>i ;;>■•!'<: ^IICjO. SCIENTIFICHE E LETTERARIE PER LA SICILIA TOMO XIV. -^ ANNO V. Gennajo Febbrajo e Marzo i836 •L'ir, ■ ■■"- . c'>>'y Palermo TIPOGRAFIA E I-EGATORIA LAG E ROBERTI VIA MAROTTA DIRIMPETTO S. GIUSEPPE K.° 36. 1856 sa^asEUi) li quinto anno delle nostre Efìen)eridi incomin- cia. L'universale conosce quale spìrito dava prin- cipio a questa opera periodica nel i832, quali compilatori, e con quali mezzi la conduceaiio pel corso di due anni, di che lavori la fregia- vano, e quale rinomanza acquistava ella in Italia e al di là delle Alpi. Il pregio di questa lette- raria intrapresa era venuto alla conoscenza di questo R. Governo, quando ei volle nel l834 fondare il Giornale del R. Istituto d'Incoraggia- meuto, e però all'Effemeridi riuniva il novello Giornale, e i due giornali riuniti della sua pro- tezione onorava, siccome opera d'indubitata pub- blica utilità. L'Effemeridi riunite al Giornale dell' Istituto da una parte maggiore importanza vennero ad acquistare raccogliendo nelle loro pagine quanto potea riguardare la nazionale industria, ma anda- rono dall'altra perdendo alquanto della primitiva loro energia, dacché la direzione di esse che era unica in due dovette dividersi, e queste dicliia- rate furono Funa indipendente dall'altra. Si sa che il principal pregio dei giornali sta nell'esatta IV periodica loro distribuzione. Or questo loro ra- pido andamento non puossi ottenere, ove unico non sia in essi il volere, unico l'interesse, unica la direzione. L'Effemeridi riunite infatti, comecliè confortate dalla benefica protezione del Governo, non poterono in due anni pubblicare, che i4 solamente delle loro distribuzioni, e queste con molto ritardo, mentre nei primi due anni i 24 jiromessi numeri nei giusti periodi avean già dato. Né son da allegarsi come contrario esempio il giornale agrario toscano, e gli atti dell'Accade- mia dei Georgofili, che essendo due opere pe- riodiche insieme riunite regolarmente pure pro- cedono, perocché non é l'istesso pubblicare 4 nu- meri in ogni anno di un'opera, quanti il giornale agrario ne pubblica, e pubblicarne 12, né son le stesse le condizioni della letteratura in Toscana e in Sicilia. In Firenze, in Torino, in Milano pre- cipuamente, e forse in qualche altra città degli Stati Lombardo-Veneti, e della Toscana, per la inoltrata e generale civiltà delle classi tutte della società, per l'estese relazioni librarie che da quei punti si diffondono per tutta Italia e fuori, un giornale (intendiamo già di grave letteratura e di scienze) naturalmente fiorisce senza alcuno aiuto straniero, e senza protezione governativa. Non così in Sicilia e in altri Stati Italiani, dove un giornale comechè, dopo aver contestato la propria utilità, pervenisse ad ottenere la protezione del Governo, tanti altri ostacoli deve ancor superare, che dii- licilissima cosa è poterlo pienamente stabilire. 1 V quali ostacoli sarebbe lungo annoverare, ma a noi giova accennarli, perchè i savi e benevoli da per sé stessi gli estimino, e calcolino gli sforzi da noi durati per due intieri anni ad affrontarli , e tengano poi nel debito conto il giudizio che da qualche maligno è stato portato sulla nostra intrapresa. Conosciutosi che il vizio della duplice Dire- zione dei due giornali era una delle principali cause del loro ritardamento, sì dal Reale Isti- tuto che da noi si veniva implorando dal Go- verno, che le due opere fossero state divise, e che all'una ed all'altra fosse stata continuata la flnor conceduta protezione. E però piaciuto a S. E. il Luogotente Generale di annuire alla nostra inchiesta , avvalorata coni' era dalla uni- forme proposta di S. E. il Duca Sammartino, Ministro Segretario di Stato, Direttorre degli af- fari interni (i). Divisi così i due giornali, una nuova era per lor s'incomincia dal gennaio i836. E noi queste parole premettevamo alle rinno- vate nostre Effemeridi, per avvertire i lettori della innovazione in esse operata, e per espri- mere la nostra riconoscenza ai due alti Perso- naggi, che continuando a due utili Giornali la protezione che S. A. R. il Principe Luogote- (i) Con ministeriale del presente marzo i836 S. E. il Prin- cipe di Campofranco Luogotenente Generale ha ordinato la conti- nuazione dell'associazione de' comuni all'Effemeridi e al Giornale del R. Istituto da gennaro innanti divisi. Il prezzo che era allora ui tt. 4 per ciascun fascicolo del giornale riunito, sarlt di tt. ?. coi per l'Eifeineridi che per l'altro giornale. VI nente Generale da prima nella sua saggezza ac- cordava , si sono resi benemeriti delle siciliane lettere. Ritornate 1' Effemeridi nelF antica loro condi- zione, saranno elle migliorate alquanto nella lor forma esterna, siccome opera che non più da privati, ma dall'autorità Governativa è protetta. Del resto il divisamento dell'opera, menochè nel- la divisione delle materie , è quello stesso che ci avevamo proposto nel Proemio del i832, dal quale se non altro a non discostarci ne consiglia r autorevole giudicio dell'Antologia, che condu- cenle al buon esito dell' impresa , e degno di commendazione lo reputò. Ed animati dallo spi- rito che allor ne scaldava, giova protestare no- vellamente colle stesse parole di allora , w che la gloria ed il vantaggio del nostro paese, non amor proprio, né pretensione veruna ci hanno slijnolato a quest' opera, e comunque poi per- verremo a tanto, avremo appagato abbastanza la nostra onorata ambizione. 3j Per tutti i Compilatori IL PRINCIPE DI GRANATELLI EFFEMERIDI SCIENTIFICHE E LETTERARIE PER LA SICILIA Niwi* 58. — Genntao i836. PARTE PRIMA SCIENZE jilcune esperienze sullo sviluppo dei Girmi di Ranu^ e sulla injluenza che la luce solare' esercita in tale sviluppo: lette dal dolt. Antonino Greco nell'Acca- demia Palermitaaa di scienze, e Lello lelteie, il dì 28 giugno i835, V^uesto lavoro diretto particolarmente a manifestare la necessità della luce nella organogenesi dei girini di rana è stato da me intrapreso per la ragion che segue: nel luglio del iSay recandomi da Trieste a Vieuna visitai presso Adelsberg , villaggio dagl' Italiani chia- mato Postoina, quella tenebrosa e profonda grotta, det- ta della Maddalena.) celel^re appo i naturalisti jìcr le sue vaste gallerie ornate d' enormi stalattiti simili a magnifiche colonne, ma assai più pel singolare anfibio conosciuto col nome di Proteo Anguino , che abbonda solamente in quelle fangose e torbide pozze. Questo animale, di cui al i'' febbraio del i83o, io lessi una estesa descrizione in questa Accademia delle Scienze, ha grossa testa, lunga coda a spatola, e quattro piccole zampe nel che somiglia, alle lucerle , o meglio ancora alle salamandre acquatiche, ma differisce essen- I 2 SCIENZE zialmcntc da queste, e tla tutti i rettili i° perchè privo di polmoni, e fornito invece di vaste branchie siccome i pesci, per lo che jìronf aniente muore se vien cavato dalla(f(ua, e 2" percliè jìrivo di occhi e di nervi ottici, i quali io sujipongo, che siansi nel corso dei secoli atro- fizzali in quelle oscurissime caverne, dalle quali se vien tirato iuori, ed esposto a viva luce esso naiore. Feno- meno tutto suo proprio e caratteristico su cui, come or vedremo, si fondano le mie vedute. È si, perchè cicsciuli in luogo jnopizio, eran tre o quattro volte i)iù grossi dei miei: taluni servirono ad SCIENZE Cf osseiTazioni notomiclie , altri furono immersi nel vase bianco , altri finalmente furono privati di luce : questi ultimi eran così robusti , che per più giorni lottarono contro la loro mala sorte, e difatti anche le zampe an- teriori si fecero vedere: ma le cose non progrediron più oltre, eran trascorse varie settimane ne la coda dispa- riva , ne le branchie si cicatrizzavano , ne venivano a galla; anzi in men di venti giorni perirono, eccetto sol tre che durarono oltre la metà di giugno. Ninna essenziale* differenza io trovava tra questi ed i protei anguini della Carniola, i° avean essi, al pari di questi ultimi, e branchie e coda siccome i pesci ed i girini, il perchè si stavano tuttora sott'acqua benché nel centro del vase ci fossero le pietruzze o isolette; 2** nel tempo istesso avean quattro piccole zampe, siccome le salamandre e le rane; 3^ non presentavano cliiaramente l'organo della vista. Non eran dunque dei piccoli pro- tei? Lo stesso non avvenne a quei grossi girini, ch'io esposi alla luce, essi, com'era naturale, subirono la per- fetta trasformazione. • I girini, che sin dal primo giorno io privai della luce, quelli cioè del n" 2, andavano mano mano morendo , senza che alcuno mostrato avesse il minimo indizio di prossima metamorfosi. Di questi ai 12 agosto non so- pravvivevano clifì due , i quali perirono alla metà di settembre. Quelli senz'alimenti ed esposti alla luce eran vispi, e giunsero, sebbene con più lentezza, ad acquistare un mediocre sviluppo : ma per quanta diligenza avessi io potuto mettere in opera nel cavar fuori quelli, che pe- rivano, pure mi avvidi, che i più forti e vigorosi pron- tamente si scagliarono sopra i morti e moribondi, e con tripudio ne facevano lauto pasto, l'uno all'altro contra- stando la preda ; al che jion potendo ad onta di ogni mio sforzo, né in tutte le ore del giorno, oppormi, taT luni di essi pervennero, contro mia voglia, a quello svi- luppo, che loro mancava. IO SCIENZE Non ho jiarlato di quel vase, nel quale immersi al- cuni girini privi non solo di alimenti, ma bensì di luce, perche questi, mantenendosi tristi e negliiltosi, e non aman- do nutrirsi dei cadaveri dei loio compagni, morirono hentosto. Riepilogo sulle metamorfosi dei girini. La rana dunque verso i primi di marzo depone le sue uova, queste, al dire di Rusconi, due giorni dopo la fecondazione presentan già i rudimenti della testa e della coda ; dopo pochi giorni han già le branchie , e divengon girini. Verso i primi di maggio mostrano ai lati della coda le zampe posteriori, indi le anteriori, sebbene Carradori(i), Demarest(2), Rusconi(3) ed altri sostengano che primi ad apparire siano i membri ante- riori, pure Serres(4) e qualche allro autore (5) sono interamente d' accorcio alla mia osservazione , cioè che prime a sbucciare siano le zampe posteriori; ne vale quanto dice il Rusconi cioè: « che prime in eflètto a venir fuori « siano le zampe anteriori, ma che queste non si scor- c< gano perchè coperte dalla pelle del petto , che pur. cccuopre le branchie (6) 3> dappoiché, dietro quel ch'io vidi, la pelle^ ossia un sacco membranoso , di cui più sotto parlerò, non solo involge il petto e le branchie , come vuole il Rusconi, ma l'intero corpo, compresa be- nanche la lunga coda: ma lasciamo tale digressione. Appena il girino acquista le zampe il suo corpo si fa più schiacciato, la testa più prominente, la coda va insensibilmente assottigliandosi, conserva tuttora le bran- clùc, non dà segui dell' organo della vista , in una pa- (i) Bihliot. Italiana voi. i. (a) JSouv. DicUon. ctHiiloir. natur. toin. 33. (^^) DèvcL>i>i>eiiiciU fle la GivnouUle. — Milari 1826. Annali universali ili Omodei, — SclU'inbrc 1 8i(j. (l'i) jinatom. comparée (fu ceìveaii. — Vans 1824. (5) Dizionario delle scienze naturali. — Tom. 2, Firenze i83i. (G) Annoili univertali di Omodei. — Settembre iSiy, p. 80. SCIENZE I r rola può assomigliarsi al proteo: si maatieiie iii tale stato proteiforme per otto b dieci giorni: verso la metà di maggio la coda è interamente scomparsa , le branchie si sono rimargii.ite, l'animaletto respira coi polmoni^ e l'organo visuale si è sviluppato. Le metamorfosi dunque si compiono nel corso di no giorni circa. Qualche osservazione notomica sul girino. Avendo con acutissimo coltellino tentato piili volte di tagliare il corpo di Un girino vivente mi avvidi, che alla prima puntura, scappava fuori un certo umore, dietro che quel corpicciuolo scemava infinitamente di volume e quasi svaniva, il perchè ingegnandomi trovai opportuno lo immergere il girino in acqua leggermente solforosa, o al- coolizzata la quale coagolando l'umore, che trovasi tra il corpicino centrale ed il sacco membronoso che la in- volge, il girino prontamente lAoriva divenendo bianco ed acquistando quella consistenza necessaria allo speri- mento. In tal modo vari ne tagliai in tutte le epoche della loro trasformazione, insieme col lodato professore Scudery, e ciò più vantaggiosamente nella seconda serie di mie esperienze, ove, come sopra ho detto , sezionai quei grossi girini, che nel giorno io maggio del 1882 raccolsi nella fontana della R. Casa dei Matti. Or le prime mie indagini si rivolsero allo scoprimento delle brancliie, e mercè una piccolissima ed imperfetta lente giunsi ad osservare, che, tolto il primo involucro membranoso, apparivano ai lati del collo le due aper- ture branchiali, nel cui cavo vedevansi alcuni archetti frangiati , che tra loro lasciavano dei piccoli interstizi. Aprendo la cavità toracica si scopriva un intreccio fi- nissimo di vasellini, i quali jjareva che avessero rap- porto con un j)unto rosso centrale, ch'io supposi di es- sere il cuore. Si vedeva innoltre un tessuto celluioso , che avvolgeva e cuore e vasi , e sospettai esser questo» ir? SCIENZE il polmone, che nei girini rimane inerte sino alla per- fetta trasformazione. Il tratto intestinale era sì lungo e rannodato da riempire la gran parte della interna cavi- tà. Più di ciò non potei scorgere per l'assoluta mancanza d'un microscopio. Epperò qualche riflessione io debbo fare su quell'involucro membranoso, di cui tutto il corpo dell'animaletto era vestito, e che si manteneva sin dopo l'uscita delle zampe posteriori: esso per quel ch'io vidi, è un sottilissimo sacco o vescichetta interamente chiusa, e ripiena di un umor semi-trasparente albuminoso, en- tro cui il corpicino centrale par che nuoti. A prima vista non potei capire come le branchie del corpicino, essendo del tutto involte da tale sacco, potessero ese- guire le loro funzioni; ma avendo per avventura lasciati vai 1 girini sopra un grosso cartone vidi bentosto , che il liquido interposto, tra]3elando attraverso la membra- na, veniva dal cartone assorbito, e che l'animale, per- dendo la sua trasparenza e rotondità, diveniva floscio ed informe; pensai allora che tal involucro vescicolare ben- ché perfettamente chiuso pure fosse permeabile ossia poroso, e che perciò tra '1 liquido interno e tra l'acqua in cui è immerso il girino esistesse un perenne rapporto e comunicazione; rapporto che secondo la nuova teoria del Dutrocliet (i) credo doversi attribuire ali endosmosi ed esosmosi. Vogliono taluni moderni fisiologisti, e con particolarità quest'ultimo autore, che l'endosmosi abbia luogo tutte le volte che il liquido esterno sia meno denso dello interiore (ed allora a\ vi imbibizione) e 1' esosmosi ali' inverso accada quando il liquido interiore sia meno denso dello esterno (ed allora avvi transudazione). Così es- sendo siccome nei girini l'umore interiore è più denso fa mestieri, che si verifichi una continua endosmosi, ossia determinazione dell' anpia dal fuori all' indentro per la via della membrana vescicolare. (i) //. Duaochet. Noui'ellcs Rcclicivhcs sur t cndosniosc et l' eMìsmos):. paiii ibaS. SCIENZE 1 3 Osservazioni sulVinJluenza deiraria e degli alimenti. Per compiersi la respirazione e la sanguificazione nei girini uopo è, come ognun sa, clie l'acqua, passando jier la bocca, vada ad uscire dalle aperture branchiali , in questo tragitto, inzuppandosi di acqua il tessuto frangiato delle branchie, accade l'ossigenazione, ossia sanguifica- zione. Or per la spiegazione di tal fenomeno due pa- reri portano gli autori; gli uni sostengono, ( he l'ossigena- zione del sangue in tali animaletti si verifichi in virtù del- l'aria libera di cui l'acqua è impregnata, per cui fa me- stieri, che la superficie dell'acqua resti in conlatto col- r aria atmosferica ; gli altri suppongono, che tanto nei pesci, che nei girini ciò si operi non per l'aria libeia, ma per la decomposizione chimica dell'acqua, la quale, com'essi dicono, spogliandosi mediante un processo pe- culiare di una porzione di gas ossigeno , questo viene comunicato al sangue (i). Quanto sia poco fondata que- sta ultima asserzione non v'è chi non lo vede: che se per la respirazione e sanguificazione bisogno non avessero, che del semplice ossigeno dell'acqua, perchè quei girini da me chiusi ermeticamente in moli' acqua chiara vis- sero per poche ore solo finche esani iiono la poc' aria atmosferica mescolata al fluido? Serve a confeimare il mio assunto la seguente mia osservazione : io notava attentamente, che a certi intervalli i piiiui del vase bianco spingevansi di botto dal fondo alla superficie , sollevavano la testa a fior d' acqua , aprivano 1' ampia bocca, inspiravano una bollicina d'aria, e indi ritor- nando al fondo rimandavano altra reflua bollicina la quale gorgogliando risaliva sulla faccia del liquido , e formava la sopracennata schiuma. I girini dunque re- spirano l'aria atmosferica, e muoiono se privati vengono dal contatto di questa. Ne solo io sono a sostenere tale (i) Bibliot, hai, tom. i, p. 354, e toni. 8, pag. 2/10. l4 SCIENZE opinione, cliè anzi addurre potrei rautorità di sapientis- simi naturalisti ^' ed in ispecial modo di Edwards(i) e di Cuvier (2). In quanto poi alla influenza degli alimenti, abbiamo veduto, che jjocliissimo sviluppo acquistavano quei girini, i quali giacevano in acqua limpidissima, e clic sebbene l'acqua esposta all'aria, e quella da me continuamente aggiunta nel loro vase assorbisse e joortasse seco alcune particelle nutritive, pure essi a lungo andare morivano d' inedia , e quelli solamente sopravvissero , che i'ccero pasto delle carni dei loro compagni. Osservazioni sulla influenza della luce solare. Eccomi finalmente pervenuto al principale scopo, quello cioè di valutare l'influenza della luce sullo sviluppo di tali animaletti. Poco però a tal riguardo par, che mi resti a dire, bastando la semplice lettura di quanto ho narrato nelle due serie di esperienze , specialmente al- lorché lio parlato di quei girini, ch'erano privi della luce solare: dal che risulta 1° che i girini non favoliti dalla luce non subiscono le loro metamorfosi , anzi pronta- mente muoiono ed i pochi che sopravvivono si conser- vano per più mesi, sino alla morte, nella medesima pic- colezza e nel permanente stato jieonatiforme ; 2^ clie anche i girini-protei (quelli cioè che a tutti i caratteri di girini uniscono le zampe) allorché vengono privati di luce non compiscono le metamorfosi, e si conservano nello stato proteiforme; 3° clic in conseguenza può sup- porsi, che il Proteo jdnguino^ per la prima volta de- scritto nel 1^68 da Laurenti, non fosse stato in origine che una larva di rettile analogo alle salamandre, la quale perdutasi in quella profonda grotta della Carniolu', » privo ])crciò di luce abbia conservato alcuni caratteri neonatiformi. (i) Annides ((■• rhimie et de jihysiqiie toni. l4> P- yS. (2) Rètine aniiniU. — Paris ib-jy, toni. 5, p. lo.i. SCIENZE I 5 E ritornando ai miei girini è d'avvertirsi, che non era la deficienza di calore che impediva le trasformazioni di quelli j)rivati di luce , dappoiché la stanza ov' essi gia- cevano e per la sua ristrettezza, e per l'esposizione delle sue mura esterne ai raggi solari, era caldissima al pari e forse più di qucU'altra ampia stanza, in cui rimane- vano i girini esposti alla luce; anzi farò notare, che questi ultimi non potevano continuamente godere l'influenza di luce diretta, perocché il sole non vi batteva che in po- che ore del giorno. Non si creda però che con queste meschine esperienze io pretenda statuire come certo, ed inconcusso il prin- cipio, clie allo sviluppo degli organi essenzialmente in- fluisca la luce: in non ho cercato, che dare un impulso a cimcnli più grandi , laonde invito i cultori di studi naturali a rejìlicare e svariare le mie esperienze, e ad eseguirle, il che molto jiiù gioverebbe, sopra animali più nobili, e specialmente sopra i mammiferi. Intorno la dimanda di alcuni tintori di Palermo^ on- de s' impedisca , o si grai'i di dazio la bambagia colorata, che s'immette dall'estero. Signori, Amicui Plato aminis Aristotcles, sed magis amica veritas. La dimanda di alcuni tintori palermitani, perchè ve n- ga impedita o gravata di dazio la bambagia colorata , che dall'estero s'immette in Sicilia, è sì fuor di ragio- ne, ed è sì contraria all'incremento di questo ramo d'in- dustria, che molte ])arole non sarà mestieri sj)cndere , onde ne sia l'incongruenza pienamente dimostrata. Sci sono i tintori che muovono querela. Essi dicono eh' essendo oggi arrivata quasi alla perfezione 1' arte di tingere il cotone presso noi, gli esterni negozianti di l6 SCIENZE tal genere qui residenti fan venire da fuori colorata quella merce, onde, aggiungono, defraudare l'erario delle im- posizioni, cui van soggette le sostanze che si adoperano, per formare i colori: quindi lian chiesto al Governo che r immissione se ne impedisse o di forte dazio si cari- casse. Strano pensiero! Imperciocché costoro non reclama- ron già quando quell' arte era nascente, ed avca forse bisogno di aiuti e di soccorso governativo; ma bensì re- clamali oggi, eh' è quasi perfetta, e eh' è arrivata, per dire quel cli'essi chcono, a paralello di quella degli oltra- montani oggi che non dovrebbero più teincrne la concor- renza, e clic potrebbero facilmente, e da se medesimi, render frustanco il pensamento degli stranieri mercanti, conlro di cui forte declamano. Signori! io ho sempre creduto che in fatto di com- mercio del pari noce voli sieno alla prosperità delle na- zioni tanlo il sistema di libertà assoluta ed illimitata, quanto quello contrario: erra chi sostiene il primo, co- me chi sostiene il secondo. Imperciocché i sistemi sono stati senqirc fatali all'umanità; ed io porto opmione che faccia d'uopo osservare e studiare il corpo sociale , co- me si osserva e si studia il corpo dell'uomo; seguirlo in tutti i suoi progressi , ed in tutte le sue fasi , ed apjìlicare a seconda del bisogno il rimedio. Qui p. e. sarà mestieri liberare dai cej)pi un'industria, fare che i ])rodotli di un'arte entrino senza ostacoli, aprii'c i porli all'inlioduzione libera liberissima di una merce; là per lo contrario bisognerà evitare che taluni prodotti mani- fatturati vengano a soflòcare e a distruggere un'arle clic comincia, e di cui si hanno, a cagion d'esempio, nel pro- prio suolo gli elementi per ])roduila, e celcremente per- iezionarla. Insomma io credo che si possa, anzi che si debba introdurre in economia jiolitica quel santo uti- lissimo ecletismo , che le altre scienze hanno adottato con sì mirabile profitto dell' umanità. Prendere 1' utile ed il èiano da questa e da quella dottrina, ed applicarlo SCIENZE I 7 giusta il clima, i costumi, le leggi, le circostanze jie- culiaii, lo stato della cultura fìsica e morale di una na- zione è l'opera migliore della ragione umana. Qui sarà Convenevole la tal legge, colà non saralla: qui fa d'uopo trattenere, colà rallentare; essendo fuor di dubbio che ciò eh' è buono in questo paese, e nell'attuale periodo di vita non lo e forse in un altro, e viceversa. Perlo-^ che sarebbe a desiderare che gli scienziati a sistema si figessero in mente una verità, cioè che non avvi uomo di senno, il quale non conosca quanto bello e quanto lusinghiero sia il sistema di libertà assoluta, e come caldi sieno i voli che si porgono da coloro che sanno, accioccliè venga per gli uomini il fortunato giorno di scamljiai'si vicendevolmente i prodotti e della terra e della mano, senza invidia e senza gelosia; onde le varie nazioni una famiglia divenissero , e come un romanzo le presenti nostre quistioni economiche riguardassero. Le quali cose tutte, al nostro argomento ritornando, c'inducono a dire, che noi, considerando lo stato della industria dei tintori in Palermo, non saremo mai per secondare la loro inchiesta : la quale tende a metter ceppi inutili, e a riunire in poche mani la somma in- tera di un'arte di comune uso. Oltredichè un divieto, secondo essi chieggono^ la farebbe non solo rimanere stazionaria, ma retrocedere rapidamente. Imperciocché gli artisti che 1' esercitano , non avendo più il timore della concorrenza, non si daranno alcun pensiero di avanzare in essa, onde accrescerne lo spaccio a fronte di quella che da fuori ci arriva. Anzi è da considerare che avendo eglino, qui stesso formandola, minori spese di produzione, che gli stranieri non hanno, potrebbero dare la bambagia colorata a miglior mercato di questi: per la qual cosa ne avrebbero tosto un consumo mag- giore, e verrebbe naturalmente a diminuire l' introdu- zione di quella che si vorrebbe vietare. Imperciocché non trovando più gli stranieri tra noi agevolezza da farne grande spaccio, si asterrebbero mano mano dal- 2 l3 SCIENZE rimmetterne, senza che noi proponessimo duri dazi, e fossimo strumet)to di far ■aii-cstaro il progresso dell'arte tintoria, creando un monopolio, il quale, trattandosi di un genere , eh' è di comune uso nel popolo , sarebbe maggiormente dannoso, perchè colpirebbe direttamente la massa degli uomini, che ha più bisogno di esser sol- levata e piotetta. Per le quali cose la Classe di civile economia ha opi- nato , che debbasi proj)orre alla sapienza del Governo il pieno rigetto della dimanda de' sei tintori palermi- tajii. // Direttore della Classe di civile economia Ferdinando Malvicx. Sulle istanze del signor Santi Louis francese^ onde proibirsi l'estrazione del sughero di Sicilia per pa- g li nolo. In auribus irisipientinm no loquaris: quia dcspicicnt Uoctiinam ejoquii tui. Signori, Il Governo nel 1829 vietò l'estrazione dei sugheri di Sicilia, e delle cortecce di sugheri: la qual cosa jìo- trà per avventura sembrare assurda a primo lancio ; poiché se havvi talvolta quistione intorno l' immissione dei prodotti manifatturati stranieri non havvene però alcuna, per l'estrazione dei prodotti indigeni; la quale dovrebbesi con Ogni solerzia proteggere ed agevolare. E pure saggio fu il divisamento governativo; poiché le società non si debbon reggere con leggi generali, ne pos- sono esservi leggi conmni a tutte, ed utili in tutti i tem- pi, e a tutti i popoli indistintamente; ne la scienza della pubblica economia, che tende ad acerescerc la ricchezza c la prosperità degli Stati, è scienza astratta 0 specu- SCIENZE II) lativa ; ella è bensì scienza di fatti e di osservazioni -, ella , mi si j)ermetta 1' espressione, puossi dire scienza ippocratica. E vaglion tanto, a mio sentire, i Qu^esneisti, i Colbertisti, i seguaci delle bilance commerciab, i so- stenitori del sistema proibitivo, e quelli del sistema di assoluta libertà, quanto valgono Broo\vn, Broussais, Han- liemann , le 11 oy ed altri celebri in medicina. Quindi non J30SS0 non lodare altamente la legge di che par- liamo. Solo è da arrogere, per meglio fissare le idee, e rettificare gli equivoci , che la quercia sughero ha una prima scorza , clic in ogni tre anni può tagliarsi con vantaggio dell'albero, e si appella sughero. E se mai la mano delluomo non venisse a soccorrerla, ella sloizandosi la gitterebfje a pezzi, e da se stessa se ne spogliercbbe. Il cennato albero dopo la prima scorza ne ha una seconda, la quale coU'azionc dell'aria, e colla nutrizione vegetale , oltrepassati tre anni, è in istato di tagliarsi come quella. Quando però si taglia tenera, ed appena svelta la prima , allora si ottiene con essa un ottimo concime pei cuoi, ma si reca gravissimo nocumento al- l'albero; il quale privo di quella pelle, con cui la na- tura provvidamente lo copriva, si ammala e muore. Dunque il sughero, ch'è la jjrima scorza della quercia sughcro^non servendo alla concia delle cuoia, ne alla vita dell'albero che lo produce, potrebbe estrarsi in profitto del siciliano commercio, come indigeno prodotto di questo suolo. Riguardo però alla seconda scorza detta volgarmente scorzilla che serve alla cennata concia, e che si svelle tuttogiorno in grandissima copia , e senza previdenza , senz'arte, senza consiglio non solo dalla quercia sughe- ro , ma da un'immensità di altri alberi di gran fusto, per cui si è dato un colpo fierissimo ai boschi dell'Isola, che son periti nella massima parte , si dovrebbe ado- perare miglior senno , e riparai'e con alta sapidìza a questo danno innneiiso. Imperciocché noi che potreia- ao srìENZE ino fare un commercio attivo di carbone e di legname di costruzione, percliè sotto (|uesto Sole e sopra questa terra feracissima, alberi di ogni specie meravigliosamente vegeterebbero, come ne' passati secoli vegetavano, man- chiamo all' intutto di questa merce , e ricorriamo allo straniero , per provvedercene , quasi clie abitassimo la Nuova Zembla, o le ghiacciaie del Polo Artico. INIa se si dicesse che la corteccia degli alberi si svelle dai loro tronchi sol jjerchè serve mirabilmente al con- cime, ch'è un ramo d'industria estesissimo, noi rispon- deremmo , che potremmo , senza lìnir di distruggere i siciliani boschi, così importanti al ben essere della na- zione , rinvenire , come gli stranieri han procurato di fare, altri concimi utili del pari, e forse di quelli mi- gliori. Il celebre Dawy trovò, dietro dotti e sagaci esperi- menti, gli acini delle uve essere concimi potentissimi. Perchè dunque non servirci di essi ? perchè non met- tere in commercio ed in maggior valore che noi non facciamo gli acini di un prodotto, di cui la Sicilia co- tanto abbonda? E guai-date o Signori! Gli stranieri pria che la sa- pienza sovrana emanasse il decreto che l'estrazione delle scorze degli alberi proibisse, si eran dati a levare dalla Sicilia una tale copia di scorze che vince l'umana cre- denza. E pure essi aveano i loro boschi! ma più ac- corti di noi, e di noi più esjierti non voleano con bar- bara mano distruggerli, come noi abbiamo i nostri distrut- ti; e si contentavano venir qui, e pagare un tributo, anziché servirsi del prodotto di cui andavano in trac- cia, e che avrebbero nel proprio suolo largamente rin- venuto. Signori! io credo che nella presente condizione dei popoli della terra, che biechi si guardano, e si minac- ciano guerre lunghe ed eslerminatrici sia necessario che uno Slato prevegga con occhio antiveggente i futuri e- venli, e si reada dagli altri meno dipendente ch'è pos- SCIENZE 2 1 sibile, partìcolarm^nle iii quegli obbietti, di cui ha me- slicii di un assoluto ed immediato bisogno. La qua! cosa non si direbbe da noi al sicuro, se la natura umana e i tristi temjDi in che viviamo si conoscessero meno di quel che in effetto si conoscono. Imperciocché allora diremmo, come alcuni dicono, esser follìa il prenderci pena nel non aver presso noi questa o quell'industria; poiché i legni stranieri che i prodotti di essa ci porte- ranno u.ii paesi, ov'ella si produce, non ritorneran già vuoti, ma caricheranno bensì i nostri indigeni prodotti; che loro non conviene senza carico ritornare là d'onde si partirono. Ecco l'anello a cui sta affidato il sistema di assoluta libertà commerciale: ma se questo anello ve- nisse meno, che sarebbe di noi? Noi mancheremmo d'in- finiti obbietti , che l'attuale civillà dei popoli reclama come necessari; pochi fortunati speculatoli dispotizzereb- bero a lor senno, e si arriccherebbero sulle comuni mi- serie. Chi diversamente ragiona non conosce i tempi , ne gli uomini; e crede di vivere fra i nostri bisavoli* Le nazioni sono inrequiete, fermenta per ogni dove un fuoco, che minaccia incendio generale e terribile, si è attaccata una lotta lunga ed accanita, che non può finire con mezzi termini: quindi le comunicazioni possono es- sere ad un tratto interrotte , il commercio impedito , chiusi i porti, donde pria traevasi copia di generi, che alla vita abbisognano. E per applicare quest'id£a gene- rale a quello di cui particolarmente stiam ragionando, arrogeremo che il pessimo costume dello scorticamento insano degli alberi, che ha non solo arrestalo il pro- gresso naturale dei boschi, ma gli ha già in parte di- strutti, farà che, in caso di guerra, la Sicilia mancherà affatto di legne di costruzione, e le città di uno degli obbietti più comuni e più importanti, del carbone; poi- ché non vi saranno più navi, che verranno a farci la carità, di portarcelo come oggi fanno. Dunque la legge che vieta l'estrazione del sughero di Sicilia, e delle sue cortecce, e die ha mosso tante quc- 9.2 SCIENZE relè non puossi, nella parte che risguarda la scorzilla, non encomiare altamenlc. Ciò non pertanto il Governo medesimo, dietro reclami di taluni esteini negozianti, e dojìo un favorevole rajìjìorlo del Direi loie generale dei dazi indirelli, permise che si potesse indwrcare il su- ghero per jìagliuolo, cioè a dii'c quel sughero che serve per teneie in buono stato , e pieservare dall' umidità i generi indigeni, che si caricano sulle navi per espor- tarsi. Ola è avvenuto ehc avendo certo signor Santi Louis francese ottenuta la privativa di cinque anni, per l'in- troduzione fra noi di una nuova minifattura di turacci voirel)])e che il divieto dell'estrazione del sughero col- jìisse ancora quello in pagliuolo, che serve per loLLietto che vi ho iniuilovato. Primieramente è da considerare che il francese spe- culatore ottenne la privativa, e voi o Signori lo ricor- derete, da due anni a questa parte solamente, e dopo tre anni che il Governo fece alla cenriala legge di di- vieto, Teceezione, di cui vi ho fatto parola. Quindi non ha il francese veruna ragione di dolersi; peich'egli Len conoscca o conoscer doveva l'eccezione suddetta. Laon- de , avvegnaché noi avessimo facoltà d' implorare dal Governo novelli provvedimenti legislativi, a seconda del hisogno delle iiostie industrie, tuttavia, 2)er fa tinaie disamina, non crediamo ragionevole il farlo; hen lo fa- remmo, come cento volte lo abbiara fatto, se si trat- tasse di agevolare un'arte utile, eslesa, e fonte di nuova ricchezza; ma la fabbricazione de' turacci è di lieve con- to, ed il pri\ ih.'gio esclusivo ciie si è accordato al fran- cese di poterne egli solo fabbricare collo strumento, per cui la privativa conseguì, è larghissimo guiderdone alla sua industria; la quale finalmente non coslogli altra fa- tica, se non che il ])ensiero di comperare in Marsigba uno strumento, con cui quelli si formano, e di porti^i'io il primo in Sicilia. Oitrcdichè l'estrazione del sughero, propriamente det- SCIENZE a 3 lo, non nuoce, ma giova; peich'esso, siccome abbiamo •annunziato, non serve ne alla concia delle cuoia, ne alla vita degli alberi; e l'uso a clic fassi servile il su- ghero per pagliuolo è di non picciol momento, per l'e- slrazionc degl'indigeni prodotti; poiché alcuni di questi, hanno, jier la loro natura, stretto bisogno di essere im- barcati con quella custodia. E «e si abusa talvolta di questo mezzo, noi ne muoviamo lamento non già tjer- chè si elude il divieto dell'estrazione dei sugheri, o per- chè ciò nuoca all'interesse pecuniario del francese mer- catore; ma sibbene perchè insieme col sughero in pa- gliuolo la scorzilla si estrae; e così si accresce il cicco eubblicato iiell'itlta Italia, ed in un'opera, che per sua natura non ha potuto avere quella piiblilicità ibe alla bellezza di questa poesia li conviene, crediamo piacevole, ed util eia neri, bisognerebbe pur dire ch'egli avesse i^er- duto il giudizio ; giaccliè, conscio della sua mala vita, uè avrebbe potuto chiamarsi fedele a Lucia , in cui si conviene da tutti esser disegnata la Grazia Divina, sic- come fa egli nel Canto II: Questa cliiese Lucia in suo (limando, E disse: Or abbisogna il tuo fedele Di te,, ed io a te lo raccomando ; ne avrebbe meritata la protezione delle tre santissime donne, di che più sotto ragiona: Poscia che tai tre Donne benedette Cnran di te nella Corte del Cielo^ ne finalmente avre})be potuto darsi ad intendere che la parola ornata di Virgilio fos>e per esser medicina con- veniente ai propri traviamenti, siccome leggiamo nel ci- tato canto là dove Beatrice gli jircga il soccorso dell'E- pico illustre: Or muovi, e con la tua pnr?)Ia ornata, E con ciò clie ha nieslieri al suo campare L'ajuta SI ch'io ne sia consolata; e 2)oco appresso: Venni quaggiù dal mio beato scanno, Fidandomi nel tuo parlare onesto, Che onora te e quei clie udito T hanno. O bisogna rinunziare al senno, o egli è qui d'uopo in- tendere che Virgilio doveva soccorrer l'Alighieri col de- terminarlo a scrivere il sacro jioema e col servirgli di guida. Or son da richiamare alla memoria le circostanze che prccedetter l' esilio di lui , e quelle che jH'Ossimamente lo seguitarono. Già dicemmo nella seconda lezione co- m'cgh nell'anno i3o2, trovandosi ambasciatore della re- pubblica fiorentina presso Papa Bonifazio VJII, si colse aj)punto queir occasione a dichiararlo bandito , prima ch'egli o ne restasse avvisato, o ne avesse qualche so- spetto. Cagione dell'iniqua sentenza voglionsi reputare aS I F.TTET\E gli stessi concittadini suoi, divisi per sanguinose fazioni; e Carlo di Valois, cliiaraafo da Bonifazio piìi per tiran- neggiare che per dar ordine alla terra dei Fiorentini, mostrossegli poi coU'iracondo pontefice persecutore acer- bissimo. Alla nuova di tanta sciagura, lasciata la corte romana, si trasferì Dante sollecitamente a Siena; e udita quivi più chiaramente la sua calamità, si accozzò cogli altri usciti, e venne al campo ragunato in Arezzo sotto il comando del conte Alessandro da Romena, Colà, creato de' dodici consiglieri, passò due anni di lusinga in lu- singa, finche avendo inutilmente tentato gli usciti di rien- trare in Firenze col mezzo della forza, non parve più al bandito da perder tempo; e rifugiatosi a Verona, si pro- pose con umiltà e con buoni portamenti di ottenere per grazia il richiamo. Ma pur ciò tornandogli a vuoto, si diede finalmente al lavoro del sacro poema non rallen- tando più nello studio , e colle intenzioni da noi già vedute. Con queste premesse, risalendo alla dichiarazione del- Tallegoria sopra notata, noi ravviseremo sotto la figura della selva il miserabile stato del Ghibellino , lontano dalla cara sua patria ; nel dilettoso monte la sperata consolazione; nello andare dalla seh'a a quello e nella luce del nuovo giorno i conforti che ricevette a spe- rare. I quali simboli, non solamente sembrano conve- nienti e lucidi per se stessi, ma pur si riscontrano usati altrove dall'Alighieri nel senso che loro qui diamo. E veramente la selva di ch'egli qui parla è chiamata poco appresso col nome di valle: Ma poi ch'io fui al pie d'un colle giunto La ove terminava quella valle Che m'avea di paura il cor compunln. E valle chiama egli appunto l'esilio nel XVII del Pa- radiso là dove Cacciaguida glielo predice: E quel che più ti graverà le spalle Sara la compagnia malvagia e scempia. Con la qual tu cadrai in questa valle. E nel dilettoso monte non può al certo intendersi la ED ARTI 29 cima della sapienza e della virtù; perocché nessuno vorrà dire clic breve jiossa esser la via clic quivi conduce, siccome Dante medesimo avrebbe dello nel Canto II, allorché Virgilio gli manifesta essergli stato spedito da Beatrice: E venni a te cosi com'ella volse^ Dinanzi a qiulla fiera ti levai, Che del bel monte il corto andar ti tolse. ma ben si può intendere la sperata consolazione, o vo- gliara dire il ritorno alla bella città, da cui, retrocedendo dall'ambasciata di Roma, non era distante il poeta che poche miglia, o sia che giugnesse a Siena, o sia che si fermasse in Arezzo. E finalmente nella nascita del sole usava il poeta sim- boleggiare la speranza , come in quel passo della sua Pistola all'Imperatore Arrigo: 33 E siccome il sole molto desiderato levandosi, così la nuova speranza di miglior secolo a Italia risplendè, w Nelle belve poi che lo re- spinsero indietro, riconosceretno i nemici suoi che alla sua • ace si opposero; cioè nella Lonza la città di Fi- renze , nel Leone Carlo di Valois , e finalmente nella Lupa la corte di Roma. — È quella Lonza gaia e bella d' aspetto, il che si addice alla gentile e vaga città : è presta molto e leggiera , il che par che convenga con ciò che si dice della volubilità di Firenze al VI del Purgatorio: Quante volte del tempo che rimembre, Legge, moneta, e uficio, e costume Hai tu mutato, e rinnovato membre? Nel canto XVI dell' Infèruo si parla del modo con che fu chiamato da Virgilio l'orribile Gerione, sovra il cui dosso era mestieri, che scendessero i due poeti nel- l'ottavo cerchio; e così narra Dante di se medesimo; Io aveva una corda intorno cinta, E con essa pensai alcuna volta Prender la lonza alla pelle dipinta. Poscia che Tebbi tutta da me sciolta, Sì come il duca m'avea comandalo, Porgila a lui aggroppata e ravvolta. 3o LETTEHE Oiid'ei si volse ili vrr lo «lesi io l;ito, Ed alquanto di liiuf;i dalla .s[)oiula La gitlò giuso in (|U('lrallo Lunato. E pur convien che novità risponda, Dice.T fra me niedesino al nuovo cenno, Clie'l macslio con l'occliio s\ seconda. E vcraniciile lìovilà soj)i;i\ venne : iiupcioccliò la mala iirra oLLeclì toslo al ricliiamo, e si coiulusso alla riva. Chi ella simLoleggiasse, 1' Aligliicri mctlcsimo ce lo fu chiaro nel canto seguente: E quella sozza immagine di froda Scn venne, ed arrivò la testa e 1 bnsto-, ma che signilicasse la coreici^ ond' ella In tratta , i co- mentalori non sanno dire. Ititanto egli è forza trovare in (jnella coirla medesima un signilic^ilo di lale argo- moulo per cui si potesse vincerci la Lonza descritta nel primo canto, e Celione del XVII in chi è adombrala posilivamente la frode. Ora se voglia intendersi nella Lonza il simbolo della Lussuria, io sostengo che non sarebbe stalo possibile aver trionfo di lei e della frode co' mezzi stessi; jìerocchè non sajìrei trovar jiroporzionc o :v)mi- glianza fra quesli due vizi. Ma ove per la Loirza in- tendiate la ci uà di Firenze , i nodi tutti facilmente si sciolgono. Imperocché alla corda, di che si cingevano i iianchi del ])oeta qualunrpie simbolo vogliate ajiplicare, purché sia mezzo conveniente a vincer la fiode, basterà scmpie a giustilicarc la sj)eranza che s' i\bbe un tempo dallAlighieii di vincer con quello i propri concittadini, che pur con frode lo avevan cacciato in bando. E se a noi chiedete il signilicato di quella corda, vi rispon- deremo piacerne la sentenza di chi vi riconosce la li- bertà del dire e del riprendere, la quale non solo è ar- ma possente contro ogni frode, ma di che si valse pur sempre l'intemerato Alighieri verso i propri concil ladi- ni, e a cui per certo alludono i vcjsi del citalo cau- to XVI: Se l'altre volte si poco ti costa, Bisposcr nuli, il soddisfare altrui, Felice te che sì parli a tua posta. ED AUTI 3l Che Carlo di Valois sia ottimamente simboleggiato nel Leone^ facilmente vorrà concedersi-, e s'egli veniva con la testa alta contro il poeta , dello stesso principe si legge nel VI deirinferno: Allo terra lungo tempo le fronti. Resta la Lupa , nella quale abbiamo detto esser si- giiiticata la Roznana Corte. E veramente non se le fa rimprovero dall'Aiigliieri più spesso di quello dell'ava- rizia in tutto il sacro Poema. Tuttavia son qui tai ca- ratteri che dimostrano ad evidenza la chritlura della no- stra interpretazione. Imperocché primieramente di quella lu2)a si dice: Molli son gli animali a cui s'ammoglia^ e della Romana Curia nel Canto XIX dell' Inferno si ripete: Di voi, pastor, s'accorse il Vangelista, Quando colei che siede sopra Tacque, Pultaneggiar co' regi a lui fu vista. Secondariamente della Liq^a si seguita, che quegli ani- mali, a cui ella si congiugne, saranno ancor più infin die il veltro Verrà che la farà morir di doglia. Chiunque intendasi per questo Keltro , o Can Grande delia Scala, o Uguccione dalla Faggiola, o altri, certo si è che di costui, pel quale morirà di doglia la Lupa sai-eJjbe cosa ben puerile il darsi a credere ch'egli farà estinta 1' avarizia di Dante. Ma sarebLe pure insensata questa credenza: imperocché del Veltro s'aggiugne: Di queirumilc Italia fia salute, Per cui mori la vergine Camilla, Eurialo, e Turno, e JNiso di ferule. Qui evidentemente si parla di Roma, situata nella bassa Italia, secondo la frase Virgiliana: liumilemque videmus Italiam; e per cui diedero il loro sangue quella vergine e que- gli eroi. Dunque se di Roma si parLi, la lupa è figura di Roma. In line, di essa e del Veltro si termina: Questi la caccerà per ogni villa, Finché l'avrà rimessa nell'inferno La onde invidia prima diparlilla. 3 2 LETTERE G^rtamcnte nessuno vorici intendere che il valore di tanto Principe si dovrh sfogare a perseguire di paese in paese l'avamia dell'Alighieri, finche la ricacci negli abissi. No: sperava egli al contrario che questa belva malvagia, la quale non lui, ma tutto il mondo occupa^ sarebbe stata da quel magnanimo sbandita interamente dal mondo , siccome può riscontrarsi nel XX del Purgatorio; Maledetta sie tu, antica lupa. Che più che tutte Taltre bestie hai preda, Per la tua fame senza fine cupa. O ciel, nel cui girar par che si creda La condizion di quaggiù trasmutarsi, Quando verrà per cui questa disceda? Par dunque assolutamente dimostrato, non altro po- tersi ravvisar nella Lupa che ciò che noi vi ravvisia- mo: e, quand'anco non avessimo data una piena inter- jjrcf azione di tutta 1' allegoria, questo sol basterebbe a distjuggere la spiegazione che di essa comunemente suol darsi. Per lo che, terminando la nostra chiosa, nell'ap- paiizione di Virgilio, e nella via per la quale ei pro- mise trar l'Alighieri di quell'ambascia, noi veggiamo fi- nalmente l'alleviamento agli afiànni recatogli dalla dol- cezza degli studi, e la maravigliosa tessitura d un poe- ma , in ricompensa di cui s'augurava , come abbiamo notalo, la cessazione di tanta guerra ec. LA BATTAGLIA DI NAVARINO INNO DI GIUSEPPE BORGHI E caduta: ornai non sogna Chi servaggio non sofferse; Dell'Europa la vergogna È caduta: Iddio la sperse : Ei pesò del Trace il fato, E al cimento inaspettato I potenti trascinò. Patteggiando lungo il lito Si scdcan dell'empia terra, E anzi pur clic fosse udito II messaggio della guerra, Come folgor che si scaglia, Sospignendo alla battaglia L'Angel suo precipitò. Ov'è l'oste, u' son le vele Dell' infido Musulmano! Ecco, il foco d'Israele Le divora e l'oceano: Venga, oh venga chi non crede! Al trionfo della fede Di rossor si coprirà. Tal vantossi, e tal cadeo Colle ruote e coi destrieri Faraon nell'Eritreo Poich' uscirò i prigionieri! Da quel giorno il ciel cortese Coi portenti ognor difese La ragion di libertà. 34 LETTERE Caro al volgo e caro al saggio "^'iva il re, clic lia nosco un Nume, Uìi domestico linguaggio, Una legge, ctl un costume: Nella receia in mezzo ai valli • • li- Viva 0 regni! I suoi vassalli Non andian co' lacci al jjiè. ]\Ia stranier clic passa i mari Per recarti le ritorte, Che diserta i santuari, Che dissemina la morte, Fulminato alfln ritorni Ne' suoi barbari soggiorni: Con lui patto altro non è. Pare al Greco! A lui ben fcne La virtù paterna in petto: Dalle indomite caterve Liberato e dal sospetto, Ei risorga, e s'incammini Ai magnanimi destini, Onde ugual non ebbe un di. Già torreggia e appar sicura L'alma Croce ijionfantc Sui navigli e sulle mura. Scendi, o Madre palpitante, D.all'inospita montagna: il terror della campagna Come turbine sparì. Scendi, scendi ! Larmi e Tossa Del (igliuol clic amasti tanto Tu componi nella fossa Con man ferma e senza pianto: Per lui sciolte dal tiranno Le donzelle invidìeranno Al oolennc tuo dolor. ED ARTT 35 Oh perchè dcU'Anglo Bardo, Perchè mai la lingua è muta? Ma lo spirto del gagliardo Erra intorno, e Voi saluta, Voi beate anime caste, Che sull'ara v'immolaste Della patrizi e dellonor. Allo sdegno inusitato, Al fragor delle percosse, Dal letargo sconsigliato Tutta Europa si riscosse: Dio fé' il resto. I suoi voleri Forsennato Tuom che speri D'un islante ritardar! ' , Più pietoso che guerriero Peidonare osò la vita D'Israello il re priuùero Al dannato Amalecita: La corona dalla fronte Dio strappogli, e sovra il monte Lo gitiò sul proprio acciar. Sul parere del sig. bar. Moriillaro inforno al Tahiiln- rìiim Regiae ac Imperialis Capellae etc. inseri/o nel num. i55 del Giornale di Lettere Scienze ed Arti per la Sicilia. Amico mio pregiatissimo Il desiderio che aveva io, uscita alla luce l'opera mia del l.\dndarium di sentire qual giudizio n' avrebliero poi-tato i dotti, mi rendea mal solFerente il ritardo dei nostri gioriudi letterari, quando ad un tempo usciti i fascicoli dell'uno e l'altro giornale di Palermo, osservai 36 LtTTERE ambedurì intesi nello esame liell'opcra. La qualità delle peisone , che si erari tolto la brig;a di giudicarne ren- deami a prima giunta soddisfattissimo , essendosi nel- \ Effemeridi Scientifiche e Letterarie^ assunto il carico
  • j Tutt'al- l'incontro ne ha opinato il signor Mortillaro, che dal- l'esame fattone conchiuse, che Vopera in disamina sia poco raccomandabile , e perchè mancante di scopo ^ e perchè monca talvolta., e perchè talvolta riboccante di vizi., e quel che e più sfornita del tutto a nostro avviso di ciò., che interessar possa l'arte diplomatica. Non pertanto, amico mio pregiatissimo, lasciate di me- ravigliarne, con tutte le qualità che richieggonsi per dare adequato giudizio, non e raro l'osservare discordanti i critici nel giudicare sul merito di un'opera stessa, per- chè diversa è la tempra degl'ingegni, e la maniera di vedere è peculiare ad ognuno, ed a similitudine delle mostre ognun si regola colla sua ancora che conosca dalle altre differire. Per tutto ciò , non aspettate , che segga io giudice, e vi chiami innanzi al mio tribunale ED Ann 3^ la discussione delle opposte opinioni, percliè fattane di- samina reggiate da me pronunziata finale sentenza; non mi credo io da tanto ad entrar terzo tra cotanto senno^ che conosco abbastanza le forze mie , peraltro la mo- destia e la interezza divietano a cliicchesia l'ergersi giu- dice delle cose propie, sendochè l'amor di noi stessi fa velo al giudizio. Rimetto dunque ottimo amico a voi, che saggio siete ed imparziale, l'addimostrarmi da qual parte penda la bilancia , e state pur certo di vedere , deciso che abbiate, conformato al vostro il giudizio mio. Se non che non pochi abbagli in cui è caduto l'uno degli estensori sopradetti, a cagion, cred'io, ne mal mi appongo in ciò, di non aver letto né l'opera in disa- mina^ né gli autori che gli è bisognato allegare , mi stringono a doverne dare breve ragguaglio con questa che a voi scrivo; intendo parlarvi del signor Mortilla- ro, quel desso che dei due sembra a prima vista assai preciso, ed il più positivo nell'enunciazion del suo pa- rere, citando come suol dirsi cum die , et consule le pagine, le linee, i numeri dell'opera per quindi anfa- neggiando intorno al merito tirar partito dagli incauti lettori. Vogliate però scusarlo, giacche ei stesso in sul prin- cipio, vedete quant'e' si porta modestamente, ci fa av- visati le molte e gravose occupazioni tutt' aitilo che letterarie avemelo distolto da mi minuto esame. Ma io mettendo in chiaro la verità colle prove che si traggon da' fatti, non altro mi son proposto, che levar di mezzo la occasione che potieste avere d'ingannarvi, non di to- gliervi da mano la decisione, che tutta 1' ho rimessa a voi, avvezzo come siete a discernere dai giornali più ce- lebrati d' Europa il criterio che i dotti adoprano nel giudicare de' lavori letterari. E piaciuto al signor Mortillaro pria che si fosse messo ad esaminare 1' opera, discorrere suU' importanza della medesima in tal modo: >j Egli è pur vero che lavoro di grave pondo non era addì d'oggi il presentare riu- 38 LETTERE niti^ ed annotati ì diplomi tittii che alla nostra Cap- pella si ap.part ergono^ perchè quasi tutti erano stali ij;ià da gran tempo raccolti^ letti ^ tradotti^ annotati e pubblicati, w In nota cita per giustilicazione le opere del di Giovanni, del Pirri , dtl di Chiara, e il INIano- scriUo clic del TaLulario stesso lasciò il d'Amico. Con- fesso però, come ognun che conosce le opere indicate deve con me confessare, di non intcndei-e in qual modo possan esse somministrare il materiale alia compilazione del Tabulano della Cap))ella Palatina. Ma pria di tutto giova l'avvertire che j)oco senno ad- dimostri in sulle prime TEstensore nelFavcr creduto do- A cjsi comprendere il manoscritto del di Amico in que- gli autori die avrebber dato agevolezza all'impreso la- voro: perchè essendo i diplomi originali il soggetto ed il corpo dcllopera che s'intende di fare, ed il manoscritto del di Amico rjnello che serve a supplire là dove man- cano i primi, allora sta esso veramente in luogo degli originali, ne sarebbe a dirittura esistita opera di sorta, senza gli uni, e l'altro. In quanto poi agli autori che si citan da lui, come non sa il sig. Estensore, che il codice diplomatico del di Gio- A anni si termini a punto in quell'epoca dalla quale prende principio la mia ? dico nella Saracena , quando il Ta- bulari© principia dalla Normanna ? La Sicilia Sacra del Pirri ignora forse di non essere collezione di diplomi, ma notizie sulle siciliane chiese derivate bensì da diplo- mi, i quali non vengon pu]:)b!icati, salvo qualcuno, ma citati soltanto da lui ne' luoghi che servir potevano alla conoscenza dello stato delle chiese? Per la ragion me- desima que' diplomi che furo n pubblicati dal di Chiara non hanno per iscopo, che di stabibre i diritti della Cap- pellania .Ma-gicjic del regno di Sicilia argomento trat- tato in quell'opera. Voler dunque affermare essere bastevoli i sopraddetti autori alla compilazion del Palatino Tabularlo , egli e lo stesso , che dare a divedere di non conoscere ne il ED ARTI 39 soggetto dell'opera in esame, uè gli autori che si alle- gano come sulficicnti a comporla. Se vuole ora sapere il signor Estensore quale sia stata la impresa, e come da me condotta nella compilnzion del Tabularlo, giacche non ha avuto la pazienza d'iu- formarscac dalla lettura del discorso che vi precede, non lio diflìcoltà di esporla in poche parole. Mi è bisognato in prima mettere in rassegna lutti gli originali in per- gamena che esistono nell'Aiclnvio, osservando mancarne alcuni, son ricorso al manoscritto del di Amico per for- nirli , pregevole per esser lavoro di tanto celebre sto- riografo, che poteva aver veduto gli originali or man- cati. Ma questa collezione si terminava presso al line del secolo quintodecimo , ove finiscono le pergamene insieme e il manoscritto; per coudurre la serie sino a nostri dì, ho dovuto ricorrere a tutti i volumi dlell'Ar- chivio, e son Lene vicino a novanta, tra quali scegliere le carte diplomatiche , che ci danno la costituzione , e il reggimento della real Caiipella. Tutto ciò non era che compilare, ed ordinare, avuto l'incarico di pulibli- care i diplomi, nuova fatica mi si è aggiunto alle ])re- cedenti , che versava principalmente sulla paleografia : quanto penosa essa sia per me stata, e difficile, può cia- scuno considerarla, se facciasi ad osservare i saggi bto- grafici delle diverse età dei diplomi espressi in line del volume. Riconosca da ciò il signor Estensore i genuini materiali che son serviti alla compilazion del Tabula- rio, ne voglia vanamente attenuare in sul bel principio la importanza del lavoro, dando a divedere somma fa- cilità nel condursi a compimento , che si sarebbe tro- A ata in opere 2>rinia piJjblicate , delle quali ignora li- nanco l'argomento. Entra ora nello esame dell'opera, ed a guisa di clii osservando un palazzo incantato nulla conqnende del thV'gno, dei compartimcnli di tutto l'edidcio, non vede uè dalla pi-efa/ione, ne dal congegno dell'opera cosa ebbe in animo di fare l'editore del TaJjulaiio o ule va iuter- ^O LETTERE roiiando dell'idea quale si fosse mai, se pubblicare tutti i diplomi originali, ovvero in copia, se scegliere in essi i pili o i meno interessanti che si ritrovino nell'Arcliivio. Lasciam però al sig. Estensore che pensi a posla sua, poi- ché non avendo letto la prefazione^ non può dirsi che discorra dell'opera in esame. E dove mai ha egli co- nosciuto non essersi dato da me un disegno all'opera ? ISon è stato detto per me pubblicarsi tutti gli originali che esistono neil' Archivio ? que' che vi mancano sup- plirli dal manoscritto del di Amico? e riprovando gli iuialetti del Mongitore e del de Giudice, non ho io sog- 4;iunto tutti e senza scella voler mettere in luce i di- plomi interessanti, o non interessanti? Ma ecco che il signor Estensore da questo discorrer vago ed indeterminato, dannabile principalmente in chi assume il carattere di critico, scende ai particolari, onde parlando dei diplomi interessanti si fa a dire in questo modo: w Tu ne trovi trascurati ìuolti altri^ che inte- ressantissimi sono come può ognuno da sé stesso ri- levare^ e che già trovavansi pubblichiti. (Nota) Si av- verta che le note han tutte un modo di principiare cioè per citarne alcuno^ per citarne un soloj per citarne taluna , etc. per far le viste di averne in pronto un mi- gliaio di simil fatta , ma che per brevità', o per non iioiarti tralascia. Così per citarne uno solo, quelV in- teressantissimo diploma del 1256 con cui re Manfredi Exindt a regiis collectis capella regia (la Grammati- ca!!!) e che pubblicò il Pirri^loc. cit, p. i36o manca in Garofalo. Basta a ine questo solo argomento del diploma che cita l'Est, siccome mancante, yicr conoscere di non aver egli letto non che svolte le pagine del Tabularlo; men- tre al n" XLvin, pag. 69 può leggersi da cliKchessia il dij)loma che il sig. E. alìèrma mancare nel Tabularlo. Non dimanco voglio supporre , che sia stato ingan- nato dall'anno in cui credeva di trovarlo secondo il Pini !306, mentre da me si porta nel 1309. Pure se avesse ED ARTr 4^ più maturamente ponderato la cosa, doveva lodarmi in- vece di accusarmi di trascuratezza. Impercioccliè nello assegnarli l'anno i aSg correggevasi da me l'anacronismo del Pirri, essendo che da tutti gli storici, eccetto il Faz- zello seguito dal Baronio, e fissata la coronazione di re Manfredi a io agosto i258 prima indizione; ed il no- stro diploma segnato a 5 aprile seconda indizione do- veva esser dato l'anno laSg, l'anno stesso che l'ho as- segnato nella serie. Detto sulla ragione della pubblicazione passa a cen- surare il metodo stesso imperfetto con cui s' è dato conto da me dei diplomi: « JVè di questi diplomi^ così dice, si dà particolare descrizione come è costarne^ appo- nendovi note ad ognuno indicanti la forma , le par- ticolarità e ciò insomma che interessar possa V arte diplomatica^ cosa che anche appo noi non trascurò lo stesso Mongitore nell'opera Bullae etc. Non comjDrendo abbastanza cosa pretenda il sig. E. nella descrizione dei diplomi, o desideri di trovai'vi nei miei; la forma, le particolarità, ciò che interessa l'arte diplomatica: volgomi perciò ad osservarlo nell'opera del Mongitore che propone ad esemplare in questo genere. L'arte spiegata da questo dijìlomatico nella descrizione dei diplomi in altro non consiste che nel notare il luogo d'onde sia tratto il diploma , la materia nella quale e scritto, la scrittura stessa se araba o greca (mentre ei non pubblicava che latine traduzioni) il suggello in fine quando ce n' ha, ed il tipo di esso ; in fatti leggesi a pie dei diplomi; servatur in arca Tìiesauri , graece scriptum j vel arabice, exscripsimus ex autographo membranaceo^ adest^ ovvero, deest sigillum^ cerae ru- hrae^ ovvero, comunis^ spectatur in eo rex Gullielmus eie. Se il sig. Est. intende questa esser descrizione dei dijilomi; allora perché incolparmi di non trovarla nel mio Tabulano ? mentre anch'io ho notato ne' diplomi il luogo, la materia, i caratteri non facea d'uo])o, per- cljè pubblicava io gli originali stessi arabici se araldici, 42 LETTEHE greci se greci, autogmphum menibranaceum^ ex mem- hraiiis osservatisi ài R. Sacello^ adcst sìgilhim pliun- hewn^ cerne comunis^ rnbnic^ speciatur imago; esj)ves- sioni ili tutto somiglianti a quelle del Mongitore, eli' è per il sig. E. ottimo conoscitore dell'arte diplomatica. Non par credibile, ed egli è indubitato , die il sig. INlortillaro giudicò dell'opera senza a^'eiia letta. Prosieguo w né si die cura di cennare a piò di o- giiujio^ il luogo donde tratto l avesse^ poiché non puoi dire, che ebbe in mente di consultar tutti gli originali , uè di avs^erlir tutti gli editori, poiché ti dà per letti sia dasli or/s;iìiah\ sia dai manoscritti del di yiniico diplomi tante volte pubblicati per le stampe. (INota) Così per citare i primi che mi son venuti sotf occhio [il IP e il ^° di Garofalo sono pubblicati dal Pirri loc. cit. p. i35y ed einon V avverte; il XIX dice il Garofalo essersi dato la pena di averlo copiato ex nuuios. di Ant. Amico mentre è pubblicato dal Pirri loc. cit. pag. l35g. 11 sig. Est. clic avea lodato 1' opera del Mongitore ponendola ad esempio pella descrizione de' diplomi, ora dallu stessa opera apprende il dovere clie ha un editore di diplomi di far menzione di tutte le copie preceden- temente date in luce da altri. Io però credo e prima di me l'avca praticato il Testa nella cclcLie edizione de' ca- pitoli del regno da cui l'appi-esi, che l'obbligo di citare gli editori precedenti nasce quando si hanno a correg- gere, o supplire le mancanze nel riferire i diplomi; in diverso caso uon è così lodevole la condotta del IMon- gitore, il rpiale colla sua sazievole ridondanza nel citare, si rende noioso, e senza frutto ai leggitori. Per questo non avendo io clic supplire , o correggere ne' due di- plomi del n" II e V , edit. dal Pirri sopra gli originali che ])ubblicava , inutile ed infruttuoso sarebbe stalo il citarli. All' incontio jieiò il diploma del ii° xlmii , p. 69 essendomi accorto che nel Piiri era liferilo man- tante, riio voluto avvertire nella nota, e TJio trascrivo ED ARTI 4"^ dal maiiosciillo del di Amico, ma V Estensoic non lo lesse- Se poi vuol sapere il sig. E. pevclic mi sia dalo la pena di copiare il diploma del n° xix dai mss. del lii Amico , mentre si trovava nel Pirri ; rispondo che non è vci-o qnant' e' dice; non ha il Piiri ])ubblicato il diploma uè so jjcrcliè allermi di averlo ìe^/o ivi; sola- mente il IMongitore da una copia ex RcL^ia Capdla , Iha pubblicato; e si ricordi una volta die il mss. del di Amico sta per me in luogo di originale, onde a rpiello son ricorso per pubblicarlo. Finalmente nasce il debito di citare d' onde sia tratto il diploma , quando venghi recato da fuori nella collezione che si pubblica, in di- verso caso si stima di appartenere al Tabularium che si pubblica. Tutto ciò l'ho sempre praticato , e noioso sarel^be citarne i luoghi del Tabulario, ma il sig. Est. ingiustamente mi accagiona d'inesattezza non avendo vo- luto leggere l'opera in disamina. Sul coordinamento dei diplorai dice: w ne questi di- plomi così riuniti sono stati con qualche metodo di- visi o cronologicamente per materie o per originali- tà^ ma essi seguonsi così lun dopo l'altro senza di- scernimento ed avvedutezza. In quanto al metodo, che mi son proposto di seguire credo di averne discorso abbastanza nella prefazione , onde legga il sig. E. in essa quel luogo nel quale si dice sers^ata ad perspicuU aleni /emporum serie ctc. E questo il metodo più facile, ed il più naturale appro- vato da tutti i diplomatici che è il cronologico, senza interessarci la mateiia o l'originalità de' diplomi. Avrò forse fallato nel mettere in esecuzione il proposto mio? e questo par che voglia dimostrare il sig. Est. col sog- giungere wper nascondere vie più la confusione ^ che nasce dal veder collocati diplomi di piti antica data appresso a quelli di data^ pile recente si è soppresso in taluno diploma la dula a fine di non essere rico- uosciiUOj come dal pari si è dato un anno certo a 44 LFTTERF, tal altro la cui certa data non sì scorge da alcun punto ^ né si assegnan le ragioni^ che l'han fatto pre- cisare 5i e qui la nota comincia al solito per citarne alcuno ma nissun diploma cita cui avessi io tralasciata la data, bensì un solo che dice esser piaciuto a me as- segnarne una , mentre non io, ma il diploma stesso in efiètto porta la data. Com'egli è evidentissimo di non aver letto l'opera in nessun conto ! Ma eccomi che posso Len io soddisfarlo di quel che avrebbe trovato per im- pugnarmi. Se avesse aperto il libro avrebbe osservato esser senza data il diploma xv, pag. 34- Non per evi- tare il riconoscimento di confusione ne' miei diplomi, ma perchè in fatto il diploma non ha data, è staio da me pubblicato com e; se volesse poi sapere il signor E- stensore le ragioni per cui le ho assegnato il luogo che viene nella serie; legga la nota prima a pie del diplo- ma in cui per collocarvelo, ho combattuto la opinione dello stesso Pirri che gli assegna data -pìxi recente. Nel secondo caso de' diplomi cioè senza data cui li ho pure assegnata una , si può citare il xlviii pag. 6g , che il sig. Est. non seppe rinvenire, nel quale si legge datum fogie quinto aprilis secunde indictionis; cioè senza anno, e vi fu dato da me l'anno i25g, nonostante che il Pirri lo porti all'anno i256, per le ragioni che ho sopra allegato. Riconosca ognuno se disordine o confusione si trovi nella collocazione dei diplomi da me pubblicati , ossia veramente ideato nella testa del sig. Est. il disordine per appiccarlo poi al Tabulario senza averlo letto! Ma eccoci al diploma di òui parla l'Est, nella nota cui abbia io assegnato , com' e' dice , una data certa , mentre non ne ha alcuna; piacerai di riferir la nota di parte in parte, acciocché si vegga patentemente da ognu- no quanto abbia l'Est. Ictlo il libro, w Ma come si è asicgnata al primo diploma la data certa del 1048, mentre è desso un diploma senza data^ e come tale lo segna il di Giovanni? >:> Avveri iamo pria di ogni ED ARTI 4'^ altro il sig. Est., che non citi gli autori senza leggerli; il di Giovanni ha pubbhcato il diploma, e vi ha asse- gnato la data del t 048 in margine , nella stessa guisa por lo appunto come ha praticato in tutti i diplomi del i-uo codice di certa data: w esso non :> quel diha>io\ dic'ci , di errori tipografici^ di cui è stracarica ogni pagina^ mos/ra assolala m'gligeuza anzi abbandono w. Non mi sarei alcerto dal sif^nor Estensore as])eltato, che avessi ad in- colparmi eziandio degli errori tipografici; ma perdoniamo ad un tenero amatore della sua professione questo zelo anclie immoderato die scarica senza riserbo contro di chi non ci ha colpa veruna quale si è certamente l'au- tore di un opera. Incumbenza ella è questa tutta dei ti- pografi, e ognun di noi sa per prova quanto ne scar- seggino in Sicilia degli ottimi. Esortiamo perciò di tutto r animo il sig. INIortillaro direttore coni' egli è di una ricca tipografia, ed uomo di lettere, che studi con ogni diligenza, ed attenda con solerzia alla sua stamperia, che non è di poca gloria il farsi norma e modello colle sue nitide, e più di tutto corrette etlizioiii a tutti i ti- pografi siciliani, j^cr l'onor nazionale e il vantaggio co- mune ; per non avere a sollrire i poveii autori anche questo rimproccio dagli imprudenti lettori delle loro opere, che daranno alla luce dalle nostre tipografie. Se non che giova 1' avvertire il signor Estensore clie non \oglia coijtare tra gli errori tipografi'ci, quelli che a bella ]iosta si sono lasciati correre coni' esistono negli originali, E chi non sa esser del^ito del diplomatico di rappresentare in tutto e per tutto i tempi die voglionsi conoscere per mezì^o di quelle scritture? per la qual cosa ognun vede chiaramente, quanto vengano a smenomarsi i supposli errori esagerati dall'Estensore in una stampa non di altro che di barbaro latino; anzi com'è da lodarsi un editore , se l' abbia conservati , biasmo tornerebbe a lui grandissimo, se vi avessi posto mano per correggerli. Pria che finisca quest' articolo non voglio preterire l'avvertimento amichevole clii mi è stato fatto dall'Est, in quanto al numero progressivo de' diplomi, il quale è v(;ramei!fe errato, e corre l'errore sino alla fine; pe- rocché quando fu da me avvertito, non era più a tem[>o ED ARTI 4? di correggerlo; consigliami di wvl errata eorrige in fine per emendarlo, ma io ho creduto miglior partito diriz- zare r indice de' diplomi con in margine 1' anno , e la pagina in corrispondenza: se il Mortillaro \avesse letto avrebbe conosciuto di essersi per sì ftitta guisa corretto l'errore più facilmente, e da se st(?ssò. senza che avessi avuto bisogno di seguire il suo consiglio. Fin qui di poco intendimento, di ninna perizia, e di moltissima negligen:::a mi lia accagionato l'Estensore nel- l'aver puljblicato i diplomi della Cappella Palatina. Ve- nendo ora a discorrere sugli aralrici dij^lomi che sono in quella collezione non dubita del tacciarmi di scioc- cliezza; perchè nulla sapendo io di arabo, mi sia fidato nell'edizione del signor don Giuseppe Caruso orientalista tra noi di molta riputazione, w/o so bene^ che il Ga- rofalo editore di questo Tabulano non sa di arabico^ ma cJie perciò? dove^'a egli darsi in mano di tale^ che sapeva di arabico^ quanto io di Cinese? Che vo- gliam qui noi credere ? che il signor Mortillaro uscito or sia da' gangheri? e perocché trovasi professore inte- rino nella R. Università degli Studi, ed autore di certi rudimenti di grammatica aiabica, il parlare, o scrivere, od anco il correggere stesso, che uòm faccia di araldica scrittura sembri a lui usuipata giurisdizione della lin- gua, di cui siede a mitestro? A me sjnace pure il pen- sarlo , ne dalla sua sennatczza mi aspettava , che mi desse anche a peccato la scelta che mi son persuaso di faie, della persona che i lumi mi apprestasse al lavoro confacenti. E sebbene non sarebbe da dar jjcso a tale rimbrotto , nonpertanto mi giova esporvi, se non vi è grave, le ragioni, che a ciò praticare mi hanno indotto perchè giudicate se giustamente o a torto io ne sia in- colpato. Son esse le comunemente adoj)rate quando vcn- gon meno le necessarie, ed interne dico le probabili ed esterne. Non sono io capace di discernere la perizia , che il Caruso s'abbia nell'arabico, e chi il nicga? con- fesso di non conoscerlo, e di non averlo studiato giam- 48 LETTERE mai: poterà |>eiò io da esterni argomenti, cui ogni uo- mo di senno non resiste, conchiudere sulla scienza del Caruso, ne era conveniente il tacciarmi d'imprudenza e di sciocchezza, pure nel caso di essermi ingannato. L'aver riportato favorevol giudizio in un concorso in iscritto sostenuto dal Caruso nel i833 per la R. Uni- versità, ove fu dichiarato dagli esteri professori di arabo lui meritevole della cattedra qualora ulteriori progressi avesse fatto nella conoscenza della lingua^ l'aver nei due anni susseguenti atteso indeffessamente a quello stu- dio sì che siasi reso familiare il linguaggio non che del Corano, ma dei diplomi; a segno di tradurne quattro dell'Archivio Monrealese, a lui affidati dall'Arciveccovo di quella metropoli, ed un altro tuttora inedito della Re- gia Cappella difficilissimo pel nesso dei caratteri e' la mancanza di punti diacritici, ch'è quasi interamente dallo stesso tradotto. Eran queste le ragioni per cui m' era io determinato alla scelta del Caruso traduttore. Vedete se doveva insolentemente essere dal sig. Est. appellato cieco che giudica dei colori. Invano egli op- pone l'imperizia del Caruso argomentandola da un'espres- sione da lui mal concepita nella traduzione che que' fece di due diplomi arabi della cattedrale, perchè là dove si parla del limite che ritorna colla fiumana non deve intendersi che salga, e poi scenda il fiume, ma sì bene il limite ; espressione non così chiara , ma propia dei tempi e si legge spessissimo nell' arabo insieme e nel latino de' diplorai di quell'età, come si può vedere nel de Giudice sommar, pag. \i. Intorno poi al diploma inedito della R. Cappella, se chiama me in testimonio di non averlo il Caruso potuto tradurre, ed io devo al- l'incontro testificare, che pria di averlo il Caruso a lui diedi l'originale, ed ebbi il dispiacere, di vederlo dopo due anni restituito intatto alla Cappella, senza che ne anco la data ne sia dall'Estensore stata tradotta. Se questi argomenti bastano a giustificare la condotta, fu ben accorta la dcliberazion mia dell'esserrai fidato del ED ARTI 49 Caruso, porcile ad un diploma dal jMof. Morso lasciato impcifetlo desse l' ultima mano sia nella riduzione dei cara Iteri sia nella versione mancante in più luoghi nel manoscritto del Morso, ed ei V ha eseguito sì lodevol- mente che non il marchio di temerario, ma di esperto s' ha a buon dritlo dagl' intendenti meritato. Sia detto tuttociò per l'amore del vero, e per incoraggiare il si- gnor Caruso a proseguire indefessamente lo studio di qvie- sta lingua , per la quale mirabile attitudine ha sortito dalla natura, sccoiulo hanno riconosciuto concordemenle gli esteri pi-ofessoii arajjisti nelFesaminare le traduzioni di arabo che furon dallo stesso presentate al concorso. Confessi il signor Mortillaro senza prevenzione, che ma- net spes altera Romae^ ne voglia in questo esagerare assoluta povertà che in disdecoro tornerebbe al nostro felice suolo. Finalmente se nella edizione degli arabici diplomi ha trovato il sig. Est. degli errori tipografici, accusa egli il fatto propio, e la memoria a lui carissima del pro- fessore Morso. E che altro ho in questo praticato se non ripetere l'edizione stessa dei diplomi pubblicati nel Pa- lermo Antico , nella quale assistettero il Morso allor vivente, servendosi anche dell' opera del signor Mortil- laro nelle prove della stampa? a loro dunque e non ad altri debbonsi gli errori tipografici se ve n'hanno in que- sta seconda edizione. Salvo che non voglia dirsi avere il signor Mortillaro da quel tempo in qua acquistato maggiore perizia nella lingua; quindi essere ora in istato di meglio discerner gli errori, che forse pria gli sfug- givano. Pure non è la stessa disgrazia alla di lui gramma- tica avvenuta, che dopo tre anni posta alla luce zeppa di molti errori si rinvenga? A chi debba darsene la col- pa? Se al suo diletto pjofessore, ch'era allor morto, se a' tipografi, che in Sicilia ignoranti sono di questo idio- ma, o se a lui stesso, ei se la giudichi. Conchiude il signor Estensore, lo esame di un'opera che non ha letto ^ con qualche cenno sulle note: » In 4 50 LETTERE quanto poi alle note sparse in quest'opera esse sojìo per r ordinario ricavate dal Pirri , dal di Gioi>anni , dal di Chiara^ dal Morso, ^i Bisogna ricordarsi in que- sto luogo, il dclto del sig. Estensore nel principio del- l' esame, che hworo di grave pondo non era presen- tare riuniti ed annotati i diplomi tutti quali note bastava di scegliere fra le tante pubblicate., jion ab- bisognandone certo delle nuove, w Non sarebbe dun- que stato tanto gran male, se avessi allora seguilo il suo pensiero, togliendo da questi autori le note più con- fticenti all' opera mia, anzi n'avrei meritato da lui una qualche lode. In questo luogo però solo per addimostrar la niuna importanza di esse ha rìpetuto il detto di sopra. Pure, quali son essi mai gli autori che ei dice aver pubbli- cati diplomi della R. Cappella annotati ?^I1 di Giovan- ni? lo stesso che abitiamo di sopra avvertito , e giova il ripeterlo che pare lo dimeni icasse, quegli che termina l'opera sua là dove incomincia la mia? Il Pirri? che non ha pubblicato ne annotalo diplomi, ma notizie sulle chiese di Sicilia? Il di Chiara? che pubblicando diplomi non l'ha mai annotati, perchè servivan solo di prove al- l'argomento che trattava? Fa sospettare ch'ei presuma di allegare autori che non sa di che essi trattino, per- chè non li ha letto mai. Restane il Morso, e da' diplo- rai , che costui ha annotali della Cappella Palatina , i quali non sono al più che quattio o sei, ho tolta (jualclu; nota che a me sembrò nell 'opera poter essere bene col- locata. Ma perchè, dico io, essendo buone ri|)utare a vergogna volersene giovare? Or sappia il sig. Estensore che in l'alto di erudizione siciliana i Pirri, i Mongitori, i di Giovanni ed altri di simil sorta sono i classici che iioi ci abitiamo , il consultarli , il profillarne non può tornare a disdecoro a chicchessia; son essi le fonti a cui si attinge da chi volesse avanti sentire nelle cose nostre. Se vuol pelò sapere se abbia io consultalo altri autori cgga nelle note i nomi del Fazello, Invcges, Falcando, ED AUTf 5[ del Testi», ^li Ugelli, i Carallà, i Glossjui del du Gaiit^c, del Maeii , gli Onomaslieon , i dizionari , gli o])useoli sieiliani , i maiioscrilti dei Tabulari , e ehe so io ; sa- rebbe uii tedio citarli qui uno per uno; e questi e so- miglianti autori sono stati bene spesso da me corretti, or allegati in testin)onio, alcuna volta ligettati co' lumi più certi della critica e della storia- Tuttociò addimo- stra studio, e grande solerzia in colui che li ha dovuto maneggiare. Abbia almeno avuto il signor Est. l'atten- zione di osservare se le note a proposito fusser collocate, od inutilmente, se desscr lume alla materia, se si deside- rassero ulteriori scliiarimenti, o più ampi in alcun luogo; sarebbe questa veramente stata opera di saggio critico, ma coni' ci non ebbe la pazienza di leggerne alcuna , non poteva soddisfare le mie brame ne quelle del pub- blico. Ma se le note che si leggono nell'opera son tolte di peso dagli autori soprallegati, non vogliate credere che il sig. Est. non fusse ito intorno braccheggiando a tro- varne alcuna la quale fusse interamente mia, e tanto è stato sollecito della mia riputazione, che l'ha pur tro- vato mia nota di cui possa sujierbire w una sola nota è tutta originale dell Editore essa è appunto la nota 5 /7, 2, in cui pretende ancora rica^Hire da un diploma Dio sa di qual conio l'esercizio del cullo pubblico cai- iolico in Sicilia nell'epoca saracenica. 5> Ringrazio il signor Estensore della sollecitudine per me presasi; bra- merei però di sapere dove egli abbia leilo la nota che dice tutta mia, peichè alla p. 2, n" v non vi trovo nota che sia originale, o copia foggiata da per me stesso, sol- tanto leggo farvisi da me un cenno al lettore per in- viarlo alla dissertazione ix del di Giovanni nella quale quel Criticissimo ha saputo dal diploma stesso assai bene inferire l'esercizio del cullo pubblico della religione cat- tolica nella Sicilia sotto l'arabica tirannide. Son questi presso a poco i luoghi degni di anmienda nel parere del signor Estensore dei quali ho voluto stendere 53 LETTERE giustificazione strabiliato dalla franchezza, e dalla sicurtà che usa nello spacciare e voler accreditare ciò che è pretta falsità. Assumendo però quel tuono franco e risoluto, ha senza dubbio inteso se non altro d'irretire i men cauti let- tori, i quali sogliono per lo più argomentare in questo mo- do; jiossiJjile che tutto quanto ei asserisce non fosse vero? l'avrebbe pur una volta con tanta franchezza pubblicato a tutto il mondo? portandoti col dito all'opera nel luogo, nel paragrafo, nella pagina ove è stato per lui rinvenuto l'errore, lo sproposito? Così è, e questa, non ne dubitate, e la maniera ordinaria del ragionare del volgo ; a voi però che seguite i pochi e non la volgar gente^ certo non avrà il potere d'imporre la speciosa sembianza della cosa, o l'ombra vana del nome; ho fatto ne' luoghi più importanti le avvertenze, che ho creduto necessarie allo schiarimento del vero , per allogiare a voi la inci'esce- vole briga che avreste dovuto sostenere se i luoglii che son falsificati, eravate costretto a riscontrare da per voi stesso. Per tutto ciò che son venuto divisandovi, di leggieri vi persuadete come in nulla debba io fidarmi delie tanto amichevoli espressioni sparse in tutto il saggio; di amor fralellevolc , di nazionalità e di tutto altro bene che a me desidera il signor Estensore di tutto cuore, per addimostrarsi s])assionalo nella censura, e farmi accettare con rassegnazione il sinistro giudizio che n' ha dovuto profferire sull'opera. Sarebbemi alcerto tornato assai gra- dito tanto tesoro di amicizia se la critica si fosse im- battuta sul vero, ma tale non essendo, ho tutta la ra- gione di dolermi per quelle oblique maniere di espri- mersi , riprovevoli per se stesse in qualsiasi scrittore , riprovati ssime nel critico , perchè contaminano e soflò- cano nella sostanza medesima la professione che investe. Allora chi non si accorge avere quelle significazioni per iscopo nuli' altro clie di assodale la persona nella opi- nione di sincerità e di spassionatezza, per indi mettere in forse le prove stesse evidenti colle quali si lovescian gli errori e disvelano le falsità? ED ARTI 53 Resterebbe a parlare della dottrina, dapoicliè dovendo chicchessia portar giudizio di un genere, fa d'uopo aver attinto tutte le cognizioni , che son necessarie alla ma- teria stessa sopra la quale s'istituisce lo esame, ma ciò non fu r oggetto che spinse me a prender in mano la penna, e dizùzzarvi queste avvertenze sopra i passi al- legati; peraltro non sono io fatto di tal natura, che vo- lessi giudicare della dottrina altrui, o che gli altri pen- sassero ad ogni modo come me; in vece ho sempre cre- duto libero dover essere ad ognuno il campo delle opi- nioni. Vi so dire però che i capi che compongono tutto il parere del sig. Estensore non oltrepassano quegli slessi da me sopra notati , voglio dire in cui si censurano i difetti, non rilevasi pregio veruno benché minimo del- l'opera; si avrà forse preso a professione di critico non altro che di correre agli errori di chi scrive per con- dannarli, e facendolo di piìi con tanta libertà, come se non vi fosse altro in che si potesse discorrere di un'opera, che in notando gli errori. Nuli'altro avendo che dire temo ora fortemente, che essendomi innoltrato di tropj)o col discorso, non abbiate meco ad adirarvi, quasi che avessi preteso con ciò bef- farmi di voi, sottoponendo al giudizio vostro una cen- sura quale l'ho descritta; e quindi farete a mal mio grado pagare lo scotto a me, comechè restiate convinto di star la ragione dalla parte mia. Dovevate però pensare che injfine non ero io un'oca a non mostrarne risentimento veruno. Che se l'un de' pareri è di quella qualità, che vi ho dimostrato, potete volgervi sicuramente all' altro del signor principe di Scordìa ancor rimesso al giudizio vostro, troverete in esso cognizioni sufficienti ad esercitar dirittamente l'ufficio di crilico, mollo criterio adopera- tovi nello esame, e grande studio nell'andar discorrendo di parte in j)artc que' punti, che sono nell'opera merite- voli di riflessione: e se vi appaion non così rilevali i difetti come ha fatto in trattando de' pregi rinvenutivi , ciò dovete ascriverlo a quella gentilezza , ed urbanità , di >')4 LETTERE che il f^iovlii principe si mostra cpjreglamcntc adorno, la quale sicconuì è l'anima tlcl viver civile, allo stesso motlo incorags;ia nella carriera letteraria coloro, che ne son coltiva lori. Soggiungo , e vogliate sapermene grado , un altro parere sul Tabiilarium significalo per via di lettera a me indiritla da personaggio il cui nome chiarissimo in tutta Italia ed oltramooti, aggiugne singoiar vanto alla patria nostra. Osserverete in esso come il judicium vi- dendis ar/ibus sub/ile che il valentuomo sovranamente possiede e ne forma il carattere, non vada in lui dis- giunto da quel lino criterio con cui libransi le materie che son proprie dellarcheologia e della diplomatica. Dì Napoli dicembre 2;^, iS35. rrcgiaùssimo sig. Beneficiale Accuso il vostro Tuhularhim per lodarne l'autore, e ringraziarne il (loiialorc. Io non so dirvi quanto ne sia rimasto contento e com- piiilamente conlento. L'argomento dell'opera, la maniera onde è stat;» trattala, la ddigenz,a, ed il buon divisamento è tale, che nulla lascia a desiderare ai dotti archeologi e diplomatici^ in ultimo l'elegante e corretta edizione, tutto soddisfa pienamente un Siciliano ardentissimo zelatore della patria, qual'io sono stalo siccome credo averne date moltiplici, e costanti riprove e sarò per darne finche vivo. La so- cietà in generale disprezza sino allo scherno questi severi studi e siamo giunti a veder de' missionari che uè propagano il dileggia- mento. Che se tanto adoperano sino pe'scriltori profani, clie non vo- mitan poi per l'Archeologia Sacra? Classici per loro è sinonimo di stolti, e già seu dill'ondono le missioni, perche la nuova fisonomia del secolo cos'i riciiiede. Gli uomini non debbono essere scimmie, e lo studio (cos'i predicali costoro) degli antichi ci rende invitatori sen'iim pccits; noi vogliamo esser originali (e son tali). Oh la co- moda maniera d'innalzarsi sulle spalle dell'ignoranza! Vi doman- derei perlanto, mio dotto amico con Persio Quis leget haec nerno lienule! Conchiudo che il vostro libro quanto è pili pre- gevole agli uomini di vecchia data, tanto più dalla nuova gene- razione degli Originalisti sarìi trascurato. ]3ebbo aggiugnere i miei complimenti per la bella e dotta pre- fazione da voi premessa. Vi ho ammiralo la sobrietà con la quale ED ARTI 55 avete ciato conto dell' opera in una specie di compendio isterico di celesta illustre Cappella Palatina. Ottima lingua, e stile sobrio qual conviensi airargomento. Ho ancora ammirato l'eleganza con la quale nel penultimo vostro paragrafo entrate a descrivere la tenuta de' Codici, la costruzione dei Plutei, degli Scaffali, dell'or- dine onde son disposti, talché l'opera vostra può dirsi omnibus nu- meris absolutissima. Ma deh! non vogliate rimanervi a questa onoranza trascurando r altra di Cicerone De Republica che mi accennavate. Il Tabu- lari© è un monumento della vostra diligenza , 1' altro il sarà del vostro ingegno, e della vostra dottrina. E certo a voi non meno che alla Sicilia torner'a d' onor sommo. Il celebre Brotier fece i supplementi a Tacito, e spinse il suo ardire a supplir 1' istoria della Guerra Servile di Sallustio , raccogliendone i frammenti se mal non mi ricorda. Essendovi dato alla Diplomazia, dovreste inoltre fare un viaggio per la Sicilia dove nelle Canonie, e specialmente nelle Cattedrali e negli Archivi de' comuni di non pochi paesi ora immersi nelle tenebre dell'ignoranza, potreste ritrovar tesori. Il fu eh. canonico Gregorio intraprese questa peregrinazione, ma essendosi troppo af- frettato, ed in compagnia di taluni altri, che di s'i fatte materie poco si conoscevano, scarso frutto ne raccolse. Abbiate infine cura di raccogliere quelle voci latine, che ad ogni pie sospinto rinven- gonsi nelle antiche scritture, delle quali all'utilissimo Lessico del Du-cange potrebbesi fare una giunta maggiore della derrata. La prolissità della mia lettera vi sia testimonianza dell'alta stima che fo di voi, ed a vostro fratello piacciavi rilierire le assicura- zioni della mia amicizia. Par nobile Jratrum! Buone feste ed ogni felicita. Vostro Cord. Ser. Estini. ed Am. Tommaso Gargallo. 56 Per la Maestà di INIaria Cristina di Savoja — Iscri- zioni funebri di Ferdinando Malvica. Ccssavit gaudiiim cordis sui, versus est in luctum cborus nostcr. GEnEMiA lamcnt, K. At.L'EGRF.GIO SIGNOR CANONICO D. NICOLA CANDIA FERDINANDO MALVICA SALUTR Voi, mio valentissimo amico, mi scrivevate,' non è guari, del gaudio generale e sincero che il parto della Regina deslava in ogni classe di cittadini, i quali avevano aperto gli animi a liete speranze , pel neonato erede , che più saldo rendendo il trono, costantemente benigno s(! ne antivedeva il reggimento. Ma come in un baleno la gioja in lutto si convertì! La virtuosa Sovrana, clic immacolata visse e morì , rapita a' cieli nel momento clic novelli titoli acquistava alla riverenza delle genti, La lasciato un vuojo nei pelli de' buoni, ed ha svegliato per l'immatura partita universale compianto. Io considerando meco stesso le virtù di lei andavo nel pensiero escogitando il modo, come la potenza morale dell' italica epigrafia onorar meglio le potesse ; quando da colcsta sapiente citlà mi vennero chiesle ilalianc iscri- zioni , che servir potessero , per una lugubre pompa , che in privato tempio all' illusile eslinta si prcjìarava : ond'io che vi avevo già rivolto il pensiero mi diedi tosto a scriverle con grandissimo diletto: tanto più che essen- dosi pei funerali didla nostia Cappella Palatina levato publ)lico lamento , che nella lingua del Lazio fossero state le iscrizioni composle, con maggior premura mi ci applicai. Bellissimo ed ammirando speltacolo era quello di vedere con qual delicato sentimento visitavasi quel ED ARTI 5n tempio , in cui l'ultimo tributo di spontaneo affetto alla estinta Sovrana si rendea. Ivi il soldato, l'artista, la matrona correva ; ivi l' immensa massa del popolo giva avidamente rintracciando le scritte che le virtù di lei ricordassero : ma qual fu mai il nobile disdegno che da tutti gli animi sorse, veggendo che mute parole si rin- venivano: quindi nacque universale il voto , perchè fi- nalmente Sicilia, come Italia e Francia ed Inghilterra gli antichi ceppi rompesse, e nella lingua che s'intende dal popolo ciò che al popolo si espone si dettasse. Qui non si trattava di alcun pubblico istituto di sa- pienza , in cui giustamente vuoisi che nella lingua dei dotti le memorie che lo riguardano si scrivessero; perchè non al popolo direttamente, ma ai sapienti si ragiona: qui trattavasi d'iscrizioni con cui venivano esposte alla mente dei grandi e dei plebei, dei dotti e degl'indotti le virtù di quella che come luce splendeva, e tanto pub- blico lutto cagionava: e se ragione e filosofia, clie son sorelle e non si disgiungon mai, chieggono altamente che nella lingua volgare sieno dettate le memorie che sulle tombe dei defunti si scolpiscono, egli è certo che la filo- sofia e la ragione reclamano del j^ari che il popolo deesi rispettare, ch'egli non debb'cssere defraudato, ne dee mai ne' suoi voti, e nelle sue speranze tradirsi: quindi là dove prende viva parte, ed è nelle sue affezioni penetrato, i suoi dritti si accrescono, e i suoi reclami son santi. Così nella presente congiuntura osservavansi profondi i suoi rammarichi nel non poter satisfare la brama di compren- derci ciò che si esponeva agli occhi suoi, e die la causa dello sue attuali amarezze risguardava. Io credo che si perda un 2)0tente modo di jiopolare struzione nel non ricevere la nazionale epigrafia, che s'in- sinua tacitamente ne' cuori, gli scuote, gli anmiaestra, li migliora: peiciocchè parla con sottile voce noi punto più tremendo dcll'uinana vita, e quando cadono le passioni, e ogni cosa si dissolve. Richiamate al pensiero, egregio amico mio, quei versi del Foscolo, e vctlrassi più chiara l' ingiustizia di coloro 58 LETTERE che si oppongono a difTondeie questo novello fregio del- l'italiana letteratura, siccome, con sapiente consiglio, il Napione l'appellava: A egregie cose il forte animo accendono L'urne de' l'orti, o Pindemonte, e bella E santa fanno al peregria la terra Che le ricetta. Ma a quali cose possono elle incitar mai, se al popola, cui servir dovrebbero, con cifre di oscuro dettato, del- l'estinto, che racchiudono, si ragiona? Non vi ha, cred'io, uomo di modesto giudicio, il quale in buona fede l'incoe- renza di tal procedere non senta. Ma gli uomini son so- vente sì ostinati e sì ingiusti, che per non cedere al trionfo altrui a se medesimi , e all' umana ragione fan guerra. Quindi son certo che tempo verrà in cui meraviglieranno le genti, che noi fummo per cose di tal fatta obbligati a parlare dure parole, e a muovere reiterate querele. Io so che voi, mio egregio amico, partecipate in que- sti pensamenti, e non ultimo fra le cose letterarie dei tempi nostri, per l'obbielto santissimo a cui volge, esti- mate il mio libro sull'italica epigrafia: quindi sì pel nobile argomento, su di cui le presenti iscrizioni si agirano, sì perchè vennero dal mio cuore più che dal mio ingegno dettate, discare certamente non vi saranno. 10 conosco appieno l'alto sentire che vi scalda il petto, e mi è dolcissimo rendervi un pubblico attestato, ben- ché tenue, della mia profonda slima, e del mio amore che durerà finche la vita mi duri. Voi amico non di ven- tura ma di scelta , e compagno indivisibile di quel ma- schio e sublime animo del vecchio di Taranto , cui il mondo onora, avete un dritto carissimo alfitalica stima; ed io che vado superbo del tenero affetto di (juel som- mo sento penetrare l'intimo dell'animo mio pensando al- l'amorevolezza vostra, e alla dolce amicizia, che insie- me ne stringe. 11 Ciclo raddoppi i giorni del nostro tarantino Arci- vescovo, e voi, mio valenlissiiiio amico, con esso lui sem- pre feliciti. I ED ARTI 5g I sulla porla d" ingresso alla sala funerea ENTRATE 0 MORTALI E VEDRETE IL TERMINE DELLE GRANDEZZE UMANE 2 in mezzo lo spazio che precede t ingresso della sala funerea A UAHIA CRISTINA DEI SAVOJA E DEGLI ESTENSI PROGENIE DEGLI AMEDEI E DEGLI ALFONSI REGINA DELLE DUE SICILIE REGNÒ 38 MESI, VISSE 23 ANNI MORI AI 51 DEL 1836 DOPO IL QUINDICESIMO GIORNO CHE FRA LE COMUNI SPERANZE E I PUBBLICI GAUDI L'EREDE DEL TRONO PARTORIVA: I POPOLI ALL' IMPROVVISO ANNUNZIO DI TANTA PERDITA PER PIETÀ' CONCITATI IN LUTTO LA GIOIA CONVERTONO E PACE ETERNA ALLA SANTA MEMORIA IMPLORANO 60 LETTERE 3 a destra SOVVENGAVI CHE LA MORTE NON RISPARMIA ALCUNO APPASSISCE LA BELLEZZA RATTA DILEGUASI LA POTENZA DEGLI UOMINI LA SOLA VIRTÙ RESISTE E SOPRAVVIVE ALLE MONDANE VICENDE : CRISTINA FEL MOSTRA ! a sinistra LE LAGRIME DELLE NAZIONI NON SI COMPRANO IL NAPOLITANO E SICILIANO POPOLO CHE IN DUOLO IMMERSI LA PIANGONO SOLENNEMENTE L'ALTA VIRTÙ NE CONTESTANO in fronte al cenotafto a destra LA FIGLIA DI VITTORIO EMMANUELE LA SPOSA DI FERDINANDO II" SPARVE DALLA TERRA PIANGETE O POVERI LA VOSTRA SATNTURA ED ARTI 6l 6 a sinistra NESSUNA CORONATA DONNA IN si BREVE VITA PIÙ CALDO AFFETTO E PIETÀ PIÙ VERA DALLA SUA GENERAZIONE RISCOSSE le seguenti da collocarsi in vari punti della navata della sala funerea AMÒ E VENERÒ L'AUGUSTO CONSORTE LA PROPRIA FELICITÀ NELLA FELICITÀ DI LUI ' RIPONEVA 8 IL CANDORE DELL'ANIMA SUA DAI GESTI DAL PORTAMENTO DALLA VOCE TRASPARIVA 62 LETTERE 9 NELL'ANGELICO VISO LA MODESTIA E LA SANTITÀ DEI COSTUMI LEGGEVASl IO SEVERA NEL VESTIRE COME NELLA PIEtA COL POTENTE ESEMPIO LE DAME DELLA CORTE TACITAMENTE SCOSSE E AD IMITARLA COSTRINSE II MINISTRA DI CARITÀ CONSIGLIERA DI PACE COLLA MODESTIA I CUORI LEGA VASI COLLA PUREZZA DE' COSTUMI TUTTO ABBELLIVA DIVINIZZAVA ED ARTt 63 12 ESEMPIO DI RELIGIONE LE VERGINI SACRAMENTATE DI SUA PRESENZA CONSOLAVA AI LORO SACRI MISTERI UMILMENTE PARTECIPANDO E LORO SORELLA CHIAMANDOSI AMAVA LE VIRTÙ PACIFICHE E CITTADINE IN CHE STA LA VERA GLORIA DE' TRONI E A MANSUETI PENSIERI IL POPOLO DEVOTO INDIRIZZAVA u BENEFICA SENZA POMPA SOCCORREVA I POVERI LE LAGRIME DEGL'INFELICI ASCIUGAVA I BENEFIZI OCCULTANDO 64 LETTERE i5 MENTRE LE ARMI DI FRANCIA L' EUROPA SCONVOLGEANO ESULE IN SARDEGNA VITTORIO EMMANUELE SI RITIRAVA E MARIA CRISTINA IN MEZZO AI LAMENTI DELLA PATERNA SVENTURA NASCEVA E SI EDUCAVA : AHI LA BREVE SUA VITA BENCHÉ FIGLIA E MOGLIE DI RE FU DI AMARITUDINI RIPIENA! NEL 1821 IL PADRE DA NUOVE DISGRAZIE INCALZATO IL TRONO AVITO ABDICÒ ED ELLA DI SCIAGURE IN SCIAGURE TRAPASSAVA : UN SOFFIO SOLO DI CONTENTO A FERDINANDO IP CONGIUNTA E MORI i6 FU si FORTE NEGLI ULTIMI MOMENTI CHE LA DONNA DELLA SCRITTURA RICORDA ED ARTI 17 QUANDO MARIA CRISTINA FIORENTE DI BELLEZZA E GIOVENTÙ LASCIAVA IL PIEMONTE AL TALAMO DI FERDINANDO II» INNALZATA LUNGA VITA E GLORIOSA PREDICEVASI SPEMI VARIE E UNIVERSE IN OGNI PETTO SORGENDO: MA FULMINE DI MORTE SCOPPIO E OGNI CONCETTO BENE DISTRUSSE OH QUANTO SONO FALLACI I GIUDIZI DEI MORTALI ! 