrifuga , clic ne indcbo-
w lisce il peso, il secondo è privo di forza tangjen-
>3ZÌale. Non essendo dunque i due coipi a pari cir-
w costanze, gli spazi! percorsi da essi in un minuto
>j non possono paragonarsi tra loro(2).»
E noi qui ancora preghianjo il sig. Longo a ri-
flettere che gli Astronomi si sono benissimo accorti
di questa differenza, e che perciò nel fare il pa-
ragone della luna col grave hanno considerato in
quella la sola porzione di movimento che è rife-
ribile alla gravità , astraendola matematicamente
dall'azione della forza tangenziale, e centrifuga. La
cosa adunque è perfettamente al contrario di come
veduta Tavea il nostro A.
Nel rimanente della sua memoria il Longo cam-
(i) lulroducentlo nel calcolo il valore della massa della Luna se-
in
tondo Bessol, il numero che nella ipotesi di Lnplacc era o,oo:oo5.j4
rn
div eiie 0,00100862 die non d;fl"er'scc dal piiuioscnon nel milio-
nesimi. Or chi è uso al calcolo dtcmiale sa che questa è una dif-
ferenza iiicalcoh-ihile , e di nessun niointnlo per la giustezza dei
lisullati. — Del resto Ì'A. alla diiuoslra/.ioiie d Laplace soggitin.
gè quella del Piof. Scinà, nella quale nun entra inconsiderazione
la massa della luna; ma se non si considera la massa lunare tutta
la dilìicoltà di Longo svanisce; dunque ei;li slesso ci somrainislia
i mezzi onde distrurre l'opera sua. Ciò va dello per piovane, clic
in queste menioiic sono scritte , è veio , le più strane cose del
njondo, ma con tutta la buona fede jiossibild
(Q) P.lg. 28.
3i
mina collo stesso passo tllslrnggitore per gli senlieri
dfcirAslronomia ipotetica , e qui l»a egli torse più
campo da devastare. ]Nè il seguiiemo noi a passo
a passo il) questo aringo; persuasi come siamo the
le ij)otesi sulla natura dei pianeti, sulla formazione,
e sformazione delle comete, sulla origine del sistema
solare, e su di altri simili argomenti, non foraiano
la parte positiva della scienza, ma bensì la sua parte
di lusso. Pensi dunque il sig. Loiigo a suo buon pia-
cimento su queslo ; soltanto rifletta die JNewlon ,
Laplace, Biot, Piazzi bari sem[)re avuto il saggio
accorgimento di separare con accuratezza la parte
matematica, e dimostrata della scienza dalla parte
ipotetica, acciocché i dnbbii "ragionevoli clie [»olreb-
beio uHioversi su questa non tuibassero la certez-
za di quella.
Noi coiichiudiamo coll'esprlmere il dtsiderio vi-
vissimo, che il sig. Longo fàccia un uso migliore
dei talenti di che semljra averlo natura a dovizia
fornito, e che invece di tentar di sconvolgere au-
dacemente lutto il già fatto , tenti più }>resto dì
aggiungeie alcunché del suo , ma buono , e .sano
al già vastissimo patrimonio delle scienze. E vo-
gliamo pur soggiungere che mentre slam gratissirni
agli stranieri degli elogi, che vogliono gentilmente
compartire ai nostri concittadini, non pos.siamo te-
nerci dal pregarli a desistere dall'incoraggiarc il Lon-
go a fiir cose nuove(i). Se la sua bollente fan'asia
lin prodotto da se sola quel che abbiamo veduto,
chi sa sin dove trascorrerebbe ajutata, e soccorsa?
Giuseppe Scibona.
(i) Il sg. Longo arca iiidiiiz-iafa una leUera siiirordin.imen-
lo CMcidoi ulico delle scienze ai Uiietlore della Aiilologia
9
REQDIETI . ET . MEMORIAE
JoSKPHI , ALLOIS . F. TERzI
PATRICIA . BERGOMATIUM . NOBIXlTAtE
POST . INFAISTAM . GALLORUM . EXPEDITlONElil
RtSSrACI . IMPERI . DECORA . ADEPTI
ET . CONJCGIO . SPLENDIDISSIMO . AUCTI
QH . PIETATIS . STUDIO . INGENU . LAUDE
LITTERARUM . AMORE . CLARUS
PICTORIAM . QUOQUE . ARTEM . HONORAVIT
picTOR . IPSE . Ecnr.r.ios . et . pictokdm . fautor . hunificus
HEU . DIURNO . MORBO . TOTA . INGEMISCENTE . PATRIA
AD . CAELESTIA . RAPTUS . MEDIOLANI
NONO . ET . VICESIMO . AETATIS . ANNO
AD . GRANDIA . QUAEQUE . PROGNATUS
DECESS. V. IDLS. APRIL. AN. MIOCCCXVIII
ELISABETHA . GALLITZINIA . DOMO . PETROBURGO
LUCTU . ET . LACRIMIS . CONFECTA
MARITO . INCOMPARABILI . CONTRA . VOTUM , FECIT
KUKQUAM . IMMEMOR . FUTURA . DESIDERII . SUI
4o
2.
(Dall' Jlfjeri)
QUI RIPOSA.
VITTORIO ALFIERI ASTiGUNO
DELLE MISE CULTORE AROENTISSIMO
ALLA SOLA VERITa' LIGIOJ
QUINDI
ai dominanti e ai servi
meritamente inviso;
alla moltitudine
perchè lontano da pubblici affari
ignoto;
ai pochissimi ottimi cauo,
a se forse non ad altri
in sprezzo
VISSE ANNI 02 MORI AGLI 8 DI OTTORBE l8o3
QUIESCIT . HIC . TANDEM
VITTORIUS . ALFIERUS . ASTIENSIS
MUSARUM . ARDENTISSIMUS . CULTOR
VERITATI . TANTUMMODO . OBNOXIOSUS
DOMINANTIBUS . IDCIRCO . VIRIS
PERAEQUE . AC . INSERVIENTIBUS . OMNIBUS
MERITO . INVISUS
MULTJTUDINI
UT . NULLA . UNQUAM . AB . ILLO . GESTA
PUBLICA . NEGOTIA . IGNOTUS
OPTIMIS . PAUCISSIMIS . CARL'S
KEMINI
KISI . FORTASSE SIBIMETIPSI
DESPECTLS
vixiT . ANNos . eie.......
4t
3.
(Dal L.àc^s)
GIUSEPPE LARBERIO DI GIOTANNI
MEDICO CLINICO OCULISTA
PER UNANIME GRIDO
ESPERTISSIMO
COLPITO DA MORTE IL l3 MAGGIO 1817
ANNA E CATTERINA LARBERIO
FIGLIE ED EREDI DEL FRATELLO
AL BENEMERITO
POSERO
JOSEPHUS . JOAN. r. LARBERTUS
MEDICIJS . CLINICUS . OCULARI US
QUEM . OMNES . CONSENTIUNT . FUISSE
YIRUM EXPERIENTISSIMUM
HOC . MANSUM . VENIT
XIII . KAL. MAI . AN. MIOCCCXYH
ANNA . "PT . CATERINA . LARBERIAE
CRATRIS . FILIAE . QUAE . «T HEREDES
BENEMERENTI . POSUERE
4-
Per funerali
(in mezzo la ix)rta delb chiesa)
k
angela. gaza.ra scimonelli
d' illustre schiatti
pia reliciosa caritatevole
di animo franco s ingenuo
di eon3ugah e materne sollecitudini
IGNOTE AL VOLGO DE' VIVENTI
RON PERITURO ESEMPIO".
ENTRATA DI ANNI QQ NELLA VITA MIGLIORE
LA NOTTE DEI 3 DICEMBRE l832:
LO SPOSO E I FIGLI
ALLA COGLIE E ALLA MADRE TENERISSIMA
IN PROFONDO DUOLO IMMERSI
l'ultimo vale DICONO
5.
(a sinistra)
ALLA SAGGIA FEMMINA
GLI AMICI
LAGRIME E COUPIAKTO
(a cìcstia)
TUTTO quaggiù' PERISCE
LA MEMORIA »e' BUONI VINCE IL TtMPO E DURA
O TU CHE PASSI
ONORA l'estinta
LE SUE virtù' IMITA
l' immensa PENA De' CONGIUNTI
PIETOSO DEPLORA
7-
QX31 GIACE
RAFFAELE PAPOTTI
IN BKN FARE
UOMO QUASI MARAVIGLIOSO:
FU COLl'eSEMPIO il MAKSrnO de' suoi F[GLI
COI CONSIGLI l'amico:
MARITÒ DUE OltFANE PERICLITANTI,
SOLLEVÒ MOLTI MISERI,
soccorse potentemente grazio FRANCESCHIXr
DALLA GIREVOLE FORTUNA
TRAVAGLIATO E OPPRESSO:
AHI ANIMA GIUSTA !
ACCOGLI DAL SOGGIORNO De' BEATI
I VOTI GLI AFFETTI LE LAGRIME
DI COLUI CHE DI BENI COLMASTI
E CHE NON TI SOPRAVVIVRÀ* LUNGAMENTE:
VISSE ANNI 68 MORI IL 1** DEL l832.
8.
ALLE ONORANDE CENERI
DI CASIMIRO PIEI\I
UOMO DI CONSUMATA PRUDENZA
E NELLE FACCENDE PUBBLICHE
PRIMO A MOLTI A POCHI SECONDO.
RIVENDICÒ
PER LA SUA COSTANZA ED ELOQUENZA
1 DRITTI d'innocente FAMIGLIA
DALLA INGIUSTIZIA DEGLI UOMINI
E PERVESITA' dei TEMPI
BATTUTA.
VISSUTO ANNI 46 TRAPASSATO IN FEBB. l8?3
FERDINANDO MALVICA IN LAGRIME
all'amico CARISSIMO
PACE IN SEMPITERNO
44
9'
BENEDETTE
SIANO JN ETERNO LE BELLEZZE TUK
QUI i'Tk
nOSlMA CANDELIERI IN CAPICIO
ADORNA Di TUTTE LE GRAZIE DELLA NATURA,
GIOVINE VENTENNE Sl'OSA DI OTTO MESI'.
CHI LA VIDE NON l'oBBLÌa
CHI LA CONOBBE l'amÒ E LA RICORDA :
STRANIERO TI ARRESTA
E SE AMI LA virtù'
VERSA SU QUESTA TOMBA UN FIORE E UlfA LAGRIMA
l832
IO.
Ti appressa a passeggiero e mi sii cortes q
di un istante:
FUI GIROLAMO BELLONI,
VISSI ANNI 5o E NON FECI MALE AD ALCUNO,
SOLO NON SEPPI PERDONARE
A CHI DI PAURA
FEMMI MORIRE UN BAMBINO;
MA MENTRE DA QUESTO MONDO MI DIPARTIVA
RICORDAI LA TENACE MIA COLPA
E STRINSI AL SENO IL MIO NEMICO:
LETTORE SE ALCUN TI OFFESE
DIMENTICA IL DANNO
E NON ESSER LENTO AL PERDONO
i83o
45
1 1.
A
GIACOMO COSTANTINI
ORNATO DEI PREGI MIGLIORI
€Ka POSSONO CAPIRE IN MOHTAH UOMINI.
VIDE citta', OSSERVÒ POPOLI
DIVENNE DELLA NATURA UMANA
SOTTILE CONOSCITORE,
DEI BRAVI SOLLECITO APOLOGISTA ,
DEI TRISTI DISPREGIATORE FERMISSIMO:
GIUNSE A VENERANDA CANIZIE,
E LA SUA MORTE
PUBBLICA calamita'
RIPUTOSSI
l83l
12.
FUI
ANGELICA GUTTONI
BUONA E NON BRUTTA DONZELLA
MORII DI ANNI 2 2
LASCIANDO INCONSOLABILI LA MADRE ED IL FRATELLO'.
PASSEGGIERO CORTESE DIMMI UN VALE,
E TI RICORDA CHE GIOVINE MI DIPARTII DAL MONDO
MA AMAI LA VIRTu', E NON TEMEI LA MORTE
i83o
46
i3.
QUI FU SEPOLTO
ANDREA PUCCINELLI
NEL CURARE LE UMANE INFERMITÀ'
PROFESSORE DOTTO E FORTUNATO:
LUIGI PATr.lZiO,
PER LE SUE CURE INDEFESSE
DA CRONICO MORSO
MIRABILMKNTE GUARITO,
IN SEGNO DI GRATITUDINE
QUESTA PIETRA
POSE
l'anno i332
14.
A
MARTINO BARONE
DI SVEGLIATO INGEGNO
E DI MANSUETI COSTUMI;
VISSUTO IN PARIGI
FRA GLI SCORRETTI E TUMULTUARI TEMPI
DELLA FRANCESE REPUBBLICA
OSSERVATORE E VATICINATORE FILOSOFO*.
MANCATO IN MARSIGLIA DI ANNI 70
Al 4 LUGLIO 1^29
UN LONTANO AMICO
PACE
47
QUI RIPOSA.
LORENZO COLEONt
NELLE LOGICHE E FISICO-MATEMATICHE SCIENZE
RIPUTATO professore:
AMÒ
TERESA BINI CONJTGE
DI AMORE tenacissimo:
VISSE IN DOMESTICA ARMONÌA CON TRE FIGLI;
FU PADRE DI DUE ORFANE NIPOTI;
MANCÒ DI ANNI 56 FRA LE LAGRIME De' SUOI,
E IL COMPIANTO DEI MIGLIORI:
VALE E RIPOSA IN PERPETUO
i83o
16.
A
CONCETTA GUGLIELMINI
SPOSA E MADRE
NON SO SE Più' BELLA O BUONA:
VISSUTA ANNI 38 E MESI 4*
10 ELEONORA TADDEI
NEL SEPOLCRO DELl'uNICA SORELLA,
CHE FU l' AMICA DEL MIO CUORE
il conforto della mia vita,
- quest'ultimo dono
LE MIE Più' CARE SPERANZE
LIETA depongo
18.9
48 . ■
17.
TI ACCOSTA E LEGGI'.
EBBI NOME ORAZIO MONTICELLI
LA FORTUNA MI FU SEMPRE TRUCE
NÉ MI VALSE ESSER BUON CITTADINO:
I GRANDI MI SPREZZARONO PERCHÈ POVERO,
I POTENTI NON MI CURARONO PERCHÈ UMILE'.
PIANSI TACITURNO
DEGLI UOMINI LA CODARDIA
DEL SECOLO LA VILTa'*.
VENNE LA MORTE
E PERCHÈ TERMINE DELLE UMANE SCIAGURE
CONTENTO LA RICEVEI.
AMICO TI AUGURO De' MIEI VOTI IL FINE,
E DI ME Più' FORTUNATO
FORSE TU STESSO
DEL TEMPO COGLIERAI IL FRUTTO".
VISSI ANNI 52 MORII NEL 1 83o
A
CONCETTINA SANSONI
ANGELO TERRESTRE
LA MADRE ELEONORA
ALLA DELIZIA De' SUOI GIORNI
POSE
STETTE SULLA TERRA ANNI IO,
TRAPASSÒ AI l4 MAGGIO l83l
4d
1 DOLOROSO RICORDO
DI MICHELE FARINA
FRA I DOTTI DOTTISSIMO,
E PER LA SUA VITA INNOCENTE E UTILE
DEGNO DI ETERNE LAGRIME:
LASCIO INEDITO UN TRATTATO DI AGRICOLTURA
CHE LUIGI FIGLIO SUPERSTITE
A ONORE DELLA FAMIGLIA E DELLA PATRIA
spanderà' fra GLI UOMINI:
VISSE ANNI 57, MORÌ NEL FEBB. DEL 1829.
PADRE addio!
MI EDUCASTI VIV COLL ESEMPIO CHE COI PRECETTI
MI FOSTI TENERO, ED IO NULLO PENSIERO FhCI
CHE ALLA TUA FELICITA NON SJ DIRIGESSE :
BENEDICO LE TUE CENERI
E PIANGO SUL TUO SEPOLCRO
20.
A
FRANCESCO FERRO
VISSUTO ANNI 57
SPOSO E PADRE FORTUNATO:
ADORNO DI ESQUISITA DOTTRINA,
GIUDICE DI SOMMA INTEGRITÀ'
E NEI PUBBLICI AFFARI
DI SEVERA COSTANZA.
OTTAVIO FRATELLO
DIROTTAMENTE PIANGENOO
COLLOCÒ QUBSTA PIETRA
l83l
5ù
21.
A ■
CATTERINA TRASMUNDI
QUADRILUSTRE
DI ONOREVOLE NASCIMENTO,
E PRESSO LE ANIME GENTILI
PEL l'ingenuità' E LA MODESTIA
de' modi E DEL CARATTERE
di grata ricordanza.
federico padre
all'amor suo
voti fervidissimi
nelle sedi celesti
indirizza
i83o
22.
VUOI SAPERE CHI FUI?
APPRISSATI E ODIAli:
MI CHIAMAI LEONARDO VITELLI
NACQUI IN MILANO
VISSI g ANNI IN LOKDRA, 'J IN EDIMBURGO
AMICO A TUTTI, NEMICO A KIUNO 1
LA TERRA NATALE MI FU CARA MA NON BENIGNA;
SCRISSI NELLA RIVISTA BRITANNA
E TACQUI SEMPRE IL MIO NOME;
GIOVAI A MOLTI E LA RICOMPENSA
RINVENNI IN ME STESSO;
NISSUNO GIOVVOMMI E MAI NON MEN DOLSI:
VIATORE SE GENTILE SEI TI RICORDA DI ME
E AUGURA QUIETE ALLE MIE CENERI:
MORII DI ANNI 65 AI l4 DEL l832.
i^l
2^.
QUI GIACE
FILIPPO GARULLI
GIOVANE TRENTENNE
PITTORE EGREGIO
DI DESTRO INGEGNO PRONTA FACONDIA
INTEGRO costume:
tra le opere sue
grido levarono
i ritratti della paterna famiglia,
che con indicibile valore e affetto
dipinse:
mori improvvisamente
Al l5 AGOSTO l83l
MENTRE I LINEAMENTI DELLA GERMANA
SULLA TELA IMPRIMEVA:
FIGLIO AHI FIGLIO MIO !
24.
SEPOLCRO CHE RINSERRA LE OSSA
DI RAFFAELE RUSSO
CITTADINO DI MENTE E DI EONTa' SINGOLARE:
CONOBBE GLI UOMINI
E INNALZO VOCI DI SDEGNO
VEGGENDO CHE LE LEGGI POSSONO RENDERLI BUONI ,
E PUR LE LEGGI TACCIONO:
EDUCÒ E PRODUSSE NEL MONDO
MATTEO ZUCCHI
AMATO QUAL FIGLIO:
SALVE INTEMERATO PETTO
LA TUA MEMORIA SOPPAVVIVRa'
A QUESTA PIETRA
VISSE ANNI 64 SI PARTÌ DA NOI NEL iSsQ.
25.
GIOVANE TI FERMA E m'aSCOLTA:
IMI CHIAMAI RUGGIERO MASSIMI,
CANUTO ENTRAI NELLA TOMBA ,
EBBI TEMPO E AGIO
DI STUDIARE GLI UOMINI
E CONOSCERE LE COSE DI QUESTA TERRA:
I PIACERI PASSANO COME UN CENNO DI OCCHI,
LE RICCHEZZE TI FAN PIANGERE LA VITA CHE FUGGE,
LA VECCHIAJA SE NON SARAI STIMATO
TI FIA INSOPPORTABILE '.
APRI LA MENTE AL VERO, E PENSA A" ESSER SAGGIO
l832
26.
A PERPETUO ONORE
DI PAOLO MASCAGNI
INDAGATORE FILOSOFO
DEI più' CUPI RECESSI
DEGLI ORGANICI CORPi;
DEL SISTEMA VASCOLARE E SANGUIGNO
PERFEZIONATORE LUMINOSO;
DEI VASI LINFATICI
scovRiTORE celeberrimo:
AL CONFORTATORE DEGl' INFELICI
ALLO AMICO dell'umanità'
CITTADINO INSIGNE
MAESTRO VERECONDO
ITALIA IN LAGRIME
VISSE ANNI 63 MORÌ NELl'oTTOBRE DEL l8l5.
53
Lettera di Jgostìno Gallo alVornatissiino sig.
Cav. Antonio Di Giovanni Mira intorno ad
alcuni de' primi poeti siciliani in volgare.
PUEGIATISSIMO AMICO.
w oi, clie mi onorate di vostra amicizia, avrete po-
tuto osservare, meco intrattenendovi degli antichi
nostri rimatori, qual metodo io tenga nel ridurli,
se non ila possibile alla primitiva genuina lezione, a
quella almeno più tollerabile, che dar possa a' loro
concetti un senso soddisfacente, dopo clic rei copi-
sti con crassa ignoranza li fecero a noi pervenire
guasti, e corrotti, in guisa da non poterne sovente
ricavare non che il costruito; ma ne puie per lam-
po i pensieri. Voi b^ comprendete qual allannosa
j^azienza si richieda a ciò fare, e quale sforzo, anzi
violenza ho dovuto usare alla vivacità dell' indole
mia, affinchè riuscissi in tal divisamento. Dappria
credevate , che forse sarebbe stala opera perduta
r ailalicarmivi attorno , sì per le moltiplici scon-
ciature de' lor componimenti , come per la man-
canza di codici nelle nostre biblioteche, che servir
potessero di raffronto. IMa quando io vi feci pre-
sente , che di tutte quasi le edizioni finor cono-
sciute era io fornito , e che rappresentando esse i
vari codici da cui fLUon tratte, col confronto delle
varianti , e per mezzo di riflessione, e di studio,
e colla guida del buon senso, autorilà più valevole
dogli slessi codici, ottener si polca la retta lezione
de' versi di quegrillusUi padri della lingua, e poesia
vuli^arcj voi iaccsle plauso ai mio proponimento.
Difalti avendovi io mostrato alcune canzoni de'
Messinesi Guido, e Odo delle Colonne, ridotte in
tal modo a piena mtelli-genza senza alterarne gran
fallo il testo, mostraste di restarne contento al tulio.
Imperocché col vostro fino discernimento scorgeste,
che nelle emendazioni da me proposte non mi era
tolta altra libertà, per ricavar il vero concelto del
poeta , che quella di ravvicinar talvolta le sillabe
della parola piecedente con la posteriore, onde os-
servar se da lai nuova composizion di voci un senso
più acconcio potea risultarne, coerente al complesso
delle idee sj)arse per tutto il componimento. La
cp.iale industria fu a me suggerita dall' osservazion
di alcuni codici in Napoli, che presentando le parole
strettamente ravvicinate e senza virgole, punti, apo-
trofi mi chiarirono, come in altri simili siesi facilmen-
te potuta equivocare una voce per un'altra nella esem-
plazione , e pubblicazione , che se ne è fatta col-
le stampe; talché copiandosi queste successivamen-
te si son perpetuati gli errori. Laonde il ridur-
ne que' passi, ove evidentemente avvi uno storpio
nel modo da me praticato, altro non è che legger
con più intelligenza i codici, e penetrar meglio nella
niente dell'autore. Egli è vero, che talvolta biso-
gna saltar qualche lettera , o altra aggiungerne, o
su{)porne, cambiandola, ma ciò non è senza lagionc;
perocché alcune lettere nelle antiche scritture sono
" svanite, o poco visibili, e altre d'una forma me-
no decisa delle nostre(i), e l'ortografia delle parole
vi si trova alquanto diversa dall'attuale, il che ha do-
(i) Nell'antiche scriltuie si cnnfondono f;ic'lincntc la m, n, u, e
la leUcia i, eh' csseiulo senza [luiilo s'imniccJesiuia con ([nelle , si
scambiano faciliiiciilc la e, con la e, e la t, che suol esser corta;
e con piccolo occhio , del pari la j liini;a senza punto preceduta
dalla e si cciuivoca per g, e co»i altre lettere.
55
vufo facilmente indurre i copisti a frequenti gravissi-
mi sbafali, oltre a quelli cagionati dalla projìria igno-
ranza. Il perchè io son persuaso che ove in un passo
di qualche autore avvi varietà di lezione poco soddi-
sfacente, o senso alcuno non si peschi bisogna sup-
porre 0 il testo magagnato, o accomodato da altri
alla meglio. E siccome è sempre preferibile, che l'au-
tore esprima qualche concetto coerente alle proprie
idee, anzi che nulla dica, o che gli si faccia dire delle
scempiagini , o contraddizioni; la qual cosa non è
mai da supporre in chi altrove mostra senno, e giudi-
zio; così l'emendazioni fatte secondo l'indicata ma-
niera non possono essere al postutto che lodevoli.
Non per questo io intendo commendar alcuni lette-
rati tedeschi; che han fallo crudelissimo strapazzo
de' classici greci, e latini, credendo di emendarli,
dapoichè è altro usar con discrezione dell'arte cri-
tica, altro abusarne, con sostituire passi intieri, o
con cambiar del lutto il sentimento d' un autore,
che è quanto a dire farlo pensare con la testa del
correttore. Una guida infallibile ho ritrovalo nella
misura stabilita del verso, e nell'artifizio della rima,
adoprandomi a ridurre a miglior lezione i nostri
poeti. Il ritorno dell'uno, e dell'allra essendo costante
in tulle le stanze, secondo si è prefìsso il poeta, e
quello della rima specialmente in fine del verso più
o meno lungo, o alla coincidenza della quinta o set-
tima sillaba dell'endecasillabo, m'hanno avvertito non
solo dello sbaglio del copista; ma tacitamente mi
han suggerita spesso la correzione da farvi, che tal-
volta è tale, che esser non può altrimenti.
Tra le varie edizioni di queste rime ho fissato
specialmente l'attenzione su quella dell'Allacci non
perche la creda più concila, che anzi brulica di erro-
56
li; ma perche cssciido tiatla da' codici più antichi
presenta le impercettibili tracce della vera, e primi-
genia lezione, ove la si sappia ricavare con intenso
studio. Ho potuto altresì in essa osservare, che seb-
Lene manchi di qualche verso ne' componimenti;
pure una tal mancanza è segnata cogli asterischi;
ed airinconlro ne dà certuni, che servono a com-
piere le stanze, che nell'altre edizioni, quantunque
generalmente meno scorrette non vi si scorgono, co-
me in quella di Firenze del 1816 e nell' altra di
Venezia del 1819. Col confronto adunque di que-
ste edizioni, di quella de' Giunti, de' saggi di talune
jiocsie dateci dal Cresci mbeni, ho procuralo nel mi-
glior modo possibile di restituir la genuitia antica
ìisonomia a' nostri poeti, doppiamente per noi ve-
nerandi e come nostri connazionali, e corno creatori
della più bella, ed armoniosa tra le lingue moderne.
E in ciò fare ho posto mente a quegli abili risto-
ratori di vetuste di[)iuturc, i quali pria lievemente
jHilendole fan sì che se ne tragga via la sovrappo-
sta lordura, e poi con diligenza s'adoperano a ricer-
car col pennello, e coprir con consimile colore que'
piccoli buchi, o screpulature prodottevi dal tempo
senza dilatarsi bensì, ove non è bisogno, per amor
di abbellire l'antico.
Iq vi presento per saggio del mio lavoro due can-
zoni stampate sotto nome di Odo delle Colonne pria
da INJonsignor Allacci con ([ualche verso mancante,
e tratte da' codici Vaticani, e Barberini, una delle
<[uali, la seconda, fu riprodotta dal Crescimbeni ne
suoi comentarii all'istoria della volgar poesia, e po-
scia auiendue dall'editore dei poeti del primo seco-
lo della nostra lingua in Firenze; non che nel Par-
naso italiano, dato in luce ia Venezia.
^7
Mi è d'uopo sulle stesse bensì farvi rifletlere al-
cune cose , che parrai iiii adesso siano sfuggite a
tutti fpe' che hanno scritto di Odo delle Colonne.
Vi è noto che costui, secondo l'opinione del nostro
Mongitore , e del Crescimbeni (i) appartenne alla
famiglia, e visse negli stessi tempi di Guido delle
Colonne : e che anzi il Ginguené nou so su qual
fondamento assicuri di essere stato suo cugitio, o
fratelIo(2). Or si sa che Guido nato nel regno di
Federico lo Svevo protrasse i suoi giorni sino alla
epoca del pontificato di Nicolò IV, che sedette nella
Cattedra di s. Pietro dal 1288 sino al 1292. In-
torno quindi a quell'epoca il suo parente Odo an-
ch'egli viver dovette. E sebbene il Crescimbeni, e il
Mongitore stabiliscano approssimativamente, ch'egli
jioetasse intorno al 1240, siccome dissero per lo stes-
so Guido , tuttavia una tal' epoca può esser pro-
tratta ad altri parecchi anni più tardi. Però amen-
due ci avvertono, che Odo con istile più rozzo det-
tasse le sue canzoni , e il Crescimbeni soggiun-
ge, che men di Guido ritrovato abbia grazia presso
gì' italiani scrittori. Difatti Dante , che ripone il
primo tra gl'ilkistri poeti volgari, che per lo stile
tragico, cioè nobilissimo, si distinsero, e ne cita due
canzoni(3), non fa pur motto di Odo, riguardan-
dolo senza meno qual verseggiator di poco garbo,
e noi per tale lo ricono.sciamo nella sua canzone
che comincia:
Distretto core^ e amoruso
riportata dall'Allacci, e in tutte l'edizioni posteriori
(i) IVIong. Bib. Sic. art OJo, Gres. Come: p. 2 jiag. i8 Homa
per Rossi i^5o.
(2) HisL. Lit. d'Hai, t. 1 pag. 4oi Paris iSii.
(3) De. Volg, Eloq. pag. Siy.
58
delle rime antiche. Nù è da credere che la rozzezza
del suo stile proceda in tutto da quella de' tempi
suoi; dapoiciiè il menzionato Guido , ed altri an-
cora più antichi, come fu di certo Federico II che
poetò nella sua giovinezza, sono meno incolti di lui;
laonde il suo ingegno, e la sua peculiare maniera è
da incolparne soltanto. Inoltre è da osservare, che
tanto i versi di Guido, che di alcuni altri rimatori
di quella epoca hanno un'armonia soddisfacente, in
guisa che annunzia di per se il sermone poetico ,
che tanto diOTerisce dal prosaico, mentre moltissi-
mi versi di Odo sembran del tutto prosa, cotanto
sono sfornili di accenti a' luoghi opportuni. Or que-
sto slesso Odo COSÌ rozzo nello stile, e inarmonico
è spacciato generalmente autor di un'altra canzone
leggiadra, condotta cou voci più scelte, elegante fra-
seggiamento, ed armonia di verso, che comincia:
j^hi lassa innamorata!
Essa si suppone scritta da lui a nome d'una don-
na, clic si querela altamente dello abbandono del
suo vago, e mostra tutta l'ardenza di un amor de-
luso, e di un cfore veramente appassionato.
Tutto il componimento è steso con la maggior
fecilità, e gentilezza, con tal calore di concclli, che
mostrano all'aperto esser chi lo dettò predominato
da proprio, e veemente affetto, e non già da im-
niaginario, qual deesi supporre in colui, che scriva
versi amorosi a nome altrui. Io non so adunque
persuadermi, come Odo rozzo, inarmonico, e insi-
pido verseggiatore, qual si dimostra nella prima can-
zone di sopra citata, abbia potuto comporre que-
st'altra, che precisamente ha tutte le o[)posle qua-
lità. E molto mono so persuadermi, «he un uomo
gentile, educato alle lettere qual deesi credere d'cs-
sere sialo il nostro Otlo abbia voluto far servire la
poesia da vile mezzana a' traviamenti amorosi eli
una donna, la quale giunge fino a dire, che ove non
vegga restituirsi a' suoi amplessi l'amante, si jior-
rebbe disperata alla ventura; cioè si darebbe a chic-
chesia. Colai sentimenti posson per inavvertenza ,
o per troppo caldo di passione sfuggire ad una don-
na, e passare alla scrittura, ma non mai esser ma-
nifestati da un uomo , che scriva a nome di ki.
Imperocché urtano a' riguardi, che abbiam noi ge-
neralmente pel sesso gentile; laiche ove un ])ocla'
fosse cosi sfornito di amor proprio di accettare un
simile incarico per sola amicizia, lai sentimenti non
porrebbe innanzi, perchè mostrerebbe di non avere
alcuna stima, ed amicizia per colei cui intendca di
render favore. Tulli questi argomenti non solo mi
persuadono, che quel componimcnlo non fu scritlo
mai da Odo delle Colonne, o da altro uomo; ma al
contrario mi convincono che dovette esser dettato
da una donna favorita dalle Muse, e inebbriata d'a-
more. Ma voi mi domanderete perchè adunque tro-
vasi esso pubblicalo dall' Allacci, e dal Crescitn-
beni, e da altri in varie raccolte posteriori di ri-
me come scritto da Odo ? e in qual modo è po-
tuto avvenire di esser corso sotto il suo nome quan-
do ad altri appartenne? Jò vi rispondo che ciò è po-
tuto facilmente accadere, ed ecco il come.
Le rime dei nostri primi poeti volgari eran mol-
to desiderate in Italia in tutto il secolo XIII, in
cui r imitazion n'era talmente prevalsa, che tutto
ciò che ivi si scrivea in poesia, come attesta Dan-
te, diceasi foggiato alla siciliana ( i). Alcuni esem-
(i) De Volg. Eloq Ven. per Zalla 17 J6 oi). di Dante toin. 5
pari. I pag. 317.
6o
j)lari adunque si dovettero da Sicilia mandar colà.
Essendo riuniti in essi le poesie di diversi nostri
autori , e queste collocate essendo successivamente
Laslava che in capo al pri mo componimento si ap-
ponesse il nome di chi lo scrisse; perchè quelli che
iàcean seguito senz' altro s' inlendesser di lui. Or
potè benissiuio accadere, che dopo di essersi dal copi-
sta esemplata a cagioa di esempio la canzone di Odo
Distretto core et amoroso
al succeder dell' altra di diverso autore, che co-
mincia » ^/z/ lassa innamorata i) ùhh'ia, o dimen-
ticato di apporvi sopra il noi^, o riserbato indi
si fosse a scriverlo in colore, o con rabeschi dorali
come allor costumavasi, dopo che il manoscritto lusse
del lutto terminato; talché rimaso per inavvertenza
in tal modo, questo secondo componimento fu eoa
lag ione consideralo di appartenere all'autor prece-
dente; e così in appresso trascritto, e in fiae pub-
blicato colle stam[)e. In tal guisa io saprei spiegare
j)erchè l'altra canzone
Giojosamente io canto
dall'Allacci, e dall'editor dei poeti del primo secolo
della lingua, e dell'italiano Parnaso è attribuita a
Guido; mentre in altre raccolte s'intitoli a Mazzco
di Riccio, o a Rosso da Messina. E così pure si
dee comprendere perchè la canzone
jéssai cretti celare
impressa dall' Allacci sotto il nome di Stefano da
Messina, e l'altra
Jinore da cui move tuttora^ e vene
sotto il nome di Jacopo da Lentini, nelfedizion do'
Poeti del primo secolo della lingua si attribuisco-
no non so con qiial lòndamenlo a Pier delle V^igne.
JNon è poi senza esempio, che mercè i lunif della
6i
criJica si tolga acl un supposto autore un componi-
mento, e acl un altro più verisiuiiimente si ascriva,
e qui potrei citarvi le diverse opinioni circa al vcio
autore del poenieltto latino sulla Z,anzaia, e snll Et-
na; ma per non discostanni dagli antichi poeti vol-
gari accein)ar vi voglio, che la bellissima canzone
La bella stella^ che il tempo ììiisura
comccitc assegnata dall'antichissimo codice ^'aticano
3793 a Guido Guinizelli ; pure dal Pilli , e dal
Ciampi venne attribuita a Gino da Pisloja senza
autoi ita di codice, e dall'editor della raccolta delle
rime antiche pubblicata in Venezia nel 174^^ a Dan-
te; sebbene con argomenti più saldi desunti dallo
siile , dell' uso di certe voci , e di taluni concetti
io credo doversi j)iù loslo rivendicare al nostro Gui-
do delle Golonne, come proverò in un lavoro, che
riguarda f^uesto poeta. Tanto l'autorità della ragio-
ne dee prevalere su quella de' codici, ove non sie-
rio autografi; ma lavoro meccanico di sbadati , ed
ignoranti copisti , da riguardarsi generalmente tali
tanto più quanto più antichi.
Per ritornare ora più da vicino al nostro obbielto
vi fo riflettere, che se ne' codici a penna di qiicsta
raccolta di rime antiche trovansi s\ varie , e con-
tradittorie intitolazioni di autori, ciò è dovuto av-
venire principalmente per la ragione da me indicala;
perchè altrimenti non si saprebbe comprendere co-
me essendo trascritti da' primitivi autografi avreb-
ber poluto recare colali equivoci , e tanta varietà
di lezioni. La canzone di sopra indicata
Giojosamente io canto
malgrado la diversità delle intitolazioni fu scritta
certamente da Guido per quelle stesse ragioni per
cui non credo doversi attribuire a Odo l'altra della
62
quale vi lio pallaio ; cioè perche in una si scorgono
all'aperto lo stile, i concetti, e il verseggiar di Gui-
do; e nell'altra per nulla si scopre la ujaniera , e
l'indole di compórre di Odo. Se noi avessimo in Si-
cilia anticlii manoscritti di queste rime , ad essi
j)otjemmo deferire; ma sciaguratamente o si sono lo-
gorali, o sono fiali trasferiti non si sa dove.
Or quelli della biblioteca Vaticana, e Barberina per
qufiiilo anliclii si vogliano non possono esser verisi-
iiiibuenle prime copie, ma almeno di seconda, o terza
mano, e quindi non ci danno tanta autorità, che le
congetture in contrario prodotte dal buon senso, e
dall' arte critica non abbiano a tenersi in qualche
conto. Persuaso, come io sono, che lavoro d' una
donna veiamenle api)assionala sia quel gentilissimo,
e vivace componimento, e che per le varie voci,
e maniere siciliane a qualche nostra poetessa deb-
ba addirsi, io non trovo altra nel tempo in cui vis-
sero Guido, e Odo, che la graziosa Nina, che tenne
corrispondenza con Dante da Maja no , e fu da lui
altamente commendata in due sonetti per la lama
di bellezza, di grazia, di dottrina, e di valor poe-
tico.
Ma voi mi chiederete su quale argomento pog-
gia la vostra asserzione? ed io vi rispondo su quello
soltanto, che nell'epoca menzionata nessun'altra fuvvi
che poetasse in Sicilia, e in Italia che la bella Nina.
Voi sapete, che di essa scrisse il Tirabosclii, che an-
che sia stata la più antica fra le poetesse italiane,
se però un tal vanto non venga a lei tolto da certa
Gaja, figlia di Gherardo da Camino. Ei fonda una
tal congettura sopra alcune espressioni di fr. Gio-
vanni da Serravalle, indi Vescovo di Fermo, il quale
in un suo comento mss. alle cantiche dell'Alighieri
63
nel e. 16° del Purgatorio scrive |fa gli altri [xpegi, di
die quella donna era adorna scìvìt bene loqiii rhjth-
ìuaiice in vuìgarL Io non so perchè il Tirabostlii
abbia potuto dubitar dell'anleriorità nel poetare del-
la siciliana Nina per riguardo a colesla Gaja, la qua-
le non veggo nominala come poetessa da uessun'al-
tro scrittore alTinfuori del Serravalle , cl»c sciivca
iuloino al 14 16, cioè qS anni dopo la morie di
Dante. Laonde poca fede crede il Foscolo, che me-
riti per questa, ed altre sue notizie tradizionali, re-
lative a ciò che scrisse l'Alighieri nelle tre caiiti-
cl!e(i). Quel che so si è, che di colesta Gaja par-
la Da'jle nel citato canto del Purgatorio, qual fi-
glia del buon Gherardo, nominalo da lui con Corra-
do da Palazzo, e con Guido da Castello, e so che
del medesimo, come degli altri due fa menzione,
come allor viventi, sebl)ene vecchi, e come (ornili
di valore, e cortesia. Or l'encomio, che fa Dante di
Gherardo, e accessoriamente di Gaja sua lìglia ben
dimostra ch'ei ne avea particolare stima, e quindi
non parmi verisimile, che ove la figlia slata fosse poe-
tessa, pregio in quell'età singolare, avrebbe egli omes-
so di farne alcun cenno, e ciò tanto più, quanto de-
gli altri poeti della sua età, o che di poco il pre-
cedettero, parla egli ben volentieri, sia per censurar-
li, o per lodarli, siccome di Guido Guinizelli, del
Cavalcanti, di Guitton d'Arezzo, di Jacopo da Den-
tini, e di altri molli. Laonde dubito forte, che il
buon Vescovo di Fermo, o siesi fasciato ingannare
da qualche falsa tradizione , che qual poetessa an-
nunziava la Gaja , aggiungendole quest' allro vanto
a quelli conosciuti di donna beUissima , pruden-
(i) La Coni, di Danle illusnata t. i pag. 166 e »cg. Lugino per
VaUclll l«'-7.
te, lotlcrafa, o tli gran consiglio, com'egli sfesso l'an-
nunzia; ovvero che altra cosa voglia esprimere con
quelle parole schit bene loqui rhjtìimatice in valga-
ri. E in vero per parlar bene con ritmo, com'egli
dice, par che tult'altro si possa intendere che scriver
versi, sebbene i versi abbian pure un ritmo, come
l'ha [)ure la prosa ornala, ed oratoria , secondo ci
avverte Cicerone, e Quintiliano(i). Quindi potea la
Gaja, donna di alti afiari, figlia del signor di Trevi-
gi, e bene educata alle lettere da un padre coltissi-
mo, parlar con armonica cadenza, e in quella ma-
niera-artificiosa, che sogliono gli oratori, e non scri-
ver versi; perocché in tal caso il Serravalle si sa-
rebbe espresso ben altrimenti, e con la voce propria
ad indicar il suo pensiero, come pur fece annun-
ziar volendo le altre di lei qualità: fait pnulens
domina^ literata^ magni consilii^ et magìiae prii-
dentiae^ maximae pulcriiiidinis. Ma sia che qual
favorita delle Muse debba riguardarsi , egli è per
questo , che pria della nostra Nina scrivesse com-
ponimenti poetici?
11 Tiraboschi crede, ma sempre in modo dubi-
tativo , secondo suo uso , che Gherardo sia quel
medesimo , che insieme ed suoi figli , Jìn prima
del 1254 accoglieva amorosamente i poeti proi'cn-
sali^ e conchiude che forse perciò vivea fin d'allora
Gaja di lui figliuola (2). Non però adduce prova,
che quel Gherardo (nome altronde comune in Italia)
fosse lo stesso lodato da Dante per valore, e corte-
sia, e mollo meno, che avesse pria del i254 questa
figlia segnalata per la bellezza, per la poesia, ed al-'
tre nobili doti dell'animo.
(1) eie. 1. 3 de Orat. Quint. 1. 9 4.
(a) Stor. dcUa Lct. Hai. t. 4 P^" '• ^ P- 4"-
65
Io credo all'Incontro, che assai dopo fosse venuto
in rinomanza questo splendido Signor diTrevigi,o
ben altri fosse dello stesso nome colui, che accoglieva
amorevolmente i poeti provenzali; dapoichè se an-
che pria dell'anno accennato dal Tiraboschi tenea
una splendida corte, e fìgh adulti aveasi, non è ve-
risimile, che vivesse quando Dante scrisse il Pur-
gatorio, cioè intorno al i3i8. Eppure come ancor
vivente 1' annunzia Dante, sebben già vecchio. E
qui è da riflettere che se Gaja 64 anni innanti ,
secondo il Tiraboschi, era adulta , onde avea no-
me di poetessa, il padre di lei esser dovea, quando
Dante scrisse quella cantica, il secondo Matusalem.
Più opportunamente riporta il Muratori questo
Principe al 1 294 quando cioè il Marchese Azze
ricevette dalle mani di lui l'ordine della cavalleria
con gli sproni d'oro, per la qual funzione si tenne
nella corte di Ferrara il dì d'ogni Santi una son-
tuosissima festa. (i) Allora Gherardo non dovca es-
ser più giovane, ma sua figlia Gaja esser potea nel
più bel fiore dell'età, e della bellezza, e ciò ben si
accorda con quello che dice Dante nel Can, 16** del
Purgatorio, che quel Signor di Trevigi era già vec-
chio, e che la sua figlia con esso lui era per tutta
Italia in onore, e stima tenuta.
Da questo computo di anni chiaro risulla, che
ove la Gaja avesse poetato, ciò fu dopo la nostra
Nina, che fioriva di già, ed era salita in gran fa-
ma per le sue rime, per la sua dottrina, e per la
sua bellezza pria del 1 2go. Dapoichè essendo essa in
corrispondenza poetica, ed amorosa con Dante da
Majano, che intorno a quell'anno anch'egli poetava,
(1) Ann d'Hai- yol. 7 pag. 000 Nap. per Giav'er. 1773.
C>6
e scrivendo cosini nel sonetto intliiizzatole, clic già
avea nome per le indicate qualità, più addietro decsi
lipoitare il tempo in cui si segnalò Nina, e quindi
fu più antica di Gaja nel compone versi; sebbene
non di molti anni, quand'anche quest'ultima data
si fosse al dilettevole esercizio delle Muse.
Egli è vero che dal sonetto della nostra sicilia-
na, il solo pubblicato da' Giunti nella loro raccol-
ta, e poscia in tutte l'altre edizioni di rime anti-
che, nessun rapporto di conformitcà di stile coU'an-
zidelta canzone si può stabilire; ma ciò nulla to-
glie di peso alla congettura; imperciochè essendo il so-
netto un componimento troppo breve, sfugge da ogni
punto di paragone, ed essendo di risposta a un altro
tli Dante da Majano, e condotto colle stesse rime,
non olire che un penoso sforzo deiringegno di lei,
e non già una spontanea e libera produzione poe-
tica, qual si è la predetta canzone. Che anzi, se
vogjiara giudicare del valore di lei da questo solo
sonetto, le lodi profl'ertcle da Dante da Majano sem-
brano esagerate, e incompetenti. Però dobbiam cre-
dere che sopra altri componimenti adorni di mag-
giori j)rcgi sieno slate fondate.
E che diversi altri ne esistessero [)ar che si deb-
])a ritrarre dallo scorgere il nome di ]Nina nell'e-
lenco prodotto dall' Allacci tra coloro di cui ve-
duto avea rime ne' codici Vaticani , Ghisiani , e
Barberini , che dojx) il primo volume, il solo che
die in luce, avea divisato di pubblicare, secondo ch'ei
medesimo ci avverte (i). Ma voi mi replichere-
te come va che la bella Nina, che dell'amor richie-
stole da Dante da Majano andava sì fastosa, in guisa
(i) Tirabi t, 6 paif. a png, 479 "l'z- cit.
67
clie al suo nome quello dell' atlorator poela volle
congiunto, nella menzionata canzone, mostrasi presa
da ben altra passione, che da quella di Dante? Voi
ben comprendete, mio caro amico, che l'affetto tra
una donna, che abitava in Sicilia, e un uomo che
viveasi in Toscana, altro non era, che un amore spi-
rituale, 0 platonico che vogliam dire, tale in somma,
che nella reciproca slima avea alimento. Noi altronde
sappiamo, che ella non conoscesse Dante di persona,
come chiaro cel dicono amendue nei sonetti; quin-
di io non so persuadermi che di questo semplice
amore infruttuoso, che la sua fama le avea procac-
ciato per carezzar le sua vanità, potesse ella restar
contenta. Bella si era ed avvenente, e dotta, sicco-
me Dante ci assicura aver saputo per rinnomanza,
e quindi non poteano a lei mancar adoratori, che
le fossero attorno per richiederle ben altra cosa
che il semplice affetto di nuda stima, che solo ac-
cordar poteva al lontano poeta; perchè altro noa
avea da concedergli. Che se dall' attribuitale canzone
si ricava, che malgrado i suoi ragguardevoli meriti
avesse mal capitato in chi crudelmente l'avea tra-
dita; e che non pertanto ne fosse furiosamente in-
namorata, io vi ricordo l'infelice poetessa di Miti-
lene a cui non valse esser dalla pubblica fama di-
chiarata decima Musa per ritenersi dagli eccessi d'un
indomila passione , che la spinse in fine al gran
salto Lcucadio. Per un cieco impulso della me-
desima del pari che Saffo, in una ode di cui ci resta
un frammento , la nostra Nina non si astenne di
dir cose in quella canzone ch'era più prudente ta-
cere ; seppure non vogliam supporre che un tal
componimento fosse scritto da lei soltanto collo sco-
po di commoverc a pietà il cuor del suo ingrato
68
scdutlore, e non già tli renderlo tll ragion puLbli-
ca , il che e addivenuto per istrana conibinazion
di cose, ch'ella non polca prevedere. Così opcran-,
do privatamenle è degna di scusa, se trascinala dal-
l' amore avesse avuto per se stessa meno riguardi
di quelli che d'ordinario ha ciascuna donna, divol-
gar volendo i suoi senlimenti, e crede vieppiù di
meritare qualora comnietla altrui di scrivere al-
cuna cosa in suo nome, riguardi, che ogni uomo in
tal caso si crede in debito di osservare.
Ma io son forse troppo olire trascorso per una
semplice congellura, e non vorrei, mio caro amico,
che mi diceste di avere edificalo un di que' ma-
gnifici palagi, che vcggonsi in aria Ira Reggio, e lo
sticllo di Messina al sorger dell' estiva aurora , e
crcdonsi da quel volgo opera della sua fa!a Morgana,
cui di repente uno sbuffo di vento distrugge. Sia che
si voglia, io non pretendo che la mia congettura deb-
ba aver più peso di lanl'allre di simil sorta, ed ove
alcun che la valutiate, ponetela a lato di quella del
Missirini sul ritrailo da lui scoverlo di Beatrice in-
namorala di Dante. Non è già con essa, ch'io in-
tenda di rovesciare le idee ricevute su qualche ca-
none di letteratura, nò è poi da riguardarsi tanto
incoerente, come l'asserzione del P. Giovanni da s.
Antoniojche tramutò l'Alighieri in P.Francescano;(f)
e molto meno, come le opinioni del dotto Gesui-
ta Arduino, che soslenea che le opere de' più gran-
d'uomini dell'antichità fossero ad essi falsamente at-
tribuite; essendo scritte da monaci del terzo secolo,
che dandosi i finti nomi di Omero, Platone, Ari-
stotile , Plutarco , le aveano spacciato a nome di
quelli. Talché spinta più olire l'inanaginazione ere-
^ì) Tira]), t. 5 part. 2 png. 479 cdiz. cit.
... ^9
dea sin anclie provare, che l'Eneicìe di Virgilio era
stata composta da un p. Benedettino , il quale iti
essa volle allegM'icaraente descrivere il viaggio di
s. Pietro a Roma, come altresì, che lavoro d'uu
monaco eran le odi di Orazio, e che nella bella
Lalage, in una di esse descritta, si scorgea simbo-
licamente rapprescBlata la rcligion cristiana. La mia
congettura alla pur fine non poggia, che su i prin-
cipii dell'arte critica, che è la sola guida nelle cose
letterarie. Riflettete adunque su due componimenti,
e vi persuaderete senz'altro, che Odo insulso poeta
non potè essere autor di amendue d'indole opposta,
comecché d'uno stesso genere; e che quello attri-
buitogli come da lui scritto a nome d' una donna
dovette esser dettato da una del sesso leggiadro ,
che sia stata ad un tempo caldamente innamo-
rata , e valorosa alunna delle Muse. E se altra ,
che la vezzosa Nina lodatissima da Dante da Ma-
jano troverete ricordata come poetessa in quell'epo-
ca , dite pure eh' io fabbrichi i palagi della futa
. Morgana.
Per le stesse ragioni credo doversi imve a lei
ascrivere il sonetto anonimo, che si annunzia com-
posto da una donna nell'edizion delle rime antiche,
che fu diretto a Guido Cavalcanti, il quale visse an-
ch' egli ne' tempi della nostra illustre poetessa, e
comincia:
Onde sì muove^ e donde nasce amore?
Al quale rispose Guido colla nobile, ma oscura can-
zone, commentata dal Colonna, dal Garbo, dal Ros-
si, e da Fracchetta, in cui confermi, che una tale
provocaiioue poetica gli venne da una doana , e
principia:
70 ^ ^
Donna mi priega; perche io voglia cUre(i).
E qui è da avvertire, che il menzionalo sonetto
e la canzone
j^hi lassa innamorata
di cui ho tenuto parola di sopra; non ostante che
sieno componimenti di diverso carattere hanno a-
mendue conformemente uno stile semplice,e piano,
una lingua che tiene a quel principio di pulitezza
che manifestossi all'aperto nel secolo seguente nelle
poesie del Petrarca. E se differiscono da quell'altro
sonetto indirizzato da Nina a Dante da Majano, ove
ritrovasi qualche voce più antica, ciò potè avvenire
per esser stato scritto anni pria degli altri. Giac-
ché la lingua in breve spazio fece allora si rapi-
di progressi, che Guido delle Colonne non sembra
di aver poetato pochi lustri dopo l'Inghilfredi, Ja-
copo da Lentino, ed altri siciliani, come Dante A-
lighieri non mostra di aver scritto immediatamente
dopo del nostro Guido , e così il Petrarca breve
tempo appresso di Dante.
Qui fo fine, caro amico, a questa mia lettera,
e perchè possiate meglio giudicar da voi stesso, come
io sia riuscito col metodo indicatovi nelle correzioni
dell'antiche rime, e su qual fondamento poggino le
mie confetture circa al doversi attribuire a Nina
i due componimenti surriferiti, io qui li aggiungo
emendati, e ad essi fo precedere l'altro sonetto certo
di lei a Dante da Majano , e pel raffronto dello
stile inserisco pure la canzone di Odo delle Colon-
ne. Credetemi intanto qual mi pregio di essere eoa
piena stima.
prostro affezionatissinio amico
jd COSTINO Gallo
(OPocli del primo sec. dvlla lingua ilal. 1.2 cJit. di Firenze
i8i(J l'-Tg- aSy, e scq.
SONETTO (i)
Di Monna Njna di Sicilia di risposta a un al-
tro di Dante da Majano in Toscana^ condotto
colle stesse rime.
^^ual siete voi, die cara preferenza (2)
Sì fate a me senza pur voi mostrare?(3)
Molto m'agenzeria(4) vostra parvenza; (5)
Perchè '1 mio cor potessi dichiarare. ((3)
(1) Questo Sonetto è stato pubblicalo si malconcio, e scorret-
to che abbisognò della mano pietosa del Fcrticari per potersi in-
tendere; ma a mio avviso, con pace di quel valentuomo, non tulle
le stroppialure vi furon tolte, come vedrassi per le emendazioni
da me proposte.
(2) Pria del Perticar! si leggeva questo verso in tulte l'edizioni
Qual siete voi sì cara proff'crenza. Qacl leltcrato cambiò il sì in
■che con miglioramento della sintassi; ma non si accorse, che la
parola projfereiizu era replicata nel àcltimo verso in rim:>; e quin-
di dovea in questo primo legijcrsi preferenza che per altro ha un.
mii;lior senso , indicaiidosi chi mai t>oi siete che date a me una
preferenza sì cara sulle altre donne senza mostrarvi?
(3) Nell'altre edizioni si leggeva che fate a me senza uoi mo-
strare ì 11 Perticari cambiò il che nel si del verso precedente, e
vi aggiunse il pur che mancava alla misura del verso.
(4) Piacerebbe, agenziure è voce provenzale.
(5) Questa voce è senza meno derivata dall'antico Francese, al-
l'epoca di Nina reso vie piìi comune in Sicilia per la dominazio-
ne Angioina, la quale lasciar dovette nel nostro volgare alcune
)>arole,come fatto avea per l'innanzi la Normanna. Pttrcensa ap-
parenza, ma qui per presenza, nel primo senso fu usata da Dante
nel paradiso Comincian per lo Cicl nuo^'e parvenze.
(G) Nell'altre edizioni si legge potesse che fu corretto giusta-
mente dal Perticai! in potessi.
7^
Vostro mandalo sì(i) aggrada a mia inleiiza(2)
Che ili gioia conteria me udir nomaio(3)
Col vostro nome, (4) ch'e fa profTereiiza
D'essere sì disposto a me onorare. (5)
(i) Il Pciticari saggiamente avverte nelle note a questo sonetto,
clic mandalo è sincope di dimandalo in signilìcaziouc di doman-
da, ma non pose mente che il verso soppica, e che amerebbe una
sillaba di più per le elisioni delle vocali, che altrimenti non eli-
dendosi, gli danno un cattivo suono; a tuie oggetto gli abbiamo
supplito un sì, che per altro rannoda la sintantassi col verso se.
guentc.
(2) latenza per intenzione , intendimento , e talvolta volontà
amorosa è comune nelle rime antiche.
(3) In tutte l'edizioni si legge In gìoja mi conteria d'udir no-
mare, e cosi pure scrisse il Pciticari ; ma io credo che tal verso
non possa giustilicarsi per la misura. Gli iintichi per far gioja
d'una sillaba scriveano gio', e cosi potè essere sfato scritto da Nina.
In ogni modo io ho proposto la correzione, che ti scorge nel le-
sto, e che lega questo col verso precedeute, con piccolissima mu-
tazion della lezione comune.
(4) Lo voilro nome sta nel Perticar! , e in tutte le precedenti
edizioni. La mia correzione Col vostro nome esprime quel che la
nostra poetessa sempre ambi, cioè di farsi nominare iVi>ia Jt X^an-
te di Miijano, come nell'antico codice veduto dall' Allacci stava
scritto (vedi indice all'ant. rime da costui pub.) Senza la mia cor-
rezione il senso, che ne risulta non ha nulla di piccante.
(5) D'essere sotloposlo a me innorare, sta nell'antiche edizioni.
Il Ferticari sostituì onorare ad innorare , e fece bene ; ma non
riflettè alla contraddizione della voce sottoposto, che indica umil-
tà, e dcH'altra onorare, che accenna idea di orgoglio; talché par che
Nina abbia detto, che il nome di Dante si abbassava per onorarla.
La mia correzione salva la nostra poetessa da sì sconcio concetto
con la piccola y^'i^^'unc che si scorge nel testo.
73
Lo core mio pensare non savria(T)
Alcuna cosa che sturbasse amanza:
Così v'affermo, (2) e voglio ognor che sia.
D'udire voi parlare è voglia mia, (3)
Se vostra penna ha buon» consonanza
Col vostro cor, ed altra ei non dciia.(4)
(1) Savrìa per sipria è d'origine francese, ed è pure usato nel-
l'altro sonello di ])rovocazion a nome di una donna, diretto a
Guido Cavalcanti, die da me viene attribuito a Nina per diverse
ragioni esposte nella mia lettera al cav. Di Giovanni.
^ (2) Così affermo leggesi nell'altre edizioni. Io ho corretto, così
f'affermo, per correr meglio il verso, e per la riferenza piìi diret-
ta a Dante, a cui è diretto il Sonetto.
(3) D'udendovi parlare è voglia mia stava nell'antiche edizioni,
e senza buon uso di sintassi , che fu corretto dal Perticari L'u-
dire a voi parlare è voglia mia, ed or da me ridotto, come si leg'C
nel testo per maggiore regolarità. °
(4) I Giunti portano questo verso Col vostro core od fta tra lor
i^esia. Nell'edizion di Fir. del 1816 si legge, ed ha tra lor resia, nel
Perticar! od è tra lor resia. Questi poi ci fa sapere che Borghi-
ni dica, che nel linguaggio antico usato da' suoi concittadini, cioè
da fiorentini resia significasse discordia. In tal significazione il
senso regge Lenissimo; ma il Perticari per star fermo a* suoi prin-
cipii, che I nostri Siciliani diedero la lingua , e le forme a' To-
scani, e poscia a tutti gl'Italiani dovea ricercjre esempii- che nel-
l'antico dialetto siciliano la voce resia significasse discordia, e non
già nel toscano. Or in tutte le rime de' Siciliani non si scorge mai
una tal voce, né per quanto mi ricordi fu mai usata nelf antica
cronica sul Vespro Siciliano, scritta nel nostro dialetto quasi a"
tempi di Niiia.Nell'attual vernacolo, che tieu molto dell'antico si
usa pri risia per caso, per difficil fortuna, w/W« per azzardoso,
ma non mai per contrasto, discordia, lo sostengo adunque che que-
sta voce resta è una stroppiatura del copista , che potè trovare
per mero accidente un senso nelle stroppialure dell'antico volg.ir
fiorentino, e quindi debba leggersi desia cambiando la r in d. Alla
correzion poi delle due parole precedenti le slesse lettere, che le
compongono ci conducono da loro con piccole mutazioni; a tra di-
vien altra coU'aggiunta di un 1 in mezzo, l dilor coll'aposlrafc
avanti si legge el usato dagli antichi per egli ei, or diviene noti, e
il scuso è Lello, e coinpiuto.
^^* SONETTO (.)
'Diretto a Guido CArALCANTj da una donna ^ e
pubblicato anonimo^ da attribuirsi a JNina Si-
ciliana.
^^ude si move, e donde nasce amore?
Qual è suo proprio luogo, ov'ei dimora?
Kgli è siislanzia, accidente, o memora? (2)
E cagion d'occhi, od è voler di cuore?.
Da che procede suo stato? è furore?
Come foco si sente, che divora?
Di che si nutre? ti domando io ancora
Come, e quando, e di cui si fa signore?
Che cosa è, dico, Amore? egli ha figura?
Ha per se forma? o pur somiglia altrui?
E vita quest'Amore, o vero è morte?
Chi '1 serve, dee saver di sua natura:
Io ne dimando voi, Guido, di lui;(3)
Perch'odo molto usate in la sua corte.
(i) Questo SoncHo fu puLblicalo primieramente fra la rime an-
ticlic, e poscia ncH'cdizion de' poeti del primo secolo della lini;na
ilnliana impressa in Firenze nel 1816. A questo rispose Guido Ca-
valcanti colla famosa canzone dell'amor terreno, ove sviluppa poe-
ticamente tutti i proposti quesiti, ii clie non è stato per quel che mi
sappia avvertilo.
(2) Memora per memoria fu usato dallo stesso Cavalcanti nel-
la canzone di replica dicendo in quella parte dove sta memora.
Q) Cavalcanti scrisse nioltissinie poesie amorose, e quindi avea
gran pratica nella Corte di Cupido , di che andava attorno la
f.inii; laonde a lui si rivolsi; la nostra poetessa con queste iiicta-
fisiche dinunde d'aiuorc.
n:>
Canzone attribuita /inora a Odo delle Colon-
A^B, e da ascriversi pili verisiinilinente a Nina.
Siciliana.
A
Ili, lassa, iMiiamorala!
Contar vò la mia vila(i)
E dire ogni fiata(2)
Come l'amor m'invita;
Che io soii senza peccata, (3)
D'assai pene guernita(4)
Per uno, ch'amo, e voglio,
E non aggio in baria(5),
Sì come avere io soglio:
Però pato travaglia, (6)
Ch'egli or mi mena orgoglio,
E '1 cor mi fende, e taglia.
Ahi, lassa, tapinella'.
Come l'Amor m'ha prisa;(7)
Che allo suo amor m'appella
Quello che m'ha con(juisa.
La sua ])ersona bella
Tolto m'ha gioco, e risa;
Ed hammi messa in pene,
Ed in tormento forte:
Ne credo aver più bene,
(i) Contar voglio la mia t'ita trovasi in liilte r<.Mliz'oiii, cJie è
un verso ottonario, mentre gì i altri iiauuo una sillaba di uiciioi cnlo di la in lei, e di chi in che.
(3) i^en senza dal francese.
(4) Sen fallo senza esitare.
(5) Nell'altre edizioni si legge poi faccia che a me viene. Ognuno
indovina la ragione della mia correzione.
(6) Nell'edizion fiorentina, e nella veneta, e sarà fuor di pene
l'Allacci, e il Crcscinibeni d.inno, e sarò che e piìi regolare.
(7) Gallare di allegrezza, secondo la crusca significa tripudiar di
allegrezza, qui gallo senza meno significa tripudio.
79
Odo delle Colonne Messinese
Ti poeta persuade la sua donna a non creder co-
loro die le lian parlato male di lui.
istrcllo(i) core, e amroruso(2)
Giojoso mi fé canta re: (3)
E cerio s'or son peiisuso,(4)
Non è da maravigliare,
Che Amor m'ha usato a tal uso,
E m'ha sì presa la voglia, (5)
Che disusar, m'è doglia,
Vostro piacer araoruso.(6)
(i) Incatenato inceppalo.
(t) L'ediz. fior, del 181G, e quella di Venezia del 1819 portano
aiiioinso che non rima con uso. lo lio posto amoruso coiil'omic
alla pronunzia siciliana, e alla lezion dell'Alliicci, e conie liccica
la rima.
(3) Tutte l'edizioni portano /a cantare io ho corretto yè can-
lare per non essere il poeta in contradizione con ciò che scnivc
nelle stanze seguenti,
(4) Pensoso.
(5) Ila siffattamente legato il mio volere.
(6) Che sento affanno a divezzaimi dalla gioia d'amore che sen-
tiva per voi. Si avverta che qui la parola anioruco in riiia è re-
plicata, trovandosi del pari nel primo ve*soj ma io non ho ardilo
di cambiai la.
8o
L'amoruso piacimento
Mi donava rallegranza;(i)
Veggio 1110,(2) ciie sj)arlamento(3)
Mi ha diviso da speranza;(4)
Ond'io languisco, e lamento(5)
Per la fina desianza;(6)
Cà('^) la lunga dimoranza
Troppo m'adastia(8) talento.
Lo penoso adasliainento,(9)
Degnale, donna, allegrare,
Dopo l'ira, e spiaci raento( 10)
D'insidioso parlare,
E dar confortamento
A' leali amadori;
Sì che i rei pa riadori
IS'aggian scoiifortamento.
(1) Tulle redizioiii portano che mi donava allegranza, tolto quel
che risulta cliiaro il senso.
(2) Ora. Nell'altre edizioni si legge veggio che mo parlamento
e il senso è imbrogliato. La mia correzione lo richiama.
(3) Qui intende il poeta, ciò che altri gli avea detto della sua
donna per invidia, siccome più chiaramente spiega nella stanza, che
segue.
(4) Tutte r edizioni danno me ne ha diviso speranza. La rota
piccola correzione rende più intelligibile il poeta, che cosi si espri-
me. Io era allegro perchè godeva del piacere di amarvi , ma mi
accorgo ornai, che l'altrui ciarle a mio danno mi hanno allonta-
nato dalla speranza d'essere corrisposto. •
(5) Lamnilo per mi lamento è in molle rime antiche.
(6) In tut(c l'edizioni si legge per ^na desianza^e manca al
verso ottonario una sillaba, che è slata da me supplita.
(-) Cà sicilianismo, che.
(8) Contrasta, tormenta, e il senso è questo: il troppo ritardo
ad arrendervi di nuovo all'amor mio sempie più fa dispetto alla
mia volontà.
(9) In tulle l'edizioni e stampato lo pensoso adasliamenlo e oc
il pensoso dispetto, che non ha senso, io vi ho sostituito ;;e»iofO.
Ad astio nel dialetto siciliano attuale significa a stizza.
(10) Nell'antiche, e moderne edizioni perirà e spiacimento che
è un verso sctienarioi mentre gli altri hanno una sillaba di più
Si per supplir questa, come per maggior chiarezza l'ho corretto nel
modo che si scorir^c.
Sconforta mento n'avrano(i)
Poi(2) comandato m'avete,
Ch'io mostri tal viso vano,(3)
Che voi, bella, conoscete,'
E con ciò crederano,(4)
Ch'io ci aggia mia dilettanza,
E perderanno sperauza(5)
Del falso dir, che fano.(6)
Fannomi noja, e pesanza
Di voi, mia vita piacente, (7)
Per mantener loro usanza
La nojosa, e falsa gente: (8)
Ed io com'auro in bilanza(9)
Vi son leale, Sovrana(io)
Fiore d'ogni cristiana,
Per cui il mio cor s'inavanza(i i)
(1) Avrano, avranno, usato per la necessità della rima.
(2) Poi per poicliè è comune nelle rime antiche.
(3) Ch'io mostri per la riacquistata vostra grazia il volto or-
goglioso, che in simili casi non yi è ignoto, cli'io abbia mostrato.
(4) Crederanno.
(5) Questo verso manca nell'edizlon fior, e in quella di Vene-
zia citale, ma nell'Allacci trovasi altrimenti; cioè e perderanj cre-
denza che non rima con dilettanza, e replica l'idea precedente ,
io vi ho supplito la parola speranza confacente al senso. Essi per-
derà nno la speranza di trovale accoglimento le bulica mio datino.
(fi) Fanno.
(7) Essi cercano all'incontro, col parlarmi male di voi, di ren-
dervi a me di noja, e di gravezza.
(8) Gente, come sostantivo collettivo è dal poeta usato col verbo
iu plurale alla latina.
(9) Oro perfetto , di buon peso. Qui nel senso di uom di cor
sinceio, e puro.
(to) Per cui lo mio core s inavanza recano tutte l'edizioni, ch'io
non credo doversi riguardare come verso ottonario, onde è stato
ridotto da me come si osserva. S'inat>aiiza forse si spinge oltre
ad amarvi. Questo verbo manca al diz onario della Ciusca.
(i 1) Molti sono gli esempii presso gli antichi rimatori della voce
Jìore usata in femminino alla fiancese La fiore d!o§,ni fiore scrisse
Federico 3. Quindi qui potiebbc leggersi fior Sovrana nel scuso
di fior principale, il più bello, fior di ogni fiore,
a
iJjt::
Sopra un antica mone ta ritrovata in S din unte.
Amico.
E.
eccomi a darvi conto dell'antica moneta ritrova-
ta in Selinunte , ed esistente in Castelvetrano; io
noterò quelle osservazioni che ho fatto per unico
mio diletto , e non per vanità letteraria.
Molte medaglie si conoscono dell'antica città diSe-
linunte, ed il Torremuzza nelle sue tavole ne an-
novera sino a tientaquattro coniate al certo in va-
rie epoche , le quali tutte mostrano tipi diversi.
Havvene altre due prodotte da Golzio; altre si con^
servano nel convento dei PP. Benedettini in Paler-
mo; non poche ne conta il Parula ; e finalmente
Eckell ne publicò moltissime; ma fra tutti i citati
autori non mi è venuto fatto, di rinvenire una in-
tera dilucidazione di quella moneta di cqi mi fa-
rò a parlarvi posseduta in questa da D. France-
sco Consiglio.
Essa è in argento del diametro di un' oncia e
una linea : vedesi da un lato in esatto bassorilie-
vo un giovane ignudo di forme eleganti: il quale
tiene nella destra una tazza in atto di dover ver-
sare qualche licore sopra un altare parallelepipedo
che alla di lui dritta s'innalza: posa questo su due
gradini, ed ha sopra una piramidetta; nell'estremi-
tà superiore è adorno da una ghirlanda di foglie,
e più sotto havvi sculto un serpe a spira. Tiene
il giovine coll'altra mano piegata all'ingiù una pal-
ma. Dal lato istesso, sul fondo, vedesi incisa una
foglia d'appioj e nel basso ritta su di un piede una Ci-
83
cogna. Leggesi nella circonferenza la parola IIVi'AS.
Dall'altra parte è un uomo barbato, similmente
ignudo, di un caraltere più robusto del primo, an-
che di corretto disegno, seduto sopra un loro , il
quale e in atto di correre, esprimendo ad un tem-
po lo sforzo dei muscoli pel soprastante peso: l'uo-
mo con la sinistra gli afferra un corno , e con la
destra stringe un bastone in atto dijninacciarlo, ve-
desi scritto intorno :^'EAIN0NT10::^.
È noto come gli idolatri, e sopra tutto i Sici-
liani(i) prestavano culto ai fiumi, e come iddìi gli
adoravano(2). Rappresentavanli or sotto la forma di
un toro.(3) , or sotto quella di un minotauro con
faccia umana barbata(4) ed ora li jiersonificavano
sotto la forma di un giovane ignudo(5).
La colonia greca sin dal primo suo stabilimento
in Selinunte incominciò ad adorare il fiume ^eXt-
V8V, che dava nome alla sua patria, sotto la for-
ma di un minotauro barbato , e lo venne impri-
mendo nello proprie monete. Il Torremuzza ne fa
(i) Sìculos ante omnes late fuisse ciiltuì achlictos. Cicero Orai,
in f^er.
(2) Jerardus Johannes J''~ossi da Idolatria e. 79.
Justus Fonlaniims de nnliquitata hortc l. i e. 8.
Johannes Bosseìiius de ciillu Jlumiintiu.
(3) Qui atitein ex fiiLuUs i^eruin alligunl, Taurum similem for-
ma Achelnuni ajuiil ut et alios Jlui'ios oh sti-cpituin, et Jlexus al-
veoruin, qui cornoa dicuniur. 6'trab. Geograph. l. X.
Et gemma auralus Tauiino eornua vullu Eridaiius. f^irs.Geor:
l- IF. i'. 375.
Sic Tauriformis l'oh'ilur jéufìdus Orni. l. IV- Od. 14.
(4) In cotiimenlalionc ad nuininos Siculus Jiic. Plidippi Uor-
villi p. 390.
Pietro Garrera memoiic storielle di Catania p. G3.
(5) FluvioìUin natura, et jluenla eoium oculis cei iiiinus; nichi-
loniìnus taiiien qui colunt eus ad iinagineni eoiiim faùiicniilur par-
tini humana forma eos consecrarunt , partim bouin Jiguram eis
ajjixerunt, AeLianus Variar, Jlistor. Iti. ii cap. 33.
^4 . . .
conoscere cinque in cui attorno del minotauro Si
legge, in tre ^EMNONTION, in un'altra SEM-.
N0E2, e nell'ultima ^EAINOINTON. Si ravvisa
lo slesso mostro nelle monete di Gela ove intorno
è scritto: FEAAS fiume che die nome a quella
città. Osservasi pure nelle monete di Imera dove
è apposta rovescio. NHIA^SMI, ed in altre.
In progresso come se i Selinuntini volessero solen-
nemente consacrare il sito della propria patria, e pre-
stare in uno il loro omaggio a quel tiume , che
verso oriente scorreva, lo rappresentarono sotto la
forma di un giovine ignudo in attitudine di sagri-
ficare, chiamandolo HAÌ'AS , come attorno delle
monete si osserva(i).
Nella descritta moneta si vede da un lato il gio-
vine sagrificante con la parola HAi'AS, che ci fa
conoscere il simbolo di questo fiume. La storia di
Selinuntc ha molla relazione con questo sagrificio,
e giova moltissimo a spiegarlo. E nota la strage
che apportarono le mofetiche esalazioni della palu-
de lalico agli infelici Selinuntini. Il divino Era-
pedocle(2) liberò l'ammorbata città dai pestilenti aliti
dello stagno , immettendovi le acque di due tor-
renti vicini, è cosi dando moto alla morta gora. A
rimeritarlo del beneficio gli furono coniate meda-
glie, le quali rappresentavano da un lato una bi-
ga, o quadriga con due figure sul carro, e dall'al-
tro un sagrificio; dall'una parte han ravvisato Apol-
line che saetta, ed Empedocle che lo trattiene: del
(i) /rt S elinuntìnprum nummìs vtr cernitur ad aram sa-
gvi/ìcans eirfue apposita t'oa: JlAlA^. Hijpsajlui'ius iserat,
qui in Scliiiuntinorum agros projluebat , et dicitur hodie belice
/inislio. Toreni. in iscr. noi>. coli, p. XXf^II. in net,
(2) Uc vix humana videatur stirpe ciecUus — Lttcr. lib, i.
85
saffilficlo non si è fatto verun motto. Lasciando in-
o .^ ...... ... . ...
tanto pili vensimiii spiegazioni ai numismatici; in
quel giovine panni sia da raffigurare il fiume HA-
4'A^S , che in ringraziamento della liberazione ot-
tenuta ai suoi adoratori per mezzo di Empedocle
dai mofetici vapori della palude lalico, sagrifica le
sue acque sull'ara di Apolline, (poiché per l'azio-
ne del Sole si sollevano i maligni aliti) la quale
ara io dico consacrata ad Apollo dal vederla co-
ronata d'una ghirlanda di lauro con sotto un serpe.
Il raffigurato fiume ha nella sinistra un ramo di
palma a dinotare l'emblema distintivo di Selinunte
feracissima di quella pianta si che Virgilio ebbe a
cantarla col nome di palmosa(i).
Come ho detto incisa sul fondo verso il lato si-
nistro vedesi una foglia d' appio selvatico , pianta
che diede il nome al rinomato fiume ^sXtyav da
cwi ebbe nome la città(2). Era questo il segno che
dapprima unicamente veniva impresso nelle mone-
te: nelle ulteriori però si vede noa altrimenti che
nella nostra(3).
Una Cicogna evvi al basso della moneta ritta su
di un piede. L'uomo nelle prime epoche della sua
civiltà non sapendo alle operazioni della natura, che
gli riescono portentose , attribuire cagioni fisiche,
e risentendosene più la sua imaginazione che il
raziocinio ricorre ad una forza supernaturale, e di-
vina. Le Cicogne non avvezze ad altra pastura che
a quella di pesci, ranocchie, e molto più di rettili
veleuosi(4) venivano riputate come esseri degni di
(i) Teqne dads liiiquo veiUis palmosa Sclintts, J^irg. Enetcl J
l- 3 t*. 7o5'
(2) Dtirisamin,
(3) T'orcin. Tcu'ol. nuinis di Siciliu,
C^) Btill'on storia ualurale Y' i3.
86
venerazione, che scemavano quella razza agli uomini
tanto nociva. Il naturale istinto di nicliiicare sopra
r allo dtlle case (i), e delle torri , dava luogo ad
immaginare die esse portavano la fortuna a quella
casa su cui riparavano. Venivano a dir breve, con-
siderate come l'anima di tutti gli affari, e quindi
aveasi a delitto il far loro del raale(2). Era inol-
tre ad esse attribuita la facoltà di eslingueje gli
incendii, che nelle case per accidente si attaccava-
no; onde per tili circostanze vennero riputate co-
me destinate dajrli dei a vcfrliare alla tutela delle
abitazioni , che esse albergavano. Il vedere tale
animale sculto in diverse monete selinuntine, e di-
pinto in un piccolo mattone rinvenuto nella rovi-
nata Acropoli selinuntina, e che da me si conser-
va , mi ha dato a credere essere in venerazione
presso quel popolo tanto da imprimerla or nelle
monete, or negli adorni di casa.
Il rovescio della moneta mostra un uomo seduto
sopra un toro in atto di domarlo. È nota la vene-
razione in che tenevano i Selinuntini Ercole , sì
che variamente scolpivano le diverse sue imprese.
Un Ercole Melamjiige si osserva in una delle me-
tope trovate sotto le rovine del tempio di mezzo
dell'Acropoli da Guglielmo Aris, e Samuele Encell,
conservato nel museo dell'università degli studii in
Palermo, rappresentante questo Semidio vincitore
di Fessalo, ed Alcmone fratelli, cui porta ligati per
i piedi all'estremità di un asta, che sulle spalle si
rcca(3). Un Ercole pariin enti che atterra Panlasi-
lea si rinvenne nel pronao del tempio verse» il ma-
(0 Buffon V. i3.
(.>.) Kc.don V. i3.
(3) Piaaiii sulle opere di scultura scoverlc in Scliuuiilc p. i6.
87
re. fuori dell'Acropoli. Nella descritta moneta par-
mi ravvisare la sesta fatiga di questo mitologico
Eroe. Minos greco Sovrano aveva votato di sagri-
ficare un toro a Nettuno: ma non avendo attenu-
to la promessa, il nume sdegnato suscitò quell' i-
stesso toro sin a fargli sbuffare fuoco dalle nari ,
onde sterminare gli stati dello spergiuro re. Ercole
impietositosi di tale disavventura domò quel mostro
devastatore. Or nell' uomo ignudo seduto sul toro
parmi sia da ravvisare Ercole in questa sua sesta
fatiga. La circostanza di veder sempre espresso il
fiume ^aXivitv sotto la forma di un toro, or sotto
la propria, ed or sotto faccia umana con leggervi
5EAIN01NTI0N, e l'omaggio religioso in cui te-
nevano quell'eroe, mi ha fatto opinare die i Seli-
nuntini volessero, unendo in quella moneta ambo
le idee di religione, consacrare ad un tempo una
eroica azione , ed un atto di religioso culto verso
il patrio fiume.
Di voi sìg. F. P.
Custclyetrano li 18 settembre i832.
Divmo. ed Olbrao. Amico
// Sac. Gaspare f^Ji^iANi.
88
Lettera di Ferdinando Malvica al Conte
Leopoldo Cicognara.
Chiarissimo sìg. Conte ed amico veneratissimo
JLi ottmio nostro Vieusseux, che contante fatiche
e tanti sforzi prosieguo a dare all'Europa uno dei
migliori Giornali, che sieno mai stati, l'Antologia,
invitandomi con gentili parole a collaborare in essa,
mostrorami nell'istesso tempo desiderio, che nelle
siciliane Effemeridi avessi, fra le altre notizie, ma-
nifestato anche quelle che risguardano le opere im-
portanti , che si staix fra noi preparando. Quindi
io per corrispondere da una parte, come meglio mi
sappia, al cortese invito di quel valentuomo, man-
derogli in breve una Memoria^ che a guisa di quadro
presenti lo stato attuale della cultura del mio paese;
onde vedere a colpo d'occhio ciò che noi siamo, e
ciò che dobbiam fare, per giungere là dove le ci-
vili nazioni son giunte: ed ora, secondando il desi-
derio di lui, mi affretto a scrivervi la presente lettera,
onde annunziare un lavoro, che -vedrà fra non molto
la luce , e che a me sembra di non lieve pondo,
Jier l'incremento delle arti e dell'archeologia: sicuro
che voi, sommo filosofo e conoscitore profondo delle
])iù severe dottrine, farete plauso al mio divisamenlo.
Il Duca di Serradifalco, esimio ed appassionato
cultore di ogni gentile scienza , ha rivolto da più
tempo l'animo ad illustrare gli avanzi della siciliana
grandezza. Voi clic amate tanto il natio terreno,
c che siete pieno dell' antico spirito italiano , ben
^0
vedete quale onore si meriti questo generoso peu-
siere. Io perciò non posso celare l'interna gioja che
mi balza nell'animo, veggenclo che uomini, cui la
fortuna collocò in elevati seggi, attendono a gravi
studii, amano la patria, onorano le lettere, e pro-
teggono coloro die le sostengono e le diffondono.
Questi esempi sono rarissimi ne' tempi rotti in cui
ci viviamo; ond' è santa opera quella di palesarli
e di divulgarli per ogni dove; poiché la più parte
di coloro, cui la degenerata terra chiama grandi,
poco curandosi delle umane dottrine, che fondano
la civiltà degli Stati, e danno o conservano il nome
ai popoli, potrebbero in cotal guisa solamente scuo-
tersi dal fangoso letargo in che si giacciono, e co-
noscere che la sapienza è la sola che illustra e rende
grandi i mortaJi. Quindi è bene che si tributi omag-
gio alla virtù, e s'indichi con esempi luminosi, che
son quelli che più colpiscono, il sentiero della ve-
race gloria a coloro che furon dal caso favoriti.
Io appieno conosco, egregio signor Conte , con
quanta forza voi partecipiate in questi pensamenti:
e mi ricorderò sempre con un sentimento di pro-
fonda gratitudine , cui il tempo o la fortuna non
potran mai cancellare, delle generose parole, con
che tante volte su di ciò ragionaste, nel mio pro-
posto infiammandomi. Laonde mi è caro ripetervi
le mille fiate che l'affettuosa benevolenza di un uomo,
che siede, veneralo da tutti, in uno dei posti più
sublimi dell'italiano sapere, mi è di un prezzo ine-
stimabile; diguisachè io mi porto spesso col pen-
siero in coteste leggiadre sponde dell'Adria, e parmi
di sentire novellamente il tuono della vostra voce,
e di favellare e di discutere insieme. Perlochè som-
mo contento io provo nello scrivervi; ed ogni vo-
9^^ ,
stia lellera che mi ricorda la vostra cartese ami-
cizia, e mi riunova gli antichi nostri legami e per
me un tesoro che non ha pari. E se voi avete sem-
pre accolto eoa amore le mie lettere , son sicuro
che viepiù accetta saravvi questa che v'invio, per-
ch'ella vi ragiona dell'opera gravissima di un uomo,
che, per le qualità della sua mente e del suo cuore,
merita l'affetto e la stima comune.
Io, nel cinquantesimo tomo del Giornale Arca-
dico, feci (è omai qualche tempo) lunga menzione
di un altro lavoro del Serradifalco, pubblicato per
le stampe del Solli, intorno ai resti dell'antica So--
luuto. Le illustrazioni in quello scritto contenute
a me parvero, e sono, piene di accorgimento e di
senno: dimodoché sin d'allora poteasi bea da esse
rilevare il destino delle altre patrie fatiche, a cui
il Serradifalco attendea. Difatti egli da Solunto si
era rivolto ad illustrare Selinunte: e l'opera che io
vi annunzio risguarda questa famosa città dell'antica
Sicilia.
Ella sorgeva presso Mazara, e forse nel sito me-
desimo, ove questa sorge: fondata dai Fenici, di-
venne popolosa e polente sotto i Megaresi : eravi
commercio, cultura, alrii e palagi sontuosi, tempi
magnifici: e se a noi oggi mancasse l'autorità di
Erodoto di Pausania di Diodoro, che l'antica sua
splendidezza contestano , potremmo con sicurezza
argomentarla dai preziosi ruderi che ci rimangono.
Dugento quarantadue anni ebbe solo di vita, che
nel 409 innanzi l'era nostra , i Punici sconoscenti
e barbari, guidati da Annibale, l'attaccarono la stra-
ziarono la distrussero. Diodoro descrive tutta quella
misera scena, e son sì patetiche le tinte che ado-
pera, che fortemente ci commuove ed a piangere ci
siringe: virtuosi e prodi erano i Selinunzii, belle e
|juf!iche le loro donne: soggiacquero tulli all'ultimo
esterminio, valorosamente per la loro patria com-
battendo: e noi benché fossimo per due mille anni
da loro disgiunti, pur visitando gli avanzi di quella
celebrata città de' padri nostri, e ricordando la sua
misera fine, tremendo brivido ci sentiamo scorrere
per le vene: ogni sasso ci arresta, ogni luogo, che
porta il marchio della sua vetusla grandezza, e delle
sue calamità, mille dolorosi pensieri ci fa agitare nel-
la mente: e noi vorremmo di ogni cosa conoscere
la prisca sua destinazione, e ci duole che non ab-
biamo fiaccole sicure che ci possano illuminare in
tanto bujo di tempi e di notizie. Ma ecco che il
Serradifalco , pieno di nobile entusiasmo , viene a
diradare queste tenebre, dandoci di ogni obbietto
esteso conto, ed illustrando con sottile giudicio quel-
la famosa e sfortunata città.
Egli è però vero che sin dall'anno iSaS, in cui
gli architetti inglesi Harris ed Angel fecero in due
dei suoi tempii l'importante scoperta di cinque rae-
tope, gli Archeologi tutti vi rivolsero la loro at-
tenzione, ed alcuni fra i più valorosi si diedero a
descriverli ed illustrarli , quantunque non fossero
d'altro guidati che da disegni, non sempre fedeli,
pubblicati dal Pisani, dall'Angel, dal Thiersch, e
finalmente dall'Hit torf.^
Queste preziose metope, tre delle quali additano
uno stile antichissimo , e due uno sviluppo mag-
giore dell'arte, mostrandosi somiglievoli ai marmi
di Egina, riempirono una non lieve lacuna nella
storia della greca scultura. Ma era serbata al Ser-
radifalco la bella sorte di rinvenirne altre cinque
iu un terzo tempio della medesima città, le quali
9^ . . ,.
mostrano i progressi di quest'arte, e sembra che
debban dirsi di poco anteriori a quel fortunato pe-
riodo, in cui l'immortale Fidia condusse la statua-
ria a quell'alto grado di perfezione, che segnò l'e-
poca più gloriosa dell'arte greca. Egli, dando conto
di questa importante scoperta all'Istituto di Archeo-
logia, stabilito in Roma (V. il BuUettino di corri-
spondenza archeologica n. XI), promise di pubbli-
care per le stampe queste ultime non solo, ma ben
anco le melope anteriormente trovate dagl' inglési
architetti, e che avrebbe accompagnati da disegni,
per quanto meglio da lui si poteva, fedeli ed esatti.
Or la generosa promessa e vicina ad affettuarsi;
che l'opera vedrà la luce fra poco , non di altro
mancando che di alcune tavole^ che la solita len-
tezza degli artisti ha sinora ritardate.
- L'autore la divide in tre parti: tratta nella prima
della storia di Selinunte; nella seconda presenta lo
stato attuale dei ruderi di questa città; e fa la de-
scrizione dei suoi tempii, accompagnata da rifles-
sioni architettoniche, che risultano dalla loro strut-
tura, e particolarmente dagli avanzi dei colori, che
su di essi tuttavia si conservano: saggi preziosissimi
dell'architettura policroma. E qui oltre alla descri-
zione de' sei tempii , ragiona eziandio della vera
forma di una edicola , ugualmente di architettura
policroma, forse non prima esattamente osservata,
e di un altro monumento che giace fuori la distrutta
città.
Nella terza infine prende a descrivere e ad il-
lustrare le dieci metope sinora scoperte, e giovan-
dosi del periodo in che fu fiorente e doviziosa que-
sta greca colonia, non che del carattere che pre-
sentano le «uè sposte sculture , studiasi di trarne
. 93
argomento, onde stabilire con molta approssima-
zione r epoca, nella quale ciascuna di esse venne
eseguita; dimodoché noi reggiamo riuniti in Seli-
iiunle i primordii i progressi e la perfezione della
scultura ellenica. La qual cosa conduce l'autore ad
altre osservazioni di gran momento. Egli, dopo ta-
lune gravi considerazioni intorno la remota anti-
chità, cui si riferiscono le prime tre melope, e gli
avanzi di colori, che tuttavia vi si osservano, -dà
compimento al suo lavoro, istituendo un confronto
tra lo stato dell'architettura e della scultura in o-
gniino di questi tempii, onde desumerne quale tra
queste due arti sia prima pervenuta alla sua perfe-
zione nel classico suolo della Grecia e di sue co-
lonie.
Quest'opera è corredata di trenladue tawle^ che
mostrano lo stato attuale dei monumenti architet-
tonici; le loro piante coi particolari loro; le ristau-
razioni corrispondenti; ed infine le copie delle scul-
ture e di altri frammenti rinvenuti fra i delubri
selinuntini.
Il lutto è dettato con purezza ed eleganza , ed
ordinato con intendimento e non comune giudicio:
le riflessioni discendono naturalmente dal subbiet-
to; l'erudizione vi è non volgare, ne ciecamente pro-
fusa, ma peregrina e sparsa con saggezza; ed il con-
fronto di cotesti monumenti riguardo allo stato del-
l'architettura e della scultura loro, per poi stabi-
lire il principio, di cui ho fatto parola, a me sem-
bra una concezione mirabile.
Voi, egregio signor Conte, che siete sommo mae-
stro, e che avete nella vostra celebre Storia della
scultura ragionato con infinita dottrina di quest'arte
non solo, ma delle arti tutte, mi sarete cortese di
94
dirmi, colla vostra consueta franchezza, s'io abbia
coliiito nel vero, o se mi sia ingannato nel mio giu-
clicio. Quindi vi prego dii permellermi clic io vi fac-
cia giungere quest'opera, tostochc sia ])ubblicala; on-
de voi vogliate compiacervi di sentenziare su di essa,
colla certezza che l'autore, il quale non ama che
il vero, avrà sempre carissimo, qualunque egli sìa,
il vostro giudicio; e noi tutti ci acqueteremo ad esso.
Vivete intanto alla patria e all'italiana sapienza:
proseguite ad amarmi come avete fatto sempre; il-
luminatemi ognora de' vostri consigli; e crediate che
finche mi basti la vita io sarò il vostro vero am-
miratore ed amico obbligatissimo
Al Coute Leopoldo Cicogkara
Commendatore della Corona dì Ferro ec. ce,
^Venezia)
Palermo' nel dicembre del iSSa.
Ferdinando Malvica.
Notizia intomo all'arte deW intaglio in legno del-
l'epoca Sveva in Sicilia.
Weì nostro discorso sullo stato delle belle arti in
Sicilia nell'epoca Normanna, letto nell'Accademia di
Palermo nell'anno trascorso focemmo conoscere quali
di esse erano allora esercitate in quest'isola, mercè
il favore di que' Principi non mcn prodi, che son-
tuosi, e magnifici, che ì'.avean conquistata. Fra le
altre rammentammo quella dell'intaglio in legno ar-
gomentandone l'esistenza dalla scultura in marmo,
che da essa prende origine, ti ch'essendo più dure-
95
vole ci avea lascialo Lastevoli monumenti; mentre
l'altra esercitandosi sopra una materia più consumabi-
le ci rentlea doleoti di averli perduti. Però essendosi
di recente scoverto un lavorio d'intaglio in legno,
a nostro credere dell'epoca Sveva, che seguì im-
medictameate la dominazione Normanna, ci godette
ì'aaimo non poco, avendo noi per esso un mezzo
di giudicare di quell'arte in Sicilia. Ci recammo quin-
di nel R. Palazzo, ove si dicea di essere stato rin-
venuto un tal lavoro; e ci fu dato di osservarlo a
nostro bell'agio. È desso un sopra ccielo d'una porta
ch'era collocato in quella appunto, che è nella stanza
a mosaico rimpetto a' verroui, ed era sempre già*
ciuto lì inosservato, e ricoverto di calce. Essendosi
di fresco terminata la ristorazione di que mosaici,
come annunziamo nel fase: io delle nostre Efl'eme-
ridi , e ripristinala la bellezza di un'opera che at-
testa la magnificenza del Re Ruggieri, che la co-
minciò, e del nostro Federico lo Svevo, che la recò
a compimento, l'architetto Camerale sig. D. Giu-
seppe Puglia volse casualmente lo sguardo su quella
tavola, e comecché coverta fosse di calce conobbe
di dover essere intagliata. In effetto fattala pulire
l'imase sorpreso della diligenza, e squisito artifizio
d'intaglio, ond' era adorna. È desso eseguito sopra
legno di cipresso, che vien generalmente riconosciuto
come non soggetto al tarlo; il che è confermato da
questo monumento che è durato per ben oltre cinque
secoli. E diviso in tre sezioni di compartimenti, due
all'estremila, che forman diversi quadrati, e uno in-
termedio assai piccolo, che serve lor di divisioue.
Si volgono in giro a detti quadrati de' rabeschi di
frondi, e per entro animali, siccome cani, uccelli,
ed altri. Tutti questi ornati, sebbene abbiano uu
uniforme geuera.l simetria son nulladimeuo variati
<)6
nella rapprescntazion di diversi volatili, o quadru-
pedi. Le aquile priiinipalaieutc vi abbondano. Nel
piccolo compartimento intermedio* si osserva un'aqui-
la più grandetta ad una testa, e un'altra a due. Or è
chiaro che la prima è lo stemma Normanno, e la
seconda lo Svevo. Ciò ci dà chiaro argomento che
sotto il nostro Federico P dovette essere eseguito
il lavoro; giacche egli per ragion di Costanza la Nor-
manna sua madre , che recò in dote il regno di
Sicilia ad Arrigo VI, all'aquila bicipite, arme del-
a propria famiglia , aggiunse quella d':un sol capo
della dinastia Normanna. L' idea dell' ornato è ia
parte conforme a quella de' mosaici dell' anzidetta
stanza; e molto più alla scultura in marmo nello
stipite della porta del parlatorio delle monache del-
la Martorana in Palermo, il quale comunica colla
loro Chiesa, che si sa di essere stata costruita a spe-
se di Giorgio Antiocheno, Ammiraglio de' due Rug-
gieri. La somiglianza di ornato di questi due mo-
numenti uno in legno, e l'altro in marmo appar-
tenenti a tempi così vicini , e in parte a mosaici
ci dimostra un sistema quasi gerale di abbellimenti,
che sente poi pel capriccio, e per la varietà dello
stile degli Arabi , e conferma sempre più quanto
nel menzionato nostro discorso asserimmo che gli
Arabi avendo dominato per oltre due secoli in Si-
cilia ci lasciarono le loro particolari maniere nelle
arti, che furono in piccole cose modificate sotto i
Principi Normanni, e Svevi; ma non già del tutto
immutate; e ciò è ben naturale, giacche i Norman-
ni, e gli Svevi recarono in Sicilia soldati, e non ar-
tisti, e per le loro magnifiche opere si valsero di quel-
li ch'erano appo noi, già educati per si lungo tem-
po dagli Arabi.
A* Gallo*
97
Sul testo del Petrarca — E i Siciliani — Che
fur già primi, e quivi eran da sezzo — Lettera
del Sac. Niccolò Buscemi a M.r India Cian-
tro della Cappella Palatina, ecc.
A voi signore, che le patrie glorie senza sover-
chia passione amate, ma con vero zelo siete d'ac-
crescerle vago, invio queste mie osservazioni sul ce-
lebre luogo del Petrarca da molti spesso chiosato,
e da nessuno per quel che io sappia di buon senno
inteso. Esso rimira un punto della storia delle no-
stre lettere, che degno argomento è stato al ragio-
nare di molti. Or quasi da ogni uora si conviene
che il pregio della lingua, onde va superba l'Ita-
lia, in questa nostra isola fu sollenne , prima che
nella penisola avesse nome. Fatti costanti con l'auto-
revole testimonianza di Dante, e questa autorità del
Petrarca hanno stabilito tale storica verità, la quale se
altro fondamento non avesse clie questo testimonio,
certo malferma sarebbe e vacillante. Poiché appog-
giata essendo alla voce primi per se slessa equivo-
ca, cadrebbe subito che l'equivoco venisse in contra-
rio a sciogliersi. Altre volte nello stesso capitolo usò
il Petrarca di questa voce non già per primato di
tempo ma di onore. Parlando di GuiUone dice il
poeta.
Che di non esser primo par ch'ira aggia.
E appresso tenendo ragione dei poeti provenzali
chiama
Fra tutti il primo Arnaldo Daniello.
Ora che Guiltou s'adiri di non esser nato ccut'aa-
9
ni prima , nessuno credo lo terrà ben volentieri ;
come forse nessuno crederà il Petrarca uomo così
ignaro delle cose, che abbia voluto fare il Daniello
l'anlicliissimo fra Trovatori di Provenza. Molti luo-
ghi del poeta potrei portare a far vedere l'equivoco
della voce primo che significando ora luogo, ora tem-
po, ora dignità viene adoperata. Ma l'equivoco diviea
lèrmo da quel che siegue. La parola da sezzo si è cre-
dula come contraposta alla voce primi, quasi vo-
lesse spiegare un disprezzo da far nullo l'onore del
primato. In somma quasi vuol farsi credere che il
Petrarca non potendo negare ai Siciliani l'onore di
essere slati i primi a poetare nella lingua novella,
voglia poi questo loro merito far tenere da poco. La-
onde questa sarebbe la sposizione del luogo intero.
Fra Dante, Gino e gli altri v'erano i poeti Siciliani
che sebbene meritino d'essere onorati come primi;
tra questi sommi però erari da sezzo.
Conforme alla fama comune, ed alla mente del
poeta si sono le prime parole di questo luogo in-
tese. Io non ne dubito. Il Petrarca scrivendo a
Socrate suo delle differenti forme di poetare, così
j>arla dei nuovi poeti: Pars antem mnlcendis vulgi
aurihus intenta , suis et ipsa legibiis utehatur ,
quod genus apud Sjculos (ut fama est) renatimi
brevi per omneni Italiani ac longiiis manavit.
Ma affatto contro la mente del poeta mi sem-
bra la spiega che sino ad oggi si è fatta delle pa-
role qui vi eran da sezzo Aveva egli promesso alla
patria del suo Tommaso cantare.
Carminibus Siculum litus ad astra ferens.
Ma sia che immemore della promessa abbia voluto
il poeta fare quest'onta alla Sicilia, doveki cercare
una circostanza da farlo opportunamente ; e non
99
qnalora sembra che clovea tacere qualunque cosa
non era elogio. Si trattava di enumerare quanti fra
seguaci di Amore aveano meritato più fama poe-
tando. I Siciliani che indistintamente egli colloca
fra poeti seguaci di questo nume, se cedevano a
Dante o qualche altro; non erano tutti così da sezzo
da credersi minori di Guittone o d'alcuno di quel-
li che nomina il poeta. Ma ciò ch'è più da osser-
varsi quanto freddo, e senza alcun sale poetico sia
questo giudizio così collocato; di modo che sem-
brava posto per la necessità della rima. Quale in-
giuria non volendo io fare a tanto poeta, mi stu-
dierò di spiegare le sue parole in modo, che egli
sia da questo sinistro giudizio assoluto, ed un onta
risparmi alla mia patria terra.
Egli è necessario spiegando quello che un qualche
scrittore vuol dire, esaminare ciò ch'egli intendeva
ed il modo con che è uso esprimere i suoi pen-
sieri.- Questi trionfi del Petrarca non sono essi, che
una pittura leggiadra delle circostanze che l'amor
suo verso di Laura accompagnarono. Egli vuole rap-
presentarli in tanti quadri da eccitare vivamente
l'imagine di quelle per lui tenere insieme e lagrimose
memorie. Quindi tutto in questi capitoli ha movimen-
to azione vita, e tutto quello che si dice rappresen-
tabile all'occhio. E se il poeta di ora in ora fa delle
ascile, non son queste ad altro dirette, se non a dimo-
strare, che egli era toccato da ciò che scriveva, per
così non restar le sue parole fredde; ma dal col-
pire l'imaginazione scendano anche a muovere qual-
che passione delicata. Esaminando perciò le circo-
stanze che egli noia si vede che tutte tendono a
rendere animata ed interessante l'azione principale
che vuoisi rappresentare: e tulle sono visibili all'oc-
100
chic ed eseguibili dal pennello. Cosi reggiamo die
L'na giovane greca a paro a paro
Coi nobili poeti già cantando
Così or quinci or quindi rimirando
Ecco Dante e Beatrice^ ecco Selmgia,
Ecco Cin da Pistoia, Guitton d'Arezzo,
Che di non esser primo par che ira aggia.
Ecco i due Guidi
-E i Siciliani
Che fur già primi.
Chi non sentirebbesi dietro un quadro cosi ani-
niato rafìreddare l'animo se il poeta invece di fl-
uire con tratto maestro volesse pavticolareggiare que-
sti nuovi ristoratoli della poesia d'amore con una
censura forse molto vera? A me pare piuttosto ve-
dere questi antichissimi seguaci di Febo e d'amore
siccome i primi e più vecchi gir gravi ed attem-
pati e tenere il loco sozzalo tra coloro che cantato
aveano nella soave favella d'Italia il Dio a cui gi-
vano dietro non già per disprezzo; ma per anzianità
e per onore. Così spiegando io questo luogo mi pare
di avere reso il Petrarca uguale a se stesso sem-
pre pittoresco e grande, e di avere liberalo la mia
patria da un'onta, che sembra venirle fatta dal mag-
giore degli uomini del suo secolo, che mentre l'ono-
rava con una teslimonianza gloriosa , da altri cre-
devasi di volerla avvilire.
101
Discorso per V inaugurazione della società econo-
mica della pialle di Catania del Pice-Presi-
dente di essa doti. Salvadore Scvderj ec.
— Catania per Sciuto i832 in-8" di pag, i8.
Conosciuto è da pertutlo l'autor di questo discorso
per l'opera sua dotta, ed elaborala su' principi del-
l'economia politica, facoltà di cui è professor nella
reale Università di Catania, per le sue dissertazioni
economico-agrarie, per alcune sue tragedie, per un
volume di poesie liriche, a cui ha aggiunto di re-
cente una bellissima Ode pel celebre Bellini, e in-
fine per vari suoi lavori, relativi alla sua scienza
pubblicati negli atti dcH'Accademia Gioenia. L'oc-
cuparci quindi di proposito di questo suo discorso
inaugurale per nulla accrescerebbe la meritata fama
di che gode, e noi ne avremmo forse twdascialo il
jiensìero, se l'oggetto cui mira non fosse di per se im-
portantissimo, e tale che alcun cenno ci è sembrato
doverne fare. L'egregio professore , scelto a Vice-
presidente della società economica della Valle di Ca-
tania (e certamente migliore scelta a questo cospi-
cuo posto non potea farsi) dovea non solo nella pri-
ma seduta incitare i componenti della stessa a' tra-
vagli di cui, secondo le saggie mire del Governo,
era d'uopo di occuparsi; ma dimostrare agli slessi
qual si fosse lo slato delle industrie agrarie, e ma-
nifatturiere, e del comrcercio di quella Valle ; af-
finchè rivolgessero i loro studi, e la loro attenzione
a que' rami, che avesscr bisogno (fi maggiori lumi,
e di miglior direzione. Tutto ciò dovea egli fare,
102
e tutto ciò ha fallo ottimamente; talché in questo
breve discwso ha dato a divedere gli ottimi prin-
cipi di pubblica economia, maturati da lunga rifles-
sione, che io guidano in quella scienza in cui egli
siede maestro. Che serva dunque un tal lavoro di
norma alle altre Valli, ove sono dalla sovrana prov-
videnza stabilite simili società, e che tutti coope-
rino del pari al bene del suolo che abitiamo, ch'es-
ser ci dee doppiamente caro, non solo perchè ci diede
i nataU; ma altresì perchè puossi appellar l'Eliso di
Europa per li tanti vantaggi di che gli fu larga, r
benigna la natura.
A, Q.
Novella Storica d'argomento siciliano di
Bernardo Serio.
Ji.n nessun tempo sono mancali al mondo di quo' tri-
sti uomini, che per le loro nefìinde scelleralezze so-
no proceduti a quel segno, che non si sarebbe po-
tuto andar più olire. Costoro soffocando inlernamen-
te quell'ingenito affetto, per cui forza <;i allegriamo
a' piaceri degli altri, e dolor vero sentiamo alle mi-
serie loro, adusano la propria natura alle più per-
niciose abitudini. Essi si rendon sordi alla voce del-
l'innocente, e privansi di quel conforto, che porge
la vista de' pietosi accidenti, delle compassionevoli
scene, dinanzi a cui efficacemente è tocco ogni sen-
sibil cuore. Un tragico avvenimento formerà il su-
bielto a questa brevissima novelletta, la quale var-
rà, credo, a iimover la compassione da un lato, lo
sdegno dall'altro.
io3
In Murgcnzio, citlà tll Sicilia, vivea in tempi a
nei lungamente discosti un cotal uomo nominato
Cambalo, figliuolo eli Gorgo, ch'era peisoiiaggio au-
torevole, e ricco. Ma siccome coloro, cui volge pia-
cente sguardo la fortuna, sono esposti alla invidia,
ed alla cupidigia degli altri, cosi iurouo pregiudi-
zievoli a Cambalo, e al padre , le molte suslanze
loro. Uscito il figliuolo un giorno della città, e con-
dottosi a guisa di diporto fra le campagne, e spe-
so qualche tempo in uccellare, e in cacciare, facendo
divisamente di tornarsene a casa, dirizzavasi a quel-
la volta. Non fu però andato a lungo nel suo cana-
mino, che videsi sopra venire una ciurmaglia di tri-
sti, che con arme s'eran mossi a' suoi danni. Su-
bito fu colto dalla paura, come sarebbe stalo chiun-
que altro si fosse trovato tutto solo a faccia di mol-
te persone, di cui l'aspetto avesse mostrato il mal
talento. Pertanto diessi al fuggire, avendogli il ti-
moje poste ale a piedi, e que' gli tennero dietro
velocemente, afiine che, raggiuntolo, gli avessero
potuto trar di dosso quanti denari recava: e forse
non restarsi a tanto. A caso Gorgo, che sii d'un
corridore aggiravasi per quelle contrade, imbattu-
tosi nella corsa del figliuolo, e veggendo il penco-
lo, che gli soprastava, fer mossi, scese da sella ra-
pidissimamente, e con supplichevoli parole instelte
dinanzi a Cambalo, acciò ch'egli , inforcato quel
destriero, si fosse subito messo in salvo, correndo
a rotta nella città. Non furon parole, ch'entraro-
no nel cuore al figliuolo; dapoichè questi non in-
tendca per suo scampo lasciare il padre in braccio
a sicuro pericolo. Per la qual cosa volea, ch'egli
tosto salito di nuovo in su la groppa del cavallo,
corresse a far salvi i suoi giorni. Volea pur dire
io4
Gorgo, clie la sua vita era presso che tutta consu-
mata; die nulla avrebbe poi gustato di buono, in
quello scorcio, che d'essa gli rimaneva, perduto il
figliuolo. Questi rintuzzavagli la volontà, con dir-
gli, ch'era per se meglio finir la vita, tutto che
acerba, per prolungare, financo di un'ora, quella del
padre. Però la fatale circostanza non permettea ,
che a lungo manifestata si fosse la pietà filiale, la
carila di genitore. Anzi in quell'istante crudele le
parole mozze tenevano vece alle intere, i gesti al-
favellare. Per cui gli amplessi, il muover delle ci-
glia, il colore del volto, e l'atteggiar della perso-
na in varie guise, secondo necessità richiedea, pa-
lesavano l'animo loro combattuto. Chi non si sa-
rebbe ristato dal maleficio a veder cotanta tenerez-
za in quegli infelici? Chi avrebbe potuto raltenere
al varco le lagrime, e notj anzi lasciar loro libero
il corso per la compassione? Non fu agevole, quel
quadro a romper la durezza del cuore a qnei ri-
baldi-, i quali, fermi come una roccia nel divisa-
mento loro, sopraggiunlili, presero d'amendue aspro
governo, nò gli risparmiarono la vita.
NECROLOGIA
ifJlichele Laudicina da Trapani, professor di Glip-
tica pria nella R. Università di Palermo, e poscia
nel patrio Liceo, cessò di -vivere in questa capitale
a i6 novembre i832 di anni 60 circa. Egli erasi
acquistato buon nome in Sicilia, e in Roma, ove
lungo tempo soggiornò, e appreso avea l' incisione
io5
in piclic dure da Sanlcrclll, e Mastini oltimi arti-
sti. E vorarncnte nel meccanismo dell'arte valca
moltissimo; imperocché con una invincibile pazien-
za sapca domar la durezza de' diaspri delle agate
orientali, e degli onici e di altre simili pietre, e
iàrvi emergere, o profondarvi delle ligure. Però non
poteasigli da' conoscitori menar buona la preten-
sione di far passare le sue incisioni per antiche,
l'oteano tentar ciò talvolta il celebre Pickler, o il
Rega che tanto studiato aveano sull'antico; ma non
già il Laudicina, che avea più presto tolto il dise-
gno, e i concetti da' moderni artisti. Ciò non per-
tanto ci merita lode per li suoi lavori, alcuni dei
quali sono di tutto finimento; siccome quelli che
trovansi di lui presso S. E. il Principe di Trabia
che volle aggiungerli alla sua ricchissima collezio-
ne di antiche, e moderne pietre incise. Egli me-
rita lode altresì per aver diffuso quest'arte in Si-
cilia col communicarnelo insegnamento a' suoi com-
patrioti, che da natura scmbran dcslinati a riuscire
egregiamente in quest'arte difficile, e meravigliosa
J. Gallo.
NECROLOGIA
iia famiglia Bagnasco, oriunda da Torino, e sta-
bilitasi in Sicilia verso il cominciamenlo del seco-
lo XVIII ha dato diversi artisti che più, o meno si
sono distinti principalmente nella scultura in legno.
Giovanni Bagnasco palermitano riuscì negli ornati di
fogliami e di rabeschi, che a suoi tempi eran molto
in voga per abbellimento delle stanze, e de' mobi-
li d'ogni maniera; ma più di lui il suo figlio Rosa-
io
lo6
rio, mollo (li anni 58 a 3 di marzo i832, e plìi
ajicora il suo fratello Girolamo, nato ancor ei in Pa-
lermo, che cessò di vivere a i 2 dell'or trascorso di-
cembre in età di -yS anni compiuti. Costui sin dalla
prima gioventù appreso avendo dal padre a scolpir
d'ornato, volle, spinto dal suo genio naturale, pas-
sare alla figura. Il sig. Dùca di Serradifalco, pa-
dre dell' attuale, che da lui ebbe ispirato 1' amor
delle belle arti € con tanto successo le cultiva, so-
stenne a proprie spese il Bagnasco per ben tre an-
ni, onde esercitarsi nelle piccole figure che mano
mano il condussero alla scultura delle statue. L'os-
sxjrvazion del vero, e di qualche modello in gesso
gli servì di guida , e 1' esercizio dello scarpello lo
fé divenire il primo artista nel genere indicato. PrL'S-
sochè infinite sono le statue di santi, e sante al na-
turale, lavoro di sua mano, che si ammirano in que-
sta capitale, ed in tutte le altre città di Sicilia, fra le
quali ci occorrono ora alla memoria quella della B.
"V, del Rosario con San Domenico presso i pp. di que-
sto ordine, l'altra della B. V. sotto titolo della Con-
cezione presso i pp. della Mercè, non che quella
del Carmelo presso i Carmelitani. Esse tia le di-
verse altre, che sono in Palermo, principalinciilc si
distinguono per un bell'insieme, per un nalural j)ie-
gheggiare, per la bellezza doU'cslremità, e per uua
grazia ne' volti fcminili, che era particolar prero-
gativa dello scultore. E vero elio egli non ingrandì
mollo lo stile, e che non s'innalzò a quel bello se-
vero, e ideale degli antichi; ma seguì per modello
la natura , ed imitò parlicolarmenle le belle fiso-
nomie delle donne siciliane, in cui più la grazia pre-
vale. È vero altresì, che ne' volti sonili è lontano
dalla nobiltà Raffaellesca, ma ciò non pertanto quo'
suoi volti hanno tal aria di verità, che maggior non
107
si piK) desiderare. Le figure di putti poi, e di gio-
vaiielti bau leggiadria, e vivacità inesprimibile.
Il nostro Girolamo esercilossi ancora nelle storie
in bassi rilievi in legno, di cui soglionsi adornare
principalmente gli altari, come altresì nelle piccole
figure di tutto tondo, clie si destinano per quelle in-
gegnose maccbinette, che diconsi appo noi presepi,
e vi riuscì mirabilmente. Noi potremmo accennare
nel primo genere i bassi rilievi della Chiesa di S.
Maria degli Angioli, detta della Gancia, che son ri-
guardati come capo-lavoro dagl'intendenti, e nell'al-
tro le figure da ])resepe possedute dalsig. D. Giam-
battista Beitini, di cui gli amatori liinno gran conto.
In questo genere sono maggiormente da lodarsi quel-
le più nobili, come i Re Maggi, la Vergine, e i
comandanti destinati da Erode alla slragge degl'in-
nocenti , i sacerdoti addetti alla circoncisione di
G. G. giacche ne' pastori è vinto per naturalezza,
e per semplicità dal celebre Matera trapanese , il
quale studiar soleva in campagna il costume, le al-
titudini, e gli abbigliamenti de' villici.
Girolamo ebbe molti figli , tre de' quali fuion
da lui destinali all'arte; cioè, Niccolò, Giovarmi, e
Rosario, il primo era già molto inoltrato nella scul-
tura in legno, e anche impreso avea con felice suc-
cesso a trattare il marmo quando morì sul più bello
delle s[)eranze in età di anni 35 a 3o giugno 1827
dopo di avere appena terminate le quattro figure
Cariatidi in pietra dolce, che adornano il passeggio
superiore a fianco di Porta Felice in questa capi-
tale ; e dopo di aver compita una piccola Venere
in marmo, posseduta dal sig. Conte Venlimiglia.
Gli altri due si esercitano al presente nella scultu-
ra in legno da' quali sjieriamo, che l'illustre nome
del padre acquisti novella luce e decoro.
A» Gallo.
io8
Olle 4y (I/*Jnticrcotite tradotta dall\oriij;inale gre-
co in rima Siciliana da Benedetto Safk-
luo Terzo.
*ihlai yspovTot TspTTVÒy etc.
. ij vkcliitlu scialaluri,
K un picciollu abballaluri
^^ Curi ;pjjge Ili. pri mia su;
ila s'' uà veccliia a tiipinari
Po' si molti ctl a ballavi.
Chi [licciolUi uuii e cclnu
Si cci vidi tla la Irizza;
Lu so cori prò uni inmizza,^
Ch'icUUi ancora è iu giuvinlù.
EFFEMERIDI
SCIENTIFICHE E LETTERARIE
PER
LA SICILIA
'eùùzajo 1 833
Dello stato presente de teatri^ e dell' arte dram-
matica in Sicilia: Lettera di Ljonardo P^jgo
a Franco Maccagnone principe di GranateUi.
Amico,
f^onoscere Io stato de' teatri di un popolo, è cono-
scerne la cultura; con ottimo divisamento Blackwel
annunziava essere la sublimità e la vivezza de' qua-
dri della Iliade effetto dell'epoca semibarbara in cui
visse Omero; e con pari sapienza il Carmignani scri-
veva esistere un accordo costante fra la coltura
del pubblico spirito- e la drammatica perfezione:
avvegnaché è dato agli ingegni estraordinari! eccel-
lere nella lirica ed anco nell'epopea senza l'aiuto po-
tente della universale civiltà, ma non di produrre
sopra le scene i vizii e le virtù degli uomini, e far-
si maestri della società, calzando il socco o il co-
n
1 TO
turno. La storia e la ragione dimostrano f|nanlo ccn-
nianio. Aristotile, e secolui i più sperti in poesia,
convengono nell'addire alla tragedia il primato so-
jìra l'istessa epopea; e mentre la Grecia ebbe O-
mero, la Scozia Ossian, la Palestina Mosè, David
e lutti i profeti, il Portogallo Camoens, non ven-
nero in altezza di fama Sofocle, Racine, Voltaire,
Alfieri, se non quando i Greci, i Francesi, gl'Italia-
ni erano affatto civilizzali. Similmente col decadere
delle nazioni decadono i teatri; perchè non posso-
no sostenersi ove dall'universale non sieno frequen-
tali; e non possono essere frequentali quando l'igno-
ranza, l'ignavia e la depauperazione si accrescono.
E di quanto vi espongo, mio dolce e prezioso ami-
co , questa nostra terra offre splendido e luttuoso
esempio. Noi fummo grandi, potentissimi, dotti, li-
beri, opulenti ai tempi delle greche repubbliche, nò
v'era allora città sicula senza teatro, ove tulio quan-"
lo a-ccorreva il popolo ad affratellarsi, ad ammae-
strarsi facendosi specchio delle gesta de' grandi eroi
esposti sopra le scene ; i poeti drammatici erano
numerosi, venerati, celebrati; staine d'oro crgevan-
si sin anco alla loro memoria, la loro cittadinanza
tenevasi in massimo onore, il loro cenere co])rivasi
di tombe di marmo, e la di loro gloria facea paile
della gloria nazionale: noi fummo provincia roma-
na, poi bizantina, poi saracina, e decaduti dal no-
stro nobilissimo stalo, dalla potenza, dalla civiltà,
senza nome ed onore, e quindi senza il fiero orgo-
glio delle nazioni indipendenti, colle ót^Vux di bal-
danza rase vedemmo i nostri tealri, che ])er tanti se-
coli erano stali meraviglia e scuola di tanti popoli,
disfalli dalle fondamenta o colmali di macerie; gli
ardii, le statue, le colonne dirotte infrante; copri-
I II
re il cardo i circhi, gli odei; le greggi pascere e
belare ove il greco attore avea declamato i versi
d'Euripide; e questa terra altrice de' sublimi intel-
letti de' poeti comici Epicarmo, Dinoloco, de' Fi-
lemoni, del poeta mìmico Sofrone, de' tragici So-
sicle , Sositeo , Archino , Carciuo le di cui scene
tutta Grecia onorava, non avere altri vati che qual-
che villanzone, il quale con rozze rime cantate nelle
barbare lingue de' feroci nostri conquistatori, con-
fortava i bovi a solcare la triste terra, ch'egli per
lo straniero fecondava col pianto. Quando i glorio-
si Principi normanni ne strapparono dal Saracino ser-
vaggio, e ne costituirono in monarchia indipcnd(Mi-
te e regina di floridissime province, divenne Sici-
lia ricchissima fonte di sapere e di virtù belliche
e cittadine alla penisola tuttaquanta; fu questa terra
cuna della sapienza e del risorgimento delle lette-
re, e, la voce di Giulio allora cominciò ad animare
i colli di Alcamo: ma abbenchè quella beata sta-
gione ebbesi litterati e poeti d'ogni genere, non co-
nobbe la drammatica, che solo da presso un secolo
è risorta fi-a^ noi. Nostro proposto egli essendo te-
ner ragione unicamente per ora degli attuali teatri
e poeti drammatici siciliani , per conoscersi qual
sia nel momento lo stato della cultura dell'isola, e
assennare i continentali non essere gran fatto lon-
tane le nostre primarie città dalla generale civiliz-
zazione, fermiamo il ragionare sul divisato subbietlo.
Sono parecchi anni che G. B. de Luca , tipo-
grafo palermitano, diede opera ad una raccolta di
produzioni teatrali siciliane , che appellò Teatro
Oreieo, ma che innanzi non s|)inse, perchè dotato
di elevati spiriti, mancava di mezzi; un mio dram-
ma, allora inedito, era messo in fronte al primo fii-
1 12
scicelo, e a me piacque intitolarlo atl Epicariiio ,
padre della commedia , facendo voti che T amore
della drammatica fosse risorto fra noi. E mi sem-
bra invero che Melpomene e Talia anchcllc Sicelide
muse sieno ritornate ad animare le fantasie de' no-
stri poeti, e che tra non guari potrà avere il van-
to Sicilia di cogliere in Pindo cpiest'altro alloro.
Dapprima si pose mano tra noi a porre in iscena
le sacre rappresentazioni della morte di G. C, e
del martirio de' santi, e ciò face vasi nelle pubbli-
che piazze a sollazzo ed esempio delle pietose turbe
che si precipitavano d'ogni luogo per esserne spet-
tatrici, indi si cominciò ad imitare Trissino, Zeno,
dipoi Melastasio con fortuna, e tra i suoi molliplici
seguaci il Galfo da Modica , e il Costanzo d' Aci-
Reale vinsero gli altri: col nascere di questo secolo
sorsero gli ossianeschi, e i servili imitatori di quel
sovrumano intellello di Vittorio Alfieri; i primi af-
fatto fuorviati, i secondi colpevoli di toccar l'ecces-
so nell'ottima via. Fra i drammatici che levarono
nome dal 1800 a questa parte, è nominalo più de-
gli altri lo Scuderi, perchè investilo furiosamenlc
tlalla Biblioteca Italiana di Milano , quella Anali-
tica di Napoli sorse a sostenerne la rinomanza, e
di lui e di queste liti inurbane abbiamo noi larga-
mente ragionato nel Giornale di Scienze^ Lettere
ed yJrtiperla Sicilia anno 1 823: onde non è mestieri
qui spender parole sull'istesso subbietlo.
Da presso un decennio i Siciliani hanno ac(jui-
stalo maggiore arie nella drammatica, il popolo ne
Ila i prodotti applaudito, e precipuamente da un
lustro in qua sonosi approssimati, se non all'otti-
mo, al buono; e generalmente i loro componimeli li
ridondano di bellezze, e scritte appaiono in eletto
ii3
linguaggio, nello stile proprio degli argomenti. Sì
per i teatri, quanto per le opere clrammaliclie Pa-
lermo, Messina e Catania stan sovra tulle le altre
citta sicule; nel rimanente dell'isola con la ricchez-
za, con le lettere, colla popolazione decresce l'amore
della drainmatica, e solo qualche città privilegiata
si eleva tra la comune barbarie.
La città di Palermo ha un teatro per musica ,^
dedicato a Carolina d' Austria regina , due per la
piosa , uno che a s. Cecilia, l'altro che a s, Fer-
dinando s'intitola. Abbenchè per la depravazione
dei costumi europei ne conduciamo spensieratamente
al teatro con le orecchie e non coirintellctto, per
udire e non intendere, e 1' eh mera lusinga di vano
gorgheggio preferiamo alla moralità , alle commo-
zioni del Saul, della Merope; Palermo, città so-
vrana, non lascia di frequenza di popolo tener vivi
e animati i teatri di prosa, ed è de buoni attori
confortatrice, dei grandi autori ammiratrice, de' na-
scenti correggitiice indulgente. Ivi sono vari poeti
teatrali non solo, ma i tentativi drammatici degli
autori di provincia vengono a porsi in esperimento
in quella stij penda città. Che la capitale a tutta
l'isola dà eccitamento, coraggio; gl'ingegni felici
modera, avvia; i nomi dei valorosi proclama, e li
colma di onore. Pertanto la Pia del sig. Girola-
mo Scaglione la sera degli 1 1 settemb. e il Man-
fredi del sig. Prospero Stramondo quella de' 5, pro-
dotte entrambe la prima fiata sulle scene del R.
Teatro S. Cecilia; entrambe inedile, entrambe o-
pere di giovani autori siciliatn; il Perollo del va-
loroso poeta Vincenzo Navarro,' /' Asdrabale e il
Gioas dell' Ab, Vaccaro; il Meneceo del Bozzo;
V/^ireo del Fernandez; il Calzolaio di Jlessandria
,i4
della Paglia di quel nobile ingegno di G. M. Cal-
vino; YJnna Bolena di Diego Costareiii ; il Ni-
cla del Bar. Spalalo; M Alboino di V. Amore; i
due volumi di Tragedie del Gala Iti, e parecchi al-
tri componimenti teatrali di vario genere , chiaro
addimostrano come i più colti dei nostri, ubbidienti
airim])ulso e all'esempio della capitale, abbiano ri-
volto l'animo a questo nobile aringo, e che nel tem-
po slesso nel quale i poeti empiono di novelle ric-
chezze il Parnaso , molli teatri si rabbellano o
si edificano, e V. Bellini siciliano compie in Ita-
lia la rivoluzione della filosofia musicale. Ma per
chiarire il punto ove siam giunti, e svelare i pre-
gi e i difetti de' nostri drammatici, è mestieri scen-
dere ai particolari.
Nel num. 198 del Giornale la Cerere dava io di
volo un giudizio sul tentativo tragico dello Stra-
luondo calanese esposto in Palermo, e lo avvertia
degli errori che deturpano quel lavoro , per altro
bello, ma che j)are affé dettato da un guelfo, e dei più
fanatici, per l'odiosa pittura falla del caralteie del
protagonista. Lo Slramondo che se non quieta ia
])iuma sarà con gli anni un buono scrittore , at-
tualmente è poco sperto nella diflicilissima arte di
scrivere, pertanto merita elogio, ed amichevole cen-
sura. Non puossi in una sola rappresentazione dal-
l'udito scernere, invero, tutto il buono e il malva-
gio d'una tragedia; ma l'arte adoperatavi nel reci-
tarla da questa comica compagnia, e precisamente
dal sig. G. A. Canova, celebre ed abilissimo co-
mico, e dai signori Vitaliani, Martinengo e Riolo,
ne posero in islato di ponderarla assennatamente.
E se l'autore avesse dipinto Manfredi innocente e
martire dell'amore de' suoi suggelli, invece di par-
- - . . ii5
ricicla e fralricida; bantlcndo le donne, sviluppato
avesse il caialtere di Procida, e fatto di Caserta uu
Ravillac, avrebJie meritato intero il plauso univer-
sale. Consigliamo l'A. di riformare il Manfredi, e
di poi volgere la mente ad altri siciliani argomenti
come il Majoiie, il Corradino, il Vespero e simili,
facondo semjiie campeggiare l'amor dei Siciliani im-
millalo per la leggittimità, e per godere i proprii
monarchi fra loro.
- Mentre Io Stramondo si travagliava nel dipingerci
le vicissiludiiii della nostra monarchia nel i3^ se-
colo slriiigendo il [)ugnalc di Melpomene, lo Scaglio-
ne figurava le lagrime della Pia abbandonata nel
vecchio Castello della maremma dall'illuso consorte.
Dante e Sestini gli porgeano i colori alla tela. E
posto in iscena il suo dramma, fu dai conoscitori
del merito a[)prezzato per la buona lingua adope-
ratavi, la semplicità e chiarezza dello stile, la buo-
na sceneggiatura, l'unità d'azione, lo sviluppo de-
gli alletti, e per lo insieme dell'azione condotta se-
condo le regole diammaliche, e tale da accender-
ne di bella speranza per la futura gloria dell' au-
tore. Se ignoralo si fosse essere opera giovanile e
d'un siciliano, e fosse venula da oltre il mare, per
fermo riscosso avrebbe maggiori applausi; che tutta
non abbiamo deposta la ruggine del pregiudizio, e
crediamo noi stessi a meno di quello che siamo ;
ma il conoscere 1' autore sin da bambino , veder-
lo a noi da presso, al tempo stesso che toghe al
volgo il prestigio del nome e della persona del-
l' autore fa di ogni uditore un giudice audace , il
quale tutto sprezza, presume poler far meglio , e
crede umiliato il suo amor pro[ìrio nel lodare il
concittadino, e tulio agi' invidi sguardi si pinge di
ii6
nero. Ma in fatto la Pia del slg. Scaglione ha po-
chi difetti ; alcuni dei quali si possono correggere
di breve ; poiché è in essa sovrabondanza , come
in tutte le opere de' giovani, ed è mestieri di re-
cidere pili che altro. A noi non sembra verisimile
(e questo è l'unico difetto vero del dramma) che
Isiello reduce dalla battaglia , dopo che da molto
non rivede l'amatissima donna, invece di lanciarsi
nella sua casa veloce, stiasi sotto le finestre diriz-
zando parole di amore alla moglie, quasi si fermi per
comodo dell'autore, il quale deve far conoscere con
quel soliloquio chi esso sia , e dar così tempo a
Ghino di calunniare la Pia. Difatto vien quel fin-
to amico, gli palesa la sua donna raccogliere la not-
te un amatore, il marito ch'è caldissimo delle più
fòrti Ila le passioni, l'amore e l'onore, non gli pre-
sta fede, dimanda vederlo coi propri occhi, Ghino
gliel consente; ecco giugno l'incognito, la Pia gli
schiude la porla, entra, e tuttociò veggente il con-
sorte , e lontano da loro un trar di spada. Non
avvi uomo il più pacato che sia, il quale tanto veg-
ga e non si slanci per punire l'adultera, non tra-
])assi il cuore dell'amante col ferro, non gli strap-
pi il manto per ravvisarlo ma Niello invece
vuol morire fra le armi nemiche, e muove per il
campo a riaccendere la pugna. E l'inverisi mile si
accresce vedendo Niello armato, bollente d'ira per
la fresca sconfìtta , d' animo nobilissimo, avido di
sangue, che può che il voglia vendicarsi, e intanto
paté inoperoso cotanta vergogna. Laniere si accorse
certo dell'inconveniente, e però fece che Ghino ob-
bligasse Niello al giuramento di non molestare i
colpevoli; ma è questo freno capace di disarmare
il braccio di un marito geloso, amante, oflbso? Sceu-
'^7
da l'Aut. nel proprio cuore, si ponga ei stesso in
quel conflitto di affetti, veda chi tiioiifa, e cono-
scerà ed emenderà il suo errore. La prima scena
inoltre tra il Castellano e sua moglie è un po' lun-
ghetta; la parabola della cerva è oziosa; e l'uditorio
quando le passioni son forti vuole azione, non fred-
di ragionamenti; così del pari abbondano i solilo-
quii, e son lunghi, e spesso raffreddano gli animi.
Ma queste tenui macchie spariscono a fronte della
bellezza dell'azione, di quella de' caratteri egregia-
mente mantenuti e dipinti, e de' pregi del com-
ponimento enunciati di sopra.
Nella stessa capitale dell'isola altri poeti il Bozzo
e il Vaccaro, si provarono a scriver tragedie. G,
Bozzo non è caro a Melpomene ; il suo Menecco
allorché fu esposto in teatro non soddisfece l'aspet-
tazione del pubblico; ma siccome non è tuttora evul-
gato con le stampe, non immoriamo a svilupparlo.
Non è così del Vaccaro, il quale ha pubblicato le
sue tragedie l'Asdrubale e il Gioas: ma ci basta
ora l'accennarle solamente; poiché ci siam prefissi
ragionarne in altra congiuntura.
Or r anima si eleva e ristora fermandosi sulle
produzioni del Navarro scienziato , lirico felice ,
e non vulgare drammatico. Senza tener conto della
Pazza di Prianzone^ suo intertenimento carneva-
lesco, e scritto in Ribera, e stampato in Palermo
in una settimana, basta il P erollo da lui pubbli-
cato nei 1827, per farlo conoscere atto a sostenere
la maestà del coturno, e ad incoronarsi di uno dei
più belli allori della musa. Il subbietto del Perollo
è tratto dal celebre Caso di S ciacca (V. Sevasta,
Ortega, de Pazzi) avvenuto nel iSag. Abbenchè
il poeta non passeggi sull'ostro dei palagi reali, ne
n8
degli sceltii, de' Iroui do' principi, uh della sorte
de' popoli si occupi; ma soltanto dell'ira feudale di
due possenti baroni, egli tanto si eslolle, clic degno
si mostra di sostenere cogli omeri maggior j)ondo.
11 suo piano drammatico, lazione, il carattere dei
personaggi, le unità, il dialogo, la sceneggiatura,
lo stile, sono degni di encomio, e per tornare per-
fetto quel lavoro, solo riclncdesi essere più conci-
tata l'azione ne' primi alti. E quell'insigne autore
seguendo l' animoso suo genio si è volto ad argo- '
menti più gravi e di pubblica utilità. Il Vespero,
che nelle mani di Casimiro De Lavigne divenne
impresa da masnadieri con obbrobrio imnierilato
del nome siciliano; che nelle mani di G. B. Nic-
colini, illustre vendicatore della patria gloria, prese
asjìctto di un amore colpevole, di un'ira domeslica,
vestita con le più elette forme dell'angelica nostra
favella; donde divampò quel nazionale incendio ch'e-
gli seppe al vivo ri trarre(i); in quelle del Navarro
comparirà fermamente qual fu. E sino a tanto
che la memoranda azione del Vespero non sarà posta
sulle scene nell'interesse della legittima dinastìa, e
della nazione siciliana , come gli storici la descri-
vono, senza amori e donne, solo ponendo in iscena
autorevoli personaggi come 11. Lauria, Alaimo da
Lentini, Gualtieri da Caltagirone, G. da Procida,
ec, i poeti andranno sempre per la via falsa, ne
dalla patria, ne meriteranno dal trono. Non è an-
(i) » II sig. Ferdinando Malvica, persona benemerita alla patria
e alle lettere, ha con sapienza ed energia mosti alo il primo tra
i Siciliani il turpe oltraggio fatto alla storia, e al nazionale de-
coro dal francese tragico , e a nome di tutta qiicst' isola ha reso
meritato tributo di lode , e di gratitudine al IMiccolini , il quale
ha saputo nobilitare quel subbietto, per se nobilissimo, onorando
la riuomanza de' nostri maggiori* V. ES- fase. XI.»
119
Cora òi pubblica ragione la tragedia del Navarro,
ma noi non andiamo fallili nell' annunziarla degna
delia gratitudine universale.
E il Navarro il più rinomalo poeta della valle
di Girgenli, e la mercè delle sue drammatiche là-
tiche tien vivo l'amor della teatrale istruzione nella
città di Sciacca, ov'egli ha fermato sua stanza, ed
ove gl'intelligenti cittadini delle opere teatrali sono
solleciti. Nel capovalle in cui la cultura dovrebbe
esser maggiore , quel popolo erede solo del nome
degli antichi Agrigentini, e di quegl'inclili, i di cui
nomi suonarono per tutta Grecia sulla bocca degli
storici, e sulle corde della cetra di Pindaro, non ha
neppure un municipale teatro , e solo avvi alcua
drammatico convegno in un gretto teatruccio, che
Raffaele Politi ha eretto in sua casa. Così con i
politici mutamenti decadono le città! e quando la
civilizzazione cede il luogo alla selvatichezza intri-
stiscono le città al paro de' floridi campi, die ne-
gligente l'agricoltore abbandona al cardo, alle la^i-
pole , al rovo. Né altramente potea addivenire di
quella stupenda sede, poiché pietoso il G. C. Rug-
giero i vastissimi' feraci territori ne donò in perpe-
tuità al vescovo Gerlando e al Capitolo di quella
cattedrale; e quindi nelle manomorte rammassando-
si la proprietà del pubblico, ne nacque l'infecondità
delle terre, la universale squallidezza, e l'ardente feb-
bre di tutti volgersi i giovani al chiericato, ned ia
altri studi erudiisi che in divinità, e così tutta ia
pochi anni la fisonomia morale e sociale di quella
vetustissima città affatto cambiossi. Ma oramai per lo
salutare scioglimento della promiscuità dei dritti, per
le facilitazioni che il governo concede a' censimenti
per essere stabiliti ivi e tribunali e amniiaistrazioai
Ì20
centrali, e por la fondazione colà di una società
economica^ dipendeiile dallo Islilufo d' iiicoraggia-
inento in Palermo fondato, per fermo tra non guari
sì vedrà risorgere Agrigento in nominanza.
Non somigliante a rjuello di Agrigento è lo stato
della città di Siracusa: qui l'assembramento di pa-
rcccliie nobilissime prosapie, thè non mai o rado
scompagnasi dalla nobiltà il vivere cortigiano e gen-
tile, l'assembramento delle schiere del nostro eser-
cito, che custodiscono questa piazza d'arme, degli
slranierr che vi arripano tratti dalla comodità del
porto e dai pingui prodotti del Val di Noto , ha
mantenuto l'amore della drammatica, e collo il tea-
tro; e abbencliè appareggiata la presente con la ve-
tusta Siracusa, l'animo s'impicciolisca, anzi si an-
nichila al pensare alla miseria dell'attuale, pur non-
dimanco essendo tale il fato di tutta questa lacri-
mevole patria nostra, ed essendo caduta questa città
regina al paro di ogni altra; onore è di essa aver
serbato nella sventura svegliato il suo genio per i
pubblici spettacoli, mentre nel maggior numero del-
le terre siciliane da un' orda di stolti estima vasi
maladetto dal cielo chi li frequentava; ignari che
S. Gregorio Nazianzeno e S. Apollinare furono au-
tori di rappresentanze teatrali, e che il filosofo dei
Pontefici, Leon X, incoraggiava l'Ariosto, il Mac-
chiavelli, il Caro a scriver commedie, e ch'ei me-
desimo interveniva a quelle dal Cardinale di Bi-
biena dettate. Ma Siracusa è stata più diligente
nel mantenere in attività le sue scene, di quanto
fortunata nell'aver oggigiorno poeti drammatici. Se-
bastiano li Greci erasi volto a questo genere di poe-
sia, soa parecchi anni, e avrebbe forse spiccato alto
volo, se non avesse discontinuata quella carriera;
121
egli avea scrilto Damane e Pitìn^ argomento si-
lacusaiio, ma poi noti niaudò il suo lavoro alle stam-
pe. Leiitini, nel valle eli Siracusa, ha un picciolo,
ma elegante tealro , ed ivi Gaetano Cosentino lia
tentato con onore qualche ti'agedia da dilellanli re-
citata. In questo anno medesimo i83.2 il bar. Be-
nedetto Spadaro da Scicli ha prodotto ISicia tra-
gedia; ma non vale il pregio dell'opera spender pa-
role sovr'essa. Quando il poeta non Irritai^ mul~
eet^ fdlsis ierroribiis implet^ quando non ha il pri-
vilegio di eccitare la compassione, il terrore, e per
colmo di male non ha piena cognizione della lingua
nella quale compone, e di tutti i trovati dell'arte,
non osi calzare il coturno, che le muse dal Par-
naso lo scaglieninno già con le Jorcine.
Per. maggior loro danno i mezzani ingegni ten-
tano le imprese più ardue; più volenterosi seguo-
no le vestigia di Sofocle, di quanto quelle di Ari-
stofane non già che sieno più lievi dillicoltà per
giungere all'ottimo nell'arte di Talia di quanto in
quella di Melpomene; ma è meno disagevole quel-
la di questa, e della sublimità dell'azione, delle pas-
sioni, del verso non abbisogna: questa può parago-
narsi alla pittura ideale animata dalla terribilità del
pennello del Bonarroti, quella alla bassa pittura che
paesi, tempeste, bambocciate rappresenti l'alti vivi
dal Claudio del Rosa; ma entrambe han mestieri di
massima perfezione, pochi son quelli i quali consul-
tano le proprie forze, e coloro che sono da meno
spingono più eccelsi l'icario volo. Non così ha lat-
to il chiarissimo G. M. Calvino da Trapani auto-
re di cantiche affatto dantesche, il quale abile ad
agitare l'urna delle sorti de' regni, e meritare lu
laurea tragica, si è piaciuto invece darne una com-
122
media titolata il Calzolajo di Alessandria della
Paglia. Di essa nelle EflTeineridi si è assennatamente
giudicato (fase io p. 62) e pertaaito noi ne aslen-
gliiamo a dirne oltre. E bello aggiungere che questa
commedia e stata recitata con applauso tre sere con-
secutive in Livorno dalla compagnia Ghirlanda nel
teatro del Vecchio Giardinetto. E siccome l'autore
col desiderio ne fa nascere la speranza di ottenere
da lui altre commedie , lo preghiamo a sferzare i
nostri mali costumi, e non seguire la fòlla de' comi-
ci, i quali perseguitano i vizi emendati ed estinti, e
portare animoso il farmaco ov' è la piaga. Ogni se-
colo che sorge, mercè la voce degli scrittori, che so-
pra tutte le classi della società abbenchè tardi , con
certezza potentemente influisce, vince molti degli er-
rori che deturpavano il trapassato. Questo secolo ha
trionfato delia feudalità, delle spagnuole etichette,
de' pregiudizi della cavalleria, dell'inquisizione; e
così parimente di parecchi altri difetti del settecento;
pertanto sarebbe inlruttuoso con le armi del ridicolo
perseguitare i vizi che più non esistono. Similmente
ogni secol novello seco fa crescere difetti esiziali al-
l'umanità, e però deve l'autore filautiopo volger la
mira ad essi, per esser utile alla generazione in cui
vive. Noi non voghamo proporre al Calvino quali
dovrebbero essere gli argomenti che sarebbe profì-
cuo per la patria trattare; ch'egli, intelletto non vul-
gare, da noi non ottiene suggerimenti, ma riveren-
za, e sa da se slesso conoscerli appieno, e solo fac-
ciam voli eh' egli arricchisca il nostro parnaso di
commedie di siciliana attuale utilità, e noi non la-
sceremo unquemai di lodarlo.
Trapani, èia valle che ne dipende, ove sono le
città di Mazzara, Marsala, Alcamo floride per com-
133
raercio e popolazione, vassi perfezionancìo in genli-
lexza, e fra poco vedrà innalzarsi fra le sue mura
un sontuoso teatro^ come il Calvino annunzia nella
sua dedica al cav. Sammarlino pioaiolore di un cdi-
fìzio cotanto necessario alla difFusione dello s[)irilo
socievole tra i cittadini. E a questo prò posilo ne
giova proporre ad esempio il Calvino agli autori at-
tuali, i quali dedicano le loro opere all'indolente nia-
gnate, al mecenate ignorante, al nobile di natali nou
già di merito suo personale, per poi veder gl'indo-
rati libri loro umilmente offerti, svenduti dal cuo-
co, dalla serva; e gli autori vigliacchi, scherniti e
fattisi buffoni di quella plebe patrizia ch'essi han-
no immeritatamente sconsigliati colmato di onore.
Se vogliasi intitolare la libera fatica del letterato
al [>oteute, si scelga, come il Calvino, colui ch'è
utile alla società, e gli si renda solo il tributo che
merita, senza il vile orpello dell'adulazione. Ma se
vogliasi colle dediche onorare senza vilipendio il
inerito puro, si dirizzino essi agli estinti, come lo
Scinà fece onorando la memoria di quel massimo
anìatore della Sicilia , Rosario di Gregorio , o si
dirizzino a qui^gl'illuslri plebei il di cui nome non
si dimeulica ])er perdita di pubblico uffizio , non
per il corso degli anni, anzi che acquista più ri-
nomanza dalla morte medesima. E per non allon-
tanarci dal nostro proposito, non possiamo frenar
lo sdegno, e con noi lutti gl'imparziali, in leggere
quel passo della dedica del Nicia del bar. Si)alaro
fatta al bar. di Montenero, ove dice che confron-
tandosi le felicità passate di Siracusa con quelle
attucdi^ è certo che a Siracusa sarà invidiato più
della vittoria (che ri[)orlò sopra gli Ateniesi) l'otti-
mo Intendente che dalla provvidenza lui meritato.
124
Proposizione così clemente è gravemente per fermo
dispiaciuta a quel modesto animo dell' elogialo , il
quale con l'universo popolo Siciliano conosce piena-
mente che le virtù di un cittadino non possono pre-
ferirsi alla fortuna alla floridezza alla indipendenza
alla gloria alla possanza di un' intera nazione. Onde
noi vorremmo che non solo i drammi, ma sì pure le
dediche, si fossero utili, decorose, e non bassamente
bugiarde.
La città di Caltanissetta, chiusa per ogni dove
dalla terra, senza comunicazioni marittime; senza
strade rotabili, istupidita dalla feudale dominazione,
della quale si emancipò nel 1812, coperta sempre-
mai di nebbie; ancor selvaggia quasi raantiensi, e
non ha teatro, né attuali autori drammatici che si
conoscano: forse oggi che la volontà del Principe
r ha elevata al grado di capovalle , che per una
strada carreggiabile si è messa in comunicazione
diretta con la capitale dell'isola Palermo, metropoli
che tutti illumina della sua luce; che la gente to-
gata, i letterati, e gli altri uomini colti che ivi con-
vengono, potranno mano mano dirozzarla, e farla
più umana con l'amor della sapienza e delle inge-
nue discipline avverrà, che ove sono molli ricchis-
simi conventi e monasteri, sorga pure un teatro, sic-
come è mente del provvido governo.
Se in Callanissella è letterario squallore , avvi
splendidezza in Catania che precipuamente, è vero,
le scienze coltiva , ma pur si adorna di parecchi
cittadini volti all'amenilà del sapere. Ignazio Pn-
lernò Piiucipe di Biscari, munifico cittadino, del-
l' elogio del quale prenderà sempre le mosse qua-
lunque elogio tributalo alla j)atria di lui, eresse il
primo nella sua magione un teatro che fu sempre
125
in attività , come lo è pure oggigiorno. Del pari
Giuseppe Clarenza, Principe di s.^ Domenica, un
altro ne fondò nel suo palazzo, ma a quello secondo,
e che ora pii^i non esiste: che negli andati tempi
i magnati erano i promotori primari di ogni utile
disciplina, e potentemente influirono a incivilire i
popoli; onorevole vero, posto in viva luce da Do-
menico Scinà nella sua letteraria istoria del i8° se-
colo. Ma a quel di Clarenza nel 1819 successe il
Comunale Teatro , che il Duca di Sammartino ,
allora Intendente di quel valle, vi edificò, teatro
ornato e pr-oporzionato alla presente popolazione di
quella fortunata città: e dopo la sua fondazione sem-
bra che i Catanesi; i quali amano lo smisurato lus-
so degli edifizii, sieuo rinvenuti dal delirio di con-
durre a termine un altro intrapreso teatro di co-
lossali di menzioni, somigliante a quel di s. Carlo di
Napoli, dimentichi che quella vastissima mole, onde
poter mantenersi ben decorala , avuto ha mestieri
di una città che assorbe le ricchezze de' regni di
Napoli e Sicilia , abitata da un popolo di pressa
mezzo milione, e inoltre go mila ducati di rendita
annuale, mentre essi con tutti i loro patriottici sfor-
zi, appena sono potuti giungere a fornire ài teatro
attuale iBoo ducati.
Del pari come il genio de' Catanesi è svegliato
per i teatri, lo è per la drammatica: contano essi
non pochi ne vulgari autori di componimenti lirici
jìer musica, ed inoltre lo Scuderi, innanti nominato,
il Fcrnai.'dez, Matteo MarraQino, lo Slramondo, Se-
bastiano Carnazza, e Tommaso Consoli; il primo pro-
dusse sulle scene \ Jtreo tragedia da' suoi concit-
tadini più sere applaudita; il secondo la Mornu tra-
gedia, e il Difficile per le donne commedia dal pub-
12
126
blico non accolte con 1' entusiasmo con cui onorò
l'Atreo; il terzo // Manfredi tentativo tragico, dei
quale si è dato superiormente ragione; il quarto il
Solitario ossia Carlo di Provenza ivi declamato
ed approvalo, ed il quinto un dramma di soggetto
americano, se ben m'appongo, ma di poco effetto:
tutti e sei questi poemi non hanno visto la luce,
e quattro sono stati esposti al tremendo giudizio del
pubblico in questo cadente anno. Tanto basta per
conoscere aver Catania mantenuto il suo nome in
questo ramo di letteratura, al pari di ogni altro a
cui si è volta; e avvisarci essere colà fervente l'e-
mulazione, eccitamento primario ad ogni eletta ope-
ra, e sociale cultura.
In questa valle quasi non v' ha comune senza
un teatro: Caltagirone uno ne murò sotto gli au-
spici di Giuseppe Grifeo de' Partanna, vasto, ricco,
ornato; Biancavilla, Paterno ed altre molle ne so-
no decorate; e Troina , la quale , abbenchè sorga
fra le rupi e le nevi lontana dall'attivo commercio
civile, uno ne sta costruendo di belle forme, e non
mercenarie turbe d'indulti istrioni vi agiscono, ma
le persone più colte di quella vetusta città , e le
sue vaghissime giovanette miste alle più nobili ma-
trone salendo le scene , dirozzano con la potentis-
sima via dell'esempio le classi inferiori del popolo,
•e con sajjgio divisamento prescelgono i drammi di
autori siciliani, e noi sa])piaino avere ui questi giorni
rappresentato l'Amone del messinese Galatti.
In Aci-Reale, città notabile fra noi, non confando
me, che ho trattato la drammatica senza gran riusci-
ta, e solo per divagamento de' severi studi, Diego Co-
slarelli nel 1826 stampò Jniia Balena tragedia: essa
tede a quella del C. Alessandro Pepoli; e nella liti-
127
gua, nello siile, nel maneggio degli affetti è debole;
e i'A. non ha saputo vincere lo scoglio di questo ar-
gomento, cioè, di esporre sulla scena la mannaia ed
iJ boia. In questa mia terra natale visse Vincenzo
Costanzo, sopracennato, felicissimo imitatore di Me-
tastasio, e il suo genio l'ha ereditato Francesco Vasta
autore di pregevoli lavori melodrammatici, tra cui
V Andromaca^ posta in musica da P. Raimondi insi-
gne compositoie, ov e un candore, una leggiadria che
t'innamora, e ricca di scelti pensieri colmi di affetto.
Qui fu un teatro quasi sempre nel trascorso secolo, e
ne' primi anni di questo, popolato e da scelte com-
pagnie comiche, e dall'armonie del Piatania e del
Raimondi rallegrato; ma col sorgere della nascente
generazione abbandonato ai topi a' ragni deserto ca-
dente,- testimonio d'ignominia per questa mia patria
amatissima, e Dio voglia che tosto cessi tanta ver-
gogna.
Ma la commercial Messina perchè madre di Vin-
cenzo Amore, di Antonio Galatti, e dello S lagno oc-
cupa il primo posto fra tutte le cillà provinciali. Noi
non possiamo aggiungere mi sol motto a quanto pro-
nunziò quel nobilissimo ingegno di Ferdinando Mal-
vica di sopra citato sullo spirito delle tragedie del Ga-
lani nel 6° fase, di queste nostre Effemeridi: ivi tutto
è senno e verità, come in ogni altra opera escita dal-
la penna di quel coltissimo scrittore. A noi giova
notare occupar questo tragico per molti titoli il pri-
mato in Sicilia tra tutù i suoi rivali, aver non poco
meritato dalla patria, empirne il cuore di dolcissima
speranza di vederlo un giorno cinto il fronte del
lauro melpomenico, onde gli auguriamo sanità che
basii a tanto lavoro, placida ed aurea fortuna, che
le muse sono amiche dell'ozio, maggior dovizia di
138
sapienza nella pura favella del «, amor verace in-
terininalo per Dante e Vittorio Alfieri, magnanimo
sprezzo per l'iiiiilazione, e profonda convinzione che
i grandi argomenti de' quali si piace la diva vo-
gliono altissimi concepimenti e il linguaggio che per
antonomasia i nostri padri dissero aulico o corti-
giiiiio e tutto d'oro senza imbratto gallico o pro-
vinciale: lo scongiuriamo finalmente a volgere la
mente alla sicula istoria, e dare ad essa la prefe-
renza nella scelta de' soggetti, e solo onorare quella
degli estrani , quando la nostra si crederà da lui
pienamente esaurita. — Vincenzo Amore cammina
sulle orme di Alfieri tanto che meglio pedisseguo
che imitatore di quel grande potrà addimandarsi:
nel suo Alboino è gagliardia di stile, e nobiltà di
tragica dizione, e contrapposto di caratteri; nerbo
e forza di pensieri e di vei-so; ripetizione spessa di
vocaboli; economia di mezzi ; ma sembra peccare
di stento, e di eccesso di sanguigne tinte ; piena-
mente sviluppa il carattere di Rosmunda, poco quel
di Almachilde, e di Alboino; il primo il terzo e il
quinto atto sono ben condotti, nel quarto è fredda
la prima scena , e nel secondo è inconveniente la
presenza de' soldati e del pjopolo; nell'insieme egli
è valoroso tragico, e ne duole non aver avuto in
mano del suo altro lavoro. Del sig. Stagno, sicco-
me nulla abbiamo letto, nulla dir ne possiamo. Mes-
sina da lunghissimi anni sede del siciliano commer-
cio, e chiave militare dell'isola, ha sempre avuto
uu teatro decorato da numeroso uditorio, e d'otti-
mi attori : ivi è generale civiltà e fervore per le
lettere, mantenuto dall'Accademia Peloritana; e solo
cede a Catania nelle scienze, perchè qui la Univer-
sità degli studi tiene acceso e perenne il sacro fuo-
co di Pallade.
129
Invero, come vengo di cennarvi, onorevole amico
è Ira noi comune desiderio d'ingentilirci, e però mol-
ti teatri si rabbellano o edificano, e pareccbi de' no-
stri-lettera ti con varia fui tana si cimentano nel dram-
matico aringo. Da questa brama di accorrere ai tea-
tri e pili a quelli di musica , e di largire grosse
somme in questo ramo di diletto, die si è conver-
tito in lusso, n'c venuto essere meno stupendi, ab-
Lenchè più numerosi, i nostri autori di poesia tea-
trale de' compositori per musica: da questa italica,
e quindi europea insania, della quale vergogneranno
forse, ma sempre utilmente, i nostri posteri, è tra
noi surto uno stuolo di maestri di cappella di non
volgare merito, e tra di essi il genio sovrumano di
V. Bellini alle cui armonie fa plauso tutto il mon-
do civilizzato. Dopo ciò speriamo insieme, amatis-
simo Grauatelli, che favorendo il governo lo spiri-
to socievole di questa nobilissima parte de' suoi do-
minii possa Sicilia risalire a quell'altezza, dalla qua-
le è caduta in tanta miseria.
State sano, e gradite l' immutabile amicizia del
Da Ballo i"" di dicembre ì832.
Vostro e tutto vostro
L. Vigo
i3o
Sul princìpio di conoscere la legge naturale,
Opinionum commenta delct dies: nalurae jadi'
eia conjirmut. — Ciceroke,
[^ ra le verità tutte, clie la menle umana ravvi-
sare lia potuto osservando la grande economia de-
gli esseri, la più ammirevole per avventura si è
quella, che l'ordine regna nell'Universo. Ma questo
di certo esister non potrebbe, ove delle immutabili
leggi dal. Creatore imposte non regolassero i movi-
menti e le forze della natura. Una legge v'ha in-
iàtti nei terrestri corpi, che al fenomeno presiede di
lor gravila, alla chimica attrazione, all'equilibrio,
air elettricità , al magnetismo: ed è l'azione d'una
legge, che a così dire incatena i corpi celesti nelle
loro orbite, che dirige infine il sistema dei pianeti.
Ciò che avviene nel fisico, ha pur luogo nel mondo
morale: gli animali tutti ubbidiscono alla legge di
un'istinto, ed è l'uomo tra essi quello che capace
di merito o di demerito conosce solo la legge, che
il facitor delle cose gli ha improntato ncU' animo.
Or dovendo noi portare disamina sul principio di
conoscere la legge naturale, per determinare e dif-
flnire quale esso siasi, premetter fa d'uopo talune
considerazioni, che lo risguardano.
Questo principio altro non è che la legge istes-
sa , la legge primaria e fondamentale , da cui la
ragione per via di nesso è forza che ricavi le altre
leggi peculiari, o a dir meglio i doveri tutti, che
ha l'uomo sotto qualunque stato considerare si vo-
glia, il complesso dei quali a parlar propriamente
i3r
coslilulsce il naturale diritto , o come altri dicou
col Dioz, il mobile delle nostre azioni, il motivo che
deve dirigerle. Imperò essendo il principio di co-
noscere una legge naturale, vuoisi i° ricercare nella
natura istessa dell'uomo: gli autori più saggi, come
ap])resso vedremo , comecliè discordanti si fossero
circa a questo ])rincipio lian l'esame rivolto all'u-
mana natura, da cui è slato lor sentimento do-
versi rilevare. 2° Esser dcbbe sì chiaro, che tutti
gli uomini, i quali usano di loro ragione, non solo
ravvisin la legge, ma che da essa di leggieri pos-
san ritrarre i doveri tutti componenti il diritto na-
turale, o quelli almanco, che ogni uomo è tenuto
indis])ensa]jilmenle adempire. 3° Richiedesi alla fin
fine, che tale principio, perchè primordiale, dipen-
denza non abbia da altri principii, ben si potendo
da questo solo ricavare i doveri di cui è parola.
Intanto a schiarire vieppiù l'argomento propostomi,
egli e mestieri, ch'io faccia precedere, a dir così,
uno schizzo istorico che ci presenti le opinioni di-
verse, che i Gius-naturalisti abbracciato ne hanno.
Lasciando da parte coloro, i quali un tempo coi
Cartesiani sostennero i principii pratici essere in-
nati, o j)ure cogli Ale laiini filosofi, che v'era ia
noi un senso morale , o degli istinti a conoscere
questi stessi principii, perchè dopo Giovanni Locke,
ridicola cosa sarebbe il parlarne oltre; alcuni bau
voluto tener per fermo, che per l'amor di noi stes-
si(i)ben rischiarato sìa il principio di conoscere ogni
(i) ComincianJo a schiarirsi l'amor dì se, dice assai Lene il Droz
nella sua filosofia morale, si fecero nascere le blande dottrine del
piacere, di cui Arislippo fu il capo delle scuole diCirecia. Etra
coloro che diedero delle nuove attrattive a questa indulgente mo-
rale, lo scrittore, die seppe il meglio perfezionarla, e renderla tan-
to dolce quanto saggia , e iiou nieuo elevata che allraltiva fu
li Montaigne.
legge naluralc. Un tale principio, tultocliè di leg-
gieri ravvisare si possa dagli uomini, che general-
mente ne senlon 1' impulso , piaciuto ai moralisti
non è sulla ragione, che saria per certo interessata
quella morale, che per motivo abbia delle azioni
l'amor di noi stessi. Si è poi voluto dai seguaci del
Wolfio stabilir per principio la perfezione delle no-
stre facoltà, e di tutta la nostra natura. Ma la per-
fezione senza un obbictfo, e senza un fine sareb-
be forse motivo bastevole all'uomo per operare? La
si è certissima cosa che esso mancherebbe ove que-
sta perfezion nostra per principio statuir si volesse.
Inoltre v' ha di taluni , che riconosciuta han la
tendenza al ben-essere come il principio della mo-
rale. Comechè però tale tendenza , si dice , spe-
rimentisi e si risenta dagli uomini tutti, nullameno
allora ragion non sarebbevi, per cui l'uomo nella so-
cietà debba spesso sacrificare al vantaggio dei simili sé
stesso, e conseguentemente con l'esistenza la felicità.
Ma questo non è tutto ; osservato si è dai Gius-
naturalisti avverso questi tre principii riuniti, che
un sistema di morale, ove o l'amor di noi stessi,
o il nostro ben-essere, o la perfezione della-^ nostra
natura sarebbon le cause impellenti alle nostre a-
zioni, verria meno, anzi distruggerebbesi l'idea della
virtù, in cui l'uomo operar deve a solo motivo d'es-
sa stessa, essendo la virtù, come suol dirsi, pre-
mio a se medesima.
La socialità è stata poi dal Puffendorfio consi-
derata qual princi])io del naturale diritto: ed in vero
rinvenir forse polrebbesi un principio ])iù bello e
più di questo fecondo, per rilevare i doveri tutti
che noi ci abbiamo coi simili? A ragion quindi al-
cuni autori han risguardata l'opera del PufFendor-
i33
1 do siccome quella die abbia eli mollo influito al-
( rincivilimeiito d'Europa. Però da esso non possonsi
( l'er avventura cavare i doveri verso noi , e quelli
i della religione. Tale pecca fu sentilf» dal' Pufferi-
ì dorfio islesso, il quale con ingenuità confessa, che
( adottalo avea questo principio , estimando che i
I doveri che abbiamo con Dio, forman parte della na-
j turale teologia, e che la religione ha suo luogo in.
i un trattato di dritto naturale, in quanto essa è base
■ e sostegno della civil società; in guisa che secondo
I lui, se l'uomo per poco da questa si allontanasse,
I non sarebbe tenuto a farne l'adempimento. Basta l'an-
I nuncio solo di simili proposizioni , perchè discuo-
prasi la falsila, che ne risulta.
lian taluni poi ricorso ai principii speculativi sta-
bilendo la santità, la giustizia, la sapienza divina
come la norma delle umane azioni, oppure i rap-
porti necessarii, che le cose si hanno con la nostra
natura, da dove, secondo essi, le idee derivano del
dovere e della legge, come Kant avvisossi. Ma con-
tro questi osservato si è bene, che quantunque ser-
vir potessero i principii speculativi per coloro che
sono nelle scienze versati, tuttavia l'uso loro esser
non puote per la comune degli uomini, per quegli
io dico che ricevuta non hanno cultura ed istru-
zione di sorte veruna. Di più è da dirsi , che la
giustizia e la santità di Dio non forman la norma
di tutte le azioni nostre, e che i rapporti delle cose
con la nostra natura riconoscer non possonsi facil-
mente in tutti i tempi, in tutte le circoslauzc, e
da tutti gli uomini.
Finalmente si sa, che la più parte dei Francesi,
dopo il Montaigne, sino all'epoca nostra, ammesso
non hanno nella morale altri mezzi per rilevare i
i34
doveri, clic i bisogni, ne allra legge se non quella
del proprio interesse , quindi si è agevole il coin-
pYendere quali esser dovellero le cousegucuze fune-
ste di questi priiicipii, e di una sì corrotta mora-
Ie(i). Che se indi nei tempi ultimi alcuni tra essi
riformarla lian cercato, caduti sono in diverso erro-
re, negando qualunque uso della ragione nelle ma-
terie di morale, con rimettere il tutto all'autorità,
ciò clie importa il negare la moral naturale. Bo-
iiald precipuamente è slato il maestro di questa
scuola.
Esaminati così i pareri diversi che i Gius-natu-
ralisti han tenuto circa al principio di conoscere
la legge di natura, e le difficoltà vedute, che tra
loro si oppongono gli autori , egli e ormai tempo
a metter dinanzi l'opinion nostra intorno al mede-
simo, la quale, possiam francamente asserire, se-
guendo l'avviso di gravissimi scrittori, essere il ri-
sultamento dell'analisi del cuore umano. La felicità
Len intesa, il vero ben-essere, cui l'uomo tende piiì
che un grave al suo centro, ecco il principio co-
noscitivo di ogni diritto, della morale. Chiarissime
ne sono le prove i** perchè è questo un principio
ammesso e riconosciuto dalla comune degli uomini,
2° perchè di leggieri puossi ravvisare da tutti, 3°
perchè infine da esso, meglio che da ogni altro,
si cavano i nostri doveri. Lo sviluppo di queste
(i) I Francesi della passala epoca stabiliscono col Volncy e il
Saint-Lambert per principio della morale i bisogni dell'uomo, da
questi han fatto scaturire tutti i dritti , e dai dritti tulle le ob-
Lligazioni. Eglino riconoscono i bisogni soltanto fisici, e dritto è
tutto ciò , che serve a satisfare questi bisogni. Essi intanto nel
sistema loro ammettono delle obbligazioni , in quanto rispettare
si deggion questi dritti, per essere rispettati i proprii, e tutto per
usare le loro parole acciò ognuno slesse bene, e slesse meglio.
i35
tiipllci rngloni, che son pur quelle eia noi iii sul
bel principio statuite, basta solo a convincere chi
ha (ìore di senno.
Imperò volendo noi far conoscere, clic la felici-
tà il principio sia delie leggi naturali, dimostrar ci
I bisogna, che essa va fondata sull'indole e la natura
istessa dell'uomo. Ma come ciò osservare, se pria
non provasi in che propriamente consiste la felicità?
Mollo piìi che Varii errori si son presi intorno ad
essa, e conseguenze fune'^te se ne son poi nella mo-
rale dedotte.
Or multiplici slate sono mai sempre le opinioni
degli uomini nello stabilire donde nasca la felicità,
ed in che siesi riposta. Fu egli parere dei greci
(ìlosofi che la felicità consistesse nel sommo bone,
ma discrepanti poi s'erano nell'assegnare questo be-
ne medesimo. 1 Platoiiici la riponeano nella con-
templazione, gli Aristolclici nel complesso di tutti
i beni , gli Ej)icurei in fine nel piacere. Le idee
di questi filosofi erano confuse e inesatte non solo,
ma pur false nella massima parte. Eglino infatti
confbndean la causa con l'efletto, la felicità con lo
scopo di essa , o a dir meglio con la cagione da
cui deriva. Epicuro sembra l'unico, che con chia-
rezza avesse diffinito la fi-licità, dicendola lo slato di
piacere ossia di godimento: essendo egli ateo però
non potè bene scoprire la cagion vera, che il pia-
cere contiene, il godimento proprio dell'uomo. Inol-
tre in parlando del sommo bene non vi ap[)onea-
no costoro le qualità necessarie, che richieggonsi a
costituirlo tale; ma quello che piò loro venia in gra-
do. E a favellare dei tempi più moderni, dice Har-
ris, la ft'licilà consistere nel piacere: soggiugnendo
che questo piacere esser debba durevole, conforme
i36
alia nostra natura, e che dipenda da noi. Ei pro-
va con l'autorità di Cicerone, die il piacere accom-
pagnato da tali requisiti cosllluisce la felicità. Ma
chiaro si scorge, conje Harris parlando con molta
saggezza delle qualità, che corapetousi alla causa pro-
ducente la nostra felicità, non dà però una idea di-
stinta e completa della felicità raedtsinia che se-
condo questo autore non è , che il piacere.
V'ha di taluni poi, che con più di profondità,
a mio credere, felicità appellano lo stato di acquie-
scenza e di godimento: una breve analisi di que-
sta definizione ci metterà in grado a conoscerne l'e-
satezza e l'importanza. Dicesi primamente stato di
godimento, perchè l'uomo gode, e questo godimen-
to sente ne' piaceri: tra piacere e godimento altra
differenza non esiste se non quella di causa ad ef-
fetto, i piaceri precedon nell'uomo, e il godimento
ne è il risultato ; dir dunque stato di godimento
vale lo stesso che stato di piacere : il godimento
e poi sempre in ragion diretta del piacere mede-
simo , perchè un grande piacere arrecar non può
che un gran godimento , e viceversa. Si dice an-
cora stato di acquiescenza: mentre certo si è, che
l'uomo acquietasi perfettamente; e dcll'intutlo e tran-
quillo , allorché in se sperimenta un pieno godi-
mento, un completo piacere, che vai quanto dire
senza idea veruna di difetto e di mancanza produ-
cente sensazione spiacevole, che portar vi possa tur-
bamento.
Da quanto si è da noi esposto possiamo in altri
termini concludere, che la felicità sia lo stato dei
piaceri senza raischianza di dispiacere, essendo pur
lungi l'idea della possibilità di perdere questo slato
'^7
di piacere mecleslmo(r). Si è questa l'idea sempli-
cissima, che uè fornisce l'opera di uno anonimo in-
titolala: Pensieri sulla felicità ^ ed il Mauperluis
nel suo saggio di morale Filosofia. E siccome per
propria spericiiza ognun sa, che i piaceri han lor
uascimento dalla satisfazione dei bisogni sentili; quin-
di in ultima analisi possiam dire, che la felicità de-
rivi dalla satisfazione dei bisogni. Da ciò manifesto
risulla , che 1' obbietlo della felicità propriamente
tale di presente affermare non puossi, esser questa
o quell'altra cosa, ma sibbene tutto ciò che serve
al satisfaciraento dei bisogni regolati dalla ragione,
essendo, come tale oggetto, di piacere; e come i pia-
ceri insiem riuniti costituiscono al tempo islesso la
felicità nostra, così qncsti varii oggetti producenti
in noi il piacere, formano uniti insieme il grande
oggetto della umana felicità. Or fra questi oggetti,
quelli deggion per l'uomo più interessanti giudicarsi, ,
che maggiormente alla felicità sua concorrono.
Data l'idea precisa della felicità, veduta l'origine
donde essa [-romana, a dimostrare ci resta, come
l'uomo vi è portalo dalla sua stessa natura. Che
l'uomo tende alla sua felicità piìi che un grave al
suo centro, è questa una verità a lutti nota per la
via infallibile del sentimento. Possjam noi quindi
con sicurezza dire esser ella una inclinazione ne-
cessaria , una proprietà essenziale della nostra na-
(i) A maggiore scliiarimcnto di si ardua materia avvertire c'è
d'iio|)0, clic sialo di piaceri e di felicità, a |jio|>i iameiite parlare,
non sono diversa cosa tra loro, mentre felicità suona lo slesso clie
stato di piacere. Md una dillcrenza de^na di moj'.a considera-
zione, che passa Ira felicità e stato di piaceie , convien clic si
rimarchi. Può egli darsi piacere seii'a felicità, ma non mai feli-
cità senza piaceri, un sol piacrre non rende l'uomo felice; ma il
costituiscono propriamente tale il complesso dei jiiaceri. Felicitax^
dice Cicerone nelle sue 'i!Mìcyx\ài\e, csl secretis inalis omnibus^ cu-
inuLìta boiioruM comfjlcctio-
i38
tura, un altiibuto in fine senza di che Tuomo non
sarebbe più uomo. E di vero, che ciascheduno sia
COSI potentemente spinto dalla propria natura alla
felicità, ne dimandi per poco a se medesimo: posso
io forse uii solo istante rinunciare alla felicità? posso
un fine alle mie azioni proporre diverso da quella?
posso in ultimo esser mai indifferente alla vista del
mio bene o del mio male ? Tutto ciò riesce im-
possibile, ed egli sarebbe uno stolto scetticismo il
volere altrimenti affermare. E se spesse fiate l'uo-
mo per inganno va in traccia della felicità dove non
è, questi traviamenti stessi provano all' evidenza ,
che la natura l'ha crealo per essere felice.
Or la felicità si distingue in due specie, in per-
fetta cioè ed in imperfetta: havvi nella prima lo stalo
di piena acquiescenza e di puro godere, non così
nella seconda: la prima non può darsi nella sfera
del tempo, mentre [)iacere quaggiù non esiste che
preceduto non sia da un desiderio , e il desiderio
non è, che una sensazione molesta, e non v'ha bene
che vada scevro di mali; dal che se ne conclude
felicità j)erfetta non poter darsi per l'uomo ncll'at-
tual vivere; ma quella b^'usi che imperfetta, per-
chè manchevole, si addimanda. Intanto sentirsi fa-
cendo nell'uomo il desiderio della felicità nei mo-
menti tutti di sua esistenza, è egli in tutti i mo-
ni ;nti della medesinja chiamalo alla felicità, e co-
rncchè di presente rinvenirla non gli è concesso per-
fetta in questa vita mortale, attese le qualità del sog-
giorno, im[)ertanto egli è nato per essere comun-
que può felice, E questa adunque la tendenza che
sentono in loro stessi gli uomini, anzi direi l'unica
legge, che essa ci ha imposto , o ciò che vale lo
slesso , è questo il principio di conoscere tulle lo
i39
leggi naturali. Qui però mi s'obbiella da qualche
filosofo dicendo difiercnza non esservi di sorta ve-
runa nella lumeltere come principio del naturale di-
ritto il proprio interesse e i bisogni, o il ben essere in-
vece e la felicità dell'uomo: nell'uno e nell'altro caso,
si dice, sembra, che gli effetti in morale sieno iden-
tici, perchè nell'uno stato e nell'altro a formar viensi
un'interessata morale. Ma contro questi, cui ragio-
nare siffatto molto va a sangue, egli è bene il ri-
flettere, che l'idea dell'utilità va distinta da quel-
la dell'onestà, non essendo la prima, che un risul-
tamento della seconda, un carattere con cui puossi
bene sceverare ciò che veramente è onesto in se
stesso, da quello tutto che non lo è, se non nel-
l'erronea opinione degli uomini. Or per fermo noi
tenendo, che la felicità sia il principio del naturale
diritto , in modo alcuno non viensi ad urtar con
queste massime cotanto giuste e ragionevoli. Si sta-
tuisce, e il vero, la felicità per la legge primor-
diale della morale, ma pur da noi dicesi, che l'uo-
mo osservare è tenuto questa legge non già perchè
utile in se slessa; ma solo perchè la natura ce lo fa
sentire. Io insinua la ragione.
Che poi dal principio da noi statuito, i doveri
tutti rilevinsi, che ha 1' uomo in qualunque stato
considerare si voglia , la si è cosa troppo agevole
a poter dimostrarsi. E intralasciando i doveri che
ci abbiamo col Creatore , non essendo dicevole il
qui farli conoscere, chi non tiene per innegabile ,
ch'egli sii l'oggetto di nostra felicità? Che se ]>oi
vogliamo far motto dei doveri verso noi stessi, egli
è del pari indubitato, e ci gode l'animo a nuova-
mente annunciarlo, che il principio da noi adottalo,
a preferenza d'ogni altro, il piti allo sii a ricavarli.
i4o
Finalmente per favellar dei doveri verso gli altri,
questi ben si desumono dalla insuiriciciiza, ove na-
tura ha posto egualmente gli uomini, a non potere
cioè satisfare i jìroprii bisogni, senza il soccorso del
simile; e quindi la felicità pur consiste, dirò così,
in una certa armonia che ogni uomo sa tenere con
seco stesso e con gli altri. Il dovere medesimo che ha
r uomo di sacrificar talvolta la sua vita alla con-
servazion dello slato, è pur richiesto da quella so-
cietà, senza cui non può egli sussistere; essendo per
lui non meno glorioso che dolce, come disse il poeta,
morir per la patria: Dalce est^ et dccorum prò
patria morì.
Concludiam quindi, che la felicità, la quale sta
scritta nel fondo di nostra anima , e che dirige i
desiderii, i bisogni, e le azioni degli uomini, si è
la legge primaria di nostra costituzione, l'immuta-
bil principio della morale da cui risulta ogni dritto,
ed ogni umano dovere.
Cai>>. Salv^ìtore Jldisio.
Al n.*^ () del nostro Giornale annunziammo un
lavoro intitolato Notizie intorno ad un codice re-
latiK'O (dCepoca Svevo-Jngioina , die si possiede
da S. E. il s/g. D. Girolamo Settimo Principe
di Fitalia Consigliere di Siato. — Palermo pres-
so i sodi Pedone e Muratori i832. Oggi però
desiderosi di rendere, per quanto è in noi, un no-
vello tributo di ammirazione e di profonda ricono-
scenza a quell'uomo venerando di Monsignor Giu-
se[)pe Capece-Latro, antico Arcivescovo di Taran-
to, delle cui altissime virtù e preclara dottrina e
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meglio tacere die dirne poco, cliè sempre è poco
quanto dir se ne possa , pensammo di pubblicare
una Lettera del suddetto Codice, la quale risguarda
lo sbarco in Sicilia a prò degli Svevi operalo dal
famoso Corrado Capece , uno dei più illustri per-
sonaggi della stirpe del sommo prelato napoletano:
il quale tenero della memoria degli avi suoi, cli'eb-
Lero gran parte nelle italiane storie, ne va riutrac-v
ciando con singolare studio e grandissimo senno le
glorie le opere le gesta, e alla posterità le conse-
gna. Quindi noi dimandammo cotesta lettera al det-
to sig. Principe di Fitalia possessore del prezioso
Codice; ed egli tanto per la nobile gentilezza cbe lo
distingue, quanto per l'amicizia che al grande Ar-
civescovo lo stringe, di pieno buon animo lia con-
disceso al nostro desiderio.
Per chiarire poi la circostanza del momento, in
cui venne dettala questa Lettera non possiamo far
meglio che trascrivere la nota decima, che nell'an-
nunziato lavoro si contiene. Intanto è mestieri av-
vertire che nella copia, che ne abbiam ricevuto, si
sono conservati, con sano consiglio, l'ortografìa e i
vocaboli nella guisa medesima che sono nel codice;
della cui scrittura riportiamo anche il fac-simile ,
che ci è stato gentilmente donato , onde conosce-
re, e meglio osservare un monumento di tempi te-
nebrosi.
Nota lo.'^alla pag. 64-
M Fra molti tentativi operati per rimettere sul
trono della Sicilia la famiglia degli Svevi, durante la
dominazione Angioina, è degna di onorevole ricor-
danza l'impresa, comechè ita intelicementc a ter-
minare, del celebre Corrado Capccc, il quale con
utia mano di suol ptirligiani nei nostri litll appro-
dando alla parte di mezzo giorno, andò spai*gen-
do per tutta l'Isola delle lettere, col carattere di
vicario generale dello sventurato Corradiuo. Or men-
tre Jaba Malaspina , Niccolò de Janisilla, Barto-
lomeo da Castronovo concorrono quasi in tale rac-
conto, altri scrittori, e tra questi Giovanni Villa-
ni in diversa guisa ne parlano. Il nestore dei let-
terati napoletani , Giuseppe Capece-Latro , al cui
nome stanno riverenti i dotti di Europa, allorché
recentemente dettava le vicende deirantichissima e
storica famiglia dei Capeci (de antiquitate et va-
ria capyciorum fortuna Neapoli i83o), pubblicò su
questo contrastato punto di storia una lettera del
nostro Marchese Tommaso Gargallo, cui egli amò
consultare ; e il Gargallo con la vastità delle sue
crudizioni, e con quella argutezza che tanto lo di-
stingue , seppe far rilevare, come nelle storie del
Villani, forse per lo salto di qualche linea , male
applicate si trovano a Corrado Caputo di Antio-
chia, discendente dall'Imperatore Federico le cose
tutte, che convengono a Corrado Capece , e nelle
quali si accordano tutti gli storici sincroni; e co-
me all'incontro Giovanni Fiorentino, copiatore sgua-
jato del Villani, nel suo Pecorone attribuisce erro-
neamente al Capece la discendenza da -Federigo ,
togliendo di netto.il nome di Corrado di Antio-
chia. In appoggio all'opinione del Gargallo si pre-
senta la lettera registrata nel nostro codice al n.**
80, in cui un nostro buon prelato rassegna al som-
mo Pontefice le sue contristazioni per la scesa in
Sicilia di Corrado Capece, che egli col prisma dello
sj)irito di parte risguarda e caratterizza come inva-
sione, ma in cui, in quanto al fatto, convalida auz.i
t43
la particolarità cenriata da Jamsilla di essersi cioè
da Tunisi ilCapece coi suoi seguaci recato in Si-
cilia. »
LETTERA.
Quidam prelatus Sicilie scripsit summo Pontifici
de immsione per Corradum Capicem et cdios
sequaces suos,
Locicm habet in Sicilia hiis diebiis auctoritas
prophete diceniis. Expectaviinits pacem et non
venit. quesivimus bona et ecce turbacio. A ciijus
rei eventu vehemens causa doloris assumitar apat
o/nnes et populus siculoruin quasi in quendam
disperacionis incldens laberinthum submurmurat
et sibi mortem pocius iinprecatur quam vitani. di-
cit eniin et causa racionabilis mo\>et eum. Quid
est hoc quod habeo regem et sub ejus regimine
desufìt eaque faciunt ad bene regendum scilicet
consiliaris pro^'idencia unde salus et militaris in-
dustria Wide robur maxime ubi hostilis iiwursio
Jbrmidaiur. In ventate quidem que deus est nu-
niini vestro loquor. quod bene per tres menses an-
te quam milvH voraces et rapaces lupi Siciliani
introissent presidibus provincie siculoruni innotuit
de preparatico adventu eoruni de tunisio in trina-
criam e uni maximo apparata, quem si regius pre-
sidatus fuluris casibus prudenter occurrens deceni
galearum missione eoruni navigia incendi Jecissent
voracitatem milvoruni et luporum rapacitatem ne-
quaquam Sicilia ita graviter persenssissct.
i44
Lettera delS. Nicolò Buscemj al sig. A. Gallo
sopra alcune cose inedite di Giovanni Jurispa,
jLàb. conoscenza delle cose da molti secoli accadute
atlingendosi da fonti pure, che non lascian luogo
a dubitare della loro verità è stata sempre assai
dagli uomini stimata. Molto pii^i se essa riguarda
quelle cose che la storia dei progressi dello spirito u-
mano accrescono, e rischiarano. Serve questa non so-
lo a guidare i presenti sulle norme de' passali; ma
eziandio a rimeritare le fatiche di que' che maestri ci
lian preceduto, ed accendere i giovanili petti a se-
guir le pedate di coloro che onorati si veggono nel-
la memoria degli uomini. Giovanni Aurispa astro
chiarissimo che nella prima mela del XV secolo
illuminò il pm'o cielo d'Italia con tanto onore della
Sicilia sua patria fu è vero dal diligente Mazzuc-
chelli (Scrii. d'Italia t. II. p. 1227) con molla cura
alla memoria dei posteri raccomandalo ; ma assai
j)oco mi sembra essersi detto di un tanl'uomo ri-
guardo a quel molto che dir si poteva. Non vi sarà
perciò ingrato che io dirigga a voi queste poche me-
morie di lui; mentre esse a' vostri conforti e pre-
mure sono dovute. Quivi troverete tolta una macchia
alla Sicilia, che sembra non avesse curato di tanto
figlio, ed un onta si leva allo stesso Aurispa, che
venne accagionato di aver fatto tralllco indegno di
codici, e di scritture, che comprava, come dice-
vasi, per mercato, non per istudio. Mi sembrava
in vero impossibile che un uomo appassionato, come
egli era per le lettere, si fosse privato pel vile prezzo
i45
tleì pi^i gian confoili che s'abbia chi ama i buoni
studi ^ menile con gran pena accade privarcene al-
lorché la fame imperiosamente il vuole, ed a cui non
è da far risposla.
^URJSPA tnfign[//co et clavissinìo viro et domi-
no Nicol AO De Speciali patri et domino suo
S, P* D. €i se commendai,
tJsque adeo lilerae tuae milii gratae, usque adeo
tiìihi voiuptuosae fuerunt , ut nullo calamo hanc
aflcctionem meam aperire possim; docebant eniin
sahilem tuam, docebant et cordis liberlatemt nam
animus sapio{ilis viri in servitutem duci non po(est,
fucruuhjuc iudiccs sumniae erga me et singularis
bciicvoletiliac tuae, quain quidem cumulare feli-
ci la lem et quietem animi mei facile omnes qui sa-
picnliam auctoritatem et polentiara tuam sciunt in-
lelligcrc possuiit» At primum quod me vehemen-
ter anics tribuo palriae, tiibuo antiquae nostrae illi
faiiiiliarilati, tiibuo ante omnia prudentiae et mo-
ribus tuis. Sed antequam ad epistolam tuam ve*
niam altius rcpeleiida, ut mihi quidem videtur sen-
tcntia mea est, quac a responsione litcrarum tua-
rum aliena non erit» Ego sapientissime vir jam-
pridem consideravi mecumque reputavi conditio-
nem hominum in hoc terrarum orbe vivenfium,
et ut multa omiltam unam homines hic felicilatem
habcre possunt quietem animi, eamque omnes di-
versis rationibus queriuius. Sed ila comparatum
est, ut nemo cara hic cumulatam habere queat.
Veruni illuin ego in hac vita quam colimus feli-
cem pulo, qui multum quielis in animo habct, et
minimum soliciludinis.
i46
Hanc ego senlenllam mullis ante antiis acceptam,
magis magisque in dies probo. Quare ila me con-
slilui, ut paucae aut ferme nullae curae animum
memu mortleant, qua in re non soluni induslriara
scd fluilriccm fortunam habui. Nullam cupidilateoi
accipio nisi eam quam facile explere possum. Si
quid auri aut fortuna aut ipsa rerum conditio mihi
atfert id bberaliter expendo. Hac ista sententia mea
sum Ictus et gaudio, hac ego ipse mihi sapere vi-
deor, et judico quosdara hac eadera ratione desi-
pere. An non est stultitia cum quiescere possis, eas
animi solicitudines capere, quasi infelix fias? Nara
si quies animi, ut superius dixi , foiicitas est, erit
proleclo inquielas et conturbatio animi infelicitas.
Quorsum haec inquies? ut scias me expertem esse
curarum, et minime solicitum. Non sum rerum cupi-
dus, quodque maxime mireris, cum dedecus et turpi-
tudinem ante omncs morlales timeam non honoris
sum cujìidus, non gloriae. Sum cum principe, qui ut
nnillis ralionibus compertum habeo, me non diligit
solum, sed amat et cobt, et voluptuosum estsibi mi-
la benefacere. Ejus domo non aliler ulor ac mea, et
in rebus quae ad meum usum sunt ita mihi ab om-
nibus obeditur, ita voluntali meae obtemperatur,
ut tibi in oppidis et domibus luis. Sum igitur in
quiete et in salis felici fortuna. Non palriam in-
quis amas ? Non nos videro cupis ? Sum patriae
amalor ci cultor, cui quantum debeam et Plato
et ipse Cicero assidue aiuibus intonant. Scio quid
debeam patri seni praesertim, quid vobis omnibus,
P^tri, annuos victus et nutrimenla rcddo. N'os amo
laudo, colo, in coelum elTcro, faveo eliam vobis et be-
nclacio. Pracdicò enim singulares virlulos regis, fui-
quc curiosus, ut a multis eas audircm, et audivi
i47
quiàciti saepe et a plerisque, et praccipue a Do-
mino Hilcrtlensi viro sapienti et rerum humanarura
peritissimo. Si quos ego iiifcnsos regi adverto, reci-
do benevolos , quanivis hoc quidem prò ejus na-
tura facile est. Nemineni adirne inveni , qui ver-
Inim aliquod duruui contra regiatn maieslatem di-
ceiet. Genus liorum cilerioruni Ilispanorum infen-
suni liabet. Odium ego et invidiam erga illos lio-
mines quantum possum diminuo. Regi omnes be-
nevolos reddo, amantibus benevolenliam f'acio nia-
ioreni. lis vero qui erga illuni nuUam afiectio-
iiem habent, eam de rege opinionem induco , ut
credant tane Ilaliam in quiete et felicitale fore ,
cum populi nostro regi subiecti fuerint. Nec paucos
quidem ad liane opinionem induxi non vulgares, sed
claros etoptimos viros. Nonne est hic vobis favere et
benefacere, magnificare scilicetregem nostrum?Quip-
pe si is ut spero dominus Italiae fìat satis super-
que satis Italicis omnibus consullum est et Siculis
praeeipue. Patri omni officia praeter unum, quod
me solum vexat , etsi longinquus reddo. Nemi-
nem quantum facultates meae suppedilare potue-
runt patriotam mendicare aut egere passus sum.
Omnibus consulo omnibus faveo quantum industria
et parva potentia exlendi potcst. Quod me vexat
nunc audies, id enim ita est, ut si dixero satis literis
tuis responsum erit. Puta igitur nunc ad litcras luas
responderi. Fuit rnihi a puero volupluosum varia
multaque legcre. Quae res tanta m mihi cupidita-
tem habendi codices inlulit , ut librorum posses-
sionem rebus omnibus praetulerim. Quo factum est,
ut nihil aliud habeam praeter codices, quorum mihi
tanta mulliludo est, ut nulla in Italia hodie biblio-
theca sii quam mea non superet. Ncmiucm prin-
1^8
cipuin (|Likleni exciplo , nec praelaloruin. Qua in
re tantum euri expendi , ut privatum liominem
tantum aut poluisse, aut ausum fuisse non creda-
tur. Alii equus , multi domos , alii res alias sibi
compararunt. Ego omnem industriam, omne argen-
tum, vestimenta etiam saepe prò libris, dedi. Nam
neinini Constantinopoli graeculis illis vestimenta
dedisse, ut codices acciperem, cujus rei , nec pu-
det, nec poenitel. Una ergo in me sola cupiditas est
animi sollicitudo, hoc est ut tam praetiosum, tam di'
gnum librorum tliesaurum patriae et posteris nostris
moriens relinquam. Haec sola res non hortatur so-
lum, ut redire in patriam velim- sed et vehemen-
tissime cupidum facit. Sed ut tandem ad calcem
epislolae j. ut ajunt , veniam: volo reverli et qui-
dem libenler, si tu cum mihi locum parabis , ut
liane curara arailtam non ali ter accipiam. Nam
quod mcmiui Jntonjo Panormitae viroclaro, et
poelae suavissimo, miliique familiari et amico re-
spondisse primo per epistolas , postca coram , id
nunc tibi. Scripserat enim ipse ad me primo, et
postea Florcntiae sub literis regiis, in quibus scri-
ptum erat : commisisse majeslatem suam domino
Antonio Panormitae nonnulla mihi relerenda, eaque
iubebat credere. Retulit ex parte regia idem Pa-
normita velie mihi ita ampie providcre , ut bene
abundeque vitae meae consultum sit, si in Siciliam
venero. Quidem illi tunc respondi ut nunc magni-
ficentiae tuae dico. Has ancoras, quae navim mcam
iìrmalam in hoc portu tenent, nunquam divellam,
nisi prius in alio portu alias quae non minus na- .
vim liane meam firmiter videro et senliam, Tuum
erit opus nunc id facere, ad quam rem mullos ut
puto , adiutorcs habd-)is , et praccipuc Domiuuin
llileicìensem. Vale mi clomine, et me ama. Hoc
vero negotiura quocl ad me pertinet, velim ratione
quadam occulte tractari, vel salis erit liane meaiu
voluutatom esse occiillam. Nam si anlea quam fa-
ctum essel, liaec mea sententia propalaretur , vc-
nirelque ad aures Ijorum meorum dominorum, te-
nereut me fortassis, et parum eos amare pularent.
Ego vero fatoor nou aliter hunc meum Marchio-
lieiii amo, ut bonus filius suavem et dulcem paren-
tem, quod si no» esset, profecto essem ingratissi-
mus. Vale iterum spes honorum, et palriae decus,
Bononiae kaleudis Novembris.
De re libraria de qua milii Dominus Gualterius
locutus est, non sine admiratione audivi. Nam bo-
nos Codices oinnes milii vendere facile possunt, c-
tiam quanto velini; emere vero uunquani posscnt.
Libros quos ipse [)elebat liabeo, et quidem pulcros,
eos<[ue ut magna impensa et diligeutia mihi pa-
ravi, ita diiigeuter servo. Vale.
Oltre la leti era da noi riferita due altri opit'
scoli v'ha nel medesimo ?ìis. che possono le leliera-
rie notizie accrescere deWÀurispa. Son essi la tra-
duzionetgii due opuscoli greci per lo innanzi igno-
ta: e SI potrebbe enumerare come terza la nota
tradu'zione del dialogo di Luciano Alessandro, Sci-
pione, Annibale.
La prima delle due ignote è la versione latina
dell'opuscolo di Plutarco d^à un Governatore ine-
sperto. E preceduto da una lettera di dedica a
Niccola Speciale^ a cui la sopra riferita lettera di-
resse. Noi abbiamo giudicato di lasciare la tra-
duzione^ la quale ci basta di avere annunziato^
e ci contentiamo per accrescere le notizie di Gio-
vanni Aurìspa di produire solo la lettera.
100
^URJSPA clomiiio illuslri et equcslvls oiduiis or*
natissimo viro domino Njcolao De Speciario
proregi Siciliae salulem.
Clini opusciiluin Piularclii viri doctissinii et re-
rum humanarum periti ex graeco in latinam lin-
guani convertisscra, multi milii, cui id operis da-
rem, in menlem veniebant. Sed quia titulus ad du-
ceni indoctum erat, timui ne fortassis eum cui li-
bcllum mitterem, tacile malae gubernationis repre-
dcrc viderer. In multos enim male gubernaudi suspi-
ciò aliqua cadere potiiissct. In te vero tanta est sa-
picntia, tantus rerum variarum usus, ut omnes qui
te iiorunt unicum dominandi magistrum et arbitren-
tur et voccnt. Quam ob rem vir illuslris has pau-
cas lucubrationes ad te niitlo, ut et benevoleutiam
erga te mcam intelligas, et a Plutarclio summo phi»
losopho tot anuis aule hanc aetatem sapieutiam et
guberuatiouem tuam sentias approbari.
Ex Ferraria. Quam raptim, intra paucos men-
ses, ut puto, e Roma ad te scribam, ubi si quid-
quam iusseris benefici um credam meura obtempe-
rari praeceptis tuis . Vale flos regum.
L^ Altra anche ignota traduzione clelLJurispa
è la wYrt <^/ Timoleonte scritta da Plutarco. Es-
sa è diretta con una epistola di dedica al Cardi-
nale Ursino. Noi faremo questa di pubblica ra-
gione^ e per dare un saggio della maniera di tra-
durre usata dall'Aurìspa^ leveremo dal principio di
questa vita alcuni periodi^ mettendovi accanto il te-
sto greco: ed è ad osservarsi^ come egli è fedele
alla parola, da cui solo si allontana per fare pia
chiaro il senso.
i5:i
^vRiSPA Reveremllssimo patri et cìomlno domino
Cardinali de Ursinis clarissimo viro Romano S.P.D.
Omnl])us quicamque lingua latina utuntur de-
coruin et debituni est diligere Romanos; Italis ve-
ro non amare et colere turpe et ingratum, et iiilm-
raanum. Nam si Romani non fuissenl; aut non esset
lingua latina autincompta, et inutilis essot. Quam
si non liaberemus, vel non ila distingucrclur, quid
iis qui nunc dodi sunt et commodum et dulce esse
possel? JNiliil ignaro, ut aiunt, fortunatum ; niliil
sapienti male Ibrtunalum. At si sapientia divina-
rum huiTjanarumque rerum scienlia est, eaque sine
liferis liaberi aut [X)ssideri nequit. Certe omncs qui
liujus linguae bcnficium , liabent obligari maxime
videntur iis , qui eam invcnerunt , aut ornarunt.
INlalrem Evandri eam [)erliibetur invenisse Romae,
Romanos et augmcntasse et ornasse , quibus nisi
graliae liabcantur nee decorum exercere nec de--
bitum solvere vidcbimur. Sed Italis Romani non
modo literarum doclrinam, sed rei militaris et fer-
me omnium bonaium artium disciplinam praebue-
runt: imo etiam et libertatem et gloriam. Si quid
ab homine mutuo acceporis, ut mcliorem mensu-
ram reddas praecipiunt sapientes. Quid igitur Ro-
manis reddemus si gloriam, si libertatem, si disci-
plinam militarem, et aliarum rerum bonas artcs ab
illis accepimus? Nescio quid alii faciant; ego hoc
scio; quum Romanum quempiam video benefaclo-
rem ineum videre puto. At dicunt abqui, non hi
antiquis illis Romanis similes sunt. Fateor non om-
nes nunc esse bonos, nec omnes antiquos fuisse lau-
daiidos. Sed quosdam cognovi, et cognosco vivos,
in quibus tantum lumen ingenii est, tanta remai
huoianarum pcritia et ususj ci cxemplar quoddam il-
i:>2
lius antlquitalis in liis Isplcefe posshnu.s,qiiomra aut
tu primus es Pater Optime, aut iiilcr prlmos Qiiiiin
igilur iiiilii iussisscs, ut aliqua ex vitis IMalaichi in
latinum veiterciii : libi ut Romano praecipue in
re lionesta non ablemperare turpe et ingialum erat
€t bcnfactori ferme irapiuin. Libens ergo quocl ius'
seras accepi, quumque mihi quam voluerini optio-
nom rebquissés, Timolcontis Corinlhii vilam tra-
diixi, in qua nil ferme scriptum est, nisi res Sicii-
lorum. Itaque non solum 'volunlati tuae ablempe"
ravi, scd volupluosum maxime mihi fuit Deum ve-
hemeiiter ad libertatem Siciiiae buie duci fautoiem-
In liac igitur hujus vitae hisloria animadivertet di-
giillas tua, parva manu et unius imperatorius fot-
luna, Carlliaginenses et omnes tyrannos a Siciba ex-
pulsos fuisse, pracler bominum ralionem et opinio-
nem. Tania enim febcitas Timoieoiili fuit, lanlus
Beorum favor, ut nibil nisi Ibrtunalum inccpcrii,
qiiod ad quietem et bbertalem Sicibae pcrtineret.
Testo F^ersione dell' Jurispa:
Toh i^cv'^vpy.y.ovaiccv 'Trpxy- Syracusanorum rcs ante
[xxrst -Ttpos xriC Tt//oXioy- Timoleontis in Siciliam
~os £is ^uaXixv cf.T(0<;o- adventu sic eral. Quum
Avjs ouTccS £tj(£V. E-TTst Ata^y Dio lyrannum Diony*
/Ksy £^£X«5*£ Aiovuatoy Toy sium espubsset, stalim-
Tupayyoy , suQuS ocyYipfiQin que ipso dolo fuisset in-
loloi : Koti Si£ar/]axv oc teremplus, et ii qui cum
avv Ata*yt '^vpv.viovaiovS e- Dione Syracusas in bber-
l£v-cp6:c5xvr£S. H Se itohs latem posuerant disgrega-
aXXoy £^ aXXoi» ^£t«/3<»X- rentur: civilas abum ex
Aovax avvex^s Tupayyoy, abo tyrannum crebro mu-
yjfo 'jtX-ndovs xaxojy ^tx- tans mullitndine calami-'
poy «7r£Xt7rsy£pyi//0S£tyx£. talum, paeue deserta rc-
masint.
i53
Questo è quanto finora ho potuto aggiungere
al Muzzuchelli intorno a Giovanni Jurispa. Non
dispero discioglierlo dall'accusa che gli venne fat-
ta di poeta oscuro^ se il cielo mi è propizio. Per
ora soggiungo sul proposito un epigramma del
celeb. Jntonio Panormita giudice al certo com-
petente.
Si quis erit priscis aequandus Cosme poetis^
Et cui Phebus Pieridesque favent:
Si quis cum loquitur^ vel splendida facta reponit
Blercuriuni jure ejus ab ore loqui:
Quique alios laiidet cum sii laudahilis ìpse;
Quique hedera merito tempora nexa ferat:
Si quis erit linguae docius grajae atque latinae
Si non yéurispa hic est periisse velini.
Quisquis in hoc mecwn non senserit, arbiter aequus
Non fuit, aut certe Zoilus ille fuit.
i54
Sulla continuazmie della Storia d'Italia del Guic-
ciARDJNi intrapresa in Parigi da Carlo Bot-
ta — Lettera di PiK'rno Lanza Principe di Scor-
dia a Ferdinando Malvica.
Ferdinando Malvica
Pietro Lakzi
JLI Visconte di Chateaubriand giudice severo dei
moderni storici italiani esclama, in una delle tante
pregiate suo opere (i), che «la storia degli Stati U-
iiili di Botta non può essere ripudiata dalla patria
dei Villani, dei Bentivoglio, dei Giannone, dei Da-
vila, dei Guicciardini, dei Macchiavelli»; ed in vero,
nissuno stancare polrebbesi di largire laudi all'opera
famosa del \nn sapiente degli storici che vivono ,
di uno dei più tersi e dei più solenni infra i nostri
scrittori : ma quanto grandi sieno gli elogi che a
lui si rendono, essi giammai superar non potranno
gì' iiilo[)[)i ch'ei dovè rincontrare , nel condurre a
termine un lavoro, che quantunque aggirisi su pe-
regrine regioni è pur tuttavia (ondalo sopra cle-
menti indubitati, che corroborano sempre più la ve-
rità dei falli.
Le corone poi che gli si sono ofrerlc per la sua
Storia d'Italia del l'/Sg al iS i4i fl»i rendono af-
fatto vano ogni mio encomiare: perenni esse saranno
(i) Eliifics OH Discours Ilistoricruos ce. A Paris i83i toin. i,
p. LXV Picfuce.
i55
plìi di qualunque paro la; otule cl'iitnmirazione com-
jjieso non posso che allaniente venerare l' egregio
scriltore ciie onora cotanto lo italico suolo.
Opera di gran magistero si è anco quella della
Storia dei popoli Italiani^ in cui egli medesimo an-
gustissimi limiti si prescrisse, perchè destinata a for-
mar parte di una grande collezi one(i): tratta que-
sta storia delle cose che l'italica nazione risguardano
dai tempi dell'Imperator Costantino sino a noi: rav-
visò lo slesso Botta la grandezza dell'impresa, e le
malagevoli difficoltà che superar dovea nel far quella
sposizione (2) ; ma accintosi all'opera cosi egregia-
mente vi riuscì, che resala di ragion pubblica più
alto fé' volare la fama del suo nome.
