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ESERCITAZIONI

SCIENTIFICHE E LETTERARIE

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ATENEO DI VENEZIA

TOMO I.

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VENEZIA MDCCCXXVn

PRESSO GIUSEPPE PICOTTI EDITORE

K TIPOGRAFO DELL'ATENEO.

RICORDI STORICI

SULL' ATENEO DI VENEZIA

COMPILATI DAL DOTT. GAETANO A- RUGGIERI

MEMBRO ORDINARIO, E VICEPRESIDENTE. '

Lia città di Venezia produsse in ogni tempo non pochi uomini, che vennero per dottissimi salutati, e godettero nominanza chiara e sublime non solo per opere lodate concesse alla stampa, ma per lo zelo eziandio grandissimo, con cui si occuparono ad istringcre in fralellevole colleganza ingegni svariati, e coltiva- tori di dottrine diflcrenti . Siccome addiviene delle gemme , che fanno un ab- barbaglio meraviglioso allorché, belle e di varia natura, sieno commesse con nobile magistero in un prezioso castone, cosi accade dei varii sapienti , che provvedono mirabili cose, (juando sieno assieme uniti, imperciocché si ajntano m allora con più grande fervore, e questi agli altri, e quelli ai primi facendo parte delle proprie cognizioni procacciano l'utilissmio nsultamento di apporre il pugnolo e la briglia all'altrui fare, donde proviene impellila la soverchia pe- ritanza, eh' è il verno delle menti, ed anche la temerità, che disvia facilmente dal buon sentiero e porta ad incespicare in errori. Di codesti uomini fondatori di accademie parlano abbondevolmente le vecchie e le carte dei nostri giorni, ed io non vuò restarmi a ribadire l'altrui dettalo, ma bensì con animo volonte- roso quivi ricordo, che tre erano i consessi accademici, che, prima deila istitu- zione dell'Ateneo, borivano in Venezia, ed erano la Pubblica Società di JMedici- na, l'Accademia de'Filareti e l'Accademia di Belle Lettere. Il primo di codesti consessi aveva in iscopo di accrescere li Irovamentl e le cognizioni nelle medi- che, fisiche e chimiche discipline, il secondo nelle sacre e nelle filologiche, ed il terzo mirava a migliorare quella maniera di studil lelterarii e poetici, i qua- li, sebbene nel cospetto di taluno sembrino atti solamente a rendere la favella piena di amate mafie, meritano nondimeno di essere tenuti per assaissimo neces- sarii, aflinchè gli scrittori eziandio delle cose gravi abbiano ricchezza di concet-

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ti, e tutta quella varietà di colori che si richiede, per esprimere iu modo piace- vole e disnebbiato ogni sorta di scoperte e di dottrine .

Eranvi adunque in Venezia, divisi in tre spartimenti, gli uomini più opportu- ni per formare una sola accademia, in cui fosse raccolto il Gore del miglior sa- pere, e non era necessario, che di bene annodarli assieme per una conveniente organizzazione, acciocché si trovassero ingagliarditi e poderosi a nobili impren- dimenli. Nell'anno mille ottocento dieci la volontà di chi reo-o-eva l' Italia statuì

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che la detta unione venisse operata, e nel giorno vigcsimo quinto di dicembre dell' istcsso anno comandò, che in ogni provincia tutte le società accademi- che, tranne quelle, che avessero in iscopo le belle arti, si restringessero in una sola, la quale portasse il nome di Ateneo. Parve che si volesse rendere più de- corosa la novella Accademia con questa greca appellazione, essendo forse la più accomodata per ricondurre alla memoria l'accedere cui facevano nei tempi rimoti gli sparli Dotti ad un solo ospizio, per ivi raccogliere, e per ivi disemi- nare quelle sapienze, che resero tanto venerabile la rimembranza di Omero, di Platone, di Aristotile, e di tutta la schiera di que' sommi antichi che 11 segui- tarono .

Ma per quantunque riesca facilmente dimostrato, che varie facoltà riunite pITrano risultamcnti più importanti di quando stlensl sole ed Isolate , ciò non ostante accade talvolta di osservare, che uomini svcgliatissimi si disconoscano di questa verità, e dove abbiano l'abitudine di dividere le proprie idee con o-en- ti di dottrine parziali, solo con istento grandissimo si aggiustano al diviso di for- mar parte di un congresso diflerente, sebbene fiori e fruiti d'ogni sorta possano ripromettersi dal terreno meglio fecondato. Di qui avvenne che la Pubblica So- cietà di Medicina, quando seppe del mutamento a cui dessa pure doveva soogia- cere, conobbe 1 suoi membri balestrali da deslderii diversi, e si strinse in se medesima, e dopo lunghe discussioni stabili di tentare che vadi disperso ogni av- viso, che quello non sia di conservare inalterata la sua essenza originaria. De- liberò Impertanlo nel giorno diecisettesimo di marzo del mille ottocento undici, che Francesco Aglietti, suo Segretario Perpetuo, produca al Magistrato, che di- ceasi Direzione Generale di Pubblica Istruzione, in Milano una ben ordinata detta- tura, con la quale venisse richiesta ad intercedere dal Re lagrazla,che la Società Medica rimanga intatta eziandio in avvenire. Il Segretario Perpetuo che sostene- va 11 suo carico colla valenza in lui riunita di Magalotti e di Meronte, 1 quali re- sero tanto famigerate quelle loro Accademie di Firenze e di Padova, che ognuno sa favellarne, dislesela detta preghiera, rammemorando anzitutto, che la prima origine della Società di Medicina debb' essere riferita al mille trecento, nel cui tempo raccoglievasl sotto la denominazione di Collegio de' Medici Fisici, al cui socii la Repubblica impose 11 dovere di radunarsi una volta al mese per dot-

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trinare sulle raalallic oscure, e il' imiolc incerta, col vedinienlo, elione fosse ben conosciuta l' andatura particolare, donde provenne cbe quel Collegio fu te- nuto per la prima società scientifica d'Europa, e potè senza orn-ogiio estimarsi non inutile ad una nazione, in cui le genti vanno sottoposte a morbi affatto ano- mali o loro |)ro[)rii (i). E fatto novero «lei tanti servigi prestati alla patria in tempi sovraltutto «li pestilenza, e delle tante calamità risparmiate al resto «l'ItJi- lia ed ai popoli strani, accorrendo col consiglio e coli' opera ad impedire che il contagio isbiggisse «la rpiesli recinti, per cui largirono a quella società beneme- rita e Principi, e Monarchi, ePapi de'nobilissnni pnvdcgi, ed il sommo fin anco di conferire la corona di medico e di filosofo, divenne il segretario ad esporre come il Senato Veneto con sovrano decreto del decimo del dicembre mille settecento novantanno le volle «lar prova immanchevole del suo amore, innalzan- dola alla dignità ih un corpo da lui protetto, e fregiandola del titolo glorioso di Pubblica Società di Medicina . I Riformatori dello Studio di Padova ne ralTer- marono accordevoll 1' esistenza, e con risoluzione del giorno vigesioio ottavo di febbrajo mille settecento novantatre la provvidero di opportuna abitazione pelle sue metodiche tornate nel monastero del Gesuiti . Ed essendo accascata quella

(i) 11 seguente decreto del Maggiore Consiglio della Repubblica, conseguito dall'I. R. Archi- vio Generale, è una prova deiranticliità non dubbia d'una Società medica in Venezia.

MCCCLXVIII. die 27 Maij.

Quod prò honore ciuitatis nostre, nec non per salutem cinium nostrorum statualur quod omnes medici phvsici, tara de collegio quani qui per gratiam possit raederi, qui presentialiter sunt et in futuro erunt habitanles Veneliis , teneanlur semel et in mense conuenire et esse si- mul in quodam loco liabilli ciuitatis nostre, cura et ubi ordiuabitur per priorem suuni adconfe- rendiim, et dispulandum cura sciencia medicine specialiter super casibiis dubiis slbi otcurrenli- bus, uel qui occorrere possent sub pena Unius puncti prò qualibet Vice, qua non ueuirent, et quura habebiint tria puncta, ipso facto, si habebunt salarium sint ilio privali, si vero salariura non liabebunt, non possint mederi in Venetiis Vsque duos annos tunc prosimi, sub pena libra- rum XX.V. prò quollbet, et qualibet A'ice, qua mederentur, priur antera medicorum qui est et erit, per tempum , tenentur sub eadem pena punctorum, et librarura XXV. conuocare su- prascriptos medicos ad illum locum, qui uidebitur ei, semel in mense occasione predicla, ut di- ctum est. Qui prior teneatur sub debito sacramenti mittere in scriptis prouisoribus comunis jpsa die, vel sequenti, illos medicos, qui non ueneriut, de quibus penis tam punctorum quam li- brarura XXV. non possit fieri gratia, donura, reraissio, uel compensalio, sub pena ducatorum C. prò quolibet conailiario et capite. Et predicta committanlur Inquirenda prouisoribus comunis, qui noteut puncta predicta, et exigant penas pecuniarias suprascriptas, baLentes do ipsis penis partem, ut de aliis penis. Verum si quis suprascriptorum medicorum liaberet legittìmam cau- 6am Impedimenti possit per ipsos prouisores excusare. Ex Novella, ii4 f- «'S.

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stagione lagrlmosa,, in cui le menti ed i cuori erano per una furibonda burrasca politica dall' aspra all' orrenda vicenda, di continuo trabalzali, ci successe , che 1 membri della Pubblica Società troraronsl sopraffatti d'attonitaggine, per cui dismessa la lena, abbandonarono le consuete adunanze, e stettero dislacciati per qualche tempo, linchè il turbine essendosi disperso, essi avverdirono il deside- rio e la fidanza di ritornare alle loro abitudini studiose, e da quelli, che tenca- no il governo del reame, ne implorarono solleciti il coricedimento.

Non vi vollero pratiche ne ravvoglinienti diflicultosi, continuò l'Aglietti alle- nando la sua orazione, aftmchè la Società di ÌMedlcina venisse di nuovo rifocillata nella sua esistenza, ma tornarono bastanti ad ogni cosa le ricordazioni de' suoi meriti vetusti, e del suo zelo operoso negli ultimi tempi manifestato . In conse- guenza di ciò il sublime Magistrato, che appellavasi Ministro dell' Interno, di- chiarò per un suo dispaccio del giorno dieciottesimo di gennajo dell'anno mille ottocent'otto, che codesta Accademia fosse ristabilita, e si riguardasse per una società riparata al presidio della pubblica protezione . Questa fu tanto produtti- va di fortunati risultamenti, che in seguito ne i maggiori, ne i minori ftlagislra- ti non pretermisero concessioni, quando veniva ad essi prodotta una inchiesta. Ei fu per questo, che nel giorno dieeisettesimo di marzo dell' istcsso anno il ^li- nislro delle Finanze accordò per un suo decreto, che la Società Medica dai de- positi del Demanio fnecsse scelta di quel libri, che fossero confacenti alli suoi studli, e potessero servire di primo fondamento alla formazione di una sua par- ticolare biblioteca: ed il Principe Vice-Re per uno spaccio del vigesinio sesto giorno d'agosto pur dell'anno mille ottocento ed otto deliberò benignamente, che la stessa Società, in iseamblo dell'abitazione in addietro posseduta nel mo- nastero dei Gesuiti, l'edillcio si avesse per U suoi usi detto Scuola di s. Fanti- no ; il quale edificio, oltre ad esser bello per nobile architettura, si acconsentì, per le istanze degli accademici, che divenisse maggiormente abbellito, adornan- do le interne pareti con lapidi, con busti, e con monumenti, ai quali in varie parti di Venezia avea procacciato la carità del viventi decorosa stazione, ac- ciocché la memoria rimanesse perpetuala di qucgU spenti uomini, che, avendo professato le filosofie o le mediche discipline^ furono li benemeriti della patria , e la facella animatrice de' buoni studii pei loro concittadini ed anche per non pochi di quelli che in terre straniere si rivocarono il grido di sapienti. Dalle chiese o demolite, o chiuse della città desiderossi adunque di raccoghere in co- desto edificio le opere antidette, e non pel solo oggetto di renderne piti pom- posa la forma, ma con ciò s' ebbe in mira eziandio di dare occasione agli acca- demici e di cimentarsi in gagliardi imprendimenti, e di esercitarsi in azioni pie- tose, imperciocché si credette, ed il crederlo era g'uisto, che avendo sclt'oc- chio quel segni, che viva testimoniassero la valcnteria di cos'i chiari predeccsso-

5 ri, forte sorgerebbe nella mente la nobile brama d' imitarli, e con facilità gli aTiimi incrmcrcbbcro a spargere sulla loro ricordanza quelle laudi di riconoscen- za che giungono tanto aggradite agli spirili dei trapassati. Neil' anno ajipunlo mille ottocento dicci li Mairistrati che si chiamavano Intendenza Generale dei Beni delia Corona, e Direzione Generale del Demanio, ordinarono con ripetuti decreti che alla Società di Medicina i busti fossero concessi di ÌNicolò ed Apol- lonio Massa, di Tommaso Rangone da Ravenna, detto il hlologo, di Viviano Viviani, di Giovanni Fortis, di Valerio e Santorio Santorio, medici tulli e fi- losoh celebratissiini., ai quali va debitrice 1" Italia di molte dottrine, fra cui ven- nero tenuti in gran slima ci' insecnamenli circa il modo del vivere lorfrevo, cir- ca l'intendere come all' uman corpo [)er non ^isibili sovrattutto ed incessanti sue emanazioni siavi uopo, che di continuo si rifaccia, e forse piìi ili tutto ven- nero riguardale per pregievoli le |)riinc cognizioni ed i primi precetti intorno alla natura ed al trallaraenlo di quella infermità, che per Colombo in Ispagna, e per le funeste macchinazioni politiche di Lodovico Sforza venne portala nel reame di Napoli, donde si prestamente alle pili belle parli d Europa si diffusero i germi dei più elferati patimenti .

Per codesto tanto favore dei ^Magistrati , e pel permesso anche ollcnulo da quello ch'era detto Direzione Generale di Pubblica Istruzione di stampare il proprio statuto, la Società ebbe incoraggiamento a produrre il ragguaglio in una pubblica adunanza dei lavori negli anni antecedenti dagli accademici eseguiti, e poscia mandandolo alla luce sotto il titolo di Sessione Pubblica della Società di IMedicina di Venezia tenuta nel di xx\ di dicembre dell" anno mdcccx, mirò a di- mostrare che la bontà del Regio Governo non a genti era qui dispensata, che in vane s" occupassero o chimeriche esuberanze, ma bensì ad uomini laboriosi, che per iscopo onorato e sacro, delle loro fatiche e meditazioni il prevenire si erano prelisso le infermità, ed il salvare nei morbiferi avvenimenti codesta po- polazione. Ne si tacquero i Magistrali sulle dette cose quando ne seppero, ma lettere di benevoglienza e di aggradimento comandarono che alla So- cietà ÌMedica fossero indirilte, alCnchè i suoi membri si sentissero efficacemente caldegiiiali a persistere nelf intrapreso cammino. E pervenuto eh' ci fu il Seirre- tario Perpetuo a questo punto della sua dettatura, raccolse in poco le cose espo- ste, e se di bontà, egli disse, e di favore fu creduta, fino al presente, meritevole la Società di IMedicina, di bontà e di favore, ella ha bisogno assoluto in avveni- re., acciocché non addivenga che nel consumamento delle cose pente rimanda ingojata la memoria eziandio di un corpo da tanti secoli esistente, e da tanti onori e facoltà s'i largamente guidardonato . Per serbarne la durazione faccia l'amore specchiato cui poi la ad ogni scientifico ordinamento la Direzione Ge- nerale di Pubblica Istruzione, che nel cospetto del Monarca giunga questa pre-

ghiera Leu nrorveduta ili fjue' siiflragi.^ <-!ie sogliono tornare produllivi di gra- zie, allorché partano da Magistrati a cui 1' universale consentiineato accordò la nominanza di sapientissimi e provvidissimi .

Questa supplicazione forse non era ancor giunta fino al trono, quando la So- cietà Medica trovossi all'improvviso comandata di coniporsi in Ateneo. La Di- rezione Generale diPubblica Islruzione'nel sesto giorno di aprile dell'anno mil- le ottocento ed undici ordinò,che questo mutamento fosse tosto effettuato, che tosto lo statuto venisse rifatto.^ confonnii la nuova condizione cui dovca assu- mere la Società unendosi ad essa altre Accademie, e che poscia venisse a Mila- no prestamente ispedito, afhnchè si potesse soggettarlo agli avvedimenti del Reale Istituto Italiano. Voleano i medici tentare che la foga di questo coman- tlo fosse di alquanto irretita, ma pria che i modi ne avessero rinvenuto, loro so- prastarono altre ordinazioni, che imponevano la subita riunione dell' Accademia dei Filareti. Imperciocché il Co. Francesco Cattaneo, che ne era il presidente, temendo che nella comandata formazione di un Ateneo potesse accadere che Fdareti terminassero dissoluti, avea poco prima ai Magistrati di Milano diretto la inchiesta di unire alla Società Medica 1 Accademia da lui preseduta, e perchè la domanda calzava esaltamente colla volontà regia, di li a poco, cioè nel gior- no vigesimo secondo di sriu^no del mille ottocento ed undici venne dal Prefetto di Venezia rivocata la Società di Medicina ad accosrliere in essa l'Accademia dei Filareti, ingiungendo, che col suo accordo si dasse opera sollecitamente allo stendere le nuove regole disciplinari .

S' avvidero i medici da tutto questo che era lavoro perduto lo starsi nel di- visamente di conservare la loro Società dagli altri corpi separata, e quindi pen- sarono di rendere più bene orilinata la loro obbedienza, chiamando spontanei a far parte del loro consesso anche la veneta Accademia di Belle Lettere . Fu onesto e lodevolissimo certamente questo partito, imperciocché se meritavano i Filareti d'essere congregati, scortese ed aspro sarebbe successo il pretermettere gli Accademici Letterari!. La Società di Medicina rispose impertanto al Prefetto diVenezia nel di primo luglio dellistesso anno, che non saprebbe concentrare in se medesima tutti indistintamente i Filareti, ed obbliare quei delle Lettere: che perciò avea risolto di manifestare a questi, che d'ora in avvenire formavano par- te dell'Ateneo Veneto; e che tale risoluzione essendo affatto conforme al regio comando, speravasi che potesse risultare pienamente approvata . Neil' istess» mentre si richiese, che la cortesia del Prefetto s'interponesse, acciocché i mag- giori Magistrati concedessero qualche lasso di tempo, per produrre lo statuto . Come poteasi farlo in pochi giorni, quando dovea essere il risultamento delle ve- dute spettanti ai molti membri di tre intere Accademie? Se basta alle volte l'in- terpretazione di una cifra, di una data, di un motto per rendere i Dotti fra lo-

7 ro in oiùnione discordi, come polrassi immaginare clic debba riuscire agevole

lo stabilire disciiiiine alle (juali la volontà di ognuno, e le svariatissimc inclina- zioni di tanti debbano starsi subordinate ?

Ottenuto eli" ella ebbe la Società Medica a tutta questa rimostranza accorde- vole approvazione, si occupò nei primi giorni dell'agosto successivo allo statu- to, e scrisse alle Presidenze delle due altre Accademie aver divisato d'associar- si ad esse per comporlo, e giacche uno spirito eguale dovea tutte animarle in pari modo, desitlerare, che con esse due membri, scelti dal corpo, intervenisse- ro nelle sale della Società, afiinchè uno sbozzo d' organizzazione fosse operato, il quale al rinnovellarsi dell'anno accademico potesse essere sottoposto alle di- scussioni di un'adunanza generale pella sua conferma. Nel tempo feriato le tre Presidenze, suffragate da altri accademici, si raccolsero puntualmente in tornate ripetute, e compierono il divisato lavoro, facendolo sulle norme dello statuto cui aveano i Medici, e lo chiamarono organizzazione provvisoria dell'Ateneo di Venezia .

Nel giorno dodicesimo di gennajo dell' anno mille ottocento e dodici furono convocate tutte intere le tre Accademie Veneziane., ed ebbe effetto la prima adunanza dell'Ateneo . Francesco Aglietti nel suo carattere del [ùù benemerito gerarca de' nostri scientifici consessi, aprilla con sua grave, e di alti concetti fecondissima orazione, salutando come Iratelli tutti gli accademici, ed infiam- mandoli a portare in quel recinto, prima sacro alla medicina, li sentimenti dignitosi d'ordine, di concordia e di nobile emulazione, che vi grandeggiarono sempre, e che soli valgono ed accendere quella voglia irresistibile d indagazio- ne, che fu causa in ogni tempo dell' origine, e de' luminosi progressi, cui ebbe- ro, ed elevarono a sublime splendidezza non poche scientifiche e letterarie col- leganze . Terminata ch'egli ebbe la sua orazione, chiamò i novelli accademici a discutere intorno all'organizzazione provvisoria dalle tre Presidenze dettata, e la mente di tutti divenendo rivolta al solo scopo della generale utilità che in quella ravvisarono espressa, risultò adottata con pienezza di voti . E dovendosi- credere che i corpi morali a simiglianza dei fisici abbian mestiere di organi che alle parli diffondano gli elementi di vita, trovossi necessario di subito affidare il reggimento dell'Ateneo ad alcuni fra suoi membri piii distinti, ne' quali risplen- dessero le doti e la virtìi dei prudenti, le doti e le dottrine dei saggi. Di qui ac- cadde, che il Co. Leopoldo Cicognara fu eletto a Presidente, il Consigliere Francesco Aglietti a Segretario della classe per le scienze, il Professore Fran- cesco Dnprè a Segretario di quella per le arti, e l'Abate Mauro Boni a Segreta- rio della classe per le lettere. Conoscendo in questo avvenimento saviamente provveduto ad ogni desiderio, ad ogni volontà, e veggendo finalmente eretto al

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patrio sapere nn nobile riparo, gli accademici si disciolsero da quella prima adu- nanza ridondanti di esultazione .

Non essendo ricomperevole il tempo, quivi non Intratteromml a riferire d'i questa organizzazione provvisoria, non di ciò che 1' Ateneo abbia dappoi opera- to, ned in quali mutamenti siasi convolto fino all' anno mille ottocento e dieci- sette (i). Gli accademici, che n'ebbero il governo, diedero lodato ragguaglio di tutto questo con le opere per essi pubblicate sotto 1' appellazione di Sessioni pubì^liche dell'Ateneo Veneto tenute negli anni mdcccxii, mdcccxiu, mdcccs.iv, iiDcccxv, MDcccwi c MDCccxvii. faccia nondimeno di ricordare un variamen- to, che dalle cose a stampa non ci venne abbastanza chiarito, il quale è, che ncir anno mille ottocento e sedici, dopo certi occorrimentl che in qualche fog- gia riesciroiio d'impedimento per la facile andatura del consesso, si giudicò ne- cessario di creare un Segretario Perpetuo, il quale servisse per cosi dire di pun- to centrale in cui si potesse in ogni tempo ritrovare raccolta la sapienza di tut- ta la disciplinare e scienlilica cosa dell'Ateneo, e venisse per tal modo tolto il pericolo, che nella mutabilità della presidenza succedesse difticoltà ne' metodi di dirigere il corpo, e non sapessero gli stranieri a chi addrizzare le inchieste, se addiveniva che lumi, o compartire, o ricevere desiderassero dalla nostra So- cietà. Per le quali ragioni, ed anche per procedere conforme l'esempio delle altre Accademie, nell'adunanza del quarto di gennajo dell'anno istesso si fece la proposta d'istituire la carica di Segretario Perpetuo, e venne con soverchiaii- za di suffragi accettata .

Frattanto ricorrendo il tempo , che i Scgrelarli delle classi fossero rinno- vali, vennero sottoposti a severo scrutinio i nomi di parecchi membri ordi- narli, che per cuore appalesato caldissimo, e per cognizioni svariate si erano rivocatl i comuni raggu irdamenti . Ebbe luogo questo fatto nella tornata del giorno undecimo di gennajo del mille ottocento e sedici, e sortirono eletti 11 dott. Francesco Enrico Trois, il gentiluomo veneziano Antonio Diedo, ed il dott. Paolo Zannini, cioè il primo a Segretario della classe per le scienze, 11 se- condo di quella per le arti, ed il terzo della classe per le lettere. A giudizio di lutti furon tenute queste elezioni per ottime, e provvidissime ai lodevoli scopi dell' Ateneo, e non fu dall' avviso di lungi 1' effetto, posciacchè li tre nuovi Se- gretarli testimoniarono, per ciò cui diedero in luce nelle teste ricordate sessioni

(i) Si mandò a Milano l'organizzazione, ed anclie il rapporlo dell'unione fallasi della terza accademia, ed il Miuislro dell'Interno con lettera del giorno 3 aprile 1812 significò clie l'orga- nizzazione veniva trasmessa al R. Istituto pella sua approvazione, su cui non s'ebbe poscia al- cuna notizia, e elle l'accettazione nell'Ateneo dell'Accademia di Kelle Lelleie fu approvata.

9 pubbliche, quanto a buon dritto essi meritarono di Tcnire a quella maggioranza innalzati . E circa la scelta del Segretario Perpetuo è mestieri di notare, che nel cospetto degli accademici non potè apparire accettevole che Francesco Aglietti, e nella radunanz;i del giorno vigesimo quinto del medesimo gennajo ei vi rimase eletto, ed in tale sua scelta gli animi sentirono quella dolce soddisfa- zione, che si suole provare, quando s'abbia il convincimento d'aver fatto ope- ra buona .

Successi che furono codesti variamenti, egli era naturale lo sperare, che do- Tesse l'Ateneo percorrere più splendida vita. Ma siccome nello stazio del bene suole spesso accovacciarsi eziandio il serpe della sventura, così a turbare l'incre- mento della nostra società apparve ncU' anno mille ottocento diecisctte un mor- bifero flagello, detto il tifo, che furiando dall'uno all'altro lato della popolosa Venezia, ed avendo o vulnerati, o morti, e nostri amici, e nostri figli, e nostre donne, e nostri teneri parenti, e molti di noi medesimi, da per tutto erasi sparsa la desolazione, la quale ogni animo contristando impediva che l'intelletto potesse negli studii tranquillamente occuparsi. Provenne da questa misav ventura che le tornate furono per più mesi interrotte, che i leggitori erano assai scarsi e che fino al maggio dell" anno successivo, in cui 1" ira erasi rattemperata del morbo epidemico, non si prese alcuna delle misure, che fossero acconcie a riporre il corpo accademico nelf attività primitiva. Perlochè soltanto nel giorno settimo di questo mese del mille ottocento e dieciotto, trovandosi 1 Ateneo periclitante, avendo il Co. Leopoldo Cicognara, dopo un lustro d'indefesse ed utilissime fati- che, rinunciato al carico di Presidente, determinossi il Segretario Perpetuo a rompere si funesto torpore, e fatta sposizione ai socii delle cause, che aveano prosternato l' Ateneo in tale decadenza, additò delle norme per rivocarlo alla pas- sata alacrità, la somma delle quali si fn di eleggere senza indugio un Presidente atto ad infondere calore all'intero corpo, di dare alle classi de' Segretarii , che valgano a tenerle ravvivate, e d' istituire una commissione, all' oggetto d' inve- stigare, se sianvi nello statuto de' germi, che producano i mali presenti. Intanto essendo le classi prive di Segretarii, perchè il loro torno da qualche mese avean compiuto gli antecedenti, ne furon sul fatto provvedute le due per le Scienze e per le Lettere . Doveasi a quella delle arti pur dare un Segretario, ma ne rattenne la scelta il considerare, che tale incumbenza potea forse con ottimo effetto es- sere bipartita in maniera, che alle Scienze venissero assegnate anche le arti meccaniche, ed alle Lettere le arti liberali . Così facendo si menomava il biso- gno di ordinare su cariche troppi accademici in una volta, e si coglieva il van- taggio di rendere più allargato il campo delle ricolte . Ncll'istesso giorno si fe- ce la Commissione per rilevare i difetti dello statuto, la quale risultò composta dei due onorarli Cav. Guido Co. Erizzo, dott. Pietro Pezzi, e dei due ordinarli 3

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dott. Paolo Zanninl e dott. Giovanni Francesco Avesani, tutti e quattro acca- demici ragf uardevolisslmi . Essi praticarono diligenti ogni loro studio in quel- l'opera, e la diedero dappoi compilata, avendo evitato quella moltiplicità di pre- cetti, che fa delle leggi 1 aramaliamcnto dell' intelletto .

La malattia epidemica, lu causa per le dette ragioni, che divenne sleghevole la nostra colleganza, ma fu anche causa, che tenendo altrove afiaticato il Segre- tario per le Scienze, ei non potè tributare al corpo operazioni. 11 Segretario per le Lettere Pietro Biagl si adoperava, egli è vero, senza posa, ma quale potea succederne risullamento? Il tutto procedeva a sghimbescio, e non eravi che dis- amore ed apat\a . Furon chiamati più volte al posto di Presidente membri de' più preclari . Ninno volle avventurarsi al reggimento di un corpo tanto sfascia- to, ed era prossimo al suo ultimo perimento, allorché Francesco Aglietti per- venne ad impedirlo . Ei fece inchiesta autorevole e gagliarda d essere sciolto dal carico di Segretario Perpetuo, e di venire surrogato da un altro, giacche su lavori differenti e gravissimi la sovrana clemenza avealo comandato, ed era quindi distolto dal ben sostenere l'accademica incumbenza . Fu a tutti un cor- dowlio la forza delle sue ragioni, e convenne soggiacervi, ma si volle che ancora ei fosse di noi, eh' egU avesse bensì un ufficio di pondo minore, ma che a statico del suo attaccamento ci accordasse di crearlo Presidente. Nelladunanza imper- tanto dell' ultimo giorno di ottobre del mille ottocento e dieciotto fu a lui con- cessa la rinunzia al posto di Segretario Perpetuo, e fu a lui conferito quello di Presidente . Nel medesimo giorno venne eletto a Segretario Perpetuo Paolo Zannini, e tanti argomenti s'aveano della sua attività e delle sue dottrine, che di quell'onore non solo lutti lo reputarono meritevole, ma trenta dei socii presentii vollero di più legittimarne la scelta sottoscrivendone 1' atto col proprio nome . !

Travagliavano nella detta maniera le cose dell' Ateneo, quando 11 nuovo Se- gretario Perpetuo si accinse con ogni fervore a promuoverne la prosperazione . Il codice disciplinare prodotto di fresco alla Presidenza erasl ritrovato assai uti- le, e questa ne usava a sua norma, benché non mal suggettato alla conferma del corpo, durando ancora lo slegamento del socii, che scarsi e sbadatissimi fre- quentavano le adunanze . Col buono alla mano di questo codice 11 dott. Zannini raggiravasi da ogni parte per rinvenire escati di riordinamento . Ei suppliva al Segretario per le Scienze, e d'accordo col Presidente e col Segretario per le Lettere immaginò di aprire ogni giorno nell' Ateneo una stanza, cui piacque chiamare Gabinetto di lettura, dove sulle scienze, sulle arti e sulle lettere opere periodiche vi fossero nostrali e straniere, fogUettl eziandio politici , ed alcuni de' hbrl più recenti e più lodati ad uso di ogni socio . Mirava il trovato ad ade- scare gli accademici al raccorsi, ad accostarsi fra loro, ad aver spesse occasioni di ragionare sulla loro società . Questo trovato fu proposto al corpo nel giorno

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vigcsimo settimo d'i gcnnajo del niillc ottocento eventi, e non solo venne accolto, ma in quel ili venne anche stabilito, che il costruire e l'arredare il Gabinetto, si facesse per iloni spontanei: ed abbenchè la spesa levasse a molto, essendo ai Veneziani sempre connaturale la cortesia, issofatto furonvi i danari per sostenerla. Allora si approntò ogni cosa per aprirlo, ed il Magistrato, detto Direzione Ge- nerale di Polizia, nel di decimo secondo d'ottobre del milleottocento e venti ne accordò il permesso. Cosi la stanza di lettura per opra, puossi dire, dt;l solo Segretario Perpetuo fu aperta, e ciò valse ad isvegliare qualche oscillazione, ma non a vincere di molto la cascaggine da lungo tempo radicata.

Dove rivolgere i vedimenti per migliori prospcrazioni ? Fini il tempo che il Segretario per le Scienze occupasse quel posto . Nel giorno decimo di maggio del mille ottocento e ventuno le due Classi vennero fornite di nuovi Segretari!. Il dott. Filippo Scolari a quella delle Lettere, e lo Scrittore di questi Ricordi fu destinalo alla Classe per le Scienze. La Presidenza se ne sentì presto porta- ta a buone speranze, ma lo Scolari durò nel suo posto non più di tre mesi, per- chè venne ad un pubblico uflicio trasferito in Verona . Un certo caldo nondi- meno erasi di già disparso per la società, un certo discorrere, un certo critica- re, un prurito da un lato pel biasimo, dall'altro per la lode, tutto annunciava, che il lanijuorc s' andava sciogliendo . Terminò quell' anno accademico coli im- primere qualche ricordanza di se nella mente dei socii . Kel tempo feriato il Se- gretario Perpetuo mandò copia dello Statuto ad ogni ordinario, acciocché bene ognuno se ne potesse conoscere, e sapesse ragionarne all' istante di confermar- lo . Allontanatosi il dott. Scolari, di nuovo nel giorno trentesimo primo di gen- naio del mille ottocento e ventidue, fu riposto nelT ufficio di Se<rretario della Classe per le Lettere Pietro Biagi. Giureconsulto coni" egli è non solo profon- do nella grave sua scienza, ma anche colto a dovizia in ogni filosofia e lettera- tura, ritornò al seggio da pochi mesi abbandonato, e dispiegò attività saggia e perenne, nella quale venendo ingagliardito, non dirò dall'ingegno, che è trop- po assegnato, ma dalla buona volontà, di chi scrive questi avvenimenti, risultò che in ogni settimana l'Ateneo si raccolse in adunanza ordinaria, che non man- carono più leggitori, che le udienze di spesso furon numerosissime, che a molti de' più colti cittadini sorse desiderio di appartenere a questa accademia, e che per stringere con legami non rompevoli la nostra unione si tennero nel luglio e nell'agosto di quest'anni mille ottocento e ventidue delle radunanze straordina- rie, alle quali furono i membri convocati per |irodurre il frutto delle loro medita- zioni sul codice, da molti mesi ad essi trasmesso, e risullamenlo ne fu. che in molte parti venne variato e quindi accolto, e come legillimo in fine allottato. Il consigliere Aglietti lietissimo per questi indizii di prosjieramento dell'accademia da lui fondata, da lui al grido di «timabilissima in addietro prodotta, bramando

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che non piìi JL-clini, e conoscendo che le sue occupazioni nel regio Governo tempo non gli jjotean concedere per consacrarsi ad altro, chiese con lettera del pri- mo dell'istesso agosto il sollievo del suo incarico, aggiugnendo che dopo averlo sostenuto per quattro anni egli sperava, che l'Ateneo avrebbe conosciuto me- ritevole di favore la sua inchiesta . Poco mancò che lo sperarlo fosse un so- gno, perchè niuno volea acconsentirvi, tutti voleano salvare all' eo^ida del suo nome la gloria del corpo, e quando il resto della Presidenza portò ai voli l' ele- zione di un altro, nacquero discussioni avventate, perchè non voleasi abbadare che Aglietti, per esser membro onorario, e per aver unito d giro della sua carica, avesse diritto alla rinuncia, ma voleasi solo obbedire alla voce del nostro biso- gno, e si durò grande stento a calmare le menti, ed a condurre questo cambia- mento conforme lo richiedeano sii statuti .

Nel giorno vigesimo secondo dell' agosto mille ottocento e ventidue si diven- ne quindi alla elezione del terzo Presidente dell'Ateneo, la quale accadde nel Cav. Carlo Antonio Co. Gambara, Questo dotto gentiluomo s'accese a prò del- la cosa in modo ammirabile, e propose, ed ottenne la stampa del nuovo statuto, che fu eseguita col titolo di Regolamento dell' Ateneo di Venezia, pensò alla regolarità delle tornate, ed anche ad allargare i mezzi per la migliore opportu- nità agli studii . I libri che dal Governo furon concessi alla Società di Medici- na, e che da questa provennero ali" Ateneo stavansi rabbatuffolati ed ammontic. chiati con gli altri, o di nostro conquisto, o di doni spontanei in un luogo per così dire senza accesso . Nella radunanza del tredicesimo di febbrajo del mille ottocento ventitré venne proposto e conseguito, che fosse fabbricata una bl- bhoteca, dove quel Ubri venissero riparati, e resi, per una regolare disposizio- ne, di comune vantaggio . Chi il crederebbe ? In quella del primo di maggio dell' istesso anno fu deliberato che la libreria fosse pagata per largizioni volon- tarie, le quali furon pronte che in pochi se n'ebbe il valsente . Il Presiden- te ebbe di pili il merito, che dopo cinque anni avesse luogo un'adunanza pub- blica, nella quale a tutta sorte di gravi e colte persone venisse testimoniato, che gli accademici si occupano animosi in utili lavori. I Magistrati, che amatori de* nobili studii onorarono di lor presenza quell' azione solenne, concessero i segni dao-o-radimento ai frutti del buon volere, e la cortesia degli aflollati cittadini salutò con festevoli applausi 1 tentativi d'un drappello di gente studiosa, che al decoro della patria consacra le sue veglie e le sue meditazioni .

Non però del continuo furon concortli gli animi nel procedimento dell' anno mille ottocento e ventiquattro . Con inchiesta del giorno quarto di gennajo in- diritta alla Presidenza, sedici de'membri più reputati dimandarono piena con- vocazione del corpo per nuove leggi, per annullazione d' ogni perpetuità di ca- riche . La Società si è unita per trattarne nel giorno decimosettimo dell'agosto

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di quest'anno fuor il' esempio numerosissiina . Alla lettura de" molivi di quella tornata, ed all'udire che voleasi tolta la perpetuità di un ufficio, successero di- sputazioni infocate sul non diritto dell'Ateneo di privare una carica del caratte- re cui eli avealc conferito . Fallace fu provata tale sentenza, e mossero per r.v- venlura queste disputazioni dai riguardi moltissimi, cui seppe meritarsi il Segre- tario Perpetuo, e parca disamarlo, variando la natura del suo posto. Non per inn-ratitudine alle sue benemerenze, ma chiedeasi la riforma, sostenendo, che le cariche essendo onorifiche debhon servire di stimolo all'onesta ambizione ed e- mulazionc di tutti, e non riguardarsi pel retaggio di un solo, il «juale giunto a possederlo, potrebbe a babà sperperarlo. Risoluto avendosi nelle discussioni molto tempo, il Presidente dichiarò sciolta 1' adunanza per aggiornarla in avve- nire. Codeste vicende per altro non ritardaron le cose metodiche, e non fu vero il supposto, che per esse in quest'anno mancasse l'adunanza pubblica, la quale per questo solo faltò, che la sala maggiore dell'Ateneo minacciava cadimento, perchè alcune sue parti integrali divennero per vecchiezza disaccordale e scommesse.

L' anno mille ottocento venticinque ebbe cominciamento non lieto pelta Pre- sidenza, essendosi da essa staccato Paolo Zannlni, che, per lettera del di tredi- cesimo dicembre poco prima trascorso, rinunciò alla carica di Segretario Per- petuo . Increbbc l' allontanamento di un uomo veggente, e fu mestieri che da lui che qui scrive si raddoppiassero gli sforzi per sostenerne le veci . Le letture nondimeno di o^ni settimana furono esaltamente eseguite, e nel di nuin-

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to del maggio di quest'anno venne rijireso 11 discutere intorno alle regole di- sciplinari. Le rilorme da parecchi mesi richieste, furono ad una, ad una dall' Ate- neo accettate, e rlsultonne quel terzo statuto, che trovasi stampato nel tomo pre- sente. Per codeste nuove riforme avvenne il dovere di eleg-gere il Consiirlio Ac- cadcmico ed il Vice-Presidente. Nella tornata del sedicesnno di s'iuo-no fu-

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rono scelti pel Consiglio tra i membri della classe scientifica gli ordinarli Marco Cornianl, Stefano Marianinl e Bartolommeo Bizio, e tra quelli della classe let- teraria <t|1 ordinarli Pietro Belilo, Giovanni Bellomo e Luicri Pezzoli , accade- mici lutti, che diedero prove non dubbie di aver 1' animo sempre inclinato al la- voro, dove accada di promovcre 1' incremento dell' Ateneo . In quella poi del trentesimo dell' islesso giugno venne innalzato lo Scrittore di queste Ricordazio- ni al grado di Vice-Presidente, ed ei che sen conobbe immerllevole, pregò fortemente la Società di sorreggerlo nel suo nuovo ministero. Rimasto vacante il posto di Segretario per le Scienze, vi venne eletto nel settimo del luglio successivo, r accorgevole naturalista Marco Cornianl, e dopo siile ffiorni, al posto, da questo prima occupato nel Consiglio Accademico, l' abilissimo Pro- fessore di Chirurgia Andrea Campana .

Un' occasione dappoi fortunatissima riempì di grande fidanza la nostra Acca- demia, e codesta ella fu l'arrivo in questa regia Venezia di SUA MAESTÀ', col

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TÌrtuosissimo suo figlio Fbancesco Ciiito Giuskppk . L'Ateneo conoscendo quan- to l'egregio Principe sia amatore delle scienze e delle lettere, e di quelli clic le professano, implorò la grazia di riverirlo tra suoi Membri Onorarii. Neil adu- nanza del giorno diciottesimo d'agosto di quest'anno mille ottocento venticin- que quando il Vice-Presidente annunciò, che S. A. I. e R. t' Aeiciduca d' Au- stria FftAwcEsco, C\RLo, Giuseppe accolse benignamente la preghiera a lui fatta di essere scritto il primo fra i nostri Membri Onorarii, il Presidente Co. Gam- bara recitò sul felice avvenimento una nobilissima orazione, e gli Accademici trascesero in esultazione infrenabile, per cui 1' acclamare il nuovo Socio non fu - con detti, o con favella, ma per un impeto clamoroso d'applausi i più sonanti .

Nel mille ottocento ventisei da questo fatto venne l'Ateneo inanimito non so- lo a ben condurre i lavori ordinarn, ma anche a promovere imprese maggiori . Il Co. Gambara terminò di essere Presidente, lasciando memorie cospicue del- lo zelo il più fervente, e quindi nell adunanza del giorno primo di giugno ven- ne eletto a quarto Presidente il Segretario per le lettere Pietro dott. Biagi, al quale fu in guiderdone de' sostenuti travagli questa carica più onorifica conferi- ta. Nella tornata della settimana successiva al posto di Segretario per le lette- re fu prescelto il dottissimo Abate Giovanni Professore Bellomo, e nei posti del Consiglio Accademico lasciati vacanti dall' ab. Betlio , divenuto membro onorario, e dall' ab. Bellomo , furono preferiti il gentiluomo Antonio Dicdo , ed il cessato Presidente Co. Gambara. Implorossi dall'Eccelso Governo il rc- stauramento della fabbrica dell Ateneo, che levava a forte spendio, e munifi- centissimo, e fautore, come egli è, delle studiose istituzioni che accennano all'uti- lità nazionale, volle che la nostra preghiera tornasse pienamente esaudita (i). Consacrossi tempo non poco ad unire lavori pel tomo presente, e l'Ateneo ne fece la scelta, e ne prescrisse la pubblicazione, che ora si produce eseguita .

Da questi pochi ricordi apparisce che antichissima è la prima origine della no- stra società; che sempre condusse giorni operosi, finche politici impedimenti non allentarono 1 suoi passi; che le mutazioni a cui andiede soggetta non mai meno- marono i suoi sforzi al vantas-jrio comune diretti: che dove sia nato contro al suo fiorimento, o per colpa dei tempi, o per quella degli uomini qualche modo di ritardo, le furono in appresso, e raddoppiati i favori dei Governi, e raddop- piate le forze de' suoi membri, per cui potè rinnovellarsi con quella maniera di prestigio, con che gli infermi veggonsi ne'mali acuti risorgere dallo sfinimento all'alacrità più lusinghiera. Possa ella durare quanto fu il riprodursi delle sta- gioni da essa vedute, e possa il nome dell'Ateneo di Venezia per opere lodevoli andar sempre ricordato nella memoria degli amatori de' buoni studii.

^i) L'Eccelso Governo J'i Venezia concesse la restaurazione della fabbrica con sua risoluzio- ne N." iSoio del giorno 28 di settembre dell'anno 1826.

STATUTO

DELL'

ATENEO DI VENEZIA

STATUTO.

ARTICOLO I.

D E L L' A T E N E O.

1. L' Ateneo si compone di trentasei Membri Ordinarii, dimoranti nella città di Venezia .

2. A questi si aggiunge un numero illimitato di Socii Ordinarli Esterni, di Socii Onorarli, di Socii Corrispondenti .

3. L'Ateneo si divide in due Classi, e sono quella delle Scienze ed Arti e quella delle Lettere e Belle Arti .

4- Ogni Classe è composta di un numero possibilmente eguale di Membri Ordina- rli, ed ha il proprio Segretario .

5. L' Ateneo ha una Presidenza, un Consiglio Accademico, un Bibliotecario, un Archivista, un Cassiere gratuiti, ed ha Bidelli pagati .

6. L'Ateneo incomincia l' anno accademico col primo giovedì di dicembre, e lo termina coli' ultimo giovedì di agosto, e si raccoglie in adunanza ordinaria nel giovedì di ogni settimana, eccettuati qjjeUi, ne'quali occorra una festa pub- blica .

ARTICOLO II.

DELLA PRESIDENZA.

•j. La Presidenza è composta del Presidente, del Vice-Presidente e dei due Se- gretari) delle Classi .

8. Si unisce in adunanze sue particolari ogni volta che 11 buon governo dell'Ate- neo lo richies'g'a.

g. Il Presidente ed il Vice-Presidente si traggono dagli Ordinarli e dagli Ono- rarli., gli altri due dai soli Ordinarli e dalla Classe, a cui appartengono .

10. Il Presidente dura in carica pel corso di tre anni, il Vice-Presidente per anni cinque, ed 1 Segretarii delle Classi per lo corso di quattro.

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ARTICOLO HI.

DELPRESIDENTE.

1 1 . Il Presidente dell' Ateneo convoca le adunanze, le apre, le regola, e le scio- glie .

I a. Presenta nelle radunanze qualunque proposta, che sia propria degli scopi e del reggimento dell' Ateneo, e ciò in qualità di organo della Presidenza .

i3. Appone la sua firma a qualunque atto contenente deliberazioni dell'Ateneo.

14.. D'accordo cogli altri Membri della Presidenza nomina le Commissioni per oggetti particolari .

i5. Apre le adunanze pubbliche con un discorso sopra argomento di sua scelta.

ARTICOLO IV.

DEL VICEPRESIDENTE.

16. Il Vice-Presidente legge nella prima adunanza ordinaria di ogni anno il rag- ffuao-lio delle cose operate dalla Presidenza nel tempo delle vacanze.

IT. Fa le parti di Presidente in ogni caso, dove questi sia impedito, ed appone la propria sottoscrizione, dopo quella del Presidente, ad ogni atto contenente deliberazioni deli' Ateneo .

18. Tiene la corrispondenza così interna, come esterna dell'Ateneo; scrive la storia dello stesso.; i ricordi intorno alla vita degli Accademici defunti; custo- disce 1 sigilli.

1 9. Invigila pella conservazione di quanto concerna il luogo, in cui si raduna l'Ate- neo: provvede a ciò, che fa d uopo per le adunanze accademiche, e pel Ga- binetto di Lettura, e ripara ai minuti bisogni della Società .

ARTICOLO V. DEI SEGRETARII DELLE CLASSI.

20. Li Scgretarii delle Classi compilano i processi verbaH delle adunanze della Presidenza per torno annuo, e di quelle dell'Ateneo, ciascuno nella propria Classe .

2 1 . Scrivono i rapporti accademici, e li leggono nelle adunanze pubbliche .

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22. Hanno cura, che sicno fatti li viglietti d'invito, ciascuno per le letture della propria Classe, le (juall avranno luogo possibilmente con perfetta vicenda.

23. In caso di mancanza del Vice-Presidente, il Segretario di Classe, che sia il più anziano d' impiego, dcbbe farne le veci .

ARTICOLO VI.

DEL CONSIGLIO ACCADEMICO.

a4-- Il Consiglio Accademico è composto di sei Membri, tre della Classe per le Scienze, e tre di tpiella per le Lettere.

2 5. I Membri del Consiglio entrano con voce e voto deliberativo in tutte le adu- nanze della Presidenza, dove le deliberazioni non vengono adottate che con al- meno due terzi dei voti .

26. Debbono essere Socii Ordinarli, e durano in carica due anni.

ARTICOLO VIL

DEL BIBLIOTECARIO.

2j. Il Bibliotecario riceve dalla Presidenza, e custodisce la Libreria dell'Ateneo.

28. Tiene esatto catalogo dei libri in essa contenuti, e ne fornisce il Gabinetto di Lettura e gli Accademici, a norma delle discipline stabilite dall Ateneo .

29. Propone alla Presidenza tutti gli acquisti di libri, cui creda necessarii.

30. Dura nel suo uffìzio pel corso di quattr'anni, e vien tratto dal Membri Ordi- narli .

ARTICOLO VIII.

DELL" ARCHIVISTA.

3i. L'Archivista raccoglie tutti gli atti dell'Ateneo fin dalla sua fondazione, li dispone con numero progressivo, anno per anno, e 11 conserva tenendone l'In- dice .

33. Ha pure il dovere di raccogliere copia d'ogni cosa letta all'Ateneo.

33. Non concede copia di <pialsiasi atto a veruno, che dopo il permesso delia Pre- Bidenza .

ao

34- Al fine di oo-ni anno verifica l'esistenza integrale di tutti gli atti dell'Ateneo, e ne fa rapporto alla Presidenza.

35. Darà nel suo impiego per quattro anni, e debb' essere Socio Ordinario .

ARTICOLO IX. DEL CASSIERE.

36. n Cassiere riscuote i danari, che, per qualunque titolo, Tengono pagati al- l' Ateneo .

3^. Ha cura di tutta l' economia del medesimo, della sua fabbrica e delle sue mas- serizie .

38. Paga le spese consuete dell'Ateneo, ritirando quitanza da quelli, ai quali 11 danaro dello stesso .

3g. Non fa alcun pagamento straordinario, che dopo ordine sottoscritto dal Pre- sidente e dal Vice-Presidente .

4.0. Nella prima tornata di ogni anno accademico presenta il bilancio di quanto fu amministrato nell'anno antecedente . Il bilancio poi viene dalla Presidenza af- fidato per l'esame a due Membri Ordinarli.

4 1 . Il suo impiego dura quattr' amii, e non vi può essere eletto, che un Socio Ordinario .

ARTICOLO X. DEI MEMBRI ORDINARII.

4-2.1 Membri ordinarli debbono dimorare nella città di Venezia .

43. Hanno per doveri essenziali :

1." La lettura per giro stabilito di un lavoro sopra argomento di libera scelta; 2,.° L'intervento alle adunanze dell Ateneo:

3.'' La contribuzione deliberata dalla Società per la propria sussistenza econo- mica .

44. Li Membri Ordinarli, essendo 1 soli, che essenzialmente compongano 1 Ateneo, hanno voto deliberativo, e facoltà di proporre ciò, che credano convenire al sempre maggiore incremento della Società.

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ARTICOLO XI.

BEI MEMBRI ORDINABII ESTERM.

i{5. I Membri Ordinari! divengono Membri Ordinarii Esterni quantlo si traslo- chino fuori di Venezia, e restano col solo dovere d'inviare ogni due anni alla Presidenza una produzione da leggersi alla Società .

46. Gli Ordinari! esterni acquistano tutti gli attributi ed i doveri degli Ordi- nari! di Venezia ogni volta clic ritornino a soggiornare in questa città.

4.7. Qualora una Classe, per la riunione di qualche Ordinario esterno, risulti accresciuta di Accademici, non si potrà in questa Classe eleggere a Socio alcun altro, finche non rimanganò posti vacanti .

ARTICOLO XIL

DEI MEMBRI ONORARII.

48. 1 Membri Onorarli hanno tutti gli attributi accademici degli Ordinarii, e nessuno dei loro doveri .

ARTICOLO XIIL DEI SOCII CORRISPONDEMTl.

49. Li Soci! Corrispondenti soggiornano tanto in Venezia, che fuori di Vene- zia .

50. Li Soci! Corrispondenti dimoranti in Venezia hanno per doveri essenziali: I." L'intervento alle Radunanze dell'Ateneo;

a." La contribuzione stabilita dallo stesso peli' economica sua sussistenza.

5 1 . Leggono all' Ateneo, dopo accordo colla Presidenza .

Sa. Li Soci! Corrispondenti, che non soggiornano in Venezia, interventrono al- le tornate dell' Ateneo, come 11 Corrispondenti Veneziani, ogni volta che si trovino in questa città .

ARTICOLO XIV.

DELLE ADUNANZE ORDINARIE E STRAORDINARIE.

53. Ogni Adunanza Ordinaria comincia colla lettura del processo verbale dell'A- dunanza antecedente: a questa si fa succedere la lettura di quegli scritti ac-

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cadcmici, pei anali l'Ateneo fu Invitato a radunarsi in quel giorno: in ultimo si trattano gli affari della Società . 54.. Nel processo verbale si registrano li nomi degli Accademici intervenuti in quella Radunanza; si fa un breve sunto delle cose lette nella stessa; si espon- gono gli affari in essa discussi, e le prese determinazioni .

55. Nelle Adunanze Ordinarie non può entrare alcuno individuo, il quale non sia Socio dell'Ateneo, se non in compagnia di un Membro O -dinario od Onorario.

56. L" Ateneo si raccoglie in Adunanze Straordinarie ogni volta che la Presi- denza il creda opportuno ; ed, aftinché sieuo legali, si debbono in esse osser- vare le medesune discipline delle Ordinarie .

ARTICOLO XV.

DELLE ADUNANZE PUBBLICHE.

5 T. Ogni anno nel mese di aprile vi è un' Adunanza Pubblica. Legge in essa prima il Presidente, od il Vice-Presidente, dappoi il Segretario della Glasse Scientifica, ed in ultimo il Segretario per le Lettere .

58. E libero per lutti 1' accesso alle Adunanze pubbliche .

ARTICOLO XVL

DELLEELEZIONI.

So. Non può farsi alcuna Elezione, se prima non sia stata annunciata nel vlgliet- to d' invito per 1' adunanza di quel giorno .

60. Si tiene per eletto quell'individuo, il quale abbia ottenuto due terzi dei voti degli Accademici intervenuti : e fra due concorrenti, quello che abbia, oltre i due terzi, conseguito la pluralità .

61. Accadutala mancanza di un Membro Ordinario, il Vice-Presidente partecipa l'avvenimento a tutti i Membri Ordinarli della Classe, a cui appartenne, me- diante lettera circolare, e li richiede di proporre un individuo, che possa occu- pare il posto vacante. Tutti li proposti sono poi messi al voli di un'adunanza.

62. L'Accademico eletto deve leggere un discorso sopra argomento di sua scel- ta, al più tardi due mesi dopo la seguita sua elezione, nel quale farà una ricor- dazione onorevole dell'Accademico a cui succeda, nel caso, che questi sia morto.

63. Il Presidente ed il Vice-Presidente sono proposti da ogni Membro Ordina- rio, ed eletti poscia dall'Ateneo col metodo seguito per la elezione degli Or- dinari! .

64- Li Segrctarii di Classe ed ì Membri del Consig-lio Aceadeuiico, sono projio- sti dagli Ordlnaril della propria Classe, ed eletti dall' Ateneo, conforme il me- todo delle antidette elezioni.

65. I Membri Onorarli, li Socii Corrispondenti, il Bibliotecario, l'Archivista ed il Cassii.-re sono proposti tlalla Presidenza, ed eletti dall'Ateneo.

66. I Bidelli sono di anno in anno scelti dalla Presidenza .

ARTICOLO XVIL

DELLE MEMORIE DELL' ATENEO.

67. L'Ateneo pubblica per la stampa i suoi lavori accademici.

68. Tutte le Memorie lette all'Ateneo e consegnate al suo Archivio per essere stampate, sono riviste da Commissioni particolari, composte del Segretario del- la Classe, a cui appartiene l'Autore di ciascuna Memoria, e di due Mem- bri Ordinarli, l'uno dei quali viene scelto dall'Autore e 1' altro dalla Presi- denza .

69. A seconda del voto di queste Commissioni, la Presidenza propone ali" Ate- neo la stampa delle Memorie .

-o. Ogni volume delle stesse contiene la Storia dell'Ateneo, e quelle Memorie originali, delle quali la Società ordinò la stampa .

- 1 . Gli Autori delle Memorie sono 1 soli risponsabili delle opinioni e delle dot- trine in esse contenute ,

ARTICOLO XVm.

DISPOSIZIONI GENERALI.

^2. Ogni Socio Ordinario o Corrispondente deve adempire in servigio dell'Ate- neo le Incumbenze letterarie o scientifiche, che gli vengono affidate dalla Pre- sidenza .

^3. Un Socio Ordinario, che manchi, per due anni di leggere alla Società, ed un Socio Ordinario o Corrispondente che per sei mesi non paghi la contribu- zione stabdita-, o che manchi d' intervenire per sei adunanze successive all'A- teneo, verrà, dopo discussione di esso Ateneo, cancellato dal catalogo degli Accademici .

•ji. La Società pronuncia le sue determinazioni a partito segreto, vinto coi due terzi dei voti di un'adunanza.

-5. Ogni deliberazione presa dall'Ateneo coi due terzi dei voli di un' adunanza

è leale (qualunque sia il numero del Sodi intervenuti ), purché l'oggetto della deliberazione sia stato annunciato nel viglietto d invito.

-6. Ogni atto dell'Ateneo, contenente una sua deliberazione, debb' essere firma- to del Presidente, e poscia dal Vice-Presidente avanti di passare alla esecu- zione .

r^. Le memorie spedite dal Membri Ordinarli Esterni, dagli Onorarli, o dai Cor- ris|)onJentl stranieri sono anteposte, circa il tempo della lettura, a quelle dei Membri Ordinarli, purché gli Autori ne rlchieggano, otto giorni prima del di della radunanza, la Presidenza .

n8. Nessun 31embro dell' Ateneo può essere ordinato sopra due uflìcli nel mede- simo tempo .

■jg. Ognuno, che legga all' Ateneo, ha l' obbligo di consegnare, dopo un mese, la copia della sua lettura all'Archivista.

80. Non potrà essere fatta alcuna annullazione, riforma od aggiunta al presente Statuto, se non con due terzi dei voti di un'adunanza dell'Ateneo, composta del numero almeno di venti Votanti, e ragguagliati con Ischeda della muta- zione, che si tratterà di fare .

ADUNANZA PUBBLICA

TENUTA NELL' OTTAVO GIORNO DI GIUGNO DELL' ANNO MDGCCXXIII.

PROLUSIONE

DEL CAV. CARLO ANTONIO CONTE GAMBARA

ALLORA PRESIDENTE.

J.n un giorno di tanta solennità per questo scientifico letterario Istilato., alla presenza del ben degno rappresentante l'angusto nostro Sovrano , dell egregio personangio, che ne sostiene le veci,j dell" illustre capo della veneta Chiesa, del saggio e vigile moderatore della provincia, dell' indefesso zelante capo del no- stro municipio, de' distinti magistrati ne' diversi rami del pubblico governo, de' miei dotti colleghi, di così colti uditori, ben altro dicitore si converrebbe ad intcrlenervi a preludio delle accademiche relazioni, che presentar vi deggiono il ipiadro ile' nostri scientilici e letterarii lavori. Ma se un tanto lusinghevole onore di tenervi in oggi ragionamento egli si è pure uno dei più importanti do- veri di (pieir ufficio, cui volle chiamarmi il favore de' miei confratelli, forse a premio soltanto di quel fervido zelo ch'io nutro per questo patrio fiorente Ate- neo, liconforlarnil ben posso colla non vana speranza che lo stesso adempimen- to di questo mio dovere varrarami ad ottenere da voi quelfindulgente favore , che rattemprando almeno la trepidazione ch'io sento, tutta gustar mi faccia la gioia di un oriorno tanto solenne e di una così rajitruardevole adunanza .

Più accomodato argomento rinvenire non seppi al mio ragionare che quello d' andarvi rapidamente accennando le Accademie, che fiorirono in questa nostra Vinegia, madre mai sempre feconda anche di colti e peregrini ingegni in ogni eenere di scientifiche è letterarie discipline . Non discaro argomento sarà que- sto per riuscire a quanti sortirono i natali in questa antica città, sorta quasi dal- le onde come prodigio de' Numi per opera dell' induslrc mano dell'uomo, e dol- cemente scosso e lusingato ne verrà il loro patrio amore all'udir rammentare le glorie de' nostri trnjiassati concittadini, tra quali se molti fiorirono valorosi guer- rieri, e prodi capilani, e profondi politici, e integerrimi ina^istrati, molti e molli poi furonvi ancora, che con profitto e con gloria resero un puro e costante culto a Sofia, e di fiorite pompose ghirlande fregiarono delle Muse gli altari. Ma nem- meno verrò nella mia aspettazione deluso di veder anco brillare un dolce sorrr-

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so di comiùaccnza in volto di tutti queMistinli personaggi, che qui cliiamati dalla voce di Cesare alle cure della pubblica cosa, sebben vider la luce sotto altro cielo, questa nostra patria riguardan pure con occhio di particolare affet- tuosa dilezione, i sentimenti partecipando dell" immortale Francesco nostro cle- meutissimo ed amoroso padre ancor più che sovrano, e finalmente che i miei rao-o-uardevoli consocii, sebben d'uopo non abbiano di eccitamento e di sprone, gelosi non pertanto e superbi delle patrie letterarie dovizie, vie più debbano accendersi di fervoroso zelo onde maggiormente mantenere e promovere Io splendore e la gloria di questo patrio Ateneo.

Dacché tratti gli uomini dal recìproco loro bisogno sotto provvide leggi a vi- ver si ridussero in socievol consorzio insieme riuniti e congiunti, tosto a goder cominciarono di que' vantaggi e piaceri, che solo esser possono il benefico frut- to delle ben ordinate e civili società, bene sconosciuto pur anco ed ignoto per le selvagge e barbare nazioni. Ma punti ed agitati mai sempre dalla irrequieta smania di ritrovar nuovi mezzi onde accrescere la loro felicità, paghi non furo- no di godere soltanto i generali beneficii , che dalla social vita ridondano , ma nuovo bisogno sentirono di estendere la sfera delle loro idee, delle loro cogni- zioni, de' loro piaceri, e di porgere nuovo pascolo alle non mai sazie facoltà del- la mente, della immaginazione, del cuore .

Ben conoscendo che l' uomo limitato e ristretto tra 1 confini delle sole sue for- ze, dell'appoggio, della esperienza e dei lumi abbisogna degh altri suoi simili , nella stessa general società altre più speciah e più scelte andarono mano a mano formando alcuni più colti ed illuminati tra loro;, che, tutte insieme a coltivar co- spirando le scienze, le lettere e le arti, nuove sorgenti alla intera società di- schiusero, non che di nuovi diletti e piaceri, di una solida universale utilità. Ec- co, o signori, l'origine delle Accademie, antichissima origine, che quasi avvolta si perde fra le tenebre dei secoU più remoti . Di fatti fino dai più antichi tempi ebbero Accademie gli Ebrei, ed è ben forza il confessare che in quelle fiorisse- ro 1 più colti ingegni e gli uomini più scienziati, se la città di Debir molto pri- ma di essere saccheggiata da Giosuè (i) veniva chiamata la città delle Lette- re, se il possente Nabucco volle che per la splendida e fastosa sua corte scelto venisse un numero di giovani alle scuole allevati dei figliuoli d' Israello, e se la

(i) Alque inJe conscenJens veiiit ad habilalores Dabir, quae prlus Tocabatur Cariat. Sepbir, iJesl civitas Liileiaium. los. XI'. i 5.

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famosa Accademia gerosolimitana fla EsJra isiitiiila sul monte Sion venne dal Crisostomo chiamata la Scuola universale ili tutta la terra (i) .

Egli e troppo noto che presso fjiiella nazione, che barbari chiamava gli altri popoli tutti noumeno per 1 intimo senso delle proprie forze, che per orgoglio na- zionale, molto prima dei celebrati deliziosi giardini d' Aceademo quelle adunan- ze liorivano, che inseguito, secondo la più comune opinione, dal nome e dal me- rito di lui denominate vennero Accademie (2)

Lo stesso Egitto, doTe tanti sapienti della Grecia diressero le dotte loro pe- regrinazioni, non fu ad essa inferiore, ed è celebre il museo alessandrino, che ripartito in logge, in sale, in gabinetti, in giardini destinati alle adunanze lette- rarie, parte formava dello stesso reale palagio, e che a sommo splendore venne innalzato ai tempi di Tolomeo Filadclfo, e noli pur sono i privilegi e gli onori dai romani imperatori accordali agli accademici alessandrini, che Imo venivano dell' ordine equestre insigniti (3) .

Ad imitazione dei Greci ebbero le loro Accademie anche i Romani, e nei tempi della repubblica, e in quelli dei successivi imperatori: e, senza contar tra le pubbliche la prima, che venne dal governo protetta, e fondata da Asinio Pol- lione, la famosa Accademia di Augusto (4), che, oltre i più colti ingegni tra i suoi membri vantava il principe degli epiti e dei lirici latini poeti, il famoso edi- Ccio d'Adriano cui venne imposto il nome di Ateneo, egli è nolo, come lo stes-

(') Veggansi Iacopo AllÌDgio, Giorgio Orsiui, Gian-Leonardo Enbncro che scrissero Jelle Ac- cademie degli Ebrei, e Gotlifredo Voekerodt, il quale ci diede la storia delle Società lette- rarie, che fiorirono prima del diluvio, (a) Diverse furono le denominazioni date in diversi tempi e luoghi alle adunanze letterarie co- me gaboa, labratha, prytaoeum, athenaeum, lycaeum, gyninasium, schola, studium,colIegium ed altri. Il nostro Istituto italiano e quello di Francia potrebbero denominarsi pritanei , poi- ché molte Accademie della Grecia, ove stipendiali venivano gli uomini dotti, erano appunto denominate pritanea. Zenoni T. 8, piig. y.

(3) Non solo i letterati vi facevano le loro confercn/e, ma vi erano altresì mantenuti di ogni co- sa colle pubbliche rendite a ciò destinale. Quelle adunanze si tenevano in occasione de'giuo- chi consecrati ad Apollo ed alle Muse, e dal re stesso venivano eletti sette per giudici di quel- le composizioni, che vi si recitavano. lliJ.

(4) Augusto aperse Ire pubbliilie biblioteche, e la più celebre nel suo palazzo sopra grandiosi portici vicino al tempio di Apolline, ed in questa fu stabilita da esso una pubblica Accade- mia composta di 20 celebri letterati Virgilio, Varo, Tarpa, Mecenate, Plozio, Valgio, Otta- vio, Fusco, l'uno e l'altro Visco, PoUione, i due Messala, i due Bibuli, Servio, Furnio, Ti- bullo il vecchio, Pisone ed Orazio, che li nomina quasi tutti ne' Tersi 81-86 della satira io.' del lib. 1. Dacier. Bemarques si:i T art poélitjue d' Borace.

3o

so Aulo Gelilo l'attesta, che molti tra 1 più illustri cittadini o ergevano biblio- teche, o le stesse loro abitazioni aprivano ai Ictterarii congressi (i).

Poscia fra le altre nazioni europee sorger si videro Accademie, e specialmen- te nell'Italia, che sola ne conta più di tutte insieme le altre colte nazioni d'Eu- ropa, e molta lode si deve al ristauratore delle scienze, delle lettere e delle ac- cademiche società r imperatore Carlo Magno, che diede il primo impulso alla fondazione di queste, e che i piìi dotti a se chiamati raccolse d'intorno, un'Ac- cademia fondando, di cui volle esser membro egli stessoTNon è quindi meraviglia che anco nella nostra Vincerla sorg-er si vedessero tante e si rinomate sclentifi- che, letterarie adunanze, e tante e tali in essa borirono da poter a buon titolo vantarsi che, se la nostra Italia pel numero delle Accademie superò tutte le altre nazioni d'Europa, eguagliò, se non vinse essa sola tutte insieme le altre città dell' Italia (2).

Non e già esagerazione, o signori, o troppo caldo amor di patria, che ad as- serire mi muova portare la nostra Vinegia la palma sovra le altre città dell'Ita- lia pel numero delle Accademie, che specialmente da più di due secoli addietro, tra noi vennero istituite, mentre attestarvi anzi posso che allo scorgere a alto grado portata la coltura delle scienze, delle lettere e delle arti, la mia meravi- glia supererebbe non solo, se posslbll pur fosse, la mia stessa compiacenza, ma che, ad onta del più tenero patrio sentimento, 11 primo sarei forse a dubitarne lo medesimo, se tolto qualunque dubbio interamente non mi fosse dall'autorevo- le testimonianza dei più riputati scrittori (3) .

Sì, e gli stessi stranieri lo attestano, questa antica città, che 1 mari coperse delle mercanlilj sue navi, che famose e temute rese le bandiere delle sue flotte coi più gloriosi trionfi riportati dal suol prodi ed abili capitani, questa città al- l'Industria commerciale , allo spirito guerriero unir seppe mai sempre anco l a- more e per gh ameni e pel severi studii. e, se d usar mi è permesso le mitolo-

(i) Cosi avea fjtlo Liir.ullo, che apri nei suoi luoghi di delizia una biblioteca, che cnateneva nu- merosa raccolta di libri greci e latini, ov'egli accoglieva non solo i suoi lellerati conciltadnii, ma i greci ancora, che passavano colà, a conversare in filosofiche disputazloni , ed un niemo- raLile esempio ne abbiamo in Cicerone che a tal uso avea destinato la sua casa di campa- gna presso Pozzuoh, che nominò Accademia, perchè ivi solea tener conferenze co'suoi dot- ti amici, che produssero le sue opinioni accademiche, ed il libro de finibus. Zen. he. cit.

pag. g.

(a) Nel catalogo del J.irchio le Accademie italiane ascendono al numero di SSo, in quello dello Zenoni ad 800, non comprendendosi le Accademie di Wnezia.

(3) 11 Sansovino nelle Cronache enella Venezia, il Quadrio, il Crescimbenl, d RusccUi e Apo- stolo Zeno .

3i glclic frasi.^ ben dir polreV che su questa novella Atene tutti i favori a jiicna mano snaigosse , che sulla greca già sparse, la protettrice di lei l' immortai fi- glia di Giove .

Qui colla più nobil gara e dotti ecclesiastici, e pastori, e colli ed eruditi cit- txidini il glorioso esempio seguivano di tanti illustri patrizii, che allo splendore di antichi natali, di porpore cittadine, di auree stole e di ducali corone quello ao-o-liinfTcr pur vollero ancora di esimii cultori e protettori de' buoni studii e del- le arti, e a sempre più 1 amore promuoverne e la coltura ne' loro stessi palagi Accademie fondarono composte dei più scienziati tra noi, e di quelli delle altre vicine città, al mantenimento e al decoro delle stesse con generosa munificenza destinando le proprie loro ricchezze. Queste dotte adunanze con particolare fa- vore protette, «juasi tutte uno splendido Mecenate si ebbero ne' più distinti ma- gistrati, e molle ancora nello stesso governo, che fino a trasportarsi in Vincgia invitò Vindelino da Spira, per cui se ancora forse può venirgli conteso il vanto che per le venete stamperie vedesse il primo libro la luce, che siasi stampato in Italia, quello può a tutta ragione sostenere d'essere stato il primo ad intro- durre, e proteggere l' importanlissinio ritrovamento della stampa (t).

Non v' ha genere di scienza o d' amena letteratura, che coltivalo non fosse in queste accademiche società, poiché di scienze speculative esclusivamente occu- pavasi r Accademia degli Acuti fondata in san Nicolò dal padre Marco Antonio Ferrari sotto gli auspicii dei j)rocuralori di Ultra: della più sublime filosofia, quella dei Discordanti nel i6i8; della platonica quella dei Platonici nel i55o, come della naturale quella dei Peripatetici, della teologica scienza quella degli Assicurati (2), e della storia ecclesiastica l'altra dei Concordi fondata nell'an- no 1 ^60 nella biblioteca del monastero di s. Francesco della Vigna dal padre Flaminio Laterra . La naturale filosofia, ed in particolar modo la botanica era Io scopo degli utili studii de Filaleti, che vantano per loro fondatore il celebre storico veneziano il cavalier procurator Giambattista Nani, che il proprio palagio alla Giudecca destinò alle accademiche adunanze : la geografia, la storia e la fisica di quella istituita dal padre Antonio Brandarei chierico minore nel 1 680, che poi per opera del padre Ricci aggregata venne all'Arcadia, e chiamata Partenia:

(i) La sua edizione delie opislole Inmiliaii di Cicerone pubblicata l'anno 1^69 porla in fronle questi due versi :

l'i linux in .Idi iiica Joimis inipomit aeneis Urbe libros Spirae genitus de stirpe Johannes. {^) Fu istituita dal p. maestro Santi. E diversa da quella dei Sicuri fondata, secondo il Quadrio, nel 1G20, die alzò per impresa il solo nell'eclittica col motto: Indeclinabili gressu. Un'altra Accademia colla stessa denominazione di Assicurati fu fondata in lìurano daJ piovano Giu- seppe Tagliapielra. Zen. tom. i , pag. aSa.

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la giurispriulenza, la storia e la antichità dell'altra degl" Imperfetti nella propria biblioteca aperta nel 16^9 dal celebre giurisconsulto ed avvocato conte Mari- no degli Angeli : e la storia e la teologia coltivavansi pure in quella fondata nel- la propria casa dal dottissimo Gio. Palazzi parroco di s. Maria Mater Domini ; come in quella, che egualmente nella propria abitazione aperse nel i too il ce- lebre professore Sebastiano Melli coltivate venivano la medicina e la chiruro-ia. A promuovere ancora tra noi la cosmografica scienza nell' anno 1630 il p. Vin- cenzo Coronelli generale de' minori conventuali un'Accademia fondò, che dalla propria impresa della nave d'Argo sopra il globo terracqueo il nome assunse de- gli Argonauti, ed il doge Marc' Antonio Giustiniano non isdegnò di unire allo splendore delle ducali insegne l'onorevole titolo di principe di quella famosa Accademia. Non vennero dimenticate nemmeno l'erudizione e la critica; polche sin verso la metà del 17.° secolo nel palagio del procuratore Querini aperta reg- giamo l'Accademia dei Paragonisti, dove le più nobili questioni discutevansi di erudizione : e quella dei Planomaci tutte rivolte area le sue dotte fatiche all' u- lilissimo scopo di render conto delle opere che a mano a mano pubbhcate veni- vano colle stampe (1). Finalmente il tradurre le piìi riputate opere de" greci e dei latini scrittori,^ l'illustrare la vaghissima nostra lingua italiana, il promuovere gli studii dell'architettura, tutti questi cosi nobili lini mossero il celebre Anton Francesco Doni ad istituire nel 1 55o 1' Accademia dei Pellegrini, che tra' suol membri annoverava 1 più distinti letterati anche fuori dell'Italia, e a render ce- lebre questa utilissima accademica società basterebbero i nomi soltanto del Ben- tivoglio, del Sansovino, del Dolce, del Feliciano, del Coccio e dello stesso illu- stre suo fondatore .

II.

Ma se con tanto splendore in ogni genere di scientifiche discipline si esercita- rono le accennate Accademie, e molte altre ancora (2), che ben qui potrei no-

(1) Fondatore Ji questa Accademia circa l'anno 1740 fu 1' ab. don Medoro Rossi di Rovigo, ^en. Tom. 1 , png 290.

(3) L'Accademie de' Fioriti aperta nella casa dei patrizi! Dona a santa Fosca, de' Serafici di cui fu principe Francesco Morosini, de' Pacifici aperta in casa di Antonio Loredan circa il 1670, deli Allettati fondata da monsig. Fiori, che fu poi vescovo della Canea, che prese successi- vamente i nomi degli Approvati, Disingannati, Disgiunti, Svegliali ; degli Immobili che fiori- va circa l'anno 1642 di cui parla il Crescimbeni nella storia della volgar poesia, de'Filadel- fici istituita dal patriarca di Venezia Gio. Baduaro nel palazzo patriarcale, de' Suscitati istitui- ta l'anno 1657 dal p. Annibale Lombardelli della compagnia di Gesù, nel convento de' padri gesuiti; e dell'altra detta di s. Stefano fondala nel convento degli Agostiniani di s. Stefano

33 minare, se di venirvi a noia non temessi a ragione, con non minor calore g.i stiidii collivaronsi altresì d'ogni amena letteratura. Tralascierò di citarvi 1 Acca- demia dei Prudenti, che con molta riputazione ai tempi lìoriva di Ercole duca di Ferrara, che, invitato, del suo intervento, onorolla nel i4^7i 'i cui se ne ven- ne in Vinegia : quella ilei Dubbiosi, che a fonda'ior riconosce nel i55o il conte Fortunato i^Iartinengo, e che levossl in grande rinomanza: le tre degli Inoltrali, Provveduti e Difesi, tutte da Francesco Loredan istituite; e le due parimente degl'Industriosi 1' una in casa Gozzi aperta, l'altra dal conte Glo. Cattaneo nel I ^58, ove i ulosohci argomenti trattavansi ed in prosa ed in verso (i); così pur sotto silenzio cpiella passerò degl'Immaturi nel j6id istituita sotto la protezione del cavalier procurator Francesco Contarini e del senatore Andrea Morosini , non che l'altra degl'Informi da Antonio Coluraffi l'anno 1627 nel palagio di Alvise da Mosto, che il primo discorso vi recitò nell apertura, reso di pubblica ragione colle stampe, ed al vescovo di Torcello Marco Zeno intitolato .

Ma ■.;ome potrò tacermi di alcune altre riputate Accademie, che con particolar culto onoraron le Muse, come tra le altre quella del Dellici sorta nel palagio <li Marco Bembo Tanno 16^5 sotto la protezione dei procuratori Cornaro e Cor- raro, r altra detta della Calza, o dei Cortesi che nel i533, oltre a molli genti- luomini, ebbe a fondatore Francesco Bon : e che, cessata ahjuanti anni dopo, più florida risorse sotto il nome degli Accesi dal Sansovino lodata, dal Ferro e dal Ruscelli? Non minore diritto ad onorevol menzione si ha l'Accademia dei Cac- ciatori (2), che con unanime concorso sorger fecero gloriosa Iacopo Zeno, Vin- cenzo Trevisano, Iacopo Baroni veneziani, Giam-Paolo Barozzi di Salò, Gian- Alvise Anguissola piacentino, e qualche altro straniero : ed a questa ben può contender la palma l'Accademia de Dodonei , che l'anno i6^3 nel palagio del procur. di s. Marco Angelo Corraro sotto la sua protezione, e di quella dell'al- tro procur. Angelo Morosini, venne istituita da Iacopo Grandi pubblico professo- re nell'anatomico teatro eretto poc' anzi in Venezia, e da Antonio Ottoboni ni- pote del cardinal Pietro, che, come a tutti è pur noto, sotto il nome di Alessan-

Jal p. maestro Brelenoa, e lasciando molte altre, di quella degli Animosi istituita dal celebre Apostolo Zeno nel 1691, ed aperta nel palazzo del fu patriarca Grimani nella contrada di (. Maria Formo?a, di cui era allora padrone il N. U. Gian Carlo Grimani. Avea questa per oggetto il maggior progresso delle arti e delle scienze, e la sna impresa, inventata dallo Zeno, era un' ellera avviticchiata con un albero col motto Tenues grandia Fu aggregata al- l' Arcadia di cui divenne una colonia nel 1698.

(i) La maggior parte dei dotti suoi membri erano patrizii. Zen. ibid. pag. 287. Moschini, della Letlcrat. ì'encz. T. i,pag. 286.

(2) Teneva questa Accademia le sue adnnaaze nel monastero de' canonici di castello. Nel 1618 era principe di essa Giuseppe BoUani.

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dro Vili, cinse dappoi la fronte del pontificale triregno. Ben grare oltraggio io recherei all'illustre memoria del senator Gian-Francesco Loredan se qui di- menticata lo lasciassi l'Accademia degl'Incogniti (i), ch'egli eresse ed aprì nel- la propria casa prima dell'anno i 63o, Accademia le cui glorie vennero eol- ie stampe celebrate dal suo stampatore Valvasense, e con quella in partico- lar modo che 160 vite conteneva de' suoi accademici, composte la maggior parte dallo stesso suo fondatore, e che tanta acquistossi riputazione e fama che l'onore di appartenervi quai socii ambivano a gara i più distinti letterati, non che dell' Italia, di tutta intera 1 Europa . Ma ben tutti gli encomii ancor poco sarebbero al celebre fondatore nel i55^ dell'Accademia veneziana della Fama, il senator Federigo Badoaro, giacche può dirsi che questa Accademia che 100 socii contava, tra cui quasi 3o (2) patrizii, in se tante altre ne chiudesse, quante erano le varie classi delle particolari facoltà in cui venne divisa; poiché non solo nn' ampia magnilìca sala del suo palagio, ma ad ogni classe altrettante separate stanze assegnò, perchè ivi tranquillamente attender potessero i sodi a preparar le materie e gli argomenti, che a tutta intera la società venir dovevano proposti . Ne fu pago soltanto di quasi tutto destinare il proprio palagio, ma una gran parte ancora all'Accademia assegnò delle sue rendite per la decorosa sua conser- vazione, e dono le fece di tutti i preziosi manuscritti, e di tutte le opere stampate, che in gran copia con non lieve dispendio aveva diligentemente raccolto. Non il solo diletto degli studii, non il Siolo piacere di dotte conversazioni, ma l'amore del pubblico bene e della pubblica utilità accendeva quegli zelanti suoi membri a promuovere nelle giornaliere adunanze le scienze tutte e le arti pili nobili , ed oo-ni più acconcio mezzo ad adoperare pel loro maggiore perfezionamento, e quin- di da tutte parti del mondo colla più industriosa cnra le più interessanti notizie ritraevano d'invenzioni, d'utili scoperte, e fino di politici economici affari, che l'u- tilissimo argomento formassero de' loro scientifici e letterarli congressi. Vastissi- me oltre ogni credere erano le idee di questa illustre Accademia, poiché non so- lo aveva per uno del principali suoi scopi il pubblicare col mezzo de'nltldl e cor- rettissimi tipi del rinomato Paolo Manuzio, uno de' suoi membri, cui venne affi- data la direzione della tipografia, le opere più riputate uscite in fino allora alla

(i) Fra i molti Jislinli letterali e dotti che componevano quest'Accademia v'erano ancora i ve- neti patrizii Loredan, Bembo, Garzoni, Querini e Pietro Micliiel valente poeta e socio della Accademia de' Fantastici di Roma fondala da Alberto Fabris nel iGzS. Ab. Malatesla Ga- ruffi, Italia accademica Par. i, pag. 18.

(3) IVani, Riva, Trevisano, Sanudo, Contarini, Gabriel, Balbi, Mocenlgo, Zane, Barbarigp , Tron, Vfllier, Giustinian, Dalezze, Grimani, Bembo, Orio, due Tiepoli, due Zorzi, due Mo- losini e tre Gradenigo. Zan. Catalogo JegT Incogniti.

35 loce, il rintracciarne i più corretti esemplari., Y arricchirle con eruditissime illu- strazioni, ma quelle allrcKÌ in 0{;ni genere di sdljlle, e di tulle le arti m ogni altra lingua straniera, le molte de'suoi stessi dotti accademici, e quelle finalmen- te o piìi rare, o che non eransi pubblicate per anco, per cui nell'anno susseguen- te in gran copia alla lieia di Francfort quelle poti; inviare che avea cominciato nella propria oihcina ad imprimere, ed in brevissimo tempo un fiorente commer- cio di libri aprire, e dilatare per tutta quanta l'Europa . Ma tutto questo è ancor poco. Tra i più nobili fini, cui mirava questa utilis.sima Accademia, quelli pur v'erano di ristampare tutte le venete leggi, di ordinarle in 4 classi, di rivedere le patrie storie, di rettificarle ed accrescerle, di render conto ilei patrii istituti e delle piìi ftunose fabbriche, di pubblicare i cerimoniali delle rehgiose e civili solennità, di aver cura della pubblica biblioteca, di ordinare 1 libri, di acquistar- ne di nuovi, di accompagnare ad istruzione e diletto i principi ed illustri stra- nieri che visitasser Viuegia, di approvare i correttori delle stampe di tutte le tipografie, di istruire 1 giovani nella cancellaria, e di nulla in una parola d in- tentato lasciare, che tender potesse alla maggior pubblica istruitone e felicità. I tanti e nobilissimi intraprendimenti di così proficua società voi ben lo vedete, o signori, più proprii si erano di un potente sovrano Mecenate, che di semplici forze private, e deve ben eccitar la più singolare sorpresa, sebben per le umane fatali vicende abbia cessato di esistere, gravissimo danno recando all'Italia ed a tutta l'Europa, clic un così Vasto disegno siasi potuto immaginare ed esegui- re da un solo benemerito cittadino tale Accademia fondando, di cui mai non sorse l'eguale. A riparar tanta rovina il ai giugno i5g3 alcuni letterati di mol- ta fama e veneziani e delle vicine città aprirono una nuova Accademia col titolo di Accademia veneziana (i), che, presa in protezione dal veneto senato, dallo stesso destinati si vide a protettori sei ragguardevoli gentiluomini, ed al como- do delle sue adunanze ingiunto di raccogliersi nella pubblica ducal libreria, e questa sulle traccie camminò della prima, ogni ramo coltivando delle scientin- che e letterarie discipline, non già a quella degli accademici, ma alla pubbli- ca reale utilità dirigendo i faticosi lavori e le indefesse sue cure . Ma quali ben meritate lodi non dovrcm tributare a' due tipografi , cui già , non la vile ingor- digia di guadagno , ma il solo nobile amore di promuovere i buoni studii ed il pubblico vantaggio, il disegno inspirò di farsi essi stessi fondatori di due ripu- tatissime Accademie ? D celebre Aldo Manuzio il vecchio non fondò forse nel-

(i) I protettori furono Benedetto Tagliapietra, Girolamo Zeno, Sebastiano Friuli, Carlo Ruz- zini, Giovanni Tiepolo e Girolamo DieJo. Si conservano maouscritte in un codice dello Zeno le costituzioni di questa Accademia, che fioriva anche nel i6o8, nel quale anno Belisario Bul- garini le dedicò le sue Chiese marginali sopra la difesa del Mazzoni per la Commedia di Dan- te. T. 8, p. 3i.

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la propria casa 1' anno i^go la più antica Accac!eniia veneziana, di cui s' abbia memoria, denominata degli Aldini od Aldina, e da lui chiamata Neoaccademia o Accademia nuova, lo che farebbe con molto fondamento supporre esserne an- che prima di questa fiorite molte altre, la cui denominazione e memoria venis- sero appunto dallo splendore di questa oscurale? Egli è certo però che il pen- sier di fondare una stamperia, per pubblicare colla possibile maggior perfezione emendate e corrette le opere piii reputate de' greci, latini ed italiani scrittori, a stabilirsi lo trasse in Venezia, dove abbondevole copia di rari ed eccellenti ma- nuscritti, e ragguardevol numero di letterati e di dotti felicissimo gli promette- van r esito di così nobile mtrapresa . Un Navagero, un Bembo^ un Sanndo, un Carteromaco, un Erasmo, un Calcondila, e molti altri distinti letterati socii di- vennero della Aldina Accademia, di cui resero immortai la memoria le corret- tissime e nitide edizioni aldine, che 11 maggior lustro formano delle più scelte biblioteche, e che ben si devono come i più preziosi codici considerare . Emulo d'Aldo nella stessa grandiosa vastissima intrapresa fondò parimenti il veneziano tipografo Almorò Albrizzi nel luglio del 1772 una nuova Accademia , cui diede il nome di universale letteraria albrizziana società . Estese egli ancor maggior- mente il disegno adottato da Manuzio, poiché gratuitamente imprimeva le ope- re dei suoi accademici, che al numero ascendevano di -20 (1), che il più bel fiore formavano della italiana letteratura: in ogni settimana uscir faceva da' suoi torchi un fosrlio universale di letterarie notizie , e' ciascun mese un breve coni- pendio de' più accreditati giornali di Europa, e non trascorse gran tempo eh egli a questa Accademia i titoli aggiunse ancora di hlarmonipa e del disegno. Incredi- bile ed immenso era de'nostri il fervore per ogni genere di studii, e per fondare Accademie, e troppo a lungo n andrei, se volessi di tutte farne menzione (a); o-iacchè senza comprender le 92, che aprironsi nelle città e borgate del veneto dominio (3) , più di 80 in Venezia, comprese le vicine due isole Murano e Bu-

fi) Fino nel 1734 conlava questa Accademia fra suoi memljii io principi, 20 caidlnali, 60 pre- lati, 12 generali delle principali religioni. Si trovano stajnpdtl in diversi fogli gli atti e le me- morie di questa società, il cui catalogo, quasi intiero, fu pubblicato nella ristampa fatta nel i yS/i della biblioteca volante del Cinelli. ìhià. pag. 34- (2) Non si è falla menzione dell' Accademia de' Granelleschi, e delle altre che fiorivano a' nostri tempi perchè notissime tra noi. Oraraettendo le varie riportate dal Zanon, aggiungeremo l'altra Accademia medico-chirurgica fondala dal rinomato prof Gio. Menini,ed aperta la prima vol- ta l'anno 1770 coli' intervento del magistrato della Sanità Moschini, della Lctlerat. vene- ziana T. i, pag. 298. (3) Padova ne conta 27, Verona i3, Brescia ii, Trevigi 8, Vicenza 7, Belluno 4, eJ altrellan- le Salò, e Bergamo 3; Adria, Gapodistria, Conegliano, Este e Leodinara 2 ciascuna, ed I Crema, Ceneda, Rovigo, Sacile ed Arcuato.

37 rano (i), ne conia 1' enulilissimo udinese Zanon (2), clic mi fu in tale enumera- zione di scoila, poicliè con accuralissima diligenza |)cregrine notizie intorno al- le Accademie raccolse da parecchi rejnitali scrittori.

Ma nel novero delle molte ancora che io taccio, permettetemi che a giusta gloria de" nostri veneti ambasciatori 1 Accademia italiana (A) 10 vi ricordi, clic, a guisa di quella dei Vigilanti italiani eretta in Madrid, venne da loro fondata in Parigi a' tempi del gloriosissimo regno di Luigi XIV sotto la protezione del cardinal Mazzarino, che ciascun sabba'to raccoglievasi nel palazzo della veneta ambasceria . Che più? Tanto viva ed accesa erasi l'emulazione, che cosi uni- versalmente serpeggiava negli animi de' veneti cittadini, che nobilissima corse pur anco a solleticare ed accendere lino i teneri e delicati petti del bel sesso gentile, e vide la nostra Vinegia, al dire .del Sandi, con dolce compiacenza le più specchiate e nobili dame, trascurando i frivoli pas.'^atempi, in accademica società ragunarsi a recitarvi poetici componimenti, ed esercitarsi altresì nell'ar- te incantatricc e deliziosa d'Euterpe .

Ma dirvi abbastanza io non saprei con parole, con qua! occhio di paterna com- piacenza riguardati, e con quanto particolar fervore incoraggiati e protetti ve- nissero così nobili sforzi di tante accademiche società in chi le redini reggeva

(1) Una ne fioriva in Borano sotto il nome di Assicurati come s'è detto nella noia 2. apag. 3i, e 6 ne conta Murano: quella degli Angustiati nel 1660 fondata dal sacerdote Domenico Gi- sberti, che si occupava specialmente della poesia drammatica; de'Fecondi nel i 724 eretta nel collegio delle Scuole pie; de'Generosi fiorente in quel seminario patriarcale verso la metà del «ecolo XVI; degli Occulti nel principio del XVII aperta nella propria casa dal sacerdote Gio. Morelli; dei Separati fondata dal corpo degl'interessati di Murano nel 1675, e poscia traslo- catasi alla Giudecca; e quella infine de" Vigilanti, che fe'sorgere nel 1602 Gocalino Cocalini da Torcello.

(2) Egli però non fa parola di un Ateneo che fioriva in Vinegia sulla fine del secolo XVI. Nel decorso maggio fu veduto vicino al convento de' ss. Gio. e Paolo il ritratto di un ben nutrito frate Domenicano avente la data del i565, ov'era detto che quel frate era anche socio del- l'Ateneo di Venezia. Non fu più possibile dappoi trovare quel ritratto. Più accurate inda"i- ni potranno sciogliere questo dubbio. Il citato Zanon parla di un' Accademia detta de' ss. Gio. e Paolo, perchè istituita in quel convento, ma non può essere il supposto Ateneo, polche il ri- tratto porta la data del i 565, e questa Accademia eretta dal padre maestro Seltino non sorse che posteriormente d'assai cioè nel 1610.

(3) Anche al patrizio Antonio Zane provveditore di Salò e capitano della Riviera è debitrice Salò di aver veduto per opera di lui dopo /(o anni risorta nel palagio prefettizio l'Accademia degli Unanimi fondata da varii gentiluomini bresciani verso la mela del secolo XVI, e che fini nella terribile peste del i63o. Italia accademica delCah. D. Giuseppe lUaìalesla Ga- riiffi. Par. l,pag. 18.

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del veneto governo, "she troppo bene riconosceva di quanta importanza .^ e di qual gloria per esso medesimo ne fosse il favorire e proteggere con mano pos- sente e generosa tanti suoi sudditi e figli , che i proprii sudori ed averi con si magnanimo ardore consecravano al pubblico bene , e ad accrescere magu-ior- mente lo splendore e la fama della felice fiorente loro patria .

Furono questi, o miei dotti colleghi, i luminosi esempii che ci lasciarono i nostri maggiori; esempii, che se il sacro e dolce dovere ci impongono di aver cara la loro memoria , e di infiorar quelle tombe dove riposano le onorate lor ceneri, quello pur anco ci additano di ricalcare animosi le stesse loro pedate , onde non del tutto renderci indegni di veder sovra di noi riverberare un rafo-io di quella fulgida luce, che cinse le gloriose lor fonti. Or già non più come nel- 1 epoche teste rapidamente trascorse molte Accademie ad un tempo con bella gara tra loro promuover possono 1 buoni sludii, polche da quasi tre lustri per disposizione sovrana in questo patrio Ateneo tutte vennero insieme riunite le accademiche società, che allor fiorivan tra noi . Raddoppiamo dunque gli sfor- zi, e se tolto ci viene con nobile emulazione di gareggiare con altre patrie Ac- cademie, tutti accesi da generoso sentimento con quelle gareggiamo che pro- spere fioriscono sotto il bel cielo italiano.

Questi eccelsi magistrati, molti de' quali ha il nostro Ateneo la compiacenza di salutare a suol membri onorarli, generosi ne accorderanno protezione e favo- re, e tutto sperar possiamo dall'augusto nostro Sovrano, che con tanta genero- sa munificenza le scienze protegge, le lettere e le arti, premii e privilegi conce- de a nuove ed utili scoperte, e tutte rivolge le vigili e paterne sue cure al mag- gior lustro e vantago-lo delle scuole, del ginnasti e del licei, e d'ogni qualunque istituto, che tenda alla maggior pubblica istruzione ed utilità .

Ad avvivare pertanto, o valorosi confratelli, il nostro fervore negli scientifici e letterarii esercizli, a sostenerci nella difficile e faticosa carriera il nobile or- goglio ne punga di scendere da cosi illustri cittadini, ed il pili vivo patrio amo- re ne accenda, onile colla costanza de" nostri sforzi mantenere almeno que' van- tao'o-l, quello splendore e quella gloria, che anche per la coltura delle lettere , delle scienze e delle arti acqulstossl la veneta nazione, che collocata dalla sua antichità fra le moderne la prima, al dire di reputato storico francese, ha tutte le altre nelle arti dell' incivilimento preceduto (i) .

(i) Darà, Hlstolre de Veaise. T. i, pag. a.

DEI LAVORI

FATTI DALLA CLASSE PER LE SCIENZE

NELL" ANNO ACCADEMICO 1822—1825.

RELAZIONE

DEL DOTT. GAETANO A. RUGGIERI

ALLORA SEGRETARIO DELLA CLASSE MEDESIMA.

(j li amatori delle scienze, dell' arti, e delle lettere., che son raccolti in que- sto asilo consacrato alla sapienza, sono uomini mai sempre vogliosi di praticare in utili lavori ogni loro capacità ed ingegno. Riguardando l'ozio come escalo del vizio , essi l'ebbero fidatamente in isdegno, ne mai si accomodarono a tol- lerare , che fra loro avessero un seggio durevole gì' infingardi . Costoro , o non ebbero giammai l'arditezza d' avvicinarsi all'Ateneo, o se l'impeto d'un vento improvviso fin qui traportolli, ne fu breve la loro dimoranza, perciocché ad essi in ogni tempo questo loco riuscì terra assai travagliosa e sfruttata. Qui adunque hanno loro stanza perenne soli accademici operosi, e qui tributano di continuo alla patria le produzioni delle loro studiose fatiche . Di una parte delle produzioni, che furono nello scorso anno offerite, io deggio in quest'oggi, o signori, darvi un ragguaglio, che, tra misure certissime, valga a rappresentar- ne r andatura e l'essenza . Ma donde la mia pochezza n' avrà 1' avvedimento e la voce? Io m'accingo ali" impresa con animo incerto e peritoso, ed a nulla var- rei certamente, o signori, qualora non isperassi cortesia e sostenimento dalla vostra benevolenza .

I. Se tutte le cose della terra esser ponno tenute per oggetti di curiosità e di studio, la formazione del mondo deve senza dubbio riguardarsi per argomen- to atto a movere, più d' ogni altro, i cultori delle fisiche discipline ad ogni ma- niera di ricerche . Suscettivo l' ili. sig. Filiasi di alti concepimenti, detto un o- pera intorno al diluvio, ed a noi fece dono di una parte del discorso, che deve precederla, nella quale 1' autore mirò ad estollere gli accademici a quella mera-

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viglia sublime, cui fa la ricordanza della creazione dell' universo. Per conoscere la sua origine, fu vano, egli dice, ogni modo di conato, non metafisiche medita- zioni, non calcoli dell' algebra, e neppure lo immaginare dirompimenlo e ruina di altri mondi. Può la mente umana soltanto nella narrazione di Mosè venerare il prodigio, pel quale Iddio scosse dall'inerzia infeconda la stante materia . Ma quale fu il mezzo dal Creatore impiegato per movere questa materia a compor- re la tanta varietà delle parti dell'orbe? L'accademico diede luogo ad una sua opinione, ed immaginò che, per lo sorgere di un' aura di foco da per tutto scor- rente, e per lo nascere delle forze irrefrenabili di attrazione e repulsione, la ma- teria prima sia divenuta sommossa ed agitata, e quindi a poco a poco sospinta ad un movimento vorticoso, pel quale girando in sèmedesima, addivenne che ne furon composti del globi . Questi globi, dove lievissimi e minutissimi, e dove fat- ti sempre più maggiori a seconda che di più gli effetti sentirono della causa, che al moversi in cerchio gli impelleva, produssero operate 1' aria, 1' acqua, la terra, le rupi, e quelle splendide masse del firmamento, le quali dispargono la luce, che ogni cosa vivifica, ed abbella .

II. Creato ch'egli ebbe 1' Onnipotente 11 mondo, apparecchiò all'uomo sulla terra ogni maniera di mezzo, per riparare In qualsiasi congiuntura al suol biso- gni . Sostenuto 11 dott. Levi da questa verità, e considerando che 1' uomo non ebbe in destino di vivere errante e vagabondo, ma di starsi stanziale in quella regione. In cui nacque, divenne ad Inferire che d suolo, che all' nomo è patria , procaccia ad esso quanto egli ha mestieri di possedere . DI qui derivò il motivo di comporre un lavoro intorno alla necessità di studiare i patrii naturali prodot- ti^ e sulle peste dei celebratissiml Donati, dello Zannlcchelli, del Glnnanm e del- l' Olivi, ci portò a conoscere , che 11 suolo veneto puote a noi largheggiare ogni modo di provvedimento, del quale ci possa avvenire nel corso della vita di aver bisoi^no, e ciò tanto rispetto alla vitluaria, quanto alla medicina sanativa , ed anche rispetto alle cose utili ed opportune , per secondare il volubile lusso, li quale sebbene debba tenersi a prima giunta per vano fantasma, è però in effet- to l'aminagllatore più dilettevole e meraviglioso del popoli Ingentiliti. E passan- doli si"-. Levi dalle generali alle cose particolari, ci noverò di molti vegetabili e di molti animali, affatto sconosciuti in altri suoli , in altri climi , 1 quali tutti sono sostanze mangereccie, che foran atte ad accrescere nelle mense di Miteco e di Apiclo le ragioni d'affilare all'Ingordigia 11 palalo. Ci ricordò 1" autore un gran numero di medicamenti Indigeni di queste terre, di queste acque , fra cui neir atriplice del semi pel recere, nell'angelica silvestre un confortativo di acco- stante fragranza, nell' ulva granellata un domatore poderoso delle strume . Cen- to e poi cento essi furono 1 prodotti , cui 1' accademico ricondusse alla nostra memoria, 1 quah dar possono alle arti le tinte per svarlatisslmi colori, fiocchi di

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«età per sciamiti pomnosi.^ chiocciole, concliiglic, madreperle, coralli per com- porre (jiiantlo lucenti e canjjiaiiti ravvolgltnrc, quando monili e fermagli, e quan- do quelle zone, che, costringendo in bella forma il sesso gentile di sotto del petto, fanno dal trapunto che rimutevoli i raggi dell'iride slavillino, donde av- yienc quel Laglior seducente, pel quale al cinto di Venere la favola attribuiva il prestigio incantatore di Giove .

III. Di quanto belle e pellegrine produzioni il nostro suolo e le nostre acque sieno feraci, prova a noi diede ancor più convincente il professore Gaetano Ma- LAcvRNK con le sue memorie storiche sulla vita e sugli studii dclf ab. Slpfano Chierighin. Ei nacque in Cliioggia nel l'jia, fu educato prima in Venezia, po- scia nel collegio militare di Verona, donde uscì alhere, e di cognizioni nelle uni- versità d" Italia fatto avendo grande raccolta, entrò nel sacerdozio, e quindi, pie- no di Dio, dcdicossi all'istoria naturale, giacche l'onnipotenza dell'Eterno, più che in altro, s' appalesa nella immensità degli enti svariatissimi, de' quali abbon- da r universo. Il Chierighin rivocossi in breve la fama di esimio botanico, ed operò un erbario, dove un numero grandissimo eravi raccolto di piante nostrali, infino allora sconosciute. Il divisamente poscia concepe di fare una zoolooia perfetta del nostro golfo . Erige nella propria casa un museo, ed ivi di conchi- glie depone le 12^2, che ne formano 1' intera serie. Volge 1' animo senza posa alle altre produzioni, e vuole nel museo radunati i disegni dei pesci, degli zoofi- ti molli e di tutti quegli esseri, che non resistono al rodimento del tempo . Con tale intendimento percorre il golfo, ed essendovi nel mare dei pesci, che vede- re non si possono, che quando sia pacato, e degli altri, che non abbandonano i loro covaccioli, che quando sia in burrasca, egli affidasi alle onde, tanto se sien ridenti pel raggio di un lucido mattino, quanto se l' impeto del vento le faccia orrendamente esagitate . Dei disegni rappresentanti i pesci, le chioccio- le, i granchii e gli zoofiti dell'Adriatico, ei conduce a compimento il numero di 17^2. Tedeschi, Polacchi, Inglesi correvano a Chioggia per istruirsi da quel museo in così bella e difficil parte dell' istoria naturale . I Francesi ne furono così meravigliati, che voleano con un presente di dieci mille franchi, e con uno stipendio in vita accalappiarlo, acciocché loro cedesse quel disegni. Ei rifiutossi e fu beato d' aver per essi largo compenso conseguito dall' I. R. Altezza del serenissimo Vice-re nostro, e fu beato del doppio, perchè 1' Altezza sua munifi- centissima volle nella biblioteca del Liceo della sua diletta Venezia, dove sono che quei disegni fossero depositati. Raccoglieva il Clodiense i pesci; serbavali in acconcie pozze, e stante su di essi curvo ed intento, li disegnava vivi ed intatti, e con quei brillanti colori con cui si vede che guizzano, scattano e scia- guattansi nelle acque quasi pompa facendo del dorato lucente dei lor occhi, del- l' argentale smagliante delle squame e del frequente screziato della pelle . Egli

mori carco di o-loria nel i del settembre 1820, e noi qui restammo fra canti- lene cleo-iaclic i)iu ohe mai cordogliosi e dolenll jier la sua partita .

IV. ]N'cll' istoria naturale non sarebbe giunto il Clodlense all' alla sua fama, qualora ad altro avesse mirato, che non al solo discoprimcnto dell' indole e delle forme., cui hanno le cose naturali, studiando esse su desse medesime, e non sulle altrui dettature e sui libri. I libri sono ciò per lo intelletto, che sono i contagil pel corpo. Questi ammalano la persona e quelli snaturano la mente. Nei cimenti scientifici nessuno a^ivisidi giungere alla gloria del trovatore, iinchè prenda a gui- da le altrui dottrine. ScienCiae,, qiiae nunc habentur inutiles sunt^ dicea Veru- lamio, ad iiwenlionem operum. Dominato il dolt. Pezzi da così maestosi pensa- menti volo'e 1" animo al raccorre osservazioni pratiche di medicina per dar con esse al medicanti un' opera, dove la verità comparisca disnebbiata da ogni ema- nazione teorica. L' accademico lesse la introduzione di quest' opera fatta nel .modo di pistola, e noi udimmo che 1' oggetto precipuo della scritta era il di- scorrere intorno alla medica sua educazione, acciocché ognuno potesse conosce- re quale esser dovea la conseguente attitudine sua, per intendere la favella si di spesso oscura delle malattie. Egli narra impertanto, che dopo gli studii ele- mentari, dopo quelli della letteratura, della filosofia, e dopo la scuola di medi- che istituzioni in Venezia, recossi a Padova, dove giunse così provvisto di co- gnizioni e di accorgimento, che potè intendere quale fosse 1' oro e quale 1' or- pello di che luccicavano i precetti di quei maestri. Il perchè, avvistosi ohe dal- la più parte di essi non s' apprendeva, che 1' imbottare la nebbia, ci neglesse, in profitto del tempo, le loro lezioni, e tutto invece lo spirito applicava agi' inse- gnamenti dei due sommi uomini in allora Caldani e Dalla Bona. Reduce da Padova, nelle vacanze frequentava lo spedale, dove pochissime medicine doma- vano le infermità pih varie e crudeli. Di qui maggiormente confermossi nella idea che di nullo vantaggio era lo studiare le malattie sui libri, per ottenere il grido di medico sanatore. Ritornò all' università, e, fregiato dell' alloro dotto- rale riedendo in patria, non mancò d'abbellire 1' intelletto con ogni cultura per le opere d' Ippocrale, di Sjdenham, di Boerhaave, di Gaubio, di Baglivi, di Bordeus, di Cullen, ma signoreggiato mal sempre dall' opinione, che le dottri- ne altrui slen velo alla mente, che ne offuschi il puro vedere, tutte ci trascurol- le ed intraprese e percorse la carriera della pratica coi più secondi risultamen- ti- il rombare della meteora di Brown svioUo dallo studio della natura, ma neo-lio-ente guardoUa, come si fa del lampo, che fragoroso scoscende le nubi, e poi nullo si perde nel vano .

V. Volle eziandio il dott. Campaxa, ricordevole della sentenza di Manilio , artem experientia feci, exemplo monscrante viam, testimoniare all' Ateneo l'altissimo pregio, in cui debbon essere tenuti i fatti della pratica. Ei riferì due

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osservazioni, 1' una concernente un" ernia incarcerata, 1' altra nn epilessia, av- venuta neir istante d'i un primo parto. Ad una donna d' anni 4 5 infiammossi in un" inguinnglia la grossa borsa, fatta da slogato intestino, e n'era presso al mo- rire, quando col taglio non s' allargava la via per riporre la viscera . Ma sicco- me una parte dell' uscito intestino presentava un globo irrosso e nocchioru- to, che non poteasl riporla, cosi fu guarentita dalle molestie esteriori, copren- dola coi frastagli del sacco, fermati con punti di cucitura. L' inferma ne parca «anilicala, rpiando in un tratto fu colta da febbre, ed il tumore si accese, qua- si gavocciolo pestilenziale. Operossi un' incisione, donde usci sania, e con essa ogni argomento di malattia.

Una dama d'anni i ^ ebbe tratto tratto in gravidanza fieri mali alla testa, i ciua- li, sgocciolando poco sangue dal naso, lasciavanla serena, come in aprile basta talvolta una spruzzaglia di pioggia per far risoluta una nube . Giunse l' istante del partorire, si offuscano in un subito li sensi: spasimi generali randellano le membra: fuori dall' ahibastro dei denti penzola strozzata e spumosa la lin- gua; estrude l'utero la prole: vi scappa dietro a sgorghi il sangue vitale: la Leila partoriente ne riman trafelata, col capo cadente, non ha più che le pulsi un'arteria, e, quasi tela che ragni , si smagliano i suoi lineamenti, e succedono le agonìe di morte. Che fia? S'applicano ai fori del naso sanguette, ed al suc- chiar, che esse fanno di poco sangue, l'ammalata, quantunque isfinita, riapre gli occhi, le riede il respiro, sul viso a poco a poco la bellezza si ricompone e ravviva, e si trova madre tanto ignara del sofferto disastro, che, se i nostri fos- sero ancora i tempi del favoleggiare, dir potrebbesi che Lucina fu propizia nel parto alla suora delle Grazie, che la volle madre senza conoscersi di do- glie, acciocché per divenirlo di nuovo non mai si mostrasse ritrosa.

VI. Diceva Elvezio che nei figli si amano degli enti, che dopo la nostra esi- stenza rappresentano noi stessi. Io non dirò che si amino i figli per ambizione o per altro , ma dirò che non v' è uomo, non v'è belva, che d' amore non folleggi per la sua prole. Se i figli adunque tanto lusingano l'animo, che il fan beato, nual ambascia crudele, qual burrasca del cuore non fia per l' uomo, in vejrgcndo la moglie, che nell atto di farlo padre, sia fatta segno della rabbia e delta dispie- tanza dei moibi ? Suffragio a tanto danno procacciò il dott. Trois con una sua memoria intorno alla febbre intermittente piierperale perniciosa , la quale è malattia che di spesso perfidia nelle partorienti . Dopo aver riandato le varie opinioni, che stanno sulla puerperalc , l'accademico le confuta, non acconsen- tendo che sia il risultamento d' uno scompiglio nella separazione del latte , non accordando che sienvi epidemie , che a buon diritto si possano appellare puer- perali , non concedendo che sia il sintoma della peritonitide , ma dicendo , che TI è una paerperale, che ha il tipo dell'intermittenza , che è conseguente al-

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l'azione snccilioa Jclle emanazioni paludose, la quale, sebben congiunta a (logo- si dei peritoneo, tanto e tanto è legittima, e mai sempre d'indole nervosa. Que- sta è quella, che si osserva nel puerperio^ la qual veste le forme e l'andamento della perniciosa, non bastando la tlogosi del peritoneo a turbare, ne a scompor- re la legittimità della lebbre. Ed è del naturale che addivenendo una intermit- tente, quando la membrana del peritoneo siasi trovata nello stato di una gran di- stensione per la preceduta gravidanza , debba la intermittente far sentire i suoi malefici effetti più su tale membrana, che altrove . E pure del naturale che con facilità diveno-a perniciosa , dacché per lo sgravio del feto la febbricitante ven- ne tratta nel massimo abbattimento. E se l'indole della febbre sia la detta, non sarà forse la china china il rimedio più sanativo ? L' autore provò la verità della sua dottrina per alcune osservazioni, dove il trambusto de'fenomeni il più fer- vente non valse a trattenerlo dall'ordinare la china, col quale ajnto trasse mol- te niovani donne dal periglio di morte. Abbiasi co' nostri il sig. Tnois i plausi d'on-ni sposo, per aver mirato a conquidere un morbo, che lascia di spesso desolato e vedovo il letto maritale .

"VII. Non basta però il cercare nella scelta del rlmedll, che slen giovevoli , ma vuoisi eziandio studiare che all'assafririo non risultino tossicosi . Ouelli che

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non sapesse far uso di un tale avvedimento , medico sarebbe al certo di mente rozza e villana. Li signori GAivAifi, MAncouNi e Zaitnini, allorché udirono del solfato di chinina, e seppero che, somministrando di esso pochi minuzzoli , po- teasl evitare a<jli orfani del ffuslo la fera stre"-Thiatura, ed allo stomaco il pondo esecrato, cui vi porla la fanghiglia della china in polve, vollero verifica- re il fondamento delle laudi al novello rimedio largite, e nel maggio del 1822 renderne l' Ateneo informato . Il sig. Gaivaih farmacista di molta perizia, ricon- dusse alla nostra memoria il processo di Henry per fare 11 chinino, e si avvisò di levarne le mende. Ci notò, che fatte che abbiansl le due prime decozioni nel- r acqua, con 1' acido Inacutita, far debbonsi le posteriori con stillata semplice, e che quando vogliasi dalle decozioni separare la chinina, non devesl, come Henry, far uso della polve di calce viva, ma bensì della spenta in acqua purissi- ma, e ciò per schivare che la calce si raggruzzoli in granellinl . Henrj di nulla dio-nità considera le acque madri , ma l'autore le unisce a quella del lavacri, e fatto acido il liquido, che ne risulta, e dopo averlo evaporato, lascia che af- freddi, e poscia il feltra . Il sig. Galvani, circa la quantità dell'acido solforico che è necessaria per ottenere dalla chinina il solfato, stabili che convenga Im- piegare sopra uno di chinina 11 decimo di acido, purché questo sia della densità di 1,8^2, e «Uluto con sei volte di acqua. Così procedendo lo strenuo nostro chimico pervenne ad elaborare perfettissimi, e la chinina, ed li suo solfato.

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Vin. Sv\<in' il ilolt. ^TinrotiNr da Udine dell'esalta preparazione del nuovo rimedio, e volle subito lame medico sperimento. Mandò all'Ateneo sei osserva- zioni, dalle quali risulta che con nove grani di questo solfato si spense una dop- pia terzana, che resistette a dilungo alla china china: con dodici deLellossi una periodica, conseguente ad una gastrica: dieci vinsero in un fanciullo una lunga febbre, che Tavea reso cachetico: dodici guarirono una vecchia, in cui la feb- bre era di fosco e minaccioso andamento: e finalmente, unendo il solfato al ra- barbaro, fu ricomposta la salute in un ragazzo, che dopo la scarlatina, e dopo una irastrica era ridotto magro, incatorzolito, pallidissimo .

IX. In aggiunta di queste osservazioni il dolt. Zamnini, in un bello e nitido suo ragguaglio, ce ne diede delle proprie . Tre grani di solfato risanarono in due giorni un fanciullo assalito da quotidiana: nove grani non domarono a pri- ma giunta una quartana, ma dappoi, senza altro rimedio, scomparve; in due altri casi s'ebbero gli stessi effetti: in un quinto caso si trionfò di una terzana che impervertiva da circa quattro mesi, per la quale si diedero sei grani, ed an- ticipò di sette ore, e nel terzo giorno successivo si riprodusse di nuovo : allora sen diedero altri nove, e riedette tuttavia, ma più mansueta : si abbandonò ogni rimedio, e sei giorni dopo avvenne un parossismo dei più gagliardi, poscia un altro lievissimo, e di qui perfetta sanazione . Il sesto caso concerne una terzana complicata : si aggiunse a tosse e dispnea, per sofferta infiammazione di petto, una periodica, le cui invasioni rincrudivano questi martiri. Un'oncia di callisa- ja troncò la febbre, ma inacerbò gli altri mali. Dopo pochi giorni accadde di nuovo la febbre : di nuovo la callisaja : di nuovo s' inasprì il petto, e violentis- simamente. Si die' il solfato: fermossi la febbre, e poscia ricomparve : ma iiiù non s'ebbe argomento per credere che questo febbrifugo accalorissc li pati- menti del petto .

A queste cure ottenute col solfato 1' accademico uni il risultnmcnto conseffui- lo in otto altre intermittenti colla chinina semplice. Ove non bastarono sei. otto grani, produsse pieno efletto il ripeterne la dose, e sovrano rimedio fu rinvenuta per conquidere eziandio una terzana, congiunta a doglia crudele di fegato, dove la china era riuscita incentivo di acerbe sofferenze .

Con queste lor belle osservazioni non pretesero per altro gU autori, che sieno j nuovi rimcdii ragguardati la colocasia, la panacea di tutta febbre intermittente. Lo scultore sidonio, finita che avea una di quelle sue statue divine, nello zocco- lo vi scolpiva PoUclcto faceva . Il discepolo di Agelade s'avvisava con ciò d'indi- care, che sebbene la statua fosse compiuta, egli attendeva, per crederlo, che ienza mende il giudizio del pubblico la dichiarasse . L'opra per discoprire la ve- ra efficacia della chinina e del suo solfato può essere per avventura terminata, ma gli accademici nostri vogliono aspettare, per crederlo, che dal più de' medi- ci le loro osservazioni vengano dichiarate a ciò bastanti.

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X. Di si^-nificazione non meno importante fu 1' avriso ik-l Jott. Luzzato d'in- traltencrci intorno ali utilità d di arsenico nella cura dei^li ulceri carcinomato- si. Egli sulle li-aocie di Richerand volle verilloare la virtù medicatrice di tale ri- medio in quei guasti del velamento cutaneo, nei quali vani furon trovati gli altri medicamenti, non utile il ferro, e faceva il fuoco diventare più atroci i tormenti della morte. Egli ad'lusse buon numero di osservazioni e di antiche piaghe, e di antichi funghi, e l' esulceramento di un porro da 16 anni avvenuto, che avea corroso il terzo della palpebra inferiore, e gran parte della radice del naso, tutti guariti con poche applicazioni del caustico. Addita le cautele, con che impiegato esser debbe questo ajuto, noto sotto V appellazione di polve anticarcinomatosa di fra Cosimo. Adorna in une il sig. Lu/!zato il suo scritto con opportuna erudi- zione, e soofirelta alla hliera della critica ben veg'ffente le dubbiezze cui ebbero alcuni sulla utilità dei caustici nella fierezza di questi mali . E fama che i Greci tenessero in tale stima la bellezza, che hn credeano di ridurre propizio lo stesso Nettuno, mostrando nuda della persona sulla spiaggia del mare la bellissima Fri- ne . Se i Greci avessero conosciuto un uomo capace con un farmaco di vincere un morbo roditor della pelle, che è tela in cui la natura stampa le prime e le . forme più cospicue della beltà, avrebbero a quest'uomo per doppia ragione di- retto la canzon della lode .

XI. A vasti e consolatorli ragguardamenti sospinse il professore Fedhigo gli animi nostri con una scritta, cui disse piano proposto d medici d' Italia^ per comporre una topografia medico-profilatica . Dopo il divino trattato de aere^ aquis et locis di quel sommo uomo d'Ippocrate, non fuvvi più medico, che aves- se le idee ed i concepimenti cosi bene aggiustati, da poter operare una topo- grafia, la qual insegnasse a prevenire i morbi, che sogliono sull'uno e sull'altro popolo perfidiare. Passa l'autore in disamina le molte opere, che vider la luce su tale materia, e ristassi a di lungo nel cribrare quella del sig. Thouvcnel sul clima d'Italia, e tutte ei le trova bisognevoli d'essere strebbiate dei molti man- camenti, ove si voglia che ben servano a si nobile intraprendimento . Di qui egli fa sorgere la necessità del piano, eh' egli propone, nel quale dimostra, che allora giungerassi ad erigere, fra il bujo che abbonda, un faro indicatore della via diritta, quando fin la più minima s" avrà conosciuto delle circostanze, o di morale vicenda, o di fisica giacitura, le quali balestrano svariatamente la salute degli abitanti dei vani paesi. Empedocle s' avvide ch'erano emanazioni paludo- se le cause ammorbanti i Salentini. Alle acque di due prossimi fiumi ei diede tìuovo discorrimento, e le paludi ne furono inondate, ed i morbi fugati . Possa il sig. pEDntGo, cogli additamcnti, di cui ridonda il suo piano, prevenir le cagio- ni, che SI di tanto ammalano i popoli d' Italia, ed andrà il suo nome per ogni bocca benedetto, come quello d" Empedocle .

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XII. Un male, clic di spesso nei tempi atlJietro dilacerava l'Italia, e scorre- va portatore ili mille mali, era la fame . La ricolta del frumento cade non di ra- do fallita o pel troppo ardore del cielo, o pel lungo dirompere delle pioggic, o pel non rado sterminare delle tempeste. Dacché si ebbe il grano turco, non po- tè quasi mai infuriare la lame, non essendo che 11 mostro abbominando deiTava- rizia, che talvolta n' abbia secondato le stragi . Ma siccome con quella del be- ne vuoisi l'idea coUegarc della disgrazia, fuvvl chi la polenta gialla incolpò di sostanza insalubre, e per nulla provvista di ciò, che il frumento costituisce nu- tritivo. Sapevasi che il sig. Zcccluni in Bologna avea rinvenuto alquanto glutine animale nel grano de' Traci, facendolo cuocere e digerire in un ranno alcalino . Il sig. Gorham nondimeno niegava l'esistenza di parte glutinosa. L' accademi- co sig. Bizio sentiva in contrario, ed operò una nuova analisi del grano turco^ e la lesse air Ateneo. Egli scoperse in questo grano una sostanza particolare, in cui evvi azoto, il quale è un principio, che sempre comparte alle sostanze con cui si unisce li caratteri e l'indole del glutine animale. Questa sostanza particolare, contenente azoto, egli chiamolla zeina. Ci volle minutamente chia- rire della sua natura, e ci die' l'analisi pure di essa zeina. Dall'analisi risulta, che sopra loo di zeina si hanno parti 43 e 365 di gloiodina: 36 e 5g3 di zimo- ma: 20 di olio grasso, e quasi nulla di perdita. Gorham non addita alcuno di questi elementi, ed appella zeina ciò che Proust disse ordeina, che è materia, che avvicinasi alla legnosa, e non suscettiva ad essere nell'acqua, nello spirito di vino, e neppure nell'etere stemperata . La zeina all' incontro del nostro ac- cademico si disciolgc in questi liquidi, e di qui devesi credere che si disciolga pure nei succhi gastrici, e quindi riesca alimentare. Il grano turco adunque contien glutine animale, e debbcsi non di tanto invilirlo da supporlo molto al frumento pella vittuaria inferiore. E se alcuno vi fosse che, non potendo conse- guire dalla farina gialla pane licfitato, argomentar volesse mancamento in essa di glut'me, questi di molto s' ingannerebbe, mentre prova il sig. Bizio, per ra- gioni invincibih, che il non lievitare delle paste gialle dipende unicamente dalla combinazione dello zimoma coli' olio grasso. Per questa bella analisi divenne fortemente avvalorato l'avviso di que" tutti, i quali ragguardano nella polenta, non r alimento rozzo e villano, ma la messe cui benefica versò Cerere sulla ter- ra, acciocché n' abbiano largo ristoro gli affaticati coloni, e dolce nutrizione le genti cittadinesche.

XIII. Gli alimenti sono appunto il ristoro, di cui ha bisogno di continuo il corpo animale, per rifarsi di quanto del continuo egli perde. Ove «mancasse co- desto ristoro, tutto nel corpo diverrebbe alidlto, e fora inutile che i medici tan- te indagini e studil operassero per guarentir la salute. Ma come 1' agricoltura, il diremo con Celso, procaccia ai corpi sani gli alimenti, così la medicina prò-

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caccia ai malati la sanazione . Col divisamenlo Ji precisare le nozioni,, cui tlcL- bono i medici possedere'nella cura dei mali, la società italiana delle scienze pro- pose un programma pel luglio 1822. Il prof. Marzari ed il sig. Amalteo, vennero alla nostra società, come rappresentanti l'Ateneo trivigiano, il primo nella sua qualità di presidente, l'altro di segretario, e vi lessero tutti e due una loro produ- zione. 1.,'antidetlo programma fu l'occasione del lavoro del prof. Marzari, il quale, strettissimo ed accorgevole logico, come egli è, ed alla maniera di Bacone, cono- scendosi profondamente dei mezzi coi quali si possa nelle scienze sceverare l'erro- re e cogliere la verità, fece sentire fin dalle mosse, che la risoluzione di quel pro- gramma non può tornare agevole, ma difficilissima, perchè intorno alla eccita- bilità, all' eccitamento da qualcuno non fu mai un' idea conceputa, che abbia 1 caratteri della realtà . Come può essere esatta 1' idea dell'eccitabilità, quando si debba credere che sia una forza inerente alle fibre nervose e muscolari, per la quale, stimolate ch'esse vengano, si contraggano, mentre è noto a chiunque che la sostanza dei nervi non mai per istimolo si raggrinza? Come fia giusta la nozione dell' eccitamento, se vuoisi con essa che il crescere e il menomare del senso e del moto sicno simultanei, dappoiché sallo fino il più rimesso medicon- zolo che evvi nei mali, ora aumento del moto vitale con diminuzione del volon- tario, ed ora la diminuzione di quello coli' accrescimento delle lorze animali? E qual precisione s' attribuirà a quanto fu detto sulle diatesi, mentre sono 1' ef- fetto di svariati principii morbiferi, di cui s'ignora il numero e la potenza ? E se queste idee son tutte inesatte, come mai le altre che da esse derivano circa gli stimoli, li controstimoli, 1' irritazione, si potranno abbracciare per giuste ? Volendo quindi che si affili 1' ingegno per risolvere quel programma, si farà, nuli' altro che accrescere vanamente 1' abbondanza delle mediche voci, a sca- pito della intelligenza . Marco Catone scacciò Diogene e Cameade , perchè mirarono a diseminare nella lingua del Lazio voci straniere. Invescando la gio- ventù latina peli' amenità de' greci concetti. Per quanto grande fosse il battere il ribadire intorno ad un programma s'i strano, non mal avverrebbe, peli' avviso del professore Marzahi, un risultamenlo di qualche utilità, ma solo il dar vita a parole anfibologiche, ed opportune a spargere nebbia ed oscurità nel linguag- gio nativo .

