Wi vd.9 MU\GO YYY \ IRAN I! si “5 DEI | TT DIAL DEI V \Jj Y v jb Mg I, IA (O vj ISS i, - MUOVIVIO 4 v MMI MMM EU VU UU TM VE \ Ì MAVATI \y D) sie >» "» v | VI \ka} IV Vi fi acne CA iu 5°) PINS PIRRO fici SIRO ht; VI i AR È % è eri RACE, y INTALO LOREN è ha ) ANgihe csi Gt. NÉ i LO: Pf SA Si v C \ vWy Rei » V MI VI VU f v È 4 VI, VI Y | i fe | | VW MO vw | V v IUVEUEÌ VA ETRE da Sal ‘ "; JR b. p° LAZIONE MI a I AI a VIVI MICA INN di sj \ ji vv )i cd LI SILA O” le a tali <: —_ra ate vd. Sa dd PID _D. >. < | DI pm >» >. DIM» x DPI d Lo La 7 È È 5 DID DIP DI _DPIO- DID IE) PIID DI i 35° i: » 3 wr O | e) mat IC JÈ L \\99 NI UO V 2] 4} % pod i Ei 33 gia) > DG Da j Reg ii { tl | eb d Vs + I° ui Saf NO INI \ UV 1 w e hd \VJ\Y dd OÙ È \ Wa} w i o 4 dl Wed A x ‘cal’ N \J - x i PAT I, ì Ng [1% de. "gni iN 1 Ea Y lu \a ? 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N \ | fi \s° \ i Lan V - : À vu i VIVI v & CA hi TO] Re AUS o i Rio DRPETOLOGIA DELLE PROVINCIE VENETE DEL TIROLO MERIDIONALE Pt ATI ZT Gi oa BAADER rn » Le c1 di dle n SAS sè CISU (ou 12 1987 ) ARE n ") à si ARIA, MA PR je e ka PRE LAE er eli Fiaazesacaee Una corrispondente Collezione dei Rettili del Tirolo meridionale fu depositata nel 4833 presso la Società Zoologico- Botanica di Vienna, ed un’ altra fu inviata nel 4855 al Museo Civico di Movereto. L’Autore offre in cambio di altri Rettili d’ Europa, o di Molluschi terrestri e fluviatili, le specie e varietà qui descritte, ed in perfettissimi esemplari conservate nell? alcool. ERPETOLOGIA DELLE PROVINCIE VENETE E DEL TIROLO MERIDIONALE DI EDOARDO nob. de RETTA . SOCIO ATTIVO DELL’ACCADEMIA DI AGRICOLTURA, ARTI E COMMERCIO DI VERONA, MEMBRO DELL’ATENEO DI BASSANO, DELL’ACCADEMIA DEI CONCORDI DI BOVOLENTA, DELLA SOCIETA" ZOOLOGICO - BOTANICA DI VIENNA, DELLE SOCIETA' DI SCIENZE NATURALI DI PRAGA, DI HERMANNSTADT, DI BAMBERGA ECC. ECC. OPRRA PREUTATA dall'Accademia di Agricoltura, Arti e Commercio di Verona e formante il Vol. XXV de’ suoi Atti. VZZZETE VERONA Dalio Stabilimento Tipografico Vicentini e Franchini 4857. SULLA ERPETOLOGIA DELLE PROVINCIE VENETE E DEL TIROLO MERIDIONALE DEL NOBILE CAVALIERE EDOARDO de BETTA peesentata all'Accadewra il giorno 7 cAgoato 1856, RAPPORTO della Commissione Accademica, letto nella Tornata del 10 Aprile 1897. Opyewotifiane Lotlighe vu Se fra le Scienze naturali la Zoologia in fatio d’ importanza e di utilità è a nessuna seconda; se non v ha ramo di questa scienza che con ragione da uno studioso esser possa dimenticato, o anche ad altri posposto; e perchè mai (saviamente osserva ‘il Cavaliere de Betta) tanto scarsi sono essi fra noi i lavori che in fatto di Erpetologia fino ad ora ven- nero a luce? — Ciò prova ad evidenza essere stato sin qua ristretto a pochissimi lo studio di tale Zoolo- gico ramo; e questo difetto potersi assegnare a questo, che la gioventù non è sovvenuta di un libro il quale unisca le due: erudisca su quanto v’ ha di meglio a VIII sapersi dei Rettili, e torni insieme di facile accesso ed acquisto. Egli è a questo lodevolissimo intendimento che il nostro chiarissimo Socio prese a dettare un Trattato di Erpetologia, che li annunziati pregi si avesse; re- stringendolo opportunamente alle specie che abitano le Provincie Venete, tra le quali la Veronese meno di #re, le contien tutte essa sola; a cui aggiunse il Tirolo meridionale, che ne difetta solo di cinque. Per questo lavoro dell’ egregio nostro Collega lo studio dei Rettili, oltre a rendere manifesta tutta la. sua importanza, si porge altresì facile allo studioso, e (ciò che assai conta in fatto di opere didascaliche ) veste la scienza di quella piacevolezza e curiosità che tanto è gradita alla gioventù, sempre schiva della fatica e della noja. A scemare vie meglio la quale il nostro Autore liberò la sua Erpetologia di una difficoltà, che ai dotti stessi tornò sempre di grave imbarazzo; vogliamo dire la confusione della nomenclatura; perchè ad ogni specie di Rettili, dopo il nome datole dal suo classifi- catore, e il rispondente italiano, con quello pure con cui sono usi a chiamarla nel loro dialetto i Veneti ed i Tirolesi, ci dà per disteso tutta la lunga lista degli svariati nomi co’ quali la medesima specie è dai Na- turalisti appellata, indicando altresì |’ Opera in cui que’ sinonimi si trovano usati. E innanzi tratto, posto I° elenco degli autori citati nell’ora nominata Sinonimia, entra l'egregio Socio col > a Tel IX primo articolo in una ordinata e convenevolmente este- sa descrizione dei Rettili in generale, indicando allo studioso tutti li principali caratteri che sceverando i rettili dagli altri animali, ne costituiscono una Classe speciale. | Questa Classe poi divisa dal nostro Autore, coll’ il- lustre Brongniart, ne’ quattro Ordini de’ Chelonii, dei Saurii, degli Ofidii e dei Batraci, di ciascun ordine descrive le forme, gli organi esteriori, e 1 magistero cui dalla Natura son destinati. Entra di poi nell’ interno del corpo, e ne addita l ammirabile compagine, e le funzioni dei visceri. Tutto con profondità e sicurezza di erudizione e di scienza, sempre all’ appoggio delle ultime e più recenti scoperte e teorie; dettato poi con quella facilità, chiarezza, e proprietà di lingua, che lo renderebbe anche per ciò solo commendevolissimo. Procede inoltre 1° illustre Autore in un secondo articolo a parlar del veleno delle Vipere, e svolge que- sto interessante argomento con tanta copia di dottrina e di prove, che nulla lascia a desiderare. Fattici noti, a guardareene, i luoghi del Veneto e del Tirolo ove più abbondan le vipere, descrive le traccie esterne che dinotano infra gli altri velenoso quel rettile, P in- terno ordine e la postura delle glandule, e la struttura particolare dei denti veleniferi; opera di provvidenza ammirabile, come che paurosa, e tale apparato di av- velenamento disegna poi di sua mano nella tavola che accompagna l’opera; descrive i sintomi che annunzia- X no il fatal morso, e i fenomeni terribili che ne conse- guitano, indicando da ultimo i rimedj meglio accertati a guarirne. Soddisfatto a questo debito di una compiuta istru- zione, passa il Socio nostro alla Generazione dei Rettili. Di ciascheduno delli quattro Ordini sunnominati addita la differente economia cui segue Natura nella conser- vazione di questi esseri; i quali se pel volgo ignaro sono li più spregevoli e fastidiosi, il savio invece, che li considera attento, stupisce ad un ordine che vede in loro di portenti affatto nuovi. Fra questi è ammira- bile nei Batraci peculiarmente, lo svolgimenio delle più curiose metamorfosi dal primo loro esordire sino ad animale compiuto; ed è con queste meraviglie che il nostro Autore termina il bello e savio articolo della Generazione dei Rettili. | Da questa passa all’ arcana facoltà di che fu loro larga Natura, di riprodur quelle parti del corpo delle quali venissero mozzi. À questo fatto, uno de’ più re- conditi della fisiologia, dedica un breve ma sugoso articolo, riportando eziandio le migliori sperienze e i più luminosi successi ottenuti dai naturalisti; offeren- do altresì a vedere negli scheletri di alcuni rettili, di cui è fornito il ricco e stimato suo Museo, la diffe- renza interna a cui soggiacciono le parti riprodotte dalle native. | Pregio era dell'opera che una pagina pur vi aves- se destinata a svellere dalla mente de’ giovani quelle XI tante superstizioni e false opinioni statevi per avven- tura innestate dal volgo credenzone e ignorante; ed è appunto questo argomento che svolge da ultimo Vl il- lustre Autore, chiudendo la prima parte del suo lavoro con un articolo intitolato « Favole e pregiudiz) nella storia dei Rettili » . Fin quì la prima parte dell’ opera che si potrebbe chiamare |’ Erpetologia generale. Va innanzi alla seconda parte, che vorremo intito- lare P Erpetologia particolare, un « Prospetto dei » Rettili delle provincie Venete e del Tirolo meridio- » nale, colla indicazione delle specie fino ad ora co- » nosciute proprie anche della Lombardia ». In questo Prospetto sommario l'Ordine I. dei Che- lonii è diviso nei due generi Emys e Chelonia, colle specie lutaria pel primo, e caretta pel secondo. Volle I illustre Autore descritta pure una terza specie, la Testudo graeca, perchè spesso ne incontra vederla nei nostri giardini; sempre però portatavi vuoi dalla Grecia, vuoi dalla Romagna o d° altrove, non mai in- digena dei nostri paesi. L'Ordine II. dei Sauri è partito nei due generi Lacerta ed Anguis, il primo dei quali suddivide nei tre sottogeneri Zacerta, Zootoca e Podarcis. Di ognu- no espone le specie colle sue varietà, fra le quali ci è fatta conoscere dall’ Autore nostro una assai distinta sua varietà campestris della comune Podarcis mu- ralis. XI L'Ordine IH. degli Ofidii è diviso in cinque ge- neri: Coronella, Coluber, Tropidorotus, Pelias e Vi- pera, colle rispettive specie e varietà. | L'Ordine IV. dei Bafraciì è distinto in sette generi, Hyla, Rana, Bombinator, Bufo, Salamandra, Petra- ponia e Triton, colle specie loro. Di questi rettili : Specie 26, con 34 varietà apparlengono alle provincie Venete. Specie 24, con 20 varietà al Tirolo meridionale. Specie 24, con 41 varietà alla Lombardia. Dopo questo spartimento generale della materia, sì fa da capo il Socio Autore al primo Ordine dei Chelonii, e dataci una prima descrizione che abbrac- cia i retuli spettanti a quest'ordine, indi delle famiglie che ne discendono, dinotando con ogni accuratezza la struttura esterna ed interna di questi esseri, le forme, il colore e le dimensioni, ci fa conoscere i luoghi di preferenza da essi abitati, e le loro costumanze, non lasciando pur di accennare Vl’ utilità che negli usi della vita possiamo trarre da questi animali. Passa quindi a dinotare d’ ogni famiglia i generi in cui si divide, e, come più sopra dicemmo, le varie specie ad ogni genere appartenenti, colle loro varietà; partitamente quelle e queste descrivendoci, sempre se- guendo |’ ordinato processo come si è detto. E quì faremo osservare due pregi singolari che rendono questo sudato lavoro vie più prezioso. E pel XII primo, lo studio diligente posto dal nostro Collega a definire e bene sceverare luna dall’ altra parecchie delle specie per altri autori mischiate e confuse; ren- dendo con ciò un notabile servigio agli studiosi ed alla scienza. Il secondo, che nel fatto segnatamente dei costumi e delle abitudini di questi esseri tutto volle 1° Autore accertato e raffermato dalle proprie spe- rienze, e veder chiaro in ogni fatto cogli occhi propr], per cui non dovette pur rifiutarsi a fatica ed a spesa di viaggi; ed ove non gli fu possibile il suffragio della propria sperienza volle corroborate le sue asserzioni dalle osservazioni e testimonianze dei più riputati Na- turalisti e suoi corrispondenti. Colla stessa. lucidezza, diligenza, e profondità di erudizione scompone e anatomizza sottilmente gli altri tre Ordini dei rettili, nulla pretermittendo di ciò che render possa il suo lavoro in fatto di Erpetologia delle Provincie Venete e del Tirolo meridionale un 7ra/- tato completo. Da ultimo un Quadro Sinottico tutta la branca er- petologica coi singoli suoi rami offre 1° illustre Autore a vedersi d’ un colpo d’ occhio. Per le quali osservazioni tutte, Egregi Colleghi, la Commissione che Voi onoraste di questo esame, sente di dover proporre al voto Vostro la stampa negli Atti della Erpetologia del Socio de Betta, e questa il più che sia possibile sollecita, poichè se dall’ Accademia nostra è per uscire un’ Opera del suo genere la prima in Ita- XIV lia, non avvenga (e abbiamo onde temerlo) che altri più lesto del passo non ci cavi di mano la palma. Per la Erpetologia del de Betta, unita alla Flora Veronese che già possediamo, con altre opere relative alla Fauna; alla Ma/acologia del compianto Menegazzi, e ad un Trattato di Ornitologia Veronese di cui per bella avventura speriam tra breve veder donata la no- stra Accademia, andrà Ella sovra tutte d° Italia a buon dritto superba. Oltre alla stampa negli Atti Accademici, la Com- missione vostra propone che l' illustre nostro Collega sia rimeritato altresì della Medaglia d’oro. Ma quì permettete, o saggi Colleghi, che noi vi esponiamo un pensiero affatto ovvio destatocisi allo studio appunto in de Betta. «_L’ esame del Trattato sul quale vi riferiamo ci fece sentire una grave lacuna che, sull’ argomento dei premj, il nostro Statuto presenta. Unanimi i vostri Commissarj nel proporvi la stampa negli Atti Accade- mici della Erpetologia del Cav. de Besta essi avreb- bero voluto proporvi altresì d’insignire questo Trattato delia Medaglia d’oro di 1.° grandezza, chè esso n° è ben meritevole; ma impediti dalle disposizioni statu- iarie debbono, comunque a malincuore, limitarsi a proporre che solo della Medaglia d’ oro di IL gran- dezza Voi lo vogliate rimeritato. Torni per altro d’ onesta e nobile compiacenza al Socio Autore l'idea, che il suo manoscritto fece al XV sottoscritti così dolorosamente sentire l’ avvisata lacu- na del nostro Statuto, e che essi chiudono il presente loro Rapporto proponendo la seguente Agg iunta allo Statuto medesimo: Visto che lo Statuto Accademico non accorda il premio straordinario, cioè la Medaglia d’ oro di 1.? grandezza che in soli due casi: quando venga da qua- lunque anco straniero ( Art.° 27.) adequatamente evaso e risoluto il Programma triennale: quando da un Ve- ronese anche non socio (Art.® 29.) si presenti un ri- trovamento di grande e generale interesse: Visto che | Auiore di un Trattato sistematico e completo riferentesi agli studj accademici potrebbe es- sere egualmente, ed anco in maggior modo meritevole della Medaglia d’ oro di I° grandezza: Visto che senza ciò, il suo Autore va necessaria- mente parificato all’ Autore d’ una semplice memoria accademica, nella quale gli stessi limiti dalla sua in- dole imposti, escludono la prescrizione di que’ mag- giori meriti che ponno rinvenirsi in un Trattato di lunga lena e completo: Visto infine che senza ciò, mentre 1° Autore di un Trattato esteso a soluzione del Programma triennale aspira alla Medaglia d’oro di I° grandezza, se un Socio estenda un trattato per proprio impulso, comun- que abbia meriti maggiori di quello, non potrebbe mai aspirare che al premio della medaglia d’oro di II.* grandezza: XVI I sottoscritti propongono che |’ Articolo 29 dello Statuto il quale suona: « D’ ogni tempo inoltre può |’ Accademia impartire » il premio straordinario della Medaglia d’ oro di 1° » grandezza al Veronese che presenti un ritrovamento » di grande e generale vantaggio ». — venga così modificato: Articolo 29 — « D’ ogni tempo inoltre può I° Ac- > cademia compartire il premio straordinario della Me- » daglia d’ oro di 1.° grandezza al Socio che presenti » il manoscritto di un’ Opera o Trattato riferentesi agli » studj accademici, il quale per |’ importanza del sog- » getto, per lo sviluppo della pertrattazione e in una » parola per l’ entità de’ suoi meriti, venga qualificato » degno di una tale onorificenza. Una tale onorificenza » potrà altresì essere conferita d’ ogni tempo al Vero- » nese che presenti un ritrovamento di grande e ge- » nerale vantaggio » . | hd Ni A dì 16 Aprile 1857. LA COMMISSIONE Camuzzoni Dott. Giulio Castelli Prof. Dott. Salvatore Lenotti Giuseppe Massalonge Prof. Abramo Spandrîi Gaetano Relatore. ERPETOLOGIA DELLE PROVINCIE VENETE E DEL TIROLO MERIDIONALE RoN! di di X Mo D Voli, ) ta pa! DÌ N Sage A, cea; vpi e $ Poi che il luminoso progresso delle Scienze naturali, dileguate le tenebre nelle quali era avvolta la storia dei Rettili, ci apprese l’ alta sua importanza, svelandone e fa- cendoci apprezzare le maravigliose proprietà di tali animali, un nuovo e vasto campo di studj e di utili cognizioni ci si parò innanzi. Apparve allora manifesta la debolezza della mente umana nell’ essersi chinata con troppa credu- lità alle vane opinioni, alle assurde prevenzioni e alle su- perstiziose credenze che resero i Rettili spregiati al volgo, disgradati e rigettati con orrore dal più degli uomini, e condannati alla proscrizione ed allo sterminio da una sen- tenza quanto ingiusta altrettanto inesorabile. Il potere della Natura rifulge con istupenda magnifi- cenza in ognuna delle opere sue, e pochi esseri più dei Rettili ce lo manifestano tanto evidente; siccome pochi altri animali meritano quanto questi la nostra attenzione per novità di costumi, per singolari abitudini, per acutezza d’istinti, per organizzazione, struttura e forma meravi- gliose nella varietà e nell’ acconcezza ai rispettivi bisogni, 4 per vaghezza di colorito, e per le stesse armi terribili delle quali alcuni tra di essi vanno forniti. I materiali d’ altronde che offrono alcuni alla nostra industria, il soccorso che altri prestano ai nostri bisogni, l'alimento che altri ancora ci offrono gradito e salutare, ed il vero vantaggio che molti ci arrecano colla distruzione ‘di non pochi animali assai nocivi all’ agricoltura, sono tant’ altre ragioni che più devono persuadere della impor- tanza cd utilità dello studio di questo ramo della Zoologia. . Allorchè, esaminati più da vicino questi esseri singola- rissimi, e conosciutene le varie proprietà, l Erpetologia si presentò infine quale scienza del massimo interesse, non poche opere tentarono di riduria a sistemi, più o meno naturali secondo ie vedute dei loro autori. Si diede mano allora a sceverare e combattere di quando in quando gli errori dei quali era ingombrata la storia dei Rettili, col- l’opporre alle superstizioni ed ai pregiudiz) volgari i chiari fatti desunti dalle molte e conscienziose operazioni ed esperienze dei naturalisti filosofi. Col progredire poi di tali studj e di tali ricerche portossi la scienza a quel progres- sivo e maggior grado di perfezione che si appalesa mei successivi lavori a. noi più vicini, e ormai la Scienza pos- siede una classica opera di Erpetologia generale in quella dei Signori Duméril e Bibron, siccome già prima ancora compita vantava Italia la insigne Iconografia del dottissimo naturalista italiano, il Principe Carlo Luciano Bonaparte, nella quale trovavano completa illustrazione tutti i rettili abitatori del nostro del paese. Ma comechè innumerabili sieno i pregi di tali due opere, e comechè suppliscano esse sole a quasi tutti i bi- sogni della scìlenza, non è però men vero che inaccessi- bili al popolo per la stessa loro natura e talvolta benanco 5 agli studiosi per l’ alto costo, lasciarono sempre desiderare e lasciano tuttora il desiderio di un lavoro più special- mente adattato alla intelligenza ed al bisogno della gio- ventù, dalla quale ha principio 1’ educazione della società, ‘e dalla quale ha diritto la scienza di attendere col tempo novelli tributi e nuove pictre pel grande edifizio dell'umano sapere. La diffusione delle cognizioni appartenenti a tale spe- cialissimo ramo della Zoologia, e la vittoria dei molti er- rori che lo deturpano, incontrano due gravissimi ostacoli che è necessario anzi tutto di superare, per togliere con essi le cause che lo' rendono a molti disaggradevole studio. Sono dessi, la debolezza dello spirito umano non così fa- cilmente inclinato ad abbandonare inveterate credenze, e la difficoltà di avvicinare e confrontare i fatti per causa di quel ribrezzo, quasi direi istintivo, che desta in ognuno la vista di un rettile e sopratutto di un serpente, e forse ancora più la temenza di quelle proprietà malefiche che ancor da fanciulli scorgiamo attribuiti ai rettili da taluno fra coloro ai quali è affidata Ia prima nostra educazione, senza che poi ne cerchiamo o ne troviamo confutazione 0 schiarimento. Ciò ammesso chiara sorge la necessità di avere un mezzo facile d’ istruzione, specialmente adattato alla mente dei giovani pei quali fors' anche le prime scuole sono V unica fonte di educazione. Di un mezzo, dicesi, che eompendiando quanto più di particolare distingue questa classe di animali, offra più minutamente descritte ed illu- ‘strate le specie del paese nativo; nel che fare si soddi- sfarebbe poi benanco al uno stretto bisogno della scienza, offrendole maggiori e più precisi dati per istabilire gli estremi della geografica distribuzione degli esseri, 6 Da quì mossero precisamente i primi passi delle mie ricerche, e da quì sorse la prima idea del lavoro ch’ io presento non già coll’ ardita presunzione di dar cosa com- pleta, ma colla speranza di avere contribuito in. qualche modo a minorare il vuoto di qualsiasi trattato che pre- sentando unite le ricchezze delle nostre provincie anche nella Erpetologia, che sopra ogni altro ramo Zoologico searseggia fra noi di cultori, offra alli studiosi facile mezzo di riconoscerne le specie, e di valutarne le rispettive pro- prietà colla guida sicura dei fatti e di una critica giudi- ziosa e sagace. Se eccettuasi il Saggio di Erpetologia popolare Veronese pubblicato nel 1854 dal chiar. Prof. Massalongo (*), non abbiamo veramente fra noi alcun trattato speciale su questi animali, ma soltanto qualche cenno in opere generali, 0 pochi e brevi cataloghi che accennarono in varie occa- sioni alcuni dei rettili abitatori delle provincie da me il- lustrate. Nominansi fra tali lavori pel Veneto, in ordine di tempo, il Viaggio al lago di Garda ed al monte Baldo del Dott. Ciro Pollini pubblicato in Verona nel 1816, nel quale trovansi citati sei serpenti del territorio Veronese, compresovi l’An- quis fragilis che passar devesi all’ ordine dei Saurii, e le due vipere fedi e berus che indubbiamente appartengono alla sola nostra aspîs. — Nell'anno seguente la Redazione della Biblioteca Italiana (Tom. V. pag. 274) nel parlare di quel Viaggio aggiunse ai rettili veneti la Vipera am- (*) Questo stesso lavoro trovasi inserito negli Alti dell’ Accademia d° Agricoltura, Arti e Commercio di Verona, Vol. XXIX pag. 385, sotto il titolo di Catalogo ragionato deî Rettili fino ad ora conosciuti nella Pro- vincia Veronese. 7 modytes, dichiarata abitatriee der monti Bellunesi e dei Colli Euganei, ai quali ultimi è a ritenersi però affatto estranea. I Sul finire dello stesso anno 4847 il distinto entomologo Bernardino Angelini avvertì pel primo la presenza del Marasso ( Pelias berus Merrem ) nella Provincia veronese, dettando l’ erudita memoria sui costumi ed abitudini di ‘questo rettile, la quale sta inserita nel Tomo VII. pag. 45 della Biblioteca Italiana. Fu intorno a quell’ epoca che della erpetologia Pado- vana erasi fatto diligentissimo cultore il Dott. Domenico Martinati, siccome ne fanno testimonianza molte note la- sciate nei suoi superstiti manoscritti, ed alcune specie tut- tora esistenti nelle sue collezioni, con ben meritata vene- razione conservate ora dal figlio Dott. Pietro-Paolo, amico a me dilettissimo, ed al quale devo non poche notizie sui rettili specialmente della provincia di Padova. Se la scienza non potè fruire degli studj e delle ricerche del Dott. Mar- tinati, deve appuntarne la rara ma forse soverchia di lui modestia, per la quale rinunciando a quello stesso amor. proprio che lusinga un autore nell’ annunciare una sco- perta.o l’ osservazione di fatti nuovi alla scienza, soltanto in privato communicava ai molti e valenti suoi corrispon- denti 1 esito delle proprie ricerche, ed il frutto dei dili- gentissimi suoi studj. Intanto è a iui che devesi la prima notizia della presenza del Marasso nell’ agro Padovano, siccome ne fanno fede le sue note manoscritte ed una lettera autografa del chiar. naturalista Dott. Vincenzo Sette, il quale non so perchè tacque la fonte da cui apprese l’ esistenza di quel rettile nel Padovano, ed ebbe non po- che delle nozioni che gli servirono poi alla Memoria pub- blicata nel 4824 nella Bibliothèque Universelle di Ginevra 8 (Tom. XVI. pag. 50), sotto il titolo di Notizia sopra una nuova Vipera del Padovano. | Da quell’ epoca occorre poi scendere fino al 1844 per trovare nel Trattato sopra la costituzione geognostico-fisica delle provincie Venete del dottissimo nostro naturalista Prof. T. A. Catullo un più utile elenco di rettili veneti, con alcune brevi osservazioni sulle abitazioni e sui costumi di ognuna delle specie che enumera nel catalogo degli Animati del canale di S. Croce e di quelli più speciosi delle Alpi Bel- lunesi, a pag. 135 e seguenti dell’ opera. Quindici sono i rettili indicati proprj di quella località, ove troviamo più positivamente annunziata la presenza della Vipera ammo- dytes che da più anni addietro ci era stata avvertita nella Biblioteca Italiana. In quelle quindici specie si comprendono però il Coluber carbonarius il quale non è che semplice varietà del C. viridiflavus, ed una ZLacerta argus che, come vedrassi nell’ articolo della nostra Podarcis muralis, è a sospettarsi piuttosto varietà di colorazione di questa. Nel 41845 un brevissimo scritto del Prof. Trevisan, com- parso a pag. 193 della Strenna Padovana / colli Euganei, ci annunziò il nome delle 47 specie di rettili che l’autore assegnava a quei colli. Bue anni più tardi troviamo un elenco dei rettili della provincia di Venezia nel Vol. I. pag. 159 della Guida pub- blicata per l’ occasione del IX. Congresso sotto il titolo Venezia e le sue Lagune. Figurano ivi nominate 24 specie, le quali riduconsi però a sole 18 quando se ne escluda, perchè non indigena, la Testudo graeca; si riunisca alla Podarcis muralis la Lacerta agilis; e si restituiscano come semplici varietà la Lacerta bdilineata alla viridis, il Coluber murorum al Tropidonotus natrix, 11 C. carbonarius al viridi- fiavus, e la vipera derus alla aspis, ritenuto che sotto la 9 terza vipera ivi nominata chersea sia stato indicato il vero Marasso. Nel 1853 il Prof. Massalongo arricchiva il Veneto e la scienza colla scoperta di un nuovo genere, stabilito sopra un singolarissimo Batracio urodelo da lui raccolto presso Padova, ed illustrato nella Memoria Sopra un nuovo genere di Rettili della Provincia a inserita negli Annali di Bologna del detto anno. L’anno dopo, il chiar. Prof. Dott. Giulio Andrea Pirona pubblicando una pregiata raccolta di Voci Friulane signifi- canti animali e piante vi nominava anche, e ci fece quindi conoscere molti dei rettili abitatori di quel territorio. Ed è anzi mio debito il dichiarare come appunto a quell’ in- teressante lavoro del Prof. Pirona io abbia attinte alcune notizie sulla abitazione di varie specie, ed abbia da esso trascritti i nomi volgari Friulani a quelle corrispondenti. Finalmente il già sopra accennato opuscolo del Professor Massalongo compie. l enumerazione Bibliografica della Er- petologia Veneta, ed in esso la provincia di Verona pos- siede una indicazione di tutti i suoi rettili, con alcune delle notizie sui loro costumi ed abitudini che possono più interessare le persone alle quali è dedicato quel lavoro. A sole 23 devono però ridursi le 26 specie che | Autore assegna all’ agro veronese, perchè sola varietà di statura del comunissimo nostro Bombinator igneus è il Bombinator pachypus di Fitzinger; semplice varietà di colorazione e null’altro è la Rana alpina; e perchè non appartiene infine a queste provincie il vero Tropidonotus viperinus, scambiati avendo con esso, per sole accidentalità di colorito, alcuni individui del nostro Tropidonotus tessellatus. Se in tali limiti è mantenuta la Bibliografia erpetolo- gica delle provincie Venete, ancora più poi abbiamo a la- 40 mentare la mancanza di speciali lavori pel Tirolo meri- dionale. Il primo infatti che mi consti colà pubblicato data soltanto dal 1852, ed è una enumerazione di 45 rettili del Trentino estesa dal distinto botanico Francesco Ambrosi di Borgo, ed inserita col suo Prospetto zoologico di quella provincia nel Vol. I. della Statistica Trentina pubblicata dal Sig. Agostino Perini. Siccome però nel numero di quelle specie trovasi distinto dal Coluber viridiflavus il carbonarius, e va cancellata la Zacerta Laurenti, che come io stesso potei più tardi verificare sugli esemplari dell’ Autore fu nominata soltanto sopra semplici varietà della comune Podarcis muralis, così restavano soltanto 13 le specie del Trentino, mentre quasi contemporaneamente il mio Cata- logo dei Rettili della Valle di Non, inserito negli Atti della. Società Zoologico-Botanica di Vienna ( Ann. 1852, pag. 153), assegnavane 19 a quell’ estrema sua parte, offrendo anche di cadauna quelle più importanti sinonimie e quelle limi- tate osservazioni che erano compatibili colla qualità del lavoro. E tale numero non venne d’ allora a tutt’ oggi aumentato per tutto ii Tirolo meridionale che dal Tropi- donotus tessellatus che già prima sospettava sfuggito alle mie ricerche, e dalla Vipera ammodytes annunciatami pro- pria dei dintorni di Marano e Bolzano dall’ ottimo ami- co mio Professore Gredler, il quale mi fu anche cortese di varie notizie manoscritte sugli altri rettili di quelle regioni. Tale succinta rivista Bibliografica non può quindi che far fede maggiore di quanto esposi sulla poca attenzione prestata finora fra noi al ramo Erpetologico, ed avvalorare aneora più la necessità di vincere quegli ostacoli che ne devono essere la più probabile ragione. Nello scopo prefis- somi tentai con ogni mia forza di battere la via più si- AA cura e spedita, e datomi perciò da varj anni alla più dili- gente ricerca dei rettili del Veneto, presento ora l’ illustra- zione di tutte le specie conosciutevi, aggiungendovi quelle benanco del limitrofo Tirolo meridionale che potei con eguale accuratezza esplorare. Nell’ intento che il mio lavoro potesse tornare meno arido alla gioventù studiosa, e contribuire alla desiderabile, ma forse ancor lontana scomparsa dei volgari pregiudizj, ho fatto precedere alla descrizione delle specie alcune ge- nerali nozioni sui Rettili ; un esteso discorso sul veleno della Vipera e suoi rimedj; alcune osservazioni sulla ge- nerazione di questi animali, e su qualche altra singolare loro proprietà. Il lettore troverà pure riferiti alcuni dei più diffusi pregiudizj, ed esaminato il valore che possono avere in faccia ai fatti positivi ed ai criterj della scienza, siccome troverà pure a suo luogo più speciali nozioni sulla storia di ciascun Ordine e Genere rispettivo. Nel che fare mi giovai non poco della profonda dottrina e degli importantissimi studj del Principe Bonaparte e dei Signori Duméril e Bibron, alle opere dei quali è mio debito |’ av- vertire come abbia specialmente ricorso ogni qualvolta lo esigeva 0 il limite stesso delle mie osservazioni, o l’ im- portanza e chiarezza maggiore dell’ argomento. Poichè l’ abbondantissimo numero di esemplari di ogni età ch’ io raccolsi per quasi tutte le specie mi offrì 1’ op- portunità di constatarne il colorito predominante e di averne sott’ occhio le eccezionali modificazioni, così te- nendo il primo come specifico, distinsi sotto l’ indicazione di varietà le seconde, ed accennai pure il colorito dei gio- vani individui, causa non difficile, anzi possibilissima di confusione o d’ imbarazzo nella classificazione quando, (come ad esempio nel nostro Coluber flavescens), presenta 42 grandi e molte diversità di tinte e di macchie fra 1” esem- plare adulto ed il giovane. Se di ben maggiore imbarazzo pei giovani non solo, ma per i provetti scienziati stessi riesce oggidi la somma con- fusione di nomenclatura in cui è avvolto quasî ogni 0g- getto naturale, io non doveva risparmiare la noja delle sinonimie delle specie, dopo di aver determinate ognuna di queste quanto più esaitamente potei sulla autorità e collo studio dei più celebri autori, approfittando di quei vantaggi che può offrire una Biblioteca doviziosa sopra- tutto in questo e in altro speciale ramo della Zoologia che con pari amore prediligo e coltivo. In seguito alla descrizione specifica ed alle dimensioni degli esemplari nostrali ho fedelmente segnato come abita- zione di una specie quella località in cui la raccolsi io stesso, o dove per indubbia testimonianza mi constava. che fosse stata raccolta o veduta. Ho anche tentato di arricchire la parte spettante ai costumi degli animali colle osservazioni e sperienze fatte da me stesso, o che mi ven- nero comunicate da altri studiosi degni di fede, non senza tener calcolo di quanto ne avevano precedentemente scritto gli autori. | Allo scopo di facilitare anche ai meno istruiti de’ miei lettori la conoscenza e la classificazione de’ nostri rettili ho aggiunta una Tavola Sinottica di tutte le specie descritte, la quale verrà loro più opportuna. perchè fondata quasi esclusivamente sugli esterni caratteri di forma e di colorito di questi animali. Non mi lascio allettare dalla vana Insinga d’ aver su- perate tutte le difficoltà inerenti a tale lavoro, nè tampoco d’ aver pienamente corrisposto al compito che mi sono assunto. Mi sono ingegnato di nulla ommettere fra quanto 43 maggiormente poteva interessare nella storia di questi ani- mali, e di aggiungere qualche cosa alla scienza con questo tributo scarso bensì di merito ma ricco di buon volere. Questo mi raccomandi alla benevolenza del mio lettore, e richiami la sua indulgenza sopra un lavoro col quale null’ altro desidero e ambisco che distruggere inveterati e ridicoli errori, diffondere qualche utile cognizione, e pre- parare il campo di più abbondante ricolta. Verona, nel Giugno 4856. ED. de BETTA, di fra, Wi i ‘spago (9 è AUTOUI estati, nelle «Grosse. Auprovaynpi U. = Serpentum et Draconum historiae libri duo. Bononiae 1640. — De Quadrupedis digitatis viviparis lib. II. et Qua- drup. digit. oviparis lib. I. Bononiae 1645. Amsrosi Francesco = Prospetto delle specie Zoologiche conosciute nel Trentino. — Statistica del Trentino di A. Perini, Vol. IL 1852. pag. 262 e seg. AnceLINI BernArRno = Del Marasso, 0 Vipera Chersea, rin- | venuta nel territorio Veronese — Biblioteca Italiana Tom. VIL p. 451-459. Anno 4817. BecusTEIN J. M. = Lacépède = Naturgesch. der Amphy- bien, oder eyerlegenden vierfiiss. Thiere u. Schlan- gen ete. Weimar 4800-1802. 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Questa classe di animali della quale non è ancora molto tempo che i naturalisti determinarono i precisi li- miti, era da Linneo compresa sotto il nome di Amphibia, denominazione oggidì però generalmente abbandonata per- chè equivoca e poco precisa, ed alla quale fu sostituita quella di Rettili (4). | Gli animali ch’ essa abbraccia presentano tante e sì svariate modificazioni nelle loro forme, e per conseguenza nei movimenti ed in tutto l’ organismo loro, che ben feli- cemente si avvisò 1’ illustre Brongniart di soddisfare ad un forte bisogno della scienza col dividerli in quattro Or- dini, corrispondenti ciascheduno ad un genere naturale, del quale fu però modificato il nome perchè servir dovesse ad una comune significazione. Chiamò quindi ordine dei (1) Reptilia da replare strisciare. Anche questa parola deve essere presa però in un senso meno vago di quello datole comunemente. Il Sig. Hermann, Professore di Strasburgo, aveva proposta la denomi- nazione di Kryerozoa (dal greco xovegos freddo, gelido, e Ewoy animale) ehe non venne accettata. 99 BETTA Chelonii l'ordine delle testuggini, ordine dei Sauri quello delle lucerte, ordine degli Ofidié quello dei serpenti, ed ordine dei Batraci quello delle rane; e questi quattro ge- neri principali divennero così i tipi di diversi ordini, fa- cilissimi a determinarsi per caratteri precisi e costanti, de- sunti appunto dalle varie forme delle specie che vi si com- prendono, dalla varia organizzazione, e dalle diverse abitu- dini loro. I Rettili costituiscono una classe ben distinta dei ver- tebrati, perchè animali a sangue freddo, a cuore aortico, e respiranti per polmoni, almeno nella loro età perfetta. Pel primo carattere vengono essi quindi a distinguersi dalle classi superiori dei mammiferi e degli uccelli; pel secondo col terzo si distinguono dai pesci, il cui cuore non è aortico, e la cui respirazione succede per un ap- parato branchiale permanente. Come gli altri vertebrati, anche i Rettili hanno una spina o colonna vertebrale costituita da molte ossa, poste capo a capo, e collegate solidamente tra esse; e serve questa di base a tutto lo scheletro per determinare le for- me del corpo e per coprire e proteggere i principali or- gani del sistema nervoso. | Le ossa che compongono lo scheletro dei Rettili sono presso a poco le stesse che lo costituiscono nei mammi- feri e negli uccelli; ma in taluni però ne mancano alcune, siccome sarebbe nei serpenti che sono privi non solamente delle ossa degli arti, ma altresì dello sterno; e nelle rane, nelle quali mancano le coste e sono invece molto svilup- pati i processi trasversali delle vertebre. La testa dei rettili assomiglia per la disposizione delle ossa più a quella degli uccelli che non a quella dei mam- miferi; il cranio è piccolo, la faccia in generale molto al- ERPETOLOGIA 23 lungata, e la mascella inferiore non articolata direttamente coll’ osso temporale ma invece col timpanitico, che in molti casi è cilindrico e mobilissimo. L’occipite è articolato colla prima vertebra mediante un solo tubercolo, o condilo; a più faccie, e non dotato di molta mobilità. Nei Batraci si articola mediante due capi articolari. La colonna vertebrale presenta nella sua struttura as- sai notevoli differenze nei diversi rettili. Così nelle testug- gini tutta la sua parte media si salda in modo da costi- tuire una sorta di scudo ; nei serpenti essa è estremamente lunga e di una flessibilità assai grande; nelle rane è molto breve e poco mobile. Le coste sono generalmente assai numerose; nei ser- penti trovansi presso che in tutta la lunghezza del cor- po; moltissime ne hanno i Saurii. Nelle rane all’incontro mancano o sono accidentali; nelle testuggini le sedici co- ste.sono allargate e saldate fra esse. Le ossa della spalla nei rettili presentano in generale molta analogia con quelle degli uccelli, senza però essere così sviluppate. Negli arti anteriori distinguesi un braccio composto di un solo osso, l’ omero, un avambraccio com- posto di radio e di cubito comunemente distinto, ed una ma- no avente talvolta la forma di natatoja, tal’altra di piede. In «generale gli arti posteriori rassomigliano: molto agli ante- riori. I muscoli dei rettili sono di una tinta biancastra, ed i loro movimenti sono quasi sempre meno vivi e meno so- stenuti che negli animali a sangue caldo. Sono conformati gli uni per il nuoto, gli altri per camminare o per stri sciare. Le specie che mancano di arti movonsi per le on- dulazioni del loro corpo; in quelli che hanno gambe sono 94 BET:T.A queste generalmente o così brevi o così collocate, che l’a- nimale non può alzare molto il ventre dalla terra e si move quasi strisciando, L’ apparecchio della digestione non presenta alcuna particolarità. La bocca è o non è armata di denti secondo i varii ordini e le specie, e nei serpenti le mascelle pos- sono straordinariamente allargarsi. Lo stomaco è semplice e membranoso, e si confonde quasi coll’ esofago. Manca affatto l’ intestino cieco. 11 tubo digestivo termina, come negli uccelli, in una cavità in cui mettono pur capo gli organi genitali, gli ureteri o 1 canali che conducono ?' u- more prodotto dai reni ecc., equesta cavità dicesi cloaca. Il fegato è quasi sempre molto voluminoso, ed esiste anche una vescicola del fiele, un pancreas ed una milza. Siccome gli alimenti dei rettili consistono il più spesso in animali vivi, così passando questi dall’ esofago nello sto- maco vi restano ben tosto compressi e soffocati. Per |’ a- zione chimica dei sughi che investono l’alimento, questo si scompone, si cangia in una specie di poltiglia o in chi- mo, e passa allora per l apertura del piloro negli intesti- ni. Colà mescolato ai sughi biliari e pancreatici si sparte in chilo ed in feci, come succede in tutti gli altri animali. I Rettili hanno in generale la facoltà di espellere: il residuo della analisi digestiva. Massima è la potenza assor- bente o estrattiva dei loro intestini, specialmente nei ser- penti che possono digerire persino la materia cornea dei peli e delle piume della loro vittima. La respirazione di questi animali è aerea e semplice; in tutti questa funzione è poco ‘attiva, e possono resistere. lunghissimo tempo all’ asfissia. I loro polmoni sono d’ una struttura poco complicata; il numero dei tramezzi che di- vidono l’ interno di tali organi in cellule è molto minore ERPETOLOGIA 95 che nei mammiferi e. negli uccelli; e di conseguenza la superficie respiratoria a contatto coll’ aria è assai più li- mitata. Le lucerte ed i serpenti sono i soli rettili che pos- sono respirare meccanicamente colle ossa del petto, o piut- tosto coll’ ajuto delle coste, che sono mobili sulla spina e sembrano far movere le pareti di un mantice. Nelle lu- certe però la cavità addominale non può allargarsi e re- stringersi che entro determinati limiti, mentre nei serpen- ti, le cui coste sono libere anteriormente, può ifivece di- latarsi enormemente. Nei ‘Chelonii e nei Batraci le coste non vengono mai adoperate per l’atto della respirazione perchè allargate e saldate fra loro nei primi, mancanti 0 troppo certe nei secondi. I Chelonii, i Saurii, ed i Batraci adult hanno due polmoni; gli Ofidii ne hanno invece uno solo, l’altro es- sendo piccolissimo ed abortito. I Batraci nella prima loro età sono tutti forniti di branchie e non respirano che nel- l’acqua come i pesci; pochi soli, nessuno .però fra i no- stri, rimangono per tutta la vita con questa organizzazione. La circolazione del sangue è incompleta nei rettili, vale a dire che tutto il sangue venoso derivante dalle diverse parti del corpo non attraversa i polmoni e non si cangia in sangue arterioso prima che ritorni alle stesse parti. Il cuore presenta generalmente due orecchiette ed un solo ventricolo, di modo che il sangue venoso e l’arterio- so si mischiano in varie proporzioni nel cuore, e da que- sto viene il sangue nuovamente respinto, in parte ancora ai polmoni, ed in parte al resto del corpo. Le arterie che vanno dai cuore ai polmoni hanno sempre un tronco se- parato dell’ aorta. Nei Batraci il cuore ha una sola orec- chietta, ed un tronco comune per Vaorta e per 1 arteria polmonare. 26 BETTA È da notarsi come carattere principale dei Rettili che la loro circolazione polmonare è parziale. Non è che. una porzione del loro sangue che penetra nel polmone, e que- sta sara probabilmente la causa cui devonsi attribuire le variazioni -di temperatura del loro corpo, che mettesi quasi costantemente in equilibrio con quella dell’ ambiente in cui sono collocati. E poi principalmente da questa parti- colarità della respirazione aerea che deriva la facoltà in essi di renderla arbitraria in modo da moderarne l’ azione, da ritardarla, eccitarla, accellerarla ed anche sospenderla per uno spazio più o meno lungo di tempo, e continuare a vivere così senza apparenza di respirazione anche quan- do sieno sommersi nell'acqua, od obbligati a restare in un'atmosfera viziata e non respirabile. In tali casi è evi- dente che il corso del sangue non è arrestato, e che questo fluido può ritornare alle diverse parti del corpo senza do- ver attraversare ì polmoni. — Gli organi dei sensi hanno poca finezza. Gli occhi sono ordinariamente piccoli, ma conformati come nei mammi- feri e negli uccelli; le orbite sono incomplete, ed in gene- rale havvi una terza palpebra semitrasparente e movibile trasversalmente. L’ orecchio ha una struttura assai meno complicata che quella degli animali superiori; manca sem- pre il padiglione ed il condotto auditivo; e la membrana del timpano è il più spesso a fior di testa. L'organo del- l’odorato è assai poco sviluppato ; in generale le fosse nasali sono assai piccole, e la membrana mucosa 0 pitui- taria che le veste non presenta che poche od anche nes- suna piega o rialzo. Il gusto sembra sia ottuso nei rettili, essendo quasi sempre assai poco carnosa la loro lingua. Finalmente questi animali non hanno alcun organo: spe- ciale pel tatto, ed in generale la loro pelle non deve go- ERPETOLOGIA DI dere che assai poca sensibilità, specialmente poi nei Che- lonii, Saurii ed Ofidii il cui corpo è tutto investito di squamme cornee. | Nella maggior parte dei rettili l'epidermide si cangia e si rinnova più volte all’ anno, e spesso si stacca in un sol pezzo, come un fodero, da cuì sorte l’ammale. Il sistema nervoso è poco sviluppato; il cervello so- pratutto è molto piccolo, e le facoltà di questi animali so- no estremamente limitate. I rettili sono tutti unisessuali. Gli ovari ed i testicoli doppii e simmetrici. Nei Chelonii, nei Sauri e negli Ofi- dii la fecondazione è sempre interna; esterna invece nei Batraci, i quali poi effettuano l’ atto della generazione sol- tanto nell’ acqua. Nei primi, i piccoli appena sbucciati ras- somigliano in tutto ai loro genitori; nei Batraci all’ invece dalla nascita al perfetto loro sviluppo verificasi una singola- re metamorfosi, della quale si parlerà in separato articolo. I rettili mancano in generale di voce perchè la loro trachea manca di quelle condizioni che sono indispensa- bili per la produzione dei suoni. Così è sopra ogni altro degli Ofidii o serpenti, e così pure delle testuggini e della maggior parte dei Saurii. Nei Batraci all’ invece la laringe offre una conformazione ben rimarchevole ed atta precisa- mente alla produzione di’ varie voci, quali il. gracidare delle rane, il grido delle ile, una sorta di grugnito dei ro- spi ecc. Queste voci nella maggior parte dei rettili. non vengono però prodotte che a certe epoche dell’ anno, e specialmente nei maschi, quali mezzi di espressioni e di comunicazione dei loro bisogni. Questi maschi sono poi anche dotati di altri speciali e sonori stromenti, coll’ ajute dei quali sperano rendere le femmine sensibili ai loro voti, alle loro passioni. I 28 BETTA Molti rettili tramandano odori particolari che sembrano essere prodotti dalle evaporazioni degli umori volatili che secretano in diverse parti del corpo, ma sopratutto che emettono dalla cloaca, per mezzo di due glandule 0 horse più o meno ampie, situate sul margine dell’ ano all’inter- no, nello spessore della base della coda, dette perciò borse anali. 1 Rospi e le Salamandre terrestri hanno oltre i grossi pori, dei quali è sparsa la loro pelle, due masse glandulari situate ai lati della testa, dette parotidi, che spremute la- sciano sortire da piccoli fori un umore ora giallastro, ora lattiginoso e spesso, che ha vario odore secondo le specie, ma il più frequente acre e nauseante; la natura ha così accordato a tali animali una difesa contro i molti loro ne- mici, ed un mezzo per proteggere la loro vita. Fra le funzioni speciali ad alcuni Rettili dovrebbesi quì accennare, ed anzi estesamente parlare del veleno della vipera. Siccome però riesce tale argomento della massima importanza nella storia di tali animali, così pensiamo di ri- servarne il discorso in separato articolo, siccome crediamo pure di dovere separatamente trattare della propagazione e della riproduzione delle varie parti nei rettili, ai quali argomenti seguirà poi a compimento di queste generali nozioni l'esposizione delle favole e dei pregiudizj che sem- pre svisarono l’Erpetologia Intanto riassumendo il fin qui. detto possiamo | a tutta prima stabilire alcuni caratteri di distinzione sistematica pei quattro ordini dei Rettili, colla riserva di darne poi altri più speciali trattando di cadauno di essi separata- mente. I Chelonii distinguonsi anzi tutto dagli altri per avere la colonna vertebrale con coste saldate le une colle altre, e producenti una larga espansione ossea che protegge e ERPETOLOGIA 29 copre tutta la regione dorsale, e che attaccasi agli arti la- terali con un’altra inferiore coprente tutta la regione ad- dominale. Le gambe sono in numero di quattro, colle dita munite d’ unghie per lo più coniche ed acute. Le ma- scelle mancano sempre di denti; hanno palpebre mobili; tutti depongono uova, ed i piccoli hanno già al sortirne da esse le forme ed i costumi che conservano per tutta la loro vita. . | | I Saurii hanno vertebre mobili in tntta Ja loro esten- sione, in numero grande, ma minore però che i serpenti. La loro pelle è il più spesso coperta da scaglie cornee di varia figura e disposizione. D’ordinario hanno eziandio lo sterno, le clavicole, arti completi, tutti con dita distinte ed unguicolate; in pochi casi queste parti dello scheletro sono rutlimentali e nascoste dalla pelle. Le mascelle sono fornite di denti, dei quali non di rado è munito anche il palato. Le due branche della mandibola inferiore, congiunte immobilmente fra loro al mento, non possono essere al- lontanate, e non è quindi dilatabile la bocca. Coste com- plete e mobili che possono ajutare la respirazione. In ge- nerale depongono uova a guscio calcareo, molle. + Gli Ofidii hanno il corpo assai allungato e stretto, il più sovente cilindrico, sempre mancante di gambe e senza collo, coperti intieramente di squamme. Tutti hanno coste numerose, ma non sono articolate pel davanti sopra uno sterno; servono esse alla respirezione che si effettua in un solo polmone sviluppatissimo. L'occhio è privo di palpe- bra, e manca affatto il timpano. Hanno denti sulie ma- scelle e sulle ossa del palato; la mandibola inferiore non è saldata al mento ma costituita da due branche separate, suscettibili a discostarsi luna dall’ altra. Le loro uova sono ovali, allungate e ricoperte da un inviluppo. tenace 30 i BETTA e coriaceo; qualche volta i piccoli sbuciano dall’uovo nel- l'interno della madre. Finalmente i Batraci hanno la pelle nuda, senza co- razza e senza squamme; la maggior parte ha quattro gam- be a dita distinte, ma costantemente senza unghie. Non hanno coste, o le hanno assai brevi, e che non ‘arrivano mai allo sterno, il quale è assai sviluppato. Hanno palpe- bre agli occhi. Il cuore con una sola orecchietta. Ma il ca- rattere principale dei Batraci è basato sul loro diverso modo di riproduzione. La maggior parte di essi depongono uova a guscio molle, le quali vengono fecondate dal ma- schio dopo che sono sortite dal corpo della femmina, ed il feto subisce varie trasformazioni, una vera metamor- fosi che si verifica nella maggior parte degli organi con modificazioni e cangiamenti moltissimi nei costumi e nel modo di vivere. | Del veleno delle Vipere. Un oggetto importantissimo nella storia dei Rettili si è l apparato di avvelenamento di cui alcuni di essi sono. forniti, e la produzione dell’ umore velenoso che portato per esso nell’ organismo animale vi cagiona effetti più o meno fatali, e persino la morte. | Ritenuto anzi tutto per fermo ed incontrastabile non esservi fra noi alcun Rettile velenoso che non appartenga all’ ordine degli Ofidii, e non poter esso avvelenare con altri modi che colla morsicatura, egli è appunto volgendo lo sguardo all’ ordine numecrosissimo dei serpenti, a questi esseri che per la singolarità delle loro forme e per certe particolari abitudini loro proprie hanno cotanto brillato nelle istituzioni religiose e politiche dei popoli, egli è, di- ERPETOLOGIA 31 cesi, volgendo lo sguardo ai serpenti che pur troppo ne troviamo alcuni fra di essi, li quali, contuttochè inferiori assai per forza e per mole a quelli abitatori delle regioni intertropicali, pure ci inspirano il più grande orrore per- ‘chè muniti di organi e di armi offensive colle quali ponno compiere la maggiore delle vendette contro chi ardisse calpestarli, o turbare in altra maniera qualsiasi il loro stato di tranquillità e di quiete. Nel mentre è pur d' uopo chinare il capo all’ imperscrutabile fine della Natura nel provvedere alcuni serpenti di questo terribile apparato di distruzione e di morte, non dobbiamo però del resto di- sconoscerci da essa specialmente favoriti, se delle ottanta specie velenose all’ ineirea che si conoscono sparse sulla faccia del globo, tre sole, e relativamente anche le meno pericolose, infestano le nostre contrade. E mentre infatti l'Asia e l'Africa devono temere le terribili Naje, i Bungari, le Elapi; e mentre 1’ America e l’ Asia intertropicale nu- trono nelle loro. paludi e foreste, o nelle secche ed aride lande i tremendi Trigonocefali e gli orribili Crotali, dotati di veleno atto a disorganizzare ed uccidere in pochi mo- menti, l’ Europa non ha sul. proprio suolo che tre sole specie appartenenti ai generi Vipera e Pelias, se pur non si dovesse ammettere per quarta un piccolo trigonocefalo ( forse il Trigonocephalus Halys Schleg? ) che secondo il Prof. De Filippi (41) si estenderebbe dalla Tartaria fin nei dominj della Russia meridionale. Sono queste tre specie europee; 4. La Vipera del corno ( Vipera ammodytes), frequente nella Dalmazia ed Illiria, nella Carinzia ed Ungheria; più rara nella Morea e nella Sicilia, dove solo da poco tempo (1) /l Regno Animale. Milano 1852. pag. 104. 32 BETTA la riscontrarono i Sig. Bory de St. Vincent e Bibron; abi-. tatrice di qualche luogo orientale del settentrione d’ Italia e segnatamente dei contorni di Ferrara, secondo Bendiscioli e Bonaparte; delle Alpi Bellunesi, almeno.da quanto seri-. ve il Prof. Catullo; e del Tirolo meridionale in fine, -ove fu di recente riscontrata per la prima volta dal Prof. Vin- cenzo Gredler di Bolzano. | 2. La Vipera comune ( Vipera aspis), propria di tutta l’Italia e delle sue Isole; abitatrice della Grecia, dell’ Asia minore, della Dalmazia, dell’ Istria, della Provenza; Delfi- nato e di quasi tutto il resto della Francia. Sconosciuta però secondo il Prof. Genè nella Sardegna, Corsica e Ca- praia. 38. Il niarasso ( Pelias berus ), sparso nell’ Europa cen- trale e settentrionale, e probabilmente anche in una parte dell’ Asia. Trovasi nell’ Inghilterra, nel settentrione della Francia, nella Germania, Svizzera, Tirolo, nella Lombardia e nel Veneto, segnatamente poi nelle provincie di Mantova e Verona. Le confusioni avvenute fra i naturalisti di que- sta ‘specie colla precedente non permettono intanto di as- segnarle limiti più rigorosi di abitazione. Dotati questi tre serpi di potenza venefica, tu facil- mente li riconoscerai fra tutti gli innocui per l’ insieme delle loro forme, risultanti da più caratteri loro speciali, benché difficili a presentarsi esattamente descritti. Un corpo generalmente corto, assai ingrossato alla metà e conside- revolmente ristretto verso il capo e la coda; una testa molto larga e distinta dal tronco, depressa ed in forma di cuore; occhi piccoli, a pupille verticali e superiormente protetti da larga e sporgente piastra; coda grossa, conica e brevissima; scaglie del corpo carenate; capo ricoperto di scaglie e non di piastre come negli ofidii innocui; colori ERPETOLOGIA 33 poco vivi e limitati per Jo più al rossastro, al bruno od al cinereo con macchie scure o nerastre; un naturale tor- pido ed indolente; tardi moti infine e lento procedere, sono tanti caratteri che facilmente potranno a tutta pri- ma avvertirti la presenza di un rettile da temersi e fuggire. E tali caratteri basteranno anche a distinguere le venefiche specie dalle innocue, che una certa rassomiglianza con quelle ha fatto a torto oggetto di spavento e di terrore a chi per caso le incontra, o vi si trova vicino. Ma venendo all’ esame di più distinti ed interni carat- teri che alle specie velenose si spettano, uno ne troveremo fra essi che varrà subito a distinguerle da tutte le altre, e sul quale come sede del veleno importa assai intratte- nerci, all’ oggetto almeno d'’ istruzione per chi pensasse 0 eredesse ancora all’ esistenza di altri diversi mezzi coi quali possa il Serpe portare il micidiale effetto negli ani- mali e nell’ uomo. Gli ofidii ingojano per intiero gli animali dei quali si nutrono, ed i loro denti non servono nè a masticare nè a sminuzzare, ma sono semplici uncinì acuti e ricurvi destinati ad aprire ferite nel corpo della preda, a rattenerla, e ad agire nel momento della deglutizione. Indipendente- mente da tali funzioni, i denti servono a condurre nelle ferite l’ umore segregato da varie glandule ed analogo alla saliva, per preparare la sostanza nutritiva per la digestione. Questi denti e questa glandula sono comuni a tutti i ser- penti. In varie specie però, e precisamente nelle tre nostre di che trattasi, oltre questo apparato di salivazione ri- scontrasi una glandula particolare destinata a secernere un fluido, che portato nell’ organismo animale vi produce et- fetti anche letali; e questa è la glandula detta del veleno. Alcuni denti molto più lunghi degli altri, ricurvi, acutis- (3) Do) 34 BETTA simi e vuoti internamente sono inseriti sul tratto anteriore delle due ossa mascellari superiori al di sotto degli occhi; e questi denti detti da alcuni canini, ma più propriamente. veleniferi, sono i veri conduttori del veleno. Questi denti lunghi da 4 a 5 millimetri, variano in numero vedendosene talvolta uno per lato, più spesso due ed anche tre; e presso la base di tali denti grandi e soli-. damente piantati, se ne scorgono varj altri più piccoli, adunchi, di lunghezza ineguale, mal fermi, ma pronti a consolidarsi e crescere, ed a sostituire i primi nel caso che la vipera venga a perderli per qualche accidente. I denti veleniferi sono cavi internamente, ed un setto longitudinale transverso li divide in due distinte cavità; la posteriore, ossia quella che guarda verso le fauci, riceve alla base del dente i vasi ed i nervi che lo attaccano alla mascella; l anteriore cavità si apre inferiormente in una fessura angusta, bislunga e prossima alla punta del dente; e presso la base di questo, sempre dal lato anteriore ha un orificio più largo. Una specie di guaìina composta di fibre fortissime e di tessuto cellulare, riceve e nasconde questi denti, e la loro punta è volta all’ indentro. Solo quando l’animale apre la bocca e sta per offendere, col- l’abbassare posteriormente le ossa della mascella li sguaina e li trae colla punta all’ innanzi. | Il veleno viene elaborato dalle due glandule eine ai lati della mascella un poco all’ indietro dell’ orbita e quasi immediatamente sotto alla pelle; una vescichetta lo. raccoglie da ciascun lato, e pel canaletto eseretore di cui | è fornita viene avviato verso la base del dente velenifero, sotto la piega della membrana che lo investe. Quando la Vipera morde, nel conficcare il dente nil ferita e nel chiudere la bocca contrae un muscolo che ERPETOLOGIA 35 premendo la vescichetta ne fa escire il veleno contenuto, il quale spinto così alla base del dente traversa il fodero che lo inviluppa, entra nella cavità del dente per l’ orifì- zio situato alla sua base, e sorte per quello posto verso la punta, injettandosi così nella ferita per portarsi poi nella circolazione del sangue, e rendere manifesta la tremenda sua proprietà venefica. «Questi denti e questo fluido sono quindi, lo si ripete, V unico .mezzo di avvelenamento, nè oltre di questo de- ‘vonsi assolutamente credere provveduti d’ altro i serpenti. Fra i pregiudizj del volgo e fra le più assurde credenze si ‘(dovrà quindi passare la mortifera proprietà attribuita al- l’ alito, ‘alla biforcuta lingua, alla bava e persino alla coda, ‘che qualcheduno pensa forse tuttora sedi o veicoli del veleno. |. A maggior chiarezza del meccanismo che sta celato nel ‘apo della vipera, ed a più facile intelligenza dell’ appa- ‘rato di avvelenamento ora descritto, non ho ereduto su- \perfluo di presentarlo figurato in apposita tavola. | .. Il veleno è un umore trasparente, d’ una tinta gialla- stra tendente al verdastro, alcun poeo vischioso. Essiccato \ingiallisce, si fa lucente come vernice e. si attacca forte- mente agli oggetti. Non ha odore né sapore, non è né \acido, nè alcalino. Non abbruccia con fiamma se gettato \sopra corpo infocato; trattato cogli acidi non isviluppa al- \cun gas. Ma le tante ricerche fatte sulla natura di questo \veleno non hanno ancora scoperte le vere cause della sua \ potenza settica, capace di determinare la corruzione e pu- \trefazione delle carni e la decomposizione dei tessuti or- \ganici come se fossero subitamente privati della vita. \Conserva la sua qualità micidiale per molto tempo dopo \essiccato, e si conoscono anche fra noi varj disgraziati. 36 BETTA accidenti per ferite riportate da denti di vipera, ad ‘onta che la testa fosse da molto tempo distaccata dal corpo, e che il veleno si trovasse solidificato sul dente. E questa proprietà micidiale del veleno secco che il celebre fisico Fontana (4) portava a più mesi, limitandolo però al nono, risulterebbe ancora molto più durevole secondo Je poste- riori esperienze del Prof. Mangili (2), l'esito delle quali provò manifestarsi 1’ azione del veleno secco anche 18, 22 e persino 26 mesi dopo levato da suoi naturali ricettacoli, purchè però sia stato conservato con ogni cautela. Un numero considerevole di esperienze e di osserva- zioni ha con ogni certezza dimostrato potersi impunemente inghiottire il veleno della vipera, purchè non sianvi esco- riazioni od ulceri nella bocca o nella gola pel di cui mezzo protrebbe allora insinuarsi nella circolazione del sangue. Questo fatto era anche conosciuto dagli antichi, leggendosi in Celso « nam venenum serpentis ... non gustu sed in vul- mere nocel » (3), e trovandosi in Lucano accennato quanto hanno poi in proposito confermato le bellissime esperienze di Redi e di Charas, e quelle altresì istituite dal proel Prof. Mangili (4). | Da tutto ciò vedesi chiaramente che il veleno non può produrre le micidiali sue conseguenze se non venga diret-. tamente versato nel torrente della circolazione mediante una ferita. In tal caso i sintomi dell’ avvelenamento si (4) Traitè sur le venin de la Vipéere. Florence 1781. Vol. I. pag. 340. (2) Discorso intorno al veleno della vipera. Giornale di fisica e chi- mica di Brugnatelli. Anno 1816. Tom. IX. pag. 458. (3) C. Celsi. De re medica. Lib. V. cap. 2. ? | (4) Discorso sul veleno della vipera. Giornale citato. Anno 1809. Tom. H., pag. 220. i ERPETOLOGIA 37 manifestano più 0 meno solleciti, più o meno gravi, se- condo la quantità del veleno innestato, e secondo la parte ferita. Ecco quindi perchè la morsicatura fatta p. e. nella lingua, nel collo, in una vena, o in una parte ricca di vasi sanguigni riesce quasi sempre fatale, mentre rimane di frequente senza conseguenza se aperta in parte dura e callosa del corpo, e molto distante dal centro della circo- lazione. 1D provato che il veleno non ha influenza alcuna nella maggior parte degli animali invertebrati, sieccome i mollu- schi, gli annellidi ecc. Debole è la sua potenza sui verte- brati a sangue freddo, e secondo Fontana sarebbe anzi innocuo per alcuni di essi, quali la vipera stessa e l an- gue od orbetto. Benchè tale sia anche il giudizio di altri autori non è però a tacersi come le esperienze del Pro- fessore Mangili abbiano provato invece mortale il veleno anche per le stesse vipere. Egli asserisce d’ aver veduto morire «dopo non molte ore un viperino fatto morsicare da una vipera, ed un altro per effetto del veleno levato da una vipera ed introdottogli nella sostanza muscolosa del dorso. Così, secondo lo stesso autore, molti altri espe- rimenti avrebbero provato che anche diversi animali a san- gue freddo, quali le rane, i rospi, i ramarri, i colubri ca- dino pur essi vittime del veleno, solo tardando assai in questi animali in confronto seg altri a manifestarsene gli effetti. Negli animali a sangue caldo il morso ‘de vipera è anto meno funesto quanto maggiore è la loro mole, per. modo che fra noi si può presumere non sempre mortale nè per l’ uomo nè pei grandi quadrwpedi ed uccelli. La virulenza del veleno, e quindi il maggiore o minore peri- solo del morso dipende anche da molte altre circostanze 38 BETTA che ben difficile sarebbe tutte enumerare. Così riesce più o meno pericoloso secondo la maggiore o minore quantità del veleno injettato, chè talvolta è uno solo dei denti che ferisce, tal’ altra tutti e due; talora la vipera non morde che una sol fiata, talora invece dà replicati morsi; alcune volte infine morde un animale dopo aver scaricato parte del veleno in un altro. Ha pure influenza sulla maggiore o minore letalità del veleno, la temperatura più o meno calda del clima e della stagione, lo stato più o meno irri- tato della vipera; l’ età, la costituzione fisica, la suscetti- bilità nervoso-sanguigna dell’ individuo ferito, e senza dub- bio poi anche l’ impressione più o meno manifesta dello spavento portato dalla ferita. E provato che gli individui a temperamento linfatico o nervoso, e sopratutto quelli che hanno disposizione alle affezioni isteriche sono più vivamente impressionati dal veleno della vipera; ed il Sig. Delpech osservò dimostrato dalla esperienza che gli individui i più robusti, i meno irritabili, sono i meno sog- getti all’ azione di questo veleno. Del resto innumerevoli esperienze tuftoné istituite per conoscere i var) gradi di attività del veleno, e per trovare i mezzi più pronti e più sicuri per arrestarne gli spaven- tosi effetti. Molti autori ne trattarono, e particolarmente ‘fra noi il classico Redi e il celeberrimo Abate Fontana, uno dei migliori fisici e naturalisti dei suoi tempi, il quale ebbe la pazienza di istituire più migliaja di esperienze in | proposito. Dal complesso di queste puossi desumere abbi- sognare almeno tre grani del fluido velenoso per uccidere un uomo nelle circostanze ordinarie; mentre basterebbe un centesimo di grano per uccidere prontamente un ‘pas: sero, un usignuolo, e sei volte tanto per far morire un piccione. Ora, siccome la vipera ha in cadauna delle due ERPETOLOGIA 39. vescichette appena due grani di veleno, che non ponno d’altronde innocularsi nella ferita che per replicati morsi, così per occasionare la morte in ur) u».n0 sarebbero ne- | cessarie varie morsicature, non deponendosi per ognuna di esse nella ferita che mezzo grano all’ incirca di umore velenoso. E però d’ uopo ricordare che quì si parla del caso in cui luomo morsicato sia di buona costituzione fisica e nullamente impressionato dall’ accidente. Le donne ed i fanciulli sono ‘molto più facilmente soggetti alle con- seguenze del morso. Allorchè la vipera ha ferito ed i denti penetrarono nelle carni, passando la pelle per piccolo ed invisibile foro, ha luogo nello stesso istante, come già si disse, l’ injezione del veleno che più o meno prontamente assorbito, non tarda a manifestare i suoi lagrimevoli effetti. Le conseguenze ed i terribili fenomeni o patimenti che ne susseguono, se i sussidii terapeutici non l’ impediscono il più presto pos- sibile, destano raccapriccio al solo pensarvi. A quanto seri- vono gli autori, un acutissimo dolore si diffonde in tutta ‘la parte morsicata, a cui sussegue torpore, enfiagione, ed arrossamento: il calore della parte si aumenta e questa si fa violacea, poi livida, fredda e quasi insensibile. Una pro- strazione generale del fisico, una affannosa respirazione, una sete ardente manifestano quindi i progressi del veleno nelle altre parti del corpo. Susseguono il deliquio, vomiti - violenti, tremori alle membra, la timpanitide, un vivo do- lore ai lombi, la paralisia al collo della vescica e le deje- zioni involontarie. Il polso si fa. piccolo, profondo, inter- mittente e convulsivo; un sangue nero e purulento cola dalla ferita, nè tardano a mostrarsi le macchie livide, primi indizj della cancrena. Ed è tra questi atroci dolori e tra altre maggiori angoscie che 1 infelice paziente. ver- 40 BETTA rebbe poi tratto a morte in più o meno spazio di ‘tempo, se ben tosto o le forze della natura, od i soccorsi dell’ arte non venissero a ceMàve quei terribili sintomi. Importa però avvertire che oltre all’ essersi notate non piccole differenze di tempo secondo i casi nello sviluppo dei sintomi primordiali, non sempre si presentano e con- corrono in un individuo tutti i fenomeni sopra accennati. Quello che non manca quasi mai, ed è il primo a mani- festarsi, si è l’ enfiagione della parte offesa, che va. poi mano mano aumentandosi e diffondendosi sino quasi ad invadere una metà di tutto il corpo. Qualche volta istan- tanea o non appariscente che cinque minuti od un quarto d’ ora dopo l’accidente, tardò in altri casi fino anche oltre mezz’ ora dopo. Qualche volta l’enfiagione diminuisce al- l’aumentarsi d’ intensità degli altri sintomi; il più spesso si diffonde per tutto il tronco, ed in qualche caso si osservò la lingua del paziente fortemente gonfiata e di un colore nerastro. Nello stesso tempo che la parte offesa si gonfia manifestasi attorno alla ferita una piccola aureola infiam- matoria moite volte assai apparente, ma che fugge -facil- mente alla vista dell’ individuo morsicato. | E raccomandabile 1° attenzione a tale aureola la quale manifesta il punto ove penetrò il dente velenifero, che di- versamente è ben difficile scorgere attesa l’ estrema picco- lezza del foro. Per fortuna però è questo in generale pron- tamente palesato da una ed anche talvolta da molte goccie di sangue che sortono dalla ferita, e permettono così di trovare la traccia dei denti; cosa importantissima da os-. servarsi per decidere se la morsicatura sia stata portata da un rettile innocuo o da una vipera. Nel primo caso i denti lasciano due linee curve di punture pressochè eguali . e delle quali la concavità si riguarda; nel secondo i denti EFERPETOLOGIA 4A veleniferi lasciano le punture assai più distinte di quelle fatte dagli altri denti. Si disse che la forza vitale può calmare i sintomi e vincere la potenza del veleno; ed infatti in alcuni casi videsi bastare a ciò da se sola, indipendentemente da ogni sussidio che potesse l’ arte medica suggerire. Sulla efficacia poi dei soccorsi della medicina ad impedire i sintomi, i progressi ed i funesti effetti della intossicazione, è ad av- | vertirsi come non sarà mai in verun caso a disperarsi della guarigione quand’ anche od il ritardato ricorso al medico, 0 qualche sinistro accidente avesse già permesso ‘manifestarsi i sintomi del veleno.. Benchè possano darsi, e siansi infatti sgraziatamente notate alcune eccezioni sullo spazio di tempo entro cui l’ uomo può venir tratto a morte, si può però segnare come termine medio le 42 alle 15 ore, ed a ben pochi quindi mancheranno frattanto quei soc- corsi che varranno a salvarlo, od almeno a ritardare le conseguenze del morso fino -a che possa giovargli l arte medica. Numerosissimi sono i rimedj nei varj tempi prestati ed esperimentati contro il veleno viperino, dei quali 1’ effica- cia vantata dagli uni, rivocata in dubbio dagli altri venne infine dimostrata nulla da ulteriori e più precise espe- rienze. Ogni paese offre persone e ciarlatani che preten- dono possedere V arte di guarire dal morso dei serpenti ; ed i rimedii che apprestano sono tanto variati e molte- plici quante sono le idee ed i pregiudizj di chi li sommi- nistra. I tre regni della natura furono messi a contribu- zione; e chi pretendeva guarire con preparati animali, chi con .decozioni e polvere di vegetabili, chi con minerali prodotti. Ed è ben a deplorarsi che alcuni accidenti ab- biano potuto mantenere in qualche caso alcuni pregiudizj 42 BETTA ed alcune credenze di efficacia in mezzi d’ altronde asso-. lutamente nulli, impropri ed anche inopportuni. Non igno- rasi come qualche persona appoggi l’ efficacia del suo preteso rimedio a qualche fatto di ottenuta guarigione coll’ uso di esso. Ma in. tal caso non avremo altre diverse e ben più forti circostanze, cui ascrivere piuttosto l’ esito ‘avuto? E importante l’ avvertire come generalmente. dal volgo non si sappiano ancora ben distinguere i rettili ve- lenosi dagli innocui, e si confondino quindi questi con quelli, e si ritenga velenosa la morsicatura di ogni ser- pente. | Ma quanto mi ha maggiormente sorpreso fu l’ aver tro- vato or sono appena due anni, persona, non certamente del resto priva di educazione e sapere, che vantavami ancora la miracolosa potenza di una sua piccola pietra, la quale soltanto applicata alla ferita rendeva pronta e si- cura la guarigione dal morso d’ogni rettile velenoso. Per quanto mi facessi in allora a persuaderlo della erronea credenza sua, inutili riescirono le mie. parole, e non mi restò che il doloroso pensiero del caso possibile di chi mor- sicato da un vero serpente velenoso, fosse ricorso in-quel : paese al proprietario del chimerico rimedio con altrettan- ta credulità e confidenza nella sua efficacia, quanta esso gliene attribuiva senza esitazione qualsiasi. E ricordava come in più remoti tempi avesse avuto vanto consimile di salvamento l’ applicazione di una certa pietra nerastra o verdastra che i ciarlatani vendevano ad altissimo prezzo, attribuendole la virtù di assorbire prontamente e total- mente il fluido velenoso dalla ferita, cui solo venisse ap- plicata. Intendo dire della pietra conosciuta sotto il nome di Pedro de Cobras 0 Cobra de capello, che |’ italiano Redi. ha poi pubblicamente e sotto gli stessi occhi del Granduca ERPETOLOGIA 439 di Toscana provata di nessuna efficacia, dimostrando chi- meriche ed assurde tutte le proprietà attribuitele. To pos- siedo una di queste pietre gentilmente favoritami come oggetto di pura curiosità dall’ ottimo amico Dott. Pietro Paolo Martinati; essa non è altro che un’argilla preparata dai ciarlatani e che assorbe naturalmente 1 umidità; è ri- dotta a forma di una mandola ovale, schiacciata, assotti- gliata ai margini; ha un color cinereo-brunastro; è ontuo- sa al tatto, ed applicata alla lingua vi aderisce forte- mente (°). (*) Perchè si conoscano le millantate proprietà e 1° uso di questa pietra non sarà senza interesse il leggere l'autentica a stampa che accom- pagna la pietra donatami, e di cui ecco il preciso tenore: Virtua: maravigliose DELLA PIETRA COBRA CHE VIENE DALLINDIE. « Questa pielra Cobra, perche tale viene chiamata in lingua Perto- ghese, onde in molte Provincie dell’ Indie Orientali, e principalmente nel Quamsi, e nell’Indostan nascono certi Serpenti velenosissimi con il capo peloso, e perciò chiamati Serpi capelluli, li quali sogliono essere cercati, e colti con gran diligenza da certi Uomini solitari), come Romiti, deti Jo- gnes, che sono Filosofi, ò Sacerdoti delle Genti Idolatre di quei Paesi; e ne’ detti Serpenti vi si trova la sudetta Pietra di mirabili virtù le quali sono le seguenti. i « Il suo colore suol essere nero, e ve ne sono macchiate di color cennericcio; per conoscere la sudetta Pietra se sia buona, ò falsa, appli- candola à i labbri deve attaccarsi tenacemente. « Applicala detta Pietra sopra la morsicatura, o puntura di qualsivo- glia Animale velenoso, subito si attacca tenacemente, e ne succhia il ve- leno, e dopo cade da per sè, lasciando sana, e libera la persona offesa. Essendosi staccata la Pietra, si mette in un poco di latte, 6 vino, o acqua tepida lasciandovela per un poco di tempo, dove rigetta tutto il veleno, e poi lavandola bene, si pone da parle per altre occasioni. 