Or volendo io porgere un omaggio, per quanto mi
sa[)pia, al sommo storico piemonlcse, che vi onora di
sua slima e di sua parlicolar benevolenza, diversi ti-
toli scorgo in Voi per indirizzarvi il presente scritto,
e perchè di buon animo lo accogliate; lasciando dal-
l'un dei lati i nodi di amicizia che ci stringono,
. e quanto innanzi sentite nelle belle ed utili disci-
pline, Voi a Carlo Botta consacraste le filologiche
Osservazioni che rendeste di pubblico dritto in Ro-
ma sulla Tragedia estemporanea (3) , e non ha
guari nelle pregiatissime Efì'emeridi una Lettera a
(1) La storia dei Popoli Italiani dtl Botta scrilta iti idioiiia ("i in-
cese e puhlilicata nell'anno iSaS forma parte di una vasla colle-
zione slofica s;ià intrapresa in Pirigi sotto la generica deiionrii-
liazione di Biblioteca del secolo decimano. Il primo volume di
questa storia è il sessantesimo settimo della Bililiotoca: fu quindi
. fatta di francese italiana, ed impressa in Pisa. nell'anno slesso iSaS
in 5 volumi.
(2) Storia dei Popoli Italiani di Carlo Botta ec. Tomo i. In-
troduzione p. 12.— Pisa 1825 presso Nistri e Capurro.
(3) Sopra Luigi Cicconi e la Tragedia eslc{nporaiìPa Osscivazio-
DÌ filolofiche di Ferdinando Malyica ec. — iluiiia i8.!7.
i56
quel grande dirigeste intorno la italica Epigrafia(i).
la quanto al sommo storico, vivo sicuro, che se
mai queste mie mal vergate righe al suo grave giu-
dicio si somraetteranno, egli non saprà che gradirle,
poiché non altro in esse scorgerà, che puri seuli-
menti di ammirazione e di riverenza.
Allendea con impazienza la Italia dall 'ingegno
suo un parto novello , di cui sin da molto tempo
crasi sparso il grido: era desso la continuazione della
Storia d Italia del Guicciardini: l'Antologia 1' an-
iiunziava(2), pubblicavala in Parigi la libreria Bau-
dry; ora finalmente trovasi ella compiuta, ed a guisa
di inaraKngliosa catena^ cosi voi vi spiegate, lega
il lungo filo che da Guicciardini lo disgiunge(?>);
ma per nostra sventura non si vede per anco circolare
Ira noi. Intanto un Giornale politico e letterario di
Parigi(/|) ne dà il suo giudizio-, e siccome lo egre-
gio autore ha quella in tre parli divisa, così egual-
mente tre particolari articoli ne fanno ivi lo esa-
me. Appena io lessi il |»rimo divisai di farlo ita-
liano, mosso non tanto dai pregi , che a traverso
della soverchia parzialità per la Francia vi rinvenni,
quanto dall'esser primiero a dar contezza ai miei con-
cittadini di cosa di sì grave momento. Finalmen-
te ho stimato dovere annotare , con brevi mie os-
servazioni, qualche tratto dell'articolo, onde chiarir
meglio il vero, e liirne conoscere le inavvertenze.
Ciò facendo ho creduto di rendere un tributo di
(i) Efrcmcridi ScicnliGcIic e Letterarie per ]a Sicilia N. i3,
Ionia 6" |). 32.
(2) Antologia ce. Voi. G° n. 17 del secondo decennio maggio
l83^i in (ine.
(3) l'^li'oinci'idi ce. T. r>" n. i3 p. 35 3G.
(1) Journal dcs Dcbals Politiqiics et Littcrairc!! 2G ()nibrc id3a
Luiidi.
omaggio a quel saplenle scrittore, ed a Voi di al-
leilo caldissimo: mi recherò quindi a speziai ven-
tura se gentile qual siete lo gradirete, onde sempre
j)iìi saldi restino i legami della cara amicizia die
ci unisce.
Storia d'Italia ec. dal i4go al iSi f per Guic-
ciardini e Botta 20 volumi in-8° impressi
da Crapelet. Libreria Baudrj ec.
Primo Articolo — Guicciardini.
Onprevol cosa egli è per la Italia lo avere ac-
colto e protetto, mercè delle soscrizioni dei suoi cit-
tadini più illustri, il divisamento di completar de-
gnamenlc gli annali dei tre ultimi secoli, col pre-
gare a farsi continuatore del facondo storico fio-
rentino, uno scrittore, il cui nome alto risuona pei
suoi buoni successi in fatto di distendere storici av-
venimenti. Quindi a me pare che debba la Francia
la prima ad applaudire, e secondare con orgoglio un si
nobile pensamento, francesi essendo non che il li-
brajo, ma ben anco lo stampatore destinato a pre-
sentare agli altri popoli un corpo di storia sì mae-
stoso, la più gran parte della quale è stata scritta
sotto i proprii occhi di lei in una lingua straniera. Ma
che mi dico io mai? deve la Francia con più forte
ragione occuparsene, dappoiché ad ogni tratto que-
sti venti volumi di sue battaglie e di sua gloiia
s'intertengono, e narrano le vicissitudini tutte delle
sue armi oltre l'Alpi, dalla spedizione cioè di Carlo
ottavo sino al termine del regno d' Italia da Na-
poleone fondalo.
iNè suppongasi che qui si rinvengano quelle coui-
14
i58
jìilazionì die dansi per originali e pillorcsclic , o
(juelle clelurj)ale imitazioni di leggende e di crona^
che, poicliè non vi si scorge che lo stile dei grandi
Storici dell'anlichifà, come in efietti era (jiuUlo dei
Guicciardini, dei Macchiavelli, dei Gianiione; ed ai
quali il Botta lor successore ed emulo, può impu-
nemente rimaner fedele. Il considerar la storia couie
uu' arte ha ])rodolto , massime presso gii antichi ,
capo-lavori di maravigliose narrazioni, la cui poe-
tica verità era sufficiente all'antico slato sociale molto
meno del nostro complicato. Erodoto , Tucidide ,
Sallustio, Tito-Livio, Tacilo non altro hanno scorto
nell'Istoria, che un grandioso epico componimento,
ove il bello ideale signoreggia come in Virgilio ed
in Omero; e se eglino talvolta un dramma uè for^
mano, a guisa di quelli di Sofocle, non vi intro-
mettono che uno stile grave ed elegante, dei trai-
li purissimi, ed una dilicata naturalezza : il per-
sonaggio posto in iscena parla a seconda del suo ca-
ratteie, ma non prettamente il linguaggio che usava
di faltoj, giacche esso mal si addicerebbe alla di-
gnità del componimento. Per questi sommi scrit-
tori che io direi quasi poeti vi era una Musa della
Storia che ognora schivava di pronunziare idee tri-
viali , rozzi discorsi , trascurate lettere. Quindi lo
storico , discepolo di questa scuola, non cessa mai
di trascrivere fedelmente gli annali dei tempi an-
dati, ma sempre con l'ispirazione della sua Musa.
L'altro genere storico , che sembra dominare ai
dì nostri, non essendo che secondario è pur tutta-
via di grandissimo pregio, poiché gli andiam noi
debitori della più parte delle carte autentiche, e di
j)arole esattamente co[)ialt;; tale è (juello di Sveto-
lùoj degli scrittori della storia Jui^usUij e di lutti
1^9
i nostri autori di Memorie. Ma lungo oltre mi-
sura sarebbe il continuare simile parallelo , poi-
ché ben chiaro si vede esservi tra questi due generi
storici la stessa diflerenza che tra la lirica poesia
dì Pindaro, e le nostre canzoni volgavi, tra la tra-
gedia del Racine, ed il dramma cittadinesco, tra gli
sculti di Fidia i dipinti di Apclle e quelli di un
fattor di fantocci, tra la bella naturalezza e quel-
la presa a caso , tra il vero ideale e la semplice
realità. '
Il paragone della lettera intercettnta di Lcntulo
nelle Catilinari con quella che porla Sallustio, ma-
nifesta apertamente ciò che nelle mani dello sto-
rico d'arte diventavano le lettere e gl'identici ra-
gionari; egli non si credendo obbligato di allegare
con la medesima esattezza dell'accusatore, ha rifatto
le frasi del congiurato già troppo poco eleganti.
Tacito, nel vivo e rapido esame che fa del di-
scorso dell' imperatore Claudio nel senato a prò
dei Galli suoi compatriotti, conservato nel museo
di Lione su due tavole di rame, si astiene dal ri-
jirodurre le lunghezze, le digressioni, le inezie im-
jieriali che il monumento dai Lionesi rinvenuto ha
alquanto fino a noi tramandato. Così fattamente il
Guicciardini: motivo che il veneziano Foscarini gli
rimbrotta lo aver messo in bocca di un ambasciatore
della repubblica talune parole che questi profferito
non avea ; ed egli senza meno altera similmente
molle altre aringhe che le memorie posteriori han-
no testualmente raccolte, ma ch'ai non trascrisse
perchè non volle.
Vano e declamatorio pare oggigiorno siffatto sto-
rico sistema, perchè si preferisce ciò che fu real-
mente a quello ch'esser polca, e scrupuloso copie
i6o
a tutte queste leggiaclrlssimc immagini del passato.
Ma che per questo vorrassi forse inferire che le sto-
rie a guisa di giornale , le date per giorno e per
ora, i calcoli di finanze , gli alti olìiciali dei di
nostri sieno guarantìe più sicure e tesliinoni più
sinceri dei fatti e dei caratteri? Se ciò credesi, lo
sia ; basti quindi la faceta lettura del Monitore ;
ma giovi il riflettere che ai tempi del Sallustio, del
Tacito, ed ancor del Guicciardini il Monitore non
esisteva per nulla.
L'opera di Francesco Guicciardini, più encomiata
che letta(a) ai nostri giorni, fu per lo addietro re-
cata in tutte le lingue viventi d'Europa, ed anche
in quella del La2Ìo(b). Giusto-Lipsio rimontava si-
no agli antichi per trovarle un confronto. Montai-
gne la giudica severamente, ma dietro uno studio
profondo come fatto avea per Tacito : 1' articolo
di Bayle attesta abbastanza a qual grido allora le-
vavasi la storia d'Italia. Ma ora che il Batta a
lei comunica novella giovinezza , accoj)piandola ai
lavori suoi propri sarà ella, senza alcun fallo, più
letta.
11 quadro dell'equilibrio politico dell'Italia avanti
1 entrata di Carlo ottavo rende imponente l'intro-
duzione dell'opera, ed uno scrittore valente, quale
egli era, affé disiar non poteva per prima epoca da
trattare, un fatto più grande di una spedizion così
singolare. Nelle prime del lavoro il ritratto di Carlo,
la descrizione dell'armata francese, e specialmente
dell'artiglieria leggiera pia tosto diabolico che a-
inano insirumeiUo; il viaggio glorioso del giovine
Monarca in Firenze, in Roma, in Napoli son degni
di essere con attenzion vera orservati. Nei libri se-
guenti messi in chiaro si vedono, in un cullo svi-
16I
luppo di questa tlramma guerriero, i granili caralteri
del Savonarola , del Doria , del secondo Giulio e
di tutti quegli uomini clie nati in mezzo a così
grandi rivoluzioni, o celebri divenuti, illustrarono,
o per lo genio o per lo coraggio la patria che difen-
dere unqua poterono. Ma queste romanzesche ram-
memorazioni ove vengono annunziale da penna stra-
niera anziché da compatriotta, di gran lunga c'in-
teressano; compiacesi pertanto l'orgoglio nazionale
in mirare un'inimico che vendicar si voirebbe con
ingiuriosi racconti, e che ogni suo borbogliamento,
ogni sua imprecazione puossi tradurre nelle parole,
io sono slato il vinto.
La spedizione francese contra di Napoli tornò fa-
tale agi' Italiani , non tanto pei disastri che ap-
portò loro, quanto per Io annuncio che quasi lor
diede del giogo dei popoli settentrionali. Guicciar-
dini è del partito opposto ai Francesi: ma quale
vorrà egli abbracciare? quello degli Spagnuoli noa
mai; Gonsalvo non recò men datmo alle nazioni
transalpine di Lautrec e la Tremouille; non secon-
derà tampoco quello degli Alemanni , mentre la
sottomissione totale di quel bel paese ha comincia-
mento con l'entrata di Carlo quinto in Firenze. No;
egli era e volle rimanere italiano, ma purnondimeno
costretto nel resto del suo lavoro a sporre i mali
tutti della sciaurata Italia, invano ei vi trova qual-
che personaggio degno di commendazione, quale sa-
rebbe un Andrea Doria, un Giovanni dei Medici, un
Alviano e con ispecialità un Giulio secondo non am-
mirato abbastanza, e che avrebbe meritato di essere
il liberatore dei suoi concittadini: in vano alla me-
moria egli richiama qualche nobile sforzo d' indi-
pendenza, qualche brillante azione guerresca: sera-
bla ovunque prcssocliè triste ett avvilito. Dal siien*
zio dello studioso suo ritiro, in cui andossi a po-
sale dietro una vita politica e militare, gilla egli uno
sguardo sopra quei popoli italiani, la di cui una-
nimità crede in avvenire impossibile, su quelle città
che l'una con l'altra si straziano, e a pie d'un ti-
ranno s'umiliano: i soli pensieri clie destansi nelle
sue vigilie non sono clie presentimenti di decaden-
za e di schiavitù, gli sforzi vani delle leghe tutte
pei* la libertà, l'invasione francese mettendo nuova-
mente in rivolta l'Italia sotto il XIF. Luigi, e Fran-
cesco 1°. i Papi ancor essi facendo con lo straniero
imprudenti alleanze, Roma saccheggiata, Napoli e
Firenze sommesse, la comune felicità del secolo pre-
cedente per sempre sparita, e surrogata, per lungo
Volgere d'anni, dal dominio dei barbari sotto gli
auspici di Carlo Y-, e finalmente in tutto il corso
delle sue narrazioni osservasi una funesta concatena^
zione di guerre esfere e civili, di battaglie, di av-
venturose spedizioni, di splendide tirannie, un im-
pasto maraviglioso di grandezze e di viltà, Uno stra-
no tessuto di belle azioni e di frodi, di sollazzi e
di delitti , che Voltaire poeticattiente compara ad
lina veste di seta di atroce sangue imbrattata.
Il merito letterario dello storico fiorentino non
discapiterà giammai ad onta di qualche imperfezio-
ne che pure in esso incontrasi , e che per difetto
eli tempo non potè emendare. Quindi la prolissità
e la lentezza, mancanze quasi inevitabili, dello scrit-
tore coevo degli avvenimenti , e che è da spirito
di parte incitato, snervano le più volte i suoi ràc-'
conti. L'ammirazione poi per gli antichi modelli,
e le scolastiche abitudini lo hanno strascinato a qual-
che pedautesca imitazione, così non era punto né-
ecssji-io , n cagion d'csompio , un s). gran numero
di aritislie alla fo^sia di Tito-Livio, onde far di-
venlare eloquenti taiili moderni personaggi eli gran
lunga ai Romaiii inferiori in fatto di perorare, ne
che quelle aringhe in gerire delibemt'wo fossero
così fedeli, da trasmetterci l'antica divisione dei re-
tori, rulilità,. la facilità,, la gloria. Ma quanti si so-
no i pregi che redimono queste mende"? Quanti si
sono gli squarci notabili per la composizione e lo
stile? Basta soltanto indicare l'entrata di Carlo ot-
tavo a Firenze^ l'episodio poetico e quasi favoloso
del Savonarola, la conferenza dei Sovrani di Fran-
cia e di Spagna a Savona, dove lo splendore di am-
bo le corti si ecclissa per un istante al cospetto della
maestà disinvolta e quieta di Gonsalvo, cinto da ogni
banda delle ricordanze di sue vittorie; la battaglia di
Malignano descritta con altrettanta imparzialità, che
energia, perchè gli italiani non furono i vinti. Il
pontificato di Aessandro Sesto viene con buone ra-
gioni diffamalo. Giulio Secondo, il vicario di Cri-
sto, che, guerriero qual era. poco mancò non perisse
per un colpo di cannone^ e dipinto con forza de o-
riginalità. Il regno di Leone X malgrado di qual-
che reticenza, come quella del criminoso progetto
intorno al Duca di Ferrara, pure è generalmente rap-
portato con quell'interesse, che non si può sperare
altrimenti da un testimonio oculare troppo avvez-
zo ad obbedirlo, per oltraggiarne la memoria, troppa
scontento per adularlo. Infine è da leggersi, verso
gli ultimi libri) meno perfetti dei primi, il sacco
che die in Roma Tarmata di Borbone, orrenda ca-»
tastrofe vista dallo storico medesimo, ed, ove pure
trovaronsi e Paolo Giovio, e Giraldi, e Sansovino,
e quel millantatore di Benvenuto Celliai che si dà
iG4
Tanto nelle sue memorie sulla propria vita di ave"
re ammazzato il Contestabile.
Ma più che critiche letterarie, merita Guicciar-
dini altri gravissimi rimproveri ) giacche fa d'uo-
po, per leggerlo con indulgenza, ricordarsi elìcsela
sua cooperazione al tirannico stabilimento dei Me-
dici fu attiva , fu almeno disinteressata ; che forse
spinto vi venne dalla tema di un'anarchia democra-
tica, e che colui il quale comandate avea le armi,
diretta l'amministrazione dello stato fini i suoi gior-
ni, senza avere quasi per niente accresciuta la sua
modica fortuna. Non potendo il Guicciardini dare
dicevolmente a marito la figliuola sua primogenita,
delle selte(c) che ne avea, manifesta la sua inquie-
tudine all'amico Macchia velli, il quale lo consiglia
per ben tre volte d'indirizzarsi al Papa con tre let-
tere (d), che unite a molte altre furono finalmen-
te fatte di pubblica ragione nel 1796. Ma Guic-
ciardini non vi acconsentì, amando meglio riserbarsi
il diritto di dir la verità intorno a Leone X, ed
a Clemente VII: il che fu puntualmente eseguito.
Quindi perchè non impiegare siflatta grandezza d'a-
nimo, simile coraggio ad accalorare, s'era possibile,
la spirante italica libertà ? Perchè farsi il servo e
il consigliere del despota Alessandro ancor giovane?
Allorché Carlo V dopo la sua entrata solenne in
Firenze percorse in trionfo le vie di quella città,
stretta in schiavitù d'allora in appresso, fu Guicciar-
dini ch'ei volle al suo fianco: posto non atto e la-
tale ad uno storico; e come disfarsi di uno storico,
che complice fu del servaggio della propria patria?
Egli è da supporre esser cosa assai malagevole per
un uomo di stato il distendere la storia del tempo
suo; poiché quest'opera, la quale è d'accusarsi non
i6i5
per basse acìiilazìoni, ma per un po' dì iltenutezza
e per qualche reticenza, eccitò da ogni banda re-
criminazioni e querele: primiera, e eoa viva forza
a ciò fare, fu la pontificia corte, e non senza ragio-
ne, anzi se egli h pur vero che l'arditezza di tale
istoria abbia potuto, come eliceva il Vannozzi, scan-
dalizzare il diavolo medesimo, bisogna dire a buoo
dirillo che i Papi, il loro governo, la politica loro
vi son giudicati con una libertà allora poco comu-
ne; ed io mi fo le meraviglie, che un autore, che
dipinge Leone X d'astuzia e di simulazione ripie-
no, di maggior prudenza ma di molto minor bontà
di quello cìiera giudicato da tutti^ sia largamente
lodalo da Rosooe,4)aiicgirista, anziché storico, di que-
sto successore di Pietro» Venezia ancor essa facea
avanzare le suo doglianze per uno dei suoi patrizii^
e da un Bolognese fu fatto slampare un libro, che
portava per titolo la inerita vendicata o Bologna
difesa contro le ccdannie di Guicciardini : e pur
nondimeno quando l' ojjera dello storico fiorentino
vide la luce, egli era già morto da venti e più an-
ni: il che fecesi fin anco con non poche sottrazio-
ni, e non si giunse sopra i manoscritti a comple-
tarla che dopo due secoli.
La grande edizione fatta in Firenze con la data
di Friburgo, e per cui consultossi l'autografo della
Biblioteca Magliabechiana ha servito di norma a
tutte le seguenti. La edizione che riprodurrà il Bolla
è la più stimala, quella cioè pubblicata a Pisa dal '
Rosi ni nel i8ig con le note di Tommaso Porcac-
chi, che leggonsi nell'altra di Venezia del i575(e).
Or per rendere un omaggio più completo allo scrit-
tore , di cui continua la narrazione, avrebbe il Bolla
dovuto farsi il biografo di quello , giacche iioa è
ìGG
da credere cl/ci fosse rlmaslo Salisfallo ttcl discorso
preliminare dtiriillimo eclilore, non con lenendo che
iiuA bio^rnfia intralciata oscura insiiOlcienU;^ ne taiii-
poco dell' enfatico giudizio del vecchio Porcacchia
molto meno delle sue note inslrutlive , ed il cui,
siile è pel' Io spesso ridicolo(f)i
Ma in luogo di nuove etiliche e biografiche l'i*
Cerche, per le quali avrebbe potuto con buono sue-»
cesso consultare le lelteic per lungo tempo inedito
del Guicciardini, lo che forse i lunghi suoi trava-
gli noi» gli peroiisero d'intraprendere, ci esibisce il
3&(ta,uua elegantissima prefazione^ che preceder pò*
iea i Sei antichi volumi, ma che non obbliga per
Certo a rileggèdi(g). Nella parte prima delia men-
tovata prefazione, di stile d'altrónde nobile ed" ele-
vato^ egli immagina, seguendo il gusto del nòstio
secolo, letterarie categorie* e se debbcsi credere a
ciò che egli ne dice^ i grandi storici sono slati o
patriota o movali o /jositivi. 1 primi, quelli cioè che
scrivono per lusingare la vanità dei loro concitta-
dini, rinvengono il loro modello, e la loro discola
pa in Tito Livio, ajiologisla di Roma, in quello di
Venezia iJ Bembo. Primo fra la schiera degli storia
ci morali è Tacilo, il cui ritratto, degno Veramente
di un tanto ammiratore, è- seguito da una digres-
sione lunghissima circa l'arte di tradurre, ed i van-
taggi che da essa derivano. 1 terii in ultimo (««-
turali o positivi) che considerano la natura uman?i
tale quale ella è senza illusione, e senza pietà sono
quelli principalmente della scuola fiorentina : così
i lunghi racconti del Guicciardini ci addimostrano
pur sempre, siccome molla delle azioni degli uomini,
l'interesse, l'ambizione, il vizio, e non inai la vir-
tù. Basti solo per Macchiayelli profferire il suo no-.
ì6j
hieJ 6 finalmente tutti gli altri, toltone forse l'ec-
cellente Varchi^ sebbene monotono e verboso^ ma
che suppone nelle umane operazioni Coscienza e li-
bertà* li Paruta e lo Giannone non sono da porsi
da banda, quanto quelli inflessibili Icstimonii delle
cose umane, eomechè talvolta tengan loro dietro mol-»
to da vicino. Fra Paolo poi è Un uomo nuovo del
tutto: egli accoppia al genio di Maccliiavelt'i il li-
vore di Lutero per Roma, ma egli prififcipalmente
e veneziano. l)opo di avero il Bolla fatto menzione
dello storico dei Medici, Galluzzi, pone termine alld
Sua rivista, cbè completa esso medesimo non crede^
tott un imparziale giudicio su Denìna, e> con queste
nobili e comfnoventi parole: w L'amof del vero fam-
mi sifiatlamente parlare, ma non senza tfelore^ poi-
tliè io amo altrettanto la sua rimembranza per quan-
to la onoro, mollo [nii ch'egli era uso appellarmi
suo nipote in istoria, f)ercliè egli fu maestro del Te-
nivelli , e Tenivelli il mio (li)-*'
Nella seconda ];:irle di colale discorso 1' autore
tocca rapidamente i diversi secoli dell' istoria ita-*
liana, ed imita qitella scuola getieralizzatricé ^ quei
maestri della filosofia della storia, clie sovènti volte^
sul principio delle sue pagine ha interrótto le sue
riflessioni, per confutarli. Alla foggiai di costoro e
modellala la intiera prefazione, vi si rinvengono i
loro pregi e gli errori loro, idee vaghe e seducenti,
teorie adattate ai falli, sistemi che stupiscono e non
ammaestrano, "grandi divisioni, vere talora, ma per
lo spesso arbitrarie, che l^autore, seguendo l'esem-
pio loro, biasimar non dovea.
Ma non c'interlenghiamo più a lungo di queste
preliminari osservazioni dell'illustre conlirtuaìore del
Guicciardini : egli invece di assegnare il rango di
!68
lui gli si pone accanlo; od 1 suoi coinpatrlotli,
che i migliori giudici si sodo della novella opera
sua, gridano ora allumente non dovere egli temere
simile paralello uè per la disposizione e le propor-
zioni del tutto, ne per le minuzie dello stile, ne
pei sentimenti che lo hanno guidalo e sostenuto iu
questa ardua e gloriosa fatica.
Compilar quarantanni di storia italiana si fu il
divisamente del Guicciardini, rael che fare usa con
eccesso di .quella prolissità permessa allo scrittore
del tempo suo e del suo paese, e com* ei possiede
l'ingegno assai raro al presente della narrazione, così
racconta cose soverchie, mette grave importanza a
frivoli avv,eniraenti, in cui egli era uno degli attori;
e a lai proposito è curioso ollremodo il vedere nella
sua vita, scritta dal Rosini , duiar gran fatica per
giustificarlo di avere un pò troppo diffusamente re-
gistrato le menome vicissitudini della guerra tra
Pisa ed Urbino. Ma io confesso candidamente pre-
ferire alla lunga discolpa della prolissità dello sto-
rico il detto arguto di Boccalini intorno ai noje-
voli racconti di esso, ed allo smisurato dilungamento
dei periodi. «Uno Sparlano, per aver detto agli
Efori iu tre parole ciò che avrebbe potuto dire in
due, venne condannalo da questo severo magistrato
a leggere la guerra di Pisa nel Guicciardini; il de-
linquente si accinse alla pena, ma non andò guari *
che implorò dai giudici la grazia di essere piìi presto
scorticalo vivo che proseguire la sua lettura (i), w
Carlo Botta che assai meglio conosce ciò che e-
sige la moderna vivacità, e che in uno spazio mol-
to circoscritto ristrigner dee gli avvenimenti di tre
secoli, scevro andrà infallibilmente da un tale di-
fetto: sei volumi abbisognarono a Guicciardini per
*^9
qiiaraul anni, quaUoitlici bastano a Botta |)€r tre
secoli.
Or l'antica Storia d'Italia, avvegnacliè talu-
ni critici sottilissimi, come il Varchi ed altri, vi
abbiano censurato alquante sconezioiii di termini
cavillosi, ed una gran quantità di l.itiiiisini, e die
lo stile di essa non iscendendo giammai ylla familia-
rità ci pesa qualche volta per la enfasi periodica,
per la monotona sua gravità, va, ciò non di meno
nella classe di quei testi di lingua, alla cui autorità
rendono omaggio sin da trecento anni tutte le ge-
nerazioni italiane. Per una simiglianza col suo pre-
decessore, il Botta, scrittore della sua scuola, ma ìion
pedante imitatore, ha meritato gli allori dall'Accade-
mia fiorentina, ch'è anche a tempi nostri sì rigorosa
da rifiutare ad un Manzoni il segreto della toscana
eleganza. Guicciardini quasi sempre imparziale, anche
parlando dei Papi e della progenie medicea decide
ordinariamente dei Francesi con un discredilo che
sente d'ingiustizia e di menzogna, errore deplora-
bile di un odio che se effetto non fosse del ran-
core di un buon cittadino, meriterebbe un maggior
perdono; ma il Botta non iscoslerassi per certo da
quella imparzialità più fàcile ai" nostri di, e che
frattanto giudicandone dalle -opere sue precedenti,
non ispegne per poco l'ardor consueto dell'animo suo.
Obbligato similmente che quello, ad esporre le in-
vasioni delle nostre armate in Italia si ricorderà
senza meno che a questo brillante passaggio del po-
polo vittorioso non tenner dietro sentimenti d'odio
e di vendetta , ma anzi di rammarico e di eterna
amicizia: egli deciderà debitamente delle nostre vit-
torie; molto più che questo italiano, ammirato dalla
sua patria, ed alle cui opere si sono ivi testé ot-
170
felle delle tìgrone, ci conosce e ci ama; e per prova,
ancor più rilucente dei suoi scritti, del riguardo die
esso nutre per la gloria nostra , ha scelto Un da
treni' anni il suo soggiorno tra noi; onde possiiun
dire oramai per leuere alla Francia.
J. F,
u Note del traduttore.
(a) Questa (.espressione è slata già detta dal Ro-
sini e dal Lucchesini: non v' ha dubbio che l'o-
pera del Guicciardini ai lavori del Botta accoppiata
sarà j)iù dello, addietro e veduta e letta; ma il pri-
mo che veramente ha diritto a questo elogio, e che
diede novella vita al Guicciardini, rendendolo, se-
condo il dir del Lucchesini, legibile, si fu il valente
jirofessor Pisano Giovanni Rosini: egli con somma
cura e diligenza, consultando ora il Magliabecchiano,
ora il Mediceo codice, autogralò del Guicciardini,
secondo il dir del Bandini, non che tutte le antiche
edizioni di questo storico insigne , diede alla luce
nel 1819 la Istoria d'Italia di Messer Francesco
Guicciantìni alla iniglior lezione ridotta dal pro^
fessore Giovanni Rosini — Pisa presso Niccolò Ca^
piirro io voi. in-8.° Inliapresa l'u questa che at-
tirogli i plausi di quanti uomitii liputati allor nu-
tria la Italia, come sarebbero un INJarchese Cesare
Lucchesini, un Conte Giulio Perlicari, un Cava-
liere de' Rossi, un Conte Napione ed altri; ]dansi
che ripetuti vennero dagli oltramontani. Quali sie-
no state le fatiche del Rusini potrà vcdeisi dal di-
scorso deircdilore.i.()remesso al primo volume.
(b) Queste cognizioni si hanno -dall' articolo di
Bayle sul Guicciardini; cosi egli dice Elle
a été Iraduitc de riialieu cu diverscs langues. Cae-
'7^
lius Secundus Curion la jiiiblia en latin a Buie l'au
i566. Ui) ccilaiii Jerome Clioiuocley Parisien la
publia en Francois a Paris l'an i568. Les Anglais
ì'oijt en lem- langue, coinme il [)aioit pour le Cala-
logue d'Oxlcrcl: les Esjiagiiois, los Aliomans, ci les
Flainans l'ont aussi Iraduile en la leur. liayle Dic-
lionuaire Historique et Critique à AdisUidain lySo.
T, 2" p. 633. Nota{\.). Vi è pure una posterio-
re traduzione francese falla dal sig. Favre, e rivi-
sta dal sig. Georgeon impressa a Parigi ed a Lon-
dra nel 1738,
(e) Le figlie del Guicciardini furon qualtro, e non
uelte: egli non ebbe figli masclii. Saggio sulle a-
zioni e sulle opere di Francesco Guicciardini scrit-
to dal professore Giova?ìui Resini. Pisa Capurro
1820 p. 17. Notarlo) alla line del voi. 10 della
Storia.
(d) Le lettere del Macchiavelli ql Guicciardini
son molte , ma quelle in cui fa paiola del matri-
monio della figlia, e lo consiglia ad indirizzarsi al Pa-
])a sono la LX, e LXI delle lettere familiari. (O-
pere di Niccolò Macchiavelli cittadino e segretario
Fiorentino voi. XL Italia 1820 p. 211 e seg.) Nella
lettera LX , onde persuaderlo a tal passo gli reca
gli esempi di Filippo Strozzi, di Paolo Vettori,
ed appresso quelli di Palla Rucccllai e di Barto-
lomeo Valori, che tulli o da Leone X, o da Cle-
mente VII ebbero delle sovvenzioni.
(e) La prima, e la più stimata edizione del Guic-
ciardini è quella di Firenze del i56i impressa dal
celebre tipografo Lorenzo Torrcnlino , e dedicala
al Duca Cosimo di Medici da Agnolo Guicciardi-
ni nipote dello storico : questa è l^ edizione citala
dal Vocabolario della Crusca, e per la sua originalità.
172
e perchè vieu creduta la più auloiitlca; ma questa
storia non giunge die al i6" libro solamente: gli al-
tri quattro vennero per altre <:ure in diversi tem-
pi pubblicati. Le posteriori edizioni sì di Vene-
zia che di Ginevra e di altri paesi non sono elio
tratte, e qualche volta malamente, da quella. Tom-
maso Porcacchi laboriosissimo letterato toscano det-
tò un giudizio, ed alquante note e considerazioni
sull'opera del Guicciardini, che pubblicò in Vene-
zia nell'anno iSjS unitamente ad una novella edi-
zione della storia. Ma la prima edizione riputata
più d'ogni altra migliore, perchè completa del tutto
sul lesto originale delia Biblioteca Magliabecchia-
iia , si era fatta in Firenze colla data di Fribur-
go nel 1775 sotto gli auspicii del Gran Duca Leo-
poldo di Toscana. Rosini la consultò allorquando
cominciò il suo travaglio, ma, come ei stesso dice
molte volte, trovolla cosi piena di falli, che si vi-
de obbligato a ricorrere ai fonti primitivi , quali
sono i codici originali. Altre edizioni posteriori a
quelle di Friburgo si son fatte , tra le quali due
sono le più rinomale , una di Milano del 1814 i
di Firenze l'altra del 1818. Nissuna di queste però
può mettersi al paragone di quella dal Rosini ri-
dotta. La più bella prova di ciò n' è, che il Botta
dovendo sceglierne una per la sua edizione , 'non
esitò un momento a trascriver quella del chiaris-
simo professor pisano ; e lo stesso han fatto i re-
dattori della Biblioteca Enciclopedica Italiana, che
pubblicasi in Milano.
(f) Le cognizioni biografiche che si hanno del
Guicciardini sono così estese che poco o nulla la-
sciano a desiderare. Assai già scrissero di lui il
Porcacchi, il Mao ni, il Verdiani, il Varchi, il Fio-
*7^
ventino, il Vizzanl etl altri , por cui non potreh-
besi che ridire le già elette cose. Il discorso preli-
minare dell'ultiiuo editore (Rosiui) non è nò intral-
ciato, ne oscuro, ne insudiciente, anzi è chiaro e
preciso, e se vi e cosa da querendare si è appunto
c,he tocca gli avvenimenti troppo di volo, e non mol-
to si ferma a considerare alcuni tratti in cui le e-
roineuti virtù del Guicciardini dovrebbero altamente
rilucere. Ne il giudizio, ȏ le note del PorcaccUi
son da disprezia.re; sono ambo lavori dì alto pre-
gio; e più delle note il giudizio : se tali non fos-
sero stati nò il Rosini , ne il Bolla gli avrebbe-
jfQ trascritti nelle edizioni da lor riprodotte.
(g) Le lettere inedite del Guicciardini non po-
Irauno svelare che qualche semplice particolarità ,
Ignota a noi forse sino ad ora, ma non ci potran-
no dare affatto nuove cognizioni, poiché e la vita
€ le gesta del Guicciardini sono così generalmente
-conosciute che noi fjon siamo privi di vcrun perio-
do, ne d'alcun tratto di esse: onde ci sembra lo-
devolissiraa la risoluzione presa dal. Botta di ripro-
,jdurre il discorso preliminare del Rosini, il giudizio
e le note del Porcacchi; e invece di spendere il tem-
po, per tant'uomo troppo prezioso, a ricercare pol-
verose carte, che a veruna parlicolar novità potea-
BO guidarlo, applicare l'altissima sua mente a det-
tar quella prefazione che il presente articolo ci an-
nunzia. Dal sunto che qui se ne fa potrà vedersi
quante bellezze ella contenga, e quanto più rilucer
debbono questi nobili concetti del Botta accoppiati
al terso e magniloquente suo dire. Noi ci auguria-
mo eh' essa giunga presto fra noi, onde aver subito
,il bene di potere ammirare questo novello lavoro del
•gommo storico italiano.
i3
co Queslc parole e questo tratto ci iiportanó
a quel gran punto della Storia d'Italia del Botta
(libro undocimo (1797) P' 347 ^ ^^'§- ^^- ^ parte
3 Italia 1824) iu cui il discepolo compiange la
iiiorle del Tenivelli dopo di averlo paragonalo al fa-
volatore di Francia Lafonlaine, e narrato quale si
fu il suo delllto e il suo arresto: Carlo Botta, ove la
circostanza si presenta, grato agli erudiuienti di
quello, caldissime lagrime di dolore e di afletto
a lui porge. E iu quella storia, e in questa prefa-
zione con amorevoli e generose parole paga un tri-
buto di ricohoscenza e di affetto al disgraziato stò-
jico torinese con sentimenti degni della sua gran-
d'anima.
(i) Il Saggio sulle azioni e sulle oper*e di Prati--
Cesco Guicciardini scritto dal professore Giosfan-
nl Rosinì (Pisa presso Niccolò Caj)urro 1820) che
sicgue la storia; ed indi nuovamente impresso iu
Pisa stessa nel primo tomo delle Rime e Ptose di
Giovanni Rosini (i83o presso Capurro) è un la-
voro dettato con molla forza e giavissimo Senno;
ivi oltreché son passate a rassegna le azioni tutte
dello storico, e la sua politica e privata vita, non
che i hiografi suoi; se ne esamina lo stile, trascri-
vendo qualche squarcio dell'opera; annotasi quanta
sul Guicciardini si è scritto contro, e spezialmente
ciò che ne dicono il Foscarini, lo Sperone ed altri
nelle loro opere. Rosini in somma ha messo nella
bilancia del giusto e del vero Io storico fiorentino.
E veramente non possiam persuaderci perchè sem-
bri curioso all'autore del presente articolo il mo-
do col quale il Rosini giustifica (pag. 33 e scg.)
le prolissità dello storico intorno la guerra di Pisa
e d'Urbino: egli stesso dice che // primo e il più
■ 75
SOi>efìte ripetuto difelto del Guicciardini e la lun-
ghezza dei minuti ragguagli; e specialmente la
narrazione delle guerre di, Pisa e di Urbino^ ragion
vuole perciò elio egli adduca tutte quelle prove che
reputa uecessarie per difender lo storico da questa
imputazione; ciò fece, e daveva farlo. In quanto poi
al detto del satirico italiano diremo eli'era tòrse adat-^
to ai tempi in cui egli scrisse; ma non per ripeter-
si ai nostri giorni. Per quanto fosse la guerra di Pisa
ed'Urbmo noiosa nel suo originale, non è certamente
rimasta tale dopo che Resini ne ha spezzato i pe-
riodi, arricchendola di capiversi, di punti, di pa-
rentesi, e rendendone così più chiare la lezione e
la sintassi anco nei tratti piìi intralciati e confusi.
Memorie sopra due casi di alienazione mentale
osservati nel R. Stabilimento dei Matti di que-
sta città ^ composte da Giofjnni Silvestri
un voi. in-S° ■— Palermo presso il gabinetto ti-
pografico all'insegna di Meli i833 con figura li-
tografica.
Jll medico filosofo che voglia eminentemente in-
nalzarsi alla sublime arte di Esculapio e porgere
insieme gli opportuni sussidi all'umanità languente,
debbe ben conoscere delle malattie e la natura e la
sede; ignorandosi una di queste due interessanti circo-
stanze, egli non potrà con piena fede, e senza tradire
la sua coscienza darsi a combattere il male. L'at-
tuale patologia però mirando a questa verità rivolge
una sua foudamenlale ricerca all'esame dell'organo,
'7^
di cui i sintomi morbosi ne appalesano l 'aflezionet
l'anotomia patologica quindi ha recato un grandis-
simo vantaggio alla patologia generale e alla ratìdi*
cina pratica; e grazie a' travagli di sorami auotoini-"
ci, quali sono un Morgagni, un Tommassini, un Cor-
visart, un Bicliat, un Broussais, un Andrai, ec, per
aver somministrato le basi su cui gittare le fonda*
menta della moderna patologia. Non può esister ve»
run morboso processo senza aver la sua sede in
qualche organo dell'animale economia, senza esage-
rare però la superiorità del tubo digestivo, che la
scuola di Broussais ha proclamato qual primaria
stella raggiante di tutte le affezioni del corpo umano*
Sarebbe da desiderarsi che la fisiologia e l'ana-
tomia jiatologica e descrittiva del cervello pervenis-
sero cogli scambievoli ajuti a quel grado di perfe-
zione, che lian toccato quelle di alcuni altri orga-
ni; sarebbe da desiderare che lutti i cultori delle
scienze mediche studiassero la fisiologia delle varie
parti del cervello, e le alterazioni che presentano
nell'autopsia de' mentecatti; onde un giorno giugne-
l'e alla conoscenza completa di siffatte malattie e
delle rispettive cure , e così diminuire il numero
di questi umani esseri sventurati. A ciò han mi-
ralo i lavori di Gali, di Pinel, di Mamers, di Geor-
^et, ed a ciò par che mirino eziandio le due aa-
zidette memorie, di cui ci faremo a ragionare. Pre-
cede ad esse un'introduzione sulla necessità di cono-
scere l'anatomica disposizione del cervello, la fisiolo-
gia delle varie di lui parli, e le alterazioni che offre
lo stesso nella sezione dei matti, le quali crede a
ragione essere il solo mezzo, per acquistare cogniitioni
esatte sugli usi del cervello , sulla sede delle alie-
nazioni mentali, sui varix gradi, sulla uatura delie
stesse, e sul traltameuto degli alienali. Dimostra in-
fruttuoso il mezzo del Gali nello studio delle fuu-
zioni cerebrali, di esaminare il progressivo svilup-
pamento delle varie parti del cervello, e delle fun-
zioni da lui ascritte nelle classi degli animali, meii-^
tre questa progressione di funzioni si può ritrova-'
re, a suo avviso, nelle malattie mentali dell'uomo
e nelle alterazioni offerte dopo morte nei varii matti,
' incominciando dal semplice idiota al pazzo il più
intelligente. La sua introduzione contiene, a dire il
vero , concetti maschi e robusti , e nobili vedute
sull'assunto.
Le due memorie s'aggirano intorno a due casi
di alienazione mentale, e alle alterazioni rinvenu-
te dope morte in due individui della R. Casa dei
matti di Palermo, ove l'autore ne è il Settore. La
prima versa sopra un caso d'idiotismo in una gio-
vanetta di nome Rosalia Liuzzo, che nacque e poi
morì in tal guisa in detto stabilimento. Dà egli in
primo luogo il ragguaglio sul genere di vita della
slessa. Nullo era il suo spirito; e la sua memoria,
tranne quella di pochissime parole, era pur nulla.
Indifferente a qualunque passione, non lo era all'i-
stinto: dessa divorava e nutrivasi, e quel ch'è piti
aveva un irresistibile pendio alla manustuprazione:
il quale al certo derivava non dall'imitazione, co-
me vuole Rousseau e Teraube (Traile de Ghiro-
manie, voi. I.); ma dal sentimento istintivo, e dal
naturale pendio , siccome questo, e parecchi altri
fatti rapportati da Fournier e Begiu (Dici, de scien-
ces med. art. manustupration.) chiaramente dimo-
strano. Passa in seguilo all'autopsia, di cui ci descrive
con esattezza i risultamenli rimarcabili, osservali nel
cervello, nel cranio, nel torace, ncll'addoiuo, e negli
'7^ ...
oigam genitali. Giova qui annunciare d'essere avve-
iiuto un fatto in conferma del dello di Pinci tìglio, che
i fenomeni di decolorazione, densità, e sprofondamen-
to di circonvoluzioni nel cervello indicano, clic al pe-
riodo acuto e flogistico è succeduto un travaglio
lento e cronico, il quale ha alteralo la sostanza e
abolito le funzioni: infatti il cervello di questa i-
diota, giusta la relazione dell'autore, offriva i lobi
anteriori ])oco convessi in alto e più il destro, che
mancava di circa la metà della sua massa relati-
vamente all'altro, e due infossamenti in ogni lobo
siti nella regione superiore ; la cui supeiììcie era
sparsa di risalti tortuosi corrispondenti alle circon-
voluzioni atrofizzati. Crede inoltre l'autore che per
nulla abbiano contribuito all'intellettuale rivoluzio-
ne le lesioni delle altre parti, E ciò comprova coti
ragioni concludentissime; e parimenti ancor sostiene
il suo pensamento, vale a dire che un processo in-
fiammatorio si fu la cagione dell'alterazione cere-
brale da lui voluta congenita. Indi tassi ad inda-
gare la sede dell'idiotismo, la quale dietro l'idea di
Ciall ripone nel cervello alterato e poco sviluppato,
'e combatte l'opinione dell'illustre Pmel, che la lut-
Inaura parte invece ripone la sede di tai disturbi.
i^. certamente siccome lo stomaco infiammalo alte-
ra la sua funzione, come il fegato la secrezione della
bile, le parotidi quella della saliva ec; cosi i di-
sturbi intellettuali debbono rij)orsi nell'organo che
la condizione materiale dell'intelligenza e del pen-
siere. La sede d'una malattia, il dico con Georget
(Kech. sar les maladies du syst. nerveux p. i), è
sempre là ove si manifestano i suoi sintomi essen-
ziali, nell'oigano che lor dà origine senza aver ri-
guardo al luogo d'azione della causa eccilanle : a-
'Mone che può essere dirci la o intlirelta, idiopatica
e siuloinatica. E sebbene Georget non abbia sciolto
iuteiamenle il problema, ciò altribuendo a un modo
ignoto di alterazione cerebrale, die ciò non pe^>,
tanto un più regolare andamento alle cose. lia;
nostra idiota per non aver sofferto veruna traccia
di alterazione nella membrana mucosa del tubo,
gastro-enterico sarà sempre un perenne monumen-
to contro i seguaci della medicina fisiologica, che
in tal membrana riconoscono la sede di siflfattc a-
henazioni; poiché dessa divorava a sazietà , rego-
larmente nutrivasi, e non appalesava verun distur-
bo digestivo , cui dovca allora venire esposta. II
sig. Silvestri ci porge in fine della prima memo-
ria parecchi ottimi concetti, e un breve esame ve-
ramente filosofico sull'organologia e cranioscopia di
Gali, e sull'idee che adotta da questa dottrina.
La seconda memoria si è quella che occuperà a
preferenza l'attenzione de' medici per la singolarità
del fenomeno che descrive. Il soggetto di essa è uu
maniaco malinconico di nome Luigi Amari, distin-
to per lo sviluppamento considerevole di sua intel-
ligenza, di suoi pendii, di sua testa, il quale offii-
va i fenomeni di mania e malinconia periodica. Ac-
cenna l'autore la cagione che lo gettò in tal deplo-
rabile slato, dà il ragguaglio della sua mania e ma-
linconia, dell'osservazione dopo l'autopsia, e dà le
riflessioni intorno varii punti interessanti a tale ogget-
to. Nessuna patologica alterazione sensibile ei rin-
venne nel cervello , siccome fé' vedere a me e ad
altri presenti alla sezione; il che comprova il sen-
timento di Georget, che ad un modo ignoto, coma
dissi, di lezione della sostatr/a cerebrale rapporta la
cagione della luaaia. li considerevole sviiuppanicn-
i8o
lo del cervello, e il volume del fegato d'un color mol-
to fosco furono le due circostanze, che inleressarono
l'atlenzione del settore cennato. Ecco il modo cou
cui il dotto autore spiega la produzione del rhen-
tale disturbo: essendo il cervello in predominio di
sviluppamento e di nutrizione, esserlo dovca del pa-
ri di forza e di energia, e giusta la legge stabilita
da Bichat esser dovea più accessibile alle morbose
cagioni: tale circostanza congiunta all'attività del-
l'intelligenza e all'intensità de' pendii sono da lui cre-
dute cpiali predisposizioni alla follia; e considerando
poi l'intima simpatia che lega il cervello e il fegato,
egli opina che l'influenza degli stimoli esterni abbia-
no indotto un'alterazione nel cervello già predisposto,
come pure condurre la loro azione sul fegato vici-
no al canale digestivo, e che i patemi d'animo ab-
biano dato occasione alla malinconia, la quale ecci-
tando di guari l'organo cerebrale abbia prodotto fi-
nalmente la mania. Lo stimolo dello stesso era pur
mantenuto dalla flemmasia cronica delle meningi,
la quale non è mai sempre, a mìo avviso, la sor-
gente della massima parte delle malattie intellelluali,
come pretende Mr. Bayle (Nouvelle doctrine des
ifialadies mentales); ma spesso concorre e si coope-
ra alla produzione delle stesse con comunicare lo
stimolo all'organo, ch'esse inviluppano. Intorno alla
periodicità della mania e della malinconia, il sig.
Silvestri anziché svolgersi in vane ipotesi, e in clii-
meiiche s^ìcculazioni si eonletjta d'ignorarne la causa
nell'attuale slato di nostre conoscenze, dicendo solo
che la periodicità de' morbi è propria del sistema
nervoso. Finalmente marca alcuni caratteri che offri
l'Amari in favore dell'organologia e cranioscopia di
rcsa, e su la Sina polve
L'austro rovescia am|)io di guerra un nembo.
Il sacro volo è scioUo; a chi son cari
Fé', patria, onor chiede il trionfo un de^no
Suon, che lo espi ima alla ra^^ione e al core.
11 Giiibcllin poeta in truce stilo
Pari ql peusier forte or riraiiggia e freme
Tia le tartaite chiostre, e or volge oscuro
La nebulosa fantasia pel ciclo.
Dolci come l'amore e la speranza.
Care qu.uito il desio, belle e modeste
Quanto colei, che l'innamora, scioglie
ISole inspirale da la Sorga il Cigno.
D'Oliando il vate in novellar gentile
S'innal-^a or grave, or striscia uiiiil, dipinge
Al par reggie e capanne, amori ad arme
Mesce, sampogne a trombe; allor Torquato
La forza d'Alighier, le vaghe tinte
D'Ariosto e Petrarca in un compose,
Stil p ù grande ne trasse, epico solo.
La fantasia d'Omero, e le più gravi
Forme di Maro agli itali concenti
Sposò primier, la creatrice idea
Spinse alla bolgia «cuia, e al genio Inglese
Il fianco armò di più robuste penne;
Così di fiumi e mari accoglie i flutti
]l gran padre Oceano e lar-^o iuipiegna
L'itvidc nubi. a fecondai la terra.
i84
Allor più grande l'ilala favella
Per lui suonò, per lui si noma Alfonso,
£ pur di bassa invidia, e vano orgoglio
Lo iMinertaro Italia e Alfonso. Quauto
li'esser sommo è sventura! Errava incerto
Di squallida pii^ion per l'erme sale
Mesto, solingo, al memore pensiero
Se tornaron le immagini sublimi
Guaste toi naro, che '1 peiisier prcudca
Dal cor piagato le novelle forme}
Se a lui fortuna d'isperato ri»o
Nel tristo loco balenò, sul Tcbro
Se pur gli otTerse i mal negati allori
Ei non li ottenne, che turbando infida
Sul cominciar dell'opra onori e pompe
'Tutto restrinse a un feretro il trionfo.
La più gran parte di se slesso appena
Bendea Toi--
l)i esposte da uno dei due litiganti ^ può mai sen-
satamente dirsi che il litigatore, che lo nota tacci
il giudice di plageario? Ella sa quanto io mi alle-
grai allorché seppi qui in Pisa che ella soddisfa-
tendo ad un desiderio sovrano , accingeasi si pro-
nunziare nella disputa tra Rosini, e me. Il giudi-
zio suo anche contrario alla mia opinione , sareb-
be stalo venerato da mo^ ed avrei detto col Meta-
stasio, Iwece di chiamarla tiranna^ Io bacio quel-
la man., che mi condanna. Ma il suo giudizio fu
a tne favorevole, ed all'ammirazione mia vtrso dì
lei si aggiunse la mia gratitudine. Si osservi og-
gi costì che la opinione sua è cosa dalla mia affat-
to diversa che ella ammetta il pasto come fallo isto-
rico e che io l'ammetto come finzione poetica, diret-
ta a rinrorzare l'energia estetica, del q^uadro che Dan-
j88
te ha volalo dipingere... Il Resini cìicea clie pei*
sosteoermi, io avea dovuto creare un Ugolino ipo*
Iclico, ed io gli rispondea che nella quislione avea
contemplato un Ugolino- poetico. ìl solo timore che
ella crendendomi colpevole d'una menoma ombra
verso di lei mi privi della benevolenza sua o me
uè tolga una parte è per me sorgente d'infinita a-
marezza. Qualunque sieno l'espressioni della mia
lettera, io altamente dichiaro, non aver mai avuto
in animo di dire che ella per iscrivere l'eccellente
suo voto avesse bisogno di giovarsi delle mie idee
nella quistione. Nel nostro incontro all'appartamen-
to di Corte sebbene brevissinno^ ella si dichiarò ab*
bastanza })alesemente meco per farmi intendere che
ella professava l'opinione del Niccolini, che era
slata pur sempre la mia. Ciò avvenne o una ^ o
due sere dopo la disputa, al pranzo di casa Scotto^
ne io avea presa la penna in mano, per iscrivere
la mia lettera. Come è conciliabile con questo fatto
la obiezione che le si vuol fare? Mi duole assai che
cotesto Bozzo abbia dato pubblicità cou la stampa
alla mia lettera. Una lettera scritta da uomo cir-
condato d'affari come io pur lo sono, immerso nelle
cure della stampa di un'opera originale in materie,
le pili astruse del Dritto, immaginata nel solo scopo
d'usar cortesia a chi si ha l'obbligo di rispondere;
è la culla non il pulpito d'un pensiero, è il mo-
strare al pubblico i miei concetti per così dire in
fasce, non è certo un tratto cortese verso di me.
Ciò che io desidero è che ella rinunzii ad ogni ri-
gore verso di me, e mi renda tutta ed intera la
benevolenza, di cui mi fu generosa. — Mi lusingo
che fra breve una sua lettera mi consolerà. Sono
intanto con affettuosa altissima stima.
Pisa ig iiov, iS3a.
Suo affmo ed obbnio amico
G, Carmicnani
EFFEMERIDI
SCIENTIFICHE E LETTERARIE
PER
LA SICILIA
Sopra alcune lettere aggiunte aU epigrafe delle
monete di S egesta ^ osservazioni di Girolamo
Dotto de Dalli.
Nullain ai lem literìs sine interprete , et siitc
aliqua exercilatione percipi posse.
(CicEito. epislol. ad famil. lib. 7. epist. 19.)
W eir epigrafe delle più vetuste monete di nostra
rinomata Segesta(i) osservansi alcune lettere ira-
(1) Fu questa città Fgcsa o Egesta nomala dal suo principio,
e poscia dai Romani appellala Segesta dalla Dea Segetia, che alla
biade presedeva. 11 suo nome trovasi nelle monete inditTcrenti mo-
di sognato sia da destra a shiislra ATsISTTT'® ATSTT^!^'
sia da sinistra a destra E f e:? A, ETE^'TA, SEfE^TA
ce, e cosi pure quello de' suoi abitatori delti EPE^AIOI
ErE2ANON,2ErESAI0I,eq«ind.:^ErEÌTAIOI,
:§ErE^TANi^N, :SErE:^TAiaN . «. E*sa ai dire
16
190
presse dopo il suo nome in sì fatto modo: SETE-
:^TA sia SIB XIE cc,(i), per la intelligenza
delle quali non lieve quistione si agita da gran tem-
po ila gli antiquari. E poiché dell'esposto loro di-
visamento diversa opinione ne abbiamo mai sem-
pre tenuto; e guidati dal principio, clie ìì per viem-
meglio conoscere quei segni, che sulle monete de-
gli antichi trovansi im])rontati, e di che gran co-
pia luttogiorno si ofTre alla nostra oculare ispezione,
il miglior me^zo si è quello di osservare con un
esatto confronto se questi si assomiglino ad altri ,
che da eruditi archeologi siano stati precedentemen-
te dichiarati: w noi con brevità imprendiamo a ra-
gionar di quelle lettere , e nell'esporre le diverse
opinioni sulle stesse dai nummofili intrattenute, ne
verremo manifestando il nostro parere, augurando-
ci, che gli intendenti in questo ramo di archeolo-
gia voglian degnarsi accordare qualche indulgenza
alla nostra presunzione , se di subbiello non per
degli scrilloii fu foiidala da Egeslo , e secondo altr da Acesle,
il quale poclii giorni do|)Q la lovma di Troja , fui;gcndosi da
quivi con Eli/no trojano, conducendo seco tre navi, in qucsl'an-
110 niedcsinio a'fivò in Sicilia, correndo allora l'anno ■2&20 del
mondo, il 407. luo prima delle Olimpiadi , il 43i avanti U fon-
dazione di Roma, ed il 1184 innanzi l'È. V. Or giusla l'opinio-
ne delli storici (ai essendo stata questa città fabbiicata dojio l'ar-
rivo di Enea in SiciI aj e questi essendosi partilo da Troja nel
seguente anno della sua dislriizionc, die corrisponde al 2821 del
mondo, ed al primo dell'eia trojana; ed essendo approdalo in Si-
cilia dopo tre anni enea d.illa sua partenza, ne ^e^^lle , clie Se-
gesta sia stata fabluicata nell'anno del mondo -jSa^, o nell'anno
4.Ì7 nio prima della fondazione di Konia, e nel iiSo prima della
nascita di Qeiù Cristo, e quindi aggiungendo a' suddetti ii8q
anni decorsi prinia dell'era cristiana gli anni i832 che contansi
dalla nascita del Salvatore sin' ogg 1, |a fondazione di SciCiila deve
riputarsi avvenuta da circa auui iofì indietro.
(a) Folyb. 111). I, -^Tucid. Iib. V. — Diod. Sicul. ec— Faz-
zel. Dee. |. I, VJI. cap. IV, ce.
(i) Castelli— SiciI. vtt. Num. Tab. LXII. N. 2, 4 — Tab,
LXUI. N. 3, 6, 7, 8, 9, 10 «e.
'9'
anco da esso loro bea definito , osiamo favellare.
Diverse adunque diremo essere le opinioni annun-
ziate dai numismatici nell' interpetrare le lettere
SIA, MIB, MIE ec., che nelle monete di Segesla
osservansi al nome di sudetta città unite; etra que-
ste due sono quelle, che a parer nostro meritino
principalmente d' essere poste in discussione ; eoa
luna si è preteso sostenere, che siano lettere in-
dicanti le terminazioni de' casi obbliqui della voce
^EPE^TA, la quale, com'essi dicono, essendo di
origine trojana nelle declinazioni de' suoi casi obliqui
dalle greche voci diireriva(i). Si è pensato coU'altra
doversi riguardare quelle lettere sì come cifre signi-
ficanti qualche numero, e ciò per la ragione, che
i popoli orientali adoperavano le lettere dell' alfa-
beto per esprimere i numeri; costume anco stato
in usanza presso i Greci, e particolarmente da es-
soloro adottato per segnare nelle monete l'epoca della
di loro impressione; ovvero quella della fondazione
della città, che batter le faceva, oppure l'anno del
governo del principe, che signoreggiava(2). Quindi
noi sì dell'una, che dell'altra opinione di buon grado
entreremo in esame.
Le diligenti ricerche, e le frequenti osservazio-
ni da noi fatte intorno a quelle lettere, o segni, che
dir le vogliamo, ci fanno a credere, che la prima
(i) Gio, Pietro Fr.incasco Agius de Soldanio (Dizioriar. Puni-
co ediz, di Roma 1750.
(2) Castelli (Sicil. Pop, ci. Urb. vct. imm.) T. 63. N. 29 et se^' .
' Bui ma!i.(CataIo;;iie raisonnc d'une collection des Medailles
edition de Lipsiae 1774)
■ De Schaclimann (De l'Art, ce. edit. Lipsiae >'j7J p. 55.)
Winklemanii (Histoiie de TArt. ec. T. II, pag, 348.)
— - Getschichle (Dcr Kunsl. eie, pag. 267 )
• Rasche.
— — Eckhcl ^Doclrina Numinoruiu T- pag. )
'95 , ...
dell'esposle due opinioni non possa sostenersi pel-
le seguenti ragioni.
i." Si conosce dagli antiquari, die nelle iscri-
zioni delle monete di tutte le antiche nostre città
sian esse di origin greca, o fenicia, o trojana, i di loro
nomi in tre soli modi vi si trovano impressi, o nel
caso retto singolare, si come nelle medaglie di Gela
(CEAA:^) d'i Imera (HIMEPA) di Zancla (AAN-
KAE), si legge; o nel caso retto plurale come os-
servasi nelle monete di Siracusa (STPAKO^IOI) di
Segesta(^'ErEI§TAIOI) ec. espresso (i); ovvero nel
caso genitivo plurale che nelle medaglie di Palermo
(nATNOPMITAN)di Solunto (COAONTINON), di
Mozia (MOTIAION), di Erice, EPIKINON, di E-
gcsta o Segcsla, (^iEl^'E^TMON), e di non po-
che altre città noi leggiamo (2), ne in verun'altra
maniera, se non quella soltanto si voglia eccettuare,
che trovasi con le sem[)lici lettere iniziali indi-
cata, come AKP, :§TP, ME5\ DAN, iSEP, 2EA,
e simill(3). Da siffatte osservazioni dunque chiaro
j'isulla, che anco le città di Erice, di Mozia, di
Palermo, di Segesta, e di Solunto, le quali di ori-
gine fenicia, o trojana riputa vansi, costumarono pu-
re segnare nelle monete i loro nomi con le mede-
sime regole della greca favella, non allrimentichè
ne' di loro nummi le stesse greche città le usarono,
e quindi per questa ragione noi opiniamo, che non
(0 Castelli (Sicil. Top. et Uib. veter. Num. Tab. XXXI.
XXXtl. XXXlll. ec.
Eckhel (Catalngus Musei Caes Vindoboii. Pars. i. f.87.)
(2) Idem (loco citat'u) Tav. XCVII. N. 2, J, 7, 9, 12, Tab.
IJem (loco cllato) Tav. LVI. LVII. ec. Tab. LVIl. Ta-
liila LII. Tab. XXX. Tab. LXII. LXllf, et se?.
(3) Idem (loco citalo) Tab. IX. N. 1. Tab. XXIV. T. LXXIX.
Tab. XLVIl. Tab. LV. 3, LVI. 6. 10. 11. Tab. LXU. N. 4-
LXIII. N. 18. LXIV. 6, 0, 13. LXYl. io, n.
ICfÒ
possano in verun conto aver luogo le supposte ter-
miuaziorii de' casi obbliqui di tal voce, percliè si
allontanerebbero dall' uso costantemente nei greci
tempi osservato.
2.° Un secondo argomento contro l'opinione da
noi riportata ci somministra parimenti la conside-
razione, che quelle lettere o segni nelle monete di
Segesta sin'oggidì conosciuti ammontano al numero
di quindici ttilte fra di loro difFerenti(i) e ve ne po-
tranno essere ancora delle altre a noi sino al pre-
sente ignote; ed essendo tutti questi segni gli, uni
dagli altri differenti ; ed i casi de' nomi non più
di sei, com'egli mai potrebbe supporsi, che quei
moltiplici segni nelle monete di questa città im-
pressi siano diverse inflessioni de' casi obbliqui della
voce Segesta? Sembra potersi dunque convenevol-
mente stabilire, che la prima delle succennate due
opinioni sia del tutto priva di fondamento, e che
a rigor di ragione si debba rigettare.
Passiamo quindi ad esaminare la seconda. In-
torno a questa noi diciamo sulle prime, che ci sem-
bra la pili verosimile, ed eccone la ragione. E ben
noto agli archeologi Y uso costantemente invalso
presso ai Greci di esprimere i numeri con le let-
tere dell'alfabeto (2), costume da gran tempo co-
munissimo presso gli orientali, dai quali forse i greci
lo appresero, e da costoro poscia i Romani, i quali
(1) Cdstelli (Sicil. Pop. et Uri), vet. num. ec.) Tab. LXII.
N. 6, 7, 2, 5. Tav. LXIII N- 7, 8, 9, io, 74, 16, ec.)tìB, WIB,
K(, aiA, SIE, SII, ffillB, Z, ZIB, HIB, TIE, iUBli, TIQ,
e simili.
(u) Compend* Gracae Gramniat. iiistitut. ec. (Graeci iu desi»
giiaudis nuiueris uUintur literis alphalmlicis modis tribiis ec— Cri-
spi (Corso di Studj teorico, e pratico per la lingua greca f. 83.)
Vaillant (JNuiiiis. Inipeiat. Roman) Tom. 2, pag. ;6, e
seguenti.
'94
tale usanza seguirono, ed invariabilmente conser-
varono sino ai tempi dei loro imperatori, e non ci
lia nulla,, che serva meglio a chiarircene, quanto le
monete dalle città della Grecia, dell'Egitto, della
Giudea, e da talune altre loro province battute dal-
l'epoca di Augusto sino ai tempi di Galerio Mas-
simiano , nelle quali per mezzo di siffatte lettere
(che literae numerai es venivan dette) trovasi con
precisione indicalo 1' anno del loro governo(i), il
che c'induce a supporre con molto fondamento, che
tale costumanza tanto i Greci, che i Romani ab-
biano facilmente agli altri popoli comunicato in-
sieme agli usi, ed abitudini lorOj e per fino alla
loro favella(2).
(i) Vaillant. (Numism. Imperai. Roman. Tom. 2. pag. iS^.)
Jn lina moneta di Amlsio città di Ponto col protoiiie di Sabina
^ABBINA 2EBA2TH «<=• f°v«^<^*° EAETGEPA:^;
ETOT^ P S. 0 *^''^ indica anno 169."; In altra medaglia
di Sauromate re del Bosforo asiatico ETOTi^' HIT ^""'^ 4«8'';
In altra diella slessa Re EToT^ V^V. 3""° '^5- ^" ^'cu-
ne monete di Giudea £ToT. C. NEoT TEPoT. H. --"^o
sacri templi octava. In altre monete di Egitto ETET.Ba.
A.rPIPP< ^^na regni Agrippae. — SeSast. Erizzo (Discorso
sulle medaglie degli antichi) ET. AT. ©EoAoToT. A.
MArNHToN anno prima Tbeodoti regis M.-jgnctura. — In
tina moneta di Egitto con teste di Augusto, e di Tiberio leggcsi
Jj, I^^ clic segna anno decinioquarto, — In altra moneta di
Antiochia EToT^ Z(K-0K-A ^c. cioc anno ventesima set-'
lima, ventesimo nono, trentesimo ec. In Altra di Polemone re di
Ponto EToT2. lA. anno undecima. — ■ In altra di Autiocliia!
EToTS. AlP. 0. anna Aerae Antiochenae III. ec- (Vail-
lant. Num. Jmp liom. T. 4- pag- 7^ ^ seg.)
(2) Uiodoro Siculo (lib. VII, e seg.) ci fa conoscere, cbe pei*
la frequenza delle communicazioni , e per lo esteso commercia
che coFt i greci desse facevano-, nel decorso del tempo e lingna^-
gio, e coslomanzc, ed anco il nome loro cangiarono.
.... ^9^
Fatto questo primo esame delle opinioni elei num-
mofili intorno a quelle lettere, e ritenendo le stesse
per cifre numeriche impresse nelle monete di Se-
gesta per segnarvi l'epoca, in cui furono battute,
non sarà inulil cosa il ricercare quali siano gli anni,
che da essi ci vengono indicati. Or per potere a
questa conoscenza pervenire, gioverà prima di tutto
fissare la intelligenz^i, ed il valore di esse, perchè
poi ci venga fatto stabilire qual'epoca esse indichi-
no nella storia di Segesta.
A questo fine primamente egli fa mestieri osser-
vare, che la lettera tì in quelle monete impronta-
ta non sia ne la T, ne anco la H rovesciata, sic-
come alcuni si sono avvisati; ma per quanto ne pen-
sarono il Castelli(i), il Burmannio(2), lo Schacli-
niannio,(3) il Getchichter(4), il Rasche(5) il Win-
cklemannio(6), rEckheUio(7), ed altri sommi an-
tiquari, essa sia la z di antichissima forma, la qua-
le col correre degli anni prese quella della zita del
comun greco alfabeto, sì come i detti numismatici
ci han mostrato, e noi dalle stesse nostre antiche
monete pienamente ne siamo chiariti, avvegnaché
nella bellissima moneta in bronzo di Siracusa eoa
tale iscrizione tHEl:^ EAET0EPIO:S (Deus li-
(r) Castelli (Sicil. vet. nnm. lab. LXHI. n. ig ) tì lilerant non
T, sed Z esse nemo est qui duhilat, et liaec ipsius lilerae est aii-
tiquior forma quemadinodum iiotavit ChislulLius (^in commetit. ad
inscript, sigaeain inter antiquit. asiat. cap. l'i) velus ejus figura-
ta pauLatiin in Z dejlexa est. Quae iioiarum diiiersitas ad firmati
dum me impulit {in dissert. de veler.Sicaloium epochis chronolo-
gic.is') signari in his nummis aliquam segeslanorum epochani nobis
jorsan igiiutam ec.
(a) Biirmanu. loc. citato.
(3) Schachmann loco citato,
(4) Oeschicliler loco citato.
(5) Rasclic loco citalo.
(()) Wincklcmann loco citato.
(7) Eckliel loco citato.
Lcraloi), die all' epoca eli Tlmoleone viene dagli
archeologi attribuita (i) , la lettera zita in questa
vetustissima forma osservasi figurata. Or da siffatta
osservazione indotti possiamo francamente stabilire,
clie le cennate lettere KIA, SlB ec., siano le ci-
fre numeriche ZIA, ZIB , del moderno greco al-
fabeto, in quelle monete impresse onde segnarvi in
luogo de' numeri l'epoca, che questa città risguar-
dava, e che al riferire del Castelli siuo a' suoi tem-
pi era del tutto sconoscinta(2).
Per rispetto al valore di questa lettera è poi ne-
cessario r osservare, che secondo il valore ad essa
assegnato dall'odierna grammatica , la z indica il
numero 'j e corrisponde pure a 'jooo. Or proce-
dendo con questo modo di calcolare oggidì abbrac-
ciato, ne avverrebbe, che quelle lettere segnate nelle
monete di Segesla indicherebbero anni 7011, 7022
ec, e che aggiungendo a qnesti gli anni posterior-
mente corsi dalla distruzione di questa città sino
a' nostri tempi, ne risulterebbe una serie di anni
assai maggiore di quella, in che vien fissata la crea-
zione del mondo; il che non potendosi affatto sup-
porre, egli è per questa ragione, che noi crediamo,
che l'odierna maniera di computare quelle lettere,
quantunque trovisi generalmente adottata, pure ri-
sulti monca, ed inesalta, e precisamente nel va-
lore assegnato alla zita, che sembra molto differire
da quello, attribuito a questa lettera nella maniera
(1) Castelli {De veler. Sicul. epodi- cronolog. ec) Z lilerae for-
ma a communi Graecoruni alfìliabeto dit'orsa liaej est, tanturnino-
do in siculis monumentis S , eaqite obsen'ulur in clcagnrae pa-
normicaiio lapidi c/axs. i num XXIII, in aliiesina agroiurn ter-
miiiatione class. f^III n. 9, in segeslaftorum nummis^ et in sj'ra^
cusaiioium numntis penes me ec.
Idem fSicil. vct. num. Tab. 63. N. 19 )
('j) Idem idem,
197
usata dagli anllchi; perciocché, se giusta l'opinione
de' moderni grammatici la z esprime le unità , e
le migliaja per quale ragione non debba essa del-
l'ugual modo segnare le decine e le centinaja? chi
sa se questa lettera presso gli antichi greci non in-
dicasse pure yo, e 700, si come oggidì presso noi
esj)rirae 7 e 7000?
Osservisi inoltre, che l'odierna maniera di cal-
colare le cifre numeriche anco difleiisce dall antica
per motivo, che nel computo letterale ciascuna let-
tera indicando da se stessa un preciso, e determi-
nato valore di unità, di decine o di centinaja, que-
sto valore oggidì soltanto ritiene, ove ritrovasi col-
locata giusta le moderne regole numerali: ma pres-
so gli anticlii ogni lettera riteneva il proprio va-
lore, anco se con inversione, o trasposizione d'or-
dine numerico veniva situata; così a ragion di e-
sempio le lettere <1>KA, che scritte secondo le re-
gole grammaticali ognnu conosce, che ci esprimano
la quantità di 524; queste lettere presso gli anti-
chi tuttoché dilìl'rentemenle , e quasi a capriccio
in questo modo AK oppure in quest'altro K^J^A
segnale fossero, sempre il medesimo valore di 524
esj)ressavano(i).
Digerisce ancora per la ragione, che gli antichi
greci sommavano, e diciferavano i loro numeri tanto
da destra a sinistra , che da sinistra a destra ; il
che dessi praticavano seguendo il loro particolar
modo di scrivere detto bustrophedon, ossia retto-
retrogrado da essoloro ne' più remoti tempi ado-
perato(2); quindi per cagion di esempio le lettere
(1) Vaillant (Nninis. Iniper. Roman. T. 2. pag. 118)
(a) Castelli (Sic. vct. n^im. ce. T. 65. N. 3.) Si ossei va in una
moneta di Scgcsta la voce ^A.'i'YH scritta da destra a jiuistra,
TnH(i) scritte da manca a dritta, o da dritta a
manca HOT sempre presso loro il numero 388 in-
dicavano; intanto queste lettere oggidì non espri-
mono il proprio valore, che scritte nella sola prima
maniera, e non mai nella seconda.
Differisce finalmente l'antico modo di computare
da quello, che oggigiorno trovasi in usanza, per mo-
tivo, che gli antichi in luogo di esprimere una data
quantità con una sola lettera , che per lo valore
ad essa attribuito la esprimeva, dessi questa quan-
tità, o valore indicavano per mezzo di tante altre
lettere, i di cui rispettivi valori sommando, a quel
maggiore corrispondeano(2), e siffatta maniera di
usare le lettere trovasi oggidì presso noi del tutto
ita in dimenticanza, ed affatto sconosciuta.
e nella Tav. (ÌR, 12, qiipsta sfessa voce si vede scritta da sini-
stra a destra flX'l'AS' come in molte iscrizioni ec.
(i) Eckhcl (Catalogiis Musei Caesarei Vindobonensis Pars 1.
f. 81.) ^jebain lìteras XnH '" notis Laudicae nuniniis ve.risi-
milhis indicare epochae aniiiim, et etjjlrmaham istiid advcrsus &•
ruditissimutn Ahbatem Blodium, de his lileris aliler senlienlem.
(2) In luogo di esprimere gli antichi il numero EpacTOV cento
con la Icllcra H, n, che loie valore rappresenta ^ lo indicaV'ino
per ragione di esempio colle lettere XvV ' '^"' rispettivi V'*'"'''
sommati a quella quantità corrispondevano.
^99
Lettera di JcostiNO Gallo a Si E. il Principe
DI Granatelli.
PftEG. sto. Principe
JLjonfana, com'ella è dalla capitale da più mesi,
e ardente il core delle patrie cose^ ama di aver da
me delle nuove letterarie, onde pascere il suo colto
intendimento; ma nulla io posso dirle, die sia de-
gno di nota. I due giornali, T Ecclesiastico , e le
nostre Effemeridi continuano , e si rinvigoriscono
sempie più. Il primo s'abbella d'interessanti arti-
coli sulla diplomatica sacra, e il secondo di oggetti
pertinenti alla siciliana letteratura, il vecchio gior-
nale non so se più esista; perchè non ne ho più
sentito parlare d'alcuno. Le belle arti sono al pre-
sente operose. Il Villareale è sul punto di recare
a compimento la sua bellissima Baccante che dor-
me, alla quale esi(a ognuno di appressarsi per ti-
mo!' che si svegli; cotanto h vero quel sonno, che
par che se ne senta il russare dal freddo marmo. Sca-
glione, e Paderni, ottimi disegnatori, ci han dato già
una litografia, che ha meritalo il favore del Pubblico.
Il ritratto di Bellini, una tesla ideale, un soldato in
riposo, e un can da caccia da lor prodotti a chia-
ro-scuro non ci lasciano nulla a desiderare. Riolo, e
Patania han già terminato i due gran quadri, com-
messi loro da S. A. R., che vengono riguardati come
capi- lavori. Essendo essi in punto di consegnarsi al-
VA, S. io ne ho voluto stendere un'illustrazione, che
qui le acchiudo; affinchè ella ne possa in parte co-
noscere i pregi. Mi creda intanto
Palermo iSfebbrajo i833.
Di V, E.
p.. _ Divmo servo, ed amico
LftJazaraJ AGosTl^o Gauo.
200
Intorìto a due quadri a olio di palmi 7, per 8
'/a , uno dipinto dal cav. Vincenzo Riolo,
e faltro dal cav. Giuseppe pATANiA^per com-
messione di S . A. R. U Luogotenente Generale
in Sicilia,
J^i è dello da molti, e giova tuttavia ripeterlo,
che non Lasta il genio degli artisti, percliè si ab-
bian da loro opere degne della posterità. Quella sa-
cra scintilla, che ravviva, ed accende il loro in-
gegno, rimansi inoperosa, ove favorevoli occasioni,
e lavori di gran momento non si presentino ad ec-
citarla, siccome il fuoco jUimitivo slassi inerte, fin-
che la mano dell' uomo , e l' acciajo al replicato
urto con la selce non lo faccia sfavillai'e, ed util lo
renda agli usi della vita.
Or siffatte occasioni nascer non possono d'ordi-
nario per r influenza di privati , ma sibbene per
quella de' Principi, che spinti dall'amor delle belle
arti volgano in mente l' esccuzion di opere rag-
guardevoli , e sceglier sappiano allo slesso tempo
con sagace discernimento que' valentuomini , che
vagliano a condurle ottimamente, onde abbiaa fa-
ma a conseguirne per essi non solo, ma a riflet-
terne parte a coloro, che adopralo hanno le beale
ricchezze in sì bei , ed onorevoli oggetti. Quindi
l'istoria, che eterne rende le illustri azioni, intrec-
cia sempre il nome de' gran mecenati a quelli de'
sommi artisti, de' sommi poeti, e scienziati. Im-
perocché se corsero insieme, vivendo, il nobile ar-
ringo della gloria ben giusto è che nella rispet-
tosa ricordanza de' posteri vadan del pari congiuuli.
201
Non e dunque da meravigliare, che il nome di Bra-
mante, di RafTf.ello , di Michelangelo si associ! a
quello di Giulio 11°, e di Leon X°, richiamando a
memoria il maggior prodigio delle arti moderne, il
sublime Valicano; dapoichc que' Pontefici tanto
elevali di cuore, e di mente, puossi dire, che sveglia-
rono il genio di si grandi artisti , favoreggiando-
Io inguisa da divenire operoso. E ciò pur fecero
il Duca di Mantova , il Cardinal Farnese , Luigi
XIV , e Carlo IH" Borbone co' lavori affidati a
Giulio Romano, a Guido, a' Caracci, a le Brun, a
Vanvitelli, e al Mengs.
E qui ci piace ricordare, che tra i mecenati
delle arti, e degli artisti, che abbiamo accennato ,
gli ultimi tre appartengon per sangue alla attuale
augusta famiglia regnante de' Borboni, sicché da essi
parche tollo abbia il primo esempio S.A.R. il Con-
te di Siracusa D. Leopoldo, Luogotente generale
di S. M. in Sicilia, nel determinarsi a proteggere
il Riolo, e il Palania col commetter loro lavori ri-
levanti. E un sì nobile sentimento venne in lui
rafforzato da' più recenti esempj degli illustri per-
sonaggi di sua famiglia , cioè del suo avo Ferdi-
nando, e di Francesco suo padre, che adoperarono
nelle fabbriche reali i nostri due volorosi architetti
Giuseppe, ed Emmanuele Marvuglia, e nelle mol-
tiplici dipinture il Velasques, il Riolo, il Patania;
non che da quello di S. M. suo augusto germano,
che ordinò la ristorazion de' mosaici Normanni nel
R. Palazzo, e la continuazione di quelli, che deco-
rano la R. cappella palatina, come altresì le isto-
rie in plastica, e tutto altro, clie serve al compi-
mento della sua R. galleria in PalerJiio.
Volendo quindi l' A. S. II. abbellire magnifica-
303
mente le stanze sulla porta nuova, e rimaso con-
tento, come è da argoineiitare , de' gran quadri a
tempera del Riolo, e Patania, non è guari, eseguili
iieUanzidelta R. galleria, altri due a olio volle ad
essi commetterne , cioè il battesimo di Clorinda ,
ferita mortalmente per man di Tancredi, e gli a-
morj di Rinaldo , e di Armida nel suo giardino
incantato.
Questi episodj dello iraraortal poema del Tas-
so, la Gerusalemme Liberata, e scelti con molto ac-
corgimento , il primo dal XIII, e il secondo del
XV {canto, come si conlrappongan di carattere nella
poesia, cosi nella pittura. Imperocché l'uno dimo-
stra l'angoscia dell'amore nella maggior disperazio-
ne, e l'altro nella sua più pericolosa volullà, che
inebria il cuore, ed accieca la mente; talché a trat-
tar ottimamente il primo in pittura richiedesi uno
stile ardito, vigoroso , e di forte espressione, e il
secondo, un'immaginazione fiorita, e un pennello soa-
ve, leggiadro, lussuoso.
I dipintori destinati ad eseguirli consultarono la
propria indole, è il Riolo scelse la rappresentazioa
di Clorinda, e l'altra il Patania.
La gara tra loro avvenuta fu quella degli ani-
mi virtuosi, e quale e$ser potea , ispirata essendo
dall' alto personaggio , che loro affidò i lavori.
Fé' ognun di essi i più energici sforzi, onde per-
venire al nobile sco])0 di produrre un' opera, che
piacer potesse pienamente all'A, S. R. ed esser com-
mendata nella istoria dell'arte. Quindi ogni studio
posero ambidue a ben esprimere il rispettivo con-
cetto no^li schizzi, a ridurlo incolori ne' bozzetti,
per fissar meglio l'effetto del chiaro-scuro, e in fine
a disegnar sul nudo le figure al naturale, che cs-
2o3
ser doveano collocale ne' quadri, e a dipinger que-
sli co' colori più scelli, e 'di costo maggiore.
Recatili a compimento dopo non breve tem-
po di assiduo lavoro il Pubblico intelligente cor--
se ad ammirarli nello studio de' due valorosi arti-
sti, ricolmandoli della lode ben meritala , di cui
una [)arte rivolta era a colui, che con la sua mu-
nificenza avea dato sì efficace impulso al genio si-
ciliano,
Per tulli que' che osservarono sì nobili dipin-
ture rendesi mutile ogni descrizione, ed encomio,
non così per gli altri, che non ne ebbero l'agio op-
portuno, e quindi a costoro soltanto rivolgiamo la
prestnile illustrazione, cominciando dal quadro della
morte di Clorinda, dipinto dal Riolo, che nell'or-
dine del poema l'allro precede.
La scena ponnelleggiala dall'egregio artista nella
sua lela è quale vien descritta dal divino Torquato,
Già dell' ali ima stella il raggio langue
Jl primo albor^ che in oriente è acceso.
Erto è il terreno, e imboscato di alberi fronzuti,
se non che a destra del quadro si scorge un pic-
ciol castello schizzato dalla prima luce mallulitia,che
fa un bel contrasto co' gagliardi sbattimenti di om-
bre alla parie opposta.
Giacente è l'infelice Clorinda, ferita dall' ignoto
guerriero, che pur lei non conoscea, il quale
Spinse il suo ferro nel bel sen di punta ,
Che vi s'immerse^ e il sangue avido bevve.
Sicché ella che già scorgea aj>pressaisi l'ora fe-
rale, gli dice:
JnnoQ hai vinto: io il perdon. Perdona
Tu ancora., al corpo no che nulla pavé
JlL\dma sì: deh! per lei prega ^ e dona
Battesmo a me ch'ogni mia colini lave.
50 4
Il campion di Cristo, raccolto avendo da un vi-
cino ruscello dell'acqua nell'elmo, è in allo di
cseicitare il grande ujjìcio e pio. E già, scoverta
la fronte di Clorinda,
La vide., la conobbe., e restò senza
E voce e moto. Jhi vista! Jhi conoscenza!
ma pure
Non morì già., che sue virtudi accolse
Tutte in quel punto., e in guardia al cor le mise.,
E premendo il suo affanno a dar si volse
Kita con l'acqua a chi col ferro uccise.
Il sentimento, dopo la fatale conoscenza di quel-
la profondissima angoscia , che gli dà al volto
l'aria di mesto sbalordimento, non si polca espri-
mere daldipintor con maggiore efficacia, verità, ed
intelligenza di quel die fece nel Tancredi, che guar-
da la sua amante con pupille stupidamente immote,
mentre le versa la sacra acqua lustrale sulla fronte.
E in ciò il Riolo senza fallo mostrò quanto egli
valesse nell'espressione, ch'è la parte filosofica del-
l'arte. Ne minore intelligenza appalesò nel rappre-
sentar Clorinda, che proKeriti da Tancredi i sacri
detti, che accompagnavano il battesimo, è già presso
a spirar l'ultimo fiato
Essa di gioia tramutossi., e rise.,
E in atto di morir lieto e vivace
Dir parca: s'apre il cielo., io vado in pace.
L'aspetto di lei, e il movimento de' suoi lumi,
è qual precisamente viene indicato dal poeta.
l)hm bel pallore dia il bianco volto asperso ^
Come a gigli sarian miste viole.,
E gli ocelli al cielo ajfisa., e in lei converso ^
Sembra per la pleiade il cielo, e il sole.
Ciò è quanto abbia m potuto osservare per la par-
205
te intellettuale, e filosofica del quadro, molte cose
potremmo aggiugiiere per ciò che riguarda il mec-
canismo dell' arte , che per brevità in pochi detti
raccogliamo. La dipintura è di bellissimo effetto,
con luce assai ristretta , e principalmente concen-
trata nella figura di Clorinda; con naturale, e op-
portuno contrasto di linee; condotta con sobri co-
lori, convenienti ad una sì luttuosa rappresentazione,
che ha luogo al primo crepuscolo diurno. Essa in som-
ma è tale, che piacer debba agrintelligcnti dell'ar-
te, e a quelli ancora, che giudicano del bello so-
lamente per la materiale impressione negli occhi, e
per la corrispondente imilazion del vero.
Il quadio del Patania trasporta il riguardante in
una scena assai diversa. Ecco il soggiorno incanta-
to di Armida , meravigliosamente immaginato dal
Tasso, e del pari meravigliosamente dipiato dal no-
stro artista.
A sinistra si scorge
Tondo e ricco edifìcio^ e nel piìc chiuso
Grembo di lui^ cliè quasi centro al giro
La vezzosa maliarda col suo vago è voluttuosamente
sdrajata in questo giardino, in cui frutici di varie
sorta , cespugli odoriferi intrecciano le loro fronde
con gli alberi, su' quali
Co' fiori eterni eterno il frutto dura^
E mentre spunta Vun^ V altro matura.
In mezzo al dipinto s' innalza un gran tronco
annoso, intorno a cui
Lussureggiante serpe alto^ e germoglia
La torta i'ite
Ed è bello a vedersi, come fra le pampanose sue
braccia
Qui VuiKi ha in fori acerba; e qui d'or Phave^
E di piropo, e già di nettar grave *
^7
206
Più al basso svolaz2antlo
'Vezzosi augelli infra le verdi f rondi
Temprano a prova lasc'weiie note;
nieiiUe dal lato ojiposlo
Vola Jra gli altri un , che le piume ha sparte
Di color vari^ ed ha purpureo il rostro.
Disseminati poi cjuà, e colà si veggono
J^ior van\ varie piante erbe diverse^
e i primi si Lene imitali , elio par che ne senti l'olez-
zo, e Ira questi (lori quasi lor reina miri
Spuntar la rosa
Dal verde suo modesta e verginella^
Che mezzo aperta ancora., e mezzo ascosa^
Quanto si mostra men tanto è più bella.
Patania altronde sommo dipintor di paesaggi con-
dusse questo con tal vaghezza, e leggiadria di pen-
nello, che nulla di meglio puossi sperare; sicché di
esso convien dire, come scrisse il Tasso del medesi-
mo giardino di Armida
E quel che il bello .^ e il caro accresce aW opre
L'arte die tutto fa ^ nulla si scopre.
E se quello immaginalo dal poeta è pur opra d'incan-
to, incantevole e l'imitazione in colori del nostro ar-
tista, e ben avea a temersi che attirasse a se gli sguar-
di dello spettatore in preferenza delle due figure de-
stinate a signoreggiarvi, ma pur non è così; dapoi-
chè nella sua bellezza ha tinte così pacate , e tran-
quille, che non solo ne non sturban punto l'efietto,
ma servon di fondo, e di contrapposto a farle risal-
tare.
A tale oggetto artifizìosamente il dipintore fece
con tinte bassissime la testa di Ubaldo, e del guer-
riero compagno dell'alta n)issione, che si vcggon tra
fronde, e fronde, e incerti si moslrauo di ricondur-
207
re all'esercito cvìsllano 11 traviato Rinaldo. Ma la-
sciam (la parte queste vaghezze, ed accorgimenti ac-
cessori, e ci rivolgiamo a' due amanti, che nel cen-
tro del quadro son giacenti
Egli in grembo alla donna ^ essa all' erbetta.
La descrizion che ne fa il Tasso serve ad illu-
strar fedelmente il quadro; e quindi qui la ripor-
tiam per intero
Ella dinanzi al petto ha il vfil di^iso^
E 7 crin sparge incomposto al vento estivo ,
Langiie per vezzo ^ e 7 suo infiammato viso
. Fan biancheggiando i bei sudar più vivo:
Qual raggio in onda la scinti! la un riso
Negli umid' occhi tremulo^ e lascivo:
Sovra lui pende^ ed ei nel grembo molle
Le posa il capo^ e 7 volto al volto eslolle.
Certo ne più vezzosa, ne più astuta donna espri-
mer potrebbero i colori della Armida di cui ragio-
niamo , per la quale la mente di Tasso servì di
guida al delicato, e lussureggiante pennello del Pa-
tania. Che se nel volto dioici non havvi quelle li-
nee del bello severo degli antichi, havvi qualche
cosa di più caro, e seducente ; cioè quel bello
di verità misto al fior di leggiadria, che adesca gli
sguardi, e conquista il cuor di chiunque; havvi il
sorriso delle Grazie, la seduzion dell'Amore, e una
eerta gratissima protervia, di cui cantava il Veno-
sino per riguardo alla sua amante
Vrit me Gljcerae niior
Splendentis parlo marmare purius,
Vrit grata protervitas,
Et vultus ìiimium lubricus aspici.
Yi son di que', che riconoscono nella fisonomia
dell' Armida del Palania una certa aria siciliana ,
ao8
e non son lungi clal vero. L'esser l'ovale del volto di
lei non prolungato quanto nelle statue antiche, men-
tre le accresce venustà, l'avvicina alla fìsonomia delle
leggiadre donne siciliane, cui il Winckelmann dava
il jjrimato per questa peculiare moditìcazion del bel-
lo negli elementi, che costiluiscou là grazia.
Ne' vivissimi nereggianti occhi della leggiadra
maga scherza il sorriso tremulo^ e lascivo^ onde l'in-
namorato guerriero
J famelici sguardi avidamente
III lei pascendo si consuma e strugge.
Intanto ella sostiene, secondo dice il poeta, uno spec-
chio lucido e netto
j4i misteri d' jémor ministro eletto
In braccio amendue alla felicità
Con luci ella ridenti^ ei con accese
Mirano in vari oggetti un sol' oggetto ,
£lla nel volto a se fa speglio: ed egli
Gli ocelli di lei sereni a se fa spegli.
Pochi l'orse son da tanto da giudicar della difficol-
tà superata dall'artista nello esprimere col pennello
il delicato contrasto di affetto che addimostrano le
pupille de' due amanti, e pochi san leggere negli oc-
chi di lei l'orgoglioso trionfo sul cuore del sedotto
guerriero, e in quelli di costui l'ardenza, e l'entu-
siasmo dell'amore, e scorger vi sanno quell'umido
velo che vi stende la voluttà pienamente beata. Da-
poichè abbisogna a ciò ardenza di cuore, e d'imma-
ginazione, e conoscere pienamente i segreti, e la dif-
ficoltà dell'arte; quindi non ci reca meraviglia qual-
che storta opinione su questo riguardo, che ci ha fat-
to ricordare la sentenza di Quintiliano: yc;//ce^ artes
si de his soli arlijìces judicarent.
Rinaldo è nel punto di profferir que' delti alla su»
209
amica, che il poeta espresse con tanta gentilezza
f^olgi, dicea^ deh volgi ^ il cavaliero
A me quegli ocelli; onde beata bei)
Che son^ se tu noi sai, ritratto vero
Delle bellezze tue gl'incendi miei:
La forma lor^ le meraviglie appieno^
Più, che il cristallo tuo, mostra il mio seno.
E in così dire preme egli dolcemente con la sini-
stra il fianco di lei, onde ravvicinarla, e rannodarla
a se con amplesso più stretto. Ma ciò, per ragion di
decenza, più s'indovina, che si scorge.
Ecco la felice rappresentazion pennelleggiata dal
Palania, che un altro fasto aggiunge a que' del Tas-
so, avendo egli dato col suo poema occasione ad una
delle più belle dipinture, di che abbia a gloriarsi
l'arte moderna.
Infiniti sou poi gli accorgimenti di cui si valse
il nostro artista pel migliore effetto del quadro. Noi
accenneremo di volo qualche cosa non potendo di
tutto ragionare. La luce è cW&^osla piramidalmente ^
di cui la maggior copia si gitta sulla figura di Armi-
da, avvolta in un bianco lino, e in parte sul suo man-
to giallo, e minor quantità su quella di Rinaldo^
da lei abbagliato, che il dipintore vestir volle di
una tunica di un rosso sbiadato, color proprio a
ricever meno lume. Di riverbero va a colpire jjoi le
armi del guerriero, giacenti sul terreno in abbando-
no, il che serve a ridurne la massa alla divisata sim-
metria piramidale. I brilli più vivaci irraggiano il
volto, e il tornito seno della vaga seduttrice, e ciò as-
sai contribuisce ft dar risalto, e splendore alla sua bel-
lezza; mentre Hinaldo , posto quasi in una semi-
ombra, mostra una carnagione più fosca, e virile, e
fa un bel contrasto con quella di Annida, mista di
210
gigli, e uose. E in verità dovea il nostro inlelligcntc
artista afiìguraic un giovane di nobil fisonomia, quale
al suo alto lignaggio si conveniva, e di belle for-
ine, rna irrigidito alle fatiche della guerra, e ab-
bronzato alquanto da' rag"i solari. Quindi per la
stessa ragione valido, e robusto esser dovea rappre-
sato, e non già snello, e raolleggiante, pari ad un
Ganimede, come alcuni dissennati han creduto. Però,
se vigoroso ei si mostra, non ha muscoli di troppo
pronunziati, essendo in un'attitudine di tranquillo
riposo, e di soave voluttà. Altronde la sua età fio-
rente, e il rigoglio di salute richiedeano, ch'egli, an-
ziché smilzo, mostrasse di densa carne tondeggianti
le membra, siccome si scorge l'Apollo saettatore,
una delle piìi belle statue di greca scultura , che
servì di modello al Canova nell'cseguire il suo Per-
seo. Il Rinaldo in somma del Palania è qual fu
immaginato da Torquato , non cosi snello , come
l'Achille di Omero; giacche gli eroi di quest'ul-
timo, secondo gli esercizj degli antichi alla corsa ,
esser dovcano più svelli, e quindi dà egli sempre
al figlio di Peleo rej)ilelo di pie veloce. Ma il
Tasso, conoscendo appieno gli usi degli eroi del se-
colo, ch'ei descriveva, non attribuisce 1' anzidetta
qualità al suo Rinaldo, comecljè nelle altre vi ab-
bia adombralo 1' Achille di Omero. E ciò basta
per risj)ondere a coloro che pensano, e giudicano
come il Calandrino del Boccaccio.
Un'altra difficoltà, su[)erata dal sagace dipintore,
sì fu la giacitura delle gambe de' due amanti, che
essendo posati sopra uno stesso piano , e ad una
eguale inclinazione, avrebber dovuto naturalmente
correre le medesime linee. Ma ciò gli era vietato
da quel precetto dell' arte, che prescrive di sfug-
211
girsene aJ ogni coslo la uniformità. Laonde con molla
industria seppe egli cavarsi d'impaccio, senza uscir
da quel movimento naturale di linee, ch'era pure
un'altro precetto dell'arie ad osservare. Ed atteg-
giò le gambe delle due figure in guisa , che co-
jnunque cospirino a rappresentar la sfessa general
posizione, pure fanno angoli difTcrenli alle ginoc-
chia, e si controppongon le une alle altre, produ-
cendo all'occhio la desiderata varietà.
Noi non ci tratterremo a ragionar dell'eleganza,
e castigatezza del disegno. In questa parte il Pa-
tania può omai dirsi sommo maestro, molto meno
farem troppe parole del suo colorito. Imperocché
nulla aggiungeremmo alla opinion pubblica, ch'egli
co' suoi lavori si è procacciata. Ci occorre solo
manifestare su questo riguardo , che ha riunite in
se due qualità, che di rado vanno associate, cioè
la perfetta imitazion del vero con la maggior leg-
giadria de' colori. E questo non coll'adoprare, come
alcuni fanno, nelle carnagioni tutte le tinte dell'I-
ride, e contropporvi asprissimi scuri, per cui facil
riesce l' efletto, comechè contrario alla verità; ma
con iscegliere per modello le più vaghe tinte, che
presenta la natura negli esseri umani, e col contra-
sto di oscuri moderati , che dà lo stesso vero, se-
condo le varie posizioni in riguardo alia luce diurna.
Un altro commendevole artifizio ha egli prati-
calo, che già fu posto in opera dalla scuola Vene-
ziana, cioè di rendere diaflàne le carpagioni in se-
mi-ombra; su quel principio, osservato dal Vinci, e
dal Mengs, che le tinte contigue si riOetlon fra loro,
e che il vero esposto alla luce del giorno non dà mai
scuri perfetti, anche negli sbattimenti. Rien nest
beau que le vrai era la massima di Voltaire, che
2ì2
guidai- deve chiunque nella lelterabrà, e tal ma.^-
sioia servir dee anche di norma nelle lielle arti, e
cjuesla unicamente par che tolto abbia il Patania
nel formarsi
// bello stile., che gli ha fatto onore.
Dal fin qui dello, e più dall'ispezione delle due
tele, chiunque ha fior di senno argomentar può co-
tti'esse sien condotte egregiamente, e con tutta l'in-
telligenza dell'arte, e quanto sien da commendar-
sene i dipintori, che a sì ben lavorarle non furono
spinti dal basso pungolo dell'interesse, ma da quello
nobilissimo della gloria , e dall' ardente brama di
non defraudar la fiducia, che l'A. S. R. avea in
loro riposta. E quindi ha dritto alla nostra ricono-
scenza, e distintissima lode pur merita il nostro
Real Principe, che tutt'ardente di animo siciliano,
e sempre ricordevole, che qui vide la luce, volge
il pensiero ad ogni maniera di nazional coltura, e
le nostre arti si è dato a favoreggiare, e già a questo
primo esempio altri ne fa seguire con l'aver com-
messo anche de' lavori pittorici al Palricolo. Che
se gf ingegni di questo suolo prediletto dal cielo,
sillattamente da lui rianimati, producono opere da
far tenere in alto pregio la Sicilia, e degne sieno della
più tarda ricordanza dell'istoria, a lui si deve. Sic-
come le vaghe mela, lussureggianti su i verdi al-
beri delle contrade, irrigate dal Simeto, devono alla
terra benigna non solo; ma all'astro maggior della
natura i vivaci colori , e i dolcissimi succhi, che
racchiudono; onde poi divengon la delizia, e l'orna-
mento delle mense più squisite.
j4gostjso Gallo%
!fl3
Inno alla beata F'ergine Lucia
di CosTANTtNO M. Costantini
iJe tra spirti beati non langue
Mai pietà de la terra natia,
Che a noi fece più helk nel sangue,
Che. versasti, di Cristo la fé;
e ■
Dal seren de le sfere, Lucia,
A noi movi benigna i tuoi sguardi ,
E la schiera de' mali a la via
Di Cocito rivolga il suo pie.
Pargoletta de gli anni più tardi
Vinse il vanto ne l'opre più sante,
E l'impero de' numi bugiardi
Al suo sdegno non resse, crollò.
Sorda ai voti, a l'amor d'un amante
Sforza il ciel di suoi caldi sospiri:
Ivi '1 core, ha qui solo le piante,
Più la vita durar non vi può.
D'una vedova madre, che spiri
Mille afi'etti da l'egre pupille,
Terge il pianto; ma nega i desiri,
Che contrasta più tenero amor.
A chi nudo di tepide stille
Mostra il petto da l'asta ferito,
Fisa i lumi d'accese faville.
Come l'aquila a l'astro maggior.
2l4
E poi r asse paterno largito
Per amor del suo ben crocifisso,
Ride l'onte del culto schernito,
E de' numi profani '1 poter.
Salva trae da le gole d'abisso
Col battesmo la madre infedele ,
E la vita, che al termine fisso
Vola, volge a più dritto sentier.
Freme l'Orco, e di sdegno, e querele
Soffia il fummo, e la fiamma ne' petti,
' E la vergin di ferro crudele
Cade vittima estinta nel suol.
Fu lo spirto da gli angeli eletii
Al suon d'arpe, e di gighe raccolto:
Seco ad una in bel numero stretti
Al ciel rapido spiccano il voi.
Non più strale da l'arco disciolto
A la meta veloce s'affretta
Di colei, che va volto con volto
La beata speranza a goder.
Fatta sposa del figlio diletta,
Benedetta del padre, nel core
A noi desta quell'aura migliore,
Che in te spira l'amore primier.
2l5
Comentario su Decreti e sugli atti ministeriali
di ragion civile ad uso del foro^ con le osser-
vazioni di Costantino M. Costantini Giu-
dice della Gran Corte in Siracusa. — Palermo
^' dalla tipografia di Filippo Solii i83o(i).
^Quest'opera della quale son già venuti fuori i pri-
mi quattro volumi, ha giustamente richiamato la
noslia attenzione, siccome quella che aggirasi in-
torno a un ramo del sapere della piij pratica gior-
naliera utilità; e perchè ne abbiano piena conoscenza
i giureconsulti, i magistrati, e gli studiosi tutù delle,
patrie leggi, e possa ciascuno trarre da essa quel
li ulto che fu primb scopo dell'A., ne prenderemo
il più accurato esajBe, aggiungendovi alcune mo-
derale osservazioni, per le quali si faccia chiaro in
quai punii è a noi sembrato poter essa meritare
qualche riforma.
E primamente vogliamo che grazie sieno rife-
rite, e le meritate lodi sien rese alTottimo magi-
strato, che ci ha fatto dono di un travaglio, di cui
quanto alla utilità, nessuno il più utile, ne il più
necessario. Perciocché, abolite una volta le anti-
che leggi, e divelte sin dalle loro radici le incer-
tezze che sorgevano dalla moltiplicità dei patrii sta-
tati, nella loro combinazione colle hggi di Roma,
le quali formavano appo noi il dritto comune del
regno, la generale riforma negli ordini , e ne' si-?
stemi legislativi, ha necessariamente prodotto, che
(i) Il primo volume è stato pulLlicalo nel i83o, il sccojido e
Icrzo ucl i83i, ed il quailo nei i832.
2l6
nel breve periodo Ji pochi anni influite leggi, e tìou
pochi reali decreti, ed atti ministeriali si son pubbli-
cati, nel fine di aggiungere, modificare, o dichia-"
rare le leggi già ne' novelli Codici stabilite, talché
di tanto se ne è oramai accresciuta la mole, che
ben si è reso necessario il raccoglierle, e riunirle
in guisa, da formarne un corpo solo, che tutte as-
sieme le presenti, che alle leggi comuni le ricon*
giunga, e che lo studio, e la conoscenza a chic-
chesia ne faciliti. E questo per avventura è stato
il divisamento dell'A. Il perchè si è egli proposto
di raccogliere in pria tutti gli atti legislativi, che
dall'epoca della pubblicazione delle nuove leggi sono
sfati sinora emanati, di ravvicinarli alle generali
disposizioni del dritto, e fornirli di opportune spie-
gazioni, onde servir loro di chiosa, e di comento.
Quest'opera quindi non sarà mai abbastanza com-
mendata, ove si risguardi al fine cui tende, ed alla
utilità che puossene ricavare, e noi ne lodiamo gran-
demente il consiglio di questo magistrato che se
ne è fatlo autore.
Ma ne questa lode , ne la riconoscenza di die
ci sentiamo debitori verso il medesimo, ci riterrà
dal significare la nostra censura, laddove ci è sem-
brato, che quell'opera difettasse, o che per utili
riforme potesse rendersi migliore) che la critica è
assai bella cosa ove non sia malignata dal desiderio
di oscurare il merito di quei savi, che intendono
a' più utili travagli, o di fraudar quella lode, che
loro è per ogni titolo dovnta; ma essa è arte san-
tissima, che volgesi con imparziale giudizio a de-
ciferare le virtù da' vizii che pur trovansi nelle 0[>crc
de' migliori, che fa piana agli studiosi la via, onde
raccogliere da' buoni libri il miglior frullo, ed evi-
217
tarne gli errori, e clic conduce al diritto sentiero
quegli scrittori medesimi, che per gli efletti della
umana fralezza ne abbiano talvolta Iralineato.
Sicuri quindi che non saremo perciò da ripren-
dere, ci facciamo a proflerire la nostra libera sen-
tenza intorno a questo interessante lavoro, e faremo
principio dall' esporre alcune generali osservazioni
circa al metodo tenuto dall'A, nella composizione,
nell'ordine, e nella condotta del ^o libro; ci vol-
geremo in seguito ad esaminare qual sia slato il
suo giudicio nella scelta delle leggi; ed in fine di-
rera breve ragione su' comeuti di cui le ha copio-
samente arricchito.
I. Nessuna cosa fa più alla chiarezza quanto
l'ordine, ed il metodo nella esposizione delle idee:
perocché la umana intelligenza non si presta age-
volmente ad un ammasso di cose, ove sian esse ir-
regolarmente, e con qualche confusione presentate.
Chiunque si accinga alla composizione di un libro
dee certamente a' suoi leggitori offerire la ese-
cuzione di un piano preordinato , nel quale ogni
cosa sia connessa, ed armonizzante, talché il prin-
cipio si congiunga al suo fine, e lutto sia un se-
guito di cose che si succedono con progressione,
dalle generali procedendo alle speciali , dalle pri-
marie alle secondarie, dalle fondamentali a quelle
di conseguenza. E se per avventura abbia a trat-
tarsi di svariali oggetti, o di materie dissomiglianti,
vuoisi allora puincipalmente che le cose diverse siano
fra esse distinte, che le simili siano fra esse con-
giunte, e che tutto sia con tal giudizio distribuito,
e classificato, che ciascuna cosa abbia il luogo suo,
onde la mente de' leggitori non sia di lancio por-
tala da una cosa ad un'altra, uè costretta a seguire
2ì8
le cose medesime ne' vaili luoglii ove è piaciuto
air autore il collocarle. Progressione adunque ed
aiuionia nelle idee, classificazione e distribuzione
nelle materie, ecco tutto ciò che fa chiara, buona,
ed ordinata una scrittura.
E da questo sorgono due inestimabili vantaggi,
di cui si giovano a vicenda lo scrittore ed il leg-
gitore. Il primo è che seguendo chi scrive un piano
esattamente concepito e disposto, trovasi nella ese-
cuzione presente sempre a se stesso, nu!la omette
che sia necessario, nulla aggiunge che sia sover-
chiante, evita le ripetizioni, sfugge le contraddizioni,
risparmia il suo tempo, e con pari passo procede
dal suo principio, e si accosta al suo fine. Il se-
condo è che mettendosi chi legge da presso il suo
scrittore , ne segue gli andamenti adagiata mente,
raccoglie per gradi le varie fila che vanno a con-
giungersi ad un centro comune, trova ogni cosa al
luogo suo, e quivi ferma senza stento la sua at-
tenzione, e così senza travagliar di troppo il suo
intelletto, senza vagare confusamente dall' una al-
l'altra cosa, senza consumare vanamente la più parte
del tempo , cava dal suo libro quella utilità che
puossi la maggiore. Non basta quindi che le idee
bene si concepiscano, e che le materie opportuna-
mente si raccolgano, bisogna ancora che bene si di-
stribuiscano, e che ordinatamente si dichiarino. Però
fu detto che nel comporre dei libri avvi un'arte a
seguire, e che essa è pur troppo dilfìcil arte, della
quale il meccanismo in questo solo consiste, cioè nel-
l'ordinare, classificare, e distribuire adcquatamente
le materie, e le idee.
E se ciò tanto è necessario ne' soggetti speculativi,
e scientitici, lo è molto più nelle cose positive e
219
di fallo, e con ispec'ie ne' Iratlatì di giurisprudenza
che sogliono per l'ordinario servir di consulla nella
disquisizione de' casi, che si prcsenlano al giudizio
dei uiagisliali , nei quali se le materie non siano
con esattezza di metodo collocate sotto le loro par-
ticolari categorie , chi andasse in traccia di una
regola, o di una legislativa disposizione, non sapreb-
be, altrimenti rinvenirla, ed ii libro si renderebbe
infrutluoso.
Or l'A. ben conoscendo come sia stato necessa-
rio dare al suo travaglio un certo ordine , lo ha
ripartilo in una serie di varii libri, e questi ha poi
per diversi titoli suddiviso. Tratlavasi di raccoglie-
re tutti gli atti legislativi, che dopo la pubblica-
zione dei nuovi codici, hanno recato ad essi qual-
che modificazione ; epperò entrava nel suo piano
lo esporre delle cose, che diverse erano e svariate
per quanto diversi sono gli oggetti , e le materie
di cui si occupa la legge. Così di leggieri ciascu-
no si darà a credere che ogni libro si aggiri in-
torno ad una materia differente, e che i titoli di
ogni libro presentino i diversi oggetti , ne' quali
può la materia slessa esser divisa. Pure la cosa
non va così, perocché ne ciascun libro si occupa
di un oggetto particolare , ne ciascun titolo ha
quella regolata coerenza che lo fa parte del libro
cui esso appartiene.
Due, come a noi sembra, esser poteano i melodi,
fra i quali avrebbe dovuto l'A. presceglier quello
cui tener dietro nella composizione del suo libro:
o ch'egli avesse seguito la ragione dei tempi della
emanazione de' varii atti legislativi, ed allora ogni
bbro avrebbe contenuto quelli di un determinato
periodo; o che la ragione delle materie, ed allora
220
Ogni libro avrebbe riunito quelli, che sebbene iu
diversi tempi pubblicati, avrebbero relazione ad un
medesimo soggetto. Gol primo però si sarebbe in-
contrato inevitabilmente la confusione delle mate-
rie, ed il ritorno delle stesse cose quante volle ne-
gli anni successivi, fossero occorse delle leggi risguar-
danti a' soggetti nei precedenti libri trattati. Non
così del secondo , il quale giudichiamo assai me-
glio accommodato all' ordine , ed alla chiarezza ;
perciocché riunendo in un punto solo le disposizio-
ni che abbracciano una stessa materia, sarebbe più
agevole riuscito il mostrare le vicende di ciascuna
legge dalla sua prima istituzione , sino al suo ul-
timo stato. Ma l'A. non ha seguito ne l'uno, né
l'altro metodo , e raccogliendo senza alcun ordine
i diversi atti legislativi, ne ha fatto ad arbitrio un
intricata distribuzione.
Comincisi in fatti dal primo libro , ed in esso
non iscorgesi rubrica alcuna, la quale avverta di
che sarà in esso trattalo. Intanto si trova ripartito
in una doppia serie di titoli, ma il perchè di que-
sta suddivisione ne si vede, ne si capisce. Si oc-
cupa la prima serie dei decreti che aboliscono i
fedecommessi, che regolano la successione nei beni
ex-feudali e. che riguardano la istituzione dei ma-
joraschi. Dopo questi seguono due titoli de' quali
Tmuo ha riguardo al valor legale degli antichi ver-
bi-regii, e l'altro alla forma di procedere onde ot-
tenere la intitolazione dei ruoli censuarii. Di qui
si piissa ad altri titoli ove si ha ragione degli as-
segnamenti per causa delle soggiogazioni , e degli
aboliti diritti promiscui , ed infine un ultimo ti-
tolo registra le varie disposizioni riguardanti le i-
scrizioni e lo trascrizioni por ragione d'ipoteca, e
321
di traslazione di dominio. Si viene appresso a' llloli
della seconda serie, ne' quali panni si accresca la con-
fusione , perocché trattasi in essi indistintamente
de' notai e delle camere notarili, de' registri dello
stalo civile, delle ammende, delle coazioni per via
di piantoni, degli arresti in chiesa , de' privilegi
accordati a taluni creditori, di alcuni contralti co-
lonici, do' dritti dei locatori, e de' padroni diretti,
delle citazioni per editto ove si abbia molte per-
sone a convenire, ed in fine delle coazioni che si
esercitano avverso i debitori dei comuni. Ecco in
uno stesso libro quanta diversità di cose, e come
fra esse discordanti e confuse. Come intanto sì fatte
materie si succedono, e qi^alnodo le riunisce? Con
quanto maggior profitto non avrebbe l'A. riunito
in questo primo libro, sotto una generale i-ubrica
tutti i decreti, e le leggi tendenti a render liberi
i fondi e svincolate le proprietà? Ed in esso sa-
rebbero bellamente venute le leggi che aboliscono
i fèudi ed i fedecommessi, quelle che sciolgono le
servitù ed i dritti promiscui, quelle che autoriz-
zano gli assegnamenti forzosi e volontarii per cau-
sa delle antiche soggiogazioni, quelle che regolano
la istituzione de' majoraschi, e le slmiglianti. Se-
guendo lo stesso metodo avrebbe poluto far materia
al secondo libro delle iscrizioni, e delle trascrizio-
ni, e così mano mano per tutti gli altri libri, as-
segnando a ciascuno una rubrica particolare, una
materia separata, die tutte riunisse le disposizio-
ni successivamente sullo stesso soggetto ne' varii
tempi emanate. Ma gli altri libri seguono per av-
ventura, egualmente che il primo, lo stesso metodo
di confusione, e di disordinala mischianza di ma-
terie.
223
Né questo vizio sta solo ncirorcìiiic i\c varii libri ^
])cioccliè non tli raro trovasi esso ne' titoli stessi,
ove vrggonsi spesso registiati de' decreti, che senza
avere fra loro relazione alcuna, trattano di mate-
rie afiàllo disparate.
Così nel tit. X, del primo libro Icggesi un de-
creto, che accorda a' comuni de' mezzi di coazio-
ne contro i debitori di generi di privativa, e men-
tre il titolo nella sua rubrica accenna delle sole^coa-
zioni, stanno in esso varii rescritti ne' quali si detta-
no regole di competenza de' tribunali ordinarii, e dei
consigli d'Intendenza.
Nel tit. IX. del II. libro si tratta delle dispen-
se in occasione di matrimonii, e fra le varie dispo-
.sizioni relative a questo soggetto, si trova un de-
creto che assegna un termine entro il quale si deb-
bano provocare i ricorsi per annullamento avverso
le decisioni che hanno rigettato le opposizioni al
malrimpnio, ed un altro che stabilisce come possa
darsi la solenne promessa per mezzo di procura. La
materia de' matrimonii jìoteva assai bene fornir sog-
getto ad un libro separato, e ne' titoli di esso po-
tevano gradatamente collocarsi i decreti relativi alle
dispense, alle opposizioni, a' legali jimedii avverso
le decisioni per eausa delle opposizioni medesime,
alle forme della solenne promessa , a' matrimonii
clandestini, ed a tull'altro che vi avesse rapporto.
IS'el tit. III. del IV. libro fra i Varii decreti che
regolano il modo di supplire ne' casi di legittimo
impedimento i consiglieri della corte suprema, ed i
giutlici delle corti di appello, trovasi frammisto un
decieto, che stabilisce qual sia il numero de' vo-
tanti ne' tribunali civili.
jNel tit. I. dell' Vili. libro si comincia da un
223
tlecielo, clie prescrive la forma degli invenlarii de-
gli atti de' notari defunti, e si finisce con un altro
die riguarda le assegnazioni volontarie per causa
di soggiogazioni^
E così in molti altri che sarebbe lungo il ricbia-
mare. Da tal disordine segue intanto, che molli de-
creti si rapportano, che non può ne anco sospettar-
si che vi siano, e che pur sapendolo, non sareb-
be modo di rinvenirli.
E qui si noti come per siffatta distribuzione sia
r A. incorso in tre principalissimi inconvenien-
ti, cioè nel frequente ritorno delle slesse materie
in diversi libri, nella ripetizione degli stessi decre-
ti, e talvolta anche nella contraddizione.
Del primo inconveniente gli esempii sono infini-
ti: così nel libro I. tit. VI. si tratta degli assegna-
menti per causa di soggiogazioni, e poi ne torna
il discorso nel lib. Vili. tit. I.
Nel tit. Vili, dello stesso libro si parla delle
iscrizioni, e trascrizioni, e si viene poscia allo stesso
soggetto nel lib. Vili. tit. IV.
Nel tit. II. del II. libro si tocca delle servitù d'in-
trospetto, e poi di nuovo al lib. VI. tit. Vili.
Nei tit. IX. e X. dello stesso libro si parla dei
matrimonii, e si torna su di essi nel lib. X. tit. I.
e nel lib. XI. tit. I.
Nel tit. V. del IV. libro si parla de' soldi de-
gl'impiegati , ed indi vi ha de' simili decreti nel
lib. V. a' tit. V. VI. e VII. E così di seguito per
infiniti altri.
Gli esempii del secondo incovcniente si trovano
nel lib. II. tit. IX. dove si porta un decreto del 7
aprile 1828, che poi è ripetuto nel libro XI. tit. I,
come ancora nel tit. VI. del IV. libro, ove sou regi-
224
strali un cìccrclo del 3o maggio 1820, ed un re
scrilto del 2 selleiiiLre 1826, che poi sono ripro*
dotti nel libro VI. tit. X.
Eseinj)io inliue del terzo inconveniente si trova
liei tit, MI. del libro I, laddove si riferisce il de-
creto del 5 novembre 1828, e l'art. 84 delle istru-
zioni dell'amministrazione civile, ne' quali e stabi-
lito, che il termine ad appellare presso la gran cor-
te de' conti, è di tre giorni, mentre nel libro XI.
tit. II. avvi un decreto del 20 marzo 1829, che
assegna a tal uopo un termine di tre mesi a bene-
ficio de' privati, e di sei mesi a beneficio delle pub-
bliche aiiiministrazioni. Dal che nasce, che in due
luoghi diversi si affermano due regole contrarie, e
olii legge nel primo apprende un errore con tutta
sicurezza, perocché non può sospettare, che esister
jiìossa un decreto derogatorio, che non sia collocato
nel luogo medesimo. Quale dunque il profitto di una
opera intesa a riunire i varii decreti vaganti, e di-
Spersi, se non è quello di presentare in un punto solo
il nascimento, la progressione, e l'ultimo slato delle
disposizioni legislative?
Ecco a quali conseguenze è slato tradotto l'A.
dal difetto di un piano regolare, e dalla mancanza
di ordine nella disposizione delle materie. Un'opera
quindi per se utilissima, e divenuta in tal guisa di
poco profitto, da che non presenta riunite le vicen-
de de' varii rami della legislazione-, talvolta danno-
sa, da che non appresta le idee più giuste; e sem-
pre imbarazzante, da che non si sa il modo onde
trarne quel frutto, che da essa ciascun si ripromette.
Da queste osservazioni si raccolga che l'A. nel-
la disposizione della sua opera avrebbe dovuto se-
guire un ordine più regolato, e metodico.
225
II. Ora si passi al secondo esame, e si vegga co-
me si sia egli condotto nella scelta delle leggi.
E qui vogliamo che una gcneiale considerazio-
ne preceda quel tanto clie direni noi intorno a que-
sta parte. Ed è quest' essa che vari sono appo noi
gli atti del supremo potere legislativo, i quali ab-
Ijracciando ciascuno un particolare oggetto , sono
per diversi nomi distinti: ma non tutti interessa-
no egualmente il sistema generale delle leggi , ne
possono tutti aver luogo in una collezione destinata
a presentare le vicende della legislazione, nel fine di
servir di norma agli usi del toro. Ove trattasi di
cose che riguardano l'universale della nazione , si
bandiscono quegli alti, cui eminentemente è attri-
buito il tìome di legge. Se però vuoisi dichiarare, o
modificare una legge precedente, o estenderne l'ap-
plicazione a' casi non preveduti, o noverar delle re-
gole che sono la conseguenza de' princi[)ii stabiliti,
in lutti questi casi si dà luogo a' reali decreti. Ma
fra i decreti ve ne ha di quelli che mirano ad in-
teressi meramente individuali, sia che per essi prov-
veggasi alle cariche, o che si accordino delle gra-
zie, de' privilegii, e delle dispense, o che s'impar-
tisca la reale autorizzazione agli atli de' comuni, e
de' pubblici stabilimenti: e questi non fan parte del-
la legislazione, e sono atti piuttosto del potere ese-
cutivo, ne' quali il Principe spiega anzi il caratte-
re di ammiuistratore , che quello di legislatore.
Vi ha inoltre degli alti ne' quali si stabiliscono
delle particolarità circa alla materiale esecuzione
delle leggi, e de' decreti, o che riguardino la in-
terna disciplina delle pubbliche amministrazioni ,
o che tendano a regolare il sei'vizio degl'impiegati
ne' diversi ullicii. Soii questi i regolamenti , e le
226
istruzioni, clie ricevono la loro aulorifà dalla reale
approvazione. Talvolta però i rej^olameiili rigiiar-
tlatio oggetti di più generale ap])licazione , e ciò
avviene qualora determinano delle forme di pro-
cedere per lo esercizio de' dritti dalla legge attri-
buiti. Vengono da ultimo i reali rescritti, destinati
a dichiarare i dubbi clic sorgono nella intelligen-
za e nella applicazione delle leggi , e de' decreti.
Or nell'ojK^ra die esaminiamo ciascun vede co-
me il primo luogo si aspetti alle leggi, come vengano
a])presso quei decreti, che mirando ad oggetti gene-
rali, hanno il carattere stesso delle leggi, indi quei
regolamenti che tendono, a determinare qualche for-
ma di procedere, ed in fine quei rescritti, che ri-
guardano la spiegazione de' dubbi insorti nell'ap-
plicazione delle leggi. Tutti gli altri sono estranei
al soggetto di quest'opera, e l'A. non pochi ne ha
escluso che di oggetti meramente transitorii si oc-
cupano, e che intorno a privati interessi si aggira-
no: ma non tanto, che non s'incontrino di sovente
nel suo libro delle istruzioni, e dei regolamenti re-
lativi al servizio, ed alla disciplina di talune am-
ministrazioni, e de' decreti di nessuna utilità, come
son quelli che accordano delle ])articolaii dispense,
o delle proroghe a' termini, o di simiglianti cose.
Ne riporteremo a giustificazione dell'assunto al-
cuni esempli.
Trovansi al titolo della intitolazione de' ruoli cen-
suarii, non pochi decreti, e rescritti diretti unica-
mente a prorogarne il termine.
Al titolo delle iscrizioni e trascrizioni, oltre ai
decreti transitorii relativi alla riorganizzazione degli
ufficii, che per le infauste vicende del 1820 sof-
frirono incendio, o dispersione, si leggono le istru-
227
zioiil da' DiieUoii emesse per lo servizio degli uf-
lìzii medesimi.
Si parla de' notaj , ed ivi una folla di decreti
toccanti le pleggerie , il termine a presentarle , i
diritti de' notari futuristi, e tante altre cose atfatto
inutili.
Si parla degli atti dello slato civile, e quivi due
circolari, perchè si solleciti la stampa degli atti e
de' legisti, e perchè si richiami agli ulllciali il do-
vere di rilasciar gli atti a' richiedenti gratuitamente..
E poscia un decreto che accorda la sanatoria a
taluni contratti stipulati senza lo forme notarili tra
massari, e mercatanti, un altro che abolisce un de-
creto del 1817 pubblicato in Napoli, perchè le di-
sposizioni di quello fecero parte de' nuovi codici,
un'altro che accoida al giudico del Circondario di
Capua il grado , e gli onori di giudice di tribu-
nale Civile, una circolare che avverte a' Ricevi-
tori approssimarsi il Icimine a presentare le loro
pleggerie, un decroio che assegna una somma an-
nuale a' diversi collegi giudiziarii , onde supplire
alle spese delle cancellerie, una ministeriale , che
avverte gl'impiegati presso le cancellerie de' circon-
darii, che non commettano abusi nella percezione
de' dritti, e tanli altri di simil natura. Cose tutte
che non interessando per nulla i sistemi della le-
gislazione, avrebbero dovuto eliminarsi, e che cer-
tamente ove si fossero messe da banda, avrebbero
di gran lunga diminuito il volume dell'opera.
Mentre però tanta sovrabbondanza vi ha di cose
inutili, è notabile la mancanza di non pochi atti
legislativi, che non potevansi trascurare senza ve-
nir contro allo scopo principale di questo lavoro.
E perchè esso ancora non è coudollo al suo ter-
228
mine, clivicViamo in cine classi le leggi di cui la
mancanza pare a noi che renda l'opera monca, e
difettosa. Nella prima riponiamo quelle intorno alla
materia delle quali in nessun luogo ha l'A. sinora
trattalo, e di esse non farem parola, perchè ci giova
credere, che saranno prodotte nel seguito dell'opera;
nella seconda collochiamo quelle circa al cui sog-
getto si è ne' precedenti libri discorso , le quali
ritenendo noi come pretermesse, noteremo appo-
sitamente, ed in ciò terreni dietro all'ordine stesso,
con cui l'A. ha distribuito le materie.
E si faccia principio dal primo libro. In esso
il titolo I. tratta delle leggi eversive de' fedecom-
messi, e perchè entrano nel piano dell'opera noa
pure le leggi, ed i decreti, ma sì ancora i reali
rescritti , così non potevan tralasciarsi quelli che
determinano le sorli de' così detti monti di fami-
glia: mancano quindi
I. Il rescritto del 3o gcnnaro i8ic), che sul dub-
bio se i monti di famiglia fossero restati colpiti dalla
legge aboliliva de' fedecom messi, dichiara che nella
generale abolizione ricadde tutto ciò, che sotto altro
aspetto, contenesse col fatto le sostituzioni abolite.
3. Quello del ig aprile 1826, che distinguendo
i monti destinati jier maritare, o monacare le fan-
ciulle , o per qualunque altra opera di pubblica
beneficenza, da quelli che racchiudono i veri via-
coli del fcdccomnicsso, determina che i {)rimi re-
slaiono conservali, e che i secondi furono colpiti
dalla abolizione, e che però puossi per quest'ultimi
provocarne lo scioglimento.
INcl tit. III. ove si tratta de' IMajoraschi, manca
il decreto del 9 agosto 1824 , che attribuisce al
Procuratore generale presso la Corte Suprema la
229
facoltà di fare la Islruzionc delle prove , die ap-
poggiar debbono le dimandc per la istituzione di
essi ,
Nel tit. IV. ove è ragione de' verbi regii im-
partiti sulle antiche alienazioni degl'immobili, non
si tien conto del decreto del 3 gennaro 1826, il
quale mentre permette che sotto il moderno reggi-
mento jiossa chiedersi per cautela delle vendite il
verbo regio, conferisce al Luogotenente generale la
facoltà di spedire le corrispondenti cedole di salva-
guardia.
Nel tit, V. si parla delle intitolazioni de' ruoli
censuarii, e si trascura il decreto ed il regolamento
del 17 ottobre iSaS, che determina la forma di
procedere onde oltenere siffatta intitolazione.
In questo luogo continuando la materia delle in-
titolazioni,avrebbe dovuto opportunamente collocare
il decreto del 21 settembre 1819, rij)rodotto quin-
di nella legge del notariato pubblicata nello stesso
anno, e quello del i/\ dicembre 1819, ne' quali si
])rescrive in qual modo si possano intitolare gli anti-
chi contratti , e le sentenze delle cessate autorità
giudiziarie.
11 tit, VI. si occupa della materia tanto inte-
ressante degli assegnamenti per causa di soggioga-
zioni, ed in esso son pretermessi i seguenti decreti:
1. Quello del 18 agosto 1825 pel qiigle abolita
la commissione delle vendite forzose, e volontarie,
fu prescritto che i giudizii introdotti nell'interesse
di quc' debitori, che bau voluto oggi fruire de' be-
nehcii dell'assegnazione , dovessero continuarsi dai
rispettivi giudici deputati,
2. Quello del dì 8 ottobre 1825 per cui si per-
mette, che possano offerirsi in assegnamento i ca-
23o
noni ili ilomlnio sopra terre, ed i mollili che fan
l^arle de fondi rustici,
3. Quello del ^4 ottobre iSaj, che stabilisce i
termini entro i quali dovranno prodursi le oppo-
sizioni a' piani di distribuzione, e collocazione, e
gli appelli avverso le sentenze dilFinitive di asse-
gnazione.
4. Quello del 23 dicembre iSaS, ed il regola-
mento che vi sta annesso, per effetto de' quali si
attribuisce al Luogotenente generale la facoltà di
spedire le cedole di salvaguardia per la imparlizione
del verbo regio, sulle assegnazioni coattive, e vo-
lontarie, e se ne determina la forma.
5. Quello del 23 maggio 1827, che ordina non
potersi il verbo regio accordare alle assegnazioni
volontarie, ove prima non abbiano le forzose ac-
quistato l'autorità delle cose giudicate.
Senza tener conto del decreto del 26 genn. i83i
che proroga le giurisdizioni de' giudici deputati ,
dopo compiute la assegnazioni, per la decisione di
quei giudizi loro trasmessi dopo l'abolizione della
Commissione delle vendile, e di quegli altri in li-
nea di spropriazìone forzosa introdotti in pendenza
delle risj)cllivc deputazioni, e dell'altro decreto, e
del rescritto del corrente anno i832 circa a' casi
ed alle forme , onde pronunciarsi lo scioglimento
delle deputazioni, perchè la data loro è posteriore
alla pubblicazione di quest'opera.
ISel tit. VII. ove trattasi de' dritti promiscui,
manca il decreto del 20 dicembre 1837, nel quale
si dettano le norme onde valutare i drilli, e le ser-
vitù de'fontli soggetti all'abolita promiscuità; e man-
ca ancoia il rescritto del i4 gii'g'io 1828 nel quale
fu detcrminato, che ove molli fossero i composses-
23l
sori de' fjndi soggetti alla promiscuità , potessero
le citazioni intimarsi per editto, e che qualora ve
uè abbia di quelli, die Irovinsi stabiliti in paese
straniero , possati le citazioni rilasciarsi nel domi-
cilio dell'ultinio de' componenti delle rispettive com-
missioni di ogni valle.
Nel lit, vili, che raccoglie non pochi atti le-
gislativi intorno alle iscrizioni, ed alle trascrizioni,
difettano
1. Il decreto del aS dicembre 1822 , che de-
termina il modo dietro il quale si eseguano i cam-
biamenti di domicilio ne' registri di conservazione
delle ipoteche.
2. Quello del 10 gennaro i83o, il quale prescri-
ve, che i conservatori son tenuti a rilasciare a' ri-
chiedenti i certiOcati delle iscrizioni prese sopra uà
immobile, siano essi parziarii, 0 suppletori! .
3. Quello del 2 maggio i83o, relativo al rila-
scio de' certificati de' movimenti delle inscrizioni
per causa di rettificazione, riduzione, o cancella-
zione.
Nella seconda serie de' titoli di questo libro, il
tit. I. si occupa de'notdj,e delle camere notarili,
e non trovasi in esso il decreto del 4 ^pi'ile i83o,
che inculca a' notari il dovere di dar conoscenza
a' sindaci, ed a' giudici regii, delle disposizioni pres-
so i loro atti ricevute , a profitto de' poveri, dei
Inoghi pii, e dei pubblici stabilimenti.
Si passa quindi al secondo libro, ed in esso al
tit. II. si palla delle servitù d'introspetto sugli edi-
lìzii di regio uso, e si trascura il decreto del 27
agosto 1829, che dichiara a tal uopo quali siano
gli edifici! di regio uso.
Trattasi nel tit. III. de patronati e mancano in
esso
232
1. Il decreto del 4 agosto 1825, die stabilisce,
che ove i Baroni per difetto di giuslHlcazione dei
loro titoli, abbiano perduto il patronato sulle chiese
esistenti ne' loro ex-feudi , restino tuttavia obbli-
gati al soddisfacimento delle congrue state da loro
alle chiese medesime accordate.
2. Quello del i3 settembre 1828, che conserva
agli stranieri appartenenti a nazioni, colle quali si
ha ragione di reclprocanza , i dritti di patronato
tanto attivo, che passivo.
3. Quello del 16 settembre i83i, che estende
alle cappcllanie laicali le disposizioni del decreto del
riO luglio 1818, circa al ristabilimento de' patronati
particolari.
Parlasi nel tit. IX. del termine a produrre i
ricorsi per annullamento avverso le decisioni delle
Corti di appello ne' giudicii di opposizione al ma-
trimonio, e si trascura il decreto del i/\ marzo i83i,
che assegna il termine, entro il quale dcbbansi pro-
durre gli appelli dalle sentenze de' tribunali civili
ne' succennati giudizii oppositorii.
Nel tit. X. si tratta de' matrimonii clandestini,
e di quelli cosi detti di coscienza, e si tralasciano
i reali rescritti del 3 maggio 1820, del 5 aprile 1822,
e del 21 giugno 1823, per elTello de' quali siri-
chiama in esecuzione la bolla Satis Nobis relativa
a' matrimonii di coscienza, e si dichiara come essi,
sebbene tollerati, non partoriscano gli effetti civili.
Segue il terzo libro. Ed al tit. III. parlasi dei
depositi giudiziarii, senza che si tenga in alcun conto
il decreto del 26 marzo 1827 intorno a' depositi
da farsi nelle ofllrtc in sesta ne' giudizii di spro-
priazione forzosa.
Il tit. VII. si occupa delle cauzioni cui son te-
nuli gli agenti della finanza, e qui si desidera
233
1. Il tlccrelo del 3o maggio 1824, che tleler-
niiiia il modo onde si prestino siflalle cauzioni.
2. Quello del 12 giugno 1829 l'iguardante le cau-
zioni, che preslar deggiono i Conservatori delle I[)0-
teche, per sicurezza degl'interessi de' particolari.
3. Quello del 18 marzo i83o, che prescrive le
norme, dietro le quali si fa la valutazione dcgl'ira-
inobili, che per tali cauzioni si offrono.
Si procede al quarto libro. Ed il tit. II. ticn
ragione delle attribuzioni della Consulla generale
del regno, fra le quali vi ha pur quella di decì-
dere i conflitti che sorgono tra le autorità giudizia-
rie di Na])oli, e quelle di Sicilia, e si tiascura il
tlecreto, ed il regolamento del 16 novembre 1825,
che prescrive delle forme speciali di procedere, nei
casi di tali conflitti. Altra facoltà della stessa Con-
sulta è quella di dirimere i conflitti tra le auto-
rità giudiziarie, e le amministrative, e si tralascia
il decreto del dì 8 ottobre 1825, che stabilisce come
siftàlti conflitti si possano elevare in ogni stalo di
causa, anche in pendenza de' ricorsi per annulla-
mento, o in grado di opposizione di terzo.
Nel tit. XIII. si esamina un reale rescritto re-
lativo al rinvio delle cause alle autorità più vicine,
ne' casi di legittimo impedimento de' giudici re-
gii, e de' sup])lenli loro, e non si porta il decreto
del 23 settembre 1829, che ha reso più autenti-
che le stesse regole.
Si vien poscia al quinto libro; ed al tit. XIII.
si parla dei soldi, e di tutt' altri averi che sono
incapaci di sequestro, e non si trova il rescritto del
3o ottobre i83o, che dichiara il dubbio se valer
debba la slessa regola per tutl'altri soldi, che iioa
si pagano dalle regie casse.
234
In questo titolo avrebbe avuto anche il suo luogo
il decreto del i4 •uagg''^ 1823 , pel quale è sla-
bilito essere insequestrabili le somme liberate agli
appaltatori di opere pubbliche, salve talune ecce-
zioni.
Il tit. X. si aggira intorno alle forme partico-
lari^ onde si ricevono in giudizio i giuramenti, e
le deposizioni delle persone costituite nelle prima-
rie dignità, e non si tien conio del decreto del z'J
agosto 1829, che riguarda i giuramenti, e le de-
posizioni delle claustrali.
Il tit. I, del sesto lib)0 tratta della naturaliz-
zazione degli stranieri , e trascurasi in esso il de-
creto del 17 decembre 1817, che prescrive, quali
requisiti si ricerchino, onde ottenerla, e l'altro del
18 maggio 1818, che attribuisce agl'Intendenti la
conoscenza delle giustificazioni di essi.
Il libro ottavo al tit. I. parla degl'inventari, e
non porla il decreto del 29 decembre 1828, che
stabilisce le forme compendiose, onde si proceda a
quello delle scritture ereditarie.
Il libro nono comincia da un decreto intorno alla
valutazione degl' immobili in caso di s[)roj)iazione
forzosa, e trascura la legge del 29 decembre 1828,
che prescrive una nuova procedura da seguire in
siffatti giudizii; legge che segna forse una delle mag-
giori vicende che abbian subUo i codici del 18 ig
dopo la loro pubblicazione. Si noti però chel'A.
nel I. volume alla pag. 227 avea promesso di trat-
tare espressamente di questa legge, e certamente o
era questo il luogo di parlarne, o l'esame di que-
sto decreto dovca riunirsi a quello della logge ge-
nerale della spropria.
Il lit. II. dell'undecimo libro si occupa degli ap-
235
pelli prcs.'jo là Gran Corte tie* Conll , ed inUuito
uefiSLin TJìollo de' decreti del 'j geiinaro , del i
febbiaro 1818, e del 24 uoVembru 1827 relativi
alla istituzione, alla organizzazione, ed alla forma
di procedere di questa Corte, oltre a non | oclii ai-
tri posterioii, che dichiarano i precedenti , e che
ne estendono le attribuzioni; e mentre tanta parte
dc]ro|icra si è data alla Consulta del regno, nulla
si è conceduto a questo magistrato, che è il primo
fra le smtoiììk del contentioso amministrativo.
Queste soijo le più importanti mancanze , che
dojjo un sommario esame degli atti legislativi pub-
blicati sino al i83i , ci venne fallo di rilevare :
eppure non tenemmo alcun conto di infiniti altri
decreti, che, non avendo alcun rapporto colle ma-
serie dijIl'A. sinora trattate, credemmo prudente con-
tiglio il pretermi^ttere, nella speranza che siano essi
destinati al seguilo dell'ojiera.
E qui si concluda quanto a questa parte della
scelta delle leggi, che Sf'ml>ra per le cose dette, noti
aver l'A. mostrato quella esaltezza di giudizio, per
cui le cose inutili doveausi tralasciare, e le neces-
sarie non preterire; e da ciò ne è avvenuto che il
suo lavoro risguardalo dal lato delia soprabbondanza
delle cose jioco utili, si troverà soverchiante, e ris-
guardalo dalla j)arte del mancamento di infinite al-
tre, si troverà difettoso ed incompleto.
III. Ma basta intorno a questo, e si volga ora il
discorso sulla parte che riguarda i Comenli.
Sarà contiìiuaio.
Em MAN VELE ViOhA
236
Pensieri Jìsico'chinii ci sulla vita , di Antonino
FuRiTANO dottore in medicina^ professore di chi'
mica nella R. Università di Palermo^ ec. ec,
— Palermo presso Lorenzo Dato i83i, voi i°
in-8.", di pag. 207.
J^e le scienze mediche in generale vanno altrove
superhe dei nomi di coloro die intenti sono a col-
tivarle con ardore, ed impégno, non manca alcer-
to Ira noi chi si addica con sommo studio a far-
ne rimembrare perpetuamente i progressi, ed a se-
gnalaile nei fasti del siciliano sapere. La chimica,
per tacerci di lutt'altre branche di esse, al pari in
lustro in Sicilia, segna a prefeienza un passo vera-
mente glorioso verso la di lei perfezione ove di ac-
cordo con la fìsica si fa nelle mani del prof. Pu-
ritano a darci contezza dei fenomeni vitali e mor-
bosi riducendo ambi i sistemi, fisiologico, e pato-
logico, ad unità di principio, la (juale per poco ri-
spettata, e spassionatamente dai veri dotti, non sa-
prebbe dirsi abbastanza come la comun patria si
appalesi ancora per noi madre non degenere di quei
sommi che vissero un dì alla di lei preeminenza si!i
le jjiìi colte nazioni d'Europa.
K non e al certo l'opera del momento, sì bene
il fruito di lunghe meditazioni, e di non lievi tra-
vagli del nostro dotto concittadino, quell'ave!' egli
non seguito i fisiologi di lui predecessori, ed i pa-
tologi tutti per dimostrare da se nel primo voluuìe
che esaminiamo come il corpo umano può ben so-
migliarsi a macchina elettro- cìùniico-s'itale con dei
!i37
corrisponclenti apparecclil, di cui la natura si serve
per mantenere iu esercizio le funzioni delle diverse
specie di vita che da noi si conoscono. I nervi quin-
di non sono addetti per l'A. che a produrre degli
svariati fenomeni vitali, e morbosi simili a quei che
dipendono dalla carica^ e scarica elettrica^ e dal-
l'arco elettrico, per lo die questa macchina viene
rappresentala nella nuova teoria del Puritano dal
cervello, dal cervelletto, dalla midolla allungata e
spinale, e dai due nervi gran-simpatici. I punti in
cui si anastomizzano le estremità de' varii vasi del
corpo son da lui chiamati collaretti^ ed avviene a
lai modo che le estremila, co' loro rami, o fili, dei
nervi i quali si sparpagliano alla superficie dei mol-
tiplici tessuti del corpo nostro, e che destinati so-
no a ricevere le impressioni di un'agente qualunque,
costituiscono i nervi caricatori^ e l'insieme delle loro
funzioni ciò che dicesi vita sensitiva. Le estremità di
quei nervi i quali si perdono nei tessuti muscolari, i
rami o fili delle prime, non sono propriamente che i
nervi scaricatori^ e le loro funzioni stabiliscono la
così detta vita motrice. Finalmente le estremità dei
nervi che metton foce nei collaretti anzi espressi
formano gli arco-nervei del nuovo apparecchio elet-
tro-chimico-vitale., provengono dal sistema ganglio-
nare, e le loro funzioni dan luogo alla vita vege-
tativa^ o potenza del chimismo vitale esistente nei
collaretti , in virtiì della quale succedono tutte le
secrezioni destinate alle funzioni non solo, ma alla
nutrizione de^li organi. Segue in somma dall'opi-
nare del Puritano, che la carica di un tale appa-
recchio, e l'esercizio delle facoltà dell'anima dipende
dall'impressione che ricevono i nervi sensitivi; la
scarica dello stesso dai movimenti dei nervi motori,
19
a38
E siccome gli effetti del nervi, ■lorcl^è sono essi nel-
lo stalo iialuiale, non possono non ii])clersi clic da
un fliiiùo imponderabile, dello nerveo od elettrico,
così tali nervi non mirano che a conservare nello
sialo normale le funzioni delle" tre nominale specie di
vita: 1° per le lor connessioni col midollo encefali-
co: 9° per l'equilibrio dell'azione reciproca tra i ner-
vi caricatori, e gli scaricatori: 3^ per la normale
circolazione nervca o cammino perenne òeì Jluido
neiveo dai gangli nervosi nei nervi positivi, da que-
sti nei negativi, o da quest'altri nei primi: 4° P^-^
lo stalo di circolazione sanguigna del sistema ner-
voso: 5.° per quello di nutrizione, e di nettezza di
tutti gli organi che ad una tal famiglia apparten-
gono.
Per le medesime ragioni inverse succede che non
connettendosi i nervi col midollo encefalico; discor-
di fra loro nell' agire i caricatori con gli scarica-
tori ; anormali per poco che siano la circolazione
nervosa, la sanguigna, e la nutrizione degli orga-
ni suddivisati; non può non derivarne all'opposto
che uno sconcerto notabile nelle funzioni del cor-
po, ed in ciò realmente consiste lo stalo patologico.
Oltre a ciò «i nervi, dice l'A., siccome sono sotto
l'influenza della nutrizione, perciò le loro normali
funzioni , olire che dipendono dalla loro comuni-
cazione con la macchina eleltro-chimico-vilale, sono
sottoposte al loro stato normale di nutrimento, e di
nettezza. E siccome i processi di nutrizione, e de-
purazione sono influenzali dalle funzioni dei nervi
sensitm e wotorl, così le funzioni di questi nervi
dipendono dalla nutrizione, e dal processo depura-
tivo. Sotto questo intendimento è facile a capirsi,
che sebbene, a nostra maniera di vedere, i feuo-
meai normali della vita sensitiva^ della vita motri-
ce^ e della vita vegetativa sieno diversi fra loro;
pur nondimeno essi risultano dall'equilibrio di quel-
le funzioni che appartengono alle tre suddette vite
diverse: per cui i fenomeni normali della vita sen-
sitiva , e della vita motrice dipendono dalle nor-
mali funzioni della vita vegetativa, ed i fenomeni
normali della vita vegetativa , oltreché dipendono
dalle funzioni dei nervi ganglionari nei collaretti
delle anastomosi dei diversi vasi , anche sono di-
pendenti dalle funzioni dei nervi sensitivi e motori. jj
A comprovare l'assunto cita l'A. le osservazioni di
S autonome Seguin sulla perdita che di materia nello
slato di salute fa un'adulto io 24 ^""^ eguale a quella
di cui si era sufficientemente servito per cibi e per
bevande, non che l'altro fenomeno pur costante in fi-
siologia sperimentale che ogni qualvolta l'uomo si ci-
ba, immette nella di lui circolazione una tal quale
quantità di chilo equivalente alle perdite che fa il
sangue arterioso nel nutrire l'intero organismo. «Que-
ste due operazioni, conchiude poi l'A., cioè nu-
trimento da una parte, e nell'istesso tempo non au-
mento di peso dall'altra, ci rendono sicuri che den-
tro di noi, nello stato di salute si esercitano senza
interruzione, ed in tutti i punti dell'economia, due
processi diametralmente opposti. Uno dei quali di-
pende dalla vita vegetativa^ e l'altro lo crediamo
con fondamento dipendere A a\V attrito della vita,
o sia dal consumo prodotto dall' esercizio di tutti
gli organi della nostra econoaiia. Dal primo dei
suddetti processi ne risulta ranimalizzazione di quel-
la materia che proviene dai cibi, e dalle bevande;
l'altro processo cagiona l' alterazione della materia
aaimalizzata , per cui essa diviene eterogenea alla
nostra economia. Quindi riesce facile a concepirsi
che il primo processo indica la nutrizione , ed il
secondo marca lulto ciò che si va alterando a causa
dell'allrito della vita.w
Ciò premesso, egli il nostro benemerito A. riu-
nendo sotto unico punto di esame, e sotto il me-
desimo, principio da cui si parie ciò che è sparso
in varii luoghi della sua opera, crede che la nutri-
zione con certezza dipenda: i .° dai nervi sensitivi,
le di cui funzioni servono a iarci sentire il bisogno
di nutrirci, e di riparare alle nostre perdite, per
cui cerchiamo e prendiamo gli alimenti appropriati
al nostro organismo: 2.° dai nervi molori , le di
cui funzioni servono a far succedere quei movimenti,
che servir devono di ajuto a varie funzioni ; 3.®
dalla funzione dei nervi ganglionari nei collaretti
delle anastomosi dei diversi vasi , per la quale il
illùdo Jierveo rnettendosi in corrente, ossia {orman-
do arco-neiveo nell' attraversare il sangue ne fa
succedere varie secrezioni. Alcune di queste servo-
no pella funzione degli organi, altre per realizzare
la nutrizione di tutti i tessuti, evi sono finalniiente
quelle che devono essere evacuate dagli organi a
tele oggetto destinali dalla nalura , altrimenti re-
cherebbero uu positivo nocumento alle funzioni nor-
mali della vita: 4^° dalla digestione, la quale serve
a cambiare i cibi, e le bevande in chimo, e que-
sto in chilo ed in materia stercoracea ; 5.° dalla
circolazione per la quale il chilo si possa mescolare
con la linla ^ e col sangue venoso , e così passare
attraverso dei vasi convenienti, ec: 6,° dalla re-
spirazione, la quale serve a cambiare in sangue ar-
terioso il chilo, ed il sangue venoso, ed a purifi-
car quest'ultimo dal guasto che vi è senza iuter-
24 l
tuiione coii(3otto dai vasi linfatici interstiziali , e
di superficie. Ed in quanto a\ guasto in parola ^ o
cambiamento sensibile della materia animalizzata
in materia eterogenea scrive di essere un prodotto
dell'altrito anzidetto, e che assorbita dalle boccucce
dei linfatici summentovati, e trasportata nel siste-
ma venoso «è fuori espulsa dall'espirazione al mo-
mento che nei collaretti arter io -bronchiali viene
cambiata dall'ossigeno dell' aria in gas acido car-
bonico ed in acqua. w Questa funzione dei linfatici
essendo perenne preserva gli organi dagli effetti si-
nistri della materia eterogenea, e si può conchiu»
dere, dice lA., «che questo processo depurativo
dipenda da tre funzioni, cioè: i.° dalla forza assor-
bente dei vasi linfatici di superfìcie in virlìi della
quale restano purgati tutti gli organi di una ma-
teria che è straniera alle loro funzioni, ed alla loro
vita: 2." dalla vita motrice per opera della quale
si mantengono esercitate le funzioni dei bronchi e
loro rauji: 3.° dalla funzione dei nervi ganglionari
nei collarelti arterio-bronchiali.w II ben essere adun-
que non solo risulta, secondo l' A., dallo slato nor-
male dei nervi, sì bene dall'equilibrio tra le fun-
zioni nutritive e quelle del processo depurativo. E
sii lo squilibrio di queste funzioni pogiando anche
lo slato patologico, con maturo giudizio perciò va
egli in prima discorrendo di esse fisiologicamente;
esamina quindi sotto quali cagioni possono sconcer-
tarsi , ed in questo slato patologico in quali rap-
porti si mettono i dilTerenti tessuti; quali malattie
scaturiscono, e con quali mezzi ritornare le perver-
tile funzioni al primiero lor poslo(i).
(i) È inutile intertenerci ad analizzare fil filo il breve eslralto
elle si e da taluno arcbilcttrito riguaido a' Pensisi i Jlsico-chiinici di
ALLcncliè non comiaula ìnleramcnfe questa ope-
ra, vi abbiamo però quel tanto di fisiologia, e di
patologia che possa farci conoscere come l'A. non
\ada in lutto fallato nei suoi pensamenti. La secre-
t'uritano nel principio d'una critica inserita al nura. iiSdel Gior-
nale di scienze, lettere , e arti per la Sicilia. D'altronde sarebbe
]o stesso che lambiccarci fuor di proposito a voler ripescare dalla
pag. 2a sino alia 28 giierrori, e le alterazioni che i critici vi Uhiit
DO sparso a lor talento. Tenghiamo bensì per certo che coloro ai
quali sta innanzi l'opera originale del Puritano ravviseranno in
quelle pagine 1' abbozzo infedele di una dottrina oscuramente in-
tcrprctula, o, a dir meglio, svisata nei sentimenti, nel legame , e
iìnanco nelle parole istesse. E siccome falso eia già il compendio
che i critici addobbato avevano di quella dottrina , facile perciò
riusciva di poterla in seguito a lor bell'agio confutare. Giova non
pertanto osservare che la maggior parte delle difficoltà opposte al
puritano son vergate a modo di cortissime dimande vaghe, inesatte,
e non coerenti alle opinioni dcll'A.; e sa ogriuuo che allorquando
mancano sode e robuste ragioni alla provadi un qualche argomen-
to, e solito farsi uso di mille superficiali interrogazioni, ornandone
a zejipo i leggieri e barcollanti periodi. Inoltre nel voler eglino
citare pomposamente, e forse con esagerazione, alcune idee dcll'A.
per ismungernc a stento degli errori, si rappresentano gialla ogni
cosa, accozzano diverse parole separale, e brevissime proposizioni
lontane molte miglia fra loro, or ne inventano delle nuove, ed or
ne sopprimono: e cosi senza principio, mezzo, o fine congegnano
dei bizzarri discoisctti che non furono giammai scritti dal Fiiri-
lano. Infatti a pag. ^o dispongono la rete col seguente indoviiiel-
Jo. t(Lc idee riguardanti la respirazione non sono meno erronte del'
le precedenti, così è da notare che nel mentre alla pag. i5 scii-
ve (cioè il Furitano) «la respirazione serve a cambiare in sangue
arterioso il chilo ed il sangue venoso, e a pur ficar quest'ultimo dal
guaslosenza interruzione condottovi dai vasi linfatici interstiziali e
d' superfìcie vii quale guasto è apfjunto la linfa» dice poj(pag.58jca innanzi da pochi sci liori,
lo che non è vero ne' sensi, e nèll'opinaic dcllA.; copuno alcuni
tratti della Jlsiologia dell'uomo di Adelon, e Carichi di v;iric aulo-
rità che nulla influiscono a consolidare il di loi o assumo, con-
fessano a pag. 3i, forse senza avvedersene, che il Furitano solo
ne ha esleso le t'ecìute, ne ha accresciuto le jjai ticolaritù, ha cre-
duto in somma poter formarne un sistema, h-cco il giusto elogio
dovuto all'A., e scappato involonlariamciile dolila loro penna.
(a) Si vonehhe dai critici tof;lieie dell'iiilulto un tanto mento
al Furitauo, e a noi che ardenti siamo di cose nostro, e gclohanienle
le custodiamo, non sarà cerlamculc negato di esporre in chiaro
lume gli errori della critica per difendere il vero.
Oltreché attaccano la dottrina fisico-chimica con falsi ragiona-
menti, dicono che il sistinia esposto è manchei'nle, accusano l'A.
di aibitrio in alcune disposizioni organiche, e gralulamenic lo
rimproverano di aver commesso parecchi erroci anatomici , fisiolo-
gici , e patologici , la maggior pane dei quali infilzano verso il
termine della confuta in lunghissima annotazione. P'ioi temendo di
peider le cervella in mezzo alle contraddizioni ed alle tenebre,
uè amando d'imbrattare le nostre carte d'inutili contrOYCrsic, riT
leyar «oltaato faremo gli errori in cui son caduti.
ù45
Ecco 11 maeslro nelle clilniiclie (liscipline, ed ecco
non isfiiggito alla di lui somma intelligenza alcua
che veramente di nuovo, e di grande per la sci-
enza, di decoro e di utilità per la patria. Possa-
no gli stranieri incoraggiare quest'uomo più che
inazionali a cose migliori, e durevoli!
S. T.
Priniaincnle nella pag. 4'i non badando essi a citare il testo,
ed i luoghi originali dell'A , ^uppougono che questi abbia parago-
nato la deconiposÌ2Ìoiìe oì gunicu ad un meccanico slinjinio ; td
asseriscono aiitiic inoppoilùnamente che Ftu'ilano ignora j' numeio-
si pezzi adopei uli dalla nalura onde impedire al piit possibile l'at-
ti ito nella iliaci liina dell'uomo, quali sono le capsule smoi'ialiy le
memi rane sieiote^ il fiosso, ec. ]Noi da una parie ci pcriMcHiaino
di far r, delti re che non si risc.onira in vcrun passaggio dei Pensieri
questo mcccvnico slrojìnio; e se a pag. 05 il Funlano ha nominalo
seiiipi cenieii te per incidenza lutti ito delle noi mali funzioni degli
org'ini, ha voluto saggiamente espi imcrsi col linguaggio di tulli i
fisiologi vitalisti: infatti alla pag. 68 scrive con chiarezza per l'at-
trito della vita^ die vale, giusta il senso comune ed ordinario, non
già nteccaiìico strofinio , ma si bene esercizio della denutrizione,
ovvero comuiiio delle molecole nutritive, fc, poi su tal riguaido non
era presumibile, chiosando le parole ittessc del Fuiitaiio, che le
funzioni efìctlo delle proprietà dei tessuti , degli organi , e degli
apparecchi a\eBsero potuto eseguire un attrito dichiarato erronea-
mente da' critici col termine generale di meccaiTico stro/inio. Gli
avveitiamo dall'altro lato che non era necessario di farci sentire i
propiii erróri, atico negli scolastici elementi della più supei Ocialc
fisiologia, domentre tiovavaiisi impegnati ad investigare gli altrui;
conciosiachè non è vero che le capsule sinoviali , le membrane
sierose, ec. impediscano Vattrilo nella macchina animale, ma piut,
tosto credi r dobbiamo cbe rendano viepp ù spediti i movimeiili
di quegli organi coi quali sono in contiguità, favoicndoli col pro-
dotto delle esalazioni, e che inoltre bervano a molti usi da' critici
soltanto ignorati.
INclla jag. ^2 scrivono in secondo luogo le bevande alle quali
si appartiene l acqua non tutte in chimo si coni-ertono, anzi l'acqua
stessa inalterala si' assorte , e quella quantità di tal Jluido che
nell'altre bevande si contiene, separasi dagli altri principii e viene
assorbita. Ma [lercliè mai ci presentano una dottmia tanto vera
quanto inutile ali uopo? Forse per dimostrarci che Puritano non
conoscca quella distinzione messa innanzi dall'illustre Magcndic,
cioè a dire che l'acqua o sola o contenuta nelle varie bevande
non si ciiiiiLia lu cliimo? Eglino non indicano paragrafo ove l'A.
246
abbia negata una tal vcril.^ , e questi nell'articolo digestione alta
pag. 46 e seg. di tull'altro discorre che di simili differenze-, i critici
adunque han sognato un'errore che affatto non rinvenghiamo nei
Pensieri. Ciò malgrado ecco smentita la di loro proposi tiouc da
nn luogo dell'opera islessa: perocché Faritauo a pag. i (3-43 e^iiri-
niesi nei vegnenti sensi « le acque potabili sono molto salutari
qualora in rapporto alla natura ed alla quantità dei cibi vengano
usate con proporzione ; perchè favoriscono l'azione reciproca d'\_
essi, e dei succhi digeslorii, scemano il calore in eccesso che si va
accumulando nel corso della digestione, ed a misura che sono as'
torhile dai vasi linfatici di superficie del ventrìcolo , dànuo al
sangue venoso quella liquidità che si conviene per liberamente
circolare.» Ora pongasi mente all'accusa anzidetta, ed al periodo
già citato, e si vedrà di leggieri che Puritano saprà mollo bene che
l'acqua non convertesi in chimo, e the anzi inalterata si asiorbe.
Alla pag. istessa 4'* vuoisi da' critici che l'A. avesse scritto del la
genei azione (strano appetito! desiderio fuor di luogo!), che avesse
tirato da tutti i libri di anatomia tutte le anastomosi dei nervi
ganglìotiari co' cerebrali, e spinali: pretendevano in somma contro
Io scopo- dell'opera che il Puritano ci avesse regalato di due trattati
interi di anatomia e fisiologia.
È cosa da ridere in terzo luo2;o il vedere come tentano obiigare
al coltello anatomico, il quale impera solamente sulla risibile e
grossolana contestura delle |)arti, un filosofo che annunzia dei prò.
fondi concetti sulla primitiva origine e sul termine de' filetti nei'-
TO.si , che dilucida la più regolare unione delle arterie, delle ve-
ne, e dei linfatici in un sol punto di comunicazione^ mentre poi
non san fare di meno, non ci ammaestrano come vadano natural-
mente le faccende, e si rimangono d'ogni dove nella totale oscu-
rità. Riguardo al linguaggio scientifico della botanica nomenclatura
da cui tolse l'A.. il caratteristico nome di collaretto i critici vaii
menando dispregio, ed allungano foitcmente il muso; mentre nelle
loro poche pagine, ed in altri libricciuoli si mostran plausibili, C
tacciono alle cosi delle vibrazioni, alle forze indobanti e catabanti,
agli energetici, ec. ec.
Corregendo al solito il Puritano dettano nella pag. 3g che Var-
teria renale non forma con l'aorta un'angolo acuto in basso, ma
all'incoHlro un'angolo retto, ed bau tralasciato il lesto dell' A. il
quale nolo a pag. 47 che le arterie emulgcnti formano coll'aorla
Un angolo alquanto acuto in basso. Perchè tacquero l'alquanto"! Per-
chè non consultare i più noti ed ovvii scrittori che descrivendo
la sortila delle arterie in discorso dicono form^ir esse coll'aorla
Un'angolo piìi o meno retto? Perchè mai non calcolarono t'aflliisso
sanguigno- che necessariamente nello slato di vita le avvicina alla
•cissura renale da dentro in fuori, ed alquanto da sopra in sotto?
Leggesi in quarto luogo nella pag. 43 l'accusa falla all'A., cioè
di avere egli scritto che mettendosi in atticità le fibre muscolari
del ventricolo all'epoca della digestione , la secrezio/ie del succo
gastrico si sospende: però il Puritano annunziò il fatto diversamen-
te, anzi alla pag. 48 cosi si esprime «lungo il tempo della sccrczioue
dejli aiizidclli fticchi digestorii, i ncrti motori del vcnlricolo si
inatilcngono nel loro periodo di vita inattiva, per cui il sudilctto
viscere non presenta aicnn movimento.» Accennava con ciò quel
tempo di riposo in cui la fisiologia sperinienlale rinviene sempre
Io stomneo, dopo raccumiilamento dei cibi, e pria dei ccniincia-
menlo della chimitìcaziotie. Qual sospenziorie dunque d't succo pa-
strico all'epoca della digestione?..., dormono i critici? vegliano? o
se la lasciano scappare sul serio?
Ma questo è poco. 1 nostri critici a pag. 44 rimproverano il
Puritano in questo modo; la bile cistica non penetra nel duodeno
come si è supposto .(pag- Q^Of""'' ^« pressione del ventricolo^ quando
quello la riceve, questo ha già cominciato a votarsi, cioè ad al'
lontanarsi dalla cistifellea Crederemo clic l'A. si fosse ingannato
con tutti i fisiologi, e coH'oracolo del Richerand. il quale nel tomo
primo del suoi nuovi elemeìiti scrive uìa pressione, che gl'intestini
più o meno dislesi dagli alimenti esercitano sulla vescichetta fa-
vorisce questa escrezione» cioè della bile? no certamente. Che più?
Essi parlano di tessuto malpighiano, e di glaiidole sebacee, e l'A.
nemnien di passaggio ha nominato queste parti-, suppongono mu-
scolare nella testa del Furitano la struttura dei liniatici, ed ci
ragionava della di loro oscura contrattilità; non intendono il tra.
gitto della mucosa nel sistema vascolare dei polmoni provalo ad
evidenia dal nostro benemerito prof. Gorgone} insegnano che le
idropisie non sole dall'ostruzione del fegato e della milza possoii
derivare, ma ben anco dall'aumento di esalazione , e dalla dimi-
nuita attività assorbente, quando ancora non erasi pubblicato il
terzo fascicolo dell'opera che tratta a jiag. gb e seg. delle ultime
due circostanze; digrignano i denti sulla medicina espettante in a!
cune malattie, e sognano /ciirj gastriche, tnjìaniniatorie, e nervose
delle quali l'A. non tenne conto giammai, per contradiie le ten-
denze salutari della natura alla risoluzione di alquanti morbi....
....Ma già la nostra ultima nota par si facesse più lunga di quel-
la do' critici.... basta; il ]iubblico è saggio. « Qual mostra poi di
se abbian fatto gli oppositori de' Pensieri potrà facilmente chi
ha fior di senno giudicarlo.»
Degli JìYibi e del loro soggiorno in Sicilia. Me-
moria di Pietro Laisza principe di Scordia,
— Palermo i832.
Un periodo Len rilevante della storia di Sicilia,
quello della dominazione de' Saraceni, fu dagli eru-
diti e dagli scrittori delle cose nostre lungo tempo
negletto e quasi lasciato nelle tenebre. Kgli è solo
248
da circa un secolo addietro che valenti uomilii fìà
noi si diedero alle ricerche e allo studio di sì fat-'
ti popoli che tennero per pia di '2^0 anni la no-'
stra isola: ma dal Caruso in fi 110 al Gregorio ed ai
Morso, altro non si è fatto che preparar documen-
ti e materia da poterne compilare una storia, sen-
za esser questa punto ancor compilata. Il sig. Car*
melo Martorana si è accinto a tal lodevole impresa*,
e mentre egli pubblicava il primo volume di lunga
e laboriosa opera, del quale già si ragionò in queste
EfTemeridi, il principe di Scordia leggeva nell*Ac-
cademia di Scienze e Belle Lettere di Palermo la
sua breve memoria, che ha ora anche dato in luce*
In essa l'A. si fa in prima a ricordar come gli Ara-
bi in generale salirono a molla celebrità; e interle-
nendosi poscia su quelli che signoreggiarono la Si^
ciba, ragiona del loro governo , de' loro costumi,
della protezione accordata all'agricollura , al com-
mercio, all'industria, de' sontuosi edificj iiinalzalij
e finalmente dL'lle lettere ch'essi coilivaroiro e a
noi sostennero. Veggiamo in sì fatto opuscolo un
i-apido SI ma gradevol prospetto di questa parte
della siciliana istoria, ad una chiara e tacile esposi-
zione scorgesi congiunto mollo giudizio: e un cal-
do e nobile affetto dell' A. verso un'illustre patria
continuamente si manifesta. Se non che vorrem-
mo, che parlando della Sicilia noi siciliani, alcuno
non abbia a tacciarne di vanagloria, o almeno di
poca modestia nel vedere da noi medesimi ripetute
parole di stranieri soverchiamente cortesi, quali sa-
rebbero p. e. la Sicilia provveditrice e ad ^tcrie
e a Roma e alt Universo di tanti capolavori in
ogni ramo di arti belle; e che degli scrittori delle
cose degli Arabi non abbia in certa guisa a dirsi
i
^49
quanto il Savary nel proemio alla sua versione del
Corano disse di lutti coloro che han favellato di
Maometto, cioè che taUiiii lo hanno dipinto come
un mostro, mentre altri lo han lappresentato come
il più gran profeta: onde è da evitare la parziali-
1à di qntlli, non meno che l'entusiasmo di questi.
Ci co.ngraluliamo intanto col giovine principe di
Scord ia, il quale coltivando ardentemente le lettere,
volge l'ingegno ad argomenti che tornano in mag-
gior lustro della Sicilia: ne vogliam preterire ch'ei
seppe accrescer pregio al suo commendevole opu»
scolo con corredarlo di lunghe ed erudite annota-
zioni, e col dedicarlo a un uomo per profonda dot-
trina e per incomparabili virtù venerando, al chia-
rissimo Monsignor Giuseppe Capecelatro, antico Ar-
civescovo di Taranto.
Baldassare Romano.
I galanti e saccentini ìnoderni — Sermoni, di Pie-
tro Paolo Zappala socio corrispondente del-
l'Jccadeniia Peloritana di Messina — Palermo
stamperia Pedoni e Muratori mdcccxxxii ia-S.**
S^e nostro ufficio fosse il tacere di lutti quegli
scritti , che con discapito delle siciliane lettere si
van pubblicando, ci saremmo certamente astenuti
di ragionare di questi versi , che a dispetto delle
muse par che sieno stati dettati. L'Autore di essi
dopo del nostro avviso intorno ad un'altro suo poe-
tico componimento(i) si sarebbe dovuto persuadere,
che quante volte non sortiam dalla natura sifFalta-
(i) V. di queste E/remeridi Ioni, a, pag. irji.
niente disposti a sentire il bello, ed a saperlo vi-
vamente descrivere, inutil cosa è il voler tentare
un'arte cotanto difiicile, nc41a quale non è permesso
neanco di riuscir mediocri. Il perchè eoa nostra
sorpresa abbiam veduto metter fuori questo sermo-
ne, in cui par che sia stato precipuo scopo dell'Au-
tore descrivere i vizi tutti dei moderni zerbini, che
gonfi di orgoglio e d'ignoranza menar vogliono vita
nobilesca anche ad onta della loro condizione , e
comparir sapienti. E a dire il vero non si sarebbe
potuto scegliere tema ne più utile, ne più bello di
questo con cui esercitare i propri talenti per la satira;
imperciocché io svelare i vizi della società e purgarli
per via dello scherno e del riso ella è cosa certa-
mente degna della lode e della benedizione dei buoni,
che il consacrar la poesia alla verità e renderla così
utile agli uomini tutti, è il migliore ufficio a cui
destinar si possa quest'arte divina, ed è questa la
maggior lode che dar si debbe all'immortale Parini,
il quale seppe con tanta grazia, e con sì fino giu-
dizio svelare i difetti di una classe considerevole
di cittadini, e con riso oraziano mostrarne tutto il
ridicolo. Ma quanto difficile sia questo genere di
comporre , e qual senno si richiegga per ciò fare
uopo non è che per noi si dica, e se l'Autor no-
stro avesse con più attenzione misurato le sue forze
avrebbe di leggieri veduto, che peso non era que-
sto per le sue spalle; e clii ha pazienza di leggere
1 suoi versi facilmente se ne persuade ; che oltre
all'esser dettali con una lingua impura e bastarda
sono cosi privi di spirito, di grazia, di pensieri, e
di armonia che nulla più.
Ed in prova di quanto abbiamo asserito ci piace
riportare questi pochi versi, che servono d'iucomiu-
251
ciamento al poemetto, perchè il pubblico possa for-
marsene quello, idea che gli si conviene.
JH dunque sempre per Umor eli pugni
Dovrò per certi raffrenar la bile?
E dunque sempre sopportare in pace
Dovrò di molti i giornalieri abusi?
E dunque sempre sì malnata gente
Senza rossore conerà impunita?
O tempo delle satire jìnitol
A che non torni nei moderni giorni
Che troppo adesso necessario sei?
Diste a vedere per le strade alcuni
Nuovi a venir nelle cìttadi^ fatti
Galanti sono^ e poi vantarsi un sangue
Nobile sceso di prosapia lunga;
Jltri^ che appena si sapran soscnvere
Si danno il suon di sapienti e dotti ec.
Varietà' e Notizie Letterarie
1.° i^oi ragionando in queste nostre Effemeridi
di un opera del eh. cav. Giuseppe Ferro pubbli-
cata in Trapani per le stampe di Mannone e So-
lina, dando anche conto della edizione, che ci era
sembrala nitida e bella dicemmo , di esserci non
poco goduto l'animo nell'osservare come qnest' arte
vedeasi tra noi correre alla sua perfezione non che
in Palermo, ma in quasi tutte le principali città del-
la Sicilia; ed in prova di ciò ci piace ora ricordare
il saggio, che si è non ha guari pubblicato della
tipografia di Pietro Colajauni da Trapani, che tanta
copia e diversità di belli e nitidi cavalieri e di gen-
tili adornamenti ci presenta, ed eseguito con tanta
arie ed esattezza, che mentre noi ne vogliam lodato
l'egregio tipografo, con tutto l'animo ci congratu-
liamo con quella colta città, die di nobili ingegni
non manca onde far vie più progredire un sì utile
ed onorevole stabilimento. ,
Ma per parlare distintamente di questo libretto,
diremo di esserci soltanto dispiaciuti nell'osservare
in tanta varietà di belli caratteri uno di pochissimo
pregio titolalo il s. agostino ^ che fa un brutto ve-
dere perchè alquanto difforme, e la mancanza del
greco che non può trascurarsi da una buona tipo-
grafia. Questi difetti abbiam voluto far rilevare ac-
ciò il Colajanni possa emendarli, e cosi rendersi de-
gno di compita lode.
2.° In questo anno abbiam veduto comparire un
giornaletto di amena letteratura, di facezie, di teatri,
e di mode, che porla il titolo di Passatempo per
le dame. Undici numeri di esso si son di già pub-
blicati, nei quali si racchiudono vari articoli di let-
terario argomento, alcuni annedoti , molle Uriche
poesie e notizie di teatri non che nostri, ma stra-
nieri. Volendo ora dire alcun che intorno a questo
periodico giornaluccio, non possiamo non lodare il
divisamcnto dei con)[)iialori di esso, i quali han
posto r opera loro dando un foglio di cui affatto
era la patria nostra manchevole, seguendo l'esem-
pio di quasi tulli i popoli civili. Ma se per que-
sta parte meritan essi lode ed incoraggiamento, non
possiamo da un altra approvare la scelta degli ar-
ticoli letterari, che indegni ci sono sembrati di essere
nelle loro pagine inseriti, perchè oltre all'esser detta-
ti senza grazia, gentilezza, gd urbanità, ci sou pa-
253
mli così erronei, leggieri, e superficiali che nul-
la più. Migliore scelta eziandio avremmo desiderato
che si fosse fatta delle poesie, poiché se togli una
traduzione siciliana di una ode di Auacreonle, al-
cune ottave di gusto romantico , un sonetto di
quel nobile ingegno di G, Marco Calvino, tutte le
altre sonora nostro avviso da mandarsi colle ciar-
pe. Le notizie però su i teatri compensano in parte
tutti questi difetti, perchè con molta libertà detta-
te, senza spirito di parte, e non senza giudizio e
verità. Piacemi su tal proposito ricordar l'articolo
sulla Sonnambola del Bellini , perchè scritto con
senno e discernimento, e con semplicità e leggiadria.
Possa la maniera del giudicar retta e gentile del-
l'autore di esso servir di esempio a tutti, coloro che
sci-ivono in contesso giornaletto, onde poterlo mi-
gliorare.
3. Il manifesto di una opera interessantissima
dell'abate Giuseppe Crispi, chiarissimo professore di
lettere greche in questa università di Palermo si è
di già pubblicato , ed a noi gode l' animo di an-
nunciarlo, perchè i cultori tutti delle buone lettera
ne sieno consapevoli.
Un volgarizzamento delle orazioni, e dei fram-
menti di Lisia, famosissimo oratore del foro di Ate-
ne, debbe certamente richiamar l'attenzione di tutti,
non essendovi stato alcuno che vi si fosse sino ad ora
rivolto. Quindi dobbiam saper grado a questo no-
stro illustre letterato, il quale calcando una via non
ancora da altri battuta è slato il primo, a rivol-
gere nell'italiano linguaggio le opere di uno dei più
celebri fra gli antichi autori siciliani, che al dir di
Dionisio di Alicarnasso non ebbe inai pari^ né f av-
vi alcuno che V uguagliò nel merito dalla elo-
quenza giudiciale. 20
354
Intanto a maggior sotlclisfaclmento dei nostri leg-
gitori, trascriviamo alcune parole dello slesso ma-
nifesto acciò possa ciascuno formarsi una distinta
idea della edizione, die sarà per uscire, e di tutto
quello che nel libro si conterrà.
»E stato il volgarizzamento eseguito sopra l'edi-
zione di Anger pubblicata in Parigi nel i'^83 ch'è
una delle migliori, e piìi corrette.»
M Si darà solo senza il testo, e con qualche breve
nota necessaria per la intelligenza dell'autor greco.»
»A maggior compimento dell'opera, ha il pro-
fessor Crispi aggiunto alle opere di Lisia una sua
traduzione dell'opuscolo di Dionigi d'Alicarnasso in-
torno alla vita di quell'oratore, e sopra il caratte-
re delle sue orazioni, con diversi squarci biografici
di altri, che riguardano lo stesso, ed i diversi giu-
dizi, che se ne sono dati.»
» A questi lavori fa egli precedere tre suoi ori-
ginali discorsi, uno sopra la vita, nel quale, aggiu-
standone la cronologia, dimostra essere slato Lisia
non solamente originario di Siracusa, ma ancora ivi
nato (il che conforta alquanto l'amor propio nazio-
nale) , l'altro più interessante sulla eloquenza giu-
diciale , in cui espone lo slato del foro moderno,
e quello dell'antico, e l'uno e l'altro confronta, pre-
vie sempre le circostanze de'luoghi, e dei tempi,
per farne vie meglio scorgere la differenza ; ed il
terzo finalmente sopra la tenuità^ e rexile quod-
darri, che è stato attribuito al nostro greco orafo-
tore , per vedere in che consista , e se sia quella
specie di aridezza uà difetto ragionevolmente a lui
apposto ec, »
J. V. G, M.
255
£ STRANIERA
Considerazioni sopra Vantico porlo di Pozzuoli.
Jll Discorso archelogico del valente arcliitelto sig.
de Fazio, pubblicato in Napoli nel Giornale inti-
tolato Progresso delle scienze^ volume 3°, fascicolo
1° , contiene le recenti scoperte fatte da costui
sull'antico porto di Pozzuoli^ intorno al quale me-
ditando sulle parole di Stradone^ tradotto dal te-
sto greco in italiano, ci assicura di essere stato in-
dotto a sospettare che piiì argini ebber gli antichi
Pozzuolani, e non il solo, che formato del molo a
trafori, chiamato ponte di Caligola^ fu creduto dai
nostri antiquarii esser l'unico porto di quell'antica
città: onde messosi nel mese di luglio dell'anno scor-
so a verificar la esistenza sottomarina di tali argini,
riuscì a rinvenire una doppia filza di piloni rim-
petlo alla rupe tufacea, che sostiene nella sua vetta
il tempio di Giove, e l'attuale castello di quella cit-
tà; e poi discopri un'altra filza di piloni, che van-
no sin dirimpetto alla porta d'ingresso della città di
Pozzuoli; ed una banchina risultante di piloncini,
e di archetti la quale, partendo dal lido a ponente,
s'inoltra perpendicolarmente nel mare. E da que-
ste sue recenti scoperte c'insegna che la doppia diga
ad archi, poco meno grandi di quei che si osservano
356
ì^cì ponte (li Caligola^ formava la Darsena tlcf^li an-
ticlii Pozziiolaiii larga 3 in 400 palmi, senza dircene
la lunghezza. E poi ci assicura che l'ailra filza forma-
ta sia di piloni ad archi di .12 palmi di corda; e
finalmente che una banchina di piloucini e di ar-
chetti, non più grandi di 5 in 6 palmi di corda,
vi esista, che partendo dal lido, si proietta perpen-
dicolarmente nel mare; a differenza di quelli della
doppia diga, gli archi della quale non hanno una
corda minore degli archi del molo, detto il Ponte
di Caligola^ che sono di una corda non minore di
35, ne maggiore di 5o palmi.
Sono certo importanti cotesle scoperte, ma non
sono così recenti che appartengano al mese di lu
glio dell'anno scorso; poiché il sig. Cervati scris
se sin dal i83i , che il porto antico 'di Pozzuol
non poteva essere in quel bacino che ora si chia
ma porto; ed i signori Marzolla e Monticelli nella di
fesa della città e porto di Brindisi^ stampata pri
ma del mese di luglio, e letta manoscritta (in da
mese di dicembre i83i dal ministro allora degli
affari interni. Marchese di Pielracatolla, cui fu de-
dicala (trasmessa poscia in segno di venerazione e di
rispetto dagli autori al dotto architetto), si trova
scritto quanto segue (i): Ma il de Fazio dice: Poz-
zuoli era emporio dei Romani; e Stradone ci assi-
cura che con favor della pozzolana, assai idonea
a fabbricar nel mare, godeva di un porto sicuro!
E noi ancora vogliam credere a Strabone, no»
che a de Fazio, e diremo con essi: Pozzuoli avea
nei tempi antichi un porlo sicuro, perchè in quei
tempi le navi si tiravano a terra nelle tempeste; e
(i) Difesa della città e porto di Brindisi 2.^ ediz. i833, p. 8g.
25^7
potevano clilamarsl porti quei seni, elove questa ope-
razione rencìevasi sicura nel princijjio della traver-
sia, a cui talvolta eran soggetti. Se vogliamo sta-
re ai detti di Strabone, come in latino ce li pre-
senta il de Fazio nella sua dotta opera, noi dovrem-
mo dire che il porto di Pozzuoli non era sicuro in
se stesso, poiché Slvahone dice: pilas in mare pwi-
ciiint^ siniiantque liitoris partes maxime apertas^
adeoiit sub duci tato possint maximae naves onera-
riae. Ora il suhduci ed il subducère naves^ secon-
do Ambrogio Calepino, e secondo tutti i latinisti,
significa tiiare sul lido le navi. E se le navi dove-
vano trarsi a terra col favor de' piloni , è chiaro
che nel porlo non vi era sicurezza nella traversia,
poiché se ella vi fosse stala, sarebbe tornato inu-
tile il Irarle a terra.
Ma se Pozzuoli aveva un porto sicuro, non era
certamente la rada attuale difesa dal solo ponte di
Caligola; e doveva essere o in altro luogo più ri-
paralo come congettura Cervati; o se era dove lo
crede il de Fazio, dovevano esservi altri artifìzii da
quei savii praticati in quella rada per renderla si-
cura e tranquilla. Dei quali arlifizii il de Fazio
poteva concepire qualche ragionevole sospetto , se
avesse osservato che sommersi in più siti di quel
mare diversi ordini di piloni ritrovansi , che noi
più volle vedemmo. Tali sono le selle grandi pile
sommerse tra il lago Lucrino e la spiaggia di Baia,
che volgarmente chiamansi \e fumose^ avvertite dal
"Vinci nella sua recente Guida di Pozzuoli. Tali
. quelli che, partendo dalla punta del Caruso , ter-
minano a quella che gli aichcologi chiamano Lan-
, terna del porto Giulio: fabbrica inlcrpelrala dal-
' l'autore come un baluardo alla ignota foce del por-
258
to suddetto. Tal' è in fine l'altra serie de' sommer-
si e divisi piloni, che, partendo dal lido anteceden-
te all'Ospizio de' Cappuccini (fabbricalo anch'esso
su di un antico pilone) , nel mare s'inoltrano sino
alla faccia del monte tufaceo dello attuale castello.
La sapienza degli antichi , tanto lodala dal de
Fazio, dee imporci all'aspetto di tante fabbriche
nel mare; e non possiamo crederle fatte a caso, e
senza obbietlo di pubblica utilità.
E quel che noi vediamo, e può essere da ogni
curioso veduto, è acconcio a quanto di Pozzuoli ci
narra Slrabone, il quale non parla di un sol ar-
gine nel mare, ma di molti, in cui era quel golfo
diviso, jéggeres in plurale, ei dice , che costruiti
avessero i Pozzuolani all'oggetto di avere porti: sta"
tìones non stationem.
Noi siara sicuri, ch'egli, siccome fa manifesto,
meditando sulle parole di Slrabone, venne a sospet-
tare di altri artifìzii da trovarsi nei lidi di Pozzuo-
li. Ma, conoscendolo per iscrittore ingenuo e giu-
sto, dopo qualche tempo citerà quegli autori che lo
prccederono nelle sue scoverte, come ha praticato
con Ferrante Loffredo cilato da lui nelle sue oj-
sen>azioni sui pregi architettonici dei porti anti-
chi^ pubblicate nel i832, mentre era stalo trascu-
ralo dal 18 13 sino al suddetto anno; e col Loffre-
do furono trascurati anche il Capaccio, il Mormile
ed il Carle Iti,
Io non riporterò i detti di Ferrante, e di Loffredo
già riconosciuti dal dolio architetto, e dai quali si
rileverebbe allreltanta uniformità di pensare tra lo
stesso ed il Ferrante, che si combinarono ambi-
due non solo nelle idee relative al ponte di Cali-
gola j ma benanche nei due esempli dei porti di
Tranì e di Barletta. Recherò bensì le testimonianze
del Capaccio e del Mormile, i quali gridarono pri-
ma del Fazio a favore de' moli traforati sull'esem-
pio di quelli di Pozzuoli (i).
Quod si portuni veteres UH humaharum rerum
peritissimi apertum fere aedijicaverint maxime prU'
dentine tribuendum est, quando id quod inter pilas
vacui relictutn est, accesso marìs atque recessu,
coeno et arenae aggeribus porlum purgut, atque
ita expeditior est ad retinendas naves(2),
» E lascio le reliquie di quel bellissimo porto,
clie dovria essere esempio a quei che vogliono edi-
ficare porti, perchè fatto a volte eoa pilastroni, col
flusso e reflusso del mare, bisognava che si tenes-
se purgato e nettissimo; ne vi era cagione che si
riempisse; ed avea in ogni pilastro i branchi di mar-
mo coi buchi, onde passavano le gumene che ri-
tenevano le navi.»
M Le moli puteolane, opera molto magnifica...
Della magnificenza di questa superba mole oggi
altro non si vede in mare che soli i3 piloni ben
lavorati fatte di mattoni cotti e di pietre piperni-
ne di smisurata grandezza, che paiono i3 torrioni,
sopra de' quali sono sostentati alcuni archi mezzo
rovinati. Véramente l'architettura sua non può es-
ser mej^lio intesa di quella che è: dalla quale ar-
chitettura si può apprendere il vero mezzo di far
simili porti, perchè essendo i piloni e gli archi ba-
stanti a rompere la furia delle onde del mare, biso-
gnavano ancora spessi vacui, pei quali uscendo ed
(i) NeapolUnnae hisloriae ^ Julio Cesare Capacio tom. i, lib.t,
fol. ^21, an. 1007.
(2) Lo stesso Capaccio nella sua opcr» il Forestiero, giomaU
decima, foglio g83 aauo 1634.
260
entrando il mare col flusso e riilusso, potesse mo-
veie a caricar "via il terreno che le acfjue piova-
ne ordiiiariameute conduceano, dove se iosse sfata
fatta con fabbrica soda e continuata senza vacui,
il terreno sarebbe rimasto da quella difeso talmente,
clie avendo avuto il mare esito da poterlo cacciar
fuori, e sopraggiugneiido una terra sopra l'altra, in
breve tempo si sarebbe ripieno il porto come di
sopra, lo che si fa chiaro da una iscrizione (i).»
Farmi che queste citazioni bastino per conosce-
re il vero, onde non v'ha bisogtjo, che io riporti
quanto ne scrisse a' giorni nostri l'architetto idrau-
lico di Napoli Cav. Carletli nella sua regione bru-
ciata alla pagina 210, poiché ben facile riuscirà
(li osservarlo, essendo. libro di arte, che va per le
mani di tutti.
Si riserbi dunque al sig. Fazio la vera gloria
di avere scoverta la Darsena antica di Pozzuoli, si
attribuisca a lui come principio la pratica degli an-
tichi di costruire i porti a moli traforati e non con-
tinui; e se poi abbia dimostrato questo principio a
modo d'arte così generalmente, che sij qualunque
spiaggia anche tempestosissima si possano edificare
porti a moli traforati, tranquilli, sicuri, e scevri d'in-
terrimento, ci permetta che possiamo ancora dubi-
tarne, perchè quel che poteva essere suilicicnte a dar
ricovero alle navi degli antichi, che senza bussola
iiavigavan lungo le coste, e con legni di basso bor-
do, forse non sarà bastevole ai nostri bastimenti di
alto bordo. Quelli navigavano nella estate e nei me-
si più tranquilli dell'anno, e specialmente le flotte,
come attesta Svelonio nella vita di Claudio. Le qua-
(1) Aloimilc, ^lUithiià di Pozzuoli capo V foglio io3.
26 1
li tlubltazlonl restano giustificate dalle recenti sco-
perte del sig. de Fazio, che abbandonando le sue
panconate tra gli archi de' moli, è venuto in que-
st'anno a conoscere la necessità di una doppia Hlza
di j)iloni nei porti di Miseno, nella Darsena di Poz-
zuoli, e nel porto di Nisita ; e riconosce ancora,
ove le spiagge siano tagliate a picco , la necessità
di contornarle di banchine, discendenti a dolce pia-
no inclinato a somiglianza del porto dell'antica Car-
tagine. La qual doppia filza di piloni e piloncini
se renda piìi economica la costruzione de' porti a
moli traforati, e piìi costosa di quelli a moli con-
tinui, resta alla di lui coscienza il deciderlo.
Checche sia di ciò , tornando all' antica Dar-
sena di Pozzuoli ed alla banchina che a piloncini
ed archetti della sponda tufacea del castello |)er-
pendicolarmente s' inoltra nel mare a somiglianza
perfetta del Ponte di Caligola, (onde non sappiamo
nella nostra ignoranza comprendere per qual ragione
il detto architetto la chiami banchina, e non pic-
colo molo a trafori) noi non possiamo fare a meno di
esporre le nostre osservazioni sulle parole di Strabo-
ne, recateci in italiano nel suddetto Discorso, men-
tre nell'opera dei tre Discorsi lo fece parlare latino.
Allora dicea Strabone: pilas in mare proicUint si-
nuantcjue liiiorìs partes maxime apertas^ acleout
subddci possiiit maximae onerarìae na\>es. Ora poi
gli fa dire: » Fondano dicchi (forse dighe) nel mare,
e curvano in seno le aperte spiagge ; cosicché le
maggiori navi da carico possonvi sicuramente stan-
ziare.» Se il testo greco corrisponde a questa tra-
duzione italiana, o pure alla latina, noi poco pe-
riti della lingua greca non possiamo deciderlo, ed
attenderemo dal dotto archeologo ed architetto, o
3f63
di alcuno dei suoi molti amici detti Ellenisti , di
essere illuminati sul vero senso di Strabone. Ma
non possiamo fare a meno dì avvertire che Stra-
bone latino e greco dà il titolo di emporio a Poz-
zuoli per due ragioni: i° pei cotoni manifattura-
ti; 2** per le stazioni , ossiano porti eh' esso ave-
va. E non possiamo comprendere perchè nel rife-
rire le parole di Strabone in italiano siasi lasciata
la espressione manufactas cothones, ch'era la prima
cagione di esser divenuto Pozzuoli emporio , cioè
luogo di grande commercio. Svolgendo le istorie,
non sarà difficile a chicchessia di conoscere che i
filati azzurri e la porpora di Pozzuoli furono un tempo
in grande estimazione.
Intanto ci sarà permesso di manifestare al dotto
architetto che altre scoperte gli restano a fare in-
torno i lidi di Pozzuoli; cioè altre due filze di
piloni di varia grandezza che esistono nel mare, in-
cominciando dall'ospizio de' Cappuccini, e tirando
verso l'arco unico che dal mare si vede sotto la
strada consolare; e poi altra filza di tre grandi pi-
loni che pur si osserva diretta in opposizione al lido,
che termina allo scoglio caduto in mare dalla lava
dell'Olibano, di qua dalla banchina d'imbarco, ri-
fatta tre volte in pochi anni, e già vicina ad es-
sere distrutta dalle onde. Più un altro pilone iso-
lato si trova dirimpetto la chiesa della Purificazio-
ne a mare, che dista assai poco da quella diga sen-
za trafori, che termina con la detta chiesa; la qual
diga con l'altra opposta, parimenti senza trafori ,
rinchiude un seno di mare lungo 70 passi in circa,
ed altrettanto largo, il quale disgraziatamente non
vuole interrarsi, per farci dubitar sempre della pre-
rogativa esclusiva che hanno i moli traforati, di far
263
evitare cioè in qualunque silo 1' internmento de*
porti.
Potrà ancora scoprire che le mura, tra le quali
esiste la porta d'ingresso di Pozzuoli, sono pianta-
te suir antico lido del mare , come anche le case
che tliconsi de' Gesuiti^ e la piazza di quella città,
nonché il largo della Malva. A. certe profondità si
trovano in quei siti 1' arena del mare e conchi-
glie rotte e sane, come si trovano in tutte quelle
spiagge.
Potrà altresì dlscovrire, tanto dietro l'angolo al-
l'cfvest del tempio di Serapide, quanto alla base al
sud della collina, su cui torreggia la villa del prin-
cipe di Cardilo, l'arena e le conchiglie del mare,
come si trovano nell'attuale sua sponda. E riunen-
do tutte queste scoperte poi potremo andar com-
pre.ndendo la vera situazione, il numero, e la espan-
sione dei diversi porti che Pozzuoli ebbe nella sua
floridezza , prescindendo dai vicini di Nisita , del
lago Lucrino , di Averno , di Baja , e del più
grande e più sicuro di tutti , cioè del Misenate.
E da queste spiegazioni resterà verificato vieppiù
che il porto antico di Pozzuoli nella sua parte si-
cura non era quello che sinora è slato creduto ,
come ingegnosamente ha concepito il detto archi-
tetto. Il quale se ci facesse conoscere con precisio-
ne maggiore la situazione e le dimensioni de' pi-
loni e delle corde di varii archi de' molti moli o
banchine, che intorno a Pozzuoli o sommerse , o
semisommerse esistono; se si comjjiacesse osservare
i tre piloni coi due archi rotti, diesi trovano nella
spiaggia interna del primo seno Misenate, sotto la
collina de' Renati, forse potrà conoscersi meglio la
teoria e la pratica degli antichi; poiché dalle decre-
364
seenti dimensioni degli archi, più die dai piloni,'
esposto dal sig. Fazio, si potrebbe per avventura
congetturare che gli antichi andavano minorando le
corde degli archi, come givano raddoppiando le di-
ghe, per minorare la quantità de' fluiti tempestosi
ch'entravano nei loro porti pei grandi trafori, e che
ne distruggevano talvolta la calma, essenziale attri-
buto de' porti antichi e moderni: dalla qual cosa
potè quindi derivare la pratica de' moderni di u-
sare i moli non traforati ma continui , come più
resistenti ai flutti, e meno dispendiosi.
Che se si rifli^tte poscia alla caducità de' piloni per-
pendicolari al fondo del mare e degli ardii che li deb-
bono ligare, caducità dimostrata dai ruderi dei porti
di Nisila, di Miseno , di Pozzuoli, di Ostia , di
Anzio, di Civitavecchia ec, io non so se gli uo-
mini di mare debbano temere tanto gl'interrimenti,
che possono derivare da' moli continui nei porti ar-
tificiali, per preferirsi quelli a questi or eh' è di-
mostrato dallo slesso sig. de Fazio, che oltre una
banchina, talvolta non una, ma due filze di piloni
sian necessarie in molti porli, perchè cosi si tro-
vano formati i porli di Miseno, nonché le recenti
opere da lui scoverte in Pozzuoli, e così pruden-
temente fu del pari eseguilo nel porto di Nisila.
L'interrimento è sempre a disposizione degli uomi-
ni, e non priva mai un porto delle sue qualità ad
un tratto. La caduta degli archi e dei piloni dipen-
de da Nettuno e da Eolo, e distrugge improvvisa-
mente la calma, essenziale attributo de' porli.
Duolmi finalmente , che trattandosi di materie
importantissime non ancor ben liquidale, e degne
della più alla discussione, non si sia tra i libri slam-
l»ali in Napoli, e registrati nel fascicolo primo del
265
volume terzo del Progresso di sopra annunziato ,
fatta alcuna inenzioue della Difesa della città e
porto di Brindisi^ che pure in Napoli fu stampata,
e dedicala a personaggio ragguardevole quanto al-
tri mai del nostro paese. Io non voglio entrare nella
ragione di quel silenzio, che potrebbe condurmi a
lagi iuievoli discussioni: ma egli è certo, ed ognuno
dovrebbe saperlo, che nelle letterarie e scienlifiche
discussioni, i Giornali non debbono parteggiare per
alcuno, ma solamente aprire un campo, per rintrac-
ciare il vero, che vuoisi nascondere.
X.
Per una Maddalena pentita — Scultura di Luigi
Mai NARI da Scandiano.
ANACREONTICA
.xllh! se leggiadra è tanto
INel dolore e nel pianto ,
Chi scusar non vorria
La tenera follia
Di chi per lei penava
Quando in più verde età
Altro non respirava
Che amore e voluttà?
Vedo nel marmo espresso
Da lo scalpello industre
Un cor da smanie oppresso
Già per conquiste illustre;
Nell'occhio semi-spento
Dal lagrimar perenne
Io leggo il pentimento
Misto ai trofei che ottenne.
266
L'amoroso costume
In lei non cangia temprcj
Innamorata è sempre,
£d amoreggia il nume.
Del labbro or schiuso a i lai
Se indovini '1 sorriso
Come son belli sai
Gli angioli in paradiso.
Per una Susanna — Scultura del medesimo.
SONETTO
J^ola, inerme, svelata, in grembo all'acque
Fingesti in marmo la vezzosa Ebrea,
Che i duo delusi vegli, a cui mal piacque,
Con ultrice viltà gridaron rea.
Tu eterni '1 corto istante in cui le nacque
Del suo cimento l'inattesa idea,
£ da la fonte, in che secura giacque
Vergognando, e anelando si togliea.
Sembra tremar nel sasso immoto, e sembra
Che ratta d'un suo vel, qual può si vesta,
Onde celar le perigliose membra,
E in quel volto, che par mare in tempesta,
A le future età sculta rimembra
Come rispose a la profana inchiesta.
G JACOPO Fmrretti.
A
DEL QUINTO TOMO
PARTE SICILIANA
vviso dei compilatori — F. M Pag. 3
SCIENZE
Memorie inedite dell'ab. Paolo Balsamo — Memoria V. Gl'in-
cagli nella vendita dei fruiti della terra sono stati un'al-
ti a caj^ionc del poco progresso che ha fatto fra noi l'a-
gricoltura » 5
Sul rappoito dei signori Bivona e Dominici intorno alla ma-
niera di bitigiare il zolfo ec— Arch. Filippo Volpcs. » i3
Sulla teoria della gravitazione universale, « sulla teorica
delle scienze — Memorie del prof. Agatino Longo — Cata-
nia dalla tipografia Sciutiaiiu ibSj— Giuseppe Scibona» ig
Sul principio di conoscere la legge naturale — Cav. Salva*
tore Aldisio » l36
Memorie sopra due casi di alienazione mentale osservati nel
Beai stabilimento dei Matti di questa città composte da
Gio: Slvestri mi voi. in-S" — Palermo presso il gabi-
netto lipogiafìco i833 — Luigi Castellaiia. ...» laS
Commentario su i decreti e su gli atti minisleiiati di ragion
civile ad uso del foro con le osservazioni di Costantino
M. Costantini Giudice della Gran Corte di Siracusa —
Palermo dalla tipografia di Filippo Solli i83o — Em-
manuele Viola » SlS
Pensieri fisico-chimici sulla vita, di Antonino Puritano dot.
in medicina , professore di chimica nella R. XJniversilà
di Palermo ec. ec. —Palermo presso Lorenzo Dato i83i,
•voi. 1 in-8° di pag. ao^ — S. T. ; n a56
LETTERE ED ARTI
A Carlo Botta lettera di Ferdinando Malvica , . . » 3a
Lettera di Agostino Gallo all'ornatissimo sig. Car. Antonio
Di Giovanni Mira intorno ad alcuni dei primi poeti Si-
ciliani in volgare » 53
'— Rime degli stessi corrette, ed illustrate da A. Gallo. » 71
Sopra un'antica moneta ritrovata in Selinunle — Gaspare
Viviani » 8a
AI Conte Leopoldo Cicognara lettera di Ferdinando Malvica » 88
Notizia intorno all'arte dell'intaglio in legno dell'Epoca Sve-
ya iu Sicilia — A. Gallo » 94
Sul lesto del Petrarca — E i Siciliani — Che furo i primi^
e quivi erari dn tczzo •^- Lettera del Sac. Niccolò Bu-
sceini a Mr. India Ciantro della Capp. Palatina . . n gj
Discorso per 1' inaugurazione della socielà economica della
valle di Catania del Vice-presidente di essa dot. Salva-
tore Scnderi ec. — Catania per Sciuto i83a in-8° A.G.» loi
Novella stoiìca di argomento siciliaiio di Bernardo Serio. >> (oa
Delio stato presente dei teatri, e dell'arte drammatica in Si-
cilia: Lettera di Lionardo Vigo a Franco Maccagnouc
Principe di Granalelli • » 109
Lettera tratta dal codice Svevo-Angioino intorno all'invasio-
ne di Corrado Capecc . . • » l4o
Al sig. A. Gallo sopra alcune cose inedite di Giovanni -Au-
rispa — Sac. Niccolò Buscemi » i44
Sulla continuazione della stona d'Italia del Guicciardini in-
trajiresa in Parigi da Carlo Bolla — Lettera di Pietro
Lanza Principe di Scordia a Ferdinando Mulyica. . » i54
Sopra alcune lettere aggiunte all'epigrafe delle monete di Se •
gesta — Osservazioni di Girolamo Dotto de' Dauli . ■» 189
Letlera di Agostino Gallo al Principe di Grjnatelli . . » 199
Intorno a due quadri ad olio di palmi i;2, uno dipinto dal
cav Vincenzo Riolo, e 1' altio dal cav. G useppe Pata- '
nia per commissione di S. A. R. il Luogotenle Genera-
le in Sicilia — - Agostino 'Jallo. . . ' >» lOO
Degli Arabi e del loro soggiorno in Sicilia. — Memoria di
Pietro Lanza Principe di Scordia — Palermo i837 — Bal-
dassarc Romano » 247
I galanti e saccentini moderni Sermoni di'
Pietro Paolo Zappala — Palermo i83ai
Varietà e notizie letterarie. Tipografìa dil
Colajanni in Trapani — PassalernpoS^.. T).G.M. » •ì'^g-'ìbv
per le dame — Programma di u
traduzione di Lisia dell'ab. Giuseppe!