65 DIO IN SA GR AMENTO ALL'ADORAZIONE COMUNE ESPOSTO QUOTIDIANAMENTE VISITAVA E I,E GENTI CHE IVI S' ADUNAVANO COMPUNTE EDIFICATE DALLA SUA INGENUA RELIGIONE RIMANEVANO 66 LETTERE 19 CON PIO DIVISAMENTO CINQUANTA ORFANE FANCIULLE DAI PERICOLI DELLA VITA SOTTRAEVA NEL NAPOLITANO RITIRO DI SAN SEVERO A" MONTI A SUE SPESE RACCOGLIENDOLE : L'AUGUSTO MONARCA L'OPERA DALLA CONSORTE CON GENEROSO CUORE PENSATA STATUIVA DAL SUO PARTICOLARE PECULIO SI ESEGUISSE 20 COSI FINISCE LA GRANDEZZA DI QUAGGIÙ ! MA LA VIRTÙ DI LEI CHE RISPLENDE VINCE LA CADUCITÀ DELLE UMANE COSE E AI POSTERI TRAPASSA ED ARTI 67 Elenco di alcune parole oggidì frequentemente in uso le quali non soìw ?iei vocabolari italiani colla cor- rispondenza di qnelle che vi sono ammesse. — Pa- lermo, dai torcili eli Filippo Solli i835. Noi lodiamo di tutto l'animo il divisamento, che nac- que in cuore di alquanti bravi giovani del nostro Mini- stero di Stato, di evulgare appo noi, con notabili ad- dizioni cangiamenti e chiarizioni, questo Elenco già edito in Milano nel 1812. Non diremo di che giovamento esso sia perchè ognun vede di quanta utilità esser debbe un libro che tende a sceverare le sconce e mal adatte parole dalla mondizia dei buoni termini all'uso princi- palmente dei pubblici uffizi i quali non credonsi nel debito di scrivere con alcuna proprietà. Alla perfine pare che il vero cominciando ad illuminare i partico- lari è da sperare che voglia irradiar di sua luce chi lor soprintende; e questo Elenco diviso fra gli uffizi pubblici potrà se non dun fiato render corretta la lin- gua almeu mano mano educar praticamente gli addetti ai medesimi ad una favella più propria, meno arbitra- ria, più italiana. E sarà veramente un gran che se ve- dremo banditi del tutto quella brutta peste di france- sismi e quelle parole di nuovo conio e di strane im- provvisate desinenze venuteci per ignoranza e servilità a stranie forme di favella, e da vergognosa non curanza. Ne vogliamo defraudare i nostri editori della debita lode pei miglioramenti fatti a questa utilissima operic- ciuola. Per tre segni convenzionali hanno essi annotato i vocaboli viziati. Si additano col primo quelli mal ado- perati condannandosi il solo significato non buono: col secondo si notano que' modi di dire impropri ma che risultano da parole italiane; col terzo segno finalmente vengono accennate le parole, che quantunque non tro- vansi nei diziouan, o son quasi divenute necessarie per- 66 LETTETIE elio adoperate in significato particolare nelle leggi, o sono usati da buoni scrittori, o tratti da buona origine. Que- ste ed altre migliorazioni (fra le quali avremmo desi- derato vedere accresciuto di molto ancora il novero delle parole e dei vocabili e meglio definiti ed indicate alcune corrispondenze) rendono assai pregiata questa nuova edi- zione dell' Elenco , lasciando al tempo il far palese di quanta proficuità possa essere questa operetta ove dagli ullìzl con sano attendimento si adoperi. Scorcia NECROLOGIA Bartolommeo de Haro. Consacrare una pagina alla memoria di colui, che fin dalla fanciullezza ti lia istillalo le liiii pure massime della morale , e ti ha incamminato nel sentiero delle umane lettere, ei ci pare che sia un sacro dovere; molto meglio quando quegli cui vai debilore di così utile guida, non sia un pedante conoscitore delle sole regole gram- maticali che anzi sia stato di pregevoli costumi , e di squisito gusto in fatto di letteratura dotalo; e tale si fu il P. Bartolommeo de Haro, di cui noi intendiamo di favellare. Nato da onesti parenti , ed avendo imparato le let- tere dal celebre P. Vesco, fin dalla giovinezza addimo- strò il suo gusto nella latina ed italiana favella; inchi- nevole per la sua buona indole alle cose sacre, studiata la teologia, vestì l'abito sacerdotale. Fatta conoscenza col dottissimo canonico de' Cosmi, ebbe dapprima un posto nelle nascenti scuole normali, che i principi del discorso dovca risguurdare; ma poscia 1 ED ARTI 69 conosciuto il SUO valore nella bella lingua del Lazio, si ebbe ad ottenere la scuola delle umane lettere, die pel sajiere con cui la sostenne , gli meritò la cattedra di retlorica, ultimamente in quelle scuole fondata. Quanto se l'ebbe a cuore quel cbiar. del de' Cosmi, r addimostra l' intima amicizia passata fra esso loro, e queir averlo aiutalo sinanco nella versione delle cento epistole di Marco Tullio, di cui ben diciassette furono, per detto dell'istesso de Haro, da lui volgarizzate; e che in nulla differiscono , ne in veni'stà di dettato , ne in concisione di stile , da quelle tradotte dal de' Cosmi. Educato il P. de Haro fra' classici , tutte le volte che noi traevamo a sua casa, 1' avemmo a trovare coi suoi prediletti, Orazio, Virgilio, Cicerone, Dante, Boc- caccio e Petrarca, e come versatissimo nelle prose ita- liane, SI sempre ci avea a ridire quella sentenza, che la lettura del Boccaccio forma il più perfetto stile prosaico. Quanto poi avesse in odio la scuola ultra romantica, quella cioè che mette in non cale le sagge regole vo- lute dai critici, non e a dirsi ; ripeteaci soventi volte, che quella si era la vera ireste della letteratura, e che a lungo andare sarebbe per conoscersene la inconvenien- za. Tant' è che non solo il de Haro, ma ben altri sommi nostri, sono su di ciò dell'istesso pensare; che forse nel venturo secolo, non solo Italia, ma Francia e Lamagna istessa, daranno a questa scuola la taccia di delirante. Ma i^er non dipartirci dal subbietto diciamo , che creatasi dalla Commissione di pubblica istruzione, una cattedra di rettorica nelle scuole normali, ed intimatosi il pubblico concorso, il de Haro sebbene attempato ed alquanto travagliato in salute si fosse , non isdegnò di venire al cimento ; e sì che molto ebJ)e ad ailidicarsi per riescirne vittorioso; conciosiachè non solamente ebbe a lottare con concorrenti di sommo valore, ma le ma- terie su di cui versò 1' esame , furono le più scabrose in fatto di latina ed italiana letteratura. Però di così straordinaria fatica , n' ebbe a risentire grave danno la 7© LETTERE sua salute, per cui infermatosi di male viscerale, e tra- sferitosi a respirare l'aria pura della campagna, ira po- chissimo tempo chiuse gli occhi per sempre alla luce. Chiunqne non conobbe il de Haro, s'immagini un uo- mo di mezzana statura, pingue della persona, grave ed attempato nell'andare e nel dire: contento del poco, sin- cero nel rispondere, amantissimo delle cose patrie, non invido dell'altrui gloria, affezionatissimo co' giovani sco- lari, e con coloro che mostravano fior d'ingegno oltre- modo assiduo nell'aiutarli; e si formerà il più veritiero ritratto del nostro caro precettore. Marcantonio Scribani. Ferdinawdo Malvica — Principe di Grxnatelli — Cav. Anto- nio DI Giovanni Mira — Principe di Scordja — Direttori ed Editori. BIBLIOGRAFIA SICILIANA INDICE generale ragionato alfabetico della Storia della decadenza e ro- vina dell' Impero Romano di E. Gibbon. Pai. stamperia Francesco Spampinato i835 in-8 dipag. 77 TRAGEDIE del cayaliere dottor M. MAniAiro Caracciolo. Voi. primo. Palermo tipografia Frane. Spam- pinato i836 in-12 dì pag. 256. DISCORSO sopra il metodo di mu- tuo insegnamento applicato al di- segno lineare, alla lingua italiana, ed al progresso deiraritmetica, re- citato nell'accademia delle scienze e belle lettere il giorno 16 agosto i835, dall'abate Niccolò Scovazzo direttore generale di esso metodo in Sicilia. Palermo presso Tom- maso Graffeo i835 ìn-12 di p. 3y. SAGGIO sull'onanismo, avvertimenti del celebre dottor Tissot. Messina Stamperia dì Tommaso Capra , l835 in-8 dì pag. ig/f. ISTORIA del Regno di Napoli di Fi- ■Liypo M. Pagano ufficiale del Ge- nio ec. Voi. 2. Palermo tipoera- Jìa Spampinato i835 ìn-8 ai pa- gine 280. LA SCIENZA Vaccinica ridotta a 5o proposizioni da Mich. Pandolfini Professore di patologia in questa regia Università degli studii ec. Seconda edizione corretta ed ac- cresciuta. Palermo presso Tom- maso Cresco i836 in-8 di pa- gine 32. CATECHISMO di Religione per le scuole di mutuo insegnamento com- pilato dall'ab. Niccola Scovazzo di- rettore generale di esso metodo in Sicilia. Palermo presso la tij agra- fia De-Luca i835 in-8 di pa§. 62. MANUALE di affari eccleiiastico-si- coli del dott. GiovAKKi A. Gal- USA. Palermo tipografìa del Gior- nale LeUejarìo l835 in-8 di pa- gine io5. BIBLIOTECA utile voi. 1. Mastro- fini sulle usure, fascicolo 2. Pa- lermo tipografìa del Giornale Let- terario i83b, in-8 dalla pag. 6-j alla pag. i/j6. SUL POEMA di Salomone Gessner la morte di Abele tradotto da Fe- lice Bisazza parole di G. Ignazio Montanari. Messina dalla tipo- grafìa Nobolo i835 in-8 di pa- gine i6. ELEMENTI di Geometria del sac. Alessandro Gasano pubblico pro- fessore nella R. Università di Pa- lermo. Palermo dalla tipografìa reale di Guerra i835 in-8 di pa- gine 436 con XI tav. in rame. ISTORIA d'Italia di Messer France- sco Guicciardini alla miglior lezione ridotta dal Prof. Giovanni Rosini voi. XIX. Palermo presso Giam- battista Giordano i835 in-18 di pag. 262. ELEMENTI di filosofia fondamen- tale. Analisi delle facoltà dello spirito umano o Psicologia del P. Benedetto d' Acquisto da Mon- reale minore osservante riformato. Palermo presso Tommaso Graf fio 1835 in-8 di pag. 382. COSTUME Antico e Moderno, ov- vero storia del Governo della mi- lizia , della religione , delle arti , scienze ed usanze di tutti i popoli antichi e moderni, provata co' mo- numenti dell'antichità e rappresen- tata con analoghi disegni dal dott« Giulio Ferhario. Eiirop.i.VoI. i. Palermo per Fedeiico GuiojUlo i335 iii-S di pagine con rami. BREVI cenni sulla topografia del- l' anliro porlo di Ulisse del dott. Carlo Gemmellaro. Gataniti dai torchi dei fratelli Scinto i8'ò5 in- 4 ili pdg- 20. PIANO del Molo con la descrizione del Golfo e del seno di Catania dello ingegnerò idraulico profes- sore GicsEppE Zahra approvato da S. R. M. Ferdinando 1. con rcal dispaccio de' i3 gennaio 1781). Ca- tania dai torchi dei fratelli Scinto iS35 in-/f di pag. ig con due ta- vole in rame. ONORI alla memoria di Vincenzo Bellini. 3'Iesf.ina stampcrui Fiu- mara i835 in-8 di pag. jG. IN MORTE di Vincenzo Bellini. Ode di VrNCENZo Amohe. Messina dalla tipografìa Nobolo iS'òtì in-8 di pag. 11. SEDEClA tragedia del cav. Lette- rio Stagno da Messina- Messina presso Michelangelo Nobolo i835 in-8 di pag. ^5. IL FORZATO dramma del signor di Falbaire fi-adotto dal francese e ridoiro pel teatro italiano dal cav. Letterio Stac.>o tla Messina. Messina presso Michelangelo Na- tolo iS'à5 in-8 di pag. //z. SAGGIO d'nna versione poetica del- l'Apocalisse di Francesco Perez. P alerrno tipografìa di Filippo SoUi 1836 iu-8 di pag. 18. LA SONNAMBOLA azione coreo- grafica in tre atti messa in iscena da Augusto le Febcrb da rap])re- sentarsi nel Real Teatro Carolino per secondo ballo dell'anno teatrale i835 e i836. Paletmo dalla So- cielà tipngni/ica i835 in-12 di pag. itì. ANTO-NINO 'PIO , componimento drammatico da cantarsi nella gal- leria del Palazzo Senatorio per la straordinaria generale tornata della Reale Accademia Pcloritana in ri- correnza del lieto giorno natiilc di S. M. Ferdinando II. del Regno delle due Sicilie... Poesia di Giu- seppe Siracusano Candili. Mes- sina tij>ogni/ìa Fiumara i836 in-8 di pag. 8. LO STESICORO, opera periodica. Voi. 3, anno l. Catania presso Carmelo Pastore iS'i5 in-8 di pagine iy6. Gloii.XALE di Scienze Lettere ed Arti per la Sicilia diretto dal bar. Vincenzo Mortillaro Anno i3, voi. 52 ottobre, novembre, e di- cembre i835. Palermo ti[Xigra/ìa del Giornale Letterario iii-8 di pag. 324. GIORNALE di Scienze TMediche per la Sicilia compilato dal doti. Gae- tano Alceìii-Fogliani voi. 3. Pa- lermo tipografìa Pedone i83J in-8 di pag 264 GIORNALE del ('Gabinetto Lette- rario dell Accademia Giocnia to- :no 3 sc'ltembrc ottobre novembre e dicembre i83'(. Catania tipo- grafia dei fratelli Scinto i835 (])ubblicato Del i836) i/i-n¥fo,)or jCi5)i]J53Bii5iatJi gli anticlii privilegi, e 1' approva- 2Jpnc,.ptteiinGjt-o del proposto regolamento. Esso è couji l/iH?si> in. -22. capitoli,, ed ecconc la somma. f.'N|i,un coltivatore potea esentarsi di ascriversi alla cor- pprazioue, e jjagar dovea tai'ì unp all' anno al tesoriere di essa, per ogni 100 alveari che coltivava, questo fon- do era addetto in gran parte, notate, a sostenere le liti, ili; cui potea la corporazione impegnarsi: olire il teso- Tiere ci avea 4 consoli; l'uno e gli altri eletti a suffra- gi, e questi giudicavano le controversie che insoigcvauo néìlo cseix:izio dell'industria., multavano, ed iniligevano IfQno ai contraywtpri: ciascun raccogliea per se il frutto tleWe proprie arnie, ma. lu direzione dell'industria era in- tieramente in mano dei consoli: eglino disegnavano i campi ove stabilirsi gli alveari , eglino l'epoca della tras- ^4 SCIENZE migrazione, eglino quella di fare gli sciami artificiali, e per quanti giorni in questi lavori occupa vansi, una ricompensa di tari 4 a^ giorno otteneano dai fondi della corporazione. Da quanto ho esposto fin ora avete ben rilevato, che due sono gli oggetti a cui mira il regolamento, l'uno è di dirigersi dai Consoli, o Direttori quali ora vorreb- bero novellamente appellarsi tutte le operazioni di questa industria agricola, l'altro di apprestare i mez- zi alla corporazione, onde sostenere a danno dei propie- tarì dei fondi il privilegio della libera trasmigrazione degli alveari, di pascolare le bestie a ciò addette, e di legnare in qualunque fondo della Città di Vizzini, e di tutta la Valle di Noto. Or chi potrebbe mai ciedere utile l'esistenza di una società, che non abbia altri og- getti che questi? Non senza molta sapienza, i corpi d'ar- te, o maestranze sono stati fra noi soppressi. L'industria è stata liberata dai ceppi che da secoli 1' opprimeano, e le arti si sono fra noi migliorate all'ombra della li- bertà, che è l'anima di qualunque industria. Ma se pure i'universal consentimento, e l'esperienza, non condannas- sero come nemiche dell'industria le antiche corporazioni, io direi, potreste mai supporre che i Consoli , o Diret- tori della corporazione, eletti da questa spesso tumul- tuosamente, e per intrigo , e che perciò alcuna volta sono i meno esperti del loro ceto, ed animati solamente diill'idea del dovere possano condurre con più diligenza, ed accorgimento l'industria di un infinito numero di ar* iiie, cde non curerebbe ciascuno coltivatore le poche sue animalo dal polente motore del proprio utile? Ma alcuno potrà dire. In mezzo ai disordini di cui era sorgente questa corporazione ci avevano pure un vantaggio reale^ i coltivatori. La custodia degli alveari era meglio assi- curata, e meno dispendiosa , quando era a peso della corporazione, che non sarebbe a peso di ciascun colti- valore. Sia pure cosi. Ma ninno vorrebbe abbandonare all'altrui arbitrio la propria industria, per questo pie- SCIENZE ^5 colo ttile. Le Tolontarie associazioni potranno procurare ai coltivatori questo vantaggio, che loro è mancato per la soppressione della corporazione. Ma a che parlare della inopportunità delle corporazioni se provvidamenlc le corporazioni tutte sono state soppresse, ne quella dei coltivatori d' api di Vizzini può esistere in onta alla legge? Ma perchè mentre gli artieri tutti della Sicilia applaudiscono alla soppressione dei corpi d'arte, i colti- vatori d'api di Vizzini, ne chiedono la ripristinazione? Eglino vogliono farsi scudo di questo regolamento per violare impunemente la proprietà dei campi onde eserci- tarvi il loro strano privilegio, di trasportare dovunque i loro alveari. Narrandovi l'origine del regolamento, io vi ho fatto conoscere , che indivisibile è 1' esercizio di esso dall'esercizio del privilegio, o almeno i coltivato- ri delle api lo suppongono, ed hanno interesse di sup- porlo indivisibile. Ed eccomi a dirvi alcun che di par- ticolare intorno a questo privilegio. Mentre la riforma portata dal novello codice alle leg- gi riguardanti le servitù prediali, e il salutare scioglimen- to della promiscuità dei dritti di uso stanno svincolan- do fra noi la proprietà fondiaria dai vergognosi cep- pi cui fu soggetta negli andati tempi, ei sarebbe certa- mente un ritardare anzi attraversare il jirogrcsso del nostro miglioramento sociale autorizzando i coltivatoli delle api, a recare in qualunque podere i loro alveari, ed a riscuotere una contribuzione, ad oggetto di sostenere 1 vecchi ed oppressivi lor privilegi, a danno dei proprieta- ri. Io qui parlo a molti proprietari di vaste tenute. A chi di voi piacerebbe, che non uno, non due, ma un infinito numero di coltivatori, venisse vostro malgrado a deporre centinaja di arnie nei vostri poderi , ed ivi recidere quanta legna, o frasca gli abbisognerà, ed ivi pa- scolare quanti animali gli saranno serviti al trasporto degli alveari? Ma si risponderà i coltivatori delle api, non nei giardini, non nelle piantaie, non nei campi chiusi, ■^6 SdKNaE o cól li va li, ina Tlc'll(3 teiTO incoUe, e deselte, tnaspoiv tar sogliono i loro alveaii. 11 drillo di inojmcHkièisem- pre sacro, nù può questo impuiicmciile violarsi, a dati- no di una propiiolic-i rpuduiirpic, come che riputar si voglia sprcge\ole. Se nessun 'danno poi jxecano i i colti- valori delle api idie Sòda ^Ui^,iOVc- 'Sogliono kidurrtiole loro amie, All^i iitUi possono essere ai proprietari -tli quelle, ricompensandoli coti 'nha 'parte tlella prodùziia»- ne il projnio iiileresse, meglio 'cli6 qualunque staliiizi'onc governaliva , consiglierà qucsti(ad'aGGOglieifle:nellcloro*tò?- re. In molli 'altri >punli delia nosfra 'Isola icsistono dolte estese, e fióridc coltivazioni di f(pi, e nitin regolamentò, ninna consuetudine favorisce i coltivatori di questi Hi> selli, a danno dei possessori dei campi, ne in alcun p.ier- sc ineivilifo, per quaulo io mi sappia, la nominata in^ duslria gode di un così strano privilegio, poicliè 'non avvi bene inlesa legislazione economica, che proteg- ger j)0ssa una industria a danno di un'altra. Migiova torichiuderc questo mio ragionare ricordando che in Francia consigliali soltanto dal proprio interesse, i pro- prietà lì dei campi ricevono ben volentieri le arnie ned loio fondi (i). ... Però è nostra opinione implorarsi dal Real Goveino < he il juoposto regolamento restasse dilTinitivamentc an- nullalo, siccome contrario alla libertà industriale e ài (i)^cdi f.omharrl manuale per il proprietario {Ielle api. — Ec- ro le sue paiole. « Nelle nostre Alpi, uéi noslri Pirenei, in Litic;aa- docii, le ;i()i sul (juir dell'inverno si tras})ortano sopra i nmli. l'erTettute AiKÌ luyf;ln, ove esse possono r.nccoglitre si posaOo in terra, o su ^lisjcyj- gli, i.gitiiiieuti, i nnili,e le ap/, pascolano tutti nel luogo stesso. Si Xras- portano te api nella Ctiainpagne, nel Gatinois nella iàrfdogtic, e nelle Wesle di Orleans, paesi ove coltivasi il :(afleraMo , e^ il Riaiio. sa- raceno, e (I<)\c osse ritrovano degli scopeti, e detla melata, - — — 1 proprictuf ì, rilro\eranno dei particolari, che . ricc<'CÌ-flnno' ì'^'oro alveari, iiiedinntd una tenue responsione pCr ciasctnlo nlvoaité ànb. '^^'■|!9n,''«?p'""o'-'*' iiua «iti cede proporzioualq pei- i :guai'diani.) -rr-p Le CUI cure consistono ncll'invigilarc clic gli alveari non siano ru- iiali, ne rovesciati, e clic i lavori delle api sicuy iavorcvoli.»»— SCIEWZE 77 sacro dritto della territoriale proprietà, ed in ciò discor- diamo dal Consiglio d'Intendenza della Valle di Cata- nia, che portava avviso di rimettersi in vigore il re- golamento, modificandosene quegli articoli solamente che ai Direttori della Corporazione concedeano facoltà esecutive. Su di che saggiamente osservava il Consiglio che cotali facoltà secondo gli attuali statuti di polizia amministrativa non potrebbero attribuirsi che alla sola autorità municipale. // socio ordinario Principe di Giianatelli. Sulla privativa chiesta dal Sig. Amadio Schrocter inglese ec. — Rapporto letto dal Direttore dalla Clas- se di civile economia sig. Ferdinando Malvjca al R. Istituto d incoraggiamento ridia tornata dei y dicembre i834' Signori, L'epoca presente offre uno spettacolo stupeildo, per la industria umana; che tutti i rami di essa con ar- dore incredibile, e con ingegno pari all' ardore si col- tivano. Le grandi nazioni ne han dato esempi lumino- si, creando un' infinità di obbietti, che la vita rendo- no più comoda, più sicura, più lieta. La Sicilia non potendo per se medesima creare, che non si trova in quella felice posizione, in che gli altri forti ed opulenti stati si trovano, fa ottimo consiglio nell'arricchirsi delle invenzioni -e dei miglioramenti al- trui, accrescendo così le pro^H-ie dovizie, ed avanzando in civiltà. Quindi noi con animo contento, e di future speran- ze ripieno, dobbiamo sempre accogliere le dimaiidc di -toloro che l'industria straniera nel suolo siciliano vo- ogliono introdurre , facendola quasi indigena divenire. Jinpercioccht' doviahuo gli cstcìJii prodotti, che fra noi si ina sorgere, cousidcraisi come fòrze che attivano la pro- duzione nazionale , in f|uaiilochè , siccome Melchiorre Gioja diceva, la voglia di possederli diviene stimolo a proccurarsi i mezzi per comperarli. Amadio Schrocter inglese ha chiesto una privativa di dieci anni, per l'introduzione di una macchina, colla quale i panni ed altre stofib di lana acquistano un lustro inaltorabile. La Classe di civile economia riflettenr- do non esservi per anco in Sicilia macchine di questa falla, e considerando nel medesimo tempo l'utilità che si può da essa ricavare, dandosi ai panni un inaltera- bile lustro, è venuta di unanime accordo nella sentenza di proporre al Governo una privativa non di dieci, ma di soli cinque anni per l'introduttore. Egli è certo che la suddetta macchina non può servire che al lusso solo dei tempi, che luccicanti brama le stoffe; ma il lusso è gran parte della ]iubblica cosa, e dell'economista filosofo pen- siero gravissimo ; non essendo le città di severi saggi abitate; sihbene di uomini, che alle cose di questo mon- do, avvegnacchè futili, van troppo dappresso: e quelli, per lo contrario, sono per ogni dove un numero sì im- percettibile, che quasi fugge dalla mente dell' osserva- tore. Quindi la pubblica economia considerando gli uo- mini come sono, e non come dovrebbero essere, acco- glie nella sua vasta periferie ogni cosa che i gusti, gli agi, le comodità di ogni specie, le passioni stesse degli uomini risguarda. Imperciocché l'esistenza dell'uomo, per servirmi di un sapiente concetto di Giambattista Say, è tanto pili completa, le sue facoltà tanto più si esercitano, quanto maggiormente egli produce e consuma; ed è un concoirere allo scopo della nostra creazione, moltiplican- Inoltre è da considerare, che sendo la sanità de' po- poli il bene più prezioso che si abbiano gli stati, e al quale cede ogni altro, grande che sia , non conviene perciò che a legni mercantili, governati per lo più da ignote persone e volgari, si conceda libero ingresso nei porti, senza tuttte quelle sanitarie precauzioni, ohe l'at- tuale civiltà delle eulte nazioni altamente reclama. Im- perciocché non si può ne si dee prestare ad un padrone di mevcantile legno quella fiducia che tutti gli stati pre- stano ad un ufliziale di marina , che le navi da guerra comanda: essendo fuor di dubbio che colui che indossa la divisa del proprio governo, e viene ad essere gàren- tito da esso, inspira nel proprio giuramento, e nella sua parola di onore quella sicurezza, che i capitani dei le- gai dei particolari individui mai non ispirerebbero. 'Per le quali cose noi opiniamo, che l'Istituto prò- ■ponga al Governo di non accogliere l'invito del Con- fiole di Grecia. oJi.i.:- : Il Direttore FEnDTNA.N.£>0 MalVICA. 8a Cura dell'idrofobia del Dottor bujsson L'Accademia Reale delle scieuze, nella sua tornata dei 23 settembre, intese la lettura delia storia seguen- te, che noi ci crediamo in dovere di quivi trascrivere. Il dottor Biùsson venne chiamato a curare una donna che da tre giorni dicevasi idrofoba , dolevasi di forte stringimento alla gola, e sputava continuamente. I di lei vicini dicevano, che era stata quaranta giorni prima mor- sicata da un cane rabbioso; ma essa sosteneva, che tutti i suoi patimenti derivavano da soppressa mestruazione, onde pregava l'autore a salassarla: venne fatta l'emissione di sangue, e dopo due ore morì. Buisson aveva le mani imbrattate di sangue, e per asciugarle, prese una to- vaglia, che aveva servito ad asciugare la bocca all'am- malata: aveva egli in allora un'ulcerazione ad un dito dipendente da carie, e credette di ovviare a questa im- prudenza lavando il dito con acqua pura. Nove giorni dopo, trovandosi egli in vettura, sentissi di subito un dolore alla gola, e più ancora forte agli occhi; pareva- gli il corpo così leggero, che, saltando, si sarebbe ele- vato ad una prodigiosa altezza: la saliva gli veniva conti- nuamente alla bocca: l'impressione dell'aria, e la vista dei lucidi gli cagionavano una penosissima sensazione: provava un bisogno di correre e di mordere non gli uo- mini, ma gli animali, ed i corpi inanimati: beveva con somma pena , e la vista sola dell' acqua gli cagionava quella insopportabile dolorosa sensazione alla gola. Que- sti sintomi riproduceva nsi ogni cinque minuti, e parla- gli che i dolori cominciassero dal dito ammalato, per- correndo il braccio per arrivare alla spalla; e dall'in- sieme di questi fenomeni si giudicò preso da idrofobia. Risolse impertanto di suicidarsi, soffocandosi in un ba- gno a vapore: fece ascendere il calorico fino a gradi 42, e con sua sorpresa, ed indicibile piacere, videsi sanato SCIENZE 83 da ogni accidente , e privo d' ogni sintomo di rabbia : sortì dal bagno guarito; pranzò ottimamente, e più del solito. Con questo metodo trattò più di 80 persone mor- sicate da cani rabbiosi, e quattro , appo le quali e- ransi di già dichiarati i sintomi della rabbia, tutte gua- rirono, tranne un ragazzo il quale morì nel bagno. La cura ch'egli prescrive alle persone morsicate consiste nel far loro prendere un certo numero di bagni a vapore, detti alla Russa ^ raccomandando loro di sudare ogni notte violentemente, avviluppandosi in una coperta di lana, e coprendosi d'un letto di piume, e bevendo di continuo una decozione calda di salsapariglia. Come prova dell' utilità d' una traspirazione copiosa ed ab- bondante in questa malattia, l'Autore racconta l'aned- doto seguente. Molti individui vennero morsicati da un cane rabbioso, e tutti morirono idrofobi ; uno di essi, sentendo i primi sintomi della rabbia , si mise a ballare notte e giorno, dicendo, che voleva morire al- legramente. Guarì. Buisson rammenta in proposito; che gli animali, appo i quali la rabbia spontaneamente si sviluppa come cani gatti , lupi , e volpi , sono a- nimali che punto non sudano ( Archiv. cit. settem-^ bre i833.) ' L'Autore crede così certo questo metodo di cura con- tro l'idrofobia , che propose all'Accademia d'inocularse- la, ed è questo forse un argomento di più, che poggia in favore di Buisson. Noi raccomandiamo ai medici , che nel tristo e- vento, prendano anche a cimento questo metodo di cura, trattandosi di malattia fin' ora superiore ai mez- zi dell'arte: metodo di cura, che parci razionale, dac- ' che sappiamo, che per quanto si sia disputato sulla 1 patogeuia della rabbia, fin' ora i più veggenti credono che consista in un cambiato modo di sentire del ner- voso sistema; per conseguenza nella cambiata mistjo- 84 SCIENZE ne oi'ganica di lui; e non ne sappiamo, vedere più po- deroso agente del calorico, il (juale atto sia a iiordi- narnela. '• ifflfip »l O ;, r^\y ]}J.QTA,.Jz Ferdinando Malvica air artìcolo precedente, RJentre noi pensavamo dì riportare ne' nostri fògli, con iafìuitoi pìa^ «fere' délf anirtió nostro, qticsto bell'articolo dèi sig. ììeràùdi, ìn- sBfilo nel voi. 69° degli Annali universali di medicina dell'O^nodei,; qnde diffondere per ogni angolo dell'Isola le importanti notizie, che, iielrmteresse dctrumatiità, vi si racchiudono, leggemmo, nell'archl- Vid é;enerale di hiedicina 2'^' serie, tom. 5, a suggerimento del dottor Natale Macaddino, uno dei più valenti prolessorj,di che si onori Paler- mo, gli esperiineuli latti in Roma dal dottor Cappello intorno l' idro- lobrà. E siccoiiie a noi sembrano di non lieve importanza le osserva- zionida! idi latte in si tremenda malattia; cosi crediam fare cosa non disutile- attingerli in qjuel librale metterli sotto gli occhi insieme a quelli del Buisson; acciocché potessero e il Ccijipello, e il Bidssoii rÀ^désìmo,e tutti coloro che la natura studiano e al i)ene degli utì- mini attendono eseguire novelli esperimenti sopra un obbiello di sì Erave momento; e così la verità venisse meglio a conoscersi e a sta-, ilirsi. Pì'im'lerìanientij è da sapere che ii ^Cappella si è da- moltissimi anni .• . . . . ■ La rabbia è male si spaventevole, e sì ricalcitrante ai t컩zzi del- l'arte, che meriterebbe la riconoscenza del moudo colui che sapesse realmente trovare i mezzi, con ohe salvar si potessero gl'infelici che ne vengono attaccati. Spettacolo veramente lagrimevole è quello di vedere un uomo, nel fiore della vita e della sanità, morsicato a caso da un cane rabbio- so, morire poco appresso in mezzo ai più fieri tormenti, é alle sma- nie le pivi truci. Un' infinità di questi esempi orribili avvengon tutto giorno per ogni dove. La rabbia spontanea si verifica in tutti gli esseri animati: nell'uo- mo è la più rara, nel cane la più facile e la più frequente. Le cau- se morali per lo più la producono nel primo, le fisiche sempre nel secondo. Il Signor Cappello finisce la sua prima memoria facendo alcune osservazioni suU'etiologia di questo morbo. Le riflessioni che ho fatte (egli dice ) sullo sviluppamento della rabbia uella campagna tiburtina mi han condotto, fra tutte le cause descritte dagli autori, a riconoscerne una esclusivamente», la quale dee essere la medesima dappertutto,- ove si manifesta la rabbia spontanea. Questa non è né la collera, uè gli alimenti caldi, né le vivande putride, né la pri- Aazioue della libertà , né la fatica eccessiva , né la traspirazipue soppressa, né là verità della temperatura, ma ùnicamente il de- siderio venereo portato all'eccesso, e noa satisfatto: questa circo-i, stanza (^oggiange ) sembrami la causa assoluta di questa nialattia. In efietto a Tivoli le cagiie sono in più piccolo numero dfe' caiif: Itf prime, quando sono ia caldo vengono rinchiuse per ricevere un ' maschio a scelta del padrone. I caui spinti dal loro istinto girano intorno le^diinore di quulle; ma più la copula è difficile, più i de- sideri soiiò viol'enti: veglie, digiuni, abitudini domestiche, tutto di-'^ • viene indiflGerenie a un cane che desidera ardentemente il congiun-i> gijtìeutp. Quindi è facile concepire i tormenti di questo animale, e 1 turbamenti che sopraggiuugouo nella sua economia, allorché non ha potuto soddisfare a' suoi desideri. -ta struttura particolare degli qrg^ni sessuali negli animali del ge- nere cani che sono in effetto i più soggetti alla rabbia, danno, se- condo l'autore, forza a sì fiitta opiriione. Questi animali sono privi'" dii'vesoicl»ette seminali, diguisachè il fluido ])roliifico tion può esseroi) se^c^gatp sciuzala qopula, così la specie canina è fornita di. m|EfZj;^j che tendono a prolungare la durata di quest' atto. Per lo contì-ariij gì? à Itti animali' provveduti di vescicbette Seminali tengono dtepWsto'l ineejje l' umore spermatico: il quale uou solamcnle può esser« ast^,' 86 SCIENZE sorbito, ni?i bensì ejaculato senza copula. La qual cosa non verifi- candosi nel cane, accade che il fluido soprabbonda iucessantementc nei suoi vasi spermatici, e lo stato d' orgasmo venereo , nel quale trovasi continuamente, reagisce su tutto il suo individuo. Il nostro autore osserva eziandio che nell'Egitto e nelle altre prò-- vincie maomettane non avviene la rabbia: la qual cosa puossi attri- buire alia facilità che trova la specie canina ai soddislare i suoi de- sideri. Difatti taluno riferisce che i cani castrati sono rarissimauiente alFetti di quel morbo. Pare a noi che il signor Cappello confonda insieme gli animali di ogni genere ; e assegni alla rabbia che spontaneamente in ognuno - di e^si può per avventura svilupparsi la medesuna fonte che a quella che nel cane si sviluppa. Imperciocché credendo che il potente de-^ ' siderio venereo non soddisfatto sia i' esclusiva causa che la rabbia spontanea produca, nasce ohe all'uomo, e ad infiniti animali non. può avvenire ciò che al cane avviene; che nell' uomo il fluido proli- lieo si segrega in copia senza bisogno del congiungimento. Dunque la causa ch'egli adduce, come produttrice delia rabbia, non regge affatto per l'uomo, come non regge per infinite bestie. Le quali cose tutte credo che meritino di essere ponderale, per- ciocché possono guidare ad ulteriori esperimenti, onde meglio stu- diarsi, e meglio conoscersi la vera indole di quel morbo tremeodo* Osservazione sopra l'Erba Fiamma^ Succiamele^ Fuoco Salvatico^ Orobanche Major, Passeggiando l'anno decorso per un mio possesso , dove erano state seminate delle fave marzuole, osser» vài con vera sorpresa che nata e cresciuta fra quéste \ Erba fiamma^ Orobanche Major ^ non aveva por^ tato il più piccolo danno alle fave circostanti; cIip si- mili non solo gli steli, ma anclie i bacelli all'altre del campo aveano prosperato, nulla curandosi di una vici- na sempre alle medesime molesta non solo, ma nemi- ca distruggitrice. Andava fra me pensando quale poteva esser la cau- sa, e con tanti esempi in contrario solt'occlii, mi lam- biccavo inutilmente il cervello; ne tenni jjroposito col lavoratore del campo, e non sapendo diversamente ap- pagarci, ci trovammo d'accordo in attribuirla ad aver seminate le lave ai primi di Gennajo, e così avessero SCIENZE 87 potuto créscere, fiorire, ed allegare dopo le prime ac- eque del Maggio, prima che la Fiamma fosse comparsa a poterle nuocere. Appagato per allora, ma non convinto, ho avuta la sodisfazione anche in quest" anno di vedere avvenuto lo stesso in un campo lavorato dal medesimo contadino, che per verità è particolare nel vangare e preparare la terra per fare questa seménta sollecita, fino ad esser proverbiato dagli altri contadini, che comunemente a- raanti della pigrizia e del bel tempo, odiano e critica- no quando vedono un altro che staccandosi dagli usi antidhi gli supera in diligenza e attenzione» Questo caso, dirò così, accaduto per due semente continue, benché non abbia forza nel mio pensiero da farmi credere di aver trovato un qualche rimedio con- tro quest'erba per le fave pestifera, poiché le maggiori o minori piogge, la stagione jdìù o meno calda, la qua- lità del terreno, e mille altre cause recondite, che pos- sono avere influito al di lei sviluppo, lasciano la cosa molto incerta e meritevole di rinnovarne la prova, pu- re non ho mancato di farla osservare ad altri miei con- tadini, quali bencliè sospirassero per vedere i loro fa- vo j, quasi distrutti àAV Erba Fiamma in un'annata che Unto prometteva per questa raccolta, e vedessero sott' occhio la verità del fatto, si persuasero di mala voglia a imitarne la pratica ; o lusinghiamoci di smon- tare questa razza ostinata ne' suoi pregiudizi! Che male ne può avvcniro a sollecitare questa faccenda? è questo un seme che non soffre anche a star molto tempo sotto terra; è proverbio antichis- simo ce seminar presto di rado inganna, il tardi sem- pre M. Presentando un tale avvenimento un' apparenza di fatto ho voluto comunicarlo, sapendo che anche le piccole accidentalità pubblicate nel Giornale Agra- 88 SCIENZE rio, possono diventare un germe di utilità e di avanza- mento. Giorn. agr. tose. num. 36. // pievano del Bucine S. Mancini. Nota SuU'Orobanchc Major fra noi Lupa all' osservazione tratta dal Giornale Jgrario num. 36. Abbiamo creduto utile ai nostri agricoltori riprodurre la presente osservazione del rinomato giornale Agrario perchè fosse da loro gene- ralmente conosciuta , e ripetuta nelle nostre campagne. Il rlsulta- niento dell'osservazione sta in ciò che le fave seminate molto presto non sono state iu due anni danneggiate dell' orobanche major fra noi lupa, mentre lo sono state sensibllmeate quelle seminate lardi. Non occorre avvertire che l'anticipazione dell' epoca debba essere in rapporto a quella in cui soglionsi ordinariamente seminare iu' ciascun paese, e diciamo ciò perchè lianoi la seminazioue delle fave si eseguisce assai prima che in Toscana. Non abbiamo voluto trascu- rare, lo ripetiamo, di dare la maggiore pubblicità a questa osserva- y-ione, poiché può giovare alla coltivazione tanto estesa ia Sicilia della più utile fra le civaje. P. G. Nozioni generali di statistica memoria delVAb. Fran- cesco Pizzolato in 8" di pag. 84- Palermo dnka Reale stamperia i836. L'autore della presente Memoria si propone di dimo- strare 1° che la statistica non h venuta in disprezzo e non ha fatto ancor de' progressi, se non perchè quanti ne lianno scritto in generale, e i compilatori delle statistiche particolari, nel lor travaglio, hanno perduto di vista il vero oggetto della scienza; 2" Che tult'altra da quella, che si è (inora tenuta è la via che dcbbasi battere, onde farla procedere innanzi e condurla al grado di vera scien- 2.a", e 3." finalmente , che le cognizioni, le quali si in- chieggono, onde conseguire il suo oggetto, non souo tali che riesca agevole a chiunque siasi il ben ronqiilarnc alcuna particolare. SCIENZE 8g Xo scopo che si prefigge il N. A. è della più alta importanza , e fa meraviglia come in un volume di sì picciola mole abbia potuto ordire la sua gran tela, men- tre il succoso Roma gnosi con la sua mente geometrica raccolse i concetti intorno al coordinamento delle stati- stiche in un volume per lo meno il doppio del suo. Entra in campo 1' A. ribattendo i principi di Say e di Gioja sulla statistica: censura il primo perchè l'Eco- nomia Politica riguardò come base della statistica, e come la fisiologia della società indicando per via della analisi qual'è la natura dei differenti organi del corpo sociale, e ciò che risulta dalla loro azione : censura il Gioja come quegli che proponendosi di esaminare le menome parti individuali , e raccogliendo un immenso numero di fatti svariati, e minuti, la di cui collezione più o men grande mai sempre si risolverà per l'impos- sibilità stessa di renderla completa, (vedi che modestia nel giudicare!) in un bellissimo nulla. Coglie in seguito il Say in contraddizione e riflette, che essendosi egli avvi- sato, che non puossijj aver conoscenza della società, se non per mezzo di ciò, ch'egli appella fisiologia, non pare ch'egli siasi formata giusta idea della statistica, allorché prima asserì m ch'essa ha jjer oggetto di far conoscere la posizione sociale di una regione, di una provincia, di una Città, perdio non si comprende come possa aversi staccata la fisiologia di ciascheduna di esse, che essendo una parte di tutto il corpo sociale, non può averne altra, che quel- , la del medesimo tutto. « Saggia liflcsalonc si è questa je dal Gioja, e dal Romagnosi, e dal Quadri, e dal Pao- lini, e dai due Sacchi più volte ripetuta in opposizio- 'ne all' economista francese , il quale parlò con poca e- sperienza e in un modo superficiale e confuso sulla stati- stica, che ha di mira di descrivere lo stato fisico, mo- rale e politico delle nazioni , come i nominati autori lian fatto palese con quella facilezza, ordine, e leggia- dria di dettato, che è tanto necessaria per salire in fa- ma di collo scrittore. go SCIENZE Conllniirinclo a leggere il j)iiino assunto della memoria sovente v' incontiianio i pensamenti di llomagnosi, colle sue stesse parole, senza essere citato, se non raramente, e laddove meno importava ciò fare. E questo è poco giac- che non solo lo segue strettamente nelle quistioni che j)rcscnla , ma benanco trascrive i medesimi brani, che quegli adduce di Say , di Fabré , e della sua stessa inlroduzioue al Dirilto pubblico universale stampata in P.iriiia, la quale edizione qui non è ancor pervenuta. Si riscontri dove il Romagnosi , quel Patriarca della ragione, confuta il Say, che disse la statistica aver per oggetto di far conoscere la posizione sociale di una con- trada , di una provincia , e di una città in una data Cj)Oca, dove paragona le società ai corpi umani viven- ti, e parla della potenza degli stati, delle scienze sus- sidiarie alla statistica, degli elementi, che la compon- gono , della divisione di essi e del dovere, che ha lo statista di rappresentare il ritratto delle civili società , con quanto espone il sig. Pizzolato a pag. ii. 19. 29. 35. 38. 47. 52. 55, Sq. 63. 65. 67. 73. 74. 77. per l)Otere avere una prova della di lui limitazione nel porre il ])iede dove il Romagnosi lo avea posto. Desistiamo per ora dal notare quegli altri passi da lui tratti da varie opere senza farne menzione, e sHiUgia- mo in rapidi cenni le sue nuove teorie, com' ei le an- nunzia. Si dilunga ad oppugnare il Snj toccando lo stesso argomento di prmia, cioè mostrando falsa la di lui o- pinione, che la economia pubblica sia la fisiologia del- la società, giacche riguardandola dal solo lato del cor- })0 non potrà mai dar ragione della sua posizione mo- rale, e ne anco farla conoscere tutta intera. Poco do])o rivela una proposizione affatto nuova , asserendo, che i soli godimenti materiali sono gli oggetti di cui si oc- cu])a l'economia pubblica. Noi non sapjjiamo con f^uali lagioni si sia persuaso a voler confinare la scienza ai soli beni fisici, mentre il suo campo sempre pm si va dilatando sul politico, e sul morale regime. SCIENZE q i Su tal proposito ci pare convenevole il dire , che anche gl'iniziati nella scienza economica ben sanno, che la somma delle cose godevoli costituisce la sua essenza , e che la morale esercita tale influsso sull'economia ci- vile , che questa disgiungendosi da quella non più ot- tiene l'efTetto, che si propone. Come ramo dal suo tronco, sorge dalla filosofia Civile 1' economia , che di continuo è sussidiata dalla morale, dalla politica, e dal- la giurisprudenza; e il trattarla senza queste vedute, è lo stesso che cicalare per passatempo. La felicità non si ottiene se non con le ricchezze, ne queste si acqui- stano senza la buona fede, la lealtà, e l'istruzione. Co- me mantenersi florida la popolazione senza la pace, e la sicurezza , senza i provvedimenti igienici, e di ga- ranzia personale, e senza i buoni costumi, e il freno delle malnate passioni? Se a ciò avesse rivolto la mente il sig. Ab. non sarebbe caduto in siffatto errore. L' economia non è l'arte del solo guadagno, ma quel- la del retto e prospero vivere sociale, altramente sa- rebbe una mera speculazione mercantile, e nulla più. Dopo ciò il sig. Ab. ritorna al Gioja, e giudica sul di lui merito, come maestro fa col discepolo: le gen- tilezze che gli usa sono quelle di chiamarlo disordinato, contuso, infruscato, accozzatore di notizie slegate, che lungi di offrire un sistema ( v. pag. 23. ) annunziano più presto un inestricabile Caos. Passa indi ad esame Ira le tante sue opere la '^oh filosofia della statistica per supporla più ordmata delle altre di questo genere; ed il saggio che ne pronuncia si è che ambigua, e mon- ca è la definizione della statistica, il metodo che addi^ ta erroneo, e gli elementi statistici da lui presentati in tabelle numeriche senza scopo, e senza prò pei gover- nati e pei governanti. Qui terminando il primo assuntoban- disce la croce addosso al Gioja e al Say per non avcj- essi arrecato alcun lume intorno alla statistica, e per avere smarrito (jucl diritto cammino , che ci additerà e scluudeià il Sig. Ab. con la prepotente forza del suo 93 SCIEKZE ingegno nel secondo assunto tlclla memoria. Ecco ad- dimostrato per lui in cotal guisa, che la statistica non è ve- nuta in disprezzo, e non ha fatto ancor dei progressi se non perchè quanti ne hanno scritto in generale, e i compi- latori delle statistiche particolari han perduto di vista il vero oggetto della scienza. U Gioja, che il Sig. Ab. non si degna di citare con onorata menzione, e ne anco considerare come autore di chiare e precise teorie, il Gioja ripetiamo, prima del Romagnosi avea notato la differenza, che passa tra r economia pubblica e la statistica, e con qual senno, con quale avvedimento, e concisione lo addimostri il passo, che ne adduciamo qui sotto da lui scritto in ri- sposta al dotto Tamassia, che di statistica trattò con dubbi malfondati, benché sagaci. In questo paragrafo r autore ( il Tamassia ) confonde l'economia ( o come esso la cliiama la politica ) colla statistica, il che è lo Slesso che confondere la teoria generale dei fiumi colla descrizione particolare dell'Olona. La statistica di fatti ( continua il Gioja ) è una spe- cie di anatomia che dissecca il corpo sociale, e facen- do la sezione delle sue parti, ne mostra la vivezza o il pallore, la forza o la debolezza, la sanità o la ma- lattia, in una parola lo stato in cui si trovano. L'economia è una specie di medicina o di chirurgia clie dopo la cognizione dello stato del corpo sociale, va ricer- cando i rimedii pnr guarirlo o i mczzi per migliorarlo. La statistica si restringe a caratterizzare una nazione particolare, ne determina la particolare estensione, ne svolge le particolari forme, ne sviluppa i particolari in- convenienti e vantaggi... presenta in una parola una serie di elementi verificabili coi sensi e col semplice senso co- mune. La statistica è una specie d'aritmetica che si oc- cuj)a di quantità particolari, ossia di numeri determinati. L'economia al contrario lasciando da banda Io cose juirticolari a ciascuna nazione salza alla considerazione delle cose conmni a tutte, dcleriiiiua le leggi generali con cui nascono e si sviluppano le ricchezze, i regola- SCIENZE 93 menti generali che le fanno crescere o tlecrcscerc presso tutti i popoli, i vantaggi generali della libertà, gl'incon- venienti generali dei vincoli- •• presenta in una parola una serie di cognizioni alle quali non bastano i sensi e il semplice senso comune, ma è necessario il più raf- finato raziocinio. Per sorgcie diffatti a queste cogni- zioni, fa d'uopo uscire dagli stretti confini d'uri paese, considerarne molti nei lati comuni , dedurne dei risul- tati applicabili a tutti. L'economia è una specie d'alge- bra che si occupa di quantità indeterminate. Perciò l'agricoltura, le manifatture, il commercio eli una nazione formano il soggetto della descrizione o sta- tistica d' ima nazione. La ricerca e 1' analisi dei mezzi con cui promovere la di lei agricoltura , manifatture , commercio appartengono all'economia (x). Da ciò ne consegue, che il Sig, Ab, non andò mol- to innanzi nel trattare il suo argomento, nò ricorse alle fonti, nò censurò con solido raziocinio, ne seppe rico- noscere nel Gioja quel possente intelletto, che questo ramo dell'umano sapere cotanto rischiarò ed accrebbe. A che dunque vantar novità di dottrine, a che voler sen- tenziare, e riputar da nulla tanti egregi scrittori, che furono la sua scorta ed unica guida? A che malmenare il Gioja ? La stessa virtù quando aspra ed insolente si mostra si rende inamabile e indispettisce , giacche la brama di primeggiare scema ed oscura il merito. Po- sto ciò non possiamo soffocare il nostro sentimento nello appalesare , clic poco urbano è il giudizio sul Saj, ingiusto quello sul Gioja, e senza nessuna forza le ragioni , che gli opjioue. Per potere accertare , che la statistica non ha fatto progressi dovea il Sig. Ab. far conoscere essere stazionaria ne' suoi primordi , an- nunziare chi furono i fondatori della scienza, darne la esatta definizione, offrire un ragguaglio degli sludi sta- tistici, che tanti esimi scrittori contano in Francia, in (i) Vedi l'opuscolo intliolato luclolc, eslensioiie e vantaggi della ^tulistica di M. Gioja. Capo III. 94 SCIENZE Inghilterra, ed in Germania; e poi rettificare, ammaes- trare, suggerir nuovi lumi su quanto si è fatto finora, e su quanto dovrebbe praticarsi. Ma egli nulla di tutto ciò ha curato, e ci fa meraviglia come parlando di sta- tistica abbia potuto trascurare di occuparsi delle opere dei nostri bravi Italiani Cagnazzi , Serristori , e Lui- gi Rolla, dei professori Giuli Zuradelli, e Padovani, e di quelle di Aldobrando Paolini , e di Adriano Balbi considerato principe degli Statisti. Rapportando il Sig. Ab. le dottrine di Gioja , e quelle del Say potea decoratamente far rilevare , che il primo dotato di vasto sapere. Economista, Filosofo, Letterato, Statista ed erudito insigne intendea dare alla scienza una latitudine corrispondente al suo talento ma- gistrale; e l'altro Economista soltanto , e scrittore leg- giadro, chiaro, agevole e persuasivo intendea chiuderla, fra angusti cancelli, e quasi a splendida nullità ridurk, non avendola osservato nel suo vero aspetto, ma bensì in un proJQTilo di esso. Egli è il vero, che Say è stato dimenticato come Statista , e che solo lo ricordano le sue opere di Economia pubblica , ma il Gioja resterà eterno nella schiera dei sommi pensatori del secolo xix, e la sua grande opera de' meriti e delle ricompense, e il Galateo, e il Prospetto delle scienze Economiche, e la filosofia della statistica saranno tanti venerandi mo- numenti, che attesteranno alla più tarda posterità il suo immenso sapere , mentre gì' Italiani 1' onoreranno con ogni maniera di laudi. Volendo d'altronde severamente censurarlo, potea apporgli di avere spinto al di Jà del dovere i limiti della Sta lisi ica non potendosi nell'attua- le co dizione sociale eseguire quel metodo troppo mi- nuto, e suddiviso nel raccogliere i dati statistici, per- chè ciò è r opera del progresso della civiltà, e che per tal motivo la prudenza consiglia circoscrivere, e modi- ficare il vastissimo piano da lui disegnalo per poterse- ne trarre profitto, e lumi conveniculi all'esigenze dei tempi, In somma il difetto del Gioja è l'abboudauza. SCIENZE g5 L' appellarlo poi con quel frequente intercalare di erudissimo asconde certa malizietla , che Ijcu si com- prende essere quella di negargli il vanto di fdoso- fo ••• Ma queste son ciance, e maniere poco confacen- ti a chi scrive con dignità e va al midollo delle cose, giacche vi vuol altro che spiritosaggine , e dolcitudine di motti per escludere il Gioja da quel posto, che gli ha destinato il consentimento di tutti i dotti. Sappia il Sig. Ab: che il primo premio distribuito dall' Accademia Statistica di Francia nel 1839; venne aggiudicato al traduttore della Filosofia Statistica del filosofo di Piacenza, credendola, il Consesso Accademico, degnissima di proporla a modello alla Francia. Il nostro secolo non ebbe un filosofo più piacevole, più popolare e più dotto dell'Autore delFopera dei meriti^ e delle ricompense ^nh im più profondo pensatore né un più adeguato, e robusto intelletto dell'autore della Genesi del Dritto penale. Anicndue solleciti a diffondere le utili co- gnizioni, amendue amantissimi della patria, le loro fatiche rivolsero a gloriosa meta, e videro crescere la gioventù Italiana a nobili speranze, abbandonando i vani studi, e consacrandosi ai gravi e proficui. Gioja cominciò la missione, e Romagnosi la compì, se nonché, questi morendo, ebbe a dolersi con lui il mondo intero di non aver ridotta la civiltà ad arte, de- siderio, che solo in lui potcvanìo sperare di venire sod- disfatto. L' uno suggerendo il i?iodo di i^roporzionarc le ricom- pense ai meriti, e l'altro indagando nelle vicissitudini dei tempi, e nei progressi dell'umano sapere, miravano, con sublime intendimento, a condurre le civili società allo stato di beata convivenza. Jl Gioja ])iù ricco di co- noscenze inclinava di esporro fatti, e dottrine iiinnense, dalle quali deduceva le teorie col nietodo analitico; il Romagnosi più acuto, e penetrante afferrava il veio, e con la forza del suo ingegno lo sminuzzava, e addimo- sLruva in tutte le sue parli traendone cooseguenze .lu' 96 SCIENZE minose, e feconde di altissimi concetti col metodo sin- tetico. Che se il Romagnosi ha il vanto di aver fondato la filosofia Civile, addimostrato il tesoro della sapienza Ita- liana, fatta progredire l'economia civile, riempite le la- cune del Diritto pubblico Universale, date nuove nor- me alla Statistica, e formata una scuola di sodo, eretto pensare, il Gioja ha quello di averlo precorso, e di aver preparato gli animi a ricevere un'altra educazione a bat- tere altre vie, a conseguire altri onori , altri beni da quelli che derivano da un sonettuccio, da una cicalata accademica, o da un romanzo amoroso. Ma riconducendoci al nostro argomentò ci sembra op- portuno far presente al wSig. Abate che la sua pi-ima proposizione, a nostro avviso, è antilogica per contenere due sensi opposti. Egli espone a pag. 9. Che la Sta- tistica non è venuta in disprezzo e non ha fatto ancor dei progi-essi. In questo caso gli chiediamo « Una Scienza non cadendo in disjirezzo ])UÒ non aver fatto jirogres- si ? 33 A noi pare che no, giacche allora può, anzi d 1^0 cadere in disprezzo quando degenera dal suo stato di bontà; quindi se non è caduta in disprezzo si suppone che ha percorso lo stadio dell'infanzia, e si trova nel progresso, il quale esclude lo stato di avvihmcnto. D' al- tronde se tutti i' comiiilatori delle statistiche in gene- rale, e in particolare han perduto di vista il vero scopo della scienza, come può asserirsi di non essere avvilita e degradata? Può esservi scienza senza scopo? oppure smarrito il suo vero oggetto, può non essere ita a tra- collo, e ad imbarjjarire? Riprendiamo qui il filo del discorso per raggiungere il N: A: nel secondo assunto, in cui tratta del modo di far procedere innanzi la Statistica , e ridarla allo staJo di vera scienza, tracndola dalla confusione, e la- cciidola posare su campo certo e detcrminato. La regola che raccomanda jier operarsi questa bene- fica ristaurazione consiste nel destinare la Statistica a SCIENZE 97 raccogliere gli elementi toccanti la parte economica, la parte morale, e la parte politica, la prima delle quali riguarda le sussistenze , la seconda le azioni , la terza l'istruzione, la libertà, e la sicurezza di tutti gli indi- vidui, giusta il modello offerto dal Romagnosi nella ta- bella degli annuari Statistici. Il lettore apprenderà in quelle pagine, che venendo meno uno di questi oggetti si perturba e sconvolge l'or- dine sociale, essendo nei suoi rapporti strettamente di- pendenti il politico, r economico e il morale sistema. Poscia ( stornando le naturali conseguenze , che si aspettavano intorno alla compilazione , e ripartimento delle materie, dopo aver indicato lo scopo della Stati- stica ) va partitamente dicendo dei vantaggi della pub- plica istruzione, che, seguendo gli altri, considera come il più energico mezzo per isviluppare i talenti, migliorare i costumi, e perfezionare l'industria, che vai quanto a dire a promuovere, e diffondere le ricchezze, ed ogni sorta di godimenti. Dopo questa scappata torna a bomba facendo osser- vare, che lo statista nel suo lavoro, in qualunque mo- do fatto, deve mettere innanzi agli occhi dei governanti i fenomeni sociali insieme colle rispettive cagioni, che li producono, e in cotal guisa adoperandosi, si recherà al grado di vera scienza la statistica. Posto fine con tali idee al secondo assunto, che era il più difficile, ed insieme il più significante, passa a discutere 1' ultimo, che agevole essendo a comprendersi, e non facendo d'uopo di addimostrazioni, lo riassumia- mo in poche parole, benché l'A. vi abbia impiegato più di un terzo dell'opera, raggirandosi in materie allato estranee al suo proponimento. Intende in esso a provare, che le cognizioni, le quali si richieggono, onde la statisti- ca consegua il suo oggetto, non sono tali, che riesca agevole a chiunque siasi il ben compilarne alcuna parti- colare. In questo capo la monte del N. A. e assorbita a 98 SCIENZE suggerire il modo di delineare, e ritrarre la posiziono sociale de' popoli, e aJ informare il lettore delle cogni- zioni, che abbisognano allo statista per condurre la sua fatica al grado di presentarne il ritratto bello, e com- pmto. Molte sono le scienze delle quali è necessario che venga soccorso lo Statista nelle sue ricerche, e nei suoi calcoli, ma rileva ilSig. Ab: che basta di talune il non ignorarne i principi, di certe altre averne poca cono- scenza, e di altre ancora valersi solo degli ultimi ri- sultaraenti, in diverso caso bisognerebbe rinunziare per sempre alla speranza di avere una statistica. Ricalcando incessantemente il N. A. passo a passo le orme dell'im- mortal Romagnosi, orci dice, che lo Statista dee rappre- sentare l'apparenza e l'intrinseca struttura di un dato po- jìolo, in un dato luogo, e in un dato tempo (ved. Roma- gnosi prova del 3 Capo nelle questioni sull'ordinamento delle Statistiche), or che gli sono necessarie tre scienze, ciocia fisiologia politica, la Storia Razionale dello civili popolazioni, e l'ordinamento necessario dcjlla potenza de- gli stati; ed or che la pubblica economia riconosce per base fondamentale la statistica, anziché questa ricono- scer quella, come erroneamente si avvisò il Say. Per dare 1' estratto di questa memoria dovremmo oc- cuparci a dar conto delle teorie contenute nei sette ca- pitoli destinati dal Romagnosi alla confutazione del Say, giacche quanto aridamente espone il S. Ab: è un im- pasto di fjuellc matcìie legandole a salti , e qualche volta scemando, ed appannandone la lucidezza del con- cetto. Presentando qui alcune nostre osservazioni chiariremo primamente, che il Sig. Ab: diede una idea incom})leta della Statistica definendola a pag. 69 ;=} una collezione della maniera di essere delle cose, degli uomini viventi m società, e delle loro produ/ionl :=^ Questa definizione oltre di essere ingarbugliata ha il difetto di non rac- chiudere tutte le condizioni. necessarie alla Statistica, la quale non solo ha di mii-a di schierare i fiati , e tle- scnvere in tutte le sue parti o un paese, o una regio- SCIERZE Qg ne, o un reame, ma benanco di classificare, e valutare tutti gli elementi in tutte le loro qualità variabili , e costanti come con sano accorgimento avea appalesato il Gioja fin dal 1808 nella sua logica Statistica. Poteva opportunamente riflettere il Sig. Ab: col Pao- lini, clie senza conoscere ordinatamente, e con calcolo i fatti di luogo, e di tempo non può il legislatore con sicurezza applicare ai paesi particolari le massime ge- nerali di Governo: sarebbe somigliante allo empirico , che medica il corpo umano senza conoscere l'anatomia, il temperamento del malato, e gli accidenti interni, ed esterni della malattia; Che ciò eh' è la Clinica pel me- dico è in certo modo la Statistica per l'uomo di Stato; Che non si possono istituire calcoli , e ragionamenti esatti in politica senza gli elementi e i numeri sommi- nistrati dalla Statistica; Che questi elementi possono accrescere è scemare i mali; e finalmente, Che la Sta- tistica presenta lo stato patologico ed il fisiologico , e perciò • le provvidenze economiche si danno in rapporto delle circostanze di luogo, disconvenendo somministrare gli stessi alimenti al corpo sano ed al malato. Ci duole ancora, che il N. A. nel considerare la so- cietà come persona morale secondo i dettami del Ro- magnosi non considerò gli elementi, che la costituiscono in quella forma. Se egli si fosse dato la pena di riscon- trare i principi" fondamentali di diritto amministrativo del più volte nominato sapientissimo Romagnosi a pag. 58 della ediz: di Firenze del Piatti avrebbe rinvenuto il motivo d' onde quegli si mosse a rappresentarla come persona morale, dicendo ;=j Coli' unità delle mire si crea una mente sola nell'aggregato sociale; coll'unità d' inte- ressi si crea un solo cuore; coll'unità finalmente di azioni si crea un solo braccio. Che cosa manca dunque per costituire la società in vera jiersona morale avente una sola mente, un sol cuo- re, ed un sol braccio? La società dunque ordinata dalla natura si dovrà considerare, ed appellare col nome di j)ersona morale. I OO SCIENZE Noi non sappiamo persuaderci, come il Sig. Ab*, in- serend© nel suo primo assunto a pag. 34 ^ud '^^ggio critico del Pacchio, che risguarda il Gioja non abbia ricavato da lì stesso il metodo di ripartir la Statistica insegnato da quel grande, e comunemente prevaluto. Se non volea seguire la di lui classificazione dovea adot- tare quella di Aldobrando Paolini, o per lo meno ri- portare la tavola degli annuari Statistici per intera, quale dal Romagnosi fu esposta. Nel primo caso 1' avrebbe divisa: 1. Nella topografia. 2. Nella popolazione. 3. Nelle produzioni. 4. Nella modificazione, ossia arti e mestieri. 5. Nel commercio. 6. Nella pubblica sorveglianza del Governo. 7. Negli usi, e costumi. Nel secondo in corografica, che dà certezza distinta della posizione, del clima, della estensione del terreno, dei prodotti della natura, e delle abitudini degli uomi- ni; in etnografica, che dee contenere un grado esatto, e dimostrativo dello stato numerico degli abitanti , della loro industria e costume, onde stabilire il punto d' i- struzione, e di conseguente civiltà a cui son pervenuti gli abitanti medesimi; e da ultimo in monografica, che presenta lo stato fisico, e morale di un popolo per mezzo dell' economia politica applicata alla statistica, eh' e lo specchio del vivere mentale, e materiale de' popoli. Tanto basti sul merito dell' opera scientificamente considerata, ma siccome la elocuzione, e lo stile, for- mano il maggior pregio, dopo i concetti , d' ogni fati- ca, così ci pare convenevole il notare se mai siansi usati dal N. A. vocaboli o modi di dire non acconci alla natura della nostra bellissima favella per guardar- cela pura ed intera. Lo stile proprio delle produzioni didascaliche, se mal non ci apponghiamo, dee essere libero, franco, e sem- SCIENZE lOI plic€; or queste doti appunto sovratutto nella citata memoria vi si cercano invano. Composta di periodi stu- diatamente lunghi, e con orditura artifiziosa di voci , non vi si ravvisa amenità, non lindura e graziose frasi asperse di cari vezzi, e di piacevolezze ingenue , ma bensì una dizione stentata, leccata, e che per soverchia elaboratezza dà in freddura. Noi dubitiamo se con proprietà possano usarsi le pa- role civilizzata ( pag. 4 ) estere ( pag. 6 ) estensore ( pag. 24 ) inservano ( a pag. 60 ) e locacità ( a pa- gina 83 ) tuttoché si trovino esempi inprò. Crediamo traslafi un poco arditi i seguenti — Ossatura dello stato a pag. 63. Organi dello stato ( a pag. 64 ) munire di cognizioni ( pag. 63 ); franciosismi il dire — assai me- glio poi;, che il Say (pag. 65) e civilizzazione (pag. 7); non corretto l'usar mercè le più accurate (a pag. 84). Dalle cose discorse ci è giuoco forza conchiudere , che il lavoro statistico del Sig. Ab: fallisce allo scopo; che mercè di esso la scienza non progredirà, né caderà in disprezzo; che la sua scorta fu il Romagnosi spesso copiandolo senza avvedutezza , senza ordinamento , e senza citarlo; che il suo stile fa sentire il languore e lo stento di affettare eleganza; che il linguaggio è privo di sapore, e di attrattive, benché spesso chiaro, e spruz- zato da qualche frase italiana; e che finalmente, niun tratto di amor di patria vi spicca, mentre l'argomento era tutto patrio. Filippo Minolfi. ^03 SCIENZE Guida dell'educatore, e letture per i fanciulli^ foglio mensuale redatto da Raffaello Lanibruschinl N. i Gennajo. — Firenze ^ Fieusseux^ i836. Ogni cosa clic tende alla gloria del bellissimo nostro paese, leSiriliane Efreineridi han procurato di annunziarla sempre più celeremente che per loro si e potuto; avendo elle sin dal loro nascere mirato a questo fine. Quindi ci è gratissimo il poter dire che in Toscana il ce- lebre Raffiiele L unbruscliini, che ha tanto lavorato pel vantaggio morale degli uomini, e che si è acquistato titoli carissimi alia slima, e all'amore de' buoni, si pre- senta oggi con una guida dell' educatore ^ in cui si pre- fige di far manifesti i jìrincipi più cari e più consolanti, onde sapere i padri e le madri regolare e dirigere la infanzia, la puerizia, 1' adolescenza de' loro figli. Difatti in questa periodica scrittura, tu vedi ch'egli, a guisa di teneiissimo jiadre, cerca d'insiituare lumi ed ammae- stramenti che non lascino un' impronta che l'acilmenli si cancelli, ma che sia salda e profonda in modo che possiam sicuri camminare a mezzo i continui traviamente dello spirito umano, e l'oscuro laberinto delle miserie, di che viene travagliata l'afllitta umanità. Il primo fascicolo, non è guari pervenuto fra noi, è quello di gennajo del corrente anno. Esso è stato pub- blicalo a Firenze; ed il buon Vieusseux, con un amore pari alla sua non comune intelligenza , si è indossato spontaneamente il nobile peso di pubblicare e ditlon- dcre j)er ogni angolo d' Italia quest' opera santa. Chi avea conoscenza del valore intellettuale e mo- rale delle Lambruschini, eh' e un vero maestro di sa- pienza è eh virtù, previde tosto, all'annunzio di que- sta gloriosa fatica, il bene che se ne polca ricavare da ogni classe di uomini. Noi leggemmo nel suo manife- sto parolo the ispiravano fiducia calma bcnevoleiia. I SCIENZE to3 padiri e le inaclri ( egli dicea ) de' giorni nostri si pi- gliano pensiero de' loro figliuoli con uno zelo clic g^li onora, e che sveglia le più dolci speranze. Ma uguale allo zelo non è la perizia; e ciò senza loro colpa. La Scienza e l'arte dell' educare ( eli' è arie e scienza nel medesimo tempo) è tra le ])m difficili ad appren- dersi e a praticarsi; percliè riposa sopra fatti poco sen- sibili, e che si nascondono sotto mille forme , quali sono i fatti interiori dell'animo umano; e perchè con- siste nei mezzi di piegare la Umana volontà mezzi ignorati dai più, mezzi carissimi , mezzi il più delle volte sì lievi che si disprezzano come impotenti, mezzi sopratutto non agevoli, e non cari , perchè ripugnano alle passioni di chi li deve adoprare, e suj^pongouo in loro le più difficili e le più provate virtù. In due parti divide il Lambruschini la sua guida : nella jirima si contengono idee generali sull'educazione, un articolo sulle letture dei fanciulli, e un annunzio di utili libri suU'obbietto: nella seconda, con un pensiero felicissimo, l'autore finge una nonna cieca che conversa con fanciulletti, loro raccontando de' fattarelli, ed inte- ressando i loro teneri animi , accarezzandoli , istruen- doli, formandoli: tutto è oro, tutto è consolante, tutto è detto con una ingenuità, ed un candore che t' inna« mora. » Le persone alle quali mi rivolgo (dice Lambruschini in questo i" fascicolo ) son certo che m' intenderanno e saran paghe del linguaggio die io terrò loro. E a voi mi rivolgo, o istitutori vogliosi del head, ma non ancora espcrimentati, che pendete incerti fra i diversi modi di condurre i fanciulh, affidati al vostro amore, a voi, le cui idee non sono ben chiare e determinate sulle virtù che bisogna sviluppare nei giovani cuori, e su i modi di svolgerle; sulla successione delle cognizioni che importa di far loro acquistare, e su i melodi di am-' maestramento. A voi mi rivolgo soprattutto, o padri , persuasi del sacro dovere di essere i primi educatori, io4 Sr.IF,N'/K e se e possibile istruitovi de' vostri figli, a voi, o ma- dri, clic non ])cnsa te esser nate ])cr vegetare fra gli agi, e aver lutti adempiti gli obbliglii e tulli assaporali i dilelli della nialcrnità, accogliendo per nove niciii la fattura di Dio nelle vostre viscere. w ]^ tu, o donna, che non disdegni le basse cure della famiglia, e trovi nella tua casa quelle delizie che altre vanno cercando invano nel mondo; e se tu sci così av- venturata che il compagno della lua vita congiunga le sue alle lue sollecitudini per i frutti della vostra unione felice, prendi, insieme con lui , in alcuno dei vostri amici colloqui^ le poche pagine eh' io vi porgo, e leg- gete. w E leggi almen sola se mai li avviene di passare nella solitudine e nelle afflizioni le ore squallide della notte vegliata forse da tuo marito nei tripudj e nel giuoco. Mentre li cadrà dagli occhi la lagrima involontaria, e il segreto sospiro del tuo cuore volerà a quel padre che conosce e mitiga tulli i dolori , studia qui , co- me procacciare a te stessa , e come istillare alle ver- gini anime confidate a te sola , quelle virili che con una lenta ma irresistibile azione ammolliranno il cuo- re dell' uomo che ti addolora , ignorando i doveri e la soavità di sposo e padre. E a le aljbielta , ma preziosa per me quanto altra mai , o donna del j)o- polo, polrau forse cadere sotto gli occhi, o giungere almeno all' orecchio le mie parole? Dio lo volesse ! E sapessi io dirle cosi chiare, cosi ])roprie, così semplici e vive, come tu le dici! Potessi io indovinare i tuoi bisogni, conformarmi alle lue idee, alle tue intenzioni, e farmi intendere!... Potessi tu conoscere quali tesori la Provvidenza li ha confidali nella prole che ora forse li aggrava e che può divenire la consolazione dei tuoi vecchi anni, e il nerbo e l'amore della jiatria! Deli , che ti parli per bocca mia quella sapienza che si na- sconde ai dotti e si rivela ai piccoli ! Ti parli e rav- vivi in te quei nobili germi di verità e di virtù che SCIENZE I05 Iddio poneva nella tua, nulla meno che in altre anime, e che i tristi esempi e rozzi, e i rozzi costumi e gli ereditati errori non hanno spenti! » Con queste parole piene di potente tenerezza si fa strada il buon Lambruscini a penetrare nei cuori di coloro, cui la Provvidenza affidò il sacro deposito dei figliuoli. Egli vi penetra con mente ferma ed animo si- curo. Accenna gli errori della presente educazione; ma si consola di esser noi giunti in un tempo, in cui in ono- re son tornati i vincoli conjugali; che sono, a parer mio le fondamenta più salde della società civile. Quindi ab- biamo dolce fidanza che perdute non saranno le parole sue sante; e le parole di quei che sperano poter ritor- nare il mondo a destini migliori. Il Lambruschini biasima del pari la rigidezza, come l'amore cieco materno: e ben dice; che dnU'uua e dal- l'altro provengono agli uomini , senza fallo , mali di gravissimo pondo. Perlochc sorge la necessità di stu- diare gl'infantili animi, e con prudenza, con oculatezza con consiglio correggerli, guidarli, raddrizzargli. La missione apostolica che si è proposta questo bra- v'uomo è tale che ne fa presagire felicissimo il risulta- mento. Egli non chiede compagni all'opera sua, che al- tro non si è prefisso senonchè di aprire il suo animo in periodici colloqui alle italiane famiglie. Noi lodiamo il suo divisarncnto, diesiamo persuasi non giovare, ma nuocere al fine suo la moltiplicità degli scrittori. Solo debb'esser colui che si assume opera di tal fatta : che ogni uomo ha i suoi principi , la sua esperienza , i suoi modi, il suo stile, come ha il suo cuore, e la sua fisonomia. Qui non si tratta di svariate materie di letteratura ; qui trattasi di svelare le proprie opinioni sopra un argomento, che sebbene d' immensa impor- tanza e d'immensa difiicoltà, pur non è che unico , e non si richiede che una jnente sola per portailo a com- pimento, in guisa che tutte le diveise parli si rassomi- glino, e al fine corrispondano. 106 SCIENZE Qualora ci juMverranno gli ulteiiori l'ascicoli, che x'ac- cliiiidcranuo i pai licolari modi di educare , ed m cui lasccraiisi la gcneralilà, ed al concreto discenderassi , noi farcm conoscere le idee proprie dell'autore so])ra una materia di si allo e di sì comune inleresse; la quale ha occupate pure, sin dai nostri più giovani anni, le no- stre vigilie, e da cui dipende in gran parie il benessere delle nazioni. F. Malvica. PARTE SECOINDA LETTERE ED ARTI Onori resi alla memoria di Vincenzo Bellini in Mes- sina^ un volume pubblicato per cura della Giosfentk Messinese.^ dedicato alla Giov'enlà Siciliana. Utilissimo augusto è a dì nostri rullicio delle lellerc, delle arti belle, che vera gloria j)er ventura più imu partoriscono se non sono intese alla grand' opera della universale civillà, della sociale ril'orina. Non è (juesto più il tempo delle ciance canore; la nullilà dc'pomposi lavori, delle inopportune discettazioni, la piosliluzioiK; di una letteratura, che per maggior contrasto serviva meschinamente facendosi chiamare republica, han ceduto il luogo al bene, all'utiblà, al decoro. Scossi gli spiriti al prepolenle pensiero di una ritornici., dovettero seguire l'irreristibile forza \.W\ progresso, s'ia- tcser Ira loro, indovinarono il vero loro i»t eresse, e consci della propria dignità, \crgognarono del passato, e s' avanzarono coiicordemente E (jucslo bc mi iobbc ptìriue>S') ■^U slabiluc in ]K;b{ii ED ARTI 107 traiti un sistèma, sarebbe il vero carattere tlel benin- teso romanticismo letterario, questo il tipo della scuola novella, che, se potessi, vorrei invece di romantica chia- mar cittadina. Ma oltre allo scopo generale, che tutta abbraccia la civiltà umana, e sotto il quale universalmente conven- gono le diverse parti della gran famiglia sociale, altro debito particolare lian le lettere, ne di nien lieve mo- mento sendo esse dirette al miglioramento degli uomi- ni, convien che si cominci dali'operar la felicità di co- loro che più strettamente ne appartengono, ed uopo è che le prime cure alla famiglia propria si sacrino, ecco l'idea dell'amor patiio venir naturalmente come base della letteraria riforma. Però sacra è la missione dei letterali verso la patria loro, che di giovarla nei loro studi, ne' lavori, nelle ispirazioni debbon far opera pa- ziente, ed assidua. Ne circostanza, ne congiuntura è por questi eletti priva d' importanza, od inutile e che non facciano alla principal causa del patrio risorgimento ef- ficacemente concorrere. È insomma una relazione non superstiziosa, non cieca, ma libera, santa, umanissiuia quella cui eglino vennero a' nuovi giorni iniziati, e cuUo n'è la salute delia patria terra , l'amor fraterno , conje quello del vangelo, legge fondamentale. Ma quanta e la zizania che spesso tra' fratelli gl'inveterati ])rcgiudizì e la mala voglia o 1' invidia di chi i,marda ì>ie(0 e delesta la pubblica prosperità spargono, ed alimentano ! Di là lo scisma, che ha lacerato le genti, il iuiore delle in- testine dissenzioni, di là gli odi che si sentono arcani, focolari funestissimi di civile dissenzione! E in questo è veramente sacro e solenne il ministeio de' letterati, che sacerdoti di pace le fralerue diiì'erenze compongono, ab- battono i pregindizì piìi forti, si l'inno interpreti de' veri loro bisogni, degl'interessi scambievoli, e per l'amore, e riiiiione icndou più saldo il iovoro della sospirata fc- brilà. Sia su questo ordine il gr.iuù" edificio che menù I08 LETTERE virtuose e robuste fondarono sulle rovine dell'abbattuta pedanteria del dispotismo letterario della servile imita- zione, in una parola di una letteratura senz'anima, sen- za cuore, è questa oggi la morale delle lettere. Chi non si sente di si bella vocazione ispirato, rinunzi al- l'augusta carriera, e non ne tradisca per dappoccagine, o pueril vanità gli essenziali doveri. E sì che scelta a scopo si grande è la gioventù soprattutto , che facile alla speranza, energica oj)erosa può della nuova scuola i sani principi potentemente difi'ondere, è sostenere: e su lei per vero giova unicamente aver fiducia, che gli anni son grave ostacolo alle novità ; ne è da sperare che uomini attaccati al secolo che fu, possano agevol- mente rinunziare alle vecchie maniere , a' sistemi del tempo ed a' fatti propri, de' quali debbono o a torto , o dritto giustificar gli esempi; per farsi partigiani di nuove teorie e di riforme che richieggono agilità di pensiero, fermezza di esecuzione, in somma una vita gio- vane, una volontà senza ccpjìi. Ora questo è l'ufficio commendevole cui la gioventù messinese ha pienamente corrisposto pubblicando un vo- lume di scelti componimenti, che rendono onore alla me- moria del Siciliano angelo delle melodie, rapito all'amore dei suoi, all'ammirazione del mondo. — Il restauratore del bel canto italiano , colui cui rivelò natura l' ac- cento del secolo, che capì il linguaggio musicale della scena, indovinò l'affetto drammatico della passione, e a lei servì unicamente, Vincenzo Bellini catanesc moriva contro ogni voto, lasciando vivissimo il desiderio di se nelle anime fatte ad intenderlo, ed una gloria gigante sin dal nascere, ina a mezzo il corso arrestata. — Que- sta sua patria nell'abiezione in cui giaceasi , godeva di aver chi di lei destasse fra le genti il pensiero, e l'a- more, che la richiamasse altrui con pielà, e fosse quasi mostra agli stranieri di quella forza, che ignota sì ma j)ur geniale e spontanea le bolle tumultuosamente nel vulcanico seno. Questa misera madre ha sparso lacrime ED ARTI lOC) di dolore, di gratitudine, alla memoria di tanto figlio! e le religiose preci, gli elogi di valenti scrittori, il fu- nebre canto de' vati han pregato pace da lungi alle pre- ziose reliquie, die si lascian tutt'ora dormire in terra straniera! Nel prender parte al lutto comune , la gio- ventù di Messina merita lode grandissima, perchè degno di Bellini è il tiibuto dell'affettuoso suo pianto , e sì perchè nel celebrarne il celeste nome ha dirittamente servilo al senio ufficio delle lettere. Le delicate iscrizioni italiane del Sig. Gemelli. Coc- co, , e Stagno, l'elegante elogio funebre del Sig. Carlo Gemelli, e le belle poesie accolte in quel pregevole li- bro provan la valentia, il merito, la feracità della men- te degli ottimi messinesi, e i nobili sentimenti, che ne riscaldano i cuori. Non verrò io qui minutamente esjio- ncndo le particolari bellezze dell'elogio, che per 1' ab- bondanza della lingua e la nitidezza dello stile, jiel pro- fondo sentimento eli affetto, e di tristezza, che vi regna, per la verità con cui sono vestiti i più maschi e rolju- sti pensieri, pel maestro tocco dell'arte, che vi si dis- corre richiederebbe un aj^posito ragionamento. Ne mi estenderò tuttavia sulle poetiche bellezze degli altri la- vori, che di nomi egregi van fregiati; e mi conten- terò sol di ripeter con onore che i signori Monasla , Amore, Galatti, Pavone, Saccano, La Farina, Slagno, Catane, Alilo, Mitchell, Arena Primo, Mezzasalma han tessuto de' più bei fiori la funerea ghirlanda di che la palria in lacrmie ha coroutito il monumento dell'ispi- rato Bellini! Ma quel che coramenilar vuoisi singolarmente è il co- lore de' liberi pensieri, l'amore del patrio bene che vi traspira, il sentimento di fiaterna corrispondenza , la gaia della più santa amicizia, e del più caro legame, con lutti i figli di questa madre dolcissima, ed infelice. Lcco, come dissi, lo scopo principale della rigenerala letteratura fisso innanti agli occhi de' buoni messinesi. .\on debbono che vergognando rammentarsi i dolili, e jlO LETTERE le avversioni de' padri nostri, i pregiudizi municipali , che ci hanno olFeso, le cause occulte che hanno con mala arte sinistramente diviso gli animi de' fratelli, nu- trendo gli odi, e fomentando i rancori — grazie al cie- lo, l'antico torto non è piii in chi pensa dirittamen- te— il bisogno della concordia, e dell'amore fra tutti i Siciliani generalmente si è compreso. Or questo patto di santa amistà intende vieppiii a rassodare quel prezioso volume, ch'è il deposito di tanta mente, e di sì belle virtù! Intitolato dalla Gioventù Messinese, a quella di Sicilia, è la parola di conciliazione, il segno di un bel pensiero. E noi dal canto nostro cui consecrata è una parte di quel pregiato lavoro non possiamo, che signi- ficarne a' fratelli ammirazione riconoscenza e dar loro ppambio sicuro di pari affetto! Gaetano Daita, ISCIZIONI * PEL MORTORIO PARENTALE / DI VINCENZO BELLINI Sulla porta grande del tempio A VINCENZO BELLINI MUSICISTA MIRABILE PER LA SOLA NOBILTÀ' DELl' INGEGNO CAVALIERE DELLA LEGIONE D* ONORE DAL RE de' FRANCESI CREATO GLI ADDOLORATI CONGIUNTI l' ESEQUIE Sulle altre due porte ALL UOMO della verità' e DELLA NATURA AL GRANDE FRA TANTE GLORIE MODESTO * Nei giorni 17 e 18 g^nnajo del corrente anno fu dai congiunti del Bellini nella Chiesa dei Benedettini a Catania fatto un fu ne- rale in onore di quel famoso: e Salvatore Barbagallo Pitta fece le iscrizioni; le quali noi con piacere pubiilichiamo nel nostro Gior- nale si per onorare l'autore che le dettò, si per dare un tenero conforto alia sconsolata famiglia dell'illustre siciliano perduto. 1*2 LETTERE Nella faccia del basamento che guardava la porta o virtù' o alma virtù' ! DA TE DIVISO NULLA È l' INGEGMO MA TECO UNITO IMPARADISA LA TERRA In quella di rimpetto all' aliare ANIMA BELLA GRAZIOSA AFFETTUOSA AMORE DI NOI PARENTI E DELLA PATRIA CARISSIMA SPERANZA d' ITALIA PELL' ITALIA FELLA PATRIA PER NOI PREGA deh! prega l' ALTISSIMO Negli alivi due lati ALLA SUA anima GENTILE LA MORTB FU FINE DI UNA OSCURA PRIGIONE TORMATA LA POLVERE NELLA SUA TEUR. all' ETERNA SORGENTE ritorno' PURO LO SPIRITO Nella faccia della tomba die guardava la porta UOMO DI PERFETTA BONTA' VOLEVA OGNI BENE FU ARTISTA SOVRANO FU CITTADINO OPr:RObO ED ARTI Il3 In quella di rìmpetto alValtare sotto il ritratto VINCENZO BELLINI NATO IN CATANIA IL ITI NOV. MDCCCI MORTO A PUTEAUX PRESSO PARIGI IL XXIII SETT. MDCCCXXXV AD AFFETTI SOAVI OPEROSI COORDINANDO I SUOI NUMERI MOVEA l' UOMO AL VERO ED AL REME Negli altri due lati AD IMPARARE ARMONIE PER LE CELESTI SFERE PEREGRINATO INCIVILIMENTO E CONFORTO reco' alla MISERA ITALIA CARISSIMO ED AMOROSO VINCENZO IN QUAL DOLORE INCONSOLABILMENTE NE LASCl! OH POTESSIMO ALMENO RIAVERTI IN QUEL BENE CHE MAI NON INGANNA ! NelV orchestra NELLE SUE NOTE TENERE RISUONA UN NON SO CHE DI FLEBILE E SOAVE CHE AL COR TI SERPE ED OGNI SDEGNO AMMORZA E GLI OCCHI A LACRIMAR t' INVOGLIA E SFORZA 1 I 4 LE1JERE ■ ' -~~ ' - - ' Giovanni Procicla tragedia dì Vincenzo Navarro da Ribera — Palermo tipograjia del Giornale Lettera- rio i835 in S di pag. 100. Finche nel mondo saranno uomini ai quali si farà in cuore sentire quella ing^enita forza che possenlemente a civiltà gli sprona, la memoria del siciliano vespro senza fallo non morrà, e i Siciliani tulli che tornarono libera la oppressa loro palria, e più Giovanni Procida, die a quella opera con ajle maiavigliosa sospinseli , sai'anuo mai senq)re con sincere commendazioni a cielo innal- zali. Solo })crò, e non è dubbio, leclierà maraviglia a taluni l'osservare the a dì noslri, doj)0 cinque secoli e più, dacché succedctle (pu'l Ihmoso avveiiimcnlo, gl'ita- liani poeli lànno a gara a melter sulle loro scene quella magnanima valenzia, di tutta quella forza reputandola che al tragico coturno conviensi; mentre in tanto cor- ITA rcre di tempo è slata, non senza colpa, negletta. I savi non maravigliano, ma nella più occulta ragione delle cose s' internano. Ben eglino vedono che i jx)cti se- guono sempre il gusto generale delle nazioni e de' tem- pi, e che col variare di questi nuovo aspetto prendono i popoli, e divcngon cupidi di cose novelle. Per que- ste considerazioni una volta il teatro italiano era ri- boccante di sacre azioni, e Italia di buon grado vi si acconciava; ora ella più non conqjorla ciò, e vuole es- ser meglio s})ctlatrice di eroiche virtù, e di cittadini che per lo bene della palria si travagliano. Vero e che moltissimi a dì nostri vergognosamente usurpano il sa- cro nome di amor di patria, mentre le sciagure di lei non conuniserano, e lasciano 1' ingt^gno nel più gran- d'uopo invilire , tuttavolta di quei generosi non "man- cano, che il vero bene delle nazioni con occhio indil- ferente riguardare non possono, il cui numero fortu- uosamcnle seud)ra di dì in dì volersi viepiù accresce- re. Quindi è the i buoni poeli, conoscendo il gusto del ED ARTI ll5 secolo son desti, ed infiammati al presentarsi alla mente un popolo che con mirabil coraggio seppe togliersi ratto al tirannico giogo straniero, e rimettersi co' suoi legit- timi sovrani in quella cara indipendenza, che avanti allegrato avea il bel terreno che gli era patria. Quin- di antepongono essi più presto i fatti della storia moderna, come più a noi vicini, e quasi come cose che più ci appartengono, e che con maggiore interesse €Ì muovono, che non quelli antichi, che per la vetu- stà, e per la diversa natura de' governi delle leggi degli usi de' costumi delle civiltà in somma paiono apparte- nersi ad uomini da noi differenti. Lode grandissima pertanto a giusto titolo si dcbbe a coloro che per le tragiche azioni hanno eletto ad argomento il Procida; lode a Giambattista Niccolini ad Antonio Galatti a Vincenzo Navarro, le cui tragedie sono state poste in luce, lode parimente a Niccolò Cirino a Vincenzo d'Amo- re, e ad altri, che speriamo non tardino molto a puJj- plicare le loro. Ci piace qui riflettere die, tranne il Niccolini, tutti gli altri sono Siciliani, e die ben loro si addice magnificare questa azione, che tutta fu opera de' loro avi, e di seguire così quel nobile orgoglio che anima, confessiamolo, i cittadini di quest' isola privile- giata dalla natura, di celebrar le degne opere che ono- rano le città loro, che altrimenti non può essere .che verace cagione che a bdle imprese gii accende. Il nome dell' egregio signor Navarro era abbastanza conosciuto non che per la lirica , ma sì anco per la tragica poesia, avendo saputo col suo Giacomo PeroUo sostener con decoro i frutti partoriti dall'odio, e dalle nimistà di due possenti baroni. Ora egli, calzando per Iji seconda fiala il coturno, ci ha data una seconda ri- [)raova del suo valor tragico col Procida, al quale in sia dal i(?bbraio del mille ottocento trentadue fu ani- mato alla lettura del Niccolini, tutto che non e guari tempo clic gli abbia lìitta vedere la stampa. Ma jxMchr ii6 molti, e con varietà di giudizi hanno delle tragedie del NiccoUni e del Galatti favellato, di tutto grado vengo a manifestar ciò che io sento di quella del Navarro; non tralasciando per amor di verità qualche mio semplice dubbio, che al singoiar merito dell'autore non nuoce. E mestiero eh' io prima esamini ciò che il Navarro ha comune con gli altri, indi quello che gli è solo proprio. Ho fatto conoscere che la elezione del subbietto è adatta ai tempi, e tanto basterebbe per dirla interessante per quello scopo cui vien essa diretta ad afforzare gli uo- mini allo amor della patria, ad ammaestrarli che la grandezza delle città particolari da quella di tutta la nazione si deriva, e che la felicità di un popolo dal concorde animo e dalla fratellevole carità non iscom- pagnasi. E grande altresì l'azione per la sua natura medesi- ma. Non si tratta di una ingiusta congiura, ne di un vile tradimento, ma si bene di una nobile vendetta, che reclamavano il macchiato onore delle donzelle e delle mogli, le sustanze mal sicure e rapite, il sangue degli innocenti, le lagrime di un popolo aggravato dal sover- chio peso delle imposizioni, di un popolo senza ragio- ne schiavo, che uscir volea, ma indarno, da quella com- miserevole abbiezione, e sottrarsi all'arroganza ed alle crudeltà di que' Francesi che tiranneggiavanlo. Qualunque modo sarebbe stato opportuno in quel momento purché liberato avesse il popolo infelice. Ma tradimento, e vilis- siino, è solo quello che non costa veruno sforzo , e i Siciliani non ne avean d' uopo; dappoiché l'indole loro è tale che se ne' giorni della j)rosperità edella gran- dezza in tutta sua luce generosa si mostra, anco nella miseria e nell' avvilimento fa vedere quello eh' eglino sono e quello che possono. Per questo i Siciliani del tredicesimo secolo avean petto da opporre ai loro ti- ranni, e l'opposero; e segno del loro trionfo in sino al secolo deciinoseslo osservavtitisi le bandiere francesi in s. Maria della Catena in Palermo, ove furono allora "7 collocate. Disagevolissima era la riuscita elei loro pro- ponimento tra perchè non era facile congimigere tutte le città di Sicilia ad unica volontà, e perchè, annodate che furono dal senno maraviglioso di Precida, era sem- pre a temere che alcune, unite apparentempnte, nel mag- gior bisogno avessero le altre abbandonate. Dall' altro canto era difficile e di sommo pericolo dovendo disfarsi di uomini armati e signori, e per la potenza sovrastante di Carlo di Angiò. Il sentimento della patria fece a' Siciliani superare qualunque ostacolo, ed esporre le persone a qua- si sicuro danno, per cui quanto più era il timore di non riuscire a prospero fine nella meditata intrapresa, tanto più cresce il merito di que' virtuosi che animosamente pugnarono. Questo ho io voluto dire cogliendo il destro di rispondere ad un giornalista napoletano {U omnibus numero 49), il quale, non so con quanta giustezza, par- lando del Procida del Galatli, abbia potuto lasciarsi scappare dalla penna, non esser subbietto per tragedia il vespro siciliano , esser anzi riprovevole e barbara quell'azione, scellerato Procida: mentre poi toglie a Si- cilia il vanto di aver prodotto costui, rivendicandolo a Salerno, eh' io non so quanto possa sapergli grado del dono di un uomo eh' e' dipigne con tutti i colori di uno sgherro. Che il vespro sia stato una eroica intra- presa, e perciò adatto a tragedia, ciascuno sa appieno da se persuadersi, e pel consentimento degli storici di più secoli. E con tutto che Procida nella opposizione delle pruove poss& esser giudicato salernitano^ che non è slato insino rid ora, nondimeno per animo e per di- mora siciliauo era, e di Siciliani ebbe fidanza, e il me- rito loro per questo -non potrà esser diminuito, perchè ossi furono che colla prodezza loro seppero mettere ad esecuzione il disegno stanziato per la prudenza di un solo, clic nulla j^vrebbe potuto privo di que' valorosi. I Siciliani ancor, die non l'osse loro cittadino Procida, per una giusta riconoscenza sajìranno sempre laudarlo sic- conie liberatore il»;lli loro patria, anco salernitano. Il8 LETTERE Rentlutosi signore eli Sicilia Carlo di Angiò, Proci- (la , sostenitore del partito di Manfredi e di Corradino , fu privo di tutti i suoi beni e proscritto. Ma Guido di Monforle, governatore della Sicilia, e generale delle truppe francesi, perdutamente invaghitosi della bella Cecilia, a Procida figliuola, a volere che avesse potuto })0ssederla in matrimonio congiunta, tale opera fece con Carlo chele salvò il genitore, ed Eccardo fratello; tutto che ella mal suo grado, e meglio per liberare la sua famiglia, fosse venuta a solFogare con forza un innocen- te amore che dalla infanzia a Corrado lega vaia, e a por- ger la mano di sposa ad un francese. Fortemente cruc- ciato Procida si da quel nodo abbonito, sì dal vede- re la patria in preda alle crudeltà alle libidini all'ar- roganza d'ingiusti signori, come ancora dalla ricordan- za amara di aver avuto contaminata una moglie , che sino allo estremo suo dì fu conturbata dal dolore, pre- se un volonlurio esilio, e grande com'egli era in ani- mo seco slesso diliberò di far solenne vendetta delle calamità della patria contro gli oppressori, e di porre sul trono di Sicilia re Pietro di Aragona , cni per la Costanza sua moglie, unica superstite di casa svevia, e per la istituzione fattane da Corradino, legittimamente appartenea. Per tal ragione usò molto alla sua corte, invocò ed ottenne l'aiuto di Michele Paleologo impera tor di Costantinopoli, e di Niccolò terzo pontefice, annodò in una tulle le volontà de' Siciliani, acceso fuoco di verace carità di patria in tutti destando, e con molta avvedutezza.^ e sollo spoglie diverse, sino al compimento della grande opera maravigliosamente travagliando. Tutto il fin qui esposto dalla tragedia del Navarino si ritrae, ed all'azione della medesima deve anteporsi, la quale toglie cominciamento dal dì innanzi al memora- bile cecidio. La scena vien collocata in un sotterraneo dell'antica casa di Procida in Palermo, ove atle^jglata a dolore sta la Cecilia, coni' era usata sempre, a trovare il conforto delle lagrime , perchè in quel luogo mac- ED ARTI 119 chiata d'i corpo e immacolata Di animo sen morìa la dolorosa sua genitrice. Guido cerca spignerla a lascia- re quella sotterranea stanza, a sbandire la triste/za, e cliiedendole la vera cagione del dolore, manifesta la ge- losia che in lui si fa sentire a pensar che forse le stesse in animo il primo amante Corrado; ma ella assicuran- dolo che solo il genitore ognor le si presenta alla me- moria, per lo fatale annunzio della morte di Precida, rimane jiriva di sentimento, e sola. In quello stalo tro- vala il fratello , che viene per una segreta porta ; e confortandola alla speranza di rivedere il padre, fa qunsi comprendere essere stata per di lui volere la novella della sua morte; lasciala quindi in un dubbio penoso, e indagando tia lei il modo di vivere diMonforte, sente che pochissimo affetto le reca, che, quasi nulla solleci- tudine prendendo delle armi , costuma passar in goz- zoviglie in danze in leste, lontano dalla casa , e più da quel sotterraneo, e la prega a star lungi da qiul luo- go come a lui necessario, e a tener celato il suo arrivo: e talmente favella, che \\ Cecilia pria di partire scorge ascondersi un mistero in quii detti. Resta Eccardo at- tendendo il padre, da cui poi sente che a bella posta avca egli fatta spargere la voce della sua morte, che quello era il luogo acconcio a suoi disegni, e che il dì vegnente era destinato alla tremenda vendetta: ed è indi manda- to a Corrado, e Palmicro, principali congiurati, per ivi Sfortarli. Nel secondo atto Procida ordina loro che sul far dell'alba dicano agli altri capi della congiura di avvi- sare i loro seguaci che come i sacri bronzi diano il Segnale di vespro si scaglino addosso ai francesi, e gli uccidano. Indi accendonsi tutti vicendevolmente di un nobile ardire, ponendo sotto gli occhi la condizione drlla Sicilia; e Procida, fattili consa])evoli delle fatiche da lui all'uopo durate, manda Corrado e Palmiero ad eseguire l'ordine impostogli, lasciando dischiuso l'uscio segreto di quel sotterraneo. Poscia ammonendo l'Acaidoanon fidarsi così fattamente che chiunque pericolo possa incoglierlo 9 1 20 LETTERE improvviso, gli è da costui fatto a sapere lo statò della fi- glia. S' apre il terzo atto, e Guido spinto da un sospetto concepito sul portamento meno tristo di Cecilia , trovasi nel sotterraneo per indagar s' ella osa tradirlo, massi- mamente che Rolando suo consigliere più nel sospetto l'afforza, stimolandolo a incrudelire sopra Sicilia, e a sta- le in guardia per qualche sorpresa, palesandoglila voce che intese di esser vivo Procida, e di esser forse giunto ia Palermo il dì avanti. Cresce il sospetto di Guido fino a credere che Cecilia non iscenda in quel luogo a pian- gere la madre, ma per aver nufova del padre e del JVatello da qualcuno che furtivo ci s'introduca; laonde accorgendosi di lei che ritorna, lascia Rolando a sve- larle il core, e questi con l'arte e con la frode strap- ])a da lei il segreto di aver favellato col fratello. El- la rimane a piangere il suo stato, e a rimembrare il bel tempo dell' amore del suo Corrado , che tosto le si presenta, e dice che ritorneranno quei giorni di \ gioia e di piacere. Vien Procida in traccia di Corrado, e alla figliuola, che chiedeva perdono» sta per fulminare la maledizione, ma sentendosi alle preghiere di lei com- mosso, parte con Corrado, lasciandola immersa nel do- lore, e nel sospetto di maggior danno, e si chiude il terzo atto. Al cominciare dell'altro Procida va in trac- ta generalmente sul piantar gli orni h Ai piantarsi in quadrato a distanza di jialmi 12 2i3, ed un tumolo di terra dell' abolita misura di canne 18. 