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PER

LA SICILIA

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TIPOGBAFIA DI FILIPPO SOLLI 1857

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2 a©® Sili®

Incorruptam fidem professis, nec amore qulsquam, et sine odio dicendiis est. Tac. hist. lib. I.

Era mestieri che in fronte del primo numero del iSSy avessimo posto al- cune parole che mostrassero la meta a cui, per amore delle siciliane lettere, abbiam rivolto le nostre pagine.

Il Cainusat scrisse in due grossi volumi la storia critica dei Giornali ; e noi abbiam veduto quanto sieno la- grimevoli i fatti che vi si narrano, i lamenti che vi si fanno; quella storia potrebbe seguitarsi fmò ai giorni no- stri, e novella materia di pianto ci si porgerebbe innanzi.

Egli è però certo che finché l'arte del critico, la più difficile fra tutte le arti dell'ingegno , sarà esercitata da coloro non per saper ma per conten-

der chiari^ noi saremo sempre bam- bini, ed accresceremo soltanto la sto- ria delie polemiche, che fra tutte le storie degh umani deh ri ò la più mi- seranda.

Per ia qual cosa siam venuti in pen- siero, onde rendere un novello servi- gio al nostro paese, di compilare in. quésti fogli periodici un prospetto del- le scienze e della letteratura del seco- lo XIX in Sicilia cominciando dal gen- naio del 1800 fino al dicembre del ' i836; climanie^'achè facendo potes- simo presentare ai nazionali e agli stranieri in complesso e nel modo mi- gliore che SI possa, uno dei più impor- tanti e luminosi periodi della civiltà siciliana.

Il piano del nostro lavoro è il seguènte:

Introd uzionc i i a . .Vk' .^F^^ Malvica.

;'Ì': ,, CAPITOLO PRIMO ^(] '•' ir )r ■Quadro dello stato generale scicntificfo e - letterario d(illa Sicilia- ai i.* di gcniiaio 1800; desunto in parte dall' 0|>era doU'Ab, DomeinGO Sciiià, intito- lata: Prospetto della letteratura del secolo XVIII in Sicilia. x..........'..i. Bernardo Serio.

(V.)

SECONDO

Astronomia Cav. Niccolcx Cacciatore .

TERZO

Mineralogia Prof. Carlo Geramellaro .

QUARTO

Zoologia Anastasio Cocco.

QUINTO '

Botanica..,,.,,,, ,..,.,* ,.. Francesco- 1 Arrosto.

SESTO

Scienze esatte »...Prof. Lorenzo MatUiem.

SETTIMO

Scienze mediche.,...,. ......^. Gaetano Algeri Fogliani.

OTTAVO

Scienze sacre Benef. Luigi Garofalo.

MONO

Scienze ideologiche Ab, Salvatore Mancini .^

DECIMO

Giurisprudenza. .Presidente Costantino M^i'i^.Co^t^liitini.

DECIMO PRIMfV - ,f;i{jpr| 'JilìnuU-J

Diplomazia , dritto pubblico civile ed eccle&iasli- co Carmelo Mar torà .

DECIMO SECONDO

Agricoltura ..... .... .Ca v . Prof» Sai vadore Seuderi.

DECIMO TERZO

Scienze economiche e statistica. F. Malvica;.

DECIMO QUARTO

Storia civile e latteraria Cav. Lionardo Vigo.

DECIMO QUINTO

Della cultura delle lingue dottamente tra Hate.... Mon- signor Giuseppe Crispi.

DECIMO SEStO

Archeologia Ab. Niccola Maggiore.

DECIMO SETTIMO

Belle lettere Cav. Antonio di Giovanni.

DECIMO OTTAVO

Belle arti Paolo Giudice.

(VI.) DECIMO NONO

Istituto d' liicoraggianieiito di agricoltura arti e me- stieri; società economiclie ; commissioni comunali; direzione di statistica ; accademie scientifiche e letterarie; pubblici stabilimenti F. Malvica.

VENTESIMO

Musica; teatri; accademie filarmoniche e filodramma- tiche '.< Linares.

VENTESIMO PHIMO

Biografia, bibliografia, arte tipografica Ab. Gaspa- re Rossi.

VENTESIMO SECONDO

Riepilogo di tutti i capitoli, e conchiusione..F. Malvica.

Quello clie ora solamente ne giova di avvertire si è che alto rami dell'umano sapere qui non indicati saran- no trattati eziandio, come ci sarà dato di pregare altri dotti, che se ne vorranno prendere, per amore della comune patria, generoso pensiero: e crediamo, onde sde- bitarci di qualunque obbligo , di far conoscere altresì che le materie non verranno stampate nel nostro Gior- nale coU'ordine che abbiamo accennato, sibbene come ne andranno mano mano pervenendo : riserbandoci di dar loro quell'ordine analitico che ne parrà migliore, quan- do saranno da esso estratte, ed in volume separato al pubblico presentale.

// Direttore Ferdinando Malvica.

SGIKN!lfiy,lCHE E LETTERARIE

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PARTE PRIMA

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.^/f Mmacera^ii^fe del lino per via M. vapore. -^Ropr,

uhPorio iqtfo al fi^.. , Jsfituio d incoraggiamento, dal jq-

cio, prdinariqPjLi^cjjP^ pi GRAtfATELhi^ui il. fM!;K{

h •. .•.^;§If>NOR.^^■J,no:,„,

MWi non poca commendazione è degno il pensiero del- 1. Intendente di Caltanissetta d' introdurre la macerazio- ne del lino, e, della canapa per via del vapore da sosti- tuirsi al metodo ordinario dell'immersione, che con tan- to danno della pubblica salute, e dell' interno commer- 90 attualmente si pratica presso che in tutti i fiumi, e stagni dell' Isola. Così i funzionar j tutti seguissero il laudevole esqiTipio, occupandosi di pensieri cotanto uti- li al miglioramento del nostro paese! Un progetto sul proposito inviato da qucll' Intendente al Real Governo viene oggi per costui superiore incarico all'esame di que- sto Istituto. Esso è accompagnato da una memoria competa per inchiesta del detto funzionario da quella óooela economica ove si descrive l'apparecchio ncces-

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sario alla macem2Ìon€ ^ si discorre de' vantaggi eco- nomici, e di pulìblica salute , che 3a quel metodo de- riverebbero, e si aecenna il procedimento, che dalla pub- blica amministratione dovrebbe tenersi per attivarlo, firl'- chè non diventasse oggetto di privata industria. Il me- todo non consiste , che nel sovràppoi¥é su di uno, o più graticolati al vapore alcalino-caustico di una caldaja po- sta in luogo ben chiuso il lino da macerarsi. CoU'azione del vapore si compie in poche ore la macerazione, os- sia la decomposizione del glutine, che riunisce le fibre della scorza delle piante filamentose. Oltre il vantaggio, che evidentemente deriverebbe alla pubWica salute dal- l'introduzione di qliesto mrtodo se ile érmiAerano alquan- ti allri economici, come guadagno di tempo di quanti- tà e di qualità di prodotto. (Quindi si propone al Go- verno ordinarsi che in ogni comune di quella Valle da un'apposita commissione si costruissero una, o più case ad u;so di maceratoi, ove i produttori vietati con àvdue pene di macerare il luio nei fiumi, o negli stagni dovreb- bero trasportarlo pagando per ogni soma una mercede : che le spese di prima costruzione , e manutenzione di questi Stabilimenti proponessero dai Decurionati negli Stati discussi comunali, e che almeno per il primo an- no se ne ritenesse l'economia dai Comuni. Si spera quin- di, che in capo a pochi anni diventassero oggetto di pri- vata industria, e che i Comuni potessero vendendo, o concedendo i maceratoi rifarsi dell'anticipato capitale che secondo soggiunge 1' Intendente potrebbe ammontare a circa once cento pet ogni comuue.

Invitata la classe d'economia rurale ad occuparsi di que- sto progetto con vivo compiacimento udì, che quella So- cietà economica rivolgeva il suo pensiero a rendere inno- cuo alla salute un ramo d'industria, il cui miglioramento a rjuesto riguardo è slato finora inutilmente lo scopo dei più industriosi coltivatori dei popoli più incivihti.Nel pro- curare con un mezzo chimico, o meccanico la macerazione

dd Irni sta h> scioglimento del gran problema sociale: tutelare ugualmente nella preziosa cultura delle piante fila- mentose la pubblica ricchezza, eia pubblica salute. E noto infatti che pria della metà del passato secolo si tentò in Francia dimacèrare il lino per via del vapore, e gli esperimenti del metodo di Basle pressoché identico a quello che ora si propone dalla società di Caltanissetta dimostrarono la eccellenza chimica di quel procer>so j ma esso riusciva così dispendioso a causa dell' ap- parecchio, del combustibile dell'alcali, e della mano d'O- pera , che per ragione di economia convenne abbando- tìarlo. (i) Ugual destino incontrarono gli altri metodi chimici sperimentati in Francia, e in Italia come quello d'immergere il lino nella saponata bollente raccoman- dato da Filippo Rè, o nell'acqua alcalina scaldata, me- todi anch'essi efficaci, ma non meno dell'altro dispendiosi'.' Venuta meno la speranza di ottenersi la macerazióne coi procedimenti chimici l'industria si rivolse ai mezzi meccanici, ed agli sforzi degl'industriosi a questo fine diretti si riunirono gl'incoraggiamerili delle Società scien- tifiche, e dei Governi. La società d'incoraggiamento di Parigi propose per una maciulla un premio di 6000 franchi. Le maciulle di Christian e diLaforest, che tanto illusero in sulle prime concorsero al premio , ma qne- sto non venne loro accordato essendo per alquanti difet- ti riuscito imperfetto il loro lavoro, e principalmente per la ruvidezza, che il Uno ritiene, per cui si rende iiiu- tile, o poco adatto alle manifatture (2) Son note anco- ra le cure del Gran Duca Ferdinando per introdurre in Toscana la macchina di Laforest (3) e del nostro prin- cipe di Castclnuovo per introdurre fra noi quella di Chri- stian, e son pubblici gli esperimenti poco felici che se ne fecero così fra noi (4) che dall'Accademia di Georgofili-

(1) V. Dizionario universale d'agricoltura aU' art. maccràiwiic.

(2) Vcfli Dizionario universale d'urti e mestieri. ' , > .. , ; , .

(3) V. Giornale agr. Toscano n. 3. ! '"'''

(■i) Vedi Calcndaj-io per l'agricoltore Siciliano 1821. »

Rinsciti più insufficienti dei chimici i mezzi mecca- nici r umana industria siccome suole avvenire si è an- data rivolgendo nuovamente ai primi. Però dallo stesso principe di Castelnuovo si consigliava alcuni anni dopo il metodo della saponata bollente(i) e il marchese Nunzian- te praticava ultimamente in Napoli degli esperimenti col vapore che si dicono felicemente riusciti (2), e di questo istesso metodo si progetta ora 1' introduzione dall' Intendente, e dalla società economica di Caltanis- setta.

Or dovendo la classe di economia rurale sul proces- so suddetto , e sulla introduzione di esso emettere ili suo parere ella viene per mio mezzo a farlo conoscere coerentemente alle idee superiormente enunciate. Il vae-r todo è da gran tempo conosciuto dai dotti, e la sua efficacia è garantita da molti esperimenti ne è stata mai contrastata, ed è forse 1' unico dal quale si possa spe- rare il sommo beneficio dell' abbandono della micidiale maccraziane per putrefazione attualmente in uso. Ma la classe rammenta che in Francia fu abbandonato per ra- gioni economiche e però opina che un metodo contro cui sta una sanzione di così grave momento, non sia certamente da consigliarsi ad alcuno industrioso, e molr to meno alla pubblica amministrazione. La pubblica am- ministrazione dee togliere gli ostacoli all' industria, ma non dee in essa intervenire, essendo conosciuto, che r idea del dovere che muove un pubblico amminini- stratore non suole produrre a prò della civil comu- nanza i vantaggi istessi che la privata industria ot- tiene stimolata dal proprio interesse. Esperimenti e- conomici si desiderano di questo metodo prima che si parli d' introduzione generale di esso ed agli esperi- menti crediamo utile si rivolga per ora la Società eco-

(i) Vedi il «letto Calendario 1828.

(a) Vedi Giornale di Sciente ec. per la Sicilia 11. 147 articolo del Prof. Scigliani sul Catccliismo per l' ugiicollurc siciliano.

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nomica, e degli esperimenti praticati in Napoli dal marchese Nunziante si chiegga dal nostro corpo notizia a quel Reale Istituto. Senza costruire un apposito ma- ceratojo potrà la Società economica con modica spesa adattando in una stanza ben chiusa la caldaja, e i gra- ticolali fare uno, o più esperimenti di macerazione, e terrà conto della quantità del lino, che sottoporrà ad esperimento, e della bontà del lavoro , e della spe- sa, che occorrerà per potassa, per combustibile per ma- nodopera, e trasmetterà a questo Reale Istituto un sag- 'j^io del lino macerato accompagnato da un distinto rap- 'J)orto sulla quantità di quello operato e sullo ammonta- re della spesa. Se dagli esperimenti poi risulterà, che il dispendio del novello metodo non sarà tanto da scoraggiare 'la ricca industria del lino, una delle poche che al nostro "pòvero paese tuttavia rimangono, e che dobbiamo conser- vare gelosamente, l'Istituto discuterà, e proporrà al Go- verno i mezzi che crederà opportuni ad introdurre, ed a generalizzare nei vari punti dell'Isola la novella ma- cerazione.

// Socio relatore ParNòire Ci Granatelli.

Stòria naturale degli animali invertebrati del Cav. De Lamarch compendiata ed arricchita di note per opera di Francesco Baldassini. Pesaro un voi, in 8. pei tipi del Nobili.

Utile e ben pensalo divisamcnto fu certo quello che annunziamo, e a cui il Baldassini si rivolse. Percioc- ché l'opera del De Lamarch va fra le prime che vantar possa la Zoologia; quindi non si potean meglio impie- gare le cure e gli studi dell'egregia compendia tore, il quale, come Segretario dell' Accademia agraria del suo paese ( istituto che in pochi anni è divenuto illuslre

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in .Ilólia, ,c^ futuri) i,5i 19, ;''^cc{ijiiiJM?to jpqltijjtitqll iiqlla ,re- puUtiica dello ieUcre,;ll lavqr,o;di,luji,,(;oiU^eusi iu po- ca,.jutìlc, eli' è tulio succo,; ayciKjo egli-, qpn sano giu- dkio., V:Ji|HUiiu. uiifSolo i sqt ti grossi ,Afolu,mi, iti che fu cliislQsa queir OjH'i'a celebratissiujia, Lajjti,a(.lu3Ìppp ita- liana ò falla con chiarezza di stile, , ,e proprietà ;di; liik- guaggio. Le annolazioDi di cui il couipQQiUa^qre lia cor'- 1-ei.Uilo il .suo lavoro sonp tratte dai più Riputati, seri Ito,- xi( zoologici, :enjellono il leggitpre ^ giyrjip di .tatte.le più yecculi: aciDperte che si soa falle; iu, quelito iaipprp tantissimo stamp di naturale istoria. Nqi, a bj^iapip, osser- valo eoo vero piacere il giudicio e la t^utlriim. cl»e in tutte vi campeggiano; e come il Baldassini abbia ;ce,vcA- ;t<> di riunire in poco tulio che gl'ii)ypylel:\iia,liVrisguarda. . 'lu Ilalia era ben. poco difliisai r.p|)Cj,-fL.4?l .I^am£|rf:[i jierla grave spesa c\ie costa;, diÌLaod,9(;h^^li studiosi del- ia «cieuza delia natura crjin ,pi"ÌYÌi per, i\\\<^ ramo ,, di unO' dei ipiik classici: lavori, clic. ;iu (atlp, 4i.Z-pplpgia ab- bia: v<bxtitlQ: il; nòstro ;jìi3(;o|p,, ed iQ ve ;al|e. ^esmizioni piiì csatle degli animali invertebrati si congiungono osscrv,a,- zioni filosofiche e prolond*^ che alla loro generazione , al loro, istinlo, ai ;lor<j> ,usi(, ^?i loro costumi si pcrleii- gono. Quindi il Baldassini rendendo popolare in Italia mieltDxh' era- solamcnte-'ptrtninonio di poclrrsstnrr- ricchi j-esc .'liba sàcuza e alla- filosofia •,,.u^.sejrj^igÌ9.fhp..^^pà «einprc eoa laude ricordalo. ....... ^..^ •' 'mw^uw! \ AV

P^arJètà aa;rarie econonùche e tecnologici le del .doth I- gna^io Lomeni. MUano presso gli editori degli

■i^i;it4fimiU:/Jt4h^ Sfiim^^,l^^,4'.v^. in-Kp,! ;•

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I; ."iHi^sejidoci vcnu\e alle mani Je ceoiialq J^^(/rÌ£tà . ah- biaiti, trovato esser clic assai più utili di quel che pos- 53 promettere il modesto titolo del libro, Quindi beu-

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c)i^ non si* esso di ;:eceBtissift»a qata, pw tuttavia ab- biam creduto di annunziarlo nelle nostre pagine , e di fÀpOJftarp i titoli dell? materie die si coutengquo nei due yo^utni che conosciamo,

,Ci piace per?) t di avvertire lesser quest'opera una xao- cplta delle principali il/^/nor/e, e delie note più impor- tanti che il Lomeni; uno dei più famosi agronomi della lltombardia, andava inserendo negli Annali Universali (U Agricoltura^, e nel Giornale agrario lombardo veneto, cbe fece poscia seguito a quelli. ' m : '

Noi non possiam non lodare iabbastanza l'idea di rac- cogliere non le baje e le frivolezze:, come taluni haa &tto, con miserabile consiglio,;ma le cose buone ed u- tili dei Giornali y per dar loro un esistenza più sicura e più /chiara; affinchè non andassero col temjx)^ £ome an- drebbero, trascurate e perdute.

Ecco le. jnaterie del primo:

"Sovèscio jwttlizzató di fegàld-—Riso cinese o sec- 'càiT-^Bachi^ bozzoli^ e seta-rrrPigiaioio delle uve— 'Me- moria prima,} Riso cinese o secco. Lettera— i- Có/^^er- vazione delle uova—^ f^estimento dei gelsi, l^citevs^ Pigiaioio delle uve. Memoria seconda -^ Delle sov- venzioni coloniche-r-Calza pieiri^cata nello stomaco di un bue. Lettera r-Sausa delle uve 'e sue produzio- ni. Lettera Contratto di soccida. Lteitera-^J^^uovo a- limento pei bachi da seta Coltivazione dei beni in- colti— Osservazioni agronomie h e iSzy Del diritto di condurre le acque nel fondo altrui. Lettera,—' Colti- vazione dei gelsi e dei bachi da seta. Lettera^ Rime- dio alle, botti muffate-^— Lavorio delle terre Taglio anulare— 'Coltivazione dei bachi daseta (iSag). Let- 4*!ra Granai di risparmio Delle bigattiere e dei ba- chi. Lettera Concimazione e concimi^-^ Concessioni e precari. Lettera Opportunità di potare la vite Del calcino e del negronCy malattie dei bachi da seta.

Il secondo volume, stampato anche in Milano nella

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tijpog»afia Lanspato, le principali memorie Ae i-accliitl^ (de sono le seguenlii !! '.i ii- •■"!!..• .. i.. .U'I'.r» ini.i.l ' Opportimità delia inietìtàM dét>[frbnéèhtb tà^^ della segala. Questione economica rìgraria sull& 'càfitltiei Circoscrizione deì\ damfi dèlia grandine. Cóltivaiihne tleUa patata americana. Atrò^ a:\pei bachi^ da iélai ^Mangiatoia economica per il pollante lk)èro. ^ f^ihiji'- cazione. ''Coltivazione dei terreni incòlti'. Effetto dtà taglio delie viti grandinate. Conservazione deiceì'eaUi Ci lusinjghiamo clic quéste liotizie posSanw $en'ii'e p^r apprezzare Sempre mèglio^ il' vialore di ques|t' opera, 'che da pochi i ia Sicilia eònoscìuta ,' e die <ìoVrebbé 'dif-' fondersi nelle noslt-c coutra<ie, per mettei«"arK:l]fe noi d profitto le gravi meditazioni! di'qael; valenV udnrto',' e! i precetti clie ne' suoi ben 'pensati' discoidi si' twvàllt} sparsi. '!•'' 'i '' '>li"iii >• n-i) .«n -'|i!-)-ili

■,,v ,^ .,,^^^, ,..'.'\--.^,V.;:..\ \',> ^Aw\'.\\\\'\s ■■V, '.'.UV.

Tt^tlatxt^ delia vite,,' è specialmente delle \ive\e-deivini italiani^ acòotnpagnaio da 3 a tavole colorite\ Tap- preseritantì le migliori varietà d' uve e di 0iiii ehe'^^éi coltivano in Italia^ con le loro descrizióni >, la torà storia,., e quella dei vira che producono. Opera che fa prtrteJetìia Pomona Italiana, e della (fdale sono tira- ti 100 esemplari a parte. <-— Firenze ij830 presso Nìo colò Palmeiiui. A ':a\ o\u3uv\\

Le Effemeridi siciliane hau fatto ^ti evolte onorata menzione del Conte Gallesio, rinomato autore deirope»- ra che abbiamo annunziata. Egli riempì un vuoto di grande inujorLanza nella storia naturale d' Italia ^ è a^-^ se al nostro paese un segnalato servigio. Questo tratta- to può dirsi completo . nel suo genere; e siccome volge sopra un ramo essenziaiissimo della ricch«z.za naziona- le, cosi ottimo fu il consiglio di pubblicarlo a parte; poiché se male havvi in quella grand' opera del Galle-

sió cfgìi è la tlifficolt«\ di difibtitlersi, per l'dlto suo de- ista; dimajlierachè' serve più alla gldfiia della nazióne, che alla sua vera utilità. Quindi contenendo il prWetiò ttditàlb sulle uvee stì i Vìrii delle pi'éziòSe' nòti zie, édei consigli sanissirtii, thè pbti^ebbero d'i assai' rtiiglibrarè ed afcci^èscere que'riecW nostri prodotti', 'siai*ebbò perciò tf- tilissimó che si ristampasse 'ili écònióraida edizióne; e' citìH tavole' rioii idi 'làhto ' lusso e di*''tafita"'é^é^'à èòrùWkòik giièllé che f ariho ad cSsb cohgiiifrté;' taat bl^n^l'ià eòtitòr<- tìi e ia chiaroscuri j e tali' che si'cÒtìfÀidòiano al bisbgTO ÙiJipìÌJ.^'--' ''' -^■■' "■ '' '■'■ •■■-■"^l"-i 'I '■'r;vu!. :;!■.■!, j .; ""Ntìi intatibi ci t^llegk'iamo ' tir 'Cutyilé^'éol" tóut^' ' tìàH'- lerfióf,' é' ■faicciannt voti perchè Sbbia' Jutigtó^^ima ' vha' alci

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m 1 .;ii :.ll;)h r.'.uir.lljiii!ÌH tn!)qo 1 nìlth ùi 9nOJ\ulj ij^rimo discòrdo pòi-lanté il 'titolo sulV istrdrzJónè dtlU le classi ■proddttriti di Sicilia è lavóro déll'eg'regitD prof/ Salvatóre Scu^isH, di cui altYa falla 'abbiara fatto IsiiÒ- rèvblé'tnehzioné; il' sfecotìido "sul miglioraitiehtor delle' S]^é- oie'de'llé piante indigene, e sali' iritWduzionè delle pidntc eròtiche le più Utili è lavoro 'dél'(^'.'"'Ah'tòhirib 'di Gìii^ conio, e r ultimo sulle produzitìbi del iquarf àntiò' del- la Società ecónottiicà dèlia Và'Hè di Catania ' sì'appdi'^ tiene al sig. Alfio' Bonanno. Noi dòbfeitfm far 'plaiiso"'à quella' società economica , che ha' festeggiato nei! modo jyiù acconcio il 'giorno bnontóstlco -dèi- dòslik)' 'au^itsto

Monarca,!; trattando,, cora<? ^olje iu.pgDÌ ajino con sole^-T

alla .ll^iiojjie.i, , ,;,,;•, ;|tmi:0 ...jM.l.ì i I •• in: il!,; -.fi:)

Si, apre r,aclito ilprof. ^ciidcri tliscprrere suH'istruT zipue delle, (f lassi produtlricji, di, S^cjlia ,col njostrgre chq la princi])alissima i|tiUtà qh^ si,'rriqa!Ya, <laUe sqienz,e qpella, che )p sorgenti tutte avvalora .dqlle privai e, e pubbUcliC foijtune, w, Perocché i^qn T^iai.spc^afjilq cl^e

Jiosisan que^tp'qp/i^seguirsi da vcrun impiego, di travaglio .i^crajjivo; (e; ^' .autpvq che parla) o.ve ; la^d eflettjuarlp, e a promuoverlo 1' influenza non concorra di molti agenti ji^|»|rali w Ciq,.i,re\po^tfi,;iphe il prijiio capitale è la/na- l^i^a, t99n}eMerit?! fl9)f §uo ^no infìnit;i, va^lori prin?itiy;i.,p preesistenti che vogliq dirsi; Rome sarebbero , la luce,; i gas, il c^ore, la f'eracilà della terra, le facoltà genera- tive st-nel regno animale, iromc nel vegetabile,- gli trle- ji;ijc(iti deji quali, si ,fu;'piau,o>u ^f;talli,_e, Je *i?iuÌ€^e/,Jv pioggic, i vqnti,. <? ie, leggi del mptO) della .gravitas^io- ji^,,^ dell' attr.aziopV oltre ,9 .quello, ch(^ . sono ;a{>cOftei\J) gli jqii^^i)i. sgi^rdi, ?i pen^ierJL. L' uoijip cfpUe sue -fefi^*?., fi- s\q)iq . ((4 \ ifUelieftva l\i nqqv fa,- dve, coipbinare,. dirigg^re , ^ trar profitto dagli agenti naturali, ed in cotal gaisa accresce , e perfeziona ad un tempo i prodotti, dejla ^la- tura medesima. Per conseguenza a buon dritto la pi'o- duzione fu delta l' opera simultanea delle facoltà mca- t^U, e ..fisiche dc^ir umanità e delle forze .rig^iierali^je d(el|a ^fjtuia tcfidenti alla creazione, p q 11^ accresci me 0- tp doitivalori. Le scifinze fisiche :e naturali inteaf?» 5i9rutinprc, e a svelare il modo di «isere e le proprie^ delle cose spnpi.l^j^oi-ta e il presidio nelle operazioni tu^?, ;jche, badi .di ijoirp il , soddisfacimento dei desideri, dei, bisogni), e V Ìng*i»tibmento dello spirito, e nel nae- todo della fatica, la fjuftle è .strumento dell! agiatezza: pd agiatezza vuol dire in gran j>arte prosperità. . ;D^ quanto, giovamento ed aiuto non sono la Chimica, la Fisica, la Botanica^ la Storia turale, li^incccamca,

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la Zoqjatvi?, q la Vctcrcnaria. al; laborioso agriooltore^ obc.iutep^dc a, Irar le sussisteii?^? daljla tpri;p . matli:q e nutrice elei. popola? IQi quanti pgijicpli^ [ ed ?^nfQrHffl',j ^? quanti lacpi.cd incomodi non pjescjrv.aap la;.stoj;ia dej. ogistumi' dei vari popoli , 1', astronomia, la mateiiiRtica^ l'arte nautica, la topografia, .la corog^-afia,,la>stali.stica, e la geograria a clii;si fjffida su di uji,l(?gno vagando pei mari ^ ed a chi impretnle lunglii ^';iaggi ppr iijqognit^ riigio[)ì?. QuaU incremento .di valori,,, quale : spedilcizz^, e j-apidai icivjcolfizioue: dj j dovizie non si ollien.e mprcè ^legl^ agenti meceaniei? fjuale. spinta, e,sus?i;dip, nou ri- cjeye l'JM^lusti-ia dolila GIiiiiii(Ka af>pl.i<fat::j aljp ^fl,i,,;dall(ì Scienze .Fisico-matpmajticbc, : dall^ i^lraulic^, l^icpiplp ^if[- fondendo, in tutti i luoghi il te.soioi dell;? .,apt])tie, , proh sciuga,ndo paludi, e riunendo i fiumi, ^iqtto .in,, contatto i, popoli, e in moto, le luacchine; risparmùando. le brac- cia ; degli ^omifli ? Quindi bicii.^^o.iriprpude .,cl|e la civiltà non può,, che toner dieJU^Qpi.prog^e^^i di, queste scienze, che ne sono la }3a$!e,ed il, sosteguo, e perciò ap- punto quei benemèriti scrittori, che le han; promosso son dpgni, deilla, (Viconpscenza d.ell^. irteli? . soicielà; ,Pel che dobbiamo gioviaroi j;iQviI|:plwii, che .quaut^ Y.^IU^fj ejjossiede.il .rpqndo.di 3gi} di ;rilfQyamjentii,,d| ^cppei'r te, e (li scien^ ,p pgtj-impuio.i.cd qpejja, d' ingpg^ui ,iJ,a:- liani. .Niuha, nazione alcertq, pptràucpntepderp; asll'ilalica penisola un, tanto onore , jru^nti'e, ognqna, . l^efj§ì:ì dovrà chinar ^a fronte al uorjie ,^ei ;lr,e jig.eneratpi,7j;fle[rj,inGÌ.- vilimentp eurppf^o non solo,, maidei/.Dpndi, deiColomr ho, dei Gipja, ,dei Ma^cp Polo,, dqi.Mac.Ghiavclfi, dei Sarpi, dei Galilei, degU Spallanzani,,; .dei , Vallisnieri, dei Torricelli, d^e' Castelli, dei,Mpntecuccoli, dei Gu- glielmini, dei Redi, dei iBagliyi,,;dfti Boi'^HÌi^QÌ L-E<^.1- lini, dei Cavì^^ieri, dei Crenioua,hdei Galvani,, dei Lia- grangia, dèi Volta, dei Morgagni, degli Scarpa,,, dei Malacarne, e di, non pochi altd prodigiosi inlelleUi, pa- dri, e fondatori; di quell! eterna nol:»ile,:^€d listituzioiU

ir» . , . V

che sono degli uoraml;' e della società il' fiór^, 1' orna^ mento, e la felicità. Senza 1' impulso di quei grandi proclamatori delle emancipazioni intellettuali 1' Eu- l^pa avrebbe l'aggiunto fjufcllo stato di ben' essere,' e floridezza in cui beatamente si riposa; la Francia, la Germania^ e 1' Inghilteri^a potrebbero superbire di Chaplal, di Berzelius, di Rumford, di Darwin, di Da- vy , di Payen, di Dumas, di Thenard, di Ghcvrcul, di Lavoisier, di Prestley, di Guyton, di KlapOrt,i qua- li di unita ai Gagnoli, ai Ldistri, ài Bragnatelli^ hi Fa- broni, ai Pollini, ai Dandolo, ai Giobert, ai Savi y ai Catradon, ai Gagliardo, a' De Capitani, a' Berrà, -ai Fi-^ lippó lo rè, ai Carlo Verri, al Vismara, ai Catullo, ai Pozizi, ai Paoli, all' accadetnia de' Georgofill di' Fireh- 4e, (forse il primo istituto in tal genere) ai mariitèdi', agli almanacchi , ai Giornali di arti, mestieri, è còfti- mercio, ed a' Dizionari tecnologici contribuirono all'a- vanzaracnto, e alla' diffusione di quelle cognizioni pu- ramente pòpOliari^ e riguardanti' le pratiche agricolej è

industriali. ' ' ■' , '■■^- ' / ' . '■'■■•' 'I

Indi riducendosi" il <À'. Prof, con queste' tèfòrié' alla Sicilia trovà'ragiòné di lodarsi dei tenipi ^resénii ]^r tJsSérsi «eretta in Catania ad imilazioiie delle due Capitali ^àìet^é NlrpÒli tina' cattedifai ' di chimicia applicata alle Sarti,' ed all'èigricoltnr&^j' è, di' questa sciènza generatrice della farmacìa', dell' arte vetraria, e della tintòria, enti- Ttiéra l'-tatìlaggi, T estèhsitìneV e l'influenza grandissi^ ma, eh' é^rcita sii varie professioni, arti ed industrie. Or colla sintesi, ed or coli' analisi componendo," e ri^- componendo il chimico sòsta nzte per mezzo dei prck. ces^i della soluziórie^ della dissoluzione, della distilla- zione, della sublimàlione, della lisciavazlone, della pol- verizzazione, della saturazione, della precipitazione, e della- lavatura, giunge a conoscere dei gtis^ degli acidi, e degli alcali gli elementi, e ne tjraggon partito Io sto- vigliaid^ l'agricoltore, il tiritoi^e,-!' orefice, il raffinató- re, e il manipolatore dei liquori delle droghe ecc.

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; Ma una cattedra di chimica applicata alle arti, ed all'agricoltura riuscirebbe inutile quante volle la gente che si dedica' a' traffichi non si trovasse ammaestrata in quegli studi, che preparano gli animi a ricevere con frultO; gli scientifici insegnamenti, o a possederne alme- no; per Viia di addimostrazioni, e di esperimenti il ma- gistero pratico. la somma bisogna che V intelletto si^ aperto alle persuasioni, e che abbia quella istruzione necessaria onde possa da se concepire, e poi eseguire i processi, e le operazioni, ideile quali dovrà prender con- tezza.. A ciò, avverte il sig. prof., provvedono le scuole lancaslTiane sparse neii vari comuni di quella Valle, e segnatamente le tre die fioriscono in Catania, in una delle quali s'impara il disegno lineare, tanto profittevole ad ogni sorta di persone, come quello che perfeziona gli organi, e comunica alle cose precisione, correzione, ed armonìa. Noi conveniamo con lui , che la coltura sici- liana è notabilmente jirogredita raasjiime in questi ul- timi anni, ma nondimeno è d' uopo confessare, che re- sta pur troppo a fare per dirozzare il popolo, ed abi- tuarlo al travaglio. Ove sono fra noi le scuole festive, ove gli asili per 1' infanzia, le scuoio pubbliche per le donne a fin di promuovere la morale, e 1' economìa do- mestica; ove le scuole industriali, in cui si spieghino le parti positive ed usuali della Chi^nica, della fisica, della geometria, della meccanica, della dinamica, e del- le scienze naturali per servire di guida uell' esercizio delle piofessioni, e dei mestieri?

Le scuole di reciproco-insegnamento che ci abbiamo dovrebbero starsi in mezzo alle elementari per l' infan- zia , e alle industriali per gli artieri, onde poter pro- durre quei solidi benefici, che dal passaggio graduale derivano, e dall' invigorii'e le menti con adatte cono- scenze, regolamenti e discipline. A laudabile impresa quindi si volgerebbe il pensiero quante volte si pen- sasse a fondar presso noi tali istituzioni, perchè il di-

mandai' islmzlone e Io stesso clie dimandar pane pel popolo, e godimenti per l' intera società. Egli ò incon- trastabile, che il cresclmento, la forza e la bontà, co- me l'inopia, 1 pregiudizi, e l'inerzia del genere umano originano dalla maggiore o minor coltura in cui si ritrova. E ben si comprende quindi che V agi'icoltura , le arti, e le manifatture seguono il progresso dei lumi per la stessa ragione, che il denaro segue sempre l'ope- rosità, e r industria. Quando il popolo sarà istruito nei propri interessi non sarà misero, e fuggirà la nequizia, e i delitti per meliorare la sua sorte. Egli è oramai tem- po di svegliarci, e con soscrizioni volontarie concorrere alla fondazione di tali opere di vera carità e benefi- cenza, che la condizione, e il decoro del nostro paese, e r attuale civiltà potentemente lo esigono pei rapido incremento del benessere di questa privilegiata nazione. Coloro i quali amano con caldo affetto la patria deb- bono predicare lucentissime verità, che poste in ope- ra dischiuderebbero la via per la quale si giunge al- l' opulenza e alla grandezza. Perlocchè noi ci crediamo in debito di gratitudine col sig; ab. Scovazzo, il qua- le in un suo lavoro si fece ad appalesare con sentimenti candidi e benevoli, che senza istruzione gratuitamente impartita ai (ìgU del popolo non si aggusterà quella soave compiacenza di veder le città sgombre di mon- dici, e d' infingardi, che (a dir di un insigne uomo di slato, validissimo sostenitore dei dritti siciliani), pro- vino la fame del pane nella terra di Cerere; non met- terà la religione profonde radici nel cuore della mol- titudine, né le arti, ne il commercio avranno uomini leali, intraprendenti, e speculatori, ne braccia laboriose, attive, ed esercitale.

L' cdurazione deve incominciare dalla prima età per- chè le prime impressioni sono le più forti, e le indoli innmlili sono facili ad acquistare abiti virtuosi, come r amore alla fatica, all' ordine, e alla ncltczzii, oppure

/ , i5 ^itdsfarSi con jprègmdizi, ' con sentimenti turpi, con vi- tuperevoli e degradanti usanze. Provvedimenti degni di moltissima ló'de sono quelli di doversi compilare da una' Commissionò di scienziati nelle cose geoponiche, un Ga- techisitio agrario per uso dei villici; di essere addetti due Campi-Agrari alle due cattedre di agricoltura de Paléi"*mo, e di Catania, V assegnazione annuale oltre di' una sijmriia concessa alla Società Economica eli Catania ad oggetto di acquistar macchine per manifatture; e il progetto di quell' Intendente d' introdurre le tìlande di cotone, che noi crediamo la p;ìi proficua impresa, ch^ potrebbe tentarsi per prohiuovere 1' indnstriia e il com- mercio di quella provincia, e di tutta la Sicilia bcnanco, ma senza educare, ed istruire il maggior numero nou si potrà mai ottenere quella stabile, e fondamentale prosperiti, che di tutti gì' interessi materiali è la pro- moVitrice'. . .

E tornando alle manifatture è da riflettere, ed o- gnuno Id sa, die il cotone che si produce in quelle coTiti-ade è di tale bontà, che gareggia con quello della Luigiana d' America, ed è umiliante per rtoi il soflrire òhe gli stranieri se lo comprino a vii prezzo, e poi ce lo rivendano con grandissima usura sotto altre forme qiiasi riitipt-overaudb la nostra infingardaggine ed il no- stro torpore, che non sappiàm salutare i doni, che il Cielo ci ha in gran copia largito. E noi crediamo che per far nascere questa industria basterebbero gli stimo- li dell' Istituto d' incoraggiamento, la diffiisione dei lu- tai; l'agevolare colle strade a ruota le comunicazioni tra popolo e popolo, il distribuire le acque dei fiumi agli usi della cultura e del commercio in modochè accrescendosi i prodotti d' ogni genere, e massa della gente pro- duttrice ne avverrebbe per naturai conseguenza l introdu- zione degli stabilimenti delle manifatture, di cui è pa- rola. Questa spinta indiretta pare eh' ecciterebbe con maggiore alacrità e con più saldi principi l'industria na-

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zionalc. Mancano fra noi arti e mauifalture, forse per noi» accordarsii privative, divieti, e privilegi, oppure per ditetto di capitalisti illumioati e intra prenditori, per di-; folto di conoscenze utili, di commercio interno, ed qster- uo, di franchiggie ecc.? Fate che in Sicilia la istruzione del popolo sia simile a quella della Lombardia, che conta 3535 scuole elementari, e che gì' ingegni si ab- biano un conveniente guiderdone alle loro opere, e sco- perte, fate che ogni comune e comunelle goda del be- nefìcio delle strade a ruota, fate clie i fiumi, i laghi, le acque stagnanti si rendano tributarie dell'agricoltura, e vedrete crescere 1' attività V agiatezza, le professioni utili, vedrete sorgere nuove popolazioni nelle campagne, animarsi i commerci, sparire la povertà, spanderai equa- mente l^don^izie, ,e, per difetto indi prqgrqdjre l'incjv^- limento. ; ,!,;•,,.,, .. ... ..■:■,!;:; ^ _ , ; ,' ,..j,., ^^.' ..\

E qui con metodo sbrigativo ci piace di delucidare talune cose. . ,

Il eh. prof, a pag. 8 manifesta di essersi eretta ia Catania ad imitazione di Palermo e di Napoli, una cat- tedra di Chimica applicata alle arti, ed all' agricoltura; Tutt' ora però tale Cattedra non si è aperta in questa capitale, ma speriamo che lo sarà fra nqn molto al ri- torno del sig. Romeo, il quale fu espressamente invia- rlo a Parigi per addottrinarsi in quella scienza.

A pag. 1 1 riferisce il detto prof, che in Catania si contano tre scuole di reciproco insegnamento, ma il sig. Salvatore Scibilia in un suo sennato articolo sull'utilità di tali scuole inserito nel giornale lo Stesicoro n. 5 agosto i836 le fa ascendere a quattro (i).

(i) Il Sig. Sciliilia nel citato suo articolo vanta come unica in Sicilia la Scuola di (.'atania , ove s' insegna il disegno lineare, mercè delle cure del- r AL. D. Mario Co il raro, col metodo lancastriano, ma ciò non si accorda col vero, pei-cliè in Palermo sono quasi due anni , che trovasi adottato , giusta il sistema del sig. Francoeur, nelle stesse scuole di mutuo insegnamento, loc- thc dovrebbe jiure adoperarsi in Catania pel maggiore prolìtto dei giovinetti-

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Perciò desideriamo, che venga tolta questa dubbiez- za molto importando il uotare con esattezza quegli sta- bilimenti, che attcstano la cultura di un paese assai ce- lebre nei fasti della storia siciliana.

In questa congiuntura ci par convenevole ancora di dar notizia che da quasi un anno trovasi pubblicato il Catechismo agrario di cui il sig. prof, a pag. i5 dice che se ne attende tuttora la pubblicazione.

Da ultimo lodando noi il nostro autore per aver con- siderato con molto accorgimento l' istruzione come una parte interessante dell' economia pubblica consolidando i principi della scuola italiana, colla debita riverenza al suo merito eminente, ci facciam lecito di manifestare, che le parole rimarcabile e rimarcare dovrebljcro aver bando da questo suo pregevolissimo lavoro. ..»;,Ma ormai ci par tempo di por termine al nostro di- re col commendare il bello, ed eloquente brano, in cui il eh." Prof, ragiona sullo scopo dell' Istituto d' Inco- raggiamento, e delle società economiche, sulla feracità del nostro suolo, sulla potenza dell' ingegno siciliano; e commendiamo parimenti la bella ed eloquente esorta- zione diretta a' Siciliani, con cui chiude il discorso, on- de non lasciarsi preda dell' indolenza, e a fronte dello straniero comparir sonnacchiosi, dimentichi della gloria patria, e quasi anco degeneri dai loro maggiori, che fu- rono lume, e decoro della intera società.

2. Pieno di vedute di molta considerazione per la sici- ciliana agricoltura è il discorso del prof. Antonino Di Giacoma sul miglioramento della specie delle piante in- digene, e sull'introduzione delle più utili esotiche, e vi scorgiamo un grande amore di pubblico bene, che non si restringe alla sola sua patria, ma alla intera isola si estende. E quindi non posssiamo in miglior modo enco- miarlo , che col riputarlo degno della stima dei buoni biciliani, i quali per proprio vantaggio dovrebbero leg- gere attentamente, e più che leggere adoperare quanto

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saviamente propone 1' egregio autore per dischiudere la

principalissima fonte delle nostre ricchezze.

3 CoU'ultimo discorso il prof. Alfio Bonanno riassumen- do con chiarezza, con corredo di erudizione, e spesso im- pinguando di sue opportune e scelte osservazioni i lavori della società economica è riuscito a presentarci in iscor- cio il quadro delle progressive occupazioni e ricerche dei soci, ed ha con ciò degnamente adempito al suo uf- ficio di segretario di quel corpo distinto. <"m)1ì: '■

Nel lungo giudizio però, che dona della memoria del Prof. Scuderi sul progresso della popolazione in Sicilia uon possiamo uniformarci alla di lui sentenza (consenta- nea a quella del Prof. Scuderi) che l'aumento della po- polazione indichi sempre aumento di ricchezza e pro- sperità , perchè ciò sarebbe lo stesso che confinare la scienza economica a quelle teorie elementari , e mate- riali , che si apprendono sotto la scutica pedagogica. La economia pubblica bisogna riguardarla nella sua pie- nezza e totalità infondendovi la morale e la politica con quelle relazioni ed intreccio di fatti e conoscenze posi- tive, che la rendono ordinatrice degl'interessi sociali e dei civili consorzi. \

Ciò posto non dobbiam mai fermarci alla corteccia deU ^ le cose per trarne risultamenti ed apotemmi. Che impor- ta, che un popolo sia ricco e non sappia usar delle ric- chezze o per vizio di distribuzione, di leggi, di costu- mi, o di altre circostanze? Quando la parte materiale di una nazione discorda dalla morale ne sorgono infiniti fenomeni, e ne sono una prova convincentissima le ano- malie , alle quali van soggette le popolazioni. Che un popolo possa moltiplicarsi ed esser misero è un fatto che aumento di popolazione non mostri sempre aumento di prosperità è un fatto egualmente , e ne citiamo ad esempio l'Irlanda, l'Indoslan, e la China, "^i» » j '''';'.'

D'altronde fu addimostralo dal iGioja ricl 'ifuotò Pro- spetto delle Scienze economiche, the la popolazione non

»9 cresce in ragione delle sussistenze, ma bensì in ragione dei mezzi di comprarle. Per tali riflessioni a nostro in- tendere pare, che male si avvisi il sig. Bonanno in quella sua apologia pel prof. Scuderi, il quale ebbe tributate tutte quelle lodi , che al suo merito si con- vengono nel parere per noi dato nel Giornale di sci- enze, lettere ed arti fase, di nov. i835 pag. 162 in- torno alla di lui memoria sul progresso della popola- zione in Sicilia, con quella franchezza e sincerità pro- pria di chi intencle scrivere per come può il giudizio, e non mai il panegirico di un' opera.

Del resto abbiara noi molto a lodarci dell' ingegno del Bonanno, colto ed erudito scrittore, che nelle scien- ze mediche gode di una vantaggiosa riputazione, per cui ha meritato di seder segretario presso la Società economica di Catania, la quale può servir di modello a tutte le altre società economiche della Sicilia per 1' a- more e l'efficacia con cui fervidamente coopera a miglio- rare e introdurre le industriali produzioni.

Filippo Minolfi.

PARTE SECONDA

LETTERE ED ARTI

Epistola di L. Vigo a Giuseppe De Spuches su di ini codice aldino del Petrarca del i5oi^.

Amico

JLi amore della bibliografia, le ricerche de' codici au- tografi, e delle ottime stampe, sono stati ol)ictlo di pun- genti ironie da parte di parecchi letterati indocili a lun- g'ie e aride investigazioni, e sanamente sono obietto di

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lunghi studi di utili eruditi. Il Foscolo , caldo intolle- rantissimo ingegno, chiamò le raccolte bibliografiche , cimiterii stampati (i); più acremente il Baretti gli spolve- ratori di antichi testi fulminava della sua frusta,a' pedan- ti tremenda; ma 1' arcigno Giuseppe, e 1' indomito Ugo non avrebbero messo a risma gli archimandriti delle italiche lettere con Fra Giuda, il Simitendi e il barbie- re di Calimala. Ne io di Ser Brunetto , del beato da Todi vi terrò proposito; del Petrarca e di Aldo Ma- nuzio bensì; convinto che le antiche stampe non solo alla storia dell' arte tipografica; ma sono giovevoli alle lettere, quando uscite da' torchi de' grandi tipografi e accuratamente impresse, e non è vanità biblica il co- mentarle.

Uno di questi rari e interessanti cimeli dell' arte an- tica, un codice delle rime dell' amico di Laura che ha vinto 335 anni, e in ottimo stato di conservazione man- tiensi, dal Manuzio nelle proprie case in carta pecora ira- presso, accuratamente corretto dal Bembo, e cavato con massima diligenza dall' originale di mano propria del poeta; era in Palermo ignoto, e dimentico ; che fu appena scoperto e agli stranieri con nostro danno e vergogna emigrava, e eh' è in Sicilia rimasto per la generosa indole dell' anima del Signor Duca di Ser- radilalco onore de' siciliani patrizi; è l' argomento del- la presente epistola, mio veneratissimo amico. Poiché mi giova fare partecipe, voi lontano, alla gioia de' let- terati di questa capitale e dirvi alcun che del pregio dell' aldino esemplare; sicuro che vi tornerà cara la no- tizia, avvcguacchè appieno e per pruova conosco quanto e quale diletto prendiate intertenendovi di letterari' ar- gomenti,di cui solo alimentasi la vostra vita intellettuale.

Fu esso siccome mi si afferma, proprietà del cav.di Fer- ro, illustre trapanese che viveasi in Palermo, coltivan- do le lettere , e eh' è cessato non è molto in questa città; estinto lui fu insieme a' molti suoi iibji posto

2r in vetidita; e non apprezzato dagli eredi, ignari del suo yalore, venne con pocliissima moneta cambiato: ordinario e dolente destino delle biblioteche degli amici della sapien- za, per lo che benediciamo coloro i quali invece di far patrimonio degl' illiterati i libri, sacro deposito di dot- trina, a perpetuo e pubblico benefizio dell'universale li addicono. L'acquirente l' offerse a questa Biblioteca del Senato^ ma non fu convenuta la compra; allora lo avvisò Pietro Borghi fiorentino tipografo, e con il con- sìglio del di lui fratello Giuseppe , esperto bibliografo quanto famoso poeta, tostamente per 3oo franchi lo fa' suo. Venuto in potere del Borghi ne fu pubblica voce per la città, e vari letterati si fecero ad osservar- lo. Ma presso di lui stava solo per trovar buon vento e partirne, e di breve in una vicina capitale oltre il mare fii accettata la offerta, e la vendita quasi concliiu- sa per lo triplo del' costo. Io questo appresi, la lette- ra dello straniero lessi, e mi scoppiava il core in pen- sando dover esulare da Sicilia un libro fatto, e che per la sedulità de' nostri avi era divenuto siciliano. Vol- si allora il pensiero all' ottimo Duca; ad aprirgli la mia mente alla presenza dell' egregio F. Malvica , e aver piena facoltà di acquistarlo, senza neppure volerlo esa- minare, e neppure vedere, con generosa gentilezza in me confidando, fu un solo istante; e questo egli fece con tale franchezzq e volentérosità da trarne a subita involontaria ammirazione. Le mie parole col fiorentino tipografo furono bene adoperate, il prof. Borghi dando- ne novella prova di carità per questa sua patria di ele- zione, meco congiuntosi determinò il fratello a pospor- re il lucro all' amichevole sollecitazione, ed in effetti lo cesse per 45o franchi; cioè on7 36 di nostra moneta, e tutti rendemmo grazie e lodi al munifico Serradifulco , che solo per carità cittadina divenne al nobile acquisto. Ed acquisto nobilissimo egli è , se bene e matura- mente sarà consideralo. Le edizioni di certa data delle

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voJgari poesie del cantor tli Valchiusa anlcriorialla pre-r sente sono luideci, siccome dagli autori die lio sott'òc- «liio raccolgo (i), indi vien quella Aldo del i5oi. di cui vi ragiono, per lo che dee una delle più anticlie e- slirnarsi. Nessuno dei nostri poeti ha meritato l'euioriì di tante ristampe quante n' ha ; ottenuto colui v> / Che Amore nudo in Grecia e nudo iu Roma

D'un velo ) candidissimo adornando . .,,V. VjVì

Rendea nel grembo a. Venere celeste; ] ó^'.r/i: poiché esse giungono presso a Soo.Ma il Marsand quando nel i8»9 volle arrichire Europa del suo Petrarca, fe'rte-r sòro soltanto delle edizioni deli/f-^a, i5oi, e i5i5; dar jìoichè sono molte impressioni idi queste riiiie npl i5? secolo eseguite, ma esse in Francia sono di poco valore^ aflerma il Brunet (3), e avrebbe potuto aggiungere chg lo sono parimenti in Italia. Avveguacchè non solo la vetu? sta del libro, ma la sua bellezza, la sua correzione dee torsi a considerare; non ogni antico codice si conlemjJa con gli occhi del superstizioso bibliofilo;, l'artista, lo sloi'i- co il filtjlogo, il letterato hanno occhi anch' essi ^ e in iìitto di belle lettere, e di un classico supremo , quale il Petrarca si è, la purità della lezione non è l'ulitima dote a cui dee porsi riguardo.

. V'ho riferito la sentenza del Brunet e del Marsand, i quali sono cima d'uomini, e più il secondo il maggior conoscitore delle qualità del nostro poeta; ma di grazia che conto di questa edizione hanno; fatto i letterati di qualsiasi parte di Europa? Oltre alla sua antichità il sonir mo impre/.zabile merito di essa, è quello di essere stata estralta dall'autografo del poeta parola per parola, sillaba per sillaba, ed emendata dal cardinal Bembo, il balio dell' italiana favella; laiche deve ritenersi come autografa essa medesima, per noi a cui manca lo scritto dell'au^- lore : avveguacchè come de' rogiti notarili, dagli atti de' governanti che allora quando smarrisconsi gli origi- nali, le copie sopra quelli eseguile si hanno originali ,

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del' pari per le stampe addiviene ; è quale può aversi più di questa perfetta, di ^ questa, eseguita da Aldo Ma-- uuzio, e corretta da Pietro Bembo? 1

E qui è mestieri dire alcun che dell'errore del eh. monsignor Giusto Fontanini a proposito dell'ingenuità della lezione di questo codice. Egli avvertiva che le presenti rime « Furório estratte per lo pia dagli ori- » ginali del Petrarca posseduti allora (nel i5oi ) dal » Bembo, poi da Ludovico Beccadello, e appresso da » Fulvio Orsino, che le lasciò alla biblioteca vatica- M na (4) ». Quel maliziato per lo più, fu ivi posto più per zelo della romanesca curia, che letterario, monsi- gnore non seppe vincere il pondo della zimarra. Ma Apostolo Zeno che tolse ad annotarlo, fieramente lo ri- prende d'inesattezza , perchè non pose mente alla dichiara- ziouo di Aldo locata dopo i trionfi, e perdi' egli stante in Roma non curò confrontare la stampa con i m. sv (5). L'intendimento del romano prelato quello si fu di far! credere non usciti dalla mente del Petrarca i tre o qufU- tro sonetti avversi a Roma, contro, de' quali egli con-, suma tanta bile e tanto inchiostrò, ma à ritenerli fattura di quel sómmo,, oltre la fede che Manuzio e Bembo meritano, bastano le altre o^óre 'di lui y ove- le stesse idee veggonsr con italico foco stamjDate : nella canzone a Niccolò di Lorenzo, in quella all'Italia, nelle, prose e poesie latine, ciò è manifesto e patente , e lo stesso egli cantò al pontefice Urbano V, nell'orazione del i366. Vedete e ponderate tutte le opere di un autore, inda- gate i suoi bisogni, le sue passioni, lo stato del secolo, il volere della nazione, prima di osare d'interpretarne un sol motto, tisici pedanti, miseri tarli della lettera- tura;'e più caldo e fervido sia lo studio, se di tanto sono capaci le vostre anime di cimici come vi battezzò il Foscolo ; e quando in vostra stoltezza vorrete dire apocrifo un qualsiasi componimento, che tante genera- zioni di sapienti hanno riconosciuto originale! Quelli era-

^4.

no i {pensamenti del Petrarca, quelli i pensamenti dei grandi intelletti italiani nel secolo decimoquarto, e come Dante sdegnosamente manifestato li avesse, uon è uopo ripetere. ,

Due cose insieme appariamo dalle parole del Zeno, e la prima si è lo errore non innocente del Fontanini, la seconda che tanto l'uno quanto l'altro si ebbero fra mani copia incompleta della edizione aldina del i5oi, il che accresce il pregio del codice Serradifalco. A me sem- bra che il Zeno avrebbe potuto aggiungere altre consi- derazioni a porre in piena luce la veracità della lezione; qui ne ricordo qualcuna, serbando sempre la debita ri- verenza a quell'illustre letterato. Aldo Manuzio sublimò l'ufilcio di stampatore, che oggi è caduto basso , a quel grado in cui dee per ragion letteraria locarsi: egli non solo pose ogni cura, onde tornasse splendida e per- fetta la j)arte meccanica delle stampe, ma pure col- legati i sapienti veneziani dell'età sua, V Accademia al- dina institul, il cui uiiìóo era&i presiedere alle edizioni' che si facevano dei classici autori, e a renderle quanto pili si potesse' eleganti e corrette. Marco Muserò gre- co^ Pietro Bend)o poi cardinale , Angiolo Gabrielli, Andrea Navagero^ Daniello Rinieri, Marino Sanato^ Benedetto Ramberti^ Batista Egnazio , Giambattista Ramusio ne furono i principali ornamenti (6). Non è questo il luogo da rammentare la protezione alla slessa accortlala dall'imperatore ]\Iassimiliano, da Lucrezia Bor- gia duchessa di Ferrara e da altri potenti; ma è neces- sario cennare essere stalo il Bembo // principale soste- gno dell' Aldina Accademia. Aldo fu amicissimo del Bembo da cui riceveva in oltre cornigli ed aiuti nel- r edizioni dei libri ci ì egli ficea {;f). Costui uel.i5oo e rSo'i. visse la vita iu Venezia, e poco se ne scostò jier sollevarsi da' letterari esercizi negli ozi della Villa, Strozziana sul Ferrajcse (8); Bembo j)ossedeva eflcltiva- mcule gli scritti originali di Francesco Petrarca, egli li

20

avea acquistato eon granclissima sollecitudine , e a 3 d'ottobre iSaS con sua lettera ringraziava njes. Yeltor Sorauzo di avergli mandato in villa una tasca j)ev ri- porvi alcune rime di «[uel: poeta, eh' egU cola ritenea. Erano in di lui potere non solo il canzoniere, ma pure la bucolica; pare che quello gli sia stato involato dopo il i54o , perchè a 2^3 agosto i544 ^" '^^*^ *^^ Roma saivea in Bologna a Girolamo Quirino i con- ti'asegni del Petrarca ch'egli cercava. Ma in settembre del medesimo anno riebbe in Padova il desiderato Pe^ trarea, e la ^a allegrezza ;fu somma; a mia superava quella di un conquistatore che abbia a ggiioik) un .nuo- vo serto alla sua fronte (io). -.i

Dopo aver toccato a volo questi reconditi falti , chiC! chiara luce Èpargeranno sulla quislione ^ è , dal riikM^re; esistere notevolissima differenza fra; alcune copie .dal- l'edizione del i5ori ùéll'ultima pagina ov'è posta la Jiata^ del librò. È certo non tutte aver i' indice^ l^ errata e lo avvisò ai lettori. Da db spinto ie dalle parole, deLZ^no A. Cravenna (ii), congetturò che Apostolo non. ebbe, a. mano un perfetto, esemplare del Petrarca, ed ip ag- giungo clie neppur quella posseduto da' Volpi, e da co-' storo venuto in poter del Cravenna. era intero, ma esso, pure manchevole. In quello che questi due dottissimi investigatori di edizioni antiche videro, dopo V ultimo trionfo erano le parole da me in nota trascritte, le quali differiscono da quelle, stampate nel codice Serradifalco: mancano ivi quest'altre clie ijieguono il, nome del Bembo, cioè nobile veneziano^ et dallià dove bisogno è, stato ^ riveduto et racconòsciuto, il che accresca Cede alla , ori- ginalità della kzione, che Bembo naia, era, uomo leg- gieri. . ....

Ma questo è il minore argomento della esatta copia della stampa dal maniiscritto : è mestieri aggiungere quest'altra, la quale sposata con le lettere scritte dal Bembo 43 anni dopo a' suoi amici, e da noi riportate nel

36r

lesto © nella nota tlcclma ^ hiostrerà indubitabilmente l'ei^ore del Fonlanini. —'li Isoliti pungipiedi , i soliti igìiavi che nulla fanno o nulla sau fat-c, e rabbiosi ed invidi della gloria altrui addentano ogni nobile opera, come ablx)ndano a' nostri, non. mancavano a' tempi di Aldo; le ortiche infestano i campi più belli, e quanto le pesti sempre .ripullulano. Que* miserabili condamianona il Manuzio per avere segnato Canzóne e non Canzona^ volgari e mn vulgari^ ed altre simili cosucce da gretti pedaiituncoli, non avvisando i tristanzuoli che le aquile vola no j ed fcssi non possono che raccorne lo «tcrco stri- sciando nel feii»go del lelarnaio. il buon Manuzio pro- strossi sino ad essi, e sopra ognii censura con bella sa-, piéuza^sde ragioni lor disse, conchiùdendo con queste itierAWàbilii parole, che tolgo dall'avviso a' lettori posto nel' presente codice:! tt Hora perche: noh è mia pro- féssiorèe-m questo luogo di^fMmVi'h'ìingue et ilnostró pòeta)Wdl'riltFe ìncorrèzioni'bhed miei riprenditori àrh re(Clikk6> o'' della lingmi^' o delh 'nlèndimentó del au-. tét^l'ttaMo solo dipo; Che se altre volte cosa^ che quivi ieg^&no^nellti loro conoscenza non cape; et essi pur<*'n& i*oglión0 'rifirerulerq chi che s(a, riprendano,: il Petrnrclm' medesimo .;^^e' par loto di ben faro : il- quale di 'sua m'ano così ha lasciato alle gentil che, dopp& hii hóvevano a venire^ in testo diligentissima- mente da esso scritto in buona charta: il qucde io appo il sopVi^detto messer- Pietro^ Bembo ho veduto; che> altrv libri ha di han- pure -dèi nòstro poeta ; e dal quhlìs questa fornia a lettrà per lettra è levata in modo; che con pace di chi mi riprende in essa 7ion ci ha etrorii Ma quando essi a me un plrgilio re- citeranno innanzi; che di man di Virgilio sia, o put^e' da quello tolto-, quante volte ò paróla, o sen- timento mi verrà in esso veduto' aJirinienii sture che non iistà lud mio; tante m'ingegnerò jjiutlosto d' in^ tenderlo, che ^i colparl&Hi *'- •> *«joi> ui

Dopo aver Jetto questa dicliiarazione di Altlo dii niìi darà peso al detto del romano prelato, non a ra-^ ^ione dolente per quei sonetti ove si alza un lembo a denudare gli antichi abusi della sua curia? Può aversi maggiore argomento di questo a provare verace l'auten- ticità della lezione del codice? L'accademia Aldina presie- deva alle stampe di Aldo j nt; i più illustri e sapienti uomini di cui andasse fastosa allora l'Italia, avrebbero ingannato tutti :i letterati europeivBtìrabo di fatto nel i'5oo' e r5oi fermossi in Venczia,Bembpnon solo pos- sedeva il canzoniere in quel codice di cartapecora coii le borchie da' lui dcstritte a Girolamo Quirino, ma sì' pure ■tiltrìUbrD di npan pure del nonno pocta^ come^ Aldo te$timooia; ed eran essi le Egloghe^ delle quali fa- vella il Cardiiiale a quel suo diletlio. Riunite, amatist^ Simo amico, tutte queste prove, e dubitate se potete dei fòttó.-^ Ignoro se ancora sei-binsi nella Vaticana i ma- nuBcritì del Petraiìca, im» sei vi sono jiion tutti chele^H gibòìó : le sue : rime siamo colà ,' e però il possedere qué- sta staitipa equivale, per 'la jiarte letterarip , - ài posse- dere lo scritto di quel celeste cantore. Però i Volpi e il Marsnnd di essa 'si valsero nelle pubblitaziioni pòster rieri 'del canzoniere;' >• -'•■:"■ i/^'-.j.-. .- •»,-;,. oiiv.

ErariserbaMaV^ràn cardinale Fi^tìxt^^iBeitlboi,' 6> ad Aldo Manuzio i( darci le rime dèi Bèiirnva- pie^ riamente conformi al loro originale , diceva il Gaiìii^ ba (la)! questa edizione^ autentica ha servito 'dio ;tdsto ad altro itJnumcrevoU, e ancor oggi vale di testoie' vcJ nerasi come di ihano stessa del poeta. Il Poggiali (ii3),: il Brunet(i4)i l'autore del Dizionario bibliograficoi\^)i il Marsani(r6)^'rHaym(i7),^'il Cittadini (i 8), ilCpd- sciaibeni (19), la tengono come prezioso c/we/fO> e 'tdlfe* era tenuta ^in dal iGSa. ! ; : ^

-'•Come; dalle ^ sentenze bibliograifiche riferite in nota avete raccolto, sembra' che Alilo -in caria ordinaria, e in calila forte eseguito avesse 'la edizione del Petrarca

a8

nel luglio i5oi, e che pochissimi esemplari stampato ne avesse in pergamena. Di questi ultimi solo quattro sono, con certezza a nostra notizia; cioè quello ricor- dato dal Gamba, ma senza notare se intero fosse stato, cioè eoa i sonetti contro Roma , la data completa^ ravviso a* lettori., l'indice e l'errata corrige; quelli del Renouard e del Poggiali con la /data intera , ma noa conosciamo se. i sonetti, l'avviso, l'indice, e l'errata a ves-; sero; e quello del Crescimbeni che supponghiamo perr? fetto, perchè proprietà dello stesso Benlbo; quello di A. Gravenna non notiamo, non avendo egli dichiarato essere in pergamena, e solo avere scrittoessere con le carr- te dorate. Dalle parole di questi quattro autori non si raccoglie che un solo fra di essi fosse intero, se pure hon si vorrà ciò a quello del Bembo concedere: il nostro Ito è senza fallo, ed! è questa tale rarità biblica da faroe rallegrare per lo felice acquisto. Aggiungete, come uqta il Bruhet (20), che i. sonetti contro Roma in vari esem- plari sono cancellati: i Fotitanini non mancano; quandi» questa stampa cadeva nelle imaui di qualche fanatici,, maledicendo Petrarca, credeaiisi riformare gli abusi dellfe cocolle ^cancellando gl'innocenti sonetti, che ammii*i&lntt solo come capolavoro di poesia, venerando il Vaticano e molto più» dopo le riforme del tridentino concilio: ma non è quaUià\ ólie. maftchi all' elettissitiiO codice... iS.crra-, difalco, il y./ft/iii ^ ■Ai\\v\',v> ^ ivuA \u Suv^óyuo-.) •^Uv.^\>.\'.»j^ Esso,!. è si coBsei^aio che sembra esser uscito mo dal-1 rofllcina; del libraio; non una pagina, non una linea, non una parola, non una virgola guasta, corrosa, mac- cliiata. La conservazione, e la eleganza di esso, è ac- cresciuta dalla bellezza degli ornati- Com'è natmale i po- chi esemplari in pergamc^ia furono distribuiti alle più cospicue persone d'Italia, restando per gli altri quelli in carta ordinaria, e in carta forte: questo fu acquisto di alcun magnato d'alto casato e nominanza; per esso fU;n»iniato e dorato dalla .prima all'ultima jiagina^ e

^9 nella prima faccia del Canzoniere , e nella prima dei

trionfi le armi di sua famiglia dipinger vi fece. Sono esse uno scudo con campo d'oro, traversato da sinistra a destra da una fascia celeste , ove tre mezze lune, e attorno lo scudo alcune lettere alfabetiche : quelle del Canzoniere sono I. P. a sinistra, e T. a destra; quelle dei trionfi N. a sinistra , e D. a destra. Ma a chi quelle armi appartengono, mi chiederete? chi primo ac- quistò il codice? Non è a dirvi la penosa fatica du- rata per rinvenirlo; ma» per quanto abbia rifrustaslo gli scrittori di Blasone siciliani e stpnieri, e non son po- chi , non m' è stato fatto ritrovare altra famiglia oltre la Strozzi che levi quest'arme (21). Gli Strozzi non sono di siciliana origine, ma fiorentina bensì, nel 161-7 Ora- zio qui trapiantò un ramo della sua casa; cessato a 1 1 agosto 1 654 ili Palermo , lasciò suo erede Giuseppe , che non ebbe figli e così si estinse la sua linea retta maschile fra noi. Non è difficile , come non è certo, che questo codice appartenuto fosse agli antenati di Ora- zio, e da lui qui recato. E se ci ricordiamo dell'ami- cizia degli Strozzi col Bembo, che costui viveasi nella di loro villa quando Aldo impresse il Petrarca, preste- remo maggior fede all' ipotesi.

Ma invece di rintracciare chi ne fu padrone, mi giova chiarirvi un' altra condizione di bello e di rarità di es- so , che lo rende alla tipografica arte interessantissimo. « Le prime stampe, come ognuno può osservare, e co- w me riflette il Meerman , sono in caratteri che lian » molto del gotico, come usiara dire. Lo stesso Mcer- ii man ci avverte che i libri stampati nel monastero di » Subiaco, sono essi pure in caratteri semi-gotici. In w Roma cominciarono essi a rotondarsi un meglio , M e più felicemente ancora in Venezia , ove il Jenson >j pubblicò alcune edizioni in caratteri assai leggiadri ; M benché poscia per non so quale capriccio degli stam- » patori, tornasse iu uso il carattere gotico. Il carattere

"So

» corsivo ili olire nacque in Italia, e ne fu l'inventore » Aldo Manuzio (22) ».

Sono queste le parole di Girolamo Tirabosclii nel dar ragione del ritrovamento de' caratteri da stampa , ma continuando è mestieri aggiungere col Manni che Aldo nel i5oi ritrovò « il bellissimo carattere minuto italico^ da » altri carattere cancelleresco^ de' più domandato sino >3 al giorno d'oggi corsivo; che lo pose in opera nell'im- » pressione degli autori latini e volgari, i primi dei » quali sembra^ che fossero Virgilio, ed il Petrarca, il » primo uscito nel mese d' aprile del i5oi , e 1' altro » di luglio dell'anno stesso (23) w. Male il Manni segnò quel sembra^ mentre da tutti gli autori di storia lette- raria non posesi in dubbio essere state le rime del Pe- trarca il secondo libro impresso in corsivo^ posciachè fu inventato quel carattere; e con sicurezza conosciamo che in aprile il Virgilio, in luglio il Petrarca , e poi sino al dicembre venner fuori Orazio Giovenale Persio e Mar- ziale (24). Però il codice Serradifalco splende di que- st'altra luce, che lo fa chiaro e pregevole.

Ne a caso segnò Aldo nella data con la concessione della illustrissima signoria nostra^ che per X anni nes- suno possa stampare il Petrarca sotto le pene che in lei si contengono;^o\ó.\e la veneziana repubblica gli avea concesso privilegio di privativa per il ritrovato del ca- rattere corsivo^ privilegio da lui stampato in fine del- l'Orazio (25), confermato da Alessandro VI a l'y dicem- bre i5o2 per tutta l'Italia, privilegio prorogato per altri

10 anni da Giulio 11 nel i5i 3, e confermato da Leone X in favore di Aldo e de' suoi successori (26) fulminando que' tre romani pontefici l'anatema del Vaticano avverso i controventori.

Non è fuor di luogo avvertire essere un errore del signor Frcy (25 bis) che Aldo Manuzio avesse usato il corsivo la prima volta nel i5i2. Mentre erano già corsi

1 1 anni tla che era stato posto in opera.

3i Quel codice è fatto raro da alcuni mauuscritli segnali nelle sue pa^nc bianche, e uno di essi alla stampa ò coevo. È desso la vita pel poeta, e sta così (27). « Fu » adunque M. Fr. P. per origine fiorentino, (|uantunque » nato a Rectio (28) (ove messer P. suo padre esulava) » a primo de agusto deli i3o3 (29) et in una villa >j sua dieta Lancisa{3o) absolvè sua puericia. In Avi- » gnone sopra il Rodano et in Carpenta(^i) città pro- » xima de Avignone graraatica , dialectica e rlielorica » imparò »,

« Pervenne dapo ad Monpoleri dove per, 4 anni ad » ragion civili dede opera, a Bologna per 3 altri in tal » fagultà istudiò (32): indi in Avignone retornando ad » visitare soi genitori ; visitando le ecclesie secondo la » consuetudine: in santa Chiara con mad. Laura scon- w trandose de lei se l'innamoro al verniridì santo a » 6 aprile del 1327, comò se vede per quello sonetto » Foglia mi sprona et quella in vita amò anni 21 , w comò si vede per quello sonetto Tennemi amor et » L'ardente nodo. Dopo da tal amore fu per la morte » di lei liberato a 6 de aprile deli .i348, comò se » vede per quello sonetto Tornami a mente essendo » essa de anni circa 35 comò se può vedere per quello » sonetto nella età sua et nel trionfo della Divinità » avendo Beatissima lei. Quale madonna Laura fu da » honesti parenti nata in Gravefois villa propinqua de » Avignone, Dopo de lo amore de altra donna alquanto » par s' accendesse , benché in breve per morte fu da » quello liberato, corno se vede per quello sonetto Var- » dente nodo: indi a Rectio retornò per alquanto s[)a- " ciò. Dopo in Avignone retornando , in una solitaria « valle se ridusse, ove sorga fonte amenissimo dimora: » nominata Chiusa corno se vede per quelli sonetti » pien di quella et se il sasso ^ et in la fine a quella » canzone qual più diversa^ et in quello sonetto auro " che quelle. Et ivi molto composse latino et vulgare

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» maxime la Affrlcba. Dapo in Roma se laureò. Et M dapo multo in la parte di Padua iu uno loco notato » Àrquado comoda habitatioiie edificò. Et ivi tra le M altre opere li excellentissimi triuraphi composse: dove » essendo de anni 'jo a 28 de agusto deli iS^S (33) » fu da parusismo costriclo a succumbere ».

È degno di nota che mentre a quel tempo molti illu- stri uomini d'Italia estimavano ideale la persona diLaura, l'anonimo autore di questa vita, la tenesse vera e reale: egli fu contemporaneo al Vellutello, che primo investigò di quella avventurosa donna, a quale ogetto due volte viaggiò in Avignone.

Gli altri manuscritti del codice, ma di mano poste- riore assai al precedente sono un epigramma di Giulio Camillo su Laura, e altro attribuito allo stesso Petrarca sopra Valchiusa. Eccoli, come si leggono ivi alla p.

Valle locus clausa toto mihi nullus in orbe

Gratior: aut studiis aptior ora meis. Valle puer clausa fucram, iuvenemque reversum

Fovit in aprico vallis amena sinu. Valle vir inclusa meliores dulciter auuos

Exegi, et vita candida fila meae. Valle senes clausa supremum ducere terapus

Et clausa cupio te duce valle mori.

JuLii Camilli Epipramma.

Laura ego qua fueram thusci olim vita poetac

Laura ego quam in vita thuscus alebat amor, Hic sine lionore jacui, non cognita quaravis

Cognita carminibus eulte Petrarca tuis: Nullus purpureis spargebat floribus urna,

Nullus odoratis serta dabat calathis Nunc qunqiie Francisci sed versu et muncr Regis

Nolesco olficiis cospicienda piis.

'33

Ve inoltre un sonetto, clic certo maleJisscro le nove muse ed Apollo, e la di cni laidezza si accresce dalla compagnia di quelli del Petrarca, e solo per ragion bi- bliografica vi trascrivo in nota (34)-

Datovi conto de' manuscritti del codice, è mestieri se- gnarvi i caratteri suoi particolari, talché col volger de- gli anni non si potesse con altro scambiare. La vita del poeta, gli epigrammi e il sonetto riferiti non bastano, però vi aggiungo i seguenti. Esso è in pergamena, in 8", j)erfeltamente ben conservato e affatto intero , di 177 fogli, a contare dalla pagina che segue quella del fron- tispizio, e precisamente da quella ov'è scritta a penna lu vita del poeta sino al termine de' trionfi; inoltre vi sono altri dodici fogli contenenti \ indice ^ Va\>viso di Mdo ai lettori, e V Errata cor/v^e. L'ultima segnatura del canzo- niere è Zm., e l'ultima segnatura dell'indice, avviso ed errata è B Hi. Nella vita del Petrarca, la F di Fita e la A di Poeta mancano, perchè non furono miniate. La prima faccia del canzoniere ne' suoi margini e ornata a fiori in miniatura e oro; in piedi , entro una ghirlanda di alloro, sono le armi degli Strozzi, delle quali abbiam tenuto ragione.— Non v'ha paginazione stampata, ! fu scritta a 2)cnna con inchiostro rosso, ma in buona I parte delle facce è svanita, e sino alla pag. 117 fu ri- fatta ad inchiostro nero, nella pag. iiG fu errata e cor- ' retta. Il codice è stato studiato, e le sentenze le più belle veggonsi notate con manina marginale, in alcune ve n' hanno due. Non tutte le iniziali majuscole del principio de' sonetti e delle canzoni sonò dorate e mi- niate , alcune furono tralasciate , altre cominciate sol- tanto. — Alla pag. 80 retro il primo S della canzone S'io il dissi mai etc. è in forma di drago, poco sotto la di cui co.da un fiore azzurro e rosso. Alla pag. 83 retro in piedi è una fettuccia con lo saitlo VIRTUTIS lìTERNAE. Nella pag. 140 retro sono scritti gli epi- grammi del Petrarca e del Camillo surriferiti, e in mcz-

3

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zo dell' uno e dell' altro si legge: Trionphi di Messer Francesco Petrarcha.: e poi nella seguente faccia queste parole: Del signor Luigi Alamanni^ quasi altra poesia di quello ci avessero voluto trascrivere. In pie della prima pagina de' trionfi sono le armi Strozzi, ed è tut- ta marginalmente miniata e dorata a fiori. Al fine del canzoniere e quel sonetto notato sopra Sono di poi Vindice^ V Avviso a Lettori^ e Verrata corrige.

Dalle cose discorse avvisate , amico , se interessante acquisto è stato quello del nostro veneratissimo Duca, che sempre più si fa rispettabile con le sue utili a- zioni ; io di anima sdegnosa e non usa alle superbe altezze inchinarsi, di caldo crescente amore a lui mi sarei stretto, se tale non lo estimassi da potersi di lui k patria onorare. Tra i giovani voi lo somigliate , e quando seco voi m' intertengo scorgo nella vostra li germi dell' anima del Serradifalco , e quando seco lui mi elevo a svolgere severi argomenti, veggo quello che un giorno voi sarete,e in core mi brilla la gioia della speranza per questa morta Sicilia. Il suo nome oramai suona chiarissimo; valicando i mari non verrà uno stra- niero a salutar questa terra , senza visitare le rovine della nostra grandezza, e senza nominare colui, che l'ha saputo descrivere.

Ma dove mi trasporta l'affetto dell'amicizia e della terra natale?! il cuore trascina la testa^ e dimenticava il codice petrarchesco per la persona dellacciuisilore. E certo, ch'egli un giorno vorrà generosameute essere li- berale di questo nobilissimo palladio^ come lo disse Traiano Boccalini , con la Biblioteca del Senato di questa città, e non è da tacersi ch'egli rivolto com'è ad altri stutli, e non avendo inteso l'animo a formare una raccolta di antichi codici, quello soltanto per. pubblico beneficio tolse, e per non dirsi che nella biblujteca di altra gente sarebbe esso serbato, da' sic;ili;ini non pre- giato, du' siciliani allo slvunicro venduto, pieieiendo un

3o vile jiugno (li coniato metallo alla conservazione tli tan- to tipografico tesoro. Così egli corresse l' errore di chi ne rifiutò per pochi scudi l'acquisto, condanno di que- sta comunale libreria: mentre lo scopo a cui prima- mente dee mirare chi alle biblioteche presiede , quello si è di completare la serie delle edizioni rare, belle e ricercate; la nostra in parte ne manca (35), e non do- vea farsi sfuggire la propizia occasione di arricchirla dell' illustrato codice : senza il Serradifalco si sarebbe perduto per sempre.

Qui giunto mi gode l' animo poter con onore far ri- cordo di altri due benemeriti cittadini, i quali hanno con loro doni aumentato il tesoro di questa Biblioteca: essi sono l'Ab. Gaspare Rossi, il Principe di Gianatelli. Il primo la regolò del Manuale tipografico del Bodo- ni in due volumi in foglio, e del Catalogo ragionato delle edizioni bodoniane; e il secondo di un prezioso frammento del Panphiton del Cupani, con cui venne ad aggiungere aSa tavole alle aSo ivi preesistenti. Non è qui il luogo dire i pregi di quelli, e più di questo libro, e le debite lodi sono stale già fatte al Granatelii nelle Siciliane Effemeridi e nella Biblioteca italiana di Milano, alle quali, per quanto vaglio, aggiungo le mie.

Sublimatevi intanto voi negli studi" della greca sapien- za, ritornate tostamente alla patria, onde le siciliane so- stanze non siano per man degli ottimi volontariamente in aire terre largite , e non abbandonino i suoi stessi magnati il vedovo cielo che li vide nascere; serbatemi sempre l'amor vostro, e tutto e immutabilmente abbiale quello del

Palermo i836 A Gius. De Spucches Napoli

Vostro Amico LiONARDo Vigo.

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NOTE

(i) Biblioteca enciclopedica italiana Milano voi. 28 jjjg. 54^.

(a) Le unticci edizioni eennatc sono, i. 1470 Veaeiia per Vindclino de Spira; gli esemplari perfetti di questa edizione si sono venduti i33o francbi, gì' imperfetti da 47^ a 664. Credesi esservcne uno in pergamena nella bi- blioteca del Duca di Marlborough a Blenheim : 2. 1472 Padova per Mar- tino de" Sette alberi, questa edizione contiene 188 fogU; 3. i473 Milano per Antonio Zaroto; 4- '47^ Venezia per Jenson; 5. i473 Roma per Filippo de Lignamine messinese; 6. i474 impressa a S. Ursino o a Vicenza j)er Leo- nardo Acate di Basilea; 7. 1477 Venezia per Domenico di Saliprando; 8. 1477 Napoli per Arnoldo di Brusella; 9. 1478 Venezia con i coraent;iri del Filelfo per Teodoro de Rcynsburcb e Rainaido de Novimagio, e i trionfi col comento di Bernardo Glicino da Siena, cbc vanno uniti; io. 1478 Bologna con i sudetti comcnti; ti. i5oo Venezia in f. Si avverte che la nota di queste undeci edizioni è tolta non da un solo , ma da vari bibliografi per Maggiore diligenza,

(3) Manuel du Libraire etc. troisième cdition, tome troisicmeBruselles i8-Ji pag. 53. » Il esiste encore plusieurs autrcs èdit. de Pètrarquc , imprimces )) daas le i5 siede; mais elles ont pcut de valeur en France. Per un buon esemplare in carta pecora della edit. del i5oi assegna il prezzo di5i lira sterlina, e 9 scellini.

(4) Biblioteca etc. con le annotazioni Apostolo Zeno Venezia 1 75 3 Tomo 3 pag. 5.

(5) Furono estratto non per lo più , ma tutte , e con somniissiraa dili- 3> genia dagli originali del Petrarca posseduti allora dal Bembo. Il Fontanini 3) lascia ad arte di riportare le precise parole di questa accurata impressio- » ne, che vi si leggono in fine e sono queste, degne di osservazione per le cose » da dirsi:» /wy^^Viso in F'enezia nelle case di Aldo romano neltanno Al DI » del mese di Lut^lio, e tolto con sommissima diligenza dallo scritto di mano 3> medesima del poeta ha\<uto da messer Pietro Bembo « Se dunque le cose » volgari del Petrarca contenute in questa edizione , far tolte con sommissima 3> diligenza dallo scritto di mano medesima del poeta, avuto dal Bembo, non » sussiste quel dirsi in contrario ch'esse furono estratle per lo più da' incdc- 3) simi originali. Acciocché il mondo rimanesse persuaso , che di alcune di j> esse non si verificasse l'esserne estratte con sonunissi/iia diligenza, incora- si beva al Fontanini il giustificare, quali esse fossero essendo a lui stante iu » Roma assai facii cosa il visitare quegli origiuali nella Vaticana esistenti; o M non trovandovi quei comjioninieuti, che egli vorrebbe indurci a credere 33 falsamente attribuiti al Petrarca, dichiararlo allaiiicnto, e a piena bocca, e 3) con ciò risparmiare a se la fatica, ed agli altri il tedio della sua prolissa u stucchevole diceria.

(fi) Vedi Tirtiboschi Storia etc. Milano 1824 Tomo 6 part.i p. 169 Apo- stolo Zeno Amiotazioni alla bibl. italiana del Fontanini Tomo 2 pag. 1 37 A- postolo Zeno notizie dei Manuzi pag. 8 e segu. Agostini Scrittori Venezia- ni Tomo i nella profazione pag. xh. Mazzucchelli degli scrittori d'Italia Bre- scia 1760 voi. 2 jiartc 2. pag. ^37.

(7) Bemlxj etc. Milano 1809 voi. 6 pag. i5.

(8) MazzucrhcUi ivi.

(9) liceo lo parole del Bembo: il Petrarca cim coperto di cuoio bianco, e non avea titolo ventilo, che egli dimostrasse essere stalo del Peliinva; il CUOIO era rovescio, e parca mollo secchio, iwea quattro ìirincke di rame ne' caliti delle due tavole sopra il cuoio per una, e una (juiiUa nel mezzo del

3?

cuoio e della tavola, schiette e ritondette e coppolute larghe nel fondo ijuan^ IO un soldo ; era scritto sopra catta pecora; em stato il libro per tanto tem- po assai ben tenuto, e leggcvasi agevolmente, non avea postilla alcuna.

(io) Itì— a incsser Girolamo Quirino a Vinezia. —Ho avuto il Petrarca quando meno me lo credca avere, vedendo la cosa essersi ridotta a Padova. Ma I* amorevole prudenzia vostra ha potuto e saputo più che altri a questa volta. E quelli zecchini sono stati 1' amo , che ha tratto questo pesce fuori dell'acqua. Siane ringraziata Vostra magnificenzia senza fine. Non vi potrei dire quanto l'ho caro. Se l'amico mi desse ora 5oo zecchini appresso a quelli non gliele darei. È di mano dell' autor suo senza alcun dubbio. Ne avemo jeri m. Carlo ed io veduto piìi d'un segno e più d'una infallibile certezza. Rendetene infinite grazie al buono e dotto Rambcrti della fatica, che egli ha presa per me. Non son per diracnticarlami giammai. Renderete grazie anco- ra al Magnifico Tepolo ec.

(il) Catalogue resonnè de M. Pierre A. Cravenna 1776 p. 5i voi iv. Le cose volgari di Messer Francesco Petrarca, ce. Cette edition , qui est fort belle est une des plus estimèes de ces poesies. Cet cxemplaire nous est venu dea Folpi, qui dans le Catalogue de leur Bibliothequc en disent avec rai- son ce qui suit: Bellissima copia con le carie dorate. È rarissimo e perciò fu pagato alle volte un pivzzo assai notabile. On peut aussi coiisultcr sur cette edition Maittaire, Haym, Fontaninì, Zeno, et le Catalogue des editions de Petrarca ajountc à l'edition de Cornine.

Ce rare volume n'a ni chiffres , ni reclames, mais seulcraent les signa- tures des chaiers. L'intitulè fait le priniier feullet de la signature a , et le texte s'ensuit d'abord le second. Il va jusqu' et compris z, et à la fin on Ut la souscription sulvante: Impresso in F~inegia nelle case d Aldo Romano ^ nel anno MDl del mese di Luglio , et tolto con sommìssima diligenza dallo scritto di mano medesima del Poeta , havuto da messer Pietro Bembo con Za concessione della Illustrissima signoria nostra, die per x anni nessuno possa stampare il Petrarca sotto le pene , che in lei si contengono Après cette souscription ori doit trouver un Cahier de signature A de huit feullels, scpt des qucls reuferment la tablc des commenccraens de chaquc piece , et le dernier est tout blanc. Suit encor dans notre exemplaire un autre Cahier de quatre fouillets de signature B, qui contient un long jévis d* Aide aux Lecteurs , suivi d'un Errata. Nous croioris avoirc raison de conjeclurer que ce deruicr Cahier -piiisse manqiier à pluiseurs cxeniplaires, parceque, comrac l'objet de l'avis d' Aide est de rèfuter les critiques, qu' il dit qu' on avoit fait touchant la correction de cette edition, et d' en donner raison , comme il fait fort au long, il est tout simplc que ce cahicr doit avoir ctè imprime quelqiic tems aprcs qu' on avoit conimcncè à debitcr l'edition, car coramcnt auroit-on pu y faire des observatioiis sans la voir? Il est donc fort raissonna- Mc de croir que Aide cn dcvoit avoir vendu bien des cJcemplaires avant qn'il irapriraàt cet avis, et que par conscquent tous ces cxemplaires en man- queronf, parceque la pluspart de ceux, qui en avoient deja fait l'acquisition, n' auront pas songc à allcr prendrc ce cahicr séparé , et le joindre à leur exeinplairc. Ce qui nous coiiiìrme dans notrc coniccfure est que Fontanini aiant dit que le Rinies de Petinrcn dans cette edition ont ctè extraites per lo più des originaux de l'Autcnr, Zeno x-epartit fort vivcmcnt que non pei' lo più, mais absolumcnt toutcs et avec la plus grande cxactitudc ont ètc ex- traites des origiaaux de Petrarca, et il s'appuye jxnir le proiiver sur 1' au- torife de la souscription, que nous avons rej)ortcc ci-dcssus, quand il aui-oit pn tircr d'autrcs preuvcs ciicnrc plus fortcs de l'Avis d' Aide, dont parlons, et «lant le beau comincnceniont paroit ftit cxprcs pour rclulcr Fontanini,

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Aiissi est il prcsqu" indubifciblc quc Zcnn n'amoit pas manquù de s' cu ser- vir s' il avoit tixiiivè cct avis dans son cxciuplairc, ci soii sileiicc scrt de prcu- Vf (|nc son cxi;inplairc dcvoit en inanquer.

(12) Si-rie delle edizioni de' testi di lingua italiana di Domenico Gamba. Milano 1811 p. 339 E dopo le riferite parole, soggiungcsi » e adorne della jiropria loro eleganza comparirono per opera de' medesimi la prima volta iicir edizione di "N'enezia, Aldo, i5oi, in 8", che jie' figliuoli di Aldo stesso e pe' Giunta in Firenze si riprodusse poi spesse volte ( un esemplare in per- gamena dell' aldina edizione fu venduto in Londra 1200 fran.)

(|3) Serie de' testi di lingua stampati che si citano nel vocabolario der gli accademici della Crusca, posseduta da Gaetano Poggiali Tomo I. pag. 230 n. 4<)6 Livorno i8i3.

Petrarca ec. prezioso esemplare impresso in CARTA PECORA comparti- toci dalla munificenza e amorevolezza di mi sovrano generoso verso le lette- re, e verso coloro che le professano. Presso il Crescimbcni nella storia della volgar poesia può vedersi in quale altissima stima fosse tenuto da uomini dot- tissimi un simil cimelio sino al iG5:>.Mr Rcnuard letterato parigino nel suo pregcvol catalogo cronologico ragionato delle edizioni degli Aldi, avverti che l'esemplare in pergamena da esso osservato di questa ediaione avea nella data in fine una particolarit.ì, clic è comune anche al presente ; vale a dire che dopo il nome del Bembo vi sono le parole seguenti , le quali mancano ne- gli esemplari in carta: nobile veneziano, daUui, dove bisogno è stato rivedu- to e raconosciulo.

(i4) V. la nota n. 3 e soggiungi » Lorsque l'on vcut aclictcr ccttc èdition ou Ics rèim|ircssions qui ont ètè l'aites par Ics Aide, 011 par Ics Junte , et par Ics imprimeurs de Lyon , il faut regarder si le 64 sur le quel se frouvent le sonneto contre la cour de Rome, n'a j)as ètè arracbè, car ce inanque dans beaueoup d'excmplaires.

(if)) Di-HÌonnuire bibliogvafique ctc. Paris lS24Tom, 2, pag. 201. Edition rare et rcchercbcc....On a tire de cette èditioa des excmplaircs sur papier fort, e quclques-uns sur vclin. Vcud. tres-bcl exemplairc , 5i liy. 9. sch. Paris, a Londres.

(16) Padova i8ig ec.

(17) Biblioteca itidiana, ossia notizia de' libri rari italiani ce. di Nicola Francesco Ilayui. Milano i8o3 Tomo 2. pag. 65.

(18) Cittadini ( Celso) Orig. della Tose. l'avella pag. 3a.

(ly) Comentirii del cane. Gio. Mario Crescimbcni intorno alla sua storia della volgar Poesia Voi. 2. Parte 1. Venezia 1730 presso Lorenzo Dasegio. ])ag. ay^. Petrarca ce. Di questa edizione noi 1' anno 1700 vedcnuno un bel- lissimo esemplare in pergamena appresso il dottor Niccolò Francesco Lupi da Gravina ilinioranlc allora in Roma; ed osservammo clic nella prima carta v' erano scritte le seguenti notizie.

Libiiiin lume tanquam nobilissimum Palladium , ab in/tnitis qttilnis scu- Iciit volitati codices , mendis ab ipso Petra Bembo expurgatiun , t^go Tru- luiuts BiK-cidinus fuvatus sum iiiter copiosissùnuin ipsius Bombi Libromm fu- 1-agiiicin.

IJuiic vero mute suum esse asserii Carolus Clusius A, ex dono D: Achil- lis Ci^nien Aisscnsis Silcsii ex Italia reducis f^iei'nain xiii Kal. Jul. MDLXXXr.

Kx legato autem mine habet D. l'r, liaphelingii, qui a Car. Ciusio accepciiil. Jounnes Luci

Adolfo yoistin, moriens ìvliquit D. I. de Lnet vir uniicissiriius.

(ìiiesio libro doiuti allillusiriss. ed ccccllentiss. sig. Conte il sig. mio os- scrvniuliss. Gustavo Adamo Bariwr.

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Adolfo yontìo Professore di Medicina^ e reicSte magnifico dell'Uni- versità di Leydcn alti 27 d'Ottobre dell'anno i652. Prometto a stia Signorìa, se non lo darò alla mia regina, non lohaverà nessuno.

G. A. Barncr.

E nel fine di carattere del Bembo si leggeva:

P. Bembi de Simulachm F. P. Se come qui la fronte honesta, et grave

Del sacro almo Poeta,

Che d'un bel Lauro colse eterna Palma,

Cosi vedessi anchor lo syirio , et t alma}

Stella chiara, et lieta,

Diresti, certo il del tanto non ave.

Et altro.

Tu'che vieni a mirar l' honesta, et grave

Sembianza del divin nostro Poeta , Pensa, s'in questo il tuo desio s'acqueta. Quanto fu il veder lui dolce, et soave.

(20) Per errore tipografico nel Brunet Icggesi pag. 64 invece di 62

(21) Invcgcs ctc. pag. i32.

(aa) Tiraboschi ctc. Tomo 6 pag. 25 1.

(23) Manni (Domenico Maria) Vita di Aldo Pio Manuzio Venciia 1749 rag. i5.

(a'j) Serie delle edizioni aldine per ordine cronologico ed alfabetico. Firen- ze i8o3 p. II.

(aS) Ivi Aldus Manutius Romanus

Jussu, mandatoquc 111. Pop. S. Q. V. Nobilis, literator, plebcic, impres- sor, Mercator, Mercenarie quisquis es , id genus characteres deccnnium ne attingilo. Libros hujuscemodi litei'ulis excussos neu impressilo, neve vendi- lo, ec.

(26) Manuel de TypograCc. Paris 1835 Ilalique p. 25i). Tom. i.

(27) Quoniam dilectus filius Aldus Manutius romanus ad communem do- ctorum utilitatera novis CA-cogitatis characterum forrais, assiduam operam li- bris emendandis, imprimeudisque impendit,magnosque in ea re laborcs, sum- ptusque facit, vereturquc, ne insurgenle invidia, emulationeque e-xcitata, ali- qui suraplo de ejus charactcre cxcmplo, ad cam forraam libros imprimanl, deque alterius invento novuin sibi lucrum quaerant etc. Nos etc. omnibus, et singulis impressoribus, et artem ipsam iii Italia cxerceritibus , sub excomu- nicationis paenis ctc. inhibcniiis etc.

(28) Riporto questa biagrafia con leggerissimi mutamenti ortografici. (■>.()) Arezzo V. Baldclli Firenze 1797.

(3o) Petrarca nacque a 20 luglio i3o4. V. la sua prefazione alle lettere familiari.

(3i) Incisa Ep. ad Poster. (3a) Carpentrasso.

(33) Furono 3 anni in MompcUicri e 4 in Bologna.

(34) A i8 luglio i37^.

(3:>) Ainor mi stru{;gc e mi consuma il peggio (a)

Quai per vergogna mi nascondo e faccio, Neil' un riscaldo, all' altro tremo e aggliiaccltio, E spesso a un punto vita e morte veggio.

Ella scn ride ed io fra me vaneggio E mi consumo amando e sto nel laccio D' amoroso pcnsicr: mcn d' impaccio Poss' io togliermi a quella se non seggio.

E spesso in tal pensicr me stesso oblio Ramaricando il punto, il giorno e 1' ora eh' amor stugendo mi die tal riguardo:

Perchè se il peggio turba il mio desio E torna 1' un con 1' altro a far dimora £ cosi in forse mi consumo ed ardo.

fiij II peggio è la gelosia quul non può star t uno senza V alim , cioè dove è amore regna gelosia.

(3G) La nostra biblioteca ha onzc 5oo di dote per sola compra di libri, intanto ha difetto ancora de' più interessanti: v' è stato più aflcllo che ve- rità quando si sono magnificate le compre fatte. Essa è bastantemcntentc ric- ca è vero, ma i volumi necessari ad uu bibliotecario ancor si desiderano.

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Guida per la Eeal Casa dei Matti di Federino scritta da un frenetico nella sua convalescenza e Lettera del barone Pietro Pisani al dottor Moore sul trat- tamento morale della follia Palermo stamperia d'Antonio Muratori i836 in 8 di pag. 45.'' •'' *

Non havvi alcuno che per propria ed interna espe- rienza non sappia come la umana natuja non solo dalia presenza rifugge ma fin anco dalla memoria di quei luoghi, ove ha patite sciagure; dappoiché , ella è cosa chiara, sentendo quasi rinnovellarsi i passati dolori, ver*, rcbbe suo malgrado forzata un' altra volta a soffrire, i Essendo ciò vero, vale un compiuto elogio per l'ottimo e sapiente Direttore della real Casa dei Malti in Paler- mo, signor barone Pisani, il vedereyche, avendo e' die- tro le benefiche tendenze del suo cuore e del secolo ia cui vive, sapula addolcire in mille modi la troppa mi- sera condizione degl' infelici che hanno perduta la ra- gione, un tempo non già come uomini, ma quasi bestie considerati, siavi stato mi frenetico che dopo tre mesi riavutosi in sanità abbia negli ultimi momenti di sua dimora in quello stabilimento preso a descriverne mi- nutamente i luoghi particolari, anziché al tutto sottrar- visi, trasportandosi lontano con la immaginazione a que- gli oggetti che non guari tempo prima gli feano cara la vita, mentre del miglior senno allegra vasi. Noi, to- gliendo occasione da ciò, ci congratuliamo di cuore con Sicilia nostra, che mutate opinioni e civiltà, per quanto alle sue sole forze è stato possibile, vede nel suo grembo fiorire, tra vari altri stabilimenti di benaficenza, un così pietoso Instituto , che in poco tempo ha avuta rino- manza fra' primi di Europa; e più in singoiar guisa ci congratuliamo col provvido Direttore , il cui nome non fia spento per sopravvenire di età, al quale certamente è maggior laude, e che più lusinga l'amor proprio, ono-

4k

rato stimolo al ben fare, il veder tutto rispoifclerc alle sue cure, ed il sentirsi apjiellare col titolo di secondo afi'ezionatissimo padre , col qual titolo a punto è stato rimeritato dall'autore della presente guida.

Intitolasi questo lavoro ai colti viaggiatori , ai quali l'autore si fa tutte ad esporre le ragioni per le quali vi fu mosso. Primieramente la lettura di talune guide e descrizioni non solo di Palermo, ma anco di altri paesi, in cui cose di poco momento appositamente nva- gnificansi 5 lasciando in dimenticanza luoghi,siccome l'isti- tuto de' matti, alla umanità dedicati; e il considerar po- scia clic una rapida visita null'altro può lasciare nella men- te de' viaggiatori, che una sfuggevole e confusa idea degli oggetti visitati, per la qual cosa cadono in errori nelle opere loro^ furono le due principali ragioni , che han fatta nascere la guida della Casa de' Matti di Palermo. Si aggiunse a ciò e la celebrità dello stabilimento da ragguardevoli personaggi non che 'da estranee e rimote nazioni commendato in viaggi, lettere, giornali , ma venuti appo di quella Casa a lasciarne scritte in un ap- posito libro le più pregiate testimonianze di laude; e senza questo il desiderio e di . stranieri e di siciliani di' avere una cosiffatta guida. :ì!ìÌì'1i:;> o'{)ijj> i";i !:;i iniil'

Fatto poi un breve cenno dell'antica Ca^a^ e del suo risorgimento a vita più bella, passa a descriverne il sito, e via via tutte le parti con insieme agli usi cui son destinate, ed alle opere che servono di magnificenza e decoro. Kon potendo io tener dietro a tutto il disegno di questa guida, mi pare piuttosto conveniente osservar cosa che non merita certo di esser trascurata, cioè come la sapienza del Direttore del luogo, e la condizione che fa meno doloroso la sventura de' malti, in sin dall'en- trata dell'interno dell'atrio si appalesino. Nel sommo della porta, e a punto nella faccia voltata al di dentro si legge: vigilanza ed iim cu li t à. SuWa diritta pendono le « catene che la filosofìa del nuovo istitutore scjipe rom-

43' l^er di addosso all' avvilita ed oppressa uiTWnità » sic- come l'autore della guida si esprime; ed liavvi la se^; guenle iscrizione: t '

QUI . PIVI A . FERRI . È . ^PERCOSSE

VANA . DETESTABILE . MEDICINA

ORA . AMOREVOLI . CURE

E . l'unico . RIMEDIO . ALLA . FOLLIA

IL . TRAVAGLIO

Alla sinistra sta scritto:

Pazzo chiunque sei se a rider vieni ■'

Invece di follia^ saggezza apprendi^ ''■''.

Che opera nostra è qui tutto che vedi. '

Coloro che rimembrano lo stato antico di quello sta- bilimento rimarranno certo maravigliati vedendo come in pochissimo tempo abbia potuto cotanto migliorare. Ne le parole delle iscrizioni vi furono poste per istolto fasto, che bene rispondonsi col fatto. Basta scorrere la presente guida per esser persuasi- quanti luoghi di uti- lità vi si scorgono per la politezza per 1' ordine per l'ele- ganza ammirevoli, e il così detto parlatorio per porre ad esame i pazzi dell'uno e dell'altro sesso, e ravvici- narli a' parenti quando è stimato tempo, e il gabinetto anatomico per le osservazioni patologiche, e il refetto- rio, e le stanze e i bagni per gli uomini e per le donne, e le camere pei furiosi, per la convalescenza e tutt'altro ancora; e quanti altri luoghi vi sono di ricreamento e diletto, e quelli consacrati al passegj^.o, e i giardini con tutte le piacevoli delizie, e fin anco il teatro a sollazzo e per le faticlic de' matti innalzalo. Tutto con esattezza è descritto, e ci si fa sapere come allo ingrandimento di quella Casa mirano i pensieri del direttore Pisani , mettendo a profitto il travaglio di quegl'infelici che fa

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anco valere a distrarre gli animi da que' pensieri che profondameute occupati li tengono. Da questa Guida siara fatti consapevoli de' lavori de' matti in opere e di pittura , e di musaico e di calligrafia pittorica , e della costruzione del teatro, e di altre somiglianti cose, o ancor materiali faticlie.

Amorevolezza e travaglio sono perciò le basi su cui si fonda il trattamento morale della follia messo in ese- cuzione nel nostro stabilimento dal direttore Pisani , e da lui esposte in una lettera , in continuazione della guida pubblicata, e diretta al dottor Moore di Londra, che avea chiesto ad un suo amico schiarimenti e notizie intorno questa Casa de' Matti. Facendo vedere il Pi- sani pria che ogni altra cosa la facilità a comprendere questo suo nuovo metodo, perciocché chiunque dicuor sensibile ne trova dentro di se stesso i principi, mo- strane la disagevolezza e discorre le qualità che nel di- rettore di uno stabilimento di pazzi ha riconosciute neces- sarie per la esperienza di quasi dodici anni , le quali sono coraggio, spirito elevato, fermezza, facilità a pie- garsi, prontezza nelle idee, sincerità e fedeltà alle pro- messe. Descrive il modo per lo quale al primo entrare in quella Casa affezionossi il cuore dei matti, e a legger quelle sue parole chi non resta vivamente commosso vedendo quasi un angiolo ilo a ritrarre quegl' infelici dallo slato, di) estrema abbiezione , e tornarli un'altra fiata ai diritti dell' umanità. Espone le difficolià eh' ei trovava nel sentimento de' medici di quel luogo, i quali dicevano niun rimedio trovarsi pe' malti, principal cura dovere essere di «attaccare il principio morbifico nella sua propria sede, e clie essendo la sede della follia come di tulle le altre malattie nello addome erano sul pro- ])Osito da mettersi in opera i purgativi i vomitivi le coppette le mignatte i generosi salassi la china >j. Il pa- rere df'l Pisani a rincontro era che la immaginazione scompigliando le idee ne' pazzi col rappresentar cose non

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esistenti, e lo eccesso delle passioni che fa vedere nella mente le cose in altra guisa che in realtà elle sono, siano verace cagione di cotanto male. E considerando i pazzi come « fanciulli pervertiti, da educarsi amoro- samente indirizzandoli per la via della ragione w trovò assolutamente necessario uno stimolo permanente di di- strazione per cui ebbe ricorso ai travaglio. Mostra quindi le astuzie e le feste i giuochi le musiche le danze i canti , colle quali cose seppe scaltramente condurre i pazzi a rejHitar necessario il loro travaglio per aver Continuamente quello spasso, perlochè destinaronsi gli uomini allo ingrandimento ed abbellimento di quella Casa , e le pazze agli uffici loro donneschi. Ivi non sono severi castighi , ma piìi o meno a seconda delle colpe il Direttore simula di toglier la sua grazia a' col- pevoli , che talmente rimangono addolorati , che ogni modo tentano per essere ripristinati nell'antico affetto. Si chiude la lettera col palesare come legando i furiosi con una fascia in una sedia ferma al suolo , e gittan- dovi in sulla faccia più o meno acqua di una giusta temperatura, si fa loro deporre il furore, e come nella notte sono eglino scampati da' pericoli per mezzo di una culla pensile a bello studio costrutta.

Tali sono le norme colle quali il Pisani dirigge Io stabilimento de' Matti di Palermo vedendo crescer l'en- trate col travaglio degl'infelici che con ottimo successo e in gran numero sono ridonati alla ragione. Il secolo gliene laude, i fervidi zelatori delle patrie glorie, e del bene della umanità sventurata, gli augurano ancor lun- ghissimi anni, e fan voti perchè abbia poscia un degno successore. Chi verrà a farne le veci però avrà un cuore somigliantemente sensibile, pari sollecitudine e senno? Semljra cosa difficile , e pui'e giova sperare che i de- stini e la civiltà di questa misera Sicilia sempre più si volgano in meglio.

Bernardo Serio.

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Elogio di Stefania Settimo e Napoli^ principessa Hesuttano. Palermo presso Bernardo Virzi 1837. voi. in 8. di pag. i3.

"' La perdita immatura di quelli che sono di esempio alla moltitudine , per la purezza dei loro costumi , e uno degl' infortuni più gravi che possano avveniie alle civili comunanze.

Stefania Settimo fu tale nella sua vita, e risplendeva di tale e tanta virtù che la sua morte risvegliò in ogni petto compassione sincera.

Una perdita a questa simiglìante facemmo non è guari tempo nella duchessa di Serradifalco: pari queste due venerande signore di età, di condizione, di animo, di mente erano fra loro amiche dolcissime, e formavano il decoro della nobile società palermitana, di cui accre- scevano la gioia ed il lustro.

In queste carte , e da noi stessi , per un sentimento spontaneo del nostro cuore , fu pianta la prima , e le nostre parole di duolo all' illustre consorte di lei diri- gevamo. Oggi è pure sparita questa nuova stella, che di tanta modesta luce il suo sesso irradiava.

Ella fu figha, moglie, madre rarissima; fu benefica, fu sincera , ebbe doti care che tutti in famiglia la piansero , tutti oggi la desiderano. E siccome noi vo- gliamo onorare non solo nelle nostre pagine periodiche i grandi ingegni e famosi , ma benanco qucUe anime gentili, che sono col loro esempio di onore al paese iu cui vivono, e di sprone alle domestiche virtù; così ci afljeltiamo ad annunziare il cennato elogio, che,con ele- ganza e con afletto, il signor Girolamo Scaglione dettava. L'elogiata donna nacque nel novembre del i8oi dalla famiglia Settimo, una delle più cospicue che vanti la Sicilia non solo per l'antichità di essa, ma benanco (ed è quel che più vale e più importa agli occhi nostri)

47 per uomini ricchi di generose virtù, e di si grande iii- tellclto che le lettere e la patria altamente illustrarono. Il fasto cede e si oblia poco appresso ; si estinguono i principati, e cadono nel nulla i magnati più opulenti , non restando di loro che la reminiscenza di un mo- mento ravvolta sovente dal manto^ello scherno o del- lo sprezzo. Sono le opere dell' ingegno , e quelle ma- gnauime che in prò degli uomini o della patria si son fatte, che svegliano la riverenza delle generazioni, & trapassano sole nei secoli più lontani. ^ ^ '

Nel libretto che annunziammo tutto è verità, e leg- gendolo conosci essere stata la defunta donna bellissima della persona, amabile di carattere , soccorrevole degli infelici , pietosa in modo che divenne m breve tempo il nume della casa maritale. Ebbe quattro figliuoli, ma ne perdette due ad un colpo ; e 1' autore dipinge con tanto vigore quell'infortunio, e ci presenta la sconsolata madre in tale condizione che par di vederla immersa nella più tremenda angoscia, e abbattuta disperala.

Fu ella, dicemmo, benefica, e gl'infelici soccorreva: d' esempio ne sieno alcuni orfani che de' suoi cotidiani sussidi venivan sollevati dalle loro sventure.

Amava la pietosa estinta oltremodo il marito, vene- rava gli ottimi genitori, aveva carissime le leggiadre ed ingenue sorelle, teneva in luogo di secondo padre quello zio, che mi è dolce appellare onore della Sicilia , per la dignità del carattere, e la maturità del senno, e elio fu da essa lasciato depositario delle sue ultime disposizio- ni, tutte devote e pie.

Insomma colpita da idropico morbo, che resistette a tutte le cure dell'arte, e le vinse, lasciò la buona si- gnora a trentacinque anni la vita: e questo elogio , in poclic pagine racchiuso, ricordandoci la perdita di lei, si fa legger con dolore per essa che più non è, e con plausi per chi lo scrisse. ^ ^ F. M.

4L

Elogio di Antonino Furitano scritto dalVJb. Emma- niiele Vaccaro Segretario generale del R. Istituto d incoraggi amento d'agricoltura arti e manifatture per la Sicilia letto nella tornata dei ij Dicem- bre iS36. Palenifio dalla Tipografia di Filippo Solli i83y un voi, in 8 di pag. 16.

Non è guari si ricordava piangendo in queste pagine la memoria di Antonino Furitano. Ora ci è dolce l'an- nunziare questo elogio che, in testimonianza di pubbli- co lutto, il Segretario generale dell' Istituto di Sicilia con afletto santissimo in mezzo ai Soci, dolenti per la morte del loro amato collega, pronunziava.

In poco dice molto il valente elogiatore. Egli fa pri- mieramente un rapido quadro dello stato della Chimi- ca, quando il Furitano, clie poi tanto si elevò in que- sta scienza , a studiarla cominciava ; e si quindi a discorrere dottamente delle opere che andò egli nelle varie epoche della sua vita pubblicando. Co- sì ragiona del trattato di chimica farmaceutica ; del Corso di chimica ^filosofico-pratica] dei pensieri fisi- co-chimici sulla vita; àeìVanalisi delle acque termali di S ciaf ani, di Cefalà diana, di Termini, e di quel- le non termali del Bivuto ne trascura di ricordare la apologia di quest' analisi medesima contro le ingiuste critiche del Lancellotti e del Covelli in una Lettera al Barone di Ferussac indirizzata. Al che aggiungiamo, che il Vaccaro con savio accorgimento, onde tutto refluisca a maggiore onoranza dell'estinto, ragiona dell'influenza del fluido elettrico, sotto i convenuti nomi di vitreo e resinoso, e sulle note affinità dai chimici stabilite, che li faccan dipendere da questo fluido medesimo; donde vie- ne a far ricordo come queste dottrine, dal Davjs for- tcraente sostetuite, sieno sfate dal chimico siciliano ine- satte riconosciute circa la influenza dciranzidctto doppio

49 fluido, e come questi invece iva presentando altra mano di

osservazioni, per cui avea luogo l'attrazione chimica dei corpi per la sola influenza della elettricità loro inerente, e per cui , siccome dice il Vacca ro, vervi va spiegando tutti i chimici risultamenti, e toglieva via una distin- zione, die non posava con certezza la causa di tutte le chimiche attrazioni, elevando, secondo il suo divisamcnto, a fatto preciso ed incontrastabile ciò che prima era al- meno incerto o incompleto.

Ed è mestieri arrogere , per amore della verità , come il Vaccaro, qui giunto, dica, con modeste parole, di non aver l'audacia di arrogarsi un diritto giudizio in queste materie, tanto da vari dotti combattute: ne qui egli si resta, ma accortamente soggiunge di sapere al- tresì w che la teorica dal Puritano sostenuta avverso il Davys, comechc siasi una ipotesi ancor essa, è oramai ricevuta ed insegnata dai migliori scienziati generalmen- te; e che il celebre Berzelius , se l'abbia o no dal no- stro Puritano, ne più ne meno come questi insegnolla, la predica ed insegna all'Europa , come quell' una che disgombri dalla scienza le tenebre, che via tolga miste- riosi nomi, che gl'ingegni diriga all'osservazione dei fatti, che chiarisca fenomeni sino ad ora tenuti inesplicabili.»

Laonde ben si vede qual professore di chimica abbia perduto l'Uiiiversità palermitana, e come possa difficilmen- te rimpiazzarsi nell'istruzione della gioventù, che lo tene- va in luogo di amico e di padre. E qui il Vaccaro, per- chè si abbia il lettore un'idea dell' anima del Furitano, dopo di avercela data per l' ingegno , parla della gran- dissima sensibilità di lui, e di volo accenna le sventure pubbliche e private che lo colpirono, e che gli furono più dolorose ed amare, per questa sensibilità medesima.

l^cr le quali cose tutte ben si vede come abbia saputo egli stringer le idee che al suo bisogno faceano, e presen- tarle riunite sotto un aspetto: dimanici-achè ha bene ed appieno soddisfatto all'obbligo suo , eh' era quello di tes- sere brcveuieulc ncWIsiilalo gii elogi del defunlo coUcua.

4 F. :a.

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Elogio (Il AntonitLo Irritano scritto dalVAb. Emma- nuele / accaro Segitarìo generale del R. Istituto d'incoraggiamento uigricoltura arti e manifatture per la Sicilia leti nella tornata dei iy Dicem- bre iS36. Palemic dalla Tipografia di Filippo Solli iS'ìy un voi. n 8 di pag. 16.

Non è f^uari si ricoiava piangendo in queste pagine la memoi ja di Antonio Furitano. Ora ci è dolce l'an- nunziare (juesto elogio ;he, in testimonianza di pubbli- co lutto, li Segretario generale deìV Istituto di Sicilia con afletto santissimo 1 mezzo ai Soci, dolenti per la morte del j )io amato ollega, pronunziava.

In poco lice molto l valente elogiatore. Egli fa pri- mieramenti^ un rapido [uadro dello stato della Chimi- ca, quando il Furitano che poi tanto si elevò in que- sta scienzii a studian cominciava ; e si quindi a discorrere dottamele delle opere che andò egli nelle varie i^poche deh sua vita pubblicando. Co- sì ragiona del trattatodi elàmica farmaceutica ; del Corso di ' fumica Jìloifico-pratica\ dei pensieri fisi- co-chimici sulla vita; \e\Vanalisi delle acque termali di Sclajaju\, di Cefah diana, di Termini^ e di quel- le non termali del Biuto ne trascura di ricordare la apologia (Il quest' anaki medesima contro le ingiuste critiche di 1 Lancellottie del Covelli in uua Lettera al Barone di Fcrussac inu'izzata. Al che aggiungiamo, che il N'^accaro con savio scorgimento, onde tutto refluisca onoranza cU'estinto, ragiona dell'influenza ettrico, soo i convenuti nomi di vitreo e sulle note ainità dai chimici stabilite, che li lere da qtsto fluido medesimo; donde vie- ne a far ru jido coniejueste dottrine, dal Davys for- temente soslciiute, sien sfate dal chimico siciliano ine- satte riconosciute circa a influenza deli anzidetto doppio

a maggioti del fluido resinoso, ( faccan dipi

tca;w::->;

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tàmàkm

a pnentando altra mano di (Ojro attrazione chimica dei

fluido, e come questi invece osservazioni, per cui avea corpi per la sola influenza t; Ila elltricità loro iuci-entc, e per cui , siccome dice il Vacco, veiviva spiegando tutti i chimici risultamenti e toiieva via una distin- zione, che non posava con crteza la causa di tutte le chimiche attrazioni,eievando secoilo il suo divisamento, a fatto preciso ed incontras ibile io che prima era al- meno incerto o incompleto.

Ed è mestieri arrogere per amore della verità , come il Vaccaro, qui gium , die, con modeste parole, di non aver l'audacia di ai jgars un diritto giudizio in queste materie, tanto da vn i dei combattute: ne qui egli si resta, ma accortamci e sogiunge di sapere al- tresì M che la teoriai dal 1 ritao sostenuta avverso il Davys, comechè siasi una i| )tesic«ncor essa, è oramai ricevuta ed insegnala dai mi iiori.cienziati generalmen- te; e che il celebre Berzeliu , sel'abbia o no dal no- stro Puritano, ne più ne ni' io cme questi insegiioUa, la predica ed insegna all'Eli opa come quell' una clic disgombri dalla scienza le ti lebn che via tolga miste- riosi nomi, che gl'ingegni din a albsservazione dei fatti, che chiarisca fenomeni sino td oi tenuti inesplicabili.»

Laonde ben si vede qual proftsore di chimica al)l)iu perduto l'Università palermit; ia,e mie possa dillicilmeii- te rimpiazzarsi nelb istruzioni delU^ioventìi, die lo tene- va in luogo di amico e di j idre x!^ qui il Vaccaro, per- chè si abbia il lettore un'idta del anima del Puritano, dopo di avercela data per 1 ingcpo, parla della gran- dissima sensibilità di lui, e i vo) accenna le sventure pubbliche e private che lo coipiroD, e che gli furono più dolorose ed amare, per quc^ a stsibilità medesima.

Per le quali cose tutte ben : egli stringer le idee che al su( taile riunite sotto un aspetto

appieno soddisliitto all'obbligc sere brcveniculc ucW/slitato ii

i vec come abbia saputo

bisorio faceano, e presen-

dininieiachè ha Ijcnc ed

sue eh' era quello di tes-

cloi del defunto colh-ea.

P. M.

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Elogio funebre deW Ab. Paolo Fiamma scritto dal suo scolare Antonio Galatti da Messina.— -Messi' na stamperia di Tommaso Capra aW insegna di Maurolico dicembre i836. un vol.in 8. dipag. i4'

Leggendo questo elogio mi venne al pensiero il celebre Antonio Magliabechi, il quale nulla scrivendo diede ad al- tri ampia materia di scrivere. Così il Fiamma, pieno di letteraria cultura, fu l'amico ed il maestro di Antonio Galatti, valentissimo giovane messinese, e scrittore di meritato grido: se il Fiamma altro titolo non vantasse alla ricordanza dei posteri che questo solo, sarebbe si- curo di ottenerla. Ma il Galatti ci fa conoscere che moltissime virtù pubbliche e private lo adornavano si da valergli bene il nome di ottimo cittadino, che nella suapatria si acquistò. Imperciocché in tutti i difficili e scabrosi incarichi che si ebbe si dimostrò sempre pieno di socratica rettitudine; ne l'animo suo volse mai cosa che all' utile pubblico non tornasse; il privato bene non curava, purché la patria servisse.

Fu maestro di molti, i quali con riconoscenza lo ri- cordano; fu amico di tutti fattamente che generale fu il duolo nella sua dipartita.

Il Galatti versa a piene mani i sentimenti più cari e più dolci in queste pagine, che all'amico e al maestro consacra: in ogni punto traspare l'affezione profonda che all'estinto lo legava; ei ti strascina con veemenza ad amarlo, e a deplorarne la perdita.

Bellissimo ministero è quello di lui: spargere di fio- ri la tomba dell'uomo virtuoso, raccontarne le private gesta, penetrare nell'intimo del suo cuore, e svolgerne i più occulti e segreti affetti quando non è più, onde nell'obblio sepolti non rimangano, è pensiero santo e ge- neroso. Quindi noi facciam plauso al Galatti, e iusiem con esso l'anima dell'amico suo benediciamo.

F. M.

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NOTIZIE EPILOGATE

SICILIA

1°. Il R. Istituto d'incoraggiamento di agricoltura arti e mestieri per la Sicilia è passato alla elezione del suo Magistrato pel corrente anno iSS-y, approvato dal Real Governo nell' ultimo Consiglio di Stato di dicembre i836 (i).

Vice Presidente Cavalier D'. D. Domenico Greco.

Direttore della Classe di economia rurale Principe di Trabia, confermato pel secondo anno.

Direttore della Classe di economia civile signor Fer- dinando Malvica, confermato pel quarto anno.

Tesoriere signor D. Carmelo Tasca Mastrogiovanni. Membri del Consiglio di amministrazione:professori Russo e Sanfilippo.

Il Reale Istituto prosieguo con zelo con attività e con sapienza i gravissimi lavori, che gli vengono del Real Governo continuamente affidati.

In una delle sue ultime tornate agitò l' importantis- simo affare per la privativa che si era chiesta da alcuni speculatori per l' introduzione in Sicilia della macchina della carta così detta senza fine. Si spera che la Sicilia fra i tanti suoi gravi mali economici, e fra l'immensità dei privilegi, che si sono chiesti per un'immensità d'in- dustrie che non si sono mai fondate , possa finalmente (essendovi oggi persone di altissimo nome che la pro- messa sostengono) aver questa macchina, che crea in un modo quasi prodigioso un genere ch'è di tanta necessità presso ogni popolo civile.

Nella storia delie ci-eazioni dell'ingegno umano la mac- china per la fabbricazione della carta senza fine e cer-

(i) L' attuale Presidente è il Principe di Villafranca, che compie l'ultimo aimo delle sue triennali funzioni.

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tamcntc una delle più siiigolaii, e delle più prc^i^evólil Difatti quella eh' è al iibrciio presso Sora in Napoli, lavorata in Inghilterra, è animata da un solo motore e servita da due uomini. Iti quattro ore riduce la straccia in carta, ed in due minuti l'acqua di colla di pezza in carta atta a servire. La straccia si macera in un tino e vieu battuta, scorre in altro tino ove si va depu- rando , in un terzo si fdtra; l'acqua di straccia qui scen- de in un tino inferiore e si purifica, scorre in un altro e viene per una seconda volta purificala; cosi divenuta pas- sa sotto un cilindro, il quale si trattiene il materiale per la carta, facendo andar giù, ed estraendo qualche impu^ ro. Un secondo cilindro la passare la prima formazio- ne della carta sopra un panno di lana, e la tramanda ad un terzo cilindro di forte pressione. Questo riceve la carta, già formata ma umida e bagnala. Il vapore emesso da una piccola caldaia iia tre piccioli emissari: riscalda, asciuga, ed indurisce la carta, la quale a stri- scia continuata e lunga esce per essere raccolta dagli ar- tefici, che in altro sito la tagliano nelle dimenzioni che si desiderano.

2". L'Accademia di scienze e belle lettere di Palermo ha eletto per suo nuovo Presidente il Duca di Scrradi- falco, e per Vice-Presidente il D'.D. Filippo Foderk: il loro ministero, secondo gli statuti di essa, è quin(iuennale: onde con generosi impulsi, e forte moto che si darà a questo corpo illustre potransi ottenere vantaggi di non lieve momento in prò delle siciliane lettere. Quindi ci è caro l'annunziare che l'Accademia ravvivata da novella energia, sta attualmente agitando progetti gravissimi per l'incremento della civiltà nazionale. I lavori che s'intra- prenderanno da questo cospicuo corpo saran tutti citta- dini. Essi per ora saranno i seguenti: compilazione di un vocabolario siciliano, secondo i principi dell'odierna filosofia; per cui a contributo si chiameranno tutte le

53^ Accademie dell'isola, i tre celebri seminari di Morreale di Girgenti di Patti, e 1' opera s' invocherà di lutti i sapienti , che cuoiano atlualmen le Sicilia dall' capo all'altro. Il secondo lavoro, contenendo l'Accademia nel suo seno, molli medici di grave scienza, sarà la topo^ grafia medica di Palermo: ed il terzo la pubblicazione di una collana di storici sicoli, divisi per epoche, e di altri che sebbene non siciliani, pure hanno della Sicilia ragionato: i greci e i latini verranno novella iiiieiite tra- dotti, o i tradotti corretti nei passi errati, ed annotati secondo il bisogno. . . ; , ; -, ) ! ,

Io qui non fb ora die antiunziare iipr-ogetti che vèa^ goiisi agitando, e che si possono reltifickre,e:oorteggere, onde sopra basi migliori appoggiarsi. . > .ini < , .