Crispi J
Ode 4? di Anacreonte, tradotta dall'originale greco in rima
siciliana da Benedetto-Saverio Terzo » 1 o»
A Giulia de M. (da Sorrento) Epistola di Niccola Cirino » i8a
Inno alla beala Vergine Lucia di Costantino M. Costantini » 2i3
TVT 1 • (Michele Laudicina) , ^ „-,^r
Necrologia >o • • „ /A.G , » 104
" (Giovanni Bagnasco)
PARTE ITALIANA E STRANIERA
Lettera del sig. Giambat. Niccolini al Marchese Tommaso
Gargallo >» 186
Altra del prof. Carmignani al sudefto » '87
Considerazioni sopra l'antico porto di Poziuolo — X. » 255
Per una Maddalena pentita di Lui-Ì
gi Mainari da Suand ano Ana-f
creontica 7 Giacomo Ferretti 5' a6j-266
Per una Susanna, scoltura del nie-k
desimo SoneUo ;
Errata corrige al Tom. IV.
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SCIENTIFICHE E LETTERARIE
PER
LA SICILIA
TOMO VI.
ANNO SECONDO
C^Lvtiie llòaaaio e Cf/iuiauo
|)aUrm0
DALLA TIPOGRAFIA DI FILIPPO SOLLI
1855
EFFEMERIDI
SCIENTIFICHE E LETTERARIE
PER
LA SICILIA
%^pul6 i833
Su di alcuni nuovi crustacei dei mari di Messina.
Memoria di Nicolò Prest Andrea chimico'
farmacista messinese,
AFopo le non interrotte ricerclie per me pratica-
te su' lidi di Messina mi venne fatto proccurarmi
alcuni individui crustacei, che credo sin* oggi af-
fatto sconosciuti. Ed avendoli come meglio seppi de-
scritti, stimo principalissimo mio debito renderli di
pubblica ragione; perchè la scienza delle cose na-
turali, in quella parte, che le riguarda sia miglio-
rata, ed arricchita di questi nuovi oggetti. Ne altri
creda che spenderò indarno nello avvenire qualche
istante di tempo, che le serie applicazioni chi mi-
che-farmaceutiche mi con-^ederanno, perciocché mi
giova sperare, che persistendo in tali ricerche possa
di leggieri abbattermi in altri nuovi crustacei.
Decapodi Braciiiur?.
I. — Porfanus macropipus — Testa vìuricci-
ia^ ìiiieo- citrina^ pubescente^ mnrgìnihus pilis se"
rlcels obsìtis^ fronte tridentata^ dente medio lon^
giore.
Il colore (li questo bellissimo erustaceo è giallo-'
citrino, meno delle coslule de' piedi, che sono rosso-
arancio. — Antenne esteriori lunghe sostenute da pe-
duncoli formati di due articoli più grossi. — Mar"
gini laterali anteriori muniti di cinque denti acu-
tissimi, impiantali molto distanti luno dall'altro;
dente ultimo più grande di tutti, e posto in linea
orizzontale, mentre gli altri s' inclinano inverso la
fronte. — Regione stomacale fornita di cinque tuber-
coli trasversalmente disposti, con quello di mezzo
j)iù piccolo, e situato alquanto più innanzi degli al-
tri due, altri tubercoli vi sono sulla regione geni-
tale, e tre più grandi di tulli sulla regione cordiale
formanti un triangolo : sulle regioni branchiali vi
La una serie di altri tubercoli disjjosti ad arco: mar-
gine posteriore del corpo rilevato , portante all' e-
stremità laterali un tubercolo per ciascun lato.— •
Piedi-mani quasi eguali, pubescenti, doppiamente
più lunghi del corpo, col primo, e secondo arti-
colo uni-denlalo , nel lato inferiore il primo , nel
lato interno il secondo; terzo articolo perfettamente
prismatico, dentillato nell'angolo interno sino alla
metà della sua lunghezza , e munito di un dente
acuto all'apice dell'angolo inferiore, ch'è rolondito,
e più sollilmenle dentillato: corpo quasi quadrato
superiormente,, tubercoluiO, j)ro(òndamente inciso
nel lato inferiore, j^iorta sul lalo interno un forte
aculeo della lunghezi;a di quattro lincCj acutissimo,
5
color rosso-arancio , ed un altro mollo più piccolo
sul lalo esterno: mani fornite di cinque costole tu-
bercolate , la costula del lato interno termina in
punta acuta, e la seconda comincia con un tuber-
colo più grosso degli altri. Piedi del secondo, ter-
zo, e fjuarto pajo pubescenti, col terzo articolo
avente la lunghezza del corpo: gli ultimi tre arti-
coli costulati, solcati: piedi del quinto pajo molto
più corto dei ])recedenti, col penultimo articolo sol-
cato, l'ultimo carenato, ovato-ellittico, rosso-aran-
cio alla estremità: ambidue questi articoli sono com-
pressissimi, e portano i margini rilevati color rosso-
arancio, contornati di cigli bianclii.
Differisce dal Portunus Ikndus^ Leach, cui in
qualche modo somiglia per avere la fronte tri-den-
tata, col dente di mezzo più lungo, e l'ultimo ar-
ticolo del quinto pajo dei j)iedi molto grande i."
perchè i denti antico-laterali decrescono gradatamen-
te in grandezza, accostandosi inverso la fronte, con
l'ullitno disposto in linea orizzontale; mentre quel-
li del P. Lividus s'inclinano tutti verso la fronte,
ed il secondo di essi è più piccolo degli altri. 2.**
perchè il corpo del mio crustaceo è armato di due
forti, e lunghi aculei, ed il corpo di quello e so-
lamente uni-dentato.
Fu pescato in dicembre ne' mari di Messina.
Questo crustaceo per la struttura de' piedi, e per
la disposizione de' denti laterali particolarmente del-
l'ultimo, ch'è orizzontale, e più forte degli altri ,
somiglia moltissimo al genere hiipa domentre jier
tutti gli altri caratteri appartiene a' Portunidi: do-
vendosi però riformare questi due generi, come mi
ebbe avvertito il celebre Leach, dovrà il mio cru-
staceo prendere il nome di 3Iacropipus citritius ,
6
tenere il mezzo tra il genere Portunus, ed il ge-
nere Lupa. Vìacewì cìùamavlo 3Iacropipns per a-
ver l'ultimo articolo del quinto pajo de' piedi più
grande di tulli gli altri Porlunidi.
Decapodi Macruri.
2. — Peneus Cocco — Carpare quinque pai-
licari — Rostro ascendente., sub alata ^ supra octo-
dcntaia., infra circa basini longe ciliato.
Questo Peneo ha il coipo lungo cinque pollici,
incurvalo nel mezzo, e molto compresso ne' tre ar-
ticoli addominali posteriori , che sono carenati , e
finiscono in punta acuta — Il corsaletto bislungo,
carenato nella parte superiore , si prolunga in un
rostro ascendente della lunghezza di un pollice con
olio denti al di sopra, e ciglialo inferiormente poco
prima della base: a due terzi della lunghezza della
carena vi ha un dente acuto, oltre li otto situali
sul rostro, cui lateralmente ne corrisponde un altro
per ogni lato: il davanle del coisalelto termina con
quattro punte acute situale due alla base delle an-
ttnne interiori una per ciascuna di esso, e le altre
più grosse alla base delle antenne superiori. Occhi
grossissimi color caffè cotto, sostenuti da un grosso
peduncolo, che porta superiormente un'appendice
cigliala. Antenne inferiori lunghissime poste so])ra
un grosso peduncolo bidenlalo, rosse, munite alla
base di un'appendice lunga un pollice circa, sol-
cato longitudinalmente al di sopra, terminalo in pun-
ta acuta , e lungamente cigliato nel lato interno.
Antenne superiori a due fili ineguali, carnei anel-
lali di rosso, sostenuti da un lungo peduncolo for-
mato di tre articoli, il primo dei quali più grande
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di tutti è per tutta la sua lunghezza e larghezza
pronfondamente scavato, e porta alla base del lato in-
terno un'appendice cigliata ch'esce da mezzo agli oc-
chi: il secondo e terzo articolo sono triangolari: tutti e
tre questi articoli sono forniti di lunghi cigli bian-
chi.— Ultimo semmenlo addominale, più lungo di
tutti, è uni dentato su' lati postico-inferiori. Piedi
gracili, filiformi: tre primi paja didatlili. — Scaglie
laterali quadrate con gli angoli rotonditi, cigliate
— Squame codati ellittiche, solcate, il solco delle
estreme termina in punta acuta, e portano lunghi
peli solo nel lato interno: le intermedie, e la cen-
trale sono cigliate in ambo i lati; dippii^i la cen-
trale è fortemente solcata, e termina in tre punte
acute con quella di mezzo più lunga, e più grossa,
Abbenchè questo Penco abbia le antenne infe-
riori lunghissime, il rostro peloso inferiormente, e
gli ultimi tre semmenti addominali carinati come
il Peneus anlennatas (Risso) pure da questo dif-
ferisce per avere il rostro otto-dentato , le scaglie
laterali cigliale, e le appendici codali laterali eUit-
tiche: ed il P. antennatus ha il rostro tri-dentato
le scaglie laterali armate di spine, e le appendici
codali lanceolate.
Fu pescato in dicembre ne' mari di Messina.
Stomapodi.
3. — Squilla bruno {*) Corpore luteo-faho ,
supra lineis noveni longitucUnalibus elevatis ; lì-
neis quinqae intermediis transversaliter ìncisis; poi-
licibus iridentatis,
(*) Dedicalo al cliian'ssinio nitrito del pubblico professore di
Medicina Frafica, e Medico Coiisuleute dei>U eserciti di S. M.
(D. G.) D. Giuseppe Dr , Bruno.
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Corpo lungo cinque pollici, largo uno e. più,
color giallo-fosco, con i margini de' semmenti atl-
dominali rosso-arancio, avente su' lati due bande,
verde-olivo una, verdefosco l'altra. Capo non ro-
strato si prolunga in una specie di squamma ottusa,
più larga, che lunga, incurvata nel mcMo, e che
poggia co' lati su de' peduncoli degli occhi. Torace
gibboso con due linee rilevate laterali per tutta la
sua lunghezza, a due terzi della quale vi sono due
tubercoli per ciascun Iato, in mezzo a questi pas-
sa un solco trasversale : alla base di esso torace ,
tra l'una e l'altra linea v'ha un altro solco trasver-
sale, nel mezzo di questo inferiormente è posto un
tubercolo; e nella parte di sopra due altri piccioli
solchi formanti esattamente una croce •]• Occhi neri,
bilobi sostenuti da corti peduncoli, che si dilatano
moltissimo verso l'apice. Antenne esteriori semplici
bianche, sostenute da peduncoli tri-articolati, il pri-
mo articolo porta un'ap[)endice lunga un pollice el-
littica, e contornata di lunghi cigli rosso-aranci. An-
tenne di mezzo a tre fili ineguali, soslcnuli da pe-
duncoli tri-articolati alquanto più lunghi di essi.— •
Braccia grandi, compressi: cor^io bi-deiitato supe-
riormente , ed uni-dentato nel lato interno. Mani
bislunghe compresse col margine su[)eriore denli-
culato, solcalo, portano tre denti acutissimi, arti-
colati, posti due alla base, ed il terzo da questi
molto distante; tutti si adattano nel solco. Pollice
grandissimo incurvo tri-dentato, denti ricurvati. Tre
primi paja di piedi lungamente pelosi terminati da
un'appendice lenticolare, ed un'unghia ricurva, altri
tre paja posteriori lineari con l'ultimo articolo for-
nito di lunghi peli rosso-aranci nel lato interno; e col
secondo articolo munito i\ì un'appendice setacea bi-
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articolata, il primo articolo de' quali è brevissimo.
Nono serainento aclclominale colia prima e terza ca-
rina (li un lato, settima e nona dell'altro lato termi-
nale iu punta acuta: pen'ultimo semmento sei-care-
nato, le carene terminano in punta, e le intermedie
sono più picciole. Ultimo semmento triangolare, tri-
carenato; carine marginali solcate, la centrale molto
rilevata si prolunga iu una punta acuta: altre due pic-
ciole carine obblique non intere ha su' lati, termina con
sei sp'ine acute di cui le due centrali carenate sono
articolate, \nh grosse delle altre: tra la prima e se-
conda spina v'ha un picciol dente; tra la seconda, e
terza ve ne sono due. — S(|ua:nme codali peduncola-
te, peduncolo grosso, carenalo, uni-aculealo, si pro-
lunga in una grande spina incurva tridentata, solca-
ta superiormente, e carenala di sotto, color rosso-
arancio, giallastra alla eslremilà: squamma esteriore
bi-ailicolala, primo articofo ulto dentalo sul hilo e-
sterno, i denti decrescono in grandezza come si acco-
stano alla base: nel lato interno è lungamente ci-dia-
to: i'ajìice di esso porta inferiormente un dente acuto,
il secondo articolo ovale è cigliato in ambo i lati
le squame interne bislunghe cigliate i cigli delle
squame sono tutti color rosso-arancio.
Differisce dalla Squilla Manlls cui a prima giun-
ta somiglia per avere il dorso con molte carene i."*
perche; porla il pollice tridentato ; mentre la S.
Mantis lo ha sei-dentato. 2.° perchè sei carene della
S. Mantis in ciascun semmento terminano in punta,
nella mia Squilla quattro del nono semmento o
sei del penultimo solamente terminano in punta.
3.° il corsaletto di quella termina con due punte e
questa mia è slbrnila di tali |)unle. Colla Squilla
JSroadhenti (Cocco) non ha altro carattere comune
che il pollice tridentato.
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. Fu pescalo in giugno ne' mari ili Messina»
Anfipodi.
Sema.. . Corpore trigono caricato^ margìnibus
r'devntis ; segmentis sex anteriorìbas latioribus ^
qiiatuor poster'oribus angustioribiis. — Pcdibas
qaniiiordeciin siinpUcibas , punto ar/iculo quinto
paris omnium longioris ultra articulationem pro-
lungalo. — Capile truncato inclinato. Cauda sti-
li/era.
4- — Scitici ensicorne. — Corpo trigono col pia-
no inferiore più largo de' laterali, lungo cinque li-
nee, carenalo sul dorso; margini laterali rilevali, il
colorilo del corpo è rosso arancio intenso, sebbene
nel mezzo presenta uno o due semmenti biancastri.
Capo troncato, inclinato, con due lince rilevate diver -
genti, che j)arlendo dal principio della carina, ove
form.ino un aiigolo acuto, terminano alla base delle
antenne superiori. — Antenne superiori ensiformi,
triangolari sino alla metà della loro lunghezza, col-
l'angolo inferiore den lilla lo alla base, lunghe tre li-
nee, e mezzo, color di carne con due linee di punti
rosso arancio: sono sostenute da un corto peduncolo
cilindrico. Antenne inferiori capillari, bianche molto
j)iù lunghe de' superiori, formate da sei articoli, il
primo de' quali è molto più lungo degli altri. Occhi
picciolissinii, rotondi, rosso-arancio posti sul lato e-
slerno alla base delle antenne superiori. — Torace
di selle semmenti , che crescono gradalameute in
larghezza sino al quinto: il sesto, e settimo sono
])iù stretti. — Addome di quattro anelli più stretti,
ma più lunghi di quelli del torace, in guisacchè l'in-
sieme dell'animale si fede come diviso in due pezzi,
1 1
cioè: il mezzo anteriore più largo, il posteriore ab-
brullamenle ristretto. — Sette paja di piedi propria-
mente detti, seuìplici, gracili, che conservano nella
loro lungliezza l'ordine de' semmenti del torace: il
quinto pajo più lungo di lutti è dentillato nel lato
esterno per tutta la lunghezza del secondo articolo,
che nel lato interno si prolunga oltre l'articolazione
in una punta acuta. — La coda porta sei siili molto
sottili: quattro inseriti sulla stessa linea, e le altre
due laterali alquanto più sotto, e sono più lunghi
di quelli.
Di questo bellissimo crustaceo^ che viene dalle
onde in febbrajo balzato in sulla spiaggia insieme
ad altri individui appartenenti a' generi P/irosinu
Phionima 2iphis Phillosoina ho creduto farne uu
nuovo genere, perciocché la conformità del capo,
il corpo trigono, le antenne esteriori forti, trian-
golari, ed i piedi del quinto pajo lo fanno da qua-
lunque altro genere dogli anjipodi abbastanza dif-
ferire.
Ho voluto dedicarlo al dottissimo abbate Cav. Do-
menico Scinà, qual celebre conoscitore delle scienze
naturali.
Anfipodi.
0/70 (i) Oxjahingus — Capite fornicato —
Pedibits inaxillurìbus extenoribiis^ longissiinis^ca-
pillaribus , replicatisi capite obtectis — Binis pe~
cium anticorum paribus diclactjlis ^ brevissiinis^ reti-
(i) Questo nuovo genere di fresco slabllto per il sig. Cocco, e
che nel fascicolo sesto delle Elicnicridi Scientifiche, e Leltcraric
per la Sicilia dciraiino i83.» trovasi posto, credo per errore tipo-
grafico, nell'ordine de' ò'chizzopodi prioj'talmi , devesi noverare
jjell'oidnic dijjli Aufipodi, conje ne conviene l'islcsso Autore.
12
quis siinpUcibas; bit ics posterìoiibas basi squama
instructis — Caiula sl'difera.
Corpo lungo sei lineo , e laigo meno di una ,
alquanto compresso , costaulemeute color di rosa,
molle, composto di selle semmeuli toracici, e cin-
que addominali piìi grandi, che impiccioliscono in
verso la coda. Quest'ultimi terminano co' loro mar-
gini postico-inferiori appuntati. Capo ovoideo, in-
lèrioimente tagliato in forma di becco da penna
da scrivere molto sottilmente allungato, e questo
agguaglia la lunghezza del capo. — Gli occhi sono
grandi semilunati nerastri. I piedi mascellari este-
riori della lunghezza del corpo sono composti di
quattro lunghi articoli de quali il basilare è allar-
galo all'apice. — I piedi-mani sono cortissimi, gli
altri quattro sono sottili, terminati da una picciola
unghia acutissima, e le ultime due paja hanno alia
base una squama ovale. — La squama intermedia
ovale-oblunga sostiene da ogni lato tre stili bifidi
decrescenti in grandezza dalla base all'apice di essa.
Trovasi in sulle spiagge di Messina balzato dalle
onde in marzo.
Differisce dall' Ono Ornithirajnphus (Cocco) per
avere il corpo più picciolo , alquanto compresso ,
di color costantemente roseo, il capo assai sottil-
mente allungato, gli occhi grandi, semilunati, e li
stili della coda proporzionatamente più grandi.
LOFIROPI.
5. — Cfclops marinus — Corpore Oi>oideo, uU
timo segmento toracico roturidato^ aids segmen-
tis abdoininalibiis abriipte attcìmatis — Capite ro-
stralOj rostro incurvo'.
i3
Corpo ovoldeo color rosso cirleggla , lungo tre
linee circa, foimato di sei semmenli toracici, l'ul-
timo de' quali è rolondato, e di quattro semmenti
addominali abbrultameute ristretti. — Capo rostrato,
rostro acuto, incurvo. Antenne superiori lunghis-
sime di dodici articoli , il primo de' quali è for-
nito di quattro articoli piìi piccioli, ed il secondo
doppio in lunglìezza del primo, ne porla sei: sono
per tutta la loro lunghezza sparse di lunghi fila-
menti ancora. Piedi propriamente detti al numero
di quattro formali di tre articoli per uno, il primo
articolo de' quali è certissimo il primo pajo mollo
grande, ha l'ultimo articolo formato di otto, o dieci
filamenti capillari, che si uniscono insieme come
l'animale si ritira dalle acque, e vedesi ad occhio
nudo come un'unghia ricurva. Quattro paja di falsi
piedi, che crescono in grandezza accostandosi in-
verso la coda. — Ultimo semmcnlo addominale di-
viso in due pezzi portanti ciascuno sul lato esterno
tre appendici , ed un quarto all'apice, più lunga
delle antenne superiori: tutti setacei, e disposti l'uno
dopo l'altro.
Sebbene gl'individui di questo genere abbiano
j)cr loro costume di abitare le acque dolci, pure
il mio Cjclops marìnus trovasi abbondantissimo
in marzo balzato dalle onde in sulle spiagge di
Messina; esclusivamente in sulla spiaggia del brac-
cio di San Rainero. Porta gli uovi al numero di
dieci, di colore bleù visibili ad occhio nudo.
Differisce dal Cjclops vulgaris , e dal C. ca-
stor per avere il capo rostrato, e l'ultimo semmen-
to del torace rotondilo: mentre gl'individui teste ci-
tali portano il capo non rostrato, e fultiiuo seni'
mento del torace-scmilunato.
*4
Se anco questo picclol lavoro nulla di nuovo ag-
giunga alla scienza delle cose naturali, farà per certo
addivedere quanto io, come meglio posso , m in-
gegni al di lei miglioramento.
Continuazione enfine delle Osservazioni di Gì'
ROLAMO Dotto ve Davli sopra alcune lettere
aggiunte all' epigrafe delle monete di Segesta.
(V. fase. i5.)
iFal fin qui detto, sembia a noi che resti abba-
stanza provato, che le lettere ffilA, ffilB ec. im-
presse nelle monete di Segesta siano leltere indi-
canti numero, le quali giusta la maniera degli an-
tichi, ci segnino anni 7 1 ij 712 ec. e non mai 701 1,
7012, che diciferate col metodo dai Filelleni oggi-
dì usalo, da esse risultano; e che in conseguenza
delle addotte ragioni ne segue, che l'odierno com-
puto letterale riesca monco, ed inesatto, e che molto
differisca dall'uso costantemente invalso presso gli
antichi.
Ma da qual' Era (qui ci dirà taluno) debbonsi
calcolare gli anni 711, 712 nelle dette monete se-
gnati? Noi su questo ultimo, e più difficile punto a
determinarsi dobbiamo far osservare, che fra le di-
verse Ere cronologiche, tre presso gli antichi popoli
furono le principali, e le più usate dai Scrittori di
quei tempi(i). Avvegnacchè appo gli orientali quella
(1) Le principali epoclie della storia greca riportale dagli scrit-
tori furono da die liiatlius condusse 1» colonia in Argo; dal di-
hivio di Ogygc» nella Beozia; dall'arrivo della colonia di Cecro-
pe in Atene; di qHclla di Cadmo in Tebe; di quella di Duiiao ili
coslumavasi, clie il principio traeva dalla distruzione
di Troja(i ). I Greci iisaron pure tra le altre loro quel-
la, die incominciava dall'eccidio di questa città, ma
tostochè avvenne la celebrazione dalla prima olim-
piade, cominciò da quinc' innanzi l'uso presso loro
di calcolare gli anni con le olimpiadi(2);e presso i Ro-
mani principiò la loro Era dalla fondazione della
loro città (3), Or riflettendo per poco alla maniera
dagli antichi adottata nel computare le loro e])oclie,
si potrebbe con molta probabilità credere, che questi
711, 712 anni segnati nelle dette monete siano quel-
Argo; dal diluvio di Deucalione avvenuto nella parte merid'onale
della Tessaglia, o nelle vicinanze del Parnasso; dal Recno di Per»
seo in Argo; dalla presa di Troja; e da talune altre, che per a.
nior di brevità tralasciamo di riportare. (Freiel) sur le teiup, cu
teinps preccdents a la i.me Oliinpiad.) ec.
(1) Troja fu fondala da Dardaiio nell'anno del mondo aSa^, che
vi regnò anni 3i. Quindi Ericthonio 65 anni; Tros da cm prese
il nome 50, Julo che gli successe 54; Laoniedonte che vi fabbricò
le mura con i tesori apprestatigli da Nelluno, e da Apollo 36; e
Priamo vi regnò ^o anni. Nell'anno del mondo 2794 '' t" 'u' fi*
glio Paride rapi Eleiia moglie di Menelao re di Lacedemonia, la
quale, dopo cbe i Greci molte volle dimandarono, che la si fosse
loro restituita essi dichiararono la guerra ai Trojiini; e dopo IO
anni di assedio , presero questa cillà nell'anno del mondo 2820 ;
nel giorno i^.mo prima del solstizio estivo, o anni 407 prima
della celebrazione delle Olimpiadi, o 43> prima della fondazione
di Roma, ed anni 1184 avanti G. C. ec.
(a) Ogni Olimpiade comprendeva quattro anni , e ciascun di
questi anni cominciava alla nuova luna, che segue il solstizio e-
stivo , e corrispondeva a due anni giuliani , comprendendo li 6
ultimi mesi dell'uno, e li 6 primi mesi del seguente. La prima O-
limpiadc fu celebrata nell'anno 408 dopo la distruzione di Troja,
cioè 407 scorsi, e l'ottavo terminante; o nell' anuo 4^0 avanti la
fondazione di Roma, che venne fabbricata nell'anno 43 1 dopoché
fu presa detta città, e 777 anni avanti la nascila di G. C.
(3) Roma fu fabbricata sul 6nire delia 6. sta Olimpiade, e sul-
l'incomincianiento della 7. ma, e contandosi nella sesta Olimpiade
l'anno 43i dopo l'incendio di Troja, fu dunque Ruma fondata a
31 aprile dell'anno del mondo 325i /^o 43 1 anni dopo la caduta
di Troja; sul finire della sesta Olimpiade , e sul principio della
settima, e nell'anno 762 prima dell'era volgare, (Gio. Cristofaro
De Jourdau) apparato cronologico aulla cronologia di Erodoto, ec.
i6
li, eli' erano corsi dalla distruzione di Troja sino al-
l'epoca, in che le medesime furono battute, tostocliè
dalia storia siamo chiariti, che presso gli Orientali,
ed anco presso i Greci da questo rinomato avveni-
mento la loro Era si partiva: ne noi oseremmo avan-
zare questo pensamento, se da un grave storico non
venisse appoggiato qual si è certamente Diodoro Si-
culo, il quale ci fa conoscere, che l'Era universale sì
degli Orientali, che de' Greci l'origin sua traeva dal-
l'eccidio di questa famosa città: quindi è che ne' libri
delle sue istorie di sovente egli dalla presa, o distru-
zione d'Ilio stabilisce l'epoca delle cose avvenute che
ci racconta, indicandoci ancora per la migliore intel-
ligenza degli avvenimenti descritti, l'anno della O-
limpiade, e quello della fondazione di Roma, che vi
corrispondeva.
Indotti adunque dall'autorità di tanto scrittore,
ingegnandoci di conoscere per mezzo di quelle lettere
tal'epoca, non ebbimo molto stentato , perciocché
ci siamo per buona fortuna imbattuti in quel passo
di quest'isterico, dov'egli della guerra del Pelopon-
neso favellando riferisce, w che nel decimosesto ari-
no di essa, essendo Arconte in Atene Aristomo, ed
in Roma Tribuni militari T. Claudio, Spurio Rufo,
L. Sergio, e Sesto Giulio si celebrò presso gli Elei
la 91 .ma Olimpiade, nella quale toccò la palma del-
lo stadio ad Essaneto Acraganlino, e che nello stesso
tempo combattevasi nella Sicilia tra Egestani, e Se-
linunzii per differenze nate approposito di confi-
ui(i). Questa circostanza riportata da Diodoro prova
(1) Diod. Sicul. (lib. Xrt, cap. XVII).
Fazzcllo (Decad. 11. lib. 1. pag. ) Inter Scgéstanos ^ «^
Sclinuntios, ob quaeJain sponsalia, et ytgrorum fines, quosunos-
(jue Jflui'ius Ampliisbitcs dividebat, ociingentis ferme posi 2 roja-
rmm excidium annis, Romae T. Claudio^ Sp. Nàutio, L. Len\
a meraviglia il nostro assunlo: dappoiché la novan-
tesima prima Olimpiade corrispondeva csallamente
all'anno n'ji dalla dislruzion di Troja, avvegnaché
ginsla l'iscrizione della cronaca diParos, oggidì soUo
ijome di marmo di Arundel, o di Oxford conosciu-
ta(i), questa città fu presa dai Greci nel giorno ven-
tesimo quarto del mese targelione dell'anno 22.'"° del
regno di MeneStèo undecime re degli Ateniesi(2), o
secondo il calcolo del nostro Diodoro(3) fatto unifor-
memente al computo dell'anno ateniese, che dal solr,
Slizio di està intominciava(4), essa fu presa, e di-
strutta nel diecissettesimo giorno avanti il solstizio
estivo dell'anno quattrocentesimo settimo innanzi la
prima Olimpiade, che fu per conseguenza celebrata
nell'anno quattrocentesim' ottavo dopo questo avve-
nimento; e quindi aggiungendo a' suddetti 407 anni
precedentemente alla celebrazione della prima Olim-
piade già decorsi, gli anni 364, che comprendevanq
/lo, el Sexlo Julia consutarem potestatern quatuor trìbunis gereti-
tibus, maxima est cxoita discordia, etc.
(1) Maffei (^'■erona illustrata) pag,
(2) Idem idem.
(3) Dioil. Sicul. (Prefazione yol. i, édlzloiin — Palermo <832)
(4) Éncyclop. toin. i3. — 'L'anno pario incominciava Col sol-
stizio d'inverno, nienlte quello di Atene col solstizio di està prin-
cipiava. Or da questa differenza avviene, che nella iscrizione della
cronaca di Paros si dica, essere stata Troja a' aj del mese tar-
gelione distrulta , e dal nostro Diodoro a' 17 del mese Elaphobi-
liotie. Deve pero osservarsi, che non lutti gli antichi scrittori siano
d'accordo nel diie, che questa città sia slata distrutta i") giorni
avanti il solstizio estivo, mentre taluni di essi e tra i moderni il
nostro Fazzcllo (Decad. 11 lib. i cap. i) dicono 17 giorni prima
del' solstizm d'inverno. ' — ìtiam càptum fiiit jam jam aestate l'eit
?'ente, Xf^lJ diebus ante hibernum solslilium facluiii, mense Sf
aphnbolion etc— forse ciò proviene dalia differenza da noi iesìc
fatta osservare sull'incominciamento dell'anno presso gli Ateniesi,
ed i Parii^ mcntie secondo l'ordine de' mesi del ciclo di llarpa»
lUs, e di quello di Melone il mesi, Elaphobolion, che corrispon-
deva al nostro aprile, era uno de' 3 mesi d' inverno, ed il mese
Ihargcljon ossia giugno era uno de' tre mesi di primavera.
i8
le novantuno OUmpladl poslci'iornicntc avvdntil(?, flc
segue, che anni 771 erano già trascorsi dalla disfru-'
zione citila mentovala città, allorquatido accadde la
contesa tra i Sclinunzii, e gli Egestani da Diodoro
l'accontala.
Ecco dunque come chiaramente vien provalo, che
gli anni 711, 712 espressati dalle lettere KlA^
ffilB, impresse in quelle monete debbansi da noi al-
l'era trojana riferire, la quale dalla distruzione di
questa città gli Orientali a segnare incominciarono,
dell'egual maniera, clie i Romani dalla fondazione di
loro città l'era romana stabilirono. Vien pure a me-
raviglia dimostrato, che 711 anni contavansi dalla
presa di Troja allorquando furono quelle monete dai
Segeslani battute, il che vale quanto a dire 5o, o 60
anni prima dell'avvenuta contesa da Diodoro ram-
mentala. Ci vien fatto similmente conoscere, che
l'era trojana anco in Sicilia veniva adottata dai popo-
li che a quei rimotissimi tempi quivi stanziavano per
esprimere le di loro epoche, ed i loro avvenimenti.
Ci vien fatto pure chiaro testimonio, che le slesse
siano lettere numeriche (literae numerales) impresse
in queste monde per indicare gli anni, in che furono
battute; poiché ritrovansi tutte fra di loro differenti,
e per conseguente ragione ci segnano tanti difiercnti
anni(i); ed in fine, che non siano le supposte termi-
nazioni de' casi obbliqui del nome di questa rinoma-
ta città, le di cui venerande reliquie, e con preci-
puità lo stupendo suo tempio, rendonsi oggidì ogget-
ti di meraviglia ed a' cilladini, ed a' forestieri.
(0 Giusta la supcriore osseita/ione la lettera g; indica 700,
KB— 7oa, Kl— 710, aSlA— 7 1 1, BIB— 712 , tlE— 715,— HIB— Sia,
ì e cosluUc le altie «tate da noi qui (opra rapportate.
'9
Ferdinando Malvica.
Salp^atore Costanzo
Suirimportanza della Statìstica, e delV Antmeti-
ca politica per far progredire l'economia in Si-
Jrenlo come voi siete, mio ollimo amico, nelle
scienze economiche , e percliè apprlenete ad uà
Istituto .1 cui solo oggetto si è di animare l'indù-
stria nazionale togliendo gli ostacoli , diffbudendo
1 lumi, e procurando di abbattere il prestigio de'
vecchi errori; a Voi credo di potere utilmente di-
rigere queste pagine, certo che non tralascerete,
per quanto è in voi, di prestarvi ai servigi della pa-
tria qual hgbo amoroso, come lo siete stato sempre.
Uggì conoscesi fra noi il vantaggio che recano
gli studi! economici, e calorosamente si cominciano
a coltivare: sorgono già due Istituti intenti al pro-
gresso delle scienze economiche, cioè quello d'in-
coragg.ameuto per l'agricoltura, le arti, il commer-
cio, e 1 altro della statistica: onde io ho fatte alcune
osservazioni intorno quelle scienze che più da vici-
no questi studii risguardano; ed a Voi le sommetto,
accio se utili le troviate procuriate a medio svi-
lupparle. °
Io credo, attentamente meditando sopra tutti i
soggetti che hanno di mira la nostra civile econo-
mia, che j)rimo scopo all'avanzamento di essa deb-
ba essere oltre della statistica , che già si è atti-
20
rarta 4' altcnzione del Governo, lo studio dell' arit-
nielica politica.
L'economia segna i fenomeni della produzione
delle liccliezie, ragiona de' mezzi onde distribuirle
fra tutte le classi de' cittadini, e del modo come
si consumano; la statistica colpisce lo stato econo-
mico d' un paese nel momento in cui ad esso ci
rivolgiamo, e minutamente lo descrive; l'aritmeti-
ca politica con aggiustatezza di calcolo misura le
forze produttive, e le cagioni che fanno accrescerle
o diminuirle. Adunque la Sicilia egualmente che ogni
altra nazione se vorrà progredire in economia non
])0trà mai abbandonare queste due importantissime
scienze, che le sono strettamente congiunte , e se
non vorrà battere tal cammino si condurrà a prin-
cipii astratti, ed a ragionamenti vani. Prima che
Paolo Balsamo fra noi apparisse parecchi de' nostri
economisti si resero inutili, perchè ignoravano l'ini-
poTlanza della statistica, e dell'aritmetica politica,
e*'scaza conoscere ne mai aver calcolalo la forza
produttiva della nostra industria, nò la estensione
del nostro commercio, ne la natura de' nostri ler-
i'enij,;.or con un progetto economico ne uscivano,
ed or con un altro, restando appieno convinti che -
k». Sicilia rimaneasi povera perchè eglino erano tra-
scurati, e non inlesi per nulla*
-(L'aritmetica politica è fra noi intieramente ignota,
et spetta a Voi clie appartenete ad una classe di dotti
a. questi studii intenti a làr rilevare quanto impor-
tante cosa ella sia il promuoverla, e il diffonderla:
ne. dovrà esser cagione di fievole speranza al suo
progresso, f esserci in Sicilia non pochi che son
dissueti anche a sentire il nome di essa; impercioc-
ché da debolissimi principii, tulle le volte the at-
!X1
tentamenle si studia un ramo qualunque di scienza,
si potrà in breve tempo pervenire al punto della
più alta perfezione.
Difatti appo noi la statistica parca quasi impos-
sibile che si elevasse al rango di scienza; e niuno
meglio di voi può aver contezza di tal verità: poiché
nelle vostre gravi Osservazioni sulT opera del Ca-
cioppo, che furon si altamente lodate dell'Antolo-
gia, tessendo una storia della nostra Statistica addi-
mostraste come ancor vagiva, facendo caldissimi vo-
ti, perchè ogni dotto cooperasse a farla progredire.
I primi sforzi che noi in ciò faremo, ed i primi
calcoli aritmetici politici saranno fdrse mal. fondati;
ma potremmo annualmente migliorarli rendendoli
più esatti, ed i primi che saranno i promotori di
questo studio avranno sempre un diritto alla pub-
blica stima, ed alia gratitudine nostra.
I calcoli che fece il celebre Pelty sono errati in
gran parte: pur non di manco hanno proccuralo al-
l'autore splendidissimo nome, massimamente per es-
sere egli stato il primo a dare piena forma alla scienza".
Or questa per noi, mio caro amico, è l'epoca d'una
vera rigenerazione economica, perche abbiamo ot-
time leggi che cospirano al nostro bene, adoperando
ogni mezzo onde diminuire la nostra miseria.
Sin da remoti tempi si conobbe l'utilità, e l'im-
portanza di tali studii; ed abbcnchè statistica , ed
aritmetica politica per principii ancor non si sapes-
sero; ciò non pertanto gli uomini di alto intendimento
minutamente osservando lutti i progressi della in-
dustria facean riflessioni savie e profonde , che in
risultato si riferivano o all'una, o all'altra. Sally,
destinato alle finanze della Francia, pria d' intra-
preudcre il suo ministero volle viaggiar per fjrwil
32
regno, esaminando la nalura de' terreni , lo sialo
dell'agricollura, e calcolando i movitueiili della popo-
lazione, e quali i prodolli, e qunnla la rnidila an-
nuale che rilraeasi, e quale (inaliucnlc il modo di
riscuoterla. Carlo ll.° re d' Ingliillena merila |)U-
re somma lode jier avere a immesso nella rcvde ac-
cademia di Londra Gruanl clic non era se non
che un merciajuolo, ma peritissimo nello cose eco-
nomiche, ed il primo a gettar gli elementi dell'a-
ritmelica politica colle sue osservazioni sulle liste
mortuarie pubblicale per la prima volla nel i66i;
e mentre i maligni tanta muniticenza derideano ,
il Re dicea che avrebbe voluto raccademia ricca di
simili merciajuoli.
Voi che avete percorso niolli paesi della incivi-
lita Europa ben sapete quanto diligentemente si col-"
livino questi studii, e come ad altri anco impor-
tanti si antepongano. In Francia, in Inghilterra,
nell'Olanda, ed in gran parte dell'America l'eco-
nomia non s'insegna mai sola; ma a questa scienza
si congiugne la più fina, ed accurata osservazione
de' fatti particolari per ischivarc ogni astrazione, e
venire al concreto. Sappiamo che in Francia ia ogni
anno fansi i più esatti calcoli aritmetici politici sta-
tistici di tutto il regno in generale, e poi si scende ai
dipartimenti, si viene in seguito ai circondarii, e final-
mente ogni paese, ogni villaggio pure si descrive.
Fra noi valenti scrittori in questi ultimi tempi
si sono applicali alle scienze economiche come il
Balsamo già da noi lodato, lo Scrofaiii, il Palmeri,
lo Scuderi, il wSan Filippo, ed alcuni altri. Il vo-
stro discorso, non ha guari pubblicalo, sulTIstitulo
d'Incoraggiamento con sommo piacere fu da noi letto:
il ragionamento inaugurale dello Scuderi per l'aper-
23
tuia della società economica di Catania dotto ne
addimostra l'autore, ed anche l'altro del canonico
Avolio, letto in quella di Siracusa, è pieno di utili
cognizioni: adunque dopo cotanti fausti principii io
spero die i miei voti siano esauditi, e die l'eco-
nomia scorgendosi una scienza tutta di fatto noti
si voglia isolatamente considerare, ma si accom[»a-
gni alla esperienza delle più minute osservazioni
aritmetiche politiche e statistiche.
In effetto la scienza economica appoggiata alle
nude teorie sarà simile ad un romanzo, poiché ella
è variabile per sua natura a s:?conda (W luoghi ,
de' tempi, e delle diverse situazioni in cui uno Stalo
ritrovasi; ed il vero cangiamento immediato d'un
paese potrà scorgersi da' calcoli esatti delle sue forze
e dal piano statistico d'un'epoca paragonata ad un'al-
tra. L'Olanda, la Prussia, la Sicilia non potranno
mai essere dirette da uno stesso codice economico,
e dalle stesse leggi amministrative: per mezzo del-
l'aritmetica politica, e del calcolo si conosceranno
quali sono i rami d'industria che più si producono, e
quali per la natura de' luoghi meritano essere pre-
feriti. Quindi è che Melchiorre Gioja sapientemente
dicea al principe Eugenio, facendo la statistica del
regno d'Italia, ed i più minuti calcoli su di essa,
che gran lode era per lui lo aver promosso quello
studio di tanta importanza per governare bene i
popoli.
L'economia civile adunque congiunta alla stati-
stica, ed all'aritmetica politica pone silTattainente
in chiaro le forze d'uno Stato , che come in un
quadro sinottico le present^a : può quindi ognuno
concretamente, e con certezza ragionare di essa, ed
i Governi in ogni circostanza non debbono che ri-
volgersi ad un lai esame, onde con slciuezza cono-
scere l'alluale floridezza o miseria.
Se abbisognerà, per csompio, una S|)edizione mi-
litare, islanlaucameiUe coi registri alla mano potrà
sapersi quanta sia la forza armata, e quanto di più
possa darne lo Stato; se dovrà mettersi una novella
imposta si conoscerà senza stento quali rami d'iur
dustria a prelt^renza potranno esserne col[iiti, e se
più opportuno sia farla gravitare sul consumo o
sulle terre; se vorrà introdursi un novello ramo di
coltura i più esatti calcoli sulla natura del terreno,
e sulla fòrza produttiva di esso appresteranno su-
Jjito l'idea dell'utilità, e dello svantaggio; e final-
mente i calcoli sulla popolazione, sulla maniera di
vivere, sulle trasmigrazioni apj)resterannó completa
idea della prosperità d'uno stato, o della sua de-»
cadenza,
SilTatle osservazioni sono quelle di tutti i buoni
economisti, nh potranno rivocarsi in dubbio da co^
loro che sentono nella scienza ; basta consultare i
valorosi scrittori d'economia per conoscere come essi
in tutte le loro teorie scendendo al concreto nou
clùamano in appoggio che la statistica, e l'arituie-»
tica politica, td a questo {proposito voglio fraa-
camente dirvi (già voi sapete che io libero ragiono,
uè adulo chicchessia) che sintantoché non si avrà
un Giornale del noslio Istituto d'Incoraggiamento
come lo hanno lutti gli Isliluti delle più colle na-
zioni , Yoi ed i vostri compagni potrete lavorare
quanto più volete, che nessuno saprà mai nulla
de' lavori vostri, La patria adunque ciò ardente-^
meate desidera , onde conoscere lutti i migliora^
nienti the si fanno per lo progresso della nazionale
industria; e cosi poterci uuuio mano avvezzat'C a
25
novelle teorie, ed ai termini esalti di lulte le scien-
ze economiche, ed a saper calcolare in concreto lo
slato della rioslra riccliczza, e i mezzi che s'impie-
gano |)er [)iomuoverla e prosperarla. In ogni osser-
vazione parlicolare, in ogni punto che l'Isliluto pi-
glierà di mira dovrassi scendere alla pratica delle
cose economiche, ed allora in ogni calcolo, ed in
ogni circostanza l'aritmetica politica, e la statistica
dovranno essere chiamate in a[)poggio dell'economia,
e tali dottrine mediante il gioinale rendendosi vol-
gari, e da tulli lette e considerate dilfònderansi ma-
ravigliosamente tra noi.
E poiché il nostro Monarca ci appresta i mezzi
a progredire nell'industria noi dobbiamo sollecita^
mente profillarne. L' Istituto è formato di pochi
dotti perchè tulli non possono essere di quel col-
legio, ma tutti gli uomini hanno diritto al pubblico
bene, ed ai loro paiticolari vantaggi.
Joungh il più grande tra gli economisti pratici die
possa vantare l'Inghilterra dava in ogni ainio contez-
za delle sue osservazioni, e de' suoi lavori, e portò
la statistica rurale, e l'aritmetica politica a tal per-
fezione che lasciò poco a desiderare. Qual fortuna
non sarebbe per la Sicilia che alcuno mosso dall'im-
pegno di fare novelle intraprese si accingesse a cal-
colare la diversità de' nostri terreni, e delle nostro
produzioni! Fintantoché queste scienze saranno da
noi trascurale non potremo mai aspirare a felici
risuUamenli, perchè le congetture, e le probabilità
non potranno prendere il luogo della certezza, che
per lo mezzo di quelle solamente.
Chi vuol essere buono economista, e principaN
mente in Sicilia, ove non è dilTusa la pratica di tale
scienza, fa d'uopo che sia nell'esaminare tulli i rauù
26
deU'indiistrìa simile al povero Riccardo di Franklin
che mettea tutto a calcolo ed af)co il sonno, onde
mostrare come di sovente gli efTctli non si attri-
buiscono per ignoranza alle vere cagioni che li pro-
ducono, uou sapendo afferrare l'anello che li coa-
g'u»ge- . . , . .
In Sicilia l'aritmetica politica, eia statistica, se-
condo me, dovranno, pria d'ogni allro, rivolgersi
alla parte agraria, perchè la nostra principal ricchez-
za dall'agricoltura dipende , e perchè tra le cose
da calcolarsi le più diflicili sono i prodotti della
terra soggetti sempre a variazioni istantanee, |)er le
mille imprevedute cagioni e naturali e politiche :
e l'esatta descrizione statistica di essi è auco dif-
ficilissima, volendo poggiarsi a dati certi. Ma da \:[b
non si deve dedurre, come taluno poco versalo in tali
sludii potrà credere, che l'una e l'altra non debbano
anche sollecitamente estendersi ed al commercio, e
ad ogni altra industria di qualunque siasi specie:
quindi bisogna raddoppiare gli sforzi oggi che sorge
ira noi una Direzione di statistica centrale, aftinché
volendo trarre profitto da essa , sorga insieme lo
studio dell'aritmetica politica, e più si divulghi quel-
lo della civile economia. -— Vivete felice
27
Lettera di Carmelo Martorana al cav. An-
TOMo Dt Giovanni Mira sugli Jnnali di ago-
stino IiiK^eges in rapporto alla storia saracenica.
Ornatissi/no Signor Cavaliere,
lù presto per ubbitlirvi, che non per alzarmi
"giudice su d'uomo sommo nella storia siciliana, di-
vengo a sporvi brcveraenle, giusta il comando che
me ne avete dato, e per rjuaiito sta in me spiov-
vednto d'ogni dottrina, quel vi ha di rimarchevole
iie^jli Annali di Agostino Inveges in rapporto unica-
mente alla nostra epoca saiacciiiqa. E perchè non mai
jotrassi giudicar Lene del merito dovuto ai (irimi
indagatori del vero in alcun ramo di sapere, se pria
non si conosca lo stato di conoscenza, in cui (juello
si ritrovava [)er le fatiche de' precedenti scrittori,
così voglio dirvi avanti ogni altra cosa dove si ri-
maneva fino all' Inveges cotesta parte della nostra
storia.
Mutate leggi, lingua , costumi, e religione alla
Sicilia dietro al conquisto fa Itone da' Normanni, e
alle nuove genti cristiane stabilitesi nella stessa con
interissimo sterminio della nazione saracina, fu così
grande l'avversione, che sentirono i nuovi popoli
per gli antichi , che non solo spregiarono lo stu-
dio di lutto quanto avea rapporto alla passata do-
minazione musulfuana, ma pur si piacquero a in-
famarne la memoria per mille favole, che ne mi-
sero a narrare. Laonde poscia j)assati alla poste-
rità quei favolosi racconti per mezzo della tradizione,
28
ìhioiio tenuti in kYO«(0"di--s{crt'ia, e si aveano usiir-
j>alo s\ grande credilo per fino che Tomlnaso Fa-
zello li scoperse mendaci colle storie bizantine del
Curopulata, che giusta 1 espressione dei medesimo
storico siciliano era più facile imbiancare un moro,
che non trarre -di capo ai nostri letterati quanto
stava di falso ne' cosi delti annali de' Saracini.
Adunque fu il nominalo Fazello che poilò il pri-
mo lume a questa parte della nostra storia: e an-
coracchè non fosse e"li riuscito a firla interamente
raddrizzata, pure^ aperse quella giusta ed unica via,
che polca condurci alla verità. £i vide il primo,
che a poter conoscere i Saraciiii di Sicilia, si do-
vea cominciare da quella medesima nazione dalla
quale costoro proveniano. E ricorrendo alle carte
del Tolomeo, ed alla descrizione d'Africa, che avea
pubblicato Giovanni Leone nel iSaG, ne cavò di-
verse notizie dell'origine e aggrandimenlo della na-
zione musulmana, che però non seppe approfondire,
ed anche vi corse gravissimi errori, perchè non solo
non distinse la triplice divisione del CalilFato e quel-
la immensità di principati subalterni, tra quali stava
Y Aglabilico, che poi fé' conquisto di ^Sicilia , maf
pur confuse colesti Emiri co' medesimi Pontefici e
Vicari di Maumelto, e disse che Califah ed Emir
al moumenin furono nomi propri di principi mù!^
sulmani. Per quanto poi riguardava la storia par-
ticolare de' Saraceni Sicoli, ei ritrasse molli lumi
dal Curopolata, che la buona fortuna gli fece ca-
pitare in mano, ed ove trattò dei rapporti, che in
tutto quel tempo passarono tra la Sicilia e gli Au-
gusti di Costa 11 tino j)oli, ei ne scrisse con tanta esat-
tezza per la bellissima guida del nominato scrittore
grcco^ che làscio poco a desiderare, e sarà iuinii-
39
taLile per la precisione e l'eleganza del dire. Ma
reslaiHJo iimilalo a questi soli documenti, ed a qual-
cli'allra cosa, che gli apprestò la storia normanna
del Malaterra, non potè conoscere ne gl'interni av-
venimenti di quelli nostri Saracini, nò i loro rap-
porti cogli alili slati musulmani.
i Ora stava colà stesso, dove l'avca lasciato il Fa-
zello, la nostra storia saracenica, quando alcuni spi-
rili elevati, tra quali dcesi il più distinto luogo
ad Antonino d'Amico e ad Agostino luvcges, die-
ronsi a investigare le nostre cose saraceniclie por
quella medesima via degli scrittori arabici. E riu-
scendo al nominato d'Amico di far tesoro di alcu-
ni estratti dell'AbulCeda e del Saboddino, quali fu^
roiio tradotti da Marco Debelio Citerone su i ms.
arabi delTEscuriale, ebbe poi modo l'Inveges, per
ciò che a quagli non baslò la vita, di ricominciare
la storia de' noslri saraceni con questi nuovi ma-
teriali, e con quant'altro potè ricavare degli scrit-
tori occidentali de' suoi tempi , che già portavano
grandissimo lume alla sconosciula storia musul-
mana.
Ed ecco ora quali furono i miglioramenti che
si ebbono per le fatiche dell' Invèges. Ei colla
guida del Goidonio e dello Scaligero raddrizzò iti
molle parli quanto avea dello di erroneo il Fazello
sulla storia generale del CalilTàlo, facendo pur co-
noscere che Califah ed Emir al moumenin, da lui
detto Miramolino al modo degli Spagnuoli, erano ti-
toli proprii del solo capo deU'impero, e l'uno va-
ka vicario del profeta, l' altro capo, ossia principe
dei fedeli. Disse ancora la trJLplice partizione, che
pati appresso Maurnetlo 1' imj)ero inusulmano , e
portò anche una tavola cronologica de Calilìi di
3o
Bagdad , sebbene eoo difetto di molti prìncipi , e
con sommo guasto de' nomi proprii. Però scendendo
agli Aglabili , che furono quelli clie acquista lono
la Sicilia, ei li chiamò falsaaienle Califd d'Africa,
e mostrò in generale pochissima conoscenza della
natura di tutti i principali subalterni, che addi-
mandavansi emirali; ne intese bene quel che avea
detto Leone Afiicano sulla divisione dell'Africa in
quattro regni. Ma venuto finalmente alla partico-
lare storia di Sicilia, ei ci portò iti una nuova pro-
vincia del lutto sconosciuta pria di lui, e sembra-
lui che fosse stato quello il più grande avanzamen-
to, che abbia fatto la nostra storia saracenica per
lino all'insigne lavoro del dottissimo Rosario Gre-
gorio. Incorre bensì da principio il solenne errore,
al quale Giovanni Leone avea tirato tutti i nostri
storici, quelfo cioè di far comparire che il conqui-
sto di Sicilia venisse impreso e condotto a fine da
un certo Adelkam, il quale n'ebbe carico da Ibrahim
figlio d'Aglab principe regnante di Carovano. E in
questo abbaglio si fece ancora più sodo per la faU
sissima traduzione, che spacciò il P. Mario Pace
d'una moneta saracena portata dal Parula, ove piac-
que al buon Frate d' inventare la seguente iscri-
zione: M Adelcam Almalec mdin Balmurmus: 33 ossia
Adelcamo il Principe della città metropoli Paler-
mo » com'ei stesso ci volle spiegare.
Non v'ignorate per certo, coltissimo signor cava-
liere , come sì falla illustrazione del P. Mario fu
chiarita mendace dal dotto Adler nel suo Museo Cu-
fico Borgiano; e solo voglio dirvi alcune mie osser-
vazioni, per le quali si vede che tutta questa storia
di Adelkam, cui finora si è dato vanto di aver con;
quistalo l'iutera Sicilia, è certamente falsata in ogni
3f
sua circostanza. Per mollo cercarne die ho fallo ia
tulli gli storici da me coiiosciuli, o in allro monu-
mento arabo-siculo di cui m'abbia notizia, non ho
trovato che di questo Adelkam si tacesse ricordo che
sia più antico di quel ne disse Giovanni Leone agno-
minato r Africano nella sopraddetta opera della De-
scrizione d'Afiica, il quale parlando di Cairouan cit-
tà capitale di Barberia tocca per sola incidenza la
conquista saracenica di Sicilia, e ne dice taU brevis-
sime parole: w In questo tempo che a Carovane re-
gnava la casa di Aglab, fu presa Sicilia delli suoi e-
serciti mandativi per mare con un capitano dello
Hnlcama: il quale nella detta isola edificò una pic-
cola città per tortezza e sicurtà della sua [wjrsona,
chiamandola del suo nome, e questa vi rimane tut-
tora chiamala da' siciliani Halcama. Dipoi quesl'Hal-
cama fu quasi assediata dagli eserciti, che vennero in
soccorso di Sicilia, ed allora il signor di Caironan
mandò un altro esercito più grande con un valente
cajìitano chiamato Ased, il quale rinfrescò Halcama,
e ridottisi lutl'insieme occuparono il vesto delle terre
che rimnneano (presso Ramusio voi. i pag. 6g.)»
Nulla qui mi occorre dire della falsità di quest'asser-
zione, che un solo duce e in una sola spedizione des-
se princi[)io e compimento all'intero conquisto di Si-
cilia, per ciò che feci dimostralo assai lungamente
nel primo volume delle mie memorie, aver durato
in questo gli eserciti musulmani scllantaquaiiro an-
ni di continuo battagliare, e non meno di diciassette
essere stati coloro, che tennero il supremo comando
della guerra siciliana in questo correre di lunghissi-
mo tempo. Ma se malgrado cotanta falsità, noi vo-
lessimo .sospettare per le riferite parole di Giovanni
Leone, che la venuta di Halcama non sia meutila del
32
tulio, ma Solamente falla guasta dagli scrittori occi-
dentali, per avergli allribuito molte gesta non sue,
Hon altrimenti si potrebbe questa conciliare con
quanto dicono gli scrittori arabi ed occidentali , e
particolarmente il Novairo , se non riponendola in
una di quelle correrie, cli'ebbono luogo avanti l'in-
vasione. Però si mostrano così errati e discordi li
nostri storici, anco su questo particolare dell'anno in
cui venne Adelkam , che non ci è dato di fornia-
re una qualunque ragionevole congettura. Huberto
Goltzio e Marco Majer fan venire Adelcaino nelTSa i ^
Tommaso Fazello, Agostino Inveges, e tutti gli al-
tri, che son venuti appresso loro, ce lo riportano al-
l' ottocento vensette , tutti poi concordemente gli
scrittori, che parlano di Adelkam, lo fanno spedito
da Ibrahim figlio di Aglab, il quale sappiamo dagli
storici Arabi che si morì ncll'81 3 (i); e da ciò vedi
corno tult' i nostri son ili lungi dal vero iiìtorno a
questo Adelkam, e al principe Aglabida, che lo spe-
dì. Onde a me pare che si per la fallacia de' nomi-
nali scrittori occidentali, come ancora pel contrario
testimonio, che sta nelle opere degli scrittori Ara-
Li, meglio sarebbe che ne' romanzi, e non già nella
storia si desse luogo a tal famoso conquistatore. Ne
fia credulo, che il nome di Alcamo, il quale tiensi
ancora da una nostra città, si possa riputare come
buona prova di quanto si narra di questo capitano;
che tòrse la favola nacque da ciò slesso, che si volle
dare ad Alcamo un glorioso fondatore, null'avver-
tendo, che il nome .di. Al Kamus, era pur. ptoprio
■iwlduui.'! i vìfmfi Ili rnf.tì) rp •.•,<.'tnió qU
(j) Sulla inori* di quesito llirabini, fii-IIo . d'. A'gtal» primo re-
gnatile della casa Ai;lahid>i vedi KIjI) al Klialtib, Npvaiio, Abid-
Icda , Guìgiids , Caaiiglioiie ,'c M(^cllcro , colile ancora le nostre
_^lèlnol■i«.iwtt iji'liqU .HÉjreDlttl it OUiiiV si itti) /
33
ili altri luoghi, clic aveano gli Arabi fuori Sicilia,
siccome la famosa rupe della Giudea, dove portò
due segnalale vittorie l'isteiiso profeta Maumctto(ve-
di Rampoldi ami. Musulm. voi. i, pag. 187), ed
una bella città della Libia , che apparteneva allo
stato di Biledulgerid (vedi Leone Africano loc. cit.
pag. 1 ,, retro.)
Ora toi'nandò il mio discorso ad Agostino Inveges
da cui SI partì, io debbo dire che di questi errori, li
quali gli vennero da Giovanni Leone e dal Fanello,
€i ci diede largo compenso quando passò a narrarci
gì' interni avvenimenti della Sicilia sotto la nuova
dominazione musulmana, perchè tenne di guida gli
scrittori arabi già conosciuti per le cure dell'Amico:
e lino all'anno 902 si fece condurre dagli estratti del-
l'Abulfcda; dal 908 sino al 1037, quando si disciol-
se l'emirato siciliano , dalla preziosa cronica del Sa-
boddino. Così fu primo a mostrarci , che la Sicilia
ebbe in quei corso di tempo la successiva domina-
zione di due diverse dinastie, una detta degli Agla-
biti , li quali regnarono in Africa, l'altra de' califfi
egiziani , che fu posteriore alla sopradetta; tanto pei
primi quanto pel secondi fu tenuta sempre con sem-
plice governo di provìncia e in perfettissima dipen-
denza; che finalmente i Saracini di Sicilia rovinarono
lo stato per le loro stesse dissensioni, e per aver divi-
so le città nostre in tanti piccioli principali. Anzi ci
mostra intorno a quest' ùltimi avvenimenti di aver
fatto buonissimo uso non solo del Saboddino, ma
pur degli storici bizantini, e di tutte quelle croniche
latine, che presso gì' italiani di quella barbara sta-
gione teneano luogo di storia. Porta inoltre l' In-
veges una tavola cronologica de' nostri Emiri, che
sebbene fosse imperfèttissima per sino agli anni 947»
34
dove non ebbe altra gu'ula cbc quella dell' Abulfeda,
il quale disse di Sicilia per sola incidenza, dimo-
stra poi grandissima esattezza nei posteriori, per-
che cavolU dal Saboddino , che avendo proposito
della storia siciliana li fa ricordati con somma dili-
genza. E se non fece distinzione del titolo col quale
quelli governarono, che sino al 947 Ili solamente
di Wall non di Emiri, ei di questa mancanza non
è affatto riprensibile, per ciò che alcuni degli stessi
scrittori arabi, com'è quello della cronica di Cam-
bridge, confusero spesse fiate colali titoli e niente
poi li distinse la generalità de' traduttori. Ne que-
gli estratti assai monchi dell' Abulfeda e del Sabod-
dino gli i^oterono far conoscere menomamente, che
la dominazione de' Faiemiti ossia de' Caliifi egizia-
ni cominciò nell'anno 909, ma solo riuscendogli
d' osservare che nel 998 , ebbono quelli principi
grandissima ingerenza nelle cose di Sicilia, si die-
de a credere che tal mutazione non fosse avvenu-
ta che allora stesso. Pur egli nel 909 avea parlato
di Al Mahadi, primo fondatore del Califfato Fetemc-
dico, senza che avesse potuto conoscere la gran-
dissima rivoluzione, eh' era avvenuta allora nel no-
stro governo musulmano; anzi portò il detto prin-
cipe in Palermo a presederc una supposta dieta
nazionale , perchè fece malissima interpetrazione
d'un tratto del Saboddino, ove si riferisce che il
nominato Al Mahadi entrò vittorioso in Segelmes-
sa, e chiamò dinanzi a sci primati del paese, per-
chè gli dessero in mano un certo Eliseo sotto mi-
naccia della loro vita. Tanto possono ingannarsi an-
che gli uomini sommi, allor che vogliono penetrare
per isforzafe indaggini 'la reuitcìitc oscurità degli
antichi secoli.
35
Nulla sia di manco possiamo dire con franctiez- .
za, che dall' Invcges sino al Gregorio non fu altro
Strillore, meno che il solo Caruso , il quale aves-
se recato alcun nuovo lume alia nostra storia sa-
racenica; e questi medesimo che ora abbiamo no^
minato , non vi fece altro miglioramento , che di
stabilire aì giusto tcmi)0 il principio de' fatemidi
dopo avello cavato dali'Elmacino sugli estratti del
Pagi, e di aggiugnere alcuni pochi folli, che venne
ù conoscere dalla cronica arabo-sicula di Cambridge.
Se poi dal Giegorio , che seppe raccorre molti
nuovi documenti arabici, e ridusse a giusta lezione
anche quelli pnbblicali pria di lui , si fosse fatta
alcun altra cosa per fino al dì d'oggi , non si ap-
partiene a me dì giudicarlo. Bensì ci avverte l'e-
sperienza di quanto finora è successo, che mai sarà
per migliorare Cotesta parte di storia sicula, se pria
tra noi non saranno promossi i difficili studi delle
cose orientali, e non s'avrà copia di storici arabi:
che ivi solo e non altrove è da sperar si trovino
sicure notizie de' nostri Saracini; ne mai si puote
conoscere la storia civile d'una provincia , che tal
fu la nostra isola, se non fla conta la storia gene-
rale e la conformazione tutta dell'impero da cui sta
dipendente. Laonde fòrte è a dolerci, che in que-
sta biblioteca comunale di Palermo, malgrado che
il comune desse a tale istituto la somma annuale
di oncie 4oo circa per completarsi de' libri più im^
portanti , neppur si ha curato d' acquistar un di-
zionario, e i j)rimi trattati elementari della lingua
arabica. Anzi è tale l'assopimento, che si addimo-
stra su questo ramo del sapere, che in quel mede-
simo suolo dove i Saracini stettero naturali popoli
per quasi tre secoli, e eoa diversità di costumi, di
36
linguaggio, e di legislazione vi tornarono quasi le
antiche beatitudini de' tempi greci, g\k si dispera as-
solutamente che si abbiano le opere del Nighiàrislan,
del Kodouri, dell'Ebn Khaldoun, del Makrigi, del
jNovairo, dell'Ai labari, dell'Abulfeda, e di altri
dottissimi arabi, che oggi sono studiali con soni-
nio ardore per tutta l'Europa civilizzata, e presso
noi , fatti spesso zimbello d'impostori , si trovano
quasi sconosciuti dell'istesso nome. Né vale lo ad-
durre, come si fa quel perpetuo pretesto della gra-
vità del costo di tali libri; per ciò che appunto sta
in questo l'impossibilità d'acquistarli i privati, e a
nulla è più proprio quell' istituto pubblico che a
tale provvedimento.
Siavi dunque pruova di amicizia e non di ar-
dire, ottimo signor cavaliere, se io ho ceduto alla
■vostra inchiesta di manifestarvi il mio parere su
quel grand'uomo di Agostino Inveges, che da Pie-
tro Giannone fu riverito come ,il più grande de'
nostri storici; mentre pieno di rispetto e di attac-
camento vi dò l'addio degli amici.
Vro servo ed amico
Caruelo MàRTORANA.
^ 37
———I
Della Gerarchia degli esseri Intelligenti — Can-
tica del marchese J'OMMASO GaRGALLO{i).
LA NOTTE
Canto P
ili otte, die 'I capo taciturna estolli
Ravvolto in bruno vel, gli ultimi rai
Mentre il dì spegne tra gli opposti colli,
E quando fia che de' sereni e gai
S[)lendor mi pascerò del giorno eterno,
Cile non tramonta, e non s' eslingue mai?
Notte, perchè con stabil giro alterno
Or la purpurea luce, or le tenebre.
Ora il fiorito aprile, or 1' aspro verno.
Chiuder mi fanno, o aprir l'egre palpebre,
Ognor del vivo lume avide, e ognora
Dal tuo mesto abborrenti orror funebre?
No che mai sazie d' apettar l'aurora
Non fien, ne mai di vagheggiar immote
Il primo raggio, che la terra indora.
Pur nel tuo stesso orror l'anima scuote
D' Euro tra boschi '1 fischio; i cupi fiotti
Del mare; il volger del tardo Boote;
(t) Avendo dalla corlesia del chiarissimo Marchese Tomma-
so Gargallo oUciiufo il pregevole dono di questa sua novella poe-
tica ptoduzione, ne inseriamo per ora i primi due canti. Stimia-
mo intanto di dovere avvertire che la Nulle fu iirecedentomente
stampata nel 18-27 in un giornale siciliano, e poiché occorsero in
quella edizione parecchie mende tipografiche; dj noi volentieri si
riproduce correttamenlo, facendo cosi i.n'eccezioiic al sistema fino-
ra tenuto di puhl.licarc soltanto scritture inedite. Oltre di che
siamo a ciò indotti dal desiderio di adornare queste EfTemcridi
dell' intera cantica del chiarissimo Auloie.
1 COMPIlATOfll
38
E 'n lor corso non mai gli astri interroltl,,...
Se' pur hello in tua luce, o Dio del giorno!
Grande in tua maestà, Dio de le notti!
Ma la vermiglia pompa, oud' era adoino
L'occaso," ecco dilegua; a noi si toglie,
Ed altre piagge bea del suo ritorno.
Non così quella, che su «l'auree soglie
Stendesi de 1' Empirò, e che riveste
L'alme già scinte de l'umane spoglie,
Qual fiamma intensa in noi, tutta celeste,
Che tende alto a levarsi, il limo immondo
Sente, che in se l'incarcera, l'investe,
E in giù la piomba col grave suo pondo!
Notte, ah! si, de lo strepito diurno
Il tuo muto silenzio è più facondo
Nel solenne spettacolo notturno
Già m' immergo, gran Dio: con volo ardilo,
Oltre a l'orbe d'Urano, e di Saturno,
Per l'etereo oceàn, che non ha lito,
Quanti nuotano mondi, a cui tu segni
Norma e cammin con l'accennar d'un ditoj
Chi seminali per gli aerei regni
Sì spessi e vari conterà gli ardenti
Soli, che con un fiato accendi, e spegni?
Nel nostro, dal cui sen sgorgan torrenti
Di luce, hai tu l'immagin tua scolpita
Per rifletter su l'egre umane menti.
Tutto, o. Signor, la tua grandezza addita,
Ch'egual del sole nel fulgor riluce,
E ne l'insetto, che d'un giorno ha vita,
"Volesti? e un fiat fé' sfolgorar la luce;
La copre wn fiat^ se il vuoi, d'etenro ecclissij
E mille mondi un altro ^^^ produce.
.39
Tu del crealo da' profondi abissi
Gridi ai pensiero: in cifre memorande
Su questa volta il mio gran nome io scrissi.
Tu passeggi la luce, e le ammirande
Sfere, ch'ornano il ciel, la polve sono,
Che dai tuoi passi si solleva e spande
E pur nel loro libero abbandono
Volgon metricamente: armonizzante
Così '1 Samio ne udì nel molo il suono.
Di cpial' esseri mai saran colante
Lucide moli popolate? Quali
Lor torre, acque, arie, fuochi, uomini, piante?
Sogni son questi, o in questi sensi frali
D'origin diva albergasi virlude,
Ch'apre talor pari a l'origin l'ali?
Mal questo breve carcere la chiude,
E di se consapevole, trasvola
Sdegnosa la terrestre ima palude.
A l'alpe in cima sprigionata e sola
In queste tacit'ore il ciel rimira,
E su per gli astri più ch'aquila vola.
Or in drago gli annoda a lunga spira;
Ora in orsa, o in lion qui ad Arianna
Compone '1 serto; ivi ad Orfeo la lira
Che l'aspetto del ciel nos*lr'occhi appanna.
LA FANTASIA
Canto IP
O
diva Fantasia, quanto s'inganna
Chi fallace l'appella, e di chimera
Il tuo sublime immaginar condanna!
4^ ....-"
Sol tu conservi e aiìditi la primiera
Forza nalìa; lu solo a l'uomo avvcrli
Clic noi cape, quanl'è, quest'ampia sfera;
E gli ordigni a sigiar tra lor conserti
De la maravigliosa opera, i scusi
Non soccorrendo, a tanto volo inerii; .
Pur tra gli spazi del creato immensi
A seguirti costretti, usi e ragioni
Il lor linguaggio, e col divino pensi.
T'erge div'aura interna a le regioni
Oltre la tomba, e umau sentir t'appresta
La negr'ala de' torbidi aquiloni.
Su cui varcar Ira '1 nembo e la tempesta,
Al debile cliiaror d'incerta luna,
IVel cupo fondo d'orrida foresta.
Ivi scorger ti sembra a l'aria bruna
Uom con serto di foco uscir guardingo
De la mota di sordida lacuna.
Ei re di mille schiere, or qui solingo
Struggesi invan che feo grandi i Seiani,
E de' buoni lo stuol grauio e ramingo.
Più in là ti volgi, e da due neri alani
Maligno cacciator su destrier nero
E inseguito, raggiunto, e fatto a brani.
Poi narri qual d'antico cimitero
Esca tregenda di facelle armata
E sosti ove in due partesi il sentiero.
Ivi a la croce intorno, scarmigliata
E di candidi lini ricoperta,
Danza di sette donne una brigata.
Tu stessa ancor d'un tratto a la deserta
De l'isola nebbiosa ampia marina
Voli, e di Cromia ami poggiar su l'erta,
4i
Ove de' duci de la folle Eriiia
Le vote ombre d'uà diruto castello
Vagolar vedi iiiloriio a la mina.
Sul Tcmora una volta era ben quello
Degli sceltrati de l'iberna terra
E de' lor cento Bardi il vecchio ostello.
Tu miri le fort'a.nime di guerra
Ed odi qual tonò per l'ampie sale
Il suon de' cento ch'ora son sotterra.
Notturno venticel con leggier'ale
N'agita l'arpe, ne da inetti marmi,
Ma da' campi d'onor sorge immortale
Schiera d'eroi, ch'esulta a' dolci carmi
De le sue geste, e con festoso applaude,
Che fa per l'aria udir sdcpito d'armi.
Fole son queste che t'acquistan laude
D'estro inventor, e accusan tuoi prestigi,
Che ai vero e a la ragion fann'onta e frauda.
Ma ignora il vulgo, o Dea, che ne' prodigi,
Onde l'alletti, e fai che il ciglio inarchi,
Qual piltor ne' colori, il ver gli efiigi.
Parli di tombe, e oltre la tomba varchi:
Ode l'orrenda caccia, e trema il crudo,
L'ignito serto, e tremano i monarchi:
Spetri sbucar da l'urne e in fiero ludo
Danzar, è fola: ma di morte a' dardi
Preda è lo spirto ancor di polpe ignudo?
E se non pere, i vili ed i gagliardi
Egual sorte aver denno? egual canzone
A questi e a quelli intoneranno i Bardi?
Tu al tebano, tu al celtico Anfione
Tra fole avvolto il ver mostravi, e il saggio
Pel tuo labbro parlava a la ragione.
4a
Tu gii prestavi il rilmico linguaggio,
E di carmi tcsor fca la inetnoria;
Che i carmi erari volume a l'uom selvaggio,
Siile non impugnava ancor l'istoria,
E animala da te l'alpeslre musa
Fea caldi i figli de l'avita gloria.
O Dea, fu in le dal ciel la luce infusa
Che al vulgo adombri, e eh' è mirar rifiuta
Tra' veli de le immagini racchiusa.
Sciolto il fragile stame, ond'è tessuta
L'umana spoglia, l'anima non tace;
Parla natura da la tomba muta
E altro spirto, or ignoto, è al cor lof|uace.
Cenni intorno la nos'dla Accademia di Aci-Reale.
^Sapientissimo coucelto degli antichi fu quello di
collocare la statua di Amore a mezzo l'Accademia
che fu in Atene a Pallade consacrata. Imperciocché
si facendo voleano que' grandi conoscitori del cuo-
re umano manifestare al popolo cittadino, che co-
loro che attendevano alle scienze, e che in un i-
slesso luogo si riunivano erano dall'Amore congiun-
ti; e questo Dio possente della natura in mezzo ad
essi si slava, e tacitamente vegliando gli umani af-
folli stringeva. Onde somma lode debbesi, cred'io,
a ìijuelle anime generose che le Accademie fonda-
no, o fau risorgere, o promuovono. Imperciocché
queste letterarie palestre possono ben dirette influire
alia civile concordia ,' legando gli spirita, infiam-
mando gli animi pel bello e pel buono, diflbudea-
43
tlo 1 lumi, tlirozzan(lo i popoli. Gli uomini ne' let-
terari consessi si assotligliano l'ingegno, a vicenda
s'istruiscono, e l'uno insiememenle diviene maestro
e scolare dell'altro: onde a me pare che si possano
le Accademie paragonare a ricclii meicati, ove le
merci dell'intelletlo si permutano, circolano i vaio-'
ri, e le dovizie della sapienza si accrescono. Pita-
gora, Zenone, Platone, Aristotile furon fondatori
di accademie in cui gl'ingegni gareggiando fra loro
le rigide e amene discipline maravigliosamente col-
tivavano , ed empievano Grecia e il mondo del
loro grido. Quindi Plutarco, convinto, com'egli era,
dei beni ch'elle agli uomini recavano, non esitò a
dire che se mai si vietassero si correrebbe rischio
di vedere estinte non pur le scienze, ma quella me-
desima inclinaziou di sapere che in noi stampò la
natura.
La Sicilia ebbe nelle andate stagioni moltissime
Accademie; ma per le vicende dei tempi parte si
cstinsero , e parte languiron sì che appena se ne
conservano i nomi: oggi però sembra chela Sici-
lia, a cui il secolo ha già dato un gran moto, senta
il bisogno di rinnovare le antiche glorie accaderni-
che, che le furono un giorno di tanto lustro. Di-
fatti in più luoghi dell'Isola si sono ripristinate al-
cune di quelle letterarie assemblee, ch'erano slate
abbattute dall'ignoranza, e dall'ignavia de' nostri pa-
dri, succeduti a que' valorosi che le aveano fondate.
Ne qui vogliam noi parlare dell'Accademia Gioe-
ia, che si e resa chiarissima in Europa, ne della
•^:loritana di Messina, nò della Civetta di Trapani,
P di quella finalmente delli^ capitale; bensì le no-
5^^ parole tendono a far conoscere l'Accademia di
■^Cveale, che venne fondata nel i6^i da Michele
Boiiatlios , vescovo di Catania , sotto il nome d ■
Zelanti^ e clic ora risorgi; per le cure di un va
lentissimo uomo, che onora la [)aliia e le lettere si-
ciliane, vo' dire Lionaido V igo.
Io credo che le Accademie nelle provincie fiiccia-
no maggior bene alla cultura e alla civiltà loro di
quello che far lo possano nelle capitali. Qui concor-
rono in gran parte i dotti della nazione; e senza lo
sprone delle Accademie si rendono più facilmente
chiari i cultori delle lettere; perchè più splendidi
sono gli onori, più magniOche le ricompense, più si-
curo e più libero è quel digito tnostrari^ che ha tanta
forza sul cuore e sulle menti dei mortali; onde sem-
pre avanti si spingano, gli ostacoli vincano, e arrivino
a quel desiderato punto, eh e sì spesso segno d im-
mensa invidia e di profonda angoscia. Per lo contra-
rio nelle provincie, ove pochi sono i dotti, piccioli i
mezzi per coltivare le lettere e le scienze, nulli spes-
so i legami di comunicazione, e minore il bisogno
di farsi conoscere, le Accademie sono di una uti-
lità maravigliosa: con questo mezzo polente le pic-
cole popolazioni si muovono si concitano si svi-
luppano: fervono gli spiriti, e gli applausi che si
riscuotono in quelle letterarie adunanze suppliscono
al difetto di non essere i dotti conosciuti incorag-
giati onorati. Onde bene e sa{)ienlemente disse quel
gran l'ime di Voltaire, ragionando appunto delle Ac-
cademie di provincia, ch'elle (mi piace di parlare
le sue medesime parole) ont prodiiit des avantages
signalés. Elles ont faìl na/trc rémulation, J'orcc cut
iravail, accouiamé les jeiines gens à des bonncs
leclures^ dissipé Vignorance et les prejuge's de fjiicl
(jiies i'illes^ in spire' la polilesse^ et chassé alitar
qiLon le peut le pe'daìiiisme. Per le quali cose r^
45
allamente ci facciamo atl onorare il divisrimento del
Vigo nel far sorgere a novella vita l'Accademia dell (
sua patria , ed insieme ad altri valenti suoi con-
cittadini illustrarla ed innalzarla, spingendo gl'in-
gegni, che forti ed ardenti sono in ogni angolo di
questa terra carissima, a quella mela a cui tendo la
sapienza del secolo.
Or questa Accademia , allorché fu fondala dal
Bonadies, aveva l'obbligo di unirsi ogni settimana
per discutere argomenti di scienze morali e bel-
le lettere: ed in tal guisa si mantenne per più di uu
secolo. Parecchi ottimi cittadini le doi.arono, mo-
rendo i loro libri e qualche rendita, talché essa, e-
stinguendosi verso il cadere del 700 , trovavasi di
avere onze cinquanta anime di dote , e ciica tre
mila volumi di scelte opere. Ma si le rendite, co-
me i libri erano, per l' avversità dei tempi , ca-
duti in mano di quei che sogliono per lo più con-
giungere all' ingordigia l'ignoranza e l'egoismo; e
quelle dissipavano , e maluso di f|ucsti facevano.
Quindi il Vigo, pieno la bocca e il petto di carila
di patria, concepì l'anno scorso il generoso disegno
di valeisi del nome di quell'antica Accademia, che
chiamavasi, come dicemmo, dei Zelanti, onde con
quest'egida livendicare in perpetuo a tutta la citta-
dinanza e rendite e libri: e sì fattamente opei'atido
schiudere bellissimo aringo, per propagare nel suo
paese la cultura e la civiltà. Oh possano questi no-
bili esempi trovare imitatori per ogni dove! Il Vigo,
per giungere al suo fine, compose uno statuto, e
chiese con supplica a S. A. R, il Principe Luo-
gotenente di riattivare l'antica Accademia de' Ze-
lanti, creare accademici i sottoscritti nella mede-
sima supplica, ajjprovare lo statuto, e dare a quo'
46
IJravì tutte le proprietà e gli obbliglii della Vetu-
sta Accademia. S. A. R* dopo avere udito il pa-
i-ere della commissione di pubblica isiruzione , e
della Polizia nel Consiglio di Stalo del la di ot-
tobre 1882 fece pieno diriUo alla dimanda. Dopo
di che l'Accademia venne solennemente inaugurata
il primo dell'anno die corre nella grande aula sena^
toria, e v'intervenne il. eh. Paolo Assalini, e moU
tissimi uomini liputati per dottrina e gentilezza.
Il nome che si è precisamente dato a tal uo-
■Vello Istituto è di yJccademia di scienze leite^
re ed arti di Àci-reide. 11 suo scopo è oggi quèl^
lo d'illustrare argomenti di siciliana utilità, e in-
sieme di siciliana gloria, versandosi precipuamente
sopra subjiiclti patrii ed etnei. Ella viene compo-
sta da rpialtro ordini di accademici : il primo di
attivi, il secondo di onorarli, il terzo di corrispon-
denti, il quarto di collaboratori. Gli attivi sono ìli
numero di ventiquattro, ne potranno essere mai più.
Eglino contribuiscono in favore dell'Accademia lari
tre al mese, e debbono dare un opuscolo ogni bien-
nio: vengono poscia partiti in due classi: l'una di
scienze, l' altra di leltere arti e belle arti. Tutta
l'Accademia ha un presidente generale, un segre-
tario generale, un cassiere, un direttore di gabinetto;
ed ogni classe un Vice- presidente, ed un Vice-se-
gretario: il denaro dell'Accademia dovrà impiegarsi
in associazione de' più riputati giornali tanlo ita-
liani che stranieri; ed in compra di libri, di mac-
chine, e di strumenti scientifici. Le sue sedute sono
fissate in ogni primo giovedì di mese: ed in ogni
tornata ordinaria, cli'è sempre pubblica, un socio
\i dee leggere il suo discorso di turno: gli altri,
volendo, potrebbero leggere eziandio, ma non sono
aslretti a ciò da nessun obbligo.
47
Noi già sappiamo clie questa Accaclemia l»a. sve-
gliato tulti gli spiriti dell'amena e leggiadra città
' in cui vefiiie fondata : ivi già si lavora con grande
alFello, ed è riputata bellissima onorificenza 1* ap-
partenervi. Lionardo Vigo, a cui mollo dovrà la
civiltà del suo paese , eccita il nobile sentimento
della gloria, e. all'emulazione sprona potentemen-
te gl'ingegni. Speriamo quindi ch'ella, nata con
si fausti auspici , sempre più progredisca , e se-
gni un' epoca gloriosa nelle letterarie pagine di A-
ci-Reale. Noi però facciam qui un volo, desiderau -
do che .sia accolto da tutti i bravi di quel con-
sesso , perchè vengan preferiti sempre da loro i
gravi argomenti e gli utili: che il secolo sdegna
forlcmenle i futili studii, che tornano vani agli uo-
niiui, e sono spesso di vergogna a noi stessi. I
tempi reclamano la verità, e vogliono che le severe
dottrine che dirozzano i popoli, e rendono più chia-
ro il nostro cielo, e più feconda la nostra terra sì
amiuo e si ditibndauo.
Ferdinando Malvica,
JllOrnatissiino cmf. D. Salvaiore Vigo: Let-
tera ^'Ignazio SANFiLippo/;ro/'. di economia po-
litica nella R. Vniversiià di Palermo.
Amico pregiatissimo
illon Ila guari per le vostre proprie mani ricevei
un opuscolo, che ha per titob Istoria Critica di
parecchi censimenti ^ per servire alla rettifica dal
48
Catasto Siciliano. Egli lia un valore, ed io non
posso com' economisla non rendervene un' altro iti
contraccambio. Ma quale mai egli sarà? Uu giudi-
zio franco e schietto suli' opuscolo medesimo; pri-
ma però clie io lo esponga, permettetemi, che bre-
vemente ripeta le vostre idee.
Par mi, se mal non mi avviso, che lo scopo del
vostro lavoro sia stalo quello soltanto di provare,
che tra i difTereiili metodi, onde fare il catasto, cioè
tra il rivelo, la perizia, e la tariffa, questa sia da an-
teporsi agli altri. Or fra i non pochi fatti che voi
mettete innanzi per mostrare il vostro assunto, ve
ne ha di taluni che risguardano l'istoria del censo
di Milano; di altri, quella del catasto di NapoH ;
e di altri finalmenti l'istoria del nostro. Seguendo io
dunque un tal ordine di parie in parte ne terrò argo-
mento.
In Milano, voi dite, grandi e frequenti eran le
doglianze sulla ineguale ripartizione delle imposte;
e gli abitanti di quel Ducato ne aveano ben donde,
che elleno vogliono esser generali , con facilità ed
economia riscosse; cpperò , volendo quel governo
ajutare coloro, dopo taluni sbagli, siccome sempre
avvenir suole nelle cose umane, divisò e mandò ad
esecuzione il seguente progetto. Egli volle che fos-
sero misurati per ciascun municijìio e di pezzo in
pezzo tutti i terreni del Ducato, e che se ne ad-
ditasse l'estensione, il nome ed il cognome del pos-
sessore, la coltura, ed il grado di loro feracità. Alla
misura seguì l'estimo, il quale fu rimesso ai periti;
ma fu loro espressamente imposto, di dovere spie-
gare i motivi che l' indurrebbero a valutare i ter-
reni per un prezzo più tosto , che per un altro ;
così infatti costoro praticarono ; eglino diedero il
49
loro giudizio; il governo lo rese di ragion pubblica;
assegnò un termine ai richiami ; ne ciò baslando-
gli, volle die i travagli fossero accuralamente ri-
veduti da dodici periti, dei quali sei furono scelti
tra coloro che aveano avuto parte a questa grand'o-
pera; si avvisarono dappoi di nuovo i contribuenti,
perchè dentro lo spazio di tre mesi presentassero lor
doglianze; il giorno 20 dicembre 1767 si pronun-
ziò la final sentenza , ed a ciascuna provincia fu
imposto il rispettivo contingente, il quale venne ri-
partito ai differenti comuni, e per ultimo ai rispet-
tivi possessori, giusta il valore dei lor terreni: noa
furono esentati da questo dazio che i soli padri onu-
sti, ed in parte i beni degli ecclesiastici.
Una tal maniera di ripartire l'imposta, sebbene,
fosse mollo ingegnosa, due difetti, voi dite, ed io
mi vi uniformo, racchiude: il primo si è di dove-
re sprecare moltissimo tempo onde poterla recare a
compimento; e ciò è sì vero, quanto non bisognò
mei» di un secolo affinchè ella si formasse: il se-
condo di dar luogo agli alti di arbitrio, o almeno
alle suspizioni ; perocché non si adoprarono che i
periti nell'estimo dei terreni, e nella revisione del-
l' eslimo medesimo; ed i periti possono essere pre-
occupali da timori , da speranze, o dalle loro se-
grete inclinazioni.
E questo in quanto al catasto di Milano; vea-
ghiamo adesso a quello di Napoli.
Aboliti (son queste mio amico le vostre espres-
sioni) colla legge degli 8 agosto 1806 tutti i dazii,
annullale tulle l'esenzioni; il Governo diede mano
alla fondiaria per sovvenireqai bisogni dello Stato.
Il metodo onde ripartire questa imposta fu quello
stesso che si pratica iu Francia, cioè a dire le tarif-
4
So .
fc; ma ciò vuoisi alquanto tliliu idarc, afinK-hc cliia-
ramenlc si cotu|uentla; ed io il farò per quaulo è
in me, si perchè il mio scopo è analogo al vostro^
quello cioè ti' istruire il Pubblico , e di lorgli via
il ])rcgluclizio, che nulla debba innovarsi aflinchè
un danno maggiore non ce né venga; sì perchè io Iro-
YO nel vostro opuscolo una lacuna, che voi come
fedele al vostro proponimento ci avete lasciato, ma
che intanto ciascun leggitore desidera di essere riem-
piuta.
È fuor d'ogni dubbio, che ne pei riveli, ne per
la periiia puossi conoscere 1' effettiva rendita dei
tcrieni e delle case. Persuaso di colai velila il Go-
verno di Napoli , nelle istruzioni del 1 8oi) , pose
innanzi il seguente principio jj ch'egli non farebbe
uso dei riveli, che per aver qualche contezza dei
terreni, ne delle perizie, che per misurare le loro
estensioni, e quante volle le estimasse necessarie. La
re£idila dunque, o il flutto annuo di quelli non ri-
sulta daU'uno, ne dall'altro metodo, ma dall'esatta
classificazione dei terreni, la quale per l'opera di
più individui vien mandala ad elfello, e nel uiodo
che ora dirò. Pongliiamo infatti che si avesse vo-
luto estimare il territorio del comune A., ecco quel
che dal conlroloro (impiegato regio a ciò destinalo)
praticavasi. Egli, fitto avvisare otto giorni prima
il decurionato, lo intimava a radunarsi, ed a sce-
glier persone pratiche di quel territorio, non meno
che alcuni agricoltori, acciocché insicmemente con
lui cooperassero nell'estimo e nella classificazione;
e così egli reca vasi sulla faccia del luogo, ad uno
ad uno ne osservava ' poderi; ed avuto risguardo
alla coltura sia a vigne, ad olivi , sia a frumento
o ad altro, annotava con ordine progressivo il nome
^> t
e Cognome del loro rispettivo possessore. Numerali
così i terreni, giusta la loro coltura, egli di cia-
scuno faceva Ire classi; cioè di buoni, mediocri, ed
inlìmi , ed inviava il suo lavoro al Dtcurionato ,
acciocché come istruito degli affitti dei vari terreni
del comune, gli apprezzasse, o in altre parole iii
rispondenza della classificazione succennata, gli pre-
sentasse una scala di valutazione.
Può ben suspicarsi, che il Decurionato estimasse
il valore annuo dei terreni per meu di quello, che
rgli era , ma ciò era niente ; attesoché il contro-
loro poteva di leggieri scoprire l'errore e correg-
gerlo, ed eccone il modo. Tutti i pubblici notai
erano obbligati di aprire gli archivii, e permettergli
che quei contratti di affitto, di Compra e Vendita,
e divisione di eredità egli ne estraesse, che giudi-
casse a lui esser nccessarii, e ciò fatto , i terreni
non eran valutati secondo l'estimo del Decurionato,
ma sibbene giusta la tariffa del controloro fondata
sopra i menzionati contralti.
Ma qui alcuno potrebbe domandarmi: tutti i ter^
reni, avuto rispetto alla coltura, debbonsi ridurre
in tre classi. Or pongasi che la coltura del grano
presenti per ciascurja salma le seguenti rendite: due.
20, 19, i8, l'y, 16, la, 14, i3, 12, lì, IO,
9, 8 in questo caso, come" il controloro ridurrà a
tre classi tutte queste differenti coltivazioni? La ri-
sposta è facile non solo ma eziandio semplice: egli
includerà nella prima i fondi la cui rendita è di
ducali 20 sino a 17, nella seconda quella di du-
cati 16 sino ad 11, e nella terza lattigli altri di
ducati 10 sino all'S; prendayà dappoi la media dei
numeri di ciascuna classe, e ne statuirà la rendita.
JSè questo è ancor tutto: le opere umane sono
02
sempre più o meno discoste dalla pciTezione, quin-
di qualunque diligenza si fosse adoprata nell'estimo
dei Ibndi , non era da sperare clie il lavoro fosse
riuscito scevro di errori; il perchè il governo di Na-
poli diede il dritto ai contribuenti di poter lare i
loro richiami appo li direttori del Catasto, (altro
ordine superiore d' impiegali) afilnchè costoro cor-
reggessero le tariffe, ov'eglino le trovassero erronee.
Tal' è in ristretto l'idea della tariffa, ed il me-
todo ond'ella si pratica. Io qui non vi ragiono del
cosi detto rilascio^ o moderazione in prò di coloro
i quali per disastro, o per altra causa , perdono
tutta, o la metà della rendita del loro fondo; per-
ciocché facil cosa egli è il comprendere , che essi
deLbono sgravarsi per uno , o piìi anni dal peso
dell'imposta, sì veramente che cotesta esenzione noti
debba diminuire per nulla la rendita pubblica, ma
far^ accrescere in proporzione la tassa che vuoisi cor-
rispondere da tutti gli altri ordini dei cittadini, di
quella particplar provincia alla quale gli esentati
appartengonsi. Venghiamo adesso, mio amico, alle
cose nostre , e scorriamo celere mente l' istoria del '
nostro catasto.
Sin dal l'ySa per opera del Marchese Caraccioli,
la cui memoria sarà sempre grata ai buoni siciliani,
si pensò al nostro censimento, e nel 1788 ne fu-
rono pubblicati i regolamenti. Ciascun possessore
era obbligato di rivelare alla deputazione del pro-
prio Comune tutti i beni d'ogni specie; la depu-
tazione eleggeva due o più periti , acciocché esli-
masser quelli, ben inteso che costoro dovessero te-
ner conto dei contratti di affilio, che sarebbero loro
esibiti dai ricevitori, ed in difetto di tali cuntratli,
dei fitti dei ibndi vicini. Fornito così l'estimo, la
53
cIe[)iitazlone era obbligata inviarlo alla Giunta resi-
dente in Palermo, e questa al consiglio dei pelili,
i quali, tenuti presenti i contratti di affitto di un
decennio dal iy88 indietro , doveano proferire il
loro particolar giudizio sopra ciascun rivelo. Ogni
possessore era obbligato a dichiarare l' estensione ,
la quiililà delle terre, i confini, il numero degli al-
beri, delle vili, ed altro, e la rendita annua di lordo,
die da quelle percepiva; indi a rubrica di esito no-
tare i pesi annui, le spese necessarie per la coltura
e la conservazione dei fruiti, e mostrar finalmente
ciò che gli restava di nello. Ma questi regolamen-
ti, che in più parti sono commendevoli , non' furo-
no mandati ad esecuzione, per la rea (son queste
mio amico le vostre parole) e gagliardissima op-
posizione degli exbaroni.
Rimaneva dunque, in una specie di caos il dazio
sulle nostre lene, quando il Parlamento del z8io
elevò un principio assai savio, che ciascun cittadino
è obbligalo a sostenere i pesi pubblici in propor-
zione delle sue facoltà; epperò furono abolite tutte
le imposte clie si riconobbero ingiuste nella ripar-
tizione, dispendiose e difficili ad esigere; vi si so-
slitui il dazio diretto su tulle le proprietà, ed el-
leno furono divise in quattro classi, tra le quali oc-
cuparono il primo posto le terre, ed il secondo le
rendite urbane.
Affin di conoscersi colali rendite il Parlamento
giudicò , che dovesse ammettersi il rivelo fondato
sul fitto del 1809, in mancanza del fitto, sulla pe-
rizia degli esperti, o sopra i fitti di un decennio,
e se questi pur mancassero, sulla fede giurata del
ragioniere del possessore, e eia costui visla e soscritta.
lu quanto alle rendite delle case, fu prescritto ciò
54 _
elle dianzi si è detto', ma k\ fatta la deduzione del
quinto, Finahiicnle volle il Pajlaiiicnlo, che lìssata
ima volta la reiKlita, sarebb'ella iuallerabile , non
ostante qualunque nuilamenlo che avvenisse nel va-
lore del fondo, purché egli del tulio non ])erisse.
Questa maniera di riparlile l' imposta , essendo
per sua natura viziosa, non potè non produrre gli
effetti tristi dell' ineguaglianza, e dell' ingiustizia.
L'annua somma del danaro, ^<;he per lo di lei mezzo
si raccolse, fu minore della |)resunta in onze 1 56, odo;
tutù i cittadini ne mormorarono, eccello i proprie-
tarli di lati-fondi, ed il parlamento del' 1812 vc^-
lendo sino ad un certo segno rimediarvi, aggiunse
al cinque il due e mezzo per cento.
Frattanto finegnaglianza nella distribuzione du-
rava tuttavia; generale era il voto per la rettifica,
ed il Re Ferdinando di iiilice ricordanza, elesse nel
itJia a quest'oggetto un comitato. Si crederebbe for-
se da taluno che il comitato avesse tenuto dietro
a novelli principii per iscoprire le occultazioni?
Che avesse forse proposto la tarlila ed il metodo
poc'anzi trascritto? no; nulla di lutto questo: egli
adottò, in quanto alla ripartizione, le medesime mas-
sime, che furon seguile dal Parlamento del iSia
vale a dire il rivelo , e solo pmpose le modifica-
zioni che ora dirò. In prima , che il rivelo fosse
fallo della rendita di netto; e nel caso che sul fon-
tlo del rivelante gravitassero de' pesi, dovesse co-
stui dichiarare quali e quanti ve ne fossero, ed a
quali persone si dovessero. Inoltre, cIhì i possessori
di censi di proprietà , di utile domioio , di censo
Lollale, di rendite civili, di udicii pubblici vita-
lizi!, o ])erpetui dovessero contribuire il (juallro per
-cento. I*iùj che nel rivelo si dovesse dichiarare le-
55
stensionc della terra; e finalmente die fosse anco
soggetto all'imposta il così %tto agro palermitano.
Dal sunto di rpesta istoria voi deduceste gì' in-
convenienti ch'ebbero luogo nel nostro catasto , i
quali furono si svariati e multiplici quanto non po-
teste non ridurli in più classi affin di ragionarne or-
dinatamente. E dico ch'ebbcr luogo, attesoccliè non
di quelli che potevano accadere, giusta le istruzioni
del 17S8, convien che noi ragioniamo; ma si di
di quelli che accaddero. Tornando adunque al no-
stro proj)osito , dico , che in due classi avete voi
diviso i succennati inconvenienti; l'una cioè prin-
cipale, e l'altra accessoria. Nella prima voi collo-
caste il fitto dell'anno 1809 e 1810, il rivelo,, e
la perizia. INella seconda , molti altri , di che in
apj)resso per non ripetermi farò parola.
Ricercale il contratto di un sol' anno per aver
conoscenza se non altro approssimativa della ren-
dita dei terreni , ella è cosa sì discosta dal buon
senso, che non vi ha nessuno che di leggieri non
ne conosca l'assurdità; il perchè tutte le leggi ci-
vili la condannano, ed in Francia ed in Napoli le
leggi han chiesto il coaceiTO di quindici, o di do-
dici anni.
In quanto al rivelo, non è d'uopo che su di esso
facciam molte parole: la nostra esperienza dimostra
quanto egli sia stato opposto all'equa ripartizione
dei dazii. m La legge (piacemi di ripetere le vo-
stre medesime parole), die" ordina il rivelo non ot-
tiene lo scopo prefisso, fomenta bensì la immora-
lità, mettendo l'interesse particolare in collisione col
dovere di esporre il vero, accresce le trasgressioni,
quindi le pene e le vessazioni, w
la rispetto alla perizia, non ci è di mestieii, che
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ce Ile occupiamo massime di quella che facevasl dai
nostri periti. Eglino a guisa cV oracoli pronunzia-
vano il loro giudizio, sull'annua somma alla quale
il fitto poteva salire, e tra per la loro ignoranza,
e per la loro divozione ai rivelanti, lasciarono i de-
legati del Governo nell'oscurità la più profonda.
E fin qui de' vizii della prima classe; quelli della
seconda furono: di non aver tenuto niun conto dei
contralti di vendita, e divisione di eredità per isco-
prire il valore vero dei fondi; di avere stabilito una
contribuzione di quota, e non di ripartizione; di
aver permesso per li fondi urbani la deduzione del
quinto, e non del quarto, di aver conceduto esen-
zioni e favori a taluni corpi morali, e di non aver
aiutato quei poveri contribuenti, nel caso ch'eglino
avesser patito alcun disastro, o non avessero potuto
allogare i loro fondi.
Confrontiamo adesso il nostro catasto con quello
che venne adottato in Napoli: in questo non si fece
uso delle perizie , se non per misurare la sola e-
stensione dei fondi, e poco o niun conto si tenne
dei riveli; in quello all'opposito la rendita dei fondi
per li riveli e le perizie soltanto venivasi a conoscere;
nel catasto siciliano il coacervo di dieci anni non
ebbe luogo se non quando non si fosse presentato
il contratto di affitto del i8io; nel catasto di Na-
poli la rendita dei fondi da un coacervo di anni
dodici si dedusse ; nel catasto siciliano l' interesse
del rivelante fu del tutto contrario allo scopo della
legge, quindi immense furono le occultazioni e le
frodi; nel catasto di Napoli le occultazioni non po-
terono non esser minori , perciocché il valore dei
fondi fu fissalo dal coi.troloro, dagli esperti, e dalla
verifica dei coutratti di afìilto, divisione di eredità.
57
compra e vendita; nel catasto siciliano il contribuen-
te non ha verun interesse a svelare l'altrui rendila,
perchè niun vantaggio gliene torna; nel censimento
ìli Napoli ogni cittadino sente assai forte questo inte-
resse, stanlechè la somma rivelata non si accresce
in vantaggio del fisco, ma in sollievo del cittadino
medesimo; nel catasto di Sicilia (inalinente i pos-
sessori dei fondi non sono aj'iitati, ov'eglino incor-
rano in qualche disgrazia; laddove nel censo di Na-
poli, essi ricevono de' soccorsi dalla massa di lutti
gli altri cittadini. Può dunque dubitarsi che il me-
todo adottato in Napoli sia da anteporsi al nostro?
Tali sono, mio caro amico, le vostre idee sul-
l'istoria statistica di parecchi censimenti; solo è da
aggiungere esser pure vostro pensamento; che il ca-
tasto si rinnovi in ogni quarant'anni; e che volen-
do rettificare il nostro, far debbansi le qui appresso
modificazioni, che a me sembrano molto assennale:
I** che i fondi si distinguano l'uno dall'altro più
per mezzo dei confini, che pel numero d'ordine;
3** che il controloro nel far la tariffa debba ezian-
dio tener conto delle permute ; 3** che la classifi-
cazione si renda si chiara quanto più si possa , e
quindi si spieghi la natura del terreno, e lutti gli
accidenti che concorrono a stabilirne la rendita ;
4" che si calcoli lo stato di ricchezza progressiva,
stazionaria o retrograda dei comuni; e S** finalmente
che si tenga pur conto dell'abolizione dei dritti pro-
miscui.
Qnal'è dunque, mi direte ora voi, su l'anzidetto
il mio giudizio? Vi rispondo: quanto al fondo delle
idee, voi già credo ve ne siale accorto, non posso
non commendarlo, come quello che mi sembra con-
sono ai priucipii dell'economia politica. Voi avete sa-
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pillo lliar piofìllo dal filili, e pavlic^iLirmciifo tU» »}Uol-
ii che cotjceitiono la uoslia istoiia. Nel voslio opusco-
lo, abbcticliè ragiotiiale di un' iinpogla, pure si vede
amor di ])aliia, coiiciossiaclic il niclodo della tariffa
che voi propoiiele vana bene ad alleviarci in parte
dal loro peso; ma non so conformaiini al vostro pare-
re di doversi rinnovare in ogni quarantanni il calaslo.
E quonlutique io non ignori che un principio di
giusliiia vi abbia spinto a pensare in colai guisa,
pur non di manco pregovi a riflettere che la giu-
stizia è sottoposta all'utilità pubblica, la quale al-
lamenle dimanda, che l'industria e l'impiego dei ca-
pitali nell'agricoltura s|)ezialmente in una nazione
agricola come lo è la nostra, sian promossi e non
mai puniti. Or un rinnovamento di tal sorta pro-
durrebbe un effetto del tutto contrario a quello clie
l'utilità pubblica richiede: gli uomini industri sa-
rebber gasligati in rispondenza dei miglioramenti
che farebbero nei lerreui, ed i pigri invece favo-
riti e proietti.
Commentario su i decreti e sus'U aiti minisicridli
di nigioìi civile ad uso del foro con le osser-
vazioni di Costantino 31. Costantini Oiu-
dicc della Gran Corte di Siracusa - — Palermo
didla tifjograjìa di Filippo Solli i83o. — Em-
MANUELE Viola. — Continuazione e fine.
là direm noi qui da principio che le molliplici
spiegazioni dall' A. aggiunte a' diversi alti legi-
slativi^ formano un nuovo j-rcgio di quest'opera inte-
sa nel suo proposito alia maggiore utilità della pra-
tica: pcrocdiè poco se ne sarebbe giovalo il foro,
ove le leggi si fossero jireseiitnte sterili, e mule di
ogni tlidiiarazioi.e, ed eceo (juiiidi nuova ragione,
onde piìi sene commendi l' Autore.
Considerando ora secondo ii nostro divisamente ,
quale css(M" |)ossa la norma, dietro la quale scriver si
vo^Jiau le chiose a quella paite dai drillo, che non i
sistemi principali ha di mira, ma che quelle leggi
comprende, che emanate di tempo in tempo, ne de-
terminano i movimenti, e le vicende, ci è sembrato
die deLbasi pria di tutto fjr conoscere come le novel-
le disposizioni si còngiungano nei loro rapporti a' si-
stemi generali dèi dritto, indicando in quai punti
discordino esse, o armonizzino con quello; mostra-
re se abbiano esse diihiar.ilo solamente la legge
stabilita, o se alcune novità vi abbiano indotto, o
se modificato, derogalo, o abrogato le preceden-
ti sanzioni; dichiarare in seguitò, e fermare l;t ve-
race intelligenza di essa, e presentare ove occorra,
le varie quislioni cui clan luogo nella loro a()[>lica-
zione, ed il modo onde esse si risolvano. Tale a noi
])are la idea più compiuta di un comenlario di
questa Sj)ecie.
L'A. però nel generale non ha punto seguilo
sifl'atla maniera: ed osserviamo che le sue chiose
non atlacate costantemente ad una regola unifor-
me, vagano per diversi oggetti e presentano per
l'ordinario una sovrabbondanza di cose estranee t;d-
volta alle materie di cui si occupa. Sommo studio
.scorgiamo nella erudizione, e nella conoscenza del-
le leggi di Roma, del che ne tributiamo a Ini lodu
inlìnila, perocché non saià^mai abbastanza racco-
mandata la mcinoiia di esse, che certamente sono il
fundainenlo di ogni sapere ili fallo di legislazione:
6o
ma le cilazloni di queste leggi non ili raro riescono
superflue, e nella loro esposizione avrcniiuo deside-
rato, che con maggiore precisione si fosse significato,
se le invocale disposizioni siano oggi più nel vigor
loro, e se le nuove leggi ne abbiano adoltalo, o ri-
gettato i principii, talché spesso addiviene che par-
landosi a dilunga dell'antico dritto, e pochissimo del
nuovo, si entri nel dubbio, se siano quelle massime
tuttavia regolatrici , o se per abrogazione siano
venute meno.
E noteremo inoltre come vizio principalissimo
di questo comentario, che spesso le ossservazioni,
lungi di dichiarare le novelle disposizioni, e di mo-
strarne i rapporti che al diritto comune le congiun-
gono, ci conducono mano mano fuori materia, e
ci avviluppano fra le più riposte quistioni della giu-
risprudenza.
E perchè il nostro dire non sia scompagnalo
dalle sue giustificazioni, produciamo alcuni esempii,
che mostrino vera la nostra sentenza.
Trovasi nel tlt. X. del I. libro un decreto re-
lativo alle coazioni , che i comuni esercitano av-,
verso i debitori per ragion di derrate di privati-
va. Il comento discorrendo da principio della na-
tura di sidalte privative, ci conduce via via all'e-
same delle attribuzioni contenziose de' Consigli d'In-
tendenza, ed apre la dispula intorno a' varj casi,
che richiamano, oche sfuggono la giurisdizione di
essi.
Nel tlt. IV. del li. libro si ha ragione di un
decreto relativo a' curatori delle eredità giacenti.
E qui dopo alcune osservazioni su questo sogget-
to, segue un appendice che tratta delle caducità
de' legati, e de' testameuti per aulico e nuovo drillo,
Si
della restituzione in intero de minori, della intestata
successione, e delia quarta attribuita dalle antiche
leggi al coiijuge su|jerslile, sulla eredità del consor-
te predel'uuto. Si jìassa quindi al dritto di albinag-
gio, e si finisce colia facoltà di acquistare accor-
dala alle chiese, e colle solennità della reale autoriz-
zazione airuopo necessaria.
Nel tit. VII, dello stesso libro si disccri e dì uq
decreto, che deleruìina il modo, onde eseguirsi Tin-
terrogatoiio nelle cause d'interdizione, il quale in-
duce mutazione a taluni articoli del Codice di pro-
cedura civile. Il comento intanto si occupa del-
la parte del drillo relativa alla interdizione, alle
cause di essa, ed agli eftetti che ne nascono, senza
i'av molto del perchè della riforma, ne far conoscere
in che essa consista, messa a confronto colle dispo-
sizioni del Codice. E dopo questo conchiude met-
tendo a disamina l'autorilà che hanno nel regno,
le sentenze rifioriate presso le straniere nazioni.
ISel lil. I: del 111. libro si parla del decreto
che regola le altribuizioni de' sujìplenli comunali.
Ed il comento si volge a ragionare de' supplenti ai
giudici ordinar], che sono lutt'altro che i supplen-
ti comunali. Parla quindi delle facoltà che hanno
i giudici regj di delegare alcune cause a' loro sup-
plenti, e qui si fa lunga diceria intorno alla giuris-
dizione delegata. E siccome sono attribuile a' sup-
plenti comunali le cause possessorie, e quelle di ser--
vitù, si trova nelle osservazioni un trallalo del pos-
sesso, toccandosi della sua natura, de' modi pe' quali
si acquista o si perde, e di tutti gl'interdetli posses-
sorj della roinana giurisprucjenza. Tramezzo a que-
ste cose si fa infinito discorso circa al sistema del-
le servitù secondo i principi del veccHiio dritto, e
62
poi si torna nuovamente al possesso, ed adcliltan-
do in qual guisa può esso giustificarsi, si coglie il
destro onde espone il sistema delle ])iove strumen-
tali, testimoniali, e congliiellurali; e poi si conti-
nua parlando del drillo di accessione e di occu-
pazione, delle nnuciazioiii di nuove opere, delle ap-
posizioni, e remozioni di suggelli iu caso di mor-
te, e di tante altre cose che escono certamente dal ^
soggelto del decreto che si comen-la , il quale ha
riguardo solamente alla competenza de' supplenti
comunali.
Al lit. Vili, dello stesso libro si trova il de-
creto, che determina le norme degl' interessi con-
venzionali ne' corilralli di mutuo. E qui aggirasi
l'esame inloino alle usuie, richiamando i principj
della morale, delle h'ggi canoniche, e delle civili
prescrizioni del romano diritto, e si termina colle
quislioni circa alla legillimità del patto anticreti-
€0, e dell'analocismo.
Al tif. IX. del IV. libro si registra un alto mi-
nisteriale, che avverte ai funzionar] de comuni, che
tengano la loro corrispondenza co* soli procuratori
regj , ed il comento ci riferisce tutte le attribu-
zioni di questo magislralo.
Al tit. IV. del V. libro si tratta della rinun-
cia alle liti che far possono i comuni, o i pubblici
stabilimenti , ed il cemento si occupa delle obbli-
gazioni de*^ tutori, e di tuìt'allri amministraloii.
Il tit. X. in seguito ha riguardo a' giuramenti
che prestano in giudizio talune autorità , e le os-
servazioni si volgono a significare la forza de' giu-
ramenti presso gli antichi popoli, e la pratica de'
giudizi di Dio; considerando poi il giuramento co-
lue uitzzo di piova, si mclle iu disamia in quali
63
casi può essere deferito, 0 riferito, quando esso è
tlccisoiio, o snpplelorio, e quali sono gli effclli di
esso nell'uno e ntU'aUro caso.
Nel lil. I. del VI. libro avvi un rescritto che
stabilisce, nessuno jìoler esser naturalizzato nel re-
gno, che non sia cattolico. Ed il cornenlo riferisce
come si acquista, o si perde la naturalizzazione se-
condo le rciiole del dritto roniaiìo , fraiictse, e
patrio, ed indi aggiunge la teoria del domicilio, e
ricerca qnal sia il giudice che prescicglier deve il
tutore a' minori.
11 titolo appresso tratta della competenza de' tri-
bunali civili nelle cause di regalia, ed il comenlo
discorre delle azioni possessorie, e dietro di esse si
ili via a rjigionare della clausola del costituto posses-
soiio degli antichi contralti, e dellinterdetto salvia-
ito, esaminando se era esso un'azione, o una forma
di jirocedcic, e se fu dalle nuove leggi colpito, o
conservalo. Ed a questo esame tien dietro un a])pen-
dice relativa al patto dell'arresto di persona contenu-
to negli antichi contratti, ed a' suoi efì'etti, ove se ne
liiccia sperimento sollo l'imjiero delle nuove leggi.
JNel libro IX. al tit. E si jìarla della valutazio-
jie degl'immobili ne' giudizj di spo{)riazione, ed il
comento svolge le quistioni dell'azione rescissoria
nelle vendile de' njobili e degl' immobili , ed in
tutt altri contralti di buona fede, e con ispecie nel-
le permute, delle cjuali ci presenta forigine, la na-
tura, e gli efletti.
Nel tit. lE dello stesso libro tiensi ragione di
un rescritto che permette agli agenti finanzieri di
offerire per cauzione i crediti perpetui sullo slato;
ed il commento esamina se avverso tali agenti ha
luogo r arresto di persona , confuta una decisione
^4
della G. Corte de' Conti tli Napoli, e coriclnude
colla quislione , se nel concorso di due azioni la
civile, e la penale, essendo quella piimamenle de-
doUa in giudizio, restino sospesi gli efielli di questa.
Nel lib. X. al lit. I. parlasi del termine entro
il quale far si debbono le opposizioni al maliimo-
nio, ed il comento ci offre un trattato degli ina-
pedimenli civili, e canonici^ e non poche altre qui-
stioni rebìtive alla facoltà di contrarre matrimonio.
Nel libro XI. al tit. II. si parla degli ajjpelli
presso la Gran Corte de' Conti, ed il comenJo ci
presenta la teoria degli appelli, avverso le sentenze
de' magistrali ordinarii.
E così di molli altri luoghi, pe' quali si fa chia-
ro, come FA. abbia sovente straripato oltre il suo
soggetto.
Non taceremo di un altro vizio di questo co-
mentario, cioè quello che nel vagare per le diverse
materie del dritto, l'A. ha non di raro annunciato
delle pioposizioni, alle quali viene in urto la ragion
legale, e forse anco talvolta la espressa sanzione della
legge. E seguendo il sistema di non dir cosa, ove
non sia essa dal fatto stesso giustificata, metteremo
avanti alcuni esempii.
Nel tom. I. alla pag, ^2 laddove si tratta delle
successioni ne' beni ex-feudali, trovasi quella dispo-
sizione, per la quale è prescritto, che le controver-
sie intorno alla pertinenza, ed alla quantità delle vi-
tamilizie, ed alla assegnazione da farsene in beni ex-
léudali, debbano esser decise per mezzo di arbitra-
raenti necessarii. Qui l'A. esamina quali persone
abbiano la facoltà di compromettere, ed invocan-
do l'art. 1079 delle leggi di procedura civile, in-
segna che i tutori non possono ne' casi succennali
far compromesso ncU'iuleresse dei loro minori.
65
La quale idea sembra a noi poco esatta, peioc-
ciiè vuoisi all'uopo distinguere tra gli arbitramenti
i volontarii, ed i necessarii; che ne' primi trattan-
dosi di quislioiii attribuite naturalmente alle auto-
rità ordinarie, le quali non deferisconsi al giudi-
zio degli arbitri, che per sola volontà delle parti,
bene a tutori ne è interdetta la facoltà, perchè nel-
l'interesse de' minori non fosse per volontà sola, de-
rogato alle giurisdizioni ordinarie: ma ne' secondi
essendo gli arbitri il giudice solo cui per delegazio-
ne dello stesso Principe, si appartiene la conoscenza
delle speciali controversie, senza che possa la disa-
mina di esse sottojiorsi al giudizio di altri magi-
strati, se a' tutori fosse vietato il far compromesso,
ne avverrebbe, che perdurando la tutela, e la mi-
nore età, i minori non potrebbero dedurre le azioni
loro avanti a' tribunali ordinarii, vietando ciò la leg-
ge, non potrebbero aver ricorso agli arbitri, man-
candone a' tutori loro la facoltà, e così non trove-
rebbero per loro un giudice innanzi al quale po-
tessero i proprii diritti sperimentare. Qncsta ragio-
ne persuade abbastanza, chela regola dell'art. lO'yg
stabilita pe' compromessi volontarii, non può egual-
mente valere pe' necessarii.
E se tanta fòrza ha in giurisprudenza l'argomento
che si cava dalle somiglianti disposizioni, vaglia l'os-
servare come la legge in altro luogo, ci presti bel-
lissimo esempio, onde servir di norma allo sciogli-
mento di tal quislione.
Il codice di eccezione per gli affari di commercio
ha stabilito , che le controversie tra socii si deb-
bano dirimere per mezzo di arbitramenti necessarii.
Ecco da questa legge una analoga quistione: se in
una società fossero interessati de' minori, possono i tu-
5
66
tori loro provocare avanti agli arbitri la decisione del-
le controversie, che per ragione delia società emer-
gono nel loro interesse? Se debbe in ciò consultarsi
la disposizione dell'articolo 1079 della procedura ci-
vile, non lo possono; ma se si ricorre all'articolo 61
del Codice di commercio, si troverà che siiTatti arbi-
tramenti deggiono aver luogo quando anche vi sieno
interessali de' minori, e che però i tutori sono ia
dritto di provocarne, o accettarne il compromesso;
e questo è conseguenza di quella distinzione , che
tanto è ragionata tra i compromessi volontarii, ed
i necessarii. La legge non limita la facoltà de' tu-
tori, che ne' casi ove dal loro arbitrio potesse di-
pendere rappigliarsi ad un mezzo piuttosto che ad .
un altro: epperò l'articolo 683 del codice di com-
mercio proibisce a' tutori, che facciano i loro com-
promessi inappellabili, perocché tal patto non dalla
legge, ma dalla volontà de' contraenti riceve la sua
forza.
Or cavando argomento da siffatte disposizioni ,
che solo in tutto il corpo delle nuove leggi tengon
ragione de' compromessi necessarii, si può dedurre,
che la stessa regola deve valere in tutt' altri casi
in cui la giurisdizione degli arbitri è necessaria ,
come si è quello degli arbitra menti , che han ri-
guardo alle dispute intorno alle successioni ne' beni
ex -feudali. E così è manifesto, come la teoria in-
segnata dall'A. in questo luogo, non istia assai bene
accomodata a ragione.
Alla pag. -yO segue l'A. trattando de' majoraschi,
e precisamente dell'art. 2 del decreto del 27 ot-
tobre 1825, che autorizza la moglie dell'istitutore
a concorrere al majorasco col disponibile de' suoi
beni dotali , 0 estradotali. E volendo assegnare il -
perchè di quella disposizione, clie dà dritto alla mo-
glie di poter sempre revocare l'alto della sua ag-
giunzione, e riprendere i beni, mette avanti due
ragioni, cioè che le obbligazioni contratte dalle don-
ne maritate in costanza di matrimonio sono nulle
jier forza di dritto, e che le donazioni fatte da' ge-
niloii durante il matrimonio a beneficio de' figli
loro, sono revocabili. A sostegno della prima in-
voca la teoria del dritto comune, e l'articolo 1066
del codice civile relativo alla violenza, considerata
come causa di nullità de' contratti ; ed a conforto
della seconda richiama la legge aS del codice di
Giustiniaiìo al titolo de donaiioJiibus inter viriim
et uxorein^ nella quale si prescrive, che le dona-
zioni fatte da' genitori a' proprii figli, o da' con-
jugi fra loro in costanza di matrimonio, sono re-
vocabili a volontà de' donatori.
Osserviamo intanto che l'una, e l'altra regola, co-
racchè verissime nel cessalo diritto , noa lo sono
egualmente ap[X) noi, dopo la pubblicazione de' nuo-
vi codici. E circa alla prima le note teorie del dritto
insegnavano, che qualunque obbligazione contratta
dalle donne maritate in costanza di matrimonio ,
anche in favore de' loro mariti, tranne alcune ec-
cezioni , erano nulle ipso jiire. Ed in ciò concor-
reva il S. C. Vallcjano, l'autentica si qua mulier^
e la Piammalica del Conte de Castro: ma siiratte
-dis[)Osizioni caddero all'apparire della legge del 18 19,
e sotto l'intluenza dell'articolo 106 del codice, le
donne maritate , colla sola autorizzazione del ma-
rito, che in caso di dissenso può esser supplita dal
magistrato, possono donaye, alienare, ipotecare, ed
acquistare sia a titolo gratuito, che oneroso, e giusta
li termini dell'articolo 1402 possou anche assumere
6S _
le obbligazioni do' mariti loro. Dunque non si dirà
j)iù addì noslri, che le donne maritate non possano
in costanza di matrimonio contrarre delle obbliga-
zioni, o che contratte sieno esse nulle di pieno drit-
to, perocché esse, adempiute le forme della auto-
rizzazione, possono obbligarsi , ed i loro contraili
sono validi, ed inoppugnabili. INè l'art. 1066 è un
ostacolo alla teoria che sosteniamo, perciocché co-
mune alle obbligazioni di qualunque persona, segna
esso una delle cause per cui ogni specie di con-
tratto può essere annullato, cioè il vizio della vio-
lenza.
Circa poi alla seconda regola relativa alla revo-»
cabilità delle donazioni fatte da' genitori a' figli loro,
notiamo, che il codice civile stabilisce per principio,
che ogni donazione è di sua natura irrevocabile, salvo
alcuni casi di eccezione, tra i quali non trovasi quel-
lo de' donati in favore de' figli; e perchè la revo-
cabilità è una eccezione, non può essa estendersi
a ca^i tull'altri, che non siano dalla legge slessa in-
dicati. L'articolo io5o fa eccezione per le donazio-
ni tra conjugi , nel che è conforme alla logge aS
de donationibus inter virum^ et iixorem^ ma arti-
colo non avvi , che lo slesso prescriva per le do-
nazioni falle in favore de' figli, epperò la legge 25
in ciò che riguarda quest'ultimi, è slata pienamente
derogata.
Aggiungasi alle cose dette, che mentre nel codi-
ce particolari sanzioni vi si leggono, che riguardano
le donazioni che far possono le donne maritate ai
iìgli loro , nulla si dice però , che facesse ecce-
zione alla regola della irrevocabilità. Anzi da esse si
desume, come la legge abbia tenuto in parlicolar
favore si falle donazioni, perocché l'art. 206 dispen-
sa la donna maritata dairobbligo della maritale au-
torizzazione, ove si tratti di far donazione a' proprii
figli de' beni estradotali, e gli articoli i363, e i369
a fronte di quel principio che rende inalienabili le
cose dotali, le han permesso di donare a' figli i be-
ni della dote in proprietà, ed in usufrutto, ove vi
concorresse il consenso del marito, ed in sola proprie-
tà, riserbatone l'usufrutto al marito, quando questi
vi dissentisse. Ecco quindi chiarissimo , come la
succennata legge aS in ciò che riguarda gl'interesiji
de' figli sia stata derogala, e come in conseguenza
sia fallace la regola, che possono i genitori revo-
care le donazioni', che in costanza di matrimonio
si trovino aver fatto in favore de' figli loro. Le due
proposizioni dunque, che l'A. sostiene, onde spie-
gare la ragione dell'articolo 2 del decreto del 27
ottobre 1825, danno evidentemente in errore, ne
sono buone per se stesse, ne vagliono a dichiarare
il perchè della disposizione che egli comenta.
Toccando inoltre alla pag. 106 dell' articolo 2
del decreto del io febbraro 1824 circa allo scio-
glimento delle soggiogazioni, in quella parte, che te-
nendo presenti le lettere reali del 1735, prescrive
che non si possano ripetere i decorsi delle antiche
soggiogazioni scaduti prima dell'anno 1725, l'A. so-
stiene che la ragione del non ripetersi sorga non già,
dacché questo decreto ne abbia abolito l'azione, ma
più presto dacché essi erano d'altronde colpiti dalla
prescrizione centenaria. E fa le maraviglie veggendo
ciò dal decreto espressamente stabilito, perocché,
qual ragione, dice egli , a dichiarare irrepetibile
quei censi che contano un termine di cento anni,
quando bastava a farne venir meno l'azione, la
sola eccezione delVarticolo ultimo del codice^ che
70 .
ha abolito ogni azione olire a treni anni? Bene
però applaudisce al decreto, in quella parte che ri-
tiene come ripetibili i censi corsi nel decennio dal
iTaS, al 1735, perchè le lettere reali di quell'e-
poca, avendo ordinato, che ogni azione restasse so-
spesa per la ripetizione di essi,. è nattirale che pre-
scrizione non sia corsa , ove ragion legittiitia ha
impedito il libero sperimento della corrispondente
azione.
Ma le maraviglie dell'Autore, e la critica che fa
egli al decreto, procedono dall' aver egli suppo-
sto , essersi limitati gli effetti delle lettere reali
del 1735 a' soli censi decorsi nell'ultimo decennio,
epperò facendo operare la sospenzione per questo
solo periodo, è venuto facilmente nella idea, che i
decorsi precedenti potevano sin d'allora ripetersi, e
non ripetuti si trovano oggi dopo un centennio pre-
scritti.
Or le lettere del 1735 , chi ben le consideri ,
portano"che quei baroni, i di cui beni si trovavano a
quell'epoca sottoposti alle deputazioni, ove avessero
giustificato il pagamento dell' annata indizionale
1733, e 1734, potessero negli anni avvenire pa-
gare i loro censi in due eguali soluzioni, l'una cioè
a' i5 di dcccmbre, e l'altra a' i5 di maggio, e che
a riguardo di tult'altre precedenti maturazioni, non
si dovesse fur novità alcuna, sino a nuova reale de-
terminazione. Quindi i creditori restarono impediti a
ripetere i decorsi non che dell'ultimo decennio, ma
quelli altresì dell'epoca che il precedette, e per sif-
fatta sospensione a' legittimi sperimenti, sendo co-
stantissimo principio neHa ragione del dritto, che
prescrizion non soffre, chiunque libertà piena non
abbia a far valere le sue azioni, questa cousegueu-
.7»
za infallibile ne sorge , clie non poteva in danno
de' creditori veruna prescrizione decorrere, ove pria
uaa sovrana disposizione non avesse tolto l'appostovi
impedimento : e questo fece il decreto del i824.
Distinse esso i censi decorsi in due classi, compren-
dendo nell'una quelli del 1725 al lySS, e nell'al-
tra quelli precedenti al i^aS. Quanto a' primi tolto
l'ostacolo delle lettere reali del 1^35 lasciò libere le
azioni de' creditori; quanto a' secondi ne abolì asso-
lutatamente ogni azione. Dunque se oggi i censi de-
corsi prima del 1723 non si possono ripetere, non
è eìTetlo di prescrizione, ma conseguenza dell'abo-
lizione del dritto, stabilita nel decreto del 1834:
epperò ingiusta è la censura che fa l'A. a questo
decreto, in ciò che ne dichiara la irrepctibilità, pe-
rocché ove tal dichiarazione espressa difettasse, po-
trebbero essi ripetersi del pari che quelli dell'ulti-
mo decennio, senza che fosse loro di ostacolo o la
centenaria prescrizione, o l'articolo ultimo del codice.
Ma procediamo ad altro esempio. Disputando
l'A. alla pag. 355 dello stesso tomo I. de' proce-
dimenti esecutivi , cui sono autorizzati i padroni
diretti , ed i locatori su' frutti de' fondi da' lo-
ro debitori posseduti , coglie il destro, e si fa ad
esaminare se l' usciere , nel caso che procedendo
alla vendita di oggetti pignorati, trovi che il de-
positario stato già da lui costituito, si rifiuti alla
consegna de' medesimi, possa coU'autorità del giu-
dice, far aprire le porte de' luoghi ove sono quelli
riposti, e riprenderli colla forza. E traendo argo-
mento dall' articolo 687 delle leggi di procedura
civile, per lo quale l'usciere, che in virtù di un
titolo esecutivo procede al pignoramento di mobili
uella casa del debitore, qualora trovasse chiuse le
porle, può col consenso del giudice usar della forza,
ed aprirle, decide che lo slesso si debba eseguire
nel caso del de])osilario.
Questa proposizione contiene uno di quegli er-
rori che riescono più perniciosi nella pratica, come
quella che aprendo largo campo all'arbitrio, dà luo-
go ad una violenza dalla h'gge non autorizzata.
Ed invero l'articolo 687 della procedura non è
granfalto ap[)licabile al caso del depositario, peroc-
ché in esso si ha riguardo alla persona del debi-
tore, contro il quale esiste uno strumento munito
di esecuzione parata, il quale dovendo a fronte di
ogni ostacolo recarsi 'alla sua esecuzione , deve la
legge apprestare all'usciere tutti i mezzi, onde con-
durla a fine. Non cos'i però del depositario, peroc-
ché contro di lui non ha l'usciere alcun documen-
to esecutivo, ne ciucilo stesso può a di lui carico
valere, per effetto del quale si è proceduto al pi-
gnoramento nella casa del debitore, perchè in esso
veruna obbligazione personale sta scritta, che il de-
positario abbia assunto. La legge d'altronde ha bene
provveduto al caso in cui il depositario si nieghi
alla consegna degli oggetti affidatigli, autorizzando
a di lui carico un procedimento di condanna, af-
linchc fosse astretto alla restituzione degli oggetti,
o al pagamento del debito, come a principale de-
bitore, e col mezzo coattivo dell'arresto di persona.
Pare a noi quindi dietro le cose delle , che nò
l'usciere, ne il giudice possano eseguire, o autoriz-
zare l'apertura de' luoghi ove gli oggetti deposi-
tati si trovino conservati, ne l'art. 63'^ possa loro
attribuire tal dritto.
Nel III. tomo a pag.' 179 vi ha un decreto, che
facendo eccezione alla regola della insequestrabili-
73 '
tà de' soldi, e degli averi che si pagano agl'impie-
gati dalle regie casse, ne limila gli efifcUi a riguar-
do degli alimeiili dovuti alla famiglia dell'impiegato
medesimo. L'A. togliendo la opportunità da siffat-
to decreto si trattiene in lunghi esami circa alle per- .
sone cui per legge son dovuti gli alimenti, e qui
sostiene, che tutti i casi in cui il padre può dira-
dare il figlio, 0 il figlio il padre, sono altrettanti
motivi per cui si possono risp.ellivamente negare gli
alimenti, perocché, dice egh, procede Vargomento
della legittima agli alimenti^ né questi per ediro
son dovuti^ che per analogia di quella.
Qui notiamo due errori, il primo ove è detto,
che gli alimenti son dovuti in lutti i casi in cui
vi ha obbligo di legittima , ed il secondo ove si
afferma, che possoiisi dinegare gli alimenti ne' casi
di diredazione. Ed il primo si fa chiaro da che è
costante in dritto, che a' collaterali sulla successio-
ne de' loro congiunti non a[)parliene legittima, ed
intanto i fratelli e le sorelle che sono de' collatera-
li anch'essi, sono fra loro tenuti agli alimenti, ove
siano impolenti a procacciarsi il vitto: cosi è sta-
bilito all'articolo 197 delle leggi civili. E dal se-
condo si addimostra, da che gli alimenti sono do-
vuti fia stretti congiunti nella sola veduta di sup-
plire al bisogno di conservare la vita, non già per
ragion corrispettiva al dritto della legittima; e da
che la legge ne' casi di diredazione, se priva il dire-
dato da ogni dritto di successione, ordina però che
siano a lui assegnati gli alimenti su' beni della e-
rodità, quando non abbia altronde da vivere: cosi
è disposto espressamente all'art. 85^ dello gtggSO
codice.
' Gli alimenti dunque non sono dovuti per analo-
74 . ,
già al tlrilto della legltlima, e la dlretlazlone non
è causa per cui essi si possono negare.
Tante altre cose tralasciamo di osservare per non
essere infiuili , e concludendo il nostro ragionare
intorno a questa parte de' cementi , aflermiamo
che nel tutto presentano essi assai ricca messe di
teorie , e di principi! di dritto, ma che non sono
affatto scevri di alcune mende , che offendono la
perfezione di un' opera diretta a dichiarare i veri
principii, che servir possono di spiegazione a que-
sta parte addizionale del dritto.
Tali sono le cose principali che ci è sembralo
convenevole notare in un lavoro interessante nel suo
fine, e nuovo nel suo soggetto, perche da altri non
preceduto, e ci siamo su di esse qualche poco fer-
mali nel fine di far conoscere come una bella ma-
teria poco esattamente disposta, tradisca sovente le
intenzioni dell'autore, e detragga al profitto che se
ne ripromettono i leggitori.
Ma per queste osservazioni protestiamo che non
debbe venir meno quella lode, che giustamente è
all'A. dovuta, perchè di sommo plauso è sempre
degno chiunque attenda a' travagli di generale uti-
lità. Alle quali lodi vogliamo aggiunta pur quella
che ha riguardo ad un merito a lui particolare, e
che consiste nella squisitezza, e purità delia sua lo-
cuzione, avendo egli adoperato nel suo libro la più
netta, e purgata favella, che certamente è il miglio-
re ornamento di ogni scrittura, sia che essa si ag-
giri intorno a materie di amena letteratura, o che
intorno a soggetti puramente scientifici.
Solo avremmo deriderafo in quest'opera una mag-
giore perfezione, specialmente in quella parte che
riguarda il metodo, la condotta, e la distribuzio-
me delle materie, e cosi sarebbe riuscito più com-
pleto un lavoro, che tanto è utile in se slesso, e
che ha supplito al bisogno di togliere le incertezze,
che nascono inevitabilmente dalla ignoranza di non
poche legislative disposizioni, sparse in varj decreti,
regolamenti, e reali rescritti, per lo più vaganti,
e sconosciuti.
Emmanvele Paiola,
JosEpHus Capycius-Latro senior Tarentinoram
Ponti fex deperditum Scipionis Capycii Carmen
de nativitate domini nuper feliciter inveniam ty-
pis mandavi anno aetalis meae 88 reparatae
vero scdutis ì83i. — Neapoli ex Porcelliana ly-
pogralia au, i833.
cipione Capece, chiarissimo scrittore del secolo
decimo sesto, ci lasciò tre poemi de princijtiis re-
rum , de vate maximo , e de nativltate donùni.
I due primi vennero altamente lodali da uomini
lodatissimi dell'età sua, e specialmente dal Beujbo,
e da Paolo Manuzio: il terzo che fu il frullo del-
le sue ultime vigilie, e la mela delle sue fatiche,
rimase occulto ed ignorato per tre secoli: imper-
ciocché il manoscritto venne tolto con frande all'au-
tore, che, sorpreso da morte, non potè più ricupe-
rare. Quindi per perduto si tenea , e i lellerali
l'aveano sempre invano ricerco e desideialo. Oggi
però questo smanilo poema, per accidente di buo-
na venlura , è stato rinvenute dall'antico Arcive-
scovo di Taranto, di cui alto suona il grido in Eu-
ropa , e del cui glorioso nome si sono spesso ile-
7^
giale quesle nostre pagine. Egli clisceiidenle da
quell'illustre poeta, e sempre tetieio delle glorie
avite, da esso medesitno sostenute non solo, ma
meravigliosamente ampliate, mise in luce con lieti
auspicii nel i83i quel codice lèggiadrissmo: e sic-
come Scipione aveva il suo Canne a Paolo IV in-
dirizzato, così il nostro sommo Arcivescovo, secon-
dando con gentile e magnanimo concetto, il di-
visaiTiento del suo antenato al medesimo romano
Pontefice lo intitola.
Già esaurita si era la prima edizione di questo
lavuro, e dappertutto una novella se ne chiedea;
quando Urbano Lampredi, che ha in ogni tempo
della sua vita arricchito l'italiana letteratura di pre-
giale scritture, pensò di volgere in endecasillabi ita-
liani gli esametri latini del valente Scipione. Questa
seconda edizione dunque vede oggi la luce insieme
alla italica traduzione, che il Lampredi consacra al
sajìicnlissimo Nestore napolitano.
Scipione Capece si distingue per tale forbitezza
di stile, e castigatezza di favella che puossi in ciò
benissimo paragonare ai Fracastoro, ai Sadoleto, ai
Vida, ai Sannazzaro, e a lutti i migliori di quell'età:
e sebbene il presente carme genetliaco non sia che
una narrazione della natività di Cristo; ciò non per-
tanto l'aurea sua semplicità è tale che t'innamora: e
quel prodigioso avvenimento della cristiana religio-
ne è descritto con tanta buona fede, e con tante
liete immagini che nulla più. Certo tu non vedi
in esso uè macchina, ne episodii, ne maraviglioso:
tu altro non iscorgi e non senti , che il prodigio
della nascita di Cciui, ch'era venuto fra le genti
per salvare il mondo: il poeta pieno del suo sub-
biclto ti strascina con impeto dal primo airultimo
77
de' suol degan lissi mi esametri; laiche si compren-
de da chichessia la bellezza letteraria di questa spe-
cie di poemetti non dipendere dalla fantasia del
poeta, o dal concorso di una macchina, dalla qua-
le risulti il diletto e il maraviglioso; ma sibbene
dal semplicissimo andamento del racconto scrittu-
rale, e da quella ingenuità che propria della ve-
rità e della buona fede: quindi saviamente l'autore
va dietro al poeta inspirato , sicuro di non isba-
gliare o deviare.
La versione poi del Lampredi a noi sembra e-
legante fedele e rapida: il traduttore siegue l'ori-
ginale passo a passo; e laddove l'indole della ita-
lica lingua non gliel permette , penetra nello spi-
rito del testo , e a sua maniera , cioè a maniera
di gran maestro, te uè presenta il pensiero.
F. Malvica.
Rudimenls of the italian language ec. cioè Rudi-
menti della lingua italiana^ o facili lezioni di
leggere e scrìvere ^ con un compendio della gram-
matica. Operetta adattata all' intelligenza de
fanciulli. Di Pietro Bachi., P^^f. neiruniver-
rità Harvardiana. Boston , Carter Hendee e
comp. 1882. di fogli 4 *f^ in- 16^.
/iLUorquando si scriverà la storia del nostro tem-
po, forse non sarà dimenticato di dire che un ge-
neroso perdono aprì il regno di Ferdinando secon-
do, e restituì qualche bravo siciliano in seno a que-
sta patria, ed alla comunanza de' nostri diritti.
7^ .
Sotto il nome di Pietro Bachi si era celato fin
oggi Ignazio Batolo', giovane di felici speranze,
colpito dalle sventure politiclie nel flore dell'età sua
e balzato sopra i lidi dell'America, che ospitalmen-
te Io accolse, lo rilenne , lo coltivò, forse per ri-
donarcelo poi fall'uoino ed illuslre.
L'operetta, che annunciamo, non è la prima,
uè sarà certo l'ultima ad uscire dalle mani di Ba-
chi. I lettori probabilmente avranno veduto una
scelta di prose italiane, un'altra di poesie, una gram-
matica della lingua italiana ce. Avranno ammira-
to il buon senso, la nettezza, la lindura, che l'Au-
tore ha messo in queste produzioni, e gli sforzi che
ha falli j)er ])ropagare in America la letteratura
d'Italia. Ogj^i la pratica dell'insegnamento gli ha
diuioslralo che le opere anzidette esigevano un cer-
to sviluppo d'intelligenza, da non isperarsi nelle
giovani menti: e quindi ha egli sentita la necessità
di ristringere in un volumetto le forme essenziali,
i principii della lingua; e comunicaili colla massi-
ma semplicità, perchè facilmente si stampino nella
memoria de' fanciulli, piima ch'ci passino aduno
studio più fermo. Questo opuscolo , egli dice , è
solamente diretto ad avviare i giovani alunni per
lo studio dhina lingua^ la cui ricchezza e varie-
tà richiede che si sviluppi in un pile largo trat-
tato^ quaVè quello che Vyi ut. intese di compilare
scrivendo la Grammatica della lingua italiana.
In verità le voci,- e le forme grammaticali della
nostra favella, troppo lontani dagli aspri suoni, dalla
sintassi sciolta e filosofica della lingua inglese, sa-
rebbero per gli americani studio non agevole , se
non fosse l'aiuto di un uomo e di un libro elemen-
tare che ne stradi il sentiero. E poiché negli Stali-
79
uniti, tra per la uni versale, coltura, tra per opera
dello stesso Bacili, lo studio della lingua italiana
è un bisogno di educazione; dobbiam credere che
le fatiche di lui sieno ben accette al popolo, che
lo ha scelto per suo maestro.
A noi ancora, ed a tutta Italia corre l'obbligo
di sapergliene grado. A noi, a' quali dev'esser grato
che un nostro concittadino onori nell'esilio se stes-
so, e la patria da cui partì. All'Italia, per cui è
dolce sentimento il sapere, che fino in Boston, per
opera d'un suo figliuolo, gli scritti de' grandi ita-
liani , son meditali più che noi non facciamo de'
classici inglesi
Certamente sta dal canto nostro un ostacolo, che
contrappcsa abbastanza la facilità della inglese sin-
tassi. Si direbbe che i maestri di questa lingua,
per averne sempre il monopolio nelle mani loro,
si sieno ingegnati di impigliarne le regole, ed al-
lungarne lo studio. Le grammatiche o poco dicono,
o troppo, e sempre male; i dizionari! non hanno al-
largato, che di qualche linea, l'angusto cerchio se-
gnato dal Barelli; la pronuncia tuttavia confinata a
pochi principi! difettosi e fallaci. Ond'è che la mag-
gior parte degli alunni a mezza strada si fermano; e
que' rarissimi, che vogliano pervenire alla meta,
si trovano, dopo qualch'anno di applicazione, co-
stretti di dar le spalle al maestro, e ritornare da
se soli sui primi passi.
Ninno meglio di Bachi sarebbe nel caso di tron-
care una volta tante dificoltà: di Bachi, che cono-
sce a fondo la propria lingua, ed è pratichissimo
della inglese. E se noi ammiriamo tutto ciò che
egli ha fatto per agevolare agli americani l'insegna-
mento della favella italiana; gli resteremmo poi
So
gratisslmi, se prendesse a scrivere per divulgare
fra noi l'idioma degli inglesi , nelle cui opere più
cose avremmo da attingere, che farebbero mollo
a' nostri civili bisogni.
jP. Ferrara,
Cenno fistologìco-stórlco sii di un precoce, ed e-
straordinario si'ilupp' organico di un fanciullo
palermitano del professore Rocco Solina dot-
tore in medicina ed in chirurgia, chirurgo ne*
reali eserciti di S. M. il Re delle due Sicilie.
Mirabile genium naturati!
Jjj^li è verissimo, che nelle innumerevoli mani-
ièslazioiii fenomeniche sia quanto mai variabile la
natura; dessa non presenta in ogni risguardo, che
immense modificazioni d'ignoti ed oscuri rapporii
sotto quelle stesse poche leggi regolatrici dell'uomo.
La vita sensitiva , ed organica di un gran nu-
mero di esseri di vario regno denominali, e di mol-
tipiici classi e famiglie distribuiti ed ordinati; che
sa reggere e modellarsi mirabilmente e costantemen-
te in tanti punti dell'orbe terraqueo, schiude oggi
mai all'occhio del naturalista lo s[>ettacolo di tutto
ciò , che per se stesso è sorprendente e meravi-
glioso.
Per quanto sorprendente sia poi la vita sensitiva
variabilmente considerata secondo gli esseri, scor-
gendovi a cagion di esempio le morali passioni tutte,
le simpatie, ed antipatie, il concenlramenlo fugi-
tivo 0 permauente, la precocità, e rapidità del peu-
8i
sicrc , il tiascentìentale pcrccpimciito ed avvciii-
mento di tuUo ciò clic li circonda colla distinzione
del bello, del seducente, dello aggradevole, e del
disgustoso; le lacollà intellettuali tutte colla succes-
sione di tante belle, ed armoniose idee ecc. simil-
mente la vita organica non lascia di mostrare pur
essa le di lei estesissime modificazioni comprese
in un medesimo genere di animali: la raddoppia-
ta cioè interrotta o negativa simmetria delle par-
ti , ed il loro anlegonismo , la estesa varietà dei
colori, il centuplicalo, regolare, poco o nullo in-
cremento , la robustezza , la gracilità, i tempera-
menti, la vivacità, la placidezza, la precocità, il
rifardo ec. , queste ins^omina sono le forme sotto
le quali si asconde e si manifesta insieme la gran
possanza della natura, che l'uomo infine riverente
e quasi stupefallo ammira e contempla, nella con-
fusione della sua mente , rivolgendosi ad una sa-
pienza di un essere incomprensibile.
In escmpio(i) di alcuna forma della vita organica
si presenta la brillante osservazione di un fanciullo
nominato Giuseppe Gonzaga di anni tre , e mesi
nove circa, nato da povera famiglia nella state del-
l'anno iB^g fuori le porle di Palermo a ponente:
riconosce questi la sua esistenza da genitori di più
figli , tutti di ordinaria conformazione , offre da
oggi l'altezza del suo corpo di pollici 5i misura
di Francia, gode forte e robustissima struttura or-
ganica, di avvenente, e bello aspetto, porta il capo
(i) Convien cbe si dica esspt dovuto il primo nvvcrtiinenfo di
esso aWe sagge ricerche del sig. D. Sgroppo Reggio Avchn'ctrio in
Palermo, ed aldi lui lodevole amorfi per gli aintnirevoli fenomeni
di natura; egli ne iiivit''» indi i prSf. sig. F". Sichera^ e G. Fiil/o
entrambi primi ctiirurglii nei reali eserciti insieme, a' quali v'ih-
Icryenni alla dimostrazione.
82
tondo con fronle larga, fisonomla e lineamenti ili
pubertà marcala , occhi vivaci turchini-grigiastri ,
collo e petto larghi, braccia ben conformali e to-
rosi, capelli castagni di un adulto, portamento di
fanciullo, ambizioso di vincere nelle contese pue-
rili i suoi compagni di età assai maggiore; si sa
da' genitori esser nato piuttosto gracile anziché cor-
to, ed il suo incremento è stato poco più di pol-
lici 13 parigini circa per ogni anno , porterebbe
in robustezza proporzionati gli arti inferiori, se non
fosse una minaccevole fìsconia delle viscere adclo-
niinali, seguita da una febbre autunnale, la quale
gli fa assai tumido l'addome, e poco meno robuste
le natiche, le coscie, e le gambe(i). La ispida la-
nugine è giunta a covrirgli il labro superiore, il
dorso, i lombi, e le cosce; il pube da più mesi
è di già adorno di peli castagni chiusi, il pene na-
turalmente fimosato lungo abbastanza, e di sviluppo
simile ad un giovine adulto di anni i5 in 16; com-
posto ha lo scroto, grossi e proporzionati entrambi
i testi, i quali, sembra, che pervenuti siano alla
debita funzione di separare l'umore spermatico; la
TOce è di un adulto, ed abbenchè sia di ninna mali-
zia, par tuttavia che voglia avvertire la voce della
natura nel bisogno delie venere; infine sono tali gli
organi genitali che a giusto credere all'età sua di an-
ni 6 in 7 potrebbe addivenire padre. E per quanto
(2) La tuinesccnza dell'addominc, che all'assertiva de' genitori
ron abbia quasi mai scompagnato il fanciullo (aljbencliè per lo
addietro affetto da febbre autunnale, e d'altra testé soKcrta irri-
tativa gastrica) potrebbe fare argomentare al Gsiologo esser que-
sti un indispensabile modo organico delle viscere addominali per
lo quale devesi servire la vita vegetativa? Non sarei alieno intorno
ciò convenire col doit. Gio, \BaUista Gallo prof, sostituto di ana-
tomìa in questa Università, di unita al quale giorni SODO ini [>or«
tai a l'iosseryare il fanciullo alla casa pateina.
83
possa esser certo ciò, potrebbe essere dubbio il sus-
seguente e totale sviluppo d'incremento, essendo pur
lro|)po incostante la natura per ragion diretta de-
gli anni (come non lo e per certe date epoche) e
per altri agenti interni, ed esterni i quali tutti ne
potrebbero arrestare il processo.
Che che si argomenti poi da' cosmologisti sull'esi-
stenza de' popoli giganteschi in Sicilia è però vero
per ripruove che in questa classica terra voglia il
tutto modellare la natura, e quindi eccedere tal-
volta nella di lei provvidenza misteriosa. E quan-
tunque le tante parti di scheletri, ivi in diversi punti
ritrovati di un enorme grandezza, per mezzo della
notomia comparala, han mostrato ad alcuni natura-
listi appartenere ad animali anziché all'umana spe-
cie, potrassi perciò sconvenire che l'incremento del-
l'umano organismo possa talvolta eccedere ed alzarsi,
abbenchè ciò possa avvenire con maggior difficoltà
del difettare? e quindi i monumenti di questi uo-
mini che vuoisi esistiti, mal fondati essendo sulla
notomia comparativa, e perdendosi nelle rovine del-
l'antichi là, siccome portano forse su di questa opi-
nione una lacuna da non |jolersi facilmente sor-
montare col discernimento? Sembra d'altronde plau-
sibile anziché non credere la passata esistenza di
uomini , se non di 4o, o di "yO cubiti di altezza
marcata, bensì del doppio o poco più della comu-
ne dimenzione (Buffon epoche della natura). Iti
ogni modo è facile essere esistito per lo passato, e
non vedersi che come un estraordinario caso quello,
che teslè si è fatto osservare, e quello quasi eguale
dal Diblasi (seguendo Fazzello) descritto : il che
porta alla considerazione, che siano altra volta po-
tuti esistere, come lo potrebbesi in gran numero, di
84
simili; ed ignolc rcslarne le cause, come luH' ora
dispulansi quelle allenenti alle varie razze di una
sola specie di animali. K se fossero esistiti in Si-
cilia ove di loro si fossero rinvenuti de' monumen-
ti , sarà questo uniforme ali' argomento tenuto sul
rinvenimento da diversi naturalisti antichi (M. T^nl-
guamera)^ e moderni (prof.cav. Ferrara) di un in-
iìnilà di scheletri d'ippopotami e di elefanti nel piìl
dentro dei paesi del Nord? (Buffon epoche della
natura). Felix qui potuit rerum eognoscere cau-
sas. Essendo adunque sino a questo punto perplessi,
ed in certo modo discordi i naturalisti convien ta-
cere sul confronto di quel che altri abbian potuto
dire intorno agli andamenti della vita sensitiva ed
organica di quei popoli con questo caso da noi ora
osservato, e di cui si è tenuto parola.
Ragguaglio degli avanzamenti di Ignazio Landò-
lina nelle matematiche discipline incitato il io
' gennaro iS33 nella gran sala della Regia U-
idversità degli studii di Catania da Salvatore
Fhagala.' alla occasione di un pubblico espe^
rimento cui fu sommesso fjuel fanciullo di an-
ni dieci — Catania presso Francesco Pasto-
re i833.
\joì contento ben giusto in chi ottiene il frutto
delle proprie fatiche, e forse al di là di quanto
aveva sperato, il sig. Fragalà ci dà notizia in que-
ste poche pagine degli slraordinarii avanzamenti
falli dal suo allievo il fanciullo Ignazio Landoiina
nelle matematiche discipline. Questo fanciulle , il
85
cui nome non è già più nuovo fra noi, ebbe per
primo istitutore nelle matematiche il prof". Tede-
schi; ma in seguito non potetido questi per circo-
stanze parlicohiri continuare nella intrapresa carrie-
]a, il fanciullo venne affidato al sig. Fragalà. Ei fcb-
])e quando già Ignazio conosceva tutta l' aritmetica^
ed i primi elementi dell'algebra, e della geometria:
il suo novello precettore gli fece alloia percorrere
in breve tempo il restante dell'algebra elementare,
e gli riuscì (^cgli dice) d'istruirlo in poche lezioni
sopra alcuni principali teoremi, che alla teoria ge-
nerale dtlle equazioni si appartengono. Indi gli ven-
ne spiegando gli elementi della geonietria solida,
della trigonometria rettilinea, e la teoria delle cur-
-ve coniche , dopo di che il fanciullo sostenne un
pubblico saggio alla presenza di molli dotti professori
Catimrsi, e ne ottenne alte lodi, ed invero le me-
ritava; e l'Accademia Gioenia gli conferì un grado
accademico, e molti giornali nazionali, ed esteri
ne parlarono. Stimò allora il prof. B^ragalà avviare
il fanciullo allo studio del calcolo sublime, ed il
fece servendosi per guida dell'ottima opera del cav.
Agatino Sammartino, e pensò ancora intrattenere
il suo allievo sopra alcune principali dottrine rela-
tive alle leggi del molo, e sull'applicazione delle
stesse ad alquanti casi particolari. Intorno a que-
sti ultimi studii a£;s:irossi il sa«2fio dato nel dì io
OD PO
gennaio ora scorso. Nel leggere la nota dei pro-
blemi , e teoremi ai quali si esi)Ose il fanciullo
Landolina in questo saggio non si può dissimulare
quella segreta compiacen^;^ che sorge nell'animp
al vedere un ingegno così giovanile f irsi a trattare
così astruse dottrine. DifaKi tra questi problemi,
e teoremi molli sono relativi alla diderenziaziono
86
delle funzioni esponenziali, delle logarilmidic, delle
potenze, delle Irigonomeliiclie; alili sou relativi alla
quadratura delle curve [nane per mezzo della dif-
ffrinziazione; altri (iualmeule a mohe teorie della
dinamica. Tra tulli questi teoremi, e problemi a
cui si esponeva il fanciullo, intorno a tre sollan'o
ebbe campo di ragionare nel saggio i .'^ sulle con-
dizioni necessarie perchè una funzione differenziale
binovariabile del primo ordine potesse integrarsi:
2.° sulla dimostrazione del binomio di Newton
colla formola del la Grange: 3.*^ fìnalmenle sul
principio del parallelogrammo delle forze , e sulla
determinazione della trajeltoria descritta nel voto
da un projelto. Gli astanti furon di tanto con-
tenti, né domìmdaron più oltre. Or dal modo,
nel quale leggiamo avere il fanciullo Ignazio trat-
tato i temi sui quali fu chiamato a discorrere, si
jiuò scorger di leggieri che i suoi progressi non so-
no soltanto dovuti ad una straordinaria forza di
memoria; ma bensì ancora a quella penetrante at-
titudine d'ingegno, senza la qualo chi tiissi a stu-
diare le matematiche discipline nulla ne ricava se
non se un ammasso d'inutili conoscenze.
Il perchè noi non possiamo ristarci dell'incorag-
giare l'esimio professore a continuare nella intra-
presa carriera; giacche sembra oramai cerio esser
tale la tempra d'icigegno di quel suo tenero allievo
da j)otere un giorno fiir rallegrare Catania di es-
sergli patria.
Giuseppa Scjbona.
87
NOTIZIE E VARIETÀ LETTERARIE
1. JUa Sicilia fu madre in ogni tempo di geni sin-
golari: è questa una verità le mille volle detta, da
tutti conosciuta: e Carlo Botta scriveva a Ferdinan-
do Malvica che da Archimede sino a Vincenzo Zuc-
caro la nostra patria è stata sempre feconda di. mi-
racoli: forse, soggiungeva quel grande, il fuoco del-
l'efna affina, e fa ora di coppella. A' nostri giorni ab-
biam veduto appunto sorgere questo straordinario
fanciullo, e riempire del suo nome l'Europa tutta.
Ma la scienza del calcolo, in cui*egli per una pro-
fonda virtù d'intuizione, comparve maraviglioso
maestro, conta un altro essere pari a questo degno
dell'attenzione dei saggi. Giuseppe Puglisi, fanciul-
lo palermitano, a tutti già noto, quasi nell'età me-
desima dello Zuccaro, e poco appresso di lui ma-
nifestò e sviluppò la stessa potente inclinazione per
la scienza de' numeri: calcoli di ogni specie astrusi
e difficili in pochi momenti scioglie; e mentre ci
presenta l'immagine dell'ingegno del fanciullo, clic
lo ha preceduto nelle medesime inaudite calcola-
zioni, ci avverte colla sua voce , e co' suoi modi
infantili della imberbe età in cui si ritrova. Vincen-
zo Zuccaro ebbe chiarissimi proteggitori: e que-
gli stessi che tanto allora influirono per assicurar-
gli una convenevole educazione, sempre uguali a
se medesimi nell' agevolarle e. proteggere la virtù,
si sono cooperati coU'istesso zelo , e colla medesi-
ma eiìlcacia pel iauciuilo Puglisi. S, E, il Duca
88
di Gualtieri, Piesidcnle del Consiglio de' Mlnislii,
generosanicute protesse il primo iliiiciullo, ed oggi,
secondando gl'impulsi del magnanimo suo cuore,
mille Lenelizii ha falli a questo secondo; diiriodo-
cliè né r uno ne l' altro di costoro polran mai di-
jnenticare in niun tempo della loro vita quel che
debbono a tanto personaggio.
Or noi senza entrare nel modo come educar si
.possa il Puglisi, tanto degno del pubblico afietlo;
e senza dire se convenga unirlo allo Zuccaro nel-
la educazione che dee ricevere: il che certo con-
viene per ogni ragione, e per essere stali ambidue
dalla natura prediletti, e chiamati a battere l'isles-
so sentiero ; soltanto ci limiteremo a far voti ,
perchè questa iriirabile creatura non venga priva-
ta dalle cure, che la patria suol disi)ensare, eoa
esempi che immortali vivranno nella memoria dei
])Osteri, a coloro che promettono una vita illustre.
Possa dunque il palermitano Decurionalo, nel suo
zelo [)er le patrie cose , combinare le risoluzioni ,
eh' è sul punto di emanare, in modo che senza
nuocere all'un fanciullo agevoli l'altro; onde ambi-
due, essendo figli di un'istessa patria, possano in-
sieme riconoscere dalla madre comune l'acquisita
sapienza, ed essere un giorno alla Sicilia di conforto
e di onore.
2. Nel primo tomo di questo Giornale alla pa-
gina iGg a lungo si ragionò di un' oj)era del si-
gnore Ab. Emmanuele Vaccaro intorno il lìimoso
comenlo che U"o Foscolo avea fatto della Divina
Commedia. In queli'aiticcjlo si proccurò di lar ve-
dere tutto il prci^io di tale lavoro , e con quanta
89
ciilìca, e quanla forza iringegno avesse il Vaccaio
La liuto la contraria sentenza. Ora pciò ci è grato
raiJDLiiiiiare die scrivendo il celebre Urbano Latii-
preili al slg. Malvica alcune imjìortauli notizie let-
terarie, fra le altre cose gli dice di aver letto con
sommo piacere la cennata fatica del Vaccaro , e
gli comunica alcuni suoi pensamenti,, che noi vo-
gliamo liportare, perchè si conoscano sempre me-
glio i bravi uomini, e si vegga la nostra impar-
zialità anche sulle nostre cose medesime. » Con-
fiontate, mio stimatissimo amico, (sono parole di
quel valentuomo) l'uso che ha fatto del suo inge-
gno anche in questo il Foscolo, e quello che ne
ha fallo il Vaccaro. E se voi versate il vaso delle
vostre lodi pel primo, che vi resterà pel secondo
che le merita tulle davvero? La sua non solamente
è una dimostrazione georaclrico-lelteraria; ma onora
lui, la Sicilia, l'Italia, e Daale stesso. Io non so-
no jiin montalo all'cnlusiasmo , ma quel libretto
quasi ne produce refliilto; [)erchè dopo aver letto
il voslro articolo elogistico, tessuto in bello siile,
ed ora ripensandovi sopra mi pare che non abbiate
dello quanto meritava; e mi ricordo che avete
fallo un piccolo aggrinzamenlo di naso nel leggere
che come s. Agostino è il teologo della religione
cattolica, così Dante ne il poela. Si è detto mai
una verità sì splendida ed utile? Il Vaccaro è uno
di que' pochi, come Voi, al parer mio, che scrive
e ragiona comò sente, e sente sempre il buono ed
il vei'o , che non vanno mai, uè possono andar
disgiunti. Quando v'imbatterete in lui, abbraccia-
telo cordialmente, e ligurale\i ch'io .sia rpresenle ,
e faccia un gruppo con ambedue.»
90
3. Il sig. D. Carlo Ferclinariclo Dolce, Colonnel-
lo del genio in Sicilia, conoscendo quai segnalati
vantaggi produca la nazionale e|)igrafia , ha proc-
curato insieme ai più dotti e più valorosi della
patria, di animarne lo studio e propagarne lo eser-
cizio. Difatti si sono vedute, per le sue cure, pa-
recchie italiche iscrizioni incise in pubblici luoghi
con gradimento comune; ed egli stesso, pieno co-
in' è di saviezza e di zelo , ne ha composta una
assai leggiadra: la quale, sebbene fosse stala compo-
sta nel i83i, epoca dell'avvenimento che perpe-
tua, pur tuttavia non si è collocata sul luogo che
da non guari solo: la riportiamo sì per far cosa
grata ai nostri leggitori, sì per rendere un tributo
di sincera lode all'illustre autore che dettoUa:
Ferdinando . II. °
PIO . FELICE . AUGUSTO
l'aN.I. DEL. SUQ.REGNO. IL. G. XII. DEL. MESE. DI. LUGLIO
:ii.' <:'»••■ 'QUESTO . EDIFICIO . VISITAVA
DA '.MATERNO . E . GENEROSO . ANfMO . SOSPINTO
A . SOLLIEVO . DEI . MILITARI . INFERMI
LO . INGRANDIMENTO . NE . DECRETAVA
ALLE . PATERNE . ZELANTI . CURE
DI
GIUSEPPE . DE . TSHUDY
MARCHESE . DI . S. PASQUALE
COMANDANTE . GENERALE . DELLE . ARMI
LO . ESEGUIMENTO . AFFIDANDONE
MDCCCXXXI
, 91
Necrologia
Vffiusepjie Marco Calvino, uno dei più leggiadri
poeli dei nostri tempi, fu tolto da immatura mor-
te alla patria ed alle lettere nel 21 aprile di que-
sto anno i833, quarantasetlesimo dell'età sua, e
noi ne vogliamo compiangere la perdila consacran-
do una pagina alla memoria di lui, al quale erava-
mo con nodi di tenera amicizia congiunti.
Nacque egli in Trapani nel mese di ottobre del
1^85 da onesti ed agiati parenti, che solleciti della
sua letteraria educazione lo avviarono agli studii, nei
quali fece sì rapidi progressi che in breve tempo
venne a capo di ogni elementare istituzione. Uscito
quindi dalle scuole , abbandonalo a se medesimo,
e senza allia guida the il solo amor del sapere ,
di che eia olire ogni credere avidissimo, in mez-
zo ai piaceri della cillà, e quasi ad onta della gio-
vialità del propiio carattere, tulio alle dilelle sue
applicazioni si rivolse, ed a quelle spczialmenle della
poesia, alla quale veniva potentemente dalla natura
chiamato. Il perche non tralasciava di dare a quan-
do a quando alcuni fruiti della giovanile sua musa,
i quali, sebbene non privi di estro, e da [)oelica
vena comparivan dettali, mollo lasciavano a deside-
rare di quella perfezione che con la maturità d( 1
giudizio e con l'ajuto dei buoni esemplari si acqui-
sta; del che avvedutosi egli maggiormente si rivolse
allo studio dei classici scrittoH , da cui non volle
unquemai ad onta dei novelli principii discompa-
gnarsi, e cobi attingendo sempre più alle pure iunli
9^ . . .
lidie latine ctl ilalidie muse , coidìdcìò a far tltl
suo |)Oclicn valore assai bella mosira con mia can-
tica in terza rima titolata Dio nella naiiini^ nella
ijiiale acklimostrò uno siile ("orbito, e allatto dan-
tesco, e molta fantasia nelle descrizioni della bellezza
e dell'ordine dell'universo. M;ic;giore artilìcio, e
più lino gusto diede poscia a divedere in i\n [)oe-
lUello di genere descritlivo clie àddimaiidò / /«r/?^-
stria ^1 rnpajiesc[i) adorno delle più belle e ridenti
immagini che il bel snolo di Trapani ci presenta.
Questo leggiadro poemcUo sebbene da molti fnsse
stalo accoito e pregiato, pur non nondimanco non
piacque a taluno e forte lo punse in uno dei piìt
iamosi giornali d'Italia. Ma il nostro antoi'e nulla
curando quella ingiusta censura, coriforlato dal vera
merito dell'oliera sua, seguia coraggioso la sua onora-
ta carriera, e due volunii di liriche poesie(2) man-
dò fuori nel i8?.6 con cui fece maggiormente co-
noscere di che nobile in<:e2;no era fornito ; con-
ciossiacliè oltre allavcr con onore la lirica trattato
nella scherzevole poesia sì eccellente com])arì, che
parve nato a questo difficile genere'di poetare, e
ci giova su tal proj)osito ricordare il bel ditirambo,
i capitoli sul far del Berni', e l'apologo intitolato
j^ntore iit liceo adorni d'immagini nuove e pere-
grine^ di belle e vivissime descrizioni, e dettali con
molla graiia e facillà.
Olire alle italiche muse, coltivò con felicissimo
successo le siciliane, e volle tradurre nel [lalrio dia-
letto la Bulracomloinachui di Oinero^i)^ glldillii
o
. 1(0 Tr,i|.iani presso Mmrrnne e Solinn i8'j5.
(■2) Tia|i;iiii presso ftl.uiiionc e Solina 1826
'(3J L.l 'Bìtiaciiiniomiicliia di Oiiieni n'adiizioiii libera in siciiia-
nii : — 'TiuptiBÌ picisu Maniuiui e Solina 1827.
93
tlel noslro Immortale Tcocrilo (i) , e le otll tulle
eli Aiiacroonle clie avca già in pionlo j)er le slampc;
pregevolissime traduzioni , coinccliè non prive di
mende, di cui noi ci siam prefìssi diflusamenle iti
un'altra scrittura ragionare.
Volle il noslro egregio scrittore cjuasi tutte toc-
car le eorde della j)oesia, e compose ancor giovane una
tragcdia(2) non priva certamente dì jjregio, ma co-
noscendo egli medesimo la tempra del proprio cuo-
re, si avvide non esser nato a calzare il coturno,
onde si rivolse a scriver commedie, e quando era
sul punto di pubblicarne pareccliie a|)pena avca
messo fuori la prima(3), della quale abbiamo sufli-
cienlemeute ragionalo in qnesle nostre Ellemeri-
di (4), venne la morie a troncare i suoi giorni,
ed a toglier con luì ogni bella speranza di ve-
der nuove e felici j)roduzioni del suo nobile inge-
gno. Aveva ancor dato opera ad un poema eroi-
comico addimandato il Bernardo Caprera^ di cui
novella gloria avrebbe certamente ricavato, ed avca-
ne di già dettati alcuni canti che inediti ci sono
rimasti con moltissime sue poeticlie e letterarie com-
posizioni, che speriamo non saranno per rimaner
se])|)ellite nella oscurità.
Instancabile com'era nello studio, e caldo di amor
di patria non poche prose pubblicò e lesse nella
Accademia della Civetta di Trapani, e già affati-
cavasi alla ristampa del vocabolario siciliano del
(r) Dcgrjdillii di Teocrito traduzione libera in siciliano. — Tra-
pani tipogrnfij di Pietro Col.ijanni i83o.
(•2) Ifigenia in Aulide — Cutauia tipografia dtll'inlendcnza pres-
so la Magna iSrc). 1
(>) li CaUolajo di Alessandria della Paglia — Trapani lipogra'.
fia di Pietro Colajanni i832.
(',) Tomo 4, pag.
94
Pasqualino, al quale preparava le sue aggiunte e
correzioni.
Tutte queste belle ed utili fatiche tanto rendet-
tero il Calvino benemerito delie nostre lettere, e
caro agli stranieri, che in moltissime accademie non
che nostre, ma esterne ascritto si vide(i).
Abbenchè non avesse àmbito ricchezze ed onori,
che vita voleva vivere |)lacida e tranquilla , pure
non poche ragguardevoli cariche sostenne con di-
gnità , che nel breve corso di sua vita gli furono
conferite. Bello era della persona , amò l'allegrez-
za ed i piaceri, ne mai l'invidia, e l'avversa fortuna
che non lasciavano di travagliarlo lo sconfortarono;
solo gli fu d'immenso cordoglio la perdila di un suo
dilettissimo figlio, che pianse sempre a caldi occhi.
Nimico fu della superbia e dell'orgoglio, gentile e
modesto con tutti, inclinato al ben fore, e di ge-
neroso animo fregiato sentiva fortemente il dolce
sentimento dell'amicizia; talché la perdila di lui ha
lasciato Uiia JaUuosa ricordanza di se non che ai suoi
concittadini, ed a tulli coloro che di sua dimesti-
chezza si onorarono , ma a quelli eziandio che
noi conobbero se non dai suoi scritti; onde possiam
dire di lui ciò che scrisse Tacito di un celebre suo
elogiato; Finis vitae ejus nobis luctuosiis^ anncis
trìstis extmneis etiain^ ignoiiscjue non sine cara
fuit (in vita Jgricolac).
jìntonio Di Gjo/^anni Mira.
(i) Fu socio della illustre Accademia Tibeiina di Roma, e fu
. chiamalo fra gli Arcadi Taliso Smiineosc.
sf
In obitu Clarissimi Viri Jac, Havs (i)
Inscriptiones
Aelas seiiectutit vita ìinmacultUa
Sap. IV.
JACOEO JOSEPHO HAUS
VIRO INTEGERRIMO BENEFICO PIO
JUSTA SOLVUNTUR
QUICUMQUE INGREDERIS
ANIMAE MERENTISSIMAF.
PACEM SUPERUM ADPRECARE.
(i) Crediamo di far cosa graia ai nostri leggitori pubblicando
queste eleganti Iscrizioni del eh. sig. beiief. Luigi Garofalo, scritte
a bello studio per servire all'esequie del celebre maichese Giusep-
pe Giacomo ILius, tolto non ha guari alle nostre lettere , e al-
J" amore della patria nostra. Noi nel venturo numero di questo
giornale daremo la necrologia di sì virtuoso e lapicale scnlloie.
96
II.
JACOBUS JOSEPHUS H.\US
DOMO HEREIPOLI
INTER PANOnMITANOS CIVES COOPTÀTUS
REGUM NOSTROKUM A CUBICULO
EQUES ORD. S. FERDINANDI. EQUES ORD. FRANCISCI I.
OB MAGNAM OPINIONENEM PROEITATIS
A FERDINANDO I,
PRINCIPI JUVENTUTIS INSTITUENDO ACCITUS
EOQUE MUNERE NAVITER PRAECLARE GESTO
MAXIMO IN HONORE HABITUS
SUMMAM SENECTUTEM
INGENTI CULTU AMICORUM OFFICIIS
PARI CUM DIGNITATE OBTINUIT /
DIUTURNA VALETUDINIS INCOMMODA TULIT SINE QUESTO
AD QUARTUM PROPE ET OCTOGES: AETATIS SUAE ANN*.
DECESSIT XV KAL. MAI MD.CCC.XXX .III.
III.
VIRO SCIENTISSIMO PIENTISSIMO
QUI INTER JURIS UNIVERSI CONSULTOS
AB ACADEMIIS PATRIAE CELEBERRIMIS ADLECTUS
LITTERIS GRAECIS LATINISQUE ERUDITUS
' EDITIS OPERIBUS TOTO ORBE CLARUS
PIETATE INNOCÉNTIA GOMITATE
EFFUSA IN EGENOS CARITATE
EXEMPLUM POSTERITATf
LONGE KOBILISSIMUM RELIQUI'T.
97
Ode 25 di Jiiacreonte tradotta dall' originai
greco in rima siciliana da Benedetto-Save-
rio Terzo. t'f"4 '.->
f / ù;
SUL BEVERE
0''rj Nò mi curu di cancari cchiù.
98 "- ^ -
£ STR4N1ER\
Lettera del barone Larrey al dottor Portal.{i)
Parigi li IO gennajo i$33
Sig. ed ornai, collega
MjLo ricevuto , tempo addietro , X opuscolo , che
voi mi avete fatto l'onore d'inviarmi, sopra l'ope-
razione della fìstola lacrimale, operata secondo il
metodo di Petit.
Un viaggio precipitoso che io feci allora nel
Belgio, mi fece perdere di vista quest'opera, della
quale ho trascurato di accusarvene la recezione.
Il secondo opuscolo sopra un' enorme tumore sa-
livare, che voi mi avete dopo spedito , mi ha ri-
chiamata questa dimenticanza, che oggi mi affretto
di riparare.
Il primo di questi opuscoli ha per oggetto l'in-
venzione d'un porta canuta^ e di una piccola pin-
zetta ^qv ritirarla a volontà, e comodamente. Que-
(i) Pubblicliiamo con sommo piacere questa lettera del ^ar. Lar-
rey scrilta all'egregio sig- Portai, perche i nostri le^j'itoii cono-
scano qiul merito si abliit l'opera di questo vaiolile nostro Sici-
liano, Il Barone Larrey è autore di scritti ripulalisslmi, e fu uno
ile' chirur^^i più picgiati di JSdpoleone , af endulo ;iccoinpagiiato
in tutte le sue campagne, coininclando da quella di ligillo sino
a Waterloo: quindi caro dovià essere ai nostri Icguiloii il giufli- '
iio di un uomo sì celebre, e Unto pVopiio della matcìia, di cui
ragiona.
99
sia invenzione è ingegnosa, e sarà utile a quelli che
praticano l'operazione della fistola secondo questo
processo. Se voi non avete indirizzato un'esemplare
del primo opuscolo al sig. Dapujtren^ io gli darò
il mio, voi non avete che a farmelo sapere.
In quanto a me, io non pratico più alcuna ope-
razione per la fistola lacrimale, poiché le considero
tutte come inutili, e spesso pericolose. Come inu-
tili in quanto ch'esse non possono avere che degli
effetti istantanei , qualunque ne sia il processo , e
voi lo comprendete subilo, giacche dal momento
in cui non vi ha più canuta nel canal nasale, que-
sto si oblitera, e la fistola si riproduce dall'istante
in cui sopprimete il setone (quando voi impiegato
questo processo): lo stesso avviene del metodo di
TVoullusio eie. Pericolosa io ho veduto molte vol-
te l'erisipela sopravvenire sotto l'influenza della
canula introdotta nel canal uiisale, e terminarsi col-
la morte, o riprodursi gl'incomodi i più spiacevoli,
e le persone le più ragionevoli preferiscono serbare
la fistola anziché assoggettarsi ad -un'- operazione
qualunque.
Datevi la pena di leggere nella mia Clinica Chi-
rurgica r articolo oltalinìa^ e voi vedrete che ho
sostituito all'operazione un mezzo semplicissimo, ed
infinitamente comodo. Ho molle persone a Parigi
le quali fanno uso di questo mezzo col più grande
vantaggio , e dopo molti anni; così io non posso
dirvi cosa alcuna di più su questo opuscolo.
Il secondo opuscolo ha per obietto un tu moie
salivare sviluppatosi sotto il mento, che si esleude
a dritta luìigo l'orlo dcllanmascella. Qa',;sla è una
vera ranula sviluppatasi verso ,(]ucsto [)unlo perchè
ha trovalo una resistenza dalla jiarte della bocca,
100
o sotto la lingua; questa essendo, senza dubbio gon-
fiala e compressa fortemente la porzione dello stesso
tumore che avea dapprima prodotto la ranula —
Io ne ho veduto ugualmente di quelli che saliva-
mo sotto il mento, ma in tutti i casi rindicazionc
e la medesima^ cioè a dire ch'esse debbono essere
aperte col caustico attuale, o con un coltello a lama
stretta e curva, arroventato, (vedete ancora la me-
desima opera, all'articolo ranula). Se aveste voi
impiegato questo mezzo in vece del bisturi , per
la vostra ammalata, la cura ne sarebbe stata più
pronta, e più facile. La vostra osservazione è non-
dimeno curiosa, poiché deve essere mollo raro che
i tumori si propaghino (in sotto alle branche della
mascella — Avreste poluto dispensarvi di molli det-
tagli minuziosi superflui in una osservazione.
Io non vi ringrazio meno perciò, mio caro col-
lega, di questo segno della vostra stima, e della
vostra attenzione. Io ne conserverò la memoria, e
vi offro anticipatamente con l'espressione de' miei
voti la certezza della considerazione dislintissima
colla quale ho l'onore di essere
Vostro ossequiosissimo collega
Larrey
EFFEMERIDI
SCIENTIFICHE E LETTERARIE
PER
LA SICILIA
xMaaaco i833
Sulle febbri Tifoidee reghanli in impani — * Ùt^
scorso di Domenico Gre^o^
J^peclito in Trapani con ministeriale dei i5 apri-'
le i833 n. aSaS » per conoscere l'indole delle nia^
laltie ivi regnanti^ e dettare i modi più acconci a
mettervi riparo» fu nella sera dei i^^ riunita la
deputazione sanitaria meritamente presedula dal si-
gnor cav. d. Giuseppe Sanimartino funzionante da
Intendente- ivi con istoria erudita, e clinica prof*
ferita dal rinomalo dott^ Adragna figlio(i) venni pò*
(i) Ritornato in Palerrlio ebbi la nolizia^ che questo abilissimo^
e dotto medico venne attaccato dal Tifo, e seppi in seguito essere
in meno di una seltirtiana'ppi'ito^ il giorno 3 iMaggioj vittima deU
la sua filantropia^ del suo zclo^ dell'amore per la scienza da lui
pt'orcssata. Vogliano le anime sensibili rammentaire con dolot'p^
e nel tempo stesso con piacere la tnemoria di questo valent'uomo.
8
103
Sto a giorno dello sviluppo , e tìci pregressi delle
attuali lualnttic. Da essa rilevai, clie fiu dalla me-
tà di febbraio si cominciarono a sviluppare delle
febbri Gastriche irritative, per lo più con sintomi
catarrali, e jare volte nervosi; che la morte, av-
venuta in alcuni Soggetti distinti , avendo sparso
l'allarme, venne prescritto a' medici tutti, che des-
sero notizia del numero^ è dell esito de' loro infer-*
mi con stati patologici, da inviarsi al Governo; che
il maggior numero degl'infermi si era raccolto dalla
classe dei poveri; ch'erano stali ben pochi, relati-
vamente agli anzidetti, quelli dei benestanti; the sin
al piesenle, ne la nobiltà, né le religiose ne erano
state afflitte, e che Se ne numeravano soltanto tre
infra tutti i regolari; e che finalmente i bambini,
ed i vecchi n'erano stali esenti, unitamente a quasi
tutta la guarnigione , i di cui pochi febbricitanti
pros{ìera mente si guarivano.
Fatta in seguilo lettura dei rapporti medici Sum-
menzionati; ed ammaestrato dalla viva voce di quii
dotti professori ascoltata nelle replicate riunioni pre-
sedute dal sopralodato sig. cav. Sammarlino, e nei
congressi tenuti da me al letto degVinférmi coi me-
dici curanti, conobbi, che sebbene l'attuale costitu-
zione avesse prediletta la età adulta, e che in molti
infermi i dolori di testa , 1' accensione del volto e
degli occhi, la durezza dei polsi, i dolori vaghi eie.
avessero potuto con buon diritto far nascere il so-
spetto di una reazione, o complicazione infiamma-
toria dipendenti dalla età e dalla stagione, pure il
metodo antiflogistico , inclusi i salassi generali ed
i capillari , non aveva corrisposto mai a titolo di
cura pronta ed eradicativa; che anzi in quegl'infer-
mi, nei quali, ad onta dell'anzidetto metodo, il de-'
io3
llilo ora violento con volto anìnaato, con occhi vi-
vaci, e pupille contralte, .le deplezioni sanguigne noa
si ciano mai sperimentate vantaggiose, giaccliè bea
presto sì estingueva la voce ^v la lingua balbettava
|)aiole. non distinte , i polsi diventavano vermicQ-
lari, 0 impercettibili, tutte, l' estremità, ed in se^
guilo r intero corpo diveniva freddo , e la morte
chiudeva la tragica scena. Che l'uso dei purgativi
adoperati nel primo settenario sotto qualunque ti*
tolo di evacuanti, di contrirritanti, e di rivolsivi^
non avevano mai corrisposto con permanente sol-'
lievo , ne sì sperimentavano più utili replicandoli
nel secondo settenario, come ausiliari del metodo
antiflogistico. Le stesse polveri del dott. James u-
sate nel principio, e quindi ritentate nel secondo
settenario in compagnia dell' anzidetto metodo, in
molti casi, ad onta delle promosse evacuazioni, non
impedirono l'esitò fatale. Che la morte, dove l'at-
tacco cerebrale compariva con la febbre, arrivava
prima del settimo, nella maggior parte però si ve-
rificava tra il decimo e 1' undecìmo , e rarissime
volte era avvenuta al di là del decimo quinto gior-
no. E iinaimente per le sezioni cadaveriche, alcu-
ne delle quali a mia preghiera , vennero eseguite
dall'esperto chirurgo dott. Capparelli nell'Ospedale
imitare, nulla si era potuto desumere, che fosse
degno di clinica attenzione. Soltanto in coloro morti
nei primi giorni con sintomi carotici si sono tro-
vati injeltati i capillari delle meningi con poco
spandimeuto di serosità sanguigna sotto 1' aracnoi-
dea, e nei ventricoli. Non si rinvennero mai, ad
onta. delle più scrupolose investigazioni, nelle pa-
reti interne dello stomaco, e nella estremità supe-
riore ed interiore del canale intestinale^ le pur Irop-
ib4
pò preconizzale alterazioni tìolle glanclole tlel Peyer,
ne delle Placche del Brunner. Gli altri disordini
poi osservati nei visceri toracici, ed addominali si
doverono supporre un prodotto di anierioii affe-
zioni, o di complicazioni individuali, od un risul-
tato di quei progressivi disturbi cagionati da un
xnale, che mano mano alterando tutte le funzioni^
deve necessariamente offerire all'occhio indagatore
non poche infiltrazioni, non pochi epatizzamcnti,
non poche ecchimosi cancreniformi ec. , appunto
perchè non si sono rinvenuti costantemente in tutti;
la qual cosa sarebbe al certo avvenuta se le anzi-
dette alterazioni anatomiche fossero state la causa,
e non l'effetto del morbo: per ultimo non trascurai
di riunire, da' spogli degli stati patologici, il numero
degl'infermi e dei morti, dal i" marzo sino a 24 a-
prile, ed i primi ammontarono a 1117, ed a 66
i secondi. Dietro questi fatti con la più severa at-
tenzione raccolti e confrontali sugl'iiifermi nelle case
dei particolari , e nello spedale da me osservati ,
credei in adempimento di mio dovere, di esporre
a quei, per altro zelantissimi medici, piimieramejite
a voce, e quindi con questa Memoria Ietta in De-
putazione alla loro presenza, qual sia siala sempre
la mia condotta pratica iti simili malattie , e quali
siano stati i raziocini, cui ho creduto doverla ap-
poggiare.
Desiderai in primo luogo, che venisse caratteriz-
zata per Tifoidea questa febbre invece di Ga--
stro-nen>osa o di Castro- irritativa , dappoiché
essa non presenta ne cause ne caratteri differenti
da quelle, che sotto questa forma Tifoidea , ora
sporadicamente, ed ora epidemicamente, da non po-
chi anni a questa parte con più 0 meno lunghi
io5
intervalli si sono osservate in varii punti 3élla Si-
cilia , non esclusa la Capitale; ed evitare cosi de-
nominandola, le erronee nomenclature dai sistemati-
ci adottate, per farla quadrare con le preconcepite
ipotesi ; e sebbene il nome di Tifoidea potrebbe
riputarsi suscettibile di qualche rimprovero , pure
non serbando nessuna correlazione con dottrine non
sanzionate ancora da generale adesione, sarà sem-
pre preferibile; a meno che non se ne volesse in-
ventare uno nuovo.
Feci in secondo luogo riflettere, che l'essersi que-
sta, sin dal primo suo apparire verso la metta dello
scorso febbraro, indistintamente e contemporaneamen-
te diffusa nei tre quartieri di quella città, come dalle
esatte relazioni, e dai rapporti necrologici si potè ri-
levare, l'essere stati ben pochi nelle prime settimane
gl'infornii, e pochissimi i morti; il vedere che i sinto-
mi concomitanti non si presentarono sin dal principio
in tutta la loro energia, fa conoscere eh' essa non
ripete la sua origine da estero contagio ; ma non
per questo si potrà riporre tra i morbi epidemici,
dappoiché questi d'ordinario rapidamente si diffon-
dono, e rapidamente finiscono, seguendo lo slesso
andamento della influenza atmosferica, dalla quale
traggono origine, e si presentano con la stessa na-
tura, con la stessa forma, e con la stessa sede, co-
mesi verificò, non lia guari, nella così detta Grippa^
la quale epidemicamente visitò quasi tutta la Si-
cilia, del pari che ha visitato, e prosegue a visi-
tare moltissime altre regioni del Globo ; si deb-
bono quindi queste febbri ascrivere tra le costitu-
zioni epidemiche stazionarie ^(^i) giacché ne oifroao
(r) L'ho chiamale stazionarie, perchè la hisla cspciiciìza ha
fallo coaosceie, che queste cobtiluiioui (jualcbe volta giunte allo
j o6
tulli i caratteri, non escluso quello eli potersi p-»
j'agcnare ad una isolata tnalaltia, giaccliè quaiulo si
studia ogni costituzione epidemica in tulio il suo
andamento , essa presenta gli stessi pei iodi , cioè
principio, aumento, stato, declinazione, e fine. Di-
falli in Trapani le malattie in discorso son cre-
sciute gradatamente, cosi nel numero degli infer-
mi, che in quello dei morii, come pure nella inten-
silà dei sintomi, dappoiché, olire alle parolidi, che
si associarono ai febbricitanti nelle prime seltima-
pe, si sono in seguilo falli vedere sintomaticamente
diverse altre eruzioni ora a guisa di macchie rosee
sottocutanee, ora di petecchie, ed ora di miliari.
Queste febbri inoltre sebbene identiche nella loro
natura, non sviluppano in tulli gl'infermi lo slesso
predominio sintomatico: in molti esso s'irradia sulle
visceri gastriche con secondarli sintomi saburrali, in
altri invade il torace con fallaci sintomi catarrali
e nella maggior parte con tulli i sintomi cerebrali,
tifoidei. Questi predominii intanto non sono perma-
nenti, giacche nei diversi stadii del processo febbrile,
ora alternano, ora si comjdicano , e nel secondo
seltenavio spesso, tutti riuniti, mostrano pero più
energico il predominio cerebrale, L' eruzioni sopra-
detle unitamente a quei consueti sintomi , i quali
sogliono suscitarsi in queste febbri, dallo inormale
movimento circolatorio, e dalla consecutiva dege-
nerazione umorale, generalmente parlando, compa-
riscono, o s'ingigantiscono, durante il secondo set-
tenario, e rarissime volte con sollievo^ ed eccoquau-
stato perdurano per anni, come avvenne, egli non è molto, alla
Bdghcria, dove la costiliijione si |)|'olungò tra anni; due anni a
Pailunico ce. Voglia il cielo, che non avvenga lo stesso in Tra-
pani a ragione della peniianciua delle cause, che hninu conUi'»
butte a «uicilaila.
107
lo sommarlamenle pub bastare per giustificazione
della necessità eli stabilire, die in questo capo-valle
si soflTre una costituzione epidemica, e non già uà
morbo epidemico.
Nella cura pertanto di queste febbri tifoidee igno-
randosi la specifica natura dell'elenaento morboso,
che le produce, e non possedendosi rimedio alcuno
adatto a neutralizzarlo, od in qualunque modo di-
struggerlo, io mi sono sempre fatta una legge li devono aversi per nocivi, come
già avvorli il Veccliio di Coo : concocta piirgara
et mo\'Cì'c oporlet^ non cruda , ìit^que in princi-
pio^ Tirsi iar^eant; plurima \>ero non turgent.
I metodi quindi più sicuri, e che da me si so-
no sempre adottali nella cura delle febbri tifoidee
sono stati l'espettantCy ed il palliativo, sebbene non
avessi ignorato di essere slati esclusi ambidue dai
libri dei moderni, ad onta che l'esperienza 'non lascia
di farcene continuamente conoscere la somma loro
utilità in pratica. Il primo, che riunisce l'antiflo-
gistico ancora, quando questo si limita, come usa-
vano gli antichi ai "soli mezzi dietetici, si troverà
utile nella ingruenza del male, e quando i sinto-
mi sono mit,i, e da nessuna complicazione frastor-
nali; non adonterà esso, che i soli brodi cicoracei,
le bevatide subacide, i clisteri, e qualche bagna-
tura lepidi, e questi mezzi semplici non hnn man-
cato m:u di corrispondere allo intento; che se du-
rante il corso del m de si prevede, dalle forze av-
vilite, e dall'abbattimento nervoso, qualmente Tor-
ijanismo non sarebbe stato capace di condurre a
line da se solo una vantaggiosa crisi, la qual cosa
suole verificarsi, anche nei casi meno pericolosi,
liei secondo settenario, il metodo espettante allora
non trascura di a;7iminislrare e brodi, e tuorli d'ova,
j^iacthè l'antica spei'ienza ha dimostrato, che gl'in-
iei'mi in qin'sle febbri imdiain d'ifficillum ferunt
e quei tonici nervini, che le peculiari indicazioni
reclamano, co:ne rianimatori degli sforzi organici.
Ho [»oslo in opera il secondo in quei casi, nei qua-
li, la testa od altro viscere viene minacciato da con-
geslione flogistica, adoperando ora il salasso veno-
so, ora lo co])pelle scarificate, ed ora le mignatte;
Ili
ma cessata questa complicazione, mi sono a&tetitUo
dal cavar sangue, ad onta dei polsi duri, e di al-
tri residui segpi di falsa flogosi. Aneli' ip lio ado-
perali i purgativi, ma solo quando lio trovata certa
la presenza di materie gastriche, siano preesistenti
allo sviluppo del morbo, sieno segregati dal tubo
intestinale nei giorni critici. Confesso ingenuamen-
te di avere incontrate non lievi diQicoltà nella cura
di queste febbri, allorché sono complicate, a fissare
la diagnostica di quei sintomi, che sono corteggio
regolare del processo febbiile , per distinguerli da
quelli, i quali dcggiono essere suscitati dall'opposto
processo, che l'organismo reagente mette in opera
per difendersi, per dir così, contro l'introdotta causa
morbosa, e per separarli finalmente da quelli, che
sono il prodotto di afi^'ezioni locali appartenenti al
processo di complicazioni avventizie. Queste ultime
meritano sempre di essere curale direttamente, e
cotr tuli' 1 mezzi dell'arte, perchè pericolose, e
perchè possono op{)orre ostacoli al regolar cammi-
no del male; ma le due prime debbono rispettar-
si, o tutto al più modificarsi, quando eccedono, o
difettano. Finalmente mi sono con tqtt' attenzione
vStudiato d'impossessarmi della semiotica, onde si
suole annunziare nei diversi infermi il termine fa-
tale nelle febbri tifoidee, avendo trovato utilissimo
quel precetto di Cullen , il quale assicura , che i
mezzi curativi devono dirigersi contro la tendenza
alla morte, per opporvi gli eccitanti, gli antisettici,
ed i diffusivi adattati ; giacche il colpire questa
diagnosi, e l'assicurarsi di questa leudenza koc opus
hic labor est: per la ragione ch'essa dipende da di-
verse cause, e si mostra sotto varie forivie ne' di-
versi individui e nelle diverse epoche della rnalat-
Ì13
tia. Ma tulle quesle allenzioni e ricerche ciiniclic
sono ripulate bagattelle , e rancidumi tini seguaci
della dottrina della irritazione. Per quale oggetto
difalli dovrebbero eglino spendere tanto tem|)o, se
dietro la massima di dover esser seni[)re attivi, co-
me già lo furono i Browniani, a distruggere quel-
l'ente astenia^ a forza di eccitanti; si lusingano e-
glino di distruggere a forza di debilitanti, quell'al-
tro non meno ente di ragione irritazione?
Ma dapoichè si invoca la fisiologia dal promo-
tore di questa dotlrina, non sarebbe, credo, iodi-
screfezza , se si vorrebbe invitarlo ad analizzare ,
colla sola scorta dei fatti , quali sono i mezzi coi
quali l'uomo si mantiene in salute, e quali le cause
per cui in seguito si amniaU. Se l'uomo perdura
in salute, ciò avviene, perchè l'organismo, ovvero
la derisa a torto natura medicatrice, coli' assieme
delle sue forze , col giuoco delle sue simpatie , e
col suo chimismo organico, da un lato mette a pro-
fitto le sostanze straniere, le quali devono entra-
re a far parie del corpo vivente (aria , cibi , be-
vande ec.) digerendole , e quindi assimilandole; e
dall'altro canto raccoglie cogli stessi mezzi sopra
indicati il refluo delle tessiture , e di tutto ciò
che in esse sostanze non è digeribile, ne assimila-
bile, e l'espelle fuori per le tante strade a ciò de-
sliuate (espirazione polmonare, traspirazione, orine,
secesso ec.) In queste operazioni (ìsiologiclie intanto
ognuno vede bene che la irritazione entra come
elemento ausiliatore, e non già come unico agente.
Ma se avviene che una o più di queste strade vie-
ne impedita sia dall' azione del freddo, sia da forti
passioni d'atiimo ec. , allora l'organismo attivando
uu altra via {cutis ariditas alvi Jluxiis , et vice-
'ij3
i'ersa) impetllsce con ial mezzo il danno clie sa-
rebbe risultalo dalla |)ermancnza, e dalla consecH*
liva irritazione di tali sostanze non più confaceuti
alle composizioni di tessitura. Se però l'iizionc del-
l'aria , e delie citate potenze, o perchè continuata,
o perchè violenta è tale da non poter essere e-
niendala coi mezzi anzidetti; o se \enÌ3sc ìnlrcdot-
lo qualunque nemico elemento (eliluvì , rr.ia.smi ,
veleni ec.) allora lo slato morboso subbentra a
quello di salute , per la ragione che tali sostanze
estranee, le quali devonsi eliminare; acciò l'orga-
nismo si mantenga in salute , restando entro la e-
conomia vivente alterano le normali composizioni,
ed irritano gli organi addetti alle funzioni. L'orga-
nismo intanto in ragione del disturbo, che soflìe pre-
senta quello stalo di lotta, il quale nasce dalla re-
nitenza degli organi funzionanti a mettersi in rap-
porlocon lali estranei clementi (stadio di crudità,
d' ii'iitazionc , d' incubazione ec.) finche mediante
le accrcsciule secrezioni, prodolto della loro presen-
zq irrilatrice (le quali operando sopra di esse estra-
nee sostanze, a guisa di avvolventi, e di diluenti,
mano mano le rendono meno irritanti, e le met-
tono j)iù in rapporto colla sensibilità dei vasi as-
sorbenti, e dei circolatori) possa riuscire facile allo
organismo quello sforzo vincitore, mediante il quale
le espelle fuòri in compagnia della cennala collu-
vie degli umori esalati , e segregati. (Stadio di
Crisi, non negato dai Solidisti; ma creduto efletto,
e non causa del termine della malattia.) Anche
l'analisi di queste operazioni patologiche conlribue-
rk a far chiaramente comprendere, che esse consi-
stono in tuU'altro, che nel solo grado della /Vr/Vrt-
zìonc.
ti4 . , ...
Per i non meuici sarà utile il servirmi di un e-
seinpio. Se nell'occhio s'iulroduce per accitlcnle un
solo atomo di tabacco , subilo la sua presenza vi
suscita irritazione; apj)uiito perchè la sensibilità del*
l'occhio non si trova in rapporto con esso. La na-
tura intanto ha coordinato in modo la i'ubbrìca di 1-
l'occhio, che quella glandola, la quale iti salute ser-
ve colla discreta secrezione delle lagrime, a lubri-
carlo nei suoi movimenti, accresca sotto l'aiione ir-
ritante di quello estraneo la sua secrezione. Que-
sta involve, diluisce l'acino del tabacco, e l'occhio
comincia a soffrirne con meno spasmo la sua pre-
senza , e fìnalmeiite può coi moti palpebrali tra-
scinarlo fuori insieme colle lagrime cooperalrici di
questa crisi. Ma se per ipotesi non fosse sostanza
solubile quella, che irrita l'occhio, o fosse viru-
lenza venerea , o risultato di discrasia scrofolosa
ec, allora rocchio s'infiammerebbe, ed i salassi «
e le mignatte impedirebbero sino a certo punto,
che tale infiammazione non distruggesse l'occhio;
-ma non la guarirebbero, se il medico non adibis-
se contemporaneamente il Mercurio, e l'Iodio ec.;
o se l'organismo non espellesse colle proprie forze
queir eslraneo in.solubile, o se non lo cslracsse la
mano cerusica. Pe4chè mai il metodo antiflogi-
stico non può guarire somiglianti irritazioni? per
la ragione appunto che non è la Irritazione mxi ila
che costituisce il male; ma è la sostanza che irri-
ta. Or se i seguaci della dottrina fisiologica ri-
flettessero a questa distinzione, tra irritazione^ fi-
fetlo, e tra sostanze irritanti causa; allora compri n-
Jerebbero, che i salassi invece di agire contro le
sostanze irritanti, altro non fanno, colla reale de-
bolezza che inducono , che rendere più irritabile
ii5
la parie ofìlsa, e meno alto rorgaDÌsmo a usjiiii-
gcrc le scslai.zc siulclle, ed tliniiiijulc.
^'olel)clo Dia applicare alla cura delle feLLri ti-
foidee queste riflessioni, chiaro apparirà, che il me-
todo dcbililaiile diretto a vincere una iriila/ione cre-
dula ij)olelica mente causa del male non jircdurrà
altro che danno. Che si trovi un rimedio adatto
a disliugi^ere la sostania estranea che le produtc,
tion già unicamente perchè irrita, ma jìcrdiè tende
a disorganizzare i solidi, a corrompete i fluidi, ad
alterare le funzioni, e subito esse febbri saranno
culate, colla slessa fàcillà come la corteccia peru-
viana cura le febbri intermittenti prodotte o da
sostanze nocive venute di fuori' (eflluvì paludosi);
od archilellate dentro Tolganismo istcsso per cau-
sa di passioni d'animo dc|)rimenli , di abilcizioni
Umide, di cibi di dura digestione ce; na (ii.cliè
questo rimedio non si ritroverà non potrà mai il
medico ^ con i suoi |)reconcepili melodi teoretici
guarire le Jebbii tilòide'. ; ma le guarirà quella
Stessa natura medicntrice, la qu.ile, come abbiamo
fallo conoscere, in salulc ci mantiene, e la quale
in midti morbi l'equilibrio peidulo restituisce, ora
colle sue sole forze: non edocta^ natura, et nulli
magistro usa^ ea cjuibus opus est^ facit: e molte
Volle colla cooperazione del medico, se questi, suo
ministro, deposte le pretenzioni sistema titlie, risiera
convinto, che non è egli che guarisce; ma che può
coir opera sua allontanare quegli ostacoli, i qcali
impedirebbero la natura a compire la guarigione(i).
Che se spesso i fautori della teoria antiflogistica
he predicano i trionfi, se uè trovo à la ragione, o
(0 Leggasi quanto nel Giornale s/ipra citato ho Jcrlllo inlor»
no a (jdcìito arjjoineiito.
Ite
neir essersi eglino incontrati -in costituzioni epìtlé-
miche, nelle quali per precesse influenze almosfe»
riclie, o per topografiche posizioni dei luoghi, era
la flogosi in predominio; o in infermi, come Brous»
saìs nel suo spedale militare, ben nutriti, e nel fiore
dell'età; il loro metodo in lai casi, sino a certo punto
sarà utile, come palliativo delle predominanze flo-
gistiche; e se al di là del giusto protrailo non uc*
cide, ciò è d'attribuirsi alla robustezza ed alla gio*
venlìi di quegli infermi, dei quali le forze organi-
che lian potuto superare con la malattia gli efFetti
nocivi del metodo, a costo sempre di una lunga j
e penosa convalescenza. A diminuire però il pre-*
gio di tali trionfi basterebbe il riflettere, che di essi
si trovano ripieni i fasti di lutti i sistematici non
esclusi i fasti di ogni empirico. Forse che Le Roy
il quale con il suo purgativo pretende curare le ma-'
laltie tutte, non vanta allretlante guarigioni quan-
to ne vantano i seguaci della irritazione col loro
metodo debilitante? La ditferenza che passa tra que-
sti due melodi è la seguente: il promulgatore del
primo, lo pianta so])ia un ultra-umorismo, asseren-
do, clie tutte le malattie provvengono da zavorre
intestinali, soltanto curabili, conlinuametjte agendo
con i suoi drastici; e che l' inventore del secondo
fornito di vasla erudizione, dolalo di genio trascen-
dente , scoprendo non poche verità , distruggendo
mollissimi errori , ed appoggiandosi alla anatomia
patologica, fabbrica il suo sopra un ultra-solidismo^
il quale lo conduce ad una analoga conseguenza ^
cioè, clie tutte le malattie derivano da irritazione
gastro-enterica, e che sono curabili, continuamente
agendo, coi salassi, e cogli altri debilitanti. E co-
sa in vero afililliva il dover confessare, dietro que-
"7
sii risultati, cìie la stoiia metterà a fronte Brous-
sais e Le Roy , diamclralmente opposti nei loro
priiicipii; ma liuuiti nel professare una dottrina e-
sclusiva, ed unico metodo curativo.
j. Se queste mie pratiche vedute (le quali costilLji-
K scono la mia professione di fede relativamente al mo-
^fc do di curare le febbri tifoidee) ricavale per altro
^B dada sperienza , ed adottate da tutti quei medici,
^F^ che hanno sapulo resistere alle illusioni dei sistemi,
V (i quali perchè rapidamente si succedono, ed a vi-
I cenda si distruggono, non meritano una cieca cre-
denza) se queste mie pratiche vedute, dico, si ri-
puteranno degne d'essere accolte, le conseguenze al-
lora che se ne dovranno dedurre sono le seguenti:
1.° Che se il metodo antiflogistico non ha potuto
giammai troncare al pari di tanti altri metodi teo-
retici, il corso di esse, ado])eralo sulla falsa crc-
deij.za di poter distruggere, debilitando, la pretesa
irrilazione^ diverrà dannoso, come quello, che può
e deve, per mezzo delle non più riparabili perdite
sanguigne , abbattere le forze della vita. 2.^ Che
la sottrazione di saui^ue , come pure i purganti ,
nelle dette febbri devono usarsi nelle complicazioni
realmente flogistiche, ed in quelle evidenlcincnte sa-
burrali. 3.° Finalmente sarà per riputarsi utile il sa-
lasso in quei casi soltanto nei quali solca consigliarii
Ippocrate; conferì in niorbls acutis si velieinens fuc
r,t morbus et negri ^ aetate^ et virlbus valeant. In a[)-
poggio dell'anzidetto riferirò che nello spedale di Tra-
pani, diretto dello esperto sopra lodato dot. Adragna,
la cifra dei morti, è infinitamente minore di quella
degli stati patologici che abbracciano il ceto dei be-
nestanti. Lo slesso si e rilevalo negli stati pato-
logici dei medici addetti a quelle corporazioni pie-
9
ii8 '
Ix'C , le quali fruiscono , con piccola relriLiiziond
sellimanilc, degli àjuli d'un medico; anche in essi
il numero dei morii è sialo di gran lunga minore.