2 comprende num. ii5 jjosti d'alberi. Colla distanza nel cenno indicata, la stessa quantità di terre num. 366 ne comprenderebjje. . Non si nega, che taluni in questi ultimi tempi han-' no fatto delle piantagioni, la distanza di nove j^alnii adattando, ma costoro per fermo non han fatto bene il loro conto, perchè un maggior numero di alberi otte- nendo., li troveranno poi deboli, e d' una fronda assai inferiore a quella, che la natura ha costituito. ^ Una prova irrefragabile, del danno che deriva a que- sti alberi dall' essere troppo strettamente piantati j)uc> aversi osservando che 1' aria degli orneti siiìatta mente piantati viene interamente dai rami, che toccansi un col- r altro, occupata, ed il terreno per intero dalle radici dominato. Al contrario succederebbe se la distanza fosse pro- porzionata ai bisogni dell' albero: allora i rami, e le ra- dici dell'uno non si spanderebbero sino a quei del vicino. Ciò premesso è conseguenza , che colla distanza, di nove palmi gli orneti non trovando lo spazio necessario per distendere naturalmente i loro rami, e le radici , oltreché daranno poca produzione di manna per man- canza di nutrimento, e di ventilazione, più suscettibili saranno di malattie ed avranno un'assai breve durata. Zapparsi due volte l'anno in dicembre, ed in aprile è il minimo grado di coltivazione , che al frassino si può dare. 143 SCIENZE Mal si spéri che la terra con due zappature coU'inter- stizio di quattro mesi tra 1' una, e 1' altra possa mettersi in stato di somministrare gli umori necessari al frassi- no, che deve soffrire un giornaliero taglio per quasi tre mesi di està colla elFusione di una gran quantità di succhi propri, L' albero di cui si tratta sebbene si con- tenta di poca cultura , tuttavia è meritevole del più alto grado di coltivazione, e delle più assidue cure del coltivatore. La prima operazione, a cui dee darsi luogo al ter- minar del ricollo delle manne, è quella di recidersi gli alberi già consumati dalle incisioni, coprendo con dei ma- teriali, quella parte del ceppo ond' è stalo spiccato 1' albero, al qual uso per l'ordinario si adattano le fron- de di opunzia , o sia pale rimaste dal ricolto della man- na, ad oggetto di evitare l'azione del sole forte tulla- via nel mese di ottobre ove le piogge autunnali non si fossero verificate. Se tale taglio si farà ne' susseguenti mesi , non fa caso. La scalza però è neccssnrio a farsi attorno il ]>edale perchè la terra in tempo d' inverno colle forti piogge non s' introduca nell' interno della ceppaja , a farvi i- nollrare il fracidume. In dicembre o in gennaro ove il bisogno lo esiga si puliscono le ceppaje di tutto il fra- cidume, e legno morto, togliendo così agl'insetti l'op- portunità di fam le loro cove, tanto pregiudizievoli agli orneti. Negli stessi mesi si zappano la prima volta, in- di in marzo poco pria della fioritura, per agevolare gli alberi allo sbuccio di tutte le gemme, ed ottenere più che si possa di fronda, da cui dipende significanlcmen- te l'abbondate produzione della manna, eh' è il succo discendente dell' albero, che le foglie formano col nu- Irimenta preso dall'aria atmosferica. Li aprile sì zap- j)Huo la terza volta, j)cr agevolar Talbero a nulrir be- ne le foglie, e finalmente in maggio gli si dà la quar- sciEwzK ri 43 ta zappa per governare bene il legno ossia il cofpó (t)'. Le letamazioni sono ottime per gli orneti. Alla : metà di luglio è il periodo generale per inCo^ minciarsi l'intacco nelle pianure, per le coste si atten- dono i primi giorni di Agosto. Negli anni che gli orni producono le samare, il periodo dell' intacco si poster- ga per l'ordinario circa a quindici giorni. In quest' ultimo caso il prodotto delle manne suole riuscire molto scarso, per la ragione, che i succhi del- l'albero si sciupano per la nutrizione del frutto natu- rale, che sono le samare, e per la tardiva disposizione di mettersi alla manna, essendo quindi imminenti le au- tunnali piogge. JNion dee l'abile iutaccatore, nel fare le incisioni ar- restarsi ai soli strati corticali, dee bensì col taglio penetrare fino all' alburro. Se altrimente operasse da qitel tale albero non scorrerebbe alcuna quantità di man- na. Oggetto egli è questo di somma attenzione dei jiro- prietari nel visitare i loro frassini, esortare sempre gli in tacca tori ad affilar bene i coltelli, e far profonde le incisioni. Molte regole debbono osservarsi onde economizzare ii fasto dell' albero, che si sottopone allo intacco, la di cui trascuranza, sebbene da chi non se ne intende si re- puti di poco momento , tuttavia produce significanti ititercssi, e non di leggieri capir si possono teoricamen- te, ina bensì col fatto. Mi adatterò io intanto ad esporne qualcheduna con quella chiarezza, e precisione, che mi sarà possibile. fi friissino si alleva da piccolo troncandogli sempre i raifioscelli laterali sino a che si forma un fusto di novcrin dieci palmi circa; ali'insìi della quale altezza si Iti>^ciano poi crescere lutti i rami , di cui capace e la «ffbtt*€>, secondo la propria vigorosità. Se si lasciasse più (1) Il legn ), che s'intacc» d'alto a basio, si dice Jìicci ala. l44 SaENZE basso di tale altezza, sarebbe un difctlp, attcsocliè noa presenterebbe la necessaria estensione ove ricevere le incisioni giornaliere, quasi per tre mesi una sopra l'al- tra, a distanza d' un oncia, ed un terzo. Se all'incontro un'altezza maggiore ?i procurasse, oltreché il fusto ritarderebbe ad ingrossarsi,, non po- trebbe rinvestirsi di tante fronde quante garantir po- trebbero il proprio iijuslo dagli ardenti raggi del sole, ìi quale scottandone la parte più esposta il riduce pres- S|OcUè .infruttifero. ; U fusto ossili tronco del frassino non è, mai in dire- zione perfettamente verticale, ma o ad una, o ad un' altra parte inclinato, secondo la piega presa da picco- lo, ò per la maggioi- quantità di rami, che più da un o dall' altro si spandono. Da tale inclinazione risulta, che il fusto dai coltivatori del frassino in due parti si divide, cioè quella verso cui inclina, e maggiori i ra- mi si stendono, si dice y?ar A. Cavarra. docieur eii vtedocine de V universilè de P edemi e ( exirait dii journal Lchdomadaire dcs Pngrès des Sciences me- d/cales ) Paris imprimcrie de Pacquerois i836. Essai sur le fluide cephalo-spinal et sur la maniere doni OH doit dissecher le cen^eau. par jé Cavarra de Noto , docteur en medecine de V wiìversitè de Palerine ( exirait du journal Lebdomadaire. ) Pa- ris ec. i836. I. Nella (lotta Parigi, clic lui ti r.'icclniulc i mezzi di svi- luppo e di sapienza in ciascuna branca dell' juniano sci- bile, il dolt. Cavarra da Nolo , nostro compaesano, ha già leso di pubblico dirillo parecchi lavoii, che im- prendiamo a svolgere, onde dame un' idea al pubblica italiano. Scopo principale del primo saggio sullo strabismo si è il determinare il metodo curativo il più oppoi'tuno in questo inale. che sconcia lende 1' esjjrcssione della fi- sonomia, degrada la bellezza del volto in generale, si oppone alla retta percezione degli oggetti. Ciascun sa che niun rimiidio esiste valevole a togliere pienaMiente trìle diftbrmità. L' autore fpiinrli dietro l'opinione di Paulo di Egina ripone lo strabismo in una afl'ezione nervosa avente sua sede nel cc.-rvello; e ciò prova pure con esperimenti e con osservazioni. Or lo strabismo con- .»;istendo, secondo lui, nella privazione del movimento de' muscoli dell'occhio, l'elettricità, siccome quella che, percorrendo i nervi, li pone in azione, sarebbe il prin- cipale rimedio per porgere ai muscoli paralizzati quella condizione necessaria che influisce sulla loro contratli- lllà. Il Cavarra adunrjuc raccomanda l'elettro— puntura Considerando la distribuzione aiiatomica de' nervi dei quinto pajo, veggendo che il linnn (ionlalc e il neivo SCIEIfZfi i53 niascellare superiore vanno a confondersi nel ponte di Varolio, le cui affezioni molto contribuiscono sulla cen- nata deformità, opina, che 1' elettro-puntura sulle det- te ramificazioni fa sì che tutti gli organi che presiedo- no al movimento dell' occhio debbono essere percossi dalla corrente elettrica, e i muscoli corrispondenti muo- versi in conseguenza. Ogni cosa che arreca il manco di parallelismo fra i due assi ottici, ogni ineguaglianza della facoltà visuale di arabi gli occhi toglie 1' armonia d' azione fra di essi a cui va dovuta la percezione di una sola imagine, e muove il fenomeno opposto , lo strabismo. E mestieri j)cr la regolare funzione che i coni luminosi vadano a ferire punti corrispondenti delle due retine; se tale rap- ])orto venga in qualche modo scemato, talché punti dif- ferenti delle retine siano tocche, gli obbietti veggonsi doppi. Possono ciò produi're la ])aralisi d'uno de' mu- scoli del globo, ])er cui l'antagonista non avendo osta- colo tranoJjbe questo a se a viva forza , e farebbe il jjarallelisino: oppure con somiglievol fenomeno la spa- smodica contrazione d' un muscolo, come osserviamo in alcuni individui aflètti da epilessia, ove l'azione d'un muscolo è vinta dalla maggiore di quello del lato op- posto. Può ciò ancor nascere dall' ineguaglianza della forza visuale de' due occhi , come vuole il Conte di Bufibn; perocché la percezione dell'imagine che trasmet- terebbe al cervello l'organo debole, sarebbe meno di quel- la trasmessi dall' altro, onde si produrrebbe uaa certa confusione nell' ordine delle idee. Il Cavarra intanto inclina a supporre che lo strabi- smo l'iconosca per cagione una paralisi dipendente da una affezione del sistema nervoso della visione. Il ta- glio del jieduncolo del cervelletto, della sostanza inidol- lare di questo, o della midolla allungala fa deviare lo sguardo d'un animale qualunque: un fatto patologico presentalo tlall' Auloie, consistente nella perdita di so- slnnza del peduncolo del cervello Ilo dal lato dell' oc- |54 " SCIENZE duo guercio, comprova atl rvidenza clie una paralisi lino essere annoverala fra li; cagioni tlella nicnlovala aflt'zione. Il inelodo clall' autore raccomandalo ossia l'ap- plicazione dell' elcllricilà per vincere V inerzia del sisle- «la nervoso della visione, e ])er muovere la sensibilità sia del nervo motore oculare comune, sia dell'esterno, sia del patetico, sia del trifacialc, è commendevole per tulli i liguardi ne' casi, ove uno stato di semplice paralisi è r origine del tulio, mollo più dopo la vantaggiosi! ap[)liiazione dell' elleltricilà in morbi di simil falla, ojie- rata da Sauvages, Follieigill, Thoury, Saussure, Aliberl ce; ma inutile cerlamentc sireb])e ne' casi, in cui una Irsione ojg;iuica esisle nell' encefalo, e nocivo in quelli che lo sj>asino riconoscono qual condizione del male. Appaitiene al medico concepire l'accurata diagnosi, ondo profittale in alcuni eventi de l rimedio encomiato dal no- stro dottor Cavana. Giova qui rimarcare che il modo di produzione dello strabismo contrasta l'idea del Gali, il quale volendo superare la dillicoltà, perchè 1' animo nostro vedendo r.on due oichi non percepisce che una sola iniagine, opinò che nella visione attiva si guaida sempre con un solo occhio: una niultipliclìà di Hi l'i che qui non fanno s' o])pougono alla proposizione di lui. II. La seconda produzione del Cavarra versa sopra al- cune quislloni iuiportanli sul fluido cefalo Sjoinale, cui il Magendie avea preteso di avere scoperto. Già l' ita- liano Cotugno nella sua pregiata dissertazione de ìscliìa- de neivosa^ che tiovasi nel Tìiesaurus disserlationum de SandilTert. voi. 3. avea fatto menzione dell' esisten- za di questo fluido, della sua natura, delle sue comuni- cazioni; diuiodochè le due memorie delMagcndle sul detto fluido che leggonsi nei suo Joui ned de P/tjs/ologie ex- perìmeìiialc et pailiologUjiie non sono che annotazioni a ciò che avea scrillo il nostro immortale Cotugno. SCIENZE IO.) L' istesso francese fisiologico, quasi pieno di riscntinien lo confessa in parie il suo sbaglio, e clividesi l'onore con quel sommo italiano. Prima quistione che si propone il Cavarra si è di stabilire il luogo, in cui trovasi il suddetto liquido, e dietro air opinione del Magendie, e con alcune sue os- servazioni , lo ripone fra la pia madre e 1' aracnoide. Io non nego la verità di tal fatto, ma sono intimamen- te persuaso che la cavità aracnoidea ne contenga del pari, siccome vuole il Tiedemann, e la sana ragione fa supporre. Imperocché se gli è certo che tal lluido è di natura sierosa simile a quello che trovasi nel pe- ricardio, come ben s'esprime il Colugno, se 1' e ueelalo è tappezzato da una membrana serosa, se è proprio di un tale inviluppo esalare del siero e contenerlo nella propria cavità, il liquido cefalo-S[)inale couie quello che agevola il movimento organico e lubrifica i tessuti, dcb- be esistere eziandio nel sacco dell' aracnoide. Aggiun- gasi che in vari casi d' iperdiacrisie, come d' idrocetalo, ascile, idrocardia, idrotorace, fra i due fogHcUi deli(ì membrane corrispondenti esiste quello spandiiuento di siero in conseguenza di un' organico disi in bo. Se la ca- vità dell'aracnoide fosse jiriva di quel lluido, le due pareti aderirebbero insieme, e i più fatali disordini av- verrebbero nell'ordine della vita di lelazioue. Volge indi 1' autore la sua disrus ion^ n covupi ovnre la realità di comunicazione del bq iido da lui detto sotto-aracnoideo colle cavità del cervello. 11 Magendie nei suoi lavori ha tolto di mezzo ([uaUmque dubbio che muover si potesse su tal rigu.irdo, e mostrato a ciliare note la comunicazione di quello non solo fra le cavila del cervello, ma beusi fra i veulricoli istessi col tubo rachidiano. Tenendo ancor dietro alle idee del (isiol >- go francese il nostro aulore fissi a [ìrovure che il li- quido onde penetrare in tutte le cavità cefalo-rachi- diane pa;-sa non per lo preteso canale del Bichat, mi luii:^h' esso il ccda:nuì c/ir'iJtorius. i56 saENZE Porge in fine alcune idee intorno alla maniera d'i- gnettare il cervello con una soluzione di gomme, e di sezionarlo all' oggetto di misurarne le cavità e di os- servare le comunicazioni del fluido summenlovato. Noi lodiamo sommamente l'autore per le cure as- sidue impiegate nell' intrapresa carriera, e l'esortiamo a rivolgere sempre più i suoi studi al bene della scien- za, onde rendersi così meritevole di lode, e beneme- rito a' figli di Esculapio. Luigi Castellana. Sulla grotta a'zzurra dì Capri — • Memoria del mar chese Giuseppe Ruffo socio ordinario della R. ac- cademia delle Scienze. — Napoli stamperia e car- tiera del Fibreno i836. in 8\ di pag\ 18. Il marchese Giuseppe Ruffo si è dato da più tempo ad utili e gravi studi , e merita per questo laudevolc divisamento civica corona. Ma egli è poi degno di moltissima riverenza, percbè con onore e con profitto comune li coltiva: quindi noi osservando i suoi lavori non possiamo non rendergli particolare tributo di sti- ma, e spingerlo a seguire sempre più con indefesso zelo ed amore la gloriosa carriera, per cui si mise: car- riera che ogni altra vince, ed è la sola che possa elevare gli animi, e render caro il nome di chicchessia ai pre- senti, ed ai futuri tramandarlo. Il libro suW utilità di stabilire razze equine di rral conto ec. eh' ei pubblicò non è guari tempo, contiene molte utili verità, ed è ricco di peregrina erudizione. Le Efiemeridi hanno avulo occasione di far motto del valente ingegno del Rullo, por altri pregiali scrit- ti della sua poima; od oggi la graziosa memoria sulla SCIENZE l.j"^ grotta azzurra di Capri ^ che l'autore lesse alla So- cietà reale borbonica , e che ha or ora pub- blicato, ne presta novella congiuntura a ragionare di lui. Non vi ha forse culto viaggiatore, che percorren- do questa estrema parte d' Italia , cui la natura fece bellissima sopra ogni altra, non abbia cercato di vi- sitare il luogo, ove Tiberio, a mezzo le lascivie di un perduto vivere, e in odio al mondo e a se stesso, si rinserrò. Quanti affetti di diversa tempra quella visita non risveglia! Si giunge, si dimora, si va via da Capri, e la men- te agitata e commossa altri nomi non volge che Tibe- rio e Tacito. Tutti sanno la stanza di quel truce, tutti conoscono le tremende e fiere pennellate , con che il più potente scrutinatore dell'umano cuore delineò ia vita di lui; ma non è a tutti noto che ivi osservasi un mira- bile spettacolo della natura , che merita l'osservazione del dotto, e può esser fecondo di mille utili concezioni su i travolgimcnti della superficie del globo: quindi care e dilettevoli ne son giunte le parole del Kulìb , che rendon di patrimonio comune ciò eh' era di po- chi, spogli.indo di superstiziosa meraviglia quel natura- le fenomeno, ed abbattendo tacitamente volgari pregiu- dizi, che son fatali agli uomini in ogni cosa. Chiamasi grotta azzurra nmx sotterianea caverna, si- tuata nella costa boreale dell' isola verso il golfo di Napoli; accessibile solo per la via di mare, inaccessi- bile per quella di terra; piena tutta di stallattiti, e di incrostature di materie calcaree; bagnala dalle onde e rischiarata da pochiraggidiluce, che ivi un effetto produ- cono maraviglioso. Il Ruffo cita il Mangoni(T) e crede eoa esso lui, ch'ella sia già stata una via sotterranea foriiiata non dalle mani dell' uomo, ma dalla natóra; la (piale (i) Jlicciclie topografico ed arclieuiogiclie sull'isola di Capii, l58 SCIENZE ne' remoli tempi avesse menalo al soprastante territo- rio, servendo sì fattamente all' uso e al comodo di una villa cli'erasi colà fabbricata. L'autore dice « eh' ella tolse quel nome dall'azzurro, di clic vcggonsi colorate e le sue onde, e le sue facce, ed il suo cielo, e gli uomini, e le barchette che vi si agirano: azzurro che qui al chia- ro, lì al fosco tira; ma che vivo tanto da quella fes- sura appannata dal mare sorge, come da fonte abbon- devole e perenne, che gli occhi vi si affissano lusingali, e non mai se ne appagano. » La forma intcriore di questa tenebrosa caverna è qua- si ellittica; la lunghezza è circa palmi 196, la larghez- za 104. Nel mezzo di essa a destra havvene uu* altra un quattro palmi sopra il piano delle acque, che in- ternasi nel sasso oltre a palmi 3oo per linea quasi ret- ta, a salire non malagevole. L* autore spiega, con molta chiarezza, e con il linguag- gio della scienza, quel curioso fenomeno: il quale per altro non osservasi solament* nella cennata grotta, ma in altri punti del globo eziandio con cfì'etlo più o me- no ammirando. Newton scomjìonendo la luce dimostrò ad evidenza, perchè il ciclo vestcsi d'azzurro, e per- chè le ombre de' corpi o^xachi di un bruno azzuno si tin- gessero. Non vi ha forse chi oggi non conosca che l' azzurro ed il violetto estremo sono i più refrangibili dei sette raggi neutoniani. Quindi un luogo, ove la luce non pe- netra che a stento e rifratta, non imo venire colpito die dall' ultimo di essi, il quale attraversando, come nella nostra grotta avviene, un mezzo rifrangente dee in mille guise decomporsi, come in eflètto si decomjione. L' autore si distende a spiegare fisicamente tutta la cagione, che tal fenomeno produce; e finisce annunzian- do un'idea sua propria; la quale mostra com'egli ben senta nella uKiteria. Niuno scrittore antico o dei mezzi tempi parlò moi di (piesto singolarissnno antro; ed è certo che quanto I SCIENZE I Sq più male si studiavano e si conoscevano le cose della natura, tanto più viva e più efficace impressione far doveva sugli spiriti un fenomeno, eh' e tuttavia al po- polo cagione di meraviglia superstiziosa. Dunque non è di vetusta data la grotta azzurra. Quindi 1' autore cre- de che non avendo il livello del mare, siccome è noto a tutti, stabilità alcuna lungo le spiagge del napolitano golfo, che sono sempre in mutamento, secondo il prin- cipio dell' Humboldt e del Capocci, che opinano essere i terreni perennemente inrequieti, l'entrata della grotta azzurra di presente bassissima, fu per antico assai alta, e la rupe dirizzata verso ponente libeccio, pendeva per di fuori le acque, onde la luce atmosferica vi trapassa- va diretta, ed abbondevolmente. Dalla quale opinione, che ha molta veiisimiglianza, e eh' è esposta con molto senno, ne deriva che la natu- ra innalzando di nuovo l' ingresso della grotta azzurra può toglierci ad un tratto l'ammirando spettacolo che ella ne offre. Ma checche sia di ciò mi piace dire che il chiarissimo Ruffo ha annunziato un sottile concetto, ed ha dischiuso il campo ad importanti meditazioni, spar- gendo di morale luce quel tenebroso nascondiglio. F. Malvica. ^60 LETTERE PARTE SECONDA mm LETTERE ED ARTI Studi di letteratura italiana del Canonico Giuseppe Borghi. Non già dal Romanzo intitolato il Meschino^ non dalla stupida visione di Frate Alberico, non dalle No- velle Francesi del secolo decimoterzo, Tuiia chiamata il Piaggio delllnferno^ e l'altra il Giullare^ non final- mente dal Tesoretto del suo maestro cavava Danto la prima idea del sacro poema, ^l quale ha posto mano^ e cielo^ e terra. Sogni son questi, e stoltissime pedanterie del Fon- tanini, dell'Abate di Costanzo, del Denina, del Gingue- nè. I grandi geni possono bene da minime cose deriva- re i più stupeadi miracoli dell' ingegno , ma nessuno vorrà toglier loro l'originalità di questi, pcrcli'ebbcr for- se occasione da quelle. Così nò la luintera della Cat- tedrale di Pisa, ne un pomo caduto defrauderanno il Newton e il Galileo delle loro sublimi scoperte. Senza ricorrere ai brutti mostri, dei quali facemmo parola , chi ci può dire se l'Aliglieri non ebbe piuttosto il pen- siero del suo gran viaggio dal VI dell'Eneide, parlan- do egli stesso della sua meditazione sullo o|)ere di Vir- gilio? O degli altri poeti onore e lume., f^agliaini il lungo studio e il grande amore Che rnhan fatto cercar lo tuo Volume. Tu sé lo mio maestro e il. mio autore^ Tu se' solo colui da cui io tolsi Lo ballo stile clic ni lui fatto onore. ED i^RTI l6l Ma, se ciò fosse pur dimostrato, l'originalità della divina Commedia sarebb'ella men vera per questo? Una tale originalità non consiste nell'avere iunnagincito di fa- re un viaggio per mezzo ai tre regni, consiste nell' a- verlo fatto in una guisa nuova, maravigiiosa, stupen- da, nell'aver saputo dare a questo viaggio un' impor- tanza generale, subii missima, eterna, nell' aver prodotto il primo esempio di una poesia, che sotto le condizioni dell'evangelica fede, non poteva essere altrimenti la poesia dei Gentili ; consiste nell' avere introdotta negli altissimi canti la storia tutta dei tempi , nei quali quel sommo scriveva , la storia delle passioni , dei delitti, delle virtù , che agitavano , che straziavano , che onoravano le Italiche terre ; nell' avervi profuso quanto pur formava in allora lo scibile umano ; nel- l'avervi sparse le bellezze tutte d' una poesia splendi- da, immaginosa, terribile, passionata, vera, drammati- ca, tale in somma che riman là come esemplare , nò v'è stato finora chi l'abbia uguagliata. Permettiamo al Bettinelli, e a chi va con lui, d'abbajare contro la Lu- na: quanto a noi ci professiamo Danteschi per la vita, e ove un ordine cavalleresco, immaginato suU' esempio di quello che passava per la mente del grande Astigia- no, col nome dell'Alighieri s'istituisse giammai, farem- mo noi qualunque sia prova, ond'essere ascritti a reli- gione sì bella. Or venendo più strettamente al proposito, vi preghia- mo, giovani egregi, di richiamarvi all'idea lo stato mi- serabile della Fiorentina repubblica , e di tutta Italia presso l'incominciamento del Secolo XIV. Una parte delle città libere, ma di tal libertà che degenerava spes- so in licenza; una parte signbreggiata da piccoli tiran- ni, rotti alle libidini, alle uccisioni, alle rapine; le case, le strade insanguinate dalle fazioni; le leggi manomesse, i reggimenti precarii ed incerti; oggi dominante lo stuo- lo dei Ghibellini, domani le torme dei Guelfi ; ne in- . nocenli, ne tranquilli quei mutamenti, ma segu:li da iCtI LETTERE vendette di sangue , d'esili, d'incendi; gli odi, piìi che le sostanze, ereditari e stabili nelle famiglie, gli ordini confusi, avvilita o compra la toga, i nobili (juamlo lu- singati, e quando gettati nel fango, le ambizioni sollo le cocolle, i prelati guidatori d'eserciti, le truppe veii- dentesi al maggior pagatore, la plebe in armi per in- teressi non suoi, bersagliata, oppressa, tradita. La cor- te di Roma patteggiante collo straniero, vendente l'altrui libertà per accrescere i propri domini, deprezzante io armi dello spirito coli' abusarne a tutela e a capriccio del corpo, sdegnosa coi chiedenti, fìicilc coi donanti , la maestà dell'impero distrutta, le baratterie chiamale trattati, scemata la fede ai giuramenti, la ragione , la convenienza misurata col dritto del forte. A ricostruire il civile cdifizio (i), a frenare la bal- (i) Son cinque mesi che pei torchi del Pedone si stampavano le prime sette Lezioni de' nostri Stiulj di Letteratura. Italiana,ìe qua- li, per circostanze sopravvenute, non abliiaino voluto ancor pubbli- care. Oggi dunque vedrà il Sig. Francesco Perez, autore del tliscor- so sulla Prima /lllegoria e sullo scopo della Di^'ina Commedia, non essere stato sconosciuto questo scopo ne a noi ne ad altri, pri- ma ch'ei si facesse ad illuminarne. Frattanto noi pensammo che, ol- tre quel fine altissimo e principale, se ne potesse bea proporre il Poeta qualche altro, per esempio il richiamo dal bando. Però det- tavamo nel brano della nostra Lezione Sesta , riportato in questo Giornale uam. 56. « Mancate all'Alighieri tutte le speranze di ri- tornare al dolce suo nido, si volso a scrivere il sacro Vouxwi, per mez- zo del quale non solamente s'auf^urava i buoni effetti, di die ra- gionammo nella passata Lezione, ma si la vittori.» sui proprj ne- mici, e l'esser ei stesso gloriosamente richiamato alla patria. «Dalle quali parole ne sembra c!ie avrebbe dovuto ahnen sospettare l'esi- mio Critico aver noi pure veduto e sentito altra cosa , perchè so- spendesse di giudicarne si addietro ne' conti. Quanto all'intsrpretazione della prima Allegoria , noi ammiriamo sinceramente l'acume del Signoi» Perez; ma rimarremo tuttavia nella sentenza nostra, e non già per ostinazione, i)ens\ per convincimen- to. £ il Signor Perez istesso non se ne adonterà; perocché non vor- rà egli credere eh»; contro la opinion sua non potremmo cosi argo- mentare, com'egli argomentò contro di noi , se avessimo tempo e voglia di attaccar briglie. Solamente alle pedanlerie non iscenderein- mo, non alle ingiui-ie ; che rjucst'.) se non altro imparalo abbiamo studiando, a non pugnar di miseri nomi, o a rlsp,;lt:ir gli altri e noi. GlUSF.HI'K Holtl.lll. ED ARTI 263 danza dei Irisli, a riporre in onore la virl^, si scnlì l'A- lighieri sospinto irresistibilmente dalla sua grand'anima; e non domato ne dall'esilio ne dalla povertà (cliè spegner si posson gl'ingegni col ferro e col laccio, ammortir non si possono cogli oltraggi , e colle persecuzioni ) della lingua e della penna si valse; di quella lingua e di quel- la penna, di clic si avrebbe più stima fra gli uomini , se ])iù che alle miserie presenti e ai bruttissimi sfogJii e all'ire di un giorno, si badasse alla fama e al giudi- zio avvenire. In questa risoluzione j)erlanlo, qual sereb- be sialo il modello che fra i Greci e fra i Latini avreb- be jjoluto a se slesso proporre il gran padre? Un poe- ma condotto sugli esemjii di Omero e di Virgilio non poteva rispondere al grande scopo ; imperciocché non era da cercare nelle antiche istorie un solenne avveni- mento che servisse come di simbolo alle intenzioni del jìoeta, le quali altronde troppe di numero erano , e troppo varie, perchè adombrar si potessero per somi- glianza; era da ragionar dei presenti, eran essi da co- glier sul fatto: era da spaventare , da istruire , da ri- prendere, da incoraggiar col vero, e non da lusingar col finto, sicché nella stessa finzione la jiarola s'indebolis- se o perdesse fede. Per la qual cosa , ben più che non lodava Orazio ne' suoi, questo divino Intelletto F'cs ligia Greca AusLis desererc^ et celebrare domestica facta. Immaginando il portentoso viaggio, s'aperse un cam- po sì vasto, quanto ha spazio la fantasia d'aggirarsi al di là del creato; nò si trovò fra i piedi Arisloielica legge per infrenarlo: che d'una simile maniera di poe- tare non ebbe Aristotele modello mai a derivare i suoi canoni. Tutto fu nuovo per questo eccelso; la mirabi- le architettura di tanta mole, il fine, i mezzi, la lin- gua: ii-a elementi che non avevano forma s'assise colla potenza d'uau virtù sconosciuta; vi girò sopra lo sguar- l64 LETTERE do, gli animò, gli compose; di questi elementi nasce- \n l'ammirazione dei secoli , si svolgea come per for- za di creazione la divina Commedia. Qual'è poesia che vanti un maraviglioso più forte, più credibile, più su- blime? Il regno dell'anime prave, quello in che s'affi- na l'umano spirito per esser degno della corona , /^ g-/o- ria di Colui che tutto move, i dannati, e i demoni , gli Angeli e l'anime purganti, le delizie dell'Eden, i San- ti, la Vergine, il trionfo di Cristo; e per entro a mac- china sì stupenda i più famosi contemporanei e visibi- li e martoriati senza speranza, e penitenti e coronati, e intei roganti e rispondenti, e testimoni, e accusatori, e profeti, tutto ciò HDn par solamente che d'immenso tratto sorpassi quanto seppe immaginare di sovrumano la più calda fantasia degli antichi, ma non s'è trovato ancora, ne forse trovar si potrà chi sappia o jiossa e- mularlo. E se i racconti e le memorie dell'origini delle città, delle guerre, de' connubi, degli ospizi , degli accordi , delle imprese, delle leggi, degli altari, de' sepolcri san- tificavan pei Greci l'Iliade, in guisa che tutta quasi la nazionale sapienza di quella fonte traevasi, vorrem noi credere che l'importanza di quella gran d'opera confron- t ir si possa coll'importanza del sacro Poema? Sia pure che quando i secoli remoti non avevano altro commercio ene di tradizione co' secoli che succedevano , un libro di tanta perfezione, qual'è l'Omerico , fòsse il libro di tutti gli Elleni: a misura per altro che la civiltà svi- luppa vasi, e secondo che le generazioni più si scostava- no da quell'epoca primitiva, se rimanevano le indestrut- libili bellezze dell'arte le quali rimarranno intatte pui- sempre, si ra (Freddava gi'adalamcnte l'originale interes- se, che tanto era e sj grande pei figli e pei nipoti di quegli eroi. Ma cessate le italiane fazioni, e spenti gli odi, e mutata l'indole dei cittadini, e dei reggimenti , non sohimentc il bello poetico, ma regge tull'ora ferma ♦'d niiivosale Timportanzu della divina Commedia; che ED ARTI lQ5 letcnio abLoi rimerito pel vizio, e l'eterno amore per la virtù, finché dureranno gli uomini, non sarà per ispe- gnersi mai. Aggiugnete la carità della patria che tanto calda respira in quelle pagine benedette, aggiugnete i sapientissimi avvisi e l'esecrazioni e i lamenti ; aggiu- gnete le vive persuasioni d'una credenza che non si muta, e ditemi poi s'io forse m'illudo nel persuadermi all'esposta opinione. Ma giacche toccammo della credenza Evangelica, io non mi voglio già prender la briga stoltissima di gua- dagnare alla ragione chi non la sente. Ridotti soli e po- chi e screditati a garrire que' poverelli, ai quali , pur dopo la caduta de' Frugonisti e degli Arcadici , essen- do rimasa la bisaccia unicamente piena di mitologico pane, non avrebber jdìù di che sostenere la fiacca e sottilissima vita se quello benché secco e muffatto get- tar dovessero , lasciamo pure che sì com' è lor dato si pascaTio: impcrochè non infetteranno al certo i più sag- gi, che da que' sozzi alimenti, per 1' esempio e per la voce di chi ricondusse all'onor primitivo q4.iesta nostra splendidissima letteratura, con pienezza d'evento si di- susavano. A chi poi quella sozzura e quell'inopia fa gola , tal sia di lui , e vi si adagi tuttora , e cresca il numero dogi' ingannali; che non già delle lellere , ma sarà lor tutto il danno; non potendo quelle venir meno per averli nemici, ed essi non potendo aver bella lama per mal- trattarle. Tornando dunque all' argomento , ben vide il grande Alighieri che non erano da colpire le ment4 degli uomini coi portenti d'una religione sidla quale si era versato l'anatema dal cielo medesimo e dalla terra; vide che l'Evangelica fede non solamente aolitico, nessuno filosofo a quella età com'egli, nes- sun poeta ne prima ne dopo. La quale ultima qualità dovrei per la ragion del discorso a questo luogo disaminare: per altro come le bellezza della poesia Dantesca non solamente sono re- condite, ma originali e molte di numero, così ne fare- mo soggetto a più d'una delh^ lezioni future. Questa in vece leimineremo ricordando siccome la prima idea ch'ebbe l'Alighieri nel determinarsi a scrivere la divi- Èli ARTI iG3 ili.siUàl'.e notizie non è penuria w.Oj" qui osserviamo che u/licio è dello storico porre iu clùaro le vicende e le i>as- ED AUTI ì'8'] sìoni Jegli iromiui, -ina queste dai grandi e caratteristici tratti degli avvenimenti non dalle minute loro particolarità debbon ritrarsi. Se a queste discende la storia si confon- derà colla cronaca. La cronaca descrive minutamente i fatti, e la storia guidata dalla fdosolla ne desume quei gran-^ di tratti die ammaestrar' possano V uomo nella vita sori ciale. E da dire che dai jnecedeiiti storici era stata convenientemente esposta, questa' storiaeclie.il signor Baldacchini per troppo amore del suo soggetto lo trattò . più minutamente che a storico; si convenga. Ma il, la- voro del Sig.: Baldacchini coiifciehe non pochi pregili]© e bellezze ed è da commendarsi per la carità cittadmo,.- per 1' accuratezza, j^er la verità, per, la purità di lin- guaggio, che vi campeggiano, e per la.devatezza di, det- tato di che se ne abbellano alcune parti. Tali sono il. primo, e il sesto libro distinti da due majestrevóli qua- dri di ciò, che precesse, e che seguì la sollevnzione di. Masaniello. Riguardando all' abilità, che ivi dimostra r autore deduciamo che trattando; più .'felici argomenti; eccellente istorico potrà egli riuscire: e per l' onore v-i taliano è da s-perare che dal coltivare non cessi questo ncf-r» bilissimo campo di letteràfui-a il quale veiUurosameuLe.. vailta negli attuali tempi non jx)chi valenti, ed auiuioiji) cijUo^i-CQSì nella contineulale, cUq nella insulare Ityiiai , icaaoqgi ■ . PillNCIPE DI Granaielli. '>JT .NKCROLO(JJAi-jn- . \\\ 12 diL-qùeslo ioaggio poco pria, ehc toccasse gli anni n-y dell' età sua moriva in Palermo, Paolo di Gto- s vanni alxite di S. Anastasia ed islrutloru della casa reale. : Nato in questa capitale di povero artigiano e' inviò dii buonora al sacerdozio e agli studi ;:e .fa! dappriuap : precettore juivatodi cleinenli di lellero, poi maestro; B'j l8S LETTERE lingua nelle scuole normali : Airokli e Gregorio nomi cari alla Sicilia favorivano il suo primo fiosso a!!' in- nalzamento adoperandosi perchè gli fosse conferito un Loneficio nella cappella del Palagio Reale. Ed egli era già accetto e grato a; tutti per modestia, diligenza, pie- tà, e purità di costumi quando' senza ne mancgg-i nò chieste fu chiama to ■ a ]Wecet tore ■ della priana " figliucila di Francesco Principe Etcditario sendo Itt corte ifn Si- cilia a caoion della ffuèrrii francese. Gli lii coratnessa' dopo l'istituzione' letteraria' di tutti gli altri principi reali. Ottenne in corte' sdnz» mutare i modi del viver . suo e gi'azia, e fortuna} clie= *pregiò solo per usarle idi : Len del paese, E verameiite spogliandosi in vita d'una parte non piccola-idcH'aver suo fondò due pensioni • a pfo di giovani morigerati e studiosi che scambiassersi ogni • otto anni, e si scegliessero a concorso in istoria sacjfi e patria, greco e latino. Vivendo |x)i mollò asscgna- lamcnte e investendo in^ rendite il denaro raccolto,- isti- tuì in morte due legati' d' once dugento ciascuPK) da sor- teggiarsi ogni due anni tra gli agricollt)fi e pastori si- ciliani abitanti nel contado di Palermo > ajfsé^nò Oìiiò quaranta annuali per fornir libri agli studenti poveri delle scuole normali e di quelle dei gesuiti; ;^Vtìlltì- che il resto del suo patrimonio supplisse all' istitifeiùrie - d' una cattedra di veterinaria nell'università di Palermo, o, non istituita la cattedra, ivi s'impiegasse a dispensar premi agli studenti di teologia, idraulica, e meccanica, IVè fu mcn largo mcntr' ei visse in private "beneficenze " che studiossi sempre a indirizzare ove gli parca poter meglio favorir l'industria del paeise.i^'ISJnn cittadino si vanti di più caldo amor della patria. Perche oltre le cose dette fin qui, ogni azione ogni parola -di Paodo di Giovanni spirava quest' allctto. pasfTando pure ogni 'ri^'' spetto o moderazione, che gli accorgimohli e ile ■vie coperte non eran;. fatti per l'animo di Ini. Candido fino alla semplicità, all'abile e cortese fuorché iron trislii,'' pieno di religione e non iutollcraiitc, umile scnaa •vill'Jr' ED ARTI i3q cittadino e leale al Re, i suoi costumi non mutaron punto dalla scuola elementare alla reggia. La malattia penosa che il condusse a morte infievolì e spense a grado a grado tutte le sue facoltà, ma rese più ardente e direi più fiero e imprudente quell' unico affetto suo l'amor delLi patria. Chiedendo a pulito scrittor latino poche parole <:he si scolpissero sulla sua tomba volle che taciuto ogni suo grado o dignità sol si notasse avere lui inteso mai sempre a promuovere nella dolce patria i buoni studi e la industria. L' iscrizione dettata dal nostro Beneficiale D. Luigi Garofalo è di questo tenore: PAULUS DE JOIIANNE PANORMI NATUS l'J^C) HTC m PACE AB ANNO l836 OVES AGPiOS STUDIA MORES MAXIME CHRISTIANOS SICULI COLENTES EI LUCEM PERPETUAM ADPRECAMINI Michele Amari, »^9'> ' \ ' ■ '■ Per Enricheita FentimigUn Moncada Ducìiessa dì Scrradijalco — Iscrizioni funebri di F. Mahica. Addimandato Socrate qnal fosse il maggior bene dell'ucuio; il morir bene rispose. EsClIINE. A DOMENICO LO FASO PIETRASANTA DUCA DI SERR ADI FALCO PRINCIPE DI SANTO PIETRO ecec. FERDINANDO MALVICA SJLU TU iNel funesto caso della perdita di fjuell' angelo j^cnc- detto , che fu per tanti anni , o mio amalo e vene- ralo signor Duca, dolce compagno della vostra' vita, io non posso farvi jwlese il mio dolore in alfia guisa, die versando una lagrima ed un fiore sulla Inaiba di Colei, the per le eminenti virtù che la frejriavano, ha svecliaLo 1 universale lamento. Voi conoscete ornai da lungo tempo il mio cuore ed il mio labbro: accogliete voi dunque, con quel cortese affetto, con cui solete accogliere le cose mie, qucsfo segno tenne sì ma sincero, ed altamente sentito, della mia profonda commozione, e dell'ammirazione mia. Poche altre ji^role soggiungerò. Non vi ha chi ignori che quando il cuore parla ogni altra potenza dell' a- nima e presto muta: quindi oggi a me altro non ri- mane che pregarvi , onde , jier bene di questo nostro infelice paese, racGogliate tutte le ibrze del vostro spi- rito, e troviate conforto alla vostra svcntui'a nella pub- blica dis|)iacenza, e ncll' innocente sollievo che T ami- cizia vi porge. 1 ^9' LA VIRTÙ VERA DI LAUDE E DI PIANTO SPONTANEAMENTE SI ONORA II. A EJNRICHETTA VENTIMIGLIA MOWCADA DUCHESSA DI SERRADIFALCO GEMMA DI CORTESIA E DI AVVENENZA MOGLIE E MADRE DI SÌ RARA VIRTu' CHE l'ammirazione COMUNE ATTIRAVASi: PER dignità' di carattere E CASTITÀ' DI COS delle antiche siciliane matrone specchiq preclarissimo: . . i. . . • -: ) ,■■■■■ ■ VISSUTA ANNI 34 MESI II GIORNI l6 MORTA LI 28 GIUGNO l836 IL MARITO LA FIGLIA LE SORELLE CON MUTUO SCAMBIO DI AFFETTI E DI DOLORE PACE all'angelica DONNA /'• ''■■Al-'. /■• SOSPIRANO 11)2 IH. QUANDO FANCIULLA PER LE INGENUE DOTI DELL' ANIMO MOGLIE DI DOMENICO LO FASO PIETRASANTA DIVENNE IL SOAVE CARATTERE LA MIRABILE PRUDENZA LA SAVIEZZA COSTANTISSIMA NELLA più' dolce AMICIZIA QUESTI DUE ESSERI SE3IPRE MANTENNERO IV. gli STRANIERI NELLA MAGIONE DEL MARITO CON SIGNORILE OSPITALITÀ' RICEVUTI COLMI DI RIVERENZA PEI PREGI DI LEI Al NATIVI PAESI RITORNANDO LA MEMORIA DI UN RARO ESEMPIO DI MODESTIA DI AMABILITÀ' DI SENNO RECAVANO V. DOPO QUATTRO MESI DI PENOSO ANASSARCA più' celeste che umana creatura agli eterni voleri ■ rassegnat1ssima col .sorriso sulle labbra spiro' ig3 VI. L ADDOLORATO CONSORTE DURANTE l'acerrima INFERMITÀ' LE Po ASSIDUO É PIETOSO COMPAGNO l' ASSISTEVA LA CONSOLAVA COMPRESO DI PROFONDA TENEREZZA ■ 'l' ESTREMO ALITO BENEDETTO NE RACCOGLIEVA E h'S: irtGONTAMINATA MANO PEL l'ulTIkIA VOLTA STRINGENDO l'eterno ADDIO IN MEZZO AL DOMESTICO PIANTO PRONUNZIAVA '94' VII. '•cÒitti&istRA^A NON o-DìMAinrtmxi'-non COL MÌNTO di una PIETA'l'lSANÌriSSlIffA LE BEBOLEZTifc: ALTRUI NASCONDEVA COLL' IMMAnÓfLATA' STUA: FAMA rAhtÀsi dell'innocenza' SCUDO SAliDlSSIMO INCORAVA GLI ANIMI ABBATTUTI gl' innalzava DECORATA DEI Piu' MAGNIFICI DaKT BI virtù' e DI FORTUNA ERA NEMICA DEL FASTO ,E DELL'oRGO^GLIO NON DISPREZZAVA NE AMBIVA .GLI ONORI OGNI AFFETTO Piu' CARO A COMPIACERE IL MARITO EDUCARE LA FIGLIUOLA RIPONEVA IX. ella partendo pei, cieli nel cuore del consorte 13n .\^'uqa;,0 lasciava; la, figlia candida innocentissima DA,J4.ÌJTik SCIAGURA COl^PITA /. mz-Tr^MARRIVASI ......rr V fo E ALLA SUA SVENTURA NQN CREDEVA; ;j PALERMO COMMOVEVASI , v^C^Pr UN. ESEMPIO PERDUTO DI SpLEPpipA virtù' È COMUNE INFORTUNIO J9^ MADRE TENERA DOLCISSIMA GIULIETTA TUA AVRATTI SEMPRE NEL CUORE E l'esempio tuo SANTO guiderà' I PASSI DELLA SCONSOLATA MIA VITA: IL SOLO PENSIERO CUE GLI ANNI S' INCALZANO E FUGGONO ALLEVIA LE MIE PENE DANDOMI SPERANZA m RAGGlUNGEirri IN DIO \VF -\nnnK r.UA' 196 XI. FU DAMA DELLA RÉAL CORTE APPARTENEVA ALLE Ì>ftlME FAMIGLIE DELLO STATO CÒÌfGIUHTA IN MATRIMONIO AD UOMO '^"'" COSPICUO^ PEA NATAL I PER INGEGNO E PER LETTERARIA FAMA COSPICUI SS IMO LE RICCHEZZE E GM ONORI LE VALSERO SOLO A GIOVARE Gl' INFELICI XII. QUAL APE INGEGNOSA DETTATI ETERNI DI SAPIENZA t DI RELIGIONE SCORTA A BEN VIVERE DAGLI SCRITTORI DI OGNI POPOLO RACCOGLIEVA E all' unica figlia QUAL PEGNO PREZIOSO DEL MATERNO AMORE CONSAGRAVA XIII. NELLA COBTA SUA VITA VIDE l'uN dopo l'altro IMMATURAMENTE PERIRE IL PADRE E LA MADRE LA PRIMA SORELLA E LA SECONDA: MA l'animo santo potentemente commosso e afflitto in grembo della pace di dio raccolto con imperturbabile virtu' a sì crudeli sciagure resistette: consolatasi che celere questo terreno viaggio finisce: sperava che nelle sedi celesti sarebbesi loro ricongiunta '97 198 XIV in tempi contami nat r l'esempio di una. bontà' perfetta è pubblico ammaestramento è dono della natura conforto alle angosce della vita NOTA 11 Duca (li Serra clifalco volciirlo dar pieno sfogo al SUO dolore, ed onorare in ogni modo la cara memoria dell'esimia donna ])erduta , ha pensato d'inalzarle un ccnotalìo nelle sue domestiche mura, e piecisamcnte nel delizioso giardino dell' Olivuzza; là in mezzo ad un cer- chio di cipressi tornerà a pompeggiare un canoviano pensiero. Perciocché in una marmorea tavola, di gre- co stile, verrà appesa una medaglia , portante l'imma- gine dell'estinta; ai pie di essa sarà scolpila la figlia al naturale, e in atto di scrivere quali parole? Io ho ideale le segiipnti: Questo marmo ■hagnerò sempre delle mie laseri /ne dal tuo santissimo esempio ^ o madre mia^ prenderò norma e cons/i^lio. Scilo il moimmento saravvi poscia un' iscrizione, in cui ricordt;ransi tutti i pregi della defunta, e che verrà ( assai meglio che io ìàr noi sappia ) dall' ingegno e dal cuore del consorte detlala. ED ARTI igg L'ITALIANO GIORNALE LETTERARIO PROSPETTO. Ketinst du rlas Land wo die Citronen blubn?..i Conosci lu Itt terra dove fìoriscoA gli araaci?.>> M Conosci tu la terra dove fiorlscon gli aranci? » Chi non brama conoscerla, questa terra, comunque spes- so lacerata da accuse? E ad ogni principio di prima- Vera a guisa de' venti alisei che levansi a tempo certo, vedi lo stormo dei viaggiatori indirizzarsi verso l' Italia. Vanno a conoscere Italia, e sovente s' ispiiano a lei: vanno a riscontrare i monumenti innumerevoli delle nostre storie e delle arti. Si noti però: 1' Italia, agli occhi stranieri, altro tion e che un museo, un' immensa raccolta di reliquie an- tiche. Ognun che la visita vuole inscrivere il proprio iiome sovra una pietra italiana, e quindi i libri intor- no all' Italia crescono ogni giorno di numero; e se i pareri che tutti ne dicono non andassero spenti dal con- traddirsi che fanno, in verità, sarebbero troppi oramai^ E lodano nondimeno le opere antiche che possedia- mo: ma dietro alle parole di lode un' occhiata che scor- re sovra noi Italiani, vivi oggidì, ne fa intendere Brur damo incenso sulle ossa de' vostri morti. E noi? Noi dovremmo avvertire , che le nostre piazze, e i portici e le locande ridondano di Ciceroni^ e che, frat- tanto abbiamo uno sperpero di scrittori e di artisti che vagano inerti di luogo in luogo, e si osclirano, ne tro- vano facilmente un lembo di carta dove dar nome e stam- par r impronta del proprio spirito, ne sanno, spesso, che schermo usare contro agli errori forestieri ed al biasrao. i4 200 LETTERE E posto anche, che gran torto abblan gli estranei , allorcliè giudicano all'impazzata eie scienze, e le arti, e la letteratura cV oggigiorno in Italia, in ogni modo conveniente è il dire, che maggior torto abbiam noi , se non leviamo da canto nostro francamente la voce, e non ci diamo a conoscere. I nostri monumenti sono e belli, e splendidi e gran- di, ,e ciò sia bene. Meglio per altro starebbe, se i no- stri scrittori e gli artisti concordemente si dimostrasse- ro vivi, e dassero segni splendidi a vista dello stranie- ro, e si sollevassero all'altezza dei grandi monumenti e delle memorie che abbiamo. Di più si noti: lo straniero si affacenda intorno alle nostre opere , le tenta con ogni potere, le critica cOn ma^T'islei'o ora discreto, ora nò. Facciamo noi similmen- te, da parte nostra? Ogni volta che accade allo stra- niero di mettere piede in fallo sotto a' nostri occhi, ve- gliamo noi sempre? Lo rialziamo noi sempre, e, scos- sagli di dosso la polvere, gli rammentiamo che per ter- ra stava esso, e che in piede stavamo noi? Non sem- pre. E perchè? E svogliatezza nostra? E fasto? Op- pure manca occasione ed incitamento allo scrivere? Man- ca un centrò che aduni le fatiche sparse e i desideri vaghi di non pochi ingegni italiani ( ne l'Italia ha mai penuria d' ingegni ) e li promuova in luce, e, cresciuto animo, sia principio a lavori più luminosi e più vasti? Di mezzo a questi dubbi e sortita in noi un' idea ferma: l'utilità di un nuovo giornale. Lo nominiaxiio i 'Italiano, e questo per due ragioni. L'una perchè gli scrittori italiani di piescnte meno o- pcrosi, 0 tuttora incogniti, o spersi, troveranno adito alle pagine di questo giornale , e un saggio , almeno , potranno dare di se. L' altra , perchè ai tanti giudizi dello straniero sarà pur bene contrappoiTe i nostri, e ci attoggicrcmo anclie noi con decoro, e in mezzo a questo moto di studi e di lettere forestiere , avremo una difesa ed un indizio di noi. ED ARTI aOl Quindi il nostro giornale avrà due fini distinti: . i" Fare clic i nostri ingegni si manifestino, e che gli esteri li conoscano; 2° Contracambiare giudizi, e dare agli esteri il me- rito loro, ne dare meno, uè più. L'Italiano sarà giornale letterario, perchè la lette- ratui'a è iter indole educatrice, e comprende e scienze ed arti e poesia, usando un linguaggio che lutti inten- dono, e rivestendo di luce e di simpatia gli argomen- ti che tratta. . In conseguenza , lo scrivere del nostro giornale sarà facile e accomodalo all' intelletto di tutti. In tal guisa potrà svegliare i talenti sopiti od inconscii, ed ammae- strare generalmente il gusto , porgendo ajuto all' edu- cazione domestica, che tutta quasi dipende dallo squi- sito sentir della donna. Alla donna, alla creatrice del- la famiglia, volgeremo singolarmente il jDensiero. La filosofia ci sarà scorta in ogni nostro lavoro. Tal- volta anch'essa comparirà, ma semplice e linda, come l'origine divina dond' ella move, ed inchinata agli af- fetti spontanei del cuore, perchè negli affetti e nel cuo- re noi riponiamo la naturale e vera educazione dell'uo- mo. Associeremo nel nostro giornale la storia al dramma, il bello che parla agli affetti al bello che emana dalle scoperte scientifiche, la cultura del cuore ai voli del- l'immaginativa ed al bisogno che tutti provano di svel- lersi sovente dalla fastidiosa realtà della vita. Parleremo di belle arti. Parleremo in ispecie di teatro, e di musica che sono la ginnastica degli affetti e della fan- tasia, e terremo dietro ai loro andamenti giornalieri, dan- do rilievo ai fatti più degni di nomina, ed accennando op- portunamente certe riforme, a nostro credere, intrascu- rabili , aifmchè il teatro e la musica giungano a quel segno di finitezza che già fin d'ora promettono. 'JOH LETTERE Poi bibliografia, poi ricordanze poetiche, poi leggen- de, poi tratto tratto squarci di musica meno cogniti , disegni, inserti notevoli, e che so io? IL Circa alla parte straniera, ecco in due parole quan- to il giornale farà. Nella moltitudine de' lavori d'inge- gno che compariscono all' estero, singolarmente in Fran- cia, noterà i più cospicui o per vero merito, o per al- tro motivo qualunque, che possa attirare attenzione. Darà giudizj in nome d' Italia , giudizj franchi , senza livore e precisi. Respingerà l' offesa od ingiuriosa od erronea , ed ove colpa ne venga data che meritiamo, consentirà lealmente, e ne caverà lume per l'avvenire. Ecco data l' idea del lavoro che intraprendiamo. Avvertire che le materie ivi trattate svarieranno as- saissimo , ci sembra inutile: 1* intento del nostro gior- nale dice questo da se. Le tempre d'ingegno, alle qua- li la letteratura può servire d' interpetre, sono infinite, ed ogni tempra diversa vuole una materia più o men diversa, e a suo genio. Faremo in ultimo un paragone. Un giornale, com- posto così, somiglia ad un uomo, versato in molte dot- trine, ricco d'ogni ornamento di spirito, entusiasta del- l'altrui poesia, e poeta. Come si annodano in lui tan- te abilità, tanti pregi in apparenza discordi , che do- vrebbero in certa guisa disgregare il suo animo? L'in- dole di lui li annoda: Io scopo unico e buono ch'egli spontaneamente osserva in ogni «uo fatto. Educare il cuore, esercitare gì' ingegni, e mostrarci appetto degli esteri, questo è lo scopo a cui intendia- mo: e questo, in certo modo , forma l'indole del no- stro giornale; indole accetta a tutti, perchè si nudre di quella simpatia, e di quel gusto naturale per il bel- lo e per l'arte, che sono sparsi universalmente in Ita- lia, e che sono ivi favoriti da tutti. ED ARTI 203 CONDIZIONE DELL'ASSOCIAZIONE Comparirà L'Italiano ogni mese; sarà composto di sei fogli di stampa, ossia quarantotto facciate a due co- lonne in 4°j e formerà alla fine di ciascun anno un gros- so volume di 576 facciate. Le materie e la paginatu- ra saranno ordinate in modo che riesca comoda la le- gatura in volume. La coperta, stampata ed abbellita di vignetta , non è compresa nel numero delle pagine che compongono ciascun fascicolo. Massima squisitezza tipografica. // costo dell' associazione^ che si pagherà anticipato^, alla consegna del primo fascicolo^ sarà: Affrancato 1»ER L'ESTERO, la Parigi. Pel trimestre fr. io 8 fr. semestre fr. ao 16 fr. anno fr. 40 ^a fr. N, B. Daremo notizie intorno a' nuovi libri, lette- iari o scientifici, che gli autori o editori ci faranno ri- capitare, franchi di porto ; Noteremo nel primo fasci- colo r indirizzo del nostro officio . Il primo fascicolo comparirà tra breve. Parigi, I Marzo i836. Ricordi agli scrittori nel giornale V Italiano. Circa i motivi e l'intento del nostro giornale, ci ri- feriatno aJ Prospetto, che ne parla distesamente, ed e stampalo, a quest'uopo. Soggiungiamo qui alcune avvertenze, destinate parti- ao4 LETTERE ' colarraente a' signori Italiani, ai quali piacerà di colla- borare con noi. Queste avvertenze intendono a mante- nere l'unità del giornale; e tutti certamente concorre- ranno oóti iioi nel Credere che l'unità in égni giornale è come l'anima che 'avviva il corpo. Accordarsi nell'andamento, nel colorito^ nello scopo. Accordarsi nelle dottrine. ^*' Nelle materie scientifiche, attenersi ad argomenti semplici per se stessi, o semplificati dalla maniera di svolgerli. Riguardare la scienza, non come studio che serve a sollevare dal resto delia gente uno o pochi uomini, bensì come un seguito di scoperte che devon giovare ed esser capite da tutti. Volger la scienza all'educazione, E le scienze son poste in mezzo, tra Dio, e gli uo- mini. Spiegano la Provvidenza, e ripuliscono le menti da erroriu Quando le scienze escono da questi termini, isterilisconp. Dimenticare in conseguenza, i modi di dire orridi di oscurità , e le nomenclature radicate nel greco. Addo- mesticare la scienza. 3" Nella storia pramuovere la verità , sottoponendo ad essa l'erudizione, che, sola, vai poco. Fare, cho i personaggi storici rivivano nello scritto e sicno presenti a chi legge, e non che sia presente e spicchi la perso- na sola che scrive. 3" Nei lavori che si volgono principalmente alla fan- tasia ed al cuore, ricordarsi che la fantasia ed il cuore compongono almeno i quattro quinti dell'uomo. Con- cedere a questi elementi naturali tutta la virtù e tutto il valore che hanno. Avere in massima che la poesia non è dono e pri- vilegio di pochi , ma che appartiene universalmente a lutti, uomini e donne, dotti ed indotti. — -Il volgo è pieno di poesia viva e parlante. Distinguere la passione scarna e solitaria dall'amore ED ARTI . 2o5' spontaneo e sentito da tutti. E si noti, che di consueto la passione abbonisce dall'idea di famiglia, mentre l'a- more s'alimenta in essa. Studiare gli afTetli primitivi nel volgo , il quale gli attinge direttamente dal cuore- Dar rialzo alla donna. 4' Critica dignitosa, e animata dai principi accen-^ nati fin qui. 5° Scioltezza nello stile. Alleggerirlo della cappa di piombo, e mostrar vita d'idee, anziché di parole. 6° Circoscriversi alle materie scientifiche, o lettera- rie, od artistiche, lasciata intatta la politica, e le con- troversie di religione, siccome esti'anee al nostro propo- sito. ■y" Ristringere alle proporzioni del giornale la lun- ghezza degli articoli, o fare che possano comodamente esser divisi in due o più parti. 8" Contrassegnare gli articoli colle sole iniziali , od altra cifra a piacere. 0° Gli articoli non inseriti saranno rinviati a domi- cilio. Annunzio tipografico pei Commentarj della rivoluzio- ne francese scritti da Lazzaro Papi. Si è pubblicato clai fratelli Fabiani il primo tomo de' primi dieci libri inediti dei Comenlarii della rivoluzione francese 'scritti da Lazz-aro Papi, che debbono precedere, e servono come di capo al- l'opera dello stesso illustre autore impressa in sei tomi dal tipografo Giusti in Lucca nel i83o e j83i. Si tratta in essi delle cause di quella rivoluzione e dei suoi effetti fino alla morte del re Luigi XVIj ^che è a dire la materia più importante di sì fatta storia. Tutta la suddetta prima parte sarà compresa in tre tomi simili sì per \sk car- ta e la forma , come pei caratteri, a quelli stampati in Lucca. Il prezzo del primo tomo è di Paoli 7 fiorentini: il secondo che usci- rà nel prossimo mese di luglio, costerà lo slesso prezzo: ed il ter- zo , che uscirà nel mese di settembre prossimo avvenire , costerà Paoli g. I detti tre tomi si vendono dal sudetto tipografo Giusti in Lucca alla sua libreria , dove si potranno avere anche i sei tomi che contengono la continuazione della suddetta prima parte, e co- stano Paoli 56 fiorentini. Lucca 2 tri Giovanni Procida tragedia di Vincenzo Navarro da Ribera. Palermo tipografia del Giornale letterario x835. in 8 di pagi- ne loo. — Bernardo Serio » ii4 Manuale della lingua italiana compilato da Francesco Am- brosoli con gli elementi dell' ortografia del Gherardini per uso delle Scuole del Sac. Hicolò Maggiore. Palermo tipografia e ler gatoria Lao e Roberti i836. Ferdinando Malvica » i3o In morte divine. Bellini Carme di Luigi Scovazzo. — Ferdi- nando Malvica » t'5'i Annunzi Scientifici. — Ferdinando Malvica » i3a Lettera dei Fondatori del Giornale 1' Italiano al Sig. Ferdi- nando Malvica in Palermo » i33 Studi di letteratura italiana del Canonico Giuseppe Borghi.» i6(i Sopra il monumento di Pio VII. scolpito dal Commendatore Alberto Thordwalsen — Lettera al eh. Sig. F. Malvica » 171 Vocabolario Universale di Tramater. Napoli 1829. 36. Lio- nard> Vigo » 180 Storia Napoletana dell'anno 1647. Scritta da Michele Bal- dacchini. Lugano i834. — Principe di Graiiatelli » i85 Necrologia per Monsignor Paolo di Giovanni. — ■ M. Amari » 187 In onore di Enrichetta Ventimiglia Moiicada Duchessa di Ser- radifalco. — Iscrizioni funebri di Ferdinando Malvica >> 190 \' Italiano Giornale letterario, che si stampa a Parigi. Prospetto » 199 Ricordi agli scrittori nel Giornale 1' Italiano » ao5 Annunzio tipografico pei commentari della rivoluzione francese scritti da Lazzaro Papi che si stampano in Lucca.. » ao5 Bibliografia Siciliana, \ „ „ » 206 s^aissrtssa^ias s il^ssmìimi PER LA SICILIA TOMO XV— ANNO V. Aprile Maggio Giugno i836i TIPOGRAFIA TOMMASO GRAFFEO I83G. IC EFFEMERIDI SCIEISTIFICHE E LETTERAEIE PER LA SICIUA Num. 4f, — Aprile 18 36, PARTE PRIMA SCIENZE Lezioni dì Logica e Metafìsica ad uso della B. U- nìversità di Napoli^ del Pr. Barone Pasquale Gal- luppì da Tropea. Napoli voi. 4 ^^• La filosofia attuale più modesta perchè più illuminata, tenendosi lungi da questi sco- gli , si ristringe ad osservare i fenomeni che contemporaneamente succedono uel- l'animo e nel corpo, li riduce a capi ge- nerali , onde agevolarne la cognizione e confessa candidamente di non saperli spie- gare. GiojA. Ideologia voi. i. ARTICOLO P Se vogliamo prùfondamente osservare la natura e co- noscerne le lessi , se con occliio veramente filosofico amiamo scrutinare le operazioni fisiche e i ienomeni d'intelligenza , sostiamo il pie dove non penetrano i sensi nostri , ne ci abbandoniamo a vane speculazioni per ispiegare gli efletti naturali- Non è più quel tem- po che per entro al proprio gabinetto interrogavasi la natura: ad una maniera vaga e indeterminata di ragio- nare e d'immaginare e stato sostituiti) il latto, l'osser- 4 SCIENZE vazione, l'csperienzn, clie cQngiutiti*àcl lin retto eserci- rlo delle facoltà iutellcUuali sono l'unica nostra guitla nella 'lieon a della verità. « • ><»ri , f,, » '. ,r"^; \:j- La menlc dei luosoli o stata lungo tempo abbando- nata in balia delle ipotesi, delle chimere, del fanatismo e della superstizione: la filosofia co.nsislctte per dicias- sette secoli in un vano eergo di favellarCj e più in dia- lettica scolasHca che 'Tn\ ragionamenti fesa tti era riposta. Cartesio lullo solo col-suo intelletto gitta a terra l' e- dificio aristotelico ,^9ÌQglie il pregiudizio dell'autorità che da lunga pezza dominava le iscùole, e prepara la strada alla grande rigenerazione filosolica. Ma le sue dottrine perchè molto^ sapeano di soggettivo e di onto- logia teologica che siri dalla fondazione del cristianesi- ii\o ^educea la mente degli uomini, erano ben lungi da ài\g' pjiìicipj sperimentali che le moderne scuole han satóioniitò; talché sì resero poscia celcljri le vedute in Dio di Malebrarich^, l'armonia prestabilita di Leibnitz, e alti-ettali ghiribizzi, del sistema cartesiano. Bacone da yjqi^ilamLQ trae gli spiriti a m,iglior sentiero e offre al ■mondo una delle produzioni migliori dell'ingegno uma- no , l'organo dèlie scienze. Giovanni Locke comparve nel secolo trapassato a dominare le scuole, qual sole dioipo ' néra p'roccìlcl, C';primiero 'fondatore del sistema speriftieutale, pone,Je basi d' un'altra fdosofia. La sem- plicità del metodo tutto sperimentale , la fortezza dei principj, la voce dell'Enciclopedia francese, e la prote- zione di Federico II di Prussia rcscr tosto in Europa (^(VnVimb ìa dottrina del Locke. Condillac in Francia ed Iluméi'ln Inghilterra abbracciarono le vedute di lui, l'e- slesorò vieppiù , ma F amplificazione che eglino fecero di tai pvincipj, e le conseguenze che ne dedussero dannò origitiè ad opposti principi che legittimamente n' ema- riano ; perocché la statua del primo, e la causalità lieat^ a tutte le umane discipiline; Elvezio ed Holbac l'estesero SCf^NZE 5 sino alla morale, Montesquieu alla legislazione. Condor- cet e Mably alla politica, Volney alla storia, Dnmar- sais alla granimatica. In mezzo a tale rivoluzione afllic- ciossi Cabanis co' suoi Rapporti^ e tutto stabilendo es- ser fisico, e dal fisico procedere ogni. fenomeno, va più oltre del semplice dubbio che il suo maestro avea pro- posto sulla possibilità di potersi concedere da Dio a (fualche ammasso di materia, a ciò destinato, la potenza di apprendere e di pensare; e confessando apertamente che le leggi del pensiere si confondono con quelle della materia in generale e alla stessa sono inerenti, ])one il fondamento d'un vero materialismo. Il conte Destutt de Tracy, discepolo del Gondillac, ne estese le vedute, e of- frì al pubblico la sua logica , di cui un volume altro non insegna che pensare e sentire. Gali colla sua cra- nioscopia porge clementi al progresso del sensualismo , luttocchè poscia nelle sue Anotomie et Phjsiologie da cerveait faccia protesta di fede, per un principio spiri- tuale pensante. Il secolo tutto insomma estendendo a più non posso lo sperimentalismo, non proclamava che ma- teria , non studiava che fisico, I sostenitori della reli- gione veggendo che i principj del filosofo inglese am- piamente estesi interessavano la morale, e la dominati- ca , fulminavano contro sì fatti filosofi , e chiamavano la teoria Lockiana, della sensazione e dell'orig^ine delle idee, mero sensualismo; che ignari essi del rapporto re- ciproco e dell' influenza del cervello sul morale nulla consideravano la condizione materiale dell'intendimento, e mossi da uno spirito avverso alla verità che sovente suole trovarsi nel mezzo dei partiti , tutto all' anima concedevano, e vi fu chi pervenne ad attribuirle le fi- siologiche funzioni del corpo umano. In tale stato di cose impresero taluni a riporre m campo gli avanzi delle cartesiane dottrine, e si diero- no a rimediare al caos, che lor parca di vedere innan- zi, e volendo ciascuno rovesciare il materialismo, Reid colla sua scuola introduce una via di mezzo ; ma la 6 SCIENZE sua riforma fu ristretta , e le sue dottrine molto pure sapeano di trascendentale. Egli esaminando la dottrina di Hume sulla causalità ammise che l'idea d'una con- nessione necessaria fra la modificazione e la sostanza fra la causa e l'effetto è in noi a priori e che tale i- dea è in noi necessaria per formare un giudizio speri- mentale. Comparso dappoi Emmanuele Kant in Àie- magna tenta di porre in filosofia una generale riforma, e correndo dietro all'uno e all'altro sistema volle conciliare 1 due partiti, ma tedesco di nazione e allevato alla te- desca filosofia , la quale giusta il bel detto del Nicco- lini è vaga di ciò che all' esperienza ripugna e che nella sua rigida sterilità non mai co' sensi maritasi al mondo , studiando e Condillac e Leibnizio , e Hu- me e Reid si precipitò in uno assoluto e rigido trascen- dentalismo. Tutto da esso riponendosi nella potenza dell' intelletto , e ogni conoscenza credendosi venire in noi dal soggetto , sembra da' suoi principi che 1' espe- rienza sia posteriore alle vedute intellettuali, anzi che le conoscenze oggettive nascano perchè eistono nel pen- siero le idee e i giudizj a priori, non che i varj sensi e l'esperienza siano la fonte delle umane cognizioni. Tutto nel criticismo di lui tu vedi entro al tuo spirito, non si tratta che di giudizj analitici e sintetici a priori, di leggi empiriche e subbiettive a" un tempo: e se un geometra, per atto di esempio , asserisce che la linea retta è la più breve di tutte quelle che possono trarsi fra due punti , il fa perchè vede questo principio a priori nel suo intelletto prima di poterlo verificare coU'esperienza. Appena apparve si fatta dottrina posta in campo da un genio grande bensì, ma pronto a sublimarsi e a vola- tilizzarsi, che tutti i dotti di Germania, ove la filoso- fia fa setta come presso gli antichi, ne furon sedotti e lusingati , sicché oggigiorno ivi il criticismo di Kant, per dirla col Tracy (i), si professa come lo è la dot- (0 De la Melhaphysìque de Kant. Mcm. de l'Institut. de Frauce. SCIENZE 7 trina teologica di Gesù, di Maometto, di Brama, e si è Kalitista come un tempo erasi Platonico , indi Sco- tista, Tomista, e come nel secolo XVII noi eravamo car- tesiani. In Italia Kant fu rigettato e; aspramente vili- peso, perchè contrario alle dottrine sperimentali che il Bini, il Pozzi, il Compagnoni, il Gioja hanno insegna- te; tanto più che l'ombra tenebrosa in cui involti era- no i suoi dommi era per ognuno un mistero: Kant si presentò alla Germania involto in una nube di paro- le scientifiche j e dapprima eccitò la sorpresa^ poscia, V adorazione. In Italia prima di piegare il ginocchio si vuol vedere l'idolo in faccia: io ricuso dunque di fare in questo scritto ulteriori parole di Kant , e ri- peto fìat lux (i). Volendo il citato filosofo di Koonlsberg conciliare i partiti, e bandire i sistemi esclusivi e assoluti precipi- tossi in un'altro estremo e die al mondo il trascenden- talismo il più curioso, e alla filosofia l'aspetto il più mi- stico e soprannaturale ; pari all' illustre Laromiguiere che volendo rovesciare il sensualismo del Condillac, e togliere alla sensazione il giuoco che quel filosofo le facea godere nella genesi delle facoltà dell' anima , vi sostituì invece un'altro sistema similmente esclusivo, e un'altra parola, l'attenzione. I Francesi mal paghi di Kant e amando oppor fronte al sensualismo che ne' lo- ro dipartimenti ovunque circolava , impresero un' altra riforma, il cui scopo se fosse stato diretto con indiffe- renza verso ogni sistema avrebbe avuto conseguitnento. Degerando e Laromiguiere comechè dapprima seguaci del Condillac tentarono poi di battere una via interme- dia: altri molti il fecero parimenti. Ecco l'eccleticismo che volle conciliare Kant con locke, la scuola scozzese colla tedesca. Affin di tocliere osrni controversia volle- ro imitare le api che succhiano l'umor da ogni canto, (i) Gioja Ideologia ari. i cap. i voi.- i. 8 SCIENZE e seguirono la voce ecclelicismo, le cui dottrine consi-^ s'ono nei non disprezzare qualunque opinione, nell'esa-^ minarle , nello scene il vero, il buono, e rigettare il falso. Capo-scuola di tale procedere si fé indi Victor Cousin, che ravvivando il suo intelletto anima i suoi compatriotti a seguire la riforma, e si eresse con ciò nella storia filosofica un posto degno del suo nom* e delle opere sue. A un tratto i dotti ne trombarono i ■principi, e varj scrittori l'applicarono alle scienze. Ma il moderno eccleticismo par che abbia seguito un po' dap- presso nel suo procedere quello de' Greci, il cui cori- feo Zenone divenne finalmente capo della setta la più insulsa e la più fanatica che fosse comparsa al mondo- Molto discernimento in vero trovasi nelle opere loro , e sagaci considerazioni rinvengonsi nella scelta delle dot- trine , ma trovasi al tempo ' stesso un insieme di cose per se contrarie, e disparate che di unità manca e di ar- monia. Lo spirito eclettico è mestieri in colui che ami rintracciare la verità e studia per conseguirla : ma ri- porre non si dee nell" impasto di varie dottrine e nel- r aggregato di sistemi opposti e dispqrati. Cosa fecero infatti i moderni ecclettici? imitarono il Kant nella di- stinzione degli elementi subbiettivi ed obbiettivi, neces- sari e contingenti del nostro pensiero, ed estesero viep- più i principi della filosofia soggettiva e speculativa. L'Italia sinora sperimentale e seguace delle massime condillachiane, malgrado l'alta voce di quel sublime in- gegno di Gian-Domenico Romagnosi, di cui si compian- ge la perdita, sentì il peso della riforma adoperata dalla scuola novella. Sì fatto eccletticismo sembra di aver voluto introdurre fra noi Pasquale Galujipi, ragionatore profondo. A tal uopo egli ha pubblicato varie opere , fra le quali merita il ]3rimo rango il suo Saggio filo- sofico sulla critica, delle conoscenze pubblicalo in Mes- sina. Chianiato indi a leggere filosofia nella R. Univer- sità di Napoli ha fatto di pubi^lica ragione un corso di fjezioni (li Logica e Metafisica ad uso di qucll^ scuo- SCIENZE 9 la; nel quale ha trasfuso tutte le dottrine che nelle o- pere antecedenti avea annunziate. Osservando che tutte le conoscenze nostre venir non possono dalla mera sen- sazione, e che parecchie derivano dal fondo istesso del- l' animo, ha tenuto una via di mezzo fra ambi i par- tili ; talché la sua filosofia è oggettiva e soggettiva a un tempo. Noi che siamo oggi chiamati a discutere in questo Giornale le dottrine del Galluppi, e su i limili de' due sistemi , procureremo di conciliare alla me - gìio in poche parole il caos delle disparate idee che agitano il mondo filosofico. Giovanni Locke avea detto che tutte le nostre co- gnizioni vengono dai sensi e dalla riflessione, e combattè completamente la teoria cartesiana delle idee innate. I seguaci di Leibnitz tacciarono di errore la dottrina lo- ckiana dell'origine delle idpe, e sostennero che varie co-, noscenze in noi vengono dal soggetto, e sono puramente speculative. I sensualisti all'incontro facendo derivare tulle le umane facoltà dalla sensazione trasformata, tol- sero di mezzo la riflessione, cui considerarono qual mo- dificazione della sensazione medesima, e conchiusero che tutto è in noi sentire. Alla compaisa del criticismo, clie fece a suo modo la statistica della ragione, si avvidero taluni, che molte idee sono estranee alf esperienza ester- na, e dissero ch'esse in noi nascono dal soggetto, sono conoscenze che l'anima concepisce fuori d'ogni esperien- za. In tal novero posero gli ecclettici le idee di unità ^ moltiplicità, rapporto, sostanza, identità, diversità, tem- po, spazio, infinito ec. Ora l'idea dell'unità e del mol- tiplice in prima origine nasce almeno nel mio pensiere da' sensi esterni: essa non è innata come voleva Fene- lon, uè subbiettiva per l'intero come opina il Gallup- pi. Sentendo un corpo, toccando, a cagion d'esempio, una palla, la sento circoscritta e terminata per ogni la^ lo da uno spazio libero ; questa mi dà l' idea di palla una, quindi dell'uno; moltiplicata questa palla per \\\\ numero vario ho io l'idea del moltiplice. L'argomento IO SCIENZE che adduce il Galluppi in contrario, Qssirt che, ogni cor- po essendo composto di parti non può darci l'idea del- l'unità è superficiale, perocché tal corpo si suppone al- lora unico , ne lo spirito pigliasi in quel momento la briga d'investigare il numero delle particelle elementari che il compongono. Quanto all'idea del rapporto egli è vero che procede da un atto dello spirito, che dicesi pa- ragone, e che pensando che il quadrato dell' ipotenusa è uguale a quello de' cateti ho un' idea d' un rapporto d'uguaglianza, che ho acquistato dal paragone de' qua- drati; ma i mezzi ond'io ho . conosciuto il quadrato del- l'ipotenusa e de' cateti sono state le figure, le quali mi si sono offerte alla mente da' sensi esterni, e l'atto dello spirito che ne vede i rapporti, prova che tale idea non è unicamente subbiettiva , e che le umane cognizioni provengono da' sensi e dalla riflessione. Lo stesso ac- cade delle idee di sostanza, identità, diversità. Una co- sa qualsivoglia che abbia reale esistenza ci dà l'idea di sostanza, e primachè si avesse conoscenza d'un di fiiori non possiamo avere conscienza del nostro essere, e non possiamo avere l'idea di quella, la quale supjione ezian- dio quelle di esistenza. Il vedere un'oggetto simile nella sua fiarma e nelle sue circostanze, e sempre l'istesso ne più ne meno, oppure il contrario, induce quelle d'iden- tità e di diversità. Lo stesso dicasi delle altre idee vo- lute soggettive dalla scuola eclettica. La sensazione dà lo spazio , la riflessione il tempo. Esaminato a fondo lo sviluppo dell'/o, e dell'intendimento, di leggieri com- prendesi da chi non ha mente vaporata da sistemi, che esperienza è la prima fonte delle umane cognizioni, e che la riflessione è madre ulteriore di molte idee; sic- ché la dottrina di Locke sembra inconcussa, e in altri termini quasi analoga a quella del Cousin e del Gal- luppi. Tanto è vero che spesso si quistiona per un sen- so equivoco delle voci, mentre in sostanza si dice ri- stesse. Se i filosofi avessero posto mente alla dottrina lockiana intorno all'origine delle idee, non si sarebbero ( SCIENZE 1 1 continuate lungo tempo le fiere dispute che hanno in- darno agitato r impero della filosofìa. L' anima umana è in principio di sua relazione una tavola rasa, la co- municazione cogli obbietti esterni è quella che le pre- sta il materiale delle sue cognizioni. In essa debbonsi distinguere facoltà e azioni: quelle esistono prima del- l'esperienza, perchè sono 1' attitudine del soggetto pen- sante ad essere modificato, queste costituiscono l'espe- rienza, e il pensiere islesso. Il Galluppi distingue due sorte d' idee e di giudizj , empirici o sperimentali , e puri o a priori', donde fa sca- turire la divisione della logica in pura e mista, poiché tutte le scienze sperimentali sono un complesro di giu- dizj puri e sperimentali. Secondo lui il giudizio due quantità uguali ad una terza sono uguali fra di esse è puro, a priori^ necessario. Io però osservo che senza l'os- servazione sperimentale non si saprebbe concepire un così fatto giudizio, e ciò che detto abbiamo più sopra è da applicarsi pure in questo luogo. In fondo, tutloc- clìè la riflessione del Locke abbiasi voluto bandire, e le si abbia voluto gittare addosso la croce, in altro cer- chio di parole e di spiegazioni viene a piegarsi il fron- te innanzi a quel sublime filosofo. Solo avrei voluto che il sig. Galluppi avesse bandito la denominazione a priori che gli è troppo cara, perocché inciampar si potrebbe in qualche incongruenza del criticismo. Con- chiudo collo stesso che non si danno scienze puramen- te sperimentali ed empiriche: dagli sperimenti si trag- gono illazioni e si stabiliscono leggi generali: la deno- minazione di scienze puramente empiriche è falsa; la fisica, la chimica sono miste. Noi sentiamo nel pensiere, giudichiamo col pensiere, conosciamo il mondo esteriore col pensiere , ma non dobbiamo crederlo indipendente per dar luogo all' ide- alismo, ne prenderlo pel solo mondo reale, come Kant fece, uè tampoco asserire col Fichte che Dio non è se non se il soggello medesimo del pensiere coucepilo come assoluto, per cui ciascun di noi sarebbe Iddio, l4 SCIENZE Il metodo non debb' essere ne speri meri lalene sub- biettivo assoluto. Si debbc partire dal fatto e dai ca- ratteri reali de' fatti, ma il metodo sperimentale solo, dico col Coiisin, non i^iò condurre ad altro, che alla conoscenza di ciò che fu senza sapersi perchè fu ed è stato così; in guisa che la riunione de' due metodi, il metodo ecclcttico è l' uuica guida vera e sicura nella ricerca della verità. Questo è il metodo seguito dallo illustre fdosofo di Tropea nelle sue ricerche. L'analisi e r induzione sono mai sempre la scorta del vero filo- sofo, e con esse si può camminar diritto nell'oscuro sentiero delle scienze. Il metodo analitico è nella na- tura istessa del pensiere: l' ideologo che voglia decom- porre l'intendimento e scrutinarne i modi, esamina dap- prima i raziocinj che sono il noto, e indi i giudizj, le idee le sensazioni; il geometra che ama presentare la cognizio- ne del solido invece d'incominciare dal punto, ch'c lo ignoto per giungere mano mano sino al nolo, traccia un' ordine inverso e più regolare, offre a prima giunta il solido, lo definisce , ne risguarda le dimenzioni in lunghezza larghezza profondità, passa alla linea , e la decompone nel punto, il quale col suo prolungamento la costituisce e la forma. Il chimico che tenta di co- noscere la composizione d'un corpo, il decompone nei suoi elementi e ne ossei*va le sostanze che il compo- neano: se procedesse colla sintesi sarebbe imbarazzato in mezzo alla via che fosse mestieri di toccai'O. L'ana- lisi è confacente alla natura istessa delle cose , all' in- dole dello spirito, a' progressi delle scienze: con tal mez- zo si sono perfezionate le scienze naturali, estese le conoscenze, e con esso ha progredito 1' andamento dello spirito umano. Lodiamo il Galluppi clie T ha altamente proclamato, ha mostrato le bellezze, e V ha seguito a ciascuna pagina delle sue egregie produzioni. Cade qui in acconcio il declamare contro quei pedanti maestii, se pur di tal nome sian degni, i quali ignari del chia- ro soie, che illumina il secolo, in cui vivianto, mettono SCIENZE r3 ancofa in vatj luoghi dell'isola nostra fra le mani della gioventù la rancida e scolastica opera delle Storchenau, e in vece di far conoscere agli allievi lo stato attuale della filosofia, le vicende che ha ella sofferto , e farli progredire con lei, li fan piuttosto retrocedere a un se- colo e li confinano nel bujo dello scolasticismo. Il sistema psicologico delle facoltà intellettuali che l'egregio autore ha saputo presentare all' ideologia sem- Lrami, com'egli stesso confessa, il più esatto e il più confacente alla natura dello spirito. La sensibilità e la conscienza presentano i materiali, l'analisi decompone, la sintesi compone, l'imaginazione riproduce l'idea, l'a- nalisi la soccorre, la volontà dirigge tutte le operazio- ni dell'anima; essa è determinata dall'appetito: ecco in un colpo d'occhio il sistema luminoso di questo som- mo Ideologo. Sebbene varie sieno le operazioni dello spirito, lutte però si confondono in una facoltà generale, che diversamente modificata le determina e le appalesa. Noi possiam far uso di questi modi di esprimersi, dice l'illustro Gioja, senza impegnarci a realmente ricono- scere nell' animo facoltà diverse, come quando parlia- mo del correre e del' saltare, dello scendere e del salire, del passo regolare e irregolare non intendiamo di accennare diverse gambe (v); H nostro Filosofo tuttoché sembra essersi apertamente dichiarato contrario nelle sue prime istituzioni, pure cangiò parere in sua lettera al Prof* Longo da Catania (2), e volle che la potenza genera- •le sia la sintesi. Se il procedere di essa consiste nel- l'agregare, unire, giudicare, quella di analisi, di vole- re, di sentire non jiossono alla stessa appartenere né dipenderne. Io non dico che tutte siano la sensazione • trasformata; ella è un atto, e non potenza. Tutte le no- >stre idee e tutte le nostre conoscenze in prima sorgente (i) Gioja Elemeti'i di filosofia voi. i. s. i. e. iv. ('/) Giornale di Scienze Lettere e Arti per la Sicilia. r4 SCIENZE vengono dai sensi, i quali sono la sorgente feconda del no- stro intendimento, e i motori della nostra volontà. Ma nella statua metafisica sol si mettono in azione le facoltà già preesistenti, non tale azione crea le facoltà. L'anima umana, quantunque semplice e spirituale, non può du- rante la sua dimora nel corpo pensare senza il soccor- so dell' encefalo, il quale è la condizione materiale del- l'intelligenza, e morto questo o impedita la sua nor- male maniera di vivere, l'anima perde ogni conscienza de' suoi pensieri. Quindi la sensibilità variamente mo- dificata sembra essere la potenza generale, e costituire la natura dell' intendimento. Se la cranioscopia, mero ghiribizzo, nelle sue minute e singolari applicazioni, in modo generale risguardata, sembra conforme al piano della natura e all'osservazione, allora li sola sensibi- lità è delle facoltà enceraoniche 1' assoluta sorgente. U mio pensamento è ben lontano dal sensualismo attuale del Condillac, dell'Elvezio, del Tracy, del Cabanis ec. La sensazione in atto non genera le facoltà, ne tampoco trasformata; queste non corrispondono alla pura sensazio- ne, ma ricevono lor nascimento dalla sensibilità varia- mente modificata e trasformata. Indarno Laromiguiere bandì la sensibilità, perchè passiva, dal novero delle fa- coltà intellettuali , poiché ella è una proprietà attiva per la quale ci mettiamo in rapporto immediato col mondo esteriore; indarno Gian-Giacomo contrastar volle il principio deW Esprit^ adducendo che se l'intendi- mento fosse sentire, noi dovremmo percepir le cose tali quali sono lungi da qualunque illusione; questa nasce dalla facoltà istessa messa in giuoco. Al giudizio anco- ra non è necessaria sempre la decisione della conve- nienza o discrepanza, come si vuole contro Locke e la scuola di lui: quanti giudizj non nascono dalla pura sensazione, primachè le altre operazioni dell' animo vi abbiano la menoma parte! quanti non ne facciamo su- gli obbietti esteriori, lungi dalle combinazioni veramen- te sintetiche nel senso che si attacca a questa voce ! SCIENZE J5 e quante catene dì giudizj e di raiiocinj senza assenso e senza conscienza attuale non tracciamo ne' sogni, sic- come ognuno consultando il suo io ne fa indubitata fe- de contro Dugald-Stewart e il Sig. Galluppi, che l'a- nalisi e la sintesi vogliono ne' sogni interamente sospe- se. Richiamiamo a tal proposito la esatta classificazio- ne che il Degerando ha presentato alla moderna I- deologia, cioè di giudizj volontarj, che risultano dal- le operazioni della meditazione, e di giudizj meccani- ci dipendènti dall'associazione delle diverse percezioni, cioè di quella della sensazione del me, e dell'oggetto sen- tito, che giudizj di evidenza per suddivisione gli ha pu- re addimandati. Le facoltà dello spirito sebbene in ap- parenza distinte, e tali debbano nell'ideologia esplorar- si, non sctepre disgiuntamente esercitano le loro fun- zioni, anzi operando concorrono insieme e scambievol- mente si legano; e il comun legame delle stesse in modo da confondersi spesso fra loro, è un indizio manifesto di lor comunione di origina e di natura. Nec est quod quis isiud mireiUT, son voci dèlio Storchenau , facidiates enim mentis nostrae quamvis separatim cacplicari in ■philosophia debeant, non tamen semper etiam se or- sum operationes exercant, sed ut pliirìmum in ope- rando concurrunt et consociantur (i). A ciò pur sem- bra alludere 1' esimio cantor de' Sepolcri, allorché nei suoi saggi sul Petrarca scrisse, che ne' versi afiche più armoniosi, noìi v' ha poesia, se non isvegliano quella fiamma che ti rapisce, quell' esquisìto titillamento di diletto, che sorge dalla facile e simultanea agitazio- ne di tutte le nostre facoltà (i). La divisione gene- rale delle umane cognizioni non può avere per base la separazione reale delle facoltà, come hanno opinato Ba- cone e d' Alembert, ne la divisione apparente delle fa- (i) Psych, p. 5. s. T. m. it. c. ii, (a) Foscolo. Saggi sul Petrarca, iv. l6 SCIENZE colta ricluecle la divisione reale delle medesime. Pre- tendere che le operazioni dell' intelletto nascano dalla sensibiltà trasformata, non cade sotto il rimproccio di materialismo, siccome riguardo al sistema condillachiano Laromiguiere e Salladrouze han saggiamente giustificato. Luigi Castellana. Sopra una forma singolare del morbo ftlrìusico Me- moria del Dr. Giusepp-Antonio Galvagnl socio del- l' accademia Gioenia. Catania. >i 83é efi. ■. Spesso spesso animali viventi nell'organismo dell'uo- mo si sviluppano crescono si nutriscono. Questi esseri parassiti,.! vermi, si complicano con un gran numero di malatie, e suscitano mille forme variate di fenome- ni morbo!>i da illudere nella diagnosi i Pratici più bra- vi, ed istruiti. Si fu per ciò che dai Medici, e Natu- ralisti incominciò con tutta' cura, e attività a coltivarsi lo studio dell'Elmintologia, che oggi molto di lustro à acquistato merce i travagli dei Blok, degli Andry, dei Van-Phelsum, de Werner, degli Ze.der, dei Brera, dei Rudolphi, dei Bremser, e di tanti altri. Le specie di questi animali sono numerosissime , il loro numero va sempre piij gunientando, ne ormai conosciamo alcun ordine d'animali si ricco in ispecie, che al pardi que- sto siasi progressivamente ingrandito. I, Principi degli Elminlologi in fatti Rudolphi, e Bremser li fecero a- _ spendere aldi là di looo, meijtre nel 1767 Linneo non ne osservò che solo 1 1 specie; Gmelin nel 1 790 ne enumeiò 299, Zedcr nel i8o3 li portò sino a 391. Oltre a questi vermi che all'interno del corpo si so- no osservati si negl'intestini, che in allri organi, detti l)er ragione entozoarii , Virey (i) distingue altre i5 (0 Journal complim. du dlclionaire des Se. med. toin. l/j pag. 19J. SCIENZE _ ' 7 specie tl'cxlozarici, i quali alla jx-nfeiia esterna si at- taccano , ed accagionano ancora diversi malori , che il pratico uop'è ohe nou igiwri. La Itiriasi, detta a ragione orrenda da Gian Pietro Frank, da cui morì Ennio, Phitone, Filippo 2. Re di Spagna , Alfonso Re di Francia , Foucquau vesco- vo di INioyon, il Cardinale di Prato, Siila, Valerio Mas- simo, ed altri ragguardevoli personaggi , « da cui non pochi restarono vittima nell'epidemia di Verona verso ia metà (lei secolo XVII (i), non è doviila àie ad una strabocchevole produzione d'.extozoarii del genere pi- docchi, o altri insetti congeneri. E se raro |>er Iniona sorte è l'accadimento di tal morbo, rarissimo, assai sin-, golai-e, e nuovo ancora è quello ril-eiito dal Sig. Gal- vagni negli atti dell' accademia Gioe^iia di Catania, per essere a tipo cotidiano intermittente costituito , e da febbre peiiodica accompagnato , seidjene al Sig- Cha- zals è corsa una sola volta occasione d'averlo osservalo. Onde a buon dritto merita lattenzio'.ie dei pratici , ed a ragione ne fai;ciamo oggi j)eculiar ricordanza. w iM. L. d'età adulta, e a tem|oieramcnto sanguigno, » di statura piuttosto piccola-, ma robusto della perso- w na , dismodato Iievitor di vino , mangialor di carni » valentissimo, e -di malatti^e sempre immune, fuorohè » d'un urficaiia che raccendevasi sjkìsso spesso nei ta- M lori estivi, avendo inalato un'atmosfer^'i d'etlluvì mias- » matiei infi^sta, ammalò nel luglio dello scaduto anno » di febbre terzana perniciosa apoplettica, che tennelo » in foi-se di vita, e da che uè guari cogli antiper.c- M dici usati con sollecito ardimento uei fuggenti iuter-, w valli dell' oscuia intermit lenza. Frequenland) spesso w l'agro malefico, mentre usava i Ijagni a preservarsi w della molesta dermite, non stette guari la piressiì» a w riprodursi. In agosto intatti rabbrividato svil meri^Ì0( 3ri'..ili':' ^ <-f (1) Giovali Pietro Frank. Del nictoJo di curare W fnalàjtie dell'uomo voi. in. 11.' r8 SCIENZE >3 in tutta la cute venne preso da fcbbic, clic luiif^i ili » fendersi mortifera per profondo Ictaigo, come la iii- w nanzi soilérla , o di seguire intrigato tipo , vestì le » l'orme più semplici della periodicità, seguendo il li- M pò cotidiano. Costi luita come avvien sempre dalla >j frequènza dei battiti aiteriosi, da soffribile cefalalgia, » e da affezione leggiera a 11 'apparecchio gastrico, veni- » va però predistinta oltremodo dal morbo pcdicolare, y> dapoitlrè nei piimordì dell'incremento febbrile, pre- » corsa una piurigine molesta più o meno nelle varie » regioni dermiche, spiccavano fuori degl' insetti spon- « taneamente talvolta , e spesso spesso dopo immode- >5 rato grallìare svellendoli con difilcilezza e con fasti- )j dioso gemitio lo stesso infermo. >i Abbondavano fuor di modo però essi , alla regio- M ne esterna, ed interna dei femori, nelle appartenen- » ze dei lombi, ed in tutti gli arti superiori; Irequen- w lavano pure nelle parti laterali e postcìiori del tronco » toracico, vidersene vestigi alla regione sternale, e nei " dintorni della cervice, e mai nò alla faccia apparirono w o alla parte capiliata della testa. Ma la pullulazione " ftiriasica raggrandì vasi, come lo stadio del calore pro- '» ^rediva vieppiù nel suo andamento, e ad elevato li- y> vello saliva al periodo dell' ipersecrezione dermica. M Estinta la febbre per la legge immutabile della pe- " riodicità , e subentrato 1" intervallo dell' apiressia , » molcevasi l'ambascia pruriginosa, e V infermo intera- M mente ritranquillavasi; ne insetti più apparivano, ne >' col voluto soffi egamento, sino alla ricorrenza del nuo- » vo parosismo febbrile, che rinnovellava i precennati « fenomeni colla stessa successione. » Gadea, fra tanto il quarto giorno , da clie 1' egroto » fra questo avvicendamento in balìa languiva del mor- '> bo, ed era all'imniinuzione delle rinate molestie fri- » gorifiche mentre l'osservai per la prima volta; quan- » do tolta contezza dei minuti, e dei notevoli partico- M lari, dell'inattività dei crassi che tcnea chiuso il ven- SCIE.^ZE 19 w tri! da parccclii giorni, e delle lurl^zioni gastro-eu- >» tericlie, e della periodicità che vestiva la febbre , e » del suo aggrandinieuto sempre maggiore ad ogni nuo- 3> to ritorno clic alquanto antiveniva , e della ftiriasi 33 massimamente , che ne costituiva complicanza ter- >j rifica, ad ostare un male a sì precipitoso andamento >j e che potea rendersi degenere nel più infausto degli iì esiti, mi diedi a sodisfar sul momento la indicazione w lassativa; e dell'apiressia imminente tolsi profitto, per » la medicazione antiperiodica coi preparati di chinina. >j Così tutto avvenne, e sotto l'eroica potenza dell'usato M farmaco , i racccndimenti febjjrili venner fugati , la 3i moltiplicazione ftiriasica si esterminò, e l'infermo ratto y> asseguì completo guarimento ?j. L'A. dietro aver siiliittamentc esposta la storia del morbo, s'inoltra nell'arduo cammino delle discussioni in- torno la genesi di tali animali. E innanzi tratto ri- getta come false le teorie dogli antichi volendoli origi- nare chi dalla corruzione della carne, chi dalla altera- zione, dalla degenerazione, o dall'acredine dei fluidi, e chi in fine dal i'ermenlo o dalla putrefazione degli u- mori. Indi muove l' alta fjuestione agitata scmpremai dai medici, e naturalisti di tutte l'età. I vermi nascono spontaneamente nell'organismo, o entrano dal di fuori? L'A, si pronuncia a favoi'e della prima opinione. L' a- nalogia dei fatti per altri insetti , la formazione delle produzioni organiche, e viventi nei tessuti degli organi, la genesi spontanea delle idatidi, e quella degl'infusori, le teorie inconcludenti della generazione univoca, le au- torità dei primi elmintologi, tutto verge in favore djlla sua asserzione. Ed in vero, se conviensi, come riflette l'A. delle or- ganiche permutazioni, e delle produzioni viventi di cui può divenir sede l' elemento fibrinoso del sangue nello sviluppo delle idatidi, se pullulano gl'infusori nella ma- teria verde di Priestley, per un atto di generazione spou- 20 sar.xr.F. tanoa, secoiulo le osservazioni di Bory, e Ticvivnrivt';, se ])rocreansi molli esseri nella materia organica morta di Buflòn [)e.v gii sperimenti di Fi'ay, se si <• ammessa la generazione sponlauga per i lussi , i funghì ce. sic- come costa dalle osservazioni di Needham, Ingcnliouss, Monti , Muebler , Buidaeli ecc. lo slcsso ragion vuole clie si dica per i vermi die sviluppansi nell'oig.-uiismo dell'uomo. 1'^ rìallroadc essendo oggi dimostrata ralle- razione dei fluidi j)er Trousseau, Saucerotle, Larroque, Rostan, Dupuy, Gaspard, Roclioux, Datice ecc. non è inalagevol(' il credere che il temperameulo sanguigno , 1 abuso dei liijuori spiritosi, il regime al)iiualincnte ani- male, e l'esaltazioiie cutanea cui era soggetto Inifermo avessero alteralo il sangue, e questo ricco di principii organizzabili, e di forza plastica dotato sia stato capa- ce subire una misteriosa metamorfosi , e produrre lo sviluppo spontaneo degl'insetti ftiriasici. Dietro a\er provato la genesi primitiva di tali ani- mali, 1' A. si dichiara contrario all'opinione degli An- dry, Redi, Vallisnieri, Blok, Vau-Phelsum ed altri che sostengono avverarsi la produzione vermicolnrc per co- municazione esterna , ed ereditaria. Ed a convalidar vieppiù lopinione dell'A. diciamo che due sono le for- me di come possono introdursi in uovi o puic h(Mi foj- inati. Nell'uno dei casi la comunicazione non può suc- cedere che o per la via degli alimenti , delle bevande o dell'aria, o per quella tiella nutrizioiie del (èto ia seno della madre, della generazione o dell'allattameuto, il che pare impossibile. E bene, sia data questa comu- nicazione, entrino pure per qualsisiasi via vermi, ger- mi, ed uovi, e che per ciò? Do})biamo ammettere con Linneo , Unzer , Tissot, Gmelin , Schaellèr , Uahn , ed altri che i vermi stan- zianti nel corpo dell'uomo siano atjualici, o terrestri? o ])ure asserire con Jirera che i vermi sia d'acqua, sia di terra prendano la forma d'animali, lorchè nel nostro SCIENZE ^ ^ oroanisino vengono ad insinuarsi? E ancora dobbiamo afìermare con Roson che gli uovi dei vermi introdotti neHecou uTiia anlnrale vi si sviluppino, e vestano la for- ma di viscerali? I nuovi lumi della fisiologia dimostra- no la loro insussistenza. La natura sembra aver desti- nato ad ogni animale delle abitazioni proprie e ])art).