44 BETTA Dettosi del veleno e suoi effetti non sarà inutile Y in- dicare anche fra la tanta folla di rimedj esperimentati , quelli adoperati fino ad ora con maggiori successi, e l’uso dei quali fu generalmente riconosciuto. | Avvenuta la disgrazia sarà prima cautela da prendersi il praticare una legatura, non però troppo stretta, al di sopra della ferita per impedire possibilmente la comuni- cazione del veleno alle altre parti del corpo. Si laverà e netterà subito dopo la parte offesa per evitare che il veleno che potrebbe trovarsi aderente alla pelle, penetri « Se dopo caduta la Pietra dalla parte offesa continuasse il dolore, doppo averla lavata bisogna applicarvela un’altra volta, e continuare così, fin a tanto, che il dolore sarà totalmente cessato, perchè mentre sarà ma- teria velenosa, sempre la Pietra vi si attaccarà. « Se 2 caso la morsicalura, o puntura fosse molto piccola, o già ser- rata, bisogna aprirla alquanto con la punta di un coltello, o temperino acciò la Pietra vi si possa atlaccar meglio. « Applicata la sudetta Pietra sopra le morsicature de Cani, Vipere, Scorpioni, Ragni, Vespe, o di qualsivoglia altro animale rabbioso, sana pa- rimenti in brevissimo fempo. « La detta pietra applicata sopra le scrofole, carboni pestilenziali, tu- mori maligni, ed altri simili mali, facendo prima sopra una piccola inci- sione, acciò vi possa attaccare, ne succhia in breve ogni malignità. « Polverizata, e data a bere con vino, 0 acqua, scaccia qualsisia veleno, che per morso di animale velenoso fosse stato introdotto nelle parti più nobili, ed interiori del corpo. | a Con felicissimo successo è stata adoperata da molti per curarsi da varie ulcere, piaghe, ed altri morbi esteriori causati da mal. Francese, e principalmente per le Pannocchie, ecc. quando per debolezza della natura non possono venire a capo, facendovi prima sopra una picciola ‘incisione acciò la Pietra vi si possa attaccare. « Parimenti con la detta Pietra, si sanano tutte le gonfiagioni causate da punture «di spine, o dal concorso di umori sommamente maligni, eon- tinuando l’ applicazione di essa. ERPETOLOGIA 45 nella ferita al momento della scarificazione, che sarà bene ‘ praticare prontamente, ed alla maggiore profondità cui puossi giugnere senza pericolo o con ferro rovente, 0 con pietra caustica, o con qualche goccia di acido solforico. Tia successiva applicazione d’ una ventosa fu trovata di . effetto quasi sicuro. Così anche fu usato utilmente un pizzico di polvere da schioppo abbrucciata sulla piaga, del qual mezzo anzi si giovano i petrajuoli ed i minatori della Dalmazia esposti con molta facilità al morso della Vipera ammaodytes, solita per lo più a ricoverarsi in regioni aride, « Nuovamente nella Puglia è stata da alcuni adoperata per curarsi dal morso della Tarantola, li quali con mirabile brevità, e felicità sono restati sani, e liberi da si stravagante, e dolorosa malatia. « Avvertasi, doppo che la Pietra si sarà staccata da sè, d'essere vigi- tanti nel ponerla nel latte tepido, o vino tepido, o anche acqua, e lasciar- vela per lo spazio di trè, o-quattro ore, secondo fa qualità del veleno, acciò lo possa vomitare, e lavata la medesima, di gettar via il latte, vino, o acqua, perche a caso bevuto da qualcheduno, potrebbe privarlo di vita, o causarli grave infermità, secondo la qualità, e quantità del veleno suechiato dalla Pietra. ; « I popoli dell’ Indie Orientali trovandosi aggravati da febre maligna, o da qualche altro morbo intrinseco veemente, si fanno un'incisione, cioé taglio in qualche parte del corpo, se fosse il taglio anche dell’ istesso sa- lasso, dove applicano delle pietre sudette, ricuperano la sanita, « Dice il Petruci, che la sudetta pietra ligata in Argento, e portata ligata al bracio destro fa sicuro ogni uno di non esser morsicalo da al- cun animale velenoso, e da qual si sia Fiera, e di farsi pigliare amore. « Infinite sono le virtù di questa Pietra, e chi desidera saperle più a pieno legga la China illustrata del Padre Attanasio Kirkel, la Flora Chi- nese del Padre Michele Bovin, il Mercurio Bresilico del Padre Valentino Stanzel, il Prodomo Apologetico di Giuseppe Petrucci, e varj altri, che ne hanno trattato: della medesima Pietra. si sono fatte mirabili esperienze nell'Asia, America, Europa ed Italia. » « In Lisbona, et in Genova, Con Licenza de’ Superiori » . 46 BETTA sassose, e fra le fessure ,delle roccie stesse. So anzi: da ragguardevole personaggio che ha colà più volte ed a :lun- . go presieduto ai lavori dei minatori, come formasse ‘spe- ciale articolo delle istruzioni loro il tenersi sempre prov- veduti di una fiaschetta con polvere da fucile, per usarne prontamente nel caso della morsicatura. Fra i rimedii più giovevoli per la prontezza con cui possono essere usati, havvi anche il succhiamento della piaga adoperato subito dopo la morsicatura da sana e spregiudicata persona; e ben ne conoscevano i vantagio- sissimi effetti i Musi e gli Psilli che seguivano i romani eserciti nelle regioni del mezzodì, che più abbondano di serpenti velenosi. Uno dei più possenti farmaci però nella cura, e di un uso esteso e si può dire oramai unico, si è l’ am- moniaca liquida per la sua forza e celerità di diffusione, non minore certamente di quella del veleno viperino. Non mancarono in vero gli oppositori anche contro l’azio- ne specifica di tale farmaco; ma le eccezioni special- mente avvanzate dal Professore Mongiardini di Genova die- dero causa a tante esperienze ed osservazioni che finirono a combattere e confutare le opposizioni, ed a stabilire positivamente l’ efficacia dell’ammoniaca, che il Profes- sore Mangili chiama anzi il sovrano rimedio contro il morso della vipera. Per usarne si pongono sulla piaga alcuni pannolini inzuppati dell’alcali, e se ne bevono entro un cucchiajo d’acqua da due fino ad otto ed anche dieci goccie, mo- dificandone la dose secondo l’ età, la robustezza ed il tem- peramento delle persone; avvertenza ben necessaria, per- chè a dosi forti potrebbe ingenerare disordini nell’ orga- nismo ed agire come caustico. L’ efficacia di questo pre- ERPETOLOGIA 47 zioso rimedio si mostra anche se sia somministrato qual- che ora dopo avvenuto il morso. E quì se potesse aver luogo un mio desiderio vivis- simo, quello sarebbe di vedere inculcato dalle Autorità un preciso rapporto e ragguaglio annuo dei casi e delle cure fra noi verificabili. Il medico nel prestarvisi, adem- piendo ai doveri dell’arte sua, compirà altresì altro do- vere, il più caritatevole e santo, quello di offrire coll’ esi- to della cura le prove indubbie su quanto più giova a salvare dal veleno viperino, ed a facilitare a tutti la scelta del mezzo. | | Che se inoltre un consiglio mi è lecito di qui dare agli abitanti di alcune speciali regioni, quello sarebbe che dovendo temere maggiori pericoli per la frequenza ed ab- bondanza delle vipere nei luoghi che essi abitano o -tra- scorrono, non sì lasciassero trovare mai sprovvisti di am- moniaca liquida, che potrebbero anzi tenere sulla persona in vetro ben chiuso; precauzione poi questa della quale non dovrà mai dimenticarsi chi specialmente è obbligato per le proprie ricerche scientifiche, o per altra causa, ad allontanarsi molto dagli abitati, a perlustrare i luoghi più discosti ed aridi, ed a frugare fra i cespugli, le macerie, i sassi e le roccie, abitazioni ordinarie della vipera. Nel Veneto abbiamo p. es. il Bosco Montello che gode una tal quale celebrità per la enorme quantità di vipere che popolano ogni suo cespuglio od argine, e stanno nasco- ste sotto ogni pietra. Il viandante deve paventare assai di restarne offeso, ed usansi infatti colà aleune cautele per di- fendere il piede e la gamba dal morso della vipera, che con ogni facilità potrebbe essere inavvertitamente calpestata. In Lombardia havvi pure altro bosco rinomato per l'abbondanza delle vipere, e questo è #/ bosco della Fontana 48 HTOBRPT A a circa tre miglia da Mantova. E consimile celebrità , e forse anche maggiore, avrebbe pure nel Genovesato il monte Bertone verso le sorgenti del Taro e della Trebbia, il quale; secondo le osservazioni del Prof. Genè, riesce per due terzi dell’anno, ed a rigor di parola inaccessibile per la enorme quantità di vipere che lo popolano. Che se I’ accidente portasse di non avere in pronto l’ammoniaca, furono esperimentati e trovati opportuni al tri sussidii, quali sarebbero il vino generoso, la teriaca mista con esso, il dioscordio, gli oppiati in generale, l' acqua- vita ed altri liquori spiritosi e forti, una sollecita e pro- lungata corsa, insomma tutto ciò che è proprio ad acere- scere l’azione del cuore ed a promuovere un copioso su- dore. Sarà però sempre in ogni caso consigliabile il ricorso a persone dell’ arte e la non troppa fiducia nei surrogati, che se qualche volta giovarono, non sempre però possono supplire o suppliscono imperfettamente alla cura energica e sicura che la medicina può apprestare. Della propagazione. Dettosi quanto più importava sulla proprietà venefica di alcuni serpenti e sui rimedj più efficaci da contrap- porvisi, toccheremo ora i diversi modi di generazione ed accoppiamento nei rettili, così poco conosciuti in generale. ed intorno ai quali vennero scritte, o sentonsi narrare le più ridicole ed assurde cose. Nel trattare però tale argomento mi astengo per più ragioni dall’ entrare in minuti particolari, anche perchè ai giovani studiosi, ai quali specialmente è dedicato questo mio lavoro, basterà conoscere i fatti principali sul modo con cui i rettili adempiono un’ importantissimo debito di ERPETOLOGIA 49 natura; e perchè i desiderosi di più minute mozioni po- tranno trovarle in molte altre .opere, e specialmente nella classica Erpetologia dei Signori Duméril e Bibron, alla quale ebbi ricorso io stesso ogni qualvolta le mie cogni- zioni dovevano essere sussidiate od ampliate dai profondi e maturi stud} di quei celeberrimi autori, che tanto lu- minosamente hanno coll’ opera loro provveduto ai bisogni della Scienza. Riservando alcune più speciali osservazioni che meglio troveranno posto trattando delle specie cui particolarmen- te si riferiscono, osserviamo intanto in generale come nei rettili, non meno che in tutti gli altri animali d’ ordine superiore, esistano organi particolari destinati alla funzione riproduttiva e costituiscano i sessi, distinguendo gl’ indi- vidui in maschi ed in femmine. Di tali organi sono gli uni destinati a preparare i germi, gli altri a separare dai fluidi nutritivi quell’ umore vivificante che viene poi tras- messo e diretto sui germi in modi e con mezzi diver- si. Nei rettili non esiste però che una sola sortita per le feci, per l’orina e per gli organi genitali, e questa è l'ori- fizio esterno della cloaca, la cui varia forma può fino ad un certo punto divenire un carattere naturale di clas- sificazione. E infatti rotondato nella più parte dei Chelo- nii e nei Batraci Anuri, mentre presenta una fessura. tal- volta transversale, come nei Saurii ed Ofidii, talvolta lon- gitudinale, come nei Batraci Urodeli. Ad eccezione dei Batraci che a quanto pare tutti sì ri- tirano nell'acqua a compiervi 1’ opera della generazione senza intima unione dei sessi, in tutti gli altri rettili ha luogo un vero accoppiamento, che dura poi più o meno spazio di tempo secondo la.stagione e la specie. Nel no- stro clima è ordinariamente nei primi giorni di primavera 4 - 50 BETTA wr che i due sessi si cercano e si uniscono; ma il bisogno della riproduzione è per essi una necessità istintiva, e sod- disfatto al bisogno dell’amor fisico si dividono, si fuggo- no, si allontanano, nè altro più si riconoscono. Non può ‘ darsi quindi fra essi nè unione durevole, nè monogamia, siccome non si dà aleuna communione di affetti, nè alcun attaccamento del maschio per la femmina. Rarissime sono le specie, e sono forse desse esclusivamente appartenenti all'ordine dei Chelonii, in cui siasi osservato farsi il ma- schio compagno alla femmina per preparare un nido, o dirò meglio un sito conveniente ove deporre le uova. In generale la madre sola deve provvedervi, e si accontenta di deporle in luogo sicuro e nascosto, ed in circostanze convenienti perchè la temperatura non sia troppo alta o l umidità troppo grande, e non possano i figli suoi divenir preda dei numerosi loro nemici. I rettili non covano le uova, ma deposte in conveniente località e favorite sol- tanto dall’ azione indiretta del sole, da quella dell’ atmo- sfera, e dal calore attivo prodotto dalla fermentazione di vegetabili putrefatti, schiudonsi poi da sè in più o meno tempo secondo le circostanze e le specie. E, ad eccezione dei Batraci, i giovani rettili sortono dall’uovo colle forme che devono conservare, dotati già di molta agilità, e ca- paci di provvedere da se stessi ai primi loro bisogni. In alcune specie le femmine conservano le uova entro il corpo fino che i novelli sortano dalla molle membrana che li contiene, in un ovidotto destinato a riceverli come una matrice; ed allora queste specie pajono essere vivipa- re come i Mammiferi. Per lungo tempo si è creduto che la sola Vipera fra i serpenti fosse in questo caso, ma più recenti osservazioni hanno dimostrato come altri Ofidii di genere assal diverso offrivano lo stesso fatto: così p. es. ERPETOLOGIA 54 tra noi la Coronella austriaca, che da quanto osservarono Schinz, Frivaldszky e Lenz partorirebbe essa pure figli vivi e non uova, come si è creduto e detto per tanto tempo. Così abbiamo esempj di tale fatto anche in altri ordini della classe, siccome nei Saurii, fra le nostre specie, il lu- certo viviparo (Zootoca vivipara) e 1’ orbetto od angue ( Anguis fragilis); nei Batraci la salamandra terrestre (Sa- lamandra maculosa). Questi animali furono chiamati a torto vivipari, e si diranno più propriamente ovovivipari. Per dare alcune generali nozioni relativamente a cia- scuno dei quattro ordini componenti la Classe dei rettili può osservarsi quanto segue: Ordine I. CHELONI. In tutte le testuggini la fecondazione non ha luogo che una sola volta all'anno. L'organo maschile è unico, com- posto d’un corpo fibroso che inviluppa un tessuto vasco- lare o cavernoso; è molto erettile e provveduto per tutta la sua lunghezza di un solco pel quale cola lo sperma. Sorte per la cavità della cloaca per l’ azione dei muscoli protrattori di cui è fornito, e vi rientra poi restandovi in ogni altra epoca. Gli organi femminili offrono trombe uterine ed ovidotti che mettono fine da una parte nella cloaca, e dall’ altra terminano con estremità più larga e più o meno frangiata. Le uova sono varie in numero se- condo le specie, e sono in generale d’ una materia calea- rea e solida, di forma globolosa od ovale. Riesce diffieile dare caratteri esterni per distinguere i due sessi; in gene- rale però nella più parte dei maschi il piastrone dello scudo è concavo, e presso a poco corrispondente alla con- vessità del dorso della femmina. Però anche questa regola 592 BETTA può soffrire varie eccezioni nelle specie, ed anche negli individui. Ordine I. SAURIEL L’atto dell’accoppiamento non è in essi di lunga du- rata come nci Chelonii, ma al contrario piuttosto breve, soventi volte ripetuto bensì ma quasi istantaneo, special- mente nelle lucertole. L’ organo maschile è doppio, ed il più spesso guernito di piccoli pungoli cartilaginosi e re- golarmente disposti. Servono questi all’ animale per rite- nere la femmina, o piuttosto per eccitarla? — La cloaca ser- ve nel maschio a contenere l’ organo dell’ accoppiamento, a riceverlo nelle femmine. Pochissime specie sono ovovivi- pare, cd anzi fra noi due sole. Le uova hanno un guscio calcareo, e forma piuttosto allungata. I nostri Sauril non of- frono precisi caratteri esterni per riconoscere i sessi di- versi neppure nel tempo degli amori, che invece adorna di creste particolari, di gozzi e di colori vivacissimi molti Sauriani esotici. Ordine HI. OFIDIL I serpenti non generano presso di noi che una sola volta all'anno; la fecondazione ha luogo generalmente in primavera, ma ie uova non abbandonano gli ovidotti che tre o quattro mesi dopo e subiscono di già una specie di incubazione nel ventre della madre, perchè aprendo le uova subito dopo deposte vi si trova un feto più 0 meno sviluppato. Tale osservazione fu fatta in alcune specie da varj autori, c Volkmann ne parla particolarmente per le uo- va del Colubro d’acqua ( Tropidonotus natrix ) sul quale ERPETOLOGIA 53 istituì alcuni studj e ricerche (4). In qualche caso, come si osservò più addietro, i piccoli sortono dall’ uovo ancora nel ventre della madre, e ciò o successivamente o con qualche intervallo. Come nei Saurii anche negli Ofidii l'organo maschile è doppio e forma come due appendici erettili, carnose, guernite di punte cornee, ritrattili, dispo- ste a verticillo. Questi organi penetrati nella fessura della cloaca si gonfiano, e divergendosi fra loro ed allargando la parte femminile rendono più intimo il contatto. Tengo nella mia collezione un Coluber flavescens preso nel mo- mento della copula, i cui organi genitali rimasero tal- mente gonfi e protrusi da poter essere presi per due gam- be. Lo stesso dico di una Vipera aspis che presa invece assai più tardi, precisamente nell’ Ottobre dello scorso anno, ed immersa in un vaso con spirito di vino ne la le- vai morta dopo poche ore cogli organi genitali protrusi non meno che quelli del Colubro, in causa forse soltanto degli sforzi fatti per fuggire dal liquido letale. È senza dubbio in tale stato che furono osservati dalle persone che asseriscono aver veduto fra noi serpenti a due sole gambe posteriori. Nell’ accoppiamento i due sessi si attortigliano fra loro e sì da vicino sì stringono da sembrare un solo individuo a due teste (2), restando così uniti per lo spazio di alcune ore, 0 di un tempo di cui non si saprebbe però precisa- mente la durata. Le uova variano in numero secondo la specie; il loro guscio è tenace e coriaceo, ma non consta che di una semplice e sottile membrana nelle specie ovo- (1) De Colubri Natrici generalione. Lipsia 1856. (2) Anche Plinio scriveva « Coeunt compleru adeo circumeoluta sibi ipsa, ut una exislimari biccps possit». 54 BETTA vivipare. Il sesso è più facilmente riconoscibile nei'serpenti all’epoca degli amori per la grossezza della coda, per la gonfiezza particolare della cloaca, pei colori più vivi e brillanti, e per la minore statura nel maschio; mentre che nella femmina il peso ed il volume è molto maggiore, il ventre più largo, la coda più sottile alla base. Pare che alcune specie prescelgano siti determinati per le loro congreghe amorose, e giova quì riportare colle stesse parole del Prof. Gené un fatto che egli osservò per tre specie di colubri nostri. Fatto che merita veramente d’es- sere preso a cognizione dai Naturalisti perchè non osser- vato prima da altri, e solo conosciuto nella storia dei Batraci, li quali nel momento degli amori dirigonsi come per speciale istinto verso determinati luoghi ed acque, ove, quasi dietro convegno, trovansi poi in grandissimo numero per celebrarvi in comune le loro nozze. « Nel 1849, alla metà di Aprile, scrive quel chiarissimo Professore (4), verso l’ ora dei mezzodì, mi imbattei per la prima volta in una vallicella a vedere appiò d’ un vec- chio ceppo d’ albero, una ragunata di oltre a ducento in- dividui del Coluber austriacus, intesi all’ opera della gene- razione. Or bene, alla metà di Aprile e all’ ora medesima, se il cielo era sereno e l’ atmosfera tranquilla, io continuai per otto anni consecutivi, cioè fino al 41827, a vedere in: quel medesimo sito, appiè di quello stesso ceppo, la me- desima assemblea, che durava sin verso le due ore pome- ridiane pel corso di sei o sette giorni di seguito. La sin- golarità del fatto, e il diletto che io traeva in contemplarlo mi mosse a visitare attentamente quante valli, quante selve circondavano la mia residenza d’ allora; scoprii, a molta (4) Storia naturale degli Animali. Vol. II. p. 248. ERPETOLOGIA © 55 distanza l’ una dall’ altra, quattro altre di codeste riunioni; una del colubro sumentovato, una del Coluber Riccioli, e due di saettoni o serpenti uccellatori (4); e rivedendo per varii anni di seguito quei luoghi rividi gli stessi amori e gli stessi innamorati ». — E questi luoghi aveano tale co- stante preferenza che lo stesso Professore conchiude col- l’ osservare d’ aver tentato invano, « di renderli odiosi col sommoverne la terra, col guastarne |’ aspetto, e ‘persino col far strage di quei poveri animali chè |’ indomani i superstiti vi si raccoglievano di nuovo, e di nuovo vi si vedevano raccolti negli anni seguenti ». Nell’ argomento della fecondazione della vipera e della uscita dei serpentelli dall’ uovo, troviamo sussistere nel volgo alcuni pregiudizj che più opportunamente quì ac- cenno onde tenere di confronto ai fatti l’ assurdità delle credenze stesse. Pretendesi .da taluno che nei serpenti si verifichi una vera ineubazione, cioè che la madre covi le uova fino al loro dischiudersi, e che questi animali, ma più specialmente la vipera, difendino la prole dai ne- mici esterni col ricevere nella gola i loro piccoli al pre- sentarsi di qualche pericolo, trattenendoveli fino al cessare di esso. La Quanto alla prima credenza non occorre per confutarla pienamente che il riflettere soltanto come il nome di in- cubazione, più particolarmente applicata agli uccelli, sup- (1) Col nome di serpente uccellatore il Prof. Genè descrive più avanti il Coluber atrovirens (C. viridiflavus). Il nome di Saettone vien dato in- ‘vece più. propriamente ad altra specie, il Col. fluvescens ; ma, come osserva il Principe Bonaparte, anche presso gli abitanti di Roma sentesi qualche volta applicare tale denominazione al primo, che viene così confuso col secondo. 56 BETTA ponga lo sviluppo e la communicazione di calore alle uova, e come ciò non possa. mai verificarsi nei rettili ai quali è impossibile per natura lo sviluppo e la emanazione” del calore. Se qualche volta fu veduto un serpente girarsi a spira attorno alle uova ciò sarà stato senza dubbio per l’ istinto proprio di alcune specie, che in tal modo strin- gendo vicine le uova stesse, le dispongono a cumulo in- vece che lasciarle, come altre, quali furono deposte se- parate, o qualche volta unite fra loro da una membrana glutinosa, che disseccandosi si fa poi più consistente. Giam- mai però potrà dirsi e credersi che quella posizione mo- mentanea od anche prolungata della femmina, dipenda dal fatto di incubazione delle uova. Nè veramente per appoggiare la credibilità della pretesa affezione della madre per la propria prole basterà per noi il fatto (consimile del resto a quello che narrasi fra i nostri villici per la vipera) riportato da Daudin e da Latreille, di un serpente a sonaglio femmina che Pelissot di Beauvois e Moreau de Saint-Méry asserirebbero d’ aver veduto aprire la sua larga gola per ricevervi nell’ istante del pericolo i neonati, e trattenerveli custoditi fin quando era cessata la causa de’ suoi timori. Questo fatto benchè ripetuto dal viaggiatore inglese Guillemart; benchè seguito dall’ osservazione del Sig. Lessieur sopra un serpente ve- lenoso femmina che esso pure dichiarerebbe aver veduto ricoverare nella propria gola i neonati nel momento di pericolo; questo fatto, dico, benchè sembri anche accettato, o per lo meno non apertamente escluso da Dumeéril (4), è però tanto contrario ed in opposizione coi principii. della fisiologia animale relativi alla respirazione, e colle (1) Erpetologie Tom. VI. p 194. ERPETOLOGIA by abitudini non meno di tutti i serpenti, da doverio eselu- dere a tutta prima; ed io me ne dichiaro nulla affatto persuaso, non esitando punto a collocarmi col Sig. Schlegel per ripetere colle sue stesse parole. « Que dire quand on hit que des voyageurs estimés prétendent avoir vu de leurs propres yeux, que la femelle des Crotales fait rentrer, à I approche de danger, ses petits, qui sont de la grosseur d’ un tuyaun de plume! C'est là soumettre la crédulité des naturalistes de profession à une trop rude épreuve, pour ne pas nous engager de nous abstenir de toute remarque ultérieure » (4). Per dover dubitare ancora più delle asserzioni di Pa- lissot di Beauvois trovo poi anche una particolarità che certamente non è esatta; il ealibro cioè di quei neonati, che secondo lui era quello di un tubo di penna. Ognuno può vedere come superino già tale misura i neonati della vipera nostra, la quale è senza confronto molto minore dei serpenti a sonaglio. Che se nulla è a credersi al fatto ora narrato, molto meno prestar devesi fede alle asserzioni di chi una consi- mile affezione vorrebbe assegnare alla vipera nostra pei suoi neonati. I serpenti, lo ripeto, abbandonano tutti la loro prole dall’ istante medesimo della nascita, e dovrà quindi passare nel novero delle ridicole credenze quel- l’ affetto materno che il volgo attribuisce loro. Che se pur sembrato fosse di vedere, o si fosse anco veduto entrare nella gola della vipera qualche viperino, questo vi sarà “stato certamente inghiottito come preda, e non già accolto come in luogo di sicurezza; nè a tal proposito potrebbe essere fors" anco mancato lo scambio con una vipera del (1) Schlegel — Essai sur la physionomie des Serpents — Tom. 1. p_567. 58 BETTA Colubro austriaco, e veduto nell’ atto d’ ingojare serpen- telli di altre specie, siccome risulterebbe essere suo co- stume da quanto ne asserisce il Principe Bonaparte. Passo pur sotto silenzio come non degni di confutazione 1 pregiudizii che qualche volta sentonsi ancora ripetere dal basso volgo, sulle dimostrazioni di gioja (2?) che la vipera, immediatamente dopo essere stata fecondata, darebbe al maschio col divorarlo (4), e sulla necessità nella vipera di stracciarsi il ventre per dare in luce i viperini. Ordine IV. BATRACI. I quarto ed ultimo ordine dei rettili è quello che sot- to il rapporto della funzione riproduttiva allontanasi com- pletamente dall’organizzazione osservata negli altri tre, of- frendo agli studii del naturalista ed alle meditazioni dei fisiologi circostanze, fatti, e risultati straordinarj, e della maggior importanza. Nei Batraci non ha luogo anzi tutto un vero accop- piamento, essendo i maschi mancanti di organi erettili, e proprj alla intromissione diretta ed attiva del seme negli organi della femmina. Nei Batraci Anuri, cioè privi di co- da nello stato loro perfetto, vediamo il maschio montare sul dorso della femmina, abbracciarla tenacemente pas- sando le sue gambe anteriori al di sotto delle di lei ascelle, e coll’emissione del liquore seminale fecondare le uova mano mano che sortono dalla cloaca della femmina. Questo stretto abbracciamento si prolunga per moltissimi giorni (1) Vipera mas caput inserit in os, quod illa abrodit voluptatis dulcedine. Voigt, De cougressu et partu Viperarum 1698. - ERPETOLOGIA 59 senza chie mai il maschio ne lasci libera la femmina, ed è probabile che queste strette amorose giovino a compri- mere ed ajutare la femmina stessa a sbarazzarsi dalle uova. L’opera della fecondazione sempre occulta, intima e misteriosa, cessa d’essere tale negli. Anuri, e l’occhio nostro può così seguire tutte le evoluzioni e le meta- morfosi che nell’embrione si succedono, non fecondandosi i germi che pressochè sempre e costantemente fuori dal corpo della madre, e non ricevendo quindi realmente la vitalità che all’esterno della membrana trasparente che li racchiude. In altro modo effettuasi la fecondazione nei Batraci Urodeli, in quelli cioè che conservano la coda per tutta la loro vita. Questi pure, come gli Anuri in genere, compio- no l’opera della generazione nell’acqua, benchè i preludj in alcuni succedano qualche volta sopra terra. Talvolta i due sessi si avvicinano in modo che gli orifizi delle loro cloache trovansi a pochissima distanza fra loro;in questo caso il liquore seminale sparso dall’ uno è assorbito. dal- l’altra e portato nelle uova, che sono così fecondate al- l'interno, sia immediatamente avanti il parto che non tar- da a succedere, sia ancora negli ovidotti ove si trovafmno j. piccoli sbuciati dall’ uovo e pronti a sortire viventi, ed altri in uno stato più 0 meno prossimo allo sviluppo che rende l’animale vivificabile. Talvolta il maschio che con mille teneri e lascivi vezzi eccita la femmina a deporre le uova, feconda queste con ogni sollecitudine mano mano che ne scorge la sortita, lanciando il liquore seminale nell’ acqua come presso a poco succede nei pesci. La nostra Sala- ‘mandra terrestre trovasi nel primo caso; ciò che l'ha fat- ta anche riguardare come vivipara. Uno studio diligente e speciale sui suoi organi sessuali, colla figura e descri- 60 BETTA zione del feto e dei neonati può vedersi in Gravenhorst (4) coll’aggiunta non meno di osservazioni e discussioni sulla propagazione ed accoppiamento della specie. Ed ora ab- biamo in proposito anche l’interessantissima opera postu- ma del Dott. Mauro Rusconi Developpement et Métamor- phose de la Salamandre terrestre, pubblicata per cura del Dottor Giuseppe Morganti di Pavia. Nella maggior parte però degli altri generi fra gli Urodeli le uova si schiudo- no dopo deposte e sempre nell’ acqua, e lo sviluppo dei germi che contengono presenta anche altre notabili diffe- renze in confronto degli Anuri. Così dicasi dei nostri Tri- toni sui quali invito gli studiosi a voler prender cogni- zione e far lettura della Memoria del Dottor Rusconi (2), che con tanta dottrina e pazienza ne osservò e descrisse gli amori, la fecondazione delle uova, e successivo sviluppo de- gli embrioni e girini che nei molteplici loro stadj di vita vengono anche presentati in diligentissime e precise figure. Il numero delle uova deposte dai Batraci Anuri è assai ragguardevole, sorpassando in alcune specie i mille. Alla loro sortita dalla cloaca sono legati fra loro da un umore viscido, talvolta agglomerati in una massa informe, tal’ al- tra disposte come in un rosario o cordone mucoso, consi- stente e della lunghezza di più metri, secondo le specie. Negli Urodeli all’ incontro il numero è molto più limitato, e le uova sono separate le une dalle altre, di forma ovale, ricoperte di una tenace membrana, e non mai legate fra loro da alcuna materia viscida. (1) Reptilia Musei Zoologici Vratislaviensis. Fasc. 1. p. 93. « De parlibus nonnullis internis, imprimis sexualibus, Salamandrarum et Mol- garum ». (2) Amours des salamandres aquatiques. Milan 1821. FRPETOLOGIA 64 In questo Ordine di rettili la distinzione dei sessi è fa- cilmente riconoscibile essendo i maschi generalmente più piccoli, le loro forme più marcate, i loro colori più vi- vaci. AI tempo delle nozze sono essi specialmente distinti per particolari ornamenti o segni dei quali li abbelisce natura. Così p. es. nella Rana comune (ana esculenta ) i maschi fanno sortire dalla bocca due vesciche che essi gonfiano nel gracidare; nella Rana rossa (Rana temporaria) e nel Rospo verde (Bufo viridis) i pollici delle gambe an- teriori si gonfiano considerevolmente e vedonsi ricoperti d’ una pelle nera e rugosa; nel Tritone crestato ( 7rifon cristatus ) si scorge un’ alta e frastagliata cresta lungo tutto la parte superiore del corpo, la quale sparisce poi passata l epoca degli amori; e così dicasi di altri ornamenti e caratteri che verranno notati parlando di cadauna specie. Altra particolarità importantissima e propria di questo Ordine, sono le forme singolari e bizzarre che i Batraci prendono successivamente, dalla nascita fino al perfetto loro sviluppo. La forma loro al sortire dall’ uovo è ben diversa da quella che devono poi conservare, e presenta svariate modificazioni secondo che il feto appartiene agli Anuri od agli Urodeli, subendo come gli insetti le più curiose metamorfosi e trasformazioni. Negli Anuri infatti quando Y embrione sorte dall’ uovo o membrana che lo contiene, presentasi sotto 1° aspetto d’un piccolo pesce, e vedesi nuotare nell’ acqua con mas- sima rapidità. Vi si distinguono alla testa i rudimenti de- gli occhi; un poco al di sopra del muso scorgesi un ori- fizio rotondo a labbra variabili, ed è la bocca, nel cui in- terno presentansi più tardi delle lamine cornee delle quali le due principali costituiscono una specie di becco, di cui usa per attaccarsi alle piante acquatiche e tenervisi s0- 62 BETTA speso, o per tagliarne il parenchima con cuni si nutre. Ai lati del collo si vedono due paja di frangie più ‘o. meno ramificate, che sono vere branchie esterne. Ben presto però queste spariscono; ricoperte da una membrana si avvallano in una specie di sacco sotto alla gola, e cangiando forma. divengono assolutamente analoghe alle branchie dei pesci, al modo dei quali in allora l'animale precisamente respira. L’ accrescimento degli intestini si fa poi considerevole ; il ventre si fa molto voluminoso; la testa si confonde col tronco, e compariscono gli occhi e le nari. E questo enor- me sviluppo della cavità addominale confusa con tutta la parte anteriore, e presentante una sorta di sfera terminata da una coda come di pesce, ha dato origine. al nome di Tétara con cui i Francesi chiamano i Batraci. in tale sta- dio del loro sviluppo, ed ai quali noi diamo il nome di girino, cazzuola, padellaccio, e volg. palote. Più o meno ra-.. pidamente secondo le varie circostanze di clima, tempera- tura e nutrimento si succedono poi altre modificazioni: La coda, compressa come quella dei pesci, sì fa sempre più lunga ed offre nella sua linea mediana una massa di fibre carnose; pel di sotto, alla base della coda scorgesi Vano, ed ai due lati mostransi piccoli tubercoli che si ingrossano e si allungano di giorno in giorno, si dividono in dita alle loro estremità, e V animale mostrasi finalmente provveduto delle due gambe posteriori ; appariscono quindi: le anteriori, ed intanto vedesi la coda diminuire in altezza: e lunghezza ed essere assorbita, per servire forse allo svi- luppo di altri organi; la bocca si fende transversalmente e, cadendo le lamine cornee o becco, diviene molto ampia; la coda diminuisce sempre più e finisce collo sparire to- talmente; gli occhi si forniscono di palpebre, il ventre si allunga, diminuisce in volume, e l’ animale benchè molto: ERPETOLOGIA 63 piccolo, e ridotto in qualche specie ad un quarto della lunghezza che misurava allo stato di girino, presenta già le forme, salvo le dimensioni, che presso a poco conser- verà per tutta la vita. Intanto sonosi anche sviluppati i polmoni; le branchie si sono obliterate; tutto il sistema della circolazione del sangue è mutato, e l’animale cangia pure natura col divenire terrestre e carnivoro laddove cra acquatico ed erbivoro. Le metamorfosi degli Urodeli presentano comparativa- mente agli Anuri, assai minori differenze nelle prime loro forme con quelle degli individui che hanno raggiunto l’ultimo sviluppo. L’ embrione sortendo dall’ uovo offre bensì la maggiore rassomiglianza cogli embrioni degli Anuri, e come questi è desso allungato, nuota colla coda come i Pesci, è cieco, ha la bocca guernita d’ un becco corneo, e possiede branchie esterne; ma queste branchie restano poi sempre esterne e scoperte negli Urodeli, nè si obliterano che a misura che i polmoni si sviluppano in- ternamente e diventano atti ad ammettere l’ aria esterna; il ventre non si fa rotondo nè si confonde colla testa, ma il corpo conserva sempre le sue forme; la bocca e gli intestini subiscono la medesima trasformazione degli Anuri, ma delle gambe sviluppansi all’ invece per prime le ante- riori, per ultime le posteriori; e la coda che in quelli se- gna colla sua scomparsa il termine della metamorfosi, si fa in questi sempre maggiore e resta per tutta la vita loro. Della ripreduzione delle parti. In seguito alla generazione e propagazione dei rettili Importa di brevemente avvertire come uno dei fatti fisiolo- gici i più maravigliosi nella organizzazione di alcuni ani- 64 BETTA mali, e specialmente in quelli della Classe di cui trattasi, sia la singolare facoltà che essi hanno di riprodurre quelle parti del corpo che perdono per accidente, o che vengono loro troncate. È fatto conosciuto già ed avvertito dai più antichi scrittori, come nelle lucertole e negli angui od orbetti facilmente soggetti a perdere la coda, questa ri- producasi in breve tempo per modo tale da mancare quasi . ogni traccia della parziale o totale mutilazione . sofferta. Dalle esperienze ed osservazioni di Spallanzani, di Plate- ‘retti, Murray, Bonnet, Dumtril ed altri ancora, videsi però recentemente come tale facoltà riproduttrice spieghisi assai più attiva di quello che ritenevasi o conoscevasi pel pas- sato, e sappiamo ora quindi come non la coda soltanto, ma altri organi, anche i più delicati, si riproducano com- piutamente in tali animali e specialmente nei Batraci. Urodeli, che sembrano stati scelti quasi esclusivamente per tali esperienze. si E per citare qualcuno dei più singolari risultati otte- nuti in queste prove, noterò come Blumenbach abbia osservato in un ramarro (ZLacerta viridis) la integrale ri- produzione degli occhi, dei quali avevalo privato con una punta di ferro. Bonnet (4) ha in più esperienze. tagliato - le gambe ai Tritoni, ora da un lato ora dall'altro, e quando «ad ambedue i lati, e costantemente riproducevasi il mem- bro amputato, e le dita vi si riformavano ed acquistavano movimento. La coda di questi animali troncata a diverse altezze riproducevasi pure costantemente, ed ottenne anche. in essi la sorprendente esperienza dell’ occhio, che com- pletamente estirpato vide dopo un anno perfettamente ri-; © (1) Sur la reproduction des membres de la Sulamandre aquatique. Oeuvres d’ hist. nat. et de Philosophie Tom, V. ERPETOLOGIA 605 prodotto ed organizzato. E queste amputazioni e riprodu- ‘zioni. egli ripeteva ed osservava due, tre e fino quattro volte consecutive nello stesso individuo. Non sempre però le riproduzioni succedevano normali, ma anzi ci narra quel: paziente osservatore come di sovente vedevansi nota- bilmente alterate sìia per deficienza, sia per eccesso od esuberanza, nel qual easo le parti presentavano forme le più singolari e bizzarre. Fra le varie esperienze fatte dal celebre Duméril citerò poi come veramente singolare quella istituita sopra un Tri- tone (1) nel quale, dopo avere amputato con forbice tre quarti della testa, privandolo così di quattro principalissimi sensi, le nari, la lingua, gli occhi e le orecchie, osservò nello spazio di tre mesi operarsi una cicatrizzazione ed un lavoro di riproduzione tale da non restare più alcuna apertura nè per i polmoni, nè per gli alimenti. Morto quel Tritone alla fine del terzo mese, e durante un’ assenza del- l'osservatore, non si poterono però ottenere quei maggiori risultati che attendenvansi, e che avrebbero forse aumen tato d’assai più la maraviglia di tale stranissimo caso. E.ovvio incontrare fra noi lucertole ed angui nei quali | vedesi riprodotta la coda; e dirò anzi per esperienza essere ben più difficile trovare individui in cui tale membro non abbia sofferto mutilazioni di sorta, tanta è la facilità colla quale lo perdono. Il posto però delle vertebre cau- dali mutilate non viene sostituito che da una sostanza cartilaginosa analoga, ma che probabilmente non acqui- sterà più nè la natura, nè la solidità dell’ osso; e tengo nel mio Museo cogli scheletri di tutti i rettili dell’ agro Veronese, quelli ben anco di due Lucerti nei quali scor- (1) Erpetologie. Tom. 1. p. 299. 66 BETTA gesì precisamente tale surrogazione cartilaginosa per quasi tutta la lunghezza della coda loro. Questa facilità di ri- produrre Ia coda lascia luogo anche a molti casi di du- plicità di essa, e di questi, siccome di altre anomalie, ver- rà trattato parlando di ciascun ordine separato. Favole e pregiudizj nella storia dei Rettili. Se tutte si volessero enumerare le superstizioni e le erronee credenze che sfigurarono e svisarono la storia dei rettili, non basterebbero a ciò veramente le pagine di que- sto libro, tanta ne è la folla ed il numero. Molte di esse inventate e sorte di già nella infanzia del genere umano; trasmesse ai posteri ed ammesse con fiducia da classici autori, amici zelanti del maraviglioso ; accresciute dalla varia immaginazione dei popoli; svisate e falsificate dalla superstizione e dal timore, figli dell’ ignoranza, contribui- rono non poco per lo passato a rendere oscura e fallace la conoscenza di tali animali. Le favolose potenze di cui si narravano dotati molti rettili, inveteratesi nello spirito umano, mantenute ed anche esagerate da varj accidenti o male applicati o male spiegati, resero poi sempre più difficile la persuasione della verità e dei fatti; gli errori non fecero che aumentare lasciando libero il campo alla immaginazione, e nelle deboli menti trovarono facile ac- cesso e dominio. La ripugnanza quasi direbbesi istintiva che fra tutti gli altri rettili, i serpenti sopratutto ci inspirano; | lo spavento di cui quasi ogni uomo è compreso al solo vederli, furono altri degli ostacoli più gravi alla ricerca ed allo studio del vero, e causa perciò delle limitate co- ERPETOLOGIA: 07 gnizioni che se ne avevano in tempi anche non molto lontani. | Nel proposito però di parlare almeno di alcune delle più straordinarie favole, e togliere loro per quanto sarà possibile quell’ ultimo e leggiero grado di credenza che for- se potrebbero tuttora possedere nella. mente sopra tutto del volgo, credo di dover evitare inutili ripetizioni col ri- servarne alcune a miglior posto, collocandole negli arti- coli di ogni specie cui riferisconsi; e trattare qui soltanto “di quelle poche che io non saprei ove opportunamente al- logare; o quelle la confutazione delle quali chiara e pre- ‘cisa risulta già da quel tanto che fin quì fu detto in ge- nerale sui rettili, o più distesamente si dirà nei capitolì che precedono la descrizione delle specie. Appartiene alla più straordinarie ed incredibili la fa- vola del Basilisco che il rozzo contadino narra di veder saltare da un albero all’ altro, attribuendogli forme sva- riatissime e bizzarre, colla potenza altresì di avvelenare ed uccidere col solo alito o coi soli occhi. I più antichi au- tori, Avicenna, Plinio, Solino, Nicandro ed altri hanno par- lato sotto di questo nome di un serpente con' una corona ‘ sulla testa, che faceva fuggire al suo aspetto tutti gli altri; che poteva dare la morte con un solo sguardo, pretenden- «dosi poi da altri che non avesse potuto esercitare tale ter- ribile facoltà quando non era il primo a vedere. Si è cre- duto che il gallo nella sua -vecchiezza deponesse un uovo dal quale venisse alla luce il basilisco. L'Aldovrando ed altri autori ne hanno anche date delle figure (4), e veniva rappresentato con otto piedi, con una corona sulla testa ed armato di un becco adunco e ricurvo. Plinio asserisce (1) Jonston. De Serpentibus. Tab. XI. 68 BETTA che il basilisco ha la voce sì terribile da far paura-a' tutte le altre specie, e che in tal modo le scaccia dal luogo on- de regnarvi come sovrano. E appena credibile come tali favole abbiano potuto ottenere fede presso tanti autori ,. e siansi mantenute tanto tempo per giungere sino quasi a . È mero sogno l’esistenza di questo animale; eppure non mancano anche oggidiì persone, che col nome di basi- liseo designano un rettile ch’ esse sole vedono e sentono nella loro immaginazione. Lo credono esistere alcuni con- tadini e montanari del Veneto; più ancora ne parlarono forse e ne parlano quelli del Tirolo, sognando nel basilisco l’ esistenza d’ una pietra preziosissima che potrebbe ren- dere ricco chi se ne impossessasse. Per quanto però tro- visi tuttora nel volgo tale credenza essa è ormai ben de- bole e leggera, nè ai nostri tempi nessuno vedrà verifi- carsi il caso di un vecchio feudatario che nel secolo de- corso si addossò il tributo di un perpetuo livello ad un suo vassallo, per aver questi liberate le terre di lui da un basilisco che le infestava. Sta anzi scritto nel documento che tale premio veniva accordato ‘alla famiglia del vas- sallo perchè egli stesso avea dovuto morire nell’ uccidere il pestilenziale animale (!!!) — E questo grosso livello sussi- steva ancora tre anni or sono, ed i discendenti del vas- sallo si godevano assai lieti i frutti della credulità e dabbe- naggine del vecchio feudatario. I ciarlatani dei tempi addietro avvaloravano la cre- denza nel basilisco collo spacciare per tale una pelle del pesce Raja, che essi foggiavano in varie mostruose forme, aggiungendovi o piedi, o coda, o cresta, 0 becco tolti ad altri animali. Oggidì però non si presterà abi fede a simili favole ed inganni, ed il nome di basilisco resterà solo per dinotare una lucertola innocente, fornita di cappuccio che | ERPETOLOGIA 69 le corona la testa, e di una cresta che si alza sul dorso e sulla coda, la quale vive soltanto sugli alberi delle im- mense foreste dell'America meridionale, e della quale di- cesì si nutrano quegli abitanti, qualificandone la carne come assai gustosa e saporita. Presso la favola del Basilisco trova posto quell’ ila del viperone grosso quanto il braccio d’ un uomo, cortis- simo di corpo e di color bianco o rossastro,. che il volgo narra di vedere tratto tratto nei campi e sui monti. Nel- la parte più settentrionale del Tirolo italiano gode persino della singolare denominazione di stravolgi-carri, attribuita venendogli la facoltà di ribaltare un carro che gli passasse sopra, non senza aggiungergli a questo ridicolo potere una caterva di malefizi, di fischi sonori, e di mille altre facol- tà maravigliose. Un consimile animale viene descritto dal volgo nel Lombardo e nel Veneto sotto il nome di dspeso, del quale tanto diverse ed opposte sono le descrizioni, le forme, e gli attributi offerti, che basterebbero da soli a provare non avere mai esistito, non essere stato mai ve- duto da alcuno, e non dipendere la sognata sua esistenza che dalle esagerazioni dell’ ignoranza e del timore. Così in uno stesso fascio coi detti animali vanno collocati i ser- \penti con cresta, o con testa di gatto, e quelli grossi come la gamba di un uomo o lunghi più metri, che qualcuno crede o racconta trovarsi fra noi. Ad errori invalsi nel popolo devonsi ascrivere i rac- conti di serpenti succhiavacche, e di serpenti che si intro- ducono nella bocca di persone dormienti. Coloro che at- tribuiscono ai serpi la facoltà di poter succhiare il latte dalle mammelle degli animali, vi aggiungono altresì una sorta di malefizio tale per cuni dopo avvenuto il succhia- mento, al quale, secondo essi si presterebbero i mammiferi 70 BETTA con compiacenza, questi perdono tutto il latte. Intanto per le osservazioni dello Schlegel e del Wyder, per le molte prove istituite dal Prof. Gené e da altri, puossi negare che ‘1 serpenti amino ed appetiscano il latte. Alle osservazioni di questi autori aggiungo pure le mie, essendomi riuscito sempre vano ogni tentativo per far bere del latte sia ai colubri sia alla vipera che teneva vivi all’ oggetto di tali e di varie altre esperienze. D'altronde bevono anche assai di rado perchè confinati essendo per la maggior parte in luoghi aridi e secchi, e dove manca sempre o per lun- ghissimo tempo l’acqua, la natura ha saputo provvedere ai loro bisogni spingendoli a nutrirsi d’ animali . viventi, nel corpo dei quali trovano il sangue e gli altri umori che possono bastare ad estinguere la sete. Ma se anche molte specie bevono realmente, non può però ammettersi che si spingano a quell’atto per dissetarsi. Per convincersi prontamente dell’ assurdità di tale racconto, basterà riflet- tere per poco sulle circostanze di organizzazione che per- mettono ai soli mammiferi | azione del poppare. È anzi tutto indispensabile che la cavità della bocca possa momentaneamente essere chiusa tutta attorno al capezzolo onde succeda il vuoto; e questo non può ottenersi che con labbra mobili e carnose, delle quali sono affatto man- canti i serpenti. In secondo luogo la soverchia brevità del! tragitto delle nari, il difetto di un velo al palato, e quello di una epiglottide all’ ingresso della trachea, rendono nei. ‘serpenti ancora più impossibile | effettuazione del vuoto i necessario. Che se avessero anche ottenuto dalla natura! la facoltà di praticare questo vuoto, riflettasi per un mò- mento alla struttura ed all'ufficio dei denti che armano; le loro mascelle, e dicasi se con tante numerose ed acu-' tissime punte, ricurve tutte all’ indietro, potrebbe poi il ERPETOLOGIA ZA serpente abbandonare a capriccio il capezzolo, o non piuttosto vi aderirebbe tanto più quanto maggiori sareb- bero gli sforzi per distaccarsene volontario, 0 costretto dal mammifero, che tutto tenterebbe senza dubbio per liberare la parte forata da tante punte. In ogni caso se veramente, ciò che quì si nega, fu veduto qualche serpente attaccato nei pascoli o nelle stalle ai capezzoli delle vac- che o delle capre, sarà stata senza dubbio alterata l’ inten- zione del rettile stesso, forse ivi lanciatosi per l’ istinto della fame, ed ingannato dai moti e dalla forma della parte. Quanto all’ altra fola di serpenti che introduconsi tal- volta pella bocca nello stomaco di chi dorme, crederei non poter meglio e con minori parole confutarla che coll’ in- vitare chi vi crede a cacciare un corpo qualunque, un dito, un legno, nella propria gola, e giudicare dalla sensa- zione di tale prova se sarà possibile il fatto, e se la irri- tabilità della lingua, del palato, e specialmente delle fauci può rendere credibile che un serpente vi si possa insi- nuàre e sdrucciolare. Per me nego apertamente tal fatto e lo dichiaro assolutamente impossibile. Sono poi reali assurdità, come si è già veduto, il cre- dere che la sede del veleno nella vipera sia nell’alito, nella lingua, nella coda; che la vipera sia sorda; che cieco sia langue; che la salamandra resista al fuoco etc. etc. E spetta finalmente a mero pregiudizio la facoltà attribuita ai serpenti di poter instupidire ed incantare gli animali di cui vogliono far preda in modo da arrestarneli sul punto, e da dover questi, attratti da ignota forza, rimanere im- mobili ed annichilati fino a lasciarsi cadere ed uccidere senza la benchè minima resistenza. Ma tale strano e ridi- colo potere importa che più particolarmente formi soggetto di qualche. parola. 79 BETTA Già nella più remota antichità troviamo insorto tale pregiudizio, che, sostenuto da parecchi scrittori e dai rac: conti dei viaggiatori, mantiensi tuttora con tale popolarità da sentirne parlare ad ogni occasione, come di un fatto vero ed incontrastabile. E vi si trova poi una facile spie: gazione coll’accordare al rettile emanazioni malefiche, po- tenze d’incantesimo e mille altre influenze, contrarie però sempre al buon senso ed ai fatti. Ben poche opere di storia naturale hanno ommesso di trattarne, ma è solo dai più gravi e recenti naturalisti che lo vediamo sceverato finalmente anche da quelle mi- nime circostanze che pur ancora avrebbero potuto dar colore di verità all’inveterato pregiudizio, e passato questo fra gli innumerevoli errori che accompagnarono sempre la storia dei rettili. Più cause possono aver dato origine a questa pretesa potenza affascinatrice; e lasciando a parte i curiosi rac- conti e le fole che varj autori e molti viaggiatori ne seris+ sero e ne raccontarono, leggesi in parecchie loro opere seriamente avvertito lo spavento, i tremiti, e lo sconcerto totale che la sola vista di un serpente, sopratutto se vele- noso, accagiona nella maggior parte degli animali verte- brati. Si racconta di scojattoli e di uccelli che vivacissimi nei loro movimenti, colpiti ad un tratto dalla vista del serpe, e presi istantaneamente da una viva e profonda agi- tazione, vennero a perdere il loro equilibrio, e gettando grida di disperazione lasciaronsi cadere di ramo in ramo fino al piede dell'albero, ove immobile stava ad attenderli il loro nemico. Si aggiunge da taluni che queste sgraziate vittime, cadendo dai rami vengono fino a piombare diret- tamente nella spalancata bocca del rettile. E di queste ‘e consimili scene non manca mai chi si asserisce oculare ERPETOLOGIA 73 testimonio, o cita altre persone quali testimonj indubbi e degni di tutta la fede. Si è detto più sopra come a causa diretta di tale af- fascinazione venga posta in campo l’ emanazione di mici- diali vapori, che spandendosi dal serpe ed arrivando alla vittima la investono ed ubbriacano in modo da renderla priva di forze e di moto, e da toglierle ogni via di fuga o difesa. E l’ emanazione di tali malefici vapori, secondo quanto crede il volgo, verrebbe portato fino alla vittima col continuo e rapido dardeggiare di quella lingua bifor- cuta, immaginato stromento di morte; mentre in fatto non che essere l'organo il meno adatto a tali azioni, può dirsi nei serpenti incapace persino alla fina percezione del senso pel quale serve negli altri animali. Quanto a queste micidiali emanazioni conviene però persuadersi come non esistino che nella debole mente di chi vi crede. Ed a conseguenze affatto naturali all’ orga- nizzazione e nutrizione dei rettili, devonsi soltanto ascri- vere quei putridi effluvii che autori e viaggiatori indica- rono esalarsi all’intorno dei grossi serpenti, da essi sor- ‘ presi ed osservati. Questi animali difatti ingojano la preda cominciando dalla testa, che per la prima entra quindi nella gola; solo poi con speciali movimenti delle loro man- dibole effettuano la deglutizione, che succede in maggiore o minore spazio di tempo secondo il volume maggiore o minore della preda. Qualche volta appunto essendo questa molto voluminosa, accade che il serpente deve impiegare lunghissimo tempo prima di farla entrare nell’esofago; gli alimenti soggiornano allora lungamente nel loro stomaco, e non di rado vi si imputridiscono prima di essere dige- riti; ed ecco la ragione dei mefitici fetori che Lacépéde narra aver quasi soffocati i viaggiatori, e specialmente De 74 BETTA la Borde nel mentre aprivano il corpo di grosso serpente. Devesi poi notare che soltanto molto tempo dopo compita la digestione, e quindi dopo svaniti tali vapori, il ser- pente va in cerca di nuova preda, ed. in nessun ‘modo sussistono quei miasmi quando svegliasi in esso un nuovo appettito. si | Anche quegli umori più o meno fetidi che in quasi tutti i serpenti sì producono entro certe glandule della cloaca, vi stanno sempre latenti nè si diffondono. che quando l’ animale venga preso od irritato. Nessuno ignora come soltanto in tali casi la comunissima nostra Serpe di acqua e il Colubro austriaco spargano un puzzo nauseoso, dovuto al liquore giallastro eiaculato dail’ ano; e. così dicasi degli altri più o meno fetenti umori che varie spe- cie di altri ordini segregano dalla cute o dall’ ano quan- do venghino presi od aizzati, siccome i Rospi, le Sala- mandre etc. di | Eliminata l emanazione dei sognati vapori, ed. esclusa perchè insensata e priva di fondamento la potenza afla- scinatrice che ai rettili si attribuisce, non negasi del resto però, ed è anzi di fatto, che gli animali possano rimanére privi di forza e di movimento all’ improvvisa comparsa di un serpente. Ma in tal caso qual mai ragione più chiara ed evidente del fatto che un naturale effetto dello spavento ? Non succederebbe forse precisamente lo stesso nell'uomo, che d’ improvviso si trovasse faccia a faccia, 0 ben da vicino ad un orso, ad una tigre? Mentre se a qualche distanza si presentassero tali animali, o fuggi- rebbe o presterebbesi alla difesa. Nè le talpe, nè i ratti, o le rane, od i rospi inaspettatamente arrestati nel loro cammino dall’ improvviso incontro di un serpente prova- no diverso effetto. ERPFTOLOGIA 75 Che tale vista possa essere infatti capace di annichilare le forze fisiche ed istintive negli animali ed anche di pro- durre più terribili effetti, lo provano molti fatti. Il Signor Duméril racconta (41) come un giorno nel voler egli pub- blicamente dimostrare 1’ azione pronta del veleno di una vipera sopra un piccolo uccello, sia accaduta la morte istantanea del cardellino che teneva fra le mani colla più gran ] precauzione, nel momento stesso che lo presentava al rettile. E se mi è permesso enunciare - fatti occorsi a me stesso, dirò che più e più volte fui testimonio ‘delle conseguenze di tale spavento nelle rane e nei rospi, lungo i ruscelli e le acque, ove era maggiore la frequenza dei Colubri e delle Natrici che vi venivano in cerca di preda. E nell’ anno ‘decorso perlustrando un monte del Tirolo potei anche osservare lo spavento cagionato in un noc- ciuolino (Myoxus arellinarins) dall’ improvviso apparire di un Colubro carbona::0, che venendo dalla china del monte per passare sulla sovrapposta strada, incontravasi nel pic- colo animaletto nel mentre stava questo per ricoverarsi al piede di un’ arida siepe. Le agitazioni’ e 1’ abbattimento del povero nocciuolino erano tali, che ben sicuramente sarebbe rimasto vittima del serpente, in quel punto rac- coltosi e fermatogli contro, se non avessi posto fine io stesso alle sue angoscie. procurandogli salvezza colla sol- lecita prigionia del suo nemico. Perchè la vista del serpe possa produrre sinistri effetti sarà però sempre indispensabile la condizione della sor- presa, mentre questa mancando o cessando ne mancano pure e cessano gli effetti. Ognuno potrà convincersi di ciò gettando un piccolo mammifero, un uccello, una rana, (1) Erpètologie. Vol. VI. p. 115. 76 BETTA nella gabbia che rinserra qualche vipera; ognuno avrà osservato quello che succede nei serragli ambulanti quan- do i custodi presentano ì conigli od i pollastri ai grossi. serpenti per stuzzicarne l’ appettito, e li gettano poi nelle gabbie o casse nelle quali sono custoditi. A tutta prima il povero animaletto si ritira in un angolo, e tremante ed a occhi chiusi sta aspettando la morte; scorsi invece pochi minuti senza che il serpente lo assalga, vedesi quasi direi avvezzato alla sua compagnia e camminare persino sul : eorpo del nemico, o famigliarmente appoggiarglisi vieino. Barton Smith in una sua Memoria estesa per confutare tutto quanto era stato accampato sulla facoltà di affasci-. namento dei serpenti a.sonaglio, riporta molti fatti che. provano come gli uecelli non si mostrino spaventati - che allorquando i crotali si avvicinano ai loro nidi; nel qual caso vedonsi i genitori volare all’ intorno del nemieo get: . tando grida disperate, e dando segni di profondo spavento. Un consimile fatto è pure constatato dal Prof. Gené, che ponendo una grossa vipera entro una gabbia ai piedi del- l’ arbusto sul quale un usignuolo aveva il nido e cova- va, vide la madre abbandonare il nido più volte dando segni ed accenti di vivo spavento. Non sempre però in questi casi limitansi gli uccelli a grida soltanto, ma sanno difendere la loro prole coi mezzi conceduti dalla forza del loro fisico e del loro affetto. Bendiscioli fu testimonio di una fiera lotta di una Velia (Lanius excubitor Linn.) con un Colubro verde-giallo, la quale per difendere il proprio nido affrontavalo impavida e coraggiosa, obbligandolo alla fine, dopo non breve insistenza e dopo un soffiare acuto e ri- petuto, e molti ma sempre vani tentativi del serpente, a dar di volta ed abbandonare il vigneto nel quale essa at- tendeva all’ allevamento della propria prole. Fatti questi ERPETOLOGIA BE (| che militano tutti, e sempre più, contro la pretesa potenza affascinatrice. | Per tutto ciò devesi anche apertamente rifiutare che la vista del rettile possa produrre gli accennati effetti sul- l’ animale, ove questo si trovi da esso discosto alquanti passi, e tanto più ove siane separato dall’ altezza di un albero sul quale stassi poggiato. Che se si fosse anche ve- rificato il easo di un uccello, o di uno scojattolo venuto dall’ albero a cadere nella gola di una vipera, anche que- sto troverebbe facile e chiara ragione quando si pensi che i serpenti velenosi, come quasi tutti gli ofidii, hanno la facoltà di rampicarsi sugli alberi e sugli ‘arbusti; che quindi la vipera avrà usato del suo terribile apparato non appena avrà sorpreso l animale, e si sarà poi collocata al basso per attendervi la vittima, impossibilitata alla fuga ed alla vita. PROSPETTO dei Rettili delle Provincie Venete e del Tirolo meridionale coll’ indicazione delle specie e varieta fino ad ora conosciute proprie anche della Lombardia. io al ; 2e|sa|os Specie e Varietà = = cs si, } c> Li © ali S Orp. I. CHELONII Emys lutaria Merrem o... . 0.0. |.» _. » *É Chelonia earetta Gray . . è... » _ — J Orp. II. SAUREI Lacerta viridis Daud. . . . è... » » » VAN. «. 'concolor + >. è ce è è » » » o pf D-" Di 'VErsIcolor:..' e. a aissziio ua: » » » (6 » cc. maculata Bonap. . +. . .. » — i » dd. mento-coerulea Bonap. . . + mi. ) — » e. chloronota Zafin. . . . ... —- » i » f. cinereo-nigrescens . . . è. + — » » 9g. bilineata Daud. . . . . .. » » » * » A. brunneo-viridescens, bilineata . » » — » LI iciah Doni si delizie — — » (1) ichahellesii tz. 4 | Zootoca vivipara Wagl. . . .. + » » » (2) Podarcis muralis Wagl. . . . .. A. muralis auciorum. è... è. + » » o pio var. a. nigriventris Bonap. . è è. + » » — » d. albiventris . . .. +... pi pi NE i E » C.rubriventris . . è. è 0» » — » dd. cupreiventris Massal. . è. + » » — . » e.-flaviventris . . . + è. + » —_ — È B. campestris Bella .‘. . . 0... » » pi? Anguis fragilis Linn... .... . » » n. È var. G. Vulgaris 0. è +. +0, » » » _* D:' “d. Iimeata o onere TRI » » » € » IC ORTISea ci LL. e nen » =: — » dd. nigriventris Bonap. +. +. è + » » — DFE MUSCRO i nana = » — Onp. HI. OFIDII Coronella austriaca Laur. . . . . » » pi Coronella Riccioli Metaxa . . . . » — | — | Coluber flavescens Gmel. . . . . » » Dai NI Sì Cn """_t‘’‘1tP.-<-‘’mcòi‘tiÈ@È-@@*@*rkh*WroWi*W-@liiiee;- e smesiiie ('V] È Se o 2 = a E ac (Ce)) e Specie e Varietà Coluber viridiflavus Lacép. . var. carbonarius Fitz. . +. è» Tropidonotus natrix Wagl. . bilineata 1 } murorum /ilz. Tropidonotus tessellatus De var. a. albo-lineata Bonap. . Miecbirigra ed ee FPelias berus Merrem . . . . Vipera aspis Merrem . . . . var. a. cinerea +. + è +0. ». bd. cinerascens . . + images rafa ae è è è. » d.rufescenS è è è. è + 2611 0" (RENO ANIA OSIGRNO SANDRI IL più. 0 » f.brunnea . . . . . TEA enne ». Àh.rufiventris +. è . + » di. fusca, plumbeiventris . » I. Isabellina . . . +. Cao » m.nigra Bonap. . è. +» : » ‘n. occellata Bonap. . . Vipera ammodytes Latr. . Orp. IV. BATRACI. ce) ANURI MHyla viridis Laur. . . è... Rana esculenta Linn. . . . Rana temporaria Linn. . . Bombhbinator igneus Merr. . Bufo vulgaris Laur. . . . . Rufo viridis Laur. . . . . Db) URODELI Salamandra maculosa Laur. Petraponia nigra Massal. . . Triton cristatus Laur. . . . Triton punetatus Latr.. . . Triton alpestris Laur. . . . Totale | PROVINCIE VENETE | LOMBARDIA RATTI » » » * A A » » » alte ta » » » _ * Filippi. » » DI Mea » —_ _ sing » _ sei » » » SI » » » a I » » — A è -» » — 5 » — — se » » » ° » » — 2) “ia » —_ —_ SERA » — — È » — — Si » —- —_ gua » —. -_- A »(3)} — » SI »(4)f — == SEA » » — E » » » * ada » » » ‘ » ) » » » wo Se » » pi * 0 0. 0. » » » PE » » » stila » — —_ PRE » » p_s ° e » i » sd aa » » _ Specie 26 21 21 Varietà 31 20 DE NB. L'indicazione delle specie di Lombardia è appog- giata alle notizie del Lanfossi e di Bendiscioli nei rispettivi 80 loro lavori citati nell’ elenco degli autori, ed al catalogo compilato nel 1844 dal Prof. Balsamo Crivelli ed inserito nel Volume delle Notizie naturali e civili su la Lombardia (pag. 387) del D." Carlo Cattaneo. . Le specie segnate con * nel presente Prospetto mi con- stano proprie della Lombardia anche per le poche ricerche ch'io stesso praticai negli anni 1844, 1842 e 1846, nelle provincie di Pavia, Milano, Como e Lecco. (1) Trovata presso Milano dall’ illustre amico mio, il chiarissimo Pro- fessore Giorgio Cav. Jan Direttore del Civico Museo milanese. ( Jan in litt. 28 Januar. 1856). (2) Trovata presso Peschiera (fide Massalongo Saggio p. 38). (3) (4) Riportate come Venete sulla fede del Prof. Massalongo. (Sag- gio p. 22)... ERPETOLOGIA 81 Ord. I. CHELOMI © ‘ Una struttura affatto straordinaria, unica anzi nel regno animale, distingue il primo dei quattro ordini nei quali scomponesi la Classe dei rettili. L’ armatura ossea, vuolsi dire, o corazza che racchiude per ogni verso il corpo dei Chelonii, di modo tale che si mostrano solo e si movono liberi il capo col collo, la coda e le quattro zampe, parti che l’animale può poi tutte più o meno ritirare e nascon- dere sotto |’ armatura stessa, onde proteggersi da esterni pericoli. HAL Linneo aveva riunite nel solo genere Testudo tutte le specie conosciute a’ suoi tempi; ma attentamente esami- nate, ed osservando e confrontando quelle suecessivamente scopertesi, non si tardò a riconoscere tra di esse notabili differenze di forme, di struttura, di abitudini e costumi. Si dovette perciò scpararle in un gran numero di specie le quali furono ripartite in quattro famiglie, corrispondenti a tre delle principali divisioni di già segnate da Aristotile e da Linneo, e caratterizzate secondo la conformazione delle loro gambe, ed il genere di vita che ne risulta ed al quale sembrano essere state destinate. Le specie che abitano il mare e che non possono cam- minare, presentano, le gambe ineguali in lunghezza, de- presse, pinniformi, e le dita riunite a somiglianza di pa- letta. Quelle abitatrici delle acque e dei fiumi hanno le (*) xedwwn, Testuggine. Aristotile Hist. anim. L. Il. cap. 17. 6 89 BETTA gambe palmate, a dita distinte, mobili, guarnite di unghie acute, e riunite da membrana, almeno alla loro base. Le specie assolutamente terrestri hanno gambe arrotondate, come troncate o terminate da un moncone, all’ ingiro del quale si scorgono le unghie; ed il piede quasi privo di mobilità non serve loro che per sollevare e trasportare la totalità del corpo, con cammino assai lento e difficile. Molti altri caratteri poi, come quelli desunti dalla forma e struttura del guscio, giovarono”alla scientifica divisione fattasi dei Chelonii. | I Due sole specie incontransi nel Veneto; nessuna nel Tirolo meridionale. E se alle due venete £mys .lutaria e Chelonia caretta aggiungesi qui per terza la Testudo graeca, ciò solo si fa per presentare la descrizione di una specie fra noi frequentemente ed in abbondanza importata dalla Grecia, dalla Romagna ecc., e che vedesi custodita e man- tenuta in molti dei nostri orti, case e giardini; ma che | del resto puossi con certezza asserire, e nonostante il di- verso pensare di alcuno, non appartenerci come specie propria delle nostre regioni. | Veniamo di tal modo a tenere fra noi tre specie, ap- partenente cadauna a diverso genere, e rappresentanti fra | i nostri Chelonii le tre divisioni che di essi- si sono av- | verlite. Come specie assolutamente terrestre si presenta la | Testudo graeca, come fluviatile V' Emys lutaria, come marina | la Chelonia caretta, che rispettivamente spettano alle. tre. famiglie Testudines, Emydae, e Cheloniae, corrispondenti la | prima e la seconda alla famiglia Testudinidae sotto fami- | glia Testudininae, la terza alla famiglia Chelonidae del Prin-. cipe Bonaparte; la prima alle Chersiti, la seconda alla. prima sottofamiglia delle £loditi, la terza alle Talassiti di. Dumeéril e Bibron. ERPETOLOGIA . 83 Attesa la mancanza in queste provincie di altre specie oltre le tre annoverate, esibiamo con caratteri proprj delle tre famiglie anche i caratteri del genere di cadauna, e sono: I. FAM. TESTUDINES Gen. TESTUDO BRONGN. Gambe corte, clavate, con dita mal distinte all’ esterno ; unghie in numero di cinque nelle gambe anteriori, di quattro nelle posteriori ; mascelle nude, cornee, taglienti, più 0 meno seghettate ; timpano visibile; occhi poco prominenti, colla pal- pebra inferiore più alta della superiore ; lingua crassa e pa- pillosa; coda brevissima, conica, ed in qualche specie terminata da un’ appendice cornea od unghia, che inviluppa l ultima vertebra. Armatura ossea assai convessa, e quindi molto alta ; i due gusci connessi fra loro per sinfisi. II. FAM. EMYDAE Gen. EMYS (BRONGN.) VVAGLER. Gambe con dita distinte, mobili, collegate alla base da mem- brane rilassate ; unghie adunche, in numero di cinque nelle gambe anteriori, di quattro nelle posteriori; mascelle cornee, ta- glienti, ad orlo semplice ; timpano visibile ; occhi prominenti superiormente, colle palpebre di eguale altezza ; lingua crassa, a superficie liscia, ma con pieghe longitudinali; coda lunga, co- nica, assottigliata. L’ armatura più o meno ovale; meno forte e meno pesante di quella della Testudo; non mai molto conves- sa, ma anzi notabilmente depressa; i due gusci connessi fra loro per ligamenti elastici. | 84 BETTA III. FAM. CHELONIAE Gen. CHELONIA BRONGN. Gambe depresse, pinniformi, le anteriori molto più lunghe delle posteriori, fornite di seudetti piani; le dita, quantunque composte di pezzi distinti, non possono per alcun modo moversi le une sulle altre; due sole unghie per ciascuna gamba ; testa piramidale; mascelle assai forti, la superiore alquanto adunca 5 timpano invisibile; lingua liscia, larga, carnosa e mobile; coda brevissima e conica. L’ armatura compressa, assai larga, cordi- forme, leggermente carenata lungo il centro. L'animale non può - ritirare sotto allo scudo nè la testa, nè le gambe. I Chelonit, che come già si disse furono da. Linneo compresi nell’ unico suo genere Testudo, erano dai prece- denti autori collocati fra i Quadrupedi colla speciale ca- ratterizzazione di ovipari, nei quali erano così non meno | annoverati e confusi i coccodrilli, le lucerte, le rane, ed in genere gli altri mostri Saurii e Batraci a quei tempi conosciuti. La riunione dei Chelonii ai Serpenti degli anti- chi è dovuta allo Svedese Naturalista, che nell’ immortale suo Systema Naturae li comprese in due gruppi nella Clas- se INI. del regno animale, distinta colla speciale denomi- nazione di Anfibj (Amphibia). Ancora dopo Linneo però ommesso dal Laurenti (1768) di comprendere i Chelonii fra i rettili, e dal Conte di Lacépéde (1788-90) nuovamente designati fra i Quadrupedi ovipari con coda, vennero final- mente alla Classe dei rettili restituiti da Alessandro Bron- gniart (1799-1800), al quale deve anzi la scienza la più naturale distinzione di questi nei quattro ordini oggidi | universalmente accettati, e nell’ ultima dei quali vennero compresi i Chelonii, ch’ esso divise nei suol’ due generi. | ERPETOLOGIA 85 Testudo e Chelonia, da noì adottati. Qualche anno dopo (1803) lo stesso Brongniart aveva specialmente distinte sotto il nome di £wys le testuggini fluviatili, ma quel genere fu poi dal Wagler (1830) circoscritto e caratteriz- zato nei limiti nei quali è quì pure accettato. Alla particolarità dell’ armatura ossea che copre e pro- tegge il loro corpo devono i Chelonii tale loro denomina- zione (*). Questa difesa varia in dimensioni e grossezze secondo i generi e le specie, ed i suoi colori non hanno in generale che poche ed oscure tinìe e gradazioni. Sono i soli rettili che abbiano un collo veramente distinto, il quale quantunque più o meno lungo secondo le specie, non ha mai più di otto vertebre, avendo soltanto nel pri- mo caso maggiore estensione nei varj pezzi. Le narici molto riavvicinate, si aprono sulla punta del muso, e odorato è generalmente poco sviluppato. Gli occhi sono di piccole dimensioni, provvisti di tre palpebre, due esterne e la terza interna o nittitante, le quali lubricano l occhio di un umore che esse separano ; la vista è eccellente. La bocca non ha denti; le mascelle hanno quasi sempre una guaina cornea, analoga al becco degli uccelli; rare volte sono coperte semplicemente da una buccia coriacea. La lingua - è semplice, breve, carnosa, depressa, erassa, ma non sorte dalla bocca di cui riempie tutta la cavità; 1’ or- gano del gusto nei Chelonii è evidentemente più proprio ‘alla percezione dei sapori che non negli altri rettili, e ciò perchè |’ animale mastica realmente il cibo, e deve poter assaporare gli alimenti. Benchè non esistano orecchie ap- parenti | organo dell’ udito è perfettamente sviluppato, ma non consta con certezza la finezza di tale senso. At- (*) « A testa qua tegitur Zesfudo nomen habet.» (Plinio. ) 86 BETTA tesa la natura e la disposizione bizzarra dei tegumenti sembrano privi di sensibilità esterna. Il tatto attivo è an- che molto debole, e servono ad esso le regioni del collo, la coda, la parte posteriore «dell’ addome e dell’ origine delle membra, qualche volta in tutta la loro estensione, essendo queste le sole parti coperte da pelle flessibile. La sensibilità organica od interna sembra al contrario svilup- pata ad altissimo grado, in modo che gli organi benché tagliati e ‘separati dall’ individuo conservano per lungo tempo qualche loro propria facoltà, ciò che meglio puossi riconoscere nella irritabilità muscolare che manifestasi con movimenti nelle estremità, od in altre parti carnose, an- che molti giorni dopo la morte. apparente dell’ animale. I Chelonii mangiano poco e non prendono più alimento di quello che esigano le loro perdite. Sono quindi consi- derati come esseri assai sobrii. I loro tegumenti rivestiti di lamine impermeabili all’ acqua, ed opponentesi a tutte le esalazioni o perdite di umori, fanno sì che le Testuggini non provino necessità naturale di bere. In qualche. circo- stanza forzate per l’ eccessivo caldo o pel freddo a riti- rarsi completamente nel loro scudo, come alcuni Molluschi nella loro conchiglia, le Testuggini, sopratutto quelle di terra, cadono in una specie di torpore o letargia, durante la quale non vedonsi eseguire il benchè minimo movi- mento, osservando perciò una astinenza volontaria o for- zata per tempo anche assai lungo, e che pretendesi essersi in qualche caso protratto al di là di un anno. I articolazione delle loro mascelle presenta 1° impor- tante particolarità che mancando all’ inferiore ogni movi- | mento all’ innanzi, all'indietro o laterale, rende quasi im-' Ì possibile far loro abbandonare la preda o quanto hanno | abboccato. ERPETOLOGIA 87 I polmoni si estendono nella cavità dell’ addome, e le loro cellule sono assai grandi. Poichè manca il diafranuma, e il torace non può dilatarsi in aleun verso, la respira- zione è secondata soltanto dai muscoli del collo e dall’ ad- dome. Chiuse stando le mascelle, l’aria si introduce nelle fauci per le narici, viene spinta per la trachea nei pol- moni, e ripetendosi allora due moti consecutivi dell’ osso ioide, col favore di questo ha luogo la respirazione. L' eso- fago è molto lungo, e nelle nostre Chelonie vedesi inter- namente munito di punte lunghe, cartilaginose, delle quali i margini liberi sono diretti verso lo stomaco, destinate a quel che sembra per opporsi al ritorno degli alimenti; ciò però che è assai singolare giacchè in generale nutronsi soltanto di vegetabili e piante marine. Toccate queste generalità nella storia dei Chelonii, 0s- servasi in particolare relazione alle tre. nostre famiglie come la prima, vale a dire quella delle Testuggini terre- stri, Chersiti (*) di Duméril, comprenda specie che desti- nate per la stessa conformazione delle loro gambe a vi- vere sulla terra, abitano soltanto i boschi ed i luoghi ben provveduti di vegetabili, tenendosi anche sovente in vici- nanza delle acque, quantunque non vadino mai in esse. Camminano lentamente ed a stento. All’ avvicinarsi ‘del- l'inverno scavano colle zampe, ed a poca profondità nel suolo una specie di tana ove, nei climi temperati, riman- gono in letargo durante la fredda stagione. Si nutrono di molluschi terrestri, ma specialmente di vegetabili, e tra questi pajono dare un’ assoluta preferenza, almeno in stato di schiavitù, alle /attughe. Piuttosto che tagliare, lacerano le foglie che tengono per ciò ferme al suolo colle loro (*) xsogatos, xeggivos, terrestre. 