Forse che presso i bencstanli si manca di mezzi
curativi? non già; ma perchè nello spedale, e nelle
famiglie plebee si usa la medicina così della dei
poveri; perche i medici si accostumano ivi a ve-
dere guariti i loro infermi colle semplici risorse della
natura ; e perchè non si abbusa presso la povera
gente, ne di olii, né di giulebbi; e perchè essa ri-
fugge all'annunzio del caro prezzo delle sanguisu-
ghe; e perchè finalmente i medici possono, senza
la contraddizione di altri professori soprachiamali,
medicare secondo gli viene prescritto dalla propria
cspcri»jnza{i)-
Parlerò ora delle cause di questa costituzione c-
j)ideitiica con quella dillidenza, che deve ispirarle un
argomento cosi arduo, e sul quale nulla abbiamo di
dimostralo. A parer mio però tutta la diflicoità e
derivala dal supporre, che la soluzione di questo
problema dipender dovesse dalla ricerca di una cau-
sa esistente fuori della economia vivente , sia elio
dovesse consistere in atomi invisibili generati in una
maniera arcana entro i componenti 1' atmosfera i-
stessa , sia che dovessero trasmettersi nell' aria da
influsso di pianeti, o da quello d'insolito terrestri
(i) Quest'osservazione si é vcr'ficala in quasi tulle le coslilii-
zioni cpidemiclic, comfi nana Dossieri: Id praeserliin yauiieiibus
usuvenil^ qui rat ius, et visilanlur a medicis , et [•auiissiiiiis u(t
stìlciil reiiiecliis, L'islesso confessa l'esperto clinico iloti. A/zilini
nella sua eriiiiila Monografìa srilla CoslituEione lifoiilca osserva-
la (la lui in Fartinico nel i82(j-3o. » Del celo civile, ingenua-
3) mente assicura, 1 pochi atlaccali tutti perirono nella phi-
» ralilà dei caai la natura bastava a se stessa due duiiric le
» quali per la loro indncililà non vollero usare rimedio alcuno
» pur non di lucno guarirono.»
esalazioni ce. quando forse si sarebbe più faciltnenle
arrivalo all'intcìilo, se le cause delle costiluzioni c-
pidemiche di qualunque natura esse fossero si an-
dassei'o a ricercare entro del nostro stesso organis-
mo, il quale le architetta, e le genera sotto la in-
fluenza di quelle medesime esterne sostanze , per
mezzo delle quali esso vive, e si mantiene in sa-
lute. Non replicherò qui in com^irova di quest'as-
serzione quanto ne scrissi già in quella mia Nola
sulla iS'crtr/ià nel suo stato, e che ben presto decli-
nerà. Contribuiranno altresì ad im[)l'dire i progres-
si, molle altre misure, che si stanno con zelo ed
attivila incredibile adoperando, cioè, il ripulimento
geneiale di tutti i pianterreni abitati dalla povera
gente, imbianchendoli, livellandone, e mattonan-
done il suolo ec; il continuare a vestire i residui
cenciosi, bruciandone i cenci infetti, e soccorrendo
i più necessitosi, con zuppe economiche, con car-
ne, ed altro. Per non defraudare inoltre della loro
sussistenza quei poveri, che la ritraevano colla so-
pradclla industria della fàbbrica delle corde di Disa^
si è immaoinato di costruire una lunga vasca a
guisa di beveratojo in un sito ventilato, e non av-
vicinalo da case, chiamalo il pozzUlo^ dove quella
ifidnsliiosa gente porterà a macerare la Disa po-
tendosi ivi l'acqua di macerazione evacuare in un
canale contiguo, il quale si apre nel mare di tra-
monlana; e nel caso che non nuoce l'acqua uiari-
na; si potrebbe eseguire in mare tale macerazione.
Le altre residue sorgenti di nocivi elTluvj di so-
pra enunciate, quali sono principalmente le difet-
tose posizioni delle cloache, e quel che più, la tu-
rile la produssero, e continuano ad alinicnlarla. Sono siale que-
ste le possenti r.igioni che, parlando io del timore di ()olersi in
Trapani, trascurando le proposte cautele, produrci una coniinii-
iiicazione del male , dagli itifcrml ai sani , nji sono scrvitoMel
vocabolo infezione e non di quello di coniugio; non solo poicliè
urehiic slato iniproprio; ma perchè se vi naithhero ancora di ipie '
medici, ciechi set;uaci di Fiacastoro, confondendo dui; cose colan-
ti) dissimili, i quali altiihuir volessero un contacio alle sudclle
fchhri , se ne a^lenesseio , se non volessero comproincdere , con
risull.imeiili d'altissimo intcì esse, la politica, il commercio, e quel
che |j.ii iuijioila rimiauità.
i?.6
mulazione nelle cinese , non possono per ora die
segnalarsi, giacche abbisognano e tempo, e spese
ingenti per poterle eliminare da questo capo-valle,
se si vorrà allontanare da esso anclie qui'sli perenni
cause di morbose predisposizioni.
Finalmente con mio sommo compiacimento, ed
ammirazione renderò testimonianza di rpianto im-
porta lo zelo, e lo esempio d'un filantropo gover-
nante, quale si è il non mai abbastanza lodato sig.
cav. Sammarlino, per trasmettere in tutti lo stesso
zelo , e la stessa filantropia. Difalti i deputali di
j)ubblica Salute, il bar. Jannelli jiresid. della com-
missione temporanea per le regnanti malattie, 1 L-
spettore commcssario di Polizia, il Comandante del-
la Gendarmeria, i capi del Clero, i medici tutti,
ed i funzionari subalterni fanno a gara , e non si
stancano mai di cooperare, ognuno da parte sua, a
mettere riparo, con lutti i mezzi disponibili, ad itn-
pcdire i piogrcssi delle maialile regnanti. Io quin-
di mi auguro , the poco tempo dietro queste di-
sposizioni cosi bene, e religiosamente eseguite , le
febbri attuali si estingueranno, e questa industriosa
ca[)o-valle ritornerà nel suo primiero sialo di flori-
dezza.
3o aprile iS33.
^J2
all'ornatissimo signore Agostino. Gallo
Francesco di Paola Jfolio,
fl^retlesle voi die dopo la pubblicazione del mio '
librcUino su le memorie del eli. Mirabella sciope- •
lassi un intero anno senza avere niuna meritevole
cosa operalo. Risposivi iminanlinente per trarvi
d'inganno die quantunque in quello spazio siala
non mi fosse benevola la fortuna, nientemeno ave-
va posto ogni pena, ogni arte per tessere altre memo-
rie di uomini illustri siracusani, porgendo per colai
riguardo la storia letteraria del mio paese e bei
soggelli e materia indeficiente. Voi caldo e saldis-
simo estimatore dell'altrui oj)ere d'ingegno convin-
to drl principio die la misura del merito non si
toglie solamente dalla qualità dell'opere, si toglie
in parte ancora dall'anello dell'operante, vi com-
jtiaceste divisarmi, cli'erami io dimostrato nella pre-
detta fatica veramente tenero dell'onore della patria
mia, e che fra le tenui opcricciuole da me fatte,
le memorie Mirabelliane si potevano tenere in qual-
che conto. Confesso che m'incoraste così alla con-
tinuazione di somiglianti lavori. Ed eccovi che vi
mando per prova un manuscrillo, dove i fatti let-
terari si contengono di tre miei concittadini Logo-
tcla, Mascuzza, e Casaccio; per gli sludi de' quali
splendore ne tornò alle lettere, e non poca utilità
ricevette la gioventù.
Or fate voi di questa fatica l'uso-die vi aggrada;
Cliun sol volere è d'amendue
Scia consegnerete a' torcoli, manifesterò ovuu-
128
que clic mercè deiramicizla voslra godrà la pub-
Llica luco; alliirnenti non manclieià certo alla stessa
qualche luogo iti questa libreria; e di cotal sorte
iic resterò coateiito per essere sempre il nianuscritto
un teslimoaio in avvenire per confutare la mala
voce tlala.ni tempo fa a torto da un deliro male-
volo intorno a' miei letterarii intrapendijnenti. Era
questi un uomo che notte e dì sbarbazzava, dicen-
do ciò che a lui veniva su la lingua, e quanto a
me pubblicò in un opuscoletto: essere stato mio
vanto che più cose facessi, assai n'ordinassi, e molte
di farne proponessi ; ma che in sostanza gli ab-
bozzati disegni senza debito fine lasciassi.
Di colai fatto non voglio recare innanzi alcu-
na cosa , e mi taccio per non abbominarc alcu-
no; maggiormente che all'autor di quel libello nel
giornale scientifico della Sicilia voi benissimo rive-
deste il pelo. Per contrario pensai di fare acche-
lare quel sussurrone invidioso col silenzio. All'in-
vidia il maggior castigo e il disprezzo, e non mai
saetta feri il cielo. È questa una sentenza del Car-
dinal Bentivoglio.
Iddio mi dia fortuna eguale a' vostri e miei de-
siderii per proseguire a svolgere soggetti di tanta
utilità. Mi tengo più che posso di non fastidirvi
oltre, perchè so le vostre occupazioni: uè vi repli-
co i sentimenti della mia stima , poiché io noa
posso esser più vostro, che mi sia.
Di Simcusa a! 24 agosto i83i.
129
Sulla vita e sulle opere di Giuseppe Logoteta
paroco di s. Giacomo e can. della chiesa di
Siracusa — Memoria del presid. Francesco di
Paola Avolio.
prefazione
Non è da persona di bassa mente il dire clic
non torna bene ad uomini ferventi di amor pa-
trio empiersi del continuo la bocca delle vetuste
glorie^ di cui va adorno il loro luogo natale^ ed
andar solamente cercando nomi di prischi citta-
dini famosi per guerra^ per pace, per lettere; ed
intanto non vergognano colali vantatori di avere
poca cura della fama di quelli , i quali lianno
ancora neW età nostra della patria meritato. E
perchè mai non debbono essere eglino di ricordan-
za a noi carabi LI esaltare il nome de celebri A-
ieniesi era un argomento, secondo che riflette De-
mostene (^\) , a quel popolo più lusinghièro^ die
alla gloria de lodati giovevole: gliene assegna la
ragione, e lo avverte dirittamente che gli Orato-
ri col ragionar di cose, a cui ninna forza eli uman
discorse può aggiugnere , fanno die la virtù degli
antichi vie minor sembri di quel che |dianzi per
Toi la concepiste. Per me io credo, conchiude egli,
che de' loro meriti sia sopra d' ogn' altro lodatoi'
facondissimo il tempo.
Air avviso del Greco P^alentuomo del pari io
aderisco, e giudico che onesto sia non pretermet-
tere le belle azioni presenti, niente valendo il pre-
testo che quelle degli antichi furono infinitamen-
te superiori al paragone e alla lode. Non è di
vero né senno, ne giustizia il non far parte del-
Vonore e della riconoscenza a chiunpue in servi-
(i) Nell'aringa intorno alla guerra di Persia.
i3o
gio della patria si adopera. Oltrachè il registra-,
re le cose istoriche de tempi di chi scrive riscuo-
ter dee maggior credenza che lo scrivere delle cose
di tempo remoto, laddove la menzogna e l'esage-
razione prevalgono ; e difficilmentQ vi ha chi le
riprovi.
Tanto ponendosi in effetto se ne cava ezian-
dio del profitto dagli studiosi del ben generale, i
quali amano di aggirarsi in suggetti così fatti: e
sì è che dalle memorie intorno alle vite degli ec-
cellenti in lettere vassi a raccorre la progressiva
diffìision de lumi, che hanno i Regni e la ter-
ra natia, mewè de' loro siudii e de' loro ammae-
stramenti avventuratamente ricevuti. Di questo
modo giunsero i popoli colti ed inciviliti ad ac-
quistar gentilezza e dottrina; però si fa chiaro che
se pili sovente gli scrittori di ogni onorevole cit-
tà posto avessero l'ingegno a svolgere cotali ar-
gomenti, non saremmo presentemente al bujo di
moltissimi particolari circa gli avanzamenti o le
decadenze delle lettere, e le notizie de' nostri va-
lorosi, che cerchiamo indarno; attesoché la mag-
gior parte delle andate memorie tostamente spe-
gnesi e disperdesi. E (piante e quali memorie di
questa sorte spente e disperse non ne /tanno i gua-
stamenti delle guerre, le astuzie de' rubatori, gì in-
cenda degli archivii, i danni del tempo, l'ignoran-
za e la naturale incuria de' contemporanei e de'
posteri! Come mai sifuttamente rimaner non può
Annullata la fama di tanti incliti personaggi^ clìè
non si sa che di loro si fosse? Perciocché grave e
giusta querela muover dovrebbe ogni comunanza
contra coloro che dotti si tengono, e pure ingrati
verso i proprii benemeriti concittadini non hanno
questo ul/icio di pietà fornito : della qual negli -
i3i
genzn ne torna a cotnli paesi gran vergogna] ovve-
gjiac/ic fessevi nel passato con supremo ornamento
Jiorita la gloria delle lettere. Fissa si tenga neWa-
nimo una massima che laddove si tacciono le gesta
degli uomini preclari^ egli è da inferirne {x) che
vi s'gnoreggi rinfingardaggine e la codardia.
Mi piac< pie forte il divisamento dell'Università
di Modena^ la quide statuì die al consueto aU'
nuo riaprirsi delle pubbliche scuole in luogo di
quelle orazioni che recitar si sogliono comune-
mente^ e die spesso sono una fredda ripetizione
di cose pili e piit volte ricantate ., si facesse piut-
tosto r elogio ad cdcuni de tanti celebratissiml
uomini^ che quella od altra città dello Staio Ma-
danese ebbero per pairia{o^. Fortunata quella
terra che conti numeroso stuolo di figli prestanti
per sapere e per rinomanza e che nudra mede-
simamente de' felici ingegni , i quali sappiano i
pregi descriveì^ìe; acciocché passino interi ed il-
lesi dalTedacità del tempo affigli de f gli., d tar-
di nepoti. Confessare intcaito fa mestiere^ che di
sì buona sorte non ostata priva l' I tedia., la quale
infili da vecchi tempi novera molti scrittori della
Storia de' letterati , e singolarmente nel secolo
XFIfnon eccetto la Sicilia^ patria di Giovan-
ni f^entimiglia.1 Storico delle vite de poeti Sici-
liani; ma a giusto parere del Tiraboschi(?>) po-
chi degV Italici il fecero in modo » die le loro
opere possan servire a modello di tali storiai Ed
in ordine alla testé citata opera del P^entimiglia
(g Nat. Comilis Millio. lib. VII. p. 487
(3) Coniinurizioiie del nuoi'o Giornale de lellerali d' Itali».
T. XI. in Modena 1-77 pics». Le occupazioni mie
forensi in' impedirono a secondare qucito decoroso invilo. J'ure
ritornò egli (**) a muovermi di far menzione almeno in qualche
mia operetta dell'accennalo progetto, che potrchbe eccitare qual-
che altro ijobil ingegno Siciliano ad imprendere cosi nobil fatica.
(*) V". il mio carteg. Icllciario T. 1. p. 201.
(**) Cod. Ice p. 217.
i33
ià temimscenza de^ vhentt. Acciocché alla fine
queste cose più chiaramente sieno intese , è ne-
cessario esporre in prima le pài notevoli partico'
larità della sua vita. Fa forza di poi che tutto
r intendimento io ponga a fare rassegna de libri^
che fece il nostro A. di pubblica ragione senza
escludere dal catologo que manoscritti^ che per
averne parecchi nelle mani non mi è stato d'as'
sai difficoltoso. In questa guisa la biografia de^
scrittrice delle notizie individuali su la vita pri'
vata., non rimarrà confusa colle osservazioni in^
torno al tenore ed al merito dell' opere, le quali
addimostrano il gusto e il genio degli studii domi-
nanti al tempo., in cui visse lo scrittore. Penso
di adempiere così nel tempo stesso questo debito
di pietà verso un' amico, che un volere un amore
ci tenne sempre legati e congiunti.
Per titoli sì stringenti poco curerò la pena di rac-
contarne con semplicità le fatiche. Non ligio alle
opinioni altrui ne sarò difensore, quando la dife-
sa non adonta la verità: senza macchiarmi di
adulazione ne sarò lodatore; dove la ragion me
lo comporta. Sì commendarlo temperatamente è
dovere.
» E quanto io Vdbbo in grado, mentre vivo
mia lingua si scema
Dante Inf. C. XV.
w Convien che nella mia lingua si scerna.
IQ
i34
J5iracusa fu Ja città, dove a' 23 maggio delVan-
130 1748 da Anna Brawii e da Diego Logolela
nacque Giuseppe. Quantunque in bassi uffizii ab-
bia menalo Diego i suoi giorni a sostegno del vi-
vere; pur certo è che traeva questi origme da Ca-
labria , e che a lui di sangue era congiunto quel
reggiano gentiluomo , autor di più libri Giuseppe
Logoteta. In fatti da parenti il nostro ed il dello
reggiano si riconoscevano ; e per mollo spazio di
tem])0 si tenne fra loro epistolare commerzio: di
che me ne faceva egli qualche fiata parole senza
svelarmi la cagione perchè il padre suo, lasciali i
luoghi natali, Siracusa a patria si elesse.
In nessuno evento del pari vantò la sua nobi-
le discendenza , cosi con lenendosi per temperan-
za, o per timore ancora, da che intervennero alla
fìhe del secolo trascorso i pietosi inforlunii di Na-
poli, là dove il detto suo parente abitar soleva,
e per quelle torbide tristezze vltlima ne rimase.
Nella persona di Giuseppe tralussero a' prim-
anni della sua dà vivace ingegno, memoria tena-
cissima , ed inclinazione somma per lo studio. Di
così buon principio aspettar non si poteva che fe-
lice progresso, ed ottimo fine. E di vero coloro i
quali da senno sapevano vaticinare da' primi sag-
gi degli allievi la loro riuscita da poter gloriare
la patria e se slessi, dicevano concordemente che
queliti stalo sarebbe il giovinetto Logoteta. A col'
i35.
tirarne pero la mente, merce di precellori, di li- *
bri, e di mezzi, erano impotenti gli autori de' suoi
giorni. Tanti e tali son gli effetti che nelle fami-
glie producono spesse volte i trabocchi della for-
tuna. Ma non comportò, che tanto danno ne suc-
cedesse, l'abate Giuseppe Gardena, probo e studioso
uomo, il quale, compreso di pietà cittadina, si fece
un debito, senza mettere in mezzo alcuno spazio^
di educarlo e di soccorrerlo in tutti i modi. In
questa guisa la patria non ne sentì la perdita, co-
me di tanti altri felici intelletti suole disgraziata-
mente avvenire. Corrispondendo a tanto benefi-
zio, tion fece Giuseppe oziose trascorrere l'ore: non
le diede a' fanciulleschi trastulli, ne stette guari a
somministrare di giorno in giorno le prove de' suoi
avanzamenti negli studii elementari. I pubblici spe-
rimenti per opera facevan fede che non lasciava
egli passare perduta alcuna particella di tempo.
Narravami a proposito uno de' suoi condiscepoli
che di frequente rimanere il Logoteta soleva per
entro alla scuola alla mattina dopo l'ora scolastica;
e quivi immobile al vespero lo ritrovavano il mae-
stro e gli scolari, abbrividato nell'inverno, e nel-
l'eslà di forze rifinito, assorto nel meditare. Per
la quale cosa tirava a se gli occhi di tutti.
Dopo l'apprendimento delle lettere umane, e
della filosofia si applicò egli interamente alla sto-
ria sacra e profana, avente a maestro il p. d. Gre-
gorio Maria Daniele chierico regolare, Siracusano,
il quale dopo una lunga dimora in Vienna, e in
Italia ricco di conoscenze alla patria fece ritorno(i)*
Alla memoria di questo suo venerato maestro ri-
(i) Si ha del Daniele un orazione in onore di s. Vincenzo
de' Paoli reciUta iu Roma, e stampata in Veueiia al i^SS.
i36
conoscente il Logolela, me n'esponeva alle volle i
melili non volgari, e i santi costumi.
Ammaestrato da precettor sì degno, riconobbesi
egli idoneo a provarsi nel concorso aperto in Pa-
lermo, dopo l'espulsion de' pp. Gesuiti-, onde con-
seguire nella R. Accademia Siracusana surrogata
al Gesuitico liceo la cattedra della storia. Tanto
difatto avvenne. Occasione bene avventurosa fu quel-
la che il destro gli porse di far palesi , comecliè
giovinetto, nella capitale dell'Isola nostra i faticosi
suoi studii in questa importantissima parte della let-
teratura. Que' dotti esaminatori di accordo applau-
dirono alle molliplici cognizioni di lui, che ragio-
nando sopra i propostigli temi appalesava , o che
interrogato pronto intorno agli stessi rispondeva.
Per questi ed altri esperimenti fu dichiarato de-
gno di tanto uffizio: e però fece in progresso l'estre- -
mo delle sue forze a rendere esperti gli allievi suoi
in una facoltà, che si reputa "la maestra della vi-
ta. Non passò guari di tempo cioè all'anno 1774 che
il Logoteta tenne una pubblica accademia annun-
ziata dal libretto, che porla il titolo: >j Specimen
Historico-Criticum de velcri, et nova ecclesiastica,
et civili Siciliae politia » stampato dall'impressore
Siracusano Francesco Pulejo. In questa letteraria
discussione a chiunque si concedelle facoltà di argo-
mentare intorno a' proposti temi, tra i quali è da
annoverare quelli, che all'apostolica origine della
nostra chiesa, alla venuta dell'apostolo delle genti
a Siracusa, hanno riguardo. Non tralasciò eziandio
di esporre tra quelli soggetti, che fu la delta chiesa
al romano patriarca sempre sottoposta ; e che in-
nanzi lo scisma di Fozio nissuna altra della Sici-
lia aderì al patriarca di Costantinopoli j siccome non
i37
tultl i vescovi siciliani sì dilungarono dalla ro-
mana sede durante quel separamento dall'unità.
Dopo altri argomenti espose eziandio a pubblica
disputa che il vescovo di Siracusa esercitò negli
antichi tempi i diritti Metropolitici sopra tutta la
Sicilia. Appresso ciò aprì il campo a' critici ragio-
namenti circa le fittizie donazioni del nostro Regno
fatte dagl'Imperatori Costantino, e Lodovico pio,
e dopo altri temi die luogo all'altro, poco avanti
nominalo rispetto alla nostra apostolica Legazia(i).
Cresciuto già il nostro Giuseppe all'onore delle
lettere prescelse lo stato ecclesiastico, onde darsi
pienamente al Divino servigio, ed allo studio. Ed
acciocché i mezzi fossero al suo desiderio concordi
si ritirò all'anno 1777 nell'oratorio di s. Filippo
Neri, dove venne eletto Catechista. Fu medesima-
mente promosso alla cattedra di Teologia Dom ma-
lica ad ammaestramento del fior di gioventìi della
vasta allora diocesi siracusana , che nel seminario
conveniva o per semplice istruzione, o per rendersi
adatta al gran ministero. In questo nuovo arringo
non fu il Logotela ad alcuno secondo. Non ho bi-
sogno di altro testimonio per fare che alle parole
mie fosse data piena fede da quelli, che noa l'ascol-
(i) Non esco di squadra se qui accenno il sac. Francesco Ala-
goiia, il pili intelligente fra gli uditori del Loyotsta, e come quel-
lo, il quale tenne lodevolmente la tuddelta disputa. Era l'Alagona
versatissimo, oltre gli sluilj Teologici , nelle dottrine Wolfiane,
istruito nella Storia fìlosotìca, e bene ammaestralo nell'arte cri-
tica', sicché molto >^ntaggio da lui aspettava a gloria la patria
letteratura e il comune insegnamento; ma avendogli parecchie vi-
cende forte contristato lo spirito, intollerante per carattere, mal
Comportando che chiunque siasi tenuta avesse sopra di esso alta
la fronte, si deliberò in sul fiore degli anni a sottrarti dulia so-
cietà. E cosi poco tempo vivendo travagliato di crude (otte Sai
di esistere. Ho voluto farne rimembranza perchè la memoria dèi
degai amici ncn debba mai porsi ia obblivieue.
i38
larono, clie sentire gli ucillori tìi lui , a consenli-
niento de' quali si fa manifesto di essere stale am-
mirevoli le lezioni Logotetiaiie dalla caltodra prof-
ferite.
E pex ritornare al ragionar primiero dirò, che
correndo l'anno 1781 gli si conferì dal Vescovo la
cura della parrocchia di s. Giacomo apostolo, mer-
cè di un luminoso esperimento del suo ingegno,
e delle sue cognizioni nell'esame instiluilo all'indi-
cato oggetto, avendo dettato uno scrii lo, che fece-
lo riconoscere adorno delle sacre discij)line. A que-
sto luogo è giuoco iprza che rammemori cosa do-
lente, ma vera, accennando un fatto accadutogli,
che pretermettere non posso, perchè funesti effetti
produssegli in tulio il corso del suo vivere.
Esisteva in quel tempo nel distretto della pre-
della parrocchia una chiesa sotto il titolo di s. Ste-
fano, là dove adunavasi una congrega , usa a so-
lennizzare la festività di s. Lorenzo. Óra ricorrendo
addi 10 agosto del i^SS la commemorazione di
questo glorioso, invitarono i confratelli a celebrarvi
messa solenne un canonico del Duomo , malgrado
che il Logoteta prima dichiarato loro avesse di vo-
lersi da lui medesimo fare la sacra funzione colà
quel sacro luogo compreso per entro i termini della
sua parrocchia; e perciò subordinatogli per ogni ti-
tolo: pure non venne ubbidito. Non portò egli in
pace cotanta ripugnanza, alla quale «Yrebbe dovuto
per la qualità de' tempi opporre un nobile disprez-
zo, anziché all'ora posta di darsi alla solennità prin-
cipio, vi si ritrovò presente. Incominciava già egli
a vestire i sacri paramenti, allora quando soprag-
giunse il canonico con tutti quelli che gli facevan
codazzo, Subito die costoro il videro iu quell'ai-
i39
litucline, unlll a qualche altra persona d'iracondo
carattere, lo avveotarsegli addosso , stracciargli le
vestimenla, caricarlo di villanie, fu tutt'uuo. E ciò
è poco. Colai fatto levò grau ronaore nella terra.
Il vescovo era allora in Mineo per la sacra visita,
ed il vicario generale, canonico anch'esso, dando grau
peso all'operazione del Logotefa, rappresentò al pre-
lato in uno al capitolo questo avvenimento, come
- allenlalo pregiudiziale alla dignità , ed alle prero-
gative del corpo, che offeso estimavasi del nostro
Giuseppe per essersi in quella guisa condotto. Laon-
de fu indi a poco in pena impedito ad esercitare
i suoi uITicii parrocchiali, con essergli stato altresì
formalmente vietalo l'ingresso nella sua chiesa: e
ciò senza liturgia e senza canonico giudizio , pre-
valendo que' riguardi (ed oh così bene spesso non
non prevalessero!) che notissimi sono a' buoni di-
scernitori. Ad onta cotanta ingiuriosa restò prima
il misero qual nave da grave tempesta battuta e
scossa: e a compassionevole stremila la salute sua
ridotta, gli fallì per ultimo la ragione. Toccò il cuo-
re al popolo questa sciagura sostenuta da un uomo,
dal quale emolumento ed onori maggiori la patria
ne aspettava. Forte se ne dolse il Vescovo , tor-
nato alla residenza; e ben conobbe la perdita, che
faceva la città, il clero, ed egli stesso, se mai fuor
di mente fosse il Logoteta rimaso. Per la qual cosa
pose a farlo riavere ogni diligenza : e tanto bene
infra poco spazio, come Dio volle, si ottenne. In
islato di perfetta salute condotto si diede inprima
a riprendere le sue cure pastorali, di che farne mot-
to toma bene in questo luogo; ma lutto in breve.
Fu suo costume non mai intralascialo di aggi»-
rai^r di frequente tra le strade della sua parrocchia,
i4o
accioccliè consapevole fosse de' fallì del suo gregge,
e massime delle scabbiose pecorelle, ch'egli non di-
sdegnava di visitare talvolta , muovendoie a rico-
noscersi nella sacramentale confessione, anche con
lui medesimo in su i primi albori nella chiesa par-
rocchiale. E per torre ad esse ogni prelesto di eser-
citare l'inverecondo mestiere, di elemoftine le prov-
vedeva. Suprema sua cura fu eziandio la conser-
vazione de' parli, frutti di non giusti imenei; onde
dispersi, ed iniquamente spenti non venissero senza
battesimo. Sludiavasi sempre di cogliere alla spro-
visla passeggiando qualcheduno del vilgentame riot-
toso, sboccato, bestemmiatore, che ri()igliava egli
acremente. Amorevole ajutatore nelle opportunità,
rivolse sempre la faccia al bisognoso. Per libera-
lità si distinse parimente nella riscossione de' diritti
parrocchiali; di modo che costumava piiina del pre-
cetto pasquale di notificare agli ascoltatori, dopo la
spiegazion del vangelo, che nessuno egli sforzava a
soddisfar la decima, la quale da vasi in quella oc-
casione nell'altre parrocchie. Orator fervidissimo si
addimostrò nello spargere la divina parola, e sin-
golarmente nella festività del Corpus Domini , e
nell'altre di nostra Donna, sembrando che maggior
forza acquistasse allora la sua eloquenza , motrice
di più affetti , illuminatrice per la copia de' peti-
sieri e delle dottrine, che in modo chiaro ed intel-
ligibile ne' suoi sacri sermoni diffuse. Natura per
altro fornito lo avea di fluido e robusto dire senza
far mai un vano accumulamento di termini senza
forza; e de' vizii parlando saettava come strale al
bersaglio. Per contrario ne' traiti famigliari fu strin-
gato nel parlare; grave [ielle risposte. Qui mi viene
voglia, senza' divertire per ora ifoigionamtinto ad
altro suggello, di proseguire a conlare alcune ma-
niere (J('l caraltcre del Logolela; e credo che non
Sarà gìuvc a veruno il sigiiilicarlt; (juasi ad un trailo
jier evilar ìa noia di ritoccarle in altre parli.
Sensibile era e focoso di gran lunga il tempera-
mento di lui, ma Io sapeva la virili rattemprare:
fiicile per consequente a riempi; si ili entusiasmo.
11 che succedeva in riiìiirando la decadenza della
disciplina ecclesiastica, l'abbandono de' buoni stu-
dii, e gl'infortunii della patria, o di taluno de' suoi
benemeriti concittadini, il quale ad inimerilevole
sventura fosse sos[s:iaciuto. In simili eventi il dd-
lore n'esprimeva con sospiri, col parlare smozzicato,
coi moli del cuore; e gli occhi infuocati, visibil-
mente la doglia, e il disdegno interno ne appalesa-
vano. Spessamente però tacer soleva, eccettochè co'
fidi suoi amici, temendo che troppo caldo non tra-
sportasse la lingua disavvc'latamcntc dove essa an-
dar voluta non avesie. Oh quanto amorevole ed
officioso verso gli amici cosi lontani, come [)iesenti
dimoslravasi! quanto puro ne' costumi! Per levarsi
dall'animo i travagliosi pensieri, e le gravi mole-
stie, di che la vita nostra è piena, gli piacque la
decente allegria, intrattenendosi alcune fiate co' cari
suoi, delle piacevolezze oneste profìerendo; ma se
qualche ciarlante per avventura raltenuto oltre l'u-
salo suo stile l'avesse, troncava il discorso , e dal
crocchio frettoloso dipartivasi a raccattare il por-
tlulo, indefessamente intendendo allo studio delle
sacie discipline, laiche con piccolo sonno eziandio
conduceva le notli. E da aggiugnere a proposilo
che moderato fu sempre conversatido; quando in-
terrogato vetiia in dillicili e dolle materie, era suo
stile, che dopo -aver pronunciato il parere suo, li-
mida venerazione il ratteneva ad insistere, ove sc-
coiitlalo non fosse; non di manco la faccia imjiu-
denle, l'orgoirliosa pelulatiza de' gioviiii e de.' grossi
eragli una cosa increscevole; ne sa|)eva contenersi
del non rimproverarli, ma soavenienle.
Soderir non poteva altresì la superbia e le borie
degli schizzinosi , maledici , lodatori di se st<'ssi ,
(juanliinque il sapere, o la fortuna gli avesse fatto
illuslri, A lui muoveva stomaco, dicevami egli, l'af-
fettata gravità, il parlar dalla cattedra , il presen-
tar lutto sotto velo di mistero; l'aguzzar le ciglia
di questi burbanzosi. Ci vuole senza dubbio una
stu[)ida bassezza, o una sovraumana filosofia, (segui-
va cosi) a tollerare silTatte persone; mollo maggior-
mente se hanno l'anima negra. Se li corteggi, o
l'aiuto loro tu chiedi , li accolgono gonfii come
otri, 0 al più ti vendono a caro prezza una fred-
da commendazione, un infinto applauso, o una pas-
saggicra speranza. In somma pigri al bene altrui,
non lardi al tnalefizio, si rendono, procedendo i
tempi, obbrobioso spettacolo al pubblico, che sa
lìnalmente coiuiscerli, e giudicarli.
JNon è più bisogno distendermi in tanto scrivere
per mostrare quanto sia stato il Logotela adorno
di sociali costumi, pieno della dolcezza dell'amici-
zia, e di zelo per lutile della gioventù. Seguiterò
dunque a riguardare la carriera faticosa, che per
questo virilmente percorse.
Per le dianzi narrate maniere neirinsegnamenlo
e' ricevitle forte e vivifico impulso dal suo s. Pa-
store m ) isigiior vescovo A.lagona, e dulia concorde
voce de' costui Diocesani a calcare si bel sentiero.
La fatica per altro fu a lui gran diletto: ne vi ha
cseiu[)io che avesse inliiio alb tiiìrte ritirata per al-
cuna lassezza la man dall opera.
i43
DI quj derivarono i carichi di lettore e di prefet-
to dell' accadecnia ccdesiaslicn, che gli commisero.
Diversi oj)uscoli e varii saggi di publiche comparse,
e parecchie reliquie de' suoi niss, da me registrati
ne' primi due articoli del segueute catalogo, ce ne
porgono ju'ova certissima.
E da annoverare tra le pregevoli doli di un pre-
cellore la soavità precij)uamente. Imperciò era il
nostro Giuseppe co' suoi discepoli di ogni sorte di
rigidezza al tutto alieno; oud' eglino, teneramente
amandolo impegnavansi a seguirlo. Niuna cosa in-
cende tanto gli scolari allo studio, quanto la trat-
tabilità del maestro. Conciossiacchè Faceva un fra-
casso che mai il maggiore, quando sentiva di es-
sersi dato agli alunni del seminario qualche grave
castigo di percosse , e stimava ben fallo vietarsi
nelle pubbliche scuole la sferza. E egli vero che
per questo inumano abuso, di che tanto delizia\ausi
i nostri vecchi maestri, conseguitarono dolorosi ac-
cidenti, che il solo rammentarli sarebbe vcrgogna(i).
(i) Lascisi pur tlire che inescusabile fu lsiiiio divieto delle battiture nelle scuole. Conciossiach e se
vi ha degli allievi che non vOi;!iano guida, trascorrono a preci-
pitare; e sono (li perduta speranza, é spcdienle che si mandino
via dai luoghi da disciplina per non rendere i medesimi teatri d i
orroie e di tormenti. Chi diversaincìilc si couducc usa il ben
male, e fa della medicina losco.
i45
levar plauso in tutla Sicilia ed a procacciargli delle
onevoli atnicizie, delle quali conlerò ora solamente
quella che strinse a sua ventura col eh. Arcivesco-
vo Airoldi giudice della Monarchia e ca])pellano
liiaggiore nel regno nostro. A prelato sì accelso fu
caro il Logolela, cui per testimonio di grato ani-
ino diede il grado di suo vicario in Siiacusa, co-
llie R. Piazza di ])rimo ordine. Non volle però il
nostro parroco fruire di tal grado, premio di onore
più che di utile, senza rendere de' servigi al so-
vrano, ed al suo mecenate. Pure non costumasi di
fare in questo modo dalla più gente, la quale ap-
pagasi di andar fastosa di titoli, mettendone in non
cale i doveri. A confermazione di ciò piaceini ad-
durre qualche esempio senza deviare dall'argomen-
to. Adunque nell'assiduo e diligente esercizio di tal
carico si avvisò Giuseppe che l'ignoranza del pro-
prio uffizio suole allo spesso oltenebrare grinlellelti
ne' difensori del trono. Quindi ne deriva che co-
sloro stemperati sono della lingua, trascorrono in
ree azioni Jnzi né vlzii abominandi e brutti , e
tante infedeltà commettono: e perchè? perchè l'u-
tile pianta, che si è mal eulta, mal flutto jjrodu-
ce. Imjjerciò il Logoteta spandeva ne' loro intel-
letti luce di erudimento concionando, e cogli stam-
pati catechismi allo stato de' medesimi bene adat-
tati. Di che non contento durava altresì fatica ad
intrattenere i cappellani de' reggimenti, de' castelli
e degli spedali militari ne' gioiiii designati di cia-
scun mese dell'anno in disputazioni teologiche-rao-
rali sopra i casi , che possono ad esso loro sjìcci-
fìcamente accadere al bene dell'anime provvedendo,
o gli ajuli spirituali miuistraudo. Basti per cscm-
i46
pio alquanti temi trascriverne a pie «li pagina (4).
Fiera lite ardeva per parecchi anni tia il pre-
lodato vescovo Alagona, ed il capitolo dulia chiesa
cattedrale. Lo spirilo della conlesa, cagiou prima-
ria di famose discordie, ridiicevasi in sostanza, che
intendeva il vescovo di allogare nel sacro collegio
dotti personaggi al pari degl'incliti cor[)i capitolari
della Sicilia, e degli altri regni. AU'ojìpQsilo ama-
vano i vecchi canonici di accogliervi solamente co-
loro, i quali generosa vantavano la stirpe, e non
■vulgare il padre, benché sollo colori diversi vesti-
te l'ossero le opposizioni specolale a l'ar fallire l'in-
tento dello zelante prelato. Ah la verità non può tro-
var luogo dove signoreggia il pregiudizio! Tuttavia
forte il vescovo negli assunti, che intreprendeva ,
promosse 1' ainio 1795 il Logolela al canonicato,
mediante il volo di tre soli canonici elettori: si ri-
chiamarono di questa elezione i discordi agli alti
magistrati: e si discusse ancora la causa innanzi la
Su[)reraa Giunta di Sicilia in Napoli, cui l'avvo-
calo del dello caj)ilolo don Raffaele Maria Trama-
glia presentò una lunga scrittura posta alle stampe
l'anno 1 797, dove nell'azione m della prelesa nul-
(1) Quibus ai'gumentis ali d.-be.tt Rci^tus cappellanus, ut Ca-
tholicain veiilatein de vera et reali ChiislipraesentiaiiiEuchn'
ristia demonslret adi'ersus sacraine.nt ariosi — j4n religiose in tein -
plis retflisquc Cappellis custodienda et osscrvanda Euiharistia
sit? —Tenetiir ne Regius cappellanus tempore peslis cuin vita pe-
riculo comunicare militcs sibi concredilus? — ^n letale crimen
perpetrarel Regius cappellanus, qui aul novos inducerei rilhiis in
Sacramentai uni admmistralione, aut praescriptos ab Ecclesag
omitterel? — Miles qui paullo antequain imideret in mortis pe-
riculum comunicavit , adslringitur ne sumere Sficrwn viaiicum ?
— Qua vallone se gerere debeat Regius cappellanus in clavium
usu ci*m milite, qui aut haeresim omnino internam concepit uul-^
loque signo manifestavit, aut huerelicum est mere externus nullo
interiori errore pnllu'w:? quibus libris uti deheaiU Regii càppel'
lani prò eiudieindis ad Jìdent militibut, torumque Jìliis?...
^^7
Jità ed irregolarità tlell' elezion sudclclta si tialla.
RJ.ilf;;r;ulo jierò lanli clamori il Logoleta membro
del Sinedrio rimase, facendogli scudo a non restare
peiditore nella lizza la rinomanza della sua per-
sona, la universale approvazione e l'incessanli sue
lellerarie fatiche. (Sarà coniiuuato).
Su la vita , e le opere del Marchese Giacomo
Giuseppe Havs Memoria di Agostino Gallo.
^\^uando alcun sa])lente di alto grido lascia questa
vita di angosce, da tutti si dimanda qual sia sialo
il tenor di sue azioni, quali le virtù ond' era fre-
giato. Imperocché dell' uomo nella sua fatai di-
jiarlila, al dir di Cìctioue, ianiuni rer7wtiet^ cjiiod
i'ir/ute,etreclef(iciisconsecntus j/"/(i). Gran parie
di coloro che vivonsi in società non è da tanto da
giudicar de' meriti scientifici , e letterari di chic-
chcsia; ma tutti pesar sanno in equa lance le al-
trui qualità del cuore, e render giustizia a colui,
che scendendo nel sepolcro si è reso vivendo be-
nefico a" suoi simili, e di nobili gesta ha lor lasciato
bello esempio, e conforto. Or siccome obblighi mag-
giori corrono a chi le lettere, e le scienze profes-
sa, e più da lui si attende la civil comunanza; da-
poichè ne' lumi della mente havvi una sicura scorta
alle umane azioni, e al ben fare; così con maggior
severità egli è giudicato; e las uà memoria tmscor-
re a' posteri o accompagnala dui pubblico dolore,
(i) De Senect*
i48
e dagli encomi , ovvero dalla maledizione , e dal
Liasitno luiiveisalc.
La morte del Marchese Giacomo Giuseppe Haus,
avvenuta in Palermo nella notte precedente al gior-
no diciassette di a|)rile i833 lia destalo in tutte
le classi della società il più vivo cordoglio, e l'a-
nima sua scortata dalle più nobili virtù sociali, e
cristiane è volala all' ani plesso di Dio tra il pianto,
e le benedizioni di cjue', che il conobbero. La ve-
rità; un cuore ajìerlo e sincero, quand' anche sicuro
fosse di spiaccre a' grandi; il sentimento più costan-
te e |)Liro di amicizia, e di verace e operosa bene-
ficenza; la religion per inlima convinzione ne' suoi
santi dettami seguila; un'iuvilla sotlerenza de' mali,
frutto della stessa, e della filosofia; una sdegnosa ri-
luttanza all' aujbizione, esca delle corti, alle quali
suo malgrado fu trascinato ; erati le virtù che lo
rendean caro ad ognuno, e gli alliravan gli omag-
gi , e la riverenza di chlcchcsia. Già i dotti di
varie nazioni dottissimo lo avean proclamato per
le opere sue , e gli sguardi del Pubblico erano
a lui rivolti, quantunque egli in una stanza confi-
nalo dalla acerbità de' morbi in onorato ritiro si vi-
vesse, lieto di quella pace dell'animo, di cui a pochi
è dato godere, e solo della società di scelli e pochi
amici prendesse alloggiamento e ristoro.
- Con sifTatle nobilissime e rare qualità ei si ele-
vava sopra tulli i "sapienti del secolo; talché è per
quelli più vetusti della Grecia sembrava esser nato
più presto che pel nostro, in cui la dottrina è so-
venle un' insoffribile vanità, incomoda agli altri, e
la creduta virtù una maschera artifiziosa per coprire
il vizio, e le interne turpitudini. Tutte le sue benché
menome azioni, le sue parole, i movimenti dell'a-
ulmo eran dlrcUl da qualche onorevole molivv?, che
avea occulta radice in quelle massime di schietta e se-
vera virtù, dalle quali, anco volendo, non sapea sco-
starsi dopo una lunga abitudine, e dopo Ionia, e ma-
tura riflessione. Da ciò avveniva, che tenacissimo egli
era ne' suoi proposti, onde da taluni, ignari di sif-,
fallo occulto procedimento del suo spirito, ad im-
pieghevole ostinazione veniagli apposto, e pur an-
davano errati; poiché tardissimo egli era a deli-
berarsi, ma conscio come esser dovea quanta par-
te aveasi la ragione nelle sue deliberazioni, vergo-
gnosa debolezza credea che si fosse il ritrarsene.
Ma delle norme che regolavano le sue azioni, della
sua sapienza , che le determinava , e rafforzava ,
potrassi meglio retto giudizio formare, discorrendo
di trailo in tratto la sua vita, la quale, comechè
occulta rimasa fosse a molli nei lunghissimi anni
del suo pacifico allontanamento dal sociale consor-
zio, a me tale non fu, cui di sua diuturna amistà
fu concesso godere, e che da' suoi scritti in graa
parlo l'ho fedelmente ritraila (i).
Nato in Wurlzburg, principal città della Fran-
conia a oo Novembre 1748 da Maria Barbara Sie-
benbeulhel, e da Francesco Melchiorre, professore
in legge, e consiglici e inlimo del Vescovo Sovra^
no , allora il conte Ermanno Hohenlohe, fece i
■ (1) Avca egli cominciato, a mia Insinuaiione, a dettare alcune
notizie di sua vita pochi mesi pria di morire, ma l'esser queste
rimase interrotte, e pei mali che sempre più travagliavano il suo
corpo e il suo spirito; stese essendo in guisa da non poter cnmpa-
- - 20 Aprile i833 j ma avendo in
seguilo ritrovala fra le sue cai le la di lai fede hattesimilc., cha
recava il 17^8 come anno di nascita, a questo ci siamo attenuti,
come risultante da documento autentico.
II.-,
i5o
suoi sludj elcmenlari di grammallca , rcltorlca ,
e filosofìa j)iesso i padri della Compagnia di Ge-
sù , il cui islilulo ebbe sempre per jiconoscenza
in particolar predilezione. Sin d' allora i classici
latini ricliiamaron la sua particolare attenzione ,
ed egli diessi a scrivere in quella lingua , che il
Leibnitz ragionevolmente proponea di dover essere
la sola di comnnicazione, e d'intelligenza tra i dot-
ti. Però è da osservare per amor del vero , che
egli, come ruolti altri Tedeschi, non iscrisse latina-
mente in guisa da non far trapelar ne' suoi detta-
ti lo stile della lingua natia , menda di cui viep-
piìi è stalo accagionato il dottissimo Heifie, e che
l'ingenuo illustre defunto egli stesso sentiva.
Compiutosi da lui il corso della filosofia, il sedulo
suo genitore, conosciuta l'indole, e la maturità
dell'ingegno del suo figliuolo, lo avviò a'gravi studii
del diritto naturai, civile, criminale, canonico, patrio
e delle genti cui attese per anni cinque di continuo
con tale alacrità, che sin d'allora die altissime spe-
ranze di se, e venne licenzialo in legge.
Scrisse in quel tempo una eruditissima disser-
tazione intorno ad ogni sorta di privilegi in gene-
rale, per la qual fé' conoscere quanto ei sentisse a-
vanti in ragion civile. Ma se il suo lavoro fu da
giureconsulti pregiato, non fu già da lui, che co-
noscendo quanto ad apprender in essa gli restava,
volle immantinente trasferirsi in Gottinga, per vie-
meglio approfondirla presso quella celebre univer-
sità. Ivi conobbe il rinomato Cristofaro Meiners,
che vi professava filosofia, le cui lezioni con som-
mo profitto volle ascoltare. Sin d'allora legossi in
cosi intima amicizia con esso lui, e meritò la sua
stima in guisa da lasciare un esempio glorioso a'
posteri, che dove avvi sapienza, e diriltuia di a-
nlmo non regna invidia, ne rancore, che anzi l'amor
delle lettere rannoda fra di loro i nobili cultori. Al-
lor per fare ulteriori progressi nella scienza del dritto
d' ogni maniera ei si pose sotto la disciplina degli
egregi Spittler, e Meister, e del celebre, Boclimero,
che sebbene assai vecchio sostenea il decoro di quella
università (i); e quindi passato in Wetzlar cominciò
ad esercitarsi nella pratica forense presso quell'Im-
perlal supremo tribunale. Ma non andò guari ,
che trascorsa la rinomanza in patria della sua dot-
trina, della sobrietà de' suoi costumi fu dal suo a*
mico Meiners proposto al Suo Principe qual profes-
sor di diritto naturale, e di diritto pubblico ger-
manico, e scelto a preferenza di ogni altro, venne
insignito del grado di dottore.
Il Meiners volle ei medesimo presentarlo in Corle^
e da quel momento divenne sì caro al suo Sovrano^
che fu dichiarato Consigliere Aulico d'onore, e da lui
trattato non più come suddito , ma come amico,
e ammesso per ciò a'suoi desinari, alla sua conversa-
zione, alla sua più intima confidenza; talché anela-
va r opportunità di promoverlo alla carica di suo
attivo consigliere, e segretario di stato.
Questo primo favor della fortuna da lui non ambi-
to, nò cercato co' mezzi ordinarli dell'intrigo , la
fama che acquistavasi sulla <^ttedra presso il Pub-
blico non innebriavau punto il suo cuore , ma lo
spigneano a procacciarsi viemaggiormente con la
dottrina, e l'integrità della sua condotta la grazia
di chi tant'alto avealo elevato-, talché con l'adem-
pimento del suo dovere, in sei anni che fu profes-
(i) Dal ^nCyS sino al 1774 Hius si fermò in Gottinga, ove scris-
se e comentò tutte le lezioni di logica, e filosofia, di dritto civi-
le, criminale, canonico, e feud^^^ de' predetti professorij che for-
inaao i4 grossi volumi, slesi parte in latino, e parte in tedeseo*
ia'2
soie, giunse a meritarsi sempre più la stima uni-
versale. Dapoicliè egli sin d' allora Lauditi tolti i
passatempi j)ropri della sua età ancor fiorente, mo-
stravasi vecchio per senno, e per vastità di cognizio-
ni. Pervenuto intanto al trentaquattresimo anno di
sua vita altri destini lo attendeano, e novelli onori in
una Corte più splendida, e sontuosa, ch'egli non die
desiderare, ma neppur presagir poteasi per certo.
Maria Carolina d' Austria, regina delle due Si-
cilie, scorgendo già il suo primogenito Francesco
giunto alla età in che pel cominciamento dello svi-
luppo morale, e intellettuale avvi maggior uopo
di una guida , ed intemerata istruzione , cercava
alcun valentuomo , che a ciò fosse stimato confa-
cente. Le ricorse allora in animo il celebre cav.
Gaetano Filangeri , che sin dal 1777 era slato creato
maggiordomo di settimana, e gentiluomo di came-
ra di S. M.; ma la sua età ancor giovanile, che
appena toccava il sesto lustro, e i liberi principi!
già da lui annunziati ne' primi due volumi della
Scienza della Legislazione, pubblicati nel 1780, la
sviarono da questo pensiero. Quindi ella propose a
S. M. Ferdinando, ed ottenne di chiamar da Ger-
mania tal che dalla pubblica opinione a si grave
Oggetto riconosciuto iòsse opportuno , e ne sci issa
all'arciduchessa Cristina?, Reggente de' Paesi Bassi,
e costei ne incaricò il conte di Melternich. Gli oc-
chi di lui si rivolsero tantosto allo egregio Giuseppe
Haus, quantunque il non essere egli ancor molto in-
noltrato negli anni facesse contrasto all' alla desti-
nazione, in che la maturità cicdcsi affatto indisj)en-
sabile; ma nelle corti ove tulio si pesa, dopo lun-
go esame, e segrete informazioni Haus , ancorché
giovane fu riguardato qual vecchio. E tale era per
i53
vero air infuori del volto ancor fresco, e quindi al
grande ufficio venne agli altri preferito.
Fino a quel punto nulla ei sapeasi di tale scelta,
e ciò [)ure ignorava il suo Vescovo Sovrano, a cui
io affale erasi tenuto ascoso per tema che con la
sua segreta influenza distornar ne lo avesse potuto.
Finalmente fu il nostro Giuseppe richiesto del suo
consentimento, e non ostante che da lusinghiere spe-
ranze, e da larga provvigione venisse adescato, ci
non volle assentire allo invito, facendo osservare;
tutto dovere al proprio Principe ; esser vitupere-
vole sconoscenza lo abbandonarlo per ingordigia ,
ambizione , od interesse ; corrergli stretto obbligo
di servir la patria nella istruzion della gioventù ,
e d'impiegar a prò di lei la sua mente, il suo con-
siglio, ed ove pure occorresse, il suo braccio.
La sua ragionevole ostinazione impegnò vieppiù.
la Corte di Napoli , e di Austria. L'arciduchessa
Cristina ne scrisse a lui stesso, il conte di Metternicli.
l'invitò in Francfort ad una conferenza sull'oggetto,
ma pria con l'alta sua mente divisando, che altro
mezzo non eravi a determinarlo, che quello di un
espresso comando del suo Monarca, ne fé indiriz-
zare a lui la richiesta da chi era sicuro non poter-
ne ottenere una negativa. Tal mezzo ebbe il suo
pieno effetto : quei fé presente al nostro Giuseppe,
che la Provvidenza prescelto avcalo all' cducazion
del Principe, erede della corona delle due Sicilie,
ad avere un'influenza su i destini di questi popo-
li, e ch'egli qual ministro dell'altare, e suo so-
vrano prescriveagli di ubbidire. Fu allora, che te-
neramente abbracciandolo , si vider confuse le la-
crime del suddito, e del Monarca, e questo ulti-
mo rassicuratolo della sua amicizia, e protezione,
■comunque fosse per viver da lui lontano, glie no
i54
^iè un'evidente prova col promettergli , e poscia
eseguire clie le due cattedre, che occupava, rimase
fossero per due anni senza jnofessor pioprietario,
affinchè egli, rassicuratosi del buono accoglimento
jiella novella Corte, e più se l'aria di Napoli al suo
temperamento conferisse, ritrovar le potesse ancor
vote, se si fosse determinato a ritornar in patria.
SpronoUo di più a chiedergli alcuna grazia con la
sicurezza di ottenerla, ma egli il pregò soltanto ad
accrescere la provvigione di due valorosi professo-
ri, suoi colleghi, ma non suoi intimi amici, ch'erano
stretti dall'indigenza; di che fu appagato. Pria di di-
lungarsi dal suo paese natio venne egli prescelto da'
deputati, e professori dell'università di profferire un
discorso encomiastico al suo Signore, cui esser dovea-
110 presentali il capitolo cattedrale, e i [irimati della
nobiltà. In tale occasione mostrò con qual senno ma-
neggiar si debba la lode senza farne arrossire l'altrui
modestia, rivolgendola alle qualità, e virtù veraci
da tutti sentite , e piegando con avvedutezza la
mente 4ell'i^"comiato all'utile pubblico, talché sod-
disfece in siffatta guisa alla brama de' letterati ,
e dei suoi concittadini, non meno che a quella
del suo cuore, che anelava di mostrare al suo be-
nefico mecenate tutta la gratitudine, di che alta-
mente fervea. Quegli per 1' ultima volta il volle
seco a desinare, e divisi l'uno dall'altro non senza
calde dimostrazioni di affetto , ed ottenute da lui
molte lettere di raccomandazione per diversi Principi
di Germania, e d'Italia, ne' cui stati trascorrer do-
vea, finalmente partissi col suo minor fratello Ba-
rone Baldassare alla volta di Napoli.
Ovunque egli passava nel suo viaggio era egli
accolto a grande onore, e festeggiato, e attestati ri-
ccvea di stima; che la fama preceduto avealo, e il
i55
suo carattere , le sue Ingenue maniere eran tali ,
che il conoscerlo, e udirlo a parlare anche per bre-
ve spazio forzava altrui ad amarlo.
Giunto in Napoli nel settembre del 1784 fu
ben tosto dal sagace intendimento di Maria Ca-
rolina riconosciuto esser l'uomo veramente adatto
alla educazion del Real Principe, e come tale ven-
ne presentato con particolar commendazione al
Re Ferdinando , e al giovinetto Francesco. Una
gara sorse ben tosto per lui fra i tre augusti per-
sonaggi di affezione , e di stima , che soffocando
l'invidia dei cortigiani, li aizzava segretamente a
muovergli aspra guerra all' opportunità. Ma egli
tutto modesto , contegnoso , e insieme gentile ,
trionfar seppe dei suoi occulti avversari col non
volere ambir nulla, e in nulla influire, quanlun-
.que largo campo all' ambizione, e a' maneggi di
Corte gli apriva la sua luminosa posizione , e il
concelto in che era meritamente tenuto. Conob-
bero bentosto i cortigiani , eh' egli non era per
essi formidabile , perchè non volea divenir tale ,
e ciò scorgendo , giunsero quasi a supporre che
neppure il sapea essere ; e quindi da quelli stes-
si, ch'eran già preparati ad insidiarlo ottenne (sem-
bra incredibile) grazia, riguardi, e favore. Siffatta
condotta tenne egli in Corte , e se , non richie-
sto, chiuse nell'animo suo il vero, richiesto bensì
non aprì giammai il suo labbro al mendacio. Pe-
rò la verità sulla sua bocca non fu mai aspreg-
giata dalla bile, e dall' intenzion di nuocere altrui,
e ignuda come nacque nella mente di Dio appa-
rivai bella, ed amabile, ed era da tutti con lieto
viso accolta, e gradita.
Dall' augusta Ma^ia Carolina gli fu data allora
i56
un'ampia istriizion di condotta, e gli venne par-
ticolarmente imposto di ijoii dipartiisi mai dal
fianco del suo allievo, di assister alle sue lezioni,
di apprestargli sulle stesse gli opportuni schiari-
menti, di accompagnarlo nelle sue passeggiale, di
regolarne i divertimenti, e volle sin auche , che
ci dormisse nella sua stanza medesima.
Sul bel principio diessi a formare un piano di
educazion morale , e letteraria pel giovane Prin-
cipe; ma un antico direttore gli era attorno, che
per nobiltà di sangue, e per fiducia, ben merita-
ta, se non per coltura, ed intendimento, esigea
ogni riguardo. Gli fu quindi mestieri maneggiar
l'animo di quel magnate iu modo, eh' ei non ne
sentisse gelosia , e a lui si ascrivesse l' onor del
nuovo metodo degli studi, non ostante che dal no-
stro valentuomo era stato con maturila ideato, e
disposto. Tuttavia non sempre gli riuscì che dalla
destrezza, e prudenza cavasse buon finito, di qui
qualche piccola rugine nacque nell'aniaio suo nello
scorgere in parte attraversato il suo jiiano; e fu
sinanche sul punto di toglier qualche apparente
pretesto per restituirsi in Germania. Nulla di man-
co si ritenne di farlo per ragion di gratitudine
verso il benigno Sovrano, e la sua Pt. Consorte, e
soffocato ogni risentimento non isciolse mai il freno
al suo naturai contegno, nò perde mai la dignità
di uora di lettere , e di gentil cortigiano. Nulla
sfuggiva alla perspicacia della sagace Carolina , e
sempre più per novella amorevolezza, e dimostrazioii
di stima con magica forza a se il legava, al che nuo-
vi vincoli aggiungneva il reciproco aflctlo già sor-
to tra lui, e il suo reale allievo, afl'elto che unque-
niai per vicende , e per anni mcnomossi , di che
1^7
ad esemplo tlci giovani Principi bello è clic tra-
scorra la memoria alla piìi taicla posterità.
Furono allora scelti a maestri del Successore al
Irono gli uomini di maggior grido , die si avesse
in varie facoltà il regno di Napoli. Niccolò Ignarra
fu destinato per la lingua latina, e la storia antica,
V Abate Corazza j)cr la lingua italiana, il celebre
Vito Caravelli per la maletnatica , Giuseppe Sa-
verio Poli per la fisica sperimentale, il Barone Bal-
dassare Hans, fiatcllo del nostro Giuseppe, per le
belle lettere, la logica e la metafisica, il canonico
Rossi per la filosofia morale, e il P. Bignone, Do-
menicano, per le scienze sacre. Ed essi secondo
l'ordine progressivo di tali facoltà, e in varie ore
del giorno, e in diversi anni il guidarono nell'ardua
carriera dello scibile.
Ne la sola parte di dirigore, e sorvegliare gli
studi dell'indilo Francesco fu data al nostro Giu-
seppe. Imperocché la regina madre conscia, come
Ella era , quanto al sommo ci valesse nella giu-
risprudenza, gl'impose d'istruirlo in progresso di
tempo nel diritto naturale, e civile ricavalo que-
st'ultimo dalle leggi romane a quella stagione vi-
genti. Volle altresì, che il guidasse nella cognizion
della geografia, della moderna istoria, e negli ele-
menti della lingua tedesca, e che a vicenda lo eser-
citasse praticamente nella francese, parlando, e con-
versando con lui.
Rapidi progressi fece il buon Francesco negli
studi indicati ne' varj anni, in cui il nostro Giu-
seppe fu al suo fianco, e a detta di quest'ultimo, te-
Btimotie sempre verace, si distinse particolarmen-
te nelle matemalidie , e nella cognizion dell'isto-
.ria; perciocché fornito eia di sodo, ed acuto in-
i53
gogno , e (li felice memoria , qualilà al tulio ne-
cessarie per siflìilti studi.
L'ottima indole sua naturale, rafforzata da inte-
merati principi, e dal corrispondente esempio del
suo illustre istitutore, col quale conversò, e con-
TÌsse assiduamente per lungo tempo, formaron del
suo allievo l'uomo veramente virtuoso, e poscia il
più pio, e giusto fra i Monarchi.
Ma già le nozze stabilite, e di poi seguite tra
lui, e l'Arciduchessa d'Austria, Maria Clementina,
figlia deirimperator Leopoldo, e l' educazion lel-
leraria, e scientifica interamente fornita, avrebber
dovuto sciogliere gl'intimi vincoli fra l'istitutore,
e l'allievo. Il nostro Giuseppe era già sul punto
di chiedere commiato. Ma egli se ne astenne, pre-
Veuuto da un espresso ordine a rimanere in Corte,
e per nuovi contrassegni di clemenza, che ricevette
da tutta la R. Famiglia, Il Re Ferdinando volle egli
slesso presentarlo alla novella sposa, e a lei somma-
mente ne commendò il sapere, e le virtù , e de-
corollo con le proprie mani della gran medaglia
d'argento espressamente coniata in sì fausta occa-
sione, Francesco non si stancava di protestargli la
sua gratitudine; Maria Carolina il ricolmava di
doni , e con gentilissime espressioni gli. cbiodea
quasi in favore, che si fosse addossata l' educazion
del suo secondogenito Leopoldo. E sebbene a ciò si
fosse rispettosamente negato pe' sovraggiuntigli in-
comodi in salute, non solo Ella non mostronne ri-
sentimento, (cotanto il credea veritiero) ma af-
frettò segretamente, che gli fosse conferito da S.
M. il titolo di marchese , e di suo gentiluomo
di camera , onorificenze da qualche tempo desti*
nategli. Ne fu avvertilo con riserbatezza il nostro
i5g
Giuseppe, e corse al IMinlslro Aclon , pregandolo
a dissuaderne S. M. Io appartengo , disse egli al-
lora, alla classe de' giureconsulti, ove sia decorato
di nuovi filoli onorilìci, io ne uscirei; i magnati
non liconoscendo in me iiii'avita nobiltà, non mi
riguarderebber per nobile, quindi perderei la mia
nativa condizione senza acquistar l'altra , che non
mi compete, e passerei nell'opinion generale quai
intrigante, ed ambizioso. Altronde non so che l'are
di queste onorificenze, ch'io non desidero, essen-
do solo bramoso di conservar la grazia di S.M.
Quel saggio ministro gli rispose, ch'egli non era
uso di stornane i tratti di clemenza del benigno So-
vrano; laonde a lui rivolger potea, o a S, M. la Re-
gina le sue preghiere, ove il credesse. Non lasciò
peitanto di avvertirne Maria Carolina. Recatosi a lei
il nostio Giuseppe, tssa non gli permise d'innoltrar
la sua dimanda, dicendogli, so quello clie chieder
mi volete, io non posso contentarvi, le onorificenze
a voi preparale son dovute al vostro merito, e a'
vostri servizi, e la nobiltà si ffiiita mente acquistata
è da pregiarsi viemìiggiormente , che quella ac-
cordata dalla cieca fortuna, Così con esempio sin-
golare per le Corti il merito verace oUeneva la so-
vrana munificenza, ed una regina di alta mente con-
fermava quel detto del poeta
....viriate decet^ 71011 srmguine 7iiii(\).
Non e quindi da meravigliare, se avendo egli
oltetuite tali decorazioni, da lui non chieste, non
alterasse punto il suo naturai carattere di sem-
plicità , e se salutato col titolo di Eccellenza ri-
sponder solesse «io mi chiamo Giuseppe Haus. »
(1) Claud. de qnórlo Houorii Cons,
i6o
Il bel cielo di Na[)oli, e le tante meraviglie del-
l'arie antica, e moderna, ivi raccolte, gli inspira-
rono un vivo amore pel Lello , die desia anche
dolcissime sensazioni al cuore del filosofo. Quindi
egli già alleggialo dal peso dell'educazione del Rea!
Principe si fé a studiare gli elementi del disegno,
e siflfallamente progredì, die giunse non solo a trac-
ciar qualunque oggetto iu netti, precisi, ed eleganti
contorni, ma ben ancbe a dipingnere a olio, copi-
ando anticlii quadri con ammirevole esattezza , e
dilicenza. Un putto, cbe scherza con due colombe da
lui condotto in colori suirorig.inale di Guido Reni,
e il ritratto di Maria Carolina, e vari disegni di
sua mano attestano quant'cgli valesse ncU'escrcizio
della matita, e del pennello da oltrepassare il gra-
do di semplice dilettante , e meritarono di esser
lodali dal cav. Palania, che tanta fimia leva nella
dipintura in Sicilia.-
Gli svariati oggetti di archeologia, di cui gli sca-
vi di Pompei , e di Ercolano hanno arricchito il
Real Museo di Napoli, e i moltiplici monumenti
di vetusta architettura, di che abbonda quel suolo
felice, gli destarono il nobil pensiero di coltivar la
scienza dell'antichità in tutti i suoi rami , ed egli
era di siflatta tempera di spirito , e cosi abitua-
lo a lunghi , e non interrotti studi , che tarda-
mente si determinava, ma ove una volta si fosse
risoluto, non lasciava giammai l'impresa a metà.
L'esempio dell'illustre Winkelmann, suo connazio-
naie, che recatosi in Italia, e preso da ardente a-
mor per le belle arti, ne divenne il più dotto co-
noscitore, e seppe il primo ridurle a meravigliosa
unità di sistema , era per lui possente impulso a
seguirae le onorevoli tracce. Volle egli adunque prò-
i6i
fondarsi nella scienza della aiclieologla ; e quanto
alia arcliilellura, rinionlare ai [nh. severi principi!
degli aiiliclii, esanimarne i monumenti col Vjtru-
\io, e gli altri dotti scrittori, e lutto far subbielto
di lente, ed incessanti medilazioui. Fu allora, che
credendosi abbastanza fornito delle teorie delle belle
orli, volle visitar l'augusta Roma, eh' è primaria
sede dei vetusti monumenti , ed al confronto di
quelli di Napoli, estendere, e rettificare le acqui-
state cognizioni. Ivi fu ammesso alla celebre Ac-
cademia Archeologica, per la quale scrisse le sue
perspicaci, e sennale couiìlde razioni sullo stile de
Greci nelle arti del disegno, e credo pure, le sue
riflessio[ii sulla supposta Galatea, dipinta da Rafia-,
elio, di che terremo distinta ragione appresso, in-
sieme alle altre opere del nostro valentuomo.
11 Re Ferdinando informato de' novelli studi del
nostro Giuse[)pe, gli volle conferir tifel i8o3 1ao-
norevole carica di Soprintendente degli oggetti di
belle arti, e d'antichità de' suoi reali stabilimenti,
di Portici, di Capo di Monte, e degli Sludi, ca-
rica ch'egli accettò con lieto animo , non perche
fosse a lui proficua, ma perchè gli apprestava op-
portuni mezzi a secondare la sua nobil passione ,
e perciò l'ebbe a ringraziar coi) più elhcaci esj)rcs-
sioni, che per gli onori precedentemente ottenuti.
Si rivolse egli ben tosto a classificare, e a porre
in buon ordine tutti gli oggetti confusamente pei-
lo innanzi collocali ne' reali Musei, e ne formò »
cataloghi ragionali; e se volle astenersi d'illustrarne
distesamente i principali, ciò si fu, , perchè sin dal
tempo dell'immortal Carlo IIP una tal cura stala
era esclusivamente commessa alfAccademia Ercula-
iiese, e perchè egli per sistema fu sempre litenulo a
l62
meller la falce nel campo non suo , a ferir anche
in menoma parte l'altrui amor proprio , e ad at-
tacar brighe letterarie.
Intanto, estender volendo vieppiù le sue cogni-
zioni nelle varie letterature straniere, dcterminossi
a studiar meglio la lingua italiana, che fin allora,
più per pratica conosceva, che per principii fonda-
mentali. Procedette indi ad imparar la lingua spa-
gnuola, così afflile alla medesima, e poscia si rivolse
all'inglese idioma , che avendo una gran parte di
voci radicali uell'autico tedesco, gli riuscì assai age-
vole; e in pochi anni giunse ad intendere, a scrivere,
e a parlar perfettamente lai lingue. Sin dalla pri-
ma giovinezza sa[)ca già la fiancese, comune a tut-
te le colle persone, e specialmente a' Tedeschi, che
per la diflicolt:t di comunicazione di lor favella na-
tia con gli allri popoli, non trascurano d'impararla.
Quantunque con cinque delle lingue moderne dato
gli fosse j)crcorrer le opere originali degli scrittori,
che han levalo grido in Europa, e conoscendo bene
altronde quella del Lazio, raflronlar ne potesse; i clas-
sici co' moderni autori, esaminarne al confronto i
più bei tratti per così esser al fatto di signoreggia-
re l'antica, e odierna letteratura; pur non di manco
non teneasi ancor pago, e vagheggiava col pensie-
ro la lingua greca, di cui i classici conoscea solo
nelle versioni. Il perchè ardea di desiderio d'im-
pararla, avendo pria per gli studj severi di giuri-
.sprudenza , e di filosofia, e poscia per la educazione
del R. Principe dovuto tralasciarla.
Ma siccome lento egli era a risolversi , innanzi
che desse adempimento ad alcun suo diviso, un fiero
trambusto sorse nel regno di Napoli , fatai conse-
guenza della rivoluzioii francese , ed egli insieme
i63
alla R. Corte doveUe recarsi iti Sicilia a ritrovar-
vi sicuro porto, ed asilo ospitale. Giunto il re Fer-
dinando in Palermo a 3o dicembre 1799? il no-
stro Giuseppe preferì il soggiorno di Sicilia a quello
della sua patria, ove non gli sarebbero mancate ne
cariche, ne onorificenze, uè pingui assegnamenti, e
dove un aspetto di durevole tranquillila, confacente
a' suoi sludii, e più alle sue brame, dovea invitar-
lo. Ma egli non ascoltò allora che le voci della ri-
conoscenza, e del dovere, che lo slrigneano a se-
guire il suo nuovo Sovrano, e l'Erede della Corona
in si triste vicende, e a partecipare delle loro ama-
rezze, per le circostanze de' tempi , come per lo
innanzi partecipato avea delle loro felicità.
Per breve tempo rimase egli in Sicilia con la
R. Corte , cioè sino al 1802. In tal anno ritor-
nò con essa in Napoli, ove fermossi fino al gennaio
del 1806, e indi per altri avvenimenli politici, che
ebber luogo in quel regno, fu obbligalo a rendersi di
nuovo in quest'isola. Allor l'animo suo sempre agi-
talo da perturbazioni , da speranze, e da timori ,
non sapea determinarsi a profonde applicazioni, che
richiedou pace, e tranquillità, e solo pasceasi di sem-
plici letture per mero svagamento, e conforto. Ma
dopoché restituissi in Palermo, avendo conosciuto,
che le vicende del regno di Napoli prendeano un te-
ner più durevole, e quindi per lungo tempo riguar-
dar dovea la Sicilia come suo invariabil soggiorno,
a lei rivolse tulli i suoi pensieri , e ne \olle stu-
diar profondamenie l'istoria, che per lo innanzi non
era stala che un oggetto accessorio delle sue medlla-
' zioni. La Sicilia, diceva egli allora, fu un tempo
classica terra abitala in gran parie, e per lunghis-
simi anni da greche colonie , slrella confurinilà
i64.
negli usi, e nelle -maniere, nella legislazione, n^lle
civiUi e letleiarie istituzioni , ed inlimi rapporti
si ebbe nel commercio , nelle transazioni della
pace , e della guerra con la Grecia madre ; in
guisachè il più bello, e precipuo tratto della sua
istoria è naturabncnle rannodato a quella delle el-
leniche repubbliche, ed ha occupalo l'ingegno, e
la penna de' loro classici scrittori, maestri al mon-
do iulei'o di eloquenza, di politica, e d'ogni dilet-
tevole, ed amena disciplina. Laonde nel loro ori-
ginale idioma convicn gustarne le bellezze , le
quali nelle ingenue, e native forme più belle si rac^
colgono, siccome l'acqua si ha più lim; ida, e para
dalla fonte primitiva, onde sgorga, e zampdla.
Rieccitatoii in lui per siffatto modo l'antico de-
siderio di apprender la lingua greca, volle dimen-
ticar per poco ch'egli toi cava il cinquantcsimose-
slo anno di sua vita.^ età mal propria ad ogni qual
siesi sorla di apprendimento , e segnatamente a
quelli cliehan mestieri di salda memoria, e chiamò,
a se il Ben.Salvadore Morso, chiar, Professor di del-,
la lingua e in ispecie dell'Arabica nella R. Università
di Palermo, e il richiese de' suoi lumi , e di sua
direzione nei lunghi, e intralciati ellenici gramma-
ticali clementi. Fu tale lo studio, e l'alacrità, che
ei pose per riuscire nel suo j)roposto nel minor,
tempo possibile, nuli' altro svolgendo da mane a
notte prolungala, che grammatiche, lessici, e greci
autori, che tranne un'ora del mallino, che impie-
gava nel conversare col R. Principe, e tre dapi mc-
rige pel desinare, e un discreto passeggio, tutte le
altre cran da lui pressacchè intieramciile destina-
te a quella 'lingua. Quindi non è da meravigliar
se con pazienza non comune in due anni di sifl'allo.
i65
esercizio giunse a padroneggiarla, qual già provetto
grecista. Perciò ebbe a dire il suo precettore, che
in sì breve spazio sapesse di quella lingua altrettan-
to, ch'egli stesso dopo vent'anni di studio. Non dee
far quindi meraviglia, che la sua versione latina del
testo della poetica di Aristotile, di cui a lungo favel-
leremo in seguito, slata sia dagli ellenisti riconosciu-
ta fedelissima; perciocché ebbe di quella lingua sì
piena cognizione, che potè scrivere in essa de' ver-
si, siccome ne fa testimonianza qualche epigramma
fra le sue carte rinvenuto. Per rendersela poi più
familiare erasi a memoria ridotto i più bei squar-
ci di Omero, e di sua mano continuatamente tra-
scrivea quanto da questo, e dagli altri greci scrit-
tori ricavar potesse per dilucidazion di varj punti
di archeologia.
Però la continua applicazione, col metodo di vita
indicato, fatigante di troppo le facoltà intellettuali,
e l'essersi quasi proscritto ogni esercizio del corpo
accrebbe la sua naturai disposizione alla gotta, che
il travagliò poi per tutta la vita, e inchiodollo nella
sua sedia da studio fino agli ultimi tre giorni ,
che furon meta alla sua illustre carriera. Sul prin-
cipio il male gli attaccò il sinistro ginocchio, po-
scia l'altro, e in fine tutte le articolazioni. Ma sem-
bra, che la Provvidenza celeste, che esercitar divi-
sava la sua virtù, e la sua filosofia, gli abbia vo-
luto lasciar de' gran conforti in siffatta angoscia,
quelli cioè di una mente sempre lucida, memoriosa,
ed attiva; l'uso della vista; e il libero movimento
delle sole dita, che strigner doveano quella penna
destinata a procacciargli rinnomanza aj)[>o la poste-
rità. Un altro conforto lasciò per qualche tempo al
suo cuore, non privandolo, finché il Real Principe
12
i66
Francesco fu in Sicilia, di poterlo veder giornalmen-
te; dapoichè ciò riguardava egli non solo come un
sacro dovere, ma allresì come un indispensaj!>il biso-
gno. Difalti recavasi egli cotidianamente appoggialo
ad un bastone, e sostenuto da un suo fido servitore
nelle stanze dell'augusto Erede del trono, e talvolta
delle sue visite, in occorrenza d'infermità sopravve-
nutegli, n'era di ricambio onorato; che per reci-
proco affetto, per sentita, e profonda stima ga-
reggiarono sempre amendue. Ed allorquando l'A.
S. R. fu chiamato nel »8ig in Napoli , il divi-
dersi r un dall' altro (giacche il nostro Giuseppe
per l'acerbità della gotta non potè allora seguirlo)
fu il più commovente spettacolo, che giammai
si scorgesse, e quegli stretti amplessi ricercati dal
pio Francesco, e quelle lacrime di tenerezza, che
sgorgavan dagli occhi di amendue, rendon fido ai-
testato della virtù, che signoreggiava nel loro cuo-
re: la quale, nell'uno dimenticar fàcea per poco la
real dignità per seguir gl'impulsi di un affetto no-
bilissimo, e nell'altro la larva apparente di riguardo
per abbandonarsi al trasporto di un padre verso
il più amato dei suoi figliuoli. Entrambi quasi pre-
sagivano allora, che più non si sarebbero riveduti,
ma se furon per molti anni lontani della persona,
non furon già di animo; che frequente era tra lo-
ro il carteggio, ne solo quando il buon Trance*
SCO fu Principe Ereditario della .Corona, ma quan-
do sin anche ascese al trono degli avi suoi, av-
volto fra le gravissime cure del regno, e in epoca sì
turbinosa, e sciagurata. ]Nè certo il Sovrano si
ebbe allora un consiglier più saggio, e verace, e
un amico più fido; (quindi egli giusto estimator del-
le cose con queit' ultimo titolo sempre gli 5' indi-
167
rizzava nelle sue lellere) ne il precellore un al-
lievo più affezionato, e riconoscente di lui. Tal-
ché se il nostro Giuseppe per maturo, e perspi-
cace intendimento si accostava al filosofo di Sta-
gira , che egli sempre predilesse tra i greci scrit-
tori, non fu di lui men fortunato, ricevendo in ri-
cambio dal suo sovrano affetto, stima, ed alta con-
siderazione, siccome quegli dal grande Alessandro.
In conseguenza di ciò tutte le cariche, che eraa
compossibili con lo stato di sua salute, non mai
richieste, ne per broglio ottenute, versò egli a
piene mani sul nostro modestissimo filosofo , ed
esso non osava ricusarle per timor di recargli dis-
gusto. E pria il fé destinare (verso il 1810) mode-
rator della pubblica istruzione con altri , che no-
me si aveano di sommi letterati, e di zelanti del
pubblico bene , e fra questi basterebbe nominar
il chiarissimo poeta Marchese Tommaso Gargallo,
precipuo lume dell'odierna siciliana letteratura; il
Marchese Tommaso Natale, che prevenuto avea il
Beccaria nelle sue filantropiche idee sul dritto pe-
nale, e fedelmente ridotto in bei versi italiani l'Ilia^
de d' Omero , e la filosofia di Leibnizio; il dotto
Monsignor Alfonso Airoldi, Giudice della Regia
Monarchia, e indefesso illustrator delle patrie an-
tichità; il Cav. Saverio Poli, che acquistalo si era
rinnomanza per la sua conchigliologia dei mari delle
due Sicilie. Ben indirizzata fu allora la pubbHca
istruzione in questa isola , ben provvedute le cat-
tedre di ottimi professori, scelti solamente pel me-
rito loro, da tutti riconosciuto; di guisa che quell'e-
poca è riruasa memorabile nei fasti della nostra let-
teratura , perchè ad essa deve il maggior bene la
patria. In quel tempo venne la regia Università
i68
di Palermo ad acquistare un numeroso museo nu-
mismatico; allora ottenne in dono pochi, ma scelli
quadri da Giuseppe Ventimiglia, Principe di Bel-
monte; poco dopo fu chiamato l'egregio nostro scul-
tore Valerio Villareale, piena la mente dell'eleganza
dell'opere antiche , e forbito al delicato gusto del
Canova , a soprantendere alle arti belle, e ad in-
segnare alla gioventù la ostiologia , e raiologia,
soda, ed unica base del disegno figurativo, e del
movimento dei muscoli per l'espression dell'animo,
ed a condurre la mano dei giovani allievi al sublime
magistero di animar il marmo con lo scarpello.
Così non si fosse mosso il più fiero intrigo con-
tro il celebre nostro architetto Giuseppe Marvuglia,
così stato fosse egli più destro, o meno impie^hevole,
avremmo noi veduto nel bel monumento architet-
tonico, destinalo a decorar la nostra Regia Uni-
versità, uno splendido testimone, che annunziar do-
veva ad ogni futura età, che felicissima era corsa quel-
l'epoca in Sicilia per la ristorazion delle lettere, in-
dicando che allora decorosa sede ricevuta vi aveano,
mercè la R. munificenza, e lo zelo di coloro, che se-
deansi al governo, e alla direzion delle medesime.
Fino al 1820 continuò egli nella qualità di de-
putato de' pubblici studj , facendosi trascinare alla
R. Università ; per rendersi utile al Pubblico col
suo consiglio, non ostante che fosse travagliato dalla
gotta abitualmente.
Ma già un avvenimento memorabile nella sua vita,
ìu cui sperimentar doveasi tutta la forza dell' ani-
mo suo, tutto il vigor della sua virtù, e l'influen-
za della filosofia sopra il suo cuore, a lui si pre-
parava, e il suo trionfo insieme sulla più grande,
e perigliosa avversità, a cui seguir doveaao novelli
onori della R. Corte ammiratrice.
i6g
Essendosi il R. Principe Francesco allontanato
da PalernQO, e recatosi in Napoli, il nostro Giu-
seppe a conforto di tanta amarezza , e del suo
morbo cronico, si era tutto immerso ne' suoi amati
studi, e seguitamente stendea opere di gran me-
ditazione, come appresso faremo osservare, non vo«
leiido perora interrompere i fatti della sua vita.
Scoppiato intanto in Napoli nel luglio del 1820,
l'orrenda ci vii procella, e messa in iscompiglio non
che quella parte dei Reali dominj, ma ben anco per
naturai consentimento la Capital del Regno di Si-
cilia, e poscia l'isola tutta , viveasi il nostro filo-
sofo tutto sicuro, e tranquillo nei sentimento della
propria virtù (e ben n'avea ragione); non essendo-
si mai procacciati nemici, e mostratosi anzi be-
nefico a chiunque all'opportunrtit. Quindi mentre
anche ogni onesto cittadino procuravasi Una difesa,
e un asilo meno esposto per la locale situazione
alla gente disperata , che mancante de' mezzi di
sussistenza viveasi allora di rapina, egli continua-
va a soggiornar nel monistero de' PP. Benedettini,
detto di S. Giovanni degli Eremiti, confinato ia
un angolo della città in istrada solinga, e quasi
separato dalla società. L' idea di essere egli vis-
suto molti anni alla Corte , le sue non interrotte
beneficenze verso gl'infelici, diedero a sospettare
che possedesse un grosso valsente; laonde una frot-
ta di ribjjildi avidi di rapirglielo, raunalasi dinan-
zi le porte di quel sacro asilo, ne concertò il modo
opportuno. Alcuni di essi però (si noti quanto la
virtù richiami anco il rispetto degli stessi scelle-
rati) fecero osservare, che il presentarsi tutti con le
armi alle mani a quel vecchio venerando , cagio-
nato gli avrebbe cou lo spaveuto la morte. Il per-
che determinarono d'inviargli due di loro soltanto,
per richiedergli il denaro senza far uso di minac-
ce, o violenze, e così fu eseguito. Egli trovavasi
allora al suo tavoliere da studio. Aperto era io ac-
cesso a lui quando vide farsi innanzi quei masnadie-
ri , che lasciate le armi in sala gli aprirono to-
sto il lor protervo volere, protestando ch'erano a
ciò spinti dalla penuria in cui viveansi co' lor
compagni, che li altendeano sulla strada; potendo
bensì esser sicuro che la sua vita sarebbe rispet-
tala, peroccaè conosceano qual uom dabbene ei si
fosse. A tai detti, senza punto alterar la sua tranquil-
lità, additò egli un suo forziere, e coloro vi corsero
avidamente, ma dubitando di esser tantosto sorpresi
il rovesciarono", onde non poterono per la fretta di-
scoprirvi alcuni occulti cassettini, ove era riposto
l'oro, e solo all'argento dieron di mano nella somma
di quasi sei mila onze , noti che ad un anello di
brillanti di gran valore. Tranquillo spellalor di que-
sta scena, credeasi egli, che il denaro interamente
gli avesser rapito, e sul punto che già dilcguavan-
si dagli occhi suoi, disse loro, se tutte le somme
torrete via io non avrò più mezzi di sussistenza in
un tempo in cui nou può essermi somministrato il
sbldo dalla R. Corte. In ciò dire. Rumore, (che tal
eia il nome di uno di quei due ribaldi) gli pre-
sentò un sacco di moneta, offrendogliene dell'altra,
se più gliene abbisognasse. Questo tratto di compas-
sione di quel tristo facea sempre ripetere al nostro
Giuseppe, che il cuor di lui non era del tutto per-
vertito dal vizio; che per lo innanzi forse la virtù
visitato lo avea , e i riguardi, e le rispettose pa-
role a lui usate, il poserpoi nel più vivo impegno
di salvargli la vita come vedremo , sebbene non
vi sia riuscito.
Dopo questa fatale aggressione recossl egli in Mon-
reale a ritrovar sicuro asilo presso Mons. Balsamo,
nientissimo Arcivescovo di quella Diocesi, e da lui
ricevuto ospitalmente, vi rimase finché cessò il popo-
lar trambusto. Nel iSaS fu accolto in casa del mar-
cliese Forcella giovane cavaliere, ornato d'ogni ma-
niera di amene lettere, e d'ogni gentil costume.
Preso avendo intanto il legittimo governo il suo
naturai vigore, e resa consapevole la R. Corte del
tristo avvenimento del nostro marchese dalla pub-
Mica voce (che egli mai di ciò si d^lse col suo
Sovrano , ne mai spontaneamente richiamossi ai
magistrati del torto sofferto) gli ordini più severi
furon emanati per arrestarsi, e punirsi i rei. Di-
fatti ridotti costoro in prigione fu egli obbligato dal-
la pubblica autorità a presentar la sua accusa , e
dopo replicate richieste , non potendosi negare a
questo atto voluto dalla legge, circoscrisse la sua
dimanda alla resUtuzion del furto, e feqe fervide
istanze, perchè fosser condonati i rei. Non po-
tendo, com'era di ragione, ciò ottenere, ne scrisse
all'augusto Francesco, e vieppiù raddoppiò le sue
pi-eghiere, allorquando Rumore, involto in altri gra-
vissimi delitti, e convinto reo di oraicidj, fij con-
dannato alla pena capitale. Allora il suo cuore noa
ebbe più pace, le sue notti, per lo innanzi tran-
endea della notte in ascoltar
la lettura di opere gravissime, per lo più filosofi-
che, o scieiilifiche , o in dettar al suo segretario
ciò che meditava a mane, giacendo in letto. Di
libri ascetici nudria la mente verso il merige , e
indi de' fogli periodici francesi, inglesi, tedesclii,e
italiani, amando oUremodo di essere al fatto dello
stalo politico dell' Europa. A vespro desinando
fiaceasi di rivedere i suoi amici, e con esso loro
intrattenersi e favellare. In tal modo rimase egli per
tredici anni confinato fra le domestiche mura, ne
eli ciò punto doleasi, o sentiva rammarico, che anzi
conservò sempre un' ammirevole equanimità , che
»on venia alterata ne dal sentimento de' mali, ne
dair idea lla nazione., a cui il
mare ov'elle sono naie ai>pai tiene: dal che ne conscr
guita quasi per naluiale conseguenza che quando le
Isole sorgano in quel trailo die non è di alcuno,
allora elle divengono giusta preda del primo occu-
pante. La qual cosa, già da H innecio solenne-
mente predicata, è conforme alla ragione, e non
può non esser seguita da tutte le genti.
Ecco dunque il contenuto del libretto die im-
prendemmo ad esaminare: in esso abbiam lodalo la
gravezza dell'argomento, e lodiamo il giudicio, l'or-
dine delle idee, l'erudizione. Solo avremmo desidera-
to più facililà e più chiarezza nella esposizione di
queste idee medesime , più proprietà nella lingua,
e più franco maneggio nello stile, che alcuna volta
ne è sembrato zoppo e contorto.
Ne ciò diciamo per biasimare l'autore; che noti
merita biasimo di nessuna specie , ma consiglio a-
inichevole, ed incoraggiamento sincero. E queste no-
stre parole non tendono che a mostrargli il vivo
desiderio che abbiamo di vedergli battere una più
diritta e più sicura via, onde i suoi pregiati lavori
abbiano salda rinomanza, ed ei sia condotto a certo
segno di onore. E poiché ha principiato con si
begli auspici, prosiegua sempre con senno ne' suoi
eletti studi, e mai non si fer(ni all'abbajar de' cani.
11 primo scontro di un giovine autore nel mondo
Letterario non è mai senza guerra, e guerra accanita.
E ci duole nel profondo dell' animo il ricordare che
l'invidia, l'egoismo, l'impostura, l' im moralità for-
mino il nodo principale della lega letteraria siciliana.
Ond'ei veggeudo che sì di sovente si ripristinano appo
noi simili vituperi bene e saviamente scriveva nell'in-
troduzione al suo lavoro, che questo avrebbe as>utQ
la mala sorte comune a tutti quelli che vedono la
luce nella loro patria, ed una a lui particolare^
•che quella di vederla in questa nostra ^ dove ai*
»9'
cani de pochi di scienze sogliono laidamente sca-
gliarsi contro chiunque scriba , e vi si spingono
per futt' altro affetto che per quello della verità^
e ben sovente si mettono in cose che ignorano^
e prendono ridevolissimi traviamenti. Se alcuno
benevolo mi dirà contro., gli saprò grado., e gli
risponderò le sue correzioni accettando , o disdi-
cendo; se malevolo né vorrò né dovrò, e mi farò
consolo nel rammentarmi, che anco le opere de
migliori sono state vituperate.
Le quali parole ch'ai sdegnosamente pronunzia
son giuste, e stia fermo in esse. Ma sappia che
quanto |>iù è spinoso il cammino che dovrà cal-
care, e più fiera la guerra che riceverà, tanto più
dolce sarà il riposo, tanto più bella la sua vittoria.
Viva perciò lieto, e si ricordi sempre che i dardi
della maligna invidia colpirlo non potranno ; e
l'impostore è destinato ad avere in vita il pub-
blico scherno e a perire nell'obbrobrio. L'uomf»
però che ha corso i suoi giorni studiando , ed ha uti
reale valore, vincerà le cabale della minuta ed invi-
da plebe letteraria, trionferà degli ostacoli, ed ot-
terrà la pubblica estimazione. Vedrà cammin fa-
cendo nel sentiero delle lettere, come cotesta ielle-
raria canaglia scaglierassi coatro di lui per un equi-
voco, per una parola, per un abbaglio; e come
giuii'^erà fino a dirgli eh' ei nulla ha mai conosciuto
di greco, ne di latino, ne d'italiano, ne verbo di
cosa alcuna. Vedrà da tanto fango nascosti sem-
pre i pregi di cui pub esser ricco il suo libro , e
proclamale per un gran fallo le macchie che potià a-
vere: essendo certo che tutte le umane cose ne hanno;
e il saggio sa per es[ierieiiza, che non vi ha quag-
giù uomo che uoii s'ingauui ed erri, e come sia
102
j)azzo colui clie reputa prive tli colpe le opere
sue. Lasci quindi che 1' impostore , l' impuileute
plagiario, e il vile pedante caluntiiiiio , e schia-
mazzino a lor scuno; essendo ornai notissima cosa
che costoro agitati sem[)re dalla invidia più ab-
bietta, vogliono acquistar rinomanza altaccaudo ed
ingiuriando i valenti uomini. Ma questi mai non
si abbassino a venir con loro a contesa; rispondano
solo alla onesta critica e giusta; conoscendo il pro-
prio errore, liberamente il confessino , e ringiaziiuo
colui che lo ha loro iudicato non |)er pungerli e dila-
niarli, ma sol per brama di vedere sj)ogli di pec-
cati gli scritti loro diS])rezzino il resto. 11 sag-
gio allora si consolerà di tanta moderazione, e gli
avrà ia islima maggiore: il mondo farà plauso.
Ferdinando Malvica.
u4rrjgo DJ Jbbate^ owero la Sicilia dal isgdy
al i3)3 pel Cai>. Giuseppe di Cesare — iWz-
poli Stamperia della Pietà de' Turchini^ stra-
ila Medina nani, /y, i833. Un voi. in S .° di
Ncf;ro .impio vel le prische glorie ingombra.
Ma de' popoli l'opre a' fi'^li vane
]Voirsoii giammai: sta del gran nome Tombra.
Elegia G. di LuD. di Baviera, volj;. da Gargallo.
Jll libro che ci diamo ad osservare richiama alla
memoria un de periodi più fortunati della nostra
storia, uno de' traiti più rilevanti che gli annali
de' popoli abbiano unquemai presentato; dappoiché
utìa gente intera fedele alla Icggillinia diuaslia go-
vernante, clie non teme perigli, clie sprezza le ar-
mi oli ire potentati e le ìiiinacte di Roma, che
con le proprie soslanzie, e col suo valore impone
e mantiene sul capo di un giovane Monarca uri
serio vacillante, e che finalmente sormontando gli
ostacoli tutti si conserva nel rango di sovrana, in-
dipendente nazione, è senza fallo un de' punti più
famosi che ci offVano gli avvenimenti de' secoli.
Il Cavaliere Giuseppe di Cesare personaggio no-
tissimo [ìer gli elaborali cornenti e per le grandi
fatiche intraprese sul Tacito, sul Dante, sul Vico,
già Presidente della Ponlaniana Accademia, e che
tanto vivamente sente innanzi in ogni ramo di ame-
na letteralnra ha voluto l'ormare in questa sua ope-
ra un quiidio, che completo non può dirsi , del-
l't^poca aragonese, ovvero dei primi diciassette anni
di Re Federico, ove le contemporanee costumanze
non che la valenzia degli animi , alla nostra sto-
na con mirabi! arte congiunse. Di quest'opera già
fecer discoiso VOniiiibus foglio periodico che pub-
bhcasi in Napoli; il Giornale Ufficiale di quella
Città; G. D.R, nel Raccoglitore) M Baldacchini nel
Progresso , opere periodiche che anclie vedon la
luce in Napoli , e quest' ultimo si trattiene a ra-
gionare del romanzo storico; nulla, sino al punto
in cui .scriviamo, si è detto tra noi su quest'opera
tanto pregiata del di Cesaree che direttamente ci
riguarda; noi pria d'ogni allro deggiamo saper gra-
do oltremodo allo egregio autore, perchè con tanto
senno e con tanta verità imprese a discorrere delle
antiche cose nostre, ed ebbevi un sì pieno successo,
purnondimeno volendo noi far la esamina del suo la-
voro non saremo per nulla a ricalcar le orme di qncfl-
li che sin" ora uè lian parlato.5 ma esponendotie'som'-
'94.
mariamente il lesto lo confronteremo dietro ogni
I • • •
libro con la stona, e vi aggiungeremo alcune no-
stre osservazioni onde conoscersi dalla comune de-
gli uomini ciò che alla storia si apparliene, e ciò
eh' è parto della fervida immaginativa dell'A.
Leggesi neWJ^veriimento che precede la narra-
zione che l'A. non ha avuto in mente di com-
porre un romanzo storico ma bensì una mera
storia (li cui le varie parti rannoda e forse rav-
viva ed adorna un protagonista ideale. Egli si è
discusso abbastanza circa simili generi di compo-
nimenti e la lite pende tuttora indecisa ; or noi
iioii altro diciamo che il Telemaco del Fenelon
che ne fu il primo piace e piacerà per i secoli ,
che l'Auacarsi del Barthelemy è opera di gran ma-
gistero e diletto, ed unica nel rango suo, che il
Ciro di Ramsay ha riscosso ovunque meritati pla-
usi e che l'Antenore, l'Aristippo, il Polideto, il La-
scaris, quantunque al secondo di gran lunga mino-
ri , pur tuttavia tengon loro dietro da vicino. A
questa foggia vesti il di Cesare il suo lavoro at-
tenendosi le più volte alla storica verità, cui mai
sempre prende parte il suo protagonista.
Infra i vari scrittori intorno quell'età uopo e
porre tra' primi il messinese Bartolomeo da Neo-
castro che compilò una storia sicula dai laSo al
1293, e Nicolò Speciale da Nolo che toccolla dal
principio del reame di Pietro sino alla morte del
secondo Federico, giacche l'opera sua racchiude il
periodo dal 1282 al iSS^. Amendue queste istorie
pubblicate antecedentemente la prima dal Surita nei
suoi annali Aragonesi e la seconda dal celebre Ste-
fano Baluzio, vennero in appresso mano mano e-
mendale su' codici originali pria da Ludovico An-
Ionio Muratori nella sua famosa Opera Rerum
Italicarum scrìptores ed indi dal nostro chiaris-
simo Rosario Gregorio nella biblioteca degli scrit-
tori aragonesi ; trovasi pure una Cronaca di Sici-
lia per Marlene: da' quali coevi scrittori hanno at-
tinto, di quest'età ragionando, il Maurolico, il Fa-
zello, il Surita, il Costanzo, il Giannone, il Vil-
lani, il Burigny e tutti gli altri storici e sicilia-
ni e stranieri che per lo spesso contradiconsi l'un
l'altro ed alterano o trascurano storici accadimenti.
Francesco Testa Arcivescovo di Monreale uomo
per senno, e per virtù preclarissimo uu' opera det-
tò sull'età di Federico che a buona ragione viene
generalmente encomiata, ma or fatta rara, nella qua-
le ei descrive l'epoca di quell'ottimo Monarca con
verità non solo, ma con dottrina e solerzia, e la
corrobora di cinquantaquatlro monumenti con gra-
vissima fatica e diligenza, tratti o dalla Cronaca
de' Marlene, o da' codici riportali da Domenico
Schiavo, o dal Pirri , o da' privilegi di Palermo
di Michele del Vio, o dalle biblioteche ed archi-
vi del Senato di Palermo, e di vari vescovati ed
uffizi, in cui conservatisi inedili tabulari, inedile
concessioni, preziosi e sinceri testimoni di quill'età;
ne' a questi soltanto limitandosi , altri documenti
e citazioni aggiunge in comprova del testo per le
quali sovente riportasi o ai Capitoli ilei regno da
lui medesimo collazionati, illustrati , e ad intelli-
gibile lezione ridotti , o ad altri autori , come il
de GrossJs, il Lello, T Amico: si è questa , a no-
stro avviso, la più completa ed esatta storia del-
l'Aragonese Federico.
Or siffatte storie che apprestato avrebbero lar-
go e fecondissimo campo ad ogni nostro scritto-
re per tessere quelle ftostre anìlclie glorie, pfc*
slarono il destro al di Cesare di dar vita al suo
u4rrigo di Jbbate^ titolo eli' ei pose al protagoui-
sla , e del qual tiome due personaggi della mede-
sima nobile progenie ci presentano le storielle pa-
gine, l'uno cioè rammentato dal Ncocastro (Gap. IV)
dallo Speciale (lib. VII, Gap. XVII) 1' altro ; il
primo fdifese i diritti della Svevica famiglia e di
Manfrwl) ;,;fu campione il secondo (unitamente al
fratello Niccolò) in Palermo all'assedio die ne fe-
cero gli angioini nel VòiS sotto il couiando di
Carlo Duca di Calabria e die gagliardamente ven-
ne respinto da Giovanni Gliiaramonte ; eglino se-
condo la storia non cran per nulla congiunti in pa-
rentela tuttoché il di Cesare fa padre il primo,
figlio- il suo protagonista di quel gran Palmieri di
Abbate die lauri impassibili raccolse nel massimo
fra i giorni die Sicilia ha mai veduto risplendere
su lei , e che non divallante come Alajmo da
Lentiui, o come Gualtieri di Galtagirone, uè me-
no animoso nella sua vecchiezza come negli ultimi
anni addivenne Giovanni da Precida , fu coerente
ognora a se stesso, ed. ai principi della sommossa
sicula, della quale fu egli uno di-i fautori e difese
sempre mai i diritti e le franchigie della Sicilia
non che quelli dell'augusta stirpe di Aragona.
Quindi ['Jrrigo dal di Cesare immaginato è figlio
del gran Palmieri, nipote del priuio Arrigo chia-
mato dall'A. // veccliìo.
L'intero volume di cui ragioniamo è diviso in
sette libri seguiti ognuno d» copiose ed istruttive -
annotazioni, le quali accrescono pregio all'opera ,
perchè, esattissime e dettato coii verità avvertono il
icttore di ciò clic in essa ha d'ideale, delle Iraspo-
197
slzlonl delle rcllcenzc degli anacronismi de' quali ei
dovette far uso per rannodare o animare i racconti;
dei passaggi d'autori coevi, di citazioni, d'accurate"
notizie, di documenti die il testo a meraviglia com-
provano. Rapidissimo si è sulle prime il colpo d'oc-
chio ch'ei gilfa sulla Sicilia dalla caduta dell'Impero
Romano sino all' età aragonese, nella cui corte le
virtù di Palmieri di Abbate godono immenso fa-
vore, e gli bau procacciato il posto eminente di
Gran-Siniscalco, e cosi Arrigo tenerello ancora fre-
quenla il regio palazzo, ed allevato coi reali infanti
stringe quasi amicbevole confidenza con Federico
terzogenito di Re Pietro ; talché crescevano gli
anni di Arrigo, e di Federico e in un con essi la fé- ''
deità del primo verso il secondo facea gran passi:
ma Pietro, ed in appresso Alfonso Re di Arago-
na, cpssau di vivere, motivo die Giacomo è chia-
mato ivi a regnare, e Federico in Sicilia, per volere
del genitore in morendo; allorquando il primo im-'
memore di quauto operato aveano i siciliani a prò
della sua stirpe, del decoro di questa, del vespro
e della gloria siciliana immemore, dalle minacce
di Carlo e di Bonifacio intimorito tradisce questa
divota e fedelissima terra e la vende vilmente:
dialoga Palmieri su di ciò con Arrigo e dubita nel
tempo stesso della fede del Lauria , questi il ri-
prende ; tenero oltremodo e pieno di viva carità
patria è il discorso che tiene Arrigo al Principe,
non che la di costui riposta sull' iniquo procedere
di Giacomo; al quale con l'assentimento di Gostan-
za Regina, di Ruggier di Lauria, e di Giovanni
da Procida inviansi legali , i quali trasferitisi in
Barcellona, ed ivi avanzando al baldanzoso Re le
loro petizioni or lo pregano or lo minacciano; ma
14
vano riesce ogni tenia Ilvo , J^olcliè Giacomo ama
meglio ridonar la Sicilia ai superbi angioini, anzi-
ché disgustarsi con Carlo e Bonifazio; quindi i si-
culi messi privi di speme e colmo l'animo di ama-
ra doglienza abbaudonan le coste della Catalogna, e
di lì a poco sono obbligati da Gero turbine a prender
ricovero in Cagliari. Tristi presentimenti agitarono
allora l'animo di Palmieri, difatti in suU'albeggiar
della dimane lasciano Cagliari, e mentre con pro-
spero vento drizzan le prore verso la Sicilia, dieci
galee provenziali, comandate da Roberto di La ve-
na, avversissimo allo svevico ed aragonese sangue,
assaltano le due siciliane che non si potendo difen-
dere son fatte cattive, ed il La vena fa caricar di
ferri Palmieri, perchè pronunzia il nome di Cor-
radino. Ma l'ammiraglio Lauria, che in que' mari
veleggiava, corre al soccorso di esse e rompendo
il nemico navilio restituisce loro la libertà: intanto
un colpo di spada fora il petto dell' indegno La-
vena; Arrigo d' Abbate che ivi si trova è il suo
uccisore; l'ammiraglio riceve con gaudio gli am-
basciatori nella sua nave, e solo com|)iangesi la
mancanza di Santoro Bisala. Arrigo vendicator del-
l'inulto Corradlno appalesa al padre, come egli col
Lauria ivi si ritrovi; con che ha fine il libro primo.
Di grave interesse pria d' ogni altro , nel far
la esamina di questo libro , egli s' è il conoscere
che a malgrado delle ricerche da noi fatte e nelle
Cronologie del Pirri , e nei discorsi su' grandi uf-
fizi della Corona di Sicilia del Villabianca non ci
e stato possibile poter rinvenire il nome di Pal-
mieri di Abbate nel numero dei Grandi Dignitari
del Regno: si rileva da ciò, che Palmieri, sebben
fosse slato distiutissinio personaggio dell'età sua ed
'9^
occupato avesse onorevoli cariche, non fu giammai
investito del grado di Gran-Siniscalco, come il di
Cesare cel dà a divedere. I legati inviati dalla Si-
cilia in Catalogna e che lo Speciale (lib. Il, Cap.
XXII) rammenta, furon tre; l'A. vi aggiunse Pal-
ineri di Abbate. Le note 7, 8, g, io e 11 di-.
chiarauo ciò che trovasi in esso libro di supposto,
e di trasportato: l'invenzione della tempesta è lau-
devole, perchè appoggiata su quanto ne dice lo Spe-
ciale (Cap. s.-* c.°) che per mille pencoli di mare y
cioè quegli ambasciatori fecero in Siqilia ritorno^
e che soltanto Santoro Bisala dai flutti disperso^:
poggiò verso i liti che posseduti erano dagli iiii^
mici e cadde in loro mani.
Apre il libro Secondo l'arrivo in Palermo del-
l'ammiraglio Lauria con le tre navi angioine pri-
gioniere, e quello de' legali, i quali spargono il tri-
ste grido della fatale rinuncia fitta da Giacomo
in persona di Carlo, ed il mal'esito della loro am-
basceria; per ogni dove allora echeggiano le voci
di Benevento di Tagliacozzo, di Manfredi, di Corr
radino, ed Arrigo toccata la patria terra yola to-
sto a Federico, ed a grandi opere lo incita ^ aU
l'arrivo di questi segue quello di Palmieri, dell'ara-
miraglio, e di Blasco d'Alagona nobile catalano, che
sdegnato dell'illegale oprar di Giacomo ne veniva
in Sicilia ad abbracciar la causa di Federico; air-
lora questi vedendosi da ognuno istigato si risolve
a far valere i suoi diritti, e sicuro dell' animo dei
palermitani volea scandagliar quelli de' principali
cittadini dell'isola e precipuamente di Messina, ove
invia Vinciguerra di Palizzi; e di Catania ove si-
gnoreggiando il ricco e potente Virgilio di Scordia
manda Arrigo d'Abbate; incarica di poi l'Alai
200
gona perchè detcriDlnasse in suo favore gli spa-
gnuoii residenti nell'isola, a Pai meri commette di
procurar armi e danari , al Lauria di allestire il
Ila vilio. Mossosi Arrigo per Catania gli annotta pres-
so Centorbi, e ricoverato da un eremita, da costui
apprende , cke nella vicina foresta alloggiava un
fantasma, e tosto Arrigo rammentasi il caso di Gio-
vanni Calcara, che diessi a mentir la persona del-
l'augusto Federico sotto Manfredi Re, e la favola
surta dello spettro, dopo il di costui supplizio : uà
vècchio apparisce di lì a poco, che chiama a no-
me il viandante, senza che questi veduto lo avesse
giammai, è desso Padre Jeronimo il venerando ere-
mita dell'Etna, che un mandato eseguì per divino
volere in vantaggio della Sicilia presso Bonifacio
ottavo, del quale istruisce Arrigo, che albeggiando
ricavalca per Catania: nel passar sotto Centorbi
all'immagine gli si presenta la tristissima ricordanza
di quell'intemerato di Corrado Capece, amico di-
voto della svevica stirpe, il quale ivi rinchiusosi in
una torre con pochi de' suoi, i dritti difese di Cor-^
radino contra l'usurpazione e la tirannide di Carlo,
ed indi vittima di un tradimento perì si*! d' un
palco in Catania: ciò immerge Arrigo in triste le-
targo, da cui ridestasi nelle vicinanze di Paterno
al suono di una campana, che batteva a vespeio;
e nel sentir questo nome. Giunto in Catania al-
herga presso Giovanni Montccatino, visita la piaz-
za ove Capece fu giustiziato, indi il suo avello, e
dimanda di Virgilio di Scoidia ; questo malizioso
ed astuto vecchio presentasi all' Abbate, e covren-
do con r orpello della divota amicizia per Fede-
rico il pernicioso suo carattere, si dichiara avverso
a' Francesi e tutto dedito alla causa di Federico;
201
uno scoppio rliitiona, nel mentre questo malvagio
pronunzia le sue infinte parole, il Catanese im-
pallidisce ma non Arrigo; egli è l'Etna che freme
e che di lì a qualche giorno raddoppiò il suo fu«
rore col mandar fuori gran copia di lava, che mis?
Catania in gran romore e in prossimo periglio :
Arrigo, benché già adempiuto il suo mandato non
volle abbandonar tra le sciagure gli ospiti suoi, e
rimastosi per qualche altro di in quella Città è
predente alla processione con la quale conducono i
catanesi il velo di s. Agata , ed all' arrestamenlo
presso che miracoloso che fece il fiume di fuoco
die sgorgava dalla gran bocca di Mongibello: Nir
colò Speciale ospite anch'esso del Montecatino si
porta ad osservar l' eruzione, e ne fa il racconto.
Mentre tali cose passavansi in Catania il Palizzi
scandagliava i cuori de' Messinesi unitamente al
La uria; or poco dopo l'arrivo di costoro soprav-
vengono in quella città Calamandrano cavalier di
s. Giovanni di Gerusalemme e il vescovo d'Urgel,
i quali immunità assicurano, franchigie, assoluzioni
in nome della santa sede , e mostrano pargamene
in bianco firmate della mano del Pontefice; ma
ne il chiamar con astuzia a Roma Federico e pro-
mettergli in isposa Catarina di Courtnai , ne tal
mandato del Calamandrano e dell'Urgel giovarono
a Bonifacio , poiché ricoltisi suffragi del Vinci-
guerra, del Lauria , di Matteo da Termini, e di
Pietro Ansalone si statuì di far tosto sloggiare i
papali messi , per la qual cosa a questi recatosi
l'Ansalone esprime loro, che i siciliani non nelle
pergamene , ma nelle spade confidano per aver
pace ^ e nel tempo slesso di lasciar tosto la Si-
cilia sotto pena di morte. Eziandio l' Alagona
202
riuscì nel suo impegno, eà i tre legali fallo li tor-
no in Palermo notificano al sovrano il felice suc-
cesso delle loro ambascerie; non esita più Federico
ad accettar la corona, che per diritto gli apparte-
iiea, ma vuol specificato solamente il consenso dal-
l'intera nazione, per lo che un general parlamento
si raguna in Catania, ove a proposta del Lauria vie-
ne il reale infante proclamato Re di Sicilia giusta
l'estrema volontà del padre. Arrigo allora vola in
Palermo e giunge primiero a salutar Re Federico;
quindi gli altri sopravvengono, ed il giorno si de-
stina per lo incorouamenlo, in quel dì la capitale
altamente tripudia, e con la descrizion di queste
pompe ha termine il libro secondo. In mezzo al-
le storiche cose che esso racchiude per lo spesso
se ne incontrano delle ideali, ma che l'azione di
molto ravvivano: in effetti è slorica e trascritta
dallo Speciale (lib. II, cap. XXII) la venuta di
Blasco d'Alagona in Sicilia per difender Federico,
ideali le missioni del Palizzi e dell'Abbate , pei
quali non altro avvi di vero, che il primo si portò
al castello di Caltanissetta per indurre a favor del
novello sovrano Raimondo di Alemagna che ivi
stanziava ; Blasco d' Alagona perorò in favor di
Federico, e à se attirò buona parte degli Spa-
gnuoli, che in Sicilia allor dimoravano, come Spe-
ciale (lib. II, cap. XXIII , e XXV) ci assicu-
ra: Virgilio di Scordia viveva in que' dì in Ca-
tania, e del suo perverso carattere saremo appres-
so a far cenno. Il primo eremita è di assoluta in-
Tenzione, non così il padre Jeronimo, le cui pa»
role sono testualmente tradotte dal Ncocastro(cap.
CXII) nel lungo racconto che fa del suo viaggio
a Roma; la episodica fizionc dello speltro del Cai-
203
cara non è siala da noi Iella in verun sincrono
cronicista. Commendevole ollremodo si è la di-
gressione per Corrado Capece; un cavaliere distin-
to e leale qual ci dipinge l'A. Arrigo di Abbate
dovea senza fallo onorare la memoria di un tanto
Eroe, di cui a sufficienza già dissero e il ch.Tomm.
Gargallo in una lettera indiritta al sommo Arcive-
scovo di Taranto, e Giacinto Agnello nelle sue No-
tizie intorno ad un codice relati<^o all'epoca Sve*
vo-Jn^ioina alla decima annotazione (p. 64, 65),
che ripetuta viene insieme alla lettera tratta da quel
codice, nelle Eflemeridi per la Sicilia (T. 5. nu-
mero i4: P- i4o e seg.). Saba Malaspina (Caruso
Bib. Hist. T. 2, p. 802 e seg.), a malgrado del suo
guelficismo, ci dà un ragguaglio, esalto per quanto
aver si possa di que' tempi, delle cose operate da
questo cavaliere napolitano a prò dello sventurato
Corredino; Bartolommeo di Neocastro (Gap. VII!
XI) ci accenna sin' anco questo prode , e da tali
due coevi scrittori rilevasi a chiare note 1' errore
commesso da tulli quegli storici sì siciliani che stra-
nieri, i qujli confusero Corrado Capece con quello
di Antiochia, e noi ci avvisiamo che il latinizza-
to cognome (Capycius) ha dato luogo a tutte quelle
scorrezioni, in cui caddero il Fazello, il Giannone, il
Caruso, il Villani, il Burigny, volgarizzandolo ora
in Capicio or in Capizzi or in Capucio ora in Ca-
puto, mende che in parte avea chiarito il nostro
Mariano Scasso nelle sue annotazioni ed aggiunte
alla storia generale del Burigny (T. IV. P. I, lib..
Ili); egli è ormai fuor d'ogni dubbio, che colui che
fortiGcossi nel castello di Centorbi, e che in varie
guise, per qualche tempo, travagliò gli Angioini,
sia Stalo noa già Corrado Caputo, rea Capece del
^o4
quale il Malasplna (p. 8o3) ci lia tramariclalo la
descrizione degli iniqui tormenti, e della barbara
morte lattagli soffrire da Guglielmo Eleiidart ini-
quo Vicario di Carlo; nella ci Uà di Centorbi esi-
ste ancora un'antica fabbrica che vieu della di
Corradino. II ritrailo dello Scordia è pennelleg-
giato concordatamente alla storia ; la eruzione è
litleralmente traila dallo Speciale (lib. Vili ,.cap.
II); e per lo Scordia e per tale eruzione bisogna
consultare le note 2, 3, 4 poste in fine di questo
libro.
Il mandato dell' Urgel e del Calamandrano è
rapportato con fedeltà secondo quello che ne scrive
lo Speciale (lib. II , cap. XXIV). Vinciguerra e
Lauria erano difalli in Messina in quel tempo, ed
è degna di esser tramandala ai posteri la nobilis-
sima risposta dell'Anzalone; e il Parlamento, e la
coronazione vengon descritti dallo storico sincrono
(lib. II, cap. XXIII. Lib. Ili, cap.I), ne chiarisco-
no qualche particolarità le note 6, e 7 che seguo-
no il libro. Narrando l'A. le pom{)e del giorno
dello incoronamento di Federigo cita i grandi Uf-
liziali della corona di quel temjio, inloino i quali
giova riflettere, che Giovanni da Procida non fu
giammai mastro-giustiziere , ma gran-cancelliere
creato da Re Pietro immediafamenle dopo il ve-
spro, e mantenuto ancor vecchio per onoranza ia
quella carica dignitosa, fintantoché lasciò la Sicilia
|)er andare a terminare altrove i suoi giorni; il
mastro-giustiziere di que' tempi era Matteo di Ter-
mini, siccome ci dice lo Speciale (lib. IV, cap. IX).
Egli è pur vero che Vinciguerra di Pa lizzi fu gran-
cancelliere, ma non pria del 1299, cioè dietro la
battaglia di Capo Orlando e^lopo la morie, in que*
305
sfa avvenula, di Corrado Lancia che allora lo era.
Ruggiero Lauiia Conte di Malia non paro essere
slato graude-ammiraglio o aliniranfe, imperciocché
il solo Fazello cel dà a divedere por tale, laddove
non viene affatto accennato nelle cronologie del Pirri,
ed appena dal V^illabianca, egli non fu che ainmira-
g!io dei siculi navili. Palmieri di AbLiile non fu, sic-
come dicemmo, mai gran-siniscalco, di quale carica
alla incoronazion di Federico era investito, secondo il
Pini, Manfredi Chiaramente e Profolio j)crsonaggio
di alta progenie, di valoroso animo, di rari talenti, il
quale in quel giorno medesimo prese il titolo di Con-
te di Modica. 11 Vessillario^ tuttoché impiego emi-
nente, non era incluso nel numero dei sette ufiizi delia
Corona, ma andava sempre soggetto al gran-Coa-
teslabile che comandava le aimale, ed esso, giusta
il Vjllabianca, era una onorificenza, che solo scgiia-
lavasi in tem[)0 di guerra, e veniva indossala dal
Gonfaloniere, carica puramente militare fra noi, j^er
li quali due posti non avvi un'esatta cronologia;
onde non sa[)|)iamo con qual fondamento l'A. abbia
investilo di vessillario Giovanni Chiaramonte : lo
slesso possiam ri[)etere del maresciallo o Marescalco
che, per quanto ci fossimo dati a rifruslare, non
abbiam potuto in niun modo rinvenire Blasco di
Alagona elevato a tal dignilà: Manfiedi Maiella,
allor Conte di Cammarala, teneva il grande-uffizio
di gran-Cameraiio o Camerlengo nell'epoca dei
coronamento; ma poco appresso ribellalosi contio il
suo Priricijie, la causa angioina si diede a difende-
re; ma noi ciò non pertanto non deggiarn preteri-
re di largir laudi all'A. per la viva descrizione, che
ei fa di quella felicissima licorrenza.
Ha cominciamt'ulQ il libro terzo con un caldo
2o6
sermone dal nuovo Re pronunziato nella gran sala
di Palazzo alla presenza di tulli i personaggi chia-
mali alla coronazione; tulli gli astanti gli protesta-
no fedeltà, purché «salvi la Sicilia da' suoi tiranni,
e ne conservi illesa la libertà e la gloria, w Esse
chiamano le armi siciliane nel continente, e Fede-
rico alla testa di scelta e poderosa oste, il cui co-
niando afìida al Lauria,si reca in Messina, che viene
scelta per centro di quella spedizione, destinando
Pietro di Salvacoxa sotto il supremo comandante;
Matteo di Termini, Arrigo d'Abbate e Gualtieri
di Scordia a regolar le milizie: Blasco d' Alagona
era stalo anche prescelto ed inviato preventivamen-
te in Calabria, onde riunir le forze: preposti al go-
verno dt'llisola il Vinciguerra e Palmieri d'Abbate,
su dorata galea sfolgoreggiante di porpora lascia il
nuovo Re Messina per andarne in Reggio, da dove
va a campar sotto Squillace, la di cui resa siegue
per opera di Corrado Lancia e di Arrigo d'Abba-
te; ma Gualtieri figlio del perverso Virgilio di Scor-
dia tramava insidie contro il Lauria^ e ad istiga-
zione del padre, che mal sofleriva il buono ascen-
dente, che l'ammiraglio aveasi presso il Principe,
cercava i mezzi tulli d'insospettirlo sulla fede del
Lauria; Arrigo però che ben conoscea, quanto tor-
nerebbe fatale alla Sicilia la perdila di un tanl' uo-
mo, cercava sempre di dissuadere il Monarca da tutti
que' sospetti, co' quali Gualtieri ingombrata avea la
niente di costui. Gli efTetli di colali macchinamen-
ti svilupparonsi in parte nel consiglio militare te-
nuto, onde risolvere chi la prima delle tre città
espugnar si dovea, Catanzaro Cotrone o Santa Se-
verina, che sole nell'ulterior Calabria ergevano an-
cora il vessillo Angioino ; dappoiché 1' avviso del-
307
l'Alagona, di assalir davaull ogni allia Calanzaro,
fu prescelto a quello del Laui'ia, che si dicea do-
versi incominciar da Coirono: di più l'ammiraglio
Lauria, che avea la direzione dell'assalto di Catan-
zaro, semj)re spialo alla sfuggiasca da Gualtieri, era
congiunto in affinità di parentela con Pietro Ruffo
conte di Catanzaro, che ivi comandava e dimandava
una tregua, e di venire a patti; di ciò il Lauria
corre ad informare il Sovrano, che apertamente sulle
prime gli nega ogni grazia pel Ruffo, ed in seguilo
non vi addiviene, che per le calde preghiere di Ar-
rigo d'Abbate e di Corrado Lancia, non senza cruc-
cio del Lauria che poco mancò non abbandonasse
per sempre la regia tenda. L'esempio di Catanza-
ro seguì Pietro di RigibaI Governator di Cotrone,
il quale chiede tregua e di venire a palli, ed anche
ei l'olliene: non altro quindi rimanea, che domar
r alleiigia dell' aicivescovo Lucifero, che comanda-
va Santa Severina; al che fare spontaneamente si
offie Arrigo d'Abbate, il quale vi si porla con po-
chi uomini d'armi, e dopo vari parlari viene intro-
dotto nel castello, ove, invece che sagri sculti o mi-
racolosi dipinti, che alla magion di un ministro del
Dio di pace si addiceano , elmi , corazze , aste ,
celale vi scorge , e profane pinture scender giìi
per le immense pareti, tutte di scherno allo sve-
vico sangue, siccome il disollerramento di Manfre-
di, la proditoria consegna di Corradino in Astura ,
e il regicidio che vi tenne dietro, il supplizio di
Corrado Capece; ed in mezzo a queste le cfligie
a naturale grandezza si distinguevano del Pigna-
tclli, di Giuda Frangipane, di Roberto di Bari ,
e di Guglielmo Etendart. Comparisce di lì a poco
l'arcivescovo, ed all'Abbate dirizza aspre inveltive,
:208
il quale ralloiieiiclo Taiclor suo Consuelo con dignl-
losc niiii.Tccc, e con risolute paiole a quell'altero
risj)0iic]e , del che Lucifero sgouientatosi viene a
trattato, e Santa Severina è occupata da lì a qual-
che giorno dalle siciliane legioni ; intanto Rocca
Imperiale riceve nuovi soccorsi per opera df'll'Ab-
bale; Rossano, Otranto, Lecce, Brindisi si rendono,
in quest'ultima città il Lauria fa prodigi di valo-
re, e le armi di Federico progrediscono per ogni
dove con felice successo. Frattanto Re Jacopo in-
vialo avea in Palermo Fra Pietro Corbelles dome-
nicano in qualità di messo affin di dichiarare al
fratello »che il Pontefice avealo costituito vessilla-
rio, ammiraglio e capitan generale della sacrosan-
ta madre Chiesa Romana , che gli avea dato lo
special mandato di comporlo con essa in pace per-
petua, che perciò invilavalo ad un abboccamento
presso l'isola dlschia, e se ricusava intimavalo a
guerra w. Il monarca siciliano, subilo che conobbe
l'arrivo in Palermo di costui, lascialo l'Alagona,
e l'Abbate in Calabria corse nella capitale, molto
più ch'era arrivalo a sua conoscenza, che Jacopo
mossosi da Barcellona se n'era venuto in Roma eoa
forte drappello di guerrieri per aver l'assenso papa-
le, onde scacciar lui dal trono. Federigo chiamò tosto
a consiglio i suoi, sulla risposta da darò all'arago-
nese legato; Lauria, che ricevute avea segrete lette-
re di Jacojio, avvisavasi che il Re dovesse andare
all'invito del germano, al quale avviso facean eco
il Procida e il Maiella, mentre e Matteo di Ter-
mini, e Vinciguerra di Palizzi e Corrado Lancia,
e Palmieri di Abbate, e Manfredi Chiaramonte ,
ed Ugone di Ampurias, e Gualtieri di Scordia di-
cevano indecorosa, pusiliauimc, pericolosa l'andata
del Re, 11 quale appigliatosi a questo parere , ac-
comiata il legato. Jacopo intanto avea stabilito ia
Roma le nozze della germana Jolanda con Rober-
to Duca di Calabria, e ne avea scritto alla madre
in Palermo, the palesato ciò a Federico si prepara
a lasciar questa ciuà accomjjagnata dal Lauria, e
dal Precida. Ma l'armonìa tra il Principe e l'Atn-
miraglio, clie parca essersi ristabilita, non fu di mol-
to durevole, e un novello caso finì di spezzarla, Fe-
derico tiene un giorno un convito, in cui il secondo
non interviene, perchè rimasto a presiedere a ta-
luni lavori del suo mestiere: l'iniquo Gualtieri di
Scord ia coglie quel punto, onde insospettire novel-
lamente il Sovrano; del che l'Ammiraglio segreta-
niente avvertito corre rapidamente alla Reggia ia
sordide vestimenta tal quale Irovavasi all' arsenale,
ed alla presenza islessa del Monarca scaglia le più
amare ram[)0gne conlro lo Scordia e i nemici suoi
tulli : perlochè quegli forte lo rimprovera ed ei
abbandona la corle e ritirasi nella sua terra di Ca-
stiglione: da dove dal Sovrano richiamato a pre-
ghiere della Regina, del Procida, dell'Abbate, dei
Palizzi, del Lancia, non ritorna che per bentosto
ripartire alla volta d' Ostia con Costanza , e con
Jolanda, partenza che chiude la narraiiione del ter-
zo libro. Il discorso che leggesi nel princi[)io del
libro è tolto in parte dal lo Speciale (lib.lll, cap.
]I) ma non interamente come l'A. avrebbe dovuto
fare, e come ei fa altre volle, affin di conservare vie
più i costumi e la maniera di arringare dei tem-
pi, e parimente non dovea soltanto accennare l'ar-
rivo in Messina del Re , ma seguir più da vici-
no lo Speciale (lib. Ili, cap. Ili ) e dar contezza
del lusso, che in quella occasione sfoggiarono i Mcs-
3l6
sinesi, elicendo, con esso lui, jj die la turba dei no-
bili negli addobbaineiili dei cavalli e nelle loro ve-
sti, non tenea dietro a quelli, che usavano i Ro-
mani neir indossare la consolar dignità , e che gli
abiti serici e preziosi delle vergini e delle matro-
ne non poleano esser superate ne da quelle di Es-
ter Regina degli Ebrei, d'Elena trojana, o di'Dido-
ne di Cartagine.» In questo libro rimarcansi d'ideale
tutte le operazioni di Arrigo , ideale essendo lo
stesso personaggio; e di fatto la resa di Santa Se-
teriua si esegui per Blasco d'Alagona. La descri-
zione del castello dell'Arcivescovo Lucifero è im-
maginaria del tutto; sono storiche le dissensioni irà
Federico e il Lauria per cui lo Speciale (lib.III,
cap.XVlIj e XIX) adduce varie cagioni, ma quella;
che decise costui a rilirarsi in Castiglione sua ter-
ra, fu causala dalla scoverla di talune lettere a lui
indirille da Re Jacopo ; da quel dì 1' Ammiraglio
dichiarossi avverso ai Siciliani ed a Federico, ed
imbarcatosi con Costanza, Jolanda e Procida, il qua-
le non rinvenne mai più, passò a militare per Jacopo
sotto le bandiere Aragonesi. La venuta del Lauria
in sordide vesti fu alla corte di Jacopo e non di
Federico, come l'A. avverte alla nota t3, il che
rapporta Bartolomeo di Neocastro al cap. CX. In
ultimo è da osservare che Gualtieri di Scordia uoa
e in verua punto menzionato dalla Storia.
(Sarà continuato).
P.° Lasjìa P^ di Scordia*
311
RIVISTA BIBLIOGRAFICA DI MEDICINA E CHIRURGIA
! . Giornale Clinico dello Spedale grande e nuo-
vo di Palermo^ diretto dal dott. Pietro Po-
LARA — presso Salvadore Barcellona, fase. III.
Jt^oichè di qucslo Giornale qualche cenno si è
fallo in quello di Scienze e Lettere per la Sicilia^
ed ultimamenle in un Prospetto sulla storia delC
accademia latrojìsica di Palermo^ così piace aa-
clìe a noi di Ictierue proposito nella presente rivista.
Al fascicolo summenlovalo dà principio una me-
moria sul tetano. L'A. traila con qualche erudi-
zione l'assunto, ma nel medesimo tempo con me-
diocre disceinimento. Parlando di passaggio delle
cause e dei sintomi di questa maialila , suo prin-
cipale scopo si è quello di fermai-si con particola-
rità nella cura. Avea egli trattalo il tetano colf op-
pio , coi salassi generali e con le deplezioni ca-
pillari non esclusi purganti ed altri mezzi infiniti;
ma furon sempre infelici i successi , per cui erasi
determinato di abbandonare gl'infermi alla natura.
Quando w reduce dagli sludi medico-cerusici So-
>i craie, suo figlio, lo avvisò di averlo veduto feli-
» cernente curare in Napoli sotto l'uso del mercurio
>j a grandi dosi, praticato in forma di unzione»:
una tal notizia lo incoraggiò e col riandare i buoni
effetti del mercurio nelle opzioni nervose^ ebbe in
mira d'impiegarlo anco nel tetano. Lo prescrisse di-
fatti, e con cinque osservazioni, siccome diccsi, cow-
312
])ilale dal secondo medico D. Jntonio JgalbafOìj
soggello commendevole pella di lui assistenza e pe-
riziai tra le quali la prima appartiene ad un'in-
dividuo die avea S) (Te ito mal venereo^ e la terza
ad Wiì idrofobo ^ stabilisce essere il mercurio il rime-
dio che possa allontanare il tetano. Anzi aggiunge
die don Bia^gio Caruso «savio medico secondo in
qui^slo slesso spedale >3 animalo dalle di lui osser-
vazioni ha impiegalo il mercurio nelle convulsioni
Ajilira Janna; ossia per la guarigione di non pochi
epilctlici , e conchiude perciò «onde risolversi i
medici a praticare il mercurio nelle convulsioni, so-
pralutlo dove inutili hanno riuscito gli altri ri-
medi i ».
Dovendo noi giudicare in appresso le osseri>azioni
del doli. Pidone pubblicale non ha guari sull'e-
sposta materia, lasciamo per ora alla contemplazione
dei sa""i le ultime due sentenze del clinico Di-
rettore.
Seguono la memoria poche idee di risposta so-
pra la storia i .^ del fascicolo 2.° e sulla scoverta
del corjìicino nel testicolo umano. Con esse primie-
ramente intende l'A. difendere in brevi linee par-
te di quegli errori che nel n.° 3.° pag. 171 del
Giornale slcolo delle scienze mediche furono a
suiTicienza rilevati. Intorno alle prime noi non
troviamo che oslinalezza negli stessi pensamenti e
nelle medesime indicazioni , e riguardiamo come
insufficienti sul relltf senso della medica filosofia e
della vera osservazione quelle autorità ch'egli com-
bina a suo modo; mentre a di lui intelligenza non
possiamo dispensarci dal dire, che il principio anti-
logico di contraddizione nel ragionamento e nel fatto,
non può sostenersi che con novelle conlraddizijni;
:ii3
Iti riguardo al corplcino, che si deve ripetere da
Morgagni^ cos'i la discorre we chi mai niega a que-
sto immortale fondatore della nolomia patologica
dopo Bonnet di averlo accennato?» Si ammira ia
questi detti l'ingenuità colla quale il Direttore ha
reso giustizia al signor Lolga. Però ci sembra af-
fatto inutile e puerile quella enfatica dimanda colla
quale rimprovera i cattedratici (cerlsLmenle di tut-
to il mondo) per aver taciuto sinora ai loro allie-
vi il corpicino. Su tal materia tuttavia aspettiamo
la promessa memoria che da più anni tarda an-
cora a veder la luce , ed allora saranno forse me-
glio ammaestrati tutti i cattedratici{i).
Dopo la memoria sul tetano si presenta un ca-
talogo del gabinetto patologico formato dal dott.
Socrate Polara , custode dello stesso , e noi ag-
giungiamo: fondato e promosso in sin dal 1826
dal professore Gorgone{2). I pochi oggetti che vi
si osservano non son tutti di anatomia patologi-
ca, e nei pezzi morbosi non rileviamo la conve-
niente scelta; anzi alcuni di essi ci senobrano di
nessun prolìlto. Imperciocché allorquando un ga-
binetto patologico si vuol formare non bisogna e-
slrarre ciecamente e conservare tutto ciò che di
morboso nei cadaveri si ritrova, e che giornalmente
può cadere sotto gli occhi degli studiosi i quali as-
sistono alle dissezioni per istruirsi , ma piuttosto
quei pezzi deggiono prepararsi che nella maggior
parte dei casi difficilmente si scontrano; per cui il
(i) Molto veramente ci duole come l'Oiservatore medico Napo'
Ulano ed il BuUetin dcs sciences médicales, annunziando questa
scovcrta non vi facessero delle riflessioni in contrario quasiché
in Napoli ed in Parigi pocliissiino s' intendesse in affari di ana-
tomia.
(i) Ved. il u, 1. del citato Giornale Sicolo ec in nota.
i5
2l4
testicolo con irlrocelóf le diverse glandole ìngui-
ìiali, una concicatrice^ le tenie, il polmone di gio-
vane straordinariamente /uliginoso , ed al Ire simili
collezioni che nel catalogo leggiamo , iimtilmenle
ed a spese superflue si cuslodiscono. Non si ac-
cenna , ciò che molto imporla , se ciascun pez-
zo sia corredato della convenevole istoria; menlre-
chè nel caso diverso la raccolta si renderebbe di
semplice ostentazione. Quantunque poi si tratti di
un elenco e non già di un'ese^tla descrizione (mi-
glior forma a scegliere per esporsi agli occhi del
pubblico) , pure spesso vi si manca di nomencla-
tura anatomica, come p. e. si scorge nell' espres-
sione cmw/o coìt carie della mandibola destra e
guancia corrispondente (1).^ e ntWahia fìbula con
esostosi al condilo inferiore (2); e quel che è più
alcuni pezzi fanno dubitare della loro esistenza co-
me i Jeti a contare dalla prima settimana e 1'
embrione di pochi giorni dentro la sua placenta
aperta. Del resto di tant'altre inesattezze ed iuu-
-lililà a questo catalogo appartenenti noi non amia-
mo pur troppo trattenerci perchè cose di poco in-
teresse.
(1) E qui (?a osservare i,* clic le mandiliote superiori non so-
no ossa del cranio ma della faccia, ed essendovi molla difTeien/a
tra cranio e faccia dovea adoperarsi la parola generica testa:
2. che la guancia propriamente delta non è stata mai considerata
^ual osso del corpo umano, m» indica semplicemente la regione ,
e perciò poteva dirsi ai piìi osso della guancia, cLe in altri ter-
mini corrisponde al zigomatico malare.
(a) INon si chiama com£/(7o l' estremità inferiore o tnrsiana del-
la fìbula, poicliè non ha i caratteri di quelle apofisi che son più
larghe nell'ano che negli altri semi.
2l5
3. Secondo rapporto delle osser\>azioni particolari
notate nella clinica chirurgica di Giovanni Gor-
gone , diretto air accademia medico-chirurgica
di Napoli — Palertuo stamperia Pedone e Mura-
tori i833, in 8.''
-tMl !•;;,
Se le fatiche scientifico-letterarie son sicuro argo-
mento della vaglia e del merito di chi le produce,
noi con effetto non possiam non trovare in questo
rapporto che cinque difficili operazioni racchiude:
1 .a cioè di strignimento totale dell'uretra con fisto-
le al perineo, 2.^ di trascurata fistola all'ano con
profondi seni per infiltro sottocutaneo e con parti-
colari e significanti durezze, 3.^ di litotomia col
metodo di Dubois in donna quasi consunta e nei
primi mesi di sua gravidanza senza che per ciò
sia accaduto l'abborto, 4-^ di enorme tumor can-
cerroso ad una mammella, esulcerato e grondante
fetidissima sanie , 5.* in fine di tumor cancerroso
al petto Seguita dalla pei'dita dell' inferma per ac-
cidente inaspettato ed estraneo all'operazione me-
desima; non possiam trovare, diciamo, se non
quel pieno possesso, in cui trovasi l'Autore, delle
più solide ed estese conoscenze chirurgiche, e queU
i' abilità tutta propria, per cui si distingue nelle
più ardue operazioni dell'alta chirurgia. Possa dun-
que Sicilia pei lavori di lui, e di tutti altri bravi
chirurghi , vendicarsi una volta degli oltraggi degli
stranieri, che sterile e neghittosa han supposta fra
nói questa branca la più interessante dell'arte sa-
lutare !
2l6
3. apologia (iella cura delhdtima malati ia della
signora G. M. C. scrìtta dal doti. R. Pugliese
da Scordia in maggio i832. Catania j)er Giu-
seppe Pappalardo stampatore-libraio , in 8.**
Rocco Pugliese e nel vai di Nolo uno dei me-
dici in onore alla patria ed all'arte, che con tanta
esattezza ei professa. Trovatosi in circostanza di
legitimare la sua condotta appo gl'inesperti delle me-
diche discipline, bisognò egli vergare questa memo-
ria, la quale altronde offre un caso particolare com-
plicato in cui tutta suole ammirarsi l'abilità e la
destrezza di chi ne imprende la cura. Contenti no-
di ravvisare in donna pletorica e polisarcica mali
menata dai penosi travagli di i5 parti non inter-
rotti un gruppo di flemmasie croniche dei visceri
addominali con ingrossamenti epalo-lienosi , con-
vertite a nostro avviso in acuta metri te, non pos-
siamo non compartire la giusta laude all' A. per
aver diretta filosoficamente la cura or secondo la
piega del male , ed ora giusta le circostanze del-
l'ammalata. Calzano poi molto bene all'assunto le
cognizioni pratiche delle quali è fregiata VJpolo-
già, e possono servir di modello a coloro che tra-
sportali sino all'entusiasmo per la boccheggiante
dottrina Jìsiologica^ troverebbero in esse, al pari
che in altre mille produzioni le quali ci vengono
in giornata dalle sponde del Senna , di che cor-
reggere e moderare i generalizzali principii del di
loro maestro.
217
4- Sa i caiti\>i effetti del mercurio nelle mcdat-
tie nervose e particolarmente nel tetano ^ os-
servazioni di Giuseppe P(done; Palermo dal-
la tipografia dì Filippo Solli i833 in 8.*^
E veramente frenesia sistematica il voler gna-
riie le inalaltie nervose ed il telano coll'unguento
mercurio o colle preparazioni di un lai metallo.
Questa verità fondamentale in sana teoria ed in
buona ed ottima pratica, lia richiamala l'attenzione
dell'Autore, il quale d'altronde presente a qualche
tristo avvenimento nella clinica medica di questo
Spedale grande, non volle più tacersi di un ab-
buso COSI micidiale, e riunendo ciò che all'uoj)!)
trovasi sparso nelle pili accreditate opere e di an-
tichi e di moderni scrittori , esaminando poi con
giudizio le osservazioni registrate nel Giornale di
detta clinica, ha quasi ad evidenza chiarito l'erro-
re in cui son taluni dei nostri vecchi dottori ca-
duti, seguendo essi nella pratica loro un metodo ban-
dito oramai dalle sale cliniche di Europa le più
rinomate.
Per qneste vedute quindi le osservazioni dell'A.
son degne veramente di commendazione e di sli-
ma, e noi ci auguriamo che avendo egli non ìix
guari recitata nell'Accademia delle Scienze e balle
lettere di questa capitale una seconda memoria al-
l'assunto^ voglia farla in breve di pubblico drillo
onde compiotare perfettamente un lavoro, da cui
non altro che bene immenso può derivare all'u-
luauilà languente ed inferma.
ai8
5. Prospello della storia dell' Jccademia Jatro^
fisica di Palermo ora detta delle scienze medi-
die , col primo rapporto dei travagli da giu-
gno i83i, a dicembre iSSz, di Jndrea Bar-
BACCi Segretario perpetuo^ Palermo i833 presso
Salvadore Barcellona io 8.®
Questo libro non è certamente la più buona e
migliore produzione di un Segretarie perpetuo; ìm-
perciochè di tante omissioni ed inesattezze è ri-
pieno che dovrebbe l'Accademia richiamar le copie
già sparse e commetterne ad un Comitato la for-
mazione onde a questo modo serbare intatta la
propria fama.(i).
G. B. G. e G. A.
(i) V. il Giornale di Scienze Ut Cere ed arti per la Sieilia ,
Marzo i833 pag. i83 g seg,
2ig
E STRANIERA
ji S. E. ilsig. D. Tommaso Gargallo Marche-
se di Castelleniìni
Il prof. Giuseppe BAnBiÉRi(i).
^^uanle volle, Gargallo, uman pensiero
Si [igura dolcezze, e le colora
Dimrnagini ridenti, e solo un fiato
D'avvèrsa aura le sperde! A noi speranza
Lungo prometter suole, e attender corto.
(i) Il eh. Mar. Tommaso G.irgallo, tenero sempre, e fervido
piomolort delle buone lettere in Siciliti, matsolferiva che qucsi*
hella capitale fosse la sola tra le italiche tutte defraudata ilell'c-
loqiientissima voce del sacro datore Giuseppe Barbieri; voce che
avrebbe dato, direni così, una «cessa elettrica alla fervida gioven-
tù siciliana nell'ardua carriera degli studi. Quanl'egli si fosse a-
dopcrato perchè i RR. PP. Olivetani l'invitassero a risalire quel
]iergaino, donde il Battoli un giorno fulminava il vizio con le più
belle nianierc dell'italiana favella; e qnal modo e' tenuto avesse
nello spingeie il novello oratore a predicar la quaresima del
1834. lungo sarebbe il narrare. Aggiogneremo solamente che il
Mar. Gargallo lieto in suo cuore dell'onorala impresa e rifletten-
do che in quel torno troverebbesi in Napoli, si proponca entra-
re iiuova'mente in viaggio, accompagnare per la strada di Reggio
l'illustre amico , tragettare il i)icciol trailo di mare sino a Mes-
sina, donde poi a Palermo, scorrendo, ed osservando il lato scl<<
leiilrionale della più classica, ed insieme della più sfurltinatà terra
Bella per del beni {•no, e suol fecondo
Bella fra quante 'T mar isole chiude
. Sfortunat.i sì; l'idea di questa bella speranza è ^ià svanita. Noi
« perchè ci siain proposti infiorare i nostri fascicoli d'alcuu 110-
yello compouiin«atO iluliaio , e perché s'abbiano inoltre i due
vSul voltar di quest'anno io mi creclea
Tiagillar le sicane onde, e con Icco
La Irequente d'ingegni e di commerci
Paiiormo entrar; della Trinacria terra,
Beila j)er Ciel benigno, e suol fecondo,
Bella ira (jnanle il mar Isole chiude,
Reggia dell'alma Cerere, con leco
Le di natura e d'avle opre stupende,
Pellegrino devoto ir visitando:
Teco da' sassi di vetuste moli ,
Di Teatri, di Fori e d'Archi, e Templi
Greche faville suscitar, e greche
Tra le valli, su' poggi, e lungo i rivi
Aure s[)irar, i numeri soavi
Delle avene sicelidi beendo;
E- leco, anima forte, in su le penne
Di quel pensier, che al Venosino fonte
Armasti di virtù; le andate cose
Richiamando, beati ozi, beale
Sposar vigilie aLsuon della tua Lira.
Che illustri monumenti, alle memorie
Di Cilladi, e di Regni Ella rinserra,
La Patria, che di te fai così lieta;
E belle furo, ed onorate, e grandi
Selinunle, Segesta, ed Acragante,
E quella invano da tremendi ingegni
Del briarèo Geometra difesa ,
chiarissimi Pcrsonaj>gi quasi una discolpa presso il Pubblica, ri'»
portiamo l'elegante epistola, con la quale il concilliidino ed alunna-^
del Cesarolli rivolgendosi al Poeta siciliano intende sciogliersi
soleiinenionle dell'; mpc;;no.
Ma Insogna p;ir a coiiFeisare che non sappiamo con quanto hantx
augurio il B.iibieri si possa dite che malico duneto per iiii3. gli contende t'airar /x-Va' « ni tri un
Meii8J4.Mi'glio dircm) esser questo un onoralo prclcslo con ch«
tgli avvisò sfuggire qiiulolie di-^3U'lo»o incontro d" iaJUciela
j>ci son4.
22t
Cli'oi-fl son poca polve, ora son erba,
Ai malinconici clcgi argomento
Di Gerniaiiifo vale, a tua mercede,
D'Italica e iDiclior veste donali.
O
Ma Siracusa pur vive e risplende
Nelle carte di Lui, clic generoso
Fu di sue glorie amico, egida invitta
Di sue ragion, Tullio che primo e sommo
Fra quanti Grecia e Roma ornaro ingegni
Primo e sovrano, maraviglio ed amo.
F.d io, che tratto il suo volume, ed io
Che irato a noslri, volenlier in'indietro
A' tcmiM, che già fui'o, e che Reina
Per qr.aiile spiagge l'Appennino adombra,
DairAlpt; al doppio mar l'Italia iDadrc
Slendca lo scettro; oli! come avrei con teco
Le greche carte, e le latine, a dolce
Sfogamcnto del cor, volle e gustate!
E quindi forse n miei sudati inchiostri
Nova potenza, e novo lume infuso;
Onde le mie parole a que' cortesi.
Che di racconie il suono cran pur vaghi,
Da più allo sarebbero scoccate.
Frali pensici! Vane speranze! Iniquo
Morbo ni'assalse, e medico divieto
iSFi contende varcar poggi, e marine
Onde solcar, lungo cammino; e vuoimi
Presso a' miei focolari e parco inoltre
M'esca del labro il favellar solenne
Dalle sacre tribune. Udisti Amico?
Questa legge di Coo mi fu bandita,
Quando all'Olona in riva il popol folto
S'apparecchiava d'ascoltarmi, e inlauto
Muto dal muto perg.-tmo tornava;
31 33.
Che me la i/mma (il fisico srtcro
Cosi iubt'iito) m'ycco^lioii, di saiij;iie
Fallo c;ià scciwo e delle forze emmi'o.
Cile più dunque mi resta? Obbligo demo,
Se della fé jìur data egli m' è forza
Dissacrarmi, t':\vrò; che sempre In core
Le lue profcrle^ e degli amici tuoi
Mi vivranno le brame: obbligo eterno
A Te, che amor delle Camene, e frcgiu
Del bel paese, dove il sì risuona,
A Te, che laigo de' tuoi doni, e caldo
Di quel sol, che l'alluma, e che sfavilla
Pui: ne' tuoi detli, me cercasti ignoto
Alle sicule terre, e a me porgesli
La destra d'amislade. Obbligo eterno
Meco t'avrà d'Antenore la sede.
Che cittadino m'adollava e figlio,
Se l'onor, che m'acquisti, in Lei ritorna.
ÌSh dunque più ci rivedremo? Ahi cessi
Così nefasto augurio il Cicl pietoso;
Ch'anzi vederti un giorno, ed abbracciarti,
E come sia, Un- paghi anche i tuoi voli,
A stagion più felice, io mi confido,
Quest' è il conforto, clie m'avanza; questa
Fia la corona del mio tardo aringo,
EFFEMERIDI
SCIENTIFICHE E LETTERARIE
PER
LA SICILIA
"* ' * --.Kj! Jyi'
^cuano i833 f'" ' * "
>«. u_j'-^'' t'
Memorie inedite dell'ab. Paolo B4LS4M0^., \
Memoria. VI.
7/ rimuovere gV inconvenienti additati nelle pre-
cedenti memorie basta per migliorare V agricol-
tura della Sicilia; e a questo effetto le leggi
coattive circa i buoni metodi di cultura sono
inutili anzi, nocive.
*5iccOME a formar grandi e orgogliosi fiumi con-
corrono aoclie le acque di piccoli rivi; cosi a ren-
dere poco prosperevoli le arti di uno stato pure vi
contribuiscono que' politici disordipi i quali sepa-
ratamente riguardati aacorchè poco rilevanti coiu-
i6
224
parjscano, i^^dfi^^'j^^cf iJlifitdlfTilfift^ un oggetto
formano di quafclùi* importanza. Là qual cosa io
dico, ^avi^ qortiià, ^or^omi,.a, tale giqtendi^^nto
pèi%»l 4:(Jrt<*?plr possiate che àó^ó (^lìefle CóSè che
con semplicità e candore villereccio vi ho esposte
ne' passati ragionamenti , altre cagioni di minor
momento mi ri mjkjielpbfcrò od .'addi larvi dello stato
poco felice dell'agricoltura delle nostre fertilissime
campagne." tnTpe"rlàiÌfò7 benché dir non si potesse
compiuto e pienamente esausto il tema delle lezio-
ni accademiche^delv discorrente aijiK), credo di noa
dover su tale articolo spinger più oltre le nostre
accademiche ricerche; conciossiacosaché son persua-
so che le prini^irie ^m^ pfitìssi^li^ ^ijqrige^^ di un
tanto mÀÌelii.^À^cla ÉoJù iness6 Iniknti h svilup-
j>ate; e tengo per fermo che a render fiorente l'a-
gronomia di queste belle e fortunate contrade ba-
sta il rimuover queste, cpu far che si difron4a e
fosse ^fciiàhiénté'sibura là proprietà degli Stabili' del
suolo, che fossero rispettabili l'arte cultivatrice e i
cultivatori, che fosse inviolabile e il più lungo pos-
sibile il. termine ^cgli affitti, e soprattutto, per noa
ripetere .il già detto, che i fràtti' della terrà non al-
trimV'trti che: i prodbhi d'industria d'ogni mànibra
lifceramòritè tirèuFassero nell'interno del ìeguò, e bo-
sì al cK dentro 'come al di fuoi'i, tanto per li prezzi
come per lo modo, con perfetta lib^i'tà si 'smer-
ciassero, e con nessun'altra norma o regolamento
di quello che seco porta il naturai corso del co
mefzió'c U bisogno 'e Irt' concorrenza de* '^fój^
coii'ciiltadini e delle straniere haziorri. Ma qui sento*
rc'priyàPnlisi da takmi die fcdiil'fiitti provvediinehtì'
l)cr lo ltlVgliòr.lhiehto.ddllà' pùtrià agriciultui'a sòilo
pnramétìfté negativi ^ ciré' ìst>tiMa mi sì obbietterà forsey che sema questo di'-
vieto la nostra agricoltura languirebbe, attesoché
gli abitanti della Crimea possono a molto miglior
mercato che noi Vértdere questo cereale; quindi più
terreni resterebbero incolti, più propietarì perde-
rebbero lai rendita, più capitali rimarrebbero ili-
fruttiferi,' e più braccia seiiza travaglio. Io coiii-
jJi'endo, o Soci,' 'che il nòstro savio Governo, ri^-
fi utundo l*ingre&so ài frumenti stranieri, non ebbe
ne j)Otè avere altro nell'anima), che il maggior pos-
sibile bene dei-suoi governati. E chi mai può du-
bitarne? iria Ojbi^ho sì 'Cotesto maggior bene à' nói
non derivatq dall'assoluto divieto. Ponete in fatti
(e riduciiam litì còse all'estremo) che si renda libe-
rissimo l'esternò commercio, e siffattamente, che
nìtiti datìò grarviti iu i grani dell'estero, sarebbe
jtet questo rjovinjatà 'Irf Siciiia? lo credo mai tao;
tìòntcn^ttj'clte'tiotrtrò i quali coltivano a frumento i
lórlétrtiniim gualche detriofiénto, e forse non lieve^
in sulle' prime ne patirebbero; ma egli sarebbe am-
piamente ricompensato, é'dal- vantaggio che tor-^
lierebbe ai consurtiatòri, e perciò all'intera nazióne
iu comprando questo prodotto a miglior mert^to,"
e dall'utilità che ne seguirebbe ai produttori, di-
stornando l'impiego di ìor capitale ed industria eia
un' prodotto che dà poco protitlo, ad un altro, che
nò darebbe loro uno maggiore. Non è di mestieri
che io addici' C!(Jtesto prodotto; il territorio della Si-
238 ^
cilia è SI esteso e ferace, die basta appena soìlér
citarlo col nostro travaglio per arricchirci di ogni
specie di pianta, che vuoisi destinare alla nostra
sussistenza, alle arti primitive, o a quelle di lusso;
e noi or le une or le altre dobbianoo ricoglierne,
secondo il maggiore o minor guadagno, che possa
provenircene, avuto rispetto alle spese ed al loro
prezzo corrente. , ,
Ne è da temere, che mancheremmo perciò del
frumento cotanto necessario al viver nostro; imper-
ciocché una nazione la quale abbonda di altri pro-
dotti acconci all'indole del clima, del terreno, ed
alla quantità dei capitali suoi, quante volte il com-
mercio non sia incagliato, non può mancare dei
generi che servono al viver suo, di che lucida prOi-
va ci fornisce l'Olanda, la quale non scarseggia di
grano, abbenchè il suo territorio sia sterile e ri-
strettissimo. Tutto il punto in fatto di ricchezze
non si sta, che nel saper tirare dai capitali, dall'in-
dustria, e dagli agenti della natura il maggior pos-
sibile profitto; perciocché allora soltanto possono fi-
nalmente accrescersi i capitali medesimi ed in tau-
ta copia, da potere non solo far prosperare l'agrir
coltura, ma ben anco far nascere senza stento come
spontanee, e crescere rigogliose e robuste le raaui-
fatture ; ma ciò non si ottiene, io (lo, ripeto^, cUq
coU'istruzione e la libertà. .. .. ,^,,,,1 ■ ■■'•. Mas-i>"
Finora ho tirato le cose all'estremo, passando da
un divieto assoluto alla maggior libertà mercantile;
ma debbo confessare, per amore del vero, che per
cotal mutamento di cose, molti proprietari ed agri-
coltori grave danno verrebbero a sentire. Un er-
rore in economia politica ne trae djetro se mille,y
ed una volta che il male si è fatto, ed ha estero
sue venefiche radici, e ben difficile che si guarisca.
Nulla di manco tra questi due estremi, tra la li-
bertà, cioè a dire, e la proibizione assoluta, io sce-
glierei per ora la via di mezzo, ed ecco ad esporvi
la mia idea, affin di rassegnarla al Governo, qua-
lora Tosse a voi di aggradimento.
Io so pur troppo esser cosa assai difficile il vin-
cere le vecchie costumanze, e massime quelle de-
gli agricoltori; non ignoro il grano essere la pro-
duzione prediletta, alla cui coltura, una gran par-
te del territorio siculo si destina; convengo colai
produzione non potersi per ora avventurare alla
libera concorrenza degli stranieri , ma dobbiamo
perciò privarci del loro commercio? No; che il
rimedio sarebbe allora peggiore del male; e quindi
l)er ottenere l'uno e l'altro intento, io son d'avviso
doversi pregare il Governo, acciocché imponga uà
dazio non maggiore di oncia una per ogni salma
di grano. Non credete per questo, che io voglia
menar vanto di cotal mio pensamento, e di cre-
derlo come il miglior espediente da far fiorire l'in-
dustria; ma lusingonii ch'egli sia alquanto accon-
cio alle nostre circostanze. Pur tuttavia, cosi co-
me ho potuto abbozzarlo, il sommetto ai vostri
superiori luuii ; correggetelo dunque , fatene anco
un altro migliore, ed a nome della Sicilia inoltra-
telo al Governo; ma allreltatevi, che il tempo ne
stringe, ed il male imperversa.
«7
2^0
Sa di un tro\mto di Emmanuele Grasso Naso Pit-
tore d'Jci Reale per dipingere a fresco sopra
tavola o tela: Lezione di Lionardo f^iGo prò-
ììunciaia nella tornata pubblica ordinaria del-
V^ccadentia di Scienze Lettere ed Jrti de Ze-
lanti d' A ci- Reale addì 1 4 marzo i833.
Signor Presidente, Colleghi fondatori
Sono cent'anni compiuti oramai (1732 i833) da
elle Paolo Vasta reduce da Roma rialzando le arti
del disegno, e precipuamente quella del dipingere
a fresco, sostenne altissima la rinomanza di questa
nostra terra diletta, e per la eccellenza di lui, e
perchè in Messina e in Palermo erano mancate le
scuole di Scilla e Barb«lun<^a, e de' discepoli del
Novelli; qui convennero da tutta Sicilia i giovani
ad apparare le arti ingenue, che ripatriando fe-
cero rifiorire dappoi per tutta l'isola e sin anco iu
P.tlermo per opera del Conte D'Anna (i). Ivi di-
poi per mano del Martorana, di Ungo de Vela-
sco, dello comiHiemente il Velasquts, del Riolo,
e per fine del divino Giuseppe Patania, che so-
pra tutti coni aquila vola^ prosperò, si difliise, e
mantiene, mentre in Aci-Reale si cstinse, e forse
in perpetuo, la soavissima arte della pittura, e solo
abbiamo la reminescenza e la vergogna della lama
del passato della nullità del piesente: poiché quel
meriggio era qui comparso come boreale aurora,
(i) Memorie storiche di Pietro-Paolo Vasta pittore d'Aci-Reale:
Palermo dalla heale Stamperia ib2^, pag. 6, ^, 8, ^.
2^1
che imporpora la mezza notte, non dalla sapienza
e civiltà comune ingeuevato; ma dalla solerzia po-
tentissima della mente di un solo, e al suo vespe-
rare ritornammo nell'antica tenebra, come la terra
se le fallisse il sole di botto. L'utile che arreca un
sol uomo sarà ognor momentaneo se non perviene
a sbandire i pregiudizi e cittadinare virtìi e sapere:
e noi, coraggiosi colleghi, non saremo durevolmente
utili a questa patria, che ancora noti sa ne pur fre-
mere all'aspetto de' mali, che la subissano, se noa
otterremo (e quando Dio onnipotente si compierà
questo nostro voto ardentissimo!), se non otterre-
mo di vedere di giovani frequenti le bibblioteche,
più de' convegni ove si muore la favilla del ge-
nio; la superstizione, l'ipocrisia, e lo sfrenato vivere
parimenti abborriti; il Liceo comunale, le scuole
di reciproco insegnamento affollate di adolescenti;
le donne litterate gentili compagnevoli; gl'indigeni
manotatti più animati e perfetti; le strade da carro
complete; le false pratiche agrarie corrette; il com-
mercio attivato; il capo de molini ornato di uà
porto utilissimo a tutta Sicilia, necessario alle piane
di Catania e di Mascali; il teatro comunale rifatto,
decorato, popolalissimo di uomini e più di donne;
e questa città egregia correggere con la sapienza
nostra comune l'immensurabile infortunio ad essa
arrecato dal Parlamento del 1813 e da' decreti ever-
sivi delle antiche leggi siciliane. Se noi baleniamo,
se ne arrestiamo (io gelo all'imagine di tanto pe-
ricolo)— ah sì, è meglio non cominciar che de-
sistere! Chi dimentico dell'amore di patria potreb-
be insano o pavidissimo un giorno disertare que-
sta santa milizia, rammemori l'epoca di Paolo Va-
sta, e tema le letteiurie tenebre di questa terra:
^4^
])er noi s'ingigantiranno le forze morali della cit-
tadinanza*, raccolti sotto f|Ucslo tetto, spiegalo il
cecropeo vessillo, tutto vinceremo si e tutti; e sarà
dal pubblico maledillo chiunque non animoso o
juvido o d'animo avaro, non ne soccoirerà di brac-
cio di consiglio, o denegherà a (puslo consesso pal-
ladio gli averi, che gli ebbe la generosità de' Ira-
passali largito e la giustizia del serenissimo prin-
cipe confermato. L'esempio dell'istesso Paolo Va-
sta v'incoraggi: egli ebbe un nugolone di chieri-
cati a nemici; e li vinse e li slece; che la ragione,
il merito utile tardi forse, ma fermamente di tulio
trionfano, e sono il vollo della gorgone per la stolta
ignoranza.
Quando era in voce la scuola di pittura di quel
grande, in rabescare, ornare, ed anco nel figurare
ebbe nome Giuseppe Grasso Naso^ padre di Em-
matiuele di cui oggi vi tengo proposito (i). E dolce
a' figli, e glorioso esordire da' genitori il di cui
nome orna le pagine della storia, e questo con-
tento rallegra e avvalora il secondo Grasso, che
oggi vive fra noi. Egli non ha discontinuato la
carriera paterna, e abbenchè non superi il padre
uell'adoprare i colori, ha procuiato farsi proficuo
a' j)ittori aggiungendo con bellissimo trovato co-
modità novella al lusso delle arti.
Nato e venuto in giovanezza l'Emmanuele con
sollo gli occhi i miracolosi ficschi di Vasta, visi-
tava gran parte di quest'isola ad ammirarvi i di-
j)inli de' valorosi; conosceva in Napoli le bellissi-
me opere di cento insigni maestri, che (juelle ma-
gioni e chiese decorano; vedeva iu Palermo i muri
(i) Memorie citate pag. 69 e jo.
243
figurati dal Novelli, dall'Anna, da Pietro dtlTA-
quila, e tormentava come per i tremuoli, jter le
mutazioni arcliitettoniclie, per vetustà iiunio mano
irreparabilmente con gli edifizi le dipinture \Hni-
scono; amaiamente si dolea di fallir l'arte di un
metodo col rpiale si potesse dijiingeic a frtsco, la
necessità schivando di esser comune al quadro la
demolizione del muro. Inoltre avendo egli in Pa-
lermo dimesticamente conosciuto il Patania, figlio
di genitori Acitani, e j)ronipote di quel Giacinto,
the qui difl'use l'arte nel 600, e di conseguenza
essendosi acceso per lui di alletto, che non è dato
conoscere quella candidissima anima e non esserne
tantosto caldo di amor d'amicizia; e la mala va-
letudine avvisata di quel poderoso, per cui gli è
tolto salir le bertesche e alliescare; per sollievo del-
l'amico volse con maggior intento a quel trovalp
la mente, procurando di renderlo vantaggioso ai
pittori, che non po.^son liberamente usare del cor
pò. E rij)ensando, e jirovando, do|)0 molti anni di
assidue cure gli venne latto di scoprire un processo
-con cui si potesse dipingere il lV(;sco sopra tela di
ogni grandezza, come pure sopra tavola, e gentile
com'egli è, ha voluto oggi a voi, onorevoli acca-
demici, ollèrire il secondo saggio della sua inven-
zi(ìne, come al corpo che tutta rappresenta la sa-
pienza nostra domestica, per meritarne attcstalo da
valergli ondunque, e me suo amico, nella qualità
'di vostro segretario ha richiesto i>er illustrare la
sua scoperta aitistica.
Sin dal 1838 il Naso si addava con ogni stu-
dio a indagare un tal metodo, ma nel i8;^i per-
venne a trovarlo: i saggi ])rimi non furono felici,
e solo nel i83a vinse le dillicoltà tutte, e nel Ju-
244
glio prossimo passato a me e al cavaliere G. Pa-
tania inviò in Palermo un paese dipinto a fresco
sopra tela, e fu nella sala di studio di (|uel rino->
mato pittore esposto parecchi giorni alla vista e
alla considerazione della capitale.
Ed ecco però oggi st)tto i vostri sguardi una
nuova piccola tela da cavalletto che rappresenta
una testa di carattere dipinta a fresco dal Naso e
così dopo un secolo alquanto rivivere per di lui
opera la rinomanza di Aci-Reale in pittura; e dal-
l'istesso regno da cui si diffuse in Italia il dipin-
gere ad olio, nascere il novello metodo di affre-
scar sopra tela. Non crederete. Signori, per fermo
di merito privo quanto il nostro concittadino ha
fortunatamente ottenuto; nel lusso delle arti esso
n'ha uno, oltre alla novità che tutto abbella e ral-
legra. Ne pregio gli scema la scoperta del profes-
sore Gegerbaur, di cui mi farò qui presso a fa-
vellarvi, poiché il pittore di Ravensburgh non era
neppur noto di non)e al siciliano.
Dapprima sarà profittevole a' giovanetti, che alla
pittura s'avviano giovarsi di questo metodo per am-
maestrarsi nella difficile consuetudine del fresco: così
potran essi nel loro ritiro, senza aver commissioni,
senza deturpare le fabbriche con indotte figuracce,
far saggio della degradazion e cambiamento delle
tinte, della loro variazione, e acquistare quella fran-
ca sicurezza necessaria ad ogni frescante, cui non è
dato il pentirsi senza menda. Così addottrinati gli
adolescenti giungeranno a quel tratto preciso di
maestria, che l'arte imperiosamente richiede, e po-
tranno di poi non senza gloria far liete di loro storie
le plaudenti città.
^5
Ne gl'inesperti solo ma gii abilissimi dipintori
potianiio godere dcUagio di lavonire entro le pa-
reti del proprio stadio: il Grasso lui tolto la ne-
cessità di alzare i ponti, e posi pure il dispendio,
e di starsene con pericolo di vita gli artefici su le
scale e le tavole i mesi e gli anni, che "j ne con-
sumò il Bonarroti in pittuiar la Sistina. E que-
sto bene è maggiore per coloro ai quali è tolto da
fisica impotenza l'ascendervi o trarsi fuori di casa.
Parecchie sicule chiese hanno con istanza richiesto
al Patania freschi di sacro argomento, che sareb-
bero tornate decorose a questa nostra Sicilia; ma
per la fisica impossibilità di quel sommo, e per
essere ignota l'invenzione del Grasso, che ne scu-
sasse il dilètto, non l'han potuto ottenere con uni-
versale rammarico, e quelle mura sono riiiiaste di
bianco, o bruttate dal pennello de' tristi. Oramai
che il nostro concittadino dall'ostacolo ha fatlo na-
scere la facilitazione, potremo vederi pago un de-
siderio sì vivo. Nò vale il dire potersi ad olio in
vece di fresco dipingere, poiché senza rammentare
la terribile sentenza del terribile Michelangelo cpn
cui condanna l'olio a servire a' sezzai, e predica
gli affreschi solo degni de' sublimi; io avverto es-
ser questi due modi diversissimi tra loro, anzi co-
stituire due generi affatto disgiunti/e non decidendo
lor preminenza, poter gli amatori l'uno e non l'al-
tro al pittore malsano richiedere, e solo per lo tro-
vato del Grasso poter venir soddisfatti. Ed ancor-
quando è dato ascendere i palchi, se in luogo di
poca luce o sfavorevole alla comoda posizione del
corpo è mestieri pitturare, come negli archi, nelle
volte e in qualunque campo concavo o convesso,
246
allora questa ihventione franca di tanta pena l'ar-
tclìcc, e gli concede con ottima luce (tenendo sem-
pre presente le località), e ben posto della persona
mandare ad eflètto il lavoro. Così i rigoii del verno
irreparabili in vastissime sale o tempi o nelle mu-
raglie scoperte, e l'occhio impronto de' curiosi,
sempre da' pittori inamato, si schivano.
Me unicamente per questo, ma l'afljescar sojira
tela oflVe agio all'artista di lavorare senza inchie-
sta, cosa che per lo innanzi era impossibile, e poi
vendere i freschi all' uopo , e così avverrà di ve-
dere le gallerie e musei ornati di freschi sopra tela
con comune diletto, perchè del tutto insoliti e no-
vissimi.
Inoltre avrete posto mente, colleghi, che qual-
che muro dipinto sembra partito in tanti segmenti,
che lo deformano se da presso il mirale; ciò av-
viene perchè il pittore non può tutta in una fiata
compiere mia lunga storia, e di necessità deve far
distendere tanta arricciatura quanta tinger ne puote
e se più ne distende disecca, e deve smurarla, e
quella della dimane, qualora fatica incessantemente
e peggio queHa delle altre se è obbligato ad inter-
mettere il lavoro, non bene s'adunando colla pre--
cedente, ne nasce che scorgesi il campo marchialo
in tanti quadri di diverso intonaco per quanti sono
slati i giorni eh' erasi pezzo a pezzo rivestilo di
stucco , e così possonsi spesso di breve numerare
i dì che il pittore ha consumato in dipingere. 11
dilètto del presente metodo, che si vince di rado
con sommo studio, è tolto del tutto con quello del
nostro concittadino, avvegnacchè la tela, quantun-
que grande, si può che si voglia tutta coprire di
arricciatura in una volta, e con pannilinl innmi-
dili tener lungamente molle, si pottntlo jwrre or-
rizzontale o declive, e in modo tale scoprirla e co-
loj'arla a volontà e ricoprirla a modo de' plastici.
Queste tele colle viti assicurale a' muri non per-
la demolizione degli edifici, non per i tremuoti pe-
riscono, se con' essi non crollano e si stritolano: e
nel caso di risarcimento degli edilìzi possonsi tor
via, ed indi rimettersi. Oh, cosi fossero stati dipinti
gli alìreschi di Pietro Novelli della chiesa di s. Fran-
cesco di Palermo, ch'io con questi mie' occhi non
gli avrei veduto cadere in frantumi sotto il pic-
cone del muriiàbro dopo il tremuoto del 5 marzo
1828 ! In vece di perdersi senza riparo da lì slo-
gati li vedremmo ancora, li vedrebbero i posteri
nostri nelle sale della pubblica Galleria della ca-
pitale con gloria, e ammaestramento dell'universo
popolo siciliano ! E questa invenzione facilita il tra-
sporto de' freschi, come vedete, che per lo innanti
si è creduto impossibile malagevolissimo o perico-
loso. Questi quadri si possono preservare dell'umi-
dità con strati di carbone, che di retro possonsi
allogar della tela o tavola; è dato eseguirli men-
tre i'edifìzio si fabbrica, e in un giorno tutto or-
narlo di freschi.
A tanto utile il Grasso un altro ne arrose di
non lieve momento: sin' oggi come assiemano gli
sperti nell'arte, non jwssonsi le arriccia Iure legare
senza sabbia da torrente, che non in tutte le re-
gioni tosto e di buona natura si ottiene: egli vi
ha sostituito un succedaneo reperibile agevolissi-
mamente in tutte le parli del globo, e che ne lue-
liora il cemento.
a48
Questi ed altri patecclii sono i vantaggi prodot-
ti dall'in von'?,iònc del Grasso, cli'io per brevità nott
ispcndo parole a clnavire; ma onde tornar perfetta
richiederei poitersi avvolgere in cilindro le tele così
dipinte peVi esserne j)in spedito il jiortalo', ed egli
che $erppi"^ più ,j«i adopera a perfezionarla, se ot-
terrà dai, pioverne il meritalo sprone della ricom-
pensa a far meglio, per certo vi giungerà; che 1*
ricompensa i timidi incoraggia^ e ai generosi esi)an-
de le ali del genio, ed allora farà palese il suo tro-
vato cji) e. si n'oggi gelosn niente serba nel suo segre-
to. Posciachè il Nasoì a.yea compiuto il suo lavoro
col. cadere del precorso anno ne pervenne il 47*
volume, dell'Antologia di Firenze, ove nel fascicolo
di settembre i833, alla pag. j6g è annunzialo ià
novello metodo di dipingere a fresco soltanto so^
nra.ije/^ scoperto .dal sig,. Antonio Gegerbaur pit-
tore pensionato di S. M. il re di Wurtemborg^
che ha dijiinto con plauso nel palazzo di Rosen-
stein vicino a Stultgard. Ne il direttore dell' An-
tologia, ne l'Italia conoscevano la siciliana scoper-
ta, e per tanto, aimunziarono solo, e come novis-
sima quella dell'alemanno: ma pria die sulle rive
del Cheufs avesse il Gegerbaur cominciato ad in-
ventare il suo metodo, era condotto a perfezione
sopra quelle dell'Aci dal nostro concittadino. Quan-
tunque la, siciliana scoperta non minori il inerito
dell'alemanna, l'Italia si valendo di quella di unp
de' suoi figli non ha mestieri di aver ricorso alla
cognizione di quella del seltenlrionale: nò sarà mai
che altri ne preceda o vinca in quest'unico cram-
po delle arti, ch'è rimasto :0 noi luminosissimo^
ma infecondo patrimonio di tanta gloria e possan-
24g
za avita. Il signor Gogerbaur ha avuto la forluna
di vendere i suoi quadri, e uuo fra gli altri rap-
presentah te Ercole ed Onfalc al sig. Talbot per
essere recalo in Inghilterra ^ e per fermo tra breve
otterrà jnemio, che lo coni penai delle spese e delle
fatiche cimate ne' suoi tentativi; e il Naso nep-
pur un solo de' suoi quadri ha potuto ancor esi-
tare, e probabilmente mereherà sterile gloria, gui-
derdone a tanti sudori V in ciò. solo sarà l'Italia
vinta dallo straniero; che à noi sodo ' serbate le
fronde ad altre le frutta. ' • >
Il sig. Grasso iVirti'o ha di già diretto al Ra-
vensburghese una lettera gentilissima con cui gli
oflre e richiede-iumiciiia , e gli' palesa la piropt-ia
scoperta, e sii compiace di quella di lui: io vi leg-
gerò in seguito intero il carteggio di questi due
scopritori. Ardentemente desidero che il nostro Go-
verno premiasse il siciliano onde pubblicarsi l'oc-
culto metodo, per conoscersi di poi quello del Ge-
gerbaur, e così potersi confrontare e perfezionare
per ammaestra rilento comune. Per ora puossi dire
soltanto che il trovato alemanno è vinto dall'ita-
liano, 1° per potersi con questo affrescar sopra tela
non solo, ma bensì sopra tavola; 2° perchè i qua-
dri, dipinti coni quel processo devonsi trasportare
con l'uguale diligenza degli specchi^ e quelli di-
pinti con questo, come qualunque tavola, e sin anco
battuti fortemente per terra appena si lineano, e
quella a me spedito in Palermo nel luglio i833,
abbenchè fosse stato portato per 1-74 miglia di
montagna a schiena di mulo in due soli giorni dal
corriere del Lotto, vi giunse e si conserva inlatto.
Mi giova per fine aanuazlarvi come un altro
n5o
collo nostro concittatlino G. B. Pcnnisi, die per
clilelto unicamente esercita la pittura, al)bia inven-
talo un processo con cui Se^iza jjer nulla ledere le
fabbriche si possa levarne intalli faeitmente i fre-
schi, e ch'io prego di far cognita all'universale non
per incremento di nome, ch'egli motlestissimo schi-
va ogni lode; »na solo per l'utile delle arli^ Che
se la mirabile e ammiratissinia visione del Para-
diso di dei Novelli dipinta nel muro di tramonta-
na nelfatrio del grande ospedale di Palermo fosse
stata colorala col metodo del Grasso, o »e all'in-
contro Palermo avesse conosciuto quello del Pen-
nisi, non si vedrebbe di giorno in giorno per umi-
dità deperire quell'insigne monunieiito con intenso
crmjcio e dolore di chiunfjue ha fior di sennqy e
anco un bricciolo di orgoglio nazionale.
Ecco quanto può un sol uomoi Questi due pre- j
ziosi trovati, e questa consuetudine nostra di cer-
care e incoraggiare le arti, e le memorie de' Va-
steschi e della piltura in Sicilia nel «jog di un vo-
stro collega, tutti li dobbiamo a Poalo Vasta, che
trasformando col pennello questa ci Uà nostra e pre-
cipuamente le chiese primarie, oserei dir quasi in
musco, ha lasciato a noi in retaggio, se non l'ar-
te, come di sopra cennai, almeno l'amore per essa
e la bramosia dell'indagine, e lo stimolo a j)ro-
curare il meglio e prezzarlo; clie tanto è polente
un uomo di elevati spiriti, ancorché abbia un'orda
di Ihnatici avversi; e la sua intluenza, come la luce
del cicpuscolo si dilunga oltre il suo secolo. E voi,
magnanimi colleghi, dalla jx)lenza e dalla utilitit
di quel solo commensuiate quella di noi ventiquat-
tro, e augurate colle lagrime alla patria qutl i>e-
25 1
fio, che in sua giustizia TEterno non diniega a chi
ii Micrila, e con isfòrzi e disagi e sudore indefesso
Jo ci'ica.
Aci-Reale i3 marzo i833.
Il Presidente generale
S. Raffaele d'Urso.
Il Segretario generale
L'Autore
L. Vigo.
Per copia conforme all'originale esistente nel
primo volume degli atti dell'Accademia di
Scier cagion di erudizione vengono ricercate dai dot-
ti. Cosi tutti coloro che si son messi posteriormente
ad illustrare la flora siciliana questi materiali del
Cupani hanno tenuto per scorta, incessantemente li
lian consultato, la frase ne han sempre notato nella
sinonimia, ed a quella del Linneo l'han rappor-
tata che dai botanici è generalmente ricevuta, e così
lian fatto segnatamente, e Bernardino d'Ucrià, e il
già lodato Bivona e il Gussone nella sua Flora Si-
culli. Comechè ripeto non meriti più di pubblicarsi
quest'opera per le cambiate coudizioni della scienza,
pure sarebbe, come io stimo, degno di molte lodi
chi di proposito ponesse mente ad eseguire di essa
una distinta dtsciizion jjibliografica e a pubblicarla
perle stampe. Facendosene sifiàttamente manifesto il
contenuto non che la disposizione, oltre che un gran
servigio si renderebbe alla scienza, si acquisterebbe
credito ancora all'opinion di coloro che al Cupani
l'attribuiscono. Perocché provandosi col fatto che
l'ordine di essa opera è quello in effetti che l'autore
si era proposto ed avea in altra sua opera annun-
ciato(i), qual luogo rimarrebbe a dubitare intorno
all'opinione favorevole al Cupani? Ben io a que-
sto lavoro spero rivolgermi, ove tanto di ozio mi
sarà conceduto, da poter condurre a buon fine una
memoria che in parte ho abbozzato intorno alla
vita e alle opere dì questo valentuomo, e di essa
(i) Nel prologo aW'IIortus Catlioticus,
258
una tal descrizione potrebbe opportunamente far
parte.
La Biblioteca dunque del Comune die è la for-
tunata posseditrice del testo del Panpkyion non
ha posseduto fiu'ora di questa insigne collezione di
figure che un frammento di sole 2G8 tavole, il
quale insieme ai 16 volumi manoscritti le fu dal
Eivona ceduto; mentre la libreria dell'Università
di Catania ne possiede un'esemplare di 658 tavole,
ed uno di 654 quella dei padri Gesuiti di Palermo^
i soli due conosciuti che si reputano completi. Il
detto frammento della comunal biblioteca è da cre-
dere che una volta sia stato accompagnato con al-
tri, e che sia stato il primo della collezione; pe-
rocché porta la medesima distinzione che osservasi
nel primo volume di Catania , e nel ])rimo della
biblioteca dei Gesuiti di Palermo, cioè il ritratto
dell'autore. Circa due anni sono quando io ebbi
la fortuna di accpiistare quest'altro frammento di
che ragiono, subito mi corse per la mente di far-
ne confronto coU'anzidelto apj)iirtenente al Comune,
il mio non ha ritratto d'autore, ha il frotispizio
come quello, contiene 25o tavole, pressoché tutte
di ])iante, e la prima rappresenta la Myrrhis la-
custris awiiia^ e l'ultima // Molj angusto folio.
Delle quali 200 tavole, come rilevai, solo 21 es-
servene raddoppiate ne' due frammenti, e po-
ter l'uno fare la conlinuaziotic dell' altio; conce-
pii l'idea di presentarne il Comune arricchendolo
così di 289 tavole che gli mancavano, e portan-
do la collezione fino al ragguardevole immero di
497 tavole, non comprese le duplicate. E da spe-
rare che la fortuna cotanto arrida a (piesto nobi-
le stabilimento, elicgli venga latto di acquistare
un qiialcliedun altro frammento di questo biblio-
grafico tesoro, acciocché possa dirsi una volta die
la biblioteca del Comune di Palermo, alle altre
due Siciliane non ceda nel possedimento di esso(i).
E là fortuna le arride Se nel corso appena di un
anno della scelta biblioteca di circa 4^00 volumi
del benemerito canonico l)'Angelo ha sortito il do-
no, e dei libri di arte del chiarissimo Marchese llaus.
E la fortuna le arride se le ha dato a regolato-
re r E. V. che coi talenti e le conoscenze che
l'adornano saprà renderla sempre più degna di
questa stupenda Capitale. Mi gode l'animo ripen-
sando che Della sua saviezza ha Ella già divisato
che uno stabilimento tutto letterario non possa in
verun modo prosperare se ad uomini che profes-
sino lettere, 0 delle lettere amantissimi non se ne
allidi la cura, e secondo questo pensamento ha fatto
opera presso il Decurionato^ che uomini di tal fatta
ai proponessero al Governo a deputati di quella.
Dalla comune int'illigenza e dall'amor patrio di
costoro e dell'E. V. quali ottimi efìétti non debbe
aspettarsi l'universale f* Provveduta ognor più di
ottimi libri e di più decorosa stanza la palermitu-
(i) Oltre i due frammenti finora conosciuti del Panphyton,
quello cioè di ifig tavole del prof. Cav. Tineo, e l'altro di i55
tavole del sig. Schow naturalista danese , due volumi ne pos-
siede l'egregio «ig. Fresideiite cotninendatore Francesco Cupani
•legno discendente dell'immortale botanico e tenerissimo della
faina di lui, l'uno de' quali ha il ritratto dell'autore e i6i ta-
vole e l'altro i53. Alle istancabili sue ricerche deve egli qua-
tto fortunato acquisto, e lo conserva gelosamente come una ra-
rità Libliogratica, e come un monumento dì onore dell'illustre
^i lui congiunto.
260
Ila biblioteca non sarà seconda ad alcuna di cui
si vanti il continente italiano.
Di V. E.
Palermo 27 giugno i833.
Ossequiosissimo servidore
Frais'co Maccagisone.
Introduzione allo studio della filosofia dello spi-
rito umano deW ab. Francesco Pizzolato.
Palermo dalla tipografia reale di guerra. (Ved.
il fascicolo XII, pag. 224).
Esame del secondo Ìiagionamento.
Il secondo ragionamento dell'abate Francesco
Pizzolato a me sembra si possa ridurre in poche
parole. Egli assumendo di trattare intorno la uti-
lità della filosofia delio spirito umano in generale
comincia per dimostrare: jjche tulle le scienze e
tutte le arti da essa ricavano il loro maggior lu-
me. Anzi appunto perchè essa si propone di esa-
minare l'umano pensiero dà corpo ed esistenza ad
ogni sorta di scienze e di arti. Essa è la sola mae-
stra del vero, a cui tutte le arti e le scienze deh.
bono la loro esistenza, il loro corpo, tutta la lofo
realità.»
L'autore passa in seguito a confutar coloro, i
quali pretendono escludere le scienze fisiche dal
dominio della filosofia, e risjionde alla obbiezione
di quegli altri, i quali tentano di opporre alle sue
teorie, una difiicollà cavata dagli errori, in cui ca-
dono i filosofi, anche dopo le più accurate discus-
sioni.
«La filosofìa ha creato la politica, l'csttUica, e
la pedagogia per mezzo delle quali la ricchezza ,
le helle arti, l'educazione si son sottoposte a, re-
gole fisse. La filosofia recasi a vanto esser supe-
riore a tutte le arti e le scienze, ed è V autorità
suprema di tutte le altre autorUadi » • <•
y. wDalla mancanza, dunque, ideilo studio della fi-
losofia (ecco la conchiusione del ragionamento) pre-
viene la scarsezza delle nostre co^ailioni, delle; no-
stre fortune, dtl nostro inciviliitiento ec.w
Che la tesi di questo ragionamento non sia af-
fatto inusitata, ognun lo sa, e dopo abbondanti tra-
vagli di uomini sommi è assai difficile ai nostri
giorni, per non dire impossibile, occuparsi di qua-
•Sta tesi, e creare argomenti del tutto nuovi. :Vu-
■nico lavoro, cred'io, che far si possa egli è^ sce-
gliere fra molli gli argomenti migliori, e, o dar
loro riuova veduta, o almeno disporli con un certo
oriUne chiaro e preciso. E stato questo il. lavoro
del Pizzolato? Io non fo caso, che in un ragiona-
mento in cui egli si propone di dimostrare la gene-
rale utilità della filosofia; nelle pagine, 4^ e Sq poi
trascorra a trattar dei suoi pregi, quasiché il pre-
gio e l'utilità sieno la cosa medesima.
Ma poiché molta traduzione vi ho ritrovata, se-
condo il suo costume, mi affretto piuttosto, sicco-
me ho fatto nel primo ragionamento, a raffrontar
qui i luoghi dei quali egli si è servito come di
testo.
liavvi un'opera di Dugald Stewart, la quale
porta per titolo: Elenients of the philosophj of
human mind ^ preceduta da una introduzione sulU
natura, l'oggetto e la utilità della filosofia dello
spirito umano. Di questa introduzione ha profittato
immènsamente il Pizzolato. In falfo egli comincia
il suo ragionamento con dire messere un pregiu-
dizio screditar la filosofìa come trattenimento, ciré
non ha alcun rapporto cogli atTari della \ifa; » e
Stewart couiincia la sua introduzione chiamando
>j pregiudizio la opinione, che le ricerche metatisi-
chè' non abbiano alcun rapporto cogli affari della
Vita».
Pizzolato dopo di avere stabilito l'oggetto tld.
ragionamento, alla mela della pagina 42, posto
sottocchio il libro di Stewart si accinge, come è
suo uso, alla traduzione. Perito, intanto, come egli
si crede, dello stile italiano, ora livolge i periodi
in interrogazione, ora di molti ne fa un solo, am-
plifica, restringe, tralascia, e così trasporta nel suo
ragionamento cinque pagine di Stewart, cioè dalla
27 sino alla 3i (i).
Niente di n)eno verso la fine della pagina 4^
del ragionamento aggiunge qualche cosa del suo:
giacche imprende a dimostrare, che wil vero co-
stituisce il fondo comune, la sostanza, l'intrinsecJi
natura, e l'essenza particolare di ciascheduna arte
e scienza.» Mi contento cennare l'argomento di cui
egli si serve. >jE falsa la pittura, son sue le })a-
role, la musica, la poesia, che mostrandosi intese
a pioccurare il bello ed il dilcltevole, in vece di
forme vaghe ed eleganti di armonia e di diletto,
non ci guadagnano, che delle bizzarre sconcezze,
delle orride discordanze, la più insoffribile noja.»
Dunque il vero è il loro fondo comune , la loro
(1) Io non ho avato la forte di leggere Stewart nell'orìgi-
naie. Le citazioni perciò son (ratte dalia traduzione fraacesa
di Pietro Prèvost. Geaère 1808.
363
sostanza, la int^rlnseca loro natura, la loro essenza.
Io (forse per debolezza di mia penetrazione) non
vedo nesso tra il principio e la conseguenza. Sì
conviene, che il vero forma lo scopo delle scienze.
Accordo ancora, che le scienze e le arti, come di-
mostra Stewart, van soggette alla filosofia. Ma co-
me la musica, la pittura, la poesia, dico, tutte le
arti, sien fondate sul vero, ecco» quello di cui non
sono ancora convinto. So, the il vero della bella
natura non sia il vero della filosofia, poiché il ve-
rosimile più che il vero dee riputarsi l'oggetto delle
belici arti.
Ma cosa è questo vero, che non sa certo adat^
tarsi alle arti ^belle, come ei ; pretende, parlo del
vero delle scienze, imperciocché alla pagitia 4?
generalmente si definisce da lui a un pensiero per
se ei^idente^ o un pensiero che deducesi da altri
pensieri? >} K discorrendo pure del vero nelle scien-
ze; non potrebbe in esse sembrar evidente quel-
lo, che in realtà, è. un errore; ovvero ur»a dedu-
zione da un pensiero per se stesso evidente, la
quale conduca ad un errore inosservato? M;i quel
che più rileva egli- è; l'evidenza essere tuttora re-
lativa agl'intelletti, cui si presenta, onde ìà verità
medesima evidente si appalesa ad alcuni , che in
altri sarà per avventura ottenebrata. Che se la ve-
rità fosse riposta in un pensiero evidente sarebbe
alljora relativa, come è relativa l'evidenza: la qual
cosa toglierebbe di mezzo l'assolutismo che deve
avere di sua natura la verità, e ci condurrebbe ad
un miserabile universale scetticismo.
Nella pagina 48 Pizzolato risponde contro la ol>^
biezione fatta da coloro i quali pretendono sottrar-
re le scienze lìsichu dalla generale utilità delliii li-
364
losoGa. Non so qual motivò Io abbia indotto ad
allontanarsi dall'autore scozzese, il quale replica-
tainente nelle pagine 8 ed 62 tratta la quislione
medesima. Ha prodotto un argoiniento, tutto nuo-
vo, concepito in questi sensi : w Tutte le scienze
sono una combinaiione di pensieri: la fìsica è ^una
scienza!; dunque è una ooJii binazione di pensieri^
perciò dérha innìiediatamenie àaììnuiììo^iìa dello
spirito umano. >i Non hoSbisoi^iih'.dii diseutt-re tal
sorta di argomenti. Chi vuol s-apeie in qual classe
viene nella logicai annoverato, lej^ga la rubrica de'-
gli argomenti in Barbara^ lo troverà indicato nel
i ' D«e osservatiofti però non puasoitrailasciarc. L'**-
na mi vien suggerita fdalla pigina 5oi-in cui trovo
defluito il giudizio:, un rappòrto scorto fra ^ due
percezioni o idee. La detìuizione. è. quella stessa.,
che Tracy lia adottato da Locke^. iMh è la vera?
Non voglio deciderne. Solamente riferiscoaver Cou-
sÌq sostenuto, che se non v'abbia altro .giudizio fucfl*
(di quello, il quale consiste in 'uma percezion di rap"-
porto fra due idee, le scienze; fìsiche non possoa
sussistere, perchè l'uomo non acquisterebbe giam-
mai la cognizione dell'esistenza dei corpi. O la . di-
mostrazione di Cousiu (chiamato nel quinto ra-
gionamento il più grande di tutti i filosofi frati-
cèsi viventli) e nel sesto, uomo veramente straor-
dinario) è illegittima , o la defìcizione presentata
<ìal Pizzolato è falsa.
La seconda osservazione mi è riuscita assai pia-
cevole nel leggere alla pag. 5i, che Piizolato, il
quale nel primo ragiotiamento ha titolata la filo-
sofìa intelligenza assoluta; felicemente contradit-
torio a sé luedcsiiuo in questo la chiama scienza
265
inchinevole ad errare: intanto non ha difficoltà poi
di affermare che «ad essa sola è dato di condur-
re al vero mercè i suoi raddi izzamenti,-»
j Poco appresso è, che lo scrittóre, come quegli
che ha p 19 si-
no alla 2 1.' Il \ . -,
Non iivea Pizzolato nel primo ragionamento as-
sorbita tutta intera la prima If-zione di Cousin.
Kelie pagine 60. G 61 trovasi la. traduzione di qual-
che cosa trascurata: nel testò francese alla pagina 39.
; Dalle ultime quattro liuee dtlla pagina 6: del
ragionamento, sino a quasi tutta la pagina 04 nou
si leggono, se non che quattro periodi di riassunto
dechiinatorio; dai quali si coiichiude nelle pagine
65 e tì(3 che w ogni. civil società non può altronde
sperare, nò ottenere ogni sorta di ulili conoscenze,
se non dalla sola filosofia, w Conchiudo ancor io il
mio esame di questo ragionamento col dire, che
dall'inglese autore Stewart, dal quale il nostro scrit-
tore ha principalmente copialo, poteva sperarsi un
adegualo discorso sulla vera utilità della filosofia,
e non già da queste mal commesse idee, che poi
fan contrasto anche con altre inseritevi del Cousin,'
e dell'Accordino.
267
Esame del terzo nAGiowAMENTa.
Dal secondo ragionamento, che riguarda l'utilità
della tilosolia in generale, il Piziolato si volge nel
terzo alle sue iiiilUà particolari, w Infra tutti i
vantaggi particolari il più importante si è la luce
grandissima, che spargerebbe su tulli gli oggetti,
che risguardano l'educazione morale ed intellettuar
le.» Da questo non dissoniigliante è l'argomento
dello Stewart, il quale dà principio alla seconda
sezione della parte seconda della sua introduzione,
di cui ho parlato, con queste parole: » Le osser-
vazioni, che abbiaro. fatte sin qui sopra l'utilità
della filosofia sono di una natura assai generale....
Mi limiterò in questa sezione ad alcune osserva-
zioni particolari (pag. 68). » Pur tuttavia il no-
stro scrittore non ha diviso i ragionamenti secon-
do le parli in cui ha diviso Stewart la sua intro-
duzione. Egli non ha fatto , se non che dividere
in due la prima sezione della seconda parte. In
fatti io ho notato, nell'antecedente esame ch'ei
avesse tradotto sino alla pagina 3i di Stewart.
In questo si vedrà , che quanto egli scrive dalla
quinta linea della pagina 68, che è la seconda di
questo ragionamento, sino alla metà della pagina
81 è traduzione dalla 3i alla 89, e dalla 48 alla
5i delio stesso autore, lo non mi piglio la briga di
notare certe minute varietà , le quali passano tra
il testo e la traduzione, perchè credo stucchevole
cosa anche il cennarle. Dico solamente, che dal
principio della pagina ^5 sino a quasi tutta la pa-
gina 77 s'impegna Pizzolato a far riflettere, che
wfìn a quando la gioventù sta aflidata a persone
jguorauti di filosofia; la privata educazione, e la
268
pubblica ancora sarà sempre manchevole. Bisogna
perciò, che i precettori delle primizie del genere
umano, dopo di aver fatto delle facoltà dello spi-
rito uno studio profondo, vadano ytoi ad insegnare
o la vecchia lingua del Lazio, o qualche moderna
lingua straniera.» In verità, di tutto questo che,
sia vero sia falso, è certamente contrario alla ma-
niera usata dalla scrittore, altro non si trova nella
introduzione di Stewart, se non che la sola lagnan-
za contro coloro, i quali aflidauo l'educazione della
gioventù a jiersone laiche per filosofia.
Prima intanto di percorrere il resto del ragio-
namento, un'osservazione non voglio trascurata. Tut-
to il ragionamento è contenuto in 47 P'^^'n^^? g'à
tredici, dalla 68 alla 8i sono (eccetto pochissime)
mera traduzione. Dunque ne abbiam percorso quasi
una quarta parte e nulla si è trovato, che sia parto
di questo abate. Il resto cosa sarà? Vediamolo.
Quando costui scrivea le pagine 82 ed 83 avea
sotl'occhio il capitolo quarto dello stesso libro, e
precisamente le pagine 289, 240, e 241. Di tanto
lo accusano molte frasi della sua pagina 82, e la
intera 83, la quale dalla prima alla penultima linea è
prettissima traduzione della pagina di Stewart 241.
Nella pagina seguente, che è la 84, Pizzolato è
nuovamente tornato alla introduzione che avea la-
sciata , e traducendone 33 linee, fra le quali uà
passo di Lavoisier, è arrivato sino alla pngiaa 86.
Questo tratto nella introduzione di Stewart corri-
sponde alla pagina 81.
Dalla settima linea della pagina 86 sino a quasi
tutta la 87 egli ha avuto presente il paragrafo quie-
to del capitolo quarto dello slesso Stewart. Alcu-
ne frasi e la nota di cui la pagina 86 è forpita
non dan luogo a dubitarne.
Dalle ultime quattro linee della pagina 87 sino
a quasi tutta la 91 egli ha tradotto dal paragrafo
settimo dello stesso capitolo quarto, quantunque
non tanto pedissequo dell'autore scozzese: dico nou
tanto pedissequo, perchè incomincia con una os-
servazione di Hunie, la quale Stewart colloca nel-
la pagina 346, poi traduce più di trenta linee della
pagina 342, salta quindi alla pagina 345, e finaU
niente rapporta un passo di Burke da Stewart ri-
ferito alla pag. 348. Dio buono son tali queste cose
che pajono incredibili, e fanno orrore !!!
Ciò che segue immediatamente al passo di Burke
sino alla metà della pagina g4 del ragionamento
è nuovamente introduzione di Stewart, Traduce ia
senso la pagina ^5 di Stewart, poi letteralmente la
76, e finalmente altre 17 linee in senso. Ma quan-
to avrebbe guadagnato l'oidine delle idee, se non
avess'egli cambiato l'ordine della copia ! Quivi si
piarla della influenza della filosofia sulle arti e le
scienze. E non trovava cotal traduzione nel se-
condo ragionamento miglior luogo, che in questo
terzo ?
Ma finalmente nella metà della pagina 94 il no-
stro traduttore ha lasciato Stewart. È slata cosa
veraniiente seccante l'averlo veduto accozzar pezzi
di qui e di là , ma sempre dello stesso libro. Si
tratta, che dalla sua pagina 68 sino alla 94 noa
abbia m trovato che Stewart Stewart Stewart. Se
non che egli non lo lascia che per inserire il
principio della lezione prima di Laromiguiere sul
Metodo. Egli non lo ha tradotto letteralmente, anzi
La disposto le idee d'importanza di un metodo, un
passo di Cartesio, e il confronto del metodo eoa
la leva in ordine retrogrado a quello cou cui le
370
dispose Laromiguiere. Così ha scritto sino alla se-
doiicla linea della pagina 96.
L'autore però che in questo ragionamento serve
al Pizzolato, dirò cosi, di norma è il medesimo
Stewart. Nella pag. 99 eccolo nuovamente alla in-
troduzione di quest'ultimo; ricavando alcuni pensieri
della pag. 6S ne traduce letteralmente piìi di dieci
|linee, e poche altre inserendone della pag, 8 arriva
così a scrivere sino alla metà della sua pagina loo.
Da questo punto sino alla pagina 106 in gran parte
è copia dell'indice della ideologia di Melchiorre
Gioja, e precisamente del capitolo quinto della
parlo quarta. Le pagine 109 e iio sono tradotte
da StLWait verso la [ine della introduzione. Chi ne
farà il confronto troverà vari jicriodi quasi parola
per paiola(i). Le pagine finalmente dalla 11 1 alla
(1) Più di una volta mi »on servito dell'espressione castigata
di quasi tradurre. Mi sembra necessario almeno per una volta
cola, per coloro, i quali non si pigiieranno la pena di confron»
tare il Pizzolato cogli autori elle io cito, dare una qualche idea
di questa quasi traduzione. Eccone perciò un tratto, in cui l'au-
tore scozzese parla dell'attenzione del magistrato alle vie della
Fiovvideuza.
Stewart Introd. pag. 91. Pizzolato Rag. ///pag. no.
L'autre s'est injposé le de-
voir sublime de secoader les
inteiilions bieiiveillaiites de la
l'rovideiice, daiis V adruini-
slialion des aSaires, qui iii-
téresseiil la socielé; d'éteiidie
sps avanlages aulaut qu' il est
possi ble k lous les meinbies
qui la composenl; d«? inudi-
liji l'ordre politk^u'', d'apics
Il terzo neir amminislia-
ziou degli agrari, che tutta in-
tera risguardan la società, se-
condando la iuteuzioiie bene-
vola del Sovrano, che 1' ha
destinato a quel grado , ha
il sacro dovere di estendere,
per quanto è possibile, tulli
i vantaggi dell' ainniinistra-
zioue su lutti i membri, che
la compongono , e di coii-
Uuiie Tordiue pubblico, die-
37»
ii4 contengono una conchiusione tutta simile a
quella del seconclo ragionamento; cioè che «nel
nostro universale avvlUniento bisogna, che lo stu^
dio della filosofia veuga a dare un forte impulso
per così scemarsi la miseria, e l'abituale povertà
di più di ire quarte parti della nazione, w
Mi resta a dire qualche cosa sulle note, che or-
nano questo terzo ragionamento. Esse montano al
numero di quattordici e sono piene di erudizione;
imperciocché ivi si parla di Bacone, di Locke, di
Vico, di Cartesio, di Malebranche, di Condillac,
di Newton, di Pascal, di Aristotile, di Plinio, di
Cuvier, di Camper, e di moltissimi altri.
Nella prima, posta alla pagina 85, si espone l'o-
pinione di Condillac circa l'influenza del linguag-
gio sulla facoltà di pensare. Per mostrar, che Con-
dillac avea sostenuto un errore, Pizzolalo copia due
periodi della ideologia di Galluppi (cap, 2, § li,
pag 25).
La seconda è una traduzione di un passo del
libro, che maggiormente gli è servito cioè Stewart,
Elements, cap. 4 5 sez. 5, pag. 324.