- colari , fuoii delle (juali non potrebbero vivere. Se il distoma epatico annida nella cistifellea, lamulana sub- compressa nei Aasi linfatici, e nei ganglii, lo strongilo gigante nei reni, il pollstoraa nelFadipe deirovajo, los- siuro vermicolare nell'intestino retto, i gordili nei tessuti dei muscoli ecc. come mai i veinii acquatici^ o terrestri ])Osson vivere nel corpo umano, e molto più mular di forma? Come lo sviluppo dei loro uovi x>ossa cUeltuirsi iieirecononiia animale, sopportando impunemente i can- giamenti di temperatura, e quelli dell'azione gastrica, assorbente, e circolatoria? Ammettendo la generazione univoca resta al bujo la spiegazione di molti fenoineni patologici riferiti nella storia del morbo. Perchè gl'in- setti molesti avviandosi per la circolazione giunsero alla dermide solamente? Perchè non ne apparvero in altri organi , ne se ne osservarono tra le materie escreate? Perchè sviluppa- vansi al rinascere della febbre, e sparivano al declinar di essa? Esposte le sudelte riflessioni, l'A. scende al metodo curativo, e da saggio pratico ha stimato opportuno sce- gliere i preparati di chinina, siccome i più sicuri a liangere il ritorno della nuova ricorrenza ftiriasica , e del nuovo parosismo febbrile. Usato allora l'eroico far- maco scomparve la febbre in una al morbo pedicolarc, che di giorno in giorno veniva a molestare l' infermo » né spiccò più un insetto, laddove non guari pria era- » ne la cute feconda scaturigine, e sembrava invermi- » nita >i. Ed a veder in sì breve tratto estinto simil morbo con ragione pur propone i ureparati di chinina in ogni 3 2 SCIENZE forma di ftiriasi, non ignaro die il più tlellc volte mo- strasi restia ai farmaci j)iù energici. In sifatta guisa il Dr. Galvagni in questa sua pregevo- lissima memoria , siccome in tutti gli altri suoi lavori scientifici , dà chiara mostra di vaste conoscenze , e di elevata intelligenza. E se la sua memoria su di due infermità accagionate da corpi estranei addentrati nel- l'organismo, e venute a buon fine per la loro espulsio- ne meritò di essere inserita nella gazzetta medica di Parigi, mese di dicembre, anno i833, se le sue memo- rie sui mostri meritarono i più distinti plausi nel seno della Francia da quel sommo di Stefano Geollroy-Saint- , Hilaire, e che Isidoro Geoflioy-Saint-Hilaire ne inserirà un estratto, e ne rimarcherà l'interesse nella sua clas- sica opera sull'istoria delle anomalie dell'organizzazione, e se non pochi elogi hanno ritratto le altre sue me- morie dal giornale del gabinetto letterario di (Catania , da quello dellaccademia Gioenia, e si pure dal nostro giornale medico diretto dal Sig. Algeri-Fogliani, merita ancora l'approvazione dei cultori della medicina que- sta sua memoria sopra una forma singolare del morbo ftiriasico , ove acquistasi dalla scienza una nuova va- rietà di piressia periodica detta dall'autore febbre inter- mittente coniitata ftiriasica. Antomo Ferrara. VoMioPATiA IN SICILIA —colla lettera officiale della R. Accademia di Medicina di Parigi in risposta al Ministro relativamente a tale sistema. Recava meraviglia , come la Sicilia , questa terra pur troppo facile a far buon viso al primo arrivato , questa volta avesse saputo preservarsi dai funesti assalti della fantastica , e delirante medicina omiopaticii , che tanto danno, e tanto scisma recato aveva sin dal 1824 SCIENZE 2^ nella vicina Napoli: e a dir vero tiannc le notizie isto- riche delle vicende, che tale sistema aveva sofferto, e faceva soffrire in alcuni paesi dell' Europa , del resto niun medico siciliano , o quasi niuno, ne conosceva il vero spirito, Epperò le speranze dei buoni restaron de- luse ; il contagio omiopatico oltrepassando il faro ap- portò i suoi [)rimi guasti in Messina , da dove propa- gandosi sino a Palermo , assalì con violenza taluni fra quei medici, che amano vender vesciche per lanterne. Ma grazie al sommo Dio di lì^pidauro corre già il ter- zo anno , ed il male pare limitalo in quei quattro o cinque tapini, che primi furono a soflrirlo. E siccome i loro sforzi son deboli e vani, perche di vano, e de- bole intelletto, per loro mala sorte, sono essi forniti, così avvi ogni ragione a credere che le cose restino là ove si vedono, ne vadano avanti. Vero è che da costoro si promette ora un Giornale eh' essi vogliono appellare Archivi omiopatici : ma se- renati , o saggio Ippocratico , questo giornale avrà la sventura dei suoi fratelli ; esso morirà in sul nascere ; perchè in sul nascer muoiono i mostri acefali; ricordati che in Napoli , in Germania , ed in tutti i paesi, ove tale sistema è arrivato , esso qual meteora è pronta- mente scomparso ; ricordati che anche l' Accademia di Medicina di Parigi ha scagliato la sua anatema contro l'omiopatia: il perchè vogliamo ora, per farti cosa gra- ta, presentarti una fedele traduzione della Lettera offi- ciale (i), che tale Accademia in marzo i835, fece al Ministro, allorquando fu da costui interrogata a dare il suo parere sulla domanda che gli omiopatisti di Parigi avanzato avevano di aprire alcuni dispensari (2), non che un'ospedale omiopatico. X. Y. (1) V. Journ. Hebdomedaire i835 T. 2 p. gS. (4) I dispensari sono in Inghilterra, ed in Francia alcune sale, o stabilicnenti ove si danno gratuite consultazioni , e giatuili ri- medi. ^4 SriEN'ZK SfGxoR Ministro, L'oniiopatia, clic in questo momenfo vi si vuol dare siccome una novità e clic vorrebbe vestirne i prestigi, non è mica una cosa nuova, uè per la scienza, ne per l'arte. — Son più di venticinque anni, die questo siste- ma va errando qua e là; dapprima in Alcmagna, indi in Prussia; più tardi in Italia, ed ora in Francia cer- cando ovunque , e ovunque indarno, diulrodursi nella medicina. L'accademia ne ha fatlo più di una voi la oggetto di sue lunghe discussioni ; e pochi alcerto sono i suoi membri, che non ne abbian più o meno seriamente ap- profondito le basi, il corso, i processi, gli effetti. Appo noi, siccome altrove, l'omiopatia è stata pria di tutto sottoposta ai rigorosi metodi della logica , la quale sin dal primo istante vi ha scoperto un' infinità di argomenti formalmente opposti alle verità le })iù fon- date, un gran numero di sd'ontate contraddizioni di pal- pabili assurdità; circostanze, che sebbene agli occhi de- gli uomini illuminati sian bastevoli a fare inevitabil- mente cadere ogni falso sistema, pure non sono sempre un'ostacolo bastevole alla credulità della moltitudine. Appo noi, siccome altrove, l'omiopatia ha subito la prova della investigazione dei fatti, essa è stata nel cro- giuolo della esperienza ; e appo noi , siccome altrove , l'osservazione fedelmente interrogata ha fornito le rispo- ste le più categoriche, le più severe ; che se si preco- nizza qualche esempio di guarigione avuto nel corso di una cura omiopatica , ciò dee attribuirsi da una parte alla preoccupazione di una facile immaginazione, e dal- l'altra alle forze medicalrici dell'organismo. Allo incon- tro l'osservazione ha sanzionato i pericoli mortali, che un tal sistema arreca in quei casi frequenti e gravi dell' arte nostra , in cui il medico non solo opra male quando agisce in controsenso, ma benanche quando nulla agisce. SCIENZE *^ La ragione e l'osperieuza son dunque d'accordo nel respingere con tutte le forze della intelligenza il siste- ma oniiopatico, e nel suggerirci di abbandonarlo inte- ramente a se stesso, ed ai suoi propri mezzi. Per lo bene della veiità non die per lo proprio van- taggio i sistemi, specialmente in fatto di medicina, non -vogliono essere ne combattuti, ne difesi, uè persegui- tati, ne protetti dal Governo. Una sana logica è la loro })lù sicura indagatrice ; i loro giudici naturali sono i fatti; la loro più infallibile pietra di paragone è lespe- rienza. È forza dunque di abbandonarli alla libera a- zione del tempo, arbitro sovrano di tali materie ; esso solo fa giustizia delle vane teorie; esso solo colloca sta- bilmente nella scienza quelle verità , che debbono co- stituirne il dominio. Al che aggiungiamo che la previ- denza, da cui dipende la saggezza di ogni pubblica am- ministrazione comanda imperiosamente siflàtta determi- nazione. Tutti conosciamo oggigiorno, il fallace impero dei si- stemi precedenti; cerchiamo quindi di prevederne, e di calcolarne le conseguenze in quello di cui è parola. Se per avventura si accorderanno all'omiopatia e di- spensari ed ospedali; noi non tarderemo ad avere di- spensari ed ospedali per lo mesmerismo, per lo brow- nianismo, per lo magnetismo animale, non che per lutti i concepimenti della umana fantasia! Il Governo com- prenderà al par di noi le conseguenze di simile con- dotta. ^ Dietro tali considerazioni, e dietro tali motivi l'Ac- cademia stima , che il Governo debba rifiutare le do- mande indirizzategli in favore dell'omiopatia. 26 SCIEXZE Osservazioni sulla conversione delle rendite pubbliche di Giuseppe Ceva Grimaldi — Napoli tipografia Jlautina i836 un voi. in 1atrice), deesi principal- mente alla sua sapiente economia, ed agli sforzi gene- rosi di estinguere in pochi anni , ^enza ingiustizia , e senza veruna operazione che avesse menomalo il suo credito, tutti i suoi debiti, che a 128 milioni di dol- lari nel 18 16 ascendevano. A me poi sembra , se ben si penetri nello spirilo della quistione , che il principio as.-oluto di contrarre debiti sopra debiti nei bisogni di uno stalo, jenza che nel corso degli anni si fossero a quando a quando le- vate delle imposte, jier copiire le sj.ese sliao] dinaiie; o senza pensare a qualche altro rimedio ])iìi sano , e più cfìufacente alla necessità del momento , ha portato conseguenze intricate e dolorose. Imptniocchè da ciò avviene, come è avvenuto, che non potendosi i fruiti di questi debiti soddisfare , i Governi , costretti dalla imperiosa necessità di adempiere agli obblighi loro cari- cheranno or con un mezzo or con un altio il popolo di dazi ; polche alla fine dal popolo dee scaturire la vena per provvedere a tutti i bis(>gni dei governi: quin- di nasce che dopo il debito verrà raccrescin)ento del- l'imposta, e rimarrà luno e l'altra. Il Conte De La Borde nella sua bell'oliera dello spi- rito di associazione ce. attacca il Say nel quadro sinot- tico della diminuzione de' vaioli, avvenuta in un paese per gl'imprestiti, reputandosi al tolto consumato il la- pitale di questi imprestili meeesimi, i quali, secondo costui , non fruttano più nessuno interesse. Il De La Borde opina ch'ai sia caduto in errore, ed io partecipo nella sentenza tli lui. Impciciocdic se tjuesto inipn siilo sia stato fatto per creare una cosa produttiva, tale che un porlo, un canale, una strada , egli è utile alla so- cietà, come ogni altra anticipazione creata dnU'inlraprc- sa di un particolare : e la gravezza che gli è relativa ccs.sando mano mano, trovasi l'oggetto, che e servito a SCIENZE 4S produrre , acquisito allo stato. Oltredichè non scatesi interaiìieiile il peso della gravezza medesima ; poiché viene essa in parte soddisfatta dai vantaggi che la cosa creata va producendo. Non così per tult altro. \ olendo però noi consideiare quest'obbietto sotto altra veduta ^ egli è ceito che, nelle urgenze delle nazioni, siam co- stretti talvolta a pensare al modo di riparare ad infor- tunii violenti, che posson minacciare le iranchiggie o la indipendenza di quelle. : E qui ci giova ricordar pure il nostro esimio auto- re, il quale ha proclamato , con quella grave dottrina che gli è propria,' simiglianti principi, e ci ha dato la generosa spinta di scrivere queste parole , che la con- dizione dei nostri miserandi giorni, ci facea da più tem- po agitare nel pensiero. Noi siam di parere che se Guglielmo III, a cagiou d' esempio , non avesse in Inghilterra , per far fronte ai mali che lo premevano , contiatti tanti impresti, e creato il debito consolidato, che lia in progresso cagior nato gravi danni a tutti i popoli die l'imitarono, egli sarebbe pento, e la Gran Brettagna, che allora era scis- sa , ed in contrarie guise parteggiava , avrebbe forse perduto la sua liberta, la sua ii. dipendenza, la sua glo- ria. Vi sono dunque de' casi in cui è permesso il con- trarre debiti; ed ognun vede che quando la nostra pa- tria è minacciata dell'ultimo esterminio non vi ha uma- na politica, die possa biasimare le misure che si pren- dono per salvarla. Per le quali cose erronea mi è sempre parsa la sen- tenza dello SniilJi là dove, nella classica sua opera, si diede a sostenere che l'impresto, per una parte dell'an- nuale prodotto , viene speso e delapidato in un solo anno senza speranza di poterlo riprodurre giammai. I principi spinti alTestremo sono quasi sempre falla- ci. Lo Smith non riguardò la quistione che sotto una sola faccia; poiché ciò ch'egli asserì non si verifica in tutti i casi; e la sentenza di lui , ch'è vera per mille 44 SCIENZE lati, diviene erronea, perche* assoluta, ed al pubblico, senza eccezioni, piesenlata. Le eccezioni si osservano in tutte le umane cose, ed il filosofo non può ne dee ban- dirle , eh' elleno salvano spesso i popoli , e producono talvolta il trionfo negl'infortuni della vita. Ma il vero si è che gli eventi in cui è permesso il* contrarre debili sono pochi e straordinari , ed in ogni altra vicenda è mestieri sentir la ragione, e non but- tarsi alla scapestrata in assoluti principi ; poiché i de- biti, senza un preciso e polente bisogno, possono atten- tare, ed attentano diiiatfi, alla ^icure^za della patria. Il signor /7b/7m, direltore della banca nazionale au- striaca, da noi sopra citato , uomo di grandissima vi- vacità d'intelletto, scrisse una dissertazione sul commer- cio in carte di pubblico credito , nella quale mentre attacca debolmente lo Smith nella cennata sentenza, fa lunga e forte apologia dei prestiti degli stati, e dei de- biti . pubblici ; onde sostenere la base del suo com- mercio , e difendere le predilette sue carte. Qui nort ha luogo l'esame del suo libro, il quale per altro con- tiene delle buone cose; ma è d'uopo dire che gl'impre- sti possono essere soltanto difesi negli accideuti che noi medesimi abbiam rilevali. In qualunque altro even- to, essi sono dannosi e fatali agli stati. Quindi imma- ginosa e fuor del vero mi sembra l'asserzione di lui , che w i capitali non potrebbero considerarsi perduti , se non quando dovessero erogarsi all'estero per una con- tribuzione di guerra, ed anche in allora non del tutto 11 (vedete mo a che sottigliezza metafisica conduce la pas- sione delle proprie cose!) giacche lo stesso Governo straniero non li rinchiuderebbe, ma li spenderebbe nei suoi bisogni e nelle sue imprese : nel qunl caso ritor nerebbero , almeno in parte , nello stato contribuente per la via del commercio ». Il Woyna dunque non ammette veruna transazione ; e trova ncgl' impresti e quindi nei debiti, il mezzo più eflieace per preinuovere la floridezza dei popoli. Qual jcso perciò debbon (are SCIENZE 45» le sue parole in coloro che odiano il parleggiare, e eli» non altro desicWano che conoscere la verità ognun sei vede por se medesimo. Ma Lisciamo le varie opinioni di costoro; il certo si è che i debiti disgraziatamente oggi vi sono , e decsi quindi pensare al modo Ji diminuirli, e di estinguerli, per evitare che nel corpo sociale non succeda finalmente la cancrena e la morte. Il signor Lafiite (i) mi eccita vera meraviglia, quan- do , dopo tanta esperienza e tanta dottrina economica che ])rofessa , scrive 1' apologia dell' ammortamento , e dell'interesse composto, ed asserisce tuttavolta con im- ponente voce, che con un capitale annuo, e coll'accu- mulazione degl' interessi può il debito assorbirsi in un terzo àcì tempo ordinario. In IJatto di queste cose tanto impoj tanti per la prosperità degli stati non si dee par- lare l\ì quel che si può fare , ma di quel che si fa : non dee perciò il signor Lafìtte venire in campo con idee astratte e metafisiche; egli non dee considerare gli uomini come dovrebbero essere, ma come sono. Dall'ejKJca della creazione della cassa di ammortizza- zione, propriamente detta, che conta ornai cento dieci anni , nessun debito, presso nessun popolo, si è mai estinto con questo mezzo. Il che mostra ad evidenza, e meglio di qualunque ragionare, la fallacia e l'impo- tenza dell' ammortamento. In Inghilterra la cassa di ammortizzazione fu dichiarata puljblicamente illusoria, e lord Londonderry diceva, non è gran tempo , alla Camera de' comuni, ch'egli non avea mai considerato questo fondo come un risparmio sacro, ma solamente Còme un riservo disponibile che il Parlamento poteva impiegare, secondochè lo avrebbe giudi( ato più conve- nevole, sia per le esigenze del momento, sia per la si- curezza dell'avvenire. (i) Picfleclioijs sur la Picduction de la Reule. Cei'tamcnle uno dei mezzi più facili per •rrivare allo estinguimeuto dei debiti è la conversione delle pubbli- che rendite. Ma noi abbiam fatto vedere con quanta giu- stizia e quanta sapienza l'autore del libro clie impren- demmo ad esaminare, abbia discusso questo argomento, e dimostrato che senza le due cennate condizioni toIu- te dal dovere e dalla ragione di stato , non dee essa sutcedeie. E bellissima verità è quella da esso lui an- nunziata, che per quante ingegnose combinazioni di cifre si facciano , per quanti artifizi di borsa s' inventino, i capitali dei debiti non si estinguono se non con capi- tali, e non mai con interessi ridotti. jNIa volendosi ad ogni conto faie in questo momento la riduzione, e non polendo ella succedere, perchè gl'interes- si, nelle sociali contrattazioni, sono al presente ad una ragione più alta degl'interessi delle rendite iscritte, po- trebbe aver luogo un'operazione sommamente finanzie- ra, reale e non specoldtiva. 11 Governo ha il dritto sa- cro del rimborso alla pari; quindi può prendere ad im- prestito, là dove il denaro sovrabbonda , un capitale , che comprenda la somma del suo debito, ad un prezzo modico , cioè al 3 , o al 3 e ^ , eh' è la ragione alla quale si dà generalmente in Fi ancia ed in Inghilterra, e quest'istesso poscia collocarlo nel proprio paese, pel ceniiato rimborso, cioè ad una ragione assai più alta. Dalla quale operazione il guailagiio è sicuro ed evidente, poiché con un debito minore è venut) ad cstingu^Miu; uno maggiore, o, per dir meglio, a diminuire, di poco meno della metà, gl'interessi di tutta la massa princi- pale de' suoi debiti. Ma sentomi opporre da taluni clie una operazione così istantanea, versando nel regno molla quantità di numerario, potrebbe produrre gravissimi danni per un ristagno della circolazione che può di slancio avvenire. Io però credo che questo sia un timor panico , a cui non deesi porre alcun pensiero. La storia vera delle finanze delle antiche e moderne nazioni non ci porta a SCIENZE 4? sì fatti spaventi. Noi potremnio per mostrare mal si- cm-a quella sentenza , rivolgere dalla nostra parte, sen- va metafisica di cui siamo nemici, ma coi fatti più ma- nifesti, gli argomenti medesimi clic si mettono innanzi da coLjro che la sostengono. Indipendentemente dell' idea clie buona parte delle rendite iscritte del regno di Napoli appartengono a stra- nieri , e che perciò da questa banda viene scemato il concepito timoic, io credo che vi sono ancora tanti og- getti d' industria negletti , tanti rami di agiic ollura da far fiorire, che sapranno bene i possessori delle rendite iscritte impiegare con utilità propria e pubJjlica i ca- pitali I-imborsati. Oltrcdichè questi capitali non si riu- niscono in |K)chc mani, ma si dividono e suddividono, e si dilìondono in molte. E poi venendo meno alla Bor- sa quel giuoco funesto che ha tante famiglie battute e distrutte si farà in generale un gran servigio ai posses- sori, che impiegando i loro fondi in più saldi obbietti saranno siculi della loro fortuna , e faranno miglior senno in avvenire. Ciò non pertanto essendo non solo glu>to , ma necesisario clie il Governo provveda , colla sua potenza direttrice, ad allontanare gli ostacoli , che frappare si possono in queste operazioni, sarebbe per- ciò mestieri , di' ci rendesse con leggi più analoghe la proprietà più sicura e gli acquisti più facili , secondo ci venne il destro di accennare là dove del bisogno di correggere la legge di espropriazione ragionammo. La veia diliicoltà in (juel che noi abbiam proposto non consisle nei dubbi clic ci si fanno, e che abbiaui noi niedesimi rilevati ; sibbene nel contrarre un for- te del)ito a modico interesse : il che non sarebbe ma- lagevole ad avverarsi , (piando il credito della nazio- ne è tale da inspirare grandissima fiducia. Ma si può mai avere eminente credito quando si va presso lo stra- nieio a contrarre novelli debiti? Dunque potrebbe ri- manerci il mezzo trovato dagli Americani, proclamato da Huine da Riccardo da Amilton, di una saggia eco- 4^ SCIENZE ;iomia, in guisa che liutroito sia sempre dell'esito mag- giore ; e con questo fondo periodico e costante della entrata sopra i' uscita si potranno sanare mano mano le nostre piaglie. Ciò non pertanto se vuoisi ad ogni modo diminuire il debito colla riduzione degl' interessi delle rendite pubbliche , allora, rifuggendo noi sempre daUa riduzione beduina che nel 1808 venne , sotto il Governo di Murat , senza alcuna ragione ordinata , fa d'uopo aver presenti le gravissime cose, di che abbia m favellato. Ora noi qui giunti vogliamo annunziare un'idea, clic sembrerà per avventura a molti o sconvenevole, o as- surda. Ma se ben si penetri nello spirito di essa si ve- drà che l'esperienza, la quale reclama forte i suoi drit- ti, e eh' è sovente della medesima scienza sovrana re- g )latrice , non dovrebbe farla sì fattamente conside- rare. Noi crediamo che limporlante operazione della con- versione, giunto anche il momento proprio a verificai-si, non debbesser fatta dai particolari banchieri: ella è ope- razione tutta governativa. I possessori delle pubbliclic rendite diedero i loro fondi al Governo, e non debljon riconoscere altri che lui. Essi glieli affidarono per lo più in tempi difficili e dubbii: quindi ragion vuole che dovendo la conversione succedere , i bancliicri in mi modo indiretto, e non mai direttamente vi debban coo- perare. Imperciocché da una giusta ed innocente opera- zione finanziera al monopolio il più dispotico ed il più odioso non è che un passo. Le operazioni de' bancliie- ri, in società anonime riuniti, non debbono aggirarsi , volendo intjaprender cose di pubblico vantaggio, che a far canali, elevare ponti, costruire strade, formare por- ti , espurgare gli antichi perduti , stabilire nuove fab- briche, mettere in attività nuovi agenti, e specialmen- te quello potentissimo del vapore; intraprendere in som- ma tutte quelle grandi opere che agevolano il com- mercio, e l'industria di un popolo aumentano e diflbn- dono. SCIENZE 49 Le qiwìi cose recherebbero graucli e reali vantaggi alle compagnie che le impreuderebbero , e agli stati in prò (lei quali verrebbero ad eseguirsi. Duufjue il dritto x;he hanno i Governi di rimborsa- re i capitali, o di ridurre gliuteressi non dovrebbe da loro traslatarsi a nessuno : eglino , p;:r riassumere il tutto in una parola, dovrebbero rimborsare o ridurre, secondo le condizioni volute con tanta sa[)ienza e lauti santità di pensare, ci si permetta ehe novellamente il ripetiamo, dall'illustre senno di (Giuseppe Ceva Grimaldi, che ha mosso col suo bellissimo libro il presente nostro ragionamento. Fkrdinanik) Mal viga. PARTE SECONDA LETTERE ED ARTI Studi di letteratura italiana del Canonico Giuseppe Borghi. Sono molti che unicamente delle teoriche istituzioni lìcdl erudire la gioventù sogliono incaricarsi: ed è gran- dissima comodità per essi quella di porre a contributo non solamente le Opere de' Greci e dei Latini, ma sì de' moderni connazionali e stranieri , a compilar tiat- tati clic sotto diversi aspetti, gli stessi avvisi riprodu- cono e le medesime prescrizioni. Però tutto il lor ) m,- macstrameiìto consiste neirordinare un ammasso di re- gole generali ad esporre in buona locuzione e ordina- tamente, comessi pretendono, i propri divisamenti: mu poi dei venire all'alto, sicché dai loro discepoli leggia- dramente si lavelli e si scriva, non lanno gran conto. Bel mezzo è «questo per solleticare le orecchie degli 4 5o LETTERE ascoltanti , e per farsi applaudire nella cattedra fra i professoj-i di maggior grido : tuttavia la gioventù che vien fuori de" loro ginnasi , non suol essere la meglio esercitata nella diflicirarte della parola. Volendo noi dare un corso di Rettorica e di Poetica, il quale riesca del maggior profitto all'italiana gioven- tù, non trascureremo sicuramente la parte singolarissi- ma dei |irecetti, la quale negar non possiamo che mol- to influisca nell'indirizzo; ma sarà nostra cura il far sì prima di tutto die le regole, in luogo d'essere troppo generali e come indefinite, siano particolari alle varie condizioni delja scrittura, e quasi ad ogni caso precise: poi cercheremo di i-idur queste regole allaltualità della pratica; di modo che al termine del nostro corso, non si sappia soltanto da noi, ma si sappia fare. Ora per giugnere a simile scopo, nel quale singolar- mente consiste la somma della letteraria istruzione, me- glio che i precetti racchiusi nella solita guisa per en- tro ai trattati , gioveranno , mi credo , le meditazioni ben condotte sulle opere de' grandi maestri. Quindi è che, prendendo le mosse dal padre dellilaliana lettera- tura, da lui che, avendola creata , di tanta perfezione la circondò, (!j quanta nessuno l'invigoriva dappoi, dal- l'uomo più poeta di Omero , più filosofo di Platone , più santo d'Isocrate, dal flagello dei nuilva,t>i, dal cit- tadino per eccellenza, dallo sventuiato per dritto d'o- nestà e di grandezza, dal sovrumano Alighieri, tente- remo d'approfondirne l'intelligenza e lo spirito; talmente che nei monumenti di lui si notino , per virtù delle nostre osservazioni medesime , le norme più certe a crear poesia degna de' tempi e del nome. Poi. discor- rendo l'intera storia letteraria fino ai nostii giorni sì nell'epoche della sua splendidezza, come in quelle del suo decadimento, ci fermeremo di mano in mano sopra ciascuno dei mille che si levarono in fama: e volgendo pur sempre il guardo alla pratica, dedurremo dalle o- pere di loro quando le regole a infiorar di bellezze \o ED ARTI 5l nostre scritturo o poetiche o sciolte dal metro, e quan- do le naturali avverteuze per fuggire i difetti e per correggere le prave tendente- Quest'accordo e questa combinazione della Storia Let- teraria colla parte d'istruzione la quale riguarda i pre- cetti, non solamente ahbrevierà di molto la strada, per modo che siano per noi comprese in un sol Corso le materie di che si sogliono formare due studi distinti ; ma pur ne dare l'abitudine di meditar sopra i classici nella guisa più vera e più profittevole; dalla qual'abi- tudine dipende in proporzione qual si sia mediocre o felice risultameuto nella profession delle lettere- E ve- j'aracnte male avviserebbe colui che desse a credersi poter trarre a compimento la propria- educazione lette- raria nello spazio di tempo che fassi discej)olo, e negli avvisi che movono dalla bocca del precettore. Non è poco se basta quel tempo e se questi avvisi riescono à far sì che imparin gli alunni siccome studiar convenga: imperciocché, fatti padroni di tanto segreto, meglio che ne' banchi degli apprendisti , potranno essi ne' banchi delle biblioteche provveder di per se a perfezionare la loro istituzione. A perfezionare io dissi; ma veramente a inramminare verso la perfezione i propri studi era da dire; che ognun sa, troppo esser breve la vita, trop- po limitato l'umano ingegno perchè, qualunque altezza si tocclii , non rimanga sempre alcun altro gradino da sormontare. La qual persuasione vi prego, giovani ca- ri, ad aver sèmpre in cuore; imperciocché non è cosa che tanto pregiudiclii al conseguimento della erudizione quanto il reputarsi a sutìicienzà eruditi. Dalla esposizione che ìacemmo del sistema, onde ci siamo prefissi di trattar l'argouieuto, sproporzionato for- se al potere , non sicuramente alla nostra volontà ; la quafesposizionc abbellir non volemmo d'alcun artifizio perchè rimaner non si dovesse nell'incerto fra l'utilitìi della cosa e le lusinghe della parola , si vedrà lacil- n\«ate non aver noi modello a seguire; nuovo essendo 52 LETTEIIE il nostro sistema, quantunque non clovi-ebb'esscrlo per clii nell'insegnare altrui più volesse consultai-e la ragio- ne die serbare giudaicamente le coslumanze. Però nou lìa che debbano niancaici , se a Dio piace , le solite conlradizioni di chi non sa Iciireie che nel suo libro; ma se pure avreni la fortuna di esser utili , siccome SjXìriamo , alla gioventù , per 1' unico vantaggio della quale ci demmo a scrivere, nulla ci toccheianno quelle contradizioui , e seguiteremo la no^lra via senza pur volgerci addietro. Molti sono quelli che menan romo- re, pochissimi (|ueili che tanno; e, tra questi pochissi- mi, sono anche in minor numero coh)ro che fanno per ben fare. Ora in ogni tempo, e sotto qualunque cielo, non hanno essi avuto la miglior sorte tlil mondo: uè voglia m noi lar eccezione alla regola, contenti al nostro umile stato, non invidi, nou piaggiatori. Sappiamo poi che, quando è premio di buone opere , anco l'ingiuria è ben tollerata. Ma poiché ci risolvemmo a questo la- voro, non fia chi ereda esser noi nella j)iesunzione di aver quasi la pnvati^a del miglior metodo d' insegna- mento. Rispettando la pratica di tanti ecjcUenti pro- fessori che sanno si bene adempire le parti tutte del loro ministero, noi abbiaiuo creduto non posseder l'I- talia un corso di Lezioni di belle Lettere , il (juale , pur senza l'indirizzo di quelli, conduca i giovani come per mano, e gii renda pratici e gl'innamuri nella me- ditazione dei nostri Sommi. Ai)biam tentato per conse- guenza di riempire questo vuoto: e poiché ci troviamo in Sicilia, dove i talenti son come il patrimonio di tutti, e dove il desiderio dell'istruzione rende ancor più sen- sibile il difetto de' mezzi, ci mettemmo lieti per tanto cammiuo, sì per gratiflcare alla cordiale ospitalità che abbiamo incontrata nei meglio disposti e sì per obbe- dire all' inq)ulso dell' animo. Se poi le nostre pagine avran la fortuna di passare lo stretto , ci crederemo abbastanza remunerati de' nostri .sudori , (piando essi pur bastino a farci ricordare in jkirle là dove non era- ED ARTI 53 vam forse gli ultimi tra coloro che, se van privi di guide ]tlone, lianno almeno l'onor dell'invidia. Sebbene quest'istesso onore non ci è negato pur qui: della qual cosa noi siam tanto lieti, quanto saremmo scontenti se più clie d'invidia fossimo oggetto di compassione. Or non più di noi, che certo, non meritiamo di trattenere il pubblico nei particolari che riguardano la nostra tenuità; a voi piuttosto, giovani studiosi, rivol- geremo il nostro discorso per avvertirvi di cosa impor- tantissima, la quale non dipende da noi se non in quan- to al consiglio,' ma sì da voi stessi per ciò che riguarda l'effetto. A misura dunque che seguendo le nostre isti- tuzioni, vi parrà d'esser più alti alla fruttuosa lettura de' grandi maestii , sovr' essi dì e notte lad doppiatela con invitta perseveranza, quelli singolarmente sceglien- do pei quali vi sentirete meglio invaghiti. E pochi sien essi alla volta , e letti e riletti e me- ditati pacatamente, sicché d'ogni sillaba vi rendiate con- to, d'ogni sentenza, d'ogni costruzione, d'ogni periodo, d'ogni frase, d'ogni pensiero, d'ogni tropo, d'ogni ar- monia. Così nutriti del miglior succo di quelli, e as- suefatta la mente a vedere com'essi la verità e la na- tura, e abituato il cuore alla squisitezza del sentimen- to, e istruito l'orecchio ne' lenocini tutti e nella iorza de' modi, cedete voi stessi al bisogno, se tanto amica vi sarà la natura ch'ella proprio vi comandi lo scrive- re: se meno sea(irete questo comando, non sia che per- diate il coraggio; ma tentate ancora, pensate, scrivete; che spesso è coperto dalla cenere; poi chi lo cerca di- ligentemente , si desta un picciol carbone e levasi di quello vastissima fiamma. Quest'esercizio di stile debb'essere metodico, non in- terrotto , pacato. Abbiate le vostre ore per leggere , abbiatele per pensare, abbiatele per iscrivere: tenetevi scmpohisaiuciite fedeli a queste : non ne tradite mai una , per quanto è possibile; non saltate di lettura in lettura, di esercitazione in esercitazione, non interrom- 54 LETTERE pele uno studio per amore o per capriccio d'un altro: lentamente pensate, lentissimamente scrivete: se passò la misura dell' epigramma , un improvviso non fu mai buono. \oi lieali finalmente se troverete un amico dot- to , paziente , verace ; se farete lui giudice de' vostii scritti, se amerete ch'egli v'illumini, se docili vi mostre- rete alle sue rimostranze. Chi trovò tale amico, trovò nell'inopia un tesoro. In ogni caso, diffidate del vostro stesso giudizio, risolvetevi tardi, ma tardi bene, a ten- tar quello del pubblico: f^oce dal sen fuggita Fili richiamar non vale'. JSon si ti aiiien lo stirile Quando dall'arco uscì. Le rpiali norme se fedel mente osserverete , giovani studiosi , siccnm" esige 1' importanza di tanta impresa , fjuant'è la cvdtura dell'arti umane, alla vostra medesi- ma utilità , quella delle cose vostre più care vedrete congiunta. Sì: la vostra patria, le vostre famiglie aspet- tano da voi coU'onor la dottrina, colla volontà del ben fare l'abilità di poterlo; ne voi tradirete la patria vo- stra , non tradiiete le vostre famiglie. \o\ sarete di splendore a queste, di sovvenimento a lei nella poten- za della parola. Imperciocché la parola, giovani egregi, vi varrà quel tanto che valse in ogni tenqio, fra tutte le genti, nelle diverse condizioni degli uomini , a meritar f;una e ri- conoscenza dai grandi e dal volgo, dai contemporanei e dai posteri, dagli amici e perfìn dai contrari. E voi che sccgliQste il Signore per vostra eredità , che negli esercizi più santi dell'ingegno e del cuore vi jweparate ai ministeri del tempio e dell' altaie, voi della j)arola tonerete dai pergami, della parola trionferete sugli em- pi. E chi per la via del foro sarà che s' innoltri , ai beni, alla vita de' prossimi non sovverrà che della pa- ED ARTI 55 rola: in lei più ferme le leggi, più discrete le pene, i diritti più rispettati, più sicura l'umana famiglia , più certa sarà la ragione dei cittadini. Più accessibili nella facondia diverranno le ariruse dottrine, più decorose le negoziazioni della cosa pubblica , le magisfiature più rispettale, più guarentiti gl'interessi delle nazioni , più mansueta la plebe, più pura, più santa la potenza stessa dei reggitori. E avran lama dalla parola i magnanimi fatti e gli eroi ; per lei soneranno i dolci aflistti del cuore , per lei s' alzerà la riccbez;za degl' inni , per lei favelleranno all'età future l'età che trascorsero, per lei sarà cara la gioventù, consolata la vecchiezza, onorate le tombe dei giusti , assicurato lo splendore della pa- tria e la memoria di lei nei tempi avvenire. Imperoc- ché dov'è la potenza di Siracusa e d'Atene, dove sono i trionfi di Roma? E chi n'avrebbe memoria se la pa- rola d'Atene e di Roma non avesse trionfato delle in- giurie dei barbari e della fortuna? E poicJiè le cifre dell'Egitto e quelle degli Etrusci son mute, a clie val- gono i vasi e le piramidi per diradar la nebbia che copre i Lucumoni , e i Sesostri ? Voi stessi , già san- gue di Semidei ne' tempi trascorsi, che serbereste, Si- cnla gioventù , di tante grandezze , ove al paro degli archi e de' tempi, dell'arme e dei navigli , dei fasci e tle' troni , gli eterni monumenti della parola si fosse r perduti? E se a ridestare l'avita celebrità metterete il desìo , qual mezzo più caldo , più vasto , più pronto della parola potrà sovvenirvi? Questa parola dunque con tutte le forze della mente si vuol da noi coltivare; questa parola che qui fra le sereni- tà di questo cielo, fra i profumi di queste campagne,nella vivacità degl'ingegni e degli usi divenne bella e pulita, sicché dai trivi e dalle piazze nell'onoranza de' licei e della corte faceva tragitto. Questa parola che venuta sulla pen- na e sulle labbia del grande Alighieri, aveva da lui so- lennissima testimonianza dell'origine sua nelle splendidis- sime sale di Federigo II. » Questa fama della terra ^^ LKTTERE tli Sicilia, scriveva fjucl sommo, se diiiltamcate guar- diamo, appare che solamente por obbrobrio dcgl'ltalia- ni principi :,ia rimasta, i qnaii non piò al modo degli eroi , ma alla guisa della plebe seguono la superbm. Ma Fedeiigo Cesare , e il bennato suo figliuolo Man- fredi, illustri eroi, dimostrando la nobiltà e diritezza della sua forma, menile che fu loro favorevole la for- tuna, seguirono le cose umane e disdegnarono la- bestia- li. 11 perchè coloro ch'erano d'alio cuore e di grazie dotati si sforzarono di aderirsi alla maestà di sì gran 1 rincipi, talché in quel tempo tutto ciò che gli eccel- lenti Italiani componevano, tutto parimente usciva alla corte di sì alti Monarchi. E perchè la i-cgale lor sedia era in Sicilia , accadde che tutto quello che i preces- sori iiohtri coni pò ero , sì chiama Siciliano: il che ri- tenemmo ancor noi, ed i nostri posteri non lo potran- no mutate, w (Della Volg. Eloq. lib. i. Gap. 12) La qual predizione s'ella non s'è avverata singolarmente perche la patria di quel grande , benché più matrigna che madre, ne accoglieva gli ereditari diritti , sarebbe mostruosissima cosa, quaiid'io me ne dolessi: ma te- nendo pur a ventura di aver colà sortita la culla dove questa dolce lavella si stabiliva, e maggior grido e più squisite forniJ' prendeva, posso esser lieto senza viltà, e lieto a voi confessarmi d'essermi qua coiulolto dove ella metteva i primi vagiti. E se, non dirò j)el saper mio, che ben so quante limitato, ma sì pel buon vo- lere, e specialmente per la vostra benigna natura e per l'ard )r vostro alle lettere , mi verrà dato essere stru- mento, onde si prosegua fra voi la cultura del gentile idioma, stimerò d'aver fatto cosa, la (juale precisamen- te a fi rentino per degno ricambio V(;rso i Siciliani con- venga; crederò d'aver mielula in questa bellissima terra una gloria non peritura , e che U mio nome sarà da voi benedetto , siccome la generazione che vi precede non cessa di benedir tuttavia con e ilusiasmo di grati- tudine i nomi del Salvagniui e i\\ Michelangelo Monti. ED Anxi 57 Memorie per servire alla storia della Salita Chiesa Miletese compilate da Vito CapialU Segretario Perpetua deW Jcca'lemia Flerimoniana- — Napoli dalla tipografia di Marcelli un voi. in 8. i835. La storia sia universale , sia particolare e un dilettevole , eJ interessante studio, e da laudarsi moltissimo colui che vi si addi- ce5 essa rinviensi in un numero infinito di grossi volumi, ma uoti debbe ciascuno ingolfarsi nello studio di essa senza aver prima approfondite la Cronologia , e la Geografi;!. E non è mi sapere molto imperfellamenle un successo, quando non se ne conosce ne il tempo, né il luogoi^ La Storia senza la Cronologia , fu detto, forma una massa rozza e mal digerita; ella è un corpo con tal grassezza, die i lineamenti ne sono pressoché cancellati. Diodoro Siculo non a ordinato tutte le storie della sua Biblioteca Storica secondo la serie dei tempi, se non percliè avea riconosciuto, che gli Storici che aveano trascuralo quest'ordine, aveano lasciato mol- le tenebre , e una strana confusione nelle loro opere. E lungo tempo , che fu annunziato, che la Storia senza la Cronologia, e la Geografia è cieca; e Gherardo Giovanni Vossio chiama Tuua e r altra i due occhi della Slnria". Duo Historiae lumiini. Questi pensamenti decisero Tillnsire Vito Capialbi da Montelione a dettarci corredata di notizie cronologiche la Storia della Cliiesa Milete.e. Il Barri, il Marafioii, il Luca Ilario, l'Ughelh, il Fio- re, 1 Aceti , il D(jinenico JMartire , il Bisogni ne aveano pure in anliclii tempi qualche cosa sulla origine, lo stato della Chiesa di Mileto, e le vite dei suoi Vescovi narrato. Ed il Vargas, il Trora- Ly, il Curafa, il Meo portarono su di essa non poche delucida- zioni ; ma tulli i succennati autori corsero la comune fortuna , quella cioè d'imbatlersi in non pochi errori. Più saggio però, ed illuminalo il Capialbi il tutto trattò accuratamente, e frugati il do- mestico , ed il Capitolare Archivio raccolse tutte quelle notizie purgate che inservirono finaln/enle alla compilazione di quelle sue dotte memorie. Le quali egli divise in tre sezioni; e «ella prima si le' a parlare della Vibomese citta e Taurianese, della loro ec- clesiastica e civile polizia ; e facendosi da prima della Miletese Chiesa a ragionare, lo stalo, la civile polizia, ed ecclesiastica, i suoi fasti descrisse, e quei monumenti che risguardavano il Gran Conte Ruggiero , i feudatari , gli uomini illustri , e gli scrittori radetesi. Die nella seconda la biografia dei Miletesi Vescovi. ISella terza pubblicò 43 documenti, dei quali, egli dice, « 21 erano iue- « diti, da' propri originali con tutta cura da me esemplaci, e li « 22 rimanenti confrontati, riveduti, e a miglior lezione ridotti » 58 LETTERE All'opera da poi egli annesse due tavole di monumenti alla cilla di Mileto spettanti. E parlar)do di Vibona sua patria, quale il Mazzocchi , e Bo- chard vogliono fondala da' Fenici; alcuni d;i' Locicsi con Slrabo- ne 5 altri dall'eroe Ippone con Stefano , egli seppe il primo con- ciliarne le opinioni con far conoscere la esiàlenza d' Ipponio pri- ma del regime locrese, ed i Locresi rifabliricalori d'Ipponio. Ci ricorda essere Ih il Collegio degli Augusta li , dei Faiìliri, la no- bile qualità di Municipio , i Cavalieri , il Pontefice Massimo , i Quatroviri, gli Edili, i Decuriom'; essere slitto ivi dal suo caris- simo Sica ospitato l'arpinafe Oratore, quando rnminf^o; ed Tppo- nio segtjace dei Cesariani nelle civili discordie di Ronia Ira Pom- peo e Cesare. Ci dà le notizie dei Yibonesi Vescovi, dei quali è ben ristretta la serie , e dei Taurianesi , dei (|uali ne raltifica il catalogo. Sebbene egli dica ^ gli antichi storici non ci ricordano Mileio, pure tullochè nella Storia del Regno non fosse ricordata che al io'' secolo, è da credersi molto prima esistila, e ciò com- prova con un monumento greco del secolo VIIP, tratto da un antica memoria serbala nella sua domestica biblioteca 5 ci fa do- no di non poche notizie preziosissime di r|uplle due citta, ci de- scrive la serie cronologica dei feudatari di Mileio rilevala da pub- blici documenti dell'Archivio Regio, e celebri autori di Calabra Istoria . Quantunque si fosse assai tardi pensato di far servire le anti- che medaglie alla Storia , egh è però certo, ch'essa ne ricava molto lume e prova maggiore. INon sono che i5o anni che si- applicò sodamente a dichiarare questi dotti monumenti , i quali ci hanno conservato la memoria di tanti grandi uomini a noi igno- ti. Quindi è cosa evidente, che dopo quel tempo la storia diven- Ue più chiara, e più certa: imperocch'esse assicurano la storia, e la Cronologia siccome chiaramente dimostrò Lzzecchicllo Sjiane- mio nel suo Irallalo de prneslantia et um nuinisnidlutii anticiuoruni. Difl'alto col soccorso delle medaglie il \aillant ( ompose la sua bella storia dei Re di Siria dal grande Alessandro, iìno a Pom- peo, che la ridusse a Provincia Romana, col mezzo di esse il P. Andrea Scoto ed il Nonio hanno illustrato la storia dell'Asia mi- nore, dell'Isole del mare Egeo, della Grecia, della Sicilia, e di nua gran parie dell'Italia clie altra volla chiamavasi la Magna Grecia, i'er mezzo delle med.iglie romane consolari , fabricale mentre la l'^epnbblica Romana cr:i governala dai Consoli , Uberto Cvllzio h.ì posto in ordine cronologico i nomi di un gran numero di per- so.'je che per altro s' ignoravano senza l'aiuto di questi pregevoli monumenti : come per mezzo delle medaglie Romane Imperiali yldùìj'o Occo/ie, e Francesco ]\Iezzah(trha hanno distribuito con ordiije cronologico tutti gl'Imperatori da (Giulio Ctsare fino ad ED ARTI ^9 Eraclio. Tanta necessita di esse per la Storia conobbe il celebre Cardinal de Noris che disse, )) Non solamente l'Istoria sacra, e « r Istoria ecclesiastica , ma ancora ristoria profana traggono « lumi considerabili , dagli anni che sono contrassegnati nelle « Medaglie, sia di Principi o sia di Citta- poiché finalmente con « tale aiuto si viene in chiaro del tèmpo in cui cominciarono « molli Imperadori a regnare, si regola la Cronologia dei Fasti « Consolari , e si apprendono molti particolari , che riguardano (( le più antiche citta » Ed il nostro autore per darci ampia conoscenza del dominio e stabilimento del Conte Ruggiero Busso in IMileto le monete ci ricorda da lui ivi coniate , delle quali ce ne descrive sei. La prima presenta da un lato una cro- ce gemmata che divide Tintero campo con le lettere nei quattro angoli RO =J GÈ 3 CO = ME =: e dall'altro un T con tre glo- betti , e all'interno CALABRIE =^ SiClLI. Altre tre della mede- sima forma , ma di un conio un poco più grande con la croce più carica di ornati. La quinta la toglie dalla Sicilia Nnmisina- tica del Paruln quasi simile alla precedente dal lato della cro- ce, ma dairaltro raclndeisdo, in un cerchio il solito j^ con un glo- belto, nell'altro mostra una piccola croce sotto una fascia. La se- sta finalmente rappresenta da un lato nostra Donna sedente su di una sedia a braccioli col pargolo Gesù fasciatoio braccia; in al- to una piccola croce con la leggenda MARIA MATER DNI, e dall'altro evvi R.(iggiero a cavallo col berretto acuto, o tiara, e dalmatica: con la destra tiene il vessillo, o gonfalone che poggia sulla spalla destra, e con la sinistra la redine del cavallo: iu al- to una crocetta con la leggenda ROGERIUS COMES. L'autoi-e anche guardando a' monuoienli, altro mezzo pei' Con- servare la memoria delle cose passate, ci fa sicuri del tumolo di Ruggiero esistente nella Chiesa di Mileto da lui ei'etta e a Catte- dra Vescovile innalzata. Esso, ci dice il Capialbi , fappresenta una gran Cassa della lunghezza di pai. 9. e once -z; alta pai. b e once 6, larga pai. 3 e once 6 a forma di casetta anche pel sovraimposto coperchio, io cui si trova uua buca di pah 3 lunga, e di un pai, e mezzo larga; per dove forse s'intromeitevano i cada- veri. Il fronle di esso è ornato dei soliti baccelli, il suo frontone è decorato di una corona di mirto e alloro, e di due come ser- pi terminanti a coda di pesce. Agli angoli Sotivi due colonnette spiralmente baccellate: un festone di ellera circonda T intera cor- nice della cassa. In ciascuno dei due lati nella parte inferiore vi è scolpita una sedia curule , e due fasci consolari con le scuri : nel triangolo che forma il frontone del coperchio, forse altra fiata vi esistevano le protomi dei defunti, ai quali apparteneva l'avel- lo, o altro ornamento: ora si vede in un tondo incavato , e cir- condato come di erbe fluviatili, o crini di cavallo , scolpila una 60 LETTKRE croce di fonna greca, più da un ].iio, meno ricca d' orna fi dal- Taltro. La scultura, l'incavo della croce, e suoi aggiunti, si ve- dono a chiaro lume essere dei secoli i)assi posteriori a tpielli, iir cui ftt lavoralo T intiero sarcol'ago , che credo (dice T Autore) del bel tempo della romana grandezza ; anzi non dubita egli a»serire essere desso appartenuto già a persorìe consolari ; e che venne poi adattato pel sepolcro del Conte. Tuttoché si sia tra gli antichi dispulalo se quello il lumolo si fosse del Conte Ruggiero Bosso per esseie esso anepigrafe; egli pure ritraggendo Je più sode conoscenze dalle auliche eronaciie , dalhi tradizione, non che da storici sanissimi, lo stabili per certo; ed il eh. nostro collega Odoardo Gerhard arclieologo di S. M, prussiana, e Se- gretario deiristitnlo di Corrispondenza Archeologica in Roma, che gliene die il disegno, rispose alf A, in data dei 28 Novem- bre i83o « Ho ricevuto la gralissima sua dei 16 ottobre accom- « pagnala col disegno del sa recingo di Ruggiero , il cpiale per <( semplice che sia, è rimarclievole pei suoi ornali nou comuni, « e tra la numerosa serie dei Romani sarcofagi non ancora co- « nosciuti. Lo riserbo insieme con le altre belle cose da lei co- « municaieci per la stampa degli annali che col i83i si rico- « mincera a Roma «, Riordinò àà poi il Capialbi, e confrontò con lumi tratti dalla Cronologia, e dalla Storia e dalle più severe critiche la serie dei Prelati, che adornò di notizie molle e precise-, scoverse nel Vc- scevo Saba, il Saba Malaspina, autore, di cui s'ignorava finora dagli eruditi precisarne la persona ; ed in una nota distendendo quell articolo (pag. 25) cosi si esprime: « IN on voglio omettere di « rassegnare al parere dei dotti una idea che nella redazit^ne di « questo articolo jni è venuta in melile, quella cioè ciie il nostro « A'escovo avesse potuto essere lo stesso Saba, o Salla Malaspi- « ua, Decano Milelese, e scrittore pontificio, il quale in sei libri « raccolse la storia di Sicilia dal i25o al I2'j6, e li dedicò al « collegio degli uffiziali , e procurailori della Romana Cuna. « Le sue dignità, l'essere italiano, contemporaneo ai falli succe- « doti nelle nostre regioni da lui fil filo narrali, e resem|)io di « Giovanni Niceforo pria Decano di MiJelo, e poi Vescovo di Sqiiil- « lace, nou che di AJanfredo (iilione, e Goffredo Fazzari anelici « decani, e poscia vescovi di Mileto potrebbero essere elementi « di sostegno a qiie lo mio pensiere, ciie sottometto alla pnnde- « razione dei più iulendenii )>. Corresse e a miglior legione ridusse 1 diplomi del Conte Ruggiero, e seppe illustrarli con note crniio- Jogiche , e diplomatico — critiche. E ciò ed altro che può ben rilevarsi dalla lettura di quell'opera rendono chiaro il nome del Capialbi, conosciuto nella repubbhca letteraria per altre sue seriose produzioni; e noi alfamico, all'archeologo insigne tributando le I ED ARTI Gì laudi, che nascono da core sincero , preghiamo die presto pub- blicasse il suo nobile museo , onde aver chiare le notizie isteri- che della caJabra terra. Can. Carlo Rodeiqukz. €A.\Z03JE DI LIONARDO VIGO " Salvete o sedi ecceLe o sacre mura, Terra polve d'eroi, d'eroi palestra, Eterna Siracusa, Vincitrice di popoli e masestra: E salvele o fontane D'Anapo e di Ciane Dolc'eco agli inni dell'argiva musa! Tal sublime aura e pura Yien da f[iieste rovine e da quest'onde, Che inebria il petto, e un foco gli trasfonde D'antica gloria e cittadin fervore. Che chi no'l sente non ha patria o core. Qui dal Labdalo ovurirjue ad Acradiua Tutto ricorda le solenni gesta Quando in campo Triquetra La straniera baldanza ebbe calpesta. Qui l'olimpie corone Sacrar Cromio e Cerone, E scioglieva il Tebano i earmi airetraj •Sicilia ancor regina, Roma non anco avea varcato il seno ■Onde l'affrico vien contro il tirreuo, E ancor sonava spaventosa e fiera Del Crimiso la fama e dell'Imera. (*) Qaesta canzone fu dettata per valere d'introduzione alla tornata poe- tica dei i836 dell'Accademia di scienze lettere ed arti dei Zelanti di Aci- Kcale. 63 LETTERE Maledelto chi primo in sul Caiauiaro Invocò Je rapaci armi latine, E a danno de' fratelli Schiuse a' Quiriti il siculo cwiflne! I figli d'una terra Per lui sfidarsi a guerra, E l'eslrano s'alzò su' loro avelli; Di Sicilia a riparo Sol Siracusa in suo valore indoma \enue a perigliu col poter di Roma, Kè trionl'ò perch'era in ciel destino Prostrarsi il mondo a' fati di Quirino, Già di strani cavalli e strani fanti Sonan oppressi i siracusi campi, E del giorno la luce Cresce ntlessa degli acciar tra' ìampi; Mutato in terra pare Carco d'armali il mure. Che dal Tebro Marcello a noi traduce Sovr'isole notanti; D'insolita favella il ciel già fere Grido, che infiamma alla strage- le »clU(Srej Tutto è mina, e imperturbabil siede Tra i battaglianti popoli Archimede. Tremò all'urlo la terra, e non il core Di quel sccuro, uell'eccelsa mente Absorto, al Tebro oppose Del pensier la virlude onnipossente. Come d'arcana legge Dio le sfere corregge Sol d'un volere e d'un voler compose: Ei sul ciglion maggiore DelI'Epipol raccolto, incalza e guida Le destre a cui la patria il pio confida^ E a pugnar vengon d'Acradina a piede Tutta quanta la lena ed Archimede. Impavido colui che l'animoso Voi della mente sospingea taul'alto Da librar l'universo, Won isgomenta al disuguale assalto: INeirmsolilo marie Cede la forza all'arte. Ed ecco tutto in loco il mar converso: Quale per bosco annoso Vora i pini la fiamma e si dilata. ED ARTI 65 Dai concavi miragli ir fulminala L'itala classe ed affondar si vede, Che i folgori del ciel vibra Archimede. E non virtìi li vinse o patria mia, Ma di braccio divisi e di coosigli Tradir l'augusla madre I tuoi meJesmi scellerati figli. Ne allinser mai ^'li estrani La terra de' sicani, Senza i ciechi appellar le invise squadre. Ap[)ena in j'ua halia T'ebbe il Lajio, il divin si trasse in ci«lo, Sol lea danno l'acciaro al morto velo Mentv'ei leggea del lato entro il volume I turbili, elle su Roma addensa il nume. Usi, vesti, favella- e leggi indisse II Tevere ai mancipi, e scettro e nome A' vii tulli, li avvinse Al carro trionfai mozze le chiome; Ed in SI basso slato, L'ebbe, alii dolor prostralo, Ch'auco i prischi ricordi in elli e»tiuse ! Vita di morte visse \- ■ ■.;'■' Fatta ancella Sicilia, e per réSlranof • Arò il mare e la terra, armò la mano, E menile a suon di spada i censi solve, "Vanuo i greci delubri e gli ai-chi in polve.. Le gesta, il nome di quel magno ancora, E l'arca, ahi l'arca che ne chiuse il irale • Scordò la druda, e intanto Per lui baltea sua fama ovunque l'ale; E soflre in sin l'ollraggio Che il marmo estranio saggio ' ' Scopra, e l'insulti di sua laude e pianto! Sdegnosa l'ombra fuora Dali'avel sollevò la fronte antica. Quando la man pietosa e insiem nemicai Tullio del sovrumano all'urna stese, E fremer l'urna e il cenere s'intese. " > Qual più nobile seguo a' vostri eliciti , O de' giardini d'Aci abitatori? ■ , , Sulla tomba del grande ■ , Spargete a piene man palme ed allori; Che non è morta iu noi La fama degli eroi ©4 LETTERE Onde altero Triuacriu il iioiiie spande: Ed i niatenii vanti, E de' giusU Teseiuplo e de' spergiuri, "V'alzi a virtiide e(Ì a viltà vi liin: Finche cliinso n'avrà la fredda pietr» Fiau mente, destra, cor sacri a Triqiietra, Canzon, nata sui queto Margiu del molle Oreto Or die niaggio rinnova i fior àtl prato, Vanne, l'è duce il core. Sulle penne d'amore Del nativ'Aci al puro iier beivto, E dirai: rozza, ma non vile i' sono Di libero cantor Jibero dono. Saggio crai USI. versione poetica delV Apocalisse di Fran- cesco Perez — Palermo tipografia di Filippo Solli i836 in 8° di pag. i5. E già da er- sita di Napoli, del Pr. Barone Pasquale Galluppi da Tropea. — Napoli voi. ^earzia]mente concoide al movimento generale del nostro pianeta. Se i principii iniegranii dei corpi fossero semplici, se le parli ehe li -c:omjoongono ììon fos- sero parli, come avrei be questo moto ad avvenire nella natura? Se il moto, l' estensione, la sobdità non fosser cose reab, ma fenomeni costanti derivaci dalle monadi semplici e da' loro reali ciimbiamenti, siccome s'espri- me il uostro filosofo, allora non saranno che semplice illusione, puro fenomeno, mero fantasma. Se dal corpo si tolgano si fatte qualità, esso non sarà più corpo ma (i) Dicendo il moto essenzi.Tle alla «nateria sono ben luugi dal Uanie le false conseguenze che taluni ne han desutite. Esso è un azione inerente alla materia, come l'estensioDe è uoa proprietà «• senziale della medesima. AllorcUè Iddio creò la materia la fé* colla tendenza al moto. Basta contemplare l'armonia deU'UniYerso e la sapienza della natura per riconoscere una supretna potetz* che ordinò il luUo. i? SCIEiXZK illusione. Ecco quindi illusione l'esistenza del nostra corpo; fantasma quella dell'universo, ecco surto il pir- ronismo, ed ecco nuovi Fardella e Berkeley innalzare lo stendardo del pazzo idealismo. Essendo pur semplici gli elementi de' corpi, risultar non potrebbe la loro diversa configurazione , la varia natura con variate proprietà. Come semplici essi dovran- no esser simili nelle qualità identiche ; e se da qual- che teologo mi si dirà che Dio, gli angeli, e le anime essendo semplici son però assai distinti , gli sarò per rispondere clic la discrepanza nasce dai relativi attribuì ti non mica dall'intima natura spirituale. Quindi l'idro- geno perchè è diverso dall'azoto, il toUarlo dall' oro o dal carbonif)? Per qual ragione i metalli sono felici conduttori dell'elettricità, e il solfo e il Tetro ne sono isolatori? Non potrebbe in nlun modo darsi la spiega- zione, perchè tutti i corpi densi essendo i migliori con- duttori del calorico, il platino il corpo più denso osti a tale legge ; e perchè tutti 1 corpi dilatandosi a un forte calore e porgendo nascita con ciò al termometro l'argilla sommamente contraggasi dando motivo alla co- struzione del pirometrodl Wetigwood ; né saprebbero affatto spiegarsi i fenomeni chimici, fisici, e la mani-' festazlone della vita. Sopra sì tenere basi poteva 11 grande Archimede costrurre i prlnclpii della sua mec- canica, e il sublime Newton l'attrazione universale? Ar- rogi che recentissime osservazioni del celebre aslimio- mo Bessel par che dimostrino che l'azione della forza di gravità varia secondo la natura de' corpi; polche a- vendo egli fatto oscillare successivamente con vario me- todo due palle di volume uguale una di avorio e di rame l'altra, vide bene nella durata delle oscillazioni dei pendoli una notabile diflèrenza. Alla quale ponen- do attenzione il Poisson ne die' un compiuto ragguaglio in una memoria letta all'Accademia reale delle scienze di Parigi intorno ai movimenti simultanei de' pendoli e dell'aria circostante: ove ascrive alla gravità un'azio- SCIENZE 7"^ ne disuguale su i due mentovati corpi di diversa natura. Queste osservazioni sono di una sorgente fecondissi- ma di vedute e di conseguenze per lo studio della fi- sica e dell'astronomia, e mostrano che la varia natura de' corpi nasce dalla varia loro essenza. Ne vale il dire che ciò nasca dalla diversa combinazione delle due for- ze di attrazione e di repulsione; perocché esse, giusta i lumi attuali, si concedono dalla fisica solo al composto, e riguardo al semplice esistono nella mente del Bosco- vich die le immaginò. Qualunque sia poi il grado di attrazione fra le particelle d'una stessa natura non mai cangia di proprietà il loro prodotto : ella è legge san- zionata da un legislatore di titolo, dall'esperienza. Vo- lendo all' analogia ricorrere, l'acqua il vapore il gUiac- ccio, tuttoché in varie forme presentati, posseggono sem- pre le medesime proprietà cnimiche. L'osservazione fa chiaro che ad oggetto di far convertire le qualità dei corpi , si desiderano elementi di diversa natura, dalla cui combinazione sorge il novello corpo con nuove pro- prietà : è quindi fatto evidentissimo che altra cagione riconosce la varietà degli elementi chimici. Consideran- do inoltre che un corpo semplice è sempre identico nelle sue modificazioni e ne' suoi diversi stati , e che per convertirne le proprietà è mestieri unirlo in afli- nità con altra sostanza di diversa natura; considerando che coU'assoluta semplicità chimica non si possono spie- gare gii svariati fenomeni della materia ; considerando in fine che le ricerche multiplici su' principi elea»en- tari de' corpi ne hanno aumentato il numero invece di ridurlo, e che nello stato attuale di nostre conoscenze gli agenti imponderabili stanno quai corpi senqjlici sia- mo ben lontani dall' aderire alla opinione del Ne\vir>n e del Davy, che uno sia relemcnlo materiale de' corpi, e che dalle modificazioni dello stesso procedano le dif- ferenze dee;li elementi chimici. Ma torniamo su i nostri passi. La chimica, quella scienza nobilissima stabilita su' fatti , quella scienza che ha sorpreso la natura nei ti 74 SCIENZE suoi misteri, clie lia svelato i suoi segreti, die l'ha, dirò così, soggiogata, non rimarrà al certo vinta dalla iaiitastica potenza de' visionari. Si volatilizzò la reggia dell' immaginazione al lume della fiaccola dell' osserva- zione : non fa d'uopo di tanta chiarezza, i dotti com- prendono (i). Io confesso di ammirare quel valoroso argomento am- messo il condizionale si debb^ ammettere /' assoluto , argomento che l'illustre filosoi » calabrese ripete non una volta nelle eccellenti sue opere, per combattere la composizione degli elementi. Egli ha un valor som- mo per jstabilire resistenza d'un essere assoluto neces- sario eterno; perocché efletto non avvi senza cagione, e il gran principio della causalità poggia costantemente su solida base. Scema però la sua lobu tezza sul no- stro assunto rimanendo sciolto dalla dimostrazione geo- metrica in parte e dal complesso delle ragioni fin qui enunciale. Nulla dico delle monadi inestese e solide co- lorate immaginate da Hume, che volle riprodurre i j)unti injlati degli antichi , piìi acconcio sembrandomi tacere delle stesse, e di tutti quegli speciosi prodotti dello spi- rito umano che caratterizzano il filosofo di Edimburgo. Qui r idea cosmologica della totalità assoluta della di- visibilità del criticismo non ha luogo; dall'inesleso, dal non solido, dal semplice non può nasi ere l'esteso d so- lido, il comj)Osto. Vani quindi i punii semplici di Ze- none, falsa la propinquità di Boemio; e i sistemi tutti, che i visionari semplicisti hanno specolati per istabilire il modo di coordinazione della materia, debbono relegarsi piuttosto ira le storie romanzesclie del medio evo, che riporsi fra gli articoli della storia prammatica della fi- losofia sperimentale. Se adunque gli elementi corporei non sono semplici, (i) Vedi su di ciò: Discorsi e Lellere di Nicolò Castellana, ralermo presso liarcelloua i83o. SCIENZE 75 offrono forse una composizione indefinita? INIa cosa è mai la materia ? Riconosciamone l'esistenza, confessia- mo la nostra ignoranza iiilorno alla sua essenza, ler- miamo il pie dove i sensi non penetrano più oltre , fuggiamo i sistemi , ma non inventiamo enti chime- rici e mere supposizioni , ónde la curiosità appagare del nostro spirito. Melius est sisiere grculani^ dico con Gaubio, quam progredì per lenebras (i). La teoria del sublinie abbracciata dal Galluppi nelle sue opere è la stessa che quella del barone Massias emessa nella sua Theorie du Beau et da Sublime, lilla è erronea pei- tutti i riguardi , come sarò per mostra- re altrove. Eccetto le lievi considerazioni che mi son dato la li- iiertà di contrapporre ad alcuni pensamenti del Gallup- pi, del rimanente poche altre cose io trovo lontane dalla mia maniera di opinare, che per amor di brevità trala- scio. Ad ogni conto tu trovi nelle Lezioni del Gallup- pi un'opera che fia quante se ne sono in questi tempi pubblicate, può dirsi la migliore e la più acconcia all'i- (1) Tutte le ragioni fin qui enumerate contro la monatle osta- ho eziandio a coloro, che negando resistenza reale della materia riconoscono in natura le sole lorze, quasicliè potessero elle esiste- re isolalameiile dal soggetto materiale che le possegga. Siflalle forze o sono semplici o materiali: nel primo caso s'incorre nell'iu- TincoOgruenza del sejiplicista, nel secondo si viene a riconoscere con giuoco nominale TcMstenza de' corpi. Le forme non essendo che le proprietà inereuti alla materia, ossia l'attitudine della stessa ad agire e a fare determinale operazioni , non possono isolarsene senza distruggersi l'una colle altre. Possiamo noi forze astrarre e fare esistere in modo isolato la sensibilità senza il tessuto nervoso, la tonicità seuza il cellulare, la conliattilità tolto la fibra musco- lare, in somma, giusta il linguaggio di Goiler, Tirritabilila seuza materia organica? Abbiamo noi Ibrse in potere il concepire Tal- trazione senza le parli altraenlisi, sapendo d'altronde ch'ella agi- sce iu ragion diretta della massa e inversa del quadralo delle di- stanze? •jB Sr.IENZB stiuzione della gioventù. Una ferma e corrella analisi vi domina dappertutto , le materie sono trattate con tutta quella precisione e cliiarezza che dd opeia elemeu^ tare ronviensi: i sistemi sono in tutta la loro estensio- ne sviluppati ed esaminati , e si passa continuamente dal nolo all'ignoto, da considerazione in considerazione, da verità iu verità. Sebbene V opera contenga qualche cosa di esclusivo e di particolari dottrine, ciò nulla osta al merito di lei , poiché esse sono il retaggio di ogni autore; ma nel complesso lisguardata mostra Un filoso- fo che franco passeggia sul vasto campo della sciènza , e ne conosce e ne mostra i piiji reconditi andirivieni; in fine ella sarà per sempre tenuta qual lavoro di sommo pregio, che contiene quanto di bello, di utile, d'inte- ressante potevasi scrivere oggidì* Noi l'ammiriamo e al- tamente ne lodiamo l'insigne autore, ed a vive voci e- sortiamo i maestri dell'isola nostra a bandire dalle ló- ro scuole le monche e luride produzioni dello StOrche- nau e del Soave, e a sostituir loro invece altre di mag- gior merito , ira cui moltissimo inculchiamo le lezióni di Pasquale Galluppi. Luigi Castellana- Sugli elementi di filosofia di Salvatore Mancino Pro- fessore di tal facoltà nel Seminario j^rcivescovite di Palermo — Lettere due deWautore al chiarissimo Sig/ p. BaJdassare Poli professore di Filosofìa a Milano. LETTERA PRIMA Signor Professore: Poiché ella per sua gentilezza ha voluto sguarda- re con occliio favorevole i miei Elementi di filosofìa^ stampati in Palermo in questo anno medesimo, accor- SifiÌENZE 7 7 tlàndo loro posto onorato nella sua continuazione tàlla storia della filosofìa di Tennèmann, e poiché mi ha Còf- tesemente iuvitato a trattener secoìei amichevole corri- spondènza non le sia discaro leggere la presente desti- nata a ribattere alcune critiche ingiuste fattemi su quelli eleménti. L' autore delle critiche è un certo Criscuoli, il quale temendo che i medesittii potessero essere di ostacolo alle àiie pretensioni, rrioìto più per la jfàVorevole accoglienza che aVeVano ricevuto da questo pubblico , fu sollecito a gettar polvere àgli occhi degli ìnciauti , scrivendo appositàniente un articolo nel giotnale di Scienze lettere ed arti per là Sicilia (i). In questo si fa ii com[3ai-are i miei elementi con quelli del jp^ d'Ac^ quisto di cui ancora ombrava , ed erigendosi ia giudice e prendendo le sembianze d'iriiparziàle, mi largisce elo- gi , cui annebbia appresso con critiche e con ingiurie. Io leggendo qUcllo articolo ringraziai il cielo , per- chè il critico diceva essere le mie dottrine proprie di una sana filosofia', essendo stato suo costume gridare a dritto o a torto contro chicchessia al sensualismo al materialismo all'ateismo» Io ne lo ringraziai veramente e molto più ^ perchè in quel volume per la natura del mio piano non eravi trattata uè la spiritualità dell'ani- ma né l'immortalità, ne l'esistenza di Dio o altro* Ma non soffrii senza dispiacere le altre sue ingiuste criti- che ; ne parlai con risentimento con lui , con qualche suo amico e ribattei dalla cattedra le sue critiche di- mostrando i sUoi errori e le sue calunnie; giovandomi ancora delle ingenue riflessioni scrittemi contro quello articolo dal valoroso giovane D. Settimo De-Grazia pro- fessore di filosofia nel R. liceo di Trapani, Queste cose ebbe assai a grave Criscuoli e giurò vendicarsi col se- condo volume cui aspettava con grande ansietà. Come infatti questo fu pubblicato , si mise tutto a frugarla (i) N. i56. , 78. jiciF.xif: per v«der luodo di trovarvi dotuine eterodosse o degne a ,suo avviso di censura. Passava intanto di questa vita il buon p. Lidonni vecchio professore di filosofia iy questa R. Università degli studi. Ciiscuoli avealo sup- plito per qualche tempo iu quella cattedra , aspirava alla medesima ed i miei elementi erangli di folte inciam- po (i). Quand' ecco videsi comparire questo secondo articolo zeppo di villanie di errori e di calunnie. Tale articolo riuscì meno in.iidioso del primo, perchè fautore si mostrò aj)ei to nimico ; nimico che trasportato dalla passione tutto trovò cattivo nel secondo volume, e por co mancò che non coiretse quegli elogi ad arte nel pri- mo aiticolo compartitimi. Io non lo degnai di lisposta allorché scrisse la pri- ma critico, tra perchè era occupatissimo nel corso delle lezioni e nella stampa del secondo volume, ed ancora perche il pubblico medesimo conobbe facilmente i mo- tivi che lo portavano a criticare e la ingiustizia di tali critiche. Adesso peiò che sono libero dalle fatiche della stampa e delle lezioni piacemi svolgere anibidue gli articoli e farvi su alcune riflessioni. Io diligo a" lei or- ualissimo signore, queste mie riflessioni non con animo di provare che i iniei elementi siano senza alcuna menda, perchè di queste neppure andarono esenti le opere dei geni, ma per addimostrare la ignoranza e la male, fede di chi osò levarsi a censore. Questo esempio spero che sarà di freno à quei saccentuzzi che non potendo far cosa che vaglia, ciedouo accattar nome gettandosi ad- dosso di coloro che con le loro lucubrazioiii si adope- rano a far progredire le scienze , ed a promuovere la cultura e la civiltà nazionale. Le critiche del miq censore o riguardano lo spirito gè* neralc de' miei elementi, 0 attaccano qualche cosa in par- (0 Come andossene il p. Li-Donni , fecesi avnnti rritcuoli e «^loiiiaiidò cssscre crealo professore iulerino in fjueJla cattedra. SriF.N7,E 'JCf licoiaiv. Palliamo dello prini^. As.Si'ii>(c in (ìijmo luogo cl»e l'oriiiiio (Ielle materie non o tale che si svolgano na- luralmeiile le uno dalle altre. A riuForzo di questa sua asserzione dice che io spesso trattando un soggetto pro- metto dare altrove ulteriori sviluppi di ([U(d!o. Soggiun- ge poi clie gran parie della logica dovrebbe andare nella ideologia^ tutta la teorica del linguaggio nella logica^ e la teorica della facoltà^ nella psicologia. Ma ognuno da questa semplice esposizione facihnrn- te conosce che il disordino regna più presto nella niente del critico. Nessuno certamente si è avvisato di ihia- mare disordinala un'opera, pei- la ragione che l'autore accenna in un articolo una idea, e poi annunzia che questa idea dovrà essere svilupjiala meglio per T in- uanzi; e se così fosse tutti i trattati dovrebbero essere incolpati di disordine, e neppure potrebbero sfuggire a questa nota i più bei trattati tielle stesse matematiche pure , nelle quali lo incatcnamento delle idee è più stretto ed inviolabile. Chiauieremo noi disordinato un trattato di fisica, perchè l'autore alle prime pagine trat- tando delle proprietà genei-ali de' corpi e dovendo pro- vare che la gravità imprime a lutti i punti della ma- teria eguale forza , ti fa [' esperieiiza della caduta di gravi nel vuoto, e ti parla di aria, e di macchina pneu- matica, e ti avverte che di questi arlicoli pallerà più estesamente appresso? Grideremo al disordine allorché ti dice che i gravi nel cadere non dirigonsi piecisamente al centro della terra, ma più presto al centro di cur- vatura del luogo, perchè la terra non è perfettamente sièrica , cosa che ti promette di dimostrare appresso ? Del pari ci sarà lecito gridare al disordine se il fi- losofo nella ideologia asserisic che la impressione recata lungo i nervi al cervello per divenire sensazione dev'es- sere comunicala all'anima ; e ti asserisce che quest'ani- ma è una sostanza semplicissima dal cervello diversa promettendo di dimostrare ciò ampiamente nella psico- logia? sarebbe questa una grave raaltezza. 8b SCIENZE (ìual disordine è poi quello del critico, che asseri- sce gran parte della logica (senza dir quale) avere avuto miglior luogo nella ideologia? Nessuno ha sognato ciò. Chi gli disse che tutta la teorica del linguaggio , eccetto il capitolo sesto, sarebbe stala pii^i a proposito nella logica ? Sanno ancora i pesciolini che la gram- matica generale è un anello di transizione dalla ideolo- gia alla logica. Con qual titolo pretende che la teori- dcUe facoltà debba trattarsi dopo la ideologia e la lo- gica, e riserbarsi sino alla psicologia, dove secondo la mia divisione deve solo trattarsi dell' anima come so- stanza e de' di lei rapporti col corpo? Tratteremo quasi alla fine del corso la teorica delle lacolla che è la base di tutto r edifizio filosofico. Se avesse letto Condillac, Laromiguiere, Tracy, Reid. Stewart ecc. avrebbe vedu- to che nessuno si è avvisato di riserbare alla fine la teorica delle l'acollà. Il secondo attacco generale è diretto contro gli esem- pi da me scelti , i quali essendo presi dalle scienze , confondono per suo avviso le menti degli allievi. Que- sto attacco riguarda principalmenie la logica , perchè nella logica precipuamente è d'uopo chiarire con esempi le regole del ragionamento. Questa cosa è assolufameiite inevitabile: le leggi del raziocinio non possono altrimenti statuirsi che osservando in qual modo ragiona lo spirito, ne' vari rami delle umane cognizinni, e però i più biavi elementisti nel dare le chiarigioni alle loro dottrine han- no ricorso ad esempi tratti dalle scienze. Chiunque leg- gerà Wolfio, Mako, Genovesi, Soave, Gioja, Galluppi, Tedeschi ecc. resterà appieno convinto di questa veri- tà. Anzi Galluppi nelle sue lezioni or ora pubblicate, si è veduto nell'obbligo di inserire una figura geometrica per dichiarare alcune teorie della nostra scienza. Esempio non nuovo; perchè prima di lui Wolfio, Mako, Genove- si ed altri lo avevano praticato. L'avvedutezza del pro- fessore poi deve consistere nel chio.sare e tradurre nel linguaggio comune simili esempi, oppure secondo il ta- SCIENZE *' lento e le cìispnsizioni de' discenli sostituirne altri di pili facile intelligenza. Ma nel corso elementare gli e- «empi devono essere i più rigorosi , e si «a da lutti die la matematica, la fisica ecc. ci forniscono esempi di Tcsatli e rigorosi ragionamenti. Stewart era tanto per- suaso della necessità degli esempi scientifici per l'intcl-- ligeuza delle dottrine della logica, die opinava doversi studiare que ta dopo lo studio delle altre scienze (i). Il critico in teizo lungo mormora sordamente sulla grossezza del volume e sulla erudizione. Io non lio bi- sogno di andare in molte parole per dileguare questa critica. Imperocché è noto a chiunque che lo spirito delle investigazioni filosofiche si è di molto aumentato in questi ultinii tempi : nuove ricerche sonosi fatte ^ nuovi problemi agitati relativamente alla umana intel- ligenza. Perlodiè il numero delle quistioni e cìeiìc ve'* rità della scienza, che era grande, oggi si è aumentato. Quindi un corso elementare per essere completo è rhe- slieri che abbia una mole sufliciente. E peiò nella uni- versità di Napoli ed altrove il corso di filosofia vicu ripartito in due anni. Che se il corso è di un solo anno potrà il professore tor via quelle materie che gli scm- i^raiio meno importanti , e cosi avrà provveduto alla retta istruzione de' suoi allievi. Andiamo adesso alla erudizione. Per giudicare di u- iia scrittura e mestieri avere riguardo alla natura del soggetto di cui tratta , ed a quella del fine die l'au- tore si propose. Ora avendo riguardo alla natura del- la filosofia , ed a' requisiti di un' opera elcmenìarc si conoscerà essere assolutamente necessaria la erudi- zione. Imperocché la filosofia è una scienza antic s- sima, ed ha avuto in tutti i secoli sterminato numero di coltivatori. Essa è andata soggetta a continue viccu- (i) Phil. ile fesprit. liutnain. voi. 3 conelusian de la secon- de panie. 83 SCIENZE de; uno scrittore ha preso una via, un altro iie lia hat» tuta altra contraria. E però ho voluto rendere avvisati gli allievi delle principali opinioni de' diversi filosofi , e della divergenza de' sistemi filosofici. Ho voluto au' sarli a pesar fatti, a discutere le opinioni de' filosofi , € spesso a dubitare ; perchè una ignoranza o un dub- Lio ben confessati sono spesso la più profonda scienza. Come opera elementare poi è mestieri che i giovani sap- piano quali autori possono consultare volendo un qual' che articolo a fondo conoscere ; ed a tal uopo li ho avviati a quelle fonti. Non è mestieri insistere più a lungo su questo punlo; perchè quello che qui Criscuo- li disprezza , altrove come sommo pregio è commenda» Finalmente 1 autore in generale assevhve', che io ga^ jo di dottrine oltramontane i nomi ripeto spesso dei frwicesi , de^li scozzesi , degli alemanni , e non mi appello che di rado agli italiani quantunque molto ne abbia profittato; che le istituzioni del Soave sono la traccia da nie seguita; che mettendosi insieme una porzione della prima parte della logica-) e la seconda sezione della psicologia del Soave si avrà quasi tutta la ideologia nUa -, hi teoria del linguaggio in fuori ; logica e logica hanno grande somiglianza. Io non ho che rispondere a xjueste critiche; sono menzogne prette, e dopo ciò non mi resta che pregare i lt:ttori a leg- gere i miei elementi, e per l'accusa del plagio, a con-r li-ontare li stessi con le istituzioni del Soave: Accu- sato ne viene Mancino , siegue il mio critico , non che dalla distribuzione delle materie qualche volta troppo corrispondente., ma molto più dalle dieci dalle venti , e più linee qua e là sparse nel suo volume verbalmente copiate., le quali nel piccolo sesto della edizione di Soave formano non di rado pagine inte- (i) V. la Biblioteca Italiana di Milano , u. 244 aprile i830 pag. 11 5. SCIENZE 83 rj)rio di una scienza pura come la geometria. Ecco come Criscuoli con un err ire in testa volendo difen- dere Soave fa dirmi cosa che non ho sognato, fti dire al Soave quello che non ha detto, e quel che è più gli largisce un errore che quegli non disse mai. Ne minore sccmpiezza commette Criscuoli allorché si duole di altre i ("li lidie tla me falle al Soave, senza poi tlife'.iderlo. A che i^iova al Soave questa sua tenerezza? Avrrebbe fatto luaggior senno se avesse serbato un prudente silenzio* Io nella ideologia asserisco essere la sensazione un impressione lìitla sopra gli organi del corpo ed avver- tita dallo s})iritOi ]Non piace al Criscuoli questa dcfi^ nizione ed eccone la ragione. Quasicclic o impressio- ne e sensazione siano la cosa medesima^ o altra sen- sazione non possa dalV anima essere avvertita se non quella che dalle impressioni proceda. Forte ragione in verità ! e come dalla mia definizione si può logica- mente dedurre che impressione e sensazione sicno la cosa medesima? Per me la impressione dev'essere av- vertita dallo spirito per divenire sensazioiìe. Dunque se si fa l'impressione , e questa non è avvertita dallo spirito resta semplice impressione , ne può passare al rango di sensazione. In somma lavvertenza dello spi- rito è quella che costituisce propriamente la sensazione, e la impressione è solo la condizione oggettiva. Che ne direste di colui che dopo avergli defimto 1' uomo per un animale ragionevole^ si farebbe lecito di repudiar- vi tale definizione dicendo: (juasicchè uomo ed anima- le fossero la cosa medesima? Voi lo mandereste ad ap- parare i primi principi della logica. Ora il caso del Criscuoli è identico. Andiamo adesso all'altro membro della proposizione disgiuntiva: o altra sensazione non possa dall'anima essere avvertita se non quella che dalle impressioni procede. Ci dica per cortesia (|uali altre sensazioni possa l'anima ricevere fuori di quelle ])rodotle da impressio- ni latte sopra gli organi interni o esterni del nostro corpo. Tutti convengono e filosofi e fisiologi che per darsi sensazione vi bisogna un'eccitante funzionale, che eserciti la sua azione sopra i nervi che terminano ai vari punti del nostro corpo, che questa azione sia re- cata al cervello, e poi 1" anima la sente. E però si è generalmente stabilito che i nervi sono i ministri della S6 srrTNZE facoltà di sentile. Ora Crisruoli pretende che sianvi sensazioni senza alcuna impi'es.'-ione fatta sulla macchi- na; e così mostra sconoscere le prime verità e più co- muni della scienza. Ma vediamo di deciferaré quali possano essere per lui le sensazioni sperimentate dall'anima senza impres- sioni fatte sul corpo. Forse vorrà parlare delle sensa- zioni per cui r aniriià sciite gli alti delle sUe lai olla? Se ciò dicesse, in un errore più grave càdieLbe; per- chè gli atti per cui Io spirito è consapevole di liò che avviene denlio di se cliiauiansi atti di coscienza dei quali colà non parlo aflatto. Per la coscienza l'anima est con- scia sili et siiae operationìs^ ma non esce allatto fuori di se. Senta le parole di Tom. Reid: » la parola coscienza è impiegata da' filosofi per esprimere la conoscènza im- mediata che noi abbiamo de' nostri pensieri, delle no- stre risoluzioni attuali, ed in generale di tutte le ope- laziotii presenti del nostro spirito w. Per altro lo stesso Ciiscuoli alla coscienza attribuisce il conoscere che noi facciamo quello che succede nel nostro essere pensato- te. pag. 283. Dunque vana e la critica alla definizione della sen- sazione, e noi proseguiremo a sostenere che per darsi sensaziotie vi abbisogna e la impressione fatta sopra gli organi, c l'avvertenza dello s[)irito. Ecco quanto scrive Cousin (i): 5^ I fenomeni sensibili s'introducono nell'a- nima a dispetto di lei , pel solo fatto di una impres- sione esteriore ricevuta e percepita, cioè à dire di xxtta. sensazione. » Va ora e critica Sig. Criscuoli Ne meno vana è l'altra che e' dirige contro l'attenzione, da me definita il riconcentramento dell'attività dell'anima nell'organo che è posto in azione. Ecco la sua ragiofte. Quajsicchè attenzione prestar non si possa alle rimem- branze j ai giudizi j alle volizioni. Qui il critico trasportato (i) V- Frani, ftl. tradotti da Calluppi r. » pag. ig4. SCIENZE S^ .dalla mania ili censurare ha detto una fal.sità,e >' e- mostra- to ignorante i.clla scienza. Permetta, ovnatissimo signore, ,che io trascriva il tratto di cui si parla. » Lo spirito nellesercizio della sensibilità è passiva, perchè l'oggetto agisce suirorgano, Torgano sul cervello, e questo sul- l'anima; .ed ecco la passività. Ma allorché spiegando la sua attività, la riconcentra nell'organo che è posto in azione , allora questo potere chiamasi attenzione. Qui l'azione comincia dall'anima, da ques,ta passa al cervel- lo, e di là all'organo , È da avvertire però che que- sta facoltà , la quale ojdinariamcnte si riguarda come l'applicazione della 'attività dallo spirito sulle operazioni ,de' sensi, estendesi aticora a qualunque esercizio intel- lettuale, allorché vi ha uno sforzo particolare dell'ani- ma ». Dunque per me ratfenzionc si manifesta per la pri- ma fiata nel riconcentrare che là lo spirito la sua at- tività negli organi de' sensi., e si estende poi a qualun- que operazione intellettuale (jualora vi ha uno sforzo particolare dell'animo. Così se uno e tutto inteso a ri- .chiamare a memoria un avvenimento passato, a risc/I- vere un problema, a tlelibeiare sopra un aliare d' im- portanza, noi diremo che «gli lia loite applicalo hi sua .attenzione su qui-lli oggetti djt'' quali si tratta. Dunque è falso che io ho limitato ratlenzione alle sole opem- zioni de" sensi. Ma poi le parole del critico sono erj"o- nee. Egli parla di attenzione picstata alle rimembranze,^ jsC giudizi, alle volizioni. Or sappia Criscuoli che l'at- tenzione prestata alle operazioni dello spirito si chiama in filosofia rijlessione. A questi svarioni conduce la ma- rna di criticare senza xionoscere la scienza! Che dirò poi ove dichiara inesattezza l'attribuire al tatto ed alla vista la cognizione della divi.sibilità dei corpi, alla vista quella delia loro mobilità? Qualità ei dice che ì sensi da se soli non possono conosce- re. Dirò che io giammai ho insegnato che i sènsi da se soli poisano conoscere le qualità di cui è parerà. Ecco quanlo ho scrltlo: » le pai lì clic formano i'esteso possono separarsi, ed ecco il cnrpo divisibile; proprie- tà che col talto e con la vista riconosciamo. » Dun- que secondo me i sensi ddla vista e del tatto non co- noscono tali piopiiclà, uìa noi le riconosciamo per mez- zo del tallo e della vista. Vale quanlo dire il latto e la vista sono strumenti all'anima per conoscere questa e simili allre qualità de' corpi. Ma e vei-gogna tener dietro a simili minuzie e pe- danterie; e se io volessi amora farla da pedante potrei ricordare al Criscu 'li, che egli altra pii^i n:)bile funzio- ne aveva accordato al solo occhio; quella cioè di conosce- re il nesso ed il legame di tutte le parti di un cor&o di fdosolìa (pag. 280). Lascerò adunque ai pedanti le pedanterie, e vengo all'ullima critica concernente il pri- mo volume. Nella stessa ]-iprova che sian messe nella classe delle idee semplici la fame e la sete, insegnan- do da cattedratico, che siano in realtà sensazioni e de- Sideri. Secondo suo costume non ragiona, ma asserisce, ad in questa sua asserzione insegna un grossolano pr- iore. Per idea semplice si intende quella che non può scomporsi in più elementi , ed in questa classe secon- do il giudizio di tutti i lllosofì vengono collocate le sensazioni qualora non si unisca loro verun giudizio o atto di alila facoltà ; quindi in questa classe en- trano la fame e la sete , che meglio appresso chiamo sentimenti semplici (p. l'òg). Ma ne la fanie ne la sete sono desideri. La lame non c'T^come crede Criscuoli, il desiderio di mangiare, ne la sete il d(!siderio di bere. Si sa da tutti che la fame è un bisogno e perdo una sensazione interna penosa , e che per darsi il desiderio e d'uopo che si conosca l'oggetto acconcio a soddisfarla. Nello stalo attuale sperimentalo il bisogno della fame, corre alla mente Tidea de' cibi che possono smorzarla, e s'ingenera il desiderio di mangiare. Ma non per que- sto è lecito confondere la fame col desiderio di man- giare ; infatti può concepirsi, che uno avesse la sensa- SCIENZE 89 zione molesta della fiimc, fosse ignorante che esistesse- ro cibi capaci di smorzarla, e per costui non potrel)be darsi desiderio: esscudo antico dettato, ignoti nulla cu- pido- È questa l'analisi filosofica della fame e del de- siderio di mangiare (r). Perloccliè i filosofi Scozzesi Reid e Stewart hanno escluso dai desideri propriamen- te detti la lame e la sete , e le hanno collocato piut- tosto tra gli appetiti cIk; non esprimono se non bisogni fisici sentiti dall'anima (2). Grazie al tuono dommalico del Criscuoii, che alla voce del. comando ha fatto pas- sare la fame e la sete nella classe de' desideri malgra- do l'opposizione di tanti filosofi. Son queste le osservazioni che sonomi venute suHa penna svolgendo il piimo articolo del Sig/ Criscuoii. Mi fermo qui per ora non volendo abusare dalla di lei pazienza. Con la posta ventura spero rimetterle quelle .che riguardano il secondo articolo. Sono col pili profondo rispetto Da Palermo li 26 Agosto i836 VinUmo. e Dino. sei\>o Salvatore Mancino. SECONDA LETTERA Nella ultima de' 26 dello scordo agosto ebbi l'onore di inviarle alcune mie osservazioni relative all'articolo scritto da Criscuoii contro il primo volume de' miei elementi di Filosofia. Vengo adesso coli la presente a trattenerl ) su le critiche relative al secondo. In quello si vuol mostrare tran- quillo, in dilliirentc, imparziale; in questoperò si mini esla (i) V. Tracy Mem. sur la fac. de penser Mem. de Tiust. nii- tioiiaJe, scieiices inorai, et polii, v. i |j;ig. 35 1 el suiv. (2) Heid ess. sur Ics fac- de lespr. hurn,l,i\,,t;ss, iii, pari. ì eh. 1 — Stewart esquis de pliil. Mor. pari, 2 oh. 1. sect. 2. 8 90 SCIENZE fòrtemente agitato. Per 1) che lo troverà inteso a repii- diar tutto, e non ])otenclo dire ragioni, comincia a vo- mitare ingiurie e villaiiie ; lo veclrìi agitato sempre e furioso ; spesso mastica parole , ma che esaminate non discorrono, oppure non s'intendono; passa da un pun- to all'altro oppostissimo. Comincia a pai-lare della psi- cologia e salta di botto alla teologia naturale ; ritorna alla psicologia per lasciarla novellamente e tornare sma- nioso sulhi teologia c!ie gli sembra il campo suo pre- diletto. Tutto coni'oade e la confusione con cui è scritto larticolo appalesa la confusione che è nella sua mente; confusione c!ie seb';eiie siagli naturale (i), pure qui è accresciuta per efìetlo delle passioni onde è agitato. In- tanto non trova dottrina che possa attaccare come è suo costume di materialismo di ateismo, di deismo: e che pensa? Vedi cortesia somma e gentilezza ! Comincia a parlare del valore delle prove da me arrecate a favo- re della spiritualità ed immortalità dell'anima e simi- li , le dicliiara gratuitamente deboli , e così ha l' agio d'introdurre ed imbrattare quel giornale co' nomi di deismo, di at-jisrao, di origenismo, socinianismo, antro- pomorfismo ed altri; e per colmo di civiltà pone fine al suo gentile articolo collocandomi molto \>iciiio a Freret nemico dici de irato del crisliam^siino. E que- sto , ornatissimo signore , lo spirito secondo il quale questo secondo articolo è dettato. Per rispondervi ade- guatamente sarà mia cura ordinare tali accuse: da pri- ma dileguerò ([nelle della psicologia, e poi quelle della teologia naturale; la cosmologia per fortuna sfuggi alle sue critiche , ed avea da farvene simili a quelle fatte alla psicologia e teologia se ne avesse avuto talento. Ma agitato com'era la perdette di vista ; volle presto cor- rere al suo campo la teologia , in cui credea cogliere (1) Un mio scolare <: leiitnlo a provar ciò f:ccudo T aualisi diagli articoli lutti da lui fiuura mandali alle si^inpo. SCIENZE 9 1 nnori, e così quella parte de' mici elementi dalla sua cri- tica rispai'miò. Parlando della Psicologia asserisce in primo luogo essere deboli gli ai-gomeiiti da me recati a liivore del- la spiritualità dell'anima. Per conoscere la maligiiilà del critico è d'uopo riflettcìe clie io dimostro non po- tere appartenere alla materia le facoltà da me ricono- sciute nell'anima. Qui comincio dalla sensibilità , cui dimostro incompalil)ile con la materia, confutando tut- te le evasioni de' materialisti. Passo indi alla memo- ria ed immaginazione, al giudizio e raziocinio, e final- mente alla volonlà. dimostrando die tuli facoltà repu- gnano alle qualità della materia. Raccolgo indi tutte le facoltà e siccome tutte appartengono al medesimo /o, dimostro che questo io dev'essere unico senza plu- ralità di parti, semplice ed indivisibile, e poi scendo a mostrare, che questa unità ed identità del me non può essere un efi'etto della organizzazione. Dopo avere cosi dimostrato rigorosamente, che Tessere pensante è sem- plice e spirituale passo a soggiungere altre riflessioni per confermare vieppiù tale verità ; riflessioni die da se sole non sarebbero sullicieiiti a stabilirla, ma che aggiungendosi alle precedenti hanno il valore di più confermarla. Queste riflessioni sono che ne' ])ensieri non si scorge alcuno attributo dciresttnsione, che essi non sono cfletto di movimenti , e che anzi i loro fe- nomeni contraddicono le leggi del moto, e condii udo col riflettere che il sistema del materialismo repugna ancora allo stesso senso comune. Cosa dovrebbe fare Criscuoli per essere creduto dai lettori allorché asseiisce ^ che gli argomenti da me re- cati a favore della spiritualità dell'anima sono man- canti di forza? Dovrebbe esaminarli di uno in uno e mostrare se pecchino nella materia o nella forma. Né questo sarebbe sufliciente. Egli dovrebbe ancora mo- strare come avrebbero dovuto tirarsi per essere sottil- mente demostrativi , oppure esporre quali altii argo- 92 SCIENZE menti si avriano potuto recare più sodi e più conclu- denti. Egli niente J'a di tutto ciò e sulla feda della pa- rola ti dice che gli argomenti soii deboli. E poi arre- standosi ad un esempio die reco alla (ine dell'arlicolo per lar vedere che i pensieri contraddicono le leggi del moto, e prendendo le parti del materialista lo wielte nell'impegno di indebolire questo esempio, clie Dccupa un posto tutto accessorio nell'articolo. È (pjcsla la bel- la confutazione delle prove della spirilualità dell'anima. Immaginate che riuscisse a' materia. isti di cavillare sopra questo o altro esempio, aVran vinta perciò la lor causa? Su quale argomeiito non hanno difatti cavillato? Ecco l'esempio di cui si tratta: « uu corpo sollecitato da due forze eguali e contrarie rimane in quiete. Si of- frono al mio spirito le idee di 20 e di 12 -f- 8 (i na- sce in me il giudizio che 20 è eguale a 12 -f- 8, giu' dizio che è certamente un pensiere ; or se il j)ensiere non fosse altro che moto, in questa circostanza le due idee eguali non dovrebbero dar luogo a pensleie di sorta, dovendo nascerne equilibrio w. Il Cfiscuoli fa di- re al materialista che i moti sieno più presta tre chtì due, che non siano contrari ma della stessa s[»ecie e direzione. Ma che cosa guadagnerà con ciò il materia- lista ? Gli si potià sempre replicare che le fin-ze rap- presentate da' moli i2-j-8 equivagliano ad Una ^ per- chè certamente della stessa direzione e si sommano; e se poi vorrà ostinarsi a considerarli tutti tre nella sles- sa direzione il loro risultamento sarebbe eguale alla somma, cioè si avrebbe 20+ i2-}-8 rr 40 , e non po- trebbero dar origine al giudizio 12-^8 = 20. Dun(|ue il materialista cade sempre ne' lacci, malgrado gli sfor- zi che e' ia per uscire dalla rete de' miei non dico ar- gomenti, esempi. Si duole poi il mio Critico, perchè risolvo un gran numero di cliflicoltà, e che tra queste ve ne sono delle identiche. Ma il critico ignora essere l'articolo della spiritualità del più grande interesse in filosolia '^ Una - SCIENZE <)3 fella istruzione deve con tulle le forze combattere il inalcrialismo. Dunque è mestieri premunire gli allievi contro ìc primarie difficoltà clic loro potrebbero opporsi* Alcune fiate la stessa difficoltà diversamente presentata potrebbe sedurre il giovine inesperto. In un libro ele- mentare è giusto che si prevedano questi scogli nei quali potrebbe far naufragio la gioventù studiosa. Io non devo spendere più parole su ciò, poiché questo è un affare da tutti i saggi riconosciuto ; e certo se io mi fossi uscito dalle difficoltà più brevemente, Criscuoli mi avrebbe incolpato di leggierezza e di superficialità. Andiamo dunque a cosa di più alto rilievo , cioè alla immortalitài YAia ben sa quante opinioni siensi messe fuori intor- no a questo soggetto. Molti riguardarono come inde- mostrabile la immortalità dell'anima. Stewart sostiene che le prove a favore di questa verità hanno forza qua- lora si prendono tutte insieme , ma che nessuna sepa- ratamente considerata sia rigorosamente demostrativa. Il barone Galluppi che tra' moderni ha trattato a lun- go questo soggetto asserisce così : » Io dico che forse ninna prova dell' immortalità dell' anima prosa isolata- mente , sia interamente convincente , ma che diverse prove riunite insieme hanno per un filosofo di buona fede una forza sufficiente per essere persuaso di que- sta importante verità w. Tanto scrisse il filosofo di Tro- pea nelle lezioni or ora pubblicate per uso della R. Università degli studi di Napoli (i). Tutto ciò per pro- Vare che l'anima dovrà sopravvivere - alla dissoluzione del corpo. Ma la vita futura dell'anima sarà eterna? I premii e le pene saranno eterni? Il prof. Napolitano as- serisce che la durata dell'anima sarà eterna, perchè non può essere distrutta come semplice. In riguardo poi alle (i) Voi. m. lez. 65. 