.3°. Il signor Giovanni Giorgio Skurray, negoziante in- glese, ha stabilito in Palermo una fabbrica di carbone di Coke, che serve per i ferrai, per la fusione dei me- talli, e per qualunque altro uso dove sarà richiesto un ardente e forte grado di calore. I ; ; ; .

Questo carbone mirabile, e che vien chiartiato an- che carbone inglese , e il prodotto della distillazione e purificazione del carhon fossile. Il signor Skurray , uomo tanto onesto e dignitoso quanto intelligente, ha un suo metodo particolare per giungere al suo intento, e ren- dere il prodotto della sua industria pcrfeltamente puro, e di gran lunga superiore al carjjone di legno, o di qua- lunque altra specie ; poiché sotto il mantice acquista un' ardenza di calore maravigliosa i la sua connatu- rale forza gli una durata lunghissima, ed una pro- prietà da rendere il ferro assai malleabile , spogliarlo di quella qualità vitriolicà che lo rende frangibile , e comunicargli tale solidità e durezza che, adoperato per gli strumenti agrari e domestici, divengon questi tanto eccellenti da conseguire una grande superiorità sugli altri. Bifatti i ferramenti inglesi sono perfetti e di gran prc-

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gio , per essere stati formati c^m questo combustibile , il quale , come annunziò lo stesso Skurray, e che abbiam poscia noi medesimi verificato, brucia senza fiam- ma, fumo, o scintille; e non lascia sasso alcuno, ne pol- vere, ne rimasuglio, come quello del carbone di legno che produce sempre una gran perdita all'operaio, e ne fa molto aumentare il prezzo.

4°. In Trapani il Consiglio Provinciale, premuroso di migliorare le industriali condizioni di quel Valle, chiese nel 1834 ^^ Governo di poter prestare 0U7 2000 a colui che avesse quivi introdotto opifici di lana e cotoni, con restituire, dopo dieci anni, la cennata somma, senza veruno interesse. Tal prestito venne autorizzato, e dalla sovrana clemenza fu statuito di rilasciarsi in favore del- l'intràprenditore onze 5oo sulla somma totale. Dopo va- rie vicende, che fecero vacillare quell'utile progetto, ci è caro il poter manifestare, che oggi finalmente va esso a mettersi in esecuzione. Perciocché i signori Adamo e Bulgarella presentarono tali coudizioni che vennero dalle varie autorità accolte ed approvate.

Primieramente si stabilì che il capitale non fosse mi- nore di once loooo; che l'opificio fosse provvisto di macchine le meglio adatte a sostenere la concorrenza dei tessuti stranieri; che gli operai, salvo i primi e il Direttore, fossero presi dai projetti, e dagl'individui di tutta la provincia, dando loro la mercede pari a quella degli altri operai a circostanze eguali ; che il capitale meno onze 5oo, per riserva , fosse impiegato in mac- chine, materie grezze di ogni maniera, fabbricati, fitto ed altro che all' obbietto abbisognasse ; che l' apprezzo de' detti oggetti fosse fatto da due periti, a scelta uno dell'Intendente, l'altro dei soci Adamo e Bulgarella, ben inteso che due periti servissero per le macchine , altri due per le materie grezze , ed altri due pei fabbricati, e così via via; che in caso di discordia venisse aggiunto

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un terzo perito scelto di accordo tra le parti; che nel- l'apprezzo, giunti alla somma di onze g,5oo, non gis- sero più innanzi ; che i soci dessero la loro cauzione o in biglietti di tenuta a firma di conosciuti e ben visti ncs-ozianti, o sulle loro istesse macchine; che se lo sta- bilimento venisse meno, non per colpa dei soci, ma per altra causa, questi fossero obbligati a restituire le onze i5oo insieme alla rata delle onze 5oo , ragionate ad onze 5o all'anno.

Or questo utile stabilimento sarà tra poco in pieno vigore ; e noi abbiamo il piacere di palesare eh' esso ha prodotto un gran bene anche all'agricoltura di quelle contrade. Perciocché moltissimi terreni, quasi incolti, e che davan poco o nulla, si son messi tutti a cotone, e si è data una nuova vita ai proprietari e ai coloni, ca- duti da più tempo nell' avvilimento e nell' abbandono. Questo nuovo esempio viene anch'esso ad illuminare gli stolti, ciechi o per ignoranza o per malignità, cioè che l'agricoltura solo potrà oggi fiorire, quando si viene alle manifatture congiungendo.

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5°. In Messina prosperano oltre ogni credere le scuole er le giovanette stabilite dalla signora Grosso. Ci gode animo potere asserire che in tutta Sicilia la gen- tile metà, e la più bella del genere umano, va sempre più ottenendo le vigili cure dell'altra che ha meritato il comando, e che la ventura generazione raccoglierà a piene mani i frutti delle sementi che si stanno ora, con tante cure e tanti sudori, spargendo.

6°. Presso Messina si è rinvenuta una cava di marmo statuario, e propriamente di quello detto greco: il no- stro ottimo professore di scultura signor Valerio Villa- reale, esaminandolo, lo ha trovato di buona qualità, e si spera rinvenirlo anche migliore nelle vene più pro- fonde: quindi si fan voti unanimi, perchè si apra il fianco del monte, e si accelerinogli scavi, fatti con giù-

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dizio e con previdenza, onde arriccliirc presto Sicilia

di questo novello tesoro della sua terra.

n." Il signor Silvestro Magri da Messina è già per islabilire in quella città un foglio diario titolato Vagente doganale di commercio; e siccome e prefisso di at- tingere dalle ollicine di quella dogana e portofranco tutte le notizie che risguardar possano ii movimento giornaliero delle operazioni commerciali; così crediamo che possa tornare di molta utilità, onde mettere i ban- chieri, i commercianti, e gl'industriosi di ogni specie ah | giorno di ciò che si opera, e s'intraprende nell'esteso ramo della loro professione.

8.° Fra Catania ed Aci-reale è iu costruzione una j strada rotabile fatta a spiaggia di mare bellissima, e per la quale si abbrevierà circa metà della strada attuale, e due terzi del tempo necessario, che vi abbisogna, on- de condursi dall'una all'altra città. Si fan voti, per- chè venga tosto perfezionata.

9.° In Cefalìi Stefano Guercio, inteso a riconoscere colle spinte del suo ingegno le imperfezioni del Clari- no, seppe costruirne uno con aggiunte e miglioramenti degni di grandissima lode. Onde venuto in Palermo fu il suo strumento esaminato dai signori Domenico Ballo professore di clarino, e Giuseppe Lumia Maestro di Cappella, i quali conosciuta 1' estenzioue de' suoni, che por quello si ottengono, e l'ini onazione di ognuno, giu- dicarono che il Clarino del Guercio sorpassa quello or- dinario in estenzione per una ottava e due tuoni, cioè da basso a acuto, cosicché riesce con tali aggiun- te più armoniosa e perfetta 1' esecuzione dei pezzi di musica. Quindi il Clarino fatlameute miglioralo dal siciliano aiteficc, per la forza del suo solo ingegno, sa- rà senza fallo ricercato dalle Accatlemie e dai Conser- vatori, ed egli ne avrà meritato guiderdone.

EFFEMERIDI

SCIENTIFICHE EL£TTER4RIfi

PER LA SICILIA

iG^uvit. >uo «Fewcaio tool

PARTE PRIMA

SCIENZE

Dilucidazione alla nuova Teoria dello Zolfo del prof. Carlo Gemmellaro. (*)

Jl^acchè io feci ^i pubblica ragione la mia teoria sullo zolfo, il signor Bouè, nel Ballettino della società geo- logica di Francia (voi. 5), sul breve cenno clie se ne dava dall' esimio canonico Alessi nella relazione acca-

(*) Ogni cosa che il Prof. Gemmellaro ne invia per le Effemeridi siciliane non può non giungerne prezlosaj essendo egli uno di quc' pochi positivi pen- satori , di cui a ragione muove grido il nostro paese: e qui caro ne torna potergli pubblicamente manifestare la gratitudine nostra.

Nei presente articolo si sviluppano molte verità fisiche , e si battono gli storti giudizi di stranieri, che, solito more , alla scapestrata si gittano sullo italiane cose. Io credo che il sig. Bouc, il quale , senza maturità di con- siglio, scagliossi sulla nuova teoria dello zolfo dal nostro scienziato evulga- ta, sarà più prudente e più saggio in avvenire. la fatto di queste materie non si annunziano che dubitando le contrarie opinioni; tanto più quando trattasi di attaccare uomini, che i fenomeni della natura non su i libri, e fra le mura di un gabinetto, ma dentro i penetrali più occulti delle sue o- pcre gli osservano gli studiano li paragonano. Noi dunque facciam plauso al siciliano professore , e n' è fuor di misura accetto il pubblicar le di- lucidazioni ad una teoria, che merita l'esame dei filosofi, e che non si oj> pugm con legicrc o capricciose ragioni, si gitta al fondo con una gratui- ta seutcuza. Il Direttore.

demica dell'anno X della Gioenia, troppo precocemente ne concliiuse dicendo « che era a maravigliare come ap- piè dell'Etna j)otevansi concepire di simili pensamenti m (pag. 191) volendb quasi tener per certissimo ed incon- cusso, che trovandosi lo zolfo nei crateri dei vulcani, questo combustibile dee riguardaj:si come un prodotto di quelli.

Non cosi la pensavano in Strassburg, nel settembre del 1834 alla ragunanza della Società Geologica di Fran- cia i signori Leymery da Lione, Simond da Metz, La- meureux da Nancy, e Van Breda da Leyden, che letta la mia memoria si dicliiararono del mio avviso. In Stutt- gard, in queiyanno istesso il professor Gmelin da Hei- delberg mi presentò alcune obiezioni, ma non conchiuse in contrario alla mia teoria; ed il cav. Leonhard volle consegnato il manoscritto per tradurlo in tedesco, come fece in effetto, inserendo per intero la memoria, nel nu- mero primo del suo giornale mineralogico (genn. i835). Negli annali di mineralogia finalmente dei signor Glq- cker (voi. i. Nuruberg i835, pag. 349) quésto pre- giatissimo scienziato, riassumendo le principali idee della mia teoria, presenta alcune dillicoltà alle quali ora mi farò a rispondere. : .

Ancorché io protestato mi fossi infine della mia me- moria (atti della Gioenia voi. X, pag. 196) che la nuova teoria era da me presentata come una particolar maniera di vedere, come una opinione soltanto, era ben naturale tuttavia, che recato avesse una ccrtpi impres- sione, e che molte dillicoltà insorgessero nei leggitori, tuttoché io non poche ne avessi preveduto , e sciolto. Per nulla quindi dispiacer mi potevano le opposizioni degli scienziati , io le desiderava all' incontro per mia maggiore istruzione. Accorgendomi però che molte ri- flessioni mi si ripetono, da me tenute per sciolte nella memoria, ho temuto di non essermi forse spiegato con bastante chiarezza, ed ho cjcduto csscm- necessarie delle

nuove dilucidazioni suU' assunto. Prenderò quindi ad analizzare quelle sole, diffieoltà che nascono da ragiona- menti sodi, e fondati: trascurerò per conseguenza di ri- spondere al precipitato giudizio, ed al ragionamento del signor Bouè; che se applicar lo volesse a tutte le so- stanze che nei crateri dei Vulcani rinvengonsi trove- rebbe che lo zolfo non solo ma l'idroclorato di a muro-, niaca, la calce solfata, e molte altre sostanze risulte- rebbero prodotte dai vulcani. Ed in vero grandissima e la differenza che passa fra le sostanze che i vulcani esalano ne' loro crateri , e fra quelle che trovansi di origine ben diversa nelle viscere della terra. Qualnic- raviglia che l'acido solforico attaccasse le sostanze co- stituenti le rocce vulcaniche , e vi producesse dei sali alla superficie? Se ne vorrà dedurre da ciò , che ovo que' sali rinvengonsi ivi il vulcano gli abbia prodotti? Perchè la selenite è comunissima nei crateri dei vul- cani, si conchiuderà che le vastissime formazioni del Gesso siano un prodotto del fuoco? Perchè lo zolfo si rinviene nei crateri de' vulcani esalato dai fumajuoli, e depositato in cristalline eflorcscenze nei d' intorni, si vorrà conchiudere che lo zolfo nativo in massa , gia- cente in nidi, in arnioni, in straticelli, fra le nettuni" che rocce debba ripetere la origine stessa? Appunto pcr»^ che siamo appiè dell'Etna, io direi al signor Bouè, noi possiam meglio giudicar de' fenomeni paragonandoli in- sieme , e minutamente esaminandoli coi propij occhi. Ma lasciamo di rispondere alle comiche leggerezze di cui dovrebbero comparir purgati i libri scientifici. '

Il prof. Gmelin francamente diceami in Stuttgard al- l'assemblea generale de' lìsici tedeschi nel i834: Pcr- » che voler cercare l'origine dello zolfo nello decom|>osi- » zione degli animali, quando aver si potrebbe più fa- si^ ci le in quella de' solfali? non poteva ì'òssigeno,i!'ihe >3 unito allo zolfo, e ^ridotto in acido' era>si couibii'ialo n' colla calce, abbandonar quel combustibile per coin-

» binarsi con altre sostanze? » Ecco un ragionamento degno di un grande scienziato. Sapeva in effetto il si- gnor Graelin quali si fossero le circostanze di giacitura dello zolfo nativo, ed era a lui ben nota la gran quan- tità di calce solfata nelle cave dello zolfo. Ma con tutto il rispetto che a tanto uomo si debbe , coi fatti alla mano facilmente provar puossi che quel fenomeno non poteva avvenire. Imperciocché tolto l'ossi gene all'acido solforico, che neutralizza la calce (p. e.) reiidendo la solfata, dovrebbero restare dietro quella decomposizione lo zolfo da un canto, e la calce pura dall'altra: ed inol- tre lo zolfo trovar si dovrebbe in minutissime parti- celle misto alla calce, come lasciarlo dovria l'ossi gene che in tutti i punti era con esso combinalo , ed insie- me poi alla calce. Ma il fatto ci mostra che ove rin- viensi lo zolfo ivi non esiste calce pura, ed all'incontro una marna bluastra in mezzo alla di cui massa lo zolfo sen giace in arnioni, in nidi, in slraticelli. Quale po- tesse essere poi la causa potente che avesse avuto va- glia a scomporre così i solfati da toglier loro il solo os- sigene, io non so immaginarla: ed ancorché a forza di stentati raziocinii si petesse mettere innanzi l'azione dei fuochi sotterranei, questi ragionamenti svanirebbero alla sola ispezione dei terreni di Sicilia ove lo zolfo si cava, essi son tali da fare abbandonare qualunque idea di azione vulcanica , attesoché tutto quello che potevano operare i fuochi sotterranei in quelle ncltuniclie forma- zioni si ei-a il potere alterare le condizioni delle rocce, e dello zolfo, come io ho esposto (pag. 187) nella mia memoria, ma non produrre lo zollo dalla scomposizione di quelle.

Il signor Glocker lasciando di battere il sentiero della chimica due forti obbiezioni mi presenta (np. cit.) col garbo, e la franchezza propria di uno scienziato, cui sono ignote le personalllù: (jucsle io credeva aver pre- veduto e sciolto nella mia memoria ; ma il mio svi-

6i luppo non e stato forse socldisfacente. Queste sono: i ." « la quantità dello zolfo nei corpi animali, dietro que- w sta teoria, dovrebbe essere molto piìi grande di come » in fatti la esperienza ci mostra. 2°, e se, come si pre- » tende, lo zolfo fosse passato dalla formazione ter- » ziaria alle altre formazioni in cui anche si trova , » queste dovrebbero esser nate dopo le montagne ter- » ziarie w. Sono queste le precise parole dell'autore tra- dotte alla lettera (op. cit. p. 35o). Rispondendo alla prima obbiezione io faccio risovvenire di aver provato nella mia memoria (pag. 164) non esser tanto poca la quantità dello zolfo nel regno animale, ed alcuni cenni avanzai sulla immensa quantità di sostanza animale che risultar deve da tutti i molluschi sia ignudi, sia testaci di cui osserviamo le spoglie nei terreni del globo, e di cui facilmente indagar puossi la quantità che avrà do- vuto esisterne una volta, quando comparar la volessi- mo a quella che ai nostri tempi nelle acque del mare esiste, e vive. Ecco le parole della mia memoria (pag. 178): «Io non credo di dover qui discettare sulla im- » mensa quantità di conchiglie, e di molluschi che fa y> d'uopo supporre avere esistito nei mari di quelle epo- » che, ma basta ripetere quella riflessioue del signor >j Blainville (Malac. p. 8) il Geologo vedrà, egli dice, » nella quantità innumerabile di questi animali che si » succedono di generazione in generazione nella pro- » fondita dei mari una delle cause evidenti dello ac ere- » scimento dei continenti. Mat che gioverebbe ogni discus- M sione se i latti parlano per se stessi? I polipi delle Ma- » drepore han formato evidentemente immensi strati di M rocce, oggi solidissime e riferite dai Geologi alle più » antiche del periodo secondario: come al giorno d'oggi w le masse Madreporiche delle isole dell'Oceanica hanno » determinato i Geologi a situarli fra i terreni moderni » chiamandoli terreno madreporico. Delle conchiglie » poi sono costituite le vastissime formazioni dei cai-

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ì) cari clic compongono, senza punto esagerare, quasi i » due terzi della crosta del globo. E quale non dovea ìi essere il numero dei molluschi nudi? Se possiam sup- » porre aveic eglino sempre conservata la medesima » pioporzione che harmo oggi coi conchiferi sarà cer- w tamente la loro quantità nella proporzione di una 55 unità a più milioni: perchè ognuno che ha valicato >i i mari, come per molti anni a me è toccato iu sorte, » conosce benissimo come qualche volta in tempo di » calma quasi tutta la massa delle acque marine di- » viene fosforica, per la prodigiosa quantità dei mol- >j lusclii nudi che vi nuotano. Or tutta questa immen- » surabil massa di sostanza animale ec. ». Pare però clic queste ragioni non siano state sufficienti al signor Gloclvcr per provargli la gran quantità di zolfo che po- teva ricavarsi dalla decomposta sostanza animale dei molluschi di quelle epoche. Facciamoci quindi ad più stretto ragionamento.

La minimo quantità di zolfo nel corpo di un mol- lusco voglio anche ammettere che si riducesse ad u- na parte, e sia anche ad una ;~. Tutto lo zolfo che si trova in Sicilia sarebbe egli mai più di una ^^^ parte della massa calcarea delle sole montagne terzia- rie dell'isola.

Cosa sono mai le solfare tutte di Sicilia rispetto alla più piccola delle sue montagne di calcano terziario?

Io non sarei troppo lontano dal probabile se dicessi clie non solo non ne formerebbe io zolfo 5—, ma forse appena una milionesima. Or se i calcarei terziaiii sono nella massima parte, per non dire intieramente, am- massi di tritume di spoglie organiche marine , e se la sostanza organica che investivate , o vi stava racchiusa era anche metà della massa, o del peso di quelle, noi avremo che nella quantità di un milione di parti, cin- (juccen tornila dovevano esservcne d'altronde di sostanza animale, e di questa volendone dare allo zolfo una sola

G3 jÌ?^ parte dovrebbe risultare lo zolfo ^ della forma- zione calcarea di Sicilia. Ma esso non ne forma die appena una milionesima, dunque sembra non esservi ti- more che la sostanza animale deposta nei mari morti della formazione terziaria non avesse potuto produrre la quantità dello zolfo di Sicilia , che comparata agli altri siti che ne racchiudono è la più ricca miniera di questo combustibile.

Ed in questo calcolo io non ho fatto figurare che i soli molluschi, epolipi abitatori dei resti calcarei che formano le sole montagne calcaree di terza formazione in Sicilia. Cosa risulterebbe mai s'io mettessi in calcolo quella immensurabile quantità di sostanza animale che resultar doveva dai molluschi nudi di quell'epoca? Che se, come io dissi, la proporzione dei molluschi testacei agli ignudi è come una unità a più milioni, non vi sarà cred' io più dubbio ad ammettere per facile che» tanta sostanza animale poteva dar bene lo Zolfo , che di sparuta quantità resulta dopo tale ragionamento. ( Alla seconda difficoltà del signor Glocker credeva an- che di avere ovviato , avendo su tal proposito emesso nella mia memoria le seguenti riflessioni (pag. 184). » Per quello dei terreni intermediari e secondari, potrcb" w he dubitarsi clie un qualche terziario deposito fra gli » avvallamenti delle rocce non sia stato confuso colla » epoca vera della formazione, molto più che il citato M passo del signor Beudantj chiamando, sull'altrui as- M serzione, secondarii i terreni di Girgenti, e del vai » di Noto, che sono terziarii, ci fa mcittere in guardia « sulla piena fede da prestarsi agli scrittori: ma io vo- M glio ammetterla per certo ; e che perciò? Non sono >j questi terreni nati in epoche in cui i corpi organici » marini erano già in isterminato numero gli abitatori » dello estesissimo mare? Le stesso condizioni adunque » di sedimento potevano verificarsi ncirintcrmediario e w nel secondario bene che nel terziario periodo; ma

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>3 assai più limitatamente , pcrcliè poco atte erano le » rocce a costituire una marna^ e meno estese erano le ì> TalJate dei primordiali terreni da permettere vasti » depositi in grandi tratti di mare tranquillo. Povere » in effetto sono ic miniere di zolfo in altri terreni che » nei veri terziarii >j.

Mi sembra che non avesse luogo, dopo queste rifles- sioni la obiezione seconda del signor GÌocker , cioè che dovendosi lo zolfo alla formazione terziaria, tutte le altre rocce ove esso si trova dovevano esser formate dopo quel periodo : imperciocché era stato già detto da me che ove circostanze analoghe a quelle che sono indispen- sabili alla formazione dello zolfo nel periodo terziario, si verificavano in rocce di altra epoca, lo zolfo era fa- cile ad esservi depositato. Io non ho quindi assoluta- mente stabilito che questo combustibile fosse sempre di terziaria formazione; ho bensì conchiuso che più ricche sono le sue miniere nei terreni di quell'epoca, di quarto in altri non lo sono , e che la SiciUa sopra tutti e il suolo normale a questo riguardo , e per conseguenza quello che più d'ogni altro studiar si debbe, se si vuole stabilire una teoria qualunque sullo zolfo.

Io potrei dall'altro canto rafforzare i miei ragionari chiamando in aiuto i pensamenti di varii valentuomini. Il signor Laimery da Lione ragionando meco delle nuove idee da me presentate sopra questo subbietto, tro- vava che più facilmente spiegar si poteva così il rin- venimento dello zolfo nei terreni secondari, ove traccia alcuna non osservasi di rocce vulcaniche non solo ma ne anche pirogeniche in generale. Il signor Vau Breda da Leyden, dichiarandosi perfettamente del mio avviso rifletteva , che alla sola decomposizione del mollusco delle conchiglie degli antichi terreni secondarii e di tran- sizione, dovea attribuirsi il solfuro di ferro, di cui sono spessissimo volte vestile. E da ciò non riesce strano lo ammettere che i solfuri di ferio degli scisti carbonosi,

65 e della grawacca ^ con altri di più recenti formazioni , provengano essi dallo zolfo degli estinti molluschi , che con quei scisti mescolavano la loro sostanza, quando erano ancora nello stato di melma, o almeno plastici e molli. Siccome del pari per i solfuri così comuni nel carbone non ho dubbio a conchiudere che provengano anch' essi dallo zolfo che i vegetabili nel loro disfaci- mento lasciavano libero, quando formavano le torbe che divennero poscia carbone. Il signor dottor Turner (De la Beche 568) ha creduto di render ragione della natura bituminosa di molle rocce calcaree antiche, e princi- tìalmente di quelle della serie carbonifera ove non si scor- ge alcuna traccia di resti organici, supponendo una gran- de abbondanza di meduse e d'altri analoghi animali, fra i primi abitatori del globo; non essendo sempre neces- sario (secondo il chiarissimo De la Beche loc. cit.) che si rinvenissero de' resti organici per provare che esiste- vano all'epoca della formazione di talune rocce che non ne sogliono offrire , essendo facilissimo che molluschi, nudi potevano soli in allora essere abitatori di quei dati punti del mare , ove la formazione avea luogo. Ma senza di ciò non puossi in modo alcuno negare il posto significatissimo che gli animali occupano nella for- mazione della crosta del globo, quando si uno sguardo alla stupenda quantità dei loro resti nelle rocce, comin- ciando dalle più antiche del periodo di transizione sino a quelle dei giorni nostri. Le Ortoceratili, le Calimene, le Posidonie , le Terebratale , i Produtti , le Lingule della grawacca , e delle altre rocce di transizione non che l'indefinito numero dei polipai di questi terreni. Le Avicule, Je Terebratale, le Plagiostome, le Ammoniti, e cento altri generi di conchiglie del gruppo antracifero, e del gress rosso: tutte quelle del gruppo keuprico e Lia- sico; la massa enorme del calcano colitico che ad uno aggregato di soli resti organici si riduce: il prodigioso numero di ogni sorta di organici della creta e del pe-

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riodo terziario : tutto ad evidenza dimostra che i rèsti organici formano i due terzi della crosta del globo: ed ai nostri giorni non sono forse i recinti delle isole del- l'Asia, e dell'Oceanica, così importanti per la loro massa ed estensione, da formare un terreno distinto fra i mo- derni, vale a dire il Madreporico? Il dotto Sig. Lajell (principles of Geolog voi. 2, pag. 285) ci prova che non avvi formazione antica di calcano che uguagliarsi possa coU'es tensione che occupano oggi i teri-eni madre- porici dell'oceano pacifico, e dell'australe Asia: e questi non consistono che di soli polipai, di astree, di mean- drine, di cariofiUie e simili altri zoofiti; ed ancorché non si fosse d'accordo sulla profondità e spessezza loro, pur tuttavia è una grande estensione quella di settecento cinquanta miglia in lunghezza , interrotta da distanze non più di trenta miglia.

Or se tali sono i cumuli, e i prodotti dei resti or- ganici sulla crosta del globo , da costituire due terzi circa della sua attuale superficie solida , nulla dar si vorrebbe alla decomposizione della sostanza animale che fu capace, durante la sua organizzazione , di segregare tanta sostanza calcare ?

Io non voglio più affaticarmi con dei ragionamenti che non possono in ultima analisi che render più pro- babile una opinione. Questi nuovi schiarimenti sono stati da me presentati per far conoscere che non solo non era difficile a rispondere alle proposte obiezioni, ma per far sov\renire ch'io me l'era fatte da per me stesso, e che l'avea già sciolte. Del resto trattandosi di un modo di spiegare la formazione di una sostanza in geologia, può ognuno discorrerla a suo talento.

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Notizie intorno V agricoltura siciliana

AL MIO EGREGIO MALVICA.

SALUTE

Trovavami l'altra sera a conversare fra scelte persone e su vari argomenti d'utile civile versavasi il nostro ra- gionare. Era uno de' temi di nostra conversazione « Se mai ne fondi a Trapani vicini conveniva far tanta spesa da mettere i vitigni a fosse , cioè tagliare la terra in quadrati ben larghi e profondi per aver la vite tutto lo spazio di gettar suC' radici in ogni senso, e non sof- frire ostacolo; ovvero limitarsi alla meschina pratica di piantare a palo i sermenti, conficcandoli cioè in una buca ristretta, risparmiando così sulla spesa di prima messa». Si conviene da tutti che le viti col primo metodo riescono più grosse e vigorose; prendono un grande svi- luppo si mantengono più verdeggianti, e danno maggior prodotto, ma nessuno de' pochi proprietari, che al su- detto metodo si sono appigliati , si è dato la pena di presentare un quadro delle spese e de' profitti per de- iterminare il resto de' proprietari a seguirlo. Ognuno oppone la lunghezza del tempo che dee scorrere per ristorarsi dalle straordinarie spese che un tal metodo esi- ge, specialmente in un tempo che i vini sono depreziati; difficoltà che si potrebbe togliere subito , qualora dai pochi che al primo metodo si sono attenuti, un quadro circonstanziato si presentasse. E nel vero a colpo di occhio si rileva lo stato florido del vigneto, la sua pre- cocità a dar frutto , e forse la lunga durata d' esso iu paragone d' un vigneto tisico , legnoso, stentato e lan- guente ottenuto col secondo metodo. Io credo che var- rebbe meglio collo stesso capitale avere pochi tumoli di terreno occupalo da un vigneto a fosse che più sai-

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me di vigneti e palo; guadagnandosi il rimanente del

terreno die ad altra cultura si potrebbe addire. Voglio

sperare, che tale mia opinione venga confermata da' fatti

parlicolarizzati.

Molte di tali questioni si risolvono coll'espe ri mento; ma clii avventurerà il tenue suo capitale pel cimento? perciò si proseguirà nei metodi consueti, e così si re- sterà eternamente stazionari. Ruminava fra me sul mezzo di riparare a tanto inconveniente , e l' idea del campo agrario sperimentale ritornava spesso al mio pen- siere; me ne distoglieva però la esperienza del lentis- simo nostro agire nelle cose di pubblico vantaggio, le immense trafile , attraverso le quali deve passare ogni progetto , per patentemente utile che si presentasse , e 1 universale abnegazione alle novità; sicché fra le uto- pie annoverando lo stabilimento suddetto, ad un mezzo più espeditivo e più al fatto dello stato nostro attuale, volgeva il mio pensiero, e richiamava alla mente, come non pochi possidenti più ingegnosi e culti, ognuno a suo modo, benché in piccolo, tende a riformare le pratiche agrarie : ma sia che queste riforme riescano , o no, il risultamento resta sepolto nel luogo stesso dello espe- rimento, ne v'è timore che faccia due passi al di per comunicarsi al prossimo possessore , non che agli abi- tanti del vicino comune, della Valle, dell'Isola. Ripe- tuie prove io conto di tal verità fatale , mentre molti anni addietro il distretto di Catania percorrendo, per la mia fatica pomologica delle varietà di frutta dell'Etna, trovava ignorarsi dalle comuni vicine e contigue le belle varietà di alberi fruttiferi che in talune di essi esiste- vano. Se tanto avveniva in ristretto spazio di un Di- stretto fra' più culti dell' Isola , che dire del resto dei paesi della stessa! Ho avuto luogo di convincermene col fatto per mia ventura. Eppure non siamo che unica fa- miglia divisa dalla natura , per mezzo del mare , dal resto delle popolazioni, onde più stretta esser dovrebbe

^9 la nostra comunicazione di bisogni e di comodi! Se le pro- vince del vasto impero della China per mezzo delle loro comunicazioni rendono quell'Impero indipendente dal re- sto della terra, perchè mai a forza di comunicazioni non soddisfare alla somma de' nostri bisogni, e procacciarci fra noi stessi il massimo de' comodi, e de' piaceri! E per non disperderci in vane declamazioni mi giova a Voi dirigermi che sedendo a Direttore della classe di Econo- mia pubblica nel R. Istituto d'Incoraggiamento per la Si- cilia vogliate mettere, ad effetto, se conveuevol cosa lo crediate, questi miei pensamenti.

È mio desiderio che i risultati felici o infelici degli esperimenti di qualunque genere in agricoltura si comu- nicassero da' particolari proprietari (non potendosi pog- giare come sopra si è detto su' pubblici stabilimenti) alle Commissioni comunali, e queste renderne avvisate subito le Società economiche , ed alle suddette società trasmettersi tosto allo Istituto d'Incoraggiamento per pub- blicarsi ne' giornali.

Fra' componenti le commissioni comunali forse vi sarà taluno che vorrà di cuore darsi tale dolce e filantropica occupazione di prender cognizione delle novità sperimen- tali per comunicarle. Ma non pertanto sarebbe ottimo divisamento d' invitare tutti i dotti che sono in corri- spondenza letteraria colla capitale a non trascurare oc- casione alcuna di comunicare tutte le notizie di cui è parola, a Voi o ad altro direttore dei giornali di co- desta, senza che perciò si stendano lunghe memorie ela- borate ; basta il semplice annunzio dettagliato per let- tera; lo stile epistolare è il mezzo più spedito e più far cile per ogni classe di persone. E su tal particolare vo- glio sommettervi un' osservazione di latto , cioè tacersi molte persone, e nascondere i risultati di talune espe- rienze proprie, o de' loro amici per timore di non po- ter fare bella comparsa in iscritlto, e di esser criticata la loro dicitura. Se i parrochi in Sicilia fossero eletti

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eolle stesse' condiziotti'<li Germania, e si avrebbe ìq tali

posti la cima degli uomini , come dovrebbe essere , il miglior partito sarebbe di dirigersi a loro, che dessi per la loro posizione sono, anche involontariamente, i de- positari di tutti gli avvenimenti ; ma in tutt' altra tri- stissima condizione trovandoci , bisogna agi' intelligenti proprietari, a' dotti e letterati dell'Isola rivolgerci, acciò tal dono ci facessero il più prezioso ed il più caro nello stato attuale nostro economico.

: Non sono ancora scorsi tre anni dacché il sig. Gia- como Adragna, conosciuto chimico di questa, rese po- polare con sua memoria (i) il nuovo metodo di farcii vino per economica condensazione ; sublime pensiero concepito dal chiarissimo chimico francese Ghaptal , p(»to in parte ad effetto mercè le invenzioni di Ma- dama Gervais, e ; portato a compimento dalle felici mo- dificazioni del Cav. Burel e del sig. Huber. Assapo- rate appena tali notizie da non pochi proprietari di questa loro venne la voglia di metterle alla prova, ed un solo ( il barone Adragna) è stato fortunato nel ri- sultacneuto. La pluralità mancata nell' aspettazione ha disanimato il, resto degl' intraprenditori , ed il metodo del Burel ^premiato dal Re di Sardegna (3), e quello deiretioiogista piemontese Vincenzo Huber, pri- vilegiato dall' Imperatore d' Austria, è rimasto qui ne- gletto , discreditato. Un fatto solo favorevole presso noi ottenuto è bastante ad invitar il resto dei proprie- tari' siciliani; bisogna analizzare i motivi pe' quali agli altri sperimentatori non sia riuscito, e non sarà difficile il trovarli uclla cattiva costruzione delle botti, degli

; (0 Sul nuovo metodo di fare il vino per economica condensazione <;c.

Memoria letta alla Società Economica di Trapani addi 8 Sttlcinbre i834 e stampata in Trapani i835.

(2^ U sistema di vinificazione del sig. J3urcl, approvato dalla Reale Acca- dcnia delle sr'wnn; di Torino, meritò da S. M. il J{c di Sardegna il pre- irtic d' nn privilegio esclusivo, di far us«, cioè, in quei reali donunj del suo perlVsionoto metodo pel corso di anni dieci.

apparecchi, e nel resto de' lavori prepài*atori. Se il me- todo era puro speculativo, se risullati felici non si fos- sero ottenuti altrove e qui, meriterebbe allora l'abban- dono; ma la faccenda va ben diversamente, e caldo co- me sono del miglioramento di nostre produzioni ed in-, dustrie lio invitato il suddetto chimico xVdragna a vo- lérsi dare la pena di raccogliere tutte le particolarità degli esperimenti riusciti o mancati, e di formarne una memoria che faccia seguito alla prima, e.icUe più utile, della prima stessa potrà addivenire.' :,(!!:))i:( ì.-, i n ■■■'^■j,'. -iDa un argomento passo ad un altro di simil natura, SoH venuto alla cognizione che rintclligenlissimo siguoc barone Pastore nel sua fondo intitolato La Fico nelle vicinanze [di i Alcamo 'ha istituito va vi esperimenti; ;uno,: di recente data e di . felicissimo risultato si è la;4i;ostru-'. zione di due fornelli economici per bollire i il mosto ,1 con cui un grande risparmio di combustibile s'ottieue;i e;-i>ella scarsezza e quasi totale mancanza di combusti-, bile in cui si trovano la maggior parte dei cOmunitlel- Visolo, i dettagli di tali felici risultamenti potrebbero riuscire del massimo interesse a' Siciliani. I^iaonde utile sarTcbbe allo stesso dirizzarsi acciò con quella boutadi, carattere che forma la di lui distintiva si volesse com-; piacere di comunicar tutte le particolarità; che i sudn detti forni, ed altri non pochi esperinaenti.d^ luiprary ticati, risguardano. E qui. mi giova ripetervi esserbeofe che i risultati infelici degli esperimenti si rendessero' an- cora palesi dai propiietarì cui . le dimando si dirin gono; acciò e tempo e spese risparmiassero i novelu specolatori, e le somme si versassero al miglioramento dei processi già utili ritrovati. '

'Occasioni non si devon lasciare per rerider comuni le utili conoscenze, ed attignerle ad ogni modo alle loro, sorgenti. Su tal proposito mi piace narrarvi che iiel mio ultimo viaggio da Palermo in questa alleggeriva la Boia delle ore dirig^endo a coloro che compagni di viagn

7.2

gio mi erano, delle èlimande su tal genere; e non pò* che notizie ne ricavava. Uno d'essi dicevarai die il signor Zubbling ha fatto costruire in Svizzera una mac- china per tirare un olio di miglior qualità dalle olive, e che tal macchina trovasi in Termini: questa notizia mi riusci intieramente nuova non ricordandomi affatto d'averla letta nei giornali di Sicilia. Sarei curioso di sentire i risultati felici ottenuti dal Zubbling; il costo della macchina, e tutt'altro particolare per invitarvi pos- sessori ed intraprenditori siciliani a renderla comuqe.

Un altro compagno di viaggio, il sindaco di Castel- vetrano, don Martino Bertolini, mi assicurava esser co- mune nel suo paese l'uso di cogliere le ulive mature a mani, detto sfilari. Questo metodo creduto costosis- simo da quei che brutalmente usano di coglierle ab- bachiando i rami con lunghissime grosse aste di legno troverebbe un'opposizione di fatto, e non teoretica spe- colativa quando loro si citerebbe l'esempio d'una o più contrade che al piti sano metodo s'attengono.

Dallo stesso mi si assicurava crescciu spontaneo in Castelvetrano un arbusto chiamato l-^.cddura che si adatta a tutta sorta di terreni e d'esposizioni; le cui ghiande riescono nutritive a' porci, e che per tali con- dizioni sul resto degli alberi ghiandiferi dovrebbe pro- pagarsi e proporsi a' proprietari siciliani. Io ne attendo da lui un esemplare per iàrne qui l'esperimento.

Dall'arciprete di Calatafimi nello stesso viaggio mi si rapportava come da alcuni anni il Treu Melilurus in-^ festa Guss. ha inondato i campi salivi di Calatafimi con grande detrimento delle coltivazioni, dacché i con- cimi e le sementi di frumento dalle convicine comuni SI sono tirati, ed io lo pregava a volermi comunicare circostanziati dettagli sull'assunto. , 'A

E di quante e quante altre notizie di tal fatta vi po- trei mettere a parte, che dovrebbero costituire la co- mune curiosità? Solo profitto di quest'occasione per non

73 trascurare di dirvi essermi state comunicate dal fu Te- nente Generale Marchese Nunziante in Tone Annun- ziata ( mentre insieme al prof. Longo ero andato a visitare la sua acqua termo-minerale) mille notizie di esperimenti felici, e tra le altre essersi da lui applicato il vapore a due usi d'immensa utilità pel viver civile. Il primo esperimento si fu di far subire al legno lo sta- gionamento di molti anni in pochi giorni, e talvolta in poche ore: narravami com'egli pose alla prova de' pozzi di legno stagionati da io anni , ed altri preparati col suo metodo facendone fuste da cannone , colle quali fece sparare in presenza di S. M. loo cannonale; le prime subirono alterazione, le seconde rimasero illese. Indipendentemente dell' uso a cui s' assoggellò il legno stagionato dal suddetto Marchese, potrebbe con tal \no~ cesso speditivo adattarsi a mille cose del viver civile, ed è un gran guadagno che ha fatto la società.

La seconda applicazione si fu alla macerazione dei lini e canapi. Egli ebbe la bontà di donarmi delle mostre di lino ottenuto con tal processo, tanto grezzo che la- vorato, e v'assicuro che supera in qualità quello che con tanto detrimento dell'umanità s'ottiene nelle mace- razioni ordinarie delle nostre lagune. Mi diceva esser sua intenzione introdurre in Sicilia tali industrie, e che desiderava la privativa per mezzo dell' Istituto d' inco- raggiamento. Ne' nostri giornali non mi è venuto latto di leggerne alcuna particolarità, perciò l'ho cennato ul- timamente alla pag. io5 del num. 167-168 del gior- nale di Scienze Lettere ed Arti, e lo ripeto (juest'oggi a Voi acciò non si perdessero al vento tali utili spe- rimenti, o che trapiantati presso l' estere nazioni, non aggiungano queste all'usurpazione il .solilo insulto verso gl'italiani, a cui s'appartiene, se la ricerca scrupolosa se ne facesse, la massima parte delle invenzioni.

Altre cose dirovvi in apppresso. Intanto la grazia vostra, e la cara vostra amicizia conservatemi ec

Prof. Alessio Scigliani. fase. 4^ '2

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Alcune idee, per assicurare stabilmente la coltiva- zione delle terre.

Quidquid Sicilia gigrtit, sive soli Jiiecunditatem, si\'e homiiìum iiigeiiia spectes , pivxìmum est iisque uptiina diventur.

JLia Sicilia fu il primo luogo, nel quale Cerere e Pro- serpi na agli uomini vollero apparire , onde si dessero a coltivar le biade, e gratissimi i Siciliani iu onor di Cerere stabilirono delle leste; ed ella sempre loro vol- gea benigno lo sguardo, perchè affezionati all'agricoltu- ra. Ne aveano i primi uomini a malincuore, o a disde- gno lo esercilarvisi, e l'insegnarla; che Columella si fa precipuamente a laudare i trattati di Terone . di Epi- tarmido, di Attalo, di Filopatore.

Era la Sicilia il granaio di Roma, perlocliè Catone nominavala nutrice del popolo romano; ma poiché i ro- mani se ne impadronirono, e la famosa Siracusa -total- mente rovesciarono , deserta Sicilia divenne , degenerò dalla sua antica fertilità, la quale fu anche minuita per la poca stima, che laccasi dell'Agricoltura. Non aveva- no i Siciliani alcun ottimo esempio, onde ne venissero istruiti, e dal lavoro perciò staccavansi faciluiente; dor- micchiavano,anchc erano alletargiti i Principi su tanta mi- seria, per cui ne concluse Tottimo Conte de Hartig w a- vere la Sicilia gran bisogno dei soccorsi di un Re di ot- time intenzioni , e della influenza che può avere una Regina dolce ed illuminata, e di un carattere benefico».

Alcune parole su questo argomento , per diffondere sempre più le giuste idee, e renderle per quanto si può popolari, non saranno tenute ne fuor di luogo , ne di- scare: a questo fine tendendo principalmente le siciliane Efjemerìdi.

Le leggi agrarie hanno mai sempre avuto cóntracìclit- tori nelle società già adulte; perciocché quando la egua- glianza è tolta, la parte che si è alzata in vantaggio ha temenza di perderlo. Non più però tenendo ragiona- mento della chimerica eguaglianza dei terreni , sarà sempre verissimo , che 1' obbietto della società , è la* sua sussistenza, il suo migliore stato possibile, il qua- le è stato cagione, che gli uomini si raunassero, accioc- ché la unione degl' interessi facendo in qualche modo causa comune, trovasse ciascun membro della società quei maggiori vantaggi, che da proccurarsi non potea. Ecco quindi surta la obbligazione di tutti inver-' so tutti , onde ogni singolo al vicendevole bene con- fluisca della intera società. I dritti dei singoli più si- euri e sacri divennero per la unione delle volontà e delle forze di tutta la società, ma furono bensì a quel- la limitazione sottoposte, che la causa pubblica esiggere potesse da ciascun membro nello esercizio dei medesi- mi (i). Questo dritto di tutti e di ciascun individuo in quanto è membro della società, nelle mani irremo- vibilmente rimesso di un Sovrano, la base statuisce del dritto pubblico, e di quello che lo stesso ha di far leg- gi, cambiarle, rinnovarle, moderarle, acciò si venga il fine a consegui*ie, eh' è il vantaggio, e la sicurezza pub- blica (2).

Il primo ed essenzialissimo dritto è il suo alimento, dritto sostanzialmente alla sua esistenza unito, e da lui inseparabile in quanto è tra gli animali, vivente. Se l'au- torità sovrana ha per oggetto la sicuranza dei naturali dritti, questi estendere, e a tutti i membri che com-'

(i) Nam illud quidem absurdum est, quod quidem dicunt parenti se, aut fratri nil detracturos coininodi sui causa: aliam rationem esse civium reli- quorum: hi sibi niliil juris, et nullaiu socictatcm conmiunis utilitatis causa statuuiit esse cutn civibus. Quae scntentia ointicm socictateni distrahit civi- tatis. eie. de off. lib, 3. e. 6.

(a) Domiiiiuiii cminens , quod civitas habet in cives , et rcs civium ad usuiu puliblicum. De jurc belli et pac. lib. i. e. 3. 5 6.

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pongono la società mantenerne la inviolabilità, ne na- sce, che il primo di lei debito sia di rendere sicuro e facile, quanto sia in ciascuno possibilità , 1' acquisto di ciò che gli è indispensabilmente necessario. Per adem- pimento di questa obligazione può anzi dee la sovrani- tà di questi mezzi avvalersi, che più efficacia si hanno onde r alimento a' propri sudditi assicurare. Siccome non d' altronde può aver 1' uomo gli alimenti e tutti altri generi per le sue necessarie bisogne, che dalla ter- ra dovea la formazione della società un vincolo impri- mere sopra la terra a' suoi membri pertinenti di dover inservire a questo indispensabile oggetto, e di essere im- piegate e coltivate per la produzione dei generi al loro sostentamento necessari.

Ne r oggetto di natura sta soltanto nel sostentamen- to degli uomini eli' esistono, ma nella conservazione , propagazione e moltiplicazione della specie , e la terra dee al compimento inservire delle direzioni della natu- ra nella maggiore estenzione, ed in tutte le sue parti; quuidi non solamente debbono le terre esser destinate alla produzione dei generi necessari per l'alimento de- gli uomini e loro sostentamento , ma impiegate altresì in quella guisa, dalla quale può ritrarsene la maggior quantità di prodotti possibile , e della migliore e più conveniente qualità. Ne questo vincolo (se non voglia- si da veri e reali principi declinare) è punto grave ai possidenti delle terre; che se il vantaggio di posseder- le dalla . consumazione de' generi che quelle produco- no, è procedente, chiarissima cosa si è, che se le ter- re saranno niente o poco coltivate, il proprietario ri- ceverà dalle medesime poco o ninno profitto. L' altro fine, che gli uomini spinse a vivere compagnevole vi- ta fu di facilitare, e la fruizione accrescere dei piaceri e dei comodi della vita medesima. Se molti soffrono pel cattivo uso delle terre , la miseria degli uni non potrà contribuire ad accrescere la fruizione dei piaceri

. . ,. . .77 e i comodi dell'altra porzione dei cittadini, anzi sciol-

gonsi, o almeno meno efficaci , ed operosi divengono i vincoli della società medesima, il reciproco consenso mi- nuendo dei membri a giovarsi.

L'obbligazione dell' uomo di soccorrere il suo simile procede dalla natura, e la Società aggiunge solo esterne obljligazioni, i mezzi accresce, e li regola ])er l'adem- pimento di essa; sarà dunque violazione di legge di na- tura e delle leggi della Società eludere o in tutto o in parte la satisfazione di questo importante debito per me ancor perfetto. Le società nello stabilire la forma del loro governo hanno lo esercizio commesso dei loro dritti, e la cura di vegliare alla conservazione , all' accresci- mento, al vantaggio universale. Sia affidata a molti a pochi, ad un solo la pubblica autorità , a questa auto- torità stessa incombe la custodia e lo esercizio dei dritti della società, e di ordinare ciò che all' oggetto suo essenziale conduce , eh' è il suo migliore stalo possibile, ed allontanare altresì e ai mali riparare , che affliggerla indebolirla distruggerla potessero. Se agli uomini mancasse per colpa loro stessa l'alimento, e il primo loro sostegno, dee chi la repubblica governa di tutta l'autorità usare, per arginare un disordine che può alla dissoluzione condurre, all'annicliilamento per l'im- potenza di più reggersi. Da tali cose muove il dovere essenzialissimo di quelli i quali sono incaricali del reg- gimento dei popoli di pi'ovvedere in tutte le guise al miglior essere loro, e di escogitare tutti quei mezzi , che a seconda dei vari casi si reputeranno più neces- sari all' oggetto.

Quando le terre di una città sono ben coltivate , è rarissima cosa, che sia mestieri di ricorrere alla pubbli- ca autorità ; potrà essere di vero minore l' abbondan- za dei generi, più rigoroso il prezzo, ma una maggiore economia, più lavoro ed industria mezzi ministreranno onde compensare la difficoltà di provvedersi. Mn se le

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terre sono afiatto incolte, si viene a distruggere la so- cietà, poiché tolti i mezzi di alimentare di accrescere la sua popolazione, dovrà questa disperdersi, ed un popolo eh' era colto, diverrà in breve tempo un popolo noma- do. In vigor della unione della società tutti i mem- bri debbono al proprio maggior bene contribuire senza potersene alcuno dispensare, e la pubblica au- torità può, anzi astringer dee chiunque esimersi ten- tasse dallo adempimento di tal sacro dovere ; poiché egli non è libero di usar delle cose sue come proprie, ne può liberamente agire, finche la società sussiste. E tradirebbe la fiducia del popolo il depositario della pub- blica autorità, se non tentasse ogni mezzo per lar rien^ trare nel dovere i refrattari della legge di società. Qual altro dritto può esser più sostanziale ed interessante che di ricavare l'alimento dal proprio territorio , e che la coltivazione di questo sostenga la popolazione, la oc- cupi vantaggiosamente, e favorisca la propagazione? La coltivazione delle terre è una legge imposta all' uomo dalla natura; il Sovrano adunque non debbe nulla omet- tere , onde proccurare la migliore coltura delle ter- re dello stato. Permetter non dee , che le comu-. iiità, o i particolari vaste terre acquistino per lasciarle incolte; ne si fa violazione al dritto di proprietà in que- sto caso, ma si assoggetta solo il dritto del singolo al dritto tanto più prezioso e preferibile di tutta la so- cietà, ed astringesi il proprietario allo adempimento di una obbligazione, che ha contratto verso la società.

Tre considerazioni sono poi d'aversi presenti nella promulgazione delle leggi agrarie: i. che la pubblica necessità così esigga , ti' onde deriva la giustizia delle medesime; 3. che i mezzi per la esecuzione siano tali, che possano farne sperare lo eft'etto prontissimo, sicuro e se non perpetuo, almeno più durevole; 3. che eoa queste leggi non sia violato il dritto di proprietà dei cittadini, ma solamente moderato, quanto le circostanze

79 richieggono, perchè la nazione abbia il suo vantaggio coi minimo danno possibile dei particolari, onde non siano disgiunte dall'equità.

Le città si sono formate dal concorso 'degli abitanti di un certo territorio, i quali hanno fatto causa comune ed unione d'interessi; colui che non potea comunicare interesse non fu accettato nel numero dei cittadini, per- ciò il titolo di cittadino uno suppone, che ha parte nel territorio della città, e che avendo perciò interesse in ciò che riguarda la città medesima ha il dritto di es- ser chiamato a deliberare negli aflari pubblici , eserci- tare le magistrature, e gli oflizi pel governo della città. Le repubbliche greche quindi non ammettevano alla loro cittadinanza i forestieri, perchè non poteano avere interesse nel loro governo; e Lacedemone dopo ch'ebbe diviso il suo territorio in tante sorti che ne toccasse una ad ogni cittadino, non ammise esteri alla sua cit- tadinanza: la stessa politica usò il popolo giudeo fatto possessore della Palestina. Aristotile accorda, che nelle città nascenti, ed ancora a poco numero ristrette si pos- sano ammettere alla cittadinanza gli esteri, i nati di non legittime nozze , ed anche gli artigiani , finché si sieno accresciuti i cittadini a giusto numero (i). La città adunque uu numero di cittadini suppone che basti al suo governo , alla sua difesa , e che abbiano interesse nello stato della città; e non si considerano tali quelli che non hanno parte del territorio della città medesima. Tali principi stabiliti ne nasce la necessità di dare mi- glior sistema alle nostre campagne; e quante leggi agra- rie non hanno avuto lo efiètto desiderato , e le cam- pagne sono rimaste pel pascolo dogli armenti in gran parte , perchè incontrarono opposizioni fortissime per parte de' possidenti, de' ricchi , e di quelli che biasi- mano tutto ciò che o non intendono, o non hanno essi

(0 Polit. 1. 3. e. 3.

8q

immaginalo? Pochi non vi ha, i quali mente non avendo atta atl esaminare, vogliono sembrar persone di alto af- fare, particolarmente se da cieca fortuna ad onori e di- gnità balzati, il tutto rigettano che si propone.

L'oggetto delle leggi porta seco , che queste si mu- tino quanta fiata l'alta mente del Sovrano conosce più lion servire al fine propostosi nel crearle. Se il line delle leggi è la felicità de' popoli , a' quali sono date, sarà necessaria conseguenza , che debbano nuove leggi Crearsi, sendo le prime cagioni di decadenza, di alìli- zione, di miseria. Dovrebbero le leggi suddette per far divenire floride le campagne inculcare , eh' esse non si destinassero ad un solo prodotto; così presso noi, ed in questa miapatria(Lipari)si è generalizzata la jiiautaggione di viti dell'uva passolina; e la coltivazione di essa la mi- sero il coltivatore, ed il proprietario; mentre tal ger nere pel lusso, e per l'abbondanza fa che rimanga inven- duto, e j)onga in necessità di venderlo a prezzo infi- mo; e quando politiche circostanze non permettono che i Russi, i Germani, i Polacchi, gl'Inglesi ne acquisti- no, la miseria in questo paese diviene piiì grande e più universale.

Un folle abuso da poi- esiste, ed in queste mie con- trade, ed in non poche parti di Sicilia nella coltiva- zione de' campi, di tenerne a coltura cioè una porzione soltanto lasciando il resto in riposo. Questo riposo- cre- duto falsamente non solo utile, ma necessario , è daji- noso in se stesso, perchè in vece di restaurare il ter- reno, tende a condurlo con discapito di un numero di raccolte alla steribtà, locchè asserisco a quanto scrisse il Columella (i), il quale si propose provare <n terroni nec senescere^ nec faticavi si stercoreturyy È dannoso da poi perchè nelle stime rende più basso del vero il valore eflcttivo del fondo. Quanto i riposi contribuii

(i) e. I. lil). 1. De re rustica.

8i scano ad abbassare il valore vero del fondo, ciascun lo vede, se ben si considera la diminuzione del frutto. Il fondo si valuta dal prodotto de' frutti che si deuuur ziano; ed il venditore allo spesso regola tutto quel ter- reno, che sta in maggese , [)erchè non frutta , ed in conseguenza non viene a calcolo. I Chinesi perciò con- siderano l'uso de' riposi come un abuso nocivo |>er l'ab- bondanza e per la popolazione, i due più esisenziali og- getti dellagricoltura. Non si potrebbe da un colono chi- nese, come rapporta un grande scrittore (i), ritener le risa, se si sentisse dire, che la terra abbisogna a quando a quando di riposo. Le terre chinesi in generale non, sono di miglior qualità delle nostre, poiché se ne vedono come fra di noi delle buone, delle mediocri delle cattive; delle terre forti e leggiere, delle argillose, di quelle nelle quali dominano e le ghiaje , e 1' arena. Tutte quelle terre danno raccolte, anco nelle provincio settentrionali di quell'impero, una o due volte l'anno, ed alcune per- sino cinque in due anni senza mai riposairsi da molti e molti secoli fino al di d'oggi.

Io sostengo, e sosterjò sempre, che il riposo che si al. terreno oltre di essere un cH'etto della ignavia dei principi che nutriscono il vegetabile, è un efletto di pi- grizia dei contadini, d'ignoranza di alcuni fattori, e di trascuraggine dei padroni. Ai contadini di fatto incresce la fatica ; alcuni fattori non sanno comandare altro , che quello che haimo veduto fare dai contadini stessi , e <}ualche padrone gradisce più la vita oziosa della città, che l'attività, e la dilettevole della campagna; e che ne avviene allora? che riposando il terreno, riposano le ma- nifatture ed il commercio. Che se 1' agricoltore potrà di quantità sufficiente di concimi provvedersi, e valersene iu beneficio delle sue raccolte, tralascerà di accoj-dare al ter- reno un riposo, che non gli è necessario, sendo sicuro,

(i) Rcflexions sur V ètat actucl de 1' agricolture. Vedi Poivrc Voyagc d'un Philobophe.

82

che i suoi campi s'impingueranno di nuove fertilizzanti particelle con la stessa sollecitudine , con la quale per le precedenti raccolte erano stati spogliati. Che anzi la sperienza dimostra, che per tale mezzo invece di steri- lirsi, i terreni addivengono sempre più fertili, e quanto più si coltivano e si seminano, tanto più aumentano di bontà e di pregio, come ce ne fanno chiari gli orti ed i giardini, che con discretezza e giudicio son lavorati, governati, e mantenuti senza riposo, in grado di frutto, e produzione continua.

Si suole ben anco continuare nei campi la medesima coltivazione per molti anni, e ciò fa isterilire la terra, e la rende poco atta alla riproduzione; ma ciò non im- porta di lasciare in riposo il terreno, ma variare la coltura, destinando la terra a produzione di diverso ge- nere. Catone (i) ^ Varrone (^2) volevano che il predio fosse in modo distribuito, che dasse tutte le cose neces- sarie per la famiglia; le viti quindi, gli olivi, che qui potrebbonsi in gran parte produrre, il grano, le man- dorle , le ihele, le rape, le patate sono necessarissime a piantarsi; e non sarebbe ricchissima miniera il cana- pe, il lino? Sì, la varietà della coltura dando diversità di prodotti, e in diversi tempi, può agevolmente la quan- tità dell'uno compensar la scarsezza dell'altro.

Onde solidamente poi assicurare la coltivazione del- le terre deve togliersi 1' abuso delle imposizioni dei dazi sul prodotto, mentre altro non si fa che aggravare, quasi punir l'industria, che più o meno grande essendo più o meno grande proporzionatamente è il frutto che fa ricavar dal suolo , e quanto più grande fosse , più pagherebbe. Sifiàttamente succede in questa povera Li- pari, sul cui prodotto del grano gravitano per civico da- zio tari quattordia salma. Ciò non sembra certo un mezzo

(i) De Re Rustica e. (2) Lib. I. e. y.

\

83 efficace per animar l'agricoltura. Clic se pòi necessità vuole, che una lassa s' imponga sull'altività che il ter- reno ha di produrre, si debbe da chi la impone assu- mere in considerazione la spesa primitiva, ch'esigge per esser posto in istato di produzione. Ed allora tal me- todo, oltre gli altri vantaggi che ha su quello che im- pone a misura del prodotto al netto, avrà anche quello di essere jl più fisso ed inalterabile, poiché sminuisce il prodotto ad ogni periodo, in cui diminuisce la industria del coltivatore.

Can. Carlo Rodriquez.

Sulle osservazioni meteorologiche Riconosciuta unanimemente la somma importanza della iMetcorologia nella fisica, nella medicina , nei diversi rami delle naturali scienze; e l' influenza che eser- citano le vicissitudini atmosferiche sull'agricoltura, sulla navigazione, sul ben'essere degli uomini, sulla maniera di esistere non solo di tutti i corpi organici, ma degli inorganici ancora, ci è sembrato indispensabile, sull'esem- pio de' più accreditati giornali d' Europa, di far finire la parte scientifica dei nostri fascicoli dalla storia meteo- rologica del mese che precesse.

Al quale oggetto abbiamo ottenuto dall'egregio Di- rettore del nostro Reale Osservatorio di poter pubblicare mensilmente il registro originale delle osservazioni me- teorologiche : per intelligenza del quale egli ha dettato a nostra richiesta il seguente articolo.

F. Malvica.

La maniera più utile di registrare le osservazioni di qualunque specie esse siano è quella di consegnarle a chi se ne deve servire nello stato primitivo in cui sono state fatte. In tal guisa ciascuno se le calcola secondo i suoi principi , e secondo gli oggetti che si propone.

84 . . .

Le osservazioni sono verità di fiitto, che dicono infalli- hilraente qualche cosa. La natura, sempre grande mae- stosa imponente, ma sempre misteriosa agli occhi della moltitudine, abbandona spesso li suoi secreti allo stru- mento ed alle indagini del sagace osservatore : e con linguaggio schietto e semplice gli annunzia quelle grandi verità che agli altri nasconde. Che se queste verità stac- cate spesso non hanno nesso , e non portano a conse- guenze, la colpa non è della natura, la quale è sempre vera nelle risposte, ciie a chi la interroga, e la sa capire, ma dell'osservatore il quale non possiede i lumi ed i mozzi d' interrogarla con i mezzi e coi melodi adattati. Onde è chiaro, che le osservazioni brute, quali escono dall' occhio e dallo strumento , se non possono servire nel momento , serviranno in appresso , quando se ne conoscerà il legame colle altre che si faranno." E perciò dalla loro unione si formano quelle raccolte preziose per i progressi dello spirito umano, che vanno })crfezionando mauo mano le scienze; quei depositi im- portanti che noi ricerchiamo nelle memorie di chi ci precedette , come i nostri posteri saranno in dritto di ricercarle da noi. La disposizione de^ registro e la seguente.

1 . JNcUa jirima e seconda colonna vi sono i giorni del mese, e il tempo delle osservazioni. Si fanno quat- to iVoltc; al giorno, indicate dalle parole maitina^ mez- zodì^ sera, notte ^ precedute dall'ora e minuto. Si co- nosce la maniera di ridurre le osservazioni ad un' ora uniforme e vicina.

2. La terza colonna contiene l'altezza del barometro espressa in pollici e linee del piede inglese, ma ridot- ta alla temperatura del giaccio fondente coli' espansione 0,000 1025 per ogni grado del termometro attaccato. In tal guisa le osservazioni son rese comparabili tra loro medesime . Questo barometro è costruito dal

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Ramsdeii. Il diametro interno del tubo è di poli. ingl. 0,32; quello della cisterna di poli. 1,6. Il suo galle- giante resta 244 piedi inglesi sul livello del mare me- dio. Esso si tiene apparentemente di poli. 0,027 più basso di quello che serve alle osservazioni meteorolo- giche, che la Società Reale di Londi'a registra annual- mente nei volumi delle sue Pìdlosopliical Transactions. La sua altezza media, nel punto in cui è fissato, è sta- ta calcolata di 29", 728 alla temperatura di 32° di Fah- renheit, ed è fondata sopra una massa di ^Q mila os- servazioni. Vedi la mia opera Del Reale Osservatorio voi. 1. Jppencl. foL

3. Nella quarta e quinta colonna sono registrati i due termometri attaccato ed esteriore, e divisi secon- do la scala di Fahrenheit. Il primo è fissato sulla sca- la stessa del barometro. L' altro è esposto in luogo op- portuno a settentrione, sempre all' ombra e all' aria li- bera, e lontano da ogni straniera influenza. Per mez- zo di 46 mila osservazioni fatte con quest'ultimo è sta- ta stabilita la temperatura media di questo clima di 62°, 83. Vedi Opera citata.

4. Lo stato del cielo registrato nella sesta colonna e quello del tempo delle osservazioni. Le parole che lo indicano si devono capire come siegue:

Lucido Quando il cielo è tutto netto e chiaro.

Bello Se una sesta parte circa contiene sola- mente delle nuvole.

Nuvoloso Se le nuvole ne occupano una terza parte.

Misto Quando metà è pieno di nuvole e metà

netto.

Ingombro ...Quando una terza parte ne resta senza nuvole.

Coperto Se ne resta senza nuvole una sola sesta

parte.

Oscuro Quando tutto pieno di nuvole non fa sco- prire nulla di chiaro.

86

Si nolano pure se in vece di nuvole vi siano delle Bcbbic; se cada piovisclùo, pioggia, neve, grandine. Se tuona, se balena ec. Quando la parola di convenzione è seguita dal di nebbia, h segno che devesi applicare alla nebbia e non alle nuvole.

5. Le tre colonne 7' 8* 9" contengono il volume la densità e la massa delle nuvole. Dividendo la volta celeste in 100 parti, si può giudicare prossimamente quante di tali parti sono occupate dalle nuvole o sepa- rate o unite; e queste parti ne indicheranno il volume. Quando la volta celeste è interamente oscurala dalle nuvole, il volume sarà 100; quando è interamente lu- cida il volume sarà o. Ma le nuvole sono di variala densità. La leggiera ncbbielta appena visibile ha per densità 0,1: se essa è più visibile sarà densa come 0,2 come 0,3, e così gradatamente sino al cupo e nero nu- volone , la cui densità è 1,0 l'unità. Moltiplicando il volume per la densità si ha la massa delle nuvole.

6. Le tre colonne io' 11" 12" sono dedicate al vento. La io" ne indica la direzione osservata coU'anemosco- pio, ed espressa colle lettere iniziali della bussola. Nel- l'i i" si ha la lòrza del vento. La forza del leggiero e poco sensibile zefiretto è espressa con 0,1; il venticello più sensibile è espresso con 0,3; e così crescendo sino alla forza del vento più violento che si conosca, la quale è sempre uguale ad i , ossia all'unità. Se dalla forza si vuol conoscere la velocità, si troverà come sicguc:

V^elocità Stima perun secondo della forza di tempo Carattere del vento

del vento in palmi siciliani

0,1 apalmi. Movimento d'aria appemr sen- sibile 0,2 4 Venticello sensibile

0,3.. 6 ..Vento moderato

0,4 IO Vento più forte del moderalo

0,5 .16 Vento forte

0,6 26 Vento assai forte

0,7 4^ Vento gagliardo

0,8 , 68 Vento impetuoso

0,9 no Uragano ordinario

1,0 178 Uragano che sradica gli alberi,

e rovescia le labriclie.

La 12* colonna contiene l'angolo d'inclinazione che coU'orizzonte fa la corrente aerea, per come è dato dal nuovo anemometro stabilito sull'Osservatorio. Dove non vi ha indicazione di angolo è segno che il vento è oriz- zontale.

Nella i3* colonna vi è notata la quantità della piog- gia caduta sulla superficie di 400 pollici quadrati in- glesi, ed espressa in pollici cubici inglesi. E nell'ulti- ma, che è la 14* li numeri si riferiscono alle annota- zioni prese in pie di pagina.

Finalmente il ristretto clie termina il registro serve a trovare li rapporti mensili delle quantità che vi si danno. Quivi la quantità della pioggia è espressa in pollici lineari del piede inglese.

^ Per ridurre poi ai pollici e decimali del piede inglese li barometri costruiti sopra altre misure noteremo:

1. Che il pollice francese essendo diviso in 12 linee, basterà dividere le linee francesi per 12, onde così espri- mere il barometro in pollici francesi, e decimali; e in questo stato si moltiplicherà, per i,o658i25 numero il cui logaritmo è i. 44440^9*

2. Clie li millimetri del barometro metrico si con- vertiranno in pollici inglesi e decimali moltiplicandoli per il numero 39,37079, il cui logaritmo è i. 5951742.

Niccolò Cacciatore.

88

NOTA

Saggissima a noi pare 1' asserzione del nostro ralente astronomo , che le osservazioni fatte collo stesto barometro nello stesso luogo, e ridotte alla temperatura del giaccio, si rendono solo paragouabili tra loro medesime. E però certissimo eh' elle non possono paragonarsi colle altre fatte in altri luo- ghi, senza essere prima ridotte ad unica misura, alla spiaggia del mare, ed omogenee per mezzo di noiose e lunghe riduzioni. Per la qua! cosa egli, onde risparmiare ai Gsici tanto trayaglio, propóse nel i832 un nuoto metodo di osservare, e pubblicò insieme le tavole di riduzione, necessarie al metodo da lui inventato in un opuscolo conosciuto sotto il titolo:

De redigendis ad unicam seriem comparabilem mefercologicis ubique facUs observationibus... Panormi. Tipis Phil. Solli anno i832 in 4°»

Questo nuovo metodo riscosse gli applausi generali dei fisici, e delle società dotte , tra le quali citeremo 1' Accademia imperiale di Mosca che nel se- guente modo scrisse ali' autore: Systema meteorologicarum observationum in opere tuo expositum aeque ac tabulas ci anncxas Societas magna laude digna censuit, iudeque fundamentalem tibique propriam idearum seriem hausit, suis- que actis periodicis inservit, ut eo majorem utilitatis spheram nanciscautur.etc.

Noi qui non taceremo un sentimento che ne è carissimo , e che vorrem- mo che in tutti i petti si svegliasse^ cioè chespontaneo ed efficace omaggio di onore si rendesse in ogni congiuntura a tutti quei siciliani che illustrano il paese, e la scienza che professano. Io spero che le Effemeridi non parteg- giando mai per alcuno, ma tutti i valorosi egualmente onerando e difen» dendo , e solo alla vile impostura letteraria , e alla superstizione facen- do guerra, giungano a riunire in unica famiglia coloro che saranno dalla po- sterità, per pubblica gratitudine, collocati nel Panteon, che dovrassi alla si- ciliana sapienza consacrare: e ciò pei magnanimi loro sforzi , onde la gene- razione presente a piìi nobili destini s' innalzi, e la Sicilia segga sicura a mezzo le più cirili e più gloriose nazioni.

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Osservazioni meteorologiche falle iìcI Reale Osservalorio

di Palermo nel mese di Gennaro iS3y.

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91

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I venti dominanti jsono stati il SO e l' OSO

93

PARTE SECONDA

LETTERE ED ARTI

Sopra un dipinto di Alberto Durer^ che si osserva nella chiesa di S. Maria di Gesù a Polizzi.

Gentile, e di riconoscenza degnissima, è l'opera di co- loro, che intendono a divulgare le cose buone, le quali son giaciute nell' oblio: raa utilissimi insieme agli uo- mini si rendono qualora posando su quelle il lume di ragionevole libera critica fanno , che il vero sfol- gori lucidissimo, e le opinioni chimeriche dalla mente de' popoli svaniscono. Quindi i buoni studi si avanzano spogliandosi degli errori, ne' quali le umane vicissitu- dini le avvolsero. Grande è la copia di quegli scrittori, i quali o per difetto di mezzi , o per iufìngardagiue o per poco accurata considerazione scrivendo di alcuna cosa hanno detto fole da romanzi, che poi, ripetute per altre bocche di scimiotti, si sono rese così popolari, che a scancellarle dalla memoria è più malagevole di quello che fu a imprimervele. E per certo quantunque volte rivolgo nell'animo le idee , che corrono comunemente tra noi intorno agli artefici nostri, e in peculiar modo agli stranieri maestri, ardentemente desidero, che de' molti spiriti elevati, de' quali si abbella l'isola nostra, ad al- cuno venga buona voglia d'illuminarci che posti per lo diritto sentiero potessimo conoscere quali fummo un tempo, quali siamo oggidì , e quali potremmo , e do- vremmo essere. Rimane per anche vivo codesto desi- derio senza sperare, che altri vi satisfaccia. Perdonisi però a' piccoli se, tra tanto silenzio de' grandi, alzano la voce loro; perdonisi a me, che traendo diletto dalle fase. 4^ 4

94 . , . j

arti del disegno, e la pittura amando per istinto, (dal- l'esercizio della quale e teoricamente, ed alcun poco ia pratica non fui alieno giammai) se niente scoraggiato dalle vecchie opinioni , ardisco accoglierne entro 1' ani- mo delle nuove, anzi delle opposite a quelle , conscio a me stesso della ragionevolezza del pubblico, il quale se avverrà, che io erri , caritatevolmente mi avvertirà, e se dirò alcune cose agli artisti non inutili conoscerà in me chi debolmente fa sforzi di giovare le arti.

Alberto Durcr , pittore pe' suoi tempi , e tra' suoi Tedeschi eccellente, è un idolo, (se mi sia lecito cosi dire) cui malgrado la comparsa di molte altre più in- signi e grandi deità , non sono mancati gli adoratori. Egli regna più nella fantasia de' popoli , che nel loro intelletto; il quale, ove alla considerazione delle opere ^ di lui venisse di rivolgersi, farebbe agli uomini mutar sentenza mostrando la discordanza di quelle co' prin- cipi generali, e peculiari del bello: cioè ove delle opere di lui l'agionasse il conoscitore filosofo, e non cadessero, ' come per trista ventura lian fatto, nelle mani di qual- che antiquario , che inforca un medesimo pajo di oc- chiali ad osservare un vaso lacrimatojo, o una ghianda inscritta, e un quadro , o una statua. Osserviamo un po' la famosa tavola ad Alberto attribuita (che vedesi nella chiesa di S. Maria di Gesù a Polizzi) la quale, co- me ho udito a dire da parecchi dotti Tedeschi, devotis- simi a Durer, tra le sue più insigni opere è da reputarsi . a nissuna seconda. E veramente cosa singolare, e ben rara ella è, che ove il viaggiatore non ibssc ricreato dalla vista di quelle lunghe amenissime valli di giar- dini a pie de' Nebrodi, il diletto, che trae dal dipinto, basterebbe a ricompensarlo d'un faticoso viaggio.

Pieno di meraviglia mi feci presso a quella pittura, e quantunque, dopo di avere usato un certo mio meto- do a guardare i quadri , jiputassi atto sagrilcgo dubi- tare della totale bellezza di quella, che a primo guardo

9? in me non fece profonda impressione; consideratala più accuratamente, e dopo alcuni giorni tornato a rimirarla e ritornatovi non poche altre volte dappoi , ne polen- dovi conoscere per quanto io mi sforzassi quelle qua- lità, che col nome di Alberto mi stavano nella fanta- sia , vado ora superbo di colale artistico sagrilegio , e voglioso lo confesso al tribunale del pubblico- Questa dipintura presenta una Madonna sedente coi bambino sulle ginocchia. Da ambi i lati sono due An- gioli ritti su i piedi in modo bizzarro vestiti come usa- no i diaconi nella messa. Dietro questi si veggono due pastori, che danno fiato a rustici strumenti. Neil' uno de' laterali, che sono a guisa di sportelli ma fermi sul muro, è figurata la pace con un ramoscello d'ulivo in mano, nell'altro siede la giustizia, che brandisce fred- damente una spada. È questo il famoso dipinto , del quale toccheremo brevemente le cose , che riguardano il meccanismo dell'arte, tacendo della filosofia del com- porre, che nissuno è matto (ove non abbia la mat- tia di un cementatore) che voglia scoprirla in una pro- duzione di Alberto. Colore più lucente e più fresco in- vano si cercherebbe in qualsivoglia opera altrui. Non parlo delle carni, le quali, sebbene tutte coverte di una medesima pelle , e vivificate di un sangue medesimo, proprio paion di smalto, cotanto sono unite le tinte, e dolcissimamente sfumate senza che orma di crudo tra- vagli l'occhio del riguardante. Ma quelle vesti riccamente con isquisiti finissimi rabeschi tempestate, che vere ti sembrano; 1' architettura , in quanto al modo di esser dipinta , gT interi fondi terminati coli' esattezza , che richieggono le parti principali ; il suolo intarsialo di mille fiori, di fragoletle , e di erbe peregrine , a cui manca 1' odore soltanto avendo fin la ruggiada , d' uno in uno minutissimamente toccali, metterebbero alla di- sperazione il più paziente ingegno di miniatore accura- tissimo. Son questi i pregi del quacb'o , ne' quali te

9^ .

l'osse riposto tutto il bello della pittura, l'opera dell'ar- tefice di Norimberga sarebbe perfettissima. Ma lascian- do questo finimento di lavoro, che tanto piace agli ol- tramontani, e facendo uso di giudicio puro italiano, ci sia permesso determinare que' difetti, che o del tutto si tacciono, o troppo generalmente si accennano senza frullo alcuno degli uomini, i quali sono più trascinati dall'uso, che guidati dalla ragione , spesse fiate nemica di quello.

E pria esaminando il disegno dico, che non è molto a lodarsi, ove si paragoni non a Raflaello, a Michelan- giolo, a Giulio Romano, (e sia detto ad onore di Si- cilia) ad Aneniolo, autore di stile purissimo, e a tutta la gloriosa schiera di que' pittori, che lavoravano men- tre Alberto empiva di stupore la Germania; ma ove si contrapponga agli anteriori artefici d' Italia vedrassi quanto i nostri stiano presso al perfetto , e il grande tedesco si tenga ben lungi. E per perfezione di dise- gno io non intendo quella tal quale rispondenza di parti senza riguardo al vero, (che questo non si può negare ad Alberto) ma quello avvicinamento alle cose , come esse paiono , quella perfetta imitazione di natura , la quale appaga l'occhio che non gli faccia volere al- trimenti. Ciò posto, mirate nel nostro quadro contorni secchi, e principalmente quei del putto, nel quale fan- no pietà quelle magrissime gambe, quelle scarne brac- cia, e tutto il corpo, che per esser nudo è il peggio disegnato; pieghe senza varietà, stentate, rettilinee nei jianui che scendono, e triangolari in quelli che posano: teste or j^esanti ora picciole poste sovra corpi poco svelti. Quindi riguardo a questa parte di pittura slimo non voglia farsi gran caso , sendo notissimo a chi la storia non ignora, che il disegnare ne' principi del cin- «juccento avea fatti notabili progressi. i pittori te- mevano di empire di nudi le loro produzioni, mentre per lo innanzi tiniidissimi ne erano slati, che l'arte era ancor nella infanzia, e non osava tant'alto.

,97

La disposizione delle figure, piramidale, secondo l'uso

di que' tempi , nulla presenta di singolare ; è sempli- cissima, ma di quella semplicità, che col volgare con- fina. ISc di ciò ne dorremo punto, cliè sarebbe un chie- der troppo a un artefice di quella età, che non ebbe per patria la bella Italia. Ma l'atteggiamento particolare di ogni figura è poco notabile; invano vi cerchi quelle gra- ziose attitudini, quell' intrecciare di mani, la positura di piedi, il morbido piegarsi di corpo, che rendono di- vine le madonne del Sanzio; invano vorresti vedere i tranquilli, e dolcissimi movimenti feminili dell'Allegri. La Vergine del Durer è quasi fatta sedere per forza dal pittore, e non adaggiatasi da se. Gli angioli , e quei pastori sono quattro statue, che si possono rimuovere dal quadro senza che la composizione ne soffra. Le due persone allegoriche, cioè la Pace e la Giustizia son due ritratti tedeschi ; le teste grossotte , gli occlii cilestri- giallognoli, le carni bionde tiranti al bianco , il non avere in somma quella qual siasi bellezza, che adorna le altre figure, te ne fa certo . Sono esse vestite se- condo il costume di que' tempi, ornale di drappi finis- simi, sovraccariche di gioie, e di altri preziosi arredi. Loro servon di campo alcuni casamenti, che nulla aven- do di quel bello architettonico , il quale quantunque non si esegua in fabbrica , si dipinge però dagli arti- sti, convien credere , che sieno stati copiati dal vero. In questi edifici la luce non è convenevolmente dispo- sta, la quale senza discernimento è compartita nel tutto del composto: per il che i fondi , che non sfondano, poco danno di rilievo alle figure.

Queste di una in una considerate ti offrono parti non poche veramente maravigliose: qui troverai da lodare quella mano, 11 quegli occhi, sotto quel piede si fa no- tare una vaga pianella, in quell'angolo tirano lo sguardo un paio di colonne, e cose tali, che ti fan deplorare la trista fortuna di un ingegno così grande , che nasceva

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io un cielo poco atto alle arti, e in un' epoca per

quelle miserabilissima. Si miri poi il tutto del dipinto, e troverassi di poco effetto, anzi (se il mio detto non è ardito) alquanto goflò. In somma , ove secondo le leggi del bello vogliasi giudicare codesta tavola, non si troverà cosi pregevole, come potrebbe parere a chi con jioca riflessione la rimirasse.

È sentenza di moltissimi scrittori dell'età nostra, che Alberto fornito di calda immaginativa (il che sembra punto non accordarsi colla diligenza , con cui finiva i suoi quadri) fu fecondo, e prontissimo nello inventare. Io di ciò non voglio manifestare alcun dubbio, che se provar lo dovessi troppo oltre il mio proposto mi spin- gerebbe un minuto esame delle sue famose stampe, e di alcuni suoi dipinti; o volendo affermarlo senza nes- suna prova avrebbe altri ragione di non credermi. Pure se alcuno dicesse, che l'opera singolarissima, di che parliamo, non fosse di sua invenzione , certo re- cherebbe meraviglia non poca. E per mia fé' la biso- gna non va altrimenti. Durer imitò, e quasi copiò una dipintura greca, ( o come a me pare italiana del tre- cento, e dell'epoca posteriore a Giotto) che vedesi nella Chiesa degli Angeli a Callanissctta. La imitazione è così palpabile , che anco il non conoscitore se ne può ac- corgere. Questa pittura è stata da cattivo maestro pro- fanamente restaurata o per dir meglio redipinla ad olio, e quantunque da persona, che a quell'azione vitupere- vole assistè, mi si affermasse , che il disegno della menoma linea non è cangiato, parmi tuttavia che i re- sidui dell'antico coloi'e fossero stati tolti via dalla ta- vola per levigarne la superficie. La iscrizione 1 1 53 mi mette in capo mille sospetti , o intorno alla mulazioa de' contorni o all'erroie della data. Il vero è eh' eia cosa rarissima, ed è a maledirsi la balordagine di colui, che di quella sacra reliquia dell'arte fece così tristo go- verno, e il gotico gusto de' dotti di quel paese , che

•90 non impcclivalo. Questo fatto clóvrel)be glttar lume sugli

studi di Alberto Durer , il quale non solo conobbe le produzioni greche , e italiane ( come a scusare Ifi na- tura dell'ingegno di lui negano i ciechi suoi adoratori), ma in quelle studiò, e a quelle per quanto un pittore; incisore di que' buoni tempi il poteva, si fé' presso.

Giovani , che alle arti studiate , e che dalla fortuna- fosle serbati a una età più luminosa, e più ragionevole cpuoscete un po' meglio quel grande tedesco ; , dopo che io vi ho niostia la via a dubitare del merito di lui guardate quell'opera, e se altre ve ne caggiano sotto gU occhi esaminatele accuratamente. E se ciechi non siete, o legati a que' pregiudizi, che succhiaste col latte, a' quei pregiudizi, lasciando i quali vi parrebbe di non potere più andar soli, non ardirete più anteporlo a molti Ita^ liani, che assai più lodevolmente operarono.

Si disingannino però i raccoglitori di quadri insigni, e se intendono al bello assoluto, cioè a quel bello, che è tale senza riguardo all' età in cui fu prodotto , alla condizione degli artefici, o a qualsivoglia altro motivo, non più gitteranno alcune migliaia di scudi sopra un opera di Alberto: la preferiranno a molte di autori nostri, che per avere spirato quell'aere, che spiriamo noi , giacciono vilipesi. Gesserà quindi la sorte di tra- portare le cose nostre migliori in terre lontanissime , ove tenendosi in maggior venerazione, si ridono i pos- sessori della nostra dabbenaggine.

Eppcrò cosa devesi ammirare, o imitare in Alberto? Studiatene il meccanismo di lavorare, l'arte grande di stendere le tinte, la maniera di porre i colori sempli- cissimi. E per fermo il finissimo oltremarino, le pure lacche , il bianco dopo trecento anni non ingiallito di quei panni , il verde di quelle erbelle son così grati , e mondi di ogni menoma macchia, che vi fan benedire la mano che dipingevali. Alle quali cose sludiavasi dav- vero ncir aureo cinquecento. Perciocché viva ancor la

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sorpresa cKc a tutto il mondo avea recata il modo nuoTO di colorire inventato da Giovanni Eyck da Brug- ges, i più rinomati maestri a' colori seriamente inten- devano assistendo essi al fornello elàmico, e chiamando in aiuto financo la pazza alchimia. Perciò la perizia nel colorire giunta a quel grado, oltre il quale non può sormontare 1' umana abilità , perciò quella bellezza di tinte, oramai perduta, che ammaliando l'occhio di chi riguarda rende insensibili i difetti di disegno, di costu- me, di espressione ecc. Quanti preferirebbero essere au- tori di un quadro di scuola veneziana, o fiammhiga, più presto che del più bello, e filosofico di Polidoro , che non ebbe l'arte, e forse l'interno natio sentimento dei colori! Son queste quelle qualità che in Durer dovete guardare e ammirare : in tutto il rimanente miratelo come il buon poeta dell'ottocento dee riguardare il no- taio da Lentini , Dante da Majano, o messer Gino da Pistoja.

Paolo Giudice.

De veterum grecae et latlnae linguae scriptorum stadio Joan.Baptistae Castiliae in regia panormitana sta- ff iorum universitate latinae eloqaentiae professoris-— Oraiio in solemni studioruni insiaaratione habita non. nov. i836. Paiiormi ex typographia Diariilite- rarii 1837 un voi. in 8. di pag. 26.

Noliile usanza è certamente quella che in ogni aper- tura di studi debbano i vari maestri, che seggono sulle cattedre, d'onde sapienza s'insegna, leggere orazioni cor^ rispondenti alle varie facoltà che si professano.

Il canonico Giovan Battista Castiglia, uno dei più va- lenti professori, di cui si onori la Università palermi- tana, pronunziò al nuovo anno dalla cattedra, ove sti- mato ed onorato si asside, l' annunziala prolusione.

lOi

Tre cause, egli dice nel bel principio del siio lavoro, fecero istituire dai nostri maggiori la usanza di cui fa- velliamo, e che da lunga consuetudine è slata confer- mata. Ed a me sempre vera e di effetto mirabile è sembrata quella che da lui si ricorda, cioè che lodan- dosi le lettere le arti le scienze nel luogo medesimo , ove imparar si debbano , vengano i giovani incitati ad amarle, e con tutte le forze onorarle, onde infervo- rati vi si consacrino. La voce del maestro che tuona a mezzo i giovani nel santuario della sapienza, e che loro mostra tutti i pregi della scienza che impalar debbono, e per cui sono colà ragunati, non può non infiammar- li, e non essere di gagliai'do e generoso stimolo.

L'autore passa rapidamente a rassegna tutte le virtù degli antichi scrittori greci e latini, ne mostra le heì- lezze più singolari , e fa vedere c«me i grandi autori italiani del decimosesto secolo, che tanta rinomanza le- varon del loro valore, sien poeti, oratori, o storici fu- ron tutti studiosi dei greci e latini padri, nei quali at- tinsero la gravità l'eleganza la venustà, che in loro so- lamente sono grandissime.

Il nostro professore è pieno del suo argomento, che in mille guise lo svolge, e lo fa sempre con giudicio e con copia di erudizione.

Ei nomina tutti quei sommi uomini di cui suona al- tissimo il grido , e che si diedero con assidue cure a coltivare la. greca e la latina lingua: quindi parla del- l'Alfieri, ch'ei sapientemente massimo ornamento del suo secolo appella, e ricorda che avendo egli nell'ado- lescenza negletto quegli studi, nell'adulta età opeia vi diede dibgentissima; ed oltie alla traduzione di Sallu- stio, che fu lavoro esimio, rifulge in tutti i suoi scrit- ti lo studio che fece dappoi nel greco e nel latino. Di "Vincenzo Monti ragiona, che il difiicile Persio volgariz- zò, e la forza l'ardore la grandezza del princijie degli e])ici nella sua ammiranda traduzione dell'Illiadc Iraslusc. fase. ^6 ' 5

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Parla del Perticari, che nel breve corso della sua vita giunse a conoscere profonda noien le i latini scrittori: e nel giudizio che istituì in favore di Tucidide contro Dioni- gi di Alicarnasso , non vi ha chi non vegga quanto e- gli sia stato dotto nelle greche lettere.

Ci piace che il nostro autore ricordi con forza e con petto sacro al vero, le virtiì di questi insigni uomini, che tanto giovarono col senno e colle opere 1' italiana letteratura, e che vengono al di d' oggi insultati da una schiera di pedanti e di pazzi novatori, i quali altro non sono se non che vili imitatori dei Germani dei Galli e dei Caledonici , anziché dei Greci e dei Latini, eterni padri del bello, e di coloro eh' ebbero vita e splendet- tero in questa eterna terra d' Italia: ci gode l' animo nel vedere che i più valorosi maestri sostengali sempre la scuola che fece ^andi il Tasso e 1' Alfieri , e nella quale si formavano, ed infiammavansi le divine anime di Dante e di Macchiavelli. Questa fortuna veramente italiana ci lieta speranza che il vituperio della pre- sente scuola, o per meglio dire delle presenti nordiche imitazioni, verrà presto dalle sue radici svelto ed ab- battuto.

Noi speriamo che lo studio costante dei Greci e dei Latini ci porti a questo bene, e che i professori, inca- ricati del nobilissimo peso di ammaestrare la genera- zione nascente, non mai si stanchino di predicare la vir- tù di quelli, e d' infonderla nelle giovanili menti. L'o- razione di che parliamo mira direttamente a questo fi- ne; e con entusiasmo l'autore parla di tutti coloro che gli antichi modelli studiarono , e alla santa opera di liarli amare si diedero; ne trascura di ricordare Ugo Fo- scolo, che fu della greca lingua maestro, e della latina vindice fortissimo.

Ne agi' Italiani soli si resta: egli parla eziandio del- l'affetto che allo studio delie antiche lingue i Francesi, gì' Inglesi, gli Alemanni, i Belgi, i Batavi bau porla-

io3 to: e come [jarticolarmento vi' tempi di Colbert Alt Fran- cia, e di Cromwell in Inghillerra queste discipline si coltivassero, e grandissimi uomini fiorissero.

Discende poscia alla Sicilia e fa vedere come tali studi fossero stati sempre fra noi in alto pregio tenuti, e come tanti uomini famosi non inferiori a quelli delle straniere nazioni, e dell' Italia slessa risplendessero. è maraviglia; che noi qui tutti ricordiamo sempre, co- me il nostro autore sapientemente ricorda, di essere sta- ta questa celebra tissi ma terra emula di Atene, e parte della Magna Grecia; e quando il resto dei popoli di Eu- ropa, che oggi son noti per civiltà e per dottrina, nella barbarie giacevano e nell'ignoranza, qui nascevano e si formavano uomini grandissimi che illuminar dovevano il mondo, e che i loro nomi di secolo in secolo si do- vevano gelosamente tramandare. Difatti fra noi respirarono r aure della vita Corace e Tisia , che , a sentenza di Aristotile e di Tullio, i primi furono che insegnarono eloquenza: fra noi nacque Gorgia maestro di Demostene e d' Isocrate; e mi piace a gloria di lui riportare il passo di Tullio ^aW autore riportato: cui tantas lionos ha- bitus est a Graecia, ut soli ex omnibus Delphis non inaurata statua sed aurea statueretur. Qui nacque Li- sia, qui Empedocle , qui Epicarmo , qui Teocrito, qui Mosco , qui Diodoro, qui Filisto, qui cento altri de- gnissimi di encomio. Quindi non mancaron yiai chiaris- simi uomini che le greche e le latine lettere coltivassero: di età in età si è tale amore custodito; e la storia no- stra fa in ogni secolo onorata ricordanza di molli che vivo questo santo fuoco mantennero.

Il nostro autore con savio intendimento rammemora gli esempì del secolo che il nostro precesse, e che sono i più recenti. E siccome parlando del secolo XVIII il pensiero di qualunque scrittore vola subito a Domeni- co Scinà, che con altissimo senno, ed altissima sapien- za la storia delle scienze e della letleralura ili quella

età scrisse in volumi d' oro, destinati a sopravvivere a tutte le umane vicissitudini, così 1' egregio nostro Ca- stiglia rammenta quell' opera insigne, nella quale riful- gono maravigliosamente tutti coloro che negli studi delle greche e latine lettere si segnalarono. Quindi il Castelli, ì'Airoldi, il Tardia, il Ventimiglia, il Testa , lo Spe- dalieri, il Gaetani, il Franzoni, il Grano, il Traverso, il Settimo, il Vesco, il Gregorio, e non pochi altri che meritarono di essere da quel sommo istoriografo ri- cordati.

Per la qual cosa il Castiglia mentre si compiace di tanti begli studi che nel secolo passato si facevano su i vetusti scrittori si lamenta che oggigiorno più nell' o- nore di pria non si tengano. E , con figura rettori- ca, il discorso in bocca di altri mettendo, si fa a dire, che finalmente le lingue eh' ei tanto loda sono morte. Ond' egli con uno slancio che, a me sembra mirabile risponde: Mortuae? Mortuae iis^ qui omni cultui e~ mori volimi: vivae iis , qui fundum fructuosissimum utilitatis^ delectationis ^ civilisque splendoris omni vita sibi volunt esse constitatam. Idque profecto mirum est^ illas-, dum cunctis ubique popiclis vivae sint^ Si- culis denioiiuas esse. ì^erum est praeterea, ut latina lìngua lege nostris temporibus sii proscripta. Quid mi- la proscriptam narras ? Ad civilium rerum usus pro- scripta iisy^ qui perperam ea utebantur , ejusque di- gnitatem turpissime prostituebant: proscript a ^Jic nobilis lingua latialis-, ut ait quidam nostri temporis auctor in Procustis ledo exponeretur: et persapienter lege cautum estj ut quod ad communem usuni scripto in- ieUigendum sit^ communi etiam lingua perscribatur.

Lo stile e la favella adoperati dall'autore in questo scritto sono ambedue degni di encomio, e palesano co- me abbia egli studiato i classici latini, e come al pre- cetto abbia saputo congiunger 1' esempio. Noi quindi ci rallegriamo con esso lui pel suo bel lavoro; che utilis-

io5 Simo deesi ia questi tempi riputare, onde in vigore si chiamino gli studi latini, e si abbiano in somma rive- renza coloro clic furono e saran sempre gli eterni mae- stri di tutte le moderne letterature: e così le romanti- che frenesie dei presenti novatori, leggieri come le fron- di, cadano nel comune disprezzo, e più non seducano gli animi di una gioventù solidamente istituita.

F. Malvica.

Fersi latini di Giambattista Svegliato dedicati al si- gnor barone Vincenzo Mortillaro il delle sue nozze con la Signora Rosalia Benzo ec. Un volu- metto di 43 fogli. Palermo tipografia del Gior- nale letterario i83y*

Che si. abbandoni il culto del latino idioma , egli saria un creder da stolto e di non poca vergogna ca- gione a lui, che un tal paradosso difender tentasse; del che siamo convinti. Ma siam discosti però, che per tanto si converrà scriver poesie ne' modi del Mantovano, non essendo (a nostro vedere) niente a' volgari di profitto, ma sol di qualche diletto agli eruditi , ed avendo per iscopo principale ogni opera non il bene dei pochi ma dei molti. S'intenda finalmente da ogni scrittore, che i nostri compatriolti vogliono istruimento e non ciance canore , che la poesia , quell' arte sovrumana , di cui Omero e gli altri fecero uso per eccitare i Greci a belle imprese, non consiste in quel dato rimbombo di parole capibili da certuni, ma ne' pensieri chiaramente espressi, che, oltre istruirci, dovranno grandi cose inspirare. Co- sicché, laddove il componimento sta in un raccozzamento di parole, non e' è creazione; e laddove non e' è crea- zione, manca la poesia, e non può sperarsene istruimento veruno. Quindi ne segue, che convien sapersi la lingua

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romana per solo intendere i classici, e così mostrare chi ne Jia il ministero, le azioni de' trajiassati ai presenti, non polendo essere altro gli attuali huoni versi latini, che un maestrevole rattacconamento, uu grazioso ordine di pezzetti a mosaico , e non la produzione del genio creatore. Di tali e simili pensieri era piena la mia mente , quando fui invitato a scrivere su' versi latini non è guari pubblicati dal signor ab. Svegliato, chiamato dall'Arcivescovo Balsamo a legger sulla cattedra di Mu- rena. Ne per ciò sento pormi a scranna, a gittar sen- tenza contro il libro che ho tra mani, perocché di que- sto dirò quanto è di convenienza. Ma, ripeto, si dettino piuttosto poetici pensieri nella lingua dcirAlighieri, che gran profitto ne avrà ogni classe di persone, e ciò sento insinuarlo pure a' nostri Siciliani; che non pochi valenti latinisti, e forse migliori degli oltramarini, fra noi pur sono. Eccoci allesame.

Quindici fra epigrammi, endecasillabi, odi di vario me- tro, e giambi comici sono le poesie del professore Mor- rcalese. Ve ne sono buone, e ve ne sono mediocri; la frase j^erò è sempre con esattezza usata, il verso, quan- tunque abl)ia alcuna volta dello stento , nell' intutto è con njaéstria tessuto, e lo addimostra buon latinista. -^— Ma solamente questo sarà il nostro giudicio?... Non sufficit dicere sed probare. Ecco le prove. E pri- mamente ha un po' del triviale nell' insieme la rosa , ed ha nel particolare grazioso il solo coucetto;

teinpus ipsuìTi perdoniate

Namque aridis rosae comis Odor juventae permanet.

Dir , che resta le mille miglia di sotto alla divina rosa di Anacreonte, ch'egli tenta imitare, ognun se Io immagini, ma fu troppo il cimento nello scrivere sul- l'obbietto istesso, e non dubbii i idifetti, essendo verissimo che chi imita, va sempre indietro.— È vago nelle im-

ijiagini, sebbene vecchio nel congegno il primo epigram- ma, ove l'autore descrive al cavalier Patania, come do- vrà pingere le bellezze della moglie di MoitiUaro. Sono «ssolulamente tibulliani quei distici:

: Sint nigrl crines, sint labra genaeque pudicis

Tincta rosis-, siculo lumina ab igne micejit. . ... ; Fac frontem nìtidam , et coeli prope luce $erenam Fac niveos hujneros^ et sine labe sinus.

Ma ributtante ne' pensieri , e stentalo nel metro ,(*; quel che segue:

Brachiaque^argutaeque manus^ ierctesque lacerti^ Sin^ulaque ambrosio membra lìquorejlncait.

Stentato nel metro , perchè i molti que fanno scor- gere non mai spontaneità nel verso e nelle immagini, ma durezza. E qui mi ricorda , che io studiando beile lettere, ed avverso essendo a divenir poeta latino, il professore mi vi obbligava a comporre, agevolando- mi con dire, che, qualora era difficile venirmi il verso, io mi fossi servito de' que. Dissi ributtante pure nei pensieri, perche quel liquore che scorre per le menibi'a alla donna, se vuol prendersi dal poeta come ambrosia mitologica e celeste , allora è un' idea inconcludente in mezzo alle vere, ma sempre nauseosa, se per idea reale, allora non può onn essere biasimevole. Siegue un se- condo epigramma Adsponsum.

In questo i distici son belli, tranne qualcuno, dove qualche verso di mal suono pe' troppo monosillabi vi miriamo; così p. e. il principio: : i;

Quìdniterfelìx mihitujam^ Sponse^ voóérìs¥

Di tutto ciò che, si, dice nel medesimo epigr?in>ma non ci prendiara Vermi pensiero, e passiamo a di^-^al-

io8

cua che delle altre poesie, dettate dal nostro professore sopra accademici argomenti. Non parlerenao però di tutte, perchè nojoso riuscirebbe il nostro favellare; e noi sti- miamo molto il Sig. Svegliato, perchè ha molti titoli che lo distinguono; benché nell'interno dell'animo non avessimo potuto approvare i suoi poetici divisamenti in tal congiuntura.

Saranno da noi in poche parole esaminati gli esame- tri Patrìae charitas; M. Curtius in voraginem sese precipitata essendovi sulle medesime idee un carme del Sadoleto, sommo latinista del secolo suo. È bella r introduzione,' dove rammemora il poeta gli onori ita- liani, e degli antichi eroi fa un riassunto, e dice dolo- rosamente, che

Et prisci cecidere animi lateque per orbem Oiectum ingenium viriusque jacessere jussa est;

quantunque i sentimenti non sieno freschi, ed il verso Rectum ingenium sia cadente. Ma per amore del vero non possiam noi tralasciare aver egli tolto di peso il discor- so che fa dire a Curzio il Sadoleto, e ch'ei pone in suc- cinto. Non vo' decidere quale sia de' due ragionari il migliore , sol mi fo animo a trascriver l'uno e l'altro, e così lasciar che altri giudichi su quel che asserisco.

PARLATA NEL SADOLETO

Di patrii, quorum auscipiciis stat maxima Roma, Et .pater omnipotens, et nostri sanguinis auctor Bellator, INIavors, Vulcane, paterque Quirine Vestalesque foci, lanique biverticis ora. Audite haec, sanctumque peccanti advertite uuraen.

qua, nefas, virlutem odit crudelis Erinnjs,

Ad poenamque vocat: fraus liic communis abesto.

Unus ego liaud segnis dextra, nec frigidus artnis

Hanc animara inferno umbrarum regi et stygiis Dis.

Devoveo lucemque volens, aurasque relinquo:

Tantum dura mei fugiant discrimina cives:

Hanc spem, quam patriae incolumis dant fata, sepulcri,

Et mortis comitera posco, ac mecum ire sub umbras.

Tum vos infensi manes, queis Romula virtus

Displicet, invidiamque movent ingentia facta;

Li me omnes conferte iras, et quidquid acerbum est,

Vertite ab excidio patriae, ex ictioq meorum:

Ipse luam. Simul haec dixit, simul adstitit olii

Couspicuusque auro, et massyli pelle leouis

Ore fremens bella tor equs ec. ec.

PARLATA NELLO SVEGLIATO

patrii, quorum stat numine maxima Roma, Mars bellator, ait, tuque, o pater alme, Quirine, Vestalesque foci, lanique biverticis ora, Accipite liane animam, precor o, et sanguine nostro Dulcis ab excidio patriae, exictioque meorum Immortale odiura, et tantos avertite luctus: Me, me adsum.

Francesco Crispi.

necrologia

Paolo Costa

La notte del 21 dicembre i836, sentendo venir meno le forze vitali. Paolo Costa trasse l'ultimo spirito in Bologna, toccando appena il sessagesimoquinto anno dell' età sua. Fu doloroso l'anuuuzio che per la nostra

tfO

bella penisola si diffuse, e i buoni attrlstaronsi, percioc- ché vedeauo trapassare uno de' maggiori e possenti so- stegni della letteratura italiana del nostro secolo, nelle Olii opere ammiravano il giudizioso filosofo , 1' elegante prosatore e poeta, il valente filologo; qualità lodevoli, in un tempo spezialmente che le politiche vicende, le opinioni discordanti, la bizzarria, e il traviamento, mi- nacciavano la integrità e la bellezza del nostro idioma, che mercè di valorosi uomini ivasi richiamando al pristi- no vigore. Dal momento che la fatale novella in que- sta isola pervenne per mezzo della contessa Anna Pe- poli Sampieri che al Malvica significava il lutto ond'e- ra rimasta Bologna, le siciliane Effemeridi pensarono ad es^er sollecite a lamentarne la perdita. Per la qual co- sa io tutto che lontano dalle città che lo videro fiorire, nondimeno riverente al suo merito conosciuto, per quan- to io posso mi studierò di consacrare dall' ultima Si- cilia questo picciolo tributo alla sua memoria: e quan- tunque ella delle mie parole non abbisogni, mentre la sua più pregiata lode sono le sue scritture, pure è giu- sta cosa il celebrare coloro che vanno mancando per- chè senza dubbio riesce a conforto di chi sempre in bene si adopera, il cui compenso non è solo quella pu- ra coscienza di giovare altrui, ma anco il pensiero di sopravvivere con la ricordanza del nome ; ed oltre a ciò serve ad esempio e stimolo de' neghittosf e per- versi. Questo picciolo cenno del Costa disteso con quelle poche notizie che mi è stato possibile raccogliere, non avendo nemmeno avute tutte alle mani le sue opere, sarà forse mutato in un più compiuto elogio , qualora potrò giovarmi delle biografie che verranno ne' gior- nali italiani pubblicate, e leggere quelle sue scritture, che finora non sono venute in Sicilia.

Paolo Costa nacque in Ravenna in sul finire dell'an- no 1771 ed ebbe a genitori Domenico Costa gentiluo^ TOo e Lucrezia de' conti Ricciardelli. Incominciati gli

studi nel collegio della sua patria, volle poscia condur- si nella città di Padova a compierli, ove celebra tissirni personaggi ogni ragione di scienze e di lettere profes- savano; e di assai buona voglia il padre condiscese alle giuste brame del figliuolo. Siccome allora moriva il Sibiliato, cercò il giovinetto Paolo trar vantaggio dalle lezioni di eloquenza di Melchior Cesarotti professore di greco , nelle quali maestrevolmente si manifestavano le singolari bellezze di Omero e di Ossian. Dominava al- lora in Italia la scuola frugoniana, la quale usava na- scondere la inutilità de' subbietti, la povertà de' senti- menti in un ammasso di superflue e roraoreggiianti espressioni. L' esempio altrui e 1' età poco esperla tra- scinarono il Costa al falso gusto di quella scuola; im- perciocché ancor giovinetto nel collegio di Ravenna avendo alle mani le poesie del Frugoni e de' frugoni- sti, e con molta avidità tuttodì leggendole subito ne re- stò fortemente preso e ne divenne seguace. Di fatto pub- blicò poi de' versi che sentivano di quello stile gonfio; e che furono inseriti nell'anno poetico, e molto lodati- Ma fortunatamente era egli in un tempo che gittati ve- deansi i semi del rifiorimento dell' italica poesia. Chi può negare ciò che disse il Foscolo , che 1' Ossian del Cesarotti, il Giorno del Parini, l'Alfieri e il Monti ri- svegliarono dal sepolcro di Torquato Tasso , ove sep- pellita giacca, la magnificenza della poesia italiana? Ma Cesarotti che per la prepotenza del suo ingegno fu som- mo, era di cattivo esempio per la gioventù, e colle sue dottrine avea contribuito ad assodare in quello stile gon- fio il Costa, il quale, per la buona indole che avea sor- tita, fatto subito accorto di esser perduto fuor via, ed avviluppato fra le stranezze di una falsa scuola, operò di forza a disvilupparsene, intendendo vigorosamente ad attingere alle pure fonti degli antichi il candore del gusto italiano. >

Dopo avere per lo spazio di tre anni dimorato a

Ita

Padova, gli eserciti francesi s' impadronivano delle tre legazioni, e il nostro Paolo lasciata quella città ricon- ducevasì a Ravenna, ov'ebbe la elezione a municipali- sta, nel quale incarico per la integrità del carattere si distinse. Cacciati i Francesi, si portò a Bologna, ed es- sendo nei ventisei anni animogliossi a Giuditta de' conti Milzelti , e secolei visse senza poter divenire padre. Bonaparle però, passato il San Bernardo, colla battaglia di Marengo ricuperò i piani lombardi, e raunò un con- gresso di Deputati in Lione onde dare una forma no- vella alla già caduta repubblica Cisalpina; per la quale occasione cantò il Monti e disse una eloquente orazio- ne il Foscolo. Fu inviato tra' Deputati a v][uel congres- so, il Costa, e lu poscia uno de' membri del collegio elettorale de' dotti. Eletto a professore di eloquenza nel Liceo di Bologna , col cadere del Regno italico per- dette quella cattedra. Non lasciava però gli studi, ed oltre ai Bolognesi, da lontane contrade alla sua casa traevano giovani vogliosi di ascoltar le sue lezio- ni; ed e' loro in petto amorosamente instillava buoni e sodi precetti. Coi tumulti destatisi nel i83i egli otten- ne la perduta cattedra, ma per poco tempo, dappoiché tosto dovette condursi in Corfù, ove diedesi a spiegare alla gioventù ionia le norme del gusto e la ideologia. ]\Ia Bologna aspettavalo perche la sua- spoglia mortale componesse nel sepolcro, e diffatto e' vi si recò di nuo- vo, e vi stette fra le glorie, premio al suo merito, sino a quel dicembre che lo tolse agli amici alla gioventù alle lettere all' Italia.

Paolo Costa molto giovò cogli studi all' Italia, laon- de senza badare all' ordine con cui le opere sue furono pubblicate , il mostrerò rapidamente filosofo filologo prosatore poeta traduttore,in somma caldo propagatore del vero classicismo. Di buon' ora gli erano venute dinanzi le opere del Condillac, e studiata la sua logica pose amo- re alla filosofia, ed alle scienze, che tanto valgono a ri-

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éiliiarare la mente. Essendo ia Paclova apprese la fi- sica dal conte Simone Stratico, che in quella università era sostituito al marchese Poleni nella cattedra di mate- matiche e navigazione; e così veniva acquistando utili e gravi dottrine , ed una sodezza di ragionare, in ogni specie di letteratura giovevole. Scrisse un discorso sul filosofare degli antichi, un'altro intorno l'analisi e la sintesi, un libro sopra la maniera di comporre le no- stre idee, il quale può reputarsi un trattato compmto di ideologia, che avea professata a Corfu, lodato come le altre sue scritture filosofiche per la chiarezza per r ordine e per la eleganza nella esposizione de' concetti. Pubblicò inoltre nella Ricreazione di Bologna una bre- vissima lettera intorno la impossibilità dell' uguaglianza fra gli uomini, e varie altre dissertazioni mise alla luce, che il nome di filosofo gli procacciarono.

Abbandonatosi allo studio ed alla venerazione degli ottimi scrittori, dolevagli l'animo a guardar lo stato dei suoi tempi , nei quali condotta era a mal partito la bel- la ma difficile arte del gentil favellare , e siccome va- lorosi uomini al di lei ristoramento si travagliavano, siccome Cesari Monti Botta Giordani Colombo ed al- tri , chi in un modo e chi in un altro, anch' e' vol- le per la sua parte contribuirvi. Indagò primamente qual fosse la speziale cagione di quel male , e trovato esser ella 1' intertenersi die fanno i precettori ad esporre tutte e sazievolmente le più minute regole e le fi- gure, senza internarsi nella ragione oratoria e poetica, e lasciando anzi gli allievi ignoranti di quella filosofia che può sola recar lume a far conoscere quali forme ad o- gni specie di scrittura si convengono, e qual uso deb- basi lare delle regole, dal Liceo di Bologna e' cogli ammaestramenti tolse a provvedervi, e indi col suo li- bro della Elocuzione, risultamenlo delle sue lezioni, ed eccellente lavoro tra per la saviezza delle dottrine, che stabiliscono le fondamenta dell' ottimo e forbito seri-

vere, e per Io stile che può servir di esemplare perle Òpere instruttlve. È vero che il Costa molto trasse dal Trattato dello stile del cardinale Sforza Pallavicino, ma il libro della Elocuzione fu opportuno alla letteratura, perchè quasi più non leggevansi i precetti del Pallavici- no, cui desiderava molti lettori il Giordani , o non si leggevano come sarebbe stato mestiere; e senza ciò fu utilissimo perchè meglio adattato ai temili: e che que- sto sia vero valga il vedere le moltiplici edizioni, e le ricerche che per Italia tutta dalle Alpi ali" Etna se ne sono fade, continuando sempre ad esser letto con calore.

La riforma del vocabolario della Crusca era per lui stimata necessaria, e in Bologna intraprese la compila- zione del gran dizionario della lingua italiana, messosi in unione di Francesco Cardinali, di Basilio Amati da Savignano, del marchese Antaldo Antaldi da Pesaro , e dei professori di quella università Francesco Orioli di fisica, Giacomo Tomraasini di clinica medica, Fran- cesco Mondini di anatomia, Antonio Bertoloni di bota- nica. Con questi compagni accintosi al lavoro che com- prender dovea le correzioni, e le aggiunte di Vincenzo Monti, cominciò la pubblicazione mettendovi avanti un suo proemio.

Dante, il poeta de' filosofi, ed il filosofo de' poeti, sic- come fu detto dal Monti, ha avuto a nostri gran nu- mero di commentatori, forse più ancora di quello che sarebbe slato conveniente; e tra Lombardi Biagioli Ce- sari ed altri molti debbe avere pur luogo Paolo Costa, il cui comento per singolari pregi è commendato. Ba- sta leggere quelle brevissime annotazioni per esser per- suasi con quanto acume d'ingegno s'interna nella occulta signifirazione della Divina Commedia e con quanta con- cisione e forza di ragioni disvela l'intendimento dellau- tore. Tralasciando le altre lodi mi piace qui ricordare quella che dalla Biblioteca Italiana gli è stata tributala, dicendo: che col Dante del Costa potranno i giovani di

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buono ingegno divenire tlantisti, mentre coi volumi del Cesari accresceranno la schiera dei parolai. Io non vedo però per qual ragione il Cesari sia stato da' suoi con- temporanei malmenato. Non fu egli forse die pria d'ogni altro scosse la tralignata generazione , e conduceudola all'aurea semplicità delle scritture de' trecentisti fé' rac- quistare all' italica favella il perduto splendore ? Non istabilì nelle Bellezze di Dante un monumento d'italiana eloquenza? Meritano di essere scusati i pochi difetti del Cesari , che furono originati a un caldo zelo di essere utile, mentre che alcun uomo non seppe mai guardarsi dalle colpe. Per questo essendo giusti lodatori del Co- sta, non conveniva essere ingiusti col Cesari; che, credo, sarà dai posteri rispettato e vendicato così delle of- fese. Il libro della Elocuzione il gran dizionario e il Dante appalesano gli studi filologici del Costa: havvi bene un trattato dell'arte poetica che io non ho veduto, ma che il nome dell'autore, e il favorevole giudizio che so di averne profferito Salvator Betti, mi sono di tanto peso che non dubiterei di affermare dover essere eccel- lente scrittura.

Lo studio della lingua, e dello stile non consiste nella sola ricerca di belle parole , e nella collocazione loro soperchiamente studiata; ma nel cogliere il rapporto ch'elle hanno con le idee che nella mente si affacciano, e nel disporle in una guisa confacente al subbielto, con un ragionar chiaro e preciso senza trascurare quelle ele- ganze che lungi di nuocere alla gravità ed alla sobrietà del discorso, piuttosto ricreano l' animo de' leggitori. Laonde colui che non cerca innanzi tratto fortificarsi col soccorso della filosofia e delle scienze, perdendosi in vane ciarle il diritto sentiero smarrisce. Paolo Costa che fu filosofo e studioso coltivatore dell'arte dello stile ci può servir di pruova a far vedere quanto la filosofia sopra quest'arte influisce. Sobrio negli adornamenti to- glie tutte le ridondanze ed annunzia il concetto con

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cliia rezza e precisione e scorrevolezza, e sempre forbi- tamente. Tale si mostra in tutte le sue prose, e nella vita di Dante premessa al suo comento della Divina Commedia, ove in breve ridusse tutto quanto era detto estesamente pei biografi di quel sommo poeta, e nello elogio che' scrisse di Giulio Perticari, e nelle opere filo- sofiche eziandio. Anzi com' era seguitatore de' precetti del Pallavicino , e questi avca mostrato che anco le opere scientifiche sono capaci di venustà ed eleganza , dettò cose filosofiche con nobiltà da renderne piacevole la lettura. Ma più desiderava che il linguaggio filosofico fosse stato lucido e netto , e studiava a sbandirne la oscurità. jPcr questo e' tal fiata opponevasi al Roma- gnosi, il quale le idee, fruito prezioso della sua mente pro- fonda, in varie misteriose e poco intelligibili espressioni avvolgeva , e il suo linguaggio notava come pieno di boria filosofica.

Cresciuto coi migliori poeti, e più coli* Alighieri, ei compose poesie non più tumide , ma del buon sapore italiano, usando sempre a cantare nobili argomenti: il qual sapore conservò anche nelle traduzioni. Belle ed eleganti sono le sue ottave pel Canova, le quali nacquero allora quando dovendo nel novembre del 1809 pas* sare per Bologna quella luce suprema della moderna scultura, si propose dal marchese Montrone di conser- vare la memoria di quel passaggio con poesie, che po- scia , tutto che ritornato Canova da Firenze a Roma senza toccar Bologna, gli si offrirono in un volumetto preceduto da una lettera di Pietro Giordani. E da no- minarsi tra le sue poesie il Laocoonte; e altresì 1' Inno a Giove per nobiltà di espressioni e per aggiustatezza di pensieri lodevole , che il Costa scrisse nella occa- sione che molli bravi italiani con un volume di poesie fesleggiavano le nozze di Giulio Perticari con la Co- stanza figliuola di Vincenzo Monti.

Molle traduzioni fece il Costa dal greco e dal latino.

il 7 Insieme al conte Giovanni Marchetti tradusse 1d odi di Anacreonte; e quando nel iSaS venne in animo a Nic- colò Beltoni di pubblicare iu Milano una Biblioteca Universale di scelta letteratura antica e moderna, a com- porre la parte greca furono distinti tra gli altri Omero Pindaro Demostene Aristotele Plutarco Senofonte Cal- limaco Saffo i Buccolici ed Anacreonte, cosicché fra i traduttori leggevansi il Monti, il Borghi, il Cesarotti, il Caro, il Castelvctro , il Pompei , il Giacomelli , lo Strocchi , il Caselli , e congiunto al Marchetti ancor Paolo Costa, Nella detta Biblioteca si trova, oltre a ventidue ode di Anacreonte del Costa , il volgarizza- mento da costui fatto della famosa ode di Saffo a Faone, messo a fronte di quello del Caselli. Volgarizzò inoltre la Batracomiomachia di Omero, l'Eroidi di Ovidio ed altri poeti classici latini. Nel tradurre non seguiva pa- rola a parola, ma più consigliatamente poesia per poe- sia, sicché lo spirito dell'originale rimaneva intatto.

. Costa lavorò pel teatro, cui diede il volgarizzamento della Maria Stuarda, e del Don Cario di Schiller, da lui adattati alla scena italiana; e per opere originali la Donna Ingegnosa commedia , ed una rappresentazione tragica intitolata Properzia de' Rossi. Merita il Costa quella lode dovuta a tutti gli altri autori drammatici che animosi si sforzano a trattare argomenti italiani ; dappoiché tale è quello della Properzia, l'azione della quale ci trasporta in Bologna ai tempi di Carlo V , nella occasione delle feste per lo incoronamento di quel- r imperatore. La Properzia de' Rossi rappresentata in Bologna, ove nel 1828 fu pubblicata, ebbe maraviglioso applauso ; il che non avvenne iu Toscana ove fu con severità dagli spettatori giudicata , quantunque la parte principale fosse stata sostenuta da una illustre attrice , dalla signora Pclzett. Fu stampata pria che andasse sulle scene, e l'autore vi premise una prefazione piena di erudizione, e scritta, com'era suo stilejcon molta e\c' fase. 4^ 6

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ganza , in cui cercò giustificar l' opera sua in riguardo

alla invenzione alla condotta ed allo stile.

Non pago di essere utile con le istruzioni e con lo esempio delle sue scritture Costa, perchè potesse propa- gare il vero classicismo ed avviare la gioventù alle let- tere ed alla sincera investigazione della verità, scaglios- si avverso alla pestilenziale scuola degli sfrenati roman- tici , che mettendo in disistima le cose della propria nazione , i prodotti dell' ingegno italiano spreggiando , profondendo incensi alle cose degli stranieri, e più spe- zialmente a quelle de' Francesi , fannosi loro stupidi imitatori e nella letteratura e nella filosofia. A tanto può giugnere la umana stoltizia ? Perchè mentre non vogliono essere schiavi nel proprio paese , di buon animo amano sottomettersi alla servitù straniera ? O vituperio dell' età nostra ! La storia però ne perpe- tuerà la ricordanza in sino all' ultima posterità ; ma sempre più bella sarà la fama di coloro che fra co- tanto vaneggiare alzarono potentemente la voce a com- battere gli errori a proclamare la verità. Nel bel nu- mero dev'essere ricordato Paolo Costa, il quale con due modi adoperò a stabilire il vero classicismo , col ridi- colo e con la persuasione. Per usare il primo modo mi- se alla luce i suoi Colloqui con Aristarco Scannabue, i quali insieme comparvero nel i835 in Bologna, men- tre che l'anno avanti avea pubblicato il proemio ed il primo colloquio nella Ricreazione, ne' quali diri ggendosi a quel censore severissimo delle arcadiclie baie, lo esor- ta e lo concita ad uscir dallo avello che lo chiude, ed a menar la scuriada addosso a taluni moderni filosofanti e letterati italiani, che vogliono far le sci mie agli stra- nieri, e mostra risibili le opinioni, e le maniere loro, e molto diverse da quelle ciarle che Aristarco avea sferzato. Negli altri due colloqui con profonda filosofia impugna il parere dell'abate La Mennais, il quale prc- tcndea che l'uomo individuo non ebbe da Dio forza ve-

«'9 runa intellettuale per divenir cerio della verità, e che il criterio di questa soltanto è riposto ncirautorità del genere umano. Ci fa vedere con questa specie di scri- vere il Costa eh' e' sapeva adoperare uno stile adorno di quella piacevolezza e di quel brio che grandemente fa cliiaro l'Osservatore di Gaspare Gozzi.

Senza le armi del ridicolo egli adoperò la persuasio- ne nella sua lettera alla egregia signora Clementina de- gli Antoni su i Classici e i Romantici , e nella quale degli uni che degli altri mostrando l'eccessivo affetto alle rispettive opinioni, e il poco senno, stabilisce uua scuola che meglio si addice a' nostri tempi ed alla no- stra nazione, ch'esser dovrebbe quella del vero classi- cismo o del bene inteso romanticismo, che la fiso- liomia propria alla generazione cui appartiensi. Mi piace qui recare talune parole del Costa clie la sostanza sono delle sue dottrine contenute in quella lettera. « Avvi una scuola , ci dice , di poeti , che mettono servil- mente l'orme loro sopra quella o de' Greci o de' Lati- ni, o degli Italiani poeti; e costoro, cui si immeri- tamente il nome di classici , dovrebbonsi denominare pedanti. Avvene un'altra, che si allontana dal naturale per la stranezza ed atrocità delle materie, per un par- ticoleggiare minuto, per una lingua bastarda, per false, o gonfie metafore, per astrattezza, o spesso per elocu- zione senza decoro, e questa si chiama scuola romantica, e si dovrebbe appellare la scuola delle follie. Una scuola cvvi poi nelle cui scritture si veggono imitati con no- biltà di linguaggio , e convenienza di stile il mondo materiale, ed il morale, secondo che l'uno e l'altro si mostrano agli uomini in tempi ii> che sono composti i poemi, o in tempi poco remoti , e questa è la scuola che dura nei secoli , si al:>l)ia ella il nome di classica o di romantica ». Le opere del Costa nel i835 si comin- ciarono a stampare in Parma dai torchi di P. Fiaca- dori la quale edizione in sei volumi comprender dovea

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le cose etlite ed inedite , con le aggiunzioni e correzio- m dello stesso autore.

Nulla io potrò dire del carattere del Costa, die sa- rà certo ritratto da coloro che usarono seco domestica- mente, ma a chiunque sarà agevole rilevare che tante utili fatiche, da non altro poleano esser dettate che da un animo generoso, e caldo per lo miglioramento degli studi della sua nazione. Se talvolta si lasciò trasportare ad opinioni molto eccessive e rigidamente sostennele , come fece in una critica al Bardo del Monti , secondo che alcuni affermano, mostrò di esser uomo. Ora gl'Ita- liani lo hanno perduto, e lo piangono , conturbati dal dolore di vedere venir meno i migliori, e sulla di lui tomba intrecciano delle laudazioni, augurandogli imita- tori non pochi che le perdite ristorino che fa tuttodì questa terra beata che gli fu cara.

Berkardo Serio.

BIBLIOGRAFIA SICILIANA

VmUJL LETTURE ile' fanciulli , opera di Giuseppe Taverna, uti- lissima per l' insegnamento della lingua italiana. Nuova edizione arrirchila di note per l' intelli- jjenza de' Siciliani, tomo primo. Pulcrmo tipogrnjla Pedone i8ì-j ili 12 <ìi ptig. ]j.io,

STUDIO di Giurisprudenza dell'av- vocato GlUSBPPEPjSANO-RODniQUEZ

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DELL'USO e de' pregi della lingua

italiana libri tre dal conte Guw-

rnANCESCO GALEAKlNAPIOWEjfasC.L

Palermo tipogrujia Spampinato iS'ò'J in S di p(tg. 44- CARONTE dialogo di LcctAwo vol- garizzato dal greco da Carlo Ge- me r.ti, Messina stnmperia Capra id'iC in S di pagine i- .

GIORNALE di Scienze Mediche per la Sicilia compilato dal dott. Gab-

TAHO ALGEni-FoCLlAHI. AunO li»

voi. III. Palermo lipngrajìu Pe- done i83y in S di pug. i66.

TRATTATO completo sul Cholcra Morbus per Gautaho Algbri-Fo- cliaki compendiato da' classici più rinomati in Europa lavoro utile a' medici ed a' non medici sici- liani, Palermo tipogrnjla Pedone iS3y in 8 di pag. 182.

CORSO completo di Anatomia de- scrittiva colle dilTerenze nelle et;\, «essi, razze ed anomalie di Gio- vANKi GoRCORE professore di Ana- tomia nella regia università «li Pa- lermo tomo II. Palermo dalltt Reale Stamperia i836 in 8 di pagine 'Ò06 con una tavola in rame.