88 BETTA zampe anteriori, e presane una parte fra le mascelle la staccano ritirando prestamente la testa. Possono ridurre interamente sotto l’ armatura il collo, la testa, le zampe e la coda, nel qual caso la pelle : del collo, mobile e non aderente alle pareti, costituisce una specie di fodero in cui la testa trovasi ricoverata quando l’animale la fa rientrare sotto allo scudo. Le femmine sono in generale più grosse dei maschi, e questi hanno spesso la coda più dilatata alla base, ed in confronto più lunga. Il canale della loro cloaca è più al: lungato e le labbra tumefatte, specialmente all’epoca della fecondazione. I sessi rimangono uniti pel corso di varj giorni, ma in generale non sembra che convivano assieme. Le nova sono sferiche od allungate, molto solide e non flessibili come quelle dei serpenti; il loro numero è vario secondo le specie; vengono deposte in una tana, e la ma- dre non prendesi cura alcuna nè di esse nè tampoco dei piccoli che nascono. AI sortire dall’ uovo le ‘piccole testuggini hanno lo scudo quasi emisferico e quasi piano, ‘anche in quelle stesse specie che ad età matura lo hanno molto allungato e convesso. Nel centro del loro sterno vedonsi alcune parti membranacee o fontanelle, ed i giovani portano; nascendo, all’ estremità del loro becco una protuberanza, o piuttosto una punta cornea che loro serve a spezzare il guscio del- I uovo. | Le testuggini palustri od Emidi, Eloditi (*) di Duméril; presentano una conformazione di piedi che le rende atte perfettamente a camminare sulla terra, ed a nuotare tanto: alla superficie che nella profondità delle acque. Formano‘ (*) “Edos, palude. ERPETOLOGIA 89 esse quindi la naturale transazione dalle testuggini affatto terrestri a quelle eminentemente acquatiche o Potamiti (*), (terza delle quattro famiglie in cui dividesi 1’ ordine), le quali poi costituiscono l’ altro anello di congiunzione colle specie marine. Sogliono esse fare abituale dimora presso le sponde dei laghi e delle acque tranquille, nelle quali nuotano con agilità. Sopra terra camminano con abbastanza: di spedi- tezza. Il loro scudo, come già si è detto, è meno forte e meno pesante di quello delle testuggini terrestri, non mai molto convesso, .ma al ‘contrario notabilmente depresso. In generale le Emili possono come le Testuggini terrestri, ritirare sotto allo scudo il collo colla testa, le gambe e la coda. Nutronsi pressochè unicamente di sostanze animali, purchè si movano o diano qualche segno di vita. Danno specialmente la caccia ai molluschi fluviatili, ‘ai Batraci, e mangiano.anche i vermi e gli annellidi. Passano la stagione cattiva fuori dell’ acqua, entro bu- che poco profonde. L’ atto della fecondazione dura lungo tempo, ed i sessi rimangono uniti per molte settimane, ma in una sola epoca dell’ anno. Le uova vengono depo- ste in cavità poco profonde che le femmine scavano nella terra presso a poco come le Testuggini terrestri, preferendo a quest’ uopo le sponde delle acque ove esse dimorano, affinchè i piccoli sortendo dall’ uovo possano, gettandosi in tale elemento, difendersi dai molti loro nemici che di- versamente ne farebbero distruzione. Tanto però delle uova che dei piccoli non consta avere le madri maggior cura di quella che hanno in generale tutti i rettili per la loro prole. Le uova sono bianche, generalmente sferiche, a gu- (*) Florautos, Motauoc fluvialile, fiume. 90 BETTA scio calcareo; ed il loro numero, che è è sempre molto con- siderevole, varia secondo le specie e probabilmente secon- do l’ età e lo sviluppo delle femmine, le quali sono atte a generare ancora alcuni anni prima d’ aver compiuto il proprio accrescimento. | o Come nelle terrestri anche nelle specie di questa fami- glia, lo sterno dei giovani presenta nel centro alcune parti membranacee o fontanelle, ma chie tardano molto: di .più ad ossificarsi e sparire, osservandosele ancora in individui che già hanno sorpassato il secondo anno di età ed an- che più. Finalmente le Chelonie, Talassiti (*) di Duma ‘hanno una struttura e conformazione tale delle loro membra da non poter essere confuse colle precedenti famiglie, e da corrispondere al loro modo di vita essenzialmente limitato | all'acqua. La forma assai depressa del loro scudo, e la disposizione e forma delle loro zampe non sono atte che all’azione del nuoto. Questi animali mancano d’ogni mezzo per attaccarsi ai corpi solidi, ma per ciò stesso le loro membra sono atte ad appoggiarsi sull’ acqua mentre vi tengono immerso il corpo, ed a percuoterla a guisa di remi movendosi con mirabile sveltezza. | Le Chelonie vivono sempre nelle acque del mare e sembra che non ne sortano che al tempo della deposizione delle uova. Dicesi però che alcune volte siansene vedute talune trascinarsi durante la notte sulle spiaggie e sul margine degli scogli in alto mare, per pascervi varie piante che prediligono assai. Ma poste a terra si movono e pro- grediscono con molta pena ed a gran stento. Possono stare lungo tempo immerse nell’ acqua per la grande ampiezza (*) Oxazzios. Oadarzi0s, marino. ERPETOLOGIA . 94 dei polmoni, e pel meccanismo della loro respirazione. È speciale ad esse la facoltà di produrre dei suoni gutturali e rumorosi; mentre nelle due precedenti famiglie manca affatto la voce, e non manifestano che un muto sibilo quando vengono prese od irritate. Nutronsi principalmente di piante marine, ma anche qualche volta di Crostacei e di Molluschi. Non possono mai ritirare sotto allo scudo nè la testa, nè le zampe. Il pri è in generale più piccolo n femmina. | L’ epoca della fecondazione è il più ord ribanninee al rinnovarsi della stagione, ma non sono ancora ben cono- sciute le circostanze che precedono od accompagnano l’atto relativo. L'unione dei due sessi dura per lungo tempo, e nell'acqua. Non si accordano gli autori sul modo col quale essa succede, pretendendo alcuni che il maschio resti per tutto questo tempo sul dorso della femmina; asserendo altri averli osservati a contatto col rispettivo sterno, e colla testa sollevata fuori dall’ acqua. Secondo altri, avve- nuto ùV accoppiamento, resterebbero attaccati ed opposti l'uno all’ altro come succede nella razza dei cani. Le femmine depongono le. uova a terra, e per ciò ese- ‘guire sortono dal mare di notte tempo e con. moltissime precavizioni. Trovato sulle sviaggie sabbiose il luogo oppor- tuno, che per un mirabile istinto scelgono sempre a di- stanza ed elevazione tale cui non possano giungere le alte maree, e fattavi una fossa di circa due piedi di diametro, ivi depongono, e nella stessa notte, fino a cento uova per volta, compiendo fino a tre parti successivi con due o tre settimane d’ intervallo. Le uova sono perfettamente sferi- che, variano di grossezza, e la loro membrana è alquanto flessibile all’ istante in cui vengono deposte, quantanque coperta di un sottile strato di materia calcarea, poco po- 92 | BETTA e rosa e bianchissima. L’ albume è un po’ viscoso, di color quasi olivastro, ed in alcune specie d’ odore quasi simile al muschio. N tuorlo è di color più o meno rancio secondo le. varie specie. Dopo deposte ‘vengono coperte dalla madre con un sottile strato di sabbia, ed essa si ritira nuovamente nel mare lasciando che i raggi solari dei climi equatoriali li facciano schiudere; ciò che succede in 45 a 20 giorni. Asseriscono gli autori che i maschi accompagnino a terra le femmine mentre vi vanno a deporre le nova. I piccoli che sortono sono biancastri, molli, e subito si diriggono al mare, nel quale però non si tuffano che a stento e dopo aver fatto come una specie di esercizio. 0 di prove. I moltissimi loro nemici ne scemano d’ assai il prodigioso numero, facendone preda gli uccelli carnivori lorchè si preparano ad immergersi nelle acque, ed i pesci voraci ed i coccodrilli quando poi vi si possono immergere. Grandissima è l’ utilità che questi animali ci prestano agli usi della vita, tanto per la squisitezza delle uova, per la salubrità delle carni, cibo specialmente prediletto agli Inglesi, quanto per |’ olio ed il grasso che se ne ricava, e per essere adoperati i loro gusci e le loro scaglie, come ognuno sa, in parecchi lavori sotto il nome di, tartaruga. A preferenza d’ogni altra serve a tale uso la Chelonia im- bricata Schweigg., che vive nell’ Oceano Indiano, e nel- l’ Oceano Americano. | Le Chelonie arrivano talvolta a grandissime dici | Si dà loro la caccia in mare col rampone, o molto più facil- mente a terra aspettandovele quando vengono a deporvi le uova. In tal caso i cacciatori non fanno che rovesciarle supine, nella qual posizione si dibattono agitando invano I le zampe per tentare di volgersi, e vengono poi anche un |‘ giorno dopo a levarle secondo il bisogno. | EFERPETOLOGIA 93 I. Fam. Testudines. Gen TESTUDO BRONGN. TESTUDO GRAECA Linn. + est Sinti dll; comune, Testuggine greca. Veneto. Tartaruga, Gajandra. CABATTERI. Guscio superiore dell'armatura ossea molto convesso, di forma ovale, intiero, um poco più largo al di sotto. Le due piastre posteriori sopra la coda inlesse all’ingiù e colla punta alquanto incurvata all'indentro; coda mediocre, armata d’ unghia all’ apice. Animale di color giallo pallido tendente al rerdasiro: armatura gialla, più o meno macchiata di nero. SINONIMIA. Testudo tervestris Plin. Hist. lib. 32. cap. 4. — — Gesner Quadr. ovip. p. 107. Testudo graeca Linn. Syst. Nat. I. 3552. sp. 10. — — Gmel. Syst. Nat. I. p. 1043. — — — Schneid. Schildkr. p. 358. — — Schòpf Hist. Testudin. p. 38. t. 8. _ — Latr. Hist. Rept. I pag. 65. t. 2. f. 2. —_ — Daud. Mist. Rept. II. p. 248. I — — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 44. sp. 9. _ — — Wugl. Syst. Rept. p. 138. 94 BETTA Testulo graeca Cuv. Régne anim. p. tu. i — i — . Zonap. Fauna ital. cum tab. — (0 —. (Dum. et Bibr. Erpètol. II. p. 49. — — Fitz. Syst. Rept. p. 29. | i — Betta Cat. syst. Rept. p. 9. dro Hermanni Gmel. Syst. Nat. p. 10141. — — Schneid. Schildkr. p. 348. Testudo geometrica Briinn. Spol. Adriat. p. 92. Che'sine graeca Merr. Syst. Amph. p. 54. — — Gravenh. Delic. Mus. Vratisl p. 49. sp. 3. Pestuggine di lerra Cetti Anfib. Sard. II. p. 7. FORME. . Capo tetragono, tanto largo che alto, più grosso del collo, compresso ai lati, conformato a cuneo nella parte anteriore, troncato all’apice. Narici piccole, rotonde; occhi poco prominenti, coll’ iride bruna; mascella superiore adunca all’ apice, con una piccola intaccatura per parte presso il medesimo. Collo coperto da una pelle granulosa, rilassata, che si ripiega sul capo fino agli occhi a guisa di cappuccio quando l’animale ritirasi sotto l'armatura; zampe clavate, coperte da pelle granulosa rilassata sino al gomito ed al ginocchio, vestite nel resto di scaglie più grandi, embricate. Unghie oblunghe, smussate, alquanto più lunghe nelle zampe posteriori. Coda coperta pure di scaglie em- bricate, conica, grossa alla base; assottigliata ed armata all’ apice di un’ unghia lunga e curvata all’ ingiù; con- vessa pel di sopra, piana al di sotto; più lunga nei ma- schi che nelle femmine. | Armatura ossea variabile per la forma, ma general. mente di figura ovale, un poco più larga al di sotto che ERPETOLOGIA 95 al davanti. Dorso molto convesso, talchè la maggior al- tezza del guscio uguaglia la metà della sua lunghezza. Le piastre sono segnate da solchi concentrici, profondi,. con un campo centrale punteggiato in rilievo, marcato all’ in- giro da solco distinto, dagli angoli del quale partono al- cune strie rilevate, rettilinee, che scorrono verso l’ angolo corrispondente della circonferenza. Coll’ età però quel cam- po sparisce e le piastre risultano liscie, non conservando che alcune strie concentriche e presentando solo una leg- giera elevazione nelle loro areole. Tutte le piastre dorsali rigonfie; la prima pentagona, le tre seguenti esagone, più larghe che lunghe, specialmente quelle di mezzo: la se- conda ha il suo margine anteriore un poco meno largo che il posteriore, e così viceversa la quarta; la quinta pen- .-tagona col margine posteriore arcuato. Piastre costali meno rigonfie; la prima tagliata pressochè in figura di un qua- drante di circolo, arcuata nel margine che si unisce a quello della prima dorsale; le altre quasi rettangolari, più larghe che lunghe, col margine esteriore leggermente arcuato. Le piastre marginali sono in numero di venticinque. Di queste, una sovrasta al collo, ed è breve, piana, due e generalmente tre volte più lunga che larga; due posteriori sopra la coda inflesse all’ ingiù, colla punta alquanto in- curvata all’ indentro, e costituente un quadrilatero di cui la larghezza superiore può essere contenuta presso a poco due volte nella inferiore. In qualche raro caso queste pia- stre si uniscono e si solidificano fra esse in modo da si- mularne una sola, continua, e senza qualsiasi traccia di divisione. Le altre undici paja laterali sono pressochè ret- tangolari col lembo esterno sottile, e più o meno tagliente; quelle che unisconsi al guscio di sotto si inflettono all’ ingiù ed hanno il loro margine inferiore piegato all’ indentro. 96 BETTA Lo sterno o piastrone è elittico, anteriormente quasi. lungo come il guscio superiore, rotondato, con una intac- catura nel margine; posteriormente è molto più breve del superiore; tagliato ad angolo rientrante, quasi piano nel mezzo, leggermente convesso ai lati. Il piastrone è piano nelle femmine, alquanto concavo nei maschi. Le due pia- stre golari hanno figura di triangolo equilatero; le seguenti quadrilatere; le pettorali assai brevi; le addominali più lunghe delle altre, e sono le sole che si espandano e giun- gano a contatto del guscio superiore, col punto di riunione segnato da linea irregolarmente flessuosa. Lo scudetto so- pranumerario frapposto ai gusci verso gli arti anteriori d’ambedue i lati, è triangolare, due volte più lungo che largo, e troncato all’ angolo esterno : quello che sta verso sli arti posteriori è triangolare, equilatero. COLORITO,. Ad eccezione d’ un color grigio-brunastro che mostrasi sul muso, sulla faccia interna delle zampe anteriori e sulla parte posteriore di quelle di dietro, tutto l’ animale è di una tinta giallo-pallida tendente al verdastro. Il becco e le unghie sono pure verdastre, ed in qualche esemplare brunastre le unghie delle zampe posteriori. L’armatura ossea è gialla macchiata di nero, e questal due tinte prendono ora luna ora l’ altra il maggior campo, in modo da risultare quando il nero, quando il giallo il color predominante. Questo ‘secondo colore è però quello che più generalmente primeggia, e credo raro il caso of- ferto da un esemplare della mia Collezione, pervenutomi dalla Romagna, nel quale il color nero tinge quasi per intiero la superficie del guscio superiore. } | pr ———————tt1t1tr[tru1m ERPETOLOGIA 97 Le piastre dorsali hanno una fascia nera lungo i mar- gini anteriore e laterali, e sulla loro sommità è segnata una macchia nera che si stende irregolarmente verso il davanti. Nelle piastre costali la. fascia spiegasi nel loro | margine anteriore ed inferiore, dal quale spandesi poi più o meno largamente verso il mezzo delle piastre stesse. Nelle piastre marginali la macchia nera è cuneiforme, e sortendo dall’ angolo posteriore ed esterno sale, più o meno dilatandosi, verso l’ angolo diametralmente opposto. Meno sensibili sono le macchie nelle piastre marginali anteriori. Il guscio pel di sotto è di un giallo meno carico, e le macchie sono disposte in modo da formare due fascie nere longitudinali, molto larghe, poco distanti fra esse, ed ir- regolarmente interrotte lungo alcune delle commessure trasversali delle piastre. ‘Le tinte e la disposizione delle macchie variano assai negli esemplari, e secondo anche |’ età degli individui. Nei giovani il fondo del guscio superiore è di un giallo molto più pallido, e le macchie nere non sono sempre dis- poste nello stesso ordine. La loro armatura tende più alla forma orbicolare, e le piastre del dorso sono occupate per la massima parte dallo spazio depresso, poligono, punteg- giato in rilievo, intorno al quale si contano pochissime strie concentriche. In qualche individuo giovane le piastre dorsali e costali sono tanto convesse da risultarne un solco assai profondo nel punto delle rispettive commessure. DIMENSIONI. Pare che questa specie non oltrepassi la lunghezza totale di centimetri 28, compresa la testa, il collo e la coda; ed in tal caso l’ armatura ossea risulta Junga poco 7 98 BETTA più di 23 centimetri. Uno dei maggiori esemplari della mia Collezione ha il guscio della lunghezza di 24 e della larghezza di 16 centimetri: mentre quelli che generalmente vedonsi fra noi misurano la lunghezza di centimetri 18 a 20, colla larghezza di 13 a 45. ABITAZIONE E COSTUMI. La patria della testuggine greca sembra limitata ad una porzione dell’ Europa meridionale, vale a dire alla Grecia; alla Dalmazia, all’ Italia meridionale ed alle principali isole del Mediterraneo. Non è ancora provato con certezza ch’ es- sa trovisi anche nella Spagna e nel Portogallo, come qual- cuno avrebbe asserito. Ora esiste anche nel mezzogiorno della Francia, ma vi fu importata dall’ Italia. Nelle provincie Venete non trovasi che trasferita dalle località suavvertile, e vive nei giardini, negli orti e nelle | case. Nutresi di erbe, di radici, di vermi, di insetti e di lu- | mache, e libera così i giardini, nei quali viene conservata, da molti animali nocivi. Fra tutti i vegetabili dà una | speciale preferenza alla /attuca. Fa sua prediletta dimora nei terreni sabbiosi ed imboschiti. Teme 1’ umido; ed. al | l’incontro ama riscaldarsi ai raggi del sole, come la mag- gior parte dei rettili. All’ avvicinarsi dell’ inverno scavasi una tana alla profondità di circa due piedi, ed intorpidita vi passa tutta la cattiva stagione, non sortendone che nella primavera, o secondo le condizioni termiche del | paese e della stagione, anche non prima del Maggio. Quando esce da tale ritiro si accoppia più o meno | presto secondo il clima, ed in tale occasione, tuttochè .i' suoi costumi siano tanto mansueti, accade non di rado ERPETOLOGIA 99 che i maschi ingelositi combattano fra loro pel possesso della femmina. Il dottissimo naturalista Bibron narra. d’ avere parecchie volte assistito nella Sicilia a queste lotte, che. succedevano con un accanimento da non cre- dersi. I due maschi si mordono specialmente alla regione del collo cercando di rovesciarsi a vicenda sul dorso, e la lotta effettivamente non termina che quand’ uno dei due rimanga vinto in tal modo. | La femmina partorisce verso la metà dell’ estate, de- ponendo in un piccolo buco ben esposto al sole da quattro a dieci uova bianche, sferiche, della grossezza di una noce, che ricopre poi di terra non prendendone cura alcuna, non altrimenti che dei novelli che ne nascono al principio d’ autunno. L'animale appena nato ha un pollice di lun- ghezza, e cresce poi lentamente. La testuggine greca può sostenere lunghissimi digiuni, e si hanno esempj d’ individui conservati vivi per dieci mesi e più senza che mai avessero preso nutrimento di sorta. Animale pacifico e tranquillo può essere facilmente addomesticato. Vive lunghissimo tempo, potendo giungere fino all’ età di 40 anni: Cetti ne ha veduto uno in Sarde- gna che contava 60 anni di domesticità, e secondo il Prin- cipe Bonaparte può vivere anche fino a cent’ anni. La tenacità della vita di questa testuggine è appena credibile. Individui ai quali fu troncata la testa diedero segni di vita anche dieci e quindici giorni dopo. ll sommo fisico Redi avendo aperte quattro testuggini dopo dodici giorni dacchè aveva loro tagliata la testa, trovò che il cuore palpitava, che il sangue circolava, e per con- seguenza che vivevano ancora. Un’ altra testuggine cui aveva fatta una larga apertura nel cranio levandone il | cervello, e che aveva poscia rimessa in libertà, dopo tre 4100 BETTA giorni aveva di una nuova pelle coperta |’ apertura del cranio, e benchè priva della vista si moveva, camminava, restando ancor viva per circa sei mesi. | ‘Quando un’ individuo venga rovesciato sul dorso. può sempre ripigliare la sua naturale positura, benchè talvolta con molto stento, specialmente se il terreno sia perfetta- mente piano. A ciò si sforza non solamente coll’ ajuto delle zampe, le quali non può stendere abbastanza da toc- care la terra, ma valendosi più opportunamente della testa e del collo, coi quali si appoggia con forza contro il ter- reno dondolandosi ora dall’ uno ora dall’ altro lato, finchè abbia trovato il luogo più inclinato e che quindi le oppone minor resistenza, per cui ripiegandosi incontra facilmente la terra colle zampe e si rimette sui piedi. , Nell’ Italia centrale e meridionale, in Sicilia, in Sarde- gna, la testuggine greca vendesi sui mercati, e la sua carne non dispiace. Se ne preparano anzi intingoli graditi, ma | più che alla carne dassi lode di squisitezza al brodo che con essa si ottiene. riocazzane —__ Gen. EMYS C) (BRONGN.) WAGLER. ERPETOLOGIA Il Fam. Emydae. EMYS LUTARIA (°°) Merrem. Ital, Emide Europea. Ven. Tartaruga, Gajandra, Bissa scudelara, Zaba, Copasse, Magna Copasse, 0 Copasse di aghe. CARATTERI. 404 Guscio superiore dell'armatura poco convesso, più o meno depresso, di forma ovale, subcarenato nel mezzo. Coda piuttosto lunga. Animale di color nereggiante punteggiato di macchiette gialle più o meno sparse, e più o meno dilatate. Armatura nerastra con gran numero di punti o piccole striscie gialle. Testudo lutaria Gesn. Quadr. ovip. IT. p. 143. f. bd. (*) fuvs, testuggine. Aristot. Hist. anim. MI. p. 17. (**) lutum, fango. SINONIMIA. Linn. Syst. Nat. p. 5327 Briinn. Spol. Adriat. p. 94. Gmel. Syst. Nat. p. 1040. Schneid. Schildkr. p. 338. Latr. Hist. Rept. I. p. 112. Shaw Zool. HI. p. 32. 402 BETTA Testudo lutaria Daud. Mist. Rept. II. p. 118. Testudo orbicularis Linn. Syst. Nat. p. 354. = — Gmel. Syst. Nat. p. 1039. | _ —_ Lanfossi Saggio stor. nat. p. 535. Testudo punctata Gottw. Schildkr. tab. K. f. 12. Testudo Europaea Schneid. Schildkr. p. 323. — — Schòpf Hist. Testud. p.A. t. 4. — — LZatr. Hist. Rept. I. p. 103. — — Shaw Zool. INT. p. 30. —_ — Sturm Fauna III. 3. tab. f. a. d. c. — _ Cuv. Régne anim. p. 15. Testudo flava Daud. Hist. Rept. II. p. 107. Testudo meleagris Shaw Miscell. IV. p. 144. Emys lutaria Merr. Syst. Rept. p. 24. (excl. var. y.) — — isso Hist. III. p. 83. i = — Gravenh. Delic. Mus. p. A1. sp. 2. _ — Bonap. Fauna ital. cum tab. —_ — Betta Cat. syst. Rept. p. 9. — — Massal. Saggio p. 34. Emys Europaca Schweigg. Prodr. Archiv. p. 304. — — Wagl. Syst. Amph. p. 138. —_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 458. sp. 8. — _ Fitz. Syst. Rept. p. 29. Terrapene Europaea Bell Zool. Journ. T. II. p. 299. Cistudo Europaea Gray Syn. Rept. p. 49. _ —_ Dum. et Bibr. Erpétol. II. p. 220. Testuggine di fiume Cetti Anfib. Sard. p. 41. FORME. Capo un poco più largo che alto, subtetragono, più grosso del collo, compresso ed attenuato nella parte ante- È riore, colla fronte declive e col muso brevissimo, troncato. | Narici piccolissime, rotonde; occhi leggermente prominenti, | me —— —— FRPETOLOGIA 408 coll ‘iride fulva. Mascelle taglienti, non dentellate. Collo vestito di pelle non aderente, granulosa. Zampe coperte da scaglie cornee, leggermente embricate, più larghe che alte, molto depresse e col margine inferiore diritto. Unghie me- diocremente lunghe, leggermente arcuate ed acute. Coda lunga, comica, assottigliata, coperta da pelle scagliosa ; co- stantemente più lunga nei maschi e più dilatata alla base che non nelle femmine, nelle quali |’ apertura della cloaca si trova anche situata meno in addietro. Armatura ossea assai variabile nella sua forma, e ben- chè sia sempre un poco più larga alle coscie che non al di sopra, presentasi talvolta d’ una forma ovale assai al- largata e tal’ altra ovale allungata. Nel primo caso il dorso è notabilmente depresso, mentre nel secondo è piuttosto ‘elevato. Le piastre sono liscie o segnate da solchi concen- ‘trici poco profondi, con l’ aja centrale punteggiata in ri- lievo. Il guscio superiore è convesso, a sommità depressa, ‘e segnato da una carena longitudinale più o meno distinta ‘secondo l’ età, ma sempre e molto visibile nel tratto po- ‘steriore del dorso; alquanto incavato pel davanti; un poco smarginato posteriormente. Piastre disposte come nella Testudo graeca e nello stesso ‘numero, vale a dire di cinque dorsali, otto costali, e ven- ticinque marginali. Le dorsali assai larghe; pentagona la prima, esagone le tre di mezzo, delle quali Ia seconda e la terza hanno i margini anteriore e posteriore presso a ‘poco della stessa larghezza; la quarta è molto più stretta posteriormente, e l'angolo che formano le faccie laterali è acuto invece che ottuso come nelle precedenti; la quinta dorsale posteriore presenta una forma ottangolare. Com- messure delle piastre non rette, ma leggermente flessuose. Le costali sono pure assai larghe; le marginali all’ opposto 404 BETTA molto anguste e coll’ orlo esterno in direzione orizzontale, massime nella metà posteriore del guscio. La piastra mar- | ginale impari sovrastante al collo è piccola, due e. quasi | tre volte più lunga che larga. Quando l’ animale ha raggiunto il maggiore suo svi- luppo è ben raro che le piastre del dorso presentino l’ aja | punteggiata e le strie concentriche, le quali invece sono distintissime nei giovani. Qualche volta però si manten- gono distinte anche in qualche esemplare adulto, ma al- lora le strie sono molto discoste fra esse e quindi poco numerose, e le aje sono piccole e situate, nelle piastre dorsali e nell’ ultima costale al mezzo dei loro margini posteriori, nelle altre costali pure posteriormente ma più al di sopra, e nelle marginali nel loro estremo angolo in- feriore posteriore. Queste aje poi risultano in tutti gli in- dividui tagliate a mezzo dalla carena del dorso, la. quale presentasi elevata e liscia. Lo sterno è ovale, più o meno allungato secondo che più o meno lo è il guscio superiore, leggermente troncato sul davanti, tagliato ad angolo rientrante poco profondo | nella parte posteriore. La sua superficie non è perfetta- mente piana, ma leggermente convessa nelle femmine, e sensibilmente concava nei maschi. Le piastre della prima coppia sono triangolari; quelle della seconda pure trian- golari, ma coll’ angolo esterno curvilineo e l’ angolo oppo-. sto obliquameute troncato; le piastre pettorali ed addo- minali quadrilatere, rettangolari ; dilatate le primé verso l'esterno per la loro metà posteriore, altrettanto le se- conde verso l’ esterno ma per tutta quasi la loro lun- ghezza. pende da una cartilagine che permette all’ animale di ‘al- La commessura dello sterno col guscio superiore di- | Î | ERPETOLOGIA 405 zare od abbassare leggermente la parte anteriore o poste- riore dello stesso sterno. Nell’ Emys lutaria mantengonsi più a lungo quelle parti membranacee, o fontanelle, che vedonsi nel centro dello sterno dei giovani individui, e delle quali si è già altrove accennato. Nei giovani il guscio superiore è assai più arro- tondato, ed ‘oltre ai solchi marcatissimi delle piastre veg- gonsi varie protuberanze in quelle costali verso le mar- ginali. COLORITO. Un color nereggiante domina sul muso, sulla fronte, sulla mascella superiore, sulle zampe e sulla coda dell’ ani- male. La mascella inferiore ha una tinta giallo-olivastra, e la pelle dei fianchi è d’ un giallo pallido. Sulla testa, sul collo, sulle spalle, zampe e coda vedonsi. molte mac- chiette gialle più o meno sparse, e più o meno dilatate. Il guscio superiore è di color nerastro più o meno carico, qualche volta ‘anche bruno-rossastro, sul quale spicca un numero grande di punti o di piccole striscie gialle, ora vicine le une alle altre, ora assai lontane e di- sposte in modo da costituire dei raggi diretti dal centro alla circonferenza delle piastre. Lo sterno è d’una tinta giallastra uniforme, o mac- chiata di un bruno marrone che talvolta non si mostra che verso il centro delle piastre, e tal’ altra si estende su quasi tutta la sua superficie. In alcuni individui il guscio supe- riore è tutto di color nero-brunastro con rarissime e quasi invisibili lineette giallastre, ed in tal caso lo sterno è fosco. I giovani hanno gli stessi colori degli adulti, e solo veggonsi meno spiegate e meno numerose le punteggiature e macchiette gialle. 406 B'E'TITVA DIMENSIONI. dat ; I La misura del guscio degli esemplari ordinarj è di cen- i timetri 40 a 43, rarissimamente 45, in lunghezza, e di 8. a 40, rarissimamente 43, in larghezza. Uno dei maggiori | esemplari della mia Collezione ha la lunghezza totale di centimetri 23, dei quali ne occupa 3 e 2 millimetri la te- I sta, 2 il collo e 5 la coda. I ABITAZIONE E COSTUMI. Questa testuggine palustre vive frequente nelle Provin- | cie Venete, e numerosa più che altrove raccogliesi nel bo- | sco di Chirignago presso Mestre. Nel Veronese trovasi nelle valli lungo il Tartaro; e così pure trovasi nelle paludi | euganee del Padovano. Vive anche nel Friuli nelle paludi Î prossime al mare, ed è colà detta volgarmente zada. È fra. noi conosciuta sotto il nome volgare di tartaruga, bissa | scudelara 0 scudelera, sotto la quale ultima denominazione è pure nota in Lombardia. ‘ | Alle acque correnti preferisce i laghi, gli asini le. paludi e le risaje, nelle quali ama tenersi nascosta fra; i vegetabili e la melma che ne vestono il fondo. Tal-. volta stando nell’ acqua si arresta immobile alla superficie per ore intiere. Si pasce specialmente di insetti, di mollu- | schi, di vermi acquatici e di pesci anche grandetti che .uccide e poi lentamente divora. Nuota colla massima agi. lità, ed a terra cammina con molta prestezza tenendo di- stesa in direzione orizzontale od ascendente Ja “00950 Lo vece che serbarla nascosta come la 7. gracca. o ERPETOLOGIA 407 L’ accoppiamento succede nell’ acqua e dura da due a tre giorni. La femmina depone le uova nel terreno asciutto e soleggiato, e sono bianche marezzate di cenerino. All’ av- vicinarsi dell'inverno questa testuggine abbandona le acque e si caccia dentro buche sotterranee non molto profonde, ove resta in letargo fino al ritorno della bella stagione. Ha vita lunga quanto la Testuggine di terra, e può sop- portare non meno lunghi digiuni. La sua carne viene mangiata dai pescatori benchè sia cibo molto mediocre, e sì pretende che riescano di un sapore molto migliore gli individui nutriti per qualche tempo con erba e pasta di crusca. | I L’incivilimento e l’ educazione attuale hanno già a quest’ ora tolti non pochi dei pregiudizj che ingombrarono la storia in genere di tutti i rettili, ed il tempo e l’ istru- zione compiranno l’ opera coll’ indebolire e far sparire fi- nalmente anche quei pochi che restano tuttora fra alcune persone del volgo. Favole e pregiudizj esistevano quindi anche intorno a questa testuggine, cui erano assegnate dall’ ignoranza efficacie medicinali e potenze veramente maravigliose. « Pei nostri buoni maggiori, scrive infatti il Prof. Gené (*), questa testuggine era una farmacia ambu- lante. Cotta con poca sale e non so quale misura d’acqua, guariva i morbi articolari. La sua cenere sanava dagli esantemìi e dalla podagra, il suo fegato dissipava la tisi, il fiele la cecità, il sangue I emicrania e la inveterata cefal- gia. Ma ciò che è più strano ed a mala pena credibile, si è che gli si attribuiva la misteriosa potenza di mettere in fuga e di dissipare le nubi temporalesche, sol che fosse portata in giro pei campi, distesa sulla mano destra e (*) Storia naturale degli animali. Vol. II. pag. 261. 408 BETTA colla pancia in su. Sfido i più sottili pensatori, conchiude | giustamente quel ch. autore, a trovarmi le relazioni che possono avere tra loro una testuggine rovesciata, ed i fe- nomeni dell’ atmosfera » . OSSERVAZIONE. Questa specie è sparsa in quasi tutta l’ Europa, vivendo. in Grecia, nell’ Italia e sue isole, nella Spagna, nel Porto- gallo, nella Francia meridionale, nell’ Ungheria, nella Ger-. mania e persino nella Prussia. ERPETOLOGIA 409 III Fam. Chelomae. Gen. CHELONIA BRONGN. 2-I CHELONIA CARETTA Gray. Ttal. Tartaruga caretta, o Caouana. Ven. Tartaruga de mar, Galana, Magna copasse de mar. CARATTERI. Guscio superiore dell'armatura alquanto allungato, assai largo, cor- diforme, leggermente carenato lungo il centro; tricarenato nei giovani. Animale ed armatura di color bruno marrone superiormente, di color biondo gialletto al di sotto. SINONIMIA. Testudo marina Aldrov. Quadr. ovip. p. 7412. — — Cacuana Ray Syn. quadrup. p. 287. | Testudo caretta Linn. Syst. Nat. p. 351. sp. 4. —_ — Walb. Chelon. p. 4 ct 98. TUE — Gmel. Syst. Nat. p. 1038. _ — Donnd. Zool. Beitr. II. p. 9. Schòpf H. Testud. p. 67. t. 16 et 16 B. adult. - — » H. Testud. p. 74. t. 17. f. 3. pullus. _ — Latr. Hist. Rept. I. p. 53. — — Shaw Zool. II. p. 85. t. 23-28. _ — | Cuv. Régne anim. p. 20. t. 6. f. 1. Testudo cephalo Schneid. Schildkr. p. 303. 140 BETTA Testudo Caouana Daud. Hist. Rept. IL. p. BI. t. 16. f. 2. Chelonia Caouana Schweiîg. Prodr. Arch. p. 292. — — Wagl. Syst. Amph. p. 41533. — — Gray Syn. Rept. p. 33. —_ — Dum. Bibr. Erpétol. II. p. 532. Caretta Caouana Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 44. sp. 3. Caretta cephalo Merr. Syst. Amph. p. 18. sp. 2. Chelonia caretta Gray Syn. Rept. p. 53. (fide Bonup. ) — — Bonap. Fauna ital. cum tab. - — Betta Cat. syst. Rept. p. 40. Thalassochelis Caouana Pitz. Syst. Rept. p. 50. Testuggine di mare Cetti Auf. Sard. p. 12. FORME. Capo grande e molto grosso, di forma piramidale, sub. | quadrangolare, e leggermente convesso al di sopra. Muso ottuso ed arrotondato; cranio coperto di piastre; mascelle | robustissime e senza dentellature sui margini, la superiore | alquanto adunca. Narici ovali, piccole; occhi coll’ iride | giallo-fosca, palpebre tubercolose. Le piastre che coprono | il cranio sono in numero di 20, delle quali quattro sulla | linea media e longitudinale, sedici disposte a paja in due ranghi laterali, l’ uno a dritta |’ altro a sinistra. La più! grande, o sincipitale ne occupa il centro, ed intorno ad. essa si attaccano dodici piastre minori disuguali fra loro, | cinque per lato, una anteriore ed un’ altra posteriore. La piastra anteriore, o frontale è assai stretta, di forma pen- | tagona; innanzi ad essa sonvi due altre paja di piastre non confinanti colla sincipitale, delle quali le posteriori sono pentagone ed hanno comune colla frontale uno dei loro margini. Le altre piastre cefaliche variano nelle loro forme, ed anche talvolta nel numero. Tre piastre, pure | ERPETOLOGI1A {41 variabili nelle forme, stanno collocate alle gote; sette ad otto più piccole occupano la regione del timpano, ed al- trettante le branche della mascella inferiore. Le zampe sono coperte da scudetti piani (grandi sopra e sotto le dita e lungo il margine posteriore dell’ antibrae- cio, piccoli e poligoni nel lato superiore ed inferiore), sono depresse, pinniformi, le anteriori allungate, le posteriori molto più brevi e rotondate all’ indietro. Le due prime dita di ciascuna zampa sono armate d’ unghia; l unghia del pollice è la maggiore, robusta, leggermente uncinata ; quella dell’ indice la minore, piana e schiacciata. Coda brevissima, conico-depressa; vestita di molte serie di pic- cole scaglie piane, e più corta nelle femmine. Armatura ossea ovato-cordiforme, molto dilatata, leg. germente carenata lungo la linea dorsale, molto declive sui lati, col margine anteriore quasi retto, obliquo sopra le braccia, e col margine posteriore incavato fra le due piastre sopracaudali; integro nel resto della circonferenza quando l’animale è molto vecchio; più piegato all’ infuori sotto le piastre sopracaudali che non altrove. La linea culminante del guscio descrive una curva saliente fino alla metà della prima piastra vertebrale, poscia fino al termine della terza percorre un piano quasichè orizzontale, indi-si curva in pendio all’ indietro. ale Piastre cornee, sottili e liscie. Le dorsali sono cinque, “un poco gibbose; la prima breve ma larga, esagona,. col i margine posteriore leggermente arcuato; le altre rettilinee. ‘Ta seconda e la terza piastra esagone, due volte. più lun- ghe che larghe, coi due angoli dei fianchi molto ottusi. La quarta, che è presso a poco della stessa larghezza e lun- ghezza della precedente, si restringe assai alla sua estre- mità posteriore. Finalmente la quinta arcuata transversal- 4142 BIEST FÀ mente, molto più larga nel senso transverso che non in senso longitudinale, a sei angoli, col lato anteriore più | piccolo del posteriore, e colle parti dei laterali, che. si uni-.| scono alle piastre marginali, corte più assai che la metà di quelli che toccano le costali. | si Cinque per lato sono le piastre costali; assai piccola la prima in confronto delle altre, a cinque faccie ineguali formanti tre angoli ottusi pel davanti, retto l° interno po- | steriore, acuto l’ esterno. La seconda simile «alla prima, | ma due volte più grande e col lembo marginale curvilineo. | La terza e la quarta tetragone, due volte più alte che | larghe. La quinta assai meno estesa delle precedenti, di forma romboidea coll’ angolo posteriore troncato. Si In numero di 27 sono le piastre marginali; la nucale | tre volte più larga che lunga, con due angoli ottusi al di | dietro, ed uno acuto ai lati. Il primo pajo seguente quasi | pentagono ; il secondo, terzo e quarto pajo tetragono-rom- | boidei; gli altri quadrilatero-oblunghi, allargandosi qualche | cosa di più il sesto, settimo ed ottavo; il penultimo pajo | e le piastre sopracaudali sono ancora più grandi, penta- | gone, subquadrangolari le prime, figurate a trapezio le | seconde ed alquanto acuminate all’ indietro. Benchè nei | varj esemplari nostrali da me esaminati le piastre margi: | nali mi sieno sempre risultate in numero di 27 compresa | l’impari nucale, è però bene avvertire come secondo il Principe Bonaparte possano anche variare dalle 25 alle 27. | Lo sterno cruciforme, ovato alle due estremità, si di-| lata più anteriormente che posteriormente. La piastra in: | tergolare è molto piccola ed a tre faccie; molto grandi al contrario le golari e di forma triangolare troncata ‘alla sommità. Le brachiali sono presso a poco quadrate; le pettorali di forma pentagona più larga che lunga, siccome ERPETOLOGIA 113 ‘Je addominali che sono però le maggiori di tutte; le fe- morali romboidee col’ lato esterno concavo-arcuato ; le ‘anali in figura di triangoli isosceli col lato esterno curvi- lîneo. Tre o quattro piastre trovansi a ciascun lato dello sterno situate sulle giunture di esso col guscio superiore, e sono o pentagone o di forma quadrata. Nei giovani individui l'armatura ha superiormente tre carene, delle quali una sulla linea mediana del dorso, le altre una per lato sulle piastre costali. Gli scudi vertebrali in luogo di essere due volte più lunghi che larghi, sono assaî dilatati trasversalmente, e di forma esagona romboi- dale. Il guscio è tettiforme, ed il suo contorno dal mezzo in giù apparisce fortemente dentellato per la sporgenza delle piastre marginali. Differenze queste tutte che spari- scono però coll’ avvanzare dell'età. Le due carene laterali sono le prime a mancare; e la mediana, che nei vecchi deve affatto sparire, giunge al suo maggiore sviluppo, ugua- gliando in altezza la quarta parte della larghezza delle piastre sulle quali si innalza, quando V animale è giunto al terzo del suo erescere. COLOLITO. . | Tatta la parte superiore dell’ armatura è di un bruno ‘marrone molto carico. Le membra dell’ animale offrono ‘presso a poco lo stesso colore, e sommo marginate in gialla- ‘stro. Le parti inferiori e lo sterno hanno un bel color ‘biondo-gialletto. Le unghie sono di una tinta corneo-scura, ‘marginata in pallido. Nei giovani il guscio superiore è di un color marrone ‘più vivo e meno carico, e le piastre sono segnate di raggi ‘ nerastri. 444 BETTA DIMENSIONI. |< si Sebbene giunga ad enormi dimensioni, gli individui però che ordinariamente ci pervengono nell’ Adriatico han- no il guscio della lunghezza di centimetri 45 a 50, colla larghezza di 35 a 40, ed altezza di 44 a 45. Un individuo della mia Collezione pescato presso Venezia sul finire del Luglio 1853 ha le seguenti dimensioni: Testa lunga 42 centimetri e 2 millimetri, alta 7, 3; collo lungo centime- tri 6; zampe anteriori centimetri 32; le posteriori centi. metri 20 e millimetri 4. Guscio superiore lungo 50 centi: metri, largo 40, alto 14. Sterno lungo 35 74, largo alla sue metà 33 24 centimetri. Li cd Altro individuo, ma di dimensioni assal maggiori, ere stato preso a circa 8 miglia dal lido nella sera del 4 delle stesso mese. Io fui a vederlo nella mattina seguente, ed i quanto mi assicurarono quei pescatori era uno dei. magi giori individui fino allora presi nell’ Adriatico. La sua ar matura non era minore di centimetri 90 in lunghezza e 68 in larghezza, col peso di circa 300 libbre. Più precise di mensioni non mi fu possibile di rilevare, attesochè inu: tili e pericolosi benanco alla nostra leggiera barca riesci rono i tentativi degli stessi pescatori per trarvelo dalla laguna, in cui si lasciava vagare assicurato con lunga fune alla nave guardaporto. po ABITAZIONE E COSTUMI. Vive questa Chelonia nell’ Oceano Atlantico, ed è molto comune anche nel Mediterraneo. Trasportati dalle correnti o da altre accidentalità, trovansene però annualmente © ERPETOLOGILA 4145 nella stagione calda, come già fu detto altrove, varj indi- ridui erranti e pellegrini nell’ Adriatico, spingendosi essi inche non molto discosti dal lido di Venezia. La sua carne viene mangiata dai pescatori, che la di- ‘ono non disgustosa. Le Chelonie si cibano ordinariamente di piante marine; ileune però, e tra esse la nostra specie, sono quasi esclu- ivamente carnivore, e si nutrono di crostacei e di mol- ‘uschi, dai quali deriva l’ odore di muschio che traman- lano. Avendo in Venezia mantenuto vivo un giovane in- lividuo per poco più di un mese, potei io stesso osservare l'avidità colla quale. prendeva i molluschi ch'io gli pre- \entava. Nutrito dapprima col Cardium edule Linn. (volg. ca- va tonda), e colla Venus decussata L. (volg. caperozzola), ‘sso mi rifiutò ogni altro cibo dopo che per qualche gior- 0 lo aveva mantenuto col delicato Mytilus edulis ( volg. leoccio), e di cui si era fatto ghiottissimo. Aveva esso di- \imostrato una certa domesticità dopo qualche giorno di \chiavitù, ed all’ora solita del cibo, od all’ approssimarsi li qualcuno alla vasca, saliva alla superficie dell’ acqua ‘enendo la testa alzata, e volta verso l'osservatore. “ Nelle mascelle la Chelonia caretta ha una forza straor- linaria, e quando venga irritata soffia con veemenza, pro- lucendo anche una specie di suono gutturale rumoroso. Nel Veneto, come in generale per tutta l’Italia, è cono- Isciuta col nome volgare di Tartaruga dimare, 0 Galana di | nare. ‘ L’accoppiamento succede nelle acque, e la sua durata 13 dai 40 ai 15 giorni, e più. Le femmine depongono le Jova a terra come tutte le altre Chelonie, dei costumi lelle quali si è già parlato nelle nozioni premesse all’ or- line di che trattossi. 116 BETTA Ord. II SAURII. Nel secondo ordine dei rettili due naturali famiglie si i presentano, alle quali spettano le specie sino ad ora fra noi trovate. Sono queste famiglie, quella dei Zucertini e quella degli Anguidi, compresi fra i Lacertidi ‘ed Anquidi del Principe Bonaparte, fra i Lacertini od Autosaurii (2) e. Scincoidi o Lepidosaurii (3) di Duméril e Bibron.. - Sono caratteri della prima famiglia: Corpd snello, allungato principalmente alla regione della coda che supera di molto la lunghezza del troneo,. Quattro zampe ben sviluppate, fornite ciascuna di cinque dita distinte, separate, disuguali fra esse, sproporzionate di lunghezza nelle zampe posteriori, e tutte armate di ‘un- ghia acuta e ricurva. Capo coperto superiormente di pia- stre cornee, poligone, simmetriche; timpano distinto, a fior. di testa o poco profondo nel foro auditivo; occhi muniti di tre palpebre mobili; bocca ampia con mascelle. rive- stite di grandi scaglie; denti ineguali per forma e lun-. ghezza, dei quali è provveduto o no anche il palato; lin- gua libera, carnosa, spianata, sottile, più o meno vibratile, forcuta, non ingifffata; coda conica, lunghissima, rotonda per quasi tutta la sua lunghezza, coperta da scaglie. di- stribuite ad anelli regolari. Pelle scagliosa; ventre rivestito (4) Zavpos, lucerta. (2) Autos simile, Zavoos lucerta. (3) Merris-idos squame. Ò o) ERPETOLOGIA 44° «li squame più lunghe che larghe, liscie, schierate in fa- scie transverse e paralelle. Simili lamelle dispongonsi a triangolo anche sul petto. Collo ornato di pieghe transver- sali, guernite di scaglie simulanti una specie di collare. ‘ Coscie segnate da una fila di pori lungo il loro margine interno. Sono speciali caratteri della famiglia degli Anguidi , li- mitatamente però all’ unica specie che fra noi la rappre- ‘senta: corpo serpentiforme, mancante di gambe. Capo co- perto di scudetti; collo della stessa forma e grossezza del petto; orecchie latenti; tre palpebre agli occhi, quantun- que piccolissimi; denti alle mascelle, mai al palato, fitti, | conici, acuminati. Coda lunga quanto il corpo ed anche più, cilindrica, assottigliata ed ottusa all’ apice, vestita co- me tutto il corpo di squame eguali, lucide ed embricate. Tre sole specie fra noi possiamo fino ad ora annove- Tare come rappresentanti la famiglia dei Lacertini, che ‘comprendiamo sotto il solo genere Lacerta di Cuvier, smem- brato dal gigantesco genere Lacerta di Linneo, in cui sì trovavano comprese pressochè tutte le specie dei Saurii, i soli generi eccettuatine Draco e Chamaeleon. La storia di questo genere presenta non poche difficoltà atteso le ri- duzioni, le innovazioni e le suddivisioni che furono in esso instituite. Difatti non era appena creato, che lo Gmelin ‘aveva in esso distinte e separate tutte le specie più note- voli, distribuendole in gruppi ch’ esso nominò Sezioni. E dopo lo Gmelin tutti gli erpetologhi che successivamente diedero mano allo smembramento di quel gran corpo, ne applicarono la denominazione al gruppo generico in cui ciascuno di essi, secondo il modo proprio di vedere, com- prendeva le nostre Lacerte, che il Laurenti collocò invece (4768) nel suo distinto genere Seps. 448 BETTA La storia dei Quadrupedi ovipari del Conte. di Laceé | pède, benchè scritta vent’ anni più tardi, ci presenta poi Î nuovamente il genere Lacerta quale presso a poco stava determinato nel Systema Naturae, e benchè precedentemente levati dal Laurenti si vedono compresi in esso genere tutti i rettili a quattro gambe, mancanti dell’ armatura ossea dei Chelonii, e provveduti di coda, in guisa che vi figurano ancora unite colle Lucerte le Salamandre ed i Tritoni. Più tardi Brongniart e Daudin introdussero più oppor- tune restrizioni nel genere, i limiti del quale vedonsi poi ancora più circoscritti nella classificazione dell’ Oppel (41844), che sotto quel nome generico non comprese che le vere Lu- | certe, ed i pochi Saurii oggidì collocati nei generi Ameiva di Cuvier e Centropix dello Spix. Finalmente Cuvier pre- — i ni _ sentando nel feégne animal (48417) un suo nuovo sistema! pei rettili, comprese nel genere Lacerta soltanto le specie. che offrivano fra gli altri caratteri da esso stabiliti, quello ti fi proprio dei nostri Lacertini, la presenza cioè del collare al di sotto del collo, coll’altro carattere del palato armato di denti, il quale però non sempre conviensi alle specie del genere come vedremo più avanti. Il genere Lacerta riformato da Cuvier rimase poi sempre il più naturale di tutti quelli ch’erano stati proposti an- a tecedentemente o si proposero dappoi; e Merrem che pub-. blicando la seconda edizione (4820) del suo Tentamen systemalis Amphibiorum riuniva ancora nel genere quelle specie che Cuvier ne avea saggiamente staccate, introdu- cendovene anzi anche molte altre, non fece che rendere eterogeneo il gruppo ch’ esso pensava di stabilire. Più naturali modificazioni nel genere introdusse poi il sig. Fitzinger di Vienna (1826); e finalmente Wagler, pre-. ERPETOLOGIA 449 sentando nel 4830 il suo Systema Reptilium essenzialmente fondato sulla organizzazione di questi animali, divise le Lacerte propriamente dette di Cuvier nei tre suoi distinti generi Lacerta, Zootoca e Podarcis; divisione che venne an- ‘che accettata da varj distinti Erpetologhi, e fra essi dal ‘‘dottissimo naturalista il Principe Carlo Luciano Bonaparte. Si assegnano come caratteri dei tre generi Wagleriani: I, LACERTA. ‘Narici aperte immediatamente sotto l’ apice del cerchio ro- ‘strale, nel margine posteriore infimo di un solo scudetto; la- mine sopraorbitali ossee; tempie coperte di scudetti; squame del ventre romboidali, quelle del petto poligone; dorso vestito di squame omogenee, poligono-orbicolari, ottusamente carenate ; ‘coda arrotondata, cinta di squame oblonghe, esagone e carena- Me; un collare; denti al palato. Il. ZOOTOCA. Narici, lamine sopraorbitali, squame del ventre e della co- da, non che il collare come nel genere precedente. Tempie ve- ‘stite di squamette adpresse; tubercoli del dorso un poco allun- gati, distintamente esagoni, ottusamente carenati. Palato senza ‘denti. HI. PODARCIS. ‘ Tempie come nel gen. Zootoca, e così pure mancanza di denti al palato; nel resto simile precisamente al genere Lacerta, tranne che le narici sono poste all’ apice del cerchietto rostrale fra le suture di tre scudetti, al di sopra del primo dei labbiali. 420 BETTA Il riassunto degli esposti caratteri fa differire il genere Podarcis dal genere Lacerta per la mancanza di denti al palato, per le narici aperte fra tre scudetti e non in uno | solo, e per le tempie vestite di squamette e non di scu- detti: distingue il genere Zootoca dal genere Lacerta perla mancanza pure di denti al palato, per .le tempie vestite di squamette e non di scudetti, e per .i tubercoli del dorso non poligono-orbicolari ma un poco allungati e di- stintamente esagoni; separa finalmente il genere Podarcis dal genere Zootoca per le narici non già aperte fra le su- ture dei tre scudetti ma, come nel genere Zacerta, nel mar- gine di uno solo, e per i tubercoli del dorso poligono- orbicolari invece che un poco allungati e distintamente esagoni. Una esatta investigazione e studio di tutti e tali carat- teri generici persuade però ben presto della pochissima importanza od insufficienza di alcuno di essi, e persino della non sussistenza di altri. Così a cagione d’ esempio, le narici della Podarcis muralis, tipo del genere, non. sono aperte in diverso modo da quelle della Lacerta viridis; così non può dirsi rigorosamente che le tempie della prima sieno vestite di squamette e non di scudi come la seconda, poichè le regioni laterali della testa nella Podarcis e nella Zootoca offrono ciascheduna un piccolo scudetto circolare, detto disco masseterico. In specialità poi nella Zootoca vivi para, essa pure tipo del genere Wagleriano, le tempie pos- sono considerarsi meglio vestite da piastrine che non da squamette. Così ancora non vedesi differire la Zootoca vivipara dalla Lacerta viridis per le scaglie del dorso, le quali sono in quella come in questa allungate ed esagone, e non già nella seconda poligono-orbicolari come invece le sono realmente nella P, muralis. | OE CR O ERPETOLOGIA 424 Altra caratteristica distinzione fra i due generi Lacerta e Podarcis sarebbe il palato armato di denti nel primo, privo di essi nel secondo. E benchè stiano per noi a con- ferma di tale carattere le osservazioni del Principe di Ca- nino e di altri, non che quelle ch’ io stesso istituii su cin- quanta e più individui della Podarcis muralis, in nessuno dei quali ebbi a trovare denti al palato, anche tale carattere di- ‘co; troverebbe però opposte dichiarazioni. Wiegmann infat- to ritenendo i tre gruppi Wagleriani, non però come gene- riche divisioni ma come sottogeneri soltanto, noterebbe fra i caratteri del g. Podarcis, denti al palato, assai piccoli, conico- ottusi ; e più tardi anche lo Tschudi accettando i “gruppi stessi come semplici sottogeneri, riporta da Wieg- mann, e segna fra i modificati caratteri del gen. Podarcis di Wagler quello dei piccoli denti al palato, di forma co- nico-ottusa (*). — Più recentemente poi i Signori Dumé- til e Bibron, esponendoci l’ insufficienza dei caratteri asse- gnati pei tre generi di che trattasi, ci osservano quanto ai denti del palato come tale carattere sia di ben debole va- lore fra i Zacertini dappoichè si constatò tali denti ora ‘esistere, ora mancare in individui appartenenti alla stessa specie; ed aggiungerebbero ancora più a conferma, di avere trovato denti al palato in qualche individuo precisamente della stessa Podarcis muralis, benchè debba però dirsi più generale nella specie la mancanza di essi. Nel mentre per tutto quanto si è detto, confessiamo che non è del tutto scientifica l'accettazione dei generi di ‘Wagler come precisi e distinti, non crediamo però d'’ al- tra parte di potere ancora adottarne la totale eliminazione, (*) « Die Gaumenzahne sind ganz klein, stumpfkegelformig ». Monogr. d. Schweiz. Echsen. pag. 34. i 22 BETTA come già avrebbero fatto i prelodati sigg. Duméril e Bibron. E meglio quindi pensiamo di corrispondere alle risultanze delle fatte osservazioni coll’ accettare quì i tre gruppi in questione come sottogeneri delle Zacerte di Cuvier, ognuno dei quali ha fra noi per rappresentante uno dei tre Lacer- tini che sino ad ora possiamo enumerare come abitatori delle provincie illustrate. Un’ unica specie del genere Angus (*), come fu già av- vertito, rappresenta fra noi la seconda famiglia dei Saurii, ed i caratteri che a questa abbiamo assegnati non lasciano possibile una confusione di famiglie. Ma ben diversi però, e più speciosi e distinti dovrebbero essere i caratteri stessi se coll’attuale unico rappresentante potessimo annoverare nella famiglia degli Anguidi nostri altre specie, quali ad esempio il tozzo Ascalabote tarantola ( Ascalabotes fascicularis Schn.) dell’ Italia; meridionale, o l Emidattilo della. Dalmazia ( Hemidactylus verruculatus Cuv.), 0 il Gongilo della Sardegna e Sicilia (Gongylus ocellutus Wagl.) molto somigliante alle Lucertole, o la serpentiforme Luscengola (Seps chalcides Wagl.) dell’ Italia meridionale, che ha quattro gambe tanto. corte e sottili da non riuscire a prima giunta visibili, o il Pseu- dopo serpentino ( Pseudopus serpentinus Merr.) della Dal- mazia fornito dei soli rudimenti dei piedi posteriori, coi quali tutti potrebbersi poi anche meglio stabilire.e: provare gli annelli della catena che unisce le Lucerte all’ Anguis, ultimo annello, come lo dice benissimo il Principe Bona- parte, dell’ aberrante e serpentiforme serie degli Anguini. Il genere Anguis stabilito da Linneo comprendeva .una volta tutti i rettili squamati senza piedi o con piedi estre- (*) Nome comune del serpenie presso’ i Latini. « Zalet Anguis in herba ». Virg. ERPETOLOGIA 4123 mamente brevi, colle squame della parte superiore del ‘ tronco e della coda simili o presso che simili a quelle delle parti inferiori. Attualmente però. non è in esso compresa che l’ unica specie conosciuta, |’ Anguis fra- ‘gilis, sparso per tutta Europa non solo, ma nell’ Asia oc- ‘cidentale altresì e sulle coste meridionali dell’ Africa. E ad essa vanno indubbiamente riportate come sole varietà ‘dipendenti dall’ età, colorito, clima, o da altre circostanze le molte specie dagli autori create, quali sarebbero la li neata e la clivica del Laurenti, la cinerea e la dicolor del Risso, e con ogni probabilità anche la încerta del Krynicki, da fui descritta come indigena della Russia (*). Nè abbandoneremo questo ‘Sauriano senza avvertire come molti naturalisti v abbiano ancora i quali, attaccati a vecchie classificazioni o giudicando da qualche esterno carattere, si ostinano a collocarlo tra i serpenti. Un’ at- tento esame dell’ animale persuaderà ben presto del posto che gli compete fra i rettili. Il capo infatti di forma pira- ‘midale, gli occhi piccolissimi e molto riavvicinati alla punta del muso. lo squarcio assai limitato della bocca, i denti disposti sulla mascella in una sola serie e mancanti al palato; il tronco terete, liscio, tutto vestito di lucide squame embricate ed uguali; la coda lunga quanto il corpo ed anche più, sono tutti caratteri esterni che lo av- vicinano ai Saurii. Uno dei polmoni minore della metà ‘dell'altro, un bacino, sebbene imperfetto, un piccolo ster- no, l’omoplate e le clavicole sotto la cute, sono caratteri in- “terni che indubbiamente lo collocano fra.i Saurii, come pre- cisamente l’ultimo annello che questi agli Ofidiani congiunge. (*) Observationes de Replil. indigen. Bulletin de la Soc. de Moscou. 1837. p. 52. tab. 4. 4924 BETTA Sono i Lacertini in genere rimarchevoli per la varietà e vivacità dei loro colori e delle loro tinte, soggette però a variare secondo l’età ed il sesso, secondo le stagioni e le passioni, ed anche secondo la natura dei terreni nei quali fanno dimora. Dotati in gencre di rapidissimi e vivacissi- mi movimenti, sono gli organi loro conformati sempre in rapporto alle abitudini ed alla dimora propria di ciascun ge- nere. Dita mobilissime, sottili, molto sviluppate, allungate ‘e puntive, sono caratteri dei Lacertini nostri che dinotano un genere di vita ed un soggiorno fra le sabbie e le aride ‘roccie. La mancanza di gambe e la lunghezza del tronco fa conoscere nell’ angue un Sauro destinato a vivere sopra terreni erbosi sui quali striscia come i serpenti, dei quali ha l esteriore. | All’esercizio però della loro facoltà locomotiva richie- desi, come in generale per tutti i rettili, una temperatura elevata dell’ atmosfera; e perciò mentre nel gran caldo dell’ estate e sul mezzodì si vedono più vivaci e più snelli, isì fanno pigri all’ incontro e tardi nei loro moti avvici- nandosi il freddo, fino a che a mezzo autunno si ritirano nei loro sotterranei nascondigli, ove rimangono intorpiditi tutta la fredda stagione. Ma non tutte le Lucertole sop- portano colla stessa facilità una eguale temperatura; così fra noi la Podarcis muralis, che è la prima a comparire dopo il disgelo, fassi più rara e sta nascosta quando l’ e- state comincia ad abbrucciar le campagne. La Zootota vi- vipara che abita a preferenza i luoghi ‘erbosi e soleggiati delle montagne, non vedesi che assai raramente nelle ore più calde dell’ estate stando allora ricoverata ‘sotto i ce- spugli e gli sterpi. La Lacerta viridis è pur essa amante dell'ombra, mentre la sua affine Z. occellata, propria delle parti più meridionali d’ Italia e della Spagna, resiste al ERPETOLOGIA 425 calore più alto del clima, ed anzi il meno intenso freddo la rende neghittosa e lenta, talchè tosto si seppellisce nelle sue tane. Ma la sorprendente agilità di questi animali non mo- strasi che a slanci e non dura che a piccole distanze, e se non trovano presto il loro nascondiglio, cui sempre di- rigonsìi in caso di pericolo, rimangono stanchi e divengo- no preda del nemico. Dotate di membra corte e lateral mente collocate, le lucertole non possono molto sollevarsi dal suolo: appoggiano sulla terra la testa ed il corpo quando riposano, sollevano alquanto il capo e la. coda quando camminano. Allorchè si movono sopra un terreno folto di erbe, o tra i bassi virgulti delle siepi usano molto della loro coda per agevolarsi il cammino e per saltare da uno in altro luogo, ed anco nel nuoto se ne servono utilmente ritraendo al tronco le gambe. Le loro unghie acute e ricurve le rendono abilissime nello arrampicarsi sugli alberi e sui muri, e servono anche di difesa effet- tuando profondissime graffiature, specialmente quelle del Ramarro lorchè l’animale venga preso pel collo onde evi- tarne il morso. Non tutti i Saurii sono egualmente timidi, e benchè le nostre specie ricorrano sempre alla fuga ogni qualvolta siano minacciate da pericolo, pure il Ramarro sa mordere rabbiosamente con lacerazione e strappamento della pelle, quando venga preso od irritato. Di rado offendonsi e mor- donsi fra loro. La vista è attivissima nelle lucertole essendo i loro occhi assai sviluppati, ma non è meno attiva anche nel- langue benchè i suoi occhi siano così piccoli. L’ udito è acutissimo. Non può dirsi che questi animali abbiano squisito anche l’ odorato, tanto più che nutronsi di ani- 126 BETTA mali che afferrano non appena li hanno scorti ; tuttavia dal vedere quanto ai Lacertini come essi protendano il muso esplorando verso le sostanze prima di addentarle, e scavino la terra per cavarne i lombrichi, sembra che non manchino d’ olfato. Respirano colle narici, munite di val- vole cutanee che apronsi e chiudonsi portandosi all’ indie- tro ed all’ innanzi. Hanno il gusto abbastanza sviluppato, e basta mettere loro in bocca una sostanza acre od amara per vedere gli sforzi che fanno per liberarsene. Il tatto all’ incontro sembra più ottuso, e benchè la cute non sia insensibile ai contatti, solo la lingua ed il muso possono soccorrere a tale percezione, che diversamente è piuttosto debole. | I Saurii nutronsi di sostanze animali, e principalmente di carni ancor vive. Digeriscono lentamente e sono quindi molto sobrii, potendo anche sopportare lungo digiuno. Se- condo le osservazioni di Dugés (*) i Lacertini bevono lam- bendo l acqua come i canì. La loro bocca è meno. larga- mente fessa che non sembri a tutta prima; le mascelle sono però forti, e robustissimi ne sono i muscoli: più volte si può trasportare un Ramarro a molta distanza so- speso per la bocca alla estremità di un legno, tanto tena- cemente lo tien serrato fra le mascelle. Colle unghie e coi denti scavano le tane nel suolo © negli alberi, e dilatano le fessure dei muri ove stabiliscono il loro rifugio e la loro dimora. Una tana scavata o nelle rive che fiancheggiano le strade, o nei cumuli di arena, o al piede dei muri, sicura dai molti nemici, è il luogo ove depongono le loro uova, che sono allungate ed (*) Annales des Sciences naturelles. 1827. Tom. XHI. p.:359. == 1829. Tom. XVI. p. 360. ; FRPETOLOGIA 127 a guscio calcareo; ed ivi esposte ai raggi solari schiudonsi poi in maggior o minor numero di giorni, secondo le spe- cie e le circostanze atmosferiche. Si è altrove parlato della somma facilità con cui pos: sono questi animali perdere la coda e riprodurla, onde la misura di tal membro non potrebbe sempre corrispondere come carattere specifico. Abbastanza frequente è poi anche il caso di trovare lucertole con coda duplice e triplice, e secondo Bonaparte se ne viddero anche talvolta con quat- tro e sino con sette code, le quali però sono sempre car- tilaginose all’ interno. Fra queste e varie altre anomalie che possono incon- trarsi nei rettili di quest ordine, merita di essere special- mente ricordato il caso, sempre raro però, in cuì le uova essendo, doppie e racchiudendo in un solo guscio i germi di due individui vivificati, ne nascono dal loro sviluppo es- seri più o meno uniti, o mostruosità per eccesso, che al- l’ ignorante volgo desterebbero mille spaventi e darebbero vita alle più stolte favole, od appoggio ai vecchi pregiudi- zj che già avessero appreso. Già Aldrovandi, Lanzoni, e Redi sopratutto, avevano parlato e ragionato di serpenti a due teste; ma più tardi si registrarono casi consimili anche fra i Saurii, e Dumé- ril accenna conservato nel Museo di Parigi un giovine la- certino con due teste, collocata ciascheduna sopra un collo distinto. Anche Geoffroy Saint-Hilaire parla (*) di quel Lacertino comunicatogli da Bibron, ed aggiunge l’ interes- sante descrizione di un altro più adulto presentato nel 4834 a quell’Accademia delle Scienze dai signori Beltrami (*) Mist. gen. et partie. des anomalies. Bruxelles 1837. Tom. 1I., p. 132. 128 BETTA e Rigol. Questo lacertino, rinvenuto da Rigol nell’ Otto- bre 4829, era stato conservato vivo fino al successivo Feb- brajo; aveva due teste distinte portate da due eolli riuniti, e quando venivagli presentato da mangiare, se le due te- ste potevano prendere liberamente la propria preda man- giavano contemporaneamente , se il cibo Veniva presen- tato ad una sola,: 1’ altra avvicinavasi sollecitamente fa- cendo mille sforzi per rapire la preda. Saziata l’ una, an- che l’ altra cessava di aver fame, ciò che secondo Beltra- mi indicherebbe l’esistenza di un solo stomaco con dop- pio esofago. ERPETOLOGIA 129 - Fam. I Lacertin. Gen. LACERTA CUVIER. Is. g. LACERTA DAUDIN. 3-1. LACERTA VIRIDIS Daudin., Jtat. Ramarro, Lucerto ramarro, Lucertolone. Ven. Ligador, ligaor, osertolon, Martin coz, lusertola verde, languro, liquro, sbors, sborf. Tirol. Luserpon, ligador, ligordo, salva-omeni, verdon. CARATTERI. Corpo cilindrico; due piastrine sovrapposte fra la nasale e la lorea. Tempie rivestite di scudetti poligoni, inequilateri. Denti al palato. Solco golare molto pronunciato. Collare dentellato. Scaglie dorsali allungate, esagone. Piastre addominali in 8 serie. Superiormente di color verde uniforme più o meno vivo, più o meno macchialo in nero, o con linee longitudinali bianche orlate in nero. SINONIMIA. Lacerta viridis Daud. Hist. Rept. III. p #44. t. 34. — — Merr. Syst. Amph. p. 64. sp. 8. — — olfin Sturm Deutsehl. Fauna III 4, t. 6. — — isso Hist. III p. 86. —_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. BI. sp. 413. _ — — Duges Aunal. XVI. p. 372. t. 4b. f. 3. 9 130 BETTA Lacerta viridis Wagl. Syst. Amph. p. 153. gen. 52. _ — ZBonup. Fauna ital. cum tab. _ — Schinz Fauna Helvet. p. 139. sp. 3. — — Tschudi Monogr. p. 18. — — Xryn. Observat. p. 47. — — Dum. et Bibr. Erpetol. V. p. 240. —_ — Betta Rett. Tirol. p. 153. da — © Betta Cat. syst. Rept. p 41%. —_ —_ Massal. Saggio p. 32. Seps terrestris Laur. Syn. Rept. p. 61. t. 3. f. 1. Lacerta agilis var. y. viridis ZLanf. Saggio p. 53. Lacerta bilineata Daud. Hist. Rept. INI. p. 182. t. 35. fa — chloronota Rafîn. Caratt. p. 7. sp. 46. — ezxiqua Eichw. Zool. Ross. II. p. 188. (juven.) — strigata Eichw. L. c. p. 189. — sylvicola Eversm. Rept. Mosc. p. 544. t. 30. FORME. È questa specie la più grande dei Lacertini nostri, ed anzi in tutta Europa cede solo per dimensioni alla bellissi- ma Lacerta occellata, propria di pochi distretti meridionali d’Italia, più comune e copiosa nella Francia meridionale e nella Spagna. Il corpo è cilindrico ; la testa due volte più lunga che alta, e qualche poco più alta che larga; alla base, parten- do dalla fronte, presenta un piano debolmente inclinato pel davanti, col muso poco ottuso e senza notevole rilievo alle tempie. Coda lunghissima, tetragona alla base, indi conica e sempre più assottigliantesi verso l’ apice, e for- ma da sè sola due terzi della totale lunghezza dell’ ani- | male. Le zampe anteriori, stese lungo il collo arrivano alle narici; il loro: primo dito è breve, il secondo poco ERPETOLOGIA 134 più lungo del quinto, il terzo ed il quarto sono i più lun- ghi. Le zampe posteriori sono più lunghe, e distese lungo il corpo toccano generalmente le ascelle; più di rado ar- rivano solo ad eguagliare quattro quinti della lunghezza : dei fianchi; i loro diti decrescono regolarmente dal quarto al primo, ed il quinto è lungo quanto il secondo: sono nodosi e coperti da piccole lamette allargate, e le piante hanno tubercoli granulari; le unghie sono di media lun- ghezza, acute, ricurve, di color corneo-brunastro o fulva- stro. Il palato è armato di denti piccoli, semplici e conici, in numero di dodici circa per ciascun lato. Si contano 411 «a 413 denti intermascellari, circa 40 mascellari superiori, e 48 a 50 mascellari inferiori. Cinque per banda sono le piastre sottomascellari. La piastra frontale è grandissima, irregolarmente esagona, mol- to più lunga che larga ed a margini laterali curvilinei; le parietali grandi èd irregolarmente esagone; la interparietale piccola, un poco allungata, di forma romboidale, quasi sempre troncata posteriormente, ma qualche volta ad an- golo molto acuto; la occipitale piccola, per lo più della forma di un triangolo isoscele troncato pel davanti, di rado semplicemente lineare. Negli individui nei quali giunse al maggior suo sviluppo è dessa quasi tanto larga che la frontale. Fra la piastra nasale e la lorea trovansene due. piccole, -l’una sovrapposta regolarmente all’ altra, eguali. fra esse e quasi quadrate. Dietro a queste piastrine tro- Vasene una verticale quasi rettangolare, susseguita da un’altra molto grande, subquadrangolare ed ondulata al. suo margine posteriore. Le tempie sono rivestite di scudetti piani, uniti, ine- guali ed equilateri, in mezzo ai quali vedesene una cen- 132 BETTA trale e più sviluppata. AI margine superiore della regione temporale si trovano due piastre grandi, oblunghe, sub- quadrilatere. L’oreechio è verticale, irregolarmente ovale e molto grande. La palpebra superiore è segnata da un punto ne- ro, ed è coperta da tubercoli granulari che vedonsi poi anche nel margine della inferiore, nel cui mezzo esiste una serie longitudinale di 5 a 7 piccole piastrine rettan- golari c sovrapponentesi.. Il collo è rivestito di tubercoli graniformi, non carenati, e che sul dorso sono più grandi, allungati, esagoni e sen- sibilmente carenati; ai fianchi questi tubercoli sono ovali, un poco meno espansi e molto leggermente o niente care- nati. Minutissime sono le scaglie intorno alle attaceature degli arti. Le squame della gola sono piuttosto grandi, esa- sone, e molto embricate. Il soleo golare è ben pronun- ciato. Il collare formasi di 7 a 9 squame paraboliche, con margine esterno curvilineo, rappresentante una merlatura. Il triangolo pettorale è costituito da 7 ad 8 lamelle. Le piastre addominali si dispongono in 8 serie longitudinali; sono strette e paraboliche nelle due mediane; romboidali e più larghe quelle delle due serie attigue; strette e pic- cole ma quasi paraboliche mostransi anche le esterne, e. brevissime e poco distinte quelle delle due serie margi- nali. Contasene una trentina circa per ognuna delle sei serie. La regione preanale è occupata da una sola piastra assai grande, e provveduta da doppia serie di squame di- verse. Sotto ciascuna coscia contansi da 15 a 20 pori. Le squame della coda sono allungate e strette, fortemente ca- renate nel loro mezzo, terminanti ad angolo acuto, e di- sposte in 100 a 412 verticilli. | EFERPETOLOGIA 433 DIMENSIONI. L’ordinaria lunghezza cui arriva in queste provincie è dai centim. 30 a 35, dei quali due terze parti sono | misurate dalla sola coda. In generale gli individui del Ti- rolo, e specialmente delle parti più elevate, si fanno di- stingiere per maggiori dimensioni. COLORITO, La bellezza di questa specie attrae gli sguardi di tutti, ed è un vero diletto per l’ occhio il bellissimo verde che of- fre il suo corpo. Le sue scaglie percosse dai raggi del sole si indorano con mille riflessi. Nulla di più vago ed at- traente nei rettili quanto il colore di questa Lucerta, la cui “parte superiore del dorso è generalmente di un verde uni- forme assai vivo e risplendente. E la stessa bellezza di quella tinta aumenta di pregio se, prodiga la natura a que- sta specie come a tant’ altre di variate tinte e colori, frammischia in essa il bianco, e il giallo, e il grigio, e il bruno, e il nero, ed adorna il suo dorso di macchie, di punti, e di linee. Fra le varietà reperibili in queste provineie distingue- remo le seguenti, non senza avvertire però come trovinsi | spesso collegate fra esse e confuse da innumerevoli gra- dazioni intermedie di colorazione, impossibili a descri- Versi. var. a. concolor. — Tutto il corpo di un bellissimo verde puro, colle parti di sotto di un bel giallo canarino 0 leggermente verdastro. 