04 scientIe pene, giovandosi di alcune osservazioni di Tauibufinl concliiiulc clic la eternità loro non può con la ragione umana dimostrarsi. 10 in questa importante materia sostengo i° clie l'im-^ mortalità dell'anima è una verità filosofica dcmostrabi- le, e ne reco quattro argomenti, la semplicità, l'analo- gia, il desiderio della felicità, e la necessità di una fu- tura sanzione. 2" Che tra le prov-e a favore di questa verità ve fìe deve essere alcuna logicamente demostra - tiva, altrimenti inutilmente aspetteremmo la forza del- rarq;nmeuto dalla loro riunione , qualora i materialisti potrebbero di una in una jagionevolmenle combatterle. 3° Che tal valore, se alcuno fastidioso vuole negarlo a quelle tirate dalla semplicità e dall'analogia , non può alcerto negarlo a quelle tirate dal desiderio della ieli* cita, e dalla necessità di una sanzione futura. 4° tlhe la vita avvenire dell'anima sarà eterna e che i premii e le pene dovranno avere un'eterna durata. 11 critico dopo avere encomiato il modo in cui io proj)ongo lo stato della questione con Wolfio (e questo encomio dev'essere notato) soggiunge che siami fallita la bilancia allorché riguardo pari nella forza gli argo- menti dedotti dal desiilerio della felicità e dalla neces^ sita di una futura sanzione. E qui con tuono doaima* fico comincia a dire: v ha forse chi ignori die un er- rore pernicioso alla religione non meno che alla so^ cieià nacque dal riguardare, questi due argomenti come pari nella forza? Diteci di grazia signor Censore qual Cu questo errore di cui levate tanto rumore? Io so che bene grandissimo ne è venuto ed alla religione ed alla morale, ed alla società dall'essersi sviluppati que- sti due argomenl , i (juali stabiliscono di una maniera sicura la seconda vita e perciò un premio avvenire per la virtù, ed un castigo pel vizio. Ecco l'errore di cui parhi Criscuoli: dal T argomentò sulla sanzione si deduce per necessità la distinzione della pena dal premio nella vita avve7iire e cercando SCIENZE g5 cìi combinare (chi cerca di coni]>inarc? non io al cei-to) ijuesta verità con la credenza die il desiderio della fe- licità debba assolutamente ed immanclievol mente es- sere soddisfatto si è arrivato a conchiadere (da chi?) che la sanzione non è perenne. Perciò dopo una pena proporzionata alle colpe tutti gli uomini e buoni e malvaggi saranno finalmente felici. Eccoci al Socinianismo moderno., ed aìlorigenismo antico. Errore che contrasta alla religione il domma della eternità del premio e della pena., errore alla società perniciosissimo., perchè non opponendo al vizio una pena interminabile., lungi di frenare i malvaggi lascia a tutti gli uomini libera la scelta o di essere felici dal momento della soluzione del corpo in poi., o dal momento dehtermine della pena che sarà competen- te a' loro delitti. IMa che ha da fare l'erjore diagli o- rigenisti e sociniani, che volevano temporanea hi du- lala delle pene, con le mie dottrine? perche gli orige- nisti partirono dal desiderio della felicità per sostene- re l'errore che le pene doveano avere una durata tem- poranea se ne larà a me un delitto? Questa conclu- sione che gli orjgenisti e sociniani dedussero è Icit- tinia? Ecco l'esame che dovea fare Criscuoli. Egli sen- tenzia che questa conclusione è inevitabile. Duncjùe, M'a- ko, Storchenau, Soave, Fraj^ssiaous, Gailuppi e quanti altri filosofi avete finora sostenuto il domma della ini- inorlalilà siete tutti necessariamente sociniani , perchè di gravissimo momento avete giudicato i due argo- menti di cui è parola. Voi avete creduto tli sorref^trere a società la morale e la religione , eppure non avete fatto che spiantarla dalie fondamenta. 11 vostro errore è gravissimo, irremissibile. E non solo voi, ma tutti que' che dopo me e voi prleranno di immortalità di ani- ma saranno colpiti del medesimo anatema, perchè non potranno arrecare argomenti più forti di questi per di- mostrarla. V ediamo intanto se io potrò difendere me e voi du 96 SCIENZE questo anatema. Dal principio clie debba esservi una futura sanzione e clallaltro che il desiderio della foli' cita debba essere soddisfatto inferirono gli origcnisti, che dopo la pena espiatoria, doveano finalmente i mal»* vagi conseguire la felicità ; e i^juesta conclusione per Criscuoli è inevitabile. Ma perchè è inevitabile qui'sla conclusione? io non vedo la necessità di questa illazio- ne. Iddio deve soddisfare il desiderio della felicità sup- ponendo elle l'uomo sia retto, ed operi conforme alle leggi da se dettate. Ma chi si fa lecito calpestare la legge e la morale, cjual dritto può avere alla felicità nella seconda vita? Egli si ha meritato un avvenire in- felice. Duaijue gli originisti e con loro i sociniani male ragionarono, allorché inferirono che anche i malvaggi dovessero avere una futura felicità. Da noi si sostiene che il desiderio della felicità sarà soddisfatto appog' giaudoci sempre alla bontà, sapienza, e giustizia divi- na. Ora questi attributi divini non richiedono che i malvaggi abbiano un avvenire felice. Appresso il censore soggiunge: egli contento di con- chiudenie ( da' due argomenti) c/ie vi sarà luui vita futura non passa più oltre. Ma se è vita-, dunque è immortalità^ Bisognava aggiungere qualcìie cosa di più per dimostrare die questa vita è immortale- In primo luogo non è vero che io non passo più olire , perchè nel capitolo di appresso passo tanto avanti, che provo essere eterna questa vita futura , e che i premi e le pene avranno una eterna durata. E poi signor Cri- scuob quando vi provo che l'anima non muore col corpo, vi dimostro già che è immorlale; e però se è vita^ e immortalità. Per altro voi piìt su (p- 77) mi diceste esse- re giusto il modo di proporre lo slato della questione nei termini di Wulfio. Ora cosa ricercasi per Wollio onde provare l'immortalità? Tre cose 1° che l'anima sia su- perstite alla dissoluzione del corpo; 2° che continui in uno stato di percezioni distinte; 3° che abl)ia coscienza di se e memoria del passato. Dunque se vi aviò prò SCIENZE 97 > vaio clic alla morie del corpf) l'anima riliouc queste Up,. ])ropnctà vi ho provato rinnnnilalitM, Punquc [vi' pmi^, ci|)i ila voi laudatimi, se è K>ita^ è ii^imorUdàà, J)if^i.-r> que voi elogiate a Sglieml;» pei'chè ieiicomio cadp ff^j Wolfio; più tardi, assprite la lalsitì» cUo provata U vilq( avvenire io non [)asso più avanti; pcji,i diuieuticate U. solenne approvazione datij al modo di proj)or>e la qu^-/ stione ne" termini di VVoUio, e vi dolete clie siasi [n-O" vata la vita futura e non mai l' immprtaiità. Duyqnp, signor critico tra due linee lalsità, coHtraddi'/,ioui ; jVv9K^ in somma non sapete quel che vi dite* -' ...• r » Dopo avere asserito il censore, che io provata la ^^il:» avvenire non passo avanti, facendosi coscienza, còu|e'«s5i; ciie esamino la questione, se mai la vita avvenire sarà eterna. Io la esamino, sostengo laflcrmativa, mi giovo di tulli quattro gli argomenti sviluppando con ispecialtà quelli tirati dal desiderio della l'elicila e della necessità di una futura {sanzione. Criscuoli asserisce che io svi- luppo quel solo che a socinianismo inevilabilmenle con- duce. Qui mentisce asserendo che sviluppo il solo ar- gomento tirato dal desiderio della felicità; ed è antilo- gico quando asserisce .che tale argomento mena inevi- labihnenle a socinianismo, perchè già ho mostrato che è liilsa la illaxir)iie de' snciniani. Che diiò poi allorché Criscuoli asserisce che io per rin- forzare la del^olezza de' miei argomeuli mi servo della divina scrittura? Questa è ancora una lalsità. Io debbo risolvere la diillcollà di Lucrezip che dice, l'anima pe- rire nel corpo altrimenti non si separerebbe dallo stes- so con tanla lotta. La mia risposta è ne' seguenti ter- mini >i La dillicoltà che da i)iìi si sperimenta ad ith~ bandonare il corpo , non ])er limmiiiente totale disso- luzione avviene, ma perchè l'animo è vessato dalla in- certezza della sua coudizione do[)o questa vita; ilun i Sarà continuata. PARTE SECONDA l-ETTEUE ED AHTI Compendio della storia di Carlo Botta dal 1 53 /j fi- no al 1 y8g coli' aggiunta di una idea generale dei tre secoli contenenti le epocìie compendiate per quello che riguarda non solo le guerre , ma an- cora la politica , la religione , le scienze^ le belle lettere e le arti liberali — dell m'V. Luigi Cornetti — Parigi presso Baudry 1 834 due volumi in 12 il 1 di pag. 22/, // a di 5229. Polibio disse con quella sapienza , propria del suo gran senno, che la narrazione , la quale racconta sem- plicemente le cose fatte, e non insegna il perchè , il come, e il fine per cui si fecero è piuttosto un conto ED ARTI 99 per fanciulli, che vogliono essere alletlati, anziché una storia per uomini che fa d'uopo istruire. I compendi delle grandi storie cadono jicr lo più nel vizio della narrazione da Polibio colpita. Perciocché in essi lasciansi tutte quelle cose che ti mostrano le ca- gioni che gli avvenimenti j)rodussero ; lasciansi le ri- flessioni, le sentenze, i paragoni , le illazioni ; lasciasi ciò che tende ad animaeslrare i princij)i, i generali, i magistrati, i po])oli; la stojia in somma nei compendi non è più la maestia della vita, la iute della verità. Quindi sotto questo aspetto considerato il presente sub- bietto forse male non avvisano coloro i quali non vo- gliono che si compendiino le colossali faticiie dei gran- di Uomini: perciocché credono, come Cicognaia diceva, che vengano in ischeletro presenlate. Ciò non pertanto io non voglio interamente parteci- pare nella severità di tal sentenza. Imperciocché qua- lora i compendi son fatti con giudicio e con maestra mano, e racchiudono il mollo in poco, presentando il flore più bello della isterica sapienza dell'opera originale ìli guisa da potersi mettere nelle mani di coloro cui uon è dato di svolgere numerosi volumi , possono re- care non lieve profitto , e risguardarsi come fonte di popolare utilità. ^on vi ha forse nelPuno e nell'altix) emisfero chi non conosca il nome di Carlo Botta; ma non tutti quei che lo conoscono han letto le opere sue. Tiraboschi com- pendiato dal Landi é forse più letto nei cinque volumi di questo che nei quattordici suoi. Il compendio fatto degli annali del Muratori dal vicentino Rigoni ha una classe numerosa di leggitori, che non si sarebbero mai forse rivolti a leggere ia fonte i numerosi volumi di quello, Erodoto, Diodoro, Tucide, Quinto Curzio; e Làvio, Cesare, Tacito, Sallustio, Dione, Appiano ed altri che lian conoscere le cose di Grecia e di Roma non avranno cer- tamente tanti leggitori quanti ne avrà il Goldsmith uci i DO LETTF.TIF, stltìi cotìftj^i^fidi tÌL'lItt gioca e romana storia. Chi sa f]uaiili e (]uaiili.ncl fnondo, (he non possono aflciidere a lun- ghi ,sttKlì , ed applicarsi alla lettura di grandi opere , fi ma riebbero privi di sapere le cose di (juellc mngna- iiiiiie nazicni, senza que' due pregiali lavori deir irlan- dese stoiico! Egli era perciò desiderabile che il lavoro del Co- rnei ti avesse corrisposto a queste vedute , e recato si fatto .'crvigio alle lettere e al popolo. Impercioichè la storia d' Italia continuata da quella del Guiccian'ini è tale opera che non dee ignorarsi da nessuno eh' ebbe vita in questa terra. "Sin non è a nascondersi la dilli- colta dcHimpiesa a cui il Cornetti si accinse; poiché in opera di quella fatta trovasi un compendiatorq stretto a non sapere qual cosa dee tralasciare, qual cosa dire, e in che modo dirla. Io credo che sia assai più agevo- le compendiare il Guicciardini che il Botta; che in quello avvi molto da lesecare, e di prolisso; in questo nulla: quindi puossi il superfluo facilmente troncare, ed il prO" bsso venire compendiato, senza alterare l'ordine dell'au- tore originale. Difatti il Sansovino ridusse in due pic- cioli volumi tutte le storie del -Guicciardini , seguì il piano di lui, abbreviò le jiarti di quel gran corpo, in cui lansi più manilcste la dottrina civile e la politica sapienza dello scrittore, e compendiò le narrazioni per modo che nulla mancasse alla cognizione dei latti. Il Comelti per lo contrario conoscendo forse la diflicoltà di fare nel Botta ciò che il Sansovino avea fatto nel Guicciardini , battè diversa ed opposta via. Impercioc- ché formò tanti capitoli, quanti erano i principati e le rcpu])bliche d" Italia in qnell' epoca , ed in ciascuno di essi narrò i latti a quello relativi, conservando l'ordine loro cronologico. La qual cosa non credo che sia mol- to laudabile, e sembrami che dia alla storia un'aria di «jauuale cronaca, togliendole tutta la dignità e l'aspetto suo consolare. RD ARTI lOI La slorla liei Botta ha un sol fine, ed e ovcìita con mirabile perizia; clic tutti gli svariati avvenimenti sono lia loro si fattamente congiunti, che formano un tutto perfetto in ogni parte. 1 compendi, qualora non si voglian far servire a sem- plici manuali storici, non debbono alterare l'ordine de- gli autori, ma seguirlo patjso passo, andando ristringen- do tutto che s'incontra , accennando le cose meno im- portanti , e tralasciando con giudicio e con senno ciò solamente che credesi ripetuto, o non influire gran fatto alla conoscenza e alla verità degli avvenimenti. Ma il Cometti rovesciò interamente il piano del Botta, e l'or- dine delle cose narrate: onde non puossi nell'opera sua riconoscere quel grande storico, e rinvenire la moltlpli- cc sapienza che questi a piene mani versò. Ciò non pertanto egli ha cercato di dare al suo lavoro, essendo c«ldo e non volgare ingegno , tutta l' importanza che , con quel metodo, più poteasi. Imperciocché raccoglien- do in vari capitoli tutti i fatti principali (:he nel lungo periodo di due secoli e mezzo accaddero ih ciascun pae- se d'Italia, e che trovansi sparsi in tutta la grande ope- ra della Continuazione ^ venne a riunire con distinzione e seguito regolare le vicende importanti di ogni princi- pato e di ogni repubblica, scoppiate colà sin dal i534 (epoca in cui il Guicciardini finisce) in guisa da far tanti ilisparati quadri, che l'uno stii indipendente dall'altro : dilli idochè volendo noi conoscere tutto che accadde p. e. nella repubblica di Genova, o nello stato di Mi- lano, o nel regno di Napoli nei secoli percorsi dal Botta non dovrem leggere che il capitolo quinto nel primo volume del Cornetti, e l'ottavo e il decimo , che sono nel secondo; e vedremo ch'egli, parlando della genovese repubblica, accenna primieramente come Andrea Doria procurasse là libertà della patria, levandola fin dal iSaS dall'obbedienza di Francia: quindi dopo di aver detto che quella repubblica era dipiendcnle tla Spagna per lo 1 03 LETTERE congiunzioni esterne non però per le interne, passa al «534, e narra che a Battista Lomellini ^ compilo il suo biennio^ era successo nella dignità di doge Cri- stoforo^ della ben nota famiglia Grimaldi , da cui il virtuoso Ansaldo Grimaldi^ al quale la repubblica co- me a uomo benemerito della patria^ fece alzare una statua nella sala senatoria. Fu ( prosicgue a parlare Coaietli ) uno di quei die contribuirono all' iti grandi'' mento del banco Sati-Giorgio, banco, o monte, che avcK'a avuto origine dai legati lasciati dai particola- ri, ed al quale poi erano state assegnate le contribuì zioìd della città di Genova. Tale banco era facoltoso e potente. Era già padrone dell' isola di Corsica , e governava anche in riviera di levante Terzana e Cw stelnuovo, ed in quella di ponente f^eniimiglia ed al' tre tene. Era Ì7i buoni termini, come la compagnia dellTìulie, una signoria politica di qualche parte della dizione genovese. Ciò dello passa al i542, e nei se- guenti modi si esprime: fu in quest'epoca che Genova fondò il Castel di Savona, e fortificò sulla riviera dì levante principalmente Monferratino, e P ortovenere , giacche non solo dei Savonesi temeva , ma ben an* che del Turco col quale limperatore ed altri avendo guerra, siccome a suo luogo si vedrà, essa non era stata estranea. Salta al i557, e soggiiingei fra le famiglie princi- pali della repubblica vi fu la famiglia Fieschi , che ebbe Sinibaldo, modello di virtù, ed uno dei più be- nemeriti. Il f'glio suo però Gian-Luigi, fa il conirap-* posto. La dissimulazione di costui era al non ph s VLTRA, ed era orgoglioso) ma chi eccitò sempre più il suo orgoglio fu la madre, cui si unirono cdtri, fra quali certo f^incenzo Castagno da Varese, camerie- re di lui. Chiamavano Gian-Ltdgi Alcibiade , cut realmente assomigliava, colla differenza però che Al- cibiade combattè per la libertà della patria •) Gian- Luigi per porvi il giogo 4 ED ARTI Io3 E così l'autore prosieguc a raccontare le operazioni di costui per distruggere i Boria, e la congiura che si ordì e che scoppiò. Poscia muove verso il i Jyo, e nar- ra che morto Andrea Boria si sviluppò quel rancore, che giaceva nascosto per la riforma ch'erasi verificata nella repubblica, riforma, che aveva irritato i popolani. Die- tro le quali cose parla delle due parti di portico nuo- vo^ e di portico vecchio^ cioè quella del popolo e que- sta dei nobili , e rapidamente dice della gu .ra civile e delle scissure che fra l'una e l'altra avvennero, e che resero Genova teatro lagrimevole di novelli infortuni. Nei quali tumulti voleano Francia Spagna ed anche Toscana profittare delle discordie, per tirare tutto a se; ma il Papa s'interpose, e volca farla da conciliatóre: la qual cosa giovò a Genova, perchè fece andar fallite le mire di que' potentati , senza però avverarsi la cit- tadina conciliazione. Quindi in mezzo al tumulto della guerra civile vi fu sommo pericolo, e si temè che tutto cadesse sotto il despotismo di Bartolomeo Coronato , uno del Consiglio de' sei nobili , che sopraiiitendevano alle cose della guerra. Ma la fermezza del Senati sal- vò la patria: egli armò i migliori cittadini , e confidò alla guardia di alcune bande i più impoilnnli luoghi della città; poi protestò, che inai Gejioiui (s^mo parole del (^ometti,) sarebbe soggetta all' autorità di un solo, ne mai tiranno regnerebbe ivi. Bai che avvenne che il Coronato depose l'audace pensiero , e poscia non fu più malagevole l'accordo. Il Conietti accenna in seguilo la maniera con che l'ac- cordo venne fatto , e passa al 1576, ove fa menzione degli articoli di esso ; e della pace e della quiete che ne furon la conseguenza , rientrando i fuorusciti , che con grandi dimostrazioni di giubilo fiu'on dal popolo ricevuti. Il solo Coronato non quietava. Congiurò e trovò complici , ma scoperto pagò la pena coli' ultimo supplizio. Tocca poscia l'autore il iGj3 , in cui parla di un I04 LETXPRE quarto recinto di muraglie di circa otto miglia, clic si l'ecero in Genova per renderla più forte. Viene il iGSo; poi il 1672, il 1686, il 1744» il 1747 e il 174S, in cui narransi i vari f^tti avvenuti nella genovese repub- blica coiristesso stile, e nell'istesso modo, come presso a poco si sono quelli degli anni scorsi raccontati. Cosi finisce il capitolo intorno le cose genovesi; non l^arlandosi più di Genova, che nel solo capitolo sesto , consacrato alla Corsica , e che è il primo del secondo volume; e ciò per la guerra di quarant'anni, che i Corsi sostennero contro la stessa repubblica, a cui cran sog- getti. Dalle quali cose potrassi ben conoscere la natura di questo compendio, ed il metodo dailaulorc tenuto per portarlo a compimento. Solo è da aggiungere rispetto alla particolare fatica di lui, che l'idea generale dell'Italia pei tre secoli, cou- teneuti le epoclic compendiale, di che l'autore fa segui- re il suo lavoro , è certamente un utile quadro ; che presenta in ischizzo le cose più memorabili , che nel compendio medesimo si discorsero. Egli colpisce nello spirito dei tre secoli , ed oflie l' ultimo risullamento della storia non solo per le cose civili e politiche, ma per la religione, le scienze, le lettere e le arti non a salti ma fil filo, quasi in appoggio ed in soccorso delle cose compendiate. Egregio e bellissimo divisamento poi reputiamo quello del nostro autore di avere raccolto tutte le sentenze, die trovansi sparse nella storia della Continuazione , estraen- dole dal gran corpo della medesima. Questo lavoro con cui si chiude il libro, quasi a suggello della grande fa- tica del Botta, è tutl'oro che splende di morale e po- litica sapienza, e dovrebbe imprimersi in ugni petto. Riguardo poi allo ^tile adoperato dal Cornetti nel dettare queste pagine diremo ch'esso non partecipa af- fatto in quello del Botta , e che potca essere per se medesimo migliore. ED ARTI lO^ Per verità in un libro, in cui le cose vengono stret- tamente compendiate non si può richiedere la magni- loquenza, con cui quel potente ingegno narrò gl'italici fatti ; ma egli è però necessario che in fatiche di tal natura il dettato sia sempre sostenuto , e che abbia in tutte le sue parti una nobile e propria fisonomia. La dizione dello storico debb'essere, a parer mio , piena copiosa scorrevole; ed io credo che ninno, fra i moderni di tutte le nazioni , abbia saputo meglio di Carlo Batta tenersi, per questo riguardo, in quel mez- zo, che sta tra il fluido dell' oratore e 1' evidenza del poeta, e nel quale deesi tenere lo storico. Ermogene, che ognun sa qual perspicace ed alto ingegno si aves- se, nel suo trattato del convenevole ed acconcio me- todo di dire^ che fece per l'età in cui fu scritto, ma- ravigliare le genti, voleva che la storica dizione al ca- rattere di Platone, che riputavasi il più sublime scrit- tore di Grecia, si accostasse. E Tucidide, sendo di tal verità persuaso , cercò di formarsi sopra Omero , che fu per io stile per le immagini per le pitture il suo unico modello. Al che aggiungiamo che Dionigi d'Ali- carnasso acremente biasimando nelle istorie lo stile po- vero e meschino , riprende Polibio per aver messa in non cale l'armonia del dettato, e loda altamente la di- zione di Erodoto e di Tucidide, chiamando su tal punto eminenti e dilicate poesie le storie loro. La stile da Tucidide adoperato è pieno di armonia di pompa e di grandezza : quello di Erodoto ha un can- dore, una soavità, una leggiadria che t'innamora; di- guisachè Marco Tullio non dubitò (/le//' Oratore) di as- somigliarlo ad un fiume , che placido e fluido scorre tra le sue sponde. Quindi, per provare quanto giusto e proprio fosse il concetto di Dionigi, mi piace di ricor- dare il Fontano, il quale, secondo ha dottamente osser- •vato il P. Le Mojne , fa un confronto delle locuzioni e delle figure di Sallustio di Tito Livio e di Tacito con quelle di Virgilio mostrando pienamente, come quei IO JOO LETTERE Ire grandi uomini fossero nello stile, per così dire, poeti sciolti dalla servitù del verso , e consolidando in tal guisa quel che Tullio e Quintiliano avevano asserito , cioè che la storia, per l'elocuzione, altro esser non do- veva che libera poesia. Per la qual cosa bellissimo si e sempre dai dotti riputato il paragone fatto da Luciano, che il vascello della storia sarà pesante e senza moto, se il, vento della poesia non riempie le sue vele. Ma da tutto ciò non credasi che io voglia paragonare lo storico al poeta, e che intenda confondere l'un col- l'altro, no certo. Io intendo bensì che la dizione della storia sia elevala ed eminente: che la storia ella stessa debba avere paragoni, caratteri, immagini, descrizioni, pitture, delincale con quei colori medesimi , che ven- nero adoperati da Carlo Botta nelle sue maschie crea- zioni: diguisachc il paragone fatto da que' grandi uomini della poesia colla storia non si prefige, sotto quel ve- lame, che il ceunafo fine solo ed esclusivo. La forza e lenergia dello stile di quid sommo isto- riografo è sempre sublime e non cade mai; la vivacità delle sue immagini, tutte naturali, che nascono dal sub- Lietto, e spontaneamente ti si offrono; la dipintura gran- de e variata scmprj dei guerreschi e politici fatti , le concioni poleatissime , le descrizioni, che sono, come «juelle dellAligliieri, quadri che ti cadono sotto i sensi, ti formano uu poema di verità, nuovo e uiaraviglioso. Ora il Cometli non ha nulla di tutto questo, ne noi lo pretendiamo , per la natura del suo medesimo la- voro che più ad un annuario storico, siccome sopra di- cemmo , che ad una vera storia si avvicina; ma vor- remmo che il suo libro nella sua medesima strettezza più scorresse e divampasse. Io credo che se la bellezza dello stile richiedesi in qualsivoglia fatica dell' ingegno , perchè le materie di- scorse s'insinuino dolcemente negli animi, e così l'au- tore ottenga il suo primario scopo, ch'è quello di col- pire le menti, e di trarre a se i legg lori , mi è di ED ARTI lOiy avviso che nella storia più di qualunque altro scritto si richiegga. Zosimo vissuto in un secolo, in cui a ter- ra giacevano le greche e le latine lettere, malgrado dei suoi gravi difetti , come storico , levò di se aitissimo nome, e vive tuttavia con riverenza nella memoria dei dotti , per la chiarezza la purezza e la soavità della elocuzione, clie per que' tempi, già quasi ferrei, fu ve- ramente singolare. La fortuna adunque della storia di Zosimo deesi unicamente all'eleganza del sno dettato. Io non credo che vi sia uomo , il (juale vòglia durar tanta fatica, e spendere tante cure e tante vigilie, quan- te ce ne vogliono nelle creazioni dello spirito, per farsi nascendo dimenticare. Or la storia, senza la vita dello stilcj corre quel rischio, ed è quasi opera perduta. Quitì- di ogni scrittore dee a tutta possa impiegare le prime forze della mente, per afìérrare questo segno. Noi sappiam© che il Com-etti attende attualmente 3 compendiar pure Taltra storia di quel sovrano intellet- to, che comincia dall'epoca memoranda della rivoluzio- ne di Francia, 1789, e va fino al i8i4- Ma deside- reremmo , conoscendo noi pienartiente avere egli inge- gno ed animo nobilissimo, che facendo questo novello servigio alle italiche lettere, in altra guisa più propria;, e più confacentc alla gravità di un'o(Dera immensa come quella della Coiithutazione , e più immensa- ancora di tissa, a fiii€ lo conducesse: desidereremmo che lo spirito d'el Botta, e la sapienza di lui nfell-e sue pagine si con- servassero: spirito e sapienza cife' in un compendio co- me quello su di che il presente discorso si aggira,, si dissipano, e più non sono: " "1 ' ^^"'}. ", ' Ma checché ne sia, laudeVoliiisitni ' s5 debbòn sempre l'iputare i divisamenti di questo valentuomo, poiché per loro si rendon vie più popolari quei libri, che, facendo conoscere tanti strepitosi avvenimenti , spandono sulla vita umana torrenti di luce, scuotono gli animi, e gli alluminano, insegnando a conoscere gli uomini e a pen- sare. Imperciocché l'opera deH'89 al 1 4 insieme a quelle 108 LETTERE della Indipendenza americana, e della Continuazione del Guicciardini costituiscono il monumento piìi solido e più onorevole, che abbia Italia a' nostri giorni traman- dato ai secoli venturi. Primieramente il Botta disse quel che dovea, e nul- la, preso in grande aspetto il tutto, puossi e deesi ag- giungere o correggere alle opere sue. Questo ingegno trascendente non omise cosa alcuna; cliè nei vasti suoi piani, pensati con somma maturità di consiglio, dovea entrare ciò eh' ei entrar vi lece , e nulla più. Inana ciancia ogni altro obbielto cui si sarebbe voluto, che il Botta avesse risguardato. Imperciocché il discendere al- le piccole cose in opere di tal natura, e di tanto pon- do e tanto sapere , è un oltraggiare il proprio senno , e il senno altrui. Le piccole cose sfuggono, ne si cal- colano , né calcolare in verun conto si debbono: elle perdonsi nell'immensità del lavoro, che, simile al Sole, rimane puro e splendido, malgrado delle macchie che vi gi scorgano. Perlochè mosse egli generoso lamento; e ben mi ricorda, che veggendosi per la storia dell' 89. al 14 tassato da certi giornali d'Ilalia in alcune mi- nuzie , dicea , che con ributtante prosopopea di queste parlavano , e tacevano interamente (sono parole sue) delle cose grandi generose ed anzi magnìfiche , che da me con fer\)orosa , se non con eloquente penna , furoìio tanto affezionatamente raccontate(i). E quanto non potrebbesi dire di più compassionevole ancora per la grande e stupenda fatica della Continuazionel Quivi egli descrisse con sovrano giudicio, e con tocchi terri- bili e splendidi tutti i più importanti avvenimenti, che accaddero in Italia nel corso di due secoli e mezzo , versando a piene mani i santi principi delle più belle virtù, documenti solenni della nobiltà del suo caratte- re, e dell'altezza dell'animo suo. (l) Risposta di Carlo Botta alle iOpposizioni del Parndisi e dei 1 Lucchesini ec— Modena ,per G. A inceiizi e comp. 1825. 1 ED ARTI lOg Perlocliè una delle ingratitudini che più muovono ira ai nostri tempi si è il veder questo sommo inge- gno fatto scopo di scherni di detrazioni e dì censure, or calunniose ed aspre , or puerili ed ingiuste. Dura cosa e iniqua il vedere chi si alza a maestro, ed inse- gni a Carlo Botta il modo come condurre si debbono le istorie! Si è gridato da taluni ch'ei nella storia dell' 89. al 14. di parzialità peccasse, si è detto di aver parteggiato più per questa che per quella nazione, gli si è impu- tato di esser nemico di Bonaparte. Menzogne! ogni im- putazione sraentiscesi leggendo senza passione le pagine di lui; nelle quali ad ogni momento la sua imparzia- lità in supremo grado riluce. Egli non è nemico ne a- mico di alcuno. Mi si permetta che agli antichi mi porti col pensiero , e ad essi paragoni l'italiano storico , di cui ragiono, f^elleo Patercolo cerca coprire tutti i de- litti di Tiberio e di Sciano, e trova virtudi in mezzo ai loro medesimi vizi. Zosimo odia troppo Costantino, Eusebio troppo lo ama: l'uno e l'altro per affetti di- versi falsarono il vero. Per lo contrario Botta innalza Napoleone, e lo mostra più che grande là dove risplen- dette eminentissima la virtù di lui ; lo biasima e for- temente lo colpisce là dove s'imbrattò di colpe; ch'egli un impasto fu di virtù e di vizi. Quindi Botta, secon- do la realità delle cose, innalza e nel medesimo tempo abbassa, e sembra ora amico, ora nemico degl'indivi- dui e delle nazioni, mentre non è in effetto ne nemi- co, ne amico di alcuno, ma soltanto difensore, e solen- nissimo proclamatore del vero. Egli qua è simile a Polibio, che non ha riguardo a chicchessia , e confessa gli errori di Licorta suo stesso f ladre, ch'era grand'uomo di stato, e che accuratamente 0 istruì, e teneramente lo amò : là sembra eguale a Tucidide , che non lasciò di lodare Cleone e Brusida , .che furou suoi tremendi nemici , e lo fecero bandi- re da Atene: qui p. e. rassomiglia a Tito Livio, che tlO LETTEBE eoa animo sublime applaude ed onora Bruto e Cassio, ch'erano stati nemici fierissimi di Augusto, ed Augusto pveva colmato di beni Tito Livio , e questi lioiiva solto l'imperio di lui. Cerfo bellissima verità fu (juella che venne da Cornelio Tacito annunziala nel principio de' suoi Annali, che le istorie di Tiberio e di Caio, di Claudio e di Nerone scritte mentr'essi viveano eraii false pel timore- chó incutea la loro tirannide, e poiché morirono false ai causa de' recenti odi, che in ogni petto ferveano: TiheriL Caique et Claudi ac Neronis ivs^ Jlorentibus ipsis ] ob maeium falsae; postquam occi- derant^ recenlibi^s odiis composàae simt. Il ehe rac- chiude un gran concetto intorno alla maggiore diflicoltà della storia; e come sia mestieri gir cauti per non ca- dere in errori. Quindi tostochè veggiamo che quegli il quale imprende la grande opera di scrivere gli avveni- menti del suo secolo, e si rende con magnanimo cuore superiore a se stesso e a' tempi suoi, la qual cosa cono- scesi , qualora méscola, come ha fatto a' nostri giorni il Botta , le lodi al biasmo a seconda de' vari casi , presentandoli non con una sola faccia, ma sotto mil- le forme, come soglion succedere nel mondo , e suc- •ees:ero , allora possiam dire esser questo il libro più utile per ru(jmo; imperciocché, a guisa di specchio,' ri- flette il vero, e ritraendo le opinioni e lo s|)irito dei •tempi, ammaestra in supremo modo la posterità per ciò che spetta la natura dell'umano cuore, e le vicende del- la vita. Il Botta, simile a Tacilo, scrisse sinè ìfa et studio^ tanto le cose a lui vicine , quanto quelle lontane: la rstessa norma seguì per tutte: conoscere il vero e mani- tfestarlo. Egli non ebbe tendenza, più per questo o pei* rfjuel paese: tutti i punti d'Italia dalle Alpi all'Eliia gli iStettoro egualm(!nte fitti e nel pensiero e nel cuore. Ei narrò di ognuno quei falli che entrar dovcano nel ■suo "piano, e quei soli che poteano influire sulla stcjria ■generale d'Italia. E se parve a taluno, gridando la croce ED ARTI I I 1 con tanfo strepito, che jl Piemonte , nella Continua- zione del Guicciardini , si sia dal nostro storico di troppo vagheggiato a preferenza degli altri stati, è me- stieri che si sappia che nelle epoche scorse dal Botta in quella storia, il Piemonte fu teatro continuo di gra- vissime vicissitudini, per la sua topografica situazione: ed avvenne che le alternative invasioni del Piemonte e della Savoja obbligaron lo storico a raggirarsi fra quelle contrade più che in ogni altra d'Italia. Imper- ciocché mentre quivi accadeano infortunii e disastri ter- ribili, che sopra i destini d'Italia avevano diretta in- fluenzi/, negli altri luoghi spesso nulla avveniva, o cose avvenivano di sì poco momento, che non poteano affatto risguardare la storia generale della penisola ; e di cui lo storico non poteva ne doveva farsi verun carico, sic- come alcuni , senza penetrare nello spirito di quella gran mente, avrebbero voluto che avesse fatto. Censurare dunque e calunniare chi ha tanto meditalo e pensato sulla natura delle nazioni, e le vicissitudini di straordinari tempi; chi ha in sì svariate guise volto e rivolto l'umano cuore ; chi ha scritto con eloquenza e sapienza altissima sì numerosi volumi da sorprendere per maraviglia le genti di ogni terra è un delitto che ogni petto generoso considera fremendo e lagiimando. Le istorie del Botta si ristampano in ogni punto, si traducono in ogni lingua, si leggono con muto entusia- smo da quei medesimi, cui il furore stesso dei partiti rende ingiusti. Le critiche adunque, e le correzioni , e le osserva- zioni, e le considerazioni, e le note, le aggiunte, le cliiose fatte a questa e a quella opera di lui , che da più punti d'Europa son sorte, e le apologie alle corre- zioni e alle critiche manifestano pienamente la miseria dell'umana natura più che de' tempi nostri; e se tante inconsiderale scrillure gir potessero ai venturi si ricor- derebbero da questi con quell'ira e quel disprezzo me- desimo, come noi ricordiamo • le cose deWIn/errigno e AeW Infarinato . I I 2 LETTERE Il tacersi in mezzo a tante basse adulazioni , e il non prender le difese di lui che ha illuminato il mou- do, è viltà, ed inder;nità per un uomo che sente, e che un palmo da questa fangosa terra s' innalza. Sappiasi quindi che mciilie tanti per tante svariate cause e ra- gioni, muovon le labbra per oltraggiarlo e ferirlo da ogni banda, fuvvi chi non si tacque, e gridò aperto il vero innanzi a passioni o ,vane ed inette, o violenti e crude. ■ E qui cade in acconcio il ricordare che cosa vitupe- revole e particolare de' nostri tempi vigliacchi è quella di sentir chiamare e a voce e in pubbliche scritture rivendicatori dell'onor nazionale coloro che il Botta at- taccarono e attaccano. Truce bestemmia ed insensata! il più forte propugnatore della gloiia nazionale è il Botta: nessuna italica provincia ha mai avuto un difen- sore più generoso e più potente di lui pei suoi dritti e per le sue glorie. Lo stianiero che ha Italia tante volte conculcata e depressa è stato sempre di corto , con parole pieno di sdegno nobilissimo, attaccato e vin- to. Perciocché egli colla sua eminente ragione ha difeso ogni punto d'Italia in modo che quelle auree pagine racchiudono tutto che l'umano pensiero può escogitare di più sottile per difendere ed innalzare questo suolo. Finalmente riguardo alle sue dottrine dirò , ch'egli odia le pesti di quelli che adorano idoli forestieri , e credono di aver trovato la pietra filosofale delle lettere e delle scienze in certe ridicole cliimere ed astra- zioni. Egli ama le acque che scaturiscono da fonti na- turali non le acconce per lambicclii. Bei frutti vera- mente ne nasono in letteratura! Superbia infinita ed infinita vanità, ignoranza multa , parti mostruosi e di enorme scandalo. Oh quanto sono da biasimarsi quegli Italiani, i quali vogliono conlaminare con queste soz- zure il candore delle italiane lettere! Quanto poi particolarmente alla storia egli è scoiaio di Macchiavelli , e per le azioni umane bada alla so- ED ARTI I I 3 sliuiza ed alla verità non alle chimere. Quanto all'amore della patria egli è allievo diVVasliington e fu amico di Get- terson, e l'ama come quegli uomini virtuosi l'amarono, ijon come gli ambiziosi, i prepotenti, i furibondi, i lam- biccanti, gli anarchisti l'amano. Quindi quanto sia deplo- rabile (per non imbrattarmi la penna in più dure paro- le) la condotta di coloro che hanno contumelie ed in- fami calunnie contro di lui vomitato , ogimn lo vede senza che io più oltre ne ragioni. Defendente Sacchi nel voi. 35." degli annali di Sta- tistica (i) , si eleva a truce censore di Carlo Botta, facendo molte interrogazioni che , gratuitamente sca- gliate, non richieggono ne dottrina ne senno, ma som- ma ingiustizia ed arroganza somma. / principi di Cado Botta , ei dice , consentono colla filosofici del nostro tempo ? Ha egli soddisfatto a tutto ciò che richiede la storia civile degli stati ? Ha egli considerati con vedute magistrali gli avvenimenti e gli uomini ? Ha sentito i bisogni de' popoli , inter- petrate le loro commozioni'ì Gli ha seguiti in quelki prepotente legge di necessità che li spinge aìVincivi- limento? O pure non seppe o non volle leggere fra quelle sublimi lezioni^ e scagliò in vece il biasimo ove si voleva la lode? Ha meritato quindi rencomio die si dee tributare agli eletti che desiderano il miglio- ramento delle nazioni^ o il biasimo che grava i re- probi^ i quali si sforzano di ritardarlo? Ha meritato la lode dei popoli inciviliti europei del secolo XIX. o piuttosto la veste gialla dell' ordine celeste , onde sono insigniti i ritardatari Mandariid della China? Con queste vuote € rombanti parole si diletta di scri- vere il Sacchi! con questi aiodi degni solo dei reprobi ritardatari della ragione umana insulta il Sa :chi alla italiana nazione, e alla virtù di uno dei più grandi e più (i) Milano i833. 1 1 Il4 LETTERE laboriosi sapienti ch'ella abbia mai dato al mondo. Se io avessi tempo e voglia di andarmi fra tante miserie ravvolgendo darei a' suoi medesimi quesiti le risposte, ch'egli, con quello spirito falso ed ingiusto die lo do- mina , non avrebbe certo saputo ne potuto. Un' altra cosa solo dirò per conchiudere un sì lagrimevole sub- bietto. L' Angeloni, non nato a deturparsi, macchiò la sua penna ed il suo nome in sozzi vituperi; perciocché scris- se dairingliiUerra, ove risiede, cose nefiande, che è me- glio, per l'onore italiano , che di un profondo velo si coprano. Callo Bitta che è stato dall'unanime morale consen- timento degli Stati Uniti accanto a Washington collo- cato; avendo , le grandi cose da costui operate, in un monumento che vivrà eterno, alla posterità tramanda- te , non può essere amato da un Inglese : 1" Angeloni che ha pane in Inghilterra, l'animo italiano snaturò. E son costoro che voglion rigenerare l'Italia? gente da risse da furore e da sangue, sci mie perniziose, che non sanno imitar altro della rivoluiione francese , che quanto ella ha di più orrendo e di più truie. Queste cose, col cuore riboccante di affetto, io bra- mavo dire da più tempo , e son contento che la pre- sente occasione me ne abbia spontaneamente aperto il cammino. Debole e solo grido il vero, e il griderò fin- che mi basti la vita: ne mai la ptepotenza o il mali- gnare altrui mi farà ritrarre da questa via: sicuro che ogni petto generoso, fieramente sdegnato per tante in- gratitudini verso quell'altissimo senno, e per sì mostruo- se concitazioni , che il bene non cliimerico , ma reale degli uomini, e la vera civiltà delle nazioni rilardano o distruggono , mi guardi con lieto viso , e la mano amica mi porga. Ferdinando Malvica. ED ARTI Il5 Componimenti in morte di F. S. della Pialle mar- chese di Casanova — Napoli da V. de Stefano e sodi — i836 di pag. 85. È una gliirlancla di elettissimi fiori, colti ne' placidi giardini dell'amicizia, e deposta sulla pietra che cliiu- de le reliquie di Saverio della Valle: ogni fiore è of-/ ferto da mano non gelida, e, con un palpito di soavis- sima reminiscenza , irrorato di una lagrima die move involontaria dal core. Chiunque ha perduto esseri cari o per vincoli di sangue o di amore, chiunque onora la virtù cittadina e letteraria, non può affissare questa gl»ir- landa senza un sospiro! Essa composero amatori del giovane trapassato , divoti ammiratori dell' alto merito del Ventignano genitore di lui, gentilissimi uomini in- teneriti e commossi al dolore fi^ior di speranza della su- perstite vedova e degli orfani figli, quelli in somma tra i napolitani letterati di non volgare rinomanza che vanno in voce di otti,mi (i). In questo funebre tributo di pianto vediamo progredi- mento sicuro di civiltà , afì!i-atellamento degli ottimi , farsi comune l' individuale infortunio, carità di patria , generosità di proposito. La dipintura che ci fa il Liberatore dell'elogiato è inge- nua tanto, che pienissima fede acconsentendo alle parole di lui, lo estimiamo quale egli lo fìguia, mentre senza far sembiante di volerlo gli dà atto e movenza. Non vidi io mai Casanova, nulla lessi di lui, ma col ritratto delinea- (t) Raffaele Liberatore, Basilio Puoti, Irene Ricciardi, Leopol- Ao Tarantini, P. C. Ulloa, Francesco Ij condusse prima Diego Can fino di là dalì'e(juinoziale w seicento miglia di costa olire al legno di Congo; e » dopo Bartolomeo Diaz uscito del tropico fino all'ul- w timo confine dell'Atli-ica. Or ecco, sendo Manuello re, » chi menò Vasco di Gama al Capo di Buona Speran- ìì za, e fece sì che data volta a esso capo, e messe le » prode fra tramontana, e levante tenendosi lunghesso » le costiere dell' Afirica allerrasse 1' isola Mozambichc ì) appresso a Melinda; sicché felicemente traversalo un w golfo di duemila cinque cento miglia, operò che giu- w gnesse a dar fondo nell India. Or ecco come il vene- ìì to irate Mauro ed il Toscanelli fiorentino, cioè due » italiani (vi 'dirò le parole stesse del gran Tirabosclii) M de' loto lumi e de' loro consigli giovarono alle ar- w dite navigazioni , ed alle felici discoperte de' porto- >j ghesi -A cadere del secolo decimo quinto. Or ecco >-> finalmente provato, che se il passaggio per mare alle >i Indie orientali fu eseguito dagli stranieri, noi fu sen- w za la guida e la scienza degli italiani (i). I viaggi del Polo comentati dal Zurla mostrano co- me noi fummo primi a metterci fra le tempeste d' i- gnoti mari, tra i deserti della zona torrida, perchè noi soli eravamo desti quando Europa dormiva. Matteo , Niccolò e Marco Polo diradarono l'Imito bujo oscura- mento geografico in cui era VEuropa nelle cose della Persia e dell Indie, w Ai quali Poli se si aggiungono il >j Conti ed altri non pochi, che parimenti s'internarono w nell Asia: Chi vha, grida il Zurla con ogni ragione: » c/li vha^ che niegar possa a veneti il vanto d'essere (2) pag. I 34 LETTERE » Stati i prìrm\ ed i più diligenti conoscitori di quella » gran parte di mondo? E rinomanza altresì si avranno » i Zeni, iOulrini, i Cabolti, che voltisi al setlenlrione w ci anticiparono da oltie un secolo le novelle, e perfino « un contorno ci lasciarono della Groenlanda, e di altre » fredde regioni ed isole, facendo a nf)i travedere in pari » tempo tracce non dubbie del nuovo mondo. E rinoman- M za pur finalmente si avranno ed il Cadamosto ed il » Roncinotto, il primo coll'essersi aggiralo con ie sue na* » vi lungo la costa affricana al grande obbietto di tenta- » re il cammino attorno d'essa, per quindi passare allln- » dia: ed il secondo, coU'aver percorse per lena con un » ardir senza pari le coste orientali dell'Afìrica, e fino » dentro all'Abissinia pervenendo ». Devesi parimenti tener memoria dell'altra opera del Zurla nella quale tolse a provare «juanto utile alla geo- grafìa e alle scienze che a lei si accompagnano, venisse da' missionari di santa chiesa; in questo lavoro ancora giovò alla nazionale gloria , quantunque vie meglio a quella dei francescani, domenicani, e ignaziani. Non so che piii lodare in questo accademico ragio- namento , se lo stile appropriato all' argomento, o la tersa lingua, o l'ordine e la scelta de' pensieri, o l'a- more di patria di cui vedesi ardere il petto del magni- fico elogiatore: e se non mi sentissi oilèso da una sua osservazione con la quale nuoce al vero , riguardo a questa nostra patria, qui chiuderei queste brevi e inor- na le parole. Egli narrando la morte del Zurla, dice che in Palermo fu tocco da un morbo die in quest'isola suol essere a forestieri fatale : ne dichiara qual sia questo morbo innocuo a noi , morlale agli estrani. Io chiedo al princij)e Odescalchi: sa egli di che male peri lo Zurla, se fu esso cagionalo dal clima, o voluto da lui? Noi saj)piam(j il fatto, e conosciamo che con (juel morbo si muore in tutti i paesi da chi si la troppo umico a' pre- cetti d'Archestrato e degli altri opsologi, e (jucsto non dipende dal clima, ma dalla propria volontà. Aviem- ED ARTI I2J mo desiderato clic non solo avesse taciuto que.sta ossei-' vaziotie erronea, ma che avesse detto come il nostro Tranchina ne preparò mirabilmente il cadavere con il nuovo suo metodo; e così avesse fatto ricordo del va- lore di un illustre siciliano- LiONARDO Vigo. Sunti dei discorsi letti alV accademia dei Zelanti dì Aci-Reale. Tornata pubblica straordinaria del i5 maggio i834' Si dà conto della corrispondenza; e più doni si rasse- gnano all'accademia: l'obbiello di questa luriiala si Tu ridire e cantare le laudi della bella e virtuosa Carlotta Sweeiiy moglie del nostro segretario generale Lionardo cav. Vigo, morta in Catania a i5 Maggio i833; a ciò fare dal Presidente dell'Actadcmia deteimiriato per dimosliare all'onorando benemerito collega, che partecipi del di lui dolore erano tutti i socj, e che un tributo di stima e di rispetto si oflViva all'ingegno e al sapere di lui. Per la (|ual cosa aperta l'accademia in casa di D." Paolo Pen- nisl; là nella spaziosa sala ove riunironsi gli accademi- ci miravasi dirimpetto all' entrata, colonato di fiori, e di festoni il ritratto della difonta, egregio lavoro del sig. Palania da Palermo nostro socio e nostro originario con- cittadino: in mezzo all'apparato più iscrizioni leggevansi che annunciavano le virtù della diibnta, il dolore degli amici e del pubblico. Indi fu dal nostro socio attivo Sa- cerdote Antonino Cali Sardo Segretario della classe delle lettere lotto l'elogio funebre accademico della Carlotta, scritto dal Canonico Carlo Rodriqiiez professore di belle lettere in Lipari, di cui eccoiie l'idea espressa dal so- cio attivo Leonardo Dottor Leouardi. Le virtù della mente e del cuore della giovine don- na, cresciute ed acquistate meicè la buona educazione, ricordano all' autore Sig. Uodri'juez l" ohrobrioso pre- 126 Lr.TTRRK gluclizio, di non esser le donne alle che al fuso ed alla rocca, ed escludersi da quella educazione, che si dà alia giovenlù maschile; ed è da quesla idea che iucomincia egli il suo ragionare: e però dice essere la specie uma- na unica: capaci le donne della coltura degli Uomini e non esser che secolo d'ignoranza quello che non le cura , trascurando con esse la metà del genere u- niano. I sapienti della Francia si sono opposti ad un pre- giudizio tanto indecoroso, e i lumi penetrando la nostra lena fecero diitlo alle donne. Si videro quindi le Schate- let, le Scuderi, le Siaci, le Albiizzi, e molte altre del bel sesso, pari a molti letterati uomini.. La nostra lagri- mata giovane fu educala nelle vìitìi e nel sapere, ricca di quelle grandi qualità , che la retribuirono nella priva- la , e nella pubblica vita colla stima dei buoni e dei sapienti. Così l'autore per disacerbare il duolo del pub- blica, e del suo sposo, nostro segretario generale acco- rato di sì grave perdita, viene a presentare la vita di quella sventurosa innocente, che ebbe a pagare il tribu- to di morte nel fioie della gioventù, perlochè rammen- tando la di lei nascita , parla dei genitori Ruggiero Sweeny de Cork in Islanda e Gaetana Clarenza dei Principi di S. Domenica , progenie di nobili iamiglie , non per far vedere la nobiltà del sangue che veiamen- le vantava, ma per annunciare vedersi nella Carlotta rinascere la virili di molli de' suoi antichi progeni- tori. Nacque ella in Paleinio a 3i marzo 18145 levala al sa- gro fonte dal Cav. Paterno attuale Consultore di Stalo, e questa vaga bambina e bellissima, cresciuta fu dalla ma- dre aftìdala per l'educazione nel Collegio di Maria di Ca- tania, ove stette sino al iSaS. K la genitrice, per non fare che le belle forme natie della figlia fossero disgiunte tlal- le grazie e dalle buone eslcriie azioni , la edui ò nella musica, e nella danza, e la figlia modello perfetto si offrì in queste arti belle che furono da lei mirabilmen- ED ARTI i2n le iriadiitic dal sovrumuno lume dello grazie. Alla coltura del corpo e del cuore quella unì delle facoltà superiori, sicché le lettere furono loubietto delie di lei mire; fanciulla imioceute le studiò, se ne rese chiara , e che a meglio fare dovette prima studiare le lingue ; e questo studio mettendola a contatto colla storia , la rese illustre per tante ccgiiizioni che ne trasse. Come l'erventissima Italiana fermò lo spirito sul nostro vol- gare illustre, che seppe lame uso; e naturalmente elo- (juente si aprì la via per quella nobile arte e se ne imposessò làcilmeute. Tale si era la Carlotta nel i83o appena di anni diciassette , incantatrice di figura , no- bile di spirito , dolce, benefica , e giusta, per la qual cosa attrasse gli sguardi di tutti , e tutti ne jir.-ero di amoroso desìo ; ma non toccò [lossederla che al nostro collega Cav. Lionardo Vigo , il quale chiesela in ma- trimonio a 12 gennaro del i8:5i, ed al èi ottobre del medesimo anno l'impalmò. E qui r autore rimembrando il terribile fato della morte della giovane sposa, con un tenerissimo discoi so viene a confortare l'alllitto vedovo dal giusto pianto per la perdita di quest'angelo benedetto. Ma la peidila non è per lui s^do , anche il pubblici» ne restò vivamente preso nel suo cuore. Le di lei maniere sociali la rese- ro amabile alla patria, e alle donne, in mezzo alle (|uali risplendcndo come fulgidissima stella era da esse ed am- mirata ed onorata anco da quelle die si lasciano traspor- tare dall'invidia, nemica implacabile della gloria altrui. Che più! le sue virili virti^i la fecero stimare dai mi- gliori lumi di Sicilia e dellu capitale Palermo ove nel i832 si ritrovava, E p lichè era destinata a perire col dare alla luce il primo frutto dei di lei amori , nello sgravarsi di una bambina si ammalò, e così se ne morì in Catania a i5 Maggio i83d in mezzo ai dolo- ri di morte con quella costanza d'animo che poco cura le cose e i disastri umani. // Segretario della classe delle Scienze funzionanCe da Segr. Gcn- Sac. Gaetano d'Urso. APPENDICE iSlato comparativo delle spese del Clero in tutti gli Stati del mondo. Spese Totale Stati del Mondo Numero di mantenimento delle spese dei fedeli del Clei-o in per milione di Jh deli franchi Francia 3o,ooo,ooo 35,ooo i,o5o,ooo Stali-Unili d' America 9,500,000 100,000 676,000 Spagna. 11,000,000 100,000 1,100,000 Ungheria, Cattolici... 4i<*oo,ooo ,8o,oao 370,000 ■ Calvinisti 1,000,000 60,000 63, 000 Ltiteratii 600,000 4o50jo ì6,ooo Itieve , l'anima cammina. Se in questo articolo avesse usalo Criscuoli la sua tanto conoscmta sottigliezza e Ji- luizza d'ingegno non avrebbe certamente l'atto così goffa \ sciKxzn t3i rlflesslono, ne avrebbe tomeraiiameiitc tacciato di firro- re massiccio lutti i filosofi. RitoiMia poi il critico a ine e dice, che io nella sola anima fb cmipisleie la persona umana , per conoscere il mio seiilire intorno alla personalità Umana voglio trascrivere il seguente tratto (pag. 28): w le due sostanze (anima e corpo) l'uroiio congiunte per formare la perso^ iia umana, e tu min disposte in ttìóiìo che tra lo^-o vi fosse un nii labile accordo; accordo che appalesa la sa- pienza altissima del creatore che le (ormò e le unì iti- sicnie». Ma il mio censore mi oppone, che io fo con- sistere l'identità della persona nella identità dell'anima o del me ; e perciò pare che per me si voglia esclu- dere il corpo dalla persona umana. Per dileguare questa critica basta riflettere al conte- sto tutto, ed alla natura della quistione che nel luogo criticato agitavasi. Locke sostiene che l'anima nel son- no profondo non pensa, ed una ragione che ne arreca- si è , che noi non ricordandoci tali pensieri al risve- gliarci, l'anima che pensa dormendo e l'uomo svegliato sarebbeio due persone diverse; perchè l'uomo svegliato non conserva più memoria de' pensieri avuti in quello stato. Ognuno" si accorge che qui non entra in discus- sione se mai il corpo appartenga alla persona , perchè non vi è pazzo che possa mettere in forze tal verità. Si tratta solo di vedere se mai dal non ricordarci dei sogni sia lecito formare due persone come vuole Locke oppure no. Tal questione è legata con l'altra per cui quel filosofo sostiene l'identità della persona essere co- stituita dalla coscienza e dalla memoria, e tanto lungi estendersi quanto la memoria stessa (i). Ora io dimo-^ stro che la identità della persona non dipende dalla me- moria che r anima ha de' pensieri , ma dalla identità della sostanza medesima dell'anima , sempre pertanto (i) Consultale iJ primo volume pa-g. 96. l32 SCIENZE sottiiileso il corpo di cui colà non si muove questiono. Dunque le parole criticale non escludono il corpo dalla persona uuiaua. Se con più buona lede si fosse condotto Criscuoli awebbe l'acihnenle veduto, die quelle parole da lui criticate equivagliono alle seguenti: » allin di conservarsi l'identica persona busta the|jerduri la stessa ajiimcj, Ossia lo stesso me >:>. 1 ; Ma .per ■ far veliere clic ja osijcrvazione di Criscuoli è. più, degna di pedante, che di. filosofo , [)iacerui rife- rire due espressioni alla mia consimili, sciilte da Geno- vesi e da Galluppi, giusto nientie agitavano la questio- ne che io agito in quel luogo. li!cco le parole di Gq- tìovcsì: {lySi Jiihil aliiuì est persona ni si ideniiias conscieniiae^ recie concluda (Lockiiis) diias (inimam l'efarre personas , . cdteraiu duni donui/nus^ alterani diini vigilamus. Sedid non ìnagis absurdiwi est ^ quani cnnidem hoiitineni in scena Alercnriwn agere et So- siam. Qaod si persona staiualaresse indi^nduum ra-r tioìmle, quemadnioduni ceicrì omnes philosophi docente anima duni. vigilamus. et dorminuis seniper eadem cvìt persona, quippe semper idem indi'^>idaum rationale. Galluppi (3) ujeiitrc agita la stessa quistioiiC, ^si obbioda la segueiUe espressione di Locke =: Si presume che luo- nio stesso è la stessa personali» Ma d()inando , sono parole di GalUippi , perchè ciò si piHisume? jìcrchè si fa consistere tacitamente l'identità dell'individuo ragio- nevole ueHulentilà del princij)io pensante. E (juesto il comun pensare degli uomini ». Non essendo vero die io escluda il corpo dalla per- sona umana, cadono naturalmente tutte le conseguenze antiteologiche, logicamente o illogiiamentc dedolle, clic per somma coitcsia accumula il critico e gentilmente iji'addyssa ; (i) Elementorum inelli.ipli. pars altera cap. i prop. xni. (^) Saggio fllos. suJlii critica della cuiios. voJ. vi. cap. ii. SCIENZE I.j.) Passando alla icleolngia e psicologia coraparatn, il rri!)- co come se fosse entrato in uno regno sconosciuto, si la a domandar curioso onde abbia io saputo, c!ic i liruti non lianno dominio suiraltenzio'ie, die son privi di me- iiioi'ia volontai-ia, che goJono deirassociazio;ie meccani- ca dello idee e simili. La risposta è semplicisi-iiua: lo so per analogia come lo lianno sajìuto iNIako, V\ olii"), Stor- cheiiau, (jallupj)i e quanti altri scrittoli hanno trattato questo soggetto. Si duole poi che io nego a' brnti idee uni- versali. Queste devono negarsi a' bruti, e deve negarsi la- ro la potenza di vedere distintamente il nesso tra le ve- rità universali. Imperocché noi non dobbiamo concedere alla intelligenza de' bruti più di quello che è necessa-. rio per rendere ragione de' fenomeni che presentano '; ora [icr dichiarare i fcfiomeni presentati da' bruti noti ricliiedesi che sì concedan loro idee universali; dunque non dobbiamo ammettere ne bruti idee universali. Perciò Mako insegnò: Concipere (bestiae) ideas possa?it corpo-' rum singularium , rniiones aiiteni abstracids et iini- versales^ quae rejectionibus notnrum distincie cagni- tarum conjiunt^ concinnare neqiieunt: ncque judicia conte.vere universaHa-i ncque generalium meritai um ne- xus disiincte perciprre. »(i) Perciò Tracy stabilì co- me principale diNtinzi uje del brut) dall'uomo, la man- canza del potere di astrarre e di analizzare ; e .senza astrazione non può darsi idea generale (2). perciò Gal- lup])l sfaijilì le idee universali come carattere distinti- vo deU'uoujo da' bruti, e disse: ruomo senza le idee universali sarebbe ridotto alla condizione de' bruti (o). Il critico ()Ss*;rvaudo che io concedo a' bruti-la espet- tii'iioue de' casi simili , dopo aver loro negato le idee uuiversali, credendo avermi colto in contraddizione sog- giunge lietissimo vi liana mei; te: non penetri più adden- (1) Psych. cap. xiv. (2) Granimaire eh. i. (3) Le/., di loj;. e mei. Icz. nix. e sommario di e«ta. i34 SriEN/.E tro^ altrimenti i>i troverà la luce con le tenebre; per- chè già ha trovato l idea universale del caso simile senza idea universale. Si è dimenticato che sen/.a i principi generali non possono [>reveclersi i fenomeni fu- turi (t. I. pag. 288). Ma signor critico formalevi idee chiare delle cose pria di criticare ed ad uitarc altrui. Capite prima cosa è ne' bruti la espettazione de' casi simili , e vedrete ciie non vi è necessità di idee uni- versali, haslaiido solo la sensibilità, lassociazione delle idee e la memoria n»eccanica. E per farvi meglio asset- tare in tesla tal verità voglio recare un esempio messo avanti dal Barone Galinppi (2J. Il cane da caccia af- ferra per la prima volta la periiicie e la mangia , ed il cacciatore lo bastona fortemente. Altra fiala afìèrra la pernice, sente il pendio di mangiarla, ma gli si jire- senla il fantasma delle bastonale avute , teme averne di nuove e si astiene: ecco l'espettazione del caso simile. Qual bisogno avvi di idee universali? Basta la sensibi- lità, l'associazione delle idee , la memoria meccanica , e l'attenzione necessariamente riconcentrata sul pericolo imminente delle bastonate. Tanto è ciò vero che Ma- ko , Tracy e tutti gli altii filosofi, avendo negato ai bruti le idee ed i principi generali, non hanno potuto negar loro la espettazione de' casi simili. Vero è che io sostengo , senza i principi generali' non potersi prevedere i fenomeni futuri. Ma ivi par- lo della previsione de' fenomeni futuri fatta dall' uo- mo. E certo r uomo per prevedere il ritorno di una cometa, ravveraraenlo di un ecclisse e simili ha biso- gno de' principi più astraili e generali della meccanica, deirastronomia, e delle matematiche pure. Come con- fondere queste sublimi specolazioni della mente umana con la meccanica e confusa espettazione de' casi simili de' bruti? (1) Log, niist, cap. 3. S( IF.NZF, l35 Del resto non cada dalla nicute al slg. Crisciinli, che malgrado le restrizioni da me apposto alla intelligenza de' Liuti, io ho conJi'ssalo ti;!\aisi nella loro espetla- zione de' casi simili una specie di raziocinio imperfet- to, e perciò ho conceduto loro 1" analogo di ragione. Per esso sembia che avesseio principi generali, per esso pare che facessero i-aziocini , per e.-^so in somma pare che le loro operazioni intellettuali si avvicinassero a fjuelle della ragione umana. Ma il \ero filosofo scopre semj)re una grandissima diUerenza tra tali operazioni del hruto e quelle che son propiie della umana intel- ligenza. La tenerezza del CriscufJi verso i bruti non si limita solo circa le Jacoltà, ma si estende ancora alla immor- talità della loro aniura. Egli è dolente ^n:vc\\h il troppo iiso^i che io ho fatto delF argomento rica<,'aio dal desi- derio della felicità , nd lia impedito di giudicare se sia o no immortale l anima de bruti (§ 117 e 182). Buon per lui che non ha avuto tale intoppo, ed è ar- rivato. Dio sa come, a rendersene sicuro. Speriamo che appresso ci sarà corte, e di svelarci i nuovi argomenti, con cui egli è arrivato a rpiesta cognizione. Dopo l;mta leneiczza per raniiii) de' bruti, passa lautore di bi.tlo ad una totale iiidiU'crenza , dichiaran- sizt ini, fia j)alese die non ho traveduto lo stato della (juistione contro gli alei , perciò ho dimostrato bene la esistenza di Dio; e lia palese nel tempo stesso che Criscuoli o ha criticato senza leggere , o lia criti- cato senza capire .quello che ha letto, o quel die è peg- gio lia Voluto malignare goflamente su qua. ito ha letto. Ne per provare quelle due proposizioni ho bisognò di mettere avanti nuove parole ; basta solo presentai'e quanto ho scritto. E siccome l'ente necessario di cui tratto nella Teologia naturale è quello stesso, che nella cosmologia dimostro aver creato il mondo ; quindi è mestieri risalire alla cosmologia per vedere, se l'esse- i4 i38 sniKNZE re necessario tìi cui parlo colà sia distinto o no dal mondo. Apri adunque, mio caro censore , la cosmologia se- zione seconda , capitolo primo. Vi tiovi per rubrica: Sì combatte la eternità della materia. Da j)rincipio pr'ipongo lo stato del/a (juesti( ne così. » Gravissima questione imprendiamo a ventilare in questo capitolo. Il mondo l:a seuqne esistito come attualmente esiste , o lia avuto un'origine della sua esistenza? Ehisle in virtù della sua natura ed essenza o esiste per virtù di un essere da se diverso die lo portò dalla non esi- stenza ed esistere? » Ecco fissato lo slato della rjui tio- ne: si tratta se mai il mondo abbia ricevuto la esisten- za da un essere da se diverso. Dopo scendo a riferire gli errori de' filosofi intorno a ciò e concliiudo: » da que- sti pochi in fuori, tutti gli altri filosofi hanno ricono- sciuto, che il mondo non esiste da se stesso da una eternità, ma che ha avuto l'esistenza da un essere su- premo , diverso dal mondo stesso. Pria di venire alle prove di questa verità è d'uopo premettere le seguenti nozioni, w E qui scendo a stabilire la distinzione tra essere necessario e contingente, tia talune pr(q)rietà del primo e quelle del secondo. Indi dico: » premesse queste definizioni demostrerò i" che il mondo e tutti gli esseri che lo compongono sono contingenti a° che dato uno o più esseri contingenti per necessità dev' esistere al di fuori di essi un ente necessario che ha dato loro la esistenza, 3° Inferirò che il mondo non essendo un ente necessario, ha dovuto ricevere da un altro essere l'e- sistenza nel tempo, e perciò non esiste da una eter- nità w. Provo in seguito queste tre proposizioni, confuto le didicoltà de' sostenitori della eternità della materia , che escogitano il progresso in infinito della serie dei contingenti, dimostrando che fuori della serie de' con- tingenti dev'esistere l'ente necessario che ha dato lo- ro la esistenza. Laonde conchiudo , sempre giusta la SCIENZE 1 39 mia tesi, che il mondo essendo contingente lia ricevu- to da un ente necessario da se diverso la esistenza. In- di dallordiue che regna nel mondo passo a dimostrare che fa foruialo da una causa suprema intelligente , e diversa dalla materia del mondo , perchè la materia non può essere fornita d'mtelligenza. Tutto questo ho scritto nella cosmologìa combatten- do la eternità della materia. Chiunque si accorge che mi ho piepaiato la via alla esistenza di Dio. Perchè se il mondo fu creato da un ente necessario diverso dal mondo slesso, chiara cosa è che esiste quest'essere necessaiio. Nella cosmologia non avea bisogno di tirare in questi termini precisi tale conseguenza; la riserbava alla teologia naturale, cui propriamente appartiene. Ven- ga adunque il mio censore alla teologia naturale, apra e legga a png. i-yo. » Io nella cosmologia dovendo trattare dell'origine del mondo, confutai l'errore della eternità della materia, e provai che il mondo fu creato da una causa suprema intelligente. Da que' principi re- sulta come un corollario la esistenza di Dio; ed a tale uopo non deve farsi che sostituire la parola Dio, all'ej- sere necessario ed assoluto-, e Dio ancora alla causa ordinatrice intelligente ». » laiàlti il mondo è contingente e non può esistere da se stesso da una eternità; perciò dovette essere crea- to da un ente necessario ed assoluto; dunque esiste Ics- sere necessario ed assoluto che creò il mondo. Que- sto essere necessario non ha ricevuto da altri la esisten- za, ma l'Iia in virtù della propria natura ed essenza. Questo essere necessario, e distinto dal mondo, è Dio; dunque esiste Dio. (leggete il cap. i. della sez. 2 del- la cosmologia). « » Il mondo non è l'opera del caso , ma fu formato da una causa ordinatrice intelligente. Questa causa or- dinatrice intelligente, e distinta dal mondo è Dio; dun- que esiste Dio. ( leggete il cap. 2 della medesima se zione) « 1 4© SCIENZE Arrivato a questo punto , oniatlsshno Signore , mi cade di mano la penna , ne so andare più avanti. A tanto (mò dunque giungere la malignità e la impuden- za? Con qual coraggio jmò uno prescnlarsi al pubbii(o ed asserire che io travedo lo stalo della quistione, non dimostrando 1' esistenza di un ente necessario distinto dal mondo? Come si può asserire che ne' miei elenienli la esistenza di Dio si crede dimostrata senza alcuno ar- gomento? Questi miei concisi argomenti peccano nella ma- teria o nella forma? Quale delle loro proposizioni è lalsa o non provata? Dopo tutto ciò io crederei perdere inutilmente il tem- po nei fare riflettere che il Dio da me stabilito è eter- no, infinito, onnipotente, immenso, semplice, immobile immutabile, uno, intelligente, sapiente , fornito tii vo- lontà e libertà, buono e benefico, giusto veiace e fede- le nelle j)remesse , creatore e conservatore del mondo, provvido e simili. Qualità tutte che non convengono al Dio dei j)anteisti. Come nep[iure diiò che appositamente a pag. i88 e seg. ho esposto e confutalo lassurdo si- stema del panteismo. A stento ora mi conduco a far panila di altre criti- che fattemi dalla cortesia non più udita del Sig. Cri- scuoli. Asserisce die sii altrilniti (/ivini non sodo strci- tamente connessi in modochè luna d ali altro Jilosqfi- camente pronuad. Piovi ciò il Criscuoli, perchè dopo tante falsità da lui dette, nessuno può credei e più sulla sua parola. Io prego i miei lettori che lejuano i due capitoli in cui tiatlo degli attributi divini, e vedranno da loro stessi , che gli attributi sono così disposti che uno è la base di quello che viene appresso. Dell' im- mensità e dcU'iiìutà., soggiunge il critico, poteansi ad- durre argomenti più diretti e più evidenti. Aia quali sono (juesti aigomeuti? 1 miei sono o no logicamente dc- inostrativi? Ecco quanto dovea esaminare. Le profonde investigazioni falle da Ci'iscuoli sugli attributi divini gli iianno fatto scoprire, che Dio ap- SCIENZE I.|I partieiic alla classe degli esseri sensienti , perciò re>la scaiidalezzato dalla mia dottrina w Dio non sente |)er- chè puro spirito senza organi materiali w. E qui di- chiara peregrina quesla sentenza , va nelle furie , per- chè io levo a Dio la sensibilità ; sella iniprovvisu- nientc da Dio alle anime umane simulando timoje j)er la loro immortalità , ed assordandoli con un mucchio di |)arole arlificiosamenle combinate, ma che in suslau- za ibrmano un infelice garbuglio, deduce fui'iosamente che secondo la mia dottrina in Dio non può dai'si at- tenzione , essendo questa per me un riconcentramento dell' attività dell anima nell' organo jìosIo in a^ioi.e, e con la sua logica deduce ancora: ci ridurrebbe così al' V ozioso Dio di Epicuro. Lasciamo ad Epicuro il suo Dio ozioso, ed andiamo al Dio vero di cui si traila ne' miei clementi. Ecco (juanto inscgn > riguardo alla di lui intelligenza. j> Lin- tellig-> Dunque per la mia dottrina Iddio è onnisciente. Intanto i tcoli)gi vanno più avanti e ri. creano per quali mezzi IdJio conosca le cose tutte , e qui gravi altercazioni sono nate tra loro. Come articolo di fède però è stabilito, che Iddio non acquista le idee dello cose ab extrinsjco come gli uomini, per mez^o di sen- si, e d.'lle impressioni degli oggetti. Ecco le parole di S. Massimo (i) Deus ncque inlelligibiliter infellii^ibi- lia cogìioscit, ncque sensibilia sensibiliter. Fieri eidiii (i) Pai)i.p. p:irt. j. t. 2. 1^1 SCIENZE non potest, ut qui omnia quae sunt excedit , socun-' cium ea quae sunt^ liacc ipsa percipiat. Dionisio (i) Di\dna mens omnia coniinet aniecel'ente oimiibus co- gnitione Non enim ex iis quae sunt , ea quae sunt addiscens^ no\>it divijia mens; sed ex seipsa et in seipsa. ec. Consultando Petavio, (2) Filippone (3) e tutti gli altri teologi giammai si troverà che alcuno abbia osato asserire che Iddio conosca le cose per sen- sazioni e per sensi, e che sia fornito di senso o sensi- bilità. Or qnesla dottrina ho io espresso con quelle pa- role, che sebbene Dio abbia cognizione di tutte le co- se pure non sente perchè puro spirito senza organi ma- teriali. \'eiità altronde evidentissima, perchè jier sentire si ricercano i sensi, si ricercano impressioni fatte sopra di loro, e si cerca l'avvertenza di tali impressioni; co- se tutte che in Dio non possono aver luogo. E poi ili qualunque modo si consideri la sensazione, non può ne- garsi che essa è una modificazione nuova che si aggiun- ge air essere sensiente ; ora in Dio non può aggiun- gersi nessuna modificazione e per la sua immutabilità e per la sua infinita onniscienza; dunque Iddio non sen- te, uè appartiene alla classe degli esseri sensienti. Criscunli pertanto erigendosi in C(Misorc dicliiara an- nunzio peregrino il dii-si che Iddio non sente, e va nello furie. Signor critico, bisogna dire che siete assai pere- grino in filosofìa, mentre con tanta franchezza dichiara- te peregrino l'annunzio che Dio non sente. Visitate un pò più da vicino il regno della filosofia , e subito tì sgannerete. A tal' uoj)o non dovete far altro che salu- tare le prime vie di questa scienza. Aprite il Gesuita P. Mako, che pria del vostro patre Soave leggevasi nelle (1) De diviii. noni. cap. vii. (2) Theo/og. dog. t. I. Irac. de Deo uno 1. iv. cap. n. (3) De Deo cap. viii § i. SCIENZE 143 si:U()le (i). Deus non sentii. E questa la tesi, ed ecco- ne la prova. Sensiis enim rec/uirit pidsationes impres- sas in organa sensiiam; cuin ergo Deus omni mem- broruìn concrstione destitutus sit^ palant est sensui in ilio non esse locam. vSi veda ancora Wolfìo (2). Ma va- glia per tulli r egregio Galluppi (3). » La sensibilità supp >ne che il nostro spirito sia nuit?bile finito e di- pcMidente. Essa non può duutjue convenire all'essere as- soluto cioè a Dio il quale è immutabile, infinito, in- dipendente 3J. » I corpi producendo sul nostro spirito alcune mo- dificazioni cambiano lo stato interno di lui: queste sen- sazioni sono i primi principi , da' quali cominciano le nostre conoscenze: prima di averle noi eiavamo in una ignoranza assoluta. Le sensazioni suppongono adunque che il nostro spirito sia mutabile, finito e dipendente. Iddio non è dunque capace di sensazioni, e non può es- ser ibrnito di sensibilità •>:>. Coulinua il prof. Napolitano l'analisi di altre facoltà umane che dimostra incompatibili con la intelligenza divina infinita e conchiudc in questi termini » Iddio non sente, non immagina, non aslrae, non giudica, non ragiona >j. Uilisli ?' Va ora e critica; se lo puoi, di- chiara jìcrcgrino rannuiizio che Dio non sente. Cris-( unii dalla sensazione di cui io parlo , passa al- l'attenzioiie di cui non fo parola, e con una gran forza logica deduce ; che nella mia d 'ttrina Dio non è su- scettibile di alcun atto di attenzione , imperciocché Cattenziofie è un riconcentramento dell attività delVa- nima nell'organo che è posto in azione: e perciò Dio non ha attenzione perchè puro spirito senza organi materiali: ci ridurrebbe così ali ozioso Dio di Epicu- (1) Tlieol. nat. n. 496. (2) Theol. nai. part. i. cap. 2. § 217. (3) Elem. di fll, voi. iv. cap. iv. § 67. l44 SCIENZE ro. Plano signor critico nelle vostre (lediizioni. Dimen- ticaste, che per me rattenzioiic si estende ancora a qua- luiiqiie esercizio inlolleltuale qualora vi lia uno sl()i'/,o parlicolare clell'animo, o una speciale'applirazionc. Dun- que un essiue privo di sensi può formaic alti di at- tenzione; e perciò dal negare a Dio i sensi non ne vie- ne logicauienle la conseguenza clic debba negarglisi lal- tenzione. Ma p )i nessu:io tra' teologi si è avvisato di dire clie Iddio abbia bisogno di attenzione. Questa ser- ve all'uomo [)t'r rendere più chiara una cognizione, più distinto un piujsiere , per comprendere meglio una co- sa; e tuUo ciò in Dio non può aver luogo, perchè Dio è un atto purissimo che tutto senza slento perCetllssi- mameiile conosce. Signor teologo che idea vi avete t'or- malo della intelligenza divina? l»ada(e che tra rinteUi- genza divina e la umana vi è una enorme difiiìreuza ; siate sicuro die errori gravissimi insegnerete, se vorrete considerare la inlelligeiiza divina inliuita sul luodeìlo della nostra limitala ir.lelligenza, jNon temete poi degli spinti umani separati da" corpi; leggete quello che scrissi nella psicologia (pag. 59) in- torno a ciò. >J Iddio nello stato attuale ha volulo, die l'a- nima quanlunijue puro spirilo, possa "esser conscia di ciò cliC avvii'ne in se, e di ciò che avviene ne' i:orpi este- riori. Dunque del pari in un allra vita continuerà ad essere conscia di ciò die avviene in se slessa , potrà nieltcrsi in rapporto cm altre intelligenze o con altre ciealuie materiali 53. Dunque rasserenatevi Criscuoli; la- jiima potrà meltoisi in rapporto con allre creature ma- teriali , perciò p )tià avere piaceri e dolori , premii o ])ene. Ma persuadetevi che non è dato airuoiuo sajiere in (lual modo tulle queste cose allora si larainio; (ptau- luiique si sappia con certezza che debbano sicuramente accadere. Vengo finalnieule alle ultime critiche le quali riguar- dano il trattatino della religi me salutare e rivelata. Ecco le parole del critico. Dopo tutto questo non jn- Sf:iENZE • I 4-^ glielo molta briga di sapere a qual fine avendo ri- stretto il culto esterno nelle religiose cerimonie {p. 202) abbia fatto consistere tutta intera la religione rie so- li sentimenti (le parole tutta intera ne' soli sono sta- te aggiunte dalla cortesia del critico come chiarigloiii alla mia dottrina !!!) di ossequio di amore e di grati- tudine prestati a Dio, ed ancorché voglia obbligar la sapienza, la provvidenza e la bontà di Dio a dar la revelazione all' uomo (p. 108) passerò avanti senza neppure fargli riflettere che le idee di Dio e di ob- bligazione sono contradittorie fra loro. Dirò solamen- te in fine che il mistero della Trinità è superiore ad ogn umana intelligenza , e perciò non appartiene a quelle verità ove la teorica cristiana è coerente con la ragione (p. 212), e che se egli pretende dovere i caratteri della revelazione essere accommodati alla comune intelligenza ( p. 209 ) la sua pretensione è troppo vicina a quella di Freret nemico dichiarato del cristianesimo. Sano quattro le accuse del critico , e vi sono (jualtro lalsità. Onde smentirle non debbo far altro cbe trascrivere le mie dottrine. Comincio dalla idea della religione. Do- po avere trattato degli attributi divini, dctuostro che l'uo- mo considerando esser Dio un ente supremo , perfet- tissimo , suo creatore e conservatore gli deve una re- ligione che consista ne' sentimenti di ossequio, amore e gratitudine (n. 295). Indi seguendo il filo dell' anali- si soggiungo ( n. 296 ). « Ma (jui è d' uopo condjal- tere l'errore gravissimo di cpie' deisti, che sebbene con le parole concedano doversi dare a Dio un culto reli- gioso, col (atto poi vengono a toglierlo di mezzo. Bi- sogna distinguere culto interno e cullo esterno', il pri- mo consiste ne' sentimenti ; di ossequio, amore e grati- tudine verso la divinità , che restano nel solo interno dell' animo. Il secondo consiste negli atti esteriori pei quali si appalesano gli atti interni , cioè nelle cerimo- nie religiose w ; e poi dimostro contro i deisti che a Dio si deve il culto esterno. i5 l46 SCIENZA Dunque secondo me i" tutta intelaia religione con- siste nel culto interno ed esterno , e tulli coloro chtj la religione al solo cullo interno restringono vengono a toglierla di mezzo. 3" Per me il culto esterno coiisisle Begli atti esteriori co' quali si appalesano gli atti in- terni, cioè nelle cerimonie religiose. Dun(|ue preci , a- dorazioni, innalzamento di alluri, Tiltime e simili, co- mecché alti csteini, die appalesano i sentimenti inter- ni di religione costituiscono gli alti estcìni del cull*. Chiunque si acx:orgc che la parola de- ve non è presa nel senso rigoroso di un dovere di giu- stizia; perchè io non invoco 1 attributo della giustizia di- vina, cosa assolutamente necessaria jier l'idea di un ve- ro dovere di giustizia. Storclienau aveva ado|)eralo le nedesime espressioni. Egli per provare a j)riori la e- sistenza della revelazione dice, che gli attributi delht provvidenza e bontà di Dio esigono la revelazione. Ec- co la serie delle sue idee. La religione rcvelata è pos- sibile, è utile, è necessaria, si esige dalla divina Uniik SCIENZE 1 47 e provvidenza ; ma lutto ciò forma un argomento efS' cacissiino cfce esista la religione revelata; dunque esiste la religione revelata (1). E cosi Imn ragionato tutti fjuc' che a priori hanno Yoluto stabilire la esistente della revelazioiie Io però in una seconda edizione per tot via I' equi- voco che j)uò nascere dalla parola deve scriverò Così : » essendo Dio sa])ieiitc, piovvido, buono non lascierà eer- lamcnte rnomo iu questo stato miserabile, m& gli pre-' sterà la sua mano ec. »j. Lo cIjc in niente cambia la mia dottrina. Ne m' induco a far questa mutazione per la ragio- ne falsa del Criscuoli, che le parole di Dio e di obbli- gazione siano contradittorie. Imperocché f,ì dice da tutti che Iddio deve conservare le anime dopo la disorganiz- zazione del corpo, che deve premiare la Vitto e pimire il vizio nella vita futura , che dev' essere verace nelle sue parole , e fedele nelle sue promesse e simili , sen- za che nessuno osi dichiarare contradittorie queste espres- sioni. Anzi chi si farebbe lecito negarle, cadrebbe nelle più grossolane contraddizioni; perchè allora ammettereb- be un Dio con le parole , e poi lo distruggerebbe col fatto. Amo tor via la espressione deve^ perchè taluni teologi leibniziani vogliono sostenere che Iddio abbia do- vuto dare all'uomo la revelazione, mentre i pii'i sosten- gono che a ciò non era obbligato; poiché l'uomo si ri- dusse in quello stato di miseria a causa del peccato ori- ginale. Ora quella espressione deve può far credere che io j)arteggiassi per l'opinione de' Leibniziani, mentre non è mia intenzione entrare in questa controversia nel m/o corso filosofico. Non jKJsso però dispensarmi dal rendere le piò distinte grazie al Sig. Criscuoli, per avermi rammentato che il misleio della Trinità è superiore ad ogni uniann intelli- (i) V. theol. nat. scct. iv. cap. 111. n. 114. j4S scienze genza, e che perciò non appartiene a quelle verità in cui la teorica cristiana è coerente alla radnne. Ma esH iwtea dispensarsi tanta fatica; imperoccliè questa verità la insinuo io stesso in quel ])aragrafo. E di vero ivi dopo avere esposto diverse veiità relative agli attri- buti divini e demostrabili con la ragione , preudendo un tuono diverso dico : in somma tutto quello die si f)uò immaginare di grande, e di perCelto si trova nel- ' essere supremo , il quale è i-.ircondato da una luce inaccessibile alla mente umana. Questo Dio poi, eccel- so ed inaccessibile alla umana mente uno nella sua na- tura contiene tre divine persone, padre, figlio e spirito santo >J. Dunque il mistero della trinità l'Iio conlessa- to espressamente inaccessibile alla umana mente. Pone fine il critico alle sue accuse collocandomi ac- canto a Freret , per la ragione che ho detto dover'es- sere i caratteri della levelazione cosi sensibili e mani- festi che potessero essere accomodati alla comune intel- ligenza. Lasciamo stare jier poco Freret ed andiamo direttamente alla mia dottrina. Ecco quanto insegno : » Molte religioni si vantano di essere venute da Dio, e perciò divinamente rcvclato; questo vanta la religio- ne giudaica, questo la cristiana, questo la maomellana, e quasi tutte le religioni antiche e moderne millantano di.scorsi dcircssere supremo e tutte si altribuisco^jo un origine celeste. Tali religioni quantunque in alcuni punti siano tra loro di accordo, in moltissimi altri e di gra-. ve m.omento si combattono aspramente; se una di esse e veramente divina, le altre devono esser false e figlie della impostura. Come farà l uomo per isceveiare fra tutte la vera e divina religione? Vi sono caratteri coi quali possa discernere la vera dalle false? Certa cosa è che Domeneddio do\endo daie la revelazione, per to- gliere l'uomo dalle incertezze , deve accompagnarla da caratteri cosi sensibili e manifesti, che potessero essere accomodati alla romune intelligenza. V^ediamo quali potranno essere questi caratteri, (jueste note della veia SCIENZE 1^9 rcvclazione. Questi carnttcìi non possono essere clic di due specie interni ed esterni ». Dunque io asserisco che Dio deve accompagnare la religione con sogni così manifesti e sensibili , che ba- stassero a distingneila dalle false. Questi segni poi non devono essere solo adatti alla intelligenza di rpiegli in- dividui privilegiati tlella specie umana che si chiamano ge- ni o uomini di gian talento, ma ancoi'a a quelli di una intelligenza comune, supponendo che costoro volessero applicarsi di proposilo ad esaminare i fondamenti della religione; perchè la religione non è data solo agli uo- mini di elevata intelligenza. Io non asserisco che onni individuo, inclusi ancora i semplici e gl'ignoranti della specie umana , debba fare tutte le dotte investigazioni necessarie per isceverare la vera dalle false leligioni , e così per la via dell'esame arrivare alla vera religio- ne ed alla vera ciucca di Cristo. Mi guarderei bene dallo asserire simile proposizione. Dico solo che una intelligenza anche mezzana e comune deve poter rico- noscere, qualora vi si applica seriamente, i segni della revelazioiie ; e questa proposizione non può essere da nessuno contraddetta, e nessuno di sana mente si è av- visato finora di contraddirla. Dunque per qual ragione Criscuoli lia la bonti- di darmi per compagno l'empio Frerct? Ecco quanto insegnò questo incredulo. Nemico com'egli era del cri-; stianesimo, cominciò per combattere ogni religione ile- velula asserendo, che tra tutte lo religioni pretese rive- late, ninna vo ne ha le cui prove siano alla portata di tutti gli uomini ragionevoli. Intende poi dimostrare questa sua asserzione con le diificoltà che sempre ac- conq)ag!iano le discussioni di religione, per la debolezza dello spirito umano , per la molti plicità degli affari e de' bisogni che tengono gli uomini occulti. Scende poi a mettere avanti le dillicoltà che incontransi nel giudicare de' miracoli, delle profezie e simili. Onde ci getta nel jnìi grave scoraggiamento , ed inferisce che 1 5o SCIENZE nessuna delle reliiijioiii levciiile è alla portata ili tutti gli uomini ragionevoli e spcoialnicntc de' sem])liii e degli ignoranli ^ e cotichiude finalmente che il genere umano non può altiitto venire istruito per via della rc- velazione negli atlàri di religione (i). Dunque Freret vuole distruggere tutte le religioni che si vantano revelale, ed io sostengo che è iiecessa-' ria lu religione revelata e the dev'esistere una vera re- velazione. Frerel sostiene che il genere umano non può venire istruito pei' via della revelazionc delle verità religiose, ed io demoslro che l'unica via jier cui il ge- nere urna no può apparare le verità religiose sia la rc- velazione. Quegli vuole che ninna delle religioni pre^ tese revelatc ha prove alla portata di tutti gli uomini ragionevoli , ed io sostengo che un uomo ragionevole non può non riconoscere la evidenza delle prove che militano a favore delja religione cristiana. Dunque, signor critico, che ha da l'are Mancino con Freret e come jios- sono sfare insieme negli afiari di religione? Dirà intanto Criscuoli : io non dico che la sentenza di Mancino sia precisamente quella di Freret, dico solo clie la sua pretenzione è molto vicina a quella di Fre- ret. Ma con questa logica lu puoi ancora dire che al- lorché asserisco che i [)rimi divulgatori del ciistianesimo furono uomini rozzi, ignoranti, sprcggevoli ec. la mia pretesa è molto vicina a quella di P'reret, perchè questi a fine di attaccare la religione cristiana dice, che i pri- mi suoi proseliti furono uomini vili rozzi ed ignoranti |)erciò pieni di pregiudizi e di errori (2), Anzi con que- sta logica non vi è ajwlogista più valoroso che non possa essere dichiarato favoreggiatore dell'empio Freret. Qui jxjngo line, ornatissinio signore, perchè il mio dire andrebbe assai a lungo se volessi far palese, come avca divisalo , tutti gli altri errori , contraddizioni e (i) Exam. crii, des apol. de la religion eh. xii. (2) Ivi eh. VI. srnLNZE liii scempiaggini che ritrovaiisi in quesli due arlicoli ilei cri- lieo. Passerò ancora sotto silenzio alcuni preziosi gioielli in fatto tli lingua, de' (juali ci Cu cortese in poche pa- gine, e die io volea recaie innanzi per mostrare quanto sia grande la di lui lemiirl'à, allor«:!ii.' si la a giudicare ancora di siile, sconoscendo le propri^'là de' Icrmini ed i principi d;'lla grammatica. Tali cose tralascio, perchè non ho (cinpo da passare in simili frascherie. Da tulio il fin f|ui detto apparisce, che nessuna fede meritano i due articoli eh- (^riscuoli ha scritto intorno a' miei elementi; che molte falsità vi si trovano, molti errori in fatto di scienza e molle calunnie. Io intanto rimetto al suo retto giudizio queste mie riflessioni; né scriverò ulteriormente su (|uesti arlicoli, qualunque cosa scriverà il mio critico in contrario. Imperocché storpian- do il senso delle cose da me scritte, tacendomi dire co- se che non ho detto, ed avendo la testa piena di errori potrà Criscuoli fare infinite altre critiche non solo a' miei elementi ma ancora a :> da Bronte, e a lui diede il manoscritto dello Stoppini affinchè tutto il infondesse, e di nuove forme Io rivestisse, e di antiche notizie istoriche più ricco e copioso il facesse. Lo spedalieri tra le cose più sode ed amene tratte dagli antichi scrittori facendo eletta di quelle, che meglio all'argomento suo rispondevano, dai 16 l54 LETTI. nR più remoli ed oscuri tempi dando incomiuciameuto, di- scese prima fino a Teodorico ostrogoto re dltalia, poi procede fino alla tentata impresa del pontefice Clemen- te XIII. Ne quel profondo scrittore si fece già ad e- sporre semplicemente i bonificamenti in varie età nella palude pontina o fatti o tentati: ma con la guida della più sana critica, e con la luce della più severa filoso- fia , si mise egli a considerare bene addentro lo stato non men fisico, che politico di quelle terre; ed in ispc- zialtà le dubbie cose degli abitatori antichi di (juei paesi sottomettendo al più scrupoloso esami;, e con fi- no giudizio e con giusto criterio le molte erudite (jui- stioni disnodando. Or quando appunto lo Spedalieri a- veva l'opera sua fino a questo termine condotta, opera scritta tutta in lingua latina com« il pontefice avevagli comandato. Pio Sesto pe' rivolgimenti repubblicani so- pravvenuti in Roma discacciato dagli stranieri , andò in durissimo esilio; e lo Spedalieri da immatura morte soprappreso cesse al comune destino degli uomini. Scu- do questi già in sugli estremi del vivere , confidò il suo lavoro non ancor compiuto alle mani dell' amico suo, a lui quanto meglio poteva raccomandandola «. Nel 1800 il Nicolai pubblicò l'opera, della quale i primi due libri son quelli dellj Spedalieri, da costui volgarizzati , il terzo ch'è suo chiude i chirogiafi , gli editti e gli atti legali per lo bonificamento delle palu- di, e il quarto è del bolognese Gaetano Astolfi e com- prende le sue memorie idrostatiche. Pio VI avea iniziato, e Pio VII finì la catasfazione dell'agro romano, allora il Nicolai stampò l'opera sua in tre parti divisa: Osservazioni sulla campagna e fan- nona di Roma. Compì ancora dieci volumi di uiaterie tra giuridiche ed economiche massime sulla libertà del commercio: sulla utilità che verrebbe all'agricoltura dal- l'abolizione della servitù de' pascoli: sull'incoraggiamen- to che dovrebbesi a' manifattori: sull'abuso de' porli franchi: sulle leggi delle dogane a' confini. Inoltre al- ED ARTI l55 ira Oliera nel 1829 mandò alle stampe sulla presidenza delle acque e strade e sue attribuzioni ; la relazione della chiusa dell' Aniene a Tivoli; per lunghi anni la- vorò intorno alla storia dell'origine de' piogressi della camera apostolica, operai?/ smisurata e di sommissima utilità come V Odescalchi la dice , e oltre tante altre minori produzioni egli dettò la storia e la descrizione della basilica di s. Paolo, ed e per la sua cura che og- gi vediamo ciò eh' ivi era di grande , raro , prezioso; poiché il foco divorò quello stujiendissimo monumento della cristianità. Questo laborioso letterato cessava a 18 gennaio i833. Nel leggere il presente elogio siamo stali sospinti dalla prima pagina all' ultima senza poterci arrestare , abbenchè la materia per se medesima non si prestasse molto all' ingegno dello scrittore , ma egli è per vero che gl'ingegni dominano la materia, e possono cospar- ger di rose un calle orrido di spine; ciò basti a pro- vare con quanta eccellenza di arte 1' Odescalchi abbia saputo condurre questo lavoro: e con Roma ne ralle- griamo di poter contare fra' suoi magnali questo illu- stre amico e coltore della sapienza. LiONARDo Vigo Vie politique et littéraire de F. Saì/ì^ Jncien Profes- seur dans les Vniversite's de Bre'ra., de Milan, de Naples etc. Àuteur-Continuateur de VHistoire Lit- te'raire d'Italie^ par feu Ginguenè de Vlnstitut. Par M. J. Bermi — Paris chez ■ — Lauteur^ rue de Ma- dame n. i4- — F ay olle Lihr aire ^ rue du Rempart 11. 