EFFEMERIDI

se I E']!ÌJTIFì€He''e XE T T E R A R I E

PER LA SICILIA.

i6um. un TTvDatzo / Sol

PARTE PRIMA

SCIENZE

InJluen'Za della luce sulla vegetazione.

li celebre Leuchs di Norimberga ha pubblicato bel- lissime osservazioni intorqo all' effetto della luce su le piante. Noto era giù che la luce del sole promovendo nelle piante l'assimilazione del gas acido carbonico , loro la facoltà di verdeggiare e di formare i principi! volatili ed aromatici. Quella luce è tanto necessaria alla -fioritura ed alla fruttificazione, che mai non si possono ottenere semi maturi dalle piante allevate nell' oscu- rità: all'opposto le piante languenti e gialliccie, esposte al sole per quattro o cinque ore si colorano in verde intenso come le piante allevate al sole. Da varii fatti il Leuchs trae la conseguenza , che senza la luce della luna e delle stelle, le notti farebbero perire i vegetabili. La luce di una lampada può supplire imperfettamente a quella del sole; la pianta verdeggia debolmente, ma si dirige verso la lampada giusta una bella esperienza dell'autore. Egli ha pure esaminalo comparativamente i

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germogliare dei semi deposti in un vaso scoperto, in un altro coperto con un solo foglio di carta, e in un terzo coperto di due fogli; i semi del primo vaso presentaro- no un leggiero sviluppamento esterno, ma una maggio- re quantità di parti solide per disseccamento; quelli del secondo vaso si svilujiparono maggiormente, ma con un tessuto più floscio e più acquoso, e questa differenza si manifestò maggiormente nelle piante del terzo vaso. Il tessuto suddetto sembra divenire più o meno acquoso secondo la natura delle diverse piante , allorché sono state private di luce. Il Leuchs vorrebbe quindi poter giugnere a determinare l'influenza delle diverse quanti- tà di luce sulla vegetazione. Certo è che in una canti- na umida, rischiarata da una sola fiaccola, le piante col- locate più vicino alla fiaccola racchiudono una maggior quantità di parti solide per il disseccamento in confron- to delle altre. Anche la luce riflettuta dagli specchi , esercita una influenza benefica su le jiiante, e in questo modo il Leuchs spiega come certe costiere vengono fer- tilizzate dalla sola riverberazione della luce degli scogli vicini.

Repert. di agric.

Jnjluenza della temperatura atmosferica sullo svilup- po degli alberi in primavera.

Tutti sanno, in conseguenza di una vaga osservazio- ne, che lo sviluppo della gemma ha luogo in prima- vera principalmente sotto 1' influenza del calore dell'at- mosfera; ma di rado si cercò valutar questa con esat- tezza. Il sig. De-Candolle fece conoscere le osser- vazioni del sig. Rigaud-Martin e del sig. T. Paul, del primo per 28 anni, del secondo per 24? sulla pri- ma comparsa delle foglie del caslagno d' India a Gine- vra. Eccone 1' analisi. I fenomeni clie si presentano nel-

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Io sviluppo della gemma in primavera non dipendono da una causa unica; ha dcssa luogo, termine medio, da 02 a 98 giorni dopo il primo di gennaio; gli estremi variano tra 81 e ii3 giorni. L'opinione di Adanson^ che tale sviluppo venga determinato dal numero dei gradi di calore medio diurno che si sono accumulati do- po il principiare dell'anno, non è conforme ai fatti. La temperatura del mese o dei giorni che immediatamente precede lo sviluppo è quella che più influisce sul feno- meno. Lo sviluppo ha generalmente luogo quando la media di quindici giorni consecutiva fu di circa 84» R. Nelle annate precoci la temperatura di tutto il mese che precede lo sviluppo, di poco si allontana da questa media: negli anni tardivi, la media del principio di que- sto mese è molto al disotto, e quella del fine sensibil- mente al disopra in modo da stabilire una compensa- zione. Si richiede una temperatura più elevata perchè abbia luogo lo sviluppo quando il tempo è sereno che quando è coperto. L'umidità del suolo e dell'aria favo- risce lo sviluppo delle gemme , ed allorquando i geli dell' inverno furono lunghi e continuati alla primavera {'A duopo di maggior calore per determinare lo svilup- po; è probabile che, massime per gli alberi delicati, ab- bia esso luogo un poco più presto, e soprattutto un poco meglio quando la temperatura del precedente estate fu molto calda per maturare il legno dei rami. Ciascuna specie finalmente richiede una certa media di calore , determinata dalle sue proprie suscettibilità, e che spie- ga la diversa epoca dello sviluppo, ma tale estimazio- ne non si può stabilire col solo semplice calcolo dei gra- di di calore, che hanno luogo dal primo di gennaio , ma ne richiede altri più complicati.

(Biblici. Univ.)

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Sul modo di agire della Digitale porporina . Rifles- sioni di T^iNCENZO Interlandt dottore in Medicina^ e Filosofìa nella Vnù'ersità di Cataniaisocio di varie Accademie siciliane^ ec. Palermo tipografia di Fran- cesco Lao, iSS-y in 8.

Se intorno all'azione della Digitalis purpurea sonosi pe' lavori d'uomini sapientissimi quasi affatto dimenti- cate in Italia le dispute che una volta si accesero tra '1 famoso professore Giacomo Tommasini e i dottori Uberto Bettoli e Giuseppe Matthey, in Sicilia all'opposto par che ora comincino tra '1 Sig. Vincenzo Interlandi e taluni che impugnar non volendo 1' arme nobilissima della stampa osano in privato (e forse forse con mezzi indegni a' cultori dell'arte d'Igea) gridare la mala voce contro l'Autore e predicare la Digitale di virtù stimo- laute fornita, e per conseguenza incapace a giovare nei morbi di accresciuto eccitamento vitale.

A ribattere con prove novelle cosifiatto opinare, che bastevoli non credè all'uopo le prime da lui segnate in una Nota scritta nel Giornale di Scienze mediche per la Sicilia (i), vieu oggi l'Autore ad evulgare le sue Ri- flessioni', sulle quali breve sarebbe il giudizio invitando i litiganti a risparmiare scritti e parole sopra un'argo- mento fritto e rifritto, e già dal consenso de' Pratici e dalla suprema autorità dell'esperienza a favore del sig. Interlandi sancito, se, a bene dell'umanità inferma, uoa fusse giusto rilevare a' contrari l'errore in cui sono, per sapersi correggere ed emendare.

Svolgendo attentamente i registri della medica Storia, fatti, non v'ha dubbio, si trovano che l'una favoriscono e l'altra opinione. D'onde dunque la divergenza sulla quistione? Da ciò che non sonosi studiati i fenomeni

(i) Anno i835. Num. io.

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prodotti dalla Digitale secondo naturalmente essi avven- gono, e che non vuoisi distinguere la irritazione dallo eccitamento.

Allorché la Digitale s'intromette nello stomaco i suoi primi efFelti non sono che di mera irritazione, la quale non produce diatesi di stimolo. Quando poi la sua azione si diffonde sul sistema organico generale per cui più o meno essenzialmente si turba il vitale eccitamento , i fenomeni allora non altro esprimono che la diatesi cui ella origine. Questi fenomeni, diceva con molto senno il Fanzago, esaminati ed analizzati imparzialmente, mas- sime separandoli con giudizio da' fenomeni ìocali ed ir- ritativi, non meno che da' consensuali, non sembra che possano mettere in dubbio l'azione che in addietro chia- mavasi sedativa della Digitale, cioè l'azione di mode- rare e calmare l'energia del vitale eccitamento, e quindi di operare come debilitante, anti-eccitante e controsti- molante (i). Le stesse evacuazioni urinarie che la Di- gitale produce, i vomiti e la diarrea non sono che ef- fetti dell' abbassato e depresso potere vitale , che lo stesso Fanzago la proclama utile ne' più gravi morbi infiammatori sino a pretendere potersi con essa far grande economia delle sanguigne (2) ; nel quale avviso con- corre al pari l'opinione di Currié, per non dire di Ma- CLEAN. che con espressione singolare chiamò quest' erba r agente che esercita una specie di controlleria sul cuore ^ e di Sugrle che vantaggiosamente la indicò nel- l'asma acutissimo (3). E non- che ne' morbi perperacuti del torace, ma ben anche ne' simili della testa la vide egregiamente rispondere Mason-Cox medico a Fischponds presso Bristol (4); e profitto immenso ne trasse il cen-

(i) Ve<l. il Giornale di Fisica Chimica e Storia naturale di L. V. Brc- cNATELLi Tom. 3. pag. 435. Anno »8io.

(2) Ivi pag. 463. .

(3) Medicai and Physical Journal, voi. 4-

(4) Ved. le sue Os<:cn'azioin pratiche inserite nel Giornale della Sociclik Mcdico-cliinirgica di Parma.

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nato Fanzago nella pazzia, per cui non fu tardo a con-r chiudere, che la Digitale riesce valida medicina in quelle pazzie nelle quali Vuniversalc eccitamento è molto esal- tato; cioè che sono accompagnale da manifesta e vivace diatesi stenica (i) ; e dall'altro lato « che nelle pazzie da diatesi astenica , o da nessuna diatesi accompagna- te, la Digitale riuscirebbe nociva od inutile: nociva nel- l'astenia perche tanto più deprimerebbe l'abbassato ecci- tamento (2).

Ma la Digitale e stimolante, ripetono a tutta lena gli oppositori dell' Interlandi: lo provano i fatti, lo provano gii esperimenti di Saunders in Inghilterra, que' di Gian- nini in Italia, i nostri medesimi (dir potrebbero) qui in Sicilia. Ebbene, io rispondo a costoro; siano, come lo so- no, verissimi questi iatti, non potrete intanto negarmi che il maggior numero de' fatti e de' Medici europei stiano per la virtù deprimente di questo rimedio, o, va. altri sensi, che questa opinione sia più generalizzata della vostra. E i fatti stessi che si oppongono al potere se- dativo della Digitale non posson forse dipendere dall'im- prudenza del medico nelì' amministrarla ad altissime dosi e senza sospendere a tempo il di lei uso? Porge- tela indistintamente, non ponderate con maturità di giu- dizio la diatesi dominante, il grado dcU'cccitamcnto vi- tale, vi mettereste in pericolo di creare una infiamma- zione e sareste poco felice nelle vostre cure. Allora che la Digitalo sarà per voi stimolante ; essa giusta il nominato Fanzago darà origine alla diatesi stenica in- direttamente, vale a dire mercè la condizione patologica suscitata localmente dalla smodata irritazione. Ma ciò, poi non toglie che la sua azione reale e primaria , la sua azione diretta sul sistema universale non sia cmti- steiiica e controstimolante. Infatti quando si fa uso di

(1) \c(\. la sua Memoria in cui si dclcrmina l'efficacia della Digitale nel- le alienazioni mentali Part. Priiu. pag. 4^3 del cit. Gior. di Bi\uCNAieLL{. (•'.) Ivi pg. 45^.

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questa medicina con la dovuta parsimonia e sobrietà , essendo allora moderata e poco sensibile la sua azione locale irritativa, si manifestano solamente i suoi effet- ti universali, quelli cioè che indicano ad evidenza l'al)- battuto universale eccitamento. Potranno gli uni agli, altri prevalere ed essere più vistosi , seeoiidochè sarà preponderante o 1' azione irritaiivU^ o /' anlistenica. E nella maggior parte de' casi questa prevalenza degli u- ni o degli altri dipenderà o dalla dose , o dal modo con cui è stato adoperato il rimedio, o dalla varia su- scettibilità e predisposizione degli individui, dall' azione creduta stimolante^ ed in se stessa tale, del rimedio non mai. È forse questo il motivo per cui 1' Interlandi si spaventa quasi e ne trema della dose grande con cui il sig. Sofia da Noto prescrive la Digitale a' suoi infer- mi. Di ciò non mi occupo di proposito, cliè comunque saggi i divisamenti dell'lNTERLANOi, è da convenirsi però avere il Sofia tal giudizio e buona morale che se le sue osservazioni state sono costanti, appena può suppor- si che vi rinunzì così prestamente che si vorrebbe. Ne in questo è critica all' Interlandi, anzi lode verace gli rendo, che da Pratico scrupoloso e severo, franco emette il suo avviso e gentile nel pari tempo verso il di lui confratello. Ei non cerca che il bene dell' umanità e della scienza. Ei per questo è doppiamente amraiirevole. Da ciò che si è detto conchiudo, stolta essere la pre- tenzlone di chi a tuttuomo vuol vedere nella Digitalis purpurea una virtù stimolante^ e cotestoro non aver mai potuto o voluto nelle loro ricerche starsi ai fatti che vengono dallo esame diligente de' fenomeni sussecutivi r azione di quel rimedio. L' interlandi all' opposto , tuttoché nelle sue rijlessioni non facci dono alla Scien- za di alcuna novità, pure battendo il sentiero che han tracciato uomini sommi nell' Arte, impegnandosi con la stampa a slìarbicare gli errori da quelle teste balzane che quando non agiscono di buona fede sono le più no-

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clve all' umanità sofferenle, lia già battuto la via del- l' onore e della filantropia; e sarebbe inutile, anzi pre- giutlizievole a' suoi molti lumi il volersi più inter tenere in discussioni die il consenso di migliaja di Medici europei e la Pratica universale hanno a di lui favore da molto tempo già stabilito. Dica dunque una volta ai suoi detrattori di leggere e studiar Guani, Rubini , ToMMAsiNi, BoNDiOLi, e di Confessare la loro miseria in- nanzi questi venerabili Patriarchi della Medicina. -' Gaetano Algeri-Fogliani.

VARIETÀ' Duirtta probabile della vita

Crediamo far cosa sommamente utile riportando alcune notizie di statisti- ca sopra la cosa più importante all' uomo, qual è la durata probabile delia sua viti. Noi le abbiani ricavate dalle sedute dell'Accademia reale delle scien- ze morali e pollliclic, che fa jiarte del celebre Istituto francese , e sono riportate dal Giornale generale delle Società, e dei travagli scientifici della trancili e dello straniei\) (aii. i" num. 3), il quale sotto il nome d'Inslitul si pubblica a Parigi in ogni mercoledì della settimana.

Il Conte Reinhart lesse in una seduta del mese di ottobre i835 , un rapporto favorevole suH' opera pubblicata in tedesco dal dott. Kastner , sotto il titolo: ricerche sulla durala probabile della vita dell' uomo, per ser- vire (dia statistica medica. Fra i risultamenti che si ottennero dal Kastner si ])(»ssono notare i seguenti: j)er la intiera specie umana la durata di una generazione é di 28 anni. La vita probabile nell'età dello svilupiio da io a ao anni è più corta nelle donne che negli uomini; al di ella è più lun- ga. La differenza delle professioni esercita un' influenza notabile sulla durata della vita: cosi sopra 108 teologi, ministri ec. ^2 perverrebbero all' età di 70 anni: a questo medesimo termine non arrivano so,..'' 100 che 29 avvocati, 37 artisti, 27 istitutori o professori, e i medici sou collocati all'esti-emilà della scala. La differenza del celibato e del matrimonio esercita al contrario poca influenza. Intanto lo stato matrimoniale sembra prolungare di qualche anno la vita probabile dell'uomo: il vantaggio non diviene sensibile per la donna maritata che al di di 90 anni.

Questo travaglio si applica principalmente alla Prussia; ma l'autore lo estènde sotto vari rapporti all'Inghilterra e alla Francia.

. Il celebre sig. Carlo Dupin presentò alla medesima Accademia delle osser- vazioni critiche sull'opera del Kastner: e siccome a noi sembrano importanti' e degne di qucU' uomo ch'egli è, cosi lo riporteremo nel prossimo numero <lelle nostre liifeincridi, onde daic diti grave argomento un'idea pienaniculc. completa.

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Osservazioni meteorologiche fatte Jiel Beale Osservatòrio ^..di Palermo nel m^se di Febbraro i8'òy.

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RISTRETTO

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Pioggia in pollici lineari inglesi 2,688

II cielo nel corso del mese è stato nuvoloso ,0 volto

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Oscuro..,., ^.. _ 25

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Lucido ^ ,

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Coperto con pioggia.... 1

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SO

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PARTE SECONDA

LETTERE ED ARTI

Della siciliana favella^ de suoi lessici e lessicogorqfì-^ Ragionamento di Leonarao Vigo^ letto neW Accade- mia di Scienze e Belle Lettere di Palermo nell'ul- tima tornata di marzo iSSy.

òiauot v^ieàiuentey

ONORANDI COLLEGHI

J vocabolari parziali sono l'unico mezzo per avventura, col quale ren- dere più comune che non sia in ogni parte d'Italia l'uso della lin- gua illustre della nazione, e di far noti a' singoli paesi di essa, quei vocaboli propri delle provincie rispettive, che tutta Italia ha diritto a conoscere, perchè rappresentanti oggetti usi idee, d'esclusiva perti- nenza di quelle provincie.

Cherubini Bib. Ital. 8. 83. p. i6i.

^^tiaiido Sicilia farneticava dietro i deliri del Marini, e per di lei ventura fu 1' ultima a macchiarsi di quel letterario contagio; questo nobile consesso, sotto il ben attato titolo di Buon gusto ^ con lo esempio e le le- zioni accademiche riconducea la patria alla purirà della classica letteratura: corretto appena l'errore del secolo, intendea la mente alle storiche e filosofiche investiga- zioni: e oramai che a nissun popolo della penisola sia- mo secondi nelle amepe e gentili discipline, senza pre- termettere i primieri esercizi', alle severe scienze i suoi studi" rivolge, onde utile veracemente farsi a questa ama- tissima terra, siccome lo fu sempre sin dal suo nasci- mento. Ecco la storia della vita progressiva della no- stra società. Le accademie, vero seminario di sapienza, fase. 47 3

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deono soccorrere la patria a seconda de' suoi bisogni in- tellctluali e cittadini, e mutar indirizzo allo loro lucu- brazioni, come le nazionali, o universali ragioni il ri- chiedono. Pertanto questo cospicuo collegio di filosofi, con univoco consenso di animi, ha deliberato dar opera ad intrapresa gravissima e di pubblica attuale utilità. ÌSli la speranza sarà vana , se porremo mente alla ge- nerosa indole dell'animo, e alla celebrità di chi lo pre- siede (i); alla dottrina, alla volontà attivissima, alla con- cordia di chi lo compone (2) ; e alla fervida e poten- te anima della nazione, del cui morale carattere, del cui sapere della cui vittoriosa energia esso è specchio. ISè i suoi lavori saranno volti ad illustrare questa o quell'altra parte del territorio nazionale , de' nazionali diritti, delle nazionali leggi, della nazionale storia: que- st'accademia sorg-e nella metropoli di Sicilia , accoglie nel suo seno tutti i colti siciliani, siano essi di Pachino Lilibeo o Peloro, non può pertanto e non deve interes- sarsi che di tutta Sicilia. Quindi tre grandissime opere di universale vantaggio ha divisato produrre per ora,esou elle la Biblioteca sicula , il Voc^aholario universale

SICULO-ITALICO, E ITALICO SICULO, la TOPOGRAFIA MEDICA SI- CILIANA cominciando da quella della capitale. La prima conterrà la versione e la correzione di tutti gli scrit- tori antichi di questa terra, la scelta di quanto gli stra- nieri dissero di noi , e le iscrizioni delle lapidi coeve: così in parte seguendo , in parte meliorando 1' esempio di Giambattista Caruso, saranno raccolti lutti i prolegomeni per dettarsi, quando che sia, una perfetta storia siciliana. L'altro è la topografia succeimata , e la terza il voca- bolario, che sarà il mezzo del rapido e certo incre- mento della pubblica coltura fra noi, e di altri non po- chi beni, tutti letterali, come jìiocurerò, non già di dimostrare, ma farvi risovvenire soltanto, posciachè vole- ste, ad onta che non risponda in me il volere ali) in- gegno , che il carico io ne assumessi. E questo fu in

i35 voi atto cU longanimità, più che altro, essendo io ulti- mo fra cotanto senno, e a ciò, diveniste di fermo per certificare Tinlero reame die voi senza notare se i soci vennero alla luce della vita tra i gioghi dell' Etna o le fiorenti sponde dell'Oreto , farete tesoro delle cono- scenze di chiunque ha impresso in fronte e vie mag- giormente in core lo stemma della Trinacria.

La favella, che siciliana addimandlamo sin dal du- gcnto oltre il mille parlavasi dal popolo , adopcravasi nelle contrattazioni, nelle cronache; alquanto ingentilita spaziavasi nelle aule della corte e del parlamento; spo- sata al suono di musicali strumenti sublimavasi ne' canti de' poeti, e manteneasi quasi invariata per cinque se- coli di viltà, di guerre, di occupazioni , di rivolte in mezzo a ])opoli stranieri , finche dal sovrumano inge- gno del Meli era fatta come per miracolo pregiatissima a quanti sono gentili e dotti uomini in Europa, ed eterna al tempo medesimo. Siccome non v'è angolo il pili di- menticato dell' isola , non illustrato da' nostri sapienti trapassati o coetanei, così del pari questa luminosa ere- dità di gloria non poteva essere dimenticata. Ad arric- chirla, a rischiararla si volsero grandi infàticaÌ3Ìli pen- satori, come vi andrò cennando , e vi si volsero men- tre ancora in Italia , e molto piiì nel rimanente del mondo per tale natura di studi, dormivasi come in piena notte.

Questa favella ha un carattere suo proprio, come il popolo di cui è patrimonio ; essa non può scambiarsi con quelle della j)enisola; esse le saranno sorelle, nes- snna madre. Non io la dirò, come altri, vernacola^ poiché così appellavasi presso gli antichi quella de' servi; e non sarà mai che dal mio labbro o dalla mia penna riceva siffatto segno di obbrobrio il parlare di una na- zione, che sempre fu generosa e grande; che la prima in Europa (son presso ottocent'anni) non volle servi; e ch'I' l'unica nel mondo, la quale ha dato l'inaudito eseni-

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pio di rinunziare gratuitamente , volontariamente , in piena tranquillità di pace interna, senza ne desiderii, ne speranza vicina o lontana della menoma compensa- zione o del menomo premio, di rinunziare, io replico, alla feudalità e al baronaggio, e a' suoi pinguissimi pro- venti! No, la siciliana favella non sarà unqucmai da me detta vernacola, quantunque 1' uso abbia nobilitalo quel vocabolo di abiezione. Ma eli' è una lingua o un dialetto di quella che adoperasi dagli scrittori e dalle colte persone dalle Alpi al Pechino, e che secondo Dante non ha ferma sede, e secondo la Crusca è parlala in To- scana?

Certo non possiamo ragionare di essa senza conoscere e determinare qual nome le spetti ; altrimenti mostre- remo starci in compagnia di un incognito , e di addi- tare i fasti e i bisogni di cosa della quale ignoriamo la essenza. E su di ciò pertanto vi andrò sponendo i miei pensamenti, con la dubitazione di chi si aggira in difficili argomenti, e con la rapidità che meritano ana- lisi di cui l'Italia è tormentata da tante generazioni.

In questa disamina nella pluralità disconvengono non solo gl'Italiani da' Siciliani, ma fra stessi costoro; non pochi dotti estimanla dialetto della comune, gli al- tri una favella , la quale considerata in se stessa, può e dee tenersi per lingua. I primi e i secondi varia- mente discutono, ma noi con ragioni, in parte nuove, produrremo la opinione di costoro.

Innegabile vero ne sembra quello annunziato da pa- recchi Toscani, che l'esempio de' greci dialetti non sia perfettamente applicabile all' Italia. Le ditlerenze dei- lattico, del dorico, del jonlco, e dell'eolico, sono elle esilissime a fronte di quelle che esistono tra il piemon- tese, il bergamasco, il veneziano, il mantovano, il si- ciliano e cosi via. Di ciò ne offrono prova le opere, di Senofonte e di Tucidide, i quali a prercrciiza si valsero deirultico; di Erodoto e d'Ippocrate, che si valsero del

137 jonico; di Pindaro e Teocrito , che si valsero del do- rico; di Saffo e di Alceo che si valsero dell'eolico: con- frontate la novella 9, gior. i. del Decamcrone da L. Salviati volta in bergamasco , veneziano, furiano, istriano, padovano, genovese, mantovano, milanese, na- politano, bolognese, perugino, e in linguaggio fiorentino di Mercato vecchio (3). E più luminosa prova ne offre lo stesso OmeiK) ne' suoi due poemi , ne' quali riunì alla lingua illustre o comune di Grecia i dialetti par- ticolari. Poiché le differenze fra questi e la lingua ge- nerale son tenui, e perciò quegli antichi AcXsktos li dissero , a ragion che quella voce più che altro signi- fica maniera particolare di pronuncia (4); mentre le favelle de' vari stati italiani non rado discordano nella stessa radicale de' vocaboli|[P nella grammatica (5).

Se i vari parlari d' Italia vorranno dirsi dialetti , è mestieri innanzi ad altro elargare il valore primigenio di quel vocabolo: ma ciò non ostante non tutti di queto lo consentiranno i filologi. Avvegnaché la miglior parte fra di essi, e più quelli, che dalle ragioni civili e filo- sofiche non disgiungono le lettere, e la favella risguar- dano come patrimonio di cittadini e filosofi, più che di grammatici, intendono per lingua la totalità degli usi propri di una nazione per esprimere i pensieri con la voce (6), e per dialetto la parziale parlatura di una provincia ; onde disse il Cesarotti la lingua appartiene alla nazione^ il dialetto alla provincia (-7). Ciò posto, come è innegabile, a senno mio, non vi è, ne vi sarà anima nata, per non dir altro , che vorrà con la sua parricida destra spogliare di quest'altra fronda la corona abbastanza lacera, che orna il capo a Sicilia, e ridurla anche per questo alla condizione di serva. E poco cale che le favelle per acquistare il carattere di lingue siano o no nobilitate da scrittori , basta solo eh' elle siano parlate spontaneamente da un popolo intero, come di- mostrò il Salviati (3).

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E i vari parlari d'Italia , a detta anche degli stessi Toscani, sono lingue sorelle (9), ed lianno grammatiche e vocabolari a parte, e gli scritti dell'uno si traducono in quelli dell'altro; e (juelli della lingua illustre e co- mune, e della lingua latina si volgono nei parziali.

Il nostro parlare in ispczialità ditlerisce in parte nel genio grammaticale e nel rettorico, come l'abate Salva- tore Grasso Cambino dimostrava nellacoademia de' Ze- lanti di Aci-Ileale , ed è in nota accennato (10)^ e il Professore Innocenzo Fulci provò nella sua egregia Clottopedia italo-sicula di breve evulgata. Tralasciando le osservazioni generali, clie possono aver per obbietto le dilliìrenti j)arlaturc d'Italia, e alla sicula fermandoci, è certo essa appartenere ad una nazione , la quale abita una terra circondata da tre mari, con leggi, storia, co- stumanze, carattere suo proprio; aver essa lettere alfa- betiche ignote all' italiano, ed a cui è impossibile pro- nunziarle bene ; differire da quel linguaggio nelle de- clinazioni de' nomi, e nelle conjugazioni de' verbi, dif- ferire nelle leggi de' generi , ed in quelle de' numeri e così pure nella prosodia, e in moltissime altre logiche parti.

Non dico poi dell'indole loro diversa anzi disformo: talmente che un Italiano se a Buccheri , a Novara , a Troina, a S. Fratello, o un rustico Siciliano se a Pisa, Siena , Firenze , Livorno si trovassero a sorte , senza precedenti studi, e i continentali il puro italico, e gli insulari il pretto siculo parlassero non s' intenderebbero allatto ; talmentochè se volgerai in italiano una poesia siciliana mutandone solo le desinenze, quante volte ciò ti tornerà possibile, a cagione della disparità del genio de' due idiomi, quella poesia perderà ogni vezzo ogni incanto. Essi pertanto, abbcnchè in origine nati in parte da un ceppo, oggi lianno positive e sostanziali dill'e- renze. '

E a stabilire la prova aggiungono: dimenticate esi-

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sterc collaterale a Sicilia la terraferma d' Italia, e sup- ponete che come per mezzogiorno ed oriente, cosi pu- re per tramontana la cingessero popoli, i quali parlas- sero linguaggi dal nostro dissimili, quanto lo sono l'a- rabo, e il turco; considerate Sicilia e la sua favella per se sola, senza confronti di nessuna specie. La ri- terreste allora come lingua vera in tutta la estcnzione del termine? Senza alcun fallo è così. Or la vicinanza all'Italia non le deve anche in questo essere nocevole; e se per se medesima è lingua, per quale ragione vorrà battezzarsi dialetto dell' italiana, mentre la nostra fu madre di quella, e non da quella nacque la nostra, ed entrambe sono ricche, ed hanno moltissimi caratteri dif- ferenti ? La prossimità altrui non disnatura, ne degene- ra gli oggetti.

Ma questa siciliana favella non solo e lingua parlata, ma pure scritta da chiarissimi autori, come il Salviati dicca dover essere una lingua per divenir nobile. Oltre il Meli,celebratissimo, non cedono a' molti de' più lodati antichi e moderni il Rao, Domenico Tempio, Antonio Veneziano, e Giuseppe Vitali autore della Sicilia libe- rata^ poema eroico, nel quale sono riuniti grande parte de' pregi di Ariosto, Lucano e Virgilio.

Queste e parecchie altre nostre ricchezze ignorano i continentali, e pertanto non rettamente hanno delle si- ciliane cose giudicato, come nessuno ignora, e qui dovrò rammemorare. E si è per fino giunto da loro per questo, a toglierci la gloriosa eredità degli avi nostri. Fa stu- pore, f]'a gli altri, come il Bagnoli abbia potuto scri- vere, egli è poco, che Ciullo cV J le amo era napolitano , e che i modi di dire da quell' antico adoperati sono maniere spigolate ne' campi napolitani (^n)', così con- fondendo Napoli e Sicilia , e poco mancandogli a bat- tezzar colle acque del Sebeto lo stesso Archimede ! O sventura che neppure saranno più nostri i grandi uomini qui nati, qui allevati, qui fioriti, qui morti: e sin'anco

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a nostro danno si rompe la ragion dei sepolcri! E tali errori addivengono e si niollipJicano, avvegiiacljè per nostro fatale destino le ac(|ue del Faro sono agevoli e seconde alle merci estrane di ogni natura, che scendono in Sicilia ; e ritrose dillicili all' uscita deile indigene ,

Peccato nostro, e non naturai cosa!

Oltre clie ogni popolo paila e pensa in modo suo proprio, e perciò ha una lingua propria, perche si pensa nella lingua, nella quale si parla; oltre che la indivi- duale e diversa natura del cielo, della terra, del vivere, forma le meccaniche diversità delle lingue ; verità en- trambe tenute per assioma da' maggiori filosofi che hanno illuminato 1' umano genere; coloro i quali predicano il siciliano per lingua , concedono agli oppositori esistere analogia fra esso e l'illustre, ma pretendono giovarsi di quest'altro argomento. L'ibero e il lusitano, essi dicono, sono unica favella con piccole anomalie , minori forse di quelle esistenti fra il sicolo e 1' italico , e frattanto due diverse lingue le ritiene il mondo, perchè il Por- togallo e la Spagna sono monarchie indipendenti, tanto è vero quello che sentenziò M. Cesarotti lingua addi- mandarsi il parlare di una nazione, dialetto quello di una provincia; e conchiudono che anche nelle filologiche disquizioni

Patriam descrere turpissimus est.

Noi non vogliamo, ne sapremmo solvere la quistio- ne, e quantunque avessimo posto ogni cura perchè dalla carità, del loco natio signoreggiata ìion venisse la no- stra ragione , pur nondimeno incliniamo alla seconda più che alla prima sentenza , e lingua chiameremo il parlare con cui Meli emulò Teocrito, Anacreonte e Vir-

Or siccome la nazione siciliana abbisogna non solo apparare la lingua di Meli, Tempio, Vitali, ma quella

ancora di Dante, Macclilavelli e Alfieri, onde così farsi strada all' apprcndimenlo delle straniere viventi e del- le morte; ha necessità primamente di nn Yocaljolario universale perfetto, degno della sua civillà , capace a satisfare i suoi bisogni in modo clic conosciuta prima appieno la lingua propria, con quella apparasse le al- trui. È assioma che V umano spirito dal noto progrede all' ignoto; ed è su di ciò antica concordia fra lutti i filosofanti. Perciò senza la piena conoscenza della pro- pria, non potrà mai apprendersi bene la lingua altrui.

Ed il Vocabolario mentre con una pagina guida il siciliano ne' giardini dell'italico idioma, con l'altra av- via r italiano tra' fioretti e le verzure dell' Anapo e de' Monti Erei. Il Vocabolario ravvicina tante nazioni di quante lingue spiega il valore; esso facilita il com- mercio di popolo a popolo; dischiude a questo i tesori della sapienza di quello, e aumentandone i legami eoa la potentissima via della lingua, li amica e atlratella. Senza questa filologica e civile luce, invano avrai di- nanzi le più belle straniere produzioni dell' ingegno u- mano, tu non potrai cibartene; muto, perchè inutile il tuo labbro, starai fra un altro popolo: chi a' vocabo- lari fa guerra vuole le nazioni isotate , come le oasi nel deserto, e non desidera il cambio e ricambio cele- rissimo moltiplice filantropico delle conoscenze , delle scoperte sociali da un punto all'altro di Europa: egli contempla l' individuo, non la famiglia degli uomini.

E quanto più essi si rassomigliano nelle forme cor- poree, nelle abitudini, nella parità de' desideri , nella temperatura dell' aria che respirano, nella feracità della terra che calpestano; quanto piiì hanno sventure e glo- rie e speranze comuni; tanto più si devono sforzare di avvicinarsi, di collegarsi. Tali sono quei venti milioni di generosi, infelici eredi della romana gloria, che abi- tano dal Cinesio alle acclivi colline sopra le quali tor- reggiano ancora le reliquie di Siracusa. Però quaranta

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e più vocabolari, de' parlari diversi dei popoli italiani sono esistenti, e vie maggiormente dettati negli ultimi venti anni, ne' quali si è appalesato più intenso e ar- dente il desiderio di essere connazionali, e soccorrersi 1' un r altro nella propria indipendenza monarcale, ed esser fratelli in fatto non in parola. Quindi son sorti moltissimi vocabolari parziali, fra cui sono a nostra notizia i due padovani (12), i due bresciani (t3) , il sanesc (14)7 i due veneziani (i5), i due mantovani (16), i tre milanesi,, il tirolese (17), il cremonese (18), i due friulani (19), il pavese (20), i sette piemontesi (21), il piemontese francese (22), il na])olitano (23) , i due bolognesi (24), i due veronesi (25), il ferrarese (26), il parmense (27) , il sard o ( 28 ), e gli otto voca- bolari siciliani, cioè, di Lucio Cristolaro Scobar sicu- lo spaguuolo latino, scritto circa il i5t6, evulgalo nel i5i9 e i520 in Venezia; di ^'incenzo Auria M. S. conservato in questa comunal biblioteca; di un Anoni- mo ivi ancor serbato; di Placido Spadafora INLS.ivi de- positato; di Onofrio Malatesta M. S. tenuto nella li- breria dei INlinimi di S. Francesco di Paola di questa Capitale; di Giuseppe Vinci; di Michele del Bono di cui ne esistono due edizioni una del i^Si al 1754 ed un altra del 1783; e quello finalmente deli' Ab. Micbele l'asqualino stampato dal 1780 al 1790.

JNoi siccome nel numero de' lessici, cosi parimenti supe- riamo tutti nel tempo della loro compilazione: e 1' a- nimo mi gode nell'annunziare oggi indubitabili fotti che tornano a gloria del nostro reame. È grave fallo di Luel dotto Milanese , il quale ragionando con saggezza dell' egregio Vocabolario veneziano del Boerio , lasciò sfuggirsi dalla penna, che primo in Italia a dar V e- sciupio di simili dizionari di dialetto fa il milanese Giuseppe Capis^ che sul finire del secolo 16 compi- lò un cataloghetto di modi milanesi morti oggicà in città, e m>i soltanto ne' colli di Brianza (29). Poi-

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che il lavoro del Capis, come pure quello del Mon- talbani o sia del Biunaldi delle origini del dialetto bo- lognese , sono posteriori di 70 anni circa al Vocabo- lario siciliano latino spagnuolo di Cristofaro Scobar, ina- presso in Venezia nel ioao. Si aggiunga che quello dello Scobar è vocabolario in tutta la vera significa- zione del termine, e contenente circa 3oo mila voci, mentre quelli italiani, come lo stesso letterato milane- se li dice, sono cataloghetti diretti dalla sola volontà di magnijicare quei due idiomi derivandone le origi- ni dalle lingue dotte-

E noti solo noi fummo anteriori a tutti i vocabola- risti parziali , ma sin' anco precedemmo i generali , se non si tiene in verun conto V Elementarium del Papia composto nel 1200, ove sono raccolte poche voci lati- ne, come in verun conto deve tenersi anche dagli ama- tori dell'archeologia letteraria; è certo i siculi esser ve- nuti prima di Lucilio Minerbi, il quale nel i535 com- pose il Vocabolario del Decamerone; di Fabrizio Luna, il quale nel 1 536 pubblicò in Napoli 5 mila vocaboli dell'Ariosto, del Tasso, del Boccaccio, del Petrarca e di Dante; e molto prima di Alberto Accarigio, che nel 1543 impresse in Cento sua patria il Vocabolario, la grammatica, e l'Ortografia italiana (3o). Basta guardarle anche fi.iggitivaraente, per avvisare la disuguaglianza che esiste nella copia e nel merito fra i Siciliani e gl'italia- ni: e intanto del Luna, dell'Accarigio, e sino del mi- sero Minerbi suona riverito il nome nelle più chiare italiche opere, e dello Scobar, incredibile fatto, si tace!

E questo è poco: non solo i siculi lessicografi del parziale idioma , precessero i lessicografi della lingua illustre, ma il primo Vocabolario italiano latino , che abbiasi Italia lo deve ad un siciliano. Niccolò Valla agri- gentino, coetaneo e amico dello Scobar nel i5i6 in Ve- nezia, co' tipi di Lazaro de Soardis, pubblicò il f^oca- bolarium vulgare cum htino\ ed il Valla dee tenersi

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come primissimo motlello di simili opere in letteratu- ra. E di lui non tacquero i continentali , avvegnaché il Gesnero (3i), e Pietro Angelo Spera (3:i),ne facciano onorata menzione; ma quasi reputandone indegni di es- ser Sicilia madre di quell'antico , con ingiuria o igno- ranza più dolorosa del silenzio, lo battezzano fiorenti- no, nulla curando quanto Giovanni Ventimiglia, Cristo- faro Scobar, Giov. Antonio Salonia, Filippo Cagliola e Rocco Pirro dissero di lui, e quanto egli slesso ne scris- se nella lettera dedicatoria di quel medesimo Vocabo- lario. Ma noi oggi rivendichiamo alla patria il prima- to, che le hanno saputo mercare i suoi laboriosi figli,, e correggiamo il silenzio tenuto per lo Scobar, l'erro- re preso pel Valla (33).

E questo è ancor poco: i siculi i primi ragionarono analiticamente de' fiologici modi, come compilare i vo- cabolari' si denno e ciò si vede nella trilingue prefa- zione dello Scobar, ove disamina se ne' lessici devono e come accogliersi i vocaboli antiquati , quelli delle naturali scienze, delle arti; quale ortografia dee pre- scegliersi, quale pronunzia, se dovrà tenersi conto e co- me della etimologia; e in qual modo determinare e notare la natura delle diverse parti dell' orazione. E finalmente i siculi furono i primi a scrivere della fi- losofia delle lingue, e ciò sin dal t543 per organo del eh. Claudio Mario Arezzi, il quale nella sua opera sul- la lingua siciliana, in siciliano dettata, fu il precurso- re de' Cesarotti., de' Marmontel, de' Turgot, de' De Bros se de MichaeliSj e di quei tanti altri , che la Jilosofia delle lingue dalle tenebre., ove giacca, . alla luce hanno evocata » (34), come scrisse il nostro va- loroso connazionale, Sebastiano li Greci. La lingua nostra celebrata dagli antichi, e nobilitata da' moderni meri- ta le filiali cure de' Siciliani tutti, che ad onta della taciturnità degli oltramarini ricorderanno sempre con gratitudine i nomi del Valla, dello Scobar e dell'Arezzo.

i45 Sì, questa cara lingua per mezzo delia quale, come narra verisimilissima fama, i nostri padri nel 1282 giun- sero a disccrnere gli stranieri venuti a spezzare e cal- pestare lo scettro di Ruggiero ; questa lingua con la quale i pari, i prelati e i Deputati delle comunità per ottocent'anni ragionarono de' bisogni della nazione; sic- come non lo fu nel suo nascimento, non sarà unquemai improduttiva di vantaggio alla generale favella della pe- nisola. Essa è la più venusta, e quella che più si ac- costi alla illustre, fra quante ne sono adoperate in Ita- lia , se togli solo quella del toscano e romano popo- lo (35). Non qui farò parola di ciò clie tutti sappiamo, che dagli stessi forestieri non si niega, anzi si convalida, ch'è testificato dall' Alighieri, che solo con nostro stu- pore da qualche balzano cervello nato fra noi si ardi- sce oppugnare; cioè questa lingua e i nostri primi pa- dri essere slati fonte della poesia, delle lettere e del- l' italico

Idioma gentil sonante e puro,

e che Sicilia fu la madre

Della lingua volgar cotanto in pregio;

ma non posso non riprendere un lombardo (36) , che senza ncppur ricordarsi che noi esistiamo in questo bas- so mondo, nel 1829 in Milano dava preferenza di af- finità con la Universale alla veneziana , ponendo giù tutti gli altri parlari d'Italia. Egli conoscea l'opera del Pasqualino, e intanto non se ne giovava, ed io mi varrò della prova da lui addotta a mostrargli il suo fallo. Gl'italiani, egli ricorda, dicono piselli^ i milanesi er~ hion^ i bresciani rovajott^ i friulani cesaron^ i bolo- gnesi an>eja., i veneziani bisi ; così ancora l' italiano dice pollo d'india^ il milanese pollili^ il bolognese /«- cheirij il mantovano piton^ il genovese bibbia il vene- ziano dindla; e perciò , concliiude , il veneziano è più alline all'illustre italico. Ma dimenticò i piseddi e il

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gaddu d'india siciliani. Ne due o pochi vocaboli so- no a ciò prova bastante, ne qui possiamo ora noi in- stituirc esalto paralcllo fra le due lingue , e ne basta avvertire da un canto gl'Italiani che le nostre cose me- ritano maggiore studio, e i Siciliani dall'altro a disson- narsi alla fine, e non istar oltre terra curvi innanzi ad uomini, che fan gran conto di noi, e delle cose nostre! Se egli è vero che delle lingue parziali può avvan- taggiarsi la generale, da nessuna potrà l'italiana sperare maggior aiuto, di quanto dalla nostra, la di cui ricchez- za per le sue origini orientale, greca, cartaginese, ara- ba , latina ; per la vivacità e l'ingegno del popolo che l'usa, per la copia delle frasi, de' proverbi e degli au- tori che l'hanno illustrala; e delle nostre speciali profes- sioni non è superata, ne uguagliata da nessuu'altra delle parziali viventi.

La seconda parte nel prossimo uumeiv.

ANNOTAZIONI

(i) Domenico Lo Faso e Pictrasanta Duca di Scrradifalco.

(2) Sono nell'Accademia dottissimi uomini in tutti i rami dello scibile.

(3) Salviali opere. Milano 1810. Tom. 3. p. 32t).

(4) » I greci dialetti non sono sostanzialmente che una medesima lingua, » la quale diversifica da poche inflessioni in alcuni casi di nomi, o persone » di verbi, o cambia alcuna vocale in un'altra; e tanto scarsa cosa all'essenza 5> della lingua sono queste diversità che nulla fauno cambiarla » P. Bagnoli sulla lingua italiana. Pisa 1822 p. 65.

(j) Ris|)Osta del prof. Giov. Rosini ad una lettera del cav. Vincenzo Monti. Pisa 1818.

Cesarotti nc\ Sagi:;io sulla Jìl. delle lingue p. i23 opinò che la conserva- zione delle lettere radicali, è uno de' principali caratteri distintivi di una lingua; e che i termini particolari, qualche singolarità nelle parti dell'ora- zione, e sopra tutto le alterazioni della pronunzia costituiscono i dialetti; ma come in ciò errasse quel letterato cospicuo, e particolarmente sulla u- giialtà delle radicali, dimostrò il Niccolini con copia di ragioni e lucidi ar- {joinLiiti di fatto alla p. 37 del suo Itai^ionamcntn in cui si ricercaclc. Fi- renze 1819 per cui non è oltre da atteudcrc a quella opinione iu parte er- roma del padovano filologo.

(0) V. Enciclopedia art. Lmigaqe.

(7) Saggio sulla filosolia delle lingue. Pisa 1801 p. la.

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(8) Salviati ivi T. 5 p.

(()) V. Bagnoli, Rosiiii op. cit.

(io) Cenili sopra le difi'orcnze della lingua siciliana ed italiana.

1. L'aUabclo siciliano ha la lettera dd, che in Italia è ignota.

2. Alcune lettere (piantunquc si scrivano come in Italia, pronunziansi di- versamente.

3. L' ortografia discorda affatto.

4. Nei nomi la terminazione dei generi e dei numeri, molto più nel plu- rale non corrisponde.

5. Gl'llaliani adoperano tre, i siciliani due segnacasi.

(5. Gl'italiani hanno tre, i siciliani due conjugazioni di verbi. II modello della ])riina è Amari, amai, amalUf quello della seconda Slùrdiri, sturdii,

StUÌ'llulU.

7. I verbi siciliani non hanno voce pel trapassato rimoto dell'indicativo, i)el presente del soggiuntivo, pel passato di questo stesso modo, nem- meno pel passato futuro ossia secondo futuro dell'indicativo, ma suppliscono con le voci di altri tempi.

8. Frequente è in Italia 1' uso del modo soggiuntivo e de' verbi passivi» rarissimo in Sicilia.

Q. I siciliani adoperano anche nel soggiuntivo la voce del modo condizio- nale.

10. L'ausiliare «iwe in Italia è nimicissimo de' passivi , e di alcuni in- transitivi, molto più di quelli che hanno la si all'infinito: in Sicilia si accop- piano a' passivi e agli attivi.

11. I paziènti animati ne' verbi attivi da' siciliani si uniscono col segna- caso a, cosa strana in Italia.

12. In Italia sonovi de' verbi che reggono un nome preceduto dal segna- caso da, questi stessi in Sicilia amano il segnacaso di o attivi fossero o pas- sivi, o intransitivi.

i3. La congiunzione mi dei siciliani corrisponde alla c/ie degl'Italiani unita col modo soggiuntivo. Ma la congiunzione mi in Sicilia tiasporta il suo verbo all'indicativo.

if\. I verbi che esprimono un affetto dell' animo vogliono in Italiiino al sogs^iuntivo il verbo da essi rotto, quidora questo verbo non appartenga al sogetto del verbo da cui è retto. In Sicilia al contrario, se gli date in que- sta stessa congiuntura l'indicativo non ne soffre la sintassi.

1.5. Se il verbo è retto da un altro verbo, che esprime atto della mente, o dai verbi dire, naiTare, sentiiv, provare, uj^fèrmare, licitare ec, qualora la cognizione che esprimono questi verbi non sia certa, ma probabile o dub- biosa, tu dovrai dire se sei in Ilalia si crede ch'egli sia reo di morte, e se sei in Sicilia: si cridi ca iddìi è rreu di morii, giacché iu Sicilia in questo caso la regola del reggimento è diversa.

16. Se ai verbi raccomandare, commettere, "incaricare, comandare, pre- gare, consigliare esoi'tare ec. vorrai accompagnare un verbo retto da essi po- sto al modo definito, in Italia dirai: t't raccomando che ritorniate presto, in Sicilia, vi raccainuniui mi luriiati presta.

17. Alle congiuiizioiii seliiienc, quantunque, ancorché, qualora, avi'egna- chr, comediè, in Italia, tranne qualche esempio in contrario, dovrai dare il verbo di modo congiuntivo, in Sicilia di modo indicativo.

18. In Italia alle parole prima, avanti, innanzi, volendo dare un verbo di modo dcliiiilo l'arai uso del soggiuntivo, in Sicilia dell'indicativo.

ly. Le ligure non corrispondono .traducendosi dall' una nell' altra lingua; p. e. il folto onor del mento, riesce goffo e ridicolo vol^'arizzaudosij iu 'njiuu oiiuri di Iu wc»V«/'o;;m,

i4S

ao. La prosodia delle due lingue è diversa: le stesse voci qui son piane Rdriicciole. L'Italia tronca in line gran numero di parole, la Sicilia non mai. (Il) Pag. 17, ,8 e 86. (^12) Ma così in Sicilia si parlerebbero due lingue contemporaneamente la

Jjropria e la universale? E qual meraviglia se ciò avviene per tutta Ita- la? E qual maraviglia che sia bilingue un jwpolo, che altre volte al tempo stesso ha quattro favelle adoperato, e dallo stesso Spinosa {Pref. al Pasqua- lino p. IX) fu detto centiliiìgues? Noi sempre abbiamo usato una parziale parlatura, e ciò sino da' greci tempi, se non vogliamo negar fede alla te- stimonianza di Plauto ove dice che il siciliano non atticissat , verum sici- lissital. fPlaut. Man. Pivi. y. 11.)

(i3) Cesarotti loc. cit. p. 1:^9. Del primo n'è autore l'ab. Gaspare Patriar- chìi il secondo è riferito dulia tìibbliotcca Italiana.

(i4) Lucchesini op. Lucca i832 , toni. 7, p. 1 33. Del primo n'è autore G. B. Mclchiorri, ed è impresso in Brescia nel 1830; il secondo è riferito dalla Bib. Ital.

(i5) Ivi opera di G. B. Gigli titolata Cateriniano dal nome di S. Ca- terina di Siena.

(16) Bib. ital. tomo 46, i8»;7 , pag. 210. L'uno è di Giuseppe Boerlo, Venezia 1826, e l'altro è riferito dal Brunet ed e impresso in Padova nel

(17) Ivi opera di Francesco Cherubini Milano 1827. Ivi t. 55 , pagina

Q21.

(18) Ivi tomo 46, opera dello stesso Cherubini-, e ivi tomo 55, p. aai.

(19) Ivi tomo 46, del dot. GioyanncUi podestà di Trento, e del signor Azolini di Roveredo.

(20) Ivi di Andrea Vercelli.

(•21) Ivi del signor Ongaro, ivi tomo 55, p. 221, del Zoratti. (22) Ivi pag. 358, Pavia 1829. Tipografia Bizzoni.

(a3) Ivi p. 38o. Sono del Vopisco, del Pipino, del Cappello , del Zalli, del Zalli Barbiè, del Ponza compendiato, e quello grande dello stesso Ponza.

(24) Brunet Manuel du Librairc tomo 4j Bruselles 1821, p. 196, parL. Capello 1B14.

(25) Ivi dell'ab. Galeani Napoli 1779.

(26) Bibil. italiana tomo 55, 1829 p. 221. Sono del Bumald. e del Ferrari.

(27) Ivi Sono del V'eiiluri e dell'Angeli.

(28) Ivi Opera del Nannini.

(29) Ivi Opera del Peschieri.

(30) Nou Dizionariu universali sardu-italiann de Vissentu Porru Castcd- du 1832-1834. V. Bib. Ital. Agosto i836 p. 161.

(^i) Bibl. Italiana tomo 55, 1829, pag. 221.

(32) V. Tiraboschi St. della Lett. Ital.

(3.3) Bibliofh. p. 634.

(34) nobilit. ))ioli:s. grammaticae. lib. 4j p. 242.

(3,5) Mongitore Blbl. Sfc.

(36) Elogio di Mario Claudio Arezzi per Sebastiano li Greci da Siracusa. In Palermo presso Giovanni Baldanza 1824. Raccomando di leggere at- tentamente le pag. i5, 16 e dalla pag. 32 alla 44 e le note 34 e 35, della citati egregia 0|.eretla del mio carissimo e com|jiaiilo li 'Greci.

(37) Non voglio , qui devo esaminare .se la lingua illustre italiana e quella j arlata dal jiopolo toscano siano idenliolie; ho Ibi ti argomenti di cre- der di no, e con mio dolure dissentire da quanto ne scrissero il Uosiui , e jiarlicolarmente il Bugnoli fra i viventi.

(38) Bib. Hai. tomo 55, iSay, p. 220.

^4o

Descrizione dell' Università Harvardiana

\MiA Stati-Uniti di America si avanzano in cultura in potenza in civiltà fattamente che giungon sempre ca- rissime tutte quelle notizie che vertono sulle loro isti- tuzioni. Perlochè avendo noi , sebbene da più tempo , ricevuto da persona benemerita degli studi italiani in quelle famose contrade una rapida storia dell'Università harvardiana , la migliore e la più bella che negli Stali Uniti risplenda, crediamo, sotto ogni verso, di far cosa utile e piacevole 1' arricchirne le nostre Effemeridi , e cosi far conoscere ne' nostri paesi quel celebre stabili- mento; aftinché si vegga quanto affetto e quanta solerzia il governo americano metta nell'istruzione della gioventù, a quali alti personaggi ne affidi la cura , quali sono i metodi che nell'apprendimento delle scienze si adoperano dai maestri, quali le vie che dai giovani si calcano.

Il Direttore.

L UNIVERSITÀ HARVARDIANA

E questa la più antica, e la più ricca, e famosa istitu- tione scientifica degli Stati-Uniti. È fiorita senza inter- ruzione quasi due secoli, durante il qual tempo si è sem- prepiù ingrandita e consolidata , e per la protezione del governo; e per la munificenza di parecchi individui, e per l'uniforme e costante decoro del suo carattere, e della sua amministrazione. Vi concorre la gioventù dei diversi stati dell'Unione, e non di rado vi si osservano i fsc. /ly 4

i5o

Domi di distintissime famiglie dell' America meridio- nale (i).

Fu fondata nel i638 per la beneficenza del rev. Gio- vanni Harvard D. D., il quale legò metà del suo pa- trimonio, la somma di 800 punti sterlini (3, 200 duri), per la formazione di questo collegio, da cui derivò il nome di Harvard College^ ed oggi quello di Harvard Uiiiversitf^ o Collegio di Cambridge. I nomi degli altri benefattori di questa istituzione sono attaccati alle fab- briche, e alle cariche dei professori, che sono state eret- te , istituite o prodotte dalla loro liberalità.

Le fabbriche del collegio , 8 in numero , ( esclusa quella del collegio medico di Boston che appartiene an- cora a questa Università) sono situate sul parco di Cam- bridge , villaggio molto ameno , e delizioso , 3 miglia distante da Boston, in un recinto di 14 acri di terra, circondato, tranne in fronte, da un boschetto di savine. Tre di queste fabbriche sono addette a pubblici uffizi; le altre sono occupate dagli studenti , o per uso di scuole.

Elle sono:

La University (2) Hall questo è edifizio elegante e spazioso, e venne eretto nel 181 4? tutto di granito bianco di Chemsfordy lungo 140 piedi inglesi, largo 5o, e alto 42. La sua dimensione eccede quella di tutti gli altri cdifizì; e la sua architettura è bella, e semplice. Con- tiene: al centro una cappella per lo servizio divino, e per l'esercitazioni letterarie: ai due lati, sei stanze per uso di scuole, due stanze per pubblici negozi i, e giunta per

(1) Fra gl'illustri stranieri che sono stati in questa Università per finire la Ipro educazione potrebbesi anche menzionare Gii'olamo Napoleone Bona- parte iigho di Girolamo.

(2) 1 nomi apposti alle fabbriche sono quelli «le' corpi o degl' ìndiTÌdui a cui spese , o per li cui legati sono slate erette n L' Unh'. Udii, e la Col- lege Haiise sono stali fabbricati a spese deH' Università, e del Collegio: il yiass Hall per donazione dello stato di Massachussct» ; I' llaìv, H. Iforw. Ji.Stouglu. lioLd Chap, per gli legati lasciati dalie jicrsouc dello stesso uouic.

i5i la riunione dei professori, ce; quattro grandi camere a mangiare per gli stuidenti, e due gran cucine al di sotto.

JJHarvard Hall rjuesta è di mattoni fu faljbricata l'anno l'yGS-r-è io8 lunga, ^o larga e 38 piedi alta. Ha nel centro Una cupola con l'orologio, e la campana del collegio. Contiene la libreria, il gabinetto di Fisica sperimentale , il gabinetto di Storia naturale , ed una sala di demostrazioni.

UHolworthf Hall di mattoni eretta l'anno 1812; i33 lunga, 34 larga e 3^ alta. Questo edifizio è occu- pato dalla classe de' Seniori^ ad ogni due de' quali è assegnata una stanza da studio, e due picciole camerette dietro per dormire.

U Hollis Hall di mattoni innalzata l'anno 1704; io5 lunga, 44 l^i'g^? 6 ^7 piedi alta. E un edifizio co- mune con un semplice frontone d'ambo le parti. Con- tiene 24 stanze per gli studenti, e otto sale per uso di scuole.

'i La Stoiighton Hall, della stessa dimensione, e degli stessi materiali deli' ultima è addetta agli stessi usi. Fu fabbricata l'anno i8o4) quantunque la sua apparenza sembri più moderna.

La Massachusetts Hall fabbricata nel 1720, la piìi antica delle fabbriche esistenti, è 100 piedi lunga, e 4^ piedi larga ha tre piani ed una specie di soflitta al- quanto indietro della facciata con finestre alla luterana.

Holden Chapel di mattoni, 5o piedi lunga, 34 larga, e 29 piedi alta, fu originariamente creila per cap- pella, ora è occupata dalla Bajlston^i) libreria medica., la quale contiene ancora il laboratorio chimico, il museo anatomico, e due scuole addette a questi rami.

La College House, di legno ha tre piani, e contie- ne dodici stanze occupale da studenti.

(i) Baylstoit nome dell' individuo per lo legato del quale fu formata que- sta libreria.

l53

La Bajhton libreria medica contiene da a,ooo , a 3,000 volumi, comprese tutte le opere più importanti^ e classiche in questa scienza (i).

La libreria dell' università contiene 26, 000 volumi circa di opere classiche nelle lingue antiche, e moderne, ^y e molte delle quali rarissime, e difficili a trovarsi an-fl che in Europa. E qui depositata una delle tre copie in pergamena scritte da Colombo delle sue transazioni cogli Indiani.

Attaccati all'Università sono im orto botanico^ ed una spaziosa arena per esercìzi ginnastici.

HiOrto è nascente, ciò non ostante, oltre quasi tutte le piante indigene, contiene uu gran numero di piante esotiche, fra le quali moltissime d'Italia, e parecchie di Sicilia. Oltre della casa del Curatore vi si vedono un magazzino per gli strumenti d'agricoltura, e per le se- menti, ed una grande stufa di cristalli per conservare nell'inverno le piante de' climi caldi.

La ginnastica., istituzione utilissima per la sanità e per la fortificazione del corpo, è molto commendabile per un collegio come questo, dove i giovani dediti intieramente allo studio non vivono che una vita sedentaria; è dessa sotto l'immediata direzione del professore di anatomia. Lo istruttore è un tedesco."— Gli studenti vi si istruiscono un'ora al giorno avanti pranzo, e dietro le loro appli- cazioni mentali. Diverse macchine sono costruite a tale oggetto, ed ognuno si esercita secondo le sue forze e la sua abilità.— Si ha una gran cura di non far loro esercitare

(i) Un' altra libreria si è già formata in Boston sotto il nome di Social Laiv Libraiy ( libreria di Legge sociale, o per i socj ), per soscrizioric di tutti gli avvocati, che ha già quasi 2,000 volumi, ed è depositata nel locale de' Tribunali.

Un' altra n' esiste nella Chiesa di Chauney Place sotto il nome di Libre- ria Teologica contiene cirea a 3,ooo volumi.

Quella dell' Accademia Americana contiene quasi 2,o5o volumi di opere di scienze ed arti, e di transazioni di Sooietà IcMcrarie straniere.

La Liircria di lloston contiene 6,000 volumi.

i53 più di loo minuti gli stessi muscoli, e di farli passare reciprocaraente da uà' esercizio all'altro, acciocché quei che hanno esercitato i muscoli delle loro estremità in- feriori, esercitino quelli delle estìemità superiori. Cosi tutto il sistema è chiamato a contribuzione, e tutta la macchina si ritrova in azione. I vantaggi che gli stu- denti ottengono da questa istituzione sono grandissimi: quei la cui salute era quasi perduta ne provano di giorno in giorno un gran sollievo; mentre quasi tutti non man- cano di sperimentare un incremento di forze non ordi- nario, ed una corrispondente capacità intellettuale.

Gli studenti sono divisi in quattro classi; r La prima è de' Freshmen , o nuovi entrati ; la se- conda è de' SophomoreSj o studenti che sono stati due anni in collegio; la terza e de' laniors^ giuniori; e la quarta de' Seniors^ seniori. Il tempo che sono obbli- gati a restare in collegio è di quattro anni. I loro studi sono cotidiani: sono obbligati a ripetere tre volte la settimana; e le classi sono così partite che una divir sione ripete ne' lunedì, mercoledì^ e venerdì, e studia la lezione che l'è assegnata per la prossima ripetizione del martedì, giovedì, e sabato; mentre che l'altra studia e ripete viceversa. La loro applicazione è di 6 ore al giorno, ed e talmente organizzata che ogni classe studia ed attende a quei rami cui è obbligata in quell'anno, senza che gli uni intervenissero cogU altri, e senza la menoma perdita di tempo.

La loro istruzione è affidata ad un professore per ogni dipartimento, e ad un numero tale di istruttori , e di Jettori, che ogni ramo pel suo pratico insegnamento ri- chiede.

- Questi sono: "'^ ";"

1. Rev. Giorgio Otis, A. M. } Istruttori di lingua

2. Giovanni Fessenden, A. M. > latina.

i54

I. , (Eliot) (i), Professore di lette- ratura grecia ( quesl» carica è pel momento ' ^ vacatìte). '• ' ' ' ' ''':•'' ''■ ' '

IL'* '"RevL Giovanni S. Popliln, D. D., (College) Pro-

' '■ '■'' fc<!aòre di lingua greca. '' "^' ti' Giorgio R. Noycs, A.' Mw', Istruttore di lìngua greca. ' ■' ;:;■ ■.;. ,;■.•:■,•

III. Sidney Nillard, A. 'M.','(Hancoclc) Professore di -miiu non lìngua ebraica, e dèllfc lingue orientali, e s(h ~^''*<* ^""gretario della focbltà teologica. I

IV. •'♦^''Giorgio TicTcnor, A. M., (Siiìilli) Professore delle

lingue, e letterature moderne. i ; ;

"i. Francesco Sules , scud. , Istruttore di' ;lÌB^ua •>ul.> iJKJ- f^jlncege ei|in^ù!a "spagnuola. 'v' '''■ '> i-hn<- i-An ài;i Carlo FoUon, I. -U.' D.' Istràttote JMin^a te-

oiol ^-piétrÒ l^rtchiV Lii. D. , Ikmttore di lingua q ••^^'•''' **''' letteratura italiana. i

y/iU eui<ji5^^j^^: Ta^ia&r, A. M., (Hollié) Professore di r.ij'ijj;^ 1 n^atémdticliei,' 'e' fìsica' sperim'entàle. ^ '4'i' Giadónio Haj^ward,, A. M.,) Istruttori di matc- "'''^''ii.;Ni]/tariiele Gaggj A. M.,( mtJtiche, e ^fisica ''■ •'■'3.'*dìorgìò Ripléy,' Al B.,V sperimentai^.' Vli^'". '^Eclùardo T: Clmnning, ' A. M: , (Boyhton) -Pw)- ,«'i!iu;li feisbré di rettoricà', ed arte oratoria. Vll;^"'' Lfevi'tìedge^'LL. D. , (College) Professore di

logica e metafisica. •■■i: ...

^M'J'''[-'' ■- ' M'^ ' i; 'ì,- (Massaciiiesetts) Professore di iIj ri f '■' sti3i'ia Maturale (vaca nel momento), "li'-'iii " ''^r.'Totìimaso Nuttall, scud., lettore di botàtóèà'i

e curatore dell'orto botanico. IX. Giovanni Gorliam, M. D. (Erving) Professore

di chimica.

_ ,MÌ ,Mt: : t (i) I nomi in piezzo a due parentesi, prefissi alle cariche dei Profossori, indicano i corpi griadividui da cui souo state queste istituite e dotate.

i55

X. ■■ ' , Professore di mineralogia , e geologia (vacante).

I. Giovanni N. Webster, M. D., lettore di chi- mica mineralogia, e geologia.

XI. Giacomo Fackson, M. D. (Flcrsey) Professore

di medicina teorica, e pratica.

XII. Giacobbe Bigolow, M. D., (Rurabford) Profes-

sore di materia medica.

XIII.* Giovanni C. Narren, M. D., (Hersey) Profes- sore di anatomia, e chirurgia, e decano della facoltà medica.

XIV. Walterio Channing, M. D., Professore di oste- trica, e giurisprudenza legale,

XV. , (Alford) Professore di dritto di

natura, , filosofia morale, ed ecouomia politica (vacante).

XVI. * Onorevole Isacco Parker, LL. D., (Rojall) Pro- fessore di legge.

XVII.* Onorevole Asaele Stearns, LL. D., (University) Professore di legge.

XVIII.*Rev. Enrico Ware, D. D., (HoUis) Professore di teologia.

XIX. Andrea Norton, A. M., (Deyter) Professore di storia ecclesiastica.

CXrlo Tolsom, ,!k'.' M. j Bibliotecario.

Si richiede che i giovani prima di entrare nel collegio abbiano fatto lutti gli sludi pre- paratori, che conoscessero l'aritmetica, la geo- grafia antica, e moderna, e che fossero versati nel greco, e nel latino.

Doltissiino medico, nipote del celebre Waxzen morto alla balLigUa di BunUr-Hill.

Giudice della corta suprema di giustizia.

GiuiUci della Coite suprema di giustizia.

i56

L'amministrazione dcU'Uiiivcrsità è affidata ad un presidente, quattro membri, un tesoriere, due procuratori, ed un maggiordomo. •— Occu- pano queste piazze ai presente: di

Presidente, Rev. Giovanni Thorthon Kirkland, D. D.,LL. D.

1 . f Rev. Elipholet Porter, D. D. M } -2- VOnor. Guglielmo PnEscoLT,LL.D. ^^ ^3. i* Gnor. Carlo Iackspn,LL.D. 4- ' *Onor. Giuseppe Storx, LL. D.

* Tesoriere, Gnor. Giovanni Davis, LL. D.

, ./'>!i!t; ir

n . i- K Guglielmo Farncer, A. M.

Procuratore 2. | Gugliel»io..I>;.J[.pnt; A. B,

Maggiordomo, Stefano Higginson, Iun»ore, Scj

Avvi finalmente una sopraintcndcuza composta dal Governatore dello Stato, Il Vice governatore,

I membri del Consiglio e del Senato, L'Oratore della Camera de' Rappresentanti,

II Presidente dell'Università ex ojjiciis, ed altre ventotto persone primarie della città.

Cambridge nella Nuova-Inguilterra.

* Teologo doMissimo.

Giudice della Corte suinciua.

tS']

LETTERA INEDITA DI V I w c E N z o Monti

r i: ..I .

Ferrara q maggio iJTf.

Amatls^^. sl^' Padre

Jb^ermettetemi che questa volta scrivendovi io mi pre- valga del f^oiy giacche il rispetto d'un figlio verso del padre Bon consiste nelle parole. Spiacemi di sentir dal iVàtelio , che siate rimasto mortificato per la proposta da lui fattavi a nome mio di portarmi a Roma. Farmi che dovreste anzi compiacervene, e ve ne compiacerete certamente, perchè siete amoroso verso di me , e pre- muroso de' miei vantaggi. È d'uopo che restiate ornai persuaso, che l'aria o di Ferrara, o di Fusignano non è salubre per me, voglio dire che rimanendo in que- ste parti io sarò sempre un ozioso, un meschino, con- stituito in una quasi totale impossibilità di rendersi vantaggioso a se medesimo, utile al decoro della casa, perchè condannato a seppellire in una oscurità perpe- tua quei pochi talenti , che Dio mi ha compartiti. Vi ho già detto altre volte, che lo sudio legale , medico, matematico, o altro non è per me. Il mio Genio non può combinarsi con siffatte scienze; e chi è che preten- de di deviarlo, se egli dalla natura è jjortato ad altra parte? So che qualcuno la pensa diversamente; ma que- sti dovrebbe vergognarsi di se medesimo, e non volere che tutti sieno avvolti nei pregiudizi dell'interesse, poi- ché l'uomo intento solo, senza bisogno, ad accumulare, non glorifica la mano di Dio che l'ha creato. Per l'al- tra par-te, intendo bene quanto sia difficile ad un padre

i58

cìie ama, staccarsi da un figlio, che allontanandosi da lui per lungo tratto di paese, toglie di mezzo la pos- sibilità di rivedersi spesso vicendevolmente. Io sono troppo sensibile a queste riflessioni, e nel riandarle col- la mente mi sento fortemente combattere dalla tenerez- za, dall'amore per una parte , e dall' altra dal dovere in cui sono di pensare a me medesimo. Ma poscia por- tando lo sguardo sull'avvenire veggo troppo grande il bisogno di non pregiudicare al mio proprio interesse. Voi stesso negando di consentire alle mie risoluzioni presenti, con qual coraggio potreste un giorno mirarmi languire in un ozio» vergognoso al vostro fianco ; 'Con- dannato ad un genere di vita troppo indegno di me, e delle speranze che si son concepite su quel talento, che finora è rimasto sepolto ! Io aveva un figlio , potreste allora dire, che poteva formare il mio contento coll'ac- quislarsi concetto, e fama non mediocre, poiché l'esal- tamento dei figli ridonda in onoi-e dei Genitori , che poteva stabilire la propria fortuna , e il decoro della lamiglia, che avrebbe insomma assicurata la felicità dei suoi giorni ; ed eccolo adesso per cagion mia , per es- sermi lasciato tradir dall'amore,' e dagli altrui consigli, eccolo ridotto ad una perpetua oscurità; q^uesti sareb- beip i, sentimenti,' che vi nascerebbero in core, efletto d'un l'iòaorào di cui forse dovreste rendere stretto conio al SignoVe nel punto di morte. Insomma riflettete se- riamente SU' questo affare, e spero che Dio v'illumine- rà, acciò accordiate l'assenso alla mia partenza per Ro- ma. Le persone che spontaneamente si prendono l'inca- rico di avere una particolar cura di me , devono assi- curarvi abbastanza della mia buona condotta. Sapete quanto mi voglia bene queijto nostro amabilissimo Car- dinale Borghesi, e questo piissimo Vicelegato Serra, il quale a quest'ora mi ha dato, con dimostrazioni di par- ticolare amorevolezza, mille stimoli per effettuare il mio

disegno. Aggiungasi a questo clie in Ronttà' io' sotto' co- nosdiuto ; e che vado assistito da una prevenzione assai favorevole. Tutte ffueste cose devbtio movere il Mostro ahi mò, e disporlo ad un facile i^àsenso, 'per non metterìni iri costernazione, e ridurmi à Violare di sperar: tarticntò l'obbligo che n*ii òòrre àà utbidirVi; i"CiÒ nòti sarJ^mai, perchè voi isiéte ra'gionevtìle, e conoscete' tròp- po'bène la forza del dovere in cui siete' di non irapè- dfré'ì vantaggi de' vostri figlii " ' ' " "i '""' J''»-""""- * 'intanto sa lata le mi caramente Madkyie 'Pispolime- la dòn "buone considerazioni a sofTri'Te 'il "'dispiacere di staccarsi da me, che l'amo, e che 'fin dà' qtìe^tò intì- m'éiifo còn'iiùcio a risentirmi di questa amara divisione. Vi abbratóio col cuore, e ^ sótto';""'! i>"r i> '^.v'ii../oi;;. •'■!''■ Il vo^i^ àinòrósiséMófigtlÓ

VINCENZO.

ni !ilii i:i!!"i'ii^')l iMi'i.i '.il .' .1 ni )'■ hn m!. ..i ' ' —• '~^

'' "•' ^l!)ià fdróte sii; 'Vincenzo Monti h "propòsito' ''"''^ della riferita lettera* , . •'•" '

Non sarà "per avventura 'discaro 'che io' 'cogliendo il d'éstr(^ della pubblicazidn'i'e della cehnata lettera, una no- vtìla' lagriina' versi suHà'-^Òriibà di Vincenzo Monti. " ' ■' \ O'ghi- cosa che i grantritìg.egiii ris^uai'da ' tornerà ' setìì- jìre cara ed' accetta: e si e per f|uestoi'é!i'e i' ^lolò^i più V?pliÌM han raccòlto in tutti i tempi, co'ti'sòriimà; cui-a è 'éotiiiViàfàtìcà','aliche le piìt ittintite' pàrlièolarità di cb- lor'ò che' giganteggiarono su gli uomini. 'La lettera che àbbiain pubblicato, a tutti ignota, e die iioi avemmo dai congiunti di Vincenzo Monti, scritta sessantanni or sòho, mentr' egli era giovane, figlio famiglia, e sto - lare '^ non può non accogliersi ed avidamente le^gèt-si.' essa si conoscerà come ferveva l'anima hel suo petto, e com'ci volesse gittarsi nel gran mondo, ed uscire dalla

i6o

oscurila in cui giacca. Se il padre di lui si fosse osti- nato a non inviarlo in Roma, ove poscia un gran campo si dischiuse alla potente sua fantasia, sarebbe forse abor- tito quel singolare ingegno , o per disperazione chi sa qual via avrebbe battuto. Egli è certo che Vincenzo Monti in angusti limiti stretto non potea rimanere: agi- tato da affetti gagliardissimi, con un sentimento sublime di doversi segnalare nel mondo, con un amore di gloria smisurato non poteva non aprirsi una luminosa carriera.!

Ecco in quql guisa energica si pronunzia spesso la natura: alla voce di lei non si contrasta; ed ogni forza dalla forza sua è vinta.

La presente lettera darà un'idea chiara e precisa della giovanezza di quel grand'uomo, e dei germi che nutriva iieir animo , e che poscia maravigliosamente sviluppa- ronsi.

Il padre a quel foglio del giovinetto figliuolo si com- mosse, la madre medesima, che tanto teneramente lo amava, perorò per lui, e Vincenzo partì per la cittadc eterna.

Non vi ha uomo di mezzana coltura e di anima sen- sibile, che alla vista del Panteon e del Colosseo non si scuota: r ardente petto del Monti s'infiammò: egli so- vente solo aggiray?isi nel romano foro, e diceva che u-r «a mano occulta su di se medesimo l'innalzava: i tem- pi i circhi Ip naumachie gli archi le colonne le tombe tutto lo colpiva, e agli studi con più fervore attendeva., In brevi anni chiarissimo divenne a Roma il nome del Monti: r Arcadia suonava dei suoi bei versi; le società lo ambivano; i potenti lo careggiavano. Egli studioso dei Greci e dei Latini , e fortemente appassionato di Dante, in un' eppca in cui Dante si negligeva, fece ri- tornare in istima e in venerazione lo studio di questo gran padre delle italiche lettere: ci fece guerra ai pa- rolai, «He vuote rime, ai frondosi seguaci del Frugoni,

i6i e divenne creatore eli un nuovo stile alto sublime ve- ramente poetico. Quindi pieno di filosofia la lingua ed il petto andò mano mano scrivendo con quella ispira- zione santissima, che a seconda dei diflTerenti casi più fortemente V infiammava, tutta quella immensa varie- tà di componimenti , che solo dai presenti corrompi- tori dell' italiana letteratura potranno esser posti in non cale, ma che da quelli che hanno in onore il bello stile, e la poesia che sapienza racchiude, saranno sempre sti- mati un monumento splendidissimo dell'italiano Parnaso. Vincenzo Monti di anima facile a ricevere le impres- sioni, ed ingegno versatilissimo per esprimerle, ebbe di mira ne' suoi scritti la virtù e la patria: questo senti- mento dominò sempre, e dalla Bellezza deW universo^ il primo suo componimento , sino alla Feroniade che fu l'ultimo, non si smentì mai. E sia eh' egli le virtù di Pio VI cantasse, sia che contro i furori deiranarclùa francese si rivolgesse, sia che la repubblica lodasse, sia che preso dal valore del più grande guerriero dei no- stri tempi, le immortali gesta, al suono di una lira ma- gnifica, descrivesse, egli un voto non fece mai che per l'Italia non fosse, un pensiero maculalo mai non con- cepì.

Chi penetra dunque nel carattere di Vincenzo Monti, ed è lontano dalle passioni che lacerano spesso i con- trari partiti , non vi scorge quel crudo che altri con penna insanguinata vi ha scorto. Sono omai quasi due lustri che Vincenzo Monti sparve dalla terra ; ma la verità sfavilla di una luce tutta sua, e vince alla fine il furore delle passioni umane. Coloro ch'erano amici e fomentatori della tragica democrazia francese divennero fieri nemici di lui, quando nei splendidi versi della Bas- villiana li colpì: quelli ch'erano sostenitori del potere assoluto trovarono nei canti sublimi della il/rti'c/ic;ro«/<t- na atterrato il luro edificio , e fecero segno delle loro

i6a

vendette l'autore di quel maraviglioso poema; gli anti- chi aristocratici poi, i repubblicani, i costituzionali,, i liberali di ogni specie che mal vedevano l'innalzamento e la potenza di Napoleone gridaron la croce addosso all'autore del Sardo della selva nera, della Spada di Federico II. , della Jerogamia, della Miisogonia e di tutte quelle maschie poesie che il vincitore di Marengo e di Austerlitz salutavano. Quindi sorsero tutte quelle voci ingiuste contro il cuore ed il carattere di Vincen- zo Monti : voci che a vicenda lo laceravano e calun- niavano. Ma quello che deesi considerare in favor suo si è ch'egli poeta sommo , ed inlerpetre dell' opinione dominante, adempì sempre agli obblighi del santo mini- stero del vate, ch'è quello di predicare la virtù, di am- maestrare i popoli, di attaccare i pregiudizi, d'insinuare quelle verità che sono eterne sotto qualunque domina- zione. S'ei, poeta di altissimo grido, avesse fatto guerra a I*io VI per secondare i primi movimenti popolari di quei tempi; s'egli avesse lodato l'anarchia per liir pia- cere ai democratici; difeso T antico potere assoluto per andare in cuore dei partigiani delle cadute dinastie; se si tosse taciuto innanzi alla gloria mapoleonica , per te- ma di disgustare tutta (juella ujassa di terra ch'era sta- ta da lui vinta ed incatenata, non sarebbe stalo certa- mente segno ai tanti colpi dell'invidia e della calunnia. Ma egli segui rimj.ulso prepotente del suo cuore, che fu sempre quello di lodare la virtù, ne al vizio si prostrò mai, ne innalzò mai l'ara al delitto; difatti ninno scritto pubblicò che non tendesse allammaestramento degli uo- mini. Vengano i nemici di lui a citarmene un solo che a questo jSne non tenda. Egli secondò l'ispirazione po- tentissima che in lui s infondeva dai straordinari e ma- ravigliosi casi, che avvennero in una straordinaria e ma- ravigliosa epoca. Quindi, da poeta, tessè la storia degli avvenimenti politici del suo tempo, come Omero e Lu-

i63 cano, pei tempi a loro vicini avcaa fatto. Egli adempì alla missione del vate, e fu sommo.

Salve spirito immortale! dalle sfere celesti quaggiù lo sguardo rivolgi, e del tuo santo lume me sorreggi ed infiamma, me, che tanto amasti, e uella carrieia delle lettere con forte mano spingesti.

F. Mal VIGA.

Projet d'association pour la publication d'une Revue Sicilienne— 'Pater me imprimerie de Francoie Lao i83y.

Mentre la Sicilia altamente si duole che colpi ingiu- sti, ed iniqui le vengono da straniere mani al continuo scagliati ; e mentre i siciliani scrittori , potente ba- luardo dell'ouor nazionale, le maldicenze, le calunnie , le vigliacche ingiurie con penna che non perisce ribat- tono, e le antiche e le moderne virtù della loro patria con animo imperterrito difendono , cosa carissima è al nostro cuore il render palese che uno straniero, fra noi dimorante , e che noi quindi conosce , ed è piena- mente informato del nostro animo, dei nostri desideri, dei nostri bisogni, della nostra innocenza, e di quel clie siamo, e che potremmo essere, si è indossato il nobile peso di onorarci, e presso gli oltremontani ed oltrcma- riui difenderci con fatti positivi e solenni; facendo loro conoscere le cose nostre, e noi stessi non con maschera- ta tìsouomia, ma con quella vera ed immutabile che la natura, e l'eterna virtù di questo suolo ci ha dato.

La Rivista Sicula è slata concepita dal sig. Alfonso Armand , e verrà dettata in francese , onde colpire il segno, ed ottener pienamente questo fine: e noi perciò non possiam non manifestare al valent'uomo che Fha im- maginatajC a termine vuole condurla la gratitudine nostra.

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Imperciocché la reputiamo di altissimo momento, sa- j)endo bene per trista esperienza, come la plebea ciurma degli stranieri viaggiatori , che portansi a visitare le nostre contrade, i)ercorrendole come i Cosacchi potrebbero jìcrcorrere un paese vinto dai nemici, ed abbandonato alla furia dei predatori, ritornati a loro nativi paesi spac- ciano mille fole sulle nostre istituzioni, mille scioccherie sullo stato delle nostre scienze e della nostra letteratu- ra, e mille calunnie vergognose sopra i nostri costumi, e la nostra vita civile. E ciò senza aver conosciuto un uomo di senno, senza aver letto un nostro libro, senza aver visitato i santuari della siciliana sapienza, e le so- cietà civili del paese, e le biblioteche che continuameu- le riboccano di studiosi, e senza aver penetrato in quel- lo spirito generoso e magnanimo di progredire in civil- tà, che letà nostra distingue, e che in Sicilia grandeg- gia. Costoro, addormentati nelle locande, con i bicchieri di rum o di acquavite alla mano, e al più al più con aver misurato qualche diruta colonna o qualche flagel- lato capitello ( che in questo fan consistere il più im- portante de' viaggi), giudicano decidono sentenziano alla scapestrata; e dicono di non aver conosciuti uomini di senno, perchè Sicilia non ne ha; non han letto libri di Si- ciliani, perchè nessuno ne stampa, e se ne vengono in luce nieritan di essere bruciati ; dicono che i nostri costumi soii fescennini, perchè visiteranno forse i soli luoghi della corruzione, che sono gli stessi in lutti i paesi; dicono le no- stre istituzioni barbare, senza sapere, che sono le stesse della più colta Europa: sentenziano esser nulla o meschina la nostra cultura, le donne depravate, il vizio in trionfo, e non altro essere insomma fra noi che collcUi ed assassi- ni. Queste ed altre iniquità di simil foggia si raccontano, si slajupano, si diffondono per l'Europa, e si credono. Legt;clc gli Ovol, i Decondray , gli Smith , i Saint Gervuis, e mille altri scritti anonimi che si pul)blican

iG5 sempre nei giornali forestieri sulla Sicilia, e voi freme- rete d' indignazione e di orrore. è la sola Sicilia vilipesa dalla straniera calunnia: le infamie che a noi si dirigono, dirigonsi pure a tutta Italia, a questa deside- rata Italia, terra maravigllosa di splendore e di sapienza; quindi dal Cenisio al Lilibeo non vi ha che un sol gri- do di sdegno.

Il divisamento adunque del signor Arraand è generoso e nobilissimo, e noi con tutte le nostre forze vogliam secondarlo e favoreggiarlo, e vorremmo, per bene gene- rale dell'italiana famiglia, che in tutte le italiche prò vin- cie s'imitasse.

Il sig. Armand, per mezzo delle sue commerciali re- lazioni, vuol far circolare la rivista siciila in ogni con- trada del mondo, e farla penetrare in tutti i più recon- diti luoghi, ove sono uomini, a cui non è straniera la lettura di un libro; acciocché si conoscesse che Sicilia è in questo globo, ch'ella si ricorda essere uscitidal suo seno raggi di luce eterna, e che, malgrado le vicissitudini a cui è soggiaciuta, non mai si è- spento in lei quel sa- cro fuoco, che fece grandi le antiche generazioni.

Le butj dice il brav'uomo di cui parliamo, doit étre de faire connaitre ait dehors la Sicile ielle qic' elle a éte\ ielle qic' elle est^ ielle quelle pourrait étre avec ses ruineSj ses monumens^ sa fécondité^ ses savans, ses tresors.

Speriamo che questo santissimo scopo si consegua, e che tutti i Siciliani associandosi ad un'opera emineri- leraente patria l'oaGrino, e la sostengano.

F. M.

fase. 4y

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1

AVVERTENZA

Uno degli oggetti cui ho rivolto il mio Giornale si è la illustrazione delle migliori pitture di' esistono in Sicilia , dimodoché nei nostri volumi possa il nazio- nale e lo straniero., rinvenire tutto che di pia impor- tante in fatto di questo genere da noi si possiede. alt antico solamente sono dirizzate le mie cure., bensì al moderno eziandio. In effetto andransi in queste pa- gine costantemente illustrando tali preziose gemme delle belle arti ; siccome ne ho già dato V esempio , dacché solo la direzione assunsi delle Effemeridi si- ciliane.

Sopra alcuni dipinti esistenti in varie chiese di Lipari.

I . Dopo di avere illustrato la tavola della presenta- zione di G. C. al tempio in una lettera indirizzata al- l' autore delle Memorie dei Pittori Messinesi (i); ven- go ad illustrare altri dipinti di non minor valore, e clic sono ignoti non solo agli stranieri, ma al più dei Sici- liani medesimi. Bellissimo primieramente è quello del più gentile fra i pittori della scuola bolognese, del di- pintor delle grazie, dell' Albani. È desso in una tela posta sulla maggiore ara del tempio alle anime pur- ganti dedicato: è di palmi 12 lungo per 8. La Vergi- ne, cui vaga gloria di angioletti adorna, ci si presenta col pargolo Gesù intra le braccia; ed all' ingiù ammi- rasi di anime benedette folto stuolo in arsi corpi, che alzate a Lei le palme, par che preci devote e caldis- sime emerger volessero dalle infocale labbra. Di vez- zosissime forme è la Verginella (piasi compresa di pic-

(1) Spettatore 2aucko N. 22. Anno secondo.

167 nel volto per le pene, che sofiìono quelle anime: è tutta grazia; e la grazia e una espressione, ed essa non mai si mostra senza narrarci qualche nobile sentimento del cuore. E in quel capo che dolcemente s' inchina, si ammira la maggior grazia possibile ; così i maestri in pittura e' insegnano, che riposa la bellezza , ove si rompe la regolarità delle linee (i), e quando Catul- lo si fé' a descrivere la vezzosa Acone, rappresentolla leviter caput reflectens. Il divino pennello dello Al- bani par che nulla di più grande abbia prodotto di quanto oprò nel pingere quel bambino, il cui purpureo labbro e guance rosate fanno un bel vedere, come fan- no tralucere tutto 1' amore di un Dio , e la di lui possanza insieme ; e se vi fate a risguardare quei due angeletti restanti agli opposti lati del quadro, che haii di già strétto per la mano due di quelle anime pur- ganti, conoscerete ivi esistere il campione delle grazie, esser 1' Albani quell' uomo che chiudea nel petto spiri- to sensibile, e libero, ma a grazia solo soggetto. Il di- phito è una poesia, e deesi quasi assomigliare l'Albani al cantore di Teo. E da lui prendendo esempio i mo- derni pittori dovrebbero meglio studiare nei loro con- cetti, e conoscere così altro non essere le dipinture, che poesie da colori rappresentate. Raffaello nel Vaticano, e nella Farnesina , i Caracci nel palazzo Farnese, Giu- lio Romano nei dipinti del Te, Rubens nella galleria del Luxemburg si mostrarono insieme eccellenti pittori, e fervidi poeti.

2, Nella Sagrestia del tempio di S. Giuseppe sta una tela riposta lunga palmi 8 per 6 circa. Essa ci pre- senta se non 1' opera , la copia dello Zampi eri fa- móso dipintore , e di Dionigi Calvart , e dei Carac- ci il prediletto il migliore dei discepoli, quello cui l'Al- garotti estimò superiore ai Caracci , ed il Pussino il

(•) V. Hogarllij Analy-of bcaut.

iG8

disse primo plltor tlopo Raflàello.— Ecco a pie ge- nuflesso di un venerando ministro degli altari, di sacri aljiti vestilo, quello scarno Girolamo che mal reggcntesi sulle ginocchia viene sostenuto da cinque allrc figure ; e l'una gli sorregge la destra, e l'altra il dorso, e cia- scuna da pietà compresa il guarda, e piange. Come il pallor di morte vi si legge sul viso! ignudo rifinito co- me si è, tristezza ispira ed orrore a cJii lancia in lui lo sguardo , e la pelle gli va a visitar le ossa , e toiria tosto il pensiero a quanti lunghi rigori di penitenza egli espose il proprio corpo colà nell'incavata roccia. Ninna veste il copre, solo di bianco lino ha cinto i lombi, è im rosso manto si vede negligentemente cadere sulle due scalane coscie. Patetica è la espressione di quel V0I7 tò, più si rabbuffa allo squillo della terribile troiiv*- ba , che quasi cerio di sua felice sorte mostra sentita purezza, e tranquilla calma. A suoi pie resta anche spi- rante di dolore il leone , che il pennello ci ricorda di Apelle. Al lato sinistro del quadro , e dietro il calvo ministro stanno tre cherichetti, uno dei quali un calice sostiene, ed altro in ginocchio stringe un libro uella destra; ed all' insù tre cherubini par che scendano dal Cielo stringentisi 1' un l' altro le mani a confortare il moribondo Girolamo ; e se in quel punto il tutto vi sembrerà freddo, ricordate che la morte, e gli ultimi aneliti di vita, che van lento lento cedendo cran pre- senti alla mente dello Zampieri.

3. Nella Chiesa dei PP. Cappuccini è un nobilissi- mo quadro, i3 palmi lungo per 8 1^2, raffigurante l'As- sunzione di Maria, che sembra bellissima, e compostis- sima figura, adorno il capo di rilucente gloria di sei vaghissimi angelelti. Stassi alla destra un gruppo di tre figure, e la prima che si presenta è 1' attempato Bona- ventura in arredi sacri, che appoggia ad un l)acolo la sinistra, ed indica con la destra quasi contento laugu-

169

sto mistero tlell' Assunzione. Slavvi clletro un vago put- tino, i cui sguardi sono alla Vergine rivolti; ed un ca- nuto frate, il quale stringe colla manca un libro, e la tremula destra appoggia ad un bastone. In sulla sini- stra poi del quadro resta lo stimmatizzato Francesco, aperte le mani, ed in un' estasi beata di amore rapito, la cui faccia è oltre ogni umano immaginare bellissima: il slegue colossale ligula, la quale sorregge in sulla di-itla mano insanguinala pelle, già dilaniata a brani, ed imjm- gna la manca il micidiale coltello. Egli è il martire della famiglia dei Tolomei. Qui tutto è grande, ed il grande campeggia nell' azione, e la domina ; nobile il ])cnnello, ed ottima quella diilicillssima scienza dell'arte della pittura, il disegno; bellissimo il colorito, ove sta lo incanto della pittura medesima. L' Autore non adotta ne il verde, quel colore die l'Aligliieri disse » Dol- ce color d' orientai zaffiro », ma come debb' essere il co- lorito all' azione principale uniforme , e come, al dire del Saint-Pierre (i), la impressione del colore non va mai scompagnata d' aflètto, e nel sullodato dipinto non altro debbe nascere che l'amore, e la gioia: l'ingegnoso Autore adotta il più gaio dei colori, il gialletto ed il rosso; difatto la progressione ascendente dal bianco del viso al rosso, e gialletto della panncggiatura reca leti- zia all' animo, perciocché molta luce predomina in quel- lo. Il pittore sembra ignoto, ma per relazione di vec- chio Frate, Padre Giovanni da Lipari, che òr chiude il cerchio di diciotto lustri, si seppe esser quel lavoro di Fedele da S. Biaggio sacerdote Cappuccino , fatto noi .1794, celebre nell'arte pittorica, che studiò per lo spa- zio di 3o anni in quella Città, nella quale surte una fiata le belle arti, trovarono perfezione ed eterna durala. 4. Nel tempio stesso esiste altra tela di palmi 9 di lunghezza per 5 circa , opera del pittor Giuseppe sa-

. (t) Etud. X. de la Nat. De S. Coulcurs.

l'jO

cerdotc Russo. Nacque costui in Barcellona di Sicilia^ e si avviò per tempo in Roma ad apparare la pittura. Quel quadro rappresenta la Vergine iu atto di porgere a S. Felice da Cantalice, il bambinello Gesia , ai cui pie sta devotamente prostrato il B. Lorenzo da Brindisi colle mani giunte; alle due opposte parti ed all' insù della tela S. Chiara, e S. Antonio da Padova in mezze fi- gure. Al disotto di S. Felice un angeletto si vede te- nere alla sinistra un giglio, ed alla destra una bisaccia piena di pane. Alla destra del quadro all' ingiù resta il B. Bernardo da Corleone, legate le mani al petto, te- nente alla destra un insanguinato flagello, ed alla manca una corona. Qui in questo dipinto molte figure interes- sano, come quelle della Vergine, del Bambino, del Santo da Cantelice; e nel B. Bernardo la pallidezza del volto appalesa, ed ispira la calma di bella devozione , e di sua lunga penitenza. Ottimo si è il colorito del quadro; regolari, e piacevoli i contorni di tutte le figure. In ge- nerale due sono i difetti di questo più che mediocre di- pintore, quelli stessi, che con tanto giudicio seppe ben mettere a critica V insigne Pietro Giordani alla presen- tazione della Vergine del Camuccini, ed all'altro dipinto del Ferrucci; cioè che come il primo suole nei suoi di- pinti rompere 1' unità di azione; e molti pittori moder- ni e antichi, quantunque valenti nell' arte, pecchino e peccarono di questo difetto, e di dar luogo sovente di principali a tali figure, che dovrebbero avere situazio- ne di accessorie, e d' introdurre di quelle meramente superflue; e nei suoi dipinti i volti delle figure non sem- pre quella precisa distinzione di carattere presentano, che interessa come il secondo, e come tenne il Giordani, io credo ciò addivenire dall'essere continuamente astretto a dipingere sacri obbietti. E parlando dell'unità di azione richiesta come in poesia, così in pittura, la composizione si slega allorché s' introducono iiioUe figure nei dipinti, perlochè il Mengs, a retto giudizio, dice » Riempire i

»7« » quadri di una folla di figure è diamelralmenle con- ce trario alla pratica degli antichi Greci , che usavano » metter poche figure, affinchè la loro perfezione fosse » più visibile.» Ma saranno esse necessarie a chiarire il soggetto principale, come nei poemi lo sono gli episo- di, pure ci ricorda il Milizia , seguendo i principi del Sulzer, e del Mengs » Fra gli episodi ed il soggetto » principale ha da essere un legame fatto, che non si » possa togliere una sola figura, senza che la macchi- » na cada, o se ne risenta», ed in ciò molto difettava il nostro Russo.

Can. Carlo Rodriguez.

Sopra il ritratto della Contessa Agata Grifeo Mon- cada eseguito da Giuseppe Rapisardi da Catania*

Al Professore Carlo Gemmellaro

Giuseppe Alessi salute

Non ha guari ci siamo noi occupati di quel su- blime pensiero dei Greci , che scolpivano le statue dei loro Eroi , in quello atteggiamento , in cui prin- cipalmente grandeggiarono ; onde gloria ne' trapassati , emulazione nei viventi e nei posteri ne proveniva. Cosi al pari scolpire e dipingere le immagini di nostra età si dovrebbero , e far servire la scultura ed il pennello ad imitar natura non solo, ma ad eternare le sembian- ze delle virtù, che principalmente nei subbietti effigia- ti spiccarono , ed essere esempio loquace per chi con- templa e mira. Tale a me sembra il quadro , in cui parmi di avere anima e vita la contessa Agata Grifeo e Moncada , giovane donna di tutte le virtù, di tutte le grazie del sesso, di ogni ingenua e liberale discipliiui,

a lei conveniente, adorna, intmaturamente da morte ra- pita ; la cui immagine il conte Giuseppe Grifeo, di lei fido marito , volle che non solo in marmo , ma anche in tela dipinta restasse. Or (piale, fra le tante virtù che la fregiavano, a rpiella mula imagiiie trasfondersi? quale meglio esprimersi, quale richiamarsi agir occhi all'iuten- dimento al cuore, quale riprodurla all'immaginazione dei cari suoi, e renderla sempre interessante ed instrultiva potca?... Il materno afì'clto! principio centro e termine de' pili dolci sentimenti della più amabile pietà. Quindi tu miri in decorosa stanza Agata sedente, semplice no- l)ilc modesta, nel cui volto ravvisi gentile beltà di ma- trona, ben delincato il fronte, ^profilato il naso, sopra- ciglia ciglio occhi guance bocca e mento ben coloriti e composti , che a modello di beltà prenderesti ; pog- giante il destro braccio e la morbida mano su la s[)al- liera, mentre la sinistra è rivolta verso il tenero figlio Benedetto, che le sta al destro ginocchio in piedi pog- giato , coll,e manine ivi incrociate , volgendoci il roseo volto, di biondi crini inanellati, di occhi azzurri, di co- rallina bocca, quale a puerile beltà nascente conviensi, adorno; e sul destro il sinistro pie ripiegando. Ma non è solamente lo spensierato fanciullo , che la pietà ma- terna in mente richiama; sono altresì le due figliuoline Lucia e Concetta : la prima delle quali par che legga le preci del mattino, e 1' altra dietro stando, poggian- dole su le spalle la tenera mano destra , in punta di piedi ergendosi, graziosamente sul libro della sorella mi- ra , e parti che legger voglia. Onde Agata nella com- postezza del volto e de' begli occhi appalesa la dolce all'ettuosa compiacenza di tenera madre. A quella pia- cevole scena è presente assiso il buon marito Giuseppe, ripiegando sulla spalliera il braccio sinistro; sembrando che attento ascolli la dolce voce della figliuola, e quel contento provi, che a diligente padre, in seno di paci- fica famiglia, vedendo i figliuoli alla pietà rivolti, con-

yenga. Laonde in 'tutto il ijuàciro regna un' anima un i^éntimeiito un affetto , unica semplice compita azione , amore, cioè, di afièttuosi genitori, che educano i fi<;liuoli à virtù. Quindi accortamente il pittore scelse quel pia^ cevole istante quell'ora quella scena domestica quel tà- cito linguaggio di all'etti , che non solo a tenerezza il cuore dei genitori, ma ancor di ogni spettator commove* Con avvedutezza diede costume e vesti proprie non già di un giorno solerme di pompa , ma di un giorno di pacifica quiete, ad ottimati conveniente. Diede in pria figura é costume proprio ad Agata, giacche tal'era nel nobile modesto portamento, nella taglia maestosa della vita, nel gentil volto e nelle vaghe membra; e tale il pittore fitta l' aveva in mente , efiìgiandola al vivo , benché da qualclie tempo morta ; e credo che de- cente ed atteggiante vista in casa ella avesse, giacche al- trimenti, come il bello accordo delle tinte del viso, di quegli occhi color di tanè , di quei biondeggiatiti crini semplici e con grazia annodati , quelle ben de- lineate morbide orecchie, di sole gemme ornate, quel trasparente velo che ombreggia modestamente il seno', quella veste cilestre , quel treggia to ammanto di por- pora, negligentemente sotto il destro braccio jienzolo, ed il piccolo profilato piò , di nera scarpa calzalo , delinear potea ? Poteva e può vtìdtre quel tenero fan- ciullo, che di robustezza e di ingegno nella sua svelta figura e nell'ingenuo suo volto indizio; onde pensò àllibiargli quel larsettino verdiccio che indossa : mirar può e ritrarre le due sorelle , come grazie nasceuti , con quello amabile candore sul ritondetto vermiglio volto, con quei vezzi nativi su gli azzurri occhietti, bruni biondi i crini, di perle ornate le orecchie, l'una di bianco rasò e l'altra di chermisina stofih vestita; e dar loro quello ing-enuo puerile atteggiamento, che mentre l' una tiene con le sue mani graziosamente il libro, e muove il lab* bretto all'innocente prece, l'altra a mirar si aflatichi;

174

q;puQ.:h<jn conoscere il conte Giuseppe, e vivo rltrarlo

al volto al vestire ai movimenti, etl accovacciargli il cane ad ocelli aperti accanto, simbolo di fedeltà e vi- gilanza : poteva dare a tutto , disegno colore propor- zioni decaro conveniente; e di arte a compimento eìiiu- dere tuUi quei personaggi variamente atteggiati e com- posti, della grandezza naturale, in un quadro di cinque in sei palmi; ma quella pia scena di afletti e di virtù domestiche bene ed al vivp espresse, p Jie vide, o le immaginò sul vero il pittore. Dappoiché decorosa ella era quell'ottima tagliuola quella fida moglie quella te- nera genitrice , e vieppiù nobile in pubblico appariva; ot)de felice il padre che generato l'ayea, contenta la ma- dre che la strinse al seno, beato lo sposo che meritava il suo afletto, felicissimi i figliuoli ciie alla virtù edu- cava, e contenti i cittadini, in mirandola, rendea. Cruda morte immaturamente Ja tolse; ma restò sua viftù im- niprlale; ed una viva immagine ne sta in quel bel qua- di'o ^espressa. Segiia questa |a meta ,al magnanimo pa- dre al vedovo marito, onde entrambo scortare il tenero fanciullo, e le orfani fenciulle dietro le orme ; della ge-r nitrice.e degli ayoli: tal che di conforto di esempio fli slimolo quell'ottimo dipinto servir deve. Ed io entrando a parte dei sentimenti ;clie desterà in famiglia , quella eloquente tavola, non posso fare a meno di congratu- larmi col bravò artista Giuseppe Rapisardi , il quale sublimando se stesso nell' atte, e pingendo al vivo, sa tj-asfondcre i più soavi affetti del cuore alla, tela, e fa servire a nobile ammaestramento la pittura. . . ,

Tu intanto, o dolce amico Carlo, che si bene delinei gR obbietti che contempli in natura , che all' amor delle scienze quello ideile belle arti riunisci, e senti e conosci ie virtù domestiche e civili , vieni , contempla questo quadro, e poi dì; se egli al vero somigli, e se fida sia la copia che da quello ho ritratto.

175 .. -Neorami pi Gaspare Peranni, .^^^^ ,.,

Mancheremmo ad un santo tlgvere del nostro ministero, ch'è quello di oporare il merito, ed illustrare la patria, se trascurassimo di favellare di due pitture di singolare bellezza, fatte per essere osservate cplla magia dell'ot- tica, e die appai'tengono a quella specie di dipinti che vi producono J'effetto raaraviglioso di presentarvi 1' in- terno di un edifizio, di un tempio, di una selva, o di altra, oggetto qualunque, e che souo col nome di neO' ram/ appellati. j ,„, ..,; ,) , ..,

.. Il sigaor Gaspare ,Peranm,(appa|^)^enente ad una delle i^tre cospicue famiglie, che figljo del defunto gene^r rale di questp nome,, che taotp a(i^aya.,la Sicilia, , e [tanto la onorò,, ha sortito dalla natura un ^ntip^ento, squisito per le belle arti, ch'egli ha sempre coltivato con amore, e al qqale fu anche spinto dal nobile esempio deil padre che ne era .sommamente studioso. ,, , .,j .,;j

^ Egli, ha colti va,to la pittura a preferenza delì^ .altre jgti ,so;'elle, e ci ha. dato più prove del suo bello stile, e del suo valore: ma le opere che ci ha oggi presentato bau vinto ogni nostra aspettazione: tanto bea concepite, tanto evidenti, tanto finite elle sono! ^^" ^'^ ' ^ *''- .; ,La prima che noi osservammo è tutta di su^ ,invenzio- p^, e prodotto della leggiadra sua fant^t^ia; poiché ne offi'e con particolare maestria l'inc^ìdio di un edifizio in un pubblico piano , con una chiesa vicina, una strada ^1 lontananza, una colonna in mezzo allo stesso piano, ed un, cane che guarda spaveùtato. Non si possono coh maggiore evidenza presentare tutti questi vari ogge.tti. di quel che ha eseguito il Peranni; e non si può il tutto meglio armonizzare di com'egli ha fatto, ,

I colori sono vivi e naturali ; la prospettiva interna degli oggetti è perfetta: e lo spettatore è faltamente illuso che crede di esser presente airiiicendio, di vedeiv il fumo che rapidamente si spande yer^p il cielo, e Iv

'7^

fiamme clie s'incahano, e d'incendiar tatto minacciano.

La luce è con tanto magistero distribuita , che fa un

accòi'do perfetto, e dal punto delle fiamme si diffonde

per ogni luogo, e Vedesi gradatamente menomare, e pet-

dersi nel fondo.

Il secóndo quadro h uria copia fedele del ma^ifico tempio di Monreale; la più nobile e più gigantesca opera dei Normanni in Sicilia. Non vi ha Siciliano a cui sia ignoto quel monumento splendidissimo, che ricorda ad ógni uomo, nato sotto questo cielo, la pri scìa grandezza della sua patria, e degli avi suoi. !•} .,

Non poteva quindi il Perannì sceglierle "mi^ior sog- getto di questo pél Suo fine; per esser patrio, per isvegliàré nobili rehliniscetìzc, per essere l'opera stessa Hi sontuosa bellezza: quindi ci gode l'animo ndl'osser- vare ch'egli abbia pienamente soddisfatto ai deddérl òò- muni, che con somma diligetiza e sommo stùdio ritrasse fin le più minute parti del monrealese monumento; di- gnisachè ognuno che mai veduto questo nOn abbia, e l'opera osserva del Peranui potrà dire toù. sieurezza 'di se medesimo: ' ' '" '•'''^''^''' ' ""■ '"'^ •>

,.-,•-■' '^^ ^ ^ _ 'i-\;n i'iiM/ Hfiì

Non vide me' di me chi vide il vero, luiùivi» oiwA

La^lùtfe nasce da alcune lampadi che sono appese 'vi- cino V uscio della chiesa ; ma siccome non potrebbero tutta illuminarla , che sino al fondo di essa non giun- gerebbe a penetrare; così con savio consiglio lia il Pe-^ ranni illuminato una cappèlla del lato sinistro , bVe si finge che Dio in Sacramento si adori; dal che ha otte- nuto primo l'illuminazione completa di tutta la chiesa; secondo 1' agio d' introdurre naturalissimamente alcuni devoti, che prostrali innanzi la medesima cappella adò^ rano il Signore: il quale episodio rallegra l'opera, e fa che r occhio ìfleir osservatore ivi si fissi, e si riposi, quasi Stanco dàll'aver vagato qua dia por tutti i vari putiti -di tjuei vaslta edifìzio. 1" '^ ^hlm^^U^li^ 'jt\J wujìì h

.177 La parte architettonica elei tempio è ritratta in un

modo sommamente laudevole, perchè con molta intelli- genza di disegno e di prospettiva.

Insomma noi ci congratuliamo di cuore col signor Peranni; e facciam voti perdi' egli continui ncll' intra- presa carriera , che gli frutterà sempre più onore e decoro.

F. M.

LA PSICHE DI TENERANI

Questo sommo artista ha finito una novella statua di Psiche, che ha levato in Roma si gran rumore, che vanno tutti a visitarla, e tutti escono dallo studio dello scul- tore pieni di maraviglia e di contento.

In data di Roma dei 27 marzo di questo anno così ci si scrive da uno dei nostri più cari e più dotti amici, che colà sono.

» La Psiche del Tenerani è raffigurata nel momento in cui questa disgraziata giovinetta , |)erseguilata dallo sdegno di Venere, torna dall'inferno portando l'ampolla, contenente, com' essa credeva, parte delle bellezze di Proserpi na, di cui Venere abbisognava , per aver per- duto parte delle sue nella cura che fece della scottatura di Cupido, cagionatagli da Psiche. Spinta da curiosità Psiche apre l'ampolla , ed invece esalano da essa dei vapori che la fanno cadere priva di sensi. Psiche ca- duta su le sue ginocchia sta cogli occhi socchiusi e la bocca semiaperta, abbandonandosi colla testa all' indie- tro: è nuda della mezza figura superiore, perciocché il leggiero manto di cui andava coperta è pur negligente- mente caduto sulla parte inferiore: le sue braccia man- cano di vita: dal lato sinistro giace rovesciata in terra la fatale ampolla, mentre col pollice e coli' indice della mano destra ne rec;ge appena il coperchio che le sta.

178

pur fuggendo. Non è eia jiarlare (lell'artlstica e insieme filosofica composizione di questa statua; non della per- fezione del disegno ; non della giustezza e morbidezza delle pieghe del manto; poiché ciò che in essa maggior- mente sorprende si è la finezza e la levigatezza della carne, che, come dissi, nuda apparisce dal collo al pube; dimo- doché si giurerebbe quello non esser marmo, ma delica- tissime membra della più amabile delle fanciulle, di colei che da Cupido fu prescelta per isposa; talché sembra di aversi bisogno della testimonianza del tatto per convin- cersi dell' illusione della mente. Questo valentissimo ar- tefice può stare, secondo il parere di molti, al paraggio del gran Canova, pel modo con cui imita col marmo la bellezza e la freschezza delle umane forme. Il presente lavoro convalida a meraviglia la cennata opinione ».

D. B.

Amuinzìo letterario di urC opera del prof . Giuseppe Borghi.

Il nostro prof. Borghi si è prefisso di pubblicare un opera, che ha ìniitoìalo Studi suW italiana letteratura^ nella quale intende non al modo dei retori o degli storici letterari, sibbene in quello de' critici e de' filosoli tratiare delle più difficili ed astruse materie della letteratura i- taliana. Il pensiero è di somma importanza, e siam si- curi che il lavoro corrisponderà alla nobile fama del- l'autore e alle speranze dei dotti. Noi certamente ab- biam oggi bisogno di un' opera di filosofia letteraria più che di erudizione : abbiam bisogno chi dal lato filosofico consideri i grandi nostri scrittori , tanto per se stessi, quanto rispetto ai tempi attuali. Così, invece di filologiche disquisizioni, e di quistioni biografi- che , abbiam d' uopo di applicazioni più vere e più

'79 solide di quel clic per avventura non si sia fatto per

lo innanzi. Quindi annunziamo questa nuova fatica del valente traduttore di Pindaro con grandissima soddisfa- zione; tanto pili che fra i letterari deliri della nostra vita avvenire, questo pure nel nostro pensiero erasi spense volte agitato. Ma il Borghi con quel grave suo senno, con quel gusto che eminentemente lo distingue, e colle belle speranze che ne ha fatte concepire, ha cancellato questo desidei'io dall'animo nostro. Perlochè noi terremo avvisati i nostri lettori dell'epoca in cui verrà quella pub- blicata, dando loro esteso conto della medesima.

F. M.

Premi proposti da varie Accademie di Europa.

1 . L' Accademia delle scienze, inscrizioni e belle let- tere di Tolosa ha proposto per soggetto del premio or- dinario al concorso del corrente anno 1837 ^^ quistione seguente: » Possonsi paragonare le differenti fasi della letteratura romana alle differenti fasi della letteratura francese, e tirarne qualche conseguenza per l' avvenire di (|uest' ultima? » Il premio sarà una medaglia d' oro di 5oo franchi.

2. L' Accademia romana di Archeologia ha messo al concorso anche per l'anno corrente il seguente argomento: » Descrivere più ampiamente che non si è fatto sinora lo stato veritiero delle colonie romane : qual' era lo stato politico ed economico di Roma istituendo queste colonie; qual' era la differenza fra le colonie militari e civili, ed in che queste si distinguevano dalle colonie greche; infine in qual condizione restavano gli antichi abitatori, e quali erano i dritti e i doveri de' nuovi ».

Le memorie dovranno essere scritte in latino o in francese. Gli scritti possono presentarsi fino a novem- bre iiSS^. Il valore del premio è una medaglia d'oro di 40 zecchini, che corrispondono a 472 franchi.

i8o

3. L' Accadèmia reale delle scienze , belle Icltcre , ed arti di Clcrmond-FeiTaud jìioposc un premio di mille frauclii a decretarsi, nella scdula dei 19 giugno i838, all' autore della migliore storia delle guerre e dissensioni religiose in Auvergne, durante i secoli XVI. e XVII. Questa storia dovrà essere completa, e particolarizzata.

VARIETÀ'

In Messina dai signori Aronne, Cacopardo, ed Amo- deo si è promesso un giornale di legislazione e giuri- sprudenza. Noi abbiam letto il Manifesto pubblicatosi colà dalla stamperia Capra, e facciam plauso a quei va- lorosi del bellissimo loro pensiero. Speriamo che le loro cure vengano secondate, e che un giornale di altissima scienza, qual' è quello da loro immaginato, possa gittare radici sicure, ed essere di onore alla intera Sicilia cui è consacrato.

Di questo giornale ne uscirà un fascicolo in ogni me- se non minore di tre fogli in 8°. Esso tratterà:

1. Le quistioni singolari, che offre ancora la scienza sviluppate in modo chiaro e preciso , e tale , da ren- derle a tutti intelligibili, e piane.

2. Le massime ricevute nel Foro, die si avrà il de- stro di attignere negli annali di giurisprudenza patria, e straniera.

3. Le osservazioni più importanti sulle modificazioni, che la Francese legislazione ha ricevuto tra noi, e sulle differenze che ne derivano.

4. Si dirà alcun che intorno alla vita degli antichi, e moderni Giureconsulti , che in Sicilia fiorirono , e si farà qualche cenno necrologico sulle perdite gravissime che abbiamo sofferto di recente.

5. Sarà in fine dai compilatori sposto liberamente il loro giudicio sulle varie opere, che vannosi tuttodì pub- blicando in g"iurisprudcnzac

i8i

BIBLIOGRAFIA SICILIANA

xyi-jii'iif.iyi HìVi

FORMOLARIO penerale di tutti gli atti giuHiziariì in esecuzione de' principali articoli del (Codice Civiltì , della Pi-oc<;dura Civile e di Commercio , dcj^li statuti pei contrabbandi doganali e del ma-

ciiK), e delle leggi e decreti pub- blicati sulle diverse attribuzioni di tutti i f'unzionarii dell' ordine giudiziario, corredati di opportune illustrazioni per la connessione de- gli atti stessi, e per Jo andamento

delle cause da I.uiGi.Tifinno. Vo- lume primo. Atto ])ei procedi- menti iiHianzi a' concilialori ed a' giudici di circondario. Palermo tipogriijìa Pedone ió'3y in 12 di pagine 3ì3:

OUISSKA DI OMERO tradotta da

'Ippolito Pindemontk volume II

(a cui. si aggiunge la JBatracoraio- inactiia recata in versi italiani da PaoloCosta). Palermo presso Sal- s'adore Barcellona iSSG in 18 di pagine 21 ^ e 1 4-

PER LA MORTE dell'ecccllcnb'ssi- mo signore D. Giovan Battista •FanoELLA tenente generale, mini- stro segretario -di stato, ministro di guerra e marina , Ode saffica {(li Mariano Caracciolo). Paler- mo stamperia Spumpinalo lb"ò-J in S di pagine 11.

DISCORSO per la distribuzione dei preniii ad alcuni artisti catanesi pronunziato dal presidente della Società Economica di Catania ca- valier professore Salvatore Scu- DERi nell'adunanza di essa Società il di 25 settembre i836. Catania presso i fratelli Sciulo iS36 in 8 di pagine 16.

ANNALI di Medicina Omiopatica per la Sicilia compilati da Anto- KiNO DE Blasi ec. faòC. I. Palerjìtn tipografia del, Giorjì^le Letleraìio iS3n in S di pag. XF e 48.

NOTIZIE Sulla nQ)V|cssiBn»ialilà delle febbri, e ri|lqssicMii sm l^ teorie di .PiKF.L e Dnous'SArsiSCiitte da Feli- ce Genovesi. PaMrtno stamperia Domenico Oliveri iS3y in 8 di pagine. 2.f, -, ,

SULLE FRATTURE eomplicate.Os- servazioni e :rillessioni del dottor Ehplio Reipja cliirurgo primario dello spedale di S. Marta ec. Ca-

taniapresso Carmelo Pastore 1 836 in 8 di pag. ^5.

ELOGIO per la morte di Maria Cni- stina di Savoja regina delle Due Sicilie pronunzialo nelle sue so- lenni esequie nel tempio de' PP. Cassinesi di Catania dalP.D. Fi- lippo Cultrera priore cassiuese. Catania dai torchi dei fiulelli Scinto i836 in ^ di pagine 36.

ELOGIO funebre di S. M. Maria Cristina di Savoja regina delle Due Sicilie pronunziato nella cat- tedrale di Catania dal P. D. Luigi Corvaja cassinese decano e mae- stro de' novizii. Catania da' tor- cia de\ fratelli Sciulo i836 in /f di pagine 36.

ELOGIO funebre di Maria Cbistiita di Savoja regina delle Pao Sicilie per Gregorio Ravmokdo nobile

fiìcssitìcsc. Messina l83j perMar-

. Cellino Minasi in 8 di pagine 12. ALLA MEMORIA DI VINCEJNiiO RELLìNI ricorrendo il suo anni- versario il 23 settembre. Ode di Carlo Gravina principe Val- Savoja. Cutania t83j.

l82

/,1)Ét TOMI XVI, E XVII. CHE COMPRENDONO I FASCICOLI 44» 4^> 4^) 47'

PARTE PRIMA

se I S NZ B X RBFAzlOKB . . , •■• .j . é' .t».. ...,4 ,.u,,. . pag. III.

' > . . ^ .■ ii,i> .!•: ,:, . ,-,;-.-,-,.... , .

Sul Cabotaggio fra Napoli e Sicilia' Memoria di Ferdinanclo Malvica:

divisa in tre parti j la prima: Iiitroduzioue. . . . pag. 7.

Stato del Cabotaggio fra Najx)li e Sicilia . . . . . . » ii.

La seconda: dei sistemi commerciali proibitivo e libero, considerati tan- to per stessi, quanto in rapporto alla Sicilia. Dimande della Sicilia pel Cabotaggio ........ 35.

La terza: esame del libro intitolato: Del Cabotaggio fra le Due Sici- lie. Napoli dalla tipografia Plautina i836 . . . . » 62.

Conchiusione . . . » 100.

PARTE SECONDA re

LETTERE ED AHTI ', \.\V. i -i.i(\J

Notizie intorno la letteratura romana Lettera di Salvatore Betti prò- -• fessore di storia Mitologia e costumi nella pontificia Accademia di San Luca. . . . . . . . ...» io3.

Sopra lo Zoppo di Cangi e Vincenzo La Barbera pittori siciliani. .

Paolo Giudice ......... n 106.

Il Vapore Giornale istruttivo e dilettevole 1834. 35. 36. Palermo

dalia tipografia di Francesco Lao. voi. 3. in 8." grande . >> ii5.

Notizie intorno i monumenti dell' Egitto e della Nubia disegnali ed il- lustrati dalla spedizione scientifico letteraria toscana in Egitto ec. » 118.

II Sepolcro di Arcbimede scoperto da Cicerone— Ode di Buldussarc Ro- mano . . , ■■ é , . . . . . » 119.

Varietà La forza dei pregiudizi . . . . . . » 120.

Società agronomica di Mosca . ., . . . . . » 122.

Annunzio di una nuova edizione del Dizionario dei sinonimi della lin- gua italiana di j^iccolò Tommaseo Vicusseux . . . j> 12 3.

Necrologia del prof. Antonino Furitano. Gaetano Algeri-Fogliani. « 124.

Proemio in cui si conto del progetto di una storia letteraria di Si-

cdia nel secolo XIX. ....... n in.

PARTE PRIMA

SCIÈNZE

Su la macerazione del lino per via del vapore.— Rapporto letto al R. 1 Istituto dal Socio Principe di Graiiatelli. . . . •. » i.

Storia naturale degli animali invertebrati del cav. de Lamarch, compen- diala ed arricchiti di note per opera di l'iauccsco Baldassini.— Pe- savo pei tipi del Nobili ce. M. : » 5.

i83

Varietà agrarie cconomiclie e tecnologiche del dott. Ignazio Lomeni.—

Milano ce— M. » 6.

Trattato della vite, e specialmente delle uve e dei vini italiani accom- pagnato da 3a tavole ec. Opera che fa parte della Poraona italia- na.— Firenze i8S6. M. ....... 8.

Discorsi pronunziati dal Presidente, Vicepresidente, e socio segretario perpetuo della Società economica del Valle di Catania dalla tipo- grafìa Scinto i836. Filippo Minoltì ...... 9.

Dilucidazioni alla nuova teoria dello zolfo del prof. Carlo Gemmcllaro S^.

Notizie intorno l'agricoltura siciliana Prof. Alessio Scigliani. . » 67.

Alcune idee per assicurare stabilmente la coltivazione delle terre Can.

Carlo Rodriquez . .... . . . . » 74'

Sulle osservazioni meteorologiche Cav. Niccolò Cacciatore . . » 83. Nota ............ 88.

Osservazioni meteorologiche brute fatte nel R. Ossen'atorio di Palermo

nel mese dj Gennajo 1837 ....... 8g.

Influenza della luce sulla vegctu^ione ...... lai.

Influenza della temperatura atmosferica sullo sviluppo degli alberi in

primavera. .......... 123.

Sul modo di agire della Digitale porporina. Riflessioni di Vincenzo In- terlandi dott. in Medicina e tìlosotìa nella Università di Catania: socio di varie Accademie siciliane ce. Palermo tipog. th France- sco Lao 1887 in 8." Gaetano Algcri-Fogliani . . . » 124»

Varietà Durata probabile della vita ... . . . » 128.

Osservazioni meteorologiche fatte nel R. Osservatorio di Palermo nel

mese di Febb. 1887. m 129.

PARTE SECONDA

LETTERE ED ARTI

Epistola di Lionardo Vigo a Giuseppe de Spuchcs su di un codice del

Petrarca del i5oi. . . . . . . . . » ig.

Guida per la Real Casa dei Matti di Palermo scritta da un frenetico nella sua convalescenza, e lettera del Barone Pietro Pisani al dott. Moore sid trattamento morale della follia. Palermo ec. Bernardo Serio. . . . . . . . . . . 3> 4'«

Elogio di Stefania Settimo e Napoli, piincipessa di Resultano Paler- mo presso Virzl 1887 F. M. ...... ^6.

Elogio di Antonino Puritano scritto dall' Ab. E. Vaccaro Segretario

Generale del R. Istituto ec. Palermo 1837 F. M. . . n 48.

Elogio' funebre dell'Ab. Paolo Fiamma scritto da Antonio Galatti.

Messina i836. F. M » 5o.

Notizie epilogate Elezioni del R. Istituto d' Incoraggiamento Pri- vativa della macchina della carta cosi detta senza Jiiie. Elezioni dell' accademia di Scienze e belle lettere di Palermo Progetti di opere che saranno intraprese dalla detta Accademia Fabbrica di carbone di Coke del sig. Giorgio Skurraj' Opiticio di lana e coto- ni fondato in Trajwni Scuole per le giovanette stabilite in Mes> sina dalla signora Grosso Cava di marmo statuario rinvemila presso Messina Fo;^lio diario titolato 1' Agente Dogiuinle di commercio che sarà pnbblic.ilo in McsJiia Strada rotabile fra Catania ed Aci- reale— Perfezionamenti del clarino. . . , . . » 5i.

i84 .

Sopra un dipinto di Alberto Durcr, che osserra nella Chiesa di S. ' ' Maria di Gesù a Polizzi Paolo Giudice .... » g3.

De yetcrum grccae et latinae linguae Scriptorum studio Joan. Baptistae Castiliac it\ regia panormitana sludiorum Uiiiversitate iatinac ciò- qucntiac Professoris Oratio in soleiuni studiorum instauratone ha- bita non. nov. i83G Panormi ex typographia Dìarii literarii 1837. F. Malvica. « 100.

Versi latini di Giambattista Svegliato dedicati al Sig. V. Mortdlaro il di delle sue nozze con la signora Rosalia Benzo Palermo ti- pografia del Giornale letterario 1837. Francesco Crispi. . » io5.

Necrologia per Paolo Costa— Bernardo Serio . . . . » 109.

Bibliogralia siciliana ........ i> 120.

Della siciliana favella, de' suoi lessici, e suoi lessicografi. ^Ragionamento di Leonardo Vigo, letto nell' Accademia di scienze e belle lettere di Palermo nell'ultima tornata di marzo 1837 ...» i33.

Annotazioni al detto ragionamento ....,.« i46.

Descrizione dell' Università harvardiana. ...... i49'

Lettera inedita di Vincenza Monti » 157.

•Due parole su Vincenzo Monti a proposito della riferita lettera Fer- dinando Malvica. . . . . - . . . . » i5g.

Projct d' association pour la publication d' nne Revue sicilienne Pa-

lernie imprimeric de Francoie Lao 1837. F. M. . . » i63.

Sopra alcuni dij>inti esistenti in yarie cbiese di Lipari Can. Carlo

RoJriqucz. . . n 166.

Sopra il ritratto della Contessa Agata Griffo Moncada eseguito da Giu- seppe Kapisardi da Catania Giuseppe Alessi. . . . » 171.

Ncoranii di Gaspare Peranui F. M n I75.

La Psiche di Tcncraui D. B. . . . . . . » 177.

Annunzio letterario di un'opera del prof. Giuseppe Borghi F. M. » 178.

Premi proposti da varie Accademie di Europa . . . . » 179.

A'arielà. .......,.,» 180.

Bd>liogra(ìa Siciliana ...» 181.

ERRATA CORRIGE

BEL BAGIONAMRNTO DEL VICO P-''B- »37. , . n

lessicogorail.. Icssicograu

pag. 143. 3oo mila voci :. 100 mila voci.

SBiaiaauìBiaa s jLaataiaiaa

PER

L4 SICILIA

Num, 48.

%f\U s^rtggtV (S^tugn^ .83y.

a lenita

TIPOGRAFIA DI FILIPPO .SOLLI 1837

AVVISO

Noi ahhiam cercato di dare una Jìsonomia profma al nostro Giornale: tanto per la parte delle scienze^ quanto per quella delle lettere e delle arti. V astra- zione filosofica^ il cormentalismo letterario^ l ideali- smo economico^ il cosmopolitismo patrio^ ed altre cose di simil fijggia^ sono del tutto elimiriate dalle nostre pagine ; perciocché le riputiamo novelli deliri della mente umana. Noi vogliam toccare la terra; quella terra di cui siam fatti., e non perderci nelle sfere del vuoto: noi amiamo il positivo , che è figlio dell' os- servazione e deir esperienza-, le due sole regine del mondo., che ammaestrano gli uomini., e possono proc- curare alle nazioni beni reali e non chimerici.