XIV. E lo zelo di Marco Catone pella conservazione e prosperità della lin- gua nativa, accese pur l'animo del sig. Amalteo, il quale produsse una memoria cui disse: raffrontarne nto delle opinioni dei signori abate Antonio Cesari^ cai: Vincenzo Monti^ e professore G. B. Marzari intorno alla lingua italiana. Il Cesari dai soli trecentisti vorrebbe che si apprendesse il parlare, giudicando che non siavi bisogno di vocaboli nuovi, fuori che per esprimere cose nuova- mente inventate. Il Monti sostiene, che viva essendo la nostra lingua, non pos-

49 8a (lai morii trecentisti venir pei fezionala., ma possa essere mitrliorata pei le leggi grammaticali, e pelle ognor crescenti umane rognizioni. 11 Marzan colla autorità del Dante, del Petrarca e del Boccaccio dicliiara imperfetta la lingua del trecento, e vuole che sia povera, oltre al comun credere, cioè che abbia lo scapito di essere a' nostri giorni più povera, che noi fu nel trecento, porche moltissime delle sue voci sono andate in disuso, e nessuno più le intende . Il Ce- sari teme che la libertà di crear nuove voci possa far perdere la lingua . Il Mar- zari dimostra che, conservato il carattere grammaticale, non può mai perder- si una lingua, e fa vedere che le lingue furono spente non dagli scrittori, ma dai conijuistatori. Fatti che egli ebbe il sig. Aìialteo «piesti conlronti, riccamen- te ingemmandoli di acute riflessioni, conchiuse che la massima disparità di que- sti tre autori stia nel conoscere, o disconoscere la perfezione nella hngua del trecento. Il Cesari la riconosce, il Monti ed il Marzari la disconoscono. Il pri- mo tiene di conseguenza potersi la lingua mantenere inimut;djile: i <uie altri l'hanno per mutabilissima: anzi pare che il Marzari vegga la pei lezione della lin- gua lontanissima nei secoli futuri, ed il Cesari nei secoli addietro, anzi solo nel secolo 14.." Addottele quali cose terminò il sig. Awalteo con un immagine esemplati va, così dicendo: "Raffigurando il corso perenne dei secoli in una stra- da lunga lunga, la quale dall' uno dei capi s' appicchi al .'ccoio del trecento, dal- l'altro scorra infinita: se metteremo i tre contendenti al luogo di quella strada che corrisponde al secol nostro, e darein loro le mosse, perchè corrano a raggiun- gere la perfezione della lingua italiana, il Marzari, cui terrà dietro il Monti, ca- rico del buono e del meglio dei secoli trapassati volerà dritto tlritto incontro ai secoli avvenire, il Cesari senza fardello di sorta, ne degnandosi di spigolare per via pur una paroluzza, date loro le schiene, volgerassi a ritroso ".

Qui finirono li ra|ipresentanti dell' Ateneo trivigiano le loro letture. Gli acca- demici nostri stavanle udendo con animo capace e meditante, ma furon da esse a poco a poco cos\ mossi e sospinti che, quasi da interna forza esagitati, prorup- pero nei plausi più festeggevoli e gagliardi. L'Ateneo .nostro testimoniò con questo all' Ateneo trivigiano d' aver accolto con esultazione abbondante la pre- ziosità de' suoi doni e della sua fidanza.

XV. Per quanto 1 difensori della Ungua italiana sieno fra loro discordi intor- no al modo di promoverne la perfezione, nessuno di essi riguarda per peccato l'inventare una nuova parola, per esprimere un nuovo trovamento . Fu pel con- forto di questa nozione che il sig. Bizio creò la voce erilrogene, ossia generato- re del rosso , per dinotare un principio chimico da lui rinvenuto. L accademi- co scoperse questo principio nell'occasione eh' ei faceva 1' analisi di una bile umana, la quale gli servi di soggetto per comporre una bella memoria . La bile era tolta da un uomo per male al fegato perito, e da essa, sciaguattata nei-

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r aerina, si ottenne sostanza filamentosa, e da quella neiraeqiia bollita, grasso e fibrina. Bollilo il grasso nello spirito di vino, sei conobije composto di stearina ed elaina, e di un residuo verde. Niiin sapeva di questo residuo, e il sig. Bizio soggcttollo .1 bollitura nello spirito di vino, il fece evaporare, e n' ebbe cristalli diafani e di un verde bellissimo. Il trovato di questi cristalli è di un predio il più sfolgorante . Nello spirito di vino si squagliano: aelT acido nitrico disvestono il color verde ed arrossano a tanto, clie danno nn bel colore di porpora . Il vapo- re, che, durante il lavoro , si svolse, era pretto ossigeno. Dunque i cristalli de- composero l'acido nitrico, e ne bevvero l'azoto . Messi a contatto coli' ammo- niaca, del paro la decomposero, e ne bevvero eziandio l'azoto, ingenerando materia porporina. Combinandoli collo zolfo, col fosforo, coll'ossigeno , diede- ro materia non rossa, ma acidissima . Fatti questi sperimenti , che dovrassi cre- dere di quella materia o residuo verde, rinvenuto nella bile? Devesi conclndc- re che sia un principio alto a colorire in rosso, e che a buon dritto abbiasi ad appellare eritrogene .

Scoperto r eritrogene, immaginò una nuova teorica sulla colorazione del san- gue . Li' accademico negrigen<lo le opinioni di Deyenx , Parmentier, Fonrcroj e Vauquelin , trovò quelle di Brun-iiatelli « di Brande e Berzelius le pili ;icco- modate ai suoi vedimenli . Questi ultimi pensano che il ferro non entri nell ar- rossare il sangue . L' eritrogene che esiste nella bile , non potrà pur esistere negli altri liquidi, non potrà pur esistere nel chilo? Morcet ci assenna che il coagulo del chilo al contatto dell'aria divien rubicondo. Dunque nel chilo evvi eritrogene. Se il chilo ha d'uopo dell' azoto per colorirsi in rosso, non può que- sto chilo nell' uomo aver dell' azoto in abbondo colla respirazione ? Lettura ella fu questa di pregio nobilissimo, e forse col tempo avverrà che, giungendo i fisi- ci a verilirare ohe l'eritrocrene dia il colore al sansrue , si dica da ognuno, che debbesi alla scoperta di questo principio la cns'nizionc di ciò, cui adopera la natura per far le rose della o-uancia e le frao'ole del labbro .

XVI. Se nell'uomo l' eritrogene e la causa che ne imporpora il san^'ue e le carni, ond" è che vi son uomini, che non ebbero mai spruzzolo di rosso colori- to ? Forai! questi per avventura animali non della razza umana ? In ortline a questi pensieri 1' accademico dott. Levi ci fece dono di una sua memoria sugli Eliofobi. U autore, dopo aver ricordato che questi esseri non sono che una va- rietà semplicissiiiia della progenie degli uomini, ci diede a conoscere che la di- falta di buon clima è plìi eh' altro la causa del loro trahgnamcnto . E quivi il sij. Levi ci ricondusse alla memoria che ^li Eliofobi sono uomiciattoli . piii che altrove, frequenti nell'istmo americano: che son di statura non forse maggiore di quattro piedi ; che hanno la pelle di color bianco gessato, spesso gonfia e tu- inenle,alle volte vizza, rugosa, inciprignita: i capelli o arsicci, o lanosi o

5i «cloluli, ovvero lunghi e pendolili.^ quai l)i;iiichi peli di capra ; le occhiaje con cio-lia che sembrano piume di cigno cespuj^liale: gii occhi o rossi, o di colore vermiglio gialleggiante conae brage , 1 quali occhi non j)onno tollerare la luce del giorno, i cui raggi, quasi punzecchiassero, li mena ad uno sballilo, ad nno strangolo di pupille, clic gli acceca. L'accademico in tutto il suo lavoro nìostrò d'essere a dovizia fornito di cognizioni alla lisica animale spettanti, e seppe qua e di spesso atlornarlo coi più bei fiori dell'erudizione.

XVII. Di uomini ancor più tralignati, e così dalla razza nmana differenti, che furon creduti lavolo i, c'mtrattcnne l'eruditissimo signor Filiasi, con parte di una sua memoria intorno ai pigmei di Tiro. Uomlcciuoli son (jucsti al dir di ta- luno, non pili grandi di un pugno, non piii grandi di un cubilo, e di tal altro iion più alti di tre piedi. Ezecchiello nella bibbia racconta, che erano saettatori spertissimi, e che stavano alla vedetta sulle torri di Tiro, alle cui mura in s'irò appendendo le loro laretrc portavano un vaghissimo abbarbaglio nell altrui ve- dimcnto . Scaligero, Voscio, Vonderat, Bannler ed altri interpretarono il rac- conto d' Ezecchiello in modo vario, nessuno accomodandosi all'opinione, che quc'[)iginei fossero veri soldati. E perchè non potranno esistere , dice 1 accade- inico, uomini tanto piccini? Se v'hanno dei popoli giganti, perchè non vi saran- no dei popoli nani ? La natura in un luogo distese la misura delle sue scale, e in un altro aceorciolla. E fuor di dubbio che nella versione dei Settanta que'pig- mei furon detti custodes^ e che il testo caldeo gli appella capadoces^ cioè solda- ti provenienti da Capadocia. Qualcuno opinò, che i pigmei delle torri fossero di quegli idoletti , che mcttevausi dai Tirii sulle navi a loro tutela. JMa come pote- va Ezecchiello aver i guardi cosi travedenti , che scernere non sapesse s" erano statuette, oppur esseri con nervi e polsi ? Oltre questo il signor Filiasi adoperò, per provare l'esistenza de' pigmei, le nozioni desunte dal novero delle varie par- ti dell'immensa Etiopia, nelle quali e poeti, e filosofi, e naturalisti, e viaggiatori gli hanno saputi uomicciuoli in vero viventi . Qui fu dove 1' autore dispiegò eru- dizione infinita nell'antica e moderna geografia, e seppe addolcirne la lezione se- vera con qualche frusto di amenità . Fu di tal tempra il ripetere la fola delle battaglie de' pigmei colle gru, e l'altra tic pigmei contro ad Ercole. Videro da lunge i piccini luomaccion smisurato, russante in sonno profondo, e gli mosse- ro incontro . Spauriti dall' appressarlo, rimpiccolironsl ancor più quegli uomic- ciuoli, e lenti e curvi s'avanzarono fra loro assiepati e taciturni per assalirlo. Come pel vento ondeggia nei campi la messe, così cammln facendo 1' esercito de'pigmei or innanzi or indietro piegava, secondo l'alterno russare di quella mo- le carnuta . Alfin si dleron cuore . In un tosto i piccini dlvincolaronsi su di lui furiati e stridenti, ed avvingliiaronsi, aggrapparonsl alle sue membra. Ei ne fu sveglio . Che fia? Sbadigliando e girando una mano, tulli insaccolli pigolanti nella sua pelle di leone .

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X\'Tn. Calilo di pati-io amore il sìg. Casahiìti alzò 1' animo nostro ad altri no- mini, ad uomini di antico e rubesto ardimento, a genti che dalla Venezia ter- restre qui dai Barbari si ripararo ; che per fuggir servitù dal limo e dall' onde si fabbricaron la patria : che, sofTulti d' Astrea, la feron grande, imperante, augu- sta . Dall' assegnato commercio di pesce e sale coi popoli della terra-fcrmn, que' sommi uomini de'primi Veneziani un commercio dilungarono vasto, tutta sorte di mercatanzia abbracciante, ognor crescevole ed Immenso coi popoli di tutto il mondo . A cotanta eccellenza portaronlo le nozioni della nautica, le qua- li appo i Veneziani furon s'i grandi, che fin dal i3oo Marin Sanudo conobbe le proprietà della calamita, e la sapienza di Andrea Dal Bianco, dei fratelli Zeni, di Cadamosto, di Paolo Trevisan, di fra Mauro, e più di ogni altro di Marco Polo giunse hn anco a discoprire le isole americane, donde ebbe poscia l'argo- mento dell" altissima sua rinomanza il ligure Colombo. Pieno il sig. Casaritti di queste rimembranze ci diede la sua memoria sullo stato della città di Venezia, e sul modo di migliorarlo . Florida, oltre ogni credere, e ricchissima come ella era in addietro, dispensatrice di merci, da ogni mare, ad ogni terra, a cotal che erale mestieri di grandi fattorie in tutte le eoste dell' Egitto, della Siria, a To- lomaide, a Tiro, a Baruti, su tutti i punti delle foci del Dan, e fino ad Astra- can : SI florida e s'i ricca, come ella era Venezia, che dava, per guarentire le spedizioni e i ritorni, pubbliche squadre, composte da 25 a 3o galee, il cui cari- co giungeva per ognuna a cento mila ducati d' oro, trarupò per la scoperta del capo di Bnona-speranza in fatale ruina, le mancarono a poco a poco le sorgen- ti del suo rinverdunento e della vita, ed il suo commercio cadde prosternato per sempre, solo che ebbe nell' epoca dell' altra dominazione austriaca una luce lusinghiera, ma fu striscia cadente nell' oscurità della notte, che di un subito svanisce . Deperito il commercio mancò ogni modo di prosperazionc, e Venezia rimase, qual è, consunta matrona, a cui non scorre in le vene che poca rugiada di sangue, ma bensì un alito di valenza, che perenne l'avviva, e la sostien mae- stosa. Che far dovrassi adunque per evitar che tracolli nell'estremo sfasciume ? Rieda, dice l'accademico, a s. Pietro 1' archimandrita della religione . Facciasi un ponte a s. Vitale, che serva d'approcciamento all'accademia delle belle arti. Vadi la consorteria de' commercianti ili nuovo a Rialto. Di Rialto le fabbriche sien pei pubblici magistrati. Le case ed i crollanti palagi delle vie più disabitate sien conversi in fruttevoli vigne. E siccome il commercio è la sola fonte che può ristorarla, e non più i Veneziani posson trovar giovativo lo volgersi al mare, di- stendano alla terra le loro vedute. Terra sopra terra si abbichi, si alzi nella lagu- na una strada, che dall'estremo del rio di s. Alvise metta a Campalto, la quale, lunga due miglia e mezzo, larga dieci piedi, e fiancheggiata da due canali, abbia ai suoi cnpi due ponti levatoi, a cai possa da fortificazioni impedirsi l" accedere

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Al "enti ncmiclic. Cos'i ilottrlnnntlo i1 signor CASAitìffi, sempre sorretto da bei argomenti esemplativi e ila belle nozioni riguardanti la pubblica economia e la storia, giunse a mostrarsi si pieno di patria, che circa cjuanto la concerne, puos- gi dire con Omero, che alli suoi sguardi

« Ciò che è, che fu^ che fia unto è presente » .

XIX. Non della povertà di Venezia, non del modo di rivocar gli abitanti a inn'agliardirla per l'oro, ma volle il sig. Marco Corniini fermare la nostra men- te colla descrizion topografica di alcune parti di questa città, che fia mai sem- pre oggetto di meraviglia agli strani. Ei ci lesse un dialogo, e chiamollo tra- gitto d un illustre forestiero al Udo maggiore di J-'^enezia . Fatto 1' aere lieve e purissimo, dacché i raggi del sole ed i venti diurni vinsero le emanazioni, che svolgonsi nella notte dai fondi paludosi, 1' accademico s'aggiusta in barca col suo forestiere per avviarsi al lido . Bei dialoghi, cammin facendo, sulla maestà del canal maggiore, sugli augusti suoi edifizi, sull' impiglio di sorpresa cui fan- no ai sensi le isole qua e sorgenti dalle acque, e belle dicerie isteriche sulle città romane, che diedero origine alla magnificenza della veneta Donra. Giun- ti al lido, parla il sig. Couniani delle spiaggie, dei porti, di quelle fortezze, tut- te riandando le relative nozioni, e poi rattacca il dialogo sulla geologia dei lidi, ed inclina a crederli opra del corrimento de' fiumi, delle lor torbe e della sab- bia, cui vi portano i fiotti del mare . E circa il mare discorre intorno alla natu- ra del suo fondo, ed il dice lapidoso, e lo crede lapidoso, perchè vi sono dcffli scogli all' uscita dei porti, ed evvi qualche sprofondamento di continente pres- so il Friuli. Ma dappoi tutti e due riaccomodatisi in barca per ritornare a Ve- nezia, addiviene che il forestiere si contristi per lo pensiero che il mare possa un giorno sormontare li suoi ritegni . Qui l' accademico scioglie la redine a va- rie teoriche, e dimostra non potersi credere che sia per avvenire tanta smode- ratezza nell'elevazione delle acque, ed il non crederlo egli lo appoggia all'opi- nione di molti savii, ed a quella di essi aggiunge, bensì con animo riguardoso, anche 1' opinione sua propria, la quale è, che ad impedire T innalzamento del li- vello del mare abbiano in addietro confluito i vulcani estinti, ed al presente vi confluiscano gli attivi. Immagina l'autore, che i vulcani con quel loro scrollare e scoscendere la teria, apiino nel fondo del mare immense vorago-ini, ed estru- dano al di fuori torrenti di materie, le quali a suolo a suolo ammontate le une sopra le altre, vadano col tempo incrojandosi ed impetrendo, cosicché per que- sto magistero fatte maggiori le caverne delle acque, e le esterne barriere, risul- ti impossibile che possa accascare uno squilibrio tra il continente e il contenuto. Memoria fu questa del sig. ConmAici la quale, essendo distesa nella forma del

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dialogo, potè esser susccllira, e circa lo stile e circa le cose, di un andamento dilettevole e vario. INiente per avventura è più plausibile di questo metodo, per rappresentare alla mente oggetti gravi, senza che ne diventi affaticata. Lo stes- so forse accade dei giardini: la irregolarilìi regolata di quc'che diconsi inglesi Tale talvolta, più che la consonanza armonica degli altri, a serbar l'animo nella contemplazione defili os'oretti lunjramenle avverdito e lusincrato .

XX. Sia questa irregolarità regolata, che dalla ricordazionc topografica di Venezia conceda di trasportarsi a dire di un artista, che, adoperando la sesta, il bulino, il pennello, compose opere lodate in numero tragrande . Alberto Du- ro si rese per le opre sue famigerato a tanto, che lermò eziandio V attenzione del sitT. Neu-Mayeh, e portoUo a scrivere su di lui delle riilessionl biografiche per farne dono all'Ateneo. Nacque il Durerò a Norimberga nel 1^7 '•; e prima oc- cupossi nell'oreliceria, e poscia nella statuaria, nel!' architettura, mirando a di- venire pittore. Viaggiò per la Germania, e volendo andare dischiattato dalla turba di quelli, che aveano le maniere dei Goti, e star lungi danna moglie avara, rissosa, prepotente, avventata, riparossl in Italia. Fu qui eh' ei compose il bel quadro del Salvatore mostralo agli Ebrei, ora esistente nel reale palazzo di Vene- zia, l'altro che è nella palriz'ia casa Grimani, rappresentante f istituzione del Rosario, quello del marchese Manfredini, che mostra la decollazione di s. Gio- vanni, e f altro posseduto dal conte de Thurn, ove si vede Cristo sotto il pondo della croce trafelante, e per una corda al collo trascinalo sul Calvario da quat- tro scherani. Fu nel tempo de' suol viaggi, ch'el fece grandi lavori alla corte di Massimiliano I, per cui venne noverato fra 1 nobili. Ma quantunque dalla più gente fosse 11 Durerò tenuto per esimio pittore, nondimeno al dire di Melan- chton, conobbe ei le mende delle proprie pitture, e volle cimentare Usuo ingegno nell incisione .

Rosch ci narra che Alberto Duro travagliò in rame con assiduità crudele, che le sole incisioni a bulino sono g^, e le copie ascendono a aoo. Le stampe poi, che furono operate a di lui Iniltazlone, giusta l'indice di Husgen, sono 12 54-. Raffaello le tenne per cosi produttive di pensieri, che di esse ornava le proprie stanze. Guido le studiò di sovente per le drapperie . Le stampe fra le altre del- l'Adamo ed Eva, di s. Uberto, quella del s. Girolirno vestito da cardinale, so- no incise con quello svariato andamento di tinte, dove sfuggevoli, dove tenaci, che lo appalesano intagliatore accorgevole e nobilissimo. Con non poca mae- stria foggiò incisioni eziandio in legno, ed alcune di tali stampe, che sono a chia- ro scuro, reggono nell'agguaglio con quelle di Ugone da Carpi. Avrebbe cala- to, diceva il Vasari, che questo artista sempre spirasse 1' aura d' Italia per riu- scire perfettissimo . Ma che ? Ei fu in Germania dove non v' eran maestri mi- gliori di lui, e a Norimberga dove una moglie crudele gli stracciava a frusti a

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frii.sli ili continuo il more e l'ingegno . Ei mon nella sua pallia d'anni ^"j. ode lama, clic innanzi sera abbia il suo giorno conijiiuto pei tormenti che a Ini diede mosrliera cosi esecranda. Vuoi lu moglie ? diceva Giovenale ad Ursinio . E ncn hai una corda, che t' ailoglii.j e ti manca il Tevere che t'ingoj ? E forza il dire , che la bile di Giovenale talvolta dirompa a ragione . Questa fcmniiiia fu a Du- rerò cagion di martiri, e di quello, di cui sentono le opre sue, scemo di perfe- zione . Ad onta però della qualche secchezza, del qualche sconcio, che abbian le membra delle sue figure, ciò non basta per scacciarlo dal drappello dei som- mi artisti. Che leva per Tintoretto la qualche sconciatura di una mano, di un ])iede nelle sue gran dipinture ? Quello scuotersi, quei balzi dell'anima, quel suo mareggio tra la sorpresa e l'orrore nel vedere un di lui combattimento navale, sono un sermonar prepotente, che varr.'i mai sempre a proclamarlo il Pindaro della veneziana pittura . Sieno difettose alcune parti dei disegni di Alberto, ma basti la pcrfezion delle teste, quello sfavillamento di vita che Iraluce dal re- sto, per salutarlo artista eccellentissimo . Il difetto di una parte vale talvolta a raddoppiare la bellezza delle altre, e l'Amazzone Sarmala si recide la pop- pa, perche doppia si sviluppi la forza nel suo braccio guerriero .

Con ciò la classe volonterosa delle scienze diede fine, o signori, ai suoi trava- gli accademici. In Roma il povero Codro, sospinto dalla fame, tulli assonnava co' suoi versi slombali . Io dovea fin qui cimentare, o signori, ogni vostra cor- tesia, perchè il carico me lo impose su cui mi volle 1' Ateneo ordinalo .

DEI LAVORI

FATTI DALLA CLASSE PER LE LETTERE

NELL'ANNO ACCADEMICO 1822—1820.

RELAZIONE

DEL L' AVVOCATO DOTT. PIETRO BIAGI

ALLORA SEGRETARIO DELLA CLASSE MEDESIMA.

1^ on saprei invero tleciclcre, illustri magistrati di potentissimo imperato- re, ciotti professori, egregi accademici , coltissimi e gentilissimi uditori, non saprei decidere, se le scienze debbano cedere il seggio e la corona d' onore alle lettere ed alle arti loro germane ; ma so bensì, dacché la storia dell' umano in- tendimento me ne assicura, che le lettere e le arti erano adulte, quando le scien- ze languivano nella stupitUtà d'una lunga infanzia .

Aristotele e Platone, e, ciò eh' è ancor peggio, i loro interpreti e commenta- tori tenevano il campo nella scuola, allorché Dante, Boccaccio e Petrarca ave- vano operato 1' alto prodigio di creare e perfezionare la lingua , la poesia e la prosa italiana: allorché lo studio delle lingue dotte ed i progressi nell'arte cri- tica avevano formalo dei capo-lavori della letteratura de" Greci e dei Latini le delizie degl' Italiani ; allorché l' Ariosto inspirato da Calliope aveva prodotto al- l'ammirazione di tutte le nazioni e di tutte l'età uno de'|)iù maravigliosi poemi epici che fosse comparso dopo Omero e Virgilio, ed il Machiavelli aveva inse- gnalo a scrivere la storia, a cavare da essa 1' arte di reggere i popoli, e quella non meno importante di ordinare gli eserciti, e di fare la guerra : allorché in fine i Bruneleschi, i Bramante, i Peruzzi, i Falconelti fabbricavano que' templi, quelle basiliche, que' palagi, che i Raffaeli, i Tisiiani, i Coreggi abbellivano co- gl' inestimabili loro dipinti, ed i Nicola da Pisa, i Donatelli, i Ghiberli e Mi- chelangeli adornavano di bassi rilievi e di statue di non minor pregio.

Per una strana combinazione il Gallileo, che David Hume |>roclama corifeo di tutte le scoperte della moderna filosofia, il Viviani, il Torricelli, il Cassini e

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più altri matematici ed astronomi fiorirono in tempo clic la letteratura, e con essa le arti.^ dopo essere pervenute a toccare la meta della perlezione, andavano di giorno in giorno decadendo dalla primitiva loro elegante semplicità per un certo vizioso raflinamenlo ed uno sfoggio smanioso di capricciosi ornamenti .

Ma senza punto disputare di preminenza tra le gentili e le accigliate disci- pline, e rinunziando di buon grado al diritto di primogenitura, che lavorisce le pri- me, in forza de' più solidi vantaggi, che producono le seconde , io dico, che que' principi, che tengono gli sguardi rivolti alla posterità, devono impiegare le più sollecite cure nel promuovere ogni maniera di studii, se vogliono che 1 loro nomi vengano scolpili nel tempio della fama. Quanti eroi, diceva Orazio, saran- no esistiti prima degli Atridi, ma una notte caliginosa cuopre d' eterno ohbUo i loro nomi, perchè non ebbero un poeta od un istorlco che ai secoli futuri ne tramandasse per riconoscenza i loro nomi .

Se Pericle avesse impiegato i tesori della Grecia, di cui Atene n' era depo- sitaria, in guerre insensate e capricciose, in luogo d' animare il talento degli ar- chitetti, degli scultori e de' pittori nella costruzione e decorazione dell' Odeon, dei Propilei, del Partenone, del Pecile, del Pireo, e di più altri sontuosi edifi- zii, e di proteggere i sommi filosofi ed insigni letterati , che di quel suo tempo horivano : la storia o non ne avrebbe fatta alcuna menzione, o ne lo avrebbe rappresentato qual usurpatore d' una potenza quasi regia in libera repubblica, benché lo abbia egli fatto con più circospezione ed artifizio, che non lo fecero i Pisistrati. Se Augusto, spenta l'idra della guerra civile, pacificato il mondo, non avesse trasformata Roma di mattoni in Roma di marmo , se non fosse stato lodato a cielo ne' versi immortali de' cigni di Mantova e di Venosa, e di più al- tri prediletti figli delle nove sorelle, se non avesse avuti per cortigiani un Me- cenate ed un Agrippa, non si conserverebbe altra memoria di lui fuorché quella delle sue proscrizioni, delle sue astuzie, e di tutti que' mezzi crudi e vili , che gli servirono a farsi tiranno della sua patria, ciò che non riuscì a Catilina, ne a Mario, perchè giacquero spenti nel bel mezzo della loro impresa, ciò che non ToUe Siila per magnanimità, e Cesare per debolezza . Se Cosimo I de' Medici non avesse usata l'arte di profondere i suoi favori a quanto di grande produsse a quel tempo l'Italia, e se non avesse in tal guisa meritato il titolo di padre del- le lettere,, non avrebbe ottenuto anche 1' altro di padre della patria., ne avreb- be, su gli sfasciumi della spenta repubblica, assicurata alla sua famiglia la signo- ria della Toscana, il papato e le sue alleanze con 1' augusta casa de' Borboni . Se infine la fondazione dell'accademia delle iscrizioni e belle lettere, di quelle delle scienze e della pittura: se la protezione e le ricompense impartite ai padri della buona commedia e tragedia francese, ai precettori del buon gusto nell'ar- te metrica, ed ai maestri della sacra e profana m agniloquenza; se gì' iocoraggia-

59 menti etl i prem'ii dati ajjli scalpelli di Pujct e di Girardon.^ ai |iennelli di Pous- sin., di Le-Biun e de la Sveur, alle seste di Perraiilt e di Mansard: se 11 magni- lico istituto degl'invalidi, splendido monumento di pietà, di riconoscenza e di rispetto per la veccluaja, la sventura ed il valore, l' escavo di quel prodigioso canale, che unendo il mediterraneo all' oceano facilitò l' interna circolazione, ed impresse nuovo calore e nuova vita al commercio ed all' industria nazionale ; se quel triplice recinto di baluardi che fece innalzare a Vauban sulla fron- tiera settentrionale del regno per porre un freno al risentimento ed agli am- biziosi progetti dell' AUemagna, gli ac(piidottl di Mailenon e le macchine idrau- liche di Maily, audace disfida fatta dall'orgoglio dcHuomo alla potenza della na- tura: se la superba colonnata del Louvre, l'arco di trionfo di s. Dionigi, i palaz- zi di delizia del Versailles e di Trianon abbelliti dai superbi giardini di le No- tre : se queste ed altre opere, degne del genio e della fortuna romana, non aves- sero tratto dalla caterva dei principi oscuri Luigi XIV, egli non avrebbe dato il suo nome al secolo, ne ottenuto il soprannome di grande. Di Un ai posteri non sarebbe passata se non la fama dei tesori e del sangue profusi in Go anni di guerra, il feroce vandalismo, con cui due volte ridusse in cenere le pili borite città e villaesi del Palalinalo, 1' esilio fulminato contro quindici mille lamiglie pacifiche, industriose ed Illuminale con la rivocazione dell" etUtto di JNanles, ed in line la dispersione de" dotti tli Porto-Reale.

Che se il favore ed i premii concessi a coloro, che al sacerdozio consacransi di Minerva, fecero perdonare l'impero usurpato e la rovinosa amministrazione ai menzionati reggitori d' illustri nazioni, qual maggioie gloria da cosiffatto orre- vole patrocinio non ne ridonderebbe a que' principi legittimi e saggi, che non hanno duopo dell" indulgenza della posterità? L'ammirazione e la riconoscenza non mancherebbei'o di eriger templi ed altari, di porgere sacrifizii, e d'istituire 'pubbliche feste alla loro memoria : il più lusinghiero del culti , quello del cuore verrebbe loro in guiderdone renduto .

Ecco l'omaggio che viene dalla presente, e che verrà dalle future età prestalo al Divo FRANCEsro I nostro grazioso Signore, che ginnasi, licei, università, isti-» tuti di scienze e lettere , accademie di belle arti richiamando a nuova vita , e conservando in fiore con liberalità degna dnn principe destinato dalla Provvi- denza al paterno reggimento di 3o milioni d'uomini per suolo, per clima, per industria tanto varii e diversi, crea una nuova era alle glorie ed al trionfo dell' u- mano sapere . S' egli cortese sorride a coleste nostre scientlhco-lettcrarie eser- citazioni, di cui sono per dare alla dotta e cortcEc adunanza, che laninii corona, un breve saggio, raddoppieremo li nostri studii per renderci vie più degni di sua regale prolezione .

1. Un Invido destino cuopre d'eterno obblio i nomi e le memorie de' primi tro-

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vator'i delle scienze e delle arti, o per Io meno lascia in dubbio cui fra più per- sone se ne debba ascrivere il merito, e talvolta ne aggiudica il serto d'onore a colui ch'ebbe l'impudenza di farsene autore, quando non ne fu che un sagace plagiario. Lo scoprimento delle valvule nelle vene ed il loro ministero nel mo- vimento circolare del sangue di cui si glorifica l'Harvegio; la contrazione e dila- tazione del forame dell'uvea, trovato, che tanto contribuì a perfezionare la teo- rica della visione, che si attribuisce comunemente all' Acquapendente; le osser- vazioni intorno all'inclinazione, declinazione e variazione dell'ago magnetico, di che antesignano si è proclamato il Porta: queste maraviglie appartengono esclu- sivamente al nostro fra Paolo Sarpi, che di tutte ne fu onninamente spogliato. La stessa sorte avrebbe incontrato anche il primo inventore dell' arte di colorire il vetro, se per caso una scheda scritta di mano d' un monaco della congrega- zione cistcrciense , e che si legge nelle ultime pagine d' una cronica impressa in Norimberga nell'anno i4-93 non fosse caduta sotto le osservazioni del nostro socio ordinario abate dalla Valektijta . Coli' appoggio di colesta scheda riuscì al profondo erudito e giudizioso critico di assicurare a Paolo da Pergola 1 inte- ressante trovato di quel processo, pel quale nella composizione del vetro vi si me- scliiano sostaiize minerali, mercè cui desso assume quale più si desidera del set- templice raggio color vivacissimo, senza che, dalla prima trasparenza in fuori, perdasi veruna delle qualità che si convengono al vetro . Lo Zeno ci aveva fat- to dubitare della patria del da Pergola ; ma il nostro accademico il rivendicò a Venezia ove abbracciò lo stato ecclesiastico, fu eletto pievano di s. Giovanni Elemosinano, istituì il ginnasio rjvoaltino, ebbe a discepoli illustri personaggi, e dove tra l'universale compianto cessò di vivere nell anno 1^55 . Accompa- gnato alla tomba da numeroso stuolo d'ammiratori della vastità della sua dot- trina, fu onorato con orazione funebre e con iscrizione sepolcrale che il tempo non ha cancellata . Nella diligente orazione che a quell' uomo benemerito ha in- tessiita il nostro accademico, non ha egli ominesso d' istruirci che il Pergolese comunicò il segreto al Bernerio, che questi 11 legò alla lìglia, che di esso ne venne in cognizione con finissimo stratagemma il Ballerino, che il tramandò alla sua discendenza . Ma comunque il segreto siasi reso comune a più famiglie , certo è che desso aprì una ricca sorgente al commercio de Veneziani, essendosi diffuso in Italia non meno nelle nazioni oltre-inare ed oltre-monte il gusto biz- zarro di rappresentare fogliami, animali e figure d'ogni specie nelle finestre co' va- riopinti vetri . Il finestrone che dopo tanti anni sussiste ancora nella chiesa de' ss. Giovanni e Paolo è uno de' più preziosi monumenti che si possa additare in questo genere .

II. Qucsl' arte di formare de' quadri co'minuzzoli di variopinti vetri intcrsla- ti non poteva riuscire se non imperfetta, avvegnaché per collegargli insieme , e

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conservarne la trasjiarenza era d' uopo d' impiegare certa saldatura di piombo^ per cui non polevasi ingenerare nello spettatore quell' illusione che si ottiene ne' musaici . Andò essa di mano in mano perciò decadendo, ne potè sostenere i prodigi della pittura risorta , che ricco e venusto tema offrì ad un poemetto in endecasillabi dettato dal nostro socio ordinario abate professore Pasini. Aracne vendicata dalla natura della deplorabile metamorfosi, cui soggiacque , per aver osato di venir al paragone dell' ingegno colla superba ed invidiosa Minerva, è la finzione, da cui prende le mosse il nostro accademico. L'impero della pittura abbiacela lutto 11 creato. Le stesse opere dello scalpello e delle seste vengono dal pennello rappresentate, moltiplicate, ed in tal guisa proposte all'imitazione degli artisti ed all' ammirazione degli amatori. E non solo il fisico, ma il mora- le eziandio degli esseri organizzati ili natura ragionale o ferina vengono al vivo espressi dall'industrioso dipintore: egH n' esprime i pensieri, i sentimenti, le pas- sioni. I mezzi per ciò fare sono i colori: quindi il nostro autore percorre rapi- dissimamente sopra le materie minerali, vegetabili ed animali dalle quali si trag- gono . Nel descrivere poscia le preparazioni fec' egli bella nwstra di peregrine cognizioni nella chimica. Dal subbietto e dalla materia della pittura, trascorre l'autore ad annoverare le varie e diverse maniere di dipingere a fresco., all' acque- rello , air olio, air encausto . Dopo gli studil ed i tentativi inutilmente fatti per riprodurre quest' ultima foggia di dipinti , si può ornai ascriverla al novero delle arti perdute. Il bel colorire della scuola veneziana infiamma di nuovo 1 estro del nostro poeta, che nelle opere dei Bellini, dei Vecellii, dei Caiiarl e dei Bassani ne addita degli ognor parlanti esemplari. Ne la gloria de' nostri pennelli è anco- ra spenta: l' età presente vide fugato per sempre dalle tele quel colorir tene- broso, che unito ad un ammanierato disegnare formava l' obbrobrio della pittu- ra . Il nostro accademico pone fine al suo poemetto offrendo corone a' moderni nostri maestri, e con saggio accorgimento paga un tributo di giuste lodi alle bene intese composizioni degli uni, al corretto disegnare degli altri, al bel co- lorire di tutti . fu questo il solo componimento , di che il professore arricchì la nostra storia accademica . Abbenchè col saggio critico sopra le sedici prime odi di Orazio per lui composto abbia posto la falce in un campo da tanti erudi- ti prima di lui mietuto; nondimeno la sua scrittura fu aggradita, contenendo essa più esattezza nella parte cronologica ed islorica , più sagacità nel dichiarare il senso figurato, più buon gusto nell' accennare le bellezze del favorito suo au- tore .

III. L' uomo è un modello esposto alle osservazioni di tutti gli artisti. Il pit- tore ne imita il colorito, lo statuario i contorni, 11 poeta le passioni ed il riilico- lo . Le grandi perturbazioni d'animo, quelle, che atte sono a destare 11 terrore e la pietà, formano il soggetto della tragedia . La prima nazione che correndo

sulle orme impresse dai Greci dischiudesse T arringo tragico si fu T italiana . Il mr^lodramma, cui diede intiero perfezionamento mediante le riforme dello Ze- no ed il genio del Metastasio, la desviò lungo tempo dalla tragedia : nondimeno per alcuni poch; saggi dati del suo valore anche in questa foggia di poetare ave- va abbastanza dimostro, che verrebbe 11 giorno in cui sarebbesi appalesata emu- la degli antichi, e vincitrice de' moderni anche nel trattare il pugnale ed 1 ve- leni di Melpomene . Ne il sublime ingegno che doveva condurre la trao-edia a tanta elevazione guari tardò a comparire. In sul declinare del secolo 18." Asti fide rivivere Sofocle nel conte Allieri . E siccome le nazioni contano certe epoche luminose, nelle quali veggono ad un istesso tempo sorgere in folla in- gegni smisurati e sublimi, così l' Italia a poca distanza dal primario suo tragi- co salutò riverente e collocò nell' insubre Panteon 1 Lagrange , gli Orianl , i Volta, 1 Botta, 1 Lanzi, i Visconti, IMorceUi, IFilangeri, 1 Canova; e per tacer di cento altri, quel fiero Isolano, di cui l' ultimo fato rese famoso uno scoglio del grande oceano, cui devoti s'accostano 1 naviganti per visitare l'umile tomba, che ne serra le ceneri, e placarne l'ombra, che vi si aggira intorno sdegnosa, spargendone a piene mani ghirlande di fiori. Il sonno d'Italia fu quello de' forti, che, lungi d' infiacchire e di spegnere i germi di grandezza, non fa che infonder loro nuova virtù e nuova vita: il perchè in sul destarsi la si vide generare in un subilo quanto le scienze, le lettere e le arti hanno giammai prodotto di piti stu- pendo ne' secoli andati .

L' invidia, abbietta passione de' piccioli spiriti, non potè all'aspetto di gran- de ventura d' Italia trattenere i suoi venefici morsi: ed il primo da essa furiosa- mente assalito si fu l' Astigiano . Un critico di gran fama , autore d' un' opera intitolata Corso di letteratura drammatica^ diede il jirimo di tutti il segnai del- l'attacco . Prevenuto egli in favore del romanticismo., ed idolatra di Sakespear e di Lopez di Vega, non trova perfezione se non ne' mostri del teatro inglese e spagnuolo, ne' quali , in mezzo alla fanghiglia di scene plebee , incontransi a quando a quando de' tratti veramente sublimi . Un cieco amore di parte dettò quindi a quel severo critico la dura sentenza, che scrisse contro all' Alfieri, di cui trovò la musa priva di nobiltà e di grazia: il poema lavorato sopra certe idee di stoicismo piuttostochè sopra il giuoco di esaltate passioni : 1 personaggi abbozzati sopra semplici astrazioni, e perciò uniformi e stucchevoli : i versi pri- vi d' armonia a segno di lacerare gli orecchi con le dissonanze le pili insoppor- tabili : nello stile nemmeno una scintilla di fuoco animatore, e povertà assoluta di espressioni figurate : finalmente il bianco ed il nero gettato a piene mani, per- chè ignorava l' autore l'arte difficHissima degli ombreggiamenti, delle mezze tin- te e degli accordi .

Ma nell'istante che 1 critici italiani bandivano la croce addosso all'autore del

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Cor^yo di letteratura dramniatica^ed avevano presi a campione Gingucnò e Sis- niondi, il chiarissimo nostro picsidcnlc cav. G.ijUBAnA griJò di nuovo allo ar- mi colla versione li" un' epistola mista «li prosa e di versi, che lingesi scritta dall' eliso, nella quale si attaccavano con più furore che giudizio tutte le ope- re e lo slesso morale carattere dell' Astigiano . L' anonimo narra in cosilTatta scrittura il commovimento generale del regno della morte e delle ombre all' ar- rivo dell' autore della Virginia, dei Bruti I e II, dell' Agide e del Timaleone: lo spavento concepito da Plutone di perdere scettro e corona pel congiurare di questo terribile repubblichista : il di lui superbo rifiuto di sottomettere la sua persona e le sue opere all'inesorabile tribunale d' averne : 1' egoismo per cui nie- ga di accordare l'accesso nel solitario luogo, ove s èlnvenlrato, alle anime de' morti più lamosi, che s' affollano per conoscere un uomo cosi singolare: narra in hne il favore, che, mediante il celeste messaggero Mercurio, gli procacciano presso al sire del tartaro Apollo e Minerva : ecco la macchina di questa fred- dissima diceria, la quale termina colla abbiettissima satira che tutte le opere dell' Alfieri possono appena darsi in cambio di quell'obolo, che i defunti pagano al nocchiero d'Acheronte pel tremendo tragitto, e che l'Areopago infernale le condannò ad essere affogate nelle onde letee e disperse nell' obblio sempiterno . Il divisamcnlo del nostro accademico nell" offrire all'Ateneo questa sua fatica de- v'essere sialo quello d'innuzzohre gf ingegni italiani a prendere la difesa d'uno de' maggiori luminari che abbiansi . Ma ov' è 1' Achille che non isdegni d' ab- bassar l'asta contro un Tersile ?

IV. Nella luminosa carriera aperta dall'Alfieri agi' ingegni italiani sonosi slan- ciati con maraviglioso successo gli autori dell' Aristodemo, del Nabucco, della Medea e dell' Ippolito, ed ultimamente venne al paragone delle sue forze in que- sta fatta di malagevoli componimenti il dolt. Jacopo Mantovani dandoci di suo valore non dubbio saggio colla Iragetlia dell' Ecuba . Euripide aveva trattato questo subbiello due volte, avvisando io che ad Ecuba appartenga la parte di protagonista anche nelle Troadi ; ma la visibilissima moltiplicità d' azione l' in- verosimiglianza e l'indecenza del personaggio d'Ecuba hanno spogliati questi poe- mi d' ogni altro pregio, fuorché di quello degli ammirabili squarci di eloquenza subhme e patetica, di che abbonda quel poeta, che segnò 1' epoca della declina- zione dell' arte . Il Dolce ed il Corio osarono trattare lo stesso aro^omento: ma se anche fossero venuti a capo di schifare i difetti del poeta greco, non sep- pero ne ordne d nodo, ne condurre la peripezia convenevolmente, ne usare di <|ucllo stile grave ed a tragedia accomodato per poter aspirare all'onor dei co- turno. Il Ma>-tovani all' opjioslo, dato di tergo a suoi antesignani, trovò ne' mi- tografi minori opportune tradizioni onde lavorare sopra una più vasta tela il suo poema. Tal è il personaggio d Iliona, figha d'Ecuba, sorella di Polidoro, rao-

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sulle orme impresse dai Greci dischiudesse l'arringo tragico si fu l' italiana , Il nr-lodramma, cni diede intiero perfezionamento mediante le riforme dello Ze- no ed il genio del Metaslasio, la desviò lungo tempo dalla tragedia : nondimeno per alcuni pochi saggi dati del suo valore anche in questa foggia di poetare ave- va abbastanza dimostro, che verrebbe il giorno in cui sarebbesi appalesata emu- la degli antichi, e vincitrice de' moderni anche nel trattare il pugnale ed i ve- leni di Melpomene. Ne il sublime in^^egno che doveva condurre la trao-edia a tanta elevazione guari tardò a comparire . In sul declinare del secolo 18." Asti fide rivivere Sofocle nel conte Allìeri . E siccome le nazioni contano certe epoche luminose, nelle quali veggojio ad un istesso tempo sorgere in folla gì' in- gegni smisurati e subluni, cosi l' Italia a poca distanza dal primario suo tragi- co salutò riverente e collocò nell' insubre Panteon i Lagrange , gli Oriani , i Volta, i Botta, i Lanzi, i Visconti, iMorcelli, iFilangeri, i Canova; e per tacer di cento altri, quel fiero Isolano, di cni l'ultimo fato rese famoso uno scoglio del grande oceano, cui devoti s'accostano i naviganti per visitare l'umile tomba, che ne serra le ceneri, e placarne l'ombra, che vi si ao-o-ira intorno sde"-nosa , spargendone a piene mani ghirlande di fiori. Il sonno d'Italia fu quello de' forti, che, lungi d' infiacchire e di spegnere i germi di grandezza, non fa che infonder loro nuova virtù e nuova vita: il perchè in sul destarsi la si vide generare in un subito quanto le scienze, le lettere e le arti hanno giammai prodotto di più stu- pende ne' secoli andati .

L' invidia, abbietta passione de' piccioli spiriti, non potè all'aspetto di gran- de ventura d'Italia trattenere i suoi venefici morsi: ed il primo da essa furiosa- mente assalito si fu T Astigiano . Un critico di gran fama , autore d' un' opera intitolata Corso di letteratura drammatica^ diede il primo di tutti il segnai del- l' attacco . Prevenuto egli in favore del romanticismo., ed idolatra di Sakespear e di Lopez di Vega, non trova perfezione se non ne' mostri del teatro inglese e spagnuolo, ne' quali , in mezzo alla fanghiglia di scene plebee , incontransi a quando a quando de' tratti veramente sublimi . Un cieco amore di parte dettò quindi a quel severo critico la dura sentenza , che scrisse contro all' Alfieri , di cui trovò la musa priva di nobiltà e di grazia: il poema lavorato sopra certe idee di stoicismo pinttostochè sopra il giuoco di esaltate passioni ; i personago-i abbozzati sopra semplici astrazioni, e perciò uniformi e stucchevoli: i versi pri- vi d' armonia a segno di lacerare gli orecchi con le dissonanze le più insoppor- tabili : nello stile nemmeno una scintilla di fuoco animatore, e povertà assoluta (li espressioni figurate : finalmente il bianco ed il nero gettato a piene mani, per- chè ignorava l'autore l'arte diflicilissima deo-li ombre^mamenti, delle mezze tin- te e degli accordi .

Ma nell'istante che i critici italiani bandivano la croce addosso ali autore del

63 Corso di letteratura drammatica., ed avevano presi a cami/ionc Gingucnè e Sis- mondi, il thiarisslnio nostro presidenle cav. Gambaha gridò di nuovo alle ar- mi colla versione d" un' epistola mista di prosa e di versi , che hngesi scritta dall' eliso, nella quale si attaccavano con più furore che giudizio tutte le ope- re e lo stesso morale carattere dell' Astigiano . L' anonimo narra in coslU'atta scrittura 11 commovimento generale del regno della morte e delle ombre all' ar- rivo dell' autore della Virginia, dei Bruti I e II, dell Agldc e del Timaleone: lo spavento concepito da Plutone di perdere scettro e corona pel congiurare di «mesto terribile repubblichista: il di lui superbo rihulo di sottomettere la sua persona e le sue opere all'inesorabile tribunale d' averno : 1' egoismo per cui nie- ga di accordare 1' accesso nel solitario luogo, ove s' è invenlrato , alle anime de' morti più famosi, che s' affollano per conoscere un uomo cosi singolare; narra in fine il favore, che, mediante il celeste messaggero Mercurio, gli procacciano presso al sire del tartaro Apollo e Minerva : ecco la macchina di questa fred- «lissima diceria , la quale termina colla abbiettissima satira che tutte le opere dell'Alfieri possono appena darsi in cambio di quell'obolo, che i defunti pagano al nocchiero d' Acheronte pel tremendo tragitto, e che l' Areopago infernale le condannò ad essere affogate nelle onde letee e disperse ncll' obblio sempiterne . Il dlvisamcnto del nostro accademico nell offrire all'Ateneo questa sua fatica de- v' essere stato quello d innuzzohre ingegni italiani a prendere la chfesa d' uno de' macririori luminari che abbiansi , Ma ov' è 1' Achille che non isde^ni d' ab- bassar 1" asta contro un Tersite ?

IV. Nella luminosa carriera aperta dalf Alfieri a^l' injiegni italiani sonosi slan- ciali con maravlglioso successo gh autori dell' Aristodemo, del Nabucco, della Medea e dell' Ippolito, ed ultimamente venne al paragone delle sue forze in que- sta fatta di malagevoli componimenti II dolt. Jacopo Mantovani dandoci di suo valore non dubbio saggio colla tragedia dell' Ecuba . Euripide aveva trattato questo subbietto due volte, avvisando io che ad Ecuba appartenga la parte di protagonista anche nelle Troadi ; ma la visibilissima moltiplicità d' azione , l'in- verosimiglianza e l'indecenza del personaggio d'Ecuba hanno spogliati questi poe- mi d' ogni altro pregio, fuorché di quello degli ammirabili squarci di eloquenza sublime e patetica, di che abbonda quel poeta, che segnò l' epoca della declina- zione dell' arte . Il Dolce ed il Corio osarono trattare lo stesso aro-omento; ma se anche fossero venuti a capo di schifare i difetti del poeta greco, non sep- pero ne ordire il nodo, ne condurre la peripezia convenevolmente, ne usare di quello stile grave ed a trageilia accomodato per poter aspirare all'onor del co- turno. Il Mantovani all' opposto, dato di tergo a' suoi antesignani, trovò ne' mi- lografi minori opportune tradizioni onde lavorare sopra una più vasta tela il suo poema. Tal è il personaggio d Iliona, figlia d'Ecuba, sorella di Polidoro, mo-

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glie di Polinncslore, di cui il poeta con singolare avvedutezza si valse, per ren- dere probabili gli avvenimenti accaduti prima e dopo 1 arrivo della flotta argiva nella Tracia, per collegargli insieme in guisa che spontaneo ne sorgesse il vilup- po, e per preparare con insigne artifizio la peripezia, eh' è la parte nella quale il poeta manifestò piìi che in altra il suo ingegno . Potrebbesi forse desiderare più movimento nel terzo atto, più verosimiglianza nel modo, con che Polinne- store spegne il figliuolo Difilo credendolo Polidoro; potrebbesi desiderare che Ulisse fosse più acconciamente calcato sul conio de' poemi omerici : potreb- besi desiderare che si levasse qualche maccatella allo stile, che in generale rie- sce fluido, nervoso, caldo e pittoresco : ma a cosiffatte critiche osservazioni ri- sponde il supremo legislatore del buon gusto in ogni maniera di poesia .... ubi plnra nitent in Carmine^ non ego paucis offender maculis .

V. Cerchisi pure di screditare con freddi ed insipidi scherzi il raro talento d'improvvisare in poesia, che natura impartì esclusivamente al bel paese ove il sitona^ dappoiché le persone assennate, che sono in caso di comprenderne, non dirò già solamente la difficoltà , ma il prodigio, non lascleranno di averlo in quel pregio che merita. Sino dal secolo decimoquarto v'ebbero improvvisa- tori in Italia, ma dall'età AtW Accolli^ del Brandolini^ del Notturno.^ del Per- fetti^ del Serio.^ della Corilla Olimpica e d'infiniti altri che vennero dappoi sino al Gianni.^ non v' ebbe esempio che siasi impovvisata un' mtiera tragedia sopra un tema qualunque cavato a sorte dall' urna ove ogni spettatore poteva gettarvi il suo. Eppure noi fummo testimonli di tale portento, cui a fatica si presterà fe- de da' posteri . Ne per trovare si prode atleta occorre d' intraprendere lunghe peregrinazioni, avvegnaché Venezia ci offrì il più valoroso di essi in Luigi Ar- minio Carrer, che forse ad un girare di ciglio scoprirete assiso nel recinto di questa sala . Aveva egli compito appena il corso di belle lettere, allorché lo si vide venire parecchie fiate a così arduo cimento in mezzo a coltissima adunan- za, ed uscirne vittorioso fra gli applausi della più viva ammirazione. Divisare la condotta della favola , proporre gT interlocutori , e distribuirne fra loro le parti principali ed episodiche: assegnare spazil proporzionati all'esposizione del soggetto, al succedersi degli avvenimenti, da cui ne deve derivare l' intreccio e la conclusione : osservare nella condotta dell' azione le leggi delle tre unità ; versificare il dialogo adattandolo convenientemente a' personaggi : ecco ciò che nello spazio di pochi minuti seppe fare la forza sorprendente della fantasia di co- testo giovinetto di belle speranze . Ebbe egli non pertanto il saggio accorgi- mento di non lasciarsi illudere da queste lodi momentanee, e conobbe che per acquistare verace e solida gloria doveva commettere non già ali" aere, che per breve atomo conserva la vibrazione del snono, ma bensì alle fide carie i frutti di questo suo insigne talento pel più difficile de'poemi, dopo aver arricchito lo

65 spirito di più altre cognizioni, e massimamente di quella della scienza del cuore umano, allorché in preda egli si trova delle più violente passioni. Ne dissimu- lò a se stesso i difetti de' primi saggi, che diede alla luce, anzi rinfrancalo dagli esempi di (pie' due immortali [loeti, che incominciarono la loro carriera dramma- tica colla Cleopatra e col Giustino., e che terminarono col Saul e col Demofoon- tó, tornò allo studio con più ardore e perseveranza di prima. Il pubblico, cui offrì la prima suilala fatica nella rappresentazione della tragedia mtitolata: la sposa ai Messina: ondeggiò lungamente tra l'approvare ed il disapprovare, non suonan- dogli intiero nel cuore il sì., il no ; se non che alla perfine 11 mal genio prevalse. Ma qualunque sia stato 1' esito ch'ebbe in sulla scena, l'intiero poema fu giudicalo dagl'intelligenti adorno di tali pregi per non meritare che uno Zoilo il condannasse siccome un aborto infelice senza capo ne piedi., e simile in tut- to a quel mostro di cui parla Orazio ai Pisoni . Ma il malefico insetto non andò impune ; imperciocché 1' egregio nostro membro ordinario sig. Luigi Pezzoli ne lo schiacciò con la dotta apologia, che ne compose, con che nell'atto di prov- vedere alla tlifesa del giovine poeta, diede di suo forte e generoso animo un lu- minosissimo esempio . Se questa dissertazione, in cui risplende il candido amore della verità espressa in purissimo e lucidissimo eloquio, non fosse divenuta di pub- blica ragione mediante la stampa, farei conoscere piti alla distesa con quali pa- tentissime ragioni l'autore abbia dimostro che la sposa di Jllessina., per la scel- ta del soggetto, la condotta, l'interesse, i caratteri e lo stile, si dovesse porre in fra gli ottimi poemi di questo genere . Ma posciachè la pubblicazione di que- st' opuscolo m' impedisce di parlarne, mi permetterò unicamente di considerare che l'autore, rincorando il valoroso alunno di Apollo, cui si tentò di tarpare leali e di arrestarne l'alto volo, salvò forse ali italiano parnaso uno de' più canori suoi cigni .

VI. Nel secolo, in cui l' italiana Melpomene dispensava onorevoli serti a' suol favoriti, era convenevol cosa che si rovistassero di nuovo gli archivii dell' erudi- zione, e che da essi si traessero fuori le notizie, che in copia li dotti vi avevano ammassate sulle origini della poesia drammatica. Nulla di più facile, quanto lo spazzare dalla polvere e dalle ragnatele delle biblioteche, ove stavano inventra- te, le faragginose scritture del Casaubono, dell' Einsio, del Dacier, dello Spa- nemio, del Mazzoni, e di più e più altri rinomati uomini, che di proposito ne trat- tarono: ma chi avrebbe avuto il coraggio , il tempo e la perseveranza di distri- gare dai viluppi delle opposte sentenze quelle poche notizie che ci abbisognano per conoscere le dette origini , se non fosse stato il nostro socio ordinario sig. Giovanni Kiieglianovich Ai-binoni con la memoria che ci ha presentata sulla sa- tira de' Greci e de Latini? Per essa ci viene dato comprendere qualmente al poe- ma satirico, alla tragedia, alla commedia, e a tutta quanta in generale 1' arte 9

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rapprcsentatoria e drammatica diedero nascimento le feste dionisiache , le- nee , fallagogiche , trietericlie ec. clic nel tempo della vendemmia celebra- ransi nell' aperta campagna dagli agricoltori in onore di Bacco.^ che credevasi essere il primo che insegnò a coltivare la vite, ed a spremere da' grappoli il vi- vificante liquore . Nulla di più naturale che per un cosi segnalato benefizio si cantassero inni al padre Libero^ che si celebrasse il suo ritorno trionfale dal- le Indie, e di quegli eroi che lo avevano seguito nella sua spedizione , e che per fargli onore li più devoti fra suoi adoratori si travestissero da Sileni , da Fauni, da Satiri danzando, cantando, e sacrificandogli il capro che col velenoso morso amarissimo reca morte certa alla vite . Ne si dura fatica a credere che la turba avvinazzata prendesse ogni più sconcio vezzo e atteggiamento, che l' uno si fa- cesse beffe deir altro col contraffare i parlari ed i gesti, che s incominciasse col- le buffonerie, e si terminasse cogh strapazzi e colle coltella . E fu al certo sag- gio consiglio d' uomini avveduti e prudenti, acciò la gioja in pianto non dege- nerasse, al coro de' baccanti aggiungere prima uno, poscia due, ed in fine tre personaggi tragici, che rappresentando in sul palco la parte d' eroi e di semi- dei, noti per le lagrimevoli loro vicende, destassero la pietà ed il terrore nella moltitudine accorsa a quello spettacolo. E siccome l'esperienza fece toccar con mano , che ottenevasi lo stesso effetto col mordere il ridicolo ed i vizii degli uomini, introducendo per intermezzo personag-gi comici, cosi prese voga la com- media forse più accetta alla moltitudine , che ama di pascere la naturai sua mahgnità con le vespe eie nm'ole d'Aristofane, che di piangere sui tristi casi di Edippo tiranno e di Ajace flagelli/ero di Sofocle . Vedutane 1' utilità per istruirne il popolo divertendolo, tutti gli spettacoli dell' arte rapprcsentato- ria passarono dalla campagna alla città . La tragedia si perfezionò, la comme- dia cambiò subbictto e stile, essendo all' africa succeduta la mezzana^ ed a que- sta la nuova : ma il popolo non volle esser fraudato giammai del favorito suo poema satirico . Il Ciclope di Euripide è l' unico' che il tempo non ci abbia invo- lato . I canti detti siili furono introdotti quasi per compenso della commedia mezzana proscritta . Nel passare che fecero le arti e le lettere dai Greci ai Latini, la rapprcsentatoria quantunque si trovasse nello stato di sua primiera rozzezza , nondimeno non era ad essi del tutto ignota. Probabilmente aveva avuto origine dalle feste consuali instituite da Romolo . Un naturale spontaneo entusiasmo inspirava ai bifolchi li versi alterni saturnii e fescennini senza mi- sura e senza numero , tutto al più con qualche cadenza, versacci inconditi e gretti, eh' e' cantavano fra li salti ridevolidl una danza grossolana. Siffatta liber- tà di motteggiare oltre un secolo si sostenne: ma incominciando il mal giuoco ad imperversare contro le oneste cose e persone, fu di mestieri provveder al disordine con leggi che condannarono il detrattore dell' altrui fama al bastone

6, e al capestro. Roma dcsertata da peste straordinaria richiamò dall Etrurla ì;1ì spettacoli scenici per placare gli Dei . Oltre a due secoli dopo comparve alla luce del mondo Livio Andronico, che fu il primo a rivolgere gli animi a favole teatrali di sua invenzione . Non si sbandirono per altro le salire, ma accoppiale alle atetlane degli Ojc/ servirono d intermezzo . Le satire furono dette epodi ^ perchè venivano recitate alla fine delle opere serie. Un somigliante costume ebbe spaccio sino ad Augusto . A Livio Andronico successe Nevio, che trasse gli argomenti delle sue composizioni dalla greca commedia vecchia . Nevio ce- dette r alloro ad Ennio , che cominciò ad introdurre 1' uso de' discorsi satirici, ossia sermoni, ne' quali fu imitato da Pacuvio e Lucillio. Questo nuovo modo di satireggiare, fu perfezionato da Orazio, «la Giuvenale e da Persio . Un'altra specie di satira, la menippea cioè o verroniana^ composta di verso e prosa, fu coltivata : il libro di Seneca per la morte di Claudio , la cena di Trimalcione di Petronio, ed i C«.jar/ dell' imperatore Giuliano sono di questo numero. Se Quintiliano però, Plinio ed Orazio dissero Ialina l' invenzione del discorso sa- tirico, ossia del sermone, pare che non abbiano preso errore per vanità nazio- nale. Dopo questa scorsa rapida sulla storia degh spettacoh scenici, e partico- larmente del poema satirico e della satira de'Lalini, il nostro accademico con fino discernimento ci accenna le tUfferenzc , che tra questi ed i Greci in cosiffatta maniera di composizioni esistono: nel che per nostro avviso consiste uno de' pre- cipui pregi della dotta e giutliziosa sua dissertazione.

VII. Il flagello satirico non rimase ozioso nelle mani degl'Italiani. Quel terri- bile Ghibellino di Dante fu il primo a servirsene nella sua cantica dell'inferno, cacciando in quelle bolge papi, imperatori , condottieri di eserciti, legislatori, artisti e letterati antichi e moderni, ed applicando ai peccati, che loro si com- piacque di attribuire, li convenienti snpplicii . Nacque quindi la satira in Italia col nascere si può dir della lingua e della poesia, essendo slato l'Alighieri // miglior fabbro del parlar materno^ che le muse lattdr più eh' altri mai. Il nostro socio corrispondente sig. Filippo Scolari con un suo ragionamento sulla piena e giusta intelligenza della divina commedia di Dante ^ si è proposto di consi- derare questo immortale poema sotto un cosi vasto punto di vista che, secon- do e' si protesta, in cinque secoli di studii e di relative scritture, le quali poche non furono, non si presentò ad altro sguardo giammai. E quantunque, a senso di lui, un solo uomo non basti alla illustrazione di Dante, s impegna nondimeno di far conoscere , che qualunque strada al conseguimento dell' allo fine non eli è ignota. Di tali premesse venendo al concreto, dichiara essere suo proposto il ;• dare agi" Italiani la Divina Commedia di Dante Alighieri così per ogni parte >' chiarita, che la mente dell' autore nell'averla dettata in quello e non in altro » modo sia seguita, e che per quanto è possibile sia tolta di mezzo qualsivoglia

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« dubbiezza, o per lo meno ridotta all' ultimo punto di differenza, e notati qiie' luo- » ghi al rischiaramento pieno de' quali tutti li mezzi dell' arte critica si manlfe- n stassero insufficienti ".Discorre a dilungo nel citato suo ragionamento il nostro accademico: i." sujjli importanti vantairiri che dallo studio di Dante devonsi attendere ; 2." sulla necessità di raffrontare li testi a penna con le stampe per fissarne possibilmente la più genuina lezione ; 3." sugli ajuti che cavare si po- trebbero per chiarirne ogni oscurità e dicifrarne ogni enigma dalla conoscenza esatta delle cause , che lo hanno indotto a scrivere , dalle circostanze di tem- po e di persone , nelle quali ha scritto, dai fatti e dalle istorie cui ha egli in- teso di alludere; 4-" sullo studio da farsi onde penetrare nel sentimento dell'o- pera, svolgendone li quattro sensi, nei quali la si può considerare, litterale cioè, ■allegorico, morale ed anagogico ., ossia mistico: 5." sulla risoluzione del proble- ma , se le cantiche dell' Alighieri contengano una prima e principale allegoria^ e se dessa, a differenza di quelle escogitate dal Dionisi, dal Biagioli , dal Lom- bardi e dal Marchetti, sia quale viene esposta per la prima volta in questo sag- gio: 6.° s'intrattiene sull'insufficienza de' metodi sino ad ora praticati, ed ac- cenna la via, per la quale sotto auspicii migliori potrebbesi raggiungere la me- ta. La parte più importante di codesta dissertazione è, per mio avviso, la ricerca, se si debba ammettere senza contrasto la spiegazione che 1' autore alla pri- ma e principale allegoria del poema di Dante, se sia questa nuova e diversa da quella che vi ha data il Dionisi nella sua serie di aneddoti ed il Perticari nel- r opera, che alzò tanto grido in Italia sul patriotismo di Dante . Se l'opuscolo non fosse ornai divenuto di pubblica ragione , non si lascierebbe senza gli op- portuni schiarimenti questa interessante ricerca , dalla quale ne risulterebbe che, quantunque decorata sia da nomi famosi l'opinione, che il fine delle tre can- tiche dell'Alighieri sia essenzialmente nazionale e politico, dessa urta e s'infran- ge nel canto sesto del purgatorio, nel trigesimo del paradiso, e nelle due let- tere, che il furibondo Ghibellino, cacciato di patria, esule e ramingo , indirizzò r una all'imperatore Arrigo, l'altra a' principi italiani.

Vili. Si è notato che la satira in Italia nacque gemella ad un parto stesso con la lingua e con la poesia, ma 1' Alighieri fu portato a giovarsene dall' istes- so argomento del suo poema, conciossiachè non poteva parlar dell'inferno, sen- za parlare dei dannati e de' loro supplicii, non già dal proposto di fare un poema satirico ad imitazion de' Latini. Tanti poi sono gli scrittori, 1 quali con mirabile successo hanno squassata la sferza di Orazio e di Giuvenale , che inutile torna di ripararsi in Dante per mostrar che l'Italia non mancò d'impadronirsi anche di questo genere di poesia, e di signoreggiare in esso . Ma tra i satirici italiani moderni o si riguardi la moralità ed utilità dello scopo, o la novità ed elevazio- ne del pensiero, o l'artifizio ingegnosissimo nel maneg-o'iarlo., o riguardisi l'incom-

1 -' 00 co^o

69 paraLìle eccellenza dei versi, la prima palma la si debbc per mio giudizio a Giuseppe Pariiii . Sopra il ili lui poema del giorno il nostro socio ordinario con- te Lsuno ConiTiANi degli AiGAftOTii ci offerse un saggio di dotte e giudiziose con- siderazioni . Quel fuoco di patriotici e liberali sentimenti, di cui arse il nostro poeta tutta sua vita, gli dettò «pie'subiimi poemetti, // mattino^ il mezzo giorno^ il vespero^ la notte., ne' quali col mezzo di fina, dllicata e mordacissima ironia si propose di richiamare i degeneri nipoti alle prische cittadine virtù, e genero- se abitudini degli avi. E siccome i grandi formano quella classe sopra la quale si foTffiano i mezzani ed 1 piccioli, cosi il Parini sopra li vizii ed i difetti de' primi sparse nel suo giorno il ludibrio . Orazio, Boileau, Pope ed Ariosto piìi che il fiele il riiUcolo della satira convenevolmente adoprarono ; ma nessimo de' valo- rosi antesignani del Parini concepì Tidea d'un poema apparentemente didatti- co, che constasse d'una continuata ironia, fonte principale del ridicolo . L facile respingere la violenza e l'ingiuria, che derivano dalla declamazione e dal sar- casmo : è anche facile render baja per baja, ma è difficilissimo lo schermirsi dalla finezza, onde 1' ironia sotto l'apparenza di lode volge in ridicolo le cose, cui siamo più affezionati, con una specie di sorpresa, che si fa all' anima dove meno se lo aspettava . Ma la somma difficoltà stava nella continuazione dell'iro- nia per r intiero decorso de' poemetti. Per ciò fare vichiedevasi una s'mgolare maestria, nella naturalezza de' pretesi insegnamenti, e si nella esquisitezza de' sali, e ncH' aria grave e importante data ai pregiudizii per non offendere la ver osimi o-lianza del senso figurato . Ordine mirabile nella condotta, fecondità neir invenzione, novità, opportunità e grazia negli episodii, e giustezza e bel- lezza nelle immagini, e graduata importanza di affetti appajono nell'opera, e pre- sentano all' anmio quanto vi ha di vago e di grande proporzionatamente al sog- getto, riscaldano tratto tratto l'immaginazione, e suscitano un continuo diletto, che moderatamente solluchera lo spirito ed il cuore, e perciò più gradevol rie- sce. Quanto allo stile mirò per l'un de" lati il Parini alla precisione e proprietà de' vocaboli, e specialmente degli epiteti usati da Orazio : per 1" altro alla varie- tà imitatrice, armonia ed eleganza di Virgilio . Il perchè un carattere speciale donò egli a' suoi versi che a tutta prima si riconosce, ne può con altri confon- dersi, e si meritò d' essere denominato dal principe de' tragici italiani.

» Primo pittar del signoril costume » .

IX. Ma se il Parini inventò una foggia di satireggiare del più acconcio e bel modo che fare si potesse per correggere i guasti costumi e le fradiccie abitudi- ni dei ricchi, sono del pari d' invenzione tutta italiana le satire giocose, di cui il Pulci col suo Morgante ci porse forse il primier saggio . A questa specie di com-

ponimenti pare che ridur si possa la georgìca del fico ^ di cui il socio corrispon- ilenle abate DviMisTrto presentò al nostro Ateneo. Non è già che a certi rispetti considerare non la si possa del genere didattico, e porla al concorso della corona poetica, se non colla cohu'azione dell' Alamanni, colle api del Rucellai e colla riseide dello Spolverini, con altri minori poemi a Pomona sacri e a Vertnnno ; ma dominando in essa dal principio al fine la parte giocosa e satirica, è forza in- titolarla sermone. Il poemetto delfico del nostro autore è ben diverso da quel- lo, che forma il tema del capitolo del Molza, cui fece le chiose il Caro, scam- biandogli il titolo di _^co in quello di fiche ide . Essendo la musa, che inspirò que'due bacalari solenni, una sgualdrinella da chiasso, lurono usate le voci ^co e fiche ide in senso metaforico: ma la musa del nostro sermonatore, essendo fem- mina di buoni costumi, senza essere per altro in cose di mondo schifiltosa al tut- to, e spigolistra oltre il dovere , fu il fico usato in senso proprio e si largheggiò un poco nelle frasi ove si descrisse la seguita metamorfosi della ninfa Ficaja nel- l'albore, che produce quel saporitissimo frutto . Potrebbe venir in mente a qual- che sazievol pedante di rinfacciare al nostro autore di aver Imitato Ovidio nella accennata metamorfosi; ma non sarebbe diflicile di costrino-erlo al silenzio col pregarlo da quindi innanzi prima di portare de' cos\ spropositati giudizii, eh sce- verare l'ignobll greggia de' servili copisti, da que'rari ingegni, che furono dotati del peregrino talento di una nobile e libera imitazione . Che se porre si volesse al paragone la metamorfosi di Dafne con quella di Ficaja, si dovrebbe conveni- re che la descrizione, che ne fa il latino poeta, è più rettorica, e quella dell'ita- liano più pittoresca: che l'uno, tutto dicendo, nulla lascia pensare al lettore, e l'altro all'opposto gli lascia indovinare tutto ciò, che con artifizio gli nasconde, mostrando gli oggetti principali in iscorcio,, e trascurando i secondarli ; che 1" A- pollo di Ovidio è un guascone pieno di millanterie, e quello di Dalmistro è più modesto e riservato nel parlare di se, che 1' uno ha molte chiacchere e termi- na coir abbracciare un arbore , 1' altro viene ai fatti e termina coli' accop- piarsi due volte amorosamente con la ninfa: nel qual accoppiamento vuoisi indicare il doppio fruttar della pianta cantata: il primo fa la figura di novizio nell'arte di amare, il secondo si mostra per quel seduttor veterano, quale vie- ne proverbiato dal nostro poeta . Nulla dirassi di quella parte di codesto ser- mone, che della coltivazione tratta del fico., nella quale fa bella mostra il nostro accademico di eguale perizia nell' agricoltura, e nella proprietà e perspicuità de' vocaboli e delle frasi . I quadri degni di Vernet e di Pussino , che s' incon- trano a quando a quando, e le graziose fantasie sparse qua e là, mentre sferza- no 11 vizio de' bifolchi, servono a ravvivare l'attenzione del lettore. Sonovi alcuni cplsodii così leggiadri e saporiti che farebbero onore al Baldovini scrittore del famoso lamL'nto di Cecco da Varlungo. Tali mi pajouo essere quelli di Tofiano,

di Lapo, tli N»-ncio : ma la serenala eli Cecco a Ghita in variato metro forma il più ghiotto boccone di tulio ([nel com|)onimento .

X. Alle siffylle insnirazioni di miifajraja e sollazzevole, cui dobbiamo le bizzar- re fantasie del Pidci, del Berni, del Foitiguerri avvisò il nostro accademico sig. BAnTOLAMMEO Gajida clic abbia somministralo argomento 1' opera originale na- ta sotto il nostro cielo dei reali di Francia^ che fu da lui tratta a nuova vita con la nitidissima e correttissima edizione, che, dopo le tante sconcie e spro- positate che la precedetlero, videsi uscire da' suoi tipi, e di cui la dotta ed ele- gante prefazione formò l' intrattenimento d' una delle nostre ordinarie adunan- ze. Se questo discorso, nel quale il nostro accadeniico correndo sulle orme del Giraldi, del Pigna, del Quadrio, del ^^arlon, del Ginguenè ci notizia delle curiose storie de' cavalieri erranti, che in tre diverse classi dividonsi, cioè nella tavola rotonda, nell' origine dei Gaulesi e nelle avventure di Carlo Magno e de' suol dodici paladini, di cui 1' antefatto trattasi nei reali di Francia : se questo discorso, nel quale si prova che l'ultima delle jnenzionate opere pel mi- rabile, che ne forma il generale disegno e le parli nelle quali Irovasi distribuita, riuscì tale da starsene onoratamente tra quelle le quali servirono a mansuefare e ad ingentilire gli uomini, ed a far valere fra le genti la cortesia, la fortezza, il valore, la magnanimità ; se questo discorso in fine in cui si ragione del per- chè al reali di Francia toccasse il destino di vivere bensì più degli altri roman- zi di cavalleria, ma poverello e tapino, sbandito dagli scaffali de' letterati, in odio alle donne colte e gentili, e confinalo a posarsi sul banco di qualche ozioso fat- torÌDO, o per le stalle dei contadini: se questo discorso non fosse venuto alla lu- ce delle lettere, io mi sarei sollecito a commendarne la scelta erudizione, il ni- tido stile, i fiori di Hngua di che va copiosamente adorno .

In un tempo nel quale per l'onore della letteratura fu deliberala la correzio- ne del vocabolario della lingua italiana, reclamala principalmente dalle scienze e dalle arli, che di troppo, nella compilazione dell' ultimo, furono neglette, e che per questa ragione e per 1' altra delli prodigiosi progressi eh' elleno fecero, ri- chiedono che, stacciate prima dagl'inlarinati, vengano poi registrate siccome ca- noniche quelle voci, di che le une e le altre soffrono estrema penuria per non dire privazione ; in un tempo che per le dotte cure di que' sonmii sapienti, che furono di questa nobilissima fatica incaricati, il pubblico vede moltiplicarsi più splendide, e alla pi'u castigala lezione restituite le ristampe de' classici d' ogni fatta, ed uscire dalla polvere delle biblioteche nuovi tesori di favella, in tempo così propizio, fu al certo ottimo divisamento quello del prelodato signor Gamba d' illustrare con erudito proemio, e migliorare colla confrontazione dei codici a penna e delle edizioni più rare e pregiale il testo di lingua intitolato: i fiori di retlorica di frale GuidoUu da Bologna— Se anche questa sua fatica non fosse

«livenata proprietà del pubblico mediante la stampa.^ mi converrebbe essere assai largo di lodi in verso l' egregio editore, ne mancherei di mettere in bella vista le sue dotte ricerche sul tempo in cui visse l'autore, sopra il vero suo nome, ca- sato e condizione di vita, sul merito dell' opera che più imitazione , che tradu- zione può dirsi del trattato dell' invenzione di Cicerone, e sulle inlinite mende da cui dovette il nostro insigne tipografo ripurgarla .

Ne pago appieno il Gambì di avere bene meritato dalle lettere e dalla tipo- grafia, mercè le opere accennate sopra i romanzi cavallereschi e di testi di lin- gua, volle cogliere nuova più sudata ed onorevole palma colla pubblicazione della galleria dei letterati ed artisti più illustri delle venete provinole , nella quale ebbe a cooperatori due esimii ingegni in ogni maniera di sapere il prof. Zesdriki ed il sig. Francesco Negri . Del prodromo dell' opera e di parecchi fra gli articoli biografici di sua penna ne presentò il nostro Ateneo ; di che pure vienmi niegato di favellarvene, dacché tutte le persone di gusto hanno arricchi- to di questa gemma le loro bibilioteche . Si possono assomigliare lavori di que- sta fatta a quelle sorprendenti imitazioni della camera ottica, che in brevissimo spazio rappresentano le opposte grandiose prospettive della natura e dell' arte, senza nulla togliere all'integrità, alla bellezza ed alla grazia dell' originale .

XI. Nel trattare di biografia, ridotta però a dimensioni più naturali e pro- porzionate s' accostò alla meta anche il nostro socio ordinario sig. dott Paravia, raccoglitore solerte delle veneri tutte di nostra lingua e di nostra letteratura . Tra le molte scritture di questo genere che conserva inedite, e di cui vorrà ar- ricchire la storia letteraria, di quelle sole ci viene dato di fare ricordo eh' egli distese sopra le vite e le opere di Francesco Rczzano e di Onofrio Minzoni .

La vita del primo, che mori canonico della cattedrale di Como sua patria, nulla ci offre che 1' avverso destino de' letterati non ci rammenti : fu povero, af- flitto , perseguitato . Fra le sue opere quella che meritò di passare alla posteri- tà, e eh' egli intraprese sotto gli auspicii del cardinale Prospero Colonna, e per consio-lio di Alessandro Botta Adorno, si è la versione libera in ottava rima del libro di Giobbe, per entro al quale vi si scorgono pitture maravigliosc, di che po- trebbero andar superbi Lodovico e Torquato . Le versioni in sciolti del Cerutti, del Leone, la stessa censura del Giordano non fecero che vie più assicurare la primazia al Rezzano, di che al d' oggi egli ne gode senza contrasto il posses- so . A così alto grado di fama non lo avrebbe per certo fatto salire il poema, cui gli piacque intitolare il trionfo della Religione , non contenendo esso , se non un'istoria ecclesiastica in versi, che muove dalla venuta del divino riparato- re, ^ progredisce sino alla fine dell' ultimo secolo. I cantici AeW anima medi- tante^ benché sparsi qua e de'più eletti modi scritturali, ed ovunipie aspersi di singolare unzione di affelto.j nondimeno compariscono un'inspirazione più del

73 cnore che dell' ingegno . Ordinò il Rezzano in morendo, che in un col suo frale Tenisse deposta ncU' avello quesl' ultima produzione della sua penna, che per quanto sembra egli amava per preferenza . Sarebbe difficile indovi nare il segre- to fine di così singolare disposizione, che non può essergli per altro stata sug- gerita che da un sentimento di esìmia pietà.

Di Onofrio Minzoni ci narrò il nostro autore che nato in Ferrara, educato nel collegio de' Gesuiti, divenuto uomo di chiesa fece nella teologia e nell" elo- quenza del pergamo (che gli meritò l'onore d'una medaglia) maravighosi pro- gressi . Fu egli il più formidabile flagello delle sette giansenistica e democrati- ca, perturbatrici delle coscienze e dell' ordine sociale sotto il pretesto di non so quale idealismo di perfezione reUgiosa e civile . L' esilio, la confisca , tutte le umane sciagure accumulatesi sopra il suo capo, e da lui con animo risoluto e fermo sofferte, non valsero per indurlo a fare co' suoi antagonisti ne pace , ne tregua . AI calmarsi delle procelle rivide la patria, ove mori fra l' universale cor- doglio de' suoi concittadini, che onorarono la sua memoria con orazione funebre, solenni esequie ed elegiache cantilene. Sessantatre sonetti, una canzone, un ca- pitolo, uno sciolto, due cantici scritturali, ecco le composizioni poetiche con le quali il Minzoni si presentò alla posterità. Egli si formò il gusto e lo stde con lo studio dell'Ariosto e del Dante: quindi riuscì facile e sublime, naturale e ro- busto . Quel suo niaraviglioso sonetto : Quando Gesù coli' ultimo lamento.^ l'al- tro: Ove sono li Scipi fulminanti: quelli sopra Mandricardo e Rodomonte pre- sentano tocchi di pennello i più sorprendenti . Indarno il Sismondi tentò macu- lar Io splendore di questo poeta, avvegnaché il nostro autore con opportune ri- flessioni ribaldi ogni falsa sentenza, ed oppose alle censure del Ginevrino gli elogi, che del Minzoni ne fece quell'ingegno soprano del Monti.

XII. Ma le perle della bibbia dettate in idioma alemanno da S. E. reveren- dissima monsignor Ladislao PincHEnio, che aggiunse nuovo splendore a questa insigne cattedra patriarcale olivolense, e di cui ci offrì un saggio di traduzione I egregio nostro conte cavalier presidente Gambara, fecero dimenticare il Giob- be del Rczzano, ed i cantici scritturali del Minzoni . Questa insigne cattedra olivolense, che diede alla Chiesa un papa nella santità di Gregorio XII, che diede alla venerazione de' fedeli un santo nel patriarca Lorenzo Giustiniani, che diede alla repubblica delle lettere sacre e profane, tra li molti, due personaggi celebri in Gregorio Corrano e Lodovico Flangini, l'ultimo de' quali sentì mol- lo avanti nelle greche e latine lettere, e che nella versione à^^ argonautica di Apollonio Rodio v\-<t%%(t un monumento perenne alla sua memoria, questa insigne cattedra ebbe la beila sorte, dopo le tante sue vicissitudini, di accoghere un pre- L'ito, che la restituì a tutta la prisca sua fulgidissima luce.

L' epico poema la Tunisiade^ cui diede argomento la famosa spedizione di

IO

7i

Carlo V contro a! pirati (Ielle coste di Barbarla, ch'ebbe uno scopo non meno pietoso.^ ma ben pili utile all' umanità di quello di Gotlredo Buglione, aveva di già resa celebre la musa del rispettabile nostro prelato : ma deposta la cetra di Torquato quasi profana, stese, per santificarsi, la mano alla davidica, da cui ne trasse suoni maestosi e soavi, cantando gli alti portenti ilcUa legge scritta .

Elia, Eliseo, i Maccabei sono i tre poemetti, co' quali al dire del nostro acca- demico intrecciò monsignore questo poetico monile . In tre canti sono divisi il primo e l'ultimo, ed in due soli 11 secondo . Quella specie di esametro eh' è pro- prio della poesia alemanna, benché diverso da quella de' Latini , fu dall'autore prescelta . Nel trattare subbietti così sublimi ed augusti parve al chiarissimo poeta una specie di profanazione l'abbandonarsi ai voli della feconda e vivace sua immaginazione, come se si fosse trattato eh stendere la mano all'incensiere, od all'arca di Geova. Laonde attinse nei salmi, nelle profezie, nei cantici uno stile sempre elevato e misto d" epica, d" elegiaca e di lirica poesia; la dolcezza insinuante di Davidde, la sublimità di Giobbe, la maestà d'Isaia, la grazia e l'e- leganza di Ezechiello, l' ardenza e la forza di Geremia, ecco il vario sorprenden- te colorito della poesia delle perle dell' antico testamento .

Il nostro accademico ci fece intendere il perchè escluse dal saggio di sua tra- duzione ogni maniera di verso rimato, e s' attenne allo sciolto, alternando, a quando a quando, con esso la prosa a seconda che più all' una che all' altro gli parve che lo chiamasse il soggetto dell' opera . Auspice il delfico nume de' poe- tici lavori de' quali il conte cav. Gambara arricchì la nostra storia accademica, ottennero tutti un pari tributo d' ammirazione : ma per quest' ultimo gli siamo altresì debitori di nostra riconoscenza, avendoci fatto conoscere nel venerabile nostro pastore uno de' più felici cultori delle muse alemanne .

Nate in sull' Istro non isdegneranno esse da quind" innanzi di far vaga pompa delle loro ingenue e maschie bellezze in sul Pò, ove le Veneri e le Grazie le at- tendono . Nello scambievole commercio nulla v' è da perdere e molto da guada- gnare per le arti e le lettere italiane ed alemanne. Divenute di già comuni la re- ligione, le armi, le leggi, il reggimento, le dignità, lo diverranno anche le lingue, 1 lumi, le amicizie, i connubii e gli affetti : di già l'ottimo padre e principe nostro fiammeggiante di gioja abbraccia con eguale trasporto d' affetto 1' amata sua tì- o-liuolanza, di cui la concordia delle menti e de' cuori rende vie più formidato in sulla terra il suo nome.

ESERCITAZIONI

SCIENTIFICHE E LETTERARIE.

1

DELL' UNGE MAGICA

DEGLI ANTICHI

MEMORIA

DEL SIGNOR FRANCESCO NEGRI

MEMBRO ONORARIO.

ly eir alta amichila hannovi molli falli e cose, che per intera deficienza di tracce e di documenti deludono affatto la sagacità de' curiosi , e costringonli o a disperare o a sognare : ma molte ancora vi sono, che men ritrose si lasciano pur vedere, benché attraverso una colai nebbia, che ne confonde i contorni e le più minute fattezze ne offusca. Su queste ultime, a dir vero, può con più ala- crità cimentare il filologo la propria perspicacia ed assoggettarsi alla fatica del- le ricerche, poiché la speranza lo accompagna duna qualche riuscita. E questa speranza io pur nutro nell' accignermi ora a porre in chiaro la natura, le specie e l'uso d'un istromento familiare alle antiche maliarde, che col nome d' Unge trovasi ricordato ne" greci autori: nome che avendo servito in varii tempi a si- gnificar cose varie, fece nascere alcuna volta confusione d" idee e disparità di giudici!, siccome sempre avviene quando v' abbiano molti che tocchin gli argo- menti di volo, e ninno, che in essi profondamente s'interni.

Il primo a trattar ddl'lingo, a quel ch'io sappia, fu Pindaro, che nellode IV tra le pitiche, raccontando alla sua foggia enfatica quali soccorsi soprannaturali avesse Giasone avuti nella sua gloriosa navigazione in Coleo, dice, fra le altre cose, che per guadagnar il cuore della maga Medea fu provveduto da Venere d' uniinge. Riporto qui il testo volgarizzalo alla lettera .

Tioriia ù ò^vm'mf ^i>iaiii

Tpotxvctfjtcv' OCXvfxwc^zv

TTfÙTtP ai^fU'^OKTI , 'Ktm^ T ITTUOI-

Sà; iKhita.THìtcrtv a-oipèv Aìa-on'ou» o<ppoi Mh^hok; •OiKecov OLfpiXoi- T cù^à TTo^eita. S' EA^iàj avmv èv ^psa-t zouofiei>aji>

La Dea dalle acutissime saette

Cipride fu^ che prima

Agli uomini dal cielo vario-pinta

Un Unge recò^ furente augello

A ben connessa avvinto

Rota di quattro razzi^ e incantatricì

D' Esone al savio figlio insegnò preci^

Onde a Medea la tema

De' genitor togliesse^ e col flagello

Della Persuasion entro il suo ardente

Petto del greco suol desio destasse .

Ecco ciò, che a questo passo nota it greco glossatore o scoliaste del poeta : Un- ge è un uccello di piume svariate e di collo lungo^ che ha lingua infuori spor- gente, e che sempre torce intorno ed agita il collo . Credono le maliarde^ che quesi uccello sia di gran sussidio negli amorosi incanti^ poiché^ pigliatolo , il legano ad una qualche rota^ cui vanno intorno girando nel mentre che canta- no. Alcuni anche dicono eh' esse dopo avergli estratte le budella le avvolgo- no alla rota ( i ) . Dalla definizione dell'Iinge egli passa a dichiarare il resto del luogo pindarico, e leggendovi TTOiKt'Xajf 'ivyyat. nTpuxvsifxoi'' ìv «At/rw ^eu^aa-ct xt/K^S), si affatica per mostrare come il nrpaxuix/uop' ( parola composta da -nrp^KK; quattro e da xytluyi gamba ) sta benissimo aggiunto all'uccelio, quasi uccello di quattro gambe, e con istiracchiatura mirabile dice potersi qui metaforicamente intendere le due gambe vere ed inoltre le due ali, giacche per tutti questi quat- tro membri l'uccello veniva alla rota annodato. Poscia, pentito forse della vio- lenta spiegazione, ed avendo già avvertito che la voce xen'fjiti se significa gamba significa anche razzo di rota^ aggiunge, che alcuni in vece di TiTpa.Kvi;/.Of accu- sativo, leggono TiTpoLKVoifxovi dativo, e cos'i trasportano 1' epiteto dall' ìóyya. al 7i.vx.Xui , cioè dall' uccello alla rota, talché venga ad esprimere rota di quattro

(i) Schol. ad od. pyth. IV, v. 38o, edit. Heyne toni. II, p. r>77.

, '9

razzi. Finalmente, per nulla ommetlere, ricorda, che alcuni il nome d ìjj.;.« danno tanto all' uccello, quanto alla rota .

Queste, che pur sono stilicherie graninialicall, gioveranno in appresso ad il- luminar l'argomento . Intanto per aggiungcrvcne anch io di mie, avvertirò che il TfTpaxyafxoy' applicato all' 'ìuyytx, come lesse da prima lo scoliaste, si trova veramente in lutti i codici ed in alcune tra le vecchie edizioni di Pindaro, e che il primo ad adottare il TSTpaìii'XfjiOfi aggiunto al iivK>>a> fu Enrico Stefano, il cui esempio venne seguito da tutti gli altri editori. Correzione in vero opportunissi,- nia, che, senza turbare la frase od il metro, apporta non lieve ajuto alla perspi- cuità del senso ( i ) .

Ora qual fosse questa rota veggiamo . Stando al solo Pindaro, che kvìì>.o<; la chiama, o sia cerchio^ potrebbesi credere una rotella delle comuni; ma esami- nando parecchi altri autori greci e latini, che di questo magico arnese fanno parola, il troviamo per lo più chiamato pófx/2o; rhombus.j il che viene a denotare rocchetto ofilatojo in toscano, e nel nostro vernacolo rocchello . Io m'immagi- no adunque che li quattro razzi fossero quattro sottili asticciuole eguali e paral- lele ben conCtte di parte e d' altra a giusta distanza in due piastrelle rotonde e bucate nel centro, aflinchè per esse passasse a guisa di perno un lungo ferro, che dall' un capo fosse tenuto fermo in man della maga, ed intorno a cui il mobile rocchetto girar si facesse . La materia del rocchello poteva forse essere il le- gno, ma talvolta fu certo il bronzo come avremo occasion di vedere. Lo sco- liaste di Licofrone (2) vuole che si costumasse anche di cera, e che la venehca dopo avervi attaccato l'uccello, ovvero ravvoltele di lui budella , ponessevi .«otto accesi carboni, onde arrostirle, intendendo così di ardere il cuor dell'a- mante, il che pare strano, poiché prima che le viscere o 1' uccello si rosolasse- ro, sarebbesi squagliato il rocchetto. Meglio l'intende Celio Rodigino nelle sue lezioni d Antichità (3) dicendo, che alla rota di cera si attaccava l'uccello, e che, fattolo alquanto girare, la si finiva col gettare ogni cosa nel luoco .

In quanto all' linge, egli è fuor di dubbio che nel suo primitivo senso si dee per essa intendere un uccello . Oltre Pindaro, cel dichiarano Aristotele, Plinio e molti altri . Se si avesse a prestar fede agli scolii di Teocrito, noi dovremmo tenere per fermo che fosse quell'uccello detto dai Latini motacilla^ o alla greca sisopygis o sisura^ che vale squassacocla^ siccome cutrettola.ìo dicono i Tosca- ni, o con ancor più calzante voce coditremola, poiché per certo nativo suo vez-

(1) Vedi l'Hejne nelle noie a Pindaro l. I, p. 289.

(2) al V. 3io della Cassandra.

(3) Lib. IX, e. 4-

8&

zo dimena sempre il corpo, e specialmente la coda (i). Ma non so quanto bene ad essa si convengano i segni additati dal commentator di Pindaro sulle tracce d'Aristotele (2): imperciocché altro è dimenare il collo, altro la coda. Inoltre la coditremola non si distingue per lunghezza di collo, ne per lingua, che spor- ga in fuori dal becco, e molto meno ha 1' altra qualità accennata anche da Pli- nio, come propria della solalinge, delle unghie grandi a guisa di gazza, due nel dinanzi e due interne (3) . Talché io dubito che se ad alcuna gentil maga mo- derna venisse il ticchio di valersi d' una cutreltola per qualche amorosa malia, non troppo bene le riuscirebbe la prova, e le converria piuttosto mandare in cerca d' un collotorto o torquilla^ che, secondo la definizione fattane dal sommo naturalista Buffon, congiunge in se tutte le qualità, che l'Iinge aver deve (4). Qual ch'ella si fosse, egli è certo, che non adoperavasi dalle pazze femmine se non se negl' incanti amorosi : quindi è che fu anche detta per antonomasia uc- cello di Venere (5). Ne basta ciò. La calda fantasia greca, che fece da tutto pullulare il mirabile, cominciò a spacciare anche intorno ad essa di belle favo- lette . L' linge in fatti non vestì già sempre piume, ne fu sempre armata di ro- stro e di branche . Essa, secondo qualcuno, fu una delle nove figlie di Piero re di Tessaglia, che insieme colle sorelle ardi sfidare al canto le nove Muse, della qual audacia portarono esse la pena col perdere le umane forme (6) : ma que- sta è opinione poco seguita . La più comune è, che fosse figlia d'Eco e della Dea Persuasione, ed alquanto dedita alle fattucchierie, e che quindi ajutasse la

(i) Oltre gli scolii teocritei all'idil. II, v. 17, e quelli di Licofrone, anche Niceforo in Synes. De insomn. p. 36o malamente prese l'Iinge per la coditremola: riìii H iiyyyce pàji» òpvéov hvat «fi aiiòv rnv óufuiv Dicono esser l'Unge uccello, che sempre move la coda. Esichio poi fauna cosa stessa del cinclo e dell' iinge, perchè anche il cinclo ha l'uso di^agilare le parli dereta- ne, dal che acquistò l'altro nome di /.ivotihoi; ma questo è uccello d'acqua diverso dalla co- dilremola, che abita in terra; e quindi Esichio fece nascere Ira iinge, coditremola e cinclo una gran confusione.

(2) Hist. Animai, lib. II, e. XII.

(3) Plin. lib. XI, §. 107- Omnibus (ayibus) qualerni digiti, tres in priore parte , unus a calce. Sic deest quihusdam longa crura habentihus. lynx sola utrinque hinos habet. Eadem linguam serpenlium similem in magnam longiludineni porrigii, collum circumagit in aversum . Ungues ei grandes ceu graculis .

(4) Buffon Hist. Nat. des Oiscaux . Genre XXI.

(5) Lo scoliaste di Teocrito: ^'vy^, Spnov 'Appch'riii, e Cirillo nel suo Glossario: l'uy^ ,/rutìl- Ja; la qual voce (se pur non va letto torquilìa come sospetta il Munkero) si può spiegare: a Venere Fruii dieta est frutilla iynx , quia Veneri dicala est. Vedi Scalig. alla voce Frutinal in Festo.

(6) Antoninns Liber. Melamorph. e. IX cum u. Muukeri p. 61.

8i

fanciulla Io per far di se innamorar Giove ; il che risaputosi dalla gelosa Giuno- ne, questa ne prese gran collera, che oltre all' avere cambiata in giovenca l'odiata rivale, cambiò in uccello anche l'infelice mezzana (i) . Altri finalmente la vogliono, non solo conciliatrice defili amori di Giove, ma a dirittura sua amante ; ond' è a stupirsi ancor meno, che Giunone col mutarla in uccello ne prendesse solenne vendetta (2) . Delirii sopra delirii ; giacche in sostanza la fa- vola non fa che convalidare la volgar credenza, che nell'Iinge risedesse una vir- tù concihatricc d' amore . Ora questa supposta virtù riuscivale fatale, poiché o si uccideva e le si traevano le viscere per attortigliarle al rocchetto, o, se pur era in vita lasciata, al rocchetto legavasi qual delinquente. Intorno però al mo- do di legarla, io non m' accordo collo scoliaste di Pindaro . Egli per servire al suo intento se la figurò stretta per le ali e pe' piedi. Io al contrario osservo, che il mistero di quest' uccello si riponea soprattutto nella perpetua instabilità del suo collo, siccome immagine di quella Inquietudine e smania, che prova chi pre- so da forte amore impazzisce . Ora di questa instabilità sarebbesi in parte per- duto l'effetto, tostochè si fosse strettamente legata e crocifissa al rocchetto. Credo adunque che pe' due piceli soltanto si legasse in guisa che tentando essa, com' è naturale, di sprigionarsi lanciandosi altrove colle ali, ed in quell agitazio- ne radiloppiando i giri del collo e lo squassamento del corpo venisse ad impri- mere il suo moto neir ordigno, così che per cagion sua, senz altro impulso, esso roteasse. Su tal punto non e' è autor che dia lume preciso, onde men timide pon- nosi avanzare le congetture .

E duopo adesso vedere se lo scoliaste eh Pindaro il vero dicesse che il nome A' Unge alle volte siasi dato anche al semplice rocchetto: e chiameremo prima ad esame il famoso intercalare dell' idilHo II di Teocrito, cui la maga Simeta re- plica ben dieci volte in quella sua passionatissima cantilena :

r

iòy^ «Ax6 T^vov èfxòii ttoti ^cofÀ» nr a»op«J Unge al tetto mio quel giovin t raggi.

Nulla per verità qui si scorge, che faccia credere invocalo il rocchetto piut- tosto che r uccello : anzi stando alle greche note dovremmo credere invocato r uccello, poiché espressamente ci dicono, che Simeta nel suo apparato magico tenea una cutrettola, e che ad essa sono dirette quelle parole della canzone . Ma i chiosatori di Teocrito non godono fama ih fini critici. Al parere del padre Pa- gnini furono grammatici de'bassi tempi, che compendiarono le osservazioni d' al-

(i) Scliol. PinJ. ad Nein. IV, v. 56.

(3) Schei. Tlieoc. 1. e. et Suida Lexicon t. II, p. i 5g.

82

tri più antichi rammassando senza scelta il buono e il caltiro (i); ed il Longpier- re area già prima avvertito che A' ordinario in quegli scolii il cattivo supera il buono (3). D'altra parte si osserva che poco appresso la maliarda facendo voti contro il garzone, che amorosamente perseguita, esce in queste parole :

X' aJj ìiyii^' oli pófJtl5o(; 0 xiiT^ìisoi; ^ «0 'A^poS/TO;

'il? «ft'»'05 %ifOiV3 ttÓ^' àfxeiipyicri ^ópjta-if .

Qual per virtù di Venere s' aggira

(Questo rombo di bronzo,^ tal costui

Giri e rigiri alle mie soglie innanzi .

E certo pare, che qui si alluda a quelF linge e prima e dopo tanto ripetuta . Che se r autore avesse inteso per essa un uccello, qui avrebbe nominato questo come principale corredo, anzi che il rombo. Ben ciò conobbe anche THarles moderno commentatore di Teocrito, e quindi aflermò per l'Unge doversi inten- dere un rombo, e non altro (3). Lo stesso mostrò di credere 1' elegante scrittore rasusino ab. Raimondo Cunich, che così voltò l'intercalare:

Rhombe, malum traile., rhombe.^ malum ad mea limina Delphin .

Il dotto Mazzoni nella difesa di Dante (3) pose in campo 11 testimonio di Ser- vio, il quale nel commento all' egloga VII di Virgilio riportando 1' allegato ver- so greco il tradusse così : O turbo., maritum meum domum adducilo., e questo in vero sarebbe altro valido appoggio: che turbo e rhombus è lo stesso. Ma non so di qual testo di Servio si valesse il Mazzoni, polche nel mio aggiunto a Virgilio nella bella edizione del Masvlclo leggo : O Ijnx trahe tu illum mcam ad do- mum virum ; e così Servio lasciò in dubBio qual sentenza seguisse : accortezza imitata di recente da un illustre concittadino del Cimich, 1' ab. Bernardino Za- magna, che nel vestir di latina eleganza Teocrito ritenne la voce Ifnx., e si tras- se bellamente d'impaccio. In quanto poi alla turba degl" italiani volgarizzatori del o-ran bucolico, cominciando dal Salvlni, e progredendo col Regolotti, col Vicini, col Bucchettl, col Pagnlnl, col Rossi, convlen confessare che tutti, for- se per l'iverenza all' autorità degli antichi scollasti, cambiarono veramente l' lin- ee teocritea in una cutrettola : ma tanto consenso di persone, che cammìuaro-

(1) Prefaz. alia trai, di Teocr.

(2) PreF. à les idyl. de Theoc,

(3) FaÌU. Ljpsiens. 1780 ad idyl. II, v. 17.

(4) Tom. I, p. 37.

83 no tutte l'una sulle tracce dcH* altra, non basta a contrappcsare il giudizio di clii cammina sulle uniche tracce della ra<rione.

Pognam tuttavia non bene ancora provalo, che Teocrito per Unge intendes- se il solo rombo, ecco che a persuaderci un po' meglio intorno ad un tal nome applicato al solo stromento ci si offre un passo dei delti memorabili di Socrate raccolti da Senofonte, in cui la cortigiana Teodota prega il filosofo a prestarle lliiige per girarla contro di lui : il che, come osserva 1' Ernesto, potrebbesi a stento cre<ler detto di un uccello (i). Abbiamo di più. Suida nel definir l'Iinge pone per primo, oh' essa è un piccolo stromento cosi nomato perchè con quello le venefiche usano voltare a se, e allettare i cuori degli uomini. Aggiugne poi essere anche un uccello, che ha la proprietà medesima ove si leghi ad una ro- ta (2) . Ma per finir di togliere le dubbiezze, viene da ultimo un epigramma di autore ignoto, ma che però dal sapor dello stile si riconosce essere de' buoni tempi . Ben a ragione Federico Jacobs nelle sue note alla greca antologia eb- be a dire : nihil hoc epigrammate illustrius ad docendum ijngis formam et usum . In esso la maga Nico oriunda di Larissa in Tessaglia, ove la genia de' fat- tucchieri prosperò assai bene, dedica a Venere 1" immagine d' un' linge scolpita in amatista e legata in oro. Forse costei per essere vecchia rinunziò ad un' arte, che tornavale vana, giacche al far de' conti la vera linge, che attrae gli amado- ri, eir è la gioventù congiunta alla bellezza e alla grazia . Io qui lo riporto, ag- giuntavi la versione.^ se non elegante, almeno fedele (3) .

"iti'y^ ri N/xaj «' ;|^ liaTrcyrioy f}^Kety

Xpuo-o) votxiXBeìa-a liotvyiog ì^ a'^s^t-Va '. y?\U7rw, (TOi Kiì'ra.ty KvTrpi , (plXov xTéujioi',

r.opftipfVK; afifù /xot)\si>iji rpi^ì fxé(rtrai ìe^^tra tyk; Aa.pia-(rouì\q Trctlyviei (papfÀctx/loi; .

Questa di Nico linge^

Che al mare il nocchie r fura^

(l) Memor.Socr. Dici. lìb. HI, e. XI. àWx Sia ti Sics, ìfii, Att cWcSapov 71 ec. Ma perchè cre- di tu, disse Socrate, che questo Apoìlodoro e Antistene da me non si partan giammai? e per- chè e Cehele e Simmia vengan da Tele a trovarmi? Sappi hene,che queste cose non si fanno senza molli filtri, senza incanti, senza Ungi. Prestami dunque tu l'Unge, rispose Teodota, ac- ciò io ìa tiri prima a te. Dio, soggiunse Socrate, io non voglio essere tirato verso te, ma voglia che tu venga da me, ce,

{3) Tom. II, p. iSg. eJiz. del Kuslero.

(3) .Inth. Graec. Brunck. inter iÌKnrora. tom. Ili, p. I7a.

E a uscir fanciulle astringe

Da custodite mura^ Che d oro è adorna^ e in bella

Viva amatista scolta ,

E in mezzo a cui d ugnella

Sta rossa lana avvolta , Questa qual caro arnese

A tó, di Cipro Dca^

In voto ecco qui appese

La maga larissèa .

Ognuno qui ravvisa l' finge definita, non come uccello, ma come ordigno ro- tondo, intorno a cui stava ravvolto uno stame . E che altro poteva egli essere , se non il rombo o rocchetto ? A chiara testimonianza antica l' innestarne una di autore italiano e moderno parrebbe soverchio. Pure Francesco Redi fu dotto nel greco e ne' suoi giudicli pesato , che giovami qui poterlo addurre come uno di que', che nell' Unge riconobbero a prima vista, non tanto un vola- tde, quanto un istromento. Nella fantastica sua canzone dell' iVican^o amoroso, in cui con tanto garbo raccolse ed annicchiò tutte le superstiziose pratiche del- la stregoneria, anco dell' linge fa memoria come d' uno stromento (i):

Spargi queir ossa e quelle

Polvi incognite.) o Filli^ e il freno allenta

Della magica Unge al giro estremo .

Ne in fatti credasi che per essere 11 rocchetto scompagnato dall' uccellino mancasse della misteriosa virtù, e ne soffrissero sconcio le magiche operazioni . Abbiamo esempli non pochi, massime ne' poeti latini, grand' imitatori de' greci , pe' quali si vede di quant' uso fosse negl' Incanti il solo rombo., o, come Orazio chiamollo, 11 turbine . Egli è desso, che fingendosi vinto dalle malie di Canldla, e quasi morto di struggimento per la troppa efficacia del suo rocchetto, la prega e scongiura a far che girl retrogrado, perchè si mitighi l'i suo tormento: Citum- que retro volve., volve turbinem (2) . Ma talvolta esso perdeva la scorrevolezza ed arrestavasì, n^ volea rispondere alla mano di chi 1' agitava . Era questo in-

(i) Opere del Redi. ediz. ven. Ioni. Ili, p. agS.

(2) Horat. epod. XVII. Taluno legge solve, solve turbinem, e convien dire cosi leggesse anclie l'Ariosto, che nel canto Vili del Furioso cantò:

Immagini albniciar, suggelli torre,

E nodi e rombi e turbini disciorre.

85 faustissimo augurio, e ben el)Lc a tremarne Properzio quando in una malattìa della sua cara Giulia ne fece l' esperimento (i):

Deficiunt magico torti sub cannine rhombi^

ond'egli ne cavò funesti presagi di morte, cìie tuttavia non si avverarono. Ma Cintia al contrario provoUo attivo anche troppo in suo danno, allorché per mez- zo d' esso una perversa rivale le rapì, od ella sospettò, che le rapisse il suo Pro- perzio. Così a lei fa dire l' istesso poeta (2):

Non me morihus illa, sed herbis improba vicit, Staminea rhombi ducitur ille rota.

Questa gran forza di svegliare nuovi affetti , o di ridestare gli spenti le fu ap- propriata anche da Lucano dove impiega nulla men di mezzo un libro della sua Farsaglia a parlare di stregonecci (3) :

qiios non concordia mixti Alligai ulta tori.^ blandaeque potentia formae Traxerunt torti magica vertigine rhombi.

Ma questo è poco. Quando il rombo cadea in mani perite, quai furono quelle di certa Filenide. la cui morte è ironicamente pianta da Marziale, valea fino a trar la luna dal ciclo. Morta Filenide, egli dice (4):

Quae mine thessalico lunam deducere rhombo Valeat ?

Esso per ultimo era di non poco uso anche fuor delle malie d'amore; e di vero 11 troviamo ne'Fasti d'Ovidio adoperato da una vecchia negli annuì sacrificii, che le donne di Roma facevano alla dea Muta (5) :

Tum cantata ligat cumjusco licia rhombo .

Da questa leggenda di passi, oltre il porsi in chiaro 1' applicazione della voce Unge al rocchetto, non pochi lumi si traggono eziandio intorno al modo di usar- lo, ed alla sua supposta potenza . Esso in prima volea essere sempre accompa- gnato da un canto. Il canto era il primo elemento ùe'magici sacrificii, e quello che dava r anima al resto . Inquanto al modo di farlo girare potrebb' essere che ciò fosse per via dello stame fermato dall' un capo, e a molti doppi ravvol-

(0 Proper. lib. II, el. 28, v. 35. (31 Vhars. l!b. TI, t. 458. (5) Fastor. lib. II, v. 575.

(2) U. lib. Ili, ci. 4, T. 33. (4) Marlial. lib. IX, epig. 3o.

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to al cilindro, il quale, presolo la maga dall' altra eslrcmltà, con impelo si svol- gesse, e per la reazione del rocchetto da se tornasse a raggomitolarsi . Pur sembra più naturale, che Io stame non fosse che un simbolo, e per nulla con- corresse a dar moto alla girandola, ma che ci avesse parte soltanto la mano di chi la reggea . Esservi stato mistero anche intorno la parte ver cui si torceva , imparasi dall' addotto passo di Orazio . Se la maga lo svolgea pel buon verso lo struggimento cresceva nel cuor dell'amante perseguitato : se per la parte oppo- sta, railentavasi il fuoco . Inalterabile inoltre doveva essere la materia e il color del filo, che lo fasciava . Egli h probabile, che le budella dell' uccellino linge fosse lo slame più di tutti efhcace ; ma questo, per quanto sembra, di rado usa- vasi. Il più comune era di lana di pecora tinta in rosso . La lana anticamente godea di sommo credilo . Di lana si faceano le bende dei re . Di fasce di lana cino-evansi le are de' numi e de' semidei. Nulla dunque aravi di più proprio in ri- ti, che pur aveano del sacro, intervenendovi sempre qualche deità o celeste o infernale. Per uno stesso rispetto negl' incantesimi esigevasi il color di porpora» come il più prezioso.

Cingi la tazza di purpurea lana^

cos'i ordina in sulle prime l'incantatrice di Teocrito alla sua fantesca, ed il Redi con patente imitazione :

Tre fiate intorno cingo

Il nappo d or con la purpurea lana .

Clemente Alessandrino ripone le lane bionde ( gp/« Truppci ) tra le cose inser- vienti a' maliardi: ma pare eh* egli intendesse lane rossiccie di lor natura, non artefatte ( i ) . Congiunti tutti questi requisiti nell' linge, era infallibile la sua possanza . O foss' ella augello legato al rocchetto, o fosse il rocchetto solo, la mao-a per esso vedea ben presto strascinarsi a' suoi piedi 1' amato giovinastro, che da prima mal docile alle sue lusinghe, o per accortezza o per noja, se l'era sviato. Quando pur costui fosse slato in mezzo all' oceano, tratto da forza irre- sistibile dovea rivolgere la prora al caro lido . Che se f incanto da qualche prez- zolata strega facevasi in prò d'un uomo qualunque, non eravi stanza cosi ripo- sta, non chiarislelli, non spranghe cos\ robuste, che valessero ad infrenare l'am- maliata fanciulla dal superarle per correre in braccio al suo amatore . La greca voce 9 Axeiy attirare, usata da Teocrito e dall' autor dell'epigramma, spiega ab-

(i) Stromaium IIL. VII, $. 4-

8:

bastanza questa peculiar sua proprietà. Lo dimostra altresì il senso metaforico, in cui venne presa la voce lingc^ ora tli desiderio intenso e invincibile, come in Pindaro (i): '\vyyi l"i>iX°H'^' "''"P

Rapir mi sento da un' Unge il core.

Ora di seducente dolcezza, come nei Persiani d' Eschilo:

"\vyy» ftoi S?t' iyoL^uy ìmpeoi/ vTTOfxifJinla-ìteii; De cari amici tu t Unge in mente Or mi richiami.

E nell' Ippodamla di Sofocle parlandosi della bellezza di Pelope :

To/aV Se» ò'4« iiiyyot ^xpannt'ou'

Tal nel guardo ha un Unge predatrice ;

ora di forza attraente, come in Eliodoro: «Vapa/wTt;' i^si Tzpò^ ywauKO.!; ivyya vpt/o-c; *flL! ?^u^o; , L' oro e le gemme hanno un' Unge infinita per le donne (2): ed in Sinesio nella sua lettera ad Ercolano: jro'X'Xai Trpónpep vttÒ w KaTaK>^iia- p.Z tÙv tc«5 (7n<;-o>a.'ii; ìvyyenv avrai; è^yi?^tjyèitp . Gran tempo e, eh io rimasi preso dal profluvio d! Ungi^ che hanno le tue lettere . Li quali passi, ed altri che taccio, egli e a credere che fossero presenti a Suida allorché nel suo les- sico dettò quel canone grammaticale, 'ìvy^ td ìqnXxov mv liaJoiaji eie, Ìtti^vixIoji Hjìj ìfùiTtt . Unge è tuttociò che induce ne IF animo desiderio ed amore . Un al- tro consimil canone piantò anche Niceforo Gregora, cioè, che Unge in origine si chiamasse una foggia di cetra di dolcissimo suono, e che per traslazione tal voce fosse adoperata a signihcare ciò eh' è caro e giocondo: e l' altrove citato glossator di Licofrone a puntino con lui s'accorda . Ma da costoro si allontanò afiatto Proclo il poeta, allargandone il significato e spogliandolo d' ogni qualità lusinghiera e piacevole ., allorché ne' suoi oracoli caldaici egli chiama fo^ixi» ti Iv-^yfc, le idee intellettuali ed archetipe in Dio esistenti, e sulle quali Dio foo-- giò tutti gli esseri creali .

Questo è il poco, che intorno all' Unge mi accadde di raccogliere e di os- servare ; e questo poco parrà a taluni soverchio trattandosi di cosa, che appar- tiene alla fallacissima e detestabilissima magia . E certamente se noi guardassi- mo alla sua essenza, non meriterebbe quest' arte, che poco o molto di essa si facesse menzione . Grande è il discredito, in cui tiensi oggidì appo la gente let- terata e colta, ne, la Dio mercè, trova gran fautori nemmeno tra gl'idioti e ple-

(i) Nemeor. od. IV, v. 56. (a) Aelhiop. lib. IV.

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bei . Ma crederem noi , che in maggiore stima fosse presso gli antichi, quasi che tra loro non vi fossero ingegni saggi, spregiudicati ed accorti? S'è vero che ap- punto da essi dobbiam ripetere il buono e il meglio delle umane con-nizioni, non fia difficile persuaderci che chiunque negli andati secoli si sollevò sulla sfera de'milensl e de' rozzi, non potè certamente credere che canti, erbe, iiietrc, se- gni, pentacoli, ordigni ed altre siffatte ciance avessero relazione o proporzione alcuna con sostanze immateriali e invisibili, potessero turbare le ferme lef^^i della natura, e valessero fino a violentare eli affetti ed il libero volo deofi ani- mi. Quel gran decoro del nome italiano, il MalTel, che tanto vide, tanto seppe e tanto scrisse, con molta diligenza frugò ne' migUori classici greci e latini, ne però seppe rinvenir traccia che alcun d' essi della magia altramente sentisse, che come d'una semplicità popolare e d'un inganno. Gli unici, che mostrarono darle qualche peso, e la semlnaron nel popolo, furono i poeti . In origine il loro ufficio fu di parlare al volgo, e parlando piacergli . certo più opportuno mez- zo essere vi poteva per dilettare e sorprendere, che quello di accreditare le fo- le magiche, siccome sorgente inesausta di belle invenzioni, di fantasie strava- ganti e di maraviglie, che le menti commovono e abbagliano . Aggiungasi che il volgo, siccome conscio della propria ignoranza, è talvolta anche indiscreto nella smania di sapere e di conoscere i prlncipil delle cose : ne certo i poeti per lllimilnarlo potevano uscire dal termini alla lor arte prescritti, ne penetrare ne' recessi dell' astrusa filosofia, ne col mezzo di raziocinii e eh astrazioni metter- si a svolgere certe verità, che non sarebbero poi state ne ricevute, ne intese . V hanno in fatti nel mondo fisico certi fenomeni, e nel morale certi accozzamen- ti di casi, che, non dirò un poeta, ma un filosofo stesso de' più profondi durereb- be fatica ad intendere ed a dicifrare . Quanto, per esemplo, non saria difficile il rendere adeguata ragione perchè un animo rimasto lungamente torpido e fred- do alle lusinghe d'un leggiadro oggetto, tutte in un punto, e senz' apparente cagione, di quello si accenda, ver quello corra, e meni smanie e svenga per bra- ma di possederlo ? Con pochissima fatica, ricorrendo alla magia, 1 poeti spiega- rono il mistero, ed il volgo ne rimase contento . Eccoti una tessala strega, che , o per o in favor d' altri, opera arcani sacrlfizli, torce un rocchetto, canta una appassionata canzone, invoca strane deità, e col loro soccorso produce nell' assa- lito cuore la trasformazione improvvisa .

Perdonisi dunque a' poeti, se non già per Intima persuasione, ma per puro ri- piego e puntello della lor arte ricorsero alle malie e a' prestigi, e si perdoni non meno a chi, de' poeti amico, spende talvolta alcun poco d' inchiostro, onde facili- tare rintelligenza delle amabili lor bizzarrie.

, SOPRA LE VARICI

CONSIDERAZIONI

DEL CAV. GIAMBATTISTA PALETTA

PROFESSORE DI ANATOMIA E CHIRURGIA MEMBRO ONORARIO.

JL ulti 11 canali del corpo vivente conducenti sangue o linfa, o altri umori, so- no soggetti ad ampliazionc e ristrlngimento . E per non parlare dei difetti di tutti canali, mi limito a fare parola di quella espansione delle tonache venose, che porta il nome di varice o kirsos . Dessa si è osservata tanto nelle vene in- terne delle cavità, quanto in quelle degli arti: nei quali le varici accadono piìi frequentemente che altrove, e sono forse gli arti inferiori la sola regione del cor- po, in cui possano aver luogo i prcsrdii chirurgici .

Questa espansione è tanto più facile ad accadere nelle vene, in quanto che sono dotate di tonache più sottili e più cedevoli di quelle delle arterie , e nello stesso tempo sono si tenaci, che sopportano la forza dilatante a segno da supe- rare quattro volte e più il diametro delle arterie corrispondenti; ed in fatti nel- r uomo vivente si videro talvolta distese enonnemeutc, e non superandosi 1' o- stacolo, per cui il sangue resta in esse trattenuto, si videro lacerarsi con gran- dissima effusione di sangue; e come esse si distendono frequentemente, ed in tutta la periferia, il che non avviene alle arterie, così sono soggette a rompersi più soventemente nelle donne pregnanti e nei soggetti affaticati.

Sono concordi ffll anatomici nell" assegnare due tuniche alle vene senza con- corso di libre carnose, 1' una esterna fioccosa, che tiene alle vicine parti, interna r altra più compatta, difficilmente separabile dall' esterna molto liscia, lubricata, mollo più flessibile dell'interna delle arterie, ed in molti luoghi piegata a val- vola . E questa formazione delle valvole, cred'io, è una delle cause concorrenti jiiia formazione delle varici. Imperocché ove la membrana internasi ripiega per

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costituire il lembo libero della valvola, ivi scorgcsi una sinuosità: e siccome il margine libero è più crasso del restante, alquanto fd)roso e splendente; e sic- come la convessità della valvola riguarda 1' ampiezza del canale ed in basso , e * l'orilizlo è rivolto insìi verso il cuore, è chiaro che viene costituito una sorta di borsetta, entro cui viene il sangue a fermarsi. Ed il sangue soffermato deve par- zialmente dilatare la vena, donde ne avviene la varice nodosa; il che tanto pili facilmente accadrà, in quanto che i rami maggiori sono forniti di valvole dop- pie o triple, nella concavità delle quali e più propenso il sangue ad arrestarsi » specialmente se vi concorrono altre cagioni, che si oppongano al movimento del sangue, come le legature degli arti e l'ostruzione delle viscere addominali, o r esercizio violento e le percosse, che infievoliscono la tonicità delle vene .

Considerando chele valvole sono mancanti nelle vene del cerebro, della ver- tebrale, delle epatiche, delle renali, delle uterine, nella vena porta e nella cava, si può dubitare dell'uso, che fu ad esse assegnato, cioè di sostenere la colonna del sangue e di impedirne più o meno il retrocedimento : di ostare acciò il san- gue, che scorre per il tronco, non contrasti con quello, che viene riportato dai ramicelli laterali . E considerando dall' altra parte che le valvole furono im- partite alle vene o molto piccole o molto divise , e più lontane dall' influenza delle arterie, come quelle della faccia, del collo, della lingua, delle tonsille , delf addomine, alle iliache, a quelle degli arti; ed aggiungendovi che la forza delle vene scema coli' andar degli anni, laddove si accresce quella delle arterie, io argomento che le valvole abbiano tutt' altro ufficio, che quello di sostenere la colonna superiore del sangue .

Benché le vene abbiano sufficiente forza elastica con cui promovono il san- gue : benché i tronchi venosi toccati con acidi forti contraggansl più fortemente delle arterie ; tuttavolta venendo meno il moto impresso al sangue venoso, sia peli' attrazione quasi capillare , sia peli' azione muscolare, ha bisogno di essere rianimato per mezzo di altro artifizio . Si è osservato che le vene valvolose ac- compagnano fedelmente i muscoli volontarii : quindi si è detto che i muscoli neir agire affrettavano il corso del sangue venoso. Ma i muscoli, coli' intumidire e premere le vene frapposte o sovrapposte, spingerebbero egualmente il sangue all'innanzi ed all' indietro, stantechè le valvole non chiudono con accuratezza il lume del canale .

Se ponghiam mente alla struttura delle vene sottoposte all' azione del mu- scoli volontarii, vedremo che l' artifizio, per cui viene mantenuto o accelerato 11 corso del sangue venoso, consiste nella interposizione delle valvole a certe di- stanze nel canal venoso . Da ciò segue che 11 sangue percorrendo un tratto del canale ed incontrando un impedimento viene a battere contro le pareli del ca- nale, dalle quali ribattuto acquista un movimento composto quasi di due colon-

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ne, che unendosi si attortigliano, e passano con impeto per la fessura lasciata dalla valvola entro il tronco superiore per accpiistare di poi nuova celerità alla prima valvola contro cui viene ad urtare, non altrimenti che 1' acqua, battendo contro i fianchi «lei portoni semichiusi nei grandi canali, spiccia con mirabile for- za dalla fenditura, che rimane fra li due sostegni, forza accresciuta anche dalla pressione dell'acqua retrostante e da quella dell'atmosfera.

Detcrminato cos'i l'uso delle valvole, chiara cosa è, che venendo ritardato l'in- flusso della colonna sanguigna nei tronchi maggiori per ostruimento òi qual- che viscera, o per compressione della vena cava: o che venendo a mancare l'a- zione muscolare spezialmente sopra le vene sottocutanee, come nei sedentarii e negli stazionarii, tanto le valvole , quanto le pareti del canale venoso saranno fortemente distese dalla colonna sanfj-uijjna tardamente mossa, si infievoliranno, e dilatandosi daranno luogo agli arresti del sangue. Questo sangue si addensa talvolta in grumi duretti, come se fosse al contatto dell'aria.