9. — 1834 in 4° di pag. 5o — col ritratto del Salfi. Molto va debitrice l'Italia a Francesco Salii, nato a Cosenza iu Calabria nel lySg, morto in Parigi il se- coado giorno di settembre del i832; sempremai per I 5G LETTERE viitù di animo e per opere d'ingegno ricordevole. Non potrei certamente ristrignere in breve le notizie in que- sta vita comprese , dappoiché , sempre in rapporto ai tempi che visse, vi si discorrono minutamente gli stu- di il carattere le opinioni e le opere, tanto politiche che letterarie , le disgrazie gli onori le vicende tutte in somma alle quali fu sottoposto ; cose che non pos- sono qui bene mostrarsi, e die fa d'uopo a ver sott'occhio il libretto, che abbiamo annunziato, per concepire una compiuta idea del Salfi , le cui ultime parole furent encore pour sa patrie et pour ses amis. Mi piace qui notare una iscrizione apposta in una pietra sepolcrale, che l'amicizia di M.' Henriette Har- vej-j inglese, gli ha innalzata nel cimitero dell'Est. A FRANCOIS SA.LFI, NAPOLITAIN", . NÉ 1759 MORT a' PARIS iSS» HISTORIEIV-PHILOSOPHE ET PATRIOTE, SES DERNIERS VOEUX ONT ÉTÉ POUR LA LIBERTÉ DE SA PATRIE- DERNIER TÉMOIGNAGE d'unE LONGUE AMITI É H. H. Trascriverò finalmente il sonetto che il Salfi pel ri- tratto di se stesso compose. Sotto aspetto non grande in me natura Protese il volto e il naso, alquanto sporto Raccolse il labbro, e la sottil figura Dipinse d'un color tra bianco e smorto. Rossigno il pel sul mento, in fronte oscura Variò la chioma, all'occhio pien die corto Guardo, scarnò le guance, e acerba cura Affisse al cor, ch'ognor dolente io porto. ED ARTI l5'y Per lo più taciturno, e in vista truce; Talor, ne mai senz'irà appien, facondo; , Di me sempre mal pago, odio la luce. Mentisce il viso, e sette lustri ascondo; Finor mi fu virtù conforto, e duce, Quindi m'odiano i Re, mi sprezza il mondo. Bernardo Serio Notizie storiche della città di Aci-Reale raccolte da Lionardo J^igo — Palermo dalla Tipografìa e Li- gatoria Lao e Roberti i836 un voi. in 8. Fintantoché la Sicilia sarà manchevole di una storia che possa dirsi compiuta e perfetta, tutti coloro, che si affaticheranno al compimento di sì grande ed utile o- pera non potranno per fermo non meritar bene della patria, e dei cultoii delle buone ed utili discipline; im- perciocché ella è una verità incontrastabile, e che do- vrebbe scolpirsi negli animi di tutti » che le nostre menti, se han senno, son tutte da rivolgersi alle cose nostre , e verso le nostre cose son tutti da riconcen- trarsi i nostri studi se prendon sodezza, e che la nostra politica, giacche le lettere hanno ancora la loro po- litica , dovrebbe esser quella di occuparci delle cose nostre, e che il motto di unione tra i Siciliani, che pi- gliano a coltivar le scienze, dovrebbe esser Sicilia w (i). Fortunatamente questo vero è stato fin' ora ben com- preso, e noi abbiam veduto, e vediara tutta via i più bell'ingegni a questo santo scopo involgersi, e afiaccen- darsi e porre in quellalta onoranza la nostra nazione , in cui fu ed è stata sempre tenuta; che w insensibile è (i) V. Scin^ Topog.di Pai. l58 LETTERE al dolce nome di patria chi non procura elernaine la memoria, divulgandone la rinomanza, ed i suoi falli il- lustrando , e che in miglior modo non può adempiere al dovere di buon cittadino, e rendersi benemerito dei suoi colui che si adopera ad esporre la serie delle prin- cipali vicende della sua terra w- Il perchè i nomi di uno Scinà, di un Di Chiara, di un Errante, di un Pai- meri, di un Crispi, di un Garofalo, di un INIartoraiia, di un Serradifalco, e di tanti altri saranno sempre cari a' siciliani, come sono stali sempre quelli di un Ran- zauo, di un Fazello, di un Maurolico, di un Pirri, di un Di Giovanni, di un Torremuzza , di un Mongitore di un Caruso, di un Gregorio, di un Amico, di un Di Blasi, la cui fama durerà quanto il mondo lontana. Tra tanti cultori di cose, patrie mi è pur dolce il ri- cordare il cav. Lionardo Vigo, che w avendo voluto mai sempre, cora' egli dice , aver per obbielto dei suoi la- vori le cose patrie » ha dato opera ad una raccolta di notizie storiche della città di Aci-Reale, della quale, co- me lavoro non ha guari fatto di pubblico dritto, veu- ghiamo a ragionare. Poche sono state fin'ora le città siciliane di uno sto- rico manchevoli , e fra queste potevam ricordare Aci- Reale, che sebbene ricca, popolosa , e bella , era pur bisognosa di un' opera , in cui registrati i liasli , e le glorie di essa si rinvenissero, che ne gli apocrifi scritti di Orofone, ne l'Aci antico del Vasta Girelli, ne le po- che notizie del Gras^io, che vanno innanti alla vita di Santa Venera, potevan supplire a quel difetto ; e chi avrà ozio da svolgere quelle carte non potrà non re- starne convinto, che oltre all'essere ingombre di favo- losi racconti, e scevre di qualunque critica, con tanto biz- zarro, e grottesco stile veggonsi dettate, che non v'ha pa- ziaiza da poterne durar la lettura. Il Vigo adunque allontanandosi da costoro, ha dovuto per dir così disso- dare un campo tutto vergine , e scrivendo la sto- ria del suo paese ha un vuoto riempiuto nella storia ED ARTI l5(| gen.n-ale di tutta l'isola, e resosi utile non che alla città a cui deve la vita, ma all'intiera nazione. In quattro pai ti, ch'egli chiama sezioni, divide il suo lavoro, w Lasciando ai falsi zelatori dell' onor patrio quello che si appartiene alla mitologia , e quanto si è favoleggiato sulla genealogia di Noè » presenta nella prima tutto ciò che riguarda il sito ove sorgeva l'anti- ca Silonia , i monumenti che ne provano la esistenza , e le poche notizie, che dalla sua fondazione sino all'e- poca dei Normanni possonsi raccogliere. Descrive nella seconda gli avvenimenti di Aci-Reali dal ioga sino ai presenti tempi w i donativi latti alla corona, i diversi baronali governi sotto i quali ha languito, l'origine delle più cospicue chiese , i privilegi che le hanno concedu- to i monarchi , il bilancio delle pubbliche rendite , e tutto ciò in somma, che interessar puote il cittadino, l'economista e lo storico siciliano w. Nella terza e quar- ta sezione che intende l'A. a miglior tempo pubblica- re, darà in fine la biografia di quegli illustri Acitani, per lettere, per armi, e per evangeliche virtù fatti ce- lebri, e la topografia dell'acitano terreno osservato sotto il triplice aspetto della natura, ove si troverà :» l'esa- me delle lave, quello della capacità agiaria del terre- no , il catalogo delle più rare piante , w e quanto in somma il cultore delle naturali scienze possa interessa- re. Con siffatto divisamento dando opeia al suo lavo- ro, non lascerà certo altre spighe da cogliere nel cam- po in cui si raggira , epperò ne duole di non vederlo per intiero evulgato , tanto più che i pregi di queste due prime sezioni, ne àu lasciato il desiderio delle due ultime, che pur dovranno riuscire di maggiore interesse ed utilità. Noi quindi ragionando di queste che abbia- mo sott'occhio non lasciamo di far voti perchè dell'in- tera opera l'A. il pubblico non defraudasse. Fu già sentenza di un dotto scrittore >:> non esservi periodo nella storia del proprio paese , che possa con- siderarsi come del tutto mancante d'interesse, e che an- l6o LETTERE che quegli avvenimenti remoti e minuti essendo oggetti (li curiosità come naturali alla umana mente riesce pur piacevole il soddisfarla (i); e però sebbene nell' opera che abbiamo tra mani non possa il leggitore trovarvi grandi e strepitosi racconti , pur tuttavolta non potrà chi ha un' ai ina tutta siciliana non essere interessato nello indagare l'origine, le rovine, il risorgimento, e lo stato presente di una città, eh 'è non ultima parte della comun madre Sicilia. Nelle regioni piedimontane dell'Etna là ove oggi si innoltra nel mare il capo dei molini, lontana nove mi- glia a inezzogiorno da Catania, e diciannove a tramon- tana dal promontorio di Taormina, là propriamente ove le acque del fiume Aci dopo il lor breve corso si mi- schiano neir Ionio , un miglio e poco più lontano dal- l'attuale Aci sorgeva ai beati tempi delle greche repub- bliche r antica Sifonia , la quale per lo cambiamento delle favelle , e per la dominazione degli stranieri fu variamente nominata. Ivi e non già sul capo di S. Cro- ce, come d'alcuni fu detto, stabilisce primamente l'A. il sito di quella città, e siccome nella contraria senten- za sono alcuni dotti venuti, e principalmente il Cluve- rio , e tutti i seguaci di lui , incomincia con non volgare erudizione a provare il suo assunto, ed a que- sto interessantissimo obbietlo tutto il primo capitolo consagra , e si giova del secondo e del terzo , tal che può quasi tutta la prima sezione riguardarsi come un trattato di arclieologiclie ricerche. Va egli innanzi tratto chiamando in suo sostegno l' autorità dei più antichi scrittóri , quella dei dotti commentatori , e con molto acume d'ingegno va dimostrando, come fin dai più an- tichi tempi sino i questi ultimi , e storici e geografi e poeti sono stati qnasi tutti di accordo , e come volen- do stare all'autorità degli antichi w resta provalo con (i) Robertson Slor. di Cari. V ED • ARTI l6l evidenza non aver inai la coni rada di S. Croce, avulo nomi unisoni a quello di Sifbnia, e che l'antica Sifonia, o Aci-Silbnia, non si alzò giammai sul capo di S. Cro- ce, ma ei-a propriamealc quella città di cui grandeg- giano le reliquie sul capo dei molini ^i ed a rinforzale maggiormente la sua sentenza va descrivendo i monu- menti che rinvenuti si sono in (juei dintorni, e fabbri- che, e terme, e monete, e statue, e acroteri, e busti, e monogrammi, e arinille, e sepolcri di piombo, e sug- gelli, e lìguline e finalmente il castello di Aci, e lan- tico porto di Ulisse, d'altri posto a Lognina tre miglia distante da Catania, e die l'illustre A. seguendo Ome- ro , e la descrizione , clie questo sovrano poeta ne la- sciò , crede al Capo dei Molini. E cuiuechè di tante re- liquie la maggior parte all'epoca dei romani si appar- tenga, poca a quella dei tempi di mezzo, e pochissima alla greco-Sicula , pur non dimanco tutto giova a mo- strare, esservi stata alla sponda del mare del capo dei Molini una città , che secondo 1' autorità degli antichi scrittori ebbe il nome eli Sifonia, Lungo sarebbe voler di una in una di siflàtte anticaglie ragionare, assai suc- cosamcnte dall' A. illustrale: solo ne giova intertenerci delle ricerche sull' antico porto di Ulisse, sicccme una opinione, che divise ha tenuto, e anco tiene, le nienti di alcuni nostri dotti connazionali. Racconta Ulisse ad Alcinoc , (presso Omero nell'O- dissea) che lasciando la terra dei Lotoliigi, e giunto al cospetto di quella dei Ciclopi, vide stargli di contra una isoletta ingombra di folte selve , ove ne cacciato- re, ne mandriano vi penetra , e descrivendo il porto , ove scese coi suoi compagni, soggiunge: >:> Clic del porto dirò: non va di fune ì) Ne d'ancora mestieri, e chi già entrovvi w Tanto vi può indugiar, che dei nocchieri » Le voglie si raccendano, e secondi » Spirino i venti. Ma del porto in cima 15. iGa LETTKRE M S'apre una grotta sotto cui zampilla » L'argentin'oncla di una fonte, a cui w Fan verdissimi jHoppi ombra e corona. Dice inoltre essere approdato là dove termina Net- tuno , ed avanzasi con gran punta in mare spingendo la sua nave contro uno scoglio. E venendo finalmente alla sua fuga, narra come il Ciclope >j In ia])bia » Montò pi l'i alta, e con istrana possa w Scagliò di un monte la divella cima » Che davanti alla prua caddcgli... Or ponendo mente a questa omerica descrizione, rav- visa l'A. nell'isoletta di Trezza, quciUa che sta dirim- petto alla spiaggia dei Ciclopi, e che con Omero chia- ma Lachca, e la grotta che s'apre in cima del porto, e l'acqua che va a fecondare tutta la spiaggia e i piop- pi che ancor vi verdeggiano, crede tutto aliarsi alla de- scrizione di sopra riportata, perocché, com'egli dice, M tutta questa catena di fatti non puossi slegare o finge- re altrove. Chi diede nome a (|uol prirto? Uli>se, Ora sapere ove si avvenne in Polifenio l'ilacense, saj;eie ove abitava il Ciclope, ove s'innamorò di Galatca, e Aci uccise, ove scorre quel fiume, ove scagliò i tre massi al Laerziade, ove esistevano al tempo di Plinio, e ancora esistano quei tre massi, ove sorge l' isoletta all'imboc- catura di quel porto, ove il lido s inoltra con gran pun- ta in mare (circostanza ch'esclude allatto ogni qualun- que siasi luogo in golfo), ove scorrono le limpide acque nel sicuro ricovero ; è lo stesso die sapere il silo del porto di Ulisse, e tutte queste topogiaficiie condizioni si riuniscono al Capo dei Molini w. E a i-ailbrzare il suo argomento, si giova dell'autorità di Pentadio, di Vibio, di Ovidio , di Stazio , di Plinio , di Virgilio , che fii una descritionc non molto dissimile di quei luoghi, e ED ARTI l63 ove, se Leu mi ricorda, fa ritrovare ad Enea quell'A- cliemenitle, che fu compagno delle sventure di Ulisse, e finalmente di Euripide il quale nel suo ciclope tutto presentò in is(ciia l'ouicrico racconto. Questa ipotesi, che a richiesta dei suoi concittadini, prima di evnlgaie queste stoiiche notizie, avea l'A. po- sto fuori nel giornale eli scienze , lettere , ed arti , fu da quattro valorosi contrastata, con diversità di ragio- ni. E primamente Ferdinando Malvica con uibana e gentile critica con l'autorità dello stesso Omero, altrove credette fUlisseo porto doversi allogare, cliè le profe- zie di Tiresia e di Circe dai Siciliani lidi dovevano a suo avviso il Lacrziade allontanare. Il professor Car- lo Cemmellaro, non ravvisando nell'isoletta di Trezza, uè la giandezza , uè la selva descritta da Omero , ne credeiiilo potersi dar porto in un promontorio , e non trovandone ivi vestigio alcuno , ne possibilità , a suo A^edere, di esservi stato, come erronea e fantastica l'o- pinione del Vigo venne riggettantlo. Il Cav. Vincenzo Cordaro Clar.enza , autore di una pregevole storia di Catania, seguendo un j^asso di Plinio pone il porto ol- trepassati gli scogli dei Ciclopi in un luogo detto il Gaito sotto la Licatia, e perciò lontano circa due mi- glia da (juel punto ove 1' acitano storico lo ripone. E finalmente il Duca di Serradifalco , che con Bembo e Fazello nella sua carta geografica dell' antica Sicilia lo aveva a Lognina collocato, seguendo fil filo il viaggio come sta descritto neirOdissca,fece osservare, che, aven- do Omero con somma diligenza notato il tempo im- piegato dal suo Eroe da Troja alla terra dei Ciclopi, ed essendovi Ulisse pervenuto costeggiando il Pachino ed il Lilibeo, non solo era impossibile aver compiuto sì lungo giro in sì breve tempo , ma inverisimile che Omero «on avesse fatto menzione di tutta la spiag- gia meridionale e settentrionale dell' isola. Tutte que- ste ragioni, delle quali non picciola parte sfuggita non era all'A., vengono esposle in due lunghe note, matu- it^ Li;xTi:iìi: ramente ponderate, e rihaUule con forza ili raziocinio, e di erudizione, laiche lascia poco a desiderare infamo ad una ipolesi, e!ie seblieiie presenlaia solfo l'aspetto di certezza, noi, auzieliè linci t;iiidiei di etsa, riniandia- nio al libro i nostri lettori, acciò jìossano da loro nie- desinii giudicarne. Solo ad onor dell" A. osservcieuin , com'egli eoa dignità, e pacatezza di animo accolga le altrui ciiliclie , e con le uiliane e poteiilissime armi della ragione le ribatta, al>l)C)i lendo le ingiurie, le vil- lanie, il rancore, indegni di un'aniuia ben nata, e che Spesso con non poco scandolo delle lettere insozzate veggiamo le scritture dei 5aj>ienti. Esaminati i ruderi, le anticaglie, e le siConile mace- rie nasce il desiderio di sapere come, fjuando , da chi fosse stata c^uesta città costruita, e a cpiaii vicende ab- bia soggiaciuto; e a siHalle ricerche -viene destinato il capitolo terzo della pjima sezione di (jucste memorie. ]Molto erasi in vero iavoleggiato sull'origine di Silimia. Chi al figlio del re Fauno, piiiuo coltivator delle sel- ve, chi a Sinofisbo, piolo di KCcntone in Sicilia gran- de eroe dei ciclopi ne liiceano rimontare V origine , e tutti appoggiali ad apociifi scritti ed a fal.se testimo- nianze eransi tra le l'avole inulilmente raggirati. Ma il Vigo al contrario cl-.e solo del vero si appaga, frugan- do nei greci scrittori, e ponendo ])rimamenle alleuzio- ne ad un passo di Diodoro il quale i-ilerisce come i sicani prima, indi i sicoli, mandarono colonie in Sicilia, e da essi furono fondate le città sul mare, e ad un al- tro di Strabone, il quale suUautorità di Eforo ci am- maestra essere state ISasso, Megara e Sifonia le prime città fondate in Sicilia da' (jjeci nella decimacjuinta generazione do[»o la gucna di Troja, -viene in senten- za, essere cioè, Sifonia fioiita ai lem])i delle gredie re- pubbliche, e seguendo le cronologie meno contradillo- rie , che pongono lo stabilimento delie greche colonie a 44^ """i cio[)o la guerra troiana , 'ySG anni av. G. C. Ó2GS del mondo cieato , e computando in questi KD ARTI lG5 calcoli più l'eia di quanto gli anni crede verisimilmeu- tc r innalzamento di Aci-Siiònia anni 5oo dopo lo in- cendio di Troja. IVè polendo rinvenire da limpidi fonti, i nomi dei fondatoli, anzi die ire in traccia di favole confe!-sa ignorarli, e dei sogni dei falsi Lampridio U- sconc e Teofilo, e del Grasso, e del Vasta Girelli non tien conto. Poche e sparute sono a dir vero le notizie che intorno a Sifonia la storia ci presenta; imperocché essendo slata piccola citlà, dovette naturalmente segui- re le sorti della vicina Gatania, la quale estendendo i limiti del suo territorio al di là del fiume Aci ne fu certamente signora; quindi è che, non avendo una sto- ria che piopiamente la riguarda, i fatti di essa vanno sempre concatenali con quelli di Catania. Che il nome di Aquilia T abbia irallo dalla distruzione clic Aquilio fece elei servi ])iesso di essa, come vuole il Mauiolico e tutti coloro die sull'autorità di lui Fan riferito; che mollo abbia soilèrto nella guerra dei Sicoli , quando Ducezio venne in nimistà coi Catanesi ; che Cesare ai tempi «iella guerra civile, e precisamente quando a do- lorosi termini venne dai Pompeani ridotto sotlo le mura di Taormina , sia venuto in Sifonia , e che non poco danno abbia soffiarlo per le rapine di Verre, sono tutte delle conjetlure vlie han molta probabilità, ma non a, dir vero storica certezza. Ma quel che di cerio creder possiamo si è, che fu qualche volta libera; che coniò moiiele propie , delle quali tre sono a noi pervenuta ; che cambiò il suo antico nome con quello di Aquilia, e poscia di Aci; che vide Annibale avvicinarsi alle sue spiagge con molte truppe di sbarco, quando, ferve;ndo la guerra tra R(nnani e Cartaginesi, Cerone unì le sue armi a quelle di (pieste ultime; che parteggiò pei Ro- mani con Messina, Catania, Ibla, Selinunte, e con tutte quelle città che per l'interna discordia e nimiciiia con Siracusa resero mancipio dello straniero la comun ma- dre Sicilia; che molto soUrì pella Etnea eruzione avve- nuta nell'anno lar». avauli (iesù Cristo; che venne in l6G LF.TTERK potere dei Saraceni, corno vuole Abulfeda, nel 974 o 'j5; e die nel lO'-t) fu presa a viva forza dal Conte Rug- gieri). Colla dominazione Normanna, ovvero con la forma- zione della monarchia Siciliana , comincia la seconda sezione di queste memorie, che al Cav. Salvadore Vi- go, per sapere non solo, ma per cittadine virtù della pallia benemeritissimo, viene intitolata. Va essa divisa in due capitoli; abbraccia il pimo cin- que secoli e quarant'otto anni di storia, cominciando dal 1092 quando il gran Conte Ruggiero rialzando il V(;scovato di Cetania , e postovi in cattedra l'inglese Augerio monaco benedettino gli assegnò in patrimonio la città di Catania, il castello e la terra di Aci con tutte le sue pertinenze, e gran parte di Mongibello, s:iDO al 1640 quando i paesi originati della distrutta Si- fonia, e che portano il nome di Aci, per quattro secoli e mezzo uniti d' interesse d' amministrazione e di rap- presentanza, dismembraronsi. Va il secondo dal 1640 S.ino al giorno di oggi, e finisce con un quadro slatisti- <;o ove esattamente, e minutamente tutta la storia del jpaese e il di lui stato passato e prosente in un colpo 'di occhio si ravvisa. Non con seguiti ragionari, ma a salti fu costretto l'A. a tessere il suo lavoro , opperò non senza fondamento volle notizie sloriche, e non istoria intitolarlo. Ma co- mechè poche a dir vero sieno le notizie che interessar possano il leggitore in questa seconda j)arte dell'opera, pure con essa può dirsi cominciar veramente la storia Acitana. Fuggili gli Acesi, per la guerra sostenuta con- tra Ruggiero nel 1079, dal loro antico nido, lo ripopo- larono allorché cominciarono a patire il giogo della feu- dalità, ma un tremuoto del 11 69 obligandoli a ritirarsi nei lojo campestri poderi le' nascere tutto quel numero di paesi , e borgate che ancora il nome conservano di Aci e che « fanno bello, animato, e gajo il fianco o- rientah; dell'Etna ». Ma fra tutti quello che, i)cr ED \RTI rS'J ramcnllà del sifo, i più ricchi e nobili cittadini scel- sero per loro soggiorno, fu Aci-Aquilia, così detta per- chè posta in sul camp:) in cui ci edesi A(juilo avere battuto i servi, ma anche questa fu forza abbandonare quando nel iSsq erompendo i'Elna dalla rocca di Mu- sarra, due liiaccia di fuoco verso colà si diressero, e gli abilatoi'i riliraronsi nel sito ove ora sorge Aci-Reale , e Aquilia nuova lo chiamarono. Ivi gran numero di circonvicini convennei'o , ed in sì breve tempo videsi sifFatlamente ingrandita, e popolata, che nel i546 vi fu d'uopo della concessione di altre terre per dilatarsi. Am- mirabile e degna cosa dell'attenzione dello storico si è il vedere come da sì bassa origine sia al grado salita in cui presentemente la città si ritrova, mentrechè un avverso destino par che avesse voluto arrestiirne ogni minimo ingrandimento. Ridotta alla vile condizione di feudo, videsi spesse volte venduta, come vilissima gleba, ora ad uno, ora ad un altro barone; e mentre un'aura favorevole voleva prosperarla, e tremuoto, e assedioni, e guerre distrugitrici , eran ai suoi progressi fortissimi ostacoli; ma questi quasi miracolosamente veggonsi su- perati, ed essa scorgesi ad ora ad ora in grandezza sali- re: tanto è vero che la felice topografica posizione di un paese è principale sorgente di prosperità. Dieci volte fu Aci concessa, venduta e rivenduta; sei volte fu città demaniale, ma per Dochissimo tempo lincile poi nel iSaS ottenuta da Carlo V la lil)erazione dai vassallaggio, al- lora quando la Regia Corte per oooo fiorini, vendette a Salvadore Mastrantonio il dritto di ricomperare la baronia, fu dal feudale servaggio comprata. Fu allora che acquistò molti dritti e privilegi ; fu allora che la pubblica istruzione avanzossi, e la perfezione delle in- dustrie, fra le quali quelle dei tessuti di lino e di la- na furono novella fonte di ricchezze ; e fu allora che videsi a poco a poco adorna di chiese, di ospedali, di conventi, di accademie, di palazzi, di magnifiche stra- de , di licei , del monte di piclù , di rcclusorj , della l68 LETTERE llera eli Sanla Venera venula in voce in Europa, e del titolo di Aci-Reale. Io non dirò ne tulli , ne niinula- niente i falli che in questa seconda sezione si leggono perocché dillicilnicnte potrei vincere la concisione con cui dail'A. vciionno enarrati, ma recando il tutto alla sonuna mi limitelo a dire , che per ben sci volte fu Aci lagrimevole teatro di guerra. Sperimentò la crudeltà di Enrico lo Stri fra- telli ricordare. .Quando, cioè, ottenuta Agostino Ayroli, nel 1607 ^'^ vendita della città e del castello, gli Aci- tani con generoso animo negarono d' inchinarsi a lui , ed ubbidire ad un ingiusto comando di Filippo (juar- to , e tanto con la Ibiza alla forza si opposero , che fatto accorto il, monarca della sua ingiustizia , dichia- rò nulla quella vendila, e stipolò con non poco disde- coro di lui un conlralto con (jnei cittadini, mediante la somma di (pjiiidiri mila scudi di non più \enderla in futuro. Quando nel i(.>6<) prove ili fralellevole amore diedero alla vicina (Catania soccorrendola nelfimminente pericolo, di cui la tanta nota, e fatale eruzione di cpiel- i'anno minacciavala. E quando finalmente jì memori di essere Siciliani e ilei 1282 >■> guidati d'Alessandro Gras- so Biviera , fra Aci , e Mascali l" armata di Vivonae allroularouo , e la v inscro , e fu da Cailo secondo lu ED ARTI 169 loro patria del soprannome eli amplissima onorata. Queste tre memorande azioni , sono con sì vivi colori narrate, e con tanta forza, e nobiltà di stile che come le più belle pagine di queste storiche memorie, meri- terebbero di essere rapportale. Beile . e vivissime di- pinture raccliiude la feclole sposizione dei costumi del- l'industria degli acitani e della l'cracità del terreno , e dei prcgiudizii del paese; e fruito della esperienza , e di quello amor patrio che scalda il petto dell'A. sono i mezzi ch'egli propone, onde quest' ultimi corregersi. E qui giova ad ouor di lui ed esempio di tutti i Si- ciliani queste parole trascrivere con le quali il libro fini- sce w. Ne solo Aci e Catania, ma Girgenti e Caltanissetta, Traj)ani e Marsala, Messina e Palermo, tutte in breve le sicole terre siano, ed esser devono sorelle; maledet- to colui che r inimica, detestato dall'intiero regno sia l'odievole nome: tutte sorelle con una mente, un cuore, un braccio si giurino , come 1' eterno compositore del mondo le volle , come i sapienti le desiderano , maii- tengansi sempre, se madre vogliono, e di Sicilia non degeneri o matricidc. figlie nomare si pregiano. E que- sto voto , e queste mie storiche pagine , i connaziona- li, e più i concittadini accolgano generosi: sì non so- lertemente lucubrate esse sono, ma testimonio ch'io vivo solo per la patria, cioè per questa terra chiusa da tre mari, e che da ovunque scorgo le cime dell'Etna, o dei Nebrodi, o di Busambra o dell'Erice, o dell'Ercta, o del Nettunio , e da ovunque mi allegro a' jaggi di questa purissima luce, ed il dolce dialetto con cui Meli inforsava il primato di Anacreo nte e Virgilio mi allet- ta le orecchie , e i greci ruderi vedo grandeggiare fra gli ulivi, i vigneti, le messi, i melaranci, sì, baciando la classica terra delle maraviglie, felice mi estimo per- chè sono in Sicilia «. Oh potessero queste sante parole scolpirsi negli ani- mi di tutti i Siciliani! Allora sì che conoscendo il loto vero ed unico interesse non altro avrebbero nelle menti, 18 I ro LET n.nr nei cuori nelle labbra che questa comune madie Sici- lia, del bene di essa soltanto si appaglierebbero, e senza andar fantastigando per patria, (juella die non fu, uè sarà mai, perchè dalla natura in questo tricuspicc suolo ristretti, sì dai vicini, che dai lontani popoli, ha vo- luto farci divisi, ed indipendenti, con un carHtfcie, ed una fisionomia tutta propria. Pregi non vulgari di que- sto libro ^on finalmente, la esattezza la diligenza nelle ricerche , e quel non perder giammai di vista il Mig- gelto piincipiik-; imporoccliè senza diObndorsi in lunghe digressioni sulla storia generale dell'isola, vizio di cui non bau saputo guardarsi quasi tutti gli storici umni- cipali , prende di quella ciò che crede necessario per l'intelligenza dei fatti, che il proprio paese riguardano, e questi senza orpello descrive. Chiaro preciso, e pie- no di forza è lo stile, e a coloro, che vanno in bro- detto per ogni miseria forestiera, e miserabili com'essi sono le patrie cose disprczzano, mi piace far notare la industria dell'autore, il quale stretto in angusti confini, e spesso obldigato a raggirarsi in faccenduole munici- pali senza tradire il vero, ha saputo infiorare così ste- rile argomento, e renderne gradevole la Icllura; il che mostra che anche in Sicilia si sente il bello, e si sa esprimere, e che nulla abbiamo da invidiare agli stra- nieri, ne dei loro consigli, e de' loro prccelli, abbia mo da giovarci, come stoltamente da qualcuno si gri- da, invilendo se stesso, la propria nazione, E senza farsi per vergogna rosso. • Antonio Di Giovanni ED ARTI 171 Poche parole intorno le mie Considerazioni sulla Sto- ria di Sicilia dal i532 al lySg. Io voglio per altro the aHe opinioni abbiate ris- petto ({iiaiito la rngione domanda; e non piìi- E se ci iidij-emo biasimare a torto non rispoil. deremo? Si certamente. GionnANi. Discorso snpm due pitture ec, Pfegli sliiilii, siccome in politica di flida delle fa - zioni e de' loro sistemi. Esamina questi per conoscerli , compararli con altri e giudicare , non per essere loio schiavo. Che signilìcarono le gare tra i furenti lodatori e slodatori d'A- ristotile di Platont e d'altri filosofi? ovvero <]uclle Ira i lodatori e slodattiri d' Ariosto e ' rii Tasso? Gli ido'.itrati e vilipesi maestri ri- masero quel ch'erano, né divinità, né medio- cri spiriti; coloro che si agitavano per pesarli in false bilance , furono derisi , ed il inondo che assordarono nulla imparò. Pellico, De' dov'eri degli Uomini. Il mio egregio amico e collega Ferdinando Malvica prendendo nella precedeiile dis[)ensa a discorrere dei Compendio della Storia del Botta dal i534 al 1789 fatto in Parigi per V avv. Luigi Cornetti , e testé ivi evulgato appalesa alcune sue idee sul merito dell'alti.s- sinio storico e quindi facendosi propugnatore di lui sca- glia amarissime invettive contro coloro che si son dati a chiarirlo, ovvero che senza riguardo l'han censurato. Or io, tuttoché per la mercè di Dio, non abbia la scia- gura di peitenere a quest'ultimi, ne di tanto mi creda da poter dir con franchezza che sia fra i primi; io, che mosso da patrio allotto, che spinto da candore da pu- rità da buon valere di giovare alle discipline storiche del nostro paese, ho tentato un' opera difficile e per av- ventura al di là delle mie forze' ; io con mio sommo rammarico mi credo che il Malvica contro ogni mia aspettativa abbia voluto anche ferir me dei suoi acerbi ri lii prò veri. E non già che questo io supponga a caso ma ha- 1^2 LETTF.RR sta ripetere poche parole di lui per vedere se mal io mi apponga. Fxco varii brani del suo articolo » Pri- mieramente il Bolla disse quel clie dovea, e nulla, pre- so in grande aspetto il tutto puossi e decsi aggiungere o correggere alle opere sue Inana ciancia ogni altro obhietto cui ^i sarebbe voluto, che il Bolla avesse risguardato. Imperciocché il discendere alle piccole co- se in opere di tal natura, e di tanto pondo e lauto sa- pere, è un' oltraggiare il proprio senno e il seinio al- trui. Le piccole cose sfuggono né si calcolano, ne cal- colare in verun conto si debbono: elle pcrdoiisi nell'im- mensità del lavoro, che, simile al sole, rimane puro e splendido , malgrado delle maccliie che vi si scorgo- no M (i) E dopo » Egli non ebbe tendenza , più per questo o per quel paese: lutti i punti d'Italia dalle Al- pi all'Etna gli stettero egualmente fitti e nel pensiero e nel cuore. Ei narrò d'ognuno quei fatti ch'entrar do- veano nel suo piano , e quei tali che poteano influire sulla storia generale d'Italia. E se parve a taluno^ gri- dando la croce con tanto strepito, che il Piemonte nella continuazione del Gnicciardijii , si sia dal nostro sto- rico di troppo vagheggiato in preferenza degli altri sta- ti, è mestieri che si sappia che nelle epoche scorse dal Botta in quella storia , il Piemonte fu teatro continuo di gravissime vicissitudini , per la sua topografica si- tuazione , ed avvenne che le alternative invasioni del Piemonte e della Savoia obbligaron lo storico a raggi- rarsi fra quelle contrade più che in ogn' altra d'Italia. Imperciocché mentre quivi accadeano infortunii e disa- stri terribili che sopra i destini d'Italia avevano diretta influenza, negl'altri luoghi spesso nulla avveniva, o co- se avvenivano di sì poco momento , che non poteano afìTatto risguardare la storia g:> Le critiche adunque , e le correzioni, e le osservazioni, e le considerazioni ^ e le note , le aggiunte , le chiose fatte a questa e a quella opera di lui , che da più punti son sorte , e le apologie alle correzioni e alle critiche manifestano pie- namente la miseria dell'umana natura più che de' tem- pi nostri ; e se tante inconsiderate scritture gir potes- sero ai venturi si ricorderebbero da questi con quell'ira e quel disprezzo medesimo, come noi ricordiamo le co- se deìVInferrigno e AeW Infarinato w (i). E con que- ste frasi prosiegue a sferzare i commentatori o detrat- tori del Botta, anzi alcuni ne noma e tutti alla perdi- zione condanna. Che fra quelli io sia è fatto incontrastabile, e che il IMalvica punga me con varie sue espressioni ella è co- sa che ne il critico ne coloro che avran letto le mie Considerazioni ne potranno sconvenire. Or se le que- rele e le censure dal Malvica sulla mia opera siano accennate o nò, e se io meritava di quelle, più che da le mie parole il conosceranno coloro che avranno get- tati gli occhi sulle mie pagine. Da per loro avran co- nosciuto quale e quanta osservanza io professi pel Bot- ta e con qual venerazione io ne parli. Ma siccome io credo dicevole lo sdebitarmene tenterò farlo per quan- to più brevemente il saprò. Ninno quanto a me rispetta le opinioni altrui, ninno quanto a me ama la franca e sincera polemica. Questa raddrizza gli errori, ravviva le conoscenze, luce splen- didissima dirama sul vero, che non sempre brilla chia- jissimo. Quelle imparai sin dai miei primi anni a ri- spettare perchè è il più nobile patrimonio dell' uomo , ma non però qualora differisca dalle altre ho men ri- (i) Effemeridi I. e. p. no in, tj^ 'LErifc.Kt. tenuto la mia fintanto che ragioni convincentissime ed ineluttabili non ni' inducano a moditicarla. Tanto però le opinioni che le polemiche vanno per me trattate scnz' aschio e senza fiele ; l'individuo non entra nella dis- puta letteraria la quale più corlesemenle che sia possi- bile debb'esser dettata. Non è più l'epoca di poter di- re al mondo; se volete pensare tutti bene [pensate co- me a me, ovvero, tutti siete in errore io solo grido il vero. Potevano dir ciò nei primordii dell'era nostra gli Evangelisti o coloro che predicavano agli ignoranti nel deserto; ma oggi mai son queste opinioni viete ne da es- sere accolte da chi siegue coi tempi la crescente civiltà. E mia credenza adunque che il tuono predicabile, dom- matico ed assoluto non è più per il sacro ministero delle lettere d' oggi giorno, ma che invece fa mestieri adottare uno stile piano, persuasivo , analitico il quale tutto risenta dell'estetica che infiorar deve quasi che gli argomenti tutti dei nostri giorni. Ne ciò dico per de- fraudare il valore ed il merito del mio egregio amico, poiché di quanto io l'ami e l'apprezzi credo averne da- te splendide e pubbliche testimonianze, ne alcuno potrà ' inforsarlo: ma il lasciar correre senza risposta delle (rasi dimezzate sulla pulita delle mie intenzioni , e queste pronunziate da uno cui mi lega cordiale amistà ella è cosa che il mio decoro non può permettere che trascu- rassi , e come la proposta fu di ragion pubblica fatta alla mia insaputa cosi pubblica esser dovrà la mia ri- sposta. Ne Malvica se ne terrà adontato, dipoi che nel- l'argomentar che farò contro a lui i sentimenti di ami- cizia che a lui mi legano non discorderanno dal suo cuore benfatto, ne menomeranno giammai. E mi giova avvertire in pria che le mie Considera- zioni non son mica sulla storia del Botta ma vertono sopra un periodo di storia siciliana, la quale tuttoché ricca non d'altro che di miserie e di sciaguie pure pre- senta avvenimenti tali da esser trasandati con onore ai posteri, e dalle quali rifulgono le nostre inveterale ED ARTI l'jS tnagnltuclinl. Esse non altro sono che una parte dei miei stuelli storici sulla Sicilia che cominciai ad elocubi'a- re molto avanti la divulgazione della continuazione del Guicciardini del Botta , ed alle quali lungamente ed alacremente attendeva ed attendo; ne questo ignorar si poteva dal Malvica, che, oltre di esser dimestico me- co definita lesse la natura dell' opera nel mio Dis- corso Proemiale e con più sedulità nell' erudito ar- ticolo del Vigo (i). A che ora venire il Malvica alle brutte con quelle mie povere Considerazioni? A che re- putarle, come cose <\e\ì' Inferri gno e deW Infarinato? a che segnarle, come manifesto segno della ìniseria del- l' umana natura pia che de' tempi nostri? Ne anco Botta le ha giudicato con tanto rigore e con sì gran malincuore di come ora le giudica l'amico Malvica. Ed a che? Si son per esse forse menomale le nostre con- dizioni publiliche? Han esse forse rapita la fama tocco l'onore ed il decoro di questa nostra bellissima patria? ovvero hanno allenuato limmortal nominanza del Botta? Non vedendo le cose dietro il prisma a me sembra che il mio dettato non pecchi di nessuno di questi tre di- fetti, e se, a come pare, il critico mi accagiona di quel- ruitima lecca lacil cosa, mi ciedo, ne sia lo sgannar- nelo; posciachè se le Considerazioni mie principal mi- ra hanno quella di fare assaporare con meditazioni e riflessi quel periodo di nostra storia e quindi per secon- dario obietto inter porvi la disamina del Botta il biasi- mo ch'egli mi vuole tirar sopra non soltanto non arri- va a ferirmi ma ne a pure scalfirmi. Che se poi il Malvica volesse indicar me con alquan- to delle sue velate parole siccome uno dei detrattori del Botta e mettermi accanto agli Angeloni, o all'ano- nimo autor d-Ue lettere, o all'osservatore, o al compi- latore del Bullettino di Bologna (2), oh allora is\ che (i) Gioni. di Scienze Lelt. ed Arti ec. T. 54 p- 257 N. 161. (2) Leltere di un'Italiano sopra b Storia d'Italia dal 1789 al I "76 LETTERE egli s'inganna a partito, e ciò solo basta per supporre o che egli non abbia letto la mia opera, ovvero che r abbia appena sciorinata. Ne Paradisi ne Lucchesini meritano biasimo per aver posti sul sentiero del vero alcuni fatti dei quali eglino fecero parte, e che dal Botta non furono esattamente conosciuti , ne le inchieste di Defendente Sacchi, (comecché avrebbe dovuto egli di- chiararle) del dimestico allievo, e del biografo di Ro- ma gnosi sono rombanti e vuote ne ingiustizia ne ar- rogan'za è la sua, ma racchiudon moltissima dottrina e non comune senno. Malvica può dirle miserie ma tali per avventura non sono (x). In quanto a me niuno più che il Malvica può e dee sapere l'alta venerazione che mi allaccia al sommo sto- rico dei nostri giorni : dare a me la taccia di detrat- tore di lui è fare a comprendere la notte in pien me- riggio; le mie due lettere a lui medesimo dirette pelle quali gi'inviai due articoli del Dehats da me volgati (2) attestano ineluttabilmente se il vero io mi dicessi , e pria d' ogni altra quistione comprovano quanto io sia lontano dall'essere ciò che il critico mi vuol far com- parire. E se quelle per avventura non bastassero credo che non farà d'uopo di mendicate ragioni per dimostra- re col fatto la mia profonda osservanza verso il subli- me scrittor piemontese. Si aprono le mie pagine e vedasi come zeppe di meritate laudazioni e di mara- viglie non sono pel sapientissimo uomo; io ho sem- pre tenuto il Botta per uno dei primi luminari dei no- stri tempi in fatto di storiche discipline, l'ho tenuto o- gnora per altissimo e sommo italiano , ed ho stimato il suo lavoro quasi miracolo d' arte e di scienza ; ne ora dico ciò, ma, lo ripeto, aprasi il mio libro e quivi 1814 di Carlo Botta. 5 edizione. Capolago. Tipografia Elvetica l836 — Si leggono in questo libro varie scritture contro il Botta. (i) Vedi le parole del Malvica sul Sacchi 1. e. pag. ii3. {1) Effemeridi T. 8. ID ARTI 177 avrassene la più soleime testimonianza; meno clic non vogliasi apporre a poca osservanza aver chiamato il Botta storico di S. Giorno e non di S. Giorgio , errore nel quale caddi per averlo ripetuto dal Malvica (i) Ne il dissentir dallo storico per alcuni principii di politica (2), che si tengono, come forse lo sono per ritardatari! è segno di spregio, ne però Sacchi, ne chi è vago ed ha fede in altri politici ordinamenti condannati dal Botta sono genti da risse da furore e da sangue , o scimie perniciose , che non sanno imitare della rivoluzione francese y che quanta ella ha di più, orrendo e di più truce (3). Veda dun(|ue il mio amico critico, che il segnarmi anco orpellatamente quasi delinquente d'inci- viltà e di lesa patria, e quale censore del Botta ella e cosa assai poco dicevole perchè non esatta e non vera. Le mere riflessioni non son censure. Riepilogando gli altri biasimi, che io dal detto di Malvica mi addebito siccome da lui cennati a ferir me, a pochissimi li ridurrò e quindi ad ognuna partitamente sarò a rispondere. Siccome io suppongo sono le seguen- ti tre. 1° Nulla, preso in grande aspetto il tutto, puossi e deesi aggiungere o correggere alle opere del Botta. 2" Inane ciancie perchè piccole cose sarebbero quelle che si vogliono da alcuni aver dovuto il Botta risguar- dare, perche non pertenenti alla storia generale d'Italia. 3° Il Botta dovea parlare a preferenza del Piemonte per le condizioni e pella topografia di quello stato. E venendo alla prima quistione ; pel lodevolissimo desiderio che si ha avuto il critico di volere encomiar Botta ei l'ha fatto di modo che più d'offesa che di lode sanno le sue parole. Dire che nulla vi ha da aggiun- (1) Effemeridi ec. T. V. pag. 32. (•2) Considerazioni lib. IV. pag. 353. (3) Effemeridi J. e. pag. 114. 19 170 LETTEnE gere o da correggere in ciò che Bolla ha fallo e am- mellere riiifallil^ililà neirumana rialura, che a dir vero non le propria , e che cerio il severo e modeslissimo storico non antbisce; è quesla un'opinione molto azzar- data gettata più presto nel calor dello scrivere clie mc- difala e che non si addice ad un peripatelico tale quale ognora si è mostralo il mio Malvica. Fare del Bilia quasi un Iddio dell' antidata e del paganesimi, ed ele- varsi, come fa il Malvica, a sacerdote di Ini ella è cosa così sconvenevole quanto il parlare dell' esimio slorico con nissuna osservanza. L'esagerazione spiace sempre ed in ispecie nel critico , quaiulo poi questa esagei azione senle del paradosso alloia mal si conviene, ne in buo- na letteratura ne in buona logica può ammettersi. Per lodar Botta non fa mestieri di lardellar paradossi; Botta si encomia da se stesso; le sue lodi nella di lui lettura stanno impressi, e scorrere una sua pagina vale intes- seigli una corona. Queste verità io l'ho dette e ridet- te, e tutte le mie carte intorno a quel sommo le tra- mandano , e solennemente le annunziano. Dir poi che Botta è infallibile quesla è cosa dalla quale io debbo disconvenire perchè direi il falso, e\ egli medesimo se ne adonterebbe, che questa prosopopea non può capire in una mente che per un poco conosca la naturai fra- lezza nostra, e di quali passioni siaui noi capaci : sti- mare infallibile un'uomo è ignorare gli sfoghi bruttis- simi della nostra miseria, e per un poco che si abbia ofliiscato l'ingegno a tal punto da giudicar siffattamente di un'uomo egli è manifesto segno di esser tenero so- verchiamente e di presumer mollo di questo frale. Dal primo istante che, nel leggere e meditare lullima stupenda opera del Bolla , concepii il divisamenlo di tentarne le aggiunte e le chiose per quanto alla Sicilia spettava io conobbi la difficoltà del lavoro , e innanzi mi si pararono gli ostacoli che sormontare io doveva, e gli svariati dispareri di che il mio libro sarebbe sta- lo argomento. Lo avere un lavoro quasi bello e pre- ED ARTI 179 sto a queUuopo , e ramor che mi lega e che vivissi- mo sento in me per quest'isola che mi è patria mi de- cisero senz'altro abindolare nel proposto, e voglioso alla fatica mi accinsi , e vegliai e meditai lungamente. Di due separati scopi uno ne formai a mio modo, e (non so se Lene o male perchè il dir ciò non è del mio assunto) feci un corpo di storia di due secoli e mezzo, infiorato di riflessioni politiche ed economiche ed ove le siciliane ragioni e le siciliane miserie di porre in cliiaj-a luce credei. E siccome questa terra, perchè fa- ciente parte nobilissima d'Italia, venne dal Botta riven- dicata dall'oblivione in che tenuta l'aveva il Guicciar- dini , così, stimai in mio consiglio che i di lei princi- pali avvenimenti, perchè allacciati alla storia di tutta Italia, in tutto il suo vero e non monchi e non guasti riferiti esser dovevano. Ciò feci, colla debita venerazio- ne pel grand'uomo; e se per la natura dell'opera mia qualche volta entrai in racconti ed in avvenimenti di una storia generale non proprii non però ne feci pec- cato al Botta , che le mie aggiunte ai soli principali fra le nostre vicende io limito ed avverto. A che dun- que d'ira e di disprezzo vuol farmi segno il critico , quando una semplice e candidissima idea a quell'opera mi inossc? anzi io credo questa intolleranza non solita in lui e non propjia del suo colto spirito : anco non volendo stimare il mio lavoro come un servizio reso alla nostra patria Derchè almeno non dare ad esso il merito dell'aver supplito alle inavvertenti omissioni del Botta. Credo che sia questa la prima volta che il bia- simo cade su chi raddrizza sul vero il tenor degli av- venimenti narrati. A questa polemica sì che non mi ci sarei aspettato. Ma vediamo quali siano queste inane cia7icie e que- ste piccole cose che non risguardano finterà storia Ita- liana e di che ho accagionato il Botta di difetto? A dir se merita o no questa riflessione è mestiere definire se la Sicilia deve occupare nella storia italiana un posta 1 80 IF.TTERE simile alle altre province , oppur no. Io tlissi die la Sicilia avoa vicende uguali a Napoli ed alla Lonihar- dia ; perchè essendo soggiaciuta come questi due stati al domìnio di Spagna tutte tre tali piovince ebbero simili quasi il governo , similissima la servitù. E per questo si fu che principiando V opera mia dissi che la Sicilia nulla Jece ripetendo quanto il Caiitìi detto ave- va per la Lombardia ; e torno a ripeterlo la Sicilia mdla allor fece ed altri sgraziatamente faceva per lei; la Sicilia da Carlo V in poi non è la Sicilia operosa ■per se medesima, non è la Sicilia donna dei suoi de- stini, non è l'illustre la generosa Sicilia pugnante con quattro monarchi e col camauro, cozzante sola contro grossi e pertinaci nemici ; non la Sicilia che altera e vincitrice sosteneva i suoi diritti e il suo re; ma allo incontro se il veder guasti e malversati i suoi nazio- nali ordinamenti, il cangiar di contiimo signorie, l'esser ludibrio di lontani scettrati e d'ignoranti od esiziali vi- ceré, il nulla operare a prò della grand'opera sociale, il non risentirsi che leggermente ai replicati colpi che sof- frivano le sue franchigie era questa vita politica? era esistenza civile? — E nulla fece talmente; ma fu la sua terra teatro di sanguinose zuffe , qui , capitanarono i primi duci dei secoli , qui lo perniciosissime gare dei sovrani europei agitaronsi, questa fu terra agognata, vo- luta, conquistata a prezzo di sangue, poi vinta, divisa oscurata, vilipesa, da quali condizioni, quasi che per ri- flesso, viene ad occupare una pagina della moderna sto- ria la nostra sventurata patria. E però nulla fece Si- cilia e a simiglianza delle sue consorelle ha una storia di miserie e di sciagure ma che tratto tratto lampeg- gia dell' italiano fuoco. Botta sonunamentc onoroJla , ma, bisogna cl:e il dica, non sempre fu sedule e s(»lerte nel racconto dei suoi avvenimenti principali: scrivendo dunque la storia dei varii stati italiani, io ritengo, che <|uel sommo dovea anco più a lungo e con maggior di- ligenza trattenersene, e nel tesser l'egregia sua tela do- ED ARTI l8l vca ciarle <{uel posto che occupano altri popoli i quali il più delle volte fecero indirettamente quant'ella fece. Or siccome la storia italiana dal decadimento dell'im- pero romano in poi manca d'unità pegli incerti e varii reggimenti pei quali venivan govei-nate le molte signo- rìe che si foimarono , così (ed io ciò encomiai) Botta solo fra gl'italiani viventi potea portare a fine quell'im- presa arditissima, perchè sapientissimo in quella ardua disciplina. E ben mi accorgo che le municipali e do- mestiche cose non potevano aver luogo in una storia generale, ma che solo gli avvenimenti principali ei do- vea narrare coUcgandole nell'interesse generale della sua macchina. E mia credenza che alquante di queste ab- bia Botta omesso di noi; ne dirò alcuni. Nel racconto che fa della congiura di Don Antonino del Giudice nel 1648 dice il conte di Mazzarino come candidalo alla corona di Sicilia; questi furon due egli e il duca di Montalto altro magnale siciliano. Il tacere interamente la venuta di Carlo V in Sici- lia dopo la spedizione di Tunisi. Gli aiuti in armi in danaro ed in artigiani da -noi somministiati alt'ordine gcrosoliniitano per la costruzio- ne della città della Valletta in Malta , e il nostro do- minio sovrano su quell'isola. L'istituzione del consiglio d'Italia, e la riforma delle nostre magistrature sotto Filippo II. Le vittorie riportate con siciliane armate dal viceré Giovanni d'Austria sopra i Francesi a Piombino e a Por- tolongone. Il tremuoto del 1693, che afflisse Catania , la costa orientale dell' isola ed una parte della valle di Noto , pel quale furon rovesciate molte città, e 60 mila sici- liani perirono. Il parlamento interessantissimo tenuto in Palermo da Re Vittorio Amedeo di Savoia nel 1714- La pestilenza di Messina del 1743. l82 LETTERE La rinunzia di Re Carlo a favor di Ferdinando nel 17% Co- senza meno questi principalissinii avvenimenti della nostra storia patria, e forse molti altri o più precisi cenni sulle spedizioni francesi, alemanne, savoiarde, spagnuo- le di varie epoche , sulla coronazione di Re Carlo av- venuta in Palermo nel 17^5, e sui miglioramenti fatti da lui nella nostra amministrazione, e intorno a ciò che qui si fece ncdl'espulsione dei gesuiti, e sulla carestia, e sul tumulto, e sopra i viceré Fogliani e la Viefuille, e sopra tanti altri punti non meno interessanti potevano e doveano non esser trascurate dallo egregio storico di Piemonte , se le nostre vicende esattamente raccontar voleva. Invano il critico rip^-te esser queste inane cian- ce e piccole cose; cliè tali non siano i piimi non è a provarlo; e se le seconde vorrà pone in quel numero noi gli diciamo che anche gli storici antichi e moder- ni latini ed italiani non lasciano di narrar fatti parti- colari e cittadine avventure, le quali se a prima giun- ta potranno parere disprezzabili a qualcuno, tali certo non' porranno facendovi maturo riflesso. Esse, come io credo, servono a determinare lo stato morale delle va- rie classi della società, la peculiare indole o il ribrez- zo all' incivilimento , le ublVie popolari , la f )rza delle passioni e delle abitudini, l'uso o Tabuso delle autori- tà, il limite al quale ella debbe arrestarsi, il prestigio che l'abbaglia, com'esso si allbrza, come svanisca, co- me se ne calino i popoli, a dir breve, definiscon esse invariabilmente quelle migliaja di fila che compatte quindi fra loro formano i'inconsutile tela della storia. Non inane ciance son dunque i nostri principali avve- nimenti , ne piccole cose i nostri peculiari fatti dalle quali lo statQ morale del secolo risulta e delle nostre (i) Parte di queste cose narra il Vigo nel suo erudito artico- lo (Vedi Giorn. ec pag. 276.) ED ARTI l83 costumanze; e paite delia storia politica d' Italia son quelli, e parte della civile questi. E cotali verità tenne presente il Botta quando nelle sue carte prese a parlar del Piemonte, solo io credo e ripeto che poteva di molte cose lare a meno, e dilun- garsi un pò più su quelli degli altri paesi che compren- dono un qualche interesse. Questo non è gridar la cro- ce con tanto strepilo. Non mi riesce nuova la cogni- zione che mi dà Malvica di essere stato il Piemonte ttatro continuo di gravissime vicissitudini per la su4 tipografica situazione; ma che le condizioni peculiari di •quello stato avessero potuto contribuire su noi questo non lo credo. E tali miei divisanienti in linea di me- ra osservazione io annunziai e della posizione del Pie- monte pria che ogni altro favellai, ecco varii miei bra- ni M io tengo fermo che l'egregio storico, il quale rai son dato ad ammirare, e ad osservare, dovea piut- tosto sagrificare alle slcule fortune qualche pagina dei suoi racconti, spesse fiate di soverchio diffusi sul Pie- monte, che altro pregio non ha sugli altri stati italia- ni che quello del topografico collocamento^ e di aver partorito Carlo Bolla jj (i). Quindi in varii luoghi di- co che l'egregio scrittore poteva adoperare maggiore as- siduità sulle storie degli altri paesi e un più minuto crivello per quelle del Piemonte; e alla fine dopo mol- tissime lodi ripiglio » Laonde io sempre più mi con- fermo nel proposto , che in una storia generale non si debbe parlar minutamente di nessuno , quando molto più le particolarità ad un comune interesse o alla co- noscenza di qualche peculiare ragione o alla illustra- zione di qualche famosa gesta non cospirino: ed all'in- contro allora quando di un popolo che la storia gene- rale compone qualche preciso ragguaglio si è detto, tutti quelli che ne fan parte han diritto a ripeterlo anch'es- (i) Considerazioni ec. lib. I pag. 144. 1<34 LETTERE si w (i). E costantissimo che nelle storie del Botta è seguita diligentemente la cronologia de' re di Piemon- te , elle da esse si sanno tutti i ministri che quivi si son succeduti, molte conoscenze si hanno circa la pe- culiare istruzione di quel paese , circa il viver civile e domestico di quella contrada , intorno ai migliora- menti locali e parziali di alcune di quelle province e di qualche città, e fin sappiamo che Torino fu allumi- nato da Re Vittorio Amedeo secondo. Non è dunque una bestemmia ripetere lutto il vero; ne dire che a preferenza egli occopassi del Piemonte è gridargli In croce con tanto strepilo. Abbracciare e comprendere le peculiari conoscenze di diversi stati, esse- re al fatto del carattere e dell' animo dei molti perso- naggi di una intera regione, e ciò per due secoli, ella è cosa più che umana divina; Botta il fece con plauso e con onore, m« è per questo che non andò enato in nulla? e per questo che dettò di tutti egualmente? Egli favellò a preferenza del Piemonte nelle cose che la sto- ria generale non risguardano perchè il Piemonte gli è patria , perchè educato alla scuola del Tenivelli non poteva non essere imbevuto delle conoscenze di lui, per- chè non ostante il cosmopolitismo , che vuole ammet- tersi in teorica, un'uomo sa più delle proprie che delle altrui storie, ed è in quelle più versato e più a portata di conoscerne le singole circostanze tutte. Botta vi po- teva e vi doveva sovvenire con la sua sapienza. Con maggior tempo e con libri nostri egli avrebbe potuto parlar di noi come del Piemonte, tanto potente è il suo intelletto; egli però anzi che i nostri storici, le nostre costituzioni, i nostri diplomi, il nostro diritto Bi'usoni e Burigny prese a norma del suo dettato e però cadde in quegli errori istessi in cui imbattcronsi costoro (2). (1) Considerazioni ec. lib. V pag. 542. (2) li cav. Lionardo Vigo nella sua erudita analisi delle mie Considerationi da a credere che io mi sia errato nell' asserire ED ARTI l85 Io non avrei voluto nelle storie del Botta le particola- rità nostre come ne anco avrei voluto quelle del Pie- monte. Botta scrive storia di tutta Italia non delle pro- vince italiane ; dettando dunque i principali capi delle istorie d' ogni nostra provincia ne sarebbe siccome in somma venuta l' intera storia italiana ; questo allaccia- mento difficilissimo a qualunque agevole più che mai stato sarebbe all'ingegno alla dottrina alla sapienza del Botta ; tempo e diligenza e tutto il da farsi era poco men che un nulla pel sommo storico de' nostri giorni. Son questi i miei divisamenti già pria in non poche guise annunziate , 1' ho ripetute a maggior chiarigione del vero ; che se il Malvica intese far me segno delle di lui velate espressioni è a dire ch'egli abbia letto il mio libro assai frettolosamente, o che quelle frasi ab- bia gettato sulla carta con molto calore e senza alcuna maturità. E qui, pria di dar fine a queste mie poche parole che ho affidato alla carta non per vana ed insulsa jat- tanza ma per difendermi d' indebiti attacchi , dico che a provar meglio quanto poco convenienti fossero le que- rele mosse dal critico contro di me gioveranno a con- vincimento la risposta fattami dal Botta medesimo ed un brano di viglietto sulla mia opera da lui scritto al- l'amico Friddani, e che ora vengono divulgati nella loro interezza. Sarebbe stata follia il supporre che quel som- mo si fosse smentito , ma le sue frasi stesse (che che «e dicono alcuni usi a vedere il pel nell'uovo, o a ma- lignare ogni cosa, ovvero a riferire quelle tali per loro riputate poco aggradevoli e ad omettere le generose e grate) dimostreranno che Botta non fece alle mie con- cio! Il lettore potrà vedere da per se stesso se quanto ho detto io sia il vero. Sarebbe lungo l'argomentare di ciò, e però lo ri- mettiamo, se pur ne avremo l'agio, a tempo migliore t più accon- cio. 30 l86 LETTI ;P,K siderazioni qucirislesso viso clic ora il ALilvlca le fh; E sia ciò con la buona pace di Dio. L'ultimo però e il più forte biasimo del critico vicii di- retto a coloro che hanno avuto l'audacia di partcgiiiare per le correzioni e pelle criticlìc al Botta, e che'tanl'oltrc l'hanno spinto da dettare delle apologie in lavoie di quelle; (peste, dice il critico manifestano la miseria dell'uma- na natura più che dei tempi nostri. Tuttoché non do- vessi io piender le difese di quelle pure sul suj)j)osl() che voglia il critico ceimar qualcuno che analizzando l'opera mia per intimo sentimento si è comniaciuto lo- darmi , io pure credo del mio debito il dirne akuu che. Lionardo "S'igo in uu erudito ed elaboiato suo ar- ticolo prende imparzialmente a dettar delle mie consi- derazioni , e con quella franchezza che gli è pj-opria strettamente e fil filo prende ad esaminarle: trova di- fetti nell'opera, vi trova pregi, i primi biasima, i se- condi encomia; ne io, tuttoché pei primi mi avrei j)o- tuto sdebitare , ho voluto oppormi ali' ojnnanicnto di quel critico egregio; ora però che vedo oppugnata non soltanto la candidezza e la santità delle mie intenzio- ni, ma veggo pure fatto segno di disprezzo chi per li- bera e spontanea sua volontà mi crede degno di lodi, ora sì che a mia ditesa debbo elevar la voce , e non già di quell'erudito critico, il quale, diuiestico anch'egli del conatme amico Malvica, per aver guardato benigna- mente il mio libro mira delle invettive anche ad- diviene per lui. Malvica però , che conosce entrambe, saper dovrebbe che ne io son capace di chiedere ne quegli d' impartire non meritate lodi. Io questa merce non la mendico ne la compro; e giovine, e appena a- dulto nella carriera delle lettere questo, quando nuH'al- tro, ho imparato a kon presumer per esse di me, e a noQ farmi da quelle prevaricare. Se così non fosse avrei da lungo tempo potuto divnlgajc l'onesta accoglienza che si ebbe l'opera mia a Parigi, tanto presso l'Istituto di Francia (accademia d'Iscrizioni e Belle Lettere) che ne ED ARTI 187 farà cenno nei suoi atti , quanto dalla Direzione della Rivista Britannica e da altri , e il modo cortese e lusinghierissiaio come i primi letterati d' Italia 1' lian ricevuta ; potrei fra questi nomare un Libri, che illu- stra al presente cou altri sorami il nome Italiano nella capitale della Fiancia , un Manzoni , un Sacchi , un Manno , un Graberg de Hamso , un Rosini , un Ni- colini , un Viesseux , un Capcce Latro , un Ventigna- no; e fra i nostri uno Scinà, un Palmer! , un Gargal- lo, un Alessi, un Longo, ma questo non l'ho fatto sin ora , perchè riservato di mia natura non godo di far pompa di ciò che per cortesia e gentilezza de' donati anziché per merito reale dell' opera del donatore può avvenire. Quale che sia però sii bene Malvica non esser io tanto debole' di cuore e di mente sì corta da esser tenero delle lodi mentile ; anzi nemico come sono di questo stabbio letterario che pur disonora ne 1' umana razza la dignità che le propria^ inverecondo credo quel bociare che fanno alcuni, per riguardi e per fini priva- ti, insulse e mensognere adulazioni che a risa ed a lu- dibrio anzi che ad osservanza conducono. Il perchè se alcuno vi ha che nel parlar di me abbia caduto, a cre- denza dì Malvica, nell' esagerato egli può e deve am- monirlo senza celarlo, ed allora più grate glie ne sa- ranno le italiane lettere. Dallo schietto, e franco modo del sin qui detto po- trà dedurre il lettore come il Malvica mal di me giu- dicò, e c()n)e quelle querele e quelle orpellate interro- gazioni mi erano mal dirette. 0 male o bene (cosa che andava giudicata con molta giustezza e maturità^ ho io creduto di rendere col mio lavoro un omaggio alla pa- tria, e di renderglielo per quanto era in me completo, vi bo atteso con assiduità e con zelo , ho consultato lutti gli storici nostri, ho svolto codici e manuscritti , Ijo attnito notizie dai nostrali e dagli stranieri scritto- ri: non ho seguito le vestigia di dcuno perchè ho scrit- to queste considerazioni in una maniera mia propria e T 88 LETTERE della quale sino ai nostri dì non v'era esempio fra noi; ho restilo il grosso della storia di quella suppellettile che la mia niente e le mie cognizioni, qualunque esse fossero , mi dettavano: ho creduto in fine rivendicare alla mia nazione quel posto che nell' intera storia ita- liana r era dovuto. Caruso eccelse tra gli storici della sua età , quindi Gregorio fra i morti , Palmeri e Sci- nà fra i viventi soltanto han dato alla siciliana storia, l'ultimo alla letteraria, il colore della moderna lettera- tura e della civiltà contemporanea, io scrivendola, non come questi illustri scrittori la scrissero, ma con quei brevi mezzi che sono in me, credo non aver meritato la taccia di andar dietro a loro , poiché chi sente ad- dentro nelle storiche discipline vede lo scopo 1' anda- mento il metodo diversi ch'io ho tenuto. Delle sicilia- ne ragioni delle siciliane tristizie ho fatto un gran qua- dro semplice per avventura ma sincero e spontaneo. Spoglio d'ogni parzialità , immemore del privato inte- resse che lede ed ammorza ogni geuerosa favilla di pnbblico bene, vogliosissimo di veder migliore la sorte dei più, nemico per intimo convincimento del pessimi- smo politico e governativo ho detto candidamente quel vero ch'io mi abbia saputo concepire sì che se la mente o la mano andaron qualche volta falliti il cuore e la vo- lontà non mai. Quindi, pieno lanimo della santità e del la purità dei miei sentimenti , ho dovuto io superare la mia avversione nel tenere questa polemica, ma l'ho fatto e farlo dovea perchè eran tocchi il mio decoro la mia intenzione il segno propostomi nel dettar l'ope- ra. Son forse caduto in errori che il velato giudizio mi abbuia e tenutissinio mi tengo a coloro che me ne faranno avvertito, poiciiè non è in me tanta mattezza dal credere all'umana perfettibilità. Nuovo nel sentiero delle lettere e trepidante di presentarmi al pubblico tentai un ardua impresa; fu audacia che per avventura o bene o male su{)erai. Le critiche son meglio catego- riche che dimezzate ed a brani. E a chi mi cuora di ED ARTI 189 riflessi sennati e giudiziosi risponderò io con una pe- renne riconoscenza: molto 'mi resta a imparare e av- venturoso mi reputo se di addottrinamenti e di lumi saranno meco generosi gli nomini di leltere, che io que- sti desidero questi agogno, e quante volte il torto stia dal mio canto mi persuaderei allora lietamente e senza mistero il confesserei. Volgendomi ora all' amico mi è forza manifestargli non dover essere a lui ignota questa quale che sia do- cilità di mio carattere; che se all' invece di amare ed indirette censure mi avesse apertamente manifestato i suoi avvertimenti amichevoli allora apprezzandoli, per quanto vanno dette da lui, io accolto le avrei e gradite condegnamente. Celarsi però sotto simulate sembianze, venire con orpelli e con giunterie ad adontarmi ella è cosa impropria e poco convenevole , e che non sente della generosità del mio amico. Non però io me ne ri- zelo sicuro che egli inavvertentemente il fece: solo le dico che questa polemica non avrà per me altro segui- to, che che da lui se ne pensi; posso far però sagra- mento che se disconvenni da lui nelle idee e nelle pa- role non per ciò io sento minorata in me quella cor- diale amistà della quale credo aver date luminosissime prove. Le opinioni letterarie quando non sono rispinte con animosità e con astio stringono vieppiù gli uomini e ravvivano i legami dolcissimi dell' amicizia. Che sia così fra Malvica e me, e non più amici di prima, ma come allora, proseguiamo a viver dimestici e cari, ti- rando un velo sulla disputa che per un balenare ci ha diviso. Ecco le due scritture del Botta. SCORDU IQO LETTERE Parigi IO Giugno i83() (i) Ru'e de f erneuil N. /fy. Signor mio Pregiatissimo Quando mi pervenne la cortesissima sua de' G apri- le che sono poclii giorni, io già aveva letto le sue con- siderazioni sulla mia Storia d'Italia , per la parie die spetta alla Sicilia: il volume mi era stato favorito dal mio «;aro ed ottimo amico il barone Friddani. Ora ve- do con somma mia couteulezza, ch'ella ha pensalo an- che a me nel dispensare questa sua nobile stampa, ed ancorché il volume destinatomi non sia ancora arrivato, intendo, che presto arriverà. Io la ringrazio con tutto l'animo di tanta sua gentilezza, così nel farmi parteci- pe della sua dotta fatica, conie nel modo con cui ella mi ha trattato, certamente pieno d'urbanità e di buoiia grazia. Ne sarà uno de' minori frutti delle mie veglia- te notti l'essere venuto in considerazione di una perso- ua così cortese e così pratica delle cose patrie , come ella è veramente. Quanto a' miei peccati, se realmente sono, vedo, che sono de' veniali, e con un pò d'acqua benedetta se nanderanno. La prego di tenermi vivo uellemicizia dei Sigg. Do- menico Scinà e Ferdinando Malvica, e di darmi luogo nella sua; che ne sarò contentissimo. • Suo buon Servidore Carlo Botta. (0 Questa lettera venne evulgata nel Fnro giornale letterario di Messina A. iv. T. a N. 7 Luglio i836 pag. 61. EJi ARTI 19* Parigi 5 (jiugìio i(S36 Riie de Femeuil N. 4l' Caro Friddam Lessi le considerazioni del Sig. Pietro Lanza Princi- pe di Scordia, sulla mia Sloria d'Italia in quanto spetta alla parte della Storia di Sicilia. Esso è un libro di buona e decente critica, e mi tengo molto onorato, che il Sig. Principe mi abijia creduto degno di così atten- to esame. Non mi maraviglio che ad un Siciliano sem- bri , ch'io abbia trattato un pò grettamente le cose di Sicilia ; ma sembrerà diversamente a chi farà conside- razione, eh' io scriveva le coso di tutta \ Italia. Vera- mente quando l'importanza del soggetto il richiedeva , fui assai largo per la Sicilia. Di ciò fanno fede le mie relazioni intorno l' infelice ribellione di Messina contro Spagna, sulla controversia con Roma pei ciceri di Li- pari, sulla sommossa di Palermo per li Alessi ec. ec. ec. Ch'io abbia parlato più alla distesa del Piemonte è ve- ro ma non già pel motivo addotto dal Sig. Principe , ma perchè la materia lo dava per essere stato il Pie- monte , a cagione del suo sito , campo di battaglia e mira principale tra Francia ed Austria. Su tal riguar- do la Siciba posta allultimo confitic della penisola ita- liana non può stare a paragone del Piemonte. Qui vi fu necessità storica non capriccio o predilezione dello storico. Circa i privilegi conceduti a Messina dai pri- mi principi normanni di cui tocca il critico, e così del manifesto di Luigi XIV io gli trovai sulle indicazioui del Giannone , e se la mia memoria già molto indebolita non m'inganna, nel codice diplomatico di Ludwig. Del resto io non sono papa e non pretendo privilegio d'in- fallibilità. Vedo però dall' intera trattazione del Sig. Principe, che i miei errori se pur sono, non sono poi tanti ne sì gravi da mandarmi oltre il purgatorio. Ma comunque sia torno in sul dire, ch'egli ha serbato il I 192 LETTERE costume di critico cortese, e molto lontano dalle ingiu- rie che imbrattano le scritture critiche d'oggidì. Il suo libro merita di esser letto, e sono sicuro che voi lo leg- gerete con piacere; e però lo tengo ai vostri ordini. So che l'amico Bonafaus ec. Addio, caro il mio buono, e virtuoso Friddani // vostro amico Carlo Botta. VARIETÀ' Elefanti adoperati per Va^ricoltura. Nell'isola di Ceylau impiegami ora gli elefanti nel coltivare il rj^o e nel disporre i campi per la coltivazione del caffè , e del pepe e di altre piante. U elefante fa in un giorno il lavoro di venti buoi: ciò che in un paese sì poco popolato, come il Cey- lan, è di g.ande risparmio e procura la facilita di provvedere a molti bisogni. Ivi il prezzo di un elefante è di dieci a quindici lire sterliue (Ann. des Voy). Forza del cavallo. II valutare la forza dei cavalli è un elemento tanto utile nei calcoli della meccanica che da Watt in poi un numero grande di dotti ne cerca di conoscere esattamente il valore Non essendo di accordo nei loro risultamenti, il Sig. Beran, ingegnere inglese, misurò a quest'oggetto Teffelto dmamo-meirico di un gran numero di cavalli all'occasione di multi coucor.i di aratri. li risultato medio di più di 5a sperienze è, die la forza media dei cavalli da tiro e di i63 libb. inglesi ( 78 Rilog. 88 ) per ogni cavallo con una velocita di 3 miglia e mezzo per ora, ovvero un poco più di 4 chilometri. (Philos. Jouru. ottobre i83i). Ferdinando Malvica — Principe di Granatelli — Cav. Ant. di Giovanni Mira— Principe di Scordia— Z?i- fettori ed editori. 1 PER LA SICILIA Nuìn. 44- W cSitgftV stno rt ^tccmPf? 4836". Palermi TIPOGRAFIA DI FILIPPO SOLLl l857 PREFAZIONE Est locus unicuiqtie suiit. HoRAT. Cion un nostro programma, da pochi giorni pubblicalo, demmo conto delle innovazioni che si eran fatte alle nostre Effemeridi, e siccome è bene che da tutti ven- gano elle conosciute, e che in fogli volanti non restino, per non ismarrirsi, così in fronte del presente numero ripeteremo quelle cose che più opportune al nostro bi- sogno si slimeranno. Non conviene a noi ricordare quale onorala rinoman- za si sieno e nella nostra isola, e fuori di essa acquistata le siciliane Effemeridi. A noi altro non lice qui dire, se non che s' interroghino i dotti nazionali e stranieri, si consultino i Giornali più riputati d' Itrilia e d'oltre- monti, per vedere se coloro che primi lo immaginaro- no, e per più anni con grande fatica le diressero abbian ben meritato dal pubblico. Non altra molla spinse i compilatori (i) nel formare quell' opera periodica, se non che l'amore delle lettere ed il desiderio di muovere la gioventù siciliana , sve- gliando in ogni petto 1' emulazione e la gloria. Né il generoso pensiero andò fallito , poiché dopo la pubbli- cazione delle Effemeridi, ed il loro non interrotto spro- ne , videbi migliorato il Giornale di scienze e lettere p-ir la Sicilia (caduto per vecchiezza nel nulla) si latta- mente da conseguir fama di ottimo: le Effemeridi-, e ci è gratissimo sentirlo da tutti i buoni confessare, scos- sero gli animi assopiti dei valorosi , di cui abbonda la (t) Principe dt Granatclli, Gay. Antonio di Giovauui Mira, Piiucipe di Scoidia, Ferdinando Malyica. 4 nostra isola; e tnolli Giornali, che sono l'indice infal- libile della coltura nazionale, e del progresso che fa un popolo verso la civiltà, si videro mano mano pub- blicare nella bella Messina ; vàri altri in Catania , in quesl' antica culla del sapere siciliano; ed in Palermo ne sorsero parecchi di severe discipline , come quelli dell'Istituto, della Statistica, di medicina, non che altri non pochi gravi e gentili, che si diffondono nella massa dei cittadini, istruendo e dilettando. Varie sono stale le vicende, che nei periodi della loro vita han sofferto le Effemeridi siciliane. A proprie spese furon condotte per due interi anni; vennero poscia con- giunte ai lavori del R- Istituto' d' incoraggiamento; ed il sapiente Governo veggendone la manifesta utilità loro accordava l'associazione dei Comuni da due mila ani- me ia su. Laonde i compilatori, che altra veduta non avevano avuto nella loro impresa, se non che quella di diffondere i lumi, per quanto eglino potessero, in ogni punto di Sicilia, spontanei si addossavano il peso di dare gratis a tutte le popolazioni dell' isola , eh' eran sotto quella cifra, e che son quasi le più numerose, i perio- dici fascicoli del loro Giornale: la qual cosa han sempre da quel momento io poi praticato. Ma veggendo poscia che per la materialità della stampa , inceppale dai la- vori dell'Istituto venivano le Effemeridi^ chiesero al Go- verno che i due Giornali, perchè meglio progredissero 1' un dall' altro si disgiungessero: ed il Governo secon- dando la dimanda li disgiunse, e con ponderalo consi- glio ai due Giornali separati il prezzo dell' associazione dei Comuni divideva. Ma quando già si credea sopra salde basi e sicure poggiata l'esistenza delle Effemeridi venne dal supremo volere sciolta l' associazione dei co- muni a tutte le opere periodiche: quindi altra volla si vi- dero quelle abbandonate a se slesse. I compilatori pe- rò dolenti di queste amare vicissitudini , deponevano , sdegnosi, il pensiero di continuare nell'opera, paghi m 5 se medesimi che inutili le loro luughe fatiche noa erau tornate alia patria. Io solo però quantunque ben vedessi, per palesi ed occulte ragioni, la convenevolezza di quel divisamenlo, pure in esso non partecipai: e i miei compagni sempre ca- ri e gentili, e verso m.Q amici più di fratelli, al mio pen- siero annuivano;e di tutti i loro dritti spogliandosi, e di essi me solo rivestendo mostrarono anche in ciò quanto^affetto portassero alle lettere , e al loro antico Giornale. Io quindi lasciato solo a me stesso vengo in poche parole a manifestare il cammino che terrò nella con- tinuazione della mia impresa. Le E/femeridi nel 1 836, ora scorso, non poteron pub- blicare che sei dispense solamente : onde farò io uno stralcio degli altri sei mesi che restano, stampando uà solo grosso fascicolo che insieme li comprenda ; e mi metterò poscia sulla via, pubblicando da Gennajo iSS^ ìu poi un numero in ogni mese. Le due parti , cioè la scientifica e la letteraria , in cuisaran divisele Effemeridi^ conterranno quattro classi: la prima sarà destinata alle scienze di osservazione e di esperienza, come la storia naturale , la chimica, la medicina, 1' agricoltura, la veterinaria : la seconda alle matematiche pure ed applicate, come il calcolo puro , la fìsica e l'astronomia, la meccanica, la geografia, la stra- tegica, la nautica: la terza alle scienze morali e politi- che, come la storia, l'economia pubblica, la legislazio- ne, la morale, l' ideologia , la religione , i viaggi : la quarta finalmente alla letteratura e allo arti liberali, cioè la prosa e la poesia, le lingue, l'archeologia, il teatro, la filologia, le belle arti, le necrologie, i programmi, gli annunzi. Ecco la via che calcheremo: e noi non invochiamo il favore o l'indulgenza, bensì la ragione e la giustizia, i due numi più potenti , ma i più derelitti nel mondo. // Direttore Ferdinando Malvica. EFFEMERIDI SCIENTIFICHE E LETTERiUIE PER LA SICILIA Touvw. Il li — %'Ou J/uaiio diuo a UJicetu'uie /Oc) 6. PARTE PRIMA SCIENZE Sul Cabotaggio fra Napoli e Sicilia — Memoria di Ferdinando Malvica. INTRODUZIONE JL ria che incominci a discutere sul grave obbietlo del Cabotaggio fra Napoli e Sicilia, che occupa oggi tulle le menti, e lutti i cuori dei Siciliani, perchè si reputa fonte di pubblica prosperila, è mestieri che faccia al- cune parole sul nascimento e sul progresso della contesa, onde mettere i miei leggitori nello slato di conoscerla pienamente per ogni verso. 11 R. Istituto d' Incoraggiamento, dalla sapienza del Monarca fondato, facea nel giugno del i834 la prima esposizione dei prodotti dell' industria patria; e siccome a quei giorni era venuta fra noi la Maestà del Re no- stro Signore, accompagnato dalla sua virtuosa consorte, e dai Principi del sangue, così l'Isti tufo dclilicrav.» che una deputazione, eletta dal suo seno nirdcsiino, al Re si presentasse, e a nome dell'intero corpo lo pregasse, acciocché di visitare la pubblica esposizione si compiaces- se. Andò la deputazione dal Monarca, ed io fui in quella. Il generoso Signore accolse amorevolmente i voli del- l' Istituto: disse die con grandissima soddisfazione avreb- be osservalo i prodotti dell' induslria de' suoi amali Si- ciliani; ricordò ch'egli ebbe vita in questo suolo, e che era carissima al suo cuore ogni cosa che qui nasceva e si formava: soggiunse che le auliche reminiscenze di questa terra gli svegliavano sempre dolcissimo diletto; e che uno de' suoi pensieri e dei suoi affetti più teneri erano questi superbi domini; disse che qualunque cosa si credesse utile per loro liberamente si atmunziasse; anzi volea che l' Istituto in questa congiuntura gli proponesse ciò che avrebbe creduto più confacenle, per agevolare r industria ed il commercio della Sicilia, eh* egli volea migliorare il suo stato, ed ajularla soccorrerla. Quanto fossimo slati lieti ad una si clemente ed a- mana accoglienza non e facile il dirsi. Noi riferimmo subito all' Istituto le magnanime parole del Monarca ; e venne poscia unanimemente deliberato , che cinque cose pel momento dalla grazia sovrana s' implorassero» Elle furono: abolizione o modificazione del così detto libero cabotaggio; istituzione del Gran Libro del debito pubblico consolidato; un trattato di commercio cogli Sluti Ujiili di America; la introduzione delle masserie sperimentali a norma di quelle di Saint Cloud; ed una legge, onde in un modo [ìiù facile e meno pesante si liscuotcssero i dritti di fondiaria delle piccole partilo di terra date ad enfiteusi, L' Istituto commise a me 1' incarico di trattare del primo e del secondo subbielto , e per gli altri articoli altri soci furono incaricati di scrivere, e scrissero. Il mio discorso fu af;li ii di luglio i834 h'^o '•' solenne adunanza; e 1' Istituto immantinente deliberava che il rapporto che la presidenza, a nome del corpo , secondo costume, avanzar doveva al Governo, sopra il 9 mio lavoro venisse interamente compilato. Così fecesi, ed ai piedi della Corona si presentava. Il Re accoglie- va beuignameule i nostri desideri, ed ordinava poscia coti sovrano rescritto dalla sua reggia di Napoli , che per r istituzione del Gran Libro del debito pubblico si attendesse la liquidazione dei titoli dei creditori dello stato; e riguardo al cabotaggio sapientemente statuiva che la Consulta del Regno dei suoi lumi rischiarasse affare di sì eraode momento, e col suo maturo consi- glio in tutte le parti lo esaminasse. Così di fatti av- venne; ma, come suole succedere nei corpi numerosi, discorde lu l'opinare di quel saggio ed illustre Conse!»o; e dall' una parte e dall' altra varie sentenze si emisero, dimodoché tuttavia la gran lite si agita , ed indecisa pende. Or quando l' Istituto discuteva nel suo seno le cose che dovea implorare dalla regia munificenza, ed annun- ziava che prima fìa tutte doveva essere 1* abolizione o la modificazione del libero cabotaggio fra ISapoli e Si- cilia, fuvvi taluno dei nostri valorosi economisti, il quale considerando tal quistione dal solo lato della scienza , e parteggiando pel sistema dell' assoluta libertà commer- ciale, sosteneva accademicamente la contraria opinione. E siccome la sua breve memoria , che nell' assemblea fu altresì letta, onde non venisse la voce di nessuno sofi'ocala, ed un tanto affare fosse liberamente discusso, fu quindi inserita nel Giornale di scienze lettere ed arti, che si pubblica in Palermo, così videsi poscia il direttore di esso Giornale signor Mortillaro costretto dall' opinione pubblica a ribattere nello stesso foglio le contrarie proposizioni. Perlochè ebbe egli i materiali che sull'oggetto il nostro R. Governo trovavasi amma- niti, perchè nella sua saviezza aveva tante volte recla- malo per 1' islesso bisogno, Ebb' egli parimente i la- vori dell' Istituto d' incoraggiamento ; pei quali tanto fatica avevamo noi medesimi durata in uu inoniento 10 per la Sicilia sì bello, clie verrà segnato nelle pagine della sua storia; poiché non potransi non ricordare le gravi e splendide parole, con cui il Monarca medesimo aveva sospinto il corpo scientifico dello slato a proporre ciò che più convenevole si reputasse per la pubblica prosperità. Avute dunque il Mortillaro tutte le cennate fatiche, scrisse in quelle pagine stesse alcune considerazioni sul cabotaggio mettendo in luce la dimanda medesima, che il R. Istituto ai piedi del Monarca aveva cinque mesi innanzi presentata (i). Per le quali cose è venuto oggi alla luce per le j/^m- pejlautine di Napoli un anonimo libro intitolato: Sul cabotaggio fra le Due Sicilie, in cui 1' autore si as- sunse il peso di battere le ragioni che si eran messe avanti in appoggio della grazia che da noi s' impetrava. Quindi il siciliano Istituto veggendo oggi 1' interesse della patria, per cui aveva tanto sospirato, ingiustamente battuto, sorgerà di nuovo al certo per sostenere suo dritto. Ma io che, ultimo fra lutti, avevo già le prime fatiche a nome del medesimo sostenute, per non dar tempo al tempo in affare già pienamente maturo, e che reclama la forza morale di ogni buon Siciliano, vengo spontaneo, a battagliare con uomo, che quantunque abbia l'anoni- mo conservato, pur so bene chi sia , e qual cospicuo inlellello, e qual elevata dottrina si abbia. Io però amando per principi e per costume di pre- sentarmi sempre a visiera scoperta, avvegnaché delle mie forze diffidi, pure, pieno della bella e santa causa che difendo, discenderò francamente nell'aringo a con- futare le contrarie sentenze. Ma pria che a ciò mi accinga mi credo in obbligo di discutere ex-professo sul cabotaggio tra Napoli e Si- (i) V. Effemeridi scicnlificlic e letterarie per la Sicilia loin. XI- nuin. 3a pag- 126. II cilia, riepilogando, là dove me ne verrà il destro , le ragioni, che all' Istituto sottomisi in appoggio della cen- nata dimanda, e che furou poscia alla Maestà del Re presentate. PARTE PRIMA. Stato del Cabotaggio fra Napoli e Sicilia. L'economia politica non si è mai tanto diffusa, ne è mai salita in tanta rinomanza, quanto ai nostri tem- pi. L'Italia nel secolo passato ebbe grandi economisti, grandi ne ebbero del pari l' Inghilterra e la Francia: ina oggi si è conosciuta più che in ogni altra stagione l'importanza di questa sublime scienza, che si aggira intorno alla ricchezza sociale; e i semi che si sparsero nel secolo passato ripullulano ora più che mai rigogliosi. Tutte le nazioni del mondo cedono a quelle da noi men- tovate nella sapienza della politica economia, talmeute- chè non si può aspjrare al vanto di economista valoroso, senza avere svolle di notte e di giorno le eterne pagi- ne dei Genovesi, dei Broggia, dei Gioia, dei Romagnosi, e degli Smitt, dei Malthus, dei Say, dei Ganhil^ dei Sismondi. Questi sommi uomini sono settatori e capi, ed hanno schiuso due sentieri che a due scuole dilTe- renti conducono: atroce fatalità dell' uman genere, che dee esser sempre diviso e straziato da opposti parliti! e tanto più fatale, quanto che il vero dovrebb' essere come sole che ferisce tutti gli occhi ed illumina tutta la terra, come centro su cui tende e gravita ogni corpo. GÌ' Italiani dan molto e troppo ai hisoo^ni e alle affe- zioni dell' uomo: gì' Inglesi fan tutto dipendere dal tra- vaglio e dalla sua distribuzione: i Francesi si dividono, e chi nell'agricoltura, chi nelle manifatture veggono le fonti uniche della ricchezza e della prosperità dei po- poli. Ma queste varie opinioni non guidano a tanto in- felici risullamenli, a quanto ne portano altre fra loro talmente contrarie, che non possono in niun modo ac- Il cordarsi; digulsaclib si crede che se 1' una di esse pro- muove la ricchezza, e migliora lo stato delle nazioni, r altra non può produrre che 1' effetto contrario. Idea fallace, e dannosa alla pubblica prosperità; poiché tutte quelle dottrine sono savie del pari, e 1' errore è prove- nuto dall'averle voluto troppo generalizzare; poiché è fuor di dubbio che ciò eh' è utile per questo popolo non lo è forse per quello, ciò che sarebbe fatale in un' epoca, forse riuscirebbe di grandissimo vantaggio in un' altra. Ella è una verità consolante e luminosa che se le nazioni liberamente fra loro i prodotti della terra e della mano si scambiassero, si creerebbe il più utile traffico che si potesse mai desiderare, e si verrebbe a stabilire un fraterno commercio, che potrebbe esser fonte di co- mune e splendida prosperità. Gli uomini si avvicine- rebbero, e coir avvicinarsi si migliorerebbero, contra- endo legami di amicizia e di amore, senza ostacoli e senza invidia, dimodoché 1' umana specie una famiglia potrebbe divenire. Beato tempo quando verrai tu fra noi ? Chi non conosce 1' aureo vantaggio di un tal si- stema merita di esser compianto; ma 1' età dell' oro fu nella mente dei poeti, e 1' età di questo libero fraterno e spassionalo tratllco resterà sempre, per umana sven- tura, nel pensiero del semplice economista, che in dolci utopie ama di abbindolarsi, quasi a sollievo dei morali travagli che l' età nostra si fieramente cagiona. Gli uo- mini hanno le loro passioni più o meno violenti, più o meno astute; e il mondo non dal principio santo di una santa giustizia, ma dalle passioni umane è regolato. Le nazioni hanno ognuna il loro particolare carattere, come la loro propria fisonomia: elle hanno tutle ì loro pregiudizi, i loro interessi, il loro orgoglio, la loro am- bizione più o meno truce, i loro fini. Quindi deesi col- locare fra le vane speranze dell'utopista quel soave si- stema di reciproca fraternilà, che va proclamando con tanta sicurezza di se stesso in mezzo ad uomini che i3 vivono scilo sì varie temperalure, sopra terre sì diffe- ferenli, con favelle che portano T impronta della durez- za o della mollezza del clima che a sua foggia le for- ma, con inclinazioni varie, con varia educazione, sotto leggi dissimili, con diversi stadi di coltura e di civiltà. Certamente deforme cosa è l' osservare che mentre un popolo è all' apice della floridezza e della po- tenza, un altro è povero e debole; mentre veggiamo ci- viltà grandissima da una parte, deploriamo barbarie somma dall'altra, mentre là si regge l'uomo col ferro e s' inceppa, qui governasi colla ragione, e si eleva; mentre per la natura del cuore umano e delle umane passioni gli uomini cercano di battersi fra loro, di vin- cersi, d' innalzarsi gli uni su gli altri; mentre la guer- ra ha sempre insanguinata questa misera terra, e i fla- gelli della natura s' incalzano, e metton barriere alla scambievole comunicazioue delle derrate e dei Inmi; liientre il mondo è costituito per decreti eterni della natura sì fattamente viene il celestiale economista, e con tanta bonarietà ci proclama per inconcusse le dottrine di Morus, e delle cose di questo mondo, come di un mondo aereo, ci ragiona. Se le nazioni del globo M potessero unire sotto un medesimo reggimento, aver potessero una medesima leg- ge, e tutte in tanta varietà di casi radicali ed invinci- bili aver potessero un unico centro, e tendere ad una stessa mela, allora forse potrebbe succedere quell' asso- luto liberissimo scambio di tutti i prodotti umani. Ma la monarchia universale è un delirio; e se le piccole democrazie non sono, per la costante esperienza dei se- coli, che passeggiere, e nella loro durala ingiuste san- guinose e turbolente, egli è indubitalo che la univer- sale democrazìa urta colla ragione umana, ed è una di quelle tante chimere, che i novelli filosofanti han posto innanzi, senza pensare che i desideri inconseguibili, gua- stando le menti degli uomini, che all' astratto facilmente i4 mirano, e a tulio ciò eh' è strano si volgono con gran dilelto, Imn creato barriere potenti, perchè le umane società si migliorassero, ed in vece di attendere al lo- ro reale progresso, non si perdessero in cose vane e ro- manzesche. Qui non ha luogo dunque il sistema proibitivo ne di assoluta libertà commerciale; che non si potrà mai ne per r uno ne per l' altro progredire; potendosi , per lo solo mezzo dell' osservazione, migliorare la sorte degli uomini sotto qualimque aspetto vogliasi ella risguardare. Queste considerazioni che potrebbero per avventura a chi non conosce lo stato dei popoli, che Napoli e Sicilia abitano, e la loro particolare condizione ammi- nistrativa, sembrare non opportune al subbietto, vedrassi ora quanto bene vi calzino. La Sicilia non è stata mai, non à, ne può esser mai considerala come la Calabria, la Puglia, la Basilicata, gli Abruzzi, il contado di Molise, e che so io; no: la Sicilia fu dalla natura creata, per esser compagna delle nazioni, e non serva: la natura la circondò di acque e la disgiunse da tutti; le diede una fisonomia propria , concedeiulole tulio che abbisognar si può dagli uomini in società costituiti: quindi giustizia eterna vuole , che non si confonda, come non si è mai confusa, colle na- polilane provincie. E con qual cuore questo divino gioiello di Europa j)Olrà cancellarsi dalla faccia del mondo? Con qual mente si ])uò pensar di avvilire e snaturare Sicilia Sicilia un dì regina, e grande e potente, e bella sempre e sem- pre innocente? Quest'orgoglio nazionale no non è colpa in faccia a Lui cììv. ci regge con freno sì soave e sì paterno, e che ama questa terra con amore affettuoso, e da cui prende nome !' itnporo suo. Bellissima cosa è il pensare , che due Siali possiede separali e divisi; e su due popoH che sou fralelli signoreggia : distrugger quello ov' ebbe la i5 culla, iaimedesimarlo nel napolitano, e gillarlo colà dove non fu mai è lo stesso che sfrondare il più bel serto che Iddio gii ha dato. L'alio sovrano degli otto dicembre 1816 congiunse sollo una medesima legge fondamentale Napoli e Sicilia; ma il Re Ferdinando I. nel suo magnanimo senno volle che r amministrazione fosse separata, e questa terra a- vesse una rappresentanza civile sua propria ; perlochè fu decrelalo che tulle le cariche e gli ufiici civili ed ec- clesiastici della Sicilia fossero a' Siciliani esclusivamente conferiti, e che lutti i piati, tulle le controversie , e gì' interessi di qualunque specie, che qui si fossero co- minciati, qui venissero del pari conchiusi: laonde venne qui stabilito un ordine giudiziario ed amministralivo da quello di Napoli atTatlo indipendente; e si videro fon- dale una Corte Suprema di giustizia , una Gran Corte dei Conti, Intendenze e soli' Intendenze, Direzioni gene- rali e provinciali, un Supremo Magistrato di Salute , una Tesoreria Generale per la finanza dell' Isola , una Commissione di pubblica istruzione per essa, un Mini- stero ed un Luogotenente Generale del Re, con un Mi- nistero particolare di Siciliani, residente in Napoli, e che fosse soltanto incaricato di portare a pie del trono le siciliane cose. Insomma volle il supremo senno del Mo- narca mantenere a Sicilia parte dei suoi antichi j)rivilegi, e la sua civile esistenza. Dalle quali cose naturalmente scaturiva che Sicilia veniva ad avere per la legge me- desima un'industria sua propria, e i prodotti delle fab- briche napolilane eran considerati come quelli delle altre straniere nazioni, e quindi agli stessi vincoli ed agli stessi dazi soggetti. Ma questi non eran di gran conto, e si desiderava da tulli, che al bene generale in- tendevano, un sistema daziario più efficace, onde un \mi forte e più sicuro slimolo si avesse nella fondazione delle patrie manifatture: tanto più che già presso noi r industria raovevasi animavasi; i capitalisti si rivolge- i6 vano a creare «rli e manifatlurc, a fecondarle per o- pili angolo dell'Isola, e diflbniierle; compagnie già si an« davan forraando; dei nostri bisogni dapertullo parlavasi; ed ognuno sperava coli' utile proprio 1' utile generale promuovere ed accrescere. Ma per dar vita a questo corpo, che dal zelo e dall' amore de* cittadini si giva formando, altcndevasi la spinta governativa. Quando tutto ad un tratto venne emanala ai 3o novembre del 1824 una legge che accresceva da una parte i dazi d'importazione sulle straniere manifatture, e statuiva dall'altra il libero cabotaggio fra Napoli e Sicilia. Or quantunque una leg- ge sì fatale avesse sbigottito i più coraggiosi, ed alter- rato tanti magnifici divisamenli , perchè ognuno ben comprendea eh' ella tendeva direttamente a distruggere la nascente industria siciliana, pur tuttavìa ne facea ba- lenare un lampo di speranza. Primieramente troppo fon- dato era il timore che aveva sorpreso gli animi nostri. Imperciocché in Napoli, per un lungo corso di favore- voli combinazioni, le manifatture trovavansi tutte adulte, e diffuse, ed alcune di esse tanto eccellenti da non te- mere la concorrenza di cbiccliessia, e sfidar le migliori di oltremonle e di oltremare; e quindi noi inondati per quella legge dalle napolitane industrie avremmo veduto soflx)care le nostre che nascevano, e perduta la speranza di vederne sorgere delle nuove; poiché egli è fuor di dubbio, lasciando da banda le belle teorie che certo non ignoriamo, ed abbiam forza all' uopo di coraraen- turle e di batterle, che un'industria la quale nasce non può aver vita ne potrà mai crescere , senza essere in principio favorita e protetta; essendo certo che sol quan- do ella è avanzata può lasciarsi in balìa di se medesima, che non ha più d'uopo allora del soccorso di alcuno.. Ciò non pertanto, siccome la speranza non abbandona mai nissuno , e sorge anche in mezzo alle piìi crudeli sciagure, così, conforme dicemmo, in noi sorse, e co- minciavasì a credere che la Sicilia collo smercio facile '7 di (ulti i suoi prodotti indigeni avrebbe potuto dilatare e migliorare la sua agricoltura sì fattamente da immet- ter dei valori, e cumulare forti capitali; quindi faceudo degli sforzi, che, sebbene erculei, avrebbe proccurato di sostenere, perchè il suo suolo le avrebbe apprestato continui fondi da disporre, sperava potere alla concor- renza di Napoli presentare le proprie manifatture. Ma questa speranza che sorgeva negli animi a mezzo dell' abbattimento, e che richiedea, per eilettuarsi, tanti Sacrifizi e tanta costanza, veniva a dissiparsi interamente, come si giva considerando la natura del cabotaggio, che fra r una e 1' altra parte de' regi domini erasi istituito. Oi^nun vede che adottandosi il sistema del libero scambio dei prodotti, in che consiste il libero cabotag- gio, la giustizia esigeva che i prodotti dei suolo sicilia- no e indigeni e manifatturati dovessero immettersi in Napoli senza intoppi e senza eccezioni, e nell' istossa maniera che quelli di Napoli in Sicilia s' immettevano: quindi non esclusioni, non dazi d' importazione, né di estrazione, non dazi di consumo più gravosi degli altri. Or come può in buona fede asserirsi di esser fra Na- poli e Sicilia libero cabotaggio, mentre noi siamo asso- lutamente vietati di portare colà il nostro sale, la no- stra polvere, i nostri tabacchi? dov' e il libero cabo- taggio quando, oltre delle cennate proibizioni, i ^;ini, di cui tanto la Sicilia abbonda, e di cui, a giusto dritto va famosa, sono stali sottoposti io quella capitale e suoi casali ad una civica gabella fortissima, perchè doppia di quella a cui si sottopongono i vini che nelle Pro- vincie napolitane si producono, ed in Napoli s' immet- tono? Dai che nasce che noi per colai dazio ingiusto non possiamo ivi spacciare quel nostro ricco prodotto; che sostener non possiamo la concorrenza del napolita- no: il quale tanto per la sua qualità, quanto per pagare minor dazio a prezzo di gran lunga minore dar si può e si dà eoa eQ'utlo. Ma quanto fosse stalo nemico di 3 r8 Sicilia lo spirito cl»e regolò quella fatale istitazionc scor- gesi benanco dalle minute cose. In Napoli lo Zucchero paga, per dazio di consumo, otto ducati a quintale; il che non abbiara noi: quindi per timore che i nostri giulebbi avessero potuto nuocere alla lavorazione di tal genere che in que' domini si fa , perchè lo zucchero era fra noi esente di quel peso, e perciò avremmo potuto dar quel prodotto a prezzo minore, fu decretato che non si reputasse come nazionale manifattura, e quindi i sicilia- ni giulebbi nel regno di Napoli non s'immettessero. E questo è libero cabotaggio? Fu parimente statuito che i lavori di ferro e di ferro filato mauifatlurati in Sici- lia fossero in Napoli sottoposti al pa^^amento (sono le paròle del decreto) dei dazi d' importazione^ come ise venissero direttamente daW estero. E perchè chiudere alla Sicilia lo sbocco naturale che aver potrebbero in Napoli quelle sue manifatture? E se e' è libero cabotag- gio che giustizia è quella di sottrarre il tenue frutto che dVrebb' ella potuto ricavare spacciando colà quei suoi lavori, malgrado tanta varietà di condizione sia per l' in- dustria, sia per I' opulenza, in cui i due stati si ritro- vano? Ma prudente consiglio del napolitano governo fu il vietarli; perciocché essendo il ferro all' immissione nel regno di Napoli soggetto ad una forte imposta, appunto per proleggere le miniere di questo metallo ivi esisten- ti, e non pagandone noi che una lievissima, perchè nes- suna ragione di commercio abbiamo che ad un forte dazio ci costringa , temevasi che i nostri lavori di ferro poles5ero sopra quei napolitani aver qualche tenue van-' taggio. Ma sebbene tal pensiero fosse vano e fuor del vero, perchè adulte e magnifiche in Napoli le fabbri- che di ferro, e di gran lunga superiori a qualunque ti- more, risguardo particolarmente alle nostre, che piccole e di lieve momento sono; tuttavia ognun vede cotfi quan- ta circospezione si camminasse jier le cose napolitane,- e'COme i più lontani danni si prevedessero, e come fos- jsero slati posti in non cale gì' interessi della Sicilia. Ma ciò non è tulio. Imperciocché fu del pari ordinalo die la cenere di tartaro, il coione in istoppa, la feccia bruciala, le galle e galloni, 1' olio e morcliia di olive, la radice di rubbia e la rubbia macinala, gli stracci bianchi e neri, il tartaro di botti, ed altri generi di simil fatta destinandosi da Napoli per la Sicilia, si con- siderassero come spediti per lo straniero, e quindi fossero sottoposti nelle dogane di que' domini al pagamento de' dazi di estrazione, che non sono di lieve conto. Per lo contrario ove poi questi oggetti medesimi dalla Sicilia per ]Na[)oli si spedissero, dovessero essere invia- ti in libero cabotaggio, cioè senz andar sottoposti ad alcun pagamento dì dazio ( siccome volle ag^giunger la' legge a scanso di lontano equivoco) né nelle doga- ne di partenza, nò in quelle di arrivo, E perchè dun- que tal differenza odiosa, se mi si va predicando che per islabilire un sistema di fraterna reciprocità, e per promuovere i benefìci della libera circolazione fu il ca- botaggio fra Napoli e Sicilia istituito? Certo' le belle parole ai fatto non corrisposero. Il libero cabotaggi» non era nell' attuale stato dell' isola nostra allatto gior vevole, se pur non vuoisi dannoso e distrullore. Quando poi questa libertà è fallace, perchè moltissime sono le eccezioni , e tendono direttamente a distruggere ogni prosperità fra noi, io non so che lagrimare lagrime vi- ve, siccome higrimato hanno per si lungo tempo i Si- ciliani sulla loro misera fortuna. Egli è però da osservare che altamente provvido iti favor di Napoli fu il senno, che gravò di forte dazio di esportazione i cennali oggetti: perciocché eglino ser- von lutti alle svariate liibbriche di tinlorie, di biaucheg- giamenlo, di creinor di tartaro, di carlaj le quali trovatisi in Na[)oli estese ed in gran vigore, di modo che giova loro il far che non solo cpie' generi non si estranegiiino, ma che altri simili in cabotaggio ne entrino: poiché il frutto che sì ricava da quelle sostanze manifatturate è di gran lunga maggiore di quello che si ricaverebbe, se nel loro grezzo, e primitivo sfato si vendessero. Ed- co dunque con quanta sagacità si è cercalo di favorire in tutte guise le napolitane manifatture! Ma Sicilia che fa? Sicilia osserva il suo danno, senza speranza di sol- lievo: ella estrae quelle materie che potrebbero servire alle sue industrie manifatturiere, onde invece di guadagnar cento, guadagna dieci: guadagno dei pigri o degl' infe- lici , mìsero guadagno di coloro che non si elevano uà palmo da questa terra, e che non comprendono, sicco- me sapientemente adoperano gli altri stati, che l'agri- coltura nel proprio paese meglio si sostiene e fiorisce, quando alle manifatture si congiunge. Ma ella, sventurata, non per propria colpa, ma per le vicissitudini dei tempi, non può di questo gran be- ne fruire: ella è destinata ad osservare i progressi altrui e a deplorare i suoi infortuni . E come non deplorarli mentre veggiam' ora senza illusione e senza maschera qual sia stato il libero cabotaggio che tra Napoli e Si- cilia s' istituì? Tanti nostri preziosi prodotti hanno del tutto avuto chiuso in Napoli lo sbocco: altii all'immis- sione colà gravati di forti civiche gabelle: moltissimi generi che in Napoli si producono, perchè utili alle napolitane manifatture, gravati, per non andare in Si- cilia, di forti dazi di estrazione: per lo contrario que' nostri generi stessi, onde noi penuriare delle materie necessarie alle medesime manifatture, sciolti da ogni vincolo alla introduzione in Napoli. Intanto non havvi alcun prodotto manifatturalo che da Napoli liberissimamente in Sicilia non s' immetta. La massa del popolo siciliano usa tele e panni napoli- tani, adopera la napolitana carta, custodisce le sue ca- se con vetri e cristalli napolitani, veste i pavimenti di napolitani mattoni, adorna le mense di cretaglie napo- litane, e mangia su napolitani piatti. Napoli in somma 31 di tessuti di ogni specie, e d' infiniti altri prodotti ci allaga ci soffoca ci vince. E pure la nostra terra ci pre- sta tulle le materie da provvedere a ribocco per uoi stessi ai tanti bisogni della socielà:e noi per l'industria e la sapienza di alcuni benemeriti cittadini abbìamoavute tante fabbriche, che sono mano mano, dopo lunga e fiera lolla, perite sotto quei colpi, conlro di cui finalmente abbia- mo la sovrana giustizia imploralo: del che, se non te- messimo andar troppo lungi dal nostro assunto, potrem- mo in faccia al mondo allegare il fatto nostro medesi- mo individuale, ch'è chiarissimo e lagriraevole. Le sicilia- ne manifatture, che sono stale, o sono nascenti, son rima- ste e rimangon soffocate dalle adulte manifatture napoli- tane;chè noi deboli in ciò, per la natura delle umane cose, e per le passate nostre istituzioni, sostener non possia- mo l' urlo e la concorrenza dei forti. 