Vaneggi dunque a suo senno V uomo che vive ne- gli spazi immaginari., e avvezzo a rotolarsi tra i vor- tici di Cartesio., e a mordere il fantasma., eh' erasi crea- to nella esaltata fantasia., divien nemico dell'umanità^ perchè V umanità al suo modo non si forma.

Noi commiserando cotesta gente ^ sogliam dir con noi medesimi:

Non ti curar di lor ma guarda e passa.

Laonde bramando di servire il nostro paese in tutto che per noi si possa., ci venne in pensiero di compi- lare un prospetto delle scienze e della letteratura del secolo XIX in Sicilia. La qual cosa è di grandissinui importanza., pei progressi della civiltà siciliana , se- condo annunziammo nel 4^"- numero di queste Kile- meridi. Quindi ci ajfrettiamo a manifestare che i dotti

che quella patria fatica^ generosi^ si addossarono^ pie- ni la mente delle materie di che debbon trattare, stan lavorando quasi tutti con zelo, e con amore per V ob- hietto di che furon richiesti, ed in breve dareni noi co- minciamento alt opera. Faremo pertanto conoscere al- cune modificazioni di qualche peso che in essa ab- biam pensato di portare , onde renderla migliore , e più completa che per noi si potrà. Quando si vuole^ e fortemente si vuole, come f^ittorio Alfieri diceva , ogni ostacolo si vince, e la forza delle umane con- trarietà a quella della volontà umana soggiace.

E poi da far cojioscere particolarmente a chi ne abbisogna, che il lavoro da noi promesso è stato af- fidato ai più valenti uomini, di che si onori Sicilia', e quindi non si avea bisogno di studiare, ma di scri- vere le studiate materie ; nelle quali alcuni dei no- minati sono grandissimi maestri, e di fama europea. Noi d" altronde avvezzi a non vestirci mcd delle spoglie altrui, vogliamo che ognuno si abbia l'onore che si meri- ti, e cinga per noi la fronte dell'alloro che gli compete. Quest'opera poteva essere certamente trattata da un solo, ma noi abbiam voluto che ognuno dei nostri va- lorosi scrittori avesse cooperato a comporla,come bellis- simo trofeo della siciliana sapienza nel secolo in che siamo: poiché destinata a comparire in un periodico Giornale, che già si diffonde per ogni dove del mondo, abbiam voluto che le varie parti che comporla debbano non in una volta, ma mano mano venissero pubblicate.

Alcuni avrebbero per avventura voluto che i vari matericdi, dai nostri amici con tanto studio raccolti^ fossero stati da noi medesimi ordinati, per dare un filo al lavoro; ma noi rifuggiamo da un tal pensiero, che tende a defraudare gli altri delle loro fatiche : e non divenendo perciò l'opera, di che trattiamo, il frutto di un solo ingegno, ma sempre di molti restan- do, avviene che mentre il lavoro si s/uUura a si am-

miserisce^ commettendosi V enorme peccato di furare ai dotti il merito di aver -prestato le forze della loro mente a servire la patria^ verremmo a comparir noi stessi vestiti di una roba non nostra^ e che mal ci appartiene^ perchè lontani le mille miglia dalla sa- pienza di tanti.

Noi dunque presenteremo la nostra fatica come cennata V abbiamo piìi meno ; e sarà questa una corona di fori da pile mani intessuta^ che con animo devoto consacreremo alla Sicilia'

Qui però solo ne piace di avvertire che nella con- chiusione cercheremo di rannodare le sparse fila dell'in- tero lavoro ^ed afferrando lafisonomia del presente se- colo riepilogheremo il tutto ^ e in i scorcio presenteremo i vari rami del sapere^ dei quali si è diffusamente trattato.

Per le quali cose agitando nel pensiero la presente opera ^ escogitammo ^ onde meglio prepararne la gran tela., di presentare un rapido quadro dello stato mora- le della Sicilia nel secolo attuale ; e dar con esso cominciamento alla desiderata fatica. Il che verrà da noi stessi eseguito al piti presto possibile^e non in quel modoj che sarebbe confacente alla gravità del sub- bietto, ma nella guisa pia acconcia che per noi si po- trà. Si accolgano dunque le nostre cure^ le quali non tendono che ad onorare la patria , e far opera onde la civiltà siciliana progredisca .^ e per ogni do- ve si diffonda»

ti Direttore

Ferdinando Malvjca.

EFFEMERIDI

SCIENTIFICHE ELETTERARIE

PER LA SICILIA.

PARTE PRIMA

SCIENZE

Trattalo completo sul cholera morbus per Gaetano Al' ceri-Fogli ANI compendiato da' classici pia rinoma^ ti in Europa^ lavoro utile a' medici ed a non me dici siciliani— -VaÌGxmo Tipografia Pecione 1837.

JLia natura par che voglia di periodo in periodo sbaraz- zare la superficie della terra d' una determinata quantità del genere umano che ne sovrabbonda, e ciò adempie e per le guerre e per le pestilenze che mai sempre svolgonsi. Negli attuali timori del cholera asiatico che molta strag- ge ha menato nel mondo e da vicino ci minaccia , un lavoro cli€ lo riguarda , compilato con buona logica e con saggio eccleticismo; e che contenga quanto d'interessati- te si è osservato finora, non può non esser utile alla patria; talché meritevole certamente della pubblica estimazione si è colui che si è a tutta possa ingegnato ad istruire il popolo. Gaetano ALGEni-FooLiAM, già noto per parec- chie sue scientifiche produzioni , e caldo amatore dcll«

8

scienze meJiche, avea sia dal iSSa i suoi studi rivol- to alla considerazione di quel flagello sterminatore ; il suo Progetto sul cholera-morbo , e la sua Memoria in- torno allo stesso argomento dimostravano ch'egli sentiva assai innanzi in siffatto genere di ricerche. Adesso però mosso da una peculiare inclinazione collo scopo di gio- vare i suoi, estendendo le sue vedute igieniche e pato- logiche, modificando alcuni suoi pensamenti , ha donato la Sicilia d'un Trattato completo sul cholera-morbus -, clie imprendiamo a svolgere aliin di porgerne un' idea ad ogni classe d' individui. Sebbene piivo d'immediate osservazioni sul morbo , rimuginando le opere de' più stimabili Pratici francesi, italiani, tedeschi, giudicando sulle loro disparate opinioni, appigliandosi a quelle dot- trine che gli son sembrate più consentanee a' latti e alla ragione, aggiungendo molte considerazioni intorno alla patogenia, alla natura, e al trattamento del male, ha però seguito l'esempio dell'ape industriosa che va da mille fiori succhiando la sua uniforme sostanza.

L'Autore cominciamcnto al suo Trattato con of- frire un breve ragguaglio storico dell'origine e dei pro- gressi del morbo dall'India sino a Napoli, apre la qui- stione lunga pezza agitata se il cholera contagioso sia od epidemico, e inclina alla prima supposizione. E di vero se consideriamo ch'esso sviluppatosi sulle rive pa- ludose del Gansre ha varcato una distanza incalcolabile: passando sotto vari climi e sotto latitudini dilierentissi- me, e ha seguito il suo cammino in ragione de' punti di comunicazione e per la via del commercio; se riflet- tiamo che la disastrosa guerra dell' indipendenza della Polonia lo diffuse in Europa, e chela Francia, la Ger- mania, l'Inghilterra, l'America lo ricevettero dal com- mercio, chiara si scorge la verità del contagio. Ma to- gliesi interamente ogni dubbio ove pongasi mente al modo d'importazione del morbo nella nostra Italia , e al suo sviluppamento iu Genova, Torino, Livorno, Niz-

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za, Firenze, Ancona , Napoli , Salerno. L'Autore cou fatti inconcussi alla mano e con sodi raziocini coml)atle completamente i partigiani dell' epidemia, i quali per mezzo di spiegazioni pei' nulla fondamentali si sono inge- gnati a sanzionare, come dimostrato, ciò che non era se non probabile nell'attuale stato di loro cognizioni. Non ostante che taluni si sono con intrepidezza innestati il virus clmlerico senza rimanerne colti, vi sono state però alcune eccezioni in coloro che lianno miseramente pagato il fio della loro tracotanza. Pochi casi di eccezione , dico coH'Autore, non valgono a smentire la generalità della regola^ da pochi indisposti a ricevere il ma- le si argomenterà in buona logica la non contagiane dello stesso. Se scusabili sono in qualche modo i me- dici inglesi che confondendolo col male endemico delle Indie, lo hanno dichiarato solamente epidemico, quanto colpevoli però non sono que' medici russi , prussiani , francesi, che consci! del suo vero modo d'importazione hanno a più non posso declamato il non contagio, e in- fievolendo le più rigorose misure sanitarie han dato cam- po alla più estesa jDropagazione del medesimo? la storia lascerà sotto silenzio le famose lettere de' più in- signi medici parigini pubblicate in tutti i giornali poli- tici della Francia ad oggetto di smentire il timore del popolo, e assicurare il conunercio della capitale co' di- partimenti; a tutti è noto che il Broussais il quale firmò per l'epidemia cangiò poscia parere (Foy liistoire méd. du cholèra morbus de Paris), e che I'Andral in- di la sua solenne dichiarazione, nella quale smentì tut- to ciò che avea affermato per quella firma involontaria- mente strappatagli. Lode e onore sia reso a'sommi ita- liani, ToMMAsiNi, Cappello, Buniva, Speranza, EmiliA'- Ni, Pozzi, Trompeo, ec. che inculcarono vigorosamente ai nostri governi ogni misura di precauzione per allon- tanare dall'alma Italia quel terribile flagello. La possibi- lità dello sviluppo spontaneo d'un morbo popolare dovuto

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a cause locali e circostanze particolari, e facile a propa- garsi altrove, non induce sempre la necessità di una co- stituzione atmosferica vagante; ne le influenze tellui'iclie, cosmiche, astronomiche, magnetiche e altrettali voci, vuo- te di senso, ponno dare la retta spiegazione della gene- si e della comunicazione del male cennato. Non è questo il primo caso di quistioni di simil fatta: tutti sanno le straggi della peste di Marsiglia accadute sotto jji auspi- ci di Chicognau , e il negato contagio della peste che afflisse l'armata francese in Egitto sotto la scorta di Na- poleone. L'Autore passa innoltre al proposito a far cono- scere che la credenza della epidemia non può neppure esser fondata sulla similitudine del cholera indiano con quello sporadico di Europa: chi legge le belle descrizio- ni del secondo lasciateci da Areteo e da Sydenham chia- rissimi esempli ritrova della differenza de' sintomi della prima e della seconda affezione. Ammettendo il contagio il sig. Algeri dietro l'opinione di parecchi patologi e dietro il pensamento del Robert opina che nelle grandi irruzioni di cholera , di peste , di vajuolo , di febbre gialla, i miasmi possono essere trasportati per l'aria e pe' venti, e quindi comunicarsi ad una certa distanza in generale. Io confesso che gli effluvi delle paludi si esten- dono al di di due miglia; io convengo che 1' epide- mia epizootica carbonchiosa giusta l'attestato di Gilbert, testimonio oculare, comunicossi a bestie isolate con se- guire la direzione del vento ; ma acciocciiè un morbo contagioso possa propagarsi per la via mediata dell'aria atmosferica, è mestieri ch'ella sia pregna d'una doviziosa quantità di principi miasmatici, e che questi trovinsi in molla quantità e in circostanze favorevoli, perchè l'azio- ne dissolvente di quel fluido e degl' imponderabili non ne possa operar la decomposizione. Così può bene av- verarsi che siffatti principi siano da una stanza all'altra trasportati, ma non può mica supporsi che l'azione di essi possa, massime in tempo di giorno, estendersi aUc

1 1 case separate e molto più a quelle site a qualche distan- za dal focolare d'infezione.

L'Autore fa la dimanda, se il cJiolera scappato dalle Indie e venuto fra noi, possa acclimai-si in Europa ? e ponendo mente alle frequenti irruzioni della peste, della febbre gialla che comparse ad intervalli si sono a mano a mano allontanate, e all'invasione o al procedimento della famosa peste nera del secolo XIV, la quale ha moltissi- mi tratti di analogia (Éoll'altuale cholera, conchiude che lo stesso dopo aver percorso il suo cammino e compiuto tutti i mezzi di propagazione sarà per iscomparire inte- ramente dall'Europa.

Espone l'analogia del cholera asiatico colla peste nera summentovata , che rapì al cantor di Valchiusa la sua diletta Madonna, passa all'esposizione delle cagioni pre- disponenti, combatte l'ipotesi del siciliano Carbonara sul modo di agire del virus cholerico, e manda in malora la pretesa forza medicatrice dello stesso, che qual ente trascendentale, pari all'archco, si è voluta far presedere a tutti i movimenti della vita , e intorno a cui è degno di mille laudi la memoria del Tommasini, pubblicata in vari Giornali italiani. Le potenze vitali come facoltà ine- renti ai tessuti vengono confermate dalle osservazioni fisiologiche, le reazioni vitali esistono , ma allorché uu sistema è abbattuto, un organo va a scomporsi nella sua tessitura, qual medicazione possiamo noi pretendere dalla natura inferma e travagliata? Le forze medica trici come inerenti a' tessuti e dovuti ad una vitale reazione pos- sono supporsi in alcune malattie croniche locali agevoli a superarsi da una scossa organica , impressa a tutta l'e- conomia animale, e dipendente dal buon uso delle sue funzioni; ma nella maggior parte delle malattie acute e croniche elle altro non indicano che la cessazione del male dopo aver percorso i suoi stadi. L'Autore descrive i sintomi ordinali del cholera sporadico, di quello en- demico nelle Indie , e i sintomi specifici del cholera

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contagioso; pone a rivista i tliversi periodi di quest'ultimo, e accenna la divisione comune in quattro periodi, d'm- vasione^ d'aumento^ òi'algidisino e di reazione; e prima di chiudere la sintomatologia mette innanzi altri sinto- mi particolari, che in alcuni individui, e in alcuni pae- si, anco senza i sintomi generali, hanno soli costituito il male. Il colore bianco specifico del fluido sieroso e- vacuato simile a quello del decotto di riso è il sinto- ma patognomonico allorché esiste, ma perocché tali eva- cuazioni non compajono costantemente in tutti gli am- malati, siccome nel cholera secco, ch'è il più mortale, non tengono all'essenza del medesimo. L'Algeri insie- me col PucciNOTTi riguarda come unico stadio identico i tre primi stadi succitati, credendo bene spesso false quelle apparenze di reazione che in taluni si manifestano sin dalla prima invasione, poiché mentre si sono conce- pute le più belle speranze di guarigione la morte non è tardata ad immolar sua vittima.

L'Autore si oppone a que' medici che si sono troppo fermati su' sintomi gastrici della malattia. Taluni con- fondendogli con que' dell* imbarazzo gastro-intestinale , altro non han veduto che una tendenza della natura a sbrigarsi di quel materiale eterogeneo , e si sono fatti ad amministrare indistintamente evacuanti di ogni sorta. La nausea, il vomito, l'amarezza della bocca, il dolore intestinale, la cardialgia, non sono i primi sintomi che palesano il cholera^ ma la vertigine e il disturbo delle funzioni del sistema nervoso sono frequentemente i se- gni prodomi di lui. Qui il dotto sig. Algeri apre la di- samina sulla natura della malattia, discute con sode ra- gioni i multiplici pensamenti de' medici su tal partico- lare, e abbracciando l'opinione del Robert sull'analogia di questo male colla peste e colla febbre gialla inclina a giu- dicare di appartenere alla classe de' tisi, e tenendo dietro all'ipotesi del Kuniva suppone esser nel midollo spinale, neirollavo pajo, e nel sistema de' ganglj la vera condì-

j zion patologica. E qu\ ci cade il destro di annunziargli I il nostro maggiore compiacimento nell'osservarc la sua sa- gace maniera di vedere, corrispondente in molta parte a fjuclla che ci abbiamo da qualche tempo formala intor- I no all'indole del flagello indiano. Se noi ponghiamo men- j te a' sintomi morbosi, veggiamo che i primi ad aflàc- I ciarsi tengono ad una lei^ione del sistema nervoso , co- ' me vertigini, angosce, cardialgie, enteroJgie, cefalalgie, I crampi, vomito, diarrea ; se riflettiamo che la perdita degli umori tal fiata non esiste , e il morbo traccia i suoi periodi, offre la cianosi esclusiva a lui, produce la morte, chiara si mira l'insussistenza di quelle dottrine che dalle semplici evacuazioni di quegli umori essenzia- li alla vita, mosse primitivamente nel tubo gastro-ente- rico, fan procedere gli sconcerti nervosi, il malessere generale, il color bluastro della pelle, il Ireddo del cor- po. La Fisiologia c'insegna lo stretto rapporto che av- vi fra il cervello e il canale digestivo, e l'influenza so- vrana eh' esercita il sistema ganglionare sulle funzioni organiche : le osservazioni patologiche lan nolo che il vomito può sovente dipendere dal morboso consenso dell'encelalo affetto e dalle perturbazioni del nervo va- go. Il languore della respirazione , la sospensione del- l'ematosi , e quindi la cianosi si spiegano in tal dot- trina assai bene pel manco d' influsso dell' Ottavo pajo sulla respirazione, e corrispondono assai bene agli spe- rimenti già istituiti dal Dumas , dal Dupuytren , dal Brougthon, dal Mayer. L' alterazione della crasi del sangue può eziandio in qualche modo dipendere dall'a- zione del virus contagioso sul detto fluido, il quale può ancora essere una primitiva condizione o cagione mor- bosa che voglia appellarsi. Comunque vada la bisogna, certo però si è che i fenomeni i i)iù notabili oilionsi dal sistema nervoso ; dimodoché ritcnghiamo in lui la sede principale del male asiatico. L'ipotesi del Bum va sembra conforme a' fatti e discende qual leggittima consc-

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guenza dall'osservazione. Non è così della pretesa gastro- enterite, e de' dati onde taluni ricorsero a poggiarla, come le doglie intestinali, la diarrea, il vomito , l'iniezione della mucosa intestinale. Ma ove riflettasi clie nelle vere cardialgie , cnteralgie , e altre nevralgie di siniil fatta non entra a parte l'inliammazione de' pezzi a cui distri- buisconsi i rispettivi nervi ; e che i pretesi segni delle flogosi della membrana mucosa si riducono a mera iu- gezione, e macchie rosse, a granulazioni miliari, le quali sonosi pressoché generalmente vedute negl'individui morti nel periodo di reazione, in quelli trattati coli' eccesso de- gli stimoli, e ne' ben nutriti, siccome i cholericl curati dal Broussais e da' suoi partigiani, di leggieri ci persua- deremo de' danni cagionati dal metodo antiflogistico, Perlochè ci è forza conchiudere che parecchi morbi non si presentano sempre identici nella loro forma, ma va- riano nel loro aspetto, e nelle loro complicazioni a se- conda del temperamento, dell'età, del sesso, del tenore di vivere, del clima, e di cento altre cagioni speziali che possano influirvi.

Sebbene I'Algeri non avesse avuto l'agio di aver os- servato cholerici , le sue vedute sulla diagnosi e sul 2)ronostico mostrano un Pratico circospetto e uno spiri- to diligente, che sa compartire a' vari pervertimenti or- ganici quel valore dato loro da' lumi fisio-palologici, e dalle osservazioni cliniche. Perchè un medico possa sul- la natura e sul trattamento d'un male ragionare, cono- scerne le multiplici modificazioni , scrutinarne le com- plicazioni, non è unquamai necessario, ciie abbia avuto sotto il suo occhio clinico le loro svariate forme; basta che possegga gli elementi dell'osservazione acquistati al letto degl'infermi , e il vero genio medico onde adoprarsi co;i sicurezza al trattamento delle infernjitadi.

La dcsciizioiie rhc porge della cosi detta colemia^ e i predilli sul trattamento jnostiano che (|uesto debbe modificarsi giusta le varie condizioni individuali e le lao-

i5 clificazioni sintomatiche. Nota il regimine alimentare e le misure igieniche per premunirsi dagli attacchi del male, e passa dappoi al metodo curativo.

Accenna le varie formole medicinali e il trattamento pratico del cholera seguito da' medici francesi ne' prin- cipali spedali di Parigi , pone innanzi i primi soccorsi a dare a' malati di campagna prima dell'arrivo del cu- rante. Raccomanda ai primi periodi di muovere la dia- foresi con bagni a vapore, o col metodo di Petit , e con infusioni calde prese internamente , loda la rivul- sione esterna con mezzi eccitanti, esamina l'opinione del- l'italiano Versari , e offre utili considerazioni suU' uso dell'ipecacuana da non pochi generalizzato. Imprendere di provocare la diaforesi e chiamare alla pelle quella flus- sione che va a stabilirsi nel tubo digestivo, eli' è stata la mira tenuta da' medici i più circospetti; avvengachè le leggi fisiologiche fan noti e la stretta simpatia e gl'in- timi rapporti, che la pelle legano al surriferito tubo; e l'antica sapienza c'insegnava ah>i laxitas^ cutis densitas, cutis raritas, alvi densitas. Molti fatti concorrono alla sanzione di tal principio pratico volto alla cura del cholera^ e le belle osservazioni del Moreau de Jones , del Julius , di Keinier , di Ranken , di Hermann , di Bally, di Panvini, attestano i buoni effetti del metodo diaforetico. Arrogi che molti casi di rabbia, malattia af- fine al cholera^ sonosi completamente dal Buisson guariti coi bagni a vapore detti alla russa (Archives gènèr. de Medicine Paris i833.) Rispetto all' uso dell'ipecacuana cade in acconcio il declamare contro quegli sciagurati professori savorrali, che poggiati ad alcune false larve di gastricismo, e a quel detto vomitus vomita curatur, in ciascuna malattia di qualsivoglia natura ricorrono agli evacuanti di ogni specie a discapito sommo de' loro in- fermi. Allorché nel morbo di' cui favelliamo avvi come complicazione il vero gastrico imbarazzo, i cui segui sono stati così bene rilevati dai Raglivi e dal Pinel , è da

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commendarsi l'ipecacuana; ma qualora ciò non esiste nis- suu bene possiamo noi ritrarre da un farmaco che au- menta ancora la ferocia del male , e tutto disturba e squonquassa il nervoso sistema. Parimenti nelle febbri così(\i\cllc gastriche raccomandasi in generale l'emetico, ma ciò che noi alibiamo annunziato altrove (Discorso sulle febbri tifoidi) per le nostre particolari osservazio- ni è pure da applicarsi al trattamento del cholera e di altri morbi; sicché ci è d'uopo conchiudere coli' Algeri, che l ipecacuana sia rimedio eroico nel cholera non v'ha citi lo niegJii, ma che si dia senza questo criterio ed operi bene non awi certo alcun medico che lo af- fermi; si corre anzi pericolo di render generale un precetto che soffre delle grandi eccezioni^ e che ge- neralmente applicato può compromettere la vita degli felici. Indi l'A. ligio allesperienza avverte che in vari soggetti sanguigni e pletorici, assuefatti ad emissioni pe- riodiche si lia da ricorrere al salasso topico o generale giusta il bisogno. Loda il mercurio proposto dal nostro dott. Pietro PolarAjC sperimentato proficuo dal Robert, non che dimandato dall'azione eh' esercita sui moti del sistema nervoso; elogia il ghiaccio e l'acqua fredda, che hanno corrisposto alle indicazioni de' più valorosi medi- ci. Quanto è all'uso delle bevande gelide e delle sostan- ze stimolanti non posso passar sotto silenzio le mie par- ticolari osservazioni verificate due volte su di me stesso nel caso di un grave cholera sporadico e d'una febbre perniciosa cholerica. L'acqua fredda pareami che momen- taneamente calmasse la sete, il vomito, le convulsioni, il malessere, ma venia di gran lunga superata dal ghiac- cio che possedea un'azione immediata a comporre il ge- nerale disturbo ed il vomito. Siffatti rimedi doveano però esser semplici , non mescolati a cosa alcuna ; dif'atti il gelato di limone accresctìVami la nausea e i moti anti- pcrislalti delie prime vie. L'istcsso è ancora da avver- tirsi de' vari eccitanti usati senza 1' unione dell' oppio:

*7 dappoiché la canfora, le acque di menta , di melissa ,

r alkermes liquido, erano per me stimoli insoffribili,

dove erano facilmente sostenuti colla mescolanza dell'

oppio o del laudano del Sydeniiam. Ora appartiene alla

sagacitade del curante scandagliare il temperamento, le

condizioni dell'infermo, e la quantità relativa de' fatti,

onde giusta il bisogno particolare scerre l' una o l'altra

medicazione e modificarne l'uso.

L'Autore pone ad esamina l'azione di siffatti rimedi, ne trascura di far cenno del visionario metodo omiopa- tico; descrive i rimedi ausiliari, il trattamento de' cho- lerìci convalescenti negli spedali, la profilassi , le cau- tele per assistergli, la polizia degli spedali, il modo di passare all'autopsia e al sotterramento de' cadaveri , le misure necessarie alle famiglie in occasione di contagio nel loro seno, il metodo di purificare le camere, gli ob- bietti più necessari ad aversi in casa da' cittadini, le cautele per gli assistenti , e pe' medici ; discute se sia utile la istallazione di una compagnia di soccorso , co- me e quando convenga abolire il cordone sanitario in Sicilia , come impedire la diffussione del contagio nel caso che il male venga a noi, e altrettali cose di utilità pubblica. Ci duole intanto nel profondo dell'animo in- sieme a tutti i sensati cittadini, di essersi fra noi troppo intempestivamente aperte le comunicazioni col continente infetto , e più grave si rende il nostro dolore pel pericolo, in cui forse dovremmo inciampicare al par di altre nazioni poste in simili cimenti dopo aver profuso ingenti spese per l'allontanamento d' un flagello si spa- ventevole e tremendo che desola le famiglie, affligge le città, e spopola i regni.

Combatte l'Autore finalmente l'opinione accarezzata dal Semmola. e da' medici dello spedale della Consolazione di Napoli, i quali lo ascrivono ad irritazione del cieco, mossa dalla presenza del trìcocephalus dispar , e sup- pone con molto senno l'esistenza di questo entezoaro qual

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complicazione, anzicliè come cagione primlliva, che non può mica porgere l'esatta spiegazione de' fenomeni mor- bosi. OfìVe un indice de' rimedi più usitati nella cura del cholera.

Moltissimi sono stati coloro che hanno voluto scrivere intorno a lui, ma pochi que' fortunati ,. che spoglia la mente di ogni preconcepita dottrina, hanno fra il tram- busto delle opinioni tentato di conoscerne la possibile natura e penetrare l'intima ragione delle cose. Nell'opera del Dottor Algeri non rivenghiamo vapor di sistemi, non idee volatili e trascendentali, non alemanne spiegazioni; ma retta discussione delle disparate ipotesi , considera- zioni generali desunte da osservazioni particolari, buona logica, sano criterio, ecclelicisrao, insomma nella stessa noi leggiamo in forbito stile tuttociò che di utile si è ovunque sperimentato.

Luigi Castellana.

Elementi di filosofia -per uso del Seminario Arcive- scovile di Palermo dell' ah. Salvatore Mancino pro- fessore di tale facoltà nel detto Seminario. Pa- lermo i835 36 due volumi in-8.

Saggio critico degli elementi di filosofia di Salvatore Mancino dato da L. Bonelli professore di tal fa- coltà nella Università ponificia di Roma."^ Paler- mo tipografia e legatoria Roberti i83y.

Mentre noi leggevamo 1' opera dell' ab. Mancino , non avendola potuto leggere innanzi, per difetto asso- luto di tempo, ci pervenne alle mani il Saggio di che sopra abbiam posto il titolo: il quale , estratto dagli annali delle scienze religiose (voi. III. n. 9. nov. e die. i836.) ove dall' autore era stato inserito , veniva tra noi ripubblicato. E siccome risguarda un' opera di mi nostro concittadino, ch'c da noi amato estimato, e

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cljè onora la nostra patria ; così abbia m credulo ben fatto il far cenno pure- del giudizio di un professore del coQtin<e.nle,\peicliè» lontano dalie contrarie passioni, che r opera del Mancino aveva iu molti più o meno vio- lenteniente ^eccitato. ; -

Noi vogliamo rendere un tributo alla giustizia, poi- cbè forte ci pesa quando i privati affetti e non la ve- rità guidano i giudizi degli uomini. Sicché mentre an- nunzieremol' (Opinione die della citata opera ci siam formati noi stessi, ci farera carico eziandio di quella che il valente professore' di Roma ne ha portato.

Il Mancino, -conoscitore profondo della materia, ave- va meditato negli antichi, eie opere voluminose e com- plicate diegli altrcmontani scrittori aveva con indefessa liatica studiaìoi iod allontanandosi da tutti i sistemi, che r iurequietoi spirito dell'uomo aveva in tante epoche for- mato:, senza voler penetrare la verità, e con agitare mu- tilmente gli animi!, egli aveva dettato un corso di filosofia, che metleva al giorno i lettori di tutto ciò che su questa scienza, lai pilo: importante di tutte, perchè è quella dello spirito umano, erasi di meglio pensato e scritto; digui- sachè a. noi pareva che senza metafisiche astrazioni e confusioni,, egli pienamente la gioventù ammaestrasse ed illuminasse."i(l - . n. un r. i; i

Il Mancino non ha fatto un trattato di filosofia pei sommi; e non ha certo inteso di essere creatore di no- velli sistemi filosofici : egli al contrario ha scritto per la gioventù siciliana, sceverando dalla massa delle dot- trine che fin dai secoli più remoti eransi annunziate, quelle che le più sicure, e le più confacenti al suo sco- po si. riputavano: nel che parmi di esser egli mirabil- mente riuscito; e godo nel sentirlo proclamare da coloro che Siciliani non sono. Onde per questo pel me- todo piano e semplice che ha tenuto, e per la chiarez- za con cui lia dettato il suo libro ha riscosso merita- mente l'applauso dei più.

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In due parti divide l'anfore l'opera sua: in quelle che» sono parse ai moderni le pii^i opportune, e che sono state ricevute senza molle contraddizioni: cioè in filosofìa sog- gettiva ed in filosofìa oggettiva.

Gli antichi solean dividere tutta la filosofia nelle no- te quattro parti di logica, metafisica, morale, e fisica; onde ognun vede quanto abbiano i moderni su di quelli vantaggiato. Imperciocché h. filosofia soggettiva consi- dera le forze dell'intelletto; la oggettiva esamina le co* gnizioni che per mezzo di queste forze posBonsi acqui- stare. Bellissima è quella idea, che 1' uomo prima ha pensato^ e poi ha indagato le leggi del pensiero. Co- sì scrisse Omero e scrisse Sofocle colle sole norme che il buon senso e la ragione loro suggeriva. Venne Ari-, stotile, e su ciò che quelli avevano scritto le regole ca*' della tragedia e dell'epopea. La filosofia dunque del soggetto nacque per questo medesimo principio. Ella, considerando tutto ciò ch'è in me, sulle forze dell'intel- letto, sul come operano queste forze, e sul come deb- bono essere regolate e dirette si aggira: quindi in ideo- logia e logica si divide : mentre quella dell' oggetto ovvero oggettiva., che su tutto ciò che è fuori di me SI volge, comprende la psicologia, la cosmologia, la teo- logia naturale; cioè l' anima il mondo e Dio.

Riguardo sWontologia , quella parte comunissima della filosofia, su di che, collo Storquenau alla ma- no , si sono per lunghe stagioni con barbara pre- potenza oppresse le menti dei giovani; io credo che bene e sapientemente abbia fatto il nostro autore nel non tenerne separato discorso. Pare che il pi'ofessore romano inclini , nel cennato suo saggio ^ a non far buon viso per quest' oggetto al palermitano scrittore. Io però credo che questi lode meriti pel suo divisamento. Imperciocché ho sempre tenuto l'ontologia, come la parte pm astratta più aerea e più inconcludente di tutta la filosofia; il che può vedersi da chiunque, uon ignaro di

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questi stuòli, vòglia rivolgere il pensiero agli argomenti che neìY ontologia si discutono. Difalti che cosa sono i primi prìncipi di dimostrazione^ il principio di contrad- dizione, quello della ragione sufflcieTite', del possibile e dell' impossibile^ dell'ew^e, dell' essenza dell' esistenza^ degli attributi^ dei modi, dell'enee necessario e contin- gente, del mutabile ed immutabile, della sostanza AeXV accidente, e di cento altre cose di sirail fattaV<rfìe stan- canti Pintelletto, e lo premono con un linguaggio di con- venzione e barbarico, onde piegarsi a comprendere ciò di'è vano ed incomprensibile ? Quindi saggiamente ha adoperato il Mancino nel parlare àeW ontologia con fi- losofica sobrietà, ed allontanando tutto quel misticisnào scolastico, che tanto ha nociuto a questa sublime sciea* za. Egli perciò seguendo , con savio intendijnento, La Romiguiere e Galluppi, tratta delle principali ideedel- Vontologia dove ragiona deli' ideologia y e poi, seguen- do suo consiglio, alcune cose più importanti, secondi»' gli viene meglio ii destro, or nella soggettiva or nell'og- gettiva filosofia dichiara. E così immedesima nel corpo di tutta l'opera/lei ontologiche dottrine. Il qual sistetwà- a me pare dégna dii essere segujj^à prefi^renzadi qualuiiJ* que aitro'. ■•■;"-'•;';:''•'-:=;•■:!:;-■ f --V^ '•■ : ; :. ì ^ <'\'ii'- ;(. Il Mancino adunque con ddlti-ina e con giudizio, che assai- più vale -della dottrina stessa, ragiona delle cinque parti, che abbiab' cennato , è in cui egli divise tutta l'apera'^ua: e; l'i idealismt) assoluto di Tracj combatte, ed il sensualisino di Coudiltac attacca, e la scuòla scoz- zese e la tedesca lauda; e l'ealettièisrao di Cousin, ccH' me il più saggio; e il più conforme alla ragione urna nal,"' sicgue ed adatta a|isuof:pianp.»'iAltrk 'fiata, égli dice,, i filosofi fu ron Pia tonici, Aiistotelici , Cartesiani, Wól- fiani; oggi non si vuol; essere più ligio di alcuu parti- to. Il filosofo con alla mano la fiaccola della esperienza' interroga i vari sistemi,! che isi sono divisi iu tutte le epoche l' impero della filosofia. Questi, come osserva

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Gqusiu, happo dovuto avere una p^rie di vqii^à, ;ii3en- tre ^i^pno soggiogato molti spiriti. ^ SenSualisino cbp, tqj^Q.^sji' sensi riduce,. V Idealismo clje tutto deriya d^lla, attività .dellfi ragione,, \l./>owmaf(.fW{). che; linsenots^aHi^i yevit^. ^credp xiposfirsi , lo SceUicisnio\ che . dichiara J'qòHi o , in^ft<vesSiibile alla certez.za, peX* lo, l^to della,, loro vevìtà^, si; ^liO insinuati! Bella ipente vuinajia, pereU^ l'uomo, non. si arrende 'mail 41'ierrorejcometale. 11, yfilOsqfav^d^'Pqjti,^ sq^gli?i,tla: lutti qt-iqUoicJie. ,viiba ,di. vero, jig<}ttaB(jlo.ì'er) s^ger^^ipne e, Terrpr^, ,e ne^ fOima uaa fil-asofia eqwitPr/^ ^va .fi, cQKgkpleta, qheda molti Viieu, detta perciò. Mccl'èt^, tipa, Tal^e. ec^qletticisuiQ : è ,diyQrsp dal SibicrWìsnwyfiXìQx gp,n5Ìsjl,Q -ftfil ! progetto , sl)-.aY,ajgant<ì. ,dii metter i4i acctìrdo; ti\tte Je,,?^tt|Q é; ile. ! opinion i;dq' filosofi; t)j;|(j)uijjdi del- le 'facqJltài:deU'a.iuma, « di, tu Ito che all'ideologiai'ajiiDaiìTrc tiene; '.e; del giudizio,, del raziocinio, del sillogistao;, delr' le,;^p6i'azipni dqllio, spiritò; ,u'el combinare: i, Tatti ^peri-;' mi^ntali-, d^i metodi .analitico e :&iiiitetica,>é idi. tutt!altrd; che ^Ua logica si addiceli con erudizioiie. -con dottrióà ^^g^ofìa^ 3Poi della .natumideU'aniraà, della sua spirituar; l^tsi, della sua immortalità,,! delle opinioni dei ;filosofi sulla, ^Qd0 di lei, def j-appo^'ti del fiaJcQ col .mordici, ,e. di tutto che la psicologia risguarda tiene leggiadro i8 sen-» n^tp discorso: ppscij^.dcliwondo) C; delie leggi che lo'go- veri^np, e.della materia, q.sdijpgnii dosa dUe spetta la qosfliologia, e chc; fa fil suo ,atJ)iel te i, tratta colla guida, dei , migliqri: siegu^ , poi , ;a discHiterfc;.cpii l prudente) ooflri sjglip dpUa è;sistpnza e .degli àiltributi di.)J>ió^ e d€ll.i ré-, lig^pne in g^ns^ralj^ e, ÌnipvtÌGOlare;(dp' deisti c'degli ateisti, - e (li tutto che ia,ppfi|i;tieo.^i alla teologia jiaturak^iliimitan-i ao§i.^ dire^ciò^hej^lii^Q'gna perj'oggetto aicuii volge, che è.;qi^ellp,d'istmirQ la gvoventill, allontanati dola, dalle idee; Ql)e: poti]ebbqro farla inciampare, liei, deliri dello spirito i ^nlano. ,. ,,;: ,,j , ■.,; ^ '■ ..;,,;. yy,., .. •• ,,;. . '.i ;■ .:.; Insomma tutte le. parti della iifilosòfia sono penesH. splqi trattata coa sobrietà eoa iaccortczza i con giudizio^ >

23

Egli, non La; mai sdraripato dai suoi confini; e fu, scri- vendo per la verità, sempre presente a se medesimo: il che è un gran merito per chi penetra nel midollo del- la scienza, ed è avvezzo a meditare, e a vederle cose sotto tutti i rapporti, e non con il lume di un sol uo- mo, vero o falso ch'egli sia, e a dritto o a torto ch'e- gli il faccia.

Il Mancino dunque ha fatto un Jauon libro ; il che non è poca gloria, quando i libri che si fanno non so- no plagi, che allora direbbero i Francesi /ai/o il mon- do è scrittore^ e i ciabattini sono scrittori'., ma quando sono il frutto delle meditazioni e de' sudori degli uo- mini. ' '

Per le quali cose abbiam letto con sommo piacere il saggio critico dato su quest'opera dal professore di Roma. Costui conviene di aver ella i veri pregi dei buoni li- bri elementari, l'ordine cioè, la chiarezza, la sobrietà; di manierachè (secondo egli si esprime) chiunque legge non potrà non apprendere e ritenere senza stento i prin-» cipi ch'espone, le prove che adduce, le deduzioni , gli schiarimenti. E siccome (soggiunge) troverà nel medesi- mo tempo raccolte in breve sì, ma con moltissima di- ligenza tutte le più importanti discussioni ch.e i reccn- tisisimi scrittori di filosofia tanto stranieri quanto italia- ni hanno prodotte; così il corso dell'ab. Mancino si do- vrà dire in verità un corso tutto moderno ed appropria- to al tempo.

Le quali cose che son vere, e che possono da ogni uomo mezzanamente istrutto nelle metafisiche dottrine, conoscersi e verificarsi, debbono raccomandare 1' opera del palermitano scrittore, e disarmare coloro che gra- tuitamente l'attaccano. E bene e saviamente dice il con- nato scrittore , che mentre alcuni con tanto pericolo e danno si erudiscono sopra gli scarsi ed inesalti accenni de' manuali e de' giornali che ci vengono per lo più d'oltramonli, possono invece negli elementi di che par-

I

%4

liamo trovare più ampia evudiziooe, ed insieme impara- re a distinguere la verità dal sofisma ; ed i principi e le massime, che tutti i buoni filosofi riconoscono, dal- le opinioni incerte e vacillanti, che per lo più riescono O vane o dannose alla vera scienza.

Egli promise che dal noto sarebbe passato all'ignoto e dalle cose più facili alle più difficili, e mantenne a meraviglia la sua promessa. I principi astratti e gene- rali furon dalle sue dottrine esclusi , il sillogismo eli- miuato. Egli coll'esperienza e coli' osservazione , e con un costante uso di una moderata ragione, ha fondato i suoi ragionamenti , stabilito i suoi dommi, ordinato corso di filosofia facile chiaro , che ai presenti e ai futuri raccomaiiderallo.

Noi dunque ci congratuliamo col sig. Mancino, e de- sideriamo ch'egli desse ognora opera a libri di gene- rale utilità, siccome è quello di che abbiam tenuto di- scorso. F. M.

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Esame delia evidenza intrinseca del cristianesimo di Soamo Jenjns. Palermo presso la reale stampe- ria i836 un voi. in 8. di pag. go.

Sono ornai sessanta e più anni che venne da Soamo Jenyns pubblicato in Inghilterra il cennalo libro. Nel 1778 se ne fece una traduzione francese; ma non si difì'use gran fatto: poco fu sempre esso conosciuto in Italia; quasi niente in Sicilia, e nessuna traduzione i- taliana ne venne mai fatta.

Nel 1824 si fondò in Inghilterra una nuova Società sotto il titolo di Società della cristiana evidenza.^ ove ministri e privati, ecclesiastici e laici, dotti ed indotti, e donne non volgari vi concorreano a furia, come tuttora vi concorrono, e disperatamente si battono: perciocché ivi si agitano i dommi della crlstana religione, non domi- nando in Inghilterra /' indifferentismo^ come nella mas- sima parte d' Europa; sibbene i partiti religiosi , che

S»ièi«tày'lQD(òi.'géi igvutlii8ÌifaJlaci)fcU0/ilm.fl»^S!ii,^q!i*3ft^fft pel) 'tMotibl cori!) «cui ili» pnodica;t;vCQsl C; v:ibwto>ftìl' at>< $^1 vèriq> Térao,i lihctj^eil postrl ivolenti Jettéijatfij, il pjerisieirpi db Jtratki'id '^l'opera, idi ;qi}eUiirigil(«fiCi A«U'iUlifi!n^./av.^lla;,U^ qkodii thiibo (in*Js*ilelf)iiroi.edi éltjgatìAe»PUi chgi,11ÌF>»P! iC ,sftT{ bHò,0Bdj3jla/ii»itjBÌné .cl4é>fcU (|:v(fi:pifìi§ÌJetS][)6>]pgÌ)!nQmegMfo e più facihaeiit^ iiisiiaiwrsiifìo^gaft^iaRUl/piwroP disi l^tt^^jjjiq - rl^Vitmnvà'jJseWK 1 )suiì(* j ift ì Indùì^rrai f d^a ; oristìana» eeiiieiiaa: i')!Q|iépa id^ìl' ifkgJiese J^nyj?^, ha pu»?, quejlb .'Bine : onde il traduttore lia creduto df;,baf^«J^ (peUa_-CQyji.siess£^ suo ined_Q^

f^ÒvWi le rMò^ié èlle, d^^èt ' bò^^àWiiy ài novatori ^'^-^^ •^''■ìi''ìiìÌMì^ùl =à'dii'ik[iié' del -tkWtto/e -è' Sonittiàtóbiite pia e devota: il libro e da lui intitolato al P. -à^Ac- qliidkQ.'èbiifr.uiìal lieggia«l?a l3tl«w^t^>i^ìé: veji[e,,§uir!oiJ€ra v-olgamfca»|»yl3BicJlit siìa»(de>()i«^f^l»"& ^knmi ppt^i f^^WWi niedìQsipanitl^i/.fiia Jei^U*èìc(i):*,mleiv^ difii3lGUqi,ayf;^f>j UxÉ^e , fati©; Hiail; .mia alla ciifclj^jnai Mk^ì flfiU'ii*iglése,fipiqn logista,. pm-tìhèv'jdicévajiQ^i:ftK(ji^^ QgU- ftiMoi'd.ipendei-^ljt^ prove: delia ^Ireligijotò dallei pj'Qftz,i$,,42,;d4i,;»ii»'aQolÌfi ^j il Terzo; ia ; riflettere die .l'idgleiiie! st:^'ilJlj(;)y((}/a.ppera, dqljl^ uno e degli altri;,- per' costituire t lai, ^-eUgipne da'|caraUqyft intriufeeci. : delia iimedesima,, e di^lfal sj^ ^ijipml^.» I^ qu^l^ji, (aggiunge) non i Veggono il suo, .iTdo.dQi ;di jayivisarla 5 i,^ SHO prilicipalei scopo, -,riù' la foK?,9(!'GOi«ip,reuidqnp. fji jtuttq il. pgionameplo;; e. però si qfotlpsAOijdi sporgepyijuiia.pp- tiajone da principio.; Le ^piiof(?'zèe(.édi: miracoli ;S9iio)ijinfi raaniera ,di prova-; questa; ne.è-uii.' altra ;tij}.t£^i,4iyers^;;> e tutte e tre coU<j altre, contritfni^cotìo a dimpstrarfjQ 1^. verità.;! donami e la morale iie^ Ticino,, co^ijie. la, ^ostaijz?, ed il contenuto, ed il cavalfpre.icoslitutivp .ne.formangt;, le profezie ed i miracoli ne^ sono iJjPicauiferm?,,. a, 'CQi>i^ il

3

36

sugg€Mo,« stanno in ceria gsisa al di fuori disila medesima; app«i>tocome negli strotnenti pubblici sono la. datai, lèi forinole, i testimoni, le soscriatoni^ il siggillo,xlie nulla:!; hati etie fare colia sostanza, e oqIi contetiitto del rogito^r ma la validità ne costituiscono!, la legalità. » Le quali cose dal traduttore aimunziate ^jje iohenoi abbiam va-* luto riportare, daranno un' idea della natura diel libroip che oggi si pubblica, e del modo di argomentane .del4 V'àutore in una materia grave e gelosa; ijiil uh] •> 'Noi quindi non aggiuugiara pia nulla del nostro.,, la- sciando cht il leggitore non tolgave col suo sennd iie

giofdichii ■-'• OliiniL/;-;! i; 'jLuO ; iJl.F. JUr^i,

' ■-■'ìUY'i\ ih nibi ii.--;^ .>^\i^ mMii; ,,,i-,,i

osservazioni critiche di Carlo Dupin all' opera del

M'flpttpr Kastner intitolata: ricerche sulla durata p,ro-

habìle della vita dell' uomo^ per servire alla siàti-

■stica medica. ,V. il fase. 4/ di queste Effemeridi pag.

..,128.

"Il Dupin ha primieramente attaccato la validità dellp basi che T autore ha prese per le sue ricerche sulla mor* talità in Francia ed in Inghilterra, cioè da una parte le tavole' date dall' Ufficio delle longitudini secondo D«^ villar, e, dall'altra, i documenti che pubblica in ogni decennio il parlamento britannico* Quest'ultimo lavoro non merita, giusta il sig. Dupin, nessuna siwcie di con- fidenza. In quanto alle tavole di Duvillar elle non sono calcolale per tutta la Francia, ma solamente per la po- polazione delle città, ove la vita media era molto piìjt lunga prima della rivoluzione, ch'essa non l'era nelle cara- paigrie. Elle sono dunque inesatte pel tempo passato; se si applicano a tutta la Francia. Ma siccome la vita me» dia è aumentata ora da i^ a 8 anime; così non ci possiara servire delle tavole antiche e delle nuove tavole , per determinare la lunghezza della vita media nel periodo che è scorso da Duvillar fino a noi, senza avere ppe* cedentemente determinato, e senza far entrare ncl^cal»

a7; colo la prestezza progressiva dell' aumento della y'^. media medesima.

Il Dupia si è in seguito applicalo a rilevare gli er-i rori che crede essere stati commessi dal doU. Kastner a proposito dell' Ingliillerra. Così il Kastner aveva cre- duto trovare, per la durata media della vita, una cifra molto più elevata nelle contee agricole che in quelle manifatturiere. Il Dupin si applica a provare che que- sito risultamento è completamente inesatto ,; e che ia Inghilterra, come dappertutto, la longevità è in propor- zione diretta cogli agi della vita, e gli agi coli' ind,»- stria» Difatti nella contea di Lancastre, la più industrio- sa di tutta r Inghilterra, questi tre termini attingono, ili massimo e nonostante la migrazione continua: de- gli abitanti delle campagne , che dovrebbe . aumentarg la comodità di quelli che restano, la tassa dei poveri è. infinitamente meno forte nejle provincie manifattrici. Vi bisognerà molto certamente per credere che le nuo- ve macchine sieno state lina causa di miseria per gli operai. Con i nuovi ordegni un solo operaio fila oggi- giorno , tanto cotone nel medesimo tempo che 1' avreb- bero potuto fare, sessanta anni addietro, 44<^o operai. Una macchina a vapore della forza di un cavallo fa tanto lavofo, quanto ne avrebbero altre volte potuto fare ì6oO; uomini. Intanto il salario medio in Inghil- terra è di 4o soldi per giorno: e tal è il basso prezzo delle stoffe che una donna può proccurarsi per tre fran- chi un vestito completo di tela impressa. L' industria del cotone produce annuj»lmente in Inghilterra una ricr che^^za di 9-10 milioni: or su questa somma enorme un mì\o solamente va ai capitalisti, ed il resto alla mano d'opera. Quindi le invenzioni moderne hanno in: vm tR<#^zp se<folo, creato in una sola branca d'industria, agli xiperai inglesi tuia rendita di 800 milioni. Il progresso filféUla ricchezza ha prodotto quello della sanila pubblica, e l'aumento rapido delta po^>plazione g della longevità

de^r individui. lié fabbriclie- 'itìfiiie J8i i'%h>[l^^tf>iÉ(liiriri' oX) guora più: l'operaio \i vive ,in una teiiVpiéraktTa tìbl^c^' er^ctostatitó,- (ribilti'e il •tHiji'^lid "delta '1erra'''e^tìb' alle iWém|)éie ddll'^aka',' dòtfd'é» »iiàèeOhó'!Ogtti 'ihìftét ^t» riiflii latlic e d' iiif'ei'rtlit^J '■'' .1 i' wl. !: ^T II »i) o)i<!K|. -i,? r.

'iite qtfali còse, e^ie vi {irósbritfrnc^ iddtii cU^ fddr>

di' 'd^bio^, e die vcniil^rrf' Osservati da' 'tì'rtd^ael''piiù' pfou fotìdi pensatori del*à 'Francia '^qiial'fe' il' DWpitì^J'fl^bbtta «d illutiliuare' 'ttlfti' cóìbro' òlVe' 'ftiuovoii' •ciet'fii'lérttìeriil^ contro' li ''progressi dell' industria" nianifattrite^ e' ii''sbtttt scà-gliati' con tanto aCcahinieritò suUet itiaccbiritì'*'taji^«;s L' ùbiàifwi' fantasia- fa soVehtó' molti 'gi^iochi - ytiUiAssifttfilf é^^i giuochi d'ella sfrenata fantasia dell'udmo pdssétìsii^et" donai^e sdló ai mnìantici/ abbandonandoli, (Juai pa2zi',i di loro furori. Ma la stessa indulgènza nòni si -pUb^ certdi? niente, usare icogl'i eiconòtóisti; poiché i loro eih^òri, & ki loro 'iusBlse' utopìe ^assciffocreòàtrè,' come recanoi,-'-^ifayéf datano ì alle nazioni.' ''■'' '>' '■ uif.'mi ;liu :,'.'nvjy>''.id i/ 'i. Alcioni ci avevano dipinto' !e-fóbbricbe 'd' bduStilsf còllie le fucine di Vulcatìo. popolate di spettri; e'doVd stavaii iombe spalahcalié^- <3he"aÌ "ogni ni'otti'énft) ^ itìgtì* iavanp i miserandi Bfrtéfiéi' 'flèi 'primi' anni •dellfliJltì^o'glM vbntù.iSe gli' uòmini' vediessero 4e; còse conie 'àtàiln^^i « iibh si ^cessero 'd'i vane illusioni ddrtìinare, menò infe- lici vi' sarebbero sulla 'terra -, né" laute guerre" bjiietatè sarebbercr fra gli scrittóri avvenute:'! *1'''»^ *>\. ili -j .ruol L' industria ^nTfànifaltMciB, oggigiorno" pi^'nòti'Tèst^j'tti^ pittò restar' più sola: quanto più ella- si avàdìa. ,' tanta più si estende l'agricbitura, ed in fiore si mantiene; sèri* za temere in nessun mòdo e in nessuna epoca quei colpi che ha ricevuto la' cultura dei- gl'ani ilei ititìzzOgiofiié di Europa. ' •'- -:;■ / ' : '.' .i. ■<:•<> l>

«^^ii Questo gran bene deesi ai progressi della civiltà^ sallé invenzioni dell' ingegno, a quel magico potere di ini-»' gliorare la sorte degli uomini e dei popoli che doniina occulto nei petti, e fa miracoli.

F. M.

^9 Osservazioni meteorologiche fatte nel Reale Osservatorio

di Palermo nel mese Marzo i8Sy.

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PARTE SECONDA

LETTERE ED ARTI

Dalla Siciliana favella de suoi lessici, e suoi lessi- cograji Ragionamento di Lionardo ì^igo V. il fa- scicolo 4? di queste Effemeridi pag. i33.

PARTE II.

Jr u sentenza del De Brosse , e fra noi di Ludovico Muratori, del Bettinelli (Sq), del Cesarotti (4©), e co- me Napione dice de' più chiari letterati de' giorni suoi che ogni particolare dialetto italiano abbia diritto di somministrar voci alla lingua colta e comune, purcliè intese e facili ad inteiulersi in tutta Italia', e che, se- gue a dire il Napione , le voci latine sono sparse a piena mano in tutti i dialetti d' Italia; come a tutti è palese molte ne lasciarono i Greci a Fenezia col gran commercio che ci ebbero , così in Sicilia , in Puglia, in Calabria; che il Bettinelli chiama ottimo consiglio quello che in ciascuna provincia o dialetto si formasse un proprio vocabolario, e che da questi particolari scegliendosi l'ottimo, si venisse a comporre un dizionario universale a giudizio di tutta la nazione, che si potrebbe allora vantare di avere un vero tesoro di lingua (4i)' Ne altrimenti praticarono gli Ateniesi, po- polo per cui fiorì massimamente la greca favella; poiché siccome testifica Senofonte nel secondo capo dell'ateniese repubblica, da ciaschedun linguaggio parziale prescelsero le belle frasi e le belle voci, e ne arricchirono il loro dialetto. E a valermi di una vera e vivace similitudine del Cesarotti dirò che i dialetti di Grecia mandavano vocaboli alla lingua comune ^ come le diverse città i

5

34

loro deputati al collegio degli Amfizioni (43). E gli stessi Toscani .lepeii di lor preeminenza, e tenaci, anzi supcrsliziosii idei rifiatare qualunque voce o modo non usato nella loro terra, non si sono mostrati in tutto ostili al saggissimo' {proposto deV Bettinelli. E sin'anco il professore Rosini , che dichiara potersi trarre poco vantaggio dalla nostra lingua, péi'cliè non gli venne l'atto li-arne dalle prime 5o "pagine del Meli, la buon viso ai labhruzzi. di Neera, agli occhiiizzi^ e a vari altri simili vocaboli (43). E pensando che queste concessioni ven- gono da chi bee l'Arno; e pensando che mentre costoro concedono la teoria, non hanno sdegnato i grandi poeti toscani Usare siculo voci, come il Redi allorrchè cautp:

Donne pietose devote d' Aniuri;

e pensando che Petrarca tolse voci e forme dal siciliano, come attesta Pier Valeriano bellunese (44)i *^i allegro con noi stessi te con la Italia della riportala vittoria. Avvegnacchè se la lingua dee far tesoro di un vocabolo nuovo, o sostituire una voce certa ad una frase, e a tal uopo posson giovare le lingue parziali , allora non abbisognerà ella rivolgersi alla Francia, o alla Germa- nia, o proferire per orgoglio la nudità propria alle vesti straniere ; ma potr^ d^i leggieri ingemmarsi ed ornai si di quelle delle sue affini , anzi sue consanguinee e so- relle. E continuando questa ap[)rapriata metafora ag- giungo .col Bagnoli, che in quanto alle parole^ se una gemina vi sia da ornare la lingua^ concederò che uno scrittore di autorità , /' apponga , purché sia la parola docile a prendere la toscana impronta ^ e che ben collocata faccia bella figura e chiara ad inten- dersi (j^5)\ e aggiungo eoa lo stesso in quanto a' modi: ' se è concesso agli scrittori di formare delle Jìgure su modello di lingue straniere ^ perchè si nieghcrà nei dialetti italiani ^ ^ dove f modo vivace spiritoso e ben colorito si trovi da lumeggiare la. lingua? Meglio e

35^ che abbia qualche cosa di patrio e di nostrale (4^). questi sussidi l'idioma illustre potrà ottenerli, senza la perfezione de' vocabolari parziali, come tutti gl'Italiani hanno affermato, e non negato i coltissimi Toscani.

A corroborare il sudelto invito i letterati a leggere le considerazioni dettate dal Cherubini sul Dizionarìu univen>ali sarda-italianu compilali de su sacerdotu Vissentu Porru^ pubblicate nel fascicolo di Agosto i836, della Biblioteca italiana, ove dimostra con matematica luce quanto sussidio potrà raercare delle parziali la il- lustre favella italiana, e ciò non prova con ispeculativi argomenti, ma con fatti ed esempi. La lettura di que- sto aureo lavoro convertirà i più increduli.

In vari stati della penisola che non sono toscani, e sono parti integranti d' Italia , si esercitano professioni speciali, e mille nomi ad esse appartenenti non potranno travasarsi nel tesoro della lingua senza attingerli dai parziali idiomi. Così noi la pesca del corallo e dei tonni pratichiamo , e però usiamo infinito numero di voci esprimenti le diverse parti degli utenzili a ciò ad- detti, de' pesci o delle piante pescate , delle persone , che ci si travagliano , delle diverse conce ed apparec- chi de' tonni, ne l'Italia se vorrà tradurre le opere fran- cesi su questi e simili argomenti, o dettare delle opere originali su di ciò , lo potrà mai senza giovarsi delle sicule voci. Egregiamente fu chiarito dal Cherubini con una tavola sinottica comparativa, qual sia in questo la lacuna della Crusca , non solo ma de' posteriori voca- bolari, e quel suo scritto non solo toglie, anzi diradi- ca la quistione.

Ma di qual utile non sarà alla patria il disiato e proposto Lessico?, Il nostro sommo utile nazionale, ci dee non che determinare all'impresa, ma farcela afliet- tave con ogni attività. Noi parliamo il siciliano , per così dire quando siamo in famiglia , ma nel foro , in- nanzi i governanti, nel pergamo, nelle colle assemblee,

36

ne' geniali ritrovi de' gentili adoperiamo la illustre fa- vella; e, tranne alcune poesie e pochissime anzi singo- larissime prose dettate in siciliano, le contrattazioni, la epistolar corrispondenza, le epigrafi ne' fondachi di mer- canzie , e nelle botteghe di ogni natura , ed oggi sulle tombe de' t-iapassati, i processi criminali e civi- li, le sentenze e le decisioni de' giudicanti, gli atti del governo, e le opere di ogni genere scriviamo nel- la lingua illustre. E intanto che lingua è [quella che leggiamo ne' notarili contratti, negli atti giudiziari non che degli uscieri soltanto , degli stessi togati ancora , nelle iscrizioni delle nostre città ; che lingua è quella che strepita nelle bocche di buon numero de' nostri avvocati, de' nostri predicatori, e della maggioranza dei nostri connazionali? Non è ella lingua, ma un bastar- dume, una mistea di siciliano e d'italiano, di vocaboli nostri di desinenze straniere , con sintassi siciliana , di verbi storpiali, di maschili volti in fcmenili, talché quel sonito sregolatissimo di parole non è ne greco, ne latino ne italo, ne scotto, ne degli altri discesi da Nembrotto. E intanto noi al veder tale scandalo predichiamo in tutti i giornali purità di favella, proprietà di vocaboli, ed a ragione si alza il lamento de' dotti; ma come ri- parare al difetto senza un buon vocabolario, che ci am- maestri della genuina e generale corrispondenza delle voci? Scordate essere in questa città civilissima , scor- dale quanto avete apparato sudando tanti anni su' libri della italiana favella, e ponetevi, come sono migliaia e migliaia di nostri connazionali, nell'interno dell'isola, e digiuno di ogni elemento della sinonimia siculo-itala : come fare in questo caso a manifestare in linguaggio illustre le nostre idee? Questo è il caso attuale della Si- cilia; bisogno di parlare e scrivere Titaliano, difetto di mezzi per ben praticarlo. Ne oltre su questo vi dico , quantunque potrei porvi innanzi mille esempi ridicoli vergognosi e veri, che la via è lunga , e preferisco la brevità.

Oramai che tutti i popoli dal Piemonnle alla Sicilia, toltine due o tre soltanto (47)1 hanno i lessici parziali, e nelle lingue de' vari stati sono autori di altissima ri- nomanza , e in esse son volgarizzate le opere de' più illustri italiani, e sin'anco in piemontese è il Lucrezio (48), e in siciliano abbiamo parte di Omero, Anacreonte, Teo- crito, Oiazio e Virgilio , si potrà mandare nobilmente ad effetto il divisameuto del Bettinelli , del Muratori , del Napione, del Cesarotti, del Monti, del Mustoxidi, del Pertica ri, del Cherubini e di quanti gentili addot- trinano e illustrano Italia.

E siccome noi precedemmo tutti nella formazione del vocabolario, del pari dovremmo vincer tutti nella sua eccellenza. Quelli che possediamo manuscritti o stam- pati non aggiungono al grado della presente civiltà no- stra, è mestieri però fonderli tutti, e crearne uno che fosse perfetto, e opera di Sicilia non di un Siciliano o di pochi. Chi maturamente ha studiato la nostra indole, la nostra letteratura , i nostri letterati , converrà meco di breve che noi nella nostra somiglianza non ab- biamo una fisonomia comune, un tipo comune, in som- ma una scuola; che preferiamo esser mediocri, purché originali , ad essere eccellentissimi , ma imitatori ; che ciascuno ha la sua stella; e finalmente che nella plura- lità convenghiamo nel fervidissimo amor della patria , e che tutti siamo agitati scaldati da un foco ciré disu- gualmente in tutti uguale. Questo è il carattere della siciliana letteratura , e molto più della presente ; e le opere stampate da 3o anni a questa parte , e più le raccolte, come sono i nostri giornali, ne fanno manife- stissima testimonianza. Ne questa nostra abitudine è di ieri; io la veggo sin dal 5oo anche nella compilazione de' vocabolari. Scobar , l'anonimo , Auria , Mala testa , Spatafora , Vinci , Del Bono e Pasqualino lavorarono ognuno da se, poco e appena quest'ultimo guardò l'ano- nimo, e raro lo cita, ne 1' «no si fé' scala de' volumi

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clell'altro per avriciliàrsi all'ottimo. È necessario eh* io dia di volo ragione di tutti , per infine fermarmi sul Pasqualino, e mostrarvi la imperfezione del suo lavoro, onde la necessità persuadervi del novello vocabolario universale siculo-italico, e italo-siculo.

Lucio Cristofaro Scobar betico canonico di Siracusa e Girgenti fu discepolo di Elio Antonio de Librixa grammatico (49) : costui , fu autore di un vocabo- lario latino e spagnuolo, a cui quegli aggiunse il si- ciliano. L'opera fu compiuta in Siracusa nel i5i7 , e stampata in Venezia, il primo tomo cioè nel i520, e il secondo nel iSiq. Sonò da considerarsi le prose sici- liane, che precedono entrambi i volumi, per avvisare quanti mutamenti hanno sofferto la nostra ortografia, e la nostra lingua. Ciascun vohulie ha il suo prologo , così egli appella la prefazione , il primo è trilingue , cioè latino, siciliano, spagnuolo; il secondo bilingue si- ciliano, latino. In quello ragione del metodo da lui; tenuto e da tenersi nella formazione di simili opere co- m' è stato da me cennato di' sopra; in questo di altre cose che in parte nelle annotazioni di questo ragiona- mento si leggono. Da uomo sapientissimo, quale si fu Cristofaro Scobar dovea sperarsi opera perfetta, ma egli frodò l'aspettazione della posterità, principalmente per- chè non riunì la definizione alla parola, e più intese a tradurre in Siciliano il latino, che a formare un voca- bolario di nostra favella. Talché per questo fallo il suo volume indice copioso della siciliana lingua piuttosto , che vocabolario della stessa può addimandarsi. A' difetti primitivi ora per gli anni, e per la mutabile costumanza degli uomini quello vi si è aggiunto di trovarvisi grande numero di vocaboli antiquati , e aflalto a noi ignoti , utili solo all'erudizione della lingua. Ma, di ciò ad onta, somma ed eterna sarà la nostra riconoscenza per la memoria di colui die primo tentò diflicile impresa. - È superfluo favellare a voi, illustri colleglli, di Vin-

3^

cerno Auria e .«li Placido Spatafora , il mimo da Cc- falujiie vissuto' dal i6ti5 al l'yio e della jìatria be- nem'erito ; il secondo palermitano e vissuto dal 1628 al 1691 utile alla gioventù siciliana per le sue proficue opere italiane e latine^ Eiitrambi lasciarono manuscritti i siciliani dizionari'.^ clie in questa biblioteca del Senato conservansi. Quello dell' Auria e in uno , quello dolio Spatafora in quattro volumi, manca il secondo; ma si l'uno che l'altro son preziosi, e quel dei secondo è di consi- deraiioné degnissimo , e grande vantaggio se ne potrà ottenere come vedrete dal confronto cli'io farò di tutti.

Con migliori auspici Onofrio Malatesta palermitano' vissuto dal i665 al 1749 si accinse all' impresa. Egli liei' 1706 cominciò a stampare la. Crusca di la Trlha- cria^ ma la sua pubblicazione non 'ebbe elFetto.Due copie' del manoscritto rimasero presso i padri di s. Francesco di Paola di questa Capitale. Il suo lavoro è amplissimo,' ne cede in molte parti al Pasqualino e al Bel Bono c^uautunque ad entrambi anteriore; ma non beiic alloga i vocabili, e più, le frasi e le voci scieutificliè non ispiegà scientificamente tulle registra (5o).

Contemporaneo g costui deve allogarsi l'anonimo, il di cui lavoro conservasi nella biblioteca del Senato , e che' fu. dal Pasqualino spogliato , e citato còl titolo di Dizionario jnanuscrìtto antico: esso e in un tomo in foglio, e monco più dello Spatafora : n' è caro, perchè servì di elemento al Pasqualino onde compilare il suo.

Il Del Bono nato in Palermo a 28 settembre 1697 estinto in Vitei-bo a 3 novembre 1775, arricchì la lin- gua di un altro dizionario del quale eseguì due edizioni: senza criticarlo da per noi, basta leggere quant'egli scrisse dell'opera sua nella prefazione, cioè di aver bandito gli esempì tratti da' nostri autori ; i termini delle arti e delle scienze; le voci del regno; la geografia straniera; i termini bassi e antiquati; le definizioni; la etimologia, ed altre simili bagallelle; delle quali sentènze di bando parte rivocò nella seconda edizione e parte no (ji).

4<> .

Giuseppe Vinci protopapa de' greci, nacque in Mes- sina nel 1-701 e vi morì nel 17^2; a lui dobbiamo la etimologia della nostra favella, ciie che ne dica lo Spi- nosa, il quale volle sparger credenza nel pubblico essersi il Vinci giovato de' lavori di Francesco Pasqualino. La sua opera ha le pecche degli etimologisti, e forse meno delle altre, volere, cioè, trarre, come i nobili antichi, loro origine dagli eroi di Troia, non contenti a quelli del Lazio ; ma è ricca , pregevole , e di gran giova- mento sarà alla nuova compilazione del nostro Vocabo- lario. Dal Vinci dotto negl'idiomi latino, greco, arabo,, ebreo, caldeo, siriaco , dovea ottenersi uno scritto non inutile la terra nativa.

Ma finalmente Michele Pasqualino palermitano , qui morto ottuagenario nel 181 a. volse l'animo a darne un vocabolario completo per le definizioni, le arti, le scienze, la geografìa, la etimologia, ed è questo il migliore che possediamo de' quattro sin'ora stampati e che a giusto titolo oltremare è tenuto uguale in pregio a quelli del Boerio e del Porru. Ma egli è perfetto? Ecco alcuni sol- tanto de' suoi peccati, senza contare quello imperdona- bile di non aver fatto tesoro delle opere di chi lo pre- cesse. Ivi sono:

1°. Monche, o al tutto mancanti le voci e le de- finizioni de' termini di arti , mestieri , scienze , storia naturale;

a". Mancano quasi tutti i vocaboli antichi , molti de' moderni;

3°. Mancano in grande numero i sensi figurati;

4°. Mancano le caratteristiclie delle parti del di- scorso, talché ignori se una voce sìa verbo, nome, ma- schio, femina;

5". Pone frequentemente un verbo, p. e. come neutro passivo, mentre lo usa nel senso attivo o neutro;

6°. Spesso registra il participio, e non il verbo, e cosi vice-versa.

'j*. Nota il senso traslato prima del proprio non poche fiate, o il primo senza il secondo;

8°. Tralascia non pochi, i meno belli siciliani . proverbi"; ; >r/x

9°. La sinonimia italiana non rade volte è inesatta,,! o manca alTatto, quantunque esista in lingua;

io°. Registra voci italiane, che nella nostra lingua non sono;

1 1 ^.Ingombra molte e intere pagine del libro stor- piando ì vocaboli per trovarne l'etimo nel siriaco, ueL samaritano; >U '•:■>[ : :\ ■•{■>'.! . r.'.^A

ia°.I richiami non sempre corrispondono tanto per le voci, quanto per i proverbi: cosi alla parola albera pone V. arvulu , e ad arvulu ne rimanda ad alberu. senza darne la spiega;

i3°.I proverbi" non son posti alla parola sopra cui si appoggiano, ma ad arbitrio , talché il riaveniili, è difficile;

i4**-Le parole usate con diversa ortografia come. varva e barba^ le spiega in ambi i luoghi, in vece di un solo;

i5°.Non conferma le definizioni con gli esempi;

16°. Tralascia affatto i vocaboli dell' isola tutta quanta, e solo fa buon viso a' palermitani.

Dalle cose discorse raccoghamo che ad onta di esi- stere tra manuscritti e stampati 8 vocabolari siciliani con la corrispondenza, spagnuola, latina, italiana e delle lingue dotte in quanto riguarda alla etimologia; che ad onta che Scobar, Malatesta, e Pasqualino sorpassino gli altri in merito; noi non ne possediamo uno degno di noi e del secolo. E appena edito quello di quest' ultimo , se ne avvisarono le mende , e di uno all' altro decennio viemaggiormente accresceasi il desiderio di vederlo ri- formato; quando finalmente circa il i83o Giuseppe Mar- co Olvino da Trapani (Sa) , di cui sempre deplorere- mo la eterna dipartila, poeta ambidestro nella italica

42^

e nella sicula favella, ardì Voler navigare in cfuesto pe- lago. Egli eccitò Pietro ColaiaHni tipografo trapanese ad assumere il tipografico carico, ed egli già dava mano a raccorre , a correggere , a perfezionare , quando morte lo spense nel vigor della vita.' per la lagrimevolc perdita iscoraggiò il Colajanni,anzi venne in Palermo, vari dòtti si raccolsero^ lu iniziato il lavoro; ma non ebbe compimento, perchè non diretto da un corpo let- terario costituito, perchè il tipografo resideva in Tra- jiani i collaboratori in Palermo, e per altre ragioni a tulli note; talché di quel tentativo infruttuoso due cose solo rimangono nella nostra mente e nella nòstra me- moria; la prima si è la indubitqbilc- certezza della ge- nerale richiesta di tutta Sicilia di rifare il vocabolario, la seconda il ricordo doloroso di essersi smarrito parte di uno ; de' due preziosissimi manoscritti del Malatesta. Ecco la stok'ia analitica de' siciliani lessici, e lessico^ grafi dal i5oo al i834*. or confrontiamoli tutti a pro^ vare come da ciascheduno può trarsi vantaggio, e come ognuno lavorò isolatamentcw Per lo che -tolgo a caso una sola voce, mentre ne potrei mille: essa è il verbo aggrancarì e i suoi derivati. ' . ^ '

i.,-r\ ''■ ...-.'. ■■*' Scobar ^5^o. .

1. Aggrancarisi li nervi Tctaniim pati.

a. Aggi-ancatu ,. .".**'J C .'', i Tcfaniciis, a, m.

3. .Aggcaiicatu dilv.enli.^). ,,H|t;ft''^<>f^-rf» . Pro»lboloiiicus, m.

4- Aggrancatu idem. ......... ^ Prostliotoiiiciis, a, tn.

5/ Aggraiicafu di risa.'. '. . '. '; }j'ì''. '. ,'. . Em persi hotoiiicus, a, m.

6. Àggrancacii y..Tir4rÌ'«<i. «(.«rxiMìi . Contrailo, u, x, utu.

7. Agj^rancameotu. y. Grancu . . . . . '. .,. Tetauus, i.—

•"'"'' ' ' ' 'à. ^Aùria '

li Aggranchiari liàjdità o auti'd Aggranckiare

•2. Agyraiicliatu Da aggranfUiare, che si dice friiicipa] mente per la roa- no, per le dita (quando si pifcgàno a guisa delle gambe de'" granchi. '

•■ . .' ■•"!. : I.;: 3 S]iatafQra ' << . . . i .-.i'- ; ì

j. A^erancari di frtddu : Stecchirsi di ft-eddo, abbriviclire, o abbruvidircj o.idè stecchito, abbrividitò, abbruvidilo, o inl'd-'ittàà!

2; Agigraiicarisi li nervi '^ Raggriiichiarsi o rattrarsi i uervi o raggran- cliiarsii . . ,

3. Aggrancarisi li ijdita. Aggrinchiarsi le mani o le dita; onde mani ag- granchiate. 11 suo contrario è sgranchiare, e dicc^ji sgranchiar le mani.' ., ;iv'' A- MaJatcsta , , ^ ,, . ,.

1. Aggrancamcntu Lcg. Grancu. ' ' ;

I

3. Aggrancari li iilita, li pedi, la la^DU pri lu suvcpchiu frifldii, a si- militudini di li gammi di li granci ; Interizire, indolenzire, aggranchiare' li; dita, 'mano o piedi, a guisa delle gambe de' granchi. >— Sigio, s, ui ss. n. ass. Manum aut pcdcm rigerc : rigeat memhra gelu , at- frigore. Lib. Cic. Digitos cancri modo contraili vel curvari, On. Roiu. eJC Plaut. Leg. Acciun- cari. ' ; ; 1 . ' ;

3. AggranCatu. it. lUgido,, aggranchiato lat. rigidus, a, .utn^Vt tof^^ . nus rigidas, per rigidus. r

' 5. Ahonimo antico >;>;w i. r.|

1. Aggraacari la manuo pedi It. AggraughiarC| farsi rigido, lat. Ri^eo, es, gui. s. t. manum aut pedcm rigcre.

2. AggranCrri li ijdita pri la friddu, cioè piegarsi le dita per il freddo 'Coine gambe di granchio. It. Aggranchiare. Lat. X)igitos cancri modo contrahj,..yel , curvari. On. R. Pliii. .

3. Aggraricatu. It. Rigido, Aggranchiato. Lat. Rigidus, a, in. Ut mdnus rigidaj Per rigidus. '

6, Vinci non lo registra 7. Del Borio "I. Aggraacari Ritirare le membra o per freddo o per altra >cagioac. Aggranchiare. Mcmbris contrahi.

2. Aggrancatu, aggranchiatu Merabris còntractus. '

8. Pasqualino. \

1 . Aggrancari Non poter distenderò i membri per ritiramento di nervi Rattrappare, o rattruppire. Merabris corpore corripi. "Dalia voce grancu, quasi adgrancari, aggrancari. V. Grancu.

2. Aggrancatu Rattrappato.

Ecco come tutti discbnVengbhò Ò quasi' tutti net tìa-*^ mero de' paragrafi, polcliò 'j sono ih Scobar ', due ili' Auria, Del Bono e Pas'qualiuo , tre nell,' Anonimo, iti Malatesta, in Spatafotó, méntre Virici lo tace'; discon- vengono nella definizione, nella sinonoraia italiana e la- tina, ne',significati;talcliè per 'aversi una perfetta riunione' di tutti i sensi del vocabolo, fatta qualche leggiera eirien- da, dovrebbero tutti otto riunirsi , con le necessarie aggiunte. -' '^ ''- '■ '|j'»«-ì'ì ^' ' s'

Dichiarò De Spinosa liella' Pi^erazfiihie''9èl Pasqua! itici' che quel Dizionario era il men difettoso che àaW Au- tore si era potuto; che per uscire queW opera in tutte le sue parti perfetta, avrebbe avuto egli bisogno di maggiori aiuti (53); che il Pasqualino auguravasi che ìuia mano di persone di genio si applicassero insie- me a compiere ciò eh' egli desiderava che si fosse fitto, e che un' Accademia intera avrebbe dovuto in- traprenderne il lavoro (54)' E così diceva lo stesso Pa-

44 . ,

squalino con la penna dello Spinosa, e non tutte cono- sceva le cancrene dell' opera sua , ne potea profetare r incremento della siciliana attuale cultura, ne avvisa- va quanto utile potea trarsi da' sudori di chi lo pre- cesse. E il Zaccheria nel 1 757 annunziando all' Euro- pa il Dizionario del Del Bono conchiudea, che per a- verlo perfetto bisognava che un' adunanza si formasse^ o società j o Accademia che ad altro non attendesse ^ o a questo principalmente^ e fosse per modo di dire la Crusca siciliana (55). E quando il Colaianni tentò questa impresa, si alzò una voce generale di rimpro- vero contro essa, e ci fu chi nella nostra slessa città proclamava male essersi avviata , che il ponderare le aggiunte e le correzioni ad un dizionario non è per certo lavoro di uno o di due letterati , questo esser travaglio di Accademie o di società letterarie (56). Or se nessuno degli 8 nominati lessici è compiuto , se tutti 8 riuniti scarseggiano delle voci delle arti e delle scienze, se quando vennero a luce non erano ancor e- dite le opere del Meli, se neppure spogliarono gli autori antichi, se la Sicilia del 700 non è quella dell' 800, se Italia tutta ha riformato e meliorato i suoi vocabo- lari, se con quello di Pasqualino i Siciliani non possono compiutamente impararare 1' italiano, ne i continentali il nostro linguaggio; è dicevole e nobilissimo proponi- mento produrne noi uno perfetto per ogni verso, e de- gno delle due nazioni a cui dovrà esso servire. E co- me è stato annunziato deve esser obbietlo di lung^he vigilie di una intera Accademia, non di uno o due cit- tadini ; avvegnacchè il vocabolario de' Siciliani non di un Siciliano si vuole. Abbastanza hanno lavorato gl'in- dividui , è tempo che ordinino , raccolgano, critichino, aggiungano le Società. Così all'Italia, alla Spagna, alla Francia le accademie di Firenze, di Madrid, di Parigi diedero i loro vocabolari ; ed è necessario ciie questa novella opera racchiuda la universalità della lingua si-

ciliaiia, e non la palermitana soltanto, se non vogliamo rinnovare l'esempio della Crusca. E chi potrà escludere da questo lessico le opere del Tempio, del Ganibino, del Cangi, del Marraffino, e perciò i parlari degli abi- tatori dell'Etna? Chi quelle dello Scilla, del Vinci, del Sorlino e perciò quelli del Peloro? Chi quelle del Bo- naiuto, del Calvino e perciò quelli del Lilibeo ? Chi quelle del Vitali e di tanti altri insigni poeti delle me- diterranee città, e perciò i parlari dell'interno dell'isola? Palermo è in Sicilia, ma non è Sicilia; la sua popola- zione sta come i a i3 circa a quella di tutta la na- zione , della sua territoriale estenzione non dico ; non siede quindi per fermo fra voi, generosi e dotti colle- ghi, chi meco discordi nel dover in questo correggere la omissione del Pasqualino.

Ma Palermo vero scudo di ogni siciliana guarentigia; tutrice de' nazionali diritti ; eterna Capitale di nostra monarchia; sede, coronatrice e tomba di re; splendida per sapienza, civiltà, stabilimenti magnifici; e patria di Giovanni Meli, Pietro Fullone, Luigi Eredia, Tommaso Aversa, Ignazio Scimonelli, Michele del Bono, Michele Pasqualino e di tanti altri cospicui letterati, teneri del parlar materno^ merita il primato, ed è la Capitale che deve dare la spinta, e concepire , e portare a termine così grande opera. La nazione lo richiede da un capo all'altro, la Capitale dee secondare e mandare ad effetto il voto generale.

E senza la menoma esitazione questa Accademia, e Voi, egregio signor Presidente , che avete promesso a noi tutti e a voi stesso di farla rivivere, e tutti quanti siamo sobbarcarci dobbiamo a tanto pondo; chiamando in nostro soccorso i letterati dell'isola, stendendo ad essi la fraterna destra con la certezza più che colla fiducia ch'essi a noi stenderanno la loro; e giovandoci de' lumi di tutti i licei, di tutti i seminari vescovili arcivescovili e laicali , e di tutti i collegi^ di tutte le accademie e

*5 .

dell' Università di Catania. Questa opera se perfetta si vuole, io ripeto , deve essere della Sicilia , uon di un Siciliano o di pochi iPalermo dee esser centro di tutti i lavo- ri, l'isola collaboratrice, e da tutte le sue città devono spic- carsi mille raggi , che devono convergere e riunirsi in questo foco 'comune, come dall'intero corpo dell'uomo il sangue per vari' sentieri si aduna nel cuore. Difficile laboriosa è l'esecuzione di quanto oso proporvi; ma utile e degna di chi dagli ostacoli non iscoraggiamcuto anzi acquista novella virtù; ci abbisogna costanza e tenacis- sima concordia, e certo per essa maggiore e più dure- vole ne acquisteremo.

Ma sopra quali basi dovrà elevarsi il novello edifizio? Considerato col Marmontel che un buon vocabolario è r istoria deir infanzia delia lingua , de' suoi progressi, del suo vigore ; che tanti ne abbiamo imperfetti ; che tanti volumi , cronache , e diplomi conserviamo dettati in siciliano; che la nostra favella ha sicura origine an- tica; opino doversi lavorare sopra le basi seguenti, che Varierete a vostro grado.

' I. Spoglio e rettifica degli otto vocabolari esistenti; 3. Delle cronache e de' diplomi antichi;

3. De' nostri autori di prosa e di verso giusta l'an-

nessa nota (07);

4. Spiegare con ricliiami le parole antiquate per si-

gnificato od ortografia;

5. Accennare appena gl'idiotismi;

6. Definire in italiano, tralasciare la corrispondenza

latina , solo riferire la sinonimia italiana , se- gnare gli accenti di ogni voce;

7. Registrare le sole etimologie certe;

8. Avvertire i vocaboli che anticamente Sicilia ed ' Italia ebbero comuni;

!' 9. A' nostri proverbi contrapporre l'adagio italiano, quante volte si potrà;

47 IO. Notare minutamente la geogi-afm siciliana , senza

I diffondersi nella universale; :iijNulla tralasciare di ciò che alle scienze .alle .acU e a' mestieri appartiene; n^'iq»» jf» oc;

13. Notare non solo tutti i nomi propri, ma pure

i loro diminutivi; 1 3 .Tralasciare o spiegare onestissimamente le parole

oscene; i4-Far precedere al vocabolario la siciliana gramma- tica , a qual oggetto potrà scegliersi la Glot- topedia italo-sicula àeì Falci (58) , o compi- larsene una apposita invitando a concorso l'Ac- cademia tutti i letterati nazionali, e coronando la ottima con premio e stampa. E questo per la prima parte, cioè pel f^ocaholario unhersale Siculo-Italico; per la seconda cioè pel J^o- caholario Italo-Siculo^ basta a mio senno notare le voci italiane con la corrispondenza siciliana soltanto: e questa seconda parte brevissima, è necessaria quanto la prima. Così avremo il vocabolario siculo-italico e italico siculo.

E a dire alcun che della parte organica, estimo pru- dente di creare l'Accademia un comitato numeroso com- posto di tutte le classi dell' accademia, il quale racco- gliesse la selva di tutti i materiali che Verranno dal regno intero , esaminasse, compilasse, allogasse , e poi presentasse alla società il lavoro compiuto per essere rettificato e approvato. Il comitato avere gettoni ad ogni seduta, un presidente, un segretario, due copisti; man- tenere il suo commercio epistolare per mezzo degl'In- tendenti , e di mese in mese dare conoscenza alla So- cietà del progresso de' suoi lavori , e tutto si rendesse pubblico con le stampe. I collaboratori avere compenso di onore, e una copia gratis dell'opera: i fondi appre- starli la comune di Palermo da indennizzarsi con lo spaccio del libro, i tipi il governo, come Tu praticato in favore del Pasqualino.

48

Questo più che il mio egli è il vostro volo, egregi col- leghi, da me per vostro comaudamento espresso, e ch'io non avrei osato senza di ciò annunziare in così fatto colle- gio di sapienti, fra* quali estimo mio debito l'eseguire più che il consigliare. Questo si pure è il voto dell'isola intera, e oltre che ne son prova i tentativi fattisine in Trapani , rinnovati in Palermo , la richiesta comune , la prontezza di associarsi all' opera appena annunziata; lo ha manifestato ancora l'accademia Gioenia, cotanto da noi per di lei merito rispettata e onorata , nel X vo- lume de' suoi atti, ove ben due volte l'ha ripetuto {5g). E non è fra Siciliani chi possa far guerra a questo pro- getto, e se pur v'è, egli senza avvedersene non vuole arricchito l'illustre linguaggio delle parziali gemme del nostro, non vuole i nostri autori cogniti presso gli stra- nieri, e l'italiano illustre nell'isola.

Ma oramai dopo avervi aperto la mia opinione sul carattere e il pregio della nostra favella; aver chiarito com'essa è lingua non solo, ma da illustri autori nobi- litata, che noi precedemmo gl'Italiani nella formazione de' vocabolari parziali e generali nelle filosofiche inda- gini ancora della parte etica delle lingue; e dopo aver dimostrato 1' utile de' vocabolari parziali non solo per noi stessi, ma per 1' Italia intera , e aver delineato la storia e il confronto degli 8 da noi posseduti , in- dicando con ispczialità le maggiori mende di quello del Pasqualino , e segnate le prime linee delle basi filologiche ed organiche sopra le quali dovrà sorgere il nuovo Vocabolarìo ; a me altro non resta , che rivolgermi a Voi signor Presidente , signor Segretario generale, a Voi Direttori e segretari delle classi, a Voi tutti Accademici prestantissimi, e sollecitarvi d'infondere a questo corpo vitale attività, talché non sia ia futuro vano nome fra la gente di lettere, ma invece luminoso e risj>ettabile , degno di voi , onorevole per Palermo , glorioso per la siciliana nazione; avvegnaché solo di vo-

4*)

lére è clifetto V.tìb^ \lt. sspi^nxa iti Voi tulli sacrati a- jSlinei'va, e.pàrècclii dei quali della patria benemeriti, e celebri ; e ci sia sprone il vcilcre come in una cillìi, che nou è Palermgi, . la Gioenia Accademia giganteggia in fama e in opcr«v JVIa più grande fama e maggiore benefizio lia dirii^o .di attendersi Sicilia voi; ella vi richiede e aspetta lavori, i quali non sublimino il nome di una città , ò illiislrino una scienza, -abbrac- cino bensì sotto tutti gli aspetti il cielo, la terra , le acque, gli aniiljali, qli, uomini di nuesta nostra auia-

ÌlSS141}a;,.pfltl')a.^-. •j.M.twv». uui. liliali v\ jityii) ji ).. mwi,-.

Bella per ciel benigno e suol fecondo,

Bella ira q^uan!e..^il^ ?^^^ ,.

.o t\ \5„, ..,.;*• '. LiÓNAiino viGo:*

Il \ iMiiniii'mii il III <Mii\nii fi >i»i II 1 I I III i I. I. .-

ANNOTAZIONI

(38) Cesarotti loc. cit. p. 149.

(89) Tom. ■?.. cap. i., Liiìgiia etc. p. 3o.

(4o) Loc. cit^ E<;oo le sue parole « Dovrebbesi, /?(/• uno studio di lutti, i diÒLeLti niizio)i(di, e tesserne dei pai'ticolari \>ocitbulurt ; studio niccuinmi- fliito a ragione dallo stesso de Brosse, e dal sensato Muratori ; studio cur rioso iiisieofc e nt;ccssario per possedere pienamente la lingua italiana, per conosceiy: le vicende e le trasjoì'inazioni dello stessa vocabolo, e sopra tutto per paragonai- fra loro i diversi termini della stessa idea , e te varie locu- zioni analoghe, valutarne le differenze, rilevar i diversi modi di percepire e sentire dei vari popoli, indi trarre opportunamente partito da queste oa- scrvazioni, e supplir talora cpn un dialetto, alle mancanze dell'altro, n

(4i). Uso e pregi della lingua italiana. Firenze i8i3 tomo j. p. 4^) ce,

(42) Loc. cit. p. 91. .,./...

(43) Loc. cit. p. 89.^1 ^la ?otio^ in.vero questi t^frninutivi le sole voci ,che in quelle prime 5o pagme possano estrarsi? A mio corto vedere can-

zarri per pietre ammonticchiate; brecce ad onda per trecce crespe ed ondeg- gianti; minnulica por piccolo mandorla; cinciuUari più espressivo e diverio assai del comune pigolare; accucciarsi stringerai abbn'cciarsi affcttuosaniente; primintiu la prima erba clip nasce nei campi , e qualclie altro meritavano uno sguardo amorevole. , ,.,

(44) Dialogo (iella volgar lingua. ^\^enpzi,a^ per Ciotti 16^0. (4.">) Loc. cit. p. 6y. *■, ,

. (4G) Ivi.

(47) Bibl. Ital. tomo 55. 1829. p. in. . (4*^)' Napione de. tomo 2, pag. :\6. , '

(49) f^ocaùularium nehrisscnse : ex latino sermone in iSi^Ulefisem 'et hi-

" (3

DO

spaniemem denuo tnuluctum. Adiuiitis insuper L. Christopliari Scobaris viri eruditissimi recvnditissimis additiorùbus . ^ Ecco il titolo dcH'opera. Seguono sotto i ritratti di Elio Antouio (le Librixa , e dello Scobar , e più basso stanno <][ucsti due distici:

P(dladii Mediolaiiensis tetrastichon lexicon hoc prinium. Siculis de pignore Janni.

Atque dat hispanis nectere vermaculum. Viteriore parit litiium faeciinda Triquetra. C'iidc Mineixii docet prodiga quicqidd hahet. Bernardi Ricci tetraslichon. Quisqitis (Utet {'oces Uiliiie cagnoscere linguae.

Hispunae: sicultie pedegat islttd opus. EttcYclopaedium: wnpiectitur omnem.

7/óc hopus est superunr. caeteva praestnt honin. Alla pap. 227 penultima del primo tomo leggesi: Aelij Antonij vehrisseiuis liì-animalici lexicon latùuim atipie ìdspannm sermone siculo nunc dcnuo a /,. Cìtristo. Scobare betlnco \-ii-o eruditissimo donaliim. f^enetijs impres- sum per Jicrnurdinum Jìenalium Beigomensem. Expensis nohilium virorum Dni Domiidci Nosij Jlorentini : et Marci jacobi fìdelium meivatorum. Anno sidulis Christianae mlllli.xx. die ullirna meiisis junij, E alla nag. 116 ultima del secondo volume si legge:

Laus omnipotenti Deo. Aelii Anionii nelrissensis grammatici lexicon hispanum et latinum. In si- ciliensem scnnonem per L. Christophorum S<:ol>aìvm translatutn. f^enetiis im- pressum per Kernardium Denalium. Expensis Uni Dominici. Di hesi Jlo- rentini, et Sociorum. Anno salutis christianae. m.d.xi;i. mense junii die prima expticilum.

V. qui jriovaini allofrare alriin brano della prosa dello Scobar a conoscersi la <livcrbità dcll'atlualc lingua e ortografìa siciliana da quelle che usavansi al 5oo. (c Omni iornu nuilti mi addimandnnu <piilUi chi infra cui spii.si liati su solitu pinsari: quali di dui fora a mia più otiestu: et utili a la repub- blica: inkignari grammatica in In studin di Salamanca essendu lu primu di Spagna, e ancora di tutti li altri tcrri di lu niundu, oi cum omni nica dc- lectacioni slari cu la familiaritati: et plachiri convcrsacioni di vostra illustri et gracinsa signuria ». E chi ne vuole legga l'opera; jna a conoscere come nella stessa epoca fosse usala la prosa nella stessa Sicilia , anzi nella stessa Siracusa riscontrinsi le Ossen'azion'di la lingua siciliana et canzoni in In pro- prio idioma di Mario di Arezzo gentil' huomo sanigusanu In AJ essimi per Pietruccio Spira in lo ntisi di Gennaio i5sf3 , lenendo però presenti le osservazioni del li Greci su queste.

(5o) Clic Malatesta cominciò la stampa della sua Crusca è riportato dal Moiigitore , ma rlie non la compi e indubilabile l'atto. Egli appose alla 6ua opera il seguente titolo scritto di sua mano , e diverso da quello rife- rito da Mongitore « La Crusca di la Trinacria , cioè f^ucabulariu Sici- lianu, lu-llu quali non sulamenti li palori , ma 'ancora li frasi e modi di lu parlari di chistu regnu si trasportami alla fnvedda taliana ed allu dio- ma Ialina, accrisciutu in maggiuri quantità Ji mila fory aìguzy multi e pro- fetiiy, aduriialu di frasi oratory e pueliche ecu li sinonimi epiteli e tuUu quantu chiddu npparteni all'arti liberali e micanichi , ccu la notizia di li citati teiTÌ casteddi munti xhiumi di l' isu/a ; nomi di li tiluli e J'amigghi chi n'appiru la n'invislitura, e chi la jurnata li pu.ìscdunu.

Opira utilissima e nicissaria ad ogni liniralu e specinlmcnti a pridi- caturi, sigrilarjr^ trasporiMuri e priì/ìauri di lingui chi cca propriéiuti li

5i

iurmnnu iraslatavi , sapirL piL iddi, o imi^nari ad nutrì, composta da lit J{, P, Nofriu Malatesia di Palermu pru/issuri di saeni tolui^ia , e pridi- caturi di tordini di li Minimi di S. Fraiiciscu di Paula. ' ■'"Di essa il Malatesta lasciò due copie, 1' una serbasi immacolata, l'altra monca perché fu rubata da colui clic scrvia il Colujanni. Da quella intatta appariamo aver egli sostenuto a compierla undici aneii di fatica, e averla por- tato a termine a 29 gennaro 1708, poiché ivi é così scritto»:

Ogifi 2g gennaro 1'o8 giorno del glorioso vescoi'o di Genei>a S. l'ran- cesco di Sales, che pìf)fessò la regola del nostro terzo online dei minimi di S. Francesco di Paola, ho terminalo questa immensa fatica dopo hu- verci consumato anni undeci ; sia la gloria d'Iddio nostro Signore , del/a f^eigine purissima e santi del parad'iso.

Ho intrapreso delta fatica per comodità e studio dei detti compatrioti, e ' signori siciliani.

(5i) La prima edizione del Del Bono fu seguita in Palermo dal i^Si al 1754 da Giuseppe Gramigiiani; la seconda nel 178?.

(Sf.) Effemeridi tomo 6. aprile i833. p. gj e 9^,

(53) Prcf. al Pasqualino di Giuseppe Antonio de Spinosa Alarcon Idalgo p. XVIII.

(54) Ivi p. XVII.

(55) Storia letteraria d'Italia ec. Voi. XI. Modena 1757. p. 6.

" (56) Passatempo per le Dame. Aimo primo i833. u. i5. p. n3. "'''(57) ». Antonio Veneziano [wesic stampate e uianuscritto. ' '2. Pietro Fnllone. Rime stampate. 3. Le Muse siciliane. Voi. 5 in la. ■•

4- Paolo Catania da ^lonreale. Motti siciliani. Stampati in Palermo iG56, i663. voi. 8 in 13.

5. Giovan Battista del Giudice, il Batillo ed altre poesie siciliane.

6. Luigi Eredia. Lu surci giurania. Poema eroico in lingua siciliana. Pa- lermo 1604.

7. Giovan Battista Vallegio , Selvaggio , poema buccolico in lingua sici- liana. Palermo i6tìo.

8. Tommaso Avcrsa. L'Eneide di Virgilio tradotta in rime siciliane. Pa- lermo 1 654 .

lìrf). Michele Romeo sotto il nome di Melchiorre Lomè. La lira a due corde. ;(_lo. Rime degli Accesi.

II. Giuseppe Presciraouc. Raccolta di canzoni siciliane con la versione latina.

, ,ji2. Simone Rau. Rime siciliane.

' 1^1 3. Proverbi e canzoni siciliane raccolte dal P. Scilla Messinese. f'ì4' Silverio Sortino. Il Virgilio mascherato, ovvero l'Eneide tradotta in rima siciliana burlesca. Messina 1717,

i5. Giacomo Pelrelli- L'amico iedele e la madre di famiglia egloghe iu lìngua siciliana. Pai. 1724. ■!,i6. Scelta di canzoni siciliane fatta da Vincenzo di Blasi. Pai. 1753.

17. Canzoni siciliane composte da Giuffrida e da lui tradotte in latino. Cai. I754.

18. Nuova scelta di rime siciliane fatta da Bernardo Bonajuto. Palermo 1770 voi. 2.

19. Poesie siciliane composte da Stefano Melchiorre. Palermo 1785.

20. Giovanni Meli, Poesie siciliane tomi 8.

ai. Poesie siciliane di Carlo l'elice Gambino. Cat. 1S16. 22. Raccolta di poesie siciliane pel rislubiliaicnty del viceré principe dt Cajainaaito, l'alcniio 179^. *

1 23. Anivo poetico siciliaoo. Pai, 1799.' ■• . . ,, ,-j,, .. ,,.,,-\ti')

■.24, Satta proverbi siciliani, v,. , ,,,,J;^,\^,- '\ ,1

25. Santo Rapisarda proverbi siciliani tomi 3. 'Catania l834-l8a.7. ,,,,,, ,

^6. Vitali. Sicilia Liberata pociua eroico voi. 5. Quest'ppera dee,spoglmni

con: accilralezz,. cerche ribocca di neologismi. . :,t. ,,, 1 ,,; ,,. ,.

. 27. Domcaico Tempio, poesie ;editc ed ioedite,,i, . ||. , ,.j„; linciir.-iitii

28. Venerando Gangi, favole siciliane.. -; . , ,,...j ,,: , >iiiin-i'4 »; oJi.J •rag. Sudelto il U, Camillo poemetto. . - .. .,,.. ,>.^ ivvO

: •^3o. (ìueli, favole siciliane, , . .■,., .;.,/. \\^'^„,,

,, 3i. Giuseppe Marraffiiio, poesie siciliano.. {iV ,y, \\,

•..\3a. Poesie siciliane, che sono nella raccolta degli Opuscoli siciliani,, .. ,

33. Giuseppe Leonardi, poema scherzevole siciliano «opra il vi*»Ov, ; , \ •- ,34 >■ Poesie siciliane contenute, «elle poesie degli Etnei,. ■,,11 lAv

35. Ignazio Scimonelli. Poesie siciliane. ... \^ V»on"w

' . 36. G.,.M^rcQ Calvino la Batracomiomachia di 0<aero. , . r.j fi-Vj

37. Detto Gl'idilli di Teocrito, le canwnettc di Anacre(u4<3ie ^'*^V-¥ poesie originali manuscritte. ; i 1'

;38. PatTPt;^ Gentile da Sorlino prose e versi siciliani, : . .|.,iM (,.. ,

39. Claudio Mario Arezzo. Osservazióni di la lingna siciliana, .JU'//;' .,t

40. Detto. Canzuui siciliani. 1 ,,. j ,<;■>, 43. Scobar. Prologhi al suo vocabolario, ; 1 ,,,

(58) Glotlopedia italo-sicula, o Grammatica italiana dialettica. Cat. x836. Opera del signpr Iimocenzio Fulci. Questa «cccllcute grammatiqa merita stu- dio e considerazione, e all'uopo nostro, non sarà forse adatta perché, non e siculo-itulu; ma da essa gran luce potrà trarsi, alla formazione di^ixfHa che lice precedex'e il vocabolario. 1 ,.;,.; ; .:

(59) Atti dell'accademia Gioenia di scien?;e naturali di Catania.<i,X* Xi P?" gina •2a9,;epag. -^la, ,■ : 1 .;•:!: i ;i ... •. 1 .i,,„..|;>

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Sopra un aiifidro di Matteo Stommer"'"' •"'"'

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ili Caccamo, bsciTry villaggio' a "quattro ftrigliatla Termini, nella Cliiesa degli Agostiniani una pittura, di Matteo Stommer, la quale è meritevole di esser cono- sciuta, e posta per la sua eccellenza tra' buoni quadri di forestieri maestri, che in picciolissimo numero la Si- cilia possiede. Di quella brevemente tratteremo, primo percliè oltre 1' usanza dell' artefice dipinta a luce di gior- no, il (i) die ci farà dire alcuna cosa agli studiosi di

(i) Presso il signor Principe di Villafranca haccene due anche a luce di giorno, le quali si debbono reputare tra le migliori co,<c di Stommer. Jn una, che presenta la Lapidazione di S. Stefano, havvi un insieme di ef- fetto, e sono notabilissime certe arie di teste, e in particolar modo quella iti un ragazzo, che mirabilmeute scappa dal gruj)p(). L'altra è un S. Pietro

ivi. .Jil

03

rjualche ulllltà , agi' intendenti non discara: in secondo luogo per dar ,}ode a quell'uomo insigne, al quale per la celebrità del nome si è attribuita una miriade di cat-^ fivissinìi dipinti, alti' più a scemargli la gloria, che ad accrescerla,

Ei volle esprimerò un miracolo di S. Isidoro Agri" cóla, tlie riferito da Giovanni Diacono autore contem- poraì^eo,' divenne popolare per ogni paese, ove il culto di queir uonio di Dio si è diftbso. Racconta il Diaco- no, che servendo Isidoro ne' poderi d' un militare di Madrid trascurava il lavoro spendendo gran parte del giorno in visite di Chiese. Il Signor di quei campi, eh' e- rasi appiattato, onde sorprenderlo, vedendolo in ora tar- dissima ritornffre, si nriuove bollente di sdegno per dirgli, e fargli villania. Allorché improvvisamente, rivolti gli oc- chi al campo, mirò due persone in veste bianchissima, che' dietro a' bovi aggiogati traevano i solchi. Si appres- sa, e spariscon gli aratri e gli aratori, rimanendo Isi- doro , che ignaro dell' accidente intendeva a lavorare. Sorpreso il militare, e rase le ciglia di ogni baklania gli dice parole dolcissime scongiurandolo a spiegargli il pbrtento.L'uorao giusto risponde nissuno essere stato seco, ìiissuno aver visto, nissuno ajuto avere -invocato tranne 1' ajuto di Dio. E questo il punto della storia, che è pre- sentata nel quadro. Nel quale il Santo è in contro alla tela in sembiante di calma, in attitudine di accennare il cielo autore di quelle meraviglie. Da costa è il militare sbalordito, a cui sono insieme altri tre uomini in atto di slupore anch'essi, uno de' quali , che è indietro a tutti tenendo un cavallo sembra persona di servizio. A dèstra si veggon lontani due Angeli traentisi dietro agli aratri. In aria è una Madonna tenente il bambino. Pria

.'fX)n vari Apostoli, ctie trova, lina moneta ctitrd le viscere diuri pi^sqe.' yue« sta dipintura per semplicità di composizione, per bellezza pitloi icii , e piU per espressione di volti e supcriore alla prima. All' osscrvaZÌo:ic diqiigil*? invitiamo i lettori, ,che.| 'chieggono ragione de' nostri giudizi.-',^ . l.'nu un

clie (li ciascuna parte del quatlro si cominci a traUare poniamoci in una cotale disianza, ove afppena possono (lisliiitamcnte le figure ravvisarsi , consìderianilo , per cosi dire, come una massa colorita, e veggasi se l' oc- chio, che in ciò vuol essere il solo giudice, ne goda, o ne soffra. Il che fatto, affermo, clie il colorito di questo dipinto è una leggiadria, un incanto da lungi, e la bel- lissimo insieme, se non che levando gli occhi alla parte superiore della tela vorresti meglio tratta la Vergine , la quale ha tal discordanza col tutto, che ameresti me- glio non vederla.

Matteo Stommer, come è noto, fu uno di que' pochi pittori, che mettendosi per la via segnata dal tenebroso Caravaggio, dipinsero, e spesse fiate posta giù ogni ra- gione, fatti notturni, e così peritissimo fu in questo ge- nere, che dopo Gherardo Honthorst lui reputiamo so- vi-ano maestro. Tuttavia passandosi l'azione del quadro, del quale parliamo, nel più sereno giorno ( che' sareb- be stata sciocchezza pingere Isidoro lavorante di notte.) dovè il pittore, e si vede che il fece di mala voglia, colorire a luce di giorno. Ciò non ostante l' artista an- che qui lumeggiò, ombrò, disegnò le figure coli' effetto che farebbe lo splendore di un fuoco. I lumi forti , il riverbero negli scuri, a grandi masse gittati, tei dicono. Ciò diletta i falsi conoscitori,, i quali veggendo una ma- niera, che cotanto da natura non discorda , ma che na- turale non è, ne traggono ammirazione, e diletto come suole avvenire di que' semi-letterati , che si piacciono d' uno stile brillante, ma falso. Ma gì' idioti , che alle volte in riguardo ai colori sentono con più verità, per- chè il loro gusto ancor vergine, ne provan travaglio (i):

(i) Osservando il quadro «li Caccamo tenni iin dialogo con un contadino, che forse m'istruì più di mille teorie dell'arte. Mnilre egli iiarravami la stnnetfa, die ti pare, gli dissi, di quelle figure? risposcmi: son uomini po- sti Il nella tela. E mostrandogli il paese la campagna, mi disse, e il Cielo, non mi piacciono perche non ti piacciono? non mi piacciono. Ma diin- n»» Un e giorno, o notte nel quadro?— Si signore, e giorno, chiunque se

55 £;!' intelligenti, clic giudicano secondo i principli deirar- te non approvano uu modo sitVatto. Quello dunque, che in Stommer diletta stimiaiìio essere di riprovazione de- gnissimo. Si scusi però la umana condizione, la quale, secondo che disse Aristotele, e ripeterono i ciechi bacca- lari della fallita scolastica filosofia , dal replicare so- vente un'azione medesima acquista abito di operare , il quale, seguito dappoi,si tramuta in natura. Si scusi quin- di la mano di Stommer, che usa a dipingere avvenimen- ti notturni, avvezza a servirsi di alcuni tali colori nella composizione degli scuri, avvezza a sfumare in quel modo, per quanti sforzi facesse lartefice non potè dalla vecchia usanza partirsi , non potè il giorno dipingere vero giorno, ma questo alla notte mischiò, che resul- tandone un'effetto alquanto bizzarro gl'inesperti ne godo- no appunto perchè è bizzarro. Da ciò tolgano insegna- mento gli artisti, i quali potrebbero forse dal modo di Stommer essere sedotti, si guardino di seguitare simi- le maniera: perciocché loro la libertà di fare sarebbe tolta, determinandoli, ove vogliano far bene, alle sole cose da notte. E vorrei, che la verità di questo con- siglio con tutta forza sentissero , vorrei che uu pitto- re, il quale corre dietro alla gloria , capisse meglio la luce del Sole, innanzi che , alle cose Stommerlane in- tendendo, avesse la speranza di dipingere un il qua- dro di Cristo innanzi a Pilato di Gherardo delle not- ti, (i) E che consistendo gran parte della pittorica

ne accorge Ma mi pare di veder lume— C e lume certamente Ma dorè e la candela, dove la fiaccola, che illumina? Io non so di candela , di fiaccola, è certo che vedo lume, e non so donde viene Dio buono! ta non di bene, se fosse notte ci sarebbe più oscuriti, se fosse giorno il lun»*; anche di venti fiaccole non sarebbe cosi vivo, perocché la luce del sole non fa splendere le candele. Dunque io dico che non è notte, giorno.— Voi siete troppo sottile, e potreste anco parlare na mese , io dirò sempre ; che e' è lume, ed è giorno. Il contadino rapjionò più di un filosor(^, che dietro a principi astratti dell' arte non avrebbe detto una di tante cose verissi- me intorno al colorire di Stommer.

(i) Uno dei più raaraviglinsi dipinti di Ghcr.nrdo, che era a Casa Giwsti- uiani in Konia. in Mussouicli presso il signor Prnicijie <li Trahia ve uc

bt»ll(''7.rn,- neltrt" hL41ezz« iW coiorai'e, il giorrto cfogii'nr-' fi**li <! ila preforirsr nllà notte, la quale, Come cantano i i\)Cli, slcntlendo un liruno -velo sull'universo, scolora

'•E''<Ìa^krt|>ier-4i Ih^ltt'eyche •lb''feplencldfé 'il' ttna -flaeco- Id"',' di un fóto' 'qualunque ammaniera, se è lecito cosi di- ré, -d'una tinta rossastra, o rancio-giallognola i colóri. Itnpèrciwclic? è sentenza degli ottici , che guardato con ini '1M'i.«;ma il lume delle candele, tra sette raggi eoo»-' j^ositorì della Iure, il giallo si vede fiammeggiar magi-' giormenle. Perciò ove tradir non si Voglia l«i' verità di' nainra, e carni e panni, e oggetti di ógni sorta: debbo- no di quella tinta parteciparfe. Il'kil'iteiqitantò al bello cQetló del colorale pregiudichi' non "è; mestieri, 'ch'io 'H' dimostri più oltre. Notidimend non e da negai^si,''ché'i' séguitatori di simil' 'genere, qualora perféttàmeni6;sj'av^-' vicinino 'al vero, Còìtìi^nicano ai dipinti cotale nlagia^ chié quasi occulta all'' ociéh-io altri più gravi difetti. Èssi però quanto di' vantaggio acquistano dal colorire, altret- tanto, e forse piii perdono da altra parte della pit-' ttfrà'. Che lo splèndere 'd'una fiaceola procedendo in mo- do àSsai stretto, devo moltissimo ingratidire le masse di ómbra, le quelli alterano, sformano 'i contorni, e per lo pili svantaggiano il più grazioso sembiante. E perciò alle belle torme, le quali vogliono esser condotte con pfeiréimohia di' scuri, leggierissimamente sfumate, le quali fielle parti 'ombratfei debbono render corrto d' ogni cosa,' siccouie vcggiumo nel vero avvenire, e aver praticato i Maestri della scuola classica, preferiranno le forme di efletto, cioè que' visacci ruvidi, que' membri grossolani; ijuo! inuscóloni molto pronunciali, e sporti. Però dispe- ri'di trovar la bella natura in queste pitture chiunque

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fMtnl'- '.ri.. ' -'fi 'Il ,',, ;:. ; -.^r, , ■\ . i,.: ,.;■ ' . •■•

ha;4ina' pregevolissima copia, e crederi di mano di ^toiiinicr, la quale ha .poco nifiio cbc il iiuiito dell' orii^iiialr; la fiarichoMìt , coij die t- |n.iiiiclleggiat» it>9wuicv(4>be uoii potShi^ su r opera di GlKiardo tion mu1u.-.:« t'aiuu.^a pei

^7

ha uso l'occMo sullo statue antiche, su Raffaele, e i Rat", faelleschi, e su Guido. Non è uopo, ch'io dimostri con esempi il già detto, I Gherardi, i Caravaggi Ita noi non son rari: possono gli studiosi accuratamente considerare la conosciutissinoia tela di Stonlmer medesimo, che è nella Compagnia del Rosario, possono faie. ossei-vaziòni sul' vero, che sopra gli esempi anco degli eccellenti! dove' essere norma alle loro speculazioni. ' i,]

Poste lei quali cose al suggetto nostro bisognevoli, tor- no a cercare le ragioni dell'opera preaccennata. In essa' r invenzione sarebbe giudiziosissima, ove la madonna' soltanto, si togKesse. Questa è totalmente straniera »h composto; è difatti la parte di tutto il dipinto, la più' goffamente ideata non che lavorata malìssimo. Ei pare, che r artefice ve 1' abbia tirata, di pratijca , cosi chiaro si' scorge, che la mano male ubbidiva all' ingegno. E mal per le arti qualora l'artista è costretto a seguir^ ciecamente il volere di chi commette un'opera'. Qui certp^ dèe trovai'si la causa di tutte le iuco^enze, di tutti gli onacrouismi, che spesso guastano' anco le produzioni dei migliori. Di ciò lungamente dissi altrove, ne voglio ri- petermi. Dico ora bensì, che gli esseri' sovrahaturali, se non fossero dalia storia neces^aridm'ente richiesti , cioè se la storia non potesse stare senza' essi , dovrebbero escludersi dalla pittura. Che produrrebbero l'effetto me- desimo di un Dramma , il quale in inezzo a Cesare , Bruto, Cassio, ecc. presenterebbe Giove Ottimo Mas- simo, Marte e Minerva. Mentre, che il Signor di quei poderi è tocco di stupore, e prega Isidoro a spiegargli il miracolo, mentre quegli uomini si guatano ì' un l'al- tro confusi in tanto mistero, che fa quella Madonna a- daggiata sopra «ha nuvola, che pende diritta sulle teste degli attori? Serve forse a mostrare maggiormente il mi- racolo, nel quale non ha parte? ; '•!! di niì<]r

E se; non mi .'i ascrivesse a sòveidiio tig'òre direi, che gli Angioli dietro gli aratri non dovrebbero aver

58

luogo. Perocché non potendo il pittore mostrare agli oc- chi che un punto solo di storia, peccherebbe contro V unità del tempo ( la quale, sebbene in modo alquanto diverso della poesia dee conservarsi in pittura) se altro fatto, od altra parte del fatto medesimo volesse sporre al g-uardo de^li spettatori. Ei deve lasciare tutta alla fantasia l'operazione di supplire ogni altra idea, clie è taciuta, operazione, la quale agevolmente si fa , allor- ché il soggetto è condotto in quel modo , eh' esser do- vrebbe. Se questi angioletti tuttora si veggono da' ri- guardanti perchè non vedersi, dagli attori? e se costoro gli veggono onde il loro stupore fondato sullo sperimento di essi? Ma in vero il dipintore, escludendoli dal com- posto, male avrebbe potuto esprimere i suoi concepi- menti. Badino quindi i pittori come i poeti nella scelta de' soggetti, lascino codesti miracoli alla pietosa creden- za del devoto popolo , e in essi non consumino tanta opera, e di mano, d' ingegno, nella quale, se lodasi la bravura de' loro pennelli, non può egualmente quella de' loro intelletti commendarsi.

Parco introduttor di figure in tutti i suoi dipinti Slom- mcr nella tela di Caccamo non introdusse, che quelle alla storia convenevoli. E dico convenevoli , perche si sa, che ad essa erano necessarie soltanto due, cioè Isi- doro, e il militare; ma è verosimile, che costui, corno persotia agiata , fosse seguitato di un servo , è verosi- milissimo, che gli altri due attori, o Irovantisi per via o chiamati da colui fossero accorsi a udire lo sciogli- mento di quella incomprensibile avventura. L' espressio- ne de loro sembianti aggiunge grandissimo eflètto alla rappresentazione che rendesi necessaria la loro pre- senza. Per la qual cosa non sono esse di quelle figure, che servono solo a riempire campo ne* quadri con di- scapito della precisione, dell' unità, della evidenza del- l' opera. Nel che tanto è da lodarsi Stommer quanto ai suoi tempi per tutta Italia regnava il vizio di strabbon-

lìare In figure, vizio, che incominciato da nomi illustri fu dalla turba misera degl'imitatori portato tauf oltre, cl»e, unito ad altri più notabili difetti, segnò negli an- nali delle arti belle 1' epoca cotanto celebre del ti-avia- mento. Ne meno di lode a lui daremo in fatto di di- segno: quantunque le sue figure non siano scelle , ma copiate da natura servilmente, quantunque perdano non poco di bellezza in ragione del compartimento della luce, come sopra si disse; tuttavia e' conobbe lo stare, e il muoversi delle ossa, segnò bene i muscoli. E tra i non. pochi quadri di Stommor il s. Isidoro è de' meglio di- segnali. 1 Ninno autore più di questo artefice è nella boccai delle genti, e di ninno si haimo più confuse notizie che di lui. Del quale taciuto nella storia, e negli Abbecce- darl di pittura taluni eruditi han posta in dubbio fin la esistenza. Ma chiunque ha , voglia di sapere dell'e- poca precisa del suo fiorire sarà per avventura soddis- fatto dalla iscrizione, che leggesi a pie del dipinto di Caccamo. Le parole U poste sono: Malthias Stoni- f. a. 1641 Verso la metà dunque del secolo decimoset- timo egli lavorava da spcrtissimo maestro. U quadro suddetto non è 0|>era di mano giovanile , la cui timi- dità, o intemperanza chiaramente si conosccrebbono. Qui si vede un pieno possesso di pennello, un fare Ubero, ( la maggiore tra le virtù di Stomraer ) una pratica grande di colorire, che ti fan certo aver la sua mano lungamente lavorato. Sia detto ciò a svegliare nell'ani- mo de' cercatori delle cose biografiche il desiderio di scrivere la vita di un artista, che di molte opere pre- gevoli ci arricchì, le quali finche starà 1' arte dureran- no, di un artista, che, siccome udii da' primi posses- sori del s. Isidoro, a' quali era slato da' padri loro tra- mandato per lungo ordine di anni, venne tra noi, la- vorò mollo, e lorsc influì al(jManto sulla siciliana pit- tura di que' Icmpi. 'jjilcv

Paolo CnmcE.

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Saggio storico sulla vita di Epicarmo coi frammenti delle di lui opere raccolti ed illustrati da Luigi Tir^ ■rito. Palermo Tipografìa Pedone 1 836 un voi*' '^■in-8 di pag. i44 (.tu . '»5l'j e

''Pria che 'ci prevengano gli stranieri , è santissimo dovere di un Siciliano , volgariz::are dilucidare spia- nare le sentenze di qualche nostro cittadino sommo nel- 1' antica letteratura, e difenderne la patria, laddove gli vien contrastata. Ed ecco per tanto uno Scinà un Crispi un Garofaro, ed alcun'aìtro egregio de' nostri con le beile traduzioni e con gli eruditi discorsi dar novella vita agli Empedocli ai Lisia ai Gorgia, e non lieve ono- re acquistarsi e presso noi, e luori. ,Una recente scrittura Òr ci si prtìseftta, cioè un saggio storico sulla vita di Epicarmo colli? 'relìquie de' suoi scritti raccolte ed illustrate da Luigi Tirrito. Santa è l'impresa, di molte angustie il lavoro, e dubbia la gloria da ricavarsene. E a disaminar ciò , e a mostrarne i pregi e i difetti , a quel che a noi sembra, il nostro ^iorhafle or si assutne. Questo libro contiene una dedica al Principe di Pa- lagonia, una protesta dell'autore, l'introduzione e cinfjue Capi sulla vita di Epicarmo riguardata in diversi punti, ed un cenno bibliografico isulle opere,. donde sono estratti i frarntnenti che vi seguono, oltre varie note di qualche importanza. La dedica non è pedcstr</ , ma saggia, ne polca meglio dirigersi, non essendo il Palngohia un pa- trizio volgare , ma uno de' pochi Siciliani che merita davvero la benedizione de' presenti e de' futuri. La pro- testa ha del sale', ma l'Autore c'incoraggia con dire che sarà per accogliere colla dovuta moderazione questo nostro giudicio al certo non vile, essendo in noi il prin- cipale sistema, di dover essere gentili gli articoli di cri- ti<a letteraria, e non Sozzati di quelle villanie proprie di un animo abbietto, e solite scriversi da coloro , che

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si credendo. alGùn cb^_ pi:ei)(}pno la màudici^i jie^nuc^pe^:

sqIo ;imbraltar carte. Nella introduzipjic il ,.Ti^TÌto

dt>poiavcr mostro il già ripetuto peusierje ,rpa sepjipve

-beilo, che non i Oìri-, gli Alessandri^ i,Qes(iii,, i Qi^rlh

i fi Napoleoni, ma i sommi ^filosofi meritano .g- buonarit^o

H nome di grandi, Qi soggiunge che, j<:é/7?,q^tìfp la.v^er vita dalle leggende più, imparziali y concQrdfindp la. di- screpanza e gli anacronismi coi fatti coTis/xcrati damila

, Sitipria ec . da . un 1? regissimo saggio .sidlOf i yjt/a di, E- pifitìrmo. JE noi pian piano gli andrem dietrp ^^ djs^n;!^- wafre in qual guisa egli esegue le sue ,proiji,e^,e, „;^e(,cip

-fi()CQU(Jo il nostro consueto modo., ; :,;,;, i,^ ..

Oli !iFa vedere jiel primo capitolo la schiatta djEpjcayip^lD,

iiisuoi studi, il suo esilio in Coo,, e rinvenzipiieyx:l^c.ivi fece della commedia. Nel secondo rimità, ;dixen:j' P9j?ì , 4egliiEpicarmi, e come le azioni di.upp, aCfqttOjpoa^il- ^(erisGono da qupUe attril^uite agli aUf.l' .N^el ;terz9{, ,ed

è, questo il vero ca,pitolQ che sodisfa la nostra quji^ifp,, e{ ohe ìk determinarci all'unità Epicarmica, pi .cJimp&tKd coH'autoritàdi Neantes, di .Stefano l^isantino, di C(^o^/]a,

-di Ijascftri, di Carlo St^far/o , di Fr^incesco Fla^ckmiò, e diiErtelipy come Crastp fo^se la vera patria d^, Epi-

,Garmo,.(i) E a rettamente parlare, qual difficoltà s'ipyieoe che in Crastq abbia avvitq) i natali, e Siracusa gli abbia dato gli onorile Cpp l'abitazione dopo ilbando avuto da

,GerQp?i,{oVgjceitQ da; lui?.qual difficoltà che l'epig''f!?i4i

.^POCrÌt0:; ,j f'j-o. .;!;.() rjli;l uif;,)'!^ ^ j.i i i ! li'ia ,.:.li >-.

Qà^ni'S^i^raàujiìì àollocàruHiin pf^èjgà^di'èt^tàte Ut vìrum civem decet -'^^ ;- ■» •'■i^"^ ^»'*">

sia unepigrafi? di, ^ncpm.iPi annoverandolo tra i cittadiiU della fioritissima Siracusa, allora città regina di Sicilia,

(i) Lo Scinà nel primo periodo della greco-sicola letteratura^ che caolto -scrisse di EpicaVìnp e con esattezza, gli a patria Megara sull'autorità, d' A,' rLstotile. Ne sembra anche esatto uu tal credere, essendo di buona critica Da inente di Aristotile e quasi' impossibile, a poter fallire» «u iab riguarda. |pc«-. ch'I più aulico di noi; . '.;/, i-.'^.' •.'; . . . .i;. r/': i;i ■■• ..•.■,•■•1';'

è'cli« ricevea Ira le sue mili'a' ogni valeiituomor' At- ttìaliiìentc ogni dotto deirisola viene in Palermo, capitale della Sicilia, vi fa i suoi progressi Iclterari, e noi possia- nioper ciò asserire, clic abbia aruto in questa i natali? -— Nel fjuartu capitolo finahneiilc parla dell'epoca in cui yisse,etiéirnU!tno delle opere da lui composte.— Cinque Capitoli adunque son questi, tendenti a dimostrare che ad Itti soloEpicarmo i frammenti rimasti appartengono: cin- que capitoli, elle provando la patria, l'età, gli scritti, ci conducono a concliiudere che;Epicarmo fu Siciliano, e non estraniò,! che fu Crastino e non SiraicUsano. Ec- co in succinto l'opera del Tirrito, lo stile e pi&no, so- brio^' le quale il richiedea la materia. Non possiamo però per amor dell' esaltezza trasandarc , che fu da lui commésso un gran torto al Mongitore. Imperocché- dopo yVer piieso da quest'ultimo gli elementi alla formazione 'dell'opera, anzi ilori essendo questa che il lavoro di quello divìso* in parti; e migliorato in certi punti, ei corrispon- de a tanto con travolgere un passo ed asserire al fo- glio "24- the « la prudente condotta di Scaligero non è ■iv-yiatà però appieno ammirata, a segno che' 'il Mongi- "iiitore s'illuse confonderlo tra quelli, che sostengono l'o- '-'3^' pinione di Megara 33 e poi soggiunge alla nòta /\S » » Mongitore conta Scaligero tra tjuelli che dicono Epi- » carmo Megarese ; forse lo lesse alla sfuggita». No quésto Iloti è vero: quel celebre autore della bibliotec-a sicula, non ha mai sostenuto tale opinione, poiché scris- se che, Sicidum voluere Cicero in epist. ad Aiti- cutn lib. 1. epist. ij. et Tuscul. lib. t. Àrisiotelcs poel: Horatius lib. 2. epist. 1. V, 58. Iffginus in fabulisn. ìyy. Jlhenaeus lib. 8. cap. 16. pag. 36'2 Casanbonns in eiihdem lib. 3 cap. i3 pag. iy6. Fbs- siiis de poct. Graec. cap. 6. pag- 33. SCALIGER poet. lib. 1 pag. 2/f. E quindi a che ciò? noi dunque vorremmo tolta simile ingiustizia. Avremmo pure de- sideralo che la Iraduzion lellerale de' frammenti, scritta

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nelle note ia italiano, vi si fosse posta a fianco, e ciò ili lutti e con qualche esattezza, perchè iu molti manca spessissimo(i). Infine facciamo animo ali autore, che se- gua con le sue faticlie, a darci opere di maggior valore ed utilità alla patria nostra.