434 BETTA var. è. versicolor. — Gli individui che vi appartengono i hanno la parte superiore del corpo di color verde. più o meno tendente al giallastro, sparso di un | numero considerevole di piccoli punti neri; le parti inferiori giallastre o giallo- verdastre. Var. c. maculata Bonap. — Il corpo è di un bel color verde o verde brunastro, coperto da macchie quadri- latere nerastre che dispongonsi in varie fascie sul . dorso, e qualche volta in due soltanto marcate da una linea biancastra o giallastra che le divide da altre numerose ed irregolari macchie nere segnate sui fianchi: le parti inferiori sono tinte in verdastro. var. d. mento-cocrulea Bp. — Dorso di un bel ver- de più o meno coperto da macchie quadrangolari nere, col capo variopinto al di sopra, tinto di un bel azzurro celeste lateralmente e sotto. Ventre di un bel giallo dorato. var. e. ehloronota ( Rafin.) — Dorso di un color ver- de brunastro picchiettato di nero e di giallo ver- dastro; di questo colore sono le molte macchie lli- neari o lacrimiformi sparse sul capo, che è anche d’una tinta generale più o meno nerastra. In altri individui è il color nero predominante su tutto il corpo, che vedesi in tal caso sparso di piccoli e numerosissimi punti d’ un giallo vivo. La pancia è giallastra ; il mento, la regione anale ed il di sotto della coda di color giallo verdastro. | var. f. cinereo - nigrescens (") — Si fa distinguere dalla precedente per la parte superiore del corpo di un (*) L. viridis var. cinerco-nigrescens Bella. Cat. Relt. Tirol. pag. 153. Cat. syst. Reptil. p. 12. Vari: g. var. h. EFERPETOLOGIA 435 marcato color verdastro cinereo, sparso di mac- chie e punti neri e castani. Il di sotto di un color bianco-ceruleo con leggerissima tinta giallastra. bilineata (Daud.) — Corpo di color verde o ver- de - brunastro con due linee bianche longitudinali, distinte e compiute sul dorso, marginate di nero, e con un’ altra linea interrotta per cadaun fianco, costituita da semplici macchiette di color bianco, qualche volta anche accompagnate da macchie ne- re. Parti inferiori gialle o giallo - verdastre. brunnco - viridescens, bilinceata. — Bellissima varietà della quale ne presi due individui nel Ti- rolo prespo. Fondo, nel Settembre 4855. Il fondo del corpo è di un verde sporco tendente al bru- mastro, il qual ultimo colore mostrasi poi quasi esclusivo sulla testa, sulle gambe posteriori e sulla coda. Le due linee mediane bianche, orlate in nero, continuano su tutto il corpo fino verso la metà della coda. Le due laterali interrotte e fiancheggia- te da macchie nerastre. Le parti inferiori del cor- po giallo - verdastre; le parti laterali della coda fulvastre, il di sotto biancastro. Notasi poi in generale che gli individui che più tirano in giallo sogliono avere anche il capo punteggiato di tal colore; che in individui della var. dilineata possono mancare le due linee biancastre ai fianchi; che il capo può essere oltre che verde, anche brunastro in quasi tutte le varietà suddescritte; che le parti anali, le coscie ed il di sotto della coda possono essere anche tinte in bruno; e che in generale i colori oscuri dominano più negli individui mon- tani che non in quelli delle pianure, nei quali il color verde rimane quasi sempre assai vivo e marcato. 436 BETTA I giovani della specie hanno la parte superiore del cor- po di un verde meno bello, o di un color rossastro o bru- nastro fiancheggiato di verde. Il loro capo è pure tinto in rossastro; ed assai di frequente recano sul dorso due lineé biancastre consimili a quelle della var. bdilineata, ma che svaniscono poi mano mano nella maggior parte degli in- dividui. Hanno il ventre biancastro, bianco giallognolo, 0 bianco verdognolo. ABITAZIONE E COSTUMI, Comunissima in tutto il Veneto e nel Tirolo meridio- nale, è sparsa nelle campagne, lungo le strade, fra le siepi, fra i vigneti nelle pianure, fra i cespugli e gli sterpi sui monti. Predilige le posizioni soleggiate, ma ricerea anche quelle ombrose. Rarissima mostrasi fra le ruine dei muri; e fra tutte le varietà accennate tale abitazione sembra prescelta dalla cinereo-nigrescens, che gli abitanti dell’ A- naunia distinguono perciò colla speciale denominazione di luserpa casalina. Questa varietà, ch'io non trovai che in quella sola parte del Tirolo, vive però anche secondo il eh. Prof. Gredler fra i vigneti presso Caldaro, comparendo poi più rara presso Bolzano ove è volgarmente chiamata Holzgrienzen: e V amico mio Prof. Massalongo ne raccolse un’esemplare presso Tregnago (prov. Veronese) nell’ esta- te 1856. Così nel Tirolo soltanto trovai fino ad ora lè varietà e ed h; unicamente nel Veneto la varietà <; più o meno rare nel Tirolo, e più copiose nel Veneto le var. a, d e g; comune ovunque la var. 6. Questa Lucerta nutresi di mosche, di locuste, di pic- coli coleotteri e di bruchi; come in genere tutte le lucer- tole, è ghiotta delle uova comprese le proprie, quantunque n= — ERPETOLOGIA 4137 Stantìe, In schiavitù mangia volontieri i lombrichi ed i vermi della farina. La femmina depone in una tana o foro da 7 a 40 uova bianche, della grossezza di una nocciuola, che schiudonsi poi col calore dei raggi solari. ‘Avvicinato a breve distanza, il Ramarro Ifiani dal fug- gire fermasi a guardare sollevandosi sugli arti, alzando la testa, e facendo pompa direbbesi quasi delle sue mira- bili tinte. Fugge però allorquando vedesi inseguito, e pronto ricoverasi nella propria tana, o nei fori, 0 nei tron- chi degli alberi. Preso od aizzato morde rabbiosamente por- tando molte ferite anche colle sue acute unghie, e tiensi tenacemente attaccato agli oggetti addentati. Deboli veleni lo uccidono, ed i nostri fanciulli provano spesso su di questa lucerta e sulla più piccola lucertola «delle muraglie il crudele esperimento del tabacco, che po- ‘sto in bocca ad entrambe le rende in pochi istanti convulse e le fa morire. «(Come sù molti altri rettili, su questo Lucerto non meno ‘pesano ingiuste accuse di veleno e di malefizj, che esistono solo nella debole mente dell’ ignorante che vi presta fede. Alcuni lo ritengono anche dotato di medicinali efficacie, e peccato che fra tant’ altre maggiori favole non sussista al- meno realmente la proprietà attribuitagli dal volgo, di av- vertire l'uomo con mille moti e salti della presenza del serpente che potrebbe nuocergli; credenza che nel Tirolo gli ha procacciato l’ epiteto di salva - omeni. Che se anco il caso nacque di aver dovuto attribuire ai salti di un ramarro ed all’ accidentale suo passaggio sul corpo di un’ uomo addormentato, la salvezza di questo dal pericolo di qualche serpe che si avvicinava, questo fatto trova facile e naturale spiegazione nelle conseguenze di quell’ infinita 438 BETTA paura che i serpenti inspirano alle lucertole tanto grandi che piccole ; il che si argomenta dalla fuga precipitosa cui si danno al primo vederli, e dalla confusione in cui cadono quando non possano a tutta prima cacciarsi nelta Toro tana, o non sappiano trovare un qualsiasi altro, ma pronto rifu- gio a loro salvezza. | . OSSERVAZIONE. Devonsi escludere dalla Sinonimia della specie il Seps sericeus del Laurenti, la Zacerta sericea del Daudin, e la La- certa tiliguerta 0 caliscertula del Cetti, le quali benchè da moltissimi Erpetologhi riportatevi come sinonime, appar- tengono all’ incontro come tali all’ altra specie nostra, la Podarcis muralis. Pa Devono invece ritenersi come sinonimie la Lacerta stri- gata ( L. Michahellesii Fitz. ) e la L. exigua create da Eich- wald, la prima su di una semplice varietà della £. viridis a 5 linee longitudinali bianchiccie sopra un fondo verde uniforme o brunastro; la seconda su di un giovine indi- viduo della specie stessa. Nella mia Collezione tengo la pri- ma proveniente dalla Grecia, ma potrebbe forse incontrarsi anche in queste Provincie Venete avendola già nell’ anno scorso trovata nei contorni di Milano il ch. Prof. Cav. Jan, come gentilmente mi comunicò in lettera. ERPETOLOGIA 439 IL. s. g. ZOOTOCA WAGLER. "HZ NT ZOOTOCA VIVIPARA Wagler. Ital. Lucertola, Lucerto viviparo. Ven. Luserta, osertola. Tirol. Luserdola, iserdola, luserpa. CARATTERI. Corpo stretto e cilindrico. Una sola piastrima fra la nasale e la lorea. Tempie rivestite di squame adpresse, fra le quali uma più grande (disco masseterico). Palato privo di denti. Solco golare poco distinto. Collare dentellato. Scaglie dorsali allungate, esagone. Piastre addominali disposte in 8 serie. Dorso bruno o grigiastro, con una linea mediana longitudinale nera, e due altre ai fianchi orlate di bianco. SINONIMIA. Lacertus vulgaris Ray Syn. Rept. p. 264. Lacerta vivipara Jacq. Acta Helvet. I. p. 35. t. 4. — — Dum. Bibr. Erpétol. V. p. 204. Lacerta agilis Flem. Brit. Anim. p. 150. — — Gray Proced. Zool. Soc. 4833. III p. 112. Laeerta crocea Wolf in Sturm Deutsch]. Fauna III 4. — — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 52. sp. AB. — — Eversm. Reptil. Mose. HI. p. 347. t. 3. —_ — Kryn. Observat. p. BI. Lacerta montana Mikan in Sturm Deutschl. Fauna II. 4. 440 BETTA Lacerta montana £ hinz Fauna Helvet p. 140 Lacerta pyrrhogaster Merr. Syst. Amph. p. 67. sp. 46. Lacerta Schreibersiana Dugés Annal. T. XVI. p. 37. Lacerta praticola Eversm. lc. p. 548. t. 50. f. 41. 2. Zootoca vivipara Wagl. Syst. Amph. p. 158. —_ — — Bonap. Fauna ital. cum tab. — — Betta Rett, Tirol. p. 154. —_ — Betta Cat. syst. Rept. p. 14. —_ — Massal. Saggio p. ‘37. Zootoca crocea Wiegan. Herp. Mexie. I. p. 9. — — Fitz. Syst. Rept. p. 20. Zootoca pyrrhogastra Tschudi Monogr. p. 27. FORME. Alquanto più piecola della seguente Podarcis muralis, ha il corpo stretto e cilindrico, la testa col muso alquanto acuto, circa tre volte meno larga alla base che lunga. Coda due volte più lunga che il corpo, tetragona alla base, indi perfettamente cilindrica fino alla punta e di forma sua par- ticolare, giacchè in luogo di gradatamente decrescere dalla base all’ apice conserva quasi la stessa grossezza fino alla sua metà, insensibilmente assottigliandosi poi nel rimanente. Zampe corte e piuttosto tozze; le anteriori stese lungo il collo arrivano all’occhio 0 poco più; le posteriori misurano due terzi della totale lunghezza dei fianchi. Le dita, non dissimili per le loro proporzioni da quelle della £. viridis, sono coperte di piccole lamelle allungate, e le piante vestono tubercoli granulari. Le unghie sono piecole, corte, ricurve, leggermente compresse, e di color nerastro. Il palato è sprovvisto di denti; le mascelle ne hanno 9 intermascellari, 36 a 38 mascellari superiori, e circa 50 al di sotto. ERPETOLOGIA 444 La piastra frontale è assai grande, di forma esagona ir- regolare, anteriormente e posteriormente ad angolo, ‘allun- gata e cùrvilinea ai lati; le parietali grandi ed anche irre- golarmente esagone; la interparietale piccola, qualche poco allangata, insensibilmente ristretta pel di dietro, a cinque lati, uno posteriore, due anteriori ad angolo acuto ed ottuso, e due laterali ordinariamente più grandi degli altri. Imme- diatamente segue la piastra occipitale, molto piccola, di una lunghezza assai minore ed una larghezza quasi eguale alla intetparietale, con figura di triangolo isoscele troncato alla sommità anteriore e leggermente curvilineo alla base. È carattere distintivo della specie 1’ avere una sola piastrina triangolare fra la nasale e la lorea, e non due so- vrapposte come nella L. viridis e P. muralis. Tale piastrina è susseguita da un’altra subquadrata, di mediocre grandez- za, e questa da una ancora più grande e quadrilatera che “si congiunge alle oculari, e qualche volta reca un piccolo rilievo nel suo margine posteriore. Le tempie sono rivestite di squame quasi scudetti, poligone, irregolari, più 0 meno tendenti alla forma circolare, ed in mezzo alle quali, e cor- rispondente al centro della regione temporale, vedesi una | piastrina .0 disco masseterico, di forma poligona abbastanza grande, ma molto meno sviluppata che non quella della /0- darcis muralis. - L'apertura della bocca si protrae sin sotto l’ angolo po- ‘steriore dell’ occhio. La mascella inferiore è vestita di cin- que piastrine per ciascuna banda. Le palpebre sono come nella Lacerta viridis, ma senza la macchia nera; e Vl’ aper- tura dell’ orecchio, di forma ovale più regolare, è fors” anco più piccola in proporzione. Le scaglie che vestono il collo tanto al di sopra quanto al lati sono arrotondate, convesse, contigue, non embricate; 442 BETTA quelle del dorso sono allungate, strette, esagone, legger- mente embricate, e mano mano che si innoltrano verso la coda divengono ancora più anguste e più sensibilmente ca- renate. Sono piccolissime quelle intorno alle attaccature de- - gli arti; depresse, liscie o debolmente embricate quelle che veggonsi lungo i fianchi. Il solco golare è appena visibile. Il collare si forma di 8 a 9 scudetti poco embricati, con margine esterno curvilineo. Il triangolo toracico è costi- tuito da 8 ad 414 lamelle. Le piastre addominali formano 8 serie longitudinali, delle quali Je due più esterne sono brevissime, composte di piccolissime piastre tanto lunghe che larghe in numero di 24 a 28; nelle due medie contansene 30 circa, ma meno piccole ed alquanto dilatate. Le piastre delle altre quattro serie sono quadrilatere, più grandi e trasversal- mente dilatate. La regione preanale è occupata da una ‘ sola piastra assai grande, circondata da duplice serie di squamette. Sotto ciascuna coscia contansi 9 a 42 pori. Le squame della coda sono lunghe, strette, quadrilatere, terminanti ad angolo acuto, precisamente carenate . nel mezzo e disposte in circa 70 verticilli. COLORITO. La parte superiore del corpo è di color bruno o fo- sco-rossastro più o meno acceso, più o meno tendente al verdastro od al grigiastro, e talvolta anche di color bron- zo ora uniforme, ora sparso di piccole macchie nere o biancastre. Sul dorso, dalla piastra occipitale fino oltre la metà della coda, corre una riga nera continua o qualche volta interrotta, ai lati della quale vedonsi due serie di punti neri accompagnati longitudinalmente, od anche se-, ERPETOLOGIA 143 parati da altri punti biancastri che qualche volta vanno a congiungersi ed a formare una linea grigiastra continua. Due fascie oscure orlate sopra e sotto di bianco e talvolta seminate di punti pur bianchi, si distendono lateralmente alle dette due serie dagli occhi fino alla base della coda. La gola è perlacea più o meno tendente al ceruleo ; qualche volta giallastra 0 rosacea. Il di sotto del corpo è ora di un bruno - verdastro, ora di un grigio verdognolo, talvolta pagliarino o gialla- stro, e persino ranciato acceso. E queste tinte possono essere uniformi o screziate di numerose macchiette o punti nerastri, specialmente verso l’ ano e sotto la coda. Il colore giallastro o ranciato è esclusivo delle fem- mine, nelle quali scorgonsi anche meno distinti i punti e le strie nere, e manca la linea grigiastra. Il loro capo è bruno-rossastro; ed il fondo del corpo più carico -che nel maschio. Qualche volta sono più distinte le strie bianche, tal’ altra le brune, e questa variazione, unita alla maggiore o minore intensità della tinta del corpo, dà luogo ad un numero ragguardevole di graduazioni nel colorito della Specie. | I neonati sono al di sopra di un color nerastro quasi uniforme, e plumbei o cenerognoli al di sotto; e tale co- lorazione si mantiene anche per qualche tempo nei gio- vani, nei quali però vedesi molto presto una leggera trac- cia dei colori degli adulti. DIMENSIONI. Gli individui sino ad ora trovati tanto nel Veneto che nel Tirolo non misurano una lunghezza maggiore di 15 444 BETTA a 47 centimetri, dei quali la coda occupa i due terzi. La testa misura millim. 10 a 43. ABITAZIONE E COSTUMI. Questa specie che il Principe Bonaparte disse non tro- varsi in paese italiano che sovra i monti della Svizzera e del Piemonte, trovasi molto più internata nel nostro paese di quello che fosse in allora conosciuto. La posseggono infatti e copiosa, i monti del Trentino, ed i paesi veronesi di Soave colle adjacenti località montuose, di Legnago e di Zevio. Ne tengo un esemplare dal Padovano, ed uno dai monti Bellunesi. Secondo il Prof. Massalongo vive an- che presso Peschiera. Nella Valle di Non nel Tirolo abita sempre? gli alti monti, e non mai mi fu possibile .trovarla ad elevazioni minori di circa 3000 piedi di Vienna sul livello del mare, HI monte Toval fu la prima località ove la raecolsi: più copiosa in seguito la osservai sopra Tret'e Senale (4960 p. V. sec. Oettl.), e molti ed anche più belli esemplari raccolsi poi sui monti le Pallade all’ altezza di 5360 p. V. (Oettl.). Benchè ami in fatto più i monti che la pianura, non può però dirsi ch’ essa schivi tanto le umide terre quanto si credeva una volta, e fa prova di ciò l’abitare essa le basse pianure ed i luoghi umidi ed acquitrinosi del Veronese. Sui monti e nei boschi preferisce di stanziare vicino agli alberi ed ai tronchi secchi, a piè dei quali ha la sua tana sotto le foglie ed i rami caduti; e più che altrove trovasi appunto colà ove sono spessi cumuli di rami, pronta a ricoverarvisi sotto per difendersi dai pericoli che, la minaciassero. E per natura assai timida, ed al minimo avvicinarsi dell’ uomo fugge con mirabile velocità , riu- ERPETOLOGIA 145 scendo perciò possibile l’ arrestarle e V impadronirsene soltanto col sorprenderle nelle posizioni ove gli arbusti e le ineguaglianze del terreno le difficultano la fuga. La femmina depone verso la metà o la fine di Giu- gno cinque a sette uova, così mature che di là a pochi minuti ne sbucciano i piccoli perfettamente formati. Que- sto fatto fu osservato per la prima volta da Jacquin, e verificato dappoi da molti altri, fra i quali da Cocteau che anzi estese su tale soggetto un’ erudita dissertazione nel Magazin de Zoologie di Guérin. Esempi di parto viviparo abbiamo però anche in varj altri rettili, e precisamente fra i nostri contiamo quelli dell’ Anguis fragilis ancora fra i Saurii, della Vipera e del Colubro austriaco fra gli Ofidii, della Salamandra’ fra i Ba- traci. Siccome osserviamo la stessa eccezione anche in animali ordinariamente ovipari di diversa Classe, quali sarebbero ad esempio la Paludina vivipara ed alcune Par- tule:fra i Molluschi, alcuni Ditteri fra gli insetti, molte specie fra i pesci cartilaginei ecc. A quanto asseriscono gli autori nutresi questa lucer- tola di varj insetti, dando però speciale preferenza ai Ditteri. Io posso aggiungere d’ aver sorpresi due individui nel momento in cui avevano afferrata una mosca, ed un terzo che teneva fra le mascelle una locusta di monte. OSSERVAZIONE. AI colore ranciato più o meno carico del ventre in questa specie devonsi i diversi nomi che le vennero dati, di L. crocea dal Wolf e di L. pyrrhogaster dal Merrem. Sull’ autorità del Principe Bonaparte, di Duméril, e di altri chiarissimi autori ho collocato nella Sinonimia an- 10 146 BETTA che la Lacerta montana di Mikan, persuaso poi io stesso con essi che questa non differisca' per nulla dalla nostra specie, a giudicarne e da un’ esemplare eh’ io tengo dalla Stiria e dalla figura che l’autore presenta (4), e la quale chiaramente apparisce disegnata sopra individuo della no- stra specie in cui i lati del collo ed i fianchi sono pun- teggiati di néro e di bianco; varietà poi della quale preci- samente trovasene qualche individuo anche nelle accen- nate località del Tirolo, e già compresa nella esibita deseri- zione specifica. Lo Tschudi pretenderebbe al contrario che la specie di Mikan fosse specie distinta, da lui stesso osservata nella Svizzera e pubblicata sotto il nome di Zootoca montana (2); ma se anche differisce la sua Zootoca dalla nostra Z. vivi- para pei caratteri di forme e colorazione esibitiei nella frase e nella tavola, non può però mettersi in dubbio, lo ripetiamo, essere la specie di Mikan la stessa nostra qui descritta. | Ù (41) Deutschl. Fauna Abi. II. H. 4. è. 4. (2) Monogr. d. Schweiz. Echsen. pag. 52. 33. L. 1. f. 3. 4. ERPETOLOGIA 4147 HI. s. g. PODARCIS WAGLER. 5—-I1 PODARCIS MURALIS Wagler. Ital. Lucertola, lucertola dei muri. Ven. Luserta, lusertola, osertola, bissardola, liserte, lisierte. Tirol. Luserpa, luserdola, iserdola, bissordola, nanajuela, iserta. CARATTERI. Corpo quasi quadrilatero. Una sola piastrina fra la nasale e la lorea. Tempie rivestite di squame, in mezzo alle quali una più grande circolare (disco masseterico). Palato privo di denti. Solco golare distinto. Collare non dentellato. Scaglie dorsali Poligggo-orbicnla, Sei serie di piastre addominali. Colori del corpo variabilissimi. SINONIMIA. Seps muralis Laur. Syn. Rept. p. 64. 162. t. 41. f. 4, Seps sericeus Laur. Syn. Rept. p. 61. 160. t, 2. f. d. Lacerta tiliguerta caliscertula Cetti Anf. Sard. p. 18. Lacerta tiliguerta Latr. Hist. Rept. I. p. 239. — — Daud. Hist. Rept. III. p. 4167. — — Merr. Syst. Amph. p. 64. sp. 7. Lacerta muralis Latr. Hist. Saiam. p. XVL —. — Merr. Syst. Amph. p. 67. sp. 14. — — — Fitz. Verz. Mus Wien. p. 51. (exclus. var. £.) _ — Duges Annal. XVI. p. 380. t. 43. f. 3. — — Schinz Fauna Helvet. p. 158. sp. 2. 4148. BETTA Lacerta muralis Dum. Bibr. Erpétol. V. p- 228. Lacerta Brongnartii Daud. Hist. Rept. III. p. 221. — — Fitz. Verz. p. BI. sp. 8. var. y. Lacerta maculata Daud. Mist. Rept. III, p. 208. t. 37. f..2. — — Merr. Syst. Amph. p. 65. sp. 10 — _ Fitz. Verz. p. BI. sp. 8. var. e. — — Risso Hist. III. p. 86. Lacerta sericea Merr. Syst. Amph. p. 63. sp. 6. Lacerta agilis Risso Hist. III. p. 86. — — Ambrosi Prosp, z00l. p. 290. — — auctor. plurim. Podarcis muralis Wagl. Syst. Amph. p. 153. — — ZBonap. Fauna ital. cum tabul. Podarcis muralis Tschudi Monogr. p. 34. — — Fitz. Syst. Rept. p. 20. — — Betta Rett, Tirol. p. 453. _ — Betta Cat. syst. Rept. p. 13. — — Massal. Saggio p. 55. Lacerta saxicola Kryn. Observat. p. 50. Podarcis Merremti Fitz. in litt. (Bonap.). _ — Fitz. (Parreyss în sehed.) FORME. Corpo quasi quadrilatero; la testa occupa la quarta parte della totale lunghezza che si misura dall’ apice del muso: fino alla origine della coda; è in generale distintamente depressa, ma qualche volta la sua altezza posteriore ugua- glia quasi la sua maggior larghezza; la sua estremità an- teriore è sempre acuta. La coda quasi quadrata alla base si fa ben presto cilindrica assottigliandosi assai verso I° a- | pice, e la sua lunghezza costituisce circa i.due terzi della totale lunghezza dell’ animale. Le zampe anteriori, distese ERPETOLOGIA 449 lungo il collo arrivano alle narici ed anche all’ apice del muso; il primo dito è il più breve; il secondo col quinto ed il terzo col quarto quasi eguali fra loro. Le zampe po- steriori giungono alle ascelle o le sorpassano, ed hanno breve il primo dito, alquanto più lungo il secondo, il ter- zo ed il quinto quasi eguali fra loro, il quarto lungo due volte il secondo. Le dita sono coperte da piccole lamelle e la base è a tubercoli granulari. Le unghie sono piuttosto lunghe, ricurve, acutissime e di color brunastro. Il palato è sprovvisto di denti (*); 6 a 9 sono i denti intermascellari; 30 a 34 i mascellari superiori, e più di 40 gli inferiori. Cinque per banda sono le piastre sotto- mascellari. | | | Le piastre che coprono il capo non differiscono da quelle della £. viridis ; la occipitale è molto piccola, ma sempre di forma triangolare, troncata alla sommità ante- riore. A differenza però di quella specie, la P. muralis ha come la Zootoca una sola piastrina fra la nasale e la lorea, susseguita da piastra grandetta quadrata, e da altra grande subquadrangolare e leggermente ondulata al suo margine posteriore. Una piastra circolare 0 disco masseterico, varia- bile in diametro, occupa presso a poco il centro della re- gione temporale, ed è attorniato da piccole squame più o meno arrotondate ed ovali, tranne le quattro o cinque posteriori al margine superiore dello stesso disco le quali sono subquadrilatere. L’orecchio e le palpebre non differiscono quanto ai tubercoli e alle piastrine da quelle della L. viridis. (*) Secondo Duméril si trovano, benchè raramente, alcuni individui della specie nei quali il palato è armato di denti. Vedi quanto si è. detto in proposito a pag. 121. 4150 BETTA Il dorso è vestito di tubercoli graniformi,. piccoli, poligono - orbicolari, molto -‘ottusamente carenati, e di eguale forma; ma più appianati sono quelli che coprono ì fianchi. Minutissime sono le scaglie attorno alle attacca- ture degli arti. Solco golare distinto. Collare costituito da 9 ad 44 squame, la media delle quali quasi del doppio più grande delle altre; il margine di essa non è dentellato, ma diritto e continuo perchè quadrate al loro lembo esterno sono le squame che lo compongono. Dodici lamelle circa formano il triangolo del petto. Le piastre addominali si dispongono in sei serie longi- tudinali; sono tutte di forma pressochè quadrata, ed in nu- mero di 23 a 25 per cadauna serie. Una sola piastra copre quasi tutta la regione preanale, ed è circondata ai lati ed in avanti da doppia serie di piccole squamette. Ad ognuna del- le coscie si contano da 15 a 20 pori. Le squame della coda sono lunghe, strette, liscie inferiormente, e disposte in circa 90 verticilli molto distinti, a margine posteriore quasi con- tinuo, presentando soltanto una leggiera punta ottusa. Tali squame sono carenate, ma non sempre così nel mezzo come osservasi nelle due specie precedentemente descritte. COLORITO. Facilissimi i rettili in generale a variare di tinte e di colori, questa specie supera però sotto tale riguardo e senza confronto tutte le altre, offrendoci quante modificazioni di colorito il capriccio per così dire potrebbe immaginare, tan- to nelle tinte che le sono proprie, quanto in quelle d’ ogni altra specie affine ch’essa si usurpa. Troppo difficile im- | presa ed anco impossibile sarebbe quindi tener dietro e se-. gnare tali varietà, che con infinite ed insensibili modifica- | ERPETOLOGIA 454 zioni di tinte e di macchie vengono poi a collegarsi e con- fondersi fra esse in modo che il solo pennello potrebbe rappresentarle. Tinto il dorso di alcune in grigio, di altre in cenere, di altre ancora in bronzino, in verde, in rossastro od in bruno, passa con tutte le possibili modificazioni dall’ uno all’ altro colore, e adornasi di punti, di striscie, di linee, di ocelli, di quadrati ed elissi più o meno regolarmente di- sposti a disegno, -e ‘più o meno spiccanti nei molteplici loro colori sul fondo del dorso. Cangiano di colore e di mac- chie eziandio le parti inferiori, che vedonsi quando di tinta uniforme biancastra, verdognola, gialla, rossastra o nera- stra, quando scaccate di bianco e di nero, di rosa e matto- ne; e mostrano infine qualche volta non meno un bellissi- mo azzurro oltremare che spicca sulla serie più esterna delle piastre addominali. E quì, prima di specialmente distinguere le varietà che più comunemente presentansi in queste provincie, torna utile di osservare col ch. Prof. De Filippi (*) che se il colore non deve mai essere preso quale .carattere specifico, può però in qualche caso essere utilmente consultato nella de- terminazione delle specie, e quì diremo anche della va- rietà, atteso i moltissimi suoi rapporti colla abitazione stessa degli animali; rapporti dei quali facilmente si è convinti ricordando fra i rettili stessi alcuni dei casi dal prelodato autore esibiti: il color bruno cioè, di questa nostra comu- ne lucertola solita a vivere fra i muri, le macerie e sulle aride rupi, confrontato col bellissimo verde del ramarro dei prati; il bel verde della nostra Ila solita a poggiarsi sulle foglie degli alberi, confrontato col verde più cupo (*) Regno Animale. pag. 254. 452 | BETTA delle erbe palustri nella Rana comune, e. colle ‘tinte della Rana temporaria ritraente il colore di foglia morta domi nante nelle aride campagne in cui fa dimora. l Ciò premesso è conseguente di ammettere per la nostra specie due distintissime varietà, dipendenti appunto: dalle relazioni loro coi luoghi rispettivamente abitati. Di fondo brunastro o grigiastro si osserva infatti il dorso degli indi- vidui che più comunemente fanno dimora. fra i muri e le macerie; mentre lo hanno di color verde quelli che assai più dei primi, od anzi esclusivamente dimorano nei campi 0 seorrono sulle verdi siepi delle campagne. Da quì le due principali varietà che si descrivono: A. var. muralis ameforem — Dorso di color grigio, gris gio- verdastro, rossastro, brunastro, o di ‘altra delle molteplici gradazioni di tinte prodotte da modifica- zioni e fusioni di tali colori. if; ) B. var. campestris Betta. — Dorso di un bel color verde uniforme più o meno vivo, con una larga fascia lon- gitudinale che dall’ occipite va sulla coda, per lo più brunastra, continua, con maggiore o minor numero di macchie fosche od anche nere più o meno estese @ discoste fra esse. Talvolta questa fascia non è che debolmente segnata e macchiata di nero; talvolta residua costituita soltanto da macchiette nere. inter- rotte sul collo, assai di rado segnate su tutto il dorso. Due altre linee consimili collocate sui fianchi, fanno maggiormente spiccare il verde del dorso che, chiuso così fra esse e la dorsale, foggia due larghe. fascie dî tal vivo colore. Queste linee dei fianchi sono anche marginate sopra e sotto di bianco, e la marginatura superiore disponesi in riga bianca, continua e spic- Î | ERPETOLOGIA 453. cante più della inferiore. Macchie pur bianche ve- donsi quà e là nelle stesse fascie. Il capo è di color brunastro più o meno carico, e più o meno sparso di piccole macchiette o punti neri. Le parti inferiori sono di color uniforme biancastro, giallastro, o giallo- verdognolo, od anche rossastro. © Alla var. A. si è soltanto accennato il colore dominante del dorso onde far risultare a tutta prima la differenza sua dalla campestris.:Se però rarissimo riesce che la livrea di questa esca dai limiti di colorazione e disegno asse- gnati, non così facilmente ponno determinarsi i confini del colorito, della configurazione e disposizione delle macchie nella mwuralis; per cui vale precisamente per essa quanto si è avvertito in genere sui svariati e molteplici disegni sotto ì quali possono quelle foggiarsi. In particolare osserveremo solo che gli individui più comunemente portano sul dorso, che è di color cenerognolo o brunastro più o .meno spie- gato ‘e qualche volta dorato, una linea longitudinale costi- tuita da una ‘serie di macchie interrotte nerastre e bian- castre che dall’ occipite va fin sulla coda. Altre due linee corrono lungo i fianchi alquanto più fosche e più marcate delle dorsali, più o meno distintamente listate in bianco, e sparse di macchie pur bianche e nerastre. In altri individui, non meno frequenti, scorgesi appena qualche traccia delle linee fosche ai fianchi, ed il loro dorso è tutto vermicolato di nero, talora a foggia di rete. Sì negli uni che negli altri poi le parti inferiori sono di color: bianco verdastro, più o meno cosperse di piccole maechie nerastre, ora disposte in ordine seriale, ora irre- golarmente sparse ed anche di irregolare figura. ‘ Queste macchie risultanti talvolta di un ‘bel free inattone, e le tinte pure variabili delle parti addomi- A54 BETTA nali hanno suggerita la distinzione di altre varietà desunte dal colore dominante del fondo, e dal colore delle mac- chie che quasi intieramente coprono il fondo stesso. Della var. A. muralis auctorum, distingueremo special- mente le seguenti : | Var. da. var. d. Var. Cc. var. d. Var. e. nigriventris Bonap. — Il dorso è rossastro: 0 bru- no-verdastro reticolato in nero; il di sotto biagi stro scaccato largamente in nero. albiventris, — Dorso grigiastro o grigio dorato; variamente macchiato; gola e ventre di color bian= co con insepsibilissima tendenza al verdognolo. rubriventris. — Dorso variopinto; il di sotto di un bel color rosso più o meno intenso, uniforme o sparso di rare macchie nerastre, 0 -scaccato: in FOsso mattone. eupreiventris Massal. — Dorso come |’ antece- dente, ma con maggior tendenza all’ olivaceo; ven- tre e gola di una tinta uniforme di rame molto accesa. maviventris. — Dorso reticolato in nero; gola ver- dognola con macchie nerastre; ventre di un bel color giallo con piccole macchie nere disposte in serie quasi regolari lungo le piastre addominali. DIMENSIONI. I nostri esemplari misurano in lunghezza da centime- tri 46 a 24, dei quali la coda ne occupa quasi due terzi. La testa misura nei maggiori individui millimetri 417 a 20. ERPETOLOGIA 455 ABITAZIONE E COSTUNI. Comunissima questa specie in tutto il Veneto e nel ‘Tirolo, è però non sempre frequente, od anzi rara in qual- | cheduna delle varietà suaccennate. Così nel basso Vero- nese, mel Padovano, e presso Venezia soltanto, e sempre esclusivamente nelle campagne o sulle siepi verdi, può dirsi frequente la var. campestris, che in Tirolo scontrai solo e rarissima presso Ala e Rovereto. Al Veronese ed alla Valle di Non nel Trentino appartiene la var. d. Presso Verona e Vicenza soltanto raccolsi la bella var. e.; nel Veronese, Vicentino e Padovano la var. c. I | La lucertola dei muri, la quale si pasce di mosche, di insetti e di lombrichi, vedesi ovunque possa far preda di tali animali, e trovasi quindi lungo le strade, sui muri a secco, fra le sterili siepi, negli orti e persino nelle case. Agile assai, movesi con rapidità, e favorita dalle sue acu- tissime unghie sale e percorre facilmente a perpendicolo le muraglie, quando però non sieno molto levigate. Soffre il caldo ed il freddo meno delle altre lucertole, ed è quindi la prima a comparire dopo l’ inverno, e I° ultima a rinta- narsi nell’ autunno. Predilige le posizioni ed i muri a secco ben soleggiati, ed ama anzi starsi esposta ai raggi solari. Ricoverasi fra i crepacci delle muraglie, sotto i sassi, fra i cespugli, e vi annida deponendo da 9 a 13 uova in una piccola tana a ciò previamente disposta. Fugge quando so- spetti pericolo, ma anche arrestata o presa morde assai difficilmente, o la sua morsicatura è leggiera. Colla massi- ma facilità perde la coda, ma poi colla stessa facilità la riproduce, portandola talvolta anche doppia o triplice. Co- me si ebbe già ad osservare altrove, non si riproducono 456 BETTA però le vertebre della parte troncata, in luogo delle quali formasi invece soltanto una sostanza cartilaginea. OSSERVAZIONE. Nei cataloghi e nelle opere di molti autori, e_special- mente poi nelle poche enumerazioni dei rettili spettanti alle nostre Provincie (avvertite già nella Prefazione), figura questa lucertola sotto la denominazione di Lacerta agilis Linn.; errore mantenuto dalla consuetudine di accordare tal nome alla specie che più abbonda nel paese di chi scrive o raccoglie, e dal fatto che molti Zoologi italiani applicarono precisamente quel nome alla nostra muralis. Senza potere indubbiamente provare se lo Svedese na- turalista abbia con quel nome distinta una specie propria di quella regione, o se piuttosto sotto quell’ unica deno- minazione abbia comprese varie specie dei nostri paesi, è però certo che la L. agilis Linn. quale ci viene distinta e figurata dal Principe Bonaparte, quale fu accettata e rite- nuta da tutti i moderni autori, e quale è «descritta da Du- méril e Bibron sotto }. altro nome datole dal Daudin di L. stirpium, non venne mai fino ad ora incontrata nelle nostre provincie. Essa è specie settentrionale e raramente. trovasi in Italia ove, al dire di Bonaparte, sembra essere confinata ad alcuni distretti superiori. Duméril e Bibron - che la osservarono in Francia, nell’ Inghilterra, nella Sviz- zera, e Sicilia assicurano abitare essa i piani e le colline, tenendosi lungo i confini dei boschi, dei giardini, o fra i Vigneti, ma giammai recarsi fra le montagne. , Tutte queste ragioni mi inducono a ritenere quindi altro non essere che la muralis la specie che il ch. Prof. Catullo ERPETOLOGIA 157 nomina come L. agilis abbondante nelle Alpi Bellunesi (4); siccome devesi ritenere che una semplice varietà della co- mune lucertola abbia indicato come Lacerta argus Laur. che dà pure come abitatrice di quelle località. (2) — Forse non . | ebbe poi presente che la argus del Laurenti altro non è che un giovine individuo della stessa Z. agilis di Linneo. «Così non puossi ritenere che per la campestris o. per qualche altra varietà, la £. agilis che colla muralis leggesi enumerata fra i rettili della provincia di Venezia (3). — Quanto alla Z. agilis Linn. indicata dal ch. Ambrosi di Borgo (4) come specie comunissima nel Trentino, altro essa non è in fatto che la Podarcis muralis, siccome potei io stesso verificare sugli esemplari suoi. Una varietà di questa è poi anche l’ altra specie che nomina £. Laurenti Daud., denominazione specifica che deve essere cancellata perchè sinonima della vera L. agilis. NOTA. Non è tacersi come mentr’io segno: con nuova denomi- nazione la bella e costante varietà a dorso verde, le spetterà . forse il più vecchio nome di tiliguerta 0 caliscertula imposto dal Cetti ad un lacertino della Sardegna, e sul quale tanto discordi si mantennero gli autori, sostenendo alcuni fra essi (1) Geognosia delle Prov. Venete. pag. 172. (2) « Lacerla argus Laurenti. Il fondo del colore è brunastro, con macchie gialliccie, attorniato da una linea nera. Queste macchie sono ap- pena visibili sul dorso, ma molto appariscenti sui lati. Corre sopra i muri come la precedente (la Z. agilis) e vedesi più spesso nelle cam- pagne che nelle città. » = Geogn. p. 172. (35) Venezia e le suc Lagune. Vol. II. p. 159. (4) Statistica del Trentino. Vol. I. p. 290. 4158 i BETTA appartenere quella specie del Cetti alla sinonimia della La- i certa viridis, àltri a quella della nostra muratis. In proposito | però io credo che se quanto ne lasciarono scritto Latreille, | Daudin, Merrem, Cuvier ed altri, dovea ‘rendere per. verità assai dubbiosa la corrispondenza della tiliguerta ad una va- rietà di colorazione della muratis, di tale corrispondenza non si possa ora più dubitare in seguito agli studj ed alle ricer- che dei più moderni autori, fra i quali deve nominarsi il Prof. Genè che in una erudita sua Dissertazione intorno alla | tiliguerta del Cetti (A) ne provò la sua identità specifica colla muralis; identità accettata ed ammessa ora dai più valenti Erpetologhi d’ oggidì. bi ‘. Che poi la campestris potesse essere la stessa tiliguerta 0 caliscertula me lo farebbe sospettare la descrizione data da Duméril di una varietà della muralis (2) avuta dalla Sicilia e da Roma, alla quale riporta la specie del Cetti, e che mol- to si avvicinerebbe pel colorito agli individui compresi sotto la mia varietà; siccome me lo farebbe pensare ancora più il trovare indicate dal ch. Prof. De Filippi (3) come « conni- » niventi nella valle del Po, ma in stazioni affatto separate, | » la lucertola dei muri a dorso di color bruno, e la lucertola » assai più campestre ed a dorso verde » ch’ egli chiamereb- be appunto la tiliguerta. Ciò non pertanto mancandomi ancora più precise descrizioni e ‘cognizioni della tiliguerta, non potrei usare pei nostri individui di tale denominazione, e, almeno pel momento, ritengo quindi per essi quella da, me proposta. (4) Memorie dell’ Accademia di Torino. Tom. XXXVI. pag. 302. (2) Duméril e Bibron, Erpetol. Lacerta muralis var. h. — Tom. V. pag. 254. I (3) Regno Animale, pag. 258. ERPETOLOGIA 4159 La costante differenza di abitazione della tiliguerta e della lucertola dei muri ha fatto pensare anche ad una loro differenza specifica, e di tale parere dichiarossi anzi lo stesso Prof. De Filippi, il quale in un suo Cenno sulla tiliguerta del Cetti (4) ripetendo la suriportata osservazione sulla conni- venza delle due lucertole nella valle del Po, vi aggiunge la notizia che la tiliguerta « nell’ Italia meridionale e nelle » grandi isole di Sardegna e di Sicilia trovasi sola, mentre » per lo contrario al di là delle Alpi manea affatto, e lascia » alla lucerta de’ muri il dominio esclusivo ». (2) — Se questo fatto interessa assai l’ attenzione degli erpetologhi, e prova certamente esistere una varietà assai bene distinta, non credo però assoluiamente che possa aversi a base di una distinzione specifica; tanto più che fuori del colore del fondo e della differenza di abitazione delle due lucertole non havvi, come confessa lo stesso ch. Autore, alcun altro carattere esterno di distinzione, nè nella proporzione delle varie parti del corpo, nè nel numero e nella disposizione delle squame o dei pori femorali. A tutto ciò io posso poi anche aggiungere che nessun carattere differenziale presen- tano neppure gli scheletri delle due lucertole, minutamente esaminati e confrontati tra loro. (1) Annali di Bologna. Serie IM. 1852. Tom. V. pag. 69. (2) Le due varietà muralis e campestris trovansi conviventi anche nella Romagna, sulle mura d’ Imola la prima, nelle adjacenti campagne la seconda. Varj esemplari me ne furono comunicati dal Sig. Giacomo Tassinari, al quale rendo qui pubblica testimonianza d’ obbligazione per avermi fatto possessore di alcuni altri rettili di quelle località. | --—-—_-..—— 460 BETTA Fam. IL Anguidi. Gen. ANGUIS LINN. (EMEND.) Glu ANGUIS FRAGILIS Linn. Ital. Angue fragile, Lucignola, Ghiacciolo. Ven. Orbarolo, orbesin, orbisigola, orbisiola, bisso de vero, bissorbola, warbit, uarbitul, sgurbisul. È | Tirol. Orbisoala, orbarola, vercia, verm de vero. LA CARATTERI. ‘ Corpo cilindrico, serpentiforme, senza gambe; capo coperto di scu- detti. Tutto il corpo rivestito sotto e sopra di squame omogenee, lucide, dilatate, embricate, esagone. Coda lunga quanto il tronco ed anche più | Colorito vario, il più spesso però di un color uniforme di bronzo pattinato al di sopra, piombino al di sotto. I SINONIMIA. Anguis fragilis Linn. Syst. Nat. I. p. 392. — — Laur. Syn. Rept. p. 68. 178. t. d f; 2. ‘— — Gmel. Syst. Nat. I. p. 1422. — — Donnd. Zool. IIL p. 248. sp. 14. — — Shaw Zool. IL 2. p. 579. _ — © Retz Fauna Suce. p. 296. — — Schneid. Hist. Amph. IL p. BH. . —_ — Wolf in Sturm Deutschl. Fauna III 3. —_ — Latr. Mist. Rept. IV. p. 209. Anguis fragilis rr.) fi « Anguis eryx ei ERPETOLOGIA Merr. Syst. Amph. p. 79. sp. 4. Frivald. Mon. serp. Ungar. p. 51. Metaxa Mon. serp. Rom. p. 31. Bendise. Mon. serp. Mantov. p. 44B. Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 53. Risso Hist. III. p. 88. sp. tf. Flem. Brit. Anim. p. 158. Daud. Hist. Rept. VII. p. 327. t. 87. f. 2. Wagt. Sy8t. Amph. p. 159. gen. 70. Cuvîer Règne anim. p. 98. t. 24. f. 2. Bonap. Fauna ital. cum tab. Schinz Fauna Helvet. p. 140. Kryn. Observat. p. dI. Tschudi Monogr. p. 37. Dum. Bibr. Erpétol. V. p. 792. Betta Rett. Tirol. p. 184%. Betta Cat. syst. Rept. p. 17. Massal. Saggio p. 7. Linn. Syst. Nat. p. 262. Gmel. Syst. Nat. p. 1121. Donnd. Zool. III p. 248. sp. 43. Shaw Zool. INI. p. 580. Retz Fauna Suec. p. 29%. Latr. Hist. Rept. IV. p. 246. Daud. Hist. Rept. VII. p. 357. Merr. Syst. Amph. p, 80. Bendisc. Mon. serp. Mantov. p. 418. Lia lineata Laur. Syn. Rept. p. 68. Gmel. Syst. Nat. I. p. 1122. Donnd. Zool. III. pi 248. sp. 17. Wolf in Sturm Fauna IH. 3. (juven.) Kryn. Observat. p. dI. Anguis clivica Laur. Syn. Rept. p. 69. Gmel. Syst. Nat. I. p. 1122. 41 464 162 BETTA Angui» clivica Donnd. Zool. II. p. 215. sp 18. Caecilia typhlus Ray Syn. Quadrup. p. 289. Anguis cinercus Risso Hist. III p. 88. sp. 415. Anguis bicolor Rissn ibid. sp. 16. ? Anguis incerta Kryn. Obseryat. p. 82. tab. 1. FORME. Corpo allungato come i serpenti, cilindrico, uniforme. in tutta la sua lunghezza fino all’ ano; coda pure cilin- drica, lentamente assottigliantesi verso la punta, che è al- quanto tozza e che termina in modo da sembrar troncata. La coda, che è soggetta a rompersi colla massima facilità, è lunga quanto tutto il corpo ed anche più. La testa è conformata a piramide quadrangolare, smus- sata all’ apice molto arrotondato, inferiormente depressa, superiormente alquanto convessa; si unisce al tronco senza il minimo risalto, tranne un tenuissimo rigonfiamento! verso le tempie. Le narici sono rotonde ed esili, e si. aprono vicinissimo alla punta del muso. Gli occhi sono; piccoli, vivaci, e trovansi in una specie di ‘avvallamento; che da ambe le parti si estende fino ai fori delle narici. La bocca è armata di piccoli denti acuti, ricurvi verso la, gola, ed il suo squarcio innoltrasi pochissimo al di là delle | orbite. pi Il capo è coperto di numerosi scudetti; la piastra ro-| strale è piccola, triangolare, equilatera, arrotondata alla | sommità ; le nasali piccole, annulari e collocate ai lati; la | piastra del vertice, maggiore di tutte quelle che rivestono il capo, è di forma elittico-poligona, e circondata da molte altre simmetriche e ben definite; la frontale grande e rom- boidale; la occipitale grande e triangolare; le parietali, che | - n cr — — ria — —- ERPETOLOGIA 163 ‘vi confinano, di forma pentagono-oblonga ed obliqua; al- ‘PV angolo della occipitale e fra le due parietali trovasi una ‘ssquama grandetta a margine arrotondato posteriormente, «al di là della quale compariscono gli ordini di quelle ‘ omogenee che coprono tutto il tronco. Otto scudetti mar- \ginali per ciascun lato vestono le labbra; la palpebra in- feriore dell’ occhio è vestita di piccole squame spesse e | poligone. |» Le squame di tutto il corpo sono lucide, dilatate, liscie, ‘\embricate, esagone, e disposte a romboide attorno al tronco ‘in 25 serie longitudinali. COLORITO. Il variabile colorito di questo Sauro, solito a subire nei varj stadii dell’ età sua sensibili e distinte modifica- zioni di tinte, ha dato causa alla creazione delle varie \specie nominali indicate nella Sinonimia, le quali tutte devono essere riferite alla nostra, che è forsanco |’ unica ‘del genere a tutt’ oggi conosciuta. 1 neonati hanno il dorso di un bel colore canarino (pallido o di un color bianco puro, sul quale spicca una ‘stretta linea nera che parte dalla nuca, e percorrendo il ‘mezzo del corpo va fino alla estremità della coda. I loro | fianchi ed il di sotto del corpo sono di un bellissimo nero ‘assai spiegato, e qualche volta tendente al turchino. Nei giovani la linea dorsale nera è talvolta fiancheggiata da una ed anche da due altre linee brunastre, puntiformi, ed equi- | distanti tra esse. Mano mano che l'individuo cresce, questa colorazione ‘va modificandosi e perdendosi, e negli adulti si osservano le seguenti principali varietà : 4164 BETTA var. a. vulgaris. — Parte superiore del corpo di una tinta uniforme di color di rame o di bronzo, 0 di colot grigiastro, o di un bruno marrone più o meno chiaro; i fianchi di color nerastro, e le parti infe- riori di color plumbeo più o meno spiegato. var. d. lineata. — Parte superiore del corpo come la pre- cedente, ma con una linea longitudinale sul dorso, di color nerastro, talvolta duplice ed accompagnata da biancastra marginatura; il più spesso però unica ed ondeggiante. var. c. grisca, — Parte superiore di un color grigiastro uniforme che mostrasi più sbiadito al di sotto. Testa screziata di macchie nere disegnate con qual- che regolarità sugli scudetti del capo. var. d. nigriventris Bonap. — Corpo di un color rosso castagnino uniforme, col corpo sereziato di nero. Il di sotto del tronco e della coda di color nera- stro tendente al turchino. var. e. fusca. — Parte superiore del corpo di una tinta; uniforme bruno-marrone carica; assai raramente vi si scorge una linea dorsale grigiastra puntifor- me. Parte inferiore nerissima. | Bellissima varietà offertami da esemplari presi sulle montagne di Fondo nella Valle di Non. I Il colorito proprio dei vecchi individui è verde-cinereò o verde-giallognolo uniforme, coile parti di sotto del tronco I e della coda di color piombino assai chiaro. citi Notisi che generalmente le mascelle sono punteggiate | in fosco, con diverse macchie nerastre sparse sotto la im- | feriore sino alla gola. Una lucentezza metallica risplénde sempre sul corpo. L’ iride è nera; la lingua è pur nera | all’ apice, ma tingesi di carnicino alla base. | EFRPETOLOGIA 465 DIMENSIONI. L’ ordinaria lunghezza cui giunge è dai 30 ai 36 cen- timetri, col diametro di 8 a 43 millimetri. Gli indi- vidui della var. fusca misurano in lunghezza centim. 37 a 89. La maggior grossezza sino ad ora osservata è di mil- lim. 415 in diametro, offerta da un’ esemplare il cui capo fino all’ano è lungo centimetri 24, mancandogli poi total- mente la coda, in esso rappresentata soltanto da un monco- ne ottuso, lungo appena 2 centimetri. Questo vecchio indi- viduo doveva quindi nel suo stato perfetto toccare la lun- ghezza almeno di 42 a 45 centimetri. ABITAZIONE E COSTUMI. . Comunissimo in tutto il Veneto e nel Tirolo, abita indi- stintamente i piani, le valli ed i monti, le selve ed i prati; ineontrasi vicino alle abitazioni fra le macerie, lungo le strade, fra le siepi, frammezzo all’ erba; trovasi sotto i sassi, in siti percorsi dalle acque, e più raro mostrasi sol- tanto, e finalmente sparisce colà ove la mancanza di om- bra lo esporrebbe ai vivi raggi del sole, che teme non meno che il freddo, Innocente e tranquillo, fugge all'avvicinarsi di alcuno, ma anche ruvidamente fermato od irritato non usa mai de’ suoi denti, che sono poi tanto corti e minuti da poter difficilmente forare ia pelle. Anche io squarcio della bocca sua è così breve che non potrebbe neppure afferrare vo- lendo mordere. Lungi quindi dal ricorrere al morso per sua difesa non apre nemmeno la bocca. 466 BETTA Giova avvertire che nel prendere colla mano questo debole animale devesi di quando in quando modificare è | moderare la forza con cui lo si tiene serrato fra le dita, e permettergli che il collo o la parte superiore del corpo possano accompagnare le contorsioni del tronco e della coda, giacchè in caso diverso succederebbe assai facilmente di vedersi spezzato in mano l individuo; siccome non meno facile a rompersi è desso allorchè venga percosso anche da leggerissimo colpo. Ma questa fragilità è ben lungi dall’ essere quale la raccontano molti e quale la | crede il volgo, da far sì cioè che si spezzi da per sè stesso qualora violentemente si contorca anche senza. es-. sere toccato. La natura ha poi provveduto a tali frequenti accidenti, e vi ripara colla stessa facilità accordatagli di riprodurre la parte troncata della coda. Per la stessa somma flessibilità di tutto il corpo è ce-. lerissimo a strisciare sul suolo, si ravvolge in ogni guisa, può attortigliarsi in anguste spire, e spiccar salti a non piccole distanze. i) ZI e O Nutresi di vermi e di insetti, e secondo alcuni autori. anche di piccoli molluschi terrestri. Si tiene sempre vi- | cino alla sua tana, rimanendovi celato durante la pioggia| e per una parte del giorno; o poco se ne discosta per es- sere a portata di rifuggiarvisi ad ogni bisogno. Cangia epidermide in Luglio od in Agosto, ed al primo avvici- narsi del freddo ricoverasi in piccole buche, o nelle fes- sure del terreno, o sotto le pietre per passarvi tutto Vin-. verno. Non si fa poi vedere che a primavera avvanzata, nella quale stagione si accoppia come i serpenti, avvitic- chiandosi i sessi l’uno attorno all’ altro e restando “mi i congiunti per qualche tempo. nn _————_‘ori ERPETOLOGIA 467 . La femmina, un mese circa dopo la fecondazione, par- torisce 7 a 40, e secondo Bonaparte 8 a 46 figlinolini non più lunghi di sette centimetri. Forse i neonati vivono in società per qualche tempo, e questo me lo fa supporre la ‘ circostanza occorsami non rare volte, e specialmente alla ‘ Punta di S. Vigilio sulla sponda veronese del Benaco, di ‘aver:sorpresi nei mesi caldi 5 a 7 individui giovani rico- verati ed ‘uniti sotto ad un solo sasso. Mai all’ invece ebbi ‘ad osservare unione di adulti, i quali anche laddove ab- bondano più, restano distanti fra loro, od al più appiattansi in due nello stesso nascondiglio. Tenuto in schiavitù rimane molto tempo senza man- giare, ed anzi non prende cibo alcuno e muore dopo il trentesimo o quarantesimo giorno, qualche rara volta an- che dopo due mesi. Mantiensi sempre mansueto e tranquillo, nè mai occorsemi di scorgere in esso se aspramente toccato od aizzato, altra dimostrazione di paura o di collera che quella di un leggerissimo soffio accompagnato da forte con- torsione e rigidezza di corpo. | E quindi ingiustamente temuto, e fra le favole si devono senz'altro passare i racconti del volgo, e di chi fra noi anco- ra crede questo rettile dotato di sì tremenda proprietà vene- fica da uccidere col semplice sguardo; e di chi narra essere PAngue il settimo figlio della vipera e doversi temere poi- chè assai più velenoso della madre sua; e di chi lo crede cieco facendone argomento di volgare pregiudizio, da cui “appunto deriva il nome vernacolo di ordesin, orbarola ecc. e di chi crede in fine che spezzandosi come il vetro nascano dalle sue parti staccate altre serpi non meno pericolose. Tutte queste ed altre consimili bizzarre e fantastiche invenzioni, se già sarebbero assurde quando fossero ap- plicate a qualcuno dei più nocevoli serpenti, sono assur- È 168 BET.TA —T Ln | dissime quando vengono attribuite a questo Sauro che è i il più tranquillo ed il più innocente d’ ogni altro rettile. i E vorrei che di ciò finalmente si persuadessero sopra- tutto molti dei nostri villici che si lasciano invadere da. N profondo spavento ogni qualvolta incontrano, o special | mente all’ epoca della falciatura danno il piede in questo | animale. Che se infatti a luogo di fuggire a_ precipizio, quasi che veramente la presenza e la vicinanza di’ esso | fossero portatrici di morte, si stessero fermi per poco ad . osservarlo, lo vedrebbero rapidamente strisciare per allon- — tanarsi dal luogo ove fu scoperto, e sottrarsi al pericolo che potrebbe sovrastargli. ; FERPETOLOGIA 169 Ord. III, OFIDIL. © Corpo cilindrico e molto allungato, senza collo distinto, senza gambe e senza natatoje; mancanza di palpebre mo- bili e di timpano distinto; mascelle assai dilatabili ed ar- mate sempre di denti; cute infine assai estensibile e co- perta di scaglie, sono i caratteri essenziali e sistematici pei quali i serpenti od Ofidii, distinguonsi assai agevol- mente fra tutti gli altri rettili non solo, ma fra tutti ben anco gli animali vertebrati. Ben altri però, fuggevoli, poco precisi od anche fallaci erano per lo addietro i caratteri dell’ Ordine, la cui storia presenta una sequela di confusioni ed errori in cui si mantenne fino al principiare del corrente secolo. Arbitra- rie classazioni, insufficienti e troppo artificiali sistemi con- fondevano questi animali con altri essenzialmente diffe- renti per organizzazione, struttura, abitudini e costumi; nè è poi ancora molto che i naturalisti riguardavano ® serpenti come i soli e veri Rettili, comprendendo gli ‘altri tre ordini nella distinta classe dei Quadrupedì ovipari. Le prime notizie esatte che dopo qualche più antico auto- re si abbiano sui serpenti, trovansi già nei preziosi libri di Aristotele, ma sgraziatamente essi risentono di troppa buo- na fede lorchè vi si leggono le favole ed i pregiudi;j di quell’ epoca intorno a questi animali. E Plinio che vi fece seguito riportandone tutte le erronee credenze, com- (*) dpi, serpente. 470 BETTA mentandole anzi, amplificandole, ed aggiungendone di proprie e del suo tempo, talchè il Laurenti non esitò a chiamarlo Mendaciorum Pater (*), ha contribuito non poco a convalidare e mantenere le favole che svisarono questo importantissimo ramo della Zoologia, e che sempre in maggiori e più fantastiche superstizioni fu travolto colle successive opere del Gesner, dell’ Aldrovandi, e di Jonston, nelle quali trovansi di più descritti alcuni esseri chimerici chiamati Dragoni, che non lasciarono poi anche d’ illu- strare con figure, ju Fino allora però mancava qualsiasi classificazione, 0 sistema e solo erano nominate o descritte alcune delle specie conosciute, siccome fra le velenose la ceraste, l' aspi- de, la vipera, della quale anzi Plinio descrive i denti un- cinati come sede del veleno già conosciuta dagli antichi. Il teologo inglese Ray fu il primo (4693) degli autori. ge- nerali che abbia dato un saggio di classificazione dei ser- penti; ma il suo sistema fu presto abbandonato perchè fon- dato sopra caratteri insufficienti e poco naturali, ed è a Linneo che devonsi i primordj di una classificazione e di un sistema che perfezionò sempre più nelle molte edi- zioni del suo Systema Naturae. Soltanto in tempi a noi molto vicini la scienza co’ suoi luminosi progressi ha stabiliti ì precisi limiti entro i quali devonsi ripartire e dividere i rettili, non compren- dendo fra gli Ofidii che un certo nnmero, costituente un ordine assai caratterizzato e distinto della loro Classe. Ed è poi solo in epoca più recente ancora che circoscritto que- st’ ordine da più naturali ed essenziali caratteri di orga- nizzazione e struttura, lo vediamo finalmente spogliato di (*) Svnopsis Replil. pag. 153. annienta | Ì Il ERPETOLOGIA 474 quelle specie che per sole apparenze , ma senza fonda- mento scientifico, vi appartenevano secondo le anteriori classificazioni. Ciò dicasi ad esempio per l’ Anguis fragilis il quale benchè privo di piedi ed affettante tutta la forma di un serpe, tanto se ne allontana peri proprii importan- tissimi caratteri esterni ed interni già in addietro avvertiti, da dover prendere posto fra i Saurii. Da questo sì scorge- rà come non già la mancanza di piedi sia ancora il segno pel quale si possano distinguere con sicurezza i veri ser- penti dagli altri rettili; sibbene i caratteri premessi in capo a quest’ Ordine, colla facoltà tutta lor propria di dila- tare enormemente la bocca a segno da poter trangugiare corpi superanti in grossezza la propria mole; facoltà che dipende da una organizzazione tutta speciale a questi ani- mali. Le branche infatti della mascella inferiore non sono anteriormente saldate l’ una all’ altra in modo da costituire un’ osso continuo come in tutti gli altri vertebrati , ma sono invece semplicemente connesse sul davanti e tenute unite da ligamenti cedevoli ed elastici, in modo che gli apici delle stesse branche possono scostarsi considerevol- mente l’ uno dall’ altro per dilatare la bocca. Inoltre le basi della mascella non sono ricevute in una cavità articolare, ma si attaccano all’ invece, ciascuna dal proprio lato, a due lunghi ossicini interposti fra esse ed il cranio e facenti officio di leva; e siccome sono mobili all’innanzi, all’ indie- tro ed ai lati, così anche la mascella gode di tutti i movi- menti di regresso, progresso ed allargamento. Nove sonoi serpenti fino ad ora veduti in queste pro- vincie e quì descritti, i quali, seguendo la divisione già tracciata dai più insigni maestri dell’ Erpetologia e fon- dandoci sulla presenza o meno dei denti veleniferi, vengo- 472 BETTA no naturalmente a ripartirsi nelle due sezioni di ofidii senza denti del veleno, e di ofidii con tali denti. | Comprendiamo i primi nella nostra famiglia dei Colubri- ni, i secondi nella famiglia dei Viperini; sei delle nostre specie appartengono alla prima, tre alla seconda. Dei Colu brini, si distribuiscono due specie nel genere Coronella, due nel gen. Coluber, e due nel gen. Tropidonotus. Dei Viperini, uno spetta al gen. Pelias, due al genere Vipera. Volendo offrire una succinta storia ed i principali carat- teri dei cinque generi adottati pei nostri ofidii, diremo : I. Gen. CORDNELLA (LAUR.) SCHLEGEL. Fondato dal Laurenti (1768) comprendeva specie di generi troppo distinti perchè non avesse dovuto subire va rie modificazioni e restrizioni. Limitato quindi da Boie alle sole specie che per la forma loro si avvicinavano alla Coro- nella austriaca, data dal Laurenti quale tipo del genere; am- messo poi da Fitzinger e da Wagler con significati diversi, lo troviamo quasi nuovamente creato dallo Schlegel (1837) che vi comprese tutti gli ofidil affini per forma ed orga- nizzazione ai veri Colubri, minori però quanto alla statura. Assai di recente i sigg. Dumcril e Bibron (4854) hanno poi nuovamente modificato questo genere, assegnandogli altri caratteri ed estremi che quì però non occorre di ri. cordare. i Sono caratteri del nostro genere: Capo breve, più 0 me- no distinto dal tronco, superiormente in declivio dal suo ver- tice alla estremità del muso, coperto da 9 scudi regolari e sim- metrici; due piastrine oculari posteriori, una sola. anteriore. Corpo subpentagono, quasi cilindrico, ma un poco più ingros- ERPETOLOGIA 173 sato nel mezzo; squame del corpo liscie e lucenti; coda non molto lunga. II Gen. COLUBER LINN, ( EMEND. ) Nella semplicità del sistema Linineano comprendeva questo genere tutti gli ofidii nei quali la parte inferiore della coda era coperta da piastre divise, e vi si contenevano quindi tutte le specie nostre in allora conosciute, tanto velenose che non velenose. Separatine più tardi gli ofidii provveduti di denti del veleno, noi lo vediamo in seguito tanto modificato, cangiato e scomposto dagli autori, in modo da richiedersi niente meno che il riassunto di tutta la storia dell’ Ofiologia per tesser quella del nostro genere. Basterà il dire che l' ordine degli ofidii stabilito da Linneo in soli sei generi ( compresi i tre ora esclusi Anguis, Amphisbaena e Caecilia) fu seomposto dal Laurenti in 17, compresi quei tre, più il genere Chalcides provveduto di piedi a dita distinte. Daudin portò il numero dei generi di quest’ Ordine a 25, Merrem a 23, Wagler poi fino alla straordinaria cifra di 97, e Fitzinger di 85, distribuiti in 20 famiglie con 200 distin- zioni sottogeneriche, mentre 450 circa sono le specie co- nosciute. Parlando poi in specialità del genere Coluber di Linneo, dal quale solo può dirsi essere scaturita la numerosa cater- va di generi ora accennata, troviamo al contrario come qualche autore lo restrinse in limiti tanto eccessivamente angusti che, a modo d'esempio, delle nostre due specie qui descritte ; il Coluber flavescens ed il Coluber viridiflavus, ne vediamo esclusa la prima benchè tanto affine alla seconda. Quale è qui accettato, comprende le specie delle quali Il capo, coperto da 9 scudi regolari e simmetrici, è più di- 474 BETTA stinto dal corpo che non nell’ antecedente genere, e presenta anche minor declivio dal vertice all’ estremità del muso; con occhi e narici laterali; una sola piastrina oculare anteriore, due posteriori. La forma del in tondeggiante, le squame liscie, la coda lunga. Vi appartengono le due specie più grandi dei nostri nove serpenti. III. Gen. TROPIDONOTUS (*) KUHL. Benchè le specie di questo genere abbiano la maggiore rassomiglianza coi veri Colubri, facile nonostante ne riesce la distinzione per alcuni loro proprj caratteri che sug- gerirono appunto al Kuhl la creazione per essi di un separato genere, oggidìi ricevuto da tutti o sotto il nome proposto da questo autore, o sotto l’ altro di Matrix. isti- tuito dal Laurenti, ma emendato ed a più naturali confini ridotto dal Principe Bonaparte. Sono caratteri del genere: testa ristretta al muso, larga alla base e quindi distinta dal collo, il quale però subito si ingrossa e va a confondersi col resto del corpo; narici piccole; riavvicinate, quasi verticali; occhi molto sporgenti; una pia- strina oculare anteriore, tre posteriori. Gli angoli della bocca rivolti con sensibile curva verso l’ alto del capo; coda non molto lunga; squame del dorso costantemente carenate. Tali serpenti abitano e prediligono i luoghi umidi, i terreni irrigati, e le vicinanze delle acque, nelle quali nuotano con molta facilità tenendovisi anche per qualche tempo approfondati. | (*) Teorts - (dos, carena, vewtos, dorso. ERPETOLOGIA 175 IV. Gen. PELIAS MERREM. Già in separato articolo si sono indicati 1 principali caratteri esterni e le forme che distinguono i serpenti ve- lenosi. E fra quelli abbiamo notato un corpo breve, in proporzione molto ingrossato nel mezzo, e considerevol- mente ristretto verso il capo e la coda; una testa depressa, cordiforme, e ben distinta dal tronco; coda molto breve, specialmente nei maschi, e quasi diremo fuori di propor- zione atteso il rapido suo restringimento alla base; occhi piccoli, a pupille verticali, e superiormente protetti da una piastra sporgente. Venendo ora alla indicazione dei più vicini caratteri che, oltre quello importantissimo della presenza dei denti veleniferi, fanno conoscere le specie comprese nella fami- glia dei nostri Viperini osserviamo in esse: capo tutto co- perto da squame irregolari, o soltanto nella parte ante- riore da piccoli ed irregolari scudetti, invece che da 9 scudi | regolari e simmetrici come nei Colubrini; narici laterali; uno spigolo risentito, acuto, orizzontale, che partendo dalla piastra sopracigliare giunge fino alla sommità dello scudetto rostrale; mascella superiore breve; lo scudetto sopracigliare bislungo, sporgente in fuori quanto il globo dell’occhio ed anche più; tutto il resto dell’orbita cinto da doppia serie di piccoli scudetti; squame del corpo segnate nel mezzo da una costicina sagliente, allungata, che dicesi carena. | Dapprima i nostri Viperini erano compresi nell’ unico genere Vipera. Più tardi Merrem ne tolse una specie che fece tipo del suo distinto genere Pelias, oggidi universal- mente accettato, ed in cui quella stessa specie rimane tut- tora l’ unica conosciuta. 176 BETTA Sono caratteri del genere: Capo ovale, superiormente spianato e coperto nella parte anteriore di piccoli scudetti piani, anzi leggermente concavi, dei quali uno centrale più grande ; spigolo rostrale poco ri- sentito e meno prominente all’ apice. E perchè col confronto tostamente emergano le diffe- renze fra i due generi adottati per le nostre specie, se- gnansi per caratteri del V. Gen. VIPERA LAURENTI. Capo più depresso, allargato posteriormente e quindi più distinto dal corpo; coperto intieramente di piccole squame ir- regolari e non da scudetti (*); spigolo rostrale risentito e pro- minente all’ apice del muso. Questo genere fu istituito dal Laurenti per le specie il capo delle quali era appunto coperto da piccole squame, ed in allora il Pelias berus figurava nel suo genere Coluber. In seguito Daudin riunì sotto al genere Vipera la maggior parte dei serpenti provveduti di denti veleniferi, e cogli scudetti sottocaudali. disposti in doppia serie. Merrem vi portò poi alcune altre modificazioni, e Wagler non indicò sotto lo stesso nome generico che tre sole specie, cioè le | nostre ammodytes ed aspis, e la Duboia od elegans delle grandi Indie che ora appartiene al genere Echidna di Mer- | (‘) È però da notarsi che in qualche individuo della nostra Vipera aspis scorgonsi sul capo alcune squame irregolari grandette che meglio si | direbbero scudetti. Ne tengo anzi un esemplare in cui tali squame si av- vicinerebbero per forma e disposizione agli scudetti del Pelias berus. | Questa circostanza comprovata con un più esteso esame comparativo fra-le ‘| specie dei due generi, potrebbe forse rendere di debole ed incerto valore. il carattere degli scudetti, dagli autori esclusivamente assegnato al Pelias. . i ERPETOLOGIA 177 rem. Più tardi lo Schlegel ridonandogli l’ originaria esten- sione vî comprese specie assai diverse per molti esterni caratteri, e che dovettero quindi distribuirsi in varj di- stinti generi. Attualmente il genere Vipera fu circoscritto ‘anche dai più distinti autori, a tre sole specie delle quali ‘ci appartengono due, e la terza è a noi straniera. Gli Ofidii si direbbero a prima vista privi d’ ogni mezzo ordinario di locomozione, e destinati a vivere nel luogo ove il caso li ha collocati. Nondimeno pochi sono gli ani- ‘mali nei quali tanta sia la prestezza e l’ agilità nei movi- ‘menti e nel cangiare di sito, quanta è nei serpenti. Quando ‘strisciano sì avvanzano per moti alternanti di ondulazioni flessuose, si piegano, si spiegano, e si ripiegano in nume- ‘rosi e successivi giri tortuosi che descrivono nel loro corpo altrettante curve a S. I loro muscoli sono dotati di una forza veramente ammirabile. Possono sollevarsi, alzarsi quasi perpendicolarmente tenendo appoggiata al suolo la sola coda o breve parte del tronco; rampicarsi fino alla cima degli alberi; spiccar salti meravigliosi, o aggomito- lando a foggia di spirale il loro corpo e distendendosi poi ‘rapidamente con uno slancio, ovvero arcuando una parte del ‘corpo, riavvicinando sul suolo le due estremità dell’ arco ‘facendo servire o l’ una o l’altra di punto d’ appoggio, e riappianando poi sollecitamente la parte che ricurva sor- geva. Sanno nuotare, ed anzi alcune specie godono di tale facoltà in modo particolare potendo trattenersi anche lungo tempo sott’ acqua. | Come in tutti i rettili anche nei serpenti la sensibilità ‘è ottusa; ma al contrario sono dotati di una irritabilità muscolare quasi prodigiosa. Il loro cuore palpita lungo tempo dopo levato dal corpo, le loro mascelle si aprono e si chiudono allora benanco che la testa sia stata tron- 42 4178 BETTA cata; spogliati della pelle, privati dei visceri più impor- tanti, tagliati a pezzi, manifestano ancora per lungo tempo segni di vita. Hanno l’ odorato assai imperfetto poichè le loro nari hanno corto tragitto dal muso alle fauci, ‘sono. poco sviluppate e per l’ ordinario semplicissime; nè de- vono usare di tale senso per dirigersi verso la preda, che. attendono invece in agguato e con lunga pazienza, ed as- salgono per sorpresa. La loro vista è acutissima; gli occhi sono apparentemente sprovveduti di palpebre, ed un pic- colo rialzo formato dalla pelle pare che solo li protegga. Le recenti indagini di Cloquet e Duméril hanno. però di- mostrato che l’ occhio degli Ofidii è ricoperto di una pal- pebra unica, molto grande, immobile, che sembra incassata in una cornice rilevata che forma attorno all’ orbita «un numero variabile di scaglie. E tale palpebra una conti- | nuazione dell’ epidermide, colla quale cade pure al tempo della muta. Esaminando le spoglie dei serpenti che fre- quentemente si vedono appese fra i crepacci dei muri vecchi, o portate dal vento sulle vie o nelle campagne, potrà ognuno vedere inserite nella pelle del capo tali pal- pebre, lucide, trasparenti, e che anche per la loro forma sì possono paragonare ad un vetro d’ orologio. Gli ofidii mancano di organo esterno dell’ udito, di apertura e di timpano; esiste però un organo. interno quantunque assai meno sviluppato che nei Saurii. La per- cezione dei suoni deve essere perciò molto debole ed im- | perfetta in questi animali. Lo stesso dicasi del gusto, poi- | chè la lingua sta rinchiusa in un fodero membranoso e tinisce in due lunghi filetti cartilaginei, dotati perciò di pochissima sensibilità. Inoltre questi animali non masti- cano mai la preda, che non fa che attraversare la bocca conservando le sue forme solide, ed ognuno sa non esservi ERPETOLOGIA 479 sapore che nelle materie in soluzione. La lingua dei ser- | penti è liscia ed appianata al di sopra, e solo qualche volta offre ai lati alcune piccole frangie 0 papille; mal grado la sua strettezza è assai vibratile e ritrattile; abi- tualmente l’ animale la spinge fuori della bocca facendola sortire senza aprire le mascelle, fra una incavatura che generalmente osservasi nella scaglia situata alla metà del muso, detta scudetto rostrale. Quand’ è sortita, le sùe punte si divergono e si mettono in rapida vibrazione, ciò che ha fatto credere al volgo essere la lingua una specie di dardo ed anche la sede del veleno. Ben lungi dall’avere la forma di un ferro da freccia con punta conica davanti e due di dietro, come alcuni la figurano, essa è divisa verso la sua estremità anteriore in due filetti sottili, flessibili ed asso- lutamente carnosi. Il tatto risiede in tutto il corpo, scemato però molto dalle scaglie e dalla epidermide cornea che lo inviluppa. Codesta epidermide cade almeno una. volta all’ anno, e P animale la smette in lembi od anche d’ un solo pezzo sotto la forma di un fodero o di un dito di guanto arro- ‘vesciato. I serpenti mangiano raramente e non nutronsi che di carni. Un pasto basta loro per vario tempo; soffrono lun- ghissimi digiuni, e molti colubri e vipere furono conser- vati, ed io stesso ne conservai per più mesi senza che ricevessero. cibo di sorta. Allorchè sentono il bisogno di nutrirsi spiegasi in essi una agilità, una vivacità sorpren- dente; alcune volte, come si disse, sanno attendere per lungo tempo, con mirabile pazienza, ed in una quasi totale immobilità l’ istante d’ avventarsi sulla preda; altre volte ne vanno in cerca percorrendo quelle località, quelle posizioni che 1 istinto o Y esperienza indica loro come 480 BETTA abitazioni prescelte dagli animali dei quali si mutrono; | Sorpresa o raggiunta la vittima si slanciano d’ un colpo su di essa afferrandola cogli spessi e ricurvi denti delle | Il loro mascelle, le quali dilatansi enormemente e danno | passaggio al corpo dell’ animale predato, tante volte assai più voluminoso del proprio. I serpenti velenosi usario an- che della loro arma, tanto semplice per la sua natura . quanto terribile pei suoi effetti; avvicinatisi alla vittima, alzano la testa, incurvano il collo, aprono la bocca ‘e la | gola; l’ abbassamento della mascella inferiore fa alzare la superiore che sfodera e porta in avanti i denti apporta- trici di morte; colla rapidità d’ un lampo il povero ani- maletto è ferito ; il rettile. ritira prontamente i denti, e da quell’ istante la vittima è sua. Nei più grossi serpenti la vittima viene stretta e soffocata fra le molte spire del corpo. La preda è generalmente afferrata per la ‘testa, che è quindi anche la prima ad entrare nella gola; frattanto che i denti d’ una mascella vi si infiggono da un lato, la mascella opposta si avvanza ed al suo torno passa coi proprj denti il corpo della preda che viene tirata in den- tro, ed è a mezzo di questo avvicendato movimento delle mascelle che la vittima entra sempre più nella gola, com- piendosi poi la deglutizione in seguito a maggiori o minori sforzi secondo il volume dell’ animale. A facilitare tale atto, e supplire alla impossibilità di masticare e rompere quindi in pezzi la preda, serve opportunamente la secre- zione di una abbondante saliva, operata da glandule spe-. ciali, che la rende lubrica e più facile ad essere ingojata. I serpenti bevono di rado, e forse qualcheduno fra essi non beve mai perchè condannato a vivere in luoghi. aridi e secchi, od in boschi dove manca affatto l’acqua. Si è già altrove parla:o della loro impossibilità di succhiare, ERPETOLOGIA 484 ed ivi si è anche provata l’assurdità delle volgari credenze in proposito. Quando il serpente è eccitato da qualche passione 0 viene aizzato, respinge con violenza dalle fauci |’ aria in- spirata producendo un sibilo più o meno forte secondo l’animale stesso e la forza della passione che lo agita. Questo sibilo non è però che un suono paragonabile a quello che risulterebbe dal passaggio rapido e continuo del- l’aria in un secco e stretto tubo, siccome quello sarebbe di una penna; nè giammai i serpenti hanno potere di fischiare e di produrre altri suoni come vien creduto dal volgo. » Fu detto già altrove che questi rettili provengono tutti da uova che vengono deposte sul terreno, o in qualche cavità, o nei letamaj, nei quali la fermentazione produce e mantiene un attivo calore. In qualche specie per altro” schiudonsi ancora nel ventre della madre, sortendone i piccoli già snelli e vivaci. Il loro numero è sempre vario secondo le specie. Gli Ofidii amano il calore e quindi preferiscono in ge- nere le posizioni soleggiate; qualcuno stassi però anche in luoghi ombreggiati, tra le erbe e nei boschi, e la scelta della dimora può dirsi sempre dipendente e collegata col rispettivo nutrimento e coll’ abbondanza di questo. D’ in- verno vanno soggetti al letargo come gli altri rettili, e passano la cattiva stagione assiderati in qualche tana, o fra i crepacci del terreno, o dei tronchi, o delle roccie, a quella profondità che valga a difenderli dal freddo e dal gelo, ravvolti sopra sè stessi, e frequentemente attortigliati più d’ uno insieme. Sebbene astuti, sono timidi e paurosi, ed è raro che assalgano |’ uomo senza che sieno stati da lui provocati, e comunemente sembrano anco temerne la presenza. 