Le varici sarebbero per se stesse sopportabili se non arrecassero gravi di- stensioni dolorose, e rompendosi non lasciassero uscire molto sangue con moto affatto inverso, cioè col retrocedimento del sangue della colonna superiore . Le vene delle estremità inferiori sono accompao-nate, ed anche attorniate da molti ramieclli nervosi . Questi sono somministrati principalmente dal nervo safeno , così denominato dal Winslow. ed eirren-iamente delineato da Leonardo Fischer nella tavola HI, fig. I, n. 266. Questo nervo discendendo dalla coscia sulla gam- ba sparge ifj ramoscelli, e più basso si ravvolge intorno alla safena, e mettendo altri l 'j ramicelli tra maggiori e minori, i quali si disperdono nel periosteo del- la tibia, nella cellulare pinguedlnosa e nella cute .

Ella è cosa ben singolare che il sangue, che lacera la vena, rompa altresì la cute, e scaturisca liberamente, e non si estenda piuttosto nella cellulare sotto- cutanea dopo di avere aperta la vena . Imperocché nel salasso, se la cute non è rimpelto alla ferita della vena, il sangue passa di sotto , e forma ecchimosi. E"li accade soventemente di osservare che le regioni varicose vanno sogget- te a parziali ingorghi ed infiammazioni, specialmente risipelatose, le quali ri- corrono più d' una volta . Da ciò risulta chiaro che si è formata infiammazione adesiva : che essa nel dissiparsi ha assorbito parte del tessuto cellulare, parte del venoso e del cutaneo . Perciò la cute e la vena, nei luoghi ove segue la rot- tura, trovansi fortemente attaccate insieme, e nello stesso tempo sono assotti- gliate assai più nel luogo della rottura, che altrove . Perciò crepando la vena e la cute il sangue, a motivo dell'intima aderenza di dette parti, non può passare nel tessuto cellulare, ma per retta via sortirà fuori del vaso . La crepatura segue più facilmente in detto luogo, perchè, a motivo delf aderenza, la cute e la vena perdendo la naturale mollezza rimangono dnretle e rigide , onde non prestan-

... . '

dosi alla espansione, più presto si rompono . Non è difficile lo scorgere , se siavi

aderenza : il punto che fa prominenza , ed ove per la sottigliezza della cute 11 sangue traspare attraverso di essa, ed ove la cute non si può far scorrere sopra la varice, è quello in cui si è fatta T aderenza. Per lo più il detto punto è cir- condato da un disco rossiccio o livido, che si estende talvolta a tutta la gamba inferiormente ai gastrocnemii.

Siccome r adesione delle parti e la ulcerazione hanno sempre origine da un periodo più o meno grave, più o meno rinnovato d' inhammazione : così deesi ri- parare ad essa più prontamente che sia possibile co' mezzi ordinarii, e cogli an- tiflogistici, e colla quiete . Ma per lo più si giunge tardi al riparo dell' accensio- ne, e si riscontrano già ascessi formati nella cellulare circondante la vena, i quali raramente comunicano tra di loro. Anche la tunica interior venosa parteci- pa dell' inhammamento, e si rinviene più spesso rosseggiante, e talvolta occupata da coasult o gelatinosi o sano-uio-ni . È bene tuttavia di non aprire la vena se non nel caso di forte aderenza: perchè sopravvenendo perdita di sangue si nuo- cerebbe alla ferita, dovendo applicare stuelli, e comprimere la piaga .

Gli scrittori di chirurgia si sono sempre occupati del modo di guarire radi- calmente le varici . Celso (Med. lib. VII, e. 3 i ) si spiegò in poche parole di- cendo : Vena omnis, quae noxia est^ aiit adusta tabescit.^ aiit manu exciditnr, I moderni però hanno adottati mezzi più miti, e, conoscendo meglio la circola- zione del sanjjue, si avvisarono di impietrare una uniforme e continuata com- pressione per le varici degli arti . Questa consiste nell' applicazione di una ben- da, di calze di tela resistente o di pelle di cane, o nel listare tutto il membro con cerotto adesivo . A tale miirlioramento di cura furono verosimilmente indot- ti dai perniciosi effetti derivati dai metodi proposti . Imperocché all' adustione nel cadere dell' escara sopravvenivano fatali perdite di sangue ; ed in seguito al- la recisione si risvegliavano doglie acerbe, infiammazioni e febbri perniciosissi- me . Coi presidii adottati dai moderni si ottengono i meilesimi effetti, come usando del mezzi violenti, e sono anche più sicuri e più durevoli . Più sicuri, in quanto non apportano pericolo dell' esistenza, più durevoli perche, continuando a praticare lo stesso presidio, tutto il sistema venoso dell' arto viene contenuto e corroborato senza che in alcun punto il sangue possa forzare le pareti delle ve- ne . Laddove coli' adustione o colla recisione non si può levare che un solo o-ri.ppo varicoso, e venendo quindi otturato o distrutto quel tratto di tronco ve- noso, il sangue non tralascerà di fare sforzo contro altri tronchi venosi di già troppo infievoliti .

Non mi dilungherò sul modo col quale debb' essere applicata la fascia, che si può leggere in varii trattati ; dirò bene che la sua azione può essere avvalora- ta bagnandola con acqua alluminosa, con tintura di mirra, con aceto semplice

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o lilargirizzato, o con altri astringenli . Dirò altres'i, ove le varici cstenJono lungo la coscia , di avere trovali assai iiroficui li pantaloni jircpaiati di maglia elastica, sia di lana o di cotone. Suppliscono alla fasciatura le calze o stivaletti di tela forte o di pelle conciata e tagliata sulla configurazione dell'arto . Ma le listcrelle di cerotto adesivo possono pareggiare la fasciatura e le calze, qua- lora si potessero , o convenisse levarle a volontà , come si pratica colla fa- scia e colle calze, delle quali è bene, che durante la notte l'arto ne sia spo- gliato .

Non ostante questi provvedimenti è utile qualche volta incidere per Io lun- go le varici, onde lar sortire il sangue fortemente aggrumato, il che si dee praticare nelle vene della parte superior della gamba, affinchè possa escire il sangue inferiore, il quale con dolce pressione delle mani si fa salire verso r incisione . Ma essendo evacuato il sangue grumato, spilla talora con molta vi- vacità il sangue (hiido, cosicché difliclle riesce lo arrestarlo. Allora si appone un piumacciolo grossetto di hlacciea sulla vena, indi una compressa di tela , poi si ritiene con fasciatura alquanto stretta comprimente tutto il tronco veno- so ed 1 laterali, da cui parte il sangue. Se esistesse ulcera si inciderà la vena più vicina e più dilatata nel contorno di essa, e preferibilmente si aprirà quella più prossima ed attaccala alla cute .

L' amputazione della varice è bene descritta da Celso (de Med. lib. VII) . Quando la varice nel tronco fra due valvole si è mollo dilatata, e si è ripieo'a- ta a foggia d' intestino tenue, contenendo molto sangue coagulato, si dee pro- curare da prima di ammollirla co' cataplasmi, col malvacci , coi bao'nuoU e si- mili, i quali non portando buoni effetti, fu consigliata da molti l'amputazione del tronco varicoso .

Con lunga incisione si separa la vena dai tegumenti, si solleva dalle parti sot- toposte, SI fanno due legature, una superiormente 1' altra inferiormente, per contenere il sangue, e frammezzo alle legature si recide totalmente il tronco varicoso. Altri recidono il tronco varicoso senza praticare le legature . Più fa- cile si h qnest' operazione quando la vena non è aderente, e che si può staccarla dal tessuto grassoso più agevolmente . Questa operazione, quasi dimenticata, è stata ripro lotta a' giorni nostri, ed ha avuto qualche successo fra le mani di Flajani e <li Evcrardo Home : ma generalmente 1' esito di tale procedimento fu disastroso . IMi sia lecito di addurre due osservazioni di estirpamento varicoso una favorevole, l'altra letale.

Ad un robusto contadino avente la gamba sinistra varicosa estirpai, il n-iorno 4 aprile dell'anno i8i5, un pezzo di magna safena, che era il più saliente, e lungo due dita traverse. Non praticai legatura di sorta, e mi accontentai di se- pararlo dalla cute e dalla cellulare per poterlo sollevare. La ferita riesci tra-

versale e cinque dita traverse sotto il ginoccliio a motivo della figura tor- tuosa.

Esaminato tostamente il pezzo di vena estratto, si vide ripiegato a foggia di S romano, e mantenuto in tale piegatura da compatta cellulare, che lo attor- niava . Le tonache erano elastiche d'assai e dure, il lume maggiore del natu- rale, in guisa da emulare quelle d' un' arteria, dalle quali a vero ilire non si sa- rebbero distinte, se non si fosse saputo da qual parte esse furono cavate .

La ferita fece un lungo corso di suppurazione per più d' un mese, nel qual periodo fu anche attaccata da non lieve cancrena, e solamente verso il fine di maggio si vide progredire verso la guarigione, la quale fu compiuta al terminar di giugno . La lentezza alla guarigione debbesl attribuire in gran parte alla cancrena , ed in parte ancora al taglio traversale . Il contadino fu munito di calza espulsiva, e qualche mese dappoi si restituì alla città per farci osservare che era perfettamente guarito ,

Un panattiere d'anni 55, affaticandosi nel suo mestiere, contrasse varici alla gamba sinistra, la quale nel terzo inferiore della tibia fu più volte molestata da piaghe d' indole cronica . Trasportato allo spedale civile presentò tre pia- ghe quasi sferiche con orli callosi , ed una serpentina diramazione della safena interna quasi tutta ampliata in varici . Il di 29 luglio 181^ passai alla incisio- ne dei tegumenti, che con fili cellulari forti tenevano alla vena ed alla sottopo- sta aponeurosi, ed estrassi un pezzo di due pollici traversi del tubo venoso nella parte interna della tibia quattro dita sotto il ginocchio . Il sangue spillò da am- bo le estremità recise con forza come fosse un canale arterioso. Si compres- se il sangue con istueUi di fila intrise nella colofonia, e colla fasciatura espulsi- va . Questo pezzo dimostrò ugualmente che le tonache venose per antecedente floTQsi s' ino-rossano senza diminuzione del lume, ed acquistano elasticità e con- sistenza arteriosa.

Nel terzo giorno si risvegliò febbre forte con calore, si cavò sangue abbon- dante, che fu cotennoso, e si diedero bevande diluenti. Nel quarto vi fu maggior calore parziale alla gamba con rossore risipilaceo, per cui si fece altra emissione di sangue cotennoso, e si ordinarono bevande nitrate . Alla quinta giornata ap- parve assai abbattuto di forze : sussisteva il caler locale alla gamba, ma il ros- sore crasi dissipato . Erano i polsi celeri con doglia laterale al petto ed affan- no . La suppurazione scarseggiava, e 1' apparecchio stava aderente alla ferita . Si applicano vescicanti alle braccia, si la mistura del Minderer e la limonea . Languiva assai più 1' ammalato nel giorno seguente con Istertore e polsi defi- cienti . L' addomine era della mollezza naturale, e la cute urente . Alla sera muore .

^ 9'^^

Apertosi all' indomani il pclto destro., ove per l' innanzi lagnò di qual- che do"Tia, si riscontrò il polnione aderente a tutta la superficie delia pleura, ed il parenchima di esso lutto intasato fli sangue, o come dicono alcuni epatiz- zato . Il sinistro polmone, come pure il pericardio ed 11 cuore nulla offrirono (U morboso .

La cava ascendente, e tutta la ramificazione inferiore si vide ripiena di san- gue; ed esaminata più particolarmente la cava, la iliaca e la safena interna si potb notare il notabile ingrossamento delle tonache, la loro consistenza ed una sorta di solcatura lungo il tubo venoso portata come da altrettante fibre car- tiose, che facevano rialzo nell'interno della vena . La safena inoltre contene- va un lungo filo di sangue aggrumato senza fibrina, le cui tonache avevano un color rosso sbiadato, e le vene influenti accresciute di calibro, di consisten- za , talché tatto il sistema venoso di quella parte si potè dire varicoso , se la varice consiste nell aumentato volume e consistenza, e nel giro serpentino del- le vene. 11 color del polmone e delle vene non dinotava infiammazion locale: ma trovavansi ad un dipresso in quello stato, in cui, nelle febbri nervose, succe- de una sorta di suggellazione nel tessuto cellulare sottocutaneo e nelle vi- ce

scerc .

Dair anzidetto pare che risulti essere le vene delle gambe soggette a due fa- si, cioè all'attenuazione ed all'ingrossamento. Quelle poste nella estremità gracile e lendinosa della gamba s'ingraciliscono, si fanno aderenti alla cute, e scoppiano soventemente profundendo sangue . Quelle all' opposto della gamba carnosa si accrescono di volume e di luce, e presentano canali assai resistenti . Il troncamento parziale di questi canali per cagione di varice non è dunque esente da pericolo . Questo pericolo può derivare dalla lesione dei nervi, che inducono generale aLbattimento o doglie pertinaci, come si è veduto e scritto, specialmente nei salassi dal piede e dal braccio. Può altresì derivare dal cam- biamento di stato delle vene medesime, assumendo esse una natura quasi arte- riosa, e più suscettibile di flogosi . Infine la condizione del sangue deve variare, accumulandosi esso maggiormente ne' vasi dilatati, e divenendo meno spedito il ritorno, tolta essendo la confluenza nel tronco principale. Aggiungasi a tutto ciò che il troncamento parziale non previene la formazione di altre varici: im- perocché essendo il sistema dell'una o dell'altra safena indebolito e ddatato, il sangue in maggior copia in esso contenuto forzerà le pareti del vasi laterali , e le solleverà in varici più o meno grosse.

Non cos'i avviene nelle varici di alcune altre parti, diverse forse per la loro indole e per le parti su cui crescono. Io recherò in proposito due osservazioni sjieltanti alle vene della lingua e della bocca .

9^

Una giovane nubile, bene regolata nelle sue funzioni corporali fino dalla pu- bertà, ebbe a soffrire varici in bocca . Una ben grossa esisteva alla guancia si- uislra interiormente : un' altra sul dorso della lingua dalla banda destra : una terza sotto la lino-ua dalla banda sinistra tra il freno ed il fondo della bocca. Tutte queste varici furono incise dal mio chiarissimo collega Monteggia , ma Inutilmente, perchè ricomparivano in poche settimane. Nell'anno i8i5 aven- do io presa la determinazione di levarne via dei pezzetti della parete dilatata formante sacco, ne avvenne una discreta suppurazione, e stabile guarigione in modo che nell'agosto 1816 niuna delle dette varici era ricomparsa.

Invece se ne formò una sotto la mascella inferiore in poca distanza dalla sin- fisi, a cui non potendo prestare pressione sicura per arrestare il sangue in caso di estirpazione , si procurò di contenerla con molla elastica . Ma la figlia non reggendo alla pressione della molla fu abbandonata, e frattanto sostenne la va- rice con nastro pendente dalla cuflia . In maggio 18 1 ^7 spuntò altra sorta cU va- rice sotto la lino-ua ai lati del freno, che teneva rialzata la membrana del fon- do della bocca . Toccando questa ra' immaginai di portare scemamcnto alla va- rice esterna del mento, mi azzardai a levarne porzione considerabile di quel- la membrana fitta e densa, sotto cui stava un vacuo, e con mia soddisfa- zione gettò poco sangue, e presto si rimarginò la membrana senza più solle- varsi .

La varice esterna alla base della mascella rimase del primiero volume : perciò convenendo distruggerla a motivo della difformità e del peso, che arrecava, vi si applicò la potassa caustica, e produsse profonda escara, caduta la quale restò distrutta la varice, ma la piaga continuò lungamente a gemere, ed in fine guari stabilmente .

Quando si credeva di avere soffocata questa generazione, ecco che ahra va- rice si sollevò nell'interno della guancia destra. Come questa era recente mi avvisai d' inciderla per lo lungo senza estirparla, sperando che le pareti colla suppurazione si avvicinerebbero , e formerebbero un cordone impervio. Forse per essere la bocca sempre bagnata da umori scialivah 1" agglutmamento non si effettuò secondo l'espettazlone, ed invece dall'interiore della vena squarciata spuntò una sostanza fungosa, che di giorno in giorno crescendo e disturbando la masticazione, ne cedendo ai deprimenti, fu d' uopo allacciarla per ben due vol- te rasente alla guancia, e farla cadere mortificata . Dopo questa operazione la piao-a andò ben presto a cicatrice .

Questo fatto me ne rammenta un altro di un gruppo varicoso, esistente nel- l'interiore della guancia in una donna maritala. Queste varici tenevano 11 mez- zo della guancia, e si sollevavano anche al di fuori per modo che si esitava a de- cidersi da qual lato esse dovevano essere prese . Considerando riescire più spe-

97 dita la cicatrizzazione nell'interno tlcUa bocca, da quella parte appunto con adattata pinzetta si alferrò il gruppo venoso, e si recise incontanente. Il sangue, che fu copioso, si arrestò con lilaccica bagnata nello spirito vctriolico allungato. La guarigione fu senza recidiva . .

In ordine alle varici di bocca mi giova di ricordare un' operazione fatta da me, sono già parecchi anni, sopra un gentiluomo, al quale era sorta una varice grossa come una castagna nel mezzo del labbro inferiore precisamente sopra r epitelio. Non oravi luogo a discutere qual fosse il miglior partito da pren- dere. Si Irattò come un labbro leporino . In conseguenza fatta una incisione pi- ramidale colla base in aito e 1' apice inferiormente, si levò tutto il pezzo del labbro contenente l'intiera varice. Indi si portò a cicatrice senza verun acci- dente colla nota cucitura attorcigliata .

Possano queste considerazioni essere un tema, su cui altri ragionando ed egperimenlando, ne risulti uno sviluppo più esteso della teorica delle varici .

DELU ORIGINE

COMl'OSIZIONE E DECOMPOSIZIONE DEI NIELLI

ESERCITAZIONE

DEL COMMENDATORE LEOPOLDO CO. GIGOGNARA

MEMBRO ONORARIO.

-Lja copia Immensa de' cattivi libri, che inevitabilmente ingombra le biblio- teche, e fa venire il capo giro agli studiosi e agli avidi di novità, le gratuite asserzioni di fatti non provati, le ommissioni importantissime prodotte dall'in- curia e spesso dalla dolosità degli autori hanno posto la critica in tanta neces- sità di esercitare severamente i suoi diritti e la sua sferza, che ormai fassi as- solutamente necessario per chi scrive, e vuol porsi sotto l'egida incontamina- ta della verità, di produrre ad ogni passo le autenticità luminose di que' fatti e di quei delti contro dei quali la diffidenza era meno armata e meno vigilante, poiché la pubblica fede, a dir vero, non era di frequente malmenata e sorpre- sa . Ne venne quindi bisogno urgentissimo agli scrittori per comprovare le loro asserzioni, non solo d' impinguare i loro scritti di citazioni, ma di riportare per esteso copiosissimi documenti e testimonianze , aumentando 1 volumi con ap- pendici, le quali spesso superano la mole del testo, e fu creduto per sino neces- sario di corredare le opere con ogni autenticità pi'u scrupolosa ; e li fac simile non solo dei disegni, ma per sino della scrittura furono altrettanto indispensabi- li al materiale d'un lavoro scientifico o letterario, come alla compilazione d'un atto d'accusa : condizione amarissima di chi scrive , ingrata quanto alle volte quella di un giudice processante: mentre per altra parte gli autori trovansl espo- sti ad una guerra ostinata e interminabile con tutti coloro, che, amici delle te- nebre, tremano in faccia all'odiata luce del vero. Dalla gravità delle quali con- siderazioni, più direttamente applicabili alle opere di alto argomento, ne viene che anche in quelle di una seconda importanza 1' andamento suol esser confor- me, polche portano inevitabilmente impresso il carattere dell'età in cui sono prodotte .

ItDO

E polche le ricerche sulle origini e sulla storia delle arll nostre sembrano in questo momento accolte con qualche favore , sia per rivendicarle da alcu- ne usurpazioni.^ sia per esporle in tutto il loro splendore, ossia per ritornarle dallo smarrito al più sicuro sentiero, da cui parvero deviare, così non pochi fu- rono gli scrittori, che a queste lunghe e penose indagini consacrarono le loro vigilie . Ma quanto è egli mai difficile il fare un buon libro in tali materie, e come facilmente e' illudiamo di aver tutto visto, scoperto e prodotto, mentre talvolta per chi vien dopo con più accuratezza cercando, non restano soltanto poche minute ariste da spigolarsi qua e là, ma manipoli intieri si trovano, che per troppa precipitazione e cieca fidanza furono ommessi dal mietitore !

Campo ubertoso per queste indagini aveva offerto a molti scrittori , e spe- cialmente inglesi e tedeschi, l'arte dell" intaglio a buhno, i cui primordii pa- revano contenersi tra l' insistente solerzia alemanna e la finezza degl' ingegni italiani . E stavami appunto io ponendo ogni cura intorno a quelle prime ope- re, che contemporaneamente alle impressioni fortuite del Fmiguerra fecero strada al toglier di mezzo ogni questione di preferenza, e garantire all' Italia il primato assoluto dell'impressione , g-iacchè a ben altra antichità è spettante quello dell intaglio a bulino, il quale colla patina di venti secoli vediamo adulto solcare le patere, o vogliam meglio dire l' opposto lato degli specchi forbiti, in cui le dame italiane prima del romano dominio, e le greche raffiguravano i loro vezzi e le loro sembianze (i) . Quando apparve 1' opera d'uno scrittore fran- cese 11 sig. Duchesne^ che, corredata di tavole, di citazioni, di elenchi copio- sissimi, intese a riempire nella storia di questi studii il vuoto lasciato nella grand' opera del sig. Bartsch, o per meglio dire, trattandosi in questa dei Niel- li^ divenne il prolegomeno di quella .

Non può in vero negarsi alle intenzioni di questo scrittore il tributo della pub- blica riconoscenza, ma era io si lun^e nell' attualità delle mie ricerche dal vo- ler fare la critica a un autor benemeritb, e lodato in ispecie da' giornali più accreditati di Francia, che avrei ben preferito d' ignorare il merito di questa produzione, ma la connessione dell' argomento non può più permettermi di sepa- rare il mio lavoro e 1 miei studii dalle osservazioni su quanto viene esposto da un

(i) Mentre ia viaggiava per mia istruzione e diporto la Germania e l' Ingliilterra, inteso a racco- gliere notizie di etruschi monumenti, e segnatamente delle patere metalliche, ho potuto di ognuna inviare al cav. Ingliirami, pel suo insigne lavoro, l'impronta, ossia la stampa, quandi» in iscagliola, quando in carta, adoperando appunto, senta riflettervi, gli stessi mezzi, che servi- rono ai primi impressori di Nielli, mediante ia pressione dei fogli a mano, essendo impossi- bile passarle sotto il torchio, non tanto per la fragilità del metallo fuso e non malleabile, quanto per aver tutte l'orlo rilevato dalla parte che sono intagliate a bulino, modo con cui da ognuno 51 possono ottenere stampe di opere della più remota antichità eoa una fedeltà insuperabUe.

iqi

recentissimo autore salito in rinomanza.^ lasciando poi al pubblico volo il rende- re a ciascuno quel tributo i-oin|ietcntc, che- saprà meritarsi.

Sono spesse volte intralciale le questioni e le ricerche intorno a questi ge- neri di lavori, poiché si è confusa 1 antichità dei tentativi sulle lamine per ope- ra del bulino con T antichità o la preminenza, che debbc assegnarsi ai iirimi in- tagli che sono stati impressi sopra una carta, da cui ebbe origine la calcocra- fia. Ma su di questo è stato scritto già con bastevole chiarezza ed evidenza da- gli storici dell' arte, e nessuna stampa può mostrarsi con data certa, che sia an- tecedente il I |52,in cui il Finiguerra stampava i suoi Nielli, sebbene ragion vor- rebbe che anche prima di quell' epoca potesse aver egli stesso fatta la medesi- ma esperienza. Che se a piena luce è dimostrato che a questo orefice nel i^Sa venne pagata la Pace niellata per la chiesa di s. Giovanni, e se l'occhio accu- rato degl intelligenti nellarte riconosce anteriore a questa Pace l'altra lamina da lui lavorata parimente a Niello, ove figurasi l'adorazione dei Re Magi, di cui esistono cinque prove stampate a mano ( e non quattro siccome credesi dal siff. Duchesne ): vuoisi per lo stesso argomento con savia deduzione inferire che anche prima dell'anno citato, il medesimo artefice avesse ottenuto lo slesso risul- tamento dell'impressione su d' un suo lavoro anteriore (i).

(i) Il sig. Duchesne in questo luoj^o, non disposto ad accordare quanto il retto senso detta agli osservatori più diligenti, attacca un po' inurbanamente gli autori italiani dicendo: Lanzi ou plutòt iMzzara dans une note (come se tutte le' note alla storia pittorica fossero dettate dal cav.deLazzara ) parie de celle pièce ; et en la Jonnant à Finiguerra, il la suppose anlérieure de dix ans à V Assomption. Non seulement celle assertion me paroit douleuse mais le la reettr- de mime comme toutà-fait erronee. E di un'evidenza troppo palmare che sull'incertezza di date, per istabillre l'antichità maggiore o minore delle opere, bisogna attenersi al relativo grado di maestria che l'artefice possedeva, talché si dirà sempre posteriore quell'epoca, in cui si veggano maggiormente perfezionale le pratiche dell'arte sua, e tanto più in quella, che dipendendo dal disegno, era in quel tempo pel suo sviluppo in evidenza maggiore: e poiché pel convincimento di lutti gì' intelligenti fra le due lamine dell'Assunzione e dell' Adorazione do' Magi rilevasi mollo maggior intelligenza nel disegno della prima che della seconda, sembra ragione assai evidente quella di giudicare di parecchi anni anteriore la lamina ove l'arte vedesi meno adulta, quand'anche siavi incertezza dell'anno in cui sia stata compita. Converrebbe altrimenti, se non all'epoca del lavoro, rinunciare all' artefice, ed atlribuiila ad altro bulino, che piuttosto la propria che una maggior infanzia dell'arte facesse palese. Dalle quali osserva- zioni vedrassi non essere dubbiosa, erronea l'asserzione, che leggesi nelle note del Lan- zi , essendo ben misero argomento quello di fondare un contrario parere sul maggiore o mi- nor numero delle prove in carta od in zolfo ( che, come primi tentativi, riduconsi a pochissi- me ], e delle quali siamo Incertissimi se non ve n'abbiano di celale dall' incuria o dall' ac- cidente, argomento che si ritorcerebbe contro lo stesso autore, ogni qual volta venissero a scuoprirsi alcune prove di quel INiello, che por la maggior scarsezza attuale egli giudica mcri- larc un'anteriorità di lavoro.

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Le ricerche colle quali 11 sig. Duchesne inconiincla il suo libro intorno 1' ori- gine eil il significato del vocabolo Niello^ fanno ampiamente conoscere oh' egli completamente ignorava l'esistenza di un autore altrettanto prezioso quanto chiaro nel suo modo di esporre, che, avendo scritto nell'undecimo secolo, ci ha conservate importanti memorie intorno le antiche pratiche delle arti , non es- sendovi per gli artefici moderni finora alcun manuale migliore di quello, trovan- dosi con ingenua tradizione per tal mezzo comunicate le pratiche da' piìi remoli tempi ao-li odierni, e così perspicuamente che non potrebbesi ottenere di più da qualunque vivente scrittore . E non solamente conservasi in molle insigni bi- blioteche il codice prezioso di questo autore, ma celebratosi fino dal 1"]"]^- da Lesslng in una dissertazione stampata, ma fattosi noto dal Morelli nel iTyQ coir indice illustrato de' manoscritti Naniani, fu poi stampato nel i yS'j a Brun- swick in una collezione di opuscoli cominciata da Lessing e finita, da Cristiano Lelst, non già tradotto in tedesco, ma nella sua propria lingua originale, tal co- me trovasi scritto nel codice di Wolfenbutel. Porta questo per titolo Tlieophi- li presbiteri diversarum artium scheduìa^ e nel codice Canlabrigense vi appa- risce con un secondo nome : Theophilus Monacus qui et Rugerius ; de omni scientia artis plngendi . Incipit IractcUus lumbardicus , (jualiter temperantur colores .

Intorno le qaali varie denominazioni dell'autore e preziosità di pratiche con- servateci, io ho scritto a lungo nel primo volume della Storia della Scultura , incidentemente però a una questione interessantissima suU' antichità della pittu- ra a olio da Teofilo insegnata con tanta precisione ed accuratezza, che non sa- prebbesl esprimere altrimenti a' nostri tempi, e non ivi indicata come nuova scoperta, ma come antica pratica, usata verosimilmente in Italia , giacche cre- dette di dover intitolare quel primo libro : Tractalits lumbardicus . La qual chiarezza d' insegnamenti non fallaci, conduce necessariamente il lettore a sup- porre altrettanta fedeltà e precisione in tutte le altre pratiche dal solertissimo monaco insegnate ; le quali cose non pare dovessero ignorarsi, o preterirsi da uno scrittore moderno, che presenta il suo primo lavoro intorno a una materia nuova, che piacegli di riguardare come prolegomeno dell' opera di Bartsch ( i ) .

Bastava leggere la gentile e modesta prefazione ai tre libri di Teolilo per in- vogharsi di conoscere che cosa egli esponeva nei diversi capitoli intorno ai Nielli, e poiché infine di questa, eh' egli intitola: Prologus libri primi (*)^ dice che biso-

(i) Se però l'autore del saggio sui Nielli avesse letta con attenzione l'opera del signor Bartsch, avrebbe anche trovato che questo diligentissirao Tedesco non ommise, in proposito dei Nielli, di ricordare il libro di Teofilo alla seconda pagina del suo XIII volume.

(*) Vedi al fine nell'Appendice A.

io3 gna con fatica e assiclnith leggere , e iiTnirimcrsi nella mente gì' insegnamenti da lui esposti.^ e dedotti dalle pratiche di tutti i popoli, così vengonsl da lui in- dicando i luoghi, che pel vario genere de'lavori sono saliti in molta rinomanza. Quam si diligentius perscruteris illic im'enies quidquid dtversorum colorum generihus et mixturis habet Grecia , quidquid in electrorum operositati seu Nigelli varietale noyit Ruscia^ quicquid ductili velfusili seu interrasi/i opere distinguit Arabia^ quicquid in vasorum diversitate seu gemmarum ossuutm'e sculptura auro decolorat in Italia^ quicquid in fenestrarum pretiosa varìetate diligit Francia^ quicquid in auri^ argenti^ cupri.^ et ferri^ lignorum^ lapiduni' que subtilitate solers laudat Germania^ etc. E poiché cita la Russia per le ope- re di Niello, così avrebbe potuto riconoscersi dall' autore del moderno libro, che le quattro lamine da lui citate in un'appendice colle lettere AA, come di cattivo gusto piene d' inscrizioni in caratteri russi^ sono appunto opere russe , e non certamente fatte in Germania al principio del XV III secolo^ com' egli crede, poiché sonosl da lunghissima età mantenute dagli orefici russi quelle abi- tudini e quelle pratiche non mai dimenticate, le quali non dall'Italia, ma dalla Grecia direttamente si diramarono in quelle regioni settentrionali con tutte le arti, mentre i gran fiumi, che mettono nel Mar Nero furono il mezzo delle re- lazioni e del commercio tra le frontiere dell'Europa e dell'Asia. Le città di Kiow e di Novogorod lungo il Dnicper contano un'antichissima data dalla loro edificazione, e i ruderi che rimangono degli antichi lor monumenti, i lavori d'ar- gento e d'oro, quelli di elettro e di niello attestano evidentemente la cultura di quelle contrade ben anteriormente all'epoca del risorgimento delle artiinltaha. Sino da quegli antichi tempi i Wolodomiri s' imparentarono cogl' imperatori d' O- rientc, e con Enrico L, re di Francia, e i santuarii dell' impero russo s' ingemma- rono di finissimi lavori, spesso confusi colle opere bizantine dalle quali trassero origine e imitazione, e molti se, ne veggono nelle raccolte d'antichità, e persino le cupole e i quadri di santa Sofia si copiarono nelle chiese di Iv.iow e di No- vojrorotl, e si tradussero in linjiua illirica li santi Padri, mettendo in eara di politezza e di civiltà quei popoli colle nazioni del mezzo giorno. Che se dopo il 124.0 fu riseppellita la Russia in uno stalo di nuova rozzezza, finche sotto i re- gni di Pietro e di Caterina furono evocati dallltalia i genii dell'arte e del bel- lo, è tuttavia da sapersi, ne doveva dal sig. Duchesne ignorarsi, che non mai si perdettero le pratiche deiNieUi, tuttora esistenti, come fede ne fanno le odier- ne manifatture di quel paese.

E senza ondeggiare in troppa incertezza di ricerche, e in vaghe interpreta- zioni sul significato di questo vocabolo Niello, proveniente come ognun vede dalla voce latina nigellus: e senza ricorrere per ciò al dizionario del Menagio, o al glossario del Duchange per trarre deduzioni o congetture., con molta semplicità

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ed evidenza avrebbe trovalo il chiarissimo autore francese, che nel codice di Tedilo scritto nell' XI secolo si tratta in diversi capitoli del modo di comporre, applicare, e pulire il Niello , siccome pratica da' più antichi tempi conosciuta, ed iri esposta, non meno perspicuamente di quello che il Cellini non ce ne rag- guagli cinque secoli dopo nel suo Trattato della oreficeria, il solo che sembra essere stato conosciuto dal sig. Duchesne. Anzi in questo luogo è da osservarsi, che il Trattato della orefioeria, pubblicato nel i568, fu ridotto a nitida lezione dagli editori col sopprimere alcune credute superfluità, mentre utilissimo rie- scir pareva, appunto in questo articolo del Nielli, il consultare li codici di detta- tura orlgmale del Celimi, siccome abbiamo noi fatto, valendoci di quello pre- ziosissimo della Marciana, nel quale le poche varietà, che s'incontrano, ajutano piuttosto che intralcino l' intelligenza di queste pratiche : il qual capitolo nella sua prima forma non sarà discaro leggere al Ime di questa memoria (*).

E piacendo il fare qualche ricerca Intorno a ciò che può aver dato origine aMl antichi Nielli, ovvero all' arte di associar metalli a metalli, si nei vasella- mi che nelle altre opere di più minuta oreficeria, senza risalire al Cintico de' Cantici dove lo sposo promette alla sua diletta armllle d'oro tutte screzia- te d'argento ( cap. I, v. 1 1 ), abbiamo ampie descrizioni in Omero, ove la superfi- cie variocolorata dello scudo d' Achille lascia argomento di riconoscere pratiche singolari dintarslamenti metallici, e permette la deduzione assai ragionevole, che anche ad uno stesso metallo, sia co' velaftil dello smalto , sia con altro pro- cedimento venisse variocolorata la superficie medesima. E Pausanla descrisse lo scettro del Giove di Fidia di più metalh commesso, e In pregio sommo tene- vansi al tempo di Seneca le suppellettili d' argento, in cui fossero inserti orna- menti d'oro massiccio: e Cicerone abborrisce 11 sottile artificio di Verre, che, sot- to velame di ammirazione d'un vasellame d'argento, lo spogliò tutto delli preziosi lavori di tarsia in oro che lo fregiavano; cose tutte che non Isfuggirono al sig. Gusllelmo Bechi, e che riferì accuratamente illustrando molti vasi ed uten- sili ercolanesi , ove argento , rame e varie misture trovansl nei bronzi con linis- gimo magistero intarsiate . Singolare e in proposito di queste osservazioni un luogo di Plauto, riportato appunto dal detto scrittore, in cui prendendo motivo dalla voce generica i\e\ljalin'i ferruminare^ con cui esprimevasl qualunque cosa tenacemente coli' altra attaccata, se ne serve egli poi ad esprimere due boc- che strettamente congiunte In dolce bacio, del modo stesso che a noi potrebbe prender vaghezza In queste disquisizioni di usare in tal proposito con slmll tras- lato la voce niellare. Conchiude 11 citato Illustratore benemerito de' monu- menti ercolanesi, quell'infaticabile Plinio., che abbracciò nella sua opera

C) YeJi al fiae nella appendice B.

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quanto la natura e torte avean fatto^ ci parla di due specie di saldature^ che a (fuesle due arti dovevan forse servire^ cui egli il nome iSejvterjv^, e che compone di questi ingredienti ; di borace unito a rugine di ottone mescolata con urina d' iinòerbe garzoncello^ e con nitro^ pestate poi con ottone in un mortaro pure di ottone ; e a voler farla più tenace vuole vi si aggiunga un poco (toro e una settima parto d'argento^ il tutto pestato insieme coi soprad- detti ingredienti^ e fu trovato un vase a modo di cratere in Pompei di forma eccellente^ e con molto garbo di varii ornamenti fregiato, i quali por t Akts Emblbtica screziati di laminette et argento spiccano mirabdmente sul colore cupo del bronzo {\). Questi non sono positi vamentc Nielli, egli è vero, ma in queste mislure, in questi intarsiamenli è tanta l'affinità del lavoro, che r una cosa all' altra dando motivo, si disvela il legame- e il progresso di ogni arte, e si rende ragione dello sviluppo delle cognizioni umane .

Ma sembra poter anche dedursi argomento dalie più antiche pratiche che in queste arti avevano gli Egizi! ed i Persiani, oltre i Grreci, smaltando con varii colori 1 metalli, col solcare prima le piastre a ciò preparate mediante il bulino, ed abbassando il piano destinato al fondo della comp.osizione, il quale venivariem- pito di smalto più opaco, perchè più spesso, riserbando un sottil velo di smalto vitreo su tutta la superlicie del lavoro, sotto cui trasparivano poi li tratti del bu- lino, esprimenti le ligure, le pieghe e i più sottili lineamenti, come se fossero ve- duti attraverso un cristallo per lo più d'una tinta azzurrina. E poiché non è dub- bia la cognizione e la pratica dello smaltare presso gli antichi popoli de' quali abbiamo fatto parola, così giova anche credere cha a questo modo di lavori ri-

(i) Vogliamo In questo luogo recare anche nn allro squarcio Jello stesso sig. Guglielmo Bechi relativo a queste antiche meccaniche, e grato sicuramente a chi legge. Prosegue dopo la spie- gazione della voce ferruminare; a Se queste intarsiature erano sollevale sulla superficie piana Il 0 sferica, che adornavano, chiamavansi allora emhìemaia, e I' arte che le operava dicevasi dai « Greci embìetica: che nome le dessero i Latini non mi è noto, e solo rilevo da s. Girolamo « che, allorquando questi ornamenti erano d'oro, chiamavansi con un Iranslato inc/usores auri « gli artefici che li operavano. Si può congetturare da molti vasi del regio museo, che l'arte u emblelica avesse due modi ad ornare le suppellettili di metallo; uno rivestendo d'una soltil « foglia d'altro metallo gli ornamenti od emblemi di già rilevati e condotti comedi abozzo sul n metallo dell'utensile; l'altro incastrando e saldando sul metallo della suppellettile questi era- « blerai a guisa di borchie, o belli e lavorali, o s'i vero greggi, rifinendoli poscia con ceselletti « già messi in opera; i quali metodi si osservano amendue praticati nei loro varii utensili di n bronzo dai Pompejani e dagli Ercolanesi. Se poi queste intarsiature formavano una slea- li sa superficie con il metallo della suppellettile che adornavano , dicevansi allora crustae; e « l'arie, che le operava, dicevasi dai Greci empeslicn. Quest'arte empeslica dei Greci è la lau- « sm, o lavoro alla dunuiicUina io graude uso nel cinquecento per fregiare di oro armata- « re di acciajo. Incavuvauo ec. 1/»

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feriscasi iJ passo (li Plinio ove dice: Tìngit JEgy'ptus et argentum^ et in vasis annubìm siiiim spectet., pingit non caelat argentum (lib. 53, e. 46 ) . Il che escludirnlo aflatto che il lavoro fosse eseguito a martello, lascia ra<rionevolmen- tc supporre che questa materia colorante, stesa sulla superlicie metallica, fosse quella appunto, che dallo smalto riceve lucentezza e trasparenza, e la conserva; giacche inverosimile ci sembra che dagli antichi, in tante belle meccaniche del- l' arte maestri, si colorasse 1' argento in altro modo, togliendovi coli' opacità di tinte, che non fossero cristalline, il suo vero splendore .

Aggiungasi, che appunto le opere piìi vetuste che noi abbiamo di simili lavori veggonsi pressoché tutte in tal modo eseguite, anche nei tempi bassi, e probabil- mente secondo le non perdute pratiche e tradizioni di tempi migliori. L.e chie- se pi'u antiche non sono povere di siffatti avanzi di arti vetustissime, e si con- servano memorie visibili ancora sui calici, le paci, le croci e gli altri arredi del Santuario. Venezia, Padova, Brescia, Udine, Milano, Monza, Cremona, Firen- ze, Subiaco, Monte-Cassmo possono fornire ampia materia a queste ricerche .

Ma convien riconoscere che fragile e dilicata riuscendo- la superlicie smaltata di vetro trasparente sull'argento o suU' oro, per quanto lasciasse scorgere al di- sotto la solerzia ingegnosa degli operatori a bulino, resta a desiderare che ve- nisse praticato un metodo più durevole, piìi compatto, che senza attenuare la vaghezza del lavoro resister potesse a qualche urlo leggiero, o stropicciamen- to negli usi de' varii utensili, a cui voleva adattarsi , e ciò senza pericolo di ve- der sì sovente danneggiati li preziosi incrostamenti smaltati. Sia questo un mo- tivo o no per cui si desse mano al metodo dei Nielli, noi non vorremmo allac- ciarci la giornea per sostenerlo. È peraltro vero che i Nielli linamente adoperati nel XV secolo da un numero considerabile di artelici italiani, vennero surrogati ai lavori indicati finora, trovato essendosi che la solidità del Niello non toglieva al metallo la trasparenza, lasciando alla nitidezza di questo tutto il suo splendore nei lumi, e non riuscendo minimamente opaca la parte delle ombre, poiché il solfuro metallico che riempie i solchi del bulino, ricevendo un pulimento non dissimile dalla lucentezza dell'argento stesso , non vien privato il lavoro della conveniente vaghezza e preziosità cherichiedesi: oltre a che presenta nella egua- glianza della sua superficie una resistenza considerabile a qualunque urto , for- mando una piena adesione colla lamina alla quale si congiunge e s' identifica, siccome a corpo del medesimo genere , non da esprimersi col vocabolo latino ferruminare^ ma col più espressivo niellare^ poiché in fatto neri sono gli og- gretti che spiccano sulla bianca superficie dell' argento, e s'immedesimano con quella .

Prova di questa resistenza e solidità di lavoro si ha più evidente, qualora in vece di dedurla diiUe piccole e preziose laminell* degli orafi del secolo XV si

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risalga a più grossolani lavori . A cagion d'esempio,, se si osservano in Roma le polle ili broni!o di s. Paolo fuor ilellc mura die nel ioto furono falle a Costan- linopoli a'd inslar di quelle clic chiudono gl'ingressi della basilica di e. Marco, si troverà che grossolanamente presentano una specie di Niello, poiché gl'incavi del bronzo sono riempiti di solfuro d' argento, rame e piombo, come venne ana- lizzato dal prolessorc Gnuseppe Bianchi: e ne riferì il fatto nella sua tanto lo- data opera della Sacristia Pistojese il chiarissimo sig. cav. Ciampi in proposito di altre consimili opere esistenti in quel santuario; e non è meraviglia che l'avi- dità de' ladroni staccasse dalle porte le mani e i volti delle figure, che vi erano inserte ed apparivano d' argento puro e s[)lendente, lasciando non tocco il sol- furo, che per 1" atro suo colore mostrava essere materia bituminosa e di nessun valore .

L'esame e la cognizione pratica di tulle queste meccaniche delle arti divie- ne ogni giorno sempre più necessaria, sia che vogliasi conoscere a quali gradi di dottrina e d"iniie£:no erano salili i nostri mairsiori, sia che vogliasi ritentare alcuno dei sentieri smarriti che si erano da loro calcali con tanto successo: che se un po' più di cura il benemerito autore francese avesse posta nell' esame di queste pratiche non avrebbe occupato veruna pagina nel confutare gli sbagli di Lessing troppo grossolani, allorquando il dotto archeologo, male spiegando 1' at- to testamentario di Leodebode abbate di Fleuri nel VII secolo , non volle am- mettere che le due tazze dorate di Marsiglia da esso lasciate in legato, le quali avevano nel centro due croci niellate^ potessero essere veri Nielli:^ e piuttosto che convenire in questa naturale e semplice spiegazione, piuttosto che ammet- tere la voce niellés^ sostituisce l'altr-a nillées^ vocabolo blasonico, concludendo (con più strana interpretazione ) che l'arte del niellare era forse la stessa che quella dell' encausto degli antichi . Se il sig. Duchesne avesse ben conosciuto che cosa sia il lavoro &\Y agemina^ non l'avrebbe confuso colla damaschina (i), la quale agemina non consiste, siccome egli dice, à piacer des filels d'or et d'ar- gent sur des placques de cuiyre ou d acier^ Us se trouyent fixés au moyen

(i) Che presso li Francesi la voce tìumiisijuiniire abbia leoulo luogo di agemina, perchè loro man- chi il vocabolo espresso die spiega rjuesla specie di lavoro, servendosi d'una voce sola per in- dicare diverse pratiche tra loro diverse, non è meraviglia. iWa sembra potersi circoscrivere il lavoro alla ilamaschina , con più proprietà di vocabolo e vera derivazione a certo genere di manifatture avente una particolare celebrità per essere fatte a Damasco , o ad imitazione di quelle, essendo tuttora, come furono in ogni tempo, celebralisslme certe armi, lame e lavori latti in quella città dell'Oriente quand'anche non voglia applicarsi questa denominazione a tutti quei lavori , che presentano varietà di superficie con intarsiatura diversa, o che anche con svenata modificazione dello slesso metallo sono disegnali ed ornati a guisa delle stelle che portano lo «tesso nome.

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d'un mordant .^ mentre questa ^ l'agemina spuria e falsa., la quale per poco stro- finamento o per intemperie si guasta; ma se avesse gittate gli òcchi su alcuni scritti (li autori anclie recenti.j e se non potendo visitare le ofiicine ricchissime degli Orientali, avesse visitato le sontuose fabbriche d'armi di Versailles, avreb- be veduto che i lavori all' agemina che oggi vi si fanno, intarsiando i fili d' oro nel solchi aperti a sottosqnadra con finissimo artificio ncH'acciajo, non possono pili escirnc, ogni qual volta che dal martello visiono fatti entrare a forza, e per la duttilità di questo metallo prezioso, presentano una durata di lavoro che nul- la ha che fare coUe applicazioni a mordente, o colle opere d'encausto (i). E similmente non avrebbe posto alcun dubbio che un Niello antico non possa fa- cilmente decomporsi sciogliendo a tutta perfezione la materia che riempie i solchi della lamina d' argento, onde trarne a piacere qualche stampa , come se mai la lamina non fosse slata niellata . Effli, per provare il contrario di quanto siamo per dimostrare, allega la circostanza d' un piccolo niedaglio- ne di sette linee di diametro appartenente al sig. di W^ellesle_y, dal quale essen- dosi squammato il Niello a pezzetti, tentò di farne tirare alcune prove moderne, é pretende che in tal caso abbiansi a riconoscere le prove posteriori al distacco del Niello , non solamente per V intensità del nero e la qualità della carta (sebbene non sia impedito l'usare quando si voglia un nero piìi languido , e pro- curarsi qualche fogUetto di carta antica) ma ancora per la imperjezione della

(i) Possono su (li ciò leggersi, una Dissertazione del cliiarissimo ab. Daniele Francesconi tVi/orno ad una inneità lavorata d'oro e di varii altri metalli all' agemina, stampala in Venezia nel 1801 ; e la Storia della Scultura voi. V (edizione seconda) cap. Vili pag. 49y- In proposito dei la- vori all'agemina, e relativamente all'etimologia del vocabolo e all'antichità di (jueste mani- fatture è da leggersi ciò, che trovasi nei viaggi di Pietro della Valle nella sua prima lettera del di 17 marzo 161 7 dove ( pag 55) parlando dei varii popoli che abitano Sphahan scrive : Ci sono finalmente i Maomettani, i- quali pur son di due sorti, una è il volgo e l' universale : e ti chiama un tale propriamente Agenti 0 Agiami, che viene da Agem o Agiam, col qual nome si chiama generalmente la Persia, comprendendoci la Partia, la Media e tutte le altre provincie di queste impero. E tanto si usa questo nome, quanto l'altro, Pars, al paese. Parsi, all' uomo : che è Persia e Persiano. E questi molte volte non si dicono ne pronunziano Pars e Parsi; ma Pars e Farsi per le ragioni cavate dalla prima lingua ehraica che il P c'oli' F si confondono . Di maniera che in queste parti tanto è dir Parsi quanto Agiami: dal qual nome Agiami deri- va quel nostro italiano dei lavori alla agiamina, cioè d' incastrar Foro e F argento nel ferro : i quali lavoìi in questo paese devono aver avuto origine, come in fatto oggidì si usano molto, henché in Italia si facciano più belli e con più disegno.

Siccome nella lettera V (pag. 435) parlando della polla maggiore nella meschita di Sidla- nia è detto; La porta di questa cappella maggiore è serrata con una ferrata molto grande, la quale ferrata tutta da capo a piedi è lavorata all' agiamina con intarsiature d'oro e d' argento: opera certo non men pulita e gentile che ricca e riguardevole .

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pi'ot'n.^ poiché alcuni frammenti rimangono (al suo dire) nei tagli più dilicati^

e impediscono la perfezione della stampa.^ mentre negli altri tagli ^ vuoti intc- rumente dal Niello^ la prova riesce vigorosissima . Intorno hi fjual asserzione gli esperimenti da me fatti prima che mi venisse alle mani l'opera del sic. Du- chesne, mi avevano confermalo in una totalmente contraria opinione, che piace- mi esporre alle osservazioni e alla pratica di ogni altro che vago sia di far nuo- ■vo sperimento .

E prima di tutto mi sia permesso epilogare in poclie parole il modo della composizione dei Nielli secondo il metodo di Teohlo Monaco, o del Cellini, che in sostanza sono pienamente conformi, siccome potrà riscontrarsi leggendoli al- la distesa nell' Appendice di questa Memoria (*).

Preparate, essi dicono, una laminelta d' argento pvirissimo senza lega, e incide- te col bulino diligentemente il soggetto che volete in essa rafGgurato, marcan- do profondamente il fondo e le parti oscure con tagli serrati, acciò abbiano net tal mezzo i-isalto e splendore le parli luminose . Formale quindi la sostanza che dcbbe servire di atramento per riempire li tagli, cioè il vostro inchiostro metal- lico, e sia qnesto, nelle proporzioni indicate, composto di argento purissimo, ra- me, piombo, zolfo : e quando la preparazione è fusa, ben mescolata, e poi fred- da, rompasi In piccole granella come il panico o '1 miglio. Stendasi poi sulla laniincUa della spessezza d' una costa di cortello, e pongasi al fuoco acciò si strugga, e con un ferretto caldo cerchisi di bene spianarla sulla superficie inta- gliala, al modo che fassl da quelli che stagnano i metalli, avendo cura di prima mettervi un poco di resina di borace, onde meglio segua la coesione metallica. Quando tulio è raffreddalo, levate con lime e raschiatori il più grosso del Niel- lo, finche si cominci a scuoprire l'argento, e fermatevi quando siete a quel pun- to per non ferirlo, sostituendo alle lime una stecca di tiglio, o un pezzo di canna dal lato del midollo, e strohnando con acqua, carbon pesto e Iripolo finche ven- gansi a scuoprire le parli luminose, e rimanga il lavoro liscio sjiianato e tulio traccialo di nero sulla splendente superficie dell'argento. Questo metodo, che per essere chiarissimo sembra eziandio facihssimo, va soggetto a molte piccole inavvertenze, che possono produr gravi effetti, ed esige pratica e diligenza al di di qualunque espressione .

Ciò conosciuto.; ed eseguilo secondo le pratiche della chimica e dell'orefi- ceria de' più antichi no'stri maestri, i quali tanto erano pieni di abilità e di dot- trina per comporre quanto erano rimasti addietro nelle esperienze tielle decom- posizioni, parve che anche si potesse mediante i sussidii tlella moderna scienza migliorare, disfacendo completamente ciò che erasi fallo. Meco rivolgendo la

(*) VeJi al fine nell'Appendice C.

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cosa in pensiere sembravami eziandio che m pili d'una guisa potesse tentarsi la decomposizione dei Nielli, senza minimamente alterare la finitezza del lavoro, senz' avventurarsi all'incerto e ineguale spediente di far sortire la sostanza ne- ra, squammandola in fragmenti, e senza aver timore che un'azione di caldo pari a quella, che s' introdusse nei tratti del bulino senza danneggiarli, la facesse an- che da quelli escire con facilissimi spedienti . Intorno le quali cose consultato avendo il chiarissimo sig. Melanili'i, professore di chimica nell' università di Pa- dova, ed eccitato a ciò anche dal valente ingegnere Japelli, cui tutto ciò, che dalla umana mente può scaturire mette a tortura il fortissimo e lucido ino-eo-no. mi prefissi la decomposizione del primo Niello che mi fosse venuto alle mani . A questo vivissimo mio desiderio soccorse 1 egregio mio amico cavaliere Gio- vanni de Lazzara, cui fu dato debito ( tUcasi per parentesi ) dal sig. Duchcsne di un errore del Lanzi nella Storia pittorica, non per altro se non perchè lo storico toscano ebbe cortesemente dal de Lazzara qualche sussidio nel suo lavo- ro in ciò che riguarda le arti veneziane, non già in ciò che alle cose toscane era spettante; e non doveva mai idearsi che questo benemerito amatore de' nostri studi dovesse essere risponsabile degli abbagh presi dal Lanzi intorno due Nielli toscani che mai dal cavalier padovano furono veduti, per il che troppo male si addice all'autore francese con debole ar£-omento il nominare le chevalier Jean de Lazzara dont les connoissances soni furtement en defaut dans la no- te relative à la Paix gravée par Mathieu de Jean Dei (i) . Di fatti il cavalie- re de Lazzara mi fu cortese di alcune piccole piastre d' argento niellate del dia- metro di nove linee, le quali esistevano in un ostensorio di ragione della chiesa dell' abbazia di Carrara, avuto nel XVI secolo in commenda da varii prelati della casa Medici, d' uno de' quaU quesl' ostensorio verosimilmente poteva esse- re dono, che per deduzione ragionevole li Nielli potrebber anche giudicarsi opera fiorentina.

Scelto adunque il pili intatto di questi, affinchè non fosse il menomo prmci- pio di separazione del solfuro d' argento dalla lamina, e posto in un crogiuolo d'argento con una dose di potassa caustica, accadde che appena si trovò la ma- teria in ebuUizione, e ne rimase svaporata l'acqua, il Niello venne attaccato e sciolto dal lluido caustico, e in pochi minuti la lamlnelta rimase interamente de- tersa, come se fosse allora allora escita dalla mano dell' orefice intagliatore.

A convincimento poi che il lavoro di bulino non aveva menomamente sof- ferto in questa decomposizione, e che i tagli erano tutti vuoti uniformemente,

(i) Questa Pace non fu imi niellata, e neppure fu compiuto interamente il suo lavoro a La- lino. RappreSKiita la conversione di s. Paolo, e in una nota del Lanzi (tom. I,pag- 88) dicesi erroneamente die fuj^li tolto il Niello per esjihiare il lavoro, riducendo la lamina quale usci di sullo il biiliau dell' arf^e.ìliere .

e snsccttiblli <l' essere impressi in caria, feci tirare im numero (V esemplari ba- stevole a dare la prova evidente che un Niello antico può vuotarsi perletlamen- te e stamparsi, come avrebbe potuto ciò operare il suo autore prima fli riem- pire i tagli della nera sostanza metallica . Un solfuro d" argento ed uno smalto sono ben dun<{ue due cose assai diverse tra loro, e '1 chimico processo che serve alla soluzion della prima, non sembra applicabile a sciogliere la seconda. La quale cosa da noi viene avvertita in questo luogo ad emenila della confusione in cui potrebbe trovarsi chi legge a pag. i g dell' opera del sig. Duchesne ( in pro- posito della Pace di Matteo Dei, alla quale suppose il Lanzi erroneamente che fosse stato levato il Niello, e poi stampata ) // siijfic de savoir ce que d est qu' un email., pour sentir qiì il y a encore eu aucun moyen chimique ni meca- nique de dissoudre ou d" enlever F email de dessus une planche de metal at'ec assez de précision pour la mettre dans le cas de produire des epreuves . Otr tenuto questo risultamento nel piccolo medaglione indicato, mi venne alle mani un secondo lavoro in niello di maggior dimensione, che assoggettai alle stesse esperienze , le quali pienamente corrisposero, e mi porsero una elegantissima slampa di tre figure, che rappresentano s. Sebastiano, s. Cristoforo ed il Bam-

bino di bellissimo disegno ,

Sparita dunque questa impossibilità^ rimane' alla volontà de'curiosi e de' pos- sessori di antichi Nielli fli avventurarli a questa esperienza, se può realmente dirsi avventurarli o\e sia dimostralo che escono dal crogiuolo nel modo stesso che furono lavorati dall'antico intagliatore. Nessun oggetto pertanto avrebbe questo disfacimento, quando non fosse quello di stampare alcuni esemplari, e mettere a carissimo prezzo in commercio alcune stampe di un' esimia rarità; la qualcosa potrebbe farsi soltanto da qualche avido speculatore, ne certamen- te si vorrà ottenere da chi pone naturalmente gran pregio nella rarità e nel- r unica laminetta d' argento, di cui non siano mai o quasi mai state moltipli- cate le impronte.

Che se da questo passo, importante nell'arte e contrario a quanto crasi fino- ra asserito, derivasse un secondo tentativo, egualmente felice, di repristinare il Niello nella sua antica forma , riempiendolo nuovamente di solfuro d'argento, meno difficoltà s' incontrerebbe dai possessori di simili preziosità a diffender- ne le l'impronte con parsimonia di esemplari : potendo essi in tal modo rice- vere preziosi concambii. Ma ciò è lunge dall'essere impossibile, che basta osservare gli attuah NielH di Russia per convincersi eh è fattibile: e di fat- ti avendo posta mano con ogni cura, e segnile le prescrizioni de' citati maè- stri perla composizione dei Nielli, ho potuto convincern)i che una diligente pratica ( avventurando da prima mediocri lavori di bulino destinati alle esperien- ze ed ad educare l'artefice) può in breve condirre ad intraprendere le opere

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più fine ed accurate senza tema di restare in difetto . Era ben più difficile lo scioglimento che la concrezione della materia, e se posso offrire del primo pie- nissimi risultamenli all' oculare ispezione di ogni amatore, posso egualmente pre- sentare non ispregie voli tentativi della seconda , quantunque il pennello eia penna abbiano bens'i occupato le ore del viver mio, ne io abbia che per puro esperimento consecrati alcuni momenti alla diligente investigazione di queste meccaniche d'oreficeria .

Ridotta a dimostrazione evidente la pratica di queste operazioni , rimane a' curiosi investigatori delle prime produzioni della calcografia a conoscere qua- li e quanti fossero li tentativi -che possono dirsi simultanei a quelli del Finio-uer- ra, a pregiarne la rarità, e a rivendicarne a molti altri paesi d' Italia i nomi se- polti forse da oscura dimenticanza, e che avrebbero ottenuto una luce maggiore, se d'ogni paese vi fosse una buona biografia di artisti. E questo è precisamen- te ciò che il sig. Dachesne ha tentato di fare nella sua opera, raccogliendo da molti possessori di Nielli stampati o di laminette non vuote di Niello copiosissimi elenchi . Diremo noi co/?/owj//n/, ma però ben lunge dall'essere ridondanti, siccome attende vasi ragionevolmente da coloro che, sulla fede delle sue asser- zioni, speravano di trovare in quelle tavole epilogato quanto di più msigne e prezioso sia conosciuto in questa materia. Per la qual cosa non sembra circo- spetto abbastanza 1' autore dove asserisce (pag. 89) Je suis fonde à eroine (jLÌ il en existe bien peu d autres que ceux qui se trouvent dans le catalo- gue qui va salire . Fra poco vedremo quanto sia ciò lunge dal vero , prima di che giova giltare uno sguardo sulle più antiche tra queste produzioni, e sui tentativi che condussero all' arte calcografica .

Da ognuno si è scritto, e la memoria si è diligentemente conservala della fa. mosa Pace del Flniguerra, la quale ha dato luogo a lunghe discussioni e dis- sertazioni . DI essa la reale Galleria di Firenze conserva la piastra niellata ori- g'male; due zolfi ricavali In antico stanno deposti l'uno nella collezione del marchese Durazzo a Genova, l'altro in quella del duca di Bucklngam a Lon- dra; e quest' ultimo è appunto lo zolfo che appartenne al marchese Seratti ( di cui vien recala nelle note del Duchesne una dissertazione illustrativa da lui tradotta ), e finalmente di questo rarissimo Niello si allega esistere una prova in carta nella biblioteca reale di Francia, per una scoperta che dicesl fatta dal- l'ab. Zani In Parigi, contro la quale è ancora inedita una dissertazione, che sa- rà fra non mollo pubblicata dal professor Vitali di Parma, il quale spera pro- durre con buoni argomenti le prove di uno sbaglio od inganno, da cui sono sta- ti sorpresi tanto il conoscitore italiano, quanto gli esperti custodi del gabinetto francese (1).

(i) Tengo il famoso disegno della pace di Maso Finiguena , che fu posseduto dal Manette, sul

ii3 È rlùaro che gì" impronti c«vati in zolfo, per rilevare in tal modo lo slato del- l'incisione avanti di riempirla di Niello, siccome presentano 1 contorni e i itratti in incavo, non possono essere stati fusi sulla lamina, ma sappiamo che su quella veniva fatto un impronto in finissima argilla, la quale esprimendo in rilievo tut- to il lavoro, offriva la facilità di ripeterlo incavato qualora su d'essa veniva fuso Io zolfo squagliato, per cui quest' ultimo diveniva un few simile del Niello mede- simo . Di questo modo essendosi operato nei primi tentativi , si è allora tenuta una strada un poco più lunga : poiché se colla pressione della mano si consegue dallo zolfo una stampa facendo penetrare nei solchi un po' di materia nera oleosa e stendendovi sopra una carta inumidita, lo stesso risultamento potevasi a dirit- tura ottenere sulla laminettà d'argento. Ed è falsissimo ciò che in questo propo- sito si asserisce dallo Zani, che non poteasi mettere una sostanza nera oleosa sulla piastra d'argento per vedere l' efletto del chiaroscuro, facendola entrare nei tagli, e ripulendo la superficie col palmo della mano nel chiari, poiché, se- condo questo scrittore ignaro delle pratiche dell' arte, /' untume rimasto nei solchi avrebbe poi impedito al Niello di attaccarvisi^ mentre ognuno dee sape- re e conoscere assai facilmente, e lo stesso Cellinl il prescrive , che avanti di niellare le lamine bisogna farvi una buona lisciva o cenerata, che interamente da ogni qualunque bruttura deterga il metallo .

Per quanto dunque essere possano stati di una secondaria necessità questi ca- vi in zolfo e in argilla, sono però mai sempre rarissimi e preziosi, poiché fece- ra strada al maltiplicare in modo più sempUce le stampe sui fogli , ed oltre alli due nominati, ed alli quattordici (superstiti fra molti altri periti o dispersi) che stavano accomodati nei compartimenti d' un altarino portatile in Firenze presso i Camaldolesi, rappresentanti la Passione di Gesù Cristo (che poi passarono in Inghilterra, e nel 1824, alla vendita del gabinetto Sjkes, furono acquistati per quattordici mille franchi ) poco altro si conosce che in questa fragil materia siasi salvato dalla voracità del tempo. E conviene riflettere che qualunque prova in zolfo, la quale in se stessa presenta le figure e i caratteri da sinistra a destra , non può dare, egualmente che il Niello, una stampa in carta, che rovesciando nell'impressione il soggetto inverte anche 1 caratteri alla maniera orientale da destra a sinistra.

ijUaU ha egli scrino alcuna cosa di propria mano. Prezioso mi è questo rìescito, poiché serve mirahilmente a comprovare chela stampa di Parigi pubblicata dallo Zani non è verace, può provenire dalla originale Pace, come ho dimostrato nel terzo de miei ragionamenti inediti. lislratto (li lettera del professore di lingua ebraica in Parma sig. Pietro Vitali, scritto al cele- bre bibliotecario sig. Angelo Pezzana. Si aggiunge che il sig. Vitali acquistò questo disegno dall'erede dello Zani, al quale (secondo le osservazioni dello stesso Vitali) prima di morire era- no entrati molti dubbii sulla propria scoperta.

t.4

Furono alcuni incautamente d' avviso che diverse antiche stampine, perchè impresse appunto a rovescio, offrissero prova non dubbia d' essere tratte da la- mine destinate a niellarsi, induzione che può fare strada all'errore, se non viene accompagnata da cauto esame di occhio espertissimo , poiché abbiamo anche una quantità di antiche stampe, le quali presentano lo stesso difetto, come si vede in tutte quelle copie che diconsi di controparte^ essendo ciò provenuto dal non essere ancora abituati gli artisti a copiare rovesciando il soggetto in uno specchio: precauzione di cui i moderni non abbisognano quasi mai, venendo addestrata per tempo la gioventù, che si dedica a quest' arte, a rovesciare il sog- getto fino da' primi lineamenti, acciò torni al suo verso riell' imprimere .

Guai però a chi, sedendo giudice di simili preziosità, non pronunzia col ret- to senso dell' arte, tutto fidando a tradizioni soltanto o a notizie qualche volta fallaci . Nelle cose dell'arte l'impero più forte non fia mai quello dell'opinione, mentre le sentenze sono quelle appunto che capovolgono ogni cosa e spargono tenebre nella luce .

Al Finiguerra soltanto non limitò quindi mai l' Italia il metodo di niellare e tirare le prove in carta o in zolfo avanti d'infondere 1" atramente metallico nei solchi, mentre altrove e in Lombardia, e nei paesi veneti, fu ciò eseguito; e ricchissimi lavori vennero così ornati per sacri arredi, per giojeUi, per stipi, che ricoperti e intarsiati di Nielli, lasciarono alcune poche prove in carta a benefi- cio de'curiosi e degli avidi amatori de' primi tentativi calcografici . E questi ci- melii, raccolti per la piìi parte in pochissimi gabinetti, hanno offerto argomento alla formazione di molte tavole ed elenchi utilissimi pubblicati in fine dell'opera del sig. Duchesne . Alla lodevolissima intenzione dell'autore di riunire un qua- dro il più completo che da lui si potesse di questi primi tentativi, non corrispose peraltro un successo, come speravasi, immancabile, e ciò per le troppe ommis- sioni, che da noi vorrebbersi pure iscusare ove non venisse da' possessori di la- mine niellale della prima importanza e preziosità, o di rare stampe, mossa una giusta querela, ed ove non accadesse che pel convincimento di troppi abbagli e preterizioni non si avesse a spargere una funesta dubitazione sulle altre cose

asserite .

E del nlellatori singolarmente parlando, quando vogliasi lasciare il primato al Finio-uerra, che esimio e classico capo scuola da noi sarà sempre riconosciuto, e a Matteo Dei, di cui sono più lavori a Firenze, siccome abbiamo ricordato, e ad Antonio del Pollajolo valentissimo disegnatore ma non altrettanto insigne nel- rinta°-lio a bulino (benché fra primi che il tentassero in dimensioni cospicue, sicché le sue stampe vanno celebratissime più per la rarità che pel gusto dei tagli ) questi primi luminari sono già ben noli e celebrati dal Lanzi e da altri tre Fiorentini, che in solerzia biografica non furono adeguati finora dagli altri

ii5 popoli (Ull'Itaria: ma e chi sarà <la lanlo per riconoscere a chi appartengano poi anche quei tanti antichi Nielli, che o avanti il Finigaerra , o contemporanea- mente, Ofl anche dopo per oltre nn secolo vennero intagliati ? La serie di questi autori, ignorata e oscurissima, offre un numero considerabile di artisti, che il trar- re dalle tenebre sarebbe opera di lunghe e faticose ricerche, intorno alle quali gli storici ffnora non hanno posto gran cura; e pareva il luogo d' onore serbalo al sig. Duchcsne, ma sembra eh' egli abbia preferito di vagare troppo leggier- mente sul campo delle conghietture, siccome fa a cagione d'esempio, per tace- re di altro, dove attribuisce al Pollaiolo un Niello, che rappresenta il marti- rio di s. Lorenzo, che il Bandinelli compose e Marc' Antonio Raimondi intagliò in rame, soltanto perchè vi legge la marca P, non avendo posto mente che il di- segno del Bandinelli, e la stampa di Marc' Antonio sono posteriori alla morte del Pollajolo, il quale non raggiunse l'aureo secolo, e morì nel 14.98. Poco gli sarebbe costato attribuire questo lavoro a tutt' altri, se non anche a quel Pel- legrino, di cui egli con molta sagacltà va cercando d' interpretare le varie sigle su d'una serie numerosa di piccoli Nielli che trovansi in tutte le collezioni . E quando ancora si fosse dal sig. Duchesne ignorato che il martirio di s. Lorenzo fu eseguito e pubblicato dal Raimondi la prima volta sotto il pontificato di Cle- mente Vn, tanti anni dopo la morte del Pollajolo, ( intorno alla quale classica stampa nacque contesa singolarissima tra l' intagliator bolognese e il (hsegnator fiorentino dinanzi al papa medesimo, decisa con tanta saviezza ed acume dalla Santità sua, circostanze narrate nella storia dell' arte e della massima notorietà) quand'anche tutto ciò si fosse ignorato, o perduto di vista, doveva sapere che il Pollajolo non era vago di servirsi degli altrui disegni, che anzi i suoi propri , tenuti in altissimo pregio, dava ad eseguire ad altri come esimio disegnatore e sommo maestro (') .

E qui non conviene, celebrando ben giustamente il merito degli orefici fio- rentini, che diedero le mosse in Toscana ad ogni perfezionamento nelle arti, pre- terire il valore di cent' altri artefici, che da ogni altra parte d' Italia moveano del pari spingendo l'incremento di questi studi con una insistenza e nn coraggio Straordinario . Se non bastano a far fede di questo le poche tradizioni, che at-

(i) Riportiamo qai un passo del manoscritto originale del Cellini , piuttosto che la lezione del «no testo, stampato e corretto o mutilato dagli editori: Antonio figlio d' un pollaiolo, il quale così sempre fu chiamato: questo fu orefice, e fu gran disegnatore, che non tanto che tutti gli orefici si servirono de' suoi lellissimi disegni, i quali erano di tanta eccellenza che ancora moiri scultori e pittori, io dico dei migliori di quelle arti, si servirono de' suoi disegni, e con quegli e' sifeciono moltissimo onore. Quest' uomo fece poche altre cose, ma solo disegnò mi- ralilmenle, e a quel gran disegno sempre attese.

1.6

traverso l'incuria dei posteri è la calìgme dei tempi giunsero fino a noi, deb- bono togliere ogni dubbiezza le varietà di carattere nei disegui di queste pri- me opere, nelle quali 1' origine delle diverse scuole disvelasi, e le non diflicili iscrizioni che trovansl sui Nielli, dinotanti o il donatore o 1" autore , e spesso la nazione presso cui furono intagliale ; dalle quali cose ciascuno dedurrà con pie- na evidenza che gran maestro di Nielli era certamente Francesco Francia orefice e pittore bolognese, a cui venne fatta eseguire una natività inserita in una bellissima Pace niellata per ordine di Filippo Stancano bolognese, come trova- si inciso sul Niello medesimo. Conservasi attualmente nell' accademia di Bolo- gna non tanto questo come altro prezioso Niello dello stesso autore rappre- sentante una crocifissione, ed ha le arme dei Pepoli e dei Bentivogli, al cui ser- vigio il Francia operava come orefice, pittore e conlatore di monete bellissime e rarissime. E leggansi le altre inscrizioni che su diversi Nielli si trovano, come in quelli ove una donna rlvolgesl ad un gatto, ed è scritto: va in la caneya^ ed altri ove leggesi Mantengave Dio^ Bona Fortuna^ chiaramente dinotanti, an- che per chi fosse incerto giudice dello siile del disegno, la loro appartenenza al- le scuole venete e lombarde , ed altrettanto da queste derivanti come le pri- me carte da giuoco Impresse In rame ove sta scritto : Famcjo^ Cortesan^ Zin- tiloma^ Chavalier^ Hooce^ ec. E se ciò non bastasse , possono servire di traccia ad Iscuoprlre 1 più antichi intagliatori, tanto per le opere di Niello come per quel- le di rame, il conoscersi che dal Vasari, dal Lailzi e dagli storici di ogni età non si ricusa questo merito al Caradosso e a Daniele Arcioni milanesi , a Forzore Spinelli aretino: e conghletturasl da alcuni tentativi di stampe oscure che per sino Nlcoletto da Modena, Gio. Antonio da Brescia, e lo stesso Marc' Antonio Raimondi avessero in quel delicato artificio fatti 1 loro primi tentativi. Ma il più volte qui citato Celllul avrà avuto per certo raglonevol motivo di celebrare co- loro eh' egli nomina con particolare affezione e con molta stima come 1' Ame- righi, Michelangelo da Plnzidlmonte, Salvatore Guascontl, ed altri parecchi, per non citare que' tanti che dall' enciclopedia metodica dello Zani trasse con molta accuratezza il moderno autore francese (i). Anzi èbello qui rilevare l'imr

(i). Menzione assai onorevole meritò, ed ottenne quel Pellegrino che in più modi segnò i suoi Nielli, i quali in numero di 6i gli sono dal Duchesne attribuiti; ma non possiamo con evi- denza che basti ben riconoscere Come la lettera C, preceduta spesso dalle altre iniziali, con cut gli piacque contrassegnare i suoi lavori debba farlo ritenere per Cesenate, poiché potrebbe voler significare tanto Cesenate, come Cenlese, o d' altra qualunque città che cominci colla terza lettera dell'alfabeto. Che se si dovesse anche ciò dedurre dalla verosimiglianza delle conghiet- ture, sembra che, riconoscendosi i di lui lavori posteriori all'epoca di F.Francia, s' avesse quasi a ritenerlo per uno degli orefici suoi scolari, e più probabilmente nativo della vicina città di

"7 parzialità dello slesso Cclliiii col recare alla distesa il di lui testo originale quasi

interamente mutilato dagli editori, e si renderà da noi in tal modo piena giustizia al merito di uno de" luminari dell'arte in Germania, il quale sembra aver attinte da<^r Italiani non solo le sue cognizioni, ma aver rivaleggiato per sino col Fini- guerra. Questi è Martino Schongaver, nato circa il i44o, morto nel 1^99, e cLe sebbene abbia soggiornato e sia morto a Colmar, è però originario e nativo di Augusta, siccome con buoni documenti e sana critica è provato dal Bartsch. Questi è quel celeberrimo intagliatore tedesco che ha preceduto il Durerò nel- r arte, e ha molto avanzati i metodi dell' incisione in rame. I Francesi lo chiama- vano beau Martin^ e gl'Italiani il denominano ancora, in Toscana particolarmen- te , buon Martino^ e di costui cosi riferisce lo storico, ove parla degli orefici e niellatori fiorentini . « Martino fu orefice e fu oltramontano di quelle città lo- )> deschc . Questo fu un gran valent' uomo si di disegno e d' intaglio di quella » lor maniera, e perchè già e' si era sparso la fama per il mondo di quel nostro » Maso Finiguerra, che tanto mirabilmente intagliava di Niello, e si vede di « sua mano una Pace con un Crocefisso dentrovi insieme con i due ladroni, e n con molti ornamenti di cavagli e di altre cose, fatta sotto il disegno di Anto- » nio dal PoUajolo già nominato di sopra, ed intagliata e niellata di mano del n detto Maso (questa è di argento nel nostro bel s. Gio. di Firenze) (1) . Ora n questo valent' uomo todesco,. nominato Martino virtuosamente, e con gran di- « sciplina si mise a voler fare la detta arte del Niello, e fece quest' uomo da be-

Cenlo, meglio interpretnnJo l'allegala inscrizione DE OPVS PEREGRINI CE^ posla sollo una piastra niellata rappresentante la risurrezione, e posseduta dal sig. Voodborn ; oltre di che non troTaudosi mai il dittongo dopo il C. siccome nelle iscrizioni latine Tedesi usato nel- la parola C^.SENA , cresce maggiormente l'argomento in favore dell' interpretazione Ccn- tensis. (i) È fatale il dover convincerci spesse volte dello smarrimento di tante preziosità, poiché non è da dubitare che questa Pace citata dal Cellini sommo conoscitore, appartenere potesse mai ad altro intagliatore che al Finiguerra : ma questa più non si trova , si conosce a Firenze od altrove; poiché forse dispersa nel 1627 quando furono consegnate molte argenterie del s. Giovanni alla repubblica per batter moneta, in occasione dell'assedio di Firenze, come ac- cennò il Gori, potrebbe aver corso la sorte infelice di tanti altri preziosi lavori fusi e coniati . Fa però meraviglia al chiarissimo cav. Montalvo, cui da noi venne comunicato questo passo del Cellini, che dal Con il quale scailabellb i registri di spese del magistrato dell'arte di Calimala, ove trovò gli appunti del costo delle due Paci ancora esistenti, oltre quella notissima di Matteo Dei, non si trovasse notata anche quest'altra Pace della crocifissione del Finiguerra, non es- sendo da supporsi che per non esistere più a suo tempo egli non avesse a farne menzione particolare, come fece di tante altre preziosità già attinenti a quella basilica ch'egli illustrava, e che più non erano quand'egli scrisse. E certo che questo nionumenlo, o non esiste, o tro- vasi nascosto in parte remota, e indubitatamente più non si vede a Firenze.

•ii8 n ne molte opere, e perchè egli benissimo conosceva di non poter afriVàrle a 55 quella bellezza e virtù del nostro Finigiierra, pure come persona virtuosa vol- )' se spendere la sua virtù in qualche cosa che fusse utile agli altri uomini. Egli « si mise a intagliare in certe piastre di rame, e in quelle cominciò a girare il » bulino (che cos'i si chiama per nome quel ferrollno con cui s' intaglia) di mo- » do ch'egli intagliò molte belle storiette molto ben composte, e molto bene » e virtuosamente osservate le ombre e i lumi; e secondo quella loro maniera n todesca erano bellissime » . Se il Bartsch riferisce che Martino era in relazio- ne, e tanto stimato da Pietro Perugino, sarebbe stato anche assai pago di po- ter citare il conto che se ne faceva in Toscana dal Cellini stesso, e avrebbe ag- giunto volontieri questa nuova palma al suo nazionale; che se è pur sempre bel- la cosa r essere lodato a laudalo viro^ bellissima poi diventa lesserlo da uno straniero . '

Per quanto però sia numerosa la serie degli elenchi prodotti dal sig. Du- chesne per dare all'Europa un motivo di ammirazione nella quantità di questi primi sperimenti della calcografia, che fra lamine e stampe, non compresavi un Appendice, egli fa ascendere sino al copioso numero di 4*8 articoli: e per quan- to eo'li suddivida la materia per ogni verso, presentando venti tabelle , nondi- meno le ommissioni e gli abbagli son tali e dimostrati, che il lettore rimane ingolfalo in una folla di supposizioni non avverate, e di incertezze , che a scu- sarle non basta quell'indulgenza benevola che meritano gli autori di tali ri- cerche, imbarazzati dalle distanze e dalle tradizioni, che rendono o impossibi- le o difficile r ispezione oculare sugli oggetti de' loro studi (i) .

(,) ELENCO DELLE TABELLE.

I. Nielli incisi dal Finiguerra.

a. dal Pellegrini .

3. da dirersi orefici iolaglialori .

4. della biblioteca reale di Francia.

5. del gabinetto Durazzo in Genova.

6. del gabinetto Trivulzio a Milano.

8. del gabinetto Poniatowski in Polonia.

g. del gabinetto del duca di Bnckingam in Ingliillerra ,

IO. che erano nel gabinetto Sykes, e passarono altrove.

I I. della collezione del sig. WooJborn.

la. di diversi musei e gabinetti.

i3. tuttora io piastre d'argento.

14. -^^— in argento, e stampali in carta. l5 in zolfo soltanto.

'|9 E sarei io ben iniliscrclo se facendosi dal sig:. Diichesne ciò che agli stranle-

ri è così famigliare ( vale a dire lo storpiare senza riguardo i nomi dei vivi e dei morti ) volessi qui far querela per aver egli sostituito al mio nome quello di Leone, o cercassi di riconvenirlo, perchè dcgl' intagli veduti da Glo. Antonio da Brescia egli con istrana amalgamazione voglia farne un autor solo con Gio. Andrea Vavassore detto Vadagninl da Venezia, e togliere in tal modo un au- tore «lai mondo (i), o volessi andar spigolando le piccole inesattezze che isfug- gir possono ad ogni scrittore per quanta diligenza egli ponga nelle sue ricer- che (2) ; ma non saprei perdonargli che abbia sognata una collezione Ponia- towski in Polonia, mentre tutto ciò eh' egli attribuisce a quella appartiene , co- me ognun sa, alla galleria di Firenze ; e di ciò ebbi anche conferma dalla gen- tilezza dal cav. Ramirez di Montai vo, che quegli oggetti custodisce gelosamente nella reale galleria . Difatti di sei lastre niellate che possiede la galleria di Fi- renze, comprese le due famose Paci di s. Giovanni, il Duchesne non le ne assegna che tre solamente, e descrive le altre spacciandole come esistenti una volta nel museo Poniatowski ; ed è da notarsi che tra queste ultime è la crocifissione da lui descritta sotto il numero 95, che è la Pace incisa e niel- lata dal Dei nel i4.55 per s. Giovanni, della quale parla il Gori nella sua ope- ra : lìlonumeìita sacrae vetustatis insignia. Oltre di che, tolti dal museo po- lacco e rivendicati alla galleria fiorentina i tre Nielli del numeri 5^, g5, non restano che li 166 e 192, che in sostanza sono li medesimi ripetuti dall'au- tore senz' avvedersene sotto il numero i6j nel gabinetto Sikes : cosicché se

16. Nielli ili cui esistono sole quattro slampe.

17. di cui ne esistono tre solamente.

18. di cui esistono sole due stampe.

I g. prima d'essere forati dai chiodi.

ao. descritti da Bartsch sotto la categoria di stampe degli antichi maestri italiani.

(i) Questa asserzione trovasi nell'opera del Duchesne a pag. /(6 non solo contro il voto du sa- vant et eccellent ahhè Zani (ch'egli cosi Io denomina anche contraddicendogli), ma contro una serie non tanto di opinioni che di fatti, la quale servirebbe a provare il contrario con tanta lacidezza quanta n'è nella faccia del sole.

(a) Fra queste inavvertenze sfuggite alcune però possono condurre in errore di fatto importante, siccome quella che incontrasi a pag. 35 in cui dimenticando le precauzioni suggerite dal Cel- lini nella preparazione della composizione del Niello, dove prescrive il doversi romperlo con grande avvertenza, acciò non vada in polvere, e le granella non &\zuopiù minute del mi- glio o del panico, siccome l'autor francese però traduce a pag. ia3 afin que les grains ne soient pas plus grosse du millet et rien de plus ni de moins, si dimentica poi tutto questo, ed esporrebbe un niellatore a ruinare interamente il lavoro, qualora stendesse (siccome egli nel luogo indicato prescrive) la composizione sui lavori preparati ridotta in polvere: fors^u'c/- le itoti devenue cassante, cloit cnsuite pillée, hrojée et tamisée en poudre trèsjine.

ognuno si riprende il suo, sparisce dall'opera del Duchesne la tabella VIIT. Per vero dire le cose di Firenze in materia d' arti non sono poi tanto oscure da non dover piensimente essere conosciute da tutti li cultori di questi stu- di . Ben più scusabile sarà 1' autore francese, se fidatosi alle relazioni falla- ci dell' incisore e mercante signor Vendramini, asserì falsamente che la bella prora di un Niello del Finiguerra che figura 1' adorazione de' Magi, la quale sta pur anco in casa Martelli, sia l'identica da lui acquistata in Milano, e mostrata all'autore in Parigi nel i8z5: epoca appunto in cui io stava ammirando presso lo stesso ball Martelli, fra le sue rare e preziose stampe, questa prova di Niello singolarissima, eh' egli gelosamente conserva, e della quale non è per certo dis- posto menomamente a privarsi. Per le quali cose oltre il debito di rettificare l'er- rore, ne viene la conseguenza che nella tabella XVI, ove si registrano 1 Nielli conosciuti per quattro [irove, bisognerà porre questa dell' adorazione dei Ma^ che sia in casa Martelli per quinta, egualmente che nella tabella XVIII il trion- fo di Galatea, indicato da due sole prove, verrà posto a tre, giacche da noi pure se ne possiede un magnifico esemplare. Dopo queste osservazioni accidentali su due oggetti che ci sono caduti sott' occhio può temersi che siavi altra indicibile quantità di emende da fare a questo lavoro .

Ma ciò di che abbiamo maggiormente meravigliato si è, che il sig. Duchesne^ avendo ottenuto di poter visitare le collezioni dell'Inghilterra, abbia pienamente io-norato che il duca di Hamilton possiede li più grandi Nielli e preziosi che possano vedersi, i quali cuoprivano tutto l'epistolario di Paolo II, e sono di mole e di magnilicenza straordinaria. Fu nel i ^98 che manomessi li palaz- zi vaticani, comprese le due cappelle Sistina e Paolina, furono venduti tutti gli arredi preziosi a' rigattieri, da' quali il cardinale Hertzan ricomprò molte cose, e specialmente messali miniati, che mandò alla sua chiesa in Ungheria ove si trovano al presente, e meritare potrebbero i viaggi colà di qualche dotto illu- stratore . I due volumi, cioè 1' evangeliario e 1' epistolario di papa Paolo II furo- no in quelle masse d'oggetti venduti, ma per essere legati in lamine d'argento con cornici massiccie e borchionl dorati, venneio disciolti e venduti a peso, salve le lamine niellate che passarono in commercio . I Nielli hamiltoniani compone- vano tutta la superficie del messale , inseriti essendosi agli angoli quattro sog- getti per parte , e due più grandi stando posti nel centro delle faccie , cosicché possono riguardarsi come dieci composizioni, delle quali non è agevole rileva- re con sicurezza a chi degli artisti, però contemporanei al pontefice, debbansi attribuire essendo da notarsi che gli anni del pontificato di questo papa vene- ziano collimavano appunto coir epoca migliore de' niellatori, immediata al Fini- guerra, cioè in quel momento che l' arte poteva dirsi in tutto il suo fiore . Li so<T"-etti tutti sono tratti dalle sacre pagine, e relativi al carattere del libro che

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erano destinali a fregiare, bellissimo essendo fra gli altri, e non comune quello di Daniele nella fossa de' Leoni, soggetto che esige molta perizia di disegno trattandosi di argomento poco ripetuto da' primi disegnatori .

Parassi poi bene le meraviglie ogni culto viaggiatore, se oltre il silenzio del si"-. Duchesne sui Nielli hainiltoniani , da lui siensi sin anche ignorati li più grandi e più ricchi che si conservano a Venezia nella galleria Manfrin. Questi coprivano l'cvangclario dello -stesso papa, e formano lo stupore d' ogni amato- re di simili preziosità. Noi non conosciamo infatti un complesso più grandioso di questo in tutta la storia dell'arte, poicht; anche tolte dalla rapacità de' viola- tori del santuario le cornici che intersecavano le varie parti di questo lavoro , la pura superlicie niellata da ciascun lato non è minore di quattordici oncie di altezza in una larghezza di poco men che dicci oncie : dimensioni straordinarie per quante esser possano le divisioni di tutta la superficie in compartimenti per esser niellata. Agli angoli d'una parte sono quattro dottori della Chiesa, e nel mezzo delle quattro fasce, che ricingono il centro con ricchissimi ornati di arabeschi figurati, e con putti che suonano varii istrumenti , veggon i ripetuti gli stemmi del cardinale Giovanni Bai vo vescovo di Albano, che nel ii6^ ri- cevette il cappello da Paolo II, benché di oscuri natali , ma che pe' suoi talenti portato al grado eminentissimo avrà in tal circostanza gareggiato co' grandi nel presentare al pontehce, siccome era costume, il più splendido omaggio che per lui si potesse , onde la magnificenza del tributo servisse a squassare dalle sue spalle la polvere abbietta del paterno mulino (i). Nel centro della facciata, in un gran quadrato posto diagonalmente, figura il battesimo di s. Giovanni, supe- riormente è 1 ultima cena, e inferiormente la risurrezione di Lazzaro: soggetti trattati nella larghezza di sei onde , cosicché le copiose figure non mancano di apparervl in bellissime dimensioni . La faccia opposta egualmente compartita cogli stemmi, gli arabeschi ed i putti che suonano, presenta negli angoli li quat- tro evangelisti , nel centro la nascita del Redentore, superiormente lannuu- ziazione e i profeti, e inferiormente l' adorazione del re .

In quell'epoca insigne in cui operavano Sandro Botticelli, il Ghirlandajo, e Filippo Lippl col di lui figlio, li quali si resero insigni per ogni sorta di minute composizioni, celebrate nella storia del Lanzi ( leggendosi particolarmente di quesVuhìrao che ritraeva in ogni pittura le usanze dell'antichità^ e di cui il Cellini vide parecchi libri di antichità da lui disegnate , e '1 Vasari crede fosse

(i) Joannes Salve, alias Balves, nalione Gallus Andegavensis Albani episcopus , et legalus in Mar- ca obscuris parenlibus , molitore enim seu sarcinatore , seu nerius calceolaria patte, sed ingerito clarus, cardinalis creatus a Paulo II Barbo veneto in prima crealione a D. 1467. Ciaconio Tol. II, pag. 1107.

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uno de" primi ad ornare la pittura moderna con inserirvi grotteschi, trofei, ar- mature, vasi , edilicii ); in quell'epoca famosa, e in tal maniera caratterizzata, avrebbero potuto esser niellate da orefici valentissimi, che pur erano tutti con- temporanei, le storie descritte, le quali offrono ragionevoli conghietture, nel silenzio di fatti più positivi, per essere attribuite a taluno di questi maestri.

E se le principali opere di questo artificioso e difficile lavoro del INielli igno- ravansl dal nominato moderno illustratore di questa parte di storia dell'arte, più circospetto esser poteva nel far credere a' suoi lettori che poco o nulla rimane- va a citarsi in tal materia ; e doveasi piuttosto da lui che da me render con- to d' una bellissima Pace niellata con un divolisslmo Redentore che nei "-ior- ni solenni offresi nella cattedrale di Modena al bacio dei principi, eh' è in bella dimensione e dietro cui sta scritto in visibili caratteri, S. Geminianl de 3Iutina Jacob Porta Mut.fecit )4^86. Artefice taciuto non solo dal Tirabosehi, che rac- colse le notizie degli artisti modonesi, ma dagli storici tutti dell'arte. Per la pri- ma volta noi la presentiamo alla luce ben paghi di rendere omaggio alla veri- tà(.).

E poteva essersi veduta e citata la sontuosa Pace, che si conservava nell'insi- gne collegiata di santa Maria in Vado di Ferrara, non che le molte altre, le qua- li o in gelosa custodia vengono serbate nei santuari!, o passarono ad arricchire li collettori di simili preziosità . E non erano scarse le notizie, che sarebbersi potute procurare dai luoghi di difficile accesso, per conoscere la copia delle ope- re che rimangono ad illustrarsi, per quanto s' abbiano a compiangere le molte che rimasero distrutte .

Ne debbono certamente preterirsi i bellissimi Nielli, che vcggonsl in Cremo- na presso 11 chiarissimo conte Ponzoni, e presso quella chiesa capitolare: ne puossi passare sotto silenzio ciò che nel Frinii, in Udine, in Cividale, in 'Venzo- ne tiensi con molta gelosia custodito, e che serve mirabilmente a tracciare la strada per cui si pervenne a questo genere di lavori, partendo dalle opere di bulino ricoperte di smalti, e gingnendo, siccome abbiamo da principio notato, ai più solidi risultati del Niello. E si noteranno di simili curiosità nella cattedra- le di Padova, nel santuario di s. Antonio : se ac troverìmno in Verona , in Bre-

(i) Il cronista moJonese LanolloUo licoiJa questo artefice con Antonio e Filippo Porlo come bravo orefice. CreJesi poi che questo esser possa quel Porlo (letto Glo. Battista Jal Vedria- ni {Notizie de' fjtllori modonesi p3^. 45) valentissimo nell'arte d'intagliare a bulino appog- giandosi airaulorili del Lancilolto, tanto più che nella cronaca di questi non riuscì al Tira- boschi di trovare un Gio. Ballista Porlo, polendo essere che il Vedriani, nien esperto di lui nel rilevare antichi caratteri ( e massime i perversi come quello del Lanciiotto ), abbia tollo Giacomo par Gio. Ballista. Queste notizie ci furono comunicale dall'avvedutezza del chiaris- simo conte Mario Valdrighi zelante indagatore di tutte le patrie prezlosilù in merito di arte.

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scia, e pressoché dovunque siano salite in fama di splendore anliclie basiliche o santuarii. iNè soltanto ove le comunicazioni siano agevoli o praticate , ma per si- no divergendo dalle grandi strade, e negli alpestri Abruzzi internandosi, e visi- tando le abbazie e gli eremi ove la pia solerzia de'cenobiti ricovra va le arti dal centro d Italia., o profughe le ospiziava dopo la caduta di Costantinopoli. Le quali cose sembrano evidentemente dnnoslrare quanta maggior copia di questi lavori siasi fatta piìi che non credesi, quanta ancor ne rimanga, e quali diligen- ze si esigano per presentare un catalogo, se non completo, di gran lunga più este- so di quello che è slato teste pubblicato.

E chi senza inlinile cure e indagini potrà render conto dei molti possessori di queste rarità, se nell' opera grandiosa che ci vicn posta sott' occhio troviamo ommesse le cose principali ? Da noi percorrendosi soltanto le note de' Nielli a stampa, che furono posseduti dal sign. Carlo del Maino nel i8o4, e dal conte Marino Pagani di Belluno (i), (per non deviare in piìi lontani paesi ove saranno per certo stati e forse anche sono altri raccoglitori ) si trovano in questi due soli elenchi dodici Nielli non conosciuti ne citati dal sig. Duchesnc, li quali, di- ligentemente riscontrati, mancano nelle serie da lui prodotte , e nel giro che avranno fatto s' ignora ove possano avere stanza in questo momento. Potevano poi bene essere citati tanto il Maino possessore di 60 Nielli, come il Pagani di 1 2 : benché le collezioni siano disclolte, che la loro condizione non è diversa da quella del gabinetto Sikes, ne della collezione Poniatowski (che doveva piut- tosto intitolarsi della galleria di Firenze ), le quali, sebbene più non esistenti, hanno trovato luogo nelle tabelle da noi indicate .

Le quali cose avvertite, rimarrà sempre vivo il desiderio di veder riformati gli elenchi citati, e la compiacenza di vederli accresciuti di gran numero di ope- re msigni, che vi meritavano luogo; e sarà più evidente il convincimento che, per comporre un buon libro, non v' è indagine che basti per asserire di aver esaurito le fonti e data perfezione al lavoro (2).

(1) Il slg. cav. Gio. de Lazzara ci ha conservate le noie dei Nielli dei citali raccoglitori eslesa colla massima diligenza, e da noi cogli elenchi del Duchesne confrontale.

(2) Vedasi all'Appendice D.

APPENDICE A.

PROLOGO DEL PRIMO LIBRO DI TEOFILO MONACO

Teofilo, umile prete, servo de' servi di Dio indegno del nome e della profes- sione di monaco augura 11 conseguimento dell' eterna mercede a tutti quelli che mirano a tener lontano da loro l'ozio della mente, e il divagamento dell' animo con alcuna utile occupazione della mano, e con qualche dilettevole meditazione delle cose nuove .

Abbiamo letto nel principio della creazione del mondo 1' uomo essere stato creato ad immagine e similitudine di Dio, ed animato dal soffio dell' eterno Spi- rito, e distinto a preferenza d' ogni altra creatura di tanta altezza e dignità, che fattosi capevole di ragione, e di una parte della prudenza , del consiglio e del- l'ingegno di Dio meritasse esser messo a parte del libero arbitrio, onde di li- bertà dotato niuna cosa dovesse meglio desiderare che la volontà del suo Crea- tore, e niuna cosa dovesse meglio intendere che a venerare, e temere la di lui potenza .

Abbiamo letto che quest' uomo incannato miseramente dall' invidia del de- monio, ancorché per colpa della sua disobbedienza perdesse il privilegio d' es- sere immortale, tuttavia egli potè s\ fattamente tramandare a tutta la genera- zione della sua posterità il pregio della scienza e dello intelletto, che per chiun- que vorrà porvi cura e desiderio gli verrà fatto aggiugnere ad ogni vastità di sapere e al conseguimento d' ogni arte come per suo ereditario diritto . L' uma- na industria proponendosi questo intendimento, e nelle diverse sue operazioni correndo dietro ai guadagni e ai piaceri , finalmente coli' avanzare degli anni giunse all'età vaticinata dalla religione cristiana; ed avvenne che quelle cose che la divina provvidenza avea create a lode e gloria del suo nome il popolo inchinevole a Dio, esse convertiva in suo ossequio ed onore .

Laonde quello che il sagace provvedimento de'nostri maggiori tramandò fino all' età presente non abbia a vile la pia devozione de' fedeli, e l'uomo abbracci con desiderio, e ponga opera in acquistare ciò che Dio largheggiò come retag- gio all'umana stirpe. Del quale conseguimento non siavi chi si vanti quasi di cosa da se stesso, e non d'altronde ottenuta, ma se ne compiaccia umilmente nelSio-no- re, da cui tutto abbiamo, e senza cui nulla è : e non solo i concessigli beni si guardi dal riporre ne' secreti ricettacoli dell' invidia o del cuore tenace, ma, ri- mossa ogni iattanza , li distribuisca con animo ilare a chi semplicemente li ri- chieggia, e paventi la sentenza evangelica di quel trafficante che simulando la

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somma guadagnata ad usura, e logliondosi dal riconsegnarla al suo padrone, privalo d' ogni benefizio, per giudizio di propria bocca pronunciato, mcrilossi la taccia di servo malvagio. Sentenza che io (uomicciatolo indegno, e presso che senza nome) d' incorrere paventando, liberamente offerisco a que' tutti che umil- mente agognano lo imparare quanto a me gratuitamente concede la degnazione divina^ che è larga dispensatrice con tutti, e non disprovvede nessuno: e gli fo avvisati di riconoscere in me la bontà, e la larghezza ammirare di Dio, siccome ancora li esorto ad avere per fermo eh' eglino pure, operando, lo avranno soc- correvole nel lavoro. Conciossiachè come iniquo e detestcvole è all'uomo cer- care con attentato anibizioso, e con rapina usurpare in qualunque guisa ciò che è indebito o vietato, cosi del pari ad ignavia gli viene apposto e a stoltezza r abbandonare mtentato, od avere in poco conto quanto gli è per diritto dovu- to, e da Dio Padre dato in retaggio.

Qualche dunque tu sia, carissimo figlio, cui Dio mise nell'animo d'investiga- re il campo delle diverse arti latissimo, ed applicarvi intendimento e diligenza per raccorne ciò che più aggradi, guardati dall' avere a vile tutte le prezio- se ed utdi cose, come se quelle spontaneamente fuor di speranza fossero germo- glio di terreno domestico : che sciocco negoziante si è quello che avendo all'im- pensata trovato un tesoro, scavando la terra, non diasi cura di levarlo, e con- servarlosi. Che se vili arbusti a te producessero V incenso, la mirra e i balsa- mi eletti, o se le domestiche fonti non che V olio, il latte ti corressero e il mele, o se per urtica e cardo, e tali altre gramigne dell'orto a te venisser crescendo nardo, cannella e aromi d' ogni specie, forse che questi spregiando come vili prodotti domestici, n" andresti tu errando per terre e per mari a far procaccio degli stranieri inferiori di qualità se non anco più \ili? Ciò sarebbe certamente, anche per tuo giudizio, grande stoltizia: poiché sebbene sia costume il riporre nel miglior sito, e serbare con gelosa custodia tutte le cose preziose, ed acqui- state con grandi sudori e molto denaro, nondimeno se anche per avventura vengono talvolta possedute senza dispendio, o si ravvisino pari, o mio-Hori, con non dissìmile cura, ed anzi con maggior attenzione si custodiscono .

Imperciocché, mio dolcissimo figlio, il quale Iddio per questa parte reseinlc- ramcnte beato, onde ti vennero gratuitamente offerte tali cose, che parecchi attraverso de' mari, mettendo a sommo repentaglio la vita, e dalla necessità travagliati di patir fame e gelo, o sfiniti dal perpetuo servigio prestato ai sapien- ti, non mai però stanchi della bramosia d imparare, si procacciano con intollera- bile fatica, rivolgi gli occhi a codesta schcdiila delle diverse arti, e rileir"-ila con tenace memoria, ed ;.niala di grande amore . La quale se vorrai disaminare con attenzione vi rinverrai per entro quanto ne' generi e nelle misture dei diversi colori possiede la Grecia, quanto dell'attività degli elettri, o della varietà del

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Niello conobbe la Russia.j quanto nelle arti del cesellare, del fondere, del trafo- rare distino-ue l'Arabia, e tutto ciò che nella diversità de' vasellami, o nella scul- tura delle gemme e degli ossi usa intarsiare d' oro l'Italia, e tutto ciò che nella preziosa varietà delle hnestre ama la Francia, non che tutto ciò che de' sottili lavori in oro, in argento, in rame, in ferro, in legno ed in pietra apprezza la so- lerte Germania. Le quali cose quando avrai ripetute fiate riletto , e fitto bea addentro nella tenace memoria, fa che quantunque volta abbia tu cavato buon uso dal mio travaglio supplichi per me la misericordia di Dio onnipossente, che sa bene non averle io scritte o per amore di umana laude, o per cupidigia di mortai guiderdone, ne per livore d' invidia aver io cosa sottratta che sia rara e preziosa, o di quella riservatane a me solo cognizione, ma bensì ad incremento d'onore e gloria del suo nome esser venuto io a soccorso delle necessità di mol- ti, e miralo a' loro progressi .

APPENDICE B.

TRATTATO DELL' OREFICERL\ DI BENVENUTO CELLINI

CODICE DELLA. MARCIANA XLIV. CLASSE IV. DelC arte del Niello .

E' si piglia un oncia d'argento finissimo, e due oncie di rame benissimo pur- gato, e tre oncie di piombo quanto più purgato e netto che sia possibile di aver- lo, di poi si piglia un coreggioletto da orefice il quale sia capace a struggervi i detti tre metalli . E in prima piglieral 1' argento cioè oncie una, e il rame oncie due, e metteragli in detto coreggiolo , e il coreggiolo metterai nel fuoco a ven- to di manticetti da orefice, e quando l' argento e il rame sarà bene strutto e bene mescolato, mettivi dentro il piombo, e subito tiralo indrcto , e piglia nn carboncino colle molle, e con esso mescola benissimo . E poiché il piombo per sua natura fa sempre un poco di stiuma, levala con il detto carbone il più che tu puoi, tanto che li detti tre metalli siano bene incorporati e ben netti , Di poi farai d' avere in ordine una boccetta di terra, tanto grande quanto si è un di tua puo-nl tenendogli stretti, e la detta boccia vuol avere la bocca stretta quanto un dito che vi entri dentro, di poi empi la detta boccia insino a mezzo di zolfo benissimo pesto, ed essendo la tua materia bene strutta, così calda la gitterai nella detta boccia, e subito la turerai con un poco di terra fresca , te-

nfindovi sopra la mano con buon pezzo di pannacelo lino, come è a dire nn sac- caccio vecchio: e in menile che e' si Iredda dimenerai conlinnamcnte la mano , tanto che sia Irctldo . E come gli è freddo cavalo di detta boccia rompendola , e vedrai che per virtù di quel zolfo gli avrà preso il suo color nero: e avvertisci che il zolfo vuol essere del più nero che potrai trovare, e la boccia potrai prov- vedere da rpielli che partiscono l'oro dall' aricnto. Di poi piglierai il tuo Niello, il quale sarà in più grani (gli è bene il vero che quel dimenare con la mano in mentre che gli è caUlo nel zolfo, tutto si fa perchè egli si metta insieme il più ch'egli è possibile) e come e" sia lo piglierai, mettendolo di nuovo in un corog- ffioletlo e lo farai fondere con destro fuoco mettendovi su un jrranellctto di bo- race, c così lo rifonderai due o tre volte, e ogni volta romperai il tuo Niello, guardandogli la sua grana infino a tanto che tu lo vedrai benissimo serrato, e allora il detto Niello avrà le sue ragioni, e starà bene .

Ora conviene che io t' insegni il modo di adoperarlo, il qual modo si doman- da niellare, siccome si è ragionato in prima dello intagliare o in argento o in oro, perchè in altro metallo non si niella . Piglierassi quel lavoro che si sarà in- tagliato, e perchè volendo che il niellato venga senza bucolini, e unito e bello, bisogna larlo bollire nell' acqua con molta cenere, che sia nettissima , e sia ce- nere di quercia (la qual voce si chiama per arte fare una cenerata): di poi che la tua opera sarà stata in nel calderone a l>ollire per lo spazio d'un quarto d ora, e' si piglia la «letta opera intagliata, e si mette in un vaso o catinella con acqua freschissima e nettissima, e con un pajo di setoline nette strofina benissimo la tua opera acciò che quella sia netta da ogni sorta di bruttura, di poi vedrai di accomodarla in su una cosa di ferro lunga, tanto che tu la possi maneggiare al fuoco, la quale lunghezza dee essere tre palmi incirca, o quel più o manco che ti si mostrerà il bisogno, secondo la qualità della tua opera, ma avvertirai che il ferro dove tu la leghi non sia ne troppo grosso, sottile: vuol essere di sorte che quando ti metterai per niellare la tua opera al fuoco, bisogna che il caldo sia eguale, perchè se gli scaldassi prima o 1' opera o il ferro tu non faresti cosa buona, imperò avvertirai a tal cosa bene. Di poi piglierai il detto Niello, e por- tato in suir ancudine, o in su il porfido, tenendolo in una gorbia o cannone di rame, perchè quando tu pesti quello non schizzi via. Avvertirai che il detto sia pesto, e non macinato, e vorria essere pesto molto eguale . E farai eh' ei sia grosso come granella di miglio, o di panico, e non manco niente . Di poi metti il detto Niello pesto in certi vasetti, o ciottoline invetriate, e con aequa fresca e netta lo laverai molto bene acciò e' sia pulito, e netto da polvere, e da ogni al- tro imbratto, che Ini avesse acquistato nel pestarlo . Fatto questo piglia una pa- Uttina di ottone o di rame, e distendilo .sopra quella opera, che tu avrai inta-

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gliata, e farai eli' e' vi sia sopra delta opera alto quanto e nna costa di un col- tellctto da tavola. Di poi vi gratterai sopra un poco di borace ben pesta: avver- lisci che la non fosse troppa: di poi metterai certe legiietle sopra ad alcuni po- chi carboncini.^ le quali siano fatte accendere dal vento del tuo mantice alla fab- brica ; e latto questo accosta piano piano la tua opera al detto fuoco di legne , e comincia a dargli il caldo destramente , tanto che tu vedrai a cominciare a struirsere il Niello . Avvertiscl che come il Niello si cominci era a struffeere , abbi avvertenza a non gli dare tanto caldo che la tua opera s'infuocasse tanto che la si facesse rossa, perchè facendosi troppo calda la viene a perdere la sua forza naturale, e diviene molle in modo che il Niello ( che ha la maggior parte di piombo).^ quel piombo comincia a divorare la tua opera, la quale sarà fatta di argento, o s'i veramente d'oro, e per questa via tu perderesti le tue fatiche : imperò abbi ben cura a questo, perchè questo importa quasi quanto lo averla bene intagliata .

Ora torniamo un poco indietro , e poi seguiteremo inslno al fine . Io ti dico che quando avrai la tua opera sopra le fiamme, e che tu vedrai cominciare a disfarsi il detto Niello, farai d'avere un filo di ferro un poco grossetto , e farai che il detto sia sticciato dalla testa dinanzi, la qual testa tu terrai nel fuoco , e quando il detto Niello comincierà a volersi struggere piglia subito il tuo (ilo di ferro caldo, e strofinalo sopra il detto Niello, perchè essendo f uno e l'altro caldo tu te ne farai come se e' fosse una strutta, e in quel modo avvertirai a di- stenderlo bene acciò ch'egli eutri a riempire benissimo il tuo intaglio. Di poi che la tua opera sarà fredda, comincierai con una lima gentile a limare il Niel- lo, e come avrai limato una certa quantità , la quale non sia tanta però che tu scuopra il tuo intaglio, ma farai d' esservi presso allo scuoprirsi , piglia la tua opera, e mettila in su le cinigie, o si veramente in su un poco di brace accesa, e come la detta opera sarà calda , allora pigberai un brunitojo di ferro, cioè d'acciajo temperato, e con un poco d' olio brunirai il tuo Niello, aggravando tanto la mano quanto comporta la opera, usando quella discrezione, che ti si appresenta secondo la occasione . Questo brunire si fa solamente per riturare certe spugniuzze che alcune volte vengono nel niellare, e il brunire nel modo detto le rlserra benissimo a chi avrà la pazienza con un poco di pratica . Di poi piglia il tuo rasojo, e finisci di scuoprire il tuo intaglio : di poi piglia tripolo e carbone pesto, e con una canna fatta piana dal midollo con dell' acqua tanto stro- finerai la tua opera che tu la farai unita e bella .

Discretissimo lettore, non ti meravigliare se io mi sono allungato troppo con Io scrivere : sappi che io non ho detto alla metà di quel che importa a quest' ar- te, che veramente vuole tutto un uomo, il quale non intraprenda di voler fare

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altra arte che questa detta . Io in nella mia giovinezza di quindici insino a di- ciotto anni lavorai molto di questa arte del Niello, e la feci sempre con i miei disegni, ed erano molto lodate le mie opere .

APPEIVDIGEG.

CODICE DI TEOFILO MONACO

LIB. III. CAP. XXVII.

Del Niello .

Prendi argento puro, e dividilo in due parti di peso eguale, aggiugni una ter- za parte di rame puro, le quali tre parti unirai in un crogiuolo. Peserai indi tan- ta quantità di piombo che equivalga alla metà del rame che hai unito all'argen- to : e presa una porzione di zolfo croceo lo ridurrai in parti minute , avendo in altro vasetto di rame il piombo e una metà di questo zolfo; il cui residuo porrai in altro vasc . Quando sarà liquefatto il rame e 1' argento li mescolerai con un cannello di carbone, e subito vi rifonderai il piombo e il zolfo che erano nel vasetto di rame, e seguirai a mescolare fortemente, e prontamente verserai tut- ta la mistura nell' altro vase ove ponesti il residuo zolfo, e appena deposto il pri- mo crogiuolo, prendi il secondo ove trovasi tutta la fusione , e ponilo al fuoco acciò sia bene liquefatto, e di nuovo mescola il tutto : poi cola la composizione nel ferro infusorio percuotendolo alquanto prima che si raffreddi, indi riscahlalo, e ripercuotilo di nuovo, e cosi proseguirai finché tutta la sostanza si franga, poi- ché la natura del Niello è tale che se si percuote freddo, subito si decompone , si rompe, si contrae, ne debbesi tanto riscaldare finche si arroventi, poiché su- bito si fonde, e cola in cenere . Triturato poi il Niello lo porrai in un vasetto profondo e grosso, e sovrapponendovi acqua lo romperai con un pistello finche sia ridotto' minuto, e porrai il più fino in una penna d' oca otturandola, conti- nuando a frangere il più grosso, finché sia atto ad esser posto esso pure in altra penna .

CAP. xxvin.

Dell' applicare il Niello ,

Riempiute cos'i diverse penne di Niello, prendi un granello di borace , e ma- cinalo con acqua finché divenga torbida, e bagna con questa la laniinella che

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bramì niellare scuotendovi poi sopra la penna col Niello, di modo che tutta ri- manga diligentemente coperta: indi accendi molti carboni, e su questi posto il lavoro cuopri con avvertenza di modo che sopra del Niello non possa cadere al- cun carbone, e quando è fuso farai colare per ogni dove la materia inclinando il piano, stando avvertito che il Niello non cada interra, e se col primo calore non fosse in ogni parte riempito, bagnalo di nuovo colla detta acqua , rimettilo al fuoco, e fa che non siavi ulterior bisogno di ripetere questa operazione .

GAP. XXXI.

Delt applicare il Niello.

Quando applicherai il Niello fondendolo sulla piastra d'argento arroventerai nn ferro quadrangolare, lungo e sottile prendendolo con la tenaglia, tenendo ben fermo con un' altra il Niello, e col ferro rovente stropicciavi sopra in tut- ti 1 luoghi che vuoi bene annerire, acciò tutti li solchi siano ben pieni : e tolto dcd fuoco con una lima eguale appiana dolcemente 11 Niello finche si traveda r argento in modo che appena possano 1 solchi cominciare a scorgersi, e col fer- ro raschiatore togli, ed eguaglia le asperità della lima, e ciò che rimane indore- rà, la quale indoratura farai come segue .

GAP. XL.

Della pulitura del Niello .

Dopo che avrai però raschiate col ferro diligentemente tutte le parti che so- no niellate, avrai della pietra nera e tenera cosi che lievamente possa incider- si, e raschiarsi coli' ugna colla quale stropiccierai il Niello bagnato di saliva, spianandolo diligentemente, ed egualmente finche tutti 1 lineamenti veggansl interamente, e sia eguagliato da ogni parte. Avrai ancora una stecca di tiglio gros- sa, e lunga come il pollice, secca, e tagliata in piano, sulla quale porrai quella polvere umida procedente dallo stropicciamento della pietra colla saliva, e con questa assiduamente strofinerai il Niello con dolcezza, aggiugnendo sempre sa- liva per tenerlo inumidito, finche sia lucido per tutto ; indi piglia un po' della cera che formasi nell' orecchio, e dopo aver ben deterso il Niello con un pan- nolino, ungilo con questa cera, e con pelle di cervo stropiccialo finche diven- ga per tutto splendente .

]3i

APPENDICE D.

Int orno a molte principali opere di Niello non cit ale dal Duchesne .

Immenso h il numero de' Nielli preziosi dei quali è conosciuta 1' esistenza in più luoghi, dopo aver anche indicati li principali esistenti in Venezia e in Iseo- zia, li quali slavano una volta (come ognuno sa ) nel tesoro delle cappelle pon- tificie . E belHssimo è il Niello nel diametro di tre pollici al centro d'una patena, che si vede fra i sacri arredi della confraternita di s. Rocco in Venezia, ov e figurata la capanna colla nascita del Redentore, la Vergine, s. Giuseppe, gli animali del presepio, e diversi pastori, con una gloria d' angioletti ; e similmen- te messo di Nielli è il calice cui serve la patena indicata^ ornato il piede da otto piccole figurine elegantissime, e sono li quattro evangelisti, li ss. Pietro e 1 ao- lo, s. Prosdocimo e s. Giuseppe .

Nella sacristia della cattedrale di Padova trovansi inscrizioni e lammette di Niello inserite nel piede de' reliquiari, calici e croci . Ma segnatamente distia- guonsi due Nielli, che formano li coperchi d'una navicella da incenso, che vetk- slnel santuario di s. Antonio, segnata num. 2^^ ove nell'uno sono raffigurati due martiri, o nell' altro un Redentore in mezzo a due angeli di bello e gentil lavoro .

In Verona a sant' Anastasia sul piede d' un ricco calice dorato trovansi tre elegantissimi Nielli, ma della pih remota antichità, un s. Michele, un s. Giorgio, e un simbolo eucaristico .

In Brescia sono troppo conosciuti li quattro stemmi niellati posti nel celebra- tlssimo dittico qulriuiauo, stemmi appartenenti alla famiglia Balbo da cui ven- ne il dittico acquistato dal cardinale Quirini. E nel duomo della stessa città tre se ne veggono nel reliquiario della santa spina, ed altrettanti di bellissimo la- voro in una pisside, che figurano una 3Iadonna , un Redentore e un simbolo eucaristico . Egualmente che in s. Faustino ma^^iore si ammirano tre Nielli in- fissi ad una croce, che rappresentano tre santi, tutti però in piccole dimensioni. E non solo nella città capo luogo di questa industriosa provincia, ma si trovano alcune di simili curiosità anche in diverse chiese del contado .

Nel Friuli si custodiscono preziosità distinte in questa materia , e segnata- mente nella cattedrale di Udine trovasi un giojello, che appartenne a saula Eli- sabetta regina d' Ungheria, donato da Carlo IV imperatore alla chiesa quando visitò il di lui fratello patriarca nel 1 368, ove in un' iscrizione sono alternati ca- ratteri e rossi, e neri con Niello così variotinto su d'una laminetta d' argento, li che vedremo rinnovarsi, e ne terremo parola al fine di questa Aj)pendice .

A Gividale del Friuli trovasi il busto d' argento, che contiene il capo di san

l32 ,

Donato, ordinato dal capitolo li 5 maggio i3^{. ed eseguilo da maestro Dona- dino qu. Brimorio, orefice di Cividale, lavoro tutto arricchito di copiosi Nielli , e smalti con ligure di santi . E veggonsi ivi anche altre suppellettili sacre , con piedi e superficie niellate, giojellate, smaltate, poiché in quella collegiata di san- ta Maria si conserva una serie di vetustissimi e preziosi monumenti non tanto del medio evo, che dei bassi tempi romani, e longobardi, e bizantini, cose tutte non solamente illustrate dai due celebratissimi prelati della Torre, come dal

Gori, dal Bianchini, dal Bonarroti, dal Rubeis, dal Coletti, e da quant' altri esaminarono le antichità sacre e profane . Monumenti tutti che nuovo, e interes- santissimo esame meritar potrebbero adesso anche dal lato delle meccaniche loro artiliciose . Molti di questi lavori attestano li primi passi nell' arte, essendo intagli puri, altri sono riempiti di smalti colorati trasparenti ed opachi , altri messi a Niello, e tutti osservabili per la loro alta antichità. Altrettanto può dir- si di parecchie antichità di quei contorni, come della celebre croce di Venzone, che meriterebbe per se sola una eruditissima illustrazione .

Ne solamente la Pace che abbiamo citata in Modena merita ricordarsi , ma molte altre attentamente indagando se ne trovano, ed una non meno insigne of- frir potrei ali ispezione degli amatori di queste antichità, che fra diversi miei Nielli io conservo composta di quattro parti . La prima e principale consiste in un soggetto ove figura la nascita del Redentore con animali, pastori ec. nell'al- tezza di tre pollici, e larghezza di due e quattro linee : nella lunetta supcriore sta un Redentore sostenuto da due Angeli, e lateralmente sono due pilastrini con gentili arabeschi .

Ma in questo luogo accade, fra molte cose che di tal genere preziose ^i con- servavano pochi anni sono, il citare le notizie raccolte dal solertissimo primice- rio capitolare della cattedrale di Cremona nionsig. Antonio Dragoni, uomo pie- no di vera dottrina e patrio amore, col quale hannosi a compiangere le immense bellezze in ogni modo di oreficeria barbaramente gettate nel crogiuolo quando accaddero le fatali ultime invasioni di queste contrade. La notizia di queste ope- re, sebben perdute in gran parte, oltre lo spargere molta luce sulla ricchezza di cui rigurgitava 1" Italia, serve anche a far conoscere li nomi di parecchi orefici, e 11 meccanismo di alcune pratiche, e le denominazioni loro, quando propriamen- te, e quando con tro|ipo inesattezza citate dai cronisti .

Trovansi da prima citate due Paci . Tabula una de argento superdorato , quae appeìlatur oscnlatoriwn in cujus orlo sunl X gemme pretiose^ et in me- dio nomen D."' J. Xpli niellatum .

Item aliud osculatorium in quo est Passio D. IV. J. Xti sculpta figuris ro-

tondis in argento: in basi sunt incise littere T. F. et in chemasia sacrum Xci

nomen eodem opere niellato .

i33 Item unum demonslratorium ile argento superdorato cum statuls et figuris ornalum lapidibus pretiosis cum cristalìo^ et in basi signum crucis ., et nomea D. J. Xpti opere Niellato cum littcris T. F.

Di curioso interesse divenne il far ricerca della spiegazione di queste iniziali che indicavano un niellatore orefice designato col proprio nome, e con iniziali conformi a quelle del primo maestro Toscano. Difalti trovossi che il card. Pie- tro Camporr donò al capitolo di Cremona Aliud dcmonstratorium ex aranui deaurato informam templi baptismatis nostri cum octo turribus in angulis prò dcmonstrando maxilla b. Barnabe opus vetustissimum qui ab beato Facio Au- rifice ( e qui abbiamo un santo orefice con opere di sua mano riconosciute) la- boratum creditur prò demonstranda maxilla b. Barnabe ap. ecclesie nostre fondatoris^ cum medulla in medio pomi posterius elaborata per magistrum Tlìomam Fodrium artificem expertissimum qui multa^ et pulcra opera fecit ope- re pulcherimo niellato ut hec medulla que demonstrat effigiem s. Barnabe ap. cum bacalo et libro in manibus habente ( sic ) et inscriptio s. Bar.' ap. eccle- sie Cremonensis i." episcopus . Hoc in una parte cum litteris T. F. In alia au- tem parte medulle que est sculpta cesello., et monstrat imaginem epis.' sine no- mine sunt scripta verba hec in eadem medulla argentea opus Tho-

me Fodri anno i465. Ej'usdem artificis sunt ornamenta ex argento . Si cono- sce da ciò come questo prezioso monumento aveva appartenuto forse fino a quel momento alla persona del vescovo od altra ragguardevole, e divenne nel iGzj per dono del cardinale Campora proprietà capitolare . Tommaso Fodri intanto lavorava contemporaneo a Tommaso Finiguerra , e qualora la solerzia di qual- che cultore de' nostri studi mirasse a dare una storia dell' oreficeria, potrebbe da queste cronache preziose trarre le plìi belle noti;!le, e far conoscere come non ad un solo centro, ma in tutta l' Italia contemporaneamente era splendore di arti, e d'ingegnosi e finissimi lavori .

Insigni in questo capitolo cremonese erano le croci così descritte: Crux ar- gentea siipcrdorata cum quatuor brachiis., arma seu insignia canonice Cremo- nensis cum duodecim gemmis^ et cristallis durissimis^ et in una parte nomeii S. M: et in altera exaltatio ejusdem D." M.' N: opere sibilato.

Item alia crux de quatuor brachiis quae appellatur patriarcalis^ et quepor- tatur ante canonicos ex argento superdorata laborata per medium opere co- lorato nigro., et turchino. Ed ecco quei lavori che in precedenza dei Nielli, e contemporaneamente erano com|)osti di smalti cerulei probabilmente alternan- do, ed mtcrsecando i lavori d' un modo con quelli d'un altro, siccome si è nota- to nel corso di questa memoria . E 1' exaltatio ( che vuol dire 1 assunzione della Vergme ) ci fa conoscere un Niello prezioso di molte figure, e quanto più prezio- so tanto è più da compiangersene la perdita .

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In un elenco di libri ad uso della psalmodia compilato fino dal i265 dal cano- nico Oddo de Sommi, trovasi fatta menzione di un lavoro con questa precisio- ne . ^liud magnum ariti phonarium dmnum pariter notatum inclusum

duobus Integumentis de argento et auro cum figuris insculptls domini Serva- toris in prima^ et D.' N.' Marie in altera^ et cum eoram nominibus coloratisi et ornamentis opere lineato laboratis . Opus Faciiveronensis . A.nclie qui chia- ro appariscono due cose, l' una i lavori a bulino ricoperti di smalto, siccome ab- biamo più volte indicati, e 1' età all' incirca di questo santo orefice veronese, del quale fra i molti lavori che possedeva il capitolo non si conserva più che una croce, la quale anticamente portavasi per antesignano nelle processioni solenni, lavorata dal detto santo nell'anno 1262 pesante iBg onde. Escono verso il pie- de di questa due braccia a foggia di cornucopia, sull' uno de' quali è la statua della Vergine, sull'altro quella di s. Giovanni posti laterali alla croce come sul Calvario . Il Cristo è pur esso assai bene lavorato . Alle quattro estremità della croce sono quattro busti di alto rilievo de' ss. Pietro e Paolo, s. Imerio vescovo e protettore principale di Cremona, e s. Eusebio cremonese abate, discepolo e suc- cessore di s. Girolamo nel suo monastero di Betelemme . Nella parte posteriore nel luogo di Cristo evvila statua intera della Vergine atteggiata come l'assunta, ed altri quattro busti s. Omobono protettore principale, s. Marcellino e Pietro protettori e s. Girolamo dottore . E leggesi nel necrologico cremonese in data 18 gennaro laii in giorno di lunedi un' interessante memoria relativa a questo fraler Facius auri et argenti optimus fabbricator natione veronensis^ che viag- giò in sua vita per 18 volte peregrinando a s. Giacomo di Galizia. Ma fra' sin- golari lavori d' oreficeria di questa cattedrale bellissima è la croce che tuttor si conserva lavorata dal 1^70 al 1478 da Ambrogio Pozzi e da Agostino Sacchi orefici milanesi, come da lutti li registri si vede. Ricca di fogliami, tempietti, statue neir altezza di un piede ciascuna, essa presenta nel suo totale un altezza di oltre cinque braccia , Sta scritto sulla stessa croce Ambrosius de Puteo^ et Au^ustinus de Sacchis ambo mediolanenses i^tS hanc crucem fecerunt .