Francesco Crispi.

Sulla futilità delle cose umane

so N E T^ O :10

Sconsigliato colui, che al mondo spera

Tregua agli affanni, e al cor turbato pace;™ ''**', La vita tristamente si disface, '-'^

Qual brina al sol, pria, che l'uora giùnga a sera.

A rischiarar la lugubre carriera

Invan del cieco Dio splende la face, ).,^

Invan la fama celere e loquace

Fa in alto sventolar la sua bandiera:

Il tempo, ahi maledetto ! il tempo fugge, E avvinta al carro la beltà trascina, Ne si disfama mai, divora, e ruggéj

La morte è sua ministra, e sua regina. Ed assoda il suo impero e lo distrugge. Che sugli estinti il tempo non cammina.

Vincenzo errante.

ìta

(i) Lo Scinà nell'opera citata, ci pure il giudicio della lingua , dei Tersi, delle virtù e de' vizi di Epicarmo. Noi 1' avremmo desiderato ancora nel libro del Tirrito scritto appositamente per celebiarc le gesta e le ope- re di quello. TuttavoUn uou vi ha Siciliano, clie i' aureo lavoro di Scinù iguori.

I

,r.i:n ■,

:Sj.-jÌ}iìc:> 'HI !|/:ìj; amj>

t:ARTAGINE dislnrtt*. Poema epi- co di DoMEMco Castoriha. Tomo secondo. Cal(ùMa'f))'i:fsà Cnrmelo Pastore iS36 in 8 di pag. i36, col ritratto delt autore.

OPUSCOLI di economia jiolitifra drt' conte Feudinando Lucchesi Palh de' principi di Camnofrancp. Pa- lermo tipogivfia Vèl-QlorhàìeLet- terarix> ■f^^j^ii^^^fU pfìgiit^: l4^-.

saggio' critico degli elementi di filosofia di Salvatore MakcÌno'

. /nt»tp da L. .Bqkelm prpffssorè di , tal facoltà nella università |ioiiti- ficia di Roma Palermo tipos,rafìa e legatoria Roberti iii3y in a (HìV) pagine 13. ,.:.'.', (

UTILE evidente di uri porto nella' riposlcse rada fondare;' Discori^ del dottore in jiegge (^lusppE. de Majo. Catanià'p'er la felice sv'd- da del Corso i83y in 8 di pa- gine 18. ,_ ou:lK.J li. f

ATTI dell' Accademia Oioema ,ai Scienze Naturalidi Gititiiai sto- ino X. Catania per .Gùjsepfe T^ap- , palardo 1 835 f pubblicato nel i83yj in ^ di pag. FUI e 020.

GLOTTOPEÙIA i^p^sicif la,a giao»- matica italiana: dialettica .in cui conrrontasi'fldjalettó'MciRsHio bol- la linguaJtftlpwWiliniciòj,^)^ dis-; convengono, a buon indiriz/.o dei giovani siciliani per evitare i si- ciliax]i&ii)i,gram;Ti4t(Calii ri4otta in tavole sinottiche corrisiìondonli ad ogtii trattato per lo can. second. «Iella cattedrale di Catania dottor 1ksoce>ziò Fulci ^wbblieo pro- fessóre di lingna italiana nella re- gia università' degli sfiidii di eSba città ec. Cntani^à i836 dulUv ti-

- jmgrafia della R. Vniversidt per Carrubo Pastore, iu 8 di pagi- ' he !t4^\ e 54.

LEZIONI alla cattedra di materna, tica sublime della regia università '• ' 'dJ Catania di AGOSTI^•o Sak-Mar- TiNO professore della facoltà, so- cio corrispondente dell'I. R. Acc. dei GeorgòfìH' ' di FifÉDie , ec. Ciìtatìia da' torchi; d^tla R. Uni- versità degli siudii presso Car- mela Pastoia 1^3^ f pubblicato , npl j8$yj., Toiìio terno. Pane seconda in 8 di pagine 252. POCHE parole (di Marcantonio Scri- •;■; hant) isuilc axfoture di du0' infe- lici genitori. Po/er/wo per federico Garofalo ià3y in 8 di pagine 3. ELOGIO di A^ToaiNoFcRiTANO scrit- , tOj dall' ab. Em.manuelb Vaccaro 'se^i'étàfio generale' diel R. Isti- tuto d'Incoragginiento d'agricoltu- I . r^ P.rti.c ni^nifatturc per It» Sici- lia.'Lcito nella loi'nata de' I7 di. : cewbrc ìi.836.1 Palermo dulia tipo- .erajia^di FMwo Sdii f83y in 8 di pagine 16. SULLA SICILIA a Ferdinando IVUilvica;, Epistola {in versi sciolti) dc/r avv, Raffaele Fodera". Pa- ' ' le^vio tipogì'cifia di J^rancesco ■■ \ Lap i83y in 8. di pa0, i3. ELOGIÒ di Stefania Settimo di Na- poli principessa diRcsuttano(scrit. lo da Girolamo Scaglione ) Pa, lermo tipograjia Bernardo f^irzl i83y in 8. di pag. i3. RIODO di agire della digitale por- porina. Riflessioni di "Vincenzo In- 'terlandi dottore in medicina ce. Palermo tipopiifia di Francesco Lao iò'3y in 8. di pag. 18.

EFFEMERIDI

SqiENTJlEICpB .E,I-)BTXER4ttlE

PER LA SICIUA

PARTE PRIMA

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r.ntOff ia sii SCIENZE' '' ■•' f''"""! '='^J'' <"'"

••! j;! ivi».! ,(^IHl'II">llfv'| io/' >li i-uii ! Ifl.

Lettera del Cav. Prof. Salvatore Scuderì ài signor Agostino Gallo sul Cabotaggio tra Napoli e Sici- lia 0-

Pregiatissmo ùmico

illon voglio incorrere con lei nella taccia di vano pro- mettitore : vo* tenerle parola. Ben si sovverrà avermi scritto addì 20 ottobre scorso: mi reca meraviglia che

ella non abbia Jinor preso parte nella famosa

questione sull'utilità^ o danno del cabotaggio ec E poscia mi riclùamò in mente ciò che mi era già noto,

. _, •.,;,_, -, . '. r.'bl'j ili-J>'.'U

Nota di'Fbbdikikdo Malvica , li, 'it|

(*) La gravissima quistione del cabotaggio fra Napoli e Sicilia ha svegliato étiil- neiilciucufe l' attenzione del filosofo, ha interessato ogni classe di cittadini, ed affetti di altissimo pondo ha eccitato in tutti gli animi. Le cose son tali per 8C stesse, e pei loro risultamcnti, che colui che scriverà giorno la storia- siciliana de' nostri tempi dovrik con meraviglia risguardare il presente feno meno, ci»' e singolarissimo, per tutti gli accidenti clie lo hanno accom^agUato uegii annali de' civili consorzi. ,, V; .^

La nostra il/e/no(i(j sopra quell'importante suhhictto ha ottenuto uri plau- so al di di ogni nostra speranza , e di ogni nostro imraagiiiare. Quiiidl immensa è la nostra gratitudine: ella estinguerassi solo con noi: e dolcissima cosa ne torna il sigoilicarc oggi al pubblico questo profondo sjntiininty del- l' animo nostro.

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che essendosi cioè data alle stampe in Napoli una Memo- ria anonima in risposta ad alcune Considerazioni del signor Mortillaro, il quale convalidando la domanda umiliata all' augusto Monarca dal nostro Reaje Istituto d' Inco-. raggiamentò, dimostrava' la 'necessità di abolirsi, o per lo meno riformarsi tal cabotagfrio, molti in codesta di coloro, CUI sta a còlie il pubblico- bene, eransi accinti a confutarla. Io le risposi esser pronto a porre in opera tutte le mie forze intellettuali, e tutTò me stesso in ciò che tornar |)0trebbe ad utile della mia nazione, ma che pria attender volea die uscissero Jn luce gli scritti di che ella mi favellava. Ho ricevuto ora la elaborata Me- moria del sig./Fefdijiaiido INIalvica , il qjiale con pro-

li plauso della patria è il piti jjeneroso guiderdone che si possa desiderare dai mortali. Noi 1' oUenemrao, e la più lieta fortuna , anzi la fortuna che o^ni' ritira vince, riputiiifn noi questa.

I veri sapienti delia Sicilia, e tutti coloro che levan pii!| alto il grido di cconoinitti, han pure unito' la' lóro voce, eh' è di gran peso, alla nostra} ed han posto il suggello alla nostra gratitudine, ed ai voti nostri.

II celebre professore della R. Università di Catania, Salvatore Scuderl, il maggiore economista della Sicilia, ed uno de' più esiinii dell' Europa, iioa poteva certamente tacere in una si grande quistione, che tanto interessa la prosperità siciliana, e la siciliana gloria. Il presente suo articolo eh' egli ha regalato ajle Effemeridi, come quelle che aperte sostenitrici sono delle sici- liane cose, sviluppa alcuni punti importanti di civile economia , nuova luce spande 'sulla gifau quistione del cabotaggio, e sostiene coli' autorità del suo Dome le dottrine da noi io quel lavoro fortemente difese. I principi dell' il- lustre professore si appoggiano soj)ra 1' osservazione e l'csjiericnza, e son lon- tani, quanto più esser lo possono, dalle astratte teorie degli utojiisti, die fonr dando 1' edificio dei loro vani siateuii suU' arena crollano ad ogni scossa.

liC opere economiche di lui come i suoi principi di civile economia ; le sue' dissertazioni economiche ed agrarie, risguardanli la Sicilia; il suo trattato dei boschi dell' Etna; le sue memorie sul buon governo e suU' aumento dei Loschi della Sicilia , e sulle rcpdite dei proprietari rurali della medesima, accolte dai nazionali, lodate dagli stranieri, ricercate dai Ministri trovano in ciò il compenso più esteso che si possa da un aulorc desiderare. E questo compensò ben gli si dovca, perchè le sue faticlie non sono inutili o stolte rap- sodie di qualche straniero trattatista, ma bensì frutto delle proprie medita- zioni ai bisogni dell' Isola applicate. Vorremmo pel meglio della siciliana gio- vpiitù, ' bollente di amore per gli studi, che professori di siniil falla in ogni eattcdrà dell' Isola sedessero, onde i buoni principi dell' economia pubblica si diffondessero, ed una scuola non di astratte ciance, ina di positiva scica- sp in jOgiii punto della Sicilia si stabilisse.

(^ue^l^ sono i voti_che facciamo, perchè ai tanti mali, di cui è travagliata y^'^'ftill^iW terra, altri nuovi e miscraodi nou se ne.. aggiungano.

^^7 fondita di dottrine, con accurate indagini ^ e con forza

inresistibile di ragioni, oppugna le opinioni dell' Anòni- mo, e mettendo il problema nel suo vero aspetto lo scioglie con pieno successo. Ho ricevuto eziandio l'Ap- pendice del detto sig. Mortillaro , il quale per avere precedentemente manifestato al pubblico le sue idee , s' intrattiene soltanto a ravvalorarle. E benché nulla a- vessi da aggiungere da mia parte, pure, facendo pria questa protesta, mi limito solo a parteciparle i miei pen- samenti su questo gravissimo argomento in questa let- tera, che indirizzo a lei, perchè ella appunto me ne diede la prima spinta; e siccome degnamente siede in codesto benemerito Istituto , così fa oggetto delle sue dotte occupazioni gli espedienti che pongono in saldo , ed accrescono la prosperità siciliana.

Non so primieramente tacerle die la lettura della cen- nata Memoria mi è stala cagione di inesplicabile compia- cimento. E a dir vero non poteasi trattare la questio- ne del cabotaggio tra Napoli e Sicilia, senza entrarsi in profonde investigazioni di civile economia. Non potean- si stabilire i regolamenti confacevoli al nostro esterno commercio senza ravvisarsi in tutto il loro lume quei grandi principi economici, che sonosi finora da alcuni gagliardamente combattuti, ma che soli assicurar pos- sono i nostri vantaggi. Per lo che dirò francamente che sia questa una bella occasione di progresso per le no- stre economiche conoscenze, una pruova iimegabile che la verità si è finalmente fatta strada a traverso le te- nebre dell' errore, e che ne ha trionfato. Io che per do- vere di officio, e per lo spazio ormai di trenta anni so- nomi a tutto potere ingegnato d' impedire che le teore- tiche astrazioni si preferissero da noi all'esperienza, ed ai fatti, ho ben di che andar lieto nello scorgere che ponendosi ora in disamina un punto assai rilevante di pubblica economia siciliana, i valorosi ingegni di Sici- lia attingono alle limpide fonti della economica sapien- za le dottrine veramente utili alla loro patria.

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Ma neir essersi in ciò la Sicilia lasciata per lo innanzi abbagliare dalle vistose teorie non ha avuto alcun torlo: essa ha fatto eco alla più parte degli scrittori di^ Europa. Con sensi di unanime acclamazione fu accolto ovunque il sistematico pensamento di Adamo Smith sull'assoluta li- bertà del commercio. In un' epoca, in cui la filosofia do- minante intuonava all' orecchio dei popoli le consolanti voci di scambievole afietto, di fratellanza, di amore , non poteasi meglio dello scrittore inglese colpir nel segno. Laonde si pose ogni studio nell' encomiare, amplificare, e diflbndcre i suoi precetti filantropici. Garnier , e Bucha- nan, cementatori della sua opera, ne ebbero la pronta occasione. Say, sagacissimo e profondo economista, se ne dichiarò in Francia vigoroso sostenitore. Stewart , Mill, Mach-Culloch, Laudardale, Mallhus,Storch tennero ancora più o meno la medesima via; altrimenti fe- cero Condillac, Sismondi, Blanqui, Dupin, e quasi tutti coloro, che oltremonti impugnarono la penna per segna- re appena sulla carta poche linee, chq avuto avessero per oggetto i mezzi di meliorare le private, e le pub- bliche fortune. , ;,

]£ra questa intanto una innovazione,, che facevasi in, alcuni cardini principali della iscienza economica stabil- mente fondati dalla scuola degli economisti Itafiaui , e derivati dall'esperienza di tutte le nazioni, e di tul- li i secoli. Gli economisti Italiani avevano già con- cordemente provato la necessità dei metodi coordi- natori dell'esterno commercio, a fin di garentire l'im- piego del travaglio produttore indigeno contro il predo- minio dello straniero. Basta svolgere le opere immor- tali di Verri, Genovesi, Galiani, e più altri per venirne pienamente in chiaro. Ne lievemente, e senza corredo di solide e mature cognizioni erano i sommi Italiani convenuti in questa sentenza. Perocchè.è da por; mente che la civile economia nacque, e divenne adulta in grem-^ bo alla dotta Ittdia. Croa vano lo Scarufii, il Serra, c^

i.i'h'i /loi «ili. ììiìU uJu-jJUtii

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il Turbolo sul principio del secolo decimo settimo la scienza della monetazione, e segnando per la prima volta le norme atte a conservare , e ad accrescere i valori rappresentativi, gettavano ancora le prime basi della produzione degli effettivi valori, e della vera ricchezza; indagava il Davaiizati, e con accuratezza di dottrina, e scelta dicitura fissava l'origine, e 1' uso dei metalli co- niati, la loro reciproca proporzione, l'essenza, ed il cor- so dei cambi; esponeva il Montanari i regolamenti più convenevoli alle zecche , ed ai rapporti di valutazione monetaria fra gli stati diversi ; scriveva il Broggia uu trattato completo sulle monete, e su i banchi di deposito, ed un altro sulle pubbliche contribuzioni: e tutto ciò ope- ravasi in Italia mentre nel resto di Europa o non era per anco scintillata alcuna favilla di economico sapere, o ne spuntava appena qualche fievole barlume. Tanta gloria nazionale fu poscia nel secolo decimottavo amplia- ta , e resa più illustre da molti elevati italici intelletti, che intesero con infaticabile ardore a questo genere di €tudi. Se dunque gì' Italiani furono i primi istitutori , ed i supremi maestri della grande arte di elevare al colmo della prosperità le incivilite nazioni, come potrem noi toglier loro nella nostra estimativa questo dritto di primazia, e di preferenza sugli stranieri?

Egli non è al certo dicevole ad ogni assennato Italia- no lasciarsi preoccupare dal jirestigio dell'autorità oltra- montana. Il mio argomento mi astringe qui a toccar questo punto di preeminenza nazionale , e a riandare alcuni principi economici , che vagliano a chiarire ciò che veramente giova all'util nostro, per farne indi l'ap- plicazione al nostro commercio di cabotaggio con Napo- li. Non si abbia dunque a discaro ch'io mi arresti al- quanto a tirare alcune prime linee col proponimento di riunirle bentosto in un centro comune.

L'assoluta libertà del commercio ( non posso dispen- sarmi di ripetere ciò che altra volta dissi apertamente)

7^

j)otrebbc solo aver luogo, qualora tulli i popoli del mon-

tloia adottassero uriifornieniente,e commerciassero Ira loro come gl'individui di una sola famiglia. Or ciò è airatto impossibile. L' universale ed unica cagione intanto di ogni produzione, ovvero di ogni elemento di ricchezza sta nel gran principio della ricliiesta, e perciò del cam- bio degli equivalenti permutabili. La maggiore, o mi- nore attività, la cessazione di questo principio accresce, diminuisce, estingue la produzione. L'apice adunque della perfezione delle leggi, e delle amministrazioni economi- che di ogni popolo sta nel tenere unicamente a vantag- gio del suo travaglio produttore la totalità delle richie- ste, e dei cambi che necessariamente debbono derivare dalla totalità dei bisogni, dei comodi, e delle agiatezze degl'individui che lo compongono. Tranne le algenti re- gioni polari, e le brucianti dell'equatore, pochi sono in tutte le altre, e di lieve momento gli ostacoli, che al- cune particolarità fisiche e locali oppongono all'impiego di alcune ramificazioni particolari di travaglio. Questi ostacoli, ove non possono vincersi dall'uomo, che asso- luto signore del globo doma quasi , e lenisce le slesse forze avverse della natura, o si compensano coi lavori, e prodotti succedanei, o formano una semplice eccezio- ne, che non deroga alla regola generale. Quindi è che ogni frazione dirò così di richiesta, e di cambio, la quale si effettua ponendo in opera non il travaglio produttore indigeno, ma l'esotico, è una grave ferita, che fassi al primo, una mancanza d'incentivo a farlo progredire. Or, s'egli è indispensabile dovere di ogni governo impedire così dannoso discapito, è suo dovere indispensabile an* Cora opporre argini all'immissione dei prodotti del tra- vaglio straniero.

Ma quando voi comprate questi prodotti (odasi per poco il grande argomento di chiunque pugna per la con- traria opinione) voi nel pagarne il prezzo date implici- tamente la prova di averlo creato col vostro travaglio,

percioccliè iidn vi e piòvuto ' dal cì'èlo ' cbrhe ', la ma 11 na del deserto. In ogni compra adunque clie fate, dallo stra- niero dovete necessariamente scorgere la produzione presso voi di un corrispondente valore, il quale vi mette nella medesima posizione in cui sareste , se creati si fossero dal vostro travaglio i generi che conn^rate. Ed ecco il caso di quello sciagurato, che sfinito di forze per l'ine- dia cui la sua condotta sconsigliata lo ha ridotto, men- tre stende la mano per chieder soccorso dall'altrui be- neficenza , prova implicitamente che ha la forza fisica di stenderla. Con una equivalente produzione, già si sa, posson soltanto comprarsi i prodotti stranieri. Ma a che termine è mai giunta la condizione economica di quel popolo, che per i suoi erronei regolamenti commerciali si è lasciato di provvedere più , o meno dei prodotti degli altri popoli? E di quai maggiori disastri è minac- ciato, ove continui nella medesima condotta? Finche esso esisterà sulla superficie dell' orbe terrestre non quale avrebbe dovuto essere con un metodo commerciale di- verso, ma quale in atto è, avrà sempre nella sua me- desima decadenza, un avanzo di travaglio, che lo met- terà al caso di comprare i prodotti degli altri popoli. L'equivalenza de' valori che si cambiano, e che suppon- gono una precedente produzione, e un fenomeno eguale e costante per tutte le nazioni del mondò. Il grado però della loro prosperità è ineguale , e variabile se- condo che sonosi regolate , e si regolano giusta i provvedimenti commerciali di cui parliamo, o pur no. La Sicilia , poiché compra le manifatture dell' Inghil- terra, dà a divedere, che produce l'equivalente valore. Che s'inferisce da ciò? Se la Sicilia avesse al par del- l'Inghilterra adottato sin dal 1660 il famoso atto di na- vigazione per rivolgere il suo commercio a vantaggio dell'industria domestica, e ad esclusione della straniera, avrebbe essa bisogno oggidì delle manifatture inglesi, e sarebbe essa nello stato attuale di produzione, e di fi-

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uanza, comunque mcliorato da qualche tempo in qua? Io seguendo le Iraccie dell'Istoria siciliana ho riandato, fd es(>osto le vicende di mclioramento, e di deteriorazione di diversi rami della sua industria, e segnatamente dei suoi setifici, in ragione della proibizione, e della libera immissione degli uguali prodotti stranieri.

Ilo fatto osservare che i decreti proibitivi dell'immis- sione delle seterie forestiere emanati dall'invillo Carlo III Borbone nel 1737, e lySS resero floridi ollremodo gli opifici serici nazionali, ma che trasgrediti poi negli anni susseguenti ne cagionarono fattamente la rovina, che il governo fu astretto a richiamarli in osservanza nel 1763, e T765. Ilo altresì dimostrato che l'ultima guerra che agitò l' Europa , chiudendo i porti della Sicilia al commercio attivo di tutto il continente, e facendo per- ciò le veci de' regolamenti proibitivi, valse a far sor- gere in essa, a ravvivare, e ad accrescere così l'arte Ne- rica, che varie altre manifatture, come quelle di cotone, e di lino, le fabbriche de' cappelli, delle maioliche gros- solane, e di pannilani ordinari, le concerie delle pelli, e de' cuoi, diversi lavori di chincaglierie, e simili ma- nifatture ciie al ritorno della pace, e del commercio ge- nerale di Europa vennero meno , ed alcune svanirono.

Questi fatti sono certi , e costanti. I fatti debbono prevalere alle teorie.

Smith appartenendo ad una nazione, che con una pertinace legislazione commerciale proibitrice dei pro- dotti esotici erasi elevala all'apice dell'opulenza, procla- mava altamente l'assoluta libertà del commercio. Inten- dea forse dire a' suoi corapatriotti: la strada che avete preso è falsa ; vi siete ingannali nell'csservi arricchiti ; vi è d'uopo tornare indietro, ed incaminarvi verso la miseria?

È troppo vano finalmente asserire che chiunque ci reca le derrate straniere , porta seco nell' andar via le nostrali per non tornare a casa colle mani vuole. Si sa

7^ abbastanza, clic uno stesso legno mercantile immette in

generi manifatturati un valore mille volte maggiore di quello che asporta in prodotti rurali. Quanto non è as- surdo, poi il supporre che ogni immissione sia corrisposta da una asportazione in grazia soltanto dell'interesse del nolo : interesse eh' è sempre subordinato alle finissime speculazioni , ed alle infinite combinazioni del com- mercio?

Mentre la scuola italiana , e Melchiorre Gioja princi- palmente non deviavono in questa parte di scienza dal diritto sentiero, vennero in luce gli articoli economici, e statistici del Romagnosi : nuovo inciampo alla diflu- slone delle buone massime regolatrici dell' esterno traf- fico. Il solo nome del Romagnosi a ragione levato al cielo da un capo all'altro d' Ralia trascinar seco dovea qual rapido torrente la pubblica opinione. Ma il Ro- magnosi , celeberrimo in dritto politico , e penale , e nelle filosofiche discipline, dovea per forza essere cele- berrimo ancora in civile economia? Romagnosi volò troppo sull'apice di quella piramide intellettuale, a cui egli ri- dusse tutto l'umano sapere, ed in cui suppose incorpo- rato tutto il genere umano. Non è però saggio consiglio (ripeterò me stesso) adottare in civile economia le idee, Je massime, e le regole , che sono unicamente jjroprie della politica, della filosofia, della giurisprudenza , del dritto naturale, della morale, e dell' etica. Lasciate le cose nel posto che loro sjietta. Se prendete a contem- plar l'uomo nel punto preciso del tuo, o del mio, re- nuiiziate bentosto alle vostre estasi sugli archetipi .me- tafisici, e sui vaghissimi modelli degli Apolli di Belve- dere; renunziate alle vostre storie naturali, e fisiologie politiche. Se ciò non fate , voi comporrete un bel ro- manzo economico, e nulla più.

Un altro errore di non minore rilievo, e che stretta- mente legavasi al precedente, era invalso ancor presso noi: quello di doversi preferire su tutti gl'impieghi del

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nostro utile travaglio, e promuovere unicamente Pagrl- coltura, arte primogenita di tutte le arti , insita quasi alla Sicilia, isola niiral)ilraente favorita dalla natura per prodigiosa fertilità di suolo , per mite temperatura di clima, per acconcie attitudini di plaghe agronomiche, ed estesa varietà di piante rurali, isola sacra a Cerere, e a Pomona , emporio del commercio dei cereali fra le antiche nazioni, provveditricc dell'annona della Repubbli- ca Romana, granajo dell'Italia, alimentatrice di otto mi- lioni di viventi, famosa per celebrità di leggi agrarie, per rinomanza di oratori e coloni: cose tutte dette e ri- dette le mille volte. E non di meno egli è ormai tem- po di mirar piìi dappresso noi medesimi, e di non più smarrirci fra le illusiom della remota antichità. La Si- cilia dei sette secoli precedenti all'era volgare non era la Sicilia der secolo decimonono. Le nazioni di quell'e- poca non erano le nazioni di oggidì. Allora poco, o nulla sapeasi di scienze fisiche, e chimiche, come che di pra- tica agronomica si avessero rudimenti, e metodi. Allora la naturale fertilità delle terre era una condizione total- mente predominante nella suscettibilità produttiva sulle meno lertili, e le sterili, e dava occasione ad un com- mercio di derrate territoriali, che non temea competenza alcuna. Allora introdotte, e tenute in nessun conto le arti meramente primitive esercitate dagli schiavi, perchè cre- dute indegne di popoli liberi, e guerrieri, di quelle di agiatezza, di raffinamento, e di ostentazione non aveasi nozione alcuna. Le leggi suntuarie poi, le leggi, iodico, degli Agrigentini, di Gelone, la Licinia, la P^annia , la Orcia, quelle di Cesare, e somiglianti soffocavano lo svi- luppo di ogni industria nascente. Tutto il commercio pertanto riducevasi più che ad altro ai prodotti del suolo ed ai generi di prima necessità. Esso oltrecciò non cser- citavasi propriamente come mestiere lucroso, mediante l'impiego, ed il giro dei fondi accumulati, e circolanti. I Romani tencano il commercio per occupazione degra-

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dante, e vile. La loro legge Flaminia lo vitupero, lo prescrisse. I Romani impiegavano soltanto le braccia a mietere gli uomini, e le biade. Ambivano le ricchezze ed anelavano goderne; ma non esitavano punto tra la vittoriosa pirateria, e la laboriosa industria.P/^r«/n quin imo et inersy dice Tacito a quest'uopo parlando de' Ger- mani, videtur sudore acquifere quod possìs sanguine parare. La marineria finalmente serviva al trasporto delle armate, non delle mercanzie. Finita la guerra il vincitore imponeva al vinto la dura legge d' incendiar le sue navi. Non è già che i Fenicj, gli Egizj, i Car- taginesi, i Greci, i Rodiani, i popoli della Bitinia, del Ponto Eusi^o, della Siria, e più altri non fossero ad- detti al commercio; ma aggirandosi questo precipuamen- te in oggetti di prima necessità, e in pochi aromi, pro- fumi, drogh^e, gemme, avorio, perle, lavori d' oro , e di argento, e ne' primi saggi delle sete , e delle tele delle Indie, non avendo altro teatro che il solo anticoi emisfero, soggiacendo a' perpetui flagelli desola tori della guerra, massimamente dopo la distruzione di Tiro, di Cartagine, e di Corinto, era ristretto entro i più angu- sti confini. Oggigiorno però tutto è cambiato. L'aspetto della composizione sociale del genere umano è tutt' al- tro. La duplicazione del capo estremo di Africa, la sco- verta dell' America, dell' Oceanica, di tutte le isole spar- se per r immenso Atlantico, e degli angoli più recon- diti del globo, l'invenzione della bussola, dell' orologio nautico, delle macchine a vapore, e di vari perfettissi- mi ordegni, la costruzione de' canali navigabili , delle strade a rotaje di ferro, de' porti, e ricoveri per legni di mare, e di tante opere di pubblico vantaggio, l'isti- tuzione delle compagnie mercantili , e delle banche , i trattati commerciali, i rapidi progressi della civilizzazio- ne, dell'ingentilimento dei costumi, della coltura intellet- tuale, e degl'istituti scientifici, l'applicazione delle scien- ze fisiche e matematiche a tutto ciò che è fonte di gè-

7^ .. . .

nerale utilità , (laudo incentivo a una folla sterminato,

e sempre rinascente di bisogni, desideri, gusti , e pas- sioni, hanno accresciuto oltre ogni credere la 'massa de- gli oggetti destinati a soddisfarla, modificando, e pres- soché regolando l'influenza degli agenti naturali, e delle circostanze topografiche, e fisiche suU' arduo magistero della produzione, ne han subordinato gli effetti all'assi- dua fatica, ed all'ingegno deiruomo, e togliendo le dif- ficoltà dei trasporti, e delle relazioni commerciali le han rese pronte, immediate , e celeri in tutti i punti della terra. Per lo che, nella classificazione della fecondità dei tre generali impieghi del travaglio umano, il commercio tiene ora il primo rango, le arti e le manifatture il se- condo, l'agiicoltura il terrò. E l'alto entusiasmo con che pria faceasi plauso alla teoria de' Fisiocrati si è ora cam- biato in un giusto sentimento di riprovazione. Poste le quali cose, è ben evidente che la Sicilia per effetto del nuovo modo di esistere della specie umana, pei'dute le antiche prerogative della sua agricoltura , ed inabile a provvedere, come ne' tempi andati, gli altri popoli dei suoi grani, vini, olj, legumi, sode, regolizie, sommac- chi, perchè o gli producono da per loro , o gli acqui- stano a miglior mercato coi loro scambievoli traffichi , o se ne spacciano cogli equivalenti , e succedanei , dee convincersi che vana, ed incauta è la speranza eh' essa ripone nella sua sola agricoltura, e che giammai la sua sorte economica conseguirà melioramento , e floridezza, ove all' agricoltura non aggiunga ancora le copiose sor-! genti delle arti, e del commercio. iiu

Il fin qui divisato è da prendersi nel senso de' re- golamenti, che convengono al commercio esterno di Si- cilia e del modo onde fa d' uopo dirigere l'impiego del suo travaglio produttore. Ben altrimenti va però la fac- cenda, qualora si tratti del suo interno commercio. Noa e più lecito oggidì muover dubb'i sulle norme con cui il comiuercio interno delle nazioni debba regolarsi: re-

mozione di qual si sia vincolo, e peso, massima facili', lozione, liberissima circolazione. Se a quando a quan-, do gli economisti pronunziano le parole di privative mu- nicipali, di dogane interne , di privilegi esclusivi , di dritti proibitivi, il fanno per mostrare la somma supe-. riorità della legislaizione economica moderna su quella de' secoli scorsi. ., ih i-'iotii i. mi'.

- Inopportune ed indiscrete le saran forse sembrate, Ti^ véritissirao amico, queste mie digressioni. Esse però han- no un'intima connessione col mio soggetto. Si compiac- cia per poco osservare 1' applicazione che intendo farne' alia questione del cabotaggio fra le Due Sicilie.

È un fatto costante che la Sicilia riceve attualmente da Napoli un' ampia folla di generi nianifatturati: tele, e lavori di cotone di più guise, panni, e tessuti di la- na di ogni maniera, tessuti di filo e canape, nanchine, carta, vetri, cristalli, mattoni, majoliche di ogni specie e simili. E un fatto costante che essa manca aflaltodi, alcune manifatture di tai generi, e che ne possiede al- cune in uno stato incompleto, e precario; lo che, come ho esposto, torna a suo gravissimo danno. Intanto è pur troppo certo che agevolmente per le sue attitudini iìsji- che, ed economiche, per le materie prime , di cui U suo suolo è fecondo, e per l'attività ed ingegno de' s^oi abitanti, ed il loro attuale avviamento alle cose utili, potrebbe tutte introdurlo appo se, e farle prosperarci Ecco adunque il bisogno di esimerla al momento dalr r invasione di siffatti generi provenienti da Napoli. Sen- za ciò pretendere che queste manifatture mettessero salr de radici, e fiorissero in Sicilia è vagare colla fantasia in aeree visioni. Quest' utilissimo efl'etto però si otter- rà senza dubbio con un opportuno sistema protettore. Ciò posto, io distinguo due epoche: quella dello stato attuale dell'industria siciliana, e quella in cui questa sarà più, o meno a livello coli' industria di Napoli. S ^^ di avviso che si adattino alla prima i regolameuti , del

commercio esterno, ed alla seconda quei dell' interno.

Assimilalo nella prima epoca il cabotaggio all' esterno commercio, comunque la sua vera indole sia. ben di- versa, aggiungerò alcune riflessioni in conferma del mio divisamento.

Il Governo di Sicilia implorò dal benefico Sovrano che le gravezze da imporsi sulle manifatture napoletane fossero temporanee, lo reputo questa domanda assai giu- diziosa, e saggia. Essa tende a dar tale incentivo allo stabilimento, e progresso delle nostre arti da pareggiar tosto o tardi quelle di Napoli. Ma quando poi tocche- rem questa meta, perchè renunziare ai sorami vantaggi dèlie libere comunicazioni commerciali con quei reali domini? Egli è per tanto evidente che la tempora- neità di tal provvedimento, anziché dare indizio della poca fiducia, che abbiamo nei suoi vantaggiosi resul- tamenti , mostra per lo contrario che ne siam cotanto certi da occuparci, e ragionare da oggi istesso di ciò che ci converrà fare , tostochè gli avremo ottenuti. Non si dirà nemmeno che tal provvedimento sia cen- surabile , perchè da deboli e piccole tariffe non si otterranno quegl' incoraggiamenti d' industria , che nei tempi passati , ne' quali queste esistevano , non si ot- tennero. Sarem dunque astretti a rispondere che si impóngan tariffe più forti, e più gravi? Ammessa l'uti- lità dello scopo, e necessario proporzionarvi i mezzi op- portuni.

I domini' continentali hanno un ugual dritto a questo sistema protettore. Quali sono adunque i generi , che la Sicilia manda in Napoli, e che impediscono lo sta- bilimento, e la meliorazione de' corrispondenti rami del travaglio produttore napolitano? Se ne faccia imparziale rassegna , e si assicurino coi medesimi presidi. Pare a prima vista ch'esser dovessero i rurali. Eppure la quan- lità di questi è assai minore di quella che comunemente si crede. Ma ciò nulla rilieva. Ove si trovano le me-

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desime circostanze , si adatti pure il medesimo sacro- santo principio di giustizia.

sacche le tariffe doganali procedono di ugual passo coir andamento giornaliero delle interne ramificazioni produttrici. Non niego che difficilmente si è a giorno di questo andamento , e più dillicilraeute ancora s'ìutt dovina il grado del suo rapporto colle tariffe. Ma, quando qualche inconveniente particolare è conseguenza delibi, difficile applicazione della buona massima non della mas- sima istessa, non vi ha allora di che dolersi. Un'accu- rata statistica potrebbe dare a quest' uopo i più oppor- tuni soccorsi , e diminuire per quanto è possibile , gU^ equivoci , e gli errori. ;,,: . ,i:i

Soglionsi ordinariamente le tariffe regolare ^ul prezzOr die hanno i generi ne' luoghi da cui provengono., Nulla di più vago , e di men conducente al fine che si Yuol conseguire. L' oggetto delle tariOe è quello di far pre- ferire nell'interno mercato i generi indigeni agli esotici. Ciò ottiensi unicamente allorquando i primi sono di mi- nor prezzo , e di migliore qualità dei secondi , fermo essendo che i. compratori mirano al loro privato van-» taggio , non già' ai progressi dell' industria nazionale.; E dunque la probabilità del prezzo dei generi indigeni ip confronto a quello degli stranieri, e la loro qualità ^elativa che posson dare in ciò' una norma sicura. Chi stabibsce intanto una manifattura novella, o chi è addetto ad una manifattura da poco tempo stabilita , avendo fatto una spesa recente di fondo acccumulato., e messo in giro una recente massa di fondo circolante} non può far bene i suoi conti con ricavarne quella rne- diocre rendita, e quel discreto profitto, che converrebbe ai suoi interessi in una manifattura, che per essere da più tempo in voga , e florida lo avrebbe più o meno risarcito delle prime spese. La mercede inoltre delle braccia operose occupate ju un travaglio nuovo,, o non bea conosciuto, stabilito da gran tempo nel paese è

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certamente maggiore ài quella che corrisponde ad im travaglio usitato , e perciò facile. Ecco le ragioni per le (Juali aumentandosi' negl'impieghi novelli, o-^recenti del travaglio la rendita, il profitto, e la mercede, che vai quanto dire il costo di produzione, si aumenta per nedessitù il prezzo di mercato de' loro prodotti. Quanto alla loro qualità poi egli è certo ancora, che es^a non potrò sulle prime aver quel pregio eh' è solo il frutto della lunga abitudine, e degli esperimenti, e delle co- gnizioni che si acquistano col fatto. Il perchè in parità di circostanze i prodotti delle manifatture indigene na- scenti; o novelle aver debbono un prezzo maggiore, e una minore qualità degli stranieri , i quali per 1' atto istessb: di essersi introdotti da fuori provano gli avan- zamenti, e la floridezza delle manifatture da cui deri- Tarló. Qual precauzione adunque non è da usarsi, affin- chè -le tarifTe doganali pongano tal peso su i lavori Stra- Tìieri far piegare la bilancia dell'iuteruo mercato ia favore' dei nazionali!

'Ne solo tal precauzione è necessaria nel fissarsi le tariffe doganali sulle reciproche immissioni de* doniini al' di qua e al di del Faro; ma un'altra ancóra è più essenziale: quella io voglio dire di escludere la concor- renza delle estere nazioni. E qui è da riflettere che i mirabili progressi deirindustria europea, e la illimitata estensione del commercio di lutto il globo Ivan fatto si che gli abitanti delle Due Sicilie ne'' calcoli dell'inge- rénza delie straniere nazioni nel loro scambievole traf- fico non han come partita di conto a lor favorevole ' la minore spesa del trasporto, in guisa che influisca ad al- lontanare la concorrenza di queste nazioni. Imperciocché gli ordegni, gl'istrumenti, e le macchine artistiche sono ornai pervenute in Europa a Un punto squisitissimo di perfezione; esse sono ora in gran parte messe in moto dal vapore; il travaglio è coniplctamcnle diviso, e sud- diviso in tutte le mcnorae operazioni, di cui è susccl-

8i tibile; i fondi circolanti sòiiosì oltremodo aumentati, e ' in certi luoghi son divenuti anche ingenti; gl'intrapren- ditori, gti artieri, e per fino i semplici operai lian quella elevata intelligenza, e quella fina perizia, di cui gli scien- ziati, ed i dotti gli fan partecipi. Quante efficacissime cagioni di massimo ribasso di costo di produzione, e di massima qualità nei lavori! Aggiungasi a tutto ciò l'in- circoscritta sterminata sfera di mercato ch'essi hanno. Un manifattore inglese, che sparge profusamente, e vende i suoi generi nei mercati di Europa, del Levante,delle Indie orientali, e dell'America con un tenuissimo rimborso di costo di produzione in ognuno di essi ricava dalla totalità del suo travaglio un lucro immenso; egli può dunque ven- derli a tenuissimo prezzo.Tulte queste circostanze frattan- to, sia detto con franchezza, non esistono per ora in favore dell'industria dei domini' continentali, e molto meno di quella dell'isola. Che influenza può quindi avere la mi- nore spesa del trasporto dei lor manofatti per escludere dagl'interni mercati gli stranieri? Il Ministro Turgot so- lca spesso dire che in fatto di finanza due e due non fanno quattro. Una tariffa doganale fra le due parti del regno, che non escludesse del tutto la concorrenza stra- niera nuocerebbe ad una di esse, senza giovare all'altra. Non è questo il caso degli espedienti a mezzi termini. Onde io porto ferma opinione che generalmente parlando la tariffa su i generi esteri debba essere infinitamente più forte di quella, che sarà imposta su i nazionali.

Un metodo così bene eseguito recherà per fermo gli effetti che si bramano. Ma quando questi si saranno ot- tenuti, quando l'industria siciliana avrà più o meno rag- giunto l'iudustria di Napoli, qual sarà allora la norma regolatrice del loro scambievole commercio ? Quella di non esservene alcuna, ovvero di lasciarsi immune da o- gni gravezza, e pienamente libera la circolazione di tutti i loro prodotti di qualunque specie , come e del com- mercio interno di ogni nazione.

fase, 4ij. 2

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Ho eletto pur ora che l'assoluta libertà del commer- cio è una chimera, perchè è impossibile che tulle le na- zioni del mondo uniformemente la osservasse»^. È con- seguenza di questo principio che tutte le volte che due popoli in parità di condizione economica, si abbando- nano ad una uguale reciprocanza commerciale , sia al- lora conveniente, ed utile per loro ammettere l'assoluta libertà del commercio. Essi danno in tal guisa uu più gagliardo incentivo alla totalità della lor produzione, per i moltiplici vantaggi, che derivano dalla maggiore massa dei bisogni, e perciò delle richieste, e de' cambi. Av- vicn difatti, che bau più pronto ed cilicace impulso pro- duttivo le grandi uazioni rispetto alle piccole, e le città metropoli rapporto ai piccoli municipi. Un artista, che spera i suoi avventoii fra trenta milioni di viventi la- vora con ben altri incitamenti e mire di quell' artista, che gli spera fra soli due milioni. Tulli i produttori nel primo caso sono accesi di una più fervida gara, poi- ché se loro riesce di prendere il primo posto, ricavano dal loro trionfo una ricompensa più eslesa. I governi, la cui finanza è più copiosa, han T opportunità d' inco- raggiarli con premi più generosi. Tutte le ramificazioni del travaglio inoltre, essendo più numerose, e più va- riate si soccorrono vie meglio a vicenda , e contribui- scono con più celerità al melioramcnto di stesse. Quanto più gli uomini poi sono aggregati a grandi masse, tanto più animata ed attiva è la lor produzione. Si hau più desideri, dice Montesquieu, maggiori bisogni , più fantasie, allorché si è insieme. Quindi osservasi costan- temente, che le grandi città sono i centri delle industrie di ogni nazione, e che il loro territorio e più coltivato, più ricco di prodotti, e di popolo di tutti gli altri ter- ritori del paese. La popolazione della Gallia settentrionale è maggiore di quella della meridionale, perche esistono in essa più metropoli. I Siciliani circoscritti entro i li- mili dell'isola, non polreljbero proporzionare la totalità

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clclla lor procluzione clie a due milioni eli viventi; con- fusi però cogli abitanti clclla penisola potrebbero pro- porzionfcila ad otto milioni, ossia ad una massa tre volte maggiore. Questi ultimi ugualmente spingerebbero la loro dal rapporto di sci milioni a quello di otto, ossia ad un terzo di più. Pormando ambidue un medesimo regno, come potrebbero mai renuuziare a questa lumi- nosa prospettiva di lor reciproco vantaggio?

Quanto più le richieste, ed i cambi degli equivaleuti permutabili sono maggiori in ragione della maggiore massa degli individui, che compongono una nazione, tanto più il travaglio si divide , e suddivide in tutte le sue ramificazioni , si sparge e si fissa in tutti i punti del territorio nazionale , ed è esercitato separatamente dai diversi municipi, dalle diverse famiglie , e financo dai diversi particolari. Queste divisioni di travaglio, e que- ste separale località delle sue ramificazioni , lungi dal riguardarsi come un inconveniente, saran più presto te- nute quali effetti immediati, e favorevoli dei suoi pro- gressi, e quai segni evidenti della pubblica prosperità. Nelle grandi nazioni un particolare, una famiglia, un municipio non si occupano che di un solo genere di la- voro, per la certezza in cui sono che con cambiarsene a vicenda il superfluo acquisteranno prontamente tutti gli altri oggetti di cui han bisogno, l^^elle picciole na- zioni per lo contrario , ove si ha poca probabilità di cambi, ognuno s'ingegna a produrre da se slesso tutto ciò di cui ha d'uopo. Sta bene adunque che in quelle i travagli siano separati, laddove in queste è un segno di poco benessere che non lo sono. Ciò dee dileguare ogni apprensione , e la mal fondata brama di vedere accumulato in ogni angolo dello stato, e in ogni muni- cipio tutti i lavori. Ciò dee toglier via altresì i calcoli rigorosi tra chi produce e baratta più, e chi produce e baratta meno,' ed allontanar per sempre l'idea di doversi tendere alla perfetta uguaglianza della produzione in tutti

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i punti dello stato con interni compensi, e gravezze. Il mezzogiorno della Francia è fecondo in oli prelibati che non producono le sue provincie settentrionali. »I vini di Bordeaux, deirHermitage, di Cliarapague non si hanno dal rimanente del suo territorio. Le città manifatturiere d' Inghilterra provvedono la Scozia di artefatti di ogni specie, e questa in cambio le provvede di legna da fuoco, di carbone, e di altri prodotti rurali. In Napoli lavo- ransi ottimi panni, ed in Catania ottime seterie. Im- poita moltissimo clie Napoli si provveda dalle seterie di Catania, e non di quelle di Francia, e ciie Catania si provveda dai panni di Napoli, e non di quei d' In- gliillcrra; ma non è afi'aito necessario che nella prima città si producano le seterie della seconda, ed in que- sta i panni di quella.

Il commercio interno in ogni cambio di equivalenti permutabili mette in attività due impieglii di travaglio nazionale, e reca elìelti perfettamente uguali in vantag- gio della totalità dell'indigena produzione, qualunque sia la diversa indole , e la diversa hìcalità degl' impieghi istessi. Il commercio esterno all' incontro non mette in attività che un solo impiego di travaglio nazionale , per- ciocché l'altro è straniero. Tali sono oltiacciò le altre particolari proprietà dell'interno commercio , e sifialta- menle è diretto , favorito , e promosso da ogni rispet- tivo governo che esso, secondo i calcoli di Smith, giova ventiquattro volte più dell'esterno a conservare, ed ac- crescere la privata e la pubblica ricchezza. Or, poiché i suoi utili effetti sono tanto maggiori, quanto maggiore è la massa di coloro , che internamente commerciano, chi non vede quanto sia da bramar per la Sicilia, che presto giunga all'epoca felice, in cui sia posta ad ugual patto di commercio interno cogli abitanti de' domini di Napoli?

L'intima comunicazione commerciale , della quale io ragiono, non toglie che la Sicilia conservi le particolari

85 istituzioni, che in alcuni rami amministrativi dall'augu- sta Borbonica dinastia le sono state concedute. Imper- ciocchè'iion vi lia chi ignori che se con latto regio del 1816, e con altri posteriori fu la Sicilia dichiarata unico regno con Napoli, non cessò tuttavia di conservare al- cune qualificazioni di governo, e di amministrazione lo- cale, che ricordano le prerogative , di cui essa sempre ha goduto sin dalla fondazione della siciliana monarchia, e che le sue circostanze topografiche rendono eziandio necessarie: un Luogotenente Generale del Re con com- petente ministero, una Suprema Corte di Giustizia, un'al- ta Corte di Conti, varie Direzioni Generali, un Supremo Magistrato di Salute, una Tesoreria, e una Banca pro- pria, una Commissione di Pubblica Istruzione, e simili. Or queste circostanze topografiche appunto, e massima- mente il mare che sta in mezzo a' Beali domini al di qua e al di del Faro, rendono ragione e delle men- tovate attribuzioni amministrative in lavor della Sicilia, e dell'uniformità del sistema in fatto di commercio. Da- poichè il mare, che è un veicolo assai disastroso per lo trasporto degli uomini, che non sono merci, è un ottimo veicolo per lo trasporto così in frazioni , che in masse delle mercanzie. mancano in Europa esempi di tal fatta. Dillerentissimi son tra loro i sistemi di ordina- mento amministrativo degli stati di Baviera, di Baden^ di Francfort, di Nassau, e quei di Alemagna. Eppure si è già stabilita una perfetta adesione delle loro dogane alle tedesche. Il Re di Baviera ne fé' solenne dichia- zione addì 1 1 febbraio passato nel discorso di conven- zione dei suoi Stati Generali. L'adesione, dice egli, già da gran tempo desiderata al sistema delle dogane tede- sche degli stati di Baden , di Francfort , e di Nassau, sistema tanto fecondo di felici resultamenti, contribuirà ad aumentare la prosperità della Baviera , della quale non cessai mai un istante di occuparmi.

Stabilito un libero commercio interno tra le due parli

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del regno, i Siciliani incontrano nella penisola l'ostacolo delle regie privative sul sale, tabacco, e polvere da foco, onde son vietati d' introdurvi questi generi , Ibichè la loro produzione rimane limitata alla sola richiesta della popolazione siciliana. Non niego che sia questo un di- scapito. Ma qui parmi necessario osservare che il divieto dell'esercizio di questi dritti riserhati milita indistinta- mente così per i produttori di Sicilia che per quei di Napoli , e che la provigione riserbata di questi generi fassi anche indistintamente fra gli uni, e gli altri pro- duttori. Laonde esiste per loro una uguale condizione di divieto, e d'incoraggiamento. Non dee poi a mio avviso la loro maggiore o minore altitudine a sitìàtta produ- zione sottnporsi a calcoli di numerica uguaglianza , es- sendo sufficiente che le loro relazioni commerciali sieno in ciò a patti uguali. Per altro queste regie privative formano in Napoli un ramo di pubblica finanza, come è del macino regio in Sicilia. E se quest'ultimo tende a dimiiuiire in proporzione il consumo del grano che fassi nell'isola, risentono ancora questa diminuzione tutti coloro che dai domini del continente ci potrebbero in- trodurre, e vendere questo cereale.

Non così però del dazio di consumo sul vino della città di Napoli, e suoi casali , il quale per ogni botte di barili 12 è di ducati 3, 60, per i vini della penisola, e di ducati 'j^ 20, per i vini siciliani, che vai quanto dire del doppio. Questa enorme difli^renza non ha a mio credere alcuna base economica , su cui si . fondi , ed è molto dannosa a questo ramo agronomico siciliano. L'au- tore della memoria anonima sostiene che siccome i vini di Sicilia sono di migliore qualità, e vendonsi a prezzo più alto de' vini deboli , o degli acquerelli di Napoli, così è giusto the sieno sottoposti ad una gravezza mag- giore- Le buone teorie daziarie stabiliscono, egli e vero, che i dazi su i generi di consumo abbiano una certa proporzione colla loro qualità, e col loro prezzo di mer-

^7 calo. Ma queste medesime teorie stabiliscouo ancora che

in tutti i generi di consumo popolare, i quali per la loro OTfjDgciieità ed analogia ;possono lacilmente surro- garsi gli uni agli altri , le tasse più alte su quei che vendonsi a prezzo maggiore equivagliono ad un espresso privilegio, ad una i\ era privativa di preferenza che si accorda a quei che . vendonsi a . prezzo minore, e ten- dono ad escludere, immancabilmente i primi dall'interno mercato. In efìtilto , se i vini di Sicilia per la ragione che vendonsi in Napoli a prezzo più allo de' vini na- politani hanno una minore probabilità di esser comprati, innalzare maggiormente il loro prezzo con una tariffa più forte è ju-ivarli assolutamente di questa medesima probabilità. La loro migliore qualità però , dirassi in contrario, làrà sempre comprarli. Ma da chi? Dalla ge- neralità del popolo non mai. 11 popolo incalzato sempre da' suoi bisogni, e quasi sempre al di sotto de' mezzi di soddisfarli, consulla la sua borsa, non il suo palato nella compra delle veltovagUe. Egli, purché si nutrisca, preferisce la quantità alla (jualità degli alimenti. I vini di Sicilia saran dunque per il popolo napolitano come i vini di Ci])ro, e delie Canarie; gli ecciteranno il de- siderio di beverli, ma non ne avrà la possibilità. Ri- marranno in somma per far onore alla mensa di qual- che famiglia delle classi medie, ed alte, e rinnoveranno l'esempio della Gran Erettagua , ove i vini del Porto- gallo, e di Sicilia bevonsi come licori di lusso dalle fa- miglie opulentissime, mentre tutta la massa del popolo uso della sola birra.

E verità dimostrata in pubblica economia che la con- correnza tra i produttori e i consumatori è 1' unica e generale cagione, che distribuisce il peso di qualsisia dazio di consumo, che ne regola l'accumulazione in un solo punto, o la diffusione in punti diversi, che ne pro- duce alternativamente le continue vicende, e le inces- santi variazioni. Ciò avvien però quante volte i prò-

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dultori persistono nel bisogno di produrre i generi tas- sati, ed i consumatori in quello di consumarli , avve- gnaché conservando sempre ferma, e costante t.ùl loro reciproca concorrenza fanno a gara per esimersi a vi- cenda del peso dei tributo, ed addossarlo ai loro com- petitori. Ma tutte le volte che gli uni possono sottrarsi al bisogno di produrre i generi tassati e gli altri a quello di consumarli, allora il peso della tassa cade bentosto sopra i consumatori de' generi istessi o riman tutto a carico de' produttori. Or quest' ultimo è precisamente il caso adottabile al dazio in questione. I consumatori napolitani, quei dir voglio che formano la generalità del popolo, possono agevolmente sfuggire 1' enorme da- zio, che piomba sui vini siciliani, surrogando a questi i vini di Napoli. Non vi sarà dunque concoj-renza al- cuna da loro parte, e il dazio piomberà tutto a carico dei produttori siciliani, o in altri termini gli renderà incapaci ad introdurre, e a vendere i loro vini in Napoli. I dazi comunali di consumo sono inse|)arabili dalla pub- blica amministrazione di qualsisia municipio. Diversa è la maniera di esigerli, ma identici ne sono gli ell'etti. Nelle città chiuse si esigono all' immissione; in tutti gli altri comuni sulla vendita a minuto, e col metodo de' così detti ruoli di transazione su i consumatori all'ingrosso. Questi dazi nou possono formare oggetto di confronti, di bilanci, e di compensi nell'andamento dell'interno commercio, ma deggiono bensì essere uniformi, e per- fettamente uguali per tutti i produttori dell' intiera na- zione. In Palermo 1' immissione de' vini va soggetta a un dazio jjiù forte di quello di Napoli; in Catania a tari sedici per salma legale; in tutte le altre comuni delle Due Sicilie la immissione, e il consumo delle vet- tovaglie van soggetti a dazi di diversa indole, e peso. La legge del liì^ero commercio interno non esige che queste gravezze sieno ugnali in tutte le comuni, ma che sieno uguali per tutti i produttori , e sommmistratori de' generi tassati. Laonde è ben chiaro die la dillì^rcnza

del dazio di consumo di cui fo parola , sia contraria a questi principi per altro ovvi di pubblica economia, e sia~~perciò da togliersi nel bene ordinato regolamento del commercio interno delle Due Sicilie.

Vale altrettanto a mio intendimento delle differenze, ed anomalie di tariffa su i lavori di ferro, gli stracci, i giulebbi, la cenere di tartaro, il cotone in istoppa, la feccia bruciata, le galle, i galloni, l'olio d'oliva , la radice di rubbia, la rubbia macinata, il tartaro , e si- mili: differenze che facendo eccezione al sistema del li- bero cabotaggio si dipartono dalle norme d' imparziale giustizia, e di reciproca utilità, con cui dovrebbe rego- larsi. Io non vengo in ciò ai particolari. Il signor ^lal- vica ne ha diffusamente favellato, confutando le ragioni dell'Anonimo, che s' ingegna sostenere tutte queste ano- malie. Osserverò soltanto che per ottenersi in qual si sia nazione i grandi vantaggi delle libere comunicazio- ni interne è indispensabile che unica, uniforme,, e per- fettamente uguale sia in tutta la circonferenza del suo territorio la tariffa doganale sui generi stranieri. Ecco adunque un' ultima essenzialissima avvertenza in propo- sito del commercio di cabotaggio fra le Due Sicilie.

E qui abbia fine questa mia lettera, che forse ho prolungato tropp oltre. Ho seguito gl'impulsi del mio core neir esporre ciò che ho creduto utile alla nostra nazione. Ma le mie non sono che maniere di vedere meramente scientifiche. Il supremo moderatore de' no- stri destini, il benigno nostro Sovrano sa mirabilmente provvedere, senza che altri se ne dia pensiero , come ha sempre per lo innanzi provveduto , al vero benes- sere, ed alla progressiva prosperità dei suoi popoli.

Mi conservi la sua pregiata amicizia, e mi creda pie- no di costante ossequio, e per sempre

Catania 2/ Jpriìe iSSj

Dìth» Obbmo Aiurco*

Salvatore Scudeke-

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VARIETÀ'

Ir--'

Biblioteche mutue per le classi agricole^ industriati e commerciali.

Sarebbe cosa molto a desiderarsi che si fondassero ovunque biblioteche mu- tue in favore delle classi agricole, industriali e commerciali , ed in esse si deponessero solo quei libri che possono influire sul ben essere fisico , iiiteU Icltuale e morale degl'industriosi; e dalle quali si potesse portare a casa un volume per volta dietro certe prescrizioni. Gli uomini illuminati non hanno bisogìio che loro si addimostrino i vantaggi di siffatto filantropico stabilimen- to: ina se taluno qualche dubbio nudrisse riguardo a ciò ^ la più piccola ri- llessionc basterebbe ]ier toglierlo: perchè da tanta istruzione elementare non si ha lutto quel bene che se ne potrebbe avere? perchè la maggior parte di quelli che hanno imparato a leggere e scrivere, per mancanza di mezzi o non aprono più uu libro, o se possono avanzarsi da comprare un qualche libretto da pochi soldi è tale da fargli piià male che bene, ed ancorché uno avesse molti mezzi e tutti li volesse spendere in hbri, non potrebbe mai a- verue tanti come in una biblioteca di mutua associazione , la quale può es- sere Bumerosissima e scelta a modo da procurare ad ognuno una conveniente istruzione, e trarne nroralità e profìtto. Ed invero il padre di famigUa che ha libri, a sua disposizione, e dei quali può ritenersi siccome proprietario » avendone sempre un volume presso di se, sarà al certo meno allettato di frequentare le osterie, i caffè e tutte le adunanze della oziosità, e della dis- sipazione: egli non sarà in preda a quella noia, ed a quell'ozio , in cui di peso a se medesimo, lo diventa pure per gli altri, ed in particolar modo a quelli coi quali convive. Allettato egli da una istruttiva morale e piacevole lettura, talvolta la sospenderà per farne parte alla sua famiglia, e trattener- la di quanto ad esso pure è stato d' istruzione e di divertimento. Da questo ne verranno ogni giorno, od almeno più di una volta per settimana , utili lezioni, divertenti conversazioni, che vantaggiosamente rimpiazzeranno i vani discorsi, le maldicenze, e ben sovente le calunnie.

(Repertorio Enciclopedicoj

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s Osseiveff-ìoni meteorologiche fatte nel Reale Osservatorio di Palermo nel mese di Aprile i83j.

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91

.^, PARTE SECONDA

LETTERE ED ARTI

Sull'Oratore ' sìiìctò Ugo Bassi, che predicò nella qua- ''' rèsima di questo anno i83y in Palermo dal per^

' garriò deirOUvella .

'SU modus in rebus.

l'i Ugo Bassi, che con tanto affollamento di uditori predicò nella chiesa deirOlivella, vari variamente pen- sarono; e tale vi iii, che canzoni e sonetti die alla luce in di lui lode ; e tale ancora , clie dissene male assai. io per fermo me ne sarei impacciato, ove o sola la lode ma non divulgata per le stampe si fosse udita , o del biasimo un ugual segno si avesse: imperocché al- lora non saremmo da chichessia tenuti in conto di stolti, e la mente di chi mettessesi ad esaminare ameudue le opinioni, rimarrebbe in bilico.

•"1 Sarò forse di malignità incolpato, perchè caddemi ora ■Jn pensiero di emettere il mio giudizio? e perchè solo io avrò questa taccia , se varie state sono le sentenze di chi, più d'una fiata l'intese? ma sia che può; aperto Voglio dire il mio pensiero, ed ove mal mi apponga , altri mi mostri il torto.

I parlari, che uom fa nelle chiese, e che s'addimandan prediche, vogliono, come tutti gli altri, tender per loro precipuo scopo a persuadere; e però dell'aspettazion sua viene l'uditorio defraudato da chi non dando nel segno manca al debito suo. Imperocché primo ufficio dell' ora- tore (t) si è il provare la sua proposizione nella divi-

(i) Paolo Costa della Elocuzione patte 2.

fase. 4q. 5

sata maniera: secondo il dilettare: terzo il commuovere; accorgimento richiedesi nelle prove , sobrietà negli or- namenti, clic intendono al diletto, veemenza n-^' "onci- tare gli aflbtti. E perchè le prediche come discorsi, che si fanno al popolo, cui non si addice un ragionamento perfetto, vogliono essere locate tra quel genere di ora- zioni, che piìx allo stile poetico si avvicinano, ben vo- lentieri qui il ricordo; purché non si ponga in oblio la grave sentenza dell' italiano scrittore , (di cui mi sono servito) che dovrà il discorso persuasivo aver sempre l'aspetto di vera dimostrazione.

Se tutte qui chiamassi ad esame le prediche del Bassi, e venissemi talento di librarle tutte coi principi della arte, riuscirei infinito, e molta noja frutterebbe a' miei lettori; onde mi contenterò di dire alcuna cosa, sul ca- rattere , che generalmente vi signoreggiava serbandomi di esaminar con qualche cura sole quelle quattro , in cui soprattutto l'arte dell'Orator sacro risplende.

Fu detto, che lo stile delle prediche vuole avvicinarsi al poetico, ed egli non che non seguisse un tal precetto ne abusava maravigliosamente. Dapoichè piene erano a ribocco e d'i|V)tiposi assai lunghe, e di descrizioni tanto continue, che non se ne potea più: soventi volte il suo argomento dimenticava divagandosi per gì' interminabili spazi della sua viva fantasia , onde, a stento poi ricon- ducendo r orazione al sentiero, da cui erasi dipartita , non tenea. l'aspetto di vera dimostrazione. Talora iu un aspello mostra vati il suo assunto, e le pruove o in isbicco ti adduceva, o tanto sconcertatamente , che a grave fatica potevi raccapezzarle; e tal altra volta ad on- ta di una ostinata attenzione non erati dato di richia- mare alla mente le dottrine, che pareano qual copioso fiume uscirgli di bocca, e però toruavasi dal pasco pa- sciuti di vento. ^

E qui mi cade in taglio poler dire, che l'amor delle ( novità fc' velo all' intelletto di lui : imperocché per la

93 brama di battere una nuova strada, e per voglia di tes- sere in nuova maniera le sue prediche punlellavale di deboUp''".j;gomenti, che stemperati poscia in un ben lun- go discorso perdevan per via quel poco vigoi'e, che di natura aveano, E come quel ruscelletto , che partito dalla sua fonte vigoroso va perdendo assorto dall'arida terra le forze, e non giunge ai fine del suo sentiero, tale le prediche del Bassi languivan sempre per difetto di argomenti o non ben sentiti, o mal distribuiti. Anzi, se non avessi timore d'eccedere, direi, che egli studia- vasi d'esser debole, e d'intessere non persuasive le sue orazioni. Couciosiacchè allorquando il disegno del suo as- sunto portasselo a dover per poco venire a stretto ra- gionamento ammonticchiava in solo un punto tutte quante le sue ragioni e quasi uscissero da rotto sacco a legge di recitativo le rotolava. Chi potrebbe andar notando tutto che spiacque nelle di lui prediche, e metterlo in chiaro ? non io al certo, che infinito riuscirei. Intanto a suggello delle mie parole, e per non fallir la promessa verrò disaminando le quattro , che sulle verità eterne s'aggirano.

Prima fra tutte, che va a far bella mostra di se, ed in cui l'arte sua l'orator v'impiega tutta , è la predica sopra la morte, della quale io vi metterò innanzi agli occhi r argomento , e le pruove lasciando a voi ed al vostro senno di darne senten::a. E la morte , egli dice- va, lo specchio , ove i motivi si veggono della disisti- ma e del mondo, e della stima della virtù. Se vi venissi susurrando esser lalsa la base del di lui discorso, perchè non è la morte in se medesima, ma le conseguenze sue, che producono la disistima del mondo, non mi chiamereste tisico ragionatore? Ma nulla potrebbemisi a buon dirit- to rinfacciare, se vi dicessi, che niuna cosa v'ebbe, la quale mostrasse tanto o quanto come questa disistima producasi , e come bella a letto di morte tacciasi la virti!i; sendochc altro ci non cercò di ritrarre per provar la

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prima proposizione, se non se uno scellerato, il quale già

tocco dalla possente mano di Dio muore sognando le più tremende visioni, e per la seconda la doldssima ùn^rtita di chi nella pace del Signore i giorni suoi finisce. Laonde il sogno di uh farnetico cui jiec pes jiec caput imi étc; e le storielle dei Santi, con che andò raffazzonando l'ora- zione, valsero pel Bassi una pienissima pruova."'^ jìtioJ

A questa dopo non breve tempo tenne dietro quella sul giudizio universale. E sarò io tanto ardimentoso da toccare una Orazione cosi cara a lui, e che por avergli meritato il Pergamo déll'Olivella, sommamente predile- geva? Ma striugetni necessità, ne e a me il rimanermi. Quivi egli magnificamente descrisse quel discendere, é salir d'angeli, che dovranno aprire tutti i peccati degli uomini , e che segneranno a ciascheduno in fronte il marchio delle proprie iniquità et omnia nuda. Parve bello a prima vista il piano di questa prediletta Orazio^- ne, ma siccome ogni cosa òttima se troppo, e senza cas- sazione si continua, ristucca, così anche allora gli udi- tori partironsi di chiesa noiati; e soprattutto perchè a- spettavan dopo un' ora e mezza di tante vane parole af- facciarsi il reddet unicuique^ e sentir la finale senten- za, ma l'aspettar fu indarno, ed egli tutti deluse. Ma perchè? forse per non abusar di vantaggio della cortesia dell' udienza ?

E valga il vero, nell'inferno non fu così; che fu ben tratteggiato, e ben provato il suo discorso, quantunque, e non dicea la verità, avesse per nuova spacciata l'idea^ con cui Tavea tessuto. Dapoichè ed Orazio nella 3 sa- tira del 1. I, e Cicerone nel 1. 3 de log. ed i giuristi tutti avean prima di lui annunziato doversi la colpa ca- stigar con pena corrispondente alla sua indole, ut sua vitto quisque plecatur. per questo gli moverò lite alcuna, ma non gli si può certamente condonare il de- litto di falsificata storica veiità. Giacciiè gli scrittori tutti ci narran la costanza, e la cristiana rassegnazione,

.9^ (li die Maurizio fé' mostra fra gli acerbissimi slrazl ,

cpii,,cui l'empio Foca il travagliò; ne era bene, che il Bassi *?eI»dimostrasse impaziente disperato roso dalla cru- dele smania di yeudicarsi solo per farlo poi a terra ca- dere, come corpo morto cade.

Ultima tra le verità eterne ci si presenta il Paradiso, che colle bellezze, onde si adorna il trono di Colui, che amostra la gloria sua in un luogo piij, e .meno altrove, dovrebbe infiammarci di amor grande , e di bramosia non piccola per conseguirlo. Ma fallito Paradiso in bocca del Bassi, come nulla era la tua bellezza, e nullo l'in- cauto dei tuoi piaceri! Ed in verità distemperare in una lunga predica due fievoli argomenti atti a chiudersi in pochi periodi altro non dovean produrre se non se lan- guore, e noia. Dapoichè se la vita (sono i di lui pen- sieri) ci si ia aggradevole, e dolce per l'amore , e per la bellezza, qual amore e qual bellezza non è da aversi in Paradiso? e se l'umana beltà tanto i cuori umani al- letta ed avvinghia, quanto non farà più la celeste? Or queste due proposizioni valgon cotanto da poggiarvisi una orazione d'un' ora e più? edove ciò pur si volesse, perchè la fantasia di lui s'inaridì, perchè non scene belle, non gaie dipinture, non quadri animati qui ci ritrasse ?*I1 romantico spirito, che l'informava, seguendo suo stile , tacque nel dolce e nel soave; che soli i burroni , e la tetra natura sa animare coi suoi colori; e però se togli quella ipotiposi, in cui alcuni beati spiriti andò nomi- nando altro di vivo non c'era.

eran sempre di tal fatta le prediche di lui, poi- ché ve ne fu pur taluna, che giva a capello colle regole dell'arte, e tal altra fiata ci commosse con alcuna delle sue dipinture , e precipuamente allorché nella predica sulla beneficenza ci mostrò degno della nostra commi- serazione quel padre sciagurato, che tornando dalla bi- schera colla disperazione nciranima s'inlenerì, versò la- grime di soave dolcezza alla vista della consorte grama,

9^'

V dcgl imioccnli figli, clic colle smorte labbra gli cliie-

dean pane. E filimi con acre zelo i vizi, mostronne la liu|>e lor bruttezza, e ritrasseli alcuna voKa con tal maestria, che ne ingeriva orrore. Ma tuttavolta perchè lasciavasi trasportare dall'impeto di sua natura? e per- thè tanta pompa di sapere in cose che non dal Per- gamo, ma nemmen da' trivi dovrebbonsi udir giammai?

Ciò non ostante di tutto, che all' udienza non iva a sangue, egli faceva ammenda con un dettato assai pu- lito e terso, e che salvo qualche costrutto nuovo adatto e strano e qualche parola da lui usata in non cittadinesco modo non iscompagnavasi per lo più dalla eleganza e dalla italica venustà. Usava è vero qualche immagine falsa, face- va qualche abuso di epiteti, ma eran poco cosa, ed ubi plura jiitent, non ego paucis offendar maculis.

Qui metto termine al mio discorso; e non dei mo- vimenti del corpo, non della studiata capellatura, non del modo onde all'udienza si presentava, e con diesi dipar- tiva, io farò parola, quantunque anche in ciò qualche schizzinoso trovasse a ragione di poterlo addentare. Dirò bensì eccedente la mimica di lui, la quale o sia moda d'Jlalia tra noi non ancora intromessa , o troppa viva- cità dell'oratore, parve agli stessi ciechi ammiratori suoi sorvalare i modi, che al pulpito s'addicono. Su di che po- trcbbonsi fare di buone ricerche, onde indagare le cause, dalle quali nacque questo principal mutamento nel co- stume degli oratori, che negli antichi tempi essendo clo- quenlissimi non movcan le mani. Ed è bello ricordar qui un detto di Demostene , che punse assai gentil- mente uno dei sostenitori di Filippo dicendogli , non solo nel perorare far di mestieri tener nascoste le mani, ma ancora nel presentarsi al Macedone re. Ma i nuovi costumi, e l'uso perpetuo sovvertitore dei modi umani produssero il cambiamento, e nessuno può ritornarlo al pristino stato. Par bene però, ciie il Bassi dell'uso an- tico per mod(>rarsi abbia memoria, poiché ogni troppo al male inclina. ]\. C.

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Soprtfiih Quadro del B. Sebastiano Valfrè dipìnto da Sahadore Lo Forte nella Chiesa de RR. PP. del- l' Oratorio.

E così facile a' nostri scambiare la vera lode col- r adulazione, che 1' uomo onesto spesse fiate trema nel tributai'la a' degnissimi di encomio. Però il merito per lo più rimane privo di quella gloria, che da' liberi scrit- tori si ottiene, o da penne meretrici è deturpato con impudenti lusinghevoli parole. Questa arte straniera al nobilissimo uffizio delle lettere fa, che tra la immensa tratta degli elogi de' vivi virtuosi , e de' trapassati, la quale tuttodì ai torchi materia di lucro, sono pochis- simi quelli, che narrando meraviglie , ottengono piena credenza da' posteri, e si facciano da' presenti leggere senza derisione. Onde è che 1' uomo, il quale diritta- mente professa gli studi, cioè colui, che suda su' libri per desiderio di gloria, per interno compiacimento , e per utile degli uomini, trasanda il debito di esaltare gli ingegni elevati, e incitargli a poggiare a più sublime altezza. E tuttavia da affrontarsi lieve periglio, ove per quello si va ad un fine virtuoso.

Parlare di un artista vivente, giovine d'anni, giovine di fama , in un paese, nel quale le di lui produzioni han fatto l'effetto, che recano le cose nuove, spiegare opinioni diverse dalle comuni , è un correre solo incontro a un esercito in armi , è per lo manco , un farsi notare di ardimentoso, e forse di presumente. Ma caugian stagio- ni, e cangian gli umani pensieri. Quello, cui oggi si plau- de, domani si abbatte, o si oblia. Il vero, il solo vero, dalle nebbie, che lo avvolgevano, mostrandosi lucente, si farà quando che sia, vagheggiare dagli uomini. Cotale magnanimo pensiero si era fatto confortatore de' miei dubbi, e incitava la mia voglia , che ebbi di ragionare

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sul (li pialo, clic Saltatore lo Forte pose nello augusto Ton)[>io ile' PP. dell'Oratorio. Ma come io seppi , che altri di me più veggenti in queste materie si aVeario con Lello ardire tolto così nobile incarico, mi tenni volen- tieri quel desio nell'animo, pago di vederlo per loro più degnamente fornito. E lungo tempo che l'opera sorprende il pubblico, e si tiene il silenzio tuttavia, silenzio, che può indurre gli orgogliosi stranieri a pensare, o che in Si- cilia non ci sono occhi a vedere il bello, o che l'invi- dia governa i nostri pelli. Il primo sospetto è smentito da tanto progresso di civillèi, che pur troppo, va ad ora ad ora crescendo nelle nostre contrade: del secondo non so quale argomento basti a scagionarne.

A evitare dunque codesta taccia , a esaltare 1' arti- sta, a dar gloria alla (erra, che il produsse, mostrando lo avanzamento dello arti nostre, ho fermato di breve- mente esaminare quel dipinto. E se avverrà eh' io non avrò colto nel segno, l'amore caldissimo , che ho delle arti, m'otterrà indulgenza da' dotti. .

Salvatore lo Forte, (che è alla Pittura Siciliana spe-l ranza di onore più grande) reduce da Roma , dove la cittadina munificenza lo avea inviato per ingrandirsi nel- l'arte, esponendo al publico la prima opera, die agli a- nimi nostri così nobile grato piacere, che dubbio non rima- ne,lui avere nella Reggia delle arti studiato accuratamente, e con lungo amore. Dopoché nelle feste, che con laigo spendere celcbraronsi al B. Sebastiano Valfrè novella- mente ascritto al novero degli eletti , egli ne avea ac- cennati diversi suoi pensieri , ne dipinse un miracolo. Niente di più comune, che presentare un paralitico gua- rito. Lo storpio risanato da S. Pietro nel portico del tempio fu subietto a innumerevoli pittori, e sopratutto al pennello di Raffaele. Gl'ingegni comunali perciò avreb- bero creduto esaurito il bello da' primi, e si sarebbero fermati o a copiarne i comjiosti, o a svisarli, o mettersi per via nuova, ma falsa. Massima perniciosa, clic a

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molti moderni poeti tenere obliqui sentieri. Quasi la

immensità di natura potesse comprendersi da umana po- tenza ! C?ò non ostante il nostro artefice senza torcere dalle orme di que' vecchi seppe a' suoi concetti dar no- vità, e grandezza. Ei si tenne alla storia, la quale narra, che queliuomo giusto operatore di prodigi recandosi a un Convento di frati Teresini osservò steso presso un miserabile storpio, che da lunghi anni vivea vita infe- lice , inchiodato in quel luogo a domandar del pane a chi passava per via. Egli scongiura Sebastiano a soc- correrlo di qualche moneta; costui dice nulla avere, ma gli comparte il cibo spiritale dell' anima , cioè lo am- maestra nella fede, che chi crede, chi spera nel Cielo riceve aiuti maggiori. Colui dice, che crede, che spera. Dunque, ripiglia il santo con parole apostoliche, poiché io non ho argento ne oro, sorgi diritto sui piedi, e vattene sano. Ecco il suggetto dell'opera, il quale riguardo alla invenzione fu dal pittore in questo modo trattato. Nel centro della tela è il Bealo , che innalza la destra in atto di benedire , esprimendo insieme colla sinistra lui niente avere, col corpo al(|uanto piegato verso il parali- tico. Il quale stato dapprima , tranne la bocca , inerte di tutta la persona, sentendo rinvigorirsi di forze novelle fa tult' ora colla destra sforzi di levarsi. A mancina è un laico seguace di Sebastiano, che genuflesso, e mera- vigliato adora la potenza del Cielo.

Son queste le sole figure , che compongono tutto il quadro; così fu dal nostro pittore condotto il Paralitico, il quale se pure a quello del Sanzi si paragoni, si ve- tirà in quanto alla invenzione nou cedergli. E in vero Raffaele fido seguitatore del sacro istorie^) ponendo la scena in un tempio di colonne spirali (nella cui fabrica certamente dormì quell'ingegno divino) pinge una turba di popolo nel punto, che S. Pietro dopo aver detto al paralitico sorgi e cammina presolo per la destra lo sol- leva. Ma un poco die si aguzzi il giudicio si scorgerà,

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che egli qui è più storico, che poeta; e ove al pittore si tolga l'ulUcio del poeta, cioè quello di presentare alla vista degli spettatori il punto, come suol dirsi,"*'di mag- giore interesse , ci non ottiene il fine dell' arte, e deve quindi riuscire freddo a misura, che si dilunga da que- sto principio, e tal fiata, anzi ben di sovetite, riesce oscu- ro. Ne nella pittura dell'Urbinate è sufficiente chiarez- za. Chiunque, cui non fosse nota l'istoria veggendo quel- l'atto, potria pensare, che S. Pietro si sforzasse ad aju- tar quello storpio, quindi lo solleva ^ come dice il sa- cro dettato per la mano; perocché nissun segno di gua- rigione è in lui, i suoi piedi sono ancor storti, le gam- be scontrala Ite, e prive di vital movimento. La qual cosa reca maggior nocumento al tutto del composto. Per- cioccliè, non ancora operato il miracolo, di che si ma- ravigliano gli spettatori? Delle parole profferite dall'apo- stolo? Ma i fatti, non le parole svegliano la nostra am- mirazione. Quindi chiaramente si scorge quanto di ef- fetto abbia perduto il divino Raffaele , e da parte dei principali attori , e da quella de' secondari. Non dico per essersi tenuto sottilmente alla Storia, cioè per avere con troppo scrupolo (e i pittori non vogliono aversi co- scienza da bacchettoni) copiate fin le parole della scrit- tura, ma per non avere scelto in tutta quella Storia il punto più interessante. Che in quel sacro racconto poco dappoi si narra, che operato il prodigio, tanto stupore sorse negli Ebrei da credere Pietro ente divino, e non mortale. E così poteva l'urbinate presentare il paralitico perfettamente risanato; meravigliato estatico il popolo, del quale parte guardano il guarito, parte si volgono a S. Pietro; parte di se stessi dubitando non ben sicuri se sognassero; e il Principe degli Apostoli in mezzo loro animato di foco sovrumano sclamando: Mo/m'wf fi?'/$Trte/e di qiial cosa vi maravigliate, perchè ci guardate sba- lorditi quasi la guarigion di costui fosse opera di no- stra virtù? Il Dio di Àbramo^ d'Isacco^ e di Giacobbe^

roi

il Dio de nostri padri l'ha operato per iiostro mezzo a gloria del suo figliuolo da voi tradito ^ negato^ con- dannato.^ Q\xà\ grandezza di soggetto! qual punto subli- me! quale immensa varietà di affetti! E queste cose eoa tali parole diceva il sacro scrittore. Artisti filosofi , de- gli errori de' grandi fatevi specchio a voi stessi, riflettete lungamente su' vostri soggetti, rivolgeteli per ogni lato, e sceglietene il più vantaggioso partito. Badate! se pec- cherete nella scelta avrete forse perduto, malgrado ogni accuratezza di maggior lavoro , più di metà di effetto nelle opere vostre, in cui ammirandosi i più bei pregi, si biasima il vostro giudizio.

Il Pittor siciliano in ciò fu felicissimo. Egli astenen- dosi dal fare , che Sebastiano sollevasse , comunque si voglia, lo storpio; ma questo facendo ringiovanito, ri- suscitato quasi a vita novella, in atto di rizzarsi da se, mostra più evidentemente la sovrumana potenza, che ope- rava il miracolo, accresce la grandezza, la convenienza, la forza dell'azione, opera in somma da vero poeta, per- chè le impressioni , che egli ha volute eccitare vanno nel modo più vantaggioso alla immaginazione, e quinci guadagnano il cuore, e s' impossessano dello spirito. E mille spettatori abbiamo uditi a dirsi tra loro: quel mi- sero fa sforzi per sollevarsi! Ve', si solleva: già è risa- nato.

11 quale effetto ottenutosi per la conveniente inven- zione si accresce per la composizione giudiziosa , che e nel quadro. Seguitando le massime de' Greci maestri , e de' nostri più celebri Classici che da quelli non di- scordano, l'artefice senza tradire la storia, senza gir fol- leggiando colia fantasia si è mostrato sobrio nel com- porre. E per fermo la sobrietà è una proprietà, la quale, quantunque fosse vantaggiosissima alle produzioni tutte del bello, giovando alla chiarezza, alla unità, alla forza, alla semplicità dell'opera, è stata nondimeno dagli arti- sti ne' secoli di decadenza disprezzata, e quasi abbonita,

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e uegli anni fiorenli da pocìii seconclata. Ciò nasce da intemperanza nello menti vigorose, e da poveria di giu- dicio, e sterilità di idee nelle volgari. E so che liaiuiovi parecchi, e sono i più tra gli uomini, i qnali ammira- no oltre misura l'abbondanza di figure. Spesso si ascolta gridare: bel quadro! ci sono dugento, un migliajo di per- sonaggi! Come se la eccellenza di un' opera si dovesse misurare in ragione della sua mole, o come dircbbono i fisici, della sua massa, senza riguardo alla bellezza , o deformità delle parti. Che se così fosse , il poema più esteso dovrebbe essere il più insigne, la più voluminosa storia la più ammirevole; e quel che dice più parole il più eloquente uomo. Perciò le immense cronache, e gli annali, i poemi balordi ed eterni, i saltibanchi, e i ciar- loni dovrebbero tenere il primo seggio tra le meraviglie di que' generi. Ma gli è certo secondo i filosofi, chela strabondanza di parole è segno di pochi pensieri. Peroc- ché colui, che prolo'tidamente è penetrato nelle midolle del soggetto, colui che lo vede in tutti gli aspetti, che di una in una ne ha mirale le parti , in somma , che lo comprende tutto quanto, ha la facilità di presentarlo nel suo vero sembiante, di notarne con più evidenza le parti principali , e dar loro il convenevole interesse. Però tutti gli scrittori si veggiono avvertire chi legge, che loro è tornato più malagevole a dir tutto in breve, a compendiarsi più presto, che a lasciar libero il freno, secondochc dicono, a' loro pensieri, il che equivale so- vente alle loro parole. In sirail guisa il pittore, che ha volto, e rivolto il suo soggetto, che fortemente lo sente, che si è quasi immedesimato nell'azione, che vuol pre- sentare, cioè che in quel modo oprerebbe se invece di pittore fosse attore sul vero, espone in tutta luce le parti principali, e le seconde, se stanno in sua libertà disprez- za, le osiura, e degrada se sono dimandale dal bisogno. Egli studia tulli i movimenti delle sue poche figure, a ogni cosa la giusta espressione , tutto anima , tulio

io3 muove, a tutto parola, ed afFelto. Questo pensiero stette in core a' sovrani artefici di Grecia , perciò la scrapllélt^s inimitabile, e la brevità de' loro composti , la espressione parlante delle loro figure: onde ben disse chi in que' grandi ncrtò, che' il solo volger del capo, lo stendere, il piegare di un braccio', l' inaiTamento delle ciglia, uno qualunque moto d'una parte del corpo delle loro figure ti significano a prima vista; il j)ensiero del- l'artefice. Quanto era poeta, disse Francesco Milizia,quel Greco, che creò l'Apollo di Belvedere! A questa regola mirò Raffaele, onde divenne il primo* maèstro nella e- spressione. Questo principio conobbe Alfieri, e al per- fello faceasi presso in ragione, che a quel principio si avvicinava. E se la vera perfezione dell'arte non toccò, che è quanto dire se non ebbe tutte le finezze dell'arte grec^, tuttavia predicando brevità, semjDlicità, sobrietà, bandì dalla scena il popolo ozioso de' secondi attori, e su i principali versò, semi fia lecito così dire, a tor- renti la luce con plauso universale, e con felice rivolu- zione del teatro italiano. Chieggo chi ha espresso più cotivenevolmente la Congiura di Bruto, Alfieri co' suoi personaggi, o Shakspeare (uno dei più grandi dipintori poetici della natura) col suo immenso numero di sena- tori, di cittadini, di Sacerdoti, di auguri, di soldati, di spie, di servi, di ubbriachi, che parlano, e sparlano?

Chieggo qual dice più una pittura di Pussino , che introdusse pochissime figure, o una del Cortona, e dei peggiori Cortoneschi, che a ribbocco ne empirono ogni piccolo vuoto nello spazio? Non vi ha cosa più facile, che porre figure; esse escono dal pennello dello artista come i versi dalla bocca di uu improvvisatore. Ma do- mandate conto a' versi di costui, ne potrete raccogliere altro che parole senza corpo gittate a moggia sopra un pensieruccio masticalo fino a' stomacare gli ascollanti ? domandatelo parimente i quadri di alcuno di questi sire- nati pittori all'improvvisò non ne avrete altro, che una

io4

folla tli corpi senza anima , accozzati alla peggio , uno spampauamento irraggionevolissimo.

E queste cose vorrei, che ciascuno accurata piesite pon- derasse; inipercioccliè siraigliantt falsità si odono non solo in bocca degli scolaretti orgogliosi, e petulanti, ma di qualche altro maturo nelle arti. La qualcosa è di tanto maggiore scandalo, e pericolo quanto più autorevole è la persona, che profferisce siffatti pazzi giudizi. Ma si con- sideri, che tra noi gli artisti di oggidì sforniti dal ne- cessario corredo di scienza, stranieri a ogni buona filosofia, se avviene, che alcuna volta operando non facciano stram- botte, delirano altresì ove le cagioni delle arti vogliono ricercare. E qualcuno di loro si è udito a mormorare, che Salvatore lo Forte nel dipinto del Beato Valfrè fa ve- dere la povertà della sua immaginazione, difetta , dicono essi, dello ingegno, pruova ne è la tardità con cui con- duce le sue opere. Kammentinsi questi rigattieri super- bi del pochissimo loro sapere , questi pirati buggiardi rammentinsi di Leonardo da Vinci, di Antonio da Cor- reggio, del Barocci, del Sacchi, dell'unico Domenichino (che da questa inettissima taccia fu tormentato fino al sepolcro), i quali aspirando alla perfezione dell'arte, sen- tendone tutte le difficoltà, mirandone troppo alto posta la eccellenza, inventavano, sceglievano , rifacevano, ri- toccavano, e qualche fiata non finivano. sarà, credo, chi oserà dire quei grandi non avere avuto immagina- zione. E che noi avvezzi a veder concepito, e termi- nato entro otto giorni un quadro da cavalletto, ed en- tro un mese un dipinto di altare, mal sappiamo patire la tardità di Lo Forte, e terremo come scrupoli tutte le accuratezze, ch'ei pone nel dipingere.

Ma qui non è luogo di trattar de' suoi studi; e con- tinuando al primo detto, rammentinsi, che i filosofi di- stinguono immaginazione pazza, e savia immaginazione. La prima tutto afferra, a tutto egualmente la buon viso, tutto presenta nel modo medesimo senza riguardo a

io5 quelle proprietà , che sono al bello delle arti indispen- sabili, e ne costituiscono la essenza. La seconda ogni cosa pies^^ntata passa in disamina, a ciascuna chiede ra- gione dell'ufficio, che può fare, a ciascuna il luogo conveniente, scarta le oziose , e le strane al suggctlo : perciò nelle produzioni dell'una sarà disordine, e quin- di o fracasso , e oscurità, o ridondanza, e freddezza, in quelle dell'altra, ordine , chiarezza , precisione pro- porzione. Posate queste considerazioni immaginiamoci che il tema, che seguì Lo Forte, dovesser trattare in com- petenza i sopradetti Pussino, e Pier da Cortona, il primo di freddissima immaginazione (secondo le cose surrife- rite) l'altro di ferace, inesausta immaginazione. Essi farebber così; il seguace di Raffaele studiando ogni mo- vimento delle figure principali , facendo queste quanto più si potesse, espressive, le avrebbe poste sole, o ac- compagnate da qualche accessorio operatore, avrebbe in somma tentato di richiamare la nostra mente con tutta la forza intensiva su poche cose, che sendo gli attori primari nella composizione, i riguardanti si tramuterebbo- uo in attori spettatori, terrebbono parte nell'azione, sen- tirebbono come i primi sentono, ed ecco l'artista vitto- rioso delle nostre passioni, ecco una piena illusione, che è uno de' grandi fini dell'arte. Laddove il Cortonese po- nendo frotta di figure affascinerebbe gli occhi nostri sen- za che la menoma impressione con facilità giungesse al- l' anima.

Lnperciocchè il freddo spettatore, compreso il princi- pale soggetto, andrebbe da un punto all'altro senza po- sa vagando. Ve', direbbe, come è spaventato quel fac- chino! mira quella vecchia, e certo sarà la nonna del paralitico, come spalanca la bocca a pregare il Santo , perchè faccia il miracolo! guarda quei due puttini, che fuggono spaventati! nota quel dottorone che è in occhia- li; mira que' due giovani, che poco distanti fanno al- l' amore! Che faccia veneranda ha quel Padre eterno ,

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che vezzosi angioletti! E belle sete, e ricclii drappi, e cappelletti, e parrucche, e pennacchi, e fibbie , e pia- nelle, tutte in somma queste cìafruglie (i) /distrarreb- bero la nostra attenzione, e il riguardante partirebbe co- me dalla vista di un mercato, senza diletto del suo cuo- re, e del suo intelletto, che è il sublime fine della pit- tura.

Mi si risponda, quale è più degna di lode la imroat- ginativa saggia del primo, o la ricca stravagante del se- condo? Ma troppo oltre ci condurrebbero queste filoso"- fiche ricerche; ora ci chiama la disposizione delle parti.

Occupa il luogo più eminente il Beato, ma il poveiio si la più di tutti notare: dunque concludono alcuni, il protagonista è il povero non il beato ! Sragionaraenti ! Fingete nella vostra fantasia quella scena sul vero, fin- gete, che un morto fosse stato or ora risuscitato, i vo- stri sguardi prima si gelterebbono sul morto, e da questi passerebbono a chi operava il prodigio. Noi siamo dal- la nostra natura disposti a vedere prima lo elìetto, in- di rimontare alle cause. Saggio accorgimento perciò fu quello del pittore nel porlo in tal parte da farsi più di ogni altro notare. Ma se più propriamente volesse ri- cercarsi il perchè quella figura richiama gli occhi nostri, direi, che essendo essa seminuda, e quindi la parte più gaja del dipinto, posandosi la luce su que' colori, dai quali più agevolmente, attesa la disposizione de' corpi chiari, è attratta, lo splendore, che ne risulta, la fa venir fuori -r.iinff ii OcLii.ij .

^ (0 Q"' ''' allude a un quadretto lungo palmi 4> a^tt> 3, ip di Pietro da Còitotia. Era da molti ahni stato posseduto da nobilissima famiglia di Ra- Tènna, e ,nel i833 fu acquistato dal mio dottissimo amico Samuele Niylitlaud (giovine pieno di idee italiane, vero, e libero amatore delle arti, perchè (i- lòsófo conoscitore di quelle) e da lui come cosa peregrina recato iu InghiJ. terra. Presenta il Parulàico dell' Evangelio. Il possessore credeva per tradi- zione tramandatagli sia dagli avi suoi coetanei del Cortonese, che costui lo a- vesse dipinto negli anni di sua maggior fama^ ed era forse il maggiore de' suoi deliri. Dietro il rame era incisa questa scritta P. de Carlona pili, et don. Domino, atque am° L Il rimaucutc era corroso dall'ossido.

Per r opposilo il Beato vestila di 'tunica néra, di nero manto, come che fosse il centro di equilibrio nel coni- posto, e^^tesse nel primo piano, non tira egualmente i nostri sguardi, perchè la sua massa è bruna, e va più di accordo co' fondi. Se lo avesse l'aitcfìce coverto di un piviale purpureo, e dorato, gli spettatori meccanici 1' a- vrebber riconosciuto per vero protagonista. Tristo però quell'ingegno che dipinge a satisfazione degli stolti , e de' sofisti !

Notano bensì i saggi la piramide del componimento. L'abuso di queste simmetriche disj)osizioni, le quali sco- privano soverchiamente, ciò che l'arte avrebbe dovu- to nascondere, sbandì dalla dipintura l'uso del pirami- dare. Uso vantaggiosissimo , ed eminentemente chiaro, ove le figure siano quasi da loro così disposte , seitza- chè il pittore le abbia a modo di tiranno forzate a star- si in questo, e non in quel luogo. Nel dipinto di Lo Forte non è segno di questo costringimento. 11 Beato dovea stare nel mezzo, il paralitico a diritta, a manca e ben indietro il laico seguace. Il contrapposto, che è in tutti, toglie Ogni idea di artificio. Per lo che ci è carissimo vedere a' nostri tempi richiamato quell' uso dell' aurpo Cinquecento.

La espressione degli affetti interni, la parte più dif- ficile, e più grande dell' arte fu quella ove più d' ogni altra studiò T artefice: tutto qui opera, nulla di ozioso, nulla di Ireddo. Nello storpio la faccia, gli occhi, ogni membro, ogni muscolo fanno vedere il tumulto di af- fetti, che è in lui mentre la forza del miracolo fa nel suo corpo colai mutamento. Egli tende i piedi, che già sono sciolti dalla inerzia primiera , si appuntella sur un braccio, ed è soUevanlesi da se. Il dipingere un'a- zione tranquilla riesce più agevole al pittore, il quale ha il grande vantaggio di guardare un modello vivente: lìia lo esprimere un movimento gagliardo è dillicilissi- nio. Dappoiché non vi ha uomo, che possa per un tcm- Fdsc. 49' . G

po considerevole durare in quella violenta positura; e tenendosi al fantoccio si corre pericolo di cadere nello statuioo. Sogliono gli artisti abLandonarsi alla fantasiai, quindi le loro attitudini o contorte, o convulse, o ca- ricate. Ma l'uso, o, a dir proprio, l'abito di accurata- mente osservare la natura, la facoltà di animare ciò , .elle si ritrae dal vero, e concepirlo, per tutto il tempo del lavoro, nell' azione medesima incominciata, è il so- lo mezzo di toccare cotai punti ardui di espressione. U laico, che si getta per terra, potrebbe essere stato av- vezzo a vedere, come continuo seguace di Sebastiano , simili opere maravigliose, ma che perciò? Mirare un' a- alone, che trascende le forme umane, che ci avverte del»* la divina virth, non abbatte la securtà di uomo for- tissimo, non confonde la terrene superbia ? L' alteggia- monto espressivo dunque di questo aUore secondario ser- ve al tono generalo di espressione di tutto il dramma. Ma che diremo della espressione del principal perso- raggio ? Evvi tra' nostri ( e sono i paxzi romanticisli) a chi parve assai fredda. Chi opera cosa sovrumana deve essere , pieno di foco grandissimo , deve essere, se- condo i loro deliri' , quasi briaco di entusiasmo. Cer- to , se il pittore avesse voluto dispignere uno stre- gone, che fa metamorfosi, una Pitia vaticinante, o Er- cole furibondo, avrebbe posta cotanta furia nel quadro da faro spiritare gli astanti. Ma qui si presenta l'uomo di Dio, che gode dell' opera del Signore, di quel Signo- re, (t cui nulla è impossibile. Fuor di luogo dunque la sua meraviglia, straniero il suo fuoco, stravagante il suo entusiamo. E Rafihele nell' opera, che sopra accen- naujmo ( consideratasi in quel modo) sicurissimo, e in azione pienamente riposata dipinse S, Pietro; iu tutta cal- ma, iu tutta dolcezza presentò S. Giovaimi , che assi- ste al miracolo. Pensiero grandioso di quel grande Mae- stro I il quale così perfettamente sentiva le impressioni, che voleva agli altri trasmettere, eoa tanta felicità si

log trasmutava ora in nume, ora in re di pace, óra in guer- riero, in filosofo, in Ninfa, in fanciullo, che divenne il primo pitAor di carattere, che vantassero le arti risorte, e perciò il più eloquente, il più filosofo di tutti gli artisti.: Esaminate le parti essenziali, che spettano principal- mente allo ingegno del pittore, vuoisi veniie alla con- siderazione di quelle, che principalmente dagli studi di- pendono, vo' dire del disegno, e del colorito. Come il giovine che ha studiato nelle opere degli eccellenti scrit- tori acquista corre::ione di stile e nelle prose, e ne' ver- si, cosi chi copia con giudicio negli anni di disciplina i dipinti de' buoni maestri senza dubbio ei deve cre- scere buon disegnatore. E ognun sa, che Salvatore Lo Forte mettendosi per la via, che additavagli il dottissi- mo disegnatore Camuccini, vegliava sulle opere di. Raf- faele, e di Domenichino, che forse sopra tutti predilesse. Tuttavia mi pare, che più inclini alla natura, che non tanto sacrifichi al bello antico e che il carattere del suo di- segnare anziché la grazia sia la forza. Mai non cade però nel pesante, sebbene poco abbia del delicato. Ma di ciò non potrò propriamente ragionare: mal potendosi in un opera, che non ammette molta varietà di caratteri, di- stinguere i gradi diversi dello stile. Dalle canzoni Pin- dariche del Chiabrera chi argomenterebbe la felicissima semplicità delle di lui anacreontiche? Vorrei bensì an- ch' io, ( e al mio sentire accoixlavasi il mio dotto amico Enrico Guglielmo Schulz) più ideale nella testa del Bea- to: che siamo naturalmente portati a pensare, che dove è sovrumana virtù, ivi tutto deve essere sopra il mor- tale; vorremmo, che un uomo di prodigi avesse viso, e cgrpo più che a ente terreno convenevoli. Ma che polca fare l'artista, se l'azione è così moderna , che forse vive per anche chi conobbe il Valfrè, onde fu co- stretto a seguire il ritratto? Qualora nelle opere d' in- gegno r immaginazione è in piena libertà di creare, ella finge quel che le torna meglio a ottenere l'elFetto sen-

za tema, che alcuno dalla notte eie' secoli potesse trarre la rigida verità; perpetua, e ingiusta nemica della fan- tasia. Quindi la finzione quanto diletta nella ^TUiade, e nella Eneide, altrettanto spiace nella Farsaglia, e nella Enriade. Non perciò il siciliano dipintore cadde nel vol- gare. Egli nobilitò il ritratto , die bellezza alle forme naturali senza discapito del vero. Ma nel povero egli fa vedere tutta la sua valenzia. Qui sembra, che avesse voluto tentare il difficile della Pittura e fosse pervenu- to a conseguirlo felicemente. Scorta la testa, scorta la mano, scortano la coscia, un piede, e scorlan bene, che pajono di rilievo. Col disegnare nudo il torso, nu- de le braccia, e le gambe, spiega ma senza ostentazio- ne la sua scienza anatomica. E per vero senza ostenta- zione. Imperocché ei rimembrava, che i Michelangiole- schi condussero taut' oltre la mania di anatomizzare, che i nudi de' loro dipinti erano scheletri spaventosi, i quali senza dilettare gì' intendenti spiacciono a tutti. Poteva ben egli fare più scarno il povero, essendo giustificato dalla condizione di quel misero, ma con sano accorgi- mento lo fé' più polposo, e in tal modo, che i muscoli, e le ossa, e le vene si veggiono distintissimamente fino a contentare i più scrupolosi Cliirurgi. I quali, più di quello, eh' io possa, han difeso 1' artista che alcuni ac- cagionavano di aver troppo allontanato 1' alluce dalle altre dita di un piede. Essi dicevano, che poggiato con forza il tallone, come fa quel paralitico, il tendine vio- lentemente proleso allarga le distanze delle dita, e so- pratutto del maggiore. E io soggiungo, che a giudica- re di queste estremità non si debbono torre a esempio i nostri piedi tormentati , scontrafalti, impastali dalle scarpe.

Queste dottrine di disegno da pochissimi conosconsi, ma del colore può essere in qualche modo giudice an- co r idiota. E col colore l' artefice ha ammaliato i no- stri sguardi. Se in tutte le altre parti della pittura lo

Ili

abblam trovato eccellente, qui il vedremo eccellentis- simo (i).

Il colore in dipintura è come l' armonia del verso in Poesia,* migliorarlo possono i buoni ammaestramenti in chi lo sente, ma darlo a chi non lo ha ricevuto da na- tura, non mai. E Lo Forte fin dalla prima fanciullezza spiegò disposizione particolare di colorire, diversa, anzi opposta alla scuola de' tempi: onde disviandosi con lo- devole ardire, dalle orme de' suoi maestri studiò alle opere di Pietro Novelli, nobilissimo naturalista, e colo- ritore vero ove non è tenebroso. Quell' esercizio dispo- selo alla osservazione di natura, ed egli formossi come a me pare, un artistico dogma , che vorrebbe essere sentito, e impresso nella mente degli studiosi, cioè che // è colore ove non appare segno di colore^ volendo significare, che un quadro dee dirsi eccellentemente co- lorito allorché il dij)intore fa dimenticare a chi mira, che i colori suoi siano stati comprati negli speziali; cioè allorché l' illusione è perfetta.

E nella tela de'PP. dall'oratorio e grande illusione. Vere le carni, veri i panni, vero il terreno, il quale mirabilmente (cosa da quasi tutti i siciliani pittori dei tempi andati negletta) combina colla elevazione. Di tutto ei rende conto, e della luce, e del chiaroscuro, e della prospettiva aerea, e della lineare. Ha lo splendore dei migliori fiamminghi, ne ha la trasparenza, e si è mo- strato accuratissimo nel posare i colori locali senza tor- mentarli. Il tono generale del suo colorito è vigoroso, a ottenere il quale efielto evita ne' colori amici le sov- verchie sfumature, le quali porrebbero languore nel suo stile. Ma quelle grate discordanze ( non si scandalizzi chi legge) quel tocco risoluto, e gagliardo addolciti, e

(i) Dislinguendosi l'artista siciliano particolaimcnlc ucll' arte di roWirr, e non potendo noi qui che parlare di volo delle suo teorie, proiiicttianio darne altrove idee più chiare, e complete.

uniti dall'aria^ tìbuno al dipinto un cotal finito di la? voro, che l'occhio sente vivissima quiete.. , ;,

Esaraioata l' opera nelle parti primaje, e trovatovi giudiziosa invenzione, semplice composizióne^ disposi-^ zione conveniente, vigoria di espressione^ disegno cor-» retto, colorito eccellentissimo ci congratuliamo coli' e- grcgio artista, e colla Patria, la quale di lui si augura bella gloria. E or che le arti in tutta Eui'opa vengono togliendo aspetto novello, or che sembrano spogliarsi delle passate follie, e abbonita 1' anarchia pazza, che fuori di via le avea sospinte, ritornare, dietro i grandi esempi del grandissimo Canova, allo studio de' veri mae- stri, e giovarsi delle virtù di que' vecchi; or che ogni paese, negli artisti chiari per opere, mostra la sua gloria, può ancor la Sicilia inorgogliata additare alle rivali na- zioni i suoi virtuosi, e con esempi, non con gonfie pa- role ripeter loro, che qui più che altrove nascon gì' in- gegni. I quali depressi dalla trista ventura, se avviene, che siano da fortuna favoriti, si levano ad altissimi voli. Si spera perciò, che il valoroso giovane sia plaudito, e secondato da' dotti, e da' doviziosi; che all' artista non basta r ingegno soltanto, e Va penna, come allo scrit- tore, gli fa mestieri di più mezzi, ove non voglia star pago a esprimere i suoi pensieri schizzando, che è il medesimo se lo storico stendesse il sommario delle sue opere.

Secondato così lo vedremo lasciare gli umili soggetti e con maggiore ardimento impugnare 1' epica tromba, o calzare 1' altissimo coturno. Vedremo lui presentare e Gelone; e Cerone; e i Selinuntini e quei di Segesta cozzanti in memorabile pugna; e la famosa giornata di Atene, e Siracusa; e Timoleone, e Annibale in Sicilid; e Ruggiero, che caccia i Saracini; e Procida, che spe- gne i tiranni. La Patria dal pennello di costui vedrà redivive le antiche glorie, e i cittadini ne trarranno istruzione, e diletto.

Paolo Giudice.

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ó'm/^os morte del Duca di Bakstadt Ode del Mar- chese Giuseppe Ruffo. 'Napoli i83y>.

morie di un PriucipC col quale si estlnsè una di- nastia, il cui passato fu Napoleone e l' avvenire avreb- be potuto essere 1' Impero, è certamente soggetto altis»^ BÌmo ad infiammare la immaginazione é il cuore di un poeta. ]Nè di questo soggetto si accese invano 1' animo del Marchese Giuseppe lluffo. L'ode clie gliene fu in- spirala, ra])ida ne' concetti, maestosa ed ardila nelle immagini, è anche Leila pel suo disegno» La poesia de- V' essere, secondo il Lirico latino, come la pittura; ed un quadro grandioso e commovente insieme noi trovia- mo in quest' Ode. Il poeta comincia dal dipingere il Principe che muore estenuato da lento morbo; gli po- ne accanto per seconda figura la Madre che lagrimosa con man tremante gli chiude gli occhi , e compie la sua dipintura con far che dalla porla della funebre sala si affacci al tristo spettacolo 1' ombra di Napoleone, la*' scialo lo scoglio, doV'egli novello Ehcelado giacque se* pollo. Il passato, il presente e il futuro ci compariscono iallora, per così dire, personificati in qUel gigante del- l' età nostra che 1' autore ha l' arie di metterci sótto lo sguardo di quel gigante che polca reggere già colla manca la ponderosa bilancia de' destini del Móndo , e colla destra agitava una spada al cUi lampo i potenti tramortivano, e la libertà non si teneva secura nem* men dietro lo schermo dell' Oceano*

Quanto ha di profondamente funesto fine del gib^ tane Napoleone noi lo leggiamo sulla fronte del V6c-= chio come nell' arcano libro de' fati,- Ei plora ^ ei che uild lagrima

De spiganti guerrier riega't'ct al gemìtr)

Egli che osò superbo

Cozzar col fato acerboi

"4

I^a nostra vista non più si parie dalla grand' ombra, ne alteiiclianio ansiosi le parole, ed il poeta, clie sa la nostra inijiazienza, subilo si tace e non fa pai^'are cbc

quella Il pianto non si mostra sul ciglio di INapoleone

clie per un istante, e tosto la sua voce rimbomba come il fulmine die piomba nella valle. Il suo discorso non è pur da grande uomo, ma da grande uomo innalzato dal- la morte sovra le umane passioni. Egli fin propone a se stesso il dubbio se 1' immaturo trapassar di suo fi- glio sia un bene od un male, e termina col giudicarlo un bene percbè risparmia alla Francia il sangue di guer- le cittadine. Il poeta non ripiglia il diie che solo per annunziare il dileguarsi di quello spirito bieco , epi- teto die riepiloga tutta 1' Ode.

Massimi piegi ci pajono di questo componimento la novità del pensiero e la spontaneità dello stile che n' è conseguenza. L'autore non si è studialo d' imitare que- sta o quella poesia, questo o quel poeta , come i pic- cioli spiriti l'anno; ma fecondate ha invece le sole im- pulsioni del proprio ingegno nel concepimento, e però lia potuto darvi lucida ed originai forma ; meritò che i meschinelli pedanti, condannati a far sempre una pue- ril contrafiàzione dei buoni esemplari, non saprebbero ne potrebbero mai riconoscere nelle opere di q uè' loro contemporanei, i quali non li somigliano.

JVon vogliamo fermarci ai minuti particolari del de- scrilto quadro, persuasi che con siflalle troppo sottili a- nolomie corresi ricino di far perdere ad un comjìoni-, mento per chi noi conosce ogni nerbo ed ogni vita. D'al- tra parte sol nostro scopo è stato lo invogliare le per- sone di buon gusto a legger 1' Ode del Marchese Buf- fo, e di congratularci con lui di questo suo felice la- voro.

F. Ruffa.

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Elogio storico dell' arcivescovo Giuseppe Capece La- tro pei Nicolò Candiay canonico della cattedrale di Taranto— ^Napoli dalla Tipografia di Porcelli i83y un voi. in 8." di pag. io4-

Quando Giuseppe Capece-Latro di questa vita tra- passava, io col cuore riboccante di dolore prendevo la penna, per versare una lagrima sulla tomba di lui (i), e promettevo clie avrei tessuto l'elogio di chi aveva nel corso di una vita secolare sparso di se luce pura da attirarsi 1' ammirazione del mondo. Questo era 1' ul- timo tributo di riverenza e di amore, che oflcrir po- tevo alla memoria del grand' uomo perduto. Ma come sejipi che il segretario, l' amico, l' allievo di lui , J^ic- colò Candia, canonico della tarantina cattedrale, si as- sumeva di scrivere egli stesso 1' elogio storico del de- funto Arcivescovo, mi astenni dal concepito divisamente, appieno conoscendo che niuno meglio del Candia poteva quel nobile assunto portare a compimento. E poi quan- do scriveva tal uomo, eh' è. angelo di costumi e d' in- gegno, e eh' era stalo caro all' estinto prelato, e per tanti anni fedele compagno della sua vita, e sacro de- positario de' suoi affetti e de' suoi pensieri , era ben giusto che ogni altro tacesse, e che la gloria e la sod- disfazione dolcissima di tramandare ai posteri le gesta dell' illustre trapassato fosse stata solo di lui, che a lui quasi esclusivamente apparteneva: poiché 1' unico com- penso alle tante fatiche durate, all' amore tenerissimo cl)e al sommo prelato lo strinse, in questo riduceva«i; ed egli in ciò solo raccoglieva tutto il fruito de' suoi cari sudori: frutto nobilissimo, degno del santo petto di Niccolò Candia, al quale avrei avuto sommo rimorso nel partecipare. Che si abbia egli dunque intera quella gloria, essendone per ogni lato degnissimo. Solo tornando

(i) 11 Vapore n. 32 Una lagrima sulla tomba deU' aulico airlvcbcoyo di Tiiraiito 20 110V-. i836.

n6

caro al mio cUoré qUéslo sentimento dlftbndere, e le laudi vere e sincere die si merita il Canclia pel suo lavoro divulgare con tulio T animOi O"

w Oh quanti ( dice il valente elogiatore ) raccolsi dal J3 labbro di lui documenti purissimi di civile e santa » dottrina! quante auree note lessi scritte nel fondo del » suo bellissimo cuòre! quanta fiducia ed afFétto mi >j larj:;i l Lo ebbi conslgbei-é, maestro, padre.

» Ne mi varrò delle forme oratorie: esse a trafitte): 33 cuore non convengono» Oltre a che le vite de' grandi M uomini quando sono scritte con semplicità tfamanda-* >j no alla mente de', leggenti maggior numero di me* » morie , che quando di figure troppo rumorose ri- » suonano. E de' grandi uomini imporla che nulla sia » dimenticato. »

E qui r autore comincia a ragionare dei pi'ìml anni di Giuseppe Capece-Latroj ne si trattiene sulla famiglia di lui nobilissima , ne su i fasti de' suoi antenati che furono illustri, poiché Giuseppe risplendeva di tali e tau- ie virtù, che. non avea d'uopo di adornarsi dei fregi altrui, ma questi stessi vinceva di gran lunga*

^Nacque egli ai 23 settembre del 1744 5 ^ morì ai 2 di novembre del t836. Onde in una lunga vita comprcndonsi parte delle straordinarie vicissitudini che nel passato e nel presente secolo sconvolsero l'Europa* 11 percorrere quindi la vita di lui è lo stesso che per- correre gli avvenimenti di questi tempi inemcfandi. Im-» perciocché un uomo assiso in uoo dei più alti seggi del chericalo, e dotalo di rare virtù, di prudenza, d'inge- gno non poteva non trovarsi a mezzo le bufere dei tem- pi. Ei vi si trovò, ma sempre puro ed immaculato j vis-* se vita incorrotta e gloriosa.

Il Candia passa con cainlore a rassegna i fasti di lui dai primi anni sino agli ultinii. Voleva ei darsi giovinetto alla milizia, ma sacrificò questa forte inclinazione alla buona madre che mal pativa il divisamento dell' ama-- to figliuolo: diedesi perciò alle lettere , e studiò sotto

«;7 l'immortale Genovesi, e sotto il Mazzocchi, ed il giu- reconsulto Cirillo. Poscia preso dal nobile desiderio di vedei-e T'Italia, tutta la percorse, e ritornalo dal suo viaggio, si deliberò, non avendo che soli ventidue anni, dr battere la carriera ecclesiastica. Ma dopo due soli lustri, tanta era la fama eh' erasi acquistato di giusto e di sapiente, videsi collocato nella sedia pontificale di Taran- to, una delle più insigni del cattolico mondo, per la sua Vetustà, per le sue vicende, e pel lustro de' suoi vescovi. Gli obblighi del suo pastorale ministero gli eran fitti nel cuore, e a questi ogni passione cedeva, e domina- \an soli. Quindi gran bene coU'esempio, colla voce, e cogli scritti fece al tarantino popolo, e al tarantino cle- ro: correggere i pregiudizi, alla falsa devozione far guer- ra, r impostura e 1' ipocrisia nel fondo dell'inferno dan- nare erano in cima de' suoi pensieri: quell'uomo sublime, la purezza dei costumi, la ingenuitd la semplicità la santità dei primi padri della chiesa, bramava che uella sua dioce- si ritornassero. Egli ne dava 1' esempio: altro farsi noti doveva che seguire le orme sue. Padre a tutti, amico compagno; egli giovane, e nel mezzo delle passioni, a- veva dimostrato una prudenza meravigliosa; il tocco che aveva degli uomini lo rendeva singolare ; leggeva nel fondo dei cuori; e li legava li vinceva. Le sue omelie, le sue pastorali, le sue istituzioni, i suoi discorsi che furon fatti di ragion pubblica attestano qual animo san- to e generoso, qual giudizio , e qual intendimento si avesse. Ne la fama della sua dottrina alle chiesastiche discipline limitavasi: egli era dotto in istoria naturale, e scrisse sopra i molluschi^ e le altre particolarità delle acque di Taranto per far piacere alla Semiramide del nord, come dice il Candia, Caterina II." che ne lo ri- chiese. Scrisse una memoria s>v\V apocino , di cui in- trodusse in Taranto la cultura , nella quale sviluppò («ono parole dell'egregio elogista) la storia e la natu- ra di esso, ed additò i vari usi che posson farsi a van- taggio della società.

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La gran quistione della chìnea^ pretesa dalla roma- na corte in tributo, avea sdegnato gli animi nobilissi- mi di Tanucci e di Acton, illustri ministri Ji re Fer- dinando. Onde, pieni costoro della dignità del reame napolitano, fecero che i dotti del regno quelle preten- sioni attaccassero. Sicché videsi Capece, incaricato, eoa precisa volontà del Re, di scrivere su quel subbietto. Ed ei, qual magnanimo cittadino, e qual suddito fede- le, ubbidì al sovrano comando, e scrisse il suo celebre discorso storico-politico y ove un ristretto della storia delle due Sicilie si contiene.

Ma mentre egli attendeva a tanti nobili lavori, e sta- va proccurando tutti i beni possibili al gregge, alle sue cure affidato, turbavasi 1' orizonte politico di Europa. La rivoluzione di Francia aveva eccitato le menti, e fat- to sorgere deliri di ogni specie: ella 'minacciava di met- tere in socquadro il mondo, e il mise. L' Italia invasa dalle armate straniere, e sconvolta, tradita, lacerata; gli antichi troni o crollanti o abbattuti, e tutti vinti; una nuova era compariva. Il pastore tarantino conscio dei suoi doveri fece fronte al furore dei partiti , calmava le passioni che irrompevano, ed ogni limite di umana previdenza superavano.

Qui le sventure cui soggiacque l' illustre Prelato a lagrimare vi spingono, e la dignità e la forza, degne so- lo diagli antichi patriarchi, con cui sopportolle , di ri- verenza pili che umana per lui vi riempiono.

La miseria di quei tempi lagriraevoli fece che la virtù col, vizio si confondesse, e l'innocenza colla colpa. Il sommo Prelato videsi ad un tratto arrestato e nella ca- pitale condotto, ed in Castel nuovo, e poscia in Sant'El- mo rinchiuso. Il grand' uomo presentì nell'innocente suo cuore che vile calunnia nella inattesa miseria spin- gevalo: uso, come dice Candia, a praticar con Boezio, venuto era in Napoli ripetendo sovente con Socrate; O C riione j se ciò piace agli Dei^ che avvenga pure'. Jnìto e Melilo uccider me possono^ nuocer/ni no.

Il nostro autore avera in altro scritto, sotto nome del canonico Sgura, pubblicato il dialogo che sostenne il Pre- lato tara'itino coi vari membri della Giunta di Slato ai 23 dicembre del 1800: è desso tale che vivrà nella sto- ria di que' tempi sanguinosi, w II conlegno , ei dice, » del venerando uomo innanzi il cospetto degl' inqui- » sitori, la maestà eh' egli serbò, la imperturbabile se- w renila, e fermezza d' animo che sostenne, la gravità w delle sue dimando e la sapienza delle sue risposte, i w principi di una sana politica che impiegò nel dialo- « go, gli accenti di dilicato rimprovero onde costrinse « quei magistrati a rispettarlo, il risultamento di quel » congresso tenuto ad uscio aperto a richiesta del per- » sonaggio imputato, la confusion di coloro che si pro- w poneano il grande intemerato uomo confondere , gli w applausi dei circostanti, e fra questi del russo gene- w nerale Stefanoff comandante della fortezza, il com- w piulo trionfo che Giuseppe riportò, son fatti, di ogni » penna storica sublime, degnissimi....! giudici leva- w vansi dai loro posti piesi da sbalordimento e ram- w marico, per lo inganno da cui erano stati guidati, e w pregavano l' esimio sacerdote perchè gli avesse racco- w mandati al Signore; ed egli soavemente rispondeva, w par troppo ne avete bisogno.

Le cose napolitane, come quelle di tutta Europa, si cangiavano, senza speranza di ritornare per allora all'an- tico stato. Egli perciò fu strascinato dal torrente dei novelli destini, che Iddio prescriveva al mondo, e sog- giacque. Quindi pieno dell'idea apostolica, che dovreb- be guidare ogni ministro dell' evangelo, cioè che i pa- stori de' popoli non debbono partecipare nelle ambizio- se mire delle cose mondane, ne debbono essere guer- rieri né politici, egli vide nei novelli conquistatori , i novelli signori, e con quella dignità di carattere , che non fu mai scompagnata dalle minime azioni della sua vita, in pace li riconobbe, e innanzi a loro s'inchinò. Gra- to però e divoto in suo cuore fu sempre agli atiticlii e

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legittimi Monarchi, cui era stato con legami di puro afletto legato. Ma la fama di lui era gigantesca; e per- ciò in un governo, ove il vero merito si predi'igeva , e ai più illustri uomini affidar voleasi la cosa pubbli- ca , oscuro ed obbliato rimaner non poteva 1' Arcive- scovo tarantino. Napoleone rivolse a lui tosto il pen- siero, e volle che pel bene delle napolitane sorti ai grandi aflari pubblici fosse chiamato. Onde videsi ma- uo mano , sotto i due reggimenti che a quei tempi in Napoli si seguirono, insignito delle cariche di Con- sigliere di Slato, e di Presidente di una sezione del Con- siglio; di Ministro degli allari interni; di grande Uffi- ziale della Corona; di primo elemosiniere della Regina; di Presidente delle tre case di educazione per le donzel- le, da lui cou zelo fondale, e con sapienza istituite, e che sono e saran sempre le piii nobili dei domini del continente. Si vide eziandio decorato della Gran Croce dell' Ordine delle due Sicilie; e chiamato a presedere l'Accademia ercolanese, il real Museo, e tutte le opere di belle arti. Quindi gli scavi delle due famose città, che sotto le lave del Vesuvio giacquero sepolte, rapi- damente si avanzarono: fabbriche au)mirandc si costrui- vano; novelle strade si formavano; gli studi si correg- gevano; gli scienziati più dotti eran chiamali a leggere dalle cattedre; gì' ingegni più illustri, in ogni ramo, oc- cupavano i posti più insigni, tutto insomma fioriva e si rigenerava. Queste cran le opere di Capece-Latro per la diletta sua patria. Ecco ciò che può lare un sa])icule mi- nislro in un regno!

I pareri poi letti da lui nel Consiglio di Slato, du- rante il decennio del francese dominio ', formano un » complesso, come saggiamente dice il nostro Candia, w di dottrine politiche e morali, e stabiliscono 1" emi- » nente grado di sapienza, cui può aspirare un raini- » Siro della religione, ed un uom di Slato, jj

Quanto egli poi fòsse dotto si nella latina favella che nella storia^ e come la vivacità deirintcUetto ed il sen-

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110 mantenesse fino all' età più vecchia palreb])C solo di- niostiarlo, se altri cento elementi non vi fossero, l'o- pera di' egli in aureo stile scrisse di otlanlasei anni in- torno l'antichità, e le varie vicende ilei Capeci: Dean- iiquitate et wiria C a] >y' e ioni in fortuna- L'elogio di Pio :VI, e vari altri scritti tilologici ed archeologici fan pure palese il suo sapere in vari rami dell'italiana letteratura.

Franco poi di carattere e fermo, pieno della siia di- gnità, ingenuo sulle sue labbra suonava sempre il vero, e questo non V ascondeva a nissuno, e agli stessi po- lenti,come il sentiva, lo manifestava. Difalti volendo Na- poleone, dopo aver battuto il potere temporale del ro- mano Pontefice, spogliarlo delle spirituali potestà, pensò ■di convocare pcrquest' obbietto un Concilio nella città medesima, ove 1' imperiai suo trono esisteva. Onde Ca- pece-Latro fu dall' Imperatore invitato ad intervenirvi; Ma egli veggendo 1' ingiustizia di quel Concilio si ri- cusò, adducendo di non esser la sua sanità in istato d'intraprendere un luogo viaggio; ma nel medesimo tempo modestanicule scrivevagli eh' ei approvar non sapeva quel divisamento, aggiungendo che l'Imperatore fattamente operando avrebbe macchiato la sua gloria-, e ritinoi'ati antichi errori di principH con una con' gregazione sacra suggerita dalla politica.

Un uomo che, non ricliiesto, aveva cuore di scrivere in tal guisa a Colui ch'era potente e insollèrenle delle altrui contraddizioni, doveva avere un'anima emi^ nentissima, e assai superiore al lezzo delle umane spe- ranze, e degli umani timori. E questo sol fatto baste- rebbe per dare un' idea vera di quell' uomo santo è meraviglioso, cui le genti avranno sempre in onore, e cui noi piangeremo con lagrime di vivo dolore fintantoché ci verrà dato di stare in questa vita di angosce e barbara.

Ma qui torna bello il ricordare come l' esito di quel Concilio avesse corrisposto ai vaticini del napolitano Pre- lato. Imperciocché, sconvolto fin dal suo inizio, e sciol- to poco appresso che si adunava, vide Napoleone quan-

132

to sagge e profonde fossero Siale le parole di Capecc. Ond' egli in un momento, in cui sola si fa sentire la voce della coscienza, a Carolina sorella e Regi^ia di Na- j>oli scriveva: l' Archeveque de Tarente ne in a rien cache de son metier. Confessione che mostra nel tem- po slesso e la nobile franchezza del Prelato e l'errore di Bonaparte.

Or dopo fatte cose non farà certo meraviglia il conoscere le relazioni che 1' Arcivescovo aveva coi più grandi personaggi di Europa, la fama splendidissima che dappertutto suonava delle sue virtù e del suo sa- pere. La magione di lui era il ritrovo di ogni gentile e culla persona: ogni straniero faceasi un pregio di av- vicinarlo. Il nostro Candia ci sapere che il Prin- cipe Enrico di Prussia giunto in Napoli gli si volle far tosto presentare, e in veggendolo gli disse: Quand on vieni a Naples^ il faut j voir Pompei^ le F'esuve^ et r Jrcheveque de Tarente. Bellissime parole che ono- rano il Prussiano assai più che il grand' uomo a cui si dirigevano.