482 BE TRA Avendo accennate nell’ articolo dei Saurii alcune ano- | malie, o mostruosità di forma, alle quali essi possono an- dar soggetti, è bene e molto più necessario parlando degli ofidii sui quali tante sono le dicerie, di avvertire come consimili accidenti possano nascere e siano nati anzi con maggiore frequenza negli animali di quest’ ordine, trovan- dosene esempj nelle opere di Aristotile, dell’ Aldrovandi, del Redi ed in molte dei più moderni autori. Pare a quanto: osserva Geoffroy Saint-Hilaire (*) che la testa sia però nei serpenti la parte in cui più comunemente si verificano | anomalie; e varj infatti sono i casi conosciuti di vipere a due teste, talchè, come avverte Lacépède, era una volta ritenuta | esistenza di una specie costantemente bicipite. Alle volte il serpente presenta due capi appoggiati a colli distinti; e tale è il caso della vipera che il Redi sorprese esposta al sole presso Pisa, e conservò poi anche viva per var) giorni. All'esame anatomico del corpo le si trovarono: due arterie tracheali, due grandi polmoni, due cuori, due | esofagi, due stomachi e due fegati, ma un solo intestino che sboccava in un’ unica cloaca. Altre volte un collo solo può portare due teste distinte; e di tale anomalia reca Geoffroy il caso in una giovane vipera inviata da Dutrochet all’ Accademia delle Scienze di Parigi, e della quale dà la fi- gura alla tavola XV della sua opera. Un consimile accidente viene pure rappresentato dal Principe di Canino nella sua Fauna italica, per una piccola vipera bicipite incontrata dal Sig. Orsini di Ascoli sui monti vicini alla sua patria. Redi ha osservato un serpente a due code; e Duméril riporta an- che il caso di un serpente fatto disegnare dal Dott." Mitchill, che aveva due corpi, tre occhi ed una sola mascella. (*) Mistoire des anomalies etc. Tom. HI, ERPETOLOGIA 483 Ao OFIDII SENZA DENTI VELENIFERI. Gen CORONELLA (LAUR.) SCHLEGEL. IZ CORONELLA AUSTRIACA Laurenti. Ital. Golubro austriaco, Colubro liscio. Ven. Vipereta, vipera de sutto, bissa, bisso. Tirol. Verm ross, vipera. CARATTERI. Capo poco distinto dal tronco, oblongo-piramidale, leggermente con- vesso al di sopra, arrotondato all'apice, alquanto dilatato verso la nuca, coperto da scudetti regolari e simmetrici. Piastra del vertice pentagona, più larga il doppio all'indietro. Coda lunga appena un sesto della lun- ghezza totale del corpo. Corpo di color cenericcio tinto di rosso mattone, o bruno giallastro. Capo dello stesso colore con grande macchia molto oscura, cordiforme, bipartita posteriormente; una striscia nerastra parte dalle narici, ed ol- trepassando l’ occhio scorre orizzontale fino alla commissura delle labbra. Addome di color giallastro tendente al cinereo, screziato di punti rossa- stri, brunastri o color d’acciajo. Piastre addominali 199-189. Scudi soltocaudali paja 40-58. SINONIMIA. Coronella austriaca Laur. Syn. Rept. p. 84. t. d. f. 4. Coluber austriacus Gmel. Syst. Nat. I. p. itté, 484 BETTA | Coluber austriacus Daud. Hist. Rept. VII. p. 49. "è “a Shaw Zool. INI. p. BI. = _ Bechst. in Lacép. III p. 309. =. — Sturm Deutschl. Fauna III 2. — - Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 59. sp. 7. = — Bendisc. Mon Serp. Mantov. p. 423. — — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 37. sp. 26. — _ Schinz Fauna Helvet. p. 141. sp. 2. _ — Bonap. Fauna ital. cum tab. — —_ Betta Rett. Tirol. p. 158. _ _ Betta Cat. syst. Rept. p. 18. sa _ Massal. Saggio p. 43. Coluber laevis Lacèép. Quadr. ovip. et serp. II. p. 4188. — — Latr. Hist. Rept. IV. p. 62. — — Merr. Syst. Amph. p. 401. sp. 36. — — Frivald. Mon. Serp. Hungar. p. 39.. _ — Kryn. Observat. p. 38. Coluber ferruginosus Retz Fauna Suec. p. 291. Coluber natrix Shaw Zool. INIL. p. 446. Coronella laevis Schleg. Essai p. 63. (în parte). _ — De Fil. Cat. rag. p. 18. — — seu austriaca Dum. Bibr. Erpét. VII. 4A. p. 640. | Zacholus austriacus Wagl. Syst. Amph. p. 490. i — —_ Fitz. Syst. Rept. p. 28. FORME. Capo poco distinto dal tronco, oblongo-piramidale, leg. germente convesso al di sopra, rotondato e smussato al- | l’ apice del muso, alquanto dilatato verso la nuca, supe- riormente coperto da 9 scudetti. Mascella superiore spor- | gente assai più della inferiore. Scudetto rostrale ripiegato | in avanti, di forma triangolare, più alto che largo, smar- | ginato alla base. Scudetti nasali piccoli, di forma quadri. | EFERPETOLOGIA 4185 latera, colle narici aperte verso il loro margine più esterno; due scudetti fronto-nasali di forma triangolare. Scudetti frontali quadrilateri, curvilinei nel loro margine posteriore. Scudo del vertice pentagono allungato in triangolo, col- ‘ Papice all'indietro e ad angolo acuto, più largo il doppio all’ innanzi. Scudi sopracigliari reniformi. Scudi occipitali grandi, più lunghi che larghi, troncati all’ indietro, di forma irregolarmente poligona. Occhi piccoli collocati in un solco ai lati della testa; una piastrina oculare anteriore, e due posteriori. Uno scudetto loreo per parte, di forma quadrata. Sette scudetti marginali sull’ uno e l’ altro labbro. Tronco subcilindrico, quasi uniforme, assottigliantesi aleun poco alle due estremità. Coda ben distinta dal tronco alla sua origine, conica, assottigliata alla estremità e leg- germente piana alla superficie inferiore; occupa quasi la sesta parte della lunghezza totale dell’ animale. . Dorso coperto di squame liscie e lucenti, lanceolato-esa- gone disposte in 49 serie longitudinali, molto piccole sul collo, più grandi e quasi equilaterali sui fianchi. Piastre addominali in numero di 159 a 489; scudetti sottocaudali da paja 46 alle 58. Denti piccoli ma grossi, ricurvi all’indentro e quasi tutti di eguale lunghezza; in numero di 10 a 43 nelle mascelle inferiori, di 7 a 9 nelle superiori; denti del palato 40 a 43 per parte. s COLORITO. Le parti superiori del corpo sono di un color cenericcio più o meno tinto di rosso mattone, che si fa più oscuro lungo il dorso e più chiaro verso i fianchi, ove prende un color d’ acciajo con qualche traccia di giallo. Tutte le squame sono punteggiate finamente di nero, e marginate 486 BETTA da una linea gialla pallida con un punto nero ben di- stinto in ciascuna verso l’ estremità inferiore. Quattro se- rie di macchie color castagno cupo marginate di nero scorrono lungo la parte superiore del corpo. Le due serie | Y È Î fl | | & DA | È È {a I t) dorsali sono più grandi delle altre e frequentemente con- | fluiscono nel mezzo formando una sola macchia transver- | sale rettangolare, due volte più larga che lunga. Qualche | volta tale confluenza non presentasi che sul collo 0 poco . più in giù; talvolta invece lungo quasi tutto il corpo. Le | macchie delle serie dei fianchi sono assai piccole, e tutte ; poi diminuiscono in grandezza tanto verso il capo che verso la coda. La maggior parte delle macchie di una serie | va alternandosi con quelle della serie opposta, e qual- | che volta sono così piccole da non risultare segnate che come una sfumatura di bruno lungo le squame. In alcuni individui le prime macchie delle serie dorsali sono fra | esse confluenti longitudinalmente, e presentano di tal ma- | niera due linee brunastre e brevi, che corrono parallele sul collo poco al di quà dell’ occipite. Il capo è segnato da una gran macchia brunastra o ne- rastra a forma di cuore bipartita posteriormente sulla nuca, | la quale macchia, marcatissima nei giovani, diminuisce poi coll’ età di intensità e grandezza fino a cancellarsi quasi to- | talmente. Una striscia di eguale tinta parte dalle narici ed oltrepassando Ì occhio scorre orizzontalmente fino alla com-. missura delle labbra, da dove prolungandosi sui lati del collo tende a congiungersi colla serie più esterna delle mac- | chie dorsali. Gli scudetti marginali delle labbra sono di co- lor bianco carnicino, marginate di nero all’ esterno e con punteggiatura fosca. Gli occhi sono bruni coll’ iride gialla. Il di sotto del corpo è d’ un color giallastro più o meno tendente al cinereo od al grigiastro; le piastre sono tutte va-. È 11 ERPETOLOGIA 487 riegate di punti rossastri, biancastri, nerastri, foschi o gialla- stri, con orlo lucente e di color d’acciajo. In alcuni individui la parte inferiore del tronco è anche di un color tendente . al violetto oscuro, o di un color acceso di mattone scre- | ziato di piccole macchie, od anche tutto nerastro uniforme. ‘Anche la tinta del dorso va soggetta a variazioni es- sendo qualche volta assai chiara, qualche altra molto ca- rica, e persino tendente ad un bruno nerastro od oliva- stro, siccome mi si presenta in un bel individuo della mia Collezione preso nei Sette Comuni. Nei giovani i colori sono più spiegati e lucenti di quello ‘che negli adulti, e grandi e molto pronunziate soro le macchie della nuca e dei lati del collo. Il ventre e la parte inferiore della coda si tingono di un color di mat- tone più o meno acceso, con varj punti minutissimi bian- chi o neri. Ma tanto la colorazione che le macchie e la loro disposizione non sono molto diverse da quelle che presentano poi nello stato adulto, talehè può dirsi questa specie una delle poche fra gli ofidii in genere, i colori ‘della quale mantengansi costanti nelle varie età. Secondo Frivaldszki i novelli sarebbero quasi totalmente bianchi (*), e lo Sehlegel osservando essere le tinte molto più chiare nei piccoli che non negli adulti, ripeterebbe egli pure che i novelli sono totalmente bianchi quando sortono dall’ uovo. Io tengo nella mia Collezione alcuni giovani che, non superando in lunghezza centimetri 14-44, devo rite- nere da ben poco tempo venuti alla luce. In essi a dir vero le tinte non sono tanto diverse da quelle degli adulti, ma anzi molto più pronunziate e cariche vi vedo le macchie (*) « C. laevis .... denera aetate fere totus albus ». Monogr. Serp. Hungar. pag. 59. 488 BETTA i del capo, del collo e del dorso. Duméril che ebbe più volte | occasione di vedere i neonati non nota il fatto del color i bianco, e solo, in consonanza con quanto osservo io stesso, da avverte come nei giovani la parte posteriore’ della testa sia. pressochè nera ed il dorso segnato da macchie nere assai regolarmente distribuite in serie longitudinali. Non avendo ancora mai avuto occasione di vedere io stesso individui appena nati, non manco di accennare quanto fu detto sulla, colorazione dai prelodati autori, ma sembrami in ogni modo; di poter ritenere che subito o ben presto dopo la nascita di questo rettile subentrino a quella uniforme colorazione le tinte e le macchie caratteristiche della specie. DIMENSIONI. La lunghezza ordinaria degli individui nostri è di cen- timetri 35 a 47, col diametro di 42 - 14 millimetri. ABITAZIONE E COSTUMI. È specie frequente in molte località del Veneto. Nella. provincia Veronese trovasi più che altrove abbondante lungo le sponde del Benaco, alle falde del Monte Baldo, nelle valli di Tregnago ed Illasi e presso il M. Bolca. Lo, trovai presso Arzignano e presso Bassano nella provincia) di Vicenza, ed un individuo ne ebbi raccolto dal Sig. Ge- rato ai Sette Comuni, quello stesso sopra distinto per la tinta del dorso bruno-nerastra carica. Dal Padovano mi. furono inviati due esemplari raccolti l’ uno a Valsanzibio; IE Ì l’altro a Galzignano presso i Colli Euganei, ed un terzo | . . ° ° . Ù . | lo ebbi dall’ ottimo amico mio D." Martinati preso in un, orto a Gorgo presso Padova. ERPETOLOGI1A {89 Meno frequente mostrasi all’ invece nel Tirolo, ove lo rinvenni per la prima volta soltanto nel 1854 presso Segno e presso Castel Thunn nella Valle di Non. Più tardi lo vidi però anche presso Gardolo al di sopra di Trento, presso Nomi e presso Riva nel Circolo di Rovereto. Nel. l'estate 1855 ne presi un individuo a Strigno in Valsu- gana; ne osservai un altro, della maggiore dimensione no- tata, ucciso sulla strada presso Fondo, ed un giovane, ma superbo esemplare, mi fu recato vivo da mio cugino Nob. Guido degli Stefenelli che lo aveva preso lungo la strada che da Fondo conduce a Tret, parte più elevata della Valle di Non. Oltre questi pochi individui non so che altri ne sieno stati presi o veduti, e mi è pure argo- mento per ritenervelo raro il non trovarlo neppure nomina- to dal Sig. Ambrosi nel suo Prospetto coologico del Trentino. Abita di consueto i boschi, le praterie, i campi ed i luoghi asciutti, e persino gli orti prossimi alle abitazioni; tiensi anche nascosto nelle siepi che costeggiano le strade, o fra i muschi in luoghi ombreggiati. Agilissimo nei suoi movimenti ed assai timido, fugge rapidamente all’ avvici- narsi di alcuno; ma quando venga preso od irritato schiz- za fuori dall’ano un umore Dbianchiccio di un odore erba- ceo, meno nauseante però di quello dei Tropidonoti, ed appiana e dilata il capo cagionando spavento a chi non lo conosce per la sua somiglianza colla vipera, cul si avvi- cina ancora più per la tinta generale del corpo e per la disposizione delle macchie. Se l’offensore lo tenga stretto o lo maltratti, non tarda ad aprire anche la bocca e mor- de rabbiosamente ; ma il suo morso non è menomamente pericoloso, e le esperienze del Laurenti (*) provano abba- (*) Synopsis Reptil. p. 186. 190 BETTA | stanza l’innocuità di questo animale. Di ciò posso poi far i fede io stesso essendo stato ripetutamente morsicato nella | mano, e con rabbia, da un individuo preso nelle vicinanze! di Castel Thunn, nel mentre tentava sbarazzarlo dalle maglie della piccola rete di seta che uso pei rettili acqua- tici, e sotto la quale l'aveva fermato nel mentre rapida- mente attraversava la strada. Nutresi di vermi, di mosche, e di insetti. Cibasi però anche di rane, di lucerte e di piccoli quadrupedi, e secondo Bechstein anche di piccoli uccelli. Secondo il Principe Bo-. naparte ingojerebbe inoltre serpentelli appena nati di altre più grosse specie. Tenuto in schiavitù non tarda molto a mo- strarsi tranquillo e mansueto, ed io lo vidi vivere in buon, accordo con varj altri rettili coi quali lo tenni custodito, | Nell'articolo della Propagazione sì sono già riferite le interessanti osservazioni del Prof. Genè sulle congreghe amorose di questa specie. Secondo le osservazioni dello | Schinz, di Frivaldszky, di Wyder e di Duméril partorisce i i figli vivi come la Vipera, e Lenz osservò anche come lo | sviluppo delle uova nel ventre della madre esiga un tem- | po di tre a quattro mesi, notandoci che i novelli non na- scono alla luce che verso la fine di Agosto, ed in numero |. use et di dodici circa. | V’ ha chi crede esistano nella mascella superiore di | questa specie, come realmente in alcun’ altra del genere | Coronella dello Schlegel, due denti posteriori molto più lun- | ghi degli altri e quindi sospetti. L'esame però di molti Il individui non mi offerse mai la presenza di tali denti, ma | all'incontro osservo che in questo rettile i denti si man- | tengono pressochè tutti dell’ eguale grandezza, mentre in | altre specie nostre anche affatto innocue vedonsi gli ultimi | denti molto maggiori degli anteriori. | | | Ì î Ì ì ERPETOLOGI1A 194 8— II. CORONELLA RICCIOLI Metaxa. Ital. Colubro del Riccioli. Veron. Angiella ( fide Massalongo ). CARATTERI. Capo poco distinto dal tronco, ovato-romboidale, arrotondato all'apice, coperto da scudetti regolari e simmetrici. Piastra del vertice quinqueango- lare, anteriormente poco più larga. Coda lunga circa una quarta parte di tutta la lunghezza del corpo. mi Corpo di color bigio od olivaceo-rossastro; capo dello stesso colore, segnalo da macchia semilunare nera sugli seudetti frontali posteriori; al- lra macchia nera sull’ occipile, due oblonghe convergenti sul collo, una ai lati del collo stesso. Fianchi ornati di punti roseo-corallimi; addome giallo canarino con due larghe fascie longitudinali nere e parallele. ( Piastre addominali 180-180. Scudi sottocaud. p. 98-00. (Bonap.) SINONIMIA. Coluber Riccioli Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 1, £. 3. 4. — — Bonap. Fauna ital. cum tab. — — Genè Stor. nat. II. p. 401. _ — — Betta Cat. Syst. p. 48. _ — Massal. Saggio p. 14. Coluber meridionalis Daud. Hist. Rept. VIT. p. 158. (/ide Bonap.) Coluber rubens Gachet Bull. Soc. Linn. Bord. HI. p.255.(/. Bp.) 192 BETTA FORME. « Ha il capo ovale-romboidale sufficientemente distinto dal tronco che è cilindrico-fusiforme; la coda non giunge ) la Do Die ad essere lunga la quarta parte dell’ animale intiero, ed è | terete e gracile. Le narici sono situate alla commissura di Il | due scudetti nasali; gli scudetti oculari posteriori sono al | numero di due; ha un solo scudetto loreo per parte, i . sopracigliari alquanto sporgenti all’innanzi degli occhi; lo scudetto del vertice è quinqueangolare, anteriormente poco più largo. Le squame di tutto il corpo sono lucidissime, ovato-sessangolari e senza il benchè minimo sospetto di | carena. Il numero ordinario degli scudi addominali è di | 484, quello degli scudetti sottocaudali di 64 paja; e questi numeri per quanto abbiamo veduto variano meno in que. | sta che in altre specie di Serpenti » (Lonap.). i COLORITO. «Una macchia semilunare nera molto decisa segna gli scudetti frontali posteriori, s' innoltra al di là degli occhi, | e termina all’ angolo della bocca; un’ altra macchia nera | più sottile e meno decisa parallela alla prima contorna LI anteriormente |’ occipite, il quale è nebuloso-fosco; due macchie nere oblunghe convergenti ornano superiormente il collo. Il dorso apparisce oscuramente carenato, ed è | d’ un color bigio 0 olivaceo rossastro con macchie fosche | quasi rotonde orlate di color nero, alternanti in due serie contigue, per lo più confluenti a due a due da una serie | all’ altra. I lati di tutto il tronco sono segnati da una linea longitudinale fosca quasi continua, poco distinta, la. 10 | | ERPETOLOGIA 198 quale prende origine da una lunga macchia nera decisa falcata che orna i lati del collo. Superiormente ed infe- riormente a questa linea longitudinale domina un color rossastro più o meno intenso, perchè le squame dei detti lati, che sono cineree nel fondo, portano un grandissimo numero di punti roseo-corallini; la porzione più prossima al dorso è assai più oscura, quella vicina al ventre è di colori più chiari e più vivaci; alcune delle descritte squa- me punteggiate di rosso sono irregolarmente marginate di fosco, altre di bianco. La parte inferiore di tutto l’ animale è gialla di canario con due larghe fascie longitudinali nere e parallele, una per parte, formate da macchie quadran- golari, altre contigue, altre no; nella regione più prossima alla gola, la quale è gialla pura, scorre per un breve tratto un altra fascia longitudinale intermedia, interrotta, le cui maechie nere alternano per lo più con quelle delle due fascie sopradette ». « Le tinte variano assaissimo ; perchè alcuni individui hanno colori anche più vivaci e risentiti che quello da noi effigiato; allora i gialli passano quasi al sulfureo, i neri al morato, e il rossastro al corallino; altri invece sono slavati e quasi luridi, con le linee e le macchie oscura- mente accennate » (Bonap.). DIMENSIONI. » Gli individui più grandi da noi osservati hanno ven- tisette pollici di lunghezza (*) dei quali la coda occupa meno di sei, ed è perciò notabilmente corta per un vero Coluber. La circonferenza del corpo giunge appena a due (*) Pari a centimetri 73, ossia poco meno di 26 oncie Veronesi. 13 494 Ti BETTA pollici, e la grossezza del capo a cinque linee. Ma il mag- | gior numero degli individui ha dimensioni assai più pie: cole, principalmente in grossezza. Non vi è alcuna diffe- renza di colori fra il maschio e la femmina; questa però | suol essere più grande» (Bonap. Fauna Ital. ) ABITAZIONE E COSTUMI. I ) La presenza di questa bellissima specie nel Veneto non . è fino ad ora constatata che da due soli individui raccolti | nella provincia Veronese, l’ uno presso Fumane da quel. Farmacista sig. Pellegrini, l’ altro dal Prof. Massalongo nel | paese di Tregnago ( Calavena ). Io vidi soltanto il primo, or sono quattro anni, presso il compianto amico e distinto | naturalista Luigi Menegazzi cui era stato regalato dallo | stesso sig. Pellegrini; e dal primo esame che al momento | ne feci mi risultò conforme alla descrizione ed alla bella figura della specie data dal Principe Bonaparte. Vi corri. | spondevano benanco le dimensioni, i colori e le belle fa- | scie longitudinali nere dell’ addome, molto precise e spie- gate. Quando però contava instituirne più accurato esame ed estenderne la particolareggiata descrizione, mi riuscì impossibile il farlo poichè fatalmente quell’ individuo era || stato gettato gia qualche tempo prima a causa d’ essersi accidentalmente putrefatto. Neppure del secondo esemplare che il Prof. Massalon- g0 (*) dice aver raccolto appena ucciso ed in tale stato | che gli fu impossibile conservarlo, posso presentare una descrizione poichè non offertaci nemmeno dallo stesso Pro- fessore. Ed ecco perchè in mancanza di individui Veneti | (*) Saggio. p. 18. L ERPETOLOGIA 4195 ho dovuto riportare la descrizione specifica tal quale ci è data dal Principe Bonaparte sugli individui della Romagna. Solo noterò pei nostri le dimensioni rispettive che, secon- do il Prof. Massalongo, risultavano di pollici 23 (cen- tim. 62) di lunghezza in quello preso a Tregnago, e pol- lici 25 34 (centim. 69) in quello preso a Fumane. Tali dimensioni si avvicinerebbero quindi di molto a quelle date da Bonaparte che segna quali estremi di di- stinzione fra questa e la precedente specie, oltrecchè la diversa colorazione, le dimensioni alquanto maggiori nel Coluber Riccioli. Ma non è però a tacersi come il Prof. Ge- nè ci avvisi (*) non superare questa specie in lunghezza il Colubro austriaco, ma essere soltanto di lui più sottile e molto più bello a vedersi. Sui costumi della Coronella Riccioli scrive il Principe Bonaparte, che dessa suole abitare i luoghi sassosi ei colli; niun serpente essere di questo più mansueto; il suo sibilare leggerissimo; non mordere ed anzi essere difficile fargli aprire la bocca per quanto lo si maltratti; nè av- vittichiarsi rabbiosamente, come fanno tanti altri, quando venga preso in mano. Simili notizie vengono ripetute an- che dal Prof. Genè, il quale come della specie precedente anche di questa osservò le curiose congreghe nel tempo degli amori. OSSERVAZIONE. L’ esterna rassomiglianza di questa specie colla Coro- nella austriaca è ragione del trovarle confuse in una sola da più autori, fra i quali lo Schlegel. Il Principe Bona- (*) Storia nat. H. p. 401. 4196 BETTA ì parte ed il Prof. Genè ne stabilirono però buoni caratteri | di distinzione. Sull’ autorità dello stesso Principe Bonaparte ho col locato nella Sinonimia la specie del Daudin, sebbene io non possa dichiararmene sicuro atteso alcune differenze di colorito, ed il diverso numero delle piastre addominali e degli scudetti sottocaudali che il Daudin dà pel suo Co- luber meridionalis ( La Couleuvre provencale ) abitatore del mezzogiorno della Francia. ERPETOLOGIA 497 Gen. COLUBER LINN. (EMEND.) 9-L COLUBER FLAVESCENS Gmelin. Ital. Colubro saettone, Bastoniere. Ven. Angio, Angia, bisso, bisson, magne. Tirol. Anza, anda. CARATTERI. Capo leggermente distinto dal tronco, oblongo-elittico, molto ottuso all'apice, coperto da 9 scudetti regolari e simmetrici. Scudetto del ver- tice pentagono coi margini longitudinali rettilinei. Coda proporzionatamente molto più breve che quella del C. viridiflavus. Dorso di color olivaceo uniforme, o sparso di macchiette biancastre. Capo e piastrine oculari del colore del dorso. Una macchia nera parte posteriormente all'occhio e corre orizzontale verso 1 lati del collo; altra macchietta nera dal lembo inferiore dell’ occhio si abbassa verlical- mente fino sugli scudetti solari. Tutto il di sotto del tronco d’un bel giallo di paglia o sulfureo, uniforme ed eguale. { Piastre addominali 220-228. Scudi sottocaud. p. 74-86. - SINONIMIA. Coluber flavescens Gmel. Syst. Nat. L p. 1145. — —_ Daud. Hist. Rept. VI. p. 272. — — Bendisc. Mon. Serp. Marntov. p. 420. — —_ Frivald. Mon. Serp. Hungar. p. 40. 498 BETTA Coluber flavescens Schinz Fauna HMelvet. p. 142. sp. dB. — — Bonap. Fauna ital. cum tab. = — De Fil. Cat. ragion. p. 28. — -- Betta Rett. Tirol. p. 435. — _ Betta Cat. syst. Rept. p. 18. — —_ Massal. Saggio p. 8. Natrix longissima Laur. Syn. Rept. p. 74. n. 145. Coluber natrix var. B. Gmel. Syst. Nat. p. 1100. Coluber Aesculapii Shaw Zoo). II p. 452. — — Latr. Hist. Rept. IV. p. DA. — — Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 37. n. 8. — _ Fitz. Verz. Mus. Wien. p. D8. sp. 45. — — Schleg. Essai p. 130. t. bd. f. 1. 2. | — — Cuv. Rèégne Anim. p. 111. t. 530. Coluber Sellmanni Nau Neue Entd. I. p. 260. (f. Merrem). — — Donnd. Zool. III. p. 207. (f. Bonap.) Coluber pannonicus Nau l. c. (f. Merrem). Coluber Scopoliî Merr. Syst. Amph. p. 104. sp. 48. Zamenis Aesculapîi Wagl. Syst. Amph. p. 4188. — — Fitz. Syn. Rept. p. 26. Elaphis Aesculapii Dum. Bibr. Erpétol. VII. 4. p. 278. FORME. Capo leggermente distinto dal tronco, di forma oblongo- | | elittica, col muso molto ottuso quasi troncato, coperto su- | periormente da 9 scudetti regolari e simmetrici. Scudetto | rostrale più largo che alto, di forma triangolare, arroton- dato all’ apice, convesso nel mezzo e sensibilmente infos- | sato e smarginato alla base. Scudo del vertice pentagono, | coi margini longitudinali rettilinei, e col margine anteriore | lungo quanto i due posteriori presi assieme, i quali sì | uniscono ad angolo acuto inserendosi nei due scudi occi- pitali, che sono grandi e posteriormente troncati. Tale base M ERPETOLOGIA 499 allargata dello scudo verticale lo fa sembrare a prima vista quasi triangolare. Scudi sopraorbitali grandetti; scudetti lorei trapeziformi. Due scudetti nasali per lato, colle na- rici arrotondate ed aperte nella commissura dei medesimi. Occhi rotondi, vivacissimi, con uno scudetto oculare ante- riore e due posteriori. Tronco quasi tondeggiante, alquanto compresso sui lati; coda lunga, continua, acuta, piuttosto piana nella parte inferiore. Squame del dorso perfettamente liscie, elittiche, oscuramente esagone, e disposte in 24 serie longitudinali. Piastre addominali, nel maggior numero degli esemplari, da 223 a 226, con paja 83 a 85 di scudetii sottocaudali. COLORITO. Corpo d'un color bruno olivastro più o meno intenso, tendente leggiermente al giallastro verso i fianchi. Tutto il di sotto del tronco e della coda di un bel giallo di paglia più o meno tendente al sulfureo, ed uniforme. Il capo ha sopra e sotto gli stessi colori del dorso e del ventre. Le squame del dorso sono assai di rado colorate uni- formemente, ma presentano invece minutissime punteg- giature fosche, ed alcune sono anche qua e là marginate in tutto od in parte di bianco. Tali marginature disposte in modo da rappresentare quasi la lettera X od un V, estendonsi talvolta su tutto il tronco risultando più sen- sibili verso i fianchi; talvolta non mostransi che molto al di qua del collo scorrendo il dorso ed i fianchi; tal- volta infine sono rarissime e segnate soltanto verso i fianchi. In alcuni individui scorgonsi anche varie fascie o linee longitudinali strette, sfumate, e più chiare del fondo col quale vanno a confondersi verso la coda. 200 BETTA Una piccola striscia fosca parte dal lembo inferiore | dell’ occhio, e si abbassa verticalmente sino agli scudetti golari. Un’ altra macchia fosca vedesi di qua e di là del capo, la quale partendo dal margine posteriore dell’ occhio | ì Î A | Ì i (8 FO pi v) | ut —' corre per un tratto orizzontalmente verso i lati del collo, indi facendosi più larga si incurva all’ ingiù, e lasciando | libero o in tutto od in parte l’ultimo scudetto marginale della mascella superiore riproducesi poi più sbiadito sul | margine della mascella inferiore. Mano mano però che. l’animale invecchia le macchie impallidiscono, e quelle posteriori agli occhi scompariscono anche del tutto. Alcuni individui, quelli specialmente delle regioni mon- tane, distinguonsi per avere superiormente una tinta ge- nerale molto fosca sparsa di macchiette o lineole bianche ; e talvolta assumono anche un color uniforme nerastro con rarissime macchiette bianche, od anche senza. e ® Ben diverso è il colorito dei giovani, i quali hanno il corpo tinto superiormente in grigio-fosco o cinereo sordido, | sparso di macchie bruno-olivastre, grandette, arrotondate | o quadrangolari, e disposte in guisa da simulare quattro | striscie scure longitudinali. Gli scudetti frontali ed i so- pracigliari sono tinti di nerastro posteriormente, ed una lineola nerastra scorre transversalmente nel mezzo degli | scudetti occipitali. La parte inferiore ed i lati del capo sono di un bel giallo canarino. Le macchie che partono | dall’ occhio e si dispongono a figura di arco sono d’un bel | color nero morato. Dietro quest’ arco il giallo della -parte | inferiore si stende a guisa di collare superiormente inter- | rotto. Al di dietro degli scudi occipitali havvi una mac- chia bruna foggiata a V, colle branche divergenti verso la parte posteriore ed allargate verso le estremità. Il dorso apparisce anche minutamente spruzzato di bianco, ma la ERPETOLOGIA 204 coda manca affatto di tali macchie e mostrasi invece su- periormente di un color bruno olivaceo, uniforme all’api- ce, segnato verso l’ ano e più in su da linee longitudinali . più oscure che vanno poi ad interrompersi ed unirsi alla serie delle macchie del dorso. Le piastre addominali sono di color di paglia sudicio nel tratto più vicino al capo, ed assumono poi gradatamente una tinta d’ acciajo che do- mina fino all’ apice della coda. DIMENSIONI. . Lunghezza ordinaria Metri 4 a 4, 20, col maggior dia- metro di millim. 418 a 23. Alcuni individui del Monte Bolca e di Monte Baldo nella provincia Veronese hanno dimensioni molto maggiori, arrivando qualche volta alla lunghezza di M. 4, 30 a 4, 33. ABITAZIONE E COSTUMI. Frequente in tutto il Veneto, incontrasi persino nelle campagne attigue alle abitazioni. Nel Veronese trovasi ab- bondantissimo, e vedesi spesso nelle campagne dei luoghi suburbani di Verona. Nel Vicentino lo trovai presso Mon- tebello- Lo vidi presso Padova e presso Mestre, e vengo assicurato trovarsi molto frequente anche nel Bellunese, nel Trevigiano e nel Friuli. | Nel Tirolo meridionale sembra esservi più raro non avendone fino ad ora osservati che soli cinque individui nel Trentino; uno preso presso Martignano dal Nob. Gio. Battista Sardagna, gli altri quattro da me, e di questi uno presso Pergine, uno alla Zambana presso Mezzolom- bardo, e due nella Valle di Non. 202 BETTA Questo colubro abita presso le campagne ricoverandosi nelle fessure dei muri, nelle siepi e fra i crepacci del ter- | reno; incontrasi appiattato fra la folta erba dei prati ed in. mezzo alle terre arative; qualche volta lo si scorge anche sugli alberi sui quali si arrampica facilmente. Non predi- lige i luoghi pantanosi ed umidi, ma tiensi ancor più lon-. tano da quelli eccessivamente caldi e secchi. Agilissimo nei movimenti e timido di natura fugge ad ogni rumore, e non si difende nè minaccia se non quando venga irri- tato e ridotto agli estremi. In allora si ferma od insegue, si dirizza verticale, soffia, si slancia, sferza colla coda e morde, senza che però la sua morsicatura porti conse- guenza qualsiasi. | Del resto le sue abitudini sono piuttosto tranquille e tenuto in schiavitù si fa ben presto dolce e mansueto, la- sciandosi toccare e maneggiare senza dar segno di collera o di molestia; ed al più, quando venga inquietato, si agita ed emette qualche sibilo senza però atteggiarsi a mordere. Nutresi di rane, di lucertole e di altri rettili; ricerca i piccoli uccelli che va a sorprendere nei loro nidi, e fa sua preda anche i piccoli mammiferi, dei quali varie vol- te gli trovai i cadaveri nello stomaco. Depone le uova co- me gli altri serpenti, ma non se ne conosce precisamente il numero per ogni parto. Secondo Frivaldszky non sa- sarebbero però molte, e Jacquin riferirebbe d’aver veduto una femmina a partorirne cinque, di forma allungato - ci- lindrica, arrotondata alle due estremità. | ERPETOLOGIA 203 140 Il. COLUBER VIRIDIFLAVUS i Lacépède. ‘ Ital. Il Biacco, il Bello, il Milordo, Serpente uccellatore, | Colubro verde e giallo. . Ven. Angia, anza, lanza, scorzon, bisso, bisson, magne. Tirol. Anza, anda. | | | CARATTERI. Capo piuttosto distinto dal tronco, ovato, depresso, ottuso all’ apice, | coperto superiormente da 9 scudetti regolari e simmetrici. Scudetto del vertice pentagono coi margini longitudinali alquanto curvilinei all’indentro. - loda proporzionatamente molto più lunga che quella del C. lavescens. Borso di color verde cupo o verdastro-nereggiante, sparso di mac- chiette gialle. Capo del colore del dorso, colle piastrine oculari di color ‘giallo sulfureo uniforme, e con linee dello stesso colore sugli scudi del “capo. Tutto il di sotto del tronco d'un color giallo di zolfo o pagliarino, ‘sereziato soltanto di nerastro sui margini esterni delle piastre addominali. - { Piastre addominali 198-230. -l Scudetti sottocaud. p. 98-112. SINONIMIA. Coluber viridiflavus Lacep. Quadr. et Serp. II. p. 137. t. 6. f. 1. — — Latr. Hist. Rept. IV. p. 88. — _ Daud. Hist. Rept. VI. p. 292. _ — Bendisc. Mon. serp. Mantov. p. 420. -_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 387. sp. 44. _ Seni Bonap. Fauna ital. cum tab. _ — Schleg. Essai p. 160. 204 BETTA Coluber viridiflavus De Fil. Cat. ragion. p. 27. = = Catullo Geogn. Ven. p. 172. È ar =" Ambrosi Prosp. zool. p. 290. i = — Betta Rett. Tirol. p. 153. _ — Betta Cat. syst. Rept. p. 19. | = - Massal. Saggio p. 10. Coluber alrovirens Shaw Zool. TI. p. 449. — — Merr. Syst. Amph. p. 140. sp. 69. = = Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 36. —_ -— Friv. Mon. Serp. Hungar. p. 45. — — Risso Hist. nat. IIT. p. 90. _ — Schinz Fauna Helvet. p. 142. sp. 4. Coluber communis Donnd. Zool. II. p. 208. Zamenis viridiflavus Wagl. Syst. Amph. p. 188. —_ _ Dum. Bibr. Erpétol. VII. |. p. 686. Var. carbonarius. Venet. Carbonazzo, carbonazz, carbon, charbonazz. Tirol. Carbonazzo, carbonazz. Coluber carbonarius Scretbers. _ — Catullo Geogn. Ven. p. 122. — — Ambrosi Prosp. zool. p. 290. Col. viridiflavus var. carbonarius Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 57. - — Bonap. Fauna ital. cum tab. — — Betta Rett. Tirol. p. 153. - - Betta Cat. syst. Rept. p. 19. —_ — Massal. Saggio p. 12. FORME. Capo piuttosto distinto dal tronco, ovato, depresso, ot- | tuso all’ apice, coperto superiormente da 9 scudi regolari ERPETOLOGIA 205 e simmetrici. Lo scudetto del vertice una volta e mezzo più lungo che largo, di forma pentagona, coi margini lon- gitudinali non rettilinei come nella specie precedente ma alquanto curvilinei all’ indentro. Scudetti oecipitali una ‘volta ed un quarto più lunghi che larghi. Scudetti so- praorbitali grandetti. Narici arrotondate, e poste nella commissura di due scudetti nasali. Scudetto rostrale di forma triangolare, quasi tanto alto che largo, arrotondato all’ apice, smarginato alla base. Occhi rotondi, vivacissimi, colla pupilla nera e coll’ iride di un bel giallo dorato. Tronco tondeggiante, un poco dilatato verso i fianchi. Coda distinta dal tronco, lunghissima, tenue, molto acuta, piuttosto piana nella sua parte inferiore. Squame del dorso perfettamente liscie, rombeo-allungate, e colle estremità alquanto tronche; disposte in 19 serie longitudinali. Delle piastre addominali, nel maggior numero degli individui, contansene 198 a 206; degli scudi sottocaudali paja 98 a 107. COLORITO. Parte superiore del tronco e della coda di un color verde cupo o verdastro nereggiante, tutto variegato di giallo sulfureo più o meno vivo, portando ogni squama una macchietta di tal colore. Sulla parte vicina al collo queste macchiette veggonsi segnate sopra una estremità della squama, e si estendono trasversalmente segnando così molte fascie sottili, trasverse, quasi rette nel mezzo del dorso, sinuose ai fianchi. Nella metà posteriore del corpo le macchiette segnano invece il centro d’ogni squa- ma, ed allungandosi longitudinalmente e tendendo a con- fluire insieme, disegnano molte striscie longitudinali che riescono poi più marcate e precise verso la coda, dove 206 BETTA le macchiette stesse confluiscono totalmente. Verso i fian- chi le squame sono pressochè interamente tinte di giallo, e di color giallo di zolfo o pagliarino uniforme è tutto il di sotto del corpo, vedendosi solo le estremità esteriori delle piastre addominali e degli scudetti sottocaudali leg: germente screziate di nerastro. Il capo è superiormente del colore del dorso, giallo al di sotto. Gli scudetti oculari anteriori e posteriori sono tutti gialli, e gialli sono pure gli scudetti marginali delle labbra superiori con leggiero margine fosco ai loro lembi superiori ed alle loro commessure. Lo scudetto rostrale è di color giallo sordido; gli scudetti frontali giallastri mac- chiati di fosco. Gli altri scudi del capo sono di color ver- dastro nereggiante od anche brunastro con screziature giallastre, e due serie di punti sulfurei più o meno: con- tinui e confluenti vi segnano due linee arcuate scorrenti transversalmente, l’ una verso i lembi posteriori dello scu- detto verticale e dei sopraorbitali, l’ altra verso i lembi posteriori degli scudi occipitali. Nei giovani la parte superiore del tronco e della coda è di una tinta piombino-olivacea pressochè uniforme, e solo con leggierissimo indizio di fascie transversali pallide nel tratto più vicino al capo. Il di sotto è di un color pa- glia uniforme, senza macchia qualsiasi lungo i fianchi. Il capo è fosco, più o meno nerastro, e sempre poi segnato dalle macchie gialle caratteristiche della specie. La linea. gialla transversale scorrente verso i margini posteriori degli scudetti occipitali troncasi verso la loro commessura di mezzo, e piegandosi all’ indietro prolungasi in due linee parallele le quali unendosi poi ad altre lineole transversali lasciano figurato a foggia d’àncora il fondo ;foseo della cervice. ERPETOLOGIA 207 Questo colubro tanto bizzarro e distinto per i suoi colori, non spiega però mai in queste provincie quella bellezza e vivacità di colorito nel verdastro del fondo e nel sulfureo delle macchie, che osservasi invece negli in- dividui della bassa Lombardia e specialmente in quelli che vivono lungo le mura e nei dintorni di Pavia. Fra noi tende sempre ad assumere un color bruno-verdastro 0 nerastro; ed altrettanto frequentissima quindi quanto è rara colà, trovasi nelle nostre provincie la varietà carbonaria, in cui tutta la parte superiore del corpo è di un co- lor nero d'inchiostro ; il capo privo affatto delle macchie giallastre o solo con qualche traccia di esse ; gli scudetti ‘oculari ed i marginali del labbro superiore di un color giallo assai pallido ; tutto il di sotto del corpo giallo di paglia lungo la parte media e di color d’ acciajo lucente Verso l'esterno, il qual colore estendesi poi su tutta la parte inferiore della coda. DIMENSIONI. Lunghezza ordinaria Centin.* 90 a Metri 4, 20 col dia- metro di millim. 418 a 23. La varietà carbonaria presenta maggiori dimensioni, e non pochi individui di essa arri- vano alla lunghezza di M. 4, 30 fino a 4, 50, col diametro di millim. 25 a 28. ABITAZIONE E COSTUMI. Incontrasi comunissimo nelle provincie Venete, e solo con minor frequenza lo si vede nelle parti montuose e nel Tirolo meridionale ove più abbonda all’ invece la va- rietà carbonaria. Gli individui della maggior dimensione 208 BETTA notata sono della Valle di Non nel Tirolo, del Monte Bolca nella provincia Veronese, del Bellunese, e- del Padovano ove anzi meritano per ciò speciale nota gli individui della varietà che rinvengonsi nelle casematte e nei sotterranei delle mura e dei bastioni della città di Padova. Ma se vere sono le notizie favoritemi da persona degna di fede, nessun individuo della varietà eguaglierebbe in grandezza quelli che vivono fra le macerie della Torre delle Bebbe, antico fortilizio di frontiera fra Padova e Venezia, non molto lungi da Malamocco. Abitatore tanto della pianura che dei colli e dei monti incontrasi nei boschi, nei luoghi coltivati , nelle praterie, lungo le strade e le siepi, fra le macerie di vecchie fab- briche, nelle fessure di vecchie mura, come pure nei sot- “terranei abbandonati, nelle ease deserte o diroccate. Pre- dilige in genere i luoghi soleggiati, ma non però soverchia- mente secchi, ed in cerca di preda allontanasi non poco dai proprj nascondigli ai quali però si dirige sempre fug- gendo quando venga intimorito dall’avvicinarsi di qualche pericolo. Sorpreso in largo stradale costeggia la via fino a che incontri il luogo più adatto per ricoverarsi, e fuggendo spicca lunghi e frequenti slanci, progredendo pure con somma velocità anche ritto sulla metà anteriore del corpo. Nutresi di ramarri, di rospi, di rane e di piccoli qua- drupedi, siccome topi e talpe. Si inerpica sugli alberi eon molta agilità, e sorprende così nel loro nido gli uccelletti dei quali fa preda. I colori veramente vaghi e vivaci di questo Colubro, la lucentezza delle sue squame, il suo sguardo di fuoco, l’agilità de’ suoi movimenti, lo rendono senz’ altro il più bello dei nostri serpenti. Ma il suo istinto è ben lungi dal corrispondere alla esterna bellezza, essendo fra tutti il | Î i ERPETOLOGIA 209 più irascibile; chè certamente no ’l viddero all’ aperta, o ben prontamente lo scansarono, o solo si ebbero sott’ oc- chio individui indeboliti da schiavitù quegli autori che mite e tranquillo ce lo descrissero. Ed invero, di propria natura inquieto ed ardito, vedesi sempre pronto ad investir l uomo quando venga assalito e costretto a difendersi, ed anzi non è neppur raro il caso di vederlo pronto ad offesa «quando venga soltanto incontrato o sorpreso nella stagione più calda, e più ancora nell’ epoca degli amori. Inarca in allora il dorso, e dirizzandosi verticalmente sulla metà ed anche più del corpo manda frequenti sibili, morde rab- biosamente e percuote l’ assalitore. Ed io stesso, come la caccia di tali animali non può sempre essere esente da consimili accidenti, io stesso dico, ebbi a provare in due ‘occasioni la collera di questo serpente, la cui immensa agilità impedisce anche agli esperti di schivarne sempre ‘a tempo le offese, o di riportarne vittoria. Afferrato pel collo, lestamente e strettamente attortigliasi alla mano ed al braccio, tenendo spalancata la bocca. Morde tutto quanto può afferrare, ma il suo morso e le percosse della sua co- da sono ben lontane dall’ essere quali sono spacciate dal eredulo volgo. Per me, conscio della innocuità dell’ ani- male e libero dall'influenza dei popolari pregiudizj, posso assicurare che le percosse avute sulla gamba da un’ indi- viduo che eravisi attortigliato non mi parvero più forti di quelle di un leggero ed elastico frustino; siccome, benchè privo affatto di conseguenze, posso dire invece sensibile il suo morso a causa dei numerosi ed acuti denti dei quali tiene armata la bocca. Da tali denti perchè ricurvi al- l'indentro, riesce poi difficile liberare la parte afferrata dalla quale in ogni modo converrà staccarne dolcemente l’animale per non subire lacerazioni più dolorose. 44 2410 BETTA E questa disposizione a mordere che il rettile porta fi- no dalla prima età, esso conserva anche in stato di schia- vitù seguitando per vario tempo a lanciarsi a bocca spa- lancata contro la ferriata della gabbia che lo divide da chi gli sta contro; né depone tale iraconda abitudine che dopo protratia schiavitù e dopo lungo digiuno. Basta in- vece strappargli i denti per ridurlo presto mansueto a tal segno da essere suscettibile di una qualche educazione o domesticità, e da lasciarsi maneggiare e collocare a piaci- mento del suo padrone. Allo stato libero, soltanto 1’ avvicinarsi della fredda stagione lo rende innocuo e ritirasi in allora sotto terra, ove rimane assiderato fino alla primavera, epoca de’ suoi amori. Depone le uova in costiere ben soleggiate. La sua carne è mangiata da taluno e pretendesi che sia abba- stanza saporita. i OSSERVAZIONE. Oltre ai caratteri desunti dal confronto della diversa. configurazione dello scudo del vertice, sarà sempre facile distinguere questa specie dal /lavescens per la diversa co- lorazione che già subito nella prima età ne segna una co-. stante differenza. Sul capo del wviridiflcvus mostransi sempre le mac- chiette gialle caratteristiche, nè mai le larghe macchie e la collana nera propria del /lavescens; le piastrine oculari di quello sono di color giallo uniforme ; in questo all’ in- coniro sono le posteriori segnate da macchia nera che partendo dall'occhio corre orizzontalmente verso i lati del colto. Anche .la coda ha diversa dimensione nelle due specie, essendo più lunga nel viridi/icvus. ERPETOLO GIA 244 Gen. TROPIBONOTUS KUHL. ML TROPIDONOTUS NATRIX Wagler. | Ital. Natrice, Vipera acquaiola, Natrice biscia. Ven. Bissa aquarola, bisso d’ acqua, bissa ranèra, bisse, madrace. Tirol. Serp o serpe d’acqua, serp cenerin, vipera cenerina. CARATTERI, Capo distinto dal tronco, ovale, depresso, allargato posteriormente, rotondato all'apice, coperto da 9 scudetti regolari e simmetrici. Occipite con due macchie gialle molto distinte nei giovani, poco mar- cate negli adulti, ed anche mancanti nei vecchi individui. All'origine del tronco di qua e di là della nuca, ed immediatamente dietro la fascia gialla, due grandi macchie nere transverse, costanti, più o meno prolun- gale all'indietro, e più o meno distinte e confluenti pel di sopra. Corpo di color cinereo tendente all'olivastro; addome giallastro tessellato di nero. Piastre addominali 162-174. Scudetti sottocaud. p. 48-74. SINONIMIA. Coluber natrix Linn. Syst. Nat. I. p. 580. _ — Gmel. Syst. Nat. p. 1400. (excl. var. plur.) — — Latr. Hist. Rept. IV. p. 38. — — ARetz Fauna Suec. p. 293. — — Daud. Hist. Rept. VII. p_ 54. (excl. var. plur.) — — Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 33. = — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 418. 242 BETTA ì Coluber natrix Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 38. sp. 64. — — Frivald. Mon. Serp. Hungar. p. 44. — — Wyder Serp. de la Suisse p. 22. i — Catullo Geogn. Venet. p. 172. "© — Ambrosi Prosp. zool. p. 290. Coluber Tyrolensis Scop. Ann. Hist. nat. II. p. 39. Coluber bipes Scop. ibid. (fide Bonap.) — — Shaw Zool. TILL p. 528. Natrix vulgaris Laur. Syn. Rept. p. 73. 180. Coluber torquatus Lacép. Quadr. et Serp. II. p. 147. — — Risso Hist. nat. IMI. p. 90. Coluber helveticus Lacep. Quadr. et Serp. II. p. 326. — — Latr. Hist. Rept. IV. p. 46. — — Daud. Hist. Rept. VII, p. 57. Coluber vulguris Razoum. Hist. Jorat I. p. 121. Coluber Scopolianus Daud. Hist. Rept. VII. p. 328. Col. ( Natrix) torquatus Merr. Syst. Amph. p. 124. ? Coluber siculus Cuv. Régne anim. ed. II. p. 84. Coluber viperinus Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 34. (an var.?) Tropidonotus natrix Wagl. Syst. Amph. p. 179. — — Schleg. Essai II. p. 302. — — De Fil. Cat. ragion. p. 41. — — Dum. Bibr. Erpétol. VII 4. p. BBB. Natrix (orquata Fitz. Syst. Rept. p. 27. — = Bonap. Fauna ital. cum tab. — — — Betta Rett. Tirol. p. 156. — — Betta Cat. syst. Rept. p. 21. — — Massal. Saggio p. 416. i bilineata Var. Dado murorum Fitzinger. Coluber murorum Vest. (Bonap. ) Coluber natrix var. P. Friv. Mon. p. 46. ERPETOLOGIA 243 Coluber natrix var. murorum Fitz. Verz. Mus. p. 38. ei = _ Betta Cat. syst. Rept. p. 22. la = — Massal. Saggio p. 18. FORME. Capo distinto dal tronco, ovale, depresso, allargato po- steriormente, ristretto nel tratto anteriore agli occhi, ro- tondato all’ apice. Scudetto rostrale di forma triangolare , poco elevato e molto dilatato alla base. Scudetti nasali qua- drilateri, colle narici aperte nel loro mezzo; uno scudetto loreo per parte; scudetti frontali anteriori di forma qua- drilatera; quinqueangolari i secondi e curvilinei posterior- mente. Scudo del vertice quinqueangolare col margine an- teriore quasi rettilineo; 1 laterali molto leggermente con- vergenti all’ indentro. Scudetti occipitali ampj ed allungati, tre volte più lunghi che larghi; i sopracigliari poco spor- genti. Occhi meno laterali che nei Colubri; una piastrina oculare anteriore e tre posteriori. Sette scudetti nelle lab- bra superiori, dieci nelle inferiori. Tronco cilindrico-fusiforme, col dorso carenato nel mez- zo. Coda poco distinta, terete, acuta, compresa circa cinque volte nella lunghezza di tutto il corpo. Squame della parte superiore del corpo e della coda carenate, lanceolato - allun- gate; disposte in 49 serie. Gli ultimi denti posteriori della mascella superiore sono molto più allungati che non quelli situati anteriormente. COLORITO. Le tinte e le macchie sono soggette a così numerose va- riazioni in questa specie che difficilissimo è il caso di due 244 BETTÀ individui assolutamente simili. Il colore del fondo varia in- fatti con tutte le gradazioni intermedie dal cinereo tendente all’olivastro fino al fosco ed anche, benchè raramente ,-al nero; e questi colori sono poi più chiari verso i fianchi dove in qualche individuo tendono anche al turchino. Il capo è superiormente del colore del dorso, però con sempre mag- giore tendenza al fosco olivaceo, uniforme e senza macchie. Il tratto posteriore del capo è segnato da una fascia transversa di color giallo tendente al sulfureo che nella maggior parte degli individui è interrotta nel mezzo, e sbiadisce e sparisce anche totalmente col crescere dell’ età. Immediatamente dietro questa fascia gialla mostransi due grandi macchie di color nero molto vivo, di forma tendente alla triangolare, più o meno divergenti e prolungate all’ indietro, e più o me- no disgiunte fra esse. Dal collo partono e continuano su tutto il corpo quattro ed anche cinque serie di macchie nere, delle quali le intermedie bislunghe, piccole, poco apparenti, le esterne grandi, trasverse, molto prolungate e quasi ret- tangolari. Bianco-giallastra e senza macchie è la gola ed il di sotto del capo; gli scudetti marginali del labbro superiore sono di color sulfureo od olivaceo-giallognolo colle com- messure tinte di nero: gli scudetti marginali del labbro in- feriore giallo-sulfurei, con tutte le commessure o colle poste- riori soltanto tinte qualche volta di nero superiormente e per breve tratto. La metà posteriore del tronco è sernpre più dominata dalle macchie nere che non l'anteriore, e quelle verso la coda si espandono tanto da costituire la parte principale del fondo. Tutto il di sotto del tronco è sulfureo, o bianco giallastro con molte macchie nere, grandi, quadrate, rettangolari o ro- tonde, le quali qualche volta espandendosi sulle squame dei fianchi ne occupano pressochè tutto il fondo; tal’ altra ERPETOLOGIA 215 sono disposte a scacco, e talvolta mancano quasi totalmente nella metà anteriore del tronco e sono supplite da piccole macchie pressochè triangolari disposte nella parte poste- riore delle piastre addominali. Il di sotto della coda ha ha gli stessi colori dell'addome, ma vi predomina molto più ancora il nero che giunge anche a tingeria totalmente. La bella varietà 6ilineata porta gli stessi colori e le macchie della specie, dalla quale si fa distinguere per due fascie longitudinali, parallele, di color giallo olivastro o biancastro, che percorrono lungo tutto il tronco sulle due serie delle macchie intermedie le quali risultano per tal modo molto più apparenti sul chiaro fondo delle fascie stesse. Le macchie nere del di sotto del tronco tendono in generale, più che non nella specie, ad occupare tutto il fondo che diventa talvolta affatto nero con una mac- chia bianca segnata nella parte esterna delle piastre addo- minali. I giovani si fanno distinguere per la viva tinta della fascia gialla del capo, e non differiscono nel resto dagli adulti che per il colore più chiaro delle macchie e del fondo nella parte inferiore del tronco. I giovani della var. dilineata presentano per lo più molto distinte Ie due fascie bianche, ed io ne tengo molti individui nella Collezione, fra i quali se ne vede anche qualcheduno col dorso di color cenere quasi uniforme e solo segnato da minute e rare macchieite nerastre, divise dalle due fascie molto apparenti; qualche altro col dorso fosco - olivaceo uniforme sparso soltanto di qualche rara macchia nerastra verso il collo; e due finalmente di color fosco uniforme su cui sbiadite e quasi indistinte corrono le due fascie longitudinali. 2416 BETTA DIMENSIONI. Di centimetri 60 a 75 è l’ordinaria lunghezza di que- sta biscia, col diametro di 17 a 24 millimetri. I maggiori esemplari arrivano a centim. 90 - 94 di lunghezza, col diametro di millim. 30. ABITAZIONE E COSTUMI. Può dirsi non esservi località in cui non vedasi questa specie, comune a presso che tutta l Europa. Incontrasi quindi tanto sui monti elevati che nella pianura, tanto nei terreni aridi che negli umidi, dando però sempre spe- ciale preferenza ai siti prossimi alle acque stagnanti o di lento corso, e alle sponde dei fiumi e dei laghi, molto di- lettandosi dell’ acqua in cui nuota con singolare maestria ed agilità, trattenendosi anche lungo tempo affondata. E un serpente assai mansueto e tranquillo, e fugge sempre all’avvicinarsi di alcuno. Sorpreso ed aizzato sibi- la fortemente, dardeggia la lingua e tramanda dall’ ano un particolare liquore giallastro di un’ odore acuto e nau- seante. È sempre difficile che ricorra al morso per difen- dersi quand’ anche venisse preso ruvidamente colla mano, ma in ogni caso la morsicatura è leggiera, quasi può dirsi. insensibile, e sempre poi senza la benchè minima conse: guenza. Abitando lungo le acque vi fa preda di rane e di altri batraciani, non che di pesci; nutresi pure di lucertole e di topi. Secondo qualche autore farebbe preda anche di uccelletti -che sorprenderebbe nel nidi rampicandosi con ERPETOLOGIA 2417 destrezza sugli arboscelli e sulle siepi. E molto vorace, ed io stesso lo vidi divorare di seguito tre e quattro rane. Sopporta lunghi digiuni, e ne tenni varj individui senza cibo qualsiasi per 5 a 6 mesi. Alla fine ® autunno ricovera sotterra e vi rimane in letargo durante la fredda stagione, mostrandosi poi verso la metà del Marzo od ai primi di Aprile. La femmina partorisce da 10 a 15 e fino a 20 uova a guscio molle e biancastro, collegate da un glutine, e le depone in qual- che buca del terrtno, più spesso nei luoghi umidi , negli abituri campestri esposti a mezzogiorno, e persino nei le- tamaj ove l’ umidità e la temperatura più elevata che non quella dell’ atmosferì assai più ne favoriscono lo svilup- po. Ed è precisamente dallo schiudersi tali uova e dal sortirne i neonati dai letamaj che nacque una favola che fu anche a lungo creduta. Si pretese cioè che tali uova fossero di gallo vecchio, che contenessero sempre un ser- pente, e che siccome mai non le cova il gallo, bastasse fossero poste in luogo caldo ed opportuno, come appunto nei letamaj o tra vegetabili in putrefazione , per vederne sempre sortire serpenti. Secondo le osservazioni di varj autori il parto succede circa cinque mesi dopo |’ accoppiameto, e le uova si schiu- dono 25 a 30 giorni dopo. I piccoli sono già più o meno sviluppati dal momento in cui vengono esse deposte, ed al sortirne hanno la lunghezza di circa 42 a 46 centimetri. Questa specie ha la proprietà di allargare il capo in modo veramente singolare, e nelle magnifiche tavole della Fauna Italica può vedersi figurato in tale stato di dilata- mento il capo d’un esemplare di straordinarie dimensioni. Nelle parti meridionali d’ Europa qualche individuo arri- verebbe infatti, secondo quanto ne assicura il Principe 218 BETA Bonaparte e lo Schlegel, a quattro piedi e mezzo ed anche cinque di lunghezza ( Metri 4, 46 a 4, 62). Una volta questa Natrice usavasi nella preparazione di medicinali e di brodi che si riputavano efficaci a guarire dalle scrofole, dalle malattie cutanee e da molti altri mali. Ora però fu abbandonato anche tal uso, e resta solo chi sì ciba della sua carne qualificandola moîto saporita. OSSERVAZIONE. Sebbene il Principe Bonaparte segni alla var. murorum la mancanza della fascia occipitale gialla, devonsi però ri- ferire ad essa anche i molti nostri individui che ne sono provveduti, giacchè è a ritenersi che la sparizione di tale fascia succeda coll’età e nell’ egual modo con cui si ve- rifica nella specie. NOTA. L’esemplare del Col. siculus Cw. citato nella sinonimia che io tengo proveniente dalla Sicilia, non diversifica dalla nostra Natrice che per la mancanza totale della fascia gialla occipitale e per una maggiore dilatazione delle due macchie nere caratteristiche dela specie, fra loro con- giunte e foggiate a largo collare. ERPETOLOGIA 2419 42— II TROPIDONOTUS TESSELLATUS De Filippi. Ital. Natrice tessellata, Natrice Gabina. Ven. Vipera d’acqua, bissa fiama, marasseto, viperetta cenerina, bisse. Tirol. Viperetta d’ acqua. CARATTERI. Capo distinto dal tronco, ovale-allungato, molto assottigliato pel da- vanti, coperto da 9 scudetti regolari simmetrici, e senza macchie. Occipite segnato da due limee nere più o meno apparenti foggiate a V rovesciato coll’ apertura all’ indietro. Corpo di color verde olivaceo o cinereo-olivaceo, coi fianchi a mac- chie di color roseo-sanguigno o d’ocra rossastro, e più raramente di giallo pagliarino; addome dello stesso colore, segnato nel mezzo da larga fascia nera continua, o tessellato di nero. Piastre addominali 162-172. Scudi sottocaud. p. 60-50. SINONIMIA. Coronella tessellata Laur. Syn. Rept. p. 87. sp. 188. Coluber tessellatus Gimel. Syst. Nat. I. p. 4144. a — Mikan in Sturm Fauna II. 4. cum tab. —_ _ Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 38. n. 63. — _ Genè Storia nat. II. p. 403. Col. ( Natrix) tessellatus Merr. Syst. Amph. p. 156. n. 194. — — Friv. Mon. Serp. Hungar. p. 46. 220 BETTA Tropidonotus viperinus Schleg. Essai TI. p. 328. (in parte). — - Dum. Bibr. Erpétol. VI. 1. p. d60. (in parte): Tropidonotus tessellatus De Filippiî Cat. ragion. p. 42. Coluber Gabinus Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 31. “i — Bendisc. Mon. serp. Mantov. p. 423. ? Coluber viperinus Bendisc. ibid. p. 424. Natrix Gabina Bonap. Fauna ital. cum tab. Natrix tessellata Bonap. Fauna ital. cum tab. — — Betta Cat. syst. Rept. p. 24. — —_ Massal. Saggio p. 22. Natrix viperina Betta Cat. syst. Rept. p. 24. — — Massal. Saggio p. 20. FORME. Capo ben distinto dal tronco, ovale-allungato, molto assottigliato nel dinnanzi. Scudetto rostrale di forma tri- angolare molto allargata alla base. Scudetti nasali quadri- lateri, allungati; scudetti lorei di forma quadrata. Scudetti frontali anteriori quadrilateri quasi triangolari; scudo del vertice quinqueangolare, anteriormente più largo. Scudi occipitali larghi, ì sopracigliari pochissimo sporgenti. Uno seudetto oculare anteriore, tre posteriori. Tronco cilindrico-fusiforme, col dorso carenato nel mez- z0; coda sottile, terete ed acuta, lunga meno della quinta parte di tutto il corpo. Squame risentitamente carenate, lanceolato-oblonghe, disposte in 19 serie. COLORITO. | Oltre ‘agli altri speciali caratteri riescirà facile il di- | stinguere a tutta prima questa specie dalla precedente per | la diversa colorazione e per la mancanza della fascia gialla | ERPETOLOGIA 924 e delle macchie nere a questa susseguenti. ]1l corpo è tinto superiormente di un bel color verde olivaceo o bruno oli- vaceo; il capo dello stesso colore, senza macchie o solo minutamente spruzzato di nero; due linee nere partono dall’ occipite e divergono all’ indietro disegnandovi un V. Il dorso è segnato di fascie nere transverse interrotte, più o meno risentite e spiccanti sul fondo. Gli scudetti mar- ginali sono di color cinereo verdastro chiaro, biancastri ai loro orli e colle commessure tinte in nero, il qual co- lore tinge pure le commessure di quelli della maseella inferiore che sono giallastri ed irradiati di bigio. Gli occhi neri coll’ iride dorata. Tutto il di sotto della coda nero uniforme. La parte inferiore del capo e della gola bianco- giallastra senza macchie; dello stesso colore ma per breve tratto è il collo, mostrandosi subito alcuni spruzzi neri disposti in retta linea nel mezzo del ventre, che si can- giano poi in vere macchie segnando una larga fascia nera longitudinale mediana che scorre non interrotta fino al- lano, o dividesi e disponesi a larghe macchie quadran- golari ora alternantesi, ora confluenti, ora spiegate e di- stinte sul colore ocroleuco del fondo, ora infine confuse da spruzzi bianchi e nerastri che ne occupano gli inter- valli. I lati dell’ addome sono ornati da macchie di color rosso-sanguigno 0 di color d’ ocra rossastro vivacissimo. In alcuni individui questo colore si fa più sbiadito e ten- dente piuttosto al giallo come nel 7. natrix. Non sono rari gli individui con fianchi ornati di punti bianchissimi o di lineole bianche sottili transverse e molto prolungate, fra le quali risaltano ancora più sul fondo del corpo le macchie nerastre dei fianchi ( Natrix tessellata var. albo - lineata Bonap.). Trovansi anche alcuni esemplari nei quali ìl colore del tronco è cinereo olivastro pressochè 999 BET) TUA senza traccia di macchie, coi fianchi colorati in roseo, e colla fascia che scorre in mezzo al ventre piombino-ci- nerea in luogo che nera. Specialmente distinguesi da tutte le altre una var. ni- gra della quale non ne possiedo tuttora che un’ unico esemplare preso nei Sette Comuni, Prov. Vicentina, nel Giu- gno 1853. È la stessa che dubitativamente riportava alla Natrix torquata nel mio Catalogus system. Reptil. (*), ma che spetta invece alla presente specie come me ne persuasero i confronti stabiliti È veramente degno di nota il suo uniforme color nerastro sparso solo sul dorso di punti e di minute e rare macchie bianche elittiche , e tessellato in grigio soltanto al di qua della gola e per breve tratto del petto. DIMENSIONI. La sua lunghezza ordinaria è di Centim. 50 a 65 col diametro di millim. 43 a 47. Un’ individuo preso nella Pro- vincia Veronese e favoritomi dall’ amico Prof. Massalongo stendevasi fino a Centim. 80 in lunghezza con millim. 20 di diametro. La femmina è sempre alquanto maggiore del maschio. ABITAZIONE E COSTUMI. Sembra che questa specie accompagni ovunque la tanto: comune Natrice, vivendo come questa nei terreni tanto (*) Natrix torquata - var? nigrescens Betta. » N. supra nigricans, maculis ellipticis albis, parvis, rarisque conspersa; » pars inferior capitis et gulae albescens, nigro-tessellata; reliquum cor- » pus inferior ater; fascia occipitali nulla; collare nullo (obliterato?). » Caput a collo magis distinctum quam in Matrice torquata. » — Betta loco cit. pag. 22. ER PETOLOGIA 993 asciutti che umidi, non senza dare però speciale prefe- renza ai secondi. Incontrasi comunissima in tutta la pro- vincia Veronese, ed assai frequente è nelle stesse campa- gne lungo l’ Adige attigue a Verona. Vedesi presso Padova ed è anzi comunissima nelle parti basse di quella pro- vincia, trovandosi sugli argini dei fiumi e lungo le strade col T. natrix. Nel Vicentino la raccolsi presso Marostega e Bassano. Nel Tirolo meridionale non | aveva ancora trovata lorchè pubblicai il Caiulogo dei Rettili della Valle di Non, e fu solo nel seguente anno 1853 che ne presi colà due individui presso Tajo, e due altri poi nelle vicinanze di Trento. Il ch. Prof. Gredler mi avvertiva che anche presso Bolzano è abbastanza frequente. É però sempre specie meno comune della precedente. Ama tuffarsi nell'acqua come tutte le Natrici prefe- rendo le acque profonde ai piccoli stagni, e vi si può ‘trattenere al fondo per lungo tempo. Si pasce di girini, di ranocchie, di pesciolini e di insetti acquatici. Si copula, “si propaga e passa l'inverno come tutti gli altri serpenti, ma non si conosce nè la durata della sua gestazione, nè il numero delle uova che partorisce. Si adatta facilmente alla schiavitù e si lascia prendere e maneggiare senza dar segno di collera. Aizzata, sibila fortemente e lungamente, gonfiando assai il corpo nell’ atto della inspirazione; si contorce, si agita, e fa di tutto onde sottrarsi alle molestie cercando sempre di nascondere il capo fra le spire del corpo; non morde mai od è assai difficile che si decida al morso. Nè invero tale dolce istinto accorderebbesi a tutta prima a questo serpe così presto a fingere resistenza e di- fesa col dardeggiar della lingua, col sollevar del capo, collo sguardo audace ed ardito, e con forte e prolungato sibilo. 224 BETTA Sopporta lunghi digiuni, ed io ne ho tenuti in schia- vitù più individui per 5 a 6 mesi senza che mai fossemi riescito di far loro prendere cibo qualsiasi. Ma fu appunto per uno fra quelli custoditi nell’ inverno 1854 ch’ io po- tei verificare il modo con cui bevono gli ofidii. — Preso a Marcelise (prov. di Verona) sul finire dell’ Ottobre 1853 da un ragazzo, che avevalo gravemente ferito nell’ occhio con un colpo di sasso, io vidi nello spazio di circa un mese rimarginarsi la ferita stessa, e l’ occhio riprendere presso- chè la sua naturale vivacità. La percezione della vista doveva però mancare attesa l'inclinazione obliqua laterale che dava alla testa ogni qualvolta la sollevava verso qualche oggetto che gli era avvicinato. Custodito sempre durante |’ inverno ad una temperatura di + 40.° a 12° R., fu nel giorno 6 del successivo Marzo che levato dalla cas- setta e posto fra i doppj vetri d’ una finestra a mezzogior- no colla temperatura di + 49.° R. (temperatura . ester- na +42.°), osservai come dopo breve tempo portatosi verso. un basso ma largo recipiente in cui aveva collocato del-| l’acqua, e passatovi sopra vi si trattenne con metà del COr-o po tuffato nel liquido, tirandovi poi a poco a poco anche | il restante del tronco e la coda. Scorsi pochi minuti ed inarcato leggermente il collo, portò il muso verso la si.) i rete del vaso premendovelo alla superficie dell’ acqua; e lo vidi fare in allora replicati e brevi moti di succhia- mento, in seguito ai quali lambiva 1’ acqua spingendo la lingua e strofinandola nel ritirarla sulla parete del vaso stesso. Presto dopo si alzava verticalmente su parte del corpo e sollevando molto la testa spalancava la bocca, quasichè sembrasse volere con frequenti sbadigli e con al- ternati movimenti delle mascelle ridonar loro quella fa- coltà che era assopita dalla già lunga sua schiavitù. E il EFERPETOLOGIA 299 succhiamento, e questo lambire, e tali moti della mascella ripeteronsi per ben cinque volte nello stesso giorno ad in- tervalli di pochi minuti, e rinnovaronsi poi in altre due prove con successivo visibile vantaggio nel fisico del serpe. Forse poteva sperare di vederlo cibarsi più tardi di qualcu- no dei batraci che aveva collocati nel vaso, e verso i quali aveva dato qualche segno di avventarsi, ma per alcune repentine e sensibilissime variazioni di temperatura venne a morte, dopo quasi 6 mesi dacchè lo teneva custodito. Lay OSSERVAZIONI. Ve “Fu, tratto in inganno da qualche rassomiglianza nel co- lorito di alcuni pochi individui del nostro 7. tessellatus col . Coluber viperinus, ch’ to aveva segnato questa seconda specie come rinvenuta in Lombardia e nel Veneto (4). Il loro co- ; lore giallo quasi sulfureo ai lati e sull’ addome, le macchie nere del dorso più pronunciate, e le macchie biancastre transverse dei fianchi furono specialmente la causa di tale | errore, in cui d’ altronde non era difficile incorrere avendo x trovato in qualche Museo conservata appunto questa specie sotto il falso nome di Coluder viperinus, ed essendomi ap- poggiato alla descrizione, o dirò meglio alla figura che del — iperins ci diede il Principe di Canino. E nello stesso er- rore è caduto poi anche il Prof. Massalongo notando la Natrix viperina come specie del Veronese (2). Del resto mi riescì facile l’accorgermi dello sbaglio lor- quando potei stabilire un confronto fra gli individui nostrali e due giovani esemplari del vero Col. viperinus di Latreille provenienti dall’ Egitto, e gentilmente a me favoriti dall’ il- lustre amico Prof. Cav. Jan. Oltre infatti alla diversa colo- (1) Cut. syst. Reptil. p. 21. (2) Saggio p. 20. 226 BETTA razione ed alla bene distinta differenza delle macchie nere che lungo il dorso segnano una larga striscia continua fles- suosa, e sui fianchi dispongonsi ad annello altra macchia includendo di color più chiaro del fondo e quasi biancastro, scorgesi nel viperinus il carattere specifico e costante, avver- tito anche dal ch. Prof. De Filippi (4), di due soli scudetti oculari posteriori, mentre nella nostra specie ed in altre congeneri sono sempre in numero di tre. Non possiamo indicare il vero Col. viperinus che come abitatore della Spagna, della Sardegna, della Grecia e di altri paesi meridionali d’ Europa, non meno che del littorale del- Africa dal lato del Mediterraneo. Fino ad ora secondo le 0s- servazioni di molti Erpetoleghi manca nell’ Italia superiore e fors'anco in tutta la penisola, per cui possiamo, almeno adesso, ritenerlo estraneo anche alle nostre provincie. Non sarà però a tacersi come il Bendiscioli lo avvisi ritro- vato nel Mantovano (2), descrivendolo con caratteri di colo- razione e di scudetti sottocaudali che bene si converrebbero al viperinus, e specialmente all’ esemplare ch’ io ne possiedo proveniente dalla Sardegna. Ma oltrecchè io devo dichiarar- mi tuttora dubbioso se riporiar debba questo mio esemplare sardo al vero viperinus del Latreille o piuttosto assegnarlo al Tropidonotus occellatus di Wagler e di Duméril, le avver- tite dichiarazioni dì più autori sulla patria di questa specie, il fatto del non averla mai incontrata in queste provincie neppure ai confini del Mantovano, ci fa sentire il bisogno di maggiori prove sulla sua presenza in Lombardia, ed in- tanto ci è lecito dubitarne assai. E degno d’ osservazione come Duméril e Bibron fra le varietà del Tropidonotus natrix annoverino la nigra ( Nord- (1) Catal. ragion. p. 45. (2) Monografia dei Serpenti del Mantovano pag. 424. sp. VII. ERPETOLOGIA DT mann Fauna. Pontica) che presenterebbe quasi la stessa colorazione che vedemmo nella nostra var. nigra del T. tessellatus. Eccone le loro precise parole » ... M. Nord- mann ... donne la figure d’ une variété nigra dont le dos est, en effet, noir sur le dos, piqueté de points blancs, sur- tout dans le quart antérieur, ainsi que sous les urostèges et chez lequel le colliere jaune ne se retrouve pas. Est-ce une espéce distincte? (*)». NOTA.. Gli stessi signori Duméril e Bibron descrivendoci nella Erpétologie générale ( VII. 4. p. 560. n. 2 - p. 562. n. 3.) il Tropidonotus viperinus ed il Trop. chersoides vel occellatus ci lasciano persuasi d’aver essi confuse nel primo due specie distinte, o per meglio dire d’essere loro mancati gli estremi ‘ed i dati necessarj a ben rilevare e definirne i rispettivi ca- ratteri con quella perspicacia e diligenza che spiegarono nella critica di altre specie. Stabilito infatti il 7. chersoides sopra individui che lo Schlegel aveva soltanto come varietà riportati al suo Col. viperinus, vediamo poi del resto accettato e ritenuto da quei chiarissimi Autori per 7. viperinus lo stesso descritto dallo Schlegel, il quale, fuor d'ogni dubbio, ha con esso confuso precisamente anche il nostro tessellatus. Ammessa quindi quella specie dello Schlegel in modo vago ed inesatta- mente descritta, troviamo da quei distintissimi Erpetologhi citate nella Sinonimia specie ed autori che più ancora raf- fermano il giudizio nostro sulla mantenuta confusione spe- cifica. Ed infatti col Col. viperinus del Latreille, del Dau- (*) Erpétol. Tom. VII. A. p. 557. . 228 BETTA din, del Merrem, che io ritengo pel vero 7. viperinus, vi vediamo unite la Coronella tessellata del Laurenti, il Colubder (Natrix) tessellatus del Frivaldszky, il Col Gabinus del Me- taxa e la Natrix Gabina di Bonaparte, le quali indubbia- mente devono aversi invece per specie distintà da esso; e precisamente pel tessellatus quì descritto. A provarne le dif- ferenze specifiche basterà il confrontare le descrizioni e le figure dateci da quegli autori, con quelle che del viperinus ci porge avanti tutti il suo autore Latreille ( Mist. IV. p. 47. t. 28, f. 4), eci vengono poi presentate dal Daudin ( ist. VII. p. 425), dal Merrem (Syst. p. 426. n. 127 ), e da altri più recenti autori. La vaga determinazione delle due specie è forse la causa per cui i signori Duméril e Bibron riportarono anche nella Sinonimia del successivo loro 7rop. cherscides il Col. tessel- latus del Frivaldszky che avevano già prima collocato sinoni- mo del loro viperinus; è dessa però in ogni modo la ragione per cui non poterono poi darci nè dell’ una nè dell’altra loro specie precisi e determinati caratteri di distinzione. Così re- sterà ancora sempre poco definito il loro chersoides vel occel- latus se riferirgli dobbiamo ia citatavi figura del C. tessellatùs data da Mikan (Deutsch! Feuna ULI 4.), clie 10 trovo invece collo stesso Bonaparte doversi riportare al nostro tessellatus. Intanto a togliere ogni dubbio sulla specie che intendo avere descritta come propria di queste Provincie, oltre ciò che apparisce dalla precisa Sinonimia stabilita, mi faccio de- bito di più particolarmente dichiarare essere la stessa di cui il Principe di Canino dà descrizioni ed ottime figure sotto le diverse denominazioni di Matrix Gabina e di N. tessellata ; mentre quanto al Col. viperinus per confronto citato nelle mie Osservazioni, ripeto essere soltanto tale per me quello del Latreille, del Daudin, e del Merrem. ERPETOLOGIA 229 nm. OFIDII CON DENTI VELENIFERI. Gen. PELIAS MERREM. 