La terza, la quarta, la quinta, e la sesta poste
l'elude qu' il a fait de la tio Io studio eli' egli ha fallo
nature de riionime, etdes cir- della natura dell'uomo e del-
conslances oU il se frouve le circostanze j)articolaii, ucl-
placé , alla de perniettre a le quali esso riliovasi, in njo-
ses f'acultés moraies et intel- do tale che possa guidare le
lecluales de se dévellopper eil lacollà morali ed inlLUetluali
liberté, et de faire les progrés diluiti grin:> Berkeley^ partendo dal prin^
cipio di questa teoria dimostrò t impossibilità del-
l'esistenza della materia. Il suo argomento è sen-
za replica (i). « Lo stesso Jouflroy nei frammenti,
che ha conservato delle lezioni di Royer-Collard,
della idea definita per rappresentazione, dice: » Que-
sta assurdità fornisce a Berkelej tutte le sue ar-
(1) Pari. I, «e«. 2, art. 2, pag. a5. Tra le opere di Giorgio
Berkeley quella destinata a deiiiirre da questa teoria lookiana l'i-
dealismo è prccitaineute il dialugo fiilas et Philonùs.
a']6
mi contro il mondo materiale {i).-*^ A dir vero,
è una meraviglia, dopo di quanto hanno scritto fra
gli altri Toinraaso Reid nei suoi Essajs^ e Vit-
torio Cousin nel suo Cauri d'histoire^ dimostran-
do, che l'idea-rappresentazione è una idea materia-
le, il trovare ancora ai nostri giorni un uomo che
qual rappresentazione la definisca.
Seguitiamo dalla pagina l'SG in poi. Dalla quar-
ta linea di questa pagina sino alla metà della i4o
Pizzolalo ha riassunto ciò, che antecedentemente
avea detto, per dedurre la conseguenza generale,
scopo del ragionamento, cioè, che la filosofia dello
spirito umano riposa sulla osservazione interiore.
Compiange poi la filosofia del secolo passato, la
quale non era pervenuta al grado di scienza. Rap-»
porta quindi, per dir tutto, un passo dell'ab. Do-
menico Sclnà, e conchiude, che l'aver trascurato
l'osservazione intcriore ha mantenuto nella infan-
zia le scienze filosofiche.
Nulla incaricandomi, che dopo avere affermato
nella pagina 13^ la filosofia dei tempi andati noa
essere stata scienza, la chiama scienza infante nella
189: di nuovo rivolgomi alle consuete traduzioni.
Le pagine dalla i4o alla 146 corrispondono esat-
tamente a quelle di Joufiroy dalla xxxiv alla xl,
quantunque la traduzione nou sia interamente let-
terale.
Trascurato tutto quanto resta nel paragrafo pri-
mo della prefazione di Joufiioy, il nostro abate
è passato immediatamente a tradurre il secondo:
e le pagine di esso dalla xlix sino alla lxx sono
volgarizzate dalla pagina 146 sino alla 164 del ra-
CO Nelle opere di Reid toI. 5, pag. 345.
277
f;ionamento. La traduzione è più letterale di quella
(l«l primo: ed io lascio di notare corte minute va-
rietà, le quali non impediscono chiamarla tradu-
zione. Cenno però solamente, che nella pagina i63
Pizzolato trascura ventiquattro linee del testo, e
ne aggiunge ventinove, il cui pensicre con la ci-
tazione stessa di Galileo è nel principio del jjara-
grafo quinto alla pagina cxxwiii. Il dovere col-
legar avanti e dopo questo peusiere, gli ha impe-
dito di tradurlo.
Le altre due pagine , le quali servono di con-
chiusione al ragionamento, quantunque non sieno
tradotte, non contengono però alcun pensiere, che
in JoufTroy non si trovi. Concliiudo adunque, che
se nei precedenti ragionamenti Pizzolato ha voluto
mostrare una certa, non so quale, industria di ac-
cozzare autori; in questo mi ha dato minore bri-
ga, perchè ha seguito ciecamente un autor solo.
Tutto il ragionamento è in cinquanta jiagine, ed
appena se ne possono numerare cinque, che non
meritino il nome di traduzione. Si conosca per-
ciò chiaramente, come sarebbe stato più sicuro
il mettere in fronte al ragionamento i titoli dei
paragrafi di JoufFroy e non quell'epigrafe: Certez-
za della filosofia dello spirito unumo.
. Sono in questo ragionamento cinque note. La
prima contiene il nome di Bacone. JoufTrnj lo no-
mina in corso, Pizzolato ha amato meglio metterlo
in piede. La seconda è la citazione dell'ab. Scinà.
Le altre tre poste nelle pagine ì^i e i42 sono
traduzioni di passi di Cousin. La prima segnata col
numero i è traduzione letterale di un passo della
lezione seconda della introduzione posto alla pag. 32.
11 solo ultimo periodo non si trova iu Cousin, ne
278
può trovarsi: impercioccìiè ivi si attribuisce la pub-
blicazione dell'opera de Metodo di Cartesio ad un'e-
poca posteriore di venti anni all'epoca reale. Se
Pizzolato avesse cominciato a tradurre Cousin da
poche pagine avanti nou sarebbe caduto in questo
anacronismo. Ma questi son fiori. La seconda se-
gnata col numero 3 è traduzione di un passo della
lezione 13 del Corso alla pagina 4^9- L'ultima
segnata col numero 3 è traduzione similmente let-
terale di un passo della lezione io posto alla pa-
gina óy. Questo quarto ragionamento come è di
tutti il maggiormente copiato, così può chiamarsi
traduzione di due paragrafi della prefazione di Teo-
doro JoufFroj.
Finalmente io non dimando ai miei leggitori se
non che si riscontrino, e confrontino i luoghi da
me citati, onde meglio veggano, e per se stessi
veggano sin dove giunge la miseria e la temerità
umana. Antonio Criscvoli.
Sarà continuato.
Primi idilli di caccia del dottor F'ince^zo Na'
VARRÒ da Ribera. Palermo per Pedone e Mura-
tori MDCCCxxxiii voi. unico.
Il genere di poesia che l'autore di questi idilli
ha voluto trattare può dirsi allatto nuovo, imper-
ciocché per servirmi della frase del Ceva, il quale
non ricordavasi di aver mai letto com])onimenti
nei quali introduconsi cacciatori a lavellar di ro-
se solo alla caccia appartenenti, pare che sia stala
questa una nicchia che ncU'italiauo parnaso sia ji-
^"9
masa sino ad ora disoccupata (i). E se Luigi Ale-
manni fin dal secolo decimosesto scrisse un'egloga
latina, intitolata la caccia del cignale (2)^ e Lo-
renzo Gambara molte altre ne lasciò sotto il nome
di venatorie, è da considerare altro non essere la
prima che un componimento tutto allusivo alle
cose intervenute in Firenze ai tempi dell'autore,
ed essere state le seconde impropriamente sotto quel
titolo pubblicate, avendo aspetto più tosto di pa-
storali e pescatorie; comechè trattino leggiermente,
e assai di rado di cose venatorie.
E se ciò non persuade giova inoltre osservare
esservi tra l'egloga e l'idillio dei caratteri alTìUto
difibrcnti; conciossiacliè, siccome da un dotto scrit-
tore giudiziosamente fu detto, w nei tempi e nei
popoli in cui la ineguaglianza delle condizioni non
aveva ancor posto questa inumana dilTerenza , in
un clima soprattutto, ove la bellezza del cielo, la
fertilità del terreno, faceano della campagna il piiì
dilettoso soggiorno: ove da una parte la felice igno*
ranza dei bisogni del lusso tanto lo stato dei pa-
stori a quello ravvicinava dei monarchi, che l'uno
all'altro si apparteneva, tra l'egloga e l'idillio non
vi erano ne caratteristiche, ne nomi diOèrenti; ma
è venuto il tempo di distinguerli, imperciocché i
vizi del popolo dalla città ]>assati agli abituri cam-
pestri, e così l'astuzia, l'interesse, l'amor di se,
la vanità, i costumi insomma dei cittadiui a quelli
unendosi dei villaui formarono un nuovo genere ,
(1) Y. la dissertazione sopra alcuni lirici componimcnli pre-
(nessa aUa sua scelta di canzoni.
^a) Questa egloga fu eie gaiitemmfe volgarizzata dal nostro
eh. ab. Benedctto-Savtrio Terzo. Vedi alcune egloghe latioe
recate ia verso sciolto ec. Palermo presso Lorenzo Uato.
28o
e per trovar quincll il subbietto dell'egloga biso-
gna andar lontani, e quello dell'idillio sta nell'i-
dea(i);» e da ciò ben si deduce richieder l'una
semplicità di stile e di argomenti, mentre di ve-
nustà e di eleganza vuoisi l'altro adornare; laonde
a ragione il Boileau rassomiglia quest'ultimo ad un
pastore che in giorni festivi contentasi di gire adorno
di fiori (2).
E se adoperarono gli antichi poeti italiani una
specie di componimento, che addiinandavano cac-
cia ora in essi esprimendo con l'armonia del verso,
il suono degli strumenti, i gridi delle fiere, o l'ab-
bajar dei cani, ed ora adornandolo di piacevolezze
e di scherzi non facevano che fiottole e canzonette
amorose. Ed in eflètti il P. Afl'ò che ne pubbli-
cò una inedita da lui ritrovata in un aulico codi-
ce (3) ce ne presta chiarissima prova; il perchè
iiiuiia rassomigliafiza avendo queste così dette caC'
ce con gl'idilli di cui ragioniamo non è da farne
paragone, come anche non son da confondersi coi
poemi venatorì , co' quali l'arte s'insegna di cac-
ciare; che siccome stolta cosa sarebbe il voler pa-
ragonare la georgica di Virgilio con la buccolica, ov-
vero la coltivazione dell'Alemanni con l'arcadia del
Sanuazzaro, cosi andrebbe errato colui che il poe-
ma di Oppiano, e lutti gli altri di simil natura,
volesse con gl'idilli confondere del Navarro, che
da quelli le mille miglia si allontanano.
Per queste ed altre di siiFatte ragioni, che io non
(1^ Eitcyclopedie mélodique-grammaire ti litteralure, tona. s.
Art. iililtin (ti M. Marinontcl.
(a) j4it. poèc. Clliint. II.
C3) Dizionario poetico articolo caccia.
28l
vop;lio tutte qui per slnt^olo notare , niuno potrà
togliere al nostro egregio poeta la gloria di essere
stato il primo a sciogliere in nuovi modi
Ai venatìci carmi il gìovin labbro
e di essersi così incoronato il crine
Di un lauro che altro vate unqua non colse
A questo vanto vuoisene aggiungere un altro il
dover , cioè, annoverare cotesti componi incanti tra
i primi frutti della giovanile musa dcH'A. il che
se non accresca ad essi gran pregio, giova sicura-
mente a farci conoscere (quando anche altri argo-
menti non ci avesse dato per lo avanti) di qual
nobile ingegno , e di che fervida immaginazione
sia egli fornito ; conciossiachè non solamente do-
vette in così verde età concepire l' arduo dise-
gno di calcare una via non ancora da altii liat-
tufa, ma, quel che più, superare le forti diiricoltà
che la novità non solo, ma la natuia del compo-
nimento gli opponeano, siccome quella di dove-
re innanzi tratto esprimere con poetico linguag-
gio talune immagini, che quanto più semplici e
volgari tanto più riescono difticili a presentarli iu
modo da dilettare i leggitori. Arrogi quest'altra
più ardua e che parve sì forte allo slesso Scali-
gero (i), che giunse a credere non potersi i sog-
getti venatori ridurre alla forma dei pastorali, im-
perciocché stando, come egli dice, i cacciatori in
continuo movimento, poco inclinano a parlare, e
quindi poco atti giudicar debhonsi al canto; il quale
ostacolo fu con molto accorgimento superato dal.
(i) Poetieet lib. I, cap. IVt
VA. ora per via delle descrizioni, ed ora ponendo
i personaggi in taluni punti, in cui o sorpresi da
improvvisa tempesta, o stanchi dal lungo caccia-
re, o molestali dal sole, o che so io, costretti sono
a ricercare un antro, e stando al riposo ricrearsi
a ragionare; il perchè in due generi possonsi di-
videre gl'idilli di cui tenghiamo discorso, o in de-
scrittivi, come l'ispirazione, il soccorso, V amor
nuziale^ e la tempesta, o in dialogici , come, la
caccia a fiaccole ed a reti, Vofferta, Vincilo alla
caccia, la preghiera e la vedova fedele. In tutti
però mostra il nostro chiar. poeta molta fantasia,
faciltà e naturalezza, una continua varietà di me-
tro che assai diletta i leggitori, ed un verseggiar
franco, e moltissima spontaneità di rima. Ma in
quello ove maggiormente si distingue si è nella ve-
rità delle descrizioni; imperciocché usa egli un di-
segnar e contornar così aggiustato che ti mette in-
nanzi le cose tali coni 'elle sono, e te le fa proprio
vedere e toccar colle mani , senza far come altri
poeti fanno, i quali, siccome fu detto «sdegnando
quasi la povertà di questi naturali diletti si stu-
diano di trovar concetti raffinati e smaniosi, e pit-
ture grottesche e svariate, che destando con forte
jscotimenlo la maraviglia presto passano in isdrgno
ed in fastidio, perchè istancano con quella impres-
sione violenta, e perchè l'uomo non ci ha quel
mite diletto, che dimandava la sua natura» (i).
Le descrizioni son sempre tirate dal vero, e da
quelle istesse immagini ridenti che il nostro suolo
Leato ci presenta; se ti dipinga una bufèra che inti-
mi) Ceiari, Bellezze di Dante, tom. I, dial. IV.
283
j)rovvisa mente sorprende un giovane cacciatofe, che
unica di amore
Per la trilustre Anarime vezzosa,
vedi turbarsi l'aere, sorger le nere nubi, e coprire
tli tenebria il monte e il piano, finche la vedi scop-
piare terribile e rumorosa, e dell' istesso modo è
colla vivezza dei medesioà colori tu vedi descritti
gli aniri, le fontane, le amene colline, una Ninfa
che si bagna tra l'onda cristallina e tersa:, ed uà
cacciatore che stanco si riposa all'ombra di un arae-*
no boschetto, mentre ,'
Stava il suo arco a un grosso tronco accanto,
£ da un ramo pendea la letal tasca,
Due grigi cani, e due nericci intani»
Giaceangli a' pie tra l'erba e tra la frasca.
Di lor chi al* sonno' chiude la pupilla,
D'altri Ja lingua fuor dì bocca oscilla.
Altri in mezzo alle zampe il muso coglie
Molle di schiuma e coll'orecchia bassa.
Altri abbaja allo scroscio delle foglie,
O al contadin, che da lontano passa,
Ed altri mentre alle mosche si avventa
Irato invan l'aura sonante addenta.
le quali non dirò mica descrizioni ma pitture liori
manierate md semplici e vive basterebbero esse sole
"a render pregevole il libro che abbiartìo alle'màni.
Si distingue eziandio l'autore per quella forte Ispi-
razione, senza di che non può il poeta trattare siffatti
argomenti in modo da farsi leggère volentieri'; uiìà
prova ne è il primo idillio, in cui dopo di avere
invocato la dea in aiuto del istio Cantò Così dice ' ,'
•■.■•- 1 '.■ ■•■> ■'*
Salve o Dea, salve! il tuo furor già invademi
Sento il tuo fuoco in ogni fibbra serpere:
Ferve la mente e il core; e mille immagini
£ mille, al tooco del pennel fantastico
Come, in un quadro ornai mi' si' àppreseatano
Sì che io rimango inebriato estatico
Immerso tutto nel divin spettacolo.
284
E qui scende a farti una tal dipintura di tutte
le varie cacce, che si usano fra noi con una con-
cisione, e con un fuoco tale, che se non cel vie-
tassero i limiti di un semplice articolo di giornale
assai volentieri trascriveremmo.
E finalmente gli afTetli gentili, e gli amori sem-
plici e leggiadri ci son paruti con sì fino artificio,
e con tal maestria tratteggiati, che nulla più, e tali
per avventura son da riputarsi quei due titolali la
vedova fedele^ e ['invito alla cacc/a, che alla fine
di questo articolo vo per iutiero trascrivere, sic-
come quello che a me parve pien di aflètto non
solo, ma adorno di quelle poetiche grazie, che chi
La fior d'ingegno poetico sente entro di se, e non
sa spiegare.
Ma perchè queste nostre lodi non sembrino a
taluni, che tutto volgono in mala parte, dettate
dairiimicizia,"che all'illustre autore ci lega, ci cor-
re l'obbligo di notare talune poche mende in fatto
di lingua, che spaise qua e là, fanno a dir vero
un brutto vedere, e che siam sicuri saranno emen-
dali in una seconda edizione dall'autore medesimo,
che come ci fa sperare, farà comparire corretta ed
auuientata di molti altri componimenti di simil
genere.
A questa osservazione è d'aggiungere un'altra^
che nel sesto, cioè, e nell'ottavo idillio, a me par-
ve di vedere troppa semplicità, poco artificio, ne
molta armonia in taluni versi , come per modo
di esempio in questo
Or che oii preme grama ambascia ria
che oltre all'esser caricato di due epiteti poco mi
285
suona all'orecchio, che non è cerio il più perfetto,
e in r]uesti altri
«.•■• Che «ai dì eaeeìa
Cottumi e I?ne; e tardi ancora?
Forse ormai Morfeo sonnifero
Sul tuo ciglio ancor si posa,
Che la notte sospirosa
Ti mantenne e dt;sta amor?
Ah se mai di lai vigilia
La cagione io fjssi stato
Me felice! me beato!
Stalli Glori, e dormi ancor.
K pur potrai data la prima caccia
Al reizo di fdto albero,
All'aleggiar di Z'-firo,
287
20
388
Al mormorio di un rìvolo
Uoimir placidamente, o mio diletto:
£ questo fido petto
K queste amiche braccia,
Ti presteranno un anioroio Ietto.
Ma eccola; già sen vien Che dolce iocttot»
£ la bellezza! oh quanto,
Quanto ogni giorno acquista
Nuovo brio, nuovi vezzi, e beltà nuova!
Eccola assai più bella
Della luna, del sol, di ogni altra stella!
Vieni bellissima
Glori diletta;
Il piede eburneo
Deh affretta a (Fretta.
Tientene in giolito
Mio dolce amor
Qui il caro attendeti
Tuo cacciator.
Vedrai che attonite
Le belve indocili
Arrender annosi
Contente a te.
Ma sol tu tu l'unic»
Caccia dolcissima
Sarai per me !
Continuazione delle Sessioni delt Àccad. Gioenia
di Scienze Naluruli in Catania dell'anno ix
accademico.
Sessione de 22 novembre i832.
Lette furono varie lettere indirizzate all'Acca-
demia, cioè, una dalla Giunta della R, Bibliot(ca
Borbonica in ringraziamento dei sei volumi in-
viati a quella Biblioteca, e di gradimento di S. M.
per altro distinto volume inviatole; altra lettera
da S. E. il Principe di Campoiranco iNlinistro Se-
gretario di Stato , altra dai Duca di Samiti,artino
289
Ministro di Stato, ed altra dal Marchese di Pie-
tracatella Presidente della Consulta, con senti-
menti di gratitudine per essere stali eletti socii
on orari i.
Accolti furono con animo grato i doni presen-
tati, cioè il fascicolo tx, x, xi delle Eflòmeridi
Letterarie di Sicilia; Discorso per la inaugurazione
della Società Economica in Catania del socio Sal-
vadore Scuderi; Apologia della cura di una ma-
latlia nella città di Scordia del socio dottor Rocco
Pugliese; Riflessioni critiche sopra il Litontrittore di
Civiale del dottor Luigi Balba; Lo stabilimento
Letterario Tipografico dell'Ateneo in Napoli, e ri-
sposta a tutte le dicerie contro l'Ateneo; Memo-
ria sopra l'Asfalto di Gioachino Santoro Cremona;
Relazione de' funerali ed orazione funebre di Fer-
dinando 1° del medesimo Autore; Intorno la etero-
diatesi delle piaghe del dottor Sollima. Destinati,
loro furono i convenevoli ringraziamenti.
Il socio Canonico Alessi continuò la lettura del-
l'Istoria critica dell'Eruzioni dell'Etna dal princi-
pio del secolo XIX sino a questo giorno, inseren-
dovi le memorie, le opinioni, e le osservazioni
intorno la causa dell' accensioue e sulle materie
eruttate.
Sessione de 23 dicembre 183-2.
Presentati furono all'Accademia i seguenti doni;
Nuova descrizione del Camaleonte Siculo spe-
dila all'Accademia dall'autore Francesco Saverio
Grohraann; Memoria Chimico-medica sull'acqua
termo-minerale del Bagnuolo nelle vicinanze di
Napoli di Francesco Petruncelli e Giacomo Ma-
290
ria Pace; De Mnllcinae benefìcils in Remp. Pro-
Irpsis quam habiiit Laurentius Martlniiis Phy-
siologiae professor in R. Taurinensi Athenaeo.
Progetti sul Choiera-morbo, e rivista di opere di
medicina dal socio Gaetano Algeri. Destinati loro
furono i dovuti ringraziamenti. Indi dal Collabo-
ratore dottor Luigi Parlato fu presentato un An-
nuncio su di una nuova materia testile tratta da
pianta indigena e da lui ritrovata. Si lesie uu
uflizio del signor Intendente della Valle, che a
nome del Governo chiedeva una nota de' mem-
bri attivi componenti la Società Gioenia.
Il socio Mario Musumeci lesse una Relazione
dell'Eruzione dell'Etna accaduta nel mese di ot-
tobre sopra Bronte, della quale egli fu spettatore
in compagnia del Principe di Sperlinga Manga-
nelli nostro socio, che l'adopra da Ingegnere onde
preservare dal torrente di fuoco la città di Bronte
che n'era minacciata.
Sessione de 24 gennajo i833.
Presentati furono all'Accademia in dono: Effe-
meridi per la Sicilia fascicolo xiii, Interlaudi, sul
metodo di guarigione di due malattie.
Si lessero le lettere di corrispondenza de socu
M"; Di Giovanni, e M"; Maddalena per la trasraes-
sione loro fatta del v e vi volume, onde presentarsi
a S. A. R. e trasmetterne copia a S. M. Ferdi-
nando II (D. G.) aU'Instituto d'Incoraggiamento,
alla Reale Accademia delle scienze in Napoli, e
ad alcuni socii corrispondenti.
Si lesse pure un indirizzo del vice-Console Im-
periale del Brasile a nome del Ministro Segreta- l
rio di Stato dì Rio Janeiro, e dell' Accademia ivi
esistente, che cliiedeva i nomi de' componenti la
nostra Accademia, i volumi pubblicati, e l'ofierta
d'inviarci le meniorie colà date alla luce. Fu sta-
bilita una sodalità fra enlrambo le Accademie.
Il socio Gemmellaro lesse un Sunto ragionato
delle osservazioni meteorologiclìe fatte nell'Osser-
vatòrio già eretto nel medesimo Ateneo di Ca-
tania. Secondo l'annuo stabilimento eletti furono
a socii onorarii il Cav. Antonio Nauula professore
di Anatomia in Napoli , il signor Saverio Scro-
fani da Siracusa, il Cav. Salvadore Oguihene da
Palermo, il Principe di Palagonia Francesco Paolo
Gravina. • •(*,.:,,• 1 ..,;•! ^ tr->- '1
Per socii corrispondenti eletti furono il profes-
sore signor Leopoldo Pilla da JNapoli , il |)ro'es-
sore Carlo Unnotti da JSajioli , il signor Fi ance-
SCO Tiby da Trapani , il P. Reg. Cali de' Min.
Conventuali, il Benelic. Santoro Cremona da Pa-
lermo. Eletti furono altresì alcuni Collaboratori.
Sessione de a8 f ebbra jo iS33.
Sì lesse primamente una lettera di M"" di Gio-
vanni, in cui annunciò di aver presentato a S.
A. R. nostro Socio e Mecenate il v e vi volume
degli Atti Accademici , e di averli benignamente
accolli.
Lette quindi furono varie lettere di ringrazia-
mento spedite dagli eletti socii.
Fu piesenlato all'Accademia il primo volume
del Bollettino della Società Geologica di Francia
onorevolmente spedito da quella Società per mez-
zo del vice-Direttore Costant-Prcvost nostro socio.
Furono altresì presentati i seguenti cloni; Lette-
ra di Francesco Paolo Mortillaro al sig. Gtìv. Sal-
'tatore Scuileri, sulla risposta data estemporanea-
irieute a' quesiti di statìstica; Mauri, Memoria sul-
l'eruzione V(^suviana de' ai ottobre i8a3. Ana-
lisi Chimica dell'acqua minerale di Alimone Bia-
soletto, di alcune Alghe microscopiche.
Il socio Mara vigna lesse una Memoria su i Si-
Jicidi Etnei per continuare il suo dotto lavoro
suirOriltosnosia Etnea. \
o
Sessione de' ig marzo i833.
Presentati furono i seguenti doni : EfFemeridl
Scientifiche n. xiv; Risposta del Cav. Scudtri a
Francesco Paolo Mortillaro, un foglio colla veduta
e l'analisi dell'Acqua Vesuviana fatta dal profes-
sore Ricci. Morea Vitan;;elo, sul Clolera-morbo
disputazione medica e filosofica, Istoria della Pe-
ste di Noja, Carena Giacinto, Osservazione intor-
no ai votali della lingua Italiana.
Il socio corrispondente Giuseppe Antonio Gal-
vagni lesse una erudita Memoria sul morbo Phti-
riasico compagno d'una febbre intermittente vinale
ed estinto colla medesima.
Sessione de' 18 aprile i833.
Lotto un foglio di Mr di Giovanni, in cui an-
nunciava di avere S. A. R, approvato di doversi
dare promodalmente all'Accademia le once 100
progettate nello stato discusso, e ciò pel iSSa;
si lesse quindi il dispaccio graziosamente spedito
da S. A, R. e comuuicaloci da questo iiiteudente
nostro socio. Presentati furono un Discorso reci-
tnto dal socio Ursino pello stabilimento ed aper-
tura della Cattedra del Codice di leggi civili col
confronto delle romane, Pidoni Giuseppe Osser-
Viizioni su ì cattivi effigiti del mercurio. Il socio
C Gem mellaro lesse una memoria sulle cause delle
accresciute acque dell'Amenano, con osservazioni
isteriche, geologiche^ idrologiche. Sì elessero per
socio onorario il signor Fulco Ruffo Principe di
Scilla presidente dell'Istituto d'Incoraggiamento in
INapoli, e per corrispondenti il dottor Vitangelo
Morea da Napoli, ed il sig. Alessandro Mauri da
Napoli,
Ccm» Giuseppe A lessi ?
Segretario Generale dell Accademia e Collabo"
ratore all' Effemeridi.
È STRANIERA
Notizie di Onorato Martucci
Sulla base della popolazione della Cina,
La base sopra la quale è fondato il mio calcolo
relativamente alla popolazione della Cina, consiste
nella regolarità di sistema, cli'è nel governo cine-
se. Ogni distretto di luogo abitato ha il suo ap-
j)ropriato ulficiale; ogni strada il commissario del
quartiere: ed ogni dieci case, un capo di dieci fa-
miglie. Tutti questi ufliciali hanno i necessari mez-
zi per accertare il numero della popolazione con
considerabile accuratezza.
294 ..
.( Ogni famiglia è obbligata di tenere sulla porta
dell^ casa, una tavola chiamata m/m-prtc (tavoletta
della porla) esposta per i'ispezioue; dogli ulliciali
iucarica ti del registro del censo, nella quale sono
scritti i nomi, di. tutte le persone che ivi abitano,
lÉiaschi e femine. Se il numero de' pigionanti è
fedelmente notato sulla tavola, il numero degli abir
tanti della Cina ikoa può essere accertato eoa uiagt-
gior precisione. . i , ■ , . ;
j!( L'ultimo censo della popolazione della Cina eb-
be luogo nell'anno 1790: ed eccone in piedeia, di-
stinta nota di ogni rispettiva Provipcia.!> >:\i\n\f
Provincie. Jbithnfì:
Hing-King, e Scing-King ossia tutto
ir territorio di Man-Cicio..'j\v?:;;..' 4^6643
KingSze, o Ci-le, ovvero Pi-CÌ-le:\. 35o4o38
Keang-su, o Kjang-Jian 38967335
Gan-vuy ,.., ...:• 1 4^8023
Scanc-tung ^ h'>"i"W 25447033
Honan ÀJ\MXJ.MJ.f:..\f.. 3(1.6^969
Scien-se ....; 357704
Ce-Keang 18975099
K ea n g-se 59 2 2 i Oo
Jlu-pi ..,...., 24004^09
Hu-nan ,.. ,..^.. ..........;... ...,..V.i,9'^>9'^o»f>
S'/c-Ciùen 77%)7*^2
Fo-Kin 1684538
K^ang-tung....,,.,.. -;,,::.. i49"|7^
Kuan^.se...,. ... ,.^,.,....^ .. ^^^
\u-na,K......;.....,,.:,......,.y...j,,.... 3o834a9
h^^-c^^p r^;r!r::;v.:iM_^^
Totali^.*-^Ì^:^?.ÌÌ!^. Ì34ii^734
Il tiilto della popolazione, data da documeu-
li pubblici cinesi monta a poco più di i/{'i mi-
lioni : ciò die differisce grandemente da quanto
fu dello all'ambasciatore inglese a Pekin, nell'an-
no 1793, ed anco da quanto si contiene nella de-
scrizione generale della Cina dell'abate Grosier, il
quale da qual sorgente traesse il suo Ciung-mia-
Sciù (numero della gente) non ci palesa.
Sarebbe vano il far ricerche in Cina di docu-
menti che portassero la popolazione di quell'im-
pero a più di i5o milioni d'anime. Accordando
più di due milioni d'uomini per l'armata e lista
civile , e più di altri due milioni di gente , che
vive nelle barche sull'acqua, anche con questo noa
indifferente quantitativo addizionale, quella popo-
lazione somma a meno di i5o milioni.
Quelle tribù ed orde di pastori erranti nella Ci-
na , le quali deslitute di fìsse abitazioni soggior-
nano ovunque sufficienza d'acqua e pastura le in-
vitano, non lasciano monumenti per perpetuare la
memoria de' passali eventi. E per la pagina del-
l'istoria cinese non restano che i loro nomi.
DEL SESTO TOMO
PARTE SICILIANA
SCIEJSZÉ
s.
'u di alcuni nuovi crustacei dei mari di Messina. '-Me-
moria di JNiccutò Prestandrea. , Pag;» S
AFerdinando Malvica. — Lettera di Salvatore Cosiaazo sul-
l'importanza della statigtioa e dell'aritmetica politica per
far progredire l'ecunomia in Sicilia. ...... ig
Al Cav. Salvatore \'igo. » Lettera di Ignazio Sanfilippo
prof, d'economia politica u ^^
Cenno ilsiologico storico su di un precoce ed c8traordina<
rio «viluppo or);anico di un fanciullo palermitano del
prof. Rocco Sol ina ' . . . . » 8o
B^gguaglio degli avanzamenti d' .'^iiazio Lan
Ila ; e a questo etfetto le leggi co<
PARTE SICILIANA E STRANIERA.
SCIENZE.
Lettera de! barone Larrey al dottor Portai » 98
Sulla base della popolazione della Cina. >- Notizie di O-
norato Martucci » S(j3
LETTERE.
Al Marchese Tommaso Gargallo. — Epistola del prof. Giu-
seppe Barbieri . • w 319
SCIENTIFICHE E LETTERARIE
PER
I^A SICILIA
TOMO Vii
ANNO SECONDO
Xuatto CCao^to e Oettemvce
il
DALLA TIPOGRAFIA DI FILIPPO SOLLI
1835
COMPILATORI DELLE EFFEMERIDI
Ferdinando INIalvica.
Franco Maccagnoni; principe di Granatelli.
Cav. Antonio di Giovanni Mira.
Agostino Gallo Uffiziale di carico nella R. Se-
greteria, e Ministero di Stalo.
Pietro Lanza principe, di Scordia Gentiluomo di
Camera con esercizio di S. M. siciliana,
COLLABORATORI SICILIANI
Marchese Tommaso Gargallo Gentiluomo di ca-
mera con esercizio di S.M. siciliana a Napoli.
Principe di Trabia Consigliere di stato, Genti-
luomo di camera con esercizio di S. M. si-
ciliana ec. in Palermo.
Duca di Serradifalco Gentiluomo di camera con
esercizio di S. M. siciliana ec. Idem.
Ah. Cav. Francesco Ferrara professore di sto-
ria Naturale nella R. U/wersità degli studi
Idem.
Cav. Niccolò Pahneri a Termini.
Sig. Carlo Gemmellaro prof, di storia natura-
le nellaR. Università degli studi a Catania.
Barone jéntonino Bivona in Palermo.
Ah. Giuseppe Crispi prof, di lettere greche nella
a. Università degli studi Idem,.
Cav. Lionardo Vigo ad Aci-Reale.
Prof. Baldassare Romano a Termini.
Benefic. Luigi Garofalo in Palermo.
Cav. Dr. Domenico Greco Idem.
Sig. Ignazio Sanfilippo prof, di economia politi-
ca ìiella R, Universiià degli studi Idem.
t)r. Giovanni Gorgone prof, di anatomìa nella
Ji. l m\>ersità degli stadi Idem.
Cali. Muzio prof, di matematica sublime nella
R. Università degli studi Idem.
j4b. Benedetto-Saverio Terzo Idem,
Dr. Placido Portai cldrurgo di camera di S. J*
R. il Conte di Siracusa Idem,
Can. ^Jvolio il Siracusa.
Sig. intonino Furitatio prof, di Chinnca nella
R. Università degli studi in Palermo.
j4b. Emmanueh yaccaro Segretario perpetuo del
R. Istituto d'incoraggiamento Idem.
Can. Giuseppe Jlessi segretario dell' accademia
Gioenia a Catania.
Sig. Celidonio Errante in Palermo.
Dr. Gaetano Jlgeri Idem.
Can. Dichiara prof, di dritto canonico nella R.
Università degli studi Idem,
Cav. Salvatore Scuderi prof di economia poli-
tica e di agricoltura nella R. Università de^li
studi a Catania.
Dr. I^incenzo Navarro a Ribera.
Sig. Carmelo Martorana in Palermo*
Cav. Berardo Ferro a Trapani.
Dr. Jntonino Greco in Palermo,
Sig. Emmanuele k'iola Idem,
jib. Antonio Criscuoli Idem.
Sig. Giuseppe Sci bona Idem,
jéb. Niccolò Buse e mi Idem.
Sig. Vito Ondes Reggio Idem,
Sig. Francesco Sesti Idem.
COLLABORATORI ITALIANI .
Monsignor Giuseppe Capece-Latro antico Jrei'
vescovo di Taranto ec. a Napoli.
m Conte Leopoldo Cicognara Commendatore della
corona di Ferro ec. a Venezia.
Cav. Teodoro Monticelli a Napoli.
Ab. Urbano Lampredi Idem.
Monsignor Carlo Emmanuele de' Conti Muzza-
relli Uditore della S. R. R. a Roma.
Cav. Gio. Battista Niccolini a Firenze.
Contessa Costanza Monti Perlicari a Milano.
Cav. Giuseppe Borghi a Firenze.
Principe D. Pietro Odescalchi dei duchi del Sir--
mio ec. a Roma.
Conte Domenico Paoli a Pesaro.
S'ìg. Antonio Mezzanotte prof, di lettere greche
nella Università degli studi a Perugia.
Sìg. Teresa Albarelli bordoni a Verona. »
Prof. Salvatore Betti segretario pertetuo delfiri'
signe accademia di S. Luca a Roma.
Can. Agostino P eruzzi a Ferrara,
ò'ig. Domenico Biagini a Roma.
Prof. Melchiorre Missirini a Firenze.
Prof. Luigi Muzzi à Bologna.
EFFEMERIDI
SCIENTIFICHE E LETTERARIE
PER
LA SICILIA
^uaùio 1 833
IP^ltS glIilM^m^
Eruzione deWEtna in Ottobre i832.
A.L cominciare di agosto di quest' anno dal cra-
tere dell'Etna che si apre alla sommità della co-
nica altissima montagna il fumo si vide oltre al
solito copioso elevarsi in masse bianche che dalla
propria leggerezza portato nella regione delle nu-
vole con esse mischiavasi e fra esse progressivamente
dissipavasi. Un tal fenomeno avvenne replicate volte
nei giorni appresso, e sino alla fine del mese. En-
trando settembre il colore divenne alquanto bruno
senza che scemasse la sua quantità , ma come se
aggravato venisse dal proprio peso or lambiva il
cratere, ora al piacere del vento di tramontana di-
sperso veniva ovunque nei contorni dell'alto cono.
Dopo la metà di settembre tutto parve estinto si-
no al giorno 8 di ottobre, nella mattina del quale
4 , ,
al far tlell'aurora ricomparve il fumo nero, e nelle
falde orifintali e di mezzogiorno si udirono cupe
detonazioni che venivano dallo interno del monte
che precedevano isgorghi più abboiìdanli di esso,
e che sovente li accompagnavano. Il giorno 20 al
cadere del sole il fumo divenuto più scuro, e Ci-
ligginoso si elevò a colonne perpendicolari verso la
volta azzurra traversate sovente da spalle di fumo
bianco imitanti le palle di cotone, e fu allora che
si conobbe avere il volcano preparato già una imo-
Ta eruzione, destato il fuoco nelle sue sotterranee
fornaci. Tosto che fu s^ra il giorno 37 le strisce
di vive fiamme cominciarono a risplendere fra le
masse del fumo, e annunziarono la vicina eruzione.
La notte dei 3i da una nuova apertura poclui mi-
glia sotto la cima, e dalla parte di occidente sgor-
gò un fiume di materia ardente, e così grande fe-
nomeno fu preceduto , e accompagnato da scoppj
come di un cannone del più grosso calibro , e da
fj-agori orrendi che risuonavano per tutti i luoghi
all'intorno. Il terreno poco inclinato non diede molla
celerità al suo corso. Ma nel giorno 3 di novem-
bre si accrebbero le detonazioni e i muggiti spa-
ventevoli, e più basso della prima, ma nella stessa
direzione a scendere, si aprirono altre bocche^ altra
materia liquefatta cominciò da esse a fluire che unita
alla prima e sopra un suolo più declive formarono
un rapido lonente che si diresse minaccioso verso
i luoghi inferiori. Nelle sere di più pomjìoso ap-
parato, e quando le colonne di fumo nero alter-
navano con quelle di fuoco, e che le strisce tri-
cuspidi del fuoco elettrico balenavano fra le masse
agglomerate nello spazio superiore alle bocche in-
fiammate, la scena diveniva allora maestosa ed ini-
5
ponente, degna della mano dalla Natura che ivi per
formarla accumulalo avea negl' interni sotterranei
ammassi sterminali del più potenle elemento, del
fuoco. Sino ad una prodigiosa altezza l'aere vedo-
vasi ingombrato dal fumo in globi rutilanti, e dai
getti delle masse ardenti che imitavano quelli dei
nostri fuochi artificiali. I poeti potevano bene im-
maginare che i fulminati giganti rinnovato avevano
la loro guerra, e che il sommo Giove riprese avea
le vittoriose sue armi. I pittori rappresentar pote-
vano sulla loro tela la discesa degli Dei dall'Olim-
po sulla terra assisi sopra nubi di fuoco.
La sera del giorno 4 i^ torrente percorso avea
cinque miglia, edera asole quattro di distanza da
Bronte verso la quale diretto era il suo cammino.
Malgrado il suo corso serpeggiante la sua celerità
non era diminuita. Avauzavasi con una fronte alla
circa 24 piedi, e con una enorme larghezza. I mi-
seri abitanti di quella infelice città furono confusi,
e spaventati da un pericolo così vicino, e così or-
roroso. Le ceneri dei loro antenati ivi sepolti , i
loro domestici lari stavano per essere sommersi sotto
un mare immenso di fuoco. Gemevano tutti so-
pra la loro fatale sventura ; il cielo pareva sor-
do alle loro voci replicate e non pietoso alle
amare loro lagrime. Il torcere alquanto or da uà
lato or dall'altro, il rallentarsi qualche volta del
torrente infuocato faceva oscillare i loro animi dalla
speranza al terrore.
Prima del giorno 24 le sorgenti divennero meno
copiose. La superficie della lava erasi ovunque con-
densata al contatto dell' atmosfera , e la materia
fluida perdendo gradatamente la sua forza non potè
più superare la resistenza della fronte impietrila
6
del torrente che si arrestò a un miglio e un quarto
prima della minacciata città. Innalza lulosi per le
fenditure che erànsi formate nello strato superiore
delle scorie annerite colò per alquanti giorni sopra
se stesso senza più potersi innoltrare. Alla fine lo
erutto di più giorni di arene , e di arsicce masse
innalzò le alture coniche all'intorno delle spente
bocche, ed annunziò il lieto fine della eruzione. I
brontesi si videro tutti con le mani supplichevoli
elevale verso l'alto intuonare inni di gioja, e di rin-
graziamento per la liberazione della loro cara pa-
tria.
LEtna non ha presentato nei prodotti di que-
sta ultima eruzione alcuna nuova materia che chia-
mar potesse a se l'attenzione del fisico. Quanto in
essi si trova non differisce da quello delle altre eru-
zioni, e che è stalo studiato, e descritto dai na-
turalisti che hanno illustralo questa celebre mon-
tagna.
Nel tempo che la calma ritornata era in Bron-
te, i vapori elastici prodotti dalle accensioni vol-
caniche circolando per altri luoghi apportarono il
più grave infortunio nel casale di Nicolosi che è al
principio della mezzana regione Belle falde di mez-
zogiorno. La mattina dei 24 '^^^^ o''<^ dieci e un
quarto italiane fra le dirotte pioggie che cadute era-
no per tutta la notte, e che seguivano ancora una
scossa di enorme forza seguita da un'altra dopo al-
quanti minuti , e da una terza dopo alcune ore
mossero il suolo di quel paese fabbricato sopra le
arene accumulate dalla eruzione del 1669. Tutte
le case furono danneggiate non escluse le chiese.
Cinque furono interamente devastate. Tre fanciulli
limasero sepolti sotto le rovine, due donne furono
I
7
ferite dai sassi caduti. Il tremuoto fu preceduto da
un fragore sotterraneo come di un furioso vento
che fremendo dietro le chiusure tentasse di aprirsi
una strada.
C. F. F.
Seconda Memoria^ e nuova raccolta di fatti com-
provanti i cattivi effetti del Mercurio nelle ma-
lattìe nervose , di Giuseppe Pi don e dottore
in medicina ed in filosofia della facoltà me
dica di Catania. — Letta ali Accademia d
Scienze e Lettere di Palermo nella tornata de
28 aprile i833.
Inter prazeos remoras locuin ohtìnent fatta ìdolei ,
quibus magna Medicorum pars praeserùm hoc soe-
culo obnoxia est -
uude non recia ratione sed mente anlecaepta cof»-
silia ferri contingit.
Bacliyi — de praxi medica lib. i, cap. yì
Se vero e che in questo luogo sacro a Minerva
non per ^Itro si viene che per cercare la verità in
mezzo alle tenebre ed all'errore, Voi non potete og-
gi, Signori, che benignamente e con attenzione a-
scolfare questa qual'ella siasi mia voce , afforzata
dal sentimento di voler giovare all'umanità inferma,
e nel tempo stesso alla scienza.
Nell'immenso stuolo dei mali fisici che l'uomo
circonda, non v'ha certo di più spaventevole e mi-
cidiale che le nevrosi ed il tetano. Si è per que-
sto difatti che, quasi tocco da fulmine, l'individuo
il più vigoroso in pochi giorni straziato, e tra pe-
nose angosce sen tuuoi'e; ne rimedio finora 0 soc-
corso pronto dtìU'arte ha potuto far sì che questa
8 ;
tragica scena neirumana natura non più sì appre-
senti. Che anzi nella moltiplicità dei mezzi all'uo-
po adibiti si è di sovente obbligati a riconoscere
l'iusufìicienza dell'arte, e non di rado la nocuità
de' rimedi. Esempio tristissimo ci si para dinanzi
nel tanto predicato unguento napoletano , di cui
taluni sono giunti fino a farne panacea contro le
nevrosi di qualsiasi specie. Sonmi è vero, cortesi
Uditori, scagliato il primo con una memoria pub-
blicata non ha guari pei torchi del Solli, av\ erso
questo imperdonabile abbuso di raziocinio medico
e di pratica filosofica. Sgraziatamente però l'errore
Ila profonde gettale le sue radici in alcuni pregiudi-
cati cervelli, e lungi di accogliersi il mio lavoro
con quella buona grazia, che suol nascere da per-
suasione e da rette mire di correggere i proprii
abbagli, si è per l'opposto ed in ])ubblico ed in
privato, e da discepoli e da maestri gridata addos-
so la croce alle mie Osservazioni. Abbenchè po-
chi sieno questi tali e dipendenti da parie opposta,
capir mai non poteva in sano giudizio che arrivato
si fosse a negare quei fatti, chiari assai mille vol-
te più dell'astro benefico che ci illumina.
Cosa però n'è venuta da voci tanto strane ed
assurde? Che io non curandole , perchè prodotto
di bile e di sdegno, ho bensì fatto cuore a render
meglio un servizio all'umanità ed alla scienza, e
non altrimenti che co' soli fatti mi è venuto in
pensiere di praticarlo. Questi fatti, rispettabili So-
di, son quelli innanzi ai quali suole sempre tacer-
si la speculazione la più sottile; rovesciano essi le
ipotesi più soddisfacenti; ed arrecano tanto di van-
taggio e di bene, che uno spirilo sagace ed illu-
rainalo può da essi soltanto dedurre quelle ottime
9
teorie, che qual' astro lucidissimo li rispleiidono in
medicina.
Ne a mio lalenlo raccolti ma, espressione di ve-
rità, da canto di quei benemeriti professori , che
han fatto viso di aj)provazioiic alla mia j)rinia me-
moiia, io ve li ofTro, o Signori; perchè possiate col-
la vostra aulorevf>ie sanzione porre termine ad un
abbuso che disonora la scienza , e che mette a
pericolo la salute degli ammalati. Noi siamo agli
occhi di nazioni incivilite, che onorando se stesse
ci sospingono ad imitarli-. Non vogliate dunque
permettere che le mie speranze tornino vuote, e
che si dica di noi- tiovarci tuttora immersi nei
pref^indizi semi-barbari dei secoli trapassati.
Riassumendo l'assunto della mia sudelta memo-
ria, e dando maggior estensione alla materia non
potrò non divideie che in due classi i fatti, di
cui è parola , in quelli cioè tendenti a provare
che il mercurio spesso è causa di morte o piooac-
cia positivi disturbi e massimamente le così dette
affezioni nervose^ ed in quegli altri del pari per cui
si disvela il dannoso potere di questo farmaco in
tali morbi.
I. Classe
Fatti comprovanti V origine di malattie nervose
e di vari disordini dall'azione del mercurio.
Io non voglio intrattenervi un sol poco sul caso di
apoplessia sopravvenuto durante l'amministrazione
dell'unguento mercurio per frizioni, e del deuto-
cloruro di mercurio preso all'interno da quel pa-
ziente di cui fa parola Gucrin de Mamers negli
IO
Annali della Mctlicina Fisiologica del Broussais(^i)^
ììc di tiìiili altri dei quali so[io zeppe le opere le
j)iìi accreditale ed in voce. Chi ha fior di senno può
leggere, e leggendo trovare di che far meraviglie
all'obbiolto. Roinae sciibo^ diceva il fondatore del
solidisrno , ed io ripeto che mi trovo in Palermo
e di fatti quivi accaduti or mi è d'uopo di ragionare.
Portatevi di grazia, Signori, nell'Ospedale Gran-
de di questa città ed ivi appunto nella linea del
signor Longo al n.° 29, voi troverete donna Ca-
terina D Jìitoiie sin da uìolti anni resa ninfonia-
niaca lìaììe frizioni mercuriali \:)ev averle praticale
da buona pezza sopra le sifilitiche dell'Ospedale di
S. Bartolomeo. Essa trovasi attualmente in una
specie di fatuità e soflfrc di quando in quando
ócWcstuaziona che bisogna domarsi col salasso e
coi bagni.
Domenico Lo f'^erso per aver poppalo la di lui
genitrice sotto cura del deiUo-cloraro di mercurio
secondo il metodo del Dzondìi^i) fu colpito nell'età
(1) VeJi tome si.xieine p. a{. Mal però si avviscreMie ognuno
facenj divina verità sei tu da questi
M che del falso e del ver Janno una pastai
Ne giova il dire che il Rizzo sin da ragazzo
portava segni di pazzia; se tale era, più guardi-
gno avrebbe dovuto ognun tenersi a non dar far-
maci che potevau viepiù esaltare questa tenden-
za, per la ragione istessa che non è ad alcun di
noi permesso di aramiaistrare rimedi scaldanti a
*7
coloro clie van soggetti a flemmasie od emorragie di
ogni sorta. Che vale intanto il trovar modo a ris-
pondere a tali baie , se fatti più costanti addimo-
strano i nocivi risultati del mercurio nelle affezio-
ni nervose?
Epilettico da più tempo un certo patrocinatore
in Palermo, era stato pur malmenato da lue vene-
rea con infarcimento del fegato. Una cura mercu-
riale non poteva non essere altrimenti indicala che
in questo infermo e per la condizione patologica
del suo fegato, e pel {>irus paiticolare clic serpeg-
giava nel di lui corpo. Si prescrisse difalti, ed in
un mese di frizioni non solo apparve V ahberra-
zione delle idee ^ ma divenne egli perfettamente
maniacù^ e da li ad un'anno morì tale in sua ca-
sa. Si consulti su questo dettaglio il commendevole
dottor Pritin^ e si vedjà se io mentisca.
Al dir del Portai non è quasi all'orlo della tom-
ba per causa delle frizioni mercuriali \ epilettico
p'incenzo Imparato figlio del cameriere della si-
gnora Principessa di Carini dimorante in Palermo?
E quali lùron mai gli effetti in P^incenzo Sino-
bili carinese affetto da epilessia e curato con lar-
ghe unzioni di mercurio dai collega intonino
Mannino ?
jNel di o.n marzo di quest'anno fu ricevuto rfel-
la Clinica^^con paicsi del lato sinistro Vincenzo
Cwrfi palermitano. Percosse ricevute dai parenti
nella sua tenera età, indi rivolgimento di un pie-
de ed anchilosi, seguiti da moto convulsivo del
braccio con perdita di movimento, furono la ca-
giona del di lui male. Le convulsioni [)eiò non
mancarono ad annunziarsi, e caratterizzato il mor-
bo per epilessia fu messo il Curii in osservazio-
2
i8
ne, limancntìo incitalo. Ècco il metodo curativo.
Solo e semplice latte d'asina, olio di mandorle
dolci e di ricino col giulebbe di altea — scarse eva-
cuazioni— dieta di pasta fina col pollo, e con lat-
te come sopra. Nei giorni appresso — bagno, bolo
antelmintico con corallina officinale, seme santo e
confezione di cedro — evacuazione ma senza ver-
minij ed è da notarsi che i moti epilettici dimi-
nuivano d'intensità dopo il bagno. Furono quindi
continuati il bagno ed il bolo, dovè sospendersi il
latte perchè l'infermo noi teneva nel ventre^ — ve-
scicatori alle braccia — svanirono i movimenti epi-
lettici, e si manifestò il dolore sul capo — altro ba-
gno j brodo con uovo— ricomparsa di epilessia più
durevole— senapismi, un clistere con olio di rici-
no, tartaro emetico, ed acqua di malva — abbon-
danti evacuazioni, ed accrescimento del male — si
replicarono i senapismi ai piedi, latte d'asina, salasso
di onze cinque^ e per chiudersi al solito la scena,
frizioni mercuriali — ■ accessi vie piìc ravvicinati
e terribili per c;ui si bisognò Sospendere quel mer-
curio, che nella mattina del /\.° giorno di unzio-
ne. IO del cadente aprile fu di nuovo dagli assi-
stenti amministrato^ all'insaputa però del Direttore
della Clinica. Presenti a cefali operazioni i signori
don Filippo Parlatore e don Giovanni Misco; io
dovetti in questo medesimo giorno visitare l'infér-
rno e trovarlo in convulsioni così raddoppiate e
frequenti che poteva appena marcarsi l'una dall'al-
tra j era egli abbattuto di forze e privo di senti"
menti, e i mercuristi che gli stavan d'attorno guar-
dando il silenzio mitigavano la loro bile, ma Ira-
sparivagli lo sdegno nel volto. Il giorno 12 — ve-
seicalorio alla nuca. D'allora in poi si divietò l'in-
gresso nella Clinica , forse per tema di poter io
raccogliere e riunire ai precedenti altro, fatto di-'
sonorante l'azione dell'accarezzato rimedio. Che che
ne sia non si lasciò per cinque giorni continui di
1-icorrere a tutti i mezzi antiflogistici — Il dì i-j
— cefalalgia frontale — • mignatte al coronale, ve-
scicatorio alla gamba ^ un clistere — dieta di fra-
gole e minestrina in brodo —Li i8 — convulsioni
minorate, poco dolore all'occipite — bagno, clistere,
senapismi ai piedi — mieta di latte e fragole. Li
ig — bagnolini pel decubito che si era formato — '
mieta come sopra , pasta tìna e fragole con estre-
mità — • migliorìa dell' infermo. Li 20 — • dieta
d'uovo e latte d'asina — gli accessi allontanati. Li
iìi — ^ mancanza assoluta di accessi epilettici — - soli
fcagnolini pel decubito — dieta come sopra; è per-
messo a chiunque d' introdursi nella Sala di Os-
servazioni-, ove sotto la cura del Direttore supplen-
te i rimedi ed il vitto pel dirti sono stati scelti
tra i più blandi e non dissimili da quest'ultimi clitì
ilo cennato per essersi trovati di qualche vantag-
gio. Gli è vero che l'infermo s'intertiend in discorsi
latti in parte da sano ed in parte da abberrato 6
ti ripete per più volle le sue dimande ^ ma nort
può negarsi che sia veramente migliorato nei prò-
prii mali.
Convulsionaria ed erpetica da molti anni la si-
gnora Contessa di Capaci fu, malgrado le opposi-
zioni del dottor De Lisi padre , assoggettita aliai
pomata del Cirillo da professore assai rispeltabilei
per le Vaste sue cognizioni, e sventuiatamente morì.
L'anzidetto dottor Gallo che praticava allora sotto
il De Lisi, e quesl'istesso son testimoni di tantd
tiisd;
(Sarà continuato)
20
Raccolta di osservazioni cliniche, sulViiso deU
V aequa termo-minerale F^esiwiana-JVunziante ^
fatte da varj professori.
Non è glia li clie in Palermo è corsa voce di
essersi in Napoli scoperta l'acqua lermo-miuerale
detta Vesuviana Nunziante.
Souosi celebrati da taluni i prodigiosi efletti di
questa, e disprezzati da taluni alili, supponendoli
sogni di esaltata injmaginazione che precipitosa suo-
le andare dietro alla novità, ed ascriveie a mira-
coli le dubbie conseguenze che a lei oflioiisi.
Ma alla fine pervenutaci la raccolta delle osser-
vazioni cliniche falle da valenli professori della
Leila Partenope, e conosciuta 1' analisi chimica ese-
guita dal valoroso Professore Ricci, non si è po-
lulo fare a meno di chinar la fronte alle osserva-
zioni, ed ai fatti a cui, lorchè parlano, uo])0 è che
cedano i meschini speculatori.
Con sommo piacere aljbiamo letto le osserva-
zioni raccolte dal Dr Cirillo, nelle quali vi ven-
gono riferite le guarigioni di alcuni morbi convul-
sivi , di podagra regolare primitiva , di vizii
salsidinosi j-sorici , di coliche, e doglie c[)aliclie,
e lenta febbre sifilitica accompagnata da dolori
oslepcopi , di asma umida , associata a tosse irri-
tativa, di ostruzioni di visceri addominali, di asci-
te, di Icuco-flemmasia, d'ingorgo nel sistema glan-
dulare jnaschcrato sotto forma di scrofola.
Rapportasi inoltre in una memoria scritta con
mollo discernimento dal Dottor Calabrese la cura
recata al suo compimento di sciatica anteriore, e
21
posleiiore, di salso eredi la rio alla pelle, di dolori,
gravativi al capo, di malattie sifilitiche, distra-
zione di muscoli, di antritide acuta, e di una do-
glia reumatica ije' muscoli iutercoslali del lato de-
stro da cui egli stesso veniva vessato.
Poscia passando in rivista le tavole sinottiche
del Or Lovastano, non abbiam potuto inarcar le
ciglia vedendo registrate un gran numero di ma-
lattie, come paralisi al braccio destro, dolori epa-
tici e neufiitici , epilessie , seomatalgia , palpita-
zione di cuore, ollalmie, spasmo cinico, ischiade,
ritenzione di urina, fistola al petto, strame, an-
chilosi semi paralisi guarite interamente per mezzo
del divino rimedio dell'acqua vesuviana Nunziante.
Fra noi il primo che ha sperimentati gli effetti
dell'acqua suindicata è slato il Dr Portai, ed egli
ci ha assicurato di averla trovata efficace nelle
flemmasie croniche del fegato, nelle blenorragie,
e nelle ollalmie croniche con granulazione delle
glandole del meibomio, siccome lo contestano gli
esperimenti da lui fatti sugl!.individui ottalmici,
alle sue cure affidali in questo Spedale militare ,
eh' ebbe la gentilezza di farci osservare nei tra-
scorsi giorni.
In seguito dell'esposte osservazioni, ed esperi-
menti, sembrerebbe quindi utile che i Medici Si-
ciliani spinti da felici risullaraenti , volgessero le
loro filantropiche vedute su di essa, e l'adopras-
sero a combattere i tanti morbi, da cui l'umana
specie viene afflitta, ottenutisi dall'uso di un far-
maco COSI prodigioso.
X
aa
^ffggio d'iscrizioni latine ed italiane dell' ab, Bs-
kedetto-Saverio Terzo.
i , In Polizzi
I.
LipOI^lO . DOMITIO . PARISIO . DOMO . PLATU
ALGUSTINIANAE . ENNENSIS . FAMILIAE . ALUMNO
DECURTALI . INTER . SODALES . MAGISTRO
ANTIQUA . MORUM . SIMPLICIXATE . PROBATISSIMQ
THEOLOGICIS . PHILOSOPHICIS . ET . MATHEMATICIS
DISCIPLINIS . APPRIME . EXCULTO
IN . SACRIS . IKTERPETRANDIS . SCRIPTURIS
EDITIS . LLCLBRATIONIBUS . SPECTATO
QUI . DUM , IN , HAC . GENEROSA . UREE
SACRAS . SOLEBINI . QUADRAGENARIO . CURSg
CONCIONES . HABERET
QUAS . VOLENTI . ANIMO . SUSCEPERAT
ET . MAGNO . AUDITORUM . FRUCTU . PLAUSU . QUE
AD . DIMIDIUM , USQUE . PERDUXERAT
PICENDI . CONTENTIONE . ANIMI . QUE . ARDORE , MAGIS
QUAM . SUBITA . APOPLEXIS . VI . INTERCEPTUS
DECESSIT . III. IDUS . MARTIAS . AN. M.DCCC.XXVIII
AETATIS . SUAE . CIRCITER . LXX,
VT . CUJLS . ELATI . FUNUS . UNIVERSA . CIVITAS . LUCTU
[ PMNIS . CLERICORUM . ORDO . PIACULARIBUS . SACRIS
SUNT . PROSEQUUTI
EJUS . NE . ABOLESCERET . MEMORIA
CLERUS . POLITIENSIS
LIBENS . MERITO . POSUIT.
a3
In Modica
II.
JOSEPHO . MARIAE
BONANNO . CLAROMONTANO . ET , PATERNIONI
ROSABIAE . ET . GILIOTTI . DYNASTAE
TOLUNTARIORUM . MILITUM . TRIBUNO
CALATAIERONENSIUM . MUNICIPUM . SUORUM
JN . REGNI . COMITIIS.YICESIMO. AB . KING . ANNO . HA6TTIS
ORATORI . PARTIUM . OPTIMARUM
QUAESTORI , IN . PATRIA . INTEGERRIMO
VIRO , OMNI , LITTERARUM . STUDIO
ET , HISTORICA , ERUDITIONE . EXGULTO
INSIGNI . ERGA , SINGULOS . UNIVERSOS . QUE . CIVES
AMORE . INNOCENTIA . ET . LIBERALITATE
QUUM . IN . HAC . URBE . SIBI . IPSI . VILUCARE TUR
IMMATURA , MORTE . INTERCEPTO
VI . KAL . MAJAS . AN. M.DCCC.XV.
AETATIS . SUAE . XLIII.
SYLVIUS
MAJOR . NATU . FILIUS . HAERES
MOTYCEN . ADVENIENS
PARENTI . DULCISSIMO
INSTAURATO . LUCTU . POSUIt
M.DCC.XIZH.
^4
. Iscrizione temporanea
posta sulla porta maggiore della chiesa
di S. Matteo del cassero
III.
SALVATORI . GALLO
PANORMITANO . CIVI
JUSTA . PARENTALIA . PERSOLVUNT
XJXOR . CONJUGI . DULClSSlMO
FILI! . MOESTISSIMI
OPTIMO. PATRI . FAMILIAS . AC . DE . SE . BENEMERITISSIMO
QUI . RELIGIONEM . PIETATEM
AD . SUPRE'MTJM . USQUE . DIEM . SINCERE . COLUIT
LIBEROS • RECTE . SANCTE • QUE . EDUCAVIT
peupetuam. ik. mercatura, hokestatem. fideiitatem. qce. servavit
AMICOS.PROPINQUOS. QDE.IN . MAXIMIS. DIFFICULTATIBUS
SINGULARI . LIBERALITATE . ADJUVIT
PUPILLOS . VIDUAS . PATERNA . CHARITATE
EGENOS . OMNES . EFFUSA . LARGITATE . SUBLEVAVIT
BE^EF^OE^■TIA . HUMA^-ITATE , OMNIDM . SIBI . ASIMOS . DEVINXIT
OCTAVUM . SUPRA . SEPTUAGESIMUM . YIXIT . ANNLM
DECESSIT . DIUTURNO . MORBO . CONFECTUS
TU. KAL. QLIST. AN. M.DCCC.XXX.IH
VOS . BONI . CIVES . A DESTE
ET . BENEFICISSIMI . CIVIS . ANIMAE
PACEM . SEMPITERNAM . ADPRECAMINI.
3$
i: Nella lapida
i'-"' IV.
HIC . IN . PACE . REQUIESCIT
SALVATOR. . GALLUS
OPTIMUS . PATER . FAMILIAS
RELIGIONIS . SINCERE . OBSERVANTISSIMUS
QUI . RECTE . SANCTE . QUE . EDUCATIS . LIBERIS
MERCATURA HONtSTE . AC . FIDELITER . FACTA
PROXIMOS . AMICOS . QUE . OMNES
IN . DOMESTICIS . DIFFICULTATIBUS . LIBERALITATET
PDPILLOS . VIDUAS , AERUMNOSOS . IN . REBUS . ANGUSTIS
8EMEF1CENTIA . HUMANItATE . ET . COMMISERATIOSE . PnOSEQUCTUS
ANNUII : AGENS . tXXVIII . DIEM . TANDEM . SCPUF.MUM , OBUT
VII. KAL. QUISTILES . AN. M.DCCC.XXX. IH
lESUALDA . PISAXTIA . MARITO . INCOMPARABILr
AUGUSTINUS . ET . CAJETANUS . GERMANI . FRATRES
PARENTI . DE . SE . OPTIME . MERITO . INDULGENTISSIMO
HOC . SUI . UOLORIS . PERENNE . MONUMENTUM
CUM . LACRYMIS . POSUE^UNT.
Tradotta dal latino dell' fgnarra,
V.
PASSAGGIERO . VOLGI . QUA . GLI . OCCHI
BREVE . È . QUELLO . CHE . TI . VO . DIRE
RE . CARLO . E . MARIA . AMALIA . CONSORTI
RECATISI . DA . NAPOLI . A . BARI
PER . ADORARE . LE . SPOGLIE . DI . SANTO . NICOLA
QUI . A . RIFARE . LORO . PERSONE . SI . POSARONO
PROSEGUI . ORA . SE . TI . PIACE . TUO . CAMMINO
E . DETTO . ADDIO . AL . GENIO . DEL 4 LUOGO
VANNE . VIA.
36
/// Salaparuta
VI.
QLI . IL' . RIPOSTO
K . PORMIRE . IL . SONNO . DEI . GIUSTJ
NICOLO* . DRAGO
DEL . DIVIN . CULTO . LARGO . PROMOVITORE
PARENTEVOLE . BENEFICO. PIETOSO
MANCATO . AI . CONCITTADINI . CHE . IL . PIANG05Q
IL . XllI . GIORNO . DEL . M.DCCC.XXX,
VII.
QUI . RIPOSANO . LE . OSSA
pi . ROSALIA . SELVAGGIO . E . DRAGO
VISSUTA . ANNI . LXXVII
SINCERAMENTE , DIVOTA . E RELIGIOSI
SPECCHIO . DI . ONESTISSIMA . VITA
MADRE , OTTIMA . DI . FAMIGLIA
pi ♦ CORDIALE . AFFETTO , VERSO . I . CONGIUNTI
PER . LA . carità' . de' . POVERELLI
PER , LA . umanità' . E . LA . BENEFICENZA
A . TUTTI , CARISSIMA . DA . TUTTI . COMPIANTA
E . QUI . HANNO , CHIUSA . E . SPENTA
OGNI . CONSOLAZIONE . ED , ALLEGREZZA
GIUSEPPE . LUIGI . ROSARIO . MARIA . ANGELA . PRAOO
FIGLI . DI . TANTA PERDITA . DOLENTISSIMI
IL . ZIII . PI . FEBBRAKO . M.PCCC.X3LXI.
Sonetto inedito di Giovata ni Meli con avverteìt"
za di Agostino Gali,o,
AVVERTENZA
La fama del Sicolo Anacreonte è sifatlamente
diffusa in Sicilia, in Italia, in Francia, in Iiigliil-
Icrra, e in Germania, ove ne' rispettivi idiomi si
son tentale delle versioni delle opere sue poetiche,
cbe per nulla j)uò essere accresciuta; e quindi pres-
soccbè inutile tornerebbe la pubblicazion di qual-
che sua inedita produzione; ma non cosi se vogliasi
aver riguardo al diletto che produce ne' leggitori
ogni benché menomo suo componimento , in cui
si scorge sempre cpìella novità di concelti, quell'in-
genuità, e grazia di espressione, che il fecero pro-
clamare il j)oeta per eccellenza del secolo XVIII,
Indotti da ta' ragionevoli motivi noi qui pubbli-
chiamo un suo Sonetto, che non ha veduto finor
la luce nelle. tre edizioni delle sue poesie edite in
Palermo*. Si è questo ritrovato scritto di suo pro-
prio carattere fia alcuue altre sue carte, ed ha rap-
porto ad un aneddoto di sua vita, ch'egli stesso piìi
fiale ci narrò ; e che noi crediamo indispensabile
di riferire a maggiore schiarimento del medesimo.
Il nostro poeta non fu mai ricco, ma pure una pic-
cola somma avea raccolto in molti anni di onora-
to esercizio della medica professione. Questa gli fu
rubata insieme colla bi*\ncheria , e altri domestici
arnesi da alcuni ladri di acuto intendimento, che
conoscendo che ad un poeta non sia permesso di
tenere in serbo del denaro, e della roba per noa
28 . . . ~
lare eccezione ali ;i;ì lieo nssiu:;i.i elio miseria, e poe-
sia non clebLoii inai atidiir" disgiunlu, se lo appro-
priaron di buona coseiciiza. ISo fu desolalo il no-
stro scgnaee di Apollo, e invano invocava il suo nu-
me lavorilo, die invcd; di defiaro gli olìViva de bei
fiori colli in Parnaso, e de' vaghi serti d'alloro [)er
rininiorlalilà. Il fallo fu bucinalo all'orecchio di
Monsignor Lopez, Arcivescovo di Palermo, ed ecco
come itnmagiiiò con gcnerosilà , e delicalezza ri-
storarlo del furio senza (aiglielo sapere. Incaricò
segrclamenle un prete a recargli una somma di de-
naro, due mule, e vari carichi orzo, e gli [)rescrisse
di manifeslaigli else lutto ciò rappresentava il val-
sente rubai. «gli, che i ladri per resipiscenza di colpa
a suggeriineulo del confessore gli mandavano. Egli
sei credette di leggieri; perchè tali avvenimenti non
eran nuovi in quel tempo in cui i ladri sentiano
talvolta un pizzico alia coscienza ; talché rincora-
tosi , ed esultante rapportò il successo nella con-
versazione dell'Arcivescovo, nella quale spesso usar
soleva dimesticamentc. Non andò guari bensì ch'egli
venne a capo dello scherzo del suo benefattore per
qualche soghigno, o parola dimezzala di alcun suo
familiare che n'era in cognizione. In quella circo-
stanza scrisse egli il seguente Sonetto , che non
presentò fìrse a Monsignore, pel modo scherzevole
onde è condotto, preferendo in vece la bellissima
Ode intilulata la Beneficenza che trovasi inserita
nell'ultimo volume postumo delle sue poesie da me
pubblicale.
29
Sonetto in dialetto siciliano
Aju appiisu inulli and unii iicH'aniii
Chi regna da li caulinari a !a sala
Cuggliiuniala 'iilra li curii crnnni ,
Ma iiubeilellata, e iu abili di gala:
S'insinua duci duci in tulli Lanni,
E fa spissu carizzi cu la ])ala....
Cca(i) ])erò meli da li labbri spanni,
E muli, ed oru splendida rigala. (2)
Cca tra la mitra, e fascia oggi si stalla , (3)
Spogghia l'indoli antica, e si modella
Su li \irtuti di Minerva, e Palla.
Suvrana metamorfosi nu velia ,
Ganciata sia Crisalidi in flulalia,
Cuggliiuniata (ardiscu diriu) è bella !
Catone il maggiore^ ovvero della vecchiezza^ dia-
logo di M. T. Cicerone volgarizzato da Giu-
seppe TuRTORici — Palermo j)er Pedone e Mu-
ratore iS33 col testo a riscontro pag. 6gin-8.
Quando il Conte Napione, di breve cessato di
\ivere, e di acerba ricordanza per me, che godei
di sua lunga amistà j^er mezzo di episfolar corri-
spondenza , pubblicò la sua versione delle Tuscu-
lane di Cicerone, tutta Italia fece plauso al suo la-
voro, non oslante che d'un semplice voigarizzamenlo
d'un autor per altro di facile intelligenza tratta vasi.
(i) Cioè nella corte ilei Lopez.
(2) Allude al dono fatto al poeta di clic si parìa di sopra.
(il) Allude alle onorificeiue ecclesiasUdic. e civili del Lopoz.
3d
Ittipei'occliè tluc oggetti riguardava degni di coiti-
tnendaziotie in quell'opera; primo l'utilità mas-
sima cui era rivolta all'universale per mezzo della
difTusion della cognizione dell'antica filosofia, e de'
principii intemerati della più sana morale , e se-
Cotido la felice maniera cohi'era condotta la versione
SÌ per la lingua, e per lo stile, che per una certa na-
turale, e scorrevole andatura la quale a tutti presen-
tata più presto l'aria d'un opera originale, che d'u-
lia traduzione. A ciò si aggiungeva il merito d'una
dotta prefazione , e di erudilissime note. Talché
tìacque in ciascuno il desiderio di vedere almeno
le altre opere filosofiche, e morali del divinò Ar-
pinate dall'islcssa illustre penna rivolte^ nel nostro
bellissimo linguaggio. Però quel valentuomo^ occu-
pato, com'egli mi Scrivea, negli ultimi anni della
vita in una briga letteraria circa alla palria di Cri-
stoforo Colombo, consumò in qursto una parte del-
suo tempo jiiezioso, e appena gliene rimase tanto
da poter pubblicare le Sue elaboratissime lettere
sulle belle arli^ che da molti anni avea tenUlo iri-
serbo. Se questo inciampo non gli si fosse paralo
innanzi ^ avremmo noi avuto senza meno anche li
telsione del trattato di Cicerone della Veccliiaja^
ch'or l'egregio nostro sig. taV. t). Giuseppe Tur-
torici ha offerto all'Italia. A por mano a tal lavo-
ro non fu egli spinto di certo dalla smania di fa-
ma ^ che altronde di una maggior nota procacciar
poteasi con altre opere originali che belle e com-
piute conserva ne' sUoi scrigni, di che a nostra pre-
ghiera ci ha fatto a riprese la lettura; ma da ra-
gionevoli motivi che forman 1' elogio del suo cuo-
re , e del suo intendimento. Conosceva egli che
a nostri tetripi ci ha di mestieri sopra tutto di opere
I
3t
taoraìi che si prcsenllno in aileltetole aspetto senza
assumer 1' aria ispida pedantesca e gravemente pre-
cettiva. Di più essendo egli giunto quasi a qUella
matura età in che Tullio scrivca il suo trallala
intorno alla vecchiaja, \olle sulle sue tracce nlio-
tar per se que' prossimi conlorli, e j.rtsenlaili altrui
all' uopo per quella slagion della vita che più ne
Ila di bisogno. Ottimo divisamenlo è stalo quindi
di render più comune quest'aurea operetta; clapoi-
chè, se per meizo della virtù, come prova Ciceioue,
da primi anni procedendosi hell a mortale camera^
si giugne ad ottenere Dna vecchiaja tranquilla, priva
di rimorsi e felice per quanto il comportino le mo-
lestie di cui talvolta è accompagnala, avrà l'uomo
trovato un balsamo efficace a lenir l'acerba piaga
che naturalmente gli si schiude nel cuore, allorché
scorgerà avvicinarsi il Suo fit.e. Clic se taluni nou
èt-rivino a quel periodo della vita colli , ini;anzi
.Sera dalla morte, nulla secondo che ci avverte Tul-
lio, perderanno; che anzi avran fatto guadagno d Una
gioventù meno agitata dalle passioni, e inline qua-
lùnque siesi il corso d'un Uom virtuoso, sarà egli
Sempre visso abbastanza per esser tenuto iu pregio
è riverenza da' suoi Coticittadini , ed àVrà menalo
i suoi giorni lungi dalle dissoluteize è dall intem-
peranza che sotto le appal'enti larve del piacere
l'amareggiano, e la contristano. Agli stessi mali del-
la vecchiaja^ ove questa ne sia affetta, avla 1 uo-
ttio trovato con Tabitudine contratta alla virtù uii
dolce àlleggiamenlo per mezzo della pazienza eh es-
sa, e la filosofia suggerisce. Queste sono lepiinci-
pali cose che sviluppa Cicerone del suo pregiatis-
simo trattato, le quali, per loro stesse, a dir vero,
riempion l'animo di tristezza, perchè richiamau alla
memoria l'inevìtabil termine cui tutti miriamo, spia-
cevole pe' giovani, e più per li vecchi che vi staa
da presso. Ma quel sommo scrittore le sparge di
tanti be' fiori, di tante grazie di dire, e con tale
artificio oratorio covrir ne sa le spiacevoli idee, o
presentarle dal lato men tristo, che giugno sinan-
chc a fare altrui innamorar della vecchiaja, pre-
sentandola , come la sola età in che la natura ha
destinato l'uomo a dominar le passioni, fonte di tutti
i.mali morali.
Cicerone è uno scrittor facile, ameno, abbondante
e spesso trascorre dal suo argomento in piacevolis-
sime digressioni per ritornarvi con maggiore ala-
crità, e con questa industria non mai si n nde gra-
ve, fi sempre istruisce, e diletta. Or le stesse qua-
lità son del tutto necessarie al traduttore ; jierchè
là sua versione aver possa un effetto corrispondente
all'originale. E sopra tutto ha d'uojìo d'una certa
buona grazia di dire, d'una fluidità, e spontaneità
di parole, e di espressione senza di che non potrà
mai altrui piacere.
Appunto di queste doti ci sembra the sia for-
nito il volgarizzamento del nostro Tuitorici ; in-
guisachè ha l'aspetto di originai dettalo. Taluni
han creduto che peccasse di dillusione , anzi che
no; ma io non so arrendermi al loro avviso, e ba-
sterà a rimaner convinto del contrario l'osservare
che la versione appena di poche linee vince il te-
sto a riscontro, stampato dello stesso carattere; cioè
lo supera di tanto quanto è di assoluta necessità
j)er la diflerenza delle due lingue, l'uua più concisa
dell'altra, e priva di tante particelle, che inzeppa-
no l'italiana favella.
Al pregio della stessa dcesi pure ascrivere la doila
33
prefazione clie reca , ove si ragiona brevemente
dello stato della filosofia presso i Romani fino al-
l'epoca di Cicerone, e del modo tenuto dal tradut-
tore nel suo volgarizzamento eh' è appunto quello,
com'ei si, esprime di schivar gli estremi^ vale a dire
V aridità d' una letterale versione , e la soverchia
larghezza di taluni che amano parafrasare pile
presto che tradurre il testo degli autori.
Noi quindi raccomandiamo altamente quest'ope-
ra a chiunque per piìi oggetti : primo per la uti-
lità morale che necessariamente fruttargliene dee
la lettura: ,e secondo per la istruzione che ricavar
ne può l'intelletto, essendo S])arsa di tanti peregri-
ni pensieri , e di tanta piacevole erudizione ^ e ia
fine per lo stile sempre ameno, e dilettevole, che
tiene un bel mezzo tra l'oratorio, e il polemico,
qualità che sou fedelmente ritratte nella bella ver-
8Ìoa del Turtorici.
Jgostino Gallo
Arrigo di Abbate^ ovvero la Sicilia dal iag6
al t3t3 pel Cav. di Cesare ec. —' Continua'
zione e fine. (Si veda T. VI. pag. no.)
Mentrechè Arrigo sotto il comando di Blasco
d'Alagona, che trovavasi in Terra d'Otranto, stan-
ziava in Catanzaro, un foglio ricevuto da un inco-
gnito grandemente lo conturba, e dal contenuto di
esso si crede in dovere di recarsi in Sicilia, onde
riparare al grave danno della perdita dell'Ammi-
raglio ; col consenso dunque dell'Alagana lascia il
reggimento della Calabria ad Arnoldo di Pancio,
3
^4 . . .
e pria di venire in Palermo passa per Castiglione,
ove si abbocca con Giovanni Lauria nipote del-
l'Ammiraglio, affm d'indurre lo zio a non can-
giar bandiere, ed indi affrettandosi verso la capi-
tale, pone quivi in opera ogni mezzo presso il So-
vrano, onde conservare alla Sicilia quel saldo so-
stegno, presentandogli ben'anco ima lettera dell'A-
lagona; ma tai disegni andaron falliti poiché Gual-
tieri di Scordio sopravvenendo svela al Principe
la difFalta del Lauria, e la nomina di costui all'Am-
miragliato dell'aragonese ed angioina armata ; per
lo che quegli pieno d'intensa ira dichiara Lauria,
al par del nipote, pubblico inimico, e lo spoglia
delia dignità e dei beni; poscia rampogna amara-
mente Arrigo, e gli ordina di tornare iniraanlinenle
in Calabria: questi corre alla paterna magione, ri-
vede il padre, che geme sull'atroce caso successo, e
dice avverati i suoi sospelli; Arrigo incolpa di ogni
male lo Scordia e giura vendicarsi di lui.
Ma già Jacopo con oste poderosa e con forte navi-
lio, alla testa del quale era Ruggier di Lauria, dirig-
gesi contro la Sicilia; l'Ammiraglio s'impadronisce di
Patti, dopoché voltosi contro Siracusa, che viene
gagliardamente difesa da Giovanni Chiaramonte, è
costretto a tornar le spalle dopo essere stato rotto,
e traversando il faro gli son prese dai siciliani molte
galee, sopra una delle quali trovavasi Giovanni Lau-
ria, che in seguito venne decapitato in Messina.
Federico a quest'aura felice non sa rattenersi, e
ad istigazion dello Scordia sprezza le condizioni di
pace offertigli dal fratello, per le quali questi di-
mandava il rilascio delle prese navi, e quel di Gio-
vanni di Lauria, con la promessa di non porre egli
medesimo più piede in Sicilia.
35
Intanto altra poderosa e formidabile spedizione
movcasi da Napoli contro la nostra Sicilia; Lauria
governava il iiavilio , re Jacopo , Roberto Duca
di Calabria , e Filippo principe di Taranto diri-
gevan le milizie. Federico appena ciò saputo ri-
chiama tosto dal continente tutte le sue legioni ,
in Messina riconcentra tutte le sue forze , ed al
regale invito ragunansi i prodi baróni e cavalieri
siciliani infra i quali primeggiano Vinciguerra da
Palizzi , Alafrauco da s. Basilio , Ugone de Am-
purias , Gombaldo de Intenza , Arrigo d'Abbate,
Biasco d' A lagena , e assai di costoro diverso ,
Gualtieri di Scordia. Venuta l'ora della partenza
le matrone e le donzelle messinesi porgono al cielo
pubbliche preci pel buon esito della spedizione, ed
il Re indirigge alla sua gente una dignitosa allo-
cuzione, dopo che il navilio dal Monarca coman-
dato lascia- questa città : della regia galea avea
il governo Federico stesso; era affidata la poppa a
Bernardo di Raimondo de' Rebellis, la prora ad U-
gone d'Ampurias, il vessillo a Garcia di Sancio re-
gio alunno , ritenendo al suo fianco Arrigo di Ab-
bate, e Gualtieri di Scordia; e dando il comando
delle due galere, che la sua fiancheg^giavano, a Bla-
sco d'Alagona, e a Vinciguerra di Pahzzi, sorte dal
Faro, ed arriva sino a Capo Orlando, da dove scor-
ge distribuita in ordine di Battaglia la flotta ne-
mica sul vicino lido di s. Marco: e comechè il nu-
mero delle navi siciliane sia di molto alle confe-
derate inferiori, non essendo ancor giunto dal vai
di Mazzara Matteo da Termini con altre sei ga-
lere, pur tuttavia le ciurme di quelle ardono di at-
taccar gli inimici; ma il sole tramonta e l'attacco
si procrastina.
36
Sul cominciar della dimane, dopo d *aver Ja-
copo coti simulazione arringato ai suoi, lo squil-
lo delle trombe invila a battaglia, la quale ha prin-
cipio da lungi con dardi e sassi roventi , ed in-
di si viene alle prese. Gombaldo de Intensa il
primo si scaglia solo contro il nemico lottando
veementemente, l'esempio di lui seguon gli altri
siculi duci; ma la galea di Gombaldo è presa ed
egli esala il nobile suo sjìirilo. La itiegual lotta se-
guitava ostinata da ambo le parti, quando il Lau-
ria veggendo che i siciliani, comechè defatigati, non
eran presti a ceder la vitioria, manda sei galere
per attaccarli alle spalle; l'islessa regia galea è sul
punto d'esser presa, anzi alquanti nemici già sal-
tando sii d'essa eran sul punto di trucidare il Mo-
narca, se Arrigo di Abbate non avesse il primo pre-
cipitato in mare, e il Re medesimo e gli altri suoi
guerrieri , il rimanente: in quel punto conobbe Fede-
rico quanto Gualtieri di Scordia era fiacco di brac-
cio e vile di cuore, poiché in mezzo a tante pro-
dezze slavasi egli tremante e semianime nel fondo
della nave; allora, attesa una grave ferita riportata
da Garcia di Sancio, viene dal Re affidato il ves-
sillo ad Arrigo di Abbate, il quale, per aiutare il
Monarca in una sincope sopravvenutagli e che met-
te in iscompiglio tutta la regia nave lo consegna a
Bernardo de Rebellis, eh' era sul punto di rimet-
terlo, in' un con la galea, e perciò con la persona
islessa di Federico, all'arbitrio di Jacopo, se Ugone
di Ampurias non lo avesse altamente rimi)rove-
rato, e se Arrigo, di ciò avvertilo, non fosse corso
a strapparglielo dalle mani minacciandolo della vita,
se durato avesse nell'infame proposto: di concerto
poscia coll'Ampurias ordina alla ciurma gran forza
^7
di remi, e sorte dalla miscliia: dodici galee segui-
ron la regale, sei se n'eraii prima salvate, le altre
o furori distrutte o fatte prigioniere, e l'ammira-
glio, che vendicar volea il nipote su' Messinesi rae^
desimi, fa sommergere tutte le loro navi, e con aspri
modi esalar l'ultimo fiato a Federigo e Perrone dei
Rossi, ad Ansalone, e a Raimondo Ansalone. La
sincope di Federigo derivò dall'aver creduto di mi-
rare l'ombra di Giovanni Lauria, che dal capo Or-
lando rimprovera vaio e minaccia vaio, cosi almeno
veline detto da lui stesso appena riprese l'uso dei
sensi: si parlò pure d'un suo segreto voto all'As-
sunta di non far più versare per mani del carne-
fice umàtio sangue. Col racconto di diverse pro-
dezze operate dai duci e dai vessillari siciliani , e
con una bella apostrofe all'Italia compisce l'A. il
libro quarto.
Se logli il comando delle Calabrie, e della ter-
ra d' Otranto eli Blasco d' Aragona a nome del Re
Federico il cominciamento di questo libro è d'as-
soluta invenzione. Le due spedizioni di Re Jaco-
po e di Lamia contro la Sicilia sono storiche, ma
noi avremmo desiderato che l'Autore si fusse un po-
co pili intrattenuto sulla presa di Patti , e sulla
gagliarda e nobile difesa di Siracusa operata da
quel valent' uomo di Giovanni Chiaramonte, delle
quali lo Speciale dà contezza (Lib. IV, Cap. IV,
e V.): ciò che dice l'A., nella nota prima, di quel-
l'assedio, e che tanto ad onor sommo ridonda e del
Chiaramonte e dei Siciliani potea collocarlo nel te-
sto, e dire inoltre alcun che delle rivolte avvenute
in Buscemi, in Palazzolo, in Sortine, in Feria,
in Buccheri, e nei Castelli di Pietraperzia e di
Naso raccontali dallo Speciale (Lib. IV, Cap. V,
33 .
VI, e XI), che del pari ci ricorda (Gap. IX) la rì-
Lellione di Ganci, di cui l'A. non fa tampoco pa-
rola, e nella quale molti baroni siciliani diedero e
di lor coraggio e di lor fedeltà altissima prova.
Storico è l'arresto delle galere eollegate nel faro e
di Giovanni di Lauria, non che la decapitazione di
costui in Messina; è parimente vera la risposta ne-
gativa che die Federigo ai patti avanzati dal ger-
mano , e l'opinione di Vinciguerra di Palizzi di
doverli accettare, siccome lo Speciale c'informa (cap.
Vili e X), a cui aggiunge, che Corrado Lancia fu
quello che consigliò il Re di non rccon^entire a
quelle profferte. Nella seconda spedi:::one, che già
tremenda venne per la Sicilia, i Principi Reali an-
gioini eran sulle galee unitamente al Monarca ara-
gonese, giusta lo Speciale nel discorso che mette in
bocca del Sovrano di Sicilia (Cap. XII), ridotto ap-
presso a più chiara e pulita lezione dal orestantis-
simo Monsignor Testa (p. 70), assai più moderno,
e perciò ])iù terso scrittore: il di Cesare però con
sana avvedutezza, nel trascrivere quella allocuzione
amò meglio seguir lo Speciale che il Testa, onde
conservare la maniera di dire del tempo, come
avrebbe dovuto jiraticare pel discorco col quale in*
comincia il libro terzo.
Infra i baroni , che corsero all' invito di Fede-
rigo pria della spedizion contro Jacopo e i Prin-
cipi angioini, non nomina l'A. , ne sappiamo con
quanta ragione, Corrado Lancia, che teneva allo-
ra, secondo lo Speciale- (Lib. IV. Gap. XIV.), il
grado onorevole di gran Cancelliere del Regno, e
che poscia finito sventuratamente di vivere nella
sanguinosa zufla alle alture di Capo Orlando, il suo
cadavere coiidotlo in Messina fu per ordine del Re
39
sepolto nel Duomo di questa città, come ci riferi-
sce il Gallo nel tomo H. (p.i85) degli annali della
sua patria. Quel navale conflitto è narrato tal quale
leggesi nello Speciale (Lib. IV. Gap. XIII) con tutte
le scrupolose particolarità, solo tra le persone che
i posti primari occupavano della regal nave ag-«
giunse ['A, Arrigo e lo Scordia. Vero è che i Si-
ciliani erano animosissimi d'incominciar la lotta ,
come pure il simulato discorso di Jacopo , la co-
dardia e l'iniquità di Bernardo de Rebellis, e il no-
bile procedere di Ugone de Ampurias. Biasco di
Alagona fu quello che ordino la forza di remi per
salvare la persona reale: la sincope è più che vera,
il principe appena rinvenuto in sensi volea tornare
a combattere con l'inimico. Speciale^ raccontando
in quel frangente le crudeltà usate dal Lauria agli
infelici messinesi prigionieri nomina, oltre i truci-
dati ripetuti dal nostro xA., un Giacomo di Scor-
dia e un Giacomo cnpichl^ che potrebbe volgariz-
zarsi per Gapece, trascurando ancor egli il Lancia,
Da altri storici si pretende, che Corrado Doria ge-
novese fosse intervenuto in tale battaglia, il certo
si è che costui è soltanto nominato dallo Speciale
(hb. IV, Gap. III.) in una spedizione iniziala da
Federico contro Giacomo, e che indi non ebbe luo-
go; il Testa però (p.73) seguendo, come ei medesimo
contessa, l'avviso del Villani lo vuole inquest'azione,
chiamandolo Comridus Jaria , mentre il Villani
d'Oria^ e de aurea lo Speciale; d'allora in appres-^
so non si fa parola di lui che dopo la mentovata
battaglia : or se mal non ci appoaghiamo non e
cosa improbabile del tutto il congetturare, che que-
sto Corrado sia il Lancia anzi che il Doria : im-
perciochè, se accettili il solo storica straniero, niun
4^ .
altro dice clie il Doria fu a Capo Orlando , lad-
dove,che colà sia stato il Lancia, e che ivi sia morto,
cel contestano il Pini (Chron. Regum f, 88), il del
Vio (Priv. Pan. p. 29 an. 1299), il Gallo (Annali
di Messina p. i65); e lo stesso Speciale, di Cor-
rado Lancia parlando al decinioquinto capitolo del
libro XJV, contentasi di dire ch'ei morì verso quel
tempo, ed in sua vece si scelse Gran-Cancelliere Vin-
ciguerra di Palizzi. La conchiusione poi del libro,
non che l'ultima apostrofe, son degne di colai che
l'ha scritto, si scorge in esse qual forte sentire ador-
nano il culto animo dell'A.
Un'altra apostrofe a Messina nel tornar che ivi
fa Federico rollo a Capo Orlando, ed una loda,
alle altre cosj)icue siciliane ciità, sono l'inizio del
libro quinto. Rincoratosi Federico alla fedeltà mo-
strata dalle cilladi si accinge a valida resistenza con-
tro il nemico, e stabilisce Caslrogiovanni centro delle
sue milizie, dopo aver dato a Damiano e Nicolò
Palizzi il comando di Messina, a Blasco d'Alagona
quello di Calania, ed aver trattenuto presso di se
Vinciguerra Palizzi, Palmieri ed Arrigo d'Abbate,
Tigone de Ampurias, Matteo di Termini, Gugliel-
mo di Galzerano ed Alalianco da s. Basilio, che
surrogarono l'estinto Corrado Lancia, e Gualtieri di
Scoi dia, che rilirossi in patria. Jacopo intanto ri-
torna in Calalogna e rimangono i due principi an-
gioini col Lauria in Sicilia: questi assale Randaz-
20 che intrepidamente delude le sue speranze, e
gagliardamente si difende; Piazza incitata da Pal-
mieri di Abbate, e dal Galzerano sicgue l'esempio
di Randazzo; ma Castiglione, Roccella , Vezzini ,
Buccheri, Adernò, Paterno i due primi feudi del-
l'ammiraglio, gli ultimi due dal decrepito Maiella
4t
venduti, estolgono lo stendardo dei gigli. Napoleo-
ne Caputo , e Virgilio di Scordia , a' quali il Re
preslava particolar fidanza a malgrado le previ-
denze dell' Alagoua, che appieno conosceali , ecci-
tano il popolo calaiiese a ribellarsi contro il leg-
gittimo Principe: Ugone de Ampurias, che iv co-
mandava dopo Blasco in nome di Federico, cade
in potere dei sediziosi, che lo abbandonano al cam-
po nemico, e cosi Catania schiude le porte agli
angioini i, e l'onorifico e glorioso vessillo siciliano
non sventola piij sulle torri di quella città altret-
tanto volubile che cospicua, ove entrati gl'inimici
si propone dal vile Scordia di diroccare il tempio,
che Re Pietro eretto avea per innalzarvi il mau-
soleo del prode Corrado Ca[)cce , da quale bassa
azione il Lauria disloglle i principi angioini. Vir-
gilio di Scordia inlaulo dagK anni aggravalo dalle
onte e dalle iniquità termina la sua ignobil vita.
Alla difìTalta di Catania tenner dietro quelle di al-
tri circonvicini paesi, che con rancore di quegli in-
degni del nome di Siciliani, venner guidali da quel-
l'Etendart, che del vespro si fu causa [irincipaie.
Credettero gli angioini, che essendo [)adroni di Ca-
tania era assicurata lor sorte in Sicilia, e non con-
tenti di quella parte del Val di Noto un disbarco
oprar vollero in quel di Mazzara ; Lauria oppo-
neasi a quella mossa, ma Filip])o Principe di Ta-
ranto assumeva egli slesso il comando del grosso
drappello, mentre Pietro di Salvacoxa , diffallante
dopo Capo Orlando, guidava da sullo ammiraglio
il navilio : si differenzia , al campo di Federico ,
sul partito da prendersi in tal frangente , ma fi-
nalmente il Monarca siciliano , seguendo ravvi-
so di Arrigo d'Abbate, muovesi con tutte le sue
4=
forze verso la Sj)iaggin meridionale dell' isola , e
nel luogo propriamente delto Falconarla tra Tra-
pani e Marsala sorprende e balie comptetamen-
te Filippo , il quale è forilo e fatto prigioniero
da Martino Perez de Oros , che condottolo all' A-
lagona volea questi tiucidarlo ; ma Arrigo glie-
lo irn[)edisce, e toltagli la spada portala a Federico
che è lietissimo di un ostaggio sì prezioso; non co-
sì di Pietro di Salvacoxa, che, raggiunto nella sua
fuga d;i un tal Gillello, pagò con la vita il fio del-
sua perlidia ; molti altri duci angioini perirono o
furon filiti prigionieri, e leniavi a stento campa-
rono onde torur.re in Catania orbe di combattenti.
Ma Federico volendo tirar profitto dell'assenza del
Lauria (cli'erasi [)orlato in Napoli a chieder rin-
forzi) preparasi a conìbatter Duca Roberto, nella
qual cosa viene spalleggiato da Montanerio de So-
sa, nobile catalano a lui devotissimo, e che avea
il comando della rocca di Gagliano, ove stavasi rin-
chiuso Carlo Moraletto, duce francese, fatto captivo
alla Falconarla: Montanerio trama insidie, afìin di
avvicinare verso il suo castello le fiancesi milizie
e di romperle: Roberto, dal Moraletto incitato, ra-
guua un consiglio, al quale interviene il Cardinale
Gherardo da Parma legato apostolico, per conoscere
se bisognava andare a Gagliano; il Cardinale ram-
mentagli lo scongiuro del Lauria , di serbare du-
rante la di lui assenza gelosamente gli acquisti fat-
ti, senza pensare a farne nuovi; ciò nulla manco
prevalendo il partito de'Francesi, intraprende la spe-
dizione, ed a stento, ed a reiterate preghiere della
consorte Jolanda, si astenne dall' andarvi personal-
mente, dandone il supremo comando a Gualtieri
Conte di Brenna: Montanerio che sapea ogni cosa
43
per Moralclto e per un suo nipolc, che orpcllavasi
in Catania presso il Duca, avverte di tulio Fede-
rico, che manda tantosto a Gagliano Biasco d'Ala-
gona con gran nuusero d'armati, il quale attende
all'agnato l'armata nemica, e giunta appena l'attac-
ca d'ogni lato; animasi la mischia con A^eemenza;
prove di valore e d'onore si danno dalle due parli
avverse, i Francesi gagliardamente resistono ai si-
ciliani, ma defatigati alla fine Moralelto si procura
la morte, Brenna eroicamente si rende a Biasco, il
suo vessillario tra le ostili sj)ade incontra il suo Vi-
ve dopo aver dato io stendardo al Conte, tutti gli
altri angioini son presi o trucidati.
A colali brillanti avvenimenti segui dietro il fune-
sto incontro dei due navili presso l'isola di Ponza: il
Doria couiandava le galee siciliane, che non oltrepas-
savano il num. di vensette, ed era ito a slldare a bat-
taglia ilLauria insin nel golfo di Napoli; tua l'accorto
ammiraglio teneva a dondolo i Siciliani, sintanlo che,
allestita del tutto e rinforzala la sua flotta, esce mi-
naccioso dal porto con cinf|uanlollo galee; la dis-
parità di forze avea fatto decidere i più probi dei
siciliani duci, tra' quali Palmieri di Abbate, a non
attaccar l'inimico, ina anzi temporeggiando alquan-
to attendere maggiori rinforzi; però Benincasa d'Eu-
slasio rimprovera di pusillanimità l'Abbate, e la
disegnai lotta incomincia: la fortuna non fu larda
a dichiararsi pegli angioini, e di tulle le navi si-
ciliane sei soltanto, e con esse il Benincasa, cam-
paron con la fuga, l'altre furono o affondale o arse
o prese; e feriti e semivivi falli cattivi il Doria ,
l'Abbate, Giovanni Chiaramonle, Arrigo d'Incisa,
Pellegrino di Palli, vai quanto dire ciò che la Si-
icilia coutava allora di grande in fallo di maritti-
44
ma e terrestre milizia, clie, resistendo tutti alle lu-
singhe ed alle vane promesse delLauria, e in Na-
poli e in Catania, mostrarono il loro grand'animo;
il Doria era que' che più d'ogni altro dall'ammi-
raglio altiravasi sevizie, cliiamandolo avventuriere,
ed usurpatore della sua carica e de' suoi beni, per-
chè in effetti il Re aveanelo investilo. Federico,
onde tog^lier da' tormenti il Doria, resiiluì al Lau-
ria il Castel di Francavilla; e nel tempo istesso, sic-
come Palmieri d'Abbate erasi in seguito delle fe-
rite gravemente ammalato in Catania, permette
ad Arrigo, di costui iiglio, di recarsi a Catania mu-
nito di un salvocondotto avuto per mezzo di Jo-
landa: Arrigo recasi in quella città, ove accollo con
grandi onori dal Lauria, trova moribondo il geni-
tore, ed è presente con l'ammiraglio ad alcune te-
nere e dignitose parole parlale dal venerando vec-
chio pria di morire, e alla sua morte, le di cui e-
sequie chiudono il quinto libro.
Le cose narrate dall'A. in questo libro (ad ecce-
zion di poche ch'ei non rapporta e che avrebbero
a nostro avviso, fatto risplendere di vantaggio il
subietto eh' ei tratta con tanto successo ) rinven-
gonsi nello Specia'e dal primo al deciraosesto ca-
pitolo del libro quìi?lo: il viaggio, a cagion di
esempio, di Federico a Catania avanti la difTalta
di questa città, e le melate parole di quel Viigi-
lio di Scordia che di lì a poco dovea tradirlo e
vender la citlà agli inimici, annunziati dal sincro-
no storico (Gap. VI), avrebbero marcato con più
forti colori la fiducia che il Re ponea nello Scor-
dia, non che la nequizia di costui. L'episodio del
proposto diroccamento del tempio, che Pietro d'A-
ragooa avea fatto costruire per riporvi il mauso-
45
leo del Capece non è punto storico , ne suppon-
go tampoco ch'esso fosse mai esistito, ne che Re
Pietro abbia reso alla memoria di quel grande
un'atto SI pio di gratitudine. Egli è certissimo che
Guglielmo Elendarl fu nuovamente inviato a go-
vernare nel vai di Nolo, e fu verso quel tempo i-
slesso, giusta lo Speciale (Cap. IX), che giunse in
Catania, qua) nunzio del Papa, Gerardo di Parma
cajdiuale, che il di Cesare non nomina sollantochè
prima del combattimento di Gagliano. La battaglia
della Falconarla è riferita precisamente come ce
lo rapporta il citato storico (Cap. X): di tutti i
francesi fatti prigioni, secondo lo Speciale, il Prin-
cipe di. Taranto fu rinchiuso nel castello di Cefa-
li!, Ruggiero conte di Marsico in quello di s. Giu-
liano, e gli altri in differenti siti dell'isola. Le bat-
taglie di Falconara e di Gagliano, l'altra navale di
Ponza, la costanza dei baroni siciliani prigionieri,
la resti luzion di Francavilla sono trascritte sicco-
me l'istoria ce l'ha tramandale, e non possiamo che
lodare allamente fA. pel modo chiaro e facile col
quale ce Iha esposte. In quanto a ciò (he riguarda
la morte di Palmieri Abbate si riscontri la quinta an-
notazione alla fine del bbro. Tutte queste batta-
glie e particolarità potranno leggersi con maogior
diletto, e con una dizione di gran lunga più tie-
gante di quella dello Speciale, nella non mai ab-
bastanza encomiata opera di Francesco Testa.
Nel sesto libro Arrigo, orbo del genitore, fa ri-
torno in Palermo apparendogli sotto Centorbi l'e-
remita dell'Etna, che dopo aver seco lui ragionato
sparisce d'un tratto. Vinciguerra di Palizzi ed An-
na di costui figlia fiore di candidezza e di virtù
erano i soli consolatori di Arrigo nell'amara per-
dita, che venia di soffrire, ed egli avca divisato con-»
giungersi con quella donzella in matrimonio, al che
il padre di tutto 1' animo annuiva. È allora che
Federigo, macchinando o di strappar Bonifazio alla
parte angioina, o di trarre a se tutti i principi e
le città ghibelline, e formare una lega contro Car-
lo e il Papa, indossa di questi due difficili mandati
Arrigo d'Abbate, egli recasi sollecito in Roma, ove
trova male apprese le siciliane cose, uè gli è da-
to poter parlare al Pontefice.
Stanziava anche in Roma in que' tempi quale am-
Lasciatore della fiorentina repubblica Dante Alighie-
ri, al quale era accaduto lo stesso che ad Arrigo: non
tardò molto che i due animi, dell'Abbate e dell' Ali-
ghieri, unironsi co' legami di soave amicizia, per lo
che un dì, seduti ambedue su d'un sasso nell'anfitea-
tro Flavio, delle italiche, ghibelline, papali, e cape-
tingiche cose imprendono a ragionare lungamenle:
ma di lì a poco Dante ed Arrigo lasciano Roma,
il primo da triste novelle e da nuove sciagure ad-
dolorato; il secondo, vedendo il [)rimo oggetto del
suo mandato svanito, diriggesi alla volta di Pisa
città, sempre mai ghibellina, che esausta trovò per
la lunga guerra co' Genovesi ; j)oscia nella Luni-
giana, e a Genova, in cui rinnova ai Malaspina, e
ai Doria l'amicizia del siciliano monarca-, da lì ad
Asti, città agli angioini avversissima, ove conosce
Guglielmo Ventura; a Verona rivede Dante, esule
da Firenze, il ^uale chiedegli della Sicilia, e questi
l'informa dell'assedio, e della eroica difesa di Mes-
sina, di quanto il re avea fatto a prò degli abi-
tatori di questa, e finalmente della m.orte di Bla-
.sco d'Alagona e delle funebri pompe a lui rese :
dopo ciò l'Alighieri il conduce allo Scaligero, che
. . . ^7
con' onori il riceve, e gli annunzia la spedizione eli
Carlo di Francia, la rollura delia Iregua, lo sbarco
di costui, e del Duca di Cakubria nel vai di Maz-
zara, e la difìalla di Termini. A simili nuove con-
turbasi l'Abbate, e tosto scrive al sovrano che il
richiami in jiatria; la risposta, die tardò alquanto
a venire, fu nunzia di pace, e da essa apprese la
bella difesa di Coileone operala da Ugone de Ain-
purias, onde arrestare le vincitrici arme angioine,
i badalucclii, e le scaramucce presso Sciacca, per i
quali Federico, col nerbo delle sue forze riconcen-
trate in Caltabeltotta, travagliava le avverse mili-
zie, il moibo sopravvenuto all'armata angioina, la
pace conchiusa, in seguilo della quale la Sicilia ri-
maner dovea a Federico durante la sua vita, e ciò
che possedeasi dalle due potenze belligeranti nel-
r altrui territorio doveasi scambievolmente resti-
tuire, ad eccezion di Jaci e di Calanna in Cala-
bria che restavano r una al Lauria, al Palizzi l'al-
tra: indi si statuì, che Eleonora d'Angiò sposar do-
vea Federigo Re di Sicilia; ma il Papa, nel con-
fermare questa pace, ingiunse, che. Federico fosse-
si chiamato Re di Trinacria e non di Sicilia, fi-
nalmeijte la morte di Jolanda in Termini: Dante
chiesto dall'Abbate dà il suo avviso su quella pace,
intanto Arrigo propone all'amico suo di venir seco
lui in Sicilia, e io scrive al suo signore, mentre-
cliè, ricevuta una lettera della sua diletta Anna, è
instruilo dell'arrivo in Messina della sposa di Fede-
rigo, accennagli in essa le praticate ])ompe, e mani-
festagli che i conti di Catanzaro, e di Ariano, Rug-
giero di Sangineto, e l'Arcivescovo di santa Seve-
rina avcano accompagnato la regina, e che questo
ultimo avea congiunto in maritaggio i reali con-
48. .
iugi, il che spiaciuto avea generalmente; turtossi
allora l'Abbate, e accrebesi il suo tnrbamento al ri-
capito di un foglio vergalo di proprio pugno del
Sovrano, in cui questi gl'ini pediva, per politici mo-
tivi, di condurre seco in Palermo 1' ambasciafor
fiorentino, il quale avvampa di sdegno contro il si-
culo Monarca, del che l'Abbate allumenle si rat-
trista. Ma un sovrano comando chiama Arrigo a
Firenze, ai dee recarvisi per negoziare un prestito,
ed indi portarsi nuovamente a Roma per ringraziar
Bonifazio dell'assolnzione de' passati interdetti; par-
te in efletli da Verona, e l'Aligliieri a lui accomanda
gli affari delia sua repubblica, e degli esuli.
Intanto le cose cangiavan di faccia, gravissime dis"
senzioni insorgeano tra Filippo di Francia e Bonifazio,
e questi felici auspici accompagnavano k partenza di
Arrigo da Verona ; a Firenze va ei ad albergare
iu casa 'di Messcr Musciatto, sopranomato de' Fran-
zesi, e propriamente iu una di costui villa; ivi essen-
do un dì, solo, presso un sito dello dell'Ucccllaloio,
un'incognito a lui si presenta e lo avverte di una
nera insidia, che tra ma vasi a danni del Papa; ne
alcun sospetto sulle prime tnibò l'animo di Arri-
go, che avea veduto molti stranieri in villa del-
l'ospite suo, ma nel lasciar che fece Firenze, ove
concluso avea lo imprestito, per venirne a Roma,
si propone di parlarne al Pontefice. Giunto in que-
sta città alloggia presso Riccardo degli Annibaldi,
e sul primo suo venire ode un popolar tumulto,
che ridestagli i delti dell'incognito, e sente, per Mau-
fredi fratello di Riccardo, la sedizione contro il Pon-
tefice scoppiata in Anagui, che con piìi diffusione
vien riferita in appresso dal Cardinal Nicolao di
Trevigi, e da Giovanni Campano; E già Bonifazio
49
tìisgiislalo de' Capetingi fremea d*ira avverso Carlo
di Napoli, e ricouciliavasi con Federigo, allorquan-
do la sua morte troncò tutte le belle speranze con-
cepite dal legato siciliano. Benedetto XI, che suc-
cesse a costui, e ch'era il nomato di Trevigi, ma-
nifestò princi[)ii di dirittezza e di pace accogliendo
con egual distinzione, e il messo di Carlo, e quel
di Federigo; per la qual cosa animato Arrigo, a
prò della [)atria , favella, e dell'Alighieri; ma l'ora
venuta di prestare il ligio omaggio a nome del suo
sovrano, gagliardamente ei si oppone alla formola
scritta, venendo ivi chiamala la nobil sommossa del
1282 aperta ribellione, alche non volendo in al-
cun conto aderire scrisse , affinchè il richiamasse a
Federigo , che contentollo ben tosto, e siccome ve-
run siciliano proferito avrebbe quella formola per
la patria cotanto disonorante, Corrado Doria geno-
vese accolse quel mandato: di tal maniera ha ter-
mine il sesto libro.
In esso 1' Autore non tocca che per sola inci-
denza gli affari di Sicilia , trasferendo il suo pro-
tagonista ora a Roma, or a Pisa, or a Genova,
or ad Asti, or a Verona , or a Firenze, ed ora a Ro-
ma di nuovo, lo fa inoltre parteggiare co' ghibel-
lini deU'Italia, tra' quali Bartolomeo della Scala Si-
gnor di Verona non era uno degli ultimi, lo dà a
divedere pressoché istrutto della congiura di Ana-
gni, lo dimestica con l'Alighieri, con Messer Mu-
sciatto de' Franzesi, con Riccardo degli Annibaldi,
col Cardinal di Trevigi, con Giovanni Campano,
col Ventura, insomma ci offre nn saggio delle sto-
rie italiane di quell'età, le quali, comecliè di mol-
to si divergono dall'assunto proposto, nulla manco
c'informano del gran conto che alior faceasi in Ita-
So
lia della potenza siciliana, non che clell*alla rinO-
niauza che godea Federigo : ma in que' dì avve-
nivano in Sicilia cose di non lieve momento, che,
a nostro avviso, meritavano, anzi che d'esser gittate
succintamente, di allargarsene il racconto, e viceversa
restringer quello dell'italiane; però merita lode lA.
per lo facile legame degli avvenimenti , ed in ciò fa
mostra di saper con maestria accoppiare alle sue im-
mense cognizioni storiche una per])icacissima im-
maginativa: Seguono il libro venti nove dottissime
annotazioni tratte, la piiì parte, o dalle Varie opere
del laboriosissimo bibliotecario di Modena, o dal
Raynaldi, o dall'Alighieri, e dettale con quel senno,
che tanto distingue l'A. , ma noi, lo ripetiaujo, avrem-
mo desiderato una fedel narrazione delle sicule, piut-
tosto che un quadro delle cose italiane. Havvi quivi
d'immaginario la visione di Padre Jeronimo, il pro-
messo matrimonio di Arrigo ad Anna Palizzi, ed
il mandalo di questo a Roma e alle città ghibel-
line; tutte le cose poi che dice Dante all'Abbate
Vengon comprovate o chiarite dalle note: il raccon-
to che questi fa de' nostri affari è secondo ciò che
ne dice diffusamente lo Speciale (lib. VI, Gap. I,
li, III, e IV), inoltre l'assedio di Messina, il va-
lore di Ruggiero da Brindisi , 1' umanità di Fé*
derigo, la morte di Blasco d'Alagona, e gli. onori
resi alla sua salma. Le cose che lo Scaligero dice
al siculo messo son tutte storiche e cavale dal men-
tovato scrittore sincrono (Gap. VII e Vili), le quali,
non essendo accennate che di volo, talune partico-
larità vengon trascurate e pria e dopo la conchiusa
tregua, siccome l'abboccamento a Maniaco del Duca
Roberto con Federigo (Gap. V), il poco onorevole
procedimento di quel Duca che lo òeguì, e la resa
Si
d'Aidone, e di Ragusa(Cap.Vl). Sono stoi'iclie ben
anco la difesa di Covleone operata da Ugone de
Ampuiias (Gap. Vili), la Venula a campo degli an-
gioini a Sciacca, e de' Siciliani a CaltabelloUa, il
morbo di cui s'infetlò la nemica armata, la pace e
tutti gli espressi patti, le clausole apposte dal Ponte-
fice, e finalmente la morte di Jolanda (Gap. IX, X,
XI, XVII e XV III). I sentimenti che l'autore mette
in bocca del Dante circa tal pace sono quali esser
deggiono in mente sensata. Ideale è la proposta fatta
da Arrigo all'Alighieri di venirne in Sicilia, non che
la risposta del Re nella quale glie lo impedisce; per
le cose dette da questo insigne poeta si consulti la
eruditissima annotazione 18. Il contenuto della let-
tera di Anna e tratto dallo Speciale (Gap.XIX^
e XX); immaginari sono gli altri mandati di Arrigo
a Firenze e a Roma; tutto ci fa credere che il pii-
mo ambasciador siciliano ch'ebbe Bonifazione pres-
so di lui fusse Gorrado Doria»
Vera e la rottura tra il Re di Francia e il Poa-
tefice, molto circostanziata la congiura di Anagnij
e di gran magistero sono le note che la compro-
vano, e la chiariscono: ne men vero si è tampoco
tutto quel che si dice intorno a Benedetto XI. OU
tremoclo ingegnoso e probabilissimo e il termine del
libro, quantunque, ne i nostri sincroni storici, ne il
Testa ci rammemorano quest'ambasceria del Doria^
ma il solo Raynaldi , come avverte il di Gesare
(nota 39), ce l'accenna, unitamente alla formola del
prestato giuramento. Però noi non possiamo fare
a meno di sommeltere ali'A,, che egli in questo li-
bro ha omesso tante particolarità sulla Sicilia le quali
avrebbero prodotto un'effetto maggiore all'opera sua
per altro pregiatissima, ed il volere estenderla agli
54
italiani accatlimenti ^ anzlcliè contenerla ai nosli-1^
r ha resa manca del viaggio del Monarca siciliano
dopo la concliiusa pace, del sno ingresso i^i Cata-
nia, della liberazione dei captivi , e del Principe
di Taranto , che allor trovavasi in Sutera ; della
partenza da Catania di Carlo di Valois, e del Duca
Roberto, della familiarità mostrata da questo dop-
pio Principe verso il nostro Sovrano , delle acco-
glienze fatte in Messina per ordine del Re di Tri-
nacria ai principi Angioini; del gran convito dato
dal Capetiiigio ai ÌNJessinesi , e finabnente del no-
bile procedere di Niccolò e Damiano Palizzi , e
delle ardite parole risposte da Niccolò a Carlo; cose
tutte che rileviamo dallo Speciale (Lib. VI. Cap.
XII. XIII. XIV, e XV.), e dal Testa (pag. 128 e
seg.) con più chiara dizione, e che aperto avreb-
bero all' A., un vasto aringo da spaziarsi con l'au-
rea sua penna.
Lo stato della Sicilia, e della di lei corte dietro
le nozze di Eleonora d'Angiò dà principio al libro
settimo; ministro dell'ira di Carlo, e della perfidia
dell'Arcivescovo Lucifero stanziava in Palermo ai
fianchi della Regina un prete, nomato Arnaldo, il
quale istigava la Principessa a mover l'animo del
consorte, affinchè questi lontanasse da presso di se
i veri amici della patria e della corona, ed al con-
trario carezzasse que' che parteggiato aveano per la
casa d'Angiò, e perciò pel danno drlla Sicilia; e di
fallo la Regina, o [)er pusillanimità di s[)irito, o
per ereditaria avversità all'isola nostra, praticava ciò
fedelmente. Il perchè avvenne, che Federigo, dimen-
tico di queir affetto che sin dalla tenera età lo stri-
gnea ad Arrigo, al ritorno di costui freddamente il
ricevette, ne gli fu compadre al suo maritaggio, co-
53
me promesso gli avea. Allora Arrigo, non creden-
do quella corte più per lui coiifacente, lascia Pa-
lermo, e ritirasi in una villa in s. Isidoro vicino la
città, ove tra le dimestiche sollecitudini con Anna
sua consorte, e i figli Margherita e Palmieruccio
menò un lustro di tranquilla e beata vita, or co-
gl'ingenui piaceri dilcltaiidosi, or lo spirilo pascen-
do per lo studio; e se per poco il Chiaramonte e
il de Ampuiias, che il visitavan spesso, stimolato
lo avessero a tornare alla corte e a Federigo, egli
rispoiidea con rotonde parole, onori spregiando e
grandezze di que' tempi miserandi; ma la perdita
del figlio avvolenogli il diletto di quel gradito sog-
giorno, e dato j)ietJO sfogo all'impeto primiero di
dolore, siccome uom'era di religione e di filosofia,
pensava ai detti dell'eremita Jeronimo, e, sommesso
ai celesti decreti, a sollevare si dava la egregia e
penetratissiina consorte. Quindi un'altro lustro ivi
passò, in cui la morte apprese del Ventura, al qua-
le era con nodi di tenera amicizia congiunto , e
l'ultima di Ini volontà. Qui dalle private alle pub-
bliche cose ritornasi: Roberto re di Napoli nel i3o9,
doppio come egli era, toglie via la maschera della-
mistà e aperlamenle contro il cognato, e i siciliani
dichiarasi; tal che nelle sue mani caduto Ferrante di
Aragona figliuol del re di Majorica di lui congiunto,
e di Federigo, menile combaltea in Oriente, lo tratta
durissiuìamente, e fa arbitrariamente e con dislealità
arrestare Raimondo Montanerio inviato da Federigo,
onde mitigare l'animo di Roberto in prò del Fer-
rante, ed arrecare a questi soccorsi: accingeasi per-
ciò alla guerra il Sovrano di Trinacria, quando Ar-
rigo di Lucemburgo salito sul trono imperiale di-
chiara Roberto nemico pubblico, nomina Federigo
^4 . . ,
ammiraglio dell'Impero, per cosi questi acquistar
la parte dell'usurpato reame, e lo invitala venirne
a Gaeta ove attendealo. Vinciguerra da Palizzi, ed
Arrigo di Abbate , che con pena distavasi dalla
sua famiglia e dal suo soggiorno, venner chiamati
ai fianchi del Re, e nell'accomiatarsi che fa Arrigo
dalla consorte vien essa agitata da tristi presentimen-
ti, e pietosa rivolgesi a Santa Rosalia. Lascia Fe-
derigo la Sicilia col suo navilio comandato dal Ghia
ramonte, e con le milizie capitanate dall'Abbate,
sottomette alcuni luoghi della Calabria , e dirige
le prore verso Gaeta; ma giunto alle alture di Slron-
goli, sente perPalassinoTrussello,il funesto annunzio
della morte dell'Imperatore in Buoncouvento: a tal
nuova gli animi pal[)itarono e del Re e dei cor-
tigiani suoi, ma TAbbate consigliò il Monarca di
andare a Pisa a racconsolare gli abbattuti ghibellini,
ove andossi; e tutti rincoraronsi alla vista di un'al-
tro Re che parteggiava per la causa loro ; ne ivi
scorge Arrigo l'Alighieri, e il motivo ne prevede,
e di lui domanda a un principale tra quelli, che
mostragli un di lui foglio , in cui notansi gli alti
sentimenti, che animavano quel grande, e l'assoluta
negativa di tornare a Firenze per sordi maneggi ,
Arrigo lo legge con gioia, e nel restituirlo al ghi-
bellino gli svela i sensi che il suo cuore nobilitano.
Ma già i Tedeschi evacuavan Pisa, che pratiche di
pace co' Lucchesi , e gli Angioini intavolava ; e
Hoberto, che ad una spedizione avverso la Sicilia
preparavasi, obbliga Federigo a lasciar Pisa ancor
esso, con la promessa di tornarvi, e a veleggiar per
jl faro colle sue milizie; una burrasca gli soprav-
viene, che furiosamente lo spinge in Cagliari, ove
e obbligato a restarsene più d'un mese; scorso qual
tempo tocca Trapani.
ss
Roberto intanto era partilo da Baia con cento-
trenta galee contro la Sicilia; al quale annunzia dif-
ferenziarono i duci siciliani sul partito da prender
si , ma Federigo, seguendo il consiglo dall'Abbate,
raguna il nerbo delle forze in Palermo, di cui af-
fida la difesa al Chiaramonte ed all'Abbate mede-
simo; e non molto scorse, che minaccioso vedesi ap-
pressare l'angioino navilio, dal quale sbarcale le le-
gioni nel luogo chiamato i Casseri a devastar si
posero le circonvicine campagne, ed indi schieratisi
in minaccevole apparalo credeano d' imporre alla
capitale; ma fu inutile qualunque minaccia, e Ro-
berto, invaso da uno spirito, che facile avea pre-
dettogli il conquisto dell'isola, fa benedire pria le
macchine dall'apostolico legato, e di poi principiar
l'assalto: esso luugamento perdura, e il Chiaramonte,
afflitto dalla gotta, è obbligato a cedere il reggi-
mento della guerra all'Abbate, che manda a vuoto
1' assalto nemico contro il porto , é con ingegnosi
trovati distrugge molte macchine ostili ; allora Ro-
berto, beffato da un'altro spirito, e veggendosi agli
estremi ridotto, fa suonar la ritirata, e forte turba-
lo dallo squillo festivo delle campane della città ,
che batteano in segno di vittoria, da Palermo si
allontanò per posarsi a Termini ; mentre l'Abbate
facendo delle rotte macchine belliche un falò ia
Gnor di S. Rosalia ne fa riporre le ceneri in grosse
botti sotto le volte del gran tempio: in colai guisa
domò Palermo per la seconda volta l'angioina boria.
Ma Roberto, veduta la difficoltà di riportarla su
Federigo colle armi, dettesi nuovamente agl'intriclii;
il perchè, con l' aiuto di Lucifero, e di Gualtieri
di Scordia, che sin dall'entrata degli Aragonesi ia
Cataaia fìssalo avea ia sua dimora in Napoli, e
56
che amendue a se chiamò; divisò sfiancar Federi-
co togliendogli l'appoggio dei più valorosi tra i
suoi, e principalmenle dell'Abbate; ad eseguir quale
intento bastò una contrafulta scritlura veri;ala del
nome di costui, e giunta sin nelle mani del Sovrano
di Tiinacria, per aslule pratiche di Arnoldo infa-
me iiiiiiislro delle nequizie di quelli; nella lettera
mostravasi Arrigo apertamente ribelle al suo Re,
e devoto ad Arrigo di Svevia figlio di Manfredi
sino allora ignorato; oltreché la Regina, ad isliga-
zion di Arnaldo, e costui medesimo, non si stanca-
vano di dipingerglielo con tetri colori: tal macchi-
nazione scoppiò mentre l'Abbate, dielio aver rin-
Terdito i suoi allori alla difesa di Palermo, era ilo
a godere alcun giorno di beata solitudine nella sua
villa di s. Isidoro; da dove crudelmente strappalo
e dal seno della famiglia, vien chiuso nel caslel di
Palermo, del che la Sicilia intera fremette: trion-
faron così gl'iuNÌdi e maliziosi cortigiani del cre-
dulo Monaica, assai diversi di que' probi ed intre-
pidi baroni che dopo il memorando vespero fecer
cerchio al trono di Pietro, di Giacomo, ed al na-
zionale di Federigo. Una gran corte, per reale or-
dinanza oj)j)Osta a tutte le leggi allora vigenti ,
sentenzia sulla vita di un barone e di un campione
siciliano, e la cruda sorte de' Corradini, e de' Ca-
peci è quella riseibata all'Abbate, Vinciguerra ed
Anna sono compunti d'amaro dolore, ed a tal nuo-
va il primo lascia la figlia in s. Isidoro, e reca-
si in Palermo; Arrigo avea proibito a chiunque
d'intercedere per lui. Gli sgherri enlran nel car-
cere, ma, ne l'Eroe prigioniero, ne orma alcuna
di lui rinvengono , e così ignorandosi come, e da
chi, fosse slato da colà sottratto, in mislerioso ar-
cano sifTalla sparizione si ravvolve.
^7
Questo ullimo libro sente più degli altri del ro-
manzesco , e la storia non vi è inaiitennta molto
esattamente, come negli altri, ne nelle epoche, ne
nelle circostanze: lo slato della corte siciliana do-
po le iioxze angioine se non è vero è almeno pro-
Labilissimo, ed abbencliè gli storici sincroni, ed il
Testa medesimo, non ce la diano a divedere |)ei*
corte corrotta (che anzi quest'ultimo tesse un elo-
gio della Begina Eleonora e de' benefui di quella
pace Inngauienle ci ragiona), pur non di meno biso-
gna riflt;ltere, ch'ella era sempre una regina di san-
gue angioino nel .suolo ove squillato avea quel fatai
vcspero. Ideale e il prete Arnoldo, e perciò non sto-
rici i maneggi ch'egli opera sommessamente contro
i buoni baroni siciliani: gli sponsali di Federico
con Eleonora dovean essere necessariamente repu-
tati poco onorevoli per Federigo, e di nere remi-
niscenze pe' siciliani, e per essa stessa. Romantica
ed immaginaria è la ritirata di Arrigo nella sua
campagna di s. Isidoro, jxr rapporto al qual nome
non ci lasciam j>ersuadere cornel'A. ne abbia po-
tuto ire ad iuiprestito, laddove nomi di deliziosi
luoghi e di campagne amenissime presso Palermo
non scarseggiavano, e i Colli, il Parco, la Baghe-
ria, Partinico, Monreale siti di effettive bellezze,
e in tulle età conosciule, sarebbero state di più vero
e più reale efl'ello: le famigliari cure di Arrigo soii
dolcemente dettate, e le risposte di lui al Chiara-
monte e al d'Amjìurias sono stupende e sensatis-
sime sentenze: la morte di Palmieruccio è toccata
con teneri sentimenti atti alla luejubre circostanza.
Strania all'azione è la morte del Ventura, ma bel-
la quanto non mai la nota 2 che la segue.
Gli avvenimenti politici rapportati iu appresso
58
sono storici tulli, e attinti dal nostro Speciale, esso
ci fa conoscere (L. V^I, Gap, XXII.) come Ro-
terto non curando i diversi titoli die l'univano al-
la casa di Aragona e al re di Trinacria, ne i patti
della pace, fu del primo, e del secondo Carlo più
avverso alla Sicilia , dal che ne risultò la prigionia
di Ferrante d'Aragona, l'arresto arbitrario e dislea-
le del Montanerio; ed appresso (L. VII, Gap. I. II.)
]a spedizion preparata da Arrigo di Lucemburgo,
più che il Barbarossa, e il sesto Arrigo ghibellino,
contro l'Italia, l'invito fatto al re di Trinacria per-
chè seco lui venisse a militar contro Roberto di-
chiarato nemico pubblico, onde rivendicar le pro-
vincia continenlali del regno di Sicilia, che a lui, e
non all'usurpatore, come parte integrale del Reame,
si appartenoano, l'inizio della spedizione in Cala-
bria, la morte di Cesare, e l'andata del re di Tri-
nacria in Pisa : è il medesimo sincrono storico ,
che parlando della spedizion contro Roberto ci fa
conoscere, che Federigo, per quella spedizione, con-
vocò in Messina numeroso navilio , e tutti i suoi
uomini d'arme, tra i duci de' quali non altro si an-
novera, che Damiano di Palizzi il quale distinsesi al-
la pn^sa di Calanna arce inespugnabile di Calabria,
Manfredi Chiaramonte che dal re di Trinacria era
slato inviato a Cesare , e di ritorno avea annun-
ziato al re che si fosse recato in Gaeta, e un Lambo
Doria comandante di più galee genovesi; di Viu-
ngguerra di Palizzi nulla dicendoci. In un ro-
mantico ma affettuoso discorso che Anna pronun-
zia nomina Santa Rosalia la nostra santa ^ la quale,
nel corso di tal libro, è per quattro volte rammen-
tala come protettrice di Palermo, per lo che è d'uo-
po osservare, che, nell'età in cui 1' A. fa accadere
la catastrofe, la santa figlia di Sinibaldo non solo
non erasi rinvcniila nelle grotte del Pellegrino, av-
venendo ciò nel 1624, ma se era santificata, sicco-
me l'osservano il Gaelani, il Cascini, il Tornamira,*
lo Sliltingo, non teneasi per certo qual proteggi-
trice di questa città, ne ancora avea ricevuti que-
gli onori che Papa Urbano Vili concessele dopo
la invenzione del di lei corpo; laonde noi ci avvi-
siamo, che il nostro A. si sia permesso f;ir uso d'un
simile anocronismo per conseguirne lo effetto, e non
per itiavvcrtenia come il francese barone de la
Mollile Langon, il quale ha introdotto le nostre an-
nuali foste (malamente descritte) in onor di Santa
Rosalia nel suo romanzo storico Giovanni di Pro-
cida , e con ispecie nella narrazione del vespero ;
non come il la Mollhe, il di Cesare che sollanta
contentasi di nominar la Santa, il perchè ciò che
nel francese noi ripuliamo inavvertenza , nel no-
stro A. (che tanto conosce le nostre cose) la cre-
diamo trasposizione da lui slimata di efTelto. Ciò
che segue è cavato con fedeltà dallo Speciale (Ca-
pii. II.). Ideale, ma con talento ideato, si è quan-
to dicesi intorno a Dante, alcune note chiariscono
quei diversi punti.
Nel descrivere die fa il di Cesare, la tempesta
sofferta da Federico nel tornare in Sicilia, si scosta
alquanto da quel che ne dice lo Speciale (Cap.III),
poiché quegli vuole che le navi trovavansi presso
il faro allorquando la burrasca sopravvenne, e que-
sti ch'erano alle viste di Favignana; e noi non sap-
piam persuaderci perchè il di Cesare non a|jbia
seguito la narrazione del sincrono storico di gran
lunga pili verisimile della sua, poiché, venendo da
Pisa alla volta di Siciba, egli è cosa facilissima, che
6o
sballale le navi <\i\ cofìlrari\enti, fussero siale Ira-
traspoiiale presso Favignaiia; laddove essendo pn-
co lungi dal faro i porli di Melazzo , d' Olivie-
ri, di Lipari avrebbero loro otTerlo asilo sicuro, e
forza non sarebbe stalo andar fino a Cagliari, onde
ricoverarsi, ove secondo lo Speciale dimorarono gior-
ni quaranluno; dopo i quali venendo a 'l'rapani fu
accollo il Sovrano Ira gli osanna del popolo. Or
qui il di Cesare (tralasciando tanli e tanli rimar-
chevoli avvenimcnli che allor si successero, e che
lornano gloriosi alla noslra sloria, siccome lo sbar-
co del dop[)io Roberto, la vision dello spirilo eoa
cui erasi (imiiliarizzalo, l'assalto e la gagliarda di'
fesa di Trapani, i progressi del navilio siciliano co-
mandalo da Giovanni Chiaramonle, la tregua co-
gli angioini conc hiusa, le diverse scorrerie, ciò mal-
grado, esegnile da que' perversi nemici della Sicilia,
nel corso delle quali devastavan le campagne, iu-
cenerivau le messi, desolavan i proprietari e i co-
loni, ed altri avvenuti che lungo sarebbe il nove-
rare) lega r arrivo di Federigo in Sicilia da Pisa
con la spedizione contro Palermo, la quale ebbe
luogo, come ei ben riflette (nota n ), per Carlo Duca
di Calabria figlio di re Roberto nel i225; ma essa
ad eccezione d'essere anticipala da circa tre lustri
è poi trascritta esattamente dallo Speciale (C.XVII),
e con purezza, e maestria di descrittivo linguaggio
dettata: intanto, siccome Arrigo di Abbate è il suo
protagonista, cosi l'A. a questo dà il vanto di aver
consiglialo il re a difender Palermo piuttosto che
le minori città dell'isola, mentre la storia ci mani-
festa, che sifl'alta spedizione era per quella città di-
chiarala; a lui aflida il comando della capitale iu
mancanza del goltoso Chiaramonte, laddove costin
6f
àtìcoi'cliè, forte afflllto da podagra, non lasclollo giam-
mai, anzi di qua e di là tiaspoifar si fucca, onde
incoraggiare gli assediali con la vi'va sua voce; a
lui l'A. allribuisce l'iuveny-ione di lanciare le sciti
durissime delle strade di Palermo confi o le mac-
chine ostili per distruggerle, nieuhe la fu del Cliia-
ramonte ; a lui l'onore di aver mandalo a vuoto
l'assalto contro il poito, n)enlre la storia non ci ad-
dimoslia chi abbia quel fatto d' armi direltr. In
seguito , e verso la fine di simil racco»ito , liavvi
qualche cosa che discosfasi alquanto dalla sloria ,
imperocché la visione della laute d'Alcamo non fu
presso Palermo, ma nell'assedio di Tjajjani per P»o-
berto, e l'allonlanaraento da Palemio delle truppe
angioine avvenne per altra cagione, circostanziala-
tatnenle esposta dallo Speciale al XVllI Capitolo
del Lib. VII , che io non trascrivo j)er non di-
lungarmi di vantaggio. Ciò che segue l'assedio di
Palermo, la vermta, cioè, in Termini dell'Arcivesco-
vo Lucifero, e di Gualtieri di Scordia è affatto idea-
le. Nuovo, e interessante è quel che dicesi circa i
due figli di Manfredi. Immaginaiie sono la prigio-
nia, e la condanna di Arrigo , e le altre cose che
loro tengoii dietro ; ed il termine per ultimo che
è oltremodo romanzesco , è di bello ed inatteso
effetto.
L'essere il di Cesare scrittore assai nolo, e pre-
giato fa si, che i nostri encomi nulla aggiungereb-
bero al suo chiaro nome; il perchè ci contentiamo
di dire, che l'Arrigo non ha in verun conto smen-
tita la sua fama , poiché in esso elegante, e non
affettato è lo stile , pretta e leggiadrissima la di-
zione, e l'A. fa saggio di forte sentire nella vol-
gaffe favella, massime nel genere descrittivo. Com-
62
ponendo un romanzo storico l'egregio autore si h
provalo, con buono successo, in quell'aringo iu cui
sonosi provali i grandi Manzoni e Resini , ed ha
fatto bella mostra di sua imaginativa, e di quanto
senta addentro nelle storielle e biografiche cono^
scenze; ma se mal non ci avvisiamo i gravi studi
ch'egli coltiva, la diligenza e la critica che vi ado^
pera lo inculcano per dir così a militar sotto le
bandiere del Botta, e non sotto quelle dello Scott}
del elle il mondo letterario gli saprebbe grado di
più: quindi noi facciam voti caldissimi, perchè la
storia di Manfredi re, di cui egli medesimo ha dato
saggio in una memoria impressa non ha guari ne-
gli u4lti dell'accademia Pontaniana<) e che sicco"
me ])are , primeggia tra i suoi lavori , sia vestita
alla foggia del primo infra i due citati scrittori^
Finalmente noi viviamo sicuri, che se fummo al-
cun'otta, lungo le nostre osservazioni, discordi dal-
le sue opinioni, l'animo generoso del di Cesare sa-
])rà perdonarci, molto più che a ciò fare ci ha spin-
to amor del vero, ed interesse per lo progresso delle
ottime discipline da lui con tanto ardor coltivate*
P. Lavza P. di Scordi a.
Ode XLIV. d' Jnaci*eonte recata in siciliano
dal dottor Antonino Lamanna.
Anacreonte, il poeta delle grazie., che ha avuto
un gran numero di traduttori, e che non e stato
ne sarà mai forse tradotto, Anacreonte ben meri-
tava d'esser recato nella lingua del Meli, di quel
Meli appunto ne' cui amabili versi da chi intende
• 6^
il tnàgistero del siciliano idioma scorgesl trasfusa
l'atiima del Cantore di Tejo. Sono circa trent'ati-
iii the al dottor Antonino Lanianua da Termini,
uonno caro alle Muse, cadde in pensiero di voi lare
in Siciliano le Odi d'Anacreonte ; ma la sua ver-
sione, ricordata in uno de' primi fascicoli del Gior-
nale di Scienze Lettere ed Jrti per la Sicilia ,
Don è uscita per anche in luce. Un'altra bensì ne
fu data fuori in Catania dal sig* Tommaso Mon-
cada, e di alcune odi tradotte tnedesimamente iu
siciliana favella dal eh. ab. sig. Benedetto-Saverio
Terzo sono slati fregiati parecchi giornali, non che
queste Effemeridi. JVoi congratulandoci con quei
colti e gentili ingegni che sludiansi di adattar le
Venustà siciliane al venustissimo poeta greco, cre-
diamo far cosa grata al pubblico inserendo della
versione del dolt. Lamanna l'ode XLIV, ch'egli ci
ha cortesemente esibita, e che slimiamo di molto
pregio. Il sig. Terzo , illustre filologo e valente
grecista, traduce dall'original testo; il dolt. Laman-
na dichiara eh' esso investiga i concetti dei greco
autore nelle più accurate e fedeli traduzioni, par-
ticolarmente (e con senno) nella latina del Barnes,
e nell'italiana del Valguarnera.
Traduz. del dott. Lamanna
'Ksonnu pariami
Chi già curria,
E 'ntra li spaddi
Iu l'ali avia.
Chiummu Cupidini
Àvennu poi
'Ntornu a li beddi
Piduzzi soi;
^4
Assiculavami
E tn 'agghiunciu.
Clii voli diri
Stu sonnu miu?
lu certu giudicu,
Ch'esseunu stalu
In tanti amuri
Sempri 'ntricatu;
Da tutti l'aulii
Mi la sfilai,
Ntra chistu sulu'
Però 'ugagghiai.
Bald. Romàno.
Per una Baccante — egregia scultura del sig.
Valerio F'ili^areale.
SONETTO
Siccome in roseo letlo Ebe amorosa,
Disviticchiata dal fervente Alcide,
- Dassi in braccio a sopor, che l'ali posa
Lascivetto sul labbro, e vi sorride;
Così colei, ch'ai core perigliosa
Dolcezza piove, e me da me divide ,
Quella beltà sì tenera, e vezzosa,
Che tal nell'alma Psiche Amor non vide:
Bacco le chiuse i lumi, e del sorriso,
Onde amoroso vortice m' assale,
Bacco inGoroUe quel celeste viso:
Già corro ah!.. ridi Amor, tarpate ha l'ale
Il fervente desio, ch'il cor conquiso
Non m'ha natura, ma scarpel rivale.
Michele Bertolami.
65
E STRANIERA
Cura della Pustola Maligna o carbonchio.
Ì>'
M-À noia al campagnuoli quella maialila conosciu-
ta col nome di pustola maligna o cai'ùonchio che
allacca il bcsliame, si diffonde talvolta da uti in-
dividuo all'altro e fa strage, e talvolta aggredisce
anche l'uomo che fu custode degli auiinali infetti
di tal malore, e lo espone a perder la vita se non
venga soccorso prontamente dall'arte medica. Ora
il dottor Schwan assicura che basta a frenare le
terribili conseguenze del carbonchio l'applicazione
sulla parte ammalala d'un forte decotto di scorza
di querce, applicazione che dee frequentemente rin-
novarsi. Quando la pustola è passata allo slato di
piaga non è più temibile in alcun modo e dee trat-
tarsi col metodo comune, adoperando semplicemen-
te di preferenza ad ogni altro unguento quello di
trementina. Giornale J grano Toscano.
Maniera di preparare il ghiaccio ed empire leghiac^
ciaie in modo di conservarle per due o tre anni.
In dicembre o gennaio, quando gli stagni o pa-
ludi sono gelali, e che il ghiaccio ha acquistato
uno spessore di due a tre pollici" circa, lo si rom-
pe, e si estrae fuori d'acqua cogli uncini di ferro,
indi al più presto possibile si trasporta alla ghiac-
ciaja. — Prima di collocarlo giova farlo rompere
5
66
di nuovo (In Ire o quallro uomini , e ridurlo in
jìezzelti della grossezza dei ciotloli ordinarli per
selciare le contrade. Allora si getta nella ghiacciaia
dove continueranno ancora due uomini a pestar-
lo, finche sia ridotto in grossa polvere. Il fondo
della ghiacciaia non che le [)areti inlenie debbono
essere precedentemente vestite da uno strato di pa-
glia di frumento. Quando lo strato del ghiaccio sa-
rà allo spessore di due piedi si aspergerà su tut-
ta la superficie con una soluzione di dieci libbre
di sale in quattro litri circa di acqua bollente. Ta-
le aspersione dovrà farsi con un innafliatoio da giar-
diniere. Dopo si farà un altro strato di diaccio
pestato, di due piedi di sjiessore, che si as-ierge-
rà egualmente coH'acqua salala , ripetendo così di
seguito finche la ghiacciaia sia empita. Allora [)cr
ultima aspersione si farà uso di doppia dose di so-
luzione salina. A capo di otto giorni, quando l'ab-
bassamento della massa sarà seguito, si ottureran-
no diligentemente tulle le cavità o buchi con tu-
raccioli di paglia onde escludere l'aria più che pos-
sibile. Una ghiacciaia così ]^reparata, quando la
si apre in estale, offre uiia massa di ghiaccio du-
ro come un macigno, che per romperlo fa d'uo-
po di una mazza. In colai guisa il diaccio si con-
serva tre volte più a luugo che col metodo ordi-
nario, e quando si eslrae per servirsene nei calori
d'estate regge di più all'elevazione di temperatura.
Repertorio di agricoltura pratica e di eco-
nomìa domestica. Torino i83i. Fase. 47'
Modo di conoscere il piombo ed il rame nei vini.
Pop iscoprire sì dannosa adulterazione il Sig.
Gio. Ant. Bianchetti farmacista in Domodossola
propone il seguente realtivo di facile applicazione
e costante. Riscaldansi assieme parti eguali di cal-
ce pura e di zolfo tenendolo ad un calore bianco
per i5 minuti, resosi freddo il risultante solfuro,
vi si unisce pari quantità di cremor tartaro; si [io-
ne dippoi siffatta misceJla in un matraccio con del-
l'acqua comune, nella quantità di una libbra sopra
due once di materia e si fa bollire per un'ora; lu-
di si decanta in fiale della capacità di un'oncia;
aggiungendovi 20 gocce di acido idroclorico per
ciascuna, avvertendo di tenerle ben turate e dife-
se dalla luce. Questo liquore precipita le più "pic-
cole quantità di piombo o di rame, che possano
esistere nei vini in un precipitato nero molto sen-
sibile. Polendo il ferro trovarsi accidentalmente nel
vino, l'acido idroclorico vi è aggiunto per impedir-
ne la precipitazione, e perchè non cadasi nell'in-
ganno di prenderlo per piombo o per rame.
Gazzetta eclettica di P^erona. i832. n. lò.
Metodo facile per applicare le mignatte^ e ferma-
re la einorrugia.
Passati in rivista i vari mezzi sino qui usati a
quest'uopo, ed accennati di volo gli sconci loro, il dot.
F. B. descrive questo suo metodo facile, come ap-
presso, che la fretta gli ha suggerito, e ch'ei tro-
va per buone ragioni antepouibile agli altri.
Preso un pezzo di carta bianca e soda , la ri-
voltai fra le mani per rompervi la gomma a se-
guo che facilmente potessi piegarla nelle direzioni
che voleva: lavate le mignatte nell'acqua fredda
{onde si liberino dal muco) ^ eà asciugate con cen-
ci puliti, disposi sulla carta le mignatte in modo
che corrispondessero ai punti sui quali dovevano
68
applicarsi: quindi rovescialo con pronlozza il fogliò
colle mignatte, tenni colle mani il foglio applica-
to alla cute in modo che quelle non potessero fug-
gire: in pochi minuti quasi tutte le mignatte era-
no attaccale, e niun stiramento ne segugi nell'alza-
re la carta per vedere, poiché le code appoggia-
vano picssocchè tutte sili tegumenti.
Per fermare l'emorraggia, ei dice che basta asciu-
gare la ferita, e di porvi sopra un po' di cotone,
e mantenerlo compresso per una mezz'ora al più,
giacché il coagulo del sangue è sufficiente ostacolo
all'emorragia.
' Reperì, medie, chirng. del plernonle, Jprile i832.
Automi Berlolonii M. D. in archi gymnasio lioiìonicnsi botnnices
prq/essoiis, praesidis coU''.i;ii medicor. el chiri(ri^or\ lonon. e
XL viris socia, ital. ucad- inslil. scienl. Itonon. acad. scicnt.
geituen- et gco7-g. bolina, snc. ordin. societ. linnenn. paris. et
lugd. suciet Itovi, cult, et medicQ-bot. londin. acad. scicnt.
tdurin Ululili, bru.rr/. ginert. iiislit. neap. ad hislit. tial. aiis;.
eie. ioc. extr. l'ioia italica sislem planlae in Italia et in in-
iulis ciì cumslantihus spoiiie nascentes.
La flora italiana del sig. prof. Antonio Berlo -
Ioni già da mollo tempo promessa, ed ansiosamente
aspettata da' botanici , si mette ora alle stampe
in Roma. Questa comprenderà tulle le piante,
che spontaneamente nascono nel continente italiano,
e nelle isole maggiori, che le stanno attorno, e che
sono di sua j)ertinenza, almeno per ragione di lin-
gua. I botanici non dovranno meravigliare, se un
tal lavoro ha tardo tanto ad escire alla luce, per-
chè essendo esso interamente affidato all' autore e
per la riunione delle piante, e per la spesa, egli
non poteva che venirne lentamente a capo. Certo
è però, che l'immensa suppellellile di vegetabili da
lui messa assieme gli somministra il materiale della
flora italiana la più estesa , che concepir mai si
69
possa; ed adiucliè ila questo lavoro ^utlo nuovo ne
venga la maggiore utilità, egli si è prefisso di trat-
tare di ogni specie , di guisa che si abbiano pre-
cisi caratteri distìntivi di cadauna, sobria ed esatta
sinonimia, nome italiano ricevuto dalla Crusca, dal-
le farmacie, o dall'uso più comune, dove il primo
manca, indicazione dell'abito della pianta, del luo-
go dove nasce, e del tempo della sua fiorita, de-
scrizione chiara e concisa, indicazione degli usi piij.
certi tanto farmaceuti, clic economici. E siccome
pressocchc lutti i più recenti botanici italiani lo
hanno cortesemente favorito del loro ajuto col tras-
mettergli assai di quelle piante , che nascono nel
suolo che percorsero, così di ogimno di essi verrà
ifalla a suo luogo la dovuta ricordanza.
Giornale arcadico Voi. i5g.
Mergéllina, in seguito de' sepolerì di J^irgilio
e di Sannazzaro.
Io ho interrogato me stesso sulle ceneri di sì
grandi uomini. Ho chiesto ai secoli trascorsi le io-
io illusioni, il loro splendore, la loro gloria. La
Grecia e Roma qui unite . . . Omero e Virgilio.
Ma i lunghi anni dell'imperio de' barbari di-
strussero tulio: simili ai corti giorni d'inverno piom-
barono nella voragine del tempo dinastìe , le mie
succedute alle altre. I popoli cangiarono religione
e reggimento, leggi e costumi . .. La natura cam-
mina so|jra un circolo eterno. Ei)pure, chi il cre-
derebbe? Attcstano le memorie della virtù e del
valore tnonumeuti ancora rispettali, càneri ancora
compiante . . . Ma questi deboli segni, queste
larve fugaci rassomigliano agli ultimi crepuscoli di
mi giorno brillante. Quali stupendi edifizj non s'ia-
10
Balzano su queste spiagg-e? Illuslrt- magioni, tetn-
pj, ninfei, stallie, sepolcri coslituivaiio forse una
picciola ciUà, un boro;o incantato, che sembrava
posto in mezzo agli Elisi e che era dotto Falera.
Al presente ov'è più? Appena se ne serba il no-
me, ed il viaggiatore curioso e sensibile, in cer-
carne gli avanzi consulta più le sue illusioni che
la trista realtà. E se essi anche superarono gli an-
ni, il mare che ad ogni istante l'ingoia par che
reclami l'antico posto ch'essi gli aveano usurpato.
Ormai questa terra non è famosa che per mine e
sepolcii: diciotto secoli di lutto e di sciagure le
ban falla pagar ben cara la gloria di essere slata
la madre delle favole e delle finzioni.
O Italia, chi toglierà il velo funebre che da tan-
to tempo li ricovre? ... Tu non moslri che ru-
deri e scheletri di antiche città, e campi devasta-
li dal ferro e dal fuoco: ma santo è l'eco delle lue
ruine, e fórse
Polve di Eroi non è la polve tua?
Adoprino pure lo scettro del potere regni più
fortunati, regioni più dilette dal cielo; tu t'ergerai
dal njezzo de' tuoi rottami ancor bella, come l'allo-
dola al solco mietuto, come una oondida vergine gre-
ca che abbandonasse un sepolcro. Attoniti gli stra-
nieri volgerai! sempre lo sguardo al tuo sole, alle
rive coronale di fiori e di aranci, e se non detterai
più leggi dal Campidoglio , regnerai almeno sulle
arti f nei carmi, sull'immaginazione e su i cuori.
Archivio di curiosità e novità in letleratiira ec. ^. r^.Nap.i833.
Rigenerazione Tipograjìca.
Un nostro letterato chiarissimo, a cui tempo fa
vennero sott' occhio alcuni libri recentemente slaai-
pali in Milano, in Firenze, in '^'cuezia, sollevane
. . 7J
do un poco le spalle e sorridendo mi disse : » E
poi si negherà che noi assolutamente non siamo la
un bel progresso di civiltà nelle arti! Ecco qua:
da' caratteri di Aldo , de' Giunti e del Bodoiii ,
coniati su quelli de' miserabili nostri secoli di Ci-
cerone e di Augusto siamo venuti a' caratteri go-
tici e runnici! E non e questo un incremento? un
onore del secolo? un toglierci filosoficamente dalla
peckinieria e dal purismo? Dopo aver posposto Raf-
faello, Coii("gi;io e Tiziano (come pittori senza ef-
fttid) ad un Tommaso Lawrence, caposquadra de'
maestri a zich-zach, era ben giusto che anche nella
tipografia ci mostrassimo Telicissimi rigeneratori del
bello. E (he pensale voi che diranno i nostri po-
steri! Essi dilanilo maravigliando che nel gran se-
colo del 1800, dopo tante sottilissime investigazioni
d'ideologiae di estetica, frutto delle quali fu il di-
chiarare che invailo a nostro ammaestramento han-
no i nostri avi per trenta e più secoli d'esperienza
scritto, dipinto, scolpito, archilellalo: finalmente,
per volger le spalle alla pedanteria del secol d'oro
\)ev voler far meglio degli eccellenti, e per mostra-
re un gusto pili sicuro ed un piU ragionato amor
patrio^ liuiromo col diventar GOTI ! ! ! m
U Tiberino n, ig. t833.
Un gran disiganno.
Il profes. Carlo Wille ha pubblicalo nel gior-
nale di Lipsia Blnetter fitr literarische unterha-
eliung il ragguaglio di una sua conversazione a-
vula nel i83i in Milano col conte Alessandro Man-
zoni. Secondo il Witte , questo celebre capo -del
nostro romaticismo, questo famoso autore delle tra-
gedie istoriche il Carmagnola e ì'Jdelchi, e del
romanzo isterico / promessi spòsi, mostrasi ora
7^ . .
avverslsslmo cJ alle Tragedie istorìche ed ai Ro-
manzi istorici^ cliiamaudo tanto quelle quanto que-
sti col nome di mostri leiterarii. E cosi avevano
per lungo tempo gridalo in Italia tanti nobilissi-
mi seguitatoli de' classici! ma le loro voci furono
accolte sempre con dileggio, e tacciale di pedan-
tesche e (.Vi puriste da tutta quella marmaglia d'iiii-
Lrattacarte (per lo più giov.anastri) che con la pe-
tulanza rispondono alla sapienza de' veterani. Ora
il Manzoni ravveduto dell' error suo (com'era be-
ne ad aspettarsi da quell'alla sua mente), lia pre*
palalo per la slarn[)a una risj)osta al Goethe contio
tali moslruosilà romantiche, provando che, ogni o-
pera dev'essuie o verità o (iiizione: non finzione e
verità miste insieme. Ciò è (dic'egli) contrario ed
alla morale ed allo scopo della tetterai un.
Ecco un gran disiganno! Oh qunnti altri dovre-
mo vederne, se non ci terremo tèrmi alla nosti:a
grande ielleralura nazionale: e se schiavi e la|)ÌQÌ
andremo qua e là (noi possessori di tanto nobil fru-
mento!) a raccogliere le ghianda de^ii stranieri 1
// Tiberino Idem.
Giornale Egizio.
Meliemet-Alì illustre Pascià di Egitto fin da 5
anni addietro , e precisamente (\A 20 novembre
1828 (1224 dell'Egira) ordinò, che si inetlesse a
slampa in Boulac presso il Cairo due o tre volte
la sellimana una gazzetta per tener ragione a' iia-
zionali delle novelle politiche, amministrative,
industriali, e giudiziarie. In tal guisa avrebbe que-
sta abbraccialo tutto che si deduce in Francia da'
quattro giornali, che per siiralte discipline vengou
fuori alla luce. Il Moìuteur^ il Messager des Chani-
brcs , il Journal da Commerce , la Gazeltc des
73
Tnbuneaux. La s'ignètia del giornale è una pi-
ramide con una palma sulla dritta, e con a sini-
stra il semidisco solare sorgendo dal balzo d'orien-
te. La piramide e la palma simboli di quell'affri-
cana parte, ed il soie die spunta, allegorìa della
nascente civilizzazione, che giungerà, lanl' e a va-
ticinarsi, al suo luminoso meriggio. Son due le lin-
gue in cui è vergalo questo foglio , l' araba e la
turca; la prima degl'indigeni, la seconda della Corte.
Però vi corre ancora un'inavvertenza, che volendo
indicare lo stato quotidiano dulia temperatura del
Cairo, vi si legge in equivalenza « misura dell'a-
ria ^> Quest'espressione, anziché indicare lo stato
termometrico, ne significa piuttosto il barometrico.
Topo Letterato n. 3.
In morte di F'jncenzo Monti — Ottave inedite
di C. E. MuzzARELLi Uditore della S. R. R.
Italia, è giusto il duolo, è giusto il pianto
Che versi su l'avel dell'immortale.
Che alle Muse, e a Sofia già piacque tanto,
Che al Ciel si alzò di un bello ardir sul' ale
Scomposto il crin, deponi il regal manto,
Ch'altro non vanti a quell'illustre eguale,
E teco pianga ognun, che in gentil core,
Nudie sensi di gloria, e patrio amore.
Nato del Po su la famosa sponda,
Seguendo chi cantò l'armi, e gli amori,
Cinse fanciullo quella sacra fronda.
Che per tempo non è che si scolori,
E dissetato di Agani])pe all'onda
All'Italia segnò gioini migliori.
Che in onore tornò l'unico Dante
E della Avignoncse il casto amante.
74
Ed o calzasse il Sofocleo cuUirno
Emulo di Vittorio, altero ingegno,
0 pensoso più spesso e laciluino
Il pie volgesse di Minerva al regno ,
1 carmi clie seioglifa sul plettro ebarn o
D'invidia, e di stupor fatti eran segno,
E guai se nel lasciar l'ascieo pennello,
„; SlriiJse. lai velia il licauiLco flagello.
.dII >'> i.l'- A) ■„'":. • 'J
Graode nciramistà, grande nell'ira
lonalzava, e opprimeva i buoni, o i rei
E desta a nuovo suon l'ausonia lira
L'orme segnò de' piìi famosi Achei,
E poiché l'estio, e il j)atrio amor lo inspira
Gli Eroi del maggior Greco, e i sommi Dei
Vesti d'itale loraie, e venerande,
Mentre nuove ottenea laudi, e ghirlande.
E qual v'ebbe nei secoli, che furo
Cui tanto il Ciel largisse ingegno , ed arte ?
Giovin di età, ma di saver maturo
La eterna l'onorò città di Marte,
Che rotto il vel dell' avvenire oscura
I suoi pregi scorgeva a parte a parte,
Poiché dal fior si presagisce il frutto ,
E dall'alba nascente il giorno tutto.
In questa terra del saver maestra ,
Surse fra i grandi, e fu tra lor primiero,
Corse, e vinse la nobile palestra.
Tenne sul tempo, e sul livore impero^
E [)oichebbe la sorte amica, e destra,
Ai «nen pronti mostrò certo sentiero,
Onde poggiare all'Eliconie cime,
Ov'ei colse a ragion le glorie prime.
75
eli' è sua merce se Filalo Idioma
Suona puro, soave e maestoso
Poiché allor che fu Italia oppressa e doma
Per l'alio ardii' del vincitor Itimoso,
Gemendo al peso di &li"Jiniera soma,
Tolta all'arti di pace, ed al riposo,
Ornai perdea con la viilù natia
L'aurea favella, onde fu grande in pria.
Ma surse il generoso, e la soccorse
A un tempo istesso precettore, e duce,
Ed all'esempio che priniier le porse
Tutta fu bella dell'antica luce.
Non più l'altera, del suo stalo inforee,
Labro mendace ai primi errori induce
Ma storso il varco che il gentil le apria
Tornò del vero a ricalcar la via.
Che se col Veronese, a noi pur tolto
Guari non è dalla comun nemica,
A Palladie contese il fren disciolto,
Dell'arno rinnovò la guerra antica,
Infra lo stuolo degli eletti accolto
L'alma cortese lo rivide amica,
Che non vii odio lor movea, ma solo
Amor di gloria, e amor del patrio suolo.
L'Istro, il Tago, la Senna, e il Borsifene
A lui fur larghi di non compra lode,
Dall'onde caspe all'arida Cirene
Suonar di plausi quelle vaste prode,
E sebben nudo spirto il Cielo il tiene,
Dell'omaggio del mondo ei forse gode,
Poiché ne ha vanto quella patria, a cui
Tutti sacri già volle i giorni sui.
Non per alma feroce, e disdegnosa
Vive chiaro il mortale oltre la tomba,
Non se il crine cerchiò della famosa
Corona, al suon della guericra tromba,
Ma ben nel tempio del saver riposa,
Ed il nome di lui alto rimbomba,
Che della patria amante, amò quell' una,
Sdegnando i vezzi di miglior fortuna.
Di Pallade gli sludj, e di Sofia
Non finltan vera laude all' infelice,
Che di virtù sdegnando empio la via
Guerra all' Eterno, e a se medesmo indice.
Ma a Te le porle adamantine apria,
Ove solo può r uomo esser felice.
Il Re degli Astri, che laudavi, rjunndo
Givi il bel del creato armonizzando.
Che se prece mortale a Te non spiace,
Noi sovvieni di aita, e di consigli,
Dal santo Regno della eterna pace
Cresci alla gloria della Italia i tigli,
E della tua virtù scorto alla face.
Più d'un cerchi emularli, e li somigli.
Se fra gli eletti è in Te memoria ancora
Del suol natale che ti chiede, è plora.
Ma Italia mia, poiché il plorare e vano
Sorga degno del grande un monumento
E lunga età non venga atteso invano
E le mie voci non disperda il vento;
L'Emulo del Cantor del pio Trojano,
Poiché i giorni finì fra duolo, e stento,
Attese indarno, e or tardi avrà una tomba
Premio bea scarso alla più chiara tromba.
EFFEMERIDI
SCIENTIFICHE E LETTERARIE
)|.
PER "l!
'Ili
LA SICILIA
K^^aOétO 6 J6tt6mÙZ>6 1833
Iniomo alV influenza della Filosofia di Jristippo
Su i costumi de Siracusani — Ragionamento
di Bernardo Serio letto il dì 24fobraio ì833
nell'accademia delle Scienze^ e Belle Lettere
di Palermo.
I. Assai giocondo, dilettevole, e vantaggioso alla
vita io reputo , prestantissimi Acc^^«mici , il por
minuta, ed esalta considerazione a' costumi diver-
si de' popoli, investigando io strettissimo ravvici-
namento, e legame degli effetti colle loro rispetti-
ve cagioni. Per tanto avidissimo, com'io di ciò so-
no, ad ora ad ora dandomi a legger nelle carte,
che serban chiaro testimonio delle trapassate me-
morie, vo colla mia mente annodandole , e com-
ponendo la storia delle azioni, con insieme quella
6
78
delle vaiie yicissiUuUiii ei' mille ragioni si
sono esercitale. In questa guisa m' è facile scorgere
i ì-inpojù di somiglianza, o di variazione, che pas-
sano tra li; auliche, e le fuoderue civiltà, e vedere,
coll'aiuto necessario de' successi, s'è stalo lodevole
<) no quel the s'è fallo, per aver poi norma esatta
a ciò che far si doyiehhe.
Or principalmente , per la tenerezza del natio,
loro, s'è fermala |riìi l'attenzione mitì su i costumi
de' Siciliani, indagandone ad un tempo le singolari
circostanze proprie esclusivamente del nostro suolo,
o dalla fermezza della natura ingenerate, o dal mu-
tamento instabile delle vicende jieculiari degli uo-
mini. E sn|)ra ogni altro ho considerato la, succes-
sione de' leiupi, che com|Mendono la dominazione
de' Greti , allorché l' isola, nostra presso che tutta
greca divenne , e per linguaggio , e per forme di
governo, e per legislazione, e per cullo, e istitu-
zioni religiose, e in somma ^Der le dottrine filoso-
lithe , che ]nù valgono al mio presente discorso.
Allora dalla Grecia trassero appo di. noi infini-
ti ragguardevoli personaggi e princijn Ibndatori
di varie scuole di sapienza morale , i quali non
pochi seguaci rinvennero , saldi sostenitori dei
loro ammaeslTtìmenti. Di quel tempo si recarono
in Agrigento Pitagora, e Zenone instilulore della
setta eleatica, a mutar le menti, e le azioni degli
uomini soggetti a Falaride tiranno, e de' Siciliani
tulli. Per testimonianza di Valerio Massimo an-
co in Sicilia si condusse Diogene, seguilatore del-
l'impudente rabbia cinica, di cui fu stretto e aflè-
zionato discepolo Monimo siracusano. E fra i molti
allri, che co4> singoiar notamento potrei numerare,
79
Platone, ed Aristlppo trassero dimora in Sicilia;
più di una fiata recandosi in Siracusa sotto la ti-
rannide de' Dionigi. Ottima cosa senza fallo alcu-'
no sarebbe 1' esaminar tutte le loro diverse filoso-
ficj e a un tempo stesso que' mille successivi can-
giamenti, che per elleno patì l'indole de' popoli si-
ciliani. Non altro farò per ora, che fermare ad
elezione di soggetto al mio ragionamento la sola
brevissima disamina dell' influenza, eh' ebbe dirotta
o indiretta la filosofia di Arislippo, maestro dei
cirenaici, su i costumi de' Siracusani. Forse alti"o-
ve sporrò via via tutti gli allri argomeuii, clié
ri'iguardano i costumi universali di Sicilia.
Debbo innanzi tratto confessarvi, oriialissimi Ac-
cademici, che al venir subito al vostro cospetto, è
in me surto un colale sconfortamento , cagionato
dal paragone della picciolezza del mio ingegno colla
nobiltà ed eccellenza del vostro. Da un altro canlO
però là certezza della bontà vostra mi riconforta,
e rassicura, che sarete cortesemente per ascoltare
questo mio tenue ragionamento. La novità del su-
bietto ad esso principalmente mi spinse; giacche
come mi cadde nell'animo il pensiero, stimai noni
dovere riuscire cotanto discaro, se l'avessi potuto
condurre a compimento: essendo che ne antichi né
moderni scrittori ne aveano mai favellato. Laonde
distesone prima il disegno, quanto meglio mi fu
possibile, son venuto poscia incarnandolo in que*
sta guisa che voi vedrete.
II. La prima fiata che Aristlppo, nativo di
Cirene, si condusse in Siracusa fu a punto nel tem-
po, che quella città assaporava tutto l'amaro frut-
to della gravosa e nocentissima maggiòria del vec-
chio Dionigi, che tolse a usar del suo tirannico
8o
potere 1' anno clie corse terzo nella novantesima ter-
za olimpiade. Era quel filosofo nell'alto del ma-
re, veleggiando non so verso qual parie , qur.ndo
a un trailo sollevossi un' aspra tempesta irapeluo-
samenle, la quale, facendo Giudei governo del suo
Davilio, che rupje, imperiosa lo gillò sul lido di
Siracusa. A quell' inforlunio avea sentilo stringersi
dentro il cuore, ma. tosto si riebbe come vide im-
pressa sulla sabbia una geometrica figura; facendo
ragione da ciò, che a greci , e a sapienti uomini
era slato trasportato. 11 grido eh' eiasi per tutta
Grecia levato del suo nome, ne avca recalo il nun-
zio anco in Sicilia, per cui subito all' arrivo fu
accollo con grandissima onorificenza nel ginnasio,
e cominciò a diffondere la sua filosofia, e a stillar
dentro agli animi de' Siracusani le sue doltrine.(i)
Sembrami questo luogo acconcio ad esaminare,
se non tutto il suo sistema filosofico, quel tanto
almeno sopra che poggiava Tedi fi zio della sua mo-
rale. E in questo senza mollo dilungarmi , userò
quella chiarezza e precisione, che potrò meglio.
16 caverò per tal uopo quello principalminte die
ne ha scritto Laerzio nella di lui vita, giovando-
mi altresì dcH'autorilà di tahiii altro sapiente. On-
de il mio ragionare sarà stabilmente assodalo, ne
mi si potrà mai opporre qualche cosa, da esser con-
siderata siccome un mio ritrovamento, alieno gran
fatto dal vero. E pria di lutto disse Aristippo: e-
sisler due sentimenti senza più del piacere, e del
dolofej costituir soli questi le affezioni dell'umana
natura; esser tutti eguali i piaceri, uè l'uno più
sensibile dell'altro; por l'uomo ogni minuto studio
nel ricercarli, e nell'allontanar da se l'amarezza del
(i) Galeno in Oratione suasoria ad ailes cap. a.
dolore. A ciò soggiunse: esser nostro fine un singo-
iar piacere, e questo, assai volte iteratosi, ingene-
rar col suo molliplice complesso l'umana felicità*
desiderarsi quello per se stesso, questa per ra<»ion
de' piaceri peculiari, tanto passati che da venire.
Significò itif)ltre: doversi tenere per bene fin anco
un piacere che sia originato ovunque, ne opporsi
a ciò la disonestà della cagione (i); essere costitui-
to dalla consuetudine, e dalle leggi; il giusto l'ia-
giuslo Toneslo e il disonesto non esser eglino tali di
lor natura; doversi desiderare le ricchezze per le
volullà che ci possono procacciare, ne per più al-
Irò ancora il senno e la virtù (2). Disse finalmente
per giunta, le voluttà del corpo superarein eccel-
lenza quelle dell'animo.
• Io per verità non farò troppo a lungo la chio-
sa, come" per altro debitamente si converrebbe a
tal fatta di filosofia, ma sola credo necessaria qual-
che piccola osservazione per ciò che riguarda la pra-
tica della vita. Per mia opinione la felicità consi-
ste in quel puro sentimento, che risulta dalla mol-
tiplica successione de' piaceri, ma che siano fra
loro per istretto vincolo costantemente congiunti,
derivantisi a un operar sottoposto mai sempre alle
regole dell'onesto e del giusto, e che in conseguen-
za non siano nauseosi ne per molto prolungarsi,
ne per soverchio avanzar di grado che si facciano,
ne manco pe' loro effetti. Tutta diversa fu la mo-
rale di Aristippo, il quale, è vero, che considerò la
felicità nella successione de' piaceri, ma questi non
annodò per unica ragione, badando meglio al loro
list? 'PP°''°'° "^' '"° ''^'■° '^<="« «"e, secondo Laerzio vii. A-
Ca) Cic. De off. I. 3. e XIX-
82
atto presente; ne punto ne poco intendenclo alle con-
seguenze, che sopravvenir ne poteano. Or siccome
i viziosi gustayo pur qualche salisfazione nell'allo
dell'operar loro, così e' fece lecito e conceduto colle
sue dottrine il vizio, non pensando a' molti disgusti,
e a' pentimenti, che tosto succedono, ne a quella
noia, che produce il vizio medesimo colla facilità,
colla frequenza, colla durata. Che ciò sia stato, ci
e pur facile il vederlo nel non aver egli scrupolo-
samente ricercato l'onestà delle azioni , che sola
può mantenere l'equilibrio de' godimenti, anco in
processo di tempo. E in vero qual mai più pregiu-
dizievole ammaestramento e' potea dare di quello
che fece, assodando che non punto nuoce a repu-
tarsi bene un piacere il derivarsi da disonesta cagio-
ne? Non disse con ciò a' suoi discepoli di farsi
lecito chiunque malvagio modo di operare? Certo
mai SI. Per conseguenza di questo non favellò di
elezione alcuna, significando essere ugualmenl^^ sen-
sibili i piaceri, ne da volersi aver caro l'uno piìi pre-
sto che l'altro. Per tanto e' tenne avviso far senno
colui che avesse posto a vantaggio que' piaceri par-
ticolari, che gli fosse stato possibile ritrovar d'ogni
dove. E poi dicendo che dall'uso e dalle leggi è
costituito il giusto l'onesto, e i suoi contrarli, sic-
come l'uso e le leggi son mutabili, volle che anco
le cattive fossero parimenti da seguitare. Ne si dee
por mente a' sogni del Brucherò , il quale vor-
rebbe intendere per leggi quelle che la natura ci
ha universalmente improntate nell' animo; poiché
se ciò fosse dovrebbono essere scompagnate dal-
l'usanza, che per se stessa è sottoposta a mille mu-
tamenti. La luce di questo vero vince d'assai quella
del sole, e chiunque ha fior d' intelletto potrebbe
83
lulla tìa se vederla. Contaminò inoltre Aiislippo
cogli alili voluttuosi il senno e la virtù, dicendo:
essere eglino amnbili per la voluta, che ci posso-
no procacciare. Né altra voluttà, che quella pes-
sima 0. scianrala de' sensi, polca essere accoman-
dala da colui, che lodava i piaceri del corpo so-
pra quelli dell' animo. Non fé' motto alcuno Ari-
slippo del nome preziosissimo e caro di ragione,
la quale onorevole facoltà ci fu data a bella posta
per privilegio di natura ad essere signora, arbi-
tra, e consiglialrice delle azioni, e a metterci di-
nanzi colidiauamente il vero per l'uso necessario
dilla vita: dipignendoci vivamente ciò eh' è buono
o malvagio , utile o dannoso , avuto riguardo a'
nostri veri interessi, fondati sul vantaggio dei so-
miglianti, Aristippo fé' prevalere il talento, sotto-
mettendo la ragione, senza pur mai favellarne,' e
insegnò agli uomini di portarsi nella ricerca dei
piaceri a guisa che sogliono fare le belve, anziché
da esseri ragionevoli.
Che gli ammaestramenti di Aristippo, siano sta-
ti, non dico poco salutari, ma fuor di misura
nocevoli, se tutt' altro argomento mancasse, ci sa-
rebbe di sicurissima guida ad asseverarlo il veder
molti sapienti volta rglisi di rincontro, siccome Seno-
fonte, Teodoro, Platone, e taluni altri (i). Questa
considerazione toglie il vigore all' avviso di coloro,
che tengono non essere stati cotanto perniziosi i
precetti di lui, ma che poscia furono dagli scolari
anzi svisati e guasti(2). Non ignoro che le ingiu-
rie inevitabili del tempo hanno glttati uell' oblio
i documenti e le dottrine di quel maestro dellar
(i) Lacrx. loc. cit.
(2) Nel loro muncro puoi locare il Brucherò,
cirenaica sapienza, e eh' è stalo mestieri darne sag-
gio, cavandolo dalle opinioni de' seguaci allievi,
a tulli coloio che han voluto rassenihrare l' imma-
gine del senno antico. Che perciò? Che le dollri-
ne di Aristippo siano state pure? Ch' egli abbia
voluto intendere della voluttà purissima dell'animo?
Se pur lo dicessi, le parole per fermo non si ri-
sponderebbono al mio sentimento interno. Siflalta
opinione sia piuttosto quella die sognano taluni su-
perstiziosi .zelatori della difesa degli antichi; i quali
non solo pretendono che le moderne scoperte sia-
no stale conosciute ab antico, ma che tullociò, che
immaginarono , o dissero que' primi pensatori sia
ottimo e laudevole. Della slessa condizione che que-
sta di Arislippo è la difesa che alcuni assumono di
Epicuro. Or siccome io non credo, che abbia vo-
luto significare costui la voluttà spirituale, mollo
meno debbo crederlo in riguardo al j)rincipe de'
cirenaici per più ragioni. E se la invidia fu quella
che al suo temjjo gli suscitò contro molti aspri cen-
sori, quando questa si tacque, i savi, scemi d'ogni
privata passione, esaminarono in processo di lein|io
i rimbrotti , eh' egli ebbe da' contemporanei , le
maniere pratiche del vivere, che tenne, da un can-
to, e dall'altro le dottrine degli allievi; e scorgendo
infra di loro una colai perfelta conformila , e di^
pendenza ed un legamento cotale, sicurissimi con-
chiusero ; essere state comuni al maestro le opi-
' nioni de' cirenaici.
IV. Un uomo fornito di cotanto vituperevoli e
prave dottrine, che progressi [)olea mai fare nella
virila? Arislippo per quella consonanza, che suole
avere per lo più la menle col cuore si mostrò nell'ope-
rare conforme a' suoi principii, e propagò coU'e-
85
sempio la pratica della sua filosofia: per fermo assai
più perniziosa, perchè più facilmente s'apprendo
agli altri, ed agli studiosi come agli idioti, non
avendo bisogno alcuno di ragionamenti, e di me-
ditazioni. Laonde tu il primo a rappresentaisi come
luminoso esemplare a' discepoli, rompendo il freno
alla moderazione, alternando i piaceri della tavola
con que' delle donne, e con altri poco leciti stra-
vizzi. La giovialità, il brio l' accompagnavano per
tutto, e l'eleganza jielle maniere, e nel porlamen-
lo la magnificenza, ed il lusso; poiché veslia la
più fina lana di Milelo, e ungevasi la persona de'
più dilicati e preziosi unguenti. Or nascerà forte
stupore a qualcuno immaginando , che Aristippo
inlese alle lezioni di Socrate, vero specchio di mo-
deratezza. Ma sjiarirà di presente, se si consideri
Arislij)po,, nato di padre opulentissimo, essersi dato
da giovinetto alle dissolutezze. Per lo che e' trasse
la sua coinniodissiriì;) filosofia dal libertinaggio più
tosto, che dalla scuola.
V. Ho voluto qui a giusto scopo discorrere le
dottrine, ed il carattere morale di questo filosofo,
più di quello che non sembra essere stalo di biso-
gno alla condizione di un brevissimo ragionamento,
j)er vederne tutta la forza, e tutto quel danno,
che ne abbia jìoluto sentire la cittadinanza di Si-
racusa. Difiàlli grandissima fu la differenza de
costumi del popolo siracusano in quel mezzo secolo,
che dominò la famiglia de' Dionigi, paragonandoli
co' tempi avanti. Precisamente non si sa quali sia-
no stali gli allevi di Aristi[)po, ma p^r naturai
sentimento io mi avviso non essere slati pochi,
considerando le lusinghevoli, e fallaci attrattive di
quella filosofia, che senz'alcuua dubitazione dovea in-
86
calenare i cuori Jc cilladini, e liascinaili a se po-
tenlenienle, e in copia.
Saravvi cci'liiniciite colui che pollerà fcrmis-
sinia oj)ioione, che da me si dia più vaglia, che
non si conviene , alla filosofia di uu sol uomo ,
slimatidola da tanto a poter viziare i costumi di
un popolo. E non è, io dico , una sola piccola
favdluzza, che appiccatasi allo secche sloj)pic di un
bosco, immanlinente slaij^andosi , arde por lutto,
e leva incendio grandissimo ? E non è forse un
pezzuol di veste appestato, che inlroducendosi in
una cillà fa sì che il contagio s'ap|)renda a uu
uomo, a un altro, a una fafuiglia, |)er cui poscia
tulli i cilladini sentono gli elìciti pc.rniziosi dell'u-
sar domesticamente tra loro? Cosi la filosofia di
Aristippo non fu limitala, e ciicoscritla nelle con-
seguenze funeste, giacche quel maestro, moltipli-
catosi ne' discepoli, in ognun d'essi ojierava con
forza eguale. Si vede da ciò, che polca la sola sa-
pienza cirenaica baslare a corrompere la mente,
ed il cuore de' Siracusani: come quella di Epi-
curo corruppe, e guastò, i valorosissimi Romani, al-
lorché divennero i trionfatori della Grecia. Ma sa-
rei stollo, se tutta cagione io la reputassi di quel
corrompimento. So pur io le mille influenze, che
possono regolare i costumi delle nazioni, facendoli
ora in una guisa cadere nella corruzione, e nell'av-
vilimento , ed ora facendoli in- un' altra subito
riavere.
Pur troppo io so deipari, che qualsiasi elTelto
non dee riconoscere sola una cagione, ma che raf-
frontandosi più di queste, e amichevolmente ac-
coppiandosi, se non rinvengono Ira mezzo vigorosi
ostacoli, rallissime Icndoiio ad unico riisullaiuenlo.
. ^7
Nen è mio divisamento perciò adtìimostrare in que-
sto breve discorso , che la corruzione de' costumi
di Siracusa fu ingenerata per la filosofia di Aristip-
po senz'altro. Ma di essa soltanto fo qui parola ,
perchè non mi ho projiosto ad argomento il discor-
rere nominatamente tutte le varie cagioni , che
\' abbiano contribuito. E se sia stala di maggior
forza r opulenza, in che si trovava quella nobilis-
sima città, dall'agricoltura e dal commercio prov-
venicnte, ovvero il filosofante cireneo , ne con ar^^
gomenti l'assevero, ne per mia semplice opinione
i'esjjongo. Sia come si voglia, pelò si l'una che l'al-
tro v' ebbero parte; né ciò potrassi in verun modo
negare. Anzi questi per se più eOicacemente, e più
speditamente, fé' germogliare quell'infausto seme,
appunto come si vide, per essersi imbattuto in un'e-
tà, ed in un luogo , che la gente era inchinevole
a ciò, ch'egli volea.
VI. Rivolgian)o [ler questo indietro lo sguar-
do, e facciamo rapidamente un cenno de' costumi
di Siracusa. In ciò togliendo le prime mosse dal-
lo stabilimento della sua monarchia, ci fermeremo
al tempo, in cui Aristippo mise il piede nelle con-
trade siracusane. Chiamato Gelone pel grido del-
le sue gesta, e delle sue virtù, a comporre in Si-
racusa le fazioni tra la plebe, e gli ottimali, a rac'
quetar gli animi mossi a cruccio, volenlerosamente
que' repubblicani si annodarono a' comandi di un
solo. Tanta è la forza della virtù degli Eroi, che
fa talvolta mutar pensiero a' popoli , gittando un
Telo dinanzi all'idea di quella libertà, ch'essi pri-
mamente si travagliavano a sostenere! Gelone, savio
nelle arti della pace, e prò di mano e d'animo ne-
gli uffizi della guerra, coll'esempio suo promulgò,
85
e fece amare l'onestà la giustizia, fonnaiido tem-
perante e valoroso il suo popolo soggetto. Addi-
sciplinatolo bene nella severa scienza militare, lo
trovò pionto al suo desiderio quando corse animo-
samente alla disfatta de' trecento mila Cartaginesi ia
Imera. Per quel celebralissirno conquisto però, col-
la copia de' prigionieri tiasportali in Siracusa, c'in-
trodusse alcun poco di magnificenza, e di lusso. Ce-
rone, suo successore e fratello, che a vicetida mo-
strò dal trono le debolezze dell'uomo, e i saluta-
ri effetti della fìlnsofia sulle infermila dell'animo,
era uso onorar laigamenle all'ospiiale sua mensa i
sapienti uomini della coite', secondo il testimonio
della priina olimpica di Pindaro, che fra di essi
traeva dimora. Ciascun s'accorge chiaramente, che
questo esempio di lui dovette reeare i sudditi ad
emulatela splendidezza nell'apparccxliiar le vivande.
Ma costui fu eccellente lottatore, ammaestrò il po-
polo nella disciplina militare, l'esercitò nella gin-
nastica, per che gli fu agevole sostener colle arme
i Cumani, che l'aveau chiesto di soccoiso contro
i Tirreni, che furono rotti, e trucidalii alla foce
del fiume Imera; e di liberar la Sicilia, e la Gre-
cia, aiutando gli alleati Ateniesi contro le pazze
brame de' Cartaginesi, che per ordinamento di Ser-
se doveano mandare in fiamme, o in fondo agli
abissi del mare, tutta l'armata greca. Eraii perciò
i Siracusani alcun poco distolti da' voluttuosi pen-
sieri, e ravviati a tljrtezza. E insieme a quest'u-
tile ufficio si univano i poeti, che facendosi loda-
tori della virtù, e agramente rampognando i vizi
della vita domestica e civile, se non ai tutto im-
pedirono la corruzione de' costumi, che iva innan-
zi procedendo, le tolsero non di manco la forza ,
^9
e l'energia. Ne lasnara quel re senza dcLilo bia-
simo o gasligo i dctli, o i fatli, jioco ontsh; da-
poichè punì Epicarmo , poeta comico, per aver
detlo, alla presenza della sua donna, jiarola, che
era savio consiglio lacere. Niun grave cangiamen-
to porlo in Siracusa Trasibulo, il quale, nel suo
brevissimo governo, per la smodala feiocia dell'a-
nimo, mise cruccio nel popolo , e a cagion delle
civili sommosse, viluperosaraerile fu coslrello a de-
porre il comando la tirannide, e a menar vita pri-
vata in Locri.
VII. Non è a dire se i Siracusani gioirono del-
la racquislala libertà: ne fu apertissimo indizio l'an-
nua festa consacrata a Giove Liberatore, con sran-
dissima pompa, e con allegrezza somma celebrata.
Ma quale idea noi aver dobbiamo de' costumi loro
in quei sessanl'anni di reggimento a comune? L'es-
sersi trovali ne' primi tempi avviluppati in tante
bellicose intraprese , e con lode , ci fa sicuri che
non dovettero molto inlrislire. Esser venuti alle
mani con coloro, cui Gelone avea conceduta la cit-
tadinanza siracusana; essere stati trionfatori di quel-
le case nuove; avere obbligalo colle armi parimen-
te i Siedi, che i Calanesi a ceder loro le posses-
sioni e la città; aver frenata l'audacia de' barbari
Tirreni, che a guisa di j)irati infestavano i mari
siciliani; esser ili ad afllonlar due volle Ducezio
potentissimo re de' Sicoli, sono per fermo avveni-
menti conosciulissimi. E .se nella prima sj edizio-
ne contro quest'ultimo fu loro avxersa la fortuna,
non nacque da loro scoraggiamento , poiché tosto
coll'estremo supplizio il condottiere Bolcone pagò
lo scotto del tradimento. Nella seconda però risto-
rato resercito, capitanatosi da un'altro, fecero voi-
90
tar le spalle valorosamente al nimico. Ne qui si
arrestarono i lavori della guerra; imperciocché av-
vi più di tanto. I prodi Siracusani in processo di
tempo vinsero gli Agrigentini al fiume Imcra; quin-
di i bravi e valorosi Trinacini; attaccarono la guer-
ra a' Leonlini , che furono aiutati dalle città cal-
cidiche siciliane, da' Regini, dagli Ateniesi, appo
i quali pubblicamente orò il famosissimo Gorgia.
JVella qual pugna, se furon talvolta perdenti, vi-
dero alia fine riuscir prosperoso il successo, poiché
per essi fu raumiliato il fasto, rotte furono, ed an-
nientate, le forze della superba , e potentissima
Atene.
Non è stata indarno questa breve storia delle
guerre sostenute da' Siracusani, giacche ci mosti a
che questi o dentro, o fuori della città loro furo-
no travagliati, non poteano starsi neghittosi, e spen-
sierati a sollazzarsi. Pur nondimeno i costumi lo-
ro andarono maggiormente via via corrompendo-
si, e più dopo h'valisi in superbia per contanti fa-
mosissimi trionfi. La qual superbia menando seco
l'intemperanza nelle azioni, ne' piaceri, e la mol-
lezza, bastò ad affievolire alcun poco la forza de-
gli animi siracusani; i quali non serbarono mode-
razione, e per la sfrenala licenza non solo fecero
sorg-ere fazioni tra piccoli, e signori, ma perduta-
mente si abbandonarono alla voluttà. Non è forse
ciò vero? E a che dunque servirono a quel tem-
po le leggi suntuarie, forse da Diocle stanziate, se
non a fi'cnare il lusso, sicura sorgente di poco le-
gittimi piaceri? Le leggi ne' primi secoli della ci-
viltà sono indubitato segnale dvììc slato de' costu-
mi; poiché allora la potestà legisdativa sola si stu-
dia di sradicare dall'imo le già surle nequizie; poi
a poco a poco di usare de mezzi a pievrmre le
malvagità. A quel tempo dee slabJMrsi il fiorir di
Miteco sofista sira<:usauo, che come Fidia nella scul-
tura, levò grido appo i greci nell'arte di aj)paiec-
cliiar più voluttuose le vivande. Ma fu cacciato co-
stui dal magistrato di Sparta, allorché colà si con-
dusse, temendosi forte, che come la pestilenza, sa-
rebbe slato cagione diviziarsi l'austera severità de'
Lacedemoni. Diocle però, dopo la rotta degli Ate-
niesi , ])ensò alla riforma della repubblica , e con
savie leggi stanziando i premii a' buoni, e virtuosi,
asprissimi gastighi a' malvagi, cercò richiamare i
cittadini verso l'antica virtù, e temperanza. Ma il
codice dioclèo, con tutto che per testimonianza di
Diodoro(i) ebbe vigore, anche in altre molte re-
pubbliche siciliane, insino che agli avoli nostri fu
conceduta la cittadinanza romana, nel reggimento
de' Dionigi fu vilipeso e conculcato.
Sarà continuato
Coiitinunùone della memoria del presid. Fran-
cesco DJ Paolo Jvolìo Su la vita e sulle
opere di GiustppE Logoteta (T. VI. n. j^.)
Egli è il vero che in diversi generi di sludj ver-
savasi continuo il nostro Giuseppe, come le sue
opere dimostrano, ma precipuamente si sentì pun-
to di amore quasi nel mezzo del canunino di sua
vita verso l'inclite memorie della città nostra, del-
la quale non poco vanto è il vincere in antichità
tutte l'altre. Laonde cotanto amore a dettame Io
(0 Lib,XlII. cap. VI.
9^
spinse più opuscoletti, i quali meglio il fecero sa*
lire in credi lo. Fu questo appunto il mrzzo di sta-
bilire delle letterarie amicizie con taluni dotti stra-
nieri e cogli uomini illustri della nazione, infra i
quali è da accennare il can. Rosario de Gregorio,
i due abbati cassinosi D. Salvadore, e D. Evangeli-
sta di Blasi, r ab. e can. D. Giovanni d'Angelo,
il barone D. Antonino Astuto, ed altri instruiti
personaggi del regno, delle prische memorie ama-
tori caldissimi. Per avanzarsi di |)0i incessaiitcnien-
te nelle conoscenze Arclir.ologiche bello esempio
e vivo incitamento gliene porgeva il conte della
Torre Cesare Gaclani. Utiiti auibiduo ciascun gi(!«'-
no dopo r ore mei-idiane erano usi di aggirarsi fra
gli antichi avanzi, niiratitloli con occhi iiitentissi
mi, come se fossero obbietti di fresco scoperti: e
per tal diletto ed istruttivo passeggio non prezza-
vano acqne, non paventavano arsure. Era quello
il tempo che il venerando Nestore della nostra let-
teratura tulle aj)rivngli le vaste sue cognizioni ac-
quisiate nel lungo spazio della sua vita per assidue
applicazioni, por fondati esperimetili, e per ampli
carteggi con soggetti, che meritata hanno presso lat-
ta Europa chiara fama.
Seppe il Logoteta seguirlo con riverenza, acco-
gliendone i documenti ed i consigli; di che il Gac-
tani dichiaiavasi ben pago, onde l' innalzò con lau-
di in più luoghi delle sue opere e dei suoi mano-
scritti. Egli è noto a' cultori di questi studi, che
necessari pur sono, de' capitali considerevoli a chi
"V'iene in desiderio di possedere vetuste reliquie*, ma
non ebbe il Logoteta in ciò prospera fortuna. La
virtù di lui non trovò a questo riguardo giusti
estimatori, eccetto che pochi cittadini, quantunque
9^
riverito, onorato, careggiato fosse eia tutta gente.
Però succedeva allo spesso innanzi a me, che al-
lorquando gli si presentavano da' venditori de' pre-
ziosi resti dell' anticliilà, addoloravasi di non po-
terli per difetto di mezzi comperare. Che posso
fare io, dicevami , se basta appena il frutto dei
miei sudori a menar la vita, e niuno piccolo agio
fluirei, se aiutatrice opportuna non mi fosse l'in-
dustria de' miei? Coiiciossiacliè veggeiido egli nella
terra natale molto contrario il guiderdon dall' opra,
e la ncct^ssità prejiieudolo , tentò d'impetrare una
pensione anche tenue a sollievo de' suoi bisogni.
Sosgiornava io in Palermo l'anno 1800, ed e'
dieujini degl' impulsi ad avvivarne l'instanra, con-
forlala da' forti uffici del prelodato canonico d' An-
gelo; ma nel subbisso della cosa pubblica per le
politiche vicessiUuIini e mulamenli di quel tempo,
ascolto non ebbe la dimanda. Non è però indarno
il qui avvertire che accettata venne in certo modo
al 1807; avendo a fatica impetrate onze trentatre
e tari diece annue da pagarglisi di R. ordine sulle
rendite dell'oratorio di san Filippo Neri. A che
gli si agoiuiise l'obbligazione di spiegarvi la Di-
vina Scrittura nei festivi giorni dell'anno.
Di questo elucubrato catechismo del nostro Giù»
sepjìe non posso dir cosa a' cittadini notissima, e
che dicendosi non sia men del vero. Accennerò
di passaggio, per non annoiar soverchiamente, che
diede costui a tutt' uomo studiosa opera a cotant' uf-
fìzio, rivoltando senza prender lena i testi più clas-
sici, le concordanze più elaborate, i piìi dotti es[)0-
sitori, senza pretermettere il Bianchini, il Clerico,
il Cappelli, e il Maldonato. Imperò divisi il let-
tore quanta luce eoa la scorta di si iàmosi ialet-
1
s4 . , .
petri spandeva alla materia, medesimamenlecoire-
sempio suo insegnando a' dicitori di minor grido
che travagliarsi di assai conviene per avere delle
scrilliue sante aj)erta notizia, accioccUè ogni udi-
tore di qualunquesiasi condizione ci trovi ti ultuoso
amnnaeslranjenlo. Chi* forze dicevoli per questo
non Ita , ed ignora qnal è il debito che lo stri-
gue, non entri in sì difficile impresa (i). Ma pas-
siamo olire, provveduto di quest'altro modesto soc-
corso menar poteva conleiilo la sua vecchiezza, e
sostenere con vigore il peso delle sue letterarie ft-
tiche, se mai la sua natura seiisiiivissima spinto
non lo avesse innanzi sera al sepolcro. Si è pii'i
sopra accenalo che forte sth-gno e' prender soleva
de' falli, i quali si counncllevano in filto di di-
scijìlina, o degli errori, dove trascorrevano coloro
che al reggimento ecclesiastico prt-seUevano, e per
simiglianti rispetti talvolta di non gr;ive peso met-
teva afitinnosi lamenti. AhJ noi medesimi siamo
per lo piii i fabbri de' mali nostri. Un anialor
della sapienza benché leale ne sia, fa m'\slieri che
faccia alcune volle, e specialmente se scor<^a inef-
ficaci i rimedi. Del pari; non sempre sfa bene ad
uom prudente di esser troppo sollecito di emen-
dare gli errori altrui nel caso che non si viene
ad efl[Ì3tto alcuno. Di più una parola sinistra, che
di se udiva, afUiggevalo^ e toslaiuenle nel volto
(i} Tengo a meinorra cji avere per avvcnfura mia fiala ascof-
tato un cspositor sitfutto, il quale prcdicuiido rlticiro ditnosti' ava
di non capirne molti passi, onde non g,U esponeva secondo l'in-
timo e »p:ri(uale inlendinrenlo; ina fa scòiza di fuori della let-
tela recava in volgare. Ove poi in qualche passo astruso abbat-
tcvasi con parlate moz^o troncavalo, o con oscuro linguaggio
l'oflTujcava. Tal diseorso durò poco spazio, indi discese freltolo-
umente a parlar della motte del peccatore Gnaffe cbt imbrat-
t^lBoa dtsooo costoro!
apparlvanè apèrto l' interno suo commovimento»
Fra questi tumulti di passioni diverse accadde^ che
irrilalo Uà giorno il Logolela ih un accademico
consesso per accenti acrissimi profferiti a capo rit-
to di lui da Un ecclesiastico slratiiero, collocato
appo noi in grado autorevole, discordò e' da se stesso
rispondendo iiuitianlinente all'insulto con qualche
im|)elo di modi, the la moderaiion non permette.
Ma non sempre siam (órli abbastanza per tollerare
coir animo Saldo ed ittVperturbalo tutte le percos-
se di fortuna. INon dito oltre per tioa rinnovellare
ingrate rimembranze*, pure dir dovrò the calma-
ta indi dopo |)n(lii instanti l'accension del Suo Sj)i-
rilo, fu lonueiitttlo, pensando al taso intervenuto,
delle apprensioni; pcrthè temeva che per cotal
fallo venisse chiamato in colpa, e colui il quale
autorità aveva su di lui, volto si fosse di affezio-
nalo in avverso. Fornito qual era di ardente im-
macinazione cadde per gli allegali motivi, che notte
e giorno il tontuiba\ano, nel più cupo silenzio,
di quando in quando qualche voce di avvilimento,
di tedio , di ujestiìia profferendo. Due volte sole
mi rammenlo the della ritevuta provocazione me-
co si dolse come di torto i^ou meritato. Ben si av-
vide chiunque essere questi inizi di un terribile
malore, the clandestinamente ado|)erava per con-
durlo al termine de' suoi giorni. Conciossiachè non
s'indugiò punto da' medici a |)nrre.in uso tutti
i rimodi dell' arte salutare. Ma the? ogni misura
anche di cambiamento di aere e di luogo si ren-
dè inefficacissima. Non passò guari che venne il
suo sistema nervosa di fronte attaccato; per la qual
Cosa ne provenne una fatale emi[)legia, che gli as-
siderò il lato sinistro, e gli organi della favella di-
«)6
^ordiuò. D'ora in ora ingagliardì quindi il male in:
apoplesia degenerando. Alla fine quest'uomo si caio
■a' suoi concittadini, sì utile alla chiesa Siracusana,
ed alla patria letteratura fu all' età di anni 6i
circa addì ig aprile dell'anno 1809, tolto alla
società de' viventi. La sua spoglia mortale venne
Bella chiesa parrocchiale di s. Pietro A|)Oslolo sot-
terrata in un particolare sepolcro, che latto aveva
e' medesimo cavare, di breve ed umile titolo ia
-tianco marmo distinto.
Io non temo che m' abbia in quesl' ufficio di
pietà ingannato l'afTetto: ne credo che mi si deb-
ba imputare per errore lo avere dimostralo nu-
do in alcuni passi il vero. Non mi son persuaso
che l'ordine della materia e la critica storia ri-
chieggano ora una esposizione fedele di taluni j)ar-
ticolari, da non estimarsi strettamente conness» alle
.memorie che tessiamo. Colali jKirlicolarilà riguar-
dano massime i Irisli eventi a' quali sogf^iaique
dopo la morte del nostro Giuseppe la pubblica li-
breria, e le raccolte di prischi avanzi dal Logo-
tela col soccorso di altri ferventi concittadini ap-
parecchiate , ma .siccome verrà tempo che ve-
drà la luce un ragionato catalogo delle j)iù rare
ed eleganti edizioni che vi si conservano, accom-
pagnato da un discorso sull'origine, pmgrfsso e
slato della medesima , ove si rap|)ortcrà ogni co-
sa, che sopra ciò contare si potrebbe; quindi ser-
berò là, come a proprio luogo, lo svolgere questo
argomento con fermo petto; poiché non torna per
lo più delle volle gran fatto bene i' essere vago.
97
CATALOGO RAGIONATO
dell'opere del Canonico Logotela.
in y. articoli diviso.
Arrivalo io già alla fine delle notizie concernenti
alla vita di quest'uomo ragguardevole, penso ora
di dar principio a un compendialo ragguaglio dei
numerosi suoi parli letterari, intendendo che 1' e-
logio di lui è nella semplice sposizion di essi. In-
tanto non mi sarà grave notare le più volte i fini,
le occasioni, le opportunità onde gli scrisse, e mise
in luce, e recherò altresì, quando mi verrà in pro-
posilo, gli elogi, e le censure, che ne riporlo. la
colai guisa non sentesi 1' aridità di un semplice ca^
talogo, che adornarlo di qualche dicevole cognizio-
ne si è riputato sempre ingegnoso divisamento.
Tutti i libri del nostro A. in ristretto si .riducono
prima in dissertazioni di Storia, di liturgia eccle-
siastica, di Giure Canonico, e di altri simiglianti
sacre materie.
Secondariamente alcuni opuscoli riguardano fi-
losofici soggetti.
Terzamente si recheranno taluni libretti istrutti-
vi, e due memorie politico-morali.
In quarto luogo si esporranno le operette del
nostro A. sopra le medaglie, le autorità siracusa-
ne, la siciliana archeologia, e le cristiane antichità.
Per ultimo vari componimenti di amena lette-
ratura occuperanno il catalogo senza mai prete-
rirsi tutti quelli rimasi manoscritti, o promessi e
non adempiuti, che verranno giusta la natura de-
gli argomenti partitameute accennati.
98 .
Si persuaderà di per se il leggitore esser diffi-
cile il dovere registrar tante operette di svariato
subbietlg con esatta serie cronologica; Per la qual
cosa terrò l'ordine delle materie, non discoslandomi
nel farne relazione ne' debili Inoglu dall'ordine
de' tempi quaslo metodo sembra a me bene accO'
modato a chiarezza.
Art. I.
Delle dissertazioni e de libri ecclesiastici pubbli-
cati dall' anno ly/g injino al i8og.
Numero I.
Dissertatio de variis ecclesiae syracusanae riti'
bus in missa olium ad nostra usque tempora
ad hibitis-Sjracusìs l'jyg Tomo i. in S.*^
Questa e le seguenti dissertazioni vennero reci-
tate nella vescovile accademia a suggerimento del
•vescovo Giovan Batiisla Alagona, cui "era presto il
Logoteta di far ciò the ptr la promozione diagli
studi egli volesse. Punto dunque l' A. di qntsio
sprone dettò 1' accennato ragionamento, che racchiu-
de le più acconce erudizioni sopra i riti diversi
posti in uso dalla siracusana chiesa da' primi se-
coli in fino a' tempi nostri il santo sacrificio ce-
lebrandosi. In cinque epoche ristringe l'argomenlo.
Incomincia da s, Marziano primo vescovo, sten-
desi inlino a Creste, metropolitano di essa chiesa,
il quale nel secolo V. fiori. II. Da Cresto scende
sino a Gregorio Asbesta settatore nel secolo IX.
dello scismatico Fozio patriarca di Conslautiaopoli.
99
ni. Dal vescovo Gregorio trapassa in fino a Rog-
giero , che scdelte nella nostra caUedra, da che
avvenne l'espulsione de' saracini dalla Sicilia, cioè
nel. secolo undecimo. IV". Continua sopra Rogf^ie-
ro, e finisce in Orosco, il quale nel secolo XVI.
resse questa chiesa. V. Finalmente si dà a pro-
trarre il discorso itifino al vesrovo Alagona. Svol-
gendo epli sì ricercato subbiello nota l'osservanza
de' riti nella celebrazione dell'Augusta Striasse ^
secondo i tempi e lo sfato della chiesa , tanto se
posta in travaglio per l'ira de' suoi persecutori,©
pur lieta fosse stala in seno della pace: Iin perciò
muove da' primieri secoli del suo nascimento in-
dagando l'idioma, se greco o latino, di che iti
quel venerando ufficio si valse, e ricerca eziatidio
i luoghi dove cotanto mistero consumavasi. In bre-
vi linee tocca l'introduzione dei missali latiiiameote
scritti: parla dell' uso delle gallicane liturgie nella
Sicilia dopo il discacciamento de' saracini , e ne
dà un sa
Puleii T. 1. in S.""
L'accennalo Vescovo commise nello stesso anno
al nostro A. di trattare quesl' altro argomento.
Volto perciò a tale scopo si mise nell'animo di
lOO
dimostrare l'inalterabile consuetudine, die valse
da' primi secoli della chiesa in fino al secolo XV.
di seppellire i fedeli defunti nelle grolle e nelle
catacombe fuori l'abitato, conforme ordinarono le
vetuste leggi di Roma, e da questo faceva il Lo-
goteta argomento, clie furono per colale uso de-
stinale da' primi cristiani le catacombe giacenti
fra Acradina e Tica , nobilissima opera de' padri
nostri greco-siculi, forse da prima per acquidotli
incavati , dalle quali il popolo mercè degli spira-
gli l'acque attigneva. In sì falli discorsi e' fer-
mandosi cadegli in acconcio di far motto delle
greche romane cosluaianze circa il modo di dar
sepoltura a cadaveri, e degli arredi, che dentro le
tombe si riponevano. 11 che non apparisce nelle
fosse degli accennati sotlerranei, là dove non ri-
trovasi veruna traccia di prezioso abbigliamento;
ina quelle cose solamente ; che a' poveri seguaci
di G. C. il debito e l'uso concedevano, vale a
dire pitture, simboli, monogrammi, iscrizioni, lu-
cerne, anfore di vetro, ed altre cristiane suppel-
lettili. A che 1' A. allega molle testimonianze ,
che danno a divedere non essere slata dall'austera
disciplina della chiesa mai permessa mescolanza
alcuna de' corpi de' martiri , e de' cristiani con
quelli de' gentili.