Nel tiiq. Dominus Galeatius de Ponzano presentavit ad altare S.M. Ma- joris calicem de argento deaurato ponderis ondar, xxr. opus Innocentii Bron- zetti aurificis cremonensis. In pomo ejusdem calicis sunt quatuor figure seu busta ss." Homoboni^ Himerii^ Marcellinì^ et Petri; et in pede est dormitio B. M. T).' N.' opere novissimo videlicet inniellato .

14.80. D.'"" Albertus de Ala canonicus donavit segretario nostro prò missis canonicorum tria parva luminaria palmata ex argento elaborata per manum Innocentii Bronzetti supradicti., et in extremitate palme est scutum capitali eo- dem opere inniellato cum coloribus rubro super albo seu crux alba duplex super rubro .

i5oo. D.""' Andreasius de Cavaìcabobus can."" donavit unum calicem de argento deaurato cum certis figuris in pede coloratis opus Petri de Campo (padre del famoso pittore Bernardino Campo ) aurificis exìmit.

1 54-5. Altobellus de Cambis donavit unum pulchrum demonstratorium scu tabernaculum in quo est caput b. Himerii de argento super dorato cum smal- this quatuor in pede. Et hoc opus fece runt face re de sua pecunia etc.

i55o. Magnifcus D.""' Jo. Petrus Mattarus donavit unum pulchrum par- vum Crucifixum de argento deaurato altare s. Marine.^ opus Hieronimi de Prato etc. elahoratum est cum smaltho., et Niello .

i564. f^enerabilis vir Nicolaus Sfrondatus epis. (che fu poi papa Grego- rio XIV ) donavit capitalo nostro unam pulchram crucem patriarcalem de ar- gento superdorato . Opus perfectissimum Francisci de Prato aurificis eccimis sculptoris^ et pictoris .

ì Sgg. Cesar Specianus episc. cremon. donavit sacristie nostre unum pul- chrum calicem prò missis canonicalibus pontificatisi, cum figuris insculptis in pede seu basi., et angeli cum libro cum septem sigilUs portantes calicem , que sigilla sunt niellata cum littcris hebraicis .

i6»5. Petrus Campora card. S. R. E. et epis. noster nobis dono dedit unum pulchrum tabernaculum seu ostensorium ex argento deaurato cum figuris ro- tundis unciarum L elahoratum per Franciscum Manarium aurificem capituli nostri . Figure representant etc. Questo Manai'a buon cesellatore, e bravo in far di Niello fioriva verso li iGi^.

Ma il giojello più prezioso che esisteva in questo sacrario era il messale do- nato al capitolo da Gregorio XIV, fatto lavorare a Roma al momento che as- sunse il pontificato, e spedito a Cremona verso la metà del i5gi. Questo era ricchissimamente ornato d'oro e d'argento, e nelle due esterne faccle erano due Nielli preziosissimi, i quali potrebbero essere stati anche opere d'un' epoca ante- riore, e forse contemporanea ai Nielli degli evangeliarii di Paolo II, di cui abbia- mo parlato, qui collocati ad ornamento di più ricco e più moderno lavoro . L'uno rappresentava l'assunzione della Vergine al cielo, e gli apostoli che mi- ravano il sepolcro vuoto. L'altro esprimeva la lapidazione di s. Stefano, perchè il vescovato di Cremona ha il doppio titolo di S. M. Assunta e di s. Stefano . Anche r arme del papa da una parte, e quella del capitolo dall' altra erano mc- raviffliosamente lavorate .

Nel qual sacrario la copia dei lavori niellati non era minore di quelli lavorati ih smalto, de' quali pure si custodiva esatto registro, e senza confondere le pre- rogative degli uni con quelle degli altri . Se non che la voce niellare vedevasi adoperata indistintamente anche per li riempimenti dei solchi con una sostanza rossa non però di smalto, come provano alcune antiche iscrizioni, tanto in que-

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sii Nielli di Cremona, clie in quelli del Friuli, e di parecchie altre sacrestie ; dal che si deduce bensì che non si confondeva la denominazione dello smallare col niellare, ma egualmente però si scorge che il niellare.^ escludendo lo smalto, non voleva significare soltanto il negro come avrebbe dovuto per la derivazione del- la voce nigellus^ ma si adoperava anche per altre sostanze colorate, al modo che dicesi per una specie di convenzione, e impropriamente d'un casaWo ferrato tT argento .

In Cremona però non dobbiamo preterire di ricordare li Nielli che tiene in serbo gelosamente il colto e gentil cav. march. Giuseppe Ala Ponzone ; e pri- mieramente li due medaglioni legati in uno, che presenta per conseguenza due faccle di sedici linee di diametro . Questo gentil lavoro oCfre da un lato l' adora- zione dei Re, e dall'altro lo sposalizio di santa Caterina, con a piedi le effigie forse de' donatori, e in alto in un cartello Ai'e Regina Coeli . Lavori elegantis- simi, copiosi di figure, e rimarcabili pel gusto del disegno . In secondo luogo un piccolo Ecce Homo in un diametro di otto linee ; e finalmente un medaglione o per dir meglio un rosone ornamentale per essere attaccato a qualche parte di abbigliamento, o di mobiliare, come lo provano i fori praticati in tutto il giro , il quale presenta nella sua svariata superficie trqjlo lavoro, cioè di finissimo mo- saico, di smalto e di niello, avente nel centro una cifra o geroglifico orientale . Monumento dei più singolari nei quali io mi sia avvenuto .

Che se allrettante cure si desse un solerte indagatore per raccogliere da tut- te le città d'Italia i materiali d'un' opera riguardanti li Nielli, o le antiche orefi- cerie, troverebbe forse un campo ubertosissimo per ricerche e nozioni della più grande importanza, e avrebbe modo di convmcersi quanto siamo lontani dall' a- vere finora esaurite queste curiose e interessanti investigazioni.

SOPRA IL PASSO DELL' ENEIDA

Orabunt causas melius

OSSERVAZIONI

DELL' AB. ANTONIO DOTT. MENEGHELLI PROF. DI DIRITTO MERCANTILE NELL' I. R. UNIVERSITÀ DI PADOVA

MEMBRO ONORARIO.

Jl' gli ^ pur tempo , o signori , eh' io vi palesi col fatto starmi profondamente scolpita noli' animo questa vostra società ragguardevole, e che il mio troppo lungo silenzio muove soltanto da quelle cagioni, che sovente al più fermo vole- re si oppongono . Nel darvi però questo pegno qualsiasi della mia estimazione non vi aspettate eh' io cominci dalle consuete proteste , o della tenuità del mio ingegno , o della scelta dell'argomento, non di molto attemprato alla gravità e all'importanza di quelli, di cui solete far tema. Quand' anche fossero ingenue , voi per lo meno le avreste in conto d' inutili , che alla qualità del subbietto , e al modo con cui viene trattato, non all'intinta o intempestiva modestia del- l' autore, mira chi legge, o chi ascolta. Ben dirò, senza mancare al vero e al pudore , che la brevità cui mi studiai di provvedere , conta un qualche diritto alla vostra indulgenza: che ne dovete, a mia fé, saper grado a un dicitor dis- adatto o v'abbia l'inatteso talento di farvi ber poche stille di quella noja, che pur troppo suol regalare in buon dato .

Voi avrete presente quel passo, in cui Virgilio nel sesto dell' Eneida, dopo di aver affibbiate al padre Ancliise le parti di vaticinatorc della futura grandezza Roma , e di aver noverati sino a Fabio gli eroi , che tanto doveano operare col senno e con la mano a prò della lor patria, getta un rapido sguardo sopra le altre nazioni, e accordando ad esse il talento d'imprimere vita ai marmi ed ai bron- zi , di trionfare degli animi meno arrendevoli col prestigio della eloquenza , mi.<!urare i campi azzurri del cielo, e additar le vie dalle rotanti sfere segnate,

dice che ai soli Romani stava serbata la gloria di siffnoregeiare tutte le genti, lo

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(li dettar imperiosi la pace, magnanimi perdonando al vinti, inesorabili stermi- nando i superbi.

« Excudent ali! spirantia mollius aera ;

" Credo eqnidem; vivos ducent de marmore vultus;

» Orabunt causas melius, coelique meatus

" Descrlbent radio, et surgentia sidera dicent .

" Tu regere imperlo populos. Romane, memento;

" Hae tibi erunt artes: pacisque imponere morem,

" Parcere subjectis , et debellare superbos .

A questo quadro degno di un tanto pittore , arride in gran parte quel vero, che non fallisce ai poeti avvedutamente presaghi del passato non dell'avvenire ; ne v' ha dubbio che i Romani, solo intesi a maneggiare 1' aratro al di dentro, la spada al di fuori, per lunga pezza furon stranieri alle arti tutte del bello e alle scienze, come gli è certo, che anche dopo invasa la Sicilia, distrutta Cartagine, soo-o-iosata la Grecia, a tale non giunsero da contare nelle arti imitatrici un Fi- dia, un Apelle, nelle descrittive, che alla metrica eloquenza appartengono, un Pin- daro, un Omero, e nelle scienze esatte e razionali un di que'taati che onorarono il suolo dell x\ttica e il retrno del Tolommei. Ne altrimenti andava la cosa in que' giorni , in cui 11 nostro poeta cantava le dogliose vicende di Enea . Vi avea molta dovizia di tele e di marmi presi d^i popoli soggiogati, ma non e' era un pennello, uno scarpello emulatore di que' prodiga . Cicerone è il primo che fa- cesse tenere alla filosofia della Grecia il linguaff^io del Lazio, e a buon diritto gloriandosi della difficoltà superata, ingenuo confessa di aver sostenute le parti di semplice spositore delle dottrine di quelle scuole . Cesare per la riforma del calendario ricorse all' opera di Sosigene, che non era certo romano ; e vi avea pur anco sulle pareti del tempio sacro a Quirino un quadrante solare, che un di segnava le ore in Catanea. È vero che la poesia avea spiegati, o cominciava a spiegare meno ignobili vanni: ma è vero d'altronde, che i più tra" poeti dei giorni d'Auo-usto, disperando di tentare un nuovo cammino, seguirono l'orme de' Gre- ci, reputandosi di assai avventurati qualor venia loro di parer nuovi, non già nel- le idee ma nella maniera di atteggiarle , di colorirle; di disputare la palma ai loro maestri, non col fecondo talento che crea, ma con la lima paziente che ag- gentilisce, e l'ultima politura agli altrui concepimenti. Virgilio, quel Virgi- lio stesso di cui parliamo, ne fa pienissima prova . I suoi versi e' incantano ; tut- to abbella ed infiora , tutto è verità e proporzione, ma la materia assai di fre- quente è presa d' altrove ; e certo non è lieve la distanza che corre fra il modi- ficare e il creare : questo sa del divino, quello non è al di sopra dell'uomo . Lo

che ci mostra come l'autor dell' Eneicla in tutti gì' indicati argomenti desse a ragione la preferenza alle altre nazioni, se pure dove i Romani più avean palesato d'ingegno e di attitudine, si mostravano allievi de" Greci.

Ma ciò che al vero non mi sembra di molto conforme gli è, che anche nel ma- gistero della parola agli altri popoli si accordi il primato : orabunt causas melius^ quando i rostri di Roma risuonaroiio della magniloquenza degli Ortensii, degli Anlonil, dei Crassi, e sopra tutti dei Tullli. Curiosità mi sospinse a indagar la cagione di questa preminenza, o falsa, o per lo meno non assentita da tutti, e prima di chiederne ragione a me stesso, interrogai que' non pochi commentato- ri, che tentaron di spargere la luce desiderata sopra molti passi di quel divino poema, e soventemente non ci dieder che tenebre . Trovai nella corrente il più scrupoloso silenzio, solilo partito di chiosare sino alla noja i tratti intesi da tutti, e di preterire quelli che più abbisognano di schiarimento ; ne mi parve che co- gliesser nel segno quei pochi, che qualche motto fecero in sul proposito. L'Hej- ne, lasciando le cose come stanno, dice che : G-raeci praestabant eloquentia^ et quidem forensi ^ lo che in fatto vale quanto il passo virgiliano : orabunt cau- sas melius . L' Emmeness in una ridevole cicalata per farci sapere, che pen- de pur anco la lite intorno alla maggioranza di Demostene e di Cicerone, quan- do Virgilio per decisa la controversia , e non vuole che gli oratori romani s' abbian la palma . IVihil detrahendum literatae Graeciac . Habuit tamen Ro- ma in eloquentia viros^ quos Graeciae opponere potuit ; verbis utar qnae de Aesopo dixit Phaedrus ( lib. a. fab. io). Occupavit Demosthenes ne primus foret Cicero^ qui tamen studuit ne solus esset Demosthenes eloquentiae prin- ceps . Il de la Cerda poi è di avviso che il Cantore del ÌMincio, sempre inteso a farla da cortigiano con Ottavio prode nelt' armi, abbia voluto negare ai Romani ogni pregio in tutto ciò che tiene alle arti pacifiche, per magnihcarli in quel va- lore che li rese signori del mondo noto (i). Ut verum est^ gratiam principum valere plurimum apud subditos ! Certe Maro scripsit suo lenocinans prin- cipi Augusto^ qui artibus militaribus praestitit^ quis illi ut daret unice , non dubitavit artes alias Romanis adicuere. Ma prode nell' armi non erasi inve- ro mostrato ii nipote di Cesare, e ben lo seppero i campi di Filippi , la bat- taglia navale contro il figlio di Pompeo, e quella di A.zio, dove o pugnò col brac- cio altrui, o torse pallido il guardo dalle schierate legioni. E quanto ai versi.: Tu regere imperio populos^ Romane^ memento etc. sol pe' Romani lusinghieri e' mi sembrano, giacche assai prima di Ottavio Roma era giunta all'apice della gran-

(i) I talenti militari del uuuTO paJrooe Ji Roma.

"io

tlezza, ne per I' opre di quel fortunato usurpatore, ma pei brancll de suoi citta- dini era per cos'i dire l'arbitra di tutta la terra (i) .

Qual è dunque la ragione, che indusse Virgilio a non accordare ai Romani neppur nell' arte del dire alcun titolo di maggioranza, se le poste a campo da' suoi commentatori non possono trovare una lieta accoglienza? Io mi ci'Cilo, che un'intima persuasione di un deciso primato de' Greci anche nella eloquenza l'abbia indotto a far tlire al padre Anchise in aria di vaticinio : orabunt causas meliìis . Piacciavi di risalir col pensiero all'epoca, in cui qucU' illustre poeta an- dava creando l'Eneida . Tutto ciò che sapeva di greco era prezioso agli occhi de'Romani . Molti obbliavano la lingua patria per consacrarsi a quella dei Pe- rieli, e niuno credea di poter salire in qualche celebrità, se dalle greche fonti non attingesse il sapere . Frutto di tanto fervore per le lettere greche fu la smania di grecizzare, smania a cui non seppe resistere lo stesso Tullio, che gio- vanetto compose parecchie declamazioni in greco (2), adulto scrisse i fasti del suo consolato (3 , e da cui potè a stento guardarsi il Venosino che verseggiar volea in greco (4). I meno casti non conobbcr misure, e ben presto vi ebbero quattro storici, quali un L. LucuUo (5), un Aulo Albino (6), un Q. Fabio (^) , un Lucio Cincio Alimento (8), che in quella lingua narrarono le gesta gloriose di Roma . E a tanto giunse la cosa, che sotto l' impero di Nerone occupò il posto della latina, divenendo l'idioma dell'urbanità, dell'ameno conversare, del- le grazie e della dissolutezza, come raccogliamo da Giovenale (g) . Ma ritor- nando ai giorni di Ottavio, sappiamo che i padri mandavano i loro figli in Ate- ne , perchè vi fossero instituiti , e che vi accorreano solleciti i più assennati , e i più leziosi fra i cittadini, quelli per apparar qualche cosa, questi per seguire la moda . Gli amici delle scienze accigliate avean tuttodì fra le mani le opere dell'Accademia.^ della Stoa, del Peripato, ne contenti che quelle dottrine, per

(i) Giova inoltre riflellere, non esser poi vero che Virgilio neghi in quel passo ai Romani ogni altitudine DRll'arti e nella eloquenza; e il De la Cerda doveva osservare, che V excuJent ahi spirantia mollius aera e Voiahunt causas melius , mirano a toglier loro ogni titolo di premi- nenza, non già ad escluderli onninamente dalle arti imitatrici e descrittive.

(2) De dar. Orat. XX.

(3) Pro Àrchia.

(4) Sat. lib. I. Sat. X.

(5) Cic. ad Alticum Fp. i3, lib. i.

(6) Auliis Gellius. Noci. Atticae lih. 11, e. 8.

(7) D) on. Alicarnas. Anliquit. roman. liL 1, e. 6.

(8) Ibidem. (9)Sat. X.

le cnre di Cicerone, avessero cominciato a tenere la linffna del Lazio, voleano raefiun"-ernc i sensi in quella con cui erano state dettate . I cultori delle lette- re amene, e niìi fra questi i consecrati alla ridente poesia, tenendo qua^i per dimostrato, che le muse greche avessero eflìgiato il bello per guisa, che vano fosse il tentare nuovi ardimenti , nuove foggie e nuovi colori , imploravano da quelle del Tebro di essere inspirati cos'i, che lor venisse di piegare a quelle gra- zie native, a quelle veneri ammaliatrici l' austera lingua dei figli di Romolo . E già nell'alto che Orazio, il dolce amico, cercava sulla cetra latina i modi di Pin- daro, il nostro Virgilio faceva conserva del più bel fiore di Teocrito, di Omero, di Esiodo, per abbellire e ingemmare i suoi carmi . Qual meraviglia pertanto , che incatenato dalla dominante opinione dell'alto sapere dei Greci, e più dal fatto proprio convinto in ciò che teneva all'arte da lui professata: nel bollore dell' estro gli sia caduto quell' orabunt causas melius ; e che dal ben noto valo- re di quella nazione in tanti rami svariati d'arti , di scienze e di lettere, argo- mentasse che a niuiio pur la cedesse nella eloquenza, quantunque ei non ci aves- se appressate le labbra, ne accinto si fosse a bilanciare i pregi degli oratori di Atene e di Roma? E con tanto più di fidanza potea darla vinta alla Grecia, quanto era pur vero, che quella fama stessa, la quale a' Greci spirava propizia per dipingerli solo eguali a se stessi nella filosofia, nelle arti imitatrici, e in quel- la sacra ad Apollo, teneva il più lusinghiero linguaggio intorno al pregio de' suoi oratori, singolarmente di un Demostene, che valeva per tulli .

Ma ben lungi che una debile conghiettura, e la fama, non sempre verace, sic- no state le sue consigliere, sia pure, lo che mi sembra e più probabile e di tan- to uomo più degno, che matura disamina l'abbia determinato a dare ai Greci anche in questo la palma . Che ne vorremo quinci concludere ? Che lo potea fare a buon dritto, e che preferendo il rivale di Eschine all' oratore di Arpino, non altro mostrò se non che la rapida e veemente eloquenza dell' uno gli andava a sangue più della ricca e maestosa dizione dell" altro . Gli è da oltre diciotto secoli, che i pareri dei dotti sono in tale argomento divisi, e chi esalta a ciclo Demostene, chi le prime a Cicerone , senza che siasi per anco decisa la li- te. Quintiliano ( i ), che pur mostra di stare per Tullio, teme le querele del mol- ti che a" suoi giorni davan la preminenza a Demostene . Rapin ne' suoi pa- ralleli è per Cicerone, e Io è ( risum teneatis amici]) perchè a lui, non a De- mostene, è toccata la bella sorte di leggere la rettorica di Aristotile, e quinci di conoscere 1 costumi e le passioni degli uomini , senza di che ne v' ha, ne vi può essere grandiloquenza . Feaelon (2) trova mille pregi nelle orazioni di Tul-

(i) Inst. lib. X.

(3) Dìalugbi sulla elixjucnza.

.42

lio, ma la schietta natura, il fuoco, la rapidità, la veemenza, che brillano in (juelle del greco oratore, quasi suo malgrado l'astringono ad anteporlo. Blair (i), David Hume (2), la Starpe (3) veggiono in quello del Lazio, la varietà, l'uber- ta, lo splendore, il moltiforme talento, che in parte fa gustar, contro i Verri, i Catilina, gh Antonii, la forza e la precision di Demostene, ed ha la tranquilla dignità di un Isocrate quando difende i Miloni, gli Archia; ma quando rivolo-o- no il pensiere all' indole della eloquenza, che meglio conviene alle popolari as- semblee, sentono di dover pregiar sopra ogni altro 1' autore delle Olintiache . Qual istupore pertanto , che Virgilio dottissimo nelle lettere greche e latine , anche dopo il più rigoroso confronto siasi deciso a favor di Demostene , e a lui solo mirando facesse dire al padre Anchise: orabunt causas melius^ quando pur v' ebbero tanti e tanti dotti, che nella successione de' secoli al pari di lui la sen- tirono ? Se mi chiedete com' io la pensi, vi dirò , che quando nel segreto della mia stanza m' intrattengo con Cicerone, dalla voluttà che mi destano le sue maestose orazioni, e molto pi ù nel vederlo egualmente grande nel deliberativo e nel giudiciario, quando si scaglia contro i nimici, i cospirator della patria, e quando difende 1' onore, il patrimonio, la vita dei cittadini, doppia attitudine che non sempre trovo in Demostene, mi sento inchinato a dargli la preferenza . Ma quando riavuto un po' dall' ebbrezza rifletto alla diversa situazione dei due ora- tori, parmi che la quistione, soprattutto nelle arringhe politiche, non possa es- sere così agevolmente decisa; che anzi avuto riguardo al loro carattere, e più all'indole de'tempi, alle circostanze, al governo, alla tempra degli uditori, sia forza concludere, che quanto l'uno è grande nel veemente, nel forte, tanto pure sia l'altro colle sue forme dignitose e sonanti. Che perciò assai male avrebbero provveduto al meditato trionfo, se permutate le armi e lo stile, di cui si giova- rono, Demostene avesse tenuto cogli Ateniesi impazienti e leggieri il linguaggio assennato e armonioso di Cicerone, e questi servito si fosse coi gravi Romani della rapida e concisa dizione dell'oratore ateniese. Ma io non fo che opina- re, e rispetto abbastanza i voti discordi di tanti uomini illustri, per non darmi a credere, che cosi facilmente decider si possa la cosa; e che perciò Virgilio, in- terrogato il proprio gusto, e più sostenuto dall'opinione dominante a qne' gior- ni, piegar potesse con qualche diritto a favore del focoso Demostene .

Ma che un'intima persuasione, non già vaghezza di togliere ai Romani quel serto onorevole, lo determinasse a cosi divisare, 1' argomento , o signori, dal sacrifizio eh' egli fece In quel passo alla più bella delle occasioni di lusingare

(1) Lezioni di reltorica. (1) Saggio sull' eluijuenza .. (3) Liceo ec.

i43

l'amor proprio di Angusto, o di rendere meno odioso il delitto di cui poteva essere accagionato. Quantunque meno iperbolico nelle guise , meno prodigo degli altri poeti neil" infiorar le catene del nuovo despota, nel magnificare quel- le virtù che non avea, pure non lasciò di offrirgli devoto qualche granello d' in- censo. L'altrui esemplo, e più la gratitudine pel riavuto podere, pel favore speziale con cui era guardato , ve lo astringeano : ed è perciò che veggiamo in- tesa la sua musa festosa, quando a celebrare la munificenza del nuovo signore, che lo ridona alle usurpate campagne dalla militare violenza (i), quando a di- pingere i giorni di Ottavio colle tinte del secolo avventuroso di Saturno (2), qnando a ingiungere allo scorpione di ritirar le sue branche perchè Augusto, un cangiato in nuovo astro, possa stare a suo agio fra le costellazioni del cie- lo (3) . Ora , se nel passo di cui parliamo, Virgilio avesse dato le prime alla ro- mana eloquenza , gli sarebbe caduto in acconcio , anzi non avrebbe potuto di- spensarsi dair encomiare quel Cicerone , pel cui labbro tant' alto fra i Romani era salita quell' arte ; e il nome di Cicerone gii apriva spontaneo il cammino a nuove lodi d' Augusto. É abbastanza noto come quell'oratore nel triumvirato di Ottavio, di M. Antonio e di Lepido , quasi in sull' istante siasi decìso a favore del primo , e come il secondo fulminato dalle filippiche abbia perduto pres- so il popolo e i padri coscritti quella opinione , che sola potesse dargli la maggioranza, tanto necessaria per giungere alla signoria sospirata di Roma sul- la rovina dei due rivali non meno ambiziosi . Ed è pur certo che quanto riesci funesto ad Antonio il franco perorare di Tullio , altrettanto tornò utile ai dise- gni di Ottavio che un uomo arbitro della comune opinione, gli si motrasse cosi propenso da credere ornai necessario alla salute della repubblica (4) , che un solenne decreto approvasse quanto il nipote di Cesare aveva operato, o fosse per operare . Non è di questo luogo il farsi a chiedere , perchè 1' amico svi- scerato delia libertà e della indipendenza di Roma, prendesse parte pe'suoi op- pressori, e favorisce piuttosto l'uno che l'altro. A me basta di stare alla cortec- cia dei fatti, e questi mi assicurano che Ottavio dovette l'aurora di sua Tandez- za al favore di Cicerone . Ottavio non obbiiò le cure ufficiose di tanto uomo, e l'eblje presenti nel più periglioso momento, quando preso da' triumviri l'atro- ce partito di proscrivere quanti poteano ostare alle loro mire, Antonio chiese In testa di lui, che col prestigio della parola e con V influenza della sua autorit, aveagli reso avverso U fiore di Roma (5) . Augusto si oppose con tutto il cai

a o-

(1) Buco). Eglog. I.

(2) Eslog. 4.

(3) GeorgicoQ lib. 1.

(4) Philip. 3.

(5) Plut. m Vit. Cicr.

14i

re all'inchiesta di Antonio, e già avrebbe spiegata la maggior fermezza, se le strette a cui eran ridotti gli affari, o di tutto sagrificare all' irrequieta ambizio- ne, o di lasciare il campo a più destri cospiratori, non l'avesse obbligato a un' ab- borrita condescendenza . E invero a caro prezzo pagò Antonio la vita di Ci- cerone, giacche non gli venne accordata se non a patto di cedere a Ottavio quella dello zio materno Lucio Cesare, come Antonio ed Ottavio comperaron da Lepido la morte di Emilio Paolo di lui fratello, concedendogli delle altre vitti- me a loro non meno care. Questa brama di serbare in vita il buon oratore, e l'assentire alla di lui morte, solo perchè non si dlscioglicsse quel triumvirato, da cui forse dipendeva la propria sicurezza, e senza dubbio la vagheggiata ti- rannide, poteano aprire 11 varco a Virgilio a dipingere il nipote di Cesare non istraniero alla riconoscenza, e giusto apprezzatore dei pregi oratorii di Cicero- ne, purché avesse ai Romani concessa una decisa preminenza sui Greci, o per lo meno la gloria di divider con essi la palma . Ma non fece motto dei rostri di Roma, ne tampoco del merito sommo di Tullio nell'arte della parola: e quasi che mai stati ci fossero i primi, mai avesse parlato 11 secondo, alle altre genti lar- go concede il talento di felicemente arringare, chiudendosi ogni via alla lode di quel Cesare che pur soleva lodare . Vuol dunque dire, che bilanciati 1 pregi di Demostene e di Cicerone, credette decisa la qulstione a favore del primo ; e In conseguenza, al Greci, non al Romani doversi il vanto di sovranamente eloquenti. Ne vale 1' opporre, che Virgilio non potesse dar mano agli encomii, perchè Cesare, ben lungi dal voler fermamente la salvezza di Tullio, lo sagrificò all' al- trui vendetta, non meno che alla propria ambizione, comportando che Antonio potesse dispor de' suoi giorni . Imperciocché le sole sembianze del buon volere poteano bastare a que' poeti, le cui lodi al nuovo signore eran d' altronde fon- date sul maggior dui delitti, vo' dir quello di aver fabbricata la propria gran- dezza sulle rovine della libertà latina, a prezzo di stragi, di sangue, di proscri- zioni . Nel caso nostro Ottavio avea almeno lottato con Antonio per guarentire la vita di Cicerone . Al delitto fortunato e potente, giammai mancaron gì" in- censi, ne Auo-usto negli annali delle nazioni è il solo a cui sleno stati profusi . Potea dunque con più di ragione odorarne alcun poco per aver lascialo tralu- cere, che sapea stimar Cicerone, e che non avea dimenticati 1 beneGzil di quel labbro eloquente . Ma sia che Virgilio dovesse stendere un velo sopra un avve- nimento o equivoco, o avverso alla gloria di Ottavio, avrebbe mal dato alle al- tre genti un titolo di maggioranza, se per intima persuasione avesse creduto di poter porre 1 Romani tra' primi, o almeno di valutarli a ninno secondi nell' arte dell'arrlncrare ? Ma intorno all' orabunt causas melius abbastanza fia detto : ove nn solo accento aggiungessi, mi sembrerebbe di mancare a quanto promisi sin dalle prime, cioè di farvi bere non molte, ma poche stille di noja .

i4ó SOPUA L\ ZOOPEDIA

APPRESSO GLI ANTICHI GRECI E ROMANI

SAGGIO

DELL' ABATE PIETRO BETTIO

PREFETTO DELLA MARCIANA

MEMBRO ONORARIO.

Oùxdìi . . Suoix \tyv/jitv, il vat^pÓTiìxiv ippovèt »> xàxiot SiavoìiTai ,

fili Stavoùi:iti- Idilli fpcviUii ÒXof , fjithi x>x''iiilcei 'iiyov , àahvìì i^"

icKt/^ov KtKTÌiff^iti , àairtp ò^aKfuòv cijjijSK.>-jirToviit xj TirctpxyiJLivcv .

Plulnrchus de Soleit. Animai, in T. X. p. i6 ejus Oper. Lipsiae

1778 in 8.»

Avvegnaché gli animali abljlano una tarda inlelligenza, e ragionino ron minore aggiustatezza dell'uomo, non conviene consiJfrarli lolalinen- te privi ili discernimento e di raziocinio, ma dotati di (queste l'acuità deboli e torpide quasi occhio guercio e cisposo.

1 /iianlnnque volte trattener ci vogliamo nella investigazione delle pratiche e costumanze rielle antiche nazioni , ricca e<l inesausta miniera ci somministra- no i classici scrittori greci e latini, atta non solo a soddisfare la nostra curiosità, ma eziandio ad eccitare in noi sorpresa e*l ammirazione. Egli è quindi che nu- merosa folla di dotti, dietro i lumi della critica, ridotta, per dir così, a mate- matica dimostrazione, non credette disdicevole ai proprii talenti il dedicarsi al- l'illustrazione di qualche antica costumanza, somministrando a merito delle pro- prie investigazioni materia abbondante alle voluminose raccolte di greca e ro- mana erudizione, le quali si potrebbero a dismisura aumentare dopo quelle dei Gre vii, dei Gronovii, dei Sallencre e dei Poleni . Gli studii infatti degli eru- diti nuovi eccitamenti trovarono per le munifiche largizioni dei sovrani tut- ti d Europa , dirette ad innalzare a gara ricchi musei , ed a proteggere a proprie spese utilissimi scavamenti, pei qaali vennero a novella vita richiamati »9

ii6

que' preziosi monumenti in marmo ed in bronzo, che sarebbero stati distrptti dalla ignoranza e dalla barbarie, se quasi provvida madre la terra non li avesse nel suo seno occultati per secoli e eccoli, serbandoli a tempi , ne' quali illumi- nate e colte dinnastie formar dovevano la felicità delle popolazioni . I ^^inkel- mann ed i Visconti, con tanl'altri moderni archeologi , nuovi sussidii sommini- strarono ai coltivatori della rimota antichità, dettando canoni sicuri, non solo per separare i monumenti antichi dai moderni, le copie dagli originali, le ripe- tizioni dagli archetipi ; ma eziandio per riconoscere le immagini da prima igno- te o male appropriate, per descrivere le statue, i gruppi, 1 bassirilievi , per in- terpretare le antiche epigrafi, e per distinguere V un dall'altro i lavori etruschi, greci e romani .

Fra le curiosità antiche non mi sembra certamente che la conoscenza della educazione data dagli antichi agli animali, la quale Zoopedia appellar si potreb- be, rimaner debba del tutto trascurata. E perchè l'abilità de' moderni nell' ad- destrare gli animali veramente sorprende, e niente, per quanto io sappia, fu scritto in generale sull'attività e bravura degli antichi nell' educare questa qua- lità di esseri animati ; risolsi d illustrare questo punto di curiosa erudizione, af- fine di esibire un saggio di quanto i Greci ed i Romani giunsero colle loro istru- zioni ad ottenere, tanto se all' utile, quanto se al solo diletto aver si voglia ri- Suardo, contento se potrà questo mio abbozzo eccitare altrui ad intraprendere opera e più estesa, e più eruditamente trattata, siccome il meriterebbe la vasti- tà dell'argomento. Lontano però dall' intrattenermi sulla sagacia de' bruti, come quella che dieile soggetto di un' opera a Plutarco, niente del pari dirò dell' uso fatto di queste irragionevoli creature o nella cavallerizza, o nella caccia, o nel- l'ao-ricoltura, inutile giudicando il ripetere quanto tante volle dagli antichi e dal moderni fu abbondantemente trattato .

Perchè poi del continuo restiamo sopraflatti da scaltri ciurmatori, i quali da lontani paesi venuti annualmente ci chiamano con apparati magnifici e con lar- ghi Inviti a godere spettacoli sorprendenti di cavalli indovini, di cani maravi- gllosi, di fiere ammansate, di uccelli ciarlieri, ed il più delle volte a carico de' nostri borselli partiamo da loro pieni di promesse e nulla più: invece di ricerca- re con Melisso e Samio, secondo Palefato (i), se sia possibile veritìcarsi attual- mente quanto fu altra volta effettuato, esaminai piuttosto, se quello che a' nostri si vede, siasi ne' più rimoti tempi eseguito : alieno affatto dal far rivivere la già vecchia qulstlone sul merito d'invenzione degli antichi a preferenza dei

(i) P.ilaephatus de lacredibil. in Piologo: A o s^ays ìirx.tà tbj uuty^x^ii MsKajcv y^ 2a,ii.0¥- Ev «j^X;^' Xf^ci'TKj) eViv « ijitiro^ xxì vùv èrti-

'47 moderni, collo scegliere alcuni fatti sorprendenti, ma depurati però da ogni sospetto di favolosi . ' ' .

Cliiunnuc ci riferisce fatti di non comune conoscenza, la taccia d' impo- store incontra o perchè nuovi ci compariscono, o perchè ne ignoriamo la cau- sa nrodiillricc : e non potendo farci toccare con mano la loro realtà, allo sgra- ziato isterico non rimane difesa a propria giustificazione . Se infatti taUmo pri- ma delie chimiclie attuali scoperte, e prima del supposto incombustibile Lion- net avesse letto nel Banchetto dei Sofisti di Ateneo (i), che Ippoloco descri- vendo le nozze «li Garano macedone racconta, essersi in quella solennità intro- dotte alcune femmine, le quali nude si voltolavano sopra taglienti spade, e fuor della bocca mandavano fiamme di vivo fuoco, forsechè non se l'avria cosi facil- mente trangugiata, e nel numero delle fole avrebbe uno de' primi posti a tale narrazione accordato . Del pari tra le istoriche imposture si sarebbe collocato il riferito da Plinio (2) degl'individui delle famiglie dell' Agro Fallsco presso Roma, chiamate Irpie, i quali, nell'annuo sacrificio sul monte Soratte offerto ad Apollo, passeggiavano sopra cataste di ardenti legna senza riportare alcun dan- no dalla violenza del fuoco.

Alcuni fatti certamente sorprendono, ma non per questo conviene rigettarli quasi prette menzogne. Di tal carattere sono, a mio credere, quelli appunto che leggonsi intorno alle istruzioni date agli animali nelle opere dei classici greci e latini scrittori : 1 quali fatti però, ove con qualche principio di giusta critica sia- no esaminati, non risultano ne incredibili, riferiti per ingannare la posterità . E vaglia il vero, chiara testimonianza ritrovasi in Plutarco (3) che gli antichi a SI fatto genere d istruzione si applicarono, assicurandoci, che gli animali ap- presero ad eseguire ne' teatri moli, ravvolgimenti e danze, non che a far cono- scere «li ritenere a memoria quanto aveano appreso a merito dei loro istitutori . In olire, si sa, esservi stata appresso i Romani la classe degli schiavi mansue- tarii^ perchè dedicata all' ammaestramento delle fiere, della quale appunto can- tò Manilio (4) :

(i) lilb. IV, cap. ly. "KxV intfs »,' imiutva^yii yoìm'xtf , «s ^ìfìi xu^iTÙfiti , «^ v'p ix irà 7Ó(ia'rc{

ìx-iirtr^Tai yufiv^i (s) Historiae Natur. lib. YII, cap. 11.

(3) Dialog. Grillus, inter Opera Lipsiae 1778. T. X, p. ia3. IVtoi Si »; ISa'is tv Uarioif xcci-a- x\ijH5 xj y_ooHH( xj'cacTfif ira^ioi^ÓKii it,' xmìJHf il' àvìxiiToii itiiu palliti axii/JÌTif txl.ixrxoutiu

(4) AslroDom. lib. IV, Ter. 23^.

•48

1) Oiiarinippdiim omne cenus positis Gomitare magistris » E\orare tifrres, rabiemque auferre leoni, " Ciimqiie clcphante loqui, tantamqiie aptarc; loquendo n Artibus humanis varia ad spectacula moletn.

E Seneca fra gli altri lo stesso conferma quando scrisse (i): Certi sunt do- mitores ferarum^ qui saevissiina animaiui^ et ad occursum exterrentia homi- nem docerit pati jugum : ncque asperitatem excussisse contenti^ usque in con- tubernium mitigant. Aggiungasi a tutto questo per istabilire credibili que' fatti, che ad esporre mi accingo, la riflessione, che raccolgonsi da autori contempora- nei, da quelli cioè i quali scrissero in un tempo, in cui sarebbero stati convinti di mendacio narrandoli come eseguiti ne' pubblici spettacoli, ed in faccia ad im- mensa folla di popolo . Argomento, pel quale Giusto Lipsio scrivendo a Giano Hauten (2) concliiude : De fide igitur veterum cur ambigimus? A n fallere nos voluerunt de compacto? Nnc potuerunt quidem in re quotidie omnium oculis sensibnsque exposita^ et in qua miracula milleni aliquot homines simul vide- runt^ id est theatra tota . In forza adunque di tali ragioni , e di tant' altre che addur si potrebbero, fra le quali l'ultima non sarebbe quella della concorde te- stimonianza degli scrittori, suppongo abbastanza assicurata la realtà dei fatti che a prova del mio assunto addur si potranno .

Quale fosse lo sfarzoso vivere, e lo smoderato lusso dei re di Cipro non v' ha chi possa ignorarlo . Cosa non v' era che, appena desiderata , non fosse loro a qualunque prezzo esibita . Niente dovea molestarli, e sebbene il disgusto da cause naturali ed irreparabili derivasse, tutto studiar si doveva perch(3 con la minore attività agire dovesse sulle delicate membra di quelli intolleranti sovrani. Da un frammento infatti della già perdutasi commedia il Soldato di Antifane conservatoci da Ateneo rilevasi, che diminuivasl loro l'affanno dell'estivo calore col mezzo delle colombe, le quali mettevansi in attività non appena a lauta men- sa assidevansi . Eccone 1' artificio dal comico istesso descritto (3). Iinma'nna l'autore , che ritornato un certo alla patria da Cipro venga da un suo amico in- contrato, e quindi insieme la discorran così:

A. Dimmi, amico: vi fermaste in Cipro lunga pezza?

B. Sino al terminar della guerra.

A. Dimmi tei priego : dove particolarmente ?

B. In Pafo, dove ho veduto cosa assai magnifica, e quasi quasi incredibile .

(0 Episiol. LXXXV, lib. XI.

(a) lipistolar. Misreilan. Cenlur. I, epièt. 1.

(3) Athenaei Dipnosopliisl. libr. VI| cap. LXXI.

'49

A. È permesso il «aporia?

B. Le colombe ila per loro senz' altro artificio rinfrescano l'aria al re nel

momento del pranzo .

A. E come ciò ? Come mai? Purché sappia questo da te, ommetto quello che

più m' interessa .

B. Gli si ungeva il capo con certo balsamo composto da un frutto della Si- ria, del quale dicosi, che le colombe sian ghiotte . Tratte queste dal soave odo- re gli volavano attorno per poggiare sopra la di lui testa : ma alcuni giovani che gli stavano accanto le allontanavano: e così, alzandosi ed abbassandosi, ed a non molta distanza sempre svolazzando, le veci faceano di agile ventaglio, in modo di eccitare grazioso e non molesto venticello .

Ne a questo soltanto fu limitata dagli antichi la educazione delle colombe . Si sa che il si^. cav. reff. consifrliere bibiiot. ab. Morelli pubblicò sin dall' an- no i8o3 erudita dissertazione sopra alcuni viaggiatori veneziani poco noti^ nella quale (i) dietro la relazione di Ambrogio Bembo dell'anno i6'j2 trovasi indicata la curiosa usanza (praticata, siccome da varii autori si narra (2), ezian- dio in altri paesi), che in Aleppo attaccandosi sotto le ale delle colombe i fo- gli interpreti dei sentimenti delle lontane persone, queste portassero in men di tre ore in Aleppo la notizia dell' ingresso di qualunque nave nel porto di Ales- sandretta. Meno ingegnosi però non furono in questa parte gli antichi., sapendo- si da Frontino (3), che il console Irzio col mezzo delle colombe mandava qua- lunque avviso a Bruto assediato in Modena da Antonio: cosa la quale fece dire a Plinio ('{) : (^uid valium et vigil obsidio , atque etiam retia amne portenta prof nere Antonio^ per coehim eunte nuncio? Quale poi fosse 1' artificio usato dagli antichi per ottenere fatto stratagemma , ce lo descrive il medesimo Frontino: Idem (Hirtius) cotumbis^ qtias inclitsas ante tenehris et fame adfe- cerat^ epistolas seta ad collum religabat^ easque a propinquo^ in quantum po-

(1) Morelli. Dissertazione sopra alcuni viaggiatori eruditi veneniani poco noli, pubblicala per le nobili nozze Manin-Giovanelli. In Venezia, i8o3, pag. Sa.

(2) Pani'iroli Guidonis rerum meniorabilium P. II. Francufurli, 1660, p.3i. Joannis Hugonis a Linscholeo , nescrlptio Insulae Ormuz. Gap. VI. Sebastiani, Viaggio nell'Arcipelago. Roma, 1687. nella lettera dedicatoria. Tasso Torquato, Gerusalemme liberata, canto XVIII, stanza XLIX e segg. Ariosto Lodovico, l'Orlando furioso, canto XV, stanza XC.

Dopo letto il presente saggio usci in Milano nel 18^2 l'opera di Michele Sabbagh pubbli- cata già da Silvestro di Sacy, e tradotta in italiano da Antonio Cattaneo, intitolala: la co- lomba messaggiera, nella rjuale trovasi raccolto ijuanU) esiste sull'uso fallosi delle colombe ia varii paesi per comunicare notizie.

(3) Slratagemmalum fib. Ili, cap. XIII, §. VII.

(4) Hislor. Nalur. l.b. X, cap. XXXVII.

1 5o

terat moenìbus loco errtittebat . Illae lucis cibique avidae altissima aedificiorum petentes excipiebantur a Bruto^ qui eo modo de omnibus rebus certior fiebat : utique postquam disposilo quibusdam locis cibo Columbus illuc dovolare insti- tuerat .

Non trascurarono gli antichi eziandio I' arte di avrezzare gli uccelli o nell' i- mitare la voce umana, o nel modulare il proprio canto a raigurate note musica- li . E noto infatti il Xa7pe Kctìa-otfi dei pappagalli diretto a Cesare ritornato vittorioso dalla battaglia di Azio . Nella vita poi di Apollonio scritta da Filostra- to curioso aneddoto ritrovasi, dal quale rilevasi lo studio impiegato allora nel- r addestrare gli augelli (i). Apollonio si abbatte in certo giovane, che sciope- rone allatto e privo di qualuncpie idea tutte occupava le ore nell'istruire rosi- gnuoli, gazze, merli, pappagalli, riducendoli capaci d'imitare la umana favella, e di accompagnare col canto il misurato suono de' flauti. Interrogatolo adunque dell'arte sua, ed inteso quale fosse: Giovinolto , soggiunse Apollonio, sei ben pazzarello nel darti pensiero e briga di avvilire e corrompere que' poveri ani- maletti. Non vedi tu infatti quale pessimo servigio loro presti ? Li privi dell uso di quella voce che natura generosa lor diede, e che soave ed aggradevole h tan- to da non poter essere eguagliata da musicali stromenti: ili pili parlando tu la propria lingua assai male, infondi la tua rozzezza e la tua ignoranza in quegl'm- nocenti ammaletti, che han la disgrazia di averti a precettore.

Nel consolato di M. Servilio e C.Sestio un corvo fu dal popolo romano giu- dicato degno degli onori della sepoltura , onori con tanta parsimonia accordati ai principali soggetti di Roma: e ciò perchè giunse ad un grado di ammirabile perfezione nell' imitare la umana favella . Eccone il fatto daPlinio descritto (6): 51 Reddatur et corvis sua gratia, indignatione quoque populi romani testata, n non solum conscientia . Tiberio principe , ex foetu supra castorum aedem « genito pullus , in appositam sutrinam devolavit, etiam religone commendatus 11 ofiicinae domino. Is mature sermoni assuefactus, omnibus matutinis evolans in >' rostra, forum versus, Tiberium , dein Germanicum et Drusum Caesares no- n minatim, mox transeuntem populum romanum salutabat, postea ad tabernam » remeans, plurium annorum assiduo officio mirus. Hunc sive aeinulatione vi- 5) cinitatis , manceps proximae sutrinae, sive iracundia subita, ut voluit vide- 51 ri , escreraentis ejus posita calceis macula , exanimavit : tanta plebei conster- « natione, ut primo pulsus ex ea regione, mox et inleremptus sit, funtisipie in- » numeris aliti celebratiim exequlis, constractum lectum super Aethiopuin duo- » rum humeros , praecedente tibiclne , et coronis omnium generum, ad rogum

(i) De Vlla Apolliinii lib. VI, cap. XV. (a) Hislor. Natur. )ìb. X, cap. XLIll.

" usqne, qii'i constnictns destra viae Appiae ad secnndnm lapidcm, in campo « Rediculi appellato , fuit » . Ne già conviene supporre alterata od incredibile la relazione di Plinio, siccome taluni il più delle volte si danno a credere, subito che ritrovano negli antichi scrittori cose o non comuni, o del tutto ignote ad essi . Imperciocché di tale attività de' corvi il chiarissimo sig. di Buffon ce ne assicura dicendo (i): u Non sculement le corbcau a un grand nombre d' infle- " xions de voix répondant à ses differentes afl'cctions intèrieures, il a encore r, le talent d' imilcr le cri des autres animaux, et mème la parole de 1' homme ". Non meno delle gazze, dei corvi, del rosignuoli, del pappagalli rendeansi dagli antichi capaci di articolare umani vocaboli e tordi e storneUl. Dei primi abbia- mo le prove in Plinio, dal quale siamo assicurati di averne veduto uno appresso la moglie di Claudio Cesare (2) . u Agrippina turdum habuit (juod nunquam an- •1 te imitantem sermones hominum, cum haec proderem " . K Stazio lo stes- sa riferisce dello stoi'nello , quando cantò (3):

u Auditasqne memor peaitus demittere voces n Sturnus " .

La quale abilità di addestrare stornelli trovasi celebrata eziandio da Plinio (4), che nel tempo istesso C insegna il metodo d' istruirli , dicendo : « Habebant V et Cacsares juvenes sturnum, itera luscinias , graeco atque latino sermone y dociles, praeterea meditantes in diem, et assidue nova loquentes, longiore » etiam contextn . Docentur secreto, ut ibi nulla aUa vox misceatur , assidente « qni crebro dicat ea , qnae condita velit, ac cibis blandiente " .

E senza dubbio degna di ammirazione 1' instancabile pazienza di quelli che a nostri addestrano a varii esercizii piccoli animaletti , quali sono i car- dellini. Azioni infatti veggonsi operare maravigliose e sorprendenti, tanto si mostran docili al capriccio dell'uomo. « A l' egard de la docilitè, (dice il sig. « di Buffon) (5) du cardonnerel, elle est connue, on lui apprend sans beaucoup n de peine, à cxdcuter divers mouvemens avec précision, à faire le mort, à met- « tre le leu à un petard, à tircr des petits seaux qui contiennent son boire et » son manger » . Ma non per questo gli antichi la cedono ai moderni : « Mini- » mae aviura, leggesi in Plmio (6), cardueles imperata faciunt , nec voce " tantum, sed pedibus et ore prò manibus .

(1) Uistoire Natur. des Oiseaux, par Sennini. T. Vili, p. 21.

(a) Histoi'iu Nnliir. lib. X, cap. LIX. (3) Sjlvarum lib. Il, ecloga IV.

<,) Hislor. Nalar. lib. X, cap XLII. (S) 1 e. T. XII, p i5o.

(b) lli8l. Nalur. lib. X, cap. XLII.

l52

Mentre Tossilo nel Persa di Plauto (i) ordina a Pegnio certa faccenda, lo sollecita dicendogli :

r> Face

« Rem hanc cum cura geras : « Vola curriculo .

e Pegnio risponde :

« Istuc marinOs passer

» Per circum solet '^ .

Ora, secondo i commentatori , fra' quali lo Scaligero, vuoisi per marinus passer intendere lo struzzo : u E Feste disclraus (cosi lo Scaligero) passerem « marlnnm, esse struthiocamelum » : interpretazione la quale confermata vie- ne eziandio dall' eruditissimo naturalista del sedicesimo secolo Corrado Ge- snero, che dopo riportato il passo indicato di Plauto, soggiunge : uQuod ego de « strutbiocamelo acceperim, non de pisce (2) » . Qualuntjue siane la interpreta- zione, sarà sempre vero che l'attività di questo animale, nello strascinare 11 coc- chio pel circo, sarà o di volatile, o di pesce. Oltrachè egli è certo avere gli anti- chi aggiogato ai carri gli struzzi sino dal tempo di Tolommeo Fllàdelfo, compro- vandosi ciò da Ateneo, allorché (3) descrive la grandiosa festa sotto quell'impe- ratore celebrata nell' Eo-llto, dove arreca l'autorità di Calisseno di Rodi autore dell'istoria di Alessandria, il quale lasciò scritto, esserslin quella circostanza ve- duto vàrie carrette strascinate da capri, da elefanti, da buoi, ed otto tratte ilagli struzzi .

Furono i Sanili primi degli altri nell' addomesticare 1 pavoni, ed a loro esem- pio se ne propagò la educazione in altre regioni : lo impariamo da Menodoto ci- tato da Ateneo (4^), il quale ci assicura, che nel tempio consacrato a Giunone si vedevano in Samo i pavoni starsene m, nsuetl e totalmente addomesticati .

Allorché Nerone pertossi nell' isola di Rodi, fra gli onori tributatigli, ci fu la comparsa di un' aqmla, la quale, diretto il rapido suo volo verso l imperatore, da per se gli si pose a lato senza più abbandonarlo, compiacendosi quasi dell' ap-

(1) Persa Act. II, scen. Il, v. 17.

(1) De Avibus. Tiguii, i55''>, pag. 709.

^3) OipQOSophist. Lìb. V, cap. XXXIII. E'hspaVTav à?f/.ara àìiih àxo3iTÌ<i(!tt?x, ^ ffvvapi'hs

(4) Ivi lib. XIV, cap. LXX.

i53 plauso fattole dal sovrano . Un tale spettacolo scosse la fantasia del poeta Apol- loniila, che oc ne trasmise la memoria con un epigramma già pubblicato nella n-refa antoloo-ia (i), dettandogli la poetica adulazione, che al pari che a Gio- ve r aquila giaceva tranquilla accanto a Nerone .

Si abbandoni l'infido elemento dcllaria, e Tonde solcando esaminiamo se la industria degli antichi nell' educare i loro abitatori sia stata inoperosa . Effetto di naturale istinto egli è lo guizzare de' pesci a galla dell' acqua non appena vi si gittano briciole di pane : ma che rlducansi domestici cogli uomini esser non può se non forza di educazione. Quindi alla sola educazione conviene accorda- re quanto colla tcslimonianza di Ninfodoro Siracusano impariamo da Ateneo (2), cioì:, che i lupi marini e le anguille del fiume Eloro, il quale bagna il castello dello slesso nome nella Sicilia non Innge da Siracusa, cransi costituiti mansue- ti a segno di correre alla sponda qualunque volta fossero chiamati , e di prende- re, senza paventare, dalle palme delle mani degli educatori il pane loro esibito. Di più ancora, come testimonio di vista a narrare continua, che nella città di Arctusa presso la Calcide alcune anguille ornate di smaniglie doro e d'argen- to, quasi ninfe superbe per così ricchi fregi, pronte ali" invito ricevevano il ci- bo, e questo molto più volentieri prendevano se consisteva in tresco cacio, o nelle viscere delle vittime offerte agli Dei . Ne già fu ignoto a Plinio tale spet- tacolo, scrivendo egli cosi (3) : a E manu vescuntur pisces in pluribus quidem » Caesaris villis, scd quae veteres prodidere, in stagnis, non piscinis admirati, » in Eloro Siciliae castello, non procul Siracusis : item in Labrandei Jovis fonte » anguillas : hae et inaares additas gerunt " .

Che se consultare si voglia Luciano, troviamo che dopo la descrizione del magnifico tempio della Dea Siria, racconta (i) di aver ivi veduto uno stagno, in cui si alimentava molta copia di pesci di varie specie, i più grandi de' quali contraddistinti con proprio nome, al solo pronunciarsi di questo si avvicinavang

(1) Aniliologia graeca, a Bruncklo et Jacobs . T. II, pag. I2j, XIV.

O' irpìi tyà WcSiciTiv àvéy^vTcs ifpòi òovii

O' irp't KffXafi'Ja.j «.tTo'« iVomb, TfJ-.irtTi; ToVe Tvpaòj àyà TXaTuV >iep àipSàsì

H'Ai/Jc'y H'iXi'k vrnjc) Òt' «X' ì^ipcv . K«va J iuf-'iSitii ìtt ìafifji , Xdft <T'jvii:n(

l^pivTcpcf , n ^iyyav Tjtiìa <rìv ìsocima)/-

(a) Dipoosophist. lib. Vili, cap. III.

(3) Hist. Natiir. lìb. XXXI l, cap. II.

(4) Didlogus de D';a Sjria, cap. XLV.

i5i

alla persona . Aggiunge in oltre, die alcuni da lui parecchie fiate veduti porta- vano un fiorellino d'oro attaccato allo spino.

Cosa dir si dovrà dei delfini, secondo Antigono Caristlo 1 più mansueti tra gli animali marittimi? Basta su di ciò consultare la dissertazione di Stellerò (i), Pietro Martire de rebus oceanicis (2), e Corrado Gesnero (3) . Impariamo poi da Eliano (4) che Leonide Bisanzio navigando verso l' Eolida , passando per una città chiamata Pleroselena ammirò in quel porto un delfino , il quale viveva con que' cittadini quasi fijssero suoi ospiti . Cotesto animale aveva sortito sin dal- la prima età la sua educazione da certa donna e da suo marito in fijrma tale che, avendo un piccolo pargoletto, il proprio figliuolo ed il delfino contempora- neamente nutrivano. Crebbero ambedue insieme, e dalla promiscua educazione conservarono a vicenda il più tenero affetto . Il delfino infatti non si allontanò più da quel porto, e non avendo bisogno che gli ospiti suoi gli somministrasse- ro il giornaliero alimento, ne andava egli medesimo in cerca per le acque, met- tendo a parte della propria preda i benefici suoi educatori, che fijrnivano così la parca mensa di cibi non compri. Se il giovane amico dalla sponda del mare chiamava il delfino, pronto vedeasi a galla dell' acqua venirgli incontro festoso senza indugiare . Protesta Leonide che a godere tale spettacolo accorrevano tutti li forestieri, come ad una delle maggiori meraviglie di quella città , e che quindi grande guadagno al giovane ed a' suoi genitori ne derivava . Dalla seguen- te poetica descrizione lasciataci da Oppiano (5) si può giudicare quale sorpresa facesse negli spettatori . Udiamola dalla versione latina riportataci da Andrea Cirino (6) :

Cum prope ludit in undis,

»» Pene natat piscis blandus, sequiturquc natantem,

» Et latus adjungit lateri, mento quoque mentum,

» Et caput inclinat capiti, velut oscula carpat .

n Tu dicas cupidum pectus cum pectore velie

» Jungere, tara magno puerum prope nabat amore .

» Sed cum clamatus delphis stat litora juxta ,

K Demulcetque caput juvenis, dorsumque natanti*

(1) Magasino d'Amburgo XI, p. 177.

(2) Decad. Ili, llb. Vili.

(3) Aqualll. Histor. p. SgS.

(4) Histor. Animai, lib. Il, cap. VI.

(5) De Piscatione lib. V.

(6) Ciriaus, de natura pisciura. Venetiis, i653, pag. jag.

i55

w KnsiHt, exceptus piscis quocunqne jubcbat

n Vectabat puerum laetiis. Jubcl ire per allum?

" Obscqnitiir . Porlus gestii sulcare palentes ?

" t*er purtus vubitur . Cuplat si litora juxta,

" A.nnuit, et cari piieri praecepta capessit.

« fVlollis equus flexis non tantum paiet habenis-^

» Nec canis assuetus tantum vcnantibus auilit,

n Quantum nec fróeno delpliin, nec tractus habenis

» Vailil subjectus pueri «juocunque voluntas

n Imperai »

Sorprcnile ugualmente la murena di Crasso Romano il Censore, la quale quasi avvenente fanciulla, ornata di gemme e d' oro , era stata da Crasso av- vezza ad obbedire alla sua voce, ed a prendere dalle proprie mani il cibo . Cosi teneramente 1' amava che giunta a morte non potè trattenersi dal versare co- piose le lagrime . Allora fu quando Dominio suo collega lo motteggiò nel sena- to per aver pianto una murena . Ma Crasso : Se io piansi ( gli rispose ) di una bestia la perdita, hai ben ragione di maravigliarti tu , il quale allorché rimane- sti privo delle tre mogli non versasti nemmeno una lagrima (i).

Se gli antichi furono intesi ad istruire volatili e pesci , non trascurarono pe- rò i rettili . Tra questi infatti sono i serpenti riguardati da loro in modo specia- le come quelli i quali erano contemplali eziandio sotto aspetto di religione . Per conoscere ciò basta scorrere la dissertazione di Giovanni Lami sopra i serpenti sacri (2), nella quale del culto loro prestato, e dei varii monumenti a loro rifles- sione eretti pienamente c'istruisce. Qualunque sia stata la venerazione è certo che di renderli domestici si dilettarono gli antichi. Il celebre serpente Lanu- vino era custodito e mantenuto da una vergine restandocene innegabile argo- mento nelle due medaglie riportate da Begero (3) l' una della famiglia Papia , e l'altra della famiglia Roscia . Altra prova sulT addestramento dei serpenti ci si presenta in un antico bassorilievo in questa biblioteca marciana di Venezia esi- stente ('1). Sopra tutti questi antichi monumenti infatti vedesi la serpe neiratto di prendere il cibo dalle mani : fatto che Properzio (5) ricorda così:

« llle sibi admotas a Virgine corripit escas » .

(i) Macrobii Saturnal. lib. II, cap. XI, el Aellaai Histor. animai, lib. YIII, cap. lY. (a) Sculla di disseriazioni. Venezia 8." T. I, P. II.

(3) Thesaur. lirandeburg T. Il, p. SGtì et 58i.

(4) /.anelli, antiche statue della libreria di s. Marco in Venezia, T. II, tav. X.

(5) Lib. lY. oleg. Vili.

i56

Assai piìt ammirabile è la descrizione Jattaci da Eliano dei serpenti man- tcnnli da^li E<jiziani. Riferisce esli, che Filarco nel duodecimo libro delta sua Istoria a noi sconosciuta racconta, che questi animali scherzavano coi fanciulli senza ilanneggiarli, e cliiamati sbucavano fuori dal loro covaccioli. Finitoli pranzo, i padroni della casa apprestavano sulla mensa certa piettanza di farina stemprata nel vino e nel mele . Al crepitar delle dita erano invitati al pranzo i serpentelli, i quali strisciandosi e graziosamente fischiando comparivano pronti schierandosi intorno. Alzando quindi la testa coglievan tranquilli dalla mensa 11 cibo apparecchiato, del quale riempiutisi a sazietà ritornavano Indietro . Di più ancora, avevano questi rettili accesso eziandio nelle stanze notturne, senza ti- more di risentirne danno. Una sola precauzione però si usava, ed era , che do- vendosi taluno alzare dal letto in mezzo al bujo notturno, premesso colle dita il noto segno, le già addestrate serpi, le quali trovavansi in giro per la stanza su- bito si ritiravano entro 1 lor nascondigli per non recar danno-ai benefici padroni se dallo scalzo lor piede fossero calpestati .

Se mai sopra la narrazione di Eliano dubbio insorgesse pel grado di cre- denza che prestar gli si deve, ci può convincere della verità del suo racconto il curioso aneddoto arrivatoci del cliiarlssiino nostro cardinale Pietro Bembo. Una lettera latina infatti esiste scritta da Giorgio della Torre, prefetto dell" orto botanico in Padova al patriarca di Venezia Luigi Sagredo (i), dalla quale ri- levasi l'amore soverchio di quel dotto cardinale ai serpenti. In questa infatti riferisce 11 Torre, di avere inteso dalf ab. Vincenzio Gradenigo erede del Bem- bo, non che da Guglielmo Sokierio, testimonii ambedue degni di fede, che quel sommo letterato raccolse nella villa Bozza del territorio padovano numero grande di serpenti, dando generosi guiderdoni a que' rustici, 1 quali di simili animali lo presentavano: e quindi (continua il Torre) « Angues in sinu fovebat, « nec blandirl illis deslnebat, in propriaque domo stare, alique praeciplebat . . . «... Itaut domns ea anguium asjlum vlsa sit, et nullus domesticorum, noeta « praesertim, absque suo serpente cubare potuerit: quod et ab llllus loci In- n colis etlam in praesens asseritur . Nec exile testimonium amoris erga serpen- n tes tanti viri sit, quod si ejusmodi animai Inter eundum occisum reperlretur. » totam illam diem aegre et susplciose transigere consuevlsse tradunt " .

Vasto campo a scorrere ci si presenta ogni volta che le istruzioni dagli an- tichi date al quadrupedi raccogliere si voglia, ed è ben ragionevole , che se tanto valsero nell'addestrare i volatili, 1 pese; ed 1 rettili, abbiano assai pih

(i) Codice ms. conservato fra gl'italiani della reale Libiioleca palatina di 3. Marco ia Venezia Nuin. CCXXVI della classe VII, pag. 43i.

'^7 ngnzzato il loro ingegno per tlilellarsi quelli che hanno maggiore vicinanza

con l' uomo, e che dalla natura sortirono più perfetta organizzazione .

Raccontandoci Svetonio (i) e Dione Cassio (a) , che l' imperatore Caligola aveva eretto magnifica stalla marmorea col presepe d' avorio al suo cavallo per nome Incitato^ e che coperto di gualdrappa di porpora intessula d' oro e di gemme, avea destinato al suo servigio numerosa famiglia, facendolo nutrire di orzo dorato, e bere in vaso d' oro ; dir certamente si dovrebbe, che le abilità da rpiesto animale acquistate in forza di costante educazione fossero sorpren- denti, e quasi quasi portentose. E ciò molto più se rilletter si voglia che destina- to lo aveva alla dignità consolare, non che a quella di suo sacerdote in compa- gnia della moglie Cesonia, e di chiunque a così grande onore aspirasse a prezzo di cento scsterzii. Ma come mai formar si potrebbe argomento di legittima dedu- zione dai capricci di un imperatore, il quale avendo avuto da Cesonia dopo il trentesimo giorno delle sue nozze una figliuola, non arrossì di ordinare pubbli- ci solenni ringraziamenti agli Dei pel miracoloso favore accordatogli di essere divenuto in così breve tempo e sposo e padre ?

Atteniamoci adunque a fatti innegabili, fra i quali l'ultimo luogo non merita- no certamente i così celebri cavallerizzi dai Latini desultorii^ e dai Greci ùixtfiiTnToi chiamati. Imperciocché questi, nell'atto in cui a briglia sciolta i ca- valli correvano, dall' uno sull'altro, e da questo su quello balzavano, senza che i generosi destrieri rallentassero il loro corso : esercizio, da cui, come dice Sve- tonio (3) , non era aliena la gioventù romana, equos desultorios agitaperunt nòbilissimi juvenes .

In quale forma sorprende il marziale stratagemma, che dai cavalli nelle ro- mane testuggini eseguiasi ? Furono queste istituite, siccome Dion Cassio (^) fra gli altri ci riferisce, non solo per espugnare le fortezze, ma eziandio per combattere contro gli arcieri . Al vedere l'oste vicina, mentre colle taro-he co- perti strettamente a pie' fermo attendevanla i soldati, que' cavalli tutti ad un tempo s inginocchiavano, fingendo d'essere dalle numerose freccie colpiti. Tranquillo corrcagli allora addosso il nemico per goderne lo spoglio, ma ad un sol punto rizzandosi nuovamente i cavalli, spargevano la confusione e la stra- ge nei credutisi vincitori .

Sebbene da Platone, anziché applauso, un filosofico rimprovero abbia riscos- so Anniceride di Cirene allorché fece vedere al filosofo la sua maestria nel gul-

<0 Calig. cap. LV.

(•.) Hisl. Ro.n. lib. XXXVII, cap. LIV, et lib. LIX, cap. IV et XXVlll

(3) In Caesar. cap. XXXIX.

(4) Lib. XLIX, cap. XXX.

i58

dare i cavalli: sorprese però cUiunque accorse a godere lo spettacolo . Imper- ciocché Anniceride montato il cocchio, ed agitati i generosi destrieri, per più e più volte girò nell' accademia, ricalcando esattamente colle ruote la circonfe- renza per la prima volta descritta, senza che in nessun punto si potesse ricono- scere di aver egli o dall'uno o dall'altro canto declinato (i) . Sommo era lo studio, secondo Massimo Tirio (2), che da quel di Cirene faceasl nell' istruire i cavalli .

Ma i Sibariti non si lasciaron però superare dal popolo di Cirene. Eliano (3), ed Ateneo (4) ce ne porgono curiosi argomenti. A tale grado cotesti popoli ave- vano spinto il loro lusso, che nell'atto in cui banchettavano, quanto dilettevole altrettanto sorprendente spettacolo offerivano loro i cavaHl . Al grato e delica- to suono de' flauti danzavano ritti sui pie' di dietro, tutti eseguendo i ravvolgi- menti ed i moti dal suono espressi, imitando graziosamente coi pie' dinanzi i ge- sti di esperti ballerini . Costò per altro assai caro a que' lussureggianti popoli così raffinato piacere . Infatti mossa loro la guerra dai Crotoniati, questi collo- carono nel campo li suonatori de' flauti, e dato il segno della battaglia, anziché battere i timpani strepitanti, e dar fiato alle ranche trombe marziali, 1 delicati flauti a suonare si posero . Allora i cavalli sibariti erettisi su due piedi incomin- ciarono i soliti graziosi balletti, e a dispetto della sferza, del freno e dello spro- ne, carollando, passarono cogli armati cavalieri sul dorso al campo nemico .

Felici però i Crotoniati, che i Sibariti non ebbero in pronto il ripiego, già usato, secondo Polluce (5) dai Magnesi!, secondo Eliano (6) dagl'Ircani, e se- condo Strabone (y) dai Galli . Se le numerose coorti da codesti popoli messe in attività avessero saputo sostituire alla perduta cavalleria ; forsechè il favore di Marte sarebbe stato loro propizio . Avrebbe certamente sorpreso lo scaltrito nemico la furia dei cani, dei quali, oltre le ricordate nazioni, servironsi ne' pri- mi attacchi eziandio i Colofornii, per quanto asserì Plinio (8) : » Propter bella » Colophornii, itemque Castabalenses cohortes canum habuere : hae primae di- 11 mlcabant in acie numquam detrectantes : haec erant fidelissima auxilia, nec 35 stipendlorum indiga " .

(i) Var. Hislor. lib. II, cap. XXVII.

(2) Dlsseit. VII.

(3) Hislor. Animai, llb. XVI, cnp. XXIII.

(4) Llb. XII, cap. XIX.

(5) Lib. V, cap. V.

(6) Hislor. Animai, lib. YII, cap. XXXVIH.

(7) Geogiaph. lib. IV.

(8) Hislor. Nalur. lib. VIII, cap. XL.

1 5^ E cosa infatti non ottennero gli antichi dai cani ? EliogaLalo dilettavasi di sottoporli ad un cocchio, e farsi trarre da loro nel recinto del reale palazzo per le sue eamna"-nc: » Cancs, scrive Lampridio (i) , fpiatcrnos ingentes junxit ad >! curnim, et sic est vectatus intra doinum rcgiam, idqiie privatiis in agris suis « fecit " . I ricchi premil da Nerone profusi ai guidatori de' cavalli aveano insu- perbito cotesta gente vile e mercenaria a tale, che oro bastante non v'era per saziare la loro ingordigia ogni volta che a dare pubbliche feste 1 consoli ed i prelori erano obbligati. Aulo Fabrizio non volle assolutamente sottostare alia loro indiscretezza : e cjuindi, per quanto Dione ci narra (2), sostituì nel circo i cani ai cavalli, facendoli prima con la massima diligenza ammaestrare in modo (li riscuotere l' applauso e l'ammirazione di tutti gli spettatori .

Dappoiché Plutarco non credette di passare sotto silenzio il giuoco di un ca- ne da lui veduto in Roma nel teatro di Marcello, giudico io pure di non dove- re dispensarmi dal riportarlo in confermazione del mio assunto. Era vi un mae- stro de' pantomimi, il quale facea rappresentare una favola alquanto difficile per la moltiplicità degli attori . Fra questi ci entrava un cane . Ora uno de' per- sonaggi doveva nell'azione far credere agli spettatori di avvelenare la persona rappresentata dal cane : a tale però che, non essendo sufficiente la quantità del veleno, cadere dovesse in cosi profondo letargo da farsi credere estinto. Giun- to infatti il momento il cane riceve il tozzo di pane avvelenato., lo mangia, e fingendo di sentire entro se stesso la corrosiva attività del veleno, si altera, trema, traballa, ne più potendo alzare la testa perde a poco a poco moto e re- spirazione, distendendosi sul suolo quasi esanimato cadavere. Gli altri attori corrono allora per soccorrerlo, ma invano . Lo scuotono ed ci non si muove . Lo strascinano su e giù pel teatro, e finge di non sentire . Continua intanto l'azione . Quand'ecco giunti al determinato segno, il cane incomincia a palpita- re, e quasi da profondo sonno destato, si dimena, alza la testa, guarda all' intor- no . Fan tutti le meraviglie, ed egli alzatosi dando di allegrezza e di compia- cenza non equivoci segni a quello si avvicina festoso, a cui doveva secondo l'in- treccio del dramma . Plutarco (3) protesta, che l'abilità di questo animale sor- prese l' imperatore Vespasiano, e tutti insieme gli spettatori, cosicché dal muto silenzio in cui giaceva immerso il teatro, si passò ai più dichiarati applausi, ed alle dimostrazioni di approvazione .

Si crederà forse, che eziandio le simie perfette imitatrici delle azioni dell" uo- mo possano aver luogo in questo mio saggio . Veramente dipendendo le ope-

(i) Vita EUogabjli cap. 28.

(2)Lib. LXI,enp. VI.

(3) De solertia aniinalium, operum eJit. lipsicnsis 1778 T. X, p. 54-

i6o

razioni di questi animali più dal loro naturale istinto e dalla figura del loro corpo di quello sia dalla educazione, fui d'avviso che onimettere si dovessero, e ciò tanto più perchè gli antichi non ne faceano gran caso. Eliano infatti (i) considera la siiuia r animale il più perverso dogiii altro , e la ragione ne adduce col riferirci orribile fatto. Attenta nutrice prende il suo tenero pargoletto, scioltolo dalle fa- sce Io bagna con acqua tepida: quindi nuovamente involto ne'pannilini, lo ripo- ne entro la culla. Stavasi non veduta ad osservarla una simia. Non appena allon- tanatasi la nutrice, entra per la finestra nella stanza . Riscalda 1' acqua , sfa- scia l'infelice bambino, gliela versa rovente sulle delicate membra dandogli la più tormentosa morte .

Allontaniamo adunque noi pure da così perverso animale le nostre investiga- zioni., e chiediamo invece al re Mitridate a chi affidava se slesso quando al dolce sonno si abbandonava tranquillo . Era 11 suo palazzo cinto da un corpo di solda- tesca , ma presso alla stanza del suo riposo teneva sempre un toro , un cavallo, ed un cervo da se stesso ammansati ed istruiti (2). Se alcuno infatti si avvicina- va, muggendo il primo, nitrendo l'altro, ed alzando 11 terzo la propria voce de- stavano r addormentato monarca , allora solamente cessando gli animali di av- visarlo quando egli medesimo d' essersi scosso dava Indizio alle incorruttibili sue guardie .

Ne conviene meravigliarsi, che a tale nffizlo 11 pauroso cervo sia stato pre- scelto . La vergine sacerdotessa riferita da Pausania (3) comparendo ne' pub- blici luoghi montava un cocchio tratto dai cervi , e parimente l'imperatore Au- reliano entrò nel Campidoglio strascinato da questi animali . « Fult alius currus n (dice Vopisco) (4) quatuor cervis junctus, qui fuisse dicllur regls Gothorum : v> quo, ut multi memoriae tradiderunt, Capitolium Aurelianus invectus est, ut « illic caederet cervos, quos cum eodem curru captos vovisse Jovi optimo maxi- « mo ferebatur " . E secondo Lamprldlo (5), Eliogabalo « processit in pubbli- n cum quatuor cervis junctis ingentibus".

Se ci sorprende 11 leggere che gli antichi giunsero in forza dell'educazione a tocrllere la naturale timidezza al cervi, non è meno sorprendente il sapere , che attaccarono al loro cocchll e tigri e leoni . Di quelle infatti non solo da Sveto- nlo (6), ma da Plinio (7) sappiamo, che Augusto nel consolato di Q. Tuberone

(i) Hist. Animai, lib. VII, cap. XXI. K««o»$iV«Tol' ìì àptt tÙi «mi' vÌUkoì m'v , 4 In irKÌot tv 0 0 vHfXTit f/i(iàtS«i tÒv at/'jpK'Trcv .

(2) Ivi lib. VII, cap. XLVI.

(3) Achaica, seu lib. VII, cap. XVIII. .

(4) Vila Auieliani irnp. '

(5) I. e. cap. XXVIIl.

(C) Anglisti vila, cap. XX.

{7) Uistor. naturai, lib. Vili, cap. XVII.

i6i e di Fabio Massimo « IV. nonas maias ihcatri Marcelli dedicalione tigrin pri- « mus oinniam Romae oslendit in cavea mansiiefactum » : e secondo Lampri- dio (i) dopo Augusto, Eliogabalo u junxit et ligres Liberum sese rocans". Quindi Marziale cantò (2):

» Lambere securi dcxtram consueta magistri n Tigris ab hircano gloria rara jugo ".

Riguardo ai leoni poi abbiamo da Plinio la seguente testimonianza (3 : « Ju- « go subdidìt cos, primusquc Romae ad currum junxit M. Antonius, et quidem » civili bello cura dimlcatum esset in pharsalicis campis ». Non eccita certa- mente la nmana invidia la sorte di Annone cartaginese , il quale fu il primo ad ammansare 1 leoni. Imperciocché fu egli, in premio della sua abilità, condannato a morte, e ciò perchè, come continua Plinio: « Nihil non persuasurus vir tam » artificis ingenii videbatur: et male credi libertas ci, cui in tantum cessisset !) etiam feritas " .

Ne gli antichi soltanto sottoposero i leoni al giogo, ma fecero ancora di più . Domiziano infatti era giunto ad ottenere da un leone addomesticato, che mentre avea tra le zanne una lepre, ad una voce abbandonava la preda, senza più toc- carla quando prima non glielo avesse permesso . Per lo che Marziale adulando l'imperatore lo costituisce superiore a Giove ({):

55 Aethereas aquila puerum portante per auras

« Illacsum timidis unguibus haesit onus: « Nunc sua Caesareos exorat praeda leones

» Tutus, et ingenti ludit in ore lepus: n Quae majora putas miracula? summus utrique

» Auctor adest: Haec sunt Caesaris, illa Jovis. In vista di azioni così ammirabili operate dai leoni Stazio con sorpresa escla- mò (5) :

» Quid tibi constrata mansuescere profuit ira,

" Imperiumque pali, et domino parere minori ?

s> Quid? quod abire domo.^ rursusqne in claustra reverti

(1) Vita Heliogabali. (a) Spectaculor. lib. epigram. XVIII. (3) Uistor. nalur. lib. Vili, cap. XVI. (4)T>ib. I, epigram. VII. ( i] Sylvarum lib. II. ai

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" Suetus, et a capta jam sponte recedere praeda ? " luscrtasque inanus la*o dimittere niorsu ?

Sorprende per verità, che gli uomini abbian potuto vincere la ferocia presso- ché indomabile del leoni e delie tigri, e quindi sian giunti a tanto di sottoporli ai loro capricci .

« Chiunque però fu il primo ( come un dotto italiano ragiona) (i) a formar « l'ardito progetto di soggiogare al suo dominio 1" elefante, quella macchina mo- 51 struosa e gigantesca tra' quadrupedi, o fu cieco da non vederlo svellere colla H sua girevole proboscide piante robuste , sollevar in aria e lanciar in distanza n sassi enormissimi , o se non fu temerario merita di occupare un luogo distinto » tra' più sublimi filosoli " . Giusta riflessione in forza della quale dobbiamo ri- manere stupefatti insieme con Marziale (2), che

» Nigro bellua nil negpt magistro " .

Frutto certamente dell' umana indostria e^b è , che macchine di tanta mole si lascino signoreggiare dall' uomo, e lo servano sotto l' aratro ed il carro , che portino lettighe e torri, anzi che divengano oggetto di delizia e di lusso : « lis » arant, dice Plinio (3), iis yehuntur, haec maxime novere pecuaria : iis militant » dimicantque prò finibus » . E quindi quel profondo naturalista tracciandoci l'indole e la docilità dell' elefante , lo dipinge cosi(^): « Maximum est ele- n phas, proximumque humanis sensibus : quippe intellectus illis sermonis patrii , » et Imperiorum obedientia, ofiiciorumque quae didicere memoria: amoris et gio- ii riae voluptas : immo vero ( quae etiam in homine rara ) probitas, prudentia et " aequitas " . Se nel suo giudizio siasi ingannato riconosciamolo dai fatti .

L' artifizio col mezzo del quale gl'Indiani ammansavano gli elefanti esposto ci viene da Eliano (5) . Ritrovandone essi alcuno nella prima età entro il covile ^ perchè debole ancora ed inesperto lo riducean facilmente colla dolcezza dei ci- bi ad obbedire ai loro comandi . Ma qualora arrivavano ad ingannarne qual- cheduno già adulto coprendo spaziose fosse di giunchi e di canne ; non appena precipitatovi dentro, strettamente con grosse funi legandolo , lo raccomandava-

(1) L'autore della transazione anonima (die si sa essere stato il p. Clarizia napoletano) stam- pata in giunta all'opera di Lodov. Dutens, origine delle scoperte attribuite ai moderni cap.

VII, 5. vili-

(,!) Lil). I, epigram. CV. '

(3) Hislor. nalur. lib. VT, cap. XIX.

(4) 1. 0. lib. VITI, cap. I.

(5) Hislor. animai, lib. IV, cap. XXIV, e lib. X, cap. X.

i63 no a forti ed annose quercia in modo che per nessun lato aggirar si potesse . I^a- sciavanlo in cosi penosa situazione lino a tanto clic «li stanchezza e di sommos- sionc le traccia non gH si vedessero dipinte sugU occhi . Assicurati allora della debolezza di quello sciauralo animale, presentandogli colle proprie mani il ciho, gli si avvicinavano. Lo ricusava da prima, ma estenuato dalla fame, cogli oc- chi languidi e mezzo chiusi lo ncevca in seguito tranquillamente ; e dopo alquan- ti giorni confortatosi, non più come nemici, ma come benehci padroni mirava li suoi soggiogatori. Ciò ottenuto apprestavangli in copia orzo, fichi, uve,, cipolle, e mele . Resosi mansueto, a poco a poco sciogliendolo, in breve tempo condu- ceano ad eseguire ogni cosa quell'ammansato elefante, il quale colla ferocia ave- va perduto eziandio la sua libertà naturala .

Incredibile adunque non riesca, se dallo stesso Eliano (i) ci viene racconta- to, che gli elefanti furono avvezzati a danzare a suon di flauto , rallentando ed accelerando i loro passi secondo la varietà dei tuoni . Egualmente non ci sarà dubbio, che sortendo il re dal suo palazzo (z) gli elefanti ad un cenno del lo- ro custode, ed al suono de' musicali strumenti gli prestassero di adorazione e di rispetto gli omaggi, e ciò molto più da che fecero altrettanto coli' imperator Do- miziano, siccome rilevasi da Marziale (3) :

» Quod pius et supplex elephas te, Caesar, adorat,

" Hic modo qui tauro tam metuendus crat: » Non facit hoc jussns, nulloque docente ma^islro ;

» Crede mihi, nunien sentit et llle tnum.

Quanto questi animali sono giudiziosi nell' apprendere, altrettanto si compiac- ciono di bene riuscirvi , a grado tale che ogni studio ini|ii('£-ano per eseguire quanto loro insegnano gli educatori . A prova di ciò ecco il riferitoci da Plutar- co (4) . Fra i varii elefanti dal loro istitutore ammaestrati uno ve n'era, il qua- le, perche d ingegno tardo nell' apprendere, riscosse varie battiture . Tale trat- tamento dispiacque all' animale, e fu quindi veduto più volte, quasi novello De- mostene allo specchio, ripetere alla luce della luna gli escrcizii per lui cotanto difficili, procurando di correggersi da que' difetti e da que' viziosi scorci di cor- po, che dalla sua ombra rilevava sul suolo : « Cerlura est ( ce lo conferma Pli-

(i) Hislor. animai llb. XII, cap. XI.

(a) Arislolelis llislor. animai, llb. IX, cap. XI.

(3) Lib. I, epigramma XVII.

(4) De solerlia animai, operiira T. X, pag. 35, an. 1778. O'fiìil vunjòi ij-ìii «V "^li ~;o'> -lài

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!i nio) (i) unum tardioris ingenii in accipicndis quae tradebantur, sacpius casti-

j> g-atuin verberibus, eadem illa meditantcìn noctu repertum « .

Ma sorprende assai piìi il latto narratoci da Ateneo appoggiato all' autorità di Filarco (z), e ripetutoci eziandio da Eliano (3) . Mentre Antigono assediava la città di Megara, la moglie del custode degli elefanti diede alla luce un bam- bino, e trenta giorni dopo 11 parlo la madre perdette la vita. Allora 1' elefante, appresso il quale fu posta del pargoletto la culla, manifestò i più affettuosi sen- timenti verso queir infelice bambino: cosicché qualora la mercenaria nutrice prcndealo, se mai ritardasse a rimetterlo nuovamente, l' animale dava segni del- la più profonda tristezza, anzi per tutto quel tempo si asteneva per lino dal ci- bo. Era il bambuio dalle mosche infastidito? Eccovi l'elefante, che preso ramuscello lo scuote, e lo solleva così da quelle molestie . Si desta e vagisce ? Pronto vi accorre, agita la culla con la proboscide, ne cessa da quell' azione se non quando nuovamente il sonno lo colga , Potrebbe tenera madre usare at- tenzioni maggiori di queste ?

Ezechielle Spaidiemio ({) nella sua opera de praestanda numismatum^ e Gi- berto Cupero parlando degli elefanti r.appresentati sulle antiche medaglie (5), ne pubblicarono una di Antioco Epifane cognominato Dionisio, sopra il rovescio della quale vedesi un elefante portante il fanale colla proboscide . Sarebbe for- se questo animale stato adoperato per guidare nel buio della notte 1 propril pa- droni con fanali accesi? Se ne dubiterebbe forse? A tale uso appunto se li fece servire Giulio Cesare (per quanto ci attesta Dione Cassio) (6) allorché nell'ul- timo giorno del suo trionfo, dopo la cena, coronato di fiori si portò al suo palaz- zo tra la folla del popolo esult;mle, precedendolo parecchi elefanti, i quali ac- cese fiaccole portavano colla proboscide: fatto della oui verità ci conferma Sve- tonio (7) dicendo : « ( Caesar ) adscendit Capitolium ad lumina, quadraginta « elephantis destra atque sinistra lychnuchos gestantibus » .

L' imperatore Germanico diede nel circo spettacoli sorprendenti . Infatti fu- rono condotti dodici elefanti di fiorite ghirlande adorni (8), che a passo misura- to e grave camminando, dopo varii giri, e varii giuochi di danze eseguite al suo-

(j) Hlstor. nalur. lib. Vili, cap. III.

(3) Dipaosopìiist. lib. Vili, cap. LXXXV. (.3) Histoi-. animai, lib. XI, cap. XIV.

(4) Dlsseitalionum, 1706, T. I, p. 170-720.

(5) Supplement. ad thesaur. antiqui!. R. et G. T. Ili, p. 74.

(6) Histor. Rom. lib. XLIII, cap. XXII.

(7) Vita Julii Caesaris, cap. XXXVII.

(8) Àeliani Hist. animai, lib. II, cap. XI.

i6d no de'miisicali strumenti, ad un cenno del loro educatore si divisero, e pronti si collocarono intorno alla mensa, sopra la tjuale di pane e di carni copioso appre- stamento trovarono . Ottenuto il permesso stesero le pieghevoli proboscidi, e colla maggiore moderazione si servirono del cibo loro apparecchiato senza mo- strarsi ingordi ed indiscreti . In seguito que' commensali furono servili con bic- chieri ripieni d' acqua, con 1' avanzo della quale leggermente per ischerzo spruz- zarono i vicini spettatori. Eguale scherzo lu eseguito in Roma dall' elefante mandato in dono al pontefice Leone X nel i5i4. da Emmanuele re di Portogal- lo. Eccone, dietro 1' autorità di Aurelio Sereno (i), la esposizione del sig. Gu- glielmo Roscoe (2) . »i Lorsque le cortège passa devant le palais pontificai , à « l'une des croisées duquel le pape s' étoit place, l' elephant s'arrtla, et plia » trois fois le genou devant sa Saiuteté. Le quadrupede mit sa trompe dans un » grande vase plein d'eau qu il pompa, et répandit ensuite sur la foule des spe- si ctatcurs, et mème en abondance sur ceux qui étoient aux fenètres du palais, y> scène qui réjouil infinimeut Leon X » . Continua poi Eliano , che partendo dalla mensa gli elefanti, quasi esperti gladiatori lanciando giavelotti eseguirono parecchi giuochi ginnastici , e finalmente uno stendendosi sopra morbido letto entro vaga lettiga apprestato, tìngendosi leggiadra puerpera fu da quattro dei più addottrinati presa la lettiga sul dorso, e Ira gli applausi girarono intorno al circo. In confermazione dell'esposto ecco la testimonianza di Plinio (3): « Vul- » gare erat per auras arma jacere non auferentibus ventis, atque intcr se gla-

» dialorios congressus edere lecticis ctiam ferentes quatcrnis singulos ,

T) puerperas imitantes " .

Non contenti gli antichi di condurre a tale grado di ammirazione 1' addestra- mento degli elefanti , che vollero inoltre farci conoscere, che furono eziandio capaci di larli camminare sojira corde ben tese; » Elephantcm minius aethiopsju- » bel subsidere in genua, et ambulare per funem « , scrive Seneca (i). Negli spettacoli infatti dati da Nerone e da Galba fu condotto , come Dione Cas- sio (5), Svetonio (6) e Plinio (7) raccontano, un elefante sopra la volta del cir- co da un cavaliere romano, discendendo quindi per la fune medesima nell'are- na : « Nolissimus eques roraanus elcphanto supersedens per catadromura decii-

(i) Opera. Romae, i5i4.

(a) Vie et pontificai de Leon X, Iraduile de l'Aoglais par Hert-y. T. II, p. 287.

(3) Hislor. nalur. lib. Vili, cap. II.

(4) Epist. LXXXV.

(5) Hislor. Rom. lib. LXI, cap. XVII.

(6) Vilae Neronis cap. XI, et Galbae, cap. VI.

(7) Hislor. nalar. lib. Vili, cap. III.

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« curi'lt » . Ma se può computarsi tra le mera?iglie il camminare sulla fune ; u Miruin (soggiunge Plinio) maxime, et aJversis quidem funibus subire , seJ » regredì magis utique pronis » . Intorno al quale fatto, veramente quasi incre- dibile , sebbene da tutti riferito, il Reimaro (i) resta sorpreso, e Giusto Li- psie (a) convinto dalle testimonianze di fatto esclamò: » Et quae frons ultra ob- " duret contra tot et tales testes "? Lo Spon (3) non ha difficoltà eo-li pure di prestar fede a così rispettabili scrittori. Olao Borrichio (4) ricordando gli spet- tacoli celebrati in Roma nel circo di Flora fa menzione di tale esercizio degli elefanti . Qumdi non potendo concepire in qual modo sopra una fune avesse sa- pulo passeggiare uno di questi animali incapace di congiungere e cambiare nel- la slessa direzione le zampe, si tranquillò quando dall' illustre Gonibewille gli fu provato che non una ma due funi paralelle gli serviano di strada, a Quod elc- " phantorum ludicrum cum olim non satis assequerer, illiistris Gombewillaeus !) Parisinus ex antiquo numismate significavit , elephantos quod in uno funiculo » divaricata nescirent colligere crura, duabus chordis paralellis incedentes du- » sisse choreas " .

A fronte di questo però e l'altezza, e la distanza, e la elasticità delle funi fa- ratino sempre conoscere quanto valessero gli antichi nel!' istruire gli animali al- l'ora quando tratta vasi di ritrarne sollazzo. E quindi, se i volatili,, i pesci, i retti- li, 1 quadrupedi, eziandio i più fieri, furono ai capricii della loro educazione sot- tomessi, esclamiamo noi pure da poetico entusiasmo insiem con Marziale (ì) tras- portati :

« Quis spectacula non putet deorum !

(i) Annotaliones ad 1. e. Dionis. (j) Opeium T. II, p. 37.

(3) Recherches curieuses d'anliquité p. 4<4-

(4) Antiqua urbis Rom. facies in Thes. Giaevii, T. IV, p. i 548.

(5) Lib. I, epigrum. CV.

ESAME RAGIONATO

SUL LIBRO DELLE MONETE DE' VENEZLiNI DAL PRllNCiriO ALFINE DELLA LORO REPUBBLICA, PARTE PRIMA

DEL CONTE LEONARDO MANIN CIAMBELLANO DI S. M. L R. A.

MEMBRO ORDINARIO.

JL/o studio delle patrie cose, rauoore di verità, l'ardente carità della patria me in altri tempi invogliarono a riconoscere , se le tradizioni da' nostri storici confermate, ritenessero infatti in lor medesime quelle verità, che a tutti accet- tevoli le rendessero, e quindi col lume di vera critica , col confronto degli og- getti, con la discussione, procurai a tale convincimento portarle, che in materia di puro fatto più oltre ottenere non puossi . Queste tutte cose insieme riunite 1' animo mio in tal guisa commossero, allorché le voci si sparsero che una im- portante scoperta fatta aveasi di nuove viniziane Monete, le quali dal secolo quinto fino al duodecimo con non interrotta serie procedevano, e che già innon- davano, ed ingombravano ovunque i più cospicui musei; e la mia commozione vie più si accrebbe, allorché si dissero da un venerando letterato protette, ac- colte, magnificate a segno, di far loro prendere posto fra la serie degli impera- tori romani, e quella dei nostri dogi, quantunque dalle nostre più antiche cro- nache ad epoche assai posteriori la origine delle viniziane Monete si attribuisca. Che più? Tale fu la persuasione, tale il convincimento prodotto dall'autorevole personaggio, a cui piacque di scorrere le venete storie degli antichi tempi con r appoggio di siffatti documenti, tutte le idee e le memorie sovvertendo, che fi- no allora conservato aveasi, che il benemerito dottore Menizzi con quel felice spirilo d'indagine, che Io caratterizzava, e che lo ha altre volle accompagnato sempre in difficili e laboriose opere di confronto, tendenti ad illustrare con ra-

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ra e squisita precisione alcuni rami della importante scienza monetaria, cercò di autenticare la verità di siffatti discoprimenti . Ed infatti egli rese pubblico con le stampe del Picotti, neir anno 1818, una lunga e detagliata memoria delle Monetede'Viniziani. dal principio alfine della loro repubblica: Parte prima, nel- la quale si rappresentano, e s' illustrano più di cenquaranta monete , se ne leg- gono i tipi, se ne verificano i saggi, si producono in essa alcune tavolette in- scritte dei nomi degli antichi tribuni alle monete corrispondenti, si offrono del- le testimonianze sincrone le pia autorevoli, infine di rassicurare si tenta i timori, di persuadere gì' increduli, di soddisfare la espettazione degli eruditi . Nel tem- po stesso però che 1' autore propone a disamina tutte queste cose, non ommette di render conto, come alcuni aveanlo fatto accorto, che tutto ciò che a nuova scoperta attrlbuivasi, non era che l'opera della più sagace impostura, non esi- stendo ne pubblici ne privati documenti, che in alcuna delle sue parti la appog- giassero, o la confermassero (1) ; e lo consigliavano a non voler dar principio alla sua opera con invenzioni infelici : ma sordo a' utili su-ro-erimenti. e fatto forte dall'autorità di chi avealo nelle scoperte guidato e condotto, imprimer fece la sua memoria, che ora mi accingo a confutare. Il dimostrarne la erroneità con argomenti tratti dalla stessa natura della scoperta, e quali all'occhio il meno esper- to potranno accertare essere questo l' effetto della più sfacciata impostura, è il cam- po, che io tenterò di percorrere; ne dee parere strano, che dopo avere per lun- go tempo atteso, che altri più di me d' ingegno fornito in questa discussione en- trare volesse, ne alcun altro veggendo che da vero sentimento di patria affezione animato a rischiarare la verità si ponesse, siami avvisato di produrre questa disami- na sull'autenticità e legittimità di quelle monete e di que' piombi che si disse- ro reliquie obbliate di antichi musei fatalmente periti (2).' E forse che taluno per più prudente cosa tenuto avrebbe che cader nell' obblio si lasciasse mal sostenuta scoperta, che alla fine all'onore della p itria è di massimo ornamento; ma questa non abbisogna di spoglie non sue, che già assai di onore le proprie arrecaronle: e se l' inganno pur anco a' stranieri arrivò: se nella opera impressa in Pisa nell'anno 1821 della zecca e delle monete deg^li antichi marchesi della Toscana, in una lunga nota (3) se ne dimostra la falsità, dichiarando la impostu- ra così evidente da non meritare nemmeno la nostra attenzione , è ben giusto

(1) Delle monete de' Viniziani dal principio al fine della loro repubUica : Parie prima. Vene- zia PicoUi 181 8, pag. 7.

(2) Relazione accademica letta nell'Aleneo di Venezia l'anno i8i4 dal sig. consigliere professo- re Francesco Aglietti.

{"},) Della zecca e delle monete degli anliclii marchesi della Toscana, edizione seconda emenda- ta. Pisa 1821, pag. 19 e p.ng. i45.

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che essa qui pnrc sia smascherata, dove allo se ne fece lo schiamazzo, e che a convincere si giunga non poter essere assolutamente legittime quelle monete, che non corrispondono in guisa alcuna alle fin qui conosciute: che quelle lami- nette di piombo, che i nomi di alcune famiglie conservano, illustri da se stesse per la loro origine nobilissima, presso la tarda posterità dalla ruggine del tem- po ricoperte, qualche pregio o valore non acquistino : infine che quella società chiamata scuola Corraria dei Sovienti , sconosciuta a' suoi giorni , e ne' secoli successivi, e della quale le cronache nostre parola alcuna non fanno, delle anti- che patrie memorie conservatrice non si dica, ma ritorni nel suo niente, da cui miseramente è sortita per vivere pochi istanti fra le mani di caldi ed appassio- nali amatori, che più di cuore, che di critica forniti, tutto ciò abbracciano, che in qualunque guisa all'onore della patria è diretto. Questo è 1' assunto che io imprendo a trattare, e spero di poter giungere all'oggetto contemplato di sma- scherare la falsità e l'impostura.

Non puossi certamente in modo alcuno dubitare, che i meravigliosi principii di questa nostra città di Venezia riconoscere si debbano dalle correrie dei barbari settentrionali, i quali, messe più volte a soqquadro le provincie dello imperio ro- mano, e ridotto questo all'ultimo eccidio e sovvertimento, obbligarono gli abita- tori di quelle a trasportare la loro sede fra le maremme e le paludi delle Vene- zie, ove altre volle un pacifico asilo rinvennero, che dalla ferocia di quelli li pro- teggesse. Di tali verità tutti siano convinti, e da questa lo stesso autore della memoria prende le prime mosse, assicurando che dalla città di Aquileja distrut- ta, i nobili e i popolari in Grado si rifuggirono, portando seco le loro ricchez- ze, le reliquie dei santi, e i tesori dello errario e della chiesa . Se dunque tut- to ciò e vero , ed una simile tradizione è accertata e confermata dagli storici più antichi, sembrami essere utile lo esaminare quali fossero le monete dalle qua- li sarà stato composto il pubblico errario nelle provincie da' nostri maggiori ab- bandonate . Ella h opinione generale e comune, e dagli eruditi tutti accolta ed abbracciata, che quelle che noi chiamiamo medaglie dagli antichi trasmesseci, altro non fossero che monete : a prova di che osserviamo, che in molte di queste medaglie, che furono coniate innanzi alla epoca del romano imperio , ed allora che la repubblica romana da' suoi cittadini era governata, trovasi il valore del denaro, del quinario, del sesterzio segnato, il che non sarebbesi certamente fat- to, se di moneta trattato non si avesse: nell'epoche poi successive de'romani imperatori, quante non presentano il nome di moneta Augusti^ di sacra mone- ta y^ ugustorum a denotare con precisione la loro natura? Di più sappiamo dai più celebri nntiquarii, che le città dichiarate colonie latine a distinzione delle altre genti soggette alla devozione de' Romani, nelle loro libertà e ne' loro mae-

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strati contiiuiavano, ed i ciltailini di quelle a dividere gli onori e le dignilà del- la repubblica chiamati renlvano ; ma Roma era sempre la sede del romano im- perio, il nome del dominio sempre romano , e quelle monete che nelle sogget- te Provincie si spacciavano dalla zecca di Roma uscite, altro impronto non ave- vano che il romano, non avendo voluto ne il senato, ne gl'imperatori romani, che le città avessero moneta propria (1) ; ed essendo inutile a vero dire il coniar monete in più luoghi d' Italia, allorché si immensa quantità in Roma coniavase- ne. E bensì vero, che secondo le peculiari circostanze dei tempi, in que' paesi ne' quali le truppe stanza facevano per Impedire le aggressioni dei barbari, dai quali era lo impero minacciato, da' maestrati romani opportuno e conveniente giudicossi di battervi monete pel comodo maggiore di pagare gli eserciti; e quindi nominate si veggono le zecche di Scizia, di Aquileja, di Lione , di Ar- les e di Treveri, oltre a molte altre. Ed infatti alcune monete veggonsi, che, i nomi degl'imperadorl nel diritto conservando, olirono nel rovescio in abbrevia- tura i nomi delle città e delle officine in cui furono coniate ; e vaglia il vero si legge in alcune A. Q. ovvero A. Q. I. Aquileja^ in altre A. Q. O. B. F.Aquì- lejae officina secunda fabbrica. A. Q. S. Aquileja signata., e di queste sonvl frequentemente battute verso la fine del terzo secolo cristiano (2) . Successa la divisione dello impero romano, ed i popoli settentrionali, non più incontrando la forza e 1' agguerrito valore delle armi romane, a grandi torme ad innondare la Italia entrarono da' loro duci capitanati, e ponendovi nuovo governo, fissaronvi 11 dominio regale, conservando però tuttavia le usanze de'Romani anche in pro- posito delle monete . Per queste ordinarono che la stessa primitiva loro forma avessero, e riponendo nel diritto la effigie degl' imperatori, nel rovescio i nomi dei re s' inscrivessero . Di ciò ci ammaestra il dottissimo slg. conte Gio. Rinal- do Carli nella sua opera delle zecche d'Italia, il quale aggiunge, che se in tut- te le altre parti come in questa i re gli antichi Romani imitarono , bisognerà dire che non solo in Ravenna, ma in Milano, in Aquileja, ed altrove facessero col proprio impronto le monete coniare (3). Che se ella è così, necessariamente conchiudere dovrassi che ne' paesi, dai quali gli antichi padri nostri derivarono, di questa sorte monete adoperato avranno ; e tali appunto sono quelle che si conservano nel ricchissimo museo raccolto già dal chiarissimo monsignor Gio.

(i) Maffei. Verona illustrata. Verona 1732, col. i!\j.

(2) Instiluzione anliquario-numismatica. Roma 1773, pag. 218.

(3) Delle monete e delle iostìtuzioni delle zecche d'Italia. Dissertazione di don Gian P>iaaIdo Carli. Mantova i754- tomo I, pag. go.

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Agostino Gradcnigo vescovo di Ceneda, e con molta flottrina ed erudizione il- lustrato dal senatore Giacopo di lui fratello, padre del vivente N.H. Pietro Gra- denigo di santa Giustina, dotto egli pure, e, quel che è più, saggio e critico rac- coglitore di antiche medaglie, che seppe li proprio studio da questa mondiglia purgato e netto conservare , e che con gentile condiscendenza di esaminarle attentamente mi permise . Queste con verità appartengono al qumto secolo del- la Era cristiana , e succedono alle imperatorie monete come un anello della grande catena monetaria ; ma fu appunto allora, e non prima che i nostri padri fuCffcndo nelle vicine isolette si ricoverarono, fu allora che le ricchezze, le reli- quie de' santi, e i loro più preziosi effetti trasportarono, ed è Len verisimile, •che non già gli artisti e i monetarii per coniar monete, ma bensì queste in tan- ta copia seco portassero, che a' domestici loro usi servire potessero: ne erasi an- cora in fatta guisa la traslocazione loro decisamente stabilita per divisare il trasporto pur anco de' monetarii , e della materia per verificare un tliritto che non avevano, e che non immaginavano nemmeno di poter godere, soggetti sem- pre alle romane discipline ed al governo romano. Ma si faccia per ora tregua al ragionamento, e si pongano al paragone le nuove scoperte monete con quelle che ne' musei si conservano e di Teodorico, e di Witige, e di Baduela re tut- ti de' Goti, che regnarono dopo la metà del quinto secolo, e furono contempo- ranei air epoca accuratamente segnata nelle famigerate monete . L per dar principio dalla loro propria figura , queste ultime ci sono offerte alcune volte quadrale ed irregolari, altre volte oblonghe, e solo di rado rotonde: quelle dei Goti rotonde tutte hanno solo in alcuna parte perduta la propria forma corrosa dal tempo e dall'uso ; le monete scoperte presentano lunghe iscrizioni e leg- gende, che coprono la loro superficie, le antiche monete dei re non hanno che sigle, o monogrammi, e nel contorno inscritti coi nomi dei re quelli pur anche degl' imperatori ; e prima di ragionare su queste stesse iscrizioni si esaminino 1 caratteri, e si vedrà che 1 monogrammi dei re sono inscritti con lo stesso ca- rattere romano, che le medaglie imperatorie presentano, mentre i caratteri del- ie scoperte monete, e per la rozzezza e la grossezza delle linee rette, e per la durezza angulare delle curve si appalesano posteriori di varii secoli, e sembrano appartenere a quei tempi ne' quali la introduzione de' caratteri tedeschi l'antica costumanza avea superato . Veggasi la lettera D nel Dominus di Anastasio ( fig. j ): essa è formata da una leggera e sottile stanghetta, e da una curva gentile, mentre la stessa lettera nella moneta di Grado (iig. 2 ) che porta il nome di Or- so Giustiniano, non offre che la sopravvenienza di molti secoli , ne si può certo farla passare come appartenente al quinto secolo, mentre le si una impronta del decimo o dell' undecimo, in cui aveano presa stanza li caratteri gotici. I^a vera moneta, che pili sta d appresso e nelle forme e nelle leggende a quelle in

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Italia dai re introdotte, si è quella cte riconosciuta e pubblicata dal veneto pa- trizio e senatore Domenico Pasqualigo, porta nna croce con quattro palle ne- gli angoli, e l'epigrafe nel contorno Christus Imperai: enei rovescio un tempiet- to di fronte nel ventre di cui sta scritto Veneci (tìg. 3 ), moneta che molto a quelle di Berengario assomiglia, e che corrisponde perfettamente a quella cate- na, che nella connessione delle idee sempre esistette: ecco la moneta propria di Venezia dappoi che uno stabile reggimento si prese, ecco sostituito il Cristus Imperai ai nomi degli imperatori e dei re : ecco il nome di Venezia prendere il luogo delle città nelle quali le monete conia vansi; ecco per l' interno commer- cio adoperata una moneta, che equivale al piccolo denaro; ecco infine i denari venetici prendere posto nelle pubbliche e private contrattazioni . Convengono a queste quelle per 1' esterno commercio destinate, e che conservando nel rove- scio il tempietto con la Venecia^ nel dritto i nomi degli imperatori Lodovico, e Courado ed Enrico presentano, finche giunti alla metà In circa del nono seco- lo, e dopo la translazione del santo glorioso corpo del protettore san Marco , quelle susseguitano, che nel diritto rappresentano mezzo lo busto dell' evangeli- sta s. Marco di fronte in un dentellato cerchiello, e intorno dopo una croce la epigrafe S. Marcus I^eneci: e nel rovescio il nome dell'Imperatore Enrico hanno inscritto (fig. i), le quaU tutte ritengono la idea e la immagine dell'anti- co carattere romano: finche il patriarca di Grado Orso Orseolo, tenendo come vice-doge per un anno intero 11 dogado nell' anno mille e trentauno, per la pri- ma volta 11 proprio nome nella moneta d' inscrivere ordinò. Il Dandolo nella sua cronaca lasciò scritto che questo vice-doge monetam parvam sub ejus nomine^ ut vidimus^ excudifecit (i). Questa espressione di uno de' più antichi cronisti, osservando simile particolarità, e dichiarando di averla veduta ci fa a ragione conchiudere che quegli fosse 11 primo ad inscrivere il proprio nome sulle mone- te, esemplo susseguitalo poscia dai dogi suoi successori: prima dunque del vi- ce-doge Orseolo le monete battute in Venezia non portavano 1 nomi dei dogi ; ecco con una sola linea atterrati tutti i ragionamenti, che far si possono a favo- re delle scoperte monete, che tutte portano 1 nomi dei dogi dall'anno seicento e novantasetle all' anno mille e trentauno, dal primo doge Paoluccio Anafcsto al vice-doge Orseolo. Riconosciuta ora la vera serie progressiva delle monete che in queste lagune ebbero corso, leggerissima obbiezione ne forma la famosa lettera del famigerato secretarlo del re Teodorico Cassiodoro ai tribuni marit- timi delle Venezie (2), dalla quale dedurre si vuole, che i Veneti in queste pa ludi ritirati, una nuova moneta propria coniassero per mantenere lo interno po-

(1) Andrea Dandolo Cronaca, libro IX, capitolo 4to, parte prima.

(3) M. Auielii CassioJori variarura lib. XII. Genèye. Gamonet iSSy, pag. 407-

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polare commercio. CassìoHoro in cissa ricorda, che nna nuova fonte di denaro nelle saline ritrovarono., non già perchè di questa una nuova moneta formasse- ro , ma perdile queste cagione furono, che le monete de' circonvicini paesi con affluenza corresservi ; ecco il perchè dica col fiorito suo stile, Moneta illic quo- dammodo percutitur victualis., quelle saline indicando, che loro tenevano il luo- go della zecca . Che se tutto quello che in questa lettera si legge, la idea rap- presenta di un popolo ricco, comodo e tranquillo, che un proprio governo presso di se stabilito avesse, seco però la conseguenza non viene che fino dal suo primo nascimento a coniare monete proprie incominciasse . Ricche e popolose erano a quel tempo tutte le città d'Italia, e si governavano da se co' proprii municipii, ma le coniate monete portavano i nomi degl imperatori o dei re , si ritro- vano fino al decimo secolo monete loro proprie . Avevano queste isolette un in- terno prodotto, del quale tutti 1 vicini «indavano in traccia, e quindi il denaro loro affluentemente procurava, ne di fabbricarne di proprio alcun bisogno senti- vano, quand'anche ad esse il diritto attribuir si volesse di coniarlo, il che fu sem- pre riconosciuto, fino aquclf epoca, come un diritto regale, ed appartenente solo agi' imperatori ed ai re supremi signori di quelle provincie ; ed è a dir vero cosa ben degna di riso il far credere, che una moneta vi fosse, nella quale eravi inscritto la stessa parola da Cassiodoro adoperata Plclualis.j producendone an- che il tipo (i), dimenticandosi poi che egli aggiunto vi abbia lo avverbio ^«o- dammodo^ che nella nostra itahana favella suona in certa guisa^ o per così di- re^ e che non somministra certamente la idea precisa dell' esistenza reale di questa moneta . E giacché l'andamento del mio dire mi condusse a riconoscere lo stile e la forma delle leggende, che si ritrovano nelle scoperte monete non posso ommetteredi fare osservare che, con novità di esempio, la maggior parte ricorda avvenimenti particolari di poca importanza generale, il che non si scor- ge che nelle antiche monete abbia avuto luogo . Fra le più singolari sono quel- le che annunziano la pace e la unione stabilita nella elezione del metropolita ili Grado, quelle che nella inscrizione il cambiamento delle monete accertano: Moneta nova Insulas Venet. V altra di cuojo di Paolo Corelio, la quale per non lasciar dubbio del perchè siasi di tal genere, porta la epigrafe : Moneta ohsi- dionalis Iiìsulae Cardeanae : quella coniata in onore di Karsete generale dello imperatore Giustiniano con la epigrafe: Narset. Praefect. Clas. e nel centro una croce inalberata sur due gradini, e dal rovescio un tempietto con la parola nel centro Grad.^ ed all' intorno lustìnian. Imper. non ritenendo però alcima di

(i) Delle monete de'^ iniziarli dal principio al fine della loro repubblica, parie piiroa. Vene- aia. PicoUi i8i8, pag. 38.

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esse i caratteri tic' tempi che loro sono attribuiti. Nc-lla medaglia attribuita al

pAtriarca di Grado Marciano, evvi la croce patriarcale, cioè a doppie braccia, la quale non incominciossi ad usare dai patriarchi, che nel concilio di Laterano tenuto nell'anno iai5 (i). Che dirò della moneta provinciale delle isole vene- te, che sembra profetizzare mille anni innanzi Y odierna provinciale moneta ; quando pure il falsario da questa non abbia la idea presa d'immaginare quella? Dalla qualità delle iscrizioni si passi ai loro caratteri . Si dia per poco una oc- chiata a quelle monete riportate nella memoria e qui aggiunte (fig. 4- 5 ), se- gnate con la epoca della invenzione di s. Marco, ed alle altre nella stessa me- moria riferite, le quali avendo nelle epigrafi il nome del protettor nostro s. Mar- co accusano la stessa epoca, e furono infatti le sole che nella riposlzione del san- to corpo ad accertarne la epoca nella cassa si chiusero , e qual contraddizione non offrono fra loro nella forma dei caratteri e nelle leggende ? Le prime hanno le lettere formate a capriccio, e le altre conservano le antiche forme . Come mai puossi alla stessa epoca attribuire le surriferite monete (al n. 3, e al n. 4) le une col Cristus Imper. le altre col s. Marcus^ e quella in oggi attribuita a Glusti- nian Partecipazio (fig. 6), mentre in tal guisa i caratteri loro differiscono? Qual distanza, non dirò d'anni, ma di secoli non avvi nei caratteri e nelle iscrizioni delle due monete (fig. 7, 8) che pure amendue appartengono allo stesso doge Giovanni Dandolo, ma altra differenza non hanno che 1' una legittima fu con- servata nel sullodato museo Gradenicro„ e l'altra uscì alla luce fra le nuovamen- te scoperte : oltre però ai caratteri, ed alla qualità delle iscrizioni non si dee sorpassare che la maggior parte di queste nuove monete le epigrafi loro presen- tano in linea retta, ne tampoco la brevità delle antiche numismatiche frasi con- servano, mentre nelle legittime antiche medaglie o monete , le epigrafi sono ne' contorni segnate, e nei campi non vi sono che sigle od incise figure . Prima di dar fine a questa parte del mio esame sui tipi e sulle iscrizioni si osservi in- trodotto fino dall'anno ottocenottantaotto il simbolo del protettore nostro san Marco, cioè il leone alato che vuoisi dall' autore della memoria per la prima ▼cita sotto il doge Pietro Tribuno adoperato, mentre e Guido Antonio Zanet- ti nella illustrazione delle viniziane monete ne riporta una sotto il doge Fran- cesco Dandolo all'anno iSaS, ed è la prima, che ei sappia, stampata con tal conio ; ed il benemerito presidente conte Carli credette la prima essere sta- ta impressa con questo simbolo sotto il doge Marco Cornaro all'anno i365, cioè quasi cinque secoli dopo la epoca indicata nelle nuove scoperte. Esaminate co- sì le iscrizioni che riportano i fatti ed i nomi passiamo all' altra parte delle stes- se, che porta gli anni della salute nostra con scrupolosa esattezza registrati da

(1) Tbomass. Oisc^ilina ecclesiastica. Pars IV, lib. I. cap. XXXIX.

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non ommetteme alcuno, e solo nelle epoche a noi più vicine lasciandoli, come si avrà riconosciuto nella moneta del Dandolo, forse per non esser contraddetto dalle stesse monete di que' tempi, che tuttavia sussistono, e le quali secondo r universale costume non appalesano la epoca loro che col nome del dogi . Dalla bellissima opera, di cui sono autori i Maurini, e che porta per titolo : De f art de verifier les dates si conosce chiaramente che dappoiché lo stabilimento fisso delle indizioni sotto Teodosio il Grande avca negli atti pubblici occupato il luo- go alle Olimpiadi ad oggetto di contraddistinguere le date, nel sesto secolo in Italia da Dionigi il piccolo fu introdotto 1' uso di calcolare gli anni da quelli di Gesù Cristo (i) variandosi però in alcuni luoghi il loro inconiinciamento, poi- ché dall Incarnazione alcuni, altri dalla nascita del Verbo diedero principio: ne Si universale ancora resa erasi questa istituzione in luogo delle indizioni, che il de Monaci ci riporta un decreto imperiale del sesto secolo , in cui leggesi di- stinta la epoca con la data delle indizioni, e con gli anni del regno di quello im- peratore , ma non si indicano quelli dell' Era cristiana : ne vale il conghieltura- re, che essendosi in Grado insieme al beato JNiceta patriarca d'Aquileja rifuggi- li i principali fra gli ecclesiastici di quella città, i primi d'essi gittate avranno i fondamenti di questi calcoli . Dottissimi e santissimi monaci da più di due se- coli prima esistevano, ma alcuno non immaginossi di attribuire giammai ad essi questa nuova forma di calcolazione, e nelle opere di Eusebio, e nella continua- zione di s. Girolamo in antichissimi codici preservate gli anni della salutare no- stra riparazione registrati non veggonsi , e solo dal copisti molti anni appresso introdotti furono. Ma v'è ancora di- più! Le antiche monete, che dall' antichità più remota fino a'nostri giorni sono pervenute, di qualunque nazione esse siano, o greche, o romane, o regie, o de' nostri dogi altra epoca non registrano che quelle particolari delle città o delle colonie, alcune gli anni della potestà tribu- nizia, o quelli de' consolati degl' imperatori, altre quelli de' regni loro, come ge- neralmente si osserva in quelle del basso imperio greco da Giustino a Teofilo, nelle quali gli anni dell'imperio sono in latino carattere scritti: quelle de'nostrl dogi nuli" altra epoca portano che 11 nome del doge dalle più antiche che si con- servano fino a' giorni nostri, e se quegli che immaginò aperta fallacia avesse alcun poco di criterio avuto , avrebbe certamente ommesso nelle sue monete ciò, che è in palese contraddizione con il generale costume degli zecchieri. Ma già assai si discosse sulla verità di queste monete, perchè sieno come false e il- legittime tutte rifiutate, le quali, come felicemente spiegossl uu moderno scritto- re di queste stesse parlando, quasi Pallade armata dal cervello del gran tonan- te in questi ultimi anni fuori scapparono, ne mal Ira gli scrigni de' numismatici e

(i) L'art Je veriCer les Jates in dissertationc proevia, pars prima, p. a.

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dell anliquarii si chiusero . Si conchiuda adunque che esse sono false, e perchè alcun scffno dcHanlico monetario sistema non conservano, non hanno i caratte- ri tli quelle età, non portano le epigrafi delle altre monete, e infine contraddico- no in ogni forma a tutte le maniere di que' tempi .

E poiché il nostro scrittore a convalidare vie più le sue favorite monete, ac- compagnarle gli piacque di alcune laminette di piombo, che in serie progressiva e non interrotta i nomi de' tribuni ci riportano, i quali nelle isole di Grado , di Rivaalta, di Eraclea e di Torcello governarono , sarà utile per ribattere que- sto nuovo argomento il riconoscerle esse pure per false, e in ogni parte alla tra- dizione che fin qui ebbesi di quelle tribunizie famiglie contraddicenti . Le prime laminette ci danno i nomi de' tribuni di Grado, e non sono che una nuda e sem- plice ripetizione di que' nomi e di quelle epoche, che nelle monete si lessero, il che fa evidentemente conoscere essere le stesse fattura della stessa mano . E però a dir vero assai straordinario che fra tante- famiglie tribunizie , che dalla vicina Aquileja a Grado rifuggirono, e i cui nomi nelle cronache nostre rlcor- dansi, si poche ve ne siano nelle lamine registrate, e per contrario quelle si tro- vino, che la origine loro da altre parti riconoscono . Se pel buon desio degli studiosi della patria storia nella società Corraria riuniti, queste memorie si or- dinarono, ed incisero, come mai trascuraronsi 1 nomi delle piìi celeberrime fa- miglie d' Aquileja che si conoscono dalle storie in Grado trasferite , quali sono 1 Lumiaci, gl'Julii, i Lucei, i Glzl, 1 Proti, i Tornei, i Pini, 1 Cuppi, i Costantini, e tanti altri dal Candido nella sua storia d' Aquileja ricordati, i qua- li a que'tempi fiorirono, e in queste lagune cercarono asilo, ma che forse troppo presto si estinsero , perchè la fama non ne sia giunta all'incisore valente di que'piombi, il quale tratto tratto ripete in lor vece 1 nomi di famiglie tuttora esistenti, o che da poco estinte si conservano nella memoria di lutti . Come mai potè immaginarsi da Aquileja fuggito, anzi per primo tribuno di Grado ricono- sciuto queir Orso Giustiniano, se la origine di quella famiglia vuoisi , secondo la comune tradizione, dalla Grecia ripetere, ed abbia solo fra le principali nel- l'ottavo secolo a risplendere incominciato, un individuo di questa famiglia tro- vandosi all'anno ottocento sottoscritto nell'atto di fondazione della chiesa di san Giorgio? Come mai la famiglia Corelio, che deesl interpretare per Correr, può fra le tribunizie di Grado annoverarsi, se questa non trovasi tra le famiglie che da Aquileja si ritirarono, e d' altra parte la sua antica provenienza per tradizio- ne da Aitino si conta, ed avrebbe ritrovato il suo luogo più opportunemente fra i tribuni di Torcello, che fra quelli di Grado? Que' che dall'antica Padova al rc^simento di Rivaalta spediti furono, e che l'antico nome usarono de' consoli, perchè non figurano sulle tavolette fra i tribuni di quella isoletta ; ed era pure cosa naturale che ritrovandosi al governo di quella parte si trattenessero con

'77 i)ih loro agio, ne fossero nella patria loro ritornati, che da' barbari era siala fle- vaslata e distruUa ? Perchè ricordandosi in una moneta all'anno 63^ la citlà di Torcello episcopale dichiarata : '/V/ric*?/// cjVjfa^ episcopali.'; declarata., non si rcoislra in quell'anno fra i tribuni di Torcello quell' Aurio tribuno che primo con Paolo vescovo verso l'anno 635 trasportar fece la sede vescovile di Aitino a Torccllo, e che dall' anonimo altinale (i) viene chiamato fribunus et pria- cepsì ed in sua vece fra' tribuni di quell'isola un Giacopo Giustiniano s'intro- duce e per dlclolto anni successivi in quella dignità confermato si vuole . Trop- po palesemente si conosce, che la malizia e la artilìziosa frode a queste lamine ed a quelle monete diedero origine per trappolare il denaro di alcune famiglie di ricchissinji musei fortunate posseditrici, mentre i nomi illustri di quelle trat- to tratto in tutte le serie ripetuti si veggono, e fino lo stesso nome principio, e chiude le varie serie .