1 Napolitani eb- bero già, per la loro industria, un'epoca gloriosa e po- tente. Essi hanno tuttavia protezioni e favori di ogni specie; e 1' istituzione medesima del cabotaggio presta di ciò a chicchessia piena e luminosa prova. E pure so- no eglino sì avanti in tal fallo da non temer più nis- suno. Ma noi che raggiamo, abbiam bisogno di sforzi per noi stessi, e di aiuti e di soccorsi, perchè questi sforzi medesimi non riescan van e non periscano, sic- come miseramente è avvenuto. Certo quando si fan voti che desiderasi un favore alle nascenti patrie manifatture, no» s' intende, sic- come ha preteso taluno, che si desiderano le frodi, le denuncie, le visite domiciliari, le perquisizioni, le con- cussioni, e tutti quegli altri mali corruttori della mo- rale cittadina, distruggitori del commercio di una na- zione. Bisogna nelle cose umane non confondere la giu- stizia coir ingiustizia, 1' uso coli' abuso: perciocché non deesi finalmente riputar cosa disperata rotlenere il betie senza V accompagnamento del male; e per timore del male, che può succedere, noa deesi sacrificare il bene as- 22 soluto del paese. Imperciocché sarebbe allora un facil vivere, ed un bel mozzo di reggere gli uomini, quello di abbandonar le cose a se slesse, e distruggerle, per te- nta delle diflTicollà che potrebbero sorgere nel migliorarle. Cosi (vedi gran senno!)nonsi cercherà mai di promuovere la i)rosporilà industriale di un paese per timore delle sevi- zie degl'impiegati doganali? Con leggi più savie e j)iìi ar datte ai tempi e agli uomini, e con esempi di pronta e so- lenne punizione, il male o non nascerà o sarà cessato bea- toslo, ed il bene resta e si feconda. Ma nel caso di che jiarliamo questi mali medesimi non han luogo, nò temer si possono; e noi siam giunti a tempi, in cui fa d'uopo raflòrzare la nostra energia, e dilatare le nostre vedute, per sorreggerci, e non perire nei casi tremendi, che il secolo ci minaccia: essendo ornai certo, per una triste e longeva esperienza, che, quando una nazione è schia- va delle altre nell'industria, un blocco, una guerra, un epidemico morbo 1' abbatte e ì' annienlisce; poiché non polendo provvedere da sé stessa ai suoi bisogni, ha d'uo- po di ricorrere agli altri, e non polendo più ricorrervi piomba nella miseria, e nella disperazione; che comin- cia a scarseggiare di tutte quelle cose, di che più gli altri non la provvedono; e costretta di comperare ad allo prezzo le più comuni, e le più rozze diviene agi- tala ed infelice, desiderando a qualunque costo 1' antico stalo, pronta a rom[)eisi in delitti, e a sacrificar 1' ono- nore e gì' interessi o della patria o del Principe, per ritornare alle vetuste abitudini. Le quali verità a me sembran si lucide , che cicca e stolta sentenza dovrà riputarsi quella the vorrebbe condannare perpetuamente un popolo ad una sola indu- stria, qualunque ella si fosse. I Siciliani credevano, ed a rafjione, di essere, per le loro niiniere di zolfo , quasi unici in Europa, perchè coniar non si debbono quelle del regno di Napoli, e di Toscaivi, le quali son sì piceiola cosa da non valutarsi in a3 nessun conio; ne valendo gran fallo quelle di Spagnai ih confronto delle noslre , diguisachè slimavano di polcr dare la legge al mondo. Difalti s' illusero pienamente, quando i loro zolfi si elevarono a sì alto prezzo da meravigliare chiunque, e da far credere che la Sicilia sa- rebbe potuta diventare ricca e florida colle sole miniere della sua terra. Ma sparve l' illusione , che il secolo, colla sua morale potenza , ha già trovalo modi come supplire alla mancanza di quel minerale; e le nazioni si sono emancipale da quel tributo morale e materiale che alla Sicilia pagavano. Imperciocché con vari agenti chimici han già ottenuto in molle cose ciò che collo zolfo ollenevano: quindi esso è mano roano caduto dall' altis- simo prezzo a cui era asceso; e le speranze di Sicilia fu- ron tronche nel più bei mezzo, e si spensero. E perchè dunque non possiam noi impiegare il nostro zolfo iu tutte quelle industrie a cui gli stranieri 1' impiegano, senza bisogno di ricorrere ai succedanei ? E perchè non facciam noi per mezzo delle industrie mauifalluriere rialzare quel nostro prezioso metallo, ricavando un valore anche maggiore di quello che ritraevamo, quando a caro prezzo agli stranieri si vendeva? Certamente il primo sprone alla creazione e alla difl'usioue delle manifatture ricevesi dai consumatori. Quando questi si accrescono le manifatlure si sostengono e s' innaLano; ed una gran verità, figlia della ragione e della esperienza, fu quella che venne predicata da lutti gli economisti, cioè che la mancanza di consumo annulla le industrie. Se le no- slre manifatture si fossero protette, noi avremmo veduto aumentare il numero de' consumatori, perchè, non alla- gata Sicilia dalle industrie napolitane, avremmo trovato primieramente in noi stessi il mezzo di sostenerle colla interna consumazione, e quindi, vinto il primo bisogno, e sicuri della bontà delle opere nostre, avremmo potuto, insieme agli altri , presentarci negli stranieri mercati: tanto più che ricchi delle materie prime che la sicurezza ^4 del guadagno ci farebbe in gran copia trarre dal no- stro suolo, avremmo un non lieve vantaggio sugli altri popoli; i quali sovente per molle cose ìiau d'uopo di ricorrete a chimiche composizioni. La storia però della siciliana industria, che racchiude gran parte delle siciliane miserie, manifesta apertamente che noi abbiam soventi volte tentato d' impiegare le grezze materie della nostra terra, onde dar loro corpo e forma, per le cose bisognevoli alle civili società; ma sì sono soffocati i nostri sforzi, e siamo rimasti vittime nella lotta. Noi facevamo un traflìco attivo ed esleso di soda na- turale, di cui il nostro paese ci fornisce gran copia; ma le fabbriche di soda artificiale, che si sono stabilite in vari luoghi di Europa, han diminuito di due terzi quel ricco nostro commercio, e così proseguendo 1' annulle- ranno interamente. Ma il più mostruoso si è che gli stranieri immetlon già presso noi la soda artificiale, e paralizzano anche pei nostri interni bisogni il commercio della soda vegetale ; perciocché vien essa a valere un prezzo minore di questa: tanto è la potenza dell' indu- stria presso gli strani! E perchè dunque non far noi slessi la soda artificiale, valendoci di tutte le sostanze che in abbondanza la nostra terra ci porge, quali sono il sai marino, e lo zolfo, gli elementi principali, onde vien quella formandosi? (i). Sì certo lo faremmo se ci la- sciassero campo a creare tutte quelle cose che han duopo della soda; e se la soda artificiale, che da altri paesi ora ne giunge, ci desse agio almeno in principio e per poco a formare le ceiinatc fàbbriche. Queste cose s' ignorano interamente dagli altri paesi, i quali credono che per pigrizia, o per difetto di civiltà Ci) La soda artificiale si forma per mezzo dell'acido solforico, che dallo zolfo 8i estrat; il qii.ile acido scomiioncndo il sai marino , cioè r idroclornlo di soda, lascia libera la suda dal suo compagno, cioc dal- l' acido idroclorico. a5 noi stessimo a languire; mentre la colpa di questo ri- tardo non deriva da noi, ma dalla nostra miseranda e- conomica condizione. Quindi ai nostri mali interni, che non sono pochi ne lievi, dobbiamo arrogere gl'ingiusti ed acri rimproveri che dagli stranieri barbaramente ci si scagliano. Mille scritti francesi, inglesi, tedeschi ci lacerano con- tìnuamente. La Francia non è guari tempo (v. le Bon Sens sett. i836.) dicea che le abitudini nostre, e la nostra apatia eran quelle che facean guerra nel nostro paese allo spirito di progresso, e si opponevano al mi- glioramento dello stato nostro industriale: soggiungeva, che la Sicilia^ una delle contrade pia fertili dell' Ea- ropa^cid V libertà del suolo, e la bellezza del clima ren- derebbero facile una gran prosperità commerci ale ^se dei travagli bene intesi sapessero porre a profitto le ric- chezze naturali che possiede, è ancora al dì d'oggi tributaria quasi di tutti i popoli manifatturieri: essa non vuol neppure tirar vantaggio dallo zolfo, che spe- disce grezzo in immense masse; e dimanda alle no- stre fabbriche dei prodotti chimici, e sin anco l'acido solforico necessario al suo consumo. Or venga mo' 1* astratto economista a canticchiarmi che la Sicilia non dee rivolger mai il pensiero a nes- suna industria manifatturiera, e che si dee contentare di esser soltanto agricola: venga mo' ad assordarmi coi prìncipi del sistema proibitivo, o con quelli dell'asso- luta libertà commerciale ! Costoro sono uomini di un giorno e di un pensiero; appartengono ad altro secolo e ad altro globo. E pure dovrebbero ricordarsi che ogni novella industria apporta un aumento nella somma dei valori, ed appresta alla classe laboriosa un produttivo tiavaglio, accrescendo e vivificando l'iatcrno commercio del paese. Fu già tempo che giovava alla Sicilia l'essere sol- tanto agricola, quel tempo cangiò, che tutte le umano 26 cose cangiano; e savio h colui clie conosce il secolo, lo studia, ed applica le sue dottrine ai peculiari casi della sua patria. La Sicilia clie nei greci tempi e nei romani ancora contava sì numerose e splendide popolazioni da prestare argomento di favoleggiar su di esse, come favoleggia- vasi sulle antiche armate, dava in ogni anno si copiose raccolte di grani , che ci riempiono da una banda di magnanimo orgoglio, e ci fan cadere dall'altra nel di- spetto e nella vergogna. Imperciocché oltre di apprestare la sussistenza ad una massa enorme di popolo, che in essa abitava, spediva frumento in gran copia pressoio stra- niere nazioni, clie a lei ricorrevano in tutti i loro bi- sogni. Si narra da Tito Livio (i)che quando Lavinio con- sole percorse la Sicilia , e trovò , per le guerre e le barbarie dei Pretori che la reggevano, abbandonata in alcuni luoghi la cultura dei campi, animò i Siciliani, perchè non rallentassero di amore in quell' industria ; quindi, rimovendosi gli ostacoli, cominciaronsi a colti- vare quelle terre eh' erano rimaste incolte, e tanto gra- no al novello anno si raccolse, che Roma per le sole decime ne fu piena, e 1' esercito romano che in Cata- nia stanziava, e che in Taranto trasferirsi dovea, ne fu anch' esso a ribocco provveduto. Il nostro egregio abate Balsamo , facendo in una sua memoria^ pubblicala a Napoli nel 1801, erudite ricerche su questo punto, ricorcla che la Sicilia, oltre del frumento che coi rispondeva alla repubblica romana, per ragion di tributo, detto frunientum clecumamcm , gliene vendeva in ogni anno grandissima quantità ; e mentre Vcrre era Pretore fra noi, Roma lo incaricò in una sola stagione di comperarne tal somma , come ne comperò diiatti, che a più di 5o mila once di nostra moneta ascendeva. Al che si può arrogere che Apronio, (1) Dee, 3. lib. 7. ^7 uno dei Decumani, secondo asserisce Marco Tullio (i), estorse in un solo anno dall'agro etnense 3oo mila mog- ge di grano. Se dunque, dice qui saviamente il Balsamo, il ter- ritorio di una sola città dava tanti prodotti , immensa esser doveva la quantità di grano, che dovevasi racco- gliere in tutta l'isola. Or volgendo gli occhi da questa in altra pagina ve- dremo in quale miseria siam caduti, ed in quale ab- biezione giaccia la nostra povera patria. Il Duca di Ser- radifalco, Direttore generale de' Dazi Indiretti, facea, non è guari tempo, osservare al Governo che da gen- naio 1834 sino a tutta la metà di agosto i836 eran«i dai domini di terra ferma immessi in Sicilia 242,249 quintali di grano, che corrispondono a 89,062 salme: le quali divise ai due anni e sette mesi e mezzo ven- gono alla ragione di 33,829 salme all'anno: quindi r egregio Da^ettore facea rilevare lo scoraggiamento ed il danno, che all'agricoltura siciliana recava questa massa di prodotti, che da altro paese veniva portata nell'isola, in quell'isola cioè che nei secoli andati liputavasi il gra- naio di Roma e del mondo. Vedi dunque a quali mise- randi tempi siam venuti ! Vedi in (jual turpe modo la ruota della fortuna ci schiacciò! Quella Sicilia che soc- correva ai bisogni delle antiche nazioni, e ai loro mali riparava è giunta allo stato da non poter più provve- dere alla sua interna consumazione. Pria che io passi ad additare le cause, che questa sventura producono ed alimentano, credo proprio al mio assunto riferire un esempio famoso nella storia dell'in- dustria agricola, che ci spiana la via a conoscere lo stato vero dei mali nostri , ed i mezzi come potervi rimediare. Gilberto Blane, intimo amico di lord Livcrpool, di (1) Orat. X. in e. Vcir. 28 Wiadliam, di Pulteney, sommi politici ed uomini di stato celebra tissi mi nella Gran Brettagna, in una lettera diretta al conte Spencer, ed inserita nel Pampletheer (genn. 1817.) si volge a parlare delle cause e dei ri- medi che la scarsezza e 1' alto prezzo dei viveri ave- vano prodotto in Inghilterra. Egli fa osservare che nel 1800 l'agricoltura era quivi in tale stato da non poter negli anni di abbondanza mantener ne anco la popolazione di essa. Ma quando fu nel 181 5 adottato, dopo lunga ed incerta lotta, come suol succedere in tutte le umane cose, il decreto proposto al Parlamento per la protezione dell' agricoltura inglese, con impedire l'in- troduzione dei grani stranieri nei porti dell'Inghilterra, quella andò mano mano dal suo avvilimento sorgendo, e si migliorò talmente da contare una vita nuova nel- la storia di quel paese. Se il decreto di protezione, soggiunge il Blane, fosse stato approvato nel principio del i8i3, quando venne proposto, quale numerosa se- rie di calamità pubbliche, e di angosce individuali non sarebbe stata prevenuta! Dal finire del i8i3, sino al- l'estate del 1816, i prezzi dei grani furono colà sì bassi da non pagare in molti paesi le spese della coltivazione, e da non produrre in nessun luogo al fittaiuolo un pro- fitto che bastasse per vivere, e pagare il canone che al proprietario dovea. Le cattive conseguenze dei pregiudizi che impediro- no in Inghilterra quella misura salutare non colpirono soltanto i fittaiuoU ed i possidenti, ma pervennero fino agli autori di un tale impedimento ; poiché il basso prezzo del pane fu assai più che contrabilanciato dalla mancanza dei lavori. La gran diminuzione delle rendite dei possidenti, e dei profitti dei fittaiuoli, li rese inca- paci d'impiegare lo stesso numero di lavoratori, e di consumare quei generi, coi quali migliaia di artigiani si procacciano la sussistenza. Il sig. Western, membro del Parlamento per Esscx, in un discorso, bello, come . ^9 si disse, ma attristante, pronunziato su tal subbietto nel giorno 6 di marzo i8i6, calcolò che gl'incassi an- nui dei fittaiuoli in Inghilterra e Galles dal 1812 al i8i5 avevano sofferto una diminuzione di settanta mi- lioni, la maggior parte della qual somma sarebbe stata spesa nel mantenimento di agricoltori e di artigiani, e si poteva considerare come tolta ai medesimi. La porzio- ne lavoratrice della società era perciò da riguardarsi come affamata in mezzo all'abbondanza, essendo allora molto meno capace di mantenersi, che quando il pane era di un terzo più caro. Queste cose, che il Western per r Inghilterra diceva, si potrebbero da noi dire per la Sicilia: la quale come Tantalo vede i tesori, e pe-^ risce per non poterne liuire. La lotta a cui soggiacque in Inghilterra quel savio decreto, che fu poi causa della prosperità dell' inglese agiicoltura, ha prodotto almeno il buono effetto di mostrare ad evidenza, siccome dice lo stesso filane, quanto sia ragionevole ed utile pro- teggere r interna produzione dei grani. Quella lotta prova altresì la scambievole dipendenza che tutti gli ordini della società hanno gli uni dagli altri : poiché saggissima parmi l' idea che 1' avanzo delle produzioni del littaiuolo non sarebbe di alcun vantaggio se non vi fossero artigiani e manifattori per consumarlo, e questi ultimi non potrebbero esistere senza quell' esteso ramo di consumazione, che dipende dai profitti dei fittaiuoli e dalle entrate dei possidenti. Ora i veri mali agrari della Sicilia contano dal 1774? epoca del trattato di Kauiardgj, poiché , vincitrice la Russia in terra ed in mare per sei campagne consecu- tive sulla Porta Ottomana, venne in quello per primo patto stabilito che i Turchi accordassero ai Russi la libertà di commerciare e di navigare nel Mar Nero, e di passare nel Mediterraneo pel canale di Costantino- poli: ed in tal guisa Caterina II" fece realizzare una rivoluzione famosa, e quasi simile a quella che venne 3o operata colla scoperta del Capo di Buona Speranza. Iin- perciocchè pel corso di trecento anni, cioè dalla con- quisiti di Gaffa, latta dai Turchi, sino al trattato di Kai'n.'U'dgy es^i soli esclusivamente navigavano e com- merciavano nel Mar Nero, e nel mar d' Azow, appar- tenendo al Gran Signore, e al Khan di Crimea la più parte dei paesi in quelle coste situtiti. Ma quando Ift Russia, ed in seguitò la Polonia, l'Austria, la Spagna, la Francia ed altre nazioni ottennero libero l'ingresso in quei mari si capovolse ogni cosa, e si vide che non bastava più ad itn popolo l'essere agricoltore, e fondare là'' isuà ^ros^etità sopra i cereali, per avere un' esisten-r za iiiidustriàle , e seguire i progressi della civiltà co- mune. Così vanno le cose umane! la faccia del mondo può esser cangiata da un solo evento fortuito. Gli E- giziani e i Peniti fondarono in quelle contrade, il più Hcco e più splendido traffico, che l'antichità si avesse avùlo,rcndend(jle centro di tutte le operazióni commercia- li delia terra allora conosciuta; diguisacli»; celebrati nelle pagine della storia sono i nomi di ponto E usino ^ di palfc- di vieotìdi^àì bosfóro cimmerio. Quindi i Greci, seguendo l'esempio di quC' primi navigatori, batterono lemedesime TÌe, ed avvivarono per la parte loro quel gran commer- cìo;-' il quale passato poscia in mano dei Roniani, andò per ultimo a rifuggirsi in quelle dei Greci del basso impero. Caduto però questo, e sorgendo gloriose le i- taliane repubbliche, Genova portò (piel traffico al più aitò. grado di splendore, e la sua bandiera scorreva'qùei tìiari, come' una dominatrice del commercio del mondo; poiché aveva reso la Crimea centro delle sue relazioni coilai iPersia e coli' India pel Mar Caspio. Mala gran- dezza'delle nazioni ha un periodo più o meno lungo, e dee jsoggiacci'e anch'essa ai colpi della fortuna. I Ge- iiòvc'si dilani furono costretti nel if\']Q di cedere ili te- raiileutc ai Turchi quei teatro della loro industria: di- 3i guisacliè questi ne usarono sino al trattato eli Ka'marcìgy, come di un dominio loro esclusivo (i). Questo rapido cenno del traffico del Mar Nero ci schiu- de la via per rispondere ad una obbiezione che senza molto giudizio, e così alla cieca , come suole per lo più succedere, si mette avanti da taluni parlando della ruina, a cui soggiacque, per quel traffico, la coltura del primo prodotto della terra nelle ubertose provin- cie dell' occidente e del mezzogiorno di Europa. Se il Commercio, dicesi, del Mar Nero era aperto nell'anti- chità a tutti i popoli che imprenderlo voleano, e nelle epoche posteriori lo fu del pari sino al 4oo, nei quali tempi la Sicilia mandava i suoi grani per ogni dovè, per qual ragione dunque non può farlo più oggi? Pri- mieramente fa d' uopo sapere che i jiaesi, i quali alpre^^ sente Odessa,Taganrok, Caflh, Cherson si appellano, di^ vennero gli empori dei cereali quando furon ceduti alla Russia, e dietro che la Porta Ottomana permise alle altre nazioni di Eurojia tli poter nel Mar Nero navi- gare e commerciare. Imperciocché quelle contrade eran prima ajjbandonate, e sì fattamente incolte da non ve- der mai la mano dell' agricoltore; ed il commercio co- là delie antiche e delle moderne nazioni fino al mille e quattrocento in tutt' altro che in grani consisteva. Caterina IL* Paolo I.° Alessandro, che !• un dopo l'al- tro nell' ipipero di Russia si successero , prodigarono incoraggiamenti di Ogni genere all' agricoltura di quei; nuovi stati: e come si givano fondando le città, si dis- sodavano le immense piane che le circondavano; dimo- doché quelle terre, vergini da t(ìmpi immeniorabili, co- minciarono a dare sì abbondanti raccolte, da inondare di grani l'Europa, 'e" vincere nella concorrenza gl'in- digeni di ogni altra contrada: perciocché ivi- sulla terra nou gravitan pesi, ed addicendosi alla coltura del gra- (0 V. Auth. — essai Iunior, sur le coimn. et la navig. ce. 3a no uomini mezzo schiavi e mezzo barbari lievissime sono le spese di produzione. Per lo contrario queste fra noi congiunte ai dazi direi ti si elevano a un prez- zo di gran lunga maggiore (i). Per la qual cosa non solo l'Inghilterra, come abbiara sopra veduto, ma la Francia eziandio, la Baviera, la Spagna, il Portogallo ed altri luoghi per favoreggiare la cultura dei grani nazionali impedirono l' importazione di quelli stranieri, o li caricarono di una forte imposta per istabilire cosi non solamente l'equalità fra loro, ma dare eziandio un vantaggio ai propri. Il nostro Governo pe' suoi stati seguì in parte que- sti medesimi di visamenti. Imperciocché vietò che s'im- mettessero in Sicilia grani forestieri ; e pei domini napolitani statuì che il grano o granone, che in quei por- li con istrani legni s' immettesse , fosse soggetto al dazio di due ducati a cantaro, cui con altro decreto accrebbe poscia a tre: ma quando veniva immesso con legni di nazionale bandiera, allora il dazio fosse di un ducato a cantaio, che fu quindi con altra disposizione accresciuto a due. La Sicilia però da quella saggia mi- sura di divieto non ha risentito gli stessi bsnefici ef- fetti, di che le altre nazioni han largamente fruito. Quindi io credo che V agricoltura siciliana trovasi tanto barbaramente negletta ed avvilita primo per es- ser divenute agricole quasi tutte le nazioni in modo da non aver più bisogno di quelle che la natura, per 1' u- berlà prodigiosa del suolo, aveva agricole create; secon- do per immettersi in Sicilia, sotto il fraudolento mez- zo del cabotaggio, dai porti di Barletta, di Manfredo- nia, di Brindisi, di Otranto, di Castellammare, come grani indigeni, quelli di Odessa e di Taganrok, che in quei luoglii s' immettono, pagando , per la posizione dei luoghi medesimi, non molto sorvegliati, di gran (i) V. Aiith.— 1. e. 33 lunga meno di quello die la medesima gravezza [lor- terebbe: dimanierachè resta per noi del tutto elusa la legge che vieta 1' importazione dei grani stranieri. Ma se si crede, come so che alcuni credono, non esser tutti grani del Mar Nero quelli che dai cennati porti s'introducono in Sicilia, noi, avvegnaché bene il potes- simo sostenere per tutti, non ci darem pure il pensiero di contrastarlo, perchè non all' astratto ma all' effetto delle cose sogliam mirare. E sia che quei grani, pro- venienti dai porti dell' Adriatico apparteugan tutti al Mar Nero, sia che parte di essi vengan dalle Puglie dagli Abruzzi e da altre provincie uapolitane, le quali servonsi del grano straniero pel loro interno con-r sumo, e quello eh' essi producono nei porti inviano di Sicilia, il fatto si è che per via del cabotaggio entra fra noi tanta massa di grani da paralizzare la nostra agricoltura, e dare ai proprietari e ai capitalisti, che son quelli che mantengono e vivificano T industria di un paese, tal colpo da distruggerli ; diguisachè non trovando essi appoggio ne anche nell' interno consumo, che è divenuto in ogni paese, uno dei principali soste- gni deir industria, lasciaa di coltivare i loro campi, e dall' agricoltiua rimuovono il pensiero: quindi le cam- pagne dell' Isola sono inondate di villici , che ridotti mendici per mancanza di lavoro o si danno iu preda alle colpe, o dopo di aver menato giorni miserandi per- dono nel mezzo degli anni la vita. La Sicilia, da non picciol tempo a questa parte, uoa solo non ha più inviato fuori un carico di grano; di ma- njerachè ha perduto i frutti del cespite principale della sua floridezza, ma per i bisogni intorni della sua esisten- za è stala dagli altri provveduta. ]Soi abbiara recato un fatto, che non so se più bile o vergogna ci svegli, nel reclamo santissimo del Direttore generale dei Dazi Indi- retti. E i-e alcuno vi fosse che dicesse esser questo un luale {wsseggiero e non costante , poiché negli scorsi 3' 34 anni è avvenuto che dalla Sicilia grani in Napoli si sono inviati, e che quindi non è da far nessun caso del cennato reclamo , appoggiandosi costoro sopra alcuni lautelli trapanesi, clie a quando a quando si sono pre- sentati nei porti di Palermo di Melazzo di Messina, e di tutta questa linea orientale dell' Isola, annunziando di esser carichi di frumento, e fingendo di non trovar buon prezzo in nessuno di questi porti si son diretti verso Manfredonia, o Castellaurmare, o Barletta, o la spiag- gia del Vasto ec, ove sempre scaricano, etrovan prez- zo, non sono quelle barche per sicuro die cariche di sale con poche salme di grano che lo cuoprono; onde eludendo ia legge, scenderlo quivi in controbando. La verità non si dee nascondere, quando si vuol far ser- vire la menzogna di pretesto a conculcare le ragioni di un infelice paese. Difttti se quel che asseriamo non fosse que' lautelli non andrebbero certo in porti, che sono i caricatoi del regno di Napoli, e donde parton sempre le navi cariche di grano per la capitale ; ma sibbene essi direttamente a Napoli lo porterebbero, se non vogliam credere i Siciliani peggio che gli Ot- tentotti. Ma mi si citi un solo esempio, che altre navi diverse dai lautelli trapanesi cariche di grano siciliano si sieno a Napoli dirette, mi si provi che i medesimi lautelli trapanesi nel porto di quella capitale siano an- dati a scaricare, ed io allora dirò che la Sicilia ebbe finalmente la gran ventura d' inviare una volta grani suoi in quella parte dei reali domini; ma questa con- solazione non si potrà avere, che da tempi lontanissimi questo bene più non ottiensi, se pur non si vuol cita- re un esempio, che è lagrimevole, perchè ricorda la sventura dei nostri fratelli, cioè quello avvenuto a que- sti tempi di pubbliche angosce, in cui si sono dalla Si- cilia vari carichi di frumento a Napoli indirizzati. E che! ci vuol dunque un morbo jiestifero, uno dei più orribili e dei più tremendi flagelli della natura , onde 35 i nisognano. Queste ed altre cose non è guaii tempo io scriveva e pubblicava (v. Llltimeridi siciliane fase. 38. pag- 21. ), 37 quando poco appresso, come se avessi vaticinato quel che dovesse avvenire, si vide il commercio fra Napoli e Sicilia troncato per l'invasione del morbo asiatico in quei domini. Il quale esempio tremendo, che ci ricorda sventure da poco soflèrte, e che obliar mai non si potranno, si presenta da se stesso a svelar più chiaramente i perti- naci errori di coloro i quali con ostinati sistemi troncano il progresso della civiltà delle nazioni, e immergono i popoli in un abisso di angosce. Napoli, come abbiam detto, provvede la Sicilia d'in- finiti obbietti utili e necessari alla sua esistenza. E sic- come questi in libero cabotaggio vi s' immettono , e i generi stranieri soggiacciono più o meno a forti dazi , così la più parte delle nostre relazioni commerciali non sono che con i domini del continente. Dal che è av- venuto che siccome per l'invasione in Napoli del colera asiatico, s'interruppero momentaneamente le relazioni , e si chiuse il commercio; così i generi napolitani, che nei magazzini trovavansi, vennero di prezzo a dismisura accresciuti: quei panni lani che si comperavano p. e. ad onza una e tari quindici la canna si dovettero compe- rare a due onze e tari dieci, e più ancora; le faenze ebbero subito un tale aumento che facea bile; i popo- lani e i mezzani cittadini si contentavano di non ac- comodar più le loro vetrate ( ne credasi iperbole ), ed esser colpiti dal freddo, anziché comperare vetri e cri- stalli che si pretendean vendere, come si vendeano, un terzo di più, e la metà eziandio. La carta da scrivere si accrebbe tosto; la carta da stampa andò sì alto che svegliò fremito generale d'indignazione; perciocché quella stessa che pochi giorni prima vendevasi da tutti a tari venticinque la risma, si dovette comperare a tari tren- totto, a quaranta, e a quarantaquattro: ([uella di ventollo tari ascese sopra alle onze due. Ma ad onla di questo prezzo enorme, la caria da stampa venne meno in 38 i^ran pnrfc, poiciù; essendovcnc gran consumo, e più da Nnpnli non ricevciulosene, pochi vili monopolisti, assueti :i Iripiuliarc sulle pubbliche sventure, raccolsero nelle loro inani quella che qua e là rimaneva ; dal che è nato clie non pochi autori sono stati costretti a non poter pili oltre proseguire la edizione degli scritti che aveano sotto i torchi; molte classiche opere, clieper asso- ciazione mensilmente si pubblicavano, cessarono, o si ac- crebbero di prezzo; vari giornali vennero sospesi nel mo- mento che i cittadini avean più mestieri della loro dilet- tevole ed istruttiva lettura. Quindi il numeroso stuolo dei tipografi è cessato in parte di fatica, ed è sorto un gene- rale lamento. Or se nei pochi mesi che è durata la napo- litana disgrazia, ed interrotte sono state le nostre commer- ciali comunicazioni , tanti mali economici abbiam sofferto, che sarebbe mai di noi, se novelli infortuni ci colpis- sero, e le nostre relazioni col continente per lungo tempo si rompessero? Mali infiniti per ogni verso av- verrebbero, e non per altra cagione che per esser la Sicilia schiava d'altrui nell'industria, e per mancar ella di fabbriche, che possan provvedere da se ai tanti bi- sogni della società. Perlochò ognun vede quanto sia necessario che si facciano degli sforzi , dalla sapienza del Governo protetti, onde avere un' industria a noi, e non essere più trastullo e vittima della malignità degli uomini, e dei furori della fortuna. L'agricoltura sola oggi più non basta: ella per risor- gere ha mestieri di novelli mezzi: non vale più essere i campi nostri benedetti da Cerere : il grano che solo prima formava la potenza della Sicilia, oggi non più la forma: abbiam d'uopo di variare e di estendere le pro- duzioni del suolo: abbiamo bisogno che il prodotto del- la mano d('iruf)mo il prodotto della terra sostenga: non lutto in tutti "i tempi; non lutto può ad ogni popolo adattarsi. Ogni secolo porta il suo suggello morale , ed il nostro ne ha uno sì pioprio che in modo emi- ^9 nenie lo distingue. ImpercìoccKè, quando i prodotti del suolo si fan servire alle industrie della mano, na- sce che i producitori veggendo che quelli per queste si richieggono, daransi a tutto potere a coltivarli, e a migliorare i mezzi di produzione. Ne mi si dica, che dovendosi fare un baratto , il popolo nato agricola , per abitare un terreno ubertoso , noji dee darsi nes- suna pena di divenir manifattore , perchè può scam- biare i suoi prodotti indigeni con quelli dell'uomo, che in altri luoghi si creano. Certo ( eccezion facendo per un momento dalle bufere del secolo, e dai flagelli della natura) se le nazioni venissero a patti fra loro e dicessero: tu sarai solamente manifattrice, tu solamente agricola: quindi tu Francia p. e. ti dovrai servire , per le tue manifatture, dei prodotti che ti preparerà 1' agricoltore siciliano, alloia sì che tutte le nostre quistioni cadreb- bero, ed il pubblico trionfo sarebbe forse assicurato. Ma siccome a questi patti non si viene, non si è venuto ne si verrà mai; perchè ogni nazione cerca di trarre profitto di ogni obbietto, di mettere ogni cosa sotto la sua divozione, di farla produrre in ogni guisa , d' im- piegare il senno e la mano degli, uomini, come più e meglio può, onde cercarsi di emancipare dalle altre in ogni verso, perchè spera divenire , con sapiente consi- glio, e manifatturiera ed agricola, ad onta anche dell'in- gratitudine della sua terra ; così è mestieri che le in- dustrie del suolo con quelle della mano dell' uomo si uniscano e si sostengano. Ogni nazione già trova in se medesima gran parte delle cose utili e necessarie alle umane società: agricoltori e manifattori son divenuti una famiglia, ed a vicenda si soccorrono. E discendendo più da vicino ai particolari, io credo che si debba osservare il corpo sociale, come si osser- va il corpo dell' uomo, e deesi adattare il rimedio là dove havvi il male, e conforme urge il bisogno. L'In- ghilterra non è progredita che con questo mezzo: ella già^misc proibizioni assolute, ed iutoppi all'immissione (Ielle; slranieic niaiiifattuic, perchè il caso era tale che la necessità delle proprie industrie gli esigea ; poi ral- lenlò la mano, perchè il bisogno era cessato. Così eravi un tcm[)o a Livcrpool totale divieto ai panni, ai tes- suti di cotone, ai lavori di ferro e di acciaio, ai drap- pi di sela, ai guanti, alle calze; erauvi forti vincoli al- l'immissione delle tele, dei lavori di orificeria, dei drap- pi di lana , delle scarpe, dei cappelli, e di altri obbietti di simil fatta: poscia vennero mano mano tolti quegli ostacoli, e nel iSaS, epoca del ministero di Huschisson, furonvi innovazioni di gran momento; che l'Inghilterra, divenuta regina dell'industria umana, non avea da temer più 1 industria altrui. Dal che nacque che negli anni succes- sivi alcune manifatture vennero in Liverpool , che è remjwrio del brittannico commercio, sciolte, siccome in appiesso particolarmente vedremo, dall'assoluto divieto, altre di dazi più o meno gravale, e varie altre lascia- le libere a sé stesse. Ciò non pertanto in questo me- desimo tempo vi è slato yter alcun dato genere , che andava vacillando, qualche particolare provvedimento , che tendesse a proteggerlo e a sostenerlo. L'industria delle nazioni ha le sue fasi ed ha la sua vita. L'Inghilterra siegue con provvido occhio il cam- mino delle cose sue; e questa soccorre, quella solleva, quest'altra spinge, e quell'altra svincolata lascia; talché noi con sì latto sistema di saviezza e di osservazione costante, 1' abbiam veduto levarsi ad altissimo volo. d'indirizzi che tutto giorno si fanno dalle varie po- polazioni della Francia, ove più fioriscono il commer- cio e l'industria , al Re e alle Camere manifestano in gran pai te il bisogno di non togliere o diminuire i dazi d'importazione che gravitano colà sulle straniere mani- iatture. Abbiamo sotto gli occhi quello che il tribunal di commercio di Lisieux fece in nome di tutti i com- mercianti al Re de' Francesi in occasione del viaggio 4t fetto da costui nel i833 io quella Industriosa provin- cia. Lo riportiamo per intero, e nel suo originale; ac- cioccliè meglio si conosca quello che si è per noi as- serito: Sire^ presque tonte cette population si jojeu- se se Iwre au commerce. La paix que vous avez sa maintenir a favorì son industrìe: elle vous en temoi- gne aiijourd' hai sa reconnaissance. Organes des commercans^ qu^ il vous soit permis d'expos^r à V. M. que leur travaux ne peuvent fracti- jìer sans la proteciion du gouvemement , que la di- minution des droiis de donane sur les toiles, et sur les bestiaux etrangers amenerait une grande pei^urbation dans la fortune et dans l industrie de notre arrondis- sement , et que la suppression totale ou trop subite des droits d' importaiicn sur les laines ruinerait un grand nomhre de familles. Nons remercions f^. M. d'apprendre de bonne heure à ses Jils a connaitre les besoins de la nation , et à proteger le commerce. Leur presence va donner un nouvel essort a jios fahriques. Il Signor Mac-Culloch, riputato scrittore di cose eco- nomiche, dettò nella rivista di Edimburgo una memo- nVz intorno i rapporti commerciali tra l'Inghilterra e la Francia, che venne tradotta, ed inserita nel volume qua- rantesimo primo degli Annali Universali di statistica. Noi non siamo contrari alle massime generali di quel valen- t'uomo; ma nei particolari delle cose con esso lui non con- venghiamo, ch'egli smarrisce la via, e cade nei soliti erro- ri dei sistematici. E però bellissimo l'osservare che il Cul- loch medesimo confessa, senza volerlo, quanto avesse gio- vato alla Francia il sistema proibitivo nelle sue industrie nazionali. «Gli ostacoli, parla l'inglese scrittore, che il Go- verno francese oppose al nostro commercio risultano dagli enormi dritti aggravanti il ferro, ed i cotoni tessuti e fi- lati. Queste due industrie debbono la loro floridezza in Francia all'epoca del sistema continentale di Napoleone, e nel 1814 sarebbero cessate di prosperare , se fossero state abbandonate a se stesse. Egli conosce dunque la necessità del sistema vinco- lante; conviene che se i tessuti inglesi, e gl'inglesi la- vori di ferro fossero in quell'epoca entrati in Francia liberamente, avrebbero rovinato quelle industrie , che sono ivi ornai divenute di grandissimo pondo , e fonte principalissimo della ricchezza francese. Il Culloch però aggiunge che i Borboni nel 181 4 dovevano limitarsi a salvarle dalla imminente rovina, che le minacciava, non <;on una esclusione piìi rigorosa di quella di Napoleone, siccome fecero, ma con una saggia riduzione graduata dei dritti protettivi. I Borboni forse non avrebbero fatto male, seguendo il consiglio del Culloch ; ma il certo si è che i tessuti francesi , e le francesi ferra- menta con ([uel sistema non diminuiron di valore, ma aumentarono, andandosi sempre più perfezionando; di- manierachè non essendo ora più inferioii a quelli che in Inghilterra si lavorano, vanno tutti insieme a con- fondersi nei mercati del mondo. In tutte le còse umane vi abbisogna sempre, nei co- minciamenli, un poco di pazienza e di costanza; e po- scia un trionfo completo e duraturo non potrà certo man- care. Proclamatasi in Portogallo la costituzione del 181 2, quel parlamento, veggendo per un sistema doganale ri- lassato , che in tanti anni di vita e sotto diversi reggi- menti non avea prodotto nessun bene, le patrie indu- strie cadute nell'abbandono, come nell'abbandono l'agri- coltura, e conoscendo il bisogno di animarle, e di av- vivar così questa , chiamandola in loro soccorso , la prima operazione a cui attese fu di fondare un do- ganale sistema più rigoroso. Dietro di che in vari luo- gl)i #el Portogallo già sorgono fabbriche , a cui quei cittadini non si cran per lo passato rivolti giammai; si ,. . . . . . . 43 coltivano i campi, società anonime commerciali si orga- nizzano, i sepolti capitali si fan circolare, nel paese si è trasfuso novello moto, e l'industria nazionale si va for- mando. Veggasi il Morning Herald ott. i836. Le manifatture belgiche di merletti^ famose per la loro eccellenza, trovan chiuso lo sbocco in Francia in Inghilter- ra in Austria ed altrove o per proibizioni assolute, o per enormi dazi che gravita n su loro. La qua 1 cosa ha fatto che quell'industria, in cui i Belgi dominavano, è dive- nuta eziandio di patrimonio francese ed inglese ; e i merletti che ivi si fanno trovano gran consumo nei loro stessi paesi , e si spacciano in Europa , avvegnaché quei del Belgio come migliori si preferiscano. Il Re Leopoldo Goburgo {y. il Messnger des cham- hres) dimandava non è guari tempo al Re dei Francesi nuove concessioni in favore dell'industria e del commer- cio del Belgio, e chiedea, fra le altre cose, che la Francia schiudesse le porte alle manifatture dei merletti, che sono per quel paese un gran ramo di pubblica ric- chezza. Il Re dei Francesi non consenti, nella veduta che potessero i merletti belgici rovinare in Francia queir industria, che vi si va sempre più migliorando, ed appresta pane ad una classe numerosa, di operai. Laonde quella manifattura progredirà quivi costante- mente, e verrà tempo in cui non temerà più la bel- gica, e si potrà, senza timore, presentare iiisiem con essa in tutte le piazze commerciali. Quindi potransi al- lora togliere i vincoli, che impediscono l'entrata in Fran- cia dei merletti del Belgio. Lo stesso pctrassi dire per altri luoghi, e particolarmente per 1' Inghilterra. Se il Re de' Francesi avesse secondato le dimando del Re ^lel Belgio, l'immediata conseguenza sarebbe stata, che non poche fabbriche di merletti, ove tanti capitali si sono impiegati, ed ove un' immensità d' operai lavorano, sarebbero ite subito mano mano minando; poiché, ce- dendo in bontà alle belgiche, sarebbe loro mancato il più 44 forte consumo die è quello della Francia medesima: la quale avrebbe ai nazionali (ne è da maravigliare, essen- do questa la natura dei popoli ) i belgici merletti pre- feriti: i danni sarebbero stati incalcolabili; molti capita- li periti, non poche famìglie distrutte. Verrà tempo , e non sarà certo lontano, in cui quella misura che oggi si reputa dannosa potrà divenire giovevole. Or dopo tanti esempi costanti e luminosi che le na- zioni più eulte e più ricche ci presentano si credereb- be che i partiggiani del sistema dell' assoluta libertà commerciale si accordassero e cedessero; ma noi fanno. Essi travolgono i fatti, e quando più negar non li pos- sono commiserano la cecità del mondo, quasiché essi soli nel mondo ragionassero. Dal che ognun vede quanta luce sia in loro. ISIa da tutto ciò sorge un gran male, ed è quello che i giovani, i quali, nella massima parte, apprendono le scienze da un sol trattatista e dalia vo- ce di un sol uomo, s' imbevono facilmente delle idee di quello, qualunque elle siano, e le sostengono e le proclamano, credendo eh' elle sole sien veiùtà : quindi una schiera di presuntuosi e di falsi e superficiali pen- satori; i quali non conoscendo che una sola dottrina, e questa credendo vera , e questa sola diffondendo pro- ducono un gran danno alla scienza della sociale ric- chezza, e sono fonte di gravissimi mali al reggimento dei j)opoli. Ora a me sembra che per essere il sistema del- l' assoluta libertà commerciale del pari utile a due po- poli industriosi, abbisogna che 1' uno e l' altro si tro- vino presso a poco in eguale floridezza di stato. L' in- ghillerra e la Francia potrebbero stabilire fra loro, sen- za verun timore, il libero scambio dei loro prodotti; che ambedue sono ricche e potenti, ambedue agricole ed eminentemente industriose. E pure elle son sì prudenti e sì sagge che ciò non han fatto per tutte le industrie indistintamente (come sarebbe un principio di scuola), .45 ma per alcune di esse: poiché giusta i vari bisogni de- gli uomini, e le vicissitudini, a cui le loro industrie par- ticolari sono in diversi tempi soggiaciute, han preso le convenevoli misure;ed hanno adottato, senza tenersi strette ad dlcun sistema, ora il primo, ora il secondo, ora l'uno e l'altro insiòme. Così p. e. il dazio di entrata che le seterie francesi pagano in Inghilterra è attualmente del 3o per cento, e stando alle relazioni di alcuni fogli fran- cesi (i) questo dazio, per altri dritti che si fanno pa- gare, ammonta al 55 j)er cento. Per lo contrario le se- terie inglesi pagano alle dogane francesi il dazio del solo 12 pfcr cento. Forse gioverà alla Francia in appresso dimiuuiie quel dàzio, afra bisogno l'Inghilterra di ac- crescere il suo; e si potran tutte è due' j Risposta del Romagnosi. Queste divergenze, chia- mate a concordia formano appunto la vis vitae dei ci- vili consorzi. Quanto alle estere nazioni l' argomento prova troppo e quindi nulla. Esiste o no questo com- mercio? Forse esiste per qualche impero umano, o noti piuttosto ])cr fatto di spontanea libertà , ed a nialgra- do il rispedivo egoismo delle genti ? Dunque, olire le gelosie nazionali, esiste qualche cosa di più tòrie cliC 5a collega liberamente i popoli fra di loro. Ragionando alla maniera del sig. Meynard, che non pone avanti fuor- ché il dissidio, ne verrebbe la conseguenza che il fatto del commercio libero fra le genti, sarebbe impossibile; dunque egli prova troppo e quindi zero. w L' Inghilterra (prosegue il Meynaid) ci aprirà forse » i suoi porti nelle Indie? L' Olanda ci riceverà forse w in Eatavia? La Prussia rinuncierà forse in nostro fa- » vore a questo sistema di dogane da lei sì laboriosa- >j mente procacciato ? w Risposta del Romagnosi. Se tornerà conto, quei Go- verni faranno il contrario. Non facendolo saranno casti- gati dalla stessa natura. Oltrecciò si può domandare: se la proiezione commerciale figurata dal sig. Meynard sia cosa da augurarsi senza un' immensa ingordigia, a soddisfare la quale lordine naturale rifiuta di concorrere. ì) Le condizioni della produzione (è il Meynard che w parla) non sono identiche per tutti i paesi. Qualun- w que sia il genio dei suoi abitanti, la Francia non può » in o"^ì dare certi suoi prodotti allo stesso prezzo che ìi alle nazioni lungamente protette da un esclusivo la- >3 voro, ed alle quali una lunga sperieiiza permise di M sopravanzarci nella via industriale. Ma perchè essa w produce il canape ed il lino a maggior prezzo della M Russia, deve essa rinunciare a questo genere di col- w tura? Perchè la Germania e l'Inghilterra fabbricano » a più basso prezzo di noi, dovrà forse la Francia 3j chiudere i suoi opifici di chincaglierie e di stollè di 53 cotone ? La cessazione immediata dei lavori in un >3 gran numero d' industrie sarebbe la conseguenza di » questa massima. I nostri mercati sarebbero invasi dai » prodotti stranieri, e i nostri operai più destri e più M laboriosi, rassegnare non si potrebbero per lungo tem- M pò ad uno stato di cose che loro non oflrirebbe, che » loro rapirebbe il loro lavoro, ed il loro benessere. j> Risposta. Qui si commette una l)rusca transizione di 53 discorso. Perchè altrove si fabbrica a basso prezzo non ne viene la conseguenza che le nostre fabbriche debbano andare in rovina. S' immaginano inondazioni di merci simili che ci faiuio chiudere le nostre botteghe. Baie, imposture, spauracchi, sono questi imposti dall'ingordi- gia pecuniaria alla credulità comune, come vien prova- to dalla sperienza. Lasciate che chiunque venga nei vo- stri porti, pagando tariffe doganali, non di prolezione ina di fiscale giustizia, e non abbiate paura della pie- na libertà commerciale. Così il Roma gnosi. Duolmi che quella testa patriarcale dell' italiano fi- losofo abbia in modo cosi legiero ed ambiguo risposto all' economista francese. Il che mostra come debbano an- che i più grandi pagare alla natura, il tributo delia fra- gilità della mente umana. Il Meynard ha parlato con giudicio, e con verità; il Romagnosi non ha risposto che con duri sarcasmi, e vane parole e gratuite. Mi pesa nel- r animo il paragone che io debba fare di un francese con un Itabano, che fn riputato oracolo di sapienza ci- vile, e che sorprese 1' Europa colla vastità dei suoi con- celti; e a cui la Francia medesima prodigò altissime lo- di nella compilazione eh' egli nei 1807 fece del nuovo codice di procedura criminale. Ma qui non han luogo questi confronti: noi non an- diamo in traccia che della verità; tanto maggiormente quando un principio fallace che si sostiene da un gran- d' uomo conduce a tali conseguenze che possono esser luttuose a popoli innocenti. Dalle quali cose rileverà il leggitore qual conto deesi far di coloro, che mettendo, nella nostra quistione del libero cabotaggio con Napoli, avanti 1' opinione del Ro- magnosi, credono di aver deciso con essa i nostri inte- ressi. Le cose dette dal Mejnard possono in parie ap- plicarsi alla Sicilia; e mostrano appieno la giustizia dei provvedimenti che abbiam reclamati. Non si faccian più dunque entrare i nomi de' grandi uomini nelle economi- H dio nostre cpiistionl, ne più is' iuiroclii dalla tomba Taii- torilrà det^r illuslri trapassali; i fatti e 1' cs[iscrionxa ' as- sai più clic le astratte teorie debhon regolare gì', iiite-. ressi particolari delle nazioni. , ; : . Noi non cogliamo tariffe opprimenti la nostra terra, donde dee scaturire la nostra principale riccbezza, bensì iiii])loriamo tariflii respingenti quei generi, i quali, colla l(n-o sfrenata introduzione, avuto riguardo allo stato iio- stro, annienterebbero le industrie del suolo e della lilano:. quindi indiretti, e non diretti da;!,i; anzi è mestieri, cbe come vbngan ►quelli accresciuti, , questi si diminuiscano quanto più si possano, se i si vuole la prosperità e la felicità vera del popolo. , ,,. .',: Io credo eie le Jotlrine, da me oggi apcrtaraen*e sostenute, venga n poste nella terza fose del colbertismo ideata dal Romagnosi. A me però seuìbrano più meta- (isicbe che veie le divisioni che del sistema di Colbort volle fare r italiano filosofo. Il sistema di costui noni si dee presentare sotto diversi aspetti, cb'egli è unico,» ed' è falso, ma false non sono per avventura le dottri-i^ ne, che voglionsi far derivare da quello , e che non hanno» veruna relazione con esso; poiché certamente non e stra^ no veder la verità pullulare alla radice dell'errore. Gol- bcrt venne fondando il suo sistema con dare, nell'ordine economico, il primo rango, e quasi esclusivo, alle mani- folture, proteggendo in conseguenza le arti e i mestieri, in svantaggio deiragvicoltm'a^nxenlre questi non dovrebbero' essere se non clie il mezzo di opeiarc la materia pti4 ma in favor dell'agricoltura che la produce. Quindi voler fondare le industrie manilàlliici per sostenere r agricoltura, e chiamarla in soccorso di quelle, favo- reggiando con tutti i mezzi, e nell'ugual guisa, l' una e le altre, immedesimandole quasi insieme, e liputau- dole ambedue fonti della ricchezza e della potenza delle nazioni, non è far rivivere il colbcrliano sistema, sotto una seconda o una terza fase; ma sibbcne proccurarc, 55 senza ideologiche astrazioDÌ, il bene reale degli uomini i Colbert moltiplicò per ogni dove della Francia le ordi- nanze, i regolamenti, le leggi proibitive, i privilegi esclusivi, i monopoli, ed introdusse quella regola d'or- dine minuta, e, come diccvasi, tirannica , in tutte le branche dell' amministrazione, che è tanto nocevole al progresso dell' industria. Noi certamente siam nemici quanto il Romagnosi e più di lui di tutte queste pub- bliche vessazioni; che il nostro sistema proibitivo non è lo assoluto, non è l'esclusivo, none quello che guida arricchirsi uno stato introducendo oro ed aj£gento,noa è il nemico degli uomini, non è l'invido delle nazioni, ma è bensì il figlio primogenito della ragione del secolo. Colbert però ne' suoi errori medesimi fu creatore di un concetto, che aprì gli occhi al suo paese, e scosse le nazioni della terra. Sotto il suo ministero prese ogni cosa una faccia no- vella; eravi un moto, una vita, una circolazione sì rapi- da, che formava la meraviglia universale. Golbcrt aveva fatto conoscere alla Francia, immersa in un baratro di angosce, e senza industria, senza commercio, con un de- Jicit enorme, e con novanta milioni di tasse che annu- almente gravitavan sul popolo, povero ed oppresso, la necessità di divenir anch' essa manifattrice, liberandosi finalmente dai pesanti tributi, che per tutti i suoi bi- sogni pagava allo straniero ; e partecipando così ai be- nefici dell' industria che in Inghilterra, in Olanda, in Venezia, in Genova, nel Levante, e in qualche città della Fiandra e dell' Alemagna era solo riconcentrata (i). Difatti la Francia così facendo, mercè il senno del suo Ministro, accrebbe in pochi anni di ventidue milioni le sue entrate, e diminuì d'altrettanto gli annuali pesi(2). Ma se Colbert creando l' industria manilàtluriera aves- se dato vita alla languente agricoltura, la prosperità di (i) Brot. vie. de Col. Diog. des liom. ili. (^) 1. e. 56 quel veglio non avrebbe vacillato, e i risultamenti ma- gnifici clic si ottennero sotto di lui sarebbero stati non passeggieri ma duraturi e gloriósi. Quindi non si sareb- l)e verificata quella straordinaria catena di vicissitudini tremende, clie le sole travagliate finanze della Francia j)rodussero poscia nel mondo. Ci è caro però 1' osservare come le nazioni fatte ac- corte dagli errori passati sieguano omai i veri principi della ricchezza sociale, e ci prestino esempi che le no- stre dottrine xaiforzino. In Quedliròurgo , città della Sassonia prussiana, erasi da. più tempo stabilita da un tal di Hahnawald una fab- brica di manipolazione, e fabbricazione dello zucchero di barbabietole (i); talmentechè la coltivazione di cotal pianta videsi in quelle contrade estendere mirabilmente, e vasti fondi per questa industria sorgere a novella vita. Il vantaggio poi che dalla cennata manifattura si ve- niva traendo era immenso. A noi giova riferire alcune particolarità, che intorno ad essa si aggirano, e che ca- veremo dal medesimo Mornig cronicle che le riporta. Il dott. Zier di Z^rbst avendo venduto al prezzo fisso di cento luigi il segreto di un perfezionamento impor- tantissimo della cennata industria, erasi fissato il pri- mo di ottobre del i836 , per fare nella detta fabbri- ca di Ilalmawald^ ove si era introdotto il nuovo me- todo , un esperimento di questo metodo medesimo : quindi tutti gl'interessati, e più di trenta possidenti e coltivatori della Boemia, della Slesia, della Sassonia, dell' Assia elettorale, e di altre parti dell' Alcmagna vi concorsero, per convincersi co' propri occhi, e col fatto dei positivi vantaggi recati dall' invenzione di Zier. Era questo, bene a ragion si diceva, un congresso di un ge- nere allatto nuovo. L', inventore trovavasi presente an- ch' egli, ed ognun di coloro fu pienamente istruito del- (i) V. Moniiug Croiiiclc. ... ^"7 le varie preparazioni, delle manipolazioni ,. e del mec- canismo della fabbricazione. Dal quale esperimento ri- sultò, che il processo dello Zier presenta nella quantità di zucchero, estratto dalla barbabietola, grandi vantaggi su i processi in uso , e su quello eziandio che si pra- tica in Francia, ove questo ramo d' industria ha fatto coir aiuto della chimica (ed aggiunger si può con un sistema protettore ben inteso) infiniti progressi. Quin- di eran certi che dal novello metodo dovesse nascere la competenza dello zucchero indigeno, con quello delle Indie, piurchè sopra tutto, siccome il Mornig Cronici^ so'iveva, fossero continuati i dazi d' importazione che sullo straniero gravitavano. Dunque in Germania per proteggere la nazionale manifattura dello zucchero si caricarono di forti dazi i zuccheri indiani,, e si face- van voti dalla nazione, perchè questi perduriassero, onde quella nell' interno consumo del prodotto trovasse un sostegno, e a tale stato giungesse da dispregiare il ci- mento dei zucclieri dell' India. La Francia gliene ha prestalo splendido esempio, poiché si è emancipata dal- l' America, e hou ha più bisogno di essa per quell' ira- portante genere. Ella da principio comperò alquanto più cari i zucclieri, pei dazi che s'imposero sopra quelli del- l'altro emisfero; ma in breve le fabbriche nazionali, perchè protette dalla sapienza del Governo, progredirono sì fattamente che la Francia non solo compra già a mi- nor prezzo i zuccheri prodotti dalla sua industria, ma fuori in gran copia ne esporta. Il primo vantaggio che ha ottenuto (indipendentemente delle nuove fonti di ricchez- za che ha create, e dei nuovi valori che immette, e del^ le braccia che impiega in un travaglio produttivo ) egli si è che per qualunque evento si vengano a, sospendere le relazioni coli' America, ella sen riderà; e l' immensa massa degl'innocenti consumatori non risentiranno ve- run nocumento da una rottura,, che la politica i^, hiri sogno la necessità pptran ,far^ \;m|icai"c. [iU ■..■■' ■■■■. .>;ji)r>-](| fiilfi QìnsÀà A 58 Ecco come pensano tutte le civili nazioni, e come -vengono questi esempi luminosi in soccorso delle nostre parole e de' nostri voti. Or noi considerando sotto tutti i lati le grandi nazioni ci siamo sempre più confermati nell' idea che i mezzi di produzione crescono in ragione dei progressi della coltura intellettuale. Non vi ha a dì nostri nessuno che mirando in Sicilia la generazione presente, piena del nobile desiderio di migliorare la sua condizione, ed il moto la vita la brama ardentissima di sapere che in lutti regna, non dica, con dolcissimo contento, che que- sta terra sì malmenata nelle passate dominazioni, ha già sentito il gagliardo stimolo di spogliarsi dell' antica fuggine, e di mettersi a livello degli altri stati. Or questo movimento ascendente verso la civiltà non è in Sicilia che r opera solo della natura; ma rielle civili comunanze quest'opera maravigliosa può essere dalla forza dell' uomo arrestata e spenta. Quindi fra noi osservasi ii fenomeno che i mezzi di produzione non crescono in ragione dei progressi dell' intelletto: e se penetrar si volesse nella causa di questo fatto vedrebbesi che i po- tenti ostacoli), i quali si son messi all'avanzamento della nostra industria, e la legge del cabotaggio, tal quale noi l'abbiamo, opprimono i nostri desideri, appena na- scono, e annullano i nostri sforzi. Se questi ostacoli la- grimevoli si allontanassero sparirebbe il deplorato feno- naenoj ie noi vedremmo progredire la nostra industria in j-agione della cultura nostra intellettuale, e la ve- dremmo raggiungere (tanta fiducia abbiamo in noi stessi) i progressi della civiltà europea. I popoli non altro in- vocano che protezioni e sicurezza; ed bau d' uopo per progredire dell'una e dell'altra. Laonde noi reclamia- mo, {)erchè la Maestà del Re, padre di questi popoli, guardi con occhio sempre più benigno questa povera te?ri-a!, e porga pietoso orecchio alle sue dimande. La- sciamo dunque all'astratto economista i sistemi esclusivi, e venghiamo alla pratica. 59 Noi abbiami presente che un libero cabotaggio asso- luto, una libera introduzione, ed un libero; smercio in Napoli dei piodotti del suolo, siciliano rovescerebbe in grau parte il sistema finanziero di cjue' reali domini, ove le privative di prodotti di vistoso e generale con- sumo arricchiscono di fojti introiti la parte attiva del loro stato discusso. Sicché conoscendo ., . scevri di pas- sione, l' immensa diflicoltà. di ottenere nel inomento at- t-uale r istituzione del liberiO cabotaggio,, vero e senza follnciey Tògliamo estendere le nostre dimànde a cos^ accettabili 1 ed eseguibili. Questo felice- sistema di finan« za, sistema di fraterna reciprocità, jjòtrà essere il frutto delle patilrne cure del Re, che potrà col tempo pren« dere dòUe misure, che assicurino la finanza, napolitana di; altri introiti^ onde coprire il vuoto che vi produrr! rebbe l'introduzione del sistema del libeix)'cabolaggioi,peit la, mancanza dei ricchi introiti j die. risultano,, siccóme dicemmo^, dalle forti privative colà esislentii ■, - i ■'( - La, voce della verità reclama perla Sicilia, ,:è gU alti bisogni di questi domini non possono non penetrare il cuòre, del Monarca, padre ben€fico di ambidue i popoli soggetti; uguaglianza di. vantaggi, reciprocità ai danniif ecco ciò che sarebbe utile ai loro veri interessi, e ch«! è ordinato da ogni principio di santa ed imparziale giù-; stizia* Imperciocché toglierebbe dagli animi ogni ranri core, gli affratellerebbe tutti, e un solo stciidardo dal cuore di ogni Siciliano s' innalzerebbe, quello della conti cardia, della pace, della gratitudine. Per la q udì cosa; non potendo avere la Sicilia un libero ma assolutamente libero cabotaggio, ognun vede quanto sia equo il di- mandare dalla sovrana clemenza che venga abolito. Im*- percioccliè un sistema daziario fra i due domini, cui natura ha dal mare disgiunti, ben ponderato, e fondato sopra un'assoluta precisa e vera reciprocità, aiutando le industrie dell' isold, darà un mezzo, collo scambio tlt'i prodotti e delle mauitktiure, almeno) pel risultanicnto 9» . . . , pecuniario dei dazi, di abolire altri dazi, i quali sono di enorme peso all' uno e all'altro stato. Ma se questo sistema daziario non potesse, per qua- lunque siasi causa, colpire nelle paterne vedute dell'ot- timo nostro Principe, noi non possiam l'are a meno di trincerarci nell' inchiesta della modificazione, la sola che ne rimane, e che non può non esser accolta da un Mo- narca, che ha tanto in cuore la prosperità di questa terra. Perciocché dovendo al presente esistere fra Na- poli e Sicilia ^il cabotaggio; ed essendo questo soggetto a molti^lici eccezioni in favore tutte dei domini conti* nentalii, siccome abbiam veduto, giustizia vuole, che si accordino a quei di Sicilia delle eccezioni in lor favore eziandio, acciocché venga in equo modo controbilanciato il gravissimo danno, che loro risulta dalle eccezioni ia fa vpre dei* continentali domini. Diceva io sopra che la libera immissione colà di tutte le cose nostro avrebbe in parte risarcito Sicilia dallo aiolo 'delle napoli tane manifatture, die la fertilità del- ie sue' terreni la svariata copia dei suoi prodotti a- vrebbe potuto' forse causare, senza maucar mai di le- na, questo risultamento. Ma non potendosi ottenere, per le addotte ragioni, la reclamata giustizia, Sicilia non potrà cei'taniento rinunziare ai dritti di divenire mani- faltrice in mezzo a tanto moto europeo, a tanti biso- gni, e in tempi sì diversi dagli antichi: quindi implora uu' incoraggiamento, che deesi per tutti i titoli alle sue manifatture o nascenti, o che dovransi far nascere con assicurarlesi lo spaccio, per via de' consumatori, cioè méttendola nel caso di poter afirontare la concorrenza di quelle di Napoli, mercé di un dazio, che su talune di esse potrebbesi imporre, onde portare un equilibrio nelle spese di produzione: poiché in Sicilia , per 1' in- fanzia di tutte le industrie, sono esse di gran lunga maggiori di quelle dei domini del continente; e perciò nella concorrenza non possono non soffrire, e rimaner 6i vinte. Dunque mancando alla Sicilia il gran vantaggio del libero scambio dei suoi indigeni prorlotti è ben giu- sto eh' ella dia il cennato incoraggiamento alle sue in- dustrie manifatturiere , e che dalla somma di alcune gravezze sulle adulte napolitano manifatture, ritragga dei mezzi per 1' attivo dello stato discusso di questa reale Tesoreria: cosicché il Governo possa trovarsi nella felice posizione di togliere o di diminuire alcun dazio, particolarmente quello del macino sul consumo rurale, che attualmente inceppa la più ricca delle produzioni del suolo, mettendovi dei forti e pesanti intoppi. Noi dunque restringiamo il nostro voto ad im- plorare , che i seguenti prodotti dell' industria na- politana paghino all' immissione in Sicilia non quan-- to quelli che da straniere parti provengono, ma sib- bene alcuni la metà; altri il terzo ; ed altri il quarto o il quinto, ed anche più se pur si voglia. Essi sono: panni e panni-lani di ogni qualità; piloni e piloncini; tessuti di cotone di ogni sorta comprese le telette, le basinelle colorate, i fazzoletti, le nanchine, le fodere di materassi, il peparello ossia torino di cotone; tessuti di lana di ogni specie; tessuti di filo e canape compresa r olona e 1' olonelta; lavori di lana e di cotone; mante e cammiciuole di lana; cretaglie e faenza, mattoni ed ogni altro lavoro di creta; vetri e cristalli; carta; e crenior di tartaro. Quindi noi le dimande novellamente riepilogando, e le annunciate idee riassumendo, concliiudiamo, che vo- lendosi proseguire nell' istituzione del cabotaggio, egli debba esser libero liberissimo, senza eccezioni di veru- na sorta; ma non potendosi conseguire, ne imploriamo r abolizione completa, come il più nobile favore che potessimo dalla suprema possanza ottenere; ma se in ciò la saviezza del Governo dubln avesse pure, allora si assoggetti il cabotaggio alle richieste eccezioni, onde introdurre un vero sistema di giusta reciprocità, senza di cui la siciliana industria sarà sempre bambina, e la 6a iiiiscria oppiinierà eoa forte pondo il popolo, clic inva- no diniautlerà lavoro e pane. PARTE TERZA : Esame del libro intitolato : del Cabotaggio fra le y.W Due Sicilie. — Napoli dalla tipografia Jlautina i836. W era e sublime sentenza fu quella annunziata da Kant, che Iddio ha creato il tribunale della ragione umana, aftinché le cose e le idee vi compariscano e vi sieno giudicate. E sebbene a più alti fini tenda quel profon- do concetto, pure vi ricorro con lieto viso, ed in so- stegno del mio attuale bisogno lo invoco. Ne si dorrà certo r anonimo autore che avendo egli, a modo suo, le cose che risgnardano la mia patria interpetralc, ed alcuna fiata travolte, io venga a presentarle senza or- pelli, e a rimettere sul giusto sentiero coloro che lo smarrirono. L' obbietto principale del lavoro napolitano h di ec- citar le meraviglie, che sarebbero giuste se ne fosse vera la causa , perchè sendo Sicilia e Napoli , siccome ivi si asserisce, un unico stato, e da unico popolo abitati, si possan da parte di questo medesimo popolo far voti, acciocché vincoli allo scambio delle loro derrate si met- tessero, e con odiosi dazi l' interno commercio d(!l paese s' inceppasse. Certamente se fede si prestasse ad un' as- serzione di tal fatta, la povera Siciba avrebbe, per col- mo dei mali suoi, la taccia, ed a ragione, di pazza o di barbara, e rei noi stessi compariremmo innanzi le nazioni. Ma fortunatamente non va così la bisogna; e Sicilia che formava già un regno a sé luminoso e po- tente, avvegnacliè non sia più ncll' antica condizione, tuttavia dai Monarchi che 1' han dominata, le si sono conservati e benefit! e privilegi, di cui è gita per se- 63. coli fastosa; v. noi abbiam veduto eh' ella negli attuali tempi è ben lontana, pei provvedimenti dell' augusta avo del magnanimo Monarca che ci regge, di esser na- politano mancipio. Dunque 1' opinione dell' autore, che è cardinale, e su di cui volge tutto il suo ragionamento, e le conseguen- ze che ne deriva, e che tornano del tutto assurde, senza quel principio, porla che gran parte del suo libro, per tal riguardo, cade a terra e si annulla. Imperciocché 1' interno commercio della Sicilia non è quello che si fa tra Napoli e gli Abruzzi, la Capitanata, la Puglia, le Calabrie, e le altre provincie dei domini continen- tali; ma sibbene il traffico che fra i paesi tutti dell' Isola si esercita: il quale è libero nella massima parte; e si fan sempre voti, onde l'interna industria da ogni mi- nimo ceppo venga sciolta; e le mete, le corporazioni, i privilegi, che in taluni paesi dell'Isola son tuttavia in vigore, e che in altri si vorrebbero novellamente in- trodurre fossero del tutto eliminati. L' autore per mostrare che il nostro paese da se solo non vale, ne mai è valso alcun che, invoca 1' autorità del catanese Vincenzo Gagliani, autore di alcuni discorsi sopra il dritto pubblico di Sicilia: opera di nessun mo- mento, dalla ragione e dalla storia dannata, morta na- scendo, perchè falsa nei principi, bugiarda nello scopo, e che da nissuno che non sia o nemico di Sicilia, o grossamente ignaro delle patrie condizioni si ricorda. Il Gagliani fra le mille bestemmie storiche e logiche nella seguente maniera vuol togliere a Sicilia il più bei vanto eh' ella si abbia avuto e si possa avere: la bre- ve esiejisione del di lei territorio ( egli dice) e le cir- costanze, se TìMncando /' equilibrio greco e i greci legami di connessione, la ridussero nelle mani dei pia potenti nel mondo antico, non potevano mai per- metterle, nel pili recente ordine delle cose dì valere per so stessa. ^4 . Io non so primicramenle come si possa da un uomo che conosce la storia delle vetuste nazioni far le me- raviglie che Sicilia nel mondo antico sia stala ridotta nelle mani dei più potenti. Perciocché i Romani che son quelli, a cui allude il catanese scrittore, furono i con- quistatori della terra, e pria che avessero domata Si- cilia avevan messo i ceppi agli Etruschi, agli Ernici, agli Equi, ai Volsci,ai Sanniti, agli Umbri, ai Lucani, ai Bruzi, ai Piceni, e a tutti gli altri popoli d' Italia, cli'eran belli- geri e forti; già era succeduta la prima gueria punica, e le genti miravano attonite la tremenda lotta, che dovea deci- dere del destino del mondo. E pure Sicilia malgrado della breve estensione del suo territorio resistette gloriosamen- te al romano potere, come aveva già battuta la greca e la cartaginese baldanza. E se cadde sotto il dominio di Roma non è da citarsi da uom di senno, come fatto inglorioso per essa. Anzi questo medesimo avvenimento torna a sua grandissima gloria, che le armate romane furon parecchie volte arse e distrutte, e Roma, quasi sbigottita del valore di Sicilia, la distinse e la privile- giò su tutte dichiarandola, in mezzo a tanti imperi ca- duti, prima romana provincia : onore solennissimo, e classico nella vetusta storia. Il dritto pubblico di Sicilia è il più splendido di qualunque vantar possa ogni altro impero di Europa; e non so come un uomo di tanta vaglia, qual è 1' au- tore del libro che stiamo esaminando, abbia voluto, rammemorando il dritto pubblico siciliano, attenersi al- le vane parole di un Gagliani. Il dritto pubblico no- stro si appiende dalla nostra ricca diplomatica, e dalla nostra storia civile; ei si apprende nelle immorUili pa- gine (.lei Gregorio, che nobilmente e sapientemente ne ragionò, É omai verità lucida come il Sole, non bisognevole di prove, perchè alle medesime dimostrazioni superiore, che Sicilia [)rovincia Cu sempre povera ed infelice, e vi- 65 ceversa: fu felice nell' epoca greca, ncU' araba dopo Assan, nella normanna, nella sveva, nell'aragonese: in- felice nella romana, nella bizantina, nella castigUana, neir austriaca, nella spagnuola. Sicilia ebbe, dopo la fondazione della sua indipen- dente Monarchia, in mezzo ai politici cangiamenti cui col variar dei secoli soggiacfjue, ed ai mali che fero- cemente da quest' ultima dominazione più che da ogni altra su di lei si accumularono, conservati e rispettati sempi'e i suoi privilegi. Quindi ebbe un Sovrano rap- presentato da un vice-re, un Parlamento formato dai tre bracci dello stato baronale chiesastico e demania- le, che sulla disciplina giudiziaria, suU' agricoltura, sul commercio, sul costume pubblico estendeva il suo po- tere: egli avea il grande e solenne dritto d' imporre tributi, che di nessuna specie imporre se ne potcano , senza che da lui l'imposizione non si facessse. Ebbe pa- rimente una Deputazione, così nominata del Regno, eletta dal Parlamento medesimo, che le rendile pubbliche am- ministrava, e i dritti della nazione difendeva. Il quale stato di cose magnifico, durò fino a Carlo III. Borbone, ed a Ferdinando suo figbuolo, che nei due regni di Napoli e Sicilia gli succedette. Ma dopo le guerre napoleoniche, riacquistato Re Ferdinando il sxio regno della penisola, fece quei cangiamenti che noi no- tammo là dove ci demmo a ragionare dell' atto sovra- no del 1816. Riandare la storia, ricordare le bolle i diplomi i co- dici, citare tutti quegli scrittori, che infiniti sono e di gran grido, per mostrare che Sicilia non fu mai con- giunta a Napoli, e che ella sola ebbe pria di tutti di- gnità di reame, e divenne del Monarca sede, e che per lo contrario fu ducato Puglia e principato Capua, è !{ fare opera infinita e quasi perduta, perchè manifesta aj mondo. Ne noi diciamo , come taluni han detto , ch^ quelle Provincie continentab da Sicilia dipendessero. Uu 5 e6 ^ perciocché la storia come quella verità ci palesa, che più in dubbio da uom di senno non si revoca, così e' insegna del pari, che sebbene le cennate provi ncic di terraferma fossero slate soggette ali© scettro dello stesso Principe, pure si amministravan da Sicilia divise. Il dir poi eh' elle presero il titolo di regno quando Carlo d'Angiò, cacciato dalla siciliana vendetta, e in quei luo- ghi, con vituperio delle sue armi, confinato, stabilì suo seggio in Napoli, e a regno, perduta ogni speranza di ricuperar Sicilia, le innalzò, è il dir cosa che tutti san- no, e che si può nasconder solo da quelli i quali vinti da feroce passione son usi a trabalzare di errore in er- rore, e ad innalzare alla menzogna un tempio. Io temo che queste cose forte dispiacciano ai così detti Italici') a coloro cioè che furiosamente per V itàlica unità parteggiano. Però egli è doloroso il vedere questo nostro infelice paese colpito non solo da quelli che han- no il falso interesse di cancellar Sicilia, se possibil fosse, dalla geografica carta, per accrescere il numero delle inutili Provincie di un regno; ma ben anco da coloro i quali non penetrando mai nel midollo delle cose si gittano alla scapestrata in tutto che abbaglia, e sorpren- de lo spirito. Noi ci dichiariamo avversi all' unità ila- liana. Italia per la sua felicità non dee nò può avere un sol centro di Governo, e se l' avesse sarebbe con- tinuamente scissa, e ritornerebbe tosto all' antico stato. Napoli non vorria perdere la sua sj)leudida primazia, ed esser confuso colla Lombardia o col Piemonte; il Ro- mano non condiscenderebbe mai ad essere annullalo, per divenire mancipio del Piemontese o del Lombardo; il Toscano non vorrebbe, per nessun conto, essere unito al Napolitano; e tutte le italiche provincie che hanno proprie leggi, e propri costumi, e sono avvezze ad avere una rappresentanza propria, ed un centro, seggio ma- gnifico di sapienza, d' onde tanta luce di verità si è in ogni secolo emanala, non condisccndeiebbcro mai a spo- / 67 gliarsi dei vetusti tlritti, a perdere 1' antica fisonoiiiia, a vedere ofi'uscata la loro primiera splendidezza, per confondersi insieme, ed aimullarsi nel tutto. Or se grave e dura cosa ci è stata il parlare degli utopisti economici, certamente cosa durissima e di enor- me peso ci sarebbe il parlare degli utopisti politici. Si dolgono gì' Italici che noi vogliara fomentare la disunione delle varie parti di quel gran corpo, ed in- vece di agognare che si vadan mano mano i varii Sta- ti congiungeado!, he vorremmo la scambievole indi- pendenza mantenere. Sì cisrtamente; che noi non- siamo avvezzi ad ismarrirci in platoniche fantasie: .voglianio che si studii 1' uomo, e si cerchi la cofea per- esso qual egli è. Le belle visioni spariscono^ e con esse fugge il tempo; e le generazioni si estinguono col dolore di non aver fatto nulla di reale al mondo, per esstirsi perdute ad escogitare pensieri, che sono come le bolle di sapo- ne delle infantili creature: ecco i tempi! ; si muore oggi di bolla in bolla trapassando. •' V <; Ma il mio; assunto mi vieta di andarmi più oltre in sì fatta materia aggirando; che se ciò non fosse mostrerei quello che sarebbe veramente utile all' Italia; per rin- tuzzare al bisogno la prepotenza straniera; custodire sempre gelosa la dignità dell' antico suo nome; domare le civili e truci fazioni che inutilmente la lacerano e la scompigliano; e mantenere la interna tranquillità, la sola che può render glorioso questo eterno paese, e sì grande nel pensiero da trionfar dei più potenti. L' unità italiana dunque, a parer mio, è vana chimera e stolta. Si studii r uomo e il popolo, e il popolo e*!' uomo essi stessi il diranno. Ed io son sicuro che se havvi taluno che di buona fede cotai principi sostenga, volontaiio deporrà quei movimenti subiti e inconsiderati ai quali è sospinto contro questa povera Sicilia, perchè implora dal suo JMouarca che le sia conservata la sua civile esi- stenza. 6S Or dopo di aver politicamenle risposto alle cose die l'anonimo autore della cennata memoria mise innanzi su tal punto; poiché del dritto pubblico siciliano volle i suoi ragionamenti fiancheggiare; e dopo di aver nel medesimo tempo, questa occasione cogliendo, risposto ai ciechi fau- tori dell' italiana unità, che contro Sicilia pei suoi voti ferocemente si scagliano, discenderò a confutare ad una ad una le ragioni con che Tautore napolitano ha difeso le eccezioni, delle quali ho già nella prima parte distesa- mente ragionato, e che furono nella legge del cabotag- gio ia favor dei domini continentali istituite. Io lo se- guirò passo passo, e finirò com' ei finisce. Primieramente si suppone da costui che Sicilia sia stata quella che abbia reclamato il libero cabotaggio con i domini napolitani. Se vera fosse una tal sentenza, Sicilia sarebbe in contraddizione con se medesima, e si coprirebbe di vergogna. Ma io dimanderei da quali ra- gioni potea esser ella sospinta a fare un' inchiesta di tal natura ? E quali atti adduce il nostro autore jwr provare quel che asserisce? Ci additi quindi gli sentii che si pubblicarono , i voti che si fecero dai Consigli provinciali, le istanze che vennero avanzate dai Decu- rionati per ottenere cotesta sognata libertà. Sicilia non altro chiedea se non che libero fosse il commercio Ira i suoi vari paesi, e che libera fosse la estrazione dei suoi prodotti indigeni; ma non pensò mai che libere si rendessero le sue comunicazioni colla penisola : anzi ella facea voti contrari, e desiderava un sistema dazia- rio più sensibile, onde vita acquistassero le sue nazio- nali manifltlure. E se 1' autore in sostegno di quella sua immaginosa e gratuita asserzione mi cita un brano di lettera del marchese Ferreri ministro siciliano al ca- valicr De' Medici ministro napolitano, in cui il primo confessa al secondo di conoscere /' utile grande dei pri- vati ìwl cabotaggio j ira i quali, egli dicea, compren- do la mia casa per le sue produzioni di vino olio e 69 cereali^ ugnun veJe die ciò non importa nulla alla pre- sente disamina, e che la Sicilia ignorava quel che il Ferreri pensasse e scrivesse, e che ella non potea cer- tamente parlare per la bocca di lui. E se vogliamo es- sere più miti diremo che da un brano isolato di una lettera privata, senz' aver presente tutto che alla mede- sima si connette, non si può trarre nessuno argomento sulle opinioni di chi la scrisse; tanto più che quel bra- no finisce con dire ma qui parla il ministro delle Ji~ nanze, il quale non può tradire il proprio sentimento. Dunque non sappiamo qual sia stato il sentimento di lui, e quali idee egli si avesse delle cose che intorno a Sicilia si progettavano dal napolitano ministero. Ma d'altronde qualunque si fossero state le di lui opinioni non bastano elle certamente per provare che tutta Sicilia co- me lui opinasse, e che il ministro non si fosse potuto ingannare. Quello che mi fa gran meraviglia si è che mentre il Ferreri desiderava, come privato, il libero cabotaggio fra Napoli e Sicilia, onde poter colà immet- ter liberamente i suoi olì, in Napoli la coltura dell'oli- vo, come dice 1' autore, è in sì ottimo stato da poter r olio sostenere un forte dazio nell' estrazione. Avean dunque bisogno i Napolitani dell' olio del Ferreri? E questo era 1' utile che veniva alla Sicilia dall' isti- tuzione del libero cabotaggio ? poter immettere in un paese un genere eh' egli non chiede , perchè ne so- vrabbonda? Vedi illusione! Il dir poi, come 1' anonimo dice, che la coltura dell' ulivo è in Sicilia nascente, qualunque sia la causa che a ciò dir 1' abbia mosso, è tal cosa certamente falsa, e nociva al siciliano commer- cio. Imperciocché l' olio è una delle nostre più antiche più ricche e più abbondanti produzioni. Per la qual cosa non è da tener nessun conto di ciò che taluni al- tri abbian potuto pensare intorno ai veri interessi eco- nomici e commerciali del nostro paese, e all' opinione dei quali 1' anonimo autore si appoggia. Imperciocché 7^ strana cosa ella ìb il tìire clie la Sicilia non dovca ri- volgere alcun pensiero alle nazionali manifalture, perchè stabilimenti di manifatture non avca.L'esame,a parer mio, doveva esser tutt' altro; e certo più grave più filosofi- co e più fondamentale, cioè se nel secolo XIX, secolo clic si presenta sotto un aspetto tutto nuovo nella storia delle umane sorti, conveniva che la Sicilia manifattu- riera divenisse. È adunque indubitato che i Siciliani non mai prete- sero r istituzione del libero cabotaggio, ne mai oppo- sero vcrun principio di eccezione contro 1' unità della tariffa, che voleasi dal Governo napolitano fra gli uni e gli altri domini stabilire; e quindi il napolitano Go- verno, il quale, siccome dice 1' anonimo autore, in tutti i loro desideri li secondò, non fece che aderire all' opi- nione di uno o di pochi, i quali forse non alla pro- pria, ma all' opinione o alla volontà altrui servivano. Quindi ben si vede quanto sia ingiusto il dire, sicco- me r autore dice, che il gravar con dazi di estrazione. Onde non uscir fuori dai domini continentali, le fecce e ceneri di tartaro, i cotoni in istoppa o in iscorza, le galle, la robbia in radice o in polvere, e gli stracci bianchi o colorati (in un momento in cui si proclama- va la scambievole circolazione di tutti i prodotti dei due domini) mentre tendeva a favorire le cartiere, le tintorie e le manifatture della penisola, mirava nel me- desimo tempo a secondare il desiderio dei Siciliani, i quali avevano dichiaiato di essere per loro più utile che quei generi medesimi fossero o esenti, o sottoposti a leggieri dazi per venir favoritala loro cstrarregnazione. Essi, dice r autore, lo vollero, e si fece. Certo a me sembra un bel modo di uscire da ogni quistionc, intrigata che sia, quello di asserire così si è fattOj perchè voi lo avete voluto, senza darsi poscia nessun pensiero di provarlo. Pcrlochc noi ])otreinnio risjMJnderc che la cosa gratuitamente asserita viene fier 7^ dritto negata; e la ragione sarebbe da parte nostra: ma noi abbiam fatto vedere che Sicilia non diceva nulla, e non sapeva nulla di quel che si facesse su i conti suoi; ed abbiamo altresì dimostrato quanto sia stato erroneo il pensiere di coloro che pretesero non doversi proteg- gere iu Sicilia le manifatture, perchè manifatture non vi erano. Ma queste cose pure sono interamente fuor di luogo, che la quistione oggi è del tutto diversa; e certo sor- prende il vedere che 1' autore ci abbia a questi minuti esami chiamato: poiché sia che i Siciliani vollero o non vollero, sia che ignorassero ciò che si facesse, sia che coloro r opinione pubblica trasmutassero, ciò non im- porta gran fatto , poiché trattasi di conoscere quel che al presente produce vero e reale vantaggio alla Sicilia, e che giustizia vuol che si faccia per la prosperità di que- sti popoli. Le leggi si formano, ma elle non possono essere eterne; il tempo e 1' esperienza le fanno rettifi- care o correggere. Qual maraviglia dunque che si ven- ga oggi a chiedere che la legge del cabotaggio sia cor- retta ? Ma quanto ciò sia necessario , e come sia re- clamato dalla giustizia lo mostreremo con fatti inelutta- bili. L' autore asserisce primieramente che avendo Sicilia voluto esportare quasi senza dazio i suoi stracci, perchè i bianchi non pagano fra noi che go baiocchi a quin- tale, ed i neri baiocchi 34, mentre Napoli paga pei primi ducati 8, e pei secondi ducati 3, si è dal Go- verno napolitano reputata necessaria cosa il fare, per que- sti medesimi generi, eccezione al libero cabotaggio, ira- ponendo lo stesso dazio di esportazione di ducati 8 e ducati 3 su i cenci che da Napoli si sarebbero per que- sta parte indirizzati; acciocché iu tal guisa si evitasse che i cenci napolitani non andassero per via di Sicilia allo straniero colla semplice gravezza di 34 bajocchi e di 90, Questo timore non doveva aver luogo, perchè Sicilia va in traccia di buoni stracci, dei quali penuria per r uso delle sue cartiere , cliè a lei non conviene vendere i cenci, sil)bcue la carta; poicliè in tal modo solamente jniò accrescere i suoi guadagni, e crearsi un benelicio sempre crescente: quindi giustizia volea che venissero gravati dello slesso dazio tanto i napolitani quanto i siciliani stracci, onde a-i- vicenda si fossero po- tuti in cabotaggio liberamente esportare, e correre là dove maggiore ne fosse stato il bisogno. Ma essendosi voluta lasciare la difi'erenza del dazio di esportazione, e non volendosi deporre il concepito timore, nasceva, per necessaria conseguenza, che la carta napolitana diesi fosse immessa in questi domini, dovcasi caricare di ini peso, onde equilibrare in qualche modo lo sconcio che a noi veniva da quella eccezione , tendente a colpire le siciliane cartiere che nascevano. Riguardo alle opere di ferro e di ferro filato lavorate in Sicilia bene e saviamente dice l'autore, eh' essendosi neir immissione dei ferri in Napoli, per favoreggiare le miniere nazionali, stabilito un dazio di due. 4 e 5o baioc- chi a quintale, e su di quelli provenienti dal Baltico e dal Mar Nero di un ducato di più; ed in Sicilia jier lo con- trario di soli grani 67 a cantaio, non poteasi permet- tere che i lavori di lierro fabbricati tra noi dovessero godere la franchigia nella penisola. Questa è verità ma- nifestissima cui certamente non contrasteremo, che non è nostro costume contradirc il vero; ma 1' ingiustizia scorgesi chiara, tostochè si va riflettendo che sopra i siciliani lavori di ferro s' impose, immettendosi in Na- poli, il pesantissimo dazio di due. 20 a quintale, lo stesso che già s' impose ai lavori stranieri; mentre non vi si doveva imporre se non che quello di due. 3 e 83 baiocchi; cioè la diflerenza che passa tra il dazio d' im- portazione che pagasi in Napoli su i ferri, e quello che si paga in Sicilia siJgli stessi. E sì fattamente operando si sarebbe stabilito l' equilibrio, e la concorrenza avrebbe 7^ avuto lo stesso peso e la stessa spinta; senza aggiun- gere altresì dalla parte nostra che, attesi i non lievi van- taggi clic ha Napoli colle sue miniere di ferro, qualun- que sia il valore di esso, anche minore avrebbe dovu- to essere il dazio, al quale si sarebbero dovuti sotto- porre i siciliani lavori di quel metallo nell' introduzione colà. Riguardo ai giulebbi siciliani l' autore dice , che fu- ron vietati d' immettersi nella penisola, perchè non pa- gando lo zucchero in Sicilia la sopratassa di due. 8, co- me ivi paga, noi avremmo potuto, per tal ragione, dare quel prodotto a miglior mercato, e vincere nella con- correnza il napolitano. Certamente giusta sarebbe stata la eccezione se la predetta sopratassa fosse stata messa in tutti i luoghi dei domini continentali ; ma .siccome ella fu soltanto stabilita j)el consumo della città di Na- poli e suoi casali; così giustizia volea che i siciliani giu- lebbi dovessero trovar chiuso 1' ingresso nella sola ca- pitale, ed aperto lo sbocco in tutte le altre parti dei continentali domini. Dalle quali cose solamente, se altri infiniti obbietti di duolo non vi fossero, come vi sono, potrebbe scor- gersi con quanta efficacia il Governo napolitano all'epo- ca del 1824 intendesse, colla legge del cabotaggio, alla protezione delle napolitano industrie, e come le siciliane, anche le più tenui, si negligessero in tutte le guise e conculcassero. Rispetto alle regie privative dei sali, delle polveri , e dei tabacchi non esito a rispondere, cominciando dai primi, che le cifre dall' autore indicate, cioè che in Napoli si consumino in ogni anno intorno a ^ì'jS mila cantaia di sali, di cui 11-7 mila sono marini confezio- nati nelle saline di Barletta, 33 mila di monte, estratti dalla miniera di Cungro in Calabria, e laS mila sono sali siciliani, non hanno veruna impronta officiale, per- chè si tengano sicure; tanto più che 1' autore non ac- ^4 cenna la fonte ove le abbia attinte. Dalle medesime as- serzioni di lui si trae poscia un valido argomento , per credere che la Sicilia non somministri con effetto alla regia privativa i laS mille quintali che indicammo ; perciocché potendo Barletta, secondo asserisce Fautore me- desimo, provvedere di sali tutta Europa, nasce che l'am- ministrazione della privati va, come trae da quel punto,così a lei vicino, i 1 17 mila quintali, ne potrebbe trarre con utile proprio e del regno i 34^ mille, necessari alla in- tera consumazione della penisola. Ma sia pur vero che ella ne compri difatti i25 mila dalle trapanesi sali- ne , non havvi alcuno che non dubiti dover quest' u- uico compratore, il quale , servendoci dell' espressione dell' autore, forma un monopolio, dar la legge ai pro- ducitori siciliani sul prezzo da pagare; e qual sorta di legge ognun sei pensi ! tanto più che sta nella compa- gnia dell' amministrazione ricorrere alla Sicilia, poiché non volendo si dirige a Barletta, e il bisogno è tosto soddisfatto. Perlochè noi crediamo eh' ella si rivolge ai Trapanesi, perchè gli sgozza, e a suoi piedi li gitta. Riguardo alle polveri da sparo puossi dir lo stesso relativamente alle cifre che 1' autore e' indica; e poi ag- giungeremo che se lo spaccio delle polveri siciliane che si fabbricano negli stabilimenti di Rammacca e La Bar- bera da quintali 4oo ^^l' ^""O sia ridotto a quintali 34 è ciò avvenuto appunto per la napolitana privativa , e pel monopolio di quella amministrazione. Imperciocché i fabbricatori siciliani non si son potuti suggellare alle angariche e dispotiche condizioni che da quella s' impo- nevano. Quanto ai tabacchi 1' autore ingannasi nel fallo sup- ponendo che i rappali ed i sigari , che si vendono in Sicilia, siano o manifatture straniere , o con straniere foglie lavorati: essendo fuor di dubbio che tulla la massa del })opolo siciliano consuma tabacchi e sigari manifat- turati in Sicilia con foglie siciliane: e l'uso che si fa di tabacclii stranieri dalle prima classi della società è una piccola eccezione alla regola universale. La virginia si- ciliana^ il lecce, ed ìì selvàggio sono indigene piante, e producono stupendi tabacchi; e dall' ultima se ne for- mano varie specie, che sono dal pojwlo assai pregiate, e di un uso comune e generale. Dunque gravissimo è il danno che proviene a Sicilia dal non potere immettere nel regno di Napoli libera- mente, é come e quando meglio le piacesse, quei suoi ricchi e preziosi prodotti. Qui però fa d' uopo che io rilevi non esser lo spi- rito, che annunzia tacitamente 1' autore, parlando delle privative che piombano sul popolo napolitano, ne giu- sto ne generoso. I Napolitani sono gravali di quei pesi, ed i Siciliani non lo sono: vuoisi perciò dedurre la con- seguenza che pesi di gran lunga più enormi, di quelli die noi abbiamo, avessimo? Perchè io dunque ho una piaga che mi molesta, voglio die 1' abbiate anche voi, ovvero che ne abbiate un' altra che sorda sorda vi av- veleni e vi ammazzi ? E questa è carità da fratello ? Noi desideriamo di tutto cuore che la l^cllìssima Napoli non possa più avere quelle gravezze, che le sono dure, e che dalla sapienza sovrana si possa trovar modo, on- de supplire agi' introiti che le regie privative trattano alla finanza della penisola. Napoli situata sul continen- te, con un'aflluitudine copiosa e perenne di stranieri, che le dovizie ne fecondano, ed aumentano la naturale ci- viltà: Napoli con un commercio attivo, e con un'indu- stria grande e generale; con una Borsa piena di vita, con una marina mercantile numerosa, con società ano- nime che ravvivano il traffico in tutta l' estensione dei suoi domini, e che trovansi ognora preste ad impren- dere opere di gran lena; Napoli che avrà in breve stra- de di ferro, come ha vapori, macchine, diligenze; e mu- sei, gabinetti, gallerie; Napoli, con un' armata non pic- ciola, con un corpo diplomatico splendidissimo, con una 7^ Colie che la vivifica sempre, e vi attira popolo e consu- matori di ogni grado; Napoli che ha nel suo seno Pompei ed Ercolauo, può stabilir paragoni? e vi ha Na- politano leale e di buona fede che possa farli?.... Ma ri- tragghiamo l'animo a noi, e da questo noioso pensiero si rimuova. L' autore parlando del doppio dazio di consumo, sta- bilito per la città di Napoli su i vini di Sicilia, vuol dimostrare la giustizia di tal misura rilevando che i vi- ni siciliani sono di maggior forza e di miglior qualità di quei di Napoli, diguisachè una botte di nostro vino vai per due del napolitano. Dal che argomenta che per conservare 1' eguaglianza tra l' uno e l'altro era mestieri che il siciliano pagasse doppio dazio di quello. Mi permetta I' autore che al suo grave giudicio le seguenti considerazioni sottoponga. La coltivazione delle viti nella Sicilia è ben diversa di quella che si fa nei domini della penisola : fra noi basse elle sono, e van sostenute da canuuccie dell'altez- za di quattro a cinque palmi; colà per lo contrario al- tissime sono le viti si che fannosi attorcigliare agli al- beri, e salire fino alle più alte cime. Questa difl'erenza di coltura (la quale per altro è di gr^n lunga più co- stosa in Sicilia che in Napoli non è ) congiunta forse alla diversa qualità dei terreni, fa nascere due contrari eflctli: più aljbondanti vini producono le viti napolilanc di quelle siciliane; ma queste ultime quanto scemano di abbondanza al loro prodotto , tanto gli aggiungono di gusto e di forza. Dal che nasce che in Sicilia i vini patri vanno a più caro prezzo che non in Napoli i vini iiajiolitani. Dilatti in quella città i vini vendonsi nelle cantine a due baiocchi a tre a quatti'o la caralfa ; in Palermo però il più basso prezzo è di sei baiocchi il quartuc- cio, e ve ne ha nelle stesse cantine di nove, di dodici, di diciotto, di ventiquattro. La caralla ed il quartuocio .77 non lianno fra loro die picciola ineguaglianza, e si pos- sono presso a poco riputare dell' istessa misura. Ecco dunque come la differenza della qualità dei vi- ni di Napoli, con quei di Sicilia, è a ribocco compen- sata dalla minor quantità del prodotto, e dalle maggiori spese di coltura; le quali da se sole bastano, senza che si* mestieri di un aumento di dazio, a rendere più caro il vino siciliano di quello napolitano, in guisa da stare am- bidue in concorrenza. Ma auando un doppio dazio si è imposto su i vini sicilLui rimangon questi al di sotto, e son costretti a cedere a quelli, siccome l'esperienza lo lia fatalmente" dimostro, senza bisogno di ulteriori ar- gomentazioni. Per verità duro e noioso subbietto e quello intorno a cui mi aggiro, e duolmi che debba attaccare passo passo le opinioni di uomo valentissimo, cui avrei volu- to, invece di biasimare, lodare; ma io son sicuro, ch'e- gli, di animo nobile, come di mente elevata, ponendo pensiero all' ufficio mio, sarà lieto che io sia disceso a battermi con esso lui, per causa sì bella e sì santa, i Ei loda il provvedimento governativo che innalzò il dazio da ducati otto a dodici su i caci' di Sardegna e di Morea, nella loro immissione in Napoli, solo perchè in tal guisa venivasi a proteggere il consumo dei caci siciliani, che colà in cabotaggio s' immettevano. Certa- mente laudevole fu quella legge; ma ella, dicasi il vero, non tendeva a proteggere la consumazione di quel ge- nere siculo, ma sibbene la napolitana pastorizia. Difàtti la bassa classe del popolo napolitano , che consumava quasi esclusivamente i caci di Sardegna e di Morea , non consuma oggi per certo i caci di vSicilia, che sono costosi, bensì quelli di Napoli che si hanno a minor prezzo, e sono comunissimi. Ognuno oggi il vede , ed il Governo di quel tempo lo vedea: la pastorizia in Na- poli e fiorente, e provvede in copia ai bisogni del po- polo; in Sicilia è avvilita, e giace in abbandono. 