Va inoltre continuando a porre in chiaro che
allora quando cessato il furor matto de' persecutori,
tranquilla fu la chiesa , nacque 1' uso di permet-
tere ne' cimiteri le fosse, secondo che da quattro
epistole di s. Gregorio indiritte a' vescovi della
Sicilia si raccoglie. Nel secolo IX. occupando il
soglio arcivescovile Gregorio Asbesta, vennero dai
greci imperatori vietate le sepolture per eatro la
lor
città ed i tempi. Allrimente non costuniavasi sotto
j saraceni , e dopo la loro espulsione riiinovellosi
in Siracusa l'antica usanza, il rito gallicano osser-
vandosi, die proibiva i sepolcri nella casa del si-
gnore, ma ne^ìi airi solamente. Tanto eziandio in-
tervenne per tulio il setolo XV. a riverenza dei
sacri luogbi, essendovi i cimiteri conlipui alle ba-
siliche riservali a quest' uopo. Tuttavia i vescovi
non negaiono quivi a' sacerdoti, ed a' persoiiao>TÌ
di allo rango il deposilo dolle loro ceneri. Per la
qual cosa molli testimoni il Logoleta riporta, che
danno alla sua asseveranza conforto. E qufinlo a
noi l'avvalora coli' esempio di papa Vigilio, il quale
ritornando nel secolo VI. da Costantinopoli, arri-
vato a Siracusa, morì di fatiche e di afltiniii, e
venne nella chiesa cattedrale sollerralo: similmente
Giordano figlio del conte Roggiero, il quale go-
vernava nel iop3 la città in nome del padre, uscì
di vita, e le ossa di lui trovaron pace nel tem-
pio di s. Nicola. Riferisce finalmente il nostro A. il
sinodo del vescovo Tommaso Marini, dove si leg-
gono delle ordinazioni intorno al sollerramculo delle
umane spoglie de' ledeli.
Numero III.
Dìsertatio de usa veierum canonum poenitèntia-
lium ecclesiae sj-racusanne in episcopali scien-
tiantni Jccadei>iia preleda. Sjracusis ijyQ ^x
tjpographia Fnmcisci M. Puleiì T. i. in 8.°
La ristaurazione della disciplina ecclesiastica, e
la riforma de' cristiani costumi rilassali di mollo
nella siracusana diocesi per lungo morbo, che so-
103
stenne il vescovo Giuseppe eie Requesens d'immor-
tale ricordanza, e che inabile lo rencJelle molli anni
al governo di questa chiesa, fu il primo pensiero
del predetto Alagona, sucrcssor di lui nella calle-
dra di s. Marciano. Mira precipuamente quest'ar-
gomento a mettere itiuauzi a^li occhi de confessori
gli antichi canoni penitenziali della chiesa siracu-
sana da' vetusti manoscnlti ricavali, onde deducesi
quanto a tal rigor di penitenza csercilavasi verso
i pubblici j)eccatori , di colpe gravissime conla-
minati. Seguilalore il Lng(>leln in così l'alti sludi
di quegli uomini soinini, che hanno fuiia so|)ra
gli altri, prova esser necessaria la jìiena inUlligen-
za de' suddcHi canoni a' sacri uiinislri di peni-
tenza; acciocché sappiano proporzionar le pene a
chi fa ricorso a quel salutare lavacro. V^engono di-
stinti in n. 38 articoli i canoni, di che si favella.
Un allro di più ne agi^innge sopra il numero delle
quaresime: ad ogni articolo seguono le sue consi-
derazioni convalidate dalla storia, dal diritto ec-
clesiastico, e dalle leslinionianze, di modo che a sì
dovizioso corredo nuli' allro manca. Tullavia sa-
rebbe stato senno darsi dal nostro A. distinto rag-
guaglio de' codici manoscrilti da lui allegati ad
illustrazione del teina. AIF rma egli per al irò alla
pag. 3. Veteres eccidi le sfr.icn^anne cnnones^
ex qidbus tciitqiuun HiìipiiUssiinis fonlibus non
eJcpìscari modo^ secl ut luculcnlius pcrpamlere
possimus , quciendin oliin in (iniplissiimi nostra
ecclesia in paenitenliis prò crim-ne injungendis
disciplina v/guerit nihil ergo preasUintius^ iititius
simul ac iacuwlia'i prueter qufun fjuod eosdeni
canones ex aniif/nissimis manuscriptis codicibus
excerpere^ collidere ^ eorumque originein^ progres-
suin^ indolein scrulari, enucleare y patefacere?
io3
Imperoccl)(ì ragion voleva che di (ali ricordali
manosciilli, sopra la veracità de' quali sta la base
del ragionamento, divisate egli ne avesse le parti-
colarità, se li cavò dalla polvere de' vecchi archivi
dalle scrillure ohhliale di qualche concittadino, A-
vrebbe parimente dovuto sioniluare in qual sorte
di carta e di «araltere l(>sstio Iritsrrilli; onde ar-
gomentare a quale secolo più o meno attribuir si
potessero. Nec(ssaria è lroj>po sì minuta diligenza
a' fini ed accorti scrittori carte antiche inedite al-
leoando. all'opposito delle cf)se già pubblicate, delle
quali basta renderne semplice conto. Pur non è
eirtamente da dubitare dell'esistenza de' citati co-
dici, quantunque da me non si sappiano , per la
venerazione dovuta al nostro Iclleialo, il quale con
diritto cuore tali subbietli svolgeva, aVendo io t&l
difetto notiilo unicamente ; onde i Kllori non en-
•Irassero S( nza esser da me prevenuti di per sé iu
dubitazione su la realità de' prenominati codici, e
non mi ripigliassero di storica parzialità.
Numero IV.
Disscrtaiìo de scrìptnribm ecclesiasiicis sfracu-
sanis in episcnpdU sciantiuruni accadeinia ha-
hiia — Sjnicusìs ;7(So, iruis Francisci M. Pw
leii T. ]. in S.""
Dalla lettura di questo discorso la gioventù ec-
clesiastica guadagna ammaestramento e diletto; poi-
ché viene ella richiamala alle ricordanze dell'anli-
co valor letterario, di the gli onorandi nostri pa-
dri dierono in tante classiche contingenze pubblico
argomento ; e fra tanto per colpevole obblivioue
io4
non si fa di que' dotli degna stima. Conciossiaclit
si fissò il nostro A. di proposito a farne qui rifio-
rir la memoria, mettendo innanzi s. Peregrino di-
scepolo di s. Marciano. Trapassa dappoi di secolo
in secolo a far parole di que' concilladini, i quali
spesero le loro vite a difendere la pura dottrina
della religione ne' concili, e contro le nascenti ere-
sie con dotti libri pugnando. Da fonti limpidi il
nostro A. ne attigne le notizie, e con sana critica
l'espone, sotto i principi normanni prova egli che
rinacquero nella nostra terra le lettere, e per con-
seguente de' rinomati scrittori vi rifulsero. Parec-
chi ne rimembra vivuti nel secolo XV in poi, af^
finche i nomi di essi nella nostra ricordanza all'in-
tutlo non si spegnessero, perchè non lasciarono a'
posteri opera alcuna decloro lun)inosi ingegni. Pren-
de e' destro di mentovare a questo lungo il padre
Gaspere Ventura dell'ordine Agostiniano dotto nella
greca ed iliMica lingua , il quale fu col vescovo
di Siracusa Girolamo Bologna nel concilio triden-
tino. Giusto tributo di laude rendesi ad altri va-
lorosi; di che meritevoli sopra ogni altro ne sono
Costantino, ed Ottavio Gaelani chiarissimi scrittori
di libri ecclesiastici, e singolarmente il primo eoa
buon diritto encomi.ito dal Murtilori e drill' Asse-
manni. E scendendo 1' A. al secolo XVlJl, com-
menda il (iesuita p. Piazza, ed altri per lo saper
loro cospicui, le cui ojiere pi^-ò rimangono ancora
prive della pubblica luce. Pone fine al discorso
inanimando l' ecclesiastico ceto , acciocché a vista
degli allegati esempli l'animo su.0 prendesse accea-
dimento in amore di virtù.
io5
Numero V.
Commentarìum critico-historicum de apostolica in-
stitutione ecclesiae sjracusanae. Catanae ij86
ex tj'pographiu jF^ran e is ci Pastore T. i. in S.**
È indubitabile, che le città più illustri de regni
vennero per vigile cura degli apostoli [ìrescelle a
sedi vescovili. Tanta e tale era Siracusa aiiclie soUo
la signoria de' romani per coltura, per frequenza
di pojjolo , e per ampiezza , e però ebbe ella la
sorte di abbracciare infiu da' secoli apostolici la re-
ligion rivelata. Ciò premesso riferisce il nostro A.
le testimonianze che questa verità solidamente con-
fermano, ne lasciano luogo a dubbietà veruna, che
che ne sia delle contrarie sentenze da lui con va-
lor couibatlule. Accenna inoltre il soggiorno del
grande aposloio in Siracusa, con meltere in ino-
stia r erudite controversie suscitate da' critici per
porne in lurse il vero. Fa scudo all'argomento,
olire ad un passo degli alti apostolici, la veneranda
tradizione della chiesa romana rispello al vesco-
vo san Marciano , al quale san Pietro commise
la spirituale cura del popolo siracusano. A pro-
va di quesla apostolica insliluzione arreca i n>ai'-
tirologi ed i ruenologi della greca chiesa , ad-
ducendo insiame la costantissima tradizione della
chiesa nostra. I pareri di antichi scrittori eccel-
lentissimi in sacra letteratura egli aduna nel § VI.
coH'efficace brevità pel suo dire, i quali tanta ono-
ranza ci accordano. iXel precitato articolo appunto
splende maggiormente 1' erudizione e la critica del
Logotela. Nei fine procede a confutare l'anonimo
encomiaste, ed il Papebrochio coutinuator del Bol-
lando, essendo entrambi -su questo assunto in qual-
• ' che errori incorsi.
io6
Numerò VI.
Commentarlolum critico-theologicum de germano
episcopo ecclesiae syracusanae a labe arria-
nisini vindfCdto. Ccdatiae l'^Só ex tjpogra-^
phiu Frane isci Pastore T. t in 8°
Nel codice dij)lorna lieo dr^l caii'^iiico di Giovanni
sia iiisciilo a j)ag. -y un fV;iintije questo sentimento. 1. Percliè niss"iiio
degli storici ecclesiastici di que' tempi ciò attesta.
II. perchè costa di noQ essere stala mai la chie-
sa siciliana in fatto di vera credenza maculata di
errori anziché intenta sempre a conservare illibato
e [)uro il deposito della fede. E rispetto alTAria-
iiismo segnatamente si sa che Capitone vescovo si-
ciliano fu di presenza nel concilio di Nicea, e con-
tra Arrio pugnò. Oltra che finito il dello concilio
i Vescovi siciliani per questo importantissimo og-
getto si assembrarono. Va di più enumerando al-
tre siuiiglianti congreghe solenni, là dove i nostri
vescovi intervennero, a fine di divellere la vene-
uosa radice di quell' eresia. Disamina ex-professo
l'Autor nostro il contesto della precitala lettera ,
onde il di Giovanni ad asserir s' indusse che fosse
sfato il Germano di arianismo intinto, e per que-
sto r espressioni ne pesa , e depura il testo degli
errori incorsivi forse per iatrusion di una parola
107
io cambio di un'altra. Sbaglio si fatto prova egli
per esempli essere Sj)esse volle accaduto, conchiu-
deudo che se mai slafo fosse Germano in qualche
assemblea de' seguaci di Ari io, di ciò non puossi
iiileiire the di lai n)acchia Tu il medesimo di cer-
to conlauìinalo. Tanto avvenne in colai fatto a
molli h'iil issimi tain])ioni della nostra s, religione;
ma vi slelleio saldi più che forti leoni, ed ojiera;
rouo quivi, acciocché il perverso giudizio degli
oppositori non j)rendcsse baldanza ad ingannare al-
trui inipuriemeiile. Illustra di più 1' A. con altri
ars^ojni i.ti i'incorrolla title di Germano, che ritro-
vasi Ira il numero de' beali ascritto in un calen-
dario drlla chiesa Gallicana. In sul termine della
dissertazione là il Logoleta parole di una non di-
spregevole particolarità, o per dir meglio vi regi-
htra un mezzo foglio di vecchia carta scritta , e
coMiuiiicalagli dal cav. Saverio Landolina, ove pa^r-
laiuldsi del vescovo Germano, viene egli insignito
del tifalo di beato, e si predica qual fbndator di
più chiese [ cr entro e fuori jdella città. La figura
del carallere, la qualità dell'inchiostro, e la locu-
ziojie fanno presumere che al secolo XV lo stesso
a])parlenga. Sarà continuato
Lettera di Agostino Gallo al chiarissimo sig,
Leonardo Vigo di yéci-Reale egregio poeta sul
didingere a freseo quadri portatili.
Dopo fiera, e procellosa tempesta, in cui il cuor
mio perde l'obbietto il più caro, che mai si abbia
avuto, il virtuosissimo mio genitore, eccomi poco
a poco mercè i soccorsi del tempo, e della filo-"
io3
sofìa in parte rcslltuito alla vita intellettuale:
E come que\ che con lena affannata^
Uscito fuor del pelago alla riva^
Si volge all'acqua perigliosa^ e guatai
così, mezzo ancora tra lo abbattimento dello spi-
rito, e mezzo tra le risvegliate facoltà della men-
te bo ricercato con avidità nelle lettere , e nelle
arti un dolce ailenqiamenlo, e una valevole distra-
zione a' soHerli afìùnni , e mi sou dato a discor'
rere la vostra lezione accademica sul dipingere a
fresco sopra tela, o tavola , che speculò il vostro
concilladiiio Einniaimcle Grasso, da voi pubblicata
nel fascicolo di giugno delle nostre EQcmeridi.
Vi confesso, che non poca sorpresa mi recò lo
annunzio di questa nuova industria artistica, ch'io
credo fermamente essere stata posla in pratica dal
vostro Emniaimele pria che saputo abbia che la
simile siala era adoperala dal signor Antonio Ge-
gerbaur pittore di Wurtemberg; perchè 1' Antolo-
gia, ove era stala annunziala sin da settembre i832,
giunge nella capilale con ritardo, e njolto più nel-
l'uilerno della nostra isola; e perchè elFettivauìente
il primo saggio dell'arlista siciliano stalo era espo-
sto in Palermo sin da luglio i832, ov'io pur l'os-
servai a mio beli' agio. Ma riflettendo matura-
mente su i vantaggi, che voi manifestale derivar-
ne alla arte , e sul processo della stessa*, non so
celarvi, che non posso rimanerne al tutto persua-
so, e in questa mia opinione, che abbraccia pure
la simile speculazion del tedesco , concorre meco
lo egregio Patania. Permettete quindi ch'io vi
presenti alcuni dubbi suU' oggetto non per isma-
nia di venir ia contesa con voi , ma per daryi
una prova, che per quanta amicizia, e verace sli*
ma io senta per la vostra persona son uso tuttavia
a sostener nelle dispute letterarie , o scientifiche
una opinion libera affatto da ogni sorta di pre-
varicazione» Voi altronde conoscete quanto io ami
la Sicilia, che mi die' i natali, e quanto proclive
sia a porre in predica mento ogni sua novella gloria;
talché , se per questa invenEione sospettar potes-
si per poco eh' ella acquistar dovesse lode , ag-
giungerei la mia alla vostra voce, onde proclamar-
la per tutto. Ma considerando, che in fatto d'in-
venzioni, pria di abbracciarle, e di buccinarle, con-
viene andar cauto , e riflettendo die troppi fasti
veri, e inconcussi ha la Sicilia , perchè se le ag-
giungano degli equivoci , e incerti , i quali dagli
stranieri potrebbero esser divisati come sogni di
calda immaginazione , e frutti di intemperante a-
nior nazionale, ho creduto di attaccar la vostra
lezione accademica, e di mostrarvi, che la specu-
lazion del vostro concittadino non puossi sostenere^
e deesi considerar come uno de' beni sognati, e mn
ottenuti; e quindi circa al dipingere a fresco con-
vien lasciar le cose come stanno.
Voi, son sicuro, non vi terrete oRl'SO di questa
mia opinione, qualunque siesi, ch'io privatamente
vi avrei annunziata, se non fosse sfalu pubblicata
la vostra lezione, correndomi altronde obbligo qual
segretario della classe di lelteralura e belle arti
dell'accademia palermitana di manifeslaila, aftinché
dopo una discussione polemica possa la Sicilia, no-
stra comune patria, avere maggior certezza di do-
versele ascrivere questo novello onore, o deporne il
pensiero.
Pria di tutto mi è d'uopo manifestarvi, che non
8
1 10
ostanle, che una simile vera, o supposta scoveiia
del pittore di Wurlemberg sia stata annunziala con
plauso dalla Antologia di Firenze, nulla di manco
io non troverai disposto a lasciarmi imporre dalla
medesima; perchè ne le lodi, ne i Liasuii de' gior-
nali, per qualsivoglia cosa prevalgono in me da
farmi rinunziare ad ogni critico esame , amando
più presto pensar col mio meschinissimo capo, che
con quello d'altrui; segnatamente per oggetti, a cui
sono stati sempre rivolli i miei studii. In conse-
guente di ciò le obbiezioni, che io vi presento per
la s|>eculazione del pillor siciliano, vaglion del pari
pel tedesco.
Voi ben sapete, che per dipingere a fresco, s'in-
tende generalmente quella maniera di rappresentar
col pennello in colori, o a chiaro scuro ligure, or-
nati, o altro che sia, sopra l'inlonico ancor umi-
do, preparato can calce, arena, polvere di marmo,
e talvolta matlon pesto, che si attacca a' muri, o
alle volte, in guisa che vi aderisca; ed asciugan-
dosi, dopo eseguito il lavoro ritenga slabili e dure-
voli le tinte , finché duri la fabbrica sottoposta.
Voi non ignorate, che tal maniera di dipingere sia
della piià alta antichità, che Polignoto, e Diogne-
te durante la guerra del Peloponneso si erano in essa
esercitati sulle mura del tempio di Castore e Pol-
luce in Atene, e che al tempo di Pausania, cioè
dopo circa seicento anni, quelle sublimi dipinluie
cran tuttavia esistenti. Vi e pur noto che un lai
metodo di dipingere fu anco in uso in Roma sia
dai primi tempi della Repubblica, comcchè , se-
condo riferisce Plinio, non fosse molto in grado a*
buoni artisti, i quali preferivano segnatamente per
le case de' particolari a dipinger quadri portatili
ìlt
per sollrarli facilmente agrinccndii^ o ad allro di-
sastro. Sapete allresì che ne' bassi tempi con la so-
pravvenuta barbarie non andò esso del lutto per-
duto, come ne fan testimonianza le catacombe di s.
Diego in Siracusa, ed altre molte, ove si scorgono
varie abbencliè informi pitture a fresco; e. che ri-
Sorte a nuova vita le arti dopo il mille fu felice-
mente posto in pratica dagflfaliani. Di fatto co-
struito da Giovaiuii Pisano circa al i i83 il famo-
so campo santo in Pisa furon chiamali e Gioito,
e Buffalmacco, e indi i due Orgagna, il Laurati,
il Memmi, Anton Veneziano, e Spinello, a dipin-
gervi successivamente in buon fresco le pareti, isto-
riandole di fatti dell'antico testamento. Tutto ciò
prova I, che si Ha Ilo modo di dipingere sia della
più alta importanza, e conferma quel detto di Mi-
chelangelo, che esso sia veramente fallo per mo-
strar il valentuomo , mentre il pingere ad olio è
esercizio^ com'egli si esprimeva, di dame, e di
zerbinotti , che si piccano di eleganza di mano.
E quindi ove combinar si potessero i due vantaggi^
quello cioè di aversi con esso la durabilità e fre-^
schezza de' colori, e di rendere i quadri portatili^
una tale invenzione sarebbe al certo della più gran-
de ulililà air arte, e colui, che reso le avrebbe
questo beneficio , meriterebbe una corona civica.
Dajioichè per quanto il dipingere ad olio fosse pei*
se stesso pregevolissimo per la delicatezza, e la sfu-
tìiatezza delle tinte, producendone l'effetto de* passag-
gi impercettibili, che si osservano nel vero- tutta-
via ha con se un grandissimo inconveniente , che
appunto è quello di una breve gioventù, denigran-
dosi fra non molti anni i colori, e particolarmea-
te le mezze linte^ e gli oscuri in modo da non sod-
112
tlisliirc [)iìi r octliio , che al paragòn tlol vero ne
scorge assai diverso lo efTcllo. Dal che è naia l'o-
pinion j)0]jo!arc pili uni mìtica .^ pittura neni^ die
opprime l'aninta^ tncnlre il fi esco gode di una pcr-
jielua inalleiabilo giovenlù. E se picsenla una
su[)eificie inen levigala, un eslerioi- meno gentile,
può esser jiaragonalo alla bellezza di una foroset-
ta , che scbLene alquanto ruvida al paiagon di
una bellezza cittadina, rnelcnza, e cascante di vez-
zi, pure con quei tratti ardili e vigorosi, con quel-
la freschezza, piace talvolta in preferenza dell'allra.
Or nel dipingere in tal modo la prima idea che
si preseli la si è la preparazion dell'in tonico con cal-
ce stagionala, finissima arena, spoglia di ogni par-
te salina, e d'ogni allro eslraneo; quind'io suppon-
go, che il vostio concittadino Grasso per dipinge-
re a fresco sopra tela o tavola allro non intenda,
che soviapporre in una grossezza ahneno di un'on-
cia" la calce, impastata con aiena e polvere di mar-
mo, e inenlre quesl' inlonico non è ancora asciu-
gato lavorarvi col pennello. Suppongo ancora ,
ch'egli sapulo abbia trovare un mestruo, afllnchè
la calce, e l'arena, che di lor natura rilullano di
attaccarsi fermamente alla tela, o alla tavola, ve
la faccia con lenacità aderire per modo, che asciut-
ta che sia non se ne possa più staccare.
Questo mestruo esser potrebbe la colla forte, la
terebentina, l'asfalto liquido, il mastice, o atro. Ma
siccome qualunque sostanza animale , vegetabile ,
o minerale di tal sorta, che sia di per se attacca-
ticcia naturalmente, produce un più pronto asciu-
gamento dell' oggetto con cui aderisce , e comuui-
ca una parte del proprio colore al medesimo ,
così due effe Iti ne debbono derivare alla calce so-
Tl3
Vj'apposla alla Ida o alla tavola; cioè oh* essa ri-
manga in parie colorala, ed essendo di sua natu-
ra facilissima ad indiiiiisi, passi più lapidamenlc.
pel contallo del nnsliin sottoposto in uno stalo
di disseccamento. Laonde il dipingervi sopra noa
sarà più a fresco; cioè mentre la calce si ritenga
umida, ma nel primo grado di asciugamento quan-
to a diie sarà come se si dovesse dipingere sopra
un muro inloniealo da qualelie giorno. Quindi la
pittura non potrà mai aderirvi, da resistere lunga-
mente al temjio, o almeno l'inlonico riterrà una
piccola superficie di colori, clic svanirà ben pre-
sto, lasciando di essi lievissime tracce, come veggia-
mo in alcune volte dipinte a secco da molti anni,
in cui non si scorge altro, che l'ombra dell' antico
dipinto. Sarà poi vero, e potrà esserlo, che la calce
aderisca perfellamenle alla tela o alla tavola, e sup-
posto che il Grasso trovalo abbia questo mestruo
possente a far ciò, qual ne sarà la conseguenza? La
tela in breve tempo al contatto della calce, mate-
ria per se stessa corrosiva, verrà consumata, e noa
resterà che Io strallo dell' inlonieo, che non aven-
do più un corpo sottomesso, che lo sostenga, ed
impedisca allo stesso tempo che non se ne disgre-
ghino le particelle che lo compongono, deve ad
ogni menomo urto rompersi, e stritolarsi. Che la
calce sia in alto grado una materia corrosiva parnai
die non abbisogni di prove, bastando solo il ri-
flettere, che le ossa umane che naturalmente resi-
stono intatte a lunghissimo corso di anni, come si
osserva ne' sepolcreti di o[)era greca, ove sieno ri-
covcrte di calce si riducono fra breve tempo in
polvere. E che essa debba tantosto consumar la
tela ne avete una recente prova nel funesto caso
u4
ilei ([uaJro dell' Antigone del celebre Enanle nella
galleria di Trapani, al quale per malignila d'invi-
dia , o altra malvagia passione fu buttato sopra
della calce sciolta ucU' acqua, che consumò le par-
ti della tela ove trascorse. Lo stesso eflelto, ma
meno prontamente avverià se l' intonico sia stoso
sulla tavola, la quale in pochi anni dovrà infraci-
darsi, anzi maggiori inconvenienti debbono aver
luogo; dapoichè il legname al coutallo dell' umido
si gonfia, e si storce, e quindi la superficie jìiana
dello inlonico sovrammesso dovrà necessariamente
essere screpulala , ne potrà punto imj)edir ciò
il mestruo intermedio, che non ha forza cocrcen-
tc, ma soltanto forza adesiva, se pure potrà eser-
citarla, trallandosi di riunire calce, e tavola di lor
natura nemiche, come vi diranno tutti i murifab-
bri, e vi dirà la sperienza, la quale vi fa osser-
vare, che la calce, che per necessità si accosta alle
porle e finestre delle case, a poco tempo presenta
sempre una linea di allontanamento, e non mai vi
aderisce.
Inoltre come vorreste voi, che un corpo unito,
e già divenuto solido, come si è l' intonico soviam-
niesso alla tela, sia suscettibile di piegarsi, come
sembra che voglia compromettere il Grasso, e se
non si piegherà qua! sarà poi questo massimo van-
taggio di adoprar la tela, e molto meno il legna-
rne per larvi so[)ra de' freschi?
Or sujqionendo [lev poco, che per mezzo del mi-
rabilissinio segreto del Glasso la tela non infraci-
dista, la tavola non si goiifii, e si pieghi, e the l'in-
tonico stia al lutto leruio , e adesivo, io non so
comprender come un tal quadro pollassi collocare
in una volla, sì the penda illeso in aiia, e come
ii5
potrassi impedire che per la naturai forza di gra-
vità, non essendo esso aderente alla medesima, noa ,
caschi sul capo a chi sta nella stanza? A un qua-
dro di tal sorta, converrà scrivere, guardati di sotto.
Adunque potrassi solamente collocare verticalmen-
te, incastrandolo nel muro. Allora correrà il ri-
schio de' quadri consueti , dipinti a fresco , cioè
che in un caso di tremuoto andrà in rovina col
muro stesso, ma avrà il vantaggio, che potrassi
a volontà rimuovere da quel sito, e collocare ia
un altro; vantaggio, che è comune a' quadri di-
pinti sopra tela, o sopra tavola. Tutti questi incon-
venienti dell' indicata maniera di dipingere non do-
vettero certamente sfuggire a mille artisti italiani
che han sempre prediletto la pratica di lavorar i
freschi sul muro. Molti tentativi avran fatto certa-
mente, persuasi del vantaggio che recalo avrebbe,
all' arte; ma è da creder die stati sieno con cattivo
successo. E come volete che Raffaello, Michelan-
gelo, Daniello di Volterra , il Cortona gran fre-
scanti non avrebber preferito di adoperar la tela, o
la tavola comodamente nelle loro officine artisti-
che per far di freschi portatili , anziché salire i
ponti, e rompersi il collo per figurar le volte? E
fatto il primo felice esperimento non si sarebbe
esso tantosto diffuso per tutta Italia, per oltre mare,
ed oltre monti, come si sparse il dipingere ad
olio, che Antonello da Messina tolse a Giovani, da
Bruges? Ciò che appartiene alla parte meccanica
dell' arte non soffre ritardo a scoprirsi , e a ren-
dersi d' uso generale; perchè la maggior parte di
que' che vi sono addetti son più meccanici , che
artisti, veramente meritevoli di questo nome. Si ag-
giunga che questa specolazione si presentava di
ii6
per se facililmenfe allo spirilo d'i ogni piltorc, per-
chè il pingere sopra tela o tavola con l' iiitouico
di gesso sciolto nella colla forte risalisce all'epo-
ca del risorgimento delle Belle Arti in Italia , e
quindi facile era il sostituire al gesso la calce ,
materiale conosciuto sin dalla più alla anlicbilà,
ove gli sperimenti fatti senza meno, e gli effetti
avesser potuto esser ben corrispondenti all'idea pro-
posta, ma gli artisti, o persuasi dell'impossibilità,
o sgannati da' cattivi successi non vi pensarono,
contentandosi di adoperare per lungo tempo la
tela, e la tavola ingessala per dipingeivi. Il qual
metodo per dir vero se non presenta in tulio l'u-
tilità del fresco, che mostra durclvolmente belli, e
brillanti i colori, non produce poi l'eflctlo dell'olio
che li aimerisce in non lunghi anni, e può sostituirsi
in parte allo slesso fresco, se non che il gesso è
fecile a screpolarsi ad un ogni piccolo urto, e i
quadri sotTron di molto nel polirsi, e bisogna cau-
tamente preservarli da ogi;ii umidità. Ma pure que-
sto pregevolissimo metodo di dipingere è sialo
quasi generalmente dismesso, e sapete perchè? Esso
in parte ritiene gl'inconvenienti, che piij accresciuti
e cumulati rendono quasi impossibile il dipingere
sulla tela, o sulla tavola preparata a calce. In ef-
fetto le antiche tavole, e le tele ingessate trovansi
tutte contorte, e danneggiate, perchè nonostante,
che il gesso umido asciuga più facilmente, che la
calce, pure non lascia di produrre del guasto, al
dipinto , loslochè l'asse o la tela venga a sof-
frirne.
Ma voi mi risponderete, che il fatto sta contro
a tutte queste mie obbiezioni; dapoichè il Grasso
ha già compiuto il suo quadro portatile a fresco sin
1.7
dal 1828, ed io replico, tlie da quel primo sag-
gio, ch'io vidi insien^e col Patania, noi restammo
convitili, che l'intoniéo non avea fatto buona presa
sulla tela, in efietlo era esso screpolato particolarmen-
te air estremità, giacche sul mezzo noi potea essere ,
perchè le molecole della calce in quel punto sono per
la contiguità fra di loro rafforzale, e per piccola ade-
sione ch'abbiano alla tela restano ferme alla medesi-
ma. Ma l'essere il lavoro di breve terminato non ci
accertava che la tela sarebbe a lungo durata, e il
Patania medesimo, scorgendo le screpolature all'or-
lo del quadro, fece pure le stesse difficoltà, come
or mi ha riferito, ed io sin d'allora parlandone con
lui, riguardava la cosa come una specolazione fu-
tile, e da tenersi in nessun conto. E qui m' è. d'uo-
po confessarvi, che sin da quel tempo io pensava
come penso adesso, che l'intonico del quadro esser
potea di gesso più presto, o un misto del medesimo
con la calce, e che così essendo, i colori non sareb-
bero rimasi permanenti, come si avvera nell'into-
nico umido di calce, che si fa su i muri; perchè
il gesso solo, o mischialo con la calce asciugala
minor tempo, che si richiede per potervi dipinger
sopra figure, ornati, o paesaggi che sieno , e non
resiste all'acqua, giacche esso di sua natura si gon-
fia all'umido , e si disfà, mentre che la calce pre-
parata con la arena, o polvere di marmo a piccoli
pezzi permette al pittore di lavorarvi col pennel-
lo, e indurita che sia, soflTre anche che si possa pulir
con l'acqua.
Egli è vero che io ho tiralo buon partito dal
gesso di presa per dipingervi su , ma sempre ad
olio, ed ecco come ho praticato. Ritornato appena
da Napoli nel 1819 mi venne fallo di acquista-
ii8
re alcune teste bellissime del Novelli, dipinte a fre-
sco, clic erano stale nel i8o5 tagliate dalia vol-
ta, e dalle mura della confralerrita di S. Giusep-
pe in Palermo; ma queste si trovavano tutte scan-
tonate, e di una figura così irregolare, che presenta-
vano un bruito vedere, e non si potevano racchiu-
dere sotto cornici ad angoli retti. Io quindi im-
maginai di ristorarle, supplendo col gesso quel che
mancava alla riquadratura, e feci pria collocar le
teste in cassettoni di doppia legname, muniti di
sbarre di ferro attorno, e inumidite le estremità del
muro, ove era il dipinto, con la colla forte liquida, e
impastato con la stessa il gesso di presa ben raffinato,
e passato a crivello, andai supplendo con l'ajuto della
cazzuola tutte le parti, che mancavano al campo del
dipinto. Il gesso aderì bene al muro, anche q^iian-
do asciugò intensamente , e mi permise che l' a-
vessi ridotto a perfetta levigatura piia con la sgua-
dra, poscia con la raschietta, e in fine con la po-
mice : talché venne in unico piano col contiguo
intonico di antica calce. Allora pregai il Patania
a dipingere ad olio la parte del campo supplita
col gesso , e asciutta che fu perfettamente, vi fe-
ci passare della buona vernice tanto sull'antico fre*
sco, che sul supplimenlo; talché son già circa tre-
dici anni, che tai quadri sono in ottimo stato, ne
si scorge io essi l' antico dal moderno; cotanto la
primitiva parte a fresco, come quella di aggiunzio-
ne sembrano dipinte ad olio per effetto della ver-
nice sovrapposta, e così ho conservato cinque bel-
lissime teste del Novelli , che pendono dalle pareti
delle mie stanze, sostenute di sollo da grossissimi
chiodi di ferro, e decorate da cornici dorale.
Ma tal metodo di ristorare i freschi , che mi
"9
è riuscito felicissimo , e di cui senza pretendere
a inventiva speculazione vi ho voluto svelare il
processo nulla Ita che fare con quello del Grasso;
perchè la tavola de' cassettoni col mio metodo non
dee aderire al gesso, ma serve unicamente a sostene-
re in aria il tresco ristorato; e il gesso poi aderisce
perfettamente con la calce vicina per mezzo della
colla forte, e mischiato con la stessa si consolida
del lutto : mentre col metodo del Grasso la tela
deve tantosto disfarsi, e il legname sottoposto alla
calce per l'umidilà da questa conservata per qual-
che tempo, finche passi alla peift:tla consuliclazione,
dee gonfiarsi, e storcere, talché l'intonico di sopra,
seguendone il movimento converrà che si rompa.
Questo metodo però, voi ben vedete, è ottimo
per ristorare gli antichi freschi staccati dal muro,
ina tutt' altro esser dee qualora vogliansi far de'
quadri a fresco trasferibili, per li quali è diretta la
insussistente speculazione del Grasso, e del pillor te-
desco.
Per formar quindi de' freschi portatili la prima
cosa a cui rivolger si dee l'attenzione si è lo sce-
gliere una materia solida e compatta, non soggetta
a infracidarsi, ne al caldo, al freddo, e all'umido,
la quale servir debba di base, e sostegno all' into-
uico di calce da sovrapporvi, e con cui di sua na-
tura possa perfettamente attaccarsi. Io non conosco
migliore materia confacente all'oggetto, che le la-
stre di Lavagna, che si cavano nella riviera di Ge-
nova in un luogo di tal denominazione, di cui si
giugne sinanche ad ottener de' pezzi lunghi dieci
braccia, e che il Vasari raccomanda agli artisti per
lavorarvi su le pitture ad olio; perchè elle, come
si esprime, visi consewano molto più lungamente
130
che nelle altre cose(^\). Questa pietra, olire all'es-
ser leggiera, è alla a venir per tutto trasportata,
purché si adoperi conveniente diligenza. Ne varrà
il dire che potrassi frangere di leggieri : imperoc-
ché questo pericolo l' ha pur comune con la tavola
la quale, ove cada a terra, è pur mestieri, che si
rompa. E noi veggiamo, che per mezzo della di-
ligenza, ed accuratezza si vince anche questa diffi-
coltà pe' vasi di cristallo, di lor natura più frangi-
bili , che ci pervengono sin da' boschi di Ger-
mania, di Francia, e d'Inghilterra, e viaggiano per
tutta Europa; perlochè lo stesso , e con maggior
sicurezza potrebbesi praticare per le Lavagne di-
pinte, le quali se dalla riviera di Genova sono spe-
dile da per tutto , affinchè servissero a molti usi
della società; potrebbero del pari, dipinte che sie-
no, mandarsi per ogni dove.
Un'altra pietra raccomandata dal Vasari agli ar-
chitetti, ma che io non credo preferibile alla La-
vagna, si è il Piperno, da molti della Peperigno,
eh' è di color nericcio, e spugnosa, come il Tre-
vertino, la quale si cava per le campagne di Roma,
e di cui si fauno stipiti ili finestre, e porte in di-
versi luoghi, e serve anche a' pittori per lavorarvi
ad olio(2).
Dal (in qui detto potreste rimaner convinto che
sia vana opera l'adoperar la tela, o la tavola pe'
freschi portatili, e quindi congetturo che forse sa-
rebbe miglior partito il sostituirvi la pelle di vi-
tello della parte ruvida, ovvero la seta doppiissima;
perchè l'una, e l'altra sono materie più resistenti
al tempo , e per avventura meu soggetto a con-
(i) Vasari t. i. p. iió Siena 179'.
(3) Vasari loco cil.
191
sumarsi , venendo in conlallo con la calce. Che
sieiio [)iìi resistenti al tem|)o, ne abbiamo una pro-
va, da ciò elle essendosi trovato del cuojo , e
della seta nel sepolcro di Gngliebno I.° il Nor-
manno si videro non consumati ancora dopo sei
secoli, anzi io ritengo presso di me un pezzetto
di drappo rosso, donatomi da chi fu presente nel-
r aprirsene l'avello nel 1811, che è fermo, ed in-
tatto, come se fosse pur ora uscito del lelajo.
Questa pietra segar si può sottilmente, e corae-
clìè di per sé è più pesante della Lavagna, pure
è più dura, e resistente. Or 1' una è l'altra, cre-
do io, poter ottimamente servir di base e fonda-
mento al di[)inger in buon fresco, ed ecco la ma-
niera. Pjia di tutto convien che la superficie del-
l'una, e dell'altra, sulla quale dovrassi sovrammetler
l'intonico, si renda scabra con un piccolo scarpellel-
to, o co' denti della sega, e poscia vi si farà at-
torno un lelajo di legname doppia, e ben stagio-
nala , ferrato agli angoli , onde non storcersi , e
che sia dell'altezza di due pollici , o poco più. Po-
scia si ])reparerà la calce ben depurata, con l'a-
rena di fiume, spoglia d'ogni estraneo, e ben cri-
vellala, e mischiandosi l' una , e l'altra con pol-
vere di marmo si l'apporrà sulla lavagna o sulla pie-
tra, Piperno precedentemente ben inumidite, l'into-
nico di parte in parte , come suolsi praticare sul
-muro, sempre rasente all'orlo del telajo. Dico, di
parte in parie; perchè convien che il pittore non
abbia luUo l'intonico fatto in una volta, affiuchè
abbia agio, e tempo sufticietite di lavorarvi su col
pennello. Questa maniera di pingere a fresco qua-
dri portatili riuscirà all'artista assai comoda, per-
chè potrà collocarli sinanche sopra un cavalletto
122
Len forle, concluccnclo il suo dipinto per tal co-
modila con maggior diligenza, e perfezione, che
iàr non può in quelli attaccali alla fabbrica, e molto
j)iù alle volte, per li quali segnatamente riesce pe-
nosissimo lo star a lavorare con il collo piegato
indietro.
Or tai quadri potranno, benìssimo e sicuramente,
asciutti che siano, e toltovi via il telajo, che di^
viene alloj
Spectatum admissi risum teneatis amici?
Perdonando al dottor Carbonaro l'oscura espres-
sione dei suoi pensieri , chi sarà poi tanlo ignaro
da non vederlo in quel periodo tutto inlenlo ad
attribuire la guarigion della febbre all'attivila del
solfato, che agisce sempre sii i nervi dell' orecchi o
producendo il ronzìo, di cui si è parola? E se que-
sto si mantenne dalle sei alle nove, non che dor-
miente alle sette lo avvertisse 1' infermo, ma che
svegliato alle nove proseguiva a sentirlo, ecco liqui-
dato il carico fatto all' A. di quella storia.
E dato in ultimo che il Carbonaro avesse ia-
parte dovuto riferire un pò meglio le sudette sue
storie, pur tutta volta presentandole al giudizio del
pubblico ha inteso forse macchiare la sua riputa-
zione, ha voluto offendere il merito di chicchessia,
come ha pvalìculo ìì dollor Interlandi? Mise forse,
pari a costui, nelle mani di gente inesperta delle
materie la sua produzione ? Si livellò, ciò facendo,
a quel demente filosofo che voleva un dì giudica-
ta l'Iliade d'Omero da un somarello, ad altro noti
avvezzo che alle spinose pannocchie dei cardi?
Voglio augurarmi che i miei spassionati avverti-
menti, lo rendano iu avvenire più accorto.
i47
RIVISTA LETTERARIA
I . Cenni sopra V antico metropolitano di Siracusa
del Canonico Ignazio A v olio — Siracusa dai
torchi di Giuseppe Puleio mdcccxxxjj.
Non so per qual molivo questo libiello, che
jiorla la data del iSSa, siasi pubblicato da poco
tempo solamente: ma ckecclie ne sia la ragione, es-
so oggi vede la luce, ed oggi stesso l'annunziamo
al pubblico.
Nel quinto fascicolo di queste nostre Effemeri-
di fu inserita una Lettera sull'antico metropolita-
no di Siracusa , scritta dal sommo Nestore delia
europea letteratura , da quell' uomo di si sublime
ed intemerata vita, che pochi di simiglianti ce ne
offre la storia delle nazioni, vogliam dire Giusep-
pe Capece-Latro antico Arcivescovo di Taranto ,
innanzi a cui , preso di maraviglia e di riverenza,
s'inchina il sapiente e il saggio.
Noi parlando di questo altissimo senno ci sen-
tiamo presi da tanto rispetto, che ne vengon me-
no le parole per encomiarlo degnamente. Gli uo-
mini di tal tempra sono rari nel mondo: e qua-
lora appariscono sulla terra l'illuminano sì che ci
fan prendere della umana natura, che sovente si
deplora, diversa opinione di quella che ne abbia-
mo, facondo stendere un velo sulle miserie nostre.
Coloro che conoscono le opere e la vita di quest'uo-
i48
mo insigne converranno nella nostra sentenza si
clie i posteri invidieranno noi clic l'abbia m da pres-
so conosciulo, ed ammirato.
Queste parole che il cuore colla maggior tene-
rezza ne suggerisce non son mai ripetute abbasfan-
za, e qui a caso non son dette. Imperciocché la
citata Lettera sul metropolitico siracusano, dettala
con candore e con sapienza, spinse, come ognun
sa, il Canonico Di Cliiara ad esporre alcune sue
opinioni in un aiticolo, che venne inserito nel fa-
scicolo ottavo delle stesse Effemeridi. Al die ri-
spose il venerando Prelato con una novella Lettera,
che fiegiò il decimo primo fascicolo del noslro Gior-
nale. In questa breve scrittura Egli, pieiio sempre
della dignità del suo sublime carattere , pone in
tanta evidenza le sue ragioni, dislingue si rallamente
le cose, e l'onda su basi si salde la verità, che nulla
pili è da dirne, nulla pii!x è da soggiungere da
chicchessia.
Ciò non pertanto sorge adesso il Canonico Igna-
zio Avolio, uomo in Sicilia per lettere ripulalo,
e pubblica gli annunziati Cenni ^ onde servir di
J'isposta, ccm'ei scrive, alla Lettera del tarantino
Arcivescovo, e cosi far conoscere qual sorla di se-
de sia quella di Siracusa. L'Arcivescovo ha lodato
altamente in ambedue le citate sue lettere la si-
racusana sede; diguisachè assai più di qualunque
elogio vale quello ingenuo ed imparziale di Lui,
che ha seduto nei posti più eminenti del chericalo,
ed è stato nel corso della sua vita gloriosa richie-
sto dai grandi della terra del suo parere, riputa-
to sempre altissimo, intorno le più ardue e dilTi-
cili nialerie delle cose apostoliche.
Noi per allro lodiamo lo zelo del Canonico Avo-
lio, come già lodammo quello del di Chiara. Il pri-
mo però non ha oggi lallo che ampliare e svilup-
pare i principi di questo , a cui già rispose nella
sua seconda Lettera il tarantino Prelato. Quindi
noi che non vogliamo riunovellare le antiche gare,
ne più battere cose già ampiamente discusse e bat-
tute, ci limitiamo a. rimandare inostri lettori, che
vogliano per avventura conoscere il nascimento e
il progresso della quistione, alle due Lettere del-
l'Arcivescovo, a\\^ articolo del Di Chiara, e a que-
sti Cenni dell'Avolio.
Solo diremo, per non ritornarvi mai più, e pro-
mettendo di non rispondere ad alcuno, che sorge-
re volesse di nuovo su questo punto, che noi a-
vremmo desiderato che l'autore di questi Cenni
pria di scrivere avesse avuto j)rcsente al pensiero
la seconda Lettera dell'Arcivescovo, in cui con u-
na ingenuità, che altamente ti muove, onora sem-
pre |)iù la siracusana chiesa, e toglie di mezzo o-
giii discordia. Qui poi non è dato a noi di nascon-
dere un voto che abbiam sempre fatto con tutte
le potenze dell'aniina nostra, cioè, che in queste, e
in simili ecclesiastiche conlese non si faccia entrar
mai per entro la carità della patria. La patria non
ha qui luogo, che non è stala, da nessuno attac-
cala , e sta hiiige da queste cose le mille mi-
glia. Se pur vi etilrasse, l'amore del vero e del
giusto dovrebbe vincere ogtii altro alTetto. Ma qui
nulla di tulio ciò: quiudi si sappia una volta per
sempre, che 1' amore del loco natio non consiste
nel sostenere a tutta possa che nel terzo o quar-
to secolo ebbe drillo metropolitico con de' sufFra-
ganei il Pastore siracusano, O che sia vero, o che
non lo sia ciò nulla imporla alla dignità della pa-
i5o
tria. Deh siam sempre gravi al cospetto delle na-
zioni; e se non possiamo esser forti, facciamo che
il mondo ci ammiri almeno per l'unione, e ci sti-
mi per la sapienza , e la santità de' giudizi.
Finalmente altro non ci resta a manifestare se
non che l'annunzialo libretto venne a nome del
Capitolo di Siracusa intitolato dall' autore a Tom-
maso Gargalloj nome caro alla patria , e chiaris-
simo nei fasti dell'italiana letteratura.
F. Malvica.
a. t! Àlcone ossia della cura dei Cani da Cac-
cia.— J^ersi di Geronimo Fracastoro tradotti
da Baldass\re Roai.\no — Palermo dal Gabi-
netto Tipografico all' insegna di Meli i833. Un
pie. voi. in- 12 di pag. q3 col testo inj'ronte.
Quel Geronimo Fracastoro che nel secolo deci-
mosesto, vestì con eleganza distile., con leggiadria
d' immagini , e con profondità di dottrina (*) lo
strano, e curioso argomento della Sifilide^ nuovo
pel tempo in cui egli vivea , venendone ad uno
e più decoroso , e di maggiore diletto , prese a
trattare 1' /bicone, owero della cura dei cani da
caccia.
Fracastoro levò alta rinomanza di medico, di
filosofo, di poeta del tempo suo, e fu grandemente
onorato dai suoi contemporanei. Giacomo Sannaz-
zaro suo emulo stimollo al di sopra di Gioviano
Fontano, di Angelo Poliziano, e del suo medesimo
poema de partu virginis; Giulio Cesare Scaligero
ia si alto conto lo tenne , che ne onorò la me-
(•) Tiraboschi.
i5t
moria con alquanti versi, che chiamò Jrae Fra-
castori; Pietro Bembo suo amico, e al quale egli
indiresse la Sifìlide , lo distinse in varie guise, e
seco tenue cpistolar corrispondenza ; Bartolomeo
Alviano lo destinò ad una cattedra in Pordenone
nel Friuli; Andrea Navagero , Adamo Fumani,
Nicolò dell' Arco e i fratelli Turriani eran seco lui
legati coi nodi di tenera amicizia; Papa Paolo HI.
onorollo , e come poeta , e come suo archiatra^
ed il chiesastico concilio adunalo in Trento depu-
tollo medico per le malattie ivi sorte; e fu per
suo avviso, e di Baldovino Balduini altro rinoma-
to medico di quell' età, che, da Trento quell'adu-
nanza, trasferissi a Bologna.
Tutti i critici, per quanto sottili sieno, concor-
dano neir esaltar Fracasloro , come uno dei più
pregiati poeti dell' olà sua, Giuseppe Scaligero,
Gerardo Giovanni Vossio, Renato Rapin, Giaco-
mo Augusto di Thou, Ludovico Castel vetro, An-
tonio LuU, Federico Ottone Menckenio, Olao Bor-
* ricchio, Adriano Baillet, Antonio Teissier, Fran-
cesco Algarotli , Scipione MafTei , Gian Vincenzo
Gravina, Vincenzo Monti, non negano, al cantor di
Verona quella giusta loda eh' ei merita, e se qual-
cuno di essi troppo severamente lo giudica, non la-
scia appresso di convenire, che i peccati del Fra-
^ castoro son lievi e di poco momento anziché nò, a
paragone degli alti pregi, che lo distinguono.
Però questi scrittori non si trattengono a par-
lare che della Sifilide^ e se togli il Borlicchio, il
Baillet, e qualche altro, che danno ^W Jlcone il
secondo rango tra le opere del Fracastoro, nissu-
no dei sopranomati parla a lungo di questo, e spes-
so anche interamente il trascurano; e noi facciamo
i:>2
le maraviglie nel vedere i due Ilallani, clie dif-
fusamente scrissero della letteratura, omettere an-
ch' eglino questo leggiadro poemetto; imperocché
Girolamo Tiraboschi del Fracastoro favellando loda
i libri tre della Sifilide^ annunzia il Giuseppe,
tlialogo della poetica, titolato col nome dell' amico
dell' A: Andrea Kavagero, alcune rime Italiane, e
tace dell' /dlcone^ terminando con dire, che eli lui
si hanno altre poesie tutte eleganti^ e graziose;
e Giovanni Andres accenna, e loda pur la Sifili-
de, ripete quel dettalo dell'Algarotti sul Fracastoro,
che forse questi è il solo ira moderni, che in un
opera di qualche lunghezza ha saputo trovare
r imboccatura della tromba latina-, e della cura
dei cani da caccia non fa menzione veruna.
U yi Icone, o perchè da qualcuno sconosciuto, o
perchè neglettamente curalo, non fu unito al rima-
nente delle opere del Fi'acastoro, che nelle edizio-
ni posteriori al secolo decimosesto; pria di quell'e-
poca trovasi soltanto impresso ne' Carmina iUu-
striuni. poetnrum italoruni di Matteo ioscano (Pa-
rigi iS'jGin iC), indi nella raccolta degli autori,
che trattano della caccia, pubblicata anche in Pa-
rigi nel i6i2 da Niccola Higault, sotto il titolo di
Mt'i accipitrariae scriplores nane primum editi;
accessit liùer de cura canum; dopo venne unito
agli altri carmi del Fracastoro: Riccardo Conleray
Lallcmant nel riunire, che fece anch'esso, ^lel 1^63
tulli gli. autori, che della caccia ragionano, col
nome di Bibliotheque des thereuticographes non
obbliò Y Jlcone, ma anzi altamente lodandolo, ne
diede un circostanziato ragguaglio, ed egli e forse
il solo , che r abbia passato ad una stretta disa-
mina.
ContoUaiila versi comprende l'intiero poemello,
la j)iù pcMle dei quali soii degni del secolo di Au-
slo. Sullo prime il potla li presenta Alcone vec-
chio cacciatore, ciie nei boschi di Corvino paria a
suo figlio Acasfo, e gli dà la sua faretra, dicendo-
gli di avere gran cura dei cani, gli accomanda di
non prenderli di tral/gnaio sente^ e di badare alle
fattezze diverse; gli dice quali debbono essere i cani
per caccrggiare rabide belve ^ quali quelli pei pic-
col lepri ^ pei timidi cervi, \)eì Jìigaci cavriuoli^
ed addila i cani persi, ed i sasso-gelojii ^)cv (^spìo-
rar le fiere nei loro nascondigli, e ne' covili: lér-
masi aj)presso a dar le norme per iseeglier le ma-
dri da servir per la razza, il tempo, in cui, ed
il come può questa riuscir gagliarda, indi la scelta,
che si dee fare dei nati cagnolini, il modo di av-
vezzai li nella tenera età alla caccia, e c|uando j)oi
son cresciuti. Passa poscia a dir della cura, che dcb-
besi usare ])ei cani infermi, e per la febbre, pel
troppo calore, per le mignatte, che cjualche cane
abbia tranguggiulo, pel morbo detto chiodo, pelle
cispe, jHgli acuti dolori di cosce, per le rotte vene,
pei mali d' uretra, per le cadute unghia , per le
morditure dei malilici assilli e delle mosche, per
quelle dei cani stessi, degli angui velcziosi , degli
animali feroci, per la scabbia, e per la rabbia salu-
tevoli firmachi ajipara. Ciò basterebbe jier mo-
strare, che non è questo un libro, che comprende
illusorie immagini, o vani dettali, ma bensì scien-
tifici precelli di veterinaria, utili ammaestramenti
a coloro che son vaghi- della caccia, e che amano
tenere, e cmar cani a quelf uso addetti.
Ciò non pertanto questo poemetto del Fracasloro
non ha avuto, sino ai dì nostri, quel generale e
i54
comune plauso di' esso merita ; e se la Sifilide
ebbe Macquer e Lacombe, Antonio Tirabosco, Pie-
tro Belli, Sebastiano degli Antoni, e Vincenzo Be-
llini, che si diedero a voltarla i primi due in fran-
cese, gli altri in Italiano; VJlcone non illustrato,
che dal solo Lalleniant è rimasto ognora nel pa-
terno abbigliamento, senza che veruno di coloro,
che nella penisola amene lettere coltivano, siasi
dato a rivestirlo di altro.
Baldassare Romano uno dei più nobili ingegni,
che serbi presentemente la Sicilia, e che sii ferme
basi Ila stabilito la sua rinomauza, coli' aver ar-
ricchito l' italiano Parnaso di una leggiadrissima
versione della poetica di Geronimo Vida, che pre-
stò il destro al vaioloso Ferdinaiulo Malvica di
dettare la grave sua Epistola sull'arte di tradurre,
e della quale si ragionò in queste nostre Effeme-
ridi (*), la ora di ragion pubblica ì'Jlcone in bel-
lissima maniera da lui ridulto nelle italiche forme;
e se pel Vida ebbe, siccome è fama, Niccolò Mu-
toni, che il precesse, pel Fracastoro, se mal non
ci avvisiamo, non ha alcuno.
Noi oltre della novità, in questo lavoro del Ro-
mano , di tutto r animo lodiamo la leggiadria e
l'agevolezza con le quali ha egli saputo imbeversi
dei sentimenti del Fracastoro, ed immedesimarsi
nello spirito , e nei concetti dell'originale; la lin-
dura e la purità della favella, e il facilissimo suo
modo di verseggiare ; e riputiamo questa poe;sia ,
da lui volta maestrevolmente, sebbene picciola di
mole, pregevolissima per la fedeltà, ed il sano giu-
dicio adoperatovi dal traduttore.
C) T. li. p. j5.
i55
Caldi tluiique da carila amichevole verso il Ro-
mano, e bramosi d'ogni sorte di gloria, e perciò
anche di quella letteraria, della nostra patria, noi lo
invitiamo a proseguire incessantemente nel genere
di studi da lui eletto , e nel quale ha così bene
eccelso; si dia egli a voltare altre opere di gran-
di, die Ibrse dalla comune degli uomini ignoransi,
perchè negletti nel materno linguaggio, e calcando
quella via, per la quale son celebrati d'ogni dove
i Caro, i Marchetti, i Benlivoglio, i Monti, i Bor-
ghi, i Gargallo, consolidi sempre più la sua fama,
e mostri all' estranee nazioni, che con felice suc-
cesso fra noi coltivansi tutte le gravi discipline, non
che queir arte, la quale , giusta il dire del Mal-
vica , è una delle più utili agli uomini , cìiè
per essa le opere straniere divengon patrie^ i lu-
mi con più rapidità si propagano , e V umana
fannglia a più stretti legami si congiunge.
P.° Lanza P.^ di SCORDIA.
3. Vita di JSapoleonm II. ° traduzione del
francese.
S'egli è pur certo , che gli infortuni degli uo*
mini chiariscono sempre più la retta via del ve-
ro , apertamente appalesano nulla essere quaggiù
di stabile, ma tutto caduco, tutto illusorio; gl'iii-
forLuuì delie rinomate lamiglie i medesimi eiTeUi
i5tì
jiiodiicoiin, con forza di ginn lunga maggiore , e
non che a' tonlcmjioranci , a' posteli loinano di
grave momento.
E piova luminosissima di quanto diciamo si e
1 esempio della famiglia di Colui , che per circa
quallro lustri resse a suo bell'agio i destini d'Eu-
lopa, e a sno talento dispose delle coroiiu e de' re-
gni. Egli, iuehiualo da po[)oli immensi, temuto per
l'orbe intero, ed il cui nome non dispare infra
quelli di Alessandro, di Annibale, di Cesare, di
Carlo Wagno non ebbe per tomba, che un arido
ed abbietto scoglio dell'Oceano. Il figliuolo, nato
con ogni si'ieianza di governare un dì l'imperio
vaslissi n:io del genitore, vide in freschissinia età,
a guisa d'inlenapésliva borea, cangiarsi sua sorte
e cresciuto in Vienna, ivi, non indossando, che
un semplice uniforme di colonnello nell'alemaima
milizia, finir la sua vita nella primavera degli anni.
1 fralelli, le sorelle, e gli altri Napoleonidi, ramin-
ghi di qua, e di là, a noi si presentano or go-
denti privatamente di loro dovizie, or militanti
sotto estranee bandiere, or colpiti ancor eglino da
dure contrarietà. Ve" in -quanti svariati modi la for-
tuna jìrindciidosi gioco di loro or gli alletta, or
gli esalta./'or gli distrugge!
A rendere conta alla comune degli uomini della
cupa e travagliata esistenza di Napoleone Fran-
cesco Carlo Giuseppe, nella culla re di Roma, in-
di per mera onorillcenza Buca di Reichisladt, vi-
de luce questa scrittura in Parigi poco dopo, eh' ei
cessò di vivere, e verso quel torno islesso, in cui
compilavano un altra in Vienna sul medesimo ar-
gomento il sig. di Monibel ministro di Carlo X nel
1^7
l83o, pegli ultimi politici cambiamenti da Fran-
cia ivi rifuggitosi, ed addetto un tempo alla pri-
vata segreteria dell'Imperatrice Maria Luigia: qua-
le lavoro, assai più ricco di notizie, e di documenti
di quello, che imprendiamo ad esaminare, fu ac-
colto di buon viso , ed in men di sei mesi due
numerose edizioni ne furono esaurite nella capita-
le delia Francia.
La prima delle due citate scritture, la quale tra-
slatata in volgare or 1|||||^ comparisce, avvegna-
ché conservi l'anonimo anche nel suo originale,
scorgcsi nuUamanco, nel corso della lezione, essere
stato l'A. assai famigliare, e devoto all'imperiai
casa di Francia: prende essa cominciameuto dal
divorzio di Napoleone con Giuseppina, e dalle noz-
ze di quello con la figlia dello Imperatore d'Austria
Maria Luigia, indi accenna la di costei gravidan-
za, la nascila del re di Roma, sulf infanzia, sul-
l'adolescenza e sull'educazione del quale entra l'A.
in alcuni minuti dellagli , non che sulla tenera
amorevolezza del padre verso il figlio, e sugli av-
venimenti del i8i3 , e i4 ; epoca , in cui quel
fanciullo, non toccato ancora il primo lustro, ven-
ne obbligalo a cangiar tenore di vivere. Gittando
in seguito un rapido colpo d'occhib sulla vita, che
menò in Vienna il giovane Principe si arresta al-
quanto sul viaggio intrapreso in quella città dal
sig. Barlhelemy nel 1829, affin di presentare al
figlio dell' ex-Imperatore il suo poema Napoleone
in Egitto; e per ultimo ci ragiona del morbo che
crudelmente l'afflisse, e che con tragico fine, ed
immaturamente il condusse al sepolcro.
Poco o nulla offre di nuovo, a nostro credere,
il contenuto del libretto, di cui ragioniamo, dap-
1 1
i5S ^
poiché le notizie, che leggonsl infino al VI para-
grafo, sono la buona parte altinfe , o por infero
cavate dal Memoriale di s. Elena del Las Ca-
ses^ dalle memorie per servire all'istoria di Fran-
cia sotto Napoleone pubblicate dai Generali Mon-
tliolon e Gourgaud, dalle relazioni dei dottori 0'
Meara, e Antomniarchi, dai manuscritti falli di
pubblica ragione dal Barone Fain, dalla storia di
Napoleone di Gallois, e da altre opere, ed opu-
scoli del tempo. Per ciò che risguarda il paragra-
fo Ali", che contiene l'or mentovalo viaggio del
Barlhclomy, unilamenle a cpelle altre particolari-
tà, e alle coHocuzio-ni avute da questo francese coi
conti di Czernine e Dielrichslein , è tutto trailo
testualmente, in un alle parole colle quali il pa'
ragrafo termina, dalla quinta annotazione al poe-
mello il Figlio dell'uomo o Ricordi di f^ienna de-
gli autori del- ^ran poema Napoleone in Egitto
I3arlhelemy, e IMory. 11 quale pocmelto, che nul-
la è olire il racconto di quel viaggio, e di quil-
cho imi>rcssione ricevuta lungh'esso dal Barlhele-
my, levò allissimo grido in Parigi nel 1829, ma
attirò sull'autore un processo, che «lo sottopose ad
un giudizio, e ad una sentenza , dalla quale non
potè srampare , malgrado di una bizzarra difesa
da lui medesimo pronunciata in robuslissimi ales-
sandrini, ne' quali la poetica iramaginaliva viene
' mirabilmente sjiosala col filosofico ragionamento.
L' VIIP ed ultimo paragrafo poi non è che un
rislrcllo di quel eh' è sialo impresso sui fogli di
Francia, e d'Austria dietro la morie dell' infelice
Duca; e delle due lellerc ivi trascritte, la secon-
da (ponendo mente ai sensi iii [cui essa è conce-
pila) ci sembra sortita dalla penna del generale
Marnionl duca di Ragusa, clie dopo gli avvenimen-
ti di luglio i83o , riliiossi a Vienna. In som-
ma l'A. raccogliendo cotesle notizie in un sol vo-
lumello, non vi ha aggiunto del suo, clie'^alcune
riflessioni, le quali inosliano l'interesse, cli'ei pren-
de alle sciagure del figliuolo, ed alla gloria del Ge-
nitore: ma noi avremmo desiderato, ch'egli si fusse
talora vie maggiormente diflliso in alcuno minute
particolarità, e talora ne avesse meno ncgligctitalo,
onde torre via le contraddizioni, che insorgono lutto
dì tenendo di lai cose discorso; ed avesse manife-
stato il suo avviso intorno la quistione, se mai
il piccolo TSapolcone sia stato battezzato con l'ac-
qua del Giordano, sicconie pretendono taluni, o
pur nò: poteva eziandio rammentare, ohe, qualche
tempo piia che questi si morisse, un artista fian-
cese essendo ito a visitarlo, dopo oltenulo il per-
messo del Governatore , lo pregò di scrivere cer-
tune parole sul suo album^ ed egli, queste vi scrisse:
yoi ritornerete a Parigi^ dite alla Colonna^' ch'io
muoio di pena per non poterla abbracciare; potea
Len anco arrogere alcun che sugli studi, nei qua-
li il Duca esercitavasi, e su' progressi, che sicco-
me è fama, egli con immensa rapidità facea nelle
matematiche; pjcr ultimo, in vece di toccar sì bre-
vemente l'infausto suo fine avrebbe potuto qui no-
tare quelle tenere e commoventi parole uscite dal-
le sue appassite labbra sul letto della morte: //
sogno della mia s>ita si compie.... essoè durato
assai poco tempo. ... io non ebbi nemici il mio
nome \>ivrà nella memoria.
Finalmente conchiudiamo col dire , che se pur
non andiam fallili, la traduzione a noi pare sover-
chiamente letterale , e segue quello stile aflallo
i6o
francese, saltellante e disnodato, il quale si al-
lontana le mille miglia da quello veramente ita-
liano.- Nò vogliam pretermettere, che degni di qual-
che commendazione noi stimiamo gli editori, per-
chè primi, infra gli Italiani, a concepire il gra-
zioso divisamento di divulgar per le stampe la
versione di una scrittura, che, pel tempo in cui
Tede luce, desta non poco interesse.
P.L.P.diS.
4. Sulla utilità di uno stabilimento di bagni pub-
blici in Palermo — Pensieri del cav. Caribo
Merlo — Palermo presso Pietro Nocera i833
-^ Breve scrittura in- 8. di pag. 7.
Laudevole divisamento si fu quello del cav. Car-
o Merlo di pubblicare per le stampe questi suoi
Pensieri sopra un'oggetto di tanta salutare utilità,
e di civiltà pubblica. Disonorante oltremodo è per
noi il vederci privi almen d' uno stabilimento di
simil sorta , de' quali son piene non che le altre
parti del continente, ma tutte le città della nostra
vicina penisola. Palermo città capitale, florida, po-
polosa, incivilita è costretta a ceder la palma in ciò
a Pistoia provinciale cittaduzza italiana. Quindi noi,
nel lodare il Merlo, congiungiamo ai suoi i nostri
voti, e ci auguriamo che essi ben presto divenga-
no realtà.
P.L.P.diS.
i6i
5. Elogio funebre del D . D . Michele Scio com-
posto dal suo amico G. Marco Colvino — Tra-
pani Tipografia di P. Colajanni i833.
Niuno meglio del Calvino avrebbe potuto com*
piangere la perdila di Michele Scio, perchè nul-
l'aitro affetto può meglio aninaare la penna di uno
scrittore più di quello di una vera e leale amicizia.
Quindi è che se in questo elogio non trovi quella
purità di lingua e coltura di stile che in una ela-
borata scrittura si richiede, perchè dettato a tutta
fretta , e nello spazio forse di poche ore , molto
affetto e tenerezza vi scorgi per entro , ed uua
semplicità non volgare.
Fu Michele Scio uomo di molte virtù sociali e
assai benemerito della sua patria, coltivò cou ar-
dore le fisiche e mediche scienze, e sì l'une che
l'altre professò con onore. Quindi il Calvino lo va
mostrando ora quale ottimo istitutore della gioven-
tù, ora qual dotto ed accorto medico, e finalmen-
te qual giusto ed onesto cittadino : qualità che
sole rendono amabile ed onorando il sapere. Que-
sto elogio, che fu recitato e messo fuori negli ul-
timi giorni della vita dell'Autore e una prova di
quella carità eh' egli sentiva grandissima del lo-
co natio ; imperciocché ove di esso si fa a ragio-
nare mostrasi così caldo di affetto che nulla più.
E pure né questa generosa passione , che mostrò
sempre ia ogni parte de' suoi scritti, ne i suoi
talenti, ne gli altri pregi, di che ebbe per avven-
tura l'animo fregialo, gli ottennero dalla patria una
lacrima di quel dolore ch'ella avrebbe dovuto sen-
tire per la di lui perdita : vero esempio della in-
giustizia degli uomini.
lG2
6. Relazione accademica per l'anno IX dell'acca'
demia Gioenia di scienze naiundi: letta nella
sezione dei 9 Maggio iS33 dal segretario ge-
nerale Giuseppe elessi eie. — Catania da
Giuseppe Pappalardo i833.
Veder dcscriltc in poche pagine le onorate fa-
tiche, che in un solo anno sono siate fatte tlagfil-
luslri soci di un'accademia, che ad onore di que-
sta nostra isola è in breve tempo in si alta fama
salila , ella e certamente non che ulile "ma dilet-
tevole cosa. Aggiungi a ciò la maniera chiara e
precisa con cui ha sapulo l'egregio scrittore que-
ste cose descrivere e riunire, che rende vie più pre-
gevole il libretto di sopra annunciato. Onde noi
lodando lo zelo del signore Alessi, che qual segre-
tario di quella dotta radunanza ha voluto descrive-
re le fatiche di tanti valentuomini, che mollo han-
no concorso ai progressi delle naturali scienze in
Sicilia, raccomandiamo a lutti la lettura di questo
libro, che riuscir deve assai ulile e diietlevolc.
J. D. G. M.
7. yìlcuni sciolti di Ni ccoL A Cirino — Palermo
i833 dal Gabinetto tipografico all'insegna di
Meli,
Parlando delle poesie di questo leggiadro inge-
gno abbiamo accennalo alcuni nostri pensieri, dai
quali pare non si sia or discostalo l'editore di que-
sta raccolta. Perocché opinammo che l'estro del sig.
Cirino viene più che mai infiammato dalle patrie
cose, e che il verso sciolto è il metro che a pre-
i63
ferenza maestrevolmente mancagli . E di sciolti
compoaesi questo libretto, e di siciliane ed italia-
ne memorie in maggior parte si aflonia. Tre sono
i carmi, e sette l'epistole. Due delie quali, che ci
son parute assai belle, sono state da noi inserite
in questo giornale , quella in onore del principe
Giuseppe di Belmonte, e l'altra su le sventure del
Tasso. Per quanto si e pianto su questo grande
infelice non si è mai pianto abbastanza, e se l'in-
glese Bjron Ila sciolto su la tomba del cantor di
Goffredo un soavissimi) lamento, con quanto più
di ragione noi versa un italiano! Quanto sentimento
di pietà jicr la dej)ressa virtude non si comprende
in quei versi del sig. Cirino ! quanto sdegno per
l'ingiustizia di cui quel sommo fu segno! Ma già
l'Italia corregge l'alto suo errore, e commelle allo
scarpello del Fabbri un monumento pel Tasso, che
valga a ncorJaio all'età future, che ritalia del se-
colo decimonono non è già quella del decimosesto:
e se è del pari infelice, è meno ingiusta per certo.
E di questo generoso pensamento avremmo de-
sideralo un cenno in quei versi, perchè della de-
bita laude non si fosse defraudata la presente ge-
nerazione, mentre giustamente va vituperata l'antica,
e perchè l'ombra divina ne avesse preso conforto.
I fasti della bella , e dotta Catania sono argo-
mento di un'altra epistola. Si noti l'evidenza, l'af-
fello, e la maestà di alcuni versi.
. ..... Qricsla ormai città snhliiiic
Per ardue inoli-, cper augusti tempii,
Scossa eli l'iiuo ruiuosa a terra
Videro gli .l'vi' ; •;
r ...;.. . . . ... l. rari avanzi appena
Disegnavan col dito, e lacrimosi
Cliiiiavaii gli occhi
uno era il pianto
Su le Clic meinorie :d uno il arido
i64
Catana stia. L'immensa opra già ferve
Gioeni •
Ergeva un tempio (e bene è fai l'amica
Slanz» d'un genio) e conlrmplar solea
>\mniiraudo spettacolo. Su l'Etna
Natura prima del saper maestra
Siede custode di riccliczze arcane,
E poclii eletti a' suoi misteri lian parie.
L'alma presenza del vicino Nume
Senti Giociii
. . . . movea dell'Etna nn raggio
Jnnoouo e pmc, e gli lambia la fronte
e si pnrtia
Dal liono svcgo la Lcnigiia luce
A ravvivar l'arti gincciili e l'aspre
Cure raolcea di Federico il earme
Che primu vanti l'Itala favella-
Mula non spenta e la virtù degli avi
Ne l'ardoi langne: lio se destili più lieto
l'alria di Grandi a le sorrida! allora
Sarai Sicilia
Le alile quattro epistole non s'innalzano da quel
tuono familiaie che a questo genere di coraponi-
nienlo propriamente conviene , esse sono un com-
mercio di morali, letterali, e gentili pensieri in-
genuamente espressi a cari amici, a virtuose signo-
re. Nell'ultima a Luisa d'A >i sig.
Cirino ragiona dei suoi studi tragici ed accenna
due sue tragedie Stilicene, e Giovanni da Procida.
Precida .... ancor Sicilia accenna
E l'impresa cui pari il sol non vide
Nel lungo corso dell'età lontane.
I cultori delle gentili lettere che conoscono il sig.
Cirino qual felice alunno di Calliope braman cono-
scere se di uguale sorriso 1' abbia degnato Melpo-
mene, specialmente nel Vespro: solenne argomento,
in che si è felicemente provato a' dì nostri il su-
blime ingegno del Niccolini.
II chiarissimo Professore Mezzanotte coi subii-
... i65
mi e soavissimi versi su la Grecia rigenerala parea
che avesse mietuto del tulio questo campo di splen-
didissima poesia, ed imposto silenzio alle lire di
Ogni suono. Pure il breve e nobile carme dei sig.
Cirino al giovane Principe, da cui il paese di Te-
mislocle, e di Platone aspetta il compimento della
sua felice rigenerazione, a molla, e bella lode, preten-
der può ancor esso. Abbastanza conosciuti sono gli
altri due carmi, quello in lode del Testa, e l'altro per
le nozze della real principessa Maria Amalia con l'In-
fante di Spagna. Commenderemo in fine l'editore di
questi versi eh' è un degno fratello del poeta; pel gu-
sto col quale dalle poesie dell'autore ha sceverato ed
in un riunito le più gravi e meglio confacenti alla
filosofia defjli studi attuali, e pell'ammirevole zelo,
onde SI studia di promuovere la fama del valen-
te germano. Degna di nota è la dedica posta in fron-
te a questi versi, e lutto mostra lo schietto e vir-
tuoso anmio di colui che lungi dall'incensare come
dalla comune si suole, l'orgoglio, offre un pegno
di gralitudine ad un altro generoso congiunto.
Essa è compresa nella seguente epigrafe dettata
dal nostro illustre amico il sig. Ferdinando Malvi-
ca , il cui nome sarà sempre ricordato con onore
Ira 1 promotori dell'italiana epigrafia. ;
■^ l/er pelilo onore
del Canonico Giovanni Cirino
di S. Maria del soccorso Abaie:
ollimo cultore
delle cii>ili ed ecrlexiastiche dottrine,
dti Jigli del fratello
sin dalla infanzia
alle sue cure affidati
padre maestro umico:
Giovanni Cirino nipote
questi fiori poetici
frutto degli studi del proprio germano
al suo generoso benefattore
affettuosamente consacra.
i66
S'.' Elogio dì Friderico di Napoli principe ai Re-
' 'Slittano' recitalo da Francesco M. Testa nel-
., V accademia degli Ereini Vanno iy35 e per
"' la prima volta pubblicato da Benedetto SAVEnio
Terzo — Palermo stamperia Pedone e Mura-
' , tori i832. Un volumetto in-8.° di pag. 33.
Questo princij)c di Resultano fu un colto e ge-
neroso signore , sostenne varie rilevanti cariche,
prolesse le lettere , e i letterati ; fondò un' accade-
mia , quella degli Ereini , eresse nei dilorni di
Palermo una Pieve, e splendidamente dololla, me-
ritava a buon diritto che un Testa ne avesse seritr
to l'elogio. È questo dettalo con islile colld e scor-
revole, ed è pieno di anima e d'afTclhi. I cultóri
dei buoni studi e gli ammiratori del Tjesla, ,^anbraccio destro dal Dr. P. Portjl.
Filippo lo Magno di Vittoria d'anni 23, di me-
stiere contadino, di teinocramento sansuisno entrò
nello stabilimento de' Pazzi di Palermo il 9 set-
tembre i832, afflitto da manìa. Non si omise in
questa real casa di sottoporlo a tutti i mezzi te-
rapeutici, e morali che vi si adoprano per la cura
di quelli itifelici; ma tutto ciò senza sperimentar-
sene alcun buon successo.
Nel mese di novembre di detto anno , per ac-
cidente , riporlo all' avanbraccio destro una ferita
contusa, che gli produsse dolori acutissimi, ed in-
fiammazione , la quale benché trattata con tutti
quei rimedi antiflogistici locali ed universali che
l'arte prescriveva non si potè impedire che dasse
luogo al processo supporativo.
Formatosi un vasto accesso all' avanLiacclo chi;
si estendeva dal corpo fino al gomilo, si fece una
larga incisione the produsse l'uscila di molla sauia
corrotta di color bigio , con molli grumi di un
sanguinerò. — Medicata la piaga con semplici (ilaccie
asciutte nel primo giorno , ed indi con uiigueulo
stirace, non si omise frattanto di sommiiiislrargU
internamente delle limonale vegetabili cremonale.
La piaga sensibilmente migliorava con buona
granulazione, e si usò tutta la diligenza di tenerla
aperta circa 2Q giorni, e si osservò, che siccome
la piaga si avvicinava alla guarigione, così la men-
tale alienazione andava cedendo , e guarita com-
pletamente la piaga, l'infermo guarì perfellamenle
dalla manìa; e nel mese di diceuìbre ultimo è siala
bncenziato dallo stabilimento.
La precedente osservazione, e molle altre da me
raccolte in della real casa , verranno pubblicale
nel giornale, che andrà a stamparsi, ove ancora
saranno riportate tante altre guarigioni di pazzi
ottenutesi, mercè le filantropiche cure dell'oruatis-
simo signor Barone Pisani, onorevole Amministra-
tore e Direttore, non che dalle cure e sollecitudini
di ^uei bra\i medici ivi destinati,
2, La reale Accademia delle scienze mediche di Pa-
lermo nella tornala del 19 luglio a proposta del
professore Placido Portal ha eletto per suol
§oci corrispondenti i signori,
Luigi Parisi di f^eroìia prof, di chirurgia.
Cciv. D. Nicolò Morigi di Parma arcliiatro di
^. A, R. I. r arciduchessa Maria Luigia.
no
Ccw. Benedetto Mojon di Genova professore di
fisiologia.
w D. Franco Rossi di Torino archiatrodiS.
M. Sarda,
Ludovico Sauvan di Varsavia .
Consigliere Giuseppe Franck di Vienna,
Barone Larrej di Parigi.
Barone Bojer idem,
Cav. Eduardo Graefe di Berlino archiatro di
S. M. Prussiana.
Soumervil di Londra.
Barone Jstlej Cooper idem.
Samuel Cooper idem.
Beniamino Traweris idem.
Lisf ranch di Parigi.
Becamcer idem.
Barone Dupuytren idem,
Velpeau idem.
Barone Dubois idem,
Adelon idem.
Prospero Meniere idem aggregato della facoltà^
di medicina di Parigi.
Cav. Jnselmo Richerand di Parigi.
DeJieux di Parigi.^ chirurgo ostretricante di S.J.
R. la Duchessa di Berrj.
Giovanni Rasori di Milano.
Giacomo Tommasini di Parma.
Mauro Rosconi di Pavia.
Giovanni Battista Paletta Milano,
Dottor Barzellotti di Pisa.
Dottor Dematteis di Roma.
Luigi Chiavarini di Napoli.
Cav. Vincenzo Stellati idem.
w Gennaro Galbiati idem.
i8o XZJ
Cav. Teodoro Monticelli idem.
Voti. Nicolò di Simone idem.
X» Giovanni Castellacci idem.
Le patenti accademiche direlle ai sunnominati
professori trovansi dal sig. Portai.
Il est des grands Hommes qui ne le sont
que par Ics vertiis.
Thomas Eloge de M. d' Ai^uesieauA
E antica usanza tramandare alla posterità le
azioni^ ed il carattere dei distìnti personaggi ; e
lo stesso secol nostro^ a malgrado dell indilf'eren-
%a che mostra pelle cose sne^ rende piirnondimeno
quest'omaggio alla virtù , quante volte un mag-
gior lustro la fa trionfare sull'invidia , e /' igno-
ranza , viz] comuni non che a grandi a piccoli
stati (\). Son queste parole di Tacilo; uè |)iù alle
poteva io rinvenire, ofide dar l'inizio a questi po-
chi cenni in morte di Francesco Perama lolio ai
viventi, da fatai morbo polmonare, dopo lunga e
penosa angoscia, il giorno primo di Agosto i833
sessantesimo sesto dell' età sua.
Egregiamente avvisavasi Marco Tullio allorché
scrivea , che quando questo teivnine (la morte)
arriva , allora tutto il tempo già scorso è un
(i) Clarorum vworum facta moresque posleris Imdere a/iliqui-
tltt ustlaluni^ ne iinstiis quiJetn temporibus, quamquam incuriosa
suorum, aclas omisil, quoties magna aliqua ac nobiiis l'irtus l'i-
di ac supergressa est viliurn parvis riiagiiisque cit'ilatibut coin-
mune, it^noianliatn redi el i/widiam. Tacito in ViU Agiicolae I.
i8i
nulla ^ e ti rimane soltanto ciò che avrai con la
virtù e con le buone azioni conseguito (^i) : stu-
penda sentenza egli è questa degna di quell'anima
sublireie. Ed il celebre elogista francese Thomas
bene e saviamente dicea , che ogni uoìno avente
grandi talenti o grandi virtù ha dritto ai nostri
omaggi. . . e die il motivo di questa specie di cul-
to si è la gloria^ che i grandi personaggi span-
dono sulla umanità., che onorano, ed il bisogno
che ahbiam noi di qaeòti esseri superiori per sup-
plire alla nostra fra le'^ za {2).
E ptr viltà e per talenti merita il Pcranni d'es-
sere ramcnentalo nelle nostre pagine, e l'uom vir-
tuoso , e r uom dotto noi ammireremo in questi
rajndi cenni necrologici.
Nacque Francesco Peranni in Palermo da civi-
li genitori addì cinque luglio dell'anno 1787; e
imberbe ancora addimostrò vaghezza per gli studi,
e con ispecie per lo scienze-, divenuto adulto ar-
rollnssi nella milizia, e propriamente qual /7rt(ieiio
nella dotazione di Lipari, i suoi talenti però e le
prolossate scienze matematiche chiamavanlo ai cor-
pi facoltativi, si fu perciò eh' ei passò quale alun-
no neir artiglieria, nel qual corpo fece i progres-
sivi ascensi, distiugi^endosi ognora in tutte le esa-
mine alle quali era sottoposto. Fedele al suo re,
e alla sua patria, ambo servì con amorevolezza,
allorquando il regno di Napoli era in braccio di
estranea potenza, e la corte reale avea qui rinve-
nuto sicuro asilo.
Ma dal funesto dissidio del 1820 ebber pria-
(i) Curn cnìin id advenit lune illud quod preUriil ejluxìt: tan-
tum remanel, quod virlule et recle factis consecutus sis. Cicero-
ne De Scneclutc.
(a) Elo§e de Maurice Comic de Saxe.
j8a
cipio le sciagure 3el Peraniii, ed in esso le sue vir-
tù altamente rilucqucro. Era egli allora tenente co-
ionnello direttore dell' arsenale di Palermo, la in-
furiala plebaglia ebbelo a disragione cjual uom
sospetto, e ciò bastò, perche crude sevizie gli usas-
sero, e qualche somma di danaro proprio e del suo
uflizio gli acca (lasserò: rimessa momentaneamente
la calma in Palermo, ei fu forzalo a prender ser-
vizio nell'armata nazionale, e ciò egli di mala vo-
gha flicea, non già perchè la patria non amav^,
poiché caldamente e quale onesto cittadino amar
la debbe l'amava, ma perchè, da quell'uomo pro-
bo e leale ch'egli era, slimò quella terribile avven-
tura in nulla durevole, perchè mal ferma per gl'il-
lusori traviamenti. Nel 1S31 venne riconosciuta la
illibatezza della sua condotta; imperocché imputa-
to di vari falli, ei di tutti discarioossi, ed il suo
norae, senza essere maculato per nulla, uscì illeso
dallo sciulinio , purnondimeno , quando tuli' altro
aspella vasi, fu messo alla quarta classe, e stette
cosi negletto ed obbliato, per lo spazio di sei an-
ni consecutivi , nel qual corso fu in preda a sva-
riate peripezie , Ira lo quali primeggiò quella del
terremoto , che danneggiò Palermo addi 5 marzo
1823 , e di cui la sua famiglia poco mancò noa
fosse rimasta vittima sotto le macerie della sua abi-?
tazione: lugubre ed orrenda catastrofe, ch'egli slessQ
descrisse (i).
P^è la desidia in cui era tenuto, né queste di^
«avventure sconfortavanlo, ma, dotalo T'animo di fi-»
Josofia e di religione, lutto sofferiva con indifferen-
(4) Viaggio in Sicilia di F. Manter ec. voi. IL uola 9. al*
l'art. Mcs6Ìua pag, 160.
i83
za, ed utilo alleggiamenlo rinvenia negli studi, ai
quali ili varie guise si delle.
^eì 1826 parve cangiarsi sua ventura, dapoi-
cliè la voloDtà del Principe cljiaiiiollo in Messina^
con la (jualilà di direttore milifare della sua facol-
tà iu quel diparliinenlo e lilloi'ale; egli vi andò,
e i' anno vegnente fu fallo colonnello , ed ebbe il
couiandamento del reggimento Re artiglieria in Pa-
lermo dal quale fu dimesso nello slesso anno, per
assumere il carattere di diiellore couiandanle l'ar-
tiglieria in Sicilia; ma da lì a poco venne chiamato
iu Napoli, a far parte di una giunta che creossi
per affari organici del suo corpo, ove dimorò per
circa anni due, durante il qual tempo fu dal presente
nostro Sovrano, allora comandante generale dall'eser-
cito, adoperalo in vari onorevoli incarichi, e nel 182C)
yivenne in Palermo col primitivo ufficio di diretto-
re: .nell'anno appresso fu eletto Brigadiere ed ispet-
tore della sua facoltà in questa st'.'ssa isola, e nel
l832 da Ferdinando secondo Ispettore dei corpi
facoltativi; ma domentre la speranza ofTerivagli uu
lieto avvenire, giusto compenso ai suoi lunghi ed
onorali servigi la morte troncò il filo della sua no-
bile esistenza,
Fu Peranni adorno di alacre ingegno, e vago di 0-
gni sorta di studio e di qualunque scienza, anche
delle nalurali, ma con più solerzia esercilavasi in
quella di cui Vauban fu maestro, e che egli profes-
sava; possedea una numerosa libreria di cappati ed
isquisiti libri, in ispecie per la sua scienza; era ec-^
celiente filologo, e valoroso poligloUo, poiché cono-
scea varie lingue, le due dotte, cioè, greca e la-
tina, la inglese, la francese, la tedesca, e di que-.
t'ultima diede saggio nella versioue eh' ei fece del
i84
viaggio ia Sicilia del celebre polcografo Fcdeii-
co Mùnter, slato già Iradollo dal danese nel te-
desco , e dal Peranni fatto italiano , ed arricchi-
to di non poche aggiunte, e di gravi ed erudite
annotazioni. Questa sua versione vide luce in Pa-
lermo nel 1823(1), e da lui rimessa allo slesso
Mùnter , questi per lettera ringrazioilo ed elo-
giollo; ed il sommo Arcivescovo di Taranto men-
tovandola in una dotta sua opera non lascia di
encomiarne altamente il tradullore(3): nel i832,
fu fatta una seconda edizione di tale viaggio in
Milano per Sonzogno, e questa, che fu più spar-
sa in Italia della prima , procurò all' egregio vol-
garizzatore i meritati lodamenti dell'Antologia (3),
(1) Viaggio in Sicilia di Federico Miinler tradotto dal todesco
dal tenente colonnello d' ai tii;|icri.i cav. D. Fruncesco Ptranni
con note, ed aggiunte del medesiiio — Primi versione Italiana ^ —
Volumi due — Palermo 18^3 tipo^r.ifia Abliate.
(a) Monsig. Ginseppc Capecc-Latro antico arcivescovo di Ta-
ranto, a buon titolo detto il Nestore delle nnpolilane lettere, vago
delle glorie avite, e del chiaro nome de' Capcci , ebbe il dest'O
di compilare un libro , ove dettò tutte le vicissitudini e i vari
casi per i quali preclara oltremodo si è resa la slorica sua fami-
glia-, e che citiamo De Anliquiliilc et varia rapycioriim fortuna:
a quest'opera fu egli incitalo da Federico Miinter, come Icg^esi
nella sua Occasio ?ciibpndi pag. V[ , e ili questo prendendo a
parlare così si esprime Fi ìdeficus Muiiter ec . ■ cium NeupoUm
Siciliamqueni peragiafù , quidquid vialoiis studio et atleiilione
dignum ojj'erebalur in singulis urhibus , id oinne diligenlissiine
ìiotavit, uii constai ex opere Vij;;gio in Sicilia anno r^Sfi ad 87,
quod Eques Franciscus Peranni maxiini ingenii et judic.ii vir
ex germanica lingua ilalice reddidit , adjeclis quibusdam notis
ad rectam Siciliae anliquilti'uin cognitìonein sapienter appnsitis
ec, — Questo elogio fatto al Peranni da un uomo, quale si è Mon-
sig. Capcce-Latro tanto l'oiior.i che uopo non sarebbe dir altro; ne
vogliam noi preterite, che il prefato chiarissimo Arc'vescovo ,
neir inviare che fece celesta sua opera al Peranni in Palermo ,
queste parole, in una co|)ia a lui indirilta, con la veneranda sua
mano vi scrisse, P^iro CI. Ej Mi figuro che il gelso Morus sinensis, vel M.
multicaiiUs, o moro delle Filippine , che mandai
al prof. Ottaviano Targioni Tozzetti l'anno 1828,
le avrà prosperato: l'ho moltiplicato indefessamente,
e ne avrò ancora aSoo individui fortissimif oltre
ad una quantità già spedita, e smerciata ia questa
principio d'autunno. Le mie sperienze coronate da
pieno successo mi fecero ottenere il primo premio
all'esposizione di quest'anno in Venezia , e mi lu-
singo che la nostra agricoltura ne ritrarrà un grande
vantaggio. Le osservazioni del celebre sig. Matteo
Bouafous di Torino che l'importò in Piemonte due
anni dopo che lo trasse dalla Francia, avvalorano
di mollo le mie che avevano bisogno dell'appoggio
di questo valente agrouomo. »
La prerogativa che lia questa specie di gelso,
di poter essere propagata per barbatelle , come
vedranno i nostri Ictlori dall' opuscolo del sig.
Bonafous, la rende adallatissima alla cultura a pra-
to. Rimarrebbe ad osservare la sua influenza sui
bachi. Una piccolissima esperienza fatta dal bigat-
tiere del march. Ridolfi e che io esposi (Giorn.
^gr. voi. If^. p. 4^3) uoa parlerebbe molto be-
ne in favóre di questa foglia. Ma una prova sola,
e fatta così in piccolo, può essere fallacissima. Il
sig. Bonafous asserisce che la seta che se ne ottie-
ne, è (l'ottima qualità, ed io medesimo osservai
nei pochi bozzoli favoritimi dal march. Ridoltì,
che la bava era finissima. Un solo timore mi re-
sta , quello cioè che mi destò subito 1' esito della
esperienza fatta alla bigattiera di Bibbiaiii, e che
non mi tolgono affalto le esperienze del sig. Bo-,
nafous, cioè che i bozzoli di bachi nutriti della
foglia del moro cappuccio sian per essere pifi flo-
sci e di carta più soUile, perciò meno [)OSaiili. 11
tempo ci chiarirà: ma quando anco il uìio dub-
bio fosse confermato, il moro cappuccio coltivato
a prato, sarebbe sempre opportunissimo, per le pri-
me età dei bachi. In ogni modo poi se il moro
cappuccio non si trovasse preferibile alle molte no-
stre varietà del inoro bianco, ciò nulla detiarieb-
be alfutililà, evidenlissima a' miei occhi, dei gel-
seti a prato; basterebbe coltivare in (al modo i mo-
ri nostrali. Ma, lo, ripeto, le lodi date dal Bona-
fous al morus cuculiata sono di tal peso, che de-
stano la più favorevole prevenzione in favore di
questa nuova specie, e devono stimolar fortemen-
te gli agronomi illuminati a sperimentarla. Or ec-
co l'opuscolo del sig. Bonafous.
R. Lambruschini.
Saggio sui gelseti^ e sopra una nuova specie di
gelso , del sig. Bonafous Direttore delV Orto
jégrario di Torino^ socio di varie accademie
ec. Pubblicato d'ordine della Pi. Società d'A-
gricoltura.
Sebbene i miglioramenti introdotti recentemen-
te nel governo dei filugelli, abbiano dato un no-
vello impulso alla coltivazione dei gelsi, questa non
.1
è ancora giunta al "punto al quale si bramerebbe.
Molli sono gli ostacoli che vi si oppongono. Pri-
mieramente, la difficoltà di [)olerla estendere o di-
minuire giusta i varj bisogni dell'industria e delle
sue vicende. Il secondo ostacolo è che lo spazio
di tempo necessario perchè il gelso divenga pro-
duttivo, non permette all'affittaiuolo di far pianta-
gioni , delle quali un temporaneo possesso gli to-
glie la speranza di ricavare il prodotto; ed in ter-
zo luogo, la consuetudine dei coloni e dei piccoli
j)0ssiclenti di rigettare ogni sorla di cultura che
soddisfare non possa ai loro ^mmediali bisogni.
Alio scopo di mettere in accordo gl'interessi di
queste varie classi di collivatori io intrapresi al-
cuni sperimenti , quali tendono ad introdurre in
Europa un metodo di cultura usato da gran tem-
po nell'India e seguilo con buon esito nella Caro-
lina del Sud, ove i bachi da seta divengono ora
l'oggetto di una cura particolare.
In quelle regioni, sul principio della primavera,»
si sparge sul suolo la semenza dei gelsi, e nel cor-
so della seguente stagione le pianticelle che ne pro-
vengono, si falciano o si sfrondano per alimentare
i filugelli, sinché col progresso degli anni le mede-
sime non forniscono piìi che una scarsissima rac-
colta. Allora si svelgono dal terreno: questo si dis-
soda per riprendere il consueto suo avvicendamen-
to, e s'intraprende in altro silo una nuova semi-
natura.
Egli è pur vero che un tal metodo non può
convenire alla nostra campestre economia , senza
una qualche modificazione resa necessaria dalla di-
versità dei climi.
Presso di noi, il seminare per raccogliere lo stes-
194 . *.
so anno, non conviene; ma bensì il seminare un'an-
no per coglier la foglia l'anno appresso; ed inve-
ce di lasciare i gelsi nel posto ove son nati, rie-
sce meglio il traspiaulare poi le pianticelle a con*
Teniente distanza. Tale è il modo che ho tenuto
nel luogo destinato alle mie esperienze; seminati
i gelsi nel corso della siale, le iiiaiilicelle vennero
traspiantate nel mese di marzo in un terreno di
dodici tavole e di mediocre fi^lililà.
Queste pianticelle in nuinpio di mille per cia-
scuna tavola, vennero collocate a trfi jjollici di di-
stanza le une dalle altre in linee (>aial('lle di olio
pollici d'intervallo e nel mese di niagj^io dolli» stes-
so anno, pervenute qu'sle a dodici o (|uiiidici pol-
lici di altezza produssero airincirca ciiiqii;iiil;i lib-
bre di foglia, e così un prodotto di 200 (a) inb-
bi per ciascuna giovtiatu.
Posto dunque che per cento libbre di bn^ioli
si consumino da "70 a yS rubbi di /oplii) invece
di 64 all'incirca che ne assegna il Daudulo . una
giornata fornirebbe foglia baslauto per ricnaine
12 rubbi di bozzoli, il quale prodotto andrebbe
crescendo d'anno in anno, sino a che i gelsi invec-
chiati dovessero estirparsi.
Si metterà forse in dubbio che i bachi nudrili
con foglia di si giovani pianticelle diano bozzoli
di qualità inferiore; ma io ne ho la prova in con-
trario come ha potuto ognuno convincersi, veden-
do quelli che ho ottenuti da filuggelli nodriti con-
Stantemente con foglia di gelsi stali seminati da uno
o due anni al più, e fattane trarre la seta, riuscì
questa consistente e lucida al pari d'ogni altra.
Si è pure obbiettato, che nelle nostre contrade
(a) Il rubbo è libbre 35, e la giornata per conseguenza 100
tavole.
i semi dì gelso sono scarsi e di caro prezzo, ol-
tre di che molti non nascono , per la qual cosa
sembrerebbe un tal metodo poco confacentc alla
nostra agricoltura. Non sajirei, è ben vero, indicare
proporzionalmente la precisa quantità di semenza
da impiegarsi, dipendendo la bnona riuscita dalla
seminatura, dalla qualità del suolo, da quella del
concimi e da altre circostanze ; ma se i semi na-
scessero lutti, basterebbero sei o sette once al più
onde ottenere quante piante vi abbisognano per una
gioriiala di terreno, attenendosi alle accennate di-
stanze.
Questi brevissimi cenni, serviranno di norma ai
coltivatori nella pratica di un metodo che ciascuno
può modificare a seconda delle singolari circostanze
in cui si trova: ma se è loro dato di ottenere si-
mili vantaggi per via del gelso bianco coltivato ia
questa maniera, ne troveranno uno assai maggiore
nel sostituire ad esso la nuova specie di gelso da
me introdotta , cinque anni sono, nel nostro Pie-
monte , la quale più d'ogni altra parmi adatta a
simile coltura.
Recato in Europa dal benemerito sig. Perrottet,
viaggiatore naturalista (i), quest' albero ricevette il
nome di gelso delle Filippine dai luoghi d' onde
ci pervenne, e quello di gelso mullicaule (Morus
multicaulis P.) dalla proprietà che hanno le sue
radici di gettare molti steli. A questo nome io so-
stituisco quello di M. cuculiata^ gelso a foglie ca-
ve, tratto dalla forma di esse; bastando tal carat-
tere, più notabile e più costante, per distinguer-
lo da tutt'altra specie (2).
(1) Annales de V Insiitut hortìcole de Fromoni- Jaiw. i83n,
(a) M. folis cordatisi basi inaequcUibuS} \'ix lobatis, dcnlalis,
196
Questo è alquanto meno elevalo del gelso bian-
co, ha i rami ritti, minuti, le foglie cordiformi,
prolungate in punta, dentate, sottili, alquanto cre-
spe, con fibre assai apparenti. Il frutto, che ma-
turò nell'orto agrario torinese, per la prima volta
dacché venne questa pianta introdotta in Europa,
è composto di un picco! numero di granelli pol-
posi e neri, non tanto fitti conrie nel gelso comu-
ne, tre o quattro dei quali soltanto giungono alla
loro maturità.
Oltre alle proprietà di cui sono dotate le radi-
ci, di produrre, siccome io osservai nelle mie col-
tivazioni, sino ad otto o nove stipili, il nuovo gel-
so si distingue per l'alkuigamento di sei o sette ])ie-
di che acquistano questi stessi stipiti in meno di
un anno, pel celere sviluppo delle foglie, lunghe
non di rado nove pollici e larghe sci, come anche
per la facilità colia qn;ile può esso propagarsi per
mezzo di barbatelle, mentre le altre sj^ecie difficil-
mente si adattano a simil m odo di riproduzione.
(Questa facoltà riproduttiva fu attribuita dal sig.
Perroltet all'esistenza di numerose papille bianchic-
cie che coprono la corteccia di questo gelso, opi-
nione però difficile ad ammcttorsi , se si riflette
che la scorza del moro comune è anch' essa sparsa
di consimile punteggiatura. Ciò che con certeiza
SI può dire, è cht; questo gelso non è più sensi-
bile al freddo delle nostie regioni di quello che
Sia il gelso bianco , sebbene di una tessitura più
porosa , e da pochi anni introdotto. Neil' inverno
memorabile del i83o, in cui il termometro reau-
muriano segnò i5 e piìi gradi di congelazione, le
sommità dei suoi ramoscelli, come nella specie co-
mune, ebbero a soffrire leggermente, ma tutte rin-
Tigorirono iabreve spazio di tempo.
197
Riconosciuti tali vaulaggi, csaiììinai se la foglia
aveva le qualità richieste [)cl buon nuliimento dei
filugelli , educando comjiarativaun'iite due partite
di bachi colle stesse regole ed in circostanze uni-
iòrmi. L' una di esse nudrita con figlie del gelso
bianco innestato, I'hIIio con quelle del gelso delle
Filippine, consumarono entiamhcad un dipresso la
medesima quantità di foglia , e ne ottenni alcune
migliaia di bozzoli, il di cui ti^ssulo ed il peso of-
frirono differenze cosi leggieri da non aj)prezzarsi.
Questa Riccie, come già dissi, produsse ordina-
riamente un lroj)[)o jiiccol numero di senji, perchè
si possa proj)agarc abjjondevolinente per vi;j di se-
minatura; ma la sua facilità di ri})rendcre [ler bar-
batelle , quasi come il pioj)po ed il salice , o por
innesto somministra un mezzo facile e ben comodo
di molliplicarla più [ìronlameiile j)er forr.jare pian-
tagioni a norma di quelle che i Chinesi e gli abi-
tatori della Carolina fanno col gelso bianco, la di
cui co]tiva/i*one non è tuttavia ugualmente [>roficua.
In fatti dalle mie esperienze è comprovalo che
non sono necessaiie che cinque mila barbatelle per
formare un gelseto di una giornata di terreno , e
])iodurre nell'anno seguente ducente rubbi di foglia,
mentre non ci vogliono meno di cento mila gelsi
dell'altra specie, di uno o due anni di seminatura,
per cojirire la medesima superfìcie e fornire la stessa
quantità di foglia. Nella terza annata, una giornata
sola darebbe, a calcolo moderato, quattrocento rubbi
di foglia, ed allor quando il gelseto sarebbe giunto
al suo massimo grado di rendita, esso daiebbe tuia
ricolla di oltoceulo rubbi , sullicienti ad ottenere
da mille a mille duecento libbre di bozzoli.
Il tempo più opportuno di fare le barbatelle si
è nei mesi di marzo e dì ajMile, allorché il sugo
comificia a mcUeisi in meno , ed è passato ogni
timore di gelo . Io ne ftxfi alcune in agosto , che
ripresero; ma non gfTtarpno radici abbastanza ro-
Lusle per reggere a rigoroso inverno.
Si formano barbatelle della lunghezza di cinque
o sei pollici , e [ìiautansi in terreno già stato ben
dissodato e sminuzzato a dovere, a quattro o cin-
que pollici di distanza in ogni verso, non lasciando
fuori di terra che una o due gemme. Tutte le bar-
batelle che ho fatte, aventi una gemnia sola, riu-
scirono felicemente. S'innaffiano discretamente, e si
ombreggiano per mantenerle in uno sialo di fre-
schezza propizio alla loro vegetazione.
Nel corso del susseguente autunno , allorché si
riconosce che snn ben radicate le barbatelle, si ri-
piantano a posto fisso, nel sito che si è loro pre-
parato ad un piede e mezzo circa di distanza, in
linee rette divise da sentieri di due o tre piedi.
Questo trapiantamento si fa in solchi di sei pollici
di larghezza almeno e di otto o dieci di profondità.
La natura però del terreno può far cambiare le
indicate distanze. Ognuno sa che, quando le piante
sono troppo distanti , esse non conservano al loro
piede quel grado di frescura, che tanto è ad esse
favorevole, e che quando son troppo fitte, intristi-
scono.
Giunta la seguente primavera, le piante si moz-
zano a fior di terra , per far loro gettare novelli
steli, i quali crescono tosto ad un'altezza conside-
rabile, o volendo godere del fogliame, si tagliano
dopo lo sfrondamento. Pendente il corso dell'anno
stesso lavorasi il suolo due o tre volte, addensando
alquanto la terra verso la base dei fusti, e di quando
ÌD quando si estirpano le erbe nocive.
Negli anni successivi le regole principali di que-
sta coltivazione consistono nel recidere a livello del
suolo, dopo la caduta delle foglie, una terza parte
soltaulo della piantagione, ritenendo prodivltrici le
due altre parti; nel dirigere gli steli ^d i rami,
che prendono una viziosa tendenza; m^fl'accorciare
sino al vivo quelli che sono secchi , languenti o
spezzati regolando il più che si può la potatura in
modo che le piante non rimangono come confusi
cespu;^li , ma sieno tutte in ben' ordine disposte.
Nuovi individui si hanno"» sostituire a quelli che
sono periti od infynni, e spargendo nell'inverno il
letame, questo si sceglie ben consumato. Vuoisi
ancora, come nel primo anno, vangare o zappare
il terreno più volte, ravvicinando la terra nell'ul-
tima rivoltatura alquanto al disopra della base dei
fusti, onde scalzarli nella susseguente primavera,
allorché il tempo delle brine è passato. Si strap-
pano tulle le erbe inutili; s'adacquano le piante
nei tempi troppo asciutti; si da uno scolo alle ac-
que piovane troppo abbondanti, e si sotterrano le
foglie, cadute che sieno: queste difendono le radici
dal freddo, e possono dai fondi ubertosi ris[)armiare
ogni altra sorte di concime. Sarà anche bene di
scuotere la neve che talvolta cade nel cominciare
della primavera e che liquefatta dal sole può nuo-
cere alle piante.
Il breve tempo scorso, dacché fu da noi intro-
dotto il gelso delle Filippine, non permette ancora
di determinare con esattezza la durata che può avere
un piantamento fatto di tale specie; si deve tutta-
via presumere che, colle necessarie cure, può con-
servarsi in istato produttivo per lo spazio di quin-
dici a venti anni. Il profitto che dopo di ciò ri-
200
cavasi tlal legname estirpalo, compenserà le spése
occorse per la formazione ed il mantenimenlo di
una tale piaiilagionc. Ricavato questo ultimo pro-
dotto, si possono iiarre ubertoso licolle dal me-
desimo terreno già .sminuzzolato per l'estirpazione
dei gelsi, e che da molli anni xioxi diede raccolta
erbacea.
Porrò fine a queste notizie coli' annoverare di
volo i varj vantaggi che un tal metodo di colti-
vazione proraelle agli agricoltori , servendosi essi
del gelso delle Filippine, e del gelso bianco.
i." Può qnesta coltura convenire in alcuni siti,
ove la profondità del terreno non è bastante per
allevarvi gelsi d'alto fusto.
a.° Possono le dpnne ed i fanciulli cogliere la
foglia senza pericolo e con maggiore prestezza che
non farebbero sopra i grandi alberi.
3.° La precoce vegetazione delle pianticelle per-
metto ancora di anticipare l'allevamento dei lilu-
gelli, e preservarli quindi dal calore del solstizio.
4-*' La mancanza o la scarsezza delle more rende
più facile e più spedila la mondatura della foglia,
e non promove, a detrimento pei bachi, la fermen-
tazione del loro strame.
5.^ La vegetazione primaticcia di questi gelsi,
e la proijtczza colla quale rinnovano essi il loro
fogliame, offrono anche la possibilità d' intrapren-
dere due educazioni nell'anno stesso, senza nuocere
notabilmente alla vigoria , perchè le nuove messe
possono ancora maturare prima dell'inverno.
6.° Questo modo di coltivazione accelera il pro-
dotto che ne attende il coltivatore; gli aOittaiuoli,
nella breve durata del loro possesso, sono in grado
di formare piaiitazioni di gelsi per trarae essi me-
201
desimi i prodotti, eà i coiiiadini avidi di tosto rac-
cog^liere, possono darsi anch'essi al governo dei fi-
lugelli. Più produttive proporzionatamente alle gran-
di, queste minute educazioni darebbero in complesso
dei rilevanti prodotti.
7 .''Gli steli ed i ramoscelli die si tagliano pos-
sono essere adoperati alla fabbricazione d'una buona
qualità di carta , sottomettendone la corteccia a
particolari (iperazio'ni (i).
8.* Ed in somma questa facilissima coltivazione,
che tutti gli agricoltori possono praticare agevol-
mente , offre ad un tempo aume/itazione di pro-
dotto, risparmio di spese, economia di terreno, ed
inoltre reca seco il vantaggio di potersi estendere
o limitare più facilmente in proporzione dei biso-
gni dell'industria.
Quanto a me, proverò una ben dolce soddisfa-
zione, se questi brevi cenni e le mie cure contri-
buiranno a projìagare un metodo di coltivazione
che ha in mira di accrescere la ricchezza delle fer-
tili nostre campagne.
(Giornale Jgrario Toscano voi. VI)
Corrispondenza di Monteverde^ o Lettere morali
sulla felicità dell' Uomo , e sugli ostacoli che
essa incontra nelle contradizioni fra la politi-
ca e la morale: a voi. in 8.°, i83:ì.
Lettera al Parroco di ... .
Buone nuove, mio caro Parroco! c'è finalmente
un libro per voi! — Mi facevate torto nell'ultima
vostra riraproverandoaù che io mi fossi dimenti-
(i) V. li^emiìter, yémoanitalcs exolicae, fase, ii p. 471; e fase
5 p. 895— Thiinberg, Flora jfiponica, p. 73.
303
cato di voi. Lo so aneli' io che è un gran tempo
da che mi pregaste che quando venisse fuori qual-
che opera che facesse al caso vostro io ve l'avessi
mandala. Ma qual colpa ci ho io se quel caso
vostro me lo avete talmente limitato e precisato
da ridurlo a caso straordinario per non dire unico?
— Libri ascetici c'è chi ve li provvede; libri di
storia e di viaggi , ne avete a sufficiènza ; di po-
litica non ve ne curate; di poesia, ne siete stanco;
romanzi, li dareste al fuoco. . . . che dunque v'ho da
mandare? «Qualche libro, dite voi, di buona mo-
rale, che sia alto a promuovere il buon costume
fra noi, ma che non sia traduzione, perchè dipin-
gerebbe usi diversi dai nostri; qualche produzio-
ne italiana che nella mia Parrocchia potesse ser-
vire non solo per an)maestrar me medesimo, ma
per prestarla ancora con pi oli Ito a qualche buon
possidente di questi contorni, ad anche a que' Si-
gnori che vengono qui a villeggiare w . . . . Ecco
il vostro programma, e ditemi voi se sia tale da
soddisfarcisi cosi facilmente. — A sentire i vostri
rimproveri parrebbe che sono io che non so tro-
vare lo j)roduzioni di tal genere, che vengono fuo-
ri ogni giorno; e parrebbe che ogni stampatore ne
avesse sempre una sotto il torchio, e che bastereb-
be girare i muriccioli per riempirvene in mezz'o-
ra una cassa. — Mio buon amico si vede bene che
state in campagna, e che neppur vi leggete i gior-
nali; perchè altrimenti sapreste quanto tempo è
trascorso da che non hanno avuto a parlare d'uno
libro sul caso vostro; sapreste che questa è appun-
to la lagnanza di tutti i buoni che nissun bravo
Italiano si dia a scrivere opere quali appunto voi
le desiderate; sapreste ... ma oggi tregua ai lamea-
3o3
li! buone nuove, ve lo lipelo, buone nuove! c'è
un libro per voi; e il nostro amico T. ve lo ri-
ujclferà fra pochi giorni in projirie mani.
Inlanlo per non diminuirvi il jiiacere , ma per
anliciparvelo, vi dirò cosa è questo libro. Esso ha
per ùloìo:^— Corrispondenza di Monte\>erde, o Let-
'tere morali sulla Jelicità dell'Uomo, e sugli osta-
coli che essa incontra nelle contradizioni fra la
politica e la morale: 2 voi. in 8.** i832.
L'autore non si è nominalo, ma a qualr' occhi
vi dirò chi sia; infanto riconoscerete che è un bravo
uomo, e un eccellente scrittore. In altre opere ha
già dato prova di quanto vaglia, e questa gli tor-
nerà ancora a maggior lode d'ogni altra, e coronerà
nobilmente la sua onorata vecchiezza. — aMa dun-
que, direte voi, questa è una corrispondenza falsa,
è un romanzo in Ic-ltere, è un... ». — Calmatevi,
e aspettate. L'autore non ha ftitlo altro che riordi-
nare, e dare alle stampe la corrispondenza di un
bravo Parroco, vostro pari; del Parroco di ÌNJon-
. teverde. — E vero che Monfeverde è un nome sup-
posto ; è vero che su()posti sono [)ure i uo\uì di
quelli che scrivono al Parroco, e ai quali egli ri-
sponde.— Ma qui finisce ogni finzione; tulio il re-
sto è verità. — Voi leggendo il libro crederete che
Monteverde sia la stessa vostra Parrocchia, e che
ogni lettera diretta al Vostro Collega porti per epi-
grafe: et Aiutato nomine, de te fabula narratur.-»
E così potessero molti farsi una tale illusione! —
Voi riconoscerete fra i vostri villeggianti un Conte
Mario, un Marchese Olivieri, un Cav. Lauri, un
Severino Merli, spero che vi ritroverete pur anco
una Marianna Roselli, ma non so s'io debba de-
siderarvi una Matilde Lupi , e Dio tenga lontano
dai voshl conlorni una Giaciuta Belli. — Afa vedo
che cominciale a enlrare in curiosila; ma non cre-
diate ch'io voglio appagarla. Questo lo ha da fare
il libro; io al contrario che stuzzicarla un po' più.
La corrispoudenza di Mouteverde presenta uà
quadro di tempi vicini ai nostri. Da un passo del
2.° volume vi accorgerete che fu scritta nel i8i5,
e riconoscerete the molte circostanze non riguar-
dano' felicemente la nostra Toscana, e debbonsi ri
ferire a luoghi ove durano ancora i jiin mostruosi
abusi di barbare legislazioni. E però meno vi toc-
choranno le pitture de' lei ribili sconcerti prodotti
nelle famiglie dai Fidecomraissi, e da alcune leggi
credute oj)porlune a difendere il pudore, e che sono
invece una sorgente della più sfrenata scostuma-
tezza, perche pongono in mano d'ogni sfacciata se-
duttrice il pugnale della calunnia, e le dicono: « Va,
ferisci l'onore e la j);ice dell" uomo cht; più ti ag-
grada ; noi proteggeremo il tuo attentalo. « — -Né
tampoco troverete ajiplicabili ai vostri luof^hi i con-
trasti fra l'ipocrisìa e la giustizia, fra il falso zelo
e l'umanità, nella questione di voti pronunziati dal
labro, e mentiti dal cuore, e in quella di luoghi
popolali dall'industria da doversi di nuovo conver-
tire in ricoveri d' ozio . — Queste cose non fanno
per noi. — Ma per noi, e per lutti sono quelle pa-
gine suir umana felicità che occupano tanta parte
di questi due volumi ; per noi , e per tulli sono
quei Frammenti del nuovo Eden, di quel Para-
diso terrestre che il buon Panoco ci mostra irri-
gato dai quattro purissimi fonti dell'amor conjugale,
dell'amor paterno, dell'amor del proprio suolo, e
dell'amor della patria. Per noi, e per tutti sono
quelle dissertazioni sulle richczzc , e sul lusso , e
205
quelle ricerche sulle conlradizioni fra le doUrine
della pubblica economia, e della pubblica morale.
— Io non vi dirò cfie gli si abbia da dare in tutlo
ragione, ma ben comprenderete che quei punti ia
cui la morale è opposta alla politica non potevano
dal nostro Panoco considerarsi che dal lato mo-
i-a]e. — .«Ma dunque questa corrispondenza è una
Utopia , è un nuovo sistema di fantasticherie iti
opposizione co' lumi del secolo , e co' precetti di
grandi pubblicisti moderni! jj — Qui avete in parte
dato nel si'gno. Il buon Parroco non risparmia nes-
suno. Montesquieu, Elvezio, Veni, Filangieri, Mal-
thus, Benth&ra, se la prende con tutti, li cita tutti
al suo tribunale, e li condanna tutti senza mise-
ricoidia. — «Ma dutique è un . . . w — Calmatevi di
nuovo, io già vi ho detto che non gli va sempre
dato ragione. Non approverete certamente la sen-
tenza troj)po leggermente azzardata, in forza della
quale « non vede uell'aleo Bentham se non l'im-
pudente Eraloslene della vera filosofia ». Neppure
troverete giusta la difesa clìje fa contro il Malthus
della gravosa tassa dei poveri che in Inghilterra
alimenta senza diminuire la miseria; ma gli si con-
donano di buon cuore tali opinioni, quando si vede
che ogni sua parola è dettala dall'amore dei suoi
simili, e che a questo son pur dovuti i suoi ab-
bagli. Vedrete di fatto come la confutazione del
TVJalihus lo rende eloquente in favore do' poveri,
e come i suoi ragionamenti contro l'abuso delle
ricchezze , e contro i regolamenti europei che fa-
voriscono un tale abuso lo conducono a riposare lo
Sguardo sugli Stati-Uniti di America, e a proporli
in esempio ai nostri politici. —
Che strano libro sarà mai questo! parrai sentirvi
»4
2o6
esclamare; e mentre poco anzi lo volevate rigettare
come un romanzo, temo che adesso non siale ten-
talo a rigettarlo come un trattato di politica. — .
Sentite! Quando vi giungerà nelle mani non cor-
rete, secondo il vostro solilo, subito all'indice, se
no, son certo che i primi titoli vi spavenlanoJ«Zf2
felicità dipende dalle buone leggici — «/,« mo-
derna politica sacrifica i costumi alla pretesa pro-
sperità degli stati » — « Le cattive leggi urtano
sempre qualche dritto naturale dell' uomo » — ec.
ec. — Voi non ci reggete nepjiure cinque n)inuti«
— Ma cominciate dalla prima pagina, e se ben vi
conosco, \oi non prendete in mano allro libro prima
di aver terminalo questo. Quando poi l'avrete ben
letto tulio, allora cercale l'indice che è composto
de' pensieri fondamentali di ciascuna lettera. Vi tro-
verete una riunione di massime degne di richia-
marvi a nuove medJlj«ioni, e tali da stimolarvi a
continuare Voi stesso la corrispondenza di Monte-
verde.
Intanto tenetevela come un ricordo del
Vostro afTez.
E.M.
j^rficolo estratto da una Lettera del sìg. GiA^
COMO MlLLINGER alsig. DuCA DI SEpRADIFALCO
intorno al famoso Musaico scoverto a Pompei^*)-
Roma il primo di luglio i833.
Gli scavi che si fanno a Pompei progrediscono
da quattro anni lentamente; di manierachè gli og-
(*) Il chiarissinto si^. .Duca di Sciradifalco, pronto sempre ad
ogni bella ed utile impresa, «loltamcnlc e iioliilmente lavorando
da più tempo per la gloria delle cose siciliane, trovasi legalo io
gelli rinvenuti, ad eccestione del nolo Musaico y sono
di un interesse secondario»
Questo musaico è certo un obbietlo importantis-
simo , non solo per essere il primo di tal genere sin
qui scoverto , ma per le vive discussioni, eh' esso
ha eccitalo fra gli antiquari.
Io riio esaminato cou molta attenzione , e mi
son convinto tanto pel costume , quanto per altri
motivi, ch'esso non poteva rappresentare una delle
ballaglie avvenute fra Alessandro e i Persiani. Il
costume del popolo vinto non è quello dei Persi,
e delle nazioni orientali. I Grifoni rappresentati in
ricamo su le vestimenta di questo popolo indi-
cano una nazione iperborea, come gli Sciti, oi Cel-
ti, o i Germani. Il costume dei vincitori sembra
anche convi-nire piuttosto ai Romani che ai Gre-
ti. Del resto nei monumeuti eseguiti a quest'epoca
dell'impero romano, nelle città di provincia, e da
fartisti d'un ordine anche inferiore, non si osserva-
no rigorosamente le convenienze dei costumi.
Lopinione di quelli che vi veggono uno dei cora-
battmienti di Druso o di Germanico contro popoli
della Germania sembra molto verisimile ; poiché
sendo questo monumento posteriore al regno di
Claudio^ le imprese dei Principi della famiglia Giu-
ba dovevano avere una grande celebrità. La Ger-
mania era altronde a quest'epoca il solo campo,
iove 1 Romani potevano cogliere degli allori: e quaa-
tOrrisi,onden,.a coi più illustri drelicologi de' nostri tempi ; ed
avendo ricevalo una iel.era del s,.. M.ll.nger, i., cui si rajona
del musa.co trovato a Porape., cagione di tanti scrini d d. "tante
Var e «entcnze, pronunciale da. dotti per l'argomento che rapnre-
senta, ce 1 Ita gentilmente comunicata, dovendo riuscire carilsimo
.gì. ama or. delle cose antiche e delle arti il parere che ha por-
laio quel valeutuomo sopra uii musaico di tanto momento. '
tunque fossero stati sottomessi al dispotismo, porta»
vano pure le catene a malincuore, non essendo per
anco estinta nei loro pelli la speranza di romperle.
Di manierachè si vede che i Romani di questo se-
colo avevano conservato quell'amore di gloria, che
caratterizzava sì eminentemente i loro antenati.
Lettera di Carlo Botta a Ferdinando Malvica
intomo gli e
del Camillo.
intorno gli errori trascorsi nell'ultima edizione
Parigi b agosto i833.
Place S. Sulpicc n.° 8-
Signor Ferdinando pregiatissimo
Il mio Camillo ha veduto la luce in Torino,
ma questa edizione è venula cosi scorrclla, che sono
stalo obbligalo di fare stampar qui in Parigi un
errata-corrige, il quale io le maiidoqui annesso
pel caso che la dclfa edizione le capitasse alle mani.
Hanno bensì correlli gli errori corsi nella prima
edizione, ina ve ne hanno commessi n)olli più, e
questi, olire Icrrala-corrige stampato, e chele invio,
gli troverà scrini qui appresso, se non lutti almeno
la maggior parie.
Questa mia opera è veramente infortunata.—
Lo saluto di cuore, e mi abbia sempre per tutlo
suo, e pronto ad obbedirlo in tutlo ciò che rai
comanderà.
Carlo Botta,
aog
ERRORI CORREZIONI
P. a V. 29 eslrasporlar e trasportar
35 w 1 1 folio figlio
38 w 1 1 Seguendo seguendo
55 w 10 ventura sventura
65 M 20 abbian abbiam
90 M 14 sUascio strazio
104 » 8 querelarammo querelammo
i5o » 4 Quali Quale
Dante d,»se quale ì fioretti, nott ^uali
164 V. 19 vostra vostro
i63 M i5 aitamene altamente
189 M -^ in io
210 » 22 adolorata addolorata
217 >j li accerbo acerbo
293 M 28 dal del
296 M 26 questo queto
303 M 26 a ai
304 « 29 civilitade civiltade
305 M i3 ardio ardire
328 M 3 non ci vuole la linea
369 M 19 stuolo stuol
4^1 » 23 io torno intorno
420 » 17 ciel cielo
5i2 lin.29 Pinavj Pinarj
P. sor. Gli scrissi ai i3 dello scorso luglio.
C.B.
Nuova maniera di dipingere.
Marianna Pascoli Angeli avendo sortito dalla sua
beoìgna natura quella gentilezza d'animo, quel ret-
to giudizio, e quella nobiltà, e finezza di pensiero,
3IO
che facilmente della bontà, e bellezza delle arti
innamorano, e l'uomo dispongono alio studio delle
medesime, si recò dagli slati Veneti a Roma per
intendervi alla pittura, E fu conseguenza del suo
onesto costume, della squisita cortesia de' suoi mo-
di, e del suo fervido amore per l'arte sua, che il
sommo Canova tolse co' suoi prudenti avvisi ad
instituirla nel disegno, e nelle prime vie del co-
lorire. E già fermata per la buona via dell'arte, e
dato argomento di valore si condusse a Vinegia o-
ve ritrasse in tele a olio belle copie di alcuni qua-
dri di quella scuola, e produsse sue opere origina-
li, delle quali ci venne occasione di ragionare al-
cuna volta ne' fogli di Roma.
Se non che rammentando il consiglio dello stes-
so Canova essere malagevole a donna poter consa-
crarsi alla pittura, di storia sì j)er la difllcoltà del-
l'arte, sì per la mancanza di alcuni studi, ed op-
portunità necessarie al dipintore storico, e alle qua-
li una femmina non può intendere, api)!icarsi unir
camcnte alle copie si deliberò. Avvegnaché delle
sole copie eziandio si può una bella lode derivare
qualora senza servilità, e timidezza, fedelmente e
facilmente all'originale rispondano dell'esattezza del
disegno, nell'eirello del chiaro scuro, nell'armonia
delle tinte amichevoli , e nella viva espressione.
Ma qui pure la valentie donna troppo s'accorse
di una circostanza fatalmente inevitabile per la più
parte de' pittori a olio. A pochi di questi fu con-
cesso il privilegio di poter commettere alla poste-
rità le loro opere colla certezza di conservare inal-
terabile la freschezza, il brillante, il rosato, il tra-
sparente, l'argentino, il dorato de' colori, co' qua-
li essi le condussero. La condizione del pingere a
2ir
olio e soggetta ad annerire, e questa alterazione è
tanto più svantaggiosa alle copie, le quali non po-
lendo certamente fregiarsi delle finezze, e delle gra-
zie della mano maestra, sempre preziosissime an-
che dove ne rimangono piccoli avanzi, perduto che
abbiano la vivacità e il sapore delle tinte, riesco-
no afTatto di niun conto. Senza che l'esalazioni,
che si sublimano dal maneggio delle tinte, massi-
me minerali, arrecano noja, e detrimento alla di-
licafa com[)lessione delle femmine, le quali molte
volle, solo per questo, dopo lunghi, e gravi studi
dovettero dall'amata arte dipartirsi. Laonde la Pa-
scoli irremovibile nella risoluzione di pur perpe-
tuare con repliche accurate, e intelligenti i capi
lavori della scuola veneta, andava pensando come
poter giungere a questo fine con propizia fortuna.
Quando pensò doverle tornare di assai buon pro-
cesso al suo scopo la maniera a tempera de' quattro-
centisti ma unita ad alcune sue buone ed esperi-
mentate considerazioni.
Pertanto preparò dessa, sue piccole tavole di le-
gno ben operate, e fatte sicure dalle curvature, e
dalle fenditure per suoi ingegni artificiosi pratica-
ti A tergo delle medesime , e a quelle una accu-
rata preparazione, e un intonaco di bianco soprap-
pose , e a pulimento di specchio le levigò. Co-
sì ebbe per operarvi una materia, che in quanto
al nitore tenea dell'avorio, senza tema d'ingialli-
mento, in quanto alla solidità e compattezza vin-
cea le tele imprimite. Diessi allora a dipingere su
queste tavolette adoperandovi non pure le tinte leg-
giere, e trasiparenti a modo di velatura, ma an-
cora le mastiche robuste, e vigorose de' colori a
corpo, eoa sì mirabile effello, che un tutto anno-
312
nioso, forle, brillante, ed efficace ne conseguì eia
ritrarre compiutamente la magia del veneto pennello.
La risoluzione nondimeno dell'effetto de' suoi la-
vori vuoisi precipuamente attribuire ad una ver-
nice per essa immaginata, leggera, diafana, clic
rende il dipinto durevole, e inalterabile, e gli dà
energia, e risalto, e a guisa di cristallo tersissimo
lo difende. Ed ulil cosa è, die ove avvenga alcu-
na di quelle pitture essere da qualche bruttura offe-
se, la stessa vernice jìuò torsi a piacere, e rinet-
to il dipinto soprapporvcla di nuovo.
Non è ad esprimersi con parole con qual vigo-
re, verità, grazia, lucentezza, ricchezza con questo
aggradevole suo modo eli' abbia restituito in bre-
vi copie d'ogni dimensione i quadri più classici
della veneta pittura. Lo stesso ardire del pennello
nelle onere di Paolo; un eguale amore, e finitez-
za in quulle di Giainbelliiio: la medesima forza
di natura nelle tele di Tiziano: lo spirito, l'impe-
to, il tuono originale ne' grandi concetti del Tin-
toretto. Nell'ain mirare questi lavori, che diresti
pinti a olio, e ti incantano pei cento pregi, che
accumulano, pei cento caratteri, che prendono, sei
tentalo coli' inganno della perfetta similitudine di
crederli gli originali medesimi impiccioliti per l'ef-
fetto d'uno specchio concavo.
Quindi in una breve sala presso questa valente
donna li viene di poter vedere raccolta quanto di
più grande, e di più singolare, e meraviglioso nella
pittura adorna l'illustre, e sorprendente cillà di Ve-
nezia; dico: L'Assunta del Tiziano: 11 miracolo di
S. Marco del Tintoretto: US. Pietro martire del
Tiziano: Il ricco epulone di Bonifacio: La tenda di
I)aTÌo di Paolo Veronese : La Cena ia Emaus di
3l3
Giovanni Bellino: La prescntazionr del Cavpoccio:
la Vergine de' Frari del Bellino : La de[)osizio-
ne di Tiziano: La Simiglia del Pordenone: E i ri-
Iralti veramente ia[)ili alla viva natura di Giorgio-
ne, con altri molti de' quali quella magnifica cit-
tà incantala possiede, non una dovizia, ma una
profusione.
La buona Pascoli coU'esempio del virtuoso suo
vivere, e del suo ardore per le arti, ha educato
in queste, anche colla scorta di ottimi Maestri, una
dolcissima sorella sua Luigia Pascoli, la quale non
solo dà opera valorosa al disegno, ma anche all'io-
cisione, da doversi aspettare di essere per riuscire
in questo genere perfella.
Melchiorre Mjssirini.
Nuovo atlante d'Europa in 2^0 carte alla scala
di 5o(),..oo costruito sulla projezione di Flam-
Sieed in Fribourg.
Merita quest'intrapresa di fissar l'attenzione del
dotto pubblico sì per la evidente utilità sì per le
cure deiresccuzioue. Malgrado tutt' i materiali da
si lungo tempo riuniti, non avevasi in Europa un
atlante composto da una serie di carte, tutte sulla
stessa projezione, ed alla scala medesima (1). Ne
fu l'idea concepita dal fu Tenente Colonnello VVeiss
degl'Iugegnieri geografi in Isvizzera, ed è a lui che
debbesi la triangolazione della Baviera, della Sviz-
zera, del Tirolo, non che un Atlante della citata
(1) E facciam le maraviglie in vero, non si menzioni per nulla
il bello atlante geogiafìco fatto a Bru^ielles per Wandci-Maclca
in 165 carte,
214
coiiiedeiazlone in 17 carte. Quesl'infaligabile com-
mendevole ullliiale, aveva (in da cinque anni in-
dietro preparato i materiali, d'ogni sorte sulla geo-
grafia d'Luropa. Da morte prematura a sì bei tra -
\aglio ra[)ilo, è sialo dagli editori eletto a conli-
ijuarlo il sig. Woerl.
La projezione suddivisala , ben si conosce , sìa
quella che meglio si presti a serbare esalti i rap-
porti delle suddivisioni di un'ampia superficie, co-
dine è quella di Europa ; e quella scala presenta
assai spazio per indicare tutt' i luoghi importanti
^ per esprimere in assai bel modo le principali in-
flessioni delle catene di montagne e le sinuosità dei
fiumi. Così rimarranno appagale le istanze degli
amatori di buoni atlanti, e quelle de' militari non
meno, cui incumbe acquistare con picciol dispendio
le carte, su cui debbe il loro studio versarsi per
le operazioni strategiche. ^
L'esecuzione è de' signori Herder , i quali con
le loro incisioni in |>ietra dispulano con le più belle
in rame. Se pendesse ancora la lite, quest'in Ira presa
ben farebbe aperti i vantaggi delle carte geografi-
che in litografìa, soprappiù avendovi apportala l'uti-
lissima innovazione di litografare in colore le stra-
de, i limili, e tuli' i luoghi abitati. Ciò, che nou
polendosi eseguire che per mezzo di due pietre,
aumentarne deve il prezzo.
Correzione di disegno, uguaglianza di stile , in-
telligenza di configurazioni, esattezza di ortografia,
nettezza e precisione litografica, eleganza di carta,
tutto in fine riunisce quest' oneroso travaglio, per-
chè possa raccomandarsene l'acquisto. Esce per col-
lezioni di 4 carie, ciascuna collezione a 16 fran-
chi: ne sono già falle di pubblica ragione io col-
lezioni. Bulletin des Sciences,
2l5
jil chiarissimo signor D. Tommaso Gkrgallo
Marchese di Castellentini.
Giuseppe Barbieri.
Odi Gaigallo. A me mclcsmo increbbe
Tanto, che la mia penna a ciò non basta.
Fallirti ohimc! dellj promessa. Il Cielo
E Te slesso, non ch'altro, a cui sì dolci
Tornareno dcll'Adinc, e del Brenta,
Del Mela, e dell'Olona i poggi « l'acque.
Te stesso io cliianio a testimone. O pensif
Che a me nndrilo a
delle araliacee. La radice introdotla nelle nostre spe/.ierie sul
principio del secolo XVil. ed in oggi caduta in disuso, viene
nella Cina considerata come una panacea universale, nella cura
delle malattie le più disperate; cosi che si tiene in pregio ftraor-
dinario; e l'impcradore regalandone, intende di fare una diiitm-
xionc grandissima di onore La miglior qualità cresce nella Tar-
larla Cinese, fra i t\o e 5&-gradi di latitudine sellenlrionale e
fra i IO e 20 di longriudine orientale , contando dal meridiano
di Pechin. Molto potrebbe dirsi sudi questa radice maravigliosa;
ma per formarsi un'idea della importanza del Gin-Seng in Cina,
basta sapere, che l' Imperadore Caiig-I nel principio del secolo
XVIII mandò loooo tartari in cerca di tal radice, alla condizione
che ciascuno di loro dovesse dargliene due once della miglior
qualità, e che il rimanente glielo avrebbe comperalo tutto a peso
di puro argento.
(q) Già dicemmo in altra nota che il leong è una moneta corri'
Bpondente a 14 paoli romanij
3l8
o governalorc di provincia) per CantOn; si chiama
Carjg-Sciàn, Tung: si dice esser nativo di Sciàng-
Tung. Un nuovo Ociàsze (giudice) è anco sialo
nominalo ; il suo nome è Liù-Pàu-Scen. Quesli
cambiamenti ebbero luogo in conseguenza della
morte del Fu-Jìien di Sciang-Tung ; il cui nome
era Ho-Sciun-Vu , ed il quale , siccome Fu-Cing-
Sze, ebbe l'incarico dell'ulliraa ambasciata inglese,
quando la medesima passò per Sciang ; e gli fu
dall'iinperalorc conferito il titolo di governatore ge^
uerale (o vice-re).
» Si è nuovamente fatta menzione del nome di
Ciang, con severa disapprovazione: ed è ad ognuno
proibito d'intercedere pel suo perdono.
>i Le gazzette sono piene d'allusioni al giubileo
ili onore del giorno natalizio dell' imperatore ; ed
alle preparazioni che si stanno facendo per la sua
gita a certe tombe de' suoi antenati^ innanzi a quel
periodo di tempo.
w L'imperatore è estremamente contento del rap-
porto fatto da Tseàng, prudente vice-re di Canton,
il quale scrive da Sze-Ciuen^ che la provincia non
ha arretrali da pagare, e che perciò non y'e ne-
cessità ch'egli jnolilti della graziosa intenzione di
sua maestà, a far rimesse quest'anno per gli arre-
trali della tassa delle terre-
w Siccome l'Impcratlore non cofjtinua più a ri-
cevere le immagini di Bntlda dai re del Mung-
Cu ; essi richieggono la permissione di erigere un
tempio dedicato all'impeiadore, ove possono collo-
care gl'idoli, e pregare per la di lui l'clicità. I me-
desimi richieggono ancora la permissione di man-
dare ambasciatori alla corte , per la vicina e|>oca
de' suoi natali.
w Un censore Ju-Sci ha scrlllo contro la reli-
2ig
gione callolica die sembra esistete nella capilalej
ed ha suggerito di sequeslrare e confiscare tutte le
case che ai cattolici si alliltaiio, e tiilla la [proprietà
che simili {)ersone possono impegnare ed ijiotecare;
e per istoprire ■ delta loro proprietà, raccomanda
di ben cercare tutte le botteghe dove si fanno pe-*
gni. A questo l'Imperatore ha risposto che le esi-
stenti leggi debbono essere osservate con vigore*.
ma che l'adottare simili misure , quali son quelle
che il censore raccomanda, ad altro non servireb-
bero che a creare disturbi , per conseguenza or-
dina che ciò non si tenti».
Onorato Martvcci»
Modo et impedire che il ferto e tacciajo
irruginiscdfio.
Questo processo consiste nei pulire bene i pe^ii
éon una liscivia foitenicnte alcalina , lavarli con
acqua pura , ed asciugarli poi con un lino netto.
Ciò fatto si prende della vernice grassa ad olio^
che ha per base la gomma copale , scegliendo la
più bianca. In essa si meschia della es^Jenza di tre-
mentina rettificala , da una metà sino ai quattro
quiriti, secondochè si vuol più o meno conservare
il brillante metallico. Questo miscuglio ben chiuso
si conserva inalteralo. Per applicarlo, s'usa una spu-
gna finissima, che prima s'immerge nell'acqua, poi
nella essenza di trementina per scacciarne l'acqua.
La s' immerge nella vernice e la si spreme fra le
dita, affinchè ne rimanga aderente pochissima. In
questo sialo applicasela sul pezzo leggermente , e
quindi lasciaselo asciugare in un luogo fuora dalla
polvere. Li utensili così verniciali, benché fregali
colla mano ed inservienti all'uso giornaliero, con-
servano il loro brillante metallico, senza essere toc-
230
chi dalia minima macchia di ruggine. I fili di
ferro occorribili pei sospesi, e gli altri ferri da co-
struzioni polrebbeno probabilmente essere preser-
vali dall'ossidazione con un mezzo analogo. The'
nard che fece un favorevole rap[)orfo alla proposta
di Pajen ha ahvesi óìmoslralo (Journal de cium,
med. Deceinb. iSSz) che di due canne da fucile
abbandonale in una cantina per più di una setti-
mana, l'una coperta della soluzione alcalina gom-
mosa (/^. Gazzeiia tecnologica n. /. p. 5.J, nulla
ha perputo del suo lucente, l'altia ch'era pure egual-
mente lucida si coperse ben tosto di ruggine.
Osservazioni- Questa azione degli alcali per
prevenire l'ossidazione del ferro è un fenomeno elei-
trochimico analogo a quello della conservazione
del rame nell'acqua salala, coll'intermezzo del fer-
ro, del zinco o dello slagno. Un metallo immerso
nell'acqua non può ossidarsi se non in quanto di-
venga positivo ; perocché allora esso determina la
polarità elettrica de' due elementi dell'acqua, seco
attraendo 1' ossigeno , il quale è sempre negativo.
Se dunque metlesi questo metallo in contallo con
un corjio che lo renda negativo , esso non potrà
più attirare l'ossigeno, ne avrà luogo fossidazione.
Così il contatto del ferro , delio zinco dello sta-
gno rende il rame negativo, e lo |)one fuora dalla
circostanza di potersi ossidare nell'acqua. I! cele-
bre Davj .1 autore di questa imperlante scoperta,
ha preveduto altresì e verificato che pari risulta-
mento avevasi rendendo l'acqua, senta coiitallo di
altro metallo, alcalina, imjìerocchè così si dà alla
medesima l'energia positiva che rende il rame ne-
gativo. L'applicazione degli alcali alla conservazione
del ierro proposta da Pajen è dunque una nuova
prova della giustezza delle vedute del fisico inglese.
Gazzetta Eclettica di Verona n. 4' iS33.
FINE DEL TOMO Vii.
DEL SETTIMO TOMO
PARTE SICILIANA.
Nola dei compilatori e dei collaboratori delle Effeme-
ridi pag. 1
SCIENZE.
Eruzione dell'Etna in ottobre i832, — C, F. F. » 3
Seconda memoria, e nuova raccolta di fatti, compro-
vanti i cattivi effetti del mercurio nelle malattie ner-
vose, di Giuseppe Pidone » 7
Raccolta di osservazioni clinicliff suU' uso dell'acqua
termo-minerale vesuviana-uunziante fatta da vari pro-
fessori.— X » 20
Rapporto letto al reale Istituto d'incoraggiamento nell^
tornata dei 27 di agosto i833 da Ferdinando Mal-
vica, socio ordinario dello stesso, intorno la priva-
tiva chiesta dall'inglese Giovanni Coop . . . » laS
Osservazioni su di una lettera critica del dottor Vin-
cenzo Interlandi pubblicata in Catania pei torchi dei
fratelli Sciuto, scritte dal dottor Antonino Trombino
da Comiso . . . » i3g
Relazione accademica per T anno IX dell' Accademia
Gioenia di scienze naturali: letta nella sezione dei 9
maggio i833 dal segretario generale Giuseppe Ales-
si. — Catania da Giuseppe Pappalardo i833, — A;
D. G. M » 162
Istituzioni di clinica. medica per Ignazio Foli, dottore
in filosofìa e medicina ec. ec. — Palermo i833 dalla -
reale stamperia ia-B° di pag. 293. — Gaetano Algeri
Fogliani » 167
LETTERE ED ARTI.
Saggio d'iscrizioni latice ed italiane dell'Ab. Benedetto-
Saverio Terzo » 22
Sonetto inedito dell' Ab. Giovanni Meli con avvertenza
di A. Gallo » 27
Catone il maggiore, ovvero della vecchiezza, dialogo
di M. T. Cicerone volgarizzato da Giuseppe Turlu-
rici. — Palermo stamperia Pedone e Muratori. — . A.
Gallo -.......» 39
Arrigo di Abate, ovvero la Sicilia dal 1296 al i3i3
pel cnv. Di Cesare ec. — Pietro Lanza principe di
Scordia • » 33
Ode XLIV di Anacrconte recala in siciliano dal dottor
^Auloaiuo La Manna. — B:ddassare Romano. . » 62
Per una Baccante egregia scultura del sig. Valerio.Vil-
larccde. — Sonetto di Michele Bertolami . . . n 6^
Intorno all'influenza della filosofìa di Aristippo su i
coslumi dei Siracusani. — - Ragiouameulo di Bernardo
Serio » 78
Continuazione dtHa memoria del presidente Francesco
di Paola Avoìio su la vita e le opere di Giuseppe
Logoleta , . » 91
Lettera di Agostino Gallo al chiarissimo sig. Lionardo
Vigo di Aci-Rcalc egregio poda » loj
A Lionardo Vigo in morie di Carlotta Sìveeny sua
sposa. — Epistola di Vincenzo Navarro ...» l35
L'addio di lord Byrou tradotto dall' inglese in versi
sciolti per Luigi Scalia » i38
Cenni sopra l'aulico metropolitano di Siracusa del ca-
nonico Ignaz o Avulio. — Siiacusa dai torchi di Giu-
seppe Paleo i!'>32. — • Ferdinando Malvica . . » 147
L'Alcone ossia d -Ha cura dei cani da caccia. — Vtrsi di
Geronimo Fraccasloro tradotti daBaldassare Romano.
— Palermo dal !:;a!jinetlo ti[>ografico all'itisegna di
flit-li i833. — Pii-'iro Lanza princ. di Scordia. » 1 5o
Vita di Napoleone li-? ec. traduzione dal francese. — -Paa
P. D.
Sulla gtililh di 11:10 stabilimeuJo di B.igni pubblici in
Palermo. — Pensieri di Cai lo Merio. — Palermo
presso Pietro Nocera i833. — P. L. P. D. S. . » 160
Elogio limebre di-1 dottor don Michele Scio composto
d.il suo amico G. Marco Calvino. —Trapani tipo-
grafia ci P. Col, Janni 833. — A. D. G. M. » l6l
Alcuni sciolti di Niccola Cirino. • — Palermo ib33 dal
gabinetto tipografico all'insogna di Meli. -^ P. G. n 162
Elogio di Federico di Napoli principe di Resultano
recitato da Francesco M. Te^ta nell'accademia degli
Ereini l'anuo i^SS, e per la prima volta pubblicalo
da Benedetto-Saverio Terzo, — ^ Palermo Pedone e
Muratoli i832. — P. G » 166
Sunto dei ragionamenti letli. all'accademia dei Zelanti
di Aci-Reale per Lionardo Vigo segretaiio generale
deMa medesima >' l'^Q
Varietà'. — Mania guarita dietro l'aperlura di un ac-
cesso aH'avanbrji^oio desti.o dal doltor P. Portai, m 1177
Elezioni fatte dalla R. Accademia delle scienze medi-
che di Palermo di alcuni soci corrispondenti . » 1^8
Necrolog^ia per Francesco Pcranni. ■•— Pietro Lanza
principe di Scordia » l8o
Iscrizioni Ialine di Gaetano Daila. ...... 186
Necrologia per Giovanni Silvestri. — Nicc. Castellana » ^87
PARTE ITALIA^^A E STRANIERA
SCIENZE.
Cura della pustula maligna o carbonchio ...» 65
Maniera di preparare il ghiaccio ed empiere le ghiac-
ciaje in modo di conservarle per due o tre anni. » ivi
Modo di conoscere il piombo ed il rame nei vini. » 66
Metodo facile per applicare le mignatte e fermare la
emorragia ... . » 6j
Antonii Bertclonii etc. Flora italica sistens plantas in
Italia et insulis circumstantibus sponte nascentes. » 68
Gelsi a Prato. — R. Lambruschini ....•.» 190
Saggio su i gelseti e sopra una nuova specie di gelso
del sig. Eonafous direttore dell'oi to agrario di To-
rino ec. pubblicalo d'ordine della real società di agri-,
coltura . » 192
Nuovo atlante di Europa in 220 carie alla scala di 500000
costruito sulla piojei!.ione di Flamsleed in Fribourg. » 2i3
Corrispondenza di Monlcverde , o Icllore morali sulla
felicita dell'uomo, e sugli ostacoli ch'essa incontra
nelle conlradjzioni tra la politica eia morale 2 voi.
in-8° i832. — Lettera al parroco di — G. M. » 201
Modo d'impedire clic il ferro e l'accia jo irruginiscsno » 219
LETTERE ED ARTI.
MergelHna in seguito dei sepolcri di Virgilio e di San-
nazzaro "69
Rigenerazione tipografica » 70
Un gran disinganno , » ^ I
Giornale egizio » 71
la morte di Vincenzo Monti. — . Ottave inedite di C. E.
Muzzarelli uditore della S. R. R » [ 73
Al chiarissimo naarchese Tommaso Gargallo. —Epistola
del prof, Giuseppe Barbieri » 2i5
Articolo estratto da una Lettera del signor Giacomo
Millinger al signor Duca di Serradifalco intorno il
famoso musaico scoperto a Pompei .... » 206
Lettera di Carlo Botta a Ferdinando Malvica sugli er-
rori trascorsi neirultima edizione del Camillo . » ao8
Nuova maniera di dipingere. — Melchiorre Missirini. » aog
Ceano sulle gazzette Cinesi. — Onorato Martucci . » 2 16
SCIENTIFICHE E LETTERARIE
PER
LA SICILIA
TOMO Vili.
ANNO SECONDO
ce
PALERMO
DALLA TIPOGRAFIA DI FILIPPO SOLLI
1835
EFFEMERIDI
SCIENTIFICHE E LETTERARIE
PER
LA SICILIA
OttoLe 1833
Sidlo sirocco di Palermo; lettera del cav. Nic-
colò Cacciatore a S. E. Rma Monsignor
Don Giuseppe Capece-Latro antico Arcivesco-
s>o di Taranto.
Palermo 29 Agosto i833.
Eccellenza Rma.
If J.Ì fo un dovere di farle pervenire copia di una
mia lettera scritta alla Signora Baronessa Roth-
schild costì in Napoli. La generale persuasione di
molle cospicue dame forastiere, le quali un giorno,
in casa di questa gentile ed illustre Signora, asse-
rivano di avere inteso da persone degne di fede,
die il calore di està in Palermo fosse affatto in-
soffribile, mi mosse ascriverla; a fine di rettili-
4
care per una parte le false idee, die alcuni viag-
giatori su di ciò spargono da per tutto, e pell'al-
tra onde dimostrare col fatto e coli' osservazione
quanto io in contrario asseriva. E come nella scelta
e dotta compagnia, che, pendente dagli oracoli di
V.E.Rma, ammiratrice di sua universale dottrina, e
di sua cordiale amenità, le fa tutte le sere dovuto
corteggio, molte dimande ad ora ad ora mi si fe-
cero sul famoso sirocco di Palermo; e sull'influenza
che il caldo soffio del medesimo può esercitare
sul raccolto delle biade e delle frutta, e sull'altre
naturali produzioni , mi cade in acconcio descri-
verle l'ultimo, che nei dì i8 e 19 dello spirante
agosto è venuto a visitarci. Tanto più, che appunto
avendo esso recato de' calori maggiori del solito,
resi più sensibili ancora per causa dell' incostante
frescura che avea regnato nei mesi precedenti, e che
a molte chiacchiere esso ha dato impulso , po-
trà per avventura rendersene interessante il para-
gone con gli altri simili avvenuti dopo il 1791;
epoca dalla quale qui cominciano le regolari osser-
vazioni meteorologiche. Non parlerò quindi degli
altri molti sirocclii, nei quali la tempeialura non
è stata superiore a quella che generalmente in Si-
cilia e fuori tutto di si prova nei mesi estivi.
Molto si è parlato di fatti dell' incostanza del-
l'atmosfera in questo anno: e le pioggie dcirinverno
precedente, continuate sino alla primavera, e le vi-
cende di questa, non interrotte sino al mese di lu-
glio, fecero battezzare il tempo per straordinario;
fecero anzi temere assolutamente invertito il corso
naturale delle stagioni. L'uomo per poco che soffra,
nel momento valuta soli gì' incomodi presenti, per-
chè quei maggiori che per lo passato ha sofferto,
se non han lasciato couseguepze, per lui piìi aoa
5
esistono. Un dolor di capo, un attacco al petto sono
insoffribili mentre ne siamo affetti; e nello stesso
momento dei dolori acerbissimi di viscere o di ve-
scica, già sofferti molti anni addietro , non fanno
più impressione. Il passato non essendo più nostro,
e r avvenire restando manierato delle dolci lusin-
ghe della speranza, le nostre sofferenze sono circo-
scritte tra li brevissimi limiti del presente; comun-
que vengano poi alleviate dalla seducente speranza
del futuro. La memoria di molti altri inverni più
incomtnodi e più disastrosi, di molte altre stagioni
soggette a maggiori vicissitudini, è di già intera-
mente annullata; e dimentichi delle disgustose cir-
costanze che più non sono, la successione de' nostri
pensieri siegue fedelmente e sì conforma alla suc-
cessione degl'instanti che per noi realmente esistono.
Gl'inverni del 1795 1799 1804 i8o5 1812 i8i3
1822 1826 sono stali taluni freddissimi, tali altri
freddi e piovosi oltremodo. Come l'està del 1795
1796 1801 1808 1809 1817 1820 1828 sono state
calorose più del solito : ed il corso degli anni ri-
spettivi si è risentito delle variazioni estreme dell'in-
costante temperatura. Pretesto opportuno che viene
sempre invocato da' medici quando non indovinano
la cura delle malattie. Noi non mancammo allora
di vociferare sconvolte le leggi mondiali, come le
predichiamo oggidì. Eppure le variazioni di tem-
peratura dal giorno alla notte, spesso assai brusche
e forti per cagionare notabile detrimento nella no-
stra salute, non fanno più impressione, perchè molte
volte dà noi si son provate durante la nostra esi-
stenza sociale: ma ciò che avviene dopo lunghi in-
tervalli e di rado , ci colpisce fortemente, perchè
non ci piace riflettere, che i secoli dell'uomo sono
6
appena li minuti secondi nella durata generale de-
gli esseri . Generatio venit , generaUo praeterit ,
terra autem in aeternum stai.
Ma che mi andate stuzzicando colla salsa di Sala-
mene, mi dirà V. E. Rma , mentre mi promet-
tete di scrivere dello sirocco di Palermo! Appunto
per dimostrare, che il calor soffocante provato nel-
l'ultimo sirocco dei i8 e iq: quel calore che fece
sognare a taluni un'incendio nelle vicine campagne,
o la riapparizione del vulcano nei mari di Sciacca,
e che ad allri foce sinanche immaginare un certo
odore di zolfo trasportato dal vento, non fu mica
maggiore di molti altri. E per dimostrare ancora che
questo calore, e quello degli altri sirocchi, di poco ha
superato quanto molte volte si è sofferto in Napoli
e in Roma, cioè il calore di 3o gradi di Reaumur,
che sono gradi 99°, 5 di Fahrenheit, o meglio l37°,5
del termometro meteorologico. E che ciò sia vero
io recherò in una tavola sinottica lì sei sirocchi
che soli nello spazio di 43 anni in Palermo hanno,
elevato la temperatura atmosferica al di là di questo
limite , mentre in tutti gli altri il termometro si è
tenuto sempre al di sotto di i37°,5 meteorologici^
cioè aldi sotto dell'elevata temperatura che in Na-
poli e in Roma tante volte ha avuto luogo, senza
mai menarsene né chiasso né rumore a suon di
tromha. Anzi ho notato con uno asterisco * le os-
servazioni dove il termometro ha oltrapassato il
grado 187°, a fine di distinguersi quelle poche ore,
in cui l'atmosfera si mantenne in tempo dello siroc-
co ad una temperatura così elevata. E poiché il
termometro meteorologico non è ancora bastante-
mente divulgato, esprimerò le stesse temperature an-
che col termometro di Reaumur.
Temperatura osservata in tempo dello Sirocco
espressa in gradi del termometro metereologi-
co^ e in gradi del termometro di Reaumur
Il termometro esposto all'aria libera, aW ombra,
e difeso dai raggi diretti e riflessi del sole.
SinOCCO IN AGOSTO i8o5
Cominciò la sera du 3i luglio, e terminò la
notte de' 2 a 3 agosto.
TI 1
li barometro, che era sul principio all'altezza
media , cioè a normale barometriche
103
6i4
ncll altezza di fjuest'Osservatorio, salì un poco du-
Janle lo scirocco.
Li turbini del vento senza nissun' impelo cagio-
narono poca nebbia nel giorno, ma nelle notti il
cielo fu limpido, e le stelle luccicanti, a segno che
non furono impedite le ordinarie osservazioni a-
strononiiche.
Mese
Luglio. . ,
agosto
Oie (Ifll'osser-
\i\i\onc
5ii 7 P-"
/io i p
in
p.m
7 di mattina
mezzodì
2 I p.m
Il l p.m
8 di mattina
mezzodì
9 2 p.m
1 1 5 p.m
rcrmomclro
luetcoi'olos.
122,8
128,4
l3l,8
i38,6
127,8
i33,6
139,2
128,0
125,4
rerrnometro
di Rcauiuur
18,24
22,72
25,44
3o,88
23,52
22,24
26,88
3 1,36
22,40
20,32
SIROGCO IN LUGLIO 1808
Cominciò la mattina de' 38 luglio e finì la se>
ra de' 3o.
Il barometro si mantenne sempre pochissimo più
alto della sua altezza media.
Li turbini del vento poco forti. Il cielo quasi
sempre lucido, tanto che le osservazioni astrono-
miche in corso non furono impedite.
Mese
Ore dell'osserva-
Terraomctro
Termometro
0
zione
tneteorolof;.
di Reaumur
(
L
7 3 di matt.
0
125,5
20, 4
Luglio....
28
i
mezzodì
9 \ P-ra
137,2 *
i3o,i
29^76
24,08
( Il 5 p.m
i3i,9
25,52
( 7 1 di matt.
l3o,2
24,16
\ mezzodì
128,6
32,88
^9 ) 9 I p.m
125,8
20,64
( 11 1 p.m
124,4
i9,5a
l 7 i di matt.
126,7
31,36
3o mezzodì
128,3
22,64
f 8 3 p.m
121,7
17,36
SIROCCO IN LUGLIO 1 809
Cominciò la sera del di 6, e terminò la mani-
na del dì 9. Questa fu il più caloroso di quanti
ve ne son slati in 4^ anni.
Il barometro sempre si mantenne verso l'altez-
za media.
Li turbini del vento si fecero sentire con forza
dalla mattina alla sera del dì 7.
Il cielo fu sempre nebbioso , e impedì qualun-
que altra sorta di osservazioni.
Ore dell'osserva-
vazioni
9 5 p.m
mezzanotte
7 5 di raatt.
no di mattina
mezzodì
2 ^ p.m
4 \ P-ra
10 i p.m
mezzanotte
7 I di matt.
mezzodì
10 p.m
1 1 5 p.m
( 7 I di matt
•^ ( mezzodì
Xertnometro
meteorolog.
128,5
i33,o
i35,3
i38,7
«39,7
i39,7
i37,4
i33,4
i32,9
126,7
129,4
127,7
127,8
1 26,3
127,7
rertnoniclio
di Rcauniiir
22,8
26,4
28,24
30,96
31,76
31,76
29^92
26,72
26,32
21,36
23,52
22,16
22,24
2 1 ,04
22,16
IO
SIROCCO IN LUGLIO 1828
Cominciò la mattina de' ao, e terminò la sera
de' 22.
Il barometro, poco al di sopra dell'altezza me-
dia, non fece movimento.
Li turbini di questo vento furono così leggieri,
che non si ravvisavano che per la senzazione di
calore che producevano.
Il cielo si mantenne sempre caliginoso.
Mese
'e
u
.0
0
Ore deli'ofser-
vazionc
Termometro
meleoiolog.
Tcriiiomelro
di Reamur
Luglio....
20 1
1
li
7 5 di matt.
mezzodì
2 p.m
8 - p.m
0
I2g,6
i38,G *
i34,4
i3o,9
23°68
3o,88
27,52
24,72
1
0 1 di matt.
128,1
22,48
21
7 di mattina
127,8
22,24
/
mezzodì
8 i p.m
i3o,o
1 26,9
24,00
2 1,52
32 <
0 5 di mail.
8 ^ di matt.
mezzodì
2 p.m
127,0
129,2
l32,2
i3i,9
21,60
23,36
25,76
25,52
_J
8 ^ p.m
127,8
22,34
SmOCCO IN ACOSTO l83l
XI
Cominciò la mattina de' 20 e terminò la sera
de' 22.
Il barometro che sul principio era di poco al
di sopra dell'altezza media, sul finire scese un po-
co sotto la medesima.
Li turbini del vento leggierissimi sulle prime,
divennero forti e nojosi nel giorno 21; ma dopo
si raddolcirono.
Il cielo fu sempre caliginoso.
Mese
a
0
0
Ore dell' osser-
vazioni
Termometro
meteorolog.
Termometro |
di Rcauraur |
Jgosto , . .
20
h
7 1 di matl.
mezzodì
7 ^ di sera
i25°8
128,3
127,6
0
20,64
22,64
22,08
mezzanotte
127,0
2Ij6o
\
1
8 0 di matl.
mezzodì
2 0 p.m
127,8
i38,i *
i38,8 *
22,24
3o,48
3i,o4
2 1 p.m
7 l p.m
mezzanotte
134,0
128,1
127,0
27,20
22,48
21,60
1
7 1 di matl.
/26,9
21,52
.2
mezzodì
129,1
23,28
1
7 1 di sera
125,2
20,16
13
SIROCCO IN AGOSTO l833
Cominciò la mattina de' 18 e finì la sera de' 20.
Il barometro si conservò costantemente verso
l'altezza media.
Li turbini del vento, poco sensibili nel dì 18,
rinforzano notabilmente nella notte, e per tutto il
dì 19. Verso sera e in appresso pochissimo vento.
Il cielo si conservò sempre caliginoso.
e
Ore dell' osser-
Tcrmomctio
rermoraetro
Mese
0
0
vazione
ineteoi'olog.
di Ilcauninr
"^^
h
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128^8
23,o4
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Jgosto . . .
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3o,48
j
9 P-'»
i34,o
27,20
(
mezzanotte
i
i33,3
26,64
1
9 0 di mail.
i35,5
28,40
1 mezzodì
i38,5 *
3o,8o
'9^
l 4 0 p.m
137,2 *
2957^5
1 7 1 p.m
127,8
22,24
, mezzanotte
1
127,2
21,76
1
8 1 di matt.
128,0
22,40
20
mezzodì
126,3
2I,04
1
6 p.m.
125,7
20,56
i3
Dalle precedenti tavole si deduce
1.** Che il vero sirocco di Palermo dura 60 ore,
e non si estende oltre questo tenujo.
2.° Che pochi in Palermo sono li sirocchi che
portano la temperatura dell'atmosfera al di la di
,37."
3.'^ Che non per tutta la durata del vento il ter-
mometro si mantiene a quell'altezza, ma solo per
poche ore, che sono le ore del merigio.
4.® Che tolte queste pochissime ore il calore
rientra dentro i limiti dei calori che si soffrono
spesso in Napoli e in Roma. E poiché trovo, che
sino in Coppenhaghen il termometro è giunto a
i32,5, basterà dare un'occhiata alla tavola prece-
dente per vedere, che durante il maggior tempo dei
sirocchi più calorosi, il termometro resta anche al
di sotto di iSa.**
5.° Che lo sirocco raramente incommoda per la
sua forza. Solleva al più un poco di polve secca ed
infocala, la quale si evita trattenendosi nelle stanze
a finestre serrate. Il bel fresco che ivi si gode fa
un piacevole contrasto coli' aria che si respira af-
facciandosi al di fuori.
6.° Che questo ultimo sirocco non è stato gran
fatto più caloroso degli altri precedenti; ed è stato
sorpassato di molto da quello del i8og.
7.° Che il peso dell'atmosfera non ne subisce nes-
sun cambiamento. Il barometro si conserva pres-
sapoco alla sua altezza media ; e quindi non può
il nostro corpo soflìire per causa di questo vento.
Ben sono a noi perniciosi quei venti, che facendo
rapidamente scendere o salire il barometro , atte-
stano i cambiamenti bruschi che inducono nello
elemento che gravita sui nostri pulmoui, dalla cui
influenza son pochi i corpi che non riportino delle
funeste conseguenze. Tali sono i venti di maestro e
di libeccio principalmente quando avvicendano l'uno
coir altro. Li reumi , le costipazioni , e spesso le
rotture de' vasi , e le morti improvvise sono la
prova fatale che su di noi facciamo del cambia-
mento brusco nel peso dell'atmosfera, piìi che dagli
altri cagionato da questi due venti. Ma lo sirocco
non ha mai prodotto, ne è capnce di produrre nulla
di tutto questo. Un pò di noja, un pò di caldo,
un pò di rilassamento sono le compagne di un vento
tanto curioso, e nulla più.
8.°Gli alberi, le frutta, la vegetazione non soffrono
molto dal vero sirocco; gli ortaggi appassiscono un
poco per il calore. Perchè il vero sirocco non è
fòrte; li suoi turbini si rendono sensibili per il ca-
lore pili tosto che per la violenza. Sono ben' altra
cosa quei venti fortissimi, che rovinano le campagne.
Sono principalmente i libecci^ che spirano con mag-
giore o minore veemenza in tutt'i mesi, e in tutte
le stagioni; e che nell' està fanno male ai vegeta-
bili per la loro forza pii!i tosto che per il caldo ;
giacché sebbene pure questi sieno qui chiamati si-
roccld , come generalmente tutt' i venti australi ,
non recano seco il gran calore dello sirocco , ma
pur sono caldissimi ; ed anche spesso sono violen-
tissimi, e quindi dannosissimi. Ma vi sono forse
paesi del mondo , che sieno esenti dalla violenza
de' venti?
g.° La poca velocità e forza del vero sirocco;
la sua durata non mai maggiore di 60 ore; la sua
rarità; il pulviscolo che reca nelle regioni altissime
dell'atmosfera, e che depositato sulla foglie degli
alberi, e su i vetri, si scorge differente dall'arena e
i5
dal terriccio delle campagne di Sicilia, il calore
arido che produce nell'aria , e nei corpi , e varie
altre circostanze, ini hanno l'alto sos[)cUare (i), che
fosse questo vento in Sicilia un'ultima diramazio-
ne del terribile Shum^ o Kamsin di Egitto, al-
trimenti chiamato in Africa Simoom o Samiel.
Possono benissimo quelle secche e cocenti colonne
aeree, nel deserto tanto violenti e micidiali, in forza
dell'impulso ricevuto, traversare il breve tratto di
mare che separa l'Africa della Sicilia. 11 calori-
co di cui sono eminentemente saturale deve in tal
caso produrre una forte evaporazione nella super-
ficie delle acque, e questi vapori acquosi devono
restare sospesi nei strati più bassi delle medesime.
Umide perciò ed apportatrici di nebbie, ma sempre
caldissime, devono sentirsi nelle spiaggie che inve-
stono immediatamente venendo dal mare, come so-
no quelle della Sicilia meridionale, della Calabria
della provincia di Otranto ec. Ma proseguendo in-
tanto il loro corso dentro terra, basta che per bre-
ve, tratto striscino sopra campagne secche e riscal-
dale dal Sole, per deporvi questi vapori che ten-
gono in sospensione negli strali inferiori; li quali per-
ciò si precipitano, e lasciano quelle colonne aeree
nel loro stato primitivo. Nel traversare quindi le
aride e calde campagne dell'interno dell'isola spo-
g\iansi dei vapori strappali al mare , e recano in
l'alermo, e nelle parli boreali dell' isola un vento
arido, e caloroso, e quindi una corrente di aria
lorda di sottile pulviscolo , secca, alcun poco mo-
lesta alla respirazione di chi vi si espone; ma sce-
vra intieramente di quelle qualità venefiche , che
(i) Vedasi Cacciatore. Del Rcal Osservatorio. Voi. I. in fol.
Palermo 1827 nell'appendice pag. XLVi.
i6
nei paesi dóve lia l'origine riescono fatali agli nò'-
mini ed agli animali.
Quindi questo vento, lungi dell'esser temuto, da
all'incontro in Palermo frequenti occasioni di com-
binare nelle sere e nelle notti delle partite di diver-
timento. E non mancano di quelli che lo deside-
rano, tra i quali farà al certo impressione che si
contino de' forestieri, e fìnanco un medico Inglese.
Quest'aneddoto merita esser conosciuto.
Colla Corte nel 1799 venne da Napoli in Pa-
lermo, al seguito dell'ambasciatore Russo, uu cer-
to sig. Tompson , non so perchè j non più profes*
sore di Oxford o di Edimburgo, uomo dotto anzi
che no, principalmente nell'anatomia e nella sto-
ria naturale. Egli dopo il primo ritorno della Cor-
te in Napoli, si restituì in Palermo, perchè fu invi-
tato in questa Università per occuparvi la cattedra
di anatomia; ma disgraziatamene fu prevenuto dal-
la morte prima di aver cominciate le sue lezioni;
Eravamo amici. Questo dotto medico avea fatto
particolari osservazioni sullo sirocco, al segno di pre-
sagirne molto prima l'avvicinamento, di cui eia
ansioso. Sul principiare del vento rinserravasi in
casa, dove chiuso in una stanza, se ne restava, du-^
rante il medesimo, ignudo come lo fece sua madre,
steso sul pavimento, con niente altro al di sotto che
un grosso tappeto e un guanciale cilindrico di crine
per rialzargli il capo. Intanto da un bacile di ac-
qua, che teneva a canto, di tempo in tempo pigliava
una grossa spugna colla quale si bagnava tutta la
j)ersona , che tosto con altra spugna leggiermente
asciugava: all'altro canto teneva un bicchiere con una
bottiglia di Punch, che beveva a piccoli sorsi. lu
questo slato non era permesso l'accesso a lui che
' * , . . . *7
a pocliìsslml amici, ai quali nell'aria di massima
soddisfazione giurava, che restando m quella posizio-
ne, in tempo dello scirocco, egli provava le sensa-
zioni più gradite, le delizie sopraumane w Li pia-
« ceri, che nella loro immaginazione si attendono li
w seguaci di Maometto in braccio alle loro liouris
w non equivalgono, no, ai deliziosi rinfreschi che
» procura col fatto il vostro sirocco. Oh si , per
M bacco, voi miei buoni amici ridete; vi senibra
w una stravaganza questo che io vi accerto. Ma io
w vi giuro, che qubsto sirocco è pur la bella cosa.
w Voi però non ne sapete profittare. Lo trattate
w come le materie grezze, di cui non conoscete l'im-
>j portanza, e che vendete per nulla alla mia na-
w zione; la quale poi ve le rivende a prezzo de-
» cupio, perchè sa trarne pjofitto col migliorarle,
w e con impiegarle nelle sue manifatture.»
Ripassavasi intanto la spugna , e soggiugneva:
» Toccate toccate la mia pelle, non vi sembra di'
w toccare il velluto il più fino? come diventa essa
M fresca, morbida, piacevole al tatio! mentre la vo-
» stra, adusta per mancanza di trattamento, è ari-
w da e raggrinsata. Voi v' indebolite la salute coi
w bagni, vi rovinate lo stomaco coi sorbetti, po-
w veri minchioni ! sou cose che nel momento sem-
w brano di sollevarvi, ma vi ammazzano. La dol-
?j ce frescura, che la spugna bagnata comunica al-
w la pelle, e che dall'evaporazione cagionata dal
» calore dt-ll' atmoslbra viene resa più piacevole •
w e il ])unch che vi rinfresca, e vi scaccia il poco
>3 di umido che resta nei pori , sono li veri mez-
« zi, per cui un vento cosi caldo e disgustoso si
>•> converte in dolce zefiro e in anelito salutare.
w Buona colazione, buon pranzo, la spugna ba^na-
2
i8
jj ta, il punch, e la pelle nuda, sono li veri an-
w lidoti dello sirocco.» E ritornava di nuovo a ba-
gnarsi colla spugna, ed a bere. Noi ridevamo; be-
vevamo dalla parte nostra ancora l'eccellente punch
che egli ci faceva portare dal cameriere, e lo la-
sciavamo, augurandogli di lutto cuore, che jirose-
guisse a godersi solo le musulmane immaginarie
dolcezze delle houris.
Ma finisco per non divenire io pure nnjoso quanto
lo scirocco. Accetti intanto V. E. Rma. li miei
pili ferventi auguri per la lunga continuazione di
giorni tanto preziosi e tanto cari. Io mi pregerò
sempre della sorte di avermi guadagnata la cordia-
lità e l'amicizia di quel venerabile Nestore, di quel
grande , che ricevette gli ultimi respiri del mio
Piazzi; e sarò sempre l'ammiratore di sua profonda
dottrina, de' suoi filantropici sentimenti, e della can-
didezza del suo cuore: mentre le bacio divolamen-
te la mano.
Sopra le cause astronomiche che possono influire
su i fenomeni geologici di I. F.r W^.Herschel
estratto dalle transazioni della Società Geo-
logica di Londra 1882.
Ai Compilatori delle Effemeridi scientifiche e let-
terarie per la Sicilia
Carlo Gemmellaro
SiGNOEI
II rinvenimento delle ossa fossili, di animali abi-
tatori delle contrade equatoriali , ne' terreni delle
gelate regioni del Nord ha fatto supporre ai geo-
19
logi die una diversità di ellma fosse esistita una
volta sopra la superficie del globo. Questa supposi-
zione però, ancorché non lontana dalla possibilità,
sarà riguardata sempre come una ipotesi ; sinché
l'astronomia non saprà co' suoi calcoli ammetterla
nel numero dello sue verità. Si è desiderato quindi
da' naturalisti che i fenomeni geologici divenissero
oggetto di astronomica applicazione: ma è stato sin
ora vano desiderio; e noi abbiamo veduto nascere
e morire sistemi ed ipotesi senza poter fidarci che
alcuno di loro si appoggiasse a certi dati.
Oggi finalmente l'illustre I. F.r W. Hcrschel pare
che abbia rivolto uno sguardo agli sforzi de' geo-
logi, ed abbia aperto una strada agli astronomi,
che, se sarà da loro arditamente battuta, può bene
augurarsi la geologia di veder dissipate le tenebre
che si oppongono al progresso delle sue indagini,
e stabilito con irrefragabili pruove, le vere cause
che diedero origine all'attuale crosta della terra.
Egli ha presentato alla società geologica di Lon-
dra una brevissima, ma precisa e dotta memoria,
sopra le cause astronomiche che possono influire su'
fenomeni geologici, e questa ha per iscopo di as-
sicurarsi se mai da conosciuti movimenti nelle or-
bite dei pianeti, che han diretta influenza sulla
terra, potrebbero dedursi conseguenze tali da esser
sufficienti alla spiegazione di qualche gran fenome-
no geologico. Rapidamente egli ne esamina i punti
principali, e mentre fa conoscere come non sniebbe
impossibile quanto si suppone, dichiara però che
se i calcoli, a tale efletlo istituiti, non daranno il
bramato resultamento, questi fenomeni debbono ri-
ferirsi a ben altre cause, che a quelle soggette alle
leggi da cui è regolato il sistema solare.
30
Aperta questa via, ch'io consiclero come il primo
soccorso che la scienza astronomica presti alla geo-
logia, è da sperare che gli astronomi si diano ad
eseguire i calcoli di cui l' illustre autore ragiona ,
e cerchino nel passaggio delle comete , o in altre
perturbazioni celesti, la vera causa dei fenomeni
geologici, quando nelle esceatricità delle orbite dei
nostri pianeti non ne troveranno alcuna che sia suf-
ficiente. Questa memoria^ trasmessa dairaiilore alla
accademia Gioenia, di cui è socio merilissimo, ho
creduto bene di fedelmente tradurre dall'inglese,
perchè più universalmente si conoscesse da' nostri
naturalisti, e da coloro che all'astronomia sono ad-
detti; ed a voi mi rivolgo, signori Compilatori, ac-
ciocché inserita nelle accredilatissioie vostre Ef-
femeridi possa più facilmente e più presto venire
nelle mani di coloro che amano di conoscere i pro-
gressi delle scienze.
Da Catania a dì 16 settembre 18 33.
MEMORIA
Abbenchè il più immediato oggetto de' geologi,
nello stato attuale della loro scienza, sia più tosto
la collezione de' fatti e di qualche induzione che
nasce soltanto da conchiusioni indipendenti , per
quanto è possibile da teoria, tuttavolta quando que-
sta si limita ad additare la influenza delle caue
esistenti , e che modificano la cotidizione generae
del nostro globo, ed a facilitare il calcolo delia Ibiza
delle loro azioni, può riguardarsi allora come quella
che rende reale servizio alla scietiza. Tende essa
in tal modo a diminuire in parte la complicazione
de' problemi da sciogliersi, 0 almeno a ridurli alla
21
loro vera difficoltà, dimostrando quale porzione di
essi possa, e quale non possa ammettersi fra i co-
nosciuti principi; restringendo così il campo delle
ricerche , e dirigendo gli sforzi de' futuri specola-
tori alia scoperta di cause di ben altro genere.
Qaesta considerazione mi ha indotto, non senza
qualche esilamento, ad offrire a questa società, seb-
bene in uno stato immaturo ed imperfetto, alcune
mie vedute di possibile spiegazione, di una parte
almeno del gran fenomeno geologico. wLa differenza
» fra i climi attuali che regnano sopra vaste re-
» gioni della superficie della terra , e forse sopra
M tutta la estensione , e quelli che gli scoperti re-
w sti organici de' suoi strati ci portano a conchiu-
w dere aver sussistito dapprima, per lungo periodo
» di tempi M. I tentativi ingegnosi, che sono stati
di recente intrapresi per dar ragione di questo ri-
marchevole fatto , mentre dimostrano il senso dei
geologi nell'importanza del subietto, sembrano avere
una caratteristica , da cui non v* è da temere di
non venire a giuste conchiusioni; e che in conse-
guenza non può una ricerca considerarsi di poco
rilievo, quando ha per oggetto di dimostrare l'azio-
ne delle cause, che certamente debbono avere una
influenza , e rispetto a cui la questione potrebbe
ridursi al solo numero di esse.
Impressionata la mente, dalla magnificenza del
prospetto delle rivoluzioni geologiche, che riguarda
più tosto come effetti regolari e necessari di grandi
e generali cause , che come resultamenti di una
serie di convulsioni e catastrofi non regolate da
leggi, e non riducibili a stabiliti principi, essa ri-
volgesi a quegli immensi periodi, colla di cui esi-
stenza uel sistema piaaetario l'astroaomo si è fami-
22
liaiizzalo ; attirala dapprima dall' analogia ofFerta
dalla misurala durazione di que' traiti di tempo,
che la geologia contempla , e sperando iu seguito
di scoprire, nelle flnlluazioni a cui l'orbita del
nostro pianeta è soggella, qualche circoslanza che
possa dar ragione almeno di alcuni eventi nella loro
geologica istoria.
Il sole e la luna sono i soli corpi nel nostro si-
stema la di cui influenza può alcerto direttamente
agire sulle condizioni del nostro globo : entrambi
pe' loro effetti che producono le maree; il primo
pel suo calore. La marea prodotta da qualsivoglia
de' due luminari sta, come e noto, in ragione in-
versa del cubo della sua distanza. Da qui egli è
evidente che qualunque considerevole approssima-
mento della luna alla terra accrescerebbe moltis-
simo le maree. Se, per cagion d'esempio, la di-
stanza media della luna venisse diminuita solamente
di un decimo della sua attuale q^uantità, il medio
innalzamento ed abbassamento delle maree verrebbe
accresciuto di un terzo dell'attuale loro quantità;
locchè jìrodurrebbe per conseguenza un accresci-
mento niaggiore nell'azione loro corrosiva sopra i
continenti , come altresì nella forza di trasporto
delle acque dell'oceano sopra i materiali della terra.
La distanza media della luna è attualmente nel
decrescimento, ed è stata cosi sin dalle età piiì ri-
mote , producendo il fefiomeno astronomico cono-
sciuto sotto il nome di accelerazione del moto me-
dio della luna. Ma questo decresci men lo, che suc-
cede con estrema lentezza , è stalo dimostrato da
Laplace essere incapace di giungere allo stalo qui
sopra detto , e , dopo un periodo di enorme lun-
ghezza, sarà di nuovo cangiato in accrescimento;
23
il quale nella slessa maniera , non sarà mai cosi
grande da recare alcun considerabile cambiamento
nelle relazioni die venghiam di esaminare.
La escentricità dellorbila lunare è soggetta an-
ch'essa a fluttuazioni: ed è lungi dall'esser provato
che , se noi estendiamo le nostre vedute indietro
per molti milioni di anni, non sia stato dapprin-
cipio materialmente maggiore di come è al pre-
sente , in conseguenza di qualche estesa periodica
ineguaglianza, o di un'accumulamento di molte di
queste. Or supposto, sia stalo questo il caso una
volta, le maree nel perigeo della luna, avran do-
vuto conseguentemente soffrire con proporzionale
accrescimento. Ma egli non vi ha però ragione di
credere che alcuna possibile approssimazione della
luna alla terra, nata dalla accresciuta escentricità
nella sua orbita, l'abbia portata dentro a due terzi
della sua distanza perigea: in tale supposizione (ap-
postatamente assunta come stravagante) la marea
lunare avrà avuto aufhe più di 3 - di volte della
attuale grandezza. Ciò senza dubbio basterebbe ,
quando potesse verificarsi di un colpo, a cagionar
grandi devastazioni locali ne' bracci di mare e nei
ristretti canali, ma nulla influirebbe però in alcun
grandioso fenomeno diluviale; specialmente quando
si consideri che i cambiamenti , avendo dovuto
aver luogo gradatamente , diverrebbero modificati
nelle loro forme, da gradazioni insensibili , ed ac-
comodati. alle alterate circostanze; osservazione
che può estendersi al general contorno delle coste
marittime, le quali soffrirebbero senza dubbio una
qualche alterazione. Non appare dunque che alcuno
ammissibil grado di perturbazione , prodotto dalla
azione del sole suU' orbita lunare , abbia influito
malerialmeiite nello st^to geologico della terra.
^4 . . .
Consideriamo in seguito i cambiamenti che na-
scono nell'orbita stessa della terra attorno al sole,
per ragione disturbatrice de' pianeti. Così facendo
si vedrà non esser necessario di considerare gli ef-
fetti prodotti sulle marce solari, a cui il ragiona-
mento di sopra può meglio applicarsi che nel caso
delle luuaiì. Dobbiamo uoi quindi considerare sol-
tanto le variazioni nella quantità di luce e calore
che si riceve dal sole.
Avendo i geometri dimostrato l'assoluta invaria-
bilità della media distanza della terra da! sole, sem-
bra doverne seguire che la media annua quantità
di luce e calore derivante da quell' astro fosse si-
milmente invariabile: ma una piìi stretta conside-
razione sull'assunto dimostrerà che questa non sa-
rebbe una lep;gitima conchiusione; ma che all'in-
contro la media somma della radiazione solare sia
dipendente dalla escentricità dell'orbila, e quindi
soggetta a variazione. Senza entrare per ora in al-
cuna investigazione geometrica, sarà qui sufficiente
al .«iubbietto lo stabilire come teorema, di cui può
ognuno facilmente persuaderai, senza un difficile ra-
gionamento geometrico che >i variando la escentri-
« cita dell'orbita la quantità totale del calore che
» la terra riceve dal sole in una rivoluzione, è in
M ragione inversa dell'asse minore dell'oibita w. Or
dacché l'asse maggiore, come di sopra si è osser-
vato, è invariabile, e quindi per conseguenza l'as-
soluta lunghezza dell'anno, ne siegue che la som-
ma del medio annuale del calore sarà pure nella
stessa ragione inversa dell'asse minore ; e cosi noi
veggiamo che quella stessa circostanza la quale, in
una rapida vista, avremmo dovuto riguardare co-
me dimostrativa della costanza della nostra quaa-
25
tità di calore solare, forma un anello essenziale nella
catena dello stretto ragionamento che prova la sua
variabilità.
La cscentricilà dell'orbita della terra attualmente
è in diminuzione, ed è stata così pel corso di epo-
che al di là delle «iiemorie istoriclie. In conseguenza
la eclissi è in uno stato di approssimazione al cir-
colo; od il suo asse minore essendo quindi nell' ac-
crescimento, il calcolo annuo della radiazione solare
è attualmente nel decrescimento.
Sin qui ciò si accorda colla testimonianza di geo-
logica evidenza, la quale indica una refrigerazione
generale del clima: ma quando noi consideriamo
la somma della diminuzione, die bisogna supporre
aver dovute soffrile la escenlricilà, per dar ragione
delle variazioni che han dovuto aver luogo, fa di
mestieri aver presente che una gran diminuzione di
escentricità si richiede a produrrre qualunque sensi-
bile accrcsciinenlo dell'asse minore; ed essendo que-
sta una conchiusioiie [jienamenle geometrica vien
dimostrata meglio dalla tavola seguente.
Calore reciproco, o propor-
zione del calore ricevuto,
1.000
i.ooa
i.oo5
f.OIl
1.021
1.032
1.042
Da questa appare che una variazione di escen-
tricità dell'orbita dalla forma circolare a quella di
un eclissi, che ha una escentricità di un quarto del-
Escentricità
^sse minore
0.00
i.ooo
o.o5
0-999
0. 10
0.995
o.i5
0.989
0.20
0.9S0
0.25
0.968
o,3o
0.954
36
l'asse maggiore, produrrebbe solamente una varia-
zione di 3 per cento , sulla media annua somma
della radiazione solare: e questa variazione l»a luo-
go neir intero rango delle escentricità planetarie da
Pallade e Giunone in f];iù.
Non è a mia conoscenza che il limite dell' ac-
crescimento di escentricilà dell'orbita della terra sia
sfato mai determinato. Che un limite vi fosse è
stato soddisfattoriamente provato ; ma il celebre
teorema di Laplace che citasi coiiiunemente come
quello che dimostra non esservi orbita planetaria
che materialmente deviasse d;illa forma circolare, (i)
non conduce a tale conchìslone, eccetto nel caso
de' grandi preponderanti pianeti Giove e Saturno:
mentre per qualunque cosa quel teorema provas-
se al contrario , 1' orbita della terra può divenire
ellittica a qualunque somma.
In mancanza di calcoli i quali, ancorché prati-
cabili, io credo non essere stali mai fatti, ne lieve
sarebbe lo intraprenderli, noi possiamo credere che
le escentricità, le quali esistono nelle orbile de' pia-
neti, tanto interiori qua n lo esteriori a quella della
terra, si sian potute possibilmenle dedurre, e pos-
sano di nuovo dedursi per mezzo di quella della
istessa terra. Egli è chiaro che tali escentricità esi-
stendo esse non possono essere incompatibili colla
stabilità del sistema in generale; e che quindi la
quistione della possibilità di un tale resultato ne'
casi particolari dell'orbita della terra dipenderà da'
dati pirticohiri , che appartengono a quel caso ;
e possono solamente esser determinati eseguendo i
calcoli che vi hanno rapporto; ed avendo riguar-
do agli elTelti simultanei almeno dei quattro più
(i) Mccanlqiic Ccléolc, liyr. II. il. /i; equation («).
^7
influenti pianeti Venere, Marte, Giove e Saturno,
ìion solamente neìV orbita della terra ma in quelle
di ciascheduno di loro. I principi di questi cal-
coli sono doti. liliali nel citato articolo dell' opera
di Laplace. Ma prima di entrare in un lavoro sì
penoso è necessario d' investigare qual prospetto
di vantaggio vi sia per chi vorrà intraprenderlo.
CcrlaniKiile chiaro egli sembra a prima vista che
una vaiiazione di 3 per cento solamente , nella
media somma annuale della radiazione solare, na-
scente da una estrema supposizione non presenta
un vantaggioso prospetto. Puossi tuttavia argomen-
tare, che l'effelto del calore del sole si è di man-
tenere la temperatura della superficie della terra
neir attuale sua mt^dia elevazione , non al disopra
del zero di fahrenheit, o di altro termometro, ma
al disopra della temperatura degli spazi celesti che
sono al di là della portata della influenza del sole;
e quale si fosse tale temperatura sarebbe materia
di molte discussioni. Il sig. Fourrier ha consideralo
come cosa dimostrata che non è molto inferiore a
quella delle regioni polari del nostro globo: ma la
base di questa decisione mi sembra esposta a con-
siderevoli obiezioni (i). Se quelle regioni fossero
realmente vuote di materia, la loro temperatura po-
trebbe solamente nascere , secondo le vedute del
sig. Fourrier, dalle radiazioni delle stesse; dovrebbe
quindi essere tanto inferiore a quella dovuta alla
irradiazione solare , quanto la luce di una notte
stellata è a quella di uno splendido merigio ; in
altri termini dovrebbe essere vicina alla totale pri-
vazione di calore, (2) quasi l'assoluto zero^ su di
(1) Meni, de l'acad. Royale des Sciences 1827, tom. VII. p. 698.
(2) La proporzione della luce del soie sta a quella della luna se-
condo il calcolo di Bouguer come 3oo.ooo ad i. Se riguardiamo
38
cui esiste tanta differenza di opinioni , situandolo
alcuni a looo , altri a 5ooo gradi di fahrenheit
sotto zero, ed altri ancora più basso; nel qual caso
una semplice unità per cento nella media somma
annuale d' irradiazione sarebbe bastante a produrre
un cambiamento di clima pienamente proporzionato
alle dimande de' geologi.
Ma senza tentare di |)iù iiinllrarsi nelle imba-
razzanti didicollà da cui e involto queslo argomento,
e che sono assai maggiori di quiinto a[:)pajot40 a
primo aspetto , consideriamo piuttosto , non già i
medi ma gli estremi effetti , che una variazione
uella escentricità dell'orbita della terra può aspet-
tarsi di produrre ne' climi di estate e d' inverno,
in particolari regioni della sua superfìcie, e sotto
la influenza di circostanze che favoriscono una dif-
ferenza di effetto. E qui, s'io non m'inganno, si
vedrà, che una somma di variazioni, che non dob-
biamo esitare di cmmettere , (promodaUnenle al-
meno) come possibile, può produrre considerevoli
diversità di clima, e può operare per un gran pe-
riodo di tempo, sia a mitigare, sia ad esaggerare
la differenza della temperatura di inverno, e di estate
in modo da produrre alternativamente nella stessa
atitudine di ambi gli emisferi una |)erpetua prima-
vera, ole estreme vicissitudini di brugiante estate
di rigoroso inverno.
Per dimostrar ciò prendiamo 1' estremo caso di
un'orbita come escentrico, quale sarebbe quella di
la illuiiiinazionc di un plenilunio come loo volte mnf;giorc di una
notte stellai, 1 , locclié è una nioderatisslina suppiìs z'one , avremo
una proporiione di 3o, 000,000 ad i della foiv.a illuniinalnce del
sole, comparata a quella di tulle le stelle del nostro emisfero: ed
in conseguenza i5, 000, 000 ad 1 della proporzione degli eliciti ri-
scaldanti del solo aquolli di tutte le stelle di ainbidue gli emisferi.
. ^9
Giunone o di Pallade in cui le maggiori e minori
distanze dal sole sono all' una ed all'alila come 5
a 3, ed in conseguenza le radiazioni a queste di-
stanze come 20 a 9, o approssimativamente come
3 ad I per concepire quali sarebbero gli estremi
elTèlti di questa gran variazione di calore, ricevuta
a difTerenli jieiiocli dell'anno, imaginiarao prima,
nella nostra latitudine , che il ])Utito del jjerigeo
del sole coincidesse col solstizio di estale. In questo
caso la difl'erenza fra la temperatura dell'estate e del-
l'inverno sarebbe csageiata nel medtsimo grado,
come se tre soli fossero situati 1' uno a lianco al-
l'altro ne' cieli della prima stagione , e solamente
uno nella seconda; ciò che produrrebbe un clima
perfettamente intollerabile. Dall' allio canto, se il
perigeo fosse situato nel solstizio d' inverno, i no-
stri tre soli si unirebbero a riscaldarci nell'inverno,
o darebbero tale eccesso di iberna radiazione da
più the superare 1' efìctto de' corti giorni , e del-
l'obbliqua luce solare, e da spingere l'estiva sta-
gione ne' mesi d'inveino.
L'attuale diminuizione della escentricità è così
lenta , che il passaj^gio da uno stato dell' orbita ,
come abbiamo assunto , alla priseiite figura quasi
circolare , occuperebbe più di 600,000 anni sup-
ponendola uniformemente mutabile. Certo che non
sarà forse così; tuttavia quando avvicinerà al mas-
simo, varierà ancora più lentamente; di modochè
giunta a quel punto egli è evidente che un periodo
di 10,000 anni passerebbe senza percettibile cam-
biamento nello stalo dei dati che stiam conside-
rando.
Or , adottando la ingegnosissima idea del sig.
I
3o
Lyell (i), quanto abblam dello baslerà (a mollvo
del combinalo effetto della precessione degli equi-
uozì, e del moviineitto de^li apsidi dell'orbila istessa)
a trasferire il perigeo del solstizio di eslate a quello
d' inverno , e così a produrre una transizione da
una ad un'altra specie di clima, in un periodo suf-
ficientemente grande, per dar luogo a cambiamenti
materiali nel carattere botanico di un paese.
La supposizione di sopra fatta è un'estremo: ma
non è dimostrato che sia impossibde ; e se fosse
possibile un' approssimamento almeno a tale stalo
di cose, ne seguirebbero le medesime conseguenze
ia un grado plausibile. Ma se nell' eseguire i cal-
coli si vedesse che i limili della esceniricitù del-
l'orbila della terra fossero realmente ristretti : e se
in una piena discussione del di Ilici lissimo e dilicato
punto dell'alluale effetto della raduizione solare ap-
parisce, che la temperatura media, sì bene the la
estrema de' nostri climi non fosse materialmente
interessata, sarà almeno soddisfacente il conoscere
che le cause de' fenomeni in questione debbono
(i) Principics of. Geology p. tio. Il sigr. Lyell però, rappor-
tando ratinale eccesso di otto giorni, nella durata della presetiza
del sole udì' emisfero boreale, sopra l'australe, come cagione di
un'eccesso di luce adi calore, annualmente ricevuto da uno sopra
un' altro emisfero sembra di non aver ben concepito l'eirctto del
movimento ellittico nel pasào qui citato; mentie è dimostrabile che
qualunque si fosse la ellitlicilà dell'orbita della ferra, due emi-
sferi debbono ricevere eguali assolute quantità di luce e calore
per aimuin, a'\.tcc\\è la prossimilà del sole nel perigeo esattamente
conpctisd r circlto del suo più celere movimento. Ciò siegue da un
senipìicissimo teorema , che può rapportarsi nel seguente modo.
5> La so.nima del calore ricevulo per la terra dal sole, mentre
"descrive qualunque parledella sua orbita, è proporzionata all'au-
« golo descritto intorno al centro del sole ». Di modochè se l'or-
Lila sarà divisa in due porzioni da una linea tirata in qualsisia
direzione attraverso il centro del sole, il calore, ricevuto nel
descrivere li due ineguali segiucali dell' ellissi ia tal modo pro-
dotti, sarà uguale.
3r
ricercarsi allrove, die nelle relazioni del nostro pia-
neta col sistema a cui appartiene: mentre egli non
sembra esistere alcun' altra concepibile connessione
fra queste relazioni ed i fatti della geologia, fuori
di quelle clie abbiamo enumerato: essendo, come
noi sa])piamo, l'obbliquità dell'ellittica confinata fja
limiti troppo ristretti, perchè le sue variazioni vi
avessero alcuna sensibile influenza.
/. F.r TV. Herschel.
Memoria di Ignazio Sanfiljppo professore di
econoiìùa politica^ letta innanzi il Begal Isti-
tuto d' incoraggiamento su ciò che dovrelbesi
praticare per fuggire la mescolanza della pri-
ma fronda nel òommacco colla seconda.
Signori
Non ha guari, sul danno che siegue dal divieto
all'immissione dei grani stranieri, ebbi il piacere di
ragionarvi; e colai tema fu di s\ allo momento da
non poter non attirare, o soci, la vostra cortese at-
tenzione. Di un altro argomento oggi è di me-
stieri che v'intrattenga, perocché comincian taluni
dei nostri agricoltori a mescolare la prima fron-
da che volgarmente chiamano sfiato colla seconda,
e cotal miscela, alterandone la qualità, ne fa smi-
nuire lo spaccio appo lo straniero, ed il guadagno
^ppo noi; si domanda dunque; giova che il Go-
verno s'mtramctta in ciò , e che con leggi severe
condanni e punisca coloro, che malguidati dal pro-
prio interesse guastano un siffatto prodotto? Par-
32
mi, se pur non fallo, questo rispettabile consesso
esser diviso in due sentenze : alcuni inclinare per
l'interposizione governaliva, ed il rigor delle pene,
altri per la libertà dell' industria. Propugnatore
della prima si è fallo il nostro pregiatissimo Ba-
rone Bivona; a difensore delia seconda , ho avuto
io l'animo di levarmi, ma questo Regale Istituto
ijon ha finora nulla intorno a ciò determinato , e
può dirsi che penda tuttavia la lite. In colale sta-
to di cose ho creduto necessaiio sporvi ad una
ad una le ragioni che indussero il Bivona a soste-
nere il suo assunto, indi le mie , acciocché tutto
pesato , quel giudizio si emetta da voi che possa
favorire davvero questo ramo interessante di agri-
coltura e di nostro commercio.
Due gravi danni, dice il Bivona, sieguon dietro
a tal mescela, l'uno riguarda 1' agricoltura, l'altro il
commercio. Quella ne soffre sì per la quantità sì
per la qualità della fronda che fuor di stagione ri-
cogliesi; questo ])erchè, mescolando una cattiva fron-
da colla buona, se ne minora il pregio, da ciò il
discredito, la diminuzione della ricerca e la per-
dita di non pochi profitti. E cotanta jattura può
da noi mirarsi con animo freddo e tranquillo? Non
ha ancor mollo, soggiunge il prelodato socio, un'al-
tra fraudolenta macchinazione u.savario i nostri agri-
coltori, quella cioè di mischiare nella fronda del
somraacco altre frondi straniere; il Governo tulminò
pene severe contro i falsificatori, ed il male ces-
sò: se dunque dal miscuglio della cattiva colla buo-
na fronda sieguono i medesimi tristi effetti che pro-
cedevano dalla mescolanza di fronde eterogenee, se
per l'opera del Governo si appose rimedio al pri-
mo sconcio , qual ragione vi ha da poterne infe-
33
S'ire clie non debbasl oggi fare altrettanto? Ne mi
si objetti , prosiegue il Bivona , ed al suo parere
si uniformano allri due ornatissimisocì, che il dritto
di proprietà debb'esser sacro ed inviolabile, peroc-
ché sebbene ciò sia vero, pure egli è ancor certo,
che il drillo sudetto debb' essere sottoposto all'uti-
lità pubblica, la quale altamente dimanda die l'a-
gricollura, le arti, il commercio fioriscano. Se dun-
que l'esperienza ci prova , che taluni cittadini abu-
sano con pubblico detrimento di un cotal dritto ,
egli è consentaneo al general vantaggio, che quello
sino ad un certo seguo si limiti e rinfreni.
Tali sono, o signori, gli argomenti insili quali
l'ornalissimo socio fonda il suo avviso; vengo ora
ad esporvi i miei. E fuor d'ogni dubbio, che male
calcolano il proprio interesse coloro , che per un
tenue ed immediato lucro sfrondano intempestiva-
mente il sommacco; è certo altresì che peggio ope-
rano quei coloni i quali fanno il vituperato miscu-
glio ; ma assai peggio faremmo noi , se ad evitar
ciò, leggi severe e pene contro loro proponessimo;
elleno non che sarebbero inutili, ma eziandio dan-
nose; il perchè a me sembra, che quei soci i quali
si fanno a chiederle , possono rassembrarsi a tenere
madri, le quali non di rado per eccesso di amore,
colle loro incessanti cure, invece di bene male pro-
cacciano ai teneri lor pargoletti. Ma quanto io as-
serisco vuoisi provare coi fatti; scendiamo adunque
lale pruove.
Egli è una osservazione generale e costante, che
quando alcuno vuol vendere una data merce s'in-
gegna, per quanto è in lui, d'innalzarne il prezzo,
onde oltre modo ne commenda la qualità, e di tutti
gli accidenti si approfitta che possono condurlo al
3
34
suo fine; che Tarnore del guadagno, come ciascun
di voi sei sa, è il principal motore di nostre azio-
ni. Per questo medesimo principio , il comprator
della merce altro non volge nel suo pensiero, che
di dare al venditore in cambio il men che si possa
in danaro, o in altro prodotto, onde egli si avvan-
taggia della poca ricerca di quella , e tutti i di-
fetti, abbenchè minimi , si studia di scoprire per
abbassarne il prezzo. L'interesse adunque del ven-
ditore e del compratore nell'atto del cambio ven-
gono in urto, e quasi direi in una specie di lotta,
ciascun di essi, per conseguire il suo fine, aguzza
il proprio ingegno, e da questa lotta , che vuoisi
che sia liberissima, procede il vero valor delle cose,
che prezzo corrente o valor permutabile si appella.
Tali sono i fatti generali, che in tutti i traffici
intervengono, ed io non gli ho cennato, o soci or-
natissimi , che per farveue ricordanza. Or questi
medesimi fatti han luogo nella vendita e compra
della merce di cui ragioniamo. Se i venditori di
sommacco da una parte fanno ogni sforzo per ele-
varne il prezzo, i compratori dall'altra, non pos-
sono non reagire in contrario senso; il perchè veg-
giam noi costoro in ogni alto di compra far uso
della vista, dell' odorato , e del gusto. Col primo
senso eglino osservano , se la fronda sia tutta del
medesimo colore; e mettonsi in suspizione, se una
parte di quella sia meno lucida dell'altra; col se-
condo n'esaminano la qualità dell'odore; e col terzo
il sapore piìi o meno aspro; onde se il colore della
fronda sia ugualmente lucido, se l'odore ne sia pic-
cante, ed aspro il sapore eglino la tengono per buo-
na , e per tale la pagano; ma ove manchino in
parte coleste qualità; eglino si accorgono del miscu-
35
glio , la estimano tutta per cattiva , e come tale
intendon pagarla.
Ne credasi quanto io affermo essere un prodotto
di mia immaginazione, no che egli all' incontro è
la vera dipintura di ciò, che in questo ramo di
commercio suol praticarsi. Potrei in conferma di
ciò addurvi de' fatti particolari; ma me ne ritrag-
go, sì perchè eglino sono assai noti, sì perchè te-
mo recarvi noja , scendendo a siffatte minutezze.
Se dunque i traficanti in soramacco, senza l'inter-
posizione del Governo, coi lor propri sensi eserci-
tati dall'esperienza, si rendono assai abili a scopri-
re , quando nella fronda sia o pur no la mesco-
lanza, a che prò far leggi che la vietino e puni-
scano? Non sarebbero elleno inutili? Ma che dico
io inutili! sarebbero elle certamente dannose , ed
eccomi a dimostrarvclo.
Egli è un principio dedotto dall'esperienza, ed a
voi o soci assai manifesto, che affin di promuovere
l'industria, conviene onorare gl'industriosi, peroc-
ché ciascun uomo che vive in questo mondo, ha
il suo amor proprio, e non vuol' essere tenuto da
meno che gli altri; onde tutti i savi legislatori dei
tempi trasandati e dei presenti, onori e premi haa
dato a coloro che nelle opere d' industria da tut-
ti gli altri si sono distinti. Or quante volte una
legge così inutile si emanasse, egli è chiaro che la
condizione degli agricoltori, e dei mercatanti ver-
rebbesi a degradare, quindi si urterebbe contro un
principio sanzionato dall' esperienza di più secoli ,
la loro industria invece di favorirsi, sarebbe disa-
nimata, e minore la massa di nostre dovizie.
Ne questo è pur tutto : immaginate o signori ,
che con effetto si pubblichi questa legge di vie-
36
tare una tal mescela, qual sarette allora il i-isul-'
tamcnto , non si aprirebbe allora un campo assai
largo alle inimicizie, agli odi, alle calunnie , e noi
sappiamo quanto il nostro suolo abbondi di piante
sì velenose? gli agricoltori quindi, i mercatanti sa-
rebbero soggetti a frequenti visite , a denunzie , a
concussioni, a piatire innanzi ai giudici, ed a con*-
sumare sterilmente il tempo, quel tempo che non
può sprecarsi senza danno dell'intero corpo sociale.