11 Candia nel suo libro noia le persone che aveva- no amicizia con esso lui. E certo lusinghiero è ad o- gnuuo vedersi notato fra quelli eli' eraii divoti di Ca- pece; ma ciò non onora lui, sibbene gli amici suoi, e i suoi ammiratori. Quindi potea l'autore, a parer mio, troncare questa parte del suo lavoro, senza nuocere al tutto, anzi migliorandolo, poiché l'interesse sarebbe sta- to più stretto e più vivo.

Ad ogni modo, lode non poca deesi al Candia^ e pel suo cuore e pel suo ingegno. Egli ha registrato i fatti più importanti, che la vita risguardano di quel santis- simo pello; ha voluto, appena questi dal mondo usciva, versare un fiore sulla sua tomba , tributargli un se- gno dell'immenso amor suo, che durasse e rapido si dif- fondesse fra gli uomini: sentimento nobilissimo, che è de- gno di essere onoralo -, ed accolto con gratitudine da ogni anima gentile.

Ferdinando M(d\'ica.

EFFEMERIDI

SCIENTIFICHE E LETTERàUlE

PER LA SICILIA.

PARTE PRIMA

SCIENZE

Sopra un saggio Storico-Crìtico della scienza del dritto penale

Essendomi caduto in pensiero di scrivere un sàggio sto- rico-critico della scienza del dritto penale, ed avendo ne' rari ozj del mio mestiere portato a termine con ardore lo ideato lavoro, ne diedi al pubblico notizia (i), onde in- vogliare i tironi della legai disciplina ad agevolarne la stampa mercè d' un'associazione. Ed a me pare più che certo che della utilità di un siffatto lavoro non possa muoversi dubbio da tutti coloro a' quali non giunge nuovo quel gran concetto del Montesquieu rischiarato ai giorni nostri dal Meyer che bisogna illustrare la storia colle leggi^ e le leggi colla storia.

La storia del dritto penale è naturalmente inviscerata alla storia della legislazione in generale, e si collega intimamente alla storia politica, e civile delle nazioni,

(i) V. la Cerere 20 Giugno i836.

124

ed a quella delle vicende che la filosofia, le scienze, e le arti lian subito, e che lianno abbrutito, o migliorato a loro volta lo spirito, ed i costumi dei popoli; quindi essa può a dir vero abbondantemente attignersi dagli scritti di tanti valentuomini , che di queste storie ci Lan latlo dovizia. Ma poiché giusta sentenza la si è quella del Peccliio esser necessario ridurre in breve quanto più si può ciò che deve servire per generale istruzione ; così io mi sono impegnato di accozzare in un saggio o prospetto istorico tutte quelle notizie, che alla cliiara conoscenza dell'origine de' progressi e delle vicende tlella scienza del dritto penale particolarmente si alliunio , dando alle stesse più che per me si è po- tuto ordine ])recisione chiarezza. Non si può .infatti senza meraviglia osservare che per quanto caratteriz- zato sia lo s[)irito del nostro secolo per la generale ri- l'orma delle leggi penali, il tli cui barbaro stato, mal- grado gl'impulsi generosi del Bodino, di Tommaso Mo- ro, di Bacone, di Beccaria, del Tommasio,del Filangieri, e di altri sommi, ora rimasto invariabile nel corso de- gli ultimi tre secoli; altrettanto si mostri appo noi poca propensione allo studio di questo ramo primigenio della scienza legislativa. Ne in ciò può dirsi che non siensi apprestati dall' alla provvidenza del Re i convenevoli mezzi, poiché una nuova cattedra è stata istituita nella nostra Università per lo insegnamento del dritto, e della procedura penale, e questa cattedra per la sua impor- tanza è slata dichiarata primaria. Or da qualunque causa proceda cotal poca voglia di addottrinamento in questa ottima disciplina la si è certamente ingloiiosa per noi, ed a scorno di tanta copia di lumi apre nel foro un campo di trionfi alla ciarlataneria. Ecco perchè, quan- tunque lontano io mi sia dal credermi di tanto polso, mi son mosso forse il primo a tentare di far ciò che il chiarissimo Ranazzi iva con tanto senno divisando la- gnandosi che nessuno fino a' suoi tempi erasi accinto a

125

cavar (lall'ist'Orla l'ornamento, e lo splendore della cri- minale giurisprudenza, e ad investigarne ed esporre ex professo la sua origine,, i suoi progressi, e le sue vi- cende presso le diverse nazioni , come la più utile , e più sicura guida clic possa aversi nello studio di essa (i).

Erami paruto poi pregio dell'opera lo esporre in modo didascalico, in un preliminare capitolo, il subbietto, ed i fondamentali principj di questa scienza, notando consi- stere il primo nella conoscenza del fondamento, e della essenza del dritto di punire; nella disanima delle cause de' malefizj; nelTanalisi della (orza di queste cause in rapporto alle leggi che provvedono al redime salutare della vita civile, ossia alle istituzioni dirette ad evitare possibilmente il difetto di sussistenza di educazione, di vigilanza, di giustizia ; nel definire i fatti punibili , e classarli secondo la maggiore o minore loro, gravezza misuiata dall'animo, e dairefl'elto, calcolando nel primo il magoiore o minor grado di dolo o di colpa del de- linguente, e nel secondo il danno, e l'offesa più o meno immediala, e diretta che possono risentirne le basi del- l'incolumità, e della sicurezza sociale; nel mostrare in seguito come le misure di difesa ossia le sanzioni pe- nali possano essere giuste nel loro oggetto , necessarie ne' loro motivi , moderate nella loro azione , prudenti nella loro economia, certe nella loro esecuzione; e nel trovare finalmente nel sistema delle prove e de' penali giudizj il giusto mezzo , che colleglli la garenzia della innocenza, e l'esatto gastigo de' rei, cosicché 1' una al- l'altro non si opponga ma cospirino insieme allo stesso fine ossia alla pubblica, e privala sicurezza.

Quindi ho enumerato e dato un convenevole svllup- pamento a' principj fondamentali di questa scienza, e vi ho appiccato in fine un cenno delle poche controversie tuttora non definite tra' pubblicisti , e gli scrittori di

(i) Praefat. ad Diati-ibam.-

1!»6

gius criminale di maggior voce con un'analisi critica dei rispettivi loro ragionari.

Nel secondo capitolo ho dato esordio alla storia del Dritto penale intitolandolo w delle leggi penali degli an- tichi popoli » ed in una prima sezione ho creduto far cenno de' pochi monunnenti che ci rimangono di quelle degli Egizj, e degli Ebrei comecché l'oggetto del mio scritto non riguardi che i soli popoli di Europa ; e la ragione che mi ha indotto a ciò fare ognun la vede nel perchè furon quei vecchi popoli i maestri di ogni sa- pienza come nelle scienze, cosi nelle politiche istituzioni, e nelle leggi. Nella seconda sezione ho trattato delle leggi degli antichi Stati, che componeano la Grecia, e sopra ogni altro di Atene, che fu la istitutrice di Ro- ma. Nella terza finalmente ho dato un saggio ragionalo delle leggi della prisca Roma, ossia delle leggi regie, e delle susseguenti leggi decemvirali, nelle quali quelle furono in parte trasfuse , ed onde esse son passate fi- nanche ne' codici dell'Europa incivilita.

Nel terzo capitolo ho parlato estesamente delle leggi penali emanale durante la romana repubblica, dividendo il discorso in quattro sezioni. Nella prima ho toccato le principali nazioni del potere legislativo di Roma nel tempo della sua libertà; Nella seconda delle varie spe- cie di pene, ch'erano ivi in uso a que' tempi; Nella terza delle diverse specie di malefizj rivangando le va- rie leggi sopra ciascuna di tempo in tempo sancite ; Nella quarta delle forme de' giudizj penali.

E poiché le leggi di Roma a quel teuìpo non impe- ravano che sopra poco più d' una terza parte di Euro- pa, mentre il dippiù componeasi di quelle vaste regio- ni, che gli antichi distingueano col nome di Germania, le quali erano abitale da moltissime picciolo nazioni, o a meglio dire di tribù seutiselvaggio quasi sempre ar- male le une contro le altre ed in continuo slato di guer- ra colle Provincie di frontiera de' Romani dominj; cosi

un quarto capitolo è Jestinato a descrivere le istituzio- ni, i costumi, le Icg^i, t\i questi popoli, rozzi, e feroci antenati delle più civili nazioni dell' Europa moderna.

Nel quinto Cnpilolo ho fatto discorso delle leggi pe- nali durante il Romano Impero a datare dalla caduta della repubblica. Diviso è questo capitolo in tre sezio- ni. Nella prima dietro una opportuna per quanto breve digressione de' cambiamenti avvenuti nella forma del governo, e del carattere de' primi Impei'atori da Au- gusto fino ad Adriano, ho enumerato i varj senatocouT sulti che durante tale epoca vennero emanati sulla ma- teria penale; come sono i Senato-consulti Silaniano, Sta-f tiliano e Neroniano contro i servi, il Senalo-consuUo Tur- pilliano contro i tergiversatori, il Senato-consulto Volu- sinno sulla violenza, i Senato-consulti Liboriano, e lÀ- ciniano relativi alla falsità, ed altri.

La seconda sezione riguarda l'epoca corsa dalla prima compilazione di una raccolta di leggi fatta per ordine d'Adriano ossia dall'editto perpetuo sino alla compila- zione del codice Teodosiano. La terza sezione finalmente tratta de' penali giudizj sotto gl'Imperatori.

Nel sesto capitolo ho messo un racconto della gran- de rivolnzione che dopo la morte di Teodosio sovvertì il romano impero per la violenta iiTuzione che vi fece- ro le orde prodigiose de' Goti, Vandali, Unni, ed altre barbare genti del settentrione, che con orribili devasta- zioni, e con una incredibile distruzione della specie u- roana avvolsero nell' oscurità del caos ogni vestigio della politica, della giurisprudenza, delle arti, e della lette- ratura de' romani, e sostituendo nuovi abitatori rozzi, e feroci nelle belle regioni della culla Europa v'introdus- sero nuove forme di governo, nuove leggi, nuovi costu- mi, nomi, e lingue novelle. Mi son fatto quindi a di- scorrere di tutto ciò che in una grande vicenda potè avere rapporto alla scienza del dritto penale per tutto il medio evo corso dalla nordica invasione al rinveni-

128

mento del manoscritto della grande collezione di Giu- stiniano avvenuto verso la mela del duodecimo secolo in Amalfi quando 1' Imperatore Lotario II. guerreggia- va guerra col Normanno, fondatore della nostra Monar- chia. Ho rintracciato sopra ogni altro in quel generale naufragio delle nazioni 1' origine del sistema feudale, r influenza di questo, e dell' introduzione del Cristiane- simo sulle leggi, e su i costumi di quei barbari popo- li, le composizioni, o compensazioni de' malefizj, le guer- re private, le ordalie, o giudizj di Dio, ed i combat- timenti giudiziari . ho pretermesso di far menzione de' varj corpi di leggi che durante la lotta perenne dei popoli soggiogati contro i vincitori furon tratti per lo più dall' antica legislazione romana, e pubblicati senza però essere obbligatorj pe' primi, quali si furono pria- cipalmente l'editto del Re Teodorico per li Goti, il cor- po di leggi di Alarico Re de' Visigoti, il Codice de' Fran- chi, quello de' Borgognoni, e quello de' Longobardi, clic furono gli ultimi invasori della Italica terra.

Nel settimo Capitolo con animo men tristo nella pri- ma sezione ho tenuto discorso del risorgimento del dritto romano, che dal detto Imperatore Lotario fu richiamato in vita nel luogo istesso ove era nato abolendovi le lou- gobardiche leggi. E ben è risaputo che il rinvenimento della raccolta di Giustiniano fu come una scintilla di sacro fuoco, che riaccese l' ardore per lo studio di quel- le leggi immortali, e quel culto che esse non han più perduto giammai. Fu questa l' epoca in cui comincia- rono ad apparire i più celebri comuìentatori delle dette leggi, primi tra' quali Irnerio, Bulgaro, Eosia, Accur- sio, Bartolo, Alciato, Baldo, Decareno, Donello, Oto- saanno, Antonio di Siragozza, e dopo tutti questi qual astro più luminoso il Cnjacio , che dal Gravina è chia- mato il padre della rediviva giurisprudenza romana. Io ho però notalo quanto poco miglioramento i Iuqjì di questi sommi recar poterono nella trista politica condi-

«ione di quei tempi alla scienza del dritto penale, il quale era allora ridotto ad una mostruosa congerie di regole dedotte dal dritto romano, e dalle decretali del dritto Canonico, di leggi municipali, di Longobardici istituti, dell'uso, e della prasse del loro, i di cui risul- tameuti erano la più cieca, ed inconseguente barbarie nelle criminali pi'ocedure, 1' arbitrio ne' giudicanti, l' in- certezza, e r atrocità delle pene, tuttocciò insomma, che urtava le sane idee della giustizia, e i dolci sentimenti di umanità.

Nella seconda sezione che tratta dello stato della scien- za dal XVI. secolo in poi dopo aver notato gli ostaco- li, che si oppoiieauo al miglioramento di essa atteso i grandi cangiamenti che subì lo stato politico d' Europa durante quel secolo per le strepitose, e continue guerre tra' Principi, per le irequenti rivolte de' popoli, e per le più pericolose riforuie nelle dottrine religiose , sono andato rivilicando le opere che sul dritto penale tutta- via sin d' allora sbucciarono, e che furono le prime a dare a questa interessantissima parte della legai disci- plina un peculiare e proprio sviluppamento; tali furono principalmente le opere del dotto Damouderò, e del De- ciano. Indi ho toccato come nel XVII. secolo oltre alle opere di molti illustri scrittori sulla giurisprudenza cri- minale primo tra' quali il Mattei, molti uomini sommi nelle lilosoliche discipline, nella ragion civile, e nel drit- to naturale, e delle genti, tra' quali si contano i nomi rispettabili del Grozio del Puflendorfio, e del Gran Pie- sidente di Monles(|uieu, molte utili verità rivelarono , e le solide basi gitlarono del dritto penale, cui prima di una tale epoca il nome di scienza mal poleasi attribuire. I rapidi progressi dello incivilimento delle nazioni nel secolo X\ III lacevano vivamente sentire in tutta Europa il bisogno d' una grande riforma nella legisla- zione penale. Di già il sublime genio del Bodino , di Tommaso Moro, di Bacone, di Montesquieu ne avea

I

i3o

tracciata la via: Ma poiché in Italia tuonò la Voce li- bera, ed ardita del Beccaria contro la barbarie delle criminali procedure, e contro V atrocità delle pene fu dato il segno al grido unanime della sapienza, e della filantropia degli uomini j)ieclarissimi di tutte le nazioni, i quali le sante norme dettarono d' una legislazione pe- nale più addicevole ai (ostami degli uomini già aflàz- zonati da' lumi ognor più crescenti in ogni ranro del- l' umano sapere. L' ottavo, ed ultimo Capitolo adunque tratta di quest' epoca ielicc quando la scienza del dritto penale ebbe tutto il suo disviluppo ed incremento, che preparò i germi della generale riforma de' Codici pe- nali, che nel presente secolo abbiam veduto avverarsi. Da sczzo ho dato un saggio delle opere più pregevoli che in tale epoca lùron date alla luce; ne ho lasciato di toccar di quelle che negli ultimi tempi sono stale pur pubblicale.

Ecco insomma il lavoro che desidero mettere nelle mani della gioveiilù studiosa. Qualunque esser ne possa il inerito io ne otterrò certo il compatimento de' dotti in grazia dello scopo cui desso è diretto, quello cioè di dare un particolare incitamento allo studio delle subli- mi teorie che dopo aver diradalo le tenebre dell' igno- ranza, e della barbarie servirono di base al Codice Pe- nale, che a simili ladine delle altre colte nazioni abbia- mo ottenuto dalla mano augusta di Re Ferdinando pri- mo.

Salvatore Seininara.

Memoria sulla coltivazione delle viti che producono la uva passa di Corinto^ scritta da Vito MannO' ne "^ 2" r apani ìS3y.

Notizia più grata ad un' anima siciliana giunger noa puole se non quella del niigliorameulo della patria iu-.

i3i duslria, delle patrie produzioni. Per chi si fa ad esami- nare in dentro lo stato di cose nostre, trova di clie com- piacersi da pochi anni a questa parte nel veder sorgere uno stabilimento, qui una produzione novella, esten- dersi le piccole coltivazioni, aumentarsi le industrie di ogni sorta. Limitar volendo per un momento a Tra- pani, e suoi contorni lo sguardo, veggiamo già condot- to a termine il fabbricato per la filanda del cottone , piantarsi ne' poderi de' gelseti alla vista del doppio pre- mio Comunale, e provinciale (i) , sorgere l'industria dell'allevamento de' bachi a jeta, e non a semplice di- letto, e passatempo delle Signore consecrato, ma a ve- dute economiche, ù risorse domestiche ridotto; le falde dell' Erico nude per tanti anni vestirsi di sommacchi ; r esempio seguirsi dalle vicine Comuni, e nuove indu- strie proporsi, tentarsi dal rimanente de' Cittadini. Da patrio zelo, e da economiche vedute mosso l'onorevole membro atti-^io di questa società economica Signor D. Vito Mannone lesse tempo addietro un progetto, che ha teste reso di pubblica ragione, e questo è appunto la introduzione in questa valle delle viti che 1' uva passa di Corinto somministrano. Egli in una brevissima me- moria di II. pagine ci annunzia il vantaggio che risul- terebbe a Sicilia da siffatta introduzione ; ci ricliiama dapprima i solidi principii economici, dipender cioè la ricchezza permanente d' una nazione dai prodotti della terra; e tra questi ultimi quei » che alimentano 1' uo- mo, danno costantemente, e necessariamente una ren- dita al proprietario; » e dando un rapido sguardo all' u- bertosità del nostro suolo, duolsi con ragione che per- mettiamo agli stranieri le speculazioni sulle nostre der-

(i) La Comune di Trapani offre il premio di on7 5o. a chi pianterà nel suo podere entro il tirritorio comunale un gelseto, e ne mostrerà in ottimo slato di vcgciazionc mille piedi.

•Sulle stesse condizioni, e nel territorio della Valle, il Consiglio Provinciale dell'anno scorso i83G. propose per uno de' suoi voti la somma di ony 60, Si attende la sovrana approvazione.

rate grezze, d facciamo eh' essi alla nostra barbi» col- gano il vantaggio che ci resterebbe sulle altre nazioni pel beneficio del clima. Trovando pel clima I" isola no- stra alla stessa condizione del suolo greco, consiglia ^ ragione d' indigenar la vitis' apfrena L. quella cioè dà, cui ottengonsi le jùccolc uve dette dagli antichi Roma- ni Corinti li acae^ dagl'inglesi ciirrants e Sra^ló^.. dai moderni greci.

Non dissimula coltivarsi 1' uva zibbibo, Varietà della vitis vinifera- L. detta Eumastos da' Greci , da cui si. potrebbe ottenere 1' uva passa maggiore, ma consideran- do di quanta eslesa consumazione siano le uve passe di Corinto, la coltura di queste raccomanda d' introdursi nell' agro trapanese, ed indica le contrade del Territorio le più adatte, tali appunto quelle di Maransa, Ballotta, Runza, Ballottella ec. ec.

Egli non da vano progettista ma da saggio osservato- re s' appella al risultato ieliceche si promette d'ottenere, inentrecchè egli stesso nel prossimo setterabie ritornerà ]>er suoi all'ari in Grecia, (i) ove ha osservato altrevol- te co' |/iopri occhi tutte le condizioni necessarie a ben produrre la succennata specie, e larga copia acquistan- do di magliuoli di tale pianta, li condurrà nella nostra Isola. Versato com' è negli affari commerciali, ed estesi rapporti mantenendo cogli esteri (2), prevede che gli Inglesi, Svedesi, Francesi, Olandesi, Americani, ed Im- periali Austriaci verranno ad acquistarle da noi a pre- ferenza. È suo desiderio che 1' Istituto d'incoraggiamento veglia far buon viso al suo progetto, e stiamo sicuri, che tenendosi presente la immensa consumazione che se ne fa dagl' Inglesi, che al dir di Chambors (3) ne con- sumano sei volte più de' Francesi, e degli Olandesi,

(i) Avendo per alquanti anni dioiorato in quelle parti di Corinto, Atene, Zaiite, Patrasso per afl'ari couiraerciali.

(2) Egli e Vict-consoic Romano, e con qucst' invcslitura ha mille occasio- ni ti' essere in contatto co' forestieri.

(3) Dizionario uuivcrsalc di Scituzc, Arti, e Mestieri alla vote Uva passa.

i33 » die della procìimonc di Zante se ne caricano ogni anno da cinque a sei vascelli, ed allictlanti in Cef«lo- nia, ed isole rimanenti; che la condizione è di tal ri- lievo che gì' Inglesi hanno stabilito in Zante una fatto- ria; che gli Olandesi, ed i Francesi vantano più nego- zianti di (juesto solo genera, stiamo sicuri , e lo ripe- tiamo, che r Istituto sia per accogliere un tal proget- to, ed arricchire d' una produzione di più il catalago delle nostre estrazioni. Potrebbe da taluno opporsi quan- to per Lipari sull' uva passa di quel paese è stato scritto ultimamente dal Canonico Carlo Rodrigucz, ed inserito nel n.° 4^ ^' queste Effemeridi (i) , ma la risposta viene da se. Non si pretende dal Mannone dover es- sere la coltura della vitis apjrena V unica coltura dell' agro trapanese come lo è di quello di Lipari; ed in secondo luogo il valore ed il prezzo dell'uva passa di Corinto è triplo di quella di Lipari (2) , e voglia- mo sperare che il Canonico Rodriguez che tanto amo- re dimostra pel miglioramento della condizione econo- mica della sua patria , voglia acquistare , da questo momento istesso in Palermo presso qualche signor ne- goziante inglese (3), ovvero nel prossimo inverno dal

(i) .... » presso noi, cil in questa mia patria (Lipari,) si è generalizzata » la piantag<;ione di viti d' uva passolina, e la coltivazione d' essa fa misero » il coltivatore, ed il proprietario; mentre tal genere pel lusso, e per V ab- » bondanza la che rnnan^a invenduto, e ponga in necessità di venderlo a n prezzo inlìtno: e quando jioliticlic circostanze non pcrnieltono che i Ilus- » si, i Germani, i Polacchi, gl'Inglesi ne acquistino, la miseria in questo n paese diviene più grande, e più universale )> ivi pag. 80.

(2) Da notizie prese nel Maggio di questo anno, dal Capitan Francesco F. Cortes da Zante, comandante il Brick Scliooncr Le tre Sorelle di bandiera Settinsolare (Isole Ionie) di proprietà del Signor Roberto Sargent di Zante, ancorato in questo porto di Trapani, proveniente da Livorno, per caricar sali graniti per Ragusa, si rileva che i prezzi dell' uva jiassoliua di questo anno in Zante, (principale caricatore), sono stati di colonnati oltantacniquc per un migliajo di libbre austriache, corrispondenti a sei cantari di Sicilia, e perciò il valore monta a tari uno, e grana sedici jier rotolo, che ascendo- no ad onze sci al cantaro, mentre quella di Lipari secondo le notizie prese non si vende più di onze due e tari quindici al quintale o cantaro.

(3) Il Sig. Giorgio AVood residente in Palermo ha acquistalo, anni sono, da quelle Isole Ionie dei magliuoli della specie sudelta, che soinniinisira l'uva )iassa, ed oggi gli stessi sono arrivati a |>iodnrr(,' il frullo, sebbene in piccola quantità, secondo le notizie avute dal Signor Mattai Clarhsoii.

i34

Mannonc, i magliuoli della specie Corintiaca, e veder se mai iatroduccndosi nel suo paese, possa esser di ri- sorsa a que' coloni, i quali abituali a tal sorta d' in- dustria difficilmente s'appiglierebbero ad altre colture da lui proposte. Se la specie Corintiaca non degenera in quel suolo, crediamo esser questo il miglior progetto. E tornando alla memoria del Mannone ci sembra essa det- tata colla massima semplicità;rautore non vuol far pompa di stile, e di lingua, che se di ornamenti avesse voluto vestire i suoi detti un grosso volume, ci avrebbe potuto regalare, il di cui valore però non sarebbe ^stato diverso dell'attuale, che contiene il nudo progetto; progetto che ci ha promesso a voce di sviluppare ampiamente, quando i risultati felici da lui ottenuti sul suolo siciliano gli per- metteranno a lieto viso d' innalzare l' inno di gloria, che di tutto cuore gli auguriamo al più presto possibile.

Prof, Alessio Scigliani,

Osservazioni meteorologiche fatte nel Reale Osservatorio di Palermo nel mese di Maggio i83y.

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Bello 37

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Nuvoloso 16

Oscuro ig

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i39

PARTE SECONDA

LETTERE ED ARTI

DE SICULO NUMMO URBIS GALARIAE

Dilectissimo Rosario Scuderì Bonaccorsi Joseph Alessi salutem (i)

^jui potissimum illustrationem prorsus novi Siculi ar- gentei numismatis, auro gemmisque praetiosioris tlica- bo? Tibi equidem animae raeae dimidio; ut in adver- sis rebus, quae meum tuumque aniraum certatira agunt, solatio sii. Dolebam enira vehementerque angebar, quura ictu oculi te animam exhalantem cernerem, ac dein lae- titia perfundebar, quum statim te pene redivivum con- spicerem.Instabilisiilavoluptas raoerore mortis tuae dul- cissimae Conjugis fuit a2Ì3cla ; sed quamvis niagnum damnum in morte illa sit factum, attamen ponere mo- dum lacrymis, et quum sis sapiens perfugiuni in opti-' «mis disciplinis, quibus magnopere delectaris , quaerere oportet. Quare ut animum ad illa studia quae tuani aluerunt iuventutem, virilemque oblectarùnt aetatem, revocem, nac epistola nuperrime inventum esse par.vuni Galarinum nummum nuntio; quod, sicuti milii summo gaudio, ita solatio tibi futurum esse spero.

NuUum enim numisma illius urbis in apricum Sicu- la vel extera terra tulerat; et quamvis oppidum illud vetustate et origine insigne fuisset, monumeutis hucusque

(i) Questa fu 1* ultima scrittura che usciva dalla mente del dottissimo Canonico Alessi. Egli moriva poco appresso colpito dal fulmine del CLolera; il quale alle tante vittime illustri, che venne a mietere nella nostra misera terra, quest' altra aggiungeva. Onde assai più care del passato reputiamo que- ste pagine deU' egregio estinto: elle sono come le ultime parole dell'uomo non volgare , clic di questo mondo trapassa , e che sogliono gelosamente raccogliersi; sicché noi con religioso affetto vcnghiamo nei nostri fogli coar segnandole.

carebat. Favofinus; emm Galariam Siclllac urbem ìstls commcmorat vcrbis: FaXaipu vióXi? SixeXtocs; et Dio- dorus enarrans; CarUiagìniensesEntellinorum urbem aclor- tos, Canipanosqae inabitantes auxilium a nonnullis ur- bibus petiisse, solosque Galerium urbem, raXspi'ay YióXtv, incolentes miHe armatos subsidio misisse , eosque om- ncs a Cartbaginiciisibus contrucidatos, Campanos iEtnam babitantes clade rxXepivaov Galeriiiorum, a ferendo anxi- lio, deterritos fuisse refert. Vocem vero FaXspt'oiv, Fa- Xacpt'av corrigendam esse ex eodem Diodoro liquet; ipse eiiira Dinocratis Agalhoclisque gesta describens, Dino- cratem cum tribus millibus peditum et duobus milUbus equitum FocXaptav occupasse castraquc ante urbem locas- se, et postraodumPasipbilum Galariam recuperasse, FaXai- ptflcv, narrai (i). Et non ex Diodoro solummodo , ve- rum etiam ex Stephaui Epitomatore nomen et origo ur- bis eruilur; ipse enim baec habet; Galarina oppidum Si- ciliae, FocXdpiy* viòXis ^i'/\e'XUs, a Morge vSiculo condi- tura: vocatur et Galaria regio, FocXocpiat X^P*' oppidanus inde dicilur Galarinus et Galarineus, FaXapfvos xj F*- Xacpt/afos. Sed oportebat, ut doclissimorum virorum ar- gumenta , inventura aliquod numisma confirmaret , et* confirmavit.

Ipsum enim CAAAPINON iuscriptum esse conspi- citur. Nec tantum nomen, veruni etiam alia notatu di- gna in hoc parvulo nummo conspiciuntur. In eius an-^ tica parte stat Baccbus barl)a tunicaque prolixa, qualis. ^gjplius Bacchus elfingitur, cyallmm dextera, sinistra thyrsum gerens, cui vitis palmcs pone dexlerum pcdein assurgit; et in postica parte uvae racemus binis ornafus' foliis, quem subtus stat urbis inscriptio, a sinistra de- xleram versus ducta , indeque supra rediens , subtus CAAAPI, et super NON, cernitur, unde diflicilem om-| nibus praeler quam peritis (et praccipue Carolo Gaglianij.

(i) Diodorus Sic. 1. xvi,xvili.

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cui sors eum obtulit, quique; eius ,imaginem nostro Ui-, liiclissitnó Carolo Gcmmellaro dclineare permisil) se sa o0òrt. Quac aniinaclvcrtenda ceiisuinius , ut facillime recoguosci possi t , si quau^lo tuis tecurrdt ocujis. Et (juamvis Naxlorum , Cataiieiisium , allaruin(jue urbium ijUiiiismala Bacclii caput barbatum refciaut, et praecipue Mjxiorum, etiam cyatluim in Bacchi mauu, et vitis sur- culiun liabeant, nuUibi in Sicuiis numisniatibus stansy tunica tectus, coque stàtii conspicitur. i

Seti cur jNumcu illud, cui' vitis in hoc Calai ino nu-* niisuiate sunt cusa? Si arguraenlis uti liceat, haec om-i nia ad originem illius urbis sunt refe renda. Galaria enim,' Slephano Bizantino enarrante, a Morge Siculo, Mop^ai ^iìisXais , condita f'uit. Quis iste Morges fuisset, nqbis Antiochus Syracusanus fidissimus historiarum scriptor, Iradidit, eiiarjando: Vetustissimos Italiae colonos Oeno- tros fuisse , ab Italo inde Italiae nonien accepisse, cui cum Morges successisset, inde Morgetes dictos; ac post- nioduni Siculus hospitio exceptus, quum sibi imperiura arrogarci, gentem illam divisit; et ita qui Oenotri, post- moduui Siculi , Morgetes , et Itali dicti fuere. Morges ille, Italo senescente, regnabat; et adhuc illis viventibus Siculus profugus Romani venit; nani ante Trojae exci- dium priscam Romani extitisse , et post excidium bis conditam fuisse Antiochus ipse refert; et tunc Morgetes omuem regionem a Taranto ad Posidoniam usque tene- bant. Inde quuni in Siciliani cum Sicuiis omnibus trans-,- fretassent , vel a Pelasgis et Aborigenis bello vexati , -. anno vigcsimo sexto Sacerdoti! Alcinois, ante Trojana tempera, ut EUanicus tradidit, vel octuaginla annis ante Trojae excidium, ab Umbris et Pelasgis pulsi, ut Syra- cusanus Pliilistus scripsit, vel ab Oenotris ipsis et Opicis, ut Antiochus memoriae mandavit, vel postea temporis ut Thucidides refert; dum Siculi Sicanos ab oricntalibus iu occidentales Insulae plagas pellunl, et Siciliae nomcii Sicaniac iuduut , Morges Morgautinain Urbcui , ut ex

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Strabene coirigimus , condidit (i). Ad quam glorlam Morgantia perveneiit, et a qua exciderit, alibi enarra- vimus; nunc in mentem revocare lubet: vitem Murgen- tinam e Sicilia potissimara , quam Pompejanam aliqui vocabant, utpote quia Surrentinis efficacissima m, Vesu- vio tenus, Latio demum feracera, Plinio teste fuisse (2)... Sed quorsura haec? Ut ostendatur parvi numismatis Galarini praetium , quum ab Urbe multo antiquissima et a Metropoli Morgentina origìnera trahat; ubi quum vitis Murgentina feracissima gigtieretur, vel ex illius fe- racitate, vel quia ipsamet Galaria vilium ipsarum ferax esset , uvac botrj onem in ilio numismale procudere. Et quum Bacchus vitem ad amasset, thyrsique inven- tor , Bacchantes tliyrso armasset , ac in Sicilia Bacchi cultus a fabulosis usque temporibus extitisset, jure me- rito Bacclius, cum vitis surculo a terra assurgente, cya- thum et tliyrsum manibus gerens in antica parte est sculptus. Nec dcsunt rei argumenta : nam quum Tau- romcni colles Eiigeniuni gencrosam vitem gignerent , Albanoque agro misissent (3) eius numismata uvae ra- ccmos gcrunt; et quum a JSaxo, Calcidensium Colonia in Siciliam dcducta esset , et Baccho sacra Insula illa esset ^ bine Bacchi ^Egyptii caput botruosasque vitcs Naxii nummis cudere. Quumque Catana a Naxiis colo- nos accepisset, Bacclium barbatum vel tigribus veclum, uvaeque raccmum, eius numismata exliibent. Idem de Calaclinorum , de Gutellina , de Panormitana urbe di- xcris, quarum nummi uvae racemos, et Bacchi Cererisve imagiiiem, et vel vini feracitatem illarum urbium, vel Numinum iiiter se conjunctorum cultum rclerunt (4)- Nec interest, quod inter Morgantii nummos nuUus uvae

(1) Dioiiysius Halic. I. i. n. aa, 73. Synccllus Cliorogr. Strab. 1. vi. (a) Pliuius Ilìst. Nat. 1. xiv, i. a. Id. ib.

(3) Lancclloltus Sic. et Ins. Obj. nova CoUoctio t. lxxxviii. Aucl. i. t. Vili. (4) Id t. LUI, XXII. Auct. I. t. XVI, t. XXIX, t. 1.XIX.

.143 lacemos afTeiat; nam quamvis Manieiliiuun Polliumque iiierum INIessanae et Syiacusis cclebcrriauim esset , et Sjracusis Bacclms Moricus colcretur , aliameli Bacchi imago , et uvae raccmus in nummis illarnin urbiuiii atlliuc desidera n tur (i). ^Etas posterior fbisan, quid quid sub terra est proferendo, nummos illos aliquando nobis exliibebit , siculi IJeiuìac nummus cum u^ac racemo haud ila pridem est invenlus (2). Et ne diulius inen tem obtundam , imaginem ipsam numismalis Galariui tibi mitlo , ut oculis tuis quid exliibcat, et f|uid quid significet, mebus dictis, mente concipias, verbo expriinas. Solummodo aciem oculorum non eflugiat primam lite- ram verbi CAAAPINON Gaiiwiam veluti C lalinam si- culo more gerere, quod a viris doctis et a nobis pluries in Sicubs graecis, insciiplioiiibus ol^servalum est; et in rnemoriam nunc reducimus vetustissima JMORCAJNTl , melropobs nempe Galariae, inscriptionem , et CEAAZ^ Gclac Urbis (3), pari modo inscriplas esse; unde et ab illa biistropìieda inscriplione, ex illa lilera, et ab omi- cron prò omega iiiius nummi velustatem abquis dcdu- ceret. Scò. ncmo sapiens ante Trojana tempora, quum Galaria a JMorgete extructa fuit , vel abqua obmpiade ante coloniarum graecarum in Siciliam deductioneni , unum nummum suspicabitur, sed certe ad illa tempora referendus, quum Morgetes aliique Barbari Siciliam in- colentes graecam linguaai a Graecis colonis mutuò com- mercio, ut Diodorus tradidit, didicere, nummosque grae- cis litleris inscripsere (4). Et si aliquis, ubinam Urbs illa fuisset, et si adhuc oxtaret, quaereret? tu, quum optime velerem recenteuique geograpliiam calleas, non ita procul a Trajnensi , urbe , orienteni versus qua Kandatium ilur , indica oppidulum vulgari vocabulo

(i) Athcnaei Deijin.l. 7.— Plinius 1. xiv. ìfi, (a) Auct. II. t. II.

(3) Laiiccllot. t. xxxiijLi.

(4) Diotlorus I. \.

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Gagliano dictuni, ibique cum Aretio, Cluverio aliisque Geographis Galariara extitisse dices. Haud enim procul Morgan ti norura Centuripiuorumque finibus, qui cum hi- storia urbis Galariac sunt conjunctì, stabat; et optimum factu esset, si illius urbis reliquiae exquirerentur.

Hacc omnia raelioraque mente revolvens, parcere ali- quanlulum dolori, et ad ingcnuas disciplinas, quae solatia et oblcctamenta sunt vitac, redire potes. Te enim vo- cant tabulac, codiccs, imagines, papiro excusae, rerum iiaturalium domi collectarum sludium , incepta evulga- tave scripta, pracdioruni cultura, cdifìcia domi et ruri cxtructa, pia, civilia ollicia, et alia , quae nos magno- jicre dclectant , quaeque le desiderant , nec diutius ab esse sinunt ; et intcr tua pacifica studia , haud oblivi- scaris, rogo, lui làmiliarissimi Alexis.

Calanae anni mdcccxxxvii.

Post scripta, in mentem venit, numisma Galarinorura appendere , ut scircm ad quam dracmam ad quod ta- lenlum perlincret; coque ad luncem appeiiso, duodecim granorum pondus inveni. Cui dimidium grani , quum ali(|uantuluui vetuslate detritum esset, addendo, Obo- lum dracmae Cretensis vel Cliiae illud esse comperii ; cuius Talcntuni seplem raillia centum quadraginta duas parvas Alticas dracmas (nempe sexaginta trium grano- rum prò unaquaquc dracma) continet; et quinque mil- iibus Galliae luimniis , vulgo Lire dictis , aequivalel. Cui ae(]uilibrem Ojjolum Abacenum, Galcnscm, Naxiuni, ]Morgantinum,Calanaeum et INIessancnsem inveni; qnarum uibium nummi ad dracmam Alticam-Sicolam, vd Alli- cam-Corintliiam, Abaceni aut Istriae pertinent. Unde de Siculorum numismatum vario pondere, variisque lalen- tis a Rome de iJsle in sua Metrologia illustra lis, con- sl;it, et de quibus [)lura dicenda essent, si nos in nostra Siculn historia haud verba Iccissemus.

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STENIO

CITTADINO DI TeRMINI d' IMERA.

Tutte le umane cose sono inevitabilmente sottoposte all'impero del tempo, che nel suo rapido corso, disfa- cendo, le assorbe, e la potenza degli uomini, e le statue, e i superbi palazzi, e i tempi, e le cittadi in somma dopo una più o meno breve esistenza non sono, e ge- nerazioni novelle si riproducono sulla rovina delle pre- cedenti. Solo però la memoria del nome de' virtuosi non muore, e se ne' giorni d'ignoranza e di barbarie si trova negletta, torna poi sempre più bella, e come raggio di luce fra le oscurità del passato vagamente risplcndc. Di fatto vengliiaiiio noi oggi ad esaltare le virtù del cuore di un antico siciliano, di Stenio cittadino nobilis- simo di Termini d' Imeia, dopo che tanti secoli sono andati , e che molte città che allora erano popolose e adorne o più al tutto non esistono , o per mezzo dei ruderi della caduta loro ci avvisano. Ma con tutto ciò eravamo noi forte a riprendere per non essere stato al- cuno insino ad ora che in una speziale scrittura avesse in pieno lume ritratte l'egregie cose per lui onoralameote in prò della patria operate , aggiungendolo così a quei grandi che doviziosa eredità di gloria lasciarono a quanti in questa isola bella son nati , e saranno eziandio per nascere nella lunghezza de' secoli. Ne vale per escusa- zione il dire ch'essendo Slenio dal testimonio dell'anti- chilà per infinite virtù laudato , poche siano le notizie ora rimaste, molte quelle perdute, conciossiachè giusto uificio sarebbe stato magnificare con belle parole sola- mente quelle memorie a noi pervenute , che pur sono di tanto per la importanza loro meritevoli. Alla qual cosa ho voluto io jn-ovvedere, in (juel modo che ho [w-

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luto, dappoiché la rimembranza di Stenio soprammodo mi è cara, molto maggiormente pensando che qualcun utile può trarne la presente civiltà, e che somiglianti esempi per la umana sciagura così frequenti non sono, siccome esser dovre-bbono a comune vantaecìo.

Dovrà un poggio assai prossimo al mare che guarda settentrione , tra Palermo e le rovine della distrutta Imera, a sei miglia discoste , alzavasi una città apjiel- lata Termini imerese, che costò molta fatica a' Romani, i quali avendole posto assedio con quarantamila uomi- ni, e rendutala finalmente soggetta nel decimoterzo anno delhi prima guerra punica, come tutte le altre città si- ciliane pressoché secondo il reggimento della loro re- pubblica la conformarono. Questa città diede i natali a Stenio, che uscito di una nobilissima e molto eslesa fa- miglia tostamente appalesò manifesti segni di quell' al- tezza di animo , di che natura avcalo fornito. Avuta una confacente educazione quale a nobil giovanetto ri- chiedeasi,fu mandato in Asia per maggiormente istruirsi, ove desta toglisi un estraordinario gusto per le opere delle arti leggiadre fu vago di fare acquisto ora di belle ed esquisite pitture, ora di bronzi di Belo e di Corinto, e di altri oggetti di argento per istu pendi lavorii ri- guardevoli. Dopo aver cerche varie città asiatiche e do- po con tanta sollecitudine raccolto , e secondo compor- tavano le sue facoltà, quel dovizioso tesoro, Stenio Iacea ritorno in palria, nobilaienle adornandone la sua stanza, ove amava ricevere in ospitalità i più distinti cavalieri romani che in Termini si conducevano. Anzi per po- ter meglio osservare le ospitali virtù fabbricò un ma- gnifico palazzo di be' marmi lavorati, e in esso como- damente albergarono, oltre agli amici suoi. Caio Mario Gneo Pompeo Caio Marcello Lucio Sisenna uomini con- solari, Marco Tullio Cicerone, e Caio Verro. 11 nome di Stenio pertanto era siccome quello di un uomo di cortesi costumi riverito.

L'amor della patria però era in lui mai'aviglioso , e se la storia non cel narrasse co' fatti non sarebbe alcuno che potrebbe appunto immaginarlo. Già erano surte in Roma quelle fatalissime discordie, cagione d'infinito san- gue a' cittadini, i quali preso il ferro gli uni contro agli altri pugnavano parteggiando per la causa di Mario e di Siila, die pei' gelosie d'onore infiammandosi ad odio travagliarono aspramente la patria. Già dal mezzo della città e dal foro, ove le prime scintille si accesero per tutta Italia si era il furore delle armi allargato in ogni angolo di sempre nascenti odi infestandola. E siccome le città siciliane dipendenti da Roma, le sue vicissitu-

- dini per tutto seguivano, a parteggiare si anco levaronsi, e tra quelle che per Mario tenevano , notavasi princi- palmente, oltre a Messina , Termini d' Imera , poiché a quel partito , stimandolo più giovevole agli interessi della patria, avea Slenio tirato tutti i suoi concittadini,

. tra gli amici e quelli che tali non erano, o con la dol- cezza della persuasione ojcon la energia dell'autorità. Vinto Mario, Siila divenuto signore dell' Italia, e fatto ditta- tore , mandò tosto Gneo Pompeo in Sicilia a gastigare la temerità de' seguitatori della opposta fazione; e questi dopo essere stato severissimo esecutore di quegli or- dini contro Messina , cui neppure giovò mettere avanti i suoi privilegi, avviavasi alla volta di Termini d'Imera, ed ivagli compagno il fierissimo e spaventevole consiglio di toglier di vita tulli quanti gli abitori , di spiantar dalle fondamenta la città , e di lasciar solo scritto tra quei frantumi un testimonio chiarissimo e perenne della vendetta di Siila. La volontà di Pompeo era tenacemente inremovibile, e solo il tempo mancava alla esecuzione. Precorsa la fama portatrice della trista novella giltò i poveri Termilani nella desolazione nel lutto. Il dolore estremo pingevasi su i volti col color della morte ; e lutti n'erano soprappresi tra canuti vegliardi, e giovani vigoroisi , gli uni altrislandusi all' idea di quel destino

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che era loro serbato, certo non aspettato dalla età loro veneranda, gli altri perche vedeano a mezzo rotta ogni speranza dell'avvenire. I genitori più erano dolenti per le loro faniigliuole che per se stessi, e ogni cosa avreb- bono dato per trovar modo di condurre a salvamento que' dolcissimi frutti de' loro amori, e loro accanto si stavano. Vedevi il marito congiunto alla sposa, qua raniico starsi stretto all' amico , commiseranclo la loro condizione , che meno spiacente diviene il pensiero del morire vicino alla persona più cara! Ma chi può descri- ver compiutamente lo stato di una città , cui sovrasta l'estremo infortunio, senza veruno scampo di evitarlo? Quale più viva stretta di dolore non provò Stenio , quando vide i suoi concittadini, dolorosi a morte come erano, correre a torme a lui e accerchiarlo e scongiu- rarlo, chV come il più autorevole per senno e per virtù volesse trovar modo per la loro salute, ch'eglino in lui si aflTidavano , che avrebbon pure ogni suo volere ese- guito. Ma non passò guari che giunsero alle mura della città le truppe capitanate da Pompeo, cui Stenio condot- tosi dinanzi con franco e nobile portamento, fattagli pria chieder licenza di favellare a unanime volontà di tutti i Tcrmitani, sappiamo aver manifestato questi sensi: wSe tu qui se' venuto, o Romano, a punire i nemici di Siila, e non vuoi passarti leggiermente del fallo, fa quel eh' è di tuo volere : ma sappi che vuoisi bene disaminare avanti i veri colpevoli , che grande ingiustizia sarebbe il comprender nella pena de' rei gl'innocenti medesimi, che qui un solo havvi cui si conviene sentir gli efl'etti della tua collera. Io son questi: io mossi tutti i Ter- mitani a seguitare la fazione di Mario, parte spingendoli pel sacro vincolo dell'amicizia, e i miei stessi nemici costringendo a seguitarmi in quel partito. Laonde , o Pompeo, se vuoi, approssima la mia morte, ma rassicura la salvezza degli altri w. Il generale romano stette cruc- cioso alle prime parole di Slenio, ma pose giù lo sdc-

gno alle ultime che ra d dolci ronlo iufondendogli in petto maraviglia stupore. E' non potè non lodare la fermezza di animo anco iii un nemico, non la fidanza e dignità, non rafTclto sommo per la patria, la cui sciagura volea tutta su di se far piombare , solamente della colpa comune gravando. Giubilò Stenio in ascoltare non che il suo perdono che solo non gli sarebbe punto piaciuto, ma per suo merito ancor quello di tutti i Termitani, e più vedendo ch'era egli divenuto caro ed amico a Pom- peo, che nel suo palagio volle poscia albergare, ove erano stati prima Mario e i suoi seguaci. Stenio finalmente mercè dell'opera di Pompeo non solo rappattumò i suoi concittadini con Siila, masi bene tutta la provincia della Sicilia. O come furon lieti que' Termitani esultando di giustissima gioia a vedere distolta dal loro capo quella spada sovrastante minaccevole di morte, e ringraziarono quel cittadino che avea cotanto bene operato. Da lui riconoscevano quelle provvedenze per cui campate avea- no le vite, e vedeano starsi ancor salde le fondamenta della patria, ed entrati erano nell'amicizia del dittatore. Questo esempio solamente basterebbe a dimostrare la virtù del nostro Stenio, ancor che altro non ce ne avesse la storia tramandato. Infra gli onori e le dignità vivea- sene in patria tranquillo e contento, e coH'alternare de- gli anni volgeano già tre lustri da quel civile parteg- giare. Era frattanto da Roma al governo di Sicilia man- dato Caio Verre pretore, il cui nome soltanto fa oirore ad ogni cittadino che sente commuoversi alla rimem- branza delle sciagure, come che passate, della sua pa- tria. Grave riusciva ad ognuno a quei veder questa isola da più calamitose perturbazioni travagliata di quelle che soflèrte avea già tempo innanzi per lo insolentire de' servi, vedeile piodotle dalle sfrenate cupidità e dallo svergognato procedere di un solo, nelle cui mani risie- dea l'arbitrio delle cose, vedere le leggi guaste senza ri- spetto, e scellcralamenle fatte stromcaio della ingiustizia,

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j)rn(;innli i Icmpi, conculcale rnpile le cose sacre, mal sicure le propriclà le persone, avvilita punita l'inno- cenza, i delitti non che tollerati favoriti guiderdonati , abbandonale e incolte le campagne , posta in bando la j)ictà e per tutto le rapine le crudeltà le libidini , fu- neslissima cagione delle lagrime di un popolo servo ed oppresso. Duri casi son questi, ma più duri divengono a pensar che i popoli, incurvandosi sotto al barbaiito giogo di queir iiiliuiic pretore, non sapcan sollevarsi, e opporre lutti insieme congiunti una vaUdissima resistenza alle sue tristizie, dappoiché, siccome la soperchia e con- tinuala oppressione della romana signoria snervata avea la forza di animo, sottentrava la paura di maggiormente stimolare a lor danno uno scellerato potente. Quanta virtù, quanto amor patrio non appalesò Stenio se solo fra un popolo seppegli all'uopo francamente rintuzzare! Iv, come che suo malgrado, tacitamente avea compor- tato che quel pretore, che viaggiando per l' isola nella sua stanza ospitalmente dimorava , avesse quando cou inchiesta quando di sua semplice volontà tolta quella doviziosa suppellettile di bronzi di pitture , e di altri stupendi oggetti de' quali era onorevolmente quella sua casa fornita. Ma quando Verre l'opera sua richiese, sic- come quella del più autorevole uomo di quella repub- blica , a poter fare furtivamente acquisto de' pubblici adornamenti, la cui magnificenza aveagli destato in cuore fervente appetito di possederli, Stenio a niuu patto volle consentire; anzi per porre argine a quella cotanto altera cupidigia , dissegli: non esser cosa possibile 1' aver ciò chV'i desiderava, se pria quella città non fosse, parimente che l'imperio del popolo romano, soggiogata ed oppressa. Verre però trovando ostacoli alle sue brame non risla- va; anzi più nel volere iiifiammavasi; pensava che nelle altre città siciliane lutto gli era stato agevole , e, non che in Sicilia, in Roma nell'Asia nell' Acaia e altrove; vcdea con avidità infra molte bellissime statue cjuella

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rappresentauto la ciltà cVImera in guisa clie tioniia ve- stita,vedeane un'altra del poeta Stcsicoro vecchia e curva, tenente in mano un libro, vedea una molto vaga capretta, per la eccellenza dell' artifizio lodata , cose tutte poste in pubblico a ricordare la generosità di Publio Scipione Africano che dopo il conquisto di Cartagine aveale a quella città ridonale. Yerre finalmente reputando esser diminuita la sua potestà, se anco in quella occasione non fosse rimaso superiore, avvisandosi che il pubblico non avrebbe avuto per avventura tale coraggio da negargli quelle cose die per l'autorità di Stenio non avca potuto ottenere, intimò il senato della termitana repubblica a voler deliberare su quello affare di gravissima importan- za.Riunitasi per tanto quell'adunanza, in mezzo al popolo prescntossi Stenio con quella dignità, e imperturbabile franchezza , per la quale vedeasi essere animato il suo petto generoso. Sfavagli a cuore la patria , nulla cale- vagli il dispiacere ad un ospite, nulla l'irritare l'animo iroso di un pretore avaro e tiranno , e così deliberalo com'era a' suoi Termitani si volse, e quali parole ab- bia mosso , ciascuno V immagini. A me quasi sembra sentirlo a favellare : Non esser cosa di lieve momento quella per cui erano in quel luogo congregati , ne vo- lersi andar ciecamente. Considerassero che a' cittadini esser dee cara, più che la vita, la patria, che con ogni sforzo convien loro serbarle ed accrescerle que' pubblici monumenti, che nella opinione, degli stranieri ingenerano decoro rispetto; che il permettere che fossero anzi via quelli recati, sarebbe un volerle togliere quel bene pro- curatole dagli antichi, e da costoro gelosamente affidato alla custodia de' posteri. Richiamassero al pensiero i loro parenti, i quali videro la città d'Imera loio patria per lo esercito cartaginese capitanato dal prò' Annibale posta a sacco e col ferro e col fuoco travagliala, e in- sin dalle fondamenta al suolo spianata; onde que' che camparon la vita in quella terra, si erano rifuggili col do-

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lore di aver perduto e patria e tutti que' pubLlici adorna- menti clic furono iu Africa trasportati. Jlimenibrassero però quale allegrezza sperimentarono que' superstiti, al- lora quando, benedicendo l'alto favore di Pubblio Sci- pione, videro dalla espugnata Cartagine, tornate in loro proprietà e le statue e tutti gli altri monumenti. Per la incredibile gioia in pieno senato statuirono di collo- carsi quegli oggetti nel pubblico palazzo della città, af- finchè avesse potuto chiunque trarvi dinanzi e pascer- sene la vista; a que' che a folla vi accorrevano sembrò essere slata con essi ridonata loro l'antica patria, e quasi scorgerla di nuovo bella ed ornala ; sentirono disacer- barsi alcun poco il dolore delle passate miserie, conce- pirono finalmente speranza di fare riavere al pristino la nobiltà imercse. Qual partito vorrebbono ora pigliare i discendenti dietro questo esempio luminoso de' loro avi? Vorrebbon, forse conceder licenza al pretore di spo- gliare la patria di que' monumenti? Sarebbon certo te- muti per vili , ne li afiVancherelibe in vei'un modo da quella nota vituperosa il dirsi che così avean fatto le altre città di Sicilia. Quanta gloria al contrario non tor- nerebbe alla loro cittadinanza se sapessero validamente opporsialla ingordigia di Verrei Sarebbono celebrati ovun- que, e posti ad esempio di virti!i , se soli fra' Siciliani sapessero animosi far valere i loro dritti, e preservare la patria dalle rapine altrui. Tenessero finalmente per cosa sicura che più presto starebbe loro bene il lasciare in abbandono la città che portar pacificamente, che fos- sero lungi tradotte le memorie de' maggiori, le spoglie de' nimici, i benefìzi di Scipione, i segni della collega- zione ed amicizia del popolo romano. La storia è vero non ci ha tramandate ie precise ragioni che Stenio pose avanti, ma chi non crede aver più cose e meglio ragio- nate, se la sua concione, siccome quella di chi per elo- quente era tenuto, fu di cotanta efficacia , che di no- bile ardire infiammando 1' animo di que' circostanti,

i53 e le varie volontà in un solo voto accoppiando , lece salda opposizione a Verro per forma che fjuesli ninno potè trarre a' suoi desideri in quella nobile cittadinanza; e non che per forza ne per danaro gli fu jiossibile to- gliere que' monumenti da' pubblici luoghi.

Scoppiava, bruciava di collera il pi-epotenle pretore, non uso a cosiflatte resistenze, ne poteva (juietare; tutte le sue malvagge arti volgeva contro a Stenio ch'era stato cagione del suo danno , e seco medesimo atrocemente divisava di tirarlo a morte. Non ignorava che nella stessa città viveano a Stenio nimici o per la sua virtù o per l'autorità o per altra qualunque ragione, un cotal Aga- tino di nobile famiglia , e Doroteo sposo a Callidama di costui figliuola, e ad essi e' si volse, i quali le loro aJji- tazioni gli ofl'erironn^: più concitandogli 1' animo con le calunnie contro cpiel virtuoso. Verre, eleggendo meglio l'alloggiamento della Callidama, uscì di casa Stenio, con- tro di cui qualunque cosa volessero , o vera o falsa , produrre in giudizio Agatino e Doroteo dichiarava esser prontissimo ad accettai'la. Questi malvaggi apposero su- bito a Stenio gravissimo delitto e degno di morte , lo aver falsate le lettere e le scritture pubbliche. Vedutosi S'enio bersaglio della calunnia , e chiamato essendo in giudizio , amava meglio essere da' suoi cittadini giudi- cato , e pertanto ricordava che il senato e popolo ro- mano nel restituire ai Termitani la città e le possessioni aveano anco lidonale le loro leggi , e che in proce- dimento di tempo Pubblio Rupilio di consentimento dei dieci legati tra le altre leggi avca quella pe' Siciliani sancita di volersi trattare le cause de' cittadini secondo gli statuti di ogni città particolare. Le sue considera- zióni eran vane , dappoiché Verre a se tolse quel giu- dizio con fermo proponimento di prolTeriigli contro la sentenza dannandolo alla morte col supplizio delle ver- ghe. Non potevano tenersi celati quegli atroci disegni, onde gli amorevoli facevano forti premure a Stenio, che

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volesse subito lasciare quel suolo, come che a lui caro, perciocché non era opera di senno resistere colla sola innocenza alle ingiuste vendette alla tirannide del pre- tore. Ma la vera amicizia può tutto, e quel virtuoso, tutto che puro di ogni delitto , agli amorevoli consen- tendo, dovette ncirinvernale stagione affidarsi alle tem- pestose onde del mare , e recarsi in Roma. Tanto se- gretamente ciò fece che Verre al tutto ignoravalo , vedendolo comparire all'ora ordinata, e fatto poi consa- pevole di quella fuga, colleroso invia persone al palazzo ed alle possessioni di Stenio , condannalo reo di aver guasta la pubblica fede delle scritture sotto il pretore Caio Sacerdote, la vendere tutti i suoi beni, ordina pa- garsi cinquecento seslerzii a Venore rJìlriciiia , cui donò parimente un Cupido rilevato di angiìnto, che il nome recava di Stenio. Ne pago di ciò, non ascoltando Verre i consigli del padre e degli amici , che da Roma scri- veangli a non voler condannare Stenio assente , li- cenza a chiunque di poterlo di qualunque colpa accusare, e un colai Marco Pacilio termitano povero, e di leggiere natura fece l'accusa. Con tutto che però l'accusatore non presentossi al primo di dicembre nella città di Siracusa, com'era slato prescritto, Verre condannò un'altra fiata l'innocente Stenio. Questa condanna però anco in Roma a Stenio era di nocumento, dappoiché per un editto dei tribuni della plebe era proibito di più oltre dimorare in quella città ad un reo di capitale delitto, ma Cice- rone nel collegio di que' tribuni mostrando esser nulla quella sua condanna, gli ottenne di potere a suo piaci- mento nella stessa città stanziare. Ma le città siciliane, mal comporlando che Stenio fosse oppresso dalla calunnia dalla tirannide, manda ron messaggi a Roma laudandolo appresso a quel senato siccome uomo che per tutta Si- cilia era tenuto in estimazione e riverito per la gravità de' costumi, cosicché quel senato ascollando quei pub- blico e valevole testimonio di Sicilia, e le difese di Ci-

i5^ cerone, cliclilarò l'innocenza di Slenio, liberandolo dalle calunnie di Verro.

Ma più lume acquista la virtù contristata dalle sven- ture; e Stenio tornato libero in patria l'u da' suoi con- cittadini con graziose dimostrazioni salutato. Anzi in tanta maggiore dignità e' venne die commessi gli furono i più importanti incariclii, da lui jier lo bene della re- pubblica con soniuìa laude eseguiti. Tal vicendevole cor- rispondenza di affetti tra Slenio ed i suoi Termitani esi- steva, che quegli gratificava ciascuno con particolari be- nefizi, o pubbliche opere a sue spese stabiliva, e gli altri con aperti segni di riconoscenza gli si tenevano obbli- gali ; di guisa che videsi per deliberazione di quel se- nato apposta nel pubblico j^alazzo una tavola di bronzo, ove a perpetua ricordanza si leggevano descritti tutti i servigi da Stenio singolarmente alla patria renduli. E ve- ramcnle se fra tutta Sicilia ebbe allora splendore la ci- viltà teimitana, quando le altre città per la romana op- pressione ivano in decadimento , e se quello splendore anche oggidì con gradimento da' buoni Siciliani rimem- brasi, Slenio ne fu vera e primitiva cagione, e Termini a lui n'c veramente debitrice, e i loro nomi non potranno esser mai scompagnati nella storia delle nostre antiche vicende.

Si dee qui bene ricordare, che a vantaggio di Sicilia, trovandosi in Roma, si oppose a coloro che qualche mu- tamento voleano recare, in riguardo alla vendita delle decime del vino dell'olio e delle biade minute, alla leg- ge geronic;a che tanto provvidamente aveano i Romani per l'amministrazione economica dell' isola conservato. Sicché questo Siciliano non lasciava di sostenere i di- ritti di quelle città che molto a cuore teneva.

Mi duole gravemente non poter tutte narrare le di lui opere virtuose, essendo che ora più non esiste quella tavola che tutte narravate, è che tranne Cicerone e Plu- tarco nissun altro scrittore , per quello almeno che io

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sappia, favellane, ne pure siciliano alcuno de' suoi tem- pi, ne' quali per lo sopi-avvenire de' Romani, dalle no- stre contrade sgombrate erano le lettere con tanta pro- sperità coltivate sotto i Greci. Basta però da quello che si è detlo potere argomentare il di lui carattere. Per nobiltà di sangue per dovizie per cortesia di costumi e per magnanimità di spiriti era Stcnio distinto, elo- «juente nel persuadere, franco di animo, e coraggioso, la forza de' potenti non lo impaurì, declinare lo fece per viltà, portò con dignità le sciagure, fu benevolo con tutti, con gli stranieri ospitale, della patria sua svisce- ratissimo amatore, facendosi acerrimo dilensore de' suoi dritti e de' suoi beni, e postergando financo la propria per la pubblica salute. Chi a tanta virtù non si inna- mora? Chi non è preso da forte entusiasmo a volere imi- tare le sue opere ? Chi non predicherebbe fortunata Sicilia se somiglianti uomini fiorissero in ogni sua città, e in ogni generazione? Tali uomini però non sono frut- to ordinario di natura, per lo che noi dobbiamo sempre benedire la memoria del cittadino che abbiamo lodato, che si può meritamente locare nel bel numero de' po- chi e veri virtuosi, e che i Terminesi sino a nostri venerano in una statua posta nel pubblico palaz::o, nella quale credono essi raflìgurare Stenio, mentre i dotti tut- l' altro vi riconoscono.

Bernardo Serio.

Su (Il alcuni dipinti di Jlihrando , B arozzi ^ Anto- nello , Zuccaro , Finci , e Taccari , esistenti in Lipari.

Gli Alibrandi , i Barozzi , gli Antonelli, i Zuccaro, j Vinci, i Tuccari sono nomi rispettabili e chiarissimi iiclla pittorica arte, ed essi ci fecero dono di non pochi dipinti, che qui appo noi restano, ed allegrano lo spi-

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rito di clii sa in mirandoli, medilarli. E opera del RalTaello di Sicilia , di Girolamo A librando quella ta- vola situata nella chiesa sacra alla Vergine dei dolori che osservasi nello entrare alla manca mano, la quale ci offre la Presentazione di Gesù Cristo al tempio. Il dipinto in cui tutte rifulgono le maggiori Lellezze dei grandi artisti, e tutte le grazie polidoreschc è dieci palmi lungo per sette. Venerando si appresenla sulle prime un sacerdote di sacri abiti vestito presso ad un ara, coperta di una gran tovaglia bianca, con ornamento di color biancoroseo, e di sotto alla stessa vedesi scen- dere verde tappeto. Egli à grave lisonornia , che tutta indica la imjìorlanza del suo ministero. Resta alia diritta il buon vecchio Simeone, di canuto crine, bianca e pro- lissa barba : ricco è il suo abito che ci oilie mi color violetto ornato di oro, e cinto al dosso; scende dal suo collo un gran manto sul quale avvi un mozzetto color cremisino cangiante, che sta in atto di accogliere nelle sue l)raccia l'infante Gesù. La pietà, il candore, la mo- destia , la maraviglia vi si leggono bene espresse nel venerando volto, e quel sommo contento di veder pria della morte pargoleggiante il Verbo nel suo seno, e par che vogha schiudere il labbro a dovuti ringraziamenti, alla promessa di Dio già avverata , e dire : Puoi la- sciarmi, o Signore, in preda alla pace di morte, poiché gli occhi miei ti videro in terra, avanti di teco bearsi uci cieli, ove cinto di gloria infra i beati cori ti stai. Si sta alla sinistra il pargolo Gesù in seno alla ma- dre, volto quasi a Lei lo .sguardo per quanto muto tanto eloquente; e chi a lui si rivolge vede l'ammirabile espres- sione, il giusto e nobile disegno, vede la immagine ver- ginale della bellezza; vede un putto, ma dal tralucente volto vede un raggio vibrarsi della Divinità ; e s\ che

Tra ciglio e ciglio Di quell'imago, ah come il divin raggio Par che sfavilli, ah come ìq su quel volto La Onuijiolciiza graadcggiar si vede! (i)

(i) Paparo Viaggio pit. e. 12.

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La madre divina , vezzosa oltre ogni umano immagi- nare, che al veccliio wSimcone il porge lia una fisonomia, che uno stile apprcseuta il più nobile , sul cui volto quasi graziosamente par clic radessero i biondissimi suoi capelli, e sembra qual la dipinge vaga e bella l'Evai;- gelista S. Luca. L' adorna abito color di rosa con un gran manto di seta color Irasmariiio , calzata di cotur- iielti color bianco-roseo, mostrando a quando a quando il bel nudo dei piedi , ed lia involto il capo in mae- stoso bianchissimo velo. A fianco le si vede 1' ottimo attempato suo marito; e tia la tcsla della Vergine e '1 putto aflàccia un altro volto di vecchia età con rugosa Jionte: ella è la Profetessa Anna, che ha il cajio e il petto in bianco lino involli : ah come si legge in quel volto la maraviglia! Nel basso scaglione dell'altare (due essendocene ) una bella giovane madre èia lenente sul capo una cesta diligentemente finita con la meschina ofli:3rta di due biaiicliissime colombe, che con la destra la sorregge , stringendo con la manca un ignudo bam- hino , che ha in lei fiso lo sguardo. Venerabile poi è quel vecchio a fianchi di Simeone, che sebbene ci pre- senta il dosso, pure a noi volge la faccia, nella quale vi trovate descritta la sua sorpresa. Nel centro del lem- pio appariscono quattro colonne di ordine corintio , ed una nicchia dall' alto, di cui pende lampade accesa : a due delle colonne abbracciansi due figuie; e se spingete Torchio pii'i al fondo, voi vedete la città di Solima, e nelle sue logge diversi gru])pi di figure stanti a guar- dare la grande funzione cun ammirazione e stupore. 3Nel fondo della nicchia due camilli o cherichctti pre- sentansi con accese torcie, e vicino alle due colonne cciilrali una testa di un noliile vecchio, ed una donna: al fondo della dritta rilevansi due leste , una delle quali, accosto al felice Simeone, un vecchio rappresenta con lunga e folta barila e con manto color verde , che gli ricopre la testa, ed in centro alle altre due-

1 09 colonne una mezza figura di mezzana età ; al fondo poi del quadro ed a man sinistra di colui che guarda, voi vedete lo stesso autore che vi mosti-a il suo pro- filo, e che rimira attentamente il suo proprio di[)into.

Chi ben conosce le bellezze della invenzione e del costume pittorico non può ristarsi dal lodare a cielo il divino artista; questo solo; che il colorito, il quale è il core della pittura, come, al dir dello Speroni , la elocuzione lo è della eloquenza, è sublime e celeste. Vi si osserva correzione e nobiltà di disegno, vita nelle figure, le quali Juttocliè sieno al numero di diciassette, pure non rendonsi inutili o straniere al subbietto rappre- sentato ; e tutte che la pittura compongono sono ben congiunte nell' azione, m che può ricordarsi il nicìiil molitur inepte di Orazio. Noljile stile anno inoltre i panneggiamenti or ricchi e fastosi, or umili e modesti, e di molta grazia e lucidezza vanno adorne le carni; e vi regna armonia e vigore nelle tinte ben vaghe ed armonizzanti fra esse.

È in quel tempio che sia una tela lunga sette palmi per quattro dell' urbinate Federigo Barozzi. Rappresenta un Crocefisso con ai piedi una Maddalena vestita di abito color rosa, di un gran manto color giallo. Il fondo di esso quadro è un'aria torl^ida spezzata qua e da qualche raggio di sole, che si vede da poco sorto ad illuminarci. Nobilissimo è lo stile del Croce- fisso, nobile il contorno delle membra, ma vince ogni nobiltà la bellezza della testa. Quanta è vaga la Donna di Maddalo! si sta ella genuflessa a pie del tronco, abbracciando col sinistro braccio la Croce, e col dritlo, che ci mostra di profilo, stringe un bianco l'azoletto. Bel vedere quel volto oggetto di scandalo un tempo, or composto a pietà; guarda il Crocefisso, e quel lan- guido sguardo figlio di compunzione e tenerezza per la morie del suo Dio, ispira pietà, contrista, addolora; e coU'alzar della lesta vanno scinti siuO a terra i lunchi

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biondissimi capelli. L'Autore conlentossi di esser sem- plice, e non introdurre altre immagini per mostrare con più studio l'azione , e la espressione delle due figure, e per viepiù rendere equilibrato il suo dipinto.

Trasportiamoci ora per poco alla Chiesa cattedrale; accostiainci alla maggior ara di quel tempio, e guardiamo la tela che pende dall'alto. Lunga sette palmi per quat- tro è di felicissimo pennello , ed in essa ci si ammira la perfezione del disegno, la semplicità dello stile , la soavità del colorito. È l'Apostolo Bartolomeo in quella dipinto in atto di predicarci la ])arola di Dio , vestito di uu gran manto rosso con sollomanlo color verde , barba prolissa e nera. Stringe la destra il coltello del suo martirio , e la sinistra il Vangelo ; nel fondo del quadro si la appena vedere una delle Isole Eolie, ma comechè mal conservato non può distinguersi quale si fosse ; e&so però è senza dubbio il più illustre dipinto che in questo duomo ci esiste, ed il grande lavoro del sempre commendevole Antonello da Messina. dub- bito che la tela di cui è parola a quel bellissimo in- gegno si appartenga, come una delle sue più eccellenti opere, mentre tutti i dipinti di Antonello sono accom- pagnati da esattezza e delicatezza , finissima che ne formano la vera caratteristica.

In uno dei Cappelloni laterali da poi resta una ta- vola lunga otto palmi per cinque e mezzo ove il gruppo si osserva di quindici figure: la quale ci oflie la V'er- gine del Rosario assisa ad una seggiurda col pargolo Gesù tra le delicate braccia, ai di cui piedi stassi aperto un libro sul quale giace graziosamente uu fiore. Ai due lati del quadro genuflessi si veggono S. Domenico , e S. Rosa; e sulla testa della Vergine due bellissimi putti sospendono una corona, ed in atto si mostrano di riporla sul venerando suo capo. Tra mezzo alle figure, ed al lato sinistro del quadro si alza il pittore stante a guar- dare l'opera sua, e par che voglia spiare quale appro-

i6i vazione essa si è dal pubblico ammiratole meritata. Il grande di questa dipintura è riposto nella somma soprafina grazia. Questo quadro è girato di i5 qua- drettini in tavola designanti i misteri lutti del Rosa- rio ; a piedi si vede finalmente una tavoletta bislunga di 1/2 palmo di larghezza per 5 1^2, rafligurante la predicazione di S. Domenico; e se di vaghezza e gra- zia va adorno iL quadro principale , può asseverante- mente dirsi, che l'Autore abbia superato se stesso, ed il suo grande dipinto in queste tavolette. Esse sono l'opera di quell' arguto pittore da S. Angelo, del fon- datore dell' Accademia pittorica di Roma , di Federigo Zuccaro.

Sta all'opposto cappellone un quadro 18 palmi lungo per IO circa, che alzasi sull'ara del Sacramento. Si vede la gran cena di Gesù Cristo colà imbandita sul uionte Sion ; opera non del fondatore della scuola fiorentina , ma di eccellente pittor che lo somiglia. Come lutto è naturale in quel dipinto! come il gruppo di i3 figure è ben disposto! come quell'angelo che apparisce in su del quadro ci richiama l' attenzione al prodigio che sta oprando il Verbo di Dio , allorché si vede alzata la bianca destra a benedire il pane, sendo esso stesso, con maraviglia a guatarlo intento ! Il quadro è a lume di notte , ed è col favore della luce che a noi tramanda una gran lampade, quale pende in mezzo ad esso, per- chè potessimo osservare al fondo un colonnato e la ve- duta forse delle scoscese rupi del Sion. Semplicità, ar- monia, naturalezza, tutto splende nel dipinto; e quella calma che à una retta coscienza ben si ravvisa sul volto degli Apostoli; ma se poi ti rivolgi a risguardar l'Isca- riote , il quale si sta col dosso volto a Cristo , e con la nera mano quasi tremolante all' ispido mento appog- giata; il raccapriccio ti assale, perchè tu vedi un mo- stro, die l'orrendo fallo sta per meditare, ed egli, còme è dipinto, ha La jace in seti del cupo a^eriio dccesa.

r autore volle trattizzare il viso di alcun apostolo quasi divino, come rautico Leonardo il fé' nei due Gia- comi, che qui il volto solo di Gesù Cristo tutta ci pre- senta la eccellenza della Divinità. Alla sinistra poi del quadro in piedi si legge; EQUES VINCI PiN. AN. 1776

Nel tempio dicato alla Immacolata Concezion di Ma- ria, e Dell'ala sinistra di esso resta in fondo alla stessa una tela del non mai abbastanza laudato cavalier Mas- simo lunga IO palmi per 7 1/2 i-appresentante la Im- macolata Donna Ebrea da un Lei gruppo sostenuta di angeli. Che bel gruppo ! ogni vaghezza denota gra- zia! Sono essi conjpili di ordine , lorma , e moto. La Vergine presenta tutto lo incanto, e la sua venustà mi- sta alla bellezza del corpo ed alla grazia degli atti serba quella umiltà che ispira riverenza. Quanto è grande e varia quella gloria simbolica ! Si stannò a piedi genu- flessi due vecchioni che da meraviglia compresi e da santa pietà guatano la gran madre di Dio. L'uno è An- tonio Abate; e la squallidezza del volto, e quelle lun- ghe rughe da mano maestra ben ombreggiate, e quella lassezza di membra mal reggentisi ad un legno su di cui appoggia la dritta mano ci ricordano la orazione , ed il digiuno del deserto dell' Egitto. Ma comechè la tela non sia in ottimo stato , non può ben descriversi l'altra figura.

Nella chiesa dei Padri Minori Osservanti vi esistono due tele di un pittor messinese , che pel suo foco nel dipingere assomiglierci a Luca Giordano; ma in lui e '1 colorito, e la vivacità del pensiero ancor primeggiano, e la fervidezza del genio trasparisce. Bellissimi quei di- pinti si sono, e danno a divedere un grande dipintore, che suole trasfondere con la massima celerità nelle opere sue il nobile colorito, lo squisito disegno, e quanto di oltimo è necessario a render bello, e (juasi perfetto un pittorico lavoro. La prima di esse telo lunga palmi 9

tG3 per 7 t/2 circa rappresenta S. Pasquale che stassi ado^ rando il tremendo Sagramcnto dell'altare da più vaghi angeletli sorretto , che a lui fanno vaghissima gloria e corona. Al lato sinistro del quadro sta una Vergine di molte grazie adorna riccamente vestita tenente nella si- nistra mano un Crocefisso, e nella destra una bandiera: essa è Orsola da tre vaghe donne seguita. Il Protago- nista sta genuflesso, ed è sul finir di quella colonnetta, che gli serve di appoggio che si legge Tanno nel quale quell'opera fu du lui posta a fine 1741 5 ed a pie poi della tela iscritto il suo nome Giovanni Tuccaii.

La seconda larga palmi 8 per 12 circa presenta al lato destro G. C. in sulla Croce che schiodala la de- stra porge il chiodo alla tenera Teresa che resta alla sinistra del quadro, dielro alla quale dolcemente sorvola in guisa di candida colomba il settiforme, e sulla testa della Diva sta angelo che le porge una corona. La Croce dalla quale pende il Nazareno è sostenuta da cinque bellissimi angeli; ed iunanti i piedi dell'uomo Dio altri due vi si osservano, dei quai 1' uno mette con la de- stra una lancia nel core che gli porge colla sinistra S, Teresa: 1' altro con un fiore stringe alla sinistra un libro, ove a caratteri cubitali si legge AUT PATI AUT MORI; parole che vengono mostrate dall'indice della sua destra. All'insù del quadro altro angelo vi sta che ci presenta il dosso , ed in piedi è scritto a minuto carattere Gio- vanni Tuccari.

Can. Carlo Rodriguez.

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All' egregio sig. Duca ni Seruadifalco ec. ec. Ferdinando Barone

Un' Otle, che imprende a ricliiamare una delle epo- che più lagrimcvoli, cui soggiacque mai il nostro suolo; un' Ode clic si fa a lamentar la perdita di più di trenta mila uomini caduti nel brevissimo termine di pochi gior- ni, comprenderebbe 1' anima d' indicibile amarezza , e mostrerebbesi monca di una delle sue parli più essen- ziali, trasandando di far onorata menzione di quei pre- diletti spiriti, che in luezzo alle sventure della trava- gliata Patria nostra, tutta spiegarono quella generosità d'animo, che ad alleggiar le immense ferite di Lei si richiedeva maggiore.

I nomi loro a cifre indelebili scolpiti si riposano in ogni cuore palermitano, ne puossi la triste reminiscenza di tante inrepabili perdite, affacciarsi all'atterrita nostra mente, senza che non venga a consolarla, il dolce sen- timento della riconoscenza, e dell'anuuirazione, die sep- pero in noi guadagnarsi benemeriti figli della Patria,

prestantissimo signor Duca, quando più il micidial morbo infieriva appo noi, le preziose vite mietendo dei più sublimi sccnziati, dei più esimi artisti, dei giure- consulti più gravi, delle più cospicue e virtuose matro- ne, delle più belle ed illibate vergini, dei giovani più fiorenti , Voi largheggiaste di ajulo e di soccorso. La vostra mano benefica non mostrossi restia nel sollevare le altrui miserie, anzi sollecita vi accorreva, in rasciugare le lagrime di tanti infelici orlimi, ed in sollevare tante de- solate famiglie, ridotte, perla perdita dei loro capi, alla mendicità , ed alla disperazione. Piacemi riandare così belle azioni , che aspergon di dolce 1' amaro di nostre sventure, e che accrescono un lustro assai più durevole alla chiarezza dei vostri ineriti.

i65 Il labbro riconoscente dei vostri beneficati, si afTrctlò a divulgar per ogni dove, quello, che con tanto studio la vostra modestia si sforzava di celare; ed è piena Pa- lermo, e risuona ogni bocca della vostra generosa filan- tropia , e di quella santa carità di Patria , che sapeste a prò' di tanti infelici in quei dolorosi giorni, e profon- dere, ed appalesare. Che riconoscan tutti in voi, sommo indagatore delle siciliane antichità, che con senno, pa- zienza, e dottrina avete saputo raccogliere e tramandare negli aurei vostri volumi, l'uonìo, che sa con mirabile armonia sposare alle sublimi doti della mente, il pro- fondo sentire del cuore.

Dedicandovi questo mio teuue lavoro, che spero be* nevolmente accoglierete , ho vohito darvi un attestato non equivoco di quell'alta riverenza, che per voi sento, e che a voi, gentilissimo signor Duca, mi stringe, e ri- parar così nel tempo istesso alla pochezza dei miei versi,

fregiandoli del vostro riverito nome.

o

Fella terribile strage prodotta dal micidial Cholera asiatico in Palermo^ nei mesi di Giugno e Luglio del i83y.

ODE

Sen sei crude! se tu già non ti duoli E se non piansi, di die viam^er suoli? Dan. Inf. C. òì.

O

Patria mìa, di lagnine Tristissimo retaggio L'Eterno a te dal nascere Prescrisse ahimè ! un raggio Di Sol per te propizio Videsl mai spuntar.

Cresciuta al (luci, fu gaudio Per te V esser mcn trista, Che mai d' ;imara copia L' onda del liei, fu vi.'ta, Per huigo andar di secoli, Ai danni tuoi mancar.

E pur d' un riso etereo Vesti tue piagge il Nume, U'iia le rose, i /.cfliri Le rugiadose piume, Fra i ceilri fra le mammole, Spicgan fra i gigli, ognor.

4-

E pur su le spontanee Biondeggiano le spichc, Di mille fiori olezzano Tue collinette a|)richc, Dei Ciel l'azzurro, l'aure, Spiiano, r onde, amor.

i(iG

Quaì prò ! s' a eterno strazio Dell' uomo, la sventura, UcsjKìta solitaria, Fra il riso di natura Siede, e 1' amor degli esseri, Volge in eterno duol.

6.

Non mai di umane vittime Sazia sua voglia avara, S|X)glia non mai di lacrime Fu r esacrabil'ara, Alii ! sventurata Patria, Dacché ti vide il Sol.

Te negli oscuri e miseri Di, d'innocente esigilo, (i) Te dai parlanti ruderi, Con lacrimoso ciglio, , Della lontana Ortigia, A'aghcggio in mio pensicr.

E a te volo coli' ansia (2) Di chi un bene sospira, E a te precorre 1' anima Per troppo amor delira, E s' abbandona a un' estasi, U' par non gimiga il ver.

Ma qual d' orror spettacolo Dato a me fu ! non mai Tisi a mirar i trepidi Esterrefatti rai , Dacché la luce bevvero Del Sol che gli animò.

Quanto diversa, ahi misera ! Del tuo splendor natio, A me t' offristi, o Patria, Segno al furor di Dio, Che ili te trcmciido il calice Dell' ii-a sua volò.

Dal tuo celeste, vedova, Animatnr sorriso, Di te non più l'immagine. L'ombra non più ravviso; Can{{iata in tomixi, squallida Morte ti calca ai pie.

12.

Ahi ! più di te fa scempio, Più dei tuoi tìgli ha sete, I llorid' anni, i gelidi. Cicca confonde e miete, la virtù risparmia. Meta ai suoi colpi cU' è.

i3.

Dei voler suoi terribile Ministra esecutrice. Dall' ampia bocca lurida Vencdc' aura elice, Che dal Gange infausto (3) Seco tradotta £11' ha.

,4.

Mandar Natura un fremito . Al fatai soffio suole, Gli astri oscurarsi, l'orbita Impallidir del Sole, Raccapricciar la trepida Gemente Umanità.

Qual di Libeccio al soffio Del mar la mugghiant' onda, Irata al lido frangesi. Ch'urla, llagella, inontlaj Pari si stende 1' alito Dei morbo slruggilor.

Qual sotto falce cadono Recise al suol le biade, Delle Sicane Vergini Il più bel tior si cade, Dei viril sesso, all' ultimo Fato, soggiace il lior.

'7. 1

Come al ruggir del turbine Giacer divelto, all' ira, Suir irto cain|X> squallido, Col ramo il fior si mira, Il fior, clic ancor dell' aure Kon ha fruito il benj

i8

Nel malcrn'jalvo il tu molo, Sì, l'immatura prole Trova, ahimè! pria di schiudere I rai nascenti al Sole, E della madre esanime L' è tomba il freddo sen.

>9

O fatai giorno! un simile Non vide orror l'Egitto^ Quando del Cielo il fulmine Al suol prosilo trafitto Lo stuol dei priraogeuiti, Nell'ira del Signor.

Di 'tanti estinti al novero Mancar le tombe, l'ossa Confonde insieni, rimescola Oscura una sol fossa. Che confortar di kicrimc Dato nou è al dolor (4).

Del di all'orror succedono Terribili le notti,

I taciti silenzi

Sol dai monatti rotti, Accrcscon <lclle tenebre

II sepolcrale orror.

Sotto le spoglie esanimi Le cigolanti ruote Mandan dei carri un gemitO) Che il cor l'agghiaccia e scote, E un sudor freddo, un brivido L'alma comprende, il cor.

1G7

a3

voi dal crudo eccidio (5) Dilette mie germane Il Ciel campò; non valsero Le j>reci mie, l'ur vane. L'ira di morte a vincere, Ad arrestar lo stral.

Oh qual mai feste rapida (6) Al giunger mio partita. Da questa terra infausta, Ov'é un morir la vita; A respirar cogli Angioli Eterna aura iminortal.

25

Scosse da un dolce tremito Di gioja e di dolore. Dei giorni miei sollecite. In abbracciarmi o Suore, Dolci fra noi le lacrime Si coafondean d'amor}

26

Quando al sen strette, il jialpito Dei cori nostri uoia, Dolce un amplesso, un yiucolo, Carmela, Rosalia, Meco traendo l'idolo. La donna del mio cor.

27

I vostri baci fervidi

In qucU'orror di morte.

Meco, hai! raembranza, alternansi,

E la fcdel Consorte,

Ch'ama con me dividere

Il vivere, il morir.

28

E anch' io di morte vittima, (7) Cólto dal morbo anch'io. Già mi prc| uro a .rendere L'estremo (iato a Dio, E voi nell'urna gelida Dilette mie seguir;

iG8

29

Ma della sposa i gemiti, Le lagrime cocenti, "N'ide ed luli, la Vergine, La Madre dei redenti, E col suo braccio ounifico 11 colpo disviò.

3o

Un singhiozzar, un ululo, Un lamentar per tutto. Funeree bare, e lugubri luiagini di lutto. Miri ed ascolti..,, in cenere La pomjia si cangiò.

3i

Dei sacri bronzi al flebile Lamento, al tintinnio, Corre, s'atterra il popolo Alla niagion di Dio, Le sacre mura crlicggiano Al grida di pietà (8).

32

Ma dei <uoi falli il novero Colmò la ria misura, Tardi or t' avvedi, ahi misero! Fabbro di tua sventura; Intempestivo è il piangere, Ascollo in Ciel non ha.

33

n fatai degli esseri Presso già par, la tomba Sol'offre a noi ricovero, Della tcri'ibil tromba L'estremo squillo, attonita Sembra natura udir.

Ove fuggir, mia tenera

Compagna, e mio conforto; Ove a tant'ira, incolumi Trovar sicuro un porto? Fra le tue braccia stringimi, Bello è eoa te il morir.

Moriam... ma già la vindice Tremenda ira divina, "Vinse Pietà, Giustizia Nella fatai vagina >

Itijiose il brando, e agli uomini Tornò Sereno il di.

3G

Meco del Nume al tempio Ti prostra, o mia diletta, Sciogliam di gloria il cantico, Al JJio della vendetta. Che dei suoi figli il gemere. Dall'alte sfere udi.

Pace prcghiam per l'anime, Che al Ciel fecer tragitto, Pace per quei, che vittima Caddcr del lor delitto, Quando infernale un demone Gli spinse ad insanir.

38

Quando esultar si videro, Alia ragion rubelli. Fra le innocenti vittime, Nel sangue dei fratelli; I danni tuoi Sicilia, Intesi ad inasprir.

39

Pace all'afflitta Patria

Cinta di negro ammanto. Pace a Sicilia, tiepida Ancor di sangue e pianto. Sposa preghiam, il turbine, L'^Eterno dissipò.

40

Gran Dio! dal pianto emergere Tu fai la gioja, il fiore Sorge ])er le fra i triboli, Qual riso nel dolore. La luce dalle tenebre A un cenno tuo spuntò !

NOTE

(i) Riguarda 1' autore come csiglio la di lui destinazione a Segretario del- l'Agenzia Doganale in Siracusa, perchè -lontano dalla di lui Patria da ciix:a a 3oo miglia.

(2) Descrive il Poeta il trasporlo di gioja col quale facca ritorno alla Pa- tria in quei giorni memorabili di dolore.

(3) Non fa mestieri ricordare aL lettore, che il terribile morbo desolatorc dell'umanità abbia avuto origine nel Delta del Gange in Asia, e che siasi jxv- scia da questa propagato in Europa.

(4) Fu cosi eccedente la copia de' cadaveri a Palermo , che bisognò seiv pellirsi in confuso dentro le fosse di quel Camposanto, le quali colme, ven- nero in seguito coverte da uno strato di calce e tnfq , e quindi turate iffatlo da una lunga catena di jiietre quadre, ad evitare che la micidiale esalazione delle particelle miasmatiche, nella putrefazione dei corpi, potesse nuocere alla vita animale dei superstiti, campati miracolosamente a tanto eccidio.

(5) Lamenta lo scrittole la pci-dita di due sorelle cadute vittima nella stra- ge comune.

(6) Non eran corsi che sette giorni, quando il Barone reduce da Siracusa a Palermo; videsi barbaramente rapire, nel brevissimo spazio di ore 24, dal- la morte le due germane, di cui deplora la perdita.

(7) Allude qui lo scrittore al portentoso riacquisto della di lui salute, dietro essere stato mortalmente preso dal Cholera.

(8) Non e credibile come nel colmo della desolazione, e della morte , la pietà cristiana spiegasse tutta la sua forza , ed energia nei petti dei Pa- lermitani. I tempi popolati mai sempre da un-i folla di pietosi fedeli echeg- giavano di altissime e commoventissimc grida. E debito di riconoscenza il ri- cordare come i ministri dell'Altare, e con ispecialità la cdilicandissima e non mai abbastanza lodata Compagnia di Gesìi, largheggiassero in quel ter- ribile ii-angcntc del loro |)ietoso ulìicio, a prò dei desolati moribondi, sprez- zando animosamente la vita. Animati ccslantemcnte da quel santo zelo evan- gelico, che si fa incontro ai pericoli, furon veduti correre in mezzo ad essi con esultanza e fiducia.

l'-O

NOTIZIE EPILOGATE

ASIA MINORE

Galatjik Bogaz-Keni

Scoperta di grandi leoni in marmo , di bassi rilievi., e di ruderi appartenenti a vasta ed antichissima città.

II signor Tcxier , incaricato dal Ministro dell' istru- zione pubblica in Francia di visitare rOrienle, come na* luralista e come antiquario^ lia fatto una relazione di- retta all'Accademia reale delle iscrizioni e belle lettere di Parigi, in cui conto di Una parte del suo viaggio nell'y^sia minore da Angora sino a Cesarea in Cappadocia.

Il viaggiatore da Angora dopo i5 ore di cammino passò a Galatajik, die è forse l'antica Sarmalius men- zionala da Tolomeo. Ivi altro non vide in mezzo a ru- deri di antichi edifizi del tempo di Adriano , che pa- recchi grandi leoni in marmo di mezzana scultura; e ve ne sono più di trenta ben conservati lungo il cammino da Angora a Konich.

Nel villaggio di Bogaz-Keni osservò i resti di una città occupata oggi nel suo interno da una foresta di querce nane , circondata da una muraglia di 5 metri di gros- sezza. Osservò alcune porte l'una delle quali formando altra volta un arco è ornata all'altezza dell' impostatura di due grandi teste di leoni: osservò de' sotterranei, tre acropoli situati sopra alte rocche isolate; un tempio in- nalzato sopra varie spianate; le quali cose son tali, giu- sta il parere del signor Texier, che rendono quel luogo uno dei più importanti dell'Asia minore.

Credesi che ivi sorgesse V antica Sitando^ città della Cappadocia, di cui ignoravasi l'esatta posizione anche ai

.17' tempi di Slrabonc. e clic non fioriva se non in epoche

anleriori allo stabilimento dei Greci in quelle contrade. Presso le rovine di questa città il signor Texier scoprì alcuni bassi rilievi situati in un ricinto di rocche che hanno l'entrata volta verso levante, siccome le ter- razze di Persepoli. Questi bassi rilievi sono un seguito non interrotto di ligure che gradatamente dalla media natura giungono sino alla colossale. Elle camminano nel medesimo senso: son vestile di una leggiera tunica che lor discende fino alle ginocchia: alcune sono armate di davi , di falci, di grandi scimitarre , e di altri oggetti phe sembrano fiori, o branche di alberi. Vi si osservano pure sacerdotesse e sovrani , seguiti più o meno da numerosi corteggi. L'epoca, a cui si possono far montare questi singolari monumenti, sembra anteriore all'introdu- zione delTarte ellenica in quelle contrade. Dai j^artico- lari poi , dalla disposizione , dal costume medesimo di alcuni personaggi possiamo dedurre essere stati quelli imitati dai monumenti dell'Egitto.

FRANCIA

Parigi

Disfida poetica fra un italiano^ un francese^ ed un tedesco.

Un esperimento che sarà registrato nei fasti della let- teratura europea lia avuto, non è gran tempo, luogo a Parigi. Un Italiano un Francese ed un Tedesco tutti e tre ispiiali dall'arte divina di Apollo, e presi l'un l'altro di quello spirito di emulazione che fa sovente operare grandi prodigi, si offrirono d'improvvisare l'un dopo l'al- tro e nella medesima sera sopra quei temi che il pubblico parigino avrebbe loro designali. Fu la sala del Ginnasio di musica destinata a quest'oggetto. Quanto vi ha di -più culto e più nobile in quella gran città, sia fra gli

'7^ . . . .

stranieri sia Ira i francesi componeva l'iulienza, che era

accorsa incerta spettatrice di quella gran disfida poetica. Parca che la patria di ognuno signoreggiasse il pensiero ed il cuore, che ad ognun di loro sembrava la vittoria o la sconfìtta tornare a gloria , o a disdoro del nativo, paese. Già i nomi del Cicconi, di Eugenio de Pradel, e di LangensclìAvarz, cheran l'italiano il fiancese ed il tedesco nelle bocche di lutti suonavano. Ognuno doveva in suo linguaggio improvisare. Al primo uscì in sorte la prigionia del Tasso , al secondo gli Slati di Blois , al terzo Giovanna Graj. Il primo ad improvisare fu il " tedesco, poi il francese, e ])0Ì Titaliano. La commozione dell'udienza era profonda. Ognun di quelli fu giudicato- e per se stesso e in confronto degli altri due. L'Italiano ottenne la palma in tutti e due questi giudizi. Gran trionfo di giustizia fu questo. Possono gl'ingegni essere per avventura balluli dagl individui, ma dal pubblico,: qualunque sieno le passioni e gli affetti che dominano, non lo sono che raramente.

Bcaumont

Scoperta di un sepolcreto e di alcune medaglie.

JVcl territorio di Bcaumont alcuni operai occupati ai trav.igli della strada di Marchienne-au-Pont scovrirono quattro grandi pietre che presero in principio per masse calcari , ma che riconobbero bentosto per una tomba. Vi rinvennero un vaso di terra, che sembrava aver racchiuso delia cenere , e nel quale si trovarono otto medaglie e due anelli. L'una di esse è mollo ben con- servata [)cr potcrvisi leggere la parola Jntoninus e non Aìitonius come erasi creduto in principio. L'urna si era disgraziatamente rotta dagli operai in minutissimi pezzi.

Dietro l'esame dei commessari, addetti agli scavi di

quel paese, risulla che il monumento di cui si tratta è effettivamente un sepolcro dell' era romana ; e quanto alle medaglie elle non sembrano avere alcun valore , perchè molto comuni.

INGHILTERRA

Tassa dei poveri^ ed opinioni sulla medesima di Deaerando e di Dupin>

Elisabetta organizzò la tassa^ così delta, dei poveri^ onde dare ad ogni ciltadino d'Inghilerra una certa som- ma giudicala necessaria alla sua sussistenza sopra il red- dito slabile di ciascuna parrocchia.

Nel 1690, questa tassa elevavasi

a 6G5,363 lire sterline.

Nel 1700, a 689,971.

Nel 1775, a 1,726,316.

Nel 1795, a 3,388,218. . 181 31

Nel i8i4>a 8,164,49^5 *^^^ milioni delle quali i8i5) erano assorbite dalle spese, e finalmente nel i832 , a 7,369,780, falla deduzione delle spese , cioè a dire di 187 milioni di franchi.

Due grandi uomini amiunziano due sentenze contrarie intorno alla cennala tassa , Degerando e Dupin: il pri- mo biasima , il secondo loda. Riporteremo 1' opinione dell' uno e dell' altro , che torneranno ai nòstri lettori non disutili per la parte di verità che. contengono am- bedue. Il Degerando dice che il difetto di regole pre- cise per la determinazione dei titoli ai soccorsi; il dare ai poveri dritto di poter reclamare i soccorsi per le vie giudiziarie, d'onde son nati tanti processi che inaspri- scono il povero e assorbiscono una gran parte del pro- dotto della tassa ; e finalmeule il mantenere i salari a

'74

un livello sempre costante indipenJcntemetite tlcl tra- vaglio non fa clic incoraggiare la pigrizia tlell' operaio. E così la tassa aiuiieiila iti una volta ciò che si propo- neva di diminuire, la miseria ed il malcontento.

Il Dupin per lo contrario dice essere stato uno dei più grandi pensieri di Elisabetta di avere stabilito che ogni Inglese avesse dritto di reclamare dal suo paese ciò die gli mancava ,per la sua sussistenza. La qual cosa deesi considerar come causa clic lia dovuto somma- mente contribuire a mantenere la fierezza e 1' energia del carattere nazionale. Di più la tassa è un benefìzio in ciò eh' ella inantiene nel salario quel livello che le j-apide rivoluzioni dell'industria son venute più di una volta ad abbassare in un colpo. L'invenzione d'una mac- china toglieva spesso ogni mezzo di sussistenza a cento due cento mila operai: la tassa dei poveri e venuta in loro soccorso. In somma ella permetto agl'Inglesi, allorché un'industria rivale s' innalza, di abbassare il salario ed il prezzo dei prodotti, sintantoché essi ne abbiano schiac- ciato la concorrenza.

LONDRA

La più ricca biblioteca di Europa.

La migliore biblioteca che si conosca in Europa e quella di lord Spenser: quegli stesso che comprò qua- rantacinque mila franchi il Decamcrone di Boccaccio , di edizione la più antica che si conosca , e che finisce col Deo gratias. I librai d'Inghilterra si ragunano tutti gli anni, e fanno un pranzo in commemorazione di que- sta celebre vendita. Il catalogo che lord Spenser stampò della sua biblioteca fu venduto 800 franchi. Ivi sono i classici di tutti i tempi e di tutte le nazioni , classici in ogni genere di sapienza : vi si ritrovano le edizioni le più scelte, e le più antiche.

17.5 È costume di quel ricco e culto magnate di stare pa- recchie ore al giorno nella sua immensa biblioteca, per- correrla sempre in tutti i versi, leggere or questo, or quel volume, e trovare ivi la sua beatitudine.

Non vi ha culto straniero che andando in Londra a Lord Spenser non si presenti , e non cerchi di vedere quella magnifica collezioue di tutti i pensieri dello spi- rito umano.

ITALIA

Todi Scoperta una stupenda statua di bronzo.

Una grande scoperta si è fatta non è guari negli scavi del cennato paese cioè una statua di bronzo, rappresen- tante un milite, di grandezza quanto il vero, della più perfetta bellezza e che ha tutti i caratteri del più subli- me stile toscanico. Ma quello che rende più preziosa questa scoperta si è la iscrizione etrusca che si è tro- vata incisa in una delle piastre o lamine che pendono dairestremità della corazza, e le fanno frangia. I poli- glotti romani attendono attualmente ad interpetrarla; ed abbiam sicure notizie, che varie spiegazioni se ne sicao già date.

CERTALDO

La casa e la tomba del Boccaccio.

Cerlaldo, villaggio a trentacinque miglia da Firenze, divenne famoso sin dal secolo XIV, per essere la pa- tria di uno dei tré rigeneratori della civiltà europea , Gio- vanni Boccaccio, e per racchiuderne le ultime reliquie.

Ivi si visitano con religioso rispetto la casa e il se- polcro di lui ed un' immensità di gentili reminiscenze

5

176

tornano alla mente, e ci piombano, sul cuore. Le vicis- situdini dei tempi avean fatto minare la casa, e profa- nare il sepolcro. Ma fortunatamente una delle più eulte, ed amabili dame fiorentine, la signora Carlotta Lcnzoni, venne a questi ultimi anni in loro soccorso, e rivendi- cò gli oltraggi che si eran fatti alla memoria di quel grand'uomo. Imperciocché comprò la casa, la restaurò, ne ricostrusse le scale perdute , vi appose l' immagine del poeta dal Benvenuti dipinta, vi collocò le edizioni, le più belle e le più ricercate di tutte le opere di lui, e l'adornò dei mobili più antichi che in Certaldo si ri- trovavano, e di altri ehe a foggia dei costumi del 3oo ne fece formare. Notevoli si reputano in quel santuario le piccole finestre che son tuttavia le antiche , e non tocche dalla mano degli uomini: il pozzo il bagno ed una vecchissima lampada, che credonsi quelli dal Boc- caccio medesimo ricordati , vi si osservano ancora con religioso rispetto, e sono i più bei fregi di quel celebre tetto.

La tomba esisteva nella Canonica di Certaldo con una lapide che l'iscrizione, dal Boccaccio medesimo compo- sta, contenea.

. A queir umile sepolcro fu sostituito nei principi del secolo decimo sesto un superbo monumento, per il no- bile pensiero di Lattanzio Tedaldi, podestà di quel co- mune. Ma nel iy83 quando Leopoldo I emanava la sa- lutare legge di non potersi seppellire i cadaveri nelle chiese, il rettore della Canonica certaldese, cui ia sto- ria ha consacrato all'infamia, iniquamente interpretando quel sovrano editto, pensò di disumare il cadavere del grand'uomo, seppellirlo nel cimitero, ove confuso cogli altri corpi si giace; e così venne dopo sei secoli a pro- fanarsi, con sacrilega mano, l'ultimo riposo di chi avea tanto lustro recato all'Italia, e proccurato la rigenerazione dei popoli.

Il cranio e le ossa furono inlalte rinvenute : un ro-

'77

tolo di pergamena entro un tuba di piombo, eli' era in- sieme al corpo, fu involato dall' iniquo rettore, ne mai si è potuto penetrare ov'egli fosse. Quella reliquia sa- rebbe stata preziosa alla storia delle lettere; e si è per- duta ornai ogni speranza di ritrovarla. Così dopo cinque secoli venne turbata 1' ultima requie di Giovanni Boc- caccio.

La Lenzoni ricuperò con ogni studio la lapide di che sopra parlammo , e che rotta in più parti giaceva ne^ gletta nel chiostro vicino alla chiesa in mezzo ad altri frantumi : ella ne congiunse i pezzi, e facendola ritor- nare all'antico stato, e in modo che facile vi si leggesse r iscrizione, la fé' trasportare alla casa del Boccaccio , (divenuta per essa un tempio nuovo di religiosa osser- vanza), onde alla venerazione delle genti si conservasse.

Pietro Giordani, a richiesta della nòbile donna, dettava la seguente iscrizione, che sarà perpetua nella storia del- l'opera generosa della Lenzoni:

MDCCCXXV

CARLOTTA LENZONI DE' MEDICI

IN QUESTA CAMERA ABITATA DAL BOCCACCIO

RACCOLSE LE OPERE DI LUI

COLLOCÒ IL TITOLO DEL SUO DISTRUTTO SEPOLCRO

FECE DIPINGER l'eFFIGIE

DAL CAVALIER PIETRO BENVENUTI

Ritratto morale de lord Bjron-

Medwin autore delle Conversazioni di lord Byron ne fa il ritratto nella seguente maniera: la statura non ec- cedeva cinque piedi e sei pollici. Era di età di qua- raut' anni circa allorché io lo vidi. La bocca e il mento

178

descrivevan quelle curve e quei precisi contorni che so- no caratteri di una testa greca. Avea la fronte alta, le tempie elevate, il color pallido, i capelli sottili e radi cominciavano a incanutire, ma ondeggiavano intorno alla fronte in mobili anella; ed ove l'osse d'uopo trovare al- cun difetto nelle sue fattezze, gli occhi troppo al naso vicini non apparivano della stessa dimensione, erano di un colore tra il bruno ed il bigio, ma sfavillanti, e se talora animavansi parca vibrassero un fuoco da pene- trare nell'animo altrui, lasciando scorgere il proprio pen- siero. Avea i denti piccoli e regolari, gli digrignava nel sonno , ed egli stesso mi disse che per impedirlo era obbligato d' addormentarsi con un fazzoletto in bocca : usava per conservarli gran diligenza, e masticava a que- st'uopo foglie di tabacco, quando usciva allo scoperto. Era insomma di una bellezza virile , e che preveniva in suo favore.

Impressioni morali ricevute da lord Bjron nei suoi primi anni.

Medwin così narra le impressioni che lord Byron eb- be nei primi anni della sua vita: ignoro, egli diceva, da chi m'abbia ereditato la vena poetica: forse le selvagge prospettive del INIorven , e del Lorh-ne-Ger , e il fre- mito degli alpini torrenti crearono in me l'organo della poesia. Ma non fu pienamente sviluppato che dall'amore. Dante si accese della sua Beatrice di dodici anni : di poco io oltrepassava quella età, quando m'innamorai fi- no al delirio. Nelle vacanze de' miei studi conobbi Ma- ria. Essa appresentossi alla mia mente in mezzo ai di- rupi del Morven. Mi era parente lontana, e la paren- tela mi dava 1' agio di vederla. Maria fu 1' ideale del bello che mi dipinse 1' esaltazione del cuore, 'rutto le mie favole su la natura celeste delle donne le ho at- tinte alla perfezione che la mia fantasia in essa creava:

. ^ 179

creava, dico, perchè, come il restante del sesso, ella era assai lontana dalla celeste natura che in lei mi fingeva.

Le donne sono state per me ciò che furono sempre, uu veleno. I mali che amareggiarono i miei giorni, da esse mi vengono , come da prima da sola sorgente , e forse Tesserne stalo lontano me ne ha conservata l'illu- sione , sicché le ho potuto vestire di quelle angeliche forme che non ebbero mai.

Così la discorreva lord Bjron. Avea torto o ragione? un po' dell'uno e dell' altro.

Per la inaurazione del nuovo armo giuridico Ora- zione censoria del cav. Paolo Cumbo Consigliere della Corte Suprema in missione di P. G. del Re presso la G. C. C- di Catania pronunziata nella sessione generale del 5 novembre i836 Catania tipografia all'insegna dell'Etna iSS^.un voi. in 8." di pag. 35.

Chiamato il cav. Cumbo nel i 836 a sedere da Pro- curalor Generale del Re nella Gran Corte civile del ^'allc di Catania vidcsi da tutti, con istupore ed am- mirazione, scuotersi quella Corte, animarsi, e prendere novella energia. L' immensa mole dcerli afiàri che accu- mulati giacevano da più anni vennero tosto con una ra- pidità incredibile esauriti: la giustizia ne gioiva, il pub- blico ne rimanea lieto, il Governo ajipagatissimo. Fu por- tato nei giudizi il consiglio più maturo, congiunto alla giustizia più severa non iscompagnata dall' eijuità. Tanto potè fare il sapere e la buona volontà di que' giudici, mossi però dal gravissimo senno, e dalla lòrza morale di un sol uomo!

Tulle le operazioni di quel dotto ed integerrimo Magistrato meritano altissima laude, e posson servile di esempio a chiunque in qualunque paese egli sia. Ci è dolce liianifestare questo sincero sentimento dell' animo nostro, eh' e I' espressione del comune volo.

i8o

In forza del regolamento per la diselpllna giudizla ria, ogni pubblico Ministero dei Tribunali e delle Cor- ti della Sicilia è obbligato leggere , in ogni aper- tura delle proprie Camere, un discorso tendente a ri- levare i modi come sia stata amministrata le giustizia, iieir anno precedente, notando gli abusi che si sieno per avventura potuti introdurre, ricordando agli avvocati e ai patrocinatori i loro doveri, ed onorando la memoria delle persone più cospicue per sapere , per principi e per lodevoli travagli, die abbia il Foro potuto perdere nel corso dell' anno che spirava.

Ciò posto il cav. Cumbo, per gli obblighi del suo sublime ministero, lesse alla sua Corte V annunziata cen- soria orazione; e con piena facondia, e moltissima dot- trina rileva primieramente tutti gli onorati travagli so- stenuti dalla sua Camera, e che meritano, pel nume- ro sì per la loro natura, plauso e riconosceriza. E noi abbiam visto compresi di ammirazione , come in otto mesi, per le cure e per lo zelo di lui , vennero dalla Corte catanese disbrigate 978 cause , cioè 68 1 più di quelle del precedente anno: il che produssse 1' esito di 13^3 incolpati più di quelli che vennero esitati nel i835. Ma per valutare tutto il peso del servigio reso alla giu- stizia e alla patria da questo insigne uomo, è da ri- fili tere che quel numero enorme d'infelici languivan prima nelle prigioni, incerti del loro destino ^ immo- ralizzandosi sempre più, gravando l'erario di forti spese, e presentando uno spettacolo di angosce e di miserie « Venuto però Cumbo , ognuno fu giudicato , e quindi o condannato o assoluto o ad altre corti inviato; le ca- tanesi prigioni furono sgombre, e venne la bella città liberata da quella sentina di colpe e di lagrime.

Queste opere son di grande importanza, e debbonsi celebrare come pubblici benefizi perchè la verità lo invoca, perchè tornino ad esempio degli altri funzio- nari in aflàri tanto gelosi e di tanto interesse) quali sou quelli della giustizia.

La S€COn(ìa parte della bella orazione del Cumbo Volge sugli abusi, cui dovrebbe poi-tarsi riparo. Qui r autore spiega ancor più l'energia del suo animo; per- ciocché rileva in primo luogo V abuso troppo frequente del non adempire l' orario, prescritto dai regolamenti , tgnto i Magistrati, quanto i difensori: nel che savia- mente riflette essere importantissima cosa la buona di- stribuzione del tempo, per gli uomini che han pubblici uffizi, e per conseguente 1' essere esatti alle ore desti- nate al pubblico servizio: e bellissime sono le rifles- sioni che fa scaturire dal suo assunto, e che tendono à mostrare tutti i mali, che provengono da quel vizio: il quale produce un gravissimo danno, tostochè i difen- sori degl' impalali tardano o mancano ad essere presenti alle discussioni. Nel primo caso per aver perduto parte del pubblico processo; e ne] secondo per aver tolto agl'im- putati r ancora della loro speranza, eh' eia il dili.nisore dato loro dalla legge: il quale avendo studiata la causa di quelli è più a portata certo di qualunque altro indi- viduo, che può chiamarsi al momento, come si suol fare in tali congiunture, per sostenere e difendere le ragioni^ che gli accompagnano»

Nota poscia l'autore tanto la soverchia leggerezza, con cui si avventurano, e dai difensori si autorizzano gli ap^ pelli ne' giudizi correzionali, per condanne di lievissi- mo momento, anche quando la legge non ammette co- tal rimedio; quanto l'obblio assoluto , onde assicurarne r ammissibilità, dove ha luogo , col fai' sottoporre r imputato ai modi di custodia prescritti dalla penale procedura.

Fa egli in seguito rilevare due sconci, che osservansi nelle sentenze dei giudici correzionali, 1' uno che siegue costantemente il principio dell' applicazione della pena nel minimo del grado, l' altro che rade Volte nella in-^ flizion della pena si tien conto del servizio che rende alla giustizia, e dell' omaggio che presta alla verità l*im* putalo che confossa i suoi delitti. Ei pel primo djl-

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tamenlc riflelle clic la ialitutline del grado della pena non è dalla legge lasciala all' arbitrio capriccioso del giudice, ma alia sua rettitudine: la quale dovrebbe es- ser mossa solamente dalle circostanze die aggravano o favoriscono l' imputato. Pel secondo egregiamente dimo- stra 'quanto sia dura cosa il vedere due correi ( l' uno che il suo reato confessa , 1' altro che il nega) puniti colla stessa misura.

Finalmente scagliasi 1' illustre Magistrato contro quei patrocinatori, che, frammisti agli ottimi, son pessimi, e pessime cose producono; inviluppando e prolungando per amore di vile e reo guadagno le cause le più sem- plici, sì fattamente che portano 1' eterna discordia fra gli uomini, e rovinano gl'interessi delle famiglie.

Intanto piangeva Catania in quell'anno slesso la morte del sommo giureconsulto Emmanuelc Rossi, e dell'eru- dito magistrato cav. Saverio Nicaslro, onde il Cumbo rammenta con parole di duolo e di afTotto la perdita di que' due valorosi.

Finalmente sieguono il suo lavoro,cou bellissimo con- siglio, quattro quadri sfatislici, in cui vengon segnate con cifre di paragone, nel primo le cause e gf incolpati di misfatto, giudicali dalla Gr. Corte in camera di Consi- glio negli anni i835c 36, colla conparazione dei risul- tamenti generali degli anni medesimi; nel secondo le pub- bliche discussioni e gl'incolpati di misfatto giudicati negli anni stessi; nel terzo le cause correzionali decise in grado di appello; nel quarto lo slato delle cause pendenti ed esitale dalla Gran Corte. Le quali tavole servono di prova lucidissima a quanto si era per lui asserito intcrao ai travagli della sua camera, nellaimo i83t),[)aragonaticon quelli dell'anno precedente:le quali cose sono per veritìt di sommo utile; e sarebbe desidciabile che venissero imitat;j da tutte le altre corti della Sicilia.

TSie a!)bia quindi lode, come grandissimi gliela dia- mc, il valentuomo che ha mosso le nostre parole.

F. M.

^ i83

Notizia intorno la Biblioteca del Conte Michele Milano.

L'egregio Conte Milano, uno dei più cospicui ingegni d'Italia, ha cominciato a pubblicare la sua Biblioteca , clic sarà divisa in trenta distribuzioni, ed in dieci vo- lumi, iu 8", caratteri nuovi, tavole in rame, buona carta.

Sotto quel titolo vaii comprese le seguenti opere;

Le cinque età della filosofia naturale. Volumi tre.

Istituzioni di fisica. Terza edizione con aggiunte , e migliorazioni. Volumi tre.

Nozioni elementari di astronomia. Volume uno.

Luigi XIV e la Europa. Volume uno. Di Marco Au- relio Antonino Ricordi libri XII. Versione dal greco, corredata di note: seconda edizione, volume uno.

Ozii (geologia, storia, poesie ec:) volume uno.

Il prezzo di associazione è di carlini 5 napolitani per ciascuna distribuzione, pagabili alla consegna della me- desinia.

E ammessa la soscrlzione anche per coloro che vor- ranno associarsi .solo ad una parte della Biblioteca.

Si sono già {)ubblicate in Napoli dalla tipografia San Giacomo sei distribuzioni, cioè il primo tomo delle istituzioni di fisica; e quello delle cinque età della filo- sofia naturale^

Son già] presso a veder la luce il secondo tomo del- l'una e dell'altra opera.

Il Conte Michele Milano è tal uomo che con queste egregie ed importanti fatiche, fa sperare con sicurezza al- l'Italia, un aumento di gloria intellettuale.

Noi faccia ni voti perch'egli conduca tosto al suo fine la bella ed onorata impresa, che gli darà fama splendi- dissima, e lo raccomanderà alle età più lontane.

Le Effemeridi cominceranno tra breve a dar conto dei volumi già pubblicati.

F. M.

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La Cappella palatina dipinta a neorama da Gaspare Perantii.

In queste Effemeridi si è altra volta parlato del si- gnor Gaspare Peranni (i) , per due suoi quadri, che rappresentavano la celebre Basilica di Monreale , e un incendio bene inteso di sua leggiadra fantasia. Oggi torniamo con piacere a ragionare di lui, per dar contezza al pubblico di un'altra opera, bellissima quanto le pri- me , dinotante la Cappella del nostro Reale Palagio: tempio stupendo e mirabile dell'epoca normanna.

Il Peranni lo lia ritratto con una perizia da maestro che l'occhio e l'intendimento ne rimangon pieni. Nelle fatiche di questo giovane valentissimo, che per suo nobil diletto , come dicemmo altra fiata , esercita la pittuia, trovasi un'esattezza straordinaria congiunta ad una ma- niera franca e ardita.

Difatti nella presente son dipinte fin le minime parli della palatina cappella; e siccome ricca ella è di marmi , di musaici , di ornamenti , così questi vengon tutti maestrevolmente rilevati. La luce vi è sparsa con accorgimento , ed ottico sapere: alcuni episodii vi sono introdotti con senno, in guisa che fan riposare l'occhio, quasi stanco di aver qua e vagato per quel maestoso edificio. Puro e corretto è il disegno, i chiaro-scuri bene indicati, il colorito è quel che debb'essere, senza sforzo e senza studio: la natura l'indica, e, questa seguendo, si è certi di battere la via sicura e la più bella.

Noi dunque ci congratuliamo col signor Peranni, e ci auguriamo sempre novelle opere del suo purgato stile, e del suo fecondo ingegno.

F. M.

(i) V. il fascicolo 47-

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ISTITUTO ITALIANO Place de la Bourse, i5, rue filles-saint Thomas

Parigi 29 settembre 1837.

Al chiarissimo sig. Ferdinando Malvica Direttore delle Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia.

Palermo Signore,

Diffondere qui, centro di Europa civile, ogni maniera di nostre produzioni ; facili- tare passaggio delle altrui in Italia; e per attività di meni e e della mano accresciuta, in onoranza sempre maggiore sol- levare il nome italiano, si è Jo scopo dell' Istituto , ripar- tito come segue:

Libreria italiana

Opere originali antiche e moderne , musica incisioni compreso.

Commissione

Deposito e vendita, per conto , di libri , d' opere, di arti belle e , di merce qua- lunque italiana; non che com- pera , per conio, di merce qualsivoglia straniera, coutra fondi necessari.

Gabinetto di letteratura italiano

Pubbliche lezioni teratura Italiana d'Italia.

Bibliograjìa straniera

Contezza delle opere più importanti che America, In- ghilterra, Francia, Germania, ed altre nazioni van pubbli- cando. Compimento alia Bi- bliogralia italiana, fondata dal dircttoj-c dell'Istituto italiaao.

Persuaso eh' Ella troverà utile alla industria, e al commercio pub- blicare che in Parigi place de la bourse i5, rue fillessaint Tho- mas^ si riceveranno, purché fran- chi di porto, campioni di merce qualunque italiana, prodotti d'in- dustria , oggetti di arti e di arti belle, libri antichi e moderni, au- tografi etc etc, tutto insomma che si crederà opportuno far conoscere allo straniero, o potere spacciare in Parigi, in Londra, nella Ger- mania, nella Russia, ed in qua- lunque altro Stato di Europa. Ed inoltre che tale stabilimento ese- )ni di Lct- guirà le commissioni, contra fondi

, di Storia -< 1 i- "^

necessari^ per qualsivoglia merce straniera che bisognerà in Italia. Non esito , Signore , pregarla compiacersi di ordinare simile pub- blicazione nelsuoriputatoGiorualc. Ai suoi comandi mi ofiero, ed ho l'onore di dirmi

Dev'"". obbl™". servitore Fr. Pastoiu.

i86

3 SriD 2 <S 3

DEL TOMO XVm

CHE COIMPRENDE I FASCICOLI 48. 49. 5o.

Avviso DEL DmBTTonR . . ; . « . p^g. mi.

PARTE PRIMA

SCIEiVZE

Trattato completo del Cbolera Morbus per Gaetano Algeri Fogliani ce.

Palermo 183^ Luigi Castellana pag. 7

Elementi di filosotìa per uso del Seminario Arcivescovile di Palermo dell' Ab. Salvatore Mancino ce. Palermo 1 835-36. Saggio critico degli Elementi di filosofìa di Salvatore Mancino dato da L. Bonelli prof. nell'Università di Roma ec, Palermo 1837. F. M » 18

Esame della evidenza intrinseca del cristianesimo di Scarno Jcniu. Pa- lermo i83G F. M >> a4

Osscrvaiioni critiche di Carlo Dupin all'opera del dott. Kastner intito- lata: ricerche sulla durata probabile della vita dell' uomo ec. . . » 26

Osservazioni meteorologiche fatte nel R. Osservatorio di Palermo nel mese

di maj-zo 1837 » 29

Lettera del cav. Prof. Salvatore Scuderi al signor Agostino Gallo sul Ca- botaggio tra Napoli e Sicilia " P^

Nota di Ferdinando Malvica alla medesima » ivi

Biblioteche mutue per le classi agricole , industriali e commerciali . »

Osservazioni meteorologiche fatte liei R. Osservatorio di Palermo nel me- se di Aprile 1837 » ivi

Sopra un saggio storico^ritico della scienza del dritto penale Salva- tore Seminara - » i^S

Memoria sulla coltivazione delle viti che producono ìa uva passa di Co- rinto scritta da Vito Mannone Trapani 1837. Prof. Alessio Sci- gliani " '^

Osscrvaùoni meteorologiche ce. fatte nel mese di maggio . . . . » 1 35

PARTE SECONDA

LETTERE ED ARTI

Della Siciliana favella, de' suoi lessici, e suoi lessicografi— R.igionamenlo

di Liunardo Vigo ec. j)arle u. ( v. il toni, xviii. pg. i33.) . jxig. 33

Annotazioni al detto Ragionamento » {il)

Sopra un quadro di Matteo Stommcr ce. Paolo Giudice. ...» ;>-'• S.iggio storico sulla vita di Epicarmo coi framincnti delle di lui o|>ere

raccolti ed illustiati da Luigi Tinilo. Palermo i83G F. Crispi..» t»o

187

Sulla futilità delle cose umane Sonetto di V. Errante . . . » 63

Bibliografia siciliana . » 64

Sull' oratore sacro Ugo Bassi, che predicò nella Quaresima di questo an- no 183^ in Palermo dal Pergamo dell' Olivella. N. C. , . . » 91 Sopra il quadro del B. Sebastiano Valfrc dipinto da Salvatore Lo Forte

nella Chiesa de RR. PP. dell' Oratorio. Paolo Giudice. . . jj 95 Sulla morte del Duca di Rakstadt. Ode del Marchese Giuseppe Ruffo

Napoli 1337.— F. Ruffa »ii3

Elogio storico dell' Arcivescovo Giuseppe Capece-Latro per Nicolò Can-

dia, ec. Napoli iSSj. Ferdinando Malvica » ii5

De Siculo nummo urbis Galariae Joseph. Aleisi ". iSg

Stenio: cittadino di Termini d' Imera Bernardo Serio » i45

Su di alcuni dipinti di Alibrando, Barozzi, Antonello, Zuccaro, Vinci,

e Tuccari esistenti in Lipari Can. Carlo Rodriquez . . . . » i56 Per la terribile strage piodotta dal micidial cholera asiatico in Palermo nei mesi di giugno e luglio iSSy.— Ode di F. Barone con lettera

al duca di Serradifalco. . . . » 164

Notizie epilogate Asia minore: Galatjik, Bogar-Kcni scoperta di grandi leoni in marmo, di bassi rilievi e di ruderi appartenenti a vasta ed antichissima città. Francia: Parigi disfida poetica fra un italiano, un francese, ed un tedesco. Beaumont: scoperta di un sepolcreto e di alcune medaglie. Inghilterra: tassa dei poveri, ed opinioni sulla medesima di Degerando e di Dupin. Londra: la più ricca Bi- blioteca di Europa. Italia: Todi— scoperta di una stupenda sta- tua di bronzo.— Certaldo: la casa e la tomba del Boccaccio. Ri- tratto morale di lord Byron.— Impressioni morali ricevute da lord

Byron nei suoi primi anni >> 170 '

Per la inaurazione del nuovo anno giuridico Orazione censoria del cavalier Paolo Cumbo Consigliere della Corte Suprema ec. Catania

1887. r.M 3> 179

Notizia intorno la Biblioteca del Conte Milano. F.M » i83

La Cappella palatina dipinta a ncorama da Gaspare Peranni. F.M. » 184 Lettera del Direttore dell'Istituto italiano fondato a Parigi al Direttore delle Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia. . . . « i85

@S]i!SS3ai£!I1SSI2 12 ILISaOliiMìS

PER

IiA SICILIA

Num, 5 1 ,

^4 *<BttgftV rt ^Um^ti <837.

PaUrma

TIPOGRAFIA DI FILIPPO SOLLI l837

AVVISO

Essendo difficilissimo ripianare i vuoti di questi ultimi sei mesi , pro- dotti dal fulmine del cholera^ clie ven- ne a sospendere, o a distrugger fra noi , colla distruzione degli uomini y ogni più nobile impresa , abbiam di- visato di pubblicare un grosso fascicolo che insieme li comprenda, onde po- ter principiare il novello anno sotto novelli auspici, e così rimettere le Ef- femeridi sull' antico loro cammino.

// Direttore Ferdinando Malvica.

EFFEMERIDI

SCIENTIFICHE E LETTERARIE

PER LA SICILIA

Twuu*. 5 1 ^a Guaito a (Dicemvtc / 83 J

PARTE PRIMA

SCIENZE

DeW uso del sale-, del sangue^ del nitro-, del gesso in agricoltura.

I. Il sale, il sangue, il nitro, il gesso sono in agricol- tura eccellenti concimi. Non sarà quindi inutile che nella ignoranza in cui sono gli agricoltori siciliani , e nella mancanza totale di libri, che tendano in modo semplice e facile a distruggere i pregiudizi, gli errori^-le caparbietà dei nostri villici vengano le Effemeridi a render popo- lari quelle esperienze, e que' principi , che sono stati a- dottati dalle altre nazioni con grandissimo vantaggio. Tanto più che noi sappiamo essere il nostro Giornale, da qualche tempo, ricercato pure dai fattori, e da quei benemeriti proprietari, che sogliono passare qualche me- se dell' anno in campagna ad assistere alla cultura dei loro fondi. Oh voglia Iddio che la Sicilia nella perdi- ta che fa tutto giorno delle sue ricchezze fisiche e mo- rali si scuota dal suo letargo, ed attenda direttamente a quelle cose, d' onde la sua prosperità deriva.