Ma queste lamine e questi piombi furono incisi per ordine e commissione del- la società Corraria dei Sovienti, la quale dall' unirsi in una casa di quella fami- glia ai Bari prese tal nome. Questa società ha ella giammai esistito? Un tal quesito a cui potrebbesi con sicurezza matematica negativamente rispondere, ci conduce ad esaminare se veramente a quella epoca nelle piìi rinomate citta d'Italia tal sorta di società instituita fosse. Da' più accurati esami io ritrovo che solo al cadere del secolo quintodecimo in Rimini ebbe luogo la prima accade- mia, che poca vita e pochissimo nome acquistò . D' altra simile che in quel tor- no in Firenze unissi, ci rese conto il dottissimo ora defunto p. Domenico Maria Pellegrini domenicano osservante , fu bibliotecario della Zeniana , nel suo som- mario dell' accademia della Fama, stam|>ato a brani nel giornale di Padova di- retto dai nobili fratelli da Rio al num. XXII, pag. 3 della prima serie, e lo stes- so ci assicura pur anco, che in Venezia circa a quel tempo Aldo il vecchio in sua casa un' accademia fondato aveva a somiglianza di altre in Firenze, in Na- poli, in Roma, la quale dal nome del suo fondatore Aldina appellavasi; ora io dico, se la società dei Sovienti avesse esistito, e solo cinquanta anni innanzi al- l' accademia di Aldo , questa avrebbe fatto di quella qualche cenno o parola . Di pili all'anno i 56o, instituita già l'accademia della Fama, che in tanti rami di scienze e di arti versava, e nella quale pubblica professione si faceva delle

(i) In una delle sessioni Jell' Ateneo JtU'anno i8iG JjI lev. don Sanie Valentina cappellano «Icll'arcicoDiraternita di s. Rocco fu una cronaca illiislrala, creduta da lui per quella dell'a- Doniino altinate più volte nella cronaca del doge Dandolo citata, ed il sig. Giacopo Filiasi, eoa quella giudiziosa critica die lo distingue, giudicò egli pure che il secondo e quarto opuscolo, che anicndue di cose ecclesiasliohe trattano^ formino parte della vera cronaca altinale da lua- go tciupo smarrita. 3i

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patrie storie, per 11 che nella siippllca al principe ed alla serenìssima signoria dal- la stessa presentata, richiede ottenere il privilegio di stampare e vende- re le opere in quella indicate , dichiara « che essendo le storie di questo se- « renissimo stato bisognose di miglioramento in molte parti, l' accademia stes- » sa offre di rivederle, e tutte insieme ordinatamente congiungerle y< . Dun- que all'anno i56o non aveasi cognizione veruna di una società, che fra i suoi membri contava i cittadini piìi illustri e famosi di questa patria, di una società che avea di già ordinato, ed in serie disposte le più antiche storie della patria da poco più di un secolo innanzi, ed a perpetua memoria sopra lamine di piom- bo incise . Che se non già fra la classe delle letterarie società, ma fra quelle che menarono gran fama e rumore le nostre cronache ricordano la famosa com- pagnia della Calza, che era una società di gentiluomini vlniziani con qualche fo- restiero, e di sangue principesco ancora, i quali con buona licenza dei capi del consiglio del dieci, e con sopraintendenza del magistrato dei provveditori del comune, insieme erano uniti ad oggetto di esercitare tra loro, per dovere indi- spensabile, scambievoli uffizli di amicizia, e di ricrearsi con onesti trattenimehtl e piacevoli diporti; le stesse con tanta accuratezza, benché senza ordine e sen- za critica, di ogni cosa fecero ricolta, e delle più minute interne cose si occupa- rono, e grandi notizie, e piccolissimi fatti delle più cospicue famiglie registraro- no, nulla ci dissero della società dei Sovienti, che altro arguire ci rimane se non che non abbia infatti esistito ? Ci sono presenti, rese di pubblico diritto con le stampe, le opere di uomini sommi, che fiorito avevano nell' epoca assegnata a questa società, el di cui nomi siccome giunsero a noi per altre gesta cospicui, così ci sarebbero anche in questa parte preclari pervenuti, e nulla ricordano di essa. Nell'elogio da Giorgio Trapesunzio tessuto alla memoria del procnratore mes- ser Fantino Michlel morto nell'anno mille quattrocento e trentatre (i) , fra le virtù egregie di questo esimio cittadino non si parla di quella società, di cui fu detto membro. Quanti codici assai pi'u antichi della società del Sovienti si con- servano nelle biblioteche di questa città, senza che i tarli corrosi li abbiano, e di quanti ne fa parola e Marco Foscarini letteratlssimo nostro doge, ed Aposto- lo Zeno chiaro lume dei letterati e dei dotti, e raccoglitore accuratissimo di cronache? Che se alcune di queste perirono, ciò principalmente successe per que'tanti incendii, ai quali fatalmente ne* tempi addietro questa città fu sogget- ta, incendii che rispettato non avrebbero i piombi delle lamine conservatrici de' fatti più interessanti e delle memorie più insigni, i quali sarebbero stati in eo-ual modo dal fuoco distruggitore consunti . Ma dove esiste il decreto che a queste società affida la cura di raccogliere le patrie storie , e chi ci assicura

(i) Vita di Guarino veronese Jel cav. Rosmini, lem. 3, i8o6. Brescia, voi. 2 Jo, pag. 86.

'79 della commissione avuta dall'incisore? Etl ceco clic sempre nella stessa guisa

parlando, si produce per testimonianza una medaglia segnata A ( lig. 9) in cui sta scritto : Pro studio historiae societatis Corrariae ordinantis. A. mcdxxxviu^ ed altra segnata B. (fig. \o^: A Paulo Corrano ordinata Joan - A Pastoribus. V. jìl. Fcc. , e nei fmc della memoria si accompagnano le plumbee tavolette, le quali interpretano il grande arcano, come siansi, oltre tante altre cose, conservati pur anco gli stampi delle monete; e sopra queste due medaglie, e sopra queste ta- volette, si piantano le fondamenta più stabili di quel castello che vi si è al diso- pra innalzato . Queste medaglie, queste lamine, queste monete furono incise da certo Giovanni Pastorion, che nell'anno \!^'h'6 in zeccagli stampi della moneta lavoraTa, e le tavolette ebbero dalla sottoscrizione del primicerio di s. Marco Pietro Foscari, e del cancelliere grande Giovanni Piumazio maggiore corrobo- razione. Esaminiamo in primo luogo chi sia questo Giovanni Pastorione. Il po- ter con evidenza matematica dimostrare, che questo uomo fra i lavoratori degli stampi nella pubblica zecca non mai abbia avuto luogo, ella è cosa di somma difficoltà, siccome per far ciò converrebbe che fossero i nomi di essi registrati con precisione: egli è però certo, e pubblici documenti ci assicurano, che que- gli che gli stampi delle monete lavorava intagliatore chiamavasi : difatti in una legge del i3o8 adi 7 maggio si nomina Giovanni Albico intagliatore degli stam- pi della moneta : Quod fiat gratta lohanni Albico intajatori stamparum ad monetam: legge riportata anche dal chiarissimo sig. Girolamo Zanetti nella sua memoria dell'orgine di alcune arti principali appresso i Viniziani (1); e più da vicino ancora ai tempi, nei quali si vuole che il Pastorione abbia esistito, ritro- •w> che neir anno i4^o4 morì Giacopo Sesto, e fu in santo Stefano sepolto, del quale nel sepoltuario di Gio. Giorgio Palfer, quale originario esisteva presso Apostolo Zeno, questa iscrizione conserva vasi: MCCCCIV sepoltura di ser Gia- como Sesto intagliatore alla moneta: e forse che questo Sesto puossi della stes- sa famiglia riconoscere di quel Marco Sesto, del quale il sullodato Zanetti ci offre nella anzidetta memoria una medaglia coniata all'anno i3g3, medaglia che secondo la di lui opinione si ravvisa chiaramente essere di conio e non di getto, e perciò appunto crede che esso uno de' maestri della pubblica zecca esser po- tesse, chiamati a quel tempo intajatori: ne è nuovo che l'arte d intagliare i conii fosse divenuta da più secoli la proprietà di certo numero di persone, e di famiglie presso le quali gelosantente come un secreto custodivasi . Se la poca distanza dei tempi di questi due Sesto, da quelli ne' quali vuoisi esistito il Pa- storione congetturare facesse, ohe questi potesse a quelli succedere, il non ave- re d Pastorione adoperato il nome d' intagliatore^ potrebbe far tenere per erro-

(i) Ongiae di alcune arti principali appresso i Tinizianl, libri Juc, pag. 100.

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nea la con^etlnra: tanto più che la ristrettezza della lamina,^ nella quale dovea la propria teslimonianza incidere, avrebbelo dovuto a quella parola appigliare, piuttostochè la lunga frase adoperare, die laora i stampi della monea; essendo il primo titolo in uso generalmente. Ma quand'anche il Pastorione fosse della zecca l'intagliatore senza il nome adoperarne, non regge al confronto la meda- glia di questo con quella di Marco Sesto (fig. 12) quantunque la sola differenza siavi di cinquanta anni circa tra esse. La medaglia di Sesto ricorda la primitiva origine di quelle lettere negli antichi romani caratteri, quella di Pastorione offre vaghi segui, che indicano ciò che vogliono, perchè dall interpretazione ac- compagnati, ma che da se soli ed isolati non lascerebbero luogo a conoscere, se casuali segni essi fossero o lettere. Quanta differenza non havvl tra la C di Sesto e quella di Pastorione, tra 1' E dell'uno, e quello dell' altro, tra la R del primo e quella del secontlo?Ma non solo fra queste due medaglie tale differenza apparisce, evvene una ma^igiore ancora trai caratteri adoperati dagli zecchieri di que'tempi, ed è perciò che una moneta pur anco del doge Francesco Foscari (fio-. 1 1 ) incisa mi jiiacque di aggiungere affmchè ognuno a proprio agio possa un confronto instituire . Per chiudere finalmente 1' esame su queste lettere non si dee trascurare le belle osservazioni fatte dal dottissimo monsignor canoni- co Braida di Udine, il quale a lungo ragionando su di un preteso sigillo appar- tenente a s. Cromazio vescovo di Aqulleja, che unito alle scoperte monete ed alle lamine di piombo, vide a quel tempo la luce , e sul quale, ricusandolo il dotto autore per sincrono, fino dalla prima edizione di quelle opere i proprii dub- bii dimostra, ma più apertamente lo nega nella seconda edizione, sciolti già 1 vincoli di riverenza verso il venerando letterato protettore della scoperta (1) . Dalle lettere si passi ad esaminare e riconoscere il linguaggio adoperato dall' in- cisore, il quale non si attenne all' uso della nazione di quella età , molli gram- maticali errori ritrovandosi, che in secoli cosi vicini a" tempi de' Romani non doveano aver luogo, e molto meno all'uso de" tempi posteriori, cioè dopo il iijoo, alla quale epoca vuoisi la testimonianza incisa, perciocché alcune antiquate vl- nizlane parole adoperaronsl frapposte ad altre di nuovo conio , e che non leg- gonsl nelle cronache di que'tempi, nel nostro dialetto dettate. La parola sche- retura non era in uso fra noi, ma dicevasi scriptura da' Latini togUendola, o per dir meo-Ilo ritenendo dell'antico linguaggio la voce, ovvero scretura^ parola che più vicina alla voce latina più ne ricorda 1" origine : antiche le monete si chiamano, che avrebbersi antique dovuto dire, od anco antixe^ come alcuna volta nelle cronache ritrovo; la dignità di procuratore, della quale dlcesi alcimi

(1) SaDcli Chroinatu episcopi aijuilejensis scripta. Utiai iSaS, pag. LXil, e seg

i8i Ira' rnemhrl della società investiti, non cliianiasi nelle cronaclie con (jiicsta vo- ce, ma ricordata si trova con quella di percolador (r) . Voce di nuovo conio è enstoria ^ tale è cuexta^ enxieme e molte altre, ohe dalle cronache di que' tem- pi risultano aflalto nuove. Scorso così il nostro esame sulle circostanze partico- lari d-elle adoperate voci, vejjgasi chi (picgli sia, che di questa testimonianza ci renda certi. Si vuole che Pietro Foseari, all'anno i(J38, il primicerio di san Marco foss«, che vide e confermò quanto nella testimonianza sta inciso ; ma a quella epoca non era il Foseari ancor primicerio, giacche il senatore Flaminio Corner in un documento riportato nelle sue chiese venete illustrate (2) ci assi- cura, che la dignità di primicerio era a fjucl tempo co|)erta da Michele Mario- ni, ommesso e dal Sansovino e dall' Ughelli nella serie dei primiccrii . Si vuo- le che Giovanni Piumazio fosee il cancelliere grande, che nellanno i4-38 abbia questa scrittura roborata e confermata, e non accorsesi che nella cro- naca del Sansovino stampata (3), e che gira per le mani di tutti, leggesi essere stato questo 1' ultimo anno in cui visse Francesco Bevazzano, già da dieci anni successore al Piumazio, il quale a canceHier grande rimase eletto nel i^^oS, e mori neir anno mille quattrocenvensette. Si pongoivo fra i possessori delle mo- nete mcsser Marco Zustinian procurator de Ultra, mcsser Fantin Michiel, e dalle serie dei procuratori (|) si riconosce morto il primo nel i346 cioè quasi on secolo prima della incisione delle lamine, ed il secondo già da quattro anni defunto: si fanno contemporanei e il detto Marco Zustinian, e Leonardo Zusti- nian fratello del santo patriarca, ed evvi tra loro la distanza di un secolo . Si rammenta tra gli studiosi della patria storia il doge Francesco Foseari, che da tutti gli scrittori del suo tempo, e più particolarmente dal succitato Flaminio Cor- ner è riconosciuto come un cittadino per ogni sua gesta prcclarissinio, ma af- fatto ignaro di lettere (5) . In fine un' unione di tante falsità la giurata testimo- nianza del Pastorione raccoglie e riunisce, che non lascia che maggiormente confermare la presunzione che dell'altrui dabbenaggine ritrar si voleva profitto. Arrossisce a questo hiogo la critica avere i proprii argomenti adoperati per ismascherare im' impostura che cede tosto al primo affrontarsi della verità. Fal- se sono le monete perchè non reggono al confronto di quelle che si conoscono

(i) Nel Jialetto firenlino usavasl Julle persone idiote e roize la voce jiericolalùie , invece Ji procuratore, molto in ciò avvicinandosi a quella del nostro dialetto, percol/ulor. Se il falsa- rio fosse btalo uu idiota di que' tempi avrebbe egli pure nelle sue tavolette usata tal voce.

(a) Ecclesiae Venetae auctore Flaminio Cornelio Decadis XllI, pars prior, pag. 201.

(3) Sansovino. Venezia descritta libri XIII. Venezia i663. Cronico Veneto in fine pag. 4?;.

(4) Libro manoscritto delle serie dei procuratori di san Marco agli anni i34C e i4o3.

(5) Flaminii Cornelii opuscula IV. Venetiis lySS. ia vita Francisci ì'uscari, pag. i63.

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le<^itlitne de'ternpi medesimi, n^ nelle epigraG, ne nel caratteri, ne nelle forme. False le tavolette che riportano nomi non ricordati dalle cronache più antiche, ed ommettono quelli che da queste ci giunsero , Falsa la testimonianza del Pa- storlone, perchè la professione propria d' ignorare fa mostra con altro nome chia- mandola, e frasi, parole, caratteri adopera che a quel tempo nel viniziano dia- letto non costumavansi, ed a confermare e autenticare la sua asserzione, qual Buovo Samnelc, richiama dalle ombre gli estinti, e gli avvenire onorevoli incari- chi de' cittadini predice. Si applaude adunque meritamente a coloro, che al pri- mo anntmzio di questa scoperta non si lasciarono imporre ne dall'autorità dello scopritore per tanti titoli sommo e degno della venerazione nostra, ne dalla im- portanza della scoperta, che tutte capovolge le notizie hn qui ricevute relativa- mente all' antichità delle viniziane monete, ma ben tosto la verità e la legitti- mità posero in dubbio, e si compianga, che ben lo merita, la debole condiscen- denza di quell'uomo, che in mezzo agli studii più cari delle monete, bramoso di dare un più antico principio a quella serie di monete, che con infinito studio e cura fino agli ultimi anni della viniziana repubblica aveva riunito, si lasciò im- porre dalle voci di chi per le molte cognizioni nella letteraria carriera era reso cospicuo e famoso ; ma tolgasi dal mondo, se pur si può, una serie di falsità sto- machevoli, e s'impedisca, che quegli che ha l'ingegno per ereditario spirito in- clinato all'arte di mentire la età (i) in si fatta guisa ne abusi a danno e nocu- mento altrui; ne alcuno saravvi, io credo, della patria si amante, e della sua glo- ria sì vago, che di appoggiare la di lei fama desii sopra mentite e vane spoglie, che ahi! troppo presto potrebbero essere scoperte e smascherate, come io mi lu- singo di aver dimostrato .

(i) Tra gli anliquarii di Venezia si distinse sempre la famiglia Meneghetti, ed abbiamo alle stam- pe lo elogio di Alvise Menegbetti incisore ed antiquario, scritto dal professore dell'universi- tà di Padova don Gio. Prosdocimo Zabeo, e Ietto nell'ateneo di Venezia al 3o marzo i8i5, nel quale fra le lodi date a questo incisore, v'è quella che sapeva l'arte di mentire le et<ì, e non solo imitava l'antico, ma lo riproduceva, sicché i suoi lavori si tennero per Greci del buon secolo. La stessa arte di mentire le età fu pure tentala da' suoi discendenti, sicché alcuno evvi tra quelli, che fu riconosciuto autore sciagurato di queste monete, e di queste lamine, che si dissero scoperte iu vecchie casse di famiglia.

G LI

AVARI

PISTOLA

A LEOPOLDO CICOGNARA

DI LUIGI PEZZOLI

MEMBRO DEL CONSIGLIO ACCADEMICO .

>c, mentre di suclor bagna la dura

Gleba, che rompe trafelato ed ansio Per aver poscia, o non aver fors' anco Pan che lo sfami, ingiuriose voci Manda al cielo Timone, e sen corruccia Con quel non equo partitor de' beni Olimpio Giove, a' suoi casi infelici Pietà mi nasce : ma non è poi dico De' Numi il Padre che a s'i dure strette Metta r umana razza , onde qucst' ubbia A inalberarsi, ed a piatir con lui . L' uomo a r altro uomo è lupo, e ne le aperte Gole, se cali Io scandaglio, indarno IVovar fondo ti speri . E dessa 1" ampia Vorajro immensa che trantrugia e sorbe Quanti tesori in se chiude la terra Che Vespuoci e Pizzaro ebbero scorta . E <|ueir arcigno, de 1' umana stirpe Od'iator, dal fondo dell' Inietto Brava il Tonante ? Ma Golconda forse

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Non diamanti, California perle,

Auree masse il Perù ? Qual arte mai

Di nuova cupidigia, il ricco incarco

Che per tanto gran mar d' Europa i liti

Attinse al fin, tra chiavistelli e spranghe

In ferrea tomba a seppellir ne viene

Tra noi così, che men tenace in grembo

Natura il tien ne' cavernosi abissi

Del biondo Potosì? Che se di luce

Raggio mai cala in que' ciechi sepolcri

E r Avarizia che leva il coperchio

Per dar al pondo pondo. Io la conosco

Cotesta donna, e la scontrai sovente

Per via, che avea Frode ed Usura al fianco,

E Pietà, che di un passo i passi suoi

Va precedendo, a' cittadini smunti

Vista cara e temuta . Il pan di un giorno

Che costei reca, vai di un anno il prandio

Che costei toglie, e se patir non vuol

Che al suon di tuba il potleretto tuo

Il gabelller ti venda, essa ti purga

La (liffalta del censo . Al del patto

Vien con 1" abbaco Usura . O tu di Samo

Prode calculator, facesti mai

Nascer somma di zero, e tal che ricco

Patrimonio la sconti? / t' ho redento

Da r ugna pubblicane^ e il nome tuo

Tolsi al disnor di critica gazzetta .

Che ! ti speravi a guest' età quel hambo

ly ogni suo aver sperperalor Poplicola

Che snudò per ricovrire altrui?

Gagnoli pur la maladetta arpia,

E dentro a le spolpate ossa 1' estremo

Sangue ricerchi, che a quell' alto colle,

Lieo[)oldo, ove tu stanzi in mezzo al coro

De r arti belle, e eh" io più sotto guardo

E col disio guadagno, i rei latrati

Non giunser anco. Ivi l'alloro eterno

Fiorisce a le tue tempie, e gloria alligna ;

i8S

Messe cotesta che dai campi arari Sbarba la man, come gramigna o cardo . Voce di Febo non piaggia l'orecchio, Cui martellando va da mane a sera L' allo sonar del conì'ato argento . E a noi non solo sonatori esperti De le tibie di Euterpe, abborrimcnto Hanno e dispetto gli Attali ch'io canlo^ Ria a quanti v" à de le gentili cose E maestri e seguaci, e a pur anco, Se qualche raggio di splendida fama Venisse ne la notte balenando l)f le lor menti . Gli vedrai tu quindi ()uesti colali, impensieriti, in viso l*ortar pinto il colore, e la profonda Malanconia de l' oro . Incidi, amico, E nolomizza . Ne le molli celle Memorative, di morir torrei Se altro trovi che cifre arabe e conti. Conti mille e diversi, e quel non mal Del viver corto, e de 1' estinto Creso. O santo Apollo, l'orecchiuto Mida E tuo lavoro, e '1 disegnasti allora Per r Adamo de' ricchi. Ora è vendetta De la vendetta tua, se i sacri ingegni Picchiano in vano agli usci non udenti. Aperti al mimo, a la bagascia, al sozzo Venditore di talami, al trincato Fineez di Temi, e al giuntator nefario . Peste ria non ammorbava un tempo Gli atrii di quest' albergo, asilo e tempio Di virtù cittadine, ove le prime Aure spirò di vita, e i lumi chiuse Il padre della patria, in mar Pompeo In senato Catone. Ai buon Penati \ oliò faccia fortuna, e i palrii annali Diranno ancor, che di Vitrnvio è quella M.irmorea mole, di Palladio questa: Se ili più vuoi saj)er. da la fantesca

24

.86

Udrai, dal remigante, il nome e 1 fasti De r ospite novello. Essi da l'alto Daran principio a la preclara istoria . Come da Pelestrina, algoso nido Di peschereccia torma, a la Signora Venne del mar, co l'irto feltro in testa Ed il giulecco a un omero imbracciato. Penzoloni su 1' altro, e sgambucciato U eroico padre, e che uno sellilo avea De r avito tesor. Magico schifo! Di tartana in saettìa, quindi converso In caravella e in flotta onnipossente, Che da Bisanzio o dal Tamigi a noi Giunse di merci grave, a lar contante Solo a r algebra noto.— O il lungo giro Di nestoree succession! T'inganni. Io che ti parlo, lo stupendo ò visto Prodis'io, e la leggiadra metamorfosi. O più di Giove e di Titano adunque Potentissimo Iddio Mercurio, padre De' ladri e mercatanti! E tua la scuola De la divina alchimia, e non è sola: Che opra è da eroe lo aggrumolar de 1' Asia L' oro e le pompe, ed imitar di Sparta Le vestimenta,, e \ fragrale banchetto. Usi salvietta e piatto il morbidetto Bocchin di dama, o '1 roseo Sibarita, Poiché la carta che le acciughe involse. Basta per uom che del boccal cretoso Calice à fatto, e del dito forchetta. Clio, di storie maestra, a la tua penna

Conscirno un nuovo nome, e non lo tolsi Dal vincitor del Ponto, o da quell'altro Dei Parti domalor, dal parlic' oro Domo. Il nostro campion non vesti usbergo. Ferro non strinse, e nazioni emunsc Placidamente: quest'illustre ingegno Inosservato visse, ed un cantuccio Di vendereccio fondaco nascose

Tania virlìi. Piacque a natura sempre Oprar molto tacendo. Ei non conobbe Lie dotte scuole, e nominanza ottenne, Titoli e fresri . Inganno è dunque, incanno Dir che sol da Minerva uomo s'illustra, Ovvero oro è Minerva . E qui le tele Stan di Parrasio, e di Lisippo i bronzi, E i marmi di Miron. Vuoi maggior prova Di sapì'enza ? In ordine distinto Les-ffi e vedrai. Baiavi ingegni e franchi. Britanne menti, e d' Italia maestra Ecco raccolto il fior . Questi volumi Godon la pace qua che ne la tomba Hanno i suoi padri . E chi oseria toccarli ? Il mio signor, dal che sul mercato Ne fé' r acquisto, cimentonne il peso E la virtù con la stadera in mano . Altri, cui traTge curiosa brama Di visitar le pellegrine soglie E '1 signor fortunato, in fra i cristalli, Le seriche cortine, ed i graticci Tenti spVarne il titolo e la pompa. Di te parlai sin ora.^ or vieni, ricco.

Che con te pai'lo. Me creò natura.

Fortuna te . Quanto poteva io darti

To' la mi disse, e di campagne e navi

E di tesor vece ti tenga questa,

E una penna fra i diti, i' mi trovai .

Vedi tesor di piuma ! E pur con questa

Il mio campo lavoro, ed ogni sera

Mieto tal messe, che con altri spesso

Ne la divido e pel doman riserbo

Campo, e no biada . O' qualchcdinio quindi

Che mi prospera orando il mio terreno,

Nessun che me lo invidii. Io di natura

Figlio, de' doni suoi colgo quel meglio

Che spontanea a me porge, e nega sempre

A mercenaria mano, e in vita mia

Non conobbi soperchio, ozio, od Invidia .

i8;

i88

Qualche volta fortuna oro in mie mani Precipitò, divenne oro in mie mani Acqua che casca in gronda e non fa pozza . Cosi varcai di nostra vita il mezzo, toccherò la fine. Illustri teste Vidi andar per la polve, ed eminenti Troni crollar . Fortuna ire e redire, E, come sferza del palèo, del mondo Tal giuoco farsi, non perciò di cuore Viltà mi prese, o 1 notturno rimorso Mi toccò mai con la man fredda il petto . Pianger del mio sangue civil, dolermi Agli altrui casi, dispettarmi all'onta Della patria scaduta, ecco i miei falli. Per cui non ebbi penitenza o scorno . Tu che ài ferma la rota onde quaggiuso S'avvicendano i beni, un ben godesti Uno di tanti almen ? Quel primo e dolce Che altri si goda . Tu che ne' disastri De r oppugnata patria , lo vedea solo Solo spiegar serena fronte in mezzo Degli aggrottati cittadini volti , Quasi cometa che d' infausto lume Riflette i nembi che le fan corona . Ma delitto più grave, era (noi taccio) Il pianger tuo come rideano tutti, E disiar che la Discordia e Marte Duri a le porte, insin che abbia la fame Conversa in oro 1' esecrata incetta . Ahi scellerata sete a quanto iniqua Desìanza, per te questa non giunge Nostra ingordigia ! Ora che Sirio incenda La messe sitibonda, ora che il pianto De le nimbose Plejadi sommerga Le crescenti speranze, e che mature. Anzi che falce, grandine le incolga . E chi trattò de' miei diritti à scritto,

(Bugiarda penna!) che del tuo soverchio S' empirla l'altrui vóto, e che puntello

Sarcstb a mìa ruina, e t'arrci visto

Ne' famelici giorni andar picchiando

Di porta in porta, e offrir pane non chiesto?.

Ma pietà tu di me, se di te mai

Non la sentisti, o più di quel metallo

Che adori duro ! Di fiaccarti hai preso

Meglio le lacche, ed abbronzar la pelle

Al soUionc , anelitando a gnisa

Di stanco bracco, che a' cavalli tuoi

Torcere un pelo, onde a la prima fiera

Tali sien poi che il vetturale e 4 fieno

Ti rendan essi, e del servigio il prezzo .

Ti prurisce la carne ? amor non nacque

Sotto aurei tetti, e più dolce non torna

Su' talami di rose . Il can per via

Cuopre l'amata cuccia . Imita, e al buio

DI qualche trivio, o di sozza callaja

La sgualdrinella che ti diede il fiore

Segui, e scantona col mantello agli occhi.

Ippocrate potrà guarir la piaga

De r affetto plebeo, quella non mai

Del borsellino esausto . Or vuoi compiuto

Darmi il ritratto? A buon scrittore i' debbo

Questa figura. Etti venuto mai

Spiar que' monti che han gravido il grembo

Di prezì'ose cose ! Orrido aspetto

Gli rende a 1' occhio ingrati, a l'andar scabri.

Filo d'erba non spunta in su le brulle

Spalle, e inutll sarà che il viatore

Di un frutto inchieda, onde recar ristauro

A r arse labbia, orror mesto per tutto,

Solitudin, silenzio, rena, sasso.

Tal mia musa ti osserva, e tal fra noi

Maggioreggi villano . Oh se le mani

Mettesse nnqnanco il mio Leopoldo in questi

Rigidi stagni di stipato argento,

Coni' risoluto in fiumicelli e rivi

Scorrer vedreilo e serpeggiar per tutto

A dar vita, colore e spirto e lena

189

igo

A la virili che inarkiita giace

Per mancanza d'umor che la ristori,

E sementi in germogli, e fiori in frutti

Vedrei cangiarsi, e giardin farse il mondo

Di foresta di sterpi aridi e bronchi.

Allor le sante muse e '1 divo Apollo

Che non han lauro onde sedersi all' ombra,

Ridesterian quell' armonia che Bembo

Derivò un di da latin plettro o greco

Su queste live all' arti belle amiche:

E dov' è pialla, remo, ozio, o delillo

Vedremmo 1 lampi di quel primo padre

Di nostra scuola, e de' color maestiO;,

Di Ferracina e di Canova ingegni .

Io questo dico, e '1 dico a que che sanno

Com' ei cerchi, conosca, e onori il bello.

Rota. Io scriveva questi versi uel giugno 1798 in Venezia.

X'-i'.' !■ ^. . '■■.':■/

^::,,„.;,fi., ,/-/ .

SOPPxA LA VITA E I DIPINTI

D I

FRA SEBASTIANO LUCIANI

SOPRANNOMATO DEL PIOMBO

SAGGIO

DELL' AVVOCATO PIETRO EIA

MEMBRO ORDINARIO E PRESIDENTE DELL' ATENEO

SOMMARIO.

J. l soggetto che s' imprende di trattare è importante non meno per gli arti- sti., che per li dotti Sebastiano Luciani nato in Venezia nel i^So da Lucia- no Luciani -^ U educazione cK egli rice^-e nelle lettere e nella musica ap- palesa la buona condizione di sua famiglia Ristaurazione delle buone disci- pline in Italia : il Luciani partecipe del generale fermento si dedica alla pit- tura e s'' accosta a Giovanni Bellini Miglioramenti che apporta alla pittu- ra cotesto caposcuola Il grandioso stile di Giorgio BarbarelU muove il Lu- ciani ad ascriversi al novero de' suoi discepoli Giunge ad imitarlo a tale

perfezione., che li dipinti del discepolo vengono presi in iscambio di quelli del maestro: suoi primi ritratti., sua tavola pel maggior altare di s. Giovanni Criso- stomo., suoi portelli delC organo in s. Bartolommeo—Il Luciani conduce la tavo- la della visitazione per la chiesa di s. Biagio di Lendinara. e F altra perla chie- sa di Grigliano rappresentante la resurrezione di nostro Signore : luogo ove fu- rono condotti ed età di cotesti dipinti Si va indagando., se abbiasi a rivendi- care al Luciani la famigerata tavola posta nel presbiterio di s. Nicolò di Tre- vìgi: si prendono in csavie le opinioni del p. Federici., delf abate Lanzi e

dell anonimo autors dell articolo che si legge ne/ gìorualc sulle scienze e le'-' tare delle provincie venete iV. i 5, settembre 1822 pag. i5o frenata in Ve- nezia nel iSog di Agostino Chigi soprantendente alle rendite della camera apo- stolica sotto il pontificato di Giulio II: sue dovizie^ sontuosità del suo vivere^ sua regale munificenza nel proteggere gli studii e le arti belle Segreta le- gazione a' Veneziani per lo scioglimento della lega di Cambray desiderata dal detto pontefice è la probabile cagione della missione di lui in Venezia Quivi forma la conoscenza del Luciani^ s' invaghisce del suo colorito giorgio- nesco^ e lo persuade di seguirlo a Roma promettendogli d impiegare i pennel- li di lui nei dipinti de' suoi magnifici edifizii // Luciani giunge a Roma col Chigi in tempo che papa Giulio dava egli pure un possente impulso alle ar- ti liberali ed agli ameni e gravi studii e preparava il secolo di Leone X, alla fama ed alla gloria del quale dev essere associato Ali arrivo del Luciani il Sanzio ed il Bonarotli dividevano tutti i suffragi di Roma e deli Italia^ degli artisti e degli amatori Carattere di cotesti due altissimi ingegni^ differenti vie per le quali giungono nel diverso lor genere a toccare il sublime nelF ar- te — // Luciani tratta i pennelli in concorrenza di Raffaello e del Peruzzi ne- gli a fresco del palazzo Chigi in Trastevere detto ora la Farnesina Michiel. angelo adocchia i dipinti dal Luciani^ s' innamora del lucido^ saporito e mor- bido suo colorito^ lo pone sul buon cammino rispetto al disegno^ e lo costitui- sce suo campione per opporlo all' emulo Raffaello Quest' ultimo suscita un rivale a Michielangelo in iscultura^ dando a scolpire a Lorenzetto Fiorentino r Elia ed il Giona^ ajutandolo co' proprii disegni e ritoccandogli di propria mano i modelli Giudizio del Bellori intorno al Giona // Luciani dipinge in Viterbo un deposto di croce., in Perugia una natività di nostra Donna., in s. P ietro Montarlo in Roma la flagellazione di nostro Signore: nel disegno di que- ste e più altre tavole fatte altrove si ammira il profitto che tratto aveva dalle

lezioni del Bonarotli rispetto al disegno // Luciani dipinge la gran tavola

della resurrezione di Lazzaro a competenza della trasfigurazione di nostro Si- gnore di Raffaello^ e nel difficile paragone divide i suffragi: la resurrezione di Lazzaro fu di recente acquistata dal governo brittanico per i^ooo lire ster- line — Morte di R.affaello // Luciani occupa il primo seggio della pittura in Pioma Stupenda tavola rappresentante s. Nicolò vescovo mirense , // Precursore 6 t apostolo Andrea condotta per Agostino Chigi., compita sei ah- ni dopo la morte di lui Cagione del lento procedere del Luciani ne' suoi la- vori., e della prodigiosa rapidità di Raffaello // martirio di s. Agata ; nuo- vo capo-lavoro del Luciani che si conserva nella ducale galleria di Firen- 2.^ // Luciani riesce a nessuno secondo ne" ritratti: lettera curiosa di Clau- dio Tolommei sopra tale subbietto Ritratti di Clemente VII., Adriano VI.,

Paolo III^ Caterina dei Medici regina di Francia e di più nitri pmin^nti per- sona'gì condotti da Sebastiano Fra tutti i più niarnvig/iosi e i più decanta- ti sono quelli di Giulia Gonzaga, Pietro Aretino e Giambattista SiH-ello Roma presa (T assalto e divenuta preda di soldatesche avide ed efferate // Luciani chiuso nelP assediato castcl Sani' Angilo con papa Clemente VII ; sue lettere alt Aretino —Fuga de' più valorosi artisti dallo stato pontifìcio dopo quelli miseranda catastrofe; languore estremo delle arti Clemente conferisce il bn 'leficio di apporre il bollo ai decreti della cancellarla apostoli- ca al Luciani che veste l abito di s. Domenico Suo trovato di colorire al- r olio sul muro e sopra i marmi^ e suoi lavori in questo genere Suo lieto vivere^ suoi capitoli bcrnieschi e sua morte.

Vera reJit fncies, nssimulnln perii PtriiON. Satj'i'. cap. 80.

<\ Tra Sebastiano del Piombo nato in Venezia dalla famiglia Luciani nulla scrisse Carlo Riilolli, come se figlio delia scuola veneziana stalo e" non fosse , o non I' avesse fenduta chiara coi magistero de'suoi pennelli. Giorgio Vasari Sdisse molto, non però tutto ne il meglio di cotesto insigne dipintore, anzi egli guastò ciò che scrisse con quel suo amore di parte, che scema tanto di fede a SUOI racconti e di peso a' suoi giudizii . Poco e senza la solita accuratezza e ponderazione ne scrisse 1' abate Luigi Lanzi , considerato avendolo nulT altro che un gregario della scuola giorgionesca, ed avendogli perciò consagrate in quella sua opera magistrale pochissime linee . Forse non aveva vedute che le opere della sua prima maniera, e s'era strettamente attenuto al parere di An- tonio Zanetti, che avealo cpialificato per un perfetto Imitatore del Barbarelli suo secondo maestro, e nulla più. Il p. Federici copiò in parte il biografo areti- no, ed in parte compose di suo capriccio un romanzo pieno zeppo di assurdità e di anacronismi. Di abbeccedarli,, biografie, orazioni elo£Ìstiche ed altre ciance canore, che intorno al Luciani furono scritte, sarebbe tempo perduto il tener conto.

Pure se c'è pittore, per mio avviso, che meriti le disquisizioni de' dotti e lo studio degli artisti, non che di tutti in generale i cultori delle arti ingenue, il f^ucianièdi rpieslo numero. L'essersi formata una manieia., rlie partecipa nell" 1- stesso tempo della scuola veneziana, della romana e della tiorcntlna : l'aver

avuti jiLi- inacslrl un Giovanni Bellini ed un BarbarcHi, per commilitone un Mt- cbelangclo, per rivai»; nii Raffaello: l'essere stato sostenuto nella battuta lumi- nosa carriera da nobilissimi e potentissimi mecenati : 1' aver infine prodotti «le' capolavori, a" quali il volger de* secoli altro non fece che vie più accrescere la rinomanza ed il pregio; tutto ciò un complesso forma di tali singolari e notevo- li circostanze, che rendono la vita di questo valoroso dipintore meritevole della pili scria attenzione di ogni classe di lettori .

Senza punto badare se peso sia proporzionato alle forze de' miei omeri, confor- memente al precetto del Venosino, spinto unicamente da una smaniosa passio- ne per tutto ciò che concerne alle arti belle, io avrei osato dettare la vita di Sebastiano Luciani: ma poco più sapendosi di cotesto valoroso dipintore di quanto scrissenc il poc'anzi citato biografo aretino, ho dovuto circoscrivere li miei stiidii nei limiti di una più esatta enumerazione e più ampia illustrazione del- le sue opere, fatica a mio intendimento feconda di fiori e frutti non pochi. Trat- tavasi di revocare dall' obblio alcuni di lui dipinti, di ricordazionc meritevolissi- mi, de' quali non se n'era fatta menzione nelle scritture già pubblicate, quantun- que lo stile, la tradizione e le epigrafi stesse, che portavano impresse facessero indubitata fede chea Sebastiano appartenevano. Si doveva con migliori testimo- nianze di storia e con lumi maggiori di critica discutere di nuovo la questione , se in fra i prodigi del suo pennello si avesse dovuto annoverare la tavola della cappella di s. Nicolò diTrevigi. A penetrare più addentro nella filosofia, che ave- va inspirato il pittore nell'inventare e comporre i suoi quadri, e a far comprende- re quanto avanti egli sentisse nel segreto dell' arte di contraffar la natura col- la mao-ia de' colori, era duopo se ne facesse quella più particolareggiata descri- zione, che da' precursori erasi lasciata desiderare . Conveniva dalle esagerazio- ni purgar dell'invidia, e a più vere e giuste dimensioni ridurre quelle armi adiu- trici che "-li aveva prestate il Sonarotti per renderlo più gagliardo nel sostene- re lo scontro degli emuli : ed era mestieri di fare lo stesso rispetto alla gloria , che acquistata aveva Sebastiano nelle strepitose gare, ch'ebbe a sostenere col grande Raffaello .

La protezione, di che gli hi largo Agostino Chigi, nome che chiaro risplende nco-li annali delli tre famosi pontificali di Alessandro VI, di Giulio IF e di Leo- ne X, non meno che ne' fasti delle arti belle, cui potentemente ha egli promos- se: gl'incoraggiamenti e le ricompense che a larga mano profuse sopra di lui il cardinale Giulio de' Medici, il quale si assise sulla cattedra di s. Pietro sotto il nome di Clemente VII: la stima grandissima, in che ebbclo Claudio Tolomei e quel terribile uomo di Pietro Aretino, il quale se appena mediocre riuscì pitto- re, fu di pittura conoscitor dotto e profondo : ecco alcuni episodii con più altri, che, per amore di brevità, di accennare si tralascia, li quali diffondendo molta lu-

19^ ce, e non iscarso ornamento aggiungendo alla vita ed alle opere del Luciani , meritavano di venir disgombrati dalle incertezze ed oscurità, j)cr quanto con- eenti vanto le poche notizie cli'èmmi venuto fatto di razzolare .

A serbar mondo dalla muffa il cervello ne' prossimi decorsi anni, in certi ri- lafli di tempo che gli ozii campestri mi concedettero, misi insieme, alla spiccio- lala co<Tliendola, siffatta messe. E perchè Dante dice che " non vi fu scienza senza ritener 1" inteso " cosi ho notato in certe schede ciò di che fatto aveva tesoro: ma se a disporl»' secondo la ragione de' tempi ed a rannodarle in ordi- nata orazione non mi avesse incitato un illustre maritaggio, cui erami venuto fantasia di festeggiare, un soffio di vento ne le avrebbe al certo sgominate e disperse, a similitudine delle foglie su le quali incisi stavano gli oracoli sibillini; tant'era la sbadataggine, con che io guardava questo informe centone tessuto a catafascio. Ma che! nel timore che l'edizione dell'opuscolo giungesse ad are deserte, a faci spente ed a mense levate, mi accinsi al lavoro del mio musaico con tale una precipitazione, che grave scapito ne risentì il mio scritto non me- no rispetto all'esattezza de' fatti, che alla maturità de' giudizii. A fine pertanto che non mi si bandisca la croce addosso ho dovuto stendere una mano soccor- ritrice a cotesto mio difforme figliuolo, non già mosso dalla temeraria presun- zione di renderlo un Apollo, ma dalla fiducia di fare in modo, ch'e'non com- parisca un Vulcano, o tale altra sconcia figura, ed ecco in brevi accenti il per- chè rifeci il già fatto, ed a nulla perdonando, posi all'opuscolo il meno sfoo-fia- to e più modesto titolo di Saggio intorno alla vita ed ai dipinti di fra Sebastia- no Luciani soprannomato del Piombo.

Dovrei forse rimproverarmi di aver troppo diffusamente discorso intorno alli due corifei delle scuole romana e toscana : ma non so io vedere il come aves- si potuto resistere al seducente pensiero di far conoscere nel Luciani un deo-no rivale di Raffaello ed un valoroso campione di Michielangelo, avvegnaché alle volte il veneziano pittore ristretto nell'armatura formidabile del fiorentino ebbe a disputare la palma all'urbinate, e potè senza ombra di superbia sul suo conto ripetere « ed io fui terzo fra cotanto senno " ? Potrebbe sembrare altresì che la digressione del sacco di Roma siavi stala cacciata di ntro a solo fine d'in- grossare il volume ; ma se il Luciani al tempo di quella lugubre e sanguinolenta Iliade si trovò, in compagnia di Clemente VII e di molti cardinali, prelati, arti- sti e letterati del suo seguito, chiuso nell'assediata nnole di Adriano, e se da quella munilissima rocca scriveva all'Aretino lettere di aneddoti curiosi ri|)ienc ; e perchè mai, ommcttcndo di parlarne, avrei dovuto lasciare un vuoto nella vita del mio pittore? Forse per non annodarvi? In ([uesto caso ni' eia diiopo di gettare la penna, e lasciare ad ingegni più felici ed esperii correre cotesto ar- ringo. Se noi feci, incolpatene quella festevole accoglienza, quell iudulgeulc sor-

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riso, con che rlegnate per istituto costante, ornatissi mi accademici, le mie quisquiglie ascoltare, nelle quali la volontà eh' è molta tiene in bilico l' ingegno eh' è poco .

Luciano Luciani veneziano fu padre a quell'insigne pittore, che nelle biogra- fie e negli abbeccedarii pittorici viene comunemente chiamato fra Sebastiano del Piombo^ sia a cagione dell' ufticio che poscia in Roma sostenne di apporre li bollo a' decreti della cancelleria apostolica, uffizio conferitogli dalla munificen- za di Clemente VII, sia per lo fratesco abito assunto. Una lettera scritta dallo stesso Sebastiano all' immortale Michelangelo Bonarotti nel di ag dicembre i52o ci chiarisce che tale erasi il nome del padre di lui (i): un' altra lettera di Claudio Tolomei a Sebastiano indiritta del ffiorno ao afrosto i54.3 ci toglie o£-ni dubbiezza intorno al cognome (2) . Il padre Federici senza punto curarsi di re- care m mezzo mallevadori, franchissimo asserisce che la famigha Luciani appar- teneva all' ordine de' commercianti, e che dessa crasi divisa in due rami, di cui r uno continuò a starsene in Venezia e l'altro trapiantossi in Trevigi . Il cu- rioso si è che il buon Federici, affettando circospezione e ritenutezza ove do- veva appalesare un po' di ardimento, non s'arrischia decidere, se Sebastiano abbiasi a considerare propagine dell' una o dell' altra di quelle due schiatte . Bastava certamente a lavarsi la coscienza da ogni scrupolo ch'egli si fosse com- piaciuto di leggere quella stessa lettera 4 dicembre i53i , che Sebastiano in- viò al suo amico Pietro Aretino, e ch'egli stesso diede alla luce fra li documen- ti giustificativi delle sue memorie, avvegnaché in essa, parlando di Venezia, la denomina espressamente patria mia (3) . Di piìi : lo stesso Federici e' instruisce, che Sebastiano in tutti que' dipinti, che all'ammirazione de' posteri tramandò col propio nome, vi aggiunse costantemente nell'epigrafe veneziano. Sia que- sto un picciol saggio dei manifesti abbagli presi dal prefato scrittore: in pro- gresso se ne noteranno di più madornali («).

A qualunque ordine di cittadini appartenesse, convien dire che agiata si fosse la condizione della famiglia Luciani, che diede alla luce il nostro Sebastiano, se fu assai per tempo nelle amene discipline instituito con tale una diligenza, mercè della quale riuscì non ispregevole poeta, massime nelgenere berniesco , e se nella musica vocale ed istrumentale in assai fresca età divenne eccellentis- simo. Coteste di lui virtìi congiunte ad un umore alleo-ro e ad un ameno con-

(a) Memorie trevigiane sulle opere di disegno voi. I, cap. 6, eiliz. i8o3, p. 117.

'97 versare lo renJelter carissimo alle rende |iiìi cospicue palrizie famiglie . altiicl «li beoli ingegni, presso alle quali ebbe libero accesso, e feslcTolc accoglienza

cortese .

Aveva Sebastiano tocco qucU' età, nella quale i germi delle nobili e genero- se passioni si sviluppano, e si accendono le ignee scintille di quel genio pel bel- lo, di che pochi esseri privilegiati nascono insigniti. Di quel tempo l'Italia no- stra, trascorsi avendo tutti i periodi d' una diuturna barbarie, cammmava con ispessi e lunghi passi verso la civiltà, benché non fosseio onninamente scompar- se le cagioni che ne 1' avevano ritardata. Se ne dividevano tuttavia le sparse e lacere membra quelle tante sue tumultuarie repubbliche e que' tanti suoi tiran- neUi: spente al tutto non erano le guelfe e ghibelline fazioni e 1' altre non men fatah de' bianchi e de" neri , ingenerate da vituperose cagioni a chi sa di storia notissime, e che in atrocissime guerre civili erano ite a hnire: numerose solda- tesche di ollramonte, delle discordie cittadine approfittando degl' Italiani, vali- cavano le alpi, lasciando dietro alle loro tracce torrenti di sangue e vaste soli- tudini : finalmente bande mercenarie, inutile schermo di quo' paesi, apro de'qua- 11 In tempo di guerra osteggiavano, e funesta cagione ad essi di morti e di rapi- ne in tempo di pace, ponevano il colmo alla miseranda di lei condizione. Non- dimeno un generale fermento fatto aveva rinascere per l' Italia i bei tempi di Pericle e di Augusto; le lettere avevano dischiuso l'airlngo alle arti, ed il secolo di Giulio e di Leone incominciava a spargere quella luce che non doveva più mai tramontare, od ecrlissarsi. Scosso da siffatto generale fermento anche il Luciani, senza punto abbandonare i geniali studil della poesia e della musica, avvisò dedicarsi alla jilttura, ed accontossi a tale scopo con quel Giovanni Bel- lini, 11 quale, quantunque grave per anni e per fatiche, pur pure 11 primo seggio occupava ne' pittorici ludi.

Questo principe della pittura veneziana, rispetto alla prima epoca del suo fio- rire aveva colla più recente di gran lunga migliorata la sua pristina maniera, a tal che può dirsi il suo stile tinto in certo modo del colore di due età . Senza ammettere che le opere di Giorgio Baibarelli., detto altramente Giorgione da Castelfranco, suo disceiiolo, abbiano prodotto in esso lui simile miglioramento , cosa che potrebbe soggiacere a non lievi difficoltà, avemlo egli [>er lunghissimo corso di anni adoperati i pennelli con egual grido di merito e con eguale af- fluenza di lavori, si dee credere piuttosto che dotato qual era il Bellini ilinsfc- gro naturalmente giudizioso e ferace, e da una diuturna e sicura esj)erienza il- luminato, abbia da se stesso a maggior perfezione i suoi dipinti condotti senza che l'altrui esempio abbia a lui servito d'incitamento.

Ria siasi avvenuto il felice cangiamento per effetto del naturale progresso della prelodata scuola belliniana, ovvero per un" imitazione dell'arte rinnovata

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con migliori praliche dal Barbarelli, certo h che Giovanni Bellini, ricco di tut- te le doltrine della vecchia scuola.j lasciò indietro nella corsa carriera a grande distanza i suoi antesignani . Ed in vero fu per lui che le forme delle fagure com- paivero abbellite d'un più grandioso carattere ; per lui fu che più calde e sapo- rite riusciron le tinte, e più naturali 1 passaggi dall' una all' altra : fu per lui che, mercè del difficile magistero dell' ombre e de' lumi, gli oggetti ricevettero mag- giore rilievo; per lui liaalmente fu che con opportune degradazioni si giunse ad accennare i punti diversi della scena pittorica, dal che ne risultò quel perfetto accordo, quella dolce armonia che tanto apportan diletto ad ogni maniera di spettatori. La proprietà, lo spirilo, la grazia e la vivezza che il Bellini seppe dare alle arie de' volti, la nobiltà appalesò di sua fantasia, e nel disegno de nu- di die'sa<yo-io di sue non iscarse cognizioni nella simmetria, anatomia e prospet- tiva (a) .

Tutto ciò apprese con sorprendente facilità il nostro Sebastiano : ma appena adocchiò i dipinti del Barbarelli, conobbe che 1' arte pittorica nell'ofticina del suo vecchio maestro aveva fatto bensì progressi non lievi, ma con passi timidi e circospetti, mossi da una fredda e calcolatrice ragione; laddove in quella del- l'animoso suo condiscepolo aveva pel solo effetto del soprano di lui genio in bre- ve spazio raggiunta la meta. Potevasi assomigliare il Barbarelli a quel navigan- te, che, aunojato di remigare rasente il lido, spiega al vento le vele, e spinge co- rao-o-loso il navio-lio nel vasto oceano, senz' altra scorta fuor quella dell' amico astro che lo anima e guida .

Due verità, che quantunque di facile investigazione, pure erano sfuggite a' suoi precursori ( di che ampia fede ne fanno 1 loro dipinti ), colpirono il pronto inge- gno del Barbarelli, e la spinta diedergli a quell' altissimo volo eh' e' appresso spiccò . Osservò eo-li le forme delle figure non esser di mera superficie compo- ste, ma ben anche di profondità, e perciò le linee de' contorni insinuandosi e curvandosi in tutti i sensi, dileguarsi allo sguardo dello spettatore ; osservò inol- tre appartenere al pittore l'esprimere non le sole figure, ma ancora la vita ch'esse respirano, e gli affetti da cui trovansi animate (b).

Laonde quelle Hnee taglienti, ove s' arrestava la timida mano dell' artista dalla sola scienza guidato nella pratica dell'arte, scomparvero al tocco anima- tore dal franco pennello del Barbarelli . Esso a forza di mezze tinte e di passag- gi soavi di lumi e di ombre talmente sfumò i contorni, che giunse a perderli affatto, dando ao-li o^o-elti quella perfetta rotondità e morbidezza , che hanno

(a) Vedi r incomparabile opera della piltura veneziana di Antonio Zanetti.

(i) Vedi l'elogio del Giorgioue scritto J;dla maestra mano del cav. Leopoldo Cicognara presi- dente emerito dell' inip. rag. accademia di belle arti in Venezia.

'99 in naliira. Coli' uso noi di rrrlii colori.^ ina rerKliiti ila macsira mano lucidi e

fiammeggianti, apparir fece sello la supcriicie delle parti ignudo de'corpi ama- ni lo scorrere del vivo sangue ed il fuoco infonditor della vita, sicché diresti che carni vere tu vedi e tocchi. La bellezza de' volti delle figure di questo esimio pit- tore non e gii nc\Y àlen^ ma hensì nella natura^ la quale offre spontanea a con- temiilare in copia i modelli agli alunni suoi favoriti. L'espressione nei dipinti del Barbarelli e per lo meno eguale alla bellezza de' suol originali; e le dieci tavole rappresentanti la favola di x\more e Psiche, descritte dal cav. Ridolfi, ( se esistessero ) basterebbero sole a dimostrare l'inesauribile fecondità, con che e'.dipinsc, e la verità con che espresse tutte le triste e liete fasi di un'amo- rosa passione.

Misurando Sebastiano col pensiero l'infinito intervallo che tra il Bellini ed il Barbarelli passava , eh' è quanto dire tra una vaga aurora ed uno splendidissimo mezzogiorno, trovò conforme al suo genio libero ed elevato il continuare i suoi studii piltoricl sotto gì' insegnamenti di colui, che spezzate aveva quelle servili catene, nelle quali languiva in ristretta e povera condizione la pittura, e che le aveva dato il vero carattere d'arte.

Il perchè acconciatosi col Barbarelli non andò guari che a tal grado di per- fezione giunse ad imitare la maniera di lui, che le dipinture del discepolo ven- nero prese in iscambio di quelle del maestro . Pare che i ritratti di due eccel- lenti musici, amici di Sebastiano, Verdelotto ed Uberto, abbiano dapprincipio esercitata la magia della sua tavolozza. Il biografo aretino ci narra che la ta- vola del maggior altare, la quale, restituita di recente a nuova vita da assai de- stro pennello, si ammira in s. Giovanni Crisostomo di Venezia fu, al primo suo comparire alla luce, giudicata opera del Barbarelli, cotanto avanti nel suo gran- dioso siile penetrato avca Sebastiano. Ne men degna al certo del Giorgione ella mi sembra o alla composizione si risguardi, o al disegno, od infine alla espressione ed al colorito. Le architetture, il paesaggio, le arie delle teste, ii nudo, le pieghe de' panni, gli atteggiamenti delle figure, i contrapposti delle masse, delle ombre e de' lumi, il rilievo che ne risulta, tutto ciò un'opera an- nunzia di pennello maestro. Il disegno a contorni e con qualche ombreggia- mento, che il caldo amatore e mecenate delle arti belle conte Benedetto Val- marana eseguir fece di cotesto raro dipinto dall'esperte mani di un disegnatore e di un incisore del paro abili, porgerà al lettore se non altro un' idea della sag- giamente ordinata <lisposizione, e del perfetto riposo che per entro vi regna.

Nel momento, in che uscirono alla luce cotesti maravigliosi dipinti ili Seba- stiano, sino a che pos' egli stanza ferma sulle sponde del Tevere, è giuocoforza credere che lavori in gran copia a questo egregio artista non slcno venuti a mancare . E delle sue primissime opere avremmo un saggio nella chiesa nostra

ano

di s. B.utolomnaeo, se il rislaaratore non avesse dovuto rifarle, seado cTie quasi del tulio erano perdute . Ma sarebbe patentissinao errore il pensare che a que- st egioca appartenesse quella tavola d' altare, la quale il più beli' ornamento co- stituisce della chiesa di s. Biagio di Lendlnara, in cui sta fisrurata la visitazio- ne di nostra Donna e santa Maria Elisabetta con s. Giuseppe e s. Zaccaria, ta- vola nella storia dell'arte ricordata siccome un capolavoro di passar degno alla pili tarda posterità. Dissi che sarebbe follia il supporre che Sebastiano abbia pennelleggiato questa tavola prima di aver fissato suo domicilio nella città dei setto colli, perocché quel correttissimo disegno, eh' è uno certamente de' princi- pali suoi pregi, debb' essere stato 1' effetto dello studio nelle opere di Raffaello, e particolarmente in quelle di Michielangelo suo mecenate e il terzo de' suoi maestri. Laonde in Roma gli sarà slato commesso il lavoro, ed in Roma avral- lo ad esecuzione condotto . La forza e la freschezza di questo dipinto conserva- tissimo è tale, che, se 7)on portasse impresso d nome del pittore ed il millesi- mo, non si crederebbe che avesse sofferte le ingmrie di oltre tre secoli, di cui non mostra al! osservatore il più lieve vestigio .

Il dramma pittorico viene rappresentato fuori d' un loggiato in vista del più bel paesaggio della Giudea . Le due principali figure otfronsi tosto allo sguar- do dello spettatore nel punto più interessante del fatto; a questo s'nniscono con maraviglioso accordo le altre due accessorie, e servono naturalmente di con- trapposti a farle trionfare . A chi mira que' volti delle sante donne sembra avvi- so di vedere una parte di paradiso, e dalla bocca della madre del Precursore pargli udire quelle affettuose parole uscir fuori che a testimonianza dell'Evan- gelista indirizzò alla Vergine sua cugina; « Come tu qui? La madre del mio 5' Dio si degna di entrare ne" miei tetti? Qual mai miracoloso effetto sopra di « me produsse il suon degli accenti del tuo saluto, che colpirono il mio udito ! 55 Sento che il figlio, cui porto nelf utero balza di un gaudio ineffabile (a) 51 (4^).

Ci potrebbe venir apposto a negligenza soverchia, se prima di uscire da Len- dinara non ci facessimo ad osservare quel principe degli Apostoli che a buona ragione gelosamente si custodisce in casa Petrobelli come una cara gemma . L' epigrafe che vi si legge non lascia dubitare che desso stato non sia colorito da Sebastiano contemporaneamente alla visitazione teste memorata . Che se per avventura ci mancasse questa prova, la quanto diligente , altrettanto pitto- resca descrizione, che ne ha fatta il fortunato possessore in un gentile suo foglio, costrmo'erebbe chicchessia ad ascriverla a cotesto esimio dipintore. L'aria aper- ta clic ne forma il campo, e che d' un trasparente cilestro si tinge, rende più ri- levata la figura del sauto, che stassi in pie ritta in sulla falda d' un colle mossa

(a) Merita Ji esser letto il bellissimo opuscolo sulle arti leadiaaresi Je! BraaJolèse.

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in (lirrnitoso alteirsiamcnlo . Uno splendido cerchio di jfloiia gli ricingc la testa di cui 1 divoti |>ensi(!ri scorgonsi al cielo con intenso affetto rivolti. Da qualun- que punto tu il guardi, e' ti guarda; le carni son fresche, sanguigne, morbide, la harba gri"-ia, con tale leggerezza di pennello trattata, che 1' occhio ingannato una naturale pilosa massa vi scorge, ne v'è che la mano che possa, stendendo- visi sopra, sciogliere l'illusione. Il panneggiamento cioè la tunica orlata di fran- ge alle due estremità alla foggia raffaellesca, ed il pallio che gli cade maestosa- mente dagli omeri a larghe pieghe e parte del corpo gì' involge, in un co' calza- ri che gli stringono i piedi, tutto ciò rende la ligura sagliente e spiccata . In somma anche in questa tavola il grandioso stile del discepolo del Giorgione si ammira .

Duolml non poter alla distesa discorrere sopra un altro pregevolissimo dipin- to che nella chiesa di Grigliano rapiva in dolcissimo Incanto l'occhio e la mente dell'artista e dell' amatore, ma che il tempo e l' incuria ci hanno invidiato. Es- so rappresentava la resurrezione del Salvatore, ed offriva a chi sapevalo legge- re un parlante esemplare degli effetti della percussione del lume diretto sopra i corpi che tocca e scorre: e del lume rillesso, che nasce di rimbalzo, ove il pri- mo finisce senza più riprodursi . La vivissima luce infatti, che dal divino corpo del Vincitore della morte e dell' inferno diffondevasi , toccava e scorreva, al di sotto, sullo scoperchiato marmoreo sepolcro; al fianco sinistro sopra un s. Lo- renzo, portante in sugli omeri l'arnese del suo martirio: al destro sur un Battista : e pili addentro, cioè nel fondo della scena, si diffondeva sopra gh ab- barbagliati ed atterriti centurioni . Questa vivissima luce poi da tutti 1 punti, sui quali incideva, a vicenda riflettevasi e rimbalzava . E sapendo quel dotto artista diversi essere i fenomeni ottici,, che jrenera il lume, secondo che diversa è la densità de' corpi sopra de' quali a cader va, così aveva egli saputo, da mae- stro suo pari, scemare il riflesso del lume cadente sopra le carni, e tratteggian- do, con legger tocco di pennello, l' ombre più soavi e più dolci , costrinsele a comparire jtiorbide e tondeggianti : all' opposto accrebbe 1' effetto ilei lume ca- dente su i panni, sul marmo del monumento e sopra gli altri oggetti più densi, facendo l' ombre i)iù crude e più risentite . Ma lo già mi avveggo che quanto più in quella tavola vi facessi conoscere la scienza del pittore, tanto più v in- crescerebbe la perdita, slcchi fia meglio volger la prora altrove.

Se ad accrescere le orrevoll palme dal nostro Sebastiano mietute nel pitto- rico agone, fosse necessario celebrarlo siccome autore di quella famosa tavola, che allo sguardo stupefatto dell'amatore e dell'artista si offre nell' antica chiesa di s. Nicolò di Trevigi, potremmo prenderci a campione il padre Feilerici, e quel brano citare delle memorie trivigiane delle opere di disegno., ove scrissene al- la distesa. Se non che dopo il contrario giudizio proferito dal chiarissimo abate

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Lanzi, e virilmente difeso In un erudito discorso, che leggasi ne! giornale delle scienze e lettere delle provincie venete N. i5, settembre i522, pag. i5o, la bilancia rimane per lo meno in bilico : ed il prendere partito in tanta lite e fra COSI valorosi atleti ci verrebbe da' prudenti e modesti uomini ascritto a consi- glio arrisicato ed inverecondo . Confortati nondimeno dalla considerazione, che non fu mai vietato l' osservare con occhio di artefice le statue dei numi, gettia- mo su queste carte alcuni nostri dubbii, senza punto violare quella neutralità , della cui osservanza ci facciamo una leffffe .

Gioverà ad agevolare lo scioglimento del nodo sull'autore, od autori di co- testo dipinto, che rintracciare ci siamo proposti in fra le tenebre di tre secoli , e per tentare un'uscita in mezzo al conflitto di contrarie opinioni, il preludere dalla descrizion del medesimo .

Quale s'addice a regina, stassi in elevato trono assisa nostra Donna ritto te- nendo in sul destro ginocchio il suo divino figliuolo ignudo. Sovrastale magni- fica cupola sostenuta da archivolti, cui sorreggono eleganti colonne di marmo co- ronate da capitelli, con voluta agli angoli e con teste sculte ne' campi , della quale la parte concava adorna scorgesi di musaici . Figure di Evano-clisti entro a' medaglioni adornano il beli' attico: tutto il lavoro architettonico è del mio-Hor gusto che dire si possa, e sta a capello con le regole della più bene intesa pro- spettiva lineare . Al fascino che desta la celeste tìsonomia della Vero-hie e del bambino, aggiunge nuovo Incanto un angeletto, che siede in su i gradini del trono coperto di un tappeto di velluto verde tutto intento a strimpellare un chi- tarrlno per accompagnare co' musici modi 1' angelica salutazione. In que' volti, in quelle mosse scorgi le grazie così familiari a Raffaello perfettamente Imitate. A destra stansi ritti il santo fondatore dell' ordine de' Predicatori, s. Nicolò ve- scovo di Mira e Benedetto XI, il quale nato in Trevlgl da povera ed oscura gente illustrò la religione di s. Domenico, la porpora cardinalizia, la tiara e la Chiesa che lo ascrisse al novero de' suol beati, e più che tutto la patria fortuna- ta che gli fu culla. A sinistra nello stesso atteggiamento scorgonsi lAngelo del- le scuole, poi s. Girolamo ed in fine s. Liberale. Non troverebbe l'invidia ove emendare il disegno di queste sei figure : non saprebbe l'arte immaginare mosse più convenienti a'varll affetti di fede, di venerazione, di pietà che cadauna di esse manifesta, ed 11 contrasto delle magnifiche vesti del pontefice, del cardina- le, del vescovo, con l'umile tonaca e bianca guascappa e col nero cappuccio de" ss. Tommaso e Domenico, con 1' abito di tribuno militare romano del santo protettore della città, presentando masse di varli colori artlfizlosamente oppo- sti e deo'radatl, che formano sbattimento e servono a far vie meglio spiccare le figure . Il sangue scorre sotto la pelle di que' volti, tu vedi scintillare di celesti affetti l vividi occhi, tu vedi muoversi orando le labbra tinte di splendente rubi-

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no : i cor[)l di que' santi uomini, clic non furono guasti ilalle sozzure de" vizli, ti pajono uscire nropriamcntc in quel punto dalle mani del Creatore .

Colpito il Federici dal maraviglioso innesto, che di primo lancio si ammira in questa tavola per un canto del tuono, dello spirito, del sapore, della nettez- za e lucidità, della sfumatezza e de' contrasti dell'originale e grandiosa maniera del Giorgione, e per Taltio della purità del disegno, della forza dell' espressio- ne, della rigorosa osservanza delle leggi prospettiche, cioè dell' accorciamento delle linee e della degradazione de' colori, ed in ultimo dell" ineffabile grazia del tutto insieme, pregi questi posseduti in grado eminente dal grande Raffael- lo, concluse ( e ijuesta volta giustissima fu la conclusione di lui ) che nuli altro pittore, air infuori di Sebastiano, potuto avrebbe condurre quel mirabil dipinto. E quale altro mai, salvo che lui, dopo di aver tanto avanti sentito nel fare di uno de più rinomati capiscuola veneziani , benché poco più di cinrpie lu- stri contasse di età allorché espatriò, ebbe maggiore opportunità, più belle e pili avventurose occasioni di perfezionarsi collo studio degli stupendi prodigi del principe de' romani pittori, avendo soggiornato nella città di Romolo per ol- tre otto lustri? Ogni pittore espresso mostra nelle opere jiroprie 11 suo fare : ma quello di Sebastiano per una felice commistione delle maniere di que' due som- mi esemplari, che ad imitare prese, e per gì' insegnamenti di Michielangclo, ha tale un'impronta ed un carattere, che non può al certo con altri confondersi.

Succede dello stile d'un classico artista ciò che d'un classico scrittore addi- viene: hanno ambidue una tutta loro propria fisonomia, per cui di rado succede che si prenda in iscambio 1' uno per 1 altro. Vn dotto filologo nel diciferare un codice palimpsesto riconosce a prima giunta, se un frammento sia di Livio, di Sallustio, di Tacito, di Cicerone oratore o filosofo, cosa che non gli tornereb- be egualmente arrcvole., se si trattasse della numerosa o-regfria di que' dozzinali scrittoracci, i quali hanno tutti poco più poco meno lo stesso visaggio. Se li mo- numenti delle arti, de" quali vassl adorna la nostra età, non soggiacciono a quel deplorabile naufragio, a cui quelli soggiacquero delle età prische, facile impre- sa riuscirà a" posteri sceverare le opere de' sommi artisti, ne saravvi chi mala- mente confonda Buonarotti con Canova, Tiziano con Correggio, Palladio con Sammichieli . Il perchè se nulla di più avesse addotto il Federici di ciò, che te- sté abbiamo accennato, per assicurare a Sebastiano la gloria di quel dipinto, sa- rebbe al certo mancata l' esca ad ogni disputazione .

Ma rovistando egli smanioso nell'archivio polveroso di quell'antico convento di s. ÌNlcolò, e scartabellando que' libracci, ne' quali stava registrata ogni spesa occorsa, si avvisò di avere scoperto il novero delle spese ch'eransi fatte nel co- lorire la gran tavola: ed eccoue in brevi parole la genesi . A dipintore di quella tavola fu condotto fra Marco Pensabcn frate dell' ordine di s. Domenico. Per es-

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so comparve Vellor Belliniano a cui fu sborsata la caparra. L'opera fu trova* ta mollo bene avanzafa quando infermò il dipintore, cui fu frattanto dato a suc- cessore frate Marco Maraveja figlio della stessa regolagli quale depose i pennelli tostochc il primo, risanatosi, potè di nuovo riprenderli. Ma non aveva coteslui al tutto colorita la tavola quando fuggito dal convento e fattosi disertore dall'or- dine si. dovette rivolgersi, non già a frate Maraveja, di cui s'ignora il destino, ma a Giovanni leronimo da Venezia, onde vi desse 1' ultima mano . Se gli scar- tafacci prodotti dal Federici, da' quali ne trasse la siffatta novella, meritassero fede, ecco uscir fuori dal tenebroso regno dell' obbiio due pittori onninamente Ignoti alla storia dell'arte, ed un terzo non bene conosciuto: ecco tre pittori che alle stesse scuole veneta e romana di Sebastiano avrebbero apparata l'arte, trattone il medesimo grado di profitto, e sarebbero giunti a tale perfetta imita- zione della sua maniera da non potersi aJjbastanza distinguere i dipinti degli uni «la quelli dell'altro: ecco Giove preso da Alcmena invece di Anfitrione e la fa- vola di Plauto divenire una storia.

Quantunque di ampia capacità in fatto di erudizione si fosse 1' esofago del veronese p. Federici , e però larghi sorsi inghiottisce e grossi bocconi , senza alterar punto le funzioni della laringe, pure s' avvisò anch' egli che il produrre alla luce per la prima volta, dopo più secoli , tre valorosi pittori , due de' quali furono suoi correliglosi, non era a giorni nostri derrata vendereccia per quanto la si desse a buon mercato. Il perchè vuole che si creda che in quelle note seri' tasi una cosa e se ne debba intendere un altra^ o per dir meglio che sotto il no- me diano si abbia avuto in me/ite di significarne un altro. E venendo tosto alla spiegazione del suo concetto, compone egli bravamente una favola di tutto suo conio, la quale 1 tempi sconvolge, ed i fatti istorici meglio avverali. Niente meno infatti gli venne in mente che di trasformare 11 frate Marco Pensaben in Sebastia- no Luciani, supponendo che l'ultimo abbracciasse la regola de' Predicatori, e vi ottenesse parecchi ministeri, venti anni prima che ne vestisse '' abito : supponen- do che avesse studiato nelle opere travagliate da Raffaello in Roma nelle sale e logge del Vaticano, prima eh' egli ne avesse, non che guidato a compimento ed esposta alla pubbhca vista, ma nemmeno intrapresa nessuna; supponendo che lavorasse nella tavola di Trevigi, quando dipingeva in Roma la gran tavola della resurrezione di Lazzaro in concorso della trasfigurazione dell' Urbinate : dando infine di cozzo in infiniti altri errori di cronologia, di storia e di sana critica .

Eppure se anche il Federici non trasognò nel trovamento e nella trascrizio- ne che fece di quelle note, se anche le si dovessero ammettere siccome genui- ne ed esalte, cos'i tutte d'un pezzo e senza esame, facile gU si presentava l' uscita da un labirinto, di cui egli stesso erasi fatto architetto, senza ricorrere alle ali d' Icaro per rinnovare 1' esempio di quella compassionevol ruma . Come infatti

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non ci somministrano qua'scailafacci il piìi debole raggio di luce., che vaglia a farti conoscere fjuale si l'osse il soggcllo di quei qui.dro : coniC in esso non si ri- scontra veruna epigrafi', la quale indichi chi siane stalo il dijiintore, ed in qi'.al tempo lo si sia condollo, e come d'altronde quella tavola che appesa slassi nel punlo di mciizo del coro nella maggior cappella di s. Nicolò, se tulle non falli- scono le regole, le congellurc, gli argomenti che si sono premessi, non può es- sere uscita che dai pennelli di Sebastiano: cosi è facil cosa il concludere, che qualunque si fosse il nome, la patria, l'istituto di quo' primi pillorelli che im- brattarono quella tavola Ira gh anni iSzo e iSzi, devcsi consentire che poste- riormenle la sia stata dal dello Sebastiano con le sue ammaliatrici mcslichc ri- dipinta . Nulla di più naturale quanto che la prima condotta da tanleciani, in mezzo a tante vicende, riuscisse pilturaccia indegna di sovrastare alle altre tro- vanllsi in quell'augusto tempio per gli artisti di oscura fama, e per conseguen- za di povero ingegno, eh' eranvi stati impiegali: nulla di più naturale, quanto che quella comunità religiosa vi abbia fallo riparo, col valersi nel rifarla di un classico pittore che aveva la fama adeguala di Raffaello. A muovere dall'anno i52o, nel quale la siQatta tavola fu da prima collocata nella sua nicchia, Seba- stiano sopravvisse ventisette anni, non essendo mancalo se non nel ló^^. Qual diflicollà pertanto che come condusse in Peonia la tavola della visitazione per s. Biagio di Lendinara nel i525, e quella della resurrezione per Grigliano, ivi pure conducesse l'altra pel maggior altare di s. Nicolò di Trevigi? Questa na- turale e ragionevole supposizione abbaile d' un solo colpo l'obbiezione dell'im- possibilità che nell'istesso tempo avesse Sebastiano potuto trovarsi in Roma e nc"pacsi della veneta terra-ferma .

Che poi diremo della sentenza, che al tutto opposta alla presente nostra con- clusione ha periata sopra d siffatto dipinto il chiarissmio ab. Lanzi , il quale tanto beli' ordin serbò, e tanta luce sparse ragionando sulla moderna pittura de- gl Italiani, quanto Winckclmann sopra la scultura degli Egizii, degli Etruschi, de' Greci e de Romani i Diremo che malgrado delle vaste sue cognizioni, del fino suo discernimento, liilmente quell'esimio maestro lasciossi imporre dagl in- diixcsli scarlabelli stampali del Federici, che senza punlo curarsi di allingere alla sorgente, di cui si spacciavano una emanazione, non solo ha bonariamente creduta l'esistenza de' due suol confratelli pittori, sino a" tempi nostri rimasti igno- ti, su di che non gli vogliamo muovere querela: ma, ciò eh è peggio, lor fece l'o- nore di crederli ili così peregrino ino-egno provveduti nell'arte da poter quell in- estimabile dipinto condurre, al quale un terzo pittore di cgual valentia avrebbe dato compimento . T,e diflicollà, che gli si affacciarono alla mente per prendere l'animosa risoluzione di conservare nell'antico suo possesso Sebastiano, difficoltà alle quali trovar non seppe, o non volle pronto lo scioglimento, il sedussero a con-

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sentire a cosa del lutto inverosiinile.^ ed è che non già ne' tenebrosi secoli ottavo e nono^ ma bensì in mezzo alla sfolgorante luce del sestodecirao stali siensi due pittori, i quali disegnavano come Raffaello e Michielangelo, e che colorivano come Giorgione e Tiziano, e che in onta di tanto merito sieno vissuti e morti scono- sciuti a' contemporanei del paro che a' posteri. Tale supposizione tanto meno è credibile, (juantochè appartenendo que' pittori alla numerosissima e dottissima famio-lia de frali di s. Domenico, sopra la quale tanto splendore avrebbero diffu- so, è cosa al tntlo inverosimile, che nessuno de' loro confrati avesse bruciato un grano d'incenso, e gettato un sol fiore sulla lor tomba. Arroge che siccome non ci vengono additate di cotestoro opere anteriori o posteriori alla tavola in disami- na, cosi ad ammettere l'opinione del Lanzi, conveniva menargli buono èsservi stati due valorosi dipintori che a toccare giungessero i sommi apici della perfe- zione, senza passare pel gradi Intèrmedil , e che con un fìat una sola opera creassero al tutto perfetta, compiuta la quale In densa nuvola si avviluppassero, onde sottrarsi allo sguardo deirli ammiratori ed alla tromba della fama. Laonde cotesta luminosa meteora, che per effetto di un fenomeno inconcepibile appena comparsa disparve, sarebbe sfuggita alle diligenti ricerche del biografo aretino, che per tutta Italia peregrinò vago di ammassar notizie intorno alla vita ed alle opere, non già soltanto dei primarll cultori delle arti sorelle, ma di quegli ezian- dio di minor nome per trasmetterle a' secoli futuri.

Raccogliendo per un Istante le ali rapide del pensiero suH' articolo del gior- nale altrove citato, non possiamo esimersi dal fare su di esso alcune critiche osservazioni . L' estensore del suddetto articolo confederossl col Lanzi contro al Federici, ed ogni studio e sforzo impiegò per privare il Luciani dell'onore di aver colorilo la tavola di cui parlia'no . Sarebbe tempo perduto venire con lui ad uno scontro formale sia allorché adopera le Istesse armi del Lanzi, che furo- no da noi, per quanto ci pare, rintuzzate e spuntate, sia quando ritorce contro al Federici quelle altre, che dal Federici Islesso furono sguainate e delle quali si è provata da noi l'inefficacia al ferire . Ma essendo di tutto suo conio la pro- posizione (i che 1 vecchi scrittori 1 quali parlano di cotesto dipinto dicono che ^^ si era incomincialo da un religioso de' predicatori e perfezionato da un disce- n polo di Tiziano " ci crediamo In diritto di chiedergli, quali sieno cotesti vecchi scrittori^ quali sieno le di loro opere edite ed Inedite, che narrano que- sto fatto, perocché egli non cita ne 1 primi, ne le seconde, e noi d' altronde in- tendiamo usare la fede In cose più reverende, che non sono al certo le sue pa- role . Se non che vuoisi credere, senza punto nuocere alla verità del fatto, es- !fcv\\ stati de vecchi scrittori^ 1 quali, seguendo il rumore d'una tradizione passata di bocca in bocca, e ripetuta a guisa di eco di età in età, abbiano ascrit- to a' pennelli maestri di un individuo de' Predicatori quella tavola, senza indi-

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carne il nome ed il casato: ciò r.on escluderebbe che quell'individuo de' Predi- catori sialo non fosse il Luciani.j il f|iia!e vestì l'abito di s. Domenico dappoi clic gli lu conferito il benelizio del piombo, come appunto lasciò scritto il Riga- monti nella sua guida di Trevigi.

È cosa più probabile, secondo il nostro avviso, che 1' estensore dell'articolo siasi persuaso di aver letto in que vecchi scrittori ciò eh essi di scrivere non avrannosl mai sognato . Imperciocché soggiacque allo stesso deplorabile abba- glio, sia desso d'occhi o di mente, quando squadrata avendo ben bene ed esa- minata quella tavola venne nella seguente sentenza. » Le ligure a chi le guar- ii da si offrono come al naturale, quando sono quasi gigantesche, dov'è da no- 51 tare la lina accortezza del pittore per conseguire suo effetto . Di mano in ma- « no che la figura si discosta dalla pianta, ne aggiunse progressivamente alla n proporzione che dovrebbero avere le varie parti, sicché le teste in proporzio- n ne con le piante crescono d'un quarto. E nonostante a clii le guarda dal bas- ii so riescono proporzionate e nelle parti e nella somma, che più non polrcb- ») bero esserlo se fossero offerte per modelli " . Chi direbbe che la supposìa fi- na accortezza del pittore sia una baja? Eppure così è, mentre sognò l'anonimo autore allorché disse che il pittore siasi avvisato di fare le fig;ire colossali ( co- me sarebbero l' Ercole e la Flora Farnese), e sognò non meno quando aggiun- se eh' egli accrebbe le vane parti delle medesime a mano a mano che discosta- vansi dall'occhio, cosicché tra le teste ed i piedi vi si frapponga il divario d'un quarto.

Non negheremo noi già essere in generale e secondo le regole della propor- zione visuale verissimo, che mirando noi gli oggetti attraverso 1' aria atmosferi- ca più o manco pregna di vapori nella quale si trovano immersi, la nostra vista giunge, per così dire, all' oggetto attraverso un vetro soggetto a diversi gradi di ajipannamento : ed è appunto sopra questo fatto certissimo che tutta fondasi la scienza della prospettiva aerea. Si sa comunemente che tutti gli oggetti si presentano a' nostri occhi in forma di piramide, di cui il vertice ossia 1" angolo é nelf occhio e la base nell' oggetto, e che cotesto angolo tanto più s'impiccio- lisce quanto più ci allontaniamo dall' oggetto a cagione dell'interposizione del- l' aria o de' vapori, sicché finisce collannientarsi affatto e sparire . Gli antichi conobbero essi pure cotesta teorica delle degradazioni in ragione delle distanze; di che puossi citare a mallevadore Platone nel dialogo intitolato il Sofista, e Vitruvio nella prefazione al lib. ■; della sua arte edificatoria . Loniazzo nel suo magistrale trattato della pittura cita gli esempi delle figure scultc nella colon- na trajana e le statue colossali di Monte Cavallo per provare che gli antichi scultori quanto più gli oggetti si allontanavano dall'occhio, tanto più ne gf in- grandivano. Ciò stesso, sotto certi rispetti, si osservava anche in architettura,

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come l'insigne critico e profondo erudito sig. ab. d. Daniele Franccsconi pro- fessore emerito e bibliotecario di Padova lo diede a conoscere nella nota della lettera creduta di Baldassar Castiglione, e da Ini rivendicata a Raffaello Sanzio, nella cjual nota così la discorre : « Si sa che gli architetti a fine che le fabbri- » che grandi appajano di una data proporzione di parti, queste realmente le « formano di una proporzione diversa, calcolando essi quello che 1' aria mangia n ossia regolandosi coli' ottica . Perciò anche un modello in picciolo fa una sen- " sazione assai diversa da una fabbrica, purché eseguita puntualmente sul mo- " dello medesimo . Egli è parimente osservato che gli antichi nelle membrature 11 delle cornici facevano Inclinati davanti que' listelli, che all'occhio devono ap- " parire perpendicolari n . La scienza e la pratica delle siffatte regole furono, ri- spetto alla pittura, rinnovate da Lionardo da Vinci, posciachè stava nell' ada- mantino libro de' destini irrevocabilmente segnato, che, spenta la Grecia, il ger- me di ogni buon frutto dovessero i moderni coglierlo nell' Italia .

Rade volte succede che nella pratica delle arti germane abbiansi ad alterare le proporzioni: ciò avviene in que' soli casi, ne' quali tra il punto della visuale dello spettatore, e quello dell' oggetto, tale si frappone distanza per la quale vengono a diminuirsi considerabilmente di questo le dimensioni . Ecco ciò che non poteva in verun modo accadere rispetto alla tavola di s. INicolò, conciossia- chè dal pavimento del presbiterio al basamento di essa havvi uno spazio di pie- di 1 4 e mezzo, dal quale è duopo detrarre piedi 4 e mezzo, che tanti se ne cal- colano in un uomo di statura ordinaria dalla pianta all'occhio, cosicché l' inter- vallo ridurrebbesi a IO piedi e nulla piìi . Ma suppongasi pure che l'occhio dello spettatore per giungere al vertice del capo delle figure, che popolano quella tavola, debba percorrere uno spazio di altri sei piedi: anche in tale ipo- tesi, la distanza sarà di 1 6 piedi, ossia di 8 braccia, la quale nessuna od una soltanto impercettibile diminuzione recar debbe alla reale grandezza degli og- getti. Sarebbe stato un insensato 11 pittore, se a cagione della distanza fatte ne avesse colossali le figure e lo sarebbe stato del pari nell'accrescere la testa d' un quarto al paragone de' piedi : ma egli non pretese di fare ne l'una cosa, ne l'altra . Convlen dire che quando 1' anonimo dettò quel suo articolo gli si ag- girassero per mente 1' Apollo posto all' ingresso del porto dell' isola di Rodi, che aveva 282 piedi di altezza, ovvero lo smisurato pensiero di quello scultore eh' erasi proposto di formare del monte Athos, alto 54 miglia, una stalpa di Alessandro, che portasse una città in cadauna mano .

Ornai di troppo abbiamo travalicata la meta in parlando di questa tavola. Se- guiamo il nostro Sebastiano in quel nuovo teatro, ove giunse a rivaleggiare col grande Raffaello, e dove con esso lui i suffragi degli amatori e degli artisti di- vise . E per dare qualche ordine al nostro discorso indagheremo prima di ogni

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altra cosa chi abbialo indotto a scambiar Venezia con Roma : poi f|nalc di quel temj)o godessero favore presso- a' sommi jiontefici le arti del disegno: i valentuo- mini in Ime fra' (jiiali contcndeansi i primi onori del merito .

Agostino Chigi di Siena passava (fl) pel più ricco mercatante che s'avesse l'Ita- lia in sul declinare del secolo decimo quinto: egfi godeva inoltre una rendita di ■joooo scudi d" oro . Stabilita avendo assai per tempo la sua dimora in Roma,, po- tè sostenere il suo credilo con l'integrità e la destrezza, doli sue connaturali, durante i pontilicati di Alessandro VI, Giulio II, Leone X e Clemente VII, non meritando di essere ascritti al siffatto novero quelli di Pio III e di Adriano VI, essendo il primo durato pochi giorni, ed il secando pochi mesi . Carlo Vili, che con la stessa facilità invase ed abbandonò 1 Italia, ebbe ricorso alla pecu- nia del Chigi per pagare il suo esercito; e senza li presti, de' quali fu egli largo a Cesare Borgia, questo famoso eroe del Machiavelli, non avrebbe sottomessa la Romagna. Fu egli soprantendente alle rendite della camera apostolica sotto il burrascoso pontiHcato di Giulio II, e la saggia ed illibata sua amministrazio- ne nulla lasciò desiderare a quel terribilissimo Papa, che, salve le chiavi di Pie- tro, sguainò la spada di Paolo , di tutto ciò di che ebbe duopo per venire a ca- po de' suoi ambiziosi e più che pontificali progetti e delle sne ardite conquiste . Se non che, oltremodo riconoscente qucil uomo straordinario a così segnalati servigi del suo questore, volle chi; la famiglia Chigi s' annestasse per così dire, in quella della Rovere, adornando con verdi foglie di quercia e ghiande d' oro le armi sue gentilizie .

Esercitò il Chigi poco piii, poco meno la stessa influenza sotto Leone X ; n^a ciò che fece passare il suo nome alla posterità sono gl'incoraggiamenti, de" qua- li, con munificenza più che da principe, fu prodigo verso i le Iterati e gli artisti. Dal torchi della tipografia da lui fondala, non già per amor di guadagno, ma per bramosia di promuovere gli studii, uscirono le prime edizioni che sonosi fat- te in Roma di Pindaro e di Teocrito, arricchiti di assai scolii e commenti, e sen- za l'operosa protezione che concesse a Cornelio Benigno da Viterbo famigera- to poliglotlo e filologo di quel tempo, 1' Almcgesto di Tolomeo non avrebbe ve- duto, almen per allora., in Roma la pubblica luce . Il magnificenlissimo palazzo che fece edificare in sul confine di strada Giulia e l'altro amenissimo in Tras- tevere, celebrato da Blosio Palladio e da Gallo Egidio, ed assomigliati a quel-

(ii) ììuyle Diclionnniie Jusloriqiie el crilìque. Chij^ì. Jiiìes II. Ma ron molto più fruito si possono consultare le iSolizie intorno Raffaele Sanzio ilaCrhino ed il Paragone relativamente n meriti di Giulio II e Leone X, dell'avvocato don Carlo Fea, il di cui versatile ingegno e vasta erudi- zione, ora componendo opere proprie, edora illustrando le altrui, con ben 5o scritture pub- blicate, seppi; alla giuriaprudt-nzaj alla filologia, all'arcbeologia, e persino alla storia naturale recare serylj^i importantissimi. 3;

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li fatali rii Alcina e di Armida, le tliic cappelle l' una fabbricata a nostra Don- na della Pace, I' altra alla Lauretana, e le preziose sculture ed 1 maravigliosi di- pinti, con che le adornò, dimostrano abbastanza, ch'egli non fu soltanto il Me- cenate, ma altresì l' Agrippa del secolo di Giulio. I suoi suntuosi conviti, ne'qua- h bene spesso il sommo pontefice ed i più illustri porporati annoreravansi fra i commensali, furono paragonati per la squisitezza ed il gusto a quelli di Trimal- cione, per la copia ed il fasto a quelli di Vitellio: in somma quest'uomo celebre meritò di essere il proavo di Alessandro VII, ed il ceppo d' una numerosa ed il- lustre prosapia di cui, se declinò per avventura la fortuna, mantengonsi le pri- sche glorie in tutto il loro splendore .

Agostino Chigi confidente, forse unico, de'disci^ni di Giulio, e certamente poi principale veicolo per cui ne li traeva ad effetto fornendogliene i mezzi col mantenere ad ognora ben provveduto 1' erario, dovea trovarsi in Venezia alla metà circa del iSog . Si ricorda tuttora con maraviglia e stupore quella famosa congiura formata nel precedente anno i5o8 in Cambrav da pressoché tulli i re dell' Europa, nella quale avevano giurato la distruzione di quella repubblica e patteggiata la divisione delle sue spoglie. L'interesse politico di tutta la gran- de famiglia europea, quello degli stati presi individualmente, che si erano con- federati, i disastri che taluno di essi sofferti aveva nello scontrarsi nelle sue ar- mi, la debita fede a' recenti trattati di triegua e di pace, i sussidii che avevano ricevuti ne' loro più urgenti bisogni e gli ostaggi che dati aTeano mediante la consegna di città e di terre, l' obbligazione che tutto il mondo pervenuto a ci- vMk aveva contratto con una repubblica, che fattasi schermo alle formidabili armi ottomane, massime dopo il secondo Maometto, aveva impedito una nuova barbarie forse peggiore dell' ;dtra di fresco estinta: tutte queste gravi, oneste e sacre rao-ioni dimostravano, che subiti più che sao'ori consisb erano stali il fo- mento di quella confederazione .

Giulio che n'era stato il motore e 1' anima, fu il primo ad accorgersi dell" er- rore suo : e dopo la battaglia di Ghiara d' Adda,, che fece perdere a Veneziani in un sol giorno pressoché tutto il loro dominio in terra-ferma, avvisò che pro- strato il più forte tra' principi italiani, nulla avrebbe potuto togliere la balia agli oltramontani, che con poderosa oste avevano varcate le alpi, di occupare e di- videre li principati piìi deboli della penisola, nelle di cui viscere grossi e minac- ciosi campeggiavano. Il perchè dev'egli avere spedito l'intimo suo confidente Chigi a Venezia, non già col pubblico carattere di suo legato, cosa che troppo disdiceva ai riguardi di sua dignità ed a quelli dovuti a' monarchi ch'egli stesso aveva aizzati a confederarsi , e ad unirsi alle armi sue vittoriose, ma bensì per segretamente eccitarli a sottomettersi al santo padre, e ad implorare l'assolu- zione dalle incorse censure, a rendere alla Chiesa romana ciò che al proprio pa-

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Irimonio appartener pretendeva ; e per inspirar loro fidanza che ponendo in opera tali espedienti il nembo dissipato andrebbe da quella stessa mano che addensato lo avea a loro nltimo eccidio . Questi segreti maneggi del Cliigi riu- scirono felicemente: ed allorché Giulio ebbe piegali a'suoi voleri i Veneziani, mutato consislio e lineiia£:"'lo, incominciò a irridare dal Vaticano che conveni- va discacciare gli oltramontani dall'Italia, e suonare a stormo per congregare da tutte parti bande di soldati per ottenere f inlento, e minacciare anatemi cou- tra iiue' principi che fossero osi di resistere a'suoi imperiosi voleri ed a contra- stare a Luigi XII nelle pianure di Ravenna il dominio di Milano e la conquista del regno di Napoli .

Nell'occasione che l'accorto Chigi con sorde pratiche faceva prevalere negli atterriti animi de' Veneti le mene del suo padrone, ebbe a conoscere Sebastiano Luciani, ed invaghitosi del belf umore, del vario talento nell'arie musicale e nella poetica, ma più di tulio nella giorgionesca maniera, che nelle dipinture di lui bellamente spiccava, gli propose di seguirlo a Roma, ove in concorrenza di altri valenti artisti avrebbe maneggiato il pennello nel principesco palazzo teste mentovato, che sopra i disegni e sotto la direzione del suo compalriolla Bal- dassare Peruzzi eretto aveva in Trastevere. Accettò il Luciani la propizia oc- casione che gli si offriva di perfezionarsi nell' arte ; ed eccolo tra fanno i5io e i5i I adottare irrevocabilmente Roma per patria .

Se avrà recato al nostro pittor maraviglia il vedere l'aspetto bellicoso che offriva la sede di papa Giulio, e tulle le terre del pontificio dominio, la sua men- te si sarà rallegrata in ve^^endo che il vasto genio di lui anche in mezzo al ru- more ed al trambusto delle armi , ogni industria e ogni mezzo aveva con felice successo adoperalo per far rivivere in Italia gli studii e le arti greche e latine Avrà egli con un sentimento misto di ammirazione e di riconoscenza notato che Giulio aveva fatti deporre a Bramante i pennelli, che non senza gloria aveva trattali in Milano, e che indovinato avendo, per quella specie d'istinto ch'era in lui virt'u naturale, 1' ingegno superiore che avrebbe nell'arte vitruviana spiega- to, aveva posti a contribuzione i sublimi di lui concepimenti per erigere a san Pietro, sulle rovine dell antico, quel nuovo tempio, che per la grandezza, la va- rietà e l'estensione sorpassò quanto la Grecia avea prodotto di più maraviirjio- so nel secolo di Alessandro, e Roma ne' tempi più splendidi della repubblica e deU'impero, e per costruire que' corridoi, che aprirono una comunicazione tra i giardini del Belvedere e il palazzo pontihcio del Vaticano, non solo ammirabili per f ampiezza, la solidità e l'eleganza, ma perle diflicollà nascenti dail ine- guaglianza del suolo valorosamente superate: opere che, al dire del Vasari, più facilmente si crederebbero nate per arte magica che concepite dal pensiero ed eseguite dalla mano deU' uomo .

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Del jiredoni'ii'o poi, eli' esercitava Giulio sulle altrui volontii, n'era un lesli- iiionio nariante l'essergli venuto fallo di persuadere a quella trascendente, ma in pari tempo caparbia e riollosa anima del Buonarolti di cogliere que' pennelli, che al suono dell imperiosa sua voce gettati aveva Bramante: con che operò che quel divino s'aprisse in pittura una via da lui per anco non tentata, segnan- do ne" freschi della Sistina, con que' suoi profeti e con quelle sue sibille, le lu- minose impronte dell'originale e vasto suo ingegno. Operato questo prodigio, aveva Giulio consentito al Buonarolti di ripigliar lo scarpello: ed aflmehè gli ultimi apici del grande stile in iscultura toccasse, gli ordinò di eseguire quell' ol- trammirabile monumento sepolcrale , cui destinò a riposo delle sue ceneri, sul quale meglio che sopra quello del magno Trivulzio, addicevasi V epigrafe: rjui nunquam qniei'it^ quiescit . Ne sfuggì al pronto e penetrante acume di Giulio che Raffaello Sanzio da Urbino sarebbe stato il principe de' moderni pittori, ove la munificenza d'un monarca di alto intelletto gliene avesse presentata la ojipor- tunità: da cotale cagione mosso gli dischiuse il nobilissimo degli arringhi nelle sale e loo-'^e del Vaticano, ove quel valoroso, con le stupende sue composizioni, nelle quali rappresentando dottamente i più sublimi misteri della religione , le più memorabili epoche della storia, i fasti della poesia e que' della fdosolia, im- mortale rendette il suo nome . In quel torno di tempo Ghilio aveva altresì da- to Ineominciainento al museo, che divenne poscia uno de' più begli e ricchi or- namenti del Vaticano, avendo congregato in Belvedere i dissotterrati preziosi monumenti delle arti prische, tra' quali annoveravansi il Laocoonte, 1' Apollo, il torso d' Ercole, la Cleopatra, la Sallustia Barbia Oibiana, l Alcide Conimodia- no, con più e più altre rinomatissime sculture. Ne Giulio intento alla rislaura- zione delle artiobblìo quella delle lettere, mentre per testimonianza del cardinal Bembo ad imitazione de' Pisistrati, de Tolommei, degli Attali, degli Augusti, e dcìli romani pontefici Sisto IV e Nicolò V aveva arricchita la biblioteca vatica- na, se non di molti, almeno di rari e preziosi codici di classici scrittori greci e latini. Egli fece fiorire, per quanto que' burrascosi tempi il comportavano, ogni fatta di studii, procacciando alle cattedre dell' archiginnasio romano uomini per iscienza celebratissimi ad istruzione degli allievi. I fasti della letteratura ri- corderanno non senza entusiasmo che quel Giulio papa, che più presto portò r elmo che la tiara, fece festosa aecoirlieuza e ricolmò di favori e di benefizil quel Giannantonio Flaminio da Imola, che dotto in ogni maniera di lettere fu patire del più dolce, del più amabile, del più modesto fra i poeti latini del suo secolo . Ne s;! incoraf^s-iamenti ed i iiremii ao-li artisti ed ai dotti a larg;a mano profusi forman l' unico titolo che abbia glorioso renduto il regno di Giulio. Osila e Civitavecchia munite di buone fortificazioni: acquedotti , cloache , fon- tane altre riparale ed altre di nuovo costrutte ; chiese, monaslerii, strade, la

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cnrìn, la zocca da Ini cdificatn : parte «lei ponliricio dominio rivendicato., e parte con Tarmi accresciuto: cinque milioni di ducati d'oro lasciali nell'erario: ceco una serie di opere clic attestano l' eccellenza di sua amministrazione : ed ecco chi librava le sorti di Roma quando 11 Luciani colà arrivò . E questa quella pri- ma epoca di rislaarazionc, della quale fu egli speltatore ed in qualche guisa partecipe, e che giunse alla meta durante il ponùlleato di Leone, il quale me- ritava s'i bene di spartirne la gloria con Giulio, ma non già di esclusivamente arrotarla a se solo (a). Discorso avr.ido del Chigi e di Giuho, ci rimane ora a parlare de' valentuomini fra" quali in Roma dispulavansi acremente i primi ono- ri del merito, quando il Luciani vi stabilì il suo soggiorno..

Raffaello avvenente della persona, di maniere cortesi, provveduto in copia di beni di fortuna, diviso tra l'ambizione del cardinalato, a cui Leone X era de- terminato «li promuoverlo, e quello d'impalmare la nipote del cardinale Bibie- na, viveva col fasto e colle agiatezze di un principe: e tale mostravasi agli sguar- nii del pubblico, allorché accompagnato da ben cinquanta valenti pittori reca- vasi a corte in qualità di gentiluomo di camera e di prefetto della fabbrica del tempio di s. Pietro e degli scavi de' sepolti avanzi preziosi dell' antica Roma .

All'opposto Michiclangx'lo d'un umor cupo, d' un carattere fiero viveva alla stoica . Egli amava la solitudine ne' recessi domestici, nell' officina, ove i più al- ti ed arditi concepimenti eseguiva della cupola del Vaticano , dell' universale giudizio e del Mosè, e amavala finanche nelle passeggiate, che a bel diporto fa- ceva. La lettura sua più favorita fu la divina commedia di Dante, la quale a dis- misura crescer facevagli i suoi concetti e qucll" atrabile, che altamente predoral- navalo. Lungi dall' esser nato per far la corte ai potenti e ricchi signori provo- cò a sdegno i dalla Rovere, i Medici co' suoi modi risoluti e col suo franco par- lare, e ricevette la visita del pontefice Paolo III e di dieci cardinali non già come alto di cortesia e di beuivoglienza, ma quasi un tributo pagato alla supe- riorità del suo ffcnio.

Fu anche al tutto diversa la via battuta da questi due ingegni soprani.

Ln gusto naturale [ler la scelta del bello, una facihtà intellettuale di estrarre da molle particolari bellezze vedute nella natura, nei dipinti dei precursori, e corretti su i capilavoro dell'antica scultura per comporne una di perfetta, un sentimento vivacissimo, e quasi non dissi un estro per concepire gli aspetti for- mati dall' attività momentanea d'una passione, una scorrevolezza di pennello ub- bidientissima a' concetti dell'immaginativa : ecco le prerogative che Raffaello ebbe congenite, col favor delle quali giunse ad essere l'Apelle dei moderni pit- tori .

(il) Si veggaDO le citale notizie •lei rliiarissimo avvocato Fei.

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Da ciò nacque che in generale il disegno di lui riuscisse franco, preciso, gra- zioso, netto diligente. GÌ' ignudi del suo incendio di Borgo mostrano ch'egli perfettamente intendeva la ragione de'muscoli, se non al pari di Michielangelo, cjuanto almeno ad un plttor si conviene. Ne l'espressione ne' suoi dipinti è mi- nor del disegno, avvegnaché non vi sia moto dell' animo, non siavi carattere di passione noto all' etica, e di pittura capace, ch'egli non abbia notato, espresso, variato in cento maniere e sempre convenientemente. Alla squisitezza dell'espri- mere Lionardo fu il primo che aperse la via; ma poi Raffaello gli tolse la palma. Vuoisi sapere se avess' egli sagrificato alle grazie per impetrarne propizio il fa- vore ? SI osservino 1 suoi dipinti: ed ove s'incontri vita, dolcezza, brio, dicasi pure avere Aglaja, Eufrosina e Talia il suo pennello guidato . Tutte le Madon- ne di lui non avranno per avventura la bellezza della Venere medicea e della tanto lodata figlia di Niobe ; ma quel modesto sorriso, che- manifesta il candore dell animo e 1' amore «lei tìglio : ma l'atteggiamento, 11 gesto, la mossa, le pie- ghe de' vestiti tutto e poi tutto è grazia. Venere è bella: toglile il cinto, le to- gli la grazia . Giunone ad allettare il marito ha bisogno di cotesto cinto ; e se dal cuore di Giove non fossero nate le grazie nel momento che del suo capo lisciva Minerva, questa Dea sarebbe rimasta senza callo e senza adoratori. Non si dirà che sia andato innanzi al Correggio, pur pure tra l' uno e l' altro le di- stanze non sono infinite. Ma ced' egli di molto al caposcuola parmense : cede a Tiziano nel colorito . Ne' freschi fa miglior coloratore, che ne' dipinti a olio : ed in questi ultimi riusc'i pi'u perfetto ne' ritratti, che ne' quadri istorici e mitolo- gici. La premura del grande stile gli fece trascurare quella dell'impasto e del- le tinte . E sebbene, a giudizio di Mengs, nel chiaroscuro il Correggio lo sor- passi, e sebbene egli non ardisse dipingere le prospettive di sotto in su, certo e che fu esattissimo osservatore di tutte le regole a segno, che ne' suoi schizzi fu trovata la scala di degradazione . Neil' Invenzione e nella composizione sorpas- sò qualunque esempio da lui veduto moderno o antico . Egli ebbe 1 industria di far capire tutte le parti del dramma pittorico, cui si propose di rappresentare , cogliendo quel momento che rende chiaro allo spettatore ciò che si è fatto, ciò che si fa, ciò che debbe farsi . In ogni suo quadro il protagonista si palesa al ri- guardante da se medesimo : 1 gruppi divisi di luogo sono riuniti dalla principale azione ; le masse de' pieni e de' vuoti sono equilibrate, non già a norma del va- lore, ma slbbene ad imitazione della scelta natura . Conchiuderemo la lunga analisi col dire essere ogglmal parere comune che Raffaello sia 11 principe della pittura moderna .

Michielangelo, ch'ebbe un numero di panegiristi per lo meno eguale a quello de' suol detrattori, che viene perciò rlsicuardato per più che un nume dagll'uni, e per manco d'un uomo dagli altri, e sulle cui opere si continua a giudicare con

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nuclle sfesse linone o cndìve prevenzioni, con le fjnali si giudicò <la' suoi con- tcmnoranci; Michielangclo.j dicevasi.^ jiare clic abbia voluto essere consiilcrato dalla posterità come scultore, piuttostocliè come pittore ed architetto, avendo egli impiegati i primi e gli ultimi, non meno che i migliori anni della sua vita io iscolpire . IVondimeno si prenda pure in esame cotesto immenso e straordinario inn-e^rno , siccome maestro in tutte generalmente le arti del dlscffno,, e si vecn-a a nual' ardua meta abbia egli dirizzato l'arditissimo volo.

Le arti erano adulte al tempo, in cui cominciò a fiorire il Buonarolti . Ed a tacere del Brunelleschi, che coli' innalzare il colossale cdiCzio di santa IMaria del Fiore aveva dimostralo, che i moderni in architcllura avrebbero fatti gli stessi miracoli ne più ne meno, che fecero gli antichi, Tommaso Guidi, sopran- nomato il Masaccio nelle istorie di s. Pietro dipinte nella cappella Brancacci della chiesa del Carmine, colla somma intelligenza mostrata nello scortare e muovere le ligure, nel disporle secondo le più esatte regole della prospettiva li- neare ed aerea, e colf aggrupparle in guisa da formare l'unità dell'azione col- r esprimere i varii affetti dell'animo, e col dare infine alle medesime, mediante il magistero del colorito, rilievo e morbidezza, aveva aperta la strada e segnate tutte le impronte e le massime del moderno stile . Colali dipinti maravigliosi fu- rono il canone tlel Vinci, del Sanzio e del medesimo Buonarolti . Quest'ultimo aveva mollo studiato ne'bronzi e ne' marmi dal Donatello e dal Gliiberti: però più eh' altri conosciuto avea 1' eccellenza dell'antico in quella inestimabile col- lezione distaine, la quale ad erudimerito de'giovani artisti e ad ornamento e de- coro del suo più che regale soggiorno aveva procacciato Lorenzo de' Medici soprannominato il Magnifico .

L' occhio penetrante del Buonarolti scoprì assai di leggieri che i suoi con- temporanei erano dnbitosi e perplessi tra 1 imitazione della natura, quale si of- fre alle- considerazioni dell'artista, ovvero quale può l' immaginazione concepir- la, spogliandola de" suoi diletti e riduecndola ad un idea, qualmente fecero gli antichi, di che intiera ragione ci rendono i loro scritti e le opere che lasciato ci hanno. Convenne il Buonarolti che gli ultimi si tiovcssero imitare: se non che fu «r avviso che. imitandoli, si potessero sorpassare, malgrado della perfezione del disegno e della diligenza della loro esecuzione. Senti che non si sarebbero giammai fatti que' progressi, de' quali l' arte, a suo intendimento, era suscettiva quando rolla non si fosse guerra a quelle rigide leggi, che sino a quell istante si erano venerale con una specie di culto superstizioso .

Fece egli dipendere fatti progressi dalla conoscenza profonda delle forme organiche della costriizione de' corpi umani e dagli esterni loro movimenti, os- servati in qualunque possibile punto di vista: ed a tal fine per dodici intieri an- ni con grave scapito di sua salute attese allo studio profondo dell'anatomia con-

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giuntaraenle a quello delle leggi ottiche e prospelticlie . Da questi clementi e non altronde risultò il suo fare, la sua maniera si in iscultura e in pittura . Il perchè nello studio dell' uomo e' non vide che il fisico, ossia un composto di os- sa, di muscoli, di nervi e di vene . L'estrema facilità, che acquistò nel far bril- lare nel suo esattissimo disegno le molle di questo meccanismo animale, gli fe- ce naturalmcote preferire que' soggetti, ne' quali poteva far bella mostra di tali peregrine sue cognizioni .

Ma chi non vede, che 11 sapere anatomico nell'artista, quando, scosso ogni freno, signoreggia tutte le altre qualità, cui debb' egli possedere a giungere al- la perfetta imitazione della natura, sacrinca onninamente all'energica espressio- ne della forza corporea la forza morale dell' animo e del sentimento ? Ed ecco ciò, che è avvenuto al Bnonarotti . Occupato egli a muovere le sue ligure ed a presentare ogni nuovo ardito e terribile scorcio ( nel che al certo non ebbe chi Io eguagliasse ) obbliò al tutto che avessero elleno un intelletto ed un cuore, la ragione e gli affetti . Laonde tempo sarebbe perduto il cercare espressione nella testa delle sue ugure, grazia e bellezza nelle sue composizioni : basti il di- re eh' egli trascurò di accennare le infinite variazioni delle età, de' sessi, delle condizioni e dei costumi . La forza muscolare e nervosa in infinite guise atteg- giata, un umore pensoso e triste impresso ne' volti de' suoi personaggi, sono queste e non altre, le qualità che capo il rendettero della sua setta .

La più grandiosa e memorabile opera che uscita sia dal pennello del Buona- rotti, quella che destò piìi rumore, si fu l'universale giudizio che dipinse a fre- sco nella Sistina, inspirato Aa\ genio dell' x\.lighieri . In essa rappresentando io-nudi angeli, diavoli ed uomini, parte beali e parte dannati, e ponendoli ia molti svariati atteggiamenti potè lasciare un testimonio parlante della sua pro- fonda scienza anatomica. Ma vuoisi che un vero miracolo dell'arte si fosse il suo cartone della guerra di Pisa, preparato per competere col Vinci nella sa- la del palazzo pubblico di Firenze . I contemporanei del Buonarotti hanno am- miralo in quel cartone uno de'più eccellenti esemplari di disegno pei nuovi scor- ci, per le terribili mosse, pel non più olire, in una parola, di quella eccellenza in cui venn' crii riverito principe . Si pianse per perduto codesto disegno, e n ebbe mala voce Baccio Bandinelli partigiano del Vinci: se non che il sig. Quatremere de Quincy nella storia della vita e delle opere di Raffaello ci nar- ra che uno schizzo dell'Intiera composizione comparve a Londra con ogni dill- ccnza inciso dallo Schiavonettl, e pare sia quella stessa copia in piccole dimen- sioni, che per testimonianza del Vasari ne fece Sebastiano da san Gallo, e che dopo la distruzione dell' originale non volle che da nessuno più si ricopiasse . Dappoi che cessarono gli esercizil atletici nella Grecia, ed 1 gladiatorll a Ro- ma, non v' ha eseiiqiio che siasi poluto studiare il disegno del nudo con tanto

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profitto, come si fece in qncl dipinto ed in quel cartone; e tutti convengono che lo stesso Raffaello abbia, alla vista di questa opera don genio veramente trascendente, ingrandilo ili molto la sua prima maniera .

O si rifletta pertanto all'umore e al carattere di Raffaello e di Michielangelo, o alle diverse vie, per le quali 1 uno nel!' invenzione, nella composizione e nel- r espressione, e I" altro nel disegno giunsero a toccare i sommi apici della per- fezione, o air essere eglino venuti al paragon de' pennelli nell' esecuzione di opere, che adornare doveano il primario tempio del mondo, ed essere esposte all'inesorabile giudizio del pubblico per secoli e secoli: o si guardi ali interes- se cui gli stessi loro nicccnali avevano di alimentare pe' vantaggi dell'arte quel- lo spirito di emulazione, cbe ardeva ne' petti di que' due preclari artisti, certo è che la rivalità non tacque ne' loro animi, e che rendendosi maggiori di se me- desimi, disputaronsi la corona . Osiamo nondimeno asserire, che se i dipinti del Vaticano assicurarono al Sanzio il trionfo presso alle persone di gusto, quello della Sistina lo assicurò al Buonarotti presso agli eruditi nelle teoriche delle due arti pittorica e statuaria (a) .

Mentre Roma divisa trovavasi in due partiti di Michielangioleschi l'uno (ed era il mcn numeroso ), di Raffaelleschi l'altro, Sebastiano, come altrove si è detto, vi capitò in compagnia del Chigi. E sapendo quel bravo uomo che a ren- dere gì ingegni maggiori di lor medesimi, è duopo cacciar loro ne' fianchi lo sprone dell' emulazione, volle che concorressero a' freschi della loggia di quel suo palazzo, che fu poscia detto Farnesina^ Sebastiano e Raffaello . La volta era stata già dallo stesso Peruzzi, pittore non meno che architetto eccellente, dipinta, gli archetti pitturati furono da Sebastiano con istorie mitologiche; finalmente volle il Chigi che nella favola della Galatea, che doveasi rappre- sentare, la ninfa uscisse da' pennelli di Raffaello, ed il Polifemo, che stavale al- lato, da quelli di Sebastiano . Se il veneziano pittore in quella difficile gara non apparve da meno del sanese e dell' urbinate, può ben dirsi aver lui operato un vero prodigio .

La fama altissima, a cui era salito Raffaello in Urbino, a Siena, a Firenze e da ultimo a Roma, ove, per consiglio di Bramante, un Giulio II gli aveva ad- dossato r incarico di adornare co' suoi lavori di pennello le sale del Vaticano; le quattro grandi composizioni che aveva di già eseguite nella sala della segna-

(a) Nel comporre cotesto paralello di Raffaello e Ji Michielangelo ebbi soli' occhio la storia pit- torica della Italia del Lanzi; l'altra della sciillura del cav. Cicogoara , e V Histoire de la ne et des ouvrages de Raphael par Quatremere de QuincJ : oltre al Bellori , al Vasari ed altri aolichi .

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tiirn, la ilispiita suH'Eucarislin, la scuola d'Atene, il Parnaso, e la pili famosa epoca che abbia avuta la civile e la canonica giurisprudenza, e che sole basta- te sarebbero ad immortalarlo : questa fama, queste opere, dicevasi, fatto avreb- bono cader di mano la tavolozza ed i pennelli a qualsiasi più ardimentoso pitto- re, dovendo dipingere a competenza di lui sull'intonaco stesso.

Non furono questi per altro se non i crepuscoli primi di quella bella aurora, che stava per ispuntare per Sebastiano . Alcuni suol dipinti all' olio alla manie- ra giorgionesca, ne' quali le figure balzavano fuori del quadro pel grande rilie- vo, e sanguigne e palpitanti e pastose apparivano le carni, e perciò al tutto vi- ve, gran rumore menarono in Roma, ove al magico incanto di quel colorito, a quella grazia e morbidezza di contorni si desiderò di giungere, ma non si giun- se unquemai . Lo stesso Micliielangelo rimase a tal vista incantato: e siccome quella sua grande e fiera anima avrebbe creduto abbassarsi, misurandosi alla scoperta anche collo stesso Raffaello, pensò di prendersi a campione Sebastia- no, e postolo sul buon sentiero, rispetto al disegno, farlo trionfare, con quel suo sorprendente colorito, dell'Urbinate. E volendo in faccia al mondo conservare il diritto di sedere a giudice di tanta lite, se prestò ajuto a Sebastiano col con- siglio e coir esempio, fecelo colla segretezza maggiore ; ma il biografo aretino che fu suo discepolo, avvisandosi di fargli onore, tutto nelle sue scritture svelò.

Dal Vasari o da altro qualsiasi seppe il Sanzio la segreta trama, ne possiamo a questo passo tralasciare di chiarire il nostro lettore quali pensieri egli formas- se in mente per vendicarsene . Il Sanzio si era mostrato peritissimo nell' artifi- zio della plastica, cli'è il modello della scultura, lavorando egli stjsso in creta, in istucco o In altra materia, come si vede nei tanti ornati delle loggie, a talché egli ebbe 11 merito di riprodurre quest' arte. Da ciò è facile il congetturare ch'egli avrebbe conseguito il nome di eccellente scultore, se la pittura ed ulti- mamente 1' architettura gli avesse concesso, nella cosi breve età eh' egli visse, di attendere a' marmi . Nondimeno trafitto aspramente nel cuore in veggendo che il Buonarotti, coli' ammaestrare nella scienza del disegno, quell' insigne coloratore del Luciani si studiava di sfrondargli 1' alloro nell' arringo pittorico, avvisò suscitargli contro degli scultori, che gli contrastasser le prime paline in queir arte, nella quale sedeva dittatore, rendendoli forti de' suoi consigli ed aiuti. Laonde il Sanzio allogò al fiorentino Lorenzetto le due statue del Gio- na e deli' Elia, che abbellire dovevano la cappella Chigi alla Lauretana, ma gliene fornì 1 disegni, e ne ritoccò colla maggior diligenza con le proprie mani i modelli. Ne venne egli meno nella difficile prova, avvegnaché, in partlcolar modo il Giona, a sentenza del Bellori, riuscì una dflle più insigni statue della scultura moderna^ e facilmente la migliore^ di una maniera tenera e delicata^ nella quale mai pre\:dse il Buonarotti . Pugnavano li due acerrimi emulatori

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col mezzo de" loro campioni aflorlificati dalle armi poderose de' loro ralorosi du- ci, e le l'iigne, cooperando a ridurre a sempre miglior condizione le arti col pro- durre de' sempre nuovi capolavori, verranno al certo considerate de^ne di eter- na lode (5). Ma si ripigli 1' enumerazione ^\\c fatiche del nostro pittore.

Destò vivissima sensazione un Cristo morto coli' addolorata sua madre, che Io piange, operato da Sebastiano per la chiesa di san Francesco di Viterbo . La scena di questo lui^ubre spettacolo, feccia il pittore in paese oscuro, onde mostrare, che alla vista dell' Uomo-Dio spento , si scolorì il maggior astro, e tutta la natura vestì negre gramaglie . Se 1' occhio critico del dotto artista po- trebbe ravvisare nella risentita muscolatura del Redentore la matita, il carbo- ne, o la penna di Michielaiigelo, dovrebbe per lo contrario ammirare nel colori- to di quelle carni, morte bensì, ma pure incorruttibili, le quali fra poco doveva- no essere viviGcate dal divino di lui spirito, quel rilievo, che, mediante certa de- gradazione di lume e d' ombra, ebbero in sorte gli allievi della scuola veneziana, fino da" tempi del suo masgior lustro, di felicemente ottenere . Il dolore della Vergme poi e le lagrime eh' ella versa sono quali si convengono alla madre di un Dio ; quanto più mostrano di calma e di dignità, tanto trapassano più il cuo- re dell'intenerito riguardante. Il merito di espressione così sublime il nostro Luciani non lo divide con chicchessia.

Ma già il nome di Sebastiano volava su tutte bocche, dal che nasceva che prima di condurre a termine un lavoro prcsentavaglisi propizia occasione d' in- traprenderne un altio. Dopo la tavola di Viterbo impertanto vennegli proposta la dipintura d'una cappella in san Pietro inMontorio; ed egli di buonissimo gra- do accettonne il partito, avendo già replicate volte fatto il saggio di sua valen- tia, ed avendo altrettante il favore ottenuto del pubblico suffragio . Se dovessi- mo porger fede al Vasari, tutta quella cappella fu dipinta da Sebastiano sopra nn cartone in piccole dimensioni datogli dal Buonarotti: ma non possiamo di- spensarci dal dubitare intorno alla verità di tide asserzione, perocché c^li stesso ci confessa che il cartone da lui veduto era in grandi dimensioni e fatto di ma- no dello stesso Sebastiano .

Altro è infatti che il Buonarotti sia stato maestro di più perfetto diseo'no a Sebastiano, ed altro è poi che quest' ultimo sia debifore al primo anche della invenzione e composizione di tutti i propri dipinti, e lino dei contorni delle figu- re sugi intonachi delineate e sulle tele: cosicché nuli' altro e' fatto abbia fuor- ché servilmente copiare i suoi concetti, e colorire sopra gli stessi suoi calchi . Converrebbe supporre che un pittore che contò a maestri un Bellini ed un Giorgione: che ammirare si fece per essere giunto ad imitare perfettamente il secondo di essi nelle tavole di altare di s. Gio. Crisostomo di Venezia, di s. Biagio di Lendinara e di s. Nicolò di Trevigi ed in altri prestantissimi lavori ;

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che innamorò del sapore, della nnionc e pastosità delle sue tinte quel CliigI, il quale teneva a' suoi slipendii il Sancse e l' Urbinate, 1 quali considerali era- no r uno il Vitruvio e 1' altro l' Apelle di quell' età ; che per tale altissimo suo pregio sorprese Roma e Io stesso Buonarotti innanzi che contraesse alcuna famigliarità ed amicizia con esso lui, e il cui giudizio, attesa la vasta e profonda cognizione delle teoriche delle arti, in peso ed autorità quello vantaggia di tutte le accademie e dell" intera moltitudine, converrebbe supporre, dicevasi, che un pittore di questa fatta nuir altro sapesse tranne il pretto colorire. Ma chi sa che il Vasari pecca di parzialità, quando si tratta de'suoi Toscani; chi sa che la prevenzione gli stende densissimo velo agli occhi, allorciiè parla del Buona- rotti, d quale fu suo maestro; eh» tultociò non ignora riceve le sue asserzioni, semprechè sieno di verosimiglianza ignude e di mallevadori, con quella circo- spezione che suggerita viene dai dettami d' una critica giudiziosa .

Dopo tale, .il parer nostro, inevitabile digressione, rappiccando il filo all' inter- rotto discorso su i dipinti della cappella di san Pietro in Montorio, noi possia- mo merqar vantaggio dal giudizio che ne lo stesso Vasari, senza che m que- sto caso sospetto di parzialità tolga o scerai la fede al medesimo . " Quand'an- " che Sebastiano, die' egli, non avesse fatta altra opera che questa, per lei so » la mciiterebbe esser lodato in eterno: perchè oltre alle teste che sono molto » benfatte, si fanno ammirare in questo lavoro alcune mani e piedi bellissimi: « e ancorché la sua maniera fosse un poco dura, per la fatica che durava nelle « cose che contraffaceva, egli si può nondimeno fra i buoni e lodati artchcl an- « noverare " . In parlando poi della transhgurazione eh' e' dipinse nella volta, accenna il Vasari che le figure sono vivissime e pronte^ e dopo di avere notnto che vi aveva impiegati sei anni, soggiunge , che l'opera per comune sentenza essendo stata fatta bene le male lingue si tacquero .

In quel torno di tempo, nel quale Sebastiano profondeva con lenta, ma sper- ta mano i prodigi della sua tavolozza in san Pietro in Montorio, del pari sudate e nobili palme coglieva anche altrove . Quella natività di nostra Signora, che condusse per la chiesa di sant' Agostino in Perugia, e quella flagellazione cne operò per la chiesa degli Osservanti in Viterbo, meritarono di essere ricordale con lode dal chiarissimo abbate Lanzi, alle cui accuratissime ricerche e finissi- mo «"usto non isfuggirono : quantunque il Vasari nella biografia del Luciani non ne faccia pnnto menzione . La flagellazione passa per la miglior dipintu- ra che vanti Viterbo, e pare aver essa tolto il merito della preminenza all' al- trove da noi memorata tavola della Pietà, figlia dell' «stesso pennello, la quale servì per la chiesa di san Francesco pur di Viterbo .

Ma r epoca «lell'ovazione e del trionfale alloro, che doveva ottenere il nostro Sebastiano nella città eterna, era giunta, e gli dischiuse la via quel Giulio car-

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cimale de' Medici, che fu poi salulalo pontefice sommo scilo il nome di Cle- mente VII.

Raffaello cof^l' immollali suoi dipinti della seconda sala vaticana aveva toc- co l'apogeo del merito, della rinomanza e della fortuna . L' incendio di Borgo, l'Eliodoro, la miracolosa liberazione di san Pietro, e quella di Roma dalle armi di Attila, mercè dcH'apparizione a quel formidabile condottiero de' due Principi degli Apostoli, sono quattro poemi degni della tromba epica dell' Ariosto e del Tasso . Lo stile di Raffaello, ingranditosi gradatamente, era pervenuto a quel- la perfezione, a cui non fu dato di giungere ad altro moderno pittore. I cartoni apparecchiati per la gran sala di Costantino, e le infinite altre opere, colle quali aveva egli di qua e di dalle Alpi adornati 1 templi e le pinacoteche de' prin- cipi e degli opulenti protcggitori delle arti, attestavano una terza maniera nel fare di Raffaello, che nulla più lasciava a desiderare in uomo mortale . Ecco quell'Ercole invitto, con che doveva misurarsi il nostro Sebastiano . Non si trattava già di fare un Polifemo allato ad una Galatea, com'era avvenuto nella Farnesina, ma siLbenc di trattare sopra una vasta tela due miracoli operati dal divino Riparatore . Fu dunque dal prelodato cardinale de' Medici proposto a Raffaello per tema della sua tavola la transfigurazione, ed a Sebastiano la re- surrezione di Lazzaro .

Un morto che risorge alla voce di Dio che lo chiama, ed alla vista di un' inte- ra città accorsa al sorprendente prodigio, e un soggetto, che per essere esatta- mente trattato, una conoscenza esige profonda del cuore umano. Non un so- lo, cento sono, e tutti diversi gli affetti che fa nascere nell'animo de' circostan- ti, quella maravigliosa sospensione delle leggi «Iclf ordine naturale; affetti che il pittore trasportandosi in tutte le possibili situazioni esprimer debbe conde- gnamente. S' egli dipinge sul volto e negli atti di tutti lo stupore cagionato lo- ro dall'alto portento, cade in una noiosa e ridicola monotonia, e dalla verità si allontana: se si accinge a variarli, quale studio non debbe egli spendere per conoscerli a fondo e per esprimerli convenevolmente, onde non dar di cozzo nel falso e neir esagerato ! Naviga egli in un mare procelloso e pieno di scogli, e se abbandona coli' occhio per un istante la stella ch'esser gli dee fidata scor- ta, o con la mano lo scandaglio che gli deve accennare la prolondilìi, tutto è perduto .