7^ iC^rl' argomenta più forte , che ilall' autore si pone avanti, per dimostrare che sendo in Napoli manifattu- re, non sia utile di favorirne lo stabilimento in Sicilia con gravar quelle di dazi uella loro importazione fra noi, si è c!he il primo fondamento all' esistenza degl'in- dustriali stabilimenti, ed al di loro progresso stia uella consumazione dei prodotti; consumazione che Napoli e Sicilia adunili possono appena offerire pel sostegno di mezzane fabbriche, e non mai di grandiose. La fallacia idi tale argomentazione scorgcsi tosto che si ponga mente ad un fatto innegabile, che tanto in Na- poli quantOf in. Sicilia, malgrado dei forti dazi, una nou lieve quantità di straniere manifatture s'immette e si consuma > La qual cosa dee provenire daccliè gli esistenti industriali stabilimenti non sono bastevoli, a provvedere a tutte le ricerche, e che alcuni di loro non son per anco giunti alla perfezione straniera. S' introducano adunque in Sicilia le industrie, di che le civili comunanze più abbisognano, e troveranno esse la prima spinta nel consumo della Sicilia stessa. Solo è toostiertiche si agevoli cotesta introduzione ; cercando di accrescere il' numero dei consumatori, e proccurando che il libero sbocco fra noi delle industrie napolitano Bon ci soffochi, e non annienti i nostri sforzi; fintanto- ché .almeno le siciliane giungano al grado di sostenere la concorrenza di quelle. Noi conveiighiamo con l'autore che non furono i soli dazi che animarono in Napoli,sotto la dominazione fran- cese, l'introduzione delle industrie manifatturiere, ma che altre cause del pari utili vi concorsero, come sono il lus- so di quel tempo, e la sovrana disposizione di vestirsi le truppe con i prodotti delle fabbriche nazionali. j. iMa (jueste cose nou possono affatto produrre la con- seguenza che r autore vuol cavarne, di essere non gio- vx3voli,pcr r introduzione delle manifatture in Sicilia, i vincoli al libero aiizi licenzioso sbocco delle napolitano industrie; mentre in Napoli in quel!' epoca stéssa, sotto il protettorato di Napoleone, con un governo franeese,- che dovea avere interesse, che le francesi' industrie a^ vesserò un'entrata sicura in tutta la penisola italiana y vincoli e forti si misero ad ogni manifattura straniera:' e Francia conquistatrice di Napoli trovava in 'Napoli chiuse le porte alle cose sue. Ma se ciò non si ''fosse fatto la nazione napolilana non sarebbe al presente na-^ zione manifatlrice: ella languirebbe come si "vuoi far languire Sicilia; e la sua medesima agricoltura oggi si fiorente, perchè si è chiamata in sostegno delle indu- strie manifatturiere, sarebbe povera e negletta. Sia dun- que l'autore più giusto, e parli più aperto il vero, on- tlé non si aggravino i mali di un popolo degno di mi^ gliori destini. . •! ' ; ; . Ma egli spinge sì oltre il suo dardo che crede di trarre una evidente dimostrazione dei vantaggi recati alla Sicilia dal libero cabotaggio, stabilito colla legge dei 3o novembre 18245 da certe cifre desunte dall'i al- manacco officiale del Regno, che si pubblica a Napoli,' in cui viensi a notare la popolazione della Sicìliiai 1 if> neir anno i83o di i,68r,933, •■■■ ^l <'''• nel ~ 1834 di 1,893,867, = '' ^i i'd> ^2 e nel — i836 di 1,936, o33. . 1 ;! > Dal che conchiude che questo protligioso accrescimen- to di 254,100 individui, nel corso degli ultimi sei anni, non può in altra maniera concepirsi che nèll' incremento dei mezzi di vita: incremento, che attribuisce unica- mente alla istituzione del cabotaggio, poiché ritiene che fino al 1824 la popolazione siciliana rimase quasi sta- zionaria, e da queir anno fin oggi si è maravigliosa- mente moltiplicata. Noi non possiam fare a meno qui di dolerci coU'au- tore, che trattandosi di un argomento sì delicato e di tanta importanza, qual ò quello degl' interessi di un popolo, che ha diritti ad essere risguarJato con occhio So l)cnlgno tlal suo Monarca, abbia, sciwa maturo consiglio e senza critico esame, prestato fede ad un almanacco, avvegnaché Sii dica officiale, per istabilire quai dati certi delle cifre progressive,. cl»e vanno smentite di pri- mo lancio. , L' idea eh' egli ferma è falsa in tutte parti, ma non ne calerebbe gran fatto, se il principio eh' ei ne trae non fosse ingiusto e crudele per la Sicilia. Perciocché affermando che abbia recato utilità quello che altro non ha prodotto se non che 1' effetto contrario, ne con- seguita che invece di provvedimenti, che con tanto ar- dore stiam reclamando dalla sovrana clemenza, onde si menomassero i nostri .mali, e su miglior sentiero e' in- dii'izzassimo, nei mali slessi più profondamente reste- remmo; e questi peggiorando, e noi di un male in al- tro correndo ci troveremmo in un baratro di angosce , ed impossibilitati a più risorgere. Quindi è da sapere , che secondo la mappa annessa al real decreto sul!' amministrazione- civile degli 1 1 di ottobre 1817, la popolazione di Sicilia si era nel 1798 di 1,048,955 individui. In seguito altra mappa si for- mò per la divisione dei circondari, , congiunta alla leg- ge dei 16 di aprile 18 19, con che furon per l'ordine giudiziario fissati i circondari medesimi: nella qual map- pa la popolazione iti notata per 1,081,983. Sembra però certo die in (|uesta seconda siensi com- messi degli errori, che a colpo d' occhio si scorgono. Nella mappa formata nel 1817 si notò la popolazione di Palermo per t4o,549, e in quella del 181 9, dividen- dosi Palermo in sei circondari, quattro interni , e duo di campagna, la popolazione dei quattro interni circon- dari venne indicata colla suddetta cifra di i4o,549, e quella degli esterni per 32,:^03 , senza avvertire che «juestn numero era d" altronde compreso nella cifra di 140,549 che abbiain cennata. Difatti la dilFerenza che passii tra il totale della popolazione della prima map- pa, e quello della seconda non è clie di 33,o28, clic sono precisamente la rilevata duplicazione con 706 di più, per altre piccole aggiunzioni e modificazioni che nella seconda mappa si fecero. Or l'almanacco da cui l'autore dell'anonimo libro attinse i dati da lui messi a fondamento del suo ragionare, pian- tò come stato della popolazione nel i83o, il totale della popolazione del 1798, secondo la predetta mappa del 1819, cioè di 1,681,983. Quanto sia erroneo cotesto dato non vi è chi noi vegga: perciocché dal 1798 al i83o corsero ben trentadue anni; e volere che nel bre- ve spazio di sei anni, per segreta ed inconcepibile virtù del cabotaggio con Napoli, abbia la Sicilia veduto au- mentare prodigiosamente il suo popolo di duecento cin- quanta quattro mila cento individui, e sia rimasta per- fettamente stazionaria pel corso di un terzo di secolo è cosa troppo badiale, e da non potersi ingozzare da chi ha senso comune. Ma se 1' autore vuole dati dello stato e dei progressi della siciliana popolazione meno erronei ed i più vicini alla realità tenga presente il quadro della popolazione di Sicilia sul fine dell' anno i83i ragguagliata a quella del 1798, compilato nella Direzione centrale della statistica di Sicilia ai ao ago- sto i835, e pubblicato nel Giornale di statistica, i." qualrimcstre del i836; dal quale risulta che il totale della popolazione nel 1798 si era di 1,660,267, e sul fine del i83i di 1,943, 366, con un accrescimento di 283,099, che divisi ai 33 anni che passano dal 98 al 3i vengono alia ragione di 8,578 individui all' anno, oltre il residuo. Il quale aumento, se pur si vuol ve- ro, deesi attribuire non agli anni posteriori al 1824, sibbene a quelli che quest' epoca precessero. Perciocché allora il nostro paese vide, per le vicende di Europa, accresciuto ad un tratto, ed in modo maraviglioso, i mez- zi di sussistenza; e dal 1804 fino al 181 4 vi fu u!ia prosperità costante. Ma siccome ella non era fondata 6 8-i che sopra basi Icgiere ctl efimere, così venne meno al fuggir della causa che la produceva: l'oro della Gran Brettagna fondoUa, e disparendo , ritornammo mano roano a languire, e a perdere i frutti che ci aveva esso lasciati. Novello esempio che mostra non formare il de- naro la vera ricchezza delle nazioni. E che al cennato aumento della popolazione siciliana non abbia affatto partecipato l' ultima epoca infelice, che cotanto splen- dida, per ragion del cabotaggio, ci si vuol decantare, rilovasi chiaramente dall' ultimo dato medesimo della popolazione di Sicilia , indicatoci dal predetto alma- nacco, cioè che nel i836 sia ella arrivata ad i,936,o33 individui. Perciocché in sei anni si avrebbe allora una diminuzione di 7 ,333 anime, che sono la dilferenza che passa tra 1,943, 366 (cifra del i83i) e i,936,o33 (cifra del 1 836), la qual diminuzione verrebbe nel corso dei detti anni sei alla ragione di 1,222 individui all' anno. Ma che la nostra popolazione sia stata fieramente col-- pita, ed invece di fantastici progressi sia, in quel fatale periodo, a non lievi perdite soggiaciuta, si consolida a meraviglia, per un altro calcolo che abbiam fatto, e clic mostra quanto sia stato fuor di via il nostro autore. La Direzione centrale di statistica trovasi di aver compilato eziandio i movimenti della popolazione di Sicilia nel i832 , e quindi noi avendo in tal guisa lo stato di questa sino a quell'epoca, abbiamo un elemento di più per mostrare la fallacia dell'asserzione dell'ano- nimo. Imperciocché nel 1 832 le nascite furono 31,^50 maschi, e 3o,334 femmine, in totale 62,084 indivi- dui. Le morti che avvennero in quel tempo ascesero a 78,387 , cioè 4o,655 maschi, e 37,732 femmine. Dunque la popolazione di Sicilia al fine del i832 era, .senza tener conto delle emigrazioni ed immigrazioni, di 1,927,269 , e quindi minore di quella del i83i di 16.097 unirne. Ecco il vero effclto del cabotaggio! esso diminuendo l' industria cittadina , e facendo venir 8r> meno perciò i mezzi di vita non poteva non pioduire quella funesta conseguenza. Dal che nasce che l'accre- scimento apparente della popolazione dal i833 al i836, (ritenute le suddette due cifre, cioè quella nel principio del i833 ( 1,937,269), secondo il Giornale di stati- stica, e quella del i836 (i,936,o33) secondo l'alma- nacco), non sarebbe allora che di 8764 individui , i quali verrebbero alla ragione di 2,191 all'anno; e che altro non sono se non che la differenza che passa fra la prima e la seconda delle cennate due cifre. E dicevo apparente accrescimento per la ragione che se noi aves- simo la statistica dei movimenti degli anni successivi vedremmo qual novella materia di dolore ci si presen- terebbe innanzi. Imperciocché nel i832 non fuvvi in Sicilia nessuna causa straordinaria di mortalità , clie avesse potuto produrre la cenuata diminuzione; e quin- di essa non derivò che da quella medesima causa, che lenta lenta rode il nostro corpo sociale, e lo spopolereb- be se durasse. Ma posto pure che nei detti quattro anni, cioè dal i833 al i836 inclusive (non essendo- .si ancor compilati i movimenti che in essi fece la po- polazione di Sicilia) sia avvenuto l'indicato aumento di 8,764 indidui, ciò nulla vale certamente, e non vi sarà alcuno sì privo del senno che possa per esso fur le meraviglie, e congratularsi col nostro paese dei suoi progressi. Laonde allontanata non solo, ma distrutta pienamente ed in più guise l'asserzione di lui, risguar- dante il prodigioso accrescimento di popolazione, co- m'egli si espresse, e clie unicamente riconosceva dall'i- stituzione del libero cabotaggio, senza adoperare in ciò nessuna critica e nessun consiglio, come sarebbe stato mestieri, perchè stabiliva un'idea grande e fondamen- tale, crediamo poter senza fallo asserire, che se pur si fosse verificato l'accrescimento da lui voluto, non già in sei anni, che questo, siccome abbiain visto, è un deli- rio, ma sibbcuc in 38, cioè dal 98 al 36; e mettendo 84 pure da parte l'oro della Gran Brettagna y il quale per essere stato passcggiero non dee come origine di pro- sperità di tutto il periodo , di che parliamo , risguar- darsi , non poteva 1' aumento per noi attribuirsi che ad una sola causa, reale indubitata, la vaccinazione. La quale per altro non deesi riputare come fonte, d'onde egli sia proceduto, ma sibbene come ostacolo che ab- bia impedito la diminuzione di quella: poiché altro è vietare (ben mi ricorda di averlo detto altra fiata) che una popolazione decresca o perisca, altro il fare ch'ella si aumenti e divenga fiorente. Le popolazioni lasciate in balìa di se stesse hanno una vita progressiva, e ten- dono naturalmente ad accrescersi. Sono le guerre, le epidemie, la fame, i contagi e gli altri mali di simil fatta che rallentano o distruggono il loro naturale au- mento. La Sicilia e stata in que' periodi esente dai fla- gelli della natura: il vajuolo, ch'era il sol dardo che ci avea colpiti per lunghi anni, vinto finalmente il pre- giudizio, e 1' ostinazione popolare è stato atterrato dalla vaccinazione; la quale venuta in nostro soccorso, ci ha colmato de' suoi benefici, lasciando la nostra popolazio- ne al suo naturale progresso. Se la Sicilia per mezzo dell' industria e del commercio avesse veduto accresce- re i mezzi di sussistenza, la nostra popolazione non avrebbe certamente indicato quel tardo e lieve aumento, prodotto dal suo semplice corso, ma per lo contrario avria raggiunto il prodigioso progresso degli altri stati. Dunque non entra il cabotaggio in questa scena; ed è doloroso il vedere uomini di esimio valore, per soste- nere un paradosso, perdersi in argomentazioni fallaci ed assurde. JNIa r autore non si rimane a questo. Egli ci attacca in altra guisa, e travolge il senso stesso dei prieghi che ab- biamo con tanto fervore spinti al cospetto del Monarca. Il Governo di Sicilia aveva già detto, con molta sa- viezza, esser suo desiderio che temporanei fossero stali 85 i dazi, che imporre si dovessero sulle napolitano ma- nifatture. Dal che il nostro autore prende argomento di asserire, che noi stessi incerti eravamo sul felice ri- sultamento dei nostri reclami, e che essi valevano un desiderio di esperimento: la guai cosa svela (mi varrò di una sua espressione) la fragilità del progetto, e che noi eravamo timidi fautori dei suoi successi. Ma la bisogna è ben diversa. E 1' autore dovea pen- sare che in Sicilia eranvi finalmente uomini che potes- sero e sapessero scoprire il vero, e conoscere e palesare gli errori altrui. Si desideravano e si desiderano dalla sapienza del Governo temporanei vincoli all' immissio- ne in Sicilia delle manifatture di Napoli, sol per pro- vare che non si voleano perpetui, ma sibbene per quel tratto di tempo necessario, acciocché le industrie na- zionali gittassero sicure radici, e giungessero a tal gra- do da sostenere senza timore la concorrenza altrui; on- de poscia, finito il bisogno che li fece implorare, al- l' antico stato si ritornasse. Ecco dunque il vero scopo della temporaneità, sì tradita dall'autore, e presentata da lui sotto una veduta degradante per la Sicilia, e pel suo Governo. Ma non contento di avere attaccata in quel modo la prima idea, discende ad attaccare la seconda, cioè le misure e gì' incitamenti implorati, eh' egli chiama de- boli, piccoli, e che !non possono garantire 1' effetto. Quindi si dà ad affermare che pria che si fosse il li- bero cabotaggio stabilito, esistevano 'presso a poco fra Napoli e Sicilia quelle stesse frazioni di dazi che or s'invocano; e ciò non pertanto s' immettevaii qui da quel paese una gran quantità di panni maggiore di quella che or s' immette in franchigia. La qual cosa prova, a dir suo, che non ostante il tenue dazio che pagavano i napolitani panni all' immissione in Sicilia, languenti eran quivi le fabbriche di quel genere. Dun- que, soggiunge, se allora vane eran quelle misure, inu- "86 tili quei dazi, non possono oggi non produrre 1' istesso cfTctto, ed esser vane le prime, inutili i secondi. Il che, secondo egli pensa, manifestamente apparisce dalla testimonianza del Galanti nel bilancio del com- mercio del Regno, fatto da costui per ordine del Re nel i'7'yi; d'onde si rileva die Napoli spediva in Sicilia circa ventimila pezze dei suoi rozzi panni. Or questo documento riputato dall' autore bellissimo, e adatto al suo assunto non è da addursi nella presente disamina, uè d^a valutarsi da noi per verun conto. Primieramente da esso non si ricava se non la estra- zione della quantità dei panni fatta dai domini del con- tinente, ma non mai eli' ella nella massima parte, co- me dice r autore, siasi immessa in Sicilia. Secondo, clie nel 1771 la civile classe della società non vestiva fra noi clie drappi di seta e di velluto di diversa fat- tura, giusta le diverse stagioni: e dei rozzi panni, quali cran quei delle fabbriche napolitane si vestivan solo i popolani. In terzo luogo, che sendo essi bastcvoli pel cennato consumo, avveniva che da più lontani paesi non se ne spedivano. Perciocché non immettendo gli stra- nieri panni fini, per non trovar qui consumatori, loro non conveniva di portare i rozzi, per non poter soste- nere la concorrenza dei napolitani; i quali, essendo a noi più vicini, avevano minori spese di trasporto, e po- tevano a miglior mercato spacciarli. Dunque non può di buona fede l'autore parlar di do- cumenti che riferisconsi al 1771, per cavarne argomen- ti e prove in questo secolo, e nella presente epoca, in cui le condizioni dei popoli sono ben diverse, siccome sopra abbiam pienamente e largamente dimostrato. La Sicilia non aveva in quel tempo fabbriche di panni, perchè i suoi bisogni non portavano a formarne, nò conveniva ai suoi interessi fondare stabilimenti di un genere non ricercato: e se ella avesse voluto rivolgere le cure alle fabbriche di rozzi e grossolani panni, co- ^7 m' erano i napolitani, avrebbe potuto, senza molti in- coraggiamenti, crearle: che per ciò non si richieggono vasti stabilimenti, nù intelligenti operai, ne grandi ca- pitali produttivi; e per la materia prima non era me- stieri di ricorrere agli strani, ma trova vasi presso noi, ed iu copia; che di una pastorizia grossolana a quei tempi non mancavamo. Ma riputandosi ciò a quell'e- poca, per la condizione delle costumanze, un obbietto di poco conto, non eravi alcuno che vi rivolgesse a pie fermo il pensiero. Dunque il non essersi allora intro- dotte fabbriche di panni, malgrado tanta facilità di co- se, era bastevole ragione, perchè l'autore fosse stato più accorto nel tirare le sue conseguenze , e stabilire i suoi principi. Il lusso adunque di quell'età, per riassumere le sva- riate idee, non volea panni in Sicilia; e i popolani stes- si, come sollevavan la testa, e divenivano meno rozzi ad imitare si davan subito la gente più alta, e i loro grossi panni gittavano. Oggi però è tult' altro. I panni di qualunque sorta son divenuti un bisogno di prima necessità per le civili nazioni. Le fabbriche di tal ge- nere, oltre dell' immenso consumo che troverebbero in tutte le classi della società, sarebbero di un potente sti- molo a migliorare ed accrescere la nostra negletta pa- storizia, e di un alimento continuo a sostenerla. Infine arrogeremo solanicule esser falso ciò elio l'au- tore asserisce relalivameule alle nostre dimando por quest' obbietto, cioè che si desidera injporró su i pan- ni napolitani il quinto del dazio che si paga su (|uelli stranieri: perciocché dal Governo di Sicilia si è per tale articolo implorato non il (juinto, ma la metà: in quale a noi basta (tanta è la fiducia clic abbiamo in noi stessi! ) per lar che le fabbriche nazionali di lai genere si fondino, e più non temano la concorrenza di quelle di Napoli. Ecco le cose dall'autore ragionale sulla Sicilia. Egli 88 a me poi sembra ncll' Insieme del lavoro, avvegnaché scrilto con grande acutezza d' intelletto, incerto nel suo cammino, e mal sicuro de' suoi principi: sotto il vela- me de' suoi ragionari nascondonsi le sue titubazioni: oggi applaude, ed oggi biasima la stessa misura. Egli nel tutto parteggia per l'assoluta libertà di commercio, e fa quest' idea qua e là rilucere con mistero ; ma poi loda il sistema mercantile, e fa plauso al Governo che si sia messo per quella via. Riguardo poi ai di- scorsi di lui intorno le gelosie, le bilance, 1' inquie- tezza dello spirito industriale, 1' imbarazzo dei Gover- ni, ]' attività e la passività commerciale, noi non ab- biam che rispondere; poiché egli ha voluto dar corpo ad un' ombra, e farle guerra. La quistione del libero cabotaggio fra Napoli e Si- cilia ha ben diverso fine, che queste scientifiche disqui- sizioni: ella non le favoreggia ne vi si oppone. Solo di- remo, ed è mestieri il dirlo , per consolidare eziandio con fatti propri quello che fu già per noi asserito, non potersi con principi generali reggere le nazioni, ed una cosa che potrà forse bene ad un popolo applicarsi mal conviene ad un altro. Gli economisti, gli uni gli altri copiandosi, affermando che non vi ha nò attività nò pas- sività commerciale recano in prova che giungendo p. e. una nave carica di mercatanzie in un porto, essa, lascian- do ivi quelle , si prende i generi indigeni del paese , che a lei non conviene vuota ai luoghi d'onde partì ri- tornare: ed ecco verificatosi il baratto, e senza idea di passività o di attività è avvenuto lo scambio dei pro- dotti. La qual cosa è vera in se stessa , e succede , e per la Sicilia in passato quasi sempre succedeva, perclic i legni stranieri i preziosi grani della sua terra caricavano: ma nella presente condizione di cose si e cambiata la scena; e i quadri che mi si citano delle merci siciliane, andate fuori, sono sì smilzi e sì poveri da mostrar piij chiaramente i mali che deploriamo. E sarebjjc cade- 89 i-e in ripetizione il dire che i grani nostri, ch'eran l'asse più potente di Sicilia, più non si dimandano; che quei del Mar Nero van da per tutto e inondan 1' Europa; e che vi sono delle nazioni che ne producono già in tanta copia, che loio basta per l'interno consumo. L'Inghilterra, non creata per l'agricoltura, si valeva è già tempo dei grani siciliani e di Spagna ; ma non vi ha più esempio che ci additi di avere più pe' suoi interni bisogni un carico di grano comperato ; ella ri- fiuta già quei della medesima Irlanda ; che non vi ha più in quel fortunato paese un jugero di terreno, che non sia coltivalo e non produca. La Sicilia è affatto priva d'industrie manifatturiere: ella dee provvedersene dagli altri popoli, e non può per esse dare in cambio altra cosa che merce moneta. Quindi abbiam sovente veduto le navi che approdano nei nostri paesi lasciar- ci i loro carichi, e vuote, per la più parte, colà d*onde partirono ritornare. Il siciliano commercio, tolgasi la maschera al vero, è pieno di questi larnenti; coloro che gli occultano sono crudeli verso Sicilia; che non voglio- no, nascondendoli per le loro private vedute, far che altri allegerisca il pondo delle sue sventure. Dalle quali cose è nato che il nostro paese ha escito per lunghi anni sì gran quantità di moneta da averne ornai somma penuria, e da farne crescere a dismisura il va- lore. Ma gridasi dagli economisti di non doversi pren- der di ciò alcun pensiero, essendo il denaro una merce come le altre ; e sia che si abbiano loo mila scudi di derrate, sia che si posseggano lOO mila scudi di moneta, ciò non importa imlla , poiché essi equival- gon lo stesso. La qual cosa non è vera in tutte parti; e siccome presa nel suo lato senso può esser fonte di molti errori, e di non lievi mali commerciali per la Sicilia; così e mestieri che io, cogliendo questa oppor- tunità, ne rilevi il falso, e proccuri di metterla nel suo vero lume. 90 Posto dunque che gli stranieri immetteuclo prodotti delle loro industrie cstraggano per la maggior parie non prodotti siciliani, ma merce moneta , diguisachè questa venga a diminuire in maniera da alterarsene il valore, cioè da poter con meno moneta compera- re più prodotti, le conseguenze per molti anni sareb- bero dolorose per la nazione. Perciocché tutti i pesi dello stato verrebbero pagati colla misura dell' antico valore della moneta; il che sarebbe lo stesso che du- plicarli o triplicarli, secondo 1* aumento di valore a cui la moneta stessa è soggiaciuta. La qualcosa più manife- stamente potrà apparire col seguente esempio: un fondo, pria che la moneta avesse sofierto il cennato aumento, veniva p. e. gabellato trecento ducati all' anno, ed il possessore, posto il contributo fondiario al 12 e i[2 per 0/0, veniva a pagare sul suo fondo, per la fondiaria tassa, ducali S-j e 5o. Verificatosi l'aumento del valore della moneta, che si suppone v. g. al doppio, quel fondo che già trecento ducati all'anno si gabellava, verrebbe poscia a gabellarsi realmente per ducati cento cinquan- ta; ed intanto il possessore proseguirebbe a pagar di fondiaria ducali tionJasetle e mezzo: il che imporla (ir egli non paga più il 12 e mezzo per cento ma sib- bciie il 25. Un publdico uffiziale che aveva trecento ducali di sohIo, avvenuta la dujdicazione del valore della moneta, ha veduto raddoppiare i suoi averi; eh' egli potrà ac- quistare il doppio dei prodotti che pria di tale aumento avesse potuto. Dunque non è vera 1' idea stabilita dagli economisti, che coir estiarre moneta non si altera nulla in un po- polo; poiché la mancanza di essa la fa crescere di va- lore, le proprietà diminuiscono di prezzo, i pesi resta- no gli slessi; e dovendosi soddisfare in ispecie metal- lica, cioè in quella specie venuta meno, vengono i ca- pitali stessi ad esserne colpiti, e a soggiacere ad un 9' danno, che non si temea per lo innanzi. Diminuiti i ( a- pitalì, e tolti per conseguenza all' industria e al com- mercio, la prosperità vacilla ^ e ammiseriscono le na- zioni; quindi i viveri vanno a buon prezzo, ma il po- polo non può comperarli, perchè manca di travaglio, e giace nella miseria. Vedete dunque quanto sia erro- neo quello che il Say diceva, tutti i valori eguali ave- re lo stesso prezzo, ed un' asportazione di detiaro non cagionar perdita ad alcuno. Il denaro, lo ripetiamo, non forma in nessun conto la ricchezza delle nazioni; ma in taluni casi, ed incerte posizioni, loo mila scudi di moneta valgono più di lOO mila scudi di frumenti, o di drappi; poiché questi posson rimanere nei magazzini, senza trovar consumatori, restando come capitali impro- duttivi, e perdendo poco appresso il loro intrinseco va- lore. Dunque 1' erroie sta nella massima assoluta che pian tossi. Fu da taluni anche detto esser più ricco quel paese in cui i viveri vanno a minor mercato. Questo è falso pure: perciocché ricco è il paese, in cui trovasi il tia- vaglio sparso in tutte le classi, ed ove esiste una mez- zana agiatezza per ognuno, secondo il proprio stato; dima- nierachè i viveri possan da tutti indistintamente non guar- darsi e languire, ma comperarsi e stare in vita. La Sicilia si è trovata per moltissimi anni in que- sta tribolata condizione. Ella ha avuto i suoi magaz- zini pieni di prodotti indigeni, ha ricevuto gran quan- tità di generi stranieri manifatturati,in cambio dei quali non ha potuto più offerire i suoi cereali, che non si son più voluti, bensì merce moneta: ma siccome que- sta si è menomata, per essersi continuamente estratla, o per dir più chiaramente per essersene eslratta di gran lunga più di quella che se n' è potuta immettere; poi- ché la massa dei pesi è stata sempre dell' istessa gra- vezza, e gl'introiti che ne ha proccurati la nostra ter- ra son diminuiti in gran parte; cosi è avvenuto, csscn- 9^ . do quella il rappresentante di tutto cose, clie l'interna circolazione ha ricevuto tal colpo, che e quasi cessata. Abbiam noi stessi veduto i siciliani magazzini zep- pi di generi per lunghissimi anni, ed il paese estrema- mente povero, con un ristagno mortale ncU' industria e nel commercio. Le quali cose non ci han fatto fare verso la civiltà quei passi che noi avremmo potuto. I popoli non si debbono studiare nelle grandi città sola- mente, perchè ivi tutti si rassomigliano, ed han quasi la stessa fisonomla. La gentile società di Palermo è come quella di Parigi ne più nò manco; ma nelle gen- tili e civili società non si soii mai conosciuti ipopoli. Bisogna andare nei paesi di provincia , introdursi nei tuguri de' plebei, conoscere da vicino il villico e l'ar- tigiano; e se questo non basta, bisognerà frequentare le corti penali, accomunarsi colla nostra plebe, inoltrarsi neir interno dell' isola, e poi dire in che uomini e in che cose ci saremo imbattuti. Noi, pensando a questa terra di maraviglie e di prodigi, fremeremmo di orro- re, e piangeremmo alla barbarie che quivi alligna in molti punti: ogni civiltà vi troveremo spenta, ogni u- mano sapere bandito. Questo vero funesto non dee nascondersi, chh stolto amor di patria e quello che vuol coprire le miserie nostre. Imperciocché noi abbeverandoci di elogi per quel che fummo, e lusingandoci sempre , non cer- cheremo mai i mezzi di far sanare le nostre piaghe, e di ritornare la nostra patria in quel seggio a cui la na- tura chiamolla. La Sicilia in questi ultimi venti anni , periodo la- grimevole di sua esistenza, non ha avuto altra prospe- rità commerciale che quella recatale dai zolfi ; i quali si elevarono a sì alto prezzo da segnare, come già di- cemmo, un'epoca felice nelle pagine del commercio si- ciliano. Ma l'elevazione non fvi che passeggiera, e qua- si efìmera : i zolfi caddero novelkinicnle , e quello stato svanì. . 93 Or noi abbiam risposto a tutto chd siamo slati dal- l'autore chiamati, perchè l'obbligo di difendere i biso- gni di questa povera terra, ci pare sì santo e sì gene- roso da non doversi, a nessun riguardo umano, pospor- re. Forse non disutili torneranno le nostre parole, ed in mezzo a tanta pubblica incertezza qualche bene sor- Ma qui, come suggello che ogni uomo sganni, e la risposta chiuda all' anonimo scrittore, che con tanta a- inarezza a franger levossi i dritti di Sicilia e i voti , noi ricorderemo, e con dolcissima speranza per un sì potente esempio, cìie 1' Imperadore d' Austria veggendo che r Ungheria, già regno indipendente, vantava le sue glorie, i suoi privilegi, i suoi dritti non volle, benché di essa assoluto padrone, colle altre provincie dell'Im- pero confonderla. E costituiscano (disse) un apposito nesso doganale , riguardo al libero commercio interno, la Ga- lizia, la Buccoviua, il Margraviato di Moravia, il du- cato di Slesia , la Boemia, l'arciducato dell'Austria in- feriore e superiore compreso Sulisburgo, l' Austria in- teriore, i ducati di Stiria e di Carintia, 1' Illiria , la Lubiana, il Tirolo, gli Stati Lombardo-Veneti; ma ec- cettuate ne sieno le provincie dell'Ungheria , le quali da una linea intermedia uè vengano separate (i). Quin- di stabilì eh' ella relativamente al commercio esterno avesse il medesimo regolamento daziario vigente in tut- te le provincie dell' impero, non così però relativamen- te al commercio interno fra le sue provincie e quelle dell Austria; perciocché in tal caso aver dovesse, com'ebbe, un sistema daziario suo proprio, e con ciò anche un ap- posito cordone intermedio (2). Tutti gli articoli di com- mercio neir interno dell' austriaca monarchia sono esenti (1) Sovrana risoluzione ii luglio e ii Settembre 1816. — Decreto della Camera Aulica universale 23 aprile i8u2. (2) V. Klenner ^Tariffa generale dei dazii della Monarchia austriaca com- pilata previa approvazioue. Vienna dall' iiup. Rcg. Slanip. di corte e di Stalo 1822. da dazio, essendovi, fi-a le cerniate pi'ovincie,libero cabo- taggio, come sarebbe,per non lasciar mai il paragone colle cose nostre, quello che si fa tra il ducato di Calabria, il Principato di Capua, il Contado di Molise, e gli Ab- bruzzi la Basilicata la Capitanata la Puglia le Cala- brie, che costituiscono i dominii al di qua del Faro, non cosi però fra questi e la Sicilia, la quale, simile airUngheria, e molto più di essa ancora, vanta un rea- me a se antico e glorioso, ed ha i suoi dritti , i suoi privilegi, i suoi titoli degni della riverenza di Europa, e non immeritevoli dell'alta considerazione del giusto e ge- neroso Monarca, che la regge. L'Ungheria è dentro il continente, limitrofa all' Aleraagna, alla Polonia, alla Tur- chia europea. La Sicilia è dal continente separata, e non ha altri limiti se non che i mari che la circondano. Il prov- vido senno del Signore austriaco volle che quell'antico regno, sotto il suo scettro caduto, avesse un'industria a se, una rappresentanza civile sua propria; quindi un sistema protettore di finanza, che sola la riguardasse, e r industria sua tutelasse e proteggesse. Ed essendo neir austriaca monarchia le manifatture ad illustre meta arrivate, non così nell' Ungheria, ove nascente è l' in- dustria manifattrice, avveniva che immettendo la pri- ma in libero cabotaggio i suoi prodotti nella seconda, avrebbe soflbcate e spente le industrie che qui si givan formando, e che non potendo sostenere la concorrenza di quelle avean d' uopo di essere soccorse ed aiutate dal potere supremo. Se 1' Imperadorc avesse voluto di- struggere il commercio ungherese , e l' ungherese prò- Sjerità, altro non avrebbe dovuto lare se non che con- fonder (juesto paese colle altre provincie dell' im[»ero. Mn egli per lo contrario stabilì che rispettivamente da- ziati fossero i prodotti dell' Austria e dell' Ungheria ; jierlochè un apposito regolamento daziario venne sin dal i'y88 emiìuaUy,[to'nui istruzione alla /«r/^f dell'anno r';'()5; quindi un decreto della Camera aulica nel i8i6; 9^ un altro ai io dicembre 1818; ed un ultimo ai i5 giu- gno del 1823, in cui furon pubblicate tre tariffe, che resero perfetto il sistema daziario di quell'impero. Nel- le quali disposizioni si osservano de' cangiamenti , se^- condo lo stato delle industrie ungheresi, che avean biso- gno di essere più o meno protette e sostenute. Ma per una regola generale venne poscia dall'Imperatore, per le Provincie unite dal nesso doganale, decretato, che quando non si trova stabilito separatamente il dazio d' impor- tazione per un articolo dall'Ungheria proveniente, senza aiver riguardo, se lo stesso in un prodotto dell' arte o della natura consista, allora è da pagarsi la metà del dazio d' importazione statuito per lo straniero, tutte le volte però che questo articolo sia compreso fra quelli, la cui importazione da oltremonte è permessa. Se poi r importazione del medesimo permessa non è , vale a dire se esso è posto fuori di commercio, allora si pa- gherà,per l'importazione dello stesso oggetto nazionale, dal- l'Ungheria nelle altre provincie dell'impero, la sesta par- te del dazio di consumo,stabililo per la sua importazione da' forestieri paesi, contro jìassapurto e rispettivo per- messo. Quindi per equilibrar le cose venne statuito eziandio, die per 1' Ungheria il pagamento del dazio d' importa- zione colà vigente pei prodotti d' arte e d'industria, che dagli stati austriaci provengono, dee regolarsi a tenore della seconda rubrica della tariffa puljJjìicata li 3 otto- bre i'yf)5,pel traffico intermedio, che si eseicita fra le ungheresi e le austriache provincie, eccelluato però il caso in cui nella tariilà fosse stabilito un tlazio miiioie per l'uno e per l'altro articolo, relativamente allo stra- niei'O, nel qual caso questo, e non quel dazio, conte- nuto nella suddetta rubrica, dovià esser pagato. Se però nella predetta tariffi dell'anno i'y85 o non è stato fissato un dazio d' importazione per un prodot- to d' arte e d' industria delle Provincie vincolale dal flesso doganale , o l'articolo stesso non è ivi com- preso, allora è (la ixigarsi il dazio d' importazione sta- bilito pei prodotti forestieri. Le quali cose vennero po- scia nel 1822 novellamente confermate (i). E giova l'os- serrare che mentre il ministero napolitano di quell'epo- ca ruminava la perdita industriale della Sicilia, il mi- nistero austriaco nell* epoca medesima consolidava e mi- gliorava il sistema protettore in favor dell'Ungheria. Quindi è avvenuto, che 1' Ungheria vanta già per tal sistema ( e r Austria non se ne duole) i suoi cotoni fi- lati bianchi e coloriti; i suoi tessuti; la cera gialla di gran pregio; i jwnni detti loden eccellenti nella loro qualità di ordinari, e per ogni dove ricercati; i suoi for- maggi squisiti e divenuti famosi;una pastorizia ricca e be- ne intesa; i suoi lavori di ferro grosso; le sue cuffie di lana ordinarie; le sue calze così dette manìzze, ed altri ogget- ti di simil fatta, che omai più non temono, per la prote- zione che loro si è accordata dal provvido Governo, il cimento d' altrui, e son divenuti un ramo importantis- simo dell' ungherese ricchezza. Ricordavasi l' austriaco Signore esser quella 1' antica sede degli Etienni , dei Beila, dei Geisa, dei Ladislai, dei Luigi, e perciò le con- cesse privilegi esclusivi, e volle che separata fosse e con- fusa non venisse colle austriache provincie. Così ricor- davasi pure il provvido senno dell'augusto Ferdinando, ch'era già III di Sicilia, ch'Egli la terra dei Teroui, dei Geloni, dei Geroni calvava, e che sedeva sul tro- no, ora suo, di Ruggiero, di Federico, di Alfonso, d'on- de luce di civiltà grandissima si era sparsa sulla terra. E quindi benché la nazionale rappresentanza di Sicilia fosse stala a quella di Napoli, sotto unico regno, con- giunta, pur le volle conservare, siccome nella prima parte dimostrammo, la sua esistenza civile, e da quelita di Napoli separata. (i) V. Kicnncr. l. e. , . 97 Che mi vaii dunque scvivèiiclo e preclicando i napo- litani scrittoli? Noi siam fratelli, e stendiamo la destra, come l'amico all'amico la stende: quindi più giustizia, e più amore reclamiam da loro. Noi abbiam veduto a questi tempi levarsi un gran movimento nel seno di Sicilia, e tendere gli spiriti al miglioramento sociale per mezzo della sapienza e del- l'industria. Si son chieste nell'ultimo quinquennio un'im- mensità di privative per istabilire fra noi svariate raa^ nifatture. Ma disgiaziatamente nessuna di esse , per le nostre infelici coudizioni, è potuta realizzarsi: i bei pen- sieri son nati , le dimande son venute a rallegrarci di lieta speranza, ma fugace ed efimera. Vi fu chi chiese privativa per introdurre macchine a vapore onde filare e tessere cotone e seta : altri dimandò privilegio per fondare una fabrica di lastre : alcuni si presentarono , onde estrarre con un nuovo metodo l'acido muriatico, o spirito di sale; stabilire un'opificio per far la Colla forte dalle ossa degli animali ; ed estrarre l' olio di vitriolo. Taluni promettevano di fabbricare con un nuo- vo metodo il bianco di piombo. Vi fu chi chiese pri- vativa per introdurre una macchina, onde estrarrc dal- l'acido tartarico e dal solfato di ferro i colori pei tes- suti di lana. Taluni negozianti chiesero d' introdurre i molini detti a cono tronco^ onde macinare som macco, scorza di quercia, oliva, robbia, e liquorizia. I mede- simi un privilegio implorarono eziandio, per una fab- brica di rosso all' uso di Adrianopoli , ed insistevano, per ottenere privativa per una filanda, che altri pari- mente desiderava d' introdurre. Vi è stato chi stabilir voleva una raffineria di zolfi in Girgcnti; e chi una fabbrica per estrai-re l'acido sol- forico r idroclorico e la gelatina animale da servir di colla ; non che altro opificio per trasmutare il ferjo in acciaio. Una fabbrica di panni era già pronta ad e- rigersi, ma per un cumulo di amare ed odiose vicissi- 7 9^ . . . tu(lÌDÌ svanì ella pure, come svanita è altresì quella per la confezione, e 1' estrazione dello zucchero dalla bar- babietola. Non finirci per ora se volessi ricordare tutti i privilegi che si son dimandati da vari speculatori , commossi dall' universale movimento. Una fabbrica si volea fondare per imbiancare i lini di canape: un' altra per dipinger le carte all' uso di Marsiglia: una terza per formare il solfato di soda, la soda artificiale , il sale di soda, e 1' acido muriatico. Vi fu chi volea rendere con un nuovo ritrovato permanenti nei drappi i colori che vi s' imprimono. Altri aveva immaginato un meto- do, simile ad uno che si usa in Inghilterra, col quale ì panni ed altre stoffe di lana acquistano un lustro inal- terabile. Vari Catanesi, ed una società di speculatori progettava la grand' opera d' innalzare le acque del Si- meto, per inrigare la ricca ed esterminata piana di Ca- tania; ma vani progetti: essi nascevano e morivan quasi ad un tempo. Dalle quali cose si scorge, che le menti so- no agitate, grandi desideri si formano , bellissime spe- ranze si concepiscono. Ma nulla di reale da tanti ge- nerosi divisamenti si otterrà mai, come nulla si è ot- tenuto, finche non si migliori, non con parole, ma con fatti, lo stato nostro economico. Il Governo può fare immensamente, istruendo, consigliando, progettando, o- norando, premiando, chiamando al potere la virtù, che spesso è negletta, spesso travagliata e infelice. E che non può fare la saggezza in posto? Era il territorio di Molise sprovvisto di alberi: un Parroco pensò d' imporre per penitenza ai parrocchiani, dai quali ricevca la confessio- ne, di piantare un numero d' alberi corrispondente alla gravezza dei peccati; il territorio di Molise in poco tem- po ne fu coverto in gran numero, e di oscurissimo e j)overo eh' egli era, posto in figura ed in agio, per la debole e limitata influenza di un prroco. Fra noi non manca ne l'attività nò l' ingegno; mancano i mezzi: qui ferve in lutti i petti massimo ardore, e si desidera, con 99 potente desiclerlo, di progredire in civiltà; onde se que- sto impulso generoso si secondasse, si vedrebbe seguire un effetto grande e meraviglioso: 1' industria porta 1' a- giatezza, che produce la quiete dello spirito, consolida i legami del cuore, e dei novelli ne crea; quindi sorge in tutti gli animi il saldo desiderio dell'onorata fama, del- la tranquillità, della pace. Un popolo, a cui manca il travaglio , e i mezzi di sussistenza , e che dee conti- nuamente cozzare colla miseria , non potrà ricevere i principi della coltura morale e intellettuale, che vi si voglion trasfondere; egli sarà sempre rozzo inrequieto feroce. Pure la saviezza del Monarca, conoscendo pienamente la gran verità che la ragione non guida gli stolti e i tur- bolenti, ma solo i popoli civili e industriosi, ha fatto a Sicilia benefici di gran pondo, per migliorare il suo stato, e spingerla dietro le eulte nazioni. Noi aljl3Ìam veduto proseguire efficacemente quelle stra- de, sos]7Ìrale per secoli, che le varie popolazioni del- l' isola legano ed affratellano: abbiam veduto sorgere pubblici stabilimenti magnifici, e luoghi di carità co- spicui: si è veduto fondare un Istituto d' incoraggia- mento di agricoltura arti e mestieri, che ha prodotto un bene sordo e lento sì ma grande, e maggiore assai di quel che per avventura si può credere da coloro che son usi a guardar nella scorza, e non mai nel centro delle cose: qui si è stabilita la Direzione della statistica centrale, volta al sapientissimo scopo di seguire i mo- vimenti morali e fisici della potenza o della debolezza civile di Sicilia: (|ui già si rettifica quel mostruoso ca- tasto fondiario, che è stato per sì lunghe stagioni fonte di miserie, e d' ingiustizie infinite; qui s' instituiscono cattedre di chimica applicala alle arti e all' agricoltura; e già r Università di Catania, quella rinomata sede del siciliano sapere, la vede elevare fra le sue mura: scuole di mutuo inscguaiuento e uoj-mali in più municipi delr 100 r isola fioriscono: catechismo agrario ad uso dei sici- liani agricoltori per sapiente ordine del Governo si è veduto compilare: qui già sorgono sin dalle fondamenta stupende prigioni, simili a quelle di Filadelfia ; le quali racchiuderanno i rei della più parte dell' isola, distri- buiti con saviezza, trattati con filantropia; onde sarà finalmente eliminato dagli occhi nostri, lo scandaloso ed immorale spettacolo di esser confusi gì' imputati di ogni specie, e di veder collocato un infelice, che fu colpe- vole sol per malvagità di forturia, accanto all'assassino e al parricida. Insomma moltissime cose dalla sapienza del Monarca si son fatte in favore di questa terra; e certo non è ultimo il beneficio che ne concede di poter liberamente la legge sul cabotaggio discutere ed agitare. CONCHIUSIONE Or noi ci siam messi con lieto animo a questo la- voro, perchè abbiam secondato da una parte gì' impulsi del nostro cuore, e ci siam lusingati dall' altra di po- ter rendere un servigio non lieve al nostro paese. Que- sto solo sentimento era bastevole, perchè difficoltà mag- giori avessimo pur vinto, e alla disiata meta fossimo giunti. Noi non abbiam provocato né attaccato nissuuo, elle per natura e per principi odiamo le guerre che degiadano agli occhi nostri lo scrittore, 1' essere più nobile di quaggiù, e miseramente lo avviliscono: noi abbiam solo difeso la nostra patria dai truci ed ingiu- sti colpi, che le si sono scagliati, e continuamente le si scagliano. Laonde diremo, e giova il dirlo, di aver dato noi medesimi prove né poche né equivoche del singolare afictto che alla beUissima Napoli ne congiunge; e quanto cari ci sieuo i legami di amore e di gratitudine, che ci annodano con i j)iù illustri ed i più grandi, che ivi seg- gono, è vano il ricordarlo. Lietissima cosa ne è stata il lOI coglier sempre tutte le congiunture, che abbian potuto mostrare la somma riverenza in che tenghiamo i napo- litani sapienti,- e come onoriamo ed apprezziamo ogni ob- bietto che in quel beato suolo si forma e si produce. Onde abbiam dolce fidanza che il santo desiderio di vo- ler questa povera Sicilia non serva di Napoli, ma amica e sorella, non tribolata ma felice, sia questa volta con benigno proponimento ricevuto; che di anime nobili e giuste, che Sicilia amano, e generosi desideri formano per la sua prosperità, quella classica terra non è priva. Finalmente dolcissima cosa è ad ogni buon Siciliano il pensare, che cari saranno ad un Monarca, qual è il nostro , sì magnanimo e sì clemente, i voti che da un leale popolo, con lieta speranza, ai suoi piedi si de- pongono. Il che ne porge grandissima consolazione, ed ammenda in parte il peccato della fortuna. 103 PARTE SECONDA LETTERE ED ARTI Notizie intomo la letteratura romana. -^ Lettera di Salvatore Betti professóre di stòria mitologia e co- stumi nella pontificia uéccademia di San Luca. (aA duo *Fewiuaubo TTòawtca ; • Salvatore Betti '> ti .«ili'':--' ! ' !:■ ■■ 1 • 'jvmi ni l. f^uante cose, mio degno amico, sonosi insieme riu- nite a rendermi veramente preziosa l' operetta che mi avete mandata! Ella è vostra e sapete bene in qual ci- ma di amore e di riverenza io abbia sempre avuto l' ingegno del mio carissimo ed amatissimo Ferdinando Mal- vica. Ella è intitolala alia contessa Anna Pepoli Sam- pieri: e sapete del pari quanto alla mente ed al cuore mi suoni dolcissimo il nome di quella dama, ch'io pon- go fra le più illustri e gentili che oggi fioriscono il giar- dino d'Italia. Ella celebra fìualmente la sapienza della contessa Costanza Monti Perticari: ne ignorate quali vin- coli di gratitudine e di amicizia ossequiosa mi stringano fino da giovinetto all'egregia figlia del mio Vincenzo Mon- ti, all'amata sposa del mio Giulio Perticari. Abbiatevi dunque, o dilettissimo, quante grazie so e posso per la cortesia, con che vi è piaciuto ricrearmi di sì bel dono: ed abbiatevi poi la lode di tutti i gentili spiriti pe' no- bilissimi saggi che dati ci avete degli apotegmi della io3 chiarissima donna. Imperocché e racchiudono documen- ti gravissimi di civile filosofia , e sempre più rendono fede dell'altezza d'animo che informa le italiane: le quali non a romanzi , ad orrori ed a fole , ma ad opere di viva bellezza e di prudenza intendono uno spirito, che in questa leggiadria di cielo e forza di vita fisica sareb- be forse prepotentemente tirato ad altri piaceri. Io leggo costantemente le vostre Effemeridi', e con quanto diletto ed utile, non so qui dirvi: che scn pie- ne sempre di cose e dotte e gentili e \ ciò che piìi rileva, italiane. Me ne congratulo carissimamente con voi e cogl'illustri compagni vostri alla degna opera: an- zi colla Sicilia , la quale con tanta gloria mautieue in Europa l'antica riputazione di quella sua sapienza, eh' è pur la sapienza di tutta questa famiglia che tiene il bel paese dalle fontane della Dora ai gioghi di Lilibeo. la Roma la letteratura di codesta famosa isola è onoratis- sima: e voi e i dotti -che vi somigliano siete spesso qua ricordali con ammirazione e con ossequio. Delle cose nostre non so che scrivervi. Sembra che il desiderio di ben coltivare l'ingegno siasi mirabilmen- te accresciuto nelle menti romane, come un alleviamento e dolce ed utile ai grandi mali ond' è tribolata l'Euro- pa. Ma pochi producono al pubblico i frutti de' loro studi: alcuni per timore: altri per povertà: i più, per- chè tale è la civiltà e dignità del bel secolo, che uno sventurato libro, il quale non sappia di romanzo o di gazzetta , e non parli di fierezze e di parteggiare , è quasi certo di escire alle stampe appena considerato da pochi. Si attende dunque a ciò miglior tempo: e Dio faccia che non ci tardi. Intanto una nostra prosperità mi è caro di annunciarvi: ed è che il presente cholera della letteratura , voglio intendere il romanticismo , fa qui meno stragi che in altre infelici parti d'Italia: grati segno che gli spiriti sono in Roma meno corrotti da ta- b" straniera, e ni" fortemente si sentono italiani. Laon- io4 de. non osano sulle ri?e del: Tevere con lanla sfaccialagiue mostrarsi i novelli traditori della patria , come sowiem- nii che a voi scrivendo chiamava appunlo i romantici il senno sovrano di Carlo Botta. Abbiamo però fatto perdile dolorosissime, da ehe voi stete di qua partito! Il cardinal Zurla, Girolamo Amati , Domenico Testa, Alessandro Visconti, Jlficcola Maria Nicolai, Carlo Fea, Domenico Antonio Marsella, Ernesto Mauri , Giovanni Giraud non sono più! E Domenico Morichiui, è come se [)iù non fosse! .... Non per .questo crediate che in lutto le nostre tipo- grafie si ri.posino: perchè se tacciono in qualche tem^ pò il Mai, il. Mezzofanli, il Venluroli, il^laslrofini, 1' Oddi, il Lanci , il Santucci , e tali altri chiarissimi , sappiate che avremo a momenti ( essendo già sotto il torchio) dal marchese Luigi Marini l'edizione piiì spleur dida e la più dotta dichiarazione di Viiruyio , che sia luai escita in Europa: avremo le istituzioni fisiche del prof, Saverio Barlocci , siccome abbiamo avuto quelle •fisico chimiche dell'insigne gesuita Pianciaui , ed un compiuto corso di matematica del prof. Paolo VQjpj;- . celli. 11 principe di Musignano (Carlo Bouaparte,) sta pubblicando la sua Fauna iialianaM principe D. Pietro Odescalchi, che ci ha regalato in questi giorui, due no- bilissimi elogi, l'uno del Zurla , l'altro del Nicolai , è lutto sul volgariizare Frontone: e ninno ignora il va- lore di quest'inclito amico nostro, celebre tradullpre del- la i?e/;aiZ>/ica di Cicerone. Ci dà il prof. Nibbj, per commissione avutane dal governo, un volume del Mu- seo Chiaramonti da aggiungersi alla immortale opera del Museo pio-ckmenlino. Il cav. Canina continua ,cpn lode costante la sua istoria dell'architettura antica. Il cav. Visconti ha pubblicato in gran foglio con njagni- Ceenza e pari dottrina le illustrazioni de' ruonumenti antichi sepolcrali scoperti a Ceri dal Duca Torloiiia, e delle gqmme incise dal. cav. Giromctti. In un libretto T05 d' oro monsignore Azzocchi ha lodalo il suo Anlouio Cesari, e in due disseriazioni ragionalo molte cose im- portantissime sulla lingua italiana. Finalmente il mar- chese Biondi dopo av^re maravigliato tutta Italia con quella beata vena di verseggiare , onde ha tradotto la georgica di Virgilio , ha già pronto per le stampe la buccolica , e tutto Tibullo , Nemesiano e Galpurnio. Intanto sono per escire tre suoi piccoli libri di anacreon- tiche: cosa sì graziojsa, s.\ schietta, sì greca, ^he il IMu- stoxidi ha voluto premettervi un suo proemio. Ed. in- fatti non credo che immagini di più gentile semplicità siensi ra[)prensenlale, dal teio in qua, in una. fantasia tutta eleganza, leggiadria e. dilicatezza. Che se da. cer- tuni non saranno reputai^ acconce al bisogno che il se ^ colo ha di cantare assassini!, tregende di. slrjeghe , dir spcrazioiii di monaclie, incesti, Srjgrilcgii, ed aUri pro- gressi della società \ molli però le avranno per tali j ila porgere agli animi in. mezzo a t^nli spaventi un por «Q di quella innocente cousolazione, che tra le guerre n operA Eisay on SicUian Painters ecc. cioè saggio sopra i Pittori Siciliani dal risorgimento delle arti (ino al secolo preterite: fu essa publicata in Londra (i834) senza il permesso dell'Autore, il quale per alcune inconrenienzc occorse in questo lavoro da lui non destinato a stamparsi, lo ha totalmente rifuso, e promette al pubblico una storta completa della pittura liciliana. mento una breve relazione apportasse alia stòriii déll'aHe di quei tempi, ne' quali ebbero fama' di primi.Laonde, do- me che avessi inlendimenlo di giovarmene in altro mag- gior lavoro, ho voluto tuttavia qui brevemtiile pariante quasi a riforma di ciò ch'ebbi scritto dapprima. Ed è beli ragione, che a voi rivolga il mio dire , òrnatissimo Sig. Romano, per darvi testimonio^ quantunque lieve, della mia divozione: che ancor serbo inemoria vivissi- ma de' vostri dilicati modi^ e della geiUiiézia, con Cui mostrandomi le pitture del vostro cOncitladino,^ pre- standomi r occhio a ben vederle, mi faste cortese di sani consigli. E stimo fi;rmaraenle , che non vogliale farmi mal viso altorchè mi udrete di- quef dipiulore notare i difetti, e trarre d'ingannò Coloro, che' il nome solo conoscendone spacciano mille portentose menzogne. Vincenzo La Barbiera in Termini sua patria lasciò non poche opere, le quali ben lo assicurano' che il suo nome sorviverà a paiccchi secoli. Ei tenne due manie- re se non del tutto in gran parte almeno differenti. La prima più ampia, alquanto libera, piacevole; la se- conda secca, timida, disgustosissiraa. Ove egli studiasse e incerto: ma se volessinio seguitare l'opinione del volgo, che dice, lui avere apparali in Róma i principii dell'arte, sarebbe mestieri credere che fosse uscito Dall'Isola, e pro- babilmente in Napoli si fermasse, ove molti capolavori di sommi Maestri gli sarebbero pbtuti servire di scuo- la distinta. Per lo che un artista che cresce a gloria della nostra nazione , osservando meco una testa di S- Antonio Abate (che veramente èra bellissima) argo- mentò, che colui fosse stato discepolo del Dcmenichi- no. Ed jo a ciò mi starei pago senza dar luogo a qual- sivoglia dubitazione, qualora la storia non m' insegnas- se, che mentre La Barbiera operava da sperto mae- stro in Sicilia , lo Zampieri avea soli ventitré anni, uè ancora avea veduta Napoli, stava bensì alla scuola de' Caracci in Bologna, o incominciava a lavorare in io3 Boma spilo V. amico suo Francesco Albani. Tultavia la Gtoria del Quadro di S. Giovanni Battista (i)clie forse è jla sua migliore opera; tra^ tutte le esistenti in Termini, , è così beo composta, «nobilmente colorita, quegli, angiqletli sono così leggieri , e vezzosi, che ti rammentano il uire del Pillor Bolognese. Al di cui cora» porre si fò presso nella Tela di S. Anna, che per ogni rispetto dee riputarci il suo Capolavoro (s) Sta la Ver-? gine assisa in ^icco, iseggio, ai cui piedi per tutto il pavimento è .disléso un bel tappeto : nel suo grembo .posa.,il: itar^biqo pesù, che volge amorosamente il ca- polino/a ,3. A pua, la quale sta insieme al suo vecchio marito >) destra,;pve è un gruppo di tre vaghissimi An- gioli, "Pa.manyca un uomo piega il ginocchio, e in atto di pielk incrociato le mani sul petto innalza aflettuo- samente.la tesla-Dedl'altra in un angolo della tela ve- desi .uni putto leggiadro scendente dal Cielo con un ramo- scella di palma in mano, e tre corone. Il fondo e d' una va^a architettura di pilastri, e colonne, entro i quali appa- re p|ir da lontano verde campagna con a menissime col- Jinelte. Ciò che in questo dipinto è degno di conside- razione, e procaccia al La Barbiera il nome di Pitto- re (della qual voce io mi servo nel senso che in Ita- Ija si usa il nome di Poeta) è pur troppo la disposi- zione artificiosa delle figure, che nello insieme conside- rate fauno un b.el tutto, , 0 l' azion d' ognuna di esse cho.pQco lascia a desiderare, perchè si dicesse perfètta. .INO, in questo ho saputo scoprire la menoma pecca. Quella Vergine tut;a dolcezza compone la bocca, che è del più; fresco cqlore di. rosa, ad un amabile sorriso; ijie;' suoi occhi, splende la lagrimetta della gioja che le inonda, l'aninia, al che espritàere giova la movenza delle mani, con cui pr^qae Ug&ietmente sulle ginocchia quel pegno carissimo, E ,cju, dirà con, quanta maestria èpeu- '■ il') NcHa Chiesa del Santo. . ,» • .'.a-' <. io) A S. Antonio Abate in Mnssoraoli, •• 'l H' l^* nelleggiala S. Anna? quaì verilà nel volto, che gli a- malori del bello naturale vorrebbero più dignitoso, e più scelto ! quanto foco in quegli occhi , che insiemis paiono illanguiditi dagli anni! quanta ilarità nella fron- te, le cui rughe appena apparenti sembrano spianate da' vivi moli del core ! I tre Angioli , ne cui volli è niodesta bellezza , sono bene armonizzati da un cotale scherzo di luce, che maestrevolmente introdotto, fa bel- lissimo vedere. Malgrado questi , e simili pregi , che adornano il quadro, hannovi non poche mende, alcune delle quali allo ingegno del Pittore, altre a' suoi studi si debbono ascrivere. Della prima specie sono certa ti- midezza di pennello, poca fecondità nello inventare , e colorire debole; della seconda contorni un po' trascurati, (e inesattissimi sono quelli del picciolo Gesù) pieghe trop- po minute, e fusione di colori spiacente. Le quali cose iu tutte le sue opere appaiono sì, che non può afTer- marsi essere proprie a taluna in particolare. Il che io vidi nello sponsalizio, (i), ove tra molle figure mal disegnate, e peggio dipinte, avvene alcune che innamo- rano lo spettaróre. Questa strana mischianza di buono, e di cattivo in una medesima pittura mi fa sospettare, ch'egli si facesse aiutare da qualche discepolo, osser- vandosi in certe parti del quadro suddetto un tocco di pennello (vera caratteristica a conoscere le opere di un Autore) totalmente diverso da quello del Pitlor ter- minese. Chi voglia far pruova di tale considerazione., guardi la volta della Casa Comunale in Termini, dove il buono accanto al cattivo chiaramente, con notabile dif- ferenza, si scorge. Equi giova avvertire, che a pie di vari quadri trovasi VIJNCENTIUS L\ BARBIERA IJNVENTOR s'intenda di essi, ch'ei ne fece sollanlo gli schizzi ma furono da altri nel modo più miserabile di- pinti. V (i) In Tcrtnioi nella Chiesa dell' AuDunciata. no - La Barbiera poiché ebbe vedute le tavole maraviglio- se del rafTaellcsco Vincenzo Anemolo, tolse ad imitar- le. La Deposizione del pittore imerese (i ) è poco più che una copia del palermitano artefice. Tuttavia se ^uest' opera ci addimostra il suo nien fertile ingegno , nel grado d'imitazione però molta lode gli fruttifica. Ei seppe, secondo gli sforzi del suo valore, accoslrarsi all'originale, e le idee nuove da lui introdotte nello in- sieme del composto (come per mo' d'esempio la Madon- na sorretta dalle altre pie femmine) nulla perdono in paragon delle imitate. Così egli nello Sponsalizio , di cui sopra toccammo, imitò, ma con felicità minore lo stesso gtjinde maestro. Le sue opere furono tutte dipìnte sul cominciare del secolo decimosettimo. Quelle eh' ei condusse ne' primi anni di quest'epoca, che noi chiameremo la sua prima, son le migliori: le altre lavorate dal 1610 in poi sono indegne del suo nome. Diseguo cattivissimo, colore in- grato, erudezza, stento, timidità di penuello, volti non variati, volgari bensì, e tuttavia non naturali, compo- sizione secca, allettamento nissuno. Questa dee dirsi la sua seconda epoca, della quale grandemente patisce la fama dell'onorando artista. Se altri chiedesse delle cagioni che giltarono la Bar- biera in tanta miseria di dipingere, io non saprei asse- gnarne una che fosse certa. Ne può incolparsene il manierismo , perocché molti artefici, per quel turpe vizio dal diritto sentiero sviati, conservarono, comechè traraiste a molte bizzarrie , le antiche virtù sì, che son sempre pur quelli. Ma La Bar- biera autore della S. Anna, del S. Giovanni , e della Deposizione è quasi essenzialmente diverso dal la Bar- bière autore de' SS. Cosmo, e Damiano, (2) e di al- tre infelici produzioni. Nondimeno per le virtù sue (1) A S. Franrcsco di Paola in Termini. (2) Presso i l'P. Domenicani di Tciuimi. Ili merita onoralo seggio la mezzo a' non pochi pittori , che precorsero una stagione più gloriosa per la siciliana dipintura. Tra questi è da porsi Giuseppe Salerno, il famoso Zoppo da Gaiigi, che per forza d' ingegno, e fecondità d'invenzione non fu secondo a ninno di quella età. Di questo egregio artista , troppo a torto lodato e biasi- mato a torto, nissuno, per quanto io mi sappia, ha detto dirittamente. Perciocché avendo egli riempiuta di quadri molla parte dell'Isola, le migliori opere sue si veggono in certi oscuri villaggetli, ove difficilmente accorre il dotto viaggiatore, e rade volte dimora chi potrebbe co- noscerle. IJauno perciò alcuni scrittori fatto menzione di quello che sono iu Palermo , che generalmente tra tutte le cose di lui deggiono riputarsi le men degne di nota. Il che ci è stata cagione d'inganno, la quale ci ha fatto sinistramente sentire di quell'artista, finche venuteci sott'occhio le produzioni, di che faremo discorso, abbiamo il disprezzo in rispello ed ammirazione can- gialo. Guardate adunque le virtù della sua mente, che molte furono , e distintissime , se i suoi studi fossero stati in conveuevoi modo forniti , ei sarebbe da para- gonarsi ai primi dipintori di Sicilia, e molti ne avreb- be superati a' quali adesso sta sotto. Le sue opere fatte nella prima gioventù quasi senz'alcun precetto di Mae- stro (i) hanno una maniera ben sua. La quale segui- tando poco migliorò senza ponto mutare fino al 1606 circa, principio della sua seconda epoca. E più non e a dubitare, che la venuta di Filippo Palladini in Sici- lia, dove fuggendo da Milano recava un modo di ope- rare agli artefici nostri sconosciuto, avesse allo Zoppo falli aprir gli occhi a nuove bellezze, ch'ei non potea conoscere da sé. Senl'^ così vivamente accendere sé me- desimo di lauta nobile emulazione, cosi torte capì il fa- (1) Ve ne ha moltissime a Cangi, e a Poiizii in alcune Chiese, e ap- po molte famiglie. 113 re dell' esule fiorentino, che i quadri del suo novello siile sono alTalto Paladineschi (i). Ma se di molto si rimase indietro a colui non è a maravigliarsi , ove si rifletta che con lunghissimo esercizio si acquista la ma- niera di hen fare, e che non mancando punto di quelle necessarie qualità, che costituiscono l'artista, i vizi pos- sono evitarsi, e un nuovo modo agevolmente si appren- de. Mancava al Salerno il fondamento del disegnare parte essenzialissima al pittore, mancavagli il giudizio di sce2;liere le cose imitate da natura , ed ignoto gli era quel fino meccanismo dì lavorare, senza il quale le allr« doti figurano a metà. La sua prima maniera quindi è alquanto secca; in- sipido colorito, forme non scelte, figure magre, e smil- ze, poca varietà, attitudini replicate in un composto me- desnio, poca pratica di chiaro-scuro. Tuttavia certi rolli espressivi, alcune azioni naturali rendono le sue prime tele non dispregevoli, le quali si trovano sempre popo- lale di putti singolarissimi. Intorno a cui è da osser- varsi cosa, che finora nessuno., s' io non fallo, notò, che il disegno de' pultini è certissimo carattere per cono- scere le opere del Salerno. Conciossiachè egli aveva dal- la natura ricevuta una particolare abilità nel farli. Se la bellezza che Guido Reni dava alle leste giovanili, da taluni, cofne naturai forza del suo ingegno riguardavasi, ma da' più dotti delle cose di pittura si ascriveva ai lunghi, ed esalti studi, che fece sull' antico , il mede- simo non può dirsi del Salerno, che ebbe o' pochissime o cattive istituzioni. Io non ho visto quadro, ( e mol- tissimi ne lio visti ) in cui non fossero putti. Anche dove il soggetto non gli richiede, o par non gli ricliieg- ga, ei l'introduce, come se di forza gli uscissero dal pen- nello. Tanto è certo che il pendio naturale mal si af- (i) Chi viiol meglio convincersi del faUo vegga il S. Domenico dei Salerno di' e in Polizzi ne' PP. Predicalnri, ed il Bosario del Palladiai ne' Padri del medesimo Ordine a CaltanisseUa. ii3 frena se uno sforzo di ragione non vi osti. Se vuol di- pingere una Maddalena, che più filosoficamente da' mae- stri vien figurala in erma campagna, tutta medilaboa- da e solinga senza che anima vivente turbi la sua pe- nitenza, lo Zoppo le pone da costa un angioletto che sostiene il vase d'argento, un altro che guarda il teschio e sorride; s' ei vuol presentare una Vergine addolorata, un putto pur esso piangente le sta dappresso con vari slromenti di passione; s'egli vuol fare un martire, un drappello di questi vivaci genietti muovesi per aria , chi iuttnlo ad accoglierne i sospiri, chi inatto di con- fortarlo, questi spaventato guarda i carnefici, quegli a- lieno dell' azione e mille altri simiglianli cose. Come la maniera di disegnarli è originale , così è suo il modo di disporli. Sebbene qualche fiata per troppa voglia di farli espressivi ei li ponga in caricatura, nondimeno que- gli angioletti intorno a una Vergine, che vola di Cielo, festeggiano, carolano, tripudiano, sono animati di foco vivissimo; lo spettatore tende l'orecchio per sentire le loro voci, e il batter dell' ali, ei li pinge così leggieri neir p«re che paiono saltar fuori della tela. Que' difetti che riguardo a questa parte della pittura, nelle prime sue opere non seppe evitare, cioè disegno scorretto, con- torni troppo decisi, tinte non unite, spariscono quasi in quelle del suo stile migliore, ove è disposizione piìi giu- diziosa, forme più scelte, colore più caldo, movimenti più graziosi, e meno convulsi. I putti perciò sono la parte più pregevole dei suoi quadri a preferenza delle grandi figure. Le quali, e massime ove tengono piin- cipal luogo neir opera, non mancano di nobiltà , e di espressione. Il suo S. Benedetto (i) che vestito degli abiti sacerdotali sta assiso in seggio distinto, è una del- le sue cose più belle, e tale che un artista di maggiore rinomanza non isdegnerebbe per sua. Il volto di questo (>) Nel Monastero di S, Marglterita in Polizzi, ,.4 venerevole Patriarca, e gli occhi pieni di raoUa vile , e l'aria tutta della persona, spirano colai nobile fierez- za, e dignità, die rai ìsi svegliò nella memoria V idea del Moisè di Micheiangiolo. Non è qui il luogo di fa- re minute osservazioni sopra i suoi quadri principali. Non taceremo altresì della celerilà, e facilità del suo operare. I bozzelli, di cui, secondo la costumanza di quei tempi, attorniava le sue grandi tele, son tulli gra- zia; e le figure sono macchiate con maestria somma. Si- milmente e' fece molli quadri da cavalletto, sempre li- beramente dipingendo, che debbono annoverarsi tra le sue cose migliori. Nella sua ultima maniera fu abbon- dantissimo di figure; e notisi, che quantunque negli an- ni giovanili fosse più inclinato ( forse per la necessità di far presto) a replicare con poca diversità le già fatte composizioni, nondimeno ei seppe in diversi modi espri- mere un concetto medesimo, come ho veduto da molli quadri di Hosario. A fare i quali ora nelle opere di Àiiemolo, ora in quelle di Palladini guardava, ed ora con accorgimenlo più sano attingeva allo ingegno suo. Altri forse mal non si apporrebbe dicendolo privo di calore nel comporre. I suoi dipinti di martirii , o di spasimi (i) ne son pruova certissima. Ma più giusta- mente è da dirsi, che le sue positure (come parlano gli artisti in loro linguaggio) son troppo statuarie ; epperò ove la mano non sia franca a menare il pennello, ove il pittore non padroneggi a sua voglia la macchina umana, fredda oltremodo dee riuscire la espressione di una battaglia, e di un tumulto. Comparando il merito del terminese artefice , e di quel da Cangi, non dubiterei di dar la palma al secon- do, anzi è da mettersi in grado più eminente. Entram- bi ebbero difetti notabili: lo Zoppo, a cui natura fu larga d'ingegno più forte, e più vaslo, n'ebbe in roag- (i) La Lapidazione di S. Stefano nella Chiesa di S. Gìo-Battista a l'ulizzi ne serva di cseiupio. ii5 gior numero nella sua epoca primiera, che è, come si disse, la sua peggiore, in paragone della prima del La Barbiere, che è la migliore. Tutti i dipinti della secon- da epoca del Salerno sono superiori di mollo a parec- chi dell'altro. Ambedue furono de' rinomali nel loro secolo, e le scuole loro sarebbero feconde di numerosi discepoli, se non fosse surto Pietro Novelli a farsi prin- cipe di tutti gli artefici finora esistiti. Le loro opere meritano riverenza dagli amatori, ma si sgannino una volta coloro, che abaciuali dal popolare grido che a gran fuma inualzolle, le stimano sino al delirio con roman- zesca meraviglia. E più non dico. Bastano le cose fin qui riferite a sa- lisfazione degli artisti eruditi, ai quali mi è caro di- riggerle, e i quali venero giudicatori della verità dei miei seulimenli, che, come sapete, non ho accattali dal- le altrui scriitlure, ma dedotti dalla considerazione delle opere mentovate. AVVERTENZA Il seguente articolo era stato dettato dall'unanime volo dei passati Direttori delle Siciliane Effemeridi^ e da lutti loro firmalo, onde venir fatto di ragion pubblica; poiché essi dolenti delle fiere dispute,che si erano ingaggiate fra gli egregi e nobili compilatoridi alcuni riputati Giornali di Messina cogli onesti e valenti compilatori del /^apore, ave- vano col presente scritto la loro opinione intorno al Va- pore medesimo manitèstata , facendo voti che la pace , e la concordia fra gli uni e gli altri ritornassero; onde le vane ed ingiuste polemiche non usurpassero più il luo- go agli studi utili ed ameni, che soli possono di soave diletto aspergere le amaritudini di questa vita , che è assai per se medesima tribolata, perchè gli uomini deb- bano renderla, per le loro scissure, più afllilta ed ama- ii6 ra. Le inimicizie non debbono essere eterne: il braccio di pace disperda gli odi , unisca insieme i valorosi , e con legami sempre piìi forti gli affratelli. Io spero che questo mio fervente desiderio sarà secondato dai gene- rosi, cui si dirigono le mie parole. F. Malvica, IL VAPORE Giornale istruttivo e dilettevole — Palermo i834. i835. i836. tre voi. in 8.° Molli sono i giornali, die si son veduti nascere e mo- rire, pochi che hanno goduto di una lunga vita, e po- chissimi quelli che invecchiando sono in pregio venuti. Se volgi ai primi lo sguardo non ne potrai cerio com- miscrare la sorte , se ai secondi resterai sorpreso della loro dubbia esistenza, e finalmente dopo di averne tro- valo qualcuno fra gli ultimi non potrai non benedirlo ed augurargli sempre più prospera e benigna fortuna. E siccome fra questi ti si parerà innanti il f^apore^ non farai certo le maraviglie in vedergli consacrala una pa- gina di queste Effemeridi. Nacque il Vapore nel gennaro del i834 , e fu consacrato al diletto ed alla istruzione delle eulte e gen- tili signore: le quali conoscendo appieno il pregio di se medesime, e il bene che da esse può aspellarsi la civil società per la immediala influenza che esercitano sopra i costumi degli uomini, si sono anche rivolle agli uti- ii esercizi, e dall'amenilà delle lettere traggon non po- co diletto. Fu dapprima adorno di novellelte, di poe- sie, di notizie di mode, di teatri e di scoperte, e fu for- se il primo fra noi a descrivere molti costumi delle città di Sicilia, e spezialmente di Palermo; del che ebbe non pocu lode dagli stranieri , per fino da quelli che non facili lodatori sono delle cose nostre. Per la qual cosa i compilatori di esso, gli ottimi frateUiAulouiaoe Via- **7 cenzoLinares,fattì più coraggiosi, seguirono per Io secóndo anoo la loro ÌDtrapresa,ed aogiungendovi vati leggiadri ar* ticoletli di storia patria , fra i quali ne piace di ricor- dare quello sulle poetesse siciliane, alcune inedite poe» sie del Meli, e varii ritratti di uomini celebri , sicco- me Bellini, Donizzetti, e Manzoni (per tacere di quello della Gervasi, che di tanto onore non era degna) più bello ed adorno fecerlo comparire. Maggiore fu quindi l'accoglienza che ricevette dal pubblico, e con maggio- ri ed importanti riforme e miglioramenti ha fallo di se bellissima mostra in questo terz'anno di sua esistenza; imperciocché se ne osservi la nitidezza , la correzione, la eleganza tipografica, e la bellezza delle incisioni , e il colorito dei figurini, poco o nulla avrai da desidera- re, ne crediamo che per questa parte possano non che vincerlo uguagliarlo i più riputati giornali d'Italia, Se alle novelle, alle narrazioni di feste, alle descrizioni dei co- slumi, ed ai viaggi politici, e teatrali quasi tutti dai com- pilatori dettati, poni mente, li vedrai sparsi di tanta grazia, facilità, e festevolezza che ne troverai gradevole la lettura ; e se finalmente ti rivolgi alle biografie del Patania, del Monti, e del Rido , ai pochi articoli di morale e di letteraria educazione, ed alle poesie, ed alle prose dei più valorosi ingegni del paese, ai quali aggiun- giamo 1' egregio professor Borghi, non potrai non con- venire essere il P^apore uno di quei pochi giornaletti, che sanuo mirabilmente accoppiar l'utile al dilettevole, e che circolando fra le mani di tutti va prendendo , come uno di noi medesimi già disse , // carattere di ebdomadario universale, ;Ma ciò che soprattutto render lo dovrebbe pregevole agli occhi de' Sicdiani si è quello amor di nazionalità, e quello spirito forte che per entro vi campeggia. Non disprezzo per le cose proprie, ne cieca adorazione alle straniere , non bassi e servili encomi, aèasprce villane censure, ma, generoso e gagliardo campione dell' onoi* ri8 siciliano, non sofiìe le ingiurie falle ali» nazione, sic- come apciiamenle manifcslano le risposte alle calunnie del iiHpolilauo QuattronQaQÌ,e idei francese Saiat-Gervais. Questo glorioso amore per la Sicilia continui ad ani- mare i compilatori del Kapore ; una sia la patria del Siciliano, la Sicilia, e maledetto colui che la scompiglia e più che peste l'ira di municipio nou detesta^ . / ..;.,.• ■ :;( 1^ .•),■,(! '!>(, Li oli'Jtl T" Notizia intorno ai monuménti deW Egitto e della Nu- bia disegnati ed illustrati dalla spedizione scientijico- letteraria Toscana in Egitto. ■■■> Quest'opera bellissima, e roerilaraenle celebrata, dee-* si, come lutti satano, alla dottrina e al giudicio del pro> fessore Ippolito Rosellini, direttore della Spedizione. I monumenti sono in ordine di materia distribuiti, e sa- pientemente inlerpetrati ed illustrati. In Sicilia sono pervenuti della. prima parte, che com* prcude i morinmenti storici, due tomi solamente; i quali portan la data del iSSa, e 33. La parto seconda, che abbraccia ì monumenti civili , e eh' è compresa in tre tomi, si è finita di pubblicare nel corso del i836, e ci è giunta interamente. Delle tavole in sesto atlante ne sono uscite trenta di- spenze , disegnale a contorno dal Lasinio , parte delle quali colorale. La bellezza di queste corrisponde al valore del testo. . Le Effemeridi danno oggi questa notizia sol per an- nunziare che in vari articoli, che nel corso del iSS'j saranno pubblicati, si tiara da uno dei nostri valenti ar- cheologi, dall'ab. Maggiore, conto esteso di quest'opera laboriosa , sommamente pregevole , ed emiuentemeute utile. IL SEPOLCRO D' ARCHIMEDE SCOPERTO DA CICERONE ODE Q ui fm vepri, qui fra dumi Qui il rastrello, o contadini; Qui pur qui drizzate ì lumi, Qui cerchiamo, o ciltadioi. Quel cilindro, quella sfera Ch'è de' secoli Tooor. Qui ... ma cheti ! già si scorge Quella sfera. Oh fortunali ! Oh il cilindro come sorge ! . . E cadevano prostrati A quel dir la muta schiera, E r attonito Questor. Sì; prostrati, riverenti Alla toraha di quel Grande; Di quel Divo che i portenti, Come raggio che si spande Dall' Empireo all' Universo, Fra i mortali sparse un dì. I portenti d'un ingegno Che scrutò profondi arcani ; Che varcò d'immenso regno Ardui segni oltre gli umani ; E ogni popolo diverso, Ogni secol ne stupì. 130 Di colui che quasi svelle La lerresire antica niole^ Per sbalzarla in su le slelle; E die f(ià strappando al soie, Quasi un Dio, le fiamme ardenti, Nuove folgori creò. Con che l'alta, la vetusta Siracusa a le sue sponde Del Roman mirava adusta La potenza in grembo all'onde: E dell' acri inville Genti Mesto il fato ne tremò. Salve, o marmo, che chiudesti Di quel sommo un dì la polve ! Se fra noi tu più non resti, Resta a noi, ne si dissolve , Resta sacro in ogni petto D' Archimede il nome ogùor. O Sicilia, in tuo pensiero Datii cuor, ti riconforta, Quanta invidia lo straniero Per quel nome sol ti porta ! Rendi al Ciel lUo grato affetto, Ed all'indilo Queslor. Bnldassare Romano. VARIETÀ' La forza dei pregiudizi* Crediamo bone di qui riferire un fatto che si trova scritto neir Indicatore Sardo, e die noi con piacere eslragghiamo dd bellissimo Repertorio di agricoltura lai pratica , e di economia domestica cieli' egregio dottor Ragazzoni, perchè se utile si e stimalo per que' paesi, di gran lunga più utile deesi riputare per la Sicilia; ed ognuno ne conosce la ragione, e la sente, senza bisogno di ricordarla. Questo fallo può paragonarsi a quello di Cajo Furio Crescine, rammentato da Plinio, e descritto dal Bianchetti nel suo discorso Dell' utilità di riunire lo studio scientifico delC agricoltura con quello della Filosofia,, della Teologìa e della Morale^ inserito nel detto Repertorio toni. Ili pag. 21 5: dimostrerà egli nel med." tempo quanto sia necessario di dare una istruzio- ne ai popoli di campagna. In un villaggio della Savoia, a qualche lega da Gi- nevra, evvi un agricoltore, padre di dodici figli, che in virili delle leggi sarde , gode di una pensione di aSo fr. Quest'individuo, malgrado del dispendio cui è sotto- posto a cagione della sua numerosa famiglia, coU'indu- slria e l'economia, sa provvedere a' suoi bisogni , anzi è posto in certa agiatezza. I suoi vicini gelosi d'una pro- sperità, di cui son privi, immaginarono una causa oc- culla, un patto cioè col diavolo, in forza del quale cer- ta gallina nera, che stava nel cortile del sig. N.... prov- vedealo ciascun giorno d'uno scudo. Il rumore di questa diabolica transazione si sparse fra le comari del distretto a segno di cagionare non poca inquietudine al nostro proprietario. Costui si rivolse al Sindaco per far cessare questo comaraggio. Il Magistrato , uomo scaltro , non trovò miglior espediente, che di esporre in pubblica vendita la maravigliosa gallina. Fissato il giorno alla ven- dila, la folla accorse in casa del Sindaco, e la bipede fu data per atto autentico al Sig. T.... al prezzo di una rendita vitalizia di io soldi ai giorno a favore del venditore: e conchiuso il mercato , il compratore con- dusse in trionfo a casa la fatata gallina. Questa però , sia per capriccio, o per qualunque altra^cagione, pigliò partito di non fare altro che uova. I paesani non voi- I sa- lerò perciò aver la mentita : preteDdevaDO clic il patto del diavolo col primo proprietario era senza eflètto pel successore; e clic in conseguenza la gallina lasciava ogni sera il suo nuovo domicilio, per andare a deporre il suo scudo d'argento nell'antico. Parlasi di rescindere la ven- dita, e già il venditore è stato a tal effetto citato. i\. .. Society agronomica di Mosca La Società agronomica di Mosca venne fondata ncl- r anno 182 1 contemporaneamente a quella di Pietro- burgo. I benefìcii che ha già arrecati sono immensi. II suo giornale accreditatissimo in Russia ha già trenta villaggi e qualche centinajo di contadini della Siberia Occidentale che lo leggono con frullo e ne pagano la associazione. La sua scuola agronomica ha già mandali i suoi più valenti allievi nelle j)iù rimole province della Russia a diffondervi i nuovi melodi di agricoltura. Presso la sua cascina normale si vanno in tulli gli anni fa- cendo importantissimi sperimenti. I suoi soci corrispon- denti la ragguagliano d'ogni nuova scoperta che fa/mo, d'ogni nuovo tentativo che stanno praticando. Uno di questi bravi il signor Gerard le comunicò 1' anno scorso un metodo di fabbricare case villiche da lui in- trodotto, che vale a salvarle d'ogni pericolo d' incen- dio. Il suo metodo consiste nel lasciare nelle muraglie di cotto un interstizio in mezzo, legando però le pa- reti con fìl di ferro , e riempiendo l' interstizio stesso di calce e carbone che trattengono mollo l' umido, e rendono il muro meno accessibile alle vampe del fuoco. Gli allievi della scuola agronomica annessa alla So- cietà furono 104 nell'anno i83o; 4G fra essi vennero patentati come agronomi esperii. La rendila della So- cietà ammonta a 6j,5i9 rubli e ne spende 55,958. Un certo Prokopovìtch per avtre istituita una scuo- la per insegnare la coltivazione delle api, racuo d'a- gronomia da lui studialo per venti anni, ottenne dal- l'Accademia una meddglia d'argento. R. R. 123 /innunzio dì una nuova edizione del Dizionario dei si- nonimi della lingua italiana^ di Nicolò Tommaseo. La comparsa dì una ristampa fat^a in Napoli di que- sto Dizionario , e l'annunzio fallo di recente di altra ristampa fiorentina, m' impongono I' obbligo, nell' inte- lesse mio ed in quello del chiarissimo autore di ope- ra sì utile e sì giustamente celebrata, di sollecitar la seguente dichiarazione, cioè; Che il Sig. N. Tommaseo, veduto ch'era quasi af- fatto esaurita la seconda edizione del suo Dizionàrio ( che fu quella di Milano) era venuto nella determina- zione di preparare ed ordinare i materiali di una ter- za edizione sua, ch'egli si propone di fare eseguire in Firenze; Che i materiali di essa sono già quasi tutti in mio potere; Che io ne sono diventato proprietario editore; Che questa nuova edizione sarà corretta , in varie parti rifusa, notabilmente accresciuta, arricchita di mol- te! aggiunte ed a nuovo ordine sottoposta; méntre non solo verranno riformati, ma ben anche rigettati vari articoli; Che sarò in istato di cominciare, e, se sarà possi- bile, di compirne la stampa nel prossimo anno 1837: Che detta stampa avrà luogo con tutta la nitidezza e la precisione tipografica richiesta per simili lavori; Infine che questa quinta edizione, che sarà la terza fitta coll'assenso e sotto la direzione dell'Autore, sarà r ultima cui egli coadiuverà ; e che quando egli fosse iu seguito nel caso di somministrare nuove aggiunte, esse verranno sempre pubblicate col mezzo di supple- mento da unirsi a quest'ultima sua edizione, di modo che i compratori di essa non possano mai temere di veder comparire alla luce altre edizioni per loro più desiderabili. •:)Ut3Ìil> ibiìioin'ì':. :• ia4 Coa altro roanìfeslot e prima che finisca l'anno cor* reale, farò coaoscere le coudizioni tutte dell'associa- zione. Firenze, f836. VIEUSSEUX Proprietario e Direttore del Gabinetto Scien- iifico-Letterario. NECROLOGIA . PEL PROFESSORE ANTONINO FURITANO In Lercara de* Freddi, nel Val di Mazzata, dal me- dico Giuseppe e da Paolina Furilano ai 24 novembre 1778 nato Antonino , avea quasi appena e malaraerile compiuti i suoi studi allorché a diciannove anni dell'e- tà sua venne la prima volta a Palermo per appararvi Chimica-farmaceulica cui da' parenti avviavasi come a mestiere di lucro giornaliero, piuttosto che a scienza di moral dovizia e di onore. Ei difatto, benché poco vales- se in lettere umane ed in (ilosofia, non lasciò pure di darsi alle fìsiche discipline sotto P. Eliseo, ed a quan- to ailor concedevano i tempi vi riuscì daddovero. Col- tivò col Cancilla. la Storia naturale e ne divet)oe pub- blico Dimostratore alla cattedra. Si die quindi allo stu- dio della Farmacia-chimica primamente col Canzoneri dappoi col Chiarelli, e tanto bene v'intese che, mor- to costui, la Deputazione degli studi iu Sicilia a 22 di- cembre del i8i4 il chiamava per fama a rimpiazzarlo da Dimostratore di chimica nella R. Università di Pa- 125 lermo, ed £i modestissimo vi si prestava senza neppur pensare che da l'i a pochi mesi vi dovesse per la mor- te del Meli governare da Interino la facoltà. E ben diresse e con si grave senno ammaestrava la gioventù e tanto genio sviluppò nella scienza che chiaro sonava il di lui nome infra lutti, e, venuto anche in pregio di valoroso scrittore di Chimica, tanto merito ricompensava il Governo nel i823 quando al Principe il commenda- va come degno di avere senza concorso la proprietà del- la cattedra, e re Francesco I.'* santamente alla proposta annuiva. Conosciuto per ottimo nella sua professione ebbe in- carichi dal Governo e dalle autorità subalterne e li recò dignitosamente ad effetto. Nato alla Chimica, Ei non vivea che per ammaestrare utilmente gli allievi , fors'anche per addentrarsi ne' misteri di Esculapio e span- dervi nuova luce, che pur grave si era del dottoralo io medicina. A questo modo si concepisce come in epoche diverse i torchi del Dato di sue scelle produzioni si or- nassero, e come gli stranieri ed i connazionali vi faces- ser plauso non comune. Pubblicò in falli nel 1 8 19 il Trattato di C himica-farmaceutica in 3 voi. in 8, che la Biblioteca italiana , avara nel prodigar elogi a chi non sono dovuti, nel Tom. xx. a pag. 277, dichiarò scritto con molta dottrina e con sufficiente eleganza e chiarezza^ né mancante di nuove vedute che mostra-' no sapere e genio in chi lo compose. Nei 1825 fece pure di comun drillo un opuscolo che s' intitola dall' ^mdisi delle acque termali di Sclafaniy di Cefalà Diana ^ di Termini e di quelle non termali del Bivuto^ la quale a Parigi si ritenne capolavoro di scienza e di esattezza, ed il celebre barone di Ferussac per mlero la trascrisse nel Voi. xii del suo non a torlo riputato Bulletin universel des sciences. E comunque 1 Accademia delle scienze di Napoli per mezzo de' due famosi chimici, Lancellotti e Covei,li, si fosse impc- ia6 griata a screditarla un pochino, non perciò il Puritano vi si acchelò in buona pace, che profondamente var- iato nella materia volle dalle imputazioni scolparsi, ed al 1829 con la sua pubblicata Lettera al barone di Fé- russac sulle Osservazioni fatte da Francesco Lancel- lotti e Niccola Covelli alt Analisi delle acque termali di Termini^ da maestro non sol si ditese, ma in pari tem()0 di badiali strafalcioni tassò que' bravi, che non si poteron mica difendere. Mise anche fuori nel 1828 quattro grossi volumi in 8. del suo Corso di Chimica-JìlosoJìco-pratica^ so- pra cui, s'io dovessi qui da giudice sentenziare, direi, non saper veramente se in quesl' Opera più l' ingegno alla dottrina, o questa a quello prevalesse. I due volumi de' Pensieri Jisico-chimici sulla vita da lui stampali nel i83i son la più bella cosa che im- maginar si possa in un' epoca in cui la Medicina elet- tropatica, spoglia del misticismo tedesco e doviziosa delle nuove ricerche francesi su le funzioni de' nervi progre- disce mirabilmente nel suo cammino. E se un colai Giovanni Silvestri tentò i pregi oscurarne con informe e capzioso estratto dell' Opera che inserì nel Giornale di Scienze Lettere ed Arti per la Sicilia; non perciò fu- ron tarde o mule queste Effemeridi nel conquidere l'im- postura serbando illesi ad un tempo e fama ed onore al filosofo trapassato. Egli altronde, mentre taluni dei nostri gli facevano guerra, dalle più cospicue società scientifiche di Europa rimeritava i titoli a Lui dovuti (1); e il Senato di Palermo non lasciava di decretargli una corona ci- vica di "ySo franchi per aver saputo mantenere illesa la vita de' cittadini nel dissotterramento de' cadaveri nella già diroccata parrocchia della Kalsa. A parte dell'enunciate sue produzioni, altre idee ed (i)Veniva eleUo socio corrispontlcnte AeW Accademia analomico-chiriir- gicfi di Perugia, deW Accademia de' Quaranta in Italia , deW Istituto a' Incoraggiamento di Mapuli, ec. ce. 127 altri scritti ordinava in mente il Puritano, ed avea for- se questi cotuiuciato a vergare sulla Chimica agraria , quando morte, che nemica di tutti lo è più presto dei buoni, a i3 luglio del i836 dopo 58 anni di vita, onorala, e per lunghi patimenti d'idrope ascite lo spense. Allo e robusto come dell' ingegno così pure della persona e di temperamento sanguigno-bilioso. Ei non era che di troppo privilegialo del funestissimo dono della sensibilità. Fu dessa che vivamente ferendolo lo dispose a quel male; e per essa io perdei l'amico il maestro, perde la Scienza il suo più celebre sacerdote fra noi, la Patria il cittadino generoso votato al suo meglio , la Università degli sludi una delle sue maggiori colonne, ne sì di breve si potrà empire il voto da Lui lasciato cadendo. Che se le benedizioni de' buoni nella vital car- riera lo confortarono, le lagrime de' fratelli lo segui- rono al sepolcro nel convento de' Teresiani di Palermo, ove riposa in pace la di lui polve (i). Gaetano Algeri-Fogliani. (i) L' elogio storico del Foritaho sarà tra non guari insorilo nel mio Giornale medico per la Sicilia ■ Il i.:Ì£-^^- / t'U^i ^.yr(-%nr{'h^Lij "'J'S :.^'X'^