Finalmente il dritto della propietà sarebbe aper-
tamente violato, e ciò è sì manifesto, che niun di
voi ne può dubitare. Ma voi mi opporrete, che la
proprietà dei privati debba sottostare al pubblico
vantaggio.
Questo è pur vero, o soci pregiatissimi , ma è
vero altresì , e tutti i pubblicisti sono in questo
di accordo, che la violazione debb' essere necessa-
ria, ed il pubblico comodo evidente. E la ragion
di ciò si è, die dal mantener sacro il dritto di pro-
prietà nasce il nostro guadagno, l'amore al trava-
glio, la formazione del capitale, e dagli uni e dagli
altri l'abbondanza dei prodotti di ogni specie, l'au-
menlo delia popolazione , il perfezionamento delle
nostre facoltà , e del viver civile ; in somma , la
ricchezza ed il ben essere privato e pubblico. Or
se io vi ho dimostro che la legge di cui è pa-
rola sarebbe inutile e dannosa, non è chiaro, che
proponendola noi al Governo , urteremmo contro
i pili sani principi della politica e dell' economia?
Bene adunque si avvisò la camera consultiva di
commercio, quando, interrogata del Governo allìa
di riferire sul soggetto di cui ragioniamo, disse »
per quanta circospezione (son queste le sue pa-
role) si voglia usare uell' impedire la secoada rac -
37
» colla della fronda non potrebbero restar lese le
» prerogative della proprietà proclamate dal codice
M in vigore, e che qualunque misura si adottasse
M sarebbe infruttuosa m.
Non per questo si concluda, che io voglia inal-
zarmi a difensore della fraude; no, io aborro il de-
litto ed i deliquenti; ma persuaso più che mai dal-
l' esperienza essere pur troppo savia la massima
del chiarissimo Giovaa Battista Say, quella nazio-
ne esser meglio amministrata dove poco o nulla si
amministra, io vorrei, qual cittadino e fedele sud-
dito, che r autorità pubblica non mai s' ingerisse
punto ne poco nell' industria dei privati. Lasciate
fare lasciate passare dicevano in questo assai bene i
partigiani della fisiocrazia, che ogni diretta ingerenza
dei Governi, ben di sovente è fatale all'industria.
>i Spandete dunque, conclude il sig. Droz nella sua
3j bella opera di economia politica, spandete l'istru-
M zione, assicurate la libertà del travaglio, rispet-
w tate ogni genere di proprietà, mantenete la tran-
w quillità interna, le relazioni collo straniero, for-
» matene delle nuove, moltiplicale le comunciazioni,
>3 onorate gl'industriosiw: son questi, o soci, i mezzi
da praticarsi, per fuggire le frodi, incoraggiare l'in-
dustria, ed accrescer la somma delle dovizie.
w
38
Sopra una Baccante eseguita in marmo dall'egre-
gio sig. Valerio Villaheale da Palermo
illustrazione di Agostino Gallo.
Quando Bacco accolgo in petto,
Cinta d'ellera la fronte,
Di dormire ho gran diletto:
Meglio è star nel sonno avvinta,
Sazia appien di buon liquore
Che giacer per sempre esliiiln !
Anac. od. iG.
Primo a veder sorgere sotto l'animatore scarpello,
e ad ammirar questa bellissima statua del Villa-
reale, mi è toccato in sorte ad esser ultimo a do-
verne ragionare. Imperocché diversi diligenti amato-
ri, chi con maggiore o minor senno, chi in pro-
sa, e chi in verso, e alcuno in qualche picciola par-
te censurandola, ne han proclamato il merito ar-
tistico ne' giornali di questa capitale. Giova intan-
to osservare, che le opere delle arti belle, che fino
a pochi anni andati servivano unicamente al lusso,
e alla curiosità di que' doviziosi, che senza scelta,
e consiglio ne fornivano i lor palagi, nella stessa
guisa, che di golìi, e dorali mobili, or formaa
l'oggetto più caro degli uomini di lettere , che si
contendou fra loro l'onor d' illustrarle, ed eccitano
dispute, e gare, mentre ne' trascorsi tempi era-
no senza intendimento riguardate appena con iner-
te diletto da chi avventurosamente le possedea. Ma
se l'amor delle arti belle va sempre più diffonden-
dosi di classe in classe appo noi per mezzo de-
gli scrittori, che cercano con ogni studio a pene-
trare i principi di quell'occulta filosofia, che le gui-
da; se titoli onorifici, e nobileschi si concedono a' più
.39
famosi artefici della nostra età(i) son fuggite eia noi
quelle beate ricchezze, che le nutrono, le alimen-
tano, e le fanno prosperare. E ne sia prova, che
questo egregio lavoro del Villareale da tutti loda-
to a cielo riraansi tuttavia inoperoso nel suo stu-
dio, lagnandosi quasi di non aver ancora ottenuta
onorevole collocazione nella galleria di alcun dovi-
zioso magnate , o amatore. E buon per noi che
taluni valorosi artisti siciliani, siccome il Carta, il
Navarro, il Faiia, il Sacco, l'Aloisio, il Viltà, il
Bellini si ritengan fuori di patria a sostener con
le opere loro il nazional decoro , e faccian pure
sclamare agli stranieri presso i quali soggiornano,
che la Sicilia è ancor classica terra, e sempre fera-
ce dì belli e prestanti ingegni in ogni maniera d'ar-
ti. Ma di ciò, che è inevitabil per noi, sia lungi
l'inutil querimonia, e rallegriamoci solo, che attac-
cati a questo suolo da più possente amor di patria
respiran (inora un Patania, un Riolo, un Villarea-
le, un Marvuglia ad attestare alla posterità con le
opere loro, che fra i disagi è piìi bella la virtù,
ed onorevole la gloria, che si consegue.
E per rivolgere il discorso al Villareale, il cui
lavoro tocca la presente illustrazione, facciamo in-
nanzi tratto osservare, che egli mostrato avendo sin
dalla sua infanzia una straordinaria abilità nel mo-
dellar figurine in creta, per la protezione del re Ferdi-
nando, che ammirò il ritratto eseguito da quel giovi-
netto a S. A. R. d. Leopoldo suo figlio, fu spedi-
to in Roma a spese del Governo a studiar la scultura.
Cominciava allora a levar grido in quella capitale il
(i) Sono stati non « guari costituiti dal Governo cavalieri del-
l'ordine di Francegco I i nostri ottimi dipintori Vincenzo Riolo,
e Giuseppe Platania], e Vincenzo Bellini, celebre compositor di
musica.
4o
massimo Canova, e l'inclita gioventù italiana ricondu-
cea col suo esempio al bello degli antichi, ed offriva
egli stesso co' suoi pregiatissimi lavori modelli di
greca bellezza. A lui corse il Villareale, e ne ricevet-
te direzione, consigli, e norme di artistico sapere, e
primo di questi consigli si fu lo studiar profonda-
mente l'ostiologia, e la miologia, e il copiar le opere
più ragguardevoli de' greci scultori, che egli seguita-
mente gli andava indicando. Cosi dopo lunghi anni
di assiduo travaglio divenne f[ucl valentuomo, che
meritò gli applausi dello stesso Canova, e di tutti
gli artisti di quella intelligente capitale , pel suo
modello del Perseo, e per la sua statua di Amore,
siccome ne fan testimonianza i giornali di Roma,
e di Napoli. Giunto allora il grido del suo valore
in quella città venne dal Governo scello a lavo-
rare in rilievo diversi omerici soggetti pel real pa-
lazzo di Caserta; i quali riusciron si bolli, che ten-
gono il primato sopra gli altri di un tale, che con
icario volo tentò rivaleggiar col nostro scultore.
Dell'altre opere di lui fìilte in Palermo, come de'
grandi alti rilievi del duomo, della casa Pretoria,
del sarcofago del Bealo Giuliano nella chiesa del-
rOs])edale, e de' suoi reali simulacri son troppo noti
i pregi; perchè più a lungo ce ne occupassimo.
Or di questo sommo artefice che tanto studio
durò sull' antico abbiamo noi la più bella statua
di recente terminata, che egli abbia qui finora pro-
dotta. Dico la ])iù bella, perchè presentando ignudo
tulio il bello iemineo , maggiori diflicoltà superar
dovette, che nelle altre abbigliate ; e perchè essa
in tutto corrisponde alle perfette norme dell' arte,
come faremo osservare.
Il soggetto, che imprese a rappresentarvi, è una
4»
giovine donna, sdrajata sopra un sasso , vinta dal
sonno , e dal vino , che da alcuni simboli fa ar-
gomentare di esser seguace di Bacco.
È noto a chiunque , che per poco sia versa-
to nella greca , e latina erudizione , che molte
eran le feste sacre a questo dio presso i popoli della
Grecia e del Lazio; cioè le Ascolie , le Dionisio,
le Orgie o Baccanali, le Oscoforie, le Falliche, le
le Apaturie, le Liberali , le Lenèe , le Caneforie,
e le Epilene. Queste tutte avean de' riti partico-
lari , delle persone addette a celebrarle , e sacer-
doti, e sacerdotesse , che le dirigeano. Fra costoro
eranvi talvolta de' re, e delle regine, che incita-
vano i popoli ad uno zelo religioso , che sovente
tornava loro fatale.
Or nella statua del nostro scultore a noi sem-
bra di ravvisare una Dionisiade, cioè una sacerdotessa
di Bacco, e i nobili tratti poi del suo volto ci fan
congetluiare , che sia di quelle di alto legnaggio.
E siccome nelle feste di questo nume, che si ce-
lebravano in Isparta le donne si disputavan fra loro
il premio del corso, e poscia si abbandonavano al-
l'ubbriachezza; così è ben naturale dì supporre, che
essa sia una di quelle, che dopo tale eccessiva fa-
tica , e intemperanza siesi sdrajata a dolce riposo
sopra la morbida pelle di una tigre (onde le Bac-
canti coprir solcano le membra) affinchè il bel cor-
po non fosse offeso dal sottoposto sasso.
La tazza, che ritenea nella sinistra, e che scor-
gesi pressocchè sdrucciolatale di mano versa il re-
sto del liquore. La ben intesa attitudine del suo
corpo dimostra un sonno soavissimo , e profon-
do ; ma tale che insieme palesa la sua ebbrietà.
Il braccio sinistro cade mollemente con 1' aperta
43
mano sul sasso, formando un angolo retto al go-
mito, e contrapponendo all' altro rialzato, che pie-
gasi anche in angolo, ma oppostamente, e si volge
in dietro alla testa per servirle di appoggio. Le
dita delle mani pur esse variano di movimento ,
dapoichè quelle della sinistra son distese , e quelle
della destra piegate. Sciolti le si veggono i ca-
pelli in un vago disordine ondeggianti, e formano
un ben inteso fondo al capo, che alquanto elevato
sulla parte più erta della pietra; e nello stesso disor-
dine mostrano di non essere stati per lo innan-
zi incolti , ma ricciati dall' arte. Tutto il corpo
poggia sul lato sinistro, e per l'appunto sul femore
corrispondente, in guisachè presenta un vago movi-
mento contrario tra la parte superiore del torso ,
e l'inferiore, essendo rivolto in su il colmo petto,
e ripiegato in giù il basso addome, e questo, al-
quanto raccorciato, fa sì che emerga la tondeggian-
te anca destra , e lascia scender distesa a dilungo
la gamba corrispondente, che controppone all'altra
indietro ritirata. Una branca della pelle della tigre,
eh* era stata da lei opportunamente collocata tra
r una , e 1' altra coscia a celar ciò , che il pudor
vuol nascosto, sembra esser trascorsa da quel punto
per la naturale agitazion del corpo in fino al gi-
nocchio , lasciando delusa per tal modo la previ-
denza di lei. Qui pare che l'artista con sagace accor-
gimento, mentre per un riguardo volle difender lei
della taccia d'inverecondia, per un altro si astenne
di scemar parte del bello femineo, celandolo; sul
principio de' greci, nichil velare. Di fatti essi ignu-
da elfigiaron Venere, e tale è la Medicea , la Ca-
pitolina, la Siracusana, e quella ch'esce dal bagno.
Ma siccome son deste rappresentate, immaginaroaò
43
ch'essendo quasi sorprese da occhi indiscreti procu-
rino di nascondere almeno quelle parti che alle donne
più giova di sottrarre alla vista per ragion del pudo-
re. Piane, e carnosette si distendon le spalle sino al
punto estremo della spina dossale, e l'anca sinistra
si scorge alquanto pressa dalla pietra sottoposta ,
su cui giace, mentre 1' altra tondeggia in tutta la
sua ampiezza. Il volto della sacerdotessa, sospinto
in alto, mostra tutta la sua bellezza; non ostante
che sia visibile da sotto in su, punto dell'arte sem-
pre ingrato, e ch'era bensì inevitabile dallo scultore
nella prefissa azione. Fiutar si veggon le sue narici ,
ed alitar le labbra socchiuse , siccome avviene a
chiunque sia immerso in dilettevole sonno , il che
dando chiaro indizio di vita, compensa quanto le sce-
man di bello le serrate palpebre. La corona di
ellera , pianta consacrata a Bacco , le cinge vaga-
mente il capo , ma non tanto che adombri mol-
to della fronte rilevata , e ne ricopra il bello.
E questo l'atteggiamento della statua del nostro
Villareale condotta con infiniti accorgimenti sì nel
contropporre tutte le parli fra di loro da produrre
quella varietà, che cospiri bensi ad una azion ve-
ra, e leggiadra, e tale che sarebbe difficile a tro-
varne migliore per rappresentare una donna afTa-
cata dal corso, e immersa nel vino, che si procac-
cia un dolce riposo. E benché dir si possa che più
conveniente sarebbe stata ad un tranquillo sonno
la distesa giacitura delle cosce, e delle gambe, che
in questa non si vede, è da osservar che il raccor-
ciamento delle stesse è opportunissimo a indicare
una persona del tutto ebbra, in cui per l'interna azio-
ne del tracannato liquore, gli esterni muscoli non
possono che dopo qualche tempo anco nel sonno
acquistar tranquillità, e intero rilassamento.
44
Molle sono per vero le statue dormienti clievan-
ta r atitichità , e a noi piace accennarne alcu-
ne, affinchè al confronto osservar si possa in qual
pregio Jebbasi tenere questa del palermitano scul-
tore per la ben divisata attitudine. Due ninfe as-
sopite mostra la Villa Pinciana, delle quali non è
qui luogo a ragionare, non avendo esse alcuno em-
blema che le possa far riguardar come seguaci di
Bacco. Di una altra all'incontro esistente nel museo
Vaticano, che pel serpe attorcigliato al braccio de-
stro vuoisi riconoscer come bacchica , convien di-
re qualche parola. Giace essa tranquillissiuiamente
poggiando il capo al braccio sinistro, e il suo ri-
poso è cosi profondo, che parve al chiarissimo En-
nio Quirino Visconti di ravvisarvi l'immagine di una
donna estinta, rappresentata in foggia di una baccan-
te. Quindi in nulla è da paragonarsi con la menzio-
nata sacerdotessa, e solo è da avvertire, che con fino
discernimento il nostro scultore volle mostrare anco
nel sonno della sua statua il sentimento della vita,
per evitar l'equivoco, che l'altra nascer fa per la
sua peculiare attitudine. Un putto alato pur dor-
miente ricosciuto pel Dio del sonno a cagion de'
vari simboli che tien da presso, esiste ancora nel-
l'anzidetto museo, ma il suo sopor placidissimo, e
l'infantile e naturale atteggiamento fa che non sia
punto da venir in paragone con la Dionisiade, della
quale ci occupiamo, il cui sonno per le ragioni ad-
dotte di sopra non può esser tranquillo. Inoltre due
statue del tutto simili ivi ancora si ammirano. Una
di esse , la più piccola , è indubitatamente una
ninfa bacchica pel consueto emblema del serpe, ed
esser dovea collocata in qualche fonte, come ne dà in-
dizio l'urna, su cui appoggia il gomito del braccio
45
sinistro. L'altra di più nobil lavoro, e di maggior di-
menziorje, che meritò i bei carrai latini del Casti-
glione, e del Favorito, riconosciuta da essi qualCleo-
patra pel simbolo del serpe , e indi dal celebre Vi-
sconti ravvisata con maggior probabilità per una Ari-
anna, ha un intimo rapporto con quella del nostro
scultore. Imperocché l' agitazion del dolore non
lascia di manifestarsi nel viso, e ne' movimenti del
corpo anche di chi dorme, come quelln prodotta dal
vino, in chi Tha tianguggiato; se non che quest'ulti-
mo serbar dee in volto dormendo quell'aria d'ilarità,
e di piacevolezza, che nasce dall' inebbriamento. E
questo appunto si scorge nella statua del Villareale,
tli cui la parte inferiore del corpo risente l'effetto
del tracannato liquore, menti e la fronte serena, ed un
cominciamento di sorriso sulle labbra rendon visibili
le leggiadre, e fantastiche immagini, che le passeg-
gian nella mente, e si succedono con monientanea
rapidità. Il simulacro della Cleopatra, o Arianna, che
dir si voglia, ebbe al certo presente il nostro va-
loroso artista nell' effigiar il suo, ma lo variò per
modo che non è facile di ravvisarvi questo egregio
tipo che la memoria, e il profondo studio sull'antico
gli suggerirono. Pur nell' averlo presente con molta
filosofìa divisò la differenza, che passar dovea fra
due soggetti diversi. Gli parve per un riguardo
acconcia l'altitudine del braccio destro rialzalo; ma
non tale quella dell'altro, la cui mano fa puntello
alla gota corrispondente, la quale indica al più'il ri-
poso di una lenta mestizia, che quello di un sonno
procacciato dalla fatica , e dal vino. Laonde nella
sua statua lasciò cader il braccio , e la mano in
quell'abbandono, che naturalmente succede ad uno
irregolar movimento. Però ebbe ad osservare, che
4^
il braccio destro di quella vaticana, la cui atti-
tudine ritener volea ia generale, gravitava intera-
mente sul capo, il che non può produrre a lungo
che una sensazion molesta a chi dorme; e quindi
saggiamente pensò di collocarlo nella sua baccante
dietro alla testa, attitudine al certo meglio scelta ,
perchè per maggiore spazio puossi ritenere , ed è
pili confacente ad un continuato riposo , valendo
in tal modo il braccio all' ufficio di un origliere,
che una donna sdrajata sopra un sasso ritrovar non
potrebbe. Osservò del pari che una movenza più
graziosa acquistava la sua figura, ove un contrasto
di linee divergenti cagionato avessero il petto , e
il basso addome, il che non si scorge nella statua
vaticana, e per questa parte ebbe tanto senno l'an-
tico scultore, che il moderno; dapoichè variando il
soggetto, le qualità, e il carattere particolare, variar
deve la attitudine della persona. Per le ragioni an-
nunziate volle egualmente diversificare le linee delle
gambe. Conchiudiamo per tutto ciò che 1' artista
siciliano quantunque abbia avuto in mente l'antica
statua, seppe in quel tanto giovarsene , che conve-
niva alia sua idea, per produrre un lavoro condotto
con tutta la filosofia dell'arte. Passiamo ormai ad
esaminarne la esecuzione.
Un' idea peculiare di bellezza si propose il no-
stro scultore, la quale del pari che l'attitudine ot-
timamente corrispondesse al suo soggetto. Avendo
egli cotanto meditato sulle statue de' greci, sfiiggir
non potea al suo sagace intendimento, che que' som-
mi artefici una classificaziou particolare di bello
stabilito aveano, che all'occorrenza adoperavan nelle
opere lorOjSecondo il carattere del subbietto prescelto
a dover rappresentare. Alle divinità di prim' ordine
.47
concedeano essi il più squisito bello ideale, quello cioè,
che in molti individui dell'umana specie sparso si ri-
trova, e di parte in parte da essi convien raccoglier-
si, il quale comechè sia da natura offerto, pure in
natura riunito non rinviensi. E questo bello mo-
dificavano or in un carattere di maestà, or di bontà,
or di fierezza, or di grazia, e leggiadria, secondo
l'indole, e gli attributi di quella divinità, che pro-
poneansi ad effiggiare. Così il bello ideale di Gio-
ve , di Giunone , di Pallade , e di Marte era di-
verso da quello di Bacco, di Vesta, di Mercurio,
di Cerere, di Apollo, e di Venere. Un bello ideale
meno squsito destinavano poi agli Dei subalter-
ni, Dii minoriim gentium^ e questo era pur mo-
dificato secondo la ior natura e le loro attribuzioni.
In fine il bello naturale era da loro adoperato nelle
statue de' Semidii , o degli Dei topici, cioè a dire
di que' adorati in certi regni, e in talune città, come
Aslarte nella Siria, Quirino in Roma, Jagete presso
i Toscani, Sanco presso i Sabini, Iside ed Osiride
in Egitto, Urano a Cartagine, ec. Degli eroi, ed
uomini illustri d'ogni classe ritraeano le fisonoraie,
ma le nobilitavano , e ingrandivano alquanto ne'
tratti, in modo da non ismarrirsene le tracce, e i
delineamenti, che poteano farli ravvisare.
Or questo sistema artistico degli antichi cono-
scendo pienamente il nostro scultore si avvide, che
nella sua bacchica sacerdotessa altro bello adoperar
non potea, secondo la convenienza, che quello scelto
naturale, e questo modificato particolarmente a tenor
del carattere di una donna addetta alla gozzoviglia,
al vino, allo abuso di ogni sorta di piaceri, a cui
i riti del suo Dio la invitavano. Però, immaginan-
done una sacerdotessa , volle alquanto nobilitarlo ,
48 . .
per dislinguerla dalla classe delle donne volgari ^
ascritte al cullo dionisiaco. Da ciò risulta, che es-
sa non ha que' contorni squisitamente eleganti della
Venere Medicea, e della Capitolina, ne que' fieri, e
sublimi della Pallado, ma tali, che nell'insieme del
suo corpo e del volto presentano l'idea della mag-
gior verità, d' una bellezza non triviale , spirante
bensì sensual voluttà.
E sia prova di ciò che fra quanti han contempla-
to quel simulacro, e non son pochi, nessuno finor
si è avvisato di scorgervi una linea che non siegli
sembrata al suo posto, e spinto dalla seduzione del
vero, non abbia stesa la mano per convincersi se
pur fosse di sasso , o di viva carne ; talché un
uomo di spirito ebbe a dire un giorno a taluno, che
vi appressava la destra w non la toccate; che si
SK'eglia.
In effetto sotto un tessuto di densa carne ascon*
donsi i muscoli, e le vene, non ostante che funzio-
nino a propri siti , e stian pieghati, o dislesi se-
condo l'altitudine della giacente persona, e ben sa
ritrovarli lo anatomico, che dalle piccole emergen-
ze, o cavità ne ravvisa l'interno magistero.
Perchè poi sembrar potesse una donna compiu-
tamente voluttuosa qual, esser dovea per le ragioni
addotte di sopra, afligurar la volle in quell'età in
cui per l'intero fisico sviluppo destar poteva le piìi
vive sensazioni di piacere, cioè circa a vent'anni^
e a siffatto scopo non la rappresentò smilza, e leg-
giera di corpo, il che richiama l'idea del più puro
sentimento; ma di nienbra ben complesse, che in-
vitano a sensual diletto. I traiti poi del volto belli
regolari, e grandiosi ci richiamano al pensiero una
donna di ragguardevol condizione»
49
Circa al maneggio del marmo il Villareale an-
che seguir volle il inelodo degli antichi , i quali
mostrar sapeano il lor valore più con lo scarpel-
lo, che col liscio procurato della pomice. Imperoc-
ché la levigazione non è che un semplice meccanis-
mo, a cui anche un mezzano artefice sa "iungnere,
mentre lo indicar le parli con vigoroso, ed ardito
sc.irpello è lavoro da maestro , e solo vuoisi ado-
prar la pomice quanto basta; perchè vadau le parti
le une con le altre dolcemente a sfumare senza es-
ser tormentale da far isparire 1' imperceltibil pre-
senza de' muscoli , ed equivocarne le funzioni cui
sono destinali. Così puossi dire in iscultura, ciò che
in pittura, lavoro troppo liscio, lavoro di mediocre
artista.Da poiché lo essenziale dell'arte consiste nelle
scelle forme, nell'eleganti linee del bello, nelle esat-
te pro|)orzioni, ne' jìassaggi impercettibili delle par-
ti, nella opportuna indicazion de' muscoli, nell ac-
concio atteggiamento , e nella espression fisica , o
de' sentimenti dell'animo.
Or di tai pregi, a noi sembra, che sia adorna la
statua del noslro scultore, e quindi mal si avvisò chi
scrivendo della stessa profferì dal tripode d'Apollo
che i piccoli difetti eran coverti dal finito del la-
voro; dapoicchè era pur conveniente lo indicar quali
questi si fossero, e dovea pur osservare che il liscio,
(cioè il finito del lavoro spinto tropp' oltre) non
copre mai difetti di sorta, anzi è per se stesso un
vizio della arte, perchè fa sparire l'effetto de mu-
scoli, nell'acconcia indicazion de' quali sta il valor
dell'artista; e quindi ottimamente dicea quel dipin-
tore ad un suo allievo, che minuto, e diligente ri-
cercava di troppo col pennello il suo dipinto, non
lo toccare più se non si guasta.
5o
Giova intanto aggiungere alle considerazioni fi-
nora annunziate sul bello generale della statua al-
cune particolari. Il Villareale si distingue segnata-
mente pel modo d'intagliar con eleganza gli occhi,
le labbra, e le estremità, e nel dare a' capelli un
vago , e naturai movimento. Or, essendo chiuse
le palpebre della sua Baccante , non gli restavano
che le altre parti sovrindicate per dimostrare il suo
particolar valore. E per vero sparpagliati con bello
artificio, e morbidissimi son que' capelli, e spiranti
voluttà quelle labbra lumidelte, che par che chiedan
de' baci, e su cui spunta un soave sorriso, e in ele-
ganti contorni condoUe le mani, e i piedi della donna
assopita. Un'altra prova, ma di semplice meccanismo
d' arte dar voile nello st;iccar del tutto le foglie del-
l'ellera, che le cinge il capo; talché distinto ne è
pure il j)iccino di ciascuna di esse, in modo che
sembran più lavoro di cera , che di marmo , più
fatto con la stecca, che col trapano , e la piccola
subbia, e in ciò mostrar seppe di qua! diligenza, e
attenzione sia egli suscettivo, quando l'arte il richie-
da, cioè quando ia diligenza è indispensabile a qual-
che parte di lavoro.
A ragion dunque 1' egregio letterato abate Be-
nedetto-Saverio Terzo volle apporre a questa sta-
tua una greca epigrafe, tratta da Anacreonte, ri-
guardandola quasi come greco lavoro(i). Ne è da
(i) Ecco i versi originali tratti dall' ode XXVI di Anacreonte
che da me tradotti furono posti per epigrafe ia capo a questa
illustrazione.
(jrctv 6 Baxpfos sìaiX^-ìji
«((JoooTTs^YlS y.eii/.a.i
IIoXv yipeiaooyj io ^oi.vo\}<}»y.
meravigliare, che il nostro scultore tra i viventi arti-
sti tant'alto si elevi con l'opere sue, imitando gli an-
tichi modelli, che aspirar possa anchead ingannare
in CIÒ gl'intelligenti amatori. È uoto a tutti che sotto
Iimperadore Adriano molle statue si scolpirono se-
guendo 1 capi d'oi-cra dell'arte greca, che la poste-
rità non ha saputo distinguere, se a' migliori ellenici
tempi fossero appartenute. E lo stesso avvenir po-
trebbe della Baccante del Villareale ove senza no-
me di autore , e indicazion di epoca si rinvenisse
sepolta nella terra fra quattro, o sei secoli. Allora
chi sa se non sa rcbbe allirbuita a quel celebre Pi::
tagora Leontino che tanta fama consegui nella soa-
ve esprcssion de' muscoli, quando la Sicilia greciz-
zante rivaleggiava con la madre Grecia nelle arti
e in ogni maniera di amene , e severe discipline!
Per ora basta al nostro scultore la gloria di aver
richiamato gli applausi de' nostri conoscitori, e stra-
nieri che qui si ritrovano, e più ancora di un Pa-
tama, d'un Riolo, e d'uno Scaglione, che nelle arti
belle primeggiano al presente appo noi , e al cui
giudizio ciascuno chinar dee riverente la testa.
Una Gita da Palermo a Siracusa. Lettere di
J^RANOESCo Sesti agli Amici.
Lettera I.
di s. Caterina il iSZS
Che potrei scrivervi de' due paesi da me scorsi
sinora Vallclunga, e S. Caterina? Pure io consegnerò
mo mo alla carta qualche cosa ad appagare la vo-
Si
slra curiosità. E per cominciare ab ovo, vi dirò
che usciti di Palermo un'ora dopo la mezza notte
con quella doglia al cuore, che suole accompagnare
chiunque si allontani da cari luoghi, e fatto un bel
trotto alcune grandi, e nere nuvole incominciarono
a piantarsi sul nostro capo, e quindi a mandar giù
una pioggia spessa e leggiera* Ma a misura che il
sole s' innalzava dal tergo de' monti le indiscrete
nuvole si andavano piano piano disgombrando ;
£nchè lasciato libero il campo, apparve egli mae-
stoso in mezzo ad un cielo lucido, ed azzurro. Oh
sempre grande, e sempre nuovo spettacolo agli oc-
chi degli uomini! Tu sei la vera immagine della
Divinità; natura assonnala, ed avvolta nelle tene-
bre a' tuoi primi raggi si desta, si rallegra, ti sa-
luta in suo armonico concento. Tra tulli gli altari
innalzati dall'ignoranza, dalla politica dal fanatis-
mo tra' primi popoli sino a noi, alle piante, a' bruti,
agli elemenli, alle passioni, agli uomini, chi vorrà
negare che la più adatta, la meno intrigante , la
più ragionevole stata non sia l'adorazione del sole?
Il viaggiatore va osservando con occhio di com-
piacimento que' villaggi, che succedonsi l'un l'altro
sino a Misilmeri con intervalli di belle , e fertili
campagne, e ne' quali si emana, mi esprimerò così,
lanima, ed il vigore della vicina Capitale. Tutto
e coltura, tutto è movimento. In quel di Vicari,
dove sorge un mucchio di casupole volendo met-
tere a profitto il breve tempo che spendeasi alla
cambiatura de' cavalli, stendemmo una lovagliuola
incantata, e chiamammo un pò di prosciutto, ed
una bottiglia di eccellente marsala.
Il padron del luogo con la bionda moglie, e con
tre care figliuole ci stavauo attorno, e ci assistevano
53
eoa ogoi premura, e soprattutto le ragazze la fa-
ceano a chi ne polca più per raeiitarsi le nostre
carezze. Io preso un pugnello di nocciuole, e volto
alle piccole assistenti, dissi: orsù tolga questo chi
è la più grande tra voi, e tutte e tre facean forza,
e gridavano: io son la più grande. Si dia alla più
piccola, e tutte e tre: io son la più piccola. Tro-
vato che questi meriti eran comuni alle concor-
renti, replicai: se l'abbia dunque la più briccona.
Le tre Grazie, che ad un tempo erano le più grandi
e le più piccole, credendo poi non potersi loro con-
venire questo titolo, stringendosi attorno alla ma-
dre mi guardavano tacitamente con la coda del-
Tocchio: ed io in grazia di questo loro rossore, do-
nai a ciascheduna il suo pugnello. Ora mangia, ora
scherza, ci fu avvertito che ogni cosa era in punto.
Onde fatti i nostri ringraziamenti alla buona com-
pagnia, e ravvolta la tovagliuola, via nuovamente.
Or quantunque avevamo sotto il calesse tre ge-
nerosi cavalli, da disgradare quelli del Sole, gui-
dati dalla mano del più bravo di tutti gli Auto-
tnedonti, ciò non fece che non arrivassimo a Val-
lelunga ad un'ora della notte. La prima locanda,
a cui ci abbattemmo, trovandosi per alcuni debiti
del locandiere già occupata da quattro giorni da
messer lo sequestro , noiosissimo viaggiatore , noa
si apriva ad uomo nato. Che fare? Il calesse noa
può penetrare per que' viottoli , piede umano per
lo buio, non trova sicurezza , Automedonte bestem-
mia. A dir le più parole in una si passò ad una
seconda, conQnata all'altra estremità del paese. Vi
trovammo la sig. Gammilla, e la sig. Mariuccia
graziose Mademoiselles francesi, dirette per Catania
eoa ua loro commesso. Questo incontro fortuito ci
^4
sarebbe slato piacevole se le due sole solissime istan-
ze mediocri mediocrissime, che usurpano il nome
di locanda, non fossero state preoccupate. Aver fa-
me e mangiare, aver sonno e dormire son due
cose, o viaggiatore, che non così facilmente si ac-
coppiano a Valleluuga, se vi giugni un pò tardi ;'
e sarai costretto giuocoforza a passartela con una
colazione da frate minore, sur una cuccia da cane
in una stanza affumicata con due sedie sucide , e
rattacconate.
Spuntata l'alba ci rimettemmo la via tra' piedi,
e le nuvole, e la pioggia in compagnia d'un sot-
tile venticello tornarono ad inverslirci novamente
sino a s. Caterina. Ne crediate già ch'io qui mi
finisca; voi sentirete il meglio. Mentre eravamo
intenti poco fa a spolpare le gambette d' un pol-
lastro ci allontanarono un momento da questa piace-
vole fatica alcune grida. Un Barbiere, la cui bot-
tega serve di ritrovo a molta gente del paese, non
sa ristarsi quando comincia a difilare alcune sto-
rielle della sua gloriosa vita. Chi gira il mondo
(dicea egli voltando con una mano in giù, ed in
su la faccia del povero Nino, e menandovi il raso-
io con tanta gentilezza) chi gira il mondo ha mol-
to da dire. Quante vicende? Ne potrei formar dei
libroni. Sin da ragazzo sentiva in me stesso un for-
te amore per la milizia, ed una inclinazione al san-
gue (immaginatevi la battisoffiola del paziente);
tantoché ascrittomi a' 18 anni sotto le bandiere
spagnuole, diedi bastanti prove del mio valore. Ho
veduto paesi , e costumi quanti capelli ho in te-
sisi. Nelle molte occasioni, in cui mi son trovato
ho sbudellato più d'una pancia, ed ho posto in fu-
ga le centinaia degli uomini. Si trattava d'uà at-
55
tacco, d'una scalata non si pensava clic a Menego,
a Menego si rivolgeano tutti; tutti confidavano in
Menego.
A chiarezza dell'istoria pertanto e à sepersi che
il mal capitato Nino era un di quegli umori, che
non sanno punto ritenersi dal dire, cliiesti, o noa
chiesti , il loro sentimento anche su le pandette.
E però avrebbe voluto fare delle osservazioni gl'im-
possibilità su le biografiche notizie del barbiere,
se non si fosse trovato in si difficil posizione. Ma
eccolo finalmente libero dal dispotico governo del-
la minacciante mano nel puuto che il loquace nar-
ratore seguitando, dicea , che ritornato a Madrid
da non so qual una delle tante battaglie, ed entra-
to dentro, è egli così grande popoloso, e vasto quel
cittadone , che per arrivare al suo quartiere biso-
gnò camminare quattro giorni, e cinque notti....
Oh! questo (non seppe più contenersi l'impaziente
Nino) è il più gran pallone ch'io mai abbia inte-
so al mondo: in altretanti giorni mi fiderei discor-
rere l'impero di Alessandria. Vi compatisco (quegli);
voi decidete dell'universo con la misura del piccolo
recinto di questa nostra bicocca; Nino: per un gior-
no alla più lunga vi acconsenterei volentieri.
Il barbiere intanto arrabbiava, non volendo che
si scemassero ne anche d'un attimo i suoi giorni.
Sicché le parole andarono tant'oltre, che l'uno avreb-
be dato prova delle sue antiche guerresche prati-
che, e l'altro si sarebbe difeso con un nodoso ran-
dello, se il pietoso Mercurio in forma d'uno della
brigata non ne avesse stornato gì' inevitabili colpi
con queste parole: orsù, finiamola una volta; non
vagliano punto ne i quattro giorni, e le cinque not-
ti deU'uQO, né il solo giorno dell'altro; per restar
56
contenti tutti e due si liberi il tempo a due giorni
ne più ne meno. (Dimostrazioni d'accordo dall'una
parte e dall'altra.)
I cavalli mordono il freno, e battono il suolo,
Automedonte con le redini in mano ci guarda im-
paziente. Che altro dunque si aspetta? che Achil-
le col suo scudiero monti in sul cocchio.
Lettera II.
di Lion forte il i83a*
Spiccandosi il viaggiatore di buon mattino dal-
l'inospitale Vallelunga , e fermandosi alcun poco ,
a s. Caterina , trovasi ia snl dechinar del giorno
nella strada che divide Castrogiovanni e Calascibet-
fa. La impraticabile posizione di queste due Città
ta la storia della loro origine. L' una su la cima
d'altissima rocca ebbe a suo fondatore Enno con-
dottiero d' una colonia siracusana che la scelse ad
abitazione , e sicurezza : l' altra su le larghe co-
ste d'immenso monte fu edificata dal conte Rug-
giero per servir di baluardo all'espugnazione dell'op-
posta città capitolina. Di qui quel funesto seme di
vecendevole, ed interminabile odio tra' due vicini
Paesi. Destino forse della Sicilia eh' ereditando il
genio della Grecia, n'ha ereditato altresì il discor-
dante carattere. Quant' egli sia nocevole all' intero
della nazione, ce lo dimostrano chiaramente le no-
stre istorie.
:. AL perchè sempre invano
Parla l'antica alla sorgente etade !
II buon Siciliano pieno la mente di queste odiose
^7
reminiscenze , e non sofTrentlo la vista delle due
pur famose ciUà, s' iudrizza s\ Fondaco della Mi-
sericordia^ di là non mollo distante. Una di quel-
le maligne Fate che pigliandoli di mira a' tempi
della Tavola Ritonda il fiore dei Cavalieri Erran-
ti , te r inviluppava in mille bizzarre avventure ,
nemica sempre al nostro viaggio , e non contenta
d' averci fatto trovare a Vallelunga gì' invisibili
sequestri, e le incufBate Mademoiselles, quivi poi
ci avea preparata una fiera di viaggiatori , spar-
sa sin anco pe' corridori pe' pianerei toli della sca-
la e per ogni picciola buca. Vedete che situazione
era la nostra I Smontati di calesse passeggiavamo
imbacuccati ne' nostri ferraiuoli lungo il fondaco
aspettando con eroica freddezza lo sviluppo di que-
sta romantica scena. Il mio Marchese che forse tro-
vavasi aver recitalo, come Rinaldo d'Asti un pa-
ter ed un'ave per l'anima del Padre, e della Ma-
dre di s. Giuliano, miracol(»samente trovò da al-
loggiare in una angustissima stanza, donde si pen-
sò far uscire una povera cameriera d' un vecchio
Barone. Pazienza buona donna, se ancor noi aves-
sinao avuto in pratica le orazioni di s. Giuliauo ,
uè tu saresti stata cacciata dal tuo nido, ne io sa-
rei stato costretto a passar la notte in una stalla
tra '1 fetore ed il disagio. In una stalla? Sì signori.
E questo è niente. Fattomi alla nobile abitazione,
trovo molla gente tra vetturini, e galessieri in cer-
chio, che sbevazzavano, e gridacchiavano secondo
lor costume, ed alla libera. Fo loro un inchino e
tiro in fondo i mici passi — Ehi, signore (grida
uno, e poi tutti) favorisca; assaggi un po' del no-
stro vino — grazie buona gente — venga, signore,
non ci faccia questo torlo , uè' viaggi si fa lutto
58
airainiclievole; beva alla sua salute (l'invitato beve)
— un altro sorso — basla così — un altro la preghia-
mo. Bevuti i due, ed i tre sorsi, moltiplico i miei
ringraziamenti all'obligaute brigata, e vo alla mia
cuccia. Ecco intanto un secondo viaggiatore mila-
nese, che giunto tardi ancor egli traea alla comu-
ne stanza. — Venga pure, chi ci capiterà questa se-
ra dovrà, farci grazia. Quesli pregato più volte, be-
ve i suoi sorsi, e piglia il suo posto. Poco dopo
un terzo; ma non fu ne invitato, nò bene accolto.
Era il garzone dell'osteria , venuto a riscuotere il
danaro del conticiiio che non trovandosi, o non vo-
lendosi trovar giusto, alcuni della compagnia dis-
sero che il sapeano fare eglino a loro modo ; ed
appresso il caricarono a parole, e se il garzone non
avesse pigliato la via più spedita, l'avrebbero ca-
ricato a pugnalate. Il vino avea già riscaldato quei
generosi petti , e si attaccò un cicaleccio genera-
le— Questa gente dell'osteria è pur la vera cana-
glia— ti scroccano in un attimo i sudori de' mesi
interi — si ci dovrebbe riparare — sì signore, io
appiccherei ad ogni osteria una tariffa a lettere
cubitali con tanto di stampato sopra, perchè il viag-
giatore getti l'occhio in quella carta, e senza sen-
tirsi recitar la sentenza di morte da quel cane gar-
zone , se la legga da se — io poi farei a questo
modo — ed io a quest' altro. Ed in colali pro-
getti economico-politici le dotte teste si andava-
no mano mano abbassando. Già già avea velato
un poehelto l' occhio , quando due illustrissimi
muli, nostri compagni d'alloggio, azzuffandosi per-
chè r uno avea gettato il muso nella mangiatoia
dell' altro , cominciarono a giocar di morsi , e di
calci; tanto che rottosi il capestro ti fecero un casa
^59
del diavolo. Dice il proverbio ne raulo, ne muli-
no, ne signore per vicino, ne compare coniadino.
O magnanimo corpo economico-politico-diploraa*
tico , che in mezzo a' progetti , e tra' bicchieri
piegasti la fronte al sonno , e ti stai li sdraiato su
la tua propria pelle, è russi saporitamente, sorgi in-
frena
Quella ribalda bestiai famiglia,
arma la mano della tormentosa scùriadar , e fa sen-
tire su la sua indurita schiena , e la tua possanza
ed il suo ardire. Sì durò in quésta tresca per tutta
la notte; finche spuntala l'alba si montò in calesse
e si è fatto alto a Lionfoile.
Nulla di nuovo tiel nostro breve cammino , se
non che gettando l'occhio per un picciol giardino
attaccato ad una casetta ci venne veduto un nu-
golo di ghiretti, o ratti bianchi, i quali saltellando
su e giù per gli alberi, ne rusicchiavano que' frut-
ti, che più faceano al loro palato. Ma l'allegro sol-
lazzo de' ghiretti non andò tant'oltre, che la Vec-
chia padrona del Inogo non se ne fosse accorta.
Sicché fattasi alla finestra la sig. Pirra cominciò a
gettar grandisseme grida, come se avesse avuto in
casa degli assassini. E veramente que' maledetti ani-
mali non arrecano minor danno ne' giardini di quel-
lo che fanno gli assassini in casa. Essi scelgono a
loro nido i pertugi delle muraglie, i tronchi degli
alberi annosi, e le viscere della terra, donde escono
fuori a falangi, e portano il sacco, ed il socquatro
ne' giardini delle povere vecchie.
Lionforte e per la sua felice posizione, e pel van-
taggio della nuova strada consolare, che lo divide
per mezzo s' e popolato, ed ingrandito mirabilmente.
Esisteano qui non ha molto alcune fabbriche di
6o
men che ruvido panno. Le nascenti ifidustrie, e
le manifatture nascoiìti, che incoraggiate sono state,
e saranno sempre i primi elemeali de' felici pro-
gressi di tutte le nazioni, senza uno sguardo ani-
matore lungi dal progredire, e vigoreggiare o muo-
iono in sul bel nascere, o si restano nelle loro de-
boli prove. I premi e gli onori sono le due poten-
tissime leve a spingere l'uomo inchinevole natural-
mente all'infingardaggine. E gli onori ed i premi,
fra i Siciliani, sopra ogni altra nazione fervidissimi,
qual forza non avrebbero , e non hauno avuto in
alcuni tempi?...
Ma basta sin qui mia penna, il troppo è trop-
po; dal descrivere alcuni fatterelli cosi alla buona,
sei passato tutto ad un tratto a parlar di economia,
e di politica, e tu in fine in fine non sei da tanto.
Che se poi hai talento di schiccherar qualche cosa,
bene sta, ma sempre a tempo ed a luogo, e non
uscendo della tua condizione: dunque basta sin qui;
e domandiamo licenza agli amici.
Fasti della Grecia nel XIX secolo — - Poesie li-
riche del prof. Antoìho Mezzanotte. — Pisa
tipografa di N. Caparro e comp. MDCCcxxxit
— Un voi. in'8.° di pag. q53.
Antonio Mezzanotte, chiarissimo fra gl'italiani
scrittori , dopo di aver cantato le lodi degli anti-
chi vincitori delle corone di Olimpia e di Delfo,
di Nemia e dell' Istmo , traducendo e dottamente
comentando le Odi del sommo lirico di Tebe, venne
in pensiero di cantare gli strepitosi avvenimenti
della moderna. Grecia, che alto risuonano nei fasti
6i
della storia del presente secolo che, per grandezza
di cusi, non è ad alcuno dei vetusti secondo.
Quindi tu vedi nell'annunziata opera descritte con
fiera e libera musa gli odi , le ire , le stragi che
in brev'ora scoppiar© fra due popoli fainotii, l'uno
per libertà, l'altro per tirannide, avvampando uà
■ incendio che, sebbene estinto, vivrà nella memoria
de' posteri più lontani, come vive quello, che fu
visto nelle età trapassate scoppiare in Maratona, in
Salamina, in Platea, alle Termopili fra i padri di
queste medesime genti. Oh quanto e misera la con-
dizione dell'umana famiglia! Vengono sovente gli
uomini a pugna , flagellansi aspramente fra loro;
e popoli civili (il mondo ha pur veduto quest'or-
ribile spettacolo) si sono scagliati ciechi contro al-
tri popoli per degradarli , e renderli schiavi non
sol per se stessi, ma per accrescere il numero delle
glebe altrui. I Greci e i Persiani combatterono,
son due mille anni, accanitamente, gli uni per sog-
giogare gli altri , e renderh servi, com'essi erano;
ma vinsero i primi, e furono i secondi estermina-
ti. Oggi però dopo tante vicende di tempi e di
strani accidenti vengono i nipoti a guerra ferissima,
e riraangon quelli trionfatori, movendo a rumore la
terra, come la mossero gli antichi Ellèni, da cui
discendono. Vario pertanto fu lo stato delle cose.
Era a quell'epoca libera Grecia, e per le sue isti-
tuzioni potente: i barbari voleano porle i ceppi ,
e furono i barbari schiacciati. Degradata misera e
schiava abbiam visto la Grecia nel secolo decimo-
nono : ma mentre le più fiere angosce , e gli af-
fanni più penosi le minacciavano l'ultima ruina; e
i viaggiatori la schernivano , i poeti insultavano
alla sua miseriate il mondo l'aveva abbandonata,
62
un pensiero consolatore, in sì grande ira della for-
tuna , alcun conforto le recava, che i suoi figli,
assonnati dalle disgrazie e non degenerati, sentivano
il peso delle arruginile catene, che li teneano av-
vinti da quattro secoli : quindi si muove ad un
tratto, si concita, si sforza a romperle, e le rompe
di&tti , scotendo le nazioni per maraviglia. Spet-
tacolo sublime è quello di vedere un popolo ge-
neroso, pieno di grandi reminiscenze, STCgliarsi dal
lungo e vile sonno in che si giacca sepolto , bat-
tere i banbari in tutti i, punti, ed elevarsi ad al-
tissime spe;iauze. Qui nOu è da paragonare la mo-
derna eril'antica Grecia , che il paragone ci porte-
rebbe lung€ dal nostro subbietto; ma egli è certo
che ^li Ellèni presenti nelle loro strepitose vittorie,
e negli atti di- eroismo più vero che credibile mo-
strarono alle nazioni del globo, ch'era propria di loro
la sacra terra di. Giove che, abitavano.
Quanto sia dunque, iiobile e grande l'argomento
dell' opera che imprend-iamo . ad esaminare o^nun
sei vede per se stesso, L' autore divide in venti-
quattro liriche poesie di vario metro l'ellenica sto-
ria presente.. Comincia dal descrivere la cruda ed
ignominiosa morte del patriarca Gregorio, avvenuta
nel 182 l: si volge poscia a cantare il movimento
generale d£lla Grecia a quell'epoca,, già si altamente
commossa ,, per la morte dell' innocente Prelato ,
e per gl'Inni che il fangoso. Riga ^ nuovo Tirtéo
dell'età presente, aveva pubblicati e diffusi, prepa-
rando in Tessaglia la grande, opera della liberazione
della sua misera patria. — Passa in una terza can-
zone a descrivere le. vittorie di Odisseo nella Beo-
zia e nella Focide , e ci.i^ fremere ricordando al
mesto pensiero i cento ottantacinque esarchi ed pgìir
63
meni sacrificati dalla barbarie ottomana , e quei
cristiani, posti sullg spiedo dal feroce Aclimel, onde
arrostirli a lento fuoco , e gioire in quello spetta-
colo degno dei codardi nemici del sapere, e della
ci villa europea. — La quarta canzone si aggira su
Nicéta^ il turco/ago, alle gole del Trochos. Certo
dandosi a questo fòrte guerriero il sopranorae di
divoratore de turchi non si potea meglio onorare
il suo immenso valore. Imperciocché egli animato
di sublime rabbia sconfisse, con soli novanta Gre-
ci, Kiaia Bey, che comandava un'armata di tre-
mila fanti e di cinquecento cavalli. — La quinta
poesia proclama la vittoria delle Termopoli. Que-
ste gdle che suonano gloriose pel nome sacro di
Leonida, furono illustrate novellamente con un fallo
memorando, cui la storia ha registrato nelle sue
'pagine con caratleri adamantini. Il Leone di Sparla
si votò a morte co' suoi trecento, e sbigottì la per-
siana baldanza: oggi in questo luogo medesimo, sì
famoso nel mondo, un esercito , che sorpassava i
diciolto mila cumballenti, dab serascliiere Bairam
condotto, fu esterminato da Odisseo, Dyovuniotis,
ed Hervè Guros, che soli 25oo greci poterono op-
porre a tanti nemici. Ma da questo gran fatto si
mostrò di nuovo alle genti , che i soldati merce-
nari, in qualunque numero essi sieno, sono polve
che si disperde innanzi a pochi, che combailouo
per se stessi, per la patria, pei sacri driltji dei fi-
gli loro.
• La canzone sesia, esalta la conquista di Tripp-
litza, capitale del Peloponneso: il presidio turco era
forte di quattordici mila uomini, fra cui dieci mila
di cavalleria. Otto libila erario gli assedianti: Mau-
romicalis conduceva gli Spartani , Cplocotroni gli
^4 . .
Arcadi. Essi aveano da più tempo bloccata Tri-
polilza; ma alla fine stringono il blocco sì fatta-
mente e danno prove di sì smisurato valore , che
prendono d'assallo in un punto l'assediata città. In
questo mentre giungevano ai Greci eroi novelle del-
l'orribile strage, che i Turchi avean fatto degl'iner-
mi cristiani nella distruzione di Galassidi : per-
lochè udendo eh' essi aveano scannato gli ostaggi,
già lor consegnati, pieni di sdegno e di furore fan
cadere sotto i colpi dei loro ferri tutto il presidio
di Tripolitza.
La settima canzone ci presenta innanzi la sbi-
gottita fantasia, con segni profondi, la memoranda
impresa di Costantino Canaris di Psara, e di Gior-
gio Pepinis d'Idra nel canale di Scio. Non vi ha
chi ignori le stragi, cui soggiacque questa misera
terra; tutta la sua popolazione , che ascendeva a
novanta mila anime, fu sacrificata ed annieutita
dall'empietà musulmana; poiché soli novecento in-
dividui (horreudum dictum !) sopravvissero a tanto
esterminio. Canaris e Pepinis giurarono di ardere
le navi nemiche di rimpetto la sconsolata Scio, non
polendo prendere dei barbari più gloriosa vendetta.
Onde le sorprendono stanziate in quelle acque, si
accostano imperterriti, nel bujo della notte, alla nave
ammiraglia di 84 cannoni , appiccano ad essa il
tremendo brulotto, e va in fiamme l'ottomana po-
tenza: quindi i due intrepidi capitani dirigonsi in
meo che si dice verso le rive della misera Scio ,
portando nello schifo una botte di polvere, pronti
a far saltare in aere , se fossero slati inseguiti da
altre navi nemiche; affinchè la loro morte facesse
pagare il fio a nuove centinaja di nemici. Giungon
però incolumi alla sanguigna terra« e là in su quelle
55
misere rive i superstiti abitatori , con voci di al-
legrezza , accolgono Canaris : e veggonsi le madri
le spose i figli baciare inginocchioni l'invitta destra
del potente greco , e piangendo e singhiozzando
raccomandarne al Cielo l'immortale nome. Su tali
cose dunque aggirasi la presente Canzone, la quale,
piena di forza e di maestà, corrisponde all'altissi-
mo subbietlo.
L'ottava bandisce le vittorie de' Suliolti. Questo
popolo intrepido fu il primo che nella storia della
ellenica rigenerazione fece scoppiare le faville di uà
incendio che doveva liberare la Grecia dalla fer-
rea schiavitù, sotto di cui giaceva. Un immenso
esercito avea contro di essi spedito il Sultano, onde
esterminare Suli, e distruggere sin anco la memo-
ria di essere stato abitato da uomini. Ma il valore
di queste genti fu immenso. Elleno, assalite sem-
pre da nuvoli di Turchi, attaccavano le alture, pe-
netravano i boschi , mettevano nel campo de' ne-
mici lo scompiglio, e vi portavano lo spavento e la
morte. Nulla resisteva al loro urto: erano strabboc-
cate dall'ira, ed ebbero vittorie inaudite. Un can-
tico non può che accennarle di volo : per descri-
verle vi abbisogna un poema. Ma l'autore non po-
lca dimenticare tanta gloria; ed in queste pagine,
destinate ad eternare, nella fìjvclla del Ghibellino,
la greca virtù, non poteano non occupare splendi-
dissimo luogo.
La nona poesia è consecrata a divulgare la scon-
frtta dell'esercito maomettano all'angusto passaggio
del Tretè nella invasione dell' Argolide. L'armata
turca era rimasta padrona delle mine della vetu-
sta Argo: ma i Greci trinceratisi con mirabil' arte
tra le famose rupi delle camere di Danao, tirarono
5
56
a se gli Ottomani, e nelle loro imboscate ne fecer
macello.
La religione tanto polente nello spirito di un
popolo che esce dalla barbarie fece gran giuoco in
quella guerra. I Greci si rivolgevan sovente al
Dio degli eserciti , e nelle loro vittorie mai non
abbaodonavan l'idea della religione, calpesfata da
coloro ch'essi battevano, e ch'erano nemici degli
altari dei loro padri : quindi in mezio alla carità
del natio loco, e alle stragi delle battaglie, Cristo re-
gnava. La decima ode viene dal poeta destinata a
cantare il trionfale traslocamento della Croce di Co-
stantino dall' isola di Samotracia ad Idra. Vinti i
Turchi nell'invasione dell' Argolide. l'ammiraglio
IVliaulis reggendo che la croce del Salvatore era
mal sicura nell'isola di Samotracia pensò di traslo-
carla ad Idra. Grande fu la pompa , grandissima
la pietà de' Greci : si scotevano i petti a quella
solenne cerimonia: a novelle speranze si elevavano
gli animi, e Tinvitlo SacKuturi, chiamalo Navar-
ca, prendendo occasione da quel concitamenlo, de-
pose il brando suU' altare, e sciogliendo la parola
disse:
Signor, tu che reggesti in gran conflitto
La destra mia che il Trace altier sconfìsse^
Tu conserva e difendi il derelitto
Popol, cui lunga servitude aillisse:
Se a le l'onor de la vittoria ascrivo,
Tu questo brando accogli a Te votivo.
Per la tua Croce, e per la patria, io giuro
Pu!;nar, lutto versando il sangue mio:
Sotto l'usbergo di tua fé securo,
Beila chiamar potrò la morte anch'io.
£ voi, cui spense Tlslamita impuro»
O generosi martiri di Scio»
Poigete a Lui, che l'Eliade prolesse,
11 giuramcQto che il mio labbro etpretie.
^1
Vegga la Grecia 1 rei nemici suoi
Tutti cader sotto it divia flagello:
Sorga al fìn sorga in seciirtadc a noi
Desiato di cose ordin novello,
E un dì al superbo Trace t nostri Eroi
Tolgan di Cristo il glorioso Avello,
Così che giunto da confin remoto
Illeso il Peregria vi sciolga il voto.
Le donne furon sempre una gran molla negli
umani eventi : elle dolcissimi ne rendono gli ozi;
sono le compagne della nostra vita; le madri de'
nostri figli, speranza della patria, da noi alle cit-
tadine virtù educati. Elle muovono le nostre ani-
me, scuotono altamente i nostri cuori, e per loro
sovente amiam la terra. Le antiche donne in Grecia
furon degne di maraviglia per la tempra del loro
carattere, e per 1' elevatezza del loro animo. Una
Spartana aveva cinque figli all'armata, ed attende-
va nuove della battaglia. Uu ilota arriva, ella gliene
chiede tremando I vostri cinque figli, risponde,
sono stati uccisi.... Vile schiavo ti ho io dimandato
questo?.. Abbiamo avuto, riprese colui, intera vit-
toria dei nemici. La madre corre al tempio, e ren-
de grazie agli Dei. Ecco, dice qui Giau Giacomo,
la cittadina. '■ . --* '
La moderna Grecia ha avuto anche le sue eroine:
elle cingevano i brandi ai mariti, incalzavano i fi-
gli contro il nemico del loro loco natio: baciavano le
ferite, che aveano gli uomini nelle accanite pugne
riportate: partecipavano nei perigli della guerra, e
morivano col ferro in mano, e col nome della pa-
tria sulle labbra. Elle trucidavansi volenterose per
salvare intatto l'onore, precipitavansi da altissimi
dirupi per non cadere in mano dell'islamita fero-
ce: morivano martiri dell' onore e della patria , e
morendo la Grecia ai figli raccomandavano. Kud-
58
decima ode le greche eroine decanta. Qui la fan-
tasia del poeta avrebbe potuto innalzarsi a mag-
gior volo, e sciogliere un Inno piìi robusto e più
convenevole al subbietto: imperocché aveva innanzi
agli occhi esempi stupendi pieni dell'antica forza,
e che saranno con riverenza ed orgoglio dalle età
future ricordati.
L'ode duodecima celebra un'alta impresa di uno
de' più illusili capitani della Grecia moderna, Mar-
co Botzaris, che, nuovo Leonida, si volò a morte
con 240 Suliolli nel campo ottomano nella pianura
di Carpenitza. Di venti mila armati era composto
l'esercito turco : e a tante forze non poteano gli
Ellèni opporre che due mila uomini solamente.
Quindi nell'oscurità della notte s'introduce il greco
eroe, co' suoi 240, nell'ottomano campo, e fa strage
dei nemici: penetra entro le tende dei capitani, ne
immola parecchi, e ne consacra alle furie le teste.
Poscia gli altri Greci , al segno delle trombe da
Botzaris sonale, prendon parte alla terribile zuffa,
si lanciano nel campo , td aggiungono sdegno a
sdegno, ed ira a novella ira. Alla line cade l'eroe
mortalmente ferito; e i Greci ne salvano il corpo,
dando prove di grandissima bravura, battendo ed
atterrando innumerevoli Traci , i quali accerchia-
vano il cor[)o da ogni parte , e voleano nel loro
esterminio impossessarsi almeno di quella j)reda sì
cara ai loro tremendi nemici. iMa l'eroe fu portato
alla sua tenda, ove sciolse la flebile voce, racco-
mandando ai Greci patria, unione, odio eterno ai
Musulmani, e sì dicendo in mezzo alle lagrime, e ai
giuri di vendetta trapassò. Ecco dunque la magna-
nima impresa in colesla poesia celebrata.
'tià seguente, eh' h la decima terza, bandisce le
59
vittorie navali, ollenute dagli EUèni sopra le due
flotte turca ed egiziana dopo l'eccidio di Psara. I
grandi uomini che trionfarono, con senno e valore
antico , in questi navali conflitti furono Canaris ,
Sakuturi , e Miaulis: fugarono incendiarono distrus-
sero flotte potentissime . che sembravano aver già
il dominio de' mari, e minacciare il mondo: ma
quei prodi sicuri in se medesimi, mossi dalla carità
della patria , e guidati dalla fiaccola della gloria
diedero prove di un ardire sovrumano, che stordirà
tulle le generazioni avvenire, come ha colmi di ara-
rnirazione le presenti.
Noi ragionando dell'ode quarta toccammo di Ni-
cèta , il Turcofago , alle gole del Trochos : oggi
egli viene in catnjjo novellamente, e l'ode decima
quarta è diretta ad eternare la battaglia del dì 17
di aprile dell'anno iSaS, in cui egli sconfisse l'eser-
cito turco forte di venticinque mila combattenti ,
guidali da Reslaid pascià di Romelia. Or siccome
gli uomini, i luoghi, e le circostanze della presente
guerra ricordano al continuo le imprese che la sto-
ria ci ha tramandate dei vetusti Greci: così il no-
stro poeta coglie sempre tutti i fatti storici dell'an-
tichità, che hanno relazione coi nostri, ed insieme
li congiunge e gli annoda. In quest'ode parla dello
Spartano Isada , che salvò la sua patria , quando
Epaminonda la sorprese di notte, e la investì coi
suoi tebani. Nicèta difesa la sua contro l'esercito
maomettano, che la investiva e la minacciava. Gli
Èfori decretarono una corona ad Isada, oggi il poeta
un'altra ne intesse e piìi duratura al fortissimo cam-
pione della moderna EUenia.
Eccoci già pervenuti 'all'assedio di Missolungi: as-
sedio de' più ostinali, e de' più famosi che la storia
6o
delle umane sorti ci presenti. I Greci si riempirono
di gloria; che sostennero con mirabile costanza lutti
gli affanni della fame e della guerra: essi caddero,
ma la loro caduta fé' scoppiare nel mondo un grido,
che tuona tuttavia sublime. Il poeta consacra tre canti
in ottava rima a quest'impresa: nel primo si narra
l'assalto, e la difesa delle quattro Isole Vasilladi,
Nlulma, Poros, e Anatolico: le quali dopo memo-
randa difesa vennero in potere d' Ibraìra , facendo
però costare la vita ad innumerevoli Turchi, i cui
cadaveri si videro per lungo tempo fluttuanti presso
quelle sponde, mostrando tacitamente ai loro com-
pagni qual valore bollisse , e quanta forza si chiu-
desse nei greci petti. Il secondo canto è consacrato
al combattimento di Glissova, ove per più volte i
Turchi, che aveano tentato di prendere quest'altra
isola, per non lasciare agli Ellèni assediali speranza
di essere vettovagliati da nessuna parte , vennero
respinti, disordinati, fugati. Il canto terzo finalmen-
te, ch'è il più lungo, contando quarantacinque stan-
ze , celebra l'eroica impresa dei difensori di Mis-
solungi, e la miserevole ruina della espugnata città.
Il jDoeta qui descrive con lagrimevoli note le an-
gosce, gli stenti, gli strazi, che i Greci soffrirono;
fa manifesta in mezzo ai segni del dolore la pietà
che gli agitava pel natio terreno , la sete di ven-
detta che in loro scoppiava, e con sovrumana forza
li sosteneva: descrive in fine la caduta della città,
ed altamente a compassione muove gli animi nostri:
Chi mi darà, così come or desio
Pari al siibbietto, dolorose rime,
Onde scior possa iagriraando aach'io
Epico canto di pietà sublime?
Ne trema l'agitato ingegno mio,
£ mal del cor le voci il labbro esprime:
Fingendo la fcral scena infelice
» Farò come colui che piagne e dice.
6i
Dopo questi tre canti siegue la battaglia alle gole
di Leondari, per cui consacra il Mezzanotte la di-
ciottesima sua poesia. La greca storia offre un cu-
raolo di prodigi , per valore per senno per carità
di patria, tali che i posteri diranno secolo di an-
tica grandezza il secolo presente. In questa batta-
glia Gentièo Colocotroni, dirò le parole che f«' pre-
cedere al suo canto il poeta, si distinse per avve-
duto consiglio di espertissimo capitano : Sàtracos
e Notarà si coprirono di gloria combattendo; che
dodici mila Turchi tra fanti e cavalieri furono ful-
minati da un pugno d'uoraini,
La decima nona poesia è un altro alloro pei Gre-
ci; poiché bandisce la famosa sconfitta degli Egizia-
ni a Sparta, ove questi, per nove volte, che rin-
novellaro il cims'nlo, furono battuti e vinti: e qui
l'autore coglie l'occasione di ricordare, con gran
giudicio e magistero , cinque donne lacedemoni ,
che col ferro in pugno si scagliarono valorosamente
su i Turchi, e riscossero gli evviva di tutta Grecia.
La ventesima poesia celebra la vittoria di Ca-
raiskaki nella valle di Arakova , che fu il teatro
dell'immenso valore di questo duce , che con due
mila uomini soli , oppressi dalle disgrazie , este-
nuati dalle fatiche, mal vestiti, e pessimamente ar-
mati distrusse financo il nome dell'esercito di Mu-
stam bei, che guidava quattro mila orgogliosi guer-
rieri. Cadde lo stesso Mustam sotto i colpi dei prodi
di Grecia , rimanendo la valle di Arakova coperta
di sangue e di cadaveri ottomani.
Atene soffi! come Missolungi crudo ed ostinato as-
dio. Caraiskachi lo sosteneva con mirabile senno e
valore: ma spento in un parziale assalto, non potè il
presidio, senza di quel prode, che gl'infondeva colla
62
voce e coH'csempio vita e vigore novello, sostener-
lo più lungamente : tanto e vero che spesso dal
senno di un uom boio dipendono i destini delle
guerre ! La guarnigione pertanto pattegiò , e eoa
onore lasciò l'Acropoli. II poeta ci mostra nella vì-
gesima prima poesia lo stato di Atene dopo la morte
di Caraiskachi: le varie Lallaglie da questo e dagli
altri duci sostenute e vinte, la caduta di lui, il
valore del presidio, e l'ombra di Demostene, che
apparve tonando , e a novelle speranze movendo
l'antica maestra del sapere europeo, rendono que-
sto canto splendidissimo, e ])ieno di vita e di no-
biltà. I nomi di Atene e di Demostene sono sì
pieni di gloriose reminiscenze , e suonano sì cari
al mio cuore, che vo' far dono al leggitore di questi
versi, riportandoli per intero nelle mie pagine;
Alma Patria d'eroi,
Te grandt fèr le prisclie opre famose
De' cittadini tuoi:
Ma tanti allori oggi sul cria ti pose,
Per r niini vincitrici
Di perfidi nemici
Fortuna, che al valor sorrise amica,
Che tua presente gloria
Addoppierà l'antica.
Da ostili turbe cinta
Ne spregiasti magnanima il furore,
Opressa si, non vinta;
E tutta Europa empia d'alto stupore,
Fra i greci eroi primiero,
L'indomito Guerriero (i),
Clic d'immenso di patria afTello ardea,
E tue catene a frangere
Largo sudor spargea.
Tra i ferali destini
. j. Pugnar lui vidcr qual lion tremendo
I Colli Eleusini,
Allor che i Traci od incontrar fremendo ' '" '
Fuor de' ripari uscia,
E allor che ne punia
Jii campo aperto il folle ardir, rotando
Sugli empi inesorabile
II suo fulmineo brando.
63
E a le tue mura intorno,
O sacra Atene, ei di virtù sublime
Splender si vide adorno:
L'ardue l'alba imbiancava Iraezie cime,
E difcnsor tuo invitto
Scendeva al gran conflitto;
Fosca non anco in ciel notte appariva ,
E vinta l'Oste pavida
Fuggia d'ilisso in riva.
Ab, se l'invida Morte
Lui non colpia, tentava il Trace invano,
Tua Rocca eccelsa e forte
Espugnala, insultar con pie profano.
Ne la Cecropia gente
Parve il vigor languente
A lo ecclissarsi de' bei giorni sui:
La combattuta Acropoli
Cadde al cader di lui.
Ma nel fatale istante
Fulgor più bello difTondea, secura
In sua virtù costante:
« 11 ministro maggior de la natura,
Ei pur cadendo , asconde
Il volto suo ne l'onde;
Ma fan le vette rosseggiar del monte
Gli ultimi rai, cbe partono
Da la serena fronte.
Cbe far potean gli Ellini
Saldi a serbarla lungamente illesa Z
D'alto ardimento pieni
Forse rinnovellar la dura impresa
Di quella inclita Schiera,
Ond'è la fama altera
Di Missolungi; e co' brandi possenti
Di scampo a sé via scbiuderc
Fra le nemicbe genti?
E avrian pur tanto osato
I difensor, se a generose brame.
Per legge d'aspro fato,
Non si opponea la struggitrice Fame,
Che lor ne' giorni estremi
Fea d'ogni forza scemi.
Cessero al6n; ma, ne l'uscirne, in core
De l'Oste vii diffusero,
Pur vinti ancor, terrore. —
Oh, Atene mia, (gridava
Di Demostene l'Ombra), in pianto e in duolo
Oggi ti veggio io schiava!
Veggio di Prodi generoso ittiolo
Da la natia lor sede
Portar lontano il piede!
^4 .
Ma «ar.in paglii alfin miei lun^^hi voli:
£ il !;'"i"o -^ voi, inagiianimi
Di Pericle nipoti.
Di sanguinosa guerra
Spenta, o Greci, per voi l'orrida face,
Vedrò la patria terra
riorir più bella e gloriosa in pace.
Alfin lasciar dovranno.
De l'oltoman Tiranno
Le rie falangi, i nnstii aviti campi,
Onde ognor più di libere
Fiamme ogni petto avvampi.
Al chiaro onor vetusto
Vedrò le leggi e gli onorati studi
Tornar; che Prence au;;ii3lo
Fla che di Grecia al Leu vegliando, sudi,
Di popoli pastore
Con dolce fren d'amore:
E d'Europa, spirando aure serene,
Bilornerà dclizi.i
La niia diletta Alone.
L'Ombra, ciò detto, p.ivve
B.illegrarii d'un riso, e qual baleno
]ndi rapida sparve.
Tremò di gioja l'attico terreno:
Siccome viva fosse
A l'urne in sensi scosse
De' prischi Eroi la polve: in ciel s'udio.
Ad avverar l'augurio,
Tuonar propizio Iddio,
(i) Càraiskaki.
La vigesiina seconda poesia agirasi intorno un'al-
tra villoiia riportata dal celebrato NicJeta a Der-
vènaki ; ove diedesi prova di «n novello ardire ,
che scoppiò fulminando. La canzone siegue i mo-
vimenti del poderoso guerriero: e fermezza, sacra
bile, e sterminato valore da essa ad ogn'istante tra-
lucono e trionfano.
La vigesima terza finalmente bandisce la balta-
glia di Navarino, che rassodò la greca indipenden-
za. Voleano i tre grandi potentati d'Europa Fran-
chi Inglesi e Russi porre un fine alla lunga lotta,
che aveva allagato di sangue il suolo di Grecia ,
65
e mosso altamente gli spiriti degli uomini di ogni
terra. In Londra si geltaro le basi di questo trat-
tato, cui la storia proclamerà, siccome uno dei più
grandi avvenimenti, che abbiano mai onorato i reg-
gitori dei popoli. L'islamita infedele non potendo sof-
ferire che quelle potenze gl'impedissero di più stra-
ziare uomini liberi e forti, pensò di violare la sta-
bilita tregua, e di mettere a ferro e a fuoco il de-
serto Peloponneso. Una guerra sì lunga ed accani-
ta aveva prostrato di numero , ma non di valore
e di virtù la greca gente. I Turchi però si rinno-
vellavan sempre a migliaja, e i Greci non poleano
essere in verun conto suppliti: le loro perdile erano
irreparabili: la morte di un di essi reputa vasi pub-
blica calaniità, e diminuiva il loro potere. Ma quelli
nondavan sempre con enormi masse di fresche genti
la patria di Milziade e di Pericle. Quindi una voce
s'innalzò terribile in Europa che spiantata non fosse
la greca virtù dal suolo divino di Pallade. Intesero
i Re la voce dei popoli concitati, e la battaglia di
Navarino ridusse in cenere l'ottomana potenza: con
ventisei sole navi (il che parrà incredibile alle fu-
ture generazioni ) l' europea civiltà fulminò cento
dieci legni dei barbari. Fu allora bandita la el-
lenica libertà, e i Greci raccolsero in un punto il
glorioso frutto dei loro prodigi, e delle loro labo-
riose fatiche. L'ode aSa decanta dunque questa fa-
mosa battaglia. Il poeta prepara l'azione con gran-
dezza:
Baiti alfin: greco sangue innocente : '
Sparso a rivi assai bebbe la terra,
E crudel voracissima guerra
Assai Grecia deserta rendè: £
Non uscite su perfide navi, .,
O infedeli, a più stragi e ruine:
Vieta Euiopa varcar quel confine
Che segnarvi sdegnosa dovè.
06
Sì la voce gridava tremend.i
Dei tre sommi ed invitti possenti;
Ma ritrose le barbare genti
La spregiar per insolito ardir-
Vi è iti tutta r ode gran movirneuto : par che
tuonino le confederate navi: si vede ardere un in-
cendio non mai visto, e distrutta in qualtr'ore la
flotta nemica. Il cuore e il desiderio seguono il
poeta e l'incalzano, la fantasia lo vince, e precorre
co' suoi sbalzi la fiue della gran lotta.
Ma eccoci pervenuti ornai all'ultima poesia, con
cui l'autore si volge alla novella Grecia;
Eliade rediviva
Bciua illustre, io ti saluto alfiac,
In tua sembianza diva
D'cteiiil allori circondata il orine.
Starsi vegg'io press) al tuo udIjìI soglio
Libertà, che calpeita i ccpjii tuoi
Con uiagnauimo oi£;Tglio:
Luminose al tuo pie paline e corone,
O madre alma d'eroi,
La vittoria depone:
Mentre l'Kuropa .ittonila,
Al tuo. valor plaudendo e al tuo consiglio.
Or Su te fisa riverente il ciglio.
Ricorda quindi l'aulGre le sue antiche e moder-
ne glorie, che si conibudouo iusieme, le raccomanda
di esser degna sempre di; se medesmia , e fa voti
perchè i suoi :figli depongano gli odi e le gare, e
sieno fratelli in pace , come lo furono in guerra :
"*■■ Una possente e libera
Ne l'antico, spl,ei^dor di "Tebe e Sparta
Lo sceltro stenderai da Volo ad Aria.
Passa finalmente a parlare del Re dato ai Greci
dalle alte potenze, onde con leggi filosofiche e sagge
regolasse i loro destini, e li facesse appieno felici,
rimarginando le profonde piaghe della feroce ed
ineguale lolla, cUG,peP;0,tto anni gloriosamente so-
stennero.
.^7
I^a lirica poesia nacque per onorare i Numi, e
le gesta dei forti campioni: a questo scopo ella mi-
rò fin dal suo principio; onde alta e magnifica ap-
pellasi, diversa in ciò dalla nomica e ditirambica
melica, che a sì gran volo non si spinge mai, ne
desta movimenti si sublimi e sì gagliardi.
La lirica è la più antica di tutte le poesie; A-
pollo stesso ne fu l'inventore: del che abbiamo l'au-
torità del divino Ateniese, che asserisce non esser
tra gli uomini \nh vetusto strumeiito della lira ,
ne più alto, ne più dicevole di esso al canto delle
divine ed eroiche cose. La lirica di;e parlare allo
spirilo, al giudizio, ai sensi, al cuore-, ed il fine cui
tende è quello di dilettare, giovare, muovere. Gli
antichi per quesl'obbietto adoperavano anche la ce-
lerà e la piva ; ed ogni maniera di canto aveva
il suo proprio verseggiare , ed il suo particolare
strumento: ma poi si coulbsero insieme, e tulli i
melici furon detti lirici: quindi vedemmo sotlo una
medesima insegna e David, e Alceo, e Stesicoro,
e Pindaro, e Simonide, e Bacchilide, e Tirleo, e
Anacreonte, e Saffo, e Callimaco: i quali nei loro
versi 0 porgono incensi alla Divinità, o lodano il
valore dell'ingegno e del braccio dei forti, o piango-
no la virtù degli estinti, o si lamentano di sfortu-
nate passioni, o godono degli amorosi affolli, o ri-
dono briachi de' sollazzi , e de bacchici piaceri.
Dalle quali cose può nascere, a creder mio, la di-
visione in cinque parti della lirica poesia; sacra,
perchè s'innalzano a Dio cantici di lode, sicco-
me adoperarono Mosè, David, i Profeti, Klop-
slock: eroica perchè si loda e si celebra il valore
dei prodi, siccome fecero Pindaro, Orazio, Filica-
ja, Fantoni , Malhcrbe , Rousseau: morale o filo-
68
sofica, secondo gli esempi, clie 'ne diede il Ghia-
brera, e alcuna volta il Guidi, il Monti, il Pin-
demonte, i quali si elevarono a vezzeggiare la virtù,
e a scagliarsi sugli umani vizi: amorosa, siccome
fecero Saffo , e Petrarca , e Della Casa , e Bem-
bo, e Camillo , e tutti i trecentisti e cinquecen-
tisti lirici poeti: giojosa finalmente e voluttuosa,
siccome adoperò Anacreonte, e tutti coloro che lo
seguirono, o che sorpassarono il limite eh' ei se-
gnò. Ho nominato solo quelli che mi son venuti
alla penna scrivendo, e non tutti che le dette cin-
que vie seppero calcare con maggiore o minore
fortuna.
Però, in tanta varietà di sentimenti, coloro che
i numi, e gli eroi laudano ed onorano sono i veri
lirici^ e debbono essere dichiarati superiori a tutti
gli altri melici poeti. Quindi fra gli ebraici e i
greci, che furono i padri dei latini e degl' italiani,
e di quanti levaron grido di famosi, David e Pin-
daro ne sono i principi solenuissimi , e tali rico-
nosciuti da tutti i popoli.
Il nostro Mezzanotte adunque che celebrò gli eroi
della moderna Grecia , e ne decantò le strepitose
vittorie appartiene alla classe de' lirici più eminenti.
Qui ora fa d'uopo che si esamini il cammino da
lui calcato ; onde collocarlo nel posto che gli è
veramente dovuto. Per ciò fare bisogna che volgia-
mo un rapido sguardo sulla lirica poesia degli
Ebrei e dei Greci, che sono, come dicemmo, fonti
donde è scaturita ogni vena. La quale disamina
ci guiderà poscia a vedere , se il Mezzanotte gli
abbia presi ad imitare ne' canti suoi , e come gli
abbia imitati.
L'ebraica poesia, che uscì gigante dalle mani del
69
coronato poeta, è piena di movimento e di forza,
di grandi affetti , di tenere passioni , d' immagini
vive e profonde: parla Iddio, e il mondo stupe-
fatto l'ascolta; crollano ad un suo cenno gl'imperi;
e premiata la virtù; cade nel fango la colpa: sten-
de Iddio la mano contro i nemici, e i nemici son
polve; il suolo gl'inghiotte; non ne resta il nome.
Portenti son le opere sue: gli uomini le ammira-
no, si riempiono di entusiasmo, e tremano compre-
si di sacro orrore. Il sole , i tremuoti, i tuoni, i
fulmini, le tempeste, tutto che colj>isce fortemen-
te i sensi , era pei poeti ebraici materia di alle-
gorie , di comparazioni , di similitudini. La inno-
cente vita della campagna dilettava i ligli d'Israello,
e gì' immergeva in una voluttà sconosciuta ai po-
poli immersi nel lusso, e nei piaceri di una molle
civiltà: la qual cosa era pei poeti una fonte peren-
ne di delicate immagini. Io qui pertanto non vo'
ragionare delia poesia didattica e pastorale, che fu
da essi coltivata con gran cura , ma sibbene della
lirica , e della elegiaca che alla lirica si appartie-
ne: quindi non ricorderò ne la cantica di Salomo-
ne, ne il libro di Giobbe, ne Ezechiele, ne Isaia,
che non appartengono al genere di poesia di cui
favello. Io parlerò di David e di Geremìa, i due
più grandi lirici degli Ebrei.
Tutti i suoni escono dal canto di David: il gra-
ve, il tenero , il dolce, il terribile scoccano dalla
sua mano maestra . Egli altamente commuove ,
riempie di una dolcezza non mai intesa, e parlando
della felicità dei giusti , e della clemenza e delia
bontà deU'Eterno, ammorza tutte le pungenti pas-
sioni degli umani . David dà vita ed anima alle
cose insensate: tu vedi tremare la terra; saltellare
7<* . . . .
di gioja i colli; esultare d'allegrezza i monti; al-
zare or pavida or feroce or cupa voce gli abissi.
Ma mentre il poeta Re vede nell'agitata fantasia ani-
mata la natura tutta, la descrive con tanta verità che
ne diviene il dipintore più fedele. I Greci, comin-
ciando dai pili vetusti, dovettero conoscere i davi-
dici carmi ; che lo spirito dell' ebraica poesia si
sente altissimamente dominare in Omero , e uei
suoi discepoli-
Geremia è grande anch'esso: ninno seppe meglio
di lui esprimere il linguaggio della piiì violenta
passione: questa trabocca dalle sue labbra: il do-
lore gì' invade l'anima; ed ei adopera tinte sì te-
nere e sì patetiche che può riputarsi il maestro di
coloro che seppero lamentare le angosce della vita,
e descrivere l'ira di un Dio, che minaccia i popoli,
e distrugge in un baleno le opere loro più grandi.
Cade Gerosolima distrutta: Dio (disse il poeta nel
suo duolo profondo) la pensò la misurò la eseguì.
Questo concetto è sì grande che cede solo -A fiat
lux^ ma vale quanto il veni vidi vici, o al quid
times? Caesarem vehis. Vede Geremia il delitto
in trionfo, vede l'ira dell'Eterno, che già terribile
scoppia, sente il pondo delle proprie s\enturealle
pubbliche calamità congiunte, ed intona quelle alte
lamentazioni, che doveano essere ricordate s;impre
dalle future genti. Quando poi si volge a guardare
le mura della città abbattute, diroccato il tempio,
vinto e disperso il popolo , distrutta la grandezza
d'Israello, il suo spirito, per prendere celeste po-
tere, spasseggia, direbbe Averroe, sulle nubi, da li
si slancia, e in faccia a Gerosolima si asside; onde
con sublimità di concetti, e con grandezza d' im-
magini la tremenda catastrofe ti dipinga.
75
- Pindaro non ha emuli, e siede supremo su tutti
i lirici delia sua nazione: ei desta nei cuori fre-
mito ed entusiasmo; e fa circolare ne' suoi versi :i>p
fuoco che i sensi ne scuole, ed il sangue ne muove
e, ne agita. Egli è di sì alto intelletto, che cauf
tando gli encomi di privali uomini , i falli narra
d'intere tribù e di paesi: inspira amore per la glo-
ria, carità per la patria, ardore per la libertà,. e
nutre tutti que' sentimenti, ch'era mestieri di tener
sempre desti negli auimi de' cittadini a' tempi ia
cui fioriva. :, .
In quel famoso tebano tutte le disgiunte parti
cospirano all' armonia del tutto: egli unisce spesse
fiale molte cose in se disparatissime con una rapi-
dità is\ portentosa,. che riescono oscure ia guisa che
sembrano sconnesse; ma han tutte fra loro un recon-
dito-sì, ma maraviglioso raj)porto. Egli digredisce
agli avi de' suoi atleti, perchè la gloria degli avi^
siccome ei medesimo annunzia, ridonda in chi ne
discende: digredisce alle città, perchè la gloria di
un paese non è di momento per chi vi ebbe la
culla: tutto fa rivolgere al suo obbietto, e non per
altro qua e là divaga, che per render più illustre
il trionfo e la fama dell'eroe di cui favella.
Il più grande imitatore che avesse avuto Pinda-
ro fu Orazio Fiacco: e se quegli fu detto l'aquila
di Tebe , questi dee dirsi a gran ragione l'aquila;
di Venosa. Se Pindaro è diftìcile, facile certamen-
te non e Orazio: ina paragone non può esistere fra
loro; che l'uno battè dall' altro diverso cammino;;
Bella ed iusiem cosa mirabile è il vedere che 1' imi-
tatore si allontana tanto dall' imitato da dive-
nire, egli slesso maestro e capo scuola. Se Pinda-i
ro cantando le vittorie degli Olimpionici, le loro
gesta' esalta, e sa la gloria delle loro patrie trascor-
tii«i ■JiOi'H i'3 'j iJf;ii,)3(j I o;i^c;^ù ijj^ììjiùìì ttii)
i$t-ii e sovente impetuoso su i propri nemici si sca-
glia, e conscio del suo Talore se medesimo innalza
^gabte; Orazio mira a svolgere il cuore dell'uomo^
vuole analizzarlo, vuole aprirgli la mente, vuole cor*
Mggerlo, ogni cosa lancia a questo fine. Egli sup-
plica i Numi per la salute del popolo romano ;
loda la virtù ; fulmina i malfattori ; vitupera le
impudicizie; consola o ammonisce gli amici; am-
maestra i giovani, le vergini, i fanciulli ad odia-
re la colpa, a ben vivere nel mondo.
Io non so con qual giudicio i cinquecentisti mae-
stri abbiano potuto paragonare le odi di Anacreon-
te con quelle di Pindaro e di Orazio. Anacreoute
non dovrebbe entrar per nulla in queste compa*
razioni; che nulla dicono le cose sue: elle sou prive
di pensieri , di uobiltà, di dignità, di scopo: son
prive di quel fuoco divino che serpeggia nei san-
gue, e per le alte cose v'iuGamma. Anacreonle è
poeta di ebbrezza: misero e monotono nei concet-
ti: ripete ognora le stesse immagini del vino, dei
piacere, di Batillo e di un amore fangoso: innalza
un'ara , che pute sempre di fango , all'ozio , alla
mollezza , alla lascivia. Le genti lo han venerato
per essere antico: se fosse vissuto a' tempi nostri
non avrebbe certo il mondo incensato quell'idolo.
La poesia debb'essere utile, dee muovere, dee scuo-
tere, dee dire alte verità, dee onorare la virtù, dee
ammaestrare le generazioni. Il poeta di Teo non
fe' nulla di tutto ciò. E se per averci presentato
con delicatezza, e con armonìa mimetica, le cennale
immagini, merita di essere predicalo un gran fatto,
e di tramandare il suo nome coi sec^oli, ogni sag-
gio , che sa e vuole giudicare per se stesso , io
vede, senza mestieri che io il dica.
Ora io credo che tal giudicio &ccia per avveà*t;
tura fremere di dispetto i pedanti e gli scioli. Sia
•78
che si voglia: ma io commiserando tneco stésso i
iempi infelici in cui siamo , ho altamente dispre-
gialo, e dispregerò sempre, le mordacità di quella
fecciosa genìa, e i latrati di questi miserabili^ ch«
corron dietro alle bolle di sapone, e rosi dalla p\k
bassa invidia, veggendosi nel nulla , invece di amare
e d'imitare il saggio, lo vorrebbero abbattuto, ed
annientilo.... Ma non ragioniara di coslojo, guar-
da e passa.
La poesia lirica (mi vo' servire di un concetto
dei doMi dell' Enciclopedia) è consacrata al senti-
mento, in guisa da elevarsi fremendo, come una
striscia di tiamma , che s' insinua a poco a poco
liei pelli, e riscalda senza strepilo: e sia che si parli
di un'aquila, 0 di una farfalla, odi un ape, il sea*
timento è quello che sempre la guida e la trasporta.
L'entusiasmo e la nobiltà sono dunque i carat-
teri della lirica poesia: la quale agita l'anima tutta,
innalzandola, dilettandola , e pervenendo in fondo
al cuore a scuoterne le scintille più occulte. Ina*
perciocché quando i poeti vengono da grandi ob*
bielti colpiti, la loro immaginazione non può non
accendersi, ed elevarsi a gran volo. Ne i lirici pos-
sono, come i didattici^ freddamente considerare le
cose, e descriverle: poiché essi hanno quegli slanci
tulli propri del loro carattere, che sono spesso l'ef-
fetto di un momento concitalo , e di una impreS'
sione profondamente sentita. Le occasioni dunque
creano e formaiio sovente i lirici poeti: e le forti
immaginazioni giacerebbero so[)ite, senza quei gran-
di accidenti della vita, che le scuotono e le sveglia*
110. Fa quindi sootma meraviglia, come ringhìlterra,
eh' è stata, per lunghe stagioni , il teatro di sva-
riati e di grandi avvenimenti, non abbia prodotto
poeti lirici di grido: quell'Inghilterra che ha da-
to iogsgai Itiaùaosissiizti per i' epics e didascalica
poesia. La qual cosa mi ricorda il grave rimprO'
Tero , che il De Jacourt le dirigeva , a rassegna
passando i falti più eclatanti della britannica sto-
ria. Non mai la greca , e la romana rej)ubblica
^son parole di quel sottile scrittore) hanno fornito
un cosi vasto campo per l'ode quanto quello che
l'Inghilterra offre ai suoi poeti da due secoli. Il
florido regno d' Elisabetta ; la tragica morte della
regina di Scozia ; le tre corone riunite sulla ttsta
di Giacomo I.; il dispotismo che rovescia il trono
di Carlo, e lo fa perire sopra un palco; l'interre-
gno odioso, ma fulgido dell'usurpatore j la rislau-
razione del legittimo re; le divisioni e le guerre
civili, rinascenti sotto questo principe; una nuova
rivoluzione sotto il suo successore; rullerà nazione
divisa in tante sette nella religione quanti parliti
nel governo ; il re caccialo del suo trono e dalla
sua patria ; uno straniero chiamato a regnare in
suo luogo ; una nazione spossala da guerre e da
disfatte infelici, ma che si rialza ad un trotto, e
si eleva al più alto punto della sua gloria sotto il
regno di una donna : ne bisognava forse di {)iu
perchè tutte le muse si dessero all'entusiasmo?
Rousseau sarebbe slato ridotto, se fosse vissuto in
Inghilterra, a dirigere un'ode a Duchè intorno gli
aflàri della sua famiglia, ed un'altra a De Pointis
sul processo che gli fecero i Filibustieri?.. ..Sin qui
De Jacourt. Certo tutti questi accidenti di gravis-
simo rilievo, che avrebbero altamente eccitato le
lire de' vati più celebri , furon senza fruito per
l'inglese poesia. La qual cosa tacitamente e' inse-
gna, che la lirica dimandando fiero concitamento
ed allo entusiasmo , non ha pei poeti britannici
quella forza, in altri sì eminente^, che possa muo-
\erli ed infiammarli. Laonde credo che Addisson
per la durezza e freddezza dell' inglese carattere
ebbe mestieri, onde scuotere le assiderate anime dei
suoi cittadini, di strascinare sulla scena il cadavere
ancor caldo del figlio di Catone, ed introdurre il
padre a numerare le ferite di cui era coperto, ed
a baciargliele, miratido il corpo con immenso di-
letto, e gioire d'esser morto per Roma. E Sliake-
speare giunse forse per la medesima ragione a sca-
vare le tombe innanzi gli spettatori, ad estrarne le
ossa, ad introdurre i becchini, e a dipingere con
caratteri di orrore mille casi dell'umana vita. Gli
Inglesi han d' uopo di essere scossi con mano di,
piombo : ed è corto che quelle cose , le quali la-
scerebbero nei greci negl' italiani e nei francesi
petti orma incancellabile, per gl'Inglesi sarebbero
di un effetto muto o leggiero: tanto è potente l' in-
fluenza del clima sull'umana natura! Quindi gli
avvenimenti della moderna Grecia non poteano non
isvegliare gli eletti ingegni d'Italia, e far loro scio-
gliere nel linguaggio de' lirici inni di lode e di plauso.
Il Mezzanotte, educato alla scuola degli antichi,
si è fatto imitatore degli ebraici e de' greci poeti;
ne trascurò di cogliere fiori da Orazio, quando tro-
vò che convenivano al suo bisogno. Perlochè tu
vedi ne' suoi canti a larga mano versate le dolci
acque, che attinse a que' fonti purissimi: tu vi tro-
vi forza nella frase, gravità nello stile, vivezza nel-
le immagini , moralità oraziana nei concetti. Di-
fatti egli digredisce, ma torna al subbietto, siccome
può vedersi nell'ode VII. e nella XII. nella XVIII.
nella XXI. Ei lamenta la greca virtù oppressa, stra-
ziala, e fatta scempio della ferocia ottomana. Vedi
la II. la VI. la VIII. la XI. ode. Egli con pet-
to infiammato esalta i suoi Ellèni, parla della glo-
ria vetusta del loro natio terreno, rimembra i fa-
sti antichi degli avi , loro ricorda che da quelli
disceadoQo; e non è lontano di evocarne talvolta le
7*
ombre, per muovere coi loro nomi gli animi de' ni-
poti, ed accrescerne colla voce il valore. Vedi le
odi suddette, e ia III. la V. la XIV. la XVII. la
XXIV. Egli insomma pone in bocca de' suoi eroi
alte lezioni di severe e magnanime virlù; diguisa-
chè sembra die Pindaro e Fiacco gliene apprestino
insieme il linguaggio. Non so poi la ragione, per
cui non abbia il poeta sciolto un inno pel disHSlro
di Parga sì famoso nell'ellenica storia. Avrebbe dovu-
to eternare nel suo libro quella infelice catastrofe,
onorando l'eccelso animo degl'immortali Parghiotti.
La poesia non narra i fatti, ma è dei fatti imi-
tazione e sembianza. La quale idea (mi si permet-
ta che qual lampo l'annunzi) potentemente vera ba-
sta da se sola, per làr conoscere ad ogni uom di
senno , quale cieco e pazzo cammino battano gli
sfrenati romantici. Non essendo adunque storico il
Mezzanotte, perchè il poeta tale non debb' essere,
avrebbe potuto divulgare da vate la gloria di quel
gran fatto non solo, ma di altre imprese, che ono-
rano altamente i Greci e il secolo. Io però cer-
cando di penetrare nello spirilo dell'autore mi av-
veggo ch'egli tacendo di molte cose, che sarebbero
state degnissime de' canti suoi , ebbe per fine di
non ricordare talune ingiustizie, che han fatto fre-
mere r umanità , acciocché non fossero le sue pa-
gine lordate di tante brutture. Però la storia, che
non perdona a chicchessia, svelando le perfidie al-
trui , sarà verso il poeta meno indulgente , e glj
imputerà a colpa la timidezza del suo silenzio.
Or ben considerando l'opera di lui mi avviso ch'ei
principalmente merita onore non picciolo, per avere
imitato non come il volgo degl'imitatori, che mai
non allargano il freno all'impeto della loro imma-
ginazione, per tema di offendere i modelli che se-
guirono; bensì come quegli eletti ingegni che sep»
77
pero dare alt' imitata cosa un' impronta originale ,
diguisachè più non si riconobbe che ad altri fosse
prima appartenuta. Difalti la turba de' cinquecen-
tisti , che con istolto intendimento si diedero ad
imitare le parole, le espressioni, il giro delle voci,
ed i sospiri medesimi del Petrarca caddero in quel-
l'oblivione , che meritavano. Ne io condanno che
i gentili spiriti vengano rapiti dalle celestiali fan*
tasie di quell'altissimo intelletto; bensì vorrei che
mentre lo imitano, l'animo loro non rifuggisse ai fieri
traiti dell'Alighieri, simili a coloro che mentre am-
mirano la grandiloquenza di Virgilio e di Tor-
quato sono presi dal vario e versatile stile di Omero
e di Ludovico. L'imitatore adunque dee pigliare,
siccome ha fatto il Mezzanotte , il bello ovunque
lo trova, e non ìstimare esclusivamente le cose di
un solo. Oltredichè non potrà egli ottener mai ve-
runa lode , se le immagini e gli affetti qua e là
imitati non fossero stati coloriti con tinte vive e
delicate, secondo l'argomento di che si tratta; onde
seducendo le orecchie per l'armonia mimetica aprasi
al cuore la via col verace linguaggio delle passio-
ni. Ma per ridurre il tutto in poche parole io cre-
derei che l'imitatore dovesse seguire l'industria delle
api, le quali or sopra questo or sopra quell'altro
germoglio si posano, succhiano i più nobili sughi»
che in se medesime maturano , ed in miele con-
vertono: miele però che nulla conserva del sapore
di quell'umore da cui deriva. Le quali cose, che
i canti del Mezzanotte , sotto un aspetto generale
risguardati, mi hanno tolto della penna, mi con-
ducono a considerare l'indole vera della poesia da
esso lui adoperata.
Il Muratori volea che il bello poetico altro non
fosse che il vero meraviglioso , nuovo e straor-
dinario 0 per cagioa della materia , o per vaio
7»' .
re dell* artificio. Saran dunque tenuti i poeti, (egli
diceva) ad avere os magna sonaturum ; conver-
rà dir loro cose più che ordinarie e mirabili ;
usar gagliardissime , tenerissime , e non comunali
espressioni ; trovare immagini pellegrine o di fan-
tasia o d' ingegno ; intrecciare ed inlerrompere ì
loro favellari con esclamazioni , aposliofi , digres-
sioni, e allre affelluose, grandi, e leggiadre figure,
con metafore vive, con riflessioni inaspellale, e far
•vivissime dipinture de' costumi, degli affetti, delle
azioni, de* ragionamenti umani, avendo però sem-
pre fissi gli occhi nel verosimile e nel decoro. Ecco
ciò che in una poesia voleva osservare il dollissi-
mo Muratori. E donde trasse mai questi princi-
pi? dai grandi modelli dell'antichilà, cIk; noi pas-
sammo a rassegna. Quindi il Mezzanotte che gli
ha imitati con severo giudicio ha sparso i suoi
componimenti di singolari bellezze, in guisa che
saran sempre letti coti infinito piacere dagl' italiani
non solo , ma da tutti quelli che nati iti estranei
paesi braman deifitalica poesia prender vaghezza,
e nutrire il pensiero.
Io pertanto desidererei che qualche idea fosse
in lui più precisa e più chiara; qualche trasposi-
zione meno intricata ; qualche verso più vibra-
to, o più scorrevole, o più sonoio. Questi p.e. e
Tari altri non mi sembran di buon conio:
Strugger vuol l'oste cruda, o perir.
E splender gioja in vello, a..ognuo si, vede,
Cile palme a coglier nuoVeC " '
Di sovruman valor. •'. . '■^.':-i
tfj^'ii •'^"'"'^ fidiuiiia ugual.
Cade di lin:iide agne ampio drappello.
' Che d'immenso di Patria affctlo'ardéa*
Fuor di cavo antro oscuro.
Di patsar de' suoi lauri a l'oaibra alfine.
> Onda sua tra il giierrier frèrtiito. • • ^^ '•
• , ■ Il cristiano Eroe m.ii;nanimo.- .€.;.-.
Schiera di Lor che al tuo Len rollijio Veggo.
•^ Fraterno anìoi* grida «ju»! «inguc: e, accolta.
Kell'ode IV, a cagion d'esempio, sublime e il con-
cetto , che Nicèta nel furore del coutil Ilo sembra
che moltiplichi se slesso: bella è pur l'idea in que-
sti due be' versi racchiusa , cioè che nell' orrida
baita glia
Ma riede e yince; né mai stanco e oppresso)
Uccide urla e sbaraglia.
Nell'ode V. compassionevole tenerissimo ed op-
porluno è l'episodio di Elc^na , sorella di Timoteo,
la quale dopo di aver pc; eluto il marito sotto il
ferro musulmano , mira condotto ad ignominiosa
morte il fratello, ch'era il suo unico sostegno; quin-
di sente strapparsi dai barbari il figliuolo, cui nel
seno t« nea pietosamente nascosto, e contro le rupi
sei vede percuotere: ed Ella mentre si avventa al-
l'empio uccisore cade trafitta da un colpo a mez-
zo il cuore.
La canzone VI , che proclama la conquista di
Tripolilza (mi si permetta che su di qualcheduna
riovellanienle riturni) decsi reputare billissinia: so-
lo la fine mi sembra che non corrisponda al tutto.
Imperciocché l'idea vieta e falsa, ed in queste idee
l'auiore s'imbatte alcuna volta , che 1' Eterno mi-
rando i nefandi eccessi , ed udita la orrenda bla-
sfèma degl'insensati ottomani, abbia accennalo col
ciglio la sua indifJtiazione, togliendo l'ira dal vase,
ed inviando su la vinta città un messagiero super-
no a far duro scempio della musulmana osle, per
punire l'ollraggio, che si era fallo al suo gran no-
me , par che raffreddi tulio il calore e il movi-
mento, che vi circola dentro. Imperciocché cote-
sto pensiero imitato già da' suoi pieclilelti origina-
li non fa piìi veruna impressione ai moderni, che
sono da quelli tanto disgiunti per leggi per co-
slumi per riti. Io non credo ben fallo trapianta-
re nei nostri. terieni. le viete credenze degli anll-
8»
chi: ma vorrei che le immagiai e le coi
ni si prendessero sempre dalla natura umana, che
indipendente da ogni religione , ed è tipo eterno
ed immutabile per tutti.
La VII. canzone v' infiamma per la sublime
impresa dei due eroi Canaris e Pepinìs, e altamen-
te v'intenerisce per la cittadina riconoscenza. Il poe-
ta versa nel nostro petto il suo tenero entusiasmo,
e dolci lagrime ne strappa dal ciglio. Ei pianger
dovea scrivendo que' versi, pregni di libera bile e
di grandezza; poiché si vis me fiere ^ dolendiim
est primuni ijjsi libi. Noi piangiamo, ed ei pian-
se. Bellissimo è ivi pure il concetto d'introdurre
Anlemio, patriarca d'Alessandria, che dà la bene-
dizione ai due eroi, e invocando il nome del Dio
degli eserciti parlile lor dice. La voce partite col
sentimento che racchiude non può essere uè più
acconcia all'uopo, uè collocata con migliore inten-
dimento.
L' idea espressa verso la fine della IX canzone
intorno alla Grecia , la quale quando disse torni
mio nome a splendere^ e l'iinniortal decreto in del
siscrisse^ a me pare mirabile, e di un etretto sicuro.
L'ode XIII è delle migliori, per l'ordine con cui
progredisce , per la facile e bella poesia , con cui
fu immaginata e distesa. Grato è il [)ensiero di eoo-''
sacrare all'infamia l'iniquo Costa^ che tradì la iri-
felice patria di Canaris^ che lo aveva accolto ed
onorato; e prender da quella le mosse per dire delle
segnalate vittorie avvenute dopo l'eccidio di Psara,
Nel canto XVII non si può descrivere con più
vigore e con pietà più sentita la fame che strazia-
va i difensori di Missolungi. Ivi maschia e bene
intesa è l' idea del popolo, che cade nelle vie per
luattcanza di forze; e mentre ognuno, spirando, a
Varnii vuole stender la destra , tenta di sollevarla
8i3
io vano; quasiché lo spirito, sempre pieno di su-
blime fierezza , non gema sotto il corpo infiiriro
ed estenuato.
Nell'ode XVIII emineotissima è l'immagine del
genio dell' achiva libertà, che sta vigile sull'ardue
rupi di Leondari, e contende, sdegnoso e minac-
cevole, il varco ai barbari nemici.
Insomma se io volessi noverare tutte le cose che
più colpiscono nelle liriche poesie del Mezzanotte
opera lunga imj)renderei. Alto onore gli è dunque
dovuto per um lavoro in cui si congiuugono insie-
me leggiadria, elevali pensieri, e sentire nobiiissi«
mo. Io ho voluto distesamente ragionarne, e con-
siderailo sotto tutti gli aspelli, perchè se ne divul-
ghi la fama nella Sicilia, nella Sicilia, io dico, ore
Geroue e Terone festeggiarono ed accolsero con lie -
to plauso il ti bano lirico ; la di cui ombra ono-
rala godrà oggi dell' encomio , che il suo valente
traduttore ha giustamente compartito agli Eroi della
rìgeuerata Grecia.
Ferdinando Malvica,
Lezioni sopra diversi morbi cronici composte da
Mjissn\ìLiANO Stoll P. P. O. di Medicina
clinica nell'Università di Vienna. Prima ver-
sione Italiana con note di Lorenzo Angilerx
'—Palermo Gabinetto tipografico alfinsegna di
Meli i833.
Un uomo chiaro per le opere e famoso per lo spi-
rito di osservazione; di proposito chiamato a sup-
plire , e poscia a succedere al rinomato Dehaea
sella Clinica di Vienna, salito ad un tal grado di
celebrità , che trasse l' Imperatore di Germania a
visitarlo nell'ultima sua malattia; uà uomo di tal
8a^
momento qual si fu Masslmìaao StoII , dovea oe-
cessariamente lasciare dopo la sua morte immaluia
UD gran desiderio di se , e delle opere sue. Era
quindi tulio naturale, che alcuno de' suoi discepoli
si fosse posto a ricercarne minutamente gli scritti,
ed a rispondere almeno in parte all' aspellazione
del suo secolo. Il chiaro Eyerel intraprese a van-
taggio della scienza quesla lodevole opera , e fu
egli, che avendo accozzate quelle carte, che potè
rinvenire, venne a pubblicare due operette postu-
me delle quali 1' una, che porla per titolo Prae-
lectiones in dwersos morbos chronicos , e quella
che il sig. Angileri tolse a recare ueli' italiana fa-
vella.
L'utilità di questo lavoro non dev'esser misurala
dalla parola versione. Quesla non offre altro van-
taggio, tranne quello di rendere \nh note le idee
di SloU a' meno versati nel latino idioma; ma il
travaglio del sig. Angileri è qualche cosa di più.
Se riguardasi alla pura, e semplice interpreta-
zione del testo di primo lancio si vede non poterla
mettere nella stesàa linea delle altre versioni. Il
menomo pregio è certamente quello della lindura
nello stile, e della proprietà nella lingua; cose per
altro, che son difi'tlose nell'originaltt latino, impe-
rocché il celebre Cinico di Vienna meditando forse
di com|)ilare quest'opera, notava giornalmente tutti
i risultati della sua ferace osservazione, e ne am-
massava così i materiali. Ora nel far questo aveva
senza dubbio meno riguardo alle parole , e tutto
intendeva l'animo suo alle idee. Quindi registrava
l'una dopo l'altra, e nel modo slesso come cade-
vano sotto la penna, tulle quelle coso, che gli pa-
reano di qualche interesse, e venne perciò vergando
per avventura queste carte, senza punto impicciarsi,
non solamente dell'ordiae, e della distribuzione delle
... ®^
idee, ma sovente eziandìo della sintassi delle pa-i
iole. Perlochè vi lasciò molte scorrezioni neilaSv
lingua, ne' periodi, e Jielle voci, sebbene inlen-!
dcnlissimo fosse slato delle lettere |:;reclie, e delle?
Ialine. In effetto sono l'utilità delle vedute, le pra-i
tiche giudiziose, la profonda osservazione, e l'espe-
rienza consumata; non già la poliluiii dello stile,
e l'assetto delle idee, che fanno riconoscere in que-:*
sle lezioni l'autore della Ratio Medctull. 11 tra-
duttore ebbe dunque ad incontrarsi con passi oscu-
ri, con parole scambiate , e fuori senso; ed ebbe
in conseguenza a sostener la fatica di «pianar que-
ste difficoltà, ingegnandosi di entrar nello spirito
dell'autore, e di j)resenlare chiaro, e semplice al.
leggitore quello^ che à oscuro , e qùas^ Jrjiuteliji->;
gibile nel testo, si f),o^".!ì'>noiy^5^'lMb jvTnvr.x no^ i^b
Ad ogni passo rias'cd una novella pròva' di quaQtOv
vengo d'asserire, e basta scorrere una o due pa-\
gine per restarne j)ienamente convinto (i). Epperò
una versione la quale non solo presenta in collo
stile italiano quello, che con molte scorrezioni dice
l'originale, ma che schiarisce quello, che si trova.-
di oscuro, e corregge quanto v'è di erroneo, non'
può andar del pari colle altre versioni; e può es-
ser di giovamento non dico a coloro , che sanno
poco di latino (sarebbe questo di pochissimo van-
taggio), ma eziandio a coloro, che lo conoscono
a fondo; poiché li dispen.sa d'impiegare un tempo
inutile per la intelligenza del senso.
Tutto ciò, che abbiamo detto, per quanta fatica
abbia costata al sig. Angeleri, è pure la parte rae-
: (0 In prova di questa mia asserzione si pnlranno riscontrare .
le pag. i33, 146» e molle altre del testo latino, cai ritroVetannO •
alcuni passi che di preferenza riluceranno per 'io spianamento-, e ''>
la dilucidazione del aenso, il qaal« « inolio ailruio ed oscvro.uci^
corritpondcBti originali. ,. ^ '.-'.' , , " ''"'
no interessante del suo lavoro. Egli ancora si èa-
doprato in vantaggio della scienza, ed in prò del-
la gioventù discente, aggiungendo alcune note, sul-
le quali conrien che fermi al quanto la mia at-
tenzione.
Queste note sono di varia natura.
Talune son destinate a dilucidare quei passi O'
scuri del testo, la cui intelligenza è attaccata alla
notizia di qualche erudizione storica, o scientìfica.
Di tal natura tra le altre sono: quella che si leg-
ge a pag. 7 n. i e che dà notizia del mallo', quel-
la, che si trova a pag. 26 n. t che racchiude una
interessante distinzione senza la quale il senso del
testo verrebbe ad esser difettoso, o almeno inesat-
to; quella , che è registrala a pag. 4^ , la quale
dà conoscenza Aq[ bastoncello^ e le altre due a pag.
ai 3 e 214 dove fa cenno de' balsami degli eni'
brìoni e di Sassonia ec. Questi schiarimt^nli , e
molti altri simili, ebbero a costare o al ti'idnttore
assai tempo, e fatica per rintracciarli, e rinvenirli
nelle antiche, ed estere farmacopee. 1 giovani di-
scenti non sanuo acquistarseli; e ^\d^ provetti, moi«
ti non hanno la pazienza o l'ozio d'impiegare tau"
to tempo, e slento per venirne a capo. Il tradut-
tore qui offre spianale tutte le diflicollà.
Altre di queste note sono impiegale ad avverti-
re il leggitore di tutti gli errori di teoria che s'in-
contrano nel lesto. Sebbene i fatti siano sempre gli
stessi , le teorie in ogni giorno vanno cambiando;
il perchè molte spiegazioni, che un secolo avanti
acchetavano i pili severi spiriti, oggi son divenute
rancide , ed ontologiche. Leggendo queste note si
può ammirare il possesso, che il sig. Angileri ha
delle teorie, e la saggezza colla quale ne fa uso. Ba-
sta tra le altre leggere la nota i della pag, 5^o-
ve parlasi del principio putrido ^ la nota 2 della
85
stessa pagiaa, dove trattasi della distinzione dello
scorbuto in alcalitio, acido , e muriatico; la nota
1 pag. i5 e l'altra pag, 21 dove si discute la se-
de della rachitide ec. ec. Tutte queste note non
sono dettate da smania di far mostra di conoscen-
ze fisiologiche , e patologiche , ma da uno spi-
rito retto di avvertimento per li giovani a sapersi
guardare da teorie non più ammesse. Le idee vi
sou cennate con chiarezza, e precisione, e nello stesso
tempo con giudizio , e con riserba. Di maggiore
interesse, mi sembra poi, fossero quelle altre no-
te destinate a supplire le mancanze del t( sto. Ram*
meritando, che quest'opera non fu finita lUilio Stoll,
il nostro Àngileri entrò nel lodevole impegno di
compiere almeno quei trattati, che rimasero mon-
chi nell'originale. Per tacer di tutte le altre par- >
lerò della sola nota n. 1 pag. ^4 ^^^ ^^ U" ^P"
pendice alle idropisie, e che è destinata a parlare
in particolarità di quelle specie, che non si trova-
no estese nei testo. Egli seppe in poche pagine riu-
nire tutto ciò che di positivo , e di meglio si è
scritto su questa materia, e si fa molto ammira-
re per l'uso, che assai a proposito fa delle ultime
idee di Bouillaud intorno le idropisie.
Il sig. Augìleri non contento di ciò aggiunge di
quando in quando altre note, dove sparge de' fio-
ri di erudizione medica sopra alcune cose indica-
te appena dallo Stoll, e che riclii^deano maggiore
schiarimento; inguisacchè ha dato più amenità al-
l'opera di quel dotto professore, la quale sembrar
poteva al quanto arida(2). Còsi volle l'Angileri co-
gliere appieno il punto sposando all' utile il dilet-
tevole.
Corona di tutti questi pregi è il mostrar l'ani-
ce) Ved. I« a«tf » pa|, 39, 86, 87.
86
mo caldo dell'onor patrio; pei'chè tton lascia, ove
il destro gli viene, di commendare quei medici
nazionali, i quali son degni di stima presso il pub-
blico, e ne rapporta ora le particolari osservazioni,
ora i rimedi, che per trullo della loro pratica han-
no ti-ovato giovevoli nel nòstro clima; citando sul
proposito i sig. Romano, Poital, Silvestri figlio
ec. ed i professori del Colleggio mt'dico nella no-
stra Università sig. Dominici, Gorgone, Puritano,
Fodera ec. moslrando in tal modo, che l'animo suo
è lutto inclinevòle a rendere omaggio alla virtù,
ove si trovi , e privo di quella , brutta passione,
che rende uaolti uomini cit;ciìi^ e l'ariosi ai merito
altrui'.''""'!'*" 9«»'''''^ol ha ótJì39 ualìguA o..éo;.
Quàiiib*'megliò non -fareblìéi'òqSéT," che iié liòii
travagliali, a seguire I' orme del sig, Angileri ani-
mando ne' gravi studi della scienza salulare colla
lode chiunque sen'è reso degno, anzicchè avvelcn-ire
con malignità le opere che escono alla luce in Si-
cilia col proprio disdecoro, e con quello degli au-
tori, i quali vi han pure sudato. Ho sospiralo sem-
pre quel giorno, in cui costoro rinunziando alle
ire ostili, ed agli odi abietti vogliono concorrere
dal canto loro a spingere avanti nel nostro suolo
quella divina scienza , che conserva la sanità , e
guarisce le malattie. Fosse questo libro dell' Ange-
leri di esempio e di augurio ; che sia già tra noi
per apparire questo giorno felice.
•'M')irtf> uKj , ,oJn9ii.
Nicolò CBkrszw.
' '1
- RnoioO
•r8 ,óe ,<-r ,|»ij i ' jf ((5)
EFFEMERIDI
SCIENTIFICHE E LETTERARIE
PEn
LA SICILIA
JfommLe 1833
^'^ ^^11(^
•^♦-h
Continuazione della Seconda Memoria^ e nuova
raccolta di fatti comprovanti i cattivi effetti
del Mercurio nelle malattie nervose di Giusep-
pe PiDONE (ved. T. VI fase. 19, p. 7).
Jl. ormentato da mille mali e specialmente da son-
nolenza, da convulsioni al collo, ed indi da opisto-
taiio il sig. don Jntonino Monti Hbl Cd^ijo ^qWo di
anni 24 , di temperamento sanguigno al massimo
grado e nato da padre venuto meno sotto gli ac-
cidenti nervosi, non saprei dirvi. Signori, quali e
quanti rimedi adoperasse per liberarsi da la niti in-
comodi. Salassi, bagni minerali , purgativo di Le
Roj, decotto di Paolo Emilio, solfato di cliinina,
moxa , setone , noce vomica, tartaro stibiato alla
88
dose di 38 granelli in un giorno, tutto in somma
era stato adibito dai saggi medici per fugare la
malattia, e qualche vautaggio aveane ricavato l'in-
fermo; quando nel dicembre del i83i dimorando
in Palermo fu per giorni 12 sottomesso alla po-
mata del Cirillo , dalla quale provennero positivi
disturbi^ cioè peso alla testa e maggiori stiramen-
ti dei muscoli del collo. Sospesa allatto dal dottor
Maccadino^ chi mai potrebbe ridire quanto solfa-
to di chinina si consumasse, quanta noce vomica e
tartaro stibiato altra volta? La soppression del setone
e l'apertura dei vescicanti alle braccia ed alle gambe,
il sugo di ruta, il licore anodino de\Y Ilof/hianno , le
aspersioni dell'acqua fredda eran stati all'uopo in-
vocali, quando il sig. Fodera cercava liberarlo da
sì potente malattia con àeWe staffe fermate da col-
ire riscaldate^ che a nulla valsero e riusciron va-
ne; a dir vero però se non altro gli siamo debi-
tori joer averci latto conoscere questa nuova e biz-
zarra stuffiglia. Chiamato finalmente per un con-
sulto il tanto rispettabile dottor Polara padre ,
prescrisse una pillola per ogni giorno , composta
j bia ì3 e qui caldamente loda Federico e Manfredi,
e poi soggiunge w II perchè coloro ch'erano di allo
w cuore e di grazie dotati si sforzavano di aderirsi
w alla maeslà di sì grandi Principi, tal che in quel
>-> tempo tulio quello che gli eccellenti Italiani com-
>j ponevano, ne la Corte di si gran Re primamente
wu.^civa. E perchè il loro seggio era in Sicilia, è
5» avvenulo che tulio quello, che i nostri precessori
'i composero in vulgare si chiama Siciliano, il che
» ritencmo ancor noi, et i postevi nostri non io po'
I II
M iranno mutare...-» E in tutti i due libii l'Alighieri
ognora con laude della Sicilia divella. Le rime italiane
in fatti che prime si conoscoiio noti sono che di Sici-
liani: così vedesi nella raccolta dell'Allacci, così nel
Crescinibetii, Se dunque quei di oltramonti , non
paghi delle moderne fortune vogliono l'Italia pure in
quell'età serva non solo delle loro costumanze , ma
eziandio a loro debitrice del parlare e poetar suo,
di gran .Wnga eglino s'ingannano, perchè abbacinati
da una falsa carità di patria. Molti fra noi con magi-
stero presero a comprovare per altre testimonianze
questo medesimo assunto, e addimostrarono come
alla Sicilia e non agli stranieri si deve l'ingentilita
favella e la pulita poesia volgare; e se il Ginguenè
che dettò con tant' arte la storia della Letteratuia
italiana (del quale fu poi continuatore il dotto Salti,
che, secondo la mia credenza, dovea non solo cor-
redarla di note, ma sin anco aggiungervi del suo,
e correggerla, onde rivendicare in parte la sua pa-
tria, le varie volte dal francese scrittore malmena-
ta) cade anch'esso nel medesimo errore, dicendo che
ai provenzali romanzi deve l'italia il suo poetare;
la ragione si è la medesima che or ora dicemmo,
e l'A. dell'articolo segue le orme istesse: e non va-
le il dire» Federico imperatore» per additare che
questi era uno straniero , imperocché nato questo
principe dallo stipite di Svevia in Palermo, e se
non nato , qui certamente cresciuto ed educato ,
può reputarsi siciliano del tutto, anziché tedesco,
molto più che in questo regno acquistò la gloria
letteraria eh' è tutta sua propria.
Per tutto il resto l'articolo è bello, anzi bellis-
simo, salvo dove parla dello stile del Botta , che
è tutto oro; e vivo sicuro che uou riescila discaro
112
a nessuno che ha in onore la sapienza. Spiacemi
intanto di non potere a lungo con voi ora interte-
nermi, ne aggiunger qualche altra annotazione che
utile possa riuscire. Il gravissimo lavoro, al quale
ho rivolto l'animo (pel di cui felice esito temo al-
tamente , risguardando la debilezza dell' intelletto
mio) di imprendere ad osservare tutto ciò che alla
Sicilia si addice in quel lungo periodo di storia del
Botta , siffattamente mi travaglia, che costato d'uo-
po darmi ad esso tutto quanto. Io perciò non al-
tro ho fatto che ridurre quest' articolo nel volgar
nostro, e a Voi con questa breve epistola inviarlo.
Mi auguro che Voi l'accogliate di buon animo, e
parteciperete quest'atto di mia venerazione a quel
sublime italiano , che, come già dissi altre volte,
tanto vi onora di sua stima, e di sua particolare
benevolenza. Voi intanto non mi private della vo-
stra dolce e beata amicizia, e ricevete da me con
la presente il sincero addio degli amici.
Storia d'Italia ec: dal 149^ ^^ 18 t4', per Gmc-
GIARDINI e Botta zo volumi in-8° impressi da
Crapalet presso Baudrys ec.
Secondo articolo — Botta.
Noi abbiam di già favellato di siffatta novella
edizione, i di cui primi sei volumi, fra i venti,
che racchiudono avvenimenti poco olire i quaran-
l'anni si appartengono al Guicciardini; e gii ulti-
mi quattro , contenenti venticinque anni della sto-
ria contemporanea già dettati dal Botta, han pre-
stato il destro più di una volta ai critici di de-
bili elogi ed utili discussioni. Ilimanea ancor da
ii3
tiaUare dell'intervallo Ira il i534 ^ '" ^7^9? ^^1 qua-
le spazio di tempo quest'ultimo scriUore ha raccoUo
rapidamente gli annali, e ne iia formato il subbietto
dei dieci volumi di cui veugliiamo a luogo a luo-
go ragionando.
Lieve cosa sarebbe , se si volesse essere ingiu-
sto verso un così lungo e bellissimo lavoro, darne
un giudicio superficiale e pedantesco , molto più
che l'autore non potrà fare a meno di convenire,
che tanto la foggia su cui esso è modellato, quanto
il sistema da lui seguito, lo espongono a dei rim-
proveri , de' quali ecco i due principali , o quelli
almeno che a noi pajon tali.
Primo fra essi si è l'imitazione degli storici fio-
rentini, la quale ha trascinato l'A. in un genere di
scrivere che molto piace in Toscana, ma che uu
gusto meno esclusivo non ha sempre approvato ,
e quindi in esso si scorge uno stile caricato , uu
tuono di retore e di declamatore insieme, l'itali-
co de' libri, anzi de' vecchi libri, divenuto pressoché
l'unico suo linguaggio, trovandosi egli lungi fin da
più tempo dai suo paese; la diligenza del pensiero
sagrificata talvolta a quella della frase. Ne ciò pa-
rer debbe in lui esagerato, poiché avvi nella sua
erudita ed armoniosa dizione un'attrattiva che nulla
più ; e se lecito fosse agli stranieri il pigliar parte
in tai controversie di stile noi avviseremmo ammet-
tere la storia, massime nella volgare favella, un'ar-
te ed una magniloquenza, una franchezza ed una
poetica fantasia che nelle semplici memorie senti-
rebbero del lezioso.
Ma anco più grave del primo si è il secondo
rimprovero che noi osiamo fare al Botta in nostro
nome per avere egli scritto la storia senza anno-
ii4
tazioni e senza rimandi, a guisa degli antichi, sic-
come Erodoto , Senofonte, Tito Livio, Tacito la
scrivcano: le cui autorità sono assai di rado con-
sone tra' di esse, e i quali non pongon giammai
una nota in piede de* loro testi, e, comechè i loro
chiosatori ci risarciscano con abbondanza della men-
da che quelli commisero, pur non di meno noi ci
doliamo le più volte di siffatto silenzio, e ame-
remmo meglio conoscere per loro medesimi le Sor-
genti da cui eglino attinsero le loro narrazioni.
Ma, attese oramai le facilità d'ogni sorta che ap-
presta la stampa, noi esii;iamo più cose nelle mo-
derne istorie; e ciò non a torto ciccome il Botta,
le cui pagine tanto nitide ed eleganti, quanto può
di più bello la tipografia, non trovansi maculate da
una sola annotazione, il che a noi pare essere og-
gidì una lacuna in un'opera storica: ma con buo-
nissima ragione, dapoichè per quanto disj)0sti noi
fussimo a prestar fede ciecamente alla sua assicu-
ranza, cerca tuttavia la nostra credenza l'utile ac-
cessorio delle citazioni scrupolose , che poimo ta-
lora essere increscevoli , ma che sono ancor più
istruttive; e se pur avvi alcuno cui esse non piac-
ciano costui non le cura, ma non è questo un mo-
tivo per privarne quegli che le ama. Ne giova il
dire che ne in Guicciardini, uè in Varchi, ne in
Macchiavelli se ne rinvengano, giacche è d'uopo
riflettere che costoro non fanno che deporre i fat-
ti quali testimoni , mentre che il Botta non h«
punto veduto i Medici: però i grandi storici ita-
liani, che hanno disteso storie generali, come Gian-
none , non hanno in verun conto mancato a que-
sto dovere: e sono stali gli editori, che hanno sup-
plito al difetto de' primi col ricorrere agli altri
1 ID
scrittori di cose contemporanee, siccome Purcacchi
ha fatto per Guicciardini , e farà un tempo per
Botta il suo Porcacchi, che io avrà indubitatamen-
te, abbencliè noi lacessimo voti caldibsinii, perchè
non fosse ciò di mestieri , uiuuo potendo meglio
di lui stesso addittare ie vie che ha tracciato on-
de giungere alla conoscenza della verità.
Ma lasciamo dall'un canto le critiche osservazio-
ni , e rendiamo plausi e grazie insieme allo elo-
quente istoriogriifo, essendo ciò e più piacevole e
più giusto. L'Italia, che coronato avea la prima
istoria nazionale del Botta , ha compensalo co-
stui con una generosa soscrizione per questi altri
otto anni di sue vigilie e di storiche ricerche", ed
anco noi dobbiamo accogliere con riconoscenza ed
orgoglio un'opera scritta e pubblicata in Francia;
ed esser mossi da simil tributo offerto dall'auto-
re alla sua assente e sciagurata patria; vogliam noi
dire la continuazione della storia di Guicciardini,
la quale avvegnaché presenti difficoltà meno deli-
cate della narrazione di una storia contemporanea,
egli è per certo un' impresa più ardua e più com-
plicata, comprendendo essa gli annali di circa tre
secoli dell'intiera Europa. E cosa assai dolorosa si
è per un italiano il compilare la storia moderna
dell'Italia, la quale sono oramai tre secoli, che non
ne ha più una che dirsi possa veramente sua pro-
pria, ma i suoi annali non sono che quelli dei po-
poli stranieri , e così in fin da più anni ha ella
espiato i tempi della romana dominazione. Guic-
ciardini principiò dall' invasione di Carlo Vili ,
Botta prende inizio dalla rivalità di Francesco I.
e di Carlo Quinto, i quali vennero a cercare oltre
le Alpi un campo di battaglia , e dal nascimento
ii6
della riforma, grande successo, di cui il pretesto
furono le poritilicie indulgenze, ma che ricadde cru-
delmente suU'If.ilia medesima, dalla quale non parte
giammai il movimento europeo, ma ella il riceve ,
il soffre, e vittima di esso vi soccombe; questo e
non altro è il suo destino.
E rivenendo alla suindicata espiazione essa ri-
monta sin dalia irruzione de' barbari , dei Goti
cioè, de' Vandali, de' Lombardi, de' Franchi, dei
Germani, de' Normanni, che sonosi dati a vicenda,
ed a guisa di pcllegrinac;gio armato verso l'eterna
città , il punto di riunione per il conquisto sotto
le muraglie di Roma, ove i popoli tutti del nostro
occidente sono ili in traccia di squarci del lati-
no linguaggio, e di spettacoli di grandezza, come
se fosse stato lor uopo porre piede almeno una
volta in quel sacro suolo, onde avere un giorno il
diritto di prender rango infra le nazioni. Eglino
però han dovuto parimente mutare l'indole, ed
il dire di quel popolo, dannato sin da tanti secoli
ad esser soggetto incessantemente a nuovi padroni
e ad ascoltare sconosciute favelle. Il Botta scrive
in italico, il quale rustico idioma del latino, allon-
tanasi dall'antica lingua del Lazio meno ancora che
1 Italia moderna dall' antico ])atriottismo romano:
quivi, per quanto immenso si fosse il numero de-
gli strani svariamenti de' suoi dialetti , osservasi
che quello rimane sempre al di sotto posto iu con-
fionto colle avversioni e i livori che dominano nel-
le disuiianimi moltitudini degli abitatori de' suoi
trenta ])acsi, ai quali è impossibile senza alcun cen-
tro, senza alcun legame il ragunarsi unanimemen-
te; ivi quello spirito di gelosia e di discordia, retag-
gio della romana politica , che distribuiva a città
i»7
pretesi privilegi, per più presto disgiungerle, pas-
sò entro la tirannia de' Cesari, si accrebbe nelle de-
mocrazie della mezzana età , e si perpetua nelle
cillà di uno slato medesimo , falche Pisa detesta
Firenze, Bologna è implacabil nimica di Roma ,
Messina vorrebbe Palermo annientila.
Una storia siffatta potrebbe esser drammatica
nelle sue circosfanze, ma essa manca di assieme;
che r interesse vi e troppo staccalo, e tutta l'arte
dello scrittore dà nello scoglio pelle infinite sud-
divisioni del suo argomento. Imperocché se i rove-
sciamenti di fjuattordici secoli, le tante repubbli-
che nate dall' anarchia ed interrotte di quando in
quando da dispotiche usurpazioni, e l'abuso delle
franchigie iniinicipaìi portato sino al più violento
egoismo, e che d'ogni città, d'ogni villaggio for-
mava un picciolo stato ognor destro a straziare
quello vicino, hanno indispensabilmente distrutto
l'unità, di linguaggio; gli stessi motivi di diparli-
zione, e d'iuliacchimento, che la pontificia prepon-
deranza non ha potuto combattere, hanno vie più
a fondo distrutto l'unità di patria. Or volendo il
Botta, da quell'abile scrittore ch'egli è, creare quel-
l'unità, che il suo soggetto gli vieta, ha fatto degli
sforzi incredibili onJe superare un' ostacolo si in-
sormontabile; ma ad ogni momento Io domina l'e-
sterna influenza , siccome per lo addietro ha essa
dominata l'Italia ; e per non parlar qui che dei
suoi cinque voJumi, i quali comprendono il deci-
mosesto secolo e la prima parte del decimosetli-
mo, ei non sarebbe giunto per fermo a dettare que-
sto tratto di storia italiana, senza narrar quella di
que' barbari, inevitabili, da che la catena delle Al-
pi si è di continuo innanti loro abbassata.
ii8
Correndo l'anno i53o ebbe termine l'indipen-
denza di Firenze, che libera altre volle per orga-
no de' suoi facondi oratori , innanzi Carlo Quinto
piatisce or prò or contro il Duca Alessandro suo
primo tiranno; ed i Medici non regnano che sotto
l'imperiale protezione. Francesco Primo, ne' campi
di Ceresole contende il mezzogiorno al suo rivale,
e la sua alleanza con i Turchi, abbandona ai fu-
rori musulmani le coste tutte da Nizza a Reggio;
Fiesque sostenuto dalla Francia minaccia la libertà
di Geno\a; e il bravo Montine a nome di Enrico
II difende Siena assediata dalle armi toscane. La
Spagna intanto si mostra per ogni dove, e la sua
inquisizione, di già potentissima a Roma, tenta di
stabilirsi a Napoli. I tre spagnuoli Ossutia , Pier
di Toledo, Bedmar riescono quasi a destrurre Ve-
nezia, coraechè in ciò il Botta non segua la sen-
tenza del Barò (da lui a lungo confutato), il quale
suppone una chimera quella celebre cospirazione ;
onde si e in ispezialità , per li fatti così dubbie-
voli , che rincresce a ciascuno , nella narrazione
di cui ragioniamo, il difetto delle precise testimo-
nianze ; ma eglino sarebbero certamente concordi
nell'attestare, che se altri popoli vennero alterna-
tivamente a gravitar sull'Italia, gli Spagnuoli, du-
rante questi (lue secoli, la risguardarono come una
provincia della loro orgogliosa monarchia, e come
una preda, che la foiza e l'astuzia dovea tutta in-
tiera lor dare. E pruove luminosissime dell' odio
che conservavasi ai viceré inviati da Madrid si so-
no il notabile episodio di Masaniello pescatore di
Amalfi (uno de' migliori racconti dello storico) ele-
vato in Napoli per un' istante alla regia potestà; lo
sperimento della repubblica napolitana, e l'impresa
'^9
audace del Duca di Guisa. Palermo proclama an-
cor esso un battiloro, Giuseppe di Alessio capitano
del popolo, e fa risonare le grida stesse di vendet-
ta. In somma gli spagnuoli, malgrado di tutte le
invasioni e di tutti i mali che dietro essi seguirono,
sembra che sieno stati il popolo che abbia recato il
maggior danno a codesta contrada, la quale per sì
lungo tempo fu schiacciata dal jieso del loro politico
e religioso dispotismo. E la Sicilia sopra tutto, dopo
tante altre calamità, sovviensi tuttora della tirannia,
de' saccheggia menti, degli strazi eh' eglino le appor-
tarono.
Quest'anno fatale (i53o) fu d'un pronostico trop-
po funesto per la libeità italiana; del che ben si
avvide Filippo Strozzi, allorquando consegnato dal-
l'imperatore a Cosimo I, in un sublime presenti-
mento dell'avvenire , esclamò, ferendosi da se me-
desimo per campare dalla servitù, w Gran Dio se
io non merito alcuna grazia al tuo cospetto, almen
non ricusa all'anima mia un i:)osto vicino a quella
di Catone! w Dal quale momento comincia di nuo-
vo ad essere Italia subordinata a' conquistatori o ai
padroni ; ad essere dipendente ed anco assuggetti-
ta. Da qui han principio questi dieci volumi di
annali. Nel decimosi'sto secolo Francesco I, Car-
lo Quinto , Solimano riempiscono pressoché tutte
le pagine di questa istoria. Il secolo vegnente è
quello di Luigi XIV, e si apre la lotta tra' Oli-
varez e Richelieu; nei quali splendidi destini che
regolano e diriggono quelli del mondo non occu-
pa alcun sito l'Italia. Il pontificato romano, come-
chè ancora rispettalo, non potè formare un centro,
dall' epoca in cui surscro le grandi secolari po-
tenze. In Italia bcn'aaco la repubblica di Venezia
9
120
la quale non è perita che a eli nostri; ed il regno
di Napoli che non lasciò sempre inutilizzato affat-
to il vantaggio della sua posizione, attraversarono
lo spirito della Santa Sede, cui l'Austria non sot-
tomise giammai le sue conquiste, e lo stesso suc-
cessore di Pietro non fu allora che troppo spesso
eletto dalle corone straniere. Priva di quest'ultima
immagine di potenza la bella penisola è stata pria
d'ora quella cli'è tuttavia, solo rimanendole il suo bel
cielo, l'ombre delle sue grandi città, TEtna, il Ve-
suvio, le sue immortali rovine, dei nobili ingegni,
e le sterili rimembranze dell' indipendenza e della
gloria sua.
Se r estranea influenza sull'istoria civile e poli-
tica dell' Italia non [ìuò negarsi da chi che sia ,
quella sulla sua storia ititelletluale, coiuechè meno
osservata, non è meno sensibile, malgrado che il Bot-
ta si sforzi di dare naturalmente alla sua patria, co-
me un' indennità della perduia indipendenza, il van-
to di essere andata sempre innanzi nei progressi
dello spirito umano. Conciosiacosachè egli nomina
con entusiasmo Dante, Ariosto, Tasso, Galileo, e
in questa parte letteraria, che riluce nel suo libro
a preferenza di alcun' altra , trova il conforto di
tante sventure nel bello spettacolo dei geni mara-
vigliosi cui die vita il suo paese. Ma qui del pari
lo storico, senza che il sapesse, tiene dietro presso
che ognora di passo in passo a quello dell'Europa;
e si conviene oramai a sufficienza che Federico li
imperatore e re di Sicilia, nobile discepolo de' tro-
vatori, ebbe gran parte nella formazione della lin-
gua volgare, che Dante e Petrarca vanno alquanto
debitori di lor fama alla poesia provenzale , e che
finalmente i nostri romanzi, e le nostre novelle ia
J2I
versi de' primi tempi della |X)esia, che ci valsero
una gloria popolare, degna di essere pure al pre-
sente, qual cosa propria nostra, richiesta , non fu-
ron punto inutili al mezzodì. Ma nelle vicissitudini
dell'umana intelligenza in Italia egli è sopra di o-
gni altra cosa importante lo studiare il contraccolpo
della grande rivoluzione religiosa del secolo decimo-
sesto.
Noi ritroviamo dappertutto infin là esempi incon-
testabili di pontificai tolleranza. I Papi non dis-
sentivano alcune volte che si rappresentassero com-
medie alla loro presenza: favorendo i letterati non
negarono la loro protezione all'Ariosto, ed anche al-
l'Aretino: insomma la corte pontificia, essendo
allor rada la controversia , dormiva sull' antichi-
tà del suo potere , e sulla magnificenza delle
sue solennità. Tale condiscendenza porgeva occa-
sione a Pomponio Leto di pensare a Roma pagana,
e versar lagrime alla rimembranza di essa, admo-
nìtu (si dicea) melionim temporum; Marco Antonio
di Prosperi con quelle bizzarre sue idee; Ninfo con
la sua filosofia panteistica; il Poggio le cui face-
zìe sono spesse volte ingiuriose, non paventavano,
siccome appare, nulla cosa.
Adunque d'onde ha origine quella tempesta che
si eleva rejìente sopra chiunque ardisce esercitare
il suo pensiero], e che minaccia tutte le ricerche
della filosofia, tutte le scoverte della fisica; motivo
per cui veggiauìo ne' leggiadri racconti dello sto-
rico, lo sfortunato Carnesecchi il 3o settembre del
iSGy, vestilo del scut beniio spagnuolo , bruciato
a Firenze per trentaquattro opinioni condannevoli;
Aonio Paleario e i suoi discepoli costretti ad isfug-
gire cotesta città ; il buon Castelvelro , di cui
132
Oggi soltanto censuriamo la sottile e diflusa cri-
tica , non iscampar dalla stessa sorte e dal furore
di coloro, che lo proclamavano inimico di Dio e degli
uomini, che mercè della mediazione di un'ambascia-
tore d' Inghilterra; ed in fine , per citare uno che
ci dispensa di citarne degli altri, comparir Galileo
prima avanti il cardinal Bellarmino umile accusa-
to , indi quindici anni dopo al sessantesimo del-
l'età sua inginocchioni avanti gì' inquisitori gene-
rali, giusta la formola della sua condanna, abjura-
re detestare maledire il sistema del mondo? D'on-
de avviene un così istantaneo cangiamento nella
politica italiana, poco prima facile e tollerante, ora
sospettosa e crudele? Dalla cagione stessa che fece
convocare il concilio di Trento, e creare l' istituto
dei Gesuiti, soldati fedeli della Santa Sede; cioè,
che circa la metà del secolo decimosesto lo spirito
di esame e di libera discussione anche su i prin-
cipi di credenza, ovvero lo spirito di riforma par-
tito dalle regioni del Nord aveva oltrepassato le Al-
pi, e già in italico pubblicavausi i dettati di Lu-
tero : Calvino sotto nome mentito era soggiornato
in Ferrara, monaci, vescovi, nunzi apostolici era-
no slati sedotti , ed uno degli storici del celebre
Concilio (Sarpi) nascondea, al dir del Bossuet, sotto
la cocolla de' Serviti un cuore calvinista : l' Ita-
lia altre volte conquistata dalle armi de' barbari
stava per esserlo dalle loro opinioni , se le perse-
cuzioni , le pire , ed ogni genere di supplizi non
1* avessero da ciò preservala , ma d' allora in ap-
presso ella vide per disunirla sempre più accoppiarsi
tenacemente agli odi politici le vendette religiose:
esempio novello di quella fatalità che a tutte le
esterne vicende la sommette, e che sembra, a guisa
123
di rimbrotti e di punizione , piombare in eterno
sul suolo romano.
Ma noi facciamo le maraviglie allorché Botta,
parlando di sospette dottrine, sparse a Siena da
Aonio Paleario, lascia incompleta la sua narrazio-
ne; sicché in veruna delle sue pagine, portanti iu
fronte la data del 1570 noi leggiamo che questo
sciagurato, il cui vero nome era della Paglia^ ri-
chiesto con calore, e giudicato dal santo ufficio di
Roma , non ostante il suo bel poema latino sul-
l'immortalità dell'anima, fu appiccato per la gola,
e brugiato il terzo giorno di luglio dell'anno suin-
dicato, per aver fatto sparire il T, immagine della
croce, dal suo antinome Antonio^ e per avere biasi-
mato l'uso di atterrare i morti ne' sacri templi, e
per aver detto, sopra ogni altra cosa, che l'Inquisi-
zione era un pugnale diretto contro tutti gli scrit-
tori ; Sica in omnes scriptores distrìcta; e si fu
sotto i colpi di questo istesso pugnale che perirono
Fannio a Ferrara, Giovanetti in Roma, dove esso
non è forse ancora infranto del tutto.
D'allora in poi, ed anche ai nostri giorni, e sotto
i nostri propri occhi, lo spirito persecutore ha preso
tutte le forme e le maschere possibili in quella
patria sventurata del genio e della libertà; iu cui
ora a nome del cielo, ora a nome de' principi della
terra si è perseguitato condannato proscritto. Ella,
madre feconda e gloriosa, è stata ognora privata di
qualche suo illustre figliuolo. Alamanni , Campa-
nella, Giannone, Alfieri, Denina, Visconti, e tanti
altri italiani degli ultimi tre secoli hanno menato
in un costretto o volontario bando una parte del-
la loro vita ; e per ultimo eziandio questa mede-
sima storia d'Italia non viene scritta che in un
paese straniero.
124
Alitiamo noi già esposto gì' inconvenienti di
questo subbiello, il quale manca del più grande
interesse dell'istoria, che è l'unità; or l'autore ani-
mato mai sempre da patria carità ha lottato in-
gegnosamente contro lai fatti, i quali non hanno
ne gradazione ne insieme, nel modo medesimo che
i suoi concittadini hau soventi volle lottato corag-
giosamente contro la loro avversa fortuna. Oppres-
so egli, fuor eli duLLio, nel dover narrare di con-
tinuo schiavitù diverse, trova almeno uno stupendo
alleggiamenlo , tostochè richiamando con fedeltà
alla mente il gran numero delle idee e delle azioni
eroiche , grida altamente ciò che sarebbe cai>ace
di fare Italia, se fosse padrona di se medesima; ed
in vero i di lui propri lavori insieme a quelli dei
Filangieri, de' Manzoni, de' Niccolini attestano ab-
bastanza che il suolo, su cui han passalo le tante
svariate tempeste, non e affatto sterile divenuto.
Sinora non si eran mai riferiti in modo sì at-
traente e sì vivo gli annali moderni di questa
terra veneranda, che, spogliata dell'impero, ben ri-
cordasi di aver regnato, e che fa ancora di tempo
m tempo obbliare l'inferiorità dei suoi novelli de-
stini, pel decoro de' suoi famosi intelletti, e de' suoi
grandi caratteri. Ma pria di por termine al no-
stro ragionare intorno quest' opera , su cui sarà
d'uopo iutertenerci altra fiala, è giusto consiglio
far conoscere tutti i pregi dell' esecuzione di un
piano tanto difficile e complicato. Un modo vago
alcuna volta ed indeciso, e qualche ornamento di sti-
le un po' lezioso non escludon punto nello egregio
scrittore un giudicio sodo e penetrante, una gene-
rosa elevatezza di mente; ed ci non lasciasi mai
abbacinare da quell'ameola di gloria, di cui gli sto-
125
rici cortigiani liati cinto da tanti secoli i fonda-
tori della lunga dominazione dei Medici; anzi egli
ha sempre per colpevole colui clie coll'esterno soc-
corso rende soggetta la patria sua. Il suo rispetto
per la religione, che è sincero, qual esser debbe,
non gì' impedisce di narrare con eloquente dolore
ciò che i Pontefici o le loro famiglie han fatto di
male: nel che egli non è inferiore alla schietta ia-
dignazione del Varchi nel quadro de' delitti di
Pier Luigi Farnese.
Tale imparziale fermezza, oggidì più rada che
non si crede, e per 1' assoluta libertà di dire , e
perchè ognuno non prende di mira che le passioni
della propria parte, si rinviene benissimo nel corso
intero di questa lunga opera; e quel eh 'è più in
alcuni punti maggiormente dilicati a trattarsi ,
siccome la lega, il giansenismo, la soppressione dei
Gesuiti. In fine, avvegnaché il Botta radamente
adduca delle testimonianze, 1' autorità del suo ca-
rattere è tanto grave e tanto pura, che può quasi
tener luogo a quella delle citazioni e delle pruove:
l'arte dello scrittore nulla vale al cospetto della
coscienza del giudice; egli è l'uomo onesto che forte
t' inculca ad esser creduto per quanto ti narra lo
storico. ^
/. V.
126
Sopra gli Elementi di filosofìa del professor Vin-
CENZO Tedeschi voi. I. — • Catania 1882.
Embrico Jmari
AD Antonio di Giovanhi Miiu.
Le radici di una scienza qualunqne di fatto natu-
rale non si piantano , ne si pianteranno mai cogli a
priori che formano il no» plus ultra della dialettiea ,
raa solamente colle induzioni de' fatti positivi ne' quali
si cerca 1' origine effettiva ed il perchè dello slato an-
tecedente, e susseguente costante o varialtilc delle cose
naturali considerate in couuinc.
Roniagnosi Suprema Economia dell'umano sapere
Voi mi chiedete un gìucHzio, ed io non so man-
darvi che alcune riflessioni , che non può essere
intendimento mio il giudicare come colui, che sa
mancargli quella maturità di studi frutto di lun-
ga età, e quell'ingegno dono di felicissima natura,
che a tal uopo si dimanda; e la diffidenza alle mie
forze m' avrebbe consigliato a celare nell' animo
queste osservazioni sapendo ben io com' è opera
piena di pericoli il presentarsi la prima volta alla
tremenda censura d' un pubblico severo con una
scrittura, dalla quale se buona niuna laude s'ottiene,
se mala inestimabile vituperio , e sempre voce o
di adulatore, o di maligno.
Ma sento la virtù della vostra parola irresisl-
bile, e vi dirò come dicea Lucrezio al suo Memmio
Sed tua me y-irtui tamen et sperata voluptas
•Suavis amiciliae, quemvis ejf'erre lahorenu
•S'uiidct.
Vi oflTio adunque timidamente questi pensieri, che
rallenta lettura dell'opera del Tedeschi mi ha fat-
to nascere nella mente, destinati più a moslrar a
quali fonti egli abbia attinto, e quali idee vi sieri
dominanti, che a criticarlo. Voi benevolmente ac-
cogliete la intenzione di compiacervi, e spero che
gli errori del giovine, che s'inganna, sien perdonati
all'amico, che ubbidisce.
Due solenni quistioni, e a tulle prime debbon-
si chiarire da chi sia volto a considerar alcuna ope-
ra di fìlosoficiie discipline: Quale n' è lo spirito?
quale il metodo?
Un moderato spiritualismo congiunto con assai
speculazioni trascendentali, il buon senso scozzese,
e poche idee sperimentali col criticismo Kantiano,
in una parola il moderno eclettismo, ecco lo spirito
che ci sembra dominare l'opera del Tedeschi, e pe-
rò siamo condotti a ragionare di questa nuova ma-
niera di filosofare, che tentata in Germania , ma
gnificata in Francia, e di fresco penetrata in Ita-
lia il n, A.«ora accenna introdurre iq Sicilia , e
noi volentieri ne pigliamo l'occasione, perchè gran
lume ne deve venire a' suoi pensamenti, e perchè
poco tra noi conosciuta.
Dominava nel secolo 18. ° le menti di Francia,
d'Inghilterra, e di molta parte di Germania la fi-
losofia di Locke, la quale sebben da' suoi princi-
pi sistematica solo diventò esclusiva, ed intolleran-
te per V opera de' suoi grandi allievi Condillac in
Francia, Hume in Inghilterra, i quali però medi-
tando profondamente ne' suoi insegnamenti , e fa-
cendo teorie de' suoi dubbi ne spingevano le con-
seguenze talvolta agli eccessi; la facilità della fi-
losofia, 1' ardimento de' suoi maestri, il favore di
Federico II in Alemagna, l'Enciclopedia in Francia
e sopra tutto la limpidezza, e semplicità del me-
123
lodo tulio sperimentale immediatamente la rende-
vano popolare, e non più ristretta alle scienze spe-
culative ma estesa alle pratiche, e morali ed este-
tiche; e tosto sperimentale o (come fu delta poi per
disprezzo) empirica diventava la morale in Elvezio^
Holbac e Saint-Lambert, la politica in Mably, e
Condorcet, la legislazione in MonteSf|ieu(i) la storia
in Volney, l'estetica in Batteux e Diderot, la gram-
matica in Horne-took , e Dumarsais , e fin la re-
ligione profanata in Dupuis (2); ma come si divulga-
va più volgeva allo esagoni lo, e l'eloquenza di Ga-
rat, e la prepotente ed evidentissima logica di Tra-
cy la facevano acchiuare al materialismo di cui dai
suoi inizi era stata accusata ; ILirlley , Cabanis
Gali colla stupenda dottrina del crrinio, e tutta la
scuola fisiologica sia per l'abitudine a non osservar
che meccanismo , sia per la vocazione del secolo
la facevano scuola di materialismo, mentre la Met-
trie, Mirabaud , e Priestly se ne chiarivano aper-
tamente professori; ma come prima queste ultime
menti scapestrate malignando i principi di Locke
ponevan le mani sulla morale , e sulla Religione,
si spaventavano gli animi timidi , e religiosi già
prima impauriti , si sdegnavano i filosofi modera-
ti , e facevansi inquieti i governi , che già pieni
di sospetto sperimentavano neg^li arditi dommi dei
nuovi pubblicisti i primi frutti della loro applica-
zione alle massime sociali ; quindi una mala sod-
disfazione all'universale; i più ardenti non sapendo
vincere gli eccessi degli scolari senza abbaitere pri-
(t) Tcnnemaiin Manuel de l'IIistoirc de la pliilosophic trad. par
Cou IIs ont un'esprit de sccte trcs ardent cn faveur de
» la doctiine qu'ils adoplent, Stael, de l'Allemasnc. C. VIII.v. IH.
p. 122 e Tracy dicea » Jeferai une reflcxiou generale sur IV'tat d« la
» philosophie en Allemagnc. Elle fait secte encore comnie tlle
» fesait autrcfois chcz Ics uticicns, et coiuine elle fcsait chcz nous
l32
grancle segnale, che V autorità della dimostrazione
a quella della ipotesi è già sottenlrata, imperocché
non di principi dimostrati si fa setta , ma d'ipo-
tesi, e nissuno fu mai detto Euclidiano , o Neu-
toniano perchè le dimostrazioni della geometria
di quello, o dell' astronomia di questo avesse ri-
conosciuto; questo carattere comechè nato per Ba-
cone nei princij^l del secolo 17°, è però come dice
Cousin il distintivo del nostro, n'è l'unità filoso-
fica, e sforica(i).
Dall'altra parte uno spirilo di tolleranza univer-
sale nato da una più perfetta conoscenza de' no-
stri comuni diritti, l'amor della pace il più desi-
derato e caro frutto di quaranta anni di lagrime e
di sangue facea necessità il deporre le gare e com-
ponere le liti filosofiche, e quello s' è ormai reso
tanto comune che ad onta della malignità de' tem-
pi € della fortuna sta a ricondurre un'amica armo-
nia non che in tutte le scienze, ma ancora in tut-
te le opere de' mortali che da lunghissime mise-
rie stancati con tanto affetto la desiderano, che la
sola pace pare il sospiro del secolo decimonono.
Questi sono i due elementi, le due leggi del mo-
derno eclettismo : Non disprezzar nissuna opinio-
ne pel suo nome per la sua insegna (couleur);
Esaminarle tutte, scegliere in ciascuna il vero, (2)
» danales siócies passés: c'cst-à-dire , que 1' ori adoptc àquelqucs
« varations prcs le systéme entiér desopinlons d'une pliilosoiihie.
» Oli professe la doctrinc phiiosopliique de Kant conime ou pro-
» fesse la docliine tliéologique de Jesus , de Malioinct , ou de
» Brama. On est Kanliile , comnic on était Platonicien aceadé-
j> niicien, et cornine depuis on ctait ou Tliomiste, ou Scotiste, et
n coninjc enfia dan» le 17 Sicclc noiis ctions Gartcsiens. »
Tracy de la methapliysiquc da Kant Meni, de l'Institut de Fran-
ce— Sciences nioraics voi. 4- P' •''47- ^ '^S*
(1) Introduclion à l' liisloire de la pliiiotophie Icz. 2. p. ^35.
(2) L'Iiofurne raisonablc u' apparticndrait donc à aucua Ecole,
i33
che come dice il principe degli edenici un siste-
ma basii che sia stato, perchè sia cerio che com-
prenda grandi verità, (i)
Da questo ognun vede quanta diversità disgiun-
ga i moderni dagli antichi ecletlici , imperocché
la filosofia di quei prischi o era indifferenza, o in-
digesto sincretismo (come è usanza chiamarlo) , e
comunque eclettici facevan setta, e ne avean l'intol-
leranza ed il disprezzo. Zenone il primo a dar l'e-
sempio di raccogliere verità da' contrarli sistemi
mostrò com'ei lusse buon'edenico da che finì col
farsi capo d' una setta delle più intolleranti , ed
esclusive che furono gli stoici e sensacchè il suo non
era che j)ui-o sincretJsmo(2). Quaiido poi per difelto
di grandi geni creatori i mediocri raccoglitori fe-
cero universale l'eclettismo lungi dali'ollener pace la
filosofia fu soffocala fra sette di mcsiuglio senza
originalità: quindi la scuola d'Alessandria sotlo quel
nome stala l'auiosa mescolando alle idee di Plalo-
ne le più strane imaginazioni di entusiasmo , d'i-
spirazione, di contemplazioni divenne una scuola
a aneline 8cctc à ancun parti el cejiendant il neserait ni iceptique
ni iiulifferent : celle inanióre d' envisager les opinious humaines
sappt'lle Eclcctisine — Jonffioi sur Droz — Damiron v.Il. p. gì.
Les qiiatre systcnies que j' ai fait passer som vos yeux ont été
donc ils ont dii vrai mais ih ne sont pas uiiiquenicnt vrais, ils
sout vrais par un. cóle et fanx par un nutre et ce que je vous pro-
pose e' est de n' en pas rejeter un seuI et de n'en élre dupe d'au-
cun iVcux. — Cousin loc. cit.
(0 Cousin Lez. 4- voi. 1. p. i6g.
(a) Zenon lui niénie n'élait pas douc d'un Iiaut d^gré de genie
invcnlif , de la vient que aprés avoir successivément ctudié les
traditions des diverscs écoles il einprunta a chacune d' elles, ap-
porta int'inc dans ses emprunts beaucoup de discernement et de
clioix mais forma de ces óléniens dircrs une sorte d' amalgama
qui manqne d'harmonie , d" unite , et donna le priraicr exemplc
d"un syncrctismc , qui dins les sic'cles suivants devint plus frc-
quent et plus vicieux. Dégerando Histoirc comparée des systiracs
C. XV. voi. 3. p. j. 2. e edition.
i34
(li manifesto misticismo (i). » Ma l'eclettismo mo-
M derno secondo i suoi più celebrati maestri noa
>j è sincretismo, ma una estesa, e ben pensata scel-
■>» ta per cui a ciascun sistema si toglie 1' utile e
M il buono per formarne un tutto omogeneo (2), è
w un giudicio delle opinioni altrui , e la filosofia
M del senso comune applicata alla critica de' si-
M stemi (3).M
Se bene abbiano tutti i moderni a queste in-
tenzioni satisfatto io ne so decidere, ne sapendo vor-
rei (4), solo mi pare innegabile, tutti aver comune
una più o men grande imitazione della filosofia
di Kant, una scrupolosa cura a distinguer gli ele-
menti necessari e subbietlivi del nostro pensiero,
da quei contingenti ed obbiettivi, e soprattutto una
franca indipendenza d'opinione a tale, che tra tanti
nessuno si troverà che adotti il sistema d'un'allro
compiutamente , ma che anzi per qualche grande
principio non se ne diparta.
E primacchè il nome si fosse adottato già buoni
(1) L'Ecole d' Alcxandrìe proprénient dite ne dispulait guére*
avec les Gnostìques , que pour la prcscance et 1' origine des sy-
stt?mes le fond des opinion.'! etait d' ailleurs a-peu-pics le méme
-^ Le caractére surlout élait cntiérement semblahle. Contempla-
tion , iilumination celeste , tei élait pour cette école 1' origine
unique des connaissances. Cette idée se liàit étroitemcnt au sy-
stcmc des ènianatiotis qui étail l'anicdela doctiiue Alexaiidrine
— Degeraudo C. Vili. voi. i" p. 190. preni. cdit.
(2) Degcrando voi. 3. cap. XVII. voi. 3. p. iia. ediz iSaS.
(3) Daniiron voi. II. p. 6.
(4) Un grande italiano pensa che nò : » Non parliamo delie
» dottrine ideologiche insegnale presenleuienle in Francia. Queste
» a parer nostro sono uno strano lucscuglio nel quale si tenta
»> conciliare il Kant col Condillac oppure col Cabanit. L'esame
3> di questa nuova fìlosoHa richiederebbe un'articolo a parte, •
» avevamo in animo di farlo : ma poicchè il traduttore italiano
» d' un opera della nuova scuola ci avvertì che tra' lilosofì coi
» quali il suo autore si era messo d'accordo Irovavasi pure il Bo-
>» naid non ci venne voglia di scrivere ma di piangere sui desti*
» ni della ragione umana — Nicolini loc. cit. a p. i3o. »
i35
filosofi in Francia alla insaputa erano eclettici, (i)
il primo che ne prese il nome , e ne proclamò
r usanza fu il celebre Victor Cousin il quale nel
1816, fé risonar questo nome novello, annunziò
come lo spirito filosofico e politico lo favoriva, e
promise di farne Io scopo delle sue cure e puntual-
mente l'adempiva, quando nel 1828 richiamato a
leggere la storia della filosofia alla facoltà di lettere
di Parigi questa opinione ravvivò con quella sua
magica eloquenza tutta filosofica, ne fece desidera-
bile e gloriosa la pruova ed a tanta cima di ripu-
tazione la sollevò, che pare si voglia sedere ornai
su quel trono d'onde fi n'ora regnava Locke e Con-
diilac (2) e come la filosofia di quelli dalla me-
tafisica fé passo alla morale , alla storia eie. così
questa, e Giuseppe Droz si fé autore d'una mo-
rale eclettica (3) e Guizot introdusse 1' eclettismo
nella storia, ed un onorato luog^o gli fu destinato
dal Damiron eclettico riconosciuto nella sua storia
della filosofia francese del secolo decimonono (4).
L'Italia che maestra una volta d'ogni sapere ora
non è in filosofia che l'uujile imitatrice di Francia fu
empirica come quella, ed ora come quella comin-
cia a diventar eclettica; Genovesi mezzo Leibniziano
da principio finiva assoluto lockiano e manifesti lo-
(1) Gerard e Vhcy medici, Massiàs, Kcratry, Bonsteltcti, Royer-
Collard furono tutti ecleltici senza saperlo ; Laromigti ere , De-
gerando « Maiiic de Birart scblìcne nelle loro jirinic opere stali
Condillacchiani , nelle ultime si sono inestrati meno esclusivi,
(é più eclettici — ;■ Damiron voi. H.
(2) Cousin Lez. ultima p. i5. Iiitroduction à l' histoirc de la
Pliilosophie.
(3) De la pliilosophie morale ou dcs différcns sysiéhies sur la
science de la vie Paris 1823-24.
(4) Damiron Essai sur l' histoire de la pliilosopliic eti Prancs
au 19 Sitclc — tulio il tomo 11.
10
i36
ckiani furono Soave, Pezzi, Bini; Compagnoni gran-
de ammiratore ed espositore di Tracy; Gioja s'acco-
stò alla scuola fisiologica, e Darwin ne fu il più favo-
rito autore; Kant o afìallo sconosciuto, o violentemen-
te disprezzato;(i) quando Pasquale Galluppi men-
te vasta e diligentissima incominciò ad introdurne la
scuola temperala coi principi di Laromiguière, De-
gerando, e degli Scozzesi, e così si fece autore del-
lo eclettismo italiano, ma questo s'accosta più del
francese a' dommi tedeschi: imperocché appena Kant
fatto più umano in Francia, e sgombro della nu-
vola di cui s'era circondalo penetrava in Italia, che
le menti italiane sospinte da una possente natura
meditativa, l'adottavano con un affello, che sola-
mente puossi assomigliare al disprezzo col quale
r avcano la prima volta ricevuto e già un nuovo
saggio sulla origine delle idee a principi eclettici
o moderali kantiani composto è comparso in Ro-
ma (2), e comecché quel venerando e forte genio
del Romagnosi ultimo sostegno delia filosofia spe-
rimentale in Italia con tutta l'autorità dello esem-
pio e delle parole vi si opponga (3) pure il kan-
(r) Testimonio la severa critica che ne fece il Soave nel 1802.
sta nell'ultimo volume delle sue Istituzioni di Logica e Metafisi-
ca — Napoli 1829, e Gioja diceva » Kant si presentò alla Ger-
» mania involto in una nube di parole scientiliclie , e da])prima
» eccitò la sorpresa, poscia l'adorazione. In Italia prima di pie-
» gare il ginocchio si vuol vedere 1' idolo in faccia : io ricuso
M dunque di fare in questo scritto ulteriori parole di Kant, e ri-
» peto Fiat lux.» Ideologia art. I. cap. I, voi. 1. p. 4-
(a) Nuovo Saggio sull'origine delle Idee — Boma Salviucci V.
IV. vedi l'analisi che ne ha dato l'Antologia di Firenze ne' vo-
lumi ^6. ^7 4^-
(3) Oltracchè tutte le sue opere, e principaluienfc quella ma-
ravigliosa della genesi del diritte penale sono esempli del p'ih
profondo, e sagace sperimentalismo , nell' opera d'onde fu tratta
la nostr^i epigrafe, e principalmente in una lettera sopra una ul-
tra metafisica della storia si scaglia accrbanicnlc contro questa
nuova, caueinosn sfaporata, pueiile metafisica coni' ei la chiama
— ■ Antologia voi. 4^'- P- 27.
tismo e penetrato nella politica, e Carniignani ten-
tò vestire alla kantiana le sue profonde , e nuove
dottrine sulle leggi della Sicurezza Sociale ed ora
una sua opera antica vuol rifondere temendo non
sembri sentir assai dello empirismo a questa nuova
generazione d'eclellici kantiani.
E questo riformato kantismo tutto rivolto a di-
stinguer i principi subiettivi dagli oggettivi ne' pro-
dotti della mente umana, il necessario, dal contin-
gente , (i) ci pare cerchi introdurre in Sicilia
il Tedeschi coll'op^'a de' suoi elementi , e già ne
avea fatto sospettare con quella non dispregevole
lezione so])ra l'anima umana perchè già sin dal 1828
s'era fatto nome in filosofìa. Che se alcuno potrà pen-
sare, che l'autorità di nomi, o la novità della usan-
za, o l'apparente sublimità del sistema l'abbia in-
gannato ha certamente uu grande e sicuro bene alla
nostra filosofia recato avvegnaché coli' affaticarsi
a distinguer quel che nel pensiero v'ha di proprio
d'immutabile e costante , e quel che piìi diritta-
mente dal senso deriva vario e rautabile(2) ha scosso
le menti de* nostri addormentati nell'apatia d'un
(i) » On appelle dant la philosophie allemande id un particolar confronto dei fatti osservati con pesato consiglio
» ed apparecchiato di modo, clic sia facile dislitiyucr quello die
» in essi è costante, e mai non muta da quello, che in più gui-
n se varia mutandone le circostanitc, » e più apcrlaincuie nella
prima sezione p. 22.
i38
angusto empirismo , e colle speculazioni [razionali
le ha spinto alla meditazione; e s'alcun pensi che
ci non sia pervenuto a formarci una filosofia bella
e compiuta ha certo col forte esempio animato
geni più possenti e più felici a sollevar la nostra
da quello umile stato in che per più d'un secolo
s'è giaciuta (i) , e rivendicare la sua gloriosa ere-
dità alla patria di Dicearco, Empedocle, Archimede
alla stanza di Pitagora, e Platone.
Ora veniamo alla seconda quistione forse più
della prima rilievata : del metodo del nostro A.
» dev'essere evidente oggimai che tale è il metodo
(i) Non crediamo che ad ignoranza , o disprezzo sceleratd di
patria ci sia imputala questa opinione, che veramente (come scri-
ve un massimo siciliano non sospetto certamente di disprezzaria) »
» pocLi ed eletti spiriti nella prima metà del secolo (iB.") avea-
» no potuto elevarsi al Cjrtes-io e quasi tutta la nazione a^giran-
j> dosi fra le tenebre seguia amanita le chimere della scuola e
» durava ancora all'entrar del ijòo questo misero stalo » (Scinà
Frospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottaro
Voi. IL e. li. p. 39.) d'onde non valean molto a trarnela o le
•regolate fantasie del Miceli dalle quali a larga vena trabocca lo
«pinosisrao, o i pochi e sparsi pensieri metafisici d<:l Gambmo ,
o quelli del Pepe genio più vivo, che sodo, cosicché l'opera mag-
giore delia filosofia siciliana di quei tempi può dirsi una gentile
esposizione in versi della filosofia leibuiziana di Tommaso Natale.
»> E neir altra metà del secolo ( è lo stesso autore che parla)
» la sola filosofia Wolfiana signoreggiava, il pubblico insegnamen-
»> to era turbalo, e impediti erano gì' ingegni d' avanzarsi nello
» studio delle scienze — (Voi. III. p. 2;) cosicché a grandi sfor-
» zi ottenuto nel 1781 che letta si fosse la piccola logica del Lo-
» cke comentala dal Soave, dovendosi questa dichiarare da un in-
» Riilso e tenebroso Wolfiauo caddo presto in discredito, e si ritor-
>) nò alle magre ed inutili istituzioni di Mackone » (ivi Scinà),
Né il secolo che corre è stalo più felice; solo ad un magro Wol-
fìanismo è soltcnlralo un magrissimo lockianismo; e 1' autor d'un
articolo sullo stato della nostra filosofìa giustifica la mia opi-
nione: «Uopo è con nostio rossor confessarlo (egli scrive) essa
» la filosofia, non é fra noi coinunemenle degna del secolo in cui
>> viviamo. Che vanno in fatti i giovani ad imparar nelle scuole?
» Null'altroj che una lunga stucchevole logica, ed uria metafisica
» inutile insulsa. Lo diciam con pena dominano tuttora ne' nostri
» licei le istituzioni di Storchcnau e di Soave» — Giornale di
Scienze lettere ed arti per la Sicilia Voi. I, p. 82.
i39
M d'un filosofo tale sarà il suo sistema, e che l'uso
w d' un metodo decide delle sorti d' una filoso-
>j fia(i). w
Il metodo d'un'opera è il frutto d'un lungo me-
ditare sul modo di conoscere la verità e chiarirla
al genere umano, è dunque 1' opera d' un sistema
che un' Autore ha scelto onde posare i gradi di
certezza delle cose, la loro intima connessione, in-
somma esso stesso è un grande sistema , e perciò
quella testa smisurata di Cartesio, poiché intese la
solenne ispirazione che il chiamava a riformator
della filosofia moderna, vide, nelle cose tutte star
l'incertezza, di tutto poter dubitare fuori di se stesso
e del fatto del dubitare, e da questo decise dover
partire ogni principio di certezza , e che un me-
todo nuovo su di quello fondato formerebbe le scien-
ze, e de la Methode chiamò 1' opera prima , che
la sua nuova filosofia annunziava; il fine cui nac-
que questa scienza , cioè conoscer la natura dello
intelletto umano e dei suoi rapporti con tutto il
creato accenna di piano le qualità d* un metodo
per se eccellente. Se la mente umana si vuol co-
noscere qual più cerio modo , che a quella rivol-
gersi, esaminarla, spiarne le forze, i movimenti,
i sospiri? se i suoi rapporti cogli altri esseri, qual
più accomodato mezzo che osservarla nel momen-
to , che a quelli si avvicina , e che a vicenda li
move e n' è mossa? cioè ne' suoi fenomeni; in una
parola la storia dei fatti di coscienza o intellettuali
ecco il metodo ^ e V Jo sentito e conosciuto deb-
b' essere il primo fatto che di tutti gli altri dee
dar ragione , quindi il metodo storico psicologico
di fatto, il ripetuto esame e lo sperimeato ci as-
(0 Cousin lez. i6 voi. 2 p. ga.
i4o
sicureià la certezza del fatto, ecco l' osservazione:
]o scioglimento de' feuomiui ne' suoi primi elementi
ci ajuterà nella conoscenza do' fatti ecco l'analisi,
quindi il metodo psicologico analitico : è questo
il gran documento di Bacone, il princijilo di tutte
le scoverle di due secoli, la gloria e la speranza dei
moderni ; questo il metodo di Mallebranclie , di
Leibnizio, di Kant, di Locke, di Condillacj di Tra-
cy , di Genovesi, di Galluppi, e quello , che in-
tende usare il Tedeschi, e noi non possiamo me-
glio chiarirne il pensiero che trascrivendo le sue
parole.
w Intanto onde sodamente avanzare nella scienza
M di quella sublime economia per la quale consa-
» pevoli siamo e di noi stessi, e di quelle cose, che
>3 ci attorniano e di quanto viene ad utile recare
w ad effetto nel bisogno di vivere in modo con-
53 ducente alla nostra natura verremo in prima in-
5J dicando osservazioni che potranno verificarsi da
M ciascuno sopra se medesimo, dapoichè è in aperto,
w che procedendo in siffatto modo è difficile smar-
w rirsi, e j^erdere di visla la verità « (introd. p. io).
wE se massima è antichissima e verissima che di
M necessità essendo fermi in istudiar qualche cosa
M dar cominciamento dal noto ed al lume di questo
3J muovere verso quello, ch'è ignoto intendesi otti-
M mamente esser diritta cosa por l' animo innanzi
» d' ogni altro a ciò che attualmente sappiamo e
«conosciamo chiaramente di noi medesimi w (pa-
gina li); e più avajiti dai fatti di coscienza dicea
doversi procedere (p. 6.): dalla quale attenta os-
servazione j)sicologica nasce la divisione di tutta
la sua filosofia (che noi pensiamo massima parte
del metodo) com'è accennata nella introduzione de-
»4i.
stillala a mostrar lo scopo , e il metodo de' suoi
elementi; imperocché dai fatti de' quali la nostra
coscienza osserva una influita varietà viene argo-
mentando quelle interne potenze e quelle forze
d'onde l'additata varietà di fenomini procede (p. i);
fra le quali una universale e potentissima che ha
la proprietà di mutare la loro maniera di esiste-
re avvicinando , o allontanando non che i corpi
le parti ancora, eh' è l'attrazione e la ripulsione, la
quale se agisce sullo esteriore, i fenomeni si dico-
no meccanici se nella interna costituzione chimici
organici ; or fra questi ve n' ha taluni che mo-
strano un principio, uno sviluppo d' azione ed un
fine che si posson dire fenomeni di vita che w non
M sarà malagevole il divisare , che possono distri-
» buirsi in due serie ben distinte, mentre negli uni
>j di questi fenomeni riconoscer dobbiamo più o me-
» no agevolmente le qualità proprie della materia
» subordinata alle leggi dell'organizzazione non es-
>i sendo, che forme d'impulsione e di moto e mo-
M di di chimiche sformazioni, e decomposizioni di
M certe sostanze effettuate da organi peculiari; e ne-
M gli altri più maniere d'azioni della facoltà di cono-
M scere, o di avere idee dello istinto o interno ira-
» pulso ad effettuare qualche cosa, e della volon-
w tà ch'è la potenza di operare avvertitamente, le
» quali benché fossero come legate allo sviluppo
w dell'azione del corpo organizzato e vivo pure non
M sono una modificazione di ciò che è proprio del-
M la materia, ma le proprietà essenziali di ciò che
w anima diciamo (p, 4-)j "o^ abbiamo alla distesa
trascritte le parole, dell' A. perche ognun da se
giudichi del suo modo d'analizzare, mentre con un
lancio forse non molto analitico dallo esame dei
1^2
fenoraeni iialurali viene a distinguerne due classi
l'uua materiale l'ultra spirituale , e ci parla delle
facoltà di conoscere, dello istinto, della volontà, le
di cui definizioni con grande offesa della chiarez-
za dee nel discorso di {)assaggio introdurre perchè
esseri sconosciuti affatto in questo momento, e con
un franchissimo non sarà malagevole già pone spiri-
to e materia levandosi l'impaccio di risalire a for-
za di sperienze a questa grande e combattutissima
comecché certa distinzione ; laonde o inutile tut-
to (jueslo ap[)areccliio analitico che dovea finir con
una asserzione dommatica, o s'era d'analisi scrupo-
loso in si decisivo punto dovea correr meno.
Da questa divisione intanto viene quella delle
scienze che s'applicano allo studio di ciascuna clas-
se di fenomeni , e quelle che si voltano a' mate-
riali ed organici son del fisiologo; quelle, che agl'in-
tellettuali, ed affettivi del filosofo (p. 5.)
Per fornir tanto oggetto si fa il filosofo a con-
siderare M le proprietà il nesso ed il principio delle
M varie modificazioni, o maniere di essere con co-
M Doscenza transitorie e mutabili, e la generazio-
w ne degli atti che manda ad effetto in tante e si
w diverse circostanze w (p.6.) Quindi lo studio del-
w le proprietà della mente umana della psiche dei
» Greci, d'onde la psicologia; a ciò non contenta la
M filosofia viene industriosamente investigando le
» raianiere onde opportunamente delle operazioni
«mentali correggere l'applicazione e farne l'uso il
w pili agevole e j)iù sicuro nella ricerca del vero
e del bene w (p. 8') ecco la logica, e la morale,
ed ecco come la filosofia « può dividersi in ispe-
M cu lati va e pratica la prima appellasi psicologia
wse versa intorno alla natura delle umane facoltà
i43
>i e Tessere che n'è il soggetto e ideologia se versa
» intorno alla natura delle idee ed il modo onde
>j dall' azione delle facoltà si generano e de' segni
» con che si rappresentano, la seconda poi logica
M e morale conforme s'è detto w (p. 8).
Ognuno comprende come fra queste classi di
scienze filosofiche 1' A. si fermi alle speculative,
perchè sono come il fondamento delle altre , e per
eccellenza nome di metafisica e di scienza, delle
scienze hanno ottenuto, e perchè ce lo chiamava
il suo istituto; quindi i suoi elementi sono preci-
samente open, di ideologia, e psicologia (i); l'or-
dine, col quale in quelle procede ce T addita di-
cendo » epperò in ciò fare abbiamo a prender le
w mosse dalla disamina de' fenomeni ,, pei quali si
w manifesta lo sviluppo e 1' esercizio delle facoltà
M dell' animo, e quindi venire argomentando la na-
» tura di queste , le materiali condizioni per le
M quali ha luogo il loro esercizio , e le proprietà
» dell'essere cui primitivamente appartengono, ed
>3 in fine veduta la maniera con che esse entrano in
>3 azione ed i risultamenti del loro esercizio ragio-
» nare del modo, con che dobbiamo dirigerne l'uso
>3 e r applicazione w (p. io.) laonde in tre parti
crediamo l'opera divisa, nella prima si parlerà dei
fenomeni pe' quali si manifesta lo sviluppo e l'eser-
cizio delle facoltà : nella seconda della natura di
esse, nella terza del modo di dirigerne l'uso; questa
prima parte che precisamente corrisponde alla di-
visione fa probabile le altre due da noi supposte,
(i) Cosi ei conclude la sua inlroduzioue » anderemo trattando
neon la necessaria estensìoue le principali dottrine, che toccano
» alla ideologia, ed alla psicologia essendo queste le parti di cui
» si compone la mctaUsica con ragione appellata la scienza delie
» scienze » (p; i5).
'44
che a supposizioni slamo stati ridulli dalla oscu-
rità e dalla mancanza di una espressa, difetto che
in tulla l'opera è si dominante, che noi alla chia-
rezza virtù essenziale ad un'opera elementare, cre-
diamo inassimameute nocivo.
Al metodo perteugoao ancoralo stile della scrit-
tura, e l'uso dell'altrui sentenze; e per quello una
maggior chiarezza , e spontaneità ci parrebbe de-
siderabile , che la chiarezza e la facilità sono gli
eterni caratteri del vero. Per l'altro poi pochi au-
tori, e di raro ei cita ma quel eh' è osservabile,
che non ne cita giammai i luoghi, e così toglie il
pregio della erudizione eh' è di chiamare a' fonti lo
studioso ed accrescere autorità alla propria opinione;
forse un' usanza leggierissima francese, già vecchia,
e screditata ve l'indusse, per la quale erano come
pedanterie sfuggite lo citazioni, mentre i libri eran
zeppi dell'altrui dovizie: w Qual ragione potrebbe
«avere il disprezzo delle citazioni a dì nostri?
» Una di queste tre, o il bisogno, che lo stile
>j declamatorio ha di libertà o la coscienza d'una
>J originalità illimitata , o la necessità di dissimu-
» lare la poca notizia d'opere di autori , e di li-
» bri;» (i) e perciò s'è oramai conosciuto che lungi
(i)>iGli scrittori antichi non ciliv.ino perchè erano i primi
» a scrivere , e perchè prima delia invenzione della stampa era
» impossibile citar le opere sebbene 6Ì citassero gli autori. Gli
» scrittori del secolo decimoseslo tutti erudizione, e dottrina ci-
»> tarouo troppo se eccesso può essere nel soJdisfare ad un dove-
»> re. Come uno scrittole del secolo decimonono in cose morali ,
» e legislai.ive può esimersi dal citare ? — Carraignatii Teoria delle
"leggi della sicurezza Sociale Introd. p. II. voi. I
» Il me semble qu' il n'appartient qiic à cpux là qui n' espe-
» reni jainciit d' ótre cilés do ne cittr pcrsontie: et c'cst une trop
» grande anibitiun dt- se persuader d' avoir dcs conceptions capa-
» bles do oonlenter une si grande diversité des Iccteurs sans riea
» cinprunlcr d'.iiilrui. — Naudé de l'apolo'^ie dcs Grands Hommes
presso lìaylc art. lìpiciuo nota(H]) dove discorreado a lungo que-
i45
dall'essere opera vana e superba l'accompagnar del-
l'altrui sentenze le proprie, grande autorità acqui-
sta a chi scrive, e sommo vantaggio a chi legge,
e vera superbia , e spesso impostura il non citar
l'altrui e come sue spacciarle.
Non ambiziosa vanità di scrivere ma gravissima
ragione tanto e forse lungamente ci ha trattenu-
to nel chiarire lo spirito e il metodo della filoso-
fìa del Tedeschi; starsi impassibile alla introduzio-
ne di una nuova filosofia è non intender come ella
in tutta la morale esistenza possentemente ifluisca
e come ad ogi)i mutamento di lei , le scienze , i
costumi e la società tutta mutino forme ed aspet-
to: e così se una nuova e più ampia filosofia sot-
tentrerà alle angustie della presente , come non si
svilupperanno le menti de' nostri non fiacche mai,
ne impotenti ma male dirette e rimpicciolite? se si
praticherà un metodo più sicuro, e più inventivo,
come non progrediranno le naturali scienze, che mo-
strano sino d'ora si alto volo spiccare? se un più pro-
fondo e generoso sentimento del bello e del sublime
si sveglierà , come non risusciterà quell' entusiamo
quello afIÌ2tto, quella fiamma divina che dà l'eternità
alle opere di genio, e rimette in prezzo quell'arte ce-
leste la poesia, e quelle dolci lettere che sono ri-
dotte a canori trastulli , o vanissimo gare di pa-
role? Finalmente ove una metafìsica novella pro-
verà invicibilmente nei principi della umana na-
sla questione conclude: 35 Je dirai sculcmcnt que Ics auleurs qui
J> li eiiipruulcnt rieri sont pour 1' ordìnairc moins instructifs que
» ccux , qui repandfut leurs rcccuils dcs peiisées d' autrui. Une
3> bounc pensee dequelque cndioit qu' elle parie vaudra loujours
» micux qu" une sotlisc de son cru , n'en deplaisc à ceux qui «e
5> vautcnt de trouvcr tout chés-eux et de ne tcnir ricu de per
» sonne.»
i46
tura i di lei sacrosanti diritti , e i doveri , risor-
geranno in onore quelle altissime scienze veramente
dell' uomo , che sopra fondamenta eterne posano
il giusto , e si spegnerà questa peste dell' indiffe-
renza, e dell'egoismo, che ride in faccia a chi par-
la di morale d'umanità, di patria, di religione.
Parte Prima — de fenomeni che manifestano lo
sviluppo e lo esercizio delle facoltà dell'anima.
M Tutto ciò, che nostra mente apprende, o con-
M siste in una vera e semplice informazione di qnan-
i> to alla esistenza alle qualità, ed ai rapporti de-
3> gli esseri, e dei fenomeni concerne, o è una pecu-
M liare emozione piacevole o penosa... od in fine sta
>3 nella coscienza d'un particolare accorgimento de-
» gli alti, or con deliberazione, e scopo effettuati,
33 ed or per interna inpulsione eseguili w. La pri-
ma classe si chiamano idee, la seconda sentimenti,
la terza atti volontari: v'iia però dei fenomeni che
ci arrecano piacere e dispiacere senzacchè noi com-
prendiamo immediatamente ed intuilivamcnte in
che se n avesse a collocare la condizione di loro
primitiva esistenza (p. 12): v'ha pure dei fatti che
teniamo indubitabili, e vi prestia m ciecamente fede
a mala pena ci s'affacciano , quindi la ricerca del-
l'indole del piacere, e del dolore, e delle leggi di
nostra credenza , laonde questa prima parte avrà
cinque capitoli il primo alle idee destinato, il se-
condo ai sentimenti, il terzo agli atti volontari, il
quarto all'indole del piacere e del dolore, il quinto
alle leggi dinostra credenza: ma mi pare che la ma-
teria del quarto appartenga alla morale e però fuori
dallo istituto dell'Au. o è compresa ne' sentimenti;
quella poi del quinto è una logica pura , ma sic-
come questa divisione sebbene come la prima ar-
'47
gomentata sul fontlamenlo dtiUe parole dell' A. (i)
e da due capitoli susseguenti verificata non è espres-
sa, così non saria da maravigliare s'io m'ingannassi,
per la qual cosa di nuovo ci lamentiamo di que-
sta avarizia di chiare ed esplicite divisioni.
L' ideologia è adunque la materia più partico-
lare del primo Capitolo: or tutte le ricerche d'ogni
Luon ideologo versano o sulla natura delle idee ,
o sulla origine di esse , o sulle loro relazioni al-
l'essere che le concepisce, o alle cose, quindi le tre
sezioni in clic divide questo capitolo l'Autore; di-
visione, che sebbene non nuova pure è comoda, (•?)
ma intanto l'Au. intralasciò considerarle in riguardo
all'animo nostro, donde ne venne che lasciò di par-
te le idee chiare ed oscure, distinte e confuse, e
tutte altre che per questo riguardo sono diverse,
però male in opera d' elementi sì importanti classi
d'idee sono neglette.
Comincia l'Au. dal ragionar delle idee in quanto
alle loto proprietà ed in se stesse; nel che noi veg-
giamo un primo passo verso la imitazione del Cou-
sin il quale vuole alla quistione dell'origine far pre-
cedere quelle della loro natura , e nell' ordine di-
versamente tenuto notò i primi principi dello er-
rore di Locke (3); io non entrerò ad esaminare
quale dei due metodi s;a più conducente a verità,
(r) Pi'incipalniente dove conclude » ciò posto è nostro debito
» apgiugnere alla disamina delle idee e dei seritimeiiti , e degli
«atti volontari quella dell'indole del piacere e del dolore e delle
» lepgi di nostra credenza (p. 20.)j»
(2) Soave cosi pure divide in tre capitoli il trattato dell» idee
nel 1° riguardo hila loie natura , nel a" riguardo al modo con
cui sono concepite dalla mente, nel 3° riguardo agli oggelli cui
sì riferiscono — Logica par. i sez. 2 voi. 1. pag. 84 *dia. 1819.
(3) Faut il commencer par rcclicrclicr Ics caractéres actueh de
nos idces cu par reclierclier l'origine? ec. ec, — Cuusìq lez' 16
voi. 11. p. 108.
i48 . .
solo mi ristringo ad osservare ehe tanti profondi
ingegni come il Condillac, il Bonnet, il Tracy il
Degerando, che dalla origine hanno preso le mosse
del loro ragionare , tante scoverte di che siamo,
con loro obbligati , tanto lume d' evidenza sparso
nelle cose fìlosoliche dee farci assai riserbati nel
disprezzarne il metodo, e che s'è vero che quel di
costoro porti i pericoli della ipolesi, è vero ancora
ch'esanìinar da bel principio le idee come ora sono
possa facilmente indurre nella mente che così sem-
pre siano slate , e se quello ci trascina nello im-
pirisimo questo nello idealismo, il quale » trascura
«più o meno la quistione delle origini delie idee,
M e non le riguarda per lo più, che uc suoi carat-
w teri attuali sollevandosi di botto in cima al pen-
M siero cosi sviluppalo come al prcseule senza cer-
yì carne i successivi acquisti e lo sviluppamenlo
n slorico(i).M
Le idee sono secondo 1' autore , e tutti i logici
del mondo semplici , o comjioste rappresentative,
o non rappresentative, relative o assolute determi-
nate, 0 indeterminate, mutabili o immutabili ne-
cessarie 0 contigenti (p. 21. 22.) Lasciamo le sem-
plici , e le composte , che ogni uno ne conosce
la difinizione e 1' autore ha trascritto quella
del Soave senza però avvisarcene (2) , lasciamo le
(i) Cousin lez. 17 voi. 2 p. 161.
SOAVE TEDESCHI
(a) Semplici si dicono le no- Semplici si diro/io le idee e
zioni e le idee quando si con- le nozioni quando si conside-
sidcrano sole ed isolale come rana sale ed isolate come quelle
quelle d'un odore d'un colore d' uu odore d' un colore d' un
o d' un suono ; e complesse o suono, e complesse, 0 composte
composte quando offrono un'ag- diconsi quando si considerano
grcgato di più idee o nozioni insieme unite e di modo che
insieme nnitc — Logica cap. I formano una riunione od un'ago
art. 2 voi. I p. 85. grcgato di piti idee semplici
pag. 11.
'49
•altre pure le quali comecché per esserne più com-
plicala l'idea avriano come le prime meritalo una
più chiara definizione, pure siccome non traggono
a fondamento di principi possonsi intralasciare, so-
lo è forza fermarci sulle necessarie e contingenti,
mutabili ed immutabili, le quali per non esser nep-
pur definite bisogna seguir 1' A. in una lunga enu-
merazione, e nello sminuzzamento di tutte le idee
cli'ei crede necessarie, e saltare sino alla pagina 27
dov'è magramente definita la necessità e la conti-
genza per azzeccarne il vero significato; e questa
parsimonia di definizioni in tutta l'opera dominan-
te riesce qui più grave dove non è semplice quistio-
ne di nome ma di j)rincipi, perchè dal determina-
re un idea conforme l' intendimento dell' autore o
necessaria , o contigente si viene issofatto a pre-
giudicar sulla quistione della origine, e se mal non
mi appongo questo è vizio inseparabile dal meto-
do che il Tedeschi sull'orme del Cousin volle pre-
ferire di cercar prima della natura e caratteri del-
le idee e poi dell'origine.
Necessarie forse intende l'A. tali idee, ch'è impos-
sibile ad alcuno di noi apprender le cose come ora
facciamo ove di simiglianti priva fosse nostra mente,
e di queste se ne mutassero le forme o la natura(pagi-
na 24) or se l'idea di tempo di spazio, di causa, d'ef-
fetto d' unità ec. sono in questo senso necessarie
e implicitamente già risoluta la quistone della ori-
gine, e dell' anteriorità di esse, perchè sendo im-
possibile , che siano generate da impressioni di
oggetti che non possonsi essi medesimi senza di
quelle appercepire debbono precederi,\e qualunque
altra; quando si decide che una idea è necessaria
s' è già deciso che dalle sensazioni , o dalla espe-
i5o
rìenza non può venirne, che fu sentenza del Lei-
bnizio, e del suo gran discepolo Cousin ripeluta(i)
necessarias non posse comprobarì nisi a princi-
piis mente insitis cum sensus quidem doceant quod
fiat sed non quod necessario fiat (2), ed Epicuro,
che tutte le idee dalle sensazioni facea derivare
negava le necessarie e le assolute , e non ne ara-
mettea che conligenti e relative (3) e questa di-
stinzione principale è il jMnsiero dominante della
filosofia kantiana e dello Ecletismo avverso allo
empirismo, laonde l'analisi succedente dell'origine,
qualunque ne possano essere i risulta menti , ove
non vogliasi cadere in manifesta co(jtradizioiie do-
vrà acchinarsi a questo principio, e ''A. sarà ob-
bligato a ripeter assai idee qui chiarite ndla se-
zione terza dove parla delle origino di quelle idee
ch'egli tiene necessarie, che sono quelle di tempo,
spazio, causa effetto, unità molliplicità, sussistenza
inerenza, realità possibilità, contingenza necessità;
fra queste le più indispensabili quelle che sono co-
me le creatrici o almeno che concorjono alla crea-
zione di tutte le altre sono il tempo e lo spazio,
queste le forme della sensibilità pura di Kant, que-
sti i cardini delle umane conoscenze, e su di esse
ci fermeremo un momento: Sono esse , veramente
a questa maniera necessarie? e il dubbio dee parer
legittimo ove si ponga mente , che i fanciulli , e
tutti gli uomini, che sino alla morte durano fan-
ciulli di mente che sono i più non ne hanno mai
neppure sospettato la immutabiUtà e la necessità,
che oltre lo spazio della propria casa 0 del pro-
(i) CousÌQ lez. 8. voi. i. p. 2gt.
(2) Leibiiitz Epist. ad Bicrlinesium tom. 5. p. 358. Questa d-
pinione perfettamcnie l' istessa avea portato Platone Sophist a66.
(3) Lcz. ig. yol. 1, p. aaa.
iSt
pno paese non ne conoscon altro , e ogni tempo
oltre la vita de' padri e de' figli suoi non sanno
allargare, uomini, che ad onta d'una voce divina,
che ad ogni giorno lor grida all'orecchio 1' eterno
l'interminabile vi prastan fede quasi a mistero co-
me coloro, che sanno dover credere, anzi che sa-
per quel che credono. Ne a questa generazione
d'uomini si ristringe la difficoltà d'immaginare uno
spazio ed un tempo illimitato che la esistenza del
vuoto (eli' è questo spazio) fu cagione d' aspra e
memoranda guerra tra Leibnlzio che il negava, e
Clarke e Newton, che l'affirmavano; e veramente
l'idea dello spazio la cui rappresentazione non ha
limiti (p. 20.) non può essere n'ò che il nulla, ma
e questo un ente positivo e perciò ha una realità,
che gli corrisponda : ma che sarà un nulla reale
positivo , una realità che non e niente, una cosa
ch'esiste e non esiste? dippiù e cosa creata o nò?
Se cieata io non io come si crei niente; se increa-
ta; e qui scommetto, che non e' intenderemo piìi
ne contrari ne difensori , mentre Dio solo e l' in-
crealo, ed un Dio nulla è certamente qualche cosa
che sente del nuovo !
Il Baron de Massias diceva >j lo spazio sondo
M infinito, s' e' fosse intelligente saria Dio, e se fosse
w materia saria impenetiabile: ora che cosa è dun-
» que quel, che non può essere ne spirito uè cor-
»po?(i)w l'idea del tempo illimitato, del tempo
(i) Rapport de 1' Honirac à la Nature et de la Nature à l'hora-
mc voi. II. p. a3.
Lcibnitz » ces messicurs (les Angiais) soiitiennoiit donc , que
» l'cspace est un'otre róel absolu: mais cela les móne à des gran-
« des difficultés. Car il parait que cct étfc dait ótre ctcriiel et
» indai: C est pourquoi il y en a, qui ont cru que c'efait Dieu
» lui-indnie oti bien soa attribut. Mait cornine il a des parties ce
10
de» tempi è soUennenaénte Impugnata dal Condil-
lac (i) , e lo stesso Leibnizio confessa , che un
tempo infinito nel quale la debolissima mente uma-
na non ponga termine ove si posi non sia » Io
» credo (son sue parole), che propriamente parlando
>j si può dire che non vi sia uè spazio, ne tempo,
M ne numero, che sia infinito, ma esser solameutie
M vero , che per grande che sia uno spazio , un
» tempo, o un numero, ve n'ha sempre un'altro
» maggiore senza fine w (2) ma questo non è l'in-
terminabile, l'illimitato del Tedeschi ma i'indefi-
DÌto possibile, cioè che si. può concepire per mez-
zo d'aggiunzioni di unità sopra unità, e così viene
ad essere un prodotto di noslro immaginare , e per
sua natura determinalo: quindi egli medesimo con-
cludeva sì pel tempo come per lo spazio w per
M me ho notato pii^i d' una volta , eh' io tengo lo
«spazio per qnalche cosa di puramente relativo,
» come il tempo ; per un ordine di coesistenze ,
w come il tempo è un ordine di successione» (3).
E finalmente forse v'ha buon dritto a negare l'esi-
stenza d'un tempo in se assoluto, che v'ha un es-
sere presso a cui non v'ha ne successione né tem-
po, tutto è un'istante. Iddio: » perlocch è (pensava
» Condillac) noi poter concepire delle intelligenze,
M che percepiscano in nna volta delle idee, che non
" abbiamo che successivamente, e pervenire ad un
» essere che iu un'istante tutte le conoscenze com-
» n'est pas une chosc qui puisse convertirà Dieii.» Troisi^me t'eri l
ou rcponse à la seconde repliquc de M. Clarke sur Dieu, l'ame
et r espace ec. Opera Oraii. Tom. 2. p. 121.
(i) Art. de petiser p. i. e. XI- — • Logique e. V. p« 1.— Traile
des sciisat'Ona p. i. e. IV.
(2) Vedi Wolf. Onte!. 5 977, come sriluppa questa impoisi-
hU'nà dell'infinito per mezzo deil'indeCaito.
(3) Leibnitz. 1. cit.
i5S
» prenda, cKe le creature tion lianno se non dopo
ìì una serie dì secoli , e quindi non provi succes-
» sione di sorta (i)>i questi dubbi contro la dot-
trina della necessità delle idee di tempo, e di spa-
zio, e di tutte le altre che ne sono generate non
all' Au. sono dirette , ma al Kant, al Villers, al
Cousin dai quali e' la copiò esattamente, perlochè
basta confrontare i passi della p. 22 24 aS e seg.
del nostro A. con quei delle pag. 263 269 278 del
Villers, delle pag. i^5 sino i63 lez. 17 sull'idea
di spazio, e delle pag. i65 sino 184 lez. 18 su quel-
la di tempo in Cousin, che noi per non ripeterci
s\ gli uni , che gli altri riferiremo nello articolo
2 della terza sezione dove per essere il nodo della
quislione delle origini , sono dall' A. con difetto
di precisione, e per necessità replicati.
(Sarà continuato)
Memoria sulle antichità agrigentine di JVjccolò
Palmer! con una lettera sUgtTpoget di Gir-
^enti di LionaRdo Vigo — Palermo dal Gabi-
netto Tipografico alla insegna di Meli iSBa
in 8.° pag. q5.
Tardi annunciamo quest'opera di cheirPiilr-
blico conoscer dovea i pregi nel punto stesso, clip
vide la luce, s\ per essere slata scritta da un autore,
che tanta reputazione si è acquistata nella Repubbli-
ca Letteraria, come ancora per occuparsi di patri
vetusti monumenti, che sebbene deformati, o in gran
parte iu rovina mostran pure il lusso, il gusto, e
(i) Art. de penscr art. XI. p. 1.
i54
l'alto intendimento architettonico degli antichi A-
grigentini, la cui città ergea seconda il capo in Si-
cilia , dopo la massima Siracusa , a contrastar la
gloria alle primarie della Grecia in ricchezza , in
magnificenza, in ogni maniera d'arte, e di amene^
e severe discipline. Ma alcune domestiche sciagu-
re, e altri componimenti incominciali, ci han fatto
differire il piacer di renderne ragione in queste Ef-
femeridi: e in ciò non ha sofferto scapito al certo
r illustre autore ; dapoicliè essendo essa già stata
letta da tutti gli amatori , e intelligenti delle cose
archeologiche, ed architettoniche con piena soddi-
sfazione, noi siam ora nel caso di raccoglierne me-
glio il lor parere in questo nostro ragguaglio , il
quale se non accresceragli la pubblica stima, di cui
altronde godca, potrà certo attestargli quella nostra
particolare.
L'operetta, di cui ragioniamo è stala dall'autore
dedicata alla Commissione di antichità, e belle arti
in Sicilia, composta da S. E. sig. Principe di Tra-
bia. Consigliere di Slato, dal sig. Duca di Serra-
difalco, dal sig. Valerio Villareale, dal Cav. Giu-
seppe Patania, e unquemai lavoro letterario fu con
giusto intendimento meglio indirizzato. Imperoc-
ché il primo con incessante cura, ed operoso studio
ha già descritto tutte le antiche città della Sicilia,
e i fiumi, e i monti più degni di nota, non che
la prisca mitologia, che la riguarda; e il secondo
le sculte metope Selinunline, i monumenti, e l'o-
pere di scarpello della destrulta Solunto si è dato
ad illustrar con somma diligenza, perspicacia, e
capere, e agli altri antichi di greca e normanna ar-
dhitettura ha pure rivolto le sue meditazioni, facen-
soli ritrarre in eleganti, e fedeli disegni per presen-
are al Pubblico un'opera con lusso tipografico, che
i55
forse che non ha esempio appo noi. Degli altri
due non occorre far parola, godendo essi un'estesa
opinione in Sicilia, e fuori, l'uno nella scultura,
e l'altro nella pittura: talché a riguardarli tutti in-
sieme l'autore trovar non potea giudici più compe-
tenti all'opera sua.
Ma per venire a ciò che contiensi in essa, di-
diremo, ch'egli pria di tutto imprende a ragionar
del tempio della Concordia, come quello (secondo
si esprime) che rispettato in gran parte dal tem-
po è uno dei migliori modelli, che a noi restino
dello antico dorico^ e basterebbe esso solo a pa-
gare la pena di un {>iaggio per vederlo e studiarlo.
Riporteremo qni la breve descrizione eh' ci ne
fa , non sapendo noi renderla più acconciamente.
// tempio r perìptero exastilo. Un peristilo di tren-
taqaattro colonne doriche ricorre intorno alla
cella , la quale ha né lati minori due pilastri
angolari^ e due colonne sono fra essi. Nel gros-
so del muro orientale , che dividea il pronao
dalla cella , sono due scale , una delle quali è
tuttora accessibile, forse per salire sulla soffitta;
che, per quanto appare, la cella, oltre il tetto^
era coperta da una soffitta, almeno lo fa argO'
mentare una porticciola, che si vede nell'alto di
quel muro, sopra l'ingresso della cella. Le stesse
scale si osservano in alcuni de' tempi di Seli-
nunte. Il muro tramezzo fra la cella e il portico
più non esiste: si crede ch'esso sia stato demo-
lito, allorché il tempio fu convertito in chiesa cri-
stiana, dedicata a San Gregorio dalle rape. Ed
è assai probabile che allora, per ridurre il tem-
pio a tre navate si fossero tagliati gli archi, che
oggi si veggono nelle mura laterali della cella.
Le sue colonne sono alte 4 i diametri, ma non
i5ò
è improbabile che sieno state intonìcate^(i) onde
Valtezza loro fu da prima minore; l'architrave è
pia di due quinti dell' altezza delle colonne] un
sol regoletto lo divide dal fregio ; la cornice è
di due soli membri. Né si potrebbe a prima giunta
conoscere', perchè un edifìcio tutto roso, con pro^
porzioni così severe., possa avere tanta leggiadria;
ma la sua leggiadria nasce dal sorprendente ac*
cordo delle proporzioni con la posizione del tempio,
Prosiegue quindi l' Autore a tlire , che secondo
le diraeiizioui prese dal sig. RalìLello Politi, pitto-
re ragguardevole , arcliilello siracusano, e custode
delle antichità agrigentine, la lunghezza del tem-
pio., oltre i gradini., sia di palmi i Sa e 6 once^
la larghezze di pai. 64, e 10 once., il diametro
delle colonne di pai, 5 e 6 once. In ognuno dei
lati maggiori del tempio son tredici colonne , le
quali devono occupare uno spazio di "y i palmo e
6 once. Divedendo a \ 2 intercolunni li ottantun
palmo che resta della lunghezza , ognuno dessi
sarà 6 palmi., e q once. Nella larghezza son set
colonne., per le quali si vogliano 33 palmi', dì^
vise a 5 intercolunni li restanti trentun palmo ,
e dieci once y ne risulta ognun d' essi 6 palmi ,
4 once, 4 linee 8.
Tramezzo a questa descrizione metrica architetto*
luca presenta il n. A. alcune opportune riflessioni,
conchiudendo che il tempio, non ostante che sia stato
in piccola parte deturpato, allorché venne convertilo
in chiesa cristiana; tuttavia fu per questo appunto
conservato, e in ciò siamo perfettamente di accor-
do con lui, Dapoichè veggi?imo tutto giorno av-
venire, che magnifici palagi non abitati vanno in
(1) Cosi fu trovato pure di recente un piccolo tempietto ia Se
Un unte.
»?7
rovina, mentre altri anche di maggiore antichità,
in cui si faccia soggiorno, per piccoli, e successivi
ripari, che vi appresta la presenza dell'uomo, si
conservano.