Ma coir inventare, comporre, disegnare e colorire questa famosa tavola alla 1 1, larga 8 piedi e cinque oncie, fé' mostra del suo bello e prestante ingegno il nostro Sebastiano, e si assicurò un titolo alla immortalità. Lr» scena è stipa- ta di gente accorsa allo strepitoso miracolo, cosicché ne' vani degradati piani della prospettiva tu annoveri teste infinite . Lazzaro, il protagonisla del dram- ina, che trovasi tra 1' elemità che lascia, ed il tempo a cui fa ritorno; tra il

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morto ed il vivo; tra il desto e l'addormentato, viene rappresentato, così rispet- to al fisico, come al morale, quale s'addice alla straordinaria sua situazione . A similitudine del feto, che per forza d'una legge meccanica muove mani e piedi per lacerare l'involucro, che stretto lo tiene nell'alvo materno , Lazzaro seduto sull'orlo dell'avello, sostenuto quinci e quindi da' servi, cerca sprigionarsi dal lenzuolo e dalle fascio, nelle quali trovasi inviluppato. I suoi occhi cercano quel taumaturgo, la cui voce lo evocò dal regni della morte ; e se le forze non gli mancassero, mostra chiaramente che gli sislancierebbe a" piedi per adorarlo. Il Redentore stassi in pie' ritto, e mentre la sua faccia composta a maestà e la sua destra alzata in segno d" impero manifestano un Dio, che sottomette le creature all'irresistibile sua volontà, con la sinistra rivolta a Lazzaro , il con- forta ad uscire d'impaccio, a levarsi su, ed a godere di quella nuova vita, che gli ha donata. La Maddalena genuflessa con l'una mano che tiene sul petto, mostra la compunzione ognor più viva de' passati suoi falli, e con Y altra che stende al Redentore, il ringrazia di averle ridonato il fratello . Marta, che non può sostenere ne l'aspetto d'un Dio, ne l'aspetto del tremendo prodigio, confu- sa ed esterrefatta si cuopre con ambe le mani il viso, e all'atterrito sopracciglio fa ombra . San Pietro con un ginocchio a terra, e a giunte palme adora il Re- dentore: sant'Andrea sembra stupefatto, e fuori di se a quella vista, e la nobi- le sicurezza di san Giovanni appalesa eh' e' punto non si sorprende che 1' uomo Dio sconvolga 1' ordine della natura, la quale è tutta opera sua . Tu scorgi qua un gruppo di persone, che a vicenda s'abbracciano pel contento, che quel Cristo, di cui seguono le orme, dia cos\ strepitosi e certi indizìi di sua divinità e della verità della sua missione : di vedi altro gruppo, ove coloro che si sen- tono venir meno a quello spettacolo, appoggiano il capo sulle spalle del loro vi- cino per non cader tramortiti ; finalmente tu ne miri un terzo, ed è di coloro, che colpiti dall'increscioso e ributtante odore della nauseosa putrefazione, che nel quattriduano L;izzaro andava formandosi, si vanno turando con le mani le nari, con che danno a diveder chiaramente che del miracolo non havvi chi pos- sa dubitare . La varietà delle fisonomie, quella delle mosse e del colore de' pan- ni giudiziosamente disposte pei contrasti, le masse dell'ombre e de' lumi , il ri- lievo di lutti gli oggetti, mercè della fluidità di linee ondeggianti, di contorni sfumanti : la verità in fine del colore che imita perfettamente la natura : tutti questi pregi riuniti, che tre secoli non hanno ne distrutti, ne menomati, mostra- tao ad evidenza mano maestra che dipinse il si gran quadro .

Giovanni Vendramini, bassanese, che occupa di questi giorni, nel trattare magistralmente il bullino, quel seggio distinto che altra volta occupavano in Londra i due fratelli Luigi e Nicolò Schiavonetti, ha già a quest* ora inciso questo stupendo quadro della resurrezione di Lazzaro in dimensioni eguali al-

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la Iransfitr'irazione «li Pv affaldilo., pubblicata dal celebratissimo cakografo Mor- jrlicn . In tal guisa l'Italia vede rinnovarsi tra due egregi incisori, egualmente suoi lìiili, quella istessa nobile gara, di cui fu spettatrice, traque'due dipin- tori solenni.

Questa tavola della resurrezione di Lazzaro fu posta nel concistoro in paragone alla transfio-urazione di Raffaello: e Z'(?hc//c, dice il Vasari, le fatiche di Raffaello por C estrema grazia e bcllc::za loro non avessero pari^ furono nondimeno an- che qiielìe di Sebastiano universalmente lodate da ognuno . Cotal lode uni- versale data alla tavola di Sebastiano gli merco la grazia del cardinale de' Me- dici : e le larnhe rimunerazioni che riportonnc, il fecero risguardare pel prima- rio pittore di Roma, dopo che precocemente chiuse gli occhi il grande Raf- faello, ad esclusione di tutti gli allievi di lui, non eccettuati tampoco 1 più fa- mosi . La posterità assegnò a cotesto dipinto il grado che meritavasi; e se alle meraviglie della pittura risorta ascrisse la detta transfigurazione di Raffaello, il san Pietro martire di Tiziano, il giudizio universale di Michielangelo , il san Girolamo del Correggio, la cena di Leonardo da Vinci, la deposizione di Croce di Daniello da Volterra, la comunione di san Girolamo del Domenichi- no, non tralasciò di ascrivervi la resurrezione di Lazzaro del Luciani . Questa tavola spedita dal cardinale de'31edici alla cattedrale di IVarbona, luogo di sua cpiscopal residenza, formò poscia parte della decantata pinacoteca del duca di Orleans, la quale ne' fortunosi tempi della rivolta fu trasportata in Ino^hilterra, ove rimasto quel principe per tutto il tempo che durò la cacciata de" Borbo- ni dalla Francia col suo numeroso seguito senza sussidii, dovette venderla ad un pubblico incanto . Della sola resurrezione si sono ricavate 1^,000 lire ster- line. Presentemente è la gioia preziosa di una quadreria, che 11 governo bri- tannico acquistò per 67 mila lire sterline a vantaggio di que' giovani, che allo studio si dedicano delle arti belle (a) .

Se andasse esultante Agostino Chigi nel contemplare giunto al colmo della gloria nello studio pittorico il suo Sebastiano, mercè della da lui valorosamen- te condotta tavola della resurrezione di Lazzaro, può figurarselo di leggieri il lettore, ove non gl'incresca rammemorare che il Chigi fu quegli, che dal primi saggi che aveva veduti da quel dipintore nel maneggio del pennello, ebbe ad

(«) Di (juesle Dotizlc e di più allre, clie mi furono di grande ajuto nella compilazione di questo Saggio, sono debitore al slg. Alvise Aibrizzi, il quale possedè una preziosa raccolla di libri e di oggetti di belle ai li di che tiene una non comune perizia in conseguenza de'suoi studii, de' suoi viaggi e del suo commercio, ed al quale io mi reputo in dovere di qui dare unapub- blica e solenne testimonianza di riconoscenza.

Zìi

argomentare con quel suo squisitissimo gusto e finissimo tatto nelle arti inge- nue, di che trovavasi per una specie di naturale istinto dotalo, a quali arditis- simi voli avrebbe egli le agili penne in processo di tempo drizzale . Ni; si slette il Chigi in sul tributare sterili alti di ammirazione, e vane lodi ed ap- plausi a Sebastiano ; ma ansioso di procacciargli novelle palme, e di tornargli utile mecenate, volle che 1' altra gran tavola colorisse, eh' egli poi non vide compita, e che il torrente della rivoluzione travolse in Parigi nella pinacoteca dell' imperatrice Giuseppina, la quale in conto tenevala della più preziosa gemuta di quella ricca sua collezione, donde varcò in appresso ali" altra di Mo- naco, quando cessò di vivere 1" illustre donna (6) .

San Nicolò vescovo di Mira, che fu altra volta capitale della Licia nell'Asia minore, n' è il protagonista . Le reliquie di lui trasportate di furto a Bari nel regno di Napoli per sottrarle alla profanazione saracinesca formano ivi 1' og- getto della venerazione della Chiesa latina, non altramente che della greca. AdornoUo il pittore di tutta la maggior pompa episcopale, cosicché tu gli vedi scendere dagli omeri e camice, e croce, e stola, e dalmatica, e fimbriato piviale, mentre i serici sandali gli avvolgono i piedi. Stringe con la destra il pastorale, e con la sinistra il volume de' sacri riti sostiene. Assorto stassi il gran santo in Dio, e se vacue ed attente orecchie gli presti, parratti udire il suono delle da- vidiche salmodie uscire articolate dalle mirabilmente mosse sue labbra. D'oro e di gemme Intessuti sono i sacri indumenti, ne' quali tu scerni espresse dall' in- dustre pennello foglie, fiori e figure rappresentatrici di sacre storie con una ve- rità che t'invita a stender la mano ad iscio^liere il ben tessuto ins-anno ; e la soffice e luccicante superficie de' velluti così ove il lume cade, come ove sfugge, fanno contrasto agli aurei gemmiferi arredi. Sovrastano al santo sopra leggere nufroletle da soave zeffiro airitate due a^nolelti., che ne be' volti non picciola parte portano di paradiso ; essi gli tengono sospesa sul capo la sontuosa mitra in atto di coronare la veneranda canizie. Hacci a destra di lui il Precursore, al- le cui carni abbronzate, alla chioma scarmigliata, al negletto onore del mento, alle ispide ferine pelli, che cuoprono porzione di sua nudità, l'abitator del deser- to tu subito riconosci, che di mele e di locuste si nutre, e che alle turbe, che il sieguono, con insolita tren>enda voce, simile al fragore di molte acque, che pre- cipitano giù per la china di dirupato monte, annunzia la venuta del tanto atte- so Messia, inlima austera penitenza per accoglierlo condegnamente, mentre al- la vindice ira sua abbandona quella generazione di vipere, che confessar noi vorrà . Sostiene il Ballista un libro riccamente coperto ; sopra cui vestito di candido ricciuto finissimo vello assiso stassi il mansueto agnellino, vittima inno- cente al grande sacrifizio espiatorio e propiziatorio designata: e giù il senti fle- bilmente belare alla vista dell' amaro calice che vuotar debbe sino alla feccia .

I

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Il prodigioso magistero Jcl chiaroscuro ti fa reclorc il braccio e la mano del santo, il libro e 1' agnello così spiccati e saglicnti, che fuori del quadro crede- resti vederli, ed alla niente tosto li ri<;orrono le parole che scrisse Plinio alla 7Ìsta dell'Alessandro fulminante d'Apcllc:;^rf/,q^/^/ eminere vidcniur et fulmen extra tabulam esse A sinistra poi dell' antistite mircnse grave sorge per vene- rabile aspetto l'apostolo Andrea, che ne ascolta e ne accompagna divotamente le preci. Un panno di porpora gli avvolge le membra, e gli s'innalbera dappres- so quella stessa croce, sopra la quale doveva confessare, spirando fra i martirii, la verità della missione del divino Maestro. Quale artiliziosamente divisato con- trasto nasca dalle maestose gale del vescovo, dal succinto vestir dell'apostolo, dalle spo"lie selvaffire del Precursore e dalla vaiietà dei colori non havvi chi noi ravvisi. Le arie de' santi volti, ove la luce traspare della futura glorihcazio- ne, la convenevolezza del portamento e la prontezza della mossa, le larghe pie- ghe de' panni, il rilievo degli oggetti, tale fanno nascere un accordo, un' armo- nia, un sapore, che quanto è facile il concepirlo, altrettanto 1 esprimerlo è ma- lagevole .

Lo stesso Sebastiano talmente rimase soddisfatto di cotesto suo insigne, di- pinto, che volendo tramandare a' posteri la prova eh' era parto de' suoi pennelli non solo, ma che inoltre tenevalo per lavoro al tutto perfetto, vi scrisse sopra anno millesimo quingentcsimo trigesimo fecit Schastianiis^ e vi aggiunse poscia fecit prò Angustino Cìiigi . (^iKslo scr'wcvc due volte nell' istessa epigrafe il tempo perfetto del verbo fare, ci richiama alla memoria 1' aneddoto della tavo- la dell'Annunziala di Tiziano, il quale persuaso che nulla aflatto mancasse a quel suo dipinto, malgrado delle critiche di certi scioli protervi, cancellò sdegnato il tempo imperfetto del verbo fare, cioè lìjaciebat che aveavl apposto prima per modestia, e invece scrissevi \mpa/ìcale := fecit fecit .

Non vuoisi negare che la morte di Rafl'aello, dall italiana e da tutte le nazio- ni europee, già avanzate nella civiltà e nel gusto per le arti, deplorata, non sia riuscita di danno anche a Sebastiano, quantunque in Roma posto lo avesse nel primo seggio delta pittura, di che fede certa ce ne rende il biografo aretino . Cessato lo stimolo dell'emulazione, certo è che si sarà raffreddato il fervore di studiare e quello di lavorare, che renduto aveano sollecito e pronto Sebastiano pi 'u che la sua natura forse noi comportava. Non si debbe per altro così di leg- gieri ed alla lettera ammettere quella accusa di lento ed irresoluto che gli vie- ne data dal biografo aretino, il quale alle volte non adopera tempo, mi- sura per maturare e moderare li suoi precipitati ed enormi giudizii .

Dna delle ragioni, per le quali procedeva adagio ne suoi lavori Sebastiano, forma il suo più beli" elogio . Imperciocché ciò derivava da quell ultimo apice di perfezione, a cui conduceva egli i dipinti, cosicché rilevate, vive, sanguigne e 29

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fiaminej^g'ianli apparla:io le figure ila lui ra|iprcsenlatc, Io die non si otlienc se non sovraj)ponen(lo colore a colore, e degradando i contorni per via di mezze tinte e con tocco legger di pennello, e ciò sino a che ogni linea fondendosi e perdendosi faccia nascere l'illusione, che stendendovi la mano sentir si dovesse il largo ed il profondo delle membra e delle vesti, ove alcuno s'invogliasse di palparle . Cotal miracolo dell' arte di rendere in apparenza solidi i corpi lineari e superficiali, lor dando tutte le dimensioni, non è slato operato che da Giorgio- ne, da Tiziano, dal Correggio e da Sebastiano .

Protogene si rendette famoso tra i greci pittori per qnell' ultimo grado di perfezione che dare voleva a' suoi dipinti, mercè una diligenza, di cui fu model- lo od esemplare a se stesso, come lo fu tra i moderni Sebastiano. Il liglio del sole e della ninfa Acanto, il bellissimo lalisso che i Rodiani venerarono fjual lo- ro fondatore ed eroe, dipinto che venne lodato a cielo da tutti gli scrittori del- l'antichità, gli costò ben sette anni di assiduo lavoro, quantunque nuli' altro rap- presentasse, che un cacciatore e l' ansante suo veltro . Plinio ci narra che, so- vrapponendo uno sull'altro quattro strati di colore, erasi egli avvisato di con- servare cotesto suo dipinto per mille secoli e mille. Certo è che la Venere Ana- diomène di Apelle, che avea costato a' Romani al tempo di Augusto cento talen- ti euboici, e che il più bel fregio lormava del tempio dedicalo a Giulio Cesare, trovavasi sotto l' impero di Nerone al tutto guasta dalla carie, e che all' oppo- sto il lalisso di Protogene risplendeva di sempre nuova bellezza nel tempio del- la Pace, che Vespasiano avea addobbato delle più ricche e preziose spoglie della distrutta Gerusalemme. Forse esisterebbe tuttavia e lo si additerebbe in fra i capolavori dell'antichità, se stalo fosse locato nel Panteon, piuttoslochè nel tempio della Pace, che fu deplorabil preda di voraci fiamme nella stagione, in che infuriava sopra i Romani quella belra sanguinaria di Commodo .

Fa di mestieri altresì riflettere che Sebastiano incominciava, continuava e li- niva le proprie pitture senza collaboratori, a differenza di Raffaello, di cui veg- gonsi in tanto numero moltiplicali gli originali e le copie, e condotti quadri tan- to macchinosi, a fresco, e all' olio, perchè aveva cinquanta allievi, dei qua- li 1 più capaci impiegava nell' abbozzare i suoi disegni, dandovi poi egli stesso l'ultima mano . Se a Giulio Pippi, a Gianfrancesco e Luca Penni, a Perino Buonaccorsi dello del Vaga, a Giovanni da Udine, a Polidoro da Caravaggio, a Benvenuto da Garofalo, a Raffaello del Colie, e così a tanti altri, de' quali per brevità si tacciono 1 nomi, si dovesse rendere ciò che apposero di proprio nelle opere dell'Urbinate, resterebbe di lui poco più dei cartoni e dei tocchi finali .

In ultimo luogo è da dire che se Sebastiano non eseguì le pitture allogategli dal Chigi alla Madonna del Popolo nella cappella, ove gli si doveva erigere un

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momimcnto sepolcrale: se non compiè l'altra nella chiesa della Pacc.^ ove, di- ce il Vasai-i., elio quella parte che j e ce è bellissima pittura; anche le monache di Monte Lucci in Perugia aspettano 11 quadro dell" Assunta, che s' era obbli- galo di far loro RalTaello con iluc scritture una dell' anno i5o5, l'altra dell'anno 1 5 1 6 : malgrado che gli fosse stata anticipata una parte del prezzo convenuto ; e la famiglia Dei di Firenze, se mal per avventura anche al di d' oggi sussiste, aspetta del pari che RalTaello compisca quella cappella, che s' era impegnato di dipnigere nella chiesa dello Spirito santo.

Per altro questo scioperato ed accidioso uomo di Sebastiano (al dire del biografo aretino ) dnpo la morte di Raffaello, ed in tempo che nulla aveva a temere ne da lui, dalla numerosa sua scuola, che al solo grido del suo nome aveva egli fugata e dispersa, compose quel terribile quadro del martirio di san- ta Agata, che ignuda stassl fra 1 carnefici che le strappano le poppe , e fa rab- brividire ed agghiacciare il sangue a chi la mira . La composizione, 11 disegno, l'espressione, il colorito sono In questo quadro ciò che può immaginarsi di più perfetto : desso è una vera inspirazione del genio . Il Vasari lo chiama cosa ra- ra, ne potè astenersi dallaggiungere che desso non è punto inferiore a mol- ti quadri bellissimi che sonovi di mano di Raffaello d Urbino , di Tiziano e di altri. Ecco però avvicinate tutte le distanze, ecco sciolte tutte le controversie, ecco collocato Luciani su quell'altare, che nel tempio della pittura gli è dovu- to . Cotesto spettacolo tragico, in cui non mancano a' personaggi che lo rappre- sentano, se non gli accenti, fu fatto di commissione del cardinale d'Aragona.' Passò poscia nella pinacoteca di Guidubaldo, duca di Urbino , ed ora si trova riunito a molti insigni monumenti di pittura nella galleria di Firenze, ove splen- de quasi stella fulgidissima .

La sant'Anna In sant'Agostino, ed il san Sebastiano nella sagrestia de' padri Serviti di Perugia, passano per opere del valorosissimo nostro pittore. Lo sba- dato di lui biografo o non si curò di conoscere, ovvero non si curò di descrive- re molti de' suoi dipinti . In tal guisa l'accusa di accidia, onde vituperollo, pren- deva un colore di maggior probabilità .

La parte della pittura, nella quale non fu ad alcuno secondo, a non dire che andò innanzi a tutti il nostro Sebastiano, è stata quella de' ritratti . Siccome la pittura neir aurea età del suo risorgimento non fu che una fedele Imitazione del- la natura, cosi 1 sommi artisti, dato bando ad ogni fantasia e ad ogni capriccio, se trattavasi di persone umane ne" quadri di composizione prendevano a model- lo le viventi , come quelle le quali più perfette ed accomodale lor sembravano essere a quel soggetto, che intendevano rappresentare : e se qucll individuo che eletto avevano per beli' aria di testa non era poi nel resto delle membra confor- mato secondo le desiderate proporzioni , copiavano la sola testa, ed altro indivi-

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iluo ccrcarauo.j clic m^ni'jra avesse avuto piuben coiiii)Icsse. Per tal modo, senza forse avvedLTScne, mentre a niiH' altro alla per!i?iL' andavano, che alla iinitazio- ne (Iella natura, pervenivano al bello ideale . Se ad un pittore pertanto chiesta si fosse ragione di personaggi di diverso sesso, età, condizione popolatori del suo quadro, egli potuto avrebbe additare, come Zcusi, al dire di Cicerone, allorché volle effigiare un' Eiena, (juali parti ad imitar prese avesse da tale e tale al- tro individuo, adducendo anch' ei la ragione del greco pittore , la qual e che non gli era avviso di poter rinvenire compilate in un sol corpo le qualità tutte , eh' e' cercava , spettanti alla verace bellezza, conciossiachè la natura alla sem- plice operando ninna cosa in tutte sue parti perfezionò: ncque enim piitavit omnia quae quaereret ad vcnnstatem uno in corpore se reperire posse ^ ideo quod nihil simplice omnibus ex partibus natura cacpolivit.

Per questa cagione tale acquistarono una facilità i pittori di quell" epoca di ritrarre le immagini delle persone viventi, migliorandole nel copiarle, che nien- te vi sarebbe a maravigliare se come le uve,i veli, le cornici, i libri dipinti han- no incannati irli animali e sii uomini, il ritratto di Carlo V a cavallo latto da Tiziano, e posto sopra una loggia abbia agli occhi del medesimo figlio di lui in- generato una tale illusione, che scoperto il capo in atto riverente, gli si sia ac- costato indirizzandogli il discorso, e che il cardinal Cesi, datario apostolico, sia- si genullcsso dinanzi all'altro di Leone X eseguito da Raflaello, presentando- gli delle bolle, aflinchè le sottoscrivesse.

Il Vasari anuli' esso dipintore e contemporaneo di Sebastiano non esita pun- to in alfermare che nei ritratti era egli a tutti supcriore ; che i personaggi che eflìgiò paremno propriamente vivi che, oltre alla perfetta rassomiglianza, erano pitture rare e stupende^ che si custodivano, quali preziosissime gioj'e: che l'in- tera Firenze, madre e nutrice delle arti belle, in veggendonc taluni ebbe a ma- raviirliare: che riuscì egli nelle teste e nelle mani eccellentissimo.

Uomini per ingegno e dottrina celebratissimi che furono sollevati ad eminenti seoiri non "-ià dall'aura della cieca ed instabii fortuna, ma da quella ben niìi

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gloriosa delle proprie virtù, sonosi mostrati estremamente solleciti di essere ri- tratti da'pennelli di Sebastiano . Fra le molte testimonianze quella citeremo soltanto, che per chiarezza di nome tutte le avanza . Claudio Tolomei famoso non solo per essersi fatto sdottorare con quella stessa solenne pompa , con che era stato addottorato, ma per aver voluto altresì ridurre 1 versi italiani al me- tro ed all' armonia de' latini; Claudio Tolomei che fondò in fra le altre l'accade- mia della T'irtù composta d ogni maniera di scienziati per hssare il testo, dl- chiarire i passi oscuri ed ambigui, esporre con bene accomodate immagini la dottrina, illustrare con l'ajuto dell'archeologia il trattato dell'arte cdihcatoria del Vitruvio Polione : Claudio Toloi.nei che servì la casa jMedicea e la Farnese

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in oravissline lor-azioni presso a' primi potcnlnli del mondo, e che in quella gui- sa stessa die Cicerone ilifcsc il re Dejotaro arringò innanzi a Carlo V la causa del pontefice Clemente ^'II: Claudio Tolomei che lasciò.^ oltre ad un epistolario, delle orazioni degne della commendazione dell' immortale storiografo della rc- puLhlicn delle lettere italiane: Claudio Tolomei che pesar sapeva sopra giuste Lilancic il valor degli artisti, come quegli, che ne possedeva la scienza, e ne conosceva le meccaniche: Claudio Tolomei, diccvasi, impiegò ogni più seducen- te lenocinio di parole in una sua lettera del di 20 agosto 1 543 per indurre Se- bastiano a fargli il ritratto . L' espressioni ond' è concepita questa lettera torna- no s\ (attamente in onore del pittor nostro, che ci crediamo in dovere di trascri- Tcrne uno squarcio, u Parmi ( scriveva egli ) che se l'eccellenza della cosa dc- n sidorata iscnsa in quatciic parte il desidcratore, che io debba ragionevolmente « essere iscusato di questo mio desiderio, perchè lo desidero cosa eccellentissi- « ma, desiderando di essere ritratto per la divinisslma vostra mano,' da cui esco- n no opere che invaghiscono l'animo, nutriscono l'intelletto : le quali con ma- » raviglia sono considerate da' dotti, con istupor mirate dal volgo . son già n di quel severo giudizio che fu Alessandro Magno, il quale non voleva che al- « tri lo dipingesse, se non Apelle : anzi per lo contrario, purché voi mi dipinge- « ste, non mi curerei che mille altri, men che mezzani dipintori mi dipingesse- >) ro, e forse maggiormente apprezzerei, e molto più cara mi sarebbe la vostra « bellissima dipintura . Potrei con molti preghi e con varie ragioni assalirvi, e » lo farci forse s'io non conoscessi che per voi stesso più di me siete a ciò fare )i infiammato : onde mi parrebbe far troppo gran torto all' amorevolezza vostra, n se io volessi con luoghi di rettorica e con forza di argomenti espugnarvi. So- li lo vi dirò che quando da voi mi venga grazia tanto singolare, come spero, al- 1) lora mi parerà aver guadagnato uno specchio, il quale io sempre chiamerò « specchio divino, perchè in quello vedrò voi e me stesso insieme . Voi, veden- >i do neir immagine mia la vostra singolare virtù e il vostro maraviglioso artifi- » zio: me vedendo nell' arte vostra espressa vivamente la mia immagine, la qua- li le mi sarà continuo stimolo a purgare 1' anima di molti suoi mancamenti, non j) solo per quel rispetto per lo qual Socrate volea che i giovani si guardassei^ )) nello speecliio, ma molto più perchè vedendovi dentro molti luminosi rajro-l

" delle vostre virtù mi si accenderà l'anima a bel desiderio d'onore e di d-Io-

c

" ria " . Non si può leggere questa lettera, ordita con singolare artifizio orato- rio, senza sovvenirsi di quella che indirizzò Cicerone a Lucejo aftinché la storia della guerra catilinaria, del suo esilio e «lei suo ritorno scrivesse, lettera che passa ben a ragione per un miratolo di eloquenza . Anzi quando si richiamino alla m emoria le parole = ardeo cupiditate incredibili^ neqtie^ ut ego arbitrar^ re- prehendcnda, iiomcii ut nostrum scriptis illustretur et cclebretur luis: e tutto

quel più che per b^evlt^ si tralascia, è gluocoforza convenire che il Toloinel stiuliò d'imitare nella lettera teste riportata il romano oratore'. A noi basta di aver dimostro che da personaggi preclarisslmi cosa d' inestimabile valore consi- deravasi essere da questo insigne dipintore tramandati a' posteri .

E cosi per certo la cosa doveva essere , se i sommi pontefici, demente VII, Adriano VI, Paolo IH, se Caterina de' Medici, che divenne poscia regina di Francia, vollero essere da lui ritratti ; se si compiacquero che da questo incom- parabile pennello venissero trasmessi alla posterità i loro volti Ferdinando mar- chese di Pescara, Marc' Antonio e Vittoria Colonna, il generale dell' armi del gran-duca Cosimo I, Giambattista Savcllo e il celeberrimo ammiraglio geno- vese Andrea Doria: se inline si sono ascritti a vanto di essere ritratti da lui An- tonio Francesco degli Albizi, Baccio Valori, Federico da Bozzolo e, per tacere di altri parecchi, 1' ambiziosissimo degli uomini Pietro Aretino, la più bella non solo, ma la più casta infra le donne di quell'età Giulia Gonzaga, che impalmò ed amò sempre del più tenero affetto conjugale Vespasiano Colonna, comunque vecchio ed infermo .

Ne far dobbiamo le maraviglie, se per testimonianza del Vasari, l' effigie di costei riuscì pittura divina^ allorché ci porremo a considerare la somma perizia della mano che la condusse, ed i pensieri da' quali la mente di lui doveva esse- se assalita e riscaldata, mentre ili quella tela distendeva le famigerate sue me- stiche . In essa donna contemplare egli doveva certamente una moderna figlia di Leda, in pensando che la fama delle angeliche di lei forme divulgatasi sino neir oriente avevano Invaghito Solimano imperatore de' Turchi, il quale l'ar- dente desiderio aveva concepito d'impossessarsene di viva forza per d'essa for- mare r ornamento più vago del suo serraglio. Del divisato rapimento fatto egli ebbe ministro il più audace de' seguaci di Maometto, il troppo celebre Barba- rossa, che alla testa d'un numeroso stuolo di masnadieri non mancò d' irrompe- re improvvisamente nella terra di Fondi, e di penetrare nel castello, ove la Giulia, orba del marito, solitaria viveva nell' esercizio d' ogni virtù . Per buona sorte il colpo andò a vuoto: ma la fantasia del pittore immaginando che fosse ilo ad effetto avrà veduto scoppiar di nuovo le scintille della combusta Troia, avvegnaché i principi italiani per vendicare 1' onta da quel barbaro all' onor na- zionale, ed alla religione degli avi recata, inanimiti da quello spirito cavallere- sco e guerriero, di cui pieni erano in quell' età, ad imitazione de' principi greci, oste poderosa in mare ed in terra avrebbero congregata, ed accostatisi alle con- scie mura di Costantino chiesta avrebbero la novella Elena all'infame suo rapi- tore . Nel bel mezzo dell'epica visione il pittore sarassi immaginata l'espugna- zione di quella metropoli tanto più certa e sicura quanto che combattuto avreb- bero quegli eroi non già per la perfida moglie di Menelao che il ruzzo di tanti

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cimai avca ilisbramato, ma per flonna vereconda e puclica, clic avea ricusata la ilcslra di tanli potenti e gentili signori, e clic per dinotare clic avrebbe serbata perpetua fede al freddo cenere dell' estinto marito scelto avcasi per impresa un amaranto, o fior d'amore, postovi il mollo = non morituro.

Pietro Aretino che fu amantissimo della musica : che sacrificò a Taha ed a Melpomene con qualche successo, ed a Calliope con nessuno: che quanti:nfiiie nella parie sclenliiìca delle arti belle molto avanti sentisse, pure non giunse ad essere più che un mediocre pittore; che con la stessa (acilità e nel tempo sles- so scriveva la parafrasi de'sette salmi di penitenza, e 11 trattalo sull' umanità del fin-linolo di Dio, e componeva 1 sedici laidi sonetti sotto altrettanti osceni grup- pi pitturati da Giulio Romano ed incisi da 3Iarc' Antonio Pvaimondi, non che i troppo famosi dialoghi della genealogia e del sozzi fasti delle cortigiane romane: che con uno stratagemma, che usalo da altri avrebbelo strascinato sul rogo, con la minaccia, cioè, di fuggire In Turchia, e di farsi maomettano, se non ve- niva con o"-nl più squisita agiatezza mantenuto, guadagnò l'amicizia ed esercitò la liberalità di Giovanni de' Medici condottiero prestante delle bande nere: che fu condecorato di catene e medaglie d'oro e di titoli onorifici, ed arricchito con cospicue pensioni dai due emuli Carlo V e Francesco I in guiderdone di vilis- sime adulazioni, onde colmolll in isciolta e legala orazione: che rappresentando nelle sue scritture versatili 11 personaggio ora d'empio ed ora di santocchio, slet- te in sul punto di disonorare la porpora cardinalizia , alla quale sotto 11 pontifi- cato di Giulio III osò di aspirare: che morì in mezzo ad una violenta convul- sione di risa, aflinchè come in vita, cosi anche in morte tutto in lui dimostrar piovesse rinllucnza degli strani capricci di cieca fortuna : Pietro Aretino, diceva- sl, per una colale conformità d' ingegno e di gusti visse In Istrettissima amicizia con Sebastiano (^), e fu da lui colla maggior ddigenza ed amore ritratto. Il biografo aretino dopo aver la effigie di lui lodata come somigliantissima e stu- pendissima pittura soggiunge « che vi si vede la differenza di cinque o sci sor- » ta di neri, eh' egli ha addosso, velato, raso, cremeslno, damasco e panno : « ed una barba nerissima sfilata tanto bene, che più non può essere il vero e na- si turale ». Pende dalle pareti della sala del comune d'Arezzo questo ritratto, ma il tempo struggitore, tale ne fece un guasto, cui 1' arte non si curò di ap- porvi riparo, che appena locchio per mezzo alle spesse screpolature ed alla ne- ra fuliggine può discuoprirvl qualche debole vestigio dcll'anlico dipinto.

ÌVon v'ebbe sicuramente veruno ne prima, ne poi che lo uguagliasse nell' effi- giare guerrieri : tanto era lo spirito e la fierezza che infóndeva in que' sembian- ti . Tra le molte altre, l'effigie ch'esiste nella regia galleria di Firenze, rap- presentante un Incognito capitano, fa di ciò piena fede : ed è molto probabile essere quell'incognito il Savello teste nominato. Ha costui armalo il petto ili

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un corsaletto di brunito acciajo affibbiato a due coreggiuoll clic gli calan da- gli omeri, e tenendo la destra sull' impugnatura delia spada, presenta quasi in- tera la faccia in fermp e risoluto atteggiamento . Folta bipartita barba di co- lor castagnuolo gli orna il mento e le guance ; ha in capo un' ampia berretta , guarnita di aurei bottoncini e di pennacciilo, e indosso una camicetta 'allacciata da collo con cordellina di lino, ed una sopravveste bigia trinciata sui lombi, di sotto alla quale emergon le maniche del sajo di drappo chermisi. Il campo offre allo sguardo una campagna nuda con nel fondo una fortezza, e nel primo piano alcune piante di alloro, che sembran sorgere spontanee al destro lato della fi- gura per coronarne i trionfi. Il caldo e fosco color delle carni, la sicurezza e se- verità dello sguardo, la mossa pronta e risoluta, e l' alta e maestosa presenza palesano un uom di gran forza e gran cuore . E questa fierezza e austerità di carattere domina con mirabile accordo su tutte le parti del quadro: cosic- ché tu non iscorgi ne verdeggiar la campagna, ne il cielo rider sereno , ma si da tetra nebbia offuscato il campo: e mentre un lume quieto e ristretto rischia- ra in volto il guerriero, percuote poi vivamente, e contrapposto ad ombre ga- gliarde fa balenare il lulgore delle pupille e deli'arinatura a guisa di lampi guiz- zanti da un ciel tempestoso. E ben si accompagna a tanto vigore di chiaroscu- ro, calor di tinte, pienezza di tocco, fermezza ed energia di contorni, da far quasi parere che ad animar questa tela siansl felicemente uniti il robusto pen- nello di Giorgione, e Io stile terribile di Michielangelo . ( Vedi reale galleria di Firenze illustrata voi. 2, pag. laj ) .

Mentre un magico incanto tanto ne' dotti valenti artefici , quanto negli ama- tori e nella moltitudine producevano i dipinti di Sebastiano, un orrido nembo s'addensò nell'anno i52^ fopra la città eterna, che a miseranilo e lacrimevole stato ridussela . La totale disfatta a Marignano dell'armata di Francesco I re di Francia, e la prigionia di lui avevano, com'è noto per le storie, tale un ter- rore sparso ne' principi italiani delia possanza, dell'armi e de' progetti dell' im- peratore Carlo V , che accostatisi tra di loro formarono quella sanca lega^ che ..^fu sorgente infausta di guerra, di saccheggi, d'incendil, di pesti, di carestie, e ^«li cento altre orrende maledizioni e malanni . Clenaente VII, della casa Medi- cea, fu l'anima di questa santa Icga^ la quale tanto più increbbe ali imperatore rispetto al pontefice, quanto che slato era sino a quell'istante uno de' suoi con- federati in vigore dei più solenni trattali .

Oltre ai risentimento di Carlo, erasi tirato addosso Clemente l'ira de" Co- lonnesi, de' quali fatto avea demolire i magnifici palagi, devastati e confiscati i poderi, e sotto pena di morte mandati in bando i personaggi, ond' era composta quella magnatizia famiglia . Lasciatosi appresso ingannare da una larvata e mentita pace, aveva licenziate quelle così delle bande nere^ che il nerbo for-

233 mavano tìelle sue soldatesche, dalla conservazione delle quali dipendeva la di- fesa di sua persona, di Roma e de' suoi dominii . Poslero-ato osni riguardo ai seguiti accordi, Carlo duca di Borbone, divenuto governatore delle anni cesa- ree in Italia, s' intalenlò di rivolgere contro alla capitale del mondo cristiano un' armata forte di trentamila combattenti, tra' quali moltissimi gli errori se- guitavano del wittemberghese riformatore . Ne 1 confederati lontani e dispersi, ne le milizie collettizie hanno potuto guarentirla, talché, all' insaputa di Cesare, d'assalto fu presa, e a sacco posta, a ferro ed a fuoco miseramente.

Uoraini inermi a mlgliaja con ogni maggior sevizie uccisi; altri con Istudiata crudeltà torturati, perchè svelassero tesori nascosti il più delle volte immagina- rli : sacerdoti spenti presso a quegli altari, ove avevano cercato un asilo ; altri in altissime dignità ecclesiastiche costituiti, divenuti 11 ludibrio della più vile ca- naglia, e trascinati sotto le forche per esservi appesi: matrone e vergini, non eccettuate nemmeno le consagrate al Signore, da que' brutali ne' loro stessi domestici e reverendi rlcinti col più detestabile vitupero violate ; templi e vasi sacri profanati: ogni più sagrosanla cosa attinente alla religione, empiamente rapita e conculcata : abborninazionl sopra abbominazioni : tutti 1 ricchi, o fos- serlo o avesser fama di esserlo, ridotti a barbara servitù, sottoposti ad ogni più bestiale ed obbrobrioso ministero, e condannati ad enormi taglie per riscat- tarsi : palagi sontuosi e ville a delizia dedicate di principesche famiglie, divenu- te preda del fuoco e del ferro, colla distruzione de' clmelil delle arti antiche e moderne, de' quali nessun conto tenevano quegli efferati e ingordi mostri; fat- to infine in quella città, ricca delle dovizie di tutto il cattolico mondo, tal bot- tino, che le storie non ne ricordano il maggiore e più sterminato .

Può ascriversi a prodigio, se in quella prima Improvvisa irruzione 11 pontefice co' cardinali e prelati a lui meglio affezionati, e che formavano la sua corte, non meno che con quegli insigni letterati e valorosi artisti, co' quali manteneva un famigliare consorzio, pel corridojo del palazzo Vaticano, riparati si sono in Ca- stel sant'Angelo, che sarebbe stato preoccupato dal nemico, se. In luoo-o di sbandarsi per uccidere e mettere a ruba, avesse pensato a toglier loro que- st' unico rifugio. Tra 1 begli spiriti che divisero la cruciosa sorte del papa in quel munltlssimo asilo, trovossl anche il nostro Sebastiano musico, poeta e pit- tore, di che due lettere da lui stesso scritte a Pietro Aretino, rendono piena ed indubitabile testimonianza (a) (8, g) .

Doveva al certo quel bizzarro umore di Sebastiano in si duro frangente esse- re di qualche conforto all' afflìtto pontefice, se confidogll il segreto rancore che

(li) Vedi jMuratori negli Anuali, Coicclardioi nelle itlurie, il cav. Iacopo Bunaparte nella narra- xiuae iv\ sacco di Roma. 3o

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molestavalo di non avere fra tanti cortigiani e tanti scienziati chiusi in quella rocca con seco, uno solo che avesse saputo scrivere coli' avvedimento di sa- gace politico un' epistola esortativa a Cesare, affinchè accorresse a scampare da tanti guai il capo visibile della Chiesa, e la desolata città, 1' uno tenuto pri- gione, l'altra con insolita e non più udita crudeltà manomessa e straziata da una masnada di canibali. Il perchè avrebbe desiderato in tanta e s\ misera distretta impiegare la penna di quello, a suo intendimento, ingegno maraviglioso ed uni- co deU'Aretmo. Questo aneddoto ci chiarisce esser vero che costui senza vere- condia davasi il vanto che la fama del glorioso suo nome trovavasi diffusa « " dove nasce e dove muore il sole ", e che i principi, che esigevano dagli altri uomini tributo, a lui solo erano costretti pagarlo . Su di che sparge gran luce una curiosissima lettera che il Tornielli scrisse ali Aretino, della quale noi non possiamo resistere alla tentazione di riportare un brano . « Non sapete voi, dl- y> e egli, che con la penna vostra in mano avete soggiogato più principi che « ogni altro potentissimo principe con I' arme ? La penna vostra a quale non 5) mette terrore, a quale non è formidabile, a chi anche non grata, a chi non » cara ove si mostra amica ? La penna vostra si può dire che vi ha latto trion- j) fator quasi di tutti i principi del mondo, che- quasi tutti vi sono tributarli et » come infeudati . Meritereste essere chiamato Germanico, Pannonico , Galli- 51 co, Hispanico et finalmente insignito di que' titoli i quah si devono agh antl- n chi imperatori romani, secondo leprovincie per loro soggiogate: che se quelli Il soo-trioo-arono le provinole per forza d'arme, et per essere più di loro potenti « non era gran meraviglia, maggior meraviglia assai è, che un privato inerme » abbia soo-o-iogatl infiniti potenti: che l'un potente l'altro non è meraviglia- . We o-ià il Tornielli soltanto usava un tale linguaggio colf Aretino, ma ben an- che Alfonso marchese del Vasto generaHssimo delle armate d'ItaHa di Carlo V. Avrebbe voluto Sebastiano, che 1' Aretino, suo intimo amico, a cui regalato aveva quel prodigioso ritratto, del quale si è tenuto superiormente discorso , e che tuttavia serbasi nella sala del consiglio di Arezzo , avesse cercato impiego nella corte di Roma, alla quale utilissimi servigi avrebbe egli renduti , massime in questi ultimi procellosi tempi, e dalla quale considerabilissimi premii e' avreb- be riportati. Della hberalità di papa Clemente VII nel guiderdonare le perse- ne che avevano acquistati titoli alla sua stima e riconoscenza , el)be il nostro Sebastiano una luminosa attestazione ncU" anno i53i (vedi Nota N. 3 ) m oc- casione che rendettesi vacante l'uffizio lucrosissimo di apporre il bollo ai decre- ti della cancelleria apostolica, per darsi al cui esercizio, dicesi, lui aver dovuto trarsi addosso l'abito di domenicano, e iniziarsi agli ordini minori. Dall'anno i 52 7, epoca memoranda del sacco di Roma, sino al i53o, in cui, posate le armi e pa- cificate le cose d'Italia, fu Carlo V coronato in Bologna da Clemente VII col

a35 ferreo diadema re de' Romani, le calamità che aflllsseroRonia furono cosi enor- mi, che que' pittori, scultori ed architetti, i quali per lo innanzi la popolarono, abbandonarono quella miserabii città, e si condussero altrove in traccia di mi- gliore fortuna. Se in questo intervallo la storia delle arti opere non rammenta di grido dai pennelli uscite di Sebastiano, di ciò non deesi accagionare quel lento ed irresoluto modo di procedere, che gli si appone, ma si bene i macelli, gl'incendii, i saccheggi, le pistolcnze, le carestie, e sino le prodigiose inonda- zioni, con cui il fiorire degli studii e delle arti mal si confanno. Fuggono spa- ventate le muse il rauco squillo delle trombe guerriere, i gemiti di chi muo- re, lo squallore della povertà; esse invocate rispondono ove regna la pace , la civiltà, il lieto ed agiato vivere, e l'amore del bello.

Ci narra il biografo aretino, che dall' istante, in cui del pingue benefizio del bollo fu investito fra Sebastiano, e in cui potè con le rendite che ne trasse, al- legra vita menare fra gli agi e i piaceri, s' infiacchì in esso lui quel vivo amore per r arte, che avealo spinto a misurarsi col divino Raffaello, ed a bilanciarne la virtù e la fama . Laonde di mala voglia inducevasi a metter mano a' pennelli, ed a travagliare lodevoli opere, segnatamente di vasta orditura . Da ciò egli de- sume non esser sempre vero, che i preniii, che posti vengono da'principi a' valo- rosi artisti e letterati servano a questi di sprone per correre più animosi nella palestra, ed aggiungere in tal guisa alle antiche nuove corone, poiché la libe- ralità usata da Clemente verso Sebastiano ha prodotto un effetto al tutto con- trario .

In quanto a noi siamo d' avviso non potersi senza ingiustizia condannare fra Sebastiano, se contando ormai delf età sua il decimo lustro, e nulla mancando- gli ( mercè della munificenza di Clemente ) per vivere una vita meno laboriosa e tapina, e indipendente affatto dai mutabili giudizii dell'incostante moltitudine e dalle perigliose gare dei prodi emuli, siasi deliberato godere del favore della sua presente fortuna . Non è già eh' egli onninamente cessato abbia di esercita- re le malie della sua tavolozza : imperciocché ne' sedici anni che sopravvisse al «conferitogli ufiìzio del piombo , non poche tele animò, le quali vennero celebra- te a cielo dallo stesso biografo aretino, e delle quali onorevol menzione per noi altrove si è fatta .

E slato anzi dopo quello per esso lui faustissimo avvenimento che il segreto trovò di dipingere all' olio sul muro., meglio che fatto non aveva Andrea dal Castagno, Antonio e Pietro del Pollajolo, benché l'esperienza abbia dimostro che malgrado della mistura di sostanze resinose, di cui era composta Y arriccia- tura, alla quale sovrapponevasi 1' intonaco, i dipinti a questa maniera operati anneriscono anch' essi, benché più tardi di quegli altri, che con diverso prece-

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dimento facevansi: di che la flagellazione posta nella chiesa di s. Pietro in

Montorio, travaglio di fra Sebastiano, è una prova parlante .

Del pari 1' artitìzio, col quale condusse pitture ad olio sul marmo è un suo posteriore trovato, e a simil guisa operò un maraviglioso deposto di Croce con nostra Donna che lo piange, per don Ferrante Gonzaga, il quale invioUo4n do- no alla corte di Spagna ad onta delle diflicoltà del trasporto (io).

Arroge a ciò che, secondo tutte le probabilità, papa Clemente coli' impiega- re nella cancellaria apostolica Sebastiano e coli' obbligarlo, come dicesi, per rendersene capace, di arrolarsi alle insegne di san Domenico, intese di premia- re le passate maraviglie de' suoi dipinti ed i servigi a lui personalmente presta- ti, e non già d'incitarlo a farne di nuovi. Poteva ben prevedere quell'accorto pontefice che , cessato il pungolo del bisogno, il fervore , nel trattare giorno e notte i pennelli per campare, sarebbesi in lui rallentato. L'uomo, che si affati- cò molto per la gloria, merita di riposare da sezzo sopra le palme mietute ; e le pensioni che si accordano a' veterani d'ogni sagata e togata milizia, mostrano quanto sia vero il nostro concetto . E degna di essere tramandata a' posteri la risposta che diede fra Sebastiano ad un cotale, che gli vibrava aspro rimprove- ro di quella lentezza, con .che irresoluto stendeva alle tele una tarda mano . « Tanto meglio, gli rispose, per quella frotta di bravi pittori che morirebbero » di fame, se io, che nella comune opinione loro sovrasto, coltivassi con raag- " glore ansietà l'arte mia e fossi più sollecito di guadagno » .

Felice colui che giunge a disingannarsi per tempo della vanità delle umane cose e della falsa gloria che vi coglie chi colloca in essa ogni suo pensamento ! Felice colui., che conversando in mezzo a scelta brigatella di amici, rende lieti d' una letizia verace gli anni estremi del viver suo ! Così adoperò il poeta di Ve- nosa, che in candida e tenera amicizia vivendo con Pollione nobilitato dall'allo- ro dalmatico e da quello delle muse, da Messala Corvino, eh' esercitò la musa di Tibullo, da Munazio Planco di cui hannosi tante elegantissime lettere a Ci- cerone, da AfTrippa che, vinto Sesto Pompeo, meritò la corona rostrale e che arricchì Roma di sontuosi edifizii, dai Pisoni, dai Lollii, e da più altri chiari ed eruditi ingegni, non invidiò il soggiorno dell'Olimpo e le celestiali vivande al pa- dre de' numi. Così fece il nostro fra Sebastiano, che l'ore sparti nel dotto con- versare col Molza, col Berni, col Casa e col familiarissimo suo Gandolfo Pori- ni: che tra que' begli umori sedette re de' banchetti che loro spessamente im-, bandiva, ne' quali una mano ne avara.^ ne prodiga ministrava squisite vivande e generosi liquori; che versi a gara con esso loro compose, ne' quali sparge vansi a larffa misura il "■iocondo riso e 1' attico sale, non mai degenerante in satirico fiele ; che gli ultimi anni di sua vita in tal foggia festosamente spendendo, giovò

23^

a se stesso e non nocque alimi, ed usò, senza punlo abusare., di que'bcni, de'qua- 11 stala gli era Jiberale fortuna (i i).

Nemico delle pompe le abi)orri anche oltre al sepolcro . Il perchè ordinò tc- nisse dispensato a" poveri quel danaro, chea vanamente onorarlo dopo morte si avesse inteso di profondere ne' funerali. Di febbre infiammatoria morì nel bel mezzo del declmoterzo lustro l'anno i547 '" Roma. Poteva per altro dire co- me Orazio = non omnls moriar multaqiie pars mei v'Uahit Libitinam^^YW cg\ì infatti in que' preziosi dipinti, cui l'infrenabil corso de' secoli, ed il torrente del- le umane vicende non travolsero nel vortice del nulla. L'incisione che fatta ven- ne delle più pregevoli fra le sue opere, il farà vivere eziandio quando tutte sa- ranno perite; e se fatalmente verrà tempo, nel quale ne questa pure debole om- bra del suo valore rimanga intatta , il non morituro suo nome già nel tempio della fama scolpito volerà alle età più rimote accanto a quelli de' Zeusi e degli Apelli .

t38

ANNOTAZIONI.

d) Ciò apparisce dalla seguente lettera, la quale, essendo d' altronde interessante, ci piace di riportare colle giuntevi osservazioni, tratta e l'una e l'altre dall' opuscolo: Al- cune memorie di Michielangiolo Buonarotù damss. per le nozze di Clemente Cardina- li con Anna Bovi . Roma , nella Stamperia de Ronianis 1823. in ù.vo

Lettera di Sebastiano del Piombo (a) a MichieV Angelo Buonarotti .

Fuori

Domino Michelangelo Sculptori in Firenze (b) .

Dentro

» Compare carissimo mio . Già molti zorni ricevj una vostra a me gratissima, la qualle V vi ringrazio summamente vi havete degnato accelarmi per compare vostro; e de le ce- ì: rimonie de le donne a casa nostra non si usano. Basta a me me siate compare. E per « quest'altra vi manderò l'agna (e) .

u O già molti ziorni feci batizzare el putto et oli messo nome Luciano che è el nome di »i mio padre . Et de messer Domenico Boninsegni se lui vorà degnare essermi compare « mi farà singular a piacere , perchè non voglio se non homini da bene per compari .

(a) Scrissi Lettera di Sebastiano del Piombo, perchè tale é l' antonomasia per la quale Sebastiano di Luciano veneto comunemente è conosciuto. L'ufficio però del Piombo gli fu conferito assai dopo questa lettera, cioè da papa Clemente VII nell'anno ifìSi, come ricavasi dalla lettera del Frate all' Aretino (V. Leti. Pittoriche). Piglio questa occasione per dire che tutto ciò che scrisse il p. Federici nelle memorie Irivigiane tendente a provare che il nostro Frate sia lo stes- so che fra Marco Pensaben., non mi quadra punto poco.

(b) L' originale è presso il signor J'odhurne in Inghilterra .

(e) Qui parlasi fin dal principio di un comparatico di Sebastiano con Michielangiolo, il quale do- vrà ricevere in dono /'agna, simbolo del Battista. E dal costume antichissimo che il compare è quello che impone il nome al bambino quando accompagnalo al fonte, par chiaro che il fi- glio fosse di Michielangiolo assente, non di Sebastiano che il faceva battezzare e nominare. Ma celibe fu il Buonarotti! Come sciogliereste il nodo, umanissimi lettori, se non supponendo un figlio naturale di Michielangiolo concepito in Firenze, e portato a nascere in Bonui!' Anche messer Domenico Boninsegni, del quale si parla, sembra che avesse navigato non altrimenti .

Queste però sono curiose indagini che lascio ad altri: feci già troppo spargendo il diibhio . Anzi ne chiedo perdono a Michielangiolo, al Boninsegni, alle due creature, e a quanti vorran- no che si creda il cf>nlrario.

r< Oltra ài questo vi fo intendere come io ho finila la tavola (t?), et olla portata in Pa- " lazzo, et pii'i presto è piaciuta a ognuno, cho dispiaciuta, ecepto agli oi-dinaii (■"), ma " non sano che dire. A me basta che mo. s- Rmo me iia decto che io 1' ho contentato più '^ di quello che lui desiderava . Et credo la mia tavola sia meglio disegnala che a e pan- « ni de razi che son venuti da Fiandra (/)

55 Ilora havendo io facto dal canto mio a presso che '1 debito io ho ricercato da bavere « tutte fine del pagamento mio. Et mo. s. Rmo mi ha decto che lui vuole che secondo " che convenissimo insieme, e con messer Domenico, vole che vuj judichate questa ope- !5 ra . Benché per venire presto a conclusione io la remeteva in sua s. Urna. Lui non voi " per niente . Et oli monstrato el conto del tutto: Et lui ha voluto che ve lo mandi, et. « cusi ve lo mando : el che vedete el tutto . Et cusi vi prego, se mai mi facesti a piacere, « vogliate fare questo senza suspicion alcuna perchè m. s. Rmo et me liberamente la re- !■> metemo in vui . Basta che avete visto 1' opera principiata, et è quaranta figure in tutto !' senza quelle del paese. Et in quest'opera gli è il quadro del cardinale Rangone che va n a questo conto che visto Domenico et sa de che grandezza glie (g) . Io non ve dirò n altro . Compar mio vi prego expeditela presto innanli che mo. s. Rmo si parta da Roma « per che a diverlo a vui son al verde.

« Cristo sano vi conservi. Raccomandateme a mess. Domenico . Et a vuj mi racco- » mando per infinite volte ( a di 29 decembre i5io) (h).

» Vostro Compar fidelissimo !' Sebastiano pittore in Roma » .

[il) Per questa tavola, considerato quel che clicesi dopo, ìntendesi forse il gran quadro della ri- surrezione di Lazzaro, che in concorrenza della trasfigurazione di Baffaello dipinse il nostro Sebastiano pel cardinale Giulio de' Medici che fu poi papa Clemente ì 11, il quale esimio la- voro fu nìandalo alla chiesa di Xarbona in Francia, della quale il cardinale era aicivescevo , e di lift comperalo dal duca d'Orleans reggente di Francia, e ne decorò la propia galleria fino all'anno lygS. fenduta questa, passò il quadro in Inghilterra nella pinacoteca di Lord Angestingh , dove al presente si ritrova intattissimo.

[e) lìceplo agli ordinari; interpreto eccettuali quelli a' quali ordiuariamente non piacciono i lavori miei, cioè la scuola di liaffirUo .

if) ISuovo testimonio della rivalità e parlilo Michielagnolesco di Sebastiano contro Ixnffaello : e allude agli arazzi del faticano .

{g) IS'ulla sappiamo di questo quadro del card. Rangone: essendo mentovalo cosi per iscorcio, r come giunta del quadro grande, potria credersi un ritrailo del cardinale. 11 possessore dell'au- tografo dice over un disegno di opera clic Sebastiano dipinse pel lìangone : chi sa •' Gli e pe- rò da notare die il fasori nella l ita di Sebastiano scrive, aver costui dipinto una santa Aga- ta ignuda e marliriizata alle poppe per il caidinale d' Aragona : e notisi che il cardinale d' A- ragona mancò nel i 5 1 9, e che il cardinale Ercole lìangone fu diacono di santa Agata ; e quin- di esser probabile che facesse dipingere la santa; però nel f asari, in luogo del cardinale d'A- ragona, per leggerissimo scambio di lettere, avrassi d'ora in avanti a leggere il cardinale de' Rangoni.

(/i) Questa data è sbagliata nell'apografo perchè nel i5io Ulichiehingiolo era in Roma, non in Firenze; perchè nel i5io non erano venuli gli araizi tessuti in Fiandra »u 1 cartoni di lluf-

2)0

(a) = Lettele ài M. Claudio Tolomcì Venezia. Giolito t553. A carte gS evvi una lunga lettera a fra Sebastiano in data di Roma 20 agosto l545, nella quale lo ringraiia della esibizione cortese fattagli da Sebastiano di voler spontaneamente fargli il suo riti-at- to. La lettera è cosi diretta : a frate sebastfano Luciano; dal che vedesi che il cognome suo era veramente Luciani o Luciano ; cognome d' altronde noto per le veneziane famiglie, che il portano anche oggidì . 11 vicario generale della diocesi di Venezia, morto pochi anni fa, era un monsig. Luciano Luciani, dotto e pio uomo, di cui tuttor vive un fratello nomato Giuseppe direttore del negozio Remondini .

(3) Nello stesso libro: Lettere al iìgnor Pietro Aretino, alla faccia io avvi la seguen- te di Sebastiano .

A e unico messer Pietro Aretino, come/rateilo llonorando .

n Carissimo fratel mio ; credo vi maravigliarete de la negligenlia mia, et sia stato tan- « to a non vi scrivere la causa è stata per non avere havuto materia che meriti al prez- M zo. Hora che Nostro Signor me ha fatto Frate, non vorria ve desti ad intendere che la « frataria m'abbi guastato. Et che non sia quel medesimo Sebastiano Pitiore buon com- n pagno, che per il passato io son sempre stato: però me rincresce che io non posso esser » insieme con i miei cari amici et compagni a godere, quello che Dio et nostro patrone n Papa Clemente mi ha dato. Credo non accade narrarvi in che modo, et che, et come, n basta Messer Marco nostro comune fratello ve dirà el tutto, et a che modo senza di- V mandarlo, ne sapere cosa alcuna, basta io son Frate piombattor, ciò e l' offitio che havea " Frate Mariano, et viva Papa Clemente. Et Dio volesse me havesti creduto pacientia » fratello mio . Io credo bene et benissimo . Et questo è il frutto de la mia fede, et dite « al Sansovino, che a Roma si pesca offitij, piombi, capelli, et altre cose, come voi sa- » pete, ma a Venetia si pesca, Anguele, e Menole, e Masanette, et però con supportatio- « ne de la patria mia, io non dico per dir male de la patria, ma per aricordare le cose n di Roma al nostro Sansovino, quale voi et lui insieme le sapete meglio di me, et al no- 55 stro carissimo compare Titiano vi degnarete ricomandarmi fratescamente, et a tutti li « amici, et a Giulio nostro musico. El nostro Monsignor de Vassona se ricomanda per " infinite volte ».

AUi IIII decembre MDXXXI. El vostro quanto Fratello

Fra Sebastiano Pittore.

faello; e perchè il Rangone, die si mentova nella lettera fu creato cardinale del l5i3. Sono infine tante le ragioni che si oppongono e si chiare, che sarebbe massiccio errore il crederla di queir anno: trasportiamola piuttosto al iSao, che Michielangiolo in quell'anno lavorava an- cora in Firenze: e in quell'anno, quasi a concorrenza della trasfigurazione di Raffaello, espose fra Sebastiano il quadro della risurrezione di Lazzaro . JV.B. Questa lettera è scritta in dialetto veneziano: com'era tlunf[ue Sebastiano islilnilo nelle lettere e poeta? Il sig. Qualremer de Quincy si è incontralo Dell' istessa diffi' oltà rapporto a Raffnpllo: io mi riporto alle ragioni che ha egli addotte per abbatterla. Potrei anche citare 1 epistolario del Canova rallioiilandu Jc lettere della prima con quelle della seconda sua età.

2i.

Questa lettera è un bel monumento dell' aniitizia di Sebastiano verso Pietro Aretino; ma però cotesta amicizia sembra che siasi scemala in progiesso, per non dire perduta ; leggendosi nel libro terzo delle Lc«ere t?/ Pietro Aretino ( Veneiia. Giolito. 1.546. in 8.VO a pag. 285, 386) le due seguenti a Tiziano, l.a prima da Venezia nel gennajo i,i46, che dice cosi: Che Sebasti/ino dipintore vi hahbia detto nel dargli voi i saluti che gli ho fier una certa caritade de la maestà antica mandati: dite a Pietro che il sapere eh' io son frale, gli è in vece di risposta; molto e molto di ciò lo laudo: imperciocché essendo essi di chierica, come in eJ)etto pur sono, et egli confessando di tali in verità pure es- sere, merita commendatione grandissima avenga che chi è si fatto, e noi niega è de- gno di trasformarsi in chi egli vorria essere : e non può . La seconda è pur da Venezia nel gennajo dell'anno stesso i.t/jG, e vi si legge : Altro non so che dirmi circa la/rate- ria di Sai/astiano per il che non mi tiene più in memoria ; se non che in lo scordarsi eli io gli sia stato fratello mi dimentico ch'egli fusse mai virtuoso.

(4) Il Luciani ha ripetuto lo stesso soggetto, percioccliè ima non meno perfetta tavola della Visitazione esiste nella pinacoteca del re di Francia, di che ne rende testimonianza il Catalogo ragionato dei quadri d"l re con un compendio della vita dei pittori fatto per ordine di sua maestà. Tomo primo che concerne la scuola fiorentina e la scuola ro- mana, del sig. Lepide, segretario perpetuo ed istoriografo delf accademia reale di pit- tura e scultura. A Parigi dalla stamperia reale an 1733.

Descrizione di due quadri di Sei/astiano del Piombo .

La visitazione della Vergine. Quadro dipinto sopra la tavola alto 5 e largo tre piedi ed 11 pollici. Figure di grandezza naiiirale .

Il quadro è bellissimo e contiene due delle più essenziali parti della pittura, buon co- lorilo e grande carattere di disegno: vi si scorge 1' allievo di Giorgione adottato da VA- chielangelo .

Rappresenta r abboccamento di Maria colla cognata Elisabetta e l'istante nel quale quelle due sante donne si rallegrano e congratulano con seco stesse a vicenda 1' una di ricevere la visita della madre del suo Dio, e 1' altra delle grazie che ha ricevute.

La s. Vergine è scortata da due donne. Dietro s- Elisabetta evvi una scala sulla cui sommità ravvisasi un uomo, che s' intrattiene con assai altre persone e che sembra infor- marle di ciò che si tratta : è desso fuor di dubbio il sacerdote Zaccaria.

Le principali figure di questo quadro non sono rappresentate che sino alle ginocchia,

(.1) Descrizione delle pitture di Riif/'aello di Urbino di G. P. Bellori. ^

Non mancò RatTaello all' artifizio della plastica, che è il modello della scultura, lavo- rando di rilievo in creta o stucco, o in altra materia : arte rinnovata nella sua scuola, come avanti si è detto, in tanti ornamenti delle loggie . Un ammirabile esempio ce ne lasciò Raft'aello sollecitato da Michielangelo . Esaltava questi smisuratamente Sebastiano

Veneziano discepolo di Gioi-gione, che avea portato a Roma un buon culoiiio; e perchè il

2^2

costui mancava nel (disegno, non lo ajulava solo co' suol disegni e cartoni, ma gli n'foc- cava r opere, per far contrasto a Raffaello, il quale sdegnava concorrere con Sebastiano, minore ( a suo credere ) di ogni suo discepolo . Chiamato però Lorenzetto scultore Fio' rentino, gli allogò due statue nella cappella di Agostino Chigi al Popolo, Giona ed Elia. Si applicò egli al Giona con disegni e con ritoccare il modello, tanto che Lorenzetto condusse una delie più insigni statue della scultura moderna, e facilmente la migliore, di una maniera tenera e delicata, nella quale mai prevalse Michielangelo. biede Giona te- nendo un piede ancora nella bocca aperta della Balena, quasi ne sia uscito fuori, svelan- dosi da un lenzuolo, ed è finto giovine per simbolo della resurrezione ; e la testa che è bellissima, si riconosce imitata dall' Antinoo. Laonde si può raccorre quanto facilmente Raffaello avrebbe conseguito il nome di scultore, se la pittura gli avesse dato spazio di attendere a' marmi nell'età sua breve : degno veramente di essere coronato in tutte tre le arti del disegno, come ora dimostreremo in ultimo dell'architettura. Quest' arte rite- nendo r istesse forme dell' ingegno di Raffaello rende immortale il suo nome .

(6) Il mio amico dott. Tommaso Grapputo avvocato emerito, ed ora pretore in s. Vito del Friuli, conosciuto vantaggiosamente nella repubblica delle lettere per molte leggia- dre produzioni di genere erotico, condite de' più bei fiori di nostra lingua, era il posses- sore di cotesta famigerata tavola . Nell'elogio inedito di fra Sebastiano del Piombo eh' egh compose, ci 1' esatta descrizione di cotesto prezioso dipinto che veniva da lui possedu- to, e ci narra il come ne sia slato spogliato con vituperevole inganno da un falso amico, e le sorti che corse, dopo un tale, a lui funesto, avvenimento . Egli stesso lo vide rifulge- re nella menzionata quadreria in Parigi, poi nell'altra di Monaco di Baviera: ne pianse amaramente la crudelissima perdita, ed anche al di d' oggi, non può rammentarsene sen- za una viva emozione di dolore .

(7) i55y i5 giugno. Pietro Aretino a M. Sebastiano Pittore Frate del Piombo.

Ancora padre che alla fratellanza nostra non bisognasse altre catene, ho voluto cinger- la con quella del comparatico, acciò che la sua benigna e santa consuetudine sia orna- mento della amicizia, che la virtù istessa ha stabilita fra noi due eternamente. Piacque a Dio che fosse femmina la creatura, e che io per non traviare dalla natura de'padri, aspet- tava pur maschio, come se non fosse vero che le femmine, dal sospetto dell' onestà in fuori, la quale ben guarda chi è uomo dabbene, ci sieno di più consolazione. Ecco: il maschio nei 12 o nei i5 anni comincia a rompere il freno paterno, e toltosi alla scuola e all'ubbidienza è cagione che chi lo ha generato e partorito ne languisca ; e quel eh' è peggio sono le villanie e le minacele con le quali il di e la notte assalgono i padri e le madri, onde ne seguita le maledizioni ed i castighi della giustizia e di Dio. Ma la fem- mina è la sede ove si adagiano gli anni canuti di chi la creò, ne passa mai ora che i suoi genitori non godano dell'amorevolezza sua, la quale è una sollecita cura ed una frequen- te sollecitudine in verso l'uso de i loro bisogni . Tal che non si tosto viddi il mio seme con la mia somiglianza, che sgombrato dal cuore il dispiacere, che altri si piglia per ciò, fui vinto in muJo che la tenerezza della natura che in quel punto sentii tutte le dolcezze

2^3

elei sangue. Ma il dubitare eh' ella morisse, senza assaggiare dei giorni della vila, fu ca- gione che le feci dare il battesimo in casa, per la qual cosa un genliluomo in cambio vo- stro la tenne secondo il costume cristiano, ma io non ve ne ho fatto più tosto molto per- chè d' ora in ora abbiamo creduto che se ne volasse in paradiso, ma Cristo me 1' ha ri- serbaia per trastullo dell'ultima vecchiezza e per testimonio dell' essere che altri a me ed io ad altri ho dato; onde lo ringrazio pregandolo che mi conceda il vivere sino al cele- brare delle nozze sue . In questo mezzo bisognerà che io diventi il suo giuoco, perchè •noi siamo i buffoni de' nostri figliuoli, la loro semplicità tuttavia ci calpesta, ci tira la bar- ba, ci percuote il volto, ci sveglia i capegli onde ci vendano i baci, con cui gli saggiamo, e gli abbracciamenti, con che gli leghiamo per cotale moneta . IVIa non è diletto che egua^ gliasse un tanto piacere, se la paura dei sinistri loro non ci tenesse ognora [gli animi in- quieti . Ogni lagrimuccia ch'essi versano, ogni voce, ogni sospiro che gli esce di bocca ci scuotono l'anima . Non cade fronda, si aggira pelo per 1' aria che non paja piombo, che gli caschi sopra il capo uccidendogli, mai la natura gli rompe il sonno o gli sazia il gusto che non temiamo della loro salute, sicché il dolce è stranamente mescolato con r amaro, e quanto più vaghi sono, più acuta è la gelosia del perdergli. Iddio mi gimrdi la mia figliuola, che certo essendo ella di un' indole graziosissima mancarei s' ella patis- se, non pur morisse . Adria è il suo nome che ben doveva cosi nominarla, poiché in grem- bo delle sue onde per volontà divina è nata , e me ne glorio perché questo sito é il giardi- no della natura, onde io che ci vivo ho provato dieci anni che ci sono vissuto più conten- tezze, che chi è stato costi in Boma disperazioni . E quando la sort« mi avesse concesso lo starci insieme con voi, mi terrei felice, benché ancora stiamo assenti io tengo un gran dono l'esservi amico, compare e fratello .

(8) Nel Libro: Lettere scritte al signor Pietro Aretino . Venezia per Francesco Mar- colini i552. Libro primo, facce i 2 e i3, leggonsi le due seguenti di Sebastiano .

» All' unico signor Pietro Aretino.

» Fratello honorando: Son doi giorni, che papa Clemente, mangiando in Castello più

« presto pan de dolori, che vivande magnifiche; disse con un sospiro che si fece sentire,

" se Pietro Aretino ci fusse stato appresso, noi forse non saremmo qui peggio che prigio-

« ni, però che ci havrebbe detto liberamente, ciò che si diceva in Roma, de lo accordo

" Cesareo trattato per il Feramosca, et il Vice-Re di Napoli, tal che noi non havremmo

« posto la nostra buona volontà in mano de tali. Sua Santità, Compar caro; allegò in

» simil proposito, il Sonetto che gli deste, nel caso de la presa del Christianissimo a Pa-

" via, cosa che a pensarci fa tremare il cuore de tutti i vostri amici : perché non se udì

" mai, che uno huomo, havesse tanto ardire de dare a un si gran maestro le sue vergo-

" gne in iscritto. Benché la sua Beatitudine guardò a la bontà del vostro animo; che con

" tutto il cuore gli disse il vero. Mastro .Andrea che non aveva altro in bocca, che il suo

'■> Pietro, è suto amazzato da certi Spagnuoli, senza sapere il perché, ne il per come et è

" dolto a ciascun buon compagno per certo . La mia donna, vi si raccomanda, et dice

» che solo a V. S. ha obligo , tra quanti praticarono con me .

Di Roma il XV. di maggio MDXXVII.

Il vostro Bastian Pittore.

(g) '• Al dh'ìno signor Pietro Aretino .

« Compare fratello et patrone, è pur vero, che i Pietri Aretini bisogna, che ci nascili* il no, io dico ciò che ha detto il disperato papa Clemente, in Castel sant'Angelo. Sua San- " lilà ha fatto imporre a tutti i dotti, che faccino una lettera a lo Imperatore, recoman- " dando a la Maestà sua Roma ogni di saccheggiata peggio, che prima, et il Tebaldeo , n insieme con gli altri, serratisi per tal cosa in gli Studi; hanno fatto presentare le lor V, lettere a nostro Signore, il quale lettone quattro versi per una; le gettò là; con dire che " da Voi solo era materia tal suggetto. In fine egli vi ama et assai assai, et un di qual- « che cosa sarà , al dispetto dogli invidiosi, pur sanità.

« Di Roma nel XXVU.

« Vostro Bastiano Pittore « .

(io) Vettor Soranzo scrive da Roma in data 8 giugno i53o a Pietro Bembo cosi: Do- vete sapere che Sebastianello nostro f^enetìano ha trovato un secreto dipingere in mar- mo a olio bellissimo il quale farà la pittura poco meno che eterna . I colori subito che sono asciutti si uniscono col marmo di maniera che quasi impetriscono, et ha fatto ogni proi-a et è durevole . Ne ha fatto una imagine di Christo et halla mostrata a S. Sig. ( Vedi Lettere, da diversi re et principi, et cardinali et altri huomini dotti a mons. Pie- tro Bembo scritte. In Venetia , appresso Fran. Sansovjno MDLX. a carte no ).

(i i) Che Sebastiano si dilettasse talor ili poetare ne fanno testimonianza i biografi suoi, fra' quali il Vasari, e sulla lor fede sono ito tratto tratto ricordando in queste Memorie anche cotesto suo valore. Però io dubito se sieno fino a noi pervenute poesie che dir si possano con certezza uscite della sua penna: imperciocché non potre' io mai cosi alla cie- ca, come fa il Vasari (*), attribuirgli quel capitolo berniesco che stassi sotto il nome di Sebastiano fralle Opere di Messer Francesco Berni ; capitolo che potrebbe non esser fat- tura sua, ma si cosa d'altri in suo nome, e forse secondo le sue idee scritta. E dubitar me ne fa il vedere, che nelle Opere del Berni di tutte le edizioni quel capitolo è posto fra quelli di autori incerti, e vi si dice in alcune Risposta in nome di fra Sebastiano del Piombo. Inoltre per poco che si ragguagli il dettato delle quattro lettere sue sopra rife- rite, con quello delle terzine , vedesi esser 1' uno assai diverso dall'altro. Vero è che da uno stesso scrittore vario stile s' usa in scrivendo lettere in prosa familiari, e in iscriven- do capitoli in versi. Ma parmi che qui troppa distanza siavi nelle due maniere di scrittu- ra ; neir una delle quali, cioè nelle lettere si ravvisa il V^eneziano misto al Romano incol-

(*) Dice il Vasari : Fu ancora suo grandissimo amico mssser Francesco Berni fiorentino che gli scrisse un capitolo, ni (futile rispose fi a Sebastiano con un altro assai hello, come quelli che essendo universale seppe anco a far versi toscani e builcvoli accomodarsi.

2Ì5

to, è nel c;i|ii(olo si scorge un Toscano, o almen chi molto versato era nello studio di quella |jurissinia favella .

Sottopongo però al giudizio de'leggitori il detto capitolo di fra Sebastiano premettendo la proposta del Heini, con alcune annotazioni tratte dalla edizione che dell' Opuie l)urle- sclie fece in Lpndia Paulo Rolli .

CAPITOLO DI M. FRANCESCO DERNI.

A FRA BÌ9T1AN DEL FIO.MUO (n) .

Padre, a me più che agli altri, reverendo, Glie son reverendissimi cliianiati, E la lor riverenza io nolla intendo:

Padri, ripulazion di quanti frati

Ha lioggi il mondo, e quanti n'Iiebbe mai, Fino a quei goffi degl' Ingliiesuati:

Che fate voi dapoi eh' io vi lasciai

Con quel, di chi noi siam tanto divoti. Che non è donna, e me ne innamorai ,

lo dico iMicliel' Agnol Buonarroti,

Che quando io '1 veggio, mi vien fantasia D' ardergli incenso, e attaccargli i voli .

E credo, che sarebbe opra più pia.

Che farsi bigia, o bianca una giornea, Quand'un guarisse d'una malattia .

Costui cred'io, che sia la propria Idea Della scultura e dell'architettura. Come della giustizia, monna Astrea.

E chi volesse fare una figura.

Che le rappresentasse ambedue bene. Credo che faria lui per forza pura .

Poi voi sapete quanto egli è dabbene.

Coni" ha giudizio, ingegno, e discrezione. Come conosce il vero, il bello, e '1 bene .

Ilo visto qualche sua composizione. Sono ignorante e pur direi d" bavelle Lette tutte nel mezzo di l'iatone.

Si ch'egli è nuovo Apollo, e nuovo Ape Ile, Tacete unquanco, pallide viole, E liquidi cristalli, e fere snelle.

Ei dice cose, e voi dite parole: Così, moderni voi scarpellalori, E anche antichi, andate tulli al sole e'/) .

E da voi, padre reverendo, in fuori Chiunque vuole il mestier vostro fare. Venda più presto alle donne i colori.

\ oi solo appresso a lui potete stare, E non senza ragion, si ben v' appaja .Amicizia perfetta, e singulare .

Bisognerebbe haver quella caldaja Dove il suocero suo Medea rifrisse Per cavarlo di man della vecchiaia .

O fosse viva la donna d' Ulisse, Per farvi tutt' e due ringiovanire, E viver più, che già Titon non visse.

A ogni modo è dishonesto a dire.

Che voi che fate i legni e i sassi vivi, Habbiate poi coni' asini a morire .

Basta che vivon le querci e gli ulivi, I corbi, le cornacchie, i cervi, e i cani, E mille animalacci più cattivi.

]\la questi son ragionamenti vani.

Però lasciangli andar, che non si dica . Che noi sian mammalucchi, o luterani .

(a) Sia a png. 28 ilei libro piiinn dell'opere liirluiehe ili M. Francesco Bcnn c"J iiUii. Iwpressc in J\iapoli nel 1723. 8. colla falsa ilala di Firenze i555.

(ft) .inJate al sole come piante inutili svelle e le cui radici s' espongono al iole perdi' ei le disec- clii (Rolli). In J'cnezia il basso popolo ha una simil/rae di dispie^io martliia al sol, tratta aiuto i/u/ji de' cor.daiiiiclt alla bellina espoili al sole per alcuna ni e sulla pubblica via.

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Pregovi, padre, non vi sia fatica,

Raccomandanni a Michel' Agnol mio , E la memoria sua tenermi amica .

Se vi par' anche, dite al Papa, ch'io Son qui: e 1' amo, e osservo, e adoro , Come padrone, e vicario di Dio.

E un tratto, ch'andiate in concistoro. Che vi sien congregati i cardinali. Dite a Dio da mia parte a tre di loro.

Per discrezion voi intenderete quali. Non vo, che mi diciate, tu mi secchi: Poi le son cirimonie generali .

Direte a Monsignor di Carnesecchi

Ch' io non gli ho invidia di quelle sue scritte di color che gli tolgon gli orecchi . (r)

Ilo ben martel di quelle zucche fritte , Che mangiammo con lui 1' anno passato. Quelle mi stanno ancor negli occhi fitte .

Fatemi, padre, ancor raccomandalo Al virtuoso Wolza gaglioffaccio. Che m' ha senza ragion dimenticato.

Senza lui mi par esser senza un braccio. Ogni di qualche lettera gli scrivo , E perch' eli' è plebea, dipoi lo straccio .

Del suo signore, e mio, ch'io non servivo, (d) Or servo e servirò presso, e lontano. Ditegli, che mi tenga in grazia vivo.

Voi lavorate poco , e state sano ,

Non vi paja, ritrar bello, ogni faccia, (e) A Dio caro mio padre fra Bastiano,

A rivederci a Hostia a prima laccia . (/)

RISPOSTA

) N NOME

DI FRA SERASTIANO DEL PIOMBO (g).

Com' io bebbi la vostra, signor mio. Cercando andai fra tutti i Cardinali, £ dissi a tre da vostra parte a Dio

Al medico maggior de i nostri mali, (/;) Mostrai la data, onde ei ne rise tanto , "Che '1 naso fé' due parti degli occhiali .

Il servito da noi pregiato tanto (i) Costà, e qua sicome voi scrivete, N' hebbe piacere, e ne rise altrettanto .

Ma quel che tien le cose più segrete (A) Del medico minor non ho ancor visto, Farebbesi anco a lui se fussi prete .

Sonci molt' altri , che rinniegan Christo, Che voi non siate qua, lor noia : Che chi men crede si lien manco tristo .

Di voi a tutti caverò la foja

Di questa vostra, e chi non si contenta Affogar possa per la man del Boja.

(e) tolgon gli orrechi. Quel monsignore era di qualche magistrato in Roma , e perù tenuto a dar udienza a' curiali; i disonesti ed ignoranti de^ quali son chiamati Moxzorecchj come se a/orza di grida andasser a mozzare le pazienti orecchie de' Giudici (Rolli ).

(d) Del suo signore, ybrie il cardinale di Medici (Rolli).

(e) Non vi paja, cioè non vi paja degno di lodeiZ dipingere la sembianza d' ogni faccia ; lo con- siglia a dipinger solo faccie riguardevoli 0 per bellezza o per merito personale (Rolli).

(/) a prima laccia . A Primavera . Laccia è un pesce di mare che a primavera viene neW acqua

dolce . ig) Questo Capitolo si legge a pag. I25 della delta edizione nel libro primo, {h) Al medico maggior papa Clemente FU. (Rolli).

(') Il servito forse il cardinal di Medici. Lo chiama poi medico minore. (Rolli). ;/.) quel che tien qualche favorito del detto cardinale. (Rolli).

La carne, che nel sai si purga, e stenla, (/) Che saria buon per carnovale ancora, Di voi pili che di se par si contenta .

Il nostro Buonarruoto, che v' adora. Visto la vostra , se ben veggio, parmi, eli' al Ciel si lievi mille volte ognora.

E dice, che la vita de' suoi marmi

Non basta a fare il vostro nome eterno. Come lui fanno i vostri divin carmi.

A quai non nuoce state, verno. Da tempo assenti, e da morte crudele. Che fama di virtù non ha in governo.

E come vostro amico, e mio fedele, Disse a i dipinti , visto i versi belli, S'appiccan voti, ed accendon candele .

Dunque io son pur nel numero di quelli. Da un goffo dipintor senza valore. Cavalo da pennelli, ed alberelli.

Il Bernia ringraziale mio signore. Che fra tanti egli sol conosce il vero Di me, che chi mi stima è in grand' errore.

Ma la sua disciplina il lume intero Mi può ben dare , e gran miracol fia, A far d' un buoni dipinto un daddovero.

Cosi mi disse, ed io per cortesia Vel raccomando quanto so e posso Che fia apportator di questa mia.

Mentre la scrivo a verso a verso, rosso Divengo assai, pensando a chi la mando , Sendo al mio non professo grosso, e mosso.

Pur nondimen cosi mi raccomando Anch' io a voi, ed altro non accade, D' ogni tempo son vostro, e d'ogni quando.

A voi nel numer delle cose rade. Tutto mi v'offerisco, e non pensate Ch' io manchi , se' 1 cappuccio non mi cade

Cosi vi dico, e giuro e certo siate,

Ch io non farei per me quel, che per voi: E non m'habbiate a schifo, come frate.

Comandatemi , e fate poi da voi.

(/) La carne intende di monsignor Pietro Carnesecchi. (Rolli).

"49 CONSIDERAZIONI FISIOLOGICHE

SUL

SENSO DEL BELLO

E SUL MODO DI RENDERLO PIÙ SICURO E PIÙ PRONTO

MEMORIA

DI STEFANO DOTTOR GALLINI

PKOFESSORE DI ANATOMIA SOBUME E FISIOLOGIA NELL' I. H. UNIVERSITÀ DI PADOVA

MEMBRO ONORARIO.

INTRODUZIONE.

i^uantunqne io non sia stato molto eccitato nella mia prima educazione ad esercitare quel senso, che ci fa gustare le bellezze della natura, e o-iudicare dei capi d' opera delle belle arti ; e quantunque, dedicato in seguito agli studii filo- sofici, e soprattutto a quello della fisica animale e de'suoi rapporti con la patolo- gia e con la medicina pratica, abbia molto trascurato un esercizio simile, pure ho letto con piacere e con molta attenzione sino dall' anno 1808 i ragionamen- ti sul Bello c\xt il dotto, egregio ed erudito cavaliere Cicognara, benemerito presidente dell accademia delle belle arti di Venezia, ha in quel tempo pubbli- cati. Questo non deve recare meraviglia . Egli con molta chiarezza ha esposti gli altrui pensamenti sulla natura e sulle varietà del Bello, e vi ha ag^-iunte con molto ingegno alcune osservazioni per determinare possibilmente in che consi- sta il Bello assoluto, e da che dipendano i varii aspetti sotto i quali il Bello ven- ne, e viene considerato . Convien inoltre rillettere che la sola totale mancanza di esercizio di quel senso avrebbe potuto rendermi incapace di giudicare se ret- tamente o no abbiano pensato e pensino quelli, chq tentarono e tentano di co- noscere le circostanze diverse da cui quella grata sensazione risulla, che il bel- lo, il grazioso, il sublime nell'opere della natura e dell'arte eccita in noi. Un 3a

esercizio qualunque ti* esso senso, quanJ' anche non sia portato al sommo grado, non può togliere ilei tutto la capacità di gustarlo, e può soltanto renderci tardi a distinguere tutte le varie gradazioni del Bello, o può piuttosto lasciarci inetti ad esprimere con parole le cause del giudizio a cui determinano .

Nella memoria suW educazione delle jacoltà ìntellcltuali suggerita dalla co- stituzione fisica del cervello^ pubblicata nell'anno 1809 tra quelle dell' accade- mia di scienze, lettere ed arti di Padova, bo mostrato quanta sia l'inlluenza del- l' attenzione dell' anima alle impressioni fatte dagli oggetti sui sensorli esterni, e da questi trasmesse al centro massimo dei nervi ed al cervello ove essa risiede . In proporzione dell' attenzione che 1' anima presta, la formazione delle idee più o meno chiare consiste, e consiste pure la maggior o minor rettitudine de'giu- dizii, de' ragionamenti e delle determinazioni. Ma io ho mostrato nella stessa me- moria come avvenga che si possa alle volte giudicare rettamente ed operare conseguentemente senza poter esprimere in parole tutte le serie d' idee e di cir- costanze, che ci conducono ai giudizii ed alle determinazioni.

Io sono ben lontano dal volere con questo far credere che abbia acquistato r attitudine di giudicare rettamente sulle bellezze della natura e dell'arte, ab- bcnchè non abbia la capacità d'esprimere prontamente le serie d'idee che mi fanno giudicare. Ho avuta l'occasione nella mia gioventù di percorrere alcuni paesi della Francia, dell'Inghilterra e della nostra Italia. Ho potuto trattener- mi lungamente nelle gran capitali Parigi, Londra, Najioli, Roma, Firenze, non che in varie città dell'or resino Lombardo- Veneto, e non ho trascurato mai di osservare tante bellezze della natura e dell' arte, che in ogni città più o meno numerose si trovano . Ma confesso ingenuamente che quantunque 1' osservare e rivedere quelle bellezze mi abbia dato e mi dia molto piacere, pure non sono mai stato occupato con quell' interesse e con quell' attenzione che conviene per divenire quello che dicesi intelligente. Le cause però e le circostanze tutte per cui all' occasione di alcune impressioni fatte das'U ocj-^etti sui sensorii esterni r uomo non solo prova sensazioni grate o moleste, ma può ancora formarsi e ri- fiveo-liare alcune serie successive d' idee, di ofiudizii, di racrionamenti e di deter- minazioni, le quali ultime lo portano ad esprimere le interne sue percezioni, ed a produrre oggetti che possano eccitare negli altri simili percezioni: tutte que- ste circostanze hanno sempre eccitata la mia curiosità . E questa doveva tanto più vivamente invogliarmi a considerare le circostanze che concorrono a pro- durre la sensazione ed i giudizii sul Bello, quanto è noto che in proposito alle impressioni in noi prodotte dalle bellezze della natura e dell'arte, due cose co- stantemente si osservano . La prima e che quelle impressioni siano così moltipli- ci che tutte le idee corrispondenti, le quali conducono a formare 1 giudizii e le determinazioni relative, e quindi a risvegliare le serje di quelli e di queste, altr*

Tolte formati o altre volte avute, non sono ne da tutti., ne sempre chiaramente distinte, abbenchè i giudizii di molti siano retti, ed abbenchè le determinazioni atte a far produrre opere beile siano appunto quali convengono. La seconda cosa da osservarsi a questo proposito è che le impreasioni dell'opere belle siano sem- pre di tal natura^che un senso di piacere accompagna sempre le idee che vi corri- spondono, e che conducono a formarne i giudizii. Io doveva dunque essere ten- tato ad esaminare se quello che la fisiologia suggerisce circa le circostanze, che accompagnano la formazione delle idee e de' giudizii in generale, e la produzio- ne in particolare di sensazioni grate o moleste, manifestasse l'origine de'giudizii retti che fanno sul Bello, e delle pronte determinazioni che hanno a produrre opere belle quegli stessi che non sanno esprimere tutte le serie d' idee che li conducono a giudicare rettamente ed a operare conseguentemente ; e se mani- festasse pure l'origine di quei giudizii, che fecero distinguere il Bello in assolu- to, in relativo, in capriccioso ec.

So benissimo che simili indajrini in jrrazia delle ardite deduzioni., che alcuni o

Do '

troppo vani o troppo precipitosi hanno fatte, furono giudicate da molti tenden- ti a stabilire dottrine giustamente riprovate . Conosco pure che altri in grazia dell' attenzione troppo intensa che esigono per arrivare ed arrestarsi a ciò sol- tanto a cui possono giustamente condurre, le hanno relegate o paragonate agli inutili e sterili sforzi dell' antica metalisica . Quindi n'è risultato che o per una ragione o per 1' altra queste indagini sono in generale trascurate, ma, s io non m'inganno di molto, il tisiologo può con franchezza dedicarsi e progredire in si- mili ricerche senza bisogno e senza timore di oltrepassare i dovuti limiti. Per un tale oggetto il lislologo non ha da esaminare, e molto meno da attaccare le proposizioni che ai metafisici ed ai teologi appartengono : come ho mostralo nella memoria sulf indipendenza dalla fisiologici dalle questioni metafisiche^ fisiche e c/ftw/'cAe, pubblicata in Venezia l'anno i8o5 ed inserita nel volume ot- tavo della scelta di opuscoli scientifici e lelterarii . Non ardisco a^rgiuno-ere che alcuni abbiano disprezzate le mie proposizioni, perchè sono appoggiate a semplici e per lo più ovvie osservazioni . J\on credo che quegli il quale dopo avere fatte seimllle esperienze, e sagrificati ((uattrouiille animaletti protesta di non avere ancora conosciuta bene la verità che cerca, meriti pi"u fiducia di quel- lo, che, riunendo soltanto alcune pure ovvie osservazioni, e progredendo con re- golari induzioni, presenta qualche proposizione utile nelle sue applicazioni . Il determinare certamente le circostanze, in cui o per cui 1' uomo ha alcune idee, forma alcuni giudizii, prova sensazioni or grate or moleste, dev'essere d'una som- ma utilità, perchè queste considerazioni conducono non solo a determinare il modo con cui la facoltà di formare le idee e di giudicare rettamente possa es- sere resa più sicura ed energica, ma a conoscere ancora la grande influenza che

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il SCUSO fli piacere o ili molestia ha nei giuJizii formati sulle impressioni contem- poraneamente ricevute e trasmesse al cerTcUo . Queste consitlerazioni possono soprattutto manifestare clie a questo senso grato o molesto che sia più volte eccitato in associazione con alcune impressioni, le quali non concorrono a costi- tuirlo, debhansl attribuire i giudizii erronei e capricciosi: e simili considerazio- ni possono farci arrivare a conoscere alcune misure necessarie per evitare gU errori .

Ne'miei scritti fisiologici e soprattutto nella memoria già citata usull'educa- !i zione delle facoltà intellettuali suggerita dalla costituzione hsica del cervello" io ho cercato di determinare le circostanze, che possono rendere più sicura e piii energica la facoltà di giudicare rettamente e di operare conseguentemente, ed air occasione di render ragione di alcune strane simpatie ed antipatie ho fat- to qualche cenno sulle circostanze, in cui il senso grato o molesto viene prodot- to, e sugli errori, a cui può far cadere l'uomo in particolare. Non dispiacerà, mi lusino-o, che prima di occuparmi delle stesse varietà de' giudizii sul Bello, che da diverse persone e in diverse circostanze furono pronunziati e sostenuti, io pre- metta una rapida esposizione di tuttociò, che 1" osservatore fisiologo può dire di certo sul modo di rendere sicuri e retti i giudizii, e conseguenti le determinazio- ni stesse, e sull'influenza che il senso di piacere deve avere nella varietà de' giu- dizii sino a farli comparire capricciosi. Forse ricordando quello che ho cercato di mostrare nella già citata memoria cesserà il timore die quelle investigazioni possine portare ad errori giustamente riprovati, come qualcuno ha cercato e for- se cerca ancora di far credere : e forse potrà risultare che simili ricerche non siano piìi trascurate da quelli che potrebbero meglio far avanzare la scienza dell'educazione.

PARTE PRIMA.

Nella memoria or citata più volte ho mostrato che il numero e la forza delle impressioni fatte nei sensorii esterni, il particolare sensorio da cui esse impres- sioni sono ricevute e trasmesse al centro massimo dei nervi ed al cervello, ed il vario grado di prontezza e di celerità, che i nervi hanno od acquistano nel tras- metterle, abbiano una grande influenza sulla facoltà residente nel centro massi- mo e nel cervello, o sull' anima a cui essa facoltà appartiene, end essa possa formare le idee, i giudizii, i ragionamenti e le determinazioni, ed abbiano anco- ra molta influenza nell' associazione che le idee, i giudizii, i ragionamenti e le determinazioni acquistano per riprodursi in alcune circostanze . Ma io ho fatto soprattutto vedere che il vario grado d' intensione o d' estensione con cui la fa-

2^

colta residente nel centro massimo del nervi e nel cervello opera, o per dire più chiaramente, ho mostralo che il vario grado d'intensione o di estensione, con cui l'^aninia applica la sua allenzione alle impressioni medesime, dia a (juelle opera- zioni tutte maggior sicurezza, maggior rettitudine, maggiore prontezza, e faccia che compariscano effetti di varie facoltà, le cpiall però possono esser ridotte al- l'intelletto, alla immaginazione ed alla volizione.

Ho mostrato inoltre che i ragazzi giudicano, ragionano e si determinano, pri- ma di poter prestare quell'attenzione intensa alle operazioni loro, la quale è ne- cessaria per essere conscil e per poter rendere conscii gli altri della ragionevo- lezza delle stesse . Ho mostrato ancora che molti uomini adulti sono riputati avere un buon senso naturale, il quale portato a un certo grado licevc il nome di genio, quando essi sanno giudicare rettamente e determinarsi conseguentemen- te senza arrivare ad essere cosi conscii da poter esprimere in parole le serie d' idee, di giudizii e di ragionamenti, con cui soltanto potrebbero rendere con- scii gli altri. Finalmente con la storia de" progressi nell'educazione de laiiciul- 11 , e nella civilizzazione delle società ho confermato che allorquando l'anima presta un certo grado di attenzione alle impressioni trasmesse , prodotte o ri- prodotte nel cervello, il fanciullo possa acquistare, e 1' uomo adulto possa con- servare l'abitudine di giudicare rettamente e di determinarsi conseguentemen- te, ed ho fatto vedere che l'uno e l'altro acquista questa abitudine prima certo di poter distinguere ed esprimere in parole tutte le serie successive di giudizii e di determinazioni. Tutto dipende, io scrissi, dalla somma rapidità con cui le Impressioni trasmesse col mezzo dei nervi dai sensorii esterni al cervello, e da questo agli organi del moto animale, e lutto dipende ancora dalla somma pron- tezza dell'anima a formarsi le corrispondenti percezioni, giudizii e determinEzioni, le quali ultime influiscono nella trasmissione delle impressioni a' diffcr» nti orga- ni dei moli animali: rapidità e prontezza che non lascia allanima il tempo per così dire necessario a ben distinguere le impressioni, e ad assegnare a ciascuna un segno, e molto meno un nome corrispondente per esprimere le idee, e ren- dere conscii gli altri delle stesse.

Dietro queste osservazioni ho creduto poter dire francamente che i metenfisicl hanno maggiormente involto nelle tenebre questo argomento, confondendo mal a proposito la coscienza e la capacità di render conto della retliludine de' pro- pri giudizii e delle proprie determinazioni conia facoltà di giudicare rettamente e di determinarsi coerentemente. Aggiunsi anzi che 1 grandi analizzatori del- le loro idee, a torto si maravigliano che 1 fanciulli giudichino ed operino retta- mente, e con maggior torto essi disprezzano quelli che hanno reso abbastanza attivo il così detto buon senso naturale. La differenza, lo scrissi, tra quelli che più si vantano, e che più sono ragione\oli o piuttosto ragionatori, e quelli che

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giudicano ed operano per il cos\ detto buon senso naturale, non consiste in ciò che i primi giudichino e si determinino più rettamente e più prontamente del secondi, ma consiste in ciò soltanto che i primi possono distinguere ed esprime- re con segni esterni, e soprattutto con parole le serie successive e concatena- te di giudizii e di determinazioni, che 11 conducono ad alcuni risultamentl, men- tre gli altri non lo possono .

Sono poi queste proposizioni da relegarsi tra gì' inutili e sterili sforzi dell' an- tica metafisica? Io ho detto fino dal principio di quell.» citata memoria : a Sarò « molto contento del mio lavoro se sembrerà che abbia resa più facile e più ag- » gradevole l'educazione ai fanciulli, allontanando dai metodi di educare ogni at- » to di violenza, e se apparirà che abbia manifestata l'eccellenza della somma del- 51 le cause di ogni cosa, mostrando eh' ella ci ha costituiti in modo che possiamo 5> essere portati a meglio giudicare ed operare, quando gì' istitutori non sloppon- » gono alle naturali nostre disposizioni , che allora quando si sforzano a pren- j) derne troppa cura " . Io mi lusingo essermi avvicinalo a questo scopo avendo nella terza parte di quella memoria mostrato, che dalle precedenti verità risul- tava che neir educare 1 fanciulli s'I' Istitutori dovessero limitarsi ad eccitarli al- l'attenzione sulle impressioni prodotte dai diversi oggetti, che possono metter in azione 11 loro cervello, e tutto al più disporre gli oggetti in modo che operino con un dato ordine . E siccome una moltlplice coesistenza d' Impressioni nel cer- vello ed una somma prontezza dell'anima a percepirle ad un tratto è natural- mente conveniente all' uno ed all' altra piuttosto che il predominio d' una sola Impressione nel cervello e l' intensa attenzione dell'anima a quella sola , cosi dissi e confermai con un rapido cenno sul varii argomenti di scienze e d' arti, e specialmente sull'arte del parlare e sulla scienza grammaticale, che non con- venga mai cominciare l'educazione dall' obbligare 1 fanciulli a distinguere e for- marsi le idee semplici, astratte, generali, la cui distinzione e formazione non può precedere , ne ha preceduto mal la formazione delle idee complesse . Di più ho fatto osservare che 1 fancluUi abituati a giudicare ed a determinarsi rettamente sopra queste ultime, ed eccitati ad accrescere sempre più intensamente l'atten- zione, devono già da se stessi distinguere, e distinguano in fatto prontamente e chiaramente le impressioni, a cui le idee semplici ed astratte corrispondono nel- la loro anima. Queste impressioni come comuni a molti di quegli aggregati d' impressioni, a cui le idee complesse corrispondono, sono, dissi allora, la causa di quella concatenazione di giudizii e di determinazioni, per la quale quelli e que- ste si riproducono in seguito quasi da per loro, e per la quale i fanciulli posso- no rendersi conscii, e remler conscli gli altri della rettitudine dei giudizii loro, e della ragionevolezza delle loro determinazioni. Ho particolarmente insistito a mo- strare che lasciando 1 fanciulli Uberi di ffiudicare e volere, non avvenga mal che

255 fiale le mcflcslnoe circostanze ed applicato lo slesso grado di attenzione, giudichi- no ed operino dÌTcrsamcnle, e però non rettamente. Ho dedotto anzi da questa clic nuanlunniie nessuno abbia innate le massime e le regole che sono osservate nei retti giudizil e nelle saggie determinazioni, pure ciascuno debba distinguere le medesime idee da cui esse massime o regole risultano, e qumdi aggiunsi che ciò che dicesi buon senso o senso comune si poteva far consistere in questa co- mune disposizione a distinguere e formarsi le stesse massime e regole generali . Ma, per trattare più particolarmente dell'oggetto della presente memoria, gio- va ricordare ancora avere io sostenuto nella medesima memoria, che l'uniformi- tà de'giudizii e delle operazioni negl'individui che convivono insieme non derivi da una meccanica tendenza all' imitazione, che alcuni fdosofi si compiacquero d' immaginare come proprietà della materia animale., distinta pure dall'allra pro- prietà che dicesi istinto. Si può leggere a questo proposito la memoria del fu professore Alberto Zaramellin inserita nel volume secondo de' saggi scientifici e letterarii dell'accademia di Padova, pubblicato nel l'jSg . Io non ho mai vo- luto entrare nel labirinto delle metafisiche questioni, cioè se T istinto apparten- ga "o no alla sola materia organizzata ; se la conservazione del proprio individuo e la propagazione della propria spezie dipendano soltanto da esso istinto, e se gli animali abbiano un' anima proporzionata alla diversa loro organizzazione . Io mi sono sempre contentato di dire che delle azioni attribuite all'istinto o attribuite all'anima noi non possiatao fissare bene i limiti, e che altro non possiamo dire se non che esse tutte sono prodotte da una facoltà particolare, che prende varii aspetti e vario nome dal diverso grado d' intensità con cui opera o dai varii oggetti a cui si applica. Mi parve soltanto ancora più certo che le azioni intellctluali dell'uo- mo siano sempre cosi superiori a quelle degli animali, che la facoltà da cui quel- le sono prodotte deve essere ancora più singolare . Io ho bensì detto e ripetuto in più occasioni che quantunque la varietà delle azioni animali, le quali sono pro- dotte non inconseguenza degli stimoli immediatamente applicati agli organi del moto, ma in conseguenza delle impressioni trasmesse a questi organi dal centro massimo dei nervi e dal cervello, dipendesse dalle associazioni che le impressio- ni formavano tra loro nel cervello stessa, pure conveniva distinguere le associa- zioni formale dal numero delle volte che le stesse impressioni furono contempo- raneamente o con un' immediata successione trasmesse, prodotte e riprodotte nel cervello da quelle associazioni che dovevano formarsi in grazia della conti- nuità o contiguità dell'estremità nervose nel cervello stesso . A questa continui- tà o contiguità sembranmi dovute le azioni propriamente dette d'istinto, che so- no pronte ma costanti e necessarie nella loro produzione dietro determinate im- pressioni fatte nei sensorii esterni, e che quando hanno congiunta l'attenzione dell' anima, non divengono che più pronte e più viraci, mentre per le altre il di-

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Terso grado di attenzione dell' anima influisce molto non solo nel variarne la

prontezza, la forza ed il numero, ma nel costituirle ancora rette e tra loro con-

seguenti .

Non ho poi negato che 1' uomo vivamente o piacevolmente impressionato da- gli oggetti che lo circondano, e parimente dalie produzioni dell'arte e dalle azio- ni stesse degli altri uomini si senta disposto a esprimere le sue percezioni diver- se in parole, in produzioni simili ed in azioni simili, smo a dare agli oggetti stessi che ne sono suscettibili quella forma che piìi si avvicina alla osservata ed ammirata . Ma non ho potuto mai persuadermi che questo dipenda da una mec- canica tendenza all'imitazione. Io ho considerato piuttosto che quell'imitazione risulti dall'intimo legame ed associazione tra le operazioni dell'intelletto, del- l' immaginazione e della volizione, per cui ogni percezione, la cui formazione con- sistendo nella distinzione delle impressioni a cui corrisponde, appartiene all'in- telletto, eccita sempre V immaginazione a riprodurre le serie d' impressioni al- tre volte o contemporaneamente o con un'immediata successione trasmesse al cervello, e qumdi le serie di percezioni corrispondenti: e la percezione e l' im- maginazione determinano sem|)re la volizione a produrre i movimenti proporzio- nati ed adattati ad esprimere le idee, i giudizii, le emozioni, le affezioni ec. ec. Questo legame è così valido e così pronto ne' suoi effetti nell'uomo, che alla vi- sta d' un suo simile, posto in circostanze di avere qualche emozione, affezione o determinazione, l'immaginazione sua riproduce in lui stesso e nel suo cervello le impressioni corrispondenti alle circostanze di quello, che osserva, alle quali però separatamente almeno sia stato altre volte esposto, e quindi egli stesso pro- va in quell'istante una simile emozione, affezione o determinazione. Il celebre Adamo Smith nell' insigne sua opera teorica de sentìmentrmorali^ attribuisce questi sentimenti a quella capacità eh' esso poi chiama simpatia naturale , per cui un uomo può mettersi per mezzo dell'immaginazione all'unisono con le al- trui circostanze per conoscere come giudicherebbe ed opererebbe in quel dato caso, o per confrontare con fondamento il giudizio oh' esso od un altro farebbe sul medesimo oggetto, da cui ricevono le stesse impressioni, allorché sono posti in circostanze diverse .

Io ho poi cercato di mostrare in generale, che essendo gli uomini tutti costi- tuiti presso a poco similmente, avvenga che quando gli oggetti e le cireostanze sono simili, ed eguale pure è il grado di attenzione prestata, le idee, i giudizii e le determinazioni devono essere simili, cioè l'intelletto, l'immaginazione eia volizione devono operare similmente e manifestarsi con le stesse operazioni in tutti . Ma ad onta di tutto questo ho mostrato non potersi dire che questa con- formità nelle operazioni derivi da una meccanica tendenza all' imitazione, giac- ché quella stessa capacità di avere percezioni, giudizii e determinazioni simili è

resa più sicura e più variata non solo ilall'aziouf più volle rlpcluta delle elesse cause, e dalla varietà delie circostanze a cui uno fu ed è esposto: ma dal diver- so o-rado ancora d'intensa azione delia facoltì» residente nel cervello., cioè dal di- t> ^ ...

verso grado di attenzione dell' anima., il quale diede e ad alcune im|>ressioni

in preferenza ad altre maggior forza e maggior prontezza a riprodursi ed a ripro- durre quelle che altre volte furono ad esse successive. Che giova portare l'esem- pio degli uccelli che imitano i suoni successivi prodotti dagli organetti arlifizia- li? La contiguità o continuità dei nervi dell'udito con quelli., che,, trasmettendo le impressioni ai muscoli, mettono in azione quelli che servono a modulare la vo- ce., quantunque essa contiguità o continuità non siano con tutta csallczza note per mezzo dell anatomia, possono e devono jirodurre un effetto così costante e sicuro da potersi questo considerare nel numero delie azioni clic si dicono istin- tive . L' uomo stesso quando nasce sordo è certamente muto, e le parole devo- no essere udite dal fanciullo per essere dallo stesso pronunziate, abbenchè in scTuito esso possa e sappia variarle in proporzione alle sensazioni die prova o alle idee che vuole esprimere .

Io ho insistito molto su questa verità che l'imitazione non sia effetto di una meccanica proprietà della materia animale pure organizzata, ma sia prodotta in conseguenza del legame intimo tra l' intelletto, l' immaginazione e la volizione, perchè srave danno risulta nell'educazione della gioventù, quando istitutori obblio^ano 1 fanciulli, come gli animali., a" quali si fanno eseguire alcuni movimen- ti, a ricevere soltanto ripetutamente le stesse inalterabili serie d' impressioni, ed a formare gli stessi giudizii e ad avere le stesse determinazioni. Conviene, io sempre dissi, lasciare che i fanciulli giudichino e si determinino da loro, ec- citandoli soltanto all' attenzione, acciocché le idee si pingano più vivamente nella loro immaginazione, e possano esse più prontamente riprodursi ai momen- to che occorrono . La imitazione nel primo caso risulta imperfetta, e certamen- te più languida, e spesso non riconoscibile, perchè lo stesso istitutore non sem- pre distingue tutte le circostanze, e non può in conseguenza farle imitare tutte con lo stesso ordine, nel medesimo numero e con la stessa forza . Quùidi allor- ché il fanciullo è messo in libertà di giudicare ed operare in conseguenza alle impressioni clie riceve o che nuovamente si riproducono e s' associano, non sa più giudicare ed operare dietro le massime insegnategli, perchè in fatto non ha che ripetuto meccanicamente i ragionamenti e le operazioni del suo precetto- re. Il fanciullo quindi si dee trovare incerto quando nuove impressioni si asso- ciano, siano esse trasmesse per la prima volta al cervello o siano prodotte e ri- prodotte in questo. Alla |)agina ia6 della più volte citata memoria cliiaiamen- te aggiunsi: "E per qual' altra ragione se non per la differenza tra la meccani-

» ca imitazione e la disposizione naturale di Riprodurre ciò che altre volte è stato 33

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" percepito, risulta che in tulle le produzioni delle arti liberali o nieccanìclie una " copia viene distinta da una originale, e che quelli i quali sanno copiare esatta- li mente una bella opera nonne sanno fare una bella originale? E per qual' altra " ragione quelli i quali conoscono e seguono le regole tutte nel giudicare del- l' le opere di gusto compariscono pedanti piuttosto che critici, quando nello stes- 11 so tempo non abbiano un senso del Bello o una capacità naturale di gu- 11 starlo ? "

Del resto io non sono 11 primo che abbia distinto la sensibilità del nerTi e tli^l cervello dalla capacità di sentire e di avere sensazioni o Idee corrispondente alle Impressioni trasmesse contemporaneamente col mezzo del nervi al centro massimo di essi ed al cervello ; dalla quale capacità sleno pure regolati corri- spondentemente tutti 1 moti animali conseguenti . Non sono pure 11 primo a di- re che vi siano molti movimenti e molte operazioni, a cui 1' anima influisce sen- za una distinta conoscenza anzi senza comparire di attendervi . Il Roussel die- tro le Idee di Bordeu nel saggio sulja sensibilità pubblicato pochi anni sono In seguito alla sua opera srstéme physique et moral de la /emme ^ disse dover- si confessare che le libre del corpo vivente abbiano un moto proprio, una pro- pria sensibilità, giacche questo moto e questa sensibilità sussiste pure qualche momento dopo la separazlon di esse fibre dal corpo di cui facevano parte. Ma questo fenomeno, continuò egli, poco e' interessa . Senza esaminare In cosa con- sista questo effetto particolare della sensibilità o questa spezie di vita parziale che risiede nelle fibre de" corpi organizzati, basti il sapere che tutte le parti di- verse riunite per formare un Individuo vivente sono subordinate ed assoggetta- te a un principio attivo, che regola e modifica i loro moti In ragione di certe cir- costanze che lo determinano all'azione . Il corpo vivente è diretto da questo principio eh' è unico, e da cui emanano tutti 1 moti, ed a cui tutte le sensazioni si riferiscono e tutte le affezioni. Questo principio è 1' anima stessa, benché es- sa non possa avere una piena conoscenza di tutte le sue operazioni . In seguito lo stesso Roussel fa osservare che queste operazioni alle quali sembra che l'ani- ma non faccia attenzione, siano più numerose di quello che comunemente si crede, e siano pure tra quelle che l'uomo eseguisce con molta difficoltà. I mo- vimenti che la pratica di tutte le arti esige, e tutti quelli che si chiamano volon- taril per essere la prima volta almeno eseguiti dietro una sensazione o Idea ed una determinazione distinta, a cui corrispondono, compariscono in seguito dive- nire Indipendenti dalla volontà nello stesso modo che lo divengono le contrazio- ni di alcune parti che alcuni fanno ad ogni Istante solo perchè le hanno fatte si- no dalla loro infanzia. E non si deve forse aggiungere che alcuni movimenti e quelli particolarmente delle alternative Inspirazione ed espirazione, quantunque conscguenti a Impressioni, a cui un senso molesto corrisponde, e quantunque di-

sSg rcllì a logllere quelle impressioni, pure siano spesso prodotti e variamente pro- porzionali senza clìe l'anima possa averne distinta la sensazione determinante.^ e sempre poi senza che sia conscia della direzione, con cui le impressioni devono farsi progredire con maggior forza per mettere in azione determinati muscoli, e mollo più senza conoscere i muscoli che devono muoversi?

Tutto tjucslo conferma cliiaramente la proposuione qui sopra ricordata, che neir educazione de' lanciulli giovi lasciarli giudicare ed operare da sì;, disponendo solo gli oggetti in modo che facciano loro con certo ordine le impressioni, ed ec- citando essi fanciulli all'attenzione sulle sensazioni che vi corrispondono. Ma tut- to questo conferma ancora 1' altra proposizione da me enunciata alla png. gg del- la [liìi volte citala memoria, cioè che negli argomenti complicati, come sono quel- li di politica, di morale, di commercio, o nelle arti della guerra e nell' esercizio pratico della medicina, non basta la teorica, ma ci voglia la pratica. Non basta cioè, scrissi allora, svoglierc con 1' osservazione e distinguere quei generali prin- cipii che servono a compendiare le cognizioni nostre, ed a facilitare il modo di rendere ragione dei casi particolari, nel che consiste la teoiica, ma conviene più di tutto abituarsi a conoscere e percepire ad un tratto tulli i rapporti delle idee complesse. Ora quelli che sanno giudicare e gustare il Bello nelle opere della natura e dell' arte, e molto più quelli che riescono a produrre qualche cosa che meriti \l nome di Bello, devono essersi abituati a percepire ad un tratto tutti i rapporti delle impressioni contemporaneamente ricevute e trasmesse al cervello, alle quali corrisponde la sensazione del Bello. Per (piesto soltanto essi sanno giudicare o gustare il Bello, sanno dare alle loro opere le qualità del Bello sen- za potere sempre render conto di tutte le circostanze da cui sono determinati a quel giudizio, da cui hanno provata quella grata sensazione, e da cui furono in- dotti a produrre quell'opera bella. E poi certissimo quanto dissi alla pa"-ina log di della memoria cioè che « le idee generali e le leggi del bello, del subli- » me, del perfetto non furono formate prima che siano state esaminate e ijiudi- " cale le produzioni naturali ed artiGziali; e indubitatamente non prima che sia » stato fatto un bel poema, una bella pittura, una bella statua, un bel palazzo . " Esse leggi furono dedotte dopo che era stato esaminato il modo particolare » con cuil veniva affetto il senso degli uomini da quelle produzioni. Omero « col solo suo genio, senza sapere certamente le leggi dell' arte poetica com- « pose quel poema, che la posterità ammirò ed ammira ancora, e le prime sta- M tue, le prime pitture, i primi palazzi che piacquero furono fatti non dietro » le leggi stabilite o dietro un archetipo della bellezza e della perfezione , ma n per esprimere soltanto riunite molte cose che piacquero al loro arteliee in ciò » che avea veduto nelle produzioni della natura, o in ciò che aveva osservato n essersi prodotto da altri » . Nella pagina seguente aggiunsi ancora : >i Si pa-

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j) ragonino lo produzioni di molti uouiinl tli genio che non hanno bene ap- » prese o bene distinte le leggi del gusto nelle belle arti con le produzioni j) dei piti esatti osscrratoii delle regole, mentre apparirà che quelle dei primi , " come di Omero e di Shakespeare, sono ammirabili ad onta che abbiano " tanti tratti rozzi e non delicati, e quelle dei secondi, quantunque di mageio- « re raflmatezza e regolarità non hanno quella grazia, quella forza, quella su- n blimità che eccita un vero piacere e una grande ammirazione !; .

PARTE SECONDA.

Venendo ora al ragionamenti sul Bello del cavaliere Cicognara che diedero occasione alla presente memoria, io trovo giusto con lui che la sensazione del Bello nasca in conseguenza delle impressioni prodotte dalla forma e dal colore delle cose, egualmente che da una certa disposizione dei suoni, in modo che gli oggetti belli possano distinguersi in due classi . Nella prima devonsi mettere quelli che appartengono al disegno, e che operano col mezzo della luce sull'or- gano della vista, e nella seconda gli altri che appartengono alla musica, e che operano col mezzo dell' aria sull'organo dell'udito . Trovo parimente ragione- vole che il numero degli accordi, che costituiscono certe leggi armoniche, siano le sorgenti di quelle grate oscdiazioni, che col mezzo dell' udito la musica ci co- munica, e che in grazia del numero e deo-li accordi la poesia e l'eloquenza fac- ciano lo stesso effetto . Convengo inoltre che 1" incertezza delle opinioni di vari! autori sull'esistenza e natura del Bello assoluto e sulla causa della grata sensa- zione che il Bello negli oggetti appartenenti al disegno sempre produce, debba condurre a pensare che in quegli oggetti stessi la magia consista nella propor- zione . Conviene certo definir questa essere la relazione che hanno le parti delle cose tra loro per comporre un tutto che sod<hsfi quando le impressioni sono con- temporaneamente o con un'istantanea celerità trasmesse al sensorio o al cen- tro massimo dei nervi ove risiede l' anima, che ha la facoltà di provare una sen- sazione corrispondente . Finalmente mi sembra verissimo che quantunque le con- sonanze siano proprie dell'armonia musicale, pure esse siano in tutte le cose, mentre alcune vicinanze di colori si rifuggono, altre si amano, e certe dimensio- ni comparate tra loro si rendono odiose, altre grate a guisa appunto delle voci musicali, e queste leggi armoniche formano la vera proporzione delle cose.

Convien dunque convenire con lo stesso Cicognara che la difficoltà non stia nel persuadersi dell'esistenza di questa proporzione da cui il Bello assoluto di- pende o in cui consiste, come sta nel misurarla . La moltiplicità de' rapporti tra le varietà e le gradazioni dei colori, e tra le dimensioni delle parti che formano un'opera bella, deve far si che divenga più facile osservare e percepire ad

zGi- tratto le proporzioni liillc nelle opere die esaminano, o a cui si mano, di quel- lo che numerarle e distinguerle con precisione, e mollo meno facile è l'esprimerle tulle con segni esterni e con parole per rendere conscii gli altri del retto giudizio, e delie corrispondenti deteiinmazioni. Lo slesso cav.Cicognara giudiziosamente asserisce esservi de' canoni e delle proporzioni, che si sentono senza pure cono- scerle, o indipendentemente da qualunque convenzione, le quali operano nel no- stro interno per mezzo dei sensori), su quali esercitano la loro potenza. Per que- sto io credo avere toccato giusto alla pag. 120 della mia memoria citata, dicen- do che al proposito delle belle arti, in luogo di opprimere gl'iniziandi con le re- gole generali e col principi! i pili semplici ed astraiti, giovi maggiormente il col- pire la loro immaginazione ed eccitare la loro attenzione e curiosità, facendo loro osservare e gustare le belle opere di musica, di pittura, di scultura, d'ar- chitettura, e inducendoli a poco a poco ad arrestare la loro attenzione a ciò che più ha loro fatto una grata sensazione, od ìnducendoii a fare qualche cosa di si- mile.

Io non intendo con ciò di disprezzare le regole generali ed 1 principii delle diverse arti . Esse regole facilitano 1 progressi delle belle arti come fanno per le scienze e per le altre arti tutte. Pretendo che convenga fare che l'iniziando eser- citi il senso interno, che fa giudicare delle opere belle, e che determina ad ese- gtiirne, piuttosto che esso sia obbligato prima ad applicare quellintensa attenzione che può largii conoscere la concatenazione di tutti 1 suoi giudizii e di tutte quel- le determinazioni che rapidamente può formare ed avere . Io areva già scritto in quella memoria che l' attenzione del fanciullo limitala alla sola percezione delle impressioni per distinguerle perfettamente e per formarsi distinte e pre- cise le idee corrispondenti, poteva Inlluire alla pi'u pronta formazione o distin- zione delle idee astratte e generali, e quindi poteva influire nell" accelerare 1 progressi della facoltà ragionatrice . Ma ho aggiunto che a questo modo facen- do violenza o nieltendonn ostacolo all'immaginazione, (la quale vuol sempre as- sociare e far succedere ai nuovi aggregati d' impressioni ricevute e trasmesse quelle, che altre volle furono contemporanee o immediatamente successive ad alcune di quelle che compongono 1 nuovi aggregati), quell' intensa attenzione impediva la formazione, la successione e 1' espressione di tutte le interne perce- zioni, di tulli gf interni sentimenti ed emozioni e di tutte le loro gradazioni. Il fanciullo quindi diviene bensì più esattamente conseguente ne' suol giudizii e nelle sue azioni, masi mostra sempre diretto da quella fredda ragione che viene ammirata, ma che non diletta ne attrae . Ed alla già citata pag. lao aggiunsi: " Qualunque cosa avrà nel fanciullo eccitato una curiosità, un desiderio, una ■• volizione, gli ostacoli all' esecuzione accresceranno l'attenzione sua, e lo ren- « deranno atto ad apprendere 1 principii dell' arte ed a svoglierll da per ".

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Non è oga^etto del presente mio iliscoiso il determinare le leggi di quelle proporzioni che costituiscono il Bello assoluto, e molto meno di esaminare se gli esperimenti suo-li spettri colorati e sulla successione d' un colore immaginario do- po r impressione viva d' un colore reale possano condurre a stabilire le leggi dell' armonia e della consonanza tra i varii colori, per le quali leggi alcuni og- getti producono il senso della soddisfazione e del piacere proprio del Bello. Mi basta aver indicato che quantunque la scoperta e la determinazione di esse pro- porzioni possano guidare quello che si dedica a queste arti belle per rendersi più sicuro e più pronto ne' suoi progressi, sia però vero che la sua attenzione applicata agli oggetti belli possa fare che giudichi bene, e ne produca di simili prima di avere bene distinte, e senza pure avere distinte tutte le circostanze e tutte le leggi che le costituiscono tali . Devo piuttosto come argomento più ap- partenente al fisiologo esaminare primieramente la ragione per cui tante clas- sificazioni del Bello furono fatte sino a farci dubitare che esista un Bello asso- luto . Devo poi in secondo luogo determinare la ragione per cui un senso di piacere sia sempre congiunto col giudizio delle bellezze della natura e dell" ar- te, e per cui questo senso di piacere possa produrre il Bello relativo, il Bello arbitrario, il Bello capriccioso ec.

Io non mi trattenirò ora a parlare del tre generi di bellezza nei quali il cav. Cicognara distribuisce le opere degli artisti, e i quali caratterizzano le tre epo- che delle arti, principio cioè, progresso e perfezione. Sia che l'artista si pro- ponga d'imitare gli oggetti come si presentano all'occhio suo, sia che ne scel- ga alcuni e ne ricusi altri, senza pure aggiungervi cosa alcuna, e senza alterare le disposizioni e le proporzioni delle parti, sia finalmente che riunisca le parti più perfettamente proporzionate di molti oggetti simili per formarne uno solo a scelta sua propria, sempre quello che ci fa considerare veramente Bello un og- getto, consiste nell' osservare in esso la imitazione di ciò che la natura ha fatto di più eccellente e perfetto, e dipende dal trovare più o meno esattamen- te seguite le leggi generali del Bello assoluto . Ma non è lo stesso del Bello che il .p. Andre chiama di sistema, e eh' è fina a un dato punto arbitrario e capriccio- so. Sembra che 1' educazione, le abitudini, il commercio, la moda, il bisogno, il governo, la religione , V età stessa e le circostanze della vita facciano alle vol- te e ad alcuni trovar bello quello che non lo è certamente dietro le leggi del Bello assoluto .

Per rendere ragione di queste varietà di giudizil sul Bello , lo ricorderò che quantunque alcuni , considerando portare le impressioni degli oggetti belU una interna soddisfazione o una grata sensazione, abbiano creduto che non vi fosse un Bello assoluto, ma che fosse bello quell'oggetto che piace, non ostante sia più vera l'opinione che il Bello non sia tale perchè piaccia, ma che piaccia ap-

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punto per esser Bello . Ora è necessario riflcUcrc clic il senso del piacere a fjua- lunniic oo'n-etlo sia riferito e da qualunque parte sieno trasmesse le impressio- ni a cui corrisponde , nasce sempre o corrisponde a una certa proporzione e srradazione nella forza di tutte le impressioni, che sono contemporaneamente ri- cevute dalle diverse estremità nervose, e da esse contemporaneamente trasmes- se al centro massimo dei nervi ed al cervello . A misura che le impressioni in massa trasmesse deviano da quella certa proporzione e gradazione di forza, il senso diviene molesto . Questi due sensi, come ognun può riflettere in se mede- simo, sono i regolatori sommi di quelle determinazioni, per cui le impressioni, di- stribuendosi contemporaneamente dal centro massimo e dal cervello ai varii or- gani del moto animale, occasionano nel caso del senso grato i moti di quegli or- gani così proporzionati, che servono a ritenere ed avvicinare gh oggetti, o fanno in qualche modo rinnovare le impressioni che produssero esso senso, e nel caso del senso molesto le impressioni occasionano i moti che servono ad allontanare gli oo-o-etti, o fanno evitare possibilmente le impressioni che produssero la mole- stia. Era poi ben naturale che la somma Causa delle cose tutte dovesse far cor- rispondere questi due sensi alla massa delle impressioni tutte contemporanee, ac- ciocché le successive determinazioni ed i conseguenti moti animali avessero sempre quella proporzione capace a provvedere al ben essere ed alla preservazio- ne di tutto r individuo. Tale è anzi la previdenza della somma Causa delle cose tutte, che quando le impressioni tutte contemporaneamente arrivate al centro massimo ed al cervello eccitano un senso grato o molesto di somma forza, la fa- coltà residente nel centro massimo dei nervi e nel cervello o 1' anima a cui ap- partiene la facoltà di provare il senso grato o molesto corrispondente, si mostra tutta occupata delle pronte sue determinazioni dirette ora a ritenere e rinnovare le impressioni a cui un senso grato corrisponde, ora ad allontanare quello a cui il senso molesto corrisponde 'o almeno a minorarne la forza. Quindi l'anima non può nell'un caso e nell' altro avere, per così dire, il tempo di distinguere le par- ticolari impressioni che la portano ad alcuni giudizii e ad alcune determinazioni per rendersi conscia e rendere conscii gli altri della rettitudine di quelli e della coerenza ili queste . Ognuno, ripeto, riflettendo attentamente in se stesso può trovare confermate queste proposizioni.

Ma dalle osservazioni moltiplici che ho raccolte ed esposte a questo proposi- to nel primo saggio pubblicato nell'anno i 792, ed in più numero ancora e con maggiore precisione ne' miei nuovi elementi della fisica del corpo umano, risul- ta chiaramente die le impressioni arrivate contemporaneamente al cervello da tutti gli organi atti a riceverne ed a trasmetterle a quel centro massimo, quan- do esse sono le abituali o della forza la piii consueta non danno occasione ad al- cun senso distinto ne grato ne molesto . Le impressioni però a cui o l'uno 0 l'ai-

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tro senso dovreMie corrispondere. Sono di certo ricevute e trasmesse non solo al centro massimo ed al cervello , ma di ancora agli organi del moto, 1 quali corrispondentemente sono messi in azione. Di ciò ne fa indubitata fede la con- tinuazione dei moti alternativi dell'inspirazione e deirespirazione, e molto più la rana proporzione con cui essi due moti si alternano secondo il sito, da cui con- vien allontanare le cause delle impressioni, che più concorrerebbero ad eccitare Hn senso molesto. Ma ordinariamente questo senso, di cui le impressioni corri- spondenti danno prontamente occasione a quei moti alternativi diflercnte mente proporzionati, non è in alcun modo distinto. Dalle stesse osservazioni esposte nelle or citate opere risulta inoltre che quando le impressioni, contemporanea- mente ricevute e trasmesse da tutti 1 sensorii esterni e da tutte le superficie delle interne cavità o canali al centro massimo dei nervi, non sieno di tal forza che facciano corrispondere un senso grato o molesto, allora 1' anima possa di- stinguere indipendentemente da essi due sensi le impressioni fatte in qualche sen- sorio esterno a misura che nell uno o nell' altro sono fatte con qualche grado preponderante di forza .