143—-I. PELIAS BERUS Merrem. Ital. Marasso, marasso palustre. Ven. Marasso, Vipera, Marasso de palù, vipere rosse. Tirol. Vipera rossa. CARATTERI. Capo ovale, poco distinto dal tronco e poco depresso, coperto supe- riormente da scudetti piani ed irregolari con una piastrina poligona cen- trale; spigolo rostrale risentito, ma poco prommente sull’apice del muso. Colore del dorso vario, con una fascia longitudinale bruna o nera, flessuosa e continua. Piastre addominali 144-156. Scudetti sottocaud. p. 28-46. SINONIMIA. Coluber berus Linn. Syst. Nat. I. p. 377. — — Laur. Syn. Rept. p. 97. sp. 246. (excl. tab. 2. f. 1.) n — Gmel. Syst. Nat. I. p. 1090. (excel. var.) — — Shaw Zool. III. p. 368. t. 101. — — Cuvîer Régne anim. p. 127. t. 51. f. 2. Coluber prester Linn. Syst. Nat. T. p. 377. — — Gmel. Syst. Nat. I. p. 4091. — —_— «Sturm Deutsch]. Fauna II. 4. [agro — Frivald. Mon, Serp. Hungar. p. 37. 230 BETTA Coluber vipera Anglorum Laur. Syn. Rept. p. 98. 188. Vipera vulgaris Latr. Hist. Rept. INIT. p. 212. t. 40. f. 4. Vipera berus Daud. Hist. VI. p. 89. t. 72. f. 4. (excl. var.) — — Fùtz. Verz. Mus. Wien. p. 62: sp. 4. sr: — Schinz Fauna Heivet. p. 142. sp. 4. o — Schleg. Essai p. 591. t. 24. f. 1446, “a — De Fil. Cat. ragion. p. 63. Vipera prester Latr. Hist. Rept. IMI. p. 309. —. — . Daud. Hist. Rept. VI. p. 161. (excl. Synon.) — — Schinz Fauna Helvet. p. 142. sp. 2. | Coluber chersea Cuv. Règne anim. p. 127. — — Sturm Deutschl. Fauna IIL.-4. = — Catullo Geogn. Venet. p. 173. a — Ambrosi Prosp. zool. p. 291. Pelias berus Merr. Syst. Amph. p. 148. sp. 4. (cum var. «. B. 9) — — isso Hist. nat. III. p. 92. — — riv. Mon. Serp. Hungar. p. 38. — — ZBonap. Fauna Ital. cum tab. — —— Fitz. Syst. Rept. p. 28. — — Betta Rett. Tirol. p. 487. — — Belta Cat. syst. Rept. p. 28. — — Massal. Saggio p. 29. — — Dum. Bibr. Erpétol. VII. 2. p. 1398. Vipera chersea Angelini Bibl. Ital. T. VII p. 451. Vipera limnaea Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 434. sp. 44. Pelias chersea Wagl. Syst. Amph. p. 178. n — — Bonap. Fauna Italica, cum tab. FORME. In confronto della Vipera aspis il capo di questa specie è solo mediocremente distinto dal tronco, di figura ovale. più o meno allungata, meno depresso, coperto superior- mente non di scaglie ma di scudetti piani o piuttosto leg- ERPETOLOGIA 934 sermente concavi; con lo spigolo rostrale risentito ma meno rilevato sull’ apice del muso, clie è alquanto ottuso. Gli scudetti che rivestono il capo sono in alcuni individui regolari e simmetricamente disposti, in altri veggonsi al- l’invece di forma e disposizione irregolare. Scudetti so- praorbitali piuttosto grandi, bislunghi, sporgenti all'infuori quanto il globo dell’ occhio, costituiti da uno e qualche rara volta da due pezzi. L’ occhio inferiormente ed ai lati è cinto da doppia serie di piccolissimi scudetti, ed uno degli orbitali anteriori giunge all’ altezza dello spigolo ro- strale insinuandosi tra il sopraorbitaie ed uno dei sopra- nasali. Scudetti nasali grandi, rotondi e concavi, con foro ampio delle narici nel mezzo. Due scudetti sopranasali bislunghi, con spigolo nel loro margine esterno; scudetti antinasali angusti, cuneiformi, assottigliati inferiormente ; scudetto rostrale convesso, triangolare, allargato ed inca- vato nel margine inferiore, smussato all’ apice; scudetto soprarostrale costituito da due pezzi, collocato orizzontal-- mente e nello stesso piano in cui sono gli scudetti del vertice e della fronte. Scudetti occipitali grandi, bislunghi, quasi reniformi, poligoni; quello del vertice piuttosto gran- de, configurato come quello dei Colubri in genere. Piastre frontali piccole, in numero di 5 a 410. Fra lo scudetto del vertice e gli scudetti sopracrbitali trovasi uno scudetto cuneiforme, spesso anche suddiviso in tre o quattro pezzi. La mascella superiore è notevolmente più lunga della in- feriore; nove per lato sono gli scudetti marginali di am- bedue le mascelle. Gli occhi rotondi colla pupilla allungata verticalmente, ma meno grandi di quelli della Vipera aspis. Il tronco restringesi per un tratto più lungo verso il capo che non verso l’ano. La coda è distinta dal tronco, conico- subtrigona, più breve nelle femmine e più sottile che non 992 BETTA nei maschi. Le scaglie che ricoprono la parte superiore del tronco e della coda sono di forma lanceolata, longitudinal- mente segnate da risentita carena la quale è solo più debole sulie prime scaglie contigue agli scudetti del capo. Le pia- stre addominali variano dalle 144 alle 156, e gli scudetti. sottocaudali da 28 a 48 paja; ordinariamente però negli individui Veneti le piastre sono da 146 a 150, e gli scudetti da paja 28 a 38. COLORITO. La colorazione di questa specie è soggetta a molte varie- tà, delle quali gran numero sono puramente accidentali: od anche forse dovute all’ influenza del clima. A quanto osser- va Bechstein troverebbesi nella specie una costante differen- za di colorazione anche secondo i sessi, e Lenz avrebbe di più notato come questi subiscano regolari cangiamenti di colorito secondo i varj periodi della vita. Il colore del fondo dominante negli individui di queste Provincie tende in generale al ferrigno acceso ed al casta- gno-rossastro. Qualche raro esemplare presenta il fondo di color brunastro che si fa poi nerastro dalla metà del tronco fino all’ apice della coda confondendovisi anche le macchie del dorso. L'unico esemplare raccolto in Tirolo presenta una tinta tendente al bigio sporco. Il Principe Bonaparte segne- rebbe come colori del fondo negli individui italiani anche il cinereo tendente al carneo o all’ olivastro, al bigio, al fer- rigno acceso, al castagno rossastro. Il capo è al di sopra di color cinereo fosco, talvolta quasi nerastro. Una fascia nera stendesi all’ indietro dal vertice sugli scudetti occipitali e si divide quindi in due larghe branche divergenti, che han termine verso i lati ERPETOLOGIA 233 della nuca. Una larga fascia bruna od anche affatto nera incomincia dietro l’ occhio e scorre orizzontalmente sul collo. Gli scudetti marginali della mascella superiore sono nerastri anteriormente alle narici, quindi sino agli occhi macchiati di bianco sudicio con largo lembo nerastro nel margine, e poi quasi totalmente bianco-sudici nel rimanente. Sul capo, attigua alla fascia nera divergente dal vertice, ve- desi una striscia risultante dal color chiaro del fondo e rappresentante in modo più 0 meno distinto la lettera V, pur come quella unita sulla; fronte e divergente al collo. Nella sua apertura trovasi poi subito un’ altra macchia che dà origine ad una striscia flessuosa, fosca ed anche nera, talvolta tendente all’ azzurro, che dalla nuca scorre non interrotta pel mezzo del dorso fino all’ estremità della coda. Questa fascia a zig-zag risulta dalla riunione di due serie di macchie quasi triangolari a base allargata, e confluenti da unlato e dall’altro. Presso tale fascia havvi di qua e di là una serie di macchie grandi dello stesso colore, arroton- date e disgiunte, collocate a rincontro dei seni della fascia dorsale, le quali però nel tratto -più prossimo al capo con- fluiscono in una fascia che va a congiungersi con quella dei lati del capo incipiente dietro gli occhi. Lungo i fian- chi, dove nasce la divisione delle squame dalle‘ piastre addominali, scorgesi un altro ordine di macchie più piccole, quasi triangolari, nerastre, alternantesi colle ultime de- scritte e perciò opposte ai vertici della fascia dorsale. Tali macchiette sono però poco distinte e molte si confondono con quelle della serie vicina, risultandone in tal caso una tinta nerastra quasi uniforme sui fianchi che lascia solo qua e là alcune macchiette, o punti, o lineole di color chiaro. Le mascelle ‘inferiori e la gola sono tinte in modo simile al ventre e solo hanno talvolta colori meno intensi. 234 BETTA Le piastre addominali sono d’ un color d’.acciajo più o meno tendente al nero, con sottilissimo lembo biancastro nella parte posteriore. Alcune hanno l’ estremità verso i fianchi di color bianco sudicio in tutto od in parte, per il che ne risulta sul confine dei fianchi una serie di mac- chiette biancastre disposte per lo più a due a due. General- mente altre macchiette biancastre vedensi pure sparse sen- za ordine sul disco delle piastre, più frequenti verso i fianchi che verso il centro, e di tali punti se ne trovano parecchi anche sotto la gola. La coda è del colore del dorso, ma le macchie vi seno più piccole e confuse; inferiormente è tinta come il ventre, ma verso l’ apice è giallo-citrina 0 di color ranciato più o meno acceso, e solo in qualche in- dividuo mostrasi al di sotto tutta o quasi tutta di tal colore. Nei giovani il dorso è biancastro o grigiastro con leggiera tinta di brunastro, ma questi colcri prendono poi subito una tinta più carica in bruno o rossigno. La fascia dorsale si vede in essi molto pronunciata, ed il di sotto del corpo è di un nero più 0 meno intenso con piccolo orlo biancastro. Fra i varj esemplari di questa specie che fanno parte della mia Collezione, uno specialmente piacemi quì ricorda- re siccome il più bello di quanti osservai fino ad ora. Sopra un fondo di color fulvo, traente al castagno verso la metà ciel corpo fino all'apice della coda, la fascia longitudinale del dorso spicca non interrotta e molto pronunciata, ed è di un bel color nero di velluto quasi uniforme. Le macchie laterali . molto distinte sono di un bel nero marrone; tutto il di so- pra del capo è pure di egual colore dall’ apice del muso sino all’occipite, ove lo spazio del fondo chiaro che risulta fog- giato a V spicca pronunciatissimo su quello oscuro del capo, e su quello ancora più carico della macchia che dà origine alla fascia dorsale. Tutto il di sotto è nero d’acciajo fre- ERPETOLOGIA 235 giato di macchiette bianche al punto di congiunzione delle piastre addominali colle scaglie del dorso. —Fu preso nella provincia Veronese lungo il fiume Tartaro, ed io ne devo ‘il possesso alla cortesìa del defunto amico mio, Luigi Me- negazzi. DIMENSIONI. “Lunghezza centimetri 46 a 54, col diametro di mil- lim. 20 a 25. ABITAZIONE E COSTUMI. Abitatore tanto dei monti che della pianura trovasi questo velenoso serpente tanto nel Tirolo che nel Veneto. Ma mentre non potei colà rinvenirne io stesso che un’ unico esemplare presso Mezzolombardo al di là di Trento ( solo constandomi la sua presenza in qualche altra località del Trentino e del Roveretano per attestazioni di terze perso- ne), lo veggo all'incontro nel Veneto anche troppo fre- quente, e forse più che altrove nella Veronese Provincia, specialmente nel tratto di terreno bagnato dalle acque dei fiumicelli Tion, Tartaro, Molinella, ed in tutta l'estensione delle così dette Valli grandi veronesi. Comparisce abbastanza frequente nel vicino territorio di Rovigo, nel basso Pado- vano e nelle paludi del basso Friuli, e non è raro nella provincia di Venezia. Secondo il ch. Prof. Catullo incontrasi anche nei dintorni umidi di Antole nel Bellunese. Il Pelias berus, chiamato Maurasso dagli italiani, vive so- litario in terre basse ed innondate di frequente, nelle valli umide, nei prati paludosi, nelle risaje, nei boschi vallivi e lungo gli argini dei canali fra i giunchi e le erbe palustri. Nuota con molta agilità. Nella state cerca i luoghi più 236 BETTA freschi ed umidi, e nella primavera ed autunno, preferisce gli elevati ed asciutti, ritirandosi poi in qualche buca sot- terranea per passarvi assiderato la cattiva stagione. Sorte al ritorno della primavera, e l’ Aprile è 1’ epoca de’ suoi amori. Teme il caldo, nè si espone perciò ai raggi del sole che di buon mattino. Nelle ore cocenti del giorno si ritira sem- pre fra i cespugli ed all’ombra. Morde senza essere provo- cato, e si avventa rapidissimo contro chi gli passa dappresso, sopratutto poi nell’ epoca degli amori in cui si fa inquieto, ardito e pericoloso più dell’usato. E lo sanno pur troppo i nostri villici e risajuoli che sono più d’ ogni altro soggetti all’ incontro ed al morso del Marasso perchè a piedi ignudi ne frequentano il domicilio. Qualche abitante delle valli Veronesi mi avvisò il singolare costume di questo serpe di vibrarsi per morsicare nell’ istante istesso in cui l’ ombra del corpo di chi passa gli si projetta sopra, togliendogli i raggi del sole ai quali stava esposto. Pretendesi che il suo veleno superi in forza quello della vipera; e se mancano di ciò prove desunte da comparativi esperimenti, è certo però in ogni caso che le conseguenze del suo morso non sono nè meno luttuose nè meno pronte di quelle prodotte dal dente della vipera. Il Marasso nutresi di rannocchie, di lucertole, di vermi ed insetti, ma sopratutto di piccoli mammiferi. Tenuto cap- tivo ricusa ogni cibo, e per lungo tempo mantiensi ardito e disposto a ferire avventandosi contro le sbarre della sua gabbia. OSSERVAZIONE. Il ch. entomologo Bernardo Angelini fu il primo ad in- dicare la presenza nel Veronese di questo serpe ch’ egli ERPETOLOGIA 237 chiamò Vipera chersea, e di cui diede una buona descrizione nella Memoria pubblicata nella Biblioteca Italiana Tomo VII del 4817. Bendiscioli nella sua Jfonografia dei Serpenti del Manto- vano descrisse il Marasso col nuovo nome di Vipera limn- naea, avendo erroneamente applicata la denominazione Linneana di Coluber berus ad una delle molte varietà della comune Vipera aspis. 238 BETTA Gen VIPERA LAURENTI. ig VIPERA: ASPIS Merrem. Ital. Vipera comune, Aspide. Ven. Vipera, vipara, lipara, vipere e lipare, aspese. Tirol. Vipera, lipra. CARATTERI, Capo depresso, allargato posteriormente e molto distinto dal tronco, coperto superiormente di piccole squame; spigolo rostrale risentito e pro- minente sull’apice del muso. Colore vario, con quattro serie di macchie nerastre sul dorso, opposte ed allernantesi, o qua e là confluenti. Piastre addominali 141-166. Scudetli soltocaud. p. 33-46. SINONIMIA. Coluber aspis Linn. Syst. Nat. I. p. 378. — — Gmel. Syst. Nat. I p. 1093. — — Razoum. Hist. Jorat I. p. 284. — — Catullo Geogn. Venet. p. 173. Coluber Redi Gmel. Syst. Nat. I. p. 1094. — — Shaw Zool. III. p. 380. Vipera Fr. Redi Laur. Syn. Rept. p. 99. Vipera Mosis Charas Laur. Syn. Rept. p. 100. Coluber vipera Lacep. Quadr. et Serp. II. p. 4. Coluber berus Razoum. Hist. Jorat I. p. 145. ERPETOLOGIA 239 Coluber berus Catullo Geogn. Ven. p. 172. — — Androsi Prosp. zool. p 291. Coluber chersea Razoum. Hist. Jorat p. 118. Vipera occellata Latr. Hist. Rept. II. p. 292, ff. —_ — Daud. Hist. Rept. VI. p. 140. t. 42. f. 2. Vipera Redi Latr. Hist. Rept. III. p. 304. = — Daud. Hist. Rept. VI. p. 152. — — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 62. sp. 3. — — Mctaxa Mon. Serp. Rom. p. 42. sp. 2. — — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 429. sp. 12. Vipera Redii Schinz Fauna Helvet. p. 143. sp. 3. — — Fitz. Syst. Rept. p. 28. Vipera berus Cuv. Règne Anim. t. 51. f. 4. _ — Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 42. sp. 1. — — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 425. sp. 9. dl — Wagl. Syst. Amph. p. 177. Vipera chersea Latr. Hist. Rept. III. p. 297. — — Daud. Hist. Rept. VI. p. 444. — — Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 42. sp. 4. — — Bendisc. Mon. Serp. Mautov. p. 430. sp. 13. Vipera aspis Merr. Syst. Amph. p. 1BI. _ — Mcetaxa Mon. Serp. Rom. p. 42. sp. 3. —_ — - Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 427 sp. 40. _ — Bonap. Fauna Ital. cum tab. — — Schleg. Essai II. p. 599. t. 241. f. 17. 48. e — De Fil. Cat. ragion. p. 64. — — Betta Rett. Tirol. p. 156. — — Betta Cat. syst. Rept. p. 22. coi — Massal. Saggio p. 20. — — Dum. Bibr. Erpétol. VII. 2. p. 41406. Vipera (Echidna) aspis, var. a. Redi — Merr. Syst. p. ABI. Vipera prester Metaxa Mon. p. 45. sp. d. — — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 428. sp. 11. Echidna aspis Risso Hist. II. p. 92. sp. 28. 240 BETTA FORME. Capo molto distinto dal tronco, di figura piriforme, depresso superiormente e solo leggermente convesso sul vertice; coperto superiormente da numerose scaglie pic- cole ed irregolari, delle quali quelle della metà anteriore liscie, quelle della metà posteriore segnate longitudinal- mente da una forte carena, tutte poi leggermente con- ‘vesse. Qualche volta le scaglie collocate nel punto in- termedio fra l’uno e l’altro occhio sono alquanto maggiori LI delle altre (*). Lo spigolo rostrale è molto prominente, massime sull’ apice del muso il quale è smussato, quasi troncato. Scudetti sopraorbitali grandi, elittici, quasi piani, orizzontali, e sporgenti più in fuori del globo dell’occhio. Il resto dell’ orbita è cinto da doppia serie di piccoli scu- detti di forma irregolare arrotondata ed elittica. Scudetto. nasale piuttosto grande, quasi rotondo ed ampio il foro delle narici che apresi nel suo mezzo. Due seudetti sopra- nasali bislunghi, con spigolo prominente del toro margine esterno e che estendesi orizzontalmente fino alla metà circa degli scudetti antinasali, i quali sono cuneiformi, allargati verso l'alto, e non si elevano al di sopra del margine su- periore dello scudetto rostrale. Questo scudetto è legger- mente convesso, largo e smarginato alla base, troncato al margine superiore, ed elevato in modo da far riuseire molto prominente nel di sopra |’ apice del muso. Lo seudetto soprarostrale è più largo che lungo, rettangolare, declive dall’ innanzi all’ indietro, e nei nostri individui mostrasi più generalmente costituito da due pezzi, rarissime volte (*) Vedasi anche quanto si è avvertito nella Nota a pag. 176. ERPETOLOGIA 24A da un solo, e più di rado ancora da tre (*). Gli occhi sono grandi, rotondi, colla pupilla allungata verticalmente. Il tronco è depresso-tondeggiante, con una carena sul dorso, e si restringe assai più verso la testa che non po- steriormente. Le scaglie che coprono il corpo sono di for- ma ovato-lanceolata, carenate fortemente sul tronco, e meno sulla coda. Le piastre addominali variano dalle 444 alle 456; gli scudetti sottocaudali arrivano a paja 46 nei maschi, non eccedono talvolta le paja 33 nelle femmine. La coda è distinta dal tronco, conico-subtrigona, terminata da un breve aculeo curvato all’ insù, ed è più lunga nei maschi che non nelle femmine. I maggiori denti del veleno sono lunghi 4 a 5 milli- metri; i denti palatali sono piecoli, adunchi, in numero di 41 a 45 per parte; quelli delle mascelle pure adunchi ed in numero di 8 a 42 per parte. COLORITO. Il colore specialmente dominante sul derso dei nostri individui è un cinereo tendente al bigio, od un fosco più o meno intenso. Ma queste tinte variano anche fra noi moltissimo, ed abbiamo quindi individui coloriti in rossa- stro, in castagno, in bruno, in terreo, in rugginoso, nera- stro, cinereo chiaro, e qualche volta anche in color noc- ciuola acceso. Il capo è superiormente dello stesso colore del dorso; in qualche individuo però di color bigio-cinereo lo vedia- (*) Un solo individuo io possiedo che abbia tale scudetto costituito da tre pezzi, presentando poi anche il raro caso di colorazione e di mac- chie dorsali disposte a fascia flessuosa come nel Pelias bderus. Fu preso in Lombardia nel 1842. 16 242 BETTA mo, benchè raramente, tinto in brunastro verso |’ apice. Dall’ uno e dall’ altro lato una fascia piuttosto larga di color scuro 0 nerastro, dal lembo posteriore dell’occhio si prolunga in linea retta fino ai lati del collo. Due altre striscie scure o nerastre si manifestano sul capo al di dietro dei lati del vertice, le quali o congiunte o più spesso separate anteriormente scorrono divergendo all’ indietro fino ai lati dell’ occipite. Altre due o più macchie delli stessi colori mostransi presso gli occhi, ed una o più sulla fronte; ma queste non sono però costanti nè per forma, nè per posizione, essendo in alcuni individui foggiate a striscia, in altri quadrangolari, in altri puntiformi, ed in altri infine affatto mancanti. Alla nuca una macchia più o meno grande, più o meno arrotondata, o quadrangolare, od irregolare, dà principio alla serie delle macchie dorsali. Gli scudi marginali del labbro superiore hanno una tinta di un color latte o bianco sordido che chiusa fra la fascia nerastra che corre dall’ occhio al collo e fra il fondo più oscuro della mascella inferiore, spicca quasi come una bianca fascia. La punta del muso è cornea, più o meno imbrattata di scuro. Quattro serie di macchie fosche, nerastre od anche di un bellissimo nero, listano tutto il tronco e la coda; sono desse generalmente rettangolari, due volte più larghe che lunghe, qualche volta contornate da pallido lembo, e di- sposte come si disse in quattro serie parallele. Le macchie delle due serie intermedie sono in generale parte alternanti, parte opposte e confluenti da una all'altra serie; in alcuni individui sono tutte alternanti, in altri quasi tutte con- fluenti. Le macchie delle serie esteriori si alternano con quelle intermedie quando queste sono confluenti, e vice- versa confluiscono con quelle della parte rispettiva quando ERPETOLOGIA 243 alternano le intermedie; in altri casi le macchie di tutte e quattro le serie si alternano quasi ovunque. Nel mag- gior numero degli individui le macchie delle due serie in- termedie più vicine al capo confluiscono fra esse, indi si alternano sul tronco, non senza però nuovamente e più o meno confluire nell’avvicinarsi alla coda. Talvolta essendo segnata la carena dorsale da una sottile striscia nerastra e venendo a collegarsi assieme le macchie laterali vi figurano una fascia ramosa, a rami parte opposti parte alterni. E si da anche il caso, benchè assai raro, in cui essendo più larga tale striscia nerastra della carena ed allargandosi verso la stessa le macchie laterali ne risulti una fascia flessuosa, a zig-zag, che simula quella del dorso del Pelius berus; ma in tale caso però tale fascia non è perfettamente continua e mostra qua e là qualche interruzione. La parte inferiore del capo è a seconda del colore del dorso ora di color carneo, ora carneo-sudicio, ora bianca- stro uniforme o più generalmente screziato di cenere o di fosco, talvolta anche tutto nerastra. Gli occhi hanno la pupilla nera coll’ iride giallo-ranciata. I fianchi sono bianchi o cinereo-biancastri imbrattati di fosco negli individui di fondo più chiaro; in quelli a fondo scuro sono segnati da macchie nerastre simili a quelle del dorso, ma più piccole, meno intense e più nu- merose, e qualche volta confluenti qua e là come quelle delle due serie dorsali esterne. Varia assai il colorito sotto il tronco e la coda, essendo talvolta bruno d’ aeciajo più o meno intenso, uniforme o spruzzato di bianco sudicio, di giallastro o di rosso mattone; talvolta rossastro più © meno acceso, pure uniforme o spruzzato di bianco e di nero; talvolta grigio nerastro ed anche tutto nero unifor- me, la qual’ ultima tinta fa specialmente singolare contrasto 244 BERTA negli individui a dorso cinereo od a dorso rossastro acce- so. L’ orlo posteriore delle piastre addominali è quasi sem- pre pallido o biancastro, e di tal colore sono pure tinte alcune di esse nelle estremità che si congiungono ai fian- chi. Le macchie dorsali arrivano anche all’ apice della coda ove però riescono poco distinte e non troppo regolarmente disposte; il tronco della coda reca inferiormente un color giallo di paglia, tendente più spesso al croceo ed al ran- ciato. In qualche individuo mostrasi la coda anche per tutta la sua lunghezza tinta di croceo pel di sotto, con minutissime e rare screziature nere in prossimità dell’ ano. Da tale descrizione chiaro appare quanto difficile, o dirò meglio impossibile, riescirebbe il voler quì presentare esatta nota delle varietà di colorazione; le quali poi con infinite gradazioni vengono fra loro a toccarsi e confon- dersi. Nelle belle tavole che accompagnano la descrizione di questa specie nella Fauna italica ponno vedersene figu- rate le principali varietà; e solo per accennare alcune di quelle che fra noi troviamo più costanti possono essere quì distinte le seguenti : var. a. cinerea — Dorso di color cinereo più o meno chiaro, con macchie nere piuttosto strette e rare; tutte le parti inferiori nere. var. db. cinerascens — Dorso di color cenere tendente al bigio, con macchie nerastre più o meno dilatate e numerose; il di sotto di color bruno d’ acciajo o nero, screziato leggermente in rosso mattone ed anche in bianco ( Vipera Redi quor. auctor.). var. c. rufa — Dorso di color rugginoso più o meno ac- ceso; le parti inferiori del corpo nere, screziate di bianco e di rossastro sulla gola, macchiate di rosso Var. Var. Var. Var. Var. Var. Var. ERPETOLOGIA 245 mattone nel resto e specialmente nella parte me- diana delle piastre addominali (Vip. derus vel aspis quor. auctor.). d. rufesecens — Parte superiore del corpo tendente e. al rossastro; il di sotto bruno d’ acciajo screziato di bianco, di nero, ed anche di rosso mattone. fasca — eil f. brumnea — Dorso fosco o bruno più o meno ca- rico con macchie nere o nerastre molto distinte, o talvolta anche poco distinte. Il di sotto nero scre- ziato in rosso mattone ed in bianco. g. fulva — Dorso di color leonino acceso, tendente al rossastro; macchie nere coi lembi più pallidi del fondo del corpo. Ventre nerastro screziato. h. rufiventeris — Tutto il corpo di color rossastro con macchie talvolta molto strette. Il di sotto di color rossastro acceso con leggerissime e rare scre- ziature in nero. î. fusca, plumbeiventris — Dorso di color fosco colle parti inferiori di color piombino uniforme, tranne che qualche sottile screziatura nera sotto il capo e la gola. Î. Isabellina — Parte superiore del corpo di color isabella chiaro, colle scaglie segnate da tinta al- quanto più. carica sulla carena ed all’ apice. Le due serie delle macchie dorsali risultano tracciate da rare e piccole macchie brunastre. Mancano af- fatto le due serie laterali. Sul capo nessuna macchia, ma ben segnata di bruno la fascia del lembo po- steriore dell’ occhio, e molto spiccante quindi il co- lor latteo che tinge gli scudetti marginali del lab- bro superiore. Il di sotto biancastro o rossastro 946 BETTA spruzzato di nero, il qual colore vi disegna qual- che rara macchia verso l’ esterno delle piastre ad- dominali. Vicino all’ ano il fondo si tinge in ros- sastro con spruzzature nere e bianche, ed il di sotto della coda è croceo quasi uniforme. Oltre queste e molte altre consimili varietà che più o meno possono incontrarsi, e delle quali tengo una bella serie nella mia Collezione, il Prof. Massalongo indichereb- be (") anche come esistenti nel Veneto la var. m. nigra Bonap. — Col dorso affatto nero o nero grigiastro, da lui veduta nei Sette Comuni, e la var. n. occellata Bonap. — Col dorso sparso di grandi macchie rotonde contornate di oscuro, incontrata pure da lui nel Bosco Montello, Prov. di Treviso. Di nessuna di queste due varietà io vidi, nè conosco ancora esemplari veneti, e solo tengo la prima ( Vip. pre- ster auctor.) dall’ Ungheria ove, come anche nella Svizzera e nella Russia, sembra abbastanza comune. La seconda varietà ( Vip. occellata auctor.) è forse la più bella di quan- t altre mai, distinguendosi pel colore del fondo grigio-ros- sastro colle macchie delle due serie intermedie piuttosto grandi, arrotondate, oculiformi, brunastre nel centro, ed orlate di nerastro. Può vedersi figurata nelle tavole di Bonaparte. 1 colori dei giovani della specie riescono sempre meno pronunciati. Già da quando vengono alla luce il loro dorso presenta il colore che deve poi mantenere, sebbene in ge- (*) Saggio pag. 22. var. a. e d. ERPETOLOGIA 247 nerale con tinta leggiera e sbiadita; le macchie invece si presentano subito distinte, e le parti inferiori hanno sem- pre una tinta biancastra uniforme o qualche volta fulva- stra, con debolissime screziature di bianco e di cenere, 0 di bianco e di brunastro. DIMENSIONI. L’ ordinaria lunghezza cui giunge è dai 54 ai 60 centi- metri, col diametro di 22 a 25 millimetri. Non mancano però anche maggiori individui, e sopratutto nella provin- cia di Treviso ove arrivano alla lunghezza di centim. 65 col diametro di millim. 28. ABITAZIONE E COSTUMI. Comune in tutto il Veneto e Tirolo meridionale, vive forse più che altrove copiosissima nella provincia di Tre- viso, ove il Bosco Montello gode specialissima benchè tri- sta rinomanza per la quasi prodigiosa quantità di vipere che ne infestano ogni cespuglio, ogni cumulo di pietre, i margini dei fossati, 1 sentieri e le vie. Per quanto mi av- visa l’amico D.' Martinati questa Vipera nel Padovano abita forse esclusivamente i Colli Euganei; e nel Friuli è specialmente frequente sui monti di Forgaria, di Medun e S. Simeone. Le varietà a dorso bigio cinereo od a dorso fosco più o meno rossastro sono le più comuni. La varietà rufiventris comparisce più rara, e dei quattro esemplari della mia Collezione, due provengono dal Monte Bolca nel Veronese, uno dai Sette Comuni, ed il quarto dal Bosco Montello, da dove proviene pure la varietà fulva. Della fusca plumbeiventris non ne scontrai che un unico esem- 248 BETTA plare. Due soli esemplari possiedo della bellissima e raris- sima varietà Veronese /sabeltina, uno dei quali lo devo alla gentilezza del sig. Pellegrini Gaetano che lo prese presso Fumane in Valpolicella. Una varietà col dorso di color olivigno-terreo screziato, e col ventre di color piom- bino o di acciajo tutto uniforme è data dal Professore Massalongo come abbondante a Campofontana nel Vero- nese (*). Nel Tirolo meridionale predominano più che nel Ve- neto gli individui a dorso cinereo; e colà è frequente la vipera presso Rovereto, Calliano, Trento, Riva, e più 0 meno in tutte le vallate Trentine. Come vedesi, abita quindi questo rettile tanto la pia- nura che i colli ed i monti elevati, prediligendone però sempre i luoghi nudi, sassosi, oppure coperti di cespugli. E meno frequente nel più fitto delle selve, rara nei siti acquitrinosi; si espone ai raggi solari durante varie ore del giorno, e solo quando venga irritata od accidentalmente calpestata morde rabbiosamente: in caso diverso fugge sempre l’ avvicinarsi dell’ uomo, od al più rimansi ferma pochi istanti per poi sottrarsi e nascondersi quando lo vede vicino, o teme pericolo. E solo in epoche eccezionali, ed è raro il caso che morda senza essere tocca od aizzata, e questo tempo si è quello degli amori. Nutresi di lucerte, di rane, e di rospi, ma sopratutto di piccoli quadrupedi; Tenuta in schiavitù sopporta lunghi digiuni, potendo vivere . senza cibo da 5 a 6 mesi; ed una femmina campò fino a sette e mezzo, cioè dalla metà di Aprile fino alla fine di Novembre senza che mai avesse voluto cibarsi di qual- siasi dei varj animaletti che io chiudeva nella sua gabbia. (*) Saggio pag. 24. var. plumbea. . e e tne EFERPETOLOGIA 249 Come ogni altro serpente passa l inverno in letargo, ritirandosi sotto i sassi ed internandosi sotterra a qualche profondità, nei luoghi un poco umidi, e dove il gelo non può penetrare. Accade spesso di vederne buon numero di individui insieme aggomitolati nelle cavità di vecchi tron- chi, ed anche nel nudo terreno alla profondità di quasi un metro. Esce al ritorno della primavera, ed allora, can- giati di spoglia, i sessi si ricercano e si accoppiano re- stando uniti per varie ore. Credesi che le femmine non possano essere fecondate che verso il terzo anno della loro età; e sembra che la vipera goda di molta longevità non arrivando a compiuto sviluppo che al sesto o settimo anno. La femmina non partorisce uova, ma queste, vivificate, schiudonsi nel ventre della madre, ove i viperini raccolti ‘ su loro stessi raggiungono la lunghezza di 43 a 46 centi- metri prima di venire alla luce, ciò che secondo le osser- vazioni di parecchi autori succede nel corso del quarto mese dopo l’ accoppiamento, o più precisamente nel Luglio o coi primi di Agosto. Al loro nascere portano ancora i laceri avanzi della membrana vitellina, una sorta di pla- centa col cordone ombilicale, e qualche volta traggono seco loro anche le tuniche esterne dell’ uovo che vi re- stano attaccate. Il numero dei viperini è generalmente portato dagli ‘autori a 20 circa per ogni parto, e secondo altri anche fino a 30. Il parto però ch’ io conservo d’ una vipera presa gravida e tenuta in schiavitù per circa due mesi, non ammonta che a soli dodici; ed anche in varie fem- minéè prossime al parto ch’ io ebbi a sezionare, non os- servai generalmente più di otto a dieci od undici uova. Nè a dir vero posso credere che maggiore di dodici o di quindici sia in generale il numero delle uova stesse, stante 950 BETTA il ben grosso volume loro nel ventre della madre quando vi sono perfettamente sviluppate. Appoggierebbero d’ al- tronde queste mie osservazioni anche le conformi dichia- razioni avute da var) nostri farmacisti, i quali spesse volte furono alla portata di vedere i parti delle vipere che te- nevano custodite per gli usi cui erano una volta impie- gate nella medicina. Siccome troverei conforme al mio giudizio anche il caso osservato dal Prof. Mangili, (e che formò tema di un suo discorso sul veleno di questo ret- tile) di una vipera « di straordinaria grossezza che dopo circa tre mesi di prigionìa partorì uno dopo l’altro tre- dici viperini, sette dei quali vegeti e vispi, e gli altri sei aggomitolati ed in istato di feti morti » (*). Dal momento in cui i viperini abbandonano il ventre della madre restano ad essa affatto estranei, e non trovano in lei nè quelle premure nè quella protezione e difesa che credesi da molti, e di cui si è detto già in separato arti- colo. Secondo le esperienze del prelodato Prof. Mangili non acquisterebbero la facoltà di articolare i denti veleniferì, e quindi di avvelenare, che 16 o 18 giorni dopo la loro nascita. Prima di tale età quei denti sono avviluppati nelle loro guaìne chiuse e continue colla cute della mandibola superiore, ed obbligati quindi in certa guisa a starsene oziosi almeno fino a che abbiano acquistata la consistenza necessaria per l’ uso cui sono destinati. Nelle generalità sui Rettili si è già parlato della po- tenza e conseguenza del veleno della vipera e dei rimedj ritenuti più efficaci. Basterà quì solo ricordare come di rado possa riuscire mortale per l’ uomo e per gli animali di mole grande e vigorosi, e come la stretta legatura al (*) Giornale di Fisica, Chimica etc. 1809. Tom. II. p. 209 - 250... ERPETOLOGIA 254 membro offeso, la scarificazione della parte, l’ applicazione della pietra infernale sulle punture, |’ uso pronto dell’ am- moniaca liquida o di bevande spiritose, possano rendere tranquilli sull’ esito del morso. Tanta è la tenacità della vita nella vipera che il suo capo mutilato conserva per più ore ed anche per un giorno o due la facoltà di ferire e di avvelenare. Immersa nello spirito di vino sopravive per ore intiere, e tagliata a pezzi continua a contorcersi per molte ore ed anche per un giorno. Anticamente era usata in diverse chimiche preparazioni ed in farmacia per svariatissime malattie. Più recente- mente se ne prescriveva il brodo nei casi di sifilide inve- terata, di affezioni erpetiche, di tisi polmonare, ed entrava nella preparazione della teriaca. Al giorno d’ oggi però ne fu abbandonato quasi del tutto l uso come rimedio medi- cinale. Chi mangiò le sue carni le trovò assai buone. Non sarà inutile l’ avvertire come la vipera mancando di quella conformazione che è propria agli altri nostri serpenti innocui, e che dà loro una mirabile facilità e de- strezza di alzarsi ed attortigliarsi, possa essere presa senza pericolo per la coda alzandola poi prontamente da terra per farla cadere nel sacco o nel vaso in cui si vuol col- locare. I nostri cacciatori di vipere usano un bastone alla cui sommità sta assicurato un pezzo di lana o di finissi- mo traliccio da ricamo inzuppato in colla d’ amido, col quale toccano ed aizzano la vipera fino a che vi si av- venta contro e lo addenta. Sollecito allora il cacciatore prontamente ritira il bastone, facendo così restare nello spessore della lana o fra gli interstizj del traliccio i denti veleniferi strappati dalla violenza del colpo, ed al mo- mento stesso la vipera viene anche presa senza pericolo. 252 BETTA OSSERVAZIONE. Dalla offerta Sinonimia scorgesi chiaramente quante specie siano state stabilite dagli autori a spese della Vi- pera aspis, specie le quali, perchè puramente nominali e dedotte da semplici modificazioni di colorito o di forma, devono solo figurare come sinonime della nostra vipera comune. La confusione che dominava un tempo nella classifica- zione dei serpenti Europei aveva indotto anche Latreille e Cuvier a considerare il Coluber aspis di Linneo come sem- plice varietà dell’ altro suo Coluber berus, e molti erpeto- loghi francesi resero poi ancora più confusa la storia della nostra vipera col ritenere e nominare per specie distinte al- cune delle numerose sue varietà. I moderni erpetologhi han- no non solo separate stabilmente le due specie delle quali fin quì si è parlato, ma hanno puranco riunite sotto ca- dauna di esse quelle varietà che nelle opere e cataloghi precedenti figuravano sempre come specie distinte. Così è pure che delle sei vipere che Bendiscioli enu- mera e descrive come proprie del territorio Mantovano, cinque, cioè la bderus, la aspîs, la prester, la fedi e la chersea rientrano come semplici varietà di colorazione nell’ unica nostra aspis; la sesta, cioè la sua Vipera limnaea, altro non è che il Pelias berus come già si è avvertito nel rispettivo articolo. Sq ERPETOLOGIA 253 45 —I. VIPERA AMMODYTES Latreille. Ital. Vipera dal corno. — Bellun. Vipera dal corno (Catullo). CARATTERI. Capo distinto dal tronco, superiormente coperto di squame irregolari ; una verruca conica, mobile, molto prominente all’ apice del muso. Dorso cinereo tendente al bigio cupo con fascia longitudinale nerastra, flessuosa e continua. Piastre addomnali 142-162. Scudetti sottocaud. p. 28-36. SINONIMIA. Coluber ammodytes Linn. Syst. Nat. I. p. 576. — — Gmel. Syst. Nat. L. p. 1087. — — Lacép. Quadr. ovip. et Serp. II. p. 67. —_ — Shaw Zool. II. p. 379. —_ — Catullo Geogn. Ven. p. 173. Vipera Illyrica Laur. Syn. Rept. p. 101. Vipera ammodytes Latr. Hist. Rept. II. p. 306. — — Daud. Hist. Rept. VI. p. 4193. t. 74. f. 2. _ — Wagl. Syst. Amph. p. 177. — — Bonap. Fauna ital. cum tab. —_ — Schleg. Essai II. p. 603. t. 21. f. 19. 20. —_ —_ De Fil. Cat. ragion. p. 65. iran — Betta Cat. syst. Rept. p. 22. 254 BETTA Vipera ammodytes Dum. Bibr. Erpetol. VII. 2. p. 1414. Vipera( Echidna) ammodytes Merr. Syst. Amph. p. Abd. — — _ Friv. Mon. Serp. Hungar. p. 53. Cobra ammodytes Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 62. Rhinechis ammodytes Fitz. Syn. Rept. p. 28. FORME. Un carattere affatto proprio e che distingue questa vi- pera da tutte le altre si è un'appendice o verruca conica, piuttosto ottusa, mobile, alta quattro millimetri, promi- nente all’ apice del muso, e rivestita da piccole scaglie uniformi a quelle della parte contigua del corpo. La testa quanto alla sua forma e configurazione ha molti rapporti con quella della Vipera aspis, distinguendosene nonostan- te perchè più cordiforme, e per la sensibile larghezza alla base. Ha il capo coperto di piccole squame irregolarmente disposte, e delle quali quelle collocate nel tratto anteriore al vertice sono piane, laddove le restanti vanno segnate di risentita carena longitudinale. Al di sopra degli occhi havvi uno scudetto sopracigliare bislungo, quasi piano, e spor- gente più in fuori del globo dell’ occhio. Tutto il resto dell’ orbita è cinto da due serie di piccoli scudetti di for- ma arrotondata, più piccoli quelli prossimi all’ occhio, di forma irregolare e più grandi gli esterni. Lo scudetto na- sale è piuttosto grande, quasi rotondo, e nel suo mezzo apresi ampio il foro delle narici. Sopra di questo scudetto trovansene altri due sopranasali collocati uno innanzi al- l’altro. A ciascun lato del capo una carena o spigolo dal termine anteriore dello scudetto rostrale stendesi orizzon- . talmente fino allo scudetto soprarostrale. Lo scudetto ro- ERPETOLOGIA 255 strale è largo, smarginato alla base, troncato all’ apice ed incavato nel mezzo. I tre scudetti antinasali, ossia quelli che separano il rostrale dal nasale, si elevano più del ro- strale e fra le loro due estremità superiori comprendono la base del sopranasale che è eretto, più lungo che largo, e curvilineo nel margine superiore; questo scudetto è ap- plicato alla base della verruca caratteristica della specie. Gli cechi sono grandi, rotondi, colla pupilla allungata verticalmente. Il tronco è cilindrico-fusiforme, coperto superiormente da squame ovato-lanceolate, con carena molto risentita. La coda breve, terete, conica, superiormente coperta da squame conformi a quelle del dorso; è più lunga nei ma- schi che non nelle femmine. I maggiori denti del veleno sono lunghi cinque milli- metri; i denti palatini brevissimi, ed i mandibolari sette per fila. Il numero delle piastre addominali e degli scudetti sot- tocaudali varia come in tutti gli altri serpenti. Due soli esemplari Tirolesi io potei fino ad ora esaminare, come si dirà avanti, e di essi 1° adulto conta 156 piastre addomi- nali, 36 paja di scudetti sottocaudali; il giovane egual numero di piastre, soli paja 30 di scudetti sottocaudali. COLORITO. Nell’ accennato individuo adulto il capo è superior- mente di color cinereo tendente al bigio cupo. Una mac- chia nebulosa fosca è frapposta agli occhi, due altre. più distinte sono collocate al di qua ed al di là del vertice, e due altre bislunghe nere figurano obliquamente presso uno e I° altro angolo della bocca. Il di sotto del capo è 256 BETTA bianco cinereo con leggiera tinta fulvastra alla gola, e con due macchie nere transverse che cadono sulla serie degli scudetti marginali inferiori. Tutto il tronco è di un color cinereo-grigiastro e così pure la coda, tinta questa però al suo apice di un vivo color ferrigno-rossastro. Due serie affatto contigue e con- fluenti di macchie nere, molto distinte, triangolari, a base allargata, partono dalla nuca ed ornano il mezzo del dorso con una gran fascia continua, flessuosa, che prolungasi sulla coda. Questa specie presenta anche per lo più lungo i fianchi una serie di macchie bigio-scure nebulose, alternativamente più e meno grandi, le minori collocate dirimpetto agli an- goli, le maggiori a rincontro dei seni della fascia dorsale. L’ esemplare però quì descritto manca di macchie laterali non scorgendosi in esso che una leggerissima traccia di alcune poche, nere, piccole ed irregolari. | Il di sotto del corpo è grigio d’ acciajo, spruzzato di macchie biancastre; le piastre hanno anteriormente un sottile orlo cinereo-biancastro, interrotto da tre o quattro lineole nere, e sono tinte alternativamente in nero ed in biancastro nelle estremità confinanti colle squame dei lati. Nel giovane individuo un color uniforme grigio-fulva- stro domina su tutta la parte superiore del corpo, ed il di sotto è uniformemente grigiastro. Le macchie triangolari costituenti la riga dorsale sono brunastre, marcate agli angoli esterni da sottilissimo e punteggiato lembo nera- stro. Nessun’ altra macchia nè alla testa, nè alla mandi- bola, nè ai lati della fascia dorsale. nn = TRT ERPETOLOGIA 257 DIMENSIONI, Esemplare adulto — Lunghezza centim. 67, dei quali oc- cupa tre la testa, e sette e mezzo la coda. Diametro mil- limetri 27. Esemplare giovane — Lunghezza centim. 22, dei quali la testa occupa 45 millimetri, 24 la coda. Diametro millim. 7. ABITAZIONE E COSTUMI, Come già si è accennato due soli esemplari ho potuto avere ad esame, e questi per gentilezza speciale del chia- rissimo ed ottimo amico mio P. Vincenzo Gredler, Profes- sore di scienze naturali nel Ginnasio di Bolzano. È a lui ch’ io devo anche dall’ Ottobre 4853 la prima notizia sulla presenza di questa vipera nel Tirolo, ed il possesso del giovane esemplare che ora fa parte della mia Collezione; del che tutto mi è caro rendergli pubblica testimonianza di obbligazione. Né riconoscenza minore deve avergli la Scienza se egli pel primo fece conoscere come abitatore del Tirolo meridio- nale questo velenoso rettile non mai prima, ch’ io mi sap- pia, incontrato colà da alcun altro, ma ritenuto anzi gene- ralmente affatto estraneo alle nostre provincie, e proprio in specialità della Carinzia, dell’ Istria, dell’ Ungheria meri- dionale, della Dalmazia e della More&; trovato solo più re- centemente in Sicilia da Bibron, e vivente giusta Bona- parte in qualche luogo orientale del settentrione dell’ Ita- lia, segnatamente nei contorni di Ferrara. L'esemplare adulto quì descritto fu preso sul pendio del castello Haselburg, vulgo Kilhbach, al sud di Bolzano; 17 258 BETTA nella quale località secondo lo stesso Prof. Gredler la spe- cie sarebbe anche abbastanza frequente, mentre era già allora a sua cognizione esserne stati presi dai pastori, ed in soli tre anni, almeno dodici individui, sorpresi sempre fra quei massi porfivitici mentre godevano i raggi del sole. E quando più tardi, cioè nel Settembre 4854, visitai in Bolzano quel carissimo amico, egli mi mostrò altre due gros- sissime vipere ammodytes di quei dintorni, conservate in spirito di vino nel Gabinetto di storia naturale di quel Ginnasio, avvisandomi che un terzo esemplare lo aveva poco prima inviato in dono al Museo Ferdinandeo in Innsbruck. Il giovane esemplare della mia Collezione pare provenga dai luoghi sabbiosi del Mitterberg fra Caldaro e |’ Adige, essendo stato preso nel Convento di Caldaro mentre usciva inaspettatamente, come mi dichiarò lo stesso amico, da un fascio di legna proveniente appunto da quel monte, mor- dendo anche un Religioso con qualche gravità di conse- guenze. Tutte queste particolarità mi piacque far conoscere non ignorando come qualche naturalista tenga dubbia tuttora la presenza di questa vipera nel Tirolo, e dubiti poi più an- cora sulla esistenza sua nelle provincie Venete ove invece risulterebbe abitare da quanto sono per dire. Già nel 41847 la Redazione della Biblioteca Italiana pre- sentando un sunto del Viaggio al Lago di Garda e al monte Baldo del Dott. Ciro®Pollini, aggiungeva ai sei serpenti dallo stesso annoverati come specie del Veronese, il Coluber ammodytes ( Vipera dal corno ) siccome non raro a trovarsi nei Colli Euganei e nei monti Bellunesi (*). Da quell’ epoca (*) Bibliot. Ital. Tom. V. p. 287. ERPETOLOGIA 259 la presenza di questo rettile nell’ una o nell’ altra delle due località annunziate non venne poi mai avvertita, e solo molto più tardi, cioè nel 4844 il chiarissimo Prof. T. A. Catullo lo indicava come vivente nella Provincia di Belluno tra i sassi che ricoprono le campagne del Mas presso il Cordevole, soggiungendo che « di questa specie » che li speziali di Venezia ritirano dalla Dalmazia per » impiegarla nella fabbricazione della triaca, non esistono » individui in nessuna Provincia dello Stato Veneto, od » almeno non fu veduta fino ad ora che in quella di Bel- » luno, dove trovasi copiosa tutti li anni » (*). Dopo di lui manchiamo nuovamente di migliori e più estese notizie sulla esistenza della specie nel Veneto e sulle precise località da essa abitate, chè anzi qualche naturali- sta trovò perciò di escludernela affatto mettendo in dubbio le stesse dichiarazioni del Prof. Catullo, e sospettando in- vece confusa la V. ammodytes con qualche vicina varietà di colorazione della comune V. aspis. Spiacemi assai di non avere ancora io stesso, e di non poter quindi addurre prove più positive sulla presenza di questa vipera; chè anzi è mio debito il dichiarare come siano sempre tornate a vuoto le ricerche per ciò stesso praticate e fatte praticare; siccome non mi consta neppure che alcun altro più recente autore abbia ricordata come veneta l’ ammodytes, nè sia dessa rappresentata almeno in qualche collezione da esemplari di queste provincie. Ciò nonostante io credo però che il fatto della sua esi- stenza nel Tirolo, congiunto alla precisa e sempre autore- vole indicazione del Prof. Catullo non manchi di valida- mente persuadere della dimora sua anche nel Veneto, al- (*) Geognosia delle Prov. Venete etc. pag. 175. 260 BETTA meno nella accennata località del Bellunese, regione in cui è probabile che tale vipera si sia fermata ed abbia figliato prima di salire nel Tirolo dalla Dalmazia, da dove è assai presumibile che sia pervenuta fra noi. La Vipera dal corno soggiorna sempre di preferenza nelle regioni aride, secche, sabbiose e sassose, o ricoperte di rara vegetazione, ed ivi sta esposta in primavera per molte ore del giorno ai raggi del sole. Quasi sempre lenta e tranquilla, diviene iraconda ed ardita sul finire della primavera, tempo de’ suoi amori, ed in allora riesce peri- coloso anche il solo passarvi vicino. Mordendo inarca il collo all’ indietro come tutti i serpenti velenosi propria- mente detti, e le conseguenze della morsicatura non sono certamente nè diverse nè minori da quelle delle altre nostre vipere. Qualcheduno pretenderebbe anzi che il suo veleno superi in forza quello della Vipera uspîs, e si narrano casi di persone perite in pochissime ore dopo la morsicatura, ma in ogni modo mancano esperimenti di confronto per stabilire la verità di tale asserzione. Nutresi di lacertini, di piccoli mammiferi ed uccelli che coglie all’ improvviso come tutti gli altri ofidii. Passa l’ in- verno internata fra le fessure delle roccie, ove si ritira anche per sottrarsi ai caldi eccessivi della stagione, atten- dendo allora la notte per cercare nutrimento. Lorchè ab- bandona il covacciolo in cui passò in letargo i freddi mesi, dell’ anno, cangia di pelle ed i sessi si cercano restando, accoppiati per varie ore. Non è precisato dagli autori il numero dei viperini che vengono alla luce per ogni parto, ma pare però che non superi quello della vipera comune. A quanto ne dice Daudin questa vipera diviene spesso la vittima di molti uccelli rapaci, siccome gli avvoltoj e le grandi specie del genere Strix, che se ne impadroniscono ERPETOLOGIA 264 con tutta la agilità e maestria necessaria ad evitarne il morso. Secondo lo stesso autore anche un piccolissimo pi- docchio, l’ Acarus viperinus Daud., tormenterebbe spesse volte la V. ammodytes attaccandosi in così gran quantità all’ orificio dell'ano e nel primo tratto dell’ intestino retto, da determinarvi una suppurazione che può condurre a morte P animale. OSSERVAZIONE. Oltre al colorito dei due individui descritti, e benchè poco o nulla dissimili sotto tale rapporto abbia trovati an- che quelli ch’ io ispezionai nel Ginnasio di Bolzano, tor- nerà però utile I’ avvertire come questa specie, non meno dell’ altra sua congenere, vada soggetta a molte variazioni di tinte e di macchie. Così il colore del fondo può mutare di molto nell’ intensità, e tendere maggiormente ofa al bigio, ora al cinereo, ora al giallastro, al brunastro, al rossa- stro ed anche al nerastro: un esemplare Dalmatino della mia Collezione presenta il fondo di color olivastro. Così 1° apice della coda non è sempre rosso, e le macchie costituenti la fascia dorsale non sono sempre distribuite in modo uniforme, e possono anche essere disgiunte fra essé; casò questo però assai più rarò d’ogni altro accidente di colò- razione. Anche il numero delle piastre addominali può va- riare secondo Bonaparte dalle 142 alle 162, è gli scudetti sottocaudali possono essere dalle 28 alle 36 paja. Secondo Schlégel le piastre arriverebbero anche al numero di 164 e gli scudetti a paja 45. In questa vipera però qualunque sianò le accennate variazioni, avrassi sempre il earattere specifico e costante della verruca mobile sul muso. 262 BETTA Ord. IV. BATRACI. © Nell'articolo della Propagazione deî rettili sì sono notate alcune particolarità specialissime a quest’ Ordine, che Ales- sandro Brongniart pel primo (1799) separò e distinse da tutti gli altri rettili sotto la denominazione di Batraciani. I rettili compresivi formano un gruppo tanto naturale e distinto che più autori ne proposero la formazione di una separata Classe sotto il particolare. nome di Anfibi; classe la quale benchè ritenuta da varj naturalisti, ed anche da qualche moderno autore che divide i vertebrati a sangue freddo nelle tre classi dei Rettili, Anfibi e Pesci, non ot- tiene però dai più valenti Erpetologhi che il semplice va- lore di Ordine, non maggiore cioè di quello dato ai Saurti ed agli Ofidii cotanto aftini fra loro. Sono caratteri essenziali dei Batraci: tronco depresso, tozzo o arrotondato, allungato, con o senza coda; pelle nu- da, molle, senza scaglie visibili; testa confusa col tronco per modo che non vedesi in essi un collo distinto; palpe- bre mobili: nessun foro auditivo esteriore; ùno sterno di- stinto, non maì unito alle coste che sono brevissime o nul- le; il cuore con una sola cavità e con due orecchiette dif- ficilmente distinguibili l'una dall'altra. I maschi non hanno organi genitali esterni; le uova vengono ‘in generale par- torite prima di essere fecondate, ed i novelli passano allora per le diverse e curiose metamorfosi già altrove accennate, (*) Batpayos, rana. ERPETOLOGIA 263 prima di assumere le forme e le abitudini dei loro geni- tori. Altro carattere di quest’ ordine, considerato in tutta la sua estensione, sarebbe la presenza o meno delle gambe, il loro numero, sviluppo, e proporzione; ma mancando noi di specie riferibili alle Cecilie cui mancano del tutto, alle Sirene provvedute delle due sole anteriori, al Protei che hanno gambe incomplete e quasi rudimentali, resta pei nostri Batraci determinato il carattere di quattro gambe, variabili in proporzione e lunghezza, a dita distinte e mai armate di unghie, mancanza questa che anche da sola ba- sterebbe a distinguerli dai Chelonii e dai Saurii. Stringendoci alle specie nostre dividiamo i Batracì in due Sezioni, fondate su due delle principali differenze appa- renti dalla loro esterna organizzazione, d’ importanza assai minore è vero di quella che esiste nella organizzazione loro interna, ma non per questo da abbandonarsi perchè anche più facili a colpirsi. Vuolsi dire della mancanza o presenza della coda nello stato di loro perfetto sviluppo, secondo il quale carattere vengono divisi in Anuri (4) cioè privi di coda, ed in Urodeli (2) o muniti di coda; divisione corri- spondente agli Anuri ed Urodeli, secondo e terzo dei tre sotto ordini dei Batraci stabiliti da Duméril; alle due sezioni Mutabilia ed Immutabilia di Fitzinger (1826); ed alle fami- glie Ranidae e Salamandridae del Principe di Canino. Sono gli Anuri privi di coda nello stato loro perfetto; hanno corpo piatto, muso rotondo, bocca profondamente fessa, lingua molle, non attaccata in fondo alla gola ma sul margine della mandibola, molto carnosa e capace d’ essere spinta fuor dalla bocca; timpano generalmente distinto; le (1) avovgog - senza coda. (2) ovoa coda, dios manifesto. 264 BETTA gambe posteriori sempre più lunghe delle anteriori, arri- vando ad eguagliare od anche sorpassando in proporzione tutta la lunghezza del corpo; hanno quattro dita nei piedi anteriori, cinque nei posteriori ove scorgesi quasi sempre come un rudimento di un sesto; la loro pelle è libera, iso- lata dai muscoli, ed aderente soltanto all’ingiro delle prin- cipali articolazioni delle membra, nella linea mediana; vi- cino alla bocca ed alle orecchie. L’ apertura della cloaca è un orifizio arrotondato come nei Chelonii. Vanno soggetti ad una completa metamorfosi. Gli Urodeli hanno all'incontro corpo lungo, quasi terete e munito di coda; lingua molle, carnosa, aderente in tutta la sua estensione, di sovente tanto ai lati che verso la punta cosicchè non può sortire dalla bocca; timpano na- scosto; gambe di lunghezza uniforme, quattro dita nelle anteriori, cinque nelle posteriori ; pelle unita e strettamente aderente al tessuto cellulare. L'apertura della cloaca è una fessura longitudinale; carattere questo importantissimo per distinguerli da tutti gli altri rettili, i quali o Y hanno in forma di orifizio arrotondato (i Chelonii e gli Anuri) o l hanno transversale (i Saurii e tutti gli Ofidii nostri). Nuotano e camminano, ma non saltellano come gli Anuri. Non subiscono la completa metamorfosi di quelli, ma le loro larve 0 sono tetrapode di primo tratto, o tosto diven- gono tali. A questi esterni caratteri potrebbero aggiungersene molti altri, ed anche più importanti perchè dipendenti dalla ri- spettiva organizzazione interna; come, fra quelli risultanti dallo scheletro, la mancanza di costole, l’ esistenza di uno sterno e di clavicole complete negli Anuri; la presenza al- ?’ incontro di costole quantunque assai brevi negli Urodeli, e la mancanza in questi di sterno e di clavicole. Non meno ERPETOLOGIA 265 importante è pur anche la differenza fra le due Sezioni nel modo di fecondazione già esposto in separato articolo. Comprendonsi gli Anuri di queste provincie nei quat- tro generi #yla Laur., Rana Linn. (emend.), Bombinator Wagl. e Bufo Laurenti, mentre ripartisconsi gli Urodeli nei 3 ge- neri Salamandra Laur., Petraponia Massal. e Triton Laur. Sono caratteri dei generi adottati per gli Anuri: I. Gen. HYLA LAURENTI. Lingua arrotondata, aderente da tutte le parti fuorchè al suo margine posteriore. Trombe d’ Eustachio mediocri. Un gruppo di denti situati fra le narici ; timpano distinto ; le dita delle gambe anteriori intieramente libere, quelle delle posteriori semi- palmate, tutte poi terminate ugualmente da un disco piano, di- latato e depresso. Nei maschi un sacco vocale sotto alla gola, capace d’ essere gonfiato come una vescica. Pelle superiormente liscia, granellosa pel di sotto. Questo genere comprende fra noi l’unica specie europea conosciuta, l’ Hyla viridis del Laurenti. N. Gen. RANA LINN. (EMEND.). Lingua grande, oblunga, un poco ristretta pel davanti, po- steriormente forcuta, libera nel terzo posteriore della sua lun- ghezza. Due gruppi di denti fra le narici ; timpano distinto. Trombe d’ Eustachio più o meno grandi. Le dita anteriori li- bere, le posteriori più o meno palmate. Due sacchi vocali in- terni od esterni nei maschi. Pelle liscia e senza tubercoli, che però talora soltanto appariscono sui lati del collo e sulla schiena. Linneo comprendeva nel suo genere Rana tutti gli Anuri ‘conosciuti in allora. Laurenti (1768) facendo di essi il suo 266 BETTA primo ordine Salientia della classe dei Rettili, suddivise il gen. Linneano ne’ suoi cinque Pipa, Bufo, Rana, Hyla e Pro- teus, dei quali non ci spettano che il secondo, il terzo ed il quarto, perchè soltanto proprio il primo dell'America meri- dionale, della Carniola il quinto. Ridotto agli esposti limiti caratteristici il gen. Rana comprende fra noi due specie le più anticamente conosciute, cioè la Rana viridis e la tempo- rara. III. Gen. BOMBINATOR WAGLER. Lingua subcircolare, integra, tenuissima, aderente da ogni lato. Due gruppetti di denti situati più indietro delle narici. Timpano nascosto ; trombe Eustachiane minime, quasi nulle. Dita delle gambe anteriori libere, quelle delle posteriori palmate da larga e crassa membrana. Nessun sacco vocale. La pelle se- minata di verruche e scabrosità. Senza parotidi. Merrem fu il primo (1820) che introdusse nella scienza la denominazione di Bombinator per distinguere un genere degli Anuri, i caratteri del quale non convenivano però completamente a tutti, od erano anzi in opposizione a quelli di alcune delle specie che vi comprendeva. Fitzinger stabilì in seguito (4826) diversi caratteri del genere, che poi an- cora più ristretto da Dugés (4834), era stato quasi contem- poraneamente dal Wagler (1830) modificato in guisa da non comprendervi che il Bombinator igneus del Merrem, la sola specie benanco che tuttora si conosca del gen. Wagle- riano tanto in Europa che fuori. IV. Gen. BUFO LAURENTI. Lingua allungata, elittica, un poco più larga al di dietro, integra, crassa, libera posteriormente; bocca affatto priva di den- ERPETOLOGIA 267 ti; timpano più o meno distinto ; trombe d’ Eustachio mediocri ; aldi dietro degli occhi una grossa glandula foracchiata da pori e costituente tumidissime parotidi. Dita delle zampe anteriori un poco rigonfie sotto la cute, distinte, completamente libere ; il terzo sempre più lungo degli altri tre; dita delle zampe posteriori più o meno palmate, î primi quattro compressi, il quinto più breve del quarto. Quasi sempre un sacco vocale sottogolare interno nei maschi. Cute seminata di verruche e papille. Le specie appartenenti a tal genere facevano parte delle Rane di Linneo, dalle quali vennero poi a giusta ragione levate dal Laurenti per collocarle nel suo genere Bufo, così chiamato dal nome della specie la più conosciuta che vi comprese, cioè la Rana bufo di Linneo (Bufo vulgaris Laur.). Il genere del Laurenti comprendeva però molte specie che più tardi diedero fondamento a nuovi e distinti generi ( Pelobates, Alytes, Bombinator ), ma oggidì non abbraccia che specie perfettamente analoghe al communissimo nostro Bufo vulgaris, col quale abbiamo fra noi congenere |’ altro non meno commune, il 8. viridis del Laurenti. .. Sono caratteri dei tre generi adottati pei nostri Urodeli: V. Gen. SALAMANDRA LAURENTI. : Capo crasso, depresso; lingua mediocre, suborbicolare, ade- rente, libera solo ai lati, denti palatali minutissimi, disposti în due serie longitudinali che sî allargano nel mezzo convergendo alle estremità ; parotidi grandi rilevate, ed altra glandula più piccola a ciascun lato della bocca. Coste sviluppate. Coda lunga, arrotondata, conica. 268 BETTA VI. Gen. PETRAPONIA MASSALONGO. Capo mediocre, compresso, piano, ottuso; lingua medicere, fungosa, lanceolato-oblonga, papillifera, fimbriata, aderente per . ogni lato tranne che nella parte anteriore; denti palatali come nel seguente genere Triton. Parotidi....(?2) appena risentite. Coste numerose e molto pronunciate. Coda fortemente compressa, lunga come il corpo. VII. Gen. TRITON LAURENTI. Capo mediocre, rotondato, convesso ; linqua mediocre, fungosa 2.) 2 9 papilliforme, arrotondata 04 ovale, aderente quasi in ogni parte, libera soltanto ai lati; denti palatali disposti in due serie lon- gitudinali riavvicinate e quasi parallele, leggermente divergenti presso le fauci, convergenti nell’opposta estremità. Senza paro- tidi. Coste brevissime e sottili. Coda lunga pressochè quanto il ‘ corpo, costantemente depressa, ed a mnatatoje verticali cutanee, almeno nei maschi e sopratutto nell'epoca della fecondazione. I due generi Salamandra e Triton vennero stabiliti da Laurenti (4768 ) per comprendervi alcuni Batraci lacerti- formi che Linneo avea confusi colle sue Lacerte; èd asse- gnò alle specie comprese nel primo coda terete ed abitu- dini terrestri, a quelle appartenenti al secondo coda com- pressa ed abitudini acquatiche. Benchè la forma della coda soggiaccia negli Urodeli in genere a modificazioni tali da rendere arduo, come benissimo osserva il Principe Bona- parte, lo stabilire il limite preciso fra la forma compressa e la terete, per noi però tale carattere riesce ben determi- nato e preciso, attesa l’unica specie che possediamo a coda . N ERPETOLOGIA 269 terete la Salamandra maculosa (*), mentre l’ hanno schiac- ciata tutti i Tritoni e la Petroponia. Un piccolo Batracio Urodelo scoperto nella provincia di Padova dall’ amico mio Prof. Massalongo, servì a lui per stabilire il genere Petraponia (4852), fino ad ora non rap- presentato ancora che da un’ unica specie, ed anzi da un unico individuo, Espostine già i caratteri generici, e riser- vandoci di parlarne più a lungo nell’articolo che lo riguar- da, premettiamo soltanto accostarsi esso, più che ad altri dei conosciuti, al genere 7riton, da cui differenzia nulla- meno per la diversità della lingua e per le coste rilevate. Forse più tardi potrassi stabilire con maggior sicurezza un carattere che varrebbe ancora a distinguerlo assai più, vuolsi dire quello delle parotidi, delle quali nell’ unico e giovine esemplare conosciuto non si potrebbe garantire Passoluta presenza o mancanza senza pericolo di guastarlo. e. distruggerlo. | Di cadauna delle specie descritte saranno date le più importanti nozioni sulle loro diverse abitudini, sui loro diversi costumi, e sui pregiudizi del volgo. Intanto richia- mandoci al già detto in quanto al modo di generazione dei (*) Non sarebbe però difficile che vivesse in qualche regione montuosa delle Provincie da me illustrate un’altra specie, la Salamandra atra, che il Sig. Schreibers trovò già sulle Alpi Tirolesi, e della quale io téngo pure un esemplare preso a Schwatz ed inviatomi dal ch. Prof. Gredler. Vive anche nella Carinzia e Carniola, ed io ne possiedo un copioso numero di esemplari presi nella Svizzera ed inviatimi dal chiarissimo ed illustre amico mio Sig. Charpentier di Bex, la cui recente morte fu ben gravissima perdita alle Scienze naturali, ai molti suoi ammiratori ed amici! In ogni caso però anche la Salamandra atra, oltrecchè facilissima a distinguersi pel suo color nero uniforme e senza macchie, ha sempre coda arrotondata, smussata alquanto all’ apice. 270 BETTA Batraci, osserveremo in generale essere questi gli animali che specialmente servirono allo studio ed alle scienze dei naturalisti sulla riproduzione delle membra amputate ; e che hanno fornito alla fisiologia comparata non pochi argomenti di osservazioni e scoperte, sia sul modo della loro fecondazione che del loro sviluppo, tanto pazientemen- te studiati e con sì felice esito dai nostri italiani Spallan- zani e Rusconi. Ognuno sa poi e conosce di quanta impor- tanza fu la singolare scoperta del fisico Bolognese Galvani (1786) sulla elettricità che sì sviluppa e si manifesta quan- do mettansi a contatto due metalli di diversa natura, fra i quali trovisi collocata una materia umida, Una Rana die- de vita ad un nuovo ramo di fisica tanto importante per le numerose applicazioni che se ne fecero da un mezzo secolo in quà. Gli studj del Galvani intorno all’ influenza della elettricità sulla irritabilità nervosa degli animali re- sero alla scienza i più luminosi servigi, e la violenta con- trazione dei muscoli delle coscie di una rana morta messi in comunicazione coi nervi lombari per mezzo di un cir- cuito metallico, fu la base della elettricità dinamica 0 gal- vanismo, che più tardi prestò coll’ apparato della pila Gal- vanica 0 pila di Volta uno dei più giovevoli istromenti alle scienze, e coll’ajuto del quale si pervenne alle più impor- tanti scoperte di fisica e di chimica. La struttura dei pol- moni delle Rane ed il modo loro di respirazione hanno fornito agli anatomici e fisiologi chiare dimostrazioni sul sangue. I Batraci sono dotati di finissima sensibilità, ma tale facoltà è in essi modificata dalla temperatura esterna, o da quella nella quale vengono collocati od immersi. Essi in- torpidiscono egualmente per l’ effetto del caldo che per l’effetto del freddo. L’odorato è pressochè nullo, e le. na- ERPETOLOGIA 274 rici pochissimo sviluppate (*). Il gusto è pure debilissimo ; la vista attiva; gli occhi muniti di palpebre, delle quali la superiore in generale più curta e più dilatata, me- no mobile e meno trasparente della inferiore. La pupilla arrotondata in quasi tutte le specie, è invece romboidea o lineare nelle specie notturne, siccome nei Rospi. Attesa la loro pelle molle e priva di scaglie pare che la sensazione degli oggetti esterni sia nei Batraci meno difficile. Anche il tatto può ritenersi meglio sviluppato attesa la mancan- za di unghie e la facile applicazione quindi delle dita alla superficie. La pelle degli Anuri è, come già si disse altrove, libera totalmente e formante una specie di sacco entro cui il corpo rimane isolato. Questa circostanza dà loro la facoltà di gonfiare considerevolmente il loro inviluppo cutaneo, che però restringesi poi nuovamente lasciando delle pieghe nelle parti laterali del tronco.. Nei Batraci la pelle offre dei pori o cripte glandulari che secretano e lasciano trapelare alcuni particolari umori più o meno vischiosi, e dei quali vedremo lo scopo e l’azione diversa trattando delle specie in particolare. Sem- bra che la natura abbia concesse loro tali secrezioni cutanee qual mezzo di difesa onde sottrarsi alla rapacità dei loro nemici, che ne farebbero strazio se non se ne dovessero ritrarre nauseati dall’ odore disaggradevole tra- mandato. L’ epidermide è dotata della proprietà di en- dosmosi, ed è perciò che i Batraci resistono al calore che (*) Nei Proteì e nelle Sirene quest’ organo è totalmente obliterato, per- che vivendo continuamente nelle acque vi respirano alla maniera dei Pe- sci, con branchie persistenti; le narici non permettono passaggio all'aria, e non comunicano quindi coll’ interno della bocca. 272 BETTA fa evaporare l’ umidità esalata dall’ animale, e che que- sto ricupera poi rapidamente col mezzo dell’ assorbimento. Sogliono mutare la pelle come tutti i rettili, ma con più frequenza che non quelli degli altri tre ordini. La spoglia è una membrana mucosa, e sembra non possa staccarsi dall’animale che allorquando è desso immerso nell’ acqua. Questa muta vedesi verificarsi più o meno frequentemente secondo che l’animale fu tenuto più o meno lungo tempo nell’ acqua pura od alterata, o fu esposto all’ aria. L’ epi- dermide si stacca in un solo pezzo che rappresenta la fi- gura precisa dell’ animale e che lo segue come uno spettro in tutti i suoi movimenti, ma sempre in senso opposto, poichè questa pelle si stacca principiando dai margini delle mascelle e rinversandosi sul corpo rimane per ultimo at- taccata alla estremità delle gambe posteriori negli Anuri, ed all’ estremità della coda negli Urodeli. Questa curiosa muta può facilmente ottenersi mantenendo anche per soli pochi giorni in acqua pura alcuni Tritoni o Bombina- tori; e si vedrà anche con quanta avidità Y' animale stes- so od altri di quelli con lui conviventi divorino la spò- glia. Ho osservato ripetersi tanto più frequentemente tale . muta quanto più frequentemente si cangia l’ acqua del vaso e quanto più questa è fresca. Con un poco di pratica si riesce poi facilmente a distendere sopra un pezzo di carta la spoglia abbandonata, come si avrebbero le alghe; soltanto devesi levare molto adagio la carta dall’ acqua, o meglio ancora levare l’ acqua a poco a poco dopochè si è riescito a rendere aderente e distesa la spoglia alla carta stessa, poichè in caso diverso non si avrebbe che una pallottola di materia mucosa. Io sono riuscito a prepararne parecchie, e le conservo nel mio Museo quali: curiose e fedelissime ombre dell’ animale che le abbandonò. ERPETOLOGIA 273 ° La facilità colla quale possono essere tenuti vivi i Tri- toni ha non poco giovato a studiarne accuratamente le abitudini, ed a seguirne lo sviluppo e le notevoli diffe- renze delle forme nelle varie epoche della loro vita, se- condo le quali viene modificata tanto l’ interna che l’ ester- na loro organizzazione. Gli Anuri favoriti dalla speciale conformazione delle gam- be posteriori si avanzano a salti, potendo alcuni slanciarsi anche a non piccole distanze. Questa conformazione riesce loro utilissima nel nuoto, che eseguiscono con movimenti ammirabili e tali da somigliare all’ uomo per la struttura e moto delle gambe e delle coscie. Il camminare riesce invece penoso e lento nelle specie a gambe posteriori molto lunghe; nelle altre le membra posteriori impediscono meno il cammino, e noi vediamo p. es. nei rospi, che sono ani- mali notturni, una rapidità che certamente non si suppor- rebbe in essi quando escono di giorno. Alcune specie hanno la facoltà di arrampicarsi, di attaccarsi od aderire ai corpi solidi, in modo da potersi sostenere e giungere ad eleva- zioni non piccole. La Hyla viridis ci presenta al più alto grado tale proprietà, tenendosi persino sospesa col ventre in alto sotto la faccia inferiore delle foglie degli alberi an- che le più liscie; proprietà che trova facile spiegazione nella forma e struttura delle sue dita. Negli Urodeli il cammino è sempre lento; la brevità delle gambe rende loro impossibile di progredire con qual- che agilità e di sollevarsi molto dal suolo, per cui la loro progressione è sinuosa e il corpo procede strisciando sulla terra. Nell’ acqua nuotano all’ incontro con molta agilità, specialmente i Tritoni favoriti dalla forma compressa della loro coda. 18 274 BETTA Tutti i Batraci quando sieno giunti al perfetto svi- luppo nutronsi unicamente di sostanze animali, come di molluschi, di insetti e loro larve, di piccoli crostacei e di annellidi. Sdegnano qualsiasi preda che non sia viva e che non si mova. Avendo mascelle deboli e poco svilup- pate, e non essendo i denti, quando ne esistono, atti me- nomamente alla masticazione, la preda deve essere ingojata tutta intiera. In genere sono assai voraci, e particolarmente i Tritoni li quali arrivano a divorare individui benanco della propria specie; Dumeéril ne fu testimonio oculare; ed io ne ho veduto alcuni divorarsi le uova che avevano de- poste al fondo di un vaso, nel quale li custodiva per le mie osservazioni. La preda viene presa in diverso modo secondo che la lingua é suscettibile o meno d’essere spinta fuor dalla bocca; nel qual secondo caso la presa degli alimenti si ef- fettua direttamente coll’ajuto della mascella. Benchè man- chino glandule salivali in questi animali, vedesi però ab- bondare attorno alla preda un umore vischioso destinato a lubricarne la superficie, e sembra che questa bava esca da numerose cripte. La deglutizione succede sollecitamente. I Batraci passano l’ inverno a qualche profondità sotto terra, e ne escono in primavera. Godono della facoltà di attirare e respingere a volontà l’ aria atmosferica, e gli Anuri anche quella di esprimere con una voce le loro pas- sioni, i loro bisogni, i loro timori. A tal uopo natura li ha provveduti di particolari istromenti situati all’ orifizio 0 vicino ai canali che servono per la respirazione polmonare, col mezzo dei quali producono varj suoni cacciandovi l’aria espulsa rapidamente dalla cavità della bocca. Questi stessi stromenti si ristringono e si dilatano formando una specie di gozzo, come nella //y/a; in altri sono vesciche che sor- FERPETOLOGIA 275 tono dalle parti laterali della bocca verso la commessura delle mascelle, come nella Rana esculenta. In generale la voce dei Batraci consiste in una continuata e monotoma ripetizione degli stessi suoni, prodotti con maggiore o mi- nore frequenza e forza; per lo più gracidano, ma anche questo gracidare differisce molto secondo le specie. Alcuni Rospi fanno invece sentire un suono ben diverso, imi- tando in certo modo il grido di qualche uccello, come del- l’Alocco o dell’ Upupa con una specie di zuffolo interno, sordo, rauco e strillante. È però per lo più nella stagione degli amori che i maschi fanno intendere queste voci, le quali ognuno sa quanto riescano incomode e fastidiose se «prolungate e notturne. Anche nell’ ordine dei Batraci troviamo segnate alcune anomalie di organizzazione, e fra esse indichiamo le due descritte e figurate da Siebold (*); l'una di un Tritone che -ha biforcato il quarto dito del piede posteriore sinistro ed il terzo del piede destro; l’altra di un Tritone in cui ve- donsi rudimenti di due dita sopranumerarie sporgenti dal ginocchio. Io pure raccolsi presso Verona un Triton cri- status col secondo dito del piede destro biforcato. Non lascieremo queste generalità sui Batraci senza far parola di una credenza, o dirò meglio di un pregiudizio radicato nella mente del volgo non meno, che di persone anche dotte, e diffuso benanco dalle relazioni di non pochi giornali e corrispondenze di Società scientifiche. Vuolsi dire della pretesa pioggia di rane e di rospi. Quasi tutti gli anni verso il finire del mese di Agosto, se dopo una gran siccità sorviene una pioggia tempora- (*) Observationes quacdam de Salamandris et Trifonibus. Disserta- tio. Berolini 1828. 