Non possiamo però nella sua opinion conveni-
re circa all'epoca, ch'egli stabilisce per la sua co-
struzione, cioè un mezzo secolo pria, che vivesse
Pericle, dopo che per la celebre battaglia d' Ime-
ra s'impiegarono per li pubblici edifici Agringen-
tini i prigionieri falli in quella giornata. Che an-
zi incliniamo alla opinion del Principe di Bisca-
ri, che leggendo in Diodoro, che tutti i tempi di
Agrigento, tranne quello di Giove Olimpico, erano
all' età sua bruciati, o affatto deslrutti , ne attri-
buiva all'epoca posteriore a queir istorico la costru-
zione. Ed a questo avviso ci inducono delle buone ra-
gioni. E prima la teste accennata del Biscari; dapoi-
chè non può dirsi distrutto un tempio, che nel suo
esterno quatrilatere ha trentaquattro colonne tutta-
via esistenti, e due al pronao, e altrettante al pò-*
stico, perchè manchi soltanto di tetloja e di altare.
Che se Diodoro intendea per ciò riguardar come di-
strutto quello della Concordia non dovea poi per
la stessa ragióne annunziar come esistente il tem-
pio di Giove Olimpico, che pur mancava di tettoja
e di aliare. Maggiore argomento ci appresta inoltre
che esso sia di epoca romana, l' iscrizione latina,
di cui ignorasi il tempo del ritrovamentp , e che
è del tenor seguente ':
-r ' CONCORDIE AGRIGENTI 9
NOnUM SACRUM
RESPUBLICA LyLrBITANO
»UM DEDICANTIBUS
M. HATERIO CANDIDO PROCOS.
A. L. CORNELIO MARCELLO Q. ' "**•"'' ^' "
PR. PR.
i58
Il sig. Palineri su questo particolare si spinse
ad attaccar peraiico l'opinion del Fazzello, il qua-
le sosteneva che una tale iscrizione appartenesse a
quel delubro, e che facea ben supporre, ch'esso fos-
se sialo innalzato da' Lilibelani per attestare la pa-
ce seguita con gli Agrigentini, forse dopo di aver
questi ultimi riportato una vittoria su di loro.
Nulla a mio avviso fa contrasto a quest'opinio-
ne. Per inveterata tradizione quell'edilicio e stato
sempre appellato il temjìio delia Concordia, e l'i-
scrizione parla di un sacro edificio di lai nome.
Importa poco poi il sapersi quando, e in qual si-
lo preciso sia stala trovala in Agrij^cnto , purché
non si dubiti della sua autentici là; essendo le lapidi
trasportate anche da una città ad un' altra per
convertirsi ad altri usi. Altronde non era nuovo
all'epoca dei Romani il denominare in sifFulto mo-
do alcuni altri tempi. Si sa pure eh' essi fecero
della Concordia una divinila. Sin dall'epoca del dit-
tator Camillo avea essa già un tempio nel Campido-
glio, al quale era attaccata una sala, in cui si ra-
gunavano i Magistrati per deliberar gli affari del
la Repubblica; e oltre a questo diversi altri tempi
sacri alla menzionata deità rammentano Livio ,
Dione, Plinio, e Plutarco(i). Or potè dunque facil-
mente avvenire, che dopo l'epoca di Diodoro, es-
sendo accaduta una buglia tra il popolo di Agri-
gento, e di Lilibeo, e stabilitasi la pace per la me-
diazion degli slessi Romani , che dopo la prima
guerra punica predptaiuayai) ^oyr'essi, abbiano i Li-
.' • 1 ;?' ' • .' .■:./■;•;■.
(i) I Greci non ebbero divinità appellata Concordia , come i
Boniani, quindi, tt.indo alla (knominazione del tempio, clic di gè-
nerazione in generazione è giunta finora noi., uou possiamo ri'<
i'erir (}u•^>to «acfp edi(ìcÌQ clic all'epoca lloinaua.
libetani a proprie spese innalzato un tempio alla di-
vinità cara alla Romana Repubblica.
Tali fondate congetture si presentaron certo al per-
spicace ingegno óeì sig. Palmeri, ma egli, fermo
nelidea prefissa, ricorse per deslruderle a' principi
dellarte architettonica, perii quali ravvisa in quel-
1 edificio il dorico più severo, proprio dell' età anti-
periclea, ma non lascia di confessare, che lo insie-
me di esso presenti un' aria di maggior genlilez-
ia degli altri di quell' eia medesima , E noi qui
facciamo osservare al chiarissimo autore, che i nostri
edifici dell' epoca primitiva della dominazione de'
Romani in Sicilia aver non poteano altro carattere
che quello dell'antica greca severità; giacche essi
ifion recarono con loro in questa Isola ne artisti
ne arti, ma armi, ed armale: che anzi da noi molte
cose impararono inforno alle arti, e trasportaron
via quadri, e statue, ed altri oggetti preziosi da que-
sto suolo. Da ciò risulla, che le opere artistiche di
quel tempo han tutte un grecanico carattere, come
ne fan testimonianza le medaglie di tal' epoca ,
che da meno esperti alla greca sono riferite. E
CIO era heu naturale; dapoichè greci erano gli ar-
tisti, che allora viveansi, e greci gli anteriori mo-
humenti, che toglieano a modello pe' pubblici e-
difici , che andavan tutto giorno innalzando ; e
quindi 1 antica sembianza questi recar doveano.
Che se l' istoria, che di que' tempi ci resa, nul-
la CI dice di questa guerra tra i due popoli men-
zionati, e della pace che ne fu la consequenza, è
da riflettere , che noi non abbiamo non che an-
nali istorici, ma neppure un'istoria sccuila de' prin-
cipali avvenimenti delle città siciliane^. Laoi.de una
lapide, ncoDosciuta autentica, può per quello che
i6o
ci narra supplire a questa mancanza, siecome sup-
plì alla deficienza di un fallo islorìco di non mino-
re interesse la laminclta iscrilla, trovala in un astuc-
cio dal eli. barone Judica in A«re, che rammentava
un'invasione di barbari in quella città, e i riti sa-
cri stabiliti al suo nume tutelare per esserne stati,
secondo l'antica credenza, respinti. Questa iscrizio-
ne, interpetrala dal dottissimo mio amico sig. Thur-
lacius, allorché si recò in Palazzuolo, non dà luo-
go a dubitare della sua autenticità, com'egli stesso
mi diceva , e corno pubblicò in una sua elabora-
tissima dissertazione. E pure nessun altro docu-
mento islorico la sostenea. Corich indiamo che le
osservazioni addotte dal sig. Palmcri non sono da
tanto a richiamare ad un' ejioca più aulica della
primitiva Bomana la costruzione del tempio, e da
cancellarne 1' adottata denoininazione.
Poco discosto, prosieguo il n. A. dal tempio della
Concordia, è quello di Giunone Lucina, ovvero La-
cinia, secondo il Politi,(i) (che ambi questi epiteti
competono a qncll' orgogliosa, e vendicativa divi-
nità.) Imperochè pel primo viene indicato il suo
attributo di presiedere a' parti , e pel secondo
il soprauome dato a Giunone, dopo che Ercole uc-
ciso avendo nella magna Grecia , sul promontorio
de' Bruzì, il ladrone Lacino, o Lacinio le innalzò
un sontuosissimo tempio, e per renderla vieppiii a
se propizia volle darle il titolo di Lacinia, siccome
ne fa avvertili Servio al terzo dell'Eneide, e così
pure l'ajipella Cicerone, Diva Lacinia; (2) seppure
non fu dato a questa dea l'anzidetto titolo dal pre-
siedere essa a tulli gli ornamenti muliebri ; per-
(i) Ljcini;i la cliiimiu Plinio, parlando di fjucsto tempio, al
lib. 35 e. 9.
(a) L. Di vili. 24.
i6i
ciocche laciniae eran dette da' ialiui le fiiinge , o
i nastri, che si cucivano al lembo delle vestì. Ma
a noi pare, che più per riguardo a quel che nar-
rasi di Ercole siesi dovuto in tal modo appel-
lare; laonde crediamo che potè questo tempio aver
avuto origine per lu graia memoria, che rileneano
di Ercole i Siciliani a cagion de' benefici ricevu-
tine, per cui erger vollero un tempio alla divinità
da lui venerata, per gareggiar con quello, che le
era stato eretto nella magna Grecia da Ercole me-
desimo. Questi; non sono clie mere congetture a
cui non vogliamo dare, che quel peso che meritano,
ma che servii possono solo a giustificare, che non
si può riguardar come erronea ne la denominazione
datale dal Politi, ne quella dal Palmeri.
Questo tempio e periplero exastilo anch' esso ,
come il precedente , ed lia 34 colonne doriche ,
che ne fanno al modo mi:desimo il perislilo. Esse
hanno come in quello venti strie , la cella ha gli
stessi pilastri , e le due colonne frapposte. Qui il
Palmeri sospetta o un manco di esaltezza nelle di-
menzioni che ne dà il Politi , o una irregolarità
negli intercolunni. Le dimenzioni, notate da quel
artista , sono le seguenti. La lunghezza del tem-
pio è di palmi i43 , e 6 once, la larghezza di
palmi 65 e 4 once , il diametro della colonna di
pai. 5 e a once. Le colonne sono alte 5 diametri,
e mostrano nel capitello, oltre i tre listelli consue-
ti , due altri , che tagliano con grazia le strie al
sommo scapo. Da ciò argomenta il Palmieri, che
quel tempio sia sialo costruito posteriormente a
quello della Concordia, in uri età cioè^ in cui il
dorico cominciava a perdere le primitive severe
sue proporzioni , e comportava già alcun sobrio
t63
ornato. A quest'opinione bensì par che faccia con-
trasto un passo di Plinio, nel quale, dicendosi che
Zeusi(i) dipinse per quel tt'uipio il suo fannso qua-
dro di Giunone verrebbe di moltissimi anni innanzi
alloslabilimonto delle armi Romane in Sicilia (epoca
in cui generalmente s'ingentiri il dorico appo noi) a
riferirsene l'edificazione. Quindi più dicevole mas-
sima ri sembra il non condì iudtrsi sull'epoca degli
antichi monumenti da aKuni caratteri, che sebbene
ci diano indizio di una qualche età, pure proceder
possono non di rado dal gusto , e dal g nio pe-
culiare dell' artista che li esegui. E qui potrem-
mo adduire in esempio , che meni re M eh» lati-
gelo dava all' architettura un cartit'ere di smodata
grandiosità, Raffaello, anima genlilisiim , n'ile po-
che fabbriche che costruiva improntava l' indole
sua natia; talché gli edifici dell'uno, e dell'allro non
che non si potrebbero giudicar coevi; ma neppure
di tempi fra loro vicini. Stando adunque al pas-
so di Plinio creder dobbiamo nell'epoca gr(ca in
cui visse Zeusi costruito il tempio di Giunone, e
alla menzionata lapide, nell'epoca romana edificalo
quello della Concordia.
Dal lato di mezzogiorno , prosegue il nostro
autore , nella linea stessa de tenipi di Giunone
(i) Deprehendilur tainen Zeuxis grandior in rapilihus, articU'
lisque, alioquin tantus dclis^eiìliiu ni ^grit;eiUiius f'actuius tabu-
lain, quaiii in tempio Junonis Laciniae publice dicarent inspe-
xerit viifi^ines eoruin nudas, et quiiiqiic elei^evil, ut quod in qua-
que laudalissimuin esset, picturae reddeiet. {lib. 35 e. 9.)
Dionisio d'Alicatnasso, e Ciccione naiiauo, cl.c Zeuai osservar
volle alcune donzelle i;;nude per dipiniÀcre un* Eleiia pe' Crolo-
niati. Ciò ha dato a diiliitai-e al sii;. Palniei i del quadro di Giu-
none dipinto da quell'ai lista per gli Agrigentini, ne so peicbc: il
fatto simile pe' Crotoniati, e per gli Agrigentini «nostra, che Zcusi
avea in uso di non dipingere che »ul vero , scegliendo sempre
delle pili helle donne le più belle parli per formarne un insie-
me bellissimo, nel che coasiste il hello ideale.
i63
e della Concordia^ fra le opunzie , ed mi' immensa
farragine di fusti, capitelli , cornici , ed enormi
macigni , sorgon due colonne del tempio d' Er-
cole, aventi otto palmi di diametro. Questo delu-
bro vantava, non tnen che quello di Giunone, uà
quadro pure di Zeusi , rappresentante Ercole
banibino, che strangolava i serpenti, come ci nar-
ra lo stesso Plinio (i) e non i leoni , come per
inavvertenza scrisse il sig. Palmeri. A parte di
quella famosa dipintura , per cui Zeusi non volle
riportare alcun j)rezzo, credendola inestimabile, e
rilasciolla in dono agli Agrigentini, si ammirava
ancora in quel sontuoso sacro edificio una decantata
statua di bronzo di Mirone , che probabilmente
potrebbesi ritrovare sotto quel monte di pietre;
non essendo verisimile, che abbattuto il tempio dal-
le catapulte nemiche, o momentaneamente da qual-
che tremuoto potè di leggieri esser sottratta. La
generosità di Zeusi usala agli Agrigentini aggiun-
ger potrebbe un plausibile argomento , eh' egli
sia da riguardarsi come siciliano, sapendosi altron-
de di certo ch'egli sia stato nativo di una delle Era*
elee, fra le quali fiorentissima era allora nelle arti
quella di Sicilia, che formava parte dell' emporio
d'Agrigento, mentre le altre o non eran sorte, o
erano ancora tapine. E lo scorgere poi eh' egli fu
educato da Demofilo di Imera, e non già nell'At-
tica , o nella Ionia , ove le arti erano in ottimo
stato , mi conferma in questa opinione ; la quale
per altro è sostenuta dal dottissimo J. Lerapriere ,
nella sra classica biblioteca , (a) ma di ciò più a
lungo altrove ragioneremo.
(0 L: 35 cap, 9.
(a) Bibl. class. or a classical Dictionary London 1801 art.Zeuxi*.
i64 . .
Quanto poi alla vpneia,tione di Ercole in Sici-
lia, si sa eh' era essa cosi generale per li beuelici re-
catile (la qu( slo semidio, quando dalla Libia passò in
quesl' Isola, die non occorre farne parola. E solo
giova accennare, che pel suo soggiorno puossi spie-
gare il culto di alcune egizie divinità appo noi, che
mostrano diverse figurine in creta, e le dipinture
di molti vasi ritrovati nelle nostre auliche città ;
imperocché non avendo noi avuto colonie egiziane
non SI potrebbe comprendere, perchè i loro numi
fossero qui adorati, ed invocati.
(Sarà continuato)
j4qostino Gallo
Difesa della città e de porti di Brindisi di G. M.
— 'Napoli i83ì; in ^° di pag. 5/.
JDifesa della città e del porto di Brindisi^ 2. e-
dizione aumentata e corretta. Napoli 1882 in
4° di pag. J22 con due carte topografiche.
Terza memoria in difesa della città e de porti
di Brindisi. Napoli i83$ in <^.° di pag. 72
con carte topografiche.
L'azione più nobile che possan fare gli umani.
è quella d'imprendere Je difese della patria. In que-
sto atto santissimo sot» racchiuse tutte le più gen-
tili virtù; ma quando per giungere a tal meta si
spregiano i mali che possono avvenire, nulla curan-
do l'odio o la vendetta altrui, non può allora non
ottenersi l'universale ammirazione e la pubblica ri-
conoscenti .
Le annunziate memorie si volgono a difendere
Brindisi; e quindi ^li autori, che Brindisini sono,
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tanto per lo scopo de' loro scritti, quanto pel ge-
neroso modo, con che combattono in favore del-
la sventurata loro patria, meritano sincerissime ed
altissime lodi.
Il primo di questi libri porla in fronte le let-
tere iniziali G. M. il secondo è» segnato nella de-
dica e in fine dai signori Giwanni Monticelli^ e
Benedetto Marzolla^ avvocato t uno^ F altro pro-
curatore della città di Brindisi, Il terzo mostra an-
che in fine il nome dell'autore, ch'è il Barone Fran^
cescantonio Monticelli deputato gratuito della stes-
sa città. DojTo un rapporto generale del direttore
di ponti e strade pubblicato nel 1827, in cui si
fece rapido e ben in leso catalogo di tutte le opere
pubbliche necessarie o utili a ciascheduna provin-
cia del regno di Napoli, ma senza classificare gran
fallo, siccome levossi querela, le urgenze di alcu-
ne in paragone delle altre, il consiglio provincia-
le e quello di i)oiiti e strade proposero che a spe-
se della provincia di Lecce si costruisse un porlo
a trafori in Gallipoli, obbliando però interamente
la città ed il porto di Brindisi. Laonde gli autori
della seconda memoria, presi da profondo dolore,
cominciano a dire: >j Nati in Brindisi, ed incari-
cati da quella cittadinanza a rassegnare a piedi del
real Trono le sue umilissime preghiere, noi bre-
vemente esporremo i pregi singolarissimi de' por-
ti di quell'antichissima città, ed i rapporti stati-
stici, commerciali, e politici della medesima, e di
quel distretto con tutta la provincia e col regno,
da' quali chiaramente apparirà che a spese di queir
la provincia la rislaurazione della città e del por-? ,
to di Brindisi debba procedere, ed essere preteri-
ta a qualunque altra, e specialmente alla coslru-
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zione del novello porlo in Gallipoli; e da tale pa-
ragone, ci lusinghiamo, resterà dimostrato che la
urgenza, la utilità della provincia, i grandi inte-
ressi politici e militari del regno , e la gloria di
Sua Maestà, altamente reclamano tal preferenza. >3
Ecco lo scopo e l'assunto delle dette due prime me-
morie ^ ove spiccano forza e solidità d'argomenti,
chiara esposizione, e zelo caldissimo di patrie co-
se, non che di pubblico universal giovamento pel
regno: diguisachè ognuno si vede strascinalo a con-
venire con esso loro , e a far voti, perchè le voci
de' Brindisini fossero accolte, e venisse la loro mi-
sera terra salvala dall' eslerminio che la minaccia.
Difatli ciò che sopratutto richiama rattcnzione di
ogni umano lettore , movendo altamente i cuori,
e strappando dagli occhi amarissime lagrime, so-
no alcuni ragguagli slijt'slici di Brindisi, città illu-
stre , posta in un sito che le offre i j)iù bei do-
ni della natura , ma che la trascuranza o 1' er-
rore degli uomini ha resa oggi sì trista ed infeli-
ce, che immersa in uno atmosfera micidiale , ne
sente funestissimi effetli, e vede di giorno in gior-
no periie i suoi cittadini. Dal catalogo de' nati e
de* morti del 182'y al i83o si rileva che una po-
polazione di 6000 anime in quattro anni avea per-
duto 2323 abitatori, mentre non n'eran nati che
1 1 i-y. «Quando adunque, conchiudon gli autori, al
nostro buon Re ed a' suoi illuminali Ministri uoa
si manifesti, com'è di dovere, la posizione disgra-
ziata di quella città, tra i5 anni al più sarà in-
teramente deserta, w E questo flagello desolatore
che infesta Brindisi non solo, ma molte altre cit-
tà e terre circonvicine (diguisachè negletta e ia
abbandono giace 1' agricoltura di campagne già fé-
167
concie di ogni ricchezza, ed oggi paludose e spo-
polate), deriva da ciò che una volta formava , e
formerebbe anche oggidì il più bel pregio di Brin-
disi, non che lo splendore del commercio di tut-
ta la costa dell'adriatico nel regno intero, ch'è ap-
punto l'ampio porto di quella città, cotanto famo-
so negli antichi tempi, e ridolto ora, per gl'inter-
rimenti, una vasta mofeta. La ristaurazione adun-
que del doppio porto di Brindisi ha due grandi
oggetti , quello di liberare un'infelice popolazione
da un male potentissimo, e di restituire al regno
Un tesoro pel commercio, per la navigazione, per la
navale milizia: e da tali e da altre considerazioni,
gli egregi autori vengono a capo di quanto eglino
f)resero a dimostrare in principio. Espongono ancora
e difficoltà che sono insorte, o possono per avven-
tura insorgere, e con pari energia le combattono,
trionfando mirabilmente di ogni contraria sentenza.
Dichiararono taluni , secondo che ci fa sapere
l'autore della terza memoria, che non bisognava più
pensare alla esistenza della città e del porto di
Brindisi, e consigliavasi agli amminislrafori, ed agli
abitanti di traspiantarla altrove. Furon dolentissi-
mi a tal duro divisamento i Brindisini ; e si le-
Taron grida di compassione da ogni luogo di quelle
sconsolate contrade: i buoni del regno ne fremet-
tero ; ne consentì il Governo che le pagine della
napolilana storia di tale disumanità si loidassero.
Quindi il direttore di ponti e strade per conciliare
le cose divisò un altro progetto, al quale però non
s'acchetarono, ne acchetar si poteano gli abitatori
della infortunata Brindisi. Imperciocché difficilmen-
te in quel modo attinger si poteva il fine a cui
si mirava; e quindi né sanarsi , ne allegerirsi pò*
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tevaiiò le loro plaghe. Laonde il loro deputato
gratuito , eh' h il ragguardevole autore della detta
ultima memoria,, accingesi a dimostrare il \fero mo^
do di ristaurare quel porto^ e di restituirgli tan."
tica magniftcenia , o grandissima parte dell' im-
mensa sua ut dita.
Noi non possiamo abbastanza lodare questo scrit-
to pieno di facondia , di erudizione ^ e di quella
franchezza d'animo, Ionio rara a* giorni nostri, e
che dà spontanee le parole a chi sente carità di
patria , e desiderio di comun bene. Imperocché
l'importanza dei porli di Brindisi or che si rige-
nera la Grecia, TEllesponto e 1' Egitto e tale per
la prosperità non solo di quelle popolazioni un dì
si fiorenti , ed oggi sì battute e travagliate, ma
dell'intera costa adriatica, e del regno tutto, che
somme lodi merita colui, che ha levato Ubere vo-
ci, per difendere l'umanità tradita in un argomento
sì degno della considerazione del filosofo.
La barbarie turca fece abbandonare e spegnere
un traffico, che, siccome rilevasi dalla repubblica
di Amalfi, splendidissimo era avanti la dominazio-
ne dei Romani, e sotto di questa, e nei tempi di
mezzo : quindi dovrebbe il Governo rianimarlo a
tutta possa , oggi che a novella vita risorgono
quelle famose regioni : tanto più che immensa è
la facilità che presenta l'esecuzione del cava fango
a vapore, per lo nettamento di qualunque porto,
inventato dal colonnello Rodinson. Con questa mac-
china possonsi cavare dieci mila quintali di fango
ogni dì, col solo mezzo di sei uomini, dodici a tredici
cantaja di carbon fossile al giorno , e il capitale
di sei mila ducati prezzo della macchina e del bat-
tello. Gli Spagnuoli in Barcellona, secondo che notò
l'autore stesso della presente memoria^ cavarono da
quel porlo con una sola maccluna a vapore, della
forza di dodici cavalli , la immensa quantità di
fango, che da venti milioni di palmi cubici risul-
tava: dal che nacque che là dove [roteano aj)[)ei)a
ricoverare piccioli legni , stanziano oggi senza ti-
more navi da guerra di quarantaquattro cannoni.
Quindi il porlo di Brindisi potrebbe ritornare con
facilità alla sua antica raagniticenza : ed allora ve-
drebbesi novellamenle fiorire l'agricollura di eslesi
terreni, e si libererebbero da una sicura e lotale di-
struzione quelle misere genti, che reclamano a gran
dritto la giustizia del Governo, e il soccorso degli
uomini', onde divenire, per mezzo dell'industria a-
graria e commerciale, ricche e prospere quali già
furono un tempo.
Ne qui noi vogliam dire se giovi che un no-
■Vello porto si formi a Gallipoli , che certo giove-
rà : essendo fuor di dubbio , che quanto più nu-
merosi sono i porti in uno stalo , lauto maggior
giovamento ne riceve il commercio e la civiltà na-
zionale. Ma la nobile e grave quislione che ora si
agita non ha per obbietto che la salvezza della
sconsolata Brindisi. Ricchi sono i Gallipolini senza il
porto, che sarebbe superfluo alla loro opulenza; onde
ragion dimanda che, volendolo avere in questo mo-
mento, a loro spese, e non dell'intera provincia si co-
struisca: poiché strana ed ingiusta cosa ella e certa-
mente, che mentre Brindisi perisce a causa degl'in-
terrimenti del suo porto magnifico , si pensi a co-
struirne uno novello, d'incerta riuscita, come sono
tutte le opere degli uomini, e che richiede, secondo
il progetto dell'architetto Fazio, la gravissima som-
ma di cento dodici mila ducati pei piloni archi e
170
panconate, senta contare altre spese, enormi del pa«
ri, che nel progcUo inLclesimo lasciansi in bianco;
mentre potrebbesi far ritornare con una somrqa di
gran lunga minore, e tenue in se stessa, a vita Tanti"
co, che da qualunque tato si consideri sarà sempre
superiore ad of^ui altro, per la sua geografica situazio-
ne, e per la sicurezza, la vastità, e l'utilità grandis-
sima, che può produrre alla provincia e al regno.
Ma, in ultima ragione, concedasi pure che, a cari-
co di questa, sorga in Gallipoli il porto, ciò però sia
dopo quello di Brindisi. Imperciocché la giustizia e
l'umanità allamente lo reclaujano; la gloria e la pro-
sperità dello stato lo vogliono. Quindi noi che in
Sicilia nascemmo, e che siamo lontani dalle di-
scordie e dalle pretensioni de' due popnli, che com-
battono insieme; gli uni colla trementla forza delle
loro ricchezze, gli altri colle flebili querele della nu-
da ragione (poiché abbandonali dagli uomini e dalla
natura), le voci secondiamo degl' infelici, alzando-
ci in loro difesa , colla dolce speranza , che la
luce della verità, che sfavilla, muova gli animi e
scuota le menti di coloro che possono, onde Brin-
disi non isparisca dalla faccia del mondo.
Ferdinando Malvica.
i\r^. — In alcuni esemplari del fascicolo passato
n. 2SS alla pag. 74 l'"* 3" nell'articolo del sig.
I^Ialvica, intorno i Fasti della Grecia del prof. Mez-
zanotte, dove si legge / fatti più eclatanti dee leg-
gersi i fatti più eminenti.
Nel fascicolo 30-21 alla pag. i38 nella traduzione
deir^^c/^/o del Bjron, fatta dal sig. Scalia, trascor-
sero pure due errori: il primo al verso iG'^ ove dice
si compiangermi dee dire il cor piagarmi; e al verso
33" ove si legge ai caldi dee leggersi se ai caldi.
EFFEMERIDI
SCIENTIFICHE E LETTERàRIE
PER
LA SICILIA
L067nÙz^6 1833
Memorie inedite dell' ab. Paolo Balsamo.
Memoria VII.
La Sicilia ha quella quantità di moneta che aver
può nelle presenti sue circostanze.
JLia natura tlell'uomo è tale, savi e cortesi uditori,
che con grave tlifilcoltà abbandonar può certi con-
cetti i quali, ancora clie falsi, come veri riccTette
nella infànzia, e come certi profondamente gli si
impressero in un lungo corso di anni. Non è fa-
cile di persuadere uno, che i colori , i quali egli
mira e vagheggia nell' arco baleno e nei nastri e
nelle stoffe, ne' corpi in cui li vede effettivamente
non siano ; e si richiede molta riflessione e una
robusta imaginazione per accordare al geografo, che
li
1^2
a quelli i quali vìvono nel nostro globo in un pun-
to opposto a quello in cui noi soggiorniamo sem-
hia che noi stiamo al di sotto di loro, ugualmente
che a noi pare ch'essi dimorino al di sotto di noi.
L' economia politica abbonda di sì fatti esempi ,
e maggiormente quella parte di essa che esamina
gli usi e l'imporlaiiza della moneta; tra' quali non
è il meno comune quello onde pressoché in tutti
i paesi il volgo spesso fermamente pensa e si la-
gna che vi sia scarsezza di denaro, quando che in
qualunque slato ne più ne meno ve ne può essere
di quello che necessità alla circolazione o commer-
cio delie sue produzioni. Il dimostrar la qual ve-
rità ed esporla ne' suoi più slrolti rapporti sarà il
tema del nostro breve ragionamento; mediante che
apparirà, ciancino pure gli sciocchi quanto voglia-
no, che in Sicilia vi è di presente quella copia di
moneta che avere e ritener può nelle presenti cir-
costanze di sua industria e reale ricchezza.
L'abito contratto e confermato di vederci ricchi,
quando di moneta abbondiamo, e all'incontro pò
veri, quando per mala ventura ne manchiamo, ci
ha fatto incautamente tirare una mal fondata ge-
neral conseguenza , cioè che la moneta costituisca
la publica ricchezza, e che nell'accrescere la me-
desima in tutti i possibili modi debbano le nazio-
ni adoperare ogni sforzo ed industria , e tutto il
loro studio collocare. Una tale credenza, che pre-
senta a' poco istruiti una seducente apparenza di
verità, è falsa, direi, in speculazione, e pericolosa
in pratica ; perciocché per uno di quegli strani
sbagli, cui va non di rado sottoposto l'umano in-
tendimento si prende in essa per causa effettiva
della vera nazionale ricchezza ciò che non e se
175
non effetto , e per essa può il principe dirigere e
sospingere i sudditi verso un oggetto che diretta-
mente conseguire non si può , e distoglierli e ri-
muoverli da quelli che si potrebbero ottenere e
operar potrebbero il ben essere loro e la potenza
e la grandezza di tutto il corpo politico.
Per ben comprendere e convincersi che 1' in-
cremento della moneta non è causa ma sequela
della ricchezza nazionale, basta considerare che gli
uomini allora chiamar si possano ricchi realmente e
felici, quando abbondano di que' generi li quali adat-
tati sono a sostener la vita, e a renderla comoda
e dilettevole. Uno che avesse un immenso tesoro
di oro e di argento, e mancasse di pane, di carni,
di pesci, e di vegetabili per alimentarsi sarebbe la
più miserabile creatura dell'universo; e quest'istesso
ricco appellar non si potrebbe, se possedendo pre-
ziosi metalli e di che vivere, non avesse poi on-
de imbandire una nutrichevole e dilicata tavola ,
abitare in una convenevole e adorna casa, ben ve-
stirsi , bere del vino, del caffè , della cioccolata,
intrattenersi piacevolmente cog^li amici e procac-
ciarsi e godere degli altri comodi e piaceri che
tutti conosciamo e desideriamo. Sono pertanto i
grani, li bestiami, l'erbe, le frutta, le tele, i pan-
ni, in somma le produzioni della terra e dell'arte
che ci sono o necessarie, o utili, o piacevoli, quelle
che formano e nelle quali consiste la verace nostra
ricchezza; tanto che ognuno si riputerebbe giunto
all'apice di questa, se fosse affatto privo di moneta
e al tempo istesso potesse delle anzidette derrate
e merci in copia disporre, e godere. Per la qual
cosa riputar si deve e giusta ed arguta la risposta
di Aoacarsi lo Scita, il quale interrogato in Grecia
174
di quello che a lui pareva del denaro, che veduto
non aveva mai nel suo paese, pronlamenle replicò
che altro di pregio non vi ravvisava se non quello
che sì fatti pezzi di metallo aiutar potevauo la
memoria nel numerare e calcolare.
Uopo è di più tener presente che le monete
non furono introdotte, ed altro uso non hanno nella
società se non di rappresentare , per convenzione,
le sopra specificate ])roduzioni e merci , onde ri-
sulla la reale ricchezza , e facilitar così li cambi
che fanno tra loro delle medesime i cittadini: di
iiianierachè se in loro cessasse colale accidentale
l'appresentanza, si spegnerebbe tutta la slima nella
quale si tengono e tutta l'avidità con la quale si
ricercano. In questo caso il iuro, come il piij utile
fra tutti i metalli, salirebbe in maggior riputazio-
ne che ora non l'oro e l'argento; e questi non piìi
varrebbero e si apprezzerebbero nel commercio ,
che le cose tutte di semplice ornato, di pompa o
di lusso. Il denaro adunque intanto si adopera e
vale, perchè esprime e misura il valore de' vive-
ri e de' nostri agi e de' piaceri nostri. E per tal
motivo ovunque nel X^'.l secolo approdava lo spa-
gnuolo nell'altro emisfero per distendere le sue ar-
dite e rapaci conquiste, la prima cosa onde s' in-
formava per estimarne la ricchezza e l'importanza
si era se quivi si rinvenivano miniere d'oro e d'ar-
gento ; e il figliuolo del làmoso Gengis Khan de'
Tartari non domandò mai a Plano Carpino amba-
sciador di Francia se mai di tali metalli era il suo
paese copioso, ma bensì se vi si trovavano de' be-
stiami in quantità. L'Europeo era sollecito ed avi-
do di oro e di argento, e il Tartaro di bestiami,
])crchc in Europa que' metalli, e in Tarlarla questi
animali rappresentavano e servivano di misura nel
valore di tutte quelle cose che sono al viver nostro
necessarie, e che cagion ci sono di comodo e di
diletto.
E evidente pertanto che quella nazione denomi-
nar si può veramente ed intrinsecamente ricca la
quale ha in copia de' sopra nominati prodotti e mer-
ci: cosi che se la stessa fosse intieramente priva
di preziosi metalli, non resterebbe per questo di
esser felice e potente; e solo soffrirebbero i citta-
dini l'inconveniente del molestissimo baratto di ge-
neri con generi, o l'altro di ricorrere ad un altro
rappresentante che fosse meno proprio ed oppor-
tuno it tal effetto, che l'oro e l'argento, de' quali
presentemente ci serviamo. Se ne rileva parimen-
ti che nel corso ordinario delle cose delle presenti
società qualunque siasi paese non può possedere e
conservare riè più uè meno di denari , che fanno
di bisogno per la circolazione ed il commercio del-
le produzioni deU'aiinuo travaglio ed industria dei
suoi abitanti. Dopoichè di qual uso ed importan-
za esser può ad una nazione un eccesso d'oro ed
argento monetato, che non può rappresentar gene-
ri, e servir non può al cambio che si fa de' ge-
neri stessi tra individuo e individuo? Vorrà però
ella comprare e procacciarsi si fatto inutile ecces-
so di metalli; e nel caso lo avrà, non trovandovi
oggetto e profitto, vorrà ella ammassarlo e ritener-
lo? Stimolata dal guadagno non sarà tentata e non
s'indurrà con eflctto a disfarsene, con esportarlo in
qualche altra contrada che ne abbisognerà , e dove
potrà rappresentare e derrate, e manifatture, ed og-
getti di più specie? L'argento e l'oro monetato,
dacché non può rappresenlare ed entrare nella cir-
176^
colazione si parifica all'oro e all'argento greggio,
e se si vuole a quello lavorato in cucchiaj , for-
chette, fibbie, piatii, scatole ec. e conciossiachè
in ogni stato di tali sopraffine e costevoli manifat-
ture non altra quantità domandare e ritener se ne
può se non quella piccola che vaglia per conten-
tare la fantasia, il fasto, l'orgoglio e sino ad un
certo punto il conriodo de' grandi e de' doviziosi;
l'istesso avvenir deve alla moneta, che non può in
esso derrate rappresentare : voglio dire , o questa
non v' entrerà', o entrata che vi sia se ne riterrà
qualche poco come merce di lusso da' più facul-
tosi , e il restante anderà via e troverà spaccio e
ricetto ne' mercati e paesi forestieri.
Ne questo che io affermo è puramente specula-
tivo o teorico. Tutte lì nazioni che hanno miniere
d' oro e d' argento tanto ne ritengono quanto fa e
si richiede per il cambio delle loro merci d'ogni
sorte; e il rimanente lo danno via e lo cambiano
con altre nazioni per derrate. La Spagna e il Por-
togallo sono stati sempre solleciti e tutti gli sforzi
lianno fatto per impedire l'uscita de' preziosi me-
talli che loro pervengono dalle colonie proprie di
America. Sono stali emanati a tal effetto severis-
simi editti ed ordinazioni; ma queste sono rima-
ste sempre vuote di effetto , perchè 1' oro e 1' ar-
gento che rappresentar merci non poteva negli an-
zidetti reami, doveva , buon grado o mal grado
le leggi , esportarsi per l'interesse sempre attivo
ed efficace de' particolari.
Per li medesimi 1' analoghi principi una nazio-
ne non può aver meno di moneta di che è ne-
cessario per la circolazione delle merci sue di ne-
cessità, di utilità, 0 di piacere. Perciocché basta
'77
che abbia da offerire .in cambio a quelle nazioni,
che oro ed argento possiedono e frumento, e vino,
e olio, e seta, e drappi, e pannilini, ed altre derrate
e manifatture, per acquistarne e possederne tanto
che si richiede per rappresentare pienamente ed
il commercio agevolare de' prodotti del suo an-
nuo travaglio ed industria. Il possessore delle mi-
niere non travaglia certo per avere e ritenere me-
talli, ma per procurarsi con essi e alimenti, e co-
modi, e diletti; perlochè quante volte voi di que-
sti gli asserite, egli non ricuserà giammai di darvi
in contracambio e oro, e argento, e bronzo, e rame.
E qui è da ricordarsi che la moneta necessaria per
rappresentare generi e facilitare il loro commer-
cio è molto meno in valore di tutti i generi in
circolazione in uno stato, e forse non ne costitui-
sce che la vigesima o la trentesima parte; e però
non è il massimo ne il più dilDGcile degli oggetti
per qualunque paese l'avere tanta moneta che ba-
sti per la distribuzione ed il cambio delle rispet-
tive produzioni , che per un reciproco vantaggio
sono astretti di fare tra loro i differenti cittadini.
Però se in uno stato , salvo incagli e ostacoli
e non calcolate piccole ed insignificanti quantità,
ne pili ne meno di moneta può restarvi ed entrarvi
di quella che seco porla la circolazione delle sue
produzioni, è fuor di ogni dubio che l'incremento
della moneta nazionale non è cagione ma effetto
dell'accrescimento della ricchezza. Questa vien for-
mata dalla copia delle necessarie ed utili derrate;
e colali derrate rappresentate sono dall.i moneta;
j)er la qual cosa ove quelle aumentino, uopo è che
questa aumenti similmcnle nella dovuta proporzio-
ne, ringliilterra ha tòrse presenlemenle il quadru-
178
j)lo di grani, di bestiami, di metalli, di legna, di
manifatture ec. che non aveva un secolo fa; deve
dunque ora avere il quadruplo di denaro che non
jiossedeva cento anni addietro. E se la Sicilia spin-
gesse per singoiar fortuna al doppio i prodotti del
suo territorio e generalmente della sua industria ,
farebbe senz'altro raddoppiare il suo numerario.
Donde ninno non vede che quel governo che ac-
crescer vuole la moneta degli stati suoi non ha altra
via che quella di accrescere le fatiche e l'industria
degli abitanti e generalmente le loro produzioni, e
che volendo senza di questo direttamente multi-
plicare i monetali metalli, con effetto non vi giun-
ge, perchè attirar non vi può, ne ritenervi quel
danaro che, simile alle così dette vassoUe d'oro e
d'argento, non ha che rappresentare. Nel f.ir che
poi non può con le migliori inlenzioiii del mondo
se non male cagionare, perchè trascura 1' agricol-
tura, le arti, e r interno commercio, che sono le
vere fonti di ricchezza, e tutta l'attenzione dispen-
sa in commercio esterno, in progetti , trattati', e
speculazioni , che hanno per iscopo quello iraagi-
nario ed impossibile dello accrescimento del denaro.
Voi con)picndcte da tutto questo, cortesi ed in-
telligenti uditori, che sono mal fondate, o più to-
sto ridicole le frequenti lagnanze del volgo sopra
la mancanza della moneta, e sopra l' impegno di
farne entrare negli stali in quantità , e la gelosia
di ritenerla. Una nazione che ha prodotti non può
giammai desiderare la necessaria moneta. In un
])aese né più, né meno può entrarvi e rimanervi
di oro e di argetilo di quello che serva alla rap-
presentanza e circolazione delle sue derrate. Se la
Sicilia di presente non abbonda di denaro, niegar
179
non si può clie tanto ne ha e ne ritiene quanto
può averne e ritenerne nelle sue presenti circostan-
ze rtlativaineule alle fatiche, all' industria ed alle
produzioni nazionali.
Della intelligenza della Divina Commedia inve-
stigazioni di C^RLo P^ECCJiJOxi I^ic epresidente
della Suprema Corte di Giustizia^ Commenda-
tore del Real Ordine di Francesco Primo par-
te 1 . volume 1 . Napoli dalla Stamperia e Car-
tiera del Jib reno largo S. Domenico maggiore
num. 3. i833. in 8. di pag. 2iy.
A veder l'alta e magnifica reputazione, che l'Ali-
ghieri gode a dì nostri, e preso da fervetitissimo
ardore per gli studi danteschi, fu stimolato ali'an-
zideUo lavoro il chiar. commendatore Cario Vec-
chioni, che or sì lodevolmente presiede a diriggere
il rjparlimento di Grazia e Giustizia del nostro
Ministero di Stalo. E in ciò ben si condusse , e
coiiSÌ£;liafaniente , imperciocché qualunque opera,
sull' argomento medesimo divisata , non sarà mai
per essere sazievole , con ispezialilà quante fiate ,
dilungandosi dalle frivolezze filologiche , s' interni
nel vero spirito di quel divino poeta, appalesando
più presto la nobiltà dell' ingegno di un dotto scrit-
tore!, siccome con tutta ragione possiamo franca-
mente asseverare di questa, che abbiamo alle ma-
ni, Sapea benissimo 1' illustre Autore l' entusia-
smo de' moderni per Dante , il quale , dopo che
Italia fu assonnata lunga pezza tra le baie , lon-
tana dallo studio degli ottimi scrittori italiani, più
che in alcun altro tempo è ritornalo in pregio ;
i8o
primamente per 1' opera dell* Alfieri del Varana
del Gozzi, e maggiormente poscia mercè le solle-»
citudiiii di Vincenzo Monti , che giammai seppe,
da se staccarlo insino che gli fu conceduto il vi-
gor della vita. A questo esempio , e dietro così
fatte valevolissime scorte, rimessisi gl'Italiani sulla
ottima via, posero l'animo studiosamente all' Ali-
ghieri. A lui oggi per lulla Italia s'innalzano mo-
numenti, s'intitolano e diriggono le rime de' poe-
ti , si consacrano i lavori di quanti recano calda
e sincera affezione a' buoni e lodati studi delle
lettere italiane. Le sue carte sono per molle belle
edizioni riprodotte, facendosi dei nuovi commenti
alla Divina Commedia ora per riguardo a' voca-
boli modi costrutti grammaticali, ed allo stile, ora
per la storia e per gii avvenimenti da lui toccati;
quando per le poetiche bellezze , quando per la
fòrza della eloquenza, non lasciando ne punto ne
poco l'allegorica e mistica significazione. A questi
nostri tempi si dc^vono principalmente le chiose del
Biagioli, del Lombardi, del Costa, del Foscolo, ed
oltre a mille altri lavori i pregiati volumi del mas-
simo Cesari , ove s' investiga il nerbo e i colori
poetici , la vigoria della eloquenza , la vivezza la
leggiadria delle immagini, e cento più altre minute
ragioni di bello< E tanto fèrvido andava il Cesari
per Dante, che ne fé' ritrarre l'immagme in una
casa villereccia di un suo nipote , ove costumava
ricrearsi qualche mese dell'anno, e ponendovi sotto
una breve iscrizione lo diede a divedere qual suo
maestro ed autore. In mezzo alle vetuste carie si
fruga sollecitamente a rinvenir vecchi conienti, e
a metterli in luce ; si rintracciano fra le tenebre
dei secoli passati le medaglie in opera di sua coni-
i8i
mendazione eà onore coniate. Ch' il crederebbe ?
gli amori di lui , e il ritratto della sua donna
Beatrice Porlitiari , di recente posto in lume, fu-
rono, e giustamente, subietto alle ricerche di quel
leggiadro ingegno del Missirini. E più di tutt' al-
tro non vale d'essere intralasciato Giulio Pertìcari,
il quale, dolce gentile sortendo l'animo, parimenti
che nobile 1' inlelletto, discorse prima le opinioni
e le dottrine dell'Alighieri, e quindi con maggior
possa, e con sacro e vero pietoso ufficio diede ma-
no alle virtù del cuore a levargli la troppa vitu-
perosa e ingiusta nota , per tanto tempo apposta-
gli, di maligno d'ingrato verso la patria, della quale
egli era veramente tenarissimo.
Ma senza andare più oltre intertenendomi ia
cose, che potrebbero spingermi lungi dall'argomen-
to , dico che a deliberato fine ho sposto innanzi
questo proemio per due ragioni , perchè di rim-
balzo riesce da tanto a far vedere con quale ac-
corgimento pose il pensiero il nostro Autore alla
elezione dell'assunto propostosi e che in olire non
è fuori proposito dirne qualche cosa , comechè
già sia passato più di un'anno, da che la sua ope-
ra fu fatta di universale diritto per le stampe na-
poletane. Questo primo volume pare che sia stato
destinato a premettere talune dottrine e ragguagli
acconci alla intelligenza della Divina Commedia,
che in seguito avrà luogo in altri volumi, che tutti
presi insieme daratmo fornito il lavoro. Io qui per
ora terrò dietro fil filo all' ordinato disegno delle
singolari idee, che il chiarissimo Autore ha dispo-
ste in questa prima parte del suo primo volume,
e sarò tanto breve quanto io stimo esser mestieri
a questo mio scritto , e a vedersi agevolmente ri-
avalli in poco i suoi concetti.
Con otlimo e sano giudizio s'avvisò priniaiuerite
tenere per fermo l' Alighieri la pila alta e nobile
cima nella eccellenza poetica, e nella patria favella
per la sua celebratissima Commedia sopra tult'al-
tre opere minori, della quale grandemente s'è gio-
vala la poesia, e la prosa italiana. Vide bene qual
diletto essa produce ne' leggitori tra per la favel-
la , e per la sustanza de' pensieri , con tutto che
ignota fosse ancora 1' origine 1' indole la significa-
zione de' vocaboli e modi , con tutto che mutata
fosse la condizione dei tempi delle circostanze po-
litiche, dei costumi, e d'ogni altra cosa apnarlenente
agli uomini in essa rappiesenlati., e uoji potendosi
per ullimo in alcun modo addentrare la piofondilà
delle dottrine l'arcano arliiizio poetico. Kavvisò in
somma quella quasi incredibile mescola nza di oscu-
rità , e di gradevole sentimi nto da essa partorita.
E per he mai non s'è ancora penetrato a fondo il
vero inlendimc-nlo di Danto? Ritrovò il nostro egre-
gio CoinmcnJato;e derivarsi la cagione di tanto
dal non essersi per punto indagato qual genere di
poesia usò nella Commedia , scostandosi di graa
lunga dagli altri suoi poetici componimenti. E ia
vero sapendosi questo, potria inferirsene la neces-
sità di un nuovo stile, di una nuova elocuzione, di
pensieri in somma vestiti di strane e figurate for-
me di linguaggio. A discoprire ciò animosamente
s' accinse ; né lo rattennero punto gì' inutili sforzi
di scrittori, comechè valorosi, nemmanco la voce
del Foscolo, che toglieva il conforto della speranza
a chiunque avesse desiderato un esito fortunoso nelle
sue investigazioni. L'inutile sentiero battuto dagli
altri spinse il nostio Autore a calcare una via
opposta e migliore. Quelli s' erano dati a chiosar
i83
qua e colà Sjjez/atamenle i vari luoghi dell'opera,
toiiobhe r altro eh' era mestieri della conoscenza
dell'intero disegno, a volere che poscia fosse stato
possibile passare alla intelligenza singolarmente delle
parti. Oltre a ciò ebbe accorgimento , che Dante
medesimo confessato avea, che i suoi pensieri era-
no ravvolti in un velame di strani versi , e che
il lingiiagf^io, che necessariamenle dovea essere dif-
fìcile e dubio anzi che no, fu li alto da quella fi-
losofia, ond'era ito a rifuggirsi per allej:i^iare l'aspra
jjuntuia del dolore sopì avventi togli alla morte della
sua Beatrice. Conscguenleiurnte a ciò facea d'uopo
entrare nell'interno pensiero di Dante per fermare
il vero senso di tanti oscurissimi luoghi, e discor-
rere l'antica letteratura, dsaminando quali dottrine
erano pervenute all'età sua, e che furono non solo
non disconosciute, anzi seguite da lui. Veramente
questo è un modo più agevole e più sicuro per
comj)render la Divina Commedia , perchè più da
presso ci facciamo all'autore, e perchè ravvicinan-
dosi le antiche dottrine e le sue , e vedendosene •
la conformità, promana più facile il senso ascoso
in quella opera. Per fatto il nostro Autore inve-
stigò una sapienza arcana e misteriosa, espressa in
un arcano linguaggio , che racchiudeva parimente
una significazione naturale ; che questa sapienza
ebbe nascimento in Egitto per opera dei sacerdo-
ti , e rimase occulta al popolo ; che in tal guisa
trascorse in Grecia, formò i poeti, e che conser-
vatasi insino a' tempi di Dante Petrarca e Boc-
caccio modellò le scritture loro. E più che la Di-
vina Commedia fu composta a guisa di una tele-
te , cioè come un' opera destinata alla iniziazione
a' misteri, e che Dante trasse molta parte del li-
i84
Lio seslo dell' Eneide , perchè Virgilio vi diffuse
alquante dottrine de' misteri degli Eleusi. La di-
mostrazione di tutto questo detto di sopra è l'as-
sunto divisato dall'Autore.
A provare che Dante nella sua divina Comme-
dia si dipartì dall'usato modo di poetare pone in
sodo , che nell' antichità era un genere di poesia
nominata per eccellenza; e durevole com'era avea
per iscopo principale un linguaggio particolare e
allegorico. Una cosifatla guisa di poesia, diversa
da quella degli altri, appellata fuggevole, fu cono-
sciuta|dal Dante, anzi imitata, e dopo dell'età sua
negletta e dimentica, ingenerò quella difforme va-
rietà di giudizi poetici, per Ip che oggidì si pre-
gia più la prima cantica, mentre Dante stesso re-
putavala da meno che Fa4tre due. E mi sia per-
messo di addurre qui una mia lagione delia esti-
mazione , che questi facea della sua seconda can-
tica, e più della terza sopra la prima. Dapoichè
essendo che 1' intera Commedia , secondo il sano
avviso dell'Autore, è un'opera d'iniziazione, e che
quanto più questa progredisce, tanto maggiormente
si avvicina a svelare le più alte verità della reli-
gione, viene in conseguenza, che più è importante
e copiosa di profonde dottrine la cantica del Pa-
radiso, meno la seconda del Purgatorio, destinata
alla purgazione, e quasi scema la prima dell' In-
ferno, ove si conosce non affatto perfettamente quel-
lo che prima era occulto.
Senza che si trasporta l'Autore a riandare i lon-
tanissimi tempi, e a dar lume ordinatamente alla
primitiva letteratura di Egitto. Per tanto piglia le
mosse dall' arcana sapienza , lasciata a custodirsi
dall'ordine de' sacerdoti , i quali doveano a bella
i85
posta ravvolgerla entro l'oscurlssimo velame della
favola, o annunziarla in altra guisa qualunque siasi
stata , da potersi soltanto travedere , serbandone
però l'arcano, e svelandolo gradatamente alle va-
rie classi degl'iniziati: per la cui varia condizione
sotto le medesime parole si ascondevano differen-
ti pensieri. I re ch'erano stati prima guerrieri go-
devano spezialissimo privilegio di poler essere mes-
si a parte di questa scienza , the probabilmente
avea riguardo a mille cose , e peculiarmente alle
teologiche, non potendosene a pieno ravvisare la
suslanza ascosa. La religione del popolo era pa-
rimenti enigmatica , e si partiva in popolare, ed
in arcana, che avea jiiù gradi : diffatli pochi ve-
niano ne' tempi alla celebrazione de' misteri, po-
chissimi avanzavano a' più alti gradi d' iniziazio-
ne. 11 discorso che involgeva artifiziosamente il vero
di necessità dovea regolarsi giusta le norme di una
peculiare gramatica. Erinenia addimandavasi l'ar-
te mistica della elocuzione; e questa elocuzione,
che da quell'arte producevasi, era notata col titolo
di sacro sermone. Siffatta misteriosa favella nacque
ne' primitivi tempi de' popoli, che mossi com'era-
no gagliardamente dagli oggetti sensibili , e scal-
data avendo la fantasia , non altro allora rinveni-
vano ad esprimere le loro idee, che le cose me-
desime: la qnale costumanza poscia rimase quan-
do furono colla forza della mente traportati alle
idee astratte e intellettuali. Il sacro sermone per
mezzo de' geroglifici dava assai varia significazio-
ne alle parole ; i simboli muti ponevansi in uso
per la rappresentanza delle cose con oggetti ma-
teriali, siccome le sfingi o altro che fosse stato; i
sacri scritti sotto la favola coprivano un senso dif-
i86
ferente di quello che pareva dal naturai valore
delle voci: e chi a questo arrestavasi potea essere
incollo agevolmente dalla superstizione dall'errore.
Il nostro eruditissimo Autore siegue quest'arca-
cana scienza', significata sotto arcano e simbolico
linguaggio in Grecia, nel cui suolo fu trapiantata
da Orfeo, Museo, Melampo, Dedalo, Omero, Pita-
gora, Eudosso, e quanl'altri Greci si condussero a
studiare in Egitto. Senza i simboli, costumati prin-
cipalmente da Pitagora e dagli scolari di lui , si
conoscevano in Grecia gli oracoli, i quali , essen-
do die l'Apollo di Delfo era couiuneinente appel-
lato Loxia (Xo|i«s) cioè oblitjuo, (.oiisistcvano nel-
l'uso variamente arlifizioso delle |jarolc. Dagli ora-
coli in altro non differivano 1 ìopx che nell'essere
gli uni documenti soiuminisirati di sua semplice
volontà dal nume, e gli altri que' schiarimenti che
per modo di risposta dava a lutti coloro, . the con-
sultato faveano intorno a qualche dubietà. Comu-
ne però era in essi lo scopo di adusare l'ingegno
a investigare sottilmente l'occulta verità. Le favo-
le, che del pari chiudevano delle gravi dottrine
furono di cinque sorti. Le teologiche riguardavano
la sola essenza degli dei, e si addicevano a' filoso-
fi ; le fisiche che consideravano le operazioni dei
numi nel mondo, e le pertinenti all'anima , die le
di lei operazioni significavano , erano proprie dei
poeti, quelle che appartenevano alla materia rap-
presentavano i corpi in sembianza di numi, le mi-
ste finalmente si costumavano nelle teleli. Somma
coscienza si faceano gli antichi a serbare eoa o^l»i
rispetto di religione segreti i misteri, non per l'e-
steriori solennità, ma per le dottrine , che conte-
nevano nella più interna significazione ad animae-
187
stramento degl' iniziati a gradi superiori : i qua-
li gradi ammettevano una triplice partizione ; il
primo era di coloro, che aveano posta giù la roz-
zezza de' profani, l'altro di quelli a' quali era con-
ceduto recar la fiaccola , ultimamente il terzo di
tutti coloro privilegiati a poter proQerire le paro-
le sacre. Aveano vigore in quel tempo fra' miste-
ri quelli di Bacco di Cibele , le feste liane rap-
presentanti il ritorno agli dei. Siffatta mistica sa-
pienza era espressa con allegorico linguaggio , il
quale dovendo restare sconosciuto a' profani pone-
vasi in uso molto variatamente: e perciò gl'inizia-
ti di Sicilia appellavansi trilingui per dare tre si-
gnificati alle loro parole.
Non si tien pago il eh. Autore di avere ragio-
nato della dottrina generale de' misteri, ma in se-
guito viene favellando singolarmente di quelli degli
Eleusi, sacrati a Cerere: e in bel modo rischia-
randoli, fa vedere , che questi iuformavansi sotto
la rappresentanza drammatica a voler significare
la vagazione della dea pel ratto della figliuola Pro-
serpina; che in essi slava ascosa, non già il dono
fatto agli uomini delle leggi per la coltivazione
del frumento, ma una mistica verità per le rego-
le date loro pel diritto sentiero della vita ; che
la Rettitudine la Mente e Cerere erano strettamen-
te collegate. Addimostra che le biade erano i se-
mi di ciò eh' è divino, ossia le leggi morali, e che
le dive eleusine si consideravano non altrimenti
che le morali virtù. Indi favella minutamente del
linguaggio arcano e dubioso de' poeti e filosofl an-
tichi, che senza espoisi apertamente ne' libri, suc-
cessivamente si tramandava a voce nel corso del
tempo da dotti ad altri, con insieme l'arcana loto
1 1
i88
scienza, clie traeva una sola e comune origine dal-
la vetusla sapienza d' Egitto. E se da molli luo-
ghi a bella posta recati gli fu agevole cavare qualche
cosa delie dottrine degli antichi poeti, fu di me-
stieri in quelle de' filosofi dimostrare , che talune
furono arcane, non potendosi queste in alcun mo-
do veder ottimamente separate dagli aperti am-
maestramenti Discorre in ultimo di quella ingegno-
sa e artifiziosissima elocuzione, e delle regole , spo-
uendo via via per saggio copioso numero di esem-
pli tolti all'Iliade ed all'Odissea di Omero , e al-
l'Eneide di Virgilio.
Fin qui giunge l'egregio commendatore Vecchio-
ni, ne io passerò più oltra per ora , a suo luogo
poi ragionerò del rimanente lavoro in quella guisa
che il dotto Autore verrà tratto trailo facendone
accettevolissimo dono alia dantesca lelleratura, i cui
fervidi collivalori sicuramei.lc gli sapranno speziai
grado e grazia, siccome a vero henemeiilo di Dan-
te. Senza fallo il riguardare un uomo di grande
affare, già inlornialo dalle gravi faccende legali, ed
or dall'alto incarico del ministero, ritrarsi ad ora
ad ora alle polite lettere, ed alla erudizione, e van-
taggiarne di molto gli studi, egli a dire il vero,
è cosa da muovere i più sinceri elogi di chi rive-
risce il buono, e prezza l'avanzamento della coltura
de' popoli. Sembrami tempo questo di doversi nel
nostro Autore commendare dovizioso patrimonio di
eletta e peregrina erudizione, con giudizio cavata
ai vari luoghi antichi ottimi sicur, e fatta tornare
iu concio a schiarire quel che si vuole nò più né
meno. Quanta lettura di opere, quanto senno nella
dilucidazione delle opinioni, e degli esempli degli
scrittori! Per amor di brevità non mi è slato per-
messo di allargarmi su tal proposito , come pari-
menti ho passato sotto silenzio que' luoghi, ove ci
si fa assapere eoa chiare ripruove, che Dante sep-
pe, e imitò molte cose di quell'arcana e simbolica
scienza. E vero che ciò sarebbe il priucipal su-
bielto, che con accorgimento ha in iscopo l'opera,
di cui fo parola, ma io slimai non dovere essere
altro se non ben fatto lasciar da parte cose che
sicurissimamente ci tornerebbono dinanzi, qualora
sarà tempo debito ad esaminare quali antiche dot-
trine seguì l'Alighieri. Per ora questo che ho detto
imperfettamente dell' opera del nostro eh. Autore
valga a metter vaghezza in cnore agli studiosi e
a solleticar loro l'appetito di anelar da se stessi a
leggerla; e a scorgerne a pieno i concetti e le di-
mostrazioni. Se con questo modo si possa giugne-
re a veder chiaro l'inlendimenlo dell' Alighieri in
tutte le singole parli della Divina Commedia io
non dico, ma chi mai non porta fermissima cre-
denza, che il nostro Autore non fu spinto a met-
ter mano al suo lavoro se non dopo averne piià volle
iteralo il saggio? Laonde dobbiamo noi lodare l'aver
egli il primo dato corpo a cose da nessuno altro
avvisale, e che potrebbero per avventura sembrar
strane al fine, a cui si vogliono far valere. A ri-
guardare oltre a ciò la favella e lo stile ben si po-
tranno ravvisare puri e propri vocaboli , forbiti
e semplici modi , schiellezza nel porgere e nel •
1' accoppiare i suoi coucelli , non poca copia nel
discorso : finalmente si vede iu lutto che usa di
quella sobrietà e franchezza che abbaslaiiza pale-
sano la bontà vera dello scrittore. Tulli questi
suoi meriti preclari ci muovono a far voli, perchè
ci sia dato di vedere al più presto illustrata in una
COSÌ nuova e bella guisa la Divina Commedia, stu-
pendo e maraviglioso monumento avuto riguardo
alla eccellenza propria e reale, e alla condizione del
tempo del suo nascimento, in cui la letteratura i-
taliana appena toglieva a slegarsi da que' tanti vi-
luppi, che tenuta 1' aveauo tenacemente inceppata.
Bernardo Serio
Storia della Epidemia petecchiale avvenuta in
jilcamo nell'anno iS^g J/ Giuseppe Lombardo
GiAcx-LONE^ recitata nelCjJccademia della Civet-
ta di Trapani — Trapani presso la società
Tipograjìca 1882 in ó'." pag. 4^-
Le febbri clic di reccnle lian serpeggialo in va-
rie regioni della nostra Isolii hati fermala l'alteii-
zione di tutti i medici: essi Lan ceicalo conoscer-
ne l'indole, e adattarvi il njtlodo curativo, e quan-
tunque nello studio dell' indole non sempre felici
sieno state le loro lucubrazioni, pure grande gio-
vamento ne ban ricavato pel metodo curativo, per-
clic fattisi accorti, nell' incertezza delle cosi;, alla
natura si sono alla perfine fidati. Taluni medici
poi ban voluto consegnare alle slampe i loro pen-
sieri , ed i risullamenli delle loro esperienze , e
benché sotto diversi nomi pure la medesima ma-
lattia han dcscrillo. Tra gli altri il dott. Azzoli-
ni sulla febbre epidemica regnata in Partinico ìiel
.iS^g, e i83oj il doli. Lombardo medico trapanese
sùila" Epidemia petecchiale avvenuta in Jlcamo
nel iSag ed in quest'anno il dott. Domenico Greco
sulle febbri Tifoidee regnanti in Trapani(^i)^ il
tlolt. La Russa sulle febbri gastro -nervose domi-
nanti nelle prigioni di Palermo^ ed in molti luoghi
della Sicilia^ ed il dolt. Cocco sulle febbri svilup-
pate in Messina (2).
Ma lo scritlo, che ora forma l'oggello delle no-
stre osservazioni è quello del citato dott. Lombar-
do distintissimo medico trapanese. Esso nel 1829
venne dall'Intendente di quella valle spedito in Al-
camo, onde conoscere 1' indole della malattia ivi
allor regnante , e suggerire gli opportuni ripari.
Compiuta la sua missione, credè giusto di compi-
lare la storia di quella malattia , la quale egli
diede alla luce nel i833. Appena lessi il nome
dell'autore, in suo favore mi prevenni, perchè chia-
rissimo egli è pelle sue dottrine mediche , e let-
terarie. Ben mi rammento infatti di avere nel 4- ^
n.° del Giornale Sic di scienze mediche parlato
con qualche elogio di una sua memoria ch'egli assie-
me al chimico trapanese Adragna-Fiorentino pub-
blicato aveva nel i83o saWe acque termali di Se-
gesta. Ne fallilo andai nel mio giudizio, dappoi-
ché, tranne d'una certa miauzia di stile poetico, e
una ricercatezza di termini, somma erudizione poi,
profonda dottrina, acuti concetti, ed esatte descri-
(1) V. la Nola alla Ji ne dì quest' articolo a pag- lyS.
(a) Ci viene appunto per le inani una Stona rugionala delle
febbri regnate in Ptdermo nel i833 compilata da liiuseppc Pi-
doae da Nicosia. Non possiamo peiò non rimproverate questo
giovane, il quale, giunto or di recente a Palermo, ha cieJuto ri-
chiamare su di sé la comune attenzione , contaminando con al-
cuni suoi SCI itti il decoro dei più riputati Professori della capi
tale. Co'nsigliaroo dunciue il
"mutar sentiero, dirigendoli al bene della umanità, uiuco sco-
po cui inii'aoo le anime benfatte.
192
zioni si trovano nella monografia del dot. Lombardo.
Nella introduzione l'A. saggiamente sostiene, cbe
neir esercizio dell' arie salutare non giova la sola
scorta della propria esperienza, ma fa d' uopo farsi
ricchi delle osservazioni e dei precetti dei primi,
e profondi scrutatori della natura.
Il primo capitolo è consecralo alla Topografia
di j4lcamo e sua natura fsico- medicinale. L'aria
di quella città è ottima, e fertili uc sono le cam-
pagne; ma tali vantaggi secondo l'A. vengono al-
terati da certe inveterate usanze dei suoi abitato-
ri, e dalle infelici circostanze dei tempi.
Il secondo capitolo è destinato a far conoscere
la Costituzione atnwsjerica^ causa dell'Epidemia^
e loro modo di azione. La principale tra le cau-
.se fu per l'Aul. un' arcana condizione atmosferica
esistente in Alcamo . e fors' anche in gran parte
della Sicilia , per cui le malattie prendevano un
deciso carattere flogistico. Espone in seguito il pa-
rere di certi scrittori, i quali ammettono l'influen-
za degli astri sull' atmosfera , e quindi sulle ma-
lattie. Fa parola della grandissima irregolarità dei
venti, che nel 1828, e 29 tortiicnlarono quella cit-
tà , parla finalmente delia miseria , della inedia ,
del freddo umido, delle passioni afflittive, dell'esa-
lazioni di sostanze animali e vegetabili in putre-
fazione.
Nel terzo capitolo si legge la descrizione della
malattia. UÀ. si assicurò, che simile alla petec-
chiale di Palermo, quella di Alcamo mostrava ca-
ratteri infiammatori ; dietro tale avvertenza , egli
ne dà un'esatta, e minuta descrizione, che in ve-
rità molto si avvicina a quella data dagli Autori,
se non che a me pare , che quei pertinaci dolori
I
alla forcella dello stomaco, alla regione del fegato,
agl'ippocondri , alle membra a seguo da simulare
un'acuto reumatismo non vennero costantemente
notati dagli altri medici siciliani, taluni dcù quali
il cervello dicevan esser la sede di tali dolori, tali
altri il torace , pochi altri finalmente parlarono
anche di leggieri dolori all' addome. Pare da ciò
potersi inferire o che i medici credono vedere i
prevalenti sintomi là dove per le preconcepite teo-
rie vogliono ch'esistano, o che nelle varie regioni,
e stagioni vari sieno stati i sintomi prevalenti , o
finalmente che nel medesimo paese, nella medesi-
ma stagione non tutti gl'infermi, e non in tutti gli
stadi della malattia identici e permanenti sieno
stati i sintomi.
Nel quarto capitolo viene esposta V indole della
malattia^ e suo metodo curativo. L'A.. in esso,
siccome in tutta la monografia, fa grand'onore al
genio dei medici italiani; cosa assai rara fra la gran
parte dei medici siciliani , i quali piti versati si
mostrano nella francese, che nella italiana lettera-
tura medica. Uno era il sentiero , dice 1' A. che
guidava alla salvezza, il metodo antiflogistico leg-
germeate evacuante, e revulsivo Pochi furono i
casi, in cui fu richiesta la flebotomia, nel piiì di
essi , i salassi capillari, i purgativi zuccherini , o
tratti dai sali neutri, le bevande acidole e fredde,
il siero di latte , talvolta 1' idrogala , ed i succhi
d' erbe fresche , i bagni generali , le fomentazioni
ammollienti, gli apotemi ec. formarono la serie de-
gli adoperati rimedi L'emetico riuscì nocivo, non
così però la soluzione del tartaro stibialo in quan-
tità suflìciente d'acqua. Qualche medico sperimentò
i rimedi eccilauli ed a preferenza la canfora non
194
senza alcun vantaggio, il che , parendo contrarlo
a quanto sopra ha detto, viene da lui con grandi
sforzi spiegato mercè l'antagonismo vitale, ossia re-
vulsione — Ninno nega questo vitale antagonismo,
anzi moltissimo giuoco io lio sempre creduto, che
faccia nei fenomeni fisio-j atologici ; ma nel caso
delle febbri in discorso, io son di parere, che ne-
gli ultimi stadi della malattia, per l'inedia, pel
corso naturale del male, e per gli adoprati rimedi
deprimenti , cedendo il treno dei sintomi infiam-
niatorì, e succedendo un'abbattimento universale,
ed un predominio al sistema nervoso così bisogna
metter da parte ogni furor di sistema, ed ogni spe-
ciosa spiegazione; mutar la cura, e ricorrere a quei
medicamenti, che dai nostri padri vennero coman-
dati come utili, e che per giornaliera esperienza,
anziché nocivi come miracolosi si sono ricono-
sciuti.
Tornando all' argomento egli dichiara conta-
giosa la petecchia , supjionendo , che il contagio
sia un quid materiale, il quale con parlicolar pro-
cesso, di natura sconosciuta , assimila a se alcuni
umori, e tali cangiamonli !or ìIj subire, da dive-
nire unica sostanza con esso; jiei' cui egli vorreb-
be, che doppia dovesse essere l'indicazione, di vin-
cere cioè i turbamenti avvenuti ncjle varie fun-
zioni, e di attaccare direttamente questo quid, os-
sia il cotitagio petecchiale, ma sgraziatamente man-
cando la terapia di medicamenti antipetecchiali, si
ricorse agli acidi minerali. Col sopradelto metodo
di cura di mille, che la morte aveva fatto segno
ai suoi dardi, pocliissimi soggiacqueio al loro fato;
e gli altri tutti salvi uscian così presto da quello
asilo sacro all'umanità soflèreute (1' ospedale) come
19?
se toccati dalla mano santissima dell' Angelo di
Bethsaida. Son queste l'enfatiche parole con cui
l'A. conchiude il quarlo capitolo.
Nel quinto espone i prowediinentl igienici , e
di pubblica profilassi. Dà quindi la storia della
petecchia facondo grandissimi conati onde pro-
vare , che gli antichi ed i moderni 1' han credu-
ta contagiosa. Ma di grazia , sig. Lombardo , di
quale petecchia , di quale contagio tifoideo parla-
vano gli antichi e pailano i moderni? La petec-
chia da voi osservata fu di certo identica a quella
desciiUaci da colesti autori ? È la petecchia che
forma la inalallia , avvero è dessa un sintomo di
varie ., e differentissime malattie? E' essa sempre
sintomo funesto, ovveio potrà anche presentarsi in
affezioni leggerissime, e non febbrili? Quante volte
di fatti una medesima malattia potrà in certi paesi
regnare epidemica, in altri endemica, in altri con-
tagiosa, in altri finalmente sporadica? La dissente-
ria p. e. l'oftalmia spesso epidemiche si manifesta-
no o sporadiche nei nostri paesi , si riputeranno
dunque contagiose, perchè talvolta contagiose hati
regnato in Affrica, ed in certi paesi d'Europa?
11 sig. Lombardo sostiene, che non può esistere
contagio petecchiale spontaneo , ma eh' esso viene
sempre trasportato. Ma da qual paese venne ad
Alcamo trasportato? Qual'è in Sicilia il serbalojo,
o seraenzajo da cui tale contagio emana ? Quali
sono le prove che in Alcamo sia stato tale morbo
recalo, e non già nato spontaneo? L'A. parla di
autorità d'illustri scrittori, parla di fatti notati da-
gli ottimi medici alcamesi (senza riferirli) e crede
così aver motivo a sostenere quella malattia essere
slata d' indole altaccaticcia. JNon nego eh' essa in
certi casi possa divenire attaccaticcia, ma quali so-
no i fatti su cui si fonda il concetto del trasporto
di tale contagio? Nella mancanza, o dubbiezza di
fatti certi, ed inconcussi, perchè ricorrere all'ipo-
tesi del trasporlo, e non credere, che la malattia
abbia avuto origine là ove nacque, là ove le cir
costanze topografiche, e l'arcana costituzione atmo-
sferica concorsero allo sviluppo di essa? Negli spe-
dali, nelle carceri, nelle navi, nei campi chi tra-
sporta quella malattia attaccaticcia , chi; nosoco-
miale carcerale ec. si chiama? Il cel. Diipuytreu
La per statistica esperienza conosciuto, che nelle
sue sale la sedicente malattia attaccaticcia si svi-
luppava tutte le volle che la quantità dei letti sor-
passava un dato nuuìero , e che scemato 1' esube-
rante numero cessava la mahiUia. Ma l'A . rispon-
de, che la morale non può coìiiportare, che si tra-
scurino quelle misure di previdenza, che possono
garenlire da qualche infortunio la salute pubblica.
Quando però si parla di morale, e di salute pub-
bhca allora m; taccio, e lascio da parte ogni ragio-
namento.
A sempre piij dimostrare l'indole contagiosa fa
una patetica descrizione degli ultimi istanti del
medico Nicolò d' A tuia barbaramente nel fior de-
gli anni rajiito da quella malattia, e finisce la di-
sgressione con una poetica apostrofe diretta ai ma-
ni dell'estinto suo amico , augurandosi che quello
spirito beato com[)ianga dal seggio eterno della
verità le umane fralezze.
E ben ei disse , dappoicchè bastano a provare
tali fralezze nmane le tante descrizioni , che tiii-
gliaja di medici han fatto delia j)elccchia, nell'in-
dole e nella cura della quale niuao è stalo ana-
logo all'altro.
J97
Ma tornando l'A. a parlare del contagio petec-
chiale sostiene, che tutte le cause da lui sovra espo-
ste non bastano da se sole a generare la febbre
petecchiale là dove non esisle il contagio, ma che
una volta introdotto questo, esse rendono gli u-
niani corpi più atti a risentirne l'influenza. Ma se
la vera causa è quel quid sui generis^ perchè l'A.
ha impiegato la metà della sua memoria a cele-
brare quali cause la natura del suolo , le vicende
atmosferiche, l'influenza degli astri, i venti, le pu-
tride emanazioni, la miseria, l'inedia ec? Bastava
di certo eh' egli pailasse della vera unica essen-
ziale indispensabile cagione, voglio dire di quel
supposto trasporlo di contagio. Mette fine col-
l'esporre le adoprale misure sanitarie, la nettezza
cioè nelle case e nei vestiti, ì bagni, il cibo nu-
tritivo, i mezzi disinfettanti ec.
Conchiudo quindi, che in questo dotto travaglio,
il sig. Lombardo ha mostralo somma perizia nel
trattar la materia; e se qualche sua ipotesi dalla
mia maniera di vedere si discosta e fu da me
rifiutata, non rechi ciò sorpresa, dappoiché egli è
certo, che anche dagli altri verranno e le mie ipo-
tesi, e le mie objezioni rifiutate , il che avviene ,
e lo ripeto, perchè, per la natura e la fralezza uma-
na, uiuno nei suoi concetti trovasi d' accordo con
quei degli altri. Stabilisco quindi, che ciascun uo-
mo ha formato i suoi giudizi, o per meglio dire,
i suoi pregiudizi.
j^NTONiNO Greco
igS
MOTA
Credo giusto far conoscere al Pubblico alcune brevi noti-
zia slalisLicbc sulle lualultie regnate iu Trapani nel iS33 desun-
te da alcuni stati sinottici presentati all'Intendenza di quella valle.
Dal i5 Aprile a tutto Settembre i833 furono aninicssi negli
Spedali y63 aiiinialati, di cui mi par bene l'escluilei ne 34 perchè,
attaccali da febbre consuntiva, tutti morir ouo. Gli amni^lati dun-
que possono distinguersi in due categorie , quelli cioè effetti da
Vera febbic tifoidea , e quelli da febbri gastricbe, e da terzane.
Prospetto del moi'iinenlo accaduto nei 168 giorni
FIÌBBRI TIFOIDEE
Guariti.
Morti...
Ammessi
209
25
234
121
191
33o
44
1401 374
ALTRE FEBBRI
Guariti
Morti...
AniuiC89Ì
"e
a
0
374
3
277
0
Q
288
288
5G2
3
565
Dalle quali tavole si deduce
I." Che nelle febbri tifo dee i morti furono agli ammessi in
ragione di 1 1 :^
100.
2.° Che in esse il numero delle donne fu di molto inferiore
a quello degli uomini.
3.° Che nelle altre malattie all' incontro non fuvvi quasi al-
cuii morto.
4." Chi; il numero delle donne in queste fu supcriore a quello
de«li uomini.
Un'osservazione inteiessantissima risulta dai sudetti stati cioè
che di 36 tifici , i quali vennero presi da epistassi, niuno mori.
Finalmente da essi si rileva, che il maggior Dumeto degli am-
messi fu dai 5 ai 4> ^nni e massime dagli 11 ai 20.
In quanto poi ai risultamenti statistici degl'infermi curati in
proprio domicilio non si è potuto trarre un calcolo esalto; ma
approssimativamente si è potiiro dcsumeie, che dal 1." Marzo a
tutto Settembie i833 gli ambiala li pervennero a 2000 di cui mo-
rirono 3oo circa, da ciò risulla i morti essere stati in ragione
di _L_ mentre, come sopra si è veduto,, i tifici curali ucgli spc-
100
dali non diedero, che 11 ^ di morti.
Jnt. G.
'99
Memoria sulle antichità agrigentine di Niccolo
PALMER! con una lettera sugi' Ipogei di Gir-
genti di LiONARDo Vigo, (^Continuazione^ vedi
fase. 23 pag. i53 e seq.)
Le Greche colonie, die nioltij)IicJ, e varie passa-
rono in Sicilia, e qui ftcero dui evole stanza reca-
ronvi insieme i ]noj)ii dei , e il cullo ne slabili-
roiio .nelle cillà da esse fondale, o ingrandite dopo
d'averle tolte a' loro precedenti occupalori. Quindi
noi vegliamo molte divinità non altrimenti appel-
lale in quest' isola, che con le pjirlicolari denomi-
nazioni, che aveano nella madre Grecia.
Il eli. sig. Palmeri rammenta sulla sponda della
rupe Alenea in Agrigento il tem[io di Giovo Ata-
Lirio, sovra nnome dato al padre de' numi da' Rodj,
perocché fu egli veiicrato nella loro isola, che j4ta~
bjria vuoisi da Slrabone essere slata anticamente
chiamata (i). In quella a lui scorgeasi eretto sul
monte Alabiro un sontuoso delubro, il quale avea
per ornamento alcuni arieti di bronzo, che la po-
polar credenza facea supporre, che belassero, allor-
ché quegli abitanti eran minacciati da qualche scia-
gura. Del 'tempio agrigentino consacrato a quel nu-
me ci dice il nostro autore, che non potè scorgere
altro, che la pianta in parte coperta da poca terra,
e nella sottoposta pendice i massi sgominati^ che
un dì lo Jormavano. Ivi era ancora il tempio
di Minerva sulla vetta del monte , e quello di
Proserpina , con gli avanzi del quale fu costruita
la chiesa di S. Biagio; ma di essi fa il Palmeri
(!) Uh. .4.
300
appena im cenno di volo in altra parte dell'opera
sua, forse perchè nulla presentavano i pochi resti
alle sue dotte osservazioni. Il Politi congettura
che il tempio di Proserpina esser dovea edificato
senza peristilio^ a cella soltanto^ col pronao dal^
la parte d' oriente , con gli anti agli angoli , e
forse in mezzo ^ due colonne isolate^ che pia non
esistono^ e soggiunge, che la cella è lunga pal-
mi yg. 6, olire il prolungamento del pronao di
palmi 24i e larga palmi 4^ (i).
Giove, che con la denominazione de' Rodj era
adorato in Agrigento, venia similmente colà vene-
ralo con l'altra di Olimpio de' Pisani in Grecia.
Gli avanzi del tempio, che ammonticchiati vi si scor-
gono tuttavia, meritano una particolare attenzione;
essendo quell'edificio forse tra i più grandiosi, e ma-
gnifici, che avesse potuto vantar l'antichità, e del
quale tanti insigni archeologhi, ed artisti si sono
occupali. Il P. Pancrazì nel descriver le antichità
di Sicilia ne fé' un piccol cenno , non potendone
allora neppure scorger la pianta; ch'anzi appena dai
un triglifo argomentar gli fu dato di esser di or-
dine dorico. Lo scozzese sig. Robelto Wylne cre-
dette bensì di misurarla a suo modo, come fatto a-
vea di tutte le parti del tempio della Concordia ,
e su queste dimenzioni foggiò indi le sue osserva-
zioni il rinnomato Winkelmann, (2) nelle quali
(i) Guida di Girgenti ivi stampata per li Pomi nel i8a6 p. 1 1 .
(2) Vedi storia dell'arte ec. — Roma lem. 3 per Pagliarini
1384 pag. 109.
Fra le altre cose, che sostiene il Winteiriiann, avvi che il no-
stro tempio della Concordia sia senza dubbio dei più antichi edi-
Jicj che vi siano al mondo. Quel valentuomo, ehe non fu mai
in Sicilia, stando solo alle relazioni del Wyltic, seyui una tale
opinione, indottovi dalle troppo severe jiroporzioni di quel lem-
pio, proprie del più aatico dorico della Grecia. Ma se egli ayeie
201
puossi ammirare il suo vasto sapere nell' arie ar-
cliitcllonica , e riprovar quello spirito di sistema
predominante in tutte le opere sue di cui è stato
sovente censurato da' suoi slessi nazionali, e prin-
cipalmente dal dottissimo Heine.
Con miglior successo vi rivolse le sue investi-
gazioni il celebre marchese Giacomo Giuseppe
Hans , che come j)alermitano riguardar puossi
dopo una lunghissima dimora in questa ciKà al
osservato, che tutti gli altri edifizi di quell'ordine, innalzati in
Sicilia, alcuni de' quali iiicontraslabilinenle de' secoli posteriori
fino al iem|>o primitivo in cui fu dominata da' Romani , hanno
più , o meno severe proporzioni ne avrebbe dedotto, come bau
fallo lutti gli artisti, e intelligenti amatori, che li hanno osser-
valo co' pioprj occhi, che il dorico ebbe a]ipo noi un cdrallere
tutlo propiio da formare un' eccezione a quello della Grecia.
Giova intanto qui avvertire in conferma di quanto disòi pre-
cedenttmtnle, che la Concordia nello stretto senso della sua vo-
ce è divinità di origine Homana; diversa dall'O ptóvia ''*^ Greci.
Essa presedeva alla pacificazione de' cittadini, degli eserciti par-
teggiami , o di nazioni nciiiirhc ; laonde il dittatore Furio Ca-
millo le innalzò un soiiluoso tempio in Roma dopo di aver rista-
bilita la tranquillila della plebe tumultuante. L'inibleina consueto
che reca nelle monete il dimostra abbastanza; scorgendosi in esse
o un fascio di verghe, che stanno per iscioglicrsi , o due mani
che riunite «oslengono un' insegna militare. 1 Romani non tras«
sero certo questa divinità da' Greci, nel quale caso ne avrebbero
ritentilo la denominazione oricinaria, come fecero per le altre di
cui adottarono il culto. La greca diva O'uOVIJt. C"'>'fo'"'i^''à di
pensieri) eh' è siala da alcuni inavvedutamente confusa con la
Concordia de' Romani fu proclamala dagli Argonauti dopo ehc
sì strinsero in alleanza col giuramento di difendersi vicendevol-
mente nell'impresa della conquista del vello d'oro. Da ciò si ar-
gomenta, che presiedeva alla lealtà delle federazioni di persone
riunite da unanime divisamento; laddove la Concordia de" Romani
era invocata per ristabilir la civile, o militar tranquillità , di-
sturbata da' partili. Egli è vero che per mancanza di voce latina
che corrispondesse esattamenle alla greca O'uo'viOl ' ''"^'lutlori
hanno adoperalo quella prossima di Concordia, ciò non pertanto
le due divinità devonsi considerar come distinte, e di origine,
e attribuzioni diverse. Laonde han fatto bene Carlo Stefano , il
Lcmpricre, il Noel ne' loro dotti dizionarj a riconoscer la Concor-
dia come Romaua divinità, non derivala dall'O'adyfa ^* Greci.
servizio della R. Corte, e dopo d'essere stato pro-
clamato nostro concittadino dal consesso decurio-
naie. Egli si recò in Gergeuti nel i8or, e preso
da onorevole disdegno di scorgere trascurati que'
venerandi ruderi colossali , e ammonticchiali ia
guisa da covrire intieramente la pianta del tempio,
jfè opera con Monsig-. Alfonso Airoldi, allora cap-
pellano maggiore, e intcìulenle delle sicole antichità
in vai di Mazzara, e con S. M. Ferdinando IV.
perchè fosse sgombrata a fine di poterne studiare
il primitivo elemento architettonico. E dato co-
minciamento all' impresa nel 1802 sotto la sor-
veglianza, e direzione del sig. Giusepjìe Lo Presti,
ragguardevole letterato gergeiitiu'), la fé' condurre
a compimento per quel che si poteva con gli scarsi
mezzi adoperativi. Non guari anni dipoi a suggeri-
mento dello anzidetto Monsi». Airoldi scrisse e"li
una dotta operetta sul nostro tempio Agrigentino, e
statuì un paragone con l'altro consacrato allo stesso
Dio Olimpio in Pisa dell'antica Grecia. Varie sco-
verte vi si sono fatte posteriormente : ma quanto
allora ne disse quegl'insigne archeologo, a meno di
alcune opinioni, eh* esser potrebbero contrastabili,
ma da non potersi forse diffinire , ha servito di
lume a tutti gli scrittori, che gli han tenuto dietro.
Il nostro sig. Palmer! , gentile com'egli è, non
lascia su questo riguardo di rendergli la debita lode,
non ostante, che in alcune opinioni venga a contrasto
con esso lui. Finche la pianta del tempio non fu in
parte sgombrata le misure, che lasciato ci avea Dio-
doro Siculo, SI di essa, che delle altre parti di quel-
l'edificio offrir doveano una guida agli amatori della
veneranda antichità, ed agli architetti; ma costoro
ben tosto si accorsero , che in quella che riguar-
ao3
dava la larghezza era corso al cerio uno sbaglio
per colpa dello amanuense: giacché, dicendo Dio-
doro, che il tempio era lungo i4o piedi, e 60 largo,
non ritrovavano una conveniente proporzione tra que-
ste due misure. Però resa alquanto visibile la pianta
non son cessate le disparità di opinioni tra tutti quelli
che l'han misurato; comechè siesi stabilito di certo
Terrore nel testo del siciliano istorico circa la lar-
ghezza. Il march. Haus fé misurar la pianta dal
sig. Lo Presti, e da un matematico palermitano, e
presentando i risultamenti delle loro dimenzioni ta-
lune varietà, credè conciliarle con la differenza del
palmo agrigentino, e di quello della capitale. Ma il
uoslro Palmeri giustamente riflette, che, fattane la
debita riduzione, recar non potevano siffatta diver-
sità. £ noi opiniamo sul proposito, che trattandosi
di dimenzioni architettoniche , la differenza indi-
cata nascer può unicamente dalla diversità di prin-
cipi , che si stabiliscono circa a' punti da cui si
tolgon le misure. Quindi crediamo sopra tutte pre-
ferir quelle lasciateci da due valorosi architetti
inglesi sig. Guglielmo Harris, e Samuele Angeli,
che, per quanto ci è stato riferito, per lungo tem-
po studiarono quei, ed altri venerandi ruderi sici-
liani. Il sig. Palmeri ce le ha date ridotte dal
pipde inglese al palmo palermitano, e sono del te-
nor seguente : cioè dal più alto grado dello silla-
bata, largezza Z5g piedi, e 8 pollici, (palmi 424*
10. 3. 5.) larghezza 178 piedi, e 11 pollici (pal-
mi 2o5. 5. 3. 5.)
Non contento il nostro autore delle dimenzioni
lasciateci da un altro architetto inglese piir nome
Cockerell; perchè le credette inconciliabili co' prin-
cipi dall'arte, fa osservare, che siccome, secondo Tan-
ia
204
zidctto aiiisla il diamclro delle colonne risulla a i3
piedi, COSI la loro altezza verrebbe ad ecceder ap-
pena 4 diametri, e 5, e come il cornicione , se-
condo lo stesso, è di piedi 9.6. 8. | così sarebbe stato
poco men della colonna, e ne concbiude che non
sia presumibile^ che tali proporzioni abbia avuto
un tempio eretto nel secol d'oro delle greche arti.
Però si persuade, che le dette colonne non abbiano
avuto meno di cinque diametri di altezza , argo-
meiilando ciò da quelle degli altri tempi , che si
possono al presente misurare , e debbono riferirsi
ad età non mollo fra loro discoste. Il marchese
Haus non polerìdo, nello stalo in cui era il tem-
pio allor che dettò l' opera sua , cavarne altre di-
menzioni, che quelle della pianta, si attiene a ciò
che ne scrisse Diodoro, così esprimendosi: il pe-
rimetro delle ìnezze colonne , riferito dal nostro
istorico è di 20 piedi greci , e siccome tutta la
periferia sarebbe di piedi 4o-, ne siegue, che il dia-
metro è di piedi 12 e sei ventiduesimi^ che cor-
rispondono a i5p 10°. 6^2 i4-^ Egli fa inoltre os-
servare, che quanto alla elevazione dell'edificio non
polendo più noi misurarla per esser tulle le sue
membra rovesciate, e in una inestricabile confusio*
ne, convieii giovarci della dimenzione datane dallo
slesso Diodoro, da lui fissata a 120 [ìiedi, che puossi
stabilire a i56 palmi nostrali. Non meno imba-
razzo reca lo stabilire il numero delle colonne ta-
ciuto da Diodoio; giacche, per ragion dell'ingresso
nella parte esterna del tempio, dovendosi supporre
qualche colonna di meno, di che non siamo nep-
pur sicuri, non avvi certezza dei numero delle me-
desime. Il citalo marchese Haus congcUura che
ne lati minori ve ne siano state almeno sette , e
2o5
qualtordici ne' maggiori; ma non ci dice se fra que-
ste comprenda le colonne angolari.
Da quanto abbia tn riferito si può dedurre, die
nulla siesi stabilito finora di certo circa alle minute
dimenzioni di questo magnifico delubro, e ciò non
per incuria, o poca intelligenza di quc' clic lo han
voluto illustrare , ma più presto per la totale ro-
vina in cui esso si ritrova al presente , e per es-
ser sinceri dovremmo piii jircsto incolparne Dio-
doro Siculo, die ce le avrebbe potuto apprestare
con tutta csatezza, dandone l'incarico ad abile arti-
sta de' ten)pi suoi. Ma quell'islorico nel volerne dir
pur qualche cosa, ignaro come si mostra dell' arte
architettonica, ne scrisse in termini cosi generali, e
indelerminali, che ha cresciulo imbarazzo, e con-
fusione con le poche nolizie , che ce ne ba lasciate.
Però quel che di certo si può determinare si è
che quel tempio, con)' egli ci dice, sia slato il più
grande della Sicilia, e tale da poter anco gareggiar
per questo riguardo con qualunque altro fuori di
questa isola. Si ricava inoltre da lui che era di sin-
gulare struttura , e siam certi che sia appartenuto
al genere Pseudo-perìpteron, indicato da Vitruvio
nel libro 4* cap« 9- cioè ch'avea le mura attaccale
a metà delle colonne esterne, e che nella parte in-
terna delle stesse mura corrispondessero alle colon-
ne i pilastri. Le tre navate eran poi egualmente
da mura divise, ed avean pur esse de' pilastri con
più aggetto nellii navata di mezzo, con minore di
quelli delle laterali. Si sa che le colonne aveano
II scanalature, e Diodoro assicuraci, che vi si po-
tesse collocare un uomo nella concavità. Le strio
bensì delle colonne rimaneansi, secondo fu osservalo
dal riferito marchese Haus, sino a 4 palmi, e mezzo
ao6
sopra dell'imo scopo; lasciandone liscia questa parte
con qualche risalto, a guisa di una fascia, che se-
gue per tutte le mura, a cui esse sono incastrate.
Si sa parimenti da Diodoro, che alla parte orientale
eravi rappresentata in iscultura la guerra de' Gi-
ganti, e nella occidentale l'eccidio di Troja.
Questo immenso edificio , ci annunzia lo stesso
isterico , non potò essere recato a compimento a
cagion della guerra , ed essendo in quel tempo la
città distrutta, gli Agrigentini dell'epoca posterio-
re , non cbber più j)ossanza di terminarlo. Tre
gravissmie questioni eleva il sig. Palmeri, una re-
lativa all'ingresso del tempio, l'altra alla coUoca-
zion propria de' due menzionati alti-rilievi , e la
terza circa alla situazione di certi smisurati gigan-
ti, che fino al numero di nove si sono fino adesso
ritrovati, e de' quali uno, qu isi intero, giace riunito
tra quelle ruine.
Sulla prima quistionc, cioè sul luogo, e forma
dell'ingresso al tempio, il marchese Hans avea fatto
osservare, che nella j)arte di fronte del medesimo
rivolta all' oriente non potè scoprirne alcun ve-
stigio , e che anzi credendo scorgere di esservi
state sette colonne, non sapea supporre, che gl'in-
tercolonni di altronde assai angusti, per ragion del-
l'ordine dorico , avesser potuto servire a questo
oggetto. Immaginava bensì che l'ingresso esser do-
vea stabilito dallo architetto nella parte occiden-
tale, e poggiava la sua opinione sulla regola indi-
cata da Vitruvio: cioè, che^ ove le locali circostan-
ze non si oppongano, uopo sia che quei che ven-
gono ad adorare, e sagrijicare in un tempio, guar-
dino verso il sole oriente , e perciò a questa
parie sia posto il simulacro , le are alla parie
207
opposta; e quindi conchiucle, che in conformità dì
questo general precetto la statua di Giove dovea
essere collocata nel fondo di quel prospetto^ cioè
rorientale^ e lo ingresso del tempio do^^ea trovarsi
al fronte opposto.
Quanto al modo , onde era coslruito questo
tempio egli avanza due congetture, una cioè di
supporre un portico con colonne meno alte nello
stesso prospetto occidentale, siccome si scorile.» nel
tempio dorico di Cerere, e Proseri)ina in Eleusi,
in uno della Fortuna virile in Roma, e in nn altro
in Nimes. Ma par ch'egli stesso si dia a rifiutar
questa congettura, non trovando in Diodoro aleuti
cenno di un sol portico, attaccato a quel delubro,
ed appigliar si voglia ad un'altra, clie a lui sem-
bra più plausibile, cioè di supporre, die l'anzidetta
fronte occidentale non avesse avuto die quattro ,
o sei colonne, perchè il vuoto di mezzo servir pò -
tea d'ingresso.
Il sig. Palmeri si attiene ad una opinione del
surriferito Dr. Lo Presti, e cerca con esso lui di
combinare il sito dell'ingresso principale, e la col-
locazione de' giganti , e con le sue stesse parole ,
che noi qui trascriviamo , ne annunzia il divisa-
mento » Tre parte avea questo tempio, l'estrema
» in faccia al ponente , la quale era decorata da
» quattro giganti, cioè, due rivolti fuori , e due
jj dentro, sostenenti l* architrave e la cimasa della
w medesima a guisa delle matrone Cariatidi, o dei
3i Barbarici Persiani descritti da Vitrurio nel cap. r
w del i lib. Indi seguia la seconda porta, die in-
» troducea nel cortile, ornata come sopra di quat-
» Irò giganti. E liaahuente l' ultima dopo il cor-
5j tile, vicino al muro d'oriente, della stessa for-
3J ma e struttura >j.
208
Soggiunge poscia a maggiore scliiarimerito, che
nel prospetto occidentale vi eraii solo sei colonne,
e nel sito di quella di centro si apriva la i)orla prin-
cipale, nel cui vano eran posti i giganti, legati due
a due per la schiena ad un pilastro comune in atto
di sorreggere rarchitrave; e crede sostener questo
pensamento con le parole del Fazello, il quale par-
lando della totale rovina del tempio avvenuta nel
i4oi. Scrive M Pars tamen ejits tribus giganti-
bus , columnisquo suffìdta din posi superstitit.
A noi sembra che plausibile sia l' idea del nostro
autore , e del dolt. Lo Presti; perchè conforme
a principi dell'arte, e strana del tulio quella del
Cockercl : cioè di aver l' ingresso il tempio ne'
due prospetti nello spazio degl' intercolunni delle
due estreme colonne , non essendo essi che poco
più di un diametro. Ne meno strana è quell'altra
idea dello stesso di collocare i giganti sopra ogni
pilastro per sorreggere l'ullima coiiiicc. Cerlaiuente,
che l'architetto inglese si determinò a queslo divi-
samento dallo scorgere dipinto in Pompei l'inter-
no di un tempio con questo snpeiiore attico ca-
riatico, di cui abbiam vedalo un disegno, esegui-
ta dall' architetto prussiano Mi'. Zahn. Ma non ri-
flette egli, che altro è dipinger di fantasia, altro
è costruire , e che que' giganti, situati in quella
parie della fabbrica reale, avendo una base trop-
po stretta, ed un immenso torso, e la testa es-
sendo fuor di piombo al di là del centro di gravità
sarebbero sul momento piombati giù, e sgomina-
to avrebbero tutto il tempio. 11 sig. Palmeri con-
futa ulteriormente questa opinione con ragioni di
convenienza, riflettendo, che que' giganti tanl'alto
collocali da dominar sulla statua di Giove sarebbero
209
apparsi, come stanti sulla vetta delWliinpo, a-
vrebbero a^nito un aria di trionfo , si sarebbero
tros>ati in atto di scompisciare quel nume , dal
quale in altro sito del tempio stesso , (cioè nel
gran basso rilievo) si vedean fulminati.
V'ha tra' nostri amatori, chi'lia pensalo che que'
colossi servir poteano di ornamento in giro alla
base della statua del re dei numi. Ma questa idea
che a prima giunta si presenta plausibile , incon-
tra pure le sue difficolta. Dapoichè, se il gigante
che trovasi riunito è della lunghezza di trenta palmi
(e il sig. Palraeri giustamente sospetta di non es-
ser per anco intero) se doveansi considerare essi tutti
come accessori alla sta tua del nume, che su quelli
era destinato a primeggiare, se sopra una gradmala
di più scaglioni doveano essi rizzarsi; se una cor-
nice uopo era, che coronasse lo zoccolo, e un plinto
servisse di base al simulacro, a tanta altezza si sa-
rebbe elevato, che anche sedente, la sua testa avreb-
be forse toccato l'estremità del tempio; molto più
che altissima dovendo essere l'altare dedicato a Gio-
ve , come c'insegna Vitruvio, (i) tanto più dovea
elevarsi la statua. E perehè abbiam riferito le
altrui opinioni piaccia al lettore di accogliere pu-
re la nostra intorno a questi particolari.
Il Marchese Haus, come si disse di sopra, ere-
dea acconcio ad un tempio di tanta magnificenza
un portico innanzi al suo ingresso; ma si rit;-asse
da questa opinione, osservando che Diodoro non fa
cenno di un sol portico. Però lo storico d' Annuirà
cosi scrisse su tal proposito , nei portici , i quali
ancor essi sono meras^igliosamente alti, e grandi^
rappresentasi allo aspetto orientale la guerra dei
(0 Gap. 8.
310
giganti, scoltura dignitosa, e per grandezza^ e per
bellezza ; aWoccidentale poi V eccidio di Troja ,
ove ciascuno eroe si vede espresso con quel con-
tegno^ che alla parte corrisponde^ elìcgli vi ebbe.
Or a noi sembra di scorgere nelle surriferite parole,
che non uno, ma due portici abbia avuto il tem-
pio, uno cioè alla parte occidentale, e l' altro all'o-
rientale. Il primo servir dovea di vestibulo alla por-
ta di quel lato, destinata per ingresso del popolo, e
così esso avrebbe potuto riguardare il sole alla parte
di oriente , nell' adorare il nume. L' altro portico
poi nel lato opposto polca essere destinalo per intro-
durre nel tempio i sacerdoti, e le vittime da sagrifi-
carsi. In questa guisa si sarebbe evitato ogni con-
fusione, ogni disturbo, che era inevitabilmente per
avvenirne alla folla de' divoli, ove unico stato fosse
r ingresso. Questi due portici sembrano indicati
dalle parole del nostro islorico, e accrescer dovea-
no magnificenza ad un delubro , altronde sontuo-
sissimo; ne vengon punto in urto co' buoni prin-
cij)i dell' arte , ne sono senza esempio in simili
edifici dell' antichità; essendo riconosciuti i tempi
che ne eran forniti col titolo di antiprostiti (i).
Quanto alle due porte poi io non son lontano dal-
l'idea del Dr. Lo Presti, adottala dal sig. Palmeri,
che poleano esser decorate da' giganti spalle a spalle
congiunti. Questa mia congettura circa a' due portici
toglie di mezzo l'altra gravissima difficoltà intor-
no alla coUocazion de' due grandi alti-rilievi, che
rammenta Diodoro medesimo, come esistenti entro
a' portici. Dappoiché ivi, e precisamente sul muro
sujieriore alle porte del tempio, sarebbe rimaso ba-
stante spazio a potervi essere collocati. Il nostro
CO Mii. Arci., t. 3. pag. 282 cdiz, di Bassano i833.
211
egregio architetto sig. Emmanuele Marvuglia ha
trovato plausibile il mio divisamento , come fon-
dalo su' buoni principi, e sulla pratica dell'arte.
Non sarà bensì discaro a' lettori di sentire le va-
rie opinioni circa alla situazione delle anzidette scul-
ture per istabilir da loro stessi un paragone con
la mia dianzi accennata.
Il surriferito marchese Ilaus non supponendo esi-
ster attacati al tempio questi due portici esterni ,
e riguardando all' incontro come portici l' interno
ambulacro credea potersi congetturare sulle parole
di Diodoro, che fossero situale le menzionate scul-
ture sulle mura interne del pronao, e del postico,
come facienti parli de' portici. A quest'opinione
con gagliarde, e sode ragioni fa contrasto il Pai-
meri, dicendo non potersi riguardare come portici
queste due parti del tempio , e che siffattamente
collocati gli alti-rilievi avrebbero dovuto tagliare
l'ordine interno, ed ornare contro il costume de-
gli antichi questa parte del sacro edificio, lascian-
do ignuda l'esterna; oltrecchè in tal modo messi sa»-
rebbero stati esposti ad essere anneriti dal fumo
de' sacrifici. Ne propone quindi la situazione ne'
due frontispizi, occidentale, ed orientale, sostenen-
do doversi intendere per portici tulli i quattro lati
del tempio; e inconseguenza, come parti di essi i
timpani de' due frontoni. Adduce in esempio il
Partenone in Atene, e il tempio di Minerva Alea
nel Peloponneso, che i frontoni aveano similmente
ornati di scultura. Ma a noi pare , con pace del
nostro egregio autore, che la quistione versa non so-
lo sulla convenienza della collocazion di quegl'alti
rilievi, ma sul sito de' portici, che Diodoro stesso
rammenta esistere in quel tempio.
31 a
Or cf^li è vero, clie i tempi pcritleri (i) nello
spazio tlclle due laterali navate, del pronao, e del po-
stico formavano in fallo de' portici; cioè de' sili in
cui si polca passeggiare ; ma essi per dir giusto
uoii erano destinati a quest'uso; ma sibbene per
sofl'eriuarvisi gli spettatori, onde assistere a' sacri-
fici. Inoltre formando i portici in queste specie di
costruzione un tutto insieme col tempio non dovea
Diodoro rammentarli separatamente dal medesimo.
E ciò appunto mi fa credere,che quelli esser poteano
due corpi distinti, ma attaccati ài tempio nelle due
fronti, orientale ed occidentale, e in tal caso il no-
stro sarebbe stato del genere degli antiprostili(2).
Quanto poi al divisamento del sig. Palineri di
collocare i bassi rilievi ne' frontoni io fo osservare,
che, sebbene i principi dell'arte, e gli esempi non
vi ripugnino; tuttavia non sembra ciò potersi de-
sumere dalle parole di Diodoro; non sapendomi
persuadere, ch'egli abbia tanto estesa l'idea della
voce portico da includervi come parte subalterna,
i frontoni. Alla mia congettura si potrebbe bensì
opporre, che i frontoni sarebbero rimasi inornali,
e che gli alti-rilievi attaccati a' portici esser non
poteano di grandissima altezza. Quanto alla prima
difficoltà io fb riflettere, che l'anticliità appresta pa-
recchi esempi di frontoni ignudi, e che il situare
altrove gli alti-rilievi non esclude, che in quelli non
si possa supporre qualche ornamento di emblemi
sacri a Giove nel centro de' timpani, come corone
di quercia, fubuiui, o aititi cosa allusiva all'Olim-
pio, ovvero agli Agrigentini. Circa all'altezza delle
sculture della guerra trojana, e gigautotnachia pia-
(i) Mil. Arch. t. 2. ediz. cit. pag. 28^.
C») Mil. Ibid.
2l3
cerni far rilevare, che Diodoro fa cenno deii'allez-
za, e grandiosità de' portici, e non già di quelle,
che collocate sui muro superiore delle due porte
doveano essere più lunghe , che alle. Se poi mi
si voglia ulteriormente opporre, che la pianta del
tempio, che si è creduto di ricavare non presenta
vestigio di portici, attaccati al pronao, e al postico
io rispondo sulle assicurazioni del Marvuglia, che
di ciò non si può esser certi per V immensità di
massi sgominali , che in parte la ingombrano; in
guisa che giusto nelle due estremità delle due fron-
ti , ove esser doveano i portici , non si è potuto
discernere bene il numero delle colonne.
In un' altra gravissima quistione finalmente s'im-
batte il nostro egregio autore; cioè se mai , co-
me altri ha creduto, quel tempio, essendo forse il
più grande di Sicilia, non solo non sia stato il più bel-
lo, ma anzi il più brutto, come ad alcuno è piaciuto
di asserire. Chi proferì questa opinione trovava in
effetto da censurarsi nel tempio le colonne inca-
strate nelle muraglie , la cella formata da venti-
quattro pilastri isolati, i mutoli sulle metope , le
teste de' leoni su i frontispizi, e lo strapiombo dello
architrave, e in fine credea meritevole pur di cen-
sura il modo edificatorio , seguilo in questo delu-
bro, circa alla commessura delle pietre, ond'erau
formale le colonne esterne, attaccale alle pareli; so-
stenendo sin anche, che se fosse egli vissuto a' tempi
della sua costruzione , ne avrebbe potuto predire
la inevitabil rovina.
Il Marcliese Haus prima del sig. Palmeri avea
attaccato in termini generali queste opinioni, scri-
vendo sul proposito, che un attento esame delle
opere antiche ci fa quasi sempre scovrire la ca^
214
gione, perchè i loro autori han fatto quello che
fecero^ e che stia male a ^ noi altri pigmei di pre-
cipitare il nostro giudizio a lor disfavore^ conchin-
(lerido, che il crìtico rispettar dovea il monumento
più aiii^uito^ e famoso^ che mai avesse avuto la
città di Agrigento.
Il nostro Palmeri all' incontro a ribatter l'anzi-
delta censura reca innanzi vari esempi dell' anti-
cliità, e tesse opportuni ragionamenti a' quali sem-
bra potersi poco o nulla replicare. E quanto alle
colonne parietine adduce a difesa il colosseo , ove
soii tre ordini di esse, per li mutoli nelle metope
ci richiama a memoria il precetto di Vitruvio , e
i tempi dorici della Grecia, per le teste de' leoni
su' frontispizi reca l'opportuno esempio del delubro
di Minerva, eretto da Pericle; e conchiude, che se
tutti questi edifizì debbano perciò dichiararsi i più
brutti del mondo, non saprebbe rinvenire quali fos-
sero i più belli.
Per riguardo poi alle ragioni artisteche da lui so-
stenute con buoni principi dell'architettura noi sti-*
miamo di tacerle per non dilungarci, nonostante che
le riconoscia no di tanto peso, che meriterebbero di
esser tutte per intero riferite; e solo facciamo osser-
vare col sig. Palm3ri, che sebbene in termini ge-
rali si possa determinare , che meglio figurino in
un edifizio le colonne isolate, che quelle addossa-
te a' muri ; nuUadimeno l' uso di queste ultime ,
quando sorge dilla necessità non è da ascriversi a
imperizia dell'artista. E che la necessità le abbia ri-
chieste nel tempio di cui parliamo non è da porsi
in dubbio, per poco che si rifletta all' immensità
del fibbricato, che maggior solidità veniva ad ac-
quistare, fjrmiiclo le coloaue unico corpo con le
31 5
mura per mezzo dell'ingegnoso addenlellamcnlo,
ideato daHanticG architetto. Epperò convcngliiamo
col sig. Palmeri^ the il critico avrebbe potuto as-
serire con più fondamento che il tempio sarebbe
stato piti bello^ se avesse avuto collonne isolate,
Convenghiarno del pari con lui , che i pilastri^ i
quali male sarebbero stati nelVesterììO del tempio^
con somma convenienza eran posti nello interno^
per dare all'ordine interno maggior semplicità del-
resterno; oltre the essi, stando in luoghi chiusi, e
dovendo esser guardali da un solo lato non pre-
sentavano un brutto vedere, come fanno i pilastri
isolati in siti non circoscritti da fabbriche.
Queste, ed altre opinioni subalterne del critico
aflVonta il nostro autore per sostener, che la mina
del tempio non sia da ascriversi ad imjierizia o
a poco avvedutezza nella primitiva costruzione, co-
me quello si avvisa, nel che molte ragioni da luna
e r altra parte si ])otrcbbero addurre , senza spe-
ranza di deffinirsi la quislione. Il fatto bensi non
prova nulla a favore del critico; e i grandi sconvol-
gimenti della natura, e l'ira nemica, e il tempo ab-
batter possono talvolta anche le montagne; ma la
pratica ivi osservata di essere state sottoposte pietre
di minor gì nudezza, e resistenza a più grandi, e in
conseguenza di maggior gravità, potrebbe qualche
cosa provare a prò della conti aria opinione. Se non
che l'essere stale quelle perfettamente riguadrate,
e disposte a isodomon^ come ha osservalo il nostro
autore, render potrebbe quel modo di costruzione
assai solido, ma non sapremmo determinare, se a
suflkienza , da jcsistere per moltissimi secoli alla
continuata gravitazione di eccedenti massi. E senza
dubbio per riparare a quesl'inlrinsico difetto l'an-
3l6
tico arcliitetlo divisò di formare un corpo uni-
to delie mura con le colonne , e gU interni pila-
siri per mezzo dell' addenlellaraenlo delle pietre,
ma noi non siamo nel caso di giudicare, se non
ostante quest' industria nel lungo corso degli an-
ni la forza ineluttabile di gravità sia rimasa in
fine vincitrice, o altra estranea forza abbia prodotto
lo stesso effetto. Queste discussioni, quantunque in
apparenza par che giovino a nulla; tuttavolta sono
molto utili a rendere almeno avvertiti gli architetti
di usar tutta l'avvedutezza nel edificare sopra un
terreno soggetto a continui tremuoti; per resistere
le fabbriche alle scosse, ove non sieno lunghe , e
gagliarde, o per riceverne almeno minori danni; giac-
che vi sono de' casi in cui la cattiva costruzione
contribuisce più alla rovina degli eclificì , che il
menzionato flagello; come ben si avvisò di soste-
nere il colonnello Dolce nella sua ragionala me-
moria sul tremuolo del iSaS.
Proseguendo il nostro autore la descrizione de-
gli antichi raonu nenti agrigentini fa cenno di volo
degli avanzi del tempio di Vulcano, non esistendo
di esso, che due soli fusti di colonne in piedi col
pianuzzo nelle scanalature, particolarità che lo han
fatto giudicare da certuni innalzato nell'epoca della
romana dominazione. Intorno a ciò osserva il no-
stro autore, che solo se ne potrebbe dedurre, che
non era d'ordine dorico; perocché i Greci, e i Ro-
mani non li usarono in lai ordine. Par che Solino
ci dia argomento a credere, che quel delubro sia
stato dedicato al Dio del fuoco, rammentalo egli
cretto fuori le mura di Agrigento, e vicino al lago
in cui si credeva, che galleggiasse folio, dove effet-
tivamente si scorgono le due menzionate colonne.
21^
Parla indi di due piccoli edifict, ad un de' quali
si dà nome di tomba di Terone, e airaltro di cap-
pella di Falaride. Opportune soiio le sue riflessioni
a provare, che il primo esser non polca la tomba
di quel tiranno; sì perchè non è magnifica, come
la descrive Diodoro, sì perchè egli dice essere slata
colpita da un fulmine, di che non si osserva vestigio,
crede quindi ch'esser potea sacra alle ceneri di un
filosofo, d'un patiizio, o di altro illustre cittadino
non di real condizione. Sopra una base quadrala;
che forma il primo piano , e presenta in un de'
lati l'ingresso, s'innalza una stanzetta avente a cia-
scuno de' quattro angoli incastrata una colonna rastre-
mata, a strie, d'ordine jonico. Vi è sovrapposto un
fregio dorico con triglifi, e nelle facciale vi si scor-
gono quattro finestre finte , rastremate anch' esse.
Tutta la fabbrica tende alla forma piramidale. Il
sig. Palmeii ne tace le parziali dimenzioni , che
secondo il Politi sono: larghezza dell' edificio pal-
mi 20. altezza 16. 8. altezza delle colonne pal-
mi i3. 3. Dal miscuglio de' due ordini, jonico,
e dorico , il sig. Palmeri argomenta di essere un
edificio eretto nell'epoca della decadenza delle ar-
ti; ma il capitello, che ci ha dato elegantemente
delineato il sig. Politi, ci potrebbe far credere il
contrario , tanto è bello per la forma , e le pro-
porzioni, talché rimane indeciso, se l'indicata ano-
malia debbasi piìi presto ascrivere al capriccio del-
l'architetto, che al decadimento del gusto del secolo.
D'un altro assai nobile, e più leggiadro capilello
jonico, rinvenuto presso a quel monumento ci ha
dato pur la delineazione nella guida di Girgenti
l'anzidetto sig. Politi, che servir potrebbe di modello
per quell'ordine agli architetti.
ai8
Quanto alla menzionata cappella di Falaride il
nostro Palmeri ci annunzia di essere una fabbrica
assai meschina, in cui le moderne riforme, consi-
stenti ntìlla porta a sesto acuto, e nella volta a cro-
ce, hanno alterato parte del bello, e del antico che
vi si scorgeva. Essa è pur di forma quadrata, ed
ha due pilastri nel prospetto , fra i quali s'apre il
moderno ingresso. 11 Politi ci dice che lo stilobata
sia largo della parte d' oriente , oltre le basi dei
pilastri, palmi 28, e lungo 32, e che il diametro
di prospetto , o larghezza dell' ante rastremato sia
di palmi 3. 4*
Questi sono i vetusti monumenti agrigentini di
cui tien ragionamento di proposito il sig. Palme-
ri , facendo bensì fugace raeuzioue del tempio di
Minerva, di Proserpiua, di Castore, e Polluce, e di
Vulcano; i cui resti non oflfrivau forse materia alle
sue dotte investigazioni.
Il Politi parla del tempio di Esculapio , e ci
fa sapere eh' era formato a sola cella in antis;
cioè coi pilastri angolari^ col suo pronao^ ov erari
forse piantate due colonne isolale , nella stessa
linea dei pilastri angolari a\>anti la porta ^ già
volta ad oriente; e che a fianco della porta eranvi
due scale ^ come alla Concordia; e al dietro del
tempio^ senza postico , dalla parte esterna verso
occidente^ due mezze colonne striate^ impegnate
nella muraglia. Ci dice inoltre, che, questo tempio
nel suo stilobata era lungo palmi yy circa., largo
poco men della metà , e che il diaimtro colle
colonne era palmi 4- i • ^l presente non si vede
che una porzione dell'ante d'occidente., e trwnon-
tana. , coi du2 mszze collonne senza capitelli.
Inviluppalo con la fabbrica moderna riconoscesi,
219
sebbene mal concia , /' avanzo d' una delle sca-
le (i). Sì sa da Cicerone, che in questo delubro
eravi la celebre statua di Apollo, lavorata da Mi-
rone, che rapita da' Cartaginesi venne agli Agri-
gentini restituita per opera di Scipione Afnicano(a).
Del tempio di Castore, e Polluce, vicino al pro-
spetto occidentale di quello di Giove Olimpio ,
scrive il Politi , che altro non si vegga al pre-
sente che un bel capitello dorico coverto di stuc-
co del diametro di palmi 3. y. nel sommo scapo,
e pochi rottami di fusti di colonne malconcie dal
tempo, avvallate-) e coverte d'opunzie{'ò).
Oltre il culto di Giove Olimpio, ed Atabirio, di cui
abbiam di sopra favellato, eravi in Agrigento, quello
di Giove PoUieo ; cioè salvator della città , come
suona in greco una tal voce. Avea esso un tempio
in Atene riuuorpato per la statua del nume, lavoro
di Leocarete, e per una singular cerimonia ne' sa-
crifìci rammentata da Pausania. Il Politi ci narra
che nel sito del suo tempio in Agrigento sia costruita
l'attuale chiesa di S. Maria de' Greci, e che dal
lato esterno verso tramontana si veggano in parte
ì primi ranghi di pietra, che componeano il fusto
scanalato delle colonne col diametro di pai. 5.
a. i e soggiunge, che la strada sovrapposta co-
pra una porzione dello stilobata coi gradini (4).
Della famosa piscina consecrata al re Gelone fa pur
cenno lo stesso Politi , della quale , quantunque
girasse sette stadi , e fosse profonda cinque cu-
bili, e si sapesse di essere costruita fuori le mura
CO Guida di Girgcnti pag. 3o e scq.
(a) Cic. in ver. 4-
(3) Guida et pag. 43.
C4) Guida et pag. 63.
i3
3 30
della città verso ponente, non ha potuto rinvenire
i vestigi(i). Gli aqui dotti Feaci decantati nell'an-
tichità , e che diedero fama all' architetto da cui
tolsero il nome, al suo dir non sono praticabili. In
Gergenti esiste in varie case di particolari qual-
che ingresso a' medesimi; ma è così malagevole,
e pericoloso lo entrarvi che nessun viaggiatore
ha mai pensato di visitarli. Essi non sono altro
che una catena di grotte irregolari a guisa di
laberintoi^).
Il sig. cav. Lionardo Vigo, conosciuto princi-
palmente per le sue poesie di nobile , e vigoroso
stile, nella sua residenza in Gergenti, ebbe l'ani-
mo bensì di penetrarvi insieme al Dr. Giuseppe
Serroy da Raffadale nel settembre del 1827. Ei ne
scrisse allora una erudita relazione in una lettera
diretta al Palmeri, che noi pubblicammo in un fa-
scicolo delle nostre Effemeridi, e che trovasi or data
nuovamente in luce di seguito all' opera del Pal-
itieri medesimo. Dalla stessa si rileva, che que' sot-
terranei, che eg^li appella ipogei, furono visitati da
Mr J. Hùuvél nel 1776 di cui vi lesse scritto il
nome in una delle pareti. Egli altro non potè os-
servarvi, che una lunga innumerabile serie di stanze
sotto il monte Gamico, ciascuna più o meno alta da
IO in 12 palmi, larga da 16 a 24, incavata dal fer-
ro nel tufo, con forami superiori, alcuni turati, pe'
quali una volta penetrava l'aria, e la luce dal monte
dove aver doveano delle uscite. Non essendovi ve-
stigio di essere state destinate a conserva, o a pas-
saggio di acque, o a seppellirvi de' cadaveri ; egli
ne conchiuse di non ravvisarvi le supposte catacom-
(1) ibid. p«g. 45.
(a) Ibid. pag. 44 ^ s^l*
321
be, e molto meno gli acquidotli feaci, che altronde
congetlura, che siano slati presso il tempio di Vul-
cano, di Castore, Polluce; e vi riconosce più presto
una piccola città sotterranea de' primi abitatori di
Agrigento sotto il re Cocalo, che si sa di avere a-
vuto la sua regia nel Gamico.
Siffatta opinione non sembrerà strana a chiunque
sappia altronde non esser questa la sola città sot-
terranea in Sicilia de' nostri più antichi popoli ,
e che in tal modo si formavano in quest' isola le
primitive abitazioni, incavandole nel tufo, pria che
l'arte avesse insegnato a staccar le pietre in egual
forma, e a sovra pporle le une sulle altre. Tali in
effetto son quelle della valle Ispica, vicino Spac-
caforno , e le altre di Pantalica presso Sorlino.
Alcune catacombe bensì gli riuscì di osservare tra
il sito de' ruderi del tempio di Ercole e quello di
Giunone Lacinia, disposti a corridoi, ove si vedono
diversi loculi per gli estinti.
Son questi gli antichi monumenti di Agrigento
visitati , e descritti dal sig. Palmeri , e dal sig.
Vigo , a cui ho voluto aggiunger gli altri di mi-
nor considerazione indicati dal Politi nella sua Gui-
da, onde aversene riunita una compiuta relazione.
Non qui termina però il nostro Palmeri 1' ope-
ra sua , che anzi trascorre a far parola di vari
quadri , di antichi cimeli , e d' una statua di E-
sculapio , oggetti da lui ammirati in casa de-
gli eredi del dotto canonico Raimondi, che li rac-
colse. Fa motto pure d' un' antico marmoreo se-
polcro, rappresentante ne' quattro lati gli atnori in-
felici di Fedra, la caccia, e la catastrofe del casto
Ippolito, ch'or serve per uso di fonte battesimale
nel duomo di Gergenli, opera di squisito gì eco la-
322
voro, che pria fu illustrata dal Caglio, indi dal Po-
liti, il quale ne pubblicò i rami incisi dal suo fratello
Giuseppe. Ei ne loda molto in generale la scultu-
ra principalmente di due lati; giacche gli altri mo-
strano un minor finimento ; dovendo esser forse
meno esposti alla vista. Ma non tralascia di osser-
varvi qualche scorreziou di diseguo in alcune figure,
e una monotonia di mosse, per cui la scena risulta
fredda in talune parli: però il nostro anfore dovea
ricordarsi su tal riguardo, che questa pacatezza di
attitudini è nel principio costitutivo della scultura,
che consiste nel riposo, principio che tanto conob-
bero i Greci, e che hanno perduto di vista molti
artefici moderni.
Nel duomo medesimo potè pure ammirare il bel
quadro del Guido, rappresentante nostra Donna col
Bambino dormiente in braccio, del quale ci ha of-
ferto pure il Politi una precisa delineazione nella
sua Guida. Neil' archivio poi vide un vaso fittile
che, sebbene malconcio, meritò l'interpetrazione dei
Paciaudi, alla quale non credè uniformarsi il men-
zionato Pohti.
Del duomo, che riunisce si pregevoli oggetti dice
pur qualche cosa, paragonandolo al Polifemo di Me-
li , cioè grandioso senza bellezza, ed eleganza ; e
riconoscendovi il primiero stile Arabesco in alcu-
ne parli, guasto ed alterato dalle moderne riforme.
Prendendo poi occasione di essersi affacciato alle
finestre delle camere superiori al duomo , donde
si scorge tutta la vasta campagna ove sorgeva l'an-
tica Agrigento con trasporto bellissimo di remini-
scenza ne accenna egli i principali fasti ed avve-
nienti della sua storia.
Altri oggetti preziosi avrebbe egli ancor potuto
223
accennare, appartenenti a particolari collezioni, co-
me a quella del sig. Politi, il quale siracusano di
nascita, ma residente in Gergenti, ha colto l' op-
portunità di raccoglierli , e d'illustrarli con inten-
dimento artistico, e di darne al pubblico una gran
parte delineata di sua mano in eleganti rami. Mol-
tissimi vasi fìttili, alcuni de' quali pregevolissimi,
in effetto egli possiede; diversi capitelli, e fram-
menti di scultura figurativa, un bellissimo ritratto
attribuito a Leonardo da Vinci, un torso del bel
secolo della greca scultura, un leoncino in giallo
antico, oltre di una raccolta di scelte stampe non-
ché antiche , ma moderne a bulino , alcune del-
le quali a litografia. Un' altra ricca collezione di
vasi fittili , e di anticaglie di vario genere pos-
sedea il Ciantro Panitteri da pochi anni cessato
di vivere; ma questa in parte fu acquistata dal Prin-
cipe ereditario, ora re di Baviera. Sappiamo ben-
sì che fia r altre cose sia rimaso agli eredi un
torso di non ordinaria bellezza greca, di cui essen-
domi riuscito di osservare il gesso presso il dipin-
tore abate Giovanni Patricolo nel 1823, scrissi un'il-
lustrazione , riconoscendovi di essere appartenuto
ad una statua di Mercurio, dal carattere particolare
di sveltezza, dall' attitudine di volare , e da' mu-
scoli superiori, indicanti il movimento delle brac-
cia mancanti.
Ritornando all'opera del Palmer! diciamo infine
che non sapremmo determinare, se più debbasi com-
mendarvi l'intelligenza delle cose architettoniche, la
buona critica artistica , 1' erudizione sparsavi per
entro, la leggiadria, e piacevolezza dello stile, o la
scelta della lingua adoperatavi. Avremmo desidera-
to bensì, che l'autore ci avesse dato le misure dei,
224
monumenti che toglier poteva egli stesso, il che
apprestar gli dovca un maggior dritto a quella cri-
tica, ch'egli solo fa per artistiche induzioni alle di-
menzioni prese dagli altri.
Il nostro autore ci ha mostralo in questo lavoro
in qual modo debbansi scrivere i viaggi per luoghi,
che contengono vetusti monumenti; e sarebbe desi-
derabile, ch'egli estendesse le sue peregrinazioni per
le altre antiche città di Sicilia, onde aversene dalla
sua penna un compiuto, e dotto ragguaglio.
Clie se in alcune sue opinioni siamo noi stati di
dilFercnte avviso, ciò nulla conchiude in suo disfa-
vore ; dapoichè m fatto di congetture sulla vene-
randa antichità, nessuno pnò esser certo della sua,
sebbene sia lecito a chiunque di annunciarla.
j4gostino Gallo
Lezioni di algebra elementare ad uso della Regia
Università degli studi di Catania del Cav.
Jgjjazio di Napoli ec. pub. prof, della fa-
coltà ec. ec. — Catania per Pastore i833 in
S pag. 206.
L'Autore estende le sue lezioni dalle regole fon-
damentali dell'Algebre sino alla risoluzione dell'equa-
zioni di 3.° grado. Non gli si può negare chia-
rezza, semplicità, copiosità di esempi. Mira egli col-
l'opera sua alla istruzione della gioventù, che vuo-
le apprendere questa scienza e riesce benissimo
nel suo intento. Pure ci è venuto fatto di osser-
varvi qualche omissione o altra piccola menda, co-
me farem vedere. Il metodo del massimo comune
225
divisore e applicato solamente ad una frazione nu-
merica. Inoltre il canone per rinvenire il massimo
comune divisore tra due quantità non è sempre im-
mediatamente applicabile alle frazioni algebriche:
imperocché, si sa bene, che per applicarlo ad un rot-
to algebrico è necessario praticare alcune operazioni
preparatorie tanto in principio del calcolo, quan-
to nel corso della calcolazione per essere in stato
di potere eseguire tutte quelle successive divisioni
che il metodo esige per rinvenire, qualora esista
il massimo comune divisore, o per giungere ad un
punto, in cui si possa giudicare di non esistere.
In un trattalo di algebre, comunque ristretto, non
dovea notarsi si fatta omissione; tanto più che la
teoria elementare del massimo comune divisore h
fondata sii le più semplici nozioni di algebra.
Ben maneggiata, e con giudizio troviamo la teo-
ria delle potenze, quella delie quantità irrazionali,
e per ultimo quella delle quantità immaginarie.
Semplice poi è la maniera , con cui V autore,
perviene per la via dell'induzione al teorema new-
toniano su la elevazione di un binomio alla pò-
tenza di un grado qualunque. Avremmo desidera-
to, che egli in luogo di slare al fatto sul ritorno,
che fanno in ordine inverso i coefficienti di una
potenza di binomio, dopo il coefficiente massimo,
lo avesse direttamente dimostrato: cosa che non
avrebbe richiesto che un breve ragionamento , e
poche righe di calcolo.
La teoria generale dell' equazione comechè as-
sai elementare, pure è ben condoUa. Ingegnosa è
poi la dimostrazione dello sviluppo della funzione
(a + x)'^ poggiata sul famoso metodo dei coef-
ficienti indeterminati nei casi di in intera, o fra-
zionaria.
326
L' Autore finalmente si occupa delle equazioni
tlel 3.° grado e s' imballe, siccome era necessario
nello esame del caso irriducibile. Questo caso fa-
moso, che tanto occupò gli analisti, consiste, co-
me ognuno sa, nella impossibilità di ridurre sotto
forma finita, e libera al tempo slesso d'immagi-
nari le Ire radici di una equazione di 3.° grado,
qualora tutte tre sono reali. Per verità quella for-
ma immaginaria è indovuta allorché le radici so-
no reali, e per questa ragione gli analisti diresse-
ro, abbenchè invano, i loro sforzi a trasformarla
in un'altra finità a un tempo, e reale.
L'Autore attribuisce al metodo , che si segue
nella risoluzione di una equazione cubica, la causa
produttrice del caso irriducibile. Questo metodo con-
siste, come si sa, in fare x-=ij + z nell'equazione
X 3-j- px -}- ^ = o, e derivandone quindi le due
equazioni ausiliarie 3/2 = p.../ ^-j- s ^=9, fis-
sare pel loro mezzo i valori delle indeterminate j',
e z. SiflJalle quantità (son parole dell' Autore) in
luogo di essere reali, come lo dovriano, sono am-
bedue immaginarie ; ed ceco perchè i lr(; valori
cìix^ che soddisfanno all'equazione x ^■\- px -\- q-=zo^
e che sono funzioni di 7", e s sono apparentemen-
te immaginari. Ci sia j)ermesso di osservare, che
non perchè il valore complessivo ^' + z deve es-
sere affaUo reale tali anche esser debbono i valori
individuali di j^ e z. Osserviamo ancora, che non
è il metodo, che produce il caso irriducibile; cosi-
chè se venisse fatto di ritrovarne un altro , non
s'incontrerebbe questo caso.
Ora è da riflettere, che l'inconveniente di que-
sto caso, è inerente alia natura medesima delle ra-
dici di una equazione di 3.° grado, e punto noa
227
dipende dal metodo, che si segue per risorverla: di
maniera che il metodo in uso, e qualunque altro
che rinvenir si possa mai non farà sfuggire il ca-
so irriducìbile, qualora ha luogo. Questo assunto
potrebbe dimostrarsi col seguente ragionamento ,
che credo abbastanza convincente.
E certo, che uoa equazione di 3.° grado ha tre
radici: dunque una formula generale atta a rap«
presentarla deve essere suscettibile di tre valori.
Si sa inoltre, che un radicale cubico ha tre va-
lori, dunque una tale formula generale deve con-
tenere dei radicali cubici. Di più delle tre radi-
ci cubiche di una quantità reale una sola e rea-
le, e le due altre sono immaginarie. Quindi i ra-
dicali cubici , che necessariamente entrano nella
composizione di una formula generale alta a darci
le tre radici di una equazione di S.** grado non
debbono contenere grandezze reali: imperocché se
contenessero grandezze reali , ogni radicale cubi-
co avrebbe un solo valore reale, e due immagina-
ri, e la formula darebbe allora una radice reale,
e due immaginarie, e non già tre radici reali.
E quindi impossibile rinvenire una formola ge-
nerale , che somministrasse le tre radici reali di
una equazione di 3.° grado sotto forme finita e li-
bera al tempo stesso d'immaginari.
Da quanto abbiamo esposto , ciascuno può re-
star convinto, che l'opera sia bene adatta alla istru-
zione della gioventù, e condotta colla massima chia-
rezza , e con metodo preciso , tal che per questa
parte nulla lascia a desiderare : e se qualche pic-
cola omissione , o una maggiore estensione in al-
cune teorie vi si ricerca ciò non debbe ascriversi
a difetto dell'Autore per la piena cognizione del-
328
la scienza , in cui si mostra valoroso professore;
ma allo impegno addimostrato dal medesimo di
rendere l' opera sua quanto più breve potea: cosa
che il eh. Autore può bene eseguire in una se-
conda edizione, e che per altro non darebbe una
troppo grande estensione all'opera stessa.
Gaetano Batal
Rime e prose di Costantino M. Costantini Col-
tanissetta dalla stamperia Lipomi un voi. in 8°
di pag. loS.
Tra i cultori delle buone lettere , e delle muse
italiane merita di essere rammentalo Costantino M.
Costantiìii, che dopo di aver fatto bella mostra del
suo poetico valore con una assai pregevole poemetto
didascalico sulle colombe , pubblicato in Palermo
nel i8i5,ha voluto ora riunire in questo annun-
ciato volume alcune sue commendevoli composizio-
ni in verso ed in prosa, e presentarle al pubblico
qual novello argomento dello studio eh' egli pone
nella difficile arte dello stile , e del purgato dire
italiano.
Tre selve ed un poemetto in ottava rima tito-
lato la Cicogna, che vede ora per la prima volta
la luce, sono i componimenti poetici di cui il pre-
sente libro si abbella. Volle 1' Autore nelle prime
tentare un genere di poesia, che fu per la prima
volta introdotto , non ha guari tempo , con felice
successo tra noi, poiché, per servirmi delle parole
medesime dell'Autore niuno avea sin'ora penetrato
nei riposti boscetli di Flora, ne l'aiuol teso in guato
degli uccelli lungo le rive dell'Arno. E quindi eoa
ottimo divisamenlo è stato egli uno dei primi a far
parlare nel puro italico idioma i cacciatori, e viva-
mente descrivere alcune loro arti con quella inge-
nua semplicità e naturalezza che ben si addice a
siffatli argomenti.
Egli clie con molta arte , e con una leggiadria
non voloare ha sapulo descrivere cose cotanto tenui
e difìliciii , si è fallo sopra lutto distinguere per
quella purezza e proprietà di linguaggio, che tanto
più riesce difficile ad adoperarsi, quanto semplici
e volgari sono gii oggetti che voglionsi esprimere.
La quale cosa ci è sembrala assai degna di lode,
e noi ne vogliamo encomiato V Autore, come co-
lui che non ha tralasciato eziaudi:> di farsi ammi-
rare per r artificio del verso , per la spontaneità
della rima , nonché per la scelta dei pensieri , e
per la evidenza delle descrizioni , che son sempre
tirate dal vero , dalla dolce amenità delle nostre
ridenti campagne, e dai costumi semplici e schiet-
ti dei cacciatori. I quali pregi, che in siffatto ge-
nere di poesia , il di cui scopo si è quello sopra-
tutlo del diletto, sono indispensabili, possonsi age-
volmente rilevare nella seconda e terza selva, che
hanno maggior aria di novità, e che sparse ci sem-
brano di molta bellezza. Il perchè ci piace di tra-
scrivere questi pochi versi pieni di evidenza e di
effetto, acciò possa ognuno da se medesimo cono-
scere la verità di questa nostra sentenza.
Tesi avea il padre gli unti rami e quella
Riva specchiava in guato, ehc ne' torti
Giri delle correnti acque si abbella:
Ed ecco dal ciglion dei floridi orti
Di ramo in ramo un rusignuol volando
Dar ne' lunghi fuscei di pania forti.
Lasso! che i pie levar ai sforza, e quando
Libertà spera, la deslr'ala intrica
E va coll'altra tesa ventilando.
a3o
e questi altri che sono d' incominciamento alla se-
conda selva.
Sotto l'ardua del monti orrida balza
De l'Erice nevoso, che la terra
Più vaga degli Esperidi rincalza;
Dove i venti non fanno, e l'onde guerra
A l'odoroso margine, che in6ora
Zefiro, Glori, ovunque spira, ed' erra.
Dove i rivi correnti e la frcsc'ora
E 'I garrir degli augei la tarda inganna
Età, che tutto di qua giù divora.
Di legno, e legno, e di commessa caiina
In giro s'alza d'argine murala
Di Licida la povera capanna.
Sola lì presso si sedea la bella
Sotto l'ombra, che cade del frondoso
Olmo, che della vite s'incappella.
Novo colore del vermiglio ascoso
Di bia ncbi gigli succedta nel viso
Di lagrime alteggiato, e rugiadoso:
Giunte al petto le man, l'occhio avea fiso
Ne l'erba, e l'aureo crin dal nastro scinto
Per doppia lista al scn cadca diviso.
L'Autore ha dato a questi suoi componimenti
il nome di selve, ma egli avrebbe potuto con piti
ragione, tolta la prima, idilli titolarle, perchè r|uf-
fìcio di questi si è appunto quello di presentare
con amabile e non studiata semplicità delle im-
niagiiielte, ovvero degli accidenti che alla vita o
pastorale, o marinaresca, o venatoria si addicono,
siccome tutti coloro che in sitTatto genere di poe-
tare negli antichi, e moderni tempi si sono distin-
ti hanno praticato. E questo vero abbiam noi vo-
luto ripetere non già per vaghezza di dir cosa nuo-
va, cli'è cosi chiaro ed antico che nulla piìi, ma
perche non mancano di quelli, che si predicano
in piazza per dottori , i quali vorrebbero che di
egli' idillio un poema si facesse didascalico come
se uguali fossero tra loro questi due generi di poe-
23l
sia, e non distinguendo cosa da cosa tali scempiag-
gini van bucinando, ch'è bello il lacere. Ma ritor-
nando al nostro eh. scrittore diciamo, che in un'altro
modo di comporre tutto affatto diverso si è volu-
to ancora esercitare col poemetto della cicogna, im-
perciocché allontanandosi dalla semplice amenità
delle selve ha voluto correggere il vizio coll'aspro
pungolo della satira , nella quale sarebbe vie me-
glio rJHScito, se lungi di rivolgersi a privala per-
sona avesse attaccalo con tutta quella bile e livore,
di cui ha sparso le sue belle ottave, i difetti della
moderna socielà , che non conoscendo il soggetto
non pr.ò molto interessarsi il leggitore a cui ne
i bei versi , ne le aspre punture , ne le facezie ,
ne le grazie della lingua , che sono copiosamente
sparse entro al poemetto vagliono a compensarlo
dalla oscurità in cui s'imbatte. E questa oscurità
a dir vero , par che sia uno dei precipui difetti
delle poesie del sig. Costantini , poiché non solo
nel poemetto, il cui antagonista può dirsi misterio-
so, ma in molte altre parli delle sue poesie spes-
so cade e in ciò credo io per due ragioni, e pri-
mamente per quel soverchio studio, di andare in
traccia di parole antiche, che ormai possonsi dire
venute in disuso , e per le molte frasi , modi di
dire, o riboboli toscani, che sentono più del dia-
letto fiorentino, anzi che del comune italiano lin-
guaggio. Oltre a ciò è da osservarsi nei componi-
menti, di cui abbiamo tenuto discorso, una certa
ridondanza, che molto togUe all'effetto della poesia
come facilmente può rilevarsi nell' apostrofe , che
fa il fiume Anapo al sole, e nel pianto della nin-
fa Sella per la morte di un'usignuolo, che potreb-
bero ridursi a metà. Meno uso avremmo desi de-
rato di mitologia nella prima selva; maggiore ispi-
razione ed estro poetico.
Ma queste poche mende non guastare, ne oscu-
rar possono i molti pregi di sopra rammentali
opiimus ille est qui mininiis urgetur , e noi ab-
biamo voluto notarle persuasi di quel detto di
Plinio , che alcuno non soffre più pazientemente
la critica quanto colui che merita la lode.
L* Autore si fa anche ammirare, come prosato-
re colle due novelle, delle quali si adorna il li-
bretto che abbiamo alle mani. Oltre a quell'ama-
bile semplicità e candore degli scrittori del tre-
cento, e dell'aureo decameroiie , ha saputo anche
imitare quel sapore di classico linguaggio che ia
quelli riluce. Purità, esattezza, e proprietà, ecco
i principali pregi delle due novelle. Se festevole
è l'argomento della prima ed' utile lo scopo a cui
tende, non men gradito riesce quello della seconda,
il quale comechc non nuovo , perchè tratto dalla
terza satira dell'Ariosto, pure piace nel veder l'ar-
te con cui ha saputo ritrarre in colta prosa alcu-
ni pensieri di quel divino poeta, come può facil-
mente rilevarsi nell'apologo della Gazza, infiorato
dalle grazie tutte della poesia di quel sommo , e
posto in colla e gentile prosa dall'autor nostro.
È questo ciò che noi intendiamo delle prose e
dei versi del sig. Costantini il quale ha saputo con
ottimo divisamento al severo studio delle legali
discipline, quello riu;iir3 delle amene lettere, dalle
quali non debbono le prime andar disgiunte tale
essendo il cuor dell'uomo che difficilmente s'inva-
ghisce dell' utile senza il diletto. E però è da ri-
dersi di quei fastidiosi, che non avendo alcun senso
al bello vorrebbero bandita ogni scintilla di amc-
233
na letteratura, ignorando, quanto essa influisca sul-
r incivilimento delle società coiqe formi il cuore
e la mente degli uomini, e come sia, al dir di Ci-
cerone, l'istruzion della gioventù l'ornameoto della
prosperità, la delizia della vecchia ja, com'essa ci
diverta nel ritiro, ci accompagni nei viaggi, e for-
mi infine la delizia di ogni colta ed onesta persona.
£ pure da taluni si grida tutto dì contro la poe-
sia, si giunge a chiamar canora ciancia quest'arte
divina, alla quale è solo concesso il dipingere le
più riposte heltezze della natura , e le tenere , e
sublimi passioni degli uomini, e si vorrebbero obli-
gare gV ingegni a seguir ciò a cui spesse fiate la
loro natura ripugna, eh' esser deve la sola e vera
regolatrice dei nostri studi. Ignorano costoro, che
Tarie, ed inesauribili sono le fonti del bello, e che
la poesia, siccome le arti tutte della immaginazio-
ne, ha avuto sempre i suoi cultori, ed avralli fio-
che vi saranno uomini, e civiltà (i).
ANTONIO DI GlorANNI MiRA,
(i) Terminato di scrirev questo artìcolo , ci venne alte mani
il primo canto di un poema dello «tesso sig. Costantini il P^espra
ticiliano che l'Autore va pubblicando nei giornale- di scienze
lettere ed arti per la Sicilia. Noi attendiamo l' intiera pubblica»
aioBi a ^uctU iaUressaatc opera per potei ne a luogo ragioBarc^
»34
Notizia storiche dei. Saraceni SiciUani ridotte in
quattro libri da Carmelo Martorana voi. .1. '
di pag. 2S2. voi. due di pag. z6o in ta.——
Palermo stamperia Pedone, e Muratori i83s
i833.
Di pubblica riconoscenza degno certo è uno
scrittore che slanciandosi nell' oscurità di remoti
tempi, si sforza di riconquistare le obliate memorie
del proprio paese. Che non solo illustra siSattaDaente
la patria ma utile si rende all'universale, accrescen-
do il patrimonio della storia da cui sicure norme
si traggono di morale, e politica sapienza. Opera
di tal natura è questa del sig. Martorana, sulla storia
dei Saraceni Siciliani, della quale sono già usciti
.due volumtì, e rultimo si sta pubblicando. La fa-
mosa impostura del Velia che pretendeva a rischia»
rare questa epoca della nostra storia, l'operosa pa-
zienza del Gregorio che valse non solo a smasche-
rare colui, ma ad additare, ed a raccogliere ancora
i monumenti, onde potersi ritrarre la verace sto-
ria di quella età^ aveano infiammato 1' animo dei
.<:ultori delle storiche discipline , di tutte le colte
regioni, *e della Sicilia principalmente, del deside-
rio di un opera che succedesse a quella che con-
temporaneamente si era veduta sorgere, e sparire,
e riempisse la lacuna di più di due secoli , della
storia di un paese che dai tempi favolosi fino ai
presenti è stato più di una volta per civiltà , e
per sapere primo nel mondo , ultimo certamente
non mai.
Nostro ufficio essendo dare di questa dotta 0-
pera un sunto , dopoché è stala in queste EfTe-
meridi e ne' più riputati giornali della penisola
col dovuto onore annunciata (i) , acciocché come
in un quadro potessero agevolmente vedersi deli-
neati gli avvenimenti che con mollo studioi ed in-
dustria ha saputo il sig. Martorana raccogliere, e
le istituzioni politiche, e religiose, e lo stato della
cultura letteraria e civile che dagli avvenimenti
ha egli dedotto; uopo è prima passare rapidamente
a rassegna i lavori storici, e diplomatici, fa Iti pre-
cedentemente a questa opera del sig. Martorana ,
perchè si scorga ad un tempo e dove stava prima
di lui questa parte di storia siciliana, e qual pro-
gresso le abbia egli procuralo , e da quali mezzi
sia stalo aiutato nella sua lunga e penosa fatica.
La storia di Sicilia ebbe gran numero di scrittori
patri e slranieii uell' epoca greca in cui questa isola
godea civile, ed esterna libertà, e pervenne al som-
mo grado di civiltà e di potenza. Erano i tempi
di quella rara felicità accennata da Tacito, in cui
il sublime, e spesso contaminato ufficio della sto-
ria, può incorrottamente, e senza pericolo eserci-
tarsi. Allora si contò una falange di Siciliani, che
di siciliane cose ebbero scritto , allora in molte
storie straniere si trovò la storia di Sicilia , per-
chè coi più colti popoli questa ebbe allora rapporti
di ogni maniera, e la sua storia era intimamente
legata a quella delta civiltà, e delia sapienza univer-
sale. Basta nominare un Timeo, un Filisto, un An-
tioco, un Temistogene, per conoscere quanto e co-
me la patria storia era coltivala allora dai nostri, e
basta leggere Plutarco, Fausania, Strabone, Dionisio
(i) Anto), fase. 23 1. a4. del secondo decennio — Bibi. Ital.
n. 207. — > Annali Univ. di Statistica n. io5.
»4
236
di Alicaraasso, Tucidide, Senofonte, e il Sriciliano
Diodoro, per osservare in qual luminosa politica po-
sizione era allora questo paese , per raccoglierne
pressoché intera la nostra storia antica, per supplire
in fine al difetto delle disperse opere storiche di
quegli antichi Siciliani. Cambiata la condizione
politica del paese , poiché cadde sotto la romana
dominazione, la Sicilia, come suole avvenire a tut-
te le Provincie, non ebbe più, se sene eccettua il
nominato Diodoro, ne storia, ne scrittori di storia,
perchè ne grandi , ne straordinari avvenimenti in-
terni degni della storia, sotto tali governi sogliono
accadere, ne altro rapporto esterno allora un paese
può avere, all'infuori di quello di dipendenza dalla
metropoli : quindi al letargo in cui cade la cosa
pubblica succede quello della letteratura , e degli
scrittori, e massime degli storici.
Soggiogata una volla la Sicilia dai Romani , e
spento da costoro lo spirito pubblico de' cittadi-
ni sempre nella stessa condizione ella durò fino
alla invasione dei Normanni, perchè fu sempre me-
desimamente soggetta a straniere dominazioni. Dal-
la fondazione della Monarchia di Ruggiero per tut-
ta la sveva dominazione fino a Federico l'Arago-
nese , una nuova luce raggiò sulla oscurala Sici-
lia : ebbe propria esistenza , ebbe proprie isti-
tuzioni , e forse le più umane e liberali di quei
tempi, non fu ad alcun altro paese seconda in po-
tenza e in ricchezza, e fu la cuna della lingua ,
e della poesia italiana. Pure gl'ingegni riusciti allo-
ra dalla ricorsa barbarie, che al cadere dell'impero
sparsa erasi per tutta Europa non erano ancora
tanto rinvigoriti da dare opera alla diffìcile sto-
ria , tìe \a Siciha siccome tutti gli altri paesi eb-
be vere storie, comechè di quelle cronache che
337
preso aveano allora il luogo delia storia(() e che
ogni provincia avea in buon dato avesse avuto an-
cor essa abbondanza , e tali che al dir del Ti-
raboschi tutte le altre per avventura superarono
di quella età (2). Toccava ai tardi nepoti scrivere
le vere storie dei bassi tempi. Ma uopo fu prima
raccogliere tutte quelle cronache appunto ove sen-
za ordine , senza critica, senza alcuna leggiadria
erano registrati gli avvenimenti , uopo fu ancora
raccogliere le carte governative e i diplomi dai qua-
li lume ed autorità a quelle veniva, e così nacque
una novella branca di letteratura , la diplomatica
che creata dal Mabillon nel XVII secolo grandeggiò
mirabilmente fra poco per la perspicacia e dottri-
na de' padri maurini , che ne deltaron le norme,
e per le collezioni del Labbè , del Du Chesne, e
dell'Italiano Muratori e di cento altri che con im-
mensa fatica si diedero a disseppellire e dagli archi-
vi, e dalle librerie, e dappertutto preziose memorie,
e questa diplomatica divenne l'unica fonte della sco-
nosciuta storia del medio evo. Alla quale in questi
ultimi tempi spianato prima in siffatto modo il sen-
tiero, hanno potuto rivolgersi i dotti di tutte le na-
zioni, persuasi la mente, che l'origine, e la ragione
delle nostre leggi, dei nostri costumi, delle nostre arti
attuali, da quella età si debbon dedurre, se vero egli
è che al sorger dei bassi tempi ogni antica civile
istituzione fu spenta, e nuove comcchè barbariche,
ne furono surrogate , che poi mano mano dalla
moderna civiltà ingentilendosi, sono venute a noi
in retaggio. Sotto Carlo V , vale a dire in sul bel
principio dell'età moderna, sorse fra noi uuò scrii-
(1) V. Tiraboschi leti- ital. toni, i Gap. 6 .
Q2) V. Audces Voi. 3 cap. I.
338
lore, che fu ii padre della nostra istoria, voglio dire
il Fazello. Infiniti ostacoli ebbe egli a combattere,
erculea fatica ebbe a sostenere per scrivere la sto-
ria di un ])aese , i cui antichi storici eran periti,
le cui antichità, la cui geografia non erano slate il-
lustiate, ed in un tempo in cui la diplomatica non
era ancor nata. Pure tanto animo ebbe ed ingegno
ehe crearsi seppe egli stesso in gran parte gli ajuti
che gli mancavano , ed egli fu il padre della no-
stra storia non solo ma della geografia , dell'anti-
quaria^ e della diplomatica se lecito è dirlo , che
luoghi e ruderi visitò, e ricercò antiche carte ; e
comechè gravi difetti nell' opera sua ora si noti-
no , che suoi non sono , ma della etade in cui
visse ; possiamo senza fallo asseverare essersi da
]> pi (i). In seguito il Caruso colla sua Biblioteca
storica, il Di Giovanni col suo Codice diplomati-
co della Sicilia., e il Gregorio colla sua collezione
arabica, e colla biblioteca aragonese^ a buon segno
(i) Gregosio Consid. sulla storia di Sicilia Jntrod.
condussero, sé pure non perfezionarono la nostra
diplomatica , perocché nelle citate opere se non
tutti , certo i principali monumenlT rinvengonsi ,
che tutta l'età corsa dall' era bizantina , fina all'a-
ragonese, cioè tutta quasi l'età di mezzo senza in-
terruzione risguardano: e il Pirro, e l' Inveges, e
il Testa, e il Mongitore, e Salvatore Di Blasi, e
Domenico Schiavo, e il marchese di Villabianca,
o publicando, o rettificando diplomi, o fregiandone
le opere loro, la posero in sommo onore. E la Si-
cilia , giova gloriarcene, mentre in tutta la dotta
Europa intorno alla storia si lavora di quella età;
per sola industria dei suoi, comechè sieno sovente
mancati i publici mezzi e un maligno fato ab-
bia costantemfcule travagliato i più valenti ricer-
catori di diplomi (i) , può vantare in questo ge-
nere cotali collezioni da non aver che invidiare
alle più colte nazioni, checche da taluni si dica,
che di ogni straniera bazzecola fanno gran caso ,
e i patri tesori o per ignoranza, o per malvagità
tengono a vile, e sempre contro l'infelice lor patria
o giustamente o ingiustamente declamano. E da os-
servarsi, che all'infuori del Gregorio e del Di Blasi,
nel corrente secolo i cultori degli studi storici fra
noi, più che alla storia civile alla letteraria si sono
rivolti, dacché un celebre scrittore pubblicava nel
1812 le memorie sulla vita, e la filosofia d'Empe-
docle , e non cessava di andare mano mano illu-
strando quel famoso periodo di letteratura per cui
questa terra ebbe nome di classica, ed era primo
a delineare maestrevolmente un'altra luminosa epo-
ca dell' età moderna , addimostrando siffatlameuto
di non valer meno nelle gentili , che nelle severe
(1) V;^ Sciaà itoria Idi.
24o
discipline , e gettando le prime fondamenta della
Dosila storia letteraria. Ma ritornando cala onde sia-
mo partiti, osserviamo che a buona fonte attinse il
Fazello le poche notizie che lasciò scritte intorno
alla nostra storia saracenica avvalendosi delle sto-
rie bizantine di Giovanni Curopolata , colle quali
distrusse la falsa tradizione che predicava la in-
vasione dei Saraceni essere avvenuta per la ribel-
lione di Giorgio Maniaco capitano dell' impcrator
Bizantino (i). Pure se col Curopolata lil Fazello
potè raddirizzare una parte di questa storia quella
cioè , che alla bizantina potenza che andava man-
cando ha rapporto , oscura e direi intatta lasciò
quell'altra dei Saraceni conquistatori. La prima lu-
ce di storia arabica siciliana debbesi al giù lo-
dato Amico, che andato in Ispagua , trasse dalla
biblioteca dell'Escuriale alcuni estratti degli annali
di Abulfeda, e della gloria del Sabboddino, risguar-
danli la Sicilia, che tradotti furono a di lui istan-
za in latino dal bibliotecario Marco Dobeiio Ci-
terone. Sorpreso da morte non ebbe fortuna l'Ami-
co di veder pubblicati quei monumenti da lui con
tanto studio acquistati, e tolse per se questo onore
Agostino Inveges. Ma la pubblicazione di costui
riuscì informe, perchè venne egli malamente vol-
garizzando la latina traduzione di Dobeiio ed a tante
estranee, e moderne notizie inneslolla, che giova-
mi intorno a questo scrittore, che non .so se sto-
rico, o diplomatico debba chiamarlo, appigliarmi
più presto all'opinione del Casiri che il tenue in
pochissimo conto che a quella del Giannone, che
pure il lodò. Ciononostante questo fu il primo
passo che fece tra noi l'arabica diplomatica. Il Caiu-
f (0 V. Faidlo.
so pubblicando indi altri moaumenti, fra i quali si
distingue la Cronaca di Gambdrige fino allora inedi»
ta, accrebbe questa parte di diplomatica , e tra-
piantando le notizie che da quei moiiuinenti potè
ritrarre nelle sue Memorie storiche^ e riunendo-
le alle bizantine ed italiane notizie accrebbe an-
cora la storia saraceuica. L'immortale Gregorio in fi-
ne pubblicando quel prezioso frammento della storia
del Novairi che la Sicilia risguarda, e rettificando
perito come era nell' arabico idioma tutti gli altri
monumenti fino allora pubblicati ed accompagnan-
doli con dotte, ed opportune disertazioni, apprestò
ottimi materiali a chi un' altro passo avesse voluto
ancora fare dare a questa storia. Il sig. Martoranà
lavorando principalmente nel Novairi, e consultando
gli scrittori arabi, e bizanlini,italiani, e stranieri anti-
chi e moderni, che ha potuto avere alle mani , ci ha
dato un corpo di storia siculo-arabica, che fin ora
è mancata nella nostra letteratura. Non creda già
alcuno che una serie di avvenimenti accaduti nel
lungo corso della dominazion saracenica in Sicilia
abbia potuto raccogliere il sig. Martoranà , come-
chè grande sia la diligenza da lui posta in questa
opera. Divide egli l'opera sua in IV libri e dà nel
primo un quadro della potenza dei Musulmani
dal secolo VII al IX , e narra come fecero con-
quista della nostra isola , come rassodarono ivi il
loro dominio , per quali cagioni si venne questo
infiacchendo , come furono indi discacciati dai
principi Normanni: e a questi fatti aggiunge op-
portunamente la serie delle dinastie che sulla Si-
cilia regnarono, e dei Wall, ed Emiri, che in lo-
ro vece la ressero. Se povera riesce la sua sto-
ria, uopo è ripeterlo, colpa ella è della condizione
2^2
politica in cui si trovò la Sicilia in quei tempi , non
dello scrittore, che oggi si pone ad illustrarla. E
così avverrà sempre a chi si studierà d'illustrare
la storia di epoche per lor natura oscure quali sono
nella nostra antica storia la romana e in quella del
medio evo la bizantina. Opera più originale, ed in-
gegnosa ha fatto a nostro credere il sig. Marto-
rana dando nel II libro la storia delle istituzioni
politiche, religiose, civili, ed economiche, del drillo
pubblico in somma de' Saraceni Siciliani e quella
della popolazione, della industria, di ogni maniera,
delle lettere, delle arti, della milizia, e de' costumi
loro che si comprenderanno nel III , e nel IV.
Colla quale compensa la sterilità degli storici avve-
nimenti che sono racchiusi nel I. Determinalo così
in generale il pregio in cui debba tenersi l'opera
del sig. Martorana passiamo ad analizarla , nelle
rispettive sue parti.
Ma prima che c'inoltrassimo in questo partico-
lare esame , stimiamo nostro debito di prevenire
un errore in cui taluno potrebbe imbattersi sup-
ponendo primo fra noi il sig. Martorana , a pro-
clamare r arabica civiltà. Mentre gli tributiamo
l'onore di avere egli il primo scritto, la storia delle
pubbliche istituzioni di quegli antichi invasori della
Sicilia non possiamo con lui convenire che molti
fra nostri moderni scrittori li abbiano tenuto in
conto, di popoli incolti. Che fra i moderni non so-
lo chi al grado di scrittore s'innalza, ma chi medio-
cremente nelle storie è versato, non ignora che il
sacro fuoco del sapere nell'universale barbarie del-
l' Europa , da quella colta gente fu conservato , e
da loro a noi venne trasmesso. Ci duole però che
di sì acre censura abbia fatto segno specialmen-
243
te il dotto storiografo Di Blasi. Se alcun difetto può
Dotarsi nella storia del Di Blasi, in ciò che i Sa-
raceni risguarda, egli è di non aver seguito la non
mai abbastanza lodala collezione arabica del Gre-
gorio: e ben lo potea poiché dopo quella pubblica-
ta fu la sua storia. Sia che anteriormente l'avesse
avuta scritta il Di Blasi e la sua grave età e le
disgrazie degli ultimi anni di sua vita non gli avesse-
ro pili dato agio dì rifare il proprio lavoro, sia che
rivalità col Gregorio 1' avesse accecato a segno di
dispregiarne l'opera, certo egli è che de' lumi da
colui prodotti non si giovò, e qualunque di queste
cagioni lo abbia indotto a ciò faie, dee la severa
posterità compiangerlo, o condannarlo. Ma abba-
stanza conobbe in generale il Di Blasi l'arabica ci-
viltà, e non solo da due interi (i) capitoli dell'o-
pera sua si comprende, ma da niun luogo di) quella
e dato rilevare all'incontro aver lui supposto sel-
vaggi gli Arabi ucome quei primi della razza uma-
»na che si annidavano per i boschi(2).»
(sarà continuato)
Principe di Granatelli.
(0 Vedi Di Blasi storia di Sicilia lib. VI, cap. X, e XII.
(a) Vedi Martorana toIj I. pag. 5.
a44
RIVISTA LETTERARIA
1. Spiegazione di una dipintura che si osserva
nei così detto tempio d^ Iside fra le ruine dì
Pompei. — Napoli presso Porcelli.
Tulto ciò che esce dalla penna dei grandi uo-
mini porla il suggello del loro animo ; e della
tempra del loro pensiero : quindi bene e savia-
mente fan quelli che raccolgono , quasi dirci con
una specie d'idolatria, tutti i loro concetti, anclio
fiTggevoli , e li tramandano alla posterità insieme
agli affetti loro domestici.
La illustrazioae , di che sopra abbiam ppslo il
titolo, fu dettata da monsignor Giuseppe Capece-
Lalro, del cui venerando nome si sono spesso fre-
giate le nostre pagine: e siccome in essa oltre al
giudicio e all'erudizione, che sempre campeggiano
negli scritti dell' antico prelato di Taranto , fassi
eziandio manifesto il tanto celebrato affetto ch'ei
Dulre verso quell'animale sì utile all'uomo, e che
era d' Iside sacro simbolo, vo' dire il gatto; così
caro sopra ogni credere ne torna il parlare di que-
sto opuscolo che ci fa insieme ricordo e della grave
dottrina del sommo Arcivescovo, e dell'animo suo
gentilissimo. Una delle pitture, dice l'autore, che
osservansi nel vestibolo del picciol tempio (l'iscri-
zione dinota Jedem che significa cappella), dedi-
cato alla Dea Iside, presenta un sacerdote che apre
un volume in atto di annunziare al popolo la pom-
pa solenne de' misleii, che celebravansi in onore
di quella divinità. Due cose principali rileva l'au-
tore in questa dipintura , ed atnbidue fermano il
suo pensiero, e lo guidano alla presente illustra-
zione; il gatto, die sta agiatamente assiso sul cor-
nicione di un pilastro , e gli abiti sacerdotali, di
che vedesi adorno il ministro della Dea.
Gli scrittori delle cose egizie son tutti d'accordo
nel narrarci il culto e gli onori che riscotea que-
sto animale nello antico Egitto : si credeva eh' ei
discendesse dalla luna, e qual lìglio di essa si ri-
putava; dimodoché in tale e tanta venerazione te-
nevasi, che le leggi scagliavano pena della vita a
colui che avesse a bella posta o a caso, eh' è ancor
più truce, ucciso un gatto.
Il nostro autore fa un rapido quadro delle glo-
rie di esso appo gli Egizi, e, quasi spinto dall'as-
sociazione dei suoi concelti , ci fa nolo che. nelle
napolitane provincie è quasi nel popolo generale
la idea che l'uccisore di un gatto debba esser pu-
nito dal cielo , e che la pena che lo attende sia
una vita errante, senza mai trovare un sicuro asilo.
Ed a me pare, arroge il dottissimo prelalo , che
questa idea ci assicuri dell'antica tradizione rima-
sta nelle nostre contrade sul culto d'Iside sotto le
sembianze del gatto; e poiché la pena allora sta-
bilita non può aver luogo dopo le nostre regole
religiose e civili , si è supplito coli' idea di una
vita errante simile a quella di Caino. Per le quali
cose non essendo alcuno che ignori (avuto riguar-
do alla fama europea del nostro autore) quale gen-
tile passione egli abbia per tale specie di animali,
si è studialo in queste pagine di rilevare tutte
quelle particolarità the ad onore di esso ridonda-
no ; quindi balle Pierio Yaleriano che tentò di
^6
oscurarne là riputaiione. nel crederlo simbolo de-
gli uomini ingannatori, che sotto l'aspetto di ci-
"vile costumanza nascondono le proprie scelleratez-
ze. Imperciocché credette astuto e maligno ritro-
vato r uso eh' egli ha di nascondere e di coprire
colla polvere gli escrementi, dei quali si scarica;
mentre questo costume doveasi , per lo contra-
rio, riputare indizio sicuro del gentile istinto, che
la natura gli avea concesso : e saria desiderabile,
dice l'autore, che i nostri popolani imitassero l'e-
sempio del gatto, per non vedersi nelle pubbliche
vie le loro sconcezze, che fan torto ad un popolo
civile, e deturpano le città.
Nella presente dipintura il gatto , siccome an-
nunziammo , trovasi assiso , ed ha il sistro suHi
testa.
Il Kirher, dal nostro autore citato , porla giu-
dicio, che ne' geroglifici il gatto sedente esprima
una forza ripulsiva de' mali, e il benefico influsso
della luna; ed è messo a sedere, nota saggiamente
r autore, per dinotare la stabile durata della feli-
cità, allorché si ottiene la prolezione del cielo.
Il sacerdote lia nelle mani un libro , e , qual
miiiisUo d' Iside , ne spiega al popolo i misteri.
Questa famosa divinità di Egitto ebbe in tutte le
napolitane contrade , ed in Pompei specialmente,
culto assiduo e siusjolare. Numerosi eran quivi i
suoi tempi; e negli atti dell'Accademia ercolanese,
che sono pieni di archeologica sapienza, del cullo
isiaco estesamente ed egrregiamente si ragiona. Ncl-
la prt-seiile illustrazione molle cose, e tulle savie,
su questo culto si discorrono; dimodoché può ella
far parte, siccome ebbe in pensiero l'autore stesso,
del travaglio accademico, che su di esso si aggira.
24?
Pompose e ricche sono le vesti del sacerdote: rasa
ha egli la barba, e raso il capo, che Tiene coperto
nella cima solamente da un berretto, da cui pen-
dou due ali. È da notare che nella natura delle
vesti riconoscesi il bisso: nelle ali, appese al ber-
retto, scoigesi l'emblema di Mercurio: nel mento
e nella testa, spogli di peli e di capelli, vedesi il
più chiaro distintivo de' sacerdoti isiaci, siccome
Vossio volea. ::f'ti orcinh/l) \w^ò
Le quali cose insieme riunite, mentre ne fanno
con sicurezza stabilire il nostro giudizio, ne por-
gono una seconda idea, che siccome Iside ripulavasi
divinila che i porti di mare proteggeva; così l'unio-
ne della berretta mercuriale su la testa del sacerdote
chiaro manifesta l'affluenza colà del commercio sì
favorito da Mercurio.
Eeco dunque come da poche pietre, che nulla
dicono all'occhio del volgare, ricava sempre il fi-
losofo sicure nozioni intorno allo stato civile de-
gli antichi popoli.
F. Malica.
2. Elogio funebre del Rev. ex generale Luigi
j4iìtonio Faro carmelitano pronunzialo nel-
le solenni sue esequie dal padre D. Luigi Be-'
NEDETTO CoRVAJA cassinesc decano e Maestro
de' Novizi' Catania da' tipi di Saldatore la
Magna e fglio i833 pag. 48. l'''i*i|»
Luigi Antonio Faro fu ricco di sapere nelle
morali discipline, e d'ogni più cara virtù evange+ii
lica in questa dolente stagione, nella quale non so- >
no più i chiostri serbatori di sapienza , specchio
24»
di temperanza e purità, al sozzo secolo che volge
al basso. Fra tutti ei solo non s' avvedea di sua
gloria, cotanto in lui erasi la umiltà vera ed in-
genita, e rendea dolcissima de' suoi immacolati co-
stumi la mansuetudine. Nella quiete del ritiro con
V Esame della memoria anonima sulla proprietà
de beni ecclesiastici , e con le osservazioni alla
memoria di un'avvocato intorno d corpi eccle-
siastici e loro èewi (Palermo 1812 e Roma 1824)
opere modeste in tempi di tracotanza e vertigine,
e di profonda dottrina, appalesò agli estrani quan-
ta luce vestisse l'incorrotta anima. Caduta poi la
fortuna de' napoleoniJi ne' campi di Waterloo; la
tempesta europea affatto calmata; riaperto agli uni-
versali commerci il continente; a Papa Pio VII.
quei volumi e la voce del Faro pervengono, e in
tempi ancor di ppricolo inaspettatamente lo estol-
le a Generale de' carmelitani con maraviglia più
di tutti dell'istesso umile attonito fraticello.
Di tanto uomo il Corvaja tesse l'elogio presen-
te la città di Catania intera , che tutti e dotti e
pii 1' onorarono a gara. L'oratore esordisce sull'uf-
ficio de' funebri panegirici , che la viltà de' pre-
senti non al merito puro consacra , così almeno
dopo le tombe facendo i sapienti giustizieri della
turpitudine de' tristi ; ma in vece profanali pro-
strando sino a celebrare il vizio che vien più de-
forme tra le fasce, gli onori, e le gemme: e fassi
quindi a sporre come per la vita, per la sapienza,
pel regimento il Faro nel tempio del signore splen-
desse. Egli al pari de' piìi chiari uomini nacque
in oscura terra, Pedara villaggio etneo, uè di ciò
ebbe vergogna, ne perchè visse 70 anni in Catania
tacque la patria; e, come Plutarco potea dire, gl'illu-
stri dare nominanza alle ignote terre, onde per lui fu
Cheronea famosissima;e come Cicerone, Orazio, Ovi-
dio, Ennio, Plauto, Pacuvio , Terenzio, Catullo,
Properzio ec. non si dissero Romani, benché Ro-
ma potea chiamarli suoi figli; e fra noi Piazzi, Haus,
Gargallo non si cognominano Palermitani quantun-
que per decreto di quel senato abbiano avuto cit-
tadinanza , così egli non mai Catanese intilolossi,
per decorare del suo nome il suolo natale; eh' e
indegno d'aver patria quel vile che in suo cieco
orgoglio la rinnega. Ebbe maestri Raimondo Pla-
tania e Vito Coco: apparò il greco, il latino, le
matematiche ec. oltre alle scienze e cognizioni
necessarie al suo ministero: fu due volte provincia-
le: spirò di -^6 anni un mese 017 giorni il 3 feb-
braro iSSa.
In tutte e tre le parti dell'orazione il Corvaja spo-
ne i meriti del compianto in modo che anco iti
leggendola l'anima commove a venerazione ed af-
fetto per l'illustre perduto. E' lucidissimo in essa
l'ordine e la concatenazione delle materie; nulla fuo-
ri luogo, di difetto o superfluo; calde le immagi-
ni; lo stile nobile e colto; pura la favella , e se
qualche dizione sembra ardita egli e solo perchè
biblica : tutto è vivido e fulgente ne' libri inspi-
.*rati. Vorremmo che il Corvaja, il quale per erudi-
zione, e per quel sapere oraziano, principio e fon-
te del retto scrivere, e per costumi aurei e genti-
lezza di modi urbanissimi, rendesi chiaro infra e
fuori le pareti del chiostro, si volgesse ad opera
di diuturna fama ed utilità sua, del suo celebra-
tissimo monastero, del pubblico. Egli abita un ce-
nobio dovizioso di oggetti rari, raccolti nell'archi-
vio, nella biblioteca, nel Museo; l'illustrazioDe , e
35(0
l'evulgazione de' diplomi inediti , un catalogo ra-
gionato de' libri, e una descrizione del Museo, bella
per incise tavole, attendiamo da lui; s' armi di
buon volere , e noi non saremo mai pigri a ren-
dergli il dovuto onore. L, V^,
3. Memorie intorno ad alcuni nostri sommi giu-
reconsulti del decimo-terzo secolo compilate
da G, Flauti edizione seconda Napoli i833.
' Il secolo XIII per aver data novella vita alle li-
berali discipline sarà solenne non che all'Italia, ma
all'Europa tutta. La parte meridionale però della
penìsola , che con isola nostra formavano un sol
regno col nome di Sicilia , sembra che meritano
l'ouor primo nei fasti della novella civiltà. Un no-
bile ed amabile vincolo che incatenava gli animi
dei Siciliani d'allora faceva bello e ricco il paese
e richiamava gli spiriti nobili alla cultura della
parte migliore di noi. Erano le lettere in quell'e-
tà quasi esclusivo nostro retaggio; la scienza del
dritto però che sembrava aver fissato la sua sede
fuori di questo fioritissimo regno, non solo non fu
dai nostri trascurata , anzi ebbe a coltivatori dei
sommi uomini, onore di quel secolo. Bello è quindi
il vedere presentati quasi in un quadro i giurecon-
sulti che le nostri leggi e il comun diritto illustra-
rono , e sentirsi brevemente indicare le principali
opere di coloro che tanto bene meritarono nella
memoria' dei posteri. Quindi io sebbene nato in
quella parte di Sicilia che il sig. Flauti non com-
prende nel suo lavoro, non posso però fare a meno
di lodare il giovane autore, per così incoraggiare i
a5i
nostri ad imitartie l'esemplo. Intanto per venir^iin
poco sui particolari, con mio sommo piacere lessi
la laboriosa biografia di Pietro delle Vigne, uomo
che sarà sempre illustre ancora dopo molti secoli*
In tutto questo articolo (come negli altrij trovai suc-
cinta narrazione, con abbondanza di erudizione, sa-
gacità di scelta, zelo e carità patria, senza affettazio-
ne, senza menzogna. L'autore si mostra franco nel
dividere il certo dall' incerto , nel rifiutare le fa-
vole, neir abbracciare la verità. Perciò io credo
che erudito come egli è, sentirà con piacere indi-
carsi un monumento che sfuggì alle sue ricerche.
È questo un privilegio dato a Berardo arcivescovo
di Palermo riferito dal nostro Mongitore nell' o-
pera Bullae et Privilegia EccL Panormit. pagi-
na io6. che così conchiude: Datum in castris in
obsidione Parme per manus magistri Petri de
f^ineis iniperialis aule protonotarii et regni Sici-
Uae logothele anno incarnationis millesimo ducen'
tesimo quadragesimo septimo mense julii quinte
indictionis. Da questa soscrizione appare che sino
all'anno 124? "o^ solo godeva Pietro la piena gra-
zia del suo principe; (che alcuni pensano aver egli
perduta assai prima) ma esercitava la carica di
protonotaro dell'aula imperiale la quale egli nomina
come distinta da quella di logoteta del regno di
Sicilia. Nessuno, per quello che io sappia, de' bio-
grafi del nostro Pietro, ha riconosciuto iu lui que-
sto carattere. A dimostrare con quanta attenzio-
ne ho studiato questo gradito libretto, voglio nota-
re un leggiero equivoco trovatovi dentro. Alla pa-
gina 1 1 vi sta scritto che fu Gualtieri di Palearia
vescovo di Troja^ poi di Catania^ e finalmente
arcivescovo di Palermo. Sq vogliamo essere giu«
i5
252.
sii, Gualtieri non fu mai arcivescovo di Palermo.
Poiché eletto dall' arbitrio del legato del romano
pontefice contro il costume clie allora valeva, ven-
ne dallo stesso pontefice rifiutato ed ordinato in-
vece Parisi. Gualtieri contentossi della cattedra di
Catania in cui credesi aver durato sino alla fine
dei suoi giorni. E sembra non aver avuto ad of-
fesa «il rifiuto della chiesa di Palermo nella cui
cattedrale dotò una cappella (i).
Questo sia detto non per malevoglienza ma per
dimostrare quanto invisibili sono i nei che in lutto
l'opuscolo si potrebbero notare e di quelli che ap-
pena sa fuggire l'umana debolezza.
Nicolò JBvscemu
(i) II diploma di donazione in cui si scorge la vera maniera
di scrivere il nome di Gualtieri siccome ignoto mi piace esporre
al pubblico. Egli si conserva uel tesoro della nostra chiesa e
dice così:
Gtiiìlterius de Paìlearia Dei grattfi Cathaniensis episcopus et re-
giti Siciline cancellarius. Salutare proposilum cjuod exteiidilur ad
opera pielatis tanto diligeiitiiis decet ad eJJ'ectum perduri quanto
per id quod Dep disponinius in suis ecclesiis largiendum ejus nobis
concitiatur miscricoi diter gialla^ queni in cotidiana iinslla gra-
l'iter n(/cndimus culpa. Cunt igitur divinae pielatis obtentu rtu-
per altare quóddam ad honorem omnipotenlis Dei, et sQnctissi-
mi patris nostri Antonii constituerimus in Panormitnni archie-
piscopattis ecclèsia volentes ibi nunc speciale niunus ojjerre ptr
quod in endem altari devote servialur altissimo et mister ia frc
quententur divina in aiiimae nostrae remedium ac remissionem
delictorum nostrorum concedimus et donamus in pe'rpetiium ipsi
panormilanae ecclesiae quoddam jardinum nostrum quod- est in-
fra miti OS civilalis panarmi iuxta porlam Thermarum , et fuit ohm
Hj elidi ciim omnibus justitiis et pertinéntiis ejus sicut udbis du-
dum fuit a domina nostra imperatrice bonae recotdatienis con-
cessum. Ipsum prof ceto jardinum concedimus ut dictum est pa-
normitanae ecclesiae prò ipsius specialis altaris servitio, videlt-
cet ut , sacerdos ibi servicns inde valeat sustentari.-j4d hujus
autemconcessionis ac donationis nostrae memoriam elroLur per-
petuo valiturum praesens privilegium scribi et sigillo nostro fé-
cimus communiri. Anno mense et inditione subscriptis. •
Datum panarmi anno dvminicae incarnationis M." CC." IX,"
mense aprilis indictionis XII. Regni vero domini nostri Fride-
rìci Dei gratta serenissimi regis Sicilie ducatus Aptiliae prin-
cipalus Capuue anno Xf, felicitcr amen.
253
4. Compendio di storia di Sicilia dell'abate Gì'
ROLAMO DI Marzo e Ferro da Palermo^ per
uso delle scuole pubbliche e private di Sicilia
seconda edizione^ corretta ed in molti luoghi
accresciuta dall' autore. — Palermo presso la,
R. Stamperia i833 un voi. in S.° di pag. 16/.
E questa operella alquanto migliorata, di come
comparve nella prima edizione, poiché oltre all'es-
sere in talune parli corretta, è stata accresciuta di
altre notizie , e specialmente di tre tavole crono-
logiche degli emiri che governarono la Sicilia, dei
re, dei viceré, dei presidenti del regno , e dei luo-
gotenenti. Le quali sebbene non sieno costate molta
fatica all'aulore , per averle tratte dalle opere del
Gregorio e del Di Blasi, siccome egli candidamente
confessa, pure servir possono di aiuto alla memo-
ria del giovanetto, che facilmente dimentica la cro-
nologia: parte essenzialissima della storia. Ma l'or-
dine, il metodo, la lingua, e lo stile sono rimasti
g^li stessi, e quindi ci resta ancora a desiderare uii
compendio di storia siciliana, che dar si possa con
profitto ad istruzione della gioventù.
5. Discorso intorno la vita e ^li scritti del pro-
fessore Giacomo Jdragna da Trapani per
Mjchele M. Jdami. — Napoli dai torchi del-
V osservatore medico iSòS^ un voi. in 8^° di
pag. 33. '
Giacomo Adragna nato in Trapani nel 1790 col-
tivò con ardore le mediche scienze, scrisse un sag-
gio di patologia generale, e varie operette sul coii-
+
2^4
tagio elefjiiilinco, sull' imporlanza di conoscere la
socie delle maialile , sulla cancrena , sulla lisi , e
molle allre cose iuedile, che speriamo saranno per
\cdcre la luce. Fu piofcssore di fisiologia, patolo-
gia, e malcria medica nel patrio liceo , segretario
della classe di scienze fisiche e naturali , nell' ac-
caden)ia della Civelta , ([)èr opera sua e di altri
valetiluomini lislorat^j), e socio di molte cospicue
letterarie e scientifiche radunanze non che nazio-
nali, ma Ibirslieie. Fu in fine generoso, sensibile,
ed umano , e moi j vittima della sua filantropia e
dell' amore alla scienza da lui coltivala nell'aprile
di questo cadente anno i833.
"J'ulti questi pregi, che non son mica poclù , pren-
de Michele M. Adami ad elogiare. Ed in ciò as-
sai ben si condusse , poiché il suo discorso olire
all'essere dettalo con fuoco, e non senza semplicità,
sembraci sjìarso di non poca ed opportuna, erudi-
zione , comechè più terso 1' avessimo desideralo e
jiiù collo nella lingua.
6. Intorno al Marco Curzio tragedia di Vin-
cenzo j4more lettera di Giuseppe Falcone-
ri. — Messina presso Michelangelo Nobolo
i833y un voi. in 8.° di pag. i6.
Con eleganza e semplicità sembraci dettata que-
sta lettela, colla quale facendosi l'autore a ragio-
nare di una tragedia non ancor fatta di pubblica
ragione, ma solo rappresentata, ha dovuto toccar bre-
vemente, e quasi di volo l'argomento. Il perchè si è
egli voluto più tosto trattenere sulle quislioni pur
troppo dibattute tra le due scuole classica e ro-
253
mantica , e mostrandosi eli parteggiare per la pri-
ma, mette innanzi degli argomenti, i quali, sebbe-
ne non riescano nuovi, pure per lo scopo a cui
tendono, che si è quello di combattfMe alcune stra-
ne e dannose opinioni , debbonsi come utili ri-
putare ; maggiormente quando essi son ripetuti in
paesi, ove non mancano di quelli, die non contenti
di abbandonarsi a corpo morto a tutte le follie dei
novatori, ne van trombettando i principi, tentando
così d'ingannare gl'inesperti, e i male accorti, che
facilmente se ne van presi alle grida.
J.D.G.M.
7. Storia di malattia , e suicidio con ideo-jìsio-
patologiche riflessioni di Stefano ànzal,di
da Mazzarino. — Palermo iS33, pag. 2^.
Cominciamo col dire che il lavoro non già pel
bene della scienza fu dettato, ma per Irar vendetta
contro taluni w che spargono ogni dove calunnie,
e chimere w Si tratta di uomo che al 16.° giorno
di febbre patecchiale venne assalito da » disturbo
w al sensorio comune. ...vaneggiamenti, veglia, di-
w sperazione ec.al 12.° da movimento quasi con-
>j vulsivo sui labbri m In quel medesimo giorno pra-
ticossi con un rasojo una profonda ferita trasversa
alla gola , con perdita di cinque libre di sangue,
alla quale succede calma, riferendo l'ammalato placi-
damente il fatto » ma scorse circa ore 48 cadde
w in un formale furioso delirio — più persona non
w conosceva, bestemmiava, ingiuriava, si masturba-
va ec....w Al 16. ° dietro una breve calma morì.
In una parola il paziente fu pazzo dal 1 0.° di sua
1x56
malattia sino alla morte; di falli >j il cervello nella
y» sua trama vascolare presentò un ingorgo sangui-
» gno nericcio, w l'Autore pertanto si sforza a pro-
vare, che avendo l'infermo tranquillamente riferito
e deploralo il suo misfallo , così questo ascriver,
devesi non a delirio ma a pensato e riflessivo sui-
cidio. Ma s'egli avesse ben lello gli Autori, (i) se
egli avesse frequentala qualche casa di matti uoa
avrebbe scritto cose, che si oppongono intera menti
alla giornaliera osservazione. I monomaniaci delti ra-
gionevoli, scrive il Broussais, aborriscono il delitto
colle parole, e lo commellono cogli alli. La gran parte
dei maniaci, e monomaniaci ricordano minutamente
le azioni eseguite nel loro delirio: e conosciamo di
quei pazzi, che dopo avere nel loro fuioie alien lato ai
propri giorni, ci bau riferito tranqaillauicnle il caso.
Epperò porta ciascuno le sue opinioni ; il sig.
Anzaldi ha anche le sue, ed in ciò è perdonabile;
ma quei tanti peccati tipografici , orlografici , di
lingua, e di grammatica che fracassano ad ogni li-
nea r orecchio, quelle conlumelie scagliale contro
ad alcuni qualificali di crassa ignoranza^ di nudità
di giuste idee , degni di compassione , poveri di
cognizioni etc. Oh questo è imperdonabile.!
ANTONINO Greco.
(i) » Un reste du lype norma! de i' action cerebrale reparalt
» de tcnips à autre, et leur permei de reconnaitre ce qu' il y «
» d'inconvenant ou dtt LlAniablc liaiis leur conduite wdice il col.
Qroutsaìs.
8. Della Guerra di Fiandra Deca seconda com-
posta da Famiano Strada della C. di G. e
volgarizzata da Paolo Segneri della med. C.
voi. quattro in 16 — Torino per Giacinto Ma-
rietti i83o.
Un esemplare di questo libro del Segneri, qua-
si posto in obblio dopo l'unica edizione di Roma
del 1647, ed or con nitidezza e molla diligenza
riprodotto in Torino dal Marietti, è pervenuto ca-
sualmente in Sicilia, ove i libri stampati all'estero
sono or divenuti assai rari. La guerra, che non
so, dice lo Strada, se io abbia a chiamar delle Fian-
dre, delle Spagne, o pressoché dell'Europa intera,
la guerra, che per lo spazio di sessant'anni oflTre
mirabili esempì di amor patrio, di magnanimità,
di valore, la guerra in cui sfolgoreggia da un lato
un Guglielmo di Nassau, dall'altro un Alessandro
Farnese, questa guerra fu descritta poco dopo il suo
termine da due valenti istorici italiani, scegliendo
l'uno la lingua del Guicciardini , l'altro quella di
Livio. Qual sia la palma ch'entrambi questi due
istorici abbian mietuto, o che a ciascuno debba con-
cedersi ; chi di loro abbia mostrato maggior de-
strezza e valentia nello scrivere; se essi abbiano,
o no , deposto in tutto gli affetti che tradiscono
ben sovente quei che corrono siffatto aringo; sino
a qual grado siasi ognun de' due appressato alla
santità della storia, o di quanto ne sia rimaso di-
scosto , non e qui luogo a discutere ; trattandosi
spezialmente di opere abbastanza celebri. Qualun-
que sieno però le sentenze finora profferite e da
poter proferire, non escludendo quella del Gravina
su l'illustre Porporato, e l'altra del Porporato me-
258
desimo su T esimio gesuita suo emulo, si pub sicu-
ramente affermare che la guerra di Fiandra si dal
Bentivoglio, come dallo Strada ci fu resa in- modo
da porgere una lettura non pur utile, ma di non
lieve diletto. Or della storia di quest'ultimo, scrit-
ta originalmente in latino, fu la Deca seconda vol-
tata in italiano da un altro piìi rinomato scrittore,
da Paolo Segneri, il quale, benché allora assai gio-
vane , seppe nondimeno imprimerle tanta castità
ed eleganza di lingua,* lanla nobiltà, chiarezza, e
disinvoltura, conservandosi fedelissimo sempre al-
l'originale, che quest'opera si rende veramente gra-
devole a chi la percorre, e può alla gioventù stu-
diosa esser, senza fallo , di non lieve proGlto fra
gli esemplari del bello scrivere italiano, e de5l'arte
non comune di ben tradurre. Anzi direi , che vi
si ravvisa tal semplicità di locuzione, che neppur
quasi ti fa ricordare quella stesse poche macchie
del secolo, delle quali altre opere del Segneri non
vanno esenti. E tal esquisito libro è giaciuto sì
lungo tempo sepolto. Habent sua fata libelli. Gra-
zie al tipografo torinese, che lo ha fatto rivivere
co' fregi d'un'edizionc ben tersa; mentre in noi de-
stasi desiderio che anco i nostri torchi di Sicilia
vogliano ridarlo alla luce fra i tanti bei libri ch'es-
si ci vengono ormai offerendo: mollo più, che di
scritture candide e disinvolte son necessari conti-
nui esempi, affinchè fuggendo la negligenza, non
s'incorra tosto nell'affettazione, vizio non men fa-
stidioso e nocivo. Osservò già quel Gulio, autore
della Difesa di Dante, che il Segneri ed altri suoi
pari, comcclic scrivano e recitano cose forbite nel
più alto stile, pure commuovono anche la plebe
delle più oscure ville d'Italia; e i villani, le trec-
che, le lavandàie le intendoDO. Grave osservazio-
ne per vero in fatto di lingua. Ma perchè i tipo-
grafi nostri Bon pensino , che parlando noi della
versione anzidetta , vogliamo inanimirli colle no-
stre parole soltanto, ricordiamo l'autorità d'un in-
signe italiano filòlogo, Giuseppe Grassi, al cui oc-
chio sagace non era sfuggita quella pregevol'opera
del Segneri, prima della ristampa fattane in Tori-
no.» Alle opere di sìpurgato scrittore (cosi il Gras-
si) ammesse agli onori del Vocabolario, se ne ag-
giunge ora una non troppo nota, e della quale'più
che delle altre ho fatto profitto per la compilazio-
ne del mio dizionario, perchè tutta militare, e de-
gna anch'essa per molti capi dell'alta fama dell'autor
suo: è questa una nobile e fedele traduzione di
Una delle decadi dello storico latino delle guerre
di Fiandra, il p. Famiaiio Strada , nelle quali sono
particolarmente narrate tutte le gloriose gesta di
quel folgore di guerra, Alessandro Farnese, che
tanto di splendore mandò in quelle guerre sulle
armi di Spagna , e tanto sul nome italiano . La
perizia del Segneri ed il suo sentire nella lingua
italiana, già si mostrano anche in quest'opera che
è la sua prima; essa fa fede a un tempo dell'in-
sufficienza del vocabolario nelle cose militari, ri-
conosciuta dal p. Segneri stesso , che obbligato a
ricorrere ad altre voci , crede doversene scusare
con una nota apposta in calce al volume ».(v.An-
tolog. di Fir. n. 98 p. 207.)
Baldassare Romano,
36o
9. Componimenti in morte di Francesco Peranni
Generale (V Artiglierie. Palermo Gabinetto Ti-
pografico all'insegna di Meli i833 un voi. in
8° di pag. 52.
Francesco P eranni del cui nobile ingegno ed
antica virtù si fece per queste Effemeridi onorata
ricordo, (i) ebbe felicità di egregi amici che si riu-
nirono ad onorarne la memoria col qui annunciata
volumetto. Il quale contiene un' elogio del sig. M i-
cliele Amari, lodato traduttore del Marmion , tre
nobili poesie di tre valenti ingegni, e l'eleganli la-
tine iscrizioni del sig. Gaetano Daita, da noi pub-
blicate la prima volta. Per principal lode di tuHi
questi componimenti diciamo vedersi adempito l'au-
reo precetto del Venosino
Se tu vuoi che io pianga
Primo a dolerti sii tu stesso
Orazio arte poet. trad. del Gargallo
perchè ne pare che chi scriveva, sentiva altamente il
desiderio dell'onorevole uomo. Questo pregio che
nelle scritture dei generosi è naturale , e rifulge
sempre, sovente è scompagnato da quelle della tur-
ba degli autori che vendono a prezzo e torcono em-
j)iauu'nle a corruzione il sacra ufficio delle lettere,
nato a migliorare i costumi degli uomini. Colali in-
famie già comutiissime, avventurosamente sono ite
cessando in Italia, ma non sono spente del tutto.
Fu dftto già di Plutarco superare nella felicità del-
l'argoinenlo gli scrittori tutti di storie, perchè ove
altri a raggirarsi sono astretti fra i delitti degli uo-
mini, ei non dovè dipingere che la virtù. Questa
sorte è toccata al sig. Amari; ma non men felice
(1) VcJi nulli. 2J — 11.
ei riuscì nella scelta, che nella esecuzione del suo
lavoro. Veramente 1' elogio del Peranni è dettato
con una eleganza, con nn'ordine, con una disinvol-
tura , con una rapidità , con un entusiasmo , che
nelle sue 35 pagine dà a divedere scrittore noa
ordinario il giovane autore. Il sig. Domenico Ari-
sta nella sua elegia si mostra allevato alla scuola
di Dante, e di Petrarca, comechè senta più della
gentilezza dell' uno , che d^Ua fierezza dell' altro.
La Monodia del sig. Francesco Di Giovanni , e
r ode del sig. Daita sposano ad allo sentire un ver-
seggiare robusto. Aureo in somma è il volumetto,
e degno dell' illustre personaggio la cui memoria
sì onora.
P. G.
NECROLOGIA
Da Niccolò Sozzi Palermitano e da Anna Ma-
ria Lo Presti venne a luce Olivio in Catania ad-
dì 8 Novembre 1771, e fu da rapido morbo spen-
to il 17 Aprile ultimo. Nato da una famiglia di
pittori, seguì l'avita professione: non puossi ricor-
dare il suo nome senza soccorrerne quello dell'avo
di lui Olivio od Oliviero Sozzi, illustre nel 700 fra
noi, perchè in cima degli aflìescanti e piìi de' manie*
risti, e sono ormai circa 80 anni mancato in Spacca-
forno nel condur la chiesa del Salvadore. Ritenea il
nipote molto la prodezza e i costumi dell'avo , di
cui fa il ritratto della vita 1' ingenuo e rozzo p.
Fedele da s. Biagio ne' Dialoghi su la pittura.
Apparò l'arte prima da un Francesco Gramìgna-
ni Catanese, ìndi da Matteo Desiderato dalla patria
detto il Romano^ e singolarmente fu esperio nel
miniare: dal romano imitò il vivido nel colorare,
la sobrietà nel comporre e alquanto de' modi dei
cortoneschi, ma non lo aggiunse nel disegnare. A-
raò sempre la terra natale, ne se ne dilungava mai
lieto; avea ogni delizia fra' suoi focolari , che gli
fruttavano i più dolci tra' beni dell'umano affanno
ozio e pace. Viaggiò a Malta, poiché Dubois l'ehbc
derelitta alle armi britanniche, e vi si tenne a ma-
lincuore un'anno: non ragion pubblica, ve lo attras-
se l'oro anglicano, che in quella tempestosa sta-
gione venia dalla Brettagna nell'isole del moditi-r.
ranco a torrenti a ingigantire la nostra finta d'i.i-
stanlanea ricchezza: ri patrio eoa grato anituo per
quei liberali suoi protettori.
Infinito è il numero de' suoi lavori, e per tut-
ta Europa sono diffusi: poiché non pochi Inglesi,
Tedeschi, Italiani, Francesi, Turchi ne acquistarono.
1 viaggiatori, i comandanti di flotte e d'eserciti,
i consoli de' vari monarchi, la regina d'Inghilter-
ra, il Dey di Tunisi e tutta la sua famiglia, gli
Americani, che qui apportarono, oltre i mille si-
ciliani da lui ottennero chi ritratti, chi storie , chi
paesi, e colanti ch'io disgrado il più paziente a leg-
gerne il catafogo. Per levarne il saggio accenniamo
solo Amore dormente tra le braccia del Piacere, soa-
ve immagine di tutta grazia con soavissimi modi con-
dotta e dagli eredi serbata; i ritratti del Tomraa-
si ultimo gran maestro dell' ordine gerosolimitano
a Cortona, a Parigi, e allo Czar Paolo a Pietro-
burgo indirilti; due Lede e due Sibille per lord
Stiuujp; una Lucrezia spedila in Sardegna; uiki
a63'
sacra famiglia per Giuseppe Vigo minorila; i ri-
Iralli de' nostri principi per lo re di Prussia; ©
una natività per il rev. Valle abate de' Casiae-
si di Catania.
Giovò la patria vivificando l'ardore per la pit-
tura, e iitlia pratica dell'arte gentilissima del mi-
niare, allevando Concetta Zuccaro, Anna Filippino,
Annetta Porpora, la Baronessa di Villallegra, Ma-
] ietta Guarrera, e con esse non altri pochi del forte
e leggiadro sesso. E ora mai io Catania hanno que-
sti ingenui studi miglior conforto ottenuto dall' e-
seaipio di Giuseppe Gandolfo professor nominalo
e degno d' incoraggiamento e di lode, e dal senno
di GiusL»ppe Alessi, Alessandro Recupero, Rosario
Scudcri dotti amatori e conoscitori dell' arte , e
tulli fra i più cari al Sozzi, per comunità di stu-
di e mansuetudine d'indole. I sessantadue anni da
lui vissuti spese tranquillo nell' esercizio de' pen-
nelli, nell amore della consorte, de' figli e degli a-
mici dilettissimi , che gli resero afTatto beala la
mediocrità del suo quieto vivere: egli riposa bene-
detto, e compianto,
L, Vigo,
SStMica di Londra i83a. Let-
tera ai compilalori delie Elf'cm'nidi ec. di Carlo Gemmel-
laro prof, di storia naturale nella R. Uuivcrsità di Catania i8
Memoria di J. Fi. W. HerscLel ....•...» 20
Memoria di Ignazio Sanfilippo , professore di economia po-
litica nella R. Università di Palermo, letta;,al R. Istituto
d' incoragniamento su ciò che dovrebbesi praticare per
fugiiire la mescolanza della prima fronda del sommacco
colla seconda . : . » 3i
Lezioni sopra diversi morbi cronici composte da Massimi-
liano Stoll P. P. O. di medicina clinica nell Università
di Vienna — prima versione italiana con note di Lorenzo
Angileri — Palermo Gabinetto tipografico all'insegna di
Meli i832 — Nicolò Cervello « 81
Continuazione e fine della seconda memoria , e nuova rac-
colta di fatti comprovanti i cattivi effetti del mercurio
nelle malattie nervose di Giuseppe Pidone . ...» 87
Sopra gli elementi di filosofia del prof. Vincenzo Tedeschi
voi. I. — Catania i832. — Lettera di Emerico Amari
al cav. Antonio di Giovanni Mira .....-.» 126
Memoria VII dell'ab. Paolo Balsamo — La Sicilia ha quella
quantità di moneta clie aver può nelle presenti sue cir-
costanze 1) 171
Storia della epidemia petecchiale avvenuta in Alcamo nel-
l'anno 1829 di Giuseppe Lombardo Giacalone — Tra-,
pani presso la società tipografica i832 in 8. di pag. 4^
— Antonino Greco » 190
Lezioni di Algebra elementai-e ad uso della Regia Università
degli stilili di Catania del cav. Ignazio Di Napoli — Ca-
tania i833 in 8. di pag. 206 — Gaetano Batà . . » il^
Storia di malattia e suicidio con idco-fisio-patologichs rifics-
sioni di Stefano Ansaldi da Mazzarino — P.ilermo i833 —
Antonino Greco » a55
LETTERE ED ARTI
Sopra una Bnccanle eseguila in marmo dall'egregio sig. Va-
lerio Villareale da Palermo— Illustrazione di Agosti-
no Gallo pag. 38
Una gita da Palermo a Siracusa •>■ Lettere di Francesco Se-
sti — Lettera 1. . • »' 5i
Lettera II .... s ... .■ . » 56
Fasti della Grecia nel XIX secolo. — Poesie liriche del
prof Antonio Mezzanotte — Pisa tipograGa di N. Ca-
pnrro e comp. iSSa un voi. in 8. di pagine u53 — Fer-
dinando Malvica. • t » 6o
Sopra due dipiriti uno del cav. Giuseppe Patania e l'altro del
cav. Vincenzo liiolo. ' — Lettera al sig. Agostino "Gallo
di Antonino Zerega "98
Della gcrnrcliia degli esseri intelligenti — Cantica del Mar-
chese Tommaso Gaigallo. — Il Genio tutelare — Canto
III . ■ • » io6
Sulla C' 111 iiiuazione dell'Istoria d'Italia del Guicciardini fatla
da Carlo Botta —Lettera seconda di Pietro Lanza Prin-
cipe di Scordìa al sig. Ferdinando Malvica ...» !o8
Secondo Articolo — Botla — .J. V « iia
Memoria sulle antichità agrigentine di Niccolò Palnieri con
una letlera sugi' Ipogei di Girgen-ti di Lionardo Vigo.
— Palermo dal Gabinetto tipografico alla insegna di Me-
li i83a in-S" di pag. g5 — Agostino Gallo» . . » i53 e 199
Difesa della città e de' porti di Brindisi
di G M. Napoli )83i m-4'' di p. 5i.
Difesa della città e del porto di Brin-
disi, 2. edizione aumentala e corretta.
Napoli i83a in-4° di pag. laa con ) Ferdinando
due carte topografiche. . [ Malvica . » 164
Terza memoria in difesa della città e de*
porti di Brindisi. Napoli i833 in-4°
di ]iag. 72 con carte topografiche.
Della intelligenza della Divina commedia — investigazione di
Carlo Vecchioni vice-presidente della suprema Corte
di Giustizia etc. Napoli dalla stamperia e cartiera del
Fibreno i833 parte prima volume primo di pag- 217 —
Bernardo Serio : » 179
Bifne e prose di Costantino M. Costantini — Callanissetta
dalla Stamperia Lipomi i833 un voi. in 8.° di pag. io8.
Antonio Di Giovanni Mira- « 228
Notizie sloriche dei Saraceni Siciliani ridotte in quattro lil)ri
da Carmelo Martorana voi i." di pag. 262 e voi. 3.° di
pag. 260 —Palermo Stamperia Pedone e Muratori i83a
i833 — Principe di Granatelli » 234
Spiegazione di una dipintura che si osserva nel così detto
tempio d' Isida tra le ruine di ponipei — < Napoli presso
Porcelli i833 ^ Ferdinando Makica .... p«g. a44
Elogio Fuoebre del Rer. ex ^ìenerale Luigi Antonio Faro Car-
melitano — proaunziato nelle solenni sue esequie dal
P. D. Luigi Benedetto Corvaja cassinese decano e mae*
stro dei novizj — Catania dai Tipi di Salvatore La Magna
i833 pag. 48 — L. V » a47
Memoria intorno ad alcuni nostri sommi giureconsulti del
XIII secolo compilate da G. Flauti a edizione — Napo-
li i833. — Nicolò Buscemi ■ ...» aSo
Compendio di storia di Sicilia scritto dall' Abate Girolamo
di Marzo e Ferro per uso delle scuole pubbliche e pri-
vate di Sicilia 3 edizione etc. —Palermo presso la Rea-
le Stamperia un voi. in 8.° di pag. i6i.— A..D. G. M.u a53
Intorno la vita e gli scritti del prof. Giacomo Adragna da .
Trapani —discorso di Michele M. Adami— Napoli dai
torchi dell' Oiiservatorio medico, un voi. in 8.° di pag.
33 — A. D. G. M » ivi
Intorno al Mjrco Curzio tragedia di Vincenzo Amore. Let-
tera del Dr. G utcppe Falconieri etc. Messina presso
MicLeIan;;elo Nobolo i833 uu voi. in 8." di pag. i6.
— A. D. G. M. > a54
Della guerra di Fiandra deca seconda composta da Famiano
Strada della C. di G. e volgarizzata da Paolo Sagneri
della med. C. voi. quattro in i6. — Torino per Gia-
cinto Marietti iS3p. — Baldassare Romano . . . » aSy
Componimenti in morte di Francesco Peranoi Generale d'ar-
tiglieria — Palermo Gabinetto Tipugradco all' insegna
di Meli i833 in 8. di pag. 5i. — P. G. . . » a6o
NsCAoioGU per Olivio Sozzi lo Presti. •« L* Vigo. • m a6(
/V
1^
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