Il dottor Ignazio Lomeni , uno de' più valenti pro- fessori , di cui si onora l'Italia , nello sue Farielà agrono-

6

miche e tecnologiche^ di che han già fatto cenno le no- stre EfTemcricli, egregiamente ragiona suU' uso del sale in agricoltura. Le sue idee sono chiare, e propria- mente scritte, che noi invece di presentarle colle nostre parole, vogliamo riferirle nel modo eh' egli stesso le ha espresse.

c< Il sale comune (rauriato di soda) già da qualche tem- po, mercè i lumi forniti dalla odierna Chimica, aveva cessato d'essere considerato qual'ente distruggitore (i). Riconosciuto dagli antichi qual concime , cadde dappoi in dimenticanza. Il sig. Delachambre {(Use. sur les dè- hordcm. da Nil.) fu probabilmente il primo che riven- dicasse ai sali il loro credito, considerando il nitro come favorevole alla vegetazione, p'aìlemoiit dopo di lui lo risguardò qual principio fecondante, maravigliosamente ellicace sia nei vegetabili che negli animali, e paragonò ad esso il sale marino. Aussi verrons noiis (sono sue jìarole) qiie le sel-marin aide à la multi plication des grains^ comme le salpeire; et qu'au fona il j a peu de dijfèrence entreux pour cet effet là. (^Curìosites de la nature t. /, cap. vi).

Già nei giornali agronomici dell'anno 1824 crasi parlato del sale comune in qualità d'ingrasso; gl'Inglesi in ispe- cial modo lo sottoposero, sono ora pochi anni, a nume- rose sperienze , applicandolo alla coltivazione di ogni specie di cereali e di piante, e col massimo successo : più recentemente l'abate Dacre e TF^. Johnson pubbli- carono ciascuno i risullamenti ottenuti dai loro tentativi, i quali dimostrano i." che il sale adoperato in poca

(1) Fino nelle Sacre Carte il sale in genere è considerato qual indice di distruzione: nel salmo GVI, v. 34, si dice che Iddio, attesa la matitia de- gli uomini, ridusse le terre fruttifere alla più compiuta sterilità al paro di quelle sulle quali è stato sparso il sale. ^i//«e/ec/i essendosi iinpudroiiito della città di Sicheni, ed uccisine lutti gli abitanti, in segno di totale distruzione fece seminare il saie nel luogo ove prima la niedesiuia esisteva. =; ludicuin cap. 9. V. t^'j.-^ AttUa fece la cosa stessa a Padova, Federico Enobuibo a Milano.

7 qnantltà promove la putrescenza e la scomposizione dei

corpi organici e dei materiali atti a servire da concime, nel che molto si assomiglia alla calce; 2.° che contri- buisce a dissipare le erbe inutili, i vermi ed i bruchi; 3.° che agisce direttamente sulle piante delle quali en- tra a costituirne parte integrante; 4-'' che attesa la qua- lità irritante di cui è dotato favorisce assaissimo l'accre- scimento d'ogni vegetazione, eccitando i vasi assorbenti ad esercitare più energicamente le loro funzioni; 5°. che garentisce i vegetabili dalla funesta influenza dei rapidi cangiamenti di temperatura; 6.° che mantiene entro la terra un cotal grado di umido, fonte necessario della fera- cità. Giusta il parere di cotesti autori il'sale meglio con- viene alle terre leggieri che non alle compatte, ed i di lui buoni effetti si manifestano in modo più decisivo quando la terra è ricca di principio calcare, sia quello naturale . od artificialmente prestato. Anche Hogg, giardiniere fio- rista a Paddmgton, usa di méscere sempre del sale nel concime che destina ai giacinti, e risguarda cotesta so- stanza essenzialmente utile alla coltivazione di ogni specie di pianta bulbosa ».

2. Il sangue degli animali disseccato " è il concime più attivo che si conosca , agendo sulla vegetazione in un modo diretto e maraviglioso. Molti agronomi avean ri- volto le loro cure su quella sostanza , per alcuni casi fortuiti, che avean loro fatto conoscere, che potea essere utile per fecondare i terreni. Ma i loro esperimenti toc- cati di volo, e non reiterati con quella efficacia e quella pazienza , che sono tanto necessarie uellc scienze della natura, non produsse alcun bene, e ne furono gl'ingegni distolti. Il signor Derosme però, valente agronomo fran- cese, riflettendo su quel subbictto, e facendo esperimenti in più guise si accorse che il sangue disseccato, ed in polvere ridotto alla maniera di Payen (di quel valente inglese che ridusse in 26 lezioni popolari la chimica) po- teva egregiamente servire ai bisogni dell'agricoltura in

qualunque paese , e sotto qualunque clima. Ogni ter- reno può essere fertilizzato col sangue: 1' umido però vi tlà risultamenli più immediati, e più sicuri. Nei ce- reali, nei vigneti, nei giardini, negli agrumi, nelle pa- tate, nelle barhabietole, nelle canne da zucchero, negli orti può quello essere adoperato con gran profitto , es- sendone l'effetto fecondissimo. Il Lerosme costituisce dei rajiporli sulla forza fertilizzante del sangue con quella dei concimi più ovvii, e più in pregio; e la prima porla la palma sulle altre II pensare che il sangue era sino a pochi anni fa una sostanza inutile, salvo poche eccezio- ni di particolari usanze , e che oggi si è (alto divenire di massima importanza , ci consola e ci fa benedire i tempi del progresso in cui siamo.

Il Derosme ha stabilito una gran fabbrica per dissec- care questa preziosa sostanza di ogni essere che ha ani- ma, e potrebbesi in Sicilia, in cui l'agricoltura è si gran parte della sua ricchezza, e de' suoi mezzi di risorgere, fondare un simigliante stabilimento, e così diffondere un concime facile e polente.

3.11 Delachambre, secondo ha saggiamente il Lomeni annunziato, fece pel primo conoscere i vantaggi che si potcano ritrarre dal nitro come ingrasso. Onde poi co- loro, che vcnner dopo, rischiarati dalle osservazioni di quel valente naturalista, si diedero a porre sotto il cru- giuolo delle esperienze quel sale, che nel moderno lin- guaggio della chimica suona protonitrato di potassio,

iSon sarà fuor di luogo qui ricordare esser questa so- stanza composta di acido nitrico, e di protossido di po- tassio; e che il primo consta di azoto e più di ossigeno; ed il secondo di ossigeno e più di potassio. Onde questi corpi semplici che insieme dalla natura combinati vengono a formare il sai nitro, si è veduto non essere estranei alla vegetazione, ed in quella forma la fecondano a me- raviglia. Solo è da osservare, secondo insegna il Cantie- ri nel suo bel prospetto di tutti i concimi europei, che

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deesl tal sostanza solvere in acqua, impiegarsi con

molta parsimonia , poiché agisce stimolando i terreni. Nei giardini sarebbe da preferirsi, perchè il guadagno che si otterrebbe dai frutti prematuri, e più abbondanti compenserebbe con usura la spesa per la compra di quel sale. Esso infine dovrebbe adoperarsi particolarmente in qiKi' luoghi che abbondano di acque, e mancano d'in- grassi, e che per tal ragione si fanno perire giardini fio- renlissimi.

Ma avendo il progresso delle scienze naturali schiuso aggiorni nostri ai proprietari più schivi un campo sem- pre crescente di belle ed utili speculazioni, avviene che eglino potrebbero di legieri avvalersi delle fatiche dei dotti, e dei loro felici ritrovali, per accrescere colla loro particolare fortuna le pubbliche dovizie,

4. 11 Mnjen verso la seconda metà del secolo passato fece conoscere l'ulililà del gesso, solfato di calce (essendo così da chimici quella sostanza appellata) nella concimazio- ne dei campi. I suoi consigli però e le sue voci non ebbero gran fatto seguitatori. Ma avendo poscia il Soquet, nella teoria dei lavori di gesso; il Decandolle nella sua fisiolo- gia vegetale; lo Cliaptal nella sua cìnmica applicata alle arti; e il Davj nella sua chimica agricola trattato dot- tamente del gesso, come attivissiuio ingrasso, ed essen- do stali costoro seguiti dal de Lamalle , dal Re , dal Melandri, dal Moretti, dal Barrois, dal Peschier, e da non pochi altri esimii intelletti fino al giorno in cui scri- viamo, è nato che in molti luoghi d' Europa si è ado- perato il gesso ridotto in polvere con grandissimi bene- fici. E senza entrar noi nel modo come questa sostanza agisca sulla vegetazione, sia come eccitante, sia cedendo alle piante, in tempo di siccità, la sua acqua di cristal- lizzazione, sia per l'azione del solfato di calce sul terreno, sia per quella del medesimo sulla vitalità stessa del vege- tale, sia promovendo la scomposizione delle sostanze ali- mentari contenute nel suolo, lasciando dicevamo,tante dot-

IO

te e belle disamine, fatte da que' valentissimi uomini,sog- giutigiamo che sarebbe mestieri lare primieramente irt Sicilia quello che narra lo Chaptal aver fatto Franklin ia America, onde distruggerei pregiudizi degli agricoltori, ed invogliarli col fatto, che colpisce tulle le menti, anziché colle insinuazioni, e coi precetti che possono tornar vani ed inutili, ad adottare quella sostanza per concime. Egli sopra un campo di trifoglio siluato presso una grande strada nei contorni Wasiiigton, scrisse in caratteri grandi formati dalla polvere di gesso; questo è stato concimato di gesso. La qual cosa, soggiunge il Raga/izoni (i), lece produrre una rivoluzione tanto rapida , che venne colà tosto adottato quel metodo; fattamente che molti vo- lumi che si fossero potuti scrivere sopra le facoltà del gesso non avrebbero potuto produrre mirabili effetti. Or noi accordando le sentenze di tutti diremo, che il modo di adoperare il gesso nei terreni è semplicissimo. Colto o crudo che sia li feconda ugualmente, e fa rigo- gliosa la produzione. E sia spolverato sulle foglie , sia messo nel terreno, come gì' ingrassi si mettono, i van- taggi sono certi e fuori d' ogni dubbio; e non solo nelle praterie di qualunque specie, e particolarmente in quelle addette alle piante leguminose , ma eziandio nella cul- tura dei cereali lo sviluppo è più sollecito , ed il pro- dotto più abbondante. Ciò non pertanto nella discordanza delle opinioni, e nella varietà degli esperimenti possia- mo asserire, senza ingannarci gran fatto , che mesco- lando il gesso o calcinato o in pezzi con i letami da stalla , e concimando con queste sostanze i terreni di orti, di praterie, di giardini verrà a Irarseue un positivo vantaggio per la produzione; e nel medesimo tempo si otterrà una diminuzione di spesa per la compra dei le- tami animali, che è di non poco momento per que' po- deri vicini alle città, e di grandissima difficoltà per quegli altri che lontani ne sono.

(i) Rep. di pral. agr.

T t

QiianJo poi vuoisi adoperare il gesso in polvere per ispandersi sulle foglie delle piante , allora dee ciò pra- ticarsi nei tempi in cui non è difficile la speranza di pioggia vicina. Io lio eseguito ed ho fatto eseguire si- mili esperimenti, mettendo un terzo di letame fresco da stalla mescolato con due terzi di gesso, in ])iccole pietre ridotto: e concimando in latta guisa i terreni di agru- mi negli usati tempi posso assicurare che il prodotto dei limoni è stato di un quarto maggiore del consueto, senza esserci stala veruna particolare circostanza , che abbia potuto influire su questo beneficio della natura. Riguardo poi al gesso usalo in polvere posso aggiungere che aven- dolo gittato, con discreta parsimonia, sopra una prateria di foraggi artificiali, quando già le foglie erano intera- mente sbucciate , il vantaggio evidente e che colpì lo spirito di tutti, che mi furon compagni neU'ojjcrazione, si fu quello di vederne in brevissimo tempo le foglia- mi prodigiosamente cresciute , e non solo gli steli più vigorosi , ma ben anco le radici più forti e più pro- fonde.

Per le quali cose sarebbe sommamente utile che ve- nissero il sale, il sangue, il nitro , il gesso , adoperati dai proprietari nelle varie culture dei loro campi, colla sicurezza che ne verrebbero a ricavare ed onore ed utile diretto. E se per avventura star non si volesse alle no- stre parole, e agli esperimenti di tanti uomini valentis- simi, dai quali abbiam noi attinto le presenti nozioni, sarebbe allora mestieri, che, a guisa di saggio, ogni pro- prietario ripetesse per se medesimo questi esperimenti medesimi, onde da loro venissero poscia a persuadersene, e a diffondere delle verità, che da tutti abbracciate ver- rebbero a produrre, senza stento, quel vantaggio, a cui tanto si aspira, e che per l'ostinatezza degli uomini, o per l'inerzia e l'ignoranza si perde, o nell'abbandono si lascia.

F. Malvica.

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SuW Istituto agrario di Meleto in Toscana. Lettera di Leonardo Morelli al Barone Pastore.

PriECIATISStMO SICKOR BaROWB

Trovantlomi in Toscana mi è piaciuto osservare in Meleto dal Marchese Rklolfi il suo nobile istituto di agri- coltura: scienza, clie ha tra noi per mille barbare cir- costanze rilardato il progresso. Bisogna confessarlo a ma- lincuore, si è avuto finora a vergogna dai ricchi pro- pielari il soggiornare in campagna, vegliando al miglio- ramento dei propri poderi. La vita dell' industria, e dei risparmi è stala sconosciuta, ed un esempio luminoso ce lollre l'epoca memoranda del 1 812. Quando una lotta generale desolava l' Europa tutta i ])ropietari siciliani raddoppiarono la rendita dei loro posessi, perchè era in- terrotto il commercio colcontincnte, e come se avesse po- tuto durare quella ricchezza, tulli si fecero a dispiegar lus- so nella magnificenza degli edilìzi negli equipaggi, nelle masserizie, e supclleltili, snervando così slessi, e cor- rompendo il popolo con gli eilelti di uno sfarzo , che neppur serviva ad alimentare qualche patria manilattura; che finita la guerra , fa rabbia il pensarvi , non si trovarono capitali accumulali , ne alcuna industria pro- mossa, solo i bisogni accresciuti, e la miseria venne ad assalirci. Se fosse possibile obbligherei tutti i nostri ricchi proprietari a lare un viaggio in Toscana per os- servare r Istituto di Meleto , che con tanto entusiasmo si visita dello straniero. E poiché ella conosce dai giornali agrari i miglioramenti che ha fatto il Marchese Kidolfi in agricoltura, i rapidi progressi dei suoi giovani allievi risultamento del suo metodo semplice, filosofico, e della sua instancabile attività, mi tacerò su di questo, ed an- nuazierò solo alcune utili innovazioni, che possono farsi

i3 nella nosfra grande cultura , avuto riguardo all'attuale stato politico, ed economico del paese, manifesterò quello idee , che si andavan mano mano destando nella mia mente nell' osservare l' istituto agrario suddetto.

Aratro.

Il primo oggetto che mi fece osservare il Marchese Ridolfi si fu ì' aratro, quell' istrumcuto preziossimo , su cui tutti gli Agronomi han tanto scritto, e tanto pensa- to per migliorarlo. Il signor Dombasle ha portato gran miglioramento in questo strumento, ed i signori Lam- bruschini, e Ridolfi ne han reso più solido, e più ope- rante r orecchio che ora può dirsi peifettissimo. Do- manderei perchè non può introdursi ti'a noi, quali dif- ficoltà vi si oppongono ? Le nostre maggesi, non volen- do contrasfare tal preparamento eh' è in certo modo un risultamento dei latifondi, e delle difficoltà dei prati arti- ficiali perla mancanza delle acque sotto un cocentissimo sole, le nostre maggesi, io dico , non potrebbero farsi con questo istrumento , che nelle vecchie praterie di lupinella in Meleto si tira con grande facilità da un pajo di bovi, che ginngono a rompere quella crosta tenace, a tagliare fette regolari lunghe dieci pollici, alla profon- dità di quindici, rivoltandole nel più completo modo ? Secondo la rotazione della nostra grande cultura i prati naturali si dissodano ogni tre o quattro anni. Peichè non adoprar questo strumento in vece del nostro che se- gna sola delle linee nel terreno , che non lo ara , ma lo graffia ? È possibile che la condizione del nostro suo- lo sia tale da non potervisl adattare i miglioramenti del- la scienza e che i nostri nipoti debbano ereditare 1' an- tico strumento dei loro avi ? È possibile che 1' aratro, e la zappa sicno le sole macchine deli' agricoltura sici- liana?

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V Erpice

Altro strumento fattomi osservare si fu l'Erpice a rom- bo del signor Dombasle , già lungamente descritto nel giornale agrario Toscano. Si conosce tra noi il bisogno di rompere le zolle, quindi gli uomini con le zappe ten- tano di farlo: ebbene 1' erpice non potrebbe eseguir fa- cilmente questo lavoro, con maggiore economia, traspor- tando nel tempo stesso 1' erbe svelte preventivamente dall' aratro? Queste due sole macchine potrebbero can- giar l'aspetto della nostra agricoltura. Ma come vincere gli usi antichi dei nostri usi che diilidano di ogni bcu- chè utilissima novità?

Falce a rastrello.

Il terzo strumento che mi venne veduto si fu la gran falce a rastrello per tagliarci grani, la quale non è altro che la falce comune più grande del doppio, con una piccola aggiunta di bacchette arcuale disposte a guisa di rastrelli che possono, secondo la posizione del terreno, nella linea dellajàlce pigliar quella direzione che si vuole per soste- nere la jìaglia dei grani che viene mano mano tagliata dalla lama. Un uomo in un giorno con meno fatiga, per- chè non ha bisogno di mollo curvarsi falcia il doppio dei grani, o dell' erba. Un contadino toscano potrebbe fa- cilmente venir tra noi , e mostrare ai nostri , come si adopra questo strumento semplicissimo utilissimo. Non le parlo delle altre macchine agrarie che forse nella no- stra grande cultura incontrerebbero delle difficoltà; del ventilatore per nettare il grano, del seminatore, del sar- chiatore, del rigatore, della zappa a cavallo, e di tanti altri istrumenti di cui fa uso il Marchese Ridolfi per suo utile, e dei giovani alunui.

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Vacche svizzere.-^LetamaJo.-^Prati artificiali.

Iq una stalla ove si mantiene la nellezza indispensa- bile per la salute delle bestie, si raccliiudono parecchie vacche svizzere , che danno un' estraordinaria quantità di latte, dal quale si ottiene uno squisito burro, dell' ot- timo cacio, perchè la manifattura è affidata ad un esper- to cascinajo. Avvi vicino alla stalla un letaraajo cioè una gran fossa costrutta in muro, ricoperta da tetto molto basso, nella quale si conducono tutti gli scoli della stal- la , e talora anche quello delle pioggie quando si vuo- le. Il fondo è un piano^ inclinato si che tutti i liquidi tengono verso un' angolo"^;da dove si possono cavare , spanderli sulla massa di letami, e moderarne così la fermentazione. Mi sovvenni allora delle nostre vacche, tanto deteriorate, che danno appena la quinta parte del prodotto di queste svizzere. 1 bei prati di trifoglio di lupinella, di erba medica, mi fecero rammentare delle nostre sqarse pasture, dove le povere bestie, van languen- do nei rigori dell'inverno. Perchè domanderei non perfezio- nare le razze, e così moltiplicare i prodotti? Perchè nel- l'ultimo anno delle maggesi, non spargere misto al gra- no, il trifoglio, la sulla, la lupinella, erbe che tutti co- noscono , e che sviluppandosi nel secondo anno niun danno arrecano al frumento nella sua vegetazione. Non si avrebbero quando si lascia il terreno incolto più abbondanti, più nutrichevoli le pasture , non spa- rirebbero l'erbe triste, o poco utili agli animali? Non sarebbe questo un buon preparamento nella grande cultura del frumento ? Chi sarebbe così stupido da ne- gare il vantaggio, che si otterrebbe dalla perfezione del- la manifattura dei nostri caci , che nel mercato europeo si vendono a i8 ducati il quintale, mentre ve ne han- no di quelli che valgono loo ducati, e più. Che! forse lo straniero ci supera nella^ feracità delle terre , nella

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dolcezza del clima? Se si vuole attribuire ai pascoli non è questo un nostro fallo imperdonabile? Sarei pur lieto se potessi disingannare coloro che ammettono per unica differenza nella qualità dei formaggi quella che può dipendere dalla natura degli erbaggi, e dei pascoli con cui si alimentano i bestiami, ma il convincere l' igno- ranza è r opera delle generazioni. Perchè i nostri pro- prietari non richiamano dalla Svizzera, dalla Lombardia un' esperto cascinajo, invece dei nostri stupidi fabrica- tori di formaggio, che usano lo stesso metodo in tutte le stagioni, regole sempre uniformi, sempre invariabili, sulle diverse qualità di latte? Se fossero note le idee di Chaptal Bertolet Kloporth più non si dubiterebbe , che la perfezione dei caci dipende dalla perfezione della manifattura. Non finirei giammai il mio dire su questo particolare, poiché mi persuado, che da qui potrebbe ot- tenersi l'unico pronto rimedio nell'attuale abbandono del- la nostra agricoltura. Così si scioglierebbe il problema cosa far delle nostre terre nell'attuale avvilimento dei gra- ni, problema, che alcuni han creduto risolvere propo- nendo di non seminar più frumenti, ma empir la terra di vigneti, oliveti, frassini per la manna, sommacchi ec. la qual cosa ancor che fosse possibile esìgerebbe lungo spazio di tempo, mentre i nostri bisogni c'incalzano: Però aumentando il valore dei prodotti della nostra pastorizia, che divenuta più estesa perchè più lucrosa si toglierebbero una gran quantità di terre alla coltura dei grani, si coltiverebbero quelle di prima qualità, che ren- dendo un maggior prodotto anche con l'aiuto dei prezio- sissimi strumenti da me descritti, certi sarebbero i gua- dagni, essendo sempre i nostri cereali preferibili a quelli dello straniero. Quanto mi duole l'animo in vedere tanti errori madornali praticarsi dai nostri proprietari , che avendo molta fiducia nel loro supposto buon senso spre- giano ogni hovità, e a qualunque cosa che si propone loro rispondono con la sola zotica maniera altre terre, altri

/7 clìmi^qidnon prodace.ln. vece di lasciare il sugo all'azion

del sole, e delle acque invernali, disperdendo così i prin- cipi fertilizzanti, che tanto gioverebbero alla vegetazione, perchè non costruiscono de' letamai come quelli del mar- chese Ridolfi, perchè in una parola non aprono gli oc- chi, perchè non si scuotono dal sonno?Quante sorgenti ab- bondanti di ricchezza non restan trascurale per mancan- za dei lumi! Mentre le colte nazioni migliorano di gior- no in giorno lo stato loro , inventano nuove machine, tentano altre scoperte, altre produzioni, noi instupiditi da mille barbare condizioni , nel secolo della civiltà e della filosofia, stiam neghittosi mirando lo straniero , che ci guarda, e passa. Bisogna osservare qual movi- mento avvi tra tutti i proprietari d' Italia per la pro- duzione delle sete. Già tulle le campagne si popolano di gelsi, di queir albero preziosissimo che alla Lom- bardia la rendita di i6 milioni di ducati, e noi già ira- portatori del gelso, e del filugello, dell'arte di tingere e tessere la seta, noi che posscghiamo la migliore posi- zione insulare, il suolo migliore, tralasciamo di coltivar- lo. Basta venire in questo Istituto di Meleto per osser- vare il movimento per l'agricoltura. I viaggiatori a folla vatuio dal marchese Ridolfi, onde conoscere le sue colti- vazioni. In questo anno nella memorabile celebrazione de- gli agricoli comizi a Meleto più di tre mila persone di ogni età di ogni condizione v' intervennero, trattenendosi più di i6 ore senza temere gli ardori della calda stagio- ne,osservando j progressi di un shiobile stabilimento, spet- tacolo interessante agli occhi del filosofo filantropo, che desidera il miglioramento sociale. Ah ! se potessi iiifon- •dere nel petto dei nostri neghittosi proprietari una stilla di quel sacro ardore che sente il marchese Ridolfi. Nel pro- gresso del secolo, nellistruzion principalmente io fondo tut- te le mie care speranze;iu quell'istruzione utile produttiva, e non già in quella classica del medio evo, che si limita ai

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precelti generici delle lettere, e del sapere, sicché l' a- gricoltura, le arti, il commercio attendoii sempre, ed in- darno il soccorso della scienza. Non è raro il vedere dei proprietari, spiegare il Virgilio, e l'Anacreonle, scri- vere delle poesie, e poi scorrendo i loro giardini igno- rare la propietà di un albero, e di un fiore, non saper giudicare se una scoperta della scienza è applicabile al miglioramento dei Iqro poderi. A dirla in breve sono esseri puramente astratti , che dispongono dei loro ca- pitali e spesso pagano a caro prezzo le le-zioni che loro l'esperienza. Si, confessiamolo, sevi fosse istruzione nei proprietari, migliorati si vedrebbero gli strumenti, perfezionate le pratiche, ignote fecondità nelle produzio- ni, molti errori perniciosi estirpati, molle verità adottate praticate , molte scoperle difiusé nel volgo e ricevute, molti mali diminuiti distrutti.

Ella pregiatissimo sig. Barone, a cui non mancauo, talenti cognizioni per 1' agricoltura , ne capitali per poter tentare ogni intrapresa in questa scienza; Ella pos- sessore di un bellissimo podere che offre ogni cosa, non dirò per il bisognevele, ma per il lusso, Ella unito a fida consorte clie a guisa della Marchesa RidolQ sa- prebbe vivere isolata in campagna; Ella fondi nel suo bel feudo della Fico oltre il magnifico stabilimento dei vini , un' istituto agrario , eseguisca il bel progetto del filantropo principe di Castclnuovo, quello d'istruire dei giovani contadini per servir da fattori, adempia il voto dei buoni, contribuisca alla civiltà e al progresso.

?.3 PARTE SECONDA

LETTERE ED ARTI

Elogio di Domenico Scitici scritto da Ferdinando MaUnca.

Humanam quidera inentcra rerum omnium ilu- . ccui, liane autom ]ihilosopliiam solam rccCc institucndi viam doceri posse inveuinius.

Dejiosthekes ex obat. AMATOn.

INTRODUZIONE

Domenico Scinà fu uno di que' poclii cui la storia potrà indicare al mondo come gli uomini , per mezzo della sola sapienza , possano vincere i pregiudizi della società, e distruggere le ingiustizie della fortuna; poi- ché, nato povero ed oscuro, giunse a tale che l'aristo- cratica grandezza più superba e più opulenta incliinavasi dinanzi a lui, e deponeva umile ogni prestigio del suo splendore. Questo è il più bello dei trionfi dell' ingegno sulla forza e sul potere umano! Egli estese la sua influen- za su tutti gli spiriti e dominò la letteratura siciliatia del suo secolo. Severo come di volto così di costumi, conscio del suo altissimo valore, e della bassezza dei tempi, sor- volò qual aquila su lutti, e fé' a tutti sentire qual pondo avesse un ingegno trascendente, quando alla severità del carattere e dei principi si congiunge. Se egli con quel suo gludicio sottile, e quella logica potente che fa- ceasi strada fra mille dei più forti , e mille abbatteva, avesse accoppiato 1' amabilità e la gentilezza dei modi sarebbe divenuto lidolo della Sicilia. Ma la natura sem- pre cfjua ne' suoi divisamenti, compensò in lui a ribocco da una parte ciò che dall' altra negogli. Perciocché la tempra del suo spirito, forte e nobilissima essendo, im- primeva un carattere robusto ed originale ad ogni opera che creava. Egli, fisico filosoib storico letterato, eccelse in

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ogni ramo di scienza che coltivò, e divenne scrittore di primo grido. E quantunque geloso ed amantissimo fosse della sua gloria, pure non pensò mai di estenderla; che rifuggiva dall'idea che altri credesse lui poter gire in cer- ca di suffragi. Ed è certo che se egli avesse fatto circolare le opere sue fra gl'istituti le accademie e i dotti più cele- bri del mondo la sua fama si sarebbe a mille doppi ac- cresciuta, esteso all'infinito il suo nome, e le genti le più lontane lo avrebbero risguardato qual uno dei più gratidi uomini che sleiio vissuti ai nostri tempi. Raro inviava le sue opere, raro scriveva alle persone. Da ciò un solo male sorgeva, che la gloria della Sicilia, su cui la più parte de' suoi libri si aggiravano, ne risentiva gravissi- mo nocumento; poiché restando questi celati fra le mura della patria, e più in non diflbndendosi, il bene, che gli stranieri (i quali male e poco ci conoscono) avreb- bero potuto ricavarne, abortiva.

La qual cosa, per colmo dei mali nostri, non e nuo- va in Sicilia; e qui un pensiero di rapporto che giova manifestare, mi sorge nella mente. Rosario Gregorio fu quegli che guidò i primi studi dello Scinà, e contribuì, dirigendo la giovine mente di lui, ed infiammandone di ardore il petto, a far succedere il rapido sviluppo delle sue facoltà intelliittuali. Or 1' uomo che più levò grido di sapiente nel passato secolo in Sicilia fu appunto il Gregorio. Ma , simile allo Scinà , la fama di lui , per una triste fatalità, non si estese gran latto al di dei monti e dei mari. 11 che però avvenne per altra cagio- ne , e più che all' animo e al carattere dello scrittore deesi riferire alle vicissitudini dei tempi. Divisa la Si- cilia dal continente , indipendente allora da ogni altro stato, lieta di aver nel suo seno il suo Monarca, innal- zava in queste ultime epoche l'aquila, un tempo glo- riosa, a mezzo le bandiere dei potenti nemici, non avendo relazioni che colla sola Iiigliilterra; e poi gli spiriti eran dappertutto concitati dalie fazioni, dalle guerre, e dai

politici cìisastri, clie le arti paclficlie non eran più nel- ronore antico. Onde per questo i lavori insigni del Gre- gorio rimasero fra noi soli ; e al di del faro furou da pochi appena conosciuti. Difalti le sue Considera- zioni sulla stona di Sicilia, degne del senno di Machia- velli, non ebbero che una sola edizione, mentre cento non basterebbero; e questa poco diffusa, per le disgrazie cui soggiacque, non trovasi più per intero ; onde potersi un opera si magistrale e gloriosa per noi, apprendere da a nuova generazione, che già, con tante speranze della patria, cresce e si fa adulta.

La Sicilia dunque ha' avuto la bella fortuna di avere nel passato e nel presente secolo due uomini colossali che con filosofia e dottrina infinita illustrarono le sici- liane cose più recondite e più importanti. Ma le opere dell' uno e dell'altro, per quella sventura che spesso piangiamo, non sono sparse, com'elle dovrebbero, ed il mondo non le conosce che poco. Ne vi sarà credo chi vo- glia per avventura opppugnare la mia sentenza, metten- domi innanzi che alcun giornale d'Italia o d' oltramonti abbia tal fiata ricordate quelle gloriose fatiche. Percioc- ché l'essere giunto un esemplare di un'opera nelle ma- ni di un giornalista o di un letterato qualunque non por- ta che l'opera sia conosciuta. Conosciuta bensì ella è quando per ogni dove si stampa e si ristampa, circola nelle mani di tutti, e da tutti si legge. Come sono state p. e. a questi ultimi tempi le opere del Mascagni, del Volta, del Gioja, del Romagnosi, dell'Alfieri, del Mon- ti, del Pindemonte, del Peiticari, del Foscolo, del Cicognara del Botta. Il che non è certamente avve- nuto ne al Gregorio ne allo Scinà ; e pur 1' uno e 1 altro son degnissimi di sedere in quella schiera. 1. opera che è meno ignota alla moltitudine dei cul- tofi delle scienze è V Introduzione di quest'ultimo alla lisica sperimentale, e la Fisica stessa. E ciò per essersi quella pubblicala dal Silvestri nella sua scelta Biblioteca

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d'italiche opere antiche e moderne; e qncsta ristampata in Milano, e proposta por l'istruzione dell' italiana gio- ventù. Ma facciam noi ora vedere chi sia stato quest' uo- mo , e come meriti di esser conosciuta e didusa per ogni angolo della terra la minore delle sue fatiche.

PARTE PRIMA

Domenico Scinà nato in Palermo nel l'jGS trovò quivi al suo ingresso nell'aringo letterario gli spiriti tanto in- tenti alla leibniziana e wrìlfiana filosofia, che anch'esso a tutto corpo si gittò in quegli studi ; ma per la per- spicacia della sua mente non tardò a conoscerne le illu- sioni. Quindi gli abbandonò tosto agli astratti specula- tori, e tutto diedesi alle scienze esatte, che mostrando le verità più sicure e più inconcusse, son divenute, dac- ché Newton scrisse (mi valgo di una espressione del Condorcet), fondamento e chiavi delle naturali dottrine. Ed in ciò molto influì eziandio il senno e la sapienza del Gregorio; poiché vcggendo questi la fallace via, in cui erasi messo l'amato allievo, clic già tanto di se pro- mettev^a, lo scosse e lo arrestò, facendogli gustare l'au- reo libro di David Huuie sull' umano intelletto. Il die fu bastevole ond' ei .dalle dottrine astratte ed illusorie rifuggisse ognora, e delle sole realità si appagasse.

La dotta Europa nella gioventù dello Scinà era for- temente commossa dalle nuove scoperte che i filosofi di quel tempo avean fatte sull'elcltricismo: la curiosità era universale; dotti ed indotti, i giovani più esimii, le da- me stesse più gentili prendevan grandissimo diletto a fatti studi. La Sicilia non era straniera a quel movi- mento; e le scienze di esperienza se non erano in voga, e se non vantavano illustri maestri avean però svegliato i desideri della moltitudine. Quindi lo Scinà si volse tutto alle scienze della natura , e la fisica generale e particolare divenne lo studio da lui più amato e colti-

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vato. La forza del suo carattere gli dava tal fermezza e lai costanza , che , simile a Buffon come nel corpo così nella mente, profondo e slabile sentimento divenne- in lui l'amore del lavoro, anzi, come di quello si dis- se, vera passione che vinse le altre tutte. Dal che na- sceva che qualunque ostacolo gli si parasse dinanzi mai non lo arrestava , ne vi era barriera che 1' animo suo non superasse. Difatti con tale amore e tale assiduità si diede a studiare la fisica, che in breve tempo ne di- venne sommo maestro. Ma dovendo noi assegnare il po- sto di onore che conviene allo Scinà, nella storia di que- sta scienza in Sicilia, fa mestieri primieramente volgere uno sguardo allo stato in cui allora ella trovavasi, onde avere un punto di rapporto, che ci faccia bene apprezzare le ojjere di lui, e misurar l'estensione del suo valore. La Sicilia mancava a que' tempi di buoni libri , di strumenti, e di mezzi per avanzai-e nelle sperimentali discipline; e a tal giungea lo slato nostro, che qualche informe macchina eh' esisteva maneggiar non saj^evasi dai più esperti: tutto era muto; le scienze della natura, come la teologia s' imparavano. Difatli la fisica peripa- tetica dominava nelle scuole: invece di osservare i fe- nomeni , di raccoglier fatti , di stabilire principi , di emendare il linguaggio scolastico, che rassoda gii erro- ri, e rende più tenaci le menti , veni vasi dagl' ingegni più sottili con pazzo furore quistionando sulla siccità , umidità^ rarezza^ e su tutti gli altri, con linguaggio barbarico , così chiamati accidenti materiali. Il tiat- tato di Muscembroechio si leggeva dalJe pubbliche cattedre , ed era il libro che correva nelle mani dei giovani. Ma Palermo conobbe il bisogno che questa scienza più colle macchine che colle teoriche imparar si dovesse; e famosa nella nostra storia sarà l'imperizia dei professori di fisica di quel tempo, che non seppero, dopo niolti studi e reiterati esperimenti, neanche formare un pallone aereoslatico. E benché si fosse pensato, con

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sapienlc consiglio , di chiamare uno straniero fra noi , onde riparare a quel gravissimo danno , e legger fisica neir Accademia palermitana, non venne questa tuttavia migliorandosi gran fatto. Imperocché il P. Eliseo , che fu il professore qua venuto, volle dare alcune sue isti- tuzioni , scritte in latino , e piene di vecchie opinioni e di errori ; le quali tradivan lo scopo , e non poteati certo appagare i bisogni del tempo, ne far conoscere i progressi che la scienza avea latto in Europa. E certo assai migliore era il compendio delia fisica sperimentale deirAtwood, che comincios^i a leggere in Palermo do- po il Muscembroechio, non che gli elementi dello Zap- pala che nell'Università di Catania si leggevano, avve- gnaché fossero stati dettati anch' essi in latino , e con metodo strano ed inviluppato. Dalle quali cose ben si vede che quando lo Scinà salì la cattedra dell'Accaclemia di Palermo vagivan, per così dire, le fisiche discipline, ne vi fu alcun professore in Sicilia che onorasse la scien- za, e meritasse dalla studiosa gioventù. Perlochè di gran, lunga maggiore è la gloria dello Scinà , che seppe con i mezzi del suo solo ingegno conoscer le tenebre in cui la fìsica trovavasi ravvolta , e alto levarla da vestir la prima volta fra noi pompa e dignità.

La sua celebre introduzione^ stampata nel i8o3, ed il primo lavoro che avesse l'atto di ragion pubblica, fé' conoscere di che fosse capace il suo sublime intelletto. In essa abbraccia tutta la scienza, e con uno slancio di genio singolare la misura in ogni parte. La storia della fisica, in un modo rapido e nuovo tracciata, schiude la porta a quel solenne lavoro; e ciò eh' ella fosse presso gli antichi, ciò ch'ella è presso i moderni non può da nissuno in miglior guisa dimostrarsi. Il sistema di New- ton non potrà del pari esser da ninno con maggior chia- rezza e precisione spiegalo. Ei ti mostra in j)oche linee, che il gonio solo può dettare, come quel profondo pen- satore, dopo le scoperte di Keplero di Cartesio, di Ga-

Ilici, di Hugcnio, ch'ei generalizzò ed accordò, risguai- dasse per la prima volta i fenomeni della natura insie- me, e l'universo in grande. D'onde, con un concetto ce- leste, venne poi a dimostrare come i fenomeni da leggi generali e calcolate derivino, come tutti all'attrazione si riducano , e come 1' universo sia stato per lui un pro- blema d'algebra e di geometria , di cui, come dice lo stesso Scinà, in alcune parti ne apprestò intera, ed in altre ne accennò la soluzione : diguisachè ( ricordo un altro concetto di questo grand'uomo) la meccanica cele- ste è divenuta il testimonio più vero e grande e glo- rioso della forza ed eccellenza dell'umano intendimento. Lo Scinà in questo stupendo lavoro nota tre epoche della fisica moderna : le prime due sono storiche, cioè quella di Galilei , padre e fondatore della scienza , e quella di Newton perfezionatore della medesima; la terza attendesi ancora, ma venne dallo Scinà ideata ed indi- cata. La sua concezione è profonda. Perciocché facendo vedere come la fisica e la chimica si sieno a vicenda giovate, ei ti mostra come sovente uu fenomeno appar- tenga a tutte le scienze, e come queste sieno state divise sol per istudiarsi, e sono da unirsi per conoscere la na- tura. Quindi immaginava di rannodarle , distruggere i limiti che le dividono , formarne di tutte una sola e semplice. E così mostrando i rapporti occulti che hanno fra loro, e come si colleghiuo insieme, guardare la na- tura non in frazioni disgiunta, come oggi la guardiamo, ma unita, e formando un tutto che ha un principio ed un fine. Difalti è talvolta avvenuto, che i fenomeni che noi osserviamo in una delle parti, in cui per la nostra fralezza, si è divisa questa sublime scienza, e che pro- pri di lei reputiamo, sono ad altre comuni. Le scienze dunque della natura si collegano, si sostengono insieme, si afiratellano. Onde peitsava lo Scinà che sintantoché questi rapporti e questi legami non si arrivino a sco- prire, la verità grande e generale del tutto no» si alti-

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gucrà mal, e non polranuo le scienze giugnere alla de- siderata meta. Quindi la separazione delle scienze (egli diceva) dee considerarsi come temporanea : lo spirilo tmiano le divise per conforto della propria debolezza ; ed allora sarà egli veramente degno dinterpetrar la na- tura, quando, perfezionate separatamente le scienze, non ne formerà che una. Lo Scinà presentì questi rapporti, conobbe ch'esister doveano, guardò la natura iii grande, come Ne\vt(jn aveva fatto, vide in suo pensiero i limiti che vi aveva l'uomo apposto, e gli anelli che vi aveva messo la medesima natura; perciò additò frainco il tlne degli studi , ed indicò il cammino che alla perfezione conduce. La qual cosa è feconda d'immensi risullamcnti; e se oggi venisse qualche novello pensatore, e l'indicata via calcasse , la storia proclamerebbe che tal segnalato beneficio, prodotto da quel principio, si ottenne per la mente del siciliano filosofo. JJ introduzione adunrjue non èia storia della fisica, come taluno scioccamente o ma- lignamente aveva detto, è bensì la logica di tutte le fi- siche scienze, com'egli sapientemente al direttore della Biblioteca italiana scriveva.

Or quest' opera fu seguita nell' epoca stessa dalla ^^- sica generale e dopo vari anni dal primo volume della fìsica particolare; ma tanto la prima quanto la seconda furon poscia rifuse accresciute migliorate, e nel corso degli anni 1828 e 29 videsi pubblicata la stessa opera in quattro volumi, che risguardano due la prima parte, e due la seconda. Or se Vinlroduiione fu l'opera delle meditazioni dello Scinà, e di un momento felice dell'in- gegno di un grand'uomo, la fisica paiticoiare e generale fu il frutto di un travaglio lungo e paziente , e della dottrina, dell'erudizione, del profondo giudicio di lui. E siccome pare certo che i libri tendenti ad ammae- strare la gioventìi non debbano contenere ne lampi di genio, ne profonde vedute, ne nuove verità, ma sibbene ordinare con chiaiezza e precisione tutte le scoperte già

3i fatte dai filosofi nel corso di più secoli, e le verità già conosciute, e dall'unanime loro consentimento stabilite; così lo Scinà attinse pienamente il suo fine. Perciocché nell'opera sua, oltre della massima chiarezza, ammirasi l'ordine il più naturale, il più semplice, e quindi il più logico, ed il più acconcio all'intendimento dei giovani. Egli dispose in tal guisa tutte le parti di questa scienza che ne venne formando unico corpo ed unico sistema , riducendo con accorto consiglio tutti i fenomeni dell'Uni- verso a tre classi, ai celesti, agli atmosferici, ai terrestri; e facendo costantemente vedere la relazione che corre fra gli agenti dei fenomeni e questi fenomeni stessi. Quindi i giovani col -suo libro alla mano non resteranno più inerti, ne avran grave la fatica, ma desidereranno di spignersi sempre innanti, e conoscere le dottrine che sie- guono,e si succedono. Perciocché l'autore le annodò stret- tamente fra loro, formando di tutte, come asserimmo, un corpo solo e semplice, eccitando sempre più la curiosità e l'energia dei giovani, e recandoli, com' ei diceva, a discutere esperienze, a comparar fatti, a pesar sistemi, a riguardar da per loro lo stato attuale delle nostre cognizioni. E così facendo , ed il suo lavoro arric- chendo e perfezionando , fece maravigliare Italia, come un Siciliano ]}rivo di aiuti, e senza quegl'inllniti mezzi, che negli studi della natura in grandissima copia lo stra- niero possiede, potesse fare un'opera di fisica, die stesse a livello colle migliori, per la verità delle dottrine, la ricchezza dell'erudizione, l'esattezza dei fatti delle osser- vazioni degli esperimenti. Qucst' opera insomma, nulla valutando, siccome noi siam usi, le censure altrui, onora la Sicilia e la scienza.

Or noi esaminando la storia dei grandi uomini delle più colte nazioni abbiam costantemente osservato che la maggior parte di essi cominciarono sin dall'età più gio- vanile a scrivere e pubblicare le cose scritte; quasiché l'anima Toro commossa ed agitata sin dai primi periodi

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della vila sdegnasse di restare in circoscritte barriere , ed avesse raestieri nel suo prematuro sviluppo di lan- ciarsi nel gran mondo, affinchè di loro, pria del tempo destinato alla comune degli uomini si ragionasse. Gene- roso sentimento, che ha spesso partorito i più felici ri- sullamenti ; e se talvolta si è veduto abortire , egli è derivato, perchè l'ingegno, gli studi, e le ulteriori vi- cende del viver sociale fecero guerra alla volontà e al- l'animo egregio non corrisposero. Nello Scinà pertanto, avvegnaché fortemente chiamato dalla natura a toccare l'eccelsa scala che all'immorlalità conduce, si è osservato un fenomeno contrario e singolarissimo. Egli fu sin dai primi anni spinto da un amore si caldo per lo studio, che si reputò meraviglioso, ed ebbe tal sentimento per la gloria pronunziato e deciso , che non può uno storico trascurarlo. Egli però seppe soggiogare questo sen- timento, e soflTocò gli slanci del suo genio, incatenò la sua natura. Perciocché fin presso a rjuaiant' anni (stu- pendo a dirsi per un uomo che dovea divenire grande!) nulla cosa ei scrisse, nulla cosa pubblicò; e così l'età matura non gli rinfacciò mai la sua prccipitanza, ed egli non ebbe a pentirsi , coni' è avvenuto alla più parte dei sommi scrittori, di un lavoro che il suo senno ripudiava.

Lo Scinà studiò eziandio con assidue cure , e più da se stesso che con i maestri , le greche le latine e * le italiane lettere; e tanto della ellenica favella si co- nosceva , che verso il 1788 veniva con grandissimo onore , sostituendo nella cattedra il professor Viviani , che insegnava a que' tempi lingua greca nell'Accademia palermitana. Lo Scinà dunque non fece, nella prima metà della sua vita, che studiar sempre più fermo e costante, arricchirsi lo spirito di elette dottrine , farsi un patri- monio cospicuo di sapienza, onde poi ad un tratto uscire fra le genti, e con una serie non inlerrolti\ di bellissime opere stordire Sicilia.

33 Or 1' uomo che sotto questo rapporto può più allo Scinà paragonarsi è il filosofo di Montesquieu ; poiché in ambidue parmi di aver dominato lo stesso pensiero, ed il medesimo principio essere stato di guida e di nor- ma alle loro anime. Imperocché il Montesquieu , per dire col D' Alembert , niente sollecito di mostrarsi al pubblico , sembrava che attendesse un' età matura per iscrivere. Dilatti stampò di trentadue anni il suo pri- mo lavoro , che furono le famose lettere persiane , in cui, mentre trasporta il leggitore a mezzo le cose del- l' Oriente, attacca in un modo fino e delicato i nostri costumi, i nostri gusti, i nostri usi, ed il furore di scri- vere pria di pensare, e di giudicare pria di conoscere. Ma trentaduc aiuii non parvero a Montesquieu ancora bastevoli per presentarsi sulla scena del mondo con si- curezza di se medesimo. Quindi le lettere persiane non apparvero che anonime ; e tale fu ia condotta dell'au- tore che per molto tempo ignorossi di chi elle fossero. Dell'istessa guisa lo Scinà maturo di età e di senno si presentò suH'aringo letterario che dovea decidere della sua vita. Ei nel lungo corso degli anni, anteriori a quelli di scrittore e di filosofo, non era conosciuto che qual valente professore di fisica sperimentale, avendo nel 1796, dietro il P. Eliseo ch'era slato giubilato, asceso la cat- tedra di quella facoltà nell'Accademia palermitana. Ma altro è leggere una scienza in iscuola, ed acquistar no- me per essa, altro è l'essere scrittore, e comparire [)ro- pagatore dei lumi riformatore dei costumi. Lo Scinà ebbe, come professore, solenne riputazione, ma si acqui- stò la stima della patria, ed ottenne culto di pubblica riverenza, quando colla penna in mano preseulossi. Di- fatti Sicilia, dietro le opere di fisica di die abbiam ra- gionato, vide nel 1808 uscire da quella mente suprema l'elogio di Francesco Maurolico; nel 181 1 la memoria ^su i fili reflui e vortici apparenti dello stietto di Mes- sina; udranno stesso le due lettere a Grano per leru-

zione dell'Etna, avvenuta iu quell' epoca mcntr' egli in Catania trovavasi; nel i8i3 i due volumi sulla vita e la filosofia di Empedocle; nel i4 le due lettere a Piazzi intorno Girolamo Settimo matematico palermitano; nel 1818 la topografia di Palermo e de' suoi contorni ; nel 19 il rapporto del viaggio alle Madonie in oc- casione de' tremuoti ivi accaduti. IVcl iSaS si videro dati poscia alle stampe il discorso intorno Archimede, e i iVammcnti della gastronomia di ArcLestrato: nel 1824 apparve con generale conipiacimcnlo il primo vo- lume del prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo X\ III: il secondo l'anno appresso; e nel 182-7 il terzo che quell'opera insigne chiudeva.

Dalla pubblicazione di quest'ultimo volume sino al presente è corso un decennio; ed il Governo di Si- cilia , appieno conoscendo la dirittura dello spirilo e la menle sovrana di lui, spesso in interessi di pub- blico bisogno aveva al suo consiglio ricorso , in que- st'ultimo periodo affari di gravissimo pondo gli andò commeltendo ; ed egli con zelo , con dignità, e con quel suo giusto vedere in ogni obbielto, in che ugua- gliar si poteva ma vincer non mai, a lietissimo fi- ne, correggendo e migliorando, ogni incombenza por- tava ([). Ma in mezzo a tante cure, che gli.furon tal- volta dure e moleste, ei mai non depose quella penna, ch'era nel suo pugno uno scettro di morale potenza di- venula. P<2rciocchè surto primier{urn;Hte nel luglio del i83i il novello vulcano nei mari di Sciacca ei scrisse un ragguaglio di quel lenomeno, che lipulavasi da tutti maraviglioso e straordinario, coni' era in elletto, percliÌ! le piimitive memorie della formazione del globo ci ri- cordava. Ma questa scrittura , ed altra tale , come gli

(0 Oltre dei particolari incariclii, di cui qui si fa cenno, cbb' egli l'aba- zia (il S. Angelo di Brolo; fu cavaliere dell'ordine di Francesco I."; Regio sto riografo; cancelliere dell' Università degli sludij membro pcrpeluo della Coni missione di pubblica istruzione ed educazione di Sicilia.

35 articoli sulla versione della pocllca di Aristotile fatta dall' Hans, la prefazione ai discorsi del Gregorio sulla Sicilia, nella quale venne tracciando la vita di (juel gran- d'uomo; i rapporti sn i bagni termo-minerali di Termini Imcrese; il rapporto sulle ossa fossili di Mardoicc e de- gli altri contorni di Palermo; Varticolo per le esperienze e le scoverte, die sull'elettro-niagnetismo avean fatto il Nobili e rAnlinori, queste scritture, io diceva, avvegna- ché gravissime, erano pur lavori del momento, e iiglie della circostanza. Ma egli in quest'ultimo decennio della sua vita un'opera iva meditando di gran lena, di grande utilità, e di grandissimo onore per la patria.' Era questa la storia letteraria di Sicilia, cominciando dai tempi greci, e venendo mano mano lino al secolo XVII , al quale avrebbe fatto continuazione la storia che già del secolo XVllI avea egli dettata con si gran senno e grande filosofia, diguisachè l'Isola nostra, chiara nel mondo, j)er. le creazioni dello spinto, avrebbe avuto dai tempi più remoti fino all'epoca in cui nacquero i padri nostri, la storia completa della sua civiltà e della sua gloria. Ma i divisamenti più cospicui degli uomini vengono spesso o per la fralezza umana, o per le miserie di questa vita sciagurata, rotti nel mezzo e nel più bello. Così avvenne alla grand'opcra che iva lo Scinà nel suo sublime pen- siero ravvolgendo. Perciocché egli nel i832 pubblicò la prima memoria che ne serviva d'introduzione, e nella quale si dava a dimostrare che i popoli che abitarono la Sicilia prima delle colonie elleniche, non furono scien- ziati, come si pretende dai nostri scrittori, ma giunsero di mano in mano allo stato di civiltà sociale. Poi nel i833 videsi comparire il primo periodo della letteratura greco-sicula, che dall'arrivo fra noi delle elleniche colo- nie giungeva sino alla morte del primo Cerone. Quindi nel 36 venne in luce il periodo secondo , che dal punto in cui quello finisce sino alla caduta di Dionisio si protrae. E mentre si attendeva con grandissima bra-

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ma il terzo che quasi al suo termine era giunto , la

morie venne a troncare il filo dei giorni suoi.

Ecco quai furon dunque gli svariati lavori di questo grand'uomo! Eglino son tauli e di tal magistero che una mente avvezza alle modilazioni, e ricca di sapienza po- lca solo concepirli e crearli. Imperciocché qualunque sia r argomento che lo scrittore maneggia , ei lo addentra, e con critica severa profondamente lo sviluppa. Il qual sistema vedesi da lui costantemente seguito in ogni opera; di modo che tulle le minute parti di essa con maestra mano volgendo lascia di quel subbietto pienamente istrutti i leggitori.

]Sel Maurolico p. e. dimostra come sia costui dive- nulo geometra, astronomo aritmetico, optico, grammatico, poeta, e istorico. Niuna cosa che ad onore di quello può ridondare iiegligenta ; ei tei fa vedere nei palagi stessi dei grandi, simile a Platone nella corte dei Dionisì, ve- rità matematiche dimostrando, e sull'arena segnando geo- metriche figure. E colle lettere slesse del Maurolico scrit- te ai più illustri uomini dcU'età sua, con cui era in let- teraria corrispondenza , fa conoscere il miserando stato delle matematiche nei principi del secolo XVI , in cui fioriva lo zancleo filosofo ; onde ognun sappia quai be- nefizi abbia egli reso alle scienze esatte, quali ostacoli abbia dovuto vincere, e qual luce dovea balenare dalla sua mente, per dissipare le tenebre che dappertutto re- gnavano , e per tornare in onore le fisiche discipline spregiate, e le scienze ch'esuli e raminghe givano dalle nostre contrade. E qui cademi in acconcio ricordare quella sapiente idea dello Scinà, cioè che signoreggiando allora la filosofia di Aristotile , che guasta già e contaminala dagli Arabi, interdiceva lo studio delle esatte scienze, e condannava gli uomini ad apprender sempre farle di ragionare per non ragionare giammai, lo spirito umano stanco della tirannitle scolaj>tica , e annoiato dalle sue sottigliezze erasi rivolto agli ameni studi, per trovare

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in essi tranquillità e conforto; quindi gV ingegni iuvur ghiti delia bella letteratura, e allettati dalle sue deli- zie divennero così molli e delicali, che sdegnavano, o non poleano sostenere il travaglio che sogliono recare le speculazioni geometriche. Ma questa verità dallo egre- gio elogiatore splendidamente annunziala conforta ciò che venne per lui medesimo asserito, e torna a mag- gior gloria del Maurolico. Questi dunque divenne supe- riore al suo secolo: conobbe colla sola scoria della sua potente ragione come bruttali e magagnati di falli fos- sero stati dai traduttori e dai copisti i lavori degli an- tichi geometri; onde dotto com'egli era del greco idio- ma diedesi con grandissimo animo, a correggerli, a sup- plirne i vuoti , a tradurli. E lo Scinà dimostra th' ei fattamente corresse tradusse abbreviò comcntò Eucli- de, Menelao, Teodosio, Sereno, Apollonio, Archimede che fornì e mise in luce un'esatta e compiuta biblioteca dei greci maestri in geometria. La qual fatica insigne, che recò poi gran bene alle scienze, rimettendole nel- l'onorato seggio che loro è dovuto, e svegliando l'amore per esse è viepiù commendevole pei particolari trava- gli che vi durò il Maurolico, e che furon d'esempio a tutte le nazioni. Imperciocché egli in tal modo operava, che iva sempre segnando le cose dai Greci inventate, e dagli Arabi aggiunte e guaste ; dimodoché tentava, se- condo lo Scinà si esprime, di delineare quasi in un sol quadro le verità che già erano state scoperte^ e notava il confine dove dell'inventar si ristette l'umano intendi- mento presso gli antichi. La fatica durala sopra Archi- mede fu di tal pondo che il nostro autore dopo di averla maestrevolmente dichiarata esclama che può ben dirsi aver ricevuto il geometra di Siracusa da quello di Messi- na vita e splendore. E dall' altra parte a noi pare ma- gnifico il lavoro che stiamo esaminando, che può dirsi del pari aver ricevuto il filosofo messinese dal palermitano filosofo risorgimento e lume grandissimo. Tanto è il sen-

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no , tanta la diligenza e la facondia con cui sono illu- strati e resi popolari i travagli^di lui.' Ei tei descrive di profondo intelletto che il nome di novello Archi- mede che gli fu dato dai sapienti dell'età sua gli viene oggi nobilmente confermato. Imperciocché di nuove cose la geometria, di nuove la trigonometria arricchì; e come creatore di novelle verità matematiche deesi considerare. Egli guidò i geometri per vie non battute , scoprì le secanti, determinò i centri di gravità nei solidi, compì il calcolo trigonometrico , gli sferici di Teodosio e di Menelao trasse dall' oscurità, restaurò, e ditTuse; due li- bri interi di Apollonio, divorati dal tempo, supplì ; la dottrina inventò delle coniche sezioni, per cui intelletto di prima sfera deesi risguardare, e come tale lo Scinà lo presenta. Ma per risguardarlo tale, e tale presentarlo bisognava che si avesse lo spirito pieno delle dottrine, per cui alto levossi il Maurolico. E certo con tal chiarezza e tal corredo di erudizione ragionar non si poteva delle fatiche di quel grand' uomo, senza essere, come lo Scinà era , matematico di gran valore. Ma le matematiche, da quel punto ove il Maurolico le lasciò, sono ite sempre avanti, e a questi avanzamenti somma- mente influirono le grandi fatiche del filosofo messinese. Quindi il nostro autore- i progressi ve ne dimostra , e quel che a Maurolico si debbe , quel che ad altri ap- parliene, e da loro è nato, distingue e classifica.

Scrisse il Maurolico in poche pagine la storia dell'astro- nomia fino al suo tempo , 1' Almagesto di Tolomeo se- guendo, dopo di averlo corretto e purgato. Ne al solo ufficio di storico si ristette , ma andò notando diversi modi di vedere nei vari secoli dai vari astronomi dell'au- lichità. Onde bellissima sorge la riflessione dello Scinà che il Maurolico quantunque abbia seguito gli errori della vetusta astronomia , pure notando le differenti opinioni di quelli, e presentando il tutto come in una tela par che abbia detto: « queste son le fatiche dell'umano in-

39 tendimenlo \ìcv comprendere e inlerpelrme i fenorueiii del cielo. Ma non vi riposate sulle antiche osservazioni quasi fossero esatte certe e verissime. Basta la difi'ereuza die trovasi nelle loro determinazioni , basta tante sva- riate sentenze su i punti cardinali dell' astronomia per eccitare i vostri sospetti, e la vostra diffidenza. Mettete dunque la mano all' opera : osservate attentamente , ed

osservando guardatevi dagl'inganni dei vostri occhi

Ecco , come ed in qual guisa erudiva il Maurolico gli animi, e preparavali alla j)ratica astronomia, mentre Co- pernico era sul rivelare il vero sistema del mondo, e i ben avventurosi tempi di Ticone avvicinavansi ».

Queste ed altre cose moltissime va lo Sciuà nella bel- la sua opera discutendo e dimostrando per la gloria del messinese pensatore. Noi non lo seguiremo più ol- tre; e ci basta il dire eh' ei dopo di averlo presentato per quel sommo geometra che fu, discende a presentar- celo qual gentile poeta, ed isterico ed erudito. Stupen- da cosa è il vedere un uomo , avvezzo alle più ardue e difficili meditazioni dello spirito, discendere a mezzo il giardino fiorente della bella letteratura, e raccogliere fiori leggiadri ed olentissimi. Si piace lo Scinà di ricor- dare i suoi versi latini per le imprese di Carlo V, e le sue elegie , i suoi inni , i suoi epigrammi : si piace di trovarli dettati con un linguaggio non indegno dei buoni tempi del Lazio , siccome fu scritta ogni opera sua. Rammenta la storia di Sicilia, che per compiaiere la sua patria aveva composto dai secoli più lontani fino ai giorni in cui visse, con eleganza con brevità con chia- rezza. Finisce insomma 1' autore parlandoti della figura del Maurolico, e del suo carattere delle sue virtù delle sue debolezze; imlla trascurando perchè l'opera compiuta si reputasse , e degna fosse del grand' uomo su cui si aggira. Quindi a me pare che egli descrivendo , come ha fatto , tutte le glorie del filosofo messinese , ed in chiara luce mettendole una gloria non minore ha a se stesso procacciato.

La qual cosa rilevasi in tutte le fatiche da lui con- sacrate a que' grandi uomini, che sorsero nei secoli tra- passati in Sicilia ad illuminare la terra. Così le Memo- rie sopra le opere e la vita di Empedocle debbonsi ri- putare classico lavoro, e se pel Maurolico merita il no- stro autore, una corona di cedro, basta l'opera sul filo- sofo d'Agrigento jierchò di onorata fama splenda sem- pre il suo nome.

In essa primieramente sono da rilevarsi la diligenza e la pazienza con cui ha cavato dalle tenebre dell'an- tichità tutto che ad Empedocle può appartenere, per la filosofia e le opere, per la vita e le azioni di que- sto magnanimo sapfente. Molti valenti stranieri aveva- no scritto sopra Empedocle, che certo il subbictto me- ritava che rinomale penne si fossero applicale ad illus- trare un uomo che aveva riempito l'antichità del suo no- me, e che era stato, dai greci e dai latini scrittori più solenni, per grandissimo celebrato; che quando anda- va a' giuochi olimpici, come Laerzio ne assicura, a lui si rivolgeano gli sguardi di tutti, ed ei formava l'obbiclto dei comuni ragionari. Ma noi non avevamo per anco avuto un lavoro, che avesse considerato questo divino ingegno sotto tutti i rapporti, e fosse stato veramente degno di lui. Spettava alla Sicilia, cui egli appartiene, compiere quest'opera egregia e santa. certamente il seco! nostro poteva meglio sperare e meglio attendere: poiché lo Scinà pel suo giudicio e per la sua sapien- za, sì per quell'amore della patria gloria, che alle la- tiche più ardue lo sospingeva, parca che fosse stato l'uo- mo destinato dalla natura a far rivivere il magno di Agrigento nell'antica sua gloria.

In quattro memorie è divisa tutta l'opera: nella pri- ma ragionasi dell' età di Empedocle, nella seconda della vita, nella terza della filosofia, nella rjuarta dei fram- menti delle opere di lui. Ogni memoria sviluppa ap- pieno l'argomento su cui volge, e viene di prove e di

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annotazioni dottamente corredata. La raccolta dei fram- menti che nell'ultima parte si contengono è stata fatta dal- l'autore con uno studio e una pazienza singolare. Egli in ciò non ebbe ne guida ne norma; e giunse a formar- ne una quasi perfetta sol coli' andare frugando e ri- frugando gli antichi scrittori , e raccogliendo in mille gli sparsi frammenti di un delubro magnifico, fatta- mente da presentarli in un quadro, e a colpo d'occhio tutti vederli e n)isurarli. Questi frammenti, per essere state distrutte dal tempo le opere dell' agrigentino filo- sofo, non appartengono che a due delle tante fatiche di lui, il poema sulle purgazioni e quello sulla natura^ che furono dall'antichità altamente stimati e" celebrati. E questi versi che noi oggi leggiamo, avvegnaché parti disgiunte e monche di un gran corpo, pur son tali ciie da essi ben si scorge la dottrina di quello, e la genti- lezza del suo poetare, E bene e sapientemente si avvi- sava lo Scinà che per togliere ogni dubbio sul valore e sul raffinamento del filosofo come poeta didascalico, bastava leggere questi medesimi frammenti, perchè ognu- no pienamente convinto ne rimanesse.

Or noi opera infinita imprenderemmo, se seguir vo- lessimo il nostro autore in tutte le dotte disquisizioni, in cui s' immerge. Egli si eleva all'altezza del suo pro- tagonista , ed ogni spirito lascia istrutto ed appagato. Sottilissime sono le sue ricerche per istabilire l'età in cui visse e fiori il Gergentino, profondo ed arguto è il suo «sanie per conoscerne i principi le dottrine la filo- sofia. Tutto poi che la sua vita e le sue azioni risguar- da, e che era incerto per que' Greci e Latini stessi che vissero nelle epoche posteriori , ma non molto lontani da lui, e giaceva per conseguenza in folta oscurità, vie- ne sparso di una luce nuova, che avrebbe fatto me- ravigliare gli stessi antichi: tanto è il senno con che riunisce le disperse e disparate notizie ! tanto il giudi - ciò con cui cribra i discordi pareri, e gli accorda o gli

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emenda. Quindi Ijellissima cosa è il conoscere, per le la- hoiiosc fatiche di un moderno scrittore, tante particola- rità ch'evan confuse ed incerte, e che un grandissimo uomo dell'antichith risguardano. Pare che noi valicando i secoli che ne dividono ci andassimo a riunire a quo' vecchi padri, frequentare i loro ginnasi, ascoltar quelle dottrine che dovean sopravvivere a tutte le generazioni. Così lo Scinà opera in modo che sembra un antico, il quale venga annunziandoci la sapienza de' suoi coetanei: tanta è la franchezza con cui spasseggia le incerte ed oscure vie de' piij rimoti tempi ! Noi dunque , racco- gliendo in poche linee le cose che furon dal nostro au- tore con tanta larghezza e sapienza ragionate , diremo che Empedocle nacque verso la "yS* olimpiade, cioè dieci o quindici anni pria di Socrate; che fu allievo di Parme- nide e di Anassagora; maestro di Gorgia ; e coetaneo di Melisso Zenone Democrito. Ebb' egli la fortuna di vi- vere non vecchio, perchè non oltrepassò i sessantanni, ma nei secoli più felici della siciliana grandezza, e nel- l'epoca in cui la sua patria, scosso il giogo della tiran- nide, a libertà si riduceva. Durante il periodo della sua vita grandi cose nei paesi più celebri del mondo, Ate- ne e Roma, succedevano: quella , governata da Pericle e splendidamente decorata , dava alla terra lezioni di civiltà che doveano sino a noi tramandarsi; questa at- terrava i Decemviri, restituiva i consoli, creava i cen- sori e i tribuni. Lo Scinà, per dire primieramente dei costumi di Empedocle , penetra nel suo spirito e nel suo cuore , e sviluppa tutto il sistema del filosofo di Samo, che in que' tempi per ogni dove regnava, e quan- to più era perseguitato tanto maggiormente si spandeva ed attirava a gl'intelletti più grandi. Ed ei l'esegue in un modo semplice e chiaro, che come dipinto in tela tei presenta. Il che fa del pari per la Teurgia, per la Magia, per la Goetia, e per tutte le sette e le dottrine ch'erano alloia in vigore . Empedocle dunque seguace

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della filosofia pitagorica, dedito alla teologia teurgica, illibato nella vita e nei costumi, coltivò le scienze na- turali, ed acquistò sapienza ne' suoi luoghi viaggi trat- tando, come Talete e Pitagora avean latto, coi sacer- doti di Persia e di Egitto. Amò la Sicilia , fu amico de' suoi cittadini, e reggendoli rotti nei piaceri nella mol- lezza nei vizi, che minacciavan col progrediie l'esistenza della patria, agognava di ridurli sul sentiero della virtù, e all'antica severità richiamarli. Quest'opera più grande e più gloriosa ancora de' suoi scritti, occupò tutti i suoi pensieri, e gli anni migliori del viver suo . Ma egli, saggio qual era , non affrontò direttamente la molle e corrotta Gergenti. Perciocché vide che per la natura uma- na bisognava correggere i vizi a poco a poco, e che gli uomini dal male operare non in una volta, che pensie- ro perduto sarebbe stato, bensì lento lento si dovessero astenere; dimodoché senza eh' ci il notassero venissero guidati alla virtù. Ed egli pienamente conoscendo, che le umane passioni dirigere e non combattere si debbo- no predicava quel detto, che a Plutarco sembrava gran- de e divino cercar di digiunare dall' improbità. E così facendo trasse tutto a buon fine, e guidando a miglior meta i vizi stessi, da questi, frutti gloriosi raccoglieva. Ei dunque fece divenire una famiglia di fratelli il ger- gcntino popolo, ed augusto porto di ospitalità il loro paese. Tanto potè la sapienza di un uomo, tanto l'esem- pio e l'autorità di lui!

Le gesta cittadine di Empedocle narrate dallo Scinà con quella schiettezza , e quella nobiltà , che gli sono proprie , altamente vi commuovono , e a risguardar con riverenza quel patriarca di virtude vi esorlano. Questi però, qual forte ed esimio pitagorico, non si ri- volse solo alla morale, ma ben anco alla politica, cui fece segno delle sue mire , e de' suoi desideri più ar- denti. Quindi il reggimento della sua patria corresse, migliorò, e su fondamenti sicuri stabilì. Due esempi

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contrari, ed ambidiic famosi e pairi aveva egli nel tem- po stesso sotto gli ocelli. Gergcnti e Siracusa erano al- lora le città più splendide e più potenti della Sicilia. (Kiclla aristocratica era continuamente battuta dàlia su- ]iorbia e dall'insolenza degli ottimati ; questa ai tempi medesimi democratica , veniva conturbata e travagliata dalla ferocia e dalla licenza popolare: i riccia con- culravan la plebe; qua la plebe insultava i riccia. On- de il fdosofo geigentino pensò ( dice lo Scinà ) equili- })rare la potenza dei nobili con quella del popolo, e tut- ti far partecipare dell' auiministrazione della repubblica. Concepimento meraviglioso e divino ! Per la qual cosa i cittadini presi da entusiasmo ai tanti servigi die ave- va quegli reso alla patria, volevano spogliarsi della li- bertà, ch'ei aveva loro proccurata, e gli offrivan lo scet- tro. Era in balìa di Empedocle, cogliendo il destro che la fortuna gli presentava, di riunire in se solo il supre- mo dominio, e re di uno dei più floridi e gloriosi stati della Sicilia divenire; ma egli, generoso e magnanimo, rigettò l'oiferta , e semplice e privato cittadino ritornava.

Queste ed altre cose memorande vengono raccontate dallo Scinà che irradia di nuova luce lo spirito di quel sommo siciliano. Tutta quest'opera sembra un poema: tanto è l'accordo e l'armonia delle parti, tanto leggiadro e forte lo stile, tanto magnifiche le cose che si narra- no. Tutto ch'ei dice viene corredato dall' autorità de- gli antichi scrittori, che acquistati lume per le sue os- servazioni e pc' suoi comenti . E bello e il vedere che un Siciliano, per l'acume del suo intelletto, ponendo a confronto le opinioni di tutti, e tutte a profondo esame e a severo scrutinio soggettandole viene a coi reggere e Greci e Latini, per le cose che del magnanimo suo com- patriotta asserivano: e pur quelli erano ad Empedocle vicini, noi lontanissimi!

Fu costume dei più vetusti filosofi scrivere in versi le loro opere; la jìrosa trascura vasi, Omero solo s'imi-

45 lava. Cosi furon da Empedocle tleltate in versi le ope- re sue. Il nostro autore mentre ricorda i due cennati poemi intitolati uno della natura e 1' altro delle pur- gazioni^ e che erano tutto lisico il primo , tutto etico il secondo, indaga la filosofia di Empedocle, e mirabil- mente la spiega. Egli in mezzo al linguaggio poetico del filosofo scorge ciò che Aristotile scorger non seppe. Le due forze della natura amore ed odio , sotto nomi mo- rali simboleggiale, che dan moto ai corpi, evita all'U- niverso, e che sarebbero nel moderno linguaggio affini- tà e repulsione^ sono state create dalla mente di quel filosofo, e sono il frutto più splendido delle sue medita- zioni, perchè liensi con loro sempre in moto e sempre viva la natura. Empedocle vide così nel suo pensiero la vicenda delle forze, ed afierrò vin principio sublime di fisica verità. La sua filosofia dunque, sfigurata e mal concepita dagli antichi e dai moderni, viene alla sua ve- ra esistenza studiando e meditando sugli avanzi che del- le opere di lui ne rimangono. Antichi e modeini sono discordi, appunto per aver fatto giocar la fantasia più che la ragione, ed avere esposte le loro congetture e le loro vaghe opinioni, anziché rintracciare la sapienza di Empedocle in Empedocle stesso. L'aver seguito costui la pitagorica filosofia non importava cli'egli non avesse avuto le sue proprie dottrine intorno alle cose dell'U- niverso. Onde lo Scinà su questo punto si rivolse, ed a parer nostro pienamente ne trionfò. .«»•/«<:<

I sistemi più famosi dell'antichità furon quelli di Par- menide, di Pitagora, e di Empedocle: metafisico il pri- mo, geometrico il secondo , corpuscolare il terzo. In questo venne per la prima volta annunziata la dottrina dei quattro elementi, d'onde son composti tutti i corpi, e d' onde provengono le rivoluzioni della natura. Quin- di lo Scinà fattamente innamorasi dell'empedoclea fi- losofia, e tanto profonda la scorge in mezzo al buio di que' tempi, che, venendo la moderna fisica a poggiare su

quella il suo eclifizio, vuole ch'essa Empedocle riconosca, e lui onori qual suo capo e fondatore. Onde lo Stagi- rita elle riprende il sofo siciliano , per aver introdotto nella fìsica il fato e la necessità , non vide quel che oggi ha fatto vedere lo Scinà, cioè che sotto queste due voci poetiche volle colui rappresentare l'immutabile na- tura delle due forze, che perpetuamente si avvicendano, siccome aveva fatto coli' odio e coli' amore.

Intorno alle opinioni astronomiche di lui confessa il no- stro autore essere elle spesso false e spesso bizzarre, ma colpa del secolo tenebroso in cui visse, e nel quale i si- stemi figli delle ipotesi, e non i giudici figli dell'espe- rienza occupavano lo spirito dei filosolanti. Ciò non per- tanto viene Empedocle spogliato , per lo Scinà, da uq prodigioso numero di assurdità, di che gli antichi storici lo avean bruttato; e sebbene egli, siccome lo Scinà sa- pientemente palesa, in gravi falli astronomici sia tra- scorso, pure eterna sarà la sua gloria , per aver corto- sciuto la successiva propagazion della luce , la rota- zione della terra, l'opacità della luiui, e scostandosi dalle volgari stravaganze nellaver comparato il primo le masse tra loro della luna e del sole. Al che si arroge ch'ci colla forza della sua sola ragione giunse a scoprire eziandio che la generazione degli animali e dei vegetabili avveniva in egual modo, e che questi esseri avean la proprietà di traspirare come quelli ; per cui dischiuse quella famosa via, che a tante verità dei moderni fi- losofanti condusse. Ma bellissima principalmente a noi è sembiala quella parte dell'opera, in cui lo Scinà ri- vendica il nostro filosofo dalla taccia di mago , che la superstizione e 1' ignoranza di quegli antichi popoli gli avevan dato: perlochè spiega come tutte le opere da lui fatte , e che a poteri soprannaturali si allribuivan da quelli, eran frutto del suo alto sapere in fisica in medi- cina in istoria naturale. Discende poi a difenderlo in su- premo modo dalla taccia di arrogante e di vano , con

47 che gl'ignoranti e gì' invidi avean macchialo il suo no- me, per aver dello nel suo secondo poema , eh' ei Dio immortale si fosse , e sopra gli altri veniva distinto e onorato. Il che dimostra coi dogmi della teurgia, e della filosofia pitagorica, dal nostro Gergeritino seguita , che il suo concetto tutl'altro senso racchiudeva di quello ap- póstogli da una turba di stolte e maligne genti. Insom- ma il nostro autore, dopo di avere bravamente smentita r opinione di essersi quegli troncato i giorni gittandosi entro le voragini dell'Etna, confessa pertanto di non sa- persi realmente il vero intorno al modo con cui sia perito il filosofo di Agrigento. Quello che sembra indubitato si è, th'ei sparve dalla sua patria, e forse venne ucciso dalla malvagità degli ottimali , dei quali avea domato l'arbitrario potere; forse moriva in Messina stramazzato da un cocchio; forse nel Peloponneso viaggiando, tran- quillo finiva i giorni suoi.

È divisamcnto del nostro autore di porre sempre in chiara luce tutto che sia potuto sfuggire all'acume de- gli altri, che lo avean preceduto: il metodo da lui te- nuto in quest' opera esimia , è quello di muovere i dubbi a se stesso , anche i pili lontani e i più diflici- li , e cercar di toglierli nieltendo in pieno giorno le contrarie ragioni; diguisachè non ne resta veruna parie che non sia pienamente agitala e discussa. Empedocle in metafisica fu pitagorico, in fisica originale: però lo Scinà manifesta eh' egli non seguì ciecamente il pitago- ricismo, ma modificoUo secondo che meglio il suo cuore, e l'alto suo intellello gli suggerivano. Così egli non diede tutto ai sensi, siccome allora faceasi dai più, e come si è fatto in epoche assai posteriori: per lui il pensare era diverso dal sentire, ne mai l'uno coU'altro confuse; as- segnò bensì ad ambidue attributi diversi e separati. E la trasmigrazione stessa delle anime, cardine della pita- gorica filosofia, fu da Empedocle più sottilmente veduta, ed era assai più filosofica e più ragionevole di quella.

Impercioccue si stabilisce dal nostro filosofo la fallenza delle anime qual base della trasmigrazione delle stesse. Finalmente 1' autore cerca , con santissimo consiglio , trarre dalle virtù di Empedocle grandi ammaestramenti per la Sicilia. Egli riassumendo se medesimo, ad essa rivolge il suo argomento in guisa che il suo profondo tra- vaglio deesi, indipendentemente di letteraria fatica, uti- lissimo pel bene della patria reputare. Imperciocché pa- ragonando egli spesso 1' antica Sicilia alla moderna , e facendo quella specchio a questa di se medesima trae argomenti solennissimi di pubblica fortuna.

Maurolico ed Empedocle ritornarou dunque pel sénno e per la dottrina del nostro scrittore a rivivere vita no- vella e gloriosa; ma mancava Archimede, perchè fosse uscilo dalla sua mente quel famoso triumvirato, che è grau parte della sua fama. I posteri hanno risguardato con una specie di religioso entusiasmo questo famoso saggio del mondo antico ; onde non potea lo Scinà , pieno della sapienza dei padri nosti-i , si amico del na- tivo terreno, non rivolgere il suo alto pensiere al sofo di Siracusa. Quindi nacque l'op&ra su di esso. Ma con- siderando egli r altezza del suo nuovo subbietto dice , con pieno accorgimento, che il suo discorso mostrerà piìi la nostra gratitudine che la grandezza di quello, richia- merà alla mente pii!i la nostra che la sua gloria , tor- nerà insomma piìi a nostro vantaggio che ad onore di lui.

Essendo tale dunque Archimede , che non vi ha an- golo della terra, in cui s'ignori il nome suo, moltissimi sono gli scritti che intorno ad esso si aggirano: ed ab- biara veduto antichi e moderni , italiani e stranieri di- scorrere più o meno dottamente sopra i fasti immortali di quel potente geometra. Onde pareva ciie chi fosse venuto a ragionare di lui a' nostri tempi poco spazio avesse , por discendere con onore in questo campo battuto. Dal che sorge che quanto più era malagevole

49 formare un lavoro che avesse un volto proprio, e stesse

da se medesimo, tanto maggiore è la laude, cui ha dritto quegli che vincendo tante difficoltà perviene ad arricchire di novelle frondi l' immortale corona , che si è a quel grande intessuta dai sapienti delle età trapassale. Lo Scinà raccoglie con uno stretto ragionamento, e senza pause, tutti i titoli del siracusano filosofo, in modo che viene a presentarlo in prospettiva, onde misurar si potesse ad un colpo tutta 1' estensione delle sue maravigliose sco- perte. Essendosi voluto dunque a' nostri e dopo tante varie fatiche , discorrere di Archimede , non si poteva immaginare un quadro migliore di quel che lo Scinà dipinse. Egli accenna primieramente poche cose della vita civile del Siracusano, perchè ovvie ed a tutti co- gnite ; e passa tosto a ragionare della vita morale ed intellettuale , traendola dalle opere che di lui, per no- stra ventura , ne restau tuttavia. E così facendo ne ha egli dato un lavoro originale , perchè nulla curando le cose che di Archimede si sono scritte, ha letto a modo suo nei libri di lui, ne ha col proprio giudicio esami- nato i grandi pensamenti, e quindi dettando colla pro- pria inspirazione, noi abbiam ritrovato nelle sue pagine ciò che in altri non si trova.

Le matematiche passando. dall'Egitto in Grecia, e vinta questa in Egitto ritornando, e famosa per ogni dove la scuola alessandrina divenendo, nato Archimede le palme a tutti si rapiscono, ed egli solo trionfa. Questo gran- d'uomo sdegnando di trattare le cose tiatlate volgea sua niente dove gli altri avean finito; diguisachè il ter- mine dei pensieri altrui era sempic principio de' suoi.

Lo Scinà, con un profondo matematico ragionamento, che mano mano si avanza , ci guida nel tempio delle sublimi creazioni del suo protagonista , e ci viene par- titamentc mostrando tutti i voli prodigiosi che proccurò questi alla scienza. Koi certo non lo seguiremo nella piena delle sua dotte disquisizioni, che ciò rifugge dal

nostro obbiclto , ma penetrando nello spirito del suo discorso, e spogliandolo di tutta la sapienza geometrica che lo veste , nudo 1' aspetto ne ofìriremo ; onde nelle gloriose scopeite di Archimede la bella fatica dello Sci- lùi , che le dimostra con tanto acume e tanta filosolia, venga da tutti meglio a riconoscersi e ad apprezzarsi.

Primieramente noi veggiamo, pel nostro autore, il so- fo siracusano scuotere ed illuminare lo spirito dei geo- metri del tempo suo, onde non si perdessero dietro la quadratura del cerchio, come allora facevasi; e venghia- mo per una serie di luminosi raziocini a conoscere qual metodo avesse tenuto quel sommo nel quadrar la para- l)oIa, svegliando in ogni petto altissima riverenza, pel no- vello genio che già nel mondo si lanciava. Ci fJa poscia vedere come quegli con un sistema semplice e severo l'ondasse la dottrina delle curve, e le curve misurasse; come queste pel primo comjiarasse alle rette, e come riducendo tal metodo a grandezza e forma generale la sublime geometria stabilisse. Quindi videro stupefatte la Grecia ed Alessandria, e stupefatti han veduto i posteri, come colla forza del suo pensiero abbia dato colui tanta estensione e tanta varietà di mezzi a questa scienza, di cui venne, pel consenso di tutti i popoli, dichiarato padre e solenne maestro. Imperciocché egli coi confronti, e colle progressioni sempre crescenti giunse a formar tai me- todi sì chiari e sodi che all'invenlare le cose più ar- due lo condussero. E lo Scinà fa sapientemente riflet- tere che lo spirito di Archimede fu anche tale, che veg- gendo con un balenar di ciglio i rapporti intermedi de- gli obbietti, che nel suo pensiero si schieravano, arri- vò di slancio moltissime fiate alle dimostrazioni delle cose, dimanierachè le progressioni da lui indicale ven- nero dopo la rintracciala verità. Per la qual cosa si schiude la via a far conoscere che Archimede con que- sto sistema, figlio della jiolciiza del suo intelletto, si avvicinò alla quadratura del circolo e dell' ellisse j di-

scoprì le proprietà della spirale e delle conoidi, mi- surò le forze sferiche, e determinò il bel rapporto y che lega sfera cono e cilindro. I Tutti i matematici posteriori, non esclusi i più esi- ' mii, hanno in Archimede attinto il fondo di grati par- te dei loro più arditi pensamenti. Laonde lo Scinù deside- rava che i giovani nella geometria degli antichi s'istru- issero, perchè la loro mente ad un ragionar sodo e pro- fondo assuefacendosi prenderebbe una tempra vigoro^a, e capace delle più grandi speculazioni. Imperciocché Ar- chimede adopera sempre nelle sue dimostrazioni ora la sintesi ora l'analisi, e tutto a semplicità riducendo, tal- mente ordinava e disponeva le sue idee, che alla sco- perta delle cose più astruse preparavasi. Così, facendo egli un'esperienza, ed allerrando una verità di latto, r innalzava a princijjio generale, e si apriva un campo nuovo di lagionamcnti, che lo guidava alla conoscenza di altri fatti e di altre incognite verità. Quindi lo Sci- dimostra, ch'ei, fattamente operando, fondò la sta- tica, e pose il primo i principi dell'equilibrio, riduccndo la leva a bilancia. E qui profondi sono i concetti di lui, nel manifestarci, come dal principio dell'equilibrio aves- se quegli l'idrostatica creato; e ciò senza strumenti, sen- za esperienze, ma con un ragionamento sodo e stretto di progressione, costringendo quasi la natura, colla sola forza del giudicio, a palesare i suoi più nascosti se- greti. Perlochè porgendoti 1' autore di ogni cosa am- pie ragioni ti spiega mirabilmente il modo, come aves- se questi trovato l'equilibrio de' galleggianti, e come a tale verità fosse giunto. Ei sembra che penetri nella mente del siracusano filosofo, ed intenda da lui mede- simo la serie de' suoi raziocini in tutte le sue varie spe- culazioni, che vincevano l'immaginazione più ardita. Co- sì quelle sulla sfera sul cilindro sulla spirale eran su- blimi e piene di profonde ricerche che riempiron di ammirazione gli antichi, ed han fatto meravigliare i

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moderni. Ed è veramente bellissiina cosa il pensare conae quell'altissimo ingegno in un tempo in cui si era privo di strumenti , ne la trigonometria si conosceva, avesse potuto con un regolo, con un manubrio, con un cilindro da lui immaginati, e con metodi ed artifizi suoi propri, giungere alla conoscenza di verità, che sembra- vano rifuggire eternamente dall'umano pensiero. Ma lo Scinà ti presenta 1' intelletto di Archimede capace, co- in' era, di abbracciare l'Universo. E certo la mente del nostro autore potea solo con quella sua tempra e quel- la sua forza, che a nullo cedeva, sminuzzare i grandi concopiiucnti del siracusano, nel modo mirabile eh' e- gli ha fatto. Le sue idee sono come gli anelli di una catena: egli passa di dimostrazioni in dimostrazioni, se- co ne strascina, e per entro l'ingegno di Archimede ne conduce. Così mentre questi alto la geometria spinge- va, egli ci fa vedere che nel medesimo tempo impie- gava le matematiche in vantaggio delle fisiche discipli- ne, fondava la meccanica, e dava al mondo l'invenzio- ne della chiocciola, che parve a Galilei meravigliosa, e per lo cui mezzo potevansi disseccare le paludi , e in- nalzare le acque dei fiumi, per inaffiare e fecondare i campi circostanti.

INella meccanica celeste poi egli senza strumenti, sen- za osservazioni, ma co' suoi soli divini raziocini, e coi suoi calcoli grandi verità discopriva: il moto della ter- ra annunziava, e l'immensa distanza delle stelle da noi e tutta l'orbite della terra in riguardo a fatta distan- za esclamava non doversi reputare che un punto solo. Quindi bellissime sono le osservazioni del nostro auto- re, e sottilissimi i giudici che a queste osservazioni con- giunge là dove gli viene il destro di parlare della cir- confcienza del nostro globo da Archimede stabilita , e del diametro apparente del Sole da esso lui misurato. Quando poi ci guida a calcolare con Archimede stesso la durata dell apparente sua rivoluzione; e ci la vedere

53 inventata la gran macchina del planetario^ con tul quel- l'immenso spinto giunse ad imitare nella sfera i movi- inenti del sole , della lana , del ciclo stellato, e le ri- voluzioni dei pianeti allora conosciuti; siamo presi da grandissima meraviglia per colui che tanti miracoli crea- va, e da somma ammirazione per quello che li veniva con luminoso corredo. di sapienza dimostrando. Per le quali cose a tante svariale invenzioni che riempiono di stupore la mente pili capace di grandi pensieri, lo Sci- nà, preso da entusiasmo innanzi a quell' altissimo in- gegno, non potea meglio dire, ch'egli è il primo dei po- chi così tra gli anticlii come tra i moderni , che solo trascorse lo spazio, che dallo spirito umano suole for- nirsi in più secoli e da più uomini. E come non dir ciò se a quaranta faceansi ascendere le invenzioni di Idi tutte mirabili e prodigiose? E^li innalzava con una for- za un peso qualunque; e pieno delle sue grandi conce- zioni diqea si punctum dabis coelum terramque mo- vebo. Inventava la sfera, l'asse nella ruota, gli specchi ustori; rese le mani di ferro, le catapulte, le baliste at- te ad operare come da lontano cosi da vicino, e a ma- neggiarsi con facilità, e muovere ogni maniera di pesi. Egli solo difese la sua patria, e resistette per terra e per mare alle tremende aquile di Roma. Siracusa pel suo Archimede sostenne tre anni di continuato assedio, e l'animo di Marcello tremò; tradita analmente, e non vinta, cadde la gloriosa città sotto la romana potenza. Qui spicca il nostro autore un volo rapido e sublime. Ei ci trasporta in mezzo ai pianti e alle angosce del- rinfelice popolo. Squallida Siracusa e abbattuta era mes- sa a sacco e a fuoco dal crudele vincitore; e così dive- nuta Sicilia romano mancipio perdeva ad, un punto la sua grandezza il suo nome la sua gloria: più di lei non si ragionò nelle pagine della storia ; e se alcun la ri- " cordava, faccvalo per ricordar soltanto le sue miserie e le sue catene. Cadeva Archinicde trafitto dal ferro

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oscuro di un soldato nemico, e con esso lui l'onore cU Sicilia, la meraviglia del mondo si spegneva.

Ecco la fatica dello Scinà : le idee s' incalzano, ed in guisa tal si presentano da formare un quadro che non sarà mai muto nella memoria degli uomini. Ma qui torna bello il riflettere come ogni pensiero del nostro autore tendesse ad illustrare la patria , a far rivivere negli animi de' suoi cittadini que' nobili sentimenti che infiammavano i petti di coloro che furon gloria di que- sta terra. Ogni sua opera a questo fine volgeva, e con questi pensieri, riepilogando le ragionate cose, finiva; diguisachè dovrassi da ognuno dichiarare lavoro patrio e cittadino. E sono da emularsi, egli dicea, non che da celebrarsi i tempi della nostra grandezza. Sono da stu- diare i resti onorati dei nostri sommi uomini , e gli avanzi preziosi delle nostre antichità per acquistare il sentimento quanto più pregevole , tanto men comune , il sentimento del bello, che distingue ed onora le colle e polite nazioni. Or questo sentimento nobilissimo che guidò sempre la penna e 1' animo dello Scinà gli fece altresì raccogliere ed illustrare i frammenti di Archestrato. Imperciocché la Sicilia a' tempi in cui questi viveva so- vrabbondava di commercio, di ricchezza, era opulenta e piena di lusso: qui fioriva ogni più nobil costume, ogni arie più bella coltiva vasi , ogni gentilezza si onorava: Sicilia era maestra a tutti, e i migliori ingegni nulla trascuravano per render più cara e più dolce la vita. Quindi Archestrato, poeta elegantissimo, e ch'era già ve- nuto in pregio nella vecchiezza di Aristotile , scelse il codice e le leggi della cucina per vago e bizzarro ar- gomento delle sue rime; le quali celebrate da molli, e da molti censurale, vennero dal tempo in gran parte distrutte , ed altro non abbiamo che gli sparsi fram- menti che leggonsi in Ateneo.

Gli antichi avean malmenato Archeslrato , e con pa- role ingiuriose e vili accompagnalo sempre il suo nome»

55 Il che forse avvcDÌva per 1' umile subbielto su di cui avea volto rjuegli il pensiero , quasiclic il genio degli uomini variar non potesse, o la tempra degli animi loro non avesse che un sol tipo. Onde lo Scinà dimostra quanto sieno slati ingiusti coloro verso il nostro poeta; fa vedere a qual fine tendesse il suo poema, quai van- taggi avesse recato alla cucina , all' economia , al vero buon gusto ; scelta nella qualità dei cibi , e semplicità nel condirli furono le due innovazioni, che Archestrato coi suoi canti recò nei desinari. Gli antichi Siciliani, avvegnaché famosi pei loro banchetti, e per la loro ga- stronomia, pure nei condimenti, che adoperavano, abu- savano dei loro caci, e di olì, e di untumi di ogni spe- cie. Perlochè vienci il nostro autore dimostrando , con grande acutezza d'intelletto, quale scopo morale nei versi di Archestrato si racchiudesse, e com' egli allontanasse quel triste costume, che oltre dei mali fisici mali mo- rali di non lieve momento produceva; poiché il poeta, col voler più semplice la cucina, la fé' divenire più se- vera e migliore. Addita egli poscia quelle parti della terra ove trovansi dei cibi più eletti ; insegna il modo di ben manipolare il pane e di migliorarlo; accenna le ricchezze che contengono i mari nostri e quei di Gre- cia, descrivendo i luoghi e i tempi in cui più squisiti sono i pesci. Insomma il suo poema volgeva su tutte le varie parti della cucina, e quantunque monco ed im- perfetto a noi giungesse , pur tuttavia è tale il lavoro dello Scinà che appieno conoscendo noi lo scopo del si- ciliano vate venghiam col pensiero a supplirne le man- canze.

Il volgarizzamento è fedelissimo, e , avuto riguardo alla natura del poema , e delle cose che contiene, non puossi non dire venusto ed elegante. Bella e vera e la osservazione dello Scinà, che Archestrato nei versi, nella frase, nella maniera degli epiteti, nelle parole, ncll'ar- mouia è tutto omerico. Omero ebbe per guida, Omero

gli fu di duce e di maestro. Insomma il nostro autore lia iu picciol volume cotanto illustrato il suo subbietto, che non poteva quell'antico ricever più bella e più gra-^ dita corona : ed a me pare che non vi sia argomento, cui la penna di questo grand'uomo non cosparga di luce e di verità, e noi presenti di nuove forme vestito.

PARTE SECONDA

MaurólicócIunqTie^ Empedocle Archimede Archestrato sono da riputarsi lavori positivi ed eccellenti. L'amore per la virtù per la sapienza per la patria è il sentimento più costante che vi riluce, e con occulto segreto nelle vie più profonde dei cuori s' insinua e signoreggia. Lo Scinà amava la Sicilia non còlle parole e colle vane e stolte declamazioni, ma cogli esempi e coi fatti: l'amava illustrando le azioni magnanime e generose dei padri nostri: l'amava in quel modo con cui può amarsi ai no- stri giorni dalle anime più forti. Perciocché ogni secolo ha un aspetto suo proprio, e vani non solo ma dannosi saran tutti gli sforzi degli uomini per cangiarlo. Le leggi della natura sono eterne ed immutabili, ed i tempi cor- ron lor via per loro stessi. Ei si cangiano e ritornano, come tutta la natura si cangia e si riproduce: ella crea per distruggere, e distrugge per creare. Solo pertanto è da riflettere, che senza attendere il lento corso dei tem- pi, i mali tremendi che accompagnan l'esistenza dei ci- vili consorzi, potrebbonsi menomare propagando i lumi eie sane dottrine, promovendo i mutui insegnamenti in ogni classe di cittadini, educando gì' ingegni, il popolo dirozzando, e proccuiando che la voce del. perdono e della grazia non giunga mai tarda. Così si affratellano gli animi, s'istruiscono le nazioni e si vincono; e men- tre si migliorano i costumi, le leggi più si rispettano, e gli uomini si rompon meno nelle col[)e, e non vi of- fron più quelle scene di orrore , che brultau spesso

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l'umana vita. E bellissimo pensiero fu quello che le

rivoluzioni dei nostri giorni servonci come di fiaccola per rischiarare la storia dei tempi trascorsi. La gene- razione attuale ebbe tutte quelle lezioni , che nascono dalle grandi scosse politiche, e senza dubbio per questa ragione il nostro secolo meriterà un altro d' essere chiamato il secolo dei lumi. Ed a me pare certo, che ove sono passioni ivi sono gli elementi del progresso della civiltà dei popoli. Qui con forza si sente, qui e tumulto di affetti, qui si sublima il pensiero, si spande l'animo, s'imita, si crea. Se questi elementi cadono in. mano di chi sa combinarli e trarne profitto, Sicilia pro- gredirà, e si alzerà dal lezzo, in cui ravvolta si giace; poiché i popoli sono ciò che vuoisi che sieno.

Lo Scinà, qual sapiente e qual saggio, sentiva la forza di queste eterne verità , e vedeva in suo pensiero che il miglior bene che far poteva alla patria era quello, d'il- lustrarla nel modo che sarebbe tornato più acconcio alla generazione presente , e fosse stato più utile e più glorioso per essa. Il qual principio, fonte primiero delle opere di lui, gli fé' concepire tutti i suoi alti e nobili disegni, e gli suggerì il pensiere di abbozzare la topo- grafia di Palermo e de' suoi contornì. Le più eulte na- zioni de' tempi nostri vantano svariate topografie, le quali sono come l'indice della loro civiltà. Imperciocché viensi con esse delineando lo stato fisico delle città e dei regni: dal che sorge che conoscendosi la natura dei monti, dei ter- reni, delle acque, del clima vengonsi a diriger meglio le S[teculazioni dell'industria, e ad aprire ai dominatori dei popoli nuove vie per meglio guidare la pubblica fortuna. Quindi grandissimo è l'obbligo die dobbiam noi all'il- lustre uomo perduto , che pensò formare un'opera, di cui ogni luogo di quest'isola interamente mancava, come ne manca tuttavia. Onde Palermo è la prima che addita col suo nobile esempio all'intera SiciUa il cammino da battere in questa carriera, acciocché alla fine compiuta cognizione si acquisti della terra che abitiamo.

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Lo Scilla previde modesta mente i falli che potesse ])er avventura contenere il suo lavoro, e forte dubitava die non fosse egli del tutto riuscito in un' opera così lunga e lìiticosa; la quale non essendo stata da altri ten- tata prima di lui era ben facile che in alcuni articoli fosse venuta manchevole , ed in altri eziandio erronea. Ma questo pensiero (egli dicea) non mi ha sconfortato; anzi con tutto r animo desidero die altri studiando con più diligenza i nostri contorni, venga dopo di me a sup~ plire le mie mancanze^ o ad emendare i miei falli. Qual meraviglia duntjue che vi abbian taluni rinvenuto degli errori, se l'autore stesso, conoscendo 1' arduità dell'im- presa, sentiva in se medesimo che priva di colpe esser non potea ? Ma checche ne sia egli è certo che la to- pografia dello Sciuà, con tutti i suoi peccati, deesi ripu- tare magnifico libro, che stabilisce un'epoca gloriosa" nella civiltà siciliana. Imperciocché l'autore con ricerche sottili, e con vedute fisiche geologiche e filosofiche ra- giona dei monti di Palermo , della pianura che la cir- conda, delle sue terre, de' suoi camjji, delle sue acque. E poi dell' atmosfera, del termometro , dello stato del ciclo, della pioggia, dei fulmini, della neve, dei venti, dell'aria, delle stagioni. Ne trascura di parlar degl' in- setti e degli uccelli, e delle nostre più elette produzio- ni. Il nostro mare è illustrato ; e la coltura dei nostri campi , fonte principalissimo della nostra ricchezza , è con gran senno presentata, rilevandosi gli errori e i gravi pregiudizi, che tuttavia dominano, e con tenacità si so- stengono. Insomma l'autore nulla tralascia, per quanto lo potean permettere i limitati mezzi di un individuo, onde illustrar pienamente lo stato fisico della bella città che abitiamo. Laonde i difetti che possonsi imputare a questa fatica , e gli errori che può ella contenere non toglieranno al suo autore la gloria di aver fatto un'opera nuova per la Sicilia, utile, importantissima. Egli fece con essa progi-ediie la siciliana coltura, e fregiò la sua iia-

5g tlva città eli una corona, che per variare di secoli noa sarà mai obbliata. Forse altri ia avvenire, ammaestrato dai pregi, e fatto accorto dagli errori medesimi di lui, ingrandirà e perfezionerà, dietro il suo esempio, la to- pografia palermitana. Ma egli avrà sempre la gloria di averla concepita e creata; poiché altro è dar principio, altro dare accrescimento ad una scienza ; ed è ben di- verso il formarla dall' avanzarla. Euclide Apollonio Ar- chimede furono i più grandi matematici del tempo an- tico, e la geometria crearono, e in alto spinsero: ven- ner quindi il Cavalieri , il Torricelli , il Viviani , il La Grangia, e quella splendidamente accrebbero e per- fezionarono. Se la gloria di questi ultimi è grande, quella dei primi è grandissima. Il che certamente av- verrà, per la topografia di Palermo, all'illustre scrittore che piangiamo.

Quest'opera mi guida a parlar di un altro lavoro, che ha con essa stretti legami, per l'indole dell' argomento su cui volge. È d'esso il Rapporto sulle ossa fossili di Mar-dolce e degli altri contorni di Palermo , che pose in piena luce le varie sentenze che si emisero fra noi in tal congiuntura, e smaltì le quistioni , che in affare di tanto pondo, qual fu la scoperta delle ossa fossili , sorsero e si agitarono.

A due miglia dalla città verso il sud est, e a 987 canne dal mare è la campagna di Mar-dolce; ove i Prin- cipi normanni tenean lor case di delizia , delle quali veggonsi tuttavia dei resti informi. Ivi in una grotta a pie del monte Grifone fu scoperto a caso nel marzo del i83o quell'immenso deposito di ossami di smisurata grandezza, che aveano nei tempi andati indotto parecchi uomini di riputato valore, come il Valguarnera, il Mon- gitore, ed altri a sostenere che appartenevano a giganti, pretesi abitatori dell'isola. Ma venuta meno ai nostri tempi col lume della filosofia e della critica quell'idea favolosa, e spogliata la storia dalle chimere e dalle as-

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sui'^itù, gl'ingogni non videro più in quelle ossa i resti dei sicoli giganti» Lo Sciiià aveva detto nella sua Ìo^ pogra/ìa ^ che il suolo della pianura di Palermo è un deposito del mare, e vi si osserva qua e la terra di alluvione. In efietto evidentissimi sono colà i depositi marini ; e quel grand' uomo aveva eziandio osser-i- vaio ch'essi alla loro superficie lianno uno strato <li ili-: fo^ indurito dall'azione dell'aria e dell'acqua, impastalo di concliiglie , e pieno di punti bianco-lucenti, ai raggi del Sole. Ed aveva aggiunto ancora che abbondantissimi sono in luezzo a tali strati di tufo i nicchi marini, che Airon depositati, per quanto pare , lentamente e in un mare tranquillo. Poiché saggiamente diceva trovai-si quei fossili disposti i in istrati regolari, e situati in più e di- stanti cave di pietra, come se ad arte fossero stati col- locati nel medesimo piano e alla medesima altezza. E così parlando di tutte le varie specie dei nicchi ma- rini sul nostro suolo esistenti , nota 1' unicorno fossile minerale j che non di rado s' incontra in mezzo a quel tufo; e quindi su di esso dottamente ragionando conchiu- deesser cosa certa che Yunicorno contiene solfato di cal- ce, ne si potrà perciò riprendere chi lo avrà per un osso o di un animale marino , o pur terrestre che più non esiste. Por le quali cose ben si vede come avesse lo Scilla sin dal 1818, io cui pubblicò la sua ^opogro/Z^, ragionato sull' indole dei terreni che circondano la no- stra città, e sulle alluvioni, e rivoluzioni della natura ivi avvenute. Onde scoprendosi la grotta di Mar-dolce non fu ])iù malagevole ai buoni pensatori riconoscer tosto la vera proprietà di queirimraenso ammasso di ossami. Il primo che vi rivolse il pensiero fu il celebre naturalista Antonino Bivona , di cui sono ancor calde le ceneri. Egli collaoutezza del suo intelletto vide che fossili do- veano esser le rinvenute ossa , e consultando perciò l'opera del Cuvier si rassodò, con questa divina fiacco- la, nelle concepule idee, e venne quindi annunziandoci,

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che prezioso tesoro erari quegli ossami , clie fossili do- vean reputarsi, e che ad ippopolami, ad elefanti, a cer- vi, e ad altre ra^ze di animali o comuni o estinte ap- partenevano. Ma mentre tali concepinàenti faceaii tanto onore all'ingegno del Bivona, venivano ad accrescer nel- l'istesso tempo la gloria dello Sciiià. Perciocché questi aveva già stenebrato le menti , le aveva fatto accorte che i contorni e tutta la pianura di Palermo era un ammasso di sabbione, tufo calcare, argilla, sabbia, cou- chiglie marine ; era ricca di fossili ; era un deposito di mare ; le aveva guidate al filosofar presente , e a vedere quel che oggi in elTelto vedeano. Ma siccome tutte le buone cose debbono aver contradittori e ne- mici , particolarniiente in Sicilia , ove non è raro tro- var dei cervelli legieri e balzani, così si videro fiera- mente attaccate le opinioni del Bivona e dello Scinà. Eravi un discorde sentenziare , un susunare perpetuo, lin motteggiare, un fantasticare, un sragionare vergogno-^ so. Fuvvi chi pubblicò nei fogli periodici che mano d'uo- mo seppellì nella connata grotta le ossa di cui si parla, e che appartenevano agli elefanti dell'armala cartagine- se, allorché fu da' Romani vinta nei contorni della no- stra città; e agli ippopotami che si trasportaron dall'Egitto per servire di diletto ne' giuochi della Naumachia, che presso Palermo, e precisamente in Mar-dolce, esisteva. Altri (e si ricorda con viva dispiacenza per la sua qualità di naturalista.) lesse all'Accademia di scienze un discorso, le cui idee fu ron poscia nei fogli periodici riportale, e pre- tese clie quel deposito di ossa fosse un'opera, dell'uomo; ch'elle fossero state ivi deposte a strati, è sepolte di calcina di terra e di lastroni di dura pietra; clr erari tutte di animali noti ^ e propri della Sicilia e della vi- -cina Africa; che vi fu rou .deposte durante il dominio di quasi dugento anni degli Arabi in questa Isola, i quali jìadroni ancora dell' Africa , di qui li portarono per allevarli ne' loro parchi, o serragli di fiere , e per gli

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usi necessari alla vita; cercanclo di dimostrare che non poteano essere afFalto di tempi aDticIiissimi, mentre, se- condo lui, vi si vedea la mano degli uomini che le sep- pellì. Per la qual cosa veggendo il Bivoua stolta- mente attaccate le &ue opinioni dicdesi ad osservare tutta la costa ch'è a livello di quella di Mar-dolce; la quale, secondo aveva detto lo Scinà, doveva essere tutta piena di deposili marini; e quindi dovea presentare gli stessi fenomeni ch'eransi ivi osservati. Difatti, andò pei* le falde di altri monti, e precisamente in quella dell'op- posto Billiemi ; e trovò , scavando , un' immensità di frammenti di ossa simili a quelle, per cui alte e ru- morose quistioni si levavano. Questa scoperta del Bivona convalidava sempre più le idee dello Scinà, e la gloria ne accresceva. Perciocché ivi, secondo che lo stesso Bi- vona, nobilmente sdegnato, rinfacciava, non combatte As- drubale contro Metello, ivi non è Naumachia , ivi non son laghi fonti , ivi non fu palagio ne serraglio di Emiri, come non ne furon giammai a Mar-dolce. Que- sti erao fatti che dovean vincere le opinioni più osti- nate, e pure non tutti ammutirono. La pianura di Pa- lermo avea per le osservazioni e pei travagli del nostro autore acquistato già un eminente posto nella geologia di Europa; ma queste ultime scopertela resero famosa nel mondo. Il Cuvier, che solo in geologia valeva un Areo- pago, osservava le ossa che da qui a Parigi gli si manda- rono, per conoscere il parere di lui; ed ei le diceva fos- sili ed appartenenti ad ippopotami, com' erasi detto dai nostri saggi, le reputava preziosissimo acquisto, nel gabi- netto del Re le collocava. Dietro il sovrano giudicio di unsi grand'uomo tacquer tutti; ed intanto Io Scinà ve- niva pubblicando quello stupendo Rapporto che farà epoca nella storia naturale della Sicilia. Imperciocché ivi traccia le prime linee dello studio della notomia comparata , di che non era alcun segno fra noi. Egli sapientemente dicea che la forma e le dimensioni sono

63 quelle die distinguono i fossili dai viventi, e sopra que- sti caratteri anotomici è fondala la novella scienza chia- mata dal Cuvier Paleontografia^ e da altri Archeolo- gia-Zoologica. Quindi va istituendo confronti impor- tanti e dottissimi, ed innalza ai fossili siciliani un mo^ numento che non sarà mai per perire. Osserva die la terra in cui giacean le ossa, e che le rivestiva, tanto di Mar-dol-ì ce, quanto di Billiemi, era di alluvione, e manda, calci- nandosi, vapori ammoniacali, dando segni sensibili, die racchiude materia animale, che si distrugge col calore. In uno dunque degli antichissimi cataclismi della natura fu> roncola depositati quegl'immensibanchidi ossami. Lo Sci- da cento osservazioni di fatto raccoglie che le ossa fos- sili che più abbondano sono quelle degli erbivori, e fra queste le ossa d'ippopotami, e poi le altre di elefanti; the tanto le ossa eh' eran fuori , quanto quelle che si trovarono incrostate dalla slallagmite dentro la grotta, sono tinte alla superficie di un color bruno rossastro , e nel tessuto cellulare, e nella parte spugnosa di color rasso bruno, che proviene dall' ossido di ferro, che le ha rivestito, e si è insinuato al di dentro al par della calce carbonata , che in forma di cristalli si vede nei pori, e negl'interstizii interni di tali ossa. L'inondazione non gli parca che fosse stata unica e nel medesimo tempo così in Mar-dolce, come in Billiemi; ed inclinava a cre- dere tanto per la terra ch'è più siHcea nel primo, e più calcarla nel secondo; quanto pel colore, e per le varie circostanze dei terreni , e per la varia altezza de' luo- ghi, che sia stata una corrente marina quella che abbia depositato le ossa nella grotta, e nella costa di Mar-dolce; e più presto terrestre l'altra di Billiemi. Ma egli, qual grande sapiente, annunciava dubitando cotale opinione; ed attendeva che ulteriori scavi , ed ulteriori scoperte avessero potuto meglio illustrare questo gran fatto della natura.

La penna dunque dello Scinà, piena di vera e soda

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scienza, educa la nazione, e fa sorgere negli animi i sentimenti generosi delle civili virtù. Noi abbiam siuora cercato di ritrarre quasi in iscorcio la llsonomia di quelle opere, che cercaron di ricondurre gì' intelletti siciliani allo studio della filosofia , delle matematiche , e delle cose fisiche e naturali. E sebbene non avessero fatto el- le avanzare la scienza per nuove creazioni ed invenzio- ni, pure son tali e pel pondo della loro dottrina, e per la maturità del giudicio, e per lo scopo, e pei lampi che spande uno spirito j)rofondo e luminoso , che han richiamato fra noi i buoni ed utili studi , volgendo le menti ad un sodo e vero ragionare.

Le quali cose signoreggiano del pari nelle sue storie letterarie: quella del secolo XVIII mentre vi presenta un quadro magnifico di tutte le vicende a cui soggiac- quero in Sicilia le scienze e le lettere in quel lungo pe- riodo, tende a correggere gli errori, a distruggere i pre- giudizi, ad infervorare gli animi j)er le umane discipli- ne, che migliorano i costumi, e riconducono fra gli uo- mini le idee del bello , dell' ordine , dell' armonia. Lo Scinà in quest' opera magistrale svolge il suo suVjbicllo con maestra mano. Egli padrone del campo lo corre per ogni verso : presenta la cultura siciliana nel suo vero stato, penetra le cagioni che ne ritardarono il progresso e lo sviluppo, sieno state prodotte o dalle barbariche mani degli uomini, o dall'ignoranza dei tempi: quindi vcggonsi gli avvenimenti politici ai civili e letterari sem- pre innestali. I metodi degli studi, l'ostinatezza della scolastica filosofia, e le opinioni e i principi che domi- navano nei vari rami del sapere, che or vacillava , or lentamente progrediva, or di nuovo ricadeva in tenebre piìi folte, son tali cose, che forman di quel secolo un quadro ricchissimo di vicissitudini di sapienza di veri- tà. Ed afferrando noi Io spirito di tutta 1' opera dire-r mo eh' ella offre tre differenti stadi dell' epoca che de- scrive. Nel primo osscfvansi errori cJ oscurantismo: nel

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seconclo sorgon desideri di progresso, e si conoscono gli errori, si fanno sforzi per vincerli ; nasce una lotla di passioni e di opinioni, si perde e si guadagna , ed in- tanto si preparano gli spiriti ad una scientifica e lette- raria rigenerazione. Nel terzo stadio, in cui viveano gli uomini, morti la più parte nel nostro secolo, si abbatte la filosofia del peripato, che avea tanto grandeggiato e compresso le menti; si studiano le scienze della natura per mezzo della C6perienza e dell' osservazione; la lette- ratura riprende il suo aspetto nobile e gentile; i classi- ci tornano in onore; gli studi sopra altri sentieri si di- rigono; le menti al bello ammaestrate, del bello s' in- namorano; ed il gusto, che in quei tempi tanto fra noi putiva del seicento, si deride, ed in odio si prende.

La condizione dei tempi fu dunque nel priino stadio avversa alla cultura delle lettere: le signorie vacillanti, i fieri contrasti tra le armi di Filippo V e Carlo VI in Messina, in Melazzo, ed iii altri luoghi di quella contrada, le minacce degl' Inglesi e gli assalti loro im- provvisi, tenendo sempre gli spiriti agitati , turbava n la pace di tutti. Gl'intestini partili poi, le epidemie, . gli odi, il difetto di pubblico insegnamento, di pubbli- che librerie, di mezzi di ogni specie erano potenti osta- coli, perchè le discipline dello spirito fossero avvilite, e giacessero in fondo. Ciò non pertanto per quel sacro fuoco, che non fu mai spento nei siciliani petti, vennero in quel periodo coltivale la storia e ranti({uaria;quindi an- dando mano mano cessando tutte quelle cause di re- mora, ed essendo gli spiriti più riposali, si videro per alcuni sforzi di anime superiori, nelle quali forte si- gnoreggiava r amore per le lettere e la carità per la patria, fondare biblioteche in vari punti dell' Isola. E qui ad onor di costoro ne torna caro il far. conoscere ,che in que' tempi sciagurati non eravene in tutta Sici- lia che una sola, quella dello Sclafani , che nel 1660 era stata da lui donata ai PP. dell' Oratorio di Palermo

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con r obbligo di tenerla quattro ore al giorno aperta a pubblico servizio. Quindi tolto l'ostàcolo delle biblio- teche si videro quasi nel medesimo tempo sorger nuo- ve università, sotto titolo di accademie , nuovi licei , nuovi collegi, e ragunanze letterarie da generosi signori fondate e favorite. Perlochè si venne accrescendo la lette- ratura e diftbndendo. GÌ' ingegni conobbero il bisogno di studi più severi; Carlo III, di animo eminentissirao, a miglior condizione riduceva le cose nostre, e speran- ze migliori semprepiù sorgevano nei cuori de' Siciliani. <3ucsto secondo periodo adunque notasi particolarmente pel movimento generale degli spiriti, tendente a diroz- zar la nazione, ad elevarla a seggio di dignità.

Ma viene l' ultima epoca, che è quella di Ferdinan- do III. L' umana ragione scossa dalle vicende di Euro- pa progrediva e reclamava suoi dritti: tornò in onore la giusta maniera di filosofare: le scienze più utili, rotti i ceppi dei metodi e della scolastica, vennero in fama, e cominciaronsi con ardore a coltivare: la morale filo- sofia, l'anatomia, la patologia, la filologia, la veterina- ria, l'economia civile, l'agricoltura, la fisica sperimen- tale, l'astronomia; insomma le scienze tutte che più ren- dono onorali i popoli vennero a metter seggio ira noi, Sicilia si rigenerava , e con tanta gloria e tante future speranze il secolo XVIII chiudeva il suo corso.

Questa è la bella fatica dello Scinà: questa è la fiso- nomia ch'ei ritrasse di quel secolo, con somma critica e sommo giudicio delineandola. Ogni cosa che possa ten- dere a segnare il carattere morale civile ed intellettuale è da quel grand'uomo fissato; e vengon da lui maestrevol- mente indicati gli anelli più sottili e più occulti che le conseguenze alle cause congiungono , e che fuggivano dallo sguardo dei più veggenti. La Sicilia dunque, non rimrclaiKlo noi per nulla le poche e mendaci fatiche del Mugnos non avea in latto di storia letteraria, che l'opera del Ragusa Elogia siculorum ec; la Biblioteca Sicula

^7 del Mongttore; alcuni Elogi d'illustri siciliani scrini dal

Torremuzza, dallo Schiavo, dal Drago; la fatica dello Avolio sulla poesia siciliana nel 1794; i due torneiti dei medesimo Schiavo , comprendenti varie memòrie , per servire alla storia letteraria dell'Isola, e che possonsi reputare un giornale letterario del tentipo suo. Ma tutti questi lavori ed altri non pochi non posson valere che di puri elementi per iscrivere la storia letteraria della Sicilia. Imperciocché sono essi privi della qualità principale , che dee dominare in opere di tal natura , la critica e l'ordine. Lo Scinà dunque fu ir primo che desse alla Sicilia l'esempio di una vera storia letteraria. Egli sentì fortemente il bisogno di un lavoro di tal natura: tanto più che affatto negletta dagli storici italiani era stala la letteraria storia di questo bellissimo punto del globo; diguisachè noi parie dell' Italia , eravamo stati obliati dagl'italiani storici. E i nostri scrittori medesimi atten- dendo a questi studi composero biografie e bibliografie, e storie non mai. Lo Scinà però appieno conoscendo quanto lo stato politico influisca sopra quello delle let- tere , e quale dominio eserciti pure spesso il secondo sul primo, ti forma un quadro politico ed intellettuale in cui ti rannoda le cose in guisa che ti fa vedere le cagioni , per cui quelle accaddero , e la maniera come si sieno seguite , e come le une abbiano le altre pro- dotte. Egli poi colloca gli autori nel posto che loro si conviene, esamina con critica le loro opere, con veiità le giudica, dimostra la parte che ebbero nel progresso degli studi e della civiltà della nazione. E fu suo par- ticolar divisamento il parlar sempre dei mezzi di pub- blica istruzione e di pubblica cultura; dimodoché le pa- gine consacrate a questi esami sono le più beile, perchè piene di un raziocinio profondo, guidato da uno spirito esatto e veramente filosofico. E questo stretto raziocinio, questa medesima logica ei portò eziandio nei primi pe- riodi della storia letteraria greco-sicula, di che fece alla patria bellissimo dono.

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In essa, Irntlantlosi ili cpoclio remole, si prende gli aiiliclit sorillorl per guitla tlcUc vicende pulilichc e ci- vili ch'cran connesso alle lelteinrie ili quo' secoli, altiu- gciulo alle loro fonti gii elemenli di tulli i suoi ragio- nari; diguisacliò non ha e non vuole avere, che il suo solo giutlicio noli' esame delle o|ìcre di cui imprende a ravellare. L'autore nella prima mcnioria^ che serve d'in- troduzione, la un bel cpiadro dello stato dei tempi più tene))rosi della Sicilia, rischiarandolo con mano maestra, e nella sua vera luce mettendolo. Ki ricorda primiera- nienle le indagini degli eruditi per distinguere i Ciclo]TÌ lavolosi dagli storici, e lissa il meslicre 1' ahila/joiie e l'origine di costoro, e come in tribù si riunissero, o ili borghi separati dimorass^rt), o come dai monti, ove abir lavano nei piani discendendo, alla coltura dei campi si applimssero, ed un passo l'acossero verso la vita sociale. Si poscia a cond>aHero la stolta opinione che fu tanto in voce negli andati secoli , e lino al leiniine del pas- sato, die la Sicilia ios^se stala da giganti abitata, per- chè mascelle e denti ed ossa di smisurala grandezza si rinvenissero. Ma egli prova ad cviden/,a che <piesle ossa ad ippopotami ad eleliinli a cervi, e non ad uomini ap- partengono ; e coir esempio delle ultime scoperte delle ossa lossilj di Siracusa , e di quelle di Mar-dolce, e degli altri contorni di Palermo consolida questo pensii- menlo, ti mirabilmente trionfa dell'ignoranza, e dell'il- lusione umana. Quiinli distrugge le vanità nazionali , che ad un'antichità remotissima vogliono attribuire la sa- pienza di Sicilia ; e posto giù il falso amor di patria rivendica la verità, e con un giudicio retto e prepotente la (issa e storica la rende. Perlochè si a narrare i casi di Minos; e parla di Coiaio e di Dedalo, da cui quasi un secolo prima della guerra di Troia, cioè l'jo anni dopo Deucalione, ebbero principio le arti Ira noi. lai a me paion vere e bclli.ssime ipielle osservazioni dcllautore che la causa per cui Sicilia iiou abbia prò-

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grcclito in cultura ne' suoi primitivi tempi, ed in varie signorie si sia poscia divisa, tiecsi riconoscere da tulle quelle varie razze di uomini, die dall' Ilalia , traghet- tando lo slrelto, mossero mano mano ncU' Jsola nostra come furono i Sicani, i Sicoli, i Cretesi, gli Elimi, i Morgcli, diversi di linguaggio, di costumi, e d'interessi. Inlaiito i Fenici, popolo iiiduslre e commerciante, spinti dall' amor del guadagno venivano in Sicilia a barattare i prodotti della loro industria con quelli del nostro suolo e venivansi i nostri popoli dirozzando, e supplendo colle arti fenicie ai bisogni che crescevano. Ed e da stabilire come storica verità, dal nostro autore , in mezzo alle tenebre di que' secoli, luminosamente tratteggiata, die tutta la nostra Isola si fosse avanzata nello stato so- ciale col continuo commercio de' Fenici di erano de- sti inciviliti^ ed ovunque trafficavano i vestigi lascia- vano dei loro usi., dei loro dogmi religiosi e delle loro arti. Ma mentre 1' egregio autore ferma questo princi- pio attacca 1' opinione di parecchi dei nostri storici, che per quel solito falso costume di magnificare oltre il ve- ro le cose proprie veggono In Sicilia per opera dei Fenici non che di arti , ma di scienze fioritissima. Dal che sorgerebbe che la fenicia sapienza esser dove- va grandissima a quell' epoca. Ma 1' autore con gran senno fa vedere che i Fenici, mercadanli com' essi erano e ghiotti a tal segno dell' interesse, che non isdegnava- 110 eziandio di corseggiare, non si possono Irasibrmare in matematici ed astronomi. E poterono al più, com'e- gli soggiunge, perchè ripuliti e trafficanti, svellere da- gli abitatori dell' Isola qualche antico vestigio di selva- tichezza e di barbarie, ornare colle loro mode le teste e le vesti delle donne, apprestar qualche cibo più de- licato alle mense, ingentilire, si dica ancora, i modi del viver civile, ina non mai dettar sublimi lezioni di tì- sica e di astronomia, e trapiantar le lettere, e crescerle ad ouorc.

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E così r autore di queste gravi materie doltatnenle trattando, si fa strada a parlar di Dafni , cui colloca nel posto che la filosofia della storia richiede , spo- gliandolo dalle vane pompe, di che i secoli dell' igno- ranza, e le mendaci tradizioni lo avean circondato. E quindi più oltre nel ragionamento inoltrandosi ferma come indubitato, che la nostra Isola si avanzò a poco a poco nello stato di cultura e di civiltà, e si recò al conveniente grado di politezza sociale prima che gli El- leui avessero preso ad abitarla. Ma la prima e la vera epoca del sapere siciliano ebbe luogo dopo V arrwo del- le colonie elleniche^ allorché la Sicilia recò ad al- tissimo onore le scienze e le arti pile belle ^ e glorio- sa di tante opere d' ingegno emula divenne della stessa Grecia. Laonde egli con sommo giudicio mano alla storia delle siciliane lettere non già dai tempi oscuri ed incerti dei Sicani e dei Sicoli, ma da quelli degli Elleni , perchè sono i primi che ci ricordan cose meritevoli di storia. Il primo periodo comprende 335 anni dalla unde- cima olimpiade, in cui approdarono in Sicilia le colonie elleniche sino all'olimpiade 78. '^ in cui Cerone ad altis- sima gloria aveva innalzato le siciliane contrade. In esso le scienze le lettere le arti hanno principio e progre- discono. Qui senza norma e senza esempio molte cose s'inventano: si eccelle nella lirica; si gitlano i semi del- l' epopea colla cetra ; si ammaestrano gli uomini col- 1' elegia alle civili virtù; si crea la commedia, e si cor- reggon con essa i costumi del popolo; una schiera di filosofi colle loro dottrine formano una scuola che seb- bene pitagorica, pure ha un carattere sub, e crea princi- pi che faran sempre grandissimo onore a quelli che coi soli lumi delia ragione gli andavano immaginando. Per- ciocché fondandosi sul movimento di rotazione della terra venivasi a stabilire quella idca^ che lia colmato di tanta gloria i forti intelletti che nei scroli avvenire la ripro- dussero. Qui le arti, scosso il tipo dedaleo, si muovo-

ho, imitano la natura, e con un miglioramento di pio- gresso sempre costante i tempi eli Fidia precedono. Qui le città ergono statue, e coniano medaglie agli altissimi ingegni; le corti dei Principi, e le aule dei tiranni ac- colgono a sommo onore i poeti e i filosofi. Le quali cose di bellissima ricordanza succedono in mezzo ai tu- multi e alle agitazioni delle guerre e dei civili tram- busti. E il nostro autore, dopo di averne fatto argo- mento di lungo e sapiente discorso, apre il campo al suo nuovo ragionare parlando dei Calcidesi di l^ubea, e delle colonie di Corinto e di Megara, che, approdate in Sicilia, vennero a confondersi mano mano cogf indi- geni abitatori, e a divenire Sicelioti con greche forme, greco linguaggio, e greco carattere. Ciò non pertanto •Sicilia non s' innalzò mai ad unico stato, e ad unica na- zione; i semi di discordia rimaser sempre; e le elleni- che colonie seguendo l'esempio della madre patria, die divisa in istati indipendenti, ed emuli, e spesso fra loro implacabili nemici, fecero divenirci nostri campi tea- tro di orrore e di miserie fattamente, che tal fiata un popolo, perchè battuto e vinto da un altro, chiamati in suo soccorso gli stranieri vendeva, per vendicarsi di quel- lo, la innocente patria, e rovinava Sicilia.