276 BETTA lesca, non è raro il caso di vedere ad un tratto sulla tér- ra, in certi luoghi, una enorme quantità di piccole rane o di piccoli rospi che saltellano a migliaja e coprono esten- sioni vaste di terreno. Molti hanno veduto tal fatto, ma ben pochi lo osservarono come si doveva. Intanto non man- cano di quelli che narrano d’ aver essi stessi veduto ca- dere questi animali colla pioggia, e dall'alto; non mancano persone che per spiegare tale comparsa suppongono che le rane ed i rospi sieno stati sollevati da una tromba meteo- rica o da una colonna d° acqua alzatasi nell’ atmosfera a grande altezza, e che così trasportati siano poi caduti sulla terra assieme alla pioggia. Eranvi persino alcuni ignoranti che credevano fossero i goccioloni della pioggia stessa che al toccare il terreno e la polvere si cangiassero in tante rane, in tanti rospi.!! | Per sorprendente che possa sembrare il fatto della su- bitanea comparsa di questi animali in uno sterminato nu- mero di individui, in luoghi ove un istante prima non se ne vedeva neppur uno, è però facilmente spiegabile ove si consideri la situazione nella quale si verifica, e l’ epoca con- temporanea allo stesso sviluppo delle rane e dei rospi. La comparsa non successe mai infatti che su terreni argillosi, ed al cadere d’ una pioggia temporalesta che viene a ba- gnarli dopo una assai lunga siccità della state. Egli è poi nel mese di Agosto precisamente che le giovani rane ed i rospetti, avendo compiuta la loro metamorfosi, abbandona- no le pozzanghere e le paludi, e disperdendosi e vagando pei campi e pei prati cercano rifugio dall’ azione dei raggi del sole e dal calore dell’ atmosfera ricoverandosi sotto alle pietre, sotto ai cespugli, e nelle profonde screpolature che presentano i terreni forti dopo una lunga siccità. Colà re» stano allora fino a che una pioggia ristoratrice non venga 5 più. ii ERPETOLOGIA ad inumidire il terreno ed a ridonare all’ atmosfera la con- dizione indispensabile alla loro vita. Per esseri squisita- mente elettrici ed igrometrici quali le rane ed i rospi, ba- sta solo che di poca umidità s’ impregni l’ aria, ed eccoli quindi già ai primi e rari goccioloni d’ acqua che prece- dono la dirotta pioggia, sbucare a migliaja dai loro nascon- digli, e saltare, e spandersi sul terreno dopo un così lungo e certamente penoso ritiro. Non farà poi maraviglia che in così gran numero ap- pariscano, quando si saprà quanto sia prodigiosa la fecon- dità delle femmine di tutte le rane e di molti rospi cia- scuna delle quali depone ad ogni parto da seicento a mille, e fino mille e cinquecento uova. Il voler dare diversa spiegazione, oltrecchè sarebbe con- trario alle osservazioni dei più dotti ed al fatto, incontre- rebbe ora senza dubbio il ridicolo ed urterebbe il buon senso di chi sa ragionare e riflettere. A convincere ancora più del suo errore chi volesse tuttora credere alla pioggia di Batraci, non troverei più opportune ed adatte parole che riportando quelle stesse colle quali il ch. Prof. Gené in una delle sue erudite lezioni, toccando appunto tale questione elegantemente scriveva : (*) « Innanzi tutto se le piccole rane e i piccoli rospi venissero dalle nubi non è egli vero che, cadendo pel proprio peso con moto uniformemente accelerato, dovrebbero sfracellarsi contro il suolo, o per lo meno ammacarvisi e rimanervi per qualche istante storditi? Dirò di più: non è egli vero, che se fossero travolti a tanta altezza da una tromba meteorica, trasportati co’ suol vortici per gli ampi spazii dell’amosfera e quindi abbandonati alla propria gravità, dovrebbero giungere a terra, se non morti (*) Storia naturale degli animali. Vol. Il. pag. 453, 278 BETTA almeno asfitici? Or bene, che accade di questi animaletti nell’ istante della supposta loro caduta dal cielo? Per confes- sione di coloro stessi, cui si rivolgono le mie parole, code- sti animaletti saltellano giojosamente sul terreno, senza om- bra di storpiatura o di stordimento. Questa considerazione semplicissima, e che nondimeno non è mai stata fatta da alcun . scrittore prima di me, vale da se sola più di tutte quelle che con grande dottrina furono messe innanzi dal Redi, dal Vallisnieri e dal Duméril per provare Ia impos- sibilità che quei batracii piombino dal cielo. Riflettasi all’ im- peto con cui rimbalzano sul suolo e sovente si spezzano ì grani della grandine, e si avrà una misura di ciò che do- vrebbe accadere, se non di tutte, almeno di quasi tutte le rane ed i rospi, che ci venissero per le medesime vie. Per altra parte, se quelle piccole rane e quei piccoli rospi ve- nissero, per così dire, assorbiti da trombe meteoriche in riva alle paludi, e poscia travolti pei campi dell’ atmosfera, non dovrebbero essi avere per compagni di quella strana sciagura i pesci, le salamandre, le lucerte, i serpenti e tanti. altri animali che abitano con essi i medesimi siti, non do- vrebbero segnatamente aver per compagni i loro genitori? Forse che le trombe meteoriche hanno occhi e sentimenti per far scelta di prede? Forse che i loro vortici che schian- tano e rapiscono gli alberi secolari ed i tetti delle case, non saprebbero ‘sollevare in alto, come le giovani rane, così anche le adulte?» E dopo ciò crederei superflua ogni altra parola ch’ io volessi soggiungere, se tanto chiaramente riesce confutata la possibilità e la credenza di tali pioggie di rane e di rospi. | ERPETOLOGIA 279 A. BATRACI ANURI. Gen. HYLA LAURENTI. A6—l. HYLA VIRIDIS Laurenti. Ital. Raganella arborea, Ranocchiella comune, Ila. Ven. Racola, racoleta, ranéla, racula, baracule, barascule. Tirol. Rana de S. Giovann 0 de S. Duane, rana de S. Martin. CARATTERI, Capo triangolare, largo quanto il tronco. Cate affatto. liscia al di sopra, granellosa e regolarmente sagrinata al di sotto. Corpo di un bel verde chiaro, uniforme, contornato da linea gialla a merletto. Una striscia nerastra orlata di bianco va dall'angolo posteriore dell'occhio fino quasi alle coscie. Tutto il di sotto bianco perfetto, o bianco-giallastro. SINONIMIA. Rana arborea Linn. Syst. Nat. p. 357. n. 46. — — Linn. Fauna Suec. p. 480. = — Wulff Ichthyol. p. 9. n. 15. —_ — ARoesel Hist. ran. p. 37. tab. 9-41. — — Gmel. Syst. Nat. p. 1054. (excl. var.) —_ — Sturm Deutschl. Fauna II 4. — — Aetz Fauna Suec. p. 286. sp. 9. —_ — Latr. Hist. Salam. p. 38. = — Shaw Zool. INIL p. 150, 280 BETTA Hyla viridis Laur. Syn. Rept. p. 35. sp. 26. var. a. = — Latr. Hist. Rept. II. p. 169. f. 4. — — Daud. Rist. Rept. VIII. p. 23, — — Hitz. Verz. Mus. Wien. p. 63. n. B. — — Sturm Deutschl. Fauna III dB. 6. p. 44. — — Gravenh. Delic. Mus. Vratislav. p. 23. = — Eichw. Zool. Ross. III p. 166. — — ZBonap. Fauna ital. cum fab. — — Dum. Bibr. Erpétol. VIII. p. 581. — — Betta Rett. Tirol. p. 187. —_ — Betta Cat. syst. Rept. p. 23. = — Massal. Saggio p. 46. Calamita arboreus Schneid. Hist. Amph. I. p. 153. = — — Merr. Syst. Amph. p. 170. n. 9. Calamita arborea Risso Hist. nat. INI. p. 92. sp. 29. Hyla arborea Kryn. Observat. p. 67. — — Schinz Fauna Helvet, p. 144. = — Catullo Geogn. Venet. p. 175. Hyas arborea Wagl. Syst. Amph. p. 201. Dendrohyas arborea Tschudi Classif. Batrach. p. 74. Dendrohyas viridis Fitz. Syst. Rept. p. 30. FORME. Capo trigono, breve, largo quanto il tronto, ristretto soltanto nel muso mediocremente rotondato; occhi grandi, protuberanti, con iride dorata; timpano circolare, grande poco meno della metà dell’ orbita; squarcio della bocca. che arriva fino oltre la metà del timpano; tronco quasi conico, larghissimo verso il capo, posteriormente ristretto, convesso sul dorso, piano sotto il ventre. Piedi anteriori brevi e grossi; la loro lunghezza uguaglia quella del tron- co; libere affatto le dita. Piedi posteriori lunghissimi e sot- ERPETOLOGIA 284 tili, colle cinque dita semipalmate alla base. Il diametro del disco piano da cui sono terminate tutte le dita, è presso a poco eguale a quello del timpano. La pelle è perfettamente liscia al di sopra, granellosa e regolarmente sagrinata al di sotto. COLORITO. Il colore di questa leggiadra specie è superiormente di un verde molto vivace contornato da una linea gialla a merletto nascente agli occhi, prolungata sui fianchi, disposta ad angolo sinuoso verso i lombi, e terminante sulla estre- mità esterna delle tibie posteriori; un’ altra linea gialla orla il labbro superiore e viene lungo i lati esterni delle gambe anteriori: l una e l’altra linea è marginata di oscuro. Una striscia nerastra orlata di bianco parte dal- l’angolo posteriore dell’occhio, e passando sul timpano va quasi fino alle coscie, ove giunge però assai dilavata. Le dita dei piedi sono alquanto rosseggianti. Tutto il di sotto del corpo e delle zampe è di un bianco perfetto, o con maggiore o minore tendenza al bianco-giallastro. I margini dell’ orifizio anale sono neri, punteggiati di bianco. Il color verde del corpo varia però grandemente negli individui secondo l’ età, il sesso e la stagione. In alcuni tende al giallastro, in altri al rossastro, e qualche volta si fa anche turchino. Nello spirito di vino il verde si altera sensibilmente e le linee gialle diventano bianche. | DIMENSIONI. Il corpo è lungo da 4% a 5 centimetri, compresa la testa che ne occupa uno e mezzo circa. Le gambe ante- 282 BETTA riori sono poco più di centim. 2%, e le posteriori quasi di 7. La maggior larghezza ai fianchi è di centim. 8. ABITAZIONE E COSTUMI. Non v’ ha alcuno che non conosca questo graziosissimo animaletto, il più piccolo dei nostri Batraci anuri, sparso in tutto il Veneto e nel Tirolo e frequente anche sui monti a rilevanti elevazioni, cessando solo d’innoltrarsi là dove aridi e secchi si mostrano i luoghi. La Raganella si tiene sulle foglie delle erbe, degli ar- busti, e degli alberi non molto lungi dalle acque. Le polpe lenticolari delle dita sono provvedute di un organo aspi- rante col quale formano il vuoto nel punto che toccano, ed in tal modo, e coll’ ajuto altresì dell’ umore vischioso che segrega dal corpo, si attacca fortemente ai rami ed alle foglie non solo, ma anche alla pagina inferiore di que- ste, ove anzi si sta ricoverata e difesa dai raggi solari nelle ore più calde del giorno. Nutresi di insetti che prende lanciandovisi sopra a gola aperta, ed anche a qualche passo di distanza. Innocente, e forse fiduciosa troppo nel colore del suo corpo che si confonde con quello delle foglie, la Raganella si lascia avvicinare senza fuggire, e riesce perciò facilissimo |’ impadronirsene. Nel tempo delle nozze si ritira nell’ a acqua e là vi com- pie l’ opera della generazione; ciò che succede alla fine d’ Aprile od al principio di Maggio secondo la stagione. Giusta le osservazioni di Roesel e di Duméril non è che all’età di quattro anni che può generare, e non prima di tale epoca spiegasi in essa la voce. I due sessi rimangono accoppiati da due a tre giorni, e le uova che vengono de- poste sono riunite a coroncina come quelle delle rane. Sul ERPETOLOGIA | 283 dodicesimo giorno il girino è già ben formato, e sul sedi- cesimo o decimosettimo le branchie esterne sono sparite, e la testa si confonde col ventre. Fra il ventesimo ed il vi- gesimonono giorno si scorgono i rudimenti delle gambe posteriori, e sul sessagesimoquinto l’ animale è perfetto e può vivere fuori dell’ acqua. Il grido della Raganella è ben diverso dal gracidare del- le rane; è meno aspro e talvolta più forte, particolarmente nei maschi i quali hanno sotto la gola un sacco che in quel momento si gonfia come vescica. Si può paragonare alle sillabe carac - carac pronunciate gutturalmente e con sollecitudine. Tale monotoma cantilena si sente special- mente quando il tempo si dispone alla pioggia, quando piove, e nelle belle notti di primavera e di estate. Spesso allora di sera e mattina trovansi le raganelle riunite sulla cima degli alberi, per fare un coro colla loro rauca e di- scordante voce. Nell’ epoca degli amori è assai più forte e prolungata, e sentesi a non piccole distanze. La sensibilità barometrica di questo animaletto vien posta a partito dai ragazzi per avere un indizio dei can- giamenti di tempo. Ed a ben pochi sarà mancata l’ occa- sione di osservare come, poste alcune raganelle in un vaso pieno a metà d’acqua, con entro una scaletta di legno, salgano su di essa più o meno, o si ritirino al fondo se- condo che il tempo è bello o si disponga alla pioggia. D’ inverno si tuffa al fondo delle acque ove intorpidi- sce per tutta la cattiva stagione, non sortendone che al principio di primavera. 284 BETTA OSSERVAZIONE. L’ Hyla viridis è la sola specie europea del genere. È sparsa in tutta |’ Europa, meno che nelle isole Britanniche ove manca totalmente. Trovasi pure al Giappone e su tutta la costa mediterranea dell’ Africa. Duméril e Bibron notano anche il bruno fra i colori che tingono il dorso di questa specie. lo possiedo infatti una ZHyla della Sardegna colla parte superiore del corpo di color brunastro carico uniforme, che mi venne comu- nicata sotto il nome di Dendrohyas sarda Bonelli (*), forse la stessa varietà di cui parla il Principe di Canino nella sua Fauna Italica. Oltre la differenza del suo colorito e di una statura alquanto minore, niun’ altra però io rinvengo che valga a giustificare una separazione specifica dalla co- mune ZHyla viridis, della quale è ad aversi per sola varietà di colorazione; varietà che mancherebbe fino ad ora alle nostre provincie. (*) Betta, Cat. syst. Rept. p. 24. ERPÉ£TOLOGIA 285 Gen. RANA LINN. (EMEND.). A7—L RANA ESCULENTA Linn. Ital. Rana o ranocchia verde. Ven. Rana, rane. Tirol. Rana. CARATTERI. Capo triangolare tanto largo che lungo, col muso molto acuto. Cute levigata, sparsa di piccoli tubercoli specialmente sul dorso e sui fianchi. Corpo di color verde d’ erba con varie macchie nerastre. Due striscie nere che dall’ angolo dell'occhio passano sulle narici e si uniscono ad angolo sull’apice del muso. Una fascia gialla longitudinale sul dorso, per lo più fiancheggiata da due altre dello stesso colore, ma qualche volta anche mancante. Tutto il di sotto d’un color bianco latte. SINONIMIA. Rana esculenta Linn. Syst. Nat. ed. X. p. 212. _- — Wulff Ichthyol. p. 9. — — Laur. Syn. Rept. p. 31. — — Gmel. Syst. Nat. I. p. 1053. — — Aazoum. Hist. Jorat p. 101. — — Sturm Deutschl. Fauna III 1. —_ — — Schneid. Hist. Amph. TI. p. 41458. - — — Retz. Fauna Suec. p. 286. n. 8. — — Latr. Hist. Salam. p. 38. _ — Latr. Hist. Rept. II p. 188. = — —— Daud. Hist. Rain. p. 46. tab. 418. £. 4. 286 BETTA Rana esculenta Daud. Hist. Rept. VIII. p. 90. — — Shaw Zool. Il. p. 103. t. 51. — — Merr. Syst. Amph. p. 176. n. ti. _ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 64. — — Wagl. Syst. Amph. p. 203. — — Gravenh. Delie. Mus. Vratisl. p. 36. — — Bonap. Fauna Ital. cum tab. _ — Schinz Fauna Helvet. p. 143. —- — Tschudi Classif. Batrach. p. 79. — — Betta Rett. Tirol. p. 157. — — Betta Cat. syst. Rept. p. 24. — — Massal. Saggio p. 47. Rana vulgaris Bonnat Encycl. méthod. Erpét. p. 2. Rana marittima Risso Hist. nat. HI. p. 92. —_ — Bonap. Fauna ital. Rana alpina Risso Hist. nat. HI. p. 93. — — Bonap.Fauna(înartic. R. esculentae, non in tab.) Rana viridis Dum. Bibr. Erpétol. VIII. p. 343. FORME. Capo triangolare, tanto largo che lungo, col muso no-. tabilmente acuto: occhi sporgenti con iride giallo-dorata ; timpano circolare, grande quanto |’ apertura dell’ occhio; la bocca molto fessa. Tronco allungato, con una piega ri- levata nei lati; dorso leggermente scannellato nel mezzo in senso longitudinale; fianchi compressi; due rilievi poco pronunziati veggonsi a circa due terzi del dorso. Piedi an- teriori brevi, con dita libere; piedi posteriori lunghi con dita palmate fino all’ ultima articolazione. i La pelle è levigata, ma sparsa di piccoli tubercoli spe- cialmente sul dorso e sui fianchi; alquanto granellosa sul ventre e sulle coscie, lubrica dapertutto. ERPETOLOGIA 287 COLORITO. La colorazione in questa specie subisce varie modifica- zioni, che sembrano però soltanto dipendere dall’ età o dalla diversità di abitazione. Generalmente tutto il di so- pra è di color verde d’ erba, ma cangiante più o meno in oscuro secondo gli individui. Macchie irregolari nella for- ma e nel numero, di color verde-nero od anche bruna- stro, vedonsi sparse su tutto il corpo; quelle del dorso sono più grandi e qualche volta dispongonsi a fascie. Due stri- scie nere partono dall’ angolo dell’ occhio, passano sulle narici, e vengono ad unirsi ad angolo sull’ apice del muso. Una bellissima striscia d’ un giallo dorato. retta, assai di rado ondeggiante, corre sulla metà del dorso. Per lo più due altre fascie dello stesso colore si stendono una per lato, e riescono poi assai più spiccate se le macchie nere dei fianchi sì dispongono a fascia longitudinale orlando il lembo esterno di cadauna di esse. Le macchie sulle coscie e sulle gambe posteriori ne fasciano regolarmente e sim- metricamente la superficie, alternandosi col colore del fon- do. Qualche volta le tre fascie gialle del dorso mancano affatto, e talvolta le coscie e le natiche si tingono di giallo. Tutto il di sotto del corpo è di un color bianco-latte o bianco-pagliarino. Delle varietà di colorito più frequenti fra noi si pos- sono quindi distinguere le seguenti: var. A. — Corpo di color verde d’ erba, sparso di macchie irregolari nere, o brunastre, od olivacee, con tre li- nee o fascie dorsali tongitudinali di un bel giallo do- rato, Tutto !1 di sotto del corpo bianco o pagliarino. 288 BETTA var. B. — Come la precedente, ma con una sola fascia gialla nel mezzo del dorso. var. C. — Pure come le precedenti, ma priva delle linee dorsali, e con macchie nereggianti alquanto più estese e numerose. var. D. — Colle fascie e colle macchie come nelle var. A. e B., ma col dorso di color verde grigiastro, od anche bruno più o meno carico. var. E. — Col dorso di color verde, con macchie irregolari nerastre o nere, con fianchi e col di sotto dei piedi tinti di roseo-carnicino. DIMENSIONI, Ordinariamente la lunghezza del tronco è dai 6 agli 8 centimetri, dei quali la testa occupa 2% circa. Le gambe anteriori sono lunghe centim. 4% a 5; le posteriori arri- vano fino a 40 e 42 centim. La maggior larghezza dei fianchi è da centimetri 3% a 47%. La femmina è sempre più grande del maschio. Nel Padovano la specie raggiunge anche assai maggiori dimensioni, vedendosene individui il cui tronco tocca i 9 ed anche i 40 centimetri. Le rane più grosse e di grandezza veramente straordinaria si raccolgono all’ estremo confine del Veneto fra le bocche del Po. Vengono conservate a lungo fra la sabbia da quelli che ne fanno commercio. ABITAZIONE E COSTUMI. Comune ed abbondante in tutte le provincie Venete, dove forma anzi per qualche località un ramo speciale di commercio, trovasi pure comune nel Tirolo fuorchè nelle se ceti ERPETOLOGIA —© 289 parti molto elevate dove si fa rarissima, o lascia anche esclusivamente il posto alla Rana temporaria. Specie essenzialmente acquatica, abita indistintamente le acque tranquille e le correnti; frequenta il margine dei fiumi, dei laghi, dei ruscelli, degli stagni, dei fossi, delle paludi, e persino delle pozzanghere; ed è pronta ad accor- rere in. gran numero in qualunque luogo ove l’acqua an- che per breve tempo si raccolga e ristagni. Preferisce non- dimeno i luoghi erbosi, ove ama esporsi ai raggi del sole. AIl’ avvicinarsi di qualcuno od al più piccolo rumore si slancia nell’ acqua descrivendo forti parabole, e si appro- fonda fra le erbe palustri e nella melma, restandovi poi nascosta fino a che ritenga cessato il pericolo. Si nutre di insetti, di piccoli molluschi acquatici, di larve, di vermi, sempre che diano segni di moto e di vita, e rifiuta per cibo qualunque animale morto. Gettasi sulla preda con molta rapidità, e se ne impadronisce spingendo fuori la lingua, ed invischiando quella col fluido che ricopre tale ‘organo. Posata a terra, la rana tiene la testa alta, ed allora Je sue gambe deretane sono ripiegate due volte sopra sè stesse. Il suo passo consiste in una serie di piccoli e re- plicati salti. Nell’ acqua nuota assai bene. Quando si pren- de per le membra posteriori, il suo tronco si erige e si piega alternativamente e con molta rapidità, ed è tale la forza dei suoi movimenti, che facilitata benanco dalla ma- teria viscida della pelle, riesce ben presto a fuggire dalla mano che la stringe. Il gracidare del maschio è assai più forte, aspro e no- joso ; e questi suoni vengono prodotti dall’ aria che spinge e vibra nei due sacchi che ha nelle parti laterali del collo, agli angoli della bocca. La femmina sprovvista di tali ve- sciche fa soltanto udire un leggiero suono prodotto dal 49 290 BETTA gonfiamento della gola. Î maschi gracidano tanto di notte che di giorno, e rispondendosi gli uni agli altri quasi senza riposo recano non piccolo fastidio con tale nenia. I sessi si accoppiano nei primi giorni della primavera, e l'accoppiamento succede nell’ acqua, durando per molti giorni. Il maschio posto sul dorso della femmina, cui strin- ge il ventre colle zampe anteriori, non l’ abbandona che compito e fecondato il parto, e durante queste strette amo- rose vedonsi molto ingrossati e callosi i suoi pollici an- teriori. Le uova, in numero d’ oltre mille, sono legate a coron- cina da un umore vischioso, ed aderiscono alle piante palustri. Il nostro italiano D." Rusconi ha pazientemente osservati e seguiti i più minuti cangiamenti nello sviluppo dei germi e dei girini della rana fino allo stato perfetto dell’ animale, e ce ne lasciò figurati diligentemente tutti li stadii nelle belle tavole che accompagnano l’ opera sua Developpement de la Grenouille commune. Quando |’ atmosfera si raffredda e si avvicina la cattiva stagione, le rane si internano nel fango delle acque pro- fonde, e vi stanno intorpidite fino ai primi giorni di pri- mavera. Cibo dolce e leggiero, viene condita la rana in mille . guise, e la medicina ha saputo ritrarne profitto nella pre- parazione di brodi rinfrescanti e dolcificanti, che vengono somministrati specialmente nelle malattie di petto. Anticamente l’ uso della carne in medicina aveva toc- cato l’ apice del ridicolo. Timoteo faceva applicare sera e mattina ranocchie aperte sui reni degli idropici, onde trar fuori la seriosità sparsa nel loro addome. Dioscoride am- metteva che la carne di ranocchia cotta con olio e sale fosse l’ antidoto del veleno dei serpenti. Il fegato di ra- ERPETOLOGIA 291 nocchia preparato con modi speciali era stato raccoman- dato contro l’ epilessia. Chi non iscorge però in queste e tant’ altre consimili assurdità gli effetti dell’ ignoranza di quei tempi? OSSERVAZIONE. Ho collocato nella Sinonimia della specie la Rana ma- ritima e la R. alpina di Risso perchè in fatto in null’ altro si fanno distinguere che per una semplice modificazione di colorito, come la pensano pure Duméril e Bibron. Qualche autore ha collocata la seconda fra i sinonimi della A. tem- poraria, ma non le spetta sicuramente tal posto quando sol- tanto si legga la frase e la descrizione che il Risso diede di quella sua specie. E poi a torto che Duméril e Bibron citano nella Sino- nimia della Rana esculenta la Rana alpina figurata nelle tavole della Fauna Italica, che non è la vera specie di Risso ma bensi quella dei recenti autori, e la quale non può figurare diversamente che come varietà della tempo- rara, 292 BETTA 48 — II. RANA TEMPORARIA Linn. Ital. Rana o ranocchia rossa, Rana muta. Ven. Rana, saltarela, saltafossi, pissacan, rana pissota, saltaro, pissargott, crott. Tirol. Runa, rana rossa, rana de pra, rana de suto. CARATTERI. Capo triangolare, ottuso, più larso che lungo. Cute liscia con. qual- che tubercolo sul dorso; la parte tra l'addome e le coscie alquanto gra- nulosa. Corpo di color rossastro più o meno vivo, o più o meno tendente al brunastro, talvolta uniforme, talvolla sparso di macchie nere. Bue striscie nere che dall'occhio vanno alla sommità del muso. Una gran macchia costante nera o bruno-carica sulla parte laterale della. testa compresa fra l'occhio e le spalle. Tutto il di sotto giallastro. SINONIMIA. Rana temporaria Linn. Syst. Nat. ed. X. p. 213: ed, XII p. 357. — — Wulff Ichthyol. p. 8. _ _ Gmel. Syst. Nat. I. p. 1053. — — Bonnat. Eneycl. méthod. p. 3. t. 2. f. 2. — eni Sturm Deutschl. Fauna II 4. — — Schneid. Hist. Amph. I. p. 143. — _ Retz Fauna Suec. p. 285. — _ Latr. Hist. Rept. II. p. 150. —- e Daud. Hist. Rain. p. 16. t. 45. f. 2. — _ Daua. Hist.Rept. VIII. p. 94. _ Shaw Zool. IN p. 97. t. 29. _- —_ Merr. Syst. Amph. p. 175. sp. 8. EPRPPETOLOGIA 293 Rana temporaria Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 64. —_ — Risso Hist. nat. III. p. 93. — — Wagl. Syst. Amph. p. 203. — _ Gravenh. Delie. Mus. Vratisl. p. 56. — _ Kryn. Observat. p. 66. — — Bonap. Fauna ital. cum tab. si = Schinz Fauna Helvet. p. 145. — _ Tschudi Classif. Batrach. p. 79. — — Dum. Bibr. Erpétol. VIII. p. 558. — — Betta Rett. Tirol. p. 158. — — Betta Cat. syst. Rept. p. 24. — _ Massal. Saggio p. 49. Rana muta Laur. Syn. Rept. p. 350. Rana alpina Bonap. Fauna, tab. f. 3. = — Massal. Saggio p. 48. FORME. Capo triangolare, piuttosto ottuso, più largo che lungo, ad angoli laterali più distinti di quelli della esculenta; oc- chi sporgenti, pupilla nera con iride dorata; timpano gran- de quanto la metà o poco più dell’ occhio; bocca molto fessa. Lo spazio interoculare piano e proteso quanto la palpebra superiore. Tronco allungato, percorso in ambi i lati da un rilievo longitudinale che dalla estremità del muso, passando’ per le palpebre superiori, corre fino al- lano. Due gibbosità sorgono dietro il mezzo del dorso, che nel resto è piano. Fianchi compressi. Piedi anteriori brevi con dita libere. Piedi posteriori lunghi con dita pal- mate fino all’ ultima articolazione ; il quarto è assai più lungo di quello che lo sia nella esculenta, eccedendo d’ un terzo, e non di un quarto soltanto, il terzo ed il quinto dito. La pelle è liscia con qualche piccolo tubercolo sul dorso; LI la parte tra 1 addome e le coscie è alquanto granulosa. 294 BETTA COLORITO. Un carattere distintivo e costante di colorazione in questa specie si è la grande macchia nera o bruno-carica che vedesi sulla parte laterale della testa, compresa fra l occhio e la spalla; carattere al quale deve anzi il no- me di temporaria. Questa macchia di forma allungata, termina generalmente in punta dietro l’ angolo della boc- ca. Il colore del dorso mostrasi d’ una tinta rossastra che passa dal rosso mattone fino al rossigno ed al nocciuola, talvolta uniforme, tal’ altra sparso di macchie o punti neri più o meno regolari e più o meno numerosi. Una striscia nerastra parte dall’ angolo anteriore dell’ occhio, e passando sulle narici va a terminare all’apice del muso. Le mascelle sono bianche o giallastre, orlate o macchiate di nero, o di bruno. Le gambe posteriori sono al di sopra quasi sempre fasciate simmetricamente di bruno, e rari sono gli indivi- dui che manchino di tali macchie. Il colore del dorso passa dal rosso cinereo e dal rosso mattone anche al bruno e persino al nerastro (Rana alpina auctor.); e tali oscure tinte osservansi specialmente negli individui delle località montuose. Alcuni altri hanno il capo tinto di rosso-verdastro reticolato di bruno e di nero; e qualche raro individuo ha anche una tinta rossastra senza macchie, ma solo con alcuni pochi punti neri grandetti disposti con qualche regolarità sul dorso e sulle coscie, le quali sono prive delle striscie sopra avvertite. Tutto il di sotto del corpo è bianco-giallastro, solo qualche rara volta macchiettato di cenere, bruno o rossa- stro. A Gorgo, nel Padovano, raccogliesi invece frequente- mente una varietà ornata sempre sotto la gola di ‘molte ERPETOLOGIA 295 macchiette e punti neri assai riavvicinati, distesi su tutta la sua parte bianca. l giovani appena raggiunto il perfetto sviluppo hanno le stesse tinte degli adulti, però con maggiore tendenza ai colori carichi e con macchie anche più pronunciate. DIMENSIONI. Dai 7 agli 8 centimetri è la lunghezza ordinaria del suo tronco, compresa la testa che ne occupa due o poco più. Le gambe anteriori sono lunghe millimetri 38 a 43; le gambe posteriori da 40 ad 44 centimetri. Gli individui delle parti più elevate del Tirolo giungono fino alla lun- ghezza di centimetri 9, colla maggior larghezza ai fianchi di centim. 4% a 4%. ABITAZIONE E COSTUMI. Questa comunissima ranocchia abita e preferisce i luo- ehi boschivi e montuosi, e durante la bella stagione ricerca i giardini ed i prati. Trovasi nei luoghi umidi, e molto frequentemente nei terreni vitati. Preferisce le acque chiare alle stagnanti, nelle quali però non si getta che per evi- tare pericoli. In generale la sua vita è terrestre, e si ritira nell’ acqua solo per compiervi l’ opera della generazione e per ricoverarvisi, sprofondata ed intorpidita nel fango, durante la fredda stagione. Nutresi di insetti, di vermi e di piccoli molluschi. Il suo gracidare è piuttosto un suono muto, e da ciò alcuni autori la dissero muta. Ha la singo- lare proprietà di non far sentire la sua voce che quando si trova in fondo all’ acqua, lo che è il contrario delle altre specie. Ha pure la facoltà di schizzare dall’ ano un liquore acre, molto più copioso di quello della esculenta. 296 BETTA I girini di questa specie compiono la loro metamorfosi in soli tre mesi; e quando abbandonano il nativo elemento si disperdono pei campi e pei prati. La carne della Ranocchia rossa può gareggiare in bontà con quella della esculenta. Nelle parti elevate del Tirolo è dessa anzi quasi esclusivamente la specie usata alla mensa, e le coscie sopratutto sono buone quanto quelle dell’ altra. Non può dirsi quindi che abbia carne duretta di polpa, men saporosa, e che sia cibo assai vile come pensa il- Principe Bonaparte, ma d’ altro canto però non si potrebbe ripetere col Prof. Massalongo (*) che la sua carne sia mi- gliore di tutte le altre rane. OSSERVAZIONE. A questa specie va senza dubbio riferita la Rana alpina figurata dal Principe Bonaparte nella sua Fauna italica, sic- come vi appartiene pure la Rana alpina che il Prof. Massa- longo tenne distinta fra le specie del Veronese. Il carattere dei pollici anteriori assai ingrossati anche fuori dell’ epoca degli amori, carattere quasi l’ unico con cui la distingue, minime ed accidentali essendo le altre differenze di colo- razione, non è sempre costante. Nè potrà d’ altronde essere calcolato, quando si sappia che tale distintivo dei maschi dura più a lungo nella temporaria, o per meglio dire si trova in essa anche fuori dell’ epoca ordinaria in cui seguono le nozze delle altre specie, perchè questa si accop- pia molto più tardi della esculenta, siccome più tardi depone quindi il parto. (*) Saggio, pag. 49. ERPETOLOGI1A 297 Gen. BOMBINATOR WAGLER. 149—I BOMBINATOR IGNEUS Merrem. Ital. Ululone. Ven. Rosco, roschetto, budolo, muco, mucolo, cuco, mucc. Tirol. Rospo, rospo cucco, roschetto. CARATTERI. Capo rotondo col muso breve, largo ed ottuso, Cute sparsa di dense ed irregolari verruche; quasi liscia al di sotto. Corpo di color olivastro terreo uniforme, o con piccole macchie ir- regolari nerastre. Tutto il di sotto d'un bellissimo arancio infuocato, pezzato o macchiato di color azzurro tendente al nerastro. SINONIMIA. Rana variegata Linn. Syst. Nat. ed. X. p. 211. — — Wulff Ichthyol. p. 7. Rana bombina Linn. Syst. Nat. ed. XII. p. 355. — — Gmel. Syst. Nat. I. p. 1048. (excl. var.) - — Bonnat. Encycl. méthod. p. 4. t. 2. f. 5. — — Razoum. Hist. Jorat p. 97. — — Sturm Deutschl. Fauna III 4. — — — Retz. Fauna Suec. p. 284. — — Latr. Hist. Salam. p. 39. Bufo igneus Laur. Syn. Rept. p. 29. — — Zonnat. Encycl. method. p. 15. t. 6. f. di. 6. — — $chneid. Hist. Amph. I. p. 187. 298 BETTA Rana sonans Lacep. Quadr. ovip. I. p. B5b. Bufo ignicolor Lacep. l. c. p. B9d. Rana ignea Shaw Zool. IMI. p. 116. t. 35. Bufo bombinus Latr. Hist. Rept. IT. p. 440. Daud. Hist. Rain. p. 75. t. 36. Daud. Hist. Rept. VIII. p. 146. 4533. Ambrosi Prosp. zool. p 291. Bufo bombina Schin» Fauna Helvet. p. 448. Catullo Geogn. Venet. p. 173. Bombinator igneus Merr. Syst. Amph. p. 179. Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 68. Gravenh. Delic. Mus. Vratisl. p. 67. Tschudi Classif. Batrach. p. 84. Bonap. Fauna Italica cum fab. Dum. Bibr. Erpétol. VIII. p. #87. Betta Rett. Tirol. p. 158. Betta Cat. syst. Rept. p. 26. Massal. Saggio p. 44. Bombina ignea Sturm Deutschl. Fauna III. 6. p. 35. Bombinator bombina MWagl. Syst. Amph. p. 206. Bombinator pachypus Bonap. Fauna ital. cum fig. Massal. Saggio p. 45. FORME. Capo rotondo, quasi convesso, con muso corto, largo ed ottuso; occhi sporgenti, con pupilla triangolare nera ed iride dorata; timpano latente; bocca fessa al di là dell’ oc- chio. Tronco breve, toroso, col dorso convesso. Piedi ante- riori brevi, con dita libere e corte; piedi posteriori lunghi, con dita palmate da crassa e larga membrana. In generale la grossezza dei piedi è proporzionata a quella del corpo, ma qualche volta è tale da farli sembrare fortemente gonfiati. ERPETOLOGIA 2999 Tutta la cute è sparsa di dense ed irregolari verruche e bernoccoluta, e qualche volta anche scabra di punte. Il di sotto del corpo è quasi liscio. COLORITO. Basterebbe solo il carattere di colorazione proprio a questo Batracio per farlo distinguere prontamente da ogni altro. Ha tutto il di sopra del corpo di color olivastro ter- reo più o meno pallido ed uniforme, o con piccole mac- chie nerastre sparse qua e là irregolarmente sul dorso e sulle coscie. Tutte le parti inferiori sono di un bellissimo arancio fuocato, pezzato o macchiato di color azzurro ten- dente al nerastro. Ogni verruca è segnata alla sommità da uno o da più punti piccolissimi neri. I giovani hanno la pelle meno verrucosa, ed alquanto più chiare ne sono le tinte. Le verruche sono generalmente più pallide del fondo; più distinte sono le macchie nera- stre irregolari del dorso e specialmente quelle delle coscie e delle gambe posteriori. DIMENSIONI. Il tronco, compresa la testa, ha la lunghezza di 4 a 5 centimetri ; le gambe anteriori sono lunghe 241 a 22 milli- ‘metri, le posteriori 5 centimetri o poco meno. ABITAZIONE E COSTUMI. Abbondantissimo in tutte queste Provincie, si scontra sempre vicino alle acque, ai torbidi stagni, alle paludi, e basta che una pozzanghera d’acqua scolatticcia o di acqua piovana si formi nei campi, nei prati, lungo le strade, e 300 BETTA presso le abitazioni rustiche, perchè esso corra ad abitarlo e popolarlo. Non sta sulla terra lungo tempo che di mat- tino o verso sera, ma sempre vicinissimo all'acqua in cui si tuffa ad ogni rumore, intorbidandola col nascondersi sotto la melma del fondo. Ama assai di esporsi ai raggi del sole. E agilissimo nel nuoto, e quando galeggia tiene le narici e gli occhi a fior d’° acqua, e le gambe deretane aperte. Sorpreso sulla terra ed aizzato, ponsi in stranissima e biz- zarra attitudine, poichè portando le sue gambe sul dorso ed avvicinandole alla testa, volge questa in addietro sulla schiena mostrando | infuocato suo ventre, quasi per spa- ventare chi lo tormenta. Se il suo timore od il pericolo non cessa, schizza dai pori e dalla cloaca una spuma in- grata agli occhi e nauseante alle narici. Roesel afferma d’aver provato nel disseccaria una sensazione disgrade- vole alle narici, ed un acre prurito. Del resto è un animale innocentissimo. La voce dell’ Ululone è un grido sordo e malinconico, e quella del maschio è più lugubre nel momento delle nozze. L’ accoppiamento principia nel Maggio, e la fecon- dazione ha luogo nel Giugno. ]l maschio si tien stretta la femmina ai lombi come gli altri Batraci, e la sua lussuria è tale che non risparmia gli abbracciamenti neppur fuori dell’ epoca, e tenta persino le rane ed i rospi. AI fondo delle acque, e spartite in varie masse, vengono deposte le uova che in proporzione sono più grandi di quelle del rospo. I giovani non arrivano alla piena statura che in tre anni, ed è degno di nota il lungo ritardo dei girini a raggiungere lo stato perfetto. Già molto grandi quando aneora conservano la coda e non ancora svilupparonsi le gambe anteriori, sembrano impiccolirsi d’ assai allorchè abbandonano totalmente la forma di girino. ERPETOLOGIA 301 OSSERVAZIONE. Il Bombinator pachypus di Fitzinger che il Prof. Massa- longo enumera fra i rettili del Veronese, non è certamente adottabile come specie distinta; e tale giudizio pronunciò pure lo stesso Principe Bonaparte nell’ introduzione alla sua Fauna, nella quale lo aveva prima descritto e figurato come distinta specie italiana. Così la pensano anche Du- méril e Bibron, ed io mi piego senza esitare al loro giu- dizio, dichiarandola null’ aliro che semplice varietà di sta- tura del nostro comune Ululone. Nella mia Collezione si ponno vedere le varie forme di transizione che uniscono gli esemplari del 2. igneus avuti dall’ Austria e nei quali il corpo e le membra sono esi- lissime, a quelli della Romagna che raggiungono quasi le proporzioni assegnate da Fitzinger alla sua specie. Di tali più grandi forme il Prof. Massalongo raccolse un unico individuo nel paese di Velo, e sta depositato nel Musco dell’Accademia di Agricoltura, Arti e Commercio di Verona. NOTA. Già si parlò altrove della tenacità della vita di alcuni rettili e dei lunghi digiuni ch’ essi ponno sopportare. Mi sia quì permesso di dare il frutto di alcune mie osserva- zioni, comprovanti non essere minore certamente tale fa- coltà nella specie di che trattasi. Nell’ 14 Ottobre del 1853 io aveva taduolio a Marcel- lise, presso Verona, sette ululoni che custoditi in un vaso di cristallo con acqua, era solito tenere esposti di giorno e di notte all’ aria aperta fino quasi a tutto Novem- 302 BETTA bre, ritirandoli poi nella mia camera nelle notti soltanto del successivo Dicembre. Dimenticato il vaso all’ aperto nella fredda notte del 30 detto mese, trovai nella mattina seguente solidificata in ghiaccio tutta l’ acqua e rinserrati nel mezzo i poveri ululoni atteggiati nelle più grottesche pose. Collocato il vaso nella camera a circa 40.° R. il ghiaccio si sciolse ben presto, e quegli animaletti riacqui- starono in breve anche la loro naturale agilità. L’ ac- cidente mi invogliò a tentare altre prove, ed esposi quindi il vaso all’ esterno nella freddissima notte del 1.° Gennajo 4854, lasciandovelo anche il giorno e la notte seguente. In questo frattempo la massa di ghiaccio si mantenne sempre compatta, e gli ululoni vi erano rinserrati nelli stessi curiosissimi atteggi. Quando però feci sciogliere l’acqua, due di essi erano morti. Coi cinque rimastimi ripetei l’ esperimento il giorno 7, e li lasciai esposti senza interruzione fino alla mattina dell’ 44. Agghiacciatasi l’ ac- qua verso la sera del primo giorno, rimase sempre solida non disgelandosi che qualche poco superficialmente nelle ore meridiane dei seguenti, e quando nel giorno 44 feci sciogliere l’ acqua trovai morto un terzo individuo. Aven- do d’ allora in poi tenuto sempre il vaso nel mio gabi- netto a 40.°- 44.° R., mi morì un quarto ululone nel 48 Gennajo, ed un quinto nel 13 Aprile successivo. Dei due rimasti, uno fuggì per caso negli ultimi giorni di Giugno e l ultimo sopravisse fino al 2 del seguente Luglio. Cu- stoditi sempre senza nutrimento qualsiasi, e soltanto can- giando loro l’acqua ogni tre, quattro ed anche otto giorni, lo stato degli ultimi due era ben compassionevole. L’ ulti- mo poi era ridotto a rigor di parola a pelle ed ossa, e si consumava lasciando un deposito verde al fondo del vaso. Esso aveva vissuto senza cibo 265 giorni. ERPETOLOGIA 303 Gen BUFO LAURENTI. 20—I. BUFO VULGARIS Laurenti. Ital. Rospo comune, Botta. Ven. Crota, croton, zavaton, rospazz, rospo, rospa, rosp, ‘Save, "Sav. Tirol. Zavaton, rospaz, rosp. CARATTERI. Capo ottuso, piuttosto piccolo in proporzione del corpo, più largo che lungo; con due grosse parotidi subovali-allungate ai lati posteriori. Cute tempestata e scabra di verruche e tubercoli più o meno elevati, talvolta terminanti in una spina oltusa, cornea, nera. Corpo di color lerreo, cinereo, o rossigno, con macchie fosche e ne- rastre. Una striscia brunastra costante lungo il margine esterno delle pa- rolidi. SINONIMIA. Rana bufo Linn. Syst. Nat. ed. X, p. 210 — ed. XII p. 3b4. — — Wulff \chthyol. p. 7. — — Gmel. Syst. Nat. I. p. 1047.(excl. var.) — — ARazoum. Hist. Jorat I. p. 96. “— -— Sturm Deutsch]. Fauna II 4. — — Shaw Zool. II p. 138. t. 40. — — Aetz Fauna Suec. p. 282. Rana rubeta Linn. Syst. Nat. ed. XII. p. 355. —_ — Wulff Kchthyol. p. 8. 304 BETTA Rana rubeta Gmel. Syst. Nat. p. 1047. _ — Retz Fauna Sueec. p. 283. Bufo vulgaris Laur. Syn. Rept. p. 28. 125. 4 = — Zatr. Hist. Rept. II. p. 106. — — Daud. Hist. Rain. p. 72. t. 24. — _ Daud. Hist. Rept. VIII. p. 159. - — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 65. _ = Sturm Deutschl. Fauna IMI. 6. p. 32. Sa _ Wagl. Syst. Amph. p. 207. — — Zichw. Zool. Ross. IIL p. 67. — — Schinz Fauna Helvet. p. 144. — = Tschudi Classif. Batrach. p. 88. — — Bonap. Fauna ital. cum tab. — — Dum. Bibr. Erpétol. VIII. p. 670. — — Ambrosi Prosp. zool. p. 294. — — Betta Rett. Tirol. p. 188. — —_ Betta Gat. syst. Rept. p. 26. _ — Massal. Saggio p. 41. Rana pluvialis Lacep. Quadr. ovip. I. p. 554. Bufo cinereus Schneid. Hist. Amph. I. p. 188. — — Dàaud. Hist. Rain. p. 753. t. 25. f. 1. —_ — Daud. Hist. Rept. VIII. p. 444. — — Merr. Syst. Amph. p. 182. sp. 41. _ — Gravenh. Delic. Mus. Vratislav. p. 62. —- — - Risso Hist. nat. VII. p. 9. Bufo rubeta Schneid. Hist. Amph. p. 227. Bufo Roeseliiù Latr. Hist. Rept. II. p. 108. _ — Daud. Hist. Rain. p. 77. t. 27. _ — Daud. Hist. Rept. VIII p. 150. t. 96. — — isso Hist. nat. III p. 94. Bufo ventricosus Latr. Hist. Rept. II. p. 124. (f Dum.) — — Merr. Syst. Amph. p. 184. (f. Dum.) Bufo spinosus Daud. Hist. Rept. VIII. p. 199. Bufo minutus Bonelli (fide Bonap. in Fauna ital.) EFERPETOLOGIA 305 Bufo ferruginosus Risso Hist. nat. III. .p. 94. n. 36. Bufo tuberculosus Risso Hist. nat. IIT. p. 94. n. 37. Bufo palmarum Cuv. Régne Anim. ed. II p. 109. (fide Dum.) Bufo alpinus Schinz Fauna Helvet_ p. 4118. Bufo communis Catullo Geogn. Venet. p. 173. FORME. Capo grossolano, piuttosto piccolo in proporzione del corpo, più largo che lungo, ottuso, obliquamente troncato, schiacciato sulla fronte ed incavato longitudinalmente nel mezzo ; occhi protuberanti, di grandezza media, con pu- (pilla ‘nera oblunga elittica, ed iride di un color castagno chiaro vivace; il timpano, la cui circonferenza è minore di un terzo o di un quarto di quella dell’ apertura del- l'occhio, è più o meno cospicuo secondo che la pelle che lo ricopre è meno o più tubercolosa. Bocca molto squar- ciata, arrivandone la fessura fino al di là degli occhi. Due grosse glandule, o parotidi, ai lati posteriori della testa, di forma subovale allungata, due volte più lunghe che larghe, divise dall’ occhio mediante un leggiero spazio o solco, e stese dal margine superiore del timpano fino alla spalla ed anche più oltre. Corpo breve, toroso, depresso, assai dilatato nel mezzo e suscettibile di grande avvallamento nei fianchi. Piedi grossi e robusti, con dita grosse ed un poco depresse. Quelli an- teriori lunghi quasi quanto tutto il tronco, con dita per- fettamente libere; i posteriori più lunghi, con dita più depresse e palmate fino alla penultima articolazione. Tutte le dita poi offrono una protuberanza alle loro articolazioni; nei piedi posteriori vedesi un callo interno di color oscuro 20 306 BETTA che mentisce quasi un sesto dito brevissimo, grosso, ed ottuso. Tutta la cute è tempestata e scabra di tubercoli più o meno dilatati, più o meno elevati e distinti, alcuni termi- nanti in punta ovvero in una spina ottusa, cornea, nera. Sui fianchi moltissime verruche, e sul ventre moltissimi tubercoli inegualmente spianati, assai più piccoli e più fitti, separati e distinti l’ uno dall’ altro da piccoli solchi lineari che disegnano quasi una reticella della quale ogni maglia comprende una di tali glandule. Questi solchi di- pendenti solo dal raggrinzamento della pelle, spariscono . affatto allorquando l’ animale si gonfia non essendo la sua pelle attaccata ai muscoli, ma solo alle mascelle, alle arti- colazioni ed alla spina dorsale. COLORITO. Il Rospo comune offre costantemente una striscia bru- nastra più o meno vivace, od anche nerastra, che orla il margine esterno delle parotidi; e la presenza di questa macchia non manca mai qualunque sia poi il modo di colorazione sua non poco variabile. Ben difficilmente si trovano infatti due individui che offrano lo stesso fondo, le stesse macchie, ed egualmente distribuite. In generale il rospo comune ha una tinta cenerino-nerastra o fosca; se ne vedono però molti di color rosso sbiadato o di color ferrigno, ed in non pochi tali tinte passano al verde ed anche al nerastro. Tutto il corpo è sparso di macchie fo- sche irregolari di forma, numero e disposizione, che tal- volta dispongonsi a rete e persino a fascie longitudinali. In qualche raro individuo le macchie foggiate a fascia sono ERPETOLOGIA 307 marginate anche in nerastro, e spiccano quindi assai. di- stinte sul fondo chiaro del dorso. Wi); Tutto il di sotto si mostra per lo più di un color bian- chiceio lurido, o pallido cinereo tendente anche al rossigno. I giovani appena compiuta la metamorfosi si colorano generalmente d’ una tinta uniforme brunastra o bruno-ne- rastra, con poche verruche alquanto più pallide; hanno il .di sotto di color bianco sudicio, colla gola punteggiata di ‘bruno, e coll’ addome sparso di varie macchie dello stesso «colore od anche più carico. DIMENSIONI. E questo rospo il più grande dei nostri Batraci. Il suo tronco raggiunge la lunghezza di centim. 42 a 45, dei quali 3 a 3% ne occupa la testa; le gambe anteriori sono lun- ghe più di 8, e quelle posteriori passano i 44 centimetri. La maggior larghezza ai fianchi è di centim. 8. Il maschio è molto più piccolo, toccando due terzi ap- pena ed anche meno delle dimensioni della femmina. ABITAZIONE E COSTUMI, Comunissimo in tutte le provincie del Veneto e del Tirolo meridionale, soggiorna questo rospo nei luoghi oscu- ‘ri e pantanosi, e nelle grotte. Nei giardini, nei boschi, nelle “campagne trovasi cacciato sotto le pietre e sotto la terra ‘nella quale si scava anche una specie di galleria a piccola ‘profondità, da dove non sorte che all’ imbrunir della . notte. Abbandona specialmente i suoi nascondigli al ca- ‘dere delle pioggie di Settembre ed Ottobre e si sparge pei “campi e nei terreni vitati, ove talvolta incontrausene frotte 308 BETTA di molti individui. Va in cerca del suo nutrimento, che consiste li insetti e di vermi, soltanto in tempo di notte. Sopra terra non progredisce a salti come le rane, ma fa- vorito dalla minore lunghezza delle sue gambe deretane cammina con facilità, e talvolta anche con una speditezza che non gli si accorderebbe atteso le forme tozze del suo corpo. È privo di sacco vocale, ed ha un gracidare diverso dalle rane e dall’altro nostro rospo. La sua voce ha qual- che analogia col canto di una piccola civetta, la Strîx scops di Linneo, detta volgarmente Chiò 0 ciusso nel Veneto, Sci- scieù in Lombardia. Durante l’ accoppiamento il maschio emette una voce paragonabile in certa maniera al lontano abbajare di un cane. Molestato, enfia subito il corpo che diventa duro ed elastico, e battuto dà allora il suono di un otre gonfio; fa stillare dalle verruche della pelle un umore bianchiceio e fetente, e schizza dall’ ano un fluido particolare, ma ben difficilmente si decide al morso il quale è però affatto privo di conseguenze, e solo talvolta deter- mina una leggiera infiammazione. Il fluido cacciato dall’ ano è limpido come 1’ acqua e privo d’ ogni odore e sapore. Il Prof. Genè riporta varie esperienze fatte sopra animali domestici dal Prof. Lavini, dalle quali è provato non cagionare qualsiasi conseguenza o disturbo nè preso internamente, né introdotto nella cute con ago vaccinatorio, e neppure disteso con ripetuta e forte fregagione sulla pelle dell’ uomo, da lui praticata sul- lavanbraccio di un contadino. Egli stesso poi ci fa testi- monianza della innocuità di tal liquido schizzatogli da un rospo sul viso, sugli occhi e persino in bocca. Sulla mano lo provai io stesso più volte nel prendere questi animali, e non ebbi mai a vederne e molto meno a sentirne con- seguenze di sorta. Ben diversa è invece la natura del- ERPETOLOGIA 309 umore che trasuda dai pori della pelle e specialmente dalle parotidi, il quale ha forte odor d’ aglio, colere e den- sità del latte; è caustico, ed inghiottito eccita stringimento e bruciore di fauci, nausee, ed altri incomodi più o meno gravi. E queste moleste nausee e doglie di stomaco provansi anche se solamente furono tocchi da tal latte oggetti com- mestibili, quali sarebbero i legumi, le frutta, ed i funghi specialmente. Questo umore non viene però mai schizzato a distanza dal corpo, ed applicato alle mani, al viso, o ad altra parte non vi produce che un rossore passaggiero. Nella primavera i sessi si cercano e talvolta | accop- piamento principia sul terreno, poichè il maschio incon- trando la femmina vi si pon sopra e stringendola a sè nel modo solito dei Batraci, deve essa trasportarlo anche a molta distanza per tuffarsi assieme nell’ acqua, ove com- piono poi l’ atto della generazione. L’ unione dura fra i tre, i dieci ed anche quindici giorni; le uova vengono partorite in due coroneine che sortono contemporaneamente dalla cloaca della femmina, e delle quali alcune misurano persino la lunghezza di oltre 30 piedi. Dopo dieci o dodici giorni le uova acquistano un doppio volume, ed un tale in- grossamento mi accadde di osservare benanco nelle uova partorite e conservate nello spirito di vino, in cui aveva cacciato a morire una femmina col proprio marito che aveva continuato a tenerla abbracciata fino quasi agli ultimi istanti di vita. I cordoncini che terminai di estrarre dalla cloaca dopo la morte della femmina, erano lunghi non meno di 25 piedi cadauno e sortirono paralleli. Quando si verificò l’ ingrossamento delle uova, l’ umore vischioso si gonfiò assumendo il diametro di 5 millimetri e mostrandosi di- viso in cellette trasparenti, ognuna delle quali contiene un uovo affatto libero e staccato. 340 BETTA Dopo venti giorni il girino sbuccia dall’ uovo. Appena compiuta%a metamorfosi il rospetto è assai piccolo, e non’ diviene abile alla riproduzione che verso il quarto’ anno: di vita. I Rospi passano l’ inverno assiderati a qualche: piede di profondità sotto terra. pipe Il Rospo vive molti anni e sopporta lunghi digiuni. Ha vita tenacissima, ma muore prontamente se viene asperso' con sale o tabacco. I nostri fanciulli ed i contadini lo fug- gono con orrore, 0 lo mettono a morte con barbari modi: Qualche persona più saggia ne rispetta però l’ esistenza conoscendo benissimo i vantaggi che porta colla distruzione dei vermi, degli insetti nocivi e delle piccole lumache; ed io so di persona che in un suo giardino di campagna pros- | simo a Verona, ne fece collocare e ne tiene non pochi, con esito sicuro per la salvezza delle sue piante e dei fiori dai danni di altri animaletti. Se esaminiamo il caso narrato da Pennant parebbe che il Rospo fosse suscettibile anche di una tal quale educa- zione. Il D." Arscott ne possedeva uno che aveva stabilito il suo soggiorno sotto una scala ed era divenuto tanto fa- migliare che ogni sera, appena vedeva i lumi nella casa, sor- tiva dal suo nascondiglio, alzava la testa, e pareva chie- desse d'essere posto sopra una tavola dove sapeva di tro- vare la sua cena consistente in vermi, mosche, e piccoli insetti. Visse cosi 836 anni, e morì per un impreveduto accidente. Secondo gli autori la sua carne può essere mangiata impunemente, e se è vero quanto dice Cloquet si vende- vano in Parigi e si mangiavano per coscie di rane quelle di siffatti animali. Non so però chi potrebbe essere in- vogliato di scientemente assaggiarne. L’ antica medicina aveva tratto dal Rospo un vasto numero di preparazioni, ERPETOLOGIA ZAA ma fortunatamente gli errori e le superstizioni cessero il campo alla verità ed alla luce, e sparirono dalle. farmacie così inutili e ributtanti rimedii. Non abbandoneremo questo Batracio senza avvertire di un fatto curiosissimo e più volte osservato, relativamente cioè a rospi trovati vivi in cavità umide, entro muri, entro alberi cavi, e persino a quanto dicesi entro roccie compatte ed impervie, ove dovevano aver vissuto senza alcun nu- trimento per ben molto tempo. Il Sig. Duméril riporta nella Erpétologie générale (*) le varie osservazioni ed esperienze instituitesi per comprovare la possibilità del fatto. Hérissant fu il primo a tentarne le prove quando co- nobbe essersi trovato nel 1774 un rospo vivente, chiuso in un vecchio muro intonacato di gesso. A tal effetto prese egli tre rospi che collocò in scattole separate, sigillate con gesso, e le depose presso l’ Accademia delle Scienze di Pa- rigi. Al termine di 48 mesi furono aperte alla presenza di più persone, ed uno solo fu trovato morto. Edwards ripetè poi presso a poco le stesse sperienze sopra quindici rospi, e vide che benchè totalmente sepolti nel gesso e privati d’ aria vissero lungo numero di giorni, mentre morirono invece in pochi minuti quelli che aveva tenuti forzata- mente nell’ acqua. Benchè non si possa dire che l’ aria non penetri pei fori stessi del gesso, e che quindi l’animale fosse assolutamente privo di tale elemento, è nonostante singolare e maravigliosa questa facoltà nei rospi, che manca invece e che non si ottenne provata in nessun altro ani- male. Si conoscono molte delle ragioni che la favoriscono, fra le quali p. es. il meccanismo della loro respirazione che eseguiscono ad intervalli lunghissimi, la pochissima (*) Tom. VII. p. 171. 342 BETTA loro traspirazione, la facoltà propria della cute dei Batraci di riassorbire l’ umidità; ma il fatto attende ancora mi- gliori studj e dilucidazioni. '’ Intanto fra i varj altri fatti che provano tale facoltà non ommetterò di ricordare una esperienza del più volte ricordato amico mio Dott. Martinati, il quale mi comu- nicò d’ aver seppellito in un suo orto nell’ autunno del 1850 un grosso Bufo vulgaris alla profondità di circa un piede, otturando diligentemente la fossa con argilla fina, e ben compressa col piede. Dopo quindici giorni riaperta la buca ne cavò il rospo ancor vivo e niente meno agile del con- sueto, ma solo assai dimagrato e consunto. Ridonato alla libertà andò subito a cercare i soliti nascondigli. Esiste ancora nel popolaccio la credenza che il rospo tenga celata nella propria testa una gemma, che qualcuno mi ha anche recentemente (!!!) descritta di color rosso. Non merita però sicuramente di essere discusso e confutato tale grossolanissimo pregiudizio. NOTA. R° x Sulla autorità di Duméril e Bibron ho collocato nella Sinonimia il Bufo palmarum di Cuvier, ma non è però a tacersi che alcuni valenti naturalisti tedeschi avrebbero rimarcate fra quella specie ed il nostro 8. vulgaris alcune differenze che potrebbero forse far ragione di una separa- zione specifica. 24 — II ERPETOLOGIA 943 BUFO VIRIDIS Laurenti. Ital. Rospo verde, Rospo smeraldino. Ven. Crota, crotonzelo, rospo, veccia Fasolara, Save, ’Sav, rosp. Tirol. Rosc, rosp. CARATTERI. Capo quasi rotondato, più largo che lungo. Parotidi allungate. Cute cospersa di verruche lenticolari o coniformi. Corpo biancastro con molte macchie grandi, irregolari, di color verde di smeraldo, e con molte pustulette da un color rosso vivo più numerose sui fianchi e sulle coscie. SINONIMIA. Fara viridis Laur. Syn. Rept. p. 27. t. 4. f. 1. Schneid. Hist. Amph. I. p. 200. Latr. Hist. Salam. p. bt. , Latr. Hist. Rept. II. p. 1185. Daud. Hist. Ran. p. 79. t. 28. f. 2. Daud. Hist. Rept. VIII. p. 156, Pitz. Verz. Mus. Wien. p. 68. Sturm Deutschl. Fauna III. p. 31. Bonap. Fauna ital. cum tab. Dum. Bibr. Erpétol. VIII. p. 684. Betta Rett. Tirol. p. 188. Betta Cat. syst. Rept. p. 26. Massal. Saggio p. 45. 344 BETTA Rana bufo var. B. Gmel. Syst. Nat. I. p 41047. Rana variabilis Pallas Spice. zool. VII. p. 1. t. 6. f. 1,2. —_ — Gmel. Syst. Nat, I. p. 4051. — — Sturm Deutschl. Fauna III 2. Rana sitibunda Pallas Reise I. p. 458. (fide Bonup.) = —o Gmel. Syst. Nat. I. p. 1050. ni — Shaw Zool. III. p. 153. Bufo variabilis Merr. Syst. Amph. p. 4180. — — - Zisso Hist. nat. III. p. 93. —_ — Gravenh. Delic. Mus. Vratisl. p. 65. n. 4A. —_ — Wagl. Syst. Amph. p. 207. — — Eichw. Zool. Ross. p. 167. n. 3. — — Schinz Fauna Helvet. p. 145. n. 3. — — Tschudi Classif. Ratrach. p. 88. Bufo sitibundus Schneid. Hist. Amph. I. p. 228. FORME. Capo quasi rotondato, più largo che lungo, schiacciato sulla fronte ed incavato lon:itudinalmente; occhi piuttosto piccoli, assai protuberanti, con pupilla nera, elittica, ed iride dorata; timpano di figura elittica, grande quanto la metà dell’ occhio o poco meno. Bocca assai squarciata, arrivandone la fessura fin sotto il timpano. Parotidi lun- ghe, di uguale larghezza da per tutto e divise dall’occhio per un breve solco. Tronco piuttosto breve, prominente nel mezzo, turgido al lati, schiacciato nel resto. Dita dei piedi anteriori libere; palmate oltre la metà quelle dei posteriori, nei quali scor- gesi un piccolo tubercolo simulante quasi un sesto dito. La sua pelle è tutta cospersa di verruche lenticolari o coniformi, più o meno grandi ed eguali fra esse, e tutte forate da pori visibili anche ad occhio nudo. La pelle delle e «Cm n€_[ n1kf0é1#mewWw—r—.rttyszsZa) ERPETOLOGIA 345 parti inferiori offre delle pieghe irregolarmente distribuite per lungo e per traverso, e simulanti una sorta di rete. A differenza della specie precedente, il maschio di que- sta possiede un sacco vocale interno. COLORITO. ‘Tranne una statura molto minore, le forme di questo. rospo sono tanto consimili a quelle del Bufo vulgaris. che soltanto la assai distinta sua colorazione può giovare quale facile e principale esterno carattere di distinzione. Ordinariamente ha esso il fondo biancastro con mag- giore o minore tendenza all’ olivaceo, al giallastro od al rossastro, ma sempre però più chiaro delle macchie che sono sparse sul corpo. Tali macchie sono grandi, più o meno dilatate, più o meno isolate o contigue, e talvolta benanco confluenti, specialmente sul capo e sulle spalle; il loro colore è di smeraldo orlato di bruno, e vaghezza di tinte vi aggiunge una quantità di rosse pustulette sparse sul corpo, più numerose sui fianchi e sulle coscie che altrove. Tutta la parte lafortiiso è di un color cinereo- rgiallognolo, sparso talvolta di una tinta più oscura. Nei giovani il colore del fondo è cenerino colle modetbio piccole, piuttosto nereggianti e con punti neri; le verru- che sono piccole e rare. Dopo la morte dell’ animale e specialmente nell’ alcool il bel verde delle macchie si fa olivastro o brunastro, e sparisce quasi totalmente il vivo rosso rubino delle pustu- lette. 316 BETTA DIMENSIONI. L’ ordinaria lunghezza del suo corpo, compresa la testa, è di 6 a 7 centimetri, colla larghezza ai fianchi di cen- timetri 3 34, a 4 0 4%. Le sue gambe anteriori sono lun- ghe centim. 4 a 4%; le posteriori 8% a 9. Nella provincia di Verona e di Vicenza, e assai più frequentemente poi nel Tirolo si trovano individui il corpo dei quali giunge fino alla lunghezza di centim. 8 ad 85, colla larghezza maggiore ai fianchi di 5 x. ABITAZIONE E COSTUMI. Il Rospo verde incontrasi sparso in tutte queste pro- vincie. Durante il giorno si tiene nascosto sotto le pietre o nelle fessure dei muri; va in cerca di nutrimento di notte. tempo, pascendosi di vermi, di insetti e di piccole lumache. Il suo gracidare è monotomo e di quando in quando. interrotto. Quanto gradevole è pei colori, altrettanto ributta pel fetore che esala quando venga irritato, e che può paragonarsi all’ odore di solfuro d’ arsenico. Passa l’ inverno sotto ai sassi od intanato sotterra. Cammina con qualche speditezza ma solo a piccole distanze, e gode della speciale facoltà di poter salire a qualche altezza sui muri anche verticali, ciò che spiega come trovisi talvolta nelle fessure elevate due o tre piedi dalla terra. Nel mese di Aprile o di Maggio si accoppia, recandosi per ciò nell’ acqua dopo il tramonto del sole. La feconda- zione è sollecita più che in altre specie, e le uova sortono dalla cloaca in due coroncine. Verso la fine di Settembre 9 la metamorfosi dei girini è compiuta. Gli abbraceiamenti { ERPETOLOGIA 347 del maschio devono essere assai tenaci poichè io conservo nella mia Collezione due coppie morte nello spirito di vino senza disgiungersi; i pollici del maschio molto ingrossati vedonsi fortemente compressi, e quasi direi approfondati nel seno della compagna. NOTA. Nella Francia, nella Svizzera, in qualche parte della Germania, e nell’ Inghilterra incontrasi una bellissima va- rietà avente una striscia gialla che dall’ apice del muso scorre lungo la parte incavata del dorso fino all’ ano, ed un largo merletto dello stesso colore che le orna i fianchi, facendo così vieppiù spiccare le verruche di scarlatto di- sposte sul corpo. Laurenti aveva fatto di tale varietà una specie distinta sotto il nome di Bufo calamita (*), che venne poi anche ritenuta da molti autori, e figurata e descritta dal Principe Bonaparte nella Fauna /talica. Più diligenti ed estesi confronti la dimostrarono però semplice varietà di colorazione del nostro Bufo viridis, e come tale la troviamo anzi annunziata più tardi dallo stesso Bonaparte, e più di recente dai signori Duméril e Bibron. (*) Sinonimia — Bufo calamita Laurenti, Daudin, Sturm, Fifzinger etc. — Bufo cruciatus Schneid. — Rana portentosa Blumenbach, Retz, Sturm. — Rana foetidissima Herm.— Rana mephitica Shaw elc. 348 BETTA HB. BATRACI URODELI. Gen. SALAMANDRA KAURENTI,. 22 — I SALAMANDRA MACULOSA Laurenti. Ital. Salamandra terrestre. | Ven. Salamandra de terra, sermandola, sarmandola, salamandre. Tirol. Salamandra, sarmandola, bissa de piova. CARATTERI. Capo distinto dal corpo. Due grosse parotidi, una per lato dietro gli occhi, con molti pori distinti. Tronco terete, scarsamente panciuto. Coste pronunciate. Cute coperta di verruche e di pori, con una serie di ampie protuberanze sui fianchi. Coda terete, smussata all’ apice. Corpo nero d’ inchiostro con molte macchie gialle, grandi, irregolari, distribuite sulla testa, sul dorso, sur fianchi, sulle gambe, sulla coda e sul ventre. SINONIMIA. Lacerta salamandra Linn. Syst. Nat. I. p. 371. — _ Gmel. Syst. Nat. I. p. 1066. — —_ Latr. Hist. Rept. II. p. 194. t. 52. f. 4. _ —_ Sturm Deutsch]. Fauna III. 2. t. 4. 2. — — Shaw Zool. MII. p. 291. Salamandra maculosa Laur. Syn. Rept. p. 42. n, dI. — — Gravenh. Delic. Mus. Vratisl p. 74. sp. 2. cea — Wagl. Syst. Amph. p. 208. ERPETOLOGIA 349 Salamandra maculosa Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 66. n. 2. — — Bonap. Fauna italica cum tab. —_ — Tschudi Classif. Batrach. p. 94. — _ Ambrosi Prosp. zool. p. 291. —_ — Betta Rett. Tirol. p. 159. - — Betta Cat. syst. Rept. p. 27. —_ —_ Massal. Saggio p. BO. — —- Dum. Bibr. Erpétol. IX. p. 52. Salamandra maculata Merr. Syst. Amph. p. 183. — — ARisso Hist. nat. III. p. 98. Salamandra terrestris PWurffb. Salamandr. p. 52. t 4. f. D. — n Ray Syn. Quadrup. p. 273. —_ — Schneid. Hist. Amph. I. p. BI. —_ — Latr. Hist. Salam. p. 52. t. 4. 2. _ —_ Daud. Hist. Rept. VIII. p. 224. t. 97. f. 4. — — Catullo Geogn. Venet. p. 174. —_ — Ausconi Hist. nat. Salam. t. 4. f. 13. FORME. Capo distinto dal corpo benchè presso a poco dell’ eguale larghezza, arrotondato, schiacciato superiormente, poi leg- ‘germente convesso, colla fronte declive; occhi quasi rotondi ed assai sporgenti; bocca squarciata oltre al margine po- steriore dell’ occhio; mascelle subeguali, essendo la infe- riore qualche poco più breve. Due grosse parotidi collocate ‘una per lato dietro agli occhi, analoghe a quelle dei rospi. Tronco terete, grosso quasi uniformemente, solo scarsamen- te panciuto ed alquanto spianato al di sotto. Quasi sem- ‘pre la linea mediana del dorso è segnata da una leggiera scanalatura che parte dalla nuca e continua fino all’ ori- gine della coda. Le coste risaltano sui fianchi con leggieri rialzi o rughe, che si fanno poi assai più pronunciate negli 920 BETTA individui tenuti per qualche tempo in schiavitù, e presen- tano inoltre dei piccoli pori regolarmente distribuiti a paja, e corrispondenti a cadauna delle sottoposte vertebre. Gam- be brevi, pingui e tozze, più però le posteriori che non le anteriori. Le palme e le piante turgide, e rotondate tutté le dita di ciascun piede. Coda conica alla base, mano mano più terete verso l’ estremità, assottigliantesi quanto più si avvicina alla punta, ove termina alquanto smussata; la sua lunghezza è qualche cosa più breve di quella del tron- co, non compreso il capo. La cloaca si apre in una fessura longitudinale stretta ma lunga. La pelle lubrica e viscida può dirsi liscia, e liscia af- fatto e levigata è poi la parte di sotto del tronco e della coda. Il corpo è però superiormente tempestato di verru- che molli e lattifere, delle quali vedonsene due file distinte che fiancheggiano la spina dorsale; una serie di ampie protuberanze scorre sui fianchi tra gli arti anteriore e po- steriore, quelle stesse già sopra avvertite. COLORITO. Il fondo di tutto il corpo è nero d’ inchiostro con qual- che tendenza al turchino nel di sotto. Molte macchie gialle, variabilissime in numero, grandezza e disposizione, sono sparse sul corpo compresi gli arti e la coda; alcune sono oblonghe, altre rotonde, ed altre infine allungate e con- fluenti quasi a guisa di fascie; varia pure la loro tinta dal giallo il più vivo al giallo pagliarino. In una parola tali macchie si dispongono in così diverse forme ed in così vario modo che non si danno, od almeno sarà ben difficile di trovare due individui assolutamente eguali. Non manca mai ed è costante nella disposizione, non però nella forma, ERPETOLOGIA 324 la macchia gialla sopra le palpebre, ed un’altra sulle pa- rotidi, ove si scorgono anche assai più distinti i pori delle critte sottocutanee a guisa di puntini neri. Un’ altra mac- . chia che trovai finora costante nei moltissimi individui nostrali esaminati, si è quella che segna la parte superiore di tutti gli arti vicino al punto del loro attacco col corpo ;. e queste macchiette non mancano neppure negli individui giovani, benchè in essi sieno le altre minori d’ assai in numero di quelle degli adulti. In qualche esemplare la macchia delle parotidi vedesi estesa e protratta oltre il loro margine posteriore. Tengo un esemplare del Tirolo in cui le prime macchie del dorso hanno confluito assieme in modo da figurare precisamente due ferri da cavallo posti l'uno dietro all’ altro, coll’ apertura verso la parte po- steriore. Un altro individuo è quasi tutto nero, non avendo che piccole molto e rotonde le macchie costanti soprav- vertite, e più piccole ancora, rarissime, e rotonde quelle del corpo e delle estremità. In qualche altro esemplare tanto del Veneto che del Tirolo, varie macchie dei fianchi veggonsi allungate e tanto vicine le une alle altre da figu- rarvi una fascia scorrente dall’ uno e dall’ altro lato del corpo. Le parti inferiori sono più o meno macchiate di giallo, e lo sono sopratutto alla mascella ed al collo. Nei giovani mancano invece le macchie, e si tingono di un color nero brunastro uniforme. In questi poi le macchie gialle supe- riori sono più pallide, e qualche volta persino biancastre. DIMENSIONI. Varia la sua lunghezza dai centimetri 15 ai 18 e financo ai 19, compresavi la testa e la coda, la quale giunge circa 24 Co) 322 BETTA ad eguagliare la lunghezza del tronco a partire dal collo. Le gambe sono pressochè eguali e lunghe circa centimetri 3. ABITAZIONE E COSTUMI. La Salamandra terrestre trovasi in tutte queste provin- cie, ed abita i luoghi umidi ed ombrosi, non cacciandosi nell’ acqua che all’ epoca della generazione. Vive general- mente nascosta sotto i muschi, nei freschi boschetti, sotto i fracidi tronchi, in qualche buca sotterranea, al piè delle vecchie muraglie fra le macerie, e persino nelle cantine, e nei luoghi umidi e terreni delle case; nè sorte dal na- scondiglio che di notte tempo per far preda di insetti, di lombrici, e di piccoli molluschi. Teme assai il caldo, e più ancora fugge i raggi del sole. Di giorno non vedesi quindi che nelle ore mattutine, o più facilmente dopo di- rotte pioggie, e più ancora nei mesi di Settembre ed Otto- bre, riescendo allora talvolta di vederne non poche lungo le strade, appiè delle siepi, dei muri e delle roccie. Tarda e lenta, non fugge all’ avvicinarsi di altri viventi, e facile riesce quindi il farla prigioniera. Generalmente temuta e fuggita, è però la Salamandra un animale innocuo, nè sa, nè può difendersi nei pericoli o quando venga aizzata, che trasudando dai pori della sua pelle un umore lattiginoso che schizza anche a qualche centimetro di distanza. Ha questo latte un odore particolare ed ingrato; è di sapore molto acre e nauseoso ; ha proprietà caustica, e per alcuni piccoli animali riesce anche mortifero. Laurenti fu il primo ad esperimentarlo tale in due lucertole, morte fra convulsioni pochi momenti dopo che una Salamandra irri- tata dai loro morsi schizzò loro in bocca il suo latte (*). Già (*) Laurenti. Synopsis fieplil. Experiment. XXVIII. pag. 158. ERPETOLOGIA 323 altrove avvisai d’ averne io stesso verificata la potenza venefica sulla Rana temporaria (A), avendo veduto morire «dopo pochi minuti, e fra molte convulsioni tutti gli indivi- dui ai quali aveva cacciato nella bocca qualche goccia di tal latte. Gratiolet e Cloez instituirono pure alcune espe- rienze, e da una floro Memoria inserita per estratto nel giornale ZL’ Institut (2) risulta che quell’ umore innocu- lato sotto l’ ala di varj uccelli cagionò a tutti la morte, dopo forti tremori e convulsioni, in alcuni dopo soli tre minuti, in altri dopo sette od otto, in una tortorella dopo venti ecc. Gli esperimenti però fatti sopra piccoli mammi- feri non offrirono alcun esito grave, e solo quegli animali mostrarono di risentirne viva sofferenza con una affannosa respirazione, e con una specie di sonno o torpore interrotto più volte da forti e repentine scosse. Dai risultati di altri loro esperimenti si avrebbe poi anche constatata una durata nella potenza venefica dell’ umore, poichè una quantità raccolta nell’ Aprile 1854 ed innoculata, sciolta nell’ acqua, in un Cardellino nel Marzo dell’ anno seguente, cagionò eguali sintomi e la morte. Lo stesso dicasi per |’ umore disseccato dei rospi, di cui due soli milligrammi fecero morire un Verdone ( Fringilla chloris Linn.) in sedici minuti. È però certo riuscire innocuo per animali di mole mag- giore, e quindi ancora più per l’ uomo. Apertamente lo comprovano le esperienze di Wurffbein e di Maupertuis, il primo dei quali si stropicciò persino sugli occhi una sala- mandra viva; esperienze che provarono poi anche l’ assur- dità delle potenze accordate dagli antichi a questo animale ed al suo latte. Non si potranno più quindi ritenere per vere (1) Catalogo dei Rettili della valle di Non. pag. 160. (2) Sect. I. Tom. 19. N. 903 pag. 131. (23 Aprile 1854.). 