Nelle stesse sensazioni grate o moleste 1' anima manifesta di distiniruere tra loro le impressioni per la forza e la direzione con cui queste sono trasmesse al centro massimo ed al cervello ove essa risiede ; giacche riferisce quei sensi al sito ove le preponderanti sono fatte . Essa dunque nel caso che alle impressioni tutte non corrisponda alcun senso grato o molesto, che tutta la sua attenzione occupi per formare le determinazioni corrispondenti ad essi sensi, può distingue- re le impressioni trasmesse da qualche esterno sensorio. La fisiologia difiitti mo- stra essere i sensorii esterni costituiti in modo che il medesimo corpo nello stes- so sensorio esterno e nel medesimo istante fa una medesima impressione in mol- tiplici punti o estremità di filamenti nervosi. Dimostra inoltre che questi fila- menti moltiplici riunendosi in un cordone quando si dirigono al centro massi- mo devono condensare le impressioni come in una nell' atto che le trasmettono, ■e quindi, quelle arrivate al centro massimo, devono essere per la sola loro con- densazione preponderanti alle altre, che vi arrivano per altre direzioni . Io ho cercato di far conoscere nelle citate opere che col distinguere queste impressio- ni e col riferirle non solo al sensorio esterno da cui sono ricevute e trasmesse , ma alla causa esterna diversa che le produsse, 1' anima si forma le sue idee cosi dette sensitive. Ho cercato inoltre di far conoscere che quelle impressioni con- servano la loro preponderanza, anzi ne acquistano nel progredire dal centro massimo per quei filamenti nervosi che variamente si separano e si riuniscono di nuovo, e formano varii centri successivi come subalterni al massimo, e co- stituenti le varie parti del cervello e del cervelletto. Ma l'anima potendole di- stinguere nelle varie loro composizioni, decomposizioni e nuove composizioni si

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forma, col distinguerle, le altre sue idee composte, generali, astratte, che i meta- fisici già provano essere il riaultamento della composizione d'idee sensitive, od essere parti in cui queste si possono dividere, o finalmente essere il risultamento di nuove composizioni di queste parli medesime . L noto poi ai metafisici che tutte queste idee non sensitive formano il diverso legame di tutte le idee per cui più o meno prontamente le impressioni corrispondenti riproducono le altre, che più spesso furono contemporanee o immediatamente successive, e per cui l'anima ha le Bue coerenti serie di giudizii, di raziocinii, di determinazioni, le quali a mi- sura appunto che più spesso sono riprodotte con lo stesso ordine, si rendono co- si pronte che le idee diverse sono pure espresse in parole senza una distinta per- cezione dell'anima.

Io non ripeterò qui quanto ho detto a questo proposito nella sezione prima del capo settimo del citalo saggio di osservazioni, pubblicato nel 1792, ma ri- corderò soltanto alcune osservazioni che provano non potere sempre 1 anima di- stinguere le impressioni corrispondenti alle idee, al giudizii ed alle determina- zioni prontamente conseguenti, abbenchè esse impressioni siano trasmesse dai sensorii, e progrediscano con una preponderanza sopra le altre contemporanee, manifestandosi con moti animali corrispondenti e soprattutto con quelli coi qua- li l'uomo modula la voce e forma le parole. Alla pag. 2o3 di esso saggio scrissi: «< A quanti non succede che, quando vengano interrogati all' improvviso e con n forza su un qualche soggetto, rispondano prontamente e giudiziosamente nello n stesso modo e forse meglio che quando si mettono in orgasmo per essere con- » scii di rispondere a proposito? Ma allora essi lo fanno come involonlariameu- " te, e spesso contro le fissate loro determinazioni. A quanti non accade che nei » casi pericolosi producano improvvisamente alcuni moti mirabili, che non dipen- » dono dalla sola riproduzione delle serie d'idee altre volte avute, e delle serie » di moti altre volte prodotti, ma da una nuova combinazione di quelle e di que- « sii? L'uomo di spirito che brilla nelle società per le sue facezie non si serve » certo di una seria attenzione per associare quelle idee e per distinguere con » precisione se siano adattate o no al caso : ma le esprime in parole senza che « l'anima ne sia conscia del loro valore . E chiunque si sforza con la riflessione » per essere faceto non merita alcuna considerazione . Così, continuai io alla » stessa pagina, le orazioni le più energiche, le più adattate, le più efQcacl " non sono sempre le più studiate, o quelle nelle quali 1' oratore con la sua at- « tenzione sembri avere più cooperato, ma sono piuttosto le estemporanee. Co- » me altrimenti spiegare il fenomeno di quelli, i quali, per quanto studio faccia- » no, non sanno alle volte accozzare le parole per esprimere i loro sentimenti: » ma se stanchi di riflettere pensano a tutto altro o dormono la notte intera

» tranquillamente, conoscono, all'applicarsi di nuovo anco improvvisamente a quel 34

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n soggetto, come ranno accozzate le parole per esprimere tutto ciò che sento-

ri no " ?

Io ho poi fatto osservare più volte nel citato saggio e in altre opere succes- sivamente pubblicate, che quando le impressioni fatte dai corpi introdotti e so- prattutto dai lluidi circolanti nelle superficie delle interne cavità e canali, e da queste superGcie trasmesse al centro massimo dei nervi, possano preponderare di forza, queste non possano essere distinte dall'anima indipendentemente da un senso grato e molesto che vi corrisponde . I corpi introdotti nelle interne cavità, e soprattutto i fluidi circolanti, i quali producono quelle impressioni pre- ponderanti, passano successivamente per le altre cavità e canali costituenti il sistema vascolare, e ovunque ne producono di preponderanti. Quindi la mag- gior massa delle impressioni contemporaneamente ricevute e trasmesse al cen- tro massimo diviene sempre di quella forza per cui deve corrispondere un senso, che sarà grato o molesto a misura ch'esse impressioni son tra loro in certa pro- porzione di forza o sono devianti da questa proporzione . In questo caso il senso grato o molesto viene riferito al sito ove cominciarono a trasmettersi le prepon- deranti, perchè esse sempre crescono di forza e mantengono la loro preponde- ranza. Io ho fatto anco conoscere che quando le impressioni tutte e le stesse in conseguenza impressioni fatte nelle superficie delle interne cavità e canali siano egualmente cresciute di forza e superiori al grado ordinario, fJlora il senso gra- to o molesto che vi corrisponde, viene riferito al sito dove le più numerose im- pressioni sono nell'istante ricevute e trasmesse al centro massimo, e quindi a un sito vicino al cuore o al cuore medesimo. In quel sito o all'intorno sono certa- mente più moltiplicate le impressioni contemporaneamente fatte dal sangue cir- colante nella superficie delle interne cavità del cuore e de' tronchi sanguigni, e quelle dell'aria atmosferica nella superficie interna de' polmoni . Quindi io non ho dubitato di asserire che il senso grato o molesto sia più generalmente cor- rispondente alla forza degli urti, che il sangue circolante e 1' aria atmosferica producono a misura che la respirazione e la circolazione sono libere o impedite. Queste impressioni sono continuamente e con brevissimi intervalli trasmesse al cervello, ed esse sono di forza eguale, e moderatamente accresciuta dall' ordi- naria nel caso che sia eccitato un senso grato, e sono ineguali, e di forza somma- mente accresciuta, allorché il senso corrispondente sia molesto . Siccome dun- que queste impressioni del sangue circolante e dell'aria introdotta ne' polmoni sono certamente le più numerose in un minore -tratto possibile, e possono, anzi devono essere condensatissime nell' arrivare al centro massimo dei nervi, così nel caso che tutte le impressioni siano di egual forza il senso grato o molesto corrispondente deve riferirsi al cuore, o al sito intorno a questo .

*6, Io dissi quindi alle pag. 208, aog della introduzione alla fisica del corpo uma- no sano ed ammalato, pubblicata nel 1802. u Con questi principii non sembrerà » strano che un dotto, il quale abbia scoperta una verità dopo molta fatica, che » un generale, il quale abbia vinta una battaglia per le sue direzioni e per le dÌ8po- n sizioui date alle forze aflìdategli,che un amante, il quale si riconcilia con la sua n bella, e che un maldicente, il quale ha avuto occasione di malignare anco i più n onesti, provino lutti un egual piacere. Questo è prodotto dalla circolazione che » tenuta oppressa si restituisce alla sua libertà e che nei primi che riacquista la » libertà è un poco più accelerata e più viva del solito . Il piacere, che in tutti » questi casi si riferisce al cuore o ne' suoi contorni, è accompagnato da una libe- » ra ed eguale alternazione dei moti della respirazione, la quale prima era opprcs- » sa e al possibile impedita, e la quale influisce sempre nell accelerare o ritardare » corrispondentemente la circolazione » . Aggiungerò ora a tutto questo che ap- punto perchè dalla regolarità od irregolarità del moti alternativi della respirazio- ne e della circolazione, piuttosto che da altri segni, lo stato di salute o di malattia si manifesta, nessuna meraviglia deve esservi nell' osservare che alle impressio- ni, le quali danno occasione a quel movimenti sia stata dalla provvida natura ac- cordata la preferenza di eccitare il senso grato o molesto, e che soltanto quando le impressioni più abituali e più numerose non concorrono ad eccitare o l'uno o l'altro senso, l'uomo possa tranquillamente attendere a formarsi le idee, e ad ese- guire i lavori dell'Intelletto e dell' immaginazione, e ad esprimerli consegni ester- ni e confuso spezialmente delle parole. La provvida natur? ha voluto con questo che l' uomo possa tranquillamente attendere a queste ultime operazioni, quando nessun senso molesto l'avverte che le impressioni fatte nelle superficie delle in- terne cavità e canali potrebbero nuocere alla sua salute, e che le cause di esse devono essere allontanate .

Ma pel particolare soggetto di questa memoria ora è da avvertirsi che le stes- se impressioni fatte soltanto nel sensorii esterni dal corpi circostanti possono di- venire COSI preponderanti sulle altre contemporaneamente trasmesse in massa al cervello, e possono mantenersi progressivamente tali nello stesso tempo, che ora si succedono con certa proporzione di celerità e di forza, ora deviano da que- sta proporzione . Nel primo caso eccitano da se sole un senso grato, e nel se- condo fanno corrispondere un senso molesto . Questi sensi occupano sempre l'attenzione dell'anima, che allora non riferisce le impressioni preponderanti al- la causa esterna, che le produce in modo da formarsi le idee pure, ma si forma piuttosto le affezioni o avversioni alle slesse cause esterne. Queste affezioni ed avversioni con la frequente successione e riproduzione si convertono in passioni, in simpatie ed in antipatie, le quali compariscono ragionevoli e capricciose se- condo che il senso grato o molesto è veramente eccitato ora dalla proporzione,

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ora dalla non proporzione di forza nelle impressioni ricevute e trasmesse da qual- che sensorio esterno e nell'azione della causa esterna che le produce: ovvero secondo che esso viene eccitato da impressioni più volte contemporaneamente ricevute e trasmesse, le quali.^ riproducendosi prontamente, concorrono a costitui- re esso senso, benché sia riferito alle impressioni ed alle cause esterne delle im- pressioni preponderanti fatte in quell'istante medesimo in qualche esterno sen- sorio . Non parlo delle impressioni fatte da alcuni corpi sui sensorii esterni del tatto, del gusto e dell' odorato, che difficilmente possono accrescersi di forza senza influire nei moti alternativi del cuore e de' polmoni, e quindi nell' accre- scere la celerità e la forza delle impressioni successive del sangue e dell' aria atmosferica nelle superficie delle cavità del cuore e delle vescichette polmonari. Il senso orato o molesto può in questo caso corrispondere all'insieme delle im- pressioni tutte ricevute e trasmesse anco dalle superficie delle interne cavità e canali . Intendo di parlare di quelle sole impressioni, che vengono ricevute e trasmesse dai sensorii esterni della vista e dell' udito . Neil' occhio e nell' orec- chio le proporzioni armoniche o non armoniche tra le impressioni, che alcuni corpi o col mezzo di moltiplici raggi di luce, o col mezzo di moltiplici oscilla- zioni dell'aria atmosferica, fanno arrivare sino alla polpa del nervo ottico e del- l' acustico , possono produrre e producono un senso or grato or molesto , indi- pendentemente ancora da alcuna preponderanza , oltre 1' ordinario , delle im- pressioni contemporaneamente ricevute e trasmesse dalle superficie delle inter- ne cavità e canali . Il senso grato e molesto non può allora essere rilento al cuore e ai suoi intorni, quantunque non sia distintamente riferito ne all' uno ne all' altro de' due sensorii, della vista cioè e dell' udito , ne alle cause del- le impressioni ivi fatte . Queste cause esterne non possono cosi facilmente co- noscersi, e molto meno si possono confrontare le proporzioni della celerità e forza delle impressioni successivamente o contemporaneamente fatte e trasmes- se. Ma è certo che quel senso che allora si prova, occupa interamente l'atten- zione dell'anima, la quale in conseguenza riceve cos'i rapidamente le percezioni corrispondenti, e le conseguenti determinazioni, che non può rendersi conscia di ciascuna, e molto meno rendere conscli gli altri di esse ; ma essa però manifesta giudicare rettamente, e dar occasione ai moti conseguenti, i quali nel caso di opere belle, di cui giudica, concorrono a produrne di similmente belle .

Gli uomini, che si trovano in queste circostanze, rassomigliano molto a quelli, 1 quali, per non avere distinte le idee con cui formano alcuni giudizi! ed alcune determinazioni negli affari della vita o in alcuni fatti di scienze fisiche, non san- no esprimere in parole le serie progressive delle idee avute per rendere conscil gli altri della rettitudine dei loro giudizii e della ragionevolezza delle loro de- terminazioni prese ed eseguite. Meritano poi gli uni e gli altri essere per questo

disprezzali? e si dee credere tulio questo un puro cflello meccanico, quando un certo grado di attenzione dell' anima è necessario, affnichè gli uni e gli altri formino retti giudizii ed abbiano determinazioni corrispondenti ? Io non ripete- rò dunque all' occasione dei retti giudizii che alcuni fanno sul Bello, e all'occa- sione delle determinazioni che fanno loro eseguire opere belle, io non ripeterò., diceva, quanto ho scritto suH' inlluenza che la costituzione fisica del cervello può avere in queste rette operazioni . Nel caso presente si può aggiungere che il senso «rrato del Bello, il quale dee occupare tutta l'attenzione dcllanima, può maggiormente impedire ch'essa sempre distingua le impressioni particolari per cui giudica rettamente e rettamente si determina a produrne di simili, e quindi non possa esprimere in parole le cause de' suoi giudizii e delle sue determina- zioni .

Ma si domanderà certamente, come alcuni artisti non attendendo a imitare fe- delmente o servilmente i soli bei modelli della natura o i soU bei capi d' opera dell' arte, arrivino a formare opere belle simili ma originali? ed attendendo rigo- rosamente all'imitazione e soprattutto alle regole fissate da alcuni maestri del- l'arte producano bensì opere regolari, ma non sempre belle e mai con un carat- tere di originalità? Io dirò che quello, il quale, in luogo di copiar fedelmente opere belle della natura e dell'arte, osserva attentamente molte di esse in qual- che modo simili, può variamente essere impressionato dalle singole parli per la maggior proporzione armonica che hanno tra loro e per cui concorrono ad ac- crescere la forza del senso grato del Bello. Quindi nel determinarsi a comporne una simile deve pur dare una qualche proporzione diversa ad alcune parti se- condo che più gli fece percepire l' armonia tra loro, e deve per ciò far risultare un' opera simile ma originale e non perfettamente imitante alcun' altra . All'op- posto quegli che si limita a imitar esaltamente le proporzioni di opere f^iudica- te belle, potrà farle similmente belle, ma esse ricorderanno perfettamente i mo- delli che ha seguito, e la sua opera sarà lodata come copia, e mai come origina- le. Il celebre Canova, come il Missirini fece osservare nel darci i ragguagli sulla vita di quell'artista immortale, soleva dire fino dalla sua gioventù di non volersi occupare a copiare le statue antiche per quanto belle fossero, perchè a questo modo non avrebbe mai fallo un" opera originale . Ma il Canova, osservando at- tentamente le opere belle della natura e dell' arte, imitò il metodo degli antichi, e si è formato quel genio originale ch'essi avevano acquistato collosservare at- tentamente le opere belle della natura e dell' arte. Ogni qual volta il Canova volle far opere simili ha sapulo dare a ciascuna un carattere nuovo ed origina- le, alle volte supcriore alle opere degU antichi maestri .

Lungi dunque dall' insistere a volere che gli artisti seguano esattamente le stabilite leggi delle proporzioni armoniche, siano essi pinttoslo indotti a osscr-

vare molte opere belle con quell' attenzione che sola può far loro acquistare r abitudine di siiidicar rettamente e di determinarli come fosse un fulmine ad operare ed accozzare all' improvviso le singole parti con quelle proporzioni più giuste, che nelle diverse opere simili ha fatto in loro maggior impressione, ed ha concorso ad accrescere loro il senso grato nell'atto di osservarle. E già verissi- mo che seguendo esattamente le regole stabilite, gli artisti spesso compariscono soltanto copisti, ed alle volte ancora cattivi copisti appunto per non essere da sh giudici dell'armonia nelle proporzioni. Quello però che in ultimo luogo deve- si avvertire è, che il senso grato d'un' opera bella, che si osserva o che si vuol eseguire, può non corrispondere alle proporzioni del tutto armoniche tra le im- pressioni preponderanti fatte ne' nostri sensorii dalle diverse parti dell'opera stessa. Esso senso alle volte può corrispondere a slmili proporzioni nelle impres- sioni preponderanti, che in massa sono contemporaneamente ricevute e trasmes- se al centro massimo ed al cervello . Una pretesa scoperta di nuovo metodo o di nuova riunione di proporzioni, un applauso ottenuto per la sola novità intro- dotta può eccitare l'azione del sistema nervoso tutto, sino a produrre, come ac- cennai, quell'alternazione regolare, ma più forte del solito, dei moti della respi- razione e della circolazione, per cui il senso grato sia associato alle impressioni d'un' onera che si osserva o che si eseguisce, la quale senza quelle circostanze non avrebbe prodotto un senso grato distinto . Simili circostanze rendono ragio- ne del Bello relativo, e molto più del capriccioso, di moda o irragionevole, co- me nelle affezioni stesse co' nostri simili o con altri ogjjetti esterni nascono le simpatie strane, e non generalmente corrispondenti alle impressioni di oggetti simili .

Alla pag. 25 1 del primo saggio di osservazioni, pubblicato nel i'j92,ho scrit- to che essendo abituati ad alcune serie d'idee e di moti conseguenti arriva che le une e gli altri si succedano così rapidamente che 1' anima non percepisce cia- scuna di quelle, e non è conscia della sua determinazione per ciascuno di questi moti . Aggiunsi poi che quando 1' anima fa attenzione ad alcune idee e ad alcuni moti susseguenti può rendere la riproduzione così pronta che in seguito le sem- bri succedersi esse senza le intermedie, che in fatto devono riprodursi come causa le une delle altre . Dissi precisamente : « Il piacere di raccogliere dinaro dipende « dalle idee che si riproducono nella mente dei piaceri o comodi ottenibili con » questo mezzo, e però quando l' anima vede il dinaro l' idea corrispondente ri- " sveglia le idee delle cose che si possono procurare con esso, e queste idee o « le corrispondenti impressioni riprodotte mettono il cervello in quello stato per cui viene a lei eccitata una grata sensazione . Ora se alla vista del dinaro il !i cervello passa rapidamente a quest' ultimo stato , e l' anima non fa gran- « de attenzione che a questo, è facile che ella si abitui a connettere la sen-

n saziòne grata coli' idea del dinaro, e trovi realmente piacevole la possessio- n ne di questo » . Aveva già scritto precedentemente che il piacere recato ad un amante da un pezzo di carta scritta dalla sua bella o da tutt' altra cosa indif- ferente certo in altra circostanza dipenda dalla riproduzione nel suo cervello di quello stato in cui trovavasi allorché vicino ad essa contemplava le sue grazie e bellezze .

Per quanto dunque io creda non convenire, pure nelle belle arti, d' insistere rigorosamente sulle regole lissate da alcuni gran maestri, ma essere più utile che iniziandi osservino da se, e si abituino a gustare il Bello nelle opere della natura e dell'arte, io sono sempre convinto delia necessità di far attenzione ad alcune accessorie circostanze che possono far giudicare belio e preferibile quel- lo che non è infatto, e che in generale ai buoni conoscitori non comparisce tale. Ma sono io tra quelli che si compiacciono e giudicano bello un lavoro per qual- che circostanza estranea al lavoro medesimo? In ogni modo non conviene più oltre abusare della pazienza di chi mi ascolta. Io sarò molto contento se, confer- mando che il fisiologo può penetrare e render ragione delle azioni delie facoltà intellettuali senza cadere in proposizioni giustamente riprovate, comparirà anco- ra che abbia indicate alcune applicazioni utili a rendere più sicuro e più energi- co il senso del Bello.

Z'ji

INTORNO AL PIÙ UTILE MODO

DI APPLICARE LO STUDIO DELLA GRECA FILOLOGIA ALLA INTERPRETAZIONE DI OMERO

DISCORSO

DELL' AB. GIO. LUIGI BELLOMO

PROFESSORE DI LETTERATURA CLASSICA LATINA E DI FILOLOGIA GRECA.

NEL R. LICEO CONVITTO DI VENEZIA.

SEGRETARIO DELLA CLASSE PER LE LETTERE.

Jjenchè sèmpre grande e sempre yenerato nome quello sia di Omero, a cui l'età nostra coltissima il vanto confermò di sommo fra i poeti: ciò nondimeno r esibire presentemente a voi, dottissimi membri dell' Ateneo veneziano, alcune osservazioni intorno a' di lui poemi, può sembrare argomento men conveniente, percbè troppo reso ormai trito, e perciò meritarsi la nota taccia del Satirico : Occidlt miseros, crambe repetita, magistros. E chi di fatti ignora i nomi di tanti filologi , 1 qnali dalla più rimota antichità fino a" di nostri diedero opera ad illustrare questo poeta? e chi non fece plauso a'riputali lavori d'un Hejne e del Wolff, per cui in questi ultimi tempi sembra che siasi portala la critica omerica al più alto suo grado ? Senonchè qualora ri- fletter vogliate allo scopo particolare, che in questo lavoro mi prefiggo, ed alla di- versità de' mezzi eh' io mi propono-o di adoperare ; forse comparirvi potrà, quasi direi, nuovo il divisamento, e non mai per lo innanzi tentato . Il motivo prin- cipale perchè generalmente i pih de' giovani studenti, ed anche delle colte per- sone rifuggono dalla greca filologia, considerata a tutto rigore come studio di lingua, egli è, perche raggirati senza termine fra le spine delle grammaticali minuzie, non veggono qnal se ne ricavi utilità da cotanta fatica, e quindi si af- frettano al più presto di uscire dall' intricato gineprajo , abbandonando per sempre si lungo ed incomodo studio :

Inconsulti abeunt, sedcmque odcre Svblllac . 35 l J

Ciò per altro non avverrebbe, qualora con mano toccar si facesse, e co' fatti espprimcntare che la greca filologia, considerata appunto come stndio ili lingua, si annoda per mille rapporti colle lettere, colle scienze e colle arti : e che per- ciò sta in perfetta armonia co' bisogni e cogl' interessi della presente sociale cultura. Questo sarebbe appunto ciocche io mi proporrei di fare nella spiegazio- ne de' poemi di Omero, intrattenendo gli studiosi in una serie di osservazioni, che sempre si riferissero a qualche ramo della nostra letteraria e scientifica cultura, della quale non evvi al certo persona alcuna bennata e gentile, che non brami adornarsi la mente . Omero trascegliesi poi a preferenza d'ogni altro gre- co autore; e ben a ragione: perciocché noi consideriamo anche oggidì questo poeta quale stiniavalo a' suoi tempi Vitruvio, poetarum parc.nlem^ pliilologice- Cjue omnis diicem : ed è quegli altresì, che più forse di ogni altro, si è sempre cercato di tradurre convenientemente in italiano . Ora ecco il modo col quale parnii, ch'estender potrebbesi sopra una materia non nuova un nuovo corso di lezioni . Premesse poche compendiose notizie delle quistioni che si agitano og- gidì da' dotti, specialmente di Germania e d'Inghilterra, intorno alla persona di Omero, all' autenticità de' di lui poemi, ed all'indole della lingua da lui adopra- ta : offrirei ad argomento delle diverse lezioni i passi scelti e più pregevoli dell' Iliade, quelli cioè, che dal concorde suffragio di tutti i secoli vennero sem- pre riputati come altrettanti tipi del bello incontrastabile ed universale per tut- te le più colte nazioni . Vi si dovrebbe porre innanzi il sommario del libro in- tero, affinchè piìi facilmente potesse intendersi il tratto scelto, qualora veggasi quale anello formi dell' azion principale, e come stia ne' suoi rapporti col tutto . Oo-ni lezione poi dovrebbe cominciare del leggere il passo dell' originale nuo- vamente trasportato in volgare con una traduzione inerente al testo quanto più potrassi fedele, la quale verreblie confrontata a quando a quando colla versione pur prosaica o del Cesarotti, o di qualche altro celebre traduttore . Appiè di questo volgarizzamento dovrebbe porsi una tavola sinottica delle osservazioni puramente grammaticali, per non lasciare digiuni coloro che fanno incetta uni. camcnte di così fatte ghiottornie . Siccome però a giovani si parla nello studio elementare della lingua ormai dirozzati; così basterebbe ristringere queste os- servazioni alle parole meno ovvie, ed a quelle metamorfosi di voci le più stra- ne, e che più le deviano dalla loro radice, o che con altre in apparenza simili, le confondono . Bensì questa parte della lezione ad un utile ed insieme dilet- tevole esercizio di critica potrebbe spesse volte somministrare occasione. I poe- mi d" Omero: e 1 Iliade particolarmente, a noi trasmessi per mezzo della serie di tanti secoli, passar dovendo ora per le mani di presuntuosi Aristarchi, ora per quelle di Zoili villani, e soffrire l'onte della barbarie de' tempi unite a quel- le della ignoranza de' copisti ; soggiacquero a notabili alterazioni sia nella mu-

«75 tazione di alcune voci, sia nella collocazione de' versi, ed anche per cagione d" interpolazioni. Profittando pertanto de' lumi, che ci somministrano i più re- centi filologi ; qualora avvenga, che il passo da noi spiegato nella lezione sof- ferto avesse alcuna di queste alterazioni, non solo esser dovrebbe nostra cura quella d' indicare le indagini de' critici più accreditati ; ma ben anche fattone un ragionato confronto, trascegliere la miglior lezione . Siffatto esercizio var- rebbe non solo ad aguzzare f intelletto nella critica puramente letteraria, ma contribuirebbe pur anche ad uno scopo più sublime, a vie più sviluppare ne'glo- vani la stessa facoltà ragionatrice, praticamente addestrandola in questa dotta palestra .

La seconda parte della lezione dovrebbe comprendere lo studio ragionato dell'etimologie . Siffatto studio è appunto d'una primaria utilità, perchè apre un fertile e spazioso campo alle meditazioni del psicologo, immedesima, per cosi di- re, la lingua greca colla latina e colla italiana, la innalza ad essere compagna ed ausiliaria delle nostre scienze e delle arti nostre, alle quali anche oggidì è in possesso di somministrare i più acconci ed espressivi vocaboli . Ne già alcuno havvi tra voi, coltissimi accademici, il quale appien non conosca quanto sia no- bile ed importante agli occhi del filosofo pensatore l' etimologico studio . Men- tre pel grammaticuzzo tutto questo suol ridursi a scrupolosamente notomiz- zare i casi, i tempi, i temi, le radici, l'eccezioni; al filosofo porge i mezzi, onde risalire a' principil stessi della umana natura, ed alla considerazione di quella hngua, che il chiarissimo Cesarotti chiama » iiicoata^ e in un certo senso unifor- » me, la quale servì di base comune alla immensa famiglia di tutte le lingue » dell'universo: e della quale gli eruditi di alta sfera scopersero in ciascheduna » Iraccie profonde e sensibili --^ .

Ciascuno pertanto de' tratti omerici,, de' quali si è premessa la litteral traduzio- ne, potrebbe fornire per la seconda parte della lezione un numero scelto di vo- caboli, i quali si dovrebbero decomporre in quegli elementi primitivi, ne' quali appunto spesso riscontrasi la più meravigliosa analogia tra la lingua greca da un canto, le lingue orientali e le celtiche dall'altro. Qui cadrebbe in acconcio l'esaminare quelle voci, che il soprallodulo Cesarotti, chiama giustamente ter- mini-figure per distinguerle dalle altre, eh' ei chiama termini- cifre . Quelle pri- me non devono passare inosservate, appunto perchè risplendono d'una bellezza tutta lor propria, la quale nasce dal rapporto, eh' esse hanno coli' oggetto , che significano. E quanto da questo Iato non rilucerà la bellezza delle parole gre- che adoprate con inarrivabil maestria dal

« Primo pittor delle memorie antiche " ?

Fatte queste preliminari osservazioni sugli elementi costitutivi di quella data Toce, si dovrebbe in secondo luogo passare ad esaminarla ne' suoi varil signifi-

376

cali, i quali ricevellc dall' uso in tempi dirersi, ma die sempre più o meno si avvicinano, o si riferiscono per qualche legame a quella primitiva idea, di cui era slato segno il vocabolo nella sua origine antica. Egli è da questo lato, che lo studio dell'etimologia acquista un nuovo grado d'importanza: giacche le pa- role a cagione principalmente delle diverse idee, di cui passarono ad esser se- gni in tempi diversi, equivalgono per la storia degli umani pensamenti a ciò che sono le medao-lie e le iscrizioni antiche per la storia de' fatti . Indi converrebbe discendere ad osservare, se quel dato vocabolo sia stato ricevuto nella lingua latina ed italiana, e in qual significato . Siffatto esame sarebbe da farsi con una particolare accuratezza appunto perchè trattasi di voci, le quali, secondo l'uopo, si usano di sovente anche oggidì dagli autori, allorché vogliono comunicare agli altri i concepimenti della loro mente in fatto di scienze, lettere ed arti . Per la qual cosa, se di voce trattasi adottata dalla lingua latina, dovrebbe distinguer- si in quale tra le diverse età di detta lingua sia stata introdotta ed in qual senso usata da^li autori di quell'età: indi esaminare, se siasi introdotta nella italiana favella passando pel canale della latina: oppure se direttamente gli scrittori ita- liani abbiano attinto al greco fonte. Comunque poi sia, sempre gioverebbe l'avver- tire, se questo vocabolo trovisi già registrato nel dizionario della Crusca, oppu- re se o-iri in corso, solamente perchè venne autorizzato dall' uso. Da un tale esa- me tre vantaggi ricavare potrebbonsi quanto a ciò, che presentemente forma il soo-irelto dco-li studii, e l'argomento della lettura d'ogni colta persona: i.° Po- trebbesi aumentare il dizionario etimologico di tutti i vocaboli usati nelle scienze^ arti e mestieri,^ che traggono origine dal greco ^ già compilato in Milano l'anno 1 8 1 9 ; il quale comechè offra raccolte 1 5,ooo voci di questo genere, manca ancora di molte non meno necessarie ed usitate di quelle, che vi si trovano registrate: 2." Potrebbcsi cooperare all'impresa del cav. Monti per la sua applauditi^ Pro- posta di alcune correzioni ed aggiunte al vocabolario dalla Crusca^ per quan- to ris"-uarda a voci italiane prese dal greco, e che sfuggite pur fossero al guar- do linceo di questo sommo letterato e poeta: 3." Potrebbe somministrarsi non iscarsa suppellettile di vocaboli greci, ammessi bensì dall'uso di riputati italiani scrittori, ma non registrati nella Crusca, a' dotti e diligenti compilatori del di- zionario della lingua italiana^ che si va stampando attualmente in Bologna do- po l'anno 1819 ; tanto pih, che da essi « restano invitati i letterati a voler aju- « tare quell'opera col loro consiglio e colle loro fatiche ».

La terza parte della lezione comprender dovrebbe un esame critico delle più celebri traduzioni di Omero . Avendo infatti già conosciuto il senso inerente al- l'orio-inale nella prima parte , ed avendo nella seconda valutato la forza di alcu- ne più notabili espressioni: riuscirebbe ormai più agevole l' instituire un confron- to critico de' varii modi, co' quali 1 più riputati traduttori sonosi sforzati di ren-

»77 dere latine od italiane le oniciit lie Li-llczze. Ne già con questa censura delie trarluzioni pretcnderebbesi di derogar punto al merito di ciascun de' traduttori . Non h certo vergogna il snccumbcre per chi vuole ad Ercole strappare la cla- va, ed armi adopra di tempra mcn lina: giacche non può, se non chi acciccar si lascia da uno smodato amcr patrio, ritrovare forze eguali tra il greco e l'italia- no lino-uaTgio. In (juesti due casi solamente noi crederemmo di poter a buon dritto tacciare il traduttore: i." Quando la propria lingua somministrar poten- doci delle equivalenti espressioni, egli le abbia trascurate: 2.° Quando abbia acro-iimto o sottratto arbitrariamente con discapito dell'originale . Da un tale

no IO

esame critico intorno alle traduzioni, bensì ne potrebbero derivare due utili conseguenze. La prima che s'indurrebbero i giovani studiosi a non trascara- re cos\ facilmente la greca fdologia, considerata pure come studio di lingua ; poiché si accorgeranno di quanto rimanga scemato il diletto, allorché sono co- stretti di mirar le bellezze di Omero nelle traduzioni, quasi attraverso di altret- tanti vetri colorati, che ne alterano e scompongono i lineamenti più delicati e ca- ratteristici. Avvedrebbonsi col fatto, che per quanto siano lodevoli gli sforzi de' più valenti traduttori, il leggere Omero, quale essi cel presentano, è come (siami permesso di qui citare questa spiritosa immagine di Cervantes ) « se ri- " sguardassero al rovescio i tappeti di Fiandra , dove sebbene si distinguano le n figure, sono però sempre piene di fila, che le imbrattano, e non si scorgono » cos'i appariscenti, come nel contorno " . Il secondo vantaggio che per ogni col- ta persona dee sommamente apprezzarsi, egli sarebbe il perfezionamento del proprio gusto . Questo non potrebbe non raffinarsi naturalmente coli' avere sotto agli occhi i passi più scelti di Omero, in cui le bellezze sono tutte schiette e natie, scevre da ogni ammanieramento ^ come pure coli' esercizio di doverle spesso analizzare parlitamente, onde decidere con fondamento se abbiano i tra- duttori anche più valenti colto nel segno. Più intimamente altresì giunger po- trebbesi a conoscere l'indole della lingua italiana, e l'estensione reale delle sue forze, confrontando insieme le migliori espressioni, colle quali garego-iarono fra loro i traduttori, procurando tutti di superarsi a vicenda nel medesimo arringo. Quale sia la più felice e la più acconcia espressione apparirà appunto più chia- ramente colla forza de' confronti, nella stessa guisa, che agli occhi tostamente risalta la maggior vivacità e leggiadria d' un colore, posto in vicinanza ed in graduazione cogli altri .

Omero fu poi per tutte l'età del Lazio, che dellltalia, quel poeta la cui lettura sempre giovò quanto mai a sublimare la fantasia, ed.a porgerle il suo più gradito nutrimento :

« Adspice Maconidcn, a quo ceu fonte perenni •5 Valuni Pieriis ora riganlur aquii.

i^8

Parecchi traili plb belli dell'Iliade hanno servilo di modello ai poeti latini ed italiani, e talora anche rivestiti d'abbigliamenti o Ialini od italiani, compaio- no a formare una parte ricca e brillante nelle loro poesie . Allorché pertanto queste imitazioni s incontrino co' tratti da noi trascelti per argomento della le- zione dovrebbero aggiungersi a costituirne 1' ultima parte ; ed in questa ci fa- remmo a pouderare con qual felicità di successo siansi trapiantati questi fiori di suolo straniero nel Ialino, ovvero nell' italiano Parnaso . Una siiTatta disami- na non solo tornerebbe per se stessa dilettevole mollo; ma di nuovo varrebbe insieme per altra via a perfezionare il senso del bello , giacche insegnerebbesl col fatto stesso, come si possa dalla lettura de' classici libare i succhi migliori, onde trasfonderli ne' propri letterarii componimenti .

Quando pure scritto venisse un corso di lezioni col metodo indicato, le quali a tutti si estendessero i punti di vista teste considerati ; allora si, che rimarreb- be, se mal non m'appongo, sbandita la noja e la sterilità sinora compagne indi- visibili neir insegnamento della greca filologia, considerata semplicemente come studio di lingua. Omero basterebbe egli solo a conciliare gli animi avversi, of- frendo argomenti ognor nuovi di utili e dilettevoli lezioni. Per siffatta guisa e il puro ellenista, e r erudito profondo, gli studiosi delle belle lettere e delle belle arti , i dotti che professano le scienze pili gravi ed austere, e finalmente qualunque siasi persona vaga soltanto d" una lettura amena sarebbero per ritro- Tare un intrattenimento adatto a' loro ingegni diversi, ed un cibo gradito al gu- sto di ciascuno d'essi. Parrebbe conseguentemente, che se per cagione de leg- gitori noi ci tnjviamo nel caso medesimo notato dal Venosino lib. 2, ep. 2:

prope dissentire videntur

Poscentes vario multuin diversa palato ; 1' esito nondimeno non dovrebbe essere il medesimo:

« Quid dem? quid non dem ? renuis tu quod jubet alter : " Quod petis, Id sane est invisum, acldumque duobus .

Siccome però altro è il vedere un nuovo metodo solamente in teorica e per astrazione, ed altro è il vederlo posto in atto, e praticamente adoprato ; così non isdegni la gentil vostra attenzione, o accademici, di osservare il mio divisa- mento vie meglio dilucidato in un abbozzo di lezione, nella quale prendo a spie- gare il celebre passo di Omero, dove si dipinge Apollo saettante il campo de' Greci . Questo io lo sottopongo alle saggie vostre rillessioni, diviso appunto nelle tre parti, ch'essenzialmente compor dovrebbero, come ho già detto più sopra, r intera lezione .

*79 PARTE PRIMA.

// volgarizzamento littcrale .

Lib. ». della Iliade dal v. 43 al 5j.

Sf^ itpar iv\S(JLCvoi;' ^' sx?\ve <t<o7lSoi A7ró>\X&'/. Bi) Sf KctT ny^vfÀTroio Kstpl/juav xecófiCAioz xHp, To^' ufjLCia-m f^^" ocfjnpmpeipfaTe (fcpérplw, E'x.>oiy^a' K ap ' oigoì Ìtt uyiuf )(^ùìO(/.ivcto , Alili xivvi^cJtvi;' Ò 8' n'/'f fvxTi foiKù)/;.

Aetvri le x.?\ayy^ yfver apyvpéoio (Stelo . Otypif; IJiìv 7rpòÌTVf E/ra;^erp, ìy K'Jj'cti; ap5 a ? , Avmp ÌTTeiT avitÌTi /SeAo^ ensTrsoxìi; A(fieÌ!; BaA?i'. «/« 8f TTVpoit vexveni/ naionv Sra^.etatl .

» Cosi disse orando (cioè il sacerdote Crise); lo udì Febo Apollo: e tosto » scese dalle cime d'Olimpo, adirato in cuore, l'arco avendo sugli omeri , e la « d' oo-n'-intorno-chiusa faretra. Risuonavano-acutamente i dardi siiffli omeri « dell' adirato nel mentre egli moveasi : ed el venia simile a notte . Quinci col- ri locossi in disparte dalle navi, e vibrò lo strale: terribil suono ne uscia dall' ar- n fi-cntco arco. Prima colpiva solo i muli ed i cani veloci; ma di poi la saetta « (li-amarczza-ripicna drizzando contro gli uomini scoccava, ed ognor pire di ca- » daveri ardeansi molte » .

Ommesse le picciole differenze, che potrebbero notarsi tra il sopra riportato voliiarizzaniento, e cpiello già conosciuto del chiariss. Cesarotti: una soia è pe- rò troppo notabdc, perchè non sia qui degna di essere avvertita, ed è al verso 48. ^'ì^er STTur asrov'cst^f hcÒp . Il soprannominato traduttore colla comune de- gli altri spiega in tal guisa: « si assise poscia in disparte dalle navi ". Ma come mai, se descrivcsi Apollo, che avvampante di sdegno scende dall' Olimrio per vendicarsi sopra i Greci, il Nume eoniincierebbe poi la sua vendetta coli" assi- dersi? ^'^Ofxcu e uno di que' verbi, che hanno più faccie, e diverse dilicate modi- ficazioni di significato . Peraltro quando riflettasi, eh' E"^o/ua< viene dalla radice 16, porre^ si può inferire, che nel suo significato racchiude questo verbo una relazione al collocarsi.^ porsi in situazione . Disse pur ottimamente Ugo Fosco- lo sopra un tal passo . . . . i. ^^o(xau e verbo solenne in Omero, e lo assegna a « tante e diverse situazioni di animo e di corpo, che il nostro sedere, menoab- n bondantc di significati propri e traslati, tradirebbe le più volte 1 inlcndimen-

i8o

» to del poeta qui significa piantarsi deliberatamente . Chiunque vide la

5) statua di Apollo saettante Immagini distintamente 1' aspetto e le mosse del » Febo Omerico » . Senonchè per riguardo alla prima parte della lezione, basti ora , o signori , questo picciolo saggio, giacche temerei d' abusare della vo- stra pazienza, se piìi alla lunga su tale argomento proseguissi il meno adatto a meritarsi da questo luogo la vostra attenzione .

PARTE SECONDA

Studio ragionato cT etimologie ,

I.

Comincieremo primieramente dall' esaminare il senso preciso de' due vocabo- li <Ìoi^o(; ATro'X>\coii , associati insieme, locchè a prima vista parrebbe una mera tautologia . ^o70oi; però è composto delle due parole ipoimeo , andare spesso , e (Sta con forza, con impeto ; ma ipotmca anche significa insanire^ e perchè sap- piamo che insania e furore erano 1 segnali di quella inspirazione, che preve- deva il futuro, et rabie fera corda tument; cosi ^oì/So^ passò a significare in Apollo appresso i Greci, ed anche appresso i Latini V attributo di prevedere, o predire 11 futuro . Quindi VirgiHo nel 3.° dell'Eneide:

4i Quae Phoebo pater omnipotens, mihi Phoebus Apollo " Praedixit, vobis Furiarum ego maxima pando ; Pare, che propriamente chiamassero Phoebus il figliuolo di Latona, ogniqual- volta significare voleano il potere di vaticinare 11 futuro: alla quale supposizione è favorevole anche questa strofa del lirico latino nel Carmen seculare. u Augur, et fulgente decorus arcu » Phoebus ctc. Egli è però da notarsi ancora , che potendosi decomporre (poìfioi; nelle due vo- ci (pà><; luce, e /S/o; vita, significherebbe allora luce della vita metaforica deno- minazione, la quale forse dopo i tempi di Omero valse a fare, che si attribuisse a questo nume medesimo anche il cocchio del sole. Quanto poi all' altro termine ATrÓTkuy-, ommettendo tutte le altre etimologie, quella adotteremo, per cui deri- vandolo da óXXvfjii Significa far perire^ distruggere; locchè ben conviene al fi- gliuolo di Latona, comi; uccisore del serpente Pitone, e come quegli che tante stragi far potea, vibrando 1" arco terribile d'argento, e tra le stragi la pe- ste, che allora appunto recava 1' esterminio a' miseri Greci sotto le mura di Tro- ja . Per altro nessuna delle addotte etimologie piacerebbe all' eruditiss. mons. Bianchini, il quale nella sua storia universale provata con monumenti mostra-

si favorcTole ad ammettere, che A-to'^àoi; significhi il nome incerto di persona, che anticamente inventò lo splendore della facella, ricavandolo da ebraiche fon- ti cioè. da. ""jlVs M/i certo, e facendo derivare da i^'' splendore il nome diFebo, ed il vcrbo^a'fi; splendere, onAa :fa.iniv si di(;c ancora il Sole, tfax appresso di noi la facella. Così A,pollo Plioebus sai'ebbe un cerio inventore della facella ^

^.

kfjitpyifKpian (paperlui . Sono arabednc vocaboli, pe'quali resta veramente scoK pito l'oggetto ; ipxpiTpct è composto da if/pa portare, e da Tpcóa) ferire, dal quale il francese idioma conserva anche oggidì il suo trouer. A^^inpfipw; poi, che si- gnifica da ogni intorno .( a,ix<pì )^ chiuso o coperto ( ep/;p<y ) ; vale precisamente a porci la faretra sotto agli occhi da ogni altro oggetto distinta. Faretra k fa- retrato accolti dagli scrittori latini dell' età d'oro sono pure ricevuti come ter- mini di pretta lingua italiana, giacche trovansi sanzionati dal vocabolario della. Crusca .

IJI

ÉtXcty^oui . È uno de' termini i piìi espressivi nati dalla onomatopea ca/, c/ffj comune a molte lingue, per cui esprimesi.un suono acre, penetrante ed acuto, quale esser suole lo strido delle aquile, delle gru, o di altri consimili uccelli . Dalla voce KXa^ai. gli scrittori latini dell" età d' oro ricavarono con poco divario clango, clangor, classicum in signilicato di tromba o di corno . Clangore e vo- ce pur passata nella lingua italiana, e che già trovasi registrata nel vocabolailo dellii Crusca .

IV

Tó^oy e pure formato da una primitiva onomatopea, che trovasi anche in al- tre lingue, in cui la lettera t, accompagnata dalle sillabe ac, «jt, e simili, espri- me tuttocio, che manda suono di ripcrcuotimento : e quindi pure nell' ebraica favella C)?fl percuotere . La voce iv^oy originariamente signiljca freccia.^ ed qnche arco ; ma la sua parola derivata ti^ikoi passò a significare veleno ; onde Plinio 1. 16. Hist. Nat. « Sunt qui et toxica bine appellata dicunt venena, >i tjuae nunc tosica dicimus quibus sagittae tinguntur '> . Il vocabolario della Crusca accettò la voce tossico^ ma potrebbe aggiungervi tossicologia^ voce oggi- dì universalmente adoprata per significare trattato de' veleni: ne rifiutare tossi- codendro^ voce, colla quale i botanici chiamano " un albero dell' America, il

» cui odorato o toccato avvelena » .

36

202

Nfitr/. Già yò^ ^t;xTO^ si è il nox de' Latini ; ma sarebbe di quella clas- se, che il chiarissimo Cesarotti chiama termini cifre, perchè difatti neppur la greca linr^iia non ci offre nessuna spiegazione di questo vocabolo per riguar- do air idea, di cui è segno. Qualche erudito crede bensi di ritrovarlo nella hn- gua celtica ; giacche secondo il di lui insegnamento, presso i Celti il monosil- labo ni significava luce^ ed x, ovvero s esprime fuga^ ovvero assenza. La greca voce vv^ , venne preferita alla latina in molti composti, adoprati parti- colarmente nella storia naturale . Nycticorax ( tvKTiMfa^ , xopa^ coirò ) fu da prima voce di latinità barbara : ma poi dagli scrittori di storia naturale adottata per indicare « uccello notturno di crocidare spaventoso e lugubre » ; voce che trascurata dal vocabolario della Crusca leggesi registrala nel diziona- rio della lingua italiana compilato in Bologna. Avremmo però desiderato di ri- trovare del pari in questo dizionario nittalopi per significare quella malattia di occhi, che impedisce il vedere di giorno, nia non già di notte . Questa voce tro- vasi reffislrata nel dizionario etimologico di vocaboli, che traggono origine dal greco ( composta da vi/^., ed ÓTrnfxou vedere ) : e presso i Latini già nictalops cominciò ad essere adoperato a' tempi di Plinio e di Prisciano, il qual secondo lo usa nel sopra notato senso . I piii recenti scrittori di botanica hanno an- che introdotto nittagia ( ctyctì condurre ) per significare u una pianta, i cui fiori » si dilatano durante la notte « e nittante {vv^ ed olv^oc; fiore ) per significare « quel genere di piante, di cui una spezie porta i fiori, che apronsi sul lar della !) notte, e cadono sul mattino » . Ma già altri vocaboli pure sarebbero da indi- carsi, composti dalla voce vù^ se amor di brevità non mi costringesse a passarli sotto silenzio.

VL

*'«&*'. Il termine ovatv'\co veèov àa. vaZq, róiv^ ci ricorda tosto ciocche osser- varono alcuni filosofi , spiegando la formazione meccanica del linguaggio pri- mitivo, cioè che colla liquida ;2, gli uomini cominciarono dall' esprimere le cose, che agiscono sopra materie scorrevoli e liquide; e quindi anche nell'ebraico linguaggio rrjN nave . Dal greco passò nel latino , e quindi nell' italiano larga copia di vocaboli, che per ora trasando tutti, siccome troppo noti alla vo- stra erudizione ; ma non lascio però di osservare, che la stessa voce nocchiero è tutta greca ycti'K?\iìfio^. Già abbastanza il cav. Monti nella celebre sua proposta ha dimostrato intorno a questa voce, quanto cerna malamente il Frullone . Or qui basterà, che noi notiamo il preciso significato di questa voce nella lingua.

a83 a cui i Latini Jcll' età antica la involarono 1 primi, e quindi gì" Italiani segnen- Jo il loro esempio. N^Jx^Mpo; vale propriamente chi possedè la nave^ o n è il padrone ( x^ijpo; eredità, possesso): onde citasi quel passo di Plutarco: tctù- 7W- ficv ex'XìyeTOLt KV/Sipe^m^, Kott x.u/5epy>{T^jju ravK>^eipo; , Qui pure avvertire potrebbonsi i giovani particolarmente studiosi di scienze politico-legali sul par- ticolar senso o distinto, che nell' editto politico austriaco si attribuisce alle due voci nocchiero e pilota : giacche « Pilota è quel desso, che presiede al go- » verno del naviglio dalla poppa fino all' albero di mezzana ; ed il nocchiero pre- n siede dall' alber di mezzana sino alla prora ". Finalmente suggeriremo a' dot- ti compilatori del più volte citato dizionario etimologico di vocaboli che trag- gono origine dal greco che colà vi aggiungano nocchiero^ ommesso certo per dimenticanza, non già, perchè non sia uno de vocaboli i più necessarìi ed usila- ti^ che affermano di avere colà raccolti.

VII.

etfyvpe'oio. L'argo argentato di Apollo ci somministra per ultimo occasione di osservare la voce o apyvpuc da cui deriva, colla quale tiene tanta parentela la latina argcntum . Solamente però dalla etimologia della greca impariamo, che venne così denominato questo metallo da una delle sue qualità, che n' è la più appariscente, cioè dal suo candore, mdicatoci da a.pyè(; bianco^ donde pure per la stessa ragione ricavossi Jpyi^^oi; , dpyi)ì^oi;, argilla. Colla voce dpyvpot; sono- si formati molti composti, che devono essere osservati . Argiraspide è termine storico non registrato dalla Crusca, bensì dal dizionario italiano di Bologna per indicare i soldati macedoni che portavano scudi ( eterni e, scudo ) d'argento. So- no poi bellissimi composti idrargirio e litargirio, de' qnali Plinio il naturali- sta arrichì la lingua latina: il dizionario poi della Crusca non degnò d'acco- glienza che il solo litargirio o litargiro . Furono ben più benigni i compilatori del dizionario di Bologna, i quali nel registrare Idrargirio, ci resero avvertili insieme, che già questo vocabolo adottato venne dal celebre Torricelli in una delle sue lezioni . Leggesi pure notato in quel tlizionario argirocomo., come ter- mine astronomico, ed aggiunto di cometa « che ha il colore della chioma ar- « gcntino « . Due voci inoltre di storia naturale meritano d' essere considerale, argiropo per significare una spezie di pesce, che ha l'iride de'suoi occhi ( ài " (i)7Tè(; occhio ) argentina : e per ritornare alla stessa omerica desinenza argi- I^JO; colla quale significasi u un genere di jiianle cosi dette per le loro foglie » di un bianco d' arjrento " . Alle ouali voci aTo-'uinTcremo arfriria.. come termine di medicina, che si « a quella spezie di cateratta bianca, mollo risplcnden- n te, per cui chiamasi anche argentina " . E qui, ne longo sennone morer tein-

pora^ benché molto ancora rimarrebìje da mietefe, do fine a questa parte della lezione, che contener dee lo studio ragionato di greche etimologie.

PARTE TERZA

■Saggio critico delle traduzioni.

I.

Thaduzioite del CuJriCHio^,

») Talibns orantem Phoebus, fletusque clentem . Audiit, et summi celso de vertice Oljmpl Obscuro fàciem nimbo circumdalus almam Descendit : non ille arcus, pharetramque decoram Oblitus, non tela humero quae mota sonabant Turbidus obstantes lapsu dum trajicit auras. Ut venrt, classi adversus conscendit, et acrem Contenditqae arcumtorvns, celereraque sagittam Expulil, inde aliam atqne aliam : striduntque.^ volantque Tela Dei, horrendumque àrgenteus insonat arcus . Principio celeresque canes, montanaque stravit Jumenta, hinc ipsos jaculis incessit acutis Funera funeribus cumulans, semperque recenti igne pyrae latos passim fulsere per agros .

Applaudiamo pure, se cos'i piace, al versificatore elegante , che tutta 6i fa sentire la magniliccnza e T energia della lingua latina, ma non possiamo tribu- targli uguali encomii, qualor lo si risguardi come fedele traduttor di Omero . Versi 1 4 «'■gli impiega per tradurne dieci soli di Omero : ciò basta a farci presentire, che 1' omerica rapidità, pregio caratteristico d'una narrazione, ver- rà ritardata con intoppi, « caricata di voci superflue . Inutile è primieramente aacì Jletus/jue cientem già espresso dall' originale nel verso precedente coW (fxa* Ja'xpfa: e da lui Stesso \xSiàoX\.o : luat miseri idcrimas., luctum/jue parentis . Veggasi poi quanto siano oziosi i due epiteti sictrmii olympi., celso de vertice: Omero semplicemente nap'uMcoii ^TwiÀTrion . Obseurofaciem nimbo circumdatus almam descendit esprime con un equivalente l'omerica immagine : .'§' y,'ii ivxrt eomui; : ma non ne ha la sublimità : oltreché è collocato arbitraria mente , pri' »na che si descriva come Apollo fosse armato, con effetto infelice . Non ille oh-

285 litiis arcus si riferisce al to^' dfxoitnv ix^" bell'originale ; ma quanto inoppor- tunamente non ne inclebolisce 1' idea ! Quanto poi non nuoce alla semplicità ed alla vivacità dello stesso il tradurre eLvii xivh5c*'tc^ con un verso sonoro, ma carico di oziose parole! turbidus obstantcs lapsu dura Irajicit auras. Si accumula- no poi diiiuovi gli aggiunti soperchi: iitvcnit^ ton'iis^ acrew., cclerem.^ epiteto che dato a sagittam^ si ripete due versi dopo, dandolo a canes. Sembra a prima vista terribile questo tratto, ond' esprimesi 1' atto di lanciare le freccie micidiali : cc- leremque sagittam expulit, inde aliam atque aliam, striduntquc, volantque tela •Dei: ma se questa pittura ben converrebbe ad un Messenzio, ad un Turno, ma- le si addice ad un nume di primo ordine, che ottiene lo scopo della sua vendet- ta con quel semplicissimo. . . . fxevx S' lèy i'etxe. Sembra perciò , che Virgilio dotato di quel suo finissimo discernimento abbia voluto ritrarre questa medesi- ma semplicità d' azione in Apollo, che decide a favore d'Augusto la battaglia d'Azio;

» Actius haec cernens arcum intendebat Apollo

» Desuper: omnis eo terrore jEgyptus, et Indi, " Òinnis Arabs, oinnes vertebant terga Sabaei ». Ne Properzio va molto lunge da Virgilio per dipingere la stessa azione di Apollo nella battaglia dAzio^ solo che si mostra insieme piii scaltrito corti- giano:

>i Dixerat (cioè Apollo ) et pharelrac pondus consumit in arcus:

Pro\ima post arcus Caesaris basta fuit : Vincit Roma, fide Phoebi, dat femlna poenas: Sceptra per lonias fracta vehuntur aquas . Egualmente senvplice e subHmc si è il pensiero dell' epico greco, il quale con un sol verso esprime e l'aitò del vibrar l'arco, e la terribile strage universale d'uomini, che ne fu l'immediato effetto:

Ba^^X' xteì le 7Tt/pa.t vitLÓuv xaJcfn ^afieiul. Ciò pure cercarono d' emulare i due poeti latini, ne' passi sopraccitati ; ma nel- la traduzione riesce dilavato in due versi, ommessa quella particolarizzazione di somma eviilcnza : otTola-i /JAo^ iX^Trivxìc, apieìi; ^aX>:s; la quale immagine sra- lilsce e si perde nelle idee tanto trite : bine ipsos jaculis incessit aciitis .

n.

TflADLZIOSE DEL CesaHOTTI .

'Così pregò, l'intese Apollo, e tosto Scende precipitevole dall' alte

a86

Cime d'Olimpo, inacerbito 11 core.

A tergo ha 1' arco, e la faretra, e i dardi

Strepitando suU' omero rimbalzano

Mentre el s' aranza Iratamente, e piomba

Vestito di caligine: alle navi

S' asside in vista, e già e già scocca . Orrendo

Stride per l'aere un cigolio confuso

D' invisibili strali : 1 fidi cani

Pria ne fur colti ; ma ben tosto a' dardi

Fur segno mnani petti . Il fatai arco

Posa, o tregua non ha, morti su morti .

Cadon d'intorno accatastati, e tutto

Ampio rogo feral rassembra il campo n .

Il chiarissimo Cesarotti non va giudicato veramente sulle norme rigorose de- gli altri traduttori, se non in quei tratti, ne' fpiali si propose di trasportare in italiano i sensi dell'originale, e di gareggiare con esso , quale si è appunto il passo, che ora abbiamo riferito .

Ne può negarsi al certo clie non vi risplendano alcuni lampi di luce: rapidità nella narrazione; forza nelle tinte. Se non che giudicato poi da quella sana cri- tica a cui r orio-inale stesso serve di modello, vi s' incomineieranno a scorgere difetti tali, per cui in generale può a dritto affermarsi del di lui lavoro.j che non avendo potuto farlo più bello, il volle invece fare più ricco. Vediamone di volo

le prove : Apollo . . . tosto scenda precipitevole .... Omero semplicemente

/Sm li KOLT aXófiTToto Kdf'jiLicav \ c quando si rilletta che qui si tratta dun nume di primo ordine, vedrassi tosto, eh' è di lui indegno ogni precipizio. A tergo ha l'arco e la faretra: (luestaiaivelra. è rimasta spoglia del suo epiteto, che ben la distingue, ctix^yipcpéot . l dardi strepitando sulF omero rimbalzano ^ mentre ei s'avanza iratamente. E infelicemente espresso il x/fuS'C^ro? col s' avan- za iratamente : ^\acche avanzarsi in nealro passivo non si affii bene all'indole della llnn-ua italiana; non significando propriamente muoversi^ ma venir innan- zi acr/uistando., profittare, approdare, aggrandirsi. Non ci vanno neppure a gra- do i dardi che strepitano. Ancorché non trovisi in italiano una voce, eh' espri- ma la bellissima onomapotea l'uXciy^cu) ; potea pur trovarsi qualche modo più adatto a significare quel suono, che viene rimandato da' dardi urtantisi msieme . Ei piomba vestito di caligine : il testo semplicemente : o S' tt'it andava. Sen- te dello stile biblico quel vestito di caligine, ma per nulla ha da fare col vero senso dell'originale, dove il nume stesso è quegli, che discende, simile alla not- te, ó S me l'VKTÌ loUui;. Alle navi s'asside in vista, già abbastanza si è

detto nella parte prima della lezione su questa inopportuna interpretazione del- l' etew. U in\istbili strali: Perchè l'aggiunta di «juesto epiteto? Il poeta non Tuole per ora avvertila questa circostanza, intento a render tutto visibile, pal- pabile, e quindi disse apj-fpg'0,0 /S/or<j I fidi cani pria ne fur colli: il testo no- mina i muli o i giumenti, siccome quelli, che furono i primi colpiti dalla peste; e ciò si accorda con quanto suole avvenir realmente, secondochè attestano gli storici delle odierne epizoozie ; onde riputarsi dee affatto riprensibile questa om- missione ; ne possiamo lodare la sostituzione dell' epitelo ^c?i dato a' cani, invece di ve/oc/, come ha l'originale xt/ta^ apj-«; : giacche veloci vale ad ingrandir

maggiormente la prestezza de' colpi. Il fatai arco posa 0 tregua non ha :

fatale è aggiunto comune, ne esprime quella forza tutta particolare della paro- la f;^-f;TrfLx6? freccia d amarezza-ripiena . Morti su morti cadon dintorno accatastati^ e tutto ampio rogo f crai ras sembra il campo . Accordiamo, che questo' tratto rappresenti un quadro terribile della vendetta d' un nume irato ; ma neir italiano pressoché tre versi adopransi per significare 1' energia, la sem- plicità, la brevità di questo solo omerico che quei tre in se racchiude: /Sa/À ' auii ti Trnpoù maJcov ìtalofn ^ct^e^au .

III.

TnADuzioKE DI Ugo Foscolo .

disse orando, e l'udì Febo Apollo.

Da" vertici d' Olimpo acerbo in core

Precipita, alle spalle agita l'arco

E tutta chiusa la faretra, i dardi

Van tintinnando al dorso dell'irato

Che vien simile a notte . Delle navi

Piantasi in vista, disfrenando il dardo ,

E orrendo un suon mandò l'arco d'argento.

Pria l'armento de'muli, e i can veloci

Invade, e quindi la mortai saetta

Fere gli umani . Ardean pire fì'equenti

Di perpetui cadaveri .

Questa traduzione può chiamarsi fedele , paragonata colle due precedenti ; ma non è tale, che sfugga da ogni taccia. Generalmente spiace una eerta sprcz- zatura: per cui gl'incisi scarseggiano di particelle congiunzionali, mentre n* è dovizioso l'originale, ed intreccia con grazia le transizioni delle diverse idee con que' tu 8^, jueV, «p. In somma se 1' originale adopra ciocche i retori chia-

a88

mano il polisinteto ; "k fuor di ragione, che il traduttore vi contrapponga, V asindeto Non piace neppure ch'el termini la descrizione con un emistichio, dove Omero ha la cadenza d'un verso armonioso: /SaXA* «/« Se /7!;pa/ viKvmp xdf- evTo òaLfx^ad e con ciò il riposo dell'orecchie si accorda con quello della mente. Non lodiamo.^ che si traduca /SJi precipitai, e valga su lai proposito 1' osservar zione già fatta sopra lo scende precipitevole del Cesarotti, ne che i'^uv ave- re si volgarizzi per agitare , laddove trattasi per ora di solamente mostrare quali siano le armi di quel nume. / dardi van tintinnando: ci semhrn de- bole questa espressione in confronto del suon terribile di (\ue\\' éK>^ety^ajii ; giac- che tintin « è voce fatta per esprimere il suono del campanuzzo " ; e quindi me- glio conviene ad un suono qualunque, che riesca. dolce e gradito, quale non man- davano certamente allora, i dardi di Apollo . Con una vivace 0|)posizione ci fa Catullo nel Carmen 64 sentire la vera forza del tinnitus^ e quindi del tintinno. » Plangebcmt ahi proceris tympana palmis , Aut tereti tenuestinnitus aere ciebant . Ardean. pire frequenti di perpetui cadaveri .• Egli è veramente strano que- sto epiteto di perpetui dato a' cadaveri, che sta per l' avverbio del testo ami, ma questo nell'originale accresce terribilmente la forza del Tnifol iiouovn; e non già di Kx,vuy .

ly.

TllADUZIONE, DEL CAV. MpNTI .

'• disse orando. L'ud\ Febo, e scese Dalle cime d'Olimpo in gran disdegno. Coli' arco sulle spalle, e la faretra Tutta chiusa. Mettean le freccie orrendo, Sugli omeri all'irato un tintinnio Al mutar de' gran passi; ed ei simile A fosca notte giù venia . Piantossi Delle navi al cospetto; indi uno strale Liberò dalla corda, ed un ronzio Terribile mandò l' arco d' argento . Prima i giumenti, e i presti veltri assalse. Poi le schiere a ferir prese, vibrando Le mortifere punte, onde per tutto De gli esanimi corpi ardean le pire .

i89 Non può negarsi a questa traduzione sulle altre la palma. Monti sta più di tutti Ticino ad Omero; non però, che qualche neo non appaja anche in si bel corpo. Mcltean le /recete orrendo augW omeri all'irato un tintinnio. Già più sopra abbiam censurato questo tintinnio: ma qui vuoli dar lode al fino dl- fcernimento del nostro poela.^ il quale con quell' aggiunto di orrendo vi pose un gran correttivo. Peraltro non se ne mostra ancora pienamente soddisfo: giac- che nel saggio recentissimo che ci diede dell" Iliade tradotta in ottava rima escluse affatto il tintinnio, come può vedersi nella stanza, che qui trascriviamo.

« Così prega: l'udì Febo, e fremendo D'ira dal ciel spiccossi, e scese al basso Col sonante alle spalle arco tremendo E '1 chiuso d'ogni parte aureo turcasso: Mettean sul tergo all'adirato, orrendo Ciangor le freccie al muovere del passo. Giù calandosi a notte atra simile Piantossi a fronte deli' acheo navile .

Ed ei simile a fosca notte giù venia . E testo qui non parla di discesa: ma dice semplicemente: o B" ufi e pvxtÌ (oikcui;'. « procedea simile alla notte (in tal guisa osserva il cav. Andrea Mustoxidi, nome caro alle greche muse ) : e " m' immagino ad un tempo il Dio invisibile per \ oscurità, che lo cinge, e il « diffondersi di questa stessa oscurità per tutto il campo . Oltra a ciò vegeto la » progressione del movimento di lui, come veggo quello di Teti, ch'emerge dal » mare simile a nebbia » . Diasi poi al Monti la lode d' avere il primo nella spiegazione del verbo '^o^oi indovinato il senso del testo ; solo potrebbesi desiderare, che non avesse tralasciata la circostanza espressa dall'avverbio] «TTow'^L^i in disparte^ o da lunge . Nel chiudersi della descrizione, oltreché vi saranno di quelli, a cui forse potrebbe sembrar prosaico quel per tutto., si è tras- curato di tradurre oueì tratto di pennello, che aggiunge un grado di maggiore terrore all'omerica pittura . In ciò a noi sembra assai felice la versione del mar- chese Scipione Maffei nel suo primo canto dell' Iliade, che fu già stampato a Londra nel i ^36.

n Ma di poi contra gli uomini vibrando Il mortifero strai spinse, onde molte Avvampavano ognor pire ferali.

h

ago

Thaduhone del Leowi .

" Così pregò: Io ascollò Febo Apollo: E con l'arco alle spalle e la faretra Tutta chiusa, di sdegno acceso in core Giù dalle cime dell" Olimpo scese . Del nume irato al muoversi un acuto Suono mettean all'omero gli strali; E procedea come la notte . Ei lungi Piantossl in vista delle achive prore, E la freccia vibrò: mandonne orrendo Un sonoro tremor l'arco d" argento. I muli prima, ed i veloci cani Invase, e la mortifera saetta Scagliando trafiggea quindi le schiere . E sempre di cadaveri gli spessi Roghi ne ardean

In questo volgarizzamento vedesi, che il traduttor più recente ha profittato del meglio, che gli offriano le versioni precedenti, onde rendere più pregevole e perfetto il suo lavoro: non però, che abbia saputo andarne esente da colpe. Noi poi ci contenteremo di notarne solo qualcuna .

Del nume irato al muoversi un acuto Suono mettean all'omero gli strali . Certo non è punto elegante la ripetizione di quegli stessi casi, al muoversi^ alt ornerò^ e discara riesce l'uniforme armonia de' due versi: ma quanto non nuo- ce poi alla vivacità di questa pittura la collocazione delle parole, così cangiata nella traduzione ! Basta il confrontarla con quella dell' orginale, che qui può trasportarsi in italiano, collocando tutte le voci, come stanno nel testo : 'E'K'ha.y^Mi B' ctp 'oÌToì e^' eófj.eun yuofxaioio

A[/T» X/^nS'éiTOf . . . .

» Risuonavano-acutamente gh strali sugU omeri dell'adirato, nel mentre » eo-li moveasi " . Piantossl in vista delle acìwe prore . Vi sta di soperchio queir achive; ne già nominandosi /zac/, di altre potea intendersi che delle gre- che; giacche i Trojani non aveano flotta Mandonne orrendo un sonoro tra- viar l' arco d' argento. Perchè stemperare quel robusto K'hu.yyi con una peri- frarsi sonoro tremar': Se altro non polca farsi, era miglior partito ricorrere ad

2f)l

uno termine eijui valente, come fece appunto il Monti; sorla di ripiego a cui pri- ma appigliossi anche 11 Malfei nel suo tentativo di volgarizzare l'Iliade . Inlatli

così egli traduce

dirimpetto

Alle navi si assise, indi uno strale Scoccò, ronzando orribilmente 1" arco

Artrentalo.

Ne si approverà da tutti, che Trupou si traduca per roghi. E sempre dicada- yeri gli spessi roghi ne ardeari. Ancorché Irov'isi luna parola indistintamente scambiata per l'altra; vuoisi però avvertire che non sono sinonimi; giacche pyra est lignorum congeries; roguj cumjam ardere coeperit dicitur ; biistum vero iam exustum vocatur. Quem ordinem servai poeta diccns: Constitiierc pjras: Itcm: »' Suhjectisque ignibus atris^ tercircum accensos decurrere rogos: Ileni postea: Semuataque scrvat busta: così Servio nel suo commento a Viigilio lib. XI, ed Omero vuol qui dire precisamente pire^ cioè cataste. Alla proprietà della qua! voce se non avea badato il Cesarotti, posero mente con maggior lode il march. Maflei, il cav. Monti ed il sig. Ugo Foscolo nelle sopra riferite traduzioni. Inoltre la descrizione, che qui termina, in quanto a' mali apportati dallo sdegno di Apollo, nell'originale acconciamente pur s'accorda coli' armonia delle parole, ed il sentimento che cammina del pari con essa vi ha giunto al suo fine una pau- sa segnata dalia cadenza d'un verso intero. Il traduttore pertanto che qui pone invece un mezzo verso e parola troncata manca doiìpiamente; e perchè trascu- ra una regola dettata dal codice del Buongusto; e perchè non adempie ad uno de' doveri di un buon traduttore, che si è quello di non iscemare, potendolo, la bellezza dell'originale.

E qui nuovo stuolo di traduttori valorosi ancora mi si para dinanzi, quale un Ridolh, un Ceruti, un Fiocchi, ed altri ch'entrarono con diversità di suc- nel difficile arringo. Ma di troppo oltrepasserei i limiti del tempo prescritti a questa diceria, se di ciascuno particolarmente analizzare volessi i lavori, e d'al- tronde la intrinseca dilhcoità di esprimere fedelmente le bellezze deli' ori o ina- le resta già pienamente comprovata, ncppur quelli, che vanno tra i piii famosi in tale palestra, non hanno potuto toccare perfettamente il segno . Quanto a tutti gli altri poi che più deboli di forze si accinsero nondimeno all' impresa di tradurre Omero , si può applicare quel detto di Seneca : svinici Leuncm excipiunt .

293

SULLi PERDITA DI TENSIONE

CHE SOFFRONO GLI APPARATI VOLTIANI QUANDO SI TIENE CHIUSO IL CIRCOLO, E SUL RIACQUISTARE CH' ESSI FANNO LA TENSIONE PRIMITIVA QUANDO SI SOSPENDE LA COMUNICAZIONE FRA I POLI.

MEMORIA

DI STEFANO DOTTOR MARIANINI

PROFESSORE DI FISICA NEL R. LICEO CONVITTO DI VENEZIA E MEMBRO DEL CONSIGLIO ACCADEMICO.

jf\ vendo osservalo che il rame e molli altri eleltromotori ili |iriiiia classe, niiando avcan perdiilo una parte della loro elellroniotricit:! per aver messo m circolo r elettrico stando accoppiati allo zinco, essi ricuperavano la (orza pri- miera tolti che fossero per qualche tempo dal loro accopi)iamento (1). egli era naturale che io lossi portato ad immao'inare alcune particolari deduzioni. Io fui indotto a crédere, che dove fpiegli clctlroniotorl avessero riprodotto lo stesso fenomeno eziandio allorquando venivano destinati a far circolare I elettrico ne- gli apparati coni|)osti.. dot essero qiie£;li ap|>arati perdere una parte della loro energia tenendo i poli in comunicazione, e dovessero dappoi riacquistarla la- sciando per qualche tempo interrotto il circolo elettrico. L'esperienza non isment'i sillatta induzione.

Un apparato a corona di tazze di quaranta coppie di rame e zinco segregale dall acqua di mare dava una scossa che era vivamente sentita fino alla terza fa- lange dei diti che s' immer^'evano nelle due tazze esterne, (^-hinso quindi il cir- colo con un arco di pioinho, e lasciato così per dicci minuti, si aflievolì talmen- te l'apparato, che, tolto larco metallico, e sostituite immediatamente al suo luogo le dita, jiiii non avevasi la menoma scossa, ma ripetendo di tratto in tratto l'immersione delle dita non si tardò a sentire delle delioli scossarelle., che anda- vano successivamente rinforzandosi, finche dopo quattro o cinque minuti si fe-

(i) Intorno a questo fallo lo ebbi l'onore di favellare più d'una volta al nostro Ateneo, come

piinssi vedere nel min «imio ili esperienze elellromvlrirhe ai 5s- ^''^ ^7' "" ^ ' '"■ 38

29i

cero gagliarde quanto da principio. Tornai a chiudere il circolo coli' arco me- tallico per dieci minuti, e svanirono ancora le scosse, le quali nuovamente com- parvero in [liono vigore lasciando per qualche minuto intercettata la corrente . Ne mai cessarono di aver luogo siffatte alternative , sebbene abbia proseguito tali prove per non poche ore .

Dietro questo fatto io mi persuasi che tornerebbe utile il far operare alter- nativamente vari! elettromotori, quando si trattasse di tenere una sostanza sot toposta alla corrente elettrica per lungo tempo. Ma per non andar a tentone nello istituire tal sorta di esperienze, credetti prezzo dell'opera lo studiare que- sto fenomeno in se stesso. E innanzi tutto mossi a rintracciare, se alcuno aves- se già fatto soggetto de' propri studi! siffatto fenomeno : ma altro non mi è ve- nuto di trovare, se non che esso fu notato di passaggio dal Ritter e dai profes- sori Configliachi e BrugnatelU. Il fisico di Jena nella celebre sua opera sulle pile a caricarsi dice, che 1' apparato voltiano nel caricare le pile secondarie per. de una porzione della sua tensione elettrica, che poi. ripiglia da se (i): ed i fisi- ci di Pavia dicono essere utile il lasciar riposare le pile voltaiche quando sicno slate per qualche tempo adoperate , perchè si distruggano le pile secondarie, che neir uso si formano in esse, le quali operando In senso contrarlo ne affievo- liscono la tensione (2).

Nulla avendo pertanto rinvenuto nelle molte opere consultate a questo ogget- to, salvo i cenni teste ricordati, ho divisato di intraprendere una serie di espe- rienze dirette a determinare: i." la perdita di tensione, che nelle varie circo- stanze soffrono gli elettromotori ordinarli quando sta chiuso per qualche tempo il circolo : 2.° il tempo che gli elettromotori stessi Impiegano a riacquistare la tensione, che per 1' azione del circolo elettrico hanno perduta . La sposizione pertanto delle esperienze dirette a questo duplice scopo e del eorollaril relativi ad esse formerà l'argomento delle due prime parti di questa memoria. Ma gli apparecchi elettromotori perdono della loro energia anche senza che sieno mes- si In comunicazione 1 loro poli . Ho perciò intraprese alcune esperienze per rin- tracciare la cagione di questo spontaneo indebolimento degli elettromotori, che riferirò nella terza parte . Seguirà a questa la relazione di alcuni esperimenti risguardantl 1 fenomeni medesimi, considerati in elettromotori di natura diversa, e terminerò colf accennare alcune applicazioni generali, a cui sembrami che pos- sano dare occasione 1 rlsultamentl ottenuti dalle mie esperienze .

(1) V. Journal de pliysique et d' Hisloire naturelle t. 67, pag. 355.

(2) V. La memoria sui conduttoii unipolari e bipolari dui professori P. Configliaclii e I;. Bru- gnalelli nel giornale di Csica, chiraica ec. di Pavia, anno 1808 a carte 352.

PARTE PRIMA

Della perdita di tensione che soffrono gli apparali elettromotori ord quando sta chiuso per gualche tempo il circolo .

Ì95

'mar a

1 , Un eleltromotore a corona di tazze di otto coppie di rame e zinco, le pia- stre del quale, nuove ma non lucenti, presentavano una superficie attiva di cir- ca tre centimetri quadrati, ed 11 liquido conduttore era dell'acqua di pozzo te- nente in soluzione la centesima parte del suo peso d'idroclorato di soda, mo- strava una tensione di 1 1 gradi ad un elellrometro del Volta a paglie sottili , avvalorato da un discreto condensatore . Ho messo in comunicazione i poli del- l'apparato ponendo le estremità d' un arco metallico fatto d'un filo di ottone di quasi due millimetri di grossezza nelle due tazze estreme, e, dopo d'aver lascia- to chiuso il circolo per un minuto, levai il detto arco, ed esplorai immediata- mente la tensione col mezzo de' due stromenti sopra indicati, e la trovai di gra- di sette. Appena l'elettromotore ebbe conseguita la primiera forza, chiusi di nuovo il circolo, e dopo due minuti trovai la tensione ridotta a sei gradi . Tor- nata che fu la tensione dell'apparato ad undici gradi (1), chiusi il circolo ed esplorata la tensione dopo tre minuti la rinvenni di cinque gradi crescenti. Chiuso per cinque minuti, la tensione si ridusse a gradi quattro .

I risullamenti d'un' altra serie d'esperienze istituite con un apparato slmile al precedente furono come segue .

Tensione dell'apparato innanzi di chiudere il circolo . gradila

Chiuso il circolo per 5' . . . 9 |

10 . . . 8 i

3o . . . 8 scarsi

I 2 5

10

r

10 20 3o

60

6

i

4 scarsi

(1) Notiamo una volta per sempre, che ove non è detto ejpressamente il contrario rlevesi inten- dere che ad ogni prova si è aspettato che l'apparecchio avesse la tensione con cui si cominciò la serie delle esperienze.

*96

Da queste esperienze rilevasi i." che la diminuzione di tensione dell'appara- to elettromotore segue rapidamente ne" primi momenti che sta chiuso il circolo, e negl'istanti successivi va sempre più rallentandosi : 2." che vi è un limite oltre il quale per quanto tempo si tenga chiuso il circolo, più non iscema la tensione elettrica.

Devesi per altro notare, che se si tenesse chiuso il circolo per varie ore, cre- scerebbe ancora di qualche poco la perdita di tensione: ma in tal caso 1' appa- rato non può pili dirsi come da principio a piastre nuove, e, come vedremo al §. 1 6, gli elettromotori a piastre usate si comportano diversamente da quelli a piastre nuove .

2. Se la causa delle perdite di tensione che fa l'apparato voltiano consiste , com' è di fatto, nelle alterazioni di elettromotricità relativa, che la corrente elettrica induce nelle piastre (1), egli è chiaro che qualora la corrente divenga più o meno energica, dovranno pur variare le perdite di tensione, che avranno luogo tenendo chiuso il circolo per un dato tempo.

La iorza delle correnti elettriche può alterarsi con variare o il numero delle coppie dell'elettromotore, o la conducibilità del liquido frapposto ad esse, o quella del deferente con cui si stabilisce la comunicazione fra i poli .

Con due apparati voltiani, uno di sedici coppie, l'altro di ventiquattro, ed in tutto il resto eguali a quello descritto superiormente vennero istituite delle espe- rienze analoghe alle precedenti, e si ebbero i risultamenti che seguono .

Apparato a 1 6 coppie .

Prima di chiudere il circolo Chiuso il circolo per 5"

IO

3o 1'

Tensione

22='

i5 i3 12

IO 1

9

8 circa

1

&\

6 abbondanti

6 scarsi

(i) V. il §. II della memoria sulle pile secondarie inserita nel tomo dell'anno 1826 del giorna- le di fisica ec. di Pavia.

apparato a z^ coppie.

«97

Prima ili chiiulcrc il circolo Chiuso il circolo iier .

Tensione

.

33

5" .

2 0 circa

3o .

i5

i'

>i

3 .

1 1

5

9

IO

8 scarsi

20

11

3o .

1

6o .

6 circa

9°^ ! 20 ; '

5-

Confronlamlo questi risultamenti o fra loro o con quelli del paragrafo antece- <lcnte, si vede che quando è maggiore il numero delle coppie delf apparato, più grande è la perdita di tensione ch'egli fa in un dato tempo, ed arriva più tardi a quel limite, oltre il quale, per quanto cresca il tempo per cui sta chiuso il cir- colo, più non decresce la tensione.

3. Due eletlroinotori di otto co])pie simih a quello del §. i." furono montati uno con acqua distillata ed uno con acqua piovana tenente in soluzione una quar- ta parte del suo peso d' idroclorato di soda. Eccone i risultamenti.

apparato ad acqua distillata .

Prima di chiudere

il circolo .

12

Chiuso per 3o i' 3 6 .

•■

1 1 scarsi 3

9 8

12

2U j

3o(

7

6oi

Apparato ad acqua tenente in soluzione | cT idroclorato di soda .

Tensione Prima di chiudere il circolo , . . 12

Chiuso per . . 3o' 1' . 3 . 6 .

8

7 6

4

3o )

60 r

Dal confronto di queste esperienze si deduce che ove il liquido è più condutto- re, 1 più rapida è la perdita di tensione che si ottiene tenendo chiuso il circo- lo, 2.° più tardi si perviene a quel limite, oltre il quale non si perde più in ten- sione per quanto si protragga la comunicazione fra i poli, 3." la perdita che l'ap- parato soffre prima di giungere al detto limite è più grande .

4. I risultamenti dell'esperienze istituite variando la conducibilità dell' arco, mediante il quale si stabilisce la comunicazione fra i poli dell' elettromotore , furono analoghi a quelli che si ottennero variando la conducibilità del liquido posto fra coppia e coppia .

5. Ora potrebbesi domandare per qual ragione quando la corrente elettrica è resa meno energica dall' imperfezione del liquido deferente cessi così presto dal diminuire la tensione delf apparato. E egli forse che una corrente animata da una tensione di sette gradi ( che è il limite osservato nell' elettromotore mon- tato con acqua distillata) non abbia forza di scemare la tensione medesima al- lorché il liquido è poco deferente? L" esperienza mostra il contrario: imperoc- ché avendo allestito un apparato di sole cinque coppie con acqua distillata, la tensione del quale non arrivava neppure ai sette gradi, avendo tenuto chiuso 11 circolo per due minuti, la tensione si ridusse a circa cinque gradi . Ne vale il dire che in questa esperienza la corrente elettrica sebbene animata da soli set- te gradi di tensione sia più energica di quella dell' apparato di otto coppie quan- do questo è pur ridotto alla tensione medesima, perchè in esso vi è un maggior numero di alternative di conduttori umidi e metallici: giacche avendo montalo un elettromotore di otto coppie, delle quali cinque soltanto erano attive, cioè fatte di rame e zinco, e le altre erano del tutto inoperose , come che formate di archetti di rame, chiuso il circolo per due minuti, la tensione si ridusse a cin- ([ue gradi e mezzo, laddove da prima era di quasi sette.

Dopo parecchie indagini credo di essere pervenuto a dare una spiegazione soddisfacente di tale fenomeno : ma questa dipende da alcune cose che spettano alla parte che segue . Noi la troveremo al 5- '-•

^99 PARTE SECONDA

Sul tempo che impiegano gli elettromotori a riacquistare la tensione che per r azione del circolo elettrico hanno perduta .

6. L' online, che tenni nel riferire le esperienze relative alla prima parte, ver- rà pure seguito nel descrivere quelle istituite per conoscere con qual legge gli annarecclii voltiani ripigliano la primiera tensione .

Un apparato a corona di tazze di otto coppie nuove, simile in tutto a quello del §. 1.", la cui tensione era di gradi 12, venne chiuso col sohto arco metaUico per un minuto, e la sua tensione erasi ridotta a gradi ^. Esplorata la tensione mezzo minuto dopo che fu aperto 11 circolo , la trovai di quasi nove gradi : do- po 1' la trovai di gr. 10, dopo a, gr. 1 1 ', e finalmente dopo due minuti e mez- zo ripigliò la sua primiera tensione di i a gradi .

Lo stesso apparato tenuto chiuso per 5 minuti presentò i seguenti risulta- menti :

Appena aperto il circolo la tensione era di gradi 5 dopo 3o' . . . . . "] l

r ..... 8 2

3 loi

5 ', circa .... 12

Chiuso l'apparato medesimo per un quarto d'ora: appena aperto il circolo la tensione era di gradi 4- scarsi dopo 1 ' . 72

3.8^ 7 circa .12

Da queste esperienze si vede:

1." Che la tensione che riacquista l'elettromotore ne' primi istanti che sta aperto il circolo è molto maggiore di quella che riacquista negli ultimi: in quel- la guisa appunto che la perdita di tensione è grande ne' primi istanti che sta chiuso il circolo, ed assai piccola al paragone la perdita fatta negli ultimi.

1.° Che in generale quanto più sta chiuso il circolo, più lungo riesce il tem- po necessario al riacquisto della tensione primitiva .

■j. Per conoscere poi il rapporto fra il tempo che sta chiuso il circolo e quel- lo che l' elettromotore impiega a ricuperare la tensione perduta, vennero isti- tuite, con un apparato a corona di tazze di otto coppie, molte esperienze, delle quali seguono i principali risultaroenti medii.

ioo

Tempo clic stelle chiuso il circolo.

Tempo in cui l'apparalo riacquisto la tensione primitiTa.

5 ' . .

i' circa

3

o"

2 scarsi

1

.

3

. . . 3^

5

5 circa

8

. 6 1 circa

2

,5^ 3of

7

Dai quali risultamenli si vede, che fra il tempo che il circolo sia chiuso e quello che 1' elettromotore impiega a ricuperare la sua tensione, ovvi un rappor- to che varia nel modo seguente: Quando il tempo che sta chiuso il circolo è bre- ve, riesce in proporzione molto più lungo quello che impiega a ricuperare la tensione perduta ; ma il rapporto fra il secondo tempo ed il primo va scemando a misura che questo cresce, e ciò finche i due tempi sono eguali : dopo di che il tempo del riacquisto è minore del tempo della perdita: e hnalmcnte quando la perdita di tensione ha conseguito il suo massimo, diviene costante il tempo voluto a ricuperare la tensione primiera.

8. Per determinare come varia il tempo necessario al riacquisto della ten- sione perduta quando nell'elettromotore varia il numero delle coppie vennero istituite molle esperienze, delle quali basterà il riferire qui le seguenti.

Apparato di otto coppie., la cui tensione era di gradi i 2.

a) Chiuso il circolo per un minuto :

Appena che fu aperto, la tensione era di gradi ^ Dopo o . So' . . . . .IO circa

1 . 3o J 1

2 . 3o 12

b) Chiuso per due minuti :

Ap|)ena aperto . . . . . 6 * Dopo o'. 3o" . . . . -9 10 I

I

2

3 . 3o

1 1

12

3oi

e) Chiuso per tre minuti ; Appena aperto Dopo o'. 3o" 1

3 . 5 circa

8

9

101

2

12

Apparato di i a coppie .

Tensione primitiva

a) Chiuso il circolo per un minuto :

Appena aperto il circolo Dopo o' . 3o'

1 . . .

3 . 3o circa

b) Chiuso il circolo per due minuti ;

Appena aperto Dopo o.' 3o

1 . . .

2 . . .

4 . 3o

e) Chiuso il circolo per tre minuti : Appena aperto . Dopo o'. So

1 . . .

3 . . . j . 3o circa

gradi i8

gradi

IO

i4 i5 i8

Si

3

12

i5 i6 i8

6 1 1 i3 i5 i8

Da queste esperienze pertanto si comprende, i.' Che quanto maggiore è il numero delle coppie dell' elettromotore, maggior eziandio è il tempo richiesto a riacquistare la tensione perduta in un dato tempo . 2." Che 11 tempo speso da un elettromotore a maggior numero di coppie nel ricuperare un dato numero di gradi di tensione è minore di quello che \' impiega un apparato men numeroso .

9. Due eiettromolori di otto coppie vennero allestiti uno con acqua distilla- ta, e r altro con acqua di pozzo tenente In soluzione i del suo peso d' idroclora- tp di soda .

Il primo di questi apparati, cioè quello ad acqua distillata, la cui tensione era di gradi undici, essendo stato chiuso per sei minuti, si ridusse a gradi ot- to, e ripigliò la sua tensione primitiva dopo tre minuti che fu aperto il circolo .

3o2

La tensione dell' apparato ad acqua salata che era pure di undici gradi fu ri- dotta ad otto col tener chiuso il circolo per mezzo minuto, e ritornò di gradi undici dopo circa due minuti che fu tolta la comunicazione fra i poli .

In un altro esperimento l' apparato ad acqua distillata stette chiuso per un quarto d'ora; la sua tensione si ridusse a sette gradi, e dopo quattro minuti ri- pigliò i suoi undici che aveva da principio . L' apparato ad acqua salata fu pure ridotto a sette gradi di tensione col tenerlo chiuso per un minuto, e ripigliò i suoi undici gradi col tenerlo aperto per due minuti e mezzo .

La conseguenza piìi importante che si ricava dal confronto di queste espe- rienze si è, che : Ove il liquido che separa le coppie è piìi deferente, poste tutte le altre cose pari, impiegasi meno tempo a riacquistare la tensione perduta . Gioverà per altro il notare altresì che T accrescere la conducibilità del liquido non fa mai scemar tanto il tempo necessario al riacquisto della tensione, quan- to fa scemare quello che impiega a perderla allorché il circolo sta chiuso .

1 o . Variando 1' arco, mediante il quale si mettono in comunicazione i poli, si è osservato che ciò non ha inlluenza sul tempo, che 1' apparato impiega a ripi- gliare la tensione primitiva, essendo esso o maggiore o minore secondo che il li- quido, in cui sono immerse le coppie, è più o meno deferente, o l'elettromotore più o men numeroso di coppie, o la tensione perduta più o meno grande .

1 1 . Avendo osservato che, in generale, quando l' arco che chiude il circolo è un cattivo deferente, si affievolisce di assai poco la tensione degli elettromoto- ri, volli pur vedere se fosse veramente sempre necessario che il circolo venisse sospeso perchè si riavesse la tensione .

I poli d' un elettromotore a corona di tazze di dodici coppie, rame, zinco ed acqua molto salata, vennero messi in comunicazione per cinque minuti con arco metallico, e la tensione ch'era di gradi i8 si i-idusse a sei gradi. Repristinato che fu nella sua primiera tensione il detto apparato, venne chiuso per cinque mi- nuti come prima, ma, trascorso questo tempo, i suoi poli vennero messi in co- municazione mediante uno strato d' acqua di pozzo della grossezza di 35 centi- metri frammezzato da sei diaframmi di rame, e ciò fatto, fu levata la comunica- zione formata dall' arco metallico . Qui pertanto il circolo elettrico non venne interrotto neppure per un istante, ma solo reso più lento per questo nuovo arco assai meno conduttore del primo . E tolto poscia anche questo dopo cinque mi- nuti, la tensione si trovò di gradi nove abbondanti .

Gli elettromotori adunque possono ripigliare parte della tensione perduta an- che senza sospendere affatto la circolazione dell' elettrico, ma solo rendendone più difficile il trascorrimento mediante un conduttore più imperfetto fra i suoi poli .

12. Ora noi possiamo in qualche modo render ragione del vedersi limitata e

So3 non indefinita la perdila ili tensione, che fanno gli elettromotori, allorché è chiu- so il circolo, massimamente se la corrente è di non grande energia. Infatti se la causa, qualunque poi sia, che produce la restituzione della tensione opera ezian- dio senza che s'intercetti il circolo, ne segue che, quando i poli dell' cleltromo- lore comunicano fra di loro, abbiamo sempre due forze, una delle quali ( la cor- rente elettrica ) tende a diminuire V elettromotricità delle coppie, e (juindi la tensione, e 1' altra tende a ripararla : e quando la corrente per la perdita di ten- sione sia indebolita al segno che, quanto essa toglie ad ogni istante di elettro- motricità, altrettanto ne restituisca la forza riparatrice, non deve più accadere veruna perdita di tensione, per quanto a lungo si protragga la comunicazione fra i poli dell' apparato .

PARTE TERZA.

Sult indebolimento che soffrono gli elettromotori senza che sieno messi in comunicazione i poli .

i3. Se un apparecchio voltiano sta montato per molto tempo, sebbene i suol poli non vengano mai messi in comunicazione fra di loro, o solo rare volte e per pochi istanti, pure la sua energia scema d'ordinario notabilmente, ed altresì la sua tensione . Le esperienze fin qui riferite mi fecero sospettare che questo in- debolimento spontaneo degli elettromotori provenir potesse dall' esservi sempre in essi una debole circolazione di elettrico a cagione delf imperfetto isolamento. Ed in questo sospetto venni confermato dall' osservare che un apparato a coro- na di tazze di quaranta coppie, che stette allestito per qualche mese, dava co- stantemente indizii di tensione alquanto più forte nelle giornate asciutte, che non nelle umide . Sembra infatti assai probabile che 1' umidità dell' ambiente costi- tuisca una comunicazione fra i poli, e dia quindi origine ad una circolazione elet- trica, che affievolisce la tensione dell'elettromotore; laddove poi la diminuzione di umidità toglie la detta comunicazione, o la rende almeno più imperfetta (il che è pur sufliciente dietro quanto dicemmo al§. 1 1), e quindi l'apparato riacqui- sta o in tutto o in parte la tensione perduta .

i4. Ma potrebbe essere che anche prescindendo da qualsivoglia comunicazione fra 1 poli dell'apparato, pure la tensione venisse a scemarsi per la sola circo- stanza di trovarsi le piastre a contatto del liquido. Per vedere adunque se tale circostanza potesse per se sola valere a scemare la tensione dell' apparato in- dipendentemente dal circolo elettrico, ho disposto un apparato a corona di un- dici coppie in modo che la comunicazione metallica fra la piastra di rame e quella di zinco di ciascuna coppia si potesse togliere o rinnovare ad arbitrio e

senza bisogno di rimuovere le piastre dal loro posto. A canto a questo disposi un altro apparato d'egual numero di coppie disposte al modo ordinario. Le piastre d'entrambi questi apparati erano nuove, e la parte di ciascuna che s' im- mergeva nel liquido era di circa tre centimetri quadrati . Esplorata la tensione, la quale nell' uno e nell' altro era di circa quindici gradi, e tolte nel primo ap- parato le comunicazioni metalliche fra le piastre di zinco e quelle di rame, per CUI non poteva aver luogo veruna comunicazione di elettrico, comunque venisse per avventura ad inumidirsi l'ambiente, li riposi in luogo ov' erano garantiti dalla polvere . Ognivolta poi che voleva esperimentare la tensione di questi ap- parati ne montava ancora un terzo, sempre con piastre nuove ed eguale in tut- to al secondo: e questo era destinato a far conoscere se il condensatore e l'elet- Iroraetro agivano o no come il primo giorno .

Dopo 10 giorni osservai le tensioni dei detti apparati, ed ho veduto che: La tensione dell' elettromotore montato di recente era di gradi 16 Quella dell' apparato a piastre disgiunte . . . . 16 circa

Quella dell'apparato montalo al modo ordinario . . . i5 circa

Dojio 1 5 giorni , essendo la giornata molto più umida di quella in

cui si fece 1' osservazione precedente : La tensione del primo de' detti apparati era di . . . i5

Quella del secondo . . . . . . . . i5

Quella del terzo . . . . . . . . . i3 circa

Dopo 4o giorni essendo la giornata molto asciutta, tutti e tre gli apparati of- frirono la tensione di 1 ■j gradi abbondanti .

Le prove fatte dopo tre mesi mostrarono costantemente che il secondo ed il terzo apparato avevano una tensione alquanto maggiore di quella dell'apparato montato di recente, il che proveniva dall' essersi notabilmente accresciuta 1' elet- tromotricità relativa delle piastre di rame, le quali pel lungo soggiorno nell'acqua salsa eransl molto ossidate alla superficie .

Da queste esperienze risulta che la sola circostanza di trovarsi le piastre a contatto del iluido, nulla o ben poco influisce a diminuire la tensione dell' ap- parato elettromotore; ma bensì vi concorre l'imperfetto isolamento de' suol poli. i5. Giovi qui per altro il notare che male si apporrebbe chi, vedendo non di- minuire se non di pochi gradi la tensione di un elettromotore che rimane mon- tato per lungo tempo, giudicasse che poca avesse pure ad essere la perdita di forza dell'apparato per rispetto agli altri effetti. Imperocché il liquido va a per- dere notabilmente della sua conducibilità, specialmente ove sia acqua acida o salata, mentre 1' acido si consuma combinandosi ai metaUi, ed il sale decompo- nendosi in acido e base, il primo si unisce al metalli, e la base si trasporta in gran copia oy'è la saldatura del rame collo zinco. Divenuto quindi pococondut-

3o5 torc il liquido, meno energica riuscir dove la corrente clellrica . Aggiungasi a ciò clic quando le coppie elettromotrici stanno per lungo tempo a contatto dei li(iuidi pare che si aduni alla lor superficie tale materia, che altera in meno la conducibilità delle medesime. Ilo veduto moltissime volle che un apparato a co- rona di tazze, il quale per essere stato allestito per molti e molti giorni aveva perduto notabilmente della sua forza di scuotere e della tensione, ricuperare to- sto e r una e 1' allra col solo eslrarre le coppie dal liquido, asciugarle e rimetter- le ne'laoghl di prima . Così ho pur veduto , e prima di me lo ha notato il prof. De la Rive (i), che una corrente elettrica attraversante un conduttore liquido intercettato da diaframmi metallici , veniva rallentata maggiormente quando i detti diaframmi erano divenuti lordi per essere stati a contatto del liquido, e le cose tornavano come da principio quando si pulivano i diaframmi slessi.

PARTE QUARTA.

Esperienze relatwe ai fenomeni precedenti considerati negli elettromotori

di natura diversa .

i6. L' aver osservato che quando le piastre degli elettromotori sono ossida- date, i fenomeni di cui parliamo si comportano diversamente da quando sono lu- centi, ed il sapere che le correnti elettriche non alterano 1' elettromolricità re- lativa di tutti 1 metalli allo stesso modo (2), mi determinò ad istituire alcune esperienze sopra elettromotori formati da metalli diversi da quelli con cui sono fatti gli ordinarii apparati voltiani . Incomincerò dal riferire le esperienze istitui- te sovra elettromotori non diversi per la natura delle piastre, ma solo per il po- limento delle medesime .

Un elettromotore di undici coppie, le cui piastre, e specialmente quelle di zinco , erano molto ossidate, e la tensione del quale era di undici gradi come quella di un apparato nuovo di otto coppie, col quale venne posto a confronto somministrò 1 risultamenti che sefruono:

D

(1) V. Annales de rhimie et de pliyslqvie, février iSaS. (3) V. Saggio di espciienze eletlromelriclie, aiticulo li, sciioiie seconda. 39

3o6

Tempo per cui stelle chiuso l'apparalo.

Tensione .

l'

3 3o

gradi 5

4 2 3

60

zi

'rf . .

2

Tempo impiegato a ricuperare la tensione primitiva.

3'

circa

4

6

circa

9

10

circa

I risultameuti deli' apparato a piastre nuore sono i seguenti:

■j circa 6

2'. So circa . 3. 3o

I principali corollarli che possono dedursi da queste esperienze sono i se- guenti :

1." La tensione che 1' apparato a piastre nuove perde in un dato tempo è minore di quella che perde 1' apparato a piastre ossidate .

2.° La massima perdita di tensione che fa 1' apparato a piastre nuove è minore di quella che fa 1' apparato a piastre ossidate .

3." L' apparato nuovo giunge più presto che il vecchio a quel limite, oltre il quale più non cresce la perdita di tensione col tener chiuso il circolo .

1 ^. Varie esperienze vennero pure istituite con elettromotori a coppie di oro e zinco, ed a coppie di piombo e zinco : ed i risultamenti di queste, confrontati con quelli degli apparati ordinarii mostrarono : 1." Che nell'elettromotore a cop- pie d'oro e zinco la perdita di tensione è più rapida che non nell'apparato ordi- nario, e giunge in brevissimo tempo a quel limite, oltre il quale più non iscema la tensione dell'apparato, e riacquista più presto la tensione perduta; 2." Che r apparato a coppie di piombo e zinco perde più lentamente la tensione elettrica che non l'apparato a rame e zinco.

Noi sappiamo che 1' effetto prodotto sulla calamita dall' elettromotore piombo e zinco e assai più cospicuo di quello prodotto dall'oro accoppiato allo zinco (1). A rendere pertanto più grande la differenza fra gli effetti elettro-magnetici di

(i) V. Saggio citalo pag. lao.

3n^ queste clue coppie elcttroniotiici deve ccrlanientc influire «1 fenomeno che ora abbiamo accennato. Imperoccliè se la coppia di pioniljo e zinco perde più lenta- mente la tensione, deve agire per lutto il teinj)o che 1' ago calamitato impiega a compiere la sua declinazione con più energia di quel che farebbe se quella perdila fosse ])iii rapida: e la coppia d' oro e zinco deve operare con meno for- za di (juel che farebbe, se il decremento nella elettromotncilà fosse più lento. Dissi però che quo' decrementi di tensione più rapidi nella coppia d'oro e zinco, meno in quella di piombo e zinco debbono contribuire a rendere più cospicue le differenze fra gli cflctti elettromagnetici, non già che questi esser possano la causa unica produttrice delle differenze stesse. Perchè ciò fosse converrebbe che l'oro accoppiato allo zinco tanto perdesse di elettromotricità da divenire inferiore al piombo: ma poi abbiamo veduto che l'oro in tale circostanza non divien mai neppur inferiore all' argento in elettromotricità relativa.

Molte altre esperienze avrei istituite con elettromotori di diversa natura se avessi potuto valermi di apparati a colonna : ma questi riescono quasi del tutto inetti a tal sorta di indagini, perchè i panni bagnati che separano le coppie non offrono un conduttore di costante forza, neppure durante la stessa esperienza . Acciocché essi potessero servire converrebbe che il conduttore di seconda clas- se fosse ridotto pressoché al minimo di umidità, come si è fatto nelle pile dette a secco. '

18. Due di siffatte pile, che non ha molto ebbi in dono dal celebre inventore delle medesime 11 sig. prof Zamboni, mi diedero opportunità d'istituire varie esperienze, di cui spero non sarà superfluo riferire le principali.

Gli elementi delle pile zamboniche constano, com'è noto, di un disco di carta così detta d' argento, sul rovescio della qnale è spalmata della polvere di car- bone ossidalo, e il deferente di seconda classe che separa una coppia dall' altra è il solo umido che naturalmente aderisce alla carta . Le due colle (piali ho spe- rimentato erano l'una e l'altra di i5oo coppie, e la tensione che manifestavano ai poli era di circa quattordici gradi all' elettrometro a paglie sottili senza il sussidio del condensatore .

I poli d' una delle dette pile furono messi in comunicazione fra di loro col mezzo di una striscia di piombo, e lasciati così per un minuto. Appena tolta la detta comunicazione, vidi che la tensione dai i4 gradi era discesa ai sei. In un altro esperimento simile la tensione perduta in tre minuti fu di nove gradi . In un terzo perdette dieci gradi in 8 minuti : ed in un quarto esperimento perdet- te 1 o gradi e mezzo in quindici minuti .

Avendo tenuto chiuso il circolo in una delle dette pile per venti minuti, la sua tensione, esplorata subito dopo che fu aperto il circolo, era di due gradi .

Le tensioni poi osservate a diversi intervalli di tempo furono come segue :

gradi

4

,

5

crescenti

.

6

7

quasi

9 1 1

i4

3o8

Dopo 1 che fu aperto il circolo.

2

3

5 8

12 21

Ripetute le precedenti esperienze tenendo in comunicazione i poli non con un arco metallico, ma con un conduttore umido, e precisamente col tenere un' estremità della detta pila a contatto colla lingua, e l'altra fra due dita inu- midite con saliva, ottenni risultamenti identici.

Ne è punto necessaria una comunicazione continuata fra i poli, perchè s'inde- bolisca notabilmente la tensione in simili apparati, bastando ancora una serie di comunicazioni istantanee ripetute a intervalli di tempo, purché questi non siano talmente lunghi che l' elettromotore non possa aver di già ripigliata tutta la tensione perduta in una comunicazione fra i poli, quando si rinnova la comunica- zione medesima.

Tenendo in mano un estremo d' una delle dette pile, e toccando per trenta volte coir altro estremo una foglia di piombo tenuta nell' altra mano, lasciando scorrere un minuto secondo fra un contatto e 1' altro, e procurando che simili toccamenti fossero istantanei, la pila perdette tre gradi delle sua tensione .

Ripetuto r esperimento dopo che la pila ebbe riacquistata la sua tensione na- turale: fatti sessanta toccamenti come sopra, la tensione perduta fu di quattro gradi .

La stessa colonna perdette pure quattro gradi di tensione eseguendo solo Tenti toccamenti, ma che si succedettero con molta rapidità.

Noi vediamo adunque dalle sin qui riferite esperienze che le pile zamboniche si comportano come gli altri elettromotori per rispetto ai fenomeni di cui parlia- mo: eccetto che quando si varia la conducibilità dell'arco, mediante il quale si mettono in comunicazione i poli, non varia sensibilmente la tensione perduta in un dato tempo . Ma questo non deve punto recar meraviglia, giacche essendo già difficoltato assaissimo il trascorrimenlo dell' elettrico in simili apparati, e per essere assai cattivo il conduttore di seconda classe che separa le coppie, e per essere assai grande il numero delle alternative umide e metalliche, per cui deve passare 1' elettrico stesso, poco o nulla si altera 1' energia della corrente medesima col variare anche di moltissimo la conducibilità dell' arco clic con- giunge lun polo coir altro .

Sog PARTE QUINTA.

Di alcune applicazioni a cui possono dar luogo i fenomeni fin qui considerali.

19. Se adunque gli apparati elettromotori., qualunque essi sieno, decrescono in tensione quando per essi facciamo circolare 1' elettrico^ e riprendono il vigore primiero allorché tiensi per qualche tempo sospeso il circolo: noi potremo sen- za dubbio tener sottoposta una sostanza all'azione d'una corrente elettrica per quanto tempo vorremo, senza che la tensione che anima la corrente stessa decre- sca oltre un dato limite col far uso dell' azione alterna di più elettromotori. A tal uopo converrà determinare prima di tutto con un esperimento preliminare il tempo che impiega l' elettromotore a perdere una data tensione quando i suol poli sono messi in comunicazione mediante la sostanza che vuole sottoporsi al cimento, e quindi il tempo che ruhiedesi onde 1" elettromotore riacquisti la ten- sione perduta . Fingiamo per es. che in un dato caso 1" apparato spenda 1 o mi- nuli a perdere quindici gradi di tensione, ed in venti minuti di riposo ricuperi la tensione perduta: allora si sceglieranno tre elettromotori eguali che verran- no destinati ad agire sulla data sostanza uno dopo l'altro, e ciascuno per 10 minuti, per cui tutti e tre avranno alternativamente dieci minuti di azione e venti di riposo per tornare al vigor primitivo . 3Ia gli elettromotori perdono coir andar del tempo parte della tensione per l'imperfetto isolamento: il liqui- do, in CUI pescano le coppie, si decompone e perde della conducibilità, e la cor- rente elettrica viene a rallentarsi anche per altre circostanze ; onde in capo a pochi o a molti giorni, secando i casi, la forza de' tre apparati avrà sofferto de- trimento non ostante che agissero alternativamente . Si terranno perciò altri tre elettromotori eguali ai primi, che si allestiranno e si sostituiranno ad essi, e così si avrà tutto 1' agio che basta per poter ridurre i primi tre apparati allo stato primiero, e rimetterli poi in azione quando gli altri tre avranno bisogno di ristauro . Ed in questa guisa potrassi tener soggetta la sostanza all' azione circolante dell' elettrico, continuata senza la più piccola intermittenza per lutto quel tempo che sarà più a grado, e senza che la forza della corrente non mai decresca oltre un dato limite . Il meccanico poi saprà agevolmente ideare il consegno, perche le alternazioni si compiano da se anche in assenza dell' cspe- rimcntatore .

20. Ella è nota la bella applicazione che lo Zamboni immaginò di fare delle sue pile a secco per conseguire un orologio che andasse per un tempo indefini- to, senza biso^^no di ricaricarlo . Bla o sia per l'imperfezione delle pile stesse, ossia perchi; 11 meccanico volle obbligarle a produrre una quantità di molo non

3io

jiroporzionata alla forza variabile delle medesime, o sia Gnalmcnte pel deperi- mento di tensione elettrica, a cui vanno esse inevitabilmente soggette coll'uso; il fatto è che molti tentativi non partorirono il bramato effetto . Egli è ben ve- ro che il genio dello Zamboni con aver dato a' suoi elettromotori un alto grado di perfezionamento, con aver ridotta al minimo la forza necessaria a tener. ri- montato un orologio, e coli' aver moltiplicate le colonne al segno che per quan- to vengano a perdere di tensione, sempre posseggono im residuo di forza suffi- ciente all' effetto, sembra ora mai pervenuto al pieno conseguimento del suo fi- ne . Ma sembrami pure assai jn-obabile che coli' aver riguardo alle prove da noi fatte rispetto alle perdite di tensione, che questi congegni soffrono o per l' im- perfetto isolamento dei loro poli, o per l' uso che se ne fa, potrassi o con più si» curczza, o con minore diflicoltà conseguire l'orologio perpetuo. Infatti ad im- pedire le perdile di tensione prodoLle dall' imperfetto isolamento gioverà il garantire la custodia del congegno colla presenza d' una sostanza molto igno- inetrica: e ad ovviare al difetto proveniente dalla perdita di tensione cagionata dalle ripetute comunicazioni fra i poli delle colonne, basterà adattar le cose in modo, che quando, per essersi affievolita la tensione di un ordine di pile, il peso dell'orologio incominci a discendere, sia da questo stesso movimento mes- so .in attività un altro ordine di pile, e lasciato in riposo quello che operò fino a quel momento, onde possa riacquistare il vigore primitivo, per subentrare poi all' altro quando per la perduta tensione più non sia in grado di tener caricato r orolo'rio ed abbia bisogno di riprender lena col riposo .

ai. L' azione alterna degli elettromotori sembrerà forse poco adattata a quel- le esperienze, nelle quali la comunicazione fra i poli devesi fare per via di con- duttori di prima classe, come accade nelle sperienze elettro-magnetiche ed in altre . Infatti siccome ove l' arco che unisce i poli sia metallico, brevissimo è il tempo che l' elettromotore impiega a perdere una gran parte della sua tensione, ed assai lungo quello che ci vuole per ricuperarla; malagevole al certo riusci- rebbe il dover far agire alternativamente quindici, venti od anche più elettro- motori per tener soggetto un filo metallico ad una corrente elettrica, la cui for- za o tensione non discenda mal oltre un dato limite . E ciò tanto più perch'e ci Torrebbero poi altrettanti apparati da sostituire ai primi ove questi abbiano bi- so<rno di ristauro . Ma se mal non mi appongo avvi un ripiego per poter istituire

di simili esperienze anche con due soli elettromotori accompagnati ed aiutati nel modo che dirò da altri due .

Riflettasi primieramente che per gli effetti , pei quali l'arco che congiunge i poli esser deve metallico, poco importa che l' elettromotore sia di poche coppie, che anzi un numero grande di coppie è più dannoso che utile . Richiamiamo in oltre alla memoria che le alterazioni di elettromotricità prodotte da una correa-

3ii

te elettrica vengono facilmente distnilte da una corrente contraria (i); per cui se r azione d'una corrente ha portato una diminuzione di tensione in un appa- recchio volliano per l'alterazione indotta da essa nella elcltromotricità relativa delle piastre, l'azione di una corrente diretta in senso opposto ritornerà l'appa- ralo alla tensione primitiva induccndo nelle sue piastre un'alterazione di elct- tromotrlcità contraria alla prima . Giovi riferire alcun esperimento in propo- sito .

Un elettromotore di sei coppie, la cui tensione era di circa nove gradi , ne perdette cinque col tener chiuso il circolo per tre minuti; tolto l'arco metalli- co che congiungeva i due poli, si misero questi in comunicazione coi poli d'un altro apparato a corona di coppie, ina in modo che la corrente elettrica di questo era diretta in senso contrario a quella del primo . Dopo mezzo minuto fu tolta siffatta comunicazione, ed esplorato immediatamente 1' apparato di sei cop- pie, si vide che egli aveva già conseguita la sua primitiva tensione . Ed ho pur veduto che molte volte con questo mezzo si ridona la forza perduta ad un elet- tromotore in un tempo assai più breve .

Ne solo si può ridonare con tal metodo la tensione perduta, ma puossi ezian- dio accrescere quella che l'apparato ha naturalmente . Il detto apparalo di sei coppie, che aveva una tensione di nove eradi, messo in comunicazione omoni- ma (2) con l'elettromotore di /^o coppie, in capo a due minuti mostrava una tensione di dieci gradi abbondanti .

Per vedere poi se realmente a questi aumenti, du-ò così, artificiali di tensio- ne elettrica corrispondeva un accrescimento di forza, giacche sappiamo che non sempre dalla tensione di un elettromotore si può argomentare della sua forza e- lettro-magnetica, anche quando la tensione non dipende dal numero delle cop- pie ond" è costrutto (3), ho istituito alcune esperienze sidle perdite di forza elet- tromagnetica che soffrono gli apparati voltiani quando sta chiuso il circolo, e sul riacquistare che fanno la forza stessa allorché il circolo viene interrotto, ov- vero r elettromotore vien fatto attraversare da una corrente contraria alla pro- pria .

Un elettromotore di otto coppie faceva declinare un moltiplicatore magneti- co di circa otto gradi: chiuso il circolo per un minuto, la declinazione operata non era più che di tre gradi, e tornò a produrre l'effetto di prima dopo 12 mi- nuti ch'era aperto. Ma se invece di lasciare 1' apparato in riposo dopo ch'era

(i) V. Saggio citalo §. Sa e segg.

(a) Cioè in modo che il polo positivo d'un apparalo comunicasse col positivo dell'altro, ed il ne- gativo col negativo (3) V. Saggio citato §. ga e segg.

3l2

stato chiuso per un minuto, si metteva in comunicazione omonima con un appa- ralo di io coppie, ripigliava la sua forza di prima in i5' ed anco più presto . Ne ommettcrò qui di notare che se si prolunga di qualche minuto 1' azione del se- condo elettromotore sul primo, consegulsce questo tale forza elettroma"-netica da portare una decrmazlone ben anche tripla di quella che produce natural- mente .

Ma il confronto fra le alterazioni di tensione e le alterazioni di forza ma^neti- ca, cui possono andar soggetti gli apparecchi voltianl formerà il soggetto di al- tro ragionamento : bastando le cose qui notate a far comprendere come si pos- sa con due elettromotori a picciol numero di coppie assoggettare un filo metal- lico a J una corrente elettrica, la cui forza non iscemi mai oltre un dato grado , sempre che questi vengano scortati da altri due elettromotori molto più nume- rosi di coppie, ciascuno de' quali venga destinato a repristinare la tensione d'uno de' primi, ed in un tempo non più lungo di quello che impiega a perderla, facen- do scorrere per esso una poderosa corrente elettrica contraria a quella da cui è invaso quando i suoi poli comunicano per via dell'arco metallico.

Veduta la possibilità di mantenere colT azione alternala di più elettromotori una corrente elettrica sempre attiva sovra una sostanza, sembra lecito lo spe- rare nuovi progressi nella scienza elettrica. Non ignoro peraltro che le cose, le quali meditate in astratto sembrcmo promettere le applicazioni più lusingliiere , non sempre venendo alla pratica corrispondono all'espettazione . Ma qualunque sia per essere il destino dell'azione alterna degli apparati voltiani, che sarà dei fatti il deciderlo, paghi saranno i miei voti, se, per giudizio di questo rispelta- bile consesso, io avrò con questo mio lavoro aggiunto alcun che alla scienza de- gli elettromotori .

9iS NUOVO

GALYANOMETRO MOLTIPLICATORE

PROPOSTO E DESCRITTO DALLO STESSO.

J. uttl i fisici che ripeterono la bella esperienza dell' Oersted relativa all'azio- ne dell" elettricità sulle calamite, conobbero che l'ago magnetico potevasi im- piegare come strumento misuratore dell'energia delle correnti elettriche: ed il valentissimo Schweiger riflettendo che il filo metallico congiungente gli estre- mi d' un elettromotore esercitava in qualunque suo tratto un'azione eguale sul- la calamita, ebbe prima d'ogn' altro la felice idea di ripiegare molte volte il filo congiuntivo al di sopra e al di sotto della calamita stessa per accrescere l' effetto. E siccome un ago magnetico fornito d' un semplice filo metallico che passa al di sopra o al di sotto di esso fu detto voltimetro o galvanometro, così lo stromen- to schweigcriano venne appellato voltimetro o galvanometro moltiplicatore.

Desideroso di dar maggiore estensione ad alcune sperienze, intorno alle qua- li ebbi più volte l' onore di trattenere questa dotta adunanza, mi procacciai l'anno scorso da Milano uno di siffatti moltiplicatori . Accintomi peraltro al- " le sperienze, non tardai a conoscere che di poco egli superava in isqnisitezza i galvanometri semplici da me usati: e riflettendo alla costruzione di quello stro- mento mi è sembralo di rilevare: i." Che il filo metallico impiegato in esso non fosse disposto in guisa da proilurre tutto l'effetto, che per esso sarebbesi potuto; 2. Che in generale tale congegno non poteva riuscire il piii adattata ove si trattasse di osservazioni richiedenti quakhc esattezza.

i." La disposizione del filo congiuntivo che passa al di sopra e al di sotto del- l' ago a modo di orditura, cioè in modo che tultc le j>orzioni di esso operanti sul!" ago riescano parallele e fra loro ed all'asse magnetico, o prossimamente ta- li, non è certamente la più opportuna ad ottenere la maggiore d(!yiazione del- l' ago con una data quantità di filo . Infatti nel primo istante che il filo è invaso dalla corrente elettrica, le porzioni del medesimo che trovansi nello stesso ina- ne verticale dell'asse magnetico sono le sole, che esercitano un' azione diretta

suir ago, laddove tutte le altre non operano che obìiquamcntc. e (piindi il loro ef- 4o

Si4

fftto è mitiore, giacche giusta la legge del Biot 1' azione di ciascuna molecola del filo su ciascuna molecola australe o boreale dell'ago è tanto minore quanto più cresce il quadrato della distanza, e quanto maggiore è il seno dell' angolo formato dalla distanza stessa colla direzione del fdo . Alloraquando poi l'ago abbia incominciato a muoversi, tutte quante le porzioni del iilo, nessuna eccet- tuata, non esercitano su di esso che un' azione obbliqua.

Egli è per questo che io credetti miglior consiglio disporre il filo congiuntivo in modo che tutte le sue porzioni, che vanno al di sopra o al di sotto dell' ago calamitato s' incrocicchiassero nel mezzo, ossia in modo che vi fosse un tratto di hlo e sopra e sotto dell' ago, che riuscisse parallelo al medesimo, e nello stes- so piano verticale quando 1 ago è nella sua posizione naturale, che ve ne fosse un secondo tratto, che tale riuscisse quando l'ago è deviato p. es. di un gra- do, un terzo che venisse ad essere parallelo all'ago, quando declina di tre gra- di, e cosi via via. In questa guisa operando, qualunque sia la deviazione dell' ago, finché esso non si trovi fuori dell'orditura, vi sarà sempre un tratto di filo che opererà su di esso con tutto quel grado di forza di cui è suscettibile, oltre di che sarà pure l'ago sottoposto all'azione obbliqua di tutte le altre porzioni.

«." Lo stromento schweigeriano non può riuscire il plìi opportuno, ove tratti- si di misurare colla dovuta precisione le declinazioni indotte nella calamita dal- le correnti elettriche : imperciocché o si guarda la calamita dirigendo 1' occhio verticalmente su di essa, e l'orditura del filo impedisce che si rilevi esattamen- te di quanto declini, o si vuole guardarla evitando che fra essa e l'occhio sia il filo metallico, e allora riesce difficile g-iudicare sulla declinazione della medesl- ma: giacché movendosi l'ago in un piano alquanto distante da quello su cui so- no segnati 1 gradi, se la punta osservata si discosta dall'occhio, la visuale la fa apparire andar molto più lontano di quanto realmente va, e se l'ago muovesi in senso contrario, molto minore appare all'occhio la deviazione operata.

Per togliere tale difetto credetti opportuno di adattare la graduazione late- ralmente all'ago e di collocare una setola fissa al centro dell'aspo medesimo la quale movendosi con esso indicasse le sue deviazioni .

Queste furono le principali considerazioni che mi indussero a costruire il gal- vanometro moltiplicatore, che mi è dato di sottoporre al giudizio vostro, sapien- tissimi accademici, e che passo a descrivere brevemente .

Il pezzo principale del mio stromento é un piccolo telaio d' ottone lungo circa quattordici centimetri e largo undici. Ciascuno de' lati maggiori consta di due regoli, inferiore l'uno, superiore l'altro, che lasciano fra essi l'intervallo di otto mllllraetri; e gli altri due minori sono fatti di lastra d' ottone posta verticalmen- te, ed alquanto piegata in arco : e dovendo su questo passare il filo metallico vennero coperte esattamente di filo di seta all' oggetto che il filo congiuntivo

3i5 rton vcnisse'a oonlallo coli' ottone, e clic i vaiil lialli del medesimo aTCSscro a rimanere piti stabilmente nella posizione in cui sarebbonsi collocati .

Il filo di rame ricoperto di seta, che si usa negli altri galvanometri , quello almeno che io ho potuto avere, lo trovai fragile che non si poteva distendere a dovere sul telaio . Ho pertanto fatto «so di fil di rame inargentato e coperto di vernice : e questo e come aggomitolato sul telaio in modo che tutti i tratti che riescono al di sopra o al di sotto dell'ago s'incrocicchiano nel mezzo.

Alla metà d'uno de' lati maggiori del telalo è raccomandata una piccola asta di ottone, normale al lato medesimo, alla cui estremità corrispondente al pun- to di mezzo del telaio porta il perno su cui si colloca 1 ago magnetico. Que- sto è munito d' una setola fissa al suo centro e formante angolo retto col medesimo, di maniera che le declinazioni orientali o occidentali dell'ago ven- gono a corrispondere a declinazioni australi o boreali della setola . Dcssa poi non si estende se non dalla parte opposta dell' asta che porta 1' ago , essendo dall'altra parte contrabbilanciata da un pezzeto di cera .

Al secondo poi de'lati maggiori del telaio e applicata una striscia d'avorio divisa in sessanta gradi, trenta dalla parte australe, e trenta dalla boreale, ed in modo che quando il telaio è situato colla sua lunghezza parallela all'ago cala- mitato, l'estremità della setola corrisponde alla metà, ossia allo zero della detta divisione.

L'asta che porta r ago magnetico non è fissa, ma può ritirarsi in modo da portar l'ago fuori dell'orditura de" fili, afimchè si possa facilmente levare ra2;o medesimo e sostituirne altro più o meno pesante. Con che Tistromento rendesi alto non solo a dare indizi! vaghi, ma a misurare con precisione e gli effetti una corrente voltiana di minima forza, e quelli d'una corrente di forza notabile .

L' istromcnto è chiuso in una scatola circolare di legno a coperchio traspa- rente per garantire l'ago dagli urti «lellaria. I due capi del filo moltiplicatore sporgono fuori della scatola per un tratto di circa due jiicdi, e le estremità so- no avvolte in foglie di stagno per poterle più agevolmente applicare a contatto delle coppie elettromotrici . f.a .scatola è sostenuta da tre viti che servono a livellarla . ÌNella tavola qui unita veggonsi delineati il prospetto, il profilo eia pianta dello stromento.