L' autore nota piiuMcramente i due dialetti che fu- rono in voga fra noi, 1' uno dei Dori e 1' altro de' Ioni ossia de' Calcidesi. Ma quello a questo prevalendo av- venne che dorico fu il linguaggio in tutta Sicilia, come doriche furono la poesia e la filosofia. Qui si ebbe una mitologia propria, e bella, e sentita che venne poscia ad arricchire la greca: qui le selve i monti i fiumi eraa pieni di vita; qui geni, qui maraviglie; e famosi i Pa- lici , famosa la niutà Ciane, ed Aretusa. Ma ecco già nella 22" olimpiade, cioè 55 anni dopo l'arrivo delle colonie, r inizio dei canti , degli strumenti pastorali, e della poesia. L' autore volge il pensiero al Lazio , e mostra qual difièrenza corresse in quelle stagioni tra

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i rozzi Latini, e i culti Sicelioti. Ne lascia incliclro r antichissimo costume, ricordato poscia da Diodoro, dei pastori siciliani , che coronati sfidavansi al canto , e in premio della vittoria si concedeano dei doni rustici, per cui celebrali furono in tutta Grecia. E qui l'autore ri- leva che l'antichità accorda ai pastori di Sicilia l'onore di più invenzioni , e il principio di più ritrovati , che loro acquistarono una gran rinomanza. L' inizio però della cultura siciliana, in cui sorsero e ginnasi e Ielle- re, e si schiuse un nuovo aringo che dovea esser glo- rioso per l'Isola, fu verso l'olimpiade 40'', cioè 90 anni dietro i primi passi , che i sicoli pastori facean verso mia più civile società. L' autore dimostra esser questa l'epoca di Caronda, e comincia a ragionare con profon- do senno di tutti coloro che la storia rammenta con ono- re. E siccome non abbiamo memorie anteriori a Stesi - coro, così egli prende le mosse da questo celebre Ime- rese, e cel presenta inventore della buccolica , e lirico di gran valore , che giunge a tiattar colla cetra di epici argomenti. Ed egli l'illustra che dagli attacchi fin di Quintiliano lo difende, e ne trionfa. Imperciocché quel gran critico aveva detto che il nostro Imerese non riteneva misura e si stemperava. Onde lo Sciiià fa ve- dere chiamando al suo soccorso e greci e latini, e con- fronti facendo, ed istituendo rapporti clie « fu un gran fatto, e si ebbe a meraviglia che quei da lirico avesse preso a trattare argomenti di epopea, e nel detlarli avesse non solo colto il carattere , e sostenuto la dignità dei suoi eroi, ma ritenuto l'ordine e l'intreccio dti fatti, che si vuole dall'epica. Perlochè non è da reputarsi difetto degno di biasimo o di rampogna, se il nostro poeta colla lira in mano di quando in quando si levi sublime , e nel dire e nel colorir le passioni sia più forte ed ornato che ad un epico non si convenga w. E così vien egli spiegando come il lirico cantando soggetti epici non si possa del tutto spogliare dei modi , delle figure , e di

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alcuni ornali, clic sono Inereutl alla lirica, e ne fan parte

costitutiva ed essenziale.

Discende poscia a dire come Stcsicoro al vanto della poesia avesse aggiunto l'altro della musica, e come no- me e grido di gran melopeo si fosse acquistato a que* tempi, in cui la musica separar non si poteva dalla poe- sia. Insomma nulla si trascura , perchè sieno compiute le memorie, die a Stesicoro in queste pagine si consa- crano. Ne i fratelli di lui Elianatte ed Ameristo ven- gono dall' autore negletti ; percioccliè il primo ebbe vanto di non volgare legislatore; ed il secondo fu geo- metra, che onorato siede tra i capi delle due scuole jo- nica ed italica: ond'è bellissimo il sapere che in un me- desimo paese e in una stessa famiglia yi fossero stati tre sommi uomini, e da loro avesse avuto principio in Si- cilia lo studio delle geometriche e poetiche discipline.

Vien dopo Teognide da Megara, e l'autore come poeta elegiaco morale e politico lo presenta : diguisachè egli rilevando i principi che dominano ne' suoi componimenti, e tutta la filosofia di lui in bellissima tela dipingendo, ha elevato un monumento che da pochi si conoscea. E tanto pili pregevole è il suo lavoro , quanto che ri- vendica la Gnomologia da tutte le intrusioni, e le alte- razioni a cui soggiacque per l'imperizia o la malignità di coloro che l' el^bero a mani nei secoli posteriori, e che a noi la tramandarono.

Siegue poscia Epicarmo anche da Megara. Quest'uo- mo occupa un posto segnalato tra coloro che lian con- corso alla riforma dei costumi de' popoli, e all'avanza- mento della civiltà delle nazioni. Imperciocché la com- media al tempo suo non avea forma, mancava di carat- teri, di affetti, di passioni, non avea scopo. Lo stesso principio che Tespi avea dato alla tragedia esisleva per la commedia. Spettacoli inetti e vani di gente che di- pinto e sformato il viso motteggiavano e svilaneggiavano per via di giambi col coro questo e (juell* altro indivi-

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duo, in cui per avventura abbatteansi. Epicarmo fu il

primo che si diede a ritrarre un'azione, die i costumi della vita dipingesse, e per mezzo del dialogo si svilup- passe, ed i vizi correggesse. Quindi lo Scinà comincia a dimostrare come per ottenere colui un nobile line mettesse in opera il frizzo non le baie, il ridicolo non la buflbueria. E f|ui egli penetrando nello spirito del megarese comico rileva tutto l'andamento delle sue com- medie, r artifizio da lui usato , le dottrine pitagoriche, clie trovansi qua e innestate , e che faceano al suo line. Molte furono le commedie di lui, ma pochi sono i frammenti che ne rimangono; onde l'autore a rassegna jiassando le opinioni degli antichi, volgendo e rivolgen- do con acuto pensiero le fatiche dei moderni , interpe- trando e studiando i frammenti medesimi di quello, fa al principe della commedia una egregia difesa , dimo- doché gli si viene dopo tanti secoli, una nuova corona iutcsseiido. E bene sta ciò eh' ei proclama , che dipin- gendo Epicarmo al vivo , e motteggiando con finezza , educava il popolo, moderava i vizi de' nobili e dei ric- chi, e riusciva a lutti utik e piacevole. Perlochè il tea- tro di Siracusa divenne una scuola di costume, e con- ferì sotto Cerone all'aumento della pubblica civiltà. Ecco il trionfo di Epicarmo! Onde Siracusa riconoscente eresse a grand' uomo una statua , come a colui, soggiunge sapientemente lo Scinà, che aveva erudito gli animi dei giovani, ed informatili alla virtù ed alla filosofia.

In Sicilia dominava la dottrina pitagorica: pitagorici furono i filosofi del tempo di che si parla; sicché l'au- tore d'Iceta d'Ecfanto di Pctrotic ragionando , ne viene minutamente osservando tutto il valore, ed in che Pi- tagora seguissero , in che se ne fossero allontanati ; e come varie dottrine nate nella siciliana scuola, confor- me quella p. e. del moto della terra intorno al suo as- se, jiassasscro nella vicina Magna Grcgia, e divenissero col tempo dogmi della pitagorica filosofia. Insomma lo

Scinà illustra questo periodo della letteratura greco-sicula con sommo giudicio e somma erudizione; dimodoché tra- manda alle genti, come in quadro dipinto, la letteraria sapienza di quell'età.

Ciò non pertanto la fatica di lui, intorno il periodo che siegue, a noi pare di gran lunga più bella ed im- portante. Imperciocché l'epoca veramente insigne e glo- riosa per la Sicilia è quella che in esso si racchiude , e camprende la serie di 85 anni, cominciando dall'olim- piade 'yS* sino alla 109*, in cui fu cacciato dal soglio il secondo Dionisio, e che viene a corrispondere agli anni 343 avanti l'era volgare. E se il passato periodo si se- gialò per la poesia , il presente venne in grandissima fama per l'eloquenza e la storia. E siccome io stato po- litico della Sicilia soggiacque a cangiam.enti, perciocché dappertutto si fondava la democrazia , così questa co- minciò ad influire sulla letteratura del secolo. Quindi r eloquenza, che per manifestare tutta la sua possa ha d'uopo delle popolari adunanze, venne a metter seggio fra noi. Corace aringa in pubblico, sorprende gli animi, ed insegna l'arte di ben dire. Empedocle trionfa e stra- scina la moltitudine con un potere ignoto alla Grecia : sicché egli rientrando in se stesso, ed esaminando la na- tura delle sue medesime orazioni, che tanto colpivano i cuori, e le menti vincevano, cominciò, mentre la Grecia non avea ancora per quest' arte sparso alcun lume , a tracciare le prime linee della rettorica. I Siciliani fu- ron dunque i creatori dell'eloquenza; ed in questo ma- raviglioso periodo nacque Gorgia , nacque Lisia ; e Polo scolaro del primo, Tisia maestro del secondo. Ma ciò che torna veramente glorioso alla Sicilia si è che l'eloquenza alla filosofia si congiunse ; e i maestri del dire insegnavano appo noi filosofia e politica. Il nostro autore difende sapientemente Corace e Tisia da- gli attacchi di Marco Tullio, e dai frizzi e dalle pun- ture con cui li va straziando. Ed egli è certo che l'ora-

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torc romano , qualunque difello avessero potuto avere le

orazioni dei due Siciliani, dovea porre mente ch'essi fu- rono i primi maestri del dire; e maestri, come dice b Scinà, degli Ateniesi, che con avidità li ricercavano, e stu- diavano con gran diligenza, allorché la rettorica comin- ciò in Atene a far parte delie scienze politiche. Onde non si può si dee negare, come lo Scinà soggiunge, a questi due insigni personaggi quella lode, ch'è dovuta ai primi inventori dell'arte.

L' autore parla di Gorgia in quel modo che più si conviene a questo famoso oratore. Cita tutti quelli clic lo prcocderoiio, e gli furon di scorta: quindi Aristotile, Pausania, Filostrato; ed il nostro Garofalo, che avea fallo un dotto e riputato lavoro sul Leontino, e l'Har- dion, e gli enciclopedisti. Ma egli si eleva poi col suo pensiero, e dice, secondo suo costume, ciò che sentiva dello stile, e delle orazioni di lui. Ne i suoi difetti na- sconde, ne i suoi pregi piiì del vero esalta. Ei lo di- fende con forza dagli attacchi di Platone, ed ora cede ora vince; sicché Gorgia sotto la penna dello Scinà com- parisce realmente per quel che fu. Ma non fu solo l'e- loquenza che spinse fra noi rapido volo, e che ven- ne da' Siciliani insegnala a' Greci. Imperciocché la filo- sofia in questo periodo giunse deipari a lontanissima meta. Questa è l' età di Empedocle. Onde 1' autore riepilogan- do con un bel tratto tutto che avea già ampiamente di- scorso ncll' opera consecrala a questo divino intelletto, unisce ad Empedocle gli altri sofi, e tesse una magni- fica tela della siciliana filosofia in quel secolo. Empe- docle aveva reso popolare la filosofia pitagorica. Ve- nuto Platone in Sicilia la regia di Siracusa di filosofi siciliani e stranieri si riempiva. Dione filosofo platoni- co, uomo di gran nome e di gran senno, amava la pa- tria, l'illustrava, l'onorava. I sapienti della Magna Gre- cia e dell'Italia venivano in folla a salutare Dionisio. Quindi cslcndcvasi la platonica filosofìa; e le dottrina

ni delle due scuole empedocleà e platonica si agitavano, si rimescolavano, e ccrcavasi di riunirle e di accorciarle insieme.

La medicina facea già parte delia filosofia, ed era per conseguenza tra noi in molto grido; e la scuola di Sicilia si reputava la terza tra le più famose di que' giorni. Quindi egregiamente dice loScinà, clie stando Platone in Siracusa, i filosofi greci e quei d' Italia si barattarono i loro principi e le loro conoscenze, e fin d' allora comin- ciarono a plalonizzare i pitagorici, ed a pitagorizzare i platonici. Perloclìc il regno dei Dionisl , ed i viaggi di Platone segnano un' epoca nuova nella filosofia, e colla filosofia eziandio nella medicina.

La drammatica a questi tempi levò pur tra noi gran fama. Empedocle, il nipote del filosofo, scrisse molte tragedie, perdute tutte, ma che vengono con onore ri- cordate dagli antichi. Gli Achei, l'uno da Siracusa, l'al- tro da Eritrea, scrissero pure tragedie, ed acquistarono molta rinomanza, arricchendo il greco teatro dei loro componimenti.

La commedia proseguì ad essere sommamente ono- rata; perciocché ad Epicarmo seguì Dinoloco, comico di alto valore, e Xenarco, e Carcino. E questo dovizioso nostro patrimonio si accrebbe per lo mezzo di Sofrone, che inventava i m/m/, piccole commedie, che dipinge- vano un fatto della vita domestica in un modo inge- nuo, e con un giudicio mirabile, che Platone alta- mente lodavali, e grandissimo diletto ne prendeva. E qui bellissime sono le considerazioni del nostro autore intorno la siciliana commedia; la quale ritenne sempre le massime del suo fondatore, e mai non degenerò, sicché fu diversa dalla greca, eh' ebbe tante vicende , ed ina- spriva mordeva avviliva. Per lo contrario la nostra a non altro fine tendendo che a correggere i difetti per mezzo del ridicolo, e ad intendere cogli scherzi alla ri- lbi;ma dei costumi , non morse mai le persone , e non

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attaccò clie ì vizi: quindi venne pregiata e Iodata per ogni dove. lu questo tempo stesso , mentre il catanese Androne inventava il modo di esprimere nel ballo coi moti del corpo gli accidenti musicali , i nostri celebri ditirambici Filosseno Timoteo e Teleste coi loro esempi scioglievano la musica dai lacci della poesia; dimaniera- chè la ditirambica fece che quella non venisse più da questa soffocata.

Intanto la storia fra noi sommamente fioriva, e giva sempre accrescendo il suo nativo splendore. Perciocché mentre la Grecia andava gloriosa per Erodoto e Tuci- dide, la Sicilia vantava Polizelo , Archetipo , Antioco , Temistogene, che tutti precessero, e tutti apriron la via al celebratissimo Diodoro. Ma tra essi fu Filisto quegli che levò gran fama di se medesimo. Egli venne riputato cnuilo di Tucidide , e scrisse in più libri la storia di Sicilia dalle prime epoche fino a' giorni suoi. Di questa fatica però , altamente lodata dagli antichi', che noi per loro sappiamo i pregi che la decoravano , non ne restano che pochi frammenti, raccolti dai moderni con grandissima cura. E bellissimo ne torna il ricordare quel che lo Scinà ricorda essere stato il nostro storico collocato da Dionigi d'Alicarnasso a mezzo quelli eh' ei stimava i più grandi dell'antichità, e che erano Erodoto Tucidide Senofonte e Teopompo.

Questo periodo adunque è veramente glorioso per la siciliana letteratura. Il nostro autore si piace di ricor- dare la potenza e le opere della patria in questa età. Ei vagheggia le sue idee, e con esse s' innalza,' s' in- fiamma, e nell'animo dei leggitori versa il fuoco di cui è pieno. Dimostja quanto sieno state fiorenti le antiche nostre città per le leggi, l'industria, il commercio, la ricchezza, il gusto delle arti belle. Qui ovunque sorge- vano e statue e sepolcri e tempi così magnifici, che mo- veano a stupore la Grecia: qui 1' architetto Feace non faceva invidiare la grandezza di Pericle; qui lo scultor

79 leontino Pitagora levava altissimo nome, e clava elcrua

vita al marmo, mentre Fidia creava que' capi d'opera,

che doveauo stordire la terra.

Ecco dunque tutto ciò che contiene quest' opera eccel- lente, e che noi slam venuti mano mano rilevando. Lo scopo dell'autore è quello di mostrare die la nostra beila Isola in questo periodo emulava la Grecia nelle arti belle, vincea la medesima Atene nello studio della filosofia, la educava all'eloquenza, accoglieva con ammirazione i grandi lavori del greco teatro, e la greca tragedia ar- ricchiva. Le quali cose, con moltissime altre, vengono mirabilmente sviluppate; e nel tempo che egli le glo- rie della patria proclama , non trascura mai di notare tutti i movimenti dello spirito umano tra noi in quel- r epoca celebratissima. Così finisce il secondo periodo; e mentre si attendeva coti grandissima brama il terzo, che quasi al suo termine era condotto, e che dalla restau- razione operata in Sicilia da Timoleonte giungeva sino alla caduta di Siracusa sotto la romana tirannide, 1' uo- mo grande periva.

Ora afferrando noi lo spirito dell' autore nell' anda- mento di queste istorie diremo che il metodo da lui tenuto si è quello di rilevare tutti gli accidenti della civiltà siciliana, di esporre con chiarezza il contenuto delle opere degli scrittori di che parla, lumeggiarne i luoghi più occulti e più negletti. Divide egli poi le ma- terie senza stento, amalgama la parte scientifica alla let- teraria, dai difficili argomenti discende ai facili, yersa dei fiori sulle materie le più aride, rallegra ogni ob- bietto, diminuisce alle cose gravi il naturale lor peso, e fa che il libro si legga con piacere, e mai non appesan- tisca la mente, e non la stanchi.

Quest' opera dunque avvegnaché monca ella sia, è pu- re da riguardarsi come un incremento della nostra ci- viltà, perchè è diretta ad illuslj-are. una parte dell'an- tica gloria siciliana, intorno alla quale ninno con ma-

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taro consiglio crasi pcranche rivolto. Ed e poi da ri- flettere clic avendo Io Scinà conosciuto i bisogni della patria, e volendo provvedervi in quel modo che più polca e migliore riputava, aveva espressamente atteso a questi studi. Imperciocché la Sicilia possiede libri che contengono la narrazione delle politiche vicissitu- dini, a cui ella soggiacque nel cangiar di molti secoli e di molte dominazioni ; e sebbene non avesse finora lui' istoria degna de' suoi fasti e della sua rinomanza, pure ciò che a lei oggi manca, e che le sarebbe ne- cessario, a preferenza di qualunque altro obbiclto, non sono certamente nuovi volumi che lo strepito delle sue battaglie, e i teatri delle sue discordie e delle sue guerre racchiudano; bensì la storia delle sue leggi e de' suoi costumi; i cambiamenti del suo governo politico e ci- vile sotto tanti diversi reggimenti; le sue relazioni col- lo straniero; 1' influenza della religione sullo spirito dei popoli; la varia fortuna delle sorgenti della sua ricchez- za; la sua pubblica e privata economia; le vicissitudini della sua civiltà, e quindi delle scienze della letteratu- ra delle arti che sono in quella immedesimate.

Gli stali più culti di Europa vantano scritture, che se non in tutto abbracciano in parte le divisate male- rie; e sono le opere, che hanno, particolarmente dal lato delle leggi , recato maggiore e più diretta utilità alle nazioni. Il Duk , con un ardire sovrumano, abbracciò ne* suoi vasti e filosofici concepimenti l' Inghilterra, la Scozia, r Ibcrnia, la Polonia, 1' Ungheria, la Boemia, e quasi tutta 1' Europa, facendo singolarmente pel suo nativo paese un lavoro, che sopravvivrà alla distruzio- ne dell' inglese potenza: il Cironio, e il Doujat fecero uguali fatiche per la Francia; il Conrigio e lo Struvio per la Germania; il Voezio per l'Olanda; il Grasso pel Milanese; il Molino per l'Aragona; il Cortes per l'in- tera Spagna; e molti altri insomma per altre regioni: i (juali tutti vengon ricordati dal Gianiione, che idcaa-

8r do e scrlvenclo un' opera slmigliante eccelse su lutti e tutti vinse, tanto per l' estensione del piano, e j)er la vastità del suo argornento, avendo congiunto la storia legale alla civile e alla morale ; quanto per la critica la più luminosa e la più profonda, che portò in ogni quistione che maneggiava. La storia civile del regno di Napoli di questo grand' uomo è un eterno monumento di gloria innalzato sull'ara dell'italiana sapienza. E seb- bene tutti quei grandi uomini avessero fatto le leggi scopo principale dei loro lavori; pure lo Scinà meditando sulla storia scientifica e letteraria della Sicilia faccasi balenare nel pensiero un'opera di tal tempra per la sua patria ; e piq. latitudine concedendo a' suoi divisauienti volea alle vicende letterarie concatenare le altre , onde presentare sotto tutti gli aspetti le fasi della civiltà si- ciliana. Le quali cose furono in qualche picciola porte accennate dove nel primo volume del suo Prospetto parla de' mezzi di pubblica istruzione e di pubblica cul- tura; e vennero più o meno distesamente toccale nelle egregie x1/e/7jor/e, di che abbiam ragionato sinora. Ma sarebbero state elle di gran lunga più sviluppate col progredire dell'opera. Imj)eroccljè ciò che all'autore sa- rebbe venuto meno per difetto di scienza l'avrebbe cer- ■'amente acquistato per le civili e politiche nostre con- dizioni , e pei cangiamenti di tante svariate signorie , non che per le nostre stesse sciagure. E poi la iilosofìa generale, la storia, la politica , il dritto pubblico, per cui la Sicilia vanta nel Gregorio uno di que' pochi che fanno veramente onore all'ingegno umano, non eran già fra noi sconosciute; e quindi lo Stinà l'esempio del suo gran maestro seguendo volea fare per tutte le epoche , più o meno che fosse, ciò che quegli per l'epoca nor- manna avea fatto ; costituendo però le vicende delle scienze e delle lettere il principale obbietto del suo la- voro , al quale avrebbe aggiunto tutti que' gravissimi argomenti , che 1' essere formano delle civili società.

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Quindi quest' opera clie abbracciar dovea tutti i secoli della Sicilia, die sono a memoria d' uomini, mirava a ] gitlar le prime linee di un edificio , die sarebbe stato '■> immortale. E sebbene le epoche principali della gran- dezza e della prosperità siciliana fossero state la greca e la normanna , pure nella romana , nella bizantina , nella saraceuica, nella sveva, nella spagnuola avemmo un volto proprio, e costumi nostri, e usi e consuetudini, e leggi , e animo, e gloria, e miserie tali da prestare alla penna di un filosofo ampia materia di ragionare. Per la qual cosa se la fortuna ci fosse stata più beni- gna noi attender ci potevamo con sicurezza la conti- nuazione di quella slu])enda e gloriosa fatica.

Lo Scinà dunque trovò la fisica fra noi caduta che barbara era, ed ei colle opei'e sue l' innalzò a grandis- sima dignità, rivolgendo le menti allo studio delle spe- limentali scienze. La Sicilia non aveva esempi di storia letteraria se non che poche ed imperfette biografie e bibliografie, e Scinà di storie letterarie eccellentissime le fé' dono. Egli poi diresse gli studi del suo tempo , e < diede gagliardissima spinta agl'ingegni; quindi si fu per la sua autorità e per la sua influenza che si videro creare mano mano il Dicearco, il Gorgia, il Lisia, il Polizelo, TAnlioco, il Temistogene, l'Epicarmo. Se Scinà non fosse stato noi non avremmo que' riputati lavori. Gli studi greci tornalo in onore appunto perchè egli co' suoi scritti scosse gli animi, ed invogliò la generazione che cresceva a seguire le orme che avea gloriosamente se- gnale. Né il luminoso esempio di un tant'uomo lin>itossi a far che venissero onorati i soli Greci-sicoli; perciocché i modoi-ni Siciliani più insigni, dietro l'esempio di. lui, son venuti eziandio nobilmente illustrati: ed egli portò SI .avanti 1' amore per la patria, che i più cospicui in- tellelli a coltivare le patiie cose si rivolsero. E bene e sapientemente diceva che con pochi aiuti potremo di legieri studiar le cose di Sicilia , e queste illustrando,

83 guadagnare una gloria , clic non ci potranno rapire gli stranieri , perchè noi saremo i ])rin)i ad arrivarla. La nostra politica, soggiungeva, giacche le lettere hanno an- cora la loro , dovrebb' essere quella di occuparci delle cose nostre, e il motto d'unione tra' Siciliani, che pi- gliano a coltivar le scienze, doviebb' essere Sicilia. Que- sto santissimo motto, questa generosa unione, predicata da un uomo di si gran nome , conseguì pienamente il suo scopo: le sue voci iufìammaron gli animi, e furono concordemente seguite. Ecco 1' impronta che diede al suo secolo Domenico Scinà ; ecco i benefizi che fece alla Sicilia questo grand' uomo. La nostra terra non è stata mai con più ardore studiata, amata, quanto ai gior- ni nostri. GT ingegni si diressero ad illustrarla a gara, e dii dal lato dei prodotti della natura , chi dal iato economico ed industriale, chi dal lato artistico, chi da quello storico, e chi da quello archeologico con plauso dell'intera Europa. I poeti medesimi han cavato gli ar- gomenti de' loro poemi e delle loro tiagedie dal fondo della siciliana storia. Insomma lo Scinà innalzò colla sua voce, e col suo esempio una bandiera sotto di cui si arrollarono le menti più grandi della Sicilia.

Ecco l'uomo che abbiam perduto! ecco l'uoino che per variare di generazioni e di fortuna vivrà eterno nelle pagine più belle dei nostri annali.

Egli era atletico di figura e severo; e sebbene avesse avuto debole la vista, pur nel vigore e nella penetra- zione dello sguardo lo avresti fra mille riconosciuto. Visse soljrio e trascurato di se stesso: pari al Maurolico benefico fu verso i suoi, e parco verso di se: simile al- l'Alfieri, l'amabile indulgenza, virtù cara (come fu si ben detto) e dolce a chi l'esercita, e verso cui si eser- cita, gli fìi virtù sconosciuta. Più die 1' amore conobbe l'amicizia; poco diletto prendeva delle ricreazioni dello spirito e del corpo, passò sua vita immerso nelle contem- plazioni della natura, e nelle concezioni delle opere sue.

«4 , . . . , . .

Si può dir di lui quel clie di Arcbimede egli slesso di- ceva, che altissime cose contemplando, era preso dalla dolcezza di queste ; e quanto più si estendea nel pen- siero , tanto lueuo si allaccendava alla cura del corpo. Così e non altrimenti possono gli scienziati dalla terra innalzarsi , pigliare le vie sublimi del ciclo , la fama eterna acquistare. Era di fatto 1' avidità del sapere , e l'ardore della gloria, che reggea le sue forze, aguzzava il suo intelletto , sostenea la sua attenzione. i suoi desideri andaron falliti: nome e fama chiarissima ebbe presso tutti , e la posterità , che non suole ingannarsi nella stima degli uomini, che già furono, lo riguarderà come sommo.

La conversazione di lui era oltremodo piacevole; che di spirito, di sali attici, di molti or graziosi or pun- genti condiva il suo faceto ragionare. Non aveva ribrez- zo ad ammetter chicchesia in casa nelle ore che al sol- lazzo destinava; quindi assai diverso in ciò dal Grego- rio una miscela curiosa tu vedevi di persone die lo cir- condavano: i dotti e gì' indotti cogli onesti e con quelli che forse non lo erano in una medesima sala, e in un medesimo crocchio insieme congiunti. Ma egli onorava gli uni, scherniva soltilmcnte gli altri, ed a spese di questi si divertiva. Cupido di notizie, quasi ad alleg- giamento delle gravi occupazioni dello spirito, prende- va diletto a sapere ciò che avveniva in Europa, e quel che si dicesse e facesse in Sicilia. Nelle dispule lette- rarie avea facilmente il primato, perchè potente era il suo ingegno, potente la sua facondia. E se per avven- tura vi fosse slato, come vi fu talvolta, chi lo vincesse ci cangiava tosto ragionare, ripensava su quel subbictto da se solo, e quandn men si credeva, vi ritornava con grand' arte altra fiata, e presentandosi con novelle ar- mi, cercava di riguadagnare il perduto.

Il Giegorio fu in ciò eziandio diverso dallo Scinà. Perciocché nelle letterarie contese era più maneggiabile,

85 ed assai più agevole a piegarsi alle opinioni altrui. Lo Scinà t' imponeva e ti agitava; il Gregorio f incorag- giava e t'inspirava fiducia: l'uno parco lodatore ina- sprivasi, quando 1' ottimo non vcdca; 1' altro indulgente agli errori era facile alla lode, e rendevasi popolare: l'uno quindi molti nemici, 1' altro amici infiniti: quegli attaccava e fiero rispondeva, questi evitava le guerre e taceva.

Dal paragone clie noi abbiam fatto di questi due sommi sapienti, che stretti ebbero i rapporti fra lo- ro, e di cui la Sicilia andrà del pari superba, scorgcsi che il Gregorio più dello Scinà conosceva 1' indole e la natura degli uomini. E sia forza prepotente di carattere, sia triste destino, a cui sovente debbon soggiacere i più grandi intelletti; ei non ebbe tal virtù da sfuggire o sprezzare le guerre letterarie in cui si vide ingaggiato. E pure gli era agevole il farlo! La storia delle let- tere, die è piena di fatti lagrimevoli, per le impron- titudini violente degli scrittori, olire (e ci è consolante il pensarlo) esempi contrari, e tali che si dovrebbero da ogni uom di senno seguire. E se la ragione è non solamente più propria, ma più matura e più profonda in quelli che la civiltà delle nazioni han creato, o spin- to a miglior meta, io non so come non si ponga un freno alla violenza delle passioni, onde liberare la sto- ria dello spirito umano da tante jiaginc che vergogno- samente la sconciano.

Buffon per evitare che si* accrescessero e numerose non fossero le censure che contro di lui già coraincia- vansi a scagliare sia dall' invidia, sia da una falsa ma- niera di vedere, sia da una vera, pensò di non rispon- der mai a nissuno. Difatti le critiche che comparvero contro i suoi primi volumi non ebbero che il silenzio. ]Sè perciò si tenga (dicon qui gli enciclopedisti) che tulle si potessero disprczzare Ma s' ei le avesse confu- tate, la viltà de' suoi avversari non gli avrebbe fatti de-

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sistere dalle censure, e perciò si sarebbe perpetuata una guerra, iu cui la vittoria, clic altronde non poteva mai esser piena, compensalo non gli avrebbe il tempo speso lottando, mentre certo era che meglio usarne poteva a. vantaggiar la sua gloria, e a far progredire la scienza. Così avesse pur fatto lo Scinà! Così avesse pur pensato in queste ultime epoche lo splendido ingegno di Vin- cenzo Monti! Così molti altri in ogni secolo; che avreb- ber tutti risparmiato e tempo e lagrime di sdegno. Ma checche sia di ciò egli è cèrto che dello Scinà debboa solo oggi appartenere ai posteri le opere che creò, e il suo giudicio; la sua sapienza; il lustro che recò alla patria; 1' amore che ad essa lo stringeva: il resto è om- bra che si dilegua, e dee perpetuamente giacere sotto la pietra del suo sepolcro. Onorisi dunque da tutti l'uo- mo grande perduto; ogni rancore si bandisca, ogni ab- bietta passione si disperda.

CONCmUSIONE

Era Palermo dal feroce morbo indiano travagliata in que' giorni, che furon gli ultimi di Domenico Scinà: ca- deva il popolo infelice mietuto dal cliolcra e dalla fa- me, e più dal crudele abbandono degli uomini. Lo Sci- nà sentiva in suo cuore fierissima doglia della disgra- zia che ci colpiva; e pieno di profonda mestizia muto e riconcentrato stava in se stesso. Era celi solito di batter due volte al giorno le strade che dividon per mezzo la nostra città; ed in que' momenti di jìubblico lutto aveva interrotto il suo antico costume. Ma un giorno, preso da più truce abbattimento, a tante srene di orrore che sotto gli occhi nostri avvenivano, scende tutto solo dalla derelitta casa, e a camminar si mise le usate vie. Giunto alla chiesa di Santa Croce, si ferma, e stende lo sguardo per que' luoghi: il tetro silenzio che dominava, i lividi cadaveri che ammonticchiati su i carri

e dai carri penzoloni, vedcansi con orrore e disdegno Ira- sportarc in pieno giorno; lo spavento che slava impresso nei volli di que' pochi, che corroan furibondi la mise- ra città in cerca di medicine e di medici, e senza spe- ranza di rinvenire ne le une ne gli altri, scossero l'or- temente la concitata fantasia dell'uomo grande che pian- giamo. Ei monta le scale di Santa Croce, innanzi a cui férmo si stava, e s' imbatte nel P. Milana, cappellano di quella chiesa: lo arresta, e con un lampo di quella potente facondia, che le fibre più occulte del cuore j)e- netrava, gli dice con voce tremola e commossa: la morto signoreggia dappertutto, le umane illusioni svaniscono, cedon le passioni, poco altro forse ad ognun di noi ri- marrà di vita, il nostro principio già al principio eterno si va a congiungere: e si dicendo gli manifesta la brama di deporre il pondo delle umane debolezze a piò del ministro dell' aliare. E poco appresso Domenico Scinà eseguiva entro le sue slesse mura ouest'umile allo della religione dei padri nostri, e del sacramento eucaristico si muniva. Difatti pochi giorni più in veniva saet- tato dal tremendo morbo ; e quando scoccavano le ore due dei i3 luglio Iddio a se ritirava il sacro soflio di quella vita.

Fra la innumerevole schiera dei beneficati di Dome- nico Scinà altri non vi fu che in quel terribile frangente gli apprestasse la consolante voce dcUamicizia, che Pas- quale Pacini. Quest'uomo dotto e generoso mai non lo abbandonò; stava sovente vicino al capezzale del colpito amico ; la gelida destra , ministra un giorno di si alta sapienza, spesso fra le sue palme riscaldava, vivi baci imprimendovi, e di lagrime tenerissime bagnandola. Un medico, da lui amato e protetto , richiesto con immensa sollecitudine, dalla trambasciata famiglia, perchè venisse a visitar Scinà, iniquamente negavasi all'invito. Altri, di cui la storia, persolo obbrobrio, tace il nome, avvezzo a salir le scale dei miseri colerici, per l'ingordigia sola

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dell'oro, vide più volte, e sempre da lontano l'infermo sapiente, stolte prescrizioni faceva, e tosto, col pugno pieno di argento, dispariva. Qui si presenta all' agitato pensiero il duca Cumia. Quest' uomo singolare , cui la storia non vile porrà nel suo vero lume, e colmerà di gloria non compra, era dello Scinà amico dolce e cal- dissimo. Udiva egli con acerbo dolore il colpo a cui questi era soggiaciuto; e in mezzo alle sue private sventu- re, ed air enorme soma delle pubbliche cose, che, in quei momenti di popolare concitazione , reggeva con senno grandissimo, con consiglio, e con una forza morale pro- digiosa, correva, egli stesso per la città, in traccia di medici e di medicine; provvedeva l'infermo di tutto che' in que' tempi di estrema penuria, e di generale abbando- no, abbisognar ^li potesse, ed inviavagli Girolamo Mina, dotto ed egregio professore, ed uno dei pochissimi che si prestaro realmente alla cura degl'infelici attaccati. Co- stui assistette con generoso affetto il grand'uomo, ma il morbo erasi avanzato, il colpo era stato letale , e biso- gnava pagare il tributo alla natura.

Poco innanzi che Scinà morisse chiedeva ad un suo giovine nipote (*) , che accanto a quel letto di morte sedeva, che prendesse un libro e leggesse. Cadde al gio- vinetto nello mani un volume di Foscolo, e dicendogli qual libro si avesse , il moribondo sapiente , con voco fioca e lenta, rispondeva, che in quelle pagine l'orazione a Bonaparte contener dovevasi, e quindi quella legges- se In questo mentre il Pacini sopravveniva, e Scinà

in segno di dolce riconoscenza lo abbracciava, toccavagli la mano, e con grandissimo affetto l' estremo addio gli diceva. Poco appresso arriva il P. Insinua, della gesu- itica compagnia , amico dello Scinà e da lui richiesto; e mentre questi la voce dell'ultima speranza sommessa* mente gli porgeva, l'anima grande esalava.

(i) Domenico Ragona di felicissime spcranic , e dal (kfuiilo caldamente amato, ed avvi^^to alle sciente.

Niuno lo accompagnò al sepolcro; niun luogo separato lo chiuse, verun fiore fu versato sulla sua pietra. Giorni crudeli! epoca memoranda ed orribile! Verrà qui lo stra- niero, dimanderà la tomba, ove Scinà riposa, ed il si- lenzio ed il pianto alla sua inchiesta risponderanno. Tanti insigni intelletti, che resero più nobile e più il- lustre il nativo suolo , clic diffusero il nome siciliano , e di somma gloria splendettero non si ebbero un palmo di terra che separati li chiudesse! Sepolto e confuso fra la moltitudine degl'infelici, che la fiera pestilenza uccideva, distrutto il suo corpo dalla calce, non resta più reliquia di quelle membra che un'anima maschia e sublime informarono. Ahi che le mie tremende sventure ricordo! ahi che il pondo delle angosce private e pubbliche schiac- cia il pensiero e lo annienta!

Salve o Scinà , salve scrutatore profondo delle sici- liane cose: tu interrogasti la natura, illustrasti il suolo l'aria il cielo il mare della tua patria; facesti coli' im- mortale tua penna rivivere più onorati gli uomini in- signi che r antica e la moderna Sicilia produsse ; illu- minasti un secolo, spargesti lampi di luce su noi. Salve spirito benedetto ! la tua memoria sarà viva nei nostri petti, intatta sarà la tua fama, e si tramanderà gloriosa alle età più lontane.

Sul primo Canto delFlnferno di Dante Jlighierié

Chi scrive interpetra se stesso^ ed apre la propria voglia, fu già sentenza dell'illustre apologista di Dante, GiulÌ9 Perticari. Su tal principio fondato mi diedi nel leggere la Divina Commedia ad esporre i concetti del di- vino poeta colle stesse parole, colle quali avea egli in altre opere reso manifesto il suo intendimento. Ma ebbi allora ad accorgermi, che, uguale strada non battendo i

cliios«Tlori di lui, avcano, senza punto avvedersi nel glo- sarc il suo poema, in alcuni luoghi fallalo sin dal i°. Canto deirinlcino, che chiamare puossi il punto

Jl qiial si iraggon d'ogni parte i pesi.

E veramente questo canto è l'inlroduzione di tutto inte- j1 jwcma, chi; dichiara (come verremo appresso dicendo) il (ine allissimo dell'Alighieri. Ora volerlo con idee ge- nerali dichiarare senza risguardaie ad altre sue sentenze, ed opinioni, non che ai fatti di sua vita, che vanno bene sjiesso a questi congiunti, aperto mezzo, confesso il vero, non mi sembra di dar nella cruna delle di lui veraci inlcnzioni.

Colui, che mette gli altrui pensieri a scrutinio , non de]}be mai la facg luminosa della critica dimenticare , ed in un sol punto in se stesso riunendo il Filosofo , lo Storico, il Politico, dee far che ogni ramo loro appartenente si corrisponda , acciò abbia un sol tutto dalle sue osservazioni con mirabile armonia a scaturire.

Se ciò avessero i glosatori di Dante praticato, resi si sarebbero più intelligibili per certo, e se oltre a questo avessero nel T. Canto dell'Inferno posto la mira nel Jegnre, come si dovea, il senso di un verso con quello «li uiraltio pii'i prospera sarebbe loro riuscita l'impresa. Non è ])erciò nostro pensiero rallèrmarc, che la spie- gazione la quale ci siamo proposti di dare sia l'infidli- l)iie, che non ci ripuliamo ardili. Noi ci determinia- mo soltanto di mostrare gli errori, in cui siano, a no- stro credere, incorsi alcuni dei Commentatori, e faremo manifesta l'opinione nostra, qualunque ella sia.

Che l idea dell'Omero italico nello scrivere il suo poe- ma sia slata la medesima del Greco, ninno certamente il negherà.

Sbandile il vizio, che avea Italia miseramcnle detur- j»ala , <' (are (piella libertà linasccrc , che tanto dagli stali Italiani si sospirava, nell'alto, che, i mezzi si ne-

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gligentavano a rivendicarla, pietra angolare di quella esser dovendo dei voleri l'unionejfu lo scopo del generoso Poeta. Sdegno dunque , affetto magnanimo, al dive di Aristo- tile, anzi vero indicio di virtù , il quale procede da costume ottimo, siccome la pietà, fu quello , che il vi sospinse. Illibate quindi le massime di Dante, incorrotti i costumi, che se così stato non fosse, non avrebbe egli iniquo gli altri iniqui rimproverato ; e se pur fatto l'avesse, ipocrita era da stimarsi, non virtuoso. Ben sap- piamo, che anche i malvagi fanno le viste talora di vo-* lere le altrui pecche redarguire, l'intenzione del buono però apparirà sempre mai diversa di quella, che i pra- vi si prefiggono. Di loro diremo qui le parole uscite dalla bocca di uno scrittore dei nostri tempi. « Molti >j ipocriti ci parleranno di virtù senza praticarla (i) ». Ma quantunque dai Comentatori , la virtù, e la mente politica del nostro poeta si conosca, tutta volta ci si mostra da costoro immerso nelle passioni in quel tempo, in cui dovea come Priore, i costumi riformare , ed in cui stava il suo poema apparecchiando. Osserva in fat- ti il Biagioli con il Ventura , il Volpi , l'Ambrosoli , ed altri (2) che per la selva oscura, nella quale l'Ali- gliieri erasi nell'età di trentacinque anni smarrito, debba intendersi essere in quella entrato , « quando lasciò » via verace, o sia clella verità, Volgendo i passi per la » non vera via. Adunque stando ai confini della verità >3 l'errore, siccome dell'allegrezza il pianto, della vita la » morte , rappresentasi per la selva il contrario della » verità, cioè l'errore, o sia, come Dante l'appella nel » convito, la selva erronea di questa vita »<

Spiega non che all'addotta ragione contraria, ai sen- timenti ben anco del medesimo poeta , mostrando egli in una epistola a colui, che gli scrisse , pregandolo ad

(1) Nicoliiii G. B. considerazioni sopra i rudimenti di filosofa morale di Diigal(J Stewart.

(■•i) N. li. non si parla dei Comentatori molto antichi.-

0^ . , .

un Ycvgognoso ritorno alla patria, clic quello, il quale batulitore si dichiara della rettitudine, retto dee sem- pre agli ocelli di tutti apparire , dicendo ivi: c< Lungi >j da me banditore della rettitudine , die io mi faccia M tributario a quelli , che mi ofiendono ; come se elli w avessero bene meritato di me ». Sebbene applichi tal discorso a quel caso particolare , pure potrà da questo dedursi qual sia stata la sua mente nel generale.

La quale contradizione sembra, che prosegua a farsi sempre più manifesta, quando il poeta in quella parte, ove terminava la valle, che gli avea di paura il cuore compunto , si trovò a pie' di un colle , glosato per lo monte della verità , le di cui spalle erano vestite dei raggi del Pianeta , che mena diritto per ogni calle il mortale, e dopo ch'era un poco qucto lo smarrimento dell'animo suo, cominciò a salire la piaggia diserta.

Si oppongono allora al di lui cammino una Lonza , un Leone , una Lupa interpetrati per i piaceri disone- sti, per la superbia, e per l'avarizia, che gli fanno guerra. Quantunque questi vizi non avessero avuto mai ricovero nel sacrosanto petto di quel divino ; pur tuttavia non isdegneremmo tal glossa, ben conoscendo, che per quanto l'uomo sia virtuoso, trova però le spesse fiate degli osta- coli, che nella via delle verità gli si oppongono. Se non che riflettendo che la Lupa simbolo dell' avarizia avesse a Lui posto tanto di gravezza da fargli perdere la speranza di condursi sino alla vetta, uniformare non ci possiamo a tal parere. L'impuro fuoco delle passioni esser puote d'impedimento alla virtù^ non mai superarla. Ne dalla vita di Dante si raccoglie di averlo signoreg- j^iato l'avarizia; lunge ne fu tanto all'incontro, che no- vello Socrate colle parole i suoi compatrioti fulminando, ebbe, caldo di amoroso zelo per la patria, in questi versi a prorompere;

Superbia, invidia, ed avarizia sono

Le Ire faville che hanno i cuori acceso.

9^

Conforme a quanto ^a noi poc' anzi si è licito, concliiu*

diamo su questo punto, che ove alcuno si accordasse ad ammettere 1' anzidetta spiegazione , è giocoforza , che questi acerbi rimproveri, che partono mai sempre dal- l'amore del buono e del vero , abbia per simulati, se pure avrà il coraggio di stare a fronte dell'illustre Per- ticali, che dir seppe con molto senno le ragioni dello Alighieri, e che in conseguente rigetti come falso ciò che il poeta nel convivio ci dice: « Li quanto poteva gli M errori della gente io abbominava, e dispregiava non M per infamia, o vituperio degli erranti, ma degli errori w; aggiungendo altresì che si propose di gridare « alla gen-te » che per mal cammino andavano, acciocché, per diritto w colle si dirizzassero 53.

E come mai condurre a retto sentiero un popolo , iTientr'era egli stesso la pietra dello scandalo? Come cac- ciar l'avarizia sorgente infausta di mali, se avido era, ed avaro? iMa come comprendere, ch'egli avaro avesse potuto quasi da profetico spirito riempito , estollere a Ciclo quel Can Gi-ande della Scala, ch'esser dovea colui, che sospingendo nelle profonde bolgie dell'Inferno, la Lupa, sarebbe stato dell'umile Italia salute? L'avarizia di Dante in fine come mai accordasi colla sua tanta predicata one- stà? Che se onesto stato non fosse, non era da compian- gersi l'esilio di chi, preside essendo, a rovina coi tristi esempi conducea la plebe, é pronti esecutori della giu- stizia doveano anzi esser tenuti i Neri.

Pare adunque, ch'essendo l'avarizia inaccessibile nel- l'animo del cantor della rettitudine altra chiosa sia da bramarsi. Sarà forse quella del Biagioli ? Questi bea comprendendo esser privo di fondamento attribuire al- l'Alighieri l'avarizia, cosi soggiunge: « Il terzo ostacolo, » che si oppone al salir suo (di Dante) è la Lupa sim- >i boleggiante l'avarizia; poiché siccome questo animale » è ingorde, vorace, insazialjibile, così è l'avaro, in cui w un desiderio soddisfatto , è stimolo ad un altro, che

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M coiilentalo appena, ne accende altri nuovi, e più forti. Ma se in Dante non conobbe Inogo l'avarizia, come 5j potè torgli la Lupa il passo del bel monte ? Dante 5} non sostiene qui la persona di se, ma dell' uomo in M generale , che desideroso di un bene , nel quale si M quieti l'animo, il va cercando invano nell' ammassa- ì) mento di smisurate ricchezze, principio, e cagione di n miserie , e di angosce , e in fin di morte , a clii vi >j pone avaramente il cuore. Rappresentando adunque )j in se ciò che inevitabilmente avviene all'uomo avaro M nel correr dietro all' immaginato bene , ne dimostra M quanto impossibile sia a costui il potervi mai giun- » gere, con dire,, che la paura cagionatagli dalla Lupa M fu tanta, che non solo perde per essa la speranza di » salir la montagna, ma sarebbe stato dalla rea l^estia » respinto nella oscura selva, se pronto aiuto dal Cielo M non l'avesse soccorso w.

A dire il vero noi non intendiamo quanto chiara ap- parisca la verità asserita dal Biagioli, che il poeta so* stenga due personaggi. Non sarebbero a quel sublime ingegno mancati mezzi di riferire il suo discorso alluo- mo in genciale. Egli, che avea molti nemici, avrebbe mal consultato i propri interessi, ponendo in così buio senso la cosa, mentre quelli non sarebbero a se stessi mancati nel caricarlo, presentandosi così prospera 1' oc- casione, di un delitto, che non avea. JNè dal contesto dell' intero canto si vede ciò che il citato comentatore ci avverte. Che anzi non 1' uomo generalmente preso , ma lo stesso Dante veggiamo in seguito con Virgilio, che ivi liovossi per ajutarlo , intraprendere un nuovo viaggio. Le parole » Vagliami il lungo studio ecc., » che dirizza al suo duca degno solamente di quel primo splen- dore Italiano, avendo egli , e non 1' uomo in generale molla fatica durato nello studio del cantore di luiea. Sarebbe dunque uno strano bisticcio scoigcre nel pri- mo Canto dell'inferno l'uomo eia! precipita, ed in lutto

9^ il restante poema Dante sotto la scorta di Virgilio spe- dito in soccorso a chi rovinosamente cadeva da Beatrice, la quale aver non polca alcuna relazione coli' uomo iu generale, bene coli' Alighieri.

Son questi gli abbagli, che ci è paruto se pur non e' inganniamo noi stessi, scoprire nei conienti dogli an- zidetti dilucidatoli di Dante. Non ci tratteniamo su di altri particolari, perchè questioni meglio di parole, che di fatto, e punti, che appartengono al Retore piuttosto che al critico. Pria però di chiudere tale argomento non sarà discaro di far parola della dichiarazione del Mar- chetti, allontanandosi questi dall' opinione dei più.

Da lui per la selva oscura s' intende la miseria del- l' esilio; per il colle le consolazioni del ritorno alla pa- tria sperata dal poeta, per lo passo 1' esilio, in cui si muore civilmente. Crede poi la Lonza simbolo di Fi- renze; il Leone della possanza di Carlo di Valois, o del Reame di Francia; la lupa della Corte di Roma.

Ci saremmo assai più volentieri, che agli altri al cemen- to attenuti del Marchetti, se due considerazioni non ce ne avessero distolto. E primieramente ad intendere per la selva oscura 1' esilio, una dillicoltà ci si oppone. As- serendo Dante di essersi in quella smarrito al milletre- cento (i), e stato essendo relegato al mille- trecento due, è a tutti aperto, che non avendo il Marchetti all' epo- che posto mente, sia erronea da tenersi la sua spiega- zione. A noi non appare in secondo , come delle tre fiere, Firenze, Carlo di Valois, e Roma figuranti, a pre- ferenza delle altre avesse avuto la Lupa il potere di farlo dal colle rovinare in giù. Se nel colle vengono le consolazioni del ritorno alla patria significale, stimiamo, che Firenze ingrata patria, che avcalo a confmo sospin- to, doveagU assai più che Roma inìpedire il ritorno.

Con i Fiorentini di fatto va il poeta della sua cac-

(i) Tale asscizione può esser verificala nel 21°. Canto deiriiifcrno.

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data dolorando, ed è pur noto, elio Firenze, e non Ro* ma volea dall' esilio liberarlo, w purché egli stesse per » alcuno spazio in prigione , e dopo quella in alcuna >i solennità pubblica tosse misericordiosamente nella priii- » cipale ecclesia offerto, e per conseguente libero (i), e che egli rispondesse, >* questo è adunque il glorioso >:> modo per cui Dante Alighieri si richiama alla patria » dopo r affanno di un esilio quasi trilustre ? Questo » è il merito dell' innocenza mia, che lutti sanno ? E il >■> largo sudore, e le fatiche durate negli studii mi frut- M tano questo ? Lungi da un' uomo, alla filosofia coti- » sagrato, questa temeraria bassezza propria di un cuor » di fango, e che io a guisa di prigione sostenga il ve- » dermi offerto come lo sosterrebbe qualche misero sa- » putello, o qualunque sa vivere senza fama (2) ». Le quali cose avute in considerazione è oramai tempo di venire alla nostra chiosa.

6i fu Aristotile, che il settimo lustro stabilì come la mela della vita pel generale, ed il nostro poeta fattosi dall' opinione del Principe dei Paripatetici, seguace , il più lungo periodo della vita agli anni settanta disegna, aprendo il suo poema con dire:

JYel mezzo del cammin di nostra vita Mi ritrovai per una selva oscura Che la diritta via era smarrita.

Non è però da stimarsi, che a solo capriccio finge essersi nel trentacinquesimo anno, nell' oscura selva in- tricato: un particolare sentimento al contrario noi ci av- visiamo volersi della mente dell' autore notare.

Se rimontiamo al trecento, vedremo tosto svelato l'ar- cano. Fu in queir epoca, che 1' Alighieri a res:gere Fi- renze fu trascelto Priore, ma fu in quell'epoca ancora, in cui, attese le interne scissure, che straziavano la patria,

(i) Boccaccio vita di Dante.

(2) Cod. Laur. Ptut, xxix. Cod. vni, pag. 12J.

97 le ruberie, le simonie, ed il mal costume che dai Fio- rentini portavasi in trionfo , ebbe in oscura selva a ri- trovarsi fra triboli implicato al vedere in quale subuglio era stato al governo della città destinato. Pentito allora di essersi ai pubblici negozi consecrato abbono quella certa ambizioncella, che tirato ve l'avea , e perclic fu appunto dalle lusinghe di questa addormentato, soggiunge:

lo non so ben dir come vi entrai

Tanto era pien di sonno in su quel punto. Che la verace vìa abbandonai»

Son queste opinioni, clie vanno molto bene a calzare con quello, che Boccaccio ne racconta nella vita di Dan- te, cioè « che questi nel trarre alla Repubblica, tanto >3 fu dai vani onori, che sono ai pubblici uffizi congiunti, » avviluppato, che senza guardare donde si era partito » e dove andava quasi al tutto con abbondante redine M al governo di quella si diede. » ISuUadimeno per trattare il nostro poeta del buoni ammaestramenti, che ricavò colla propria esperienza, vuol dire delle altre co- se che vi ha scorte. Perciocché quando vide, che gli era forza opporsi agli abusi » credendosi se molto più di » bene operare per la città, se nelle cose pubbliche fosse >j grande che a se privato, e del tutto da quelle rimos- w so (i) » si pose allora in animo di salire il colle della virtù alla perigliosa selva contermino,prendendo per iscor- ta quella verità, che mena altrui per ogni calle , cioè è suo pensiero farci conoscere , che volendo contro la comune corruzione scagliarsi, lasciando pure latrare i botoli, farsi esecutore della giustizia.

Da dolce sentimento confortato acqueta la paura, che gli era nel lago del cuore durata, allorquando nelle profonde tenebre della selva smarrissi; stimando altresì, che nulla sarebbe per opporsi alla verità , figurasi dal

(i) Boocaccio vita di Dante.

jjcrlcolo campato, e come viatore, il quale dietro molte Jjurrascose tempeste sofidte afferrando il lido

iS7 volge all'acqua perigliosa, e guata,

così l'animo suo, che ancor fuggiva , indietro si volse a rimirar ijuel tremendo passo

Che non lasciò giammai persona viva.

Ossìa quel passo pericoloso di suo governo, nel quale sou pochi coloro , che dalie insidie degli scellerati uo- mini non sopraffatti , non abbiano in guiderdone una morte civile, o reale a riportarne.

Ora tostochè fu lo smarrimento dell'Alighieri sedato, riprese via per lo colle. Ma ecco al suo salire interporsi una Lonza, un Leone, ed una Lupa.

Spieghiamo j)er la Lonza la frode, che suole spesso dagli avari porsi in opera, onde soddisiare le loro cu- pidigie, pel Leone la superbia, per la Lupa l'invidia.

Ninno farà le maraviglie che noi contro il sentimento di tutti quasi i glosatori, che interpetrano la Lonza per i piaceri disonesti, la prendiamo come immagine della frode. Oltre che ingorda e voracissima, è dessa altresì seduttrice al dir di Buflbn (i) « non lascia le selve, che w per andare a girare intorno le abitazioni isolale , e » sulla sponda dei fiumi per divorare tutti gli animali, w che vogliono dissertarvisi w. Dallo stesso natnralista deduciamo, che allor quando gli abitanti dell'Africa, e dell'Asia, paesi ove non abbondano i cani, la conducono sur una carretta, chiusa in una gabbia, la di cui porta non si apre « se non quando la cacciaggione è alla vi- » sta, .ella si slancia con im[)etuosità, si getta in tre o M quattro salti sopra la bestia, l'atterra, e la strangola. >a Se sfortunatamente però lallisse il suo colpo talmente » ontosa ne diviene , ed allo stesso tempo futiosa ,

(i) N. B. Buffon è anche in ciò conforme agli anliclii naturalinli.

99 w die si getterebbe sopra il suo padrone, se colui iiou

» avesse la precauzione di lasciarle sia un agnello, sia jj un capretto, o di presentarle dei pezzi di carne , di ■» cui si è prevenlivanienle munito per opporsi alla w di lei rabbia, e calmare il suo furore w. Aircrnia poi il Landino, che questa fiera della j)clle maculata si serve occultando il suo capo, che ingerisce terrore, per irretiie quelle fiere, che a cagione della bellezza di detta pelle la desiderano, ed indi divorarle. Siamo dello stesso jiarere dei cementatori nel tenere il Leone per simbolo della superbia, e chi vuol sapere perchè dichiariamo la Lupa come figura dell'invidia ne consulti il gran padre dell'Italiana tragedia (i). Furon dunque la frode, la su- perbia, e l'invidia, che impedirono al poeta il can»mino pel colle della virtù. Questi tre vizi imperò debbonoal popolo Fiorentino riferirsi fattamente, che proponendosi Dante di riordinare Firenze, cammin facendo per la strada dell' equità, abbiano impedito questo scopo la fjode, e la superbia dei suoi concittadini, le quali sebbene molto timore recato gli avessero, l'animo ebbe pure di prose- guirlo. Ma quando s'incontrò colla Lupa, ossia col' in» vidia si fu allora, che in basso luogo precipitò, perchè l'invidia de' suoi con tutti i nervi gli si contraponendo, rese futile ogni suo intento. Che l' invidia diflicilmenle si doma ce l'attesta il Venosino, do\e canta:

Comperit invidiam supremo fine domari.

Ideile anzidette sregolatezze poi di Firenze oltre Io stesso Alighieri, come può di sopra inferirsi fan fede Giovanni Villani, e Dino Compagni. Dice il primo par- lando della superbia:

La città di Firenze si reggeva di maggiori^ e possenti popolari grossi. Questi non volevano ai reggimenti parij compagnoni, aWq{ficio del priorato, a^U

(0 Alacri. EatraUo di Dante.

lOO

nitri conseguenti offici mettere se non cui loro piaceva^ e che facessono la loro volontà. Escludendo molti dei più degni di loro per senno, e per virtù, o non dando parte a grandi, a mezzani, a minori, come si convenia a buon reggimento di comune. Quindi altrove dice dell' invidia: « Di questo torto, fatto dai reggenti M del popolo ai gentiluomini per invidia, avemo fatto ji menzione per dare esempio a quelli, che verranno co- » me riescono i servigi fatti all'ingrato popolo di Firen- « zc w; e poi venendo alle frodi dall'avarizia cagionate: Considerando per segni di Cielo, per pcstilenzia di diluvio, di mortalità, e di fame, i cittadini non pare che temano Iddio, si riconoscano dei loro difetti, ma al tutto è abbandonata la santa carità umana, e civile, e solo a baraitarie , e con tirannia^ e grande avarizia reggere la repubblica.

Il secondo ancora ci narra che La Firenze dei tempi suoi era con cittadini superbi discordevoli, e ricca di proibiti guadagni.

Passiamo alla fine a vedei'e ciò che da noi s'intende di Virgilio.

Dicendoci Dante, che il Mantovano suo Duca, a can- giare cammino il consigliò, finge che determinare lo vo- glia a prendere altra strada per arguire il suo popolo. Sarà questa , quella , per cui vassi alla dolente città , indi passare al regno

Ove rumano spirito si purga.

Finalmente dove Iddio spande assai piìt che altrove la sua gloria immortale.

Così descrivendo egli nel primo l'egno i tormenti, che ai malvagi si danno, volle al dovere chiamare per mezzo del terrore coloro, che tristi aflligevano l' Italia , e la sua patria ; nel secondo ponendo quelli , i quali non molto erano stati dell'amor patrir» zelanti, i tiepidi cit- tudiui scaldare, e le virtuose anime, e benemerile del-

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r Italia; nel terzo collocando al bene operare dar sempre nuovi stimoli. Ne per altro noi veggiamo essere il Man- tovano poeta scorta del Fiorentino , se non per darci Dante a divedere clic egli lia preso da Virgilio [il suo stile, o (come dice il Monti dove fra questi due poeti istituisce uu confronto) l' arte di vestire poeticamente i concetti , Varte di esprimere con decoro ^ e vivacità idee le piic schive di og nidore di favella.

Ecco ciò che noi sentiamo del primo canto dell' In- ferno. Se alcuno vedrà, che noi ci siamo dal vero al- lontanati, accetterà se non le ragioni addotte in questo discorso la buona intenzione almeno, colla quale ci siam posti all' esame del divino Poeta.

Melchiorre Dusmet.

Al Ch. Ferdinando Malvica Carlo Rodriquez

SALUTE

Neil' Isola a questa mia patria aggiacentc, detta Pa- narea (Termisia), l'anno i83i alcuni conladini zappan- do scopersero un sepolcro con dentro frantumi di ossa, non che un rottame di terra cotta, che presentava una figura circolare, nel quale stanno le seguenti lettere in- scritte A^'AOy, che se non m'inganno, giudico essere una di quelle tavolette di terra cotta che labbricavansi nelle fornaci situate nell' agro romano, che adoperavano i gentili per le sontuose loro fabbriche delle terme dei templi e di altri edifici. Le lettere jwi sulla figulina stessa esser potrebbero il bollo dinotante il nome del figulo AIOAOP di Diodoro ; o il di lui patrono, o il maestrato sotto il cui dominio si era l'opera fitta al dir del Passer. Lucer. Fietil. come ancora un Le-

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kitos sulla maniera arcaica, cioè con figure nere in fon- do rosso, così malmenato che appena ne sono discerni* bili le tre figure impresse. Che neHallro vase poi rinve- nuto nello stesso discavo vi fosse, mia lagrimatoria am- polla, posseduta da questo sig. Onofrio Palamara , io non ne dubito punto. Essa è di vetro, ed ofire la figura di un scmiglobo; ne potea servire a serbare unguenti odo-» riferi, perchè gli Egizi che furono i primi ad unge- re di siflàlti unguenti i cadaveri; gli Ebrei che da essi tal uso appararono; i Greci, i Romani fecero porre od entro i sepolcri, o sopra di lali vasi; per i suffumigi potea servire, perchè essendo di vetro resister non avrebbe potuto alla violenza del fuoco , e poi in rapporto alla sua forma, come scrive il Passarazio Est hoc vasis gettiis turgidum velati ventre injlato.

Trovandomi l' agosto ed" il settembre dello scorso anno (i836) in Stromboli ( Stroiigyle ) ebbi il destro d' investigare qualche reliquia dell' aiiticliità che si gia- cca sotterra. Camminando difatlo lungo la strada , che dalla spiaggia del mare conduce al mio fjndo nella con- trada Scali sentii tuonarmi sotto ai pie il terreno. Mi supposi sulle prime camminare su di un sepolcreto, ma riconoscea la impossibilità di questa ipotesi, mentre non vi osservava alcun loculo, o segno di sepolcro; ammen- tava di più esser consuetudine dei Greci sepellire i morti fuori dell' abitato, e quel locale fu il primo ad essere occupato, e fabbricato. Percorsi molto di quello spazio ed a stenti infilzandomi in una selva di o])punzic, mi accorsi di una buca al mezzogiorno del suolo, la quale mettea fuori un tubo di piombo, situato, ove finiva la detonazione. Fu allora che giudicai esser quello un antico aquedotto, reccttacolo di quell' ac(jua che preci- pitavasi dal monte che sovrasta quella terra. Vieppiù mi confermai in tal pensiero, quando riflettei che ha il piano superiore un pendìo seguito.

Stromboli da poi è un' Isola sparsa di sepolcri , nei

ìo3 quali trovansi monete, vasi fittili, ed altre antiche sto- viglie, e per un discavo da colti ingegni diretto, acqui- sterebbesi anche quella terra un nome. Difalti nella con- trada di S. Vincenzo e propriamente dal fondo detto òìJricò fino alla Croce, spaz-io di 49» palnù circa, vi si sono osservati moltissimi sepolcri alla distanza di 13 a i5 palmi l'uno dall' altro.

Frugava della terra un pover' uomo nel locale delta sopra la Sena^ e 3 palmi al fondo si rinvenne un se- polcro lungo 7 palmi, 621/2 largo col coperchio alto palmo I. Era esso fabbricato di tegole ben largo. En- tro il vano vi si trovò uno scheletro col teschio poggigtQ' ancora ad una tegola, ed un vase di terra cotta senza alcuna figura di 4 pollici di lunghezza ,. e 3 pollici, ^i; grossezza, !'.'',."' '."'■',,"''* ''■;'■

Vennemi comunicato d' alcuni naturali di quell' Isola trovarsi ancor dei sepolcri in quella parte, che guarda settentrione; e difalto nella contrada Jbrunzonei fon- do propriamente di D. Pietro Pranza discavando si rin- venne a 4 palmi sotto terra in mezzo a 4 lave piros- seniche un vaso di terra cotta, e rude abbastanza, del- la lunghezza di palmi 3 ed oncia i, della grossezza di palmi 3 ed once 4^ pollici 5, essendo il diametro della bocca coperta da una lava pirossenica, la quale saltò to- sto, che fu colpita dalla zappa. Un tal vase resta presso di me. Ivi trovossi sepellito un infante. Suppongo es- ser quello un sepolcro dei tempi romani, i quali abbeu-- chè bruciavano, e non seppellivano; pure esisteva il di- vieto di non incenerirsi i cadaveri degl' infanti (Plinio L. 7, C. 26).

Queste notizie se non aggrandiscon la sfera delle ar- cheologiche conoscenze, pure vi addimostrano il mio a- iiimo inchinevole ad investigare , e studiare le patrie cose. State sano.

Lipari nel dicembre del iSSy.

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NAPOLEONE Iscrizione inedita di Melchiorre Missirini

Animo indomito, ferrea volontà, accorgimento, genio, valore

Lo fecero Primo del secolo, e 1' arma più vasta del braccio divino*

Meglio che Alessandro, che Cesare Eserciti capitanò

Co' due Baroni dell' Età nostra. Libertà, ed Egualtà vide, e vinse l' Italia.

Poi al suo Carro obbligò la Vittoria: come il fulmine mirò all' alte cime,

£ spesso col solo terrore allori raccolse, e la fama stancò del suo grido.

Grandissimo fiaclèo guerriero: volle consolati, Regni, ed Imperi,

Volle cospicue consanguineità, e fu minore di se stesso.

La spada lo sublimò: lo scettro lo depresse!

Strinse ambiziose alleanze, annodate dal timore, non dall' amore,

Gli mancarono l'armij e come Molla liberà dalla pressione.

Ritornarono all'odio, tanto più acerbo quanto l'umigliagione era slata maggiore.

La fortuna pentita dei suoi favori gli ricordò come fosse mortale:

Ciò che le forze congiurate del mondo non valsero,

Dalla sua inflessibilità, dal peso della sua grandezza, e dagli elementi fu vinto.

Tanta è la forza di un nome immenso! Esempio unico nella storia:

Volato dall' Elba, 1' Europa intera indisse guerra a un uomo solo !

Non per difetto di prontezza, d' ardore, di fatica.

Ma per più aggravato potere, e per islealtà negli amici ricadde:

Memorando monumento dell'incostanza dei fati, e di atroce ira nemica.

Nuovo Encelado, Nettuno lo si pose sotto il Tridente, e k) schiacciò.

L' Europa trema ancora alla percossa della sua caduta, e lungo tempo tremerà.

Ben può calunniarlo chi lo adulò , e disconoscerlo chi fu beneficato:

Le fortezze, i Cantieri, il Scmpionc, Costituzioni, Instituzioni sublimi,

Dieci Re, cento battaglie, e nulle numiimji

Attestano la dignità delle sue concezioni !

E perchè tuUo inghiottisse l' obblio, il fremente suo spirito

Spregiatore degli uomini per la loro abbiezionc,

Eatto più sdegnoso per la loro ingratitudine

Si affaccia col Codice all' imparziale posterità.

ISCHUIONE INEDITA. DI PIETno CIOBDAKl

ENRICO DI GIO. KANE NATO IN •WGL'WRI

VICECONSOLE BRITANNICO IN ANCONA

ESTINTO DAL NUOVO MORBO INDIANO

d' a. XLIII. il "y. OTT. l836.

FU CON MOLTO DOLORE DA MOLTISSIMI

ACCOMPAGNATO ALLA SEPOLTURA

OLTRE IL CONSUETO De' MIGLIORI TEMPI

E OLTRE LA LEGGE DI QUEL TEMPO MISERABILI:

TANTO PER LE VIRTU' E I BENEFIZI

ERA (;arissimo all'universale.

- io:>

Annunzio pel terzo volume delle Antichità della Sicilia del Duca Serradifalco.

Annunziamo con grandissimo piacere la pubblicazione del terzo volume della celebre opera del Duca di Serradi- falco intorno le Antichità della Sicilia. Le Effemeridi ne ragioneranno distesamente nei prossimi numeri , se- condo han fatto dei volumi pubblicati, e ne rileveranno minutamente i pregi, il giudicio, la peregrina erudizio- ne, la sapienza archeologica che racchiude. Per ora si limitano a far conoscere al pubblico , che questo terzo volume volge sopra i magnifici resti di Agrigento; che molte cose novellamente rinvenute si trovano egregia- mente illustrate , e saranno carissime agli archeologi ; die con esatte ed accurate ricerche 1' autore ha dato a vari monumenti una vita che non aveano; ed ha all'an- tica Agrigento intessuto una novella corona , e la più bella, e la più splendida che si possa dai moderni de- siderare.

F.M.

Foche parole sulla sepoltura di antonimo malvica Consigliere nella Corte suprema di giustizia di Si- cilia — dettate da Ferdinando suo Jiglio.

Oggi che la mia tremenda sventura e la piena della mia angoscia permettono che la penna stesse novellamente ferma nell'abbandonata mia destra, mi do a vergare que- sta pagina di dolore, per ispaiulere un fiore sulla dere- litta e squallida tomba del povero padje mio.

A me non lice parlare dell'ingegno e della dottrina di lui , come giureconsulto : altri parlerà dell' integrità delle sue massime, della santità dei suoi principi e della sua rettitudine nciramministiare la giustizia. Io qui dirò

io'6

solawientc poche parole sulla' sua vììa , e dliò Jel suo

^^ùtìi-é : spella a ine, e<l a me solo rendere questo tri- buto tli amore a qUeU'aniraa benetlelta; santo e pietoso oggetto de' miei pensieri. Perciocché io con lui vissi , Tttini da lui educato, partecipai sempre a tutte le pene

"a tutti i piaceri della sua vita; e mi ebbi la severità

'ifei suoi éoslnrai, per guida e per norma in questa terra tfi angosce. Io che conobbi quanto sviscerato amore por- tasse ai figli suoi, e quanti sacrifizi generosi facesse per loro ; io die continuamente leggevo nel fondo del suo bellissimo cuore, e vedevo come sacra avesse l'amicizia,

'^è coitie stessiero in cima de' suoi affetti più teneri, im- 'ihacolato l'onore, ed immacolata la fama; io che vede- 'vo com' egli aiutasse occultamente gì" infelici ; e come dividesse il suo coi congiunti cadati e cogli aoiici tra- vagliati dalla fortuna; io che fui parte di lui, amala e

"tenerissima, non posso impedire che dal segreto del mio petto, ove sepolto il mio dolore si giace, fuori nou esca, e la colma misura non vuoti.

Nacque il padre mio ai 28 di gennaio del 177T da personaggio chiarissimo in Sicilia per la forza e l'eslensio- iie del suo intelletto, essendo quegli che con i soli mezzi della sua fortuna tentò di rivendicare la patria dai Iri- biiti che pagava allo straniero nei prodotti dell'industria ■dell'uomo; per cui venne a fondare alla Rocca di Mez- zomonieale quello stupendo stabilimento di straniere ma- nifatture, che si attirò l'ammirazione dei forestieri più cospicui, e pervemie in Sicilia a grandissima rinomanza. Ond'egli voleva indirizzare nella carriera commerciale, the aveva aperto con tanto lustro, il giovinetto figliuolo. Questi però non consentendo solo in ciò alle insinuazioni paterne, e sentendosi fortemente spinto agli studi della giurisprudenza diedesi a tutt'uomo a coltivarli. Ma men- tre era nel più bello di essi, il padre perdendo pei tram- busti delle guerre di que' tem[)i, vari legni predati dai nemici della Corona, inviollo in Corsica, ove diceasi di

»07 essersi dirette le navi, e così cercar di ricuperare quel

che si poteva dei predati oggetti. Ma allorché ivi giunse

più non esistevano i legni siciliani, e tutto fu perduto.

In questa congiuntura egli conobbe il famoso Paoli, che

stava allora in Aiaccio, e pendeva diviso tra la Francia

e riugliilterra; onde ivi soggiornando divenne amico di

lui in guisa che sempre ne mantenne cara la memoria,

e solca ricordare ai tigli i voti che quei faceva, i sensi

che per la patria nutriva, i sentimenti che spiegava per

quel teatro tremendo di guerra, che si era dischiuso ia

Europa.

Lasciata la Corsica , ed ottenuto dal padre suo , il permesso di conoscere l'Italia, pria che in Sicilia ritor- nasse, viaggiò nella Penisola, andandosi fermando nelle città principali di essa. Finito il viaggio rimpatriò , e diedesi novellamente ai suoi prediletti studi legali. Il che eseguendo con amore e con zelo, e cominciando a battere la carriera della vvocheria, videsi poco appresso scelto dal Re Feidinando IV a giudice di Appellazione^ e r anno dopo a giudice Pretoriano. Allora egli non contava che trentacinque anni solamente. La qual cosa è da notarsi, perchè nell'antico sistema le cariche giu- diziarie non si concedevano che ad uomini maturi , e rarissimamente di quell'età.

Correndo poscia l'anno 18 1 3 fu egli eletto a Rappre- sentante della città di Palermo nel Parlamento di quel- l'epoca; ed ivi sostenne sempre con forza e con dignità le prerogative del trono , e i dritti di questo non si stancò mai di difendere. Fu quindi nel Consiglio civico uno dei Deputati e dei difensori più fermi del comune.

Nel 18 17 la Maestà di Re Ferdinendo I." lo elesse a Giudice di Gran Corte criminale supplente, e poi nel 1819, quando si fondò il novello sistema giudiziario, lo promosse a Giudice della Gran Corte civile di Pa- lermo, e lo nominò uno dei tre membri della Comrais- fcione suprema, cosi detta dello stralcio, tendente a giù-

dicale coll'ahlleò tlrltto tulle le cause civili, e fuHi i reati nvvenuli sino alla vigilia della pubblicazione del nuovo codice. . .i

Dovendosi in seguito riformare le leggi di procedura civile e penale si vide il padre mio scelto dalla sovrana sapienza, insieme a parecchi altri, per quest'alta ed ira- portante commessione. Quindi Francesco I. lo elesse a suo Procura tor Generale sostituto presso la medesima Gfan Corte, ov ei già da giudice avea seduto. Finalmente l'attuale Monarca l'innalzava nel i834 a Consigliere della Corte Suprema di giustizia. ■'

'■ Ordinatasi dalla maestà di Francesco I.° una Com- missione di Supremi Giudici, pei reati di stato, si vide il' padre mio eletto dal Sovrano pel difensore degl' im- putati. Egli andò sommamente lieto di f|ucsto incarico ne mai fu visto alcuno che lo avesse abbracciato con maggior trasporto di lui. Perciocché vedevasi scelto fra tutti i suoi colleghi, per la parte migliore e piìi luminosa; e quindi non potea giungere al suo cuore un ministero più bello e più gradito di questo. Ei difese una ca- terva d'infelici: si commoveva, si agitava, piangeva: molti ne salvò, di molti fece che la pena diminuisse: ebbe plauso di tutti; e furou quelli i giorni migliori della sua vita.

Per sette anni aveva il padre mio sostenuto le gravi funzioni di Pubblico Ministero; e non dirò, che a me non lice (poiché l'aOTetto di figlio può far velo al mio giudicio), quale eloquenza e qual zelo per la verità e per la giu- stizia avesse egli manifestato; e qual sapere e qual lu- me avesse portato in tutte le dottrine della criminale giurisprudenza. Ma ricorderò solamente ch'egli fu visto, per gli obblighi del suo sacro ufficio, far V accusatore degl'imputati, nell'interesse sempre della legge e della società, "e tonare in faccia ai polenti con forza , con energia, con fermezza invincibile; e fu veduto nel me- desimo tempo difendere con calore e con profondo seu-

tlmcnto tutti quelli die l'impostura, il tradimento, o la disgrazia sulla scranna de' rei strascinava. Dal che av- venne ch'egli non rade volte inutile rese il nobile incari- co dei difensori.

Nel regolamento per la disciplina delle autorità giu- diziarie si prescrive che i Procuratori del Re, ed i regi Procuratori Generali debbano in ogni anno all'apertura delle loro Camere pronunziare un discorso sul modo , onde sarà stata amministrata la giustizia civile e pe- nale nell'anno precedente in tutta la giurisdizione dei tribunali e delie corti; notare gli abusi che 'vi si sieno introdotti, e fare le requisitorie che si giu-i- dicheranno convenevoli a norma delle leggi. Perlochè scrisse il padre mio vari discorsi per l'obbietto, ed uno di questi , che fu pubblicato nel i83i , volge intorno la sensibilità del Magistrato. Argomento gravissimo e fecondo di grandi utilità. L'autore, avuto riguardo agli stretti limiti del tempo che dalla legge gli si concedeano, Cercò di sviluppare il suo assunto con pienezza di ra- gioni. Egli considerò il Magistrato primo come uomo, secondo come cittadino , e terzo come magistrato. Gli altri discorsi da lui pronunziati si aggiraron sempre sopra argomenti importantissimi per la giustizia.

Appartenne il padre mio All' accademia del Buon gusto., e vari lavori, in cui vari punti della monarchia siciliana s' illustrano, furon da lui letti con plauso ge- nerale.

Io so , ed è dolcissimo al mio cuore il ricordarlo , che sotto due aspetti lo hanno il Foro palermitano e la voce pubblica considerato , come magistrato saggio ed integerrimo, e come padre di famiglia virtuosissimo. Io credo che non si sia mai pronunziato un giudicio più vero di questo. La tenerezza del padre mio pei suoi figli non si potrà mai esprimere abbastanza, ed è ella pili vera che credibile; diguisachè questi lo piangono e lo piangeranno sempre con lagrime di eterno dolore.

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Ei gli amava con un affetto sovrumano, e con un affetto indicibile era del pari riamalo. Egli era loro più amico che padre, e nessuna dispiaceiiza, benché minima, av- venne mai tra essi: nei suoi diletti figliuoli trovava con- forto e ristoro alle amarezze, e ai travagli della vita.: nessuna cosa senza di essi lo allcttava , nessuna lo lu- singava. Difatli quando la Maestà di Ferdinando II. ° lo destinava a suo Procurator Generale nella Gran Curte civile di Catania , ei gli andò chiedendo la grazia di farlo rimanere in Palermo , sol per non istaccarsi dai figli suoi; ed il Re, facendo plauso al suo cuore, beni- gnamente gliel'accordava.

Fu il padre mio costante nei suoi principi: per nes- suna vicenda politica cangiò mai; e ne' momenti dell'in- glese potenza in Sicilia, ove i partiti contrari divennero arbitri del reggimento, la pubblica vertigine non lo scos- se: egli restò sempre fermo, e non ebbe the una sola voce, ed una sola fàccia : il volteggiare abborriva ; ne per le disgrazie de' tempi si pentì mai delle sue opi- nioni, che in tutto il corso della sua vita furono ognora le stesse. Rifuggiva con orrore dall'intrigo, e solca dire: «Ho camminato per me medesimo, e con tranquillo passo per via di remi; lo vele all'aura per me mai non si spiegarono; il vento non lo conobbi; tranquillo nella mia coscienza, son contento della mia fortuna ».

Ebb'egli tre figli: Giuseppe il primo (che tanto di se prometteva essendo in giovine età grecista e latinista va- lentissimo) morì consunto nel 1821, contando appena il 35** anno degl'età sua; ed ognuno può immaginare qual sia stala 1' angoscia , e la disperazione del tenero ge- nitore.

Amò egli la moglie (ch'era una Damiani, e donna di puri e santi costumi) di amore sincero ed affettuoso; ma ebbe la disgrazia di vederla morire a causa del tremuoto del 1833, che di terrore la comprese, due anni dopo del figlio. Quindi tutta la sua tenerezza era riconcentra la

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nei (lue figli superstiti, in me, e nel caro ed amato fratello mio: ogni sua speranza, ogni sua ambizione, ogni suo affetto generosamente in noi riponeva.

Moriva il padre mio in quell'epoca stessa di orrore, clie ha tanto flagellata la misera Palermo, ed in cui le fìimiglie a migliaia perivano, e i più illustri citta- dini cadevano mietuti dal furore del cliolera ; moriva in que' giorni stessi in cui io lottavo colla morte, es- sendo stati ambidue dal feroce morbo insieme colpiti, <fjUasichè la nnorle avesse voluto ad un tempo spegnere le due vite del padre e del figlio. "Vinsi io però, dopo tin dubbio e lungo e doloroso combattere, la miseranda vita, e per colmo delle mie sventure non potei ren- dere r ultimo tributo di amore all' uomo adorato che già perdevo, e perdevo per sempre, senza che in quei momenti di agonia il sapessi.

Esalava egli il giorno 12 di luglio l'anima giusta nelle braccia del mio afflitto e sconsolato fratello ; e mentre di questo mondo si dipartiva, i figli suoi bene- diceva, e gli occhi al cielo per 1' ultima volta rivolgen- do a Dio gli raccomandava.

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NECROLOGIA

Pel signor Jgostino Tantillo da Termini.

Altri raccomandi alla posterità i nomi de* dotti che il tremendo asiatico flagello barbaramente c'involò; altri si sforzi di sostenere sulle ali del tempo la memoria di colui che vani titoli pomposi portò solo all' urna , od una vita semplice ed a' parenti cara menò solamen- te , per me del sacro ministero non deviando che l'utile cittadino si apprezzi ed in vita e dopo morte, mi fo in brevi detti a tracciare la storia di Agostino Tantillo da

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Termini; del pari che in altro siciliano giornale a Do- menico Adamo da Trapani una pagina consacrava.

Clic una volta r illusione della mente ed i moti del cuore cedano il loro posto alle vedute del pubblico be- ne, della comune utilità in qualunque grado della scaia sociale s'appalesino; altamente cel comanda lo stalo no- stro economico e lo spirito del secolo. Glie i padri e viepiù le madri imprimano nella mente de' loro figli questa retta direzione, e che non rimangano confusi con la plebe i nomi di quei che utili riforme apportando alle arti a' mestieri seppero lar cambiare la condizione d'uno di più paesi, seppero somministrare sussistenza ad un' estesa bi'anca di cittadini, ad un'intera popolazione, che migliorando le nostre industrie o introducendone delle nuove ci esentarono alla fine de' tributi all'i'storo. In molle città, in molti paesi anclie più culti dell'Isola nostra rimangono inonorati tanti nomi, arrestando il pre- giudizio sociale la penna nelle mani de' nostri scrittori (i), e mi giova sperare che il mio ripetuto impulso, il mio e- sempio vinca la generale ritrosia, e desti dall' obblio tanti nomi cari alle nostre industrie, e faccia onorare la virtù in qualunque classe del viver civile s'appalesi.

Nascea nel 1770 in Termini a Mariano Tantillo e Lauria Gargotta il figlio Agostino.

(5) la Catania sono mancati da alcuni anni, Paolo Papa, Michele Leone, Benedetto Barb;igallo. Il primo di proprio ingegno costruì una statua die potea muovere in tutti i sensi e prendere tutte le attitudini, utilissima a' pit. tori ed agli scultori, e che si acquistava a Parigi a grandissimo prezzo; co- sU-uì primo fra tutti in quella città è stetoscopi, e s'adattava a costruire ogni oggetto di meccanica senz'averne appreso i principi. Si contano dello stesso delle intraprese straordinarie che possono somministrare bastante materia al di lui biografo.

11 secondo fu il primo a costruire in Catania seni' istruzione preventiva piano-torti alla perfezione di quei di Germania, e ci sottrasse da questo tri- buto che pagavasi all'estero da quella città.

Il terzo benché parrucchiere di professione applicò la chimica alle arti , introducendo la stampa de' fazzoletti di seta e di cotone ad uso di Francia; introdusse pure da Lione per contrabando in Sicilia il telajo alla Jacquart portandolo in Catania, costruì la migliore macchina per fondrxc i zolli ec.

Sin' oggi nemmeno si è scritto una linea in loro lode! f|uesto incoraggia- mento ricevono presso noi le arti'

ri3 Era il Tantillo negoziante di legname, e cornee desi- derio d'ogni uomo di migliorare la propria condizione, e vieppiù quella de' figli ad una più noLile professione destinava l'amato Agostino. I primi anni del ragazza pasr, savansi nelle scuole di Termini. |. ;?:,

Eran queste come tutte le scuole dell'interno, special- mente a queir epoca , poco soddisfacenti alle mire del padre; profittando delia vicinanza della Capitale egli colloca il figlio nel seminario arcivescovile di Palermo ove non ordinari talenti dispiegava negli studi di belle lettere, e di filosofia; e con particolare impegno agli studi di geometria attendeva sotto il professore Federici; era questa scienza a lui prediletta , e quella che schiuder gli dovea il passo alla meccanica per cui natura avealo formato. Questa carriera avrebbe dovuto aprirgli il ge- nitore se la Sicilia si fosse trovata ad un punto più emi-: nente d'incivilimento. Ogni uomo può occupare nel suo rango la primazia sociale, godere di dovizie e di onori quando nel suo ramo si rende agli altri supcriore per la naturale disposizione secondata dall'arte. (Questi sen- timenti nulronsi appunto negli Stati Uniti d'America, e le nazioni ])iù eulte d'Europa ne imitano l'esempio: sono questi gli elementi di cui stupefatti ne ammiriamo solo i risultali ! La Sicilia non che oggi , ma molto più in quel tempo da questi principi trovandosi lontana, il pa- dre, secondo il costume, abbagliato dalla maestà della toga e dal rispetto che il fòro usurpa sul Vesto delle con- dizioni sociali, a questa lucrosa ed onorifiia j)ro(essione diresse gli studi d'Agostino che in Palermo il corso di giurisprudenza forniva, ed in Catania della laurea dot- toiale clecoravasi. Ritornato in Patria più volte occupò il sacrosanto ministero della giudicatura, ma questa non era la sua vocazione; le industrie manifatturiere con voce da lui solo sentila a se con forte impulso lo chiamava- no , e divenuto padrone di capitali circolanti dopo la morte del genitore si abbandona pienamente alla sua vo-

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caiione, e circa il 1820 una fabbrica di estratto di li- qaorizia a miglior forma ridotta, e per i forni economici, e per i conduttori del succo , e per i torchi metallici erge nel suo paese, ottenendo risparmio di combustibile, di braccia e di tempo, e quel eh' è più un risultato ar- tistico sì migliore che meritò la descrizione e l'elogio dell' estinto cavalier Nicolò Palmeri suo compaesano (1). Senza esempi da seguire , senza aiuto di perso- na che potesse secondare il suo nobile desiderio, con un coraggio superiore a tutti gli ostacoli e dispendi, con la scorta solo de' libri di meccanica e di fisica, élla vista delle tavole dell'enciclopedia , coli' opera di Ramford alle mani , da persone inesperte facea co- struire fornelli economici , fondere bronzi, e far sorgere uno stabilimento che non invidiava gli oltramontani. Durò per molti anni in buono stato di conservazione l'ordegno, ma gli sforzi d'un sol uomo privato non ba- stano per cambiare ad un tratto i processi d' un' arte; bisogna che le braccia che egli chiama in aiuto siano educate, e per ottenere questo fine è forza che l'educa-

(1) Vengasi il giornale siciliano l'Iride tomo primo pag. i85, in cui il Pai. meri (là la descrizione della fabbrica , delle macchine e- del processo usato dal Taiitillo , e lodando la destrezza particolare del suo concittadino chiude l'articolo con le seguenti parole: « Noi non sapremmo conchiudcrc il presente arlicolo senza farci Iscita una considerazione. Da per tulio si sentono in Si- cilia delle lagnanze che 1' agricoltura e le arti fra noi non prosperano per mancanza d'incoraggiamenti, e per l' intluenu letale di laute altre cause. Non è a noi l'esaminare ora fin dove s'estende l' inlluenza di queste cagioni su' progressi dell'agricoltura e delle arti: non possiamo però dis|ieiisarci dal ri- flettere che comunemente poco si calcola la nostra abituale mciensaggine per. cui lutto si fa per una pratica che si cotnunica di padre in tiglio; onde gli errori si tramandano di generazione in generazione; senza che alcuno si dia la pena di esaminare se ciò che si fa sia bene o mallatto, se meglio possa farsi o meglio si faccia altrove. E certo che il signor Tantillo non ha avuto altro iiicoraggiaincnlo ehe l'amor del guadagno. Egli resjiira la stessa aria di tutti gli alln Siciliani; non può dunque dubitji'si che se in tutto si mettesse la stessa intelligenza eh' egli ha |>u»lo in questo sol ramo d' iniluslria ; se ognuno s' ingegnasse di j'orlare alla stessa |icrlezione, cui egli ha ]iorlalo l'estratto di ligorizia, i vmi, gli olii, i caci, il lino, le razze degli animali, insomma tutti gli altri prodotti deiriu<lu>lria agraria,bastercbbe solo ciò per che senza altro ajnto la Sieda si mettesse a gareggiare co' più floridi paesi tl'Lurojia )j.

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zione abbia luogo fin dagli anni più teneri, poiché presa un'abitudine qualunque da gente rozza e sfornila d'ogni istruzione di sorla, tome sono gli uomini delle ultime classi di Sicilia è diilicile anzi impossibile il piegarli a nuova direzione. A questa ragione devesi la mancanza di successo nel nostro suolo di molle macchine rustiche straniere, con)e aratri, cilindri, seminatori ec. ec. L'infe- lice esito della pressa idraulica per le olive de' signori Leiizi e Zublin die agì in Termini appena un anno (i), e fu dichiarata poscia inutile ; a questa devesi lo slato in cui ho trovato pnchi giorni addietro lo stabilimento suddetto del Tanlillo , che se logli i forni economici, ed i torchi a fettuccia colla sottoposta bigoncia a doghe di ferro, vestile di canavaccio, entro (ui spremesi il sugo, si è livellato nel resto agli altri slabilinienli siciliani di tal genere. Per la slessa causa venne meno la prima opera di meccanica del nostro elogiato, una macina cioè in cui per mezzo di più ruote dentate interrotte si co- municava alla mola un moto rellilineo in avanti ed in dietro, per lo che la ruota agiva sopra un parallelogram- mo da destra a sinistra e non circolarmente seguendo il moto dell'animale come è ordinario coslume. Il difetto di persone che sapessero maneggiarne i differenti pezzi, la forza talvolta maggiore impressa per negligenza sti- molando più del dovere l'animale ec. ec. facean che i pani delle viti si logoravano presto, e non essendovi chi prontamente potesse supplirli fu forza abbandonare questa nuova macchina, la quale colla slessa forza dei mulini macinatoi ordinari, colla stessa assistenza d'un uo- mo, e nello slesso tempo dava maggior prodotto. Ma il suo ingegno inrequieto non sa arreslarsi ad un solo ra- mo ; r olio forma nel suo paese un capo essenziale di commercio , migliorarne la manilaltura , assicurarne la

(i) L'anno scorso i836, per l' imperizia de' manovrai )ri, succedendo spessi guasti, e nou essendovi iu quel paese chi potesse ripararli, si e riiuand;»ta a Palermo.

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conservazione, è questo il doppio oggetto clie si propone. Non mancante di teorie e guidato dal buon senso fa co- gliere a mani le olive, le asciuga stendendole in un pavi- mento di legno , le preme in torchi pulitissimi , puliti mantiene tutti gli utenzili, ecco ottenuta la miglior qua- lità dell' olio , ed il prezzo compensa con usura le sue cure (i). Bisogna die l'olio dagli orcii venga travasato senza turbarsi e mischiarsi alla (uria, ed egli costruisce una tromba ingegnosissima, mobile in tutti i sensi, le cui rapide ed esatte operazioni sorprendono per siuo il cullo straniero (2).

In un paese in cui abbonda l'olio ed in cui non si manca di potassa e di soda esistono delle fabbriche di sapone; egli dirige a questa industria la sua attenzione , mette a profitto i forni economici per risparmiare combusti- bile (3). La cenere di potassa s'acquista ordiuariamente in quel paese da Taranto, Gallipoli ed altre parti che r ottengono bruciando la feccia di botte (sopra tartaro di potassa) egli mette a profitto la così della racioppa (graspi degl'italiani), la quale destinavasi prima soltanto per concime ; esenta così in parte la sua manifattura dal tributo all'estero; e così pur fosse che io un suolo in cui non si manca di soda e d'olio e di essenza sor- gesse una fabbricazione estesa di saponi duri , di sapo- «etti odoriferi., che lo straniero cou nostra vergogna e danno viene a spacciarci.

(1) L' olio oUenulo con tufla questa diligenza si vende ad once elfo sici- liane il cantnjo , mentre quello di metodo ordinario Vendesi once quattro e lari 24. Le s| ese pel [iritno ascendono ad oncia una di più del consueto.

(■',) Si rapi orla da' Tcnninesi il seguente aneddoto : un capitano inglese «vea riempilo una holte di olio presso il Tantillo, trasudando la botte chi e- dea soccorso acciò l'olio non si perdesse. 11 Tantillo segretamente gli or- dini acciò con la tromba venisse subito trasportato nelle giarre, ed intanto «•gli se ne stava' a conversare col capitano , il quale dopo pochi mimili gli iinnovò la istanza perdio si riparasse l' inconveniente , a cui il Tantillo ri- s^iose veggiamo il modo, ed intanto accostando>i alla botte videro esser vuota, lo che .'-orprendcndo il capitano, f'ugli mostrato dal Tantillo ove l'olio quasi per iruaiilcsinio era stato riposto.

(3) E bello vedere presso il Tantillo a lato della gr.in caldaja di sapone un'altra |:iccola |'urc murata, la quale si riscalda con lo stesso combustibile della caldaj.i grande, e tiene |.roalo il lissivio caldo.

''7 NoQ vi «a oggetto d'industria a cui non rivolgesse

la sua attenzione inducendovi miglioramento. L'occhio volgare non vede in tal sorta d'uomini che il solo mer- cadante speculatore, il quale ama d'arricchire il suo pa- trimonio; ma il filosofo stende al di il suo sguardo; e vi scorge 1' uomo che anima mille braccia, le quali resterebbero inerti e devorate dalla miseria; egli vi scor- ge l'uomo che risparmiando sulle spese prirae e sul tempo ci mette in coricorrenza con l'estero, vi scorge l'uomo che col suo esempio incoraggia gli altri a seguirlo. Di- fatto il signor Oddu suo concittadino viene a rimpiazzarlo con la sua ben condotta fabbrica di estratto di liquirizia, nella quale ha saputo apportare delle ulteriori economie mettendo a profitto il capo morto o resto delle radici premute usandole come combustibile invece che il Tan- lillo le destinava per concime (i), ed altre particolarità di cui forse ci occuperemo in appresso.

Il Tantillo alle qualità della inente riuniva quelle del cuore. Rettissimo si fu in tutto, tanto nella vita pubblica che nella privala. OL;nor generoso, esatto nello adempire le promesse , e perciò si vedea accorrere in preferenza le braccia utili all' industria , e nessun vi è che possa lagnarsi di averne egli abusato. L'ozioso l'inetto vuole accusarlo di maldicenza, ma si può mai ritirar la lingua alla vista di persone che non fauno , non sanno fare, e non lascian fare?

:^: In età di anni 6-7 moriva a 23 di luglio di que- st'anno involto nel fascio delle vittime del morbo pesti- lenziale esterminatore, lasciando erede de' sUoi beni e della sua attività la signora Piovidenza Seminata figlia d'un trafiicante di tal nome ( D. Francesco); la quale dotata di spirito intraprendente ed associata alle di lui imprese da più anni ha saputo rimpiazzarlo in tutte le .: ^yl;i:yi^^\H

(1) In Leonfortc ove esiste una fabbrica di liquirizia. l'avanM delle radici cotte e spremute si getta ncUc strade.

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sopra enunciate manifatture, continuando sin oggi le fab- briche nella stessa condizione; e facciam voti pel bene delle languenti nostre industrie che non venga meno questo stabilimento del Tfintillo.

Prof, jélessio Sciglìani,

Considerazioni sul dazio d' introduzione dei libri stra- , nitri di Giuseppe Ceva Grimaldi. Napoli dicembre -.11837. vi

, In mezzo alle sventure insite alla natura umana, e fra le tempeste dei tempi nostri , grandissima consolazione è veramente quella di vedere che uomini cospicui per na- tali per cariche per onori, e collocati dalla sovrana saviez- za nei seggi piìi eminenti dello stato , innalzano altari alla sapienza, e cercano col potere della loro voce di accrescerne il culto. Questi latti sono rari, ma quanto più rari, altrettanto più belli e luminosi. L' animo no- stro cosi abbattuto , non si solleva che innanzi a tali esempi , che fanno grande onore alla dignità dell' u- maoa specie. Ed essi son tali che rallegrano nel mede- simo tempo chiunque è avvezzo a trovare nelle medi- tazioni dello spirito ristoro agli affanni della vita , ed a sperare nella scienza e nel progresso dei lumi con- forto alle civili società.

La cennata opera del Marchese di Pietracatella tende a provare che il dazio imposto su i libri è ornai dan- poso per tutti i versi, e dovrebbesi in ogni modo rilor- mare; poiché la cultura del paese , la sua civiltà, il buon costume, le tipografìe, il commercio, la finanza ne risenlon del pari gravissimo danno. Egli con una ca- tena d' idee sempre crescenti prova il suo assunto al- l' evidenza. E questo novello lavoro dell'egregio autore delle Osser<^azioni sulla conversione delle rendite pub- oUcIWj mentre deesi riputare uo libro stupendo di pò-

litica economia applicato ai bisogni più solidi dello sta* to, è opera tendente ad aumentare la civiltà del paese.

Nelle idee generali, che servono d'introduzione, si af- ferra tosto il pensiero dello scrittore, e si vede a primo slancio qual animo generoso e qual mente profonda ab- biano diretto la sua penna; perciocché, con avveduto e santo consiglio, laudando egli la sapientissima delibera- zione presa dal nostro augusto Sovrano, e da tutti i buo- ni desiderala, di veder modo (sono parole dell'esimio au- tore) come all'alleviamento del Dazio dei libri stranieri fosse per le migliori e più acconce vie provveduto , si schiude il cammino a parlare della dignità della scienza, dei vantaggi che produce, e com' ella nobiliti j regni, e come debbasi darle il primo luogo. n liu-.i ì.ìUjì.

M Vi ha nella scienza ( ei dice ) due cose ammiran- de, la sua bellezza, la sua utilità; piace perchè è bella, perchè è nobile, perchè il suo culto eleva l'anima: e utile perocché inventa le macchine e gì' istrumenti che moltiplicano gli usi ed il diletto della vita civile, prov- vede alla conservazione della sanità, e ci fa con 1' aiu-, lo della chimica trovar dei surrogati a molte cose di cui la natura non ci era slata liberale. »

>j Quistiooe oziosa sarebbe per avventura il diffinire se la bellezza della scienza debba preferirsi alla sua uti- lità. Egli è sicuro che il suo culto crea per se stesso la civiltà morale, e per i profitti di cui è prodigo crea la civiltà materiale: ed una nazione ha indispensabil bi- sogno di queste due maniere di civiltà. Le scoverte scientifiche, che appariscono sterili in prima, guidano i popoli a scoverte più utili. Noi non siamo più ai tempi nei quali il caso concedeva all' industria le sue più lu- crose invenzioni, e nei quali il cane del pastore di Tiro rivelava 1' utilità di quella preziosa conchiglia, che ser- viva alla pompa del trono, alla gloria dei trionfatori , ai godimenti del lusso ».

>j Nel sccol nostra tutto ha cominciamento nella sciea-

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«a; ed e mirabile a considerare come nel suo progressoi quello ch'era ieri una nuda scnverta intellettuale , di-j viene rindon»ani un'applicazione utile. Mentre la scienza accelera il suo cammino verso le verità spenòlative senzai che sembra occuparsi della loro applicazione, l'industria j: sua figlia prediletta, se ne impadronisce all' istante come di un suo legittimo eredilaggio, e le trasmuta in utilis- sime intenzioni. I confini di brevità che ci slam prò-, pósti non ci permettono di scendere in più minuti ar- gomenti-per dimostrare la verità di questi nostri assunti,! verità che per altro non può da alcuno, che abbia au-, che mezzana istruzione, disdirsi.» : ■'

'•Le opinioni del nostro autore non sono che fiDudate sulla ragione, su i fatti, e su i principi migliori della, scienza economica. Noi avevamo^ diverse scritture intor- no r obbielto su cui volge il presente libro. L'autore le passa tutte a rassegna, e fa moltissimo pregio del di- scorso del sig. Mele, che è dai nostri : lettori appieno conosciuto. Ma essendo varie, secondo le varie passioni, e' i vari interessi come suol sempre succedere , le opi- tììoni che 'nel pubblico si agitavano , era sommanìenle necessaria 1' opera di un uomo- di tanta voce e di tanta autorità, come il Marchese di Pietrai alella; ed essa non potea venire ad uopo migliore e più opptjrluuó: poicliè. .spargendo nuova luce sulla quiistione la piena la YÌ.tto-j ria, e la bilancia trabocca. ; > i..,- ,, ,, i;

I suoi ragionari sull'utilità, grandissima, certafnea-l te, che dal render più lieve il dazio imposto su i libri stranieri, verrebbe' a; ritrarne il. progresso delle scienze e delle arti industriose, non possono essere piùi; efficaci e più polentii E bellissime a noi sembrano le idee ch'egli manifèsta dove parla del cangiamento che si osserva a di nostri nella direzione delle si:ienze.

M Rese oggi (ei dict) le scienze più popolari, non si godono solo del mistero delle accademie, ma passeggia- no i nostri campi, le nostre manifatture. L' istoria na-

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Curale, secondata dall' attività dei viaggiatori, moltipli- cava le sue conquiste, ed arricchiva le uostre campa- gne, i nostri giardini di mille piante dianzi sconosciute. La cliimica col soccorso della meccanica dirigeva le arti industriali ad un piiù fortunato progresso : la possanza uniforme del vapore rapiva le navi all' impero capric- ciosa dei venti, come, accelerava i mezzi de' trasporti per terra. Non minori prodigi operava nelle manifatture: la macchina a vapore riduce quasi come molle cera i più duri metalli, fesse senza romperlo il filo il più leg- giero, ricama la mussolina, e fabbrica le ancore, taglia r acciajo iu piccioli nastri, rende matematica precisa la negligenza dell' aitefice, in un minuto ne moltiplica il lavoro di più giorni. »

w E nel vero non mai le arti sono più degne dei no- stri omaggi, non acquistano maggiori diiitti alla nostra riconoscenza, se non quando portano nell'umile tetto del povero una parte dei godimenti del ricco. E chi può negare attualmente alla scienza questo vanto: ora un bor- ghese di mediocre condizione gode al certo di quegli agi, di quel che gl'inglesi chiamano confortable^ ignoto al certo ai nostri superbi Baroni de' tempi andati. Impe- rocché dopo provvisto alla necessità, egli è atto di bea goslumato e gentile il provvedere anche a quelle cose che ne inducono diletto e fanno più beala la vita.jj :

Dalle quali parole ognun vede, senza bisogno di comeu- ti, con quale altezza di pensieri, che corroborano rairabil- menle il nostro assunto, sia concepito il presente libro. E qui fa d'uopo ricordar particolarmente aver taluno, esimio per altro, scritto in favore della lipografiauna rimostranza, perchè non fosse portata veruna innovazione al cennalo de- creto. L'autore attacca questa scriltura, e ne fa con una lu- cidezza somma di ragionamenti e di fatti conoscere l'ingan- no in cui era quegli caduto. Le tipografie nazionali non sono in verun conto jnigliorate dopo il i(S22 ; ed egli prova, convalidando di nuovi e più forti argomenti gli

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argomenti elei Mele, che 1' arie tipografica in se stessasi trova presentemente in Napoli in più tristo essere cli'ella non è slata mai nei tempi andati.

I suoi pensamenti sugli effetti della riforma del da- zio riguardo alla introduzione dei libri tristi non pos- sono essere più solidi e più convincenti di quel che sono. Noi ne citeremo un sol passo, perchè si vegga con quanta franchezza ei traiti dei più difficili subbielti, e come ne trionfi, et 11 decreto del io novembre 1822, nello sta- bilire un novello dazio sull'introduzione dei libri stra- nieri, dichiarò che non doveva alterarsi il presente si- stema di restrizione. L'alleviamento del dazio non porla invero alterazione alcuna a questo principio, ne favoreg- gia punto l'inlroduzioue dei libri tristi, perchè per questi "vi ha la censura. Perciò le vie onde s'introducono sono le fraudolenti, le furtive: che anzi la gravezza del da- zio mirabilmente giova alla introduzione dei cattivi li- bri, come quelli che per isvenlura da molli avidamente richiesti, incoraggiano a correre il rischio del contrab- bando. Se si dice che facendo passare il libro nocivo per innocente, ed adoperandosi in questo solo la frode, vi resta sempre per ostacolo la gravezza del dazio, noi replicheremo che il genere umano ruit in vetituni nefas-, e ciò che è vietato si paga di buon grado a caro costo. Il fatto ce ne una tristissima pruova: non vi è stalo mai tempo in cui siasi sparsa tra noi maggior copia di rei libri, contro la religione , contro il buon costu- me, contro le massime fondamentali di tutta la società civile ».

II nostro autore ricordando le opinioni dei vari scrit- tori suir assunto rammenta quel che il Mele aveva so- stenuto, cioè che dovesse in questo rimettersi in vigore V antico dazio che consisteva nel dritto di bilancia^ so' stituendosi il peso di un cantajo al valore di cento du- cati^ o alla più, trista imporre su i libri un dazio^ che non dovrebbe mai oltrepassare ducati dodici per cantalo.

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Egli però non emette, con savio consiglio, veruna sen- tenza su di ciò ; e tutta la sua bella fatica non volge che a provare il bisogno di riparare al gravissimo danno che proviene ad ogni classe di cittadini dal forte dazio che gravita su i libri, e quindi la necessità di renderlo lieve. Noi pertanto volendo annunziare l'opinione nostra su questo gravissimo obbietto diremo che mentre s'im- plora di rimuoversi il decreto dei io novembre 1822, e si desiderano dalla sovrana sapienza delle agevolezze alle lipograBe nazionali nell' isle^^sa guisa che i vari governi d'Italia han fatto verso le proprie, sarebbe mestieri se- guirli altresì in ciò che han praticato riguardo ai libri stranieri. Il nostro autore riporta le notizie che vennero dal Mele riferite intorno al dazio che pagasi in effetto negli stati italiani; il quale ragguagliato al peso ed alla nostra moneta offre i seguenti dati: a Roma per ogni cantaio . . * . due. 3, "jS. a Firenze ....«<.....•• due. 2, 80.

a Milano .........<..< due. 5, 3o.

a Torino due. io, 60-

Perlochè io sarei di avviso che si dovesse impetrare dalla reale munificenza di gravarsi i libri del dazio piìi mite che ci presentano quelle cifre, seguire cioè il con- siglio del toscano governo. Le mezze misure non han mai partorito felici risultamenti. Onde dobbiamo sperare il bene assoluto, e questo desiderare, e su di questo fon- darci. Il dazio a cui si riduce il Mele sarebbe anche un po' gravoso, avvegnaché con esso ci venissimo a liberare da una gravezza di enorme peso. Ma la grazia debb'esser piena ; tanto piìi che questa, siccome ha sapientemente dimostrato il nostro autore, non porterebbe che vantaggi reali e positivi all'intera società.

Noi dunque facciam plauso con tutta l'anima all'in- signe personaggio , che ha mosso le nostre parole ; ed ei volgendo le poderose forze del suo pensiero in un argomento tutto utile e tutto nazionale, com'è suo go-

neroso costume, ha novelli tìtoli acquistato alia pubblica riconoscenza. '

Quindi per far noi meglio conoscere tutto il pondo il questa nobile fatica, seguiremo il nostro autore dove riannodando le sjiarsc fila del suo ragionatnenlo, termina con una concliiusione, die è qual suggellò della suaxet- titudine è della sua sapieiiza: i.^.iv. j . (r'j,>j» ....

« I". Non poter cader dubbio die il Real Decreto del 1832 , saggio , provvido per incoraggiare la nostra tipografia, merita ora una riforma, e che questa riforma, per le ragioni di sopra esposte è altamente reclamata' dagli attuali bisogni di ogni società incivilita.

» 11°. die se industrie infanti meritano uni»' forte pro- lezione, questa nondimeno esser non debbe eterna; cliè se in prima prosperano sotto questa tutela, quando co- minciano ad esser adulte, la protezione slessa ne arresta i progressi. Esser questa 1' istoria di tutte le privative e privilegi: averne noi sotto i nostri occhi incontrastati documenti.

»3 IIP. Che lo spazio di i5 anni , quanto ne dista dal 1822 al 1887 , mirabilmente prova che le nostre tipografie, paghe d'un sicuro guadagno, non han latto cosa alcuna pel vero progresso dell'arte.

M IV^. Che le tipografie italiane con una legiera pro- tezione hanno prosperato e prosperano assai più delle nostre; le quali lungi dall'aver fatto grande progresso dal 1822 fin oggi,non reggono tampoco al parfigone dei tempi andati, nei quali non godevano protezione alcuna, anzi pugnar dovevano con ogni maniera di ostacoli, ne han colta lode maggiore, o almeno uguale. E perciò non esser giusto che il ])aese soffra la pena dell' ignavia e delle pedestri o timide intraprese dei nostri tipografi.

» V. Che il prolungare l'attuale gravezza giova più a- prolungare la vita languida e tutta mercantile, tutta artificiale delle nostre tipografie, che ad aumentarne la prosperità ; che anzi la moderazione del dazio ad esse

nssai gioverebbe come un mèzzo di reacleile nella gara di perfezione più operose. ^ . vv n'. ' .^v-V

w VI". Che la gravezza del dazio renderà sempre più facile riulroduzione dfi libri tristi, per rincitamento a frodare insieme dogana e censura.

ìì VIP. Glie aiicliL* nelle moderne produzioni i rei libri sono in poco numero iii faccia ai libri buoni, utili, di cui non si può fare a meno che a danno della pro- sperila di'I paese.

» Vili". Che infine controilibrii perniciosi vi bar censura >j. ì ■:>: ' '' n

Noi abbiam creduto onorar meglio questo egregio la- voro col riferire le idee dell'autore, che hanno massima chiarezza, e massima precisione, nella maniera medesima ch'egli le ha espresse. Lo stile, siccome avrà ognuno scorto dai riportati squarci, è nobile ed elegante; il linguaggio puro e corretto. Egli ha poi aggiunto aila.fine varie no- tizie, che son tutto utili ed importanti; i". intorno gli stampatori del regno di Napoli nei siécoli XV, XVI, XVII, XVIII: 2°. sulle fonderie di caratteri: 3°. sulle cartiere: 4"- sull'arte d'intagliare sulle tavole di legno; e calcografia: 5". finalmente si cliiudtì il libro con ,un nolameiito delle sole opeie in più volumi e di gravi materie stampate in Napoli in un periodo di r5 anni dal 1-^65 al l'ySo.

Per le quali cose sarebbe da desiderare che venisse quest'opera difi'usa per ogni dove, onde spandersi le buone dottrine economiche, ed infiammarsi le menti pei* la sapienza; la sola dhe rendei forti e polenti le nazioni, che le illustia e le migliora : quella sapienza, che con un potere oc( ulto e (juasi magico allegeiisce le disgrazie della vita, è ne fa trovar couforlo nei momenti iu cui meno lo sperano le liambasciale anime. L' autore dun- que del presente libro mentre rcnide con esso un gran servigio alla civiltà del paese, ne ammaestra e ne consola.

Voglia Iddio che i Ministri del trouo abbian sem- pre e questa mente e questo animo' F. M.

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, Due Sonetti inediti di angelo di Costanzo (*).

I.

B

en assomiglia al tuo, notte, il mio stato: Tu len vai senza Sol mesta ed oscura; Io d'ogni intorno il cor fosco e turbato Teugo, mentre 1 mio Sol altri mi fura.

Tu scacciando il calor, d'aspro e gelato Manto li copri : io la diurna arsura Pendo gelata col timor ch'a lato Mi vola rinforzando ogni mia cura.

Tu vani sogni alberghi; io colmo e pieno ' Ho il petto di sperar vano e fallace; "' Tu mille larve, io mille orrori ho in seno.

Ma in ciò ti assomiglio, e ben mi spiace.

Che tanti occhi non ho, quanti hai, eh' almenp Più godessi in mirar quel che mi piace.

(') Nota del prof. Sairatore Betti : « Vi trascrivo due sonetti classici, » eh' io reputo inediti. Sono essi di quell'Angelo di Costanzo, che fra' poeti « italiani e de* più gentili e soavi dopo il Petrarca. Io gli ho tratti da un » prezioso codice del secolo XVI, che fortunatamente ho potuto salvare da p una mano barbara, e che contiene tutte le rime del valentissimo napoli- » tano, così quelle pubblicate nell' ultima edizione del Cornino, come molte » altre che iu ena edizioae non si trovano ».

lay

■il:

Poìcliè coi vostro eccelso e piiT che umano Valore avete l'Asia in Libia oppressa, E quella spenta già, questa sommessa All' imperio di Cristo ed al romano:

Mentre nel ciel l' imperaJor sovrano

Non vi chiama a la patria a voi promessa, Gite a pigliar la palma a voi concessa Dall'augusta di Carlo invitta mano:

Ed a pigliar di nuove imprese il pondo, Seguendo la fortuna, ove vi mostra Il vostro ardire a nuU'altro secondo:

A tal che, fatta in lutto Europa nostra, Senta per tutte le tre parti il mondo Il tuon dell'arme e de la gloria vostra.

Ministeriale del jR. Governo in favore delle opere periodiche.

Ogni cosa che i Governi fanno per proleggere le scienze e le lettere, il cui grado di maggiore o minore eleva- tezza segna il punto della civiltà di un paese, è mestieri che si divulghi e per onore del vero , e per gloria di quelli. Il passato Governo di S. M. il Re nostro Si- gnore mirava questo un tributo che si rende alla nuda verità) a far progredire ogni ramo di cultura intellettuale. Egli quindi avea rivolto pure gli occhi alle opere pcrio- diclie, e le avea protette con accordar loro l'associazione dei comuni, agevolazioni di posta; gratijBcazioni. L'associazio- ne dei comuni mentre dava un fondo sicuro e periodico al Giornali, difiundcVa le utili notizie in ogni angolo dcU'I-

ra8

sola, e prestava senza volere, anche al più rozzi, occasio* ni di apprendere cose utili, e cU migliorare lo stato loro morale, e lo stalo fisico, e lo stato iodiUstiiale. Ma per una catena di vicende non prevedute, e per una mira, saggia per altro, di risparmio verso i comuni, venne a perdersi V associazione. Onde il passato (inverno della Sicilia, per non lar perire opere tanto utili, cercava di proleggerle in altra guisa. Le protezioni anclie j)iccole servivano a inantener la lor vita; e da questa esi- stenza scaturivano beni sordi , ma reali e grandi. La seguetile Ministeriale die onora tanto il Governo che la ordinò ne Iacea sperare con sicurezza di avere annualmente presso a poco le stesse largizioni, senza le quali non si possono fia noi sostenere in verun conto i periodici lavori scientifici.

Ma quel Governo non è più. Noi però abbiam certa fidanza che lalluale, composto di uomini gravissimi, del pari illuminali, edamici della Sicilia come quelli erano, nel j)roleggere e lavoreggiare le, cose glie, al suo u li le ri- dondavano, wm abbandoneranno a se slesse le opere pe- riodiche; e quindi le Effemeridi siciliane troveranno in loro ccrlamente quell'appoggio generoso, che aveauo nei passati trovalo.

MINISTERO E nEA-I. SEGRETERIA DI STATO PRÈSSO IL LUOGO- TENENTE GENERALE Ne' REALI DOMINI AL DI LA DEL FARO: RIPARTIMENTO DELL'INTERNO, CAR. 2, NUM. 7.64 1 .

Conoscendo quanto i Giornali letterari e scientifici in- fluiscano alla diffusione de' lumi, ed al progresùio della civiltà, e persuasa quindi che convenga promuoverne la pubblicazione, S. E. il Luogotenente Generale (i) ha volto la sua attenzione a quelli che da qualche tempo appo noi han veduto la lp,ce ,, apprezzati non poco , e

' «IJJ (■■■•rr.ì, 'M? ì-ìtli (t) PriiuFÌpe' 4i Campofrtnco.

i^9

nell'isola nostra, e dagli esteri. Ha infanto ITE. S. con- siderato come venuta meno 1' associazione coattiva dei comuni a questi giornali, sia agii estensori degli stessi mancalo un fondo non lieve ; e che però mal j)otendo in avvenire SQstenersi , sia da temerne il totale scorag- giamento.

Perchè dunque dal canto suo vi provveda il Governo nel modo che gli è possibile, S. E il Luogotenente Ge- nerale in un Consiglio straordinario de' 6 di questo no- vembre ha risoluto che sul l'ondo addetto a premi, ed incoraggiamenti nello stato discusso del real tesoro si tòlga la somma di onze centosetlanta senza alcuna de- duzione, e si distribuisca in questo anno nelle seguenti rate: Onze settanta ab R. Istituto d'Incojaggiamenlo per servir di fondo alia continuazione del suo giornale, e sollecitarsi la pubblicazione de' corrispondetiti fascicoli; onze sessanta al Direttor generale di polizia per accor- darsi al direttore del giornale di scienze , lettere , ed arti all'oggetto di provvedere al disavanzo sperimenta- to, ed impedire che cessi la continuazione; della perio- dica distribuzione del giornale. Onze quaranta finalmenle al Compilatore del giornale, 1' lifliemeridi scientifiche e letterarie, allo stesSiO scopo di farsene proseguire la pub- hlicazione. -, . -.

Le comunico questa i'isoluzione per la parte che la ri- guarda mentre il Governo si dispone a dare gli ordini pel pagamento agli ufliciali del real tesoro. Palermo 1 3 novembre 1 83 7.

il- A)'. !iii I .).; O'-.'.M.fi a:;

iUtilio JL DUCA SJMM ARTI NO. >> K-i'/r. r.;; 1 , ■.

Al signor D. Ferdinando Màlvica. Direttore del Giornale l' Effemeridi scientifiche e letterarie-^ Pixievmo.

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••>:> -ANNUNZIO DI OPERE DA PUBBLICARSI DAI FRATELLI ANTONINO E VINCENZO LINARES.

f . Biografìe e ritratti d'illustri siciliani morti ' nel cholerUj preceduti dalla storia del cholera.

Non poteasi concepire un pen>iero più commendevole di quello che i IratelU Linares han concepito, onde tra- mandare riunite in un sol volume le vite e i ritratti de' più grandi uomini che perdette la Sicilia nella tre- menda sventura che la colpì. La storia del cholera pre- cederà le vite, e siam sicuri che tal nairazione, essendo scritta dalla penna dell'esimio Borghi, riuscirà piena di anima, e a tutti gradita. I ritratti sono disegnati ed in- cisi dai più bravi artisti della Sicilia; e le vite, se ne folcii quella che abbiamo scritta noi stessi, saranno senza dubbio un eterno monumento consacrato alla memoria di que' sapienti che più non sono, perchè vennero affi- date nella più parte a scrittori di polso e di grido. Insomma noi siam sicuri, che, avuto riguardo al gusto e al senno dei bravi editori , V opera sarà tale certa- mente che ne tornerà vanto alla Sicilia.

2. MARTA e GIORGIO ossiu il cholera di Palermo i . romanzo-storico di Vincenzo Linares.

iU;tln'altra opera scritta da uno dei due cennati fratelli vedrà tra poco la luce. Egli è certo die quando vi so- no nel mondo grandi e stiepitosi avvenimenti sorgon tosto gli storici; e qualora un paese non ha storici vuol dire che non ha storia. La catastrofe del cholera in Siciliia è di si gran pondo, che avrà certamente i suoi scrittori gravi e veri. Abbiamo avuto sin' ora molli racconti di quella vii enda. Vi è slato chi ha fatto l'apologia dei me- dici , e chi ha scritto il contrario ; chi ha colmalo di lodi la truppa, e chi ha taciuto; chi ha dato elogi smi- surati a chi meno ne meritava o non ne meritava atìàt- to; chi ha riempito le carte di basse e vili adulazioni di

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ogni specie; chi ha trascuralo le cagioni dei falli, chi le ha simulate, chi le ha presentate sotto il falso; insomma abbiamo avuto già nel corso di pochi mesi, dacché il morbo finì , non so quante e quante storie, e quanti rac- conti, e quante narrazioni, che sarebbe un finir mai il vo- lerle tutte ricordare. In esse però vi è sempre da notar qual cosa, e sarà certamente notala da quelli die, presi tutti questi elementi, e sceverando dal vero il falso , e r illusione dalla realità, scriveranno un giorno la storia . veritiera e filosofica di quella tremenda sciagura.

Lo storico, per la gravità della storia, e per la na- tura propria del suo ministero , non può volgersi alle minute cose, e ai fatti particolari e legieri, che possono essere spesso, malgrado della leggerezza loro, fonte d'istru- zione, e di morale utilità. Onde farebbe un gran ser- vigio colui che andasse registrando tutti que' casi par- ticolari, domestici , cittadini che sogliono accadere nei grandi avvenimenti, e che posson dare sovente un' im- pronta ai costumi di una data nazione, in un dato secolo. II romanzo storico maneggiato con questo intendimento potrà essere allora utilissimo. In caso contrario è un'o- pera vana e stolta. Il cholera di Palermo ofiri scene tali, che non meritano di essere trasandate, e presenta ampia materia di discutere molte cose importantissime, a cui Io storico non potrebbe mai scendere. Nei particolari e do- mestici casi dunque i costumi del popolo, e la sua natura la sua indole si mostrano spesso per quel che sono: le cir- costanze energiche violenti straordinarie fauno sviluppare gli uomini, costituiscono il loro vero carattere, e svelano cose fisiche e morali, che sarebbero stale perpetuamente ignote. Il pensiero del signor Linares è perciò ottimo. Noi appieno conosciamo il giudicio e la cultura di lui, onde abbiam forti e sicuri elementi per credere, ch'egli abbia fatto un buon lavoro. Ci auguriamo pel bene del nostro paese che l' effetto al generoso divisaraeuto cor- risponda.

F. M.

i3s

INDICE

:• ìiù lf!j)^EI.LE MATERIE

■■-> CÓNTÉNXfTÉ NEL PRESENTE F ASaCOLO

■■J7 l! li, ■. ,

ipj.CAe comprende i mesi da luglio a dicembre i83y.

AvVifO DEL DlRBTTORB. . é . . . g 4 f»%- 3

PARTE PRIMA

■- : -scHif XK l't «nui

Dell' uso del sale del sangue del nitro del gesso In agricoltura— F. Mal*

▼ica. . . . / -.''.' .' ^ . . . pag. 3

Snir Istituto agrario di Meleto ia Toscana, Lettela di Leonardo Mbrel- ,,\

lo al baroae Pastore . . . . ., . .. . » la

A^ìxo'-'-.' ^-ii' 'l'''- ." . . .o<^»;Mti.f. NI . . ,3

tfficai ;'!.:. r r, , , il t, . . »;j; ,..:.;: .. . » 14

Falce a rastrello. . . . ... . . . » ivi

Vaccb« Svizzere— letama jo Prati alificiali » i5

PARTE SECONDA

. ' LKTTBBE ED ARTI

Elogio di Dómetiico Scinà Scritto da Ferdinando Malvica . . « aS Sul primo Caiito dell'Inforno di Dante AliRhicri-^Melchiorre pusiìiet » ,89 Sopra alcuni scavi fatti, nel I' Isola Panarea (Terinisia) presso Lipari —Let- tera del caii. Carlo Roiliiqiicz . . . . . . >j lOI

Napoleone Iscrizione onoraria inedita di MclchioiTe Missiriui . » lo4 Iscrizione sepolcrale inedita di Pietro Gionlani . . . . » ivi

Annunzio pel terzo volume delle Antichità della Sicilia del Duca di

Serradiliilco. '. . . . . . . . . » io5

Focile parole sulla Sepoltura. di intonino Malvica Consigliere nella Corte

Suprema di giustizia di Sicilia licitate da Ferdinando suo figlio jj ivi Necrologia pel sig. Agostino Tantillo da Termini Prof. Alessio Scigliani ulti Cousiderazioiji sul flazio d' inlroduzione dei libii stranieri di Giuseppe

Ccva Grimaldi. Napoli dicenilire iSS;. F M. . . » no

Due Sonetti inediti di An'„'clo di Costanzo . . . . . •» ia6

Nota del Prof. Salvatore betti su i ccniiiiti sonetti. . . . » ivi

Ministeriale del R. Governo in favore delle ojiere periodiche . « 127

Anuunzio di opere da pubblicarsi da' fratelli' Antonino e Vincenzo Li- nares i,° Biogr>ilie e ritraiti d'iilusiri Siciliani morti nel cLolcra, preceduti dalla Storia del cholera 2.° Maria e Giorgio ossia il cbolcra di Palermo romanzo storico . . >i i3u

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