324 BETTA le cose esposte da Plinio, il quale scriveva che « inter omnia animalia venenata, Salamandrae scelus maximus est», ag- giungendo molte altre più ridicole favole sulla pretesa sua proprietà di uccidere chi mangiasse le poma di un albero su cui fosse salita una Salamandra, o chi bevesse l’acqua di un pozzo nel quale fosse caduta, o mangiasse del pane cotto con legna da lei tocca!!! e così via. E lo stesso di- remo di quanto vi aggiunsero e ne dissero di poi il Mat- tioli, lo Scaligero, il Pinciero ed altri moltissimi, le super- stiziose ed erronee asserzioni dei quali avevano dato vita al ridicolo detto « Eum quem Salamandra momorderit, tot opus habere medicis, quot bestia distinguatur maculis » (*). Che dire poi sulla facoltà così a lungo creduta. nella Salamandra di conservarsi incolume nel fuoco, e non solo d’ escirne sana e salva, ma di spegnerlo eziandio ?? — In aperta opposizione a questa vantata proprietà abbiamo il fatto che la Salamandra abbisogna invece per vivere di molta umidità, che viene assorbita di continuo pei moltis- simi pori della sua pelle. Se può resistere infatti, e resiste anche a lunghi digiuni senza dimagrare di molto, non dura però a lungo se non venga di quando in quando : spruzzata d’ acqua; mentre tenuta al caldo, od in un am- biente secco, od esposta al sole, o vicina al fuoco, il suo corpo si avvizzisce di subito, ed essa muore anche in po- che ore. Ciò spiega il perchè si tenga sempre nei luoghi umidi ed ombrosi, e non sorta da’ suoi nascondigli che in primavera od in autunno, dopo o durante la pioggia. È poi un fatto che questo animale che si suppose po- ter vivere nel fuoco, è al contrario quello fra i rettili che più resiste al freddo, giacchè lo troviamo ancora in autunno (*) Wurffbein. Salamandrologia' pag. 92. ET Pl de _ ERPETOLOGIA 325 avvanzato, e quando già da molto tempo tutti gli altri sono ricoverati sotterra. Varie Salamandre furono trovate chiuse in solide masse di ghiaccio ; il loro corpo era duro ed in- flessibile, ma poste sulla neve e fattala sciogliere lenta- mente, non tardarono a manifestare segni certi di vita. Dobbiamo quindi persuaderci della falsità evidente della vecchia credenza; ed ognuno che non volesse acconten- tarsi delle prove offerte dalle esperienze altrui, potrà to- stamente convincersene qualora voglia cacciare una Sala- mandra nel fuoco. Da pochissime Dbragie essa potrà facil- mente fuggire, spegnendole col liquido che subito trasuda dai pori; ma fra i vivi carboni, e molto più fra le fiamme troverà senz’ altro, e ben prontamente, quella fine che vi troverebbe ogni altro animale. Questa proprietà di salvarsi dal fuoco non è dunque che una favola, nè per certo po- teva godersi la Salamandra quella celebrità popolare che l'aveva fatta sciegliere dai poeti e dai cavalieri ad emble- ma dell’ amore, della galanteria e del valore, e che indusse Francesco I di Francia ad assumerla per suo emblema, facendola figurare sugli scudi nel mezzo alle fiamme col motto: nutrisco et extinguo (*). Eguale emblema o simbolo vedesi anche sulle monete del Ducato di Milano coniate ai tempi della signoria dei francesi. La Salamandra è ovovivipara, e le uova vengono fe- condate all’ interno. Manca però nel maschio qualsiasi or- (*) Chi volesse conoscere la storia di tutti i pregiudizj nei quali fu involta la Salamandra può trovarla con molto interesse trattata ed espo- sta nella citata Salamandrologia di Wurffbein, il quale dà anche un as- sai erudito articolo sulla etimologia della parola Salamandra (pag. 10-15) che secondo lui deriverebbe dalle voci greche Zx)ov e pavdoav « quia prope aeàov (luogo umido) amat habere pavdgev (spelonca). 326 BETTA gano esterno di accoppiamento, e non trovansi tuttora d’ ac- cordo gli autori sul modo con cui si effettua la feconda- zione, se cioè il liquore seminale del maschio abbandonato nell’ acqua, che servirebbe di veicolo, venga assorbito e penetri nella femmina, o se piuttosto i sessi avvicinino l’ uno all’ altro le labbra in allora assai turgide della pro- pria cloaca. Quello che è certo si è che la fecondazione deve operarsi molto internamente. L’ accoppiamento suc- cederebbe a terra come ce ne assicurano varj autori mo- derni, lo stesso Rusconi, ed il Principe di Canino là dove scrive che « fedelissimo il maschio viene con una sola » femmina ad abbracciamento, non ad inserzione di stelo, » di cui manca, sormontandola e cingendola strettamente » co’ suoi piedi anteriori, mentre costei gli sovrappone pure » i suoi, e così avvitticchiati ambo i sessi, ugualissimi di » forma e di colore, si trascinano di comune consenso » dalla terra, nell’ acqua (*) ». — In generale la femmina fecondata in autunno non partorisce 1 piccoli che alla fine di Marzo o di Aprile, ma qualche volta se ne trovano nel corpo della madre anche nei mesi di Giugno, di Luglio e persino di Agosto, per il che pare che si diano varie ano- malie in riguardo all’ epoca della fecondazione. La gesia- zione dura circa 8 mesi, ed il parto è di 30 a 50 piccoli che vengono alla luce sotto forma di girini, forniti di bran- chie, con coda molto depressa e tagliente, e persino mem- branacea ai margini. In tale stato presentano quindi molta analogia coi girini dei Tritoni. Piccolissimi appena venuti alla luce, non oltrepassando la lunghezza di 30 millimetri, raggiungono lo stato di perfezione in poco più di due mesi; ma è poi lentissimo l’ ulteriore loro accrescimento, talchè (*) Fauna Italica. ERPETOLOGIA 327 una Salamandra di due anni ha appena la lunghezza di centimetri 7 a 7% compresa la testa e la coda. Già Funk e Gravenhorst avevano seguito completamente. e con ogni diligenza lo sviluppo della Salamandra terre- stre, ed in belle tavole ci avevano rappresentati varj suoi stadj. Ora possediamo però anche l’ opera di un nostro italiano, il distintissimo anatomico Dott. Mauro Rusconi, il quale ci lasciò in questo prezioso lavoro una novella prova della mirabile sua perizia negli studj di tal sorta, col de- scriverci e col rappresentarci in diligentissime figure gli stati diversi e lo sviluppo successivo della Salamandra, dal- l’ istante della nascita fino allo stato perfetto (4). Il Dottor Morganti di Pavia ha quindi reso un vero servigio alla scienza ed alla patria nostra, col pubblicare quest’ opera di un uomo che pel profondo sapere, pei sommi vantaggi re- cati colle sue scoperte, per l’ originalità delle sue ricerche, e per le tavole insuperabili di sua mano che le dimostra- no, lasciò morendo un nome Europeo, un nome che alta- mente onora l’ Italia. Secondo quanto osservarono e scrissero tutti gli autori il parto della Salamandra si effettua nell’ acqua, e nella | prima delle belle tavole della citata opera del Rusconi può vedersi anche figurata la postura della femmina in tali momenti. Avressimo però alcune osservazioni del Prof. Giu- seppe Balsamo-Crivelli (2), dalle quali potrebbe dedursi forse qualche eccezione su tal fatto. Tre salamandre a lui pervenute nel Novembre 4853, furono collocate in una cas- setta di legno contenente poca terra, e custodite quindi in (1) Developpement et metamorphose de la Salamandre terrestre par M. Rusconi. Ouvrage posthume inedite publiè par le Doct. J. Morganti. Pavie 1854. (2) Giornale dell’I. R. istituto Lombardo. 1854. Tom. V, pag. 494. 328 BETTA una camera con temperatura non mai maggiore di 8 gradi, usando della sola precauzione di spruzzarle con acqua ogni due giorni. Nel 2 del successivo Gennajo furono trovate sul fondo della cassetta tre salamandrine, che poste nell’ acqua tepida si liberarono dal loro invoglio e si posero subito a guizzare. Una quarta salamandrina nacque il seguente gior- no, e collocate tutte in un vaso ampio con acqua e fango, mantenendole con piccoli annelidi, vivevano ancora ed as- sai vivaci il 25 Gennajo, giorno in cui il prelodato Pro- fessore presentava all’ Istituto quelle sue osservazioni. Nel- l’autore nasceva il dubbio se le Salamandre potendo de- porre 1 loro figli nel verno, maturi essendo in questo tempo i loro feti, vengano questi in state di libertà deposti dalla madre nell’ acqua, come si osserva d’ ordinario; ed argo- mentando quindi per analogia da quanto osservò accadere nei rospi, conchiudeva coll’ ammettere che anche le sala- mandre possano svilupparsi allo stato di girino per la sola umidità copiosa dei luoghi ove si trovano, senza aver bi- sogno di essere immerse nell’ acqua. La scienza dovrà forse attendere maggiori lumi e maggiori studj prima di regi- strare come positiva una eccezione di tal sorta nel parto della Salamandra, ma intanto qualunque sia la spiegazione che si potrà dare al fatto osservato dal Prof. Balsamo-Cri- velli, noi lo riportiamo come novella prova della diversità di epoca nella quale questi animali si accoppiano. D'inverno le salamandre si ritirano nelle buche, nelle caverne e nei sotterranei umidi, e vi restano letargiche fino alla primavera. OSSERVAZIONE. Fra le moltissime varietà di colorazione possibili in questa specie, sempre però nei limiti dei due suoi colori, ERPETOLOGIA 329 non si ommette di avvertirne una ben singolare, descrittaci da Duméril e Bibron nella loro Erpétologie, Tom. IX. p. 57. L’ individuo che la presenta fu preso nelle vicinanze di Roma dal Dott. Bailly, ed inviato al Museo di Parigi. In esso, all'opposto di quanto si osserva nella specie, tutto il color del fondo è giallo e le macchie nere. Sul corpo una fascia stretta nera trovasi sulla linea mediana del dorso, ed un’ altra ai fianchi scorrente dalla spalla fino oltre l’ ori- gine della coda. Una macchia nera vedesi sopra ciascuna parotide, e qualche altra piccola macchia sulle membra. Tutto il di sotto è giallo pallido, meno una piccola mac- chia nera verso la congiunzione delle clavicole. NOTA. Trovasi in Laurenti (4) una Salamandra candida descritta colla brevissima diagnosi « corpore toto albo, cauda subterete » ed indicata come propria della provincia Padovana. In nessuno degli autori consultati trovo fatta menzione di tale specie creata dal Laurenti sulla figura 4. della Tavo- la II. di Wurffbein, e sarà a ritenersi quindi eliminata dalla scienza. Io penso infatti doversi avere per null’ altro che per un individuo della comune Salamandra; e sul suo colore trovasi facile spiegazione nelle parole stesse di Wurffbein dove scrive « /s enim Excell. Mauritius Hoffman- nus... suam pro consuela humanitate amice dare voluit, dum Salamandram illam (Tab. IL f. I) exenteratam, ante hos 40 fere annos in Patavina Italiae Universitate, a se, utrum Ovi vel Vivi-para esset, experiendi gratia, artificiose sectam, mihi utendam communicavit » (2). (1) Synopsis Reptilium. pag. 41. (2) Salamandrologia. pag. 64. 330 BETTA Gen. PETRAPONIA MASSALONGO. 23 — I. PETRAPONIA NIGRA Massal, “Ital. Petraponia nera. CARATTERI, Capo distinto dal corpo. Due parotidi.... (??), una per lato die- tro agli occhi. Tronco terete, con un solco longitudinale profondo sul dor- so. Coste assai pronunziate. Cute leggermente sagrinata. Coda compressa, solcata nel centro da numerose costicine. Tutto il corpo di color nero uniforme e senza macchie. SINONIMIA. Petraponia nigra Massal. Annali di Bologna 1853. cum tub. - — Betla Cat. syst. Rept. p. 28. FORME. Capo mediocre, depresso, ottuso, colla fronte declive, distinto dal corpo, con alcuni solchi nel centro e nelle pa- rotidi...(??) che sono poco spiegate. Occhi mediocri, con taglio piuttosto verticale; bocca fessa oltre agli occhi. Tron- co terete, con un solco longitudinale profondo che par- tendo dalla nuca percorre la linea mediana del dorso fino alla base della coda. Coste numerose e molto pronunziate; gambe sottili, a dita sottilissime e libere affatto. Coda larga, molto compressa, a due tagli, essendo munita di appendici membranacee come quella dei Trifoni; solcata nel suo ERPETOLOGIA 334 centro da molte pieghe trasversali che costituiscono quasi altrettante costicine; lunga poco più della metà di tutto il corpo, non compresa la testa. Pelle lucida, leggermente sagrinata sul corpo, liscia sulle gambe e sul ventre; increspata sotto la mascella inferiore. COLORITO. Tutto l’animale è di un bel color nero lucido in ogni parte. DIMENSIONI. La sua lunghezza è di millimetri 79, dei quali ne oc- cupa 44 la testa e 36 la coda, la di cui maggiore larghezza è di millim. 9. Come già più addietro fu avvertito, il Prof. Massalongo stabilì il suo genere Petraponia sopra questo piccolo Batra- cio da lui raccolto nel 1849 in un fossato che circonda le mura di Padova. E benchè dalle parole usate dall’ autore nell’ indicarne l’ abitazione (*), potrebbe forse qualcuno pensare averne esso veduti più d’ uno, unico è però tut- tora l’ esemplare, ed unico quindi il rappresentante del genere, che )’ autore stesso con veramente rara cortesia ed amicizia volle facesse parte della mia Collezione dei Rettili Europei; tratto di gentilezza pel quale piacemi di ancora una volta presentargli pubblica testimonianza di obbligazione. Formerebbe questo Batracio il più naturale annello fra le Salamandre ed i Tritoni, avendo alle prime pressochè (*) « Vive nelle acque stagnanti dei contorni della città di Padova, e « specialmente nei fossati che circondano le miura ». Massal. Zoco citato. 352 BETTA eguale il capo, eguali le coste ed il solco del dorso ; ai se- condi eguali le gambe e la coda. Differenziando poi sì dalle une che dagli altri pei caratteri di forma e struttura ae- cennati, e sopratutto per la sua lingua non già libera ai lati ed aderente nel resto, ma libera invece nella parte anteriore e non ai lati, siccome risulta da quanto fu detto nella esposizione dei caratteri di ciascun genere. Quanto però deve recar sorpresa, e veramente riesce inesplicabile, si è la presenza nel Padovano dell’ unico esemplare, ora da me posseduto. Chè non devesi poi tacere come dall’ epoca della scoperta a tutt’ oggi siano riescite sempre inutili le ricerche praticate e fatte praticare dal- l’autore, e da qualche altro continuate con somma perse- veranza per due anni, onde scoprirne qualche altro indivi- duo; siccome vane sortirono quelle pure ch’ io stesso ese- guii nel decorso anno, e quelle ch’ io feci praticare da al- cuni pescatori, allettati a diligente ricerca dalla promessa di un grosso premio per ogni individuo che mi avessero recato. Nè male certamente mi apporrò nel pensare che ap- punto per tale misteriosa unicità, qualcuno forse degli Er- petologhi troverassi inclinato a dubitare sulla bontà della specie, ed a supporre piuttosto nel nostro individuo una anomalia di qualcheduna delle nostrali già conosciute. Nè dissimulerò come tale sia stato pure il mio primo sospetto, e quello non meno dell’ autore il quale, per. valermi delle sue stesse parole, non avrebbe « mai osato sopra un solo esemplare di azzardarne una illustrazione » se non ne lo avesse persuaso l’ importanza di alcuni suoi caratteri, e gli eccitamenti « più fiate » avuti dal celeberrimo Erpeto- logo Sig. Fitzinger di Vienna, cui avevalo prima inviato per esame e giudizio. FRPETOLOGIA 333 Ma per rischiarare in altri quei dubbii el jo stesso vedo possibili, non sarà certamente superfluo V accennare a quale delle nostre specie potesse più davvicino riportarsi questo rettile pei suoi caratteri esterni di forma e struttura, astra- zione fatta pel momento all’ importante carattere della lin- gua, ed agli altri che appoggiano la distinzione generica del Massalongo. L’ esemplare di cui parlasi non è al certo completa- mente metamorfosato, presentando ancora una traccia, ben- chè piccolissima, delle branchie, le quali sappiamo scom- parire affatto nei nostri Urodeli col raggiungere dessi il perfetto sviluppo. La presenza inoltre delle parotidi non è che presunta da un rilievo che osservasi nel posto ove so- gliono essere collocate, non essendo possibile il garantirsene meglio senza rischio di guastare o di perdere benanco que- sto unico esemplare. In tale stato di cose it solo sospetto che potrebbe nascere, quello sarebbe di una anomalia per melanismo del 7riton alpestris, del quale la Petraponia avreb- be la statura ed in qualche modo le forme. Ma oltrechè sappiamo molto raro il melanismo negli animali non do- mestici, tanto più così completo, ci apprende il Sig. Geof- froy di Saint-Hilaire (*) dipendere tale anomalia da un vero eccesso di sviluppo, mentre da un difetto di esso procede invece quella opposta dell’ albinismo. Non si potrà. quindi ammettere, a mio credere, eccesso di sviluppo nel nostro individuo se, raggiunta quasi la statura ordinaria del 7ri- ton alpestris allo stato perfetto, porta ancora le traecie delle branchie. Avremo sempre d’ altronde la ben diversa con- formazione del capo, le coste assai pronunziate, ed un com- (*) Histoire generale ct particul. des anomalies elc. edit. Bruxelles. Tom. I. pag. 252. 334 BETTA plesso di forme che non permettono di confonderlo con questo Tritone; più ancora avressimo la circostanza della diversa abitazione del Triton alpestris, fino ad ora poi nep- pure segnato fra le specie del Padovano. Che se si volesse estendere il confronto della Petraponia anche con altre specie italiane che noi non possediamo, od almeno delle quali non è ancora constatata la presenza in queste provincie, nessun’ altra ne troviamo che più le si avvicini quanto la Salamandra atra, alla quale sarebbe precisamente eguale nella forma del capo, nelle coste pro- nunziate, nel solco dorsale, e se vogliamo anche nella pelle perchè piuttosto sagrinata, non però provveduta di verruche o di pori. Non occorre però ripetere quanto ne la discosti la forma della coda, delle gambe, e delle dita; e non poteva quindi che riescirci di sorpresa l’ aver saputo da taluno sospettata la Petraponia per possibile anomalia della Salamandra in discorso! Oltrechè infatti la Salamandra atra è specie assolutamente terrestre, non vivendo che nelle regioni alpine o subalpine, offre dessa alcune particolarità che la distinguono a tutta prima fra le sue congeneri, e che devono senz’ altro trat- tenere da quel così leggiero ed erroneo giudizio, pel quale, e mi sia permesso il dirlo, avrei ogni ragione di ritenere chi lo pronunciò, ben poco istruito od ignaro dei fatti i più degni di osservazione e di particolarissimo riguardo. Non si sa difatti che la Salamandra atra partorisce costan- temente sulla terra dando alla luce due soli figli per volta, i quali sebbene non più lunghi di millimetri 38 a 42 hanno la coda non già schiacciata, ma conica, arroton- data, senza natatoja membranacea, e quindi presso a poco come nello stato di sviluppo il più avvanzato? — Non consta forse che i girini nascono assolutamente privi di ERPETOLOGIA 335 branchie, e che occorre estrarli dal corpo della madre per trovarli di esse provveduti? — EÉ questo un fatto della massima importanza nella storia di tale Salamandra, pro- vato dalle diligentissime ed accurate osservazioni dello Schreibers, ed ammesso da tutti gli Erpetologhi d’ oggidì. Ed cecciterò almeno chi dà prova di ignorarlo, a vedere pel confronto varj neonati di tale Salamandra, ch' io tengo nella mia Collezione con alcuni girini levati dal seno della madre, e nei quali soltanto si osservano le branchie, che sono lunghissime, disuguali, e foggiate a grazioso pennac- chio biancastro. Per tutto l’esposto resterebbe quindi eliminato, io penso, il dubbio sulla sospettata anomalia nella Petraponia nigra della quale ognuno, in attenzione ancora di miglior esito nelle ricerche di altri individui, potrà farsene intanto una pronta idea quando sappia avere dessa il capo, il corpo, le coste, il solco dorsale, ed il colore della Salamandra atra, colla statura, le gambe colle dita, e la coda del Triton al- pestris, come può vedersi nella tavola dataci dall’ autore. Nulla si conosce di preciso sui suoi costumi, sul suo modo di generazione e sviluppo, i quali ritengo però non molto si scosteranno da quelli degli altri Urodeli delle no- stre acque. Il Prof. Massalongo lo trovò animale svelto, velo- cissimo, assai vorace, che nuota con grande agilità, e questo lo giudica dalle osservazioni fatte nei due giorni circa che lo ten- ne vivo entro un vaso di acqua pura, mantenendolo con ver- micelli acquatici. Intanto non cesseranno le ricerche per avere migliori cognizioni, e per poter stabilire collo sperabile rinvenimen- to di altri individui, più precisi caratteri generici e speci- fici, e per dare quindi più tardi un più fondato e sicuro giudizio su questo interessantissimo Batracio. . % 336 BETTA Gen TRITON LAURENTI. 24-L TRITON CRISTATUS Laurenti. Ital. Tritone crestato, Salamandra acquatica. Ven. Sarmandola d’ acqua, marasandola o maresangola de vall, salamandra de fosso. Tirol, Sarmandola d’ acqua. CARATTERI. Capo poco distinto dal corpo, col muso rotondato-ottuso. Tronco lerete, alquanto ventricoso. Cute coperta di piccole verruche molli. Coda compressa fin dalla base, col lato inferiore più diritto, il superiore più arcuato. Nei maschi una cresta addentellata sul dorso nell'epoca delle nozze. Il dorso percorso da un solco giallastro nella femmina. Corpo di color bruno-verdastro od anche nerastro, sparso di molte macchie rotonde, nere, e di piccoli punti granulosi bianchi, specialmente sulla gola e sui fianchi. Tutto il di sotto di un color arancio vivo con grandi macchie nero-cerulee quasi rotonde, ed aleune confluenti. SINONIMIA. Lacerta palustris Linn. Syst. Nat. I. p. 370. — — Gmel. Syst. Nat. I. p. 1068. — —- Sturm Deutschl. Fauna IN. 3. —. _ Retz Fauna Suce. I. p. 287. — - Shaw Zool. III. p. 298. Triton cristatus Laur. Syn. Reptil. p. 39. n. 44. ERP&XTOLOGI1A 337 Triton cristatus Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 66. — — Bonap. Fauna ital. cum tab. - — Betta Rett. Tirol. p. 136. —_ — Betta Cat. syst. Rept. p. 28. — — Massal. Saggio p. BI. — — Dum. Bibr. Erpétol. IX. p. 451. Triton carnifex Laur. Syn. Rept. p. 58. 148. sp. hi. — — — Zonap. Fauna ital. et tab. fig. di. Lacerta porosa Retz Fauna Suec. I. p. 288. Salamandra platyura Daub. Encycl. méthodique. Salamandra cristata Schneid. Hist. Amph. I. p. 87. n. 2. mas. “gi — Daud. Hist. Rept. VII. p. 233. # — Latr. Hist. Salam. p. 43. f. 3. 4. Salamandra pruinata Schneid. L c. p. 69. Molge palustris Merr. Syst. Amph. p. 187. sp. 8. Salamandra platycauda Rusconi Amours des Salam. p. 29. Tab. I. fig. III. foem. — f. IV. mas. T. II, f. I. mas. — f. II. foem. FORME. Capo compresso, col muso rotondato-ottuso, poco o nulla distinto dal tronco. Occhi mediocri, con iride dorato-bruna- stra; bocca fessa fino sotto al margine posteriore dell’occhio. Tronco terete, corrugato e coperto di piccole verruche molli, col ventre alquanto allargato nel mezzo. Gambe bre- vi; le anteriori piuttosto sottili; le posteriori più grosse; tutte le dita tereti e libere affatto. Coda compressa fin dalla base, a due tagli, coll’ inferiore più diritto, il superiore più arcuato, affatto liscia e quasi diafana, meno alla radice ove è leggermente verrucosa. Nei maschi, sopratutto nei primi giorni di primavera, tutta la parte superiore del cor- po è ornata da una cresta nera, costituita da una espan- 22 338 BETTA sione membranacea della pelle che comincia sulla nuca, e che aumentando progressivamente di altezza fino alla metà del dorso si accorcia poi verso l’ origine della coda, ove essa termina. Questa cresta è acutamente dentellata o frangiata al suo margine libero, e l’animale può impri- merle un movimento di ondulazione, scuotendola o facen- dola movere parzialmente sopra diversi punti della sua lunghezza. La femmina manca di tale cresta o di cordone rilevato, ed ha invece un solco che dalla nuca va fino all’ origine della coda. Nei sessi la cloaca è molto allun- gata e presenta un ingrossamento alle labbra, coperte di pori e di verruche molto apparenti. COLORITO. La tinta generale del corpo è di un bruno verdastro che si fa anche nerastro in qualche individuo, o che presenta in altri una tendenza al marrone od al cinereo. Molte mac- chie tonde più oscure, o nere, vi sono sparse irregolarmente, ed in qualche raro esemplare vedonsi anche contornate di un margine più chiaro che meglio le distacca dal fondo oscuro del corpo. La gola è fosca, tutta coperta di mac- chiette nere e di punti granulosi bianchi, alcuni ‘dei quali veggonsi anche sparsi sui fianchi. Il petto e 1’ addome sono di un bel color rancio con grandi macchie quasi rotonde, d’un nero ceruleo, alcune delle quali confluiscono irre- golarmente. La coda è tutta di color fosco con due file longitudinali di punti nerastri, e nei maschi vi si vede altresì una fascia lattea longitudinale da ambedue i lati che corrispondono alla regione vertebrale. Nella femmina tutto il taglio della coda è di color giallo aranciato; assai di rado invece è tutto di tal colore il taglio inferiore della ERPETOLOGI1A 339 LI coda nei maschi, nei quali la cresta è nera ed il suo orlo estremo assume nell’ epoca delle nozze un bel color vio- laceo. Il solco dorsale nelle femmine è tinto di giallo sor- dido più o meno dilatato, e che si perde coll’ età. Le zam- pe sono di color verdastro carico al di sopra, con qualche macchietta rotonda nera; al di sotto hanno una tinta si- mile a quella del ventre, con macchie nere che fasciano poi tutte le dita. In qualche raro esemplare in cui il color bruno del corpo tende più al cinereo od all’ olivastro, notansi anche alcune spruzzature lineari giallastre di qua e di là della regione dorsale e lungo i fianchi; in essi riescono piccole, poco visibili, ed anche quasi totalmente obliterate le mac- chie nere delle parti superiori del corpo. DIMENSIONI. Gli esemplari della maggior mole fino ad ora osservati in queste provincie hanno la lunghezza di centimetri 40 a 135, compresa la coda che misura 5 a 6 centimetri e la testa lunga da 17 ai 49 millimetri. ABITAZIONE E COSTUMI. Nelle provincie Venete vive areicomunissimo nelle acque fangose dei fossi e degli stagni. Trovasi a migliaja nei luo- ghi suburbani e nei dintorni di Verona; abbondantissimo lo raccolsi nella provincia di Padova, di Vicenza, e di Ve- nezia. Comune è nel Friuli. Nel Tirolo all’ invece nol vidi fino ad ora che in qualche fosso presso Riva e pres- so Rovereto, e rarissimo nella parte bassa della Valle di Non; è però presumibile che vi abiti diverse altre località. 340 BETTA È animale del tutto innocuo, assai vivace nell'acqua in cui nuota con somma rapidità, ed abbastanza agile anche sul terreno. Nei ‘fossi e negli stagni si nasconde sotto i sassi sommersi, 0 sta scoperto adagiato sul fondo. Nella stagione fredda si intana sotterra nei luoghi umidi. Nutresi di insetti, di larve acquatiche, di molluschi, specialmente di piccole Paludine (*), di Limnei, e di Fise; ma non rispar- mia i girini, ed ingoja persino altri Tritoni più piecoli. Trasuda dalla pelle un umore nauseoso all’ olfato, che si attacca alle dita di chi lo tocca. Cangia la pelle più volte all’ anno, e si è già altrove accennato quanto sia frequente tale muta allorchè venga di spesso cangiata l’acqua del vaso in cui si custodisce. | In schiavitù i Tritoni vivono lungamente e resistono anche a digiuni di più mesi; in tal caso però riesce visi- bile assai il loro dimagrirsi e progressivo estenuarsi. Ven- gono spesso a galla per respirare 1’ aria libera. Il sale gettato sul loro corpo li fa morire in brevissimi istanti, ma nei pochi individui ch’ io sacrificai per tale espe- rienza non ebbi a scorgere quelle veementissime convulsioni che gli autori dicono accompagnare sempre questa morte. Io vidi soltanto in essi alcune leggiere contrazioni del corpo e delle estremità, subito dopo le quali i Tritoni mo- rivano avvolgendo la coda in strettissima spira. (*) Alcuni Tritoni pescati in un fossato presso Gorgo, provincia di Padova, nel Maggio del 1855 e trasportati a Verona, evacuarono dopo poche ore di schiavitù molti gusci della Paludina ventricosa Gray. lo ebbi in tal guisa provato che questa Paludina vive in vicinanza della località, ove non ne erano state raccolte che alcune spoglie quando nel Febbrajo dello stesso anno veniva avvertita per la prima volta come specie anche dell’ Italia — (Vedi Betta e Martinati « Molluschi delle Provincie Venete » : Verona. Febbrajo 1855. pag. 88.). | ERPETOLOGIA 344 E questa una delle specie alle quali varj autori rivol- sero. particolarmente le loro diligentissime osservazioni per conoscere la generazione e lo sviluppo di questi ani- mali; e Spallanzani, Funk, e Rusconi ne lasciarono descritti e figurati tutti i cangiamenti che subiscono gli embrioni nell’ uovo, e tutte le metamorfosi dei girini. Il Trilon cri- status servì allo stesso Rusconi per soggetto interessantis- simo dei suoi Amours des Salamandres aquatiques, avendo potuto seguire i più minuti particolari degli atti che pre- cedono, accompagnano, e susseguono l’ atto di fecondazione. Allorchè i bei giorni di primavera ridestano a nuova Vita tutti gli esseri del creato, questi animali assumono le creste e gli altri ornamenti concessi loro dalla natura per tal epoca, ed i sessi si cercano; ma non si trovano mai accoppiati. Giunto il tempo della riproduzione, e quan- do appunto le uova contenute nelle ovaje della femmina sono mature e si avviano per gli ovidotti, il maschio co- mincia ad avvicinarsele affine di compiere l’ atto di gene- razione, e la segue ovunque nei suoi movimenti per modo che in tale circostanza i Tritoni vanno costantemente riu- niti a paja. Per molti giorni il maschio resta così vicino alla femmina, alla quale impedisce l’allontanarsi aggiran- dosele intorno per ogni verso, applicando il muso al suo muso, agitando rapidamente la coda, e battendo con que- sta i fianchi della compagna. Quando, vinta finalmente da tante carezze, sì posa sul fango, il maschio le si ferma ac- canto spargendo il suo liquore seminale che diluito pene- tra nell’ ano della femmina, e feconda le uova più vicine all’ uscita. Questa ejaculazione dello sperma si ripeie più volte di seguito; poi quasi subito dopo la femmina sente il bisogno di sgravarsi, e depone le uova sopra le foglie sommerse di qualche pianta palustre. Coi piedi di dietro, 342 BETTA nel momento che si sgrava, ripiega e stringe la foglia in guisa da formarne un seno che riceve le uova, le quali non possono poi disperdersi poichè la sostanza viscosa nella quale sono avvolte, conglutina anche e tien ferma la pie- ga della foglia stessa. Nelle tavole che accompagnano gli Amori delle Salamandre può vedersi figurata una femmina intenta a tale singolarissima operazione. Le uova sono de- poste senza regola ad una ad una, a due, a tre, od al più a quattro a quattro. Dopo circa due settimane sbuciano le larve, poco sviluppate, e prive di gambe, le quali però si presentano ben presto spuntando prima le anteriori, poscia le posteriori; le branchie spariscono piuttosto tardi, e qual- che voita succede che l’ inverno colga questi Tritoni prima ancora che ne abbiano perduta ogni traccia. I Tritoni rimanendo fuori dell’acqua perdono la viva- cità dei colori, che smarriscono poi sempre dopo la loro morte, e specialmente nell’ alcool. É così anche questa una delle difficoltà che si incontrano nel classificare le specie del genere quando non si possano esaminare allo stato di vita. NOTA. (*) Facendo figurare nella Sinonimia della specie il Triton carnifex di Laurenti mi sono piegato al giudizio di Bona- parte e di Duméril, che lo ritennero per un giovane Triton cristatus o per la femmina di esso che da qualche tempo siasi trattenuta fuor d’acqua. Tale è però senza dubbio il carnifex di Bonaparte, a giudicarne anche soltanto dalla citata sua figura se egli stesso non lo avesse più tardi pre- cisamente dichiarato. (*) Vedasi anche il secondo capoverso della Nota a pag. 354. 4 ERPETOLOGIA 343 25 — II. TRITON PUNCTATUS Latreille. Ital. Tritone punteggiato. Ven. Sarmandola o salamandra dei fossi, sarmandoletta, sala- mandre. CARATTERI. Capo poco o nulla distinto dal corpo, col muso pressochè pirami- dante. Tronco quasi terete, ventricoso. Cute affalto liscia e priva di ver- ruche. Coda molto lunga in proporzione, compressa fin dalla base, acu- tissima, coi lati quasi piani. Lateralmente al dorso due carene. ottuse. Nel tempo delle nozze una cresta dorsale integerrima nei maschi, e le dita dei piedi posteriori lobali. Corpo cinereo-verdastro o giallastro ed anche bruno, sparso di molte macchiette nere, rotonde e distinte. Cinque lineette nere che dalla som- mità del muso si disegnano sulla testa, colle due esterne che passano sopra gli occhi e si dilungano sui lati del collo. Tutto il di sotto di color giallo o rancio, con macchiette tonde nere. SINONIMIA. Triton Parisinus Laur. Syn. Rept. p. 40. sp. 4b. Lacerta triton Retz Fauna Suec. p. 288. sp. 11. Salamandra taeniata Schneid. Hist. Amph. I. p. 38. Lacerta taeniata Sturm Fauna III. 3. cum tab. 3. (tab. a. mas. nupt. temp.) Salamandra abdominalis Daud. Hist. Rept. VIII. p. 250. Salamandra elegans Daud. Hist. Rept. VIII. p. 255. Salamandra punctata Daud. ib. p. 257. 344 ‘BE PRA Molge punctata Merr. Syst. Amph. p. 186. sp. 4. Salamandra exigua Rusconi Amours des Salam. p. 28. t. I. f. 1, B. Molge taeniata Gravenh. Delic. Mus. Vratisl. p. 76. t. 41. f. 1.2. (f. A. mas. nupt. temp.) Triton punctatus Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 66. (fide Bonap.) | — — Bonap. Fauna ital. cum tab. (fig. 4.) e - Dum. Bibr. Erpétol. IX. p. AHA. Triton exiguus Bonap. Fauna tab. fig. dB. (juven.) Triton lobatus Bonap. Fauna ital. tab. fig. 7. Triton pulmatus Betta Cat. syst. Rept. p. 28. _ — Massal. Saggio p. B3. La Salamandre pointillee Latr. Hist. Rept. IT. p. 247. t, B3. f. 3. (mas. nupt. temp.) FORME. Capo poco o nulla distinto dal tronco, più lungo che largo, col muso pressochè piramidante. Occhi grandetti, col- l’iride dorata; bocca fessa più in là del margine posteriore dell’ occhio. Tronco quasi terete, ventricoso. Gambe sottili con dita leggermente depresse, molto divergenti e libere; nel solo maschio al tempo degli amori quelle dei piedi posteriori sono lobate, ed alquanto connesse alla base, ri- cordando allora le dita di alcuni uccelli del genere 2o- diceps (*). Le membrane che formano i lobi si obliterano poi a poco a poco, e finalmente svaniscono del tutto. Il maschio porta in quell’ epoca anche una cresta integerii- ma, che elevandosi sul taglio superiore della coda risale lungo il dorso e giunge fino alla regione occipitale, dimi- nuendo gradatamente d’ altezza. Dorso spianato nel mezzo (*) Podiceps cristatus, auritus e minor, frequenti anche sul Benaco, e conosciuti dai nostri cacciatori sotto i nomi volgari di valangoto, c r- nisun, cisan, strapozzo, strapozeto, brusa-polver, brusa-balini ecc/ ERPETOLOGIA 345 da due oscure carene, una per lato. Coda notabile per lunghezza, eccedente in proporzione quella degli altri Tri- toni, compressa fin dalla base, acutissima, coi lati quasi | piani, talchè i due tagli, che sono pressochè rettilinei, ap- pariscono orlati da una sottile ala membranacea; la sua punta prende talvolta un tale acume da apparire termi- nata da una appendice filiforme lunga da 3 a 4 ed anche 5 millimetri. Orifizio della cloaca molto turgido. La cute è affatto liscia e priva di verruche. COLORITO. Tutto il di sopra è di un color cinereo-verdastro o gial- lastro, ed anche bruno, sparso di molte macchiette nere, arrotondate, isolate. Cinque linee nere, più o meno distinte, partono dall’ apice del muso e segnano la parte superiore del capo; le due esterne attraversano gli occhi e si pro- lungano sui lati del collo; quella di mezzo ha origine un poco più addentro del muso, e qualche volta manca quasi totalmente. La gola è bigio-chiara con punti neri irregolari; il petto ed il ventre sono di un color giallo più o meno carico ed anche aranciato, con macchiette tonde o punti neri, che qualche volta tendono a disporsi rego- larmente in quattro file. La coda è del colore del corpo, col taglio inferiore rossastro, lungo il quale scorre dai due lati una linea più pallida segnata da una serie di mac- chiette nere. La cresta dei maschi è screziata di nero come il corpo. Le zampe sono al di sopra di color simile al dorso, gialle al di sotto, ed in pari modo punteggiate di nero. 346 BETTA DIMENSIONI. Questo grazioso Tritone è il più piccolo delle nostre specie non toccando che la lunghezza di 74 millimetri, dei quali la coda ne occupa la metà, ed 44 il capo. ABITAZIONE E COSTUMI, Fino ad ora non ebbi a trovarlo che nella Provincia di Padova presso Gorgo, e nella provincia Veronese, in cui specialmente mostrasi abbondantissimo nelle valli, nelle acque stagnanti e poco profonde; e presso Verona e Mon- torio anche in limpidi ruscelli. Nel Padovano, secondo il Cav. Trevisan, vive anche sui Colli euganei; e giusta il Prof. Pirona è comune nelle paludi del Friuli. Nella Guida di Venezia pubblicata per l’ occasione del IX Congresso, lo trovo altresì indicato come proprio di quella provincia, e non è a dubitarsi che esista anche nelle altre del Veneto. Copiosissimo lo osservai benanco in varie località della Lom- bardia, siccome presso Milano, presso Pavia, presso Como, ed al confine del Comasco colla Svizzera. Nel Tirolo al- l’incontro non ebbi mai a vederlo; ma ritengo che viva anche colà, almeno nelle parti più vicine al Veneto, e che sia quindi fin quì sfuggito soltanto alle mie ricerche. Convive per lo più col Triton cristatus; nutresi, propa- gasi, e si sviluppa come gli altri Tritoni. OSSERVAZIONE. Oltre alle dimensioni molto minori, sarà sempre facile riconoscere e distinguere questa specie per la sua pelle affatto liscia, per le due ottuse carene del dorso, per la a ERPETOLOGIA 347 lunghezza della sua coda, e per le cinque linee nere del capo. Il maschio mostrasi più che mai elegante in colori ed ornamenti cutanei all’ epoca delle nozze, ed è precisa- mente offerto in tale stato nelle citate tavole dello Sturm, di Gravenhorst, ed in quella poi del Principe Bonaparte sotto il nome di Triton lobatus. Nel mio Catalogus Reptilium Europae figura sotto l’ erro- nea denominazione di Triton palmatus; ed il Prof. Massalongo ripetè lo stesso errore indicando quella specie come propria del Veronese, non corrispondendo poi agli esemplari no- strali la da lui citata fig. 6 della tavola di Bonaparte. Benchè giudicando dalle fisure dateci dallo stesso Principe di Canino sia facile lo scambio fra le due specie, od almeno mon possano desse ritenersi per abbastanza distinte, è però certo che il T;iton palmatus, almeno quale ci viene figurato nella Tavola della Fauna Italica (fig. 6.), non sì scontra fra noi, siccome sarà più probabilmente estraneo anche all’ Italia. Gli autori che usarono tal nome per indicare il nostro punctatus, furono tratti in inganno dal carattere dei piedi lobati che gli è proprio nell’ epoca soltanto delle nozze e per qualche tempo successivo, ma che non corri- sponde al vero carattere del palmatus, nel quale le dita dei piedi posteriori sono nella stessa epoca riunite interamente da una membrana, come sarebbe quella dei piedi delle anitre. Il Tritone di cui parlasi offre al pari d’ogni altro, e più ancora, così svariati aspetti di colorazione e di forme secondo l’età, il sesso, e sopratutto secondo l’ epoca della feconda- zione, che a sole sue spese furono create le varie altre specie indicate nella Sinonimia. Fra esse va poi indubbiamente ri- portata anche la Salamandra exigua del Rusconi, ritenuta invece da Duméril e Bibron per sinonima del loro Triton palmatus Schneider (Erpét. IX. pag. 148. n. 8.); Tritone sulla 348 BETTA cui bontà specifica ci permettiamo dubitarne assai, e per- chè mantenuto da essi in una confusione di Sinonimia non facile a dicifrarsi, e perchè pochissimo persuasi della co- stanza e del valore del carattere della palmatura alle dita dei piedi posteriori, dipendente forse e modificabile a se- conda delle varie circostanze di località ed abitazione della specie. Nella Francia giusta Duméril, e presso Vienna se- condo varj autori, troverebbesi abbondantissimo il pic- colo Tritone palmato, che vorrebbesi distinto dal nostro punctatus 0 lobatus. Ma dall’ Austria e dalla Francia sotto il nome di 7riton palmatus, e dalla Francia anche sotto l’altro nome di 7riton abdominalis Daud., io ho però rice- vuto alcuni Tritoni che senza alcuna esitanza vanno ri- portati al nostro pwnctatus, ed i quali devo ritenere soltanto raccolti fuor dell’ epoca delle nozze perchè colle dita dei | piedi posteriori affatto libere, e precisamente colle forme e coi colori della Salamandra exigua fig. II. del Rusconi. Le variazioni di forme del 7. punctatus unitamente alle altrove avvertite sensibili modificazioni ed alterazioni di colorito prodotte dall’alcool, ci fanno ripetere l’ osservazione delle difficoltà di ben distinguere e separare tutte le specie di questo genere, quando non vengano studiate allo stato di vita. E queste sono senz’ altro le ragioni che impedirono ai chiarissimi Autori della Erpétologie générale di presentare pei Tritoni una più esatta e distesa descrizione, e di assegnare ad essi quei limiti e quei precisi caratteri specifici che si dovevano attendere da quei valenti Erpetologhi, e che con tanta diligenza ed esattezza esposero per gli altri rettili. Intanto dai caratteri quì offerti, facilissima riescirà per noi la distinzione delle tre specie nostrali, le descrizioni delle quali sono stabilite per cadauna sullo studio e sul confronto di più centinaja di esemplari esaminati vivi. ERPETOLOGIA 349 26 -— HI TRITON ALPESTRIS Laurenti. Ital. Tritone alpestre. Ven. Sarmandola d’ acq::" o merasangola. Tirol. Sarmandola d’ acqua, sarmandola de monte. CARATTERI, Capo poco distinto dal corpo, col muso pressochè piramidante. Tronco leggermente telragono, ingrossato e più arrotondato nel mezzo. Cute semi- nata superiormente di piccole verruche, liscia affatto al di sotto. Coda quasi terete alla base, ma subito dopo compressa. Nel maschio un cordon- cino 0 piccolo rialzo che percorre lungo il dorso nell’ epoca delle nozze; 1) dorso della femmina dolcemente incavato lungo il mezzo. Corpo di color piombino più o meno cupo, brunastro od anche ne- rastro, con tinta uniforme o sereziato di scuro. Molti punti neri alterna- mente schierati sopra una striscia bianchiccia segnano i confini dei fianchi coll’ addome. Tutto il di sotto di color arancio infuocato, affatto privo di macchie. SINONIMIA. Salamandra Wurffb. Salamandrologia p. 64. t. 2. f. lt. Triton Wurffbeinii Laur. Syn. Rept. p. 38. — — Schinz Fauna Helvet. p. 146. sp. 3. — Charpentier (in litt. et specîm. Helvel.) Triton alpestris Laur. Syn. Rept. p. 38. sp. 40. t. 2. f. 4. _ —_ Sturm Deutsch]. Fauna IIT. 8. cum 4 tab. - — Tschudi Classif. Batrach, p. 9B. 350 BETTA Triton alpestris Bonap. Fauna ital. cum tab. (fig. 2.) = —_ Betta Rett. Tirol. p. 159. — —_ Betta Cat. syst. Rept. p. 28. — — Massal. Saggio p. 32. Ta — Dum. Bibr. Erpétol. IX. p. 446. Salamandra alpestris Schneid. Hist. Amph. IL p. 71. Salamandra rubriventris Daud. Hist. Rept. VIII. p. 239. Salamandra Wurffbeinii Latr. Hist. Rept. IT. p. 245. Molge Wurffbeini Merr. Syst. Amph. p. 186. sp. 6. Molge alpestris Merr. ib. p. 187. sp. 7. Triton Apuanus Bonap. Fauna Ital. cum tab. (fig. 3.) FORME. Capo poco depresso e poco distinto dal tronco, più lungo che largo, pressochè piramidante verso il muso. Occhi gran- di, rotondati, obliqui, coll’ iride dorata; bocca fessa fino oltre il margine posteriore dell'occhio. Tronco svelto, leg- sgermente tetragono, ingrossato nel mezzo, e quivî anche più arrotondato. Gambe anteriori gracili e lunghe; le posteriori più pingui ed anche un poco più brevi; tutte le dita in- tieramente libere e leggermente depresse. Coda quasi terete alla base, ma subito dopo assai compressa, e foggiata a doppio taglio come negli altri nostri Tritoni. Nel maschio il dorso è percorso nel mezzo da un piccolo rialzo o cor- doncino; nella femmina è all’ incontro dolcemente incavato dalla nuca fino all’ origine della coda. Orifizio della cloaca molto turgido. La cute del dorso e dei fianchi è più o meno fittamente seminata di piccolissime verruche; queste mancano però anche totalmente in alcuni esemplari che riescono per tal modo levigati al di sopra, come è sempre il di sotto di tutti gli individui. I ERPETOLOGIA 351 COLORITO. Quasi sempre il colore è superiormente di un piombino piu o meno cupo, uniforme 0 screziato di scuro; inferior- mente è tutto di un arancio fuocato privo affatto di mac- chie, ma separato dal colore del dorso per mezzo di punti neri alternamente schierati sopra una striscia bianchiccia che determina i confini dell’ addome. Le palpebre, i mar- gini delle mascelle, i lati del collo sono seminati di ele- gantissime macchie simili a quelle dei fianchi. Im alcuni individui (le femmine?) anche la gola è scarsamente pun- teggiata di nero. La coda è del colore del corpo, con molte macchie arrotondate nerastre, e col margine inferiore del colore del ventre, ma ordinariamente più giallastro ed annebbiato di fosco. Le gambe e le dita sono pure mac- chiate di nero. Nel maschio il cordoncino che si eleva Iungo il dorso è del colore del corpo, qualche volta con piccole interruzioni di color biancastro, ma il più spesso macchiato alternativamente di bianco e di nero, ciò che rende elegantissimo questo distintivo di sesso, sopratutto poi quando il bianco vi è molto spiccato. Qualche volta questo cordoncino si eleva di più, e si spiega quasi in un lembo membranaceo continuo, ‘non però più alto di un millimetro e mezzo, e non mai addentellato come nel Triton cristatus. Questo lembo non lo osservai fino ad ora che in alcuni degli esemplari raccolti nel Luglio 41854 sopra un alto monte del Tirolo italiano, nella Valle d’ Annone. Le mutazioni di colorito alle quali è soggetto questo ‘Tritone nelle varie età o stagioni, hanno contribuito alla creazione di altre specie che sono ora riconosciute . per semplici ed accidentali varietà. Benchè il Principe di Ca- 352 BETTA nino indichi nella sua Fauna quale colorito del Triton al pestris il piombino più o meno cupo ma sempre uniforme, ed i signori Duméril e Bibron non accennino nella loro £Er- pétologie le macchie più oscure delle quali è più frequen- temente screziato il suo dorso (almeno nelle nostre Pro- vincie), pure sono indubbiamente da riportarsi alla specie anche tutti gli esemplari così screziati, e dei quali preci- samente si trovano figurati due individui nella Fauna dello Sturm. Del resto il colore costantemente arancio acceso del ventre e privo affatto di macchie, ‘non lascia possibile la confusione di questo Tritone con alcun’ altra delle specie fra noi viventi. Ecco intanto le principali varietà da distinguersi fra le molte centinaja di esemplari eh’ io raccolsi : A. Corpo di color piombino con screziature brunastre -@ nerastre, e colle serie dei punti neri sulla fascia bianca dei fianchi. B. Corpo di color piombino tendente al fulvo, con screzia- ture brune, e con una sottile fascia nerastra subconti- nua ai fianchi, nella quale scorgonsi solo rarissimi e quasi invisibili punti bianchi. €. Corpo di color piombino od olivastro quasi uniforme, colle fascie bianche spiegatissime ai fianchi e fittamente punteggiate di nero. D. Corpo di color cinereo screziato di bruno, con una sola se- rie di punti neri ai fianchi schierati sopra una fascia bian- castra, confusa superiormente col colore del dorso, più distinta e spiccata inferiormente dal colore deil’ addome. E. Corpo quasi uniformemente nerastro, senza fascie bian- castre, e solo con una o due serie di punti neri ai fian- chi confusi col fondo del dorso. ERPETOLOGIA 353 F. Corpo di color brunastro con screziature nere, privo delle fascie bianche ai fianchi, percorsi invece dalla serie dei punti neri assai distinti. Negli individui che ap- partengono a questa varietà mancano anche le macchie ‘alle mascelle ed ai lati del collo. DIMENSIONI. Questo Tritone non oltrepassa fra noi la lunghezza di centimetri 10%, dei “quali ne oceupa quasi 5 la coda, e 44 a 45 millimetri il capo. ABITAZIONE E COSTUMI. Abbonda generalmente nelle località elevate, e trovasi sui monti anche i più alti purchè sianvi fosse d’acqua e stagni. Nel Veneto io non posso però fino ad ora indicarlo rinvenuto che nella provincia Veronese, abbondando in modo speciale nel /ago dei Cracchi sotto Bolca, e sul mon- te Baldo. Nel Tirolo è comunissimo sopra Riva, nella Valsugana, nella valle di Sole, e nella valle di Annone ove lo raccolsi presso Fondo ed in un laghetto sut monte di Malosco detto la Regola, all’ altezza di circa 2300 piedi di Vienna sul livello del mare. Trovasi sempre in gran copia, ed in pochi minuti se ne possono raceogliere moltissimi esem- plari. È un’animaletto assai lesto e vivace: nutresi di ver- metti, di insetti, di larve, e di piccoli molluschi fra i quali del Limneus pereger Mill. che s' innalza alle maggiori eleva- zioni. Pel suo modo di vivere non differisce dal Triton cristatus, con cui ha comune il modo di aceoppiamento, di 23 354 BETTA generazione e di sviluppo. I girini perdono assai tardi le branchie, trovandosene alcuni provveduti di esse benchè tocchino quasi le dimensioni degli adulti. NOTA. Gli individui a pelle liscia, e privi perciò affatto di ver- ruche, apparterebbero al Triton Apuanus descritto e figu- rato da Bonaparte, che trovai non raro nel Veronese, e presso Fondo e Malosco nel Tirolo. I giovani Tritoni alpestri pel colore nerastro della parte superiore del corpo e di tutta la coda, marmorate in bru- nastro e biancastro, e per la mancanza della fascia bianca e dei punti neri ai fianchi, somigliano assai al Triton Nyc- themerus di Michahelles figurato nelle Tavole della Fauna Italica ( Fig. 5.). Tale Tritone, sospettato con ogni ragione non buona specie, sarebbe però creduto piuttosto dal Prin- cipe Bonaparte per un giovane del Triton marmoratus estra- | neo senza dubbio all’Italia. Ma volendosi ritenere per patria del Nycthemerus quella indicataci dallo stesso suo autore, cioè i monti dell’ Italia meridionale, non sarebbe per ciò piuttosto a giudicarsi per un giovane dell’ attuale nostro Tritone, ovvero dell’ altro nostro cristatus? Parrebbe che Dumeéril e Bibron non dissentissero dalla seconda opinione coll’ avere indicato il Nycthemerus siccome specie riportata ad un 7riton carnifex, ciò che vorrebbe dire secondo noi ad un giovane Triton cristatus. can —r—@—@<‘n——@——@“«--<@’@#<="‘‘@oocrr->@@@@@@n@.eeo—@—@———tt#—+@PÈTm@a ee ce —2__-nncmocctoc-====">©""<<“’#c-—o9g9{9g{16‘[({9@yq@[6q696qgf'g1g9[1g[pIPt('U[-Ùpupu©uuii de Retta — Erpetologia, pag. 359. ie non indigena, e solo importata da altre localita. la descrizione delle tre specie del gen. Lacerta Cuv. vennero acc Zootoca e Podarcis Wagl., dei quali veggansi i rispettivi caratter Erpetologia, pag. 355. ORDINI Gorpo coperto sopra e sotto di un'armatura oss OrdpiSaCHELONI"t: eee { Gorpo piatto, senza coda allo sta- to perfetto. (Anuri ) Corpo coperto di pelle nuda, molle senza scaglie. Le dita non moi Î armate di unghie Ord. IV. BATRACI con quattro | | gambe | Î | \ \ Corpo lungo, quasi terete, munito nt di coda, È | ( Urodeli ) \ REESE in E fe a. Corpo coperto di pelle scaglio- sa, col ventre rivestito di sq ai me quadrilatere, più larghe che Lil lunghe. Dita con unghie ricurve cd ente Ord. IL. SAURII . (cs ‘. Corpo cilindrico, serpentiforme, tutto coperto sopra e sotto di È squame lucide, eguali, ed em- ‘ ricate senza | A gambe ( Senza denti del veleno. (Capo coperto da 9 scudetti rego- lari e simmetrici. Una sola pia- strina oculare anteriore, e due o tre posteriori. Pupilla rotonda. Squame del dorso liscie o care- nate, Coda lunga.) Corpo cilindrico, molto allungato, coperto pel di sopra di squame, coll’ addome vestito di piastre quadrilatere e la parte inferiore della coda di scudetti disposti a paja. Mascelle assai dilatabili. e cute assai estensibile . Ord. II. OFIDII . B. Con denti del veleno, (Capo non coperto dai 9 scudetti regolari e simmetrici. Occhio E cinto inferiormente ed ni lati da doppia serie di piccoli-scu- detti. Popillavallungata vertical mente. Squame del dorso care- nate. Coda brevissima. (*) Specie non indigena, e solo importata da altre località (**) Nella descrizione delle tre specie del gen. Lacerta Cus. vennero A Zooloca e Podarcis ]Wagl,, acceltali i sollogeneri Lacerfa Daud., del quali veggansi | rispellivi caratteri n pag. 419 TAVOLA SINOTTICA dei Rettili delle Provincie Venete e del Tirolo meridionale. —DELeTAMIIVITAG lavate, cen dita mal distinte all'esterno, fornite Armatura ovale, molto convessa, zampe \ di unghie, Coda brevissima e conica. | Armatura ovale, più o meno depres alla base da membrana rilass . Zampe e dita distinte, unguicolate, e collegate Coda lunga, conica, assottigliata Armatura compressa, assai largo, cordiforme. Zampe depresse, pioniformi; le anteriori molto più lunghe. Due sole aghic per gamba. Coda brevissima, conica Pelle superiormente liscia, granellosa al di sotto, Dita terminote da un disco piano, diln- tato e depresso. Pelle lisci e senza tubercoli, od al più appariscenti sui lati del collo, sulla schiena, e sui fianchi. | Pelle seminata di verruche e di scabrosità. Senza parotidi ni lati del capo Pelle seminata di verruche e papille; al di dietro degli occhi una grossa glondula costi- tuente tumidissime parotidi, Capo crasso; una grossa parotide a ciascun lato di esso. Coste pronunziate. Coda lunga, arrotondata, conica. Capo medioere, distinto dal tronco; parotidi (1) ni lati di csso. Coste molto pronunziate Coda fortemente compressa \ Capo mediocre, senza parotidi. Coda depressa, a natatoje verticali cutance Un collare squamoso sotto il loro margine interno. Palato con 0 senza denti | collo. Le coscic con una fila di pori (pori femorali). lungo Coda conica, coperta di scaglie distribuite ad annelli regolari Denti alle mascelle, non mai al palato. Coda cilindrica, assott ata ed ottusa all’ apice, lunga quanto il corpo cd anche più {apo breve; più 0 meno distinto dal tronco. Corpo un poco ingrossato nel mezro, Coda non molto lunga. Squame del dorso liscie Capo un poco più distinto dal tronco. Coda lunga. Squame del dorso liscie . Capo ristretto al muso ed allargato alla base. Coda non molto lunga. Squame del dorso carenate. Tre piastrine oculari posteriori, con uno centrale più grande. Spigolo rostrale poco risentito e non prominente all'apice Capo più-depresso, molto allargato posteriormente, coperto intiermmente da piccole squame e risentito e prominente all'apice del muso. Capo ovale, molto distinto dal corpo, coperto superiormente di piccoli scudetti irregolari, irregolari, Spigolo rostr SZSI Ì | GENERI TESTUDO brongn EMYS \agler CHELONIA brongn HYLA Luur RANA Linn. (emend.) BOMBINATOR Wagl BUFO Laur SALAMANDRA Laur PETRAPO) MA Massal TRITON Laur ACERTA Cuvier (**) ANGUIS Linn ( cmiend.) CORONELLA schleg COLUBER Linn. (emend.) TROPIDONOTUS kuhi PELIAS vVerrem VIPERA Laurenti ——_— ——_——_& Afmatura gialla macchinta più o meno di nero. Animale di color giallo pallido tendente al verdastro Armatura nerastra superiormente con gran numero di punti e piccole striscie gialle. Animale nerastro pun- teggiato di giallo . . . Uso LITI E Animale ed armatura di color bruno marrone superiormente, di color biondo gialletto pel di sotto Corpo ‘d'un bel color verde uniforme, contornato du linea gialla sottile c Mlessuosa Gapo tanto largo che lungo. Dorso di color verde d' erba con macchie nerastre, quasi sempre con una o tre fascie longitudinali gialle tro uniforme o con macchie nere. Una ‘gran macchia he luogo. Dorso ro i dello testa Copo più la parti later: Gorpo di color olivastro terreo, uniforme, o con macchiette nerastre. Tutto il di sotto rancio fuocato, chioto di azzurro tendente al nerastro . . . . nerastro alle mac- Corpo di color terreo con macchie fosche o nerastre. Una striscia brunastra lungo il margine esterno delle parotidi . Corpo nero d' inchiostro con macchie gialle, grandi cd irregolari po di color nero uniforme, senza macchie torpo biancastro con molte macchie di color verde di smeraldo, e con molte pustolette di un rosso vive Cute coperta di piccole verruche molli. Corpo bruno verdastro con macchie nere. Tutto il fi sotto rancio vivo con macchie nere. Gute affatto liscia e priva di verruche, nere sul muso. Tutto il di sotto di color rancio con macchiette nere Cute seminata superiormente di verruche; L fianchi punteggiata di nero. Tutto il di sotto rancio fuocato, affatto privo di macchie Corpo cilindrico. Collare dentellato. Dorso verde uniforme, 0 punteggi dinali bianche orlate di nero Corpo stretto e cilindrico. Collare dentellato. Dorso bruno o grigiastro con una linca mediana longitudinale nera, e due altre ai fianchi orlate di bianco . Corpo quasi quadrilatero, Collare non dentellato. Colori del corpo variabilissimi Olii SOLO tt Codn lunga appena un sesto di tutto il corpo. Dor: dome giallastro tendente al cinereo, sereziato di punti rossastri, brunastri o color d' acciajo Goda lunga ciren unn quarta parte di tutto il corpo. Dorso di color bigio od olivneco rossastro con macchie seure. Fianchi ornati di punti corallini. Addome giallo canarino con due fascie nere longitudinali paralelle. Dorso di color olivace: Dorso di color verde cupo o verdastro nereggiante, sparso di macchiette gialle. Piastre del capo macchiate sterni delle pia- li nerastro sni margini dello stesso colore. Tutto il di sotto di color giallo sereziato stre addominali - oliva - a. Il di sopra del corpo di color inchiostro uniforme Dorso ciuerco-olivastro, macchiato di nero. Due macchie gialle molto distinte all'occipite, con altre due macchie nere trasversali subito seguenti. Addome giallastro tessellato di nero... /./.. Dorso verde olivacco o cin olivacco macchiato di sc giallastro) fessellatoTdi} mero Peire e STIA ERE TEST IT Colore del dorso vario, con una fascia longitudinale mediana bruna o nera, flessuosa e continua . Colore vario, con quattro serie, di maschio nerastre sul dorso opposte ed alternantisi, o qua e là confluenti. V. asp! Una verruea conica, mobile, molto prominente all'apice del muso. Dorso cinereo con una fascia longitudi- nnle nerastra, flessuosa, continua . ITER ate îorpo cinerco-verdastro o bruno con macchie nere, Cinque lineette a pel di sotto. Corpo di color vario. Una fiscia bianca ai to di nero, o con due linee longitu 0 con lucentezza metallica. Per lo più di un color uniforme di bronzo pattinato al di sopra, piombino cenericcio, tinto di mattone con macchie oscure; ad- o di Capo dello stesso colore con due strisciette nere per parte che hanno origine ai mar- gini inferiore e posteriore dell'occhio. Tutto il di sotto del tronco d'un bel giallo uniforme ed eguale. v coî finachi a macchie di color sanguigno o più raramente di giallo pagliarino. Due linee nere foggiate a V rovesciato sull’ occipite. Addome rossastro 0 SPECIE W. graeca Linn. (*) (pag. 93.) E. Iutaria Merrem (pag. 404.) ©, caretta Gray (pag. 109.) M. viridis Laur. (pag. 279.) R. esculenta Linn ( pag. 285.) n. temporaria Linn. (pag. 292.) igneus Merr (pag. 297.) B. vulgaris Laur. (pag. 303.) B. viridiîs Lavr. (pag. 313.) S. maculosa Lavr ( pag. 348.) P. nigra Massal. ( pag. 330.) T. cristatus Laur. ( pag. 336.) punctatus Lalr ( pag. 343.) alpestris Laur. (pag. 349.) L. viridis Daud. (pag. 129.) Z. vivipara Wagl. (pag. 439.) P. muralis Wagl. (pag. 147.) A. fragliis Linn. (pag. 460.) ©. austriaca Laur. (pag. 483.) ©. Riceloli Metaxa (pag. 494.) €. flavescens Gmel (pag. 497.) ©. viridifavus Lacén, (pag. 203; ) var. carbona, T. natelx Wagler (pag. 244.) pì P. berus Merrem (pag. 229.) is Merrem TT pag. 298.) Y. ammodytes Lair. (pag. 253.) ( pag. 238. ) 7, ammmodytes La!r. ( pag. 253.) INDICE DELLE MATERIE Prefazione Autori citati nella Sinonimia Generalità sui Rettili Del veleno della Vipera . Della propagazione . Della riproduzione delle parti . Delle favole e pregiudizj nella storia dei Rettili. Prospetto dei rettili delle Provincie Venete e del Tirolo meridionale, coll’ indicazione di quelli della Lombardia Ord. 1. CHELONII Ord. II. SAURI Ord. IIl OFIDII Ord. IV. BATRACI Tavola Sinottica dei rettili del Vencto e del Ti- rolo meridionale ing N egg — 3JId 396 . UNDIGI ALRABBEIAI, Ae GENERI E SPECIE. Anguiîs Zinn. (emend.) pag. 122 fragilis Linn. . . » Bombinator /agl. » igneus Merr. . . » Bufo Laur. . . . » viridis Laur. . . » vulgaris Zaur. . . » Chelonia Brongn. . » caretta Gray . . » Coluber Linn (emend.) » flavescens Gmel. . » viridiflavus Zacep. » Coronella Schlegel » austriaca Zaur. . » Riccioli Metava . » Emys Zagler. . . » lutaria Merr. . . » Hyla Laur. . . . » viridis Laur. . . » Lacerta Daud. . . » viridis Daud. . . » Pelias Merrem . . » berus Merr. . . » 160 266 297 266 313 303 84 109 1753 197 203 172 185 191 85 101 265 279 119 129 175 229 Petraponia Massal. pag. 268 nigra Massal. . . » Podarcis ZVagler . » muralis /agl. . . » Rana Linn. (emend.) » esculenta Linn. . » temporaria Linn. . » Salamandra Laur. » maculosa Zaur. . » Testudo Brongn. . » graeca Zînn. . . » Triton Laur. . . . » alpestris Laur.. . » cristatus Zaur.. . » punctatus Zatr. . » Tropidonotus Kuhl » natrix /Wagl. . . » tessellatus De Filippi »: Vipera Laur.. . . » ammodytes Zatr. . » aspis Merr. . . . » Zootoca Wagler . » vivipara //agl.. . » 330 119 147 265 285 292 267 348 85 95 268 349 336 343 174 211 219 176 253 258 119 139 EB. SINONIMNIE. Anguis bicolor Risso pag. 162 Ei] re cà cinereus Risso . clivica Laur. . » erye Linn. . . » incerta Kryn. . » lineata Laur. . » Bombina ignea Sturm » Bombinator bombina W. » — pachypus Fitz.» Bufo alpinus Schinz . » ei bombina Schinz. » bombinus Latr.. » calamita Laur. . » cinereus Schneid. » communis Catullo » cruciatus Schneid. » ferruginosus Risso » igneus Laur. . » ignicolor Lacép. » minutus Bonelli » palmarum Guvier » Roeselii Latr. . » rubeta Schneid. » sitibundus Schneid. » spinosus Daud. . » tuberculosus Risso » variabilis Merr. » ventricosus Latr. » Caecilia tiphlus Ray . » Calamita arborea Risso » arboreus Schneid. » 162 164 164 162 161 298 298 298 308 298 298 317 304 305 317 305 297 298 304 305 304 304 DAY 504 3505 SAY 304 162 280 280 357 Caretta Caouana Fitz. pag. 140 — cephaloMerr. » Chelonia Caovana Schw. » Chersine graeca Merr. » Cistudo Europaea Gray. » Cobra ammodytes Fitz. » Coluber Aesculapii Shaw.» — ammodytes Linn. » — aspîs Linn. . . » — atrovîrens Shaw » — austriacus Gmel. » — berus Lion. . . » — bderus Razoum. . » — bipes Scopoli . » — carbonarius Sch. » — chersea Cuv. . » — chersea Razoum. » — communis Donnd,. » — ferruginosusRetz » — Gabinus Metaxa —» — helveticus Lacép. » — laevis Lacép. . » — meridionalis Daud.» — murorum Vest. » — natrix Lion. . » — mnatrix Shaw . » — natrix var.p.Gmel.» — pannonicus Nau » — prester Linn. . » — Redi Gmel. . . » — Riccioli Metaxa , » 410 41410 ou 102 Qb4 198 253 238 204 185 2929 2358 212 204 230 259 204 184 220 212 184 191 212 214 184 198 198 229 258 191 358 Coluber rubens Gachet pag. 191 Lacerla maculata Daud. pag. 148: — Scopolii Merr. . » 498 — montana Mikan » 139 — Scopolianus Daud.» 242 — muralis Latr. . » 147 — SSellmanni Nau » 1498 — palustris Linn. » 336 — sticulus Cuvier. » 242 — porosa Retz . » 5337 — tessellatus Gmel. » 219 — ,praticola Eversm.» 440 — torquatus Lacép. » 212 — pyrrhogasterMerr.» 1450 — tyrolensis Scop. » 212 — salamandraLirn » 318 — vipera Lacép. . » 238 — saxricola Kryn. » 448 — tipera anglorum — Schreibersiana D. » 440 Laur, . .. » 230 — sericea Merr. . » 148 — viperinus Bendisc. » 220 — strigata Eichw. » 430 — viperinus Metaxa » 242 — sylvicola Eversm. » 430 — vulgaris Razoum. » 212 — tiliguerta Latr. >» 4147 Coronella laevis Lacép. » 184 — tiliguerta caliscer- — tessellata Laur. » 2419 tula Cetti. .. » 447 Dendrohyas arborea Tsc. » 280 — taeniata Sturm » 5343 — sarda Bonelli . » 284 — dtriton Retz. . » 545 — viridis Fitz. . » 280 — vivipara Jacquin » 159 Echidna ammodytesMerr.» 234 Lacertus vulgaris Ray » 159 — aspis Risso. . » 2539 Molge alpestris Merr. » 550 -— aspîs var. a. Merr. » 239 — palustris Merr. » 337 Elaphis Aesculapii Dum. » 498 — punctata Merr. » 3544 Emys Europuea Schweigg.» 102 — taeniataGravenh.» 544 Hyla arborea Kryn. . » 280 — WurffbeiniiMerr.» 350 — sarda Bonelli . » 284 Natrix Gabina Bonap. » 220 Byas arborea Wagl. . » 280 — longissima Laur. » 198 Lacerta agilis Flem. . » 1539 — tessellata Bonap. » 220 — agîlis Risso . » 148 — torquata Fitz. » 242 — bilineata Daud. 430, 135 — viperina Betta. » 220 — Brongniartii D. » 148 — vulgaris Laur. » 242 — chloronotaRafin. 130,134 Pelias chersea Wagl. . » 2530 — crocea Wolf. . » 139 Podarcis Merremii Fitz. » 148 — ezxigua Eichw.. » 130 Rana alpina Risso . » 9286 | 359 Rana alpina aucetorum pag. 295 Salamandra terrestris — arborea Linn. . » 279 Wurfib. . . pag. 319 — bombina Linn. » 297 — Murffbeinii Latr. » 350 — bdufo Linn. . . » 303 Seps muralis Laur. . » 147 — Dbufo var. 8.Gmel. » 514 — sericeus Laur. . >» 447 -— foetidissimaHerm.» 347 — terrestris Laur. » 130 — dignea Shaw. . » 298 Terrapene Europaea Bell » 4102 “— marilima Risso » 286 Testudo Caouana Daud. » 140 -— mephitica Shaw » 317 — caretta Linn. . » 109 — muta Laur. . » 2953 — cephalo Schneid. » 109 — pluvialis Lacép. » 304 — EuropaeaSchucid.» 102 — portentosa Blum. » 317 — fava Daud. . » 102 — rubeta linn. . » 5303 — geometricaBrunn.» 94 — sttibunda Pallas » 314 — AHermanni Gmel. » 9 — sonans Lacép. . » 298 — lutaria Gesner » A01 — variabilis Pallas » 5414 — marina Aldrov. » 199 — variegata Linn. » 297 — meleagris Shaw » 402 — viridis Dum. Bibr.» 286 — orbicularis Linn. » 102 — vulgaris Bonnat. » 286 — puncltata Gottw. » 102 Rhinechis ammodytes F. » 254 — ferrestris Plin. » 95 Salamandra abdominalis T'halassochelis Caouana Daud. . . . » 343 Fitz: o. pe ui 10 — alpestris Schneid.» 350 Triton abdominalis D. >» 548 — candida Laur.. » 329 — Apuanus Bonap. » 350 — cristata Schneid. » 337 — carnîifex Laur. » 337 — elegans Daud. . » 345 — exiguus Bonap. » 344 — exigua Rusconi » 544 — lobatus Bonap. » 344 — maculata Merr. » 3419 — Nycthemerus Mi- — platycauda Rusc. » 337 chahelles . . » 354 — plaiyura Daub. » 53357 — palmatus Betta » 344 — pruinata Schneid.» 337 — Parisinus Laur. » 543 — punctata Daud. » 545 — Wurffbeinii Laur.» 3549 — rubriventrisDaud.» 350 Tropidonotus viperinus — tfaeniata Schneid. » 3453 Schl. (in parte). . » 220 » 360 Z'ipera berus Cuvier . pag. — berus Daud. . » — chersea Angelini » — chersea Latr. . » — Fr. Redi Laur. » — Illyrica Laur.. » — limnaeaBendise. » — Mosis CharasLaur.» — occellata Latr. » — prester Metaxa » 239 250 230 2539 258 253 230 238 239 239 Vipera prester Latr. . pag. 230 GE Redi Latr. . —., Redti Schinz — vulgaris Latr. . >» 9” 9 Zacholus austriacusWagl.» Zamenis AesculapiiWagl.» — viridiflavus Wagl.» Zootoca crocea Wiegm. » — pyrrhogastra Tsc. » ©. Nomi italiani delle specie. Angue fragile . . . » Aspide:. .. tall . | % Bastoniere (il) . . . » Bello lo & a» Biacco (il) . . .. » DOLA, cale Caouana . . ... » Carbonazzo . . . . » Colubro austriaco . . » — del Riccioli. . » — liscio. . . . » — sacttone . . . » — verde giallo . » Emide Europca . . . » Ghiacciolo . . . . » INS Lucerto ramarro . . » Lucerto viviparo . . » Lucertola . . . +. 139, Lucertola dei muri . » Lucertolone . . . . » 160 238 197 203 203 303 109 204 183 191 183 197 205 104 160 279 1929 159 147 147 129 Lucignola . Marasso . . . . Marasso palustre Milordo (il) . . Natrice = (90%; — biscia. . |, — Gabina — fessellata Petraponia nera Raganella arborea . Ramarro Rod... > Rana muta . . + Ranocchia rossa — verde. . . Ranocchiella comune . Rospo comune — smeraldino . — verde. . +. Salamandra aquatica — terrestre. . 239 239 230 184 198 204 140 140 160 229 229 203 21 21 219 219 330 279 129 292 299 2992 288 279 303 315 345 336 318 Serpente uccellatore . pag. 203 Tartaruga Caretta . Testuggine comune — greca. + Tritone alpestre — crestato . >» sti 109 95 93 349 DIG Tritone punteggiato Ululone Vipera acquajola — comune . — dal corno © ° » m. Nomi volgari Veneti e Tirolesi delle specie. Nuda ida 0 197, Amata ea. 197, Angiella . +. ” Angio . . +. » Anza . . 197, Aspese. . . . » Baràcule . . » Baràscule. . . RI, Bissa el clin e »” Bissa aquarola . vs.» Bissa de piova » Bissa fiamà +. . . . » Bissa ranèra , . ”» Bissa scudelara . . » Bissardola . . . . 0» Bisse 2A, Bisso , 183, 197, Bisso d’ aqua ; » Bisso de vero » Bisson . 197, Bissardola , » Bissorbola . » Bissordola ” Budolo » Carbon » 205 205 194 197 203 238 279 279 183 241 318 219 211 101 147 219 203 211 160 203 447 160 147 297 204 Carbonazz Carbonazzo Gharbonazz Copasse Copasse di aghe Crota . Groton Crotonzello Crott Cuco Galana . ® Gajandra . Iserdola Iserta Languro Lanza . Ligador Ligaòr . Ligordo Liguro . Lipara . Lipare . Lipra Liserte . Lisierte 204 204 204 101 1014 513 303 513 292 297 109 101 147 147 129 203 129 129 129 129 258 238 258 447 447 362 Luserdola . Luserpa Luserpa casalina Luserpon . Luserta Lusertola . Lusertola verde . Madrace Magna Copasse . Magna Copasse de mar » Magne . Marasandola . Marasangola de vall Marasseto . Marasso Marasso de palù Martin coz Mucc Muco Mucolo Nanajuela . Orbarola Orbarolo . Orbesin Orbisigola Orbisiola . Orbisola Osertola Osertolon . Pissacàn Pissargott . Racola Racoleta . Racùle . 197, 336, 147 147 136 129 4147 147 129 244 1014 109 205 390 3549 219 229 229 129 297 297 297 147 160 160 160 160 160 160 147 129 2992 292 279 279 279 Rana . 283, — de S. Duane . » — de S. Giovani » —. de S. Martin . » — de prà . . . » — de sutto. . . » Rana pissotta . . . » Rana rossa . . . . » Ranela" 0. #6, pi 0 0 Rosei si. ao Roscheto . -. . . i » Rosco 0. a na Rosp n. ott Rospa:: #0 ea Rospaza: |. o ana Rospo . . 297, 305, Rospo cucco . . . . » Salamandra -. :; 4 ® Salamandra de fosso 336, — de terra. . . » Salamandre . . . 348, Saltafossi . -. -. -< ss Saltaréla . . .. (io Saltàro | . .. +» “svi» Salva-òmeni . . . . » Sarmandola . . . 5318, Sarmandola d’aqua 336, Sarmandola de monte . » "Salvi. 4 40 A 30 "Save «Lu. + 505, Shorf -.-0; 0... le Sbors <.... . dia Scorzon: LL ue Sermandola d' aqua 3536, 292 279 279 279 292 2992 292 292 279 313 297 297 315 305 303 315 297 348 345 318 343 292 292 292 129 h165) SUI 349 315 313 129 129 203 349 Sermandole Sermandoleta Serp cenerin . . . Serp d’ aqua Sgurbisul . Tartaruga . Tartaruga de mar . . Uarbit.. . . . Uarbitul Veccia Fasolàra . Vercia . . Verdon Verm de vero . Verm ross Vipara Suoi Mia Vipara d' aqua . Vipara rossa . Vipare . Vipareta . Vipareta d’ aqua . Vipera. . . . 48 Vipera cenerina Vipera dal corno . Vipera de sutto . Vipera rossa . Vipereta Vipereta cenerina Zaba Zavaton 59 3, 229, Fig. 4. Fig. 2. Fig. 3. TAVOLA. — Cranio della Vipera aspis (grandezza naturale). (Questa figura può servire di illustrazione a quanto si espose a pag. 171 sulla facoltà degli Ofidii di dilatare enormemente la bocca). a. ligamento elastico che esiste tra le estremità delle branche della mascella inferiore e che permette quindi di scostarsi molto I’ una dall’ altra — è. osso timpanitico che sorregge la mascella inferiore, ed il quale non solo è mobile egli stesso, ma pende da un ossicino c. detto osso mastoideo, sciolto esso pure dal cranio e tenutovi soltanto aderente da muscoli e ligamenti — d. denti del veleno). — Testa della Vipera in atto di ferire, coi denti del veleno sfoderati e portati in avanti. (grandezza na- turale). — Si vede pure la forma della lingua dei serpenti. | a. sacco o guaina nella quale stanno ritirati i denti e celati in stato di quiete dell’ animale. — Apparato velenoso della vipera (grandezza na- turale ).. a. glandula del veleno — d. suo canale escretore che sbocca alla base dei denti veleniferi — c. muscolo temporale anteriore che si estende sulla glandula del veleno e può comprimerla — d. piccolissimo filamento muscolare non avverlito nè figurato da . alcun autore, ma che è della massima importanza, poichè par- tendo dal muscolo temporale anteriore e passando sotto l° orbita, viene a fissarsi sulla sommità dell’osso mascellare superiore, ed è il vero muscolo elevatore dell’ osso o peduncolo che tiene i denti veleniferi — e. muscolo che dalla mascella inferiore si estende obliquamente sopra la glandula velenifera, e la comprime fortemente nell’ atto della morsicatura. de Pei. - € seetotogea "ga", Sia Sd Mena TS ì Ò SI 9P? : z a Ta 24 ;) BA. Dez QDeria IA4. o eAer IA SEPA. 365 Fig. 4. — Pezzo della mascella superiore. ( grandezza na- turale ). a. suo punto d° attacco coll’ osso che. tien fissi i denti del veleno. Fig. 5. Lo stesso osso veduto pel davanti. (grandezza na- turale ). Fig. 6. Mascella superiore ingrandita. a. a. denti destinati solo a rattenere la preda, e comuni perciò a tutti gli ofidii — bd. denti veleniferi — c. altri denti cavi, piccoli, posti in prossimità della base dei denti veleniferi, e destinati a sostituire questi nel caso di perdita. Fig. 7. — Dente velenifero a forte ingrandimento. a. foro alla sua base pel quale entra il veleno, sortendo dalla stretta fessura obliqua d. situata in prossimità alla punta, per essere portato nella ferita. Fig. 8. — Sezione verticale dello stesso dente. (disegnata sulla figura 6. Tav. II. da Fontana). a. canale interno pel quale cola il veleno nella ferita — db. cavità del dente affatto separato per mezzo del setto longitu- dinale transverso c. e destinata solo a ricevere i vasi ed i nervi che lo attaccano all’ osso. Fig. 9. — Capo di un serpente velenoso. (grandezza na- turale). — Vipera aspis Merr. Fig. 40. — Capo di un serpente non velenoso. (grandezza naturale ). — Coluber flavescens Gmel. —ED— LI SRBTITANIO UA JT ft i DUM Î ; id dc i i fs) fi i 3 | Ù DI À DI] dn pat: i A è; hi sì fi * U : i it 2 LICATA Ù i vi Li x ) l (E) 8 + n T bl n si ì h ii i Wa Ù j* sid ; 1 2 , ; 7 Ù F a k . ; A f ; J è \ a n È A ( \ x TI î MAU fi ì i è , UNAORI , È I I) Ly ni Ì k € COC LT «TT C.@ dl € 4 GSC C_Ci è -<@ € CA CC: CU. dC <£ ‘ “ A ATTI TA \ | AS Tata ta tà ATA DAT, ; VO RANARRIA GIA NA A % Î LS Re il vt | d “A \ è p I Î EAT A Ò 4); È \ a! i : i TERENZIO Sia AREA) 7A | f, lt # I AT AT IE AR \ IVAN. = - LO VARATO A W_E UA NIGAY N t. $ x 9 ; ZEN \ r FI 2A 6 pù ; a. I ) AE VA AVATI (A \ _ j x È È TA EE AN ANIA di: GIAIEN AI | % 3 RR GA ca È, 4 i UA Pa Ì ° ) \ OL: pei N NR i "PRI i | - Ce RA AI \ [a Ù, Mei e Ì + MIS I PATATA è I Py È 4 ì A f 4A Ai N: a 3 3 la (ri L4 i a IRE N 4 Ì Ò ai FRI PRIA ni È : 3 i , | \ ini A li Ì Poe \ | PU AI } È d } feti TR i A cd I ua ALAIAI Pa CETTE 7: Il 9088 00054 7679 UTION LIBRARIES I =_= () ANARARARARAA Ann ATA A ) AA QIAMAVAMIEO al ° AA AA TATA AI sa) a DET, \AA pa i AA À ko ; AAAAAANANAAA ar AAA ALRAARAAL