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DELT INFINITO

METAFISICAMENTE E MATEMATICAMENTE CONSIDERATO

MEMORIA

DELL'AB. FRANCESCO MARIA CAV. FRANCESCHINIS

I-ROFESSORE DI MATEMATICA APPLICATA E (JEODESIA NELL'I, R. UNIVERSITÀ DI PADOVA

MEMBRO ONORARIO,

11 soggetto della presente memoria quanto, illustri socii, è per se stesso gra- ve ed importante, altrettanto, come suole av?enire di tutto ciò che grandemen- te ne interessa, arduo si è, e malagevole a trattarsi. Diffatti qual umano, sia pur quanto si voglia peregrino, ingegno potrà degnamente e adequatamente par- lare dell'infinito ; il quale altronde si strettamente legato si mostra con 1' origi- ne e col progresso delle nostre idee, e con la natura delle nostre affezioni? Poiché la umana mente non può nelle sue indagini restarsi, se non giunga al corjcetto di un essere sapientissimo infinito, che sia l'autore di ogni cosa: e il cuor nostro vagando con Y affetto per tutti i creati oggetti sente, che niuno di essi può soddisfare pienamente l'innato desiderio di felicità, il quale perciò ar- gomentasi essere obbiettivamente infinito. Che se la importanza di formarsi del- l'mfinito un giusto concetto operò, che i più chiari ingegni lungamente sopra di esso meditassero, la indicata difficoltà di ben afferrarne la essenza, e dichia- rarne la proprietà di esso, fece che quelli in varie sentenze sopra alcuni punti si dividessero, e non abbastanza esattamente sopra molti altri si spiegassero; talché puossi sicuramente affermare, che non sarebbe perduta opera il tentare di rischiararne maggiormente non solo la idea principale , ma tutte quelle che in qualche modo le sono affini, e sembrano partecipare dell' esser suo . Ora sif- fatto tentativo da me fatto sarà il soggetto della presente memoria, e di altra, che a questa succederà ; le quali al vostro giudizio sottoposte aspetteranno tran- quillamente da esso di sapere, se io mi dovrò in qualche pregio averle, o se do- vrò alla dimenticanza condannarle .

E perchè nulla lasci in tale argomento a desiderare : cioè perche il consideri in tutti gli aspetti, discorrerò di esso e come piace ai mctahsici. e come usano

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i matematici . Ed acciocché le nozioni, che io m'ingegnerò di ben determinare, abbiano dalle ajiphcazionl nnova dilucidazione e conferma farommi con la scorta di esse ad esaminare due opere, l' una delle quali è intitolata : DelC infi- nito ereato., titolo che porta con se la sua confutazione, come vedremo ; 1' al- tra : Del calcolo delle probabilità^ diretta, a quel che sembra, a mostrare la pos- sibilità dell" attuai ordine dell'universo indipendentemente da una sapienza or- dinatrice : opera non meno dell' altra portante in fronte 11 carattere dell' assur- dità . Le quali opere dalle penne uscirono ( chi il crederebbe ? ) di due profon- dissimi pensatori, ma dettate, come vedrassi, da un animo intieramente tra lo- ro opposto .

Comunemente chiamasi inhnito quello, in cui non si veggono, ossia non si concepiscono limiti . Ma basta egli a dehnire l' infinito il dire che nel concetto di esso non entran limiti ? O non conviene inoltre che la idea che lo rappresen- ti ne offra la esclusione reale di ogni qualsiasi limitazione ? Il non vedere, o il non conoscer limiti nel concepimento di qualsivoglia cosa vuol egli dire ch'essa non ne abbia, o non ne possa avere ? Se uno che non sapesse la terra nostra aver contini, dove camminasse per essa lunghi e lunghi anni nella stessa dire- zione senza vederne il fine, dedurrebbe egli perciò con sano giudizio esser ella infinita ? Ma se in qualche oggetto presente all' animo vedesse uno cliiaramen- te, che la natura di esso esclude necessariamente ogni limite, potrebbe egli re- star dubbioso che tale oggetto non fosse veramente infinito? E questa reale esclusione di ogni limite chiaramente concepita non sarà ella una idea positi- va? E non sarà quindi diversa da quella formata con la successiva rimozione dei limiti, la quale non Inchiudc mal la esclusione reale e necessaria di ogni li- mite ? Perciò se la idea formatasi a quel modo vorrassi chiamar la idea dell' in- finito negativa, non sarà per altro mal la vera Idea dell'infinito stesso.

Che se negasi aver noi la Idea dell' infinito positiva, perchè egli è impossibile che una mente finita comprenda l' infinito, ciò altro non mostra se non che con- fondesi la Idea di un oggetto con la comprensione di esso ; le quali due cose so- no tra loro molto diverse : polche la comprensione importa, che la percezione, o la Idea della mente si coestenda In certo modo a tutta 1' ampiezza del sogget- to, dove la idea chiara e distinta di esso non consiste In altro, che ncll inten- dere, e nel rappresentare la Idea, che ne costituisce la essenza.

Ma rifuffcre ora la majririor parte de' filosofi dal convenire, che la idea del- l'infinito sia in noi una Idea positiva, perchè sentono essi, che non potrebbero derivarla dal sensi, ne dalla rillessione al modo aristotelico, o loklano, e molto meno secondo 11 sistema, che stabilisce ogni maniera d' Idee, non essere che una sensazione trasformata , Ma di ciò non è ora mio Intendimento di fa- yellare .

\

3if) Slaljilito perlanlo, clic la itlea deli' infinito assoluto inchiudc necessariamente la reale e positiva esclusione ili ogni limite, resta subito dimostrato, che l' infi- nito assolato non può aversi che nella pienezza dell' essere ; cioè che non è al- tro che l'essere universale, ossia l'essere senza restrizione : onde Dio, che è appunto questo essere infinito, ben definì se medesimo, quando da Mese inter- rof.-ito chi egli si fosse, rispose senz' altro , ^g'o ^«m (/iti siim: Io sono quegli che sono, cioè r essei-e senza limitazione veruna . Quindi saranno espressioni improprie per designar cosa che sia assolutamente infinita il dire che è infinita nel suo genere, o nella sua specie : poiché chi dice un genere o una specie di- ce manifestamente un limite, lo che distrugge la idea dell'infinito assoluto.

Ma prima d'inoltrare nella considerazione dell' infinito secondo la fissata no- zione, cioè che non sia che l'essere senza restrizione, gioverà esporre quello che di altre idee convicn dire, che hanno con esso, o sembrano avere molta af- finità. E prima diremo delle idee universali, le quali ne conducono all'idea dell' indefinito e dell' indeterminato .

Pensano non pochi metafisici, che noi considerando in molte idee singolari quello eh' esse hanno di comune, prescindendo da quello ch'esse hanno di pro- prio, ci formiamo le idee universali . Cos\ dove in un pioppo, in un frassino, in un lauro, od anche in un' erba, in un Gore io non consideri che ciò che trovasi aver luogo allo stesso tempo in ciascuno di quegli oggetti mi formo la idea uni- versale del vegetabile . Lo stesso dicasi dell' idea universale dell' uomo, che in me si desta dal considerare in Tizio, in Cajo, in Cesare, in Antonio, quello che veggo apiiartcncre a ciascuno, cioè 1' animalità unita alla razionalità.

Altri poi dei metafisici e de' più gravi, cominciando da Platone, cui seguitò con molti altri sant'Agostino e sant' Anselmo, metafisici sommi, indi Cartesio, Malebranchio, e non pochi altri de' più solenni tra' moderni, hanno pensato che le idee universali e le essenze delle cose sussistessero non solo negli animi no- stri in quanto da noi si concepissero: ma fuori anche di noi, e prima che si con- cepissero, né fossero ristrette da luo^o, da tempo : " alle quali, come dice il Zanolti ( Filos. mor. parte /, e. 5 ), rivolgiamo lanimo per un avviso che ne « danno gli oggetti singolari, secondo che a noi si presentano, onde ci pare di « trarle e di pigliarle da essi : ma le abbiamo d'altronde " . Comunque poi in noi si trovino queste idee universali sembrami doversi di esse stabilire due co- se. La prima, che non sono altrimenti una confusa percezione di molti partico- lari, come volevano Spinoza ed Obbesio, ed in seguito anche \^olfio, e molti altri, senza forse avvedersi della malizia di quei due primi, che dietro siffatto pensamento volevano escludere dalla intelligenza divina le idee universali, e quindi le idee archetipe : appunto perchè fondate, secondo la loro tlefinizione,

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sopra un imperfelto modo di concepire ; e quindi indegna di Dio ; la seconda che non sono un mero nulla, come espressamente afferma il Condillac .

E primieramente distinguerò con Gerdil ( Orig. del senso mor. §. ^3. ) due classi d idee universali . La prima si è di quelle idee che ne presentano una for- ma o qualità in quanto è applicabile a molti soggetti: e la seconda <li quelle in cui si considera un soggetto, in quanto è suscettibile di pili forme o qualità dif- ferenti . La idea universale del triangolo equilatero è del primo genere, quella della figura in generale è del secondo. Dirassi che queste non siano per se stes- se idee chiare e distinte l E vorrassi che la prima non sia che una confusa percezione di molti triangoli equilateri, e la seconda, ossia la estensione figura- bile, non sia che una confusa percezione di tutte le forme, o di tutte le ligure ch'essa può prendere? Che se la idea del triangolo equilatero, e quella della esten- sione figurabile sono per se stesse non solo chiare e distinte, ma semplicissime, come diverranno esse universali ? Non in altro modo, se non per lo intendere, o concepire che sono applicabili ad un numero senza fine, la prima di soggetti e la seconda di forme : e la idea di questa applicabilità unita all' idea di quel- lo che costituisce la essenza, o la idea del triangolo equilatero, o della figura in generale, applicabilità, che chiaramente si concepisce, rende le suddette idee universali . E come la mente non può abbracciare che imperfettamente, e, se si vuole, che confusamente il numero dei soggetti e delle forme, a cui quel sog- getto o quella forma si estende, così si volle far credere che le idee universali non fossero che una confusa percezione di molti particolari, e perciò indegne di Dio. Ma non le idee universali, al modo che dichiarate le abbiamo, arfromento sarebbero d'imperfetto modo d intendere: ma sibbene quelle di precisione, con cui da taluni voglionsi le universali confondere : le idee cioè delle qualità che staccansi in certa guisa con la mente da altre, con cui sono essenzialmente connesse, onde poterle più distintamente considerare, come costumano i geo- metri, ì quali nell'idea del solido che componesi della triplice dimensione, tut- toché le tre dimensioni non possano divisamente sussistere, ora fissano latten- zion loro sopra due, ed ora sopra di una sola, prescindendo dalle altre per po- ter meglio, attesa la limitazione della umana intelligenza, dedurre prima le pro- prietà delle linee, poi delle superficie, e quindi dei solidi stessi .

Sarà poi strana opinione, per non dir altro, quella di farsi a credere, che le idee universali sieno un mero nulla, ossia che non abbiano realità alcuna indi- pendentemente da quella delle cose particolari. Il termine reale può avere dop- pia significazione; cioè o prendesi per opposizione al niente, o si adopera per si- gnificare la esistenza propriamente detta . Se prendasi nel primo senso, e di- casi reale con la maggior parte dei metafisici, tutto quello a cui corrisponde una

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nozione, le idee universali non saranno altrimenti nulla fli reale, poiché hanno una nozione che le ra|)presenla . Che certo niuno dirà di concepir nulla, ossia di non aver nulla di presente allo spirito, quando contempla la idea universale, o la essenza del triangolo equilatero, o quando la estensione considera, in quan- to è suscettibile di prendere ogni maniera di ligure. Distinguendo poi la doppia maniera «li essere, che può convenire alle cose, l'uno intelligibile ed obbiettivo, l'altro subbiellivo e di propriamente detta esistenza, concedendo al Condillac che alle idee universali non compete la esistenza propriamente detta, anzi af- fermando, ohe non la possono avere ; giaccliè tutto quello che esiste deve esse- re determinato e parlicolare, e quindi concedendo che non sono in questo senso reali, sostenghiamo aver esse un essere obbiettivo e intelligibile, e perciò rea- le, non altrimenti che i possibili tutti e le essenze delle cose, le quali se non avessero una realità, non si sa come le cose esistenti subbiettivamente avessero potuto esser lormate. Ne i j)iìi sani metalisici parlaron mai delle cose puramente possibili, come di cose subbiettivamente esistenti, ma solo come di quelle che essendo intelligibili hanno un essere obbiettivo pel quale le dicono reali . Per- ciò alla domanda che il Condillac si fa : n Dov'erano le creature prima che Dio 5> le avesse create " ? non risponderemo già con esso lui : « La risposta è facile : » perchè è lo stesso che domandare dove erano prima che fossero ? Al che ba- 5) sta rispondere, che non erano in alcuna parte " . Ma diremo eh' esse emi- nentemente esistevano di un rao<lo obbiettivo ed intelligibile nella intelligen- za infinita, e ili un modo perciò reale, e che erano pure gli esemplari o le idee archetipe delle cose medesime alla esistenza ridotte dalla onnipotenza divina . Che se egli vuole che in noi sia prima la idea dell'esistenza delle cose, che nun quella della loro possibilità: ciò non sarà mai nell' ordine assoluto delle cose stesse, poiché l'essere intelligibile ed obbiettivo, ossia di possibilità deve prece- dere quello di esistenza propriamente detta: giacche quelle cose solo possono ricevere la esistenza subbiettiva, che hanno 1' essere obbiettivo o d' intelligibi- lità, cioè che sono possibili, i quali non sono che gli archetipi delle medesime, e sarebbe così strano il dire che Dio creasse cose di cui non avesse nella sua intelligenza leseroplare o l'archetipo, come che uno statuario facesse un o-run- po di più statue, senza averne concepita antecedentemente la idea e la composi- zione . Ne la difficoltà di ben definire l'esistenza propriamente detta, è ragione bastante per togliere ogni realità ai possibili : devesi confondere la possibilità astratta, che può dirsi esser ciò che non implica contraddizione, con le cose pos- sibili, poiché la idea possìbile del triangolo equilatero rettilineo non solamente comprende la idea negativa di non implicar contraddizione : ma presenta una realità positiva, cioè d concetto di uno spazio chiuso da tre linee rette eguali .

4'

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Ma la esislt-nza obbiettiva delle idee universali è cosi da ciascuno di noi sen- tita, che non è che per esse, che noi giudichiamo e ragioniamo delle cose in oo-ni o-enere, e che le scienze si formano e le arti: mentre non è che connetten- dovi in esse molte idee particolari si fanno per così dire i diversi corpi delle scienze ed arti diverse . Riflettendo sulle proprie interne operazioni, come av- verte Gcrdil ( Orig. del senso mor. ), e sugli oggetti di esse acquistiamo noi le idee astratte universali dell'unità e della distinzione o pluralità : quelle della identità e diversità, della somiglianza o della dissomiglianza, del più e del me- no: e puossi aggiungere quelle dell'ordine, della perfezione, del giusto, dell'in- giusto, dell'onesto e del turpe, che esprimono l sommi generi delle cose tra di loro, e con noi, le quali tutte inchiudono un qualche aspetto d infinità, essendo tutte applicabili ad una moltitudine indeterminata o di soggetti, o di modi, o di azioni. E di quelle cose molte cose mi si affacciano degne di essere avvertite, delle quali, per non disviarmi dal soggetto principale, non ne accennerò che due delle più generali: la prima delle quali si è, che quelle idee o forme universali regolano e determinano per modo i nostri giudizii, che noi delle affezioni delle cose particolari giudichiamo sempre per un tacito confronto, che noi facciamo delle qualità delle cose pai'licolari con quelle forme o idee universali che in noi sono, in qualunque modo vi entrassero o si formassero . Così confrontando due cose fra loro per conoscere se sieno eguali o simili, o diverse, secondo quel rispetto, per cui le paragono, applico a ciascuna la nozione dell'egnaglianza, della somiglianza o della diversità; e da questa comparazione ne deduco se sia- no eguali o slmili, o diverse, e sino a qual punto . Così avviso, che ordinate o no, diciamo le cose, e più o meno perfette : perchè appunto abbiamo le Idee del più o meno perfetto. Ora, secondo san Tommaso {pag- i, ques. 2, art. 2), noi non conosciamo il più e il meno perfetto, che riferendolo al sovranamente perfetto. Poiché, dic'egli, delle cose diverse diconsi il più e il meno secondo che si accostano a qualche cosa che lo sia massimamente , Lo stesso bassi da sant'Agostino, da Cartesio, da Malebrancbio, da Gerdil, ed altri sommi metafi- sici moderni: nonché dagli antichi Platone, Aristotile ed altri. In secondo luo- go avvertiremo quelle idee esser rigorose, immutabili e costanti , tuttoché alle volte ne sembrino inesatte, variabili ed arbitrarie . Vogliono 1 materialisti che la nozione astratta, per esempio, dell' eguaglianza che si ricava ( e ciò si con- ceda ) dalla sensazione dei due angoli che forma una linea condotta sopra di un' altra perpendicolarmente, e descritte ambedue con matita o con inchiostro, non sia essa pure che un prolungamento della sensazione da cui fu astratta . Ma nella idea della eguaglianza, come in quella dell' unità ec. matematicamente dimostrasi non potervi essere del più e del meno . Ora se 1' eguaglianza o l'uni- tà Ideale fosse, dice Gerdil {dis. del. man. di spieg. gli atti intellettuali)., affé-

ìli zione tli organo corporeo, non potrebbe esser la medesima in soggetti differen- ti, e ilovrebbe necessariamente soggiacere a differenze di pili e di meno, co- me avviene di tutte le sensazioni . INIa le idee di eguaglianza, di unità, ec. sono rigorosamente e in tulli le medesime. Dunque, ec. JNè perchè si astraessero dalle sensazioni ne seguirebbe eh' esse pure esser dovessero sensazioni . « Si r> estrae, dice il citato autore, luce dalla percossa dell' acciajo e della pietra fo- « caja : ne da ciò segue che la luce sia in se stessa percossa, o particella di « pietra focaja e di acciajo " .

Egli è poi da meravigliarsi grandemente, che si riproducessero in questi ultimi tempi contro le matematiche alcune delle viete accuse già prodotte da Sesto Empirico, e rinovate principalmente da Obbcsio, e ciò da uomini grandissimi: non già contro la loro certezza, ma in qualche modo contro la loro solidità, at- tribuendo il pregio della evidenza di cui si vantano all' esser esse una scienza di mera creazione dui matematici stessi, e puramente arbitraria . Così tra gli altri il Plinio della Francia e il sig. Beguelin accademico di Berlino; i quali vollero far credere, che le verità geometriche non sieno in se stesse reali, ma di pura definizione, e sup|)osizione arbitraria : e che a questo si debba che le matemati- che scienze sieno suscettibili di maggior evidenza, che non quelle di altre par- ti della filosolia , perchè creansi essi gli oggetti, sui quali si esercitano, e si fanno essi delle definizioni a piacere ; dove negli altri rami della filosofia si con- siderano gli oggetti come sono in se stessi : perciò disputando due fisici, o due melafisici tra di loro, accaderà soventi volte, che uno rifiuti le definizioni del- l' altro . Ma dicendo prima dell' oggetto dei geometri , che si è l' idea indeter- minata o indefinita dello steso in (pianto è figurabile ; non è già tale idea idea di formazione, ma iilea derivata in noi dalla sensazione, e come tale contiene in stessa determinazioni essenziali, che lo spinto non può in alcun modo altera- re; poiché viene così determinata dalla triplice dimensione, che non può aver- ne ne più, ne meno: e le proprietà che in siffatta idea scuoprono, e deducono i geometri tanto hanno di realità, e così lontane sono dall'essere arbitrarie, che rappresentano lo stato reale delle cose, coiie vedesi nell'applicazione della geometria all' agrimensura, alla meccanica, e alle arti e mestieri diversi. Quello poi, che all'arbitrio concedcsi del geometra, si !" il consideri^re nell'idea unifor- me dello steso uno spazio chiuso da tre lince, anziché da quattro o da cinque., e il farlo altrui conoscere per via di una definizione nominale: ne potrebbe già egli proporsi davanti agli occhi il triangolo, il quadrato, il pentagono ec. se que- sti non si contenessero nella idea dello steso come modi o determinazioni, se non attualmente esistenti, almeno come possibili, e perciò reali . A parlare esat-" tamente, dice Gerdll, ne il geometra, l'aritmetico non creano altrimenti gli oggetti, dei quali si occupano: ma conviene che 1' uno e l'altro li tragga dalla

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iiatiir.-i (Ielle cose, cioè dalle determinazioni possibili dell' estensione, come so- pra si disse, e dei numeri . Il geometra, clie componesse delle definizioni, che ninna relazione si avessero con gli oggetti reali, non ne darebbe che dei sogni e delle chimere. Il vantaggio poi che ha la geometria sulle altre parti della filosofia si è il poter sciegliere nelle determinazioni della estensione quelle che a lui pm giovano per isviluppare quelle relazioni, che il conducono a stabilire i suoi teo- remi: come dall' altro canto sarà debitore dell evidenza, che la segue in quasi tutti i suoi passi non meno che 1 aritmetica e l'algebra, all'fssere il loro oggetto, cioè la quantità continua e discreta, suscettibile di una infinità di determinazioni e combinazioni, che presentano delle idee semplici perfettamente determinate, e di cui è molto più facile il coglierne, e seguirne le relazioni: dove gli oggetti delle altre scienze naturali ne conducono il più delle volte a delle idee comples- se che inohiudono gran numero d' idee semplici non facdi ad esser conosciute, e molto meno ad esser determinate nelle mutue loro relazioni, e che non hanno il più delle volte il vantaggio, che hanno le idee matematiche di esser soccorse dalla immaginazione .

Similmente male avviserebbe, chi le idee universali ed astratte dell' ordine, della perfezione, dell' onestà, della giustizia, le dicesse fittizie ed arbitrarie: per- chè nelle idee da quelle derivate scorgesse qualche cosa di non ben detcrmina- to, ed in tutti, che le hanno di non uniforme, anzi alle volte di contrario . Poi- ché distinguendo le idee primigenie e universali, dalle derivate e particolari, non è dubbio che le prime non sieno in tutti mai sempre, e costantemente le medesime, ne variarsi mai per vicissitudine alcuna, ne per distanza di luogo o di tempo: e quindi non abbiano una realità, ed un essere dal nostro arbitrio in- dipendente . E certo come in ogni tempo in ogni luogo da tutti gì' intelletti si concepì sempre, e si concepisce tuttavia la somma dei tre angoli di un triango- lo eguale a due retti, cosi tutti dissero, e diranno mai sempre, che il concetto dell'ordine gli presenta una unità nella varietà, e che la giustizia sta nel dare ad oo^nuno il suo; onde ben disse Montesquieu, che prima, che vi fossero delle lego-1 fatte eranvi delle relazioni di giustizia possibili : cosicché chi dicesse che non vi ha niente di giusto o d'ingiusto, che quello che ordinano o proibiscono le leggi positive, è quanto dire, che prima che fosse tracciato un cerchio tutti i rao-o-l non erano ecruali. Che se addiviene alle volte, che sulla criustizia o la in"-iu- stizia di una lite, o sull' onestà o non onestà di un' azione non si convenga: an- zi parlando dell' onestà, se accade che alcune cose presso alcune nazioni si cre- dessero oneste, che da altri popoli stimavansi turpi, ciò non vuol dire, che quel- le prime generali idee o sentimenti non fossero in tutti comuni : ma solo che ne'principii rimoti o nelle massime, che derivansi ragionando dal priucipii primi

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possono gli uomini, ciascuno a suo modo ragionando e secondanilo delle parti- colari prevenzioni, rcnire in contrarie sentenze . E come appunto di due orato- ri, che slimano sinceramente in una causa aver ciascuno la giustizia dalla sua, non si diri mai eh' essi abbiano una idea tra loro diversa della giustizia in ge- nere; COSI dirassi la nozione generale dell'onesto e del turpe non essere in co- loro diversa, che credono, diversamente ragionando, la tal azione particolare r uno turpe, e l'altro onesta. Similmente se alcuni pensano talvolta ima tal di- stribuzione di cose disordinata, che ad altri sembrerà ordinala, ciò avverrà per- chè gli uni la vorrebbero ordinata di un modo., gli altri di un altro. Così quelli che amando che in una biblioteca fossero i libri distribuiti per ordine di mate- rie, chiamerà disordinata quella, in cui non vedesse 1 libri distribuiti secondo il modo, che a lui piace : ma invece 11 vedesse disposti secondo la legge o dei tempi, o delle nazioni, o della forma, o grandezza dei volumi : ma non perciò di- rà mai non esservi ordine, dove vedrà una varietà di cose condotte da una leg- ge comune, anzi dirà, la biblioteca, quando conosca il principio, che ne deter- minò la collocazione, essere bensì ordinata: ma quell'ordine non piacergli. Quin- di dalla diversità dei giudizi! non trarrebbesi mai argomento di dubitare della realilà e della costanza de principii, che li determinano, dove si volesse, o si sapesse separare nelle cose e nelle arti, principalmente sia di p-oduzione sia d' imitazione, quello che è fisso e inalterabile, da quello che è mutabile ed ar- bitrario .

E per (hre ora alcuna cosa dell' indeterminalo e dell' indefinito, che son pu- re nozioni, che con quelle dell'infinito si associano, e ricordato, che desse, co- me 1' universale altro essere non hanno , che r intelligibile ed obbiettivo, ne gioverà dalle matematiche ripeterne la dichiarazione. E cominciando dall'idea della quantità universale, che in se comprende tutto quello, che è suscettibile di accrescimento e di diminuzione oltre ogni termine assegnabile, riconosciamo in tale idea ([uelle inchiuse dell' indeterminalo e dell'indefinito: polche la idea della quantità universale non si limita ad alcuna specie, ne ad alcun modo di quantità . Dall' altra parte supponendo una quantità qualunque secondo la sua natura crescere in qualsiasi maniera, o diminuirsi senza che, astrattamente par- lando, si possa un limite concepire nel progresso dei suoi incrementi o de' suoi decrementi, oltre il quale non possa progredire, mi formo la idea dell'indefinito o dell'infinito in potenza . E 1' infinito attuale matematico non si concepisce, che come un limite dei rapporti crescenti, al quale possono sempre più accostar- si senza mal arrivarvi : come lo zero si prende come il limite dei rapporti sem- pre decrescenti, e sempre ad esso zero accostantisi senza che mai il ran-iriunn-a- no. Parmi poi non bene definisse l'Eulero la quantità universale, dicendo, ch'es- sa, olire 1 numeri di qualunque sorta, comprendesse anche l' infinito e Io zero,

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e gì' immaginarii : poiché la quantità universale uel suo astratto concetto non potrà mai contenere se non delle quantità: e lo zero e l' inlmilo, e molto meno gì' immaginarli non sono quantità in verun modo: oltre di che, se pur le dette espressioni o valori vi entrano nelle formole, non meno che le quantità negati- ve, le quali pure isolatamente prese sono impossibili, ciò non è che in seguito delle operazioni, che sopra le quantità e i numeri si fanno .

Al modo di considerare le quantità come cognite e come Incognite si aggiun- se quello di considerarle come variabili e come costanti ; distinzione, che non dalla natura generale delle quantità, ma dal modo si tragge con cui vengono le quantità considerate nelle questioni e problemi che si propongono. I problemi indeterminati sembra ne aprissero la strada a considerar le quantità come va- riabili; nei quali problemi inchiudendosi in una equazione due incognite, 1" una di esse poteva ricevere tutti i valori dipendenti dalla indeterminata variabilità dell' altra . Come la maniera di considerare le quantità in quanto variabili ne portò a quella di formar varii ordini d' infiniti e d'inliniteslinl matematici, quan* do se ne ammetta una, o per meglio dire varii ordini di quantità che crescano o decrescano oltre qualunque quantità assegnabile: giacche è certo che in una equazione o funzione di più variabili la funzione stessa conterrà valori infinita- mente infiniti: e ciò a più ordini secondo il numero delle variabili: giacche ognuna diventa quantità universale : e secondo altresì la potenza a cui saranno le quantità suddette elevate. Lo stesso dicasi degl'infinitesimi .

Il metodo del coefficienti indeterminati si è quello, a parer mio, che aperse il primo la strada all' analisi sublime, appunto promovendo e coltivando la idea dell indeterminato . Ognun sa che per esprimere il valore di una funzione, se lìnsrasi una serie, in cui ogni termine abbia un coefficiente indeterminato, la quale ascenda secondo le potenze della incognita e variabile, in grazia dell" as- soluta indeterminazione della variabile ridotta l'equazione tra due pohnomii eguale a zero, non può dessa verificarsi, senza che ciascun termine non sia se- paratamente eguale a zero, appunto perchè 1' assoluta indeterminazione esclu- de qualunque relazione tra di essi: lo che ne il modo di procurarci tante equazioni, quanti sono i suddetti coefficienti, dalle quali nasce la determinazio- ne del coefficienti medesimi, e quindi di tutta la serie . Farmi quindi che 11 ca- so contemplato da Gregorio Fontana {Disqiiis. XII. Phjs. Matli. ), il quale indurrebbe una limitazione nel metodo dei coefficienti indeterminati, non si com- prenda nel metodo medesimo sino che la variabile sta nella sua piena ed asso- luta indeterminazione: ma che appunto così quel caso, come altri che si trova- no nella serie dello sviluppo delle funzioni secondo il metodo delle funzioni analitiche, quando nella variabile, o nella forma della funzione s introduce qual- che cosa che restringa in qualche modo la pienezza della indeterminazione.

Dell' idea ilccTindelcriTrmatJ giorossi fLlicemente il Carnet nello spiegare i nrincipii metafisici dei nuovi calcoli suLlinii , conrie vedrassi nella memoria se- gnentc, nella quale esaminerò le principali maniere diverse, sotto le quali mol- ti illustri matematici ce li hanno presentali, e non lasciano pur anco di consi- derarli .

Intanto, per giungere a ben determinare la idea dell'infinito assoluto, dimo- strerò non poter questo aver luogo nella quantità ; ed in ciò giovcrcmmi delle cose scritte da Maclaurin e da Gerdil: le quali consistono principalmente nella dimostrazione, che una serie di numeri naturali, co' quaH numeri astratti può de- signarsi qualuntpe moltitudine, o serie di cose successiva, che permanente, non può divenire attualmente infinita . Difatti la serie de' numeri naturali, che comincia dall'unità, e va con tal legge che il numero, che segue, non sorpassa r antecedente, die di una unità, se divenisse infinita, dovrebbe darsi in essa il passaggio dal finito all' infinito, cioè dopo un termine finito dovrebbe trovarsi quello, che divenuto fosse infinito; ma un termine qualunque non sorpassa l'an- tecedente, che di una unità : dunque il finito, aggiungendovi ad esso la unità diventerebbe infinito. Che se invece di un termine si prendesse la somma di molli, o di tulli i termini antecedenti, come questa sarebbe sempre finita, ritor- nerebbe sempre lo stesso argomento; ciò che dovrebbe darsi il passeggio dal finito all'infinito: e che questo farebbesi.con l'aggiungere al finito la unità. Ne r argomento verrebbe meno col dire che fondasi sull'idea dell infinito, idea per lo meno inade(|uata e confusa. Poiché quantunque per le cose dette siffatta idea non sia altrimenti tale, la esposta dimostrazione non ha tampoco bisogno di no- minar 1 infinito: perchè tutta sta nella legge che conduce quella serie, la quale si è che ogni termine non sorpassi l'antecedente che di una unità, dal che ne segue, che non potrà mai cessare di essere finita: lo che è quanto dire, che non potrà mai divenire infinita: e questa dimostrata impossibilità di una serie di termini attualmente infinita vale egualmente, se questa serie risulti dalla posi- zione simultanea di questa infinità di termini, o se compongasi della posizione successiva di questa stessa quantità di termini, che supporrebbonsi essere gli uni agli altri succeduti : essendo evidente che il numero considerato in stes- so risulta egualmente dalla posizione successiva, che dalla posÌ2Ìone simultanea dei termini che lo compongono.

Ora se la materia è quantità o grandezza, non potrà mai essere infinita. Può quindi questo principio applicarsi a dimostrare che la materia non può essere da se : perchè dove fosse da sé, avrebbe, come la esistenza, necessario tutto ciò che avesse : perciò i limiti da cui fosse ora circoscritta, non potendo essere infi- nita, li avrebbe necessariamente : lo che distrufffferebbc la essenza della naan-

OD 1

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tità o della grandezza, che è di poter essere accresciuta o dliniauita oltre ogni termine assegnabile .

Ma potrebbe la materia, tuttoché creata, aver esistito ab eterno^ e potrà il mondo presente contare una eternità, come suol dirsi a parte ante? cioè può esser corso un tempo attualmente inhnito dalla sua creazione in poi? Così la pensarono non pochi scolastici con Aristotile, i quali riconoscendo l'impossibili- tà dell' infinito attuale nella quantità permanente non credevano con egual si- curezza che questo inhnito fosse impossibile in una sene di termini successivi. Ma il progresso delle umane cognizioni avendo, come si dicliiarò, ciò pure evi- dentemente dimostrato, resta posto fuori di ogni dubbio, che il mondo attuale non può avere esistito ab eterno : perchè, come dice Gerdil, se ciò fosse, la presente rivoluzione del sole sarebbe stata preceduta da una serie infinita di ri- voluzioni : che se non fosse la detta sene tale, cioè inhnita, sarebbe dunque fi- nita, e avrebbe avuto un cominciamento assegnabile: e non sarebbe eterna contro la supposizione. Ma una serie infinita di rivoluzioni stabilisce, ossia non è che una serie composta di un numero infinito di termini o di unità ; poiché l'unità astratta è applicabile ad ogni data rivoluzione . Se dunque questa serie è dimostrata geometricamente impossibile , sarà dimostrata egualmente impos- sibile 1' eternità del mondo con la suddetta impossibilità essenzialmente connes- sa. Altronde gioverà col suddetto autore osservare esser manifesta contrad- dizione il supporre che Dio, creando il mondo, potesse dargli una esistenza eter- na a parte ante . Chi dice eterno in questo senso dice la esclusione di ogni principio . Ma Dio, creando 11 mondo, gli un principio : non potrebbe dunque il mondo essere eterno a parte ante .

Non posso ora dilungarmi a mostrare, come il suddetto principio, che forma un nuovo nesso tra la metafisica e la matematica, si applichi felicemente a mag- giormente confutare la opinione di Clarke, già combattuta da Leibnizio, intor- no alla natura dello spazio, il quale esso voleva altro non essere che la im- mensità di Dio ; e come resti di un colpo atterrato il celebre sistema del- /'//i/?rti7o crealo di Malebranchio, sistema caricato dall'illustre d' Aguessau di mille quabficazioni odiose, e da esso non creduto in alcun modo di Malebran- chio, del quale rispettava grandemente i talenti e la virtù: ma che dallo stile e dai principil in esso dominanti mostrasi chiaramente appartenere al suddetto autore . Ma nella seo-uente memoria esamineremo distintamente 1' opera suddet- ta nelle sue varie relazioni con la metafisica, con la matematica e la teologia . Come pure i sistemi confuteremo degli atomisti, e di tutti gli altri che stimano dall' azzardo poter esser derivata , abusando del calcolo delle probabilità, la presente coordinazione delle fisiche cose, come asserì moderno chiarissimo au-

329 torc in un'opera sul calcolo appunto delle probabilità, tuttorliè già convenien- temente discussa <lal celebre prof. Rufiini . Intanto contro i delti sistemi ante- ciuerò le due seguenti considerazioni, che verranno in seguilo poste in maggior lume., tanto piii oiie noi furono per anco abbastanza, l.a prima si è che in tutte le supposizioni de' sistemi suddetti limitasi ih molto lo azzardo., il (piale per s!.' stes- to, e molto meno ne' casi da loro proposti non soffre determinazione o restri- zione alcuna. La seconda che supposta pure possibile una serie attualmente in- finita d istanti successivi (piale avrebbcsi dall eternità a parte ante, questa è ben lontana dal jiotcr esanrire tulle le possibili combinazioni e coordinazioni deijll elementi della materia, pel di cui esaurimento vorrebbevi una serie d'istan- ti successivi inhnitamcnle infinita .

Ritornando ora all' idea dell' infinito assoluto: richiameremo ciò che jjià ac- cennammo, cioè che le essenze delle cose e le verità necessarie, che non so- no che le necessarie relazioni, che le cose hanno tra loro, sono immutabili, e perciò non soggette a successione niuna : lo che esclude la idea del tempo ; qtpindi -Si'ranno pure eterne, come sono infinite . Onde, se, come avverte Plalo- n'j.', (ieVe esservi una esatta corrispondenza Ira gli oggetti e le facoltà relative, sie~ti©*i]e le dette essenze e varietà o i possibili non esistono che in una somma Intelligenza, che li concepisce, e li comprende, così supporranno esse una intel- ligenza infinita ed eterna : ne il numero inUnito di esse implicherà contraddizio- ne con le cose dette della rijiiignanza di una serie di termini attualmente infini- ta, giacche le ilelte essenze s idenhiicano in allodi semplicissima inteHiiieuza, la (piale somma semplicità si è il carattere principale dell' infinito assoluto cioè di Dio: essendo esso 1" essere senza restrizione, cioè 1' essere, che ogni essere ossia ogni perfezione racchiude, alla quale non si arriva, se non loi^liendo al- l'essere o alla jierfezione o^ni limitazione, o composizione: e quindi riducendo- la allo stalo di una esattissima semplicità: giacche la composizione non nasce che dalle determinazioni iiarlicolari, che limitano la estensione dell' idea. E parlando delia intelligenza , vedesi chiaramente in essa, che il progresso alla perfezione va di pari passo col jirogresso alla semplicità . Poiché comprendendo in noi la intelligenza e reminiscenza, che richiama le cose passate, e fantasia, che le idee compone e divide, e ragione che dai prmeipii deduce le conseguen- te, dove quella divenisse infinita tutte le altre facoltà lasciando le loro limitazio- ni verrebbero a identificarsi in un alto semplicissimo d intelligenza : mentre tut- to il passalo sarebbe presenti tutte le possibili combinazioni delle idee, e ne prin- cipii vedrebbonsi tutte le conseguenze. Vedremo altresì chiaramente nella me- moria, che a questa succederà, come a spiegare 1' origine e la formazione del mondo non si disse mai cosa ne più filosofica, ne più geometrica delle parole ; In prirtcipio crcavit Deus coeluin.j et terram . 4^

33] DELL' ANALISI

DEL LOGLIO ( lolium temulentum LiNN.) E DEL LOLINO, E DEL GLOJOLOLICO

DISSERTAZIONE

V

DI BARTOLOMEO BIZIO

MEMBRO DEL CONSIGLIO ACCADEMICO.

JLja pigra noncuranza, o la troppo ardente sete di guadagno portò di soven- te gli agricoltori a lasciare T ottimo grano così sconciato di mondio-Ha, che la soverchiante abbondanza del loglio contenutovi bastasse così a trasnaturare il pane con esso grano formato, che tal rea qualità ricevesse da produrre una ma- niera di nocevole ebrezza a coloro, che di tal pane si fossero cibati . Questo fat- to non isfuggì alla cognizion degli antichi : e forse fu per ciò, che 11 cantore di Enea nominando questa perniciosa gramigna: Infelix^ disse, lolium et steriles dominantur avenae^ quasi con quella voce notar volesse le tristi conspcrnenze, che ne tornarono dalla sua mescolanza col grano . Sembra adunque strana co- sa, che una proprietà di quel seme così notoria agli antichi, e per più prnove e continue raffermata agli odierni, non abbia tuttavia punto in modo alcuno la in- vestigatrice curiosità de' chimici, e portatili, come di altre, così anche allo stu- dio di questa peculiare semenza . Pure, ossia che le molte cose, che loro si of- frlano bisognevoli dell'opera chimica, non abbiano loro lasciato tempo da badar troppo a quella di che parliamo, ossia che non l'abbiano creduta meritevole di attenzione, certo e che nlun lavoro io conosco, 11 quale mi faccia fede esservi stata persona, che nello esame del loglio siasi In verun modo occupata. Il per- chè sono venuto in deliberazione di porre la falce eziandio in questa messe, spe- rando di non dovermene tornare senza il frutto di qualche non ispregevole ma- nipolo : e piacquemi tanto più <larmi a questo lavoro, (pianto che riputai non dover essere senza buona ragione, che quella semenza vada fornita di polcn-

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te virtù. A.nzi lo crcflcva, che potesse avvenire di essa, quello che è avvenuto di molte altre sostanze dotate di singolare efficacia, le quali furono trovate spe- cificamente valevoli contro alcune malattie : sicché potendosi anche del lofflio sperare il medesimo, ne seguirebbe altresì, eh' io verrei a dare con questo mio tenue lavoro la prima mossa, per fornire la medicina di un farmaco al quale non fu pensato fino al presente. Forse avverrà, che anche nell'avvenire niun profitto se ne cavi da ciò: tuttavia, non sapendo quale promettermi delle due, ho stima- to di dover compiere questo mio lavoro sperimentando sovra di me ( come ve- dremo più innanzi ) tutta intera 1 efficacia del loglio.

Le qualità narcotiche della mentovata semenza tenendo comechessia a quel- le, che 1 oppio suole produrre, fecero eh io adoperassi irfi uttuosamcnte ogni maniera di chimiche ricerche, le quali avesSer vista di condurmi alla separazione di un alcali organico. Molte furono le cose, eh io ho osservate in tali numerosis. sime indagini, e forse alcuna di esse non tornerebbe disutile esser notata per ìspafTere qualche lume sovra la natura degli alcali organici : ma perchè esse nulla dicono al fine del presente lavoro, mi passerò di esse senza spendervi sopra al- cun tempo, ed entrerò senza più nella descrizione di quegli pperimenti, che ser- vono a far conoscere 1" intima composizione del loglio, e altresì gli efletti che opera nell' animale economia.

§.I.

Effetti dell alcoole sovra la farina del loglio .

Essendomi assicurato, la mercè di speciali sperimenti, che l'acqua dimorando sopra la farina niente si pigliava del principio attivo del loglio, ho cominciato infonderne quattro libbre veneziane nelf alcoole della gravità in ispezie, 0,85 ; ed ho contiimato a ripetere le infusioni, finche I' alcoole durò levando alcuna co- sa alla farina. Allora messe insieme tutte le infusioni alcooliche, ed aggiuntovi due libbre d'accpia, feci poi distillare 1' alcoole a bagnomaria. Finita che fu la di- stillazione dell alcoole, ho avuto in residuo un liquido di colore gialliccio con in fondo un sedimento resinoso in fiocchi leggeri bianchi . Il liquido fu separato dalla posatura la mercè di un sifone, e poscia con acqua stillata lavai legger- mente la materia resinosa, unendo l'acqua della lavatura al liquido dianzi no- minato .

Ora veggendo essere assai difficile 1' asciugamento spontaneo della materia resinosa, per una colale affinità che avea con 1' acqua, la quale portavala (qua- si direi) alla condizione d'idrato, accelerai l'asciugamento ponendola a svapo- rare a bagnomaria . Asciugata che fu perfettamente la menzionata materia resi-

333 uosa., mi tornò in is<inamc, con poca o nulla aderenza Ira loro, fragilissime, fa- cilmente polverizzabili, di colore leggermente gialliccio, e di sapore alquanto

amaro

Questa materia, die dava vista d'una sostanza particolare, non bastò però a lusingare punto le mie speranze: conciossiacliè in que'rooUi lavori, ch'io avca fatti per lo innanzi, avessi incontrato, tutte volte la merc'e dell' alcoole, buona dose di materia grassa, ed altresì un colai principio, che se per qualche rispet- to può uguagliarsi alle resine, per pili altri n' è tuttavia lontano le mille miglia: sicché non potca non cre<lere, che in quella materia resinosa non vi trovassero qucduc priucipii, ch'io avca altre volle conosciuto esservi.

§.n.

Esame della materia resinosa stata separata dalF alcoole .

Essendomi accertato che 1' alcoole a freddo agiva fino a un cotal termine so- Tra la materia resinosa, oltre il quale non adoperava pi'u alcuna azione, lascian- do anzi in residuo un principio non punto solubile nelf alcoole freddo, il quale per le sue proprietà fu da me chiamato glcij'ololico , ho cominciato le mie inda- gini riducendo prima in polvere la materia resinosa, e quindi trattandola con alcoole e ripetendo 1' azione di questo liquido non solo finche cessò di tornarmi colorito, ma fino al termi ne che niun intorbidamento portasse versandone pic- cola cosa neir acqua. Allora messe insieme tutte le infusioni alcooliche, e fel- trate che furono, le feci distillare a bagnomaria, fino al punto di avervi levato all'incirca sette ottave parti dell'alcoole adoperato, e la materia che non fu at- taccata dair alcoole freddo, ossia il glojololico, lo abbandonai ad uno spontaneo

asciugamento ,

La soluzione alcoolica ristretta così, come ho <l<:tto poc' anzi, la travasai in una bacinella di vetro, e quivi la lasciai piìj giorni per vedere che avvenisse la mercè di una lenta svaporazione : ma passati alcuni giorni null'altro mi venne separato che jioca materia grassa nel fondo del vase : sicché nulla sperando di meglio, se pili avessi indugiato lasciando quella materia, pensai di terminare quell'esperimento, cacciando via tutto l'alcoole a quel temperato calore che il bagnomaria . Fatto ciò, fui rassicurato che 1' alcoole freddo non solo avea le- vato alla materia resinosa la sostanza grassa, ma eziandio un altro principio : perciocché quello che mi restò, svaporalo che fu l" alcoole, non fu una sostanza assai molle, qual è la materia grassa del loglio al temperato calore del bagno, ina bensì una sostanza solida contuttoché fornita d'un colai jrrado di mollezza . Per la qual cosa, sicuro comio era che in quest'ultima materia dovea essere la

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sostanza grassa, ho stimato di poter segregare le due sostanze, valendomi del- l'etere, il quale sapea arerà speciale alììnità con la materia grassa. Infatti fa- cendo sperienza della virtù di quel menstruo, la cosa seguì al modo ch'io m'era figurato: conciossiachè l'etere abbia efficacemente attaccata quella sostanza to- gliendovi la materia grassa, e lasciando in residuo 1' altro principio che vi era unito : il quale mi tornò a modo di una polvere o meglio accozzamento di minu- tissime scaglie quasi bianche perfettamente ; la quale sostanza, essendo ancora imbrattata da piccola cosa di sostanza grassa, l'ho tornata infondere nell'etere, e finalmente asciugata . Questa materia avuta al modo d'una polvere leggerissima è dessa una sostanza particolare del loglio, il perchè l' ho nominata Ialino . Ma cosi di lei, come anco degli altri principii fin' ora cavati dalla mentovata semen- za, mi riservo di parlarne, quando avrò finito di noverare le mie sperienze ana- litiche .

§. in.

Esame della soluzione acquosa restata dopo distillato F alcoole .

Distillato che fu l' alcoole, e separata la materia resinosa, che fu trovata nel fondo del limbicco a modo di posatura, ho messo a svaporare quella materia acquosa, dopo avervi anche unito il liquido , ond' io avea lavata la sostan- za resinosa dianzi detta. Svaporato che fu il liquido, mi restò una materia estrat- tiva di colore oscuro, di sapore amaro disgustoso, ed all' aria alquanto delique- scente .

Gli acidi, così minerali, come vegetabili, producevano un forte intorbidamen- to nella soluzione acquosa questa materia, il quale penava a dare in fondo, se prima di versarvi l'acido, non era unita alla soluzione piccola cosa d' ammo- niaca: allora versandovi l'acido, il precipitato seguiva prontamente e in abbon- danza, il quale veduto che fosse nel liquido era quasi bianco. E polche mi fui prmia accertato che il lolmo era così precipitato dagli acidi, così anche non pe- nai troppo ad accorgermi, che quella posatura era formata di glojololico, unito a piccola cosa di loliao, portato in quella soluzione per opera del glojologlico stesso .

Essendomi assicurato, la mercè di sperienze fisiologiche (le quali vedremo più avanti ) che In questa materia estrattiva era il principio attivo del loglio, numerosissime furono le sperienze che feci, per vedere di separarlo . Adoperai infatti, così gli alcali, come la magnesia, dopo il trattamento cogli acidi, e senza aver prima adoperato l'azione loro; facendola agire a freddo, ed ajutando la sua azione col calore , ma sempre con vano risultato : cosicché deliberai di spe- rimentare il più squisito modo, che sia per la separazione degli alcali organici,

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e tll più altri principii iinmediali vcgelaLlIi, per vedere se esso bastasse a con- durmi a niic^liorar termine, che non fecero le altre sperienze adoperate.

Fatta adunque la soluzione acquosa della materia estrattiva, in essa versai a poco a poco tanto sottoacetato di piombo, che bastasse a capello a darmi sepa- rata tutta quella materia, ch'era alta a precipitare per opera di quel sale. Fat- to ciò, e lasciata la materia in luogo riposalo per alcune ore: versai tutto sopra un leltro, e colato che fu il liquido, lavai con diligenza il precipitato, unendo l'acqua della lavatura al liquido ch'era colato il primo. La materia che ri- mase so[)ra il leltro , la feci asciugare perfettamente a Icntisimo calore.

Per separare dal liquido l'eccesso del sale di piombo che vi poteva essere, vi feci passare attraverso una corrente di gasse acido idrozolforico, e quindi fel- trato che fu per separarvi il precipitato prodottosi, il feci svaporare a bagnoma- ria, per cacciar via 1' acido che vi era rimase .

Portala così la materia a perfetto asciugamento, la tornai a sciorre nell' acqua e sovra una parte di questa soluzione provai l'azione della magnesia, colla qua- le vcggendomi tornar a nulla ogni prova, deliberai di asciugarla nuovamente . Questa sostanza estrattiva (ch'era di color oscuro e secca così da potersi rom- pere e stritolare ) la trltturai coli" alcoole purissmio, il quale la attaccò pronta- mente, lasciando in residuo una materia niucilagmosa di tal natura, che non fu potuta essere precipitata dal sottoacetato di piombo .

Messa a svaporare la soluzione alcoolica, riebbi la materia allo stato di per- fetto asciugamento . E inutile eh' io dica che provata la svaporazione spontanea ed ogni altro mezzo onde polca argomentarmi di avere alcuna cosa cristallizzata, se fosse stala materia da ciò: tutto mi tornò inutile: il perchè sciolta una por- zione di essa nell' acqua, e provatovi sopra in varie guise l' azione degli alcali e della magnesia nulla mi venne separalo: se non che facendola bollire con lulti- ma sostanza nominata, vi si combinò interamente, tranne piccolissima cosa di materia colorante gialla, ma seccata diligentemente e infusa nelf alcoole puris- simo : esso non operò alcun effetto, e perciò nulla mi venne separalo di quello eh" io cercava . Per la (jual cosa vcggendo quella materia tenacissima a non si risolvere in altri elementi, ho credulo essere da considerarla un principio imme- diato vegetabile, il quale lo chiamai principio amaro a cagione del suo sapore . La sola cosa che sconciava la semplice natura di questo principio amaro era una tenue ([uanlità di acelato di potassa, che mi venne manifestato per opera deir idroclorato di platino : il quale ha dovuto essere ingeneralo dalla dccom[)o- sizione del (oslalo tli potassa che si trovava nella semenza.

Restandomi ora da conoscere la natura del precipitato prodottosi per opera del solloaeetato di piombo, seccato che fu quel precipitato, e recatolo in fina polvere lo stemperai nell'acqua stillata; e poscia feci passare attraverso al li-

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cjuiJo una corrente di gasse aculo idrozolforico. Decomposto così il nreci|)ìta- to, versai la materia sopra un feltro , ed il liquido colò d un colore assai oscu- ro . Allora lo versai in una bacinella di vetro, e lo feci svaporare a bagnoma- ria . La materia clie mi è restata dopo la svaporazione la tornai a sciorre ncl- I acijua, e la soluzione mi tornò quasi intera : conciossiachè non siami restato in residuo che tenuissima quantità di lolino sconciato da piccola cosa di mate- ria colorante, die v' era unita . Stimai di dover esaminare questa soluzione col- le carte reagenti, e mi venne fatto di ritrovarla acidissima. Allora volendomi ac- certare della natura di qucH' acido, posi in azione 1' opera di parecchi reagenti ; onde mi venne veduto che colla barite era prodotto un precipitato, il quale era prontamente redisciolto dall'acido nitrico e dall' idroclorico . Versandovi poi dell' acetato di piombo era anche in questo caso prodotto un precipitato, il qua- le, raccolto e seccato, si fondeva per opera del calore: sicché entrai in sospetto quello essere acido fosforico. Se non che la quantità del precipitato che diede in fondo co' menzionati reagenti era buona pezza minore di quello che avrebbe dovuto essere, se quello ch'era in soluzione fosse stato tutto acido fosforico: anzi quando adoperai la barite terminò d'ingenerarsi precipitato assai prima che tutto r acido fosse neutralizzato, il perchè stimai doverci essere un altro acido diverso dal fosforico .

Ora essendomi accertato, per quello che ho detto più sopra, che non era al- cun alcah organico, ne altra base salificabile, tranne picciolissima cosa di po- tassa, nella materia che mi è rimasta in soluzione dopo gli effetti del sottoace- tato di piombo: ed essendomi anzi assicurato, che nell' acido ch'io cercava di conoscere e' era una cotal quantità di glojololico unito a del lolino, argomentai fondatamente che il precipitato che mi fu prodotto per opera del sottoacetato di piombo fosse una comliinazione tripla di sottoacetato, e di glojololico, il quale tenesse seco piccola cosa di lolino : il perchè decomponendo io il precipitato coir acido idrozolforico dovea seguirne lo svincolamento dell'acido acetico, e perciò nella soluzione, dello studio della quale mi occupava, dovea esservi dopo l'acido fosforico assai abbondantemente r acetico . Infatti cominciai a saturare r acido colla potassa pura ; ne seguì incontanente un abbondante precipitato di glojololico unito a poco lolino , e materia colorante . Feltrai la soluzione assai prima di arrivare al termine della neutralizzazione, perchè il glojololico cogli al- tri principii non fosse tornato sciogliere dall' alcah : e dopo feltrato il liquido terminai di neutralizzarlo colla potassa. Allora feci svaporare la soluzione salina lino a secchezza: e quindi la trattar con pochissimo alcoole puro: il quale mi sciolse quasi tutta la materia, non essendomi restato in residuo che piccolissi. ma cosa di sostanza salina .

35; La soluzione ayula ncll'alcoole la feci svaporare nuovamente.^ e (jiiando il sa- le fu secto jierfettamente, lo decomposi la mercè «lell acido zolforico, e ne ebbi puro acido act-tico . Il resto della materia salina che non fu potuta sciogliere dall'alcoolc era puro fosfato di potassa. Sicché l'at^ido del quale volea conosce- re la natura era acido acetico misto a piccolissima cosa di acido fosforico .

§. IV.

Azione deir acqua fredda sopra la farina del loglio.

Se si adopera l'azione dell' acqua sopra la pasta del loglio a quel modo oh' è usato farsi sopra la pasta di frumento,, da cento parti di faima ne abbiamo nove di glutine secco: il quale., come ho potuto assicurarmi, è formato di zimoma, e di g'ojolo!ico (i). Importando però alla dirittura delle mie analitiche ricerche di vedere ciò che 1' acijua portasse via a quella farina ch'era prima stata infusa nell'alcoole, ho scelto per questo lavoro la fredda stagione delf inverno; e sicu- ro pel freddo eh' era che movimento intestino non potea ingenerarsi, ho ripetu- te le infusioni acipiose piìi volte, cioè fino a tanto che l'acf|ua mi tornò senza nulla aver preso di que'principii onde solca nelle prime infusioni acquose essere impregnata. Allora messe insieme queste inlusiom, e feltrate bene, le feci sva- porare: se non che portato lo scaldamento alla bollitura, segui un leggero intor- bidamento, profiotto da una porzione di zimoma rappigliatosi per opera del ca- lore. Veduto ciò, levai il vase dal fuoco, e la niercè della feltrazione raccolsi tut- to il zimoma che si era coagulato ; continuando poscia la svaporazione del liqui- do fino a che la materia fu recata alla consistenza di estratto. Avuta la materia in (|uello stato, la tornai sciogliere nell'acqua stillata, la quale mi lasciò in re- siduo assai pili di zimoma che non fu quello separato dalla bollitura. Questa operazione la ho ripetuta un altra volta per separarvi altra piccola cosa di zi- moma, con la quale ultima soluzione fu levato alla materia estrattiva tutto il zimoma, che avea: conciossiachè svaporato nuovamente e scioltone piccola co- sa nell'acqua nulla rimase che non fosse portato in perfetta soluzione. Se sopra questo estratto ac(pioso avessi adoperato l'azione dell'alcoole, avrei separato una sostanza somigliante a quella che una volta da' chimici era chiamata estrat- tivo:^ ma avve<lutomi che operando a questo modo io nulla altro faceva che ave- re una mescolanza di materia colorante gialla, di zucchero, e di fosfato di po-

(i) Forse c'è aoclie piccola cosa di materia grassa. 43

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tassa con poco. acido acetico, ho stimato meglio sciogliere l'estratto nell'acqua, e poscia versarvi a più riprese una soluzione di soltoacctato di piombo, finche il versamento di nuova soluzione non desse più precipitato alcuno. Allora la- sciato il liquido per alcune ore in luogo riposato, perchè fosse ben compiuta T a- zione del sottoacetatOj terminai adoperando la feltrazione per aver separato il precipitato bianco ingeneratosi . Avuto questo il lavai alquanto con acqua stilla- ta facendolo finalmente asciugare ad un calore temperatissimo .

Per sapere accortamente se nulla fosse restato nel liquido, che non fosse en- trato in combinazione colf ossido di piombo del sottoacelato, ho fatto passare primamente attraverso al liquido una corrente di gasse acido idrozolforico per levarvi tutto l'ossido di piombo che fosse restato in soluzione . Allora feltrato il liquido nuovamente e sejiar. itovi il zolfuro ingeneratosi, il feci svaporare a ba- gnomaria, ed ebbi in residuo un poco di materia zuccherosa incristallizzabile uni- ta a piccolissima cosa di materia colorante .

Restavami ora a sapere quello che fosse in combinazione col sottoacetato di piombo nel precipitato di cui ho fatto parola più sopra, la qual cosa a conve- nientemente conoscere portò eh io stemperassi quel precipitato nell' acqua, e quindi, nel modo adoperato teste, vi facessi passare attraverso il gasse acido idro- zolforico: fatto questo ebbi una soluzione alquanto colorita di giallo: e svapora- ta a bagnomaria fino al termine di estratto anzi sodo che no, stemperai questo nel modo migliore possibile nell'alcoole puro, il quale portò via il poco acido acetico che v'era, ed altresì una cotal dose di materia colorante, lasciando ia residuo una abbondante quantità di mucilagine alquanto colorita di giallo .

§.v.

Azione delt acgua bollente^ ed eziandio de IP acido idrùclorico allungato

sopra la stessa farina .

Dopo che l'acqua fredda ha finito d'agire sopra la farina del loglio, ho co- minciato a farla bollire, ripetendo più volte questa operazione . Se non che mo- strandosi nella fine anche l'azione dell'acqua bollente assai debole sopra 11 pic- colo residuo delle bolliture, ne ho rafforzato la sua virtù coli' acido idioclorico allungato . Cosi operando sono pervenuto a separare dalla farina tutto 1' acido che vi era, e nell'acqua acidulata non ho trovato, oltre 1' acido, che tracce me- nomisslme di calce e di ferro. La piccolissima cosa di materia insolubile che mi restò dopo le bolliture con l'acqua acidulata, mi parve altro non essere che la buccia del seme recata in piccolissime particelle dall'azione della macina, e

339 perciò passate per lo staccio in unione colla farina; sicché la composizione della

semenza ilei loglio risulta essere di Amido ,

Miioilagine eh' è precipitata dal sottoacetato di piombo; Zimoma ; Olojololico; Materia grassa; Princi|)io amaro;

Mucilagine che non può essere precipitata dal sotloacetalo di piombo ; Materia colorante gialla ; Lolino;

Zucchero incristallizzabile; Foslato di potassa ; Materia insolubile . Acido acetico, calce e ferro ?

§. VI.

Del Lolino .

In quel tempo eh' io cominciai dar opera agli studii chimici, trovai la scienza non solo latta adulta e virile, ma cosi grande e gigantesca da invilire coloro, che fossero stati per darsi a studiarla con animo non dirò di levarsi in rinoman- za, ma di uscire come che sia dalla oscura mediocrità. La chimica vegetabile ed animale era forse quella parte di scienza la meno cercata, tuttavia erano già scoverti cr|i alcali organici : gravissimo trovato e della più alta importanza . Io allora non avea sperienza alcuna di mia ragione, che valesse a lermarmi nel giu- sto concetto di que' singolari principii : tuttavia ne restai per modo persuaso e capace, che a smuovermi non sarebbero bastate le ingegnose sottigliezze del Bonastre, quand'anche il celebre Pelletier non avesse di loro mostrato la leg- gerezza e vanità : conciossiaohè siami sempre paruto troppo ragionevole il cre- dere, che quella stessa virtii, onde le piante ingenerano gli acidi, possano, anzi debbano ingenerare gli alcali, che cogli acidi naturalmente si uniscono. Questo misurato governo veggiamo tenersi fedelmente dagli esseri inorganici ed esser quasi ordinamento necessario alla loro permanenza e durazione . E perchè non vorrà farsi altrettanto degli esseri organizzati, che assai piì» della materia morta bisognano di spegnere la mordacità degli acidi , afimchij non esca di quella mi- sura che porta il delicato loro temperamento? Sola l'avversione alla novità pe- lea andare in cerca di sottigliezze per impugnare fatti ragionevoli, e da cosi

3{o

saldi argomenti sostenuti, come sono il numero grande di bellissime sperienzc sngli alcali organici del Peiletier.

Tuttayia comechè io creda dover essere tenuta per indubitata Y esistenza de- gli alcali organici, le proprietà del lolino, ch'io ora son per descrivere, ci fanno evidentemente conoscere esservi di tali sostanze, le quali non essendo ragione da doverle tenere in conto di alcali organici, non di meno si portano in tal gui- sa cogli acidi e coi sali da somigliare moltissimo a quelle singolari sostanze.

Il lolino è in iscaglie piccolissime, assai leggere, alquanto lucenti messe che sieno alla luce diretta del sole o d' una lampada, e bianco quasi perfettamente. Esso ha un leggero odore piuttosto spiacevole che no, e quasi scipito, e la sua gravità in ispezie è maggiore di quella dell' acqua.

Ci vogliono circa quattro mila parti d" acqua bollente per iscioglierne una di lolino. e neir acqua fredda è perfettamente insolubile: tuttavia la soluzione fat- ta a caldo resta qual è anche nel freddamento.

L' alcoole ne scioglie la duocentesima parte scaldato che sia fino all' ebuli- zione, conciossiachè a freddo non faccia troppo . Egli è perciò che una soluzio- ne satura di lolino fatta a caldo s'intorbida assai pel freddamento.

Gli olii essenziali ne sciolgono pochissimo a caldo, e l'etere non ne scioglie in verun modo. Esso non arrossa punto le carte azzurre, ne ritorna il color azzur- ro a quelle state arrossate dagli acidi, quand'anche numerosissime volte sieno tornate tuffare dopo V asciugamento nella sua soluzione alcoolica: il perchè sem- bra potersi conchiudere, ch'esso non appartenga agli alcali organici. Provatomi per farlo cristallizzare col mezzo dell' alcoole non ci ho potuto riuscire, percioc- ché, non essendo troppo solubile nell' alcoole, le particelle sono troppo lontane tra loro per potersi regolarmente aggregare, e perciò a misura che 1' alcoole svapora, anziché cristallizzare in fondo a modo di posatura.

La soluzione alcoolica di lolino fatta a caldo e intorbidatasi per opera del freddamento, è renduta trasparente col versamento d'alcune gocce d'acido zol- forico, nitrico, idroclorico, fosforico, idriodico, acetico, ossalico, gallico, tarta- rico e va discorrendo.

Lo stesso fanno la soluzione di barite, quella di deutocloruro di mercurio e idroclorato di calce, d'acetato di piombo e di rame, di sotto carbonato di potas- sa e di soda; di soprazolfalo di potassa e di alumina, di sopratartrato, e sopra- ossalato di potassa; ed in generale quelle di tutti 1 soprassali e di tutti 1 sotto- sali alcalini.

La calce e la magnesia in iscambio di dissipare 1' intorbidamento , vi produ- cono un leggero precipitato bianco, e lo slesso fanno il soltoacetato di piombo, lo zolfato di rame ed il protonitrato di mercurio. L' idroclorato di platino vi prò duce anch'esso un precipitato bianco, ma troppo più abbondante de' reagenti menzionati .

3^1

L' idroclorato di ferro ingenera un precijùtato copioso di colore arancio, e r idroclorato d'oro un precipitato anch'esso copioso, il quale è bianco da prin- cipio, e poscia volge a color giallo oscuro.

Quello poi eh' è da notarsi è, che la soluzione aleoolica di lolino intorbidata pel rrcddamcnlo , si la trasparente anche col solo versamento dell' acijua . Ba- sta aggiungervi una sesta parte d' acqua che la soluzione aleoolica è renduta diafana incontanente, e prima che si produca l' intorbidamento bisogna aggiun- gervi d'artpia una quantità uguale a quella della soluzione. Dopo questo termi- ne tutta l'acqua che si versa opera un nuovo intorbidamento latticmoso. Que- sto fatto potrebbe far credere a tutta prima che il lolino fosse più solubile nel- Talcoole allungato che nel puro; ma io stimo che non sia da dimenticarsi che il lolino e solubile anche nell'acqua. Il perchè l'acqua che si aggiunge dissipa l'intorbidamento., per questo, che scioglie il lolino separatosi dall' alcoole .

Avveilutomi che potea essere molto allungatala soluzione aleoolica senza che seguisse intorbidamento, ho stimato che fosse bene di provare che che operas- sero alcuni reagenti sovra la soluzione così allungata, la quale per rispetto a molle sostanze insolubili nell alcoole dovea tornare più acconcia a mostrarmi sinceri e lucidissimi gli elTetti prodotti .

Ho cominciato adunque dagli acidi, e tutti, tranne l'acetico, produssero un in- torbidann-nto latticinoso: d che dovea essere appunto per la proprietà che ma- nifestarono gli acidi di rendere trasparente la soluzione aleoolica torbida: giac- che se ciò dovea provare che le combinazioni che il lolino forma coirli acidi so no più solubili nell' alcoole che non è il lolino stesso, dovea anche seguirne che nella soluzione aleoolica molto allungata fossero meno solubili del lolino stesso; conciossiachè fossemi ralTermato per molte sperienze antecedenti, che le com- binazioni di lolino cogli acidi erano affatto insolubili nell'acqua. Egli è perciò che se nella soluzione acquosa di lolino si versa un acido forte, segue inconta- nente un intorbidamento latticinoso, avvegnaché sia sciolto in dieci mila parti d'acqua. Di qua ne viene che gli acidi sieno i reagenti più squisiti per iscoprirlo dovechessia: conciossia-liè trovandosi anche in una soluzione aleoolica, basti so- lo allungarla con l'acqua perchè non fallisca 1 effetto .

I soprassali alcalini fanno nella soluzione aleoolica allungata il medesimo de- gli acidi . In contrario tutti gli alcali, e tutti 1 sottocarbonati alcalini non produ- cono alcun intorbidamento: per questo appunto che gH alcali fanno col lolino delle combinazioni solubilissime nell' acqua.

La barite vi produce un leggero intorbidamento bianco, e la calce e la ma- gnesia un leggero precipitato .

II protozolfato di ferro, e il zolfaio di zinco producono un copioso precipita- lo di colore bianchiccio; quello poi di rame lascia limpida la soluzione.

L' Idroclorato di ferro e di platino ingenerano un abbondante precipitato di colore bianchiccio; e quello d' oro un precipitato ancora più abbondante, gial- lo dapprima, e poche ore dopo volgente al rossiccio. L' idroclorato di calce non produce alcun effetto .

Il nitrato di barite e di magnesia producono un leggero intorbidamento ; e quello di calce poco precipitato. Il protonitrato di mercurio ingenera un abbon- dante precipitato, ma in fiocchi bianchi, e il deutonitrato un uguale precipitato in fiocchi giallicci. Finalmente col nitrato d'argento in fondo una leggei "^si- ma posatura di colore porporino scuro . Il fosfato di potassa e di soda ingene- rano un leggerissimo precipitato bianco in fiocchetti.

Col sottoacetato di piombo si ha una tenue posatura bianca, e coli' acetato neutro in fondo un precipitato in fiocchi giallicci, e con quello di rame in fioc- chi bianchi .

Il tartrato di potassa antimoniale produce un leggero precipitato bianco in fiocchi, e il clorato di potassa produce anch'esso un precipitato bianco, ma te- nui s mo .

Il deutocloruro di mercurio finalmente ingenera un intorbidamento latticino- so somigliante a quello prodotto dagli acidi.

In tutte le reazioni menzionate abbiamo o de" composti binarii che forma il lolino coMi acidi e cogli alcali, o de' composti ternarii ch'esso forma co' sali : e qui è da notare un' altra singolarissima proprietà incontrata in questa sostanza .

Abbiamo detto pi'u sopra che gli alcali formano col lolino delle combinazio- ni solubilissime nell' acqua. Se dunque nella soluzione alcoolica fenduta torbi- da per opera dell'acqua si versa un poco d'ammoniaca, la soluzione è fatta lim- pida incontanente ; ma se dopo 1" ammoniaca si versa un acido qualunque tor- na di presente l'intorbidamento: il quale non è dissipato versandovi eziandio del- l' amnoniaca in tanta quantità da esservene molta sopra la saturazione dell aci- do. Questo fatto mi sembra assai curioso e singokare: imperciocché mettiamo che il loUno faccia coli' acido zolforico uno zolfaio insolubile nell'acqua: questo zolfaio di lolino dovrebbe certamente esser decomposto dallammoniaca, ed il lo- lino riuscirne separato ; cosicché riversandovi ammoni ica in eccesso il lolino do- vrebbe sciogliersi nuovamente, e perciò il hquido farsi limpido e trasparente ; ma questo è ciò che non segue : dunque bisogna dire che l' ammoniaca ( e cosi dicasi degli altri alcah ) e il lolino facciano delle combinazioni triple cogli aci- di, sovra le quali non adoperano piìi azione alcuna gli alcali, o almeno non sono più atti a scioghere le combinazioni di alcali e lolino, dopoché furono combi- nate coo^li acidi ; giacche l'alcali eh' è versato s' impossessa effellivamenle dell'a- cido e rende neutra la soluzione .

Bis

Lo stesso scjrnc se il lolino ^ prima combinato cogli acitli, e poscia venga decomposto col mezzo degli alcali ; cotalcLè in tutti i casi sembra eh' esso in- contri eli notabili cangiamenti nelle sue proprietà per opera degli alcali. Questo fatto potrebbe fornire agi' impugnatori degli alcali organici un forte ajipicco da puntellare le loro sottigliezze, ma è anche da rillelterc che il lolino si discosta per alcuni rispetti da quelle smgolari sostanze.

Da quello che ho detto finora e facile vedere non poter essere possibile la combinazione diretta del lolino cogli acidi ; imperciocché facendo esso de com- posti insolubili nell'acqna, non è modo che sia adoperato il quale dia una vera combinazione, sembrando quasi legge generale anche delle comliinazioni inor- ganiche, che per produrle acconciamente faccia duopo che il liquido, entro il quale si producono, abbia qualche rispetto di aftinità colle combinazioni che s'in- ffcncrano : e ciò vie più se uno de"-!' ingredienti è insolubile, com' è nel caso nostro il lolino, e tenda a proilurre delle combinazioni perfettamente insolubili . E se fossero gli acidi potenti adoperati a freddo, o ajutati dal calore nell' atto di attaccare il lolino vi portano eziandio una notabile alterazione, la quale è provata da più ragioni : tra le quali c'è quella che il lolino separalo per opera degli alcali da queste combinazioni acide, è sconciato in tutte le STie qualità, ed è solubile negli alcali stessi .

Per avere adunque nel modo il più acconcio le combinazioni del lolino cogli acidi, bisoirna servirsi del mezzo dell' alcoole . Per far ciò si unisce l'acido con r alcoole, e quindi vi si aggiunge a più riprese il lolino: badando di ajutare la so- Inzione, la mercè d' un moderato calore, e terminando d'acixiuo-nere lolino. quan- do si vede compiuta sovra di esso 1' azione del solvente . Così operando si arriva ad avere le combinazioni del lolino cogli acidi, ed eziandio averne di cristallizza- te, quando si metta la prima soluzione ad una spontanea svaporazione, e si tor- ni a sciogliere la materia ncU" alcoole, mettendola poscia a svaporare come pri- ma, dopo averla imbianchita col carbone, quando il caso lo chiedesse .

Io non ho potuto estender troppo queste indagini, così per aver dovuto fare "■ran getto di questo nuovo principio, per accertarmi bene delle sue proprietà, come per la difficoltà di avere altra semenza di loglio per cavarne di nuovo. Tut- tavia quello ch'ho già fatto mie più che sufficiente per accertare i chimici del- l' esistenza di queste nuove combinazioni, le quali dovrebbero esser considerate come veri sali, se il lolino fosse da tenersi per alcali: ma io non posso per al pre- sente entrare in questo giudizio, così per non tornar esso in verun modo il co- lore azzurro alle carte arrossate dagli acidi, come e via più per non avermi po- tuto accertare, eh' esso operi neutralizzazione cogli acidi, e per non averlo tro- vato nella semenza legato in combinazione con alcun acido .

3U

Tuttavia comechè lo non avessi alcuna ragione da credere nel lolino un alca- li organico, pure ho voluto sperimenf,are il modo, onde si fossero portate le sue combinazioni suggcttate al potere dell'elettrico. Ordinato perciò un apparecchio a corona di tazze di ceneinqnanta coppie, congegnato secondo i principii del mio illustre amico prof. Marianini : anzi quel medesimo ond' egli consegai il premio nazionale, il (juale sovra gli altri di uguale superlicie produce effetto assai più energico e poderoso, fu posta al polo positivo in un vasellino di vetro la com- binazione acida di lolino sciolta nelfalcoole, e col mezzo di fili d' amianto in- zuppati nelC alcoole, fu messo il primo vasellino in comunicazione con un altro, nel quale messovi acqua stillala iu poi fatto comunicare col polo negativo . L' a- mianto fu inzuppato nelfalcoole, perchè immergendolo nella soluzione acida non dovesse portarvi sconciamento o decomposizione, come avrebbe fatto se in iscam- bio di alcoole avessi adoperato 1' aequa per inzupparlo . Ho procacciato poi di vantaggiare la poca conducibilità dell" alcoole con ingrossare molto l'aggrega- mento dei fali d amianto, e quindi porgere se non più facile, almeno strada più ampia all'elettrico: ed infatti così per questo, come per la forza grande della pila, dopo pochi minuti che muoveva la corrente elettrica, si vide il lolino (por- tato al polo negativo) mostrarsi quasi alla superficie dell acqua intorno al filo congiuntivo: dal quale a leggerissimi fiocchi si giva staccando, versandosi pel li- quido : sicché il lolino combinato cogli acidi si porta per rispetto all' elettrico a quel modo che sogliono gli alcali. Queste sperienze non lasciano alcun dub- bio, cosi per aver io adoperalo nel farle tutta la possibile diligenza, come e via più per averle fatte in compagnia del menzionato mio amico signor professor Marianini .

Il lolino stemperalo che sia nell'acqua e in tale acconcio messo sotto una cam- pana di grande capacità ed abbandonata alla spontanea decouiposizione, se la temperatura è a venti gradi circa sopra lo zero del R. non tarda troppo a esalare quell'odore spiacevole, che allo incirca lo zimoma fermentando. In questa fermentazione si ha cogli altri prodotti della spontanea decomposizione, 1 inge- neramento d" un acido, del quale, per la piccola quantità, non Iu potuto cono- scere la natura: tuttavia può credersi dover essere stato acido acetico.

Messo che sia il lolino all' azione del fuoco si annerisce prontamente, bolle, e si gonfia innalzando molti vapori di color giallo , e continuando molto sovra di essa 1' azione del fuoco fino cioè airarroventamento del recipiente di vetro, ne segue l'intera sua decomposizione, risolvendosi in acqua, olio giallo fetidissimo, sottoearbonato d'ammoniaca e gasse acido carbonico: rimanendo poi in residuo nel recipiente destillatorio un carbone leggerissimo di lucidezza argentina ; in una parola somigliante a quello, che la decomposizione della sostanza musco- lare. Anche 11 fetidissimo odore che sprigionasi in quella decomposizione è 11

Zio medesimo clic la carne pro|)riamcnlc della : il [icrcljè testa acccrtatamente itrovato, che il lolino contiene mollo azoto .unitamente al carbonio, all' ossige» no, all'idrogeno: mostrandoci anche in ciò una cotale fratellanza cogli alcali or- ganici che sono lutti sostanze azotate.

Prima di unire qneslo articolo bisogna anche che faccia notare qualche av- Tcrlenza per la migliore preparazione del lolino. Per avere adunque questa nuo- va sostanza scevra al possibile di materia colorante ; trattata che sia a freddo la materia resinosa cavata dal loglio, nel modo detto da principio , coli alcoole puro , si mette a distillare T infusione alcoolica, e si bada bene che non passi di alcoole più delle sette ottave parti di quello che era: anzi sarà meglio vedere che sia meno la quantità distillata di quello che ho detto , piuttostochè travalicare quel termine, conciossiachè importi moltissimo che la materia sia asciugata len- tamente, e la mercè ili continua agitazione, afiinchè intorno al vase non inron- tri soverchio asciugamento; il quale porterebbe l'effetto di legare cos'i il lolino con un poco di principio colorante giallo, dal quale sarebbe poi impossibile di- seredarlo .

Avuto così il lolino unito alla materia grassa, bisofjna infonderlo ncll" etere., li quale, sciogliendo prontamente la materia grassa, lascia il lolino in |)iccoIe sca- glie bianche quasi perfettamente . Raccolto che sia bene il lolino nel fondo del vase, si decanta la soluzione eterea; e si torna a versare un poccolino di etere per isceverarlo al possibile da tutta la materia grassa: allora non resta altro che riversarlo sopra un feltro ed asciugarlo.

Non devo però tacere che una piccolissima cosa di lolino è portata via dalla materia grassa, la quale tuttavia lino a un certo termine può esservi levata, ri- petendo ancora l'azione dell' etere sulla materia grassa .

§.VII.

Del glojololico^ e della materia grassa .

Ho chiamato glojololico un' altra sostanza particolare trovata nella semenza del loglio da ^Ao/aSw^ , viscoso, e lolium loglio (i) che vale materia viscosa del loglio, dalla sua proprietà di essere attaccaticcia ed clastica prima del suo pcr-

(i) L'associameoto (li due voci cavale Ja lingue diverse per creare una parola, stnnipa ( secon- do ravvisainento de' retori) nella parola stessa (con tutlocljè se ne abbiano moUiasiini esem- pi) poco sincero e gastigato conio. Tuttavia mi sono permesso di trasandare questa dullrina de' retori, stimando di procacciare al mio vocabolo non solo maggior chiarezza, ma eziandio più facile e grata termiDazione.

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3i6

fetto asciugamento . Questo nuovo principio è quello che ci rimane dopo cava- to il lolino dall'estratto resinoso. Esso è insipido, inodoroso, di colore castau-ni- no veduto in massa, e biancliiccio recato che sia in lina polvere .

Neil' alcoole freddo è perfettamente insolubile, e cosi nell' etere, negli olii essenziali e nell acqua: anzi non è che solo l' alcoole, il quale lo sciolga la mer- cè del calore ; con l'acqua, in ispezialità s' è in polvere fina, si ammollisce, e cre- sce notabilmente di volume .

L' acido acetico concentrato, e l'acido idroclorico sono que' menstrui, che sciolgono il glojololioo con la maggioie tacilità; conciossiachè lo sciolgano bene anche a- Ireddo, e via meglio e in. maggiore quantità, se la forza loro sol- vente è ravvalorata dal fuoco. L acido acetico, operando a freddo sovra di es- so, prima di sciorlo lo trasmuta in una maniera di gelatina assai voluminosa, la quale poi col calore del luoeo è squagliata e sciolta prontamente.

L acido zolforico operando la soluzione del glojoiolico a freddo fa all' incir- ca come r acido acetico concentrato.

Quello poi degli aciill che adopera in modo particolare è il nitrico. Esso at- tacca il glojoiolico con somma prontezza: pioduce una eflervescenza lenta sima notabile, cagionata da sprigionamento di gasse azoto, e trasmuta la materia in una sostanza di color giallo aranciato, della quale poco ne resta sciolta nel li- quido, e il rimanente si depone nel fondo ilei vase. Raccolta questa materia, e lavata bene, essa è acida tuttavia. Si scioglie nell aicoole, e la soluzione avuta- ne è decomposta dalT acqua: negli alcali poi è sommamente solubile, e possono queste soluzioni allungarsi moltissimo con l' acqua senza che avvenga intorbida- mento .

Il glojoiolico, sciolto che sia nell' acido acetico, torna anche solubile nell' al- coole e nell acqua : perciocché la soluzione acetica di glojoiolico può essere molto allungata coi menzionati liquidi, senza che segua intorbidamento . Se pe- rò la mentovata soluzione sia allungata con l'acqua, allora versandovi un alcali segue pronto intorbidamento,, il quale non può essere dissipato mettendovi an- che di alcali assai più di quello che bisogna alla neutralizzazione dell'acido. Se poi la soluzione fosse allungata con alcoole, allora gli alcali non producono alcun intorbidamento, il che dee appunto seguire : conciossiachè il precipitato pro- dotto dall ammoniaca m-lla soluzione allungata con 1' acqua sia solubilissimo nell' alcoole : <1 onde ne senfue che anche il iTlojololico incontra delle reali com- binazioni cogli acidi e cogli alcali : perciocché non potendo essere sospetto alcu- no che l'acido acetico operando sovra di esso ne abbia sconciata la natura, ed essendo bene provato che 1' operamento dell' acido ne ha scambiato le proprie- tà, ne viene da se l'illazione cìie ciò non voglia esser venuto che per opera d'un intima combinazione .

3{7 Quello che fa 1' acido acclico Io f;inno ali incirca anche l'idroclorico, ed il

zoliorico, (|uando però sia Ijonc com|)iiila a freddo fazione di questi acidi sovra il glojoiolico: se non die queste combinazioni diversilicano in ciò, che i precipi- tali prodotti dagli alcali sono tornali sciogliere prontamente da una sovrabbon- danza di alcali .

Il glojoiolico conae si combina cogli acidi, cosi anche si combina cogli alcali e senza provare alterazione veruna : veramente che non dimori troppo a lungo cogli alcali, e non sia fatto bollire : conciossiachè dimorand"o dieci o dodici ore, e via più facenilolo bollire con la potassa pura, o con soda, sciTua un notabile sprigionamento di ammoniaca, e la formazione altresì dell' acido idrocianico, jdrozolforico, e carbonico, in una parola di que prodotti che la fibrina bolli- ta negli alcali : la qual cosa mi sembra troppo singolare e degna di attenzione, non vi essendo tra i principii immctliati de' vegetabili alcun' altra sostanza che più del glojoiolico si accosti alla fibrina, anzi sembri con essa una cosa mctlesi- ma. Potrebbe essere che il zimoma si portasse a questo modo ma fino ad ora non abbiamo alcuna spcrienza che cel raffermi.

Avendo io voluto sperimentare come si portassero coli' elettrico le combina- zioni acide del lolino, ed essendone seguitato, come si è veduto più sopra, risul- tali soddisfacenti, ho voluto anche provare quelle del glojoiolico, adoperando nel modo slesso che feci con quelle del lolmo . II glojoiolico adunque si lìortò anch' esso al polo negativo, se non che in isrambio di mostrarsi come il lolino al- la superficie del liquido, comparve al fondo del vasellino, dov'era 1' estremila del filo congiuntivo ; rendendo quivi molto latteo il liquido .

Essendomi in tal guisa accertato che così il lolino come il glojoiolico erano al modo degli alcali elettropositivi rispetto agli acidi, ho voluto anche vedere co- me si fossero portale coli" elettrico le combinazioni a freddo del glojoiolico co- gli alcali. Infatti speiimentate queste soluzioni al moilo che ho detto più sopia, il gloiololico scambiò incontanente di luogo, e si portò ài polo positivo: sicché esso i)er risiietto agli alcali divenne elettronegativo : ond è che possiamo infe- rirne, clic così il lolino come il glojoiolico tengono il luogo degli acidi nelle loro combinazioni enfili alcali,, e (niello dc"'li alcali nelle loro combinazioni cooli acidi. Stemperato finalmente il glojoiolico nell'accjua ed abbandonato alla spontanea decomposizione, si portò assai diversamente del lolino : conciossiachè anche in questa di'composizionc m' abbia raffermato la sua analogia colla fibra animale, dandomi ilopo gii altri prodotti f acido idrozoHorico e f ammoniaca . Questo fatto mi dispensa dal dover notare quello che mi è tornato dalla sua decomiio- sizione per opera del fuoco: il perchè terminerò col dire che 1' una come l'al- tra maniera di decomposizione, mi chiarì accertalainenle, ch'esso, oltre l' ossi- geno, f idrogeno e il carbonio, contiene anche mollo azoto .

3;8

Prima di fiiiiie questo articolo devo dire anche ima parola della materia grassa trovata in questa semenza. E poiché le proprietà delia materia orassa che viene incontrata in quasi tutte le analisi organiche, sono sempre le medesi- me, tranne il colore, che sembra doverle essere estraneo, così mi fermerò poco a discorrere della materia grassa del loglio, ne parlerò che di quelle poche pro- prietà che specificamente le appartengono .

Essa dopo essere, come le altre solubile nell'alcoole, e via pih nell'etere, è molle, di color gialliccio, e di sapore amaro. Se, sciolta che sia nell'alcoole, è ab- bandonata ad una svaporazionc spontanea, essa cristallizza in tavole quadrate e romboidali. Finalmente per disgregarla interamente dal lolino, a cui si tiene te- nacemente unita, basta stemperarla nell'acqua, e quindi l'aria bollire colla ma- gnesia . Il lohno forma con questa sostanza un composto insolubile, e la mate- ria grassa vi resta meccanicamente combinata : il perchè la mercè dell' alcoole essa vlcn separata in istato puro ,

§ Vili.

Degli effetti che operano le varie sostanze tratte dal loglio nelt uomo sano .

Il fine principale ond' io mi sono messo a indagare l' intima composizione della semenza del loglio quello era di conoscere quel cotale principio, che opera effetti tanto singolari e curiosi nel magistero della vita. Il perchè non potendo io essere accertalo, che per opera della sperienza, della virtù delle diverse sostanze ch'io ho cavato colle mie chimiche indagini dalla mentovata semenza, ho fermato di farne sperienze sovra di mio fratello e di me stesso, per essere in tal modo meglio assicurato della sincerità degli effetti, così pel duplicato raffrontamcnto eh' io ne Institulva, come anche perchè non si assuefacesse alla forza del veleno quell' individuo sovra il quale soltanto lo avessi continuato le mie sperienze, e quindi mi fosse mancato per lo svario portato dall' assuefazione sicuro argo- mento per la giusta estimazion degli effetti .

Fu adunque stabilito di prendere le diverse sostanze del loglio con bene misu- rato avvicendamento, fra mio fratello e me, e la prima sostanza che fu sperimen- tata, fu la materia estrattiva cavata dalle infusioni alcooliche (i). Questo estrat- to adunque fu preso per la prima volta impastato col pane polverizzato e nella dose di solo un grano: ma non ne essendo da questa piccola dose seguitato al- cun effetto, fu essa a mano a mano cresciuta fino a dodici grani . Questa nota-

(i) Veggasi §. Ili, face. 334-

3,'9 bile dose «li estratto fu |irrs.-i di Luon mallino a stomaco digiuno. Cora' essa fu ingliiottita non travalicarono quindici minuti che nello stomaco fu manifestata una sensazione di calore temperata s'i, ma chiara e indubitata, come chiara e indubitata fuezianilio una uguale sensazione di calore alla aorta. Un" ora appres- so si notarono alcuni brividi qua e colà e un leggerissimo dolore alle einocchia. Il polso si fece intanto più esaltato ed energico; un battito , un tremore parve che la sensazione dicesse essere allo stomaco, e forse meglio, a tutta la perife- ria della regione epigastrica : il qual sintomo tornò a mio fratello (eh" è di me più vigoroso e robusto) sovra misura incomodo e molesto. Questi effetti si manifestarono circa tre ore dopo aver inghiottita la sostanza del loglio: e furono anche accompagnali da una respirazione stentata ed affannosa. Dopo di ciò la velenosa sostanza durò a produrre i suoi effetti., ingenerando una gravezza nota- bile alla testa, ed in spezialità agli occhi, i quali divennero così essi, come le palpebre, turgidi e rubicondi per lo injettamcnto de' vasi sanguigni, i quali era- no per opera del veleno a quella condizione portati che suole indurre la flon-osi. Questa maniera d' ebbrezza, questo turbamento delle naturali funzioni portato- si alla testa, riusciva finalmente in un vero dolor di capo, il quale durava di sovente tutta la giornata : anzi lu un giorno in cui capitando la sera il dolore fu esacerbato per modo da non potermi più stare senza andarmene a letto. Que- sti effetti furono notabili e cospicui, ed a produrli bastarono, come diceva, do- dici grani di estratto: ma è da notarsi che i maggiori effetti furono prodotti con via maggiori quantità di quella sostanza: conciossiachè io abbia portato la dose fino a 20 grani: tuttavia anche con la dose di soli otto o dieci grani .olirono po- tuti notare alcuni piccoli effetti.

Si>esse volte ho voluto veder consumata 1" efficacia del veleno senza mette- re impedimento alla progressione de'suoi effetti, ma altre furonvi nelle quali ho cercato tU fermare eli operamenti suoi perniciosi, e mi sono avveduto eh' io conseguiva assai facilmente il mio intento, se pigliava a modo di limonea gli acidi minerali e vegetabili nel momento che rendevasi alfannosa la respirazione, e si manifestava quel tremito allo stomaco ed a tutta la regione epigastrica.

Raffermatomi cogli argomenti notati, che in quella sostanza era tutta l'effica- cia del loglio, e assicuratomi anche bene che in quell'estratto c'era il lolino, io non dubitava di avere nel lolino tutta intera la virtù del loglio. Il perchè cominciai a prendere a minime ilosi quella nuova sostanza, impastandola colla midolla del nane: ma sempre senza poterne notare il più piccolo elletto. Tuttavia non mi potendo capacitare che ninna virtù fosse in quel principio, il quale anzi io crede- va averne moltissima, durai a sperimentarlo, portando le dosi fino a sei ed otto crani. Allora mi avvidi ch'esso con tutto che ninno producesse degli effetti narco- tici dell'estratto, durava però a produrre quella sensazione di calore nello stoma-

ò5o

co, la qaale non vi portando però sconcertamento e disordine, v' induceva anzi un soave eccitamento, che le funzioni ravvalorava di quel viscere; conciossiachè tanto mio fratello, che io abbia notato più che per lo innanzi voglia e bisogno di cibo in que'giorni che avea preso il lolino . Ma questo comechè ci abbia fatto conoscere una nuova virtù nel lolino (la quale per essere avuta per indubi- tata vuole ancora molte sperienze) nulla poi ci chiari del principio narcotico del loglio, anzi compiuta l'analisi, e fatte le molte sperienze sopra i varii princi- pii che giunsi a separare, niente mi venne trovato di quello che io cercava : co- talchè arrivai al termine del lavoro trovandomi in quella stessa ignoranza on- d'era dapprincipio . Ciò potrebbe provare la mia poca perizia nell'analisi orga- nica : ma quando si guardi alla via ch'io ho tenuto, credo che potrà anzi prova- re r insuflìcienza de' mezzi che abbiamo finora, per conoscere l'intima composi- zione degli esseri organici, de'quali a lavorare gli elementi ha di tali ingegni il magistero della vita, che mal possono raffrontarsi con quelli che sono in potere dell'uomo per iscoprirli.

Ho adunque dovuto finire il mio lavoro senza aver separato dall'estratto quel- l'efficacissimo principio, del quale le sperienze fatte suU" animale economia mi raffermarono l'esistenza: ne ciò sembra dover essere stato per difetto di tenta- tivi , conciossiachè moltissime sieno state le indagini che adoperai per segre- garlo, come si può vedere all' articolo terzo di questo mio lavoro : senza le mol- le altre che non furono notate per ragione di brevità .

Se io dovessi fare qualche supposizione per dire che sia di quella singolare sostanza, stimerei esser da crederla una combinazione ancora sconosciuta del lolino, ma ciò per al presente non può avere alcun vantaggio sopra il valore di una semplice supposizione . Il perchè io mando a' chimici il mio lavoro col tio- vato delle due nuove sostanze lolino e glojoloUco ; e colla certa indicazione di quel composto organico, ond'è che si contiene il principio narcotico: sperando che questa mia prima opera aguzzi 1' altrui curiosità, e la porti così avanti da giifgnerc a quell'ultima scoperta, per arrivare alla quale ho io lavorato moltissi- mo, ma senza frutto immaginabile: se quello non è di avere innanzi ogn'altro dato opera a questa analisi, e di aver anche mostrato dove realmente esista il principio narcotico.

ESAME MEDICO

DELLE ACQUE TERMALI DI MONTE ORTONE

DEL DOTTOR

EUSEBIO VALLI

MEMBRO ORDINARIO ESTERNO DIRETTO

AL SIC. PROFESSORE CAV. REZZA

ISPETTORE DI SANITÀ MILITARE.

1 medici risguardano le terme del monti euganei qual rimedio universale, e v' inviano quindi ammalati d' ogni maniera: emoftoici , catarrosi.^ ipocondriaci, podagrosi., oslruzionarii, scrofolosi, sifilitici, scabbiosi, ec.

Incaricato io pel corso di due anni del servizio medico all'ospitale di Monte Orione, Ilo potuto agevolmente scoprire l'impostura e la mala fede di que" me- desimi, che hanno scritto dei grossi volumi sopra tale soggetto.

Secondo r analisi del sig. Mandruzzato, 2^ libbre d'acqua minerale di Mon- te Orione contengono:

Gas idrogeno, forse carbonizzato in minima ed incerta dose Gas ossigeno in picciola dose egualmente incerta Carbonato di calce .... grani g3 i Solfato di calce ..... » iSt Muriato di soda ..... 55 489 di calce . . . . » 28 .

Si può egli fare un' applicazione felice delle acque tcrmiili, allorché V analisi non determini la quantità dei gas, che le mineralizzano, ne la natura dei princi- pii cui esse contengono? In ragione questo lavoro chimico non è necessario, e r esame medico fornisce sempre risultamcnti più sicuri . Il prmcipio più attivo delle acque termali è senza dubbio il calorico: la sua azione viene singolarmente

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esercitala sul sistema arterioso e muscolare. Egli agisce pure come sllmalante

sui nervi, e paralizza, e addormenta per cosi dire il sistema linfatico . Gli altri

prlncipii componenti le acque (io intendo sempre parlare delle terme di Monte

Orione) concorrono soltanto in parte alla produzione dei fenomeni che le sono

propri).

Queste acque non hanno alcuna azione sul veleno venereo, ne sopra le acri- monie, che s" ingenerano alla pelle, o che sono il prodotto delle glandule linfa- tiche . Alcuni fatti potranno convincerci intorno alla verità delle enunciate proposizioni .

PRIMO ORDINE DI FATTI.

Costituzione stcnica^ originaria od acquisita^ predisponente alle emorragie , infiammazioni e flemmassie croniche .

Antonio Odrar del 3." battaglione dalmata, giovane ben complessionato, robu- sto, attaccato da dolori reumatici sputa sangue al terzo bagno .

Giacomo Galoche, del io6. ' rewirimento di linea, aveva fatto sedici bagni ed otto fangature, allorché venne colto da un dolore vivo e puntorio al petto . La respirazione si fece d' assai difficoltosa, il polso duro ed aveavi molta agita- zione. Gli si amministrarono dei deprimenti ed al 3. ^ giorno cessarono tutti i fenomeni .

Pietro Martrè, del 29.'' reggimento di linea, sputa del sangue, dopo aver fat- to 23 bagni e 21 fangature. La dieta ed i controstimolanti lo ristabilirono prontamente .

Questi due mditari, di già attempati, non erano pletorici, ne cagionevoli al petto, ne intemperanti . La loro malattia consisteva in un reumatismo musco- lare. Li fenomeni, da cui furono colti, provennero, a mio parere, da una lenta accumulazione di eccitabilità nei polmoni, ed i cangiamenti bruschi dell'atmosfe- ra, come gli errori nel regime di vita non avrebbero potuto qui occupare, che un posto secondario .

Bertoluzzi, caporale d' un battaglione fisso in Venezia, soggetto all'emottisi, soffriva, da due anni, dolori articolari. Volendo esperimentare li bagni, egli eb- be alla seconda prova tutti li sintomi della peripneunionia. Io gli ordinai un ge- neroso salasso, una tisana emetizzata, la dieta . All' indomani il polso era men duro, meno frequente, e minorato il dolore costale ; gli spuli si osservavano an- cor tinti di sangue . Si replicò la stessa bevanda. Al terzo giorno cessò del tut- to la febbre, gli spuli erano mucosi, e picciolo il dolore . Al quinto, 1' ammalato era convalescente .

3,-3

Conclion,, Liigailiere nel 3." rogpiinenlo dei tlragoni. cLbe a provare li mede- simi aoeidenli ali ottavo bagno, e venne a un dipresso trattato nella stessa ma- niera. Questi aveva ricevuto, tre anni prima, un colpo di punta al petto, ed il dolore si faceva sentire al luo"-o della ferita .

Il sig. P,'i^<ises, capitano dei volteggiatori del 6." reggimento di linea, uomo di una certa età, che faceva le fangature, onde procurare alle sue gambe mag- gior licssibilità e forza, ebbe un'emorragia nasale, e le emorroidi, querelandosi nello stesso tempo di una grande oppressione al petto. Temendo di una ridon- danza generale di umori, io gli comandai il ri[)oso, ed un regime severo . Passa- to d pericolo, egli contuiuò nella propria camera l'intrapreso trattamento, e si trovò benissimo. Questo fatto, ed altri molti di egual natura fanno prova evi- dente delfinlluen/a marcata dei vapori delle acque termali sull'organo principa- le tlella respirazione .

Io lio osservato costantemente clic le malattie cagionate dal ba^ni e dal fanghi erano passeggiere, e che non eravi bisogno di molto, per vincerle, allor- quando pure esse si presentavano con un apparato importante . Sare^jbe egli possibile di prevenire queste affezioni, e tali malattie secondarle, facehdo fare nel principio li bagni e le fangature poco pili che tepidi, e di corta durata, ed abituando per tal modo gì' infermi ad una temperatura sempre pili alta? cer- tamente. Ma siKallc precauzioni sono vuote d' elfetto per gli emoftolci, o quel- li che hanno la disposizione ad esserlo, per 1 sanguigni, per gli asmatici, ed i predisposti alla tisi, soprattutto alla tisi florida e scrofolosa, e per lutti coloro in fine, che hanno il petto debole e maltrattato. La mia asserzione è basata sul- l'esperienza.

Flemmassic croniche . Oazetti , del 5." di linea Italiano, era tormentato da lungo tempo da una reumatalgia lombare . I bagni non g-li davano verun sollie- vo, e le fangature accrescevano grandemente i suoi dolori . Io gli feci applicare un vasto vescicante ai lombi, e se ne stette passabilmente bene per sei o-iorni . A questo momento la malattia si rinnovò con plucchè mal di veemenza ; 1' op- pio non gli procurava che una calma momentanea . Stanco di vedere il mio ammalalo in soflerenze si atroci, lo volli assoggettare ad un trattamento mercu- riale. Questo metodo corrispose alla mia aspettazione ed a' miei desiderii .

Bertolucci, caporale del cannonieri italiani, attaccato da dolori fissi alle arti- colazioni, aveva fatto 3o bagni, peggiorando ogni giorno . Quantunque non sap- pia mai essere apatista, pure convenne lasciarlo soffrire come tanti altri, e così facendo , risposi alla questione da voi sig. Ispettore propostami : quali sieno i casi in cui le acque termali riescano o utili, o dannose? Io impresi Imalmenlc a soccorrere il paziente: gli amministrai 11 mercurio per frizioni, ed egli guarì .

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3ói

La lombaggine, i dolori articolari, e pressoché lutti li reumalismi apparten- gono in origine alla famiglia delle flemmassie, e non degenerano, che quando siano antii Ili . Ora, per vincerli è mestieri attenersi a certi debilitanti, soprat- tutto alle frizioni mercuriali . Io non le ho risparmiate, e la mia pratica non mi è riuscita sfortunata.

In ultima analisi i bagni, le fangature non possono convenire, che nei reuma- tismi atonici dopo ferite, contusioni, fratture, ed in quc" reumatismi che succe- dono a febbri nervose e periodiche: ma questi dolori reumatici non entrano, per quanto mi sembra, che nella classe delle nevralgie .

SECONDO ORDINE DI FATTI.

Nevralgìe^ Nevrosi .

Nevralgie. Il sig. V , uomo attempato, di debole costituzione e malsa- na, è stato per tutta la sua vita preda di mali nervosi, i quali si sono appalesati sotto mille e mille forme differenti . Egli venne attaccato, sono circa due anni , da un dolore alla testa, che occupava tutta la cufha aponeurotica . Lua settima- na non era per anco trascorsa, che il dolore abbandonò questo luogo per tras- ferirsi al collo ed alle s|ialle, e di alle estremità inferiori, ove lissò lasuasede. I muscoli, i legamenti, le aponeurosi, il periostio, le ossa medesime, tutto era sotto il suo tirannico impero . Il malato soffriva orribilmente durante la notte; e siccome le vertigini, due anni prima, 1' aveano minacciato d'una apo])!essia, efli aveva della ripugnanza per 1' oppio. Se gli fece credere, che li bagni Monte Ortone 1' avrebbero tratto ila tal penosa situazione, o che gli avrebbero p<'r lo meno procurato sollievo . Egli vi si recò, e fece prova dei bagni, clelle faniTature e de' mercuriali : ma peggiorò, e per la violenza dei dolori In astret- to dì ricorrere all'oppio. Quindici o venti goccie di laudano liquido, in due oncie di aceto, gli fecero passare una notte molto tranquilla . Il malato aumen- tava osrnl giorno la dose del divino rimedio, e trovò ristabilito in meno di dieci giorni.

Il sig. Sago, luogotenente nei battaglioni dalmatini, avea dei dolori erranti j vaghi, delle polluzioni notturne, era giovine, forte, e di stirpe greca, ed abbiso- gnava di tutt' altro fuorché di acque calde . Il fatto gliene diede la dimostra- zione .

Lic acque sarebbero bensì indicate nel dispertismo, ed il libertino impotente trar ne potrebbe un eccellente partito . Uno dei padroni dei bagni vecchi di Abano non si riconosceva uomo, che allorquaQdo si applicava i fanghi al peri- neo ed alle parti sessuali .

Sò'J

Una donna fredda, come il ghiaccio, crudele per tcinpcramento, sterile, pri- va de'inestrui, consigliata dal suo vecchio medico, che non era uomo da molto, recossl a fare li batrni alla Balla^jia. Due mesi dopo la siirnora era incinta : al d'i d'offri ella è madre di due li^li, il suo carattere è cambiato, e divenne un modello di vu lìi.

Il ritorno delle evacuazioni soppresse non è un effetto costante dell'azione delle accpie termali . L' osservazione da me riferita è forse 1' unica nella storia della medicina. Si sa che la sopjM-essione delle regole, dell'emorroidi, cagiona sovente le convulsioni, l'ipocondria, la melanconia, ed i bagni non farebbero che inasprire ed irriftare di più il sistema nervoso. I visceri divengono forse, con- seguentemente a questa medesima causa, ostruiti ed attaccati da una lenta in- hanimazione ? Si forma forse uno spandimenlo, fascile, l'anasarca? In tulli questi casi, cosa evvi a sperare, o, a meglio du'c, cosa non debbesi temere dal- 1 uso delie acque ? Ritorniamo a bomba .

La sig."Pizarro di Vi(;enza, affetta da sciatica, fece uso delle unzioni mercu- riali. INel corso di questa cnra, il suo corpo si coprì di una eruzione vescicolare pruriginosa, ed il dolore cessò. Si sospesero le liegagioni ed al termine di i5 giorni r eruzione incominciò a scomparire, e f ammalata si querelò ben tosto •li un dolore alla scapola destra. Essendosi dileguata onninamente 1' eruzione, il dolore si fissò di nuovo sopra il nervo femoropopliteo. L'ammalata ebbe delle altre eruzioni, le quali costantemente furono susseguitale dalla scomparsa della sciatica. In mezzo a tali alternative, ella aveva goduto di una buona sa- lute, di maniera che le persone, che per essa prendevano interesse la lusingava- no di una jruarinfione radicale. Onesto fu un soffno . I medici della città, non sapendo ove rivolgersi,, la inviarono ai bagni d Abano . Questa dama, che na- sceva da una donna irritabile ed affetta da acrimonie, aveva ereditalo da sua madre una organizzazione e delle disposizioni analoghe. La malattia era com- posta di due elementi: estrema sensibilità e vizio umorale, contro dei quali a nulla valirono, ne i bairni, ne le fangature, ne le doccie: ma siccome esiircva la qualità delle circostanze che il tulio si ponesse a prova, cos'i conveniva che la povera ammalala soffrisse dolori più tormentosi della morte, e che si avventu- rasse al rischio di perdersi per sempre.

Io ho avuto la conoscenza del sig. . . ., nativo di Mondovi in Piemonte, che. da tre anni, era stato attaccato della sciatica. La gamba erasi resa di mollo ema- ciala, le forze muscolari assai deboli, il tlolore era quasi nullo: egli fu guarito col mezzo delle fangature. Queste aumentando 1' afihisso del sangue alla parte aflet- ta, vi determinarono una più abbondante secrezione di sostanza midollare, in cui risiede eminentemente il principio della vita (V imprtuin /acicns d'Ipocralc). Il uervo in questi casi tidvolta divenne egli stesso atroiico: altre volle egli è irri-

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tato da una materia acre che si è depositala nella sua guaina. Qucst' è l' iscliia- de i-era postica del Cotunnio. Io ho credulo di ravvisarla nella persona di Giu- seppe Savozini del 2. ' di linea italiano, nel di cui traltamcnto, senza far uso alcuno di vescicanti, le unzioni mercuriali sole lo rimisero in salute .

Luiiri Scancini del 2.° di linea italiano, era assalito da un dolore allo scroto ed al testicolo sinistro, dolore che si propagava lungo il cordone spermatico, terminando alla cresta dell ileo, ed alla regione lombare . L' ammalato soflrl- va in modo orrendo durante la notte. Questa nevralgia, eh' io chiamerò scroto- lombare, procedeva in origine da un abscesso allo scroto. I bagni, le fangatu- re, le doccie furono impiegate a vicenda, ma senza profitto.

Il tic non diferisce dalla nevralgia di cui ho latto parola, che per la regione cui egli occupa. Io ho veduto ai bagni d' AJ>ano un giovine prete ( D. Nicolò Scipioni di Venezia) che ne era stato colto. Tanto le acque, che i fanghi e le doccie non fecero altro che condurlo a peggiori sofferenze .

Uno speziale di Vicenza, cui visitava insieme al sig. Thiene, ci ha comprovato n sue spese, che 11 tic doloroso, questa infernale malattia, resisteva non solo alle acque termali, ma ancora alla china, alla valeriana, al muschio, ai mercuria- li, al ferro, al fuoco, agli stessi veleni.

Nevrosi. Francesco Duzin, fuciliere nel 2." reggimento di linea del 3." batta- glione, affetto da una semi-paralisi al braccio destro, in seguito di una febbre nervosa, usci dall' ospitale perfettamente risanato, dopo aver fatto nove bagni e sei fan<Talure. La malattia non contava una vecchia data; egli non era per nul- la emaciato, ne avea perduto la sensibilità nelle membra . Fatalmente io non posso citare che questo solo esemplo di guarigione .

Le paralisi, che sopravvengono alle febbri nervose (adinamlco-atassiche di Piuel) provengono dalla scossa, o sconcerto di qualche occulta molla del siste- ma nervoso, o da un deposito critico che comprima il tale o tal altro nervo. Le paralisi di questa specie deludono quasi sempre gli sforzi combinati della na- tura e dell' arte .

Una damigella veneziana, dell'ordine patrizio, fu rinchiusa in un convento dal suol barbari parenti, 1 quali non volevano ch'ella si maritasse con un certo giovine, nelle cui vene non scorreva 11 sangue trojano. Piena d' Immagmazione, di fuoco, di bisogni la infelice giovane aveva delle estasi frequenti. Ella scapita- va oo-ni giorno, ne avendo la forza di dominare le sue passioni, terminò col per- dere r uso degU arti inferiori . La paralisi crasi comunicata al braccio destro, quando ella fu inviata al bagni d' Abano . VI arrivò In uno stato compassione- vole ed in un mese e mezzo all' Incirca la si vide partire in uno stato assai buono .

357 Antonio Giacconi, «lil i. ili linea italiano, soggetto al male caduco, essendo stato «;ollo da un forte attacco, restò paralizzato nelle estremità inferiori : la pa- raplcia fissò il termine degli accessi . Questo giovine era di una struttura atle- tica e ben nutrito: le estremità, ancorché colpite, conservavano una vegetazio- ne prosiìcra, ma ninna senslljililà, di moilo che si poteva irritarle, punztcchiar- le senza che l'ammalato dasse indizio della menoma sensazione . 11 tronco del sno corpo, che sembrava accorciato, gravitava talmente sopra le sue gambe, che allor(piando l'ammalalo faceva del tentativi per mettersi in piedi, o per camminare con 1' appoicg'o delle stampelle, egli cadeva a terra come una pie- tra. Minacciato dalla soffocazione tutte le volte ch'egli stava per 3 o 4 minuti nel ba^no, fu obbligato di abbandonarli, e di limitarsi all' uso delle fangature . Queste pure lo agitavano, e tale agitazione andava ciascun giorno crescendo; ciocche lo pose nell' impossibilità di continuarne l'uso. Fu nel torno di qucKl' e- poca, ch'io gli ordinai una pomata mercuriale, nelle proporzioni di un grosso, fino ad uno e mezzo di sublimato corrosivo, sopra un' oncia di grasso di porco . Al quarto giorno di ri«cst'operazione l'ammalato si accorse, che la pianta dei piedi e le estremità dei pollici erano un poco sensibili al tatto, ed egli riferiva a queste medesime parti la sensazione di una fiamma ardente, ed una specie di formicolamento. Questa fiamma, estendendosi a poco a poco, restituì la sensibi- lità e la vita alle membra paralizzate, ed il malato nel decimo giorno divenne capace di camminare con le gruccie. Le sue forze pure ristabilironsi, ma con molta lentezza . In questo mentre sua madre venne a vederlo, e questa visita gli fece nascere il desiderio di recarsi a compiere la cura nel seno della sua fa- miglia, che abitava a Padova. Cedendo alle sue replicate istanze, io lasciai che se ne partisse .

Un certo Genois, sotto-officiale nel i." reggimento di linea italiano, aveva nna contraltura alla gamba destra, in conseguenza di un colpo di palla ricevu- to nella coscia . Le fangature gli resero in pochi giorni abbastanza liberi e l'e- stensione ed il movimento dell' arto . Al momento della ferita, i filamenti nervo- si che si portano, e si distribuiscono al muscoli estensori, rimasero ofrcsi, don- de provenne una specie di parafisi di questi medesimi muscoli. Sotto 1' applica- zione delle fangature questa paralisi fu vinta, e d' allora in poi li muscoli flesso- ri, contrabbilanciati dai loro antagonisti, non si trovarono più in uno stato forza- to di contrazione . Essendosi ristabilito l'equilibrio, rimaneva ancora in tutti i muscoli un grado di atonia . L' ammalato credeva di poter rimediarvi continuan- do i bagni, ma non tardò a disingannarsi . La gamba incominciava a ricadere nella prima condizione . Non si deve ignorare che 1 muscoli, 1 quali sicno stati per qualche tempo, o paralizzati, od in contrazione spasmotlica, conservano sempre la disposizione a ricadere nel medesimo stato . j\è meno debbesi ignora-

358

re che li ao-enli, i quali vi abbiano una volta ristabilita 1' armonia, ed il buon ordine, favoriscono in seguito, ed avvivano questa disposizione latente.

Il sig. Nicolò BrouUon sotto-tenente nel 6." reggimento degli ussari, tutto stroppiato dalle ferite; entrò nell'ospedale il a di giugno: nel 6.' egli gettò via una delift sue stampelle, ed al termine di io giorni abbandonò anco l'altra, saltando, e facendo delle capriole . Il popolo stupefatto suole ascrivere a mira- colo tali avvenimenti, e lo speculatore destro nasconde sotto il velo di simili guarif^ioni clamorose tutti i mali, cui producono queste terme.

Una dama di Mantova soffriva delle convulsioni, che sembravano avere 11 lo- ro centro all'epigastrio, perocché a questa regione ella riferiva sempre la prima sensazione molesta. La signora aveva inoltre dei tluori bianchi, di que' fluori pe- stiferi, che infettavano al toccarli . Avendo fatto molti bagni, tutto le andava al- la pecrgio, ed io le diedi il consiglio di abbandonare Abano. La mia opinione non era quella del sig. Mandruzzato. Questi pretendeva ch'era bene, ed anzi molto bene, che si avessero degli accessi convulsivi più frequenti e più forti . La sig. Platis non ne fu persuasa, e partì .

La sig. Albertini di Verona perdette il suo sposo, nell'età in cui i bisogni fi- sici si fanno ancora sentire imperiosamente : ella divenne dappoi triste, ipocon- driaca, amica della solitudine. La mestruazione non fu più regolare : sopravven- ne uno scolo tinto di sangue, e di tempo in tempo alcuni dolori lancinanti alla matrice . Se le fece praticare i bagni termali ; lo scolo aumentò, 1 dolori si fece- ro sentire con più frequenza e forza. L'ammalata che si credeva minacciata da un cancro all' utero, passò dei giorni in una agitazione mortale . Alla fine el- la abbandonò Abano.

Il si<f. Derider Alemanno, dimorante a Fiume, uomo da 35 a 36 anni, ipo- condriaco fino dal ventre di sua madre, faceva li bagni d' Abano dietro il con- sio-lio di molti medici . La malattia si fece più grave nei primi giorni, e diventò ancora più ribelle in seguito. Aveasi mancanza totale d'appetito, flatuosità con- tinue, talvolta costipazione, talvolta diarrea, stringimenti di cuore, debolezza, ed an"-ustie tali, da fargh temere la morte, ed a cui aggiungevasi una profonda melanconia . La china non gli procurò sollievo alcuno, io lo decisi a partire .

L' ipocondria al pari di tutte le affezioni di un tal genere, che provengono da un eccesso di eccitabilità nervosa, naturale o acquisita, o che sono alimen- tate dalla morbifica condizione di qualche viscere, tutte queste affezioni si bur- lano delle terme dei monti euganei . Vediamo ora, cosa esser possano nqlle malattie linfatiche .

TERZO ORDINE DI FATTI.

MalatLie linfatiche .

Il sig-, Diibant capo battaglione del 7." reggimento italiano , aveva preso la s filule ail epoche dillerenti, ed aveva sempre subito un consegr.ente li altanien- to . Egli stava bene, allorché essendo obbligato di fare un lungo cammino a pie- di ., venne sorpreso dalla pioggia,, e rimase per alcune ore cogli abiti bagnali in dosso . Poco tempo dopo, gli comparve un tumore al collo, il quale, malgrado i medicamenti locali ed interni, passò in suppurazione . Questo tumore fu sus- seguito da un secondo, poscia da un terzo, da un quarto ce, i quali avendo suc- cessivamente suppurato giunsero a formare una catena di sordide cicatrici. Dei dolori alle gambe, ed un ingorgamento al ginocchio destro furono la ragione per cui questo ammalato venne a Monte Orione . Egli mi consultò (perciocché mi trovò alloggiato nell' albergo della sua dimora) , ed io gli dissi che le acque termali rinnovellerebbero la malattia delle gianduia, e che d' altronde io noj ri- scontrava in lui il grado di forza necessario per resistere ai bagjii . Egli non mi dieile ascolto, e n'ebbe torto. Al 12." bagno le sue antiche cicali lei s' inf sm- marono tutte all'intorno, e comparve un nuovo tumore . I dolori si fecero più intensi : avvenne «lei peggioramento e delle minaccie al petto . Spaventato da questi accidenti se ne parti, maledendo i bagni, le fangature ed i medici.

Il cavaliere Sinistri, capitano dei cacciatori reali italiani, ricevette nclT ulti- ma campagna un colpo <li lancia sol lo le coste spurie, il quale, essendo diretto dal basso in alto, aveagli forato il diafragma, e leso profondamente i polmoni. Da ciò la provenienza di sintomi gravissimi . La cura fu lunga e burrascosa . Quest' officiale presentava tutti i segni di una lisi tubercolosa ; afonia, tosse sec- ca, tormentosa, jiicrola febbre, sudoi i notturni, emaciazione . Io volea sul fatto congedarlo, ma avendomi pregato di aver cura di lui, gli prescrissi nello stesso giorno 2^ grani di mercurio dolce, e dell'acqua gommosa per bevanda. In po- chi giorni la febbre ed i sudori cessarono del tutto; la tosse non lo molestava che qualche momento alla notte ed al mattino . L' ammalalo, trovandosi molto meglio, credette di poter. cimentarsi alle fangature, per hbcrarsi da un reuma- tismo. Io mi opposi, ma egli le fece a mio malgrado. La tosse, la febbre, i su- dori ricomparvero subitamente, e questo bravo soldato partì ammalato egual- mente, che quando era entrato nell' ospitale .

L' applicazione del fanghi sopra le gianduia mascellari destò una tisi tuberco- losa a Margnit dell' 8." reggimento d'artiglieria a piedi: e Martino Charricr, granatiere del 5.' di hnea francese, e Dehaje cacciatore della compagnia scici- la ne furono aspramente attaccati al petto . Dessi erano scrofolosi .

36o

Pietro Michiel, caporale tlei volteggiatori del 2." battaglione Jcl S." re<Tgl- mento, aveva un ingorgo ai visceri del basso ventre, ed alle glandiile degl' in- guini . Gli si applicarono 1 fanghi sull'addome, ed al i^." giorno spulò sangue . Io non dubito cìie le glandule linfatiche dei polmoni non fossero interessate al pari di quelle degl' inguini . Le ostruzioni sono qualche volta complicate con una infiammazione lenta dei visceri o del peritoneo che li avvolge, ed allora 1 bagni e le fangature possono accelerarne il corso, e dar luogo a fatali conse- guenze .

Prego Cavraco del 5. battaglione dei Dalmati, era affetto da una malattia alla milza, conscguentemente ad un colpo violento fatto snll ipocondrio sinistro. Egli faceva le fangature, ma questo stimolo gli eccitava frequenti accessi di febbre, ed i dolori si facevano sentire sempre più intensi . Sebbene 1' ammalato ivi fosse giunto per essere sottoposto ai nostri esanà, nondimeno io non volli spingere le cose al di del termine fissato dalla prudenza. Dopo averlo lascia- to tre giorni in ri|)oso , lo feci sortire .

Conoscendo il modo d' azione di queste acque sul sistema nervoso e linfatico , era agevole di prevedere quali fossero i loro effetti nelle malattie veneree (1). L'esacerbazione dei dolori, perchè l'energia nervosa si trova esaltata, è uno dei danni cui portano queste acque, e la maggior durata ed ostinatezza della ma lattla è un secondo , perchè le acque, paralizzando i vasellini assorbenti , fissa- no in qualche maniera il veleno sopra le parti da lui occupate . L' esperienza, che va mal sempre piìi lungi dal ragionamento dei medici analizzatori e filosofi, ciba discoperto una terza verità, ed è, che i bagni e le fangature fanno più pronto lo sviluppo d" una sifilide latente .

Pietro Vial, caporale nel 5." di linea francese, aveva dei dolori muscolari, ed osteocopi, che si esacerbavano nella notte. Fino dalla mia prima visita io gli aveva chiesto, se questi dolori provenivano per avventura da causa venerea. Egli mi rispose, che dessi erano le conseguenze delle fatiche della guerra, e parve pure sdegnato della mia domanda . Dieci giorni dopo, essendogli compar- se delle ulceri, ci conobbe, che li miei sospetti non erano irragionevoli, ed eb- be la buona fede di confessarmelo.

Il sig. Leder, capitano nel 2." battaglione dei pontonieri, uomo di cinquanta, e qualche anno, si querelava di un dolore, che dall'occipite si estendeva ai muscoli del collo ed alle omoplate . I bagni del pari che le fangature e le doccle gli facevano passare delle nolll terribili, e al 8.' giorno s' accorse di ave-

(i) Che queste acijue possano agire come reattivi, e neuliallzzare 11 iirus venereo, e la materia produttrice della scabbia e degli erpeti, non viene sostenuto dai l'atti.

36i re un esostosi iicH'allo dello sterno. Io tee] inlcmlere al sig. Leder la necessità a'inlrajìrcnderc una cura mercuriale, ed egli si uniformò a' miei consigli. La sa- livazione non tardò a manifestarsi, ed ecco un motivo maggiore di dubitare sul vero carattere della malattia . Il mercurio è la pietra di paragone ; e tra li mi- litari, trattali coi mercuriali, non vi sono slati, che 11 siiililici, i quali , facendo i bagni, abbiano salivate . Si avrebbe torto di riguardare le esostosi e le perio- slosi, come segni infallibili dell esistenza del veleno venereo.

QUARTO ORDINE DI FATTI.

Malattie cutanee^ erpeti e scabbia .

Uno dei nostri buoni medici ha creduto di riscontrare un intimo rapporto fra le malattie linfatiche, e quelle della pelle. Se la teorica è falsa, egli è sempre ve- ro, che le acque termali, che sono inutili, o dannose per le une, lo sono egual- mente per le altre .

Gli effetti prodotti da queste acque negli scabbiosi sono: un'eruzione più ab- bondante, e prurito più sensibile e talvolta insopportabile : esse non fanno al- cun bene, ancorché si continuino a dilungo. Si potrebbe per altro renderle pro- fittevoli, attivandole col solfuro di potassa. Ed al bagni infatti preparati in tal maniera Giuseppe Giosepock del 3." battaglione dei volteggiatori dalmati, e Martin Quanovlck, tutti e due scabbiosi, debbono la loro guarigione . Voi non mi chiederete il perchè io non 11 abbia trattati tutti nella stessa maniera, per- ciocché sapete, che fra i medicamenti da,vol mandati a quest'ospitale, non vi era il solfuro di potassa . Del resto per pronunciare con equità sulla eflicacia o non efiicacia di un rimedio qualunque, conviene starsi in una perfetta inazione, e farla da semplice spettatore.

Queste terme, che non hanno alcun potere sulla scabbia, non debbono nem- meno averlo sulle malattie, che riconoscono per causa una scabbia ripercossa . Io non credo che l' Acorus scabiei., che fu scoperto nelle pustole dei rognosi, si porti pel canale dei linlatici nel torrente sanguiirno., e che quindi poli circoli per tutto il corpo, e che per via egli prescelira di occupare il tale, o tal altro orga- no, o parte, ma credo che la materia psorica, non possa essere recata in circo- lazione, che per mezzo degli assorbenti . Siccome poi 1 bagni rendono questo si- stema inerte, e (piasi paralitico, così penso che questa materia non verrà rias- sorbita, e le maialile, che ne dipendono, rimarranno sempre nel loro sluto . I fatti si accordano colla teorica .

Boecher, caporale nel 9.° reggimento d'infanteria di linea, e Bcrlon Laurent

nel ^.° d' artiglieria a piedi, aflllttì ambedue da dolori per una medesima causa,

4(i

36j

cioè a dire per retrocedimenio della scabbia, non si Irovarano per nulla meglio, dopo aver praticato i bagni . Si è egli mai veduto, che i bagni, i fangiii e le doccie, abbiano fatto svanire dei depositi di rogna ? Succede degli erpeti, co- me delle scabbie, che i bagni non fanno, che aggrandirne l'estensione, e rende- re questi mali vie più pruriginosi e molesti . Io ho riscontrato negli erpetici in generale un carattere iniquo e collerico. Le acrimonie, qualunque elle si sieno, modihcano il morale d' una maniera sui generis^ fanno nascere e delle inclina- zioni e delle passioni irresistibili . Si dice che 1 leprosi sieno divorati dalla lus- suria .

Durante un bimestre sono entrati nella mia divisione i3 erpetici, dei quali 6 hanno subito il trattamento mercuriale.

Eccovi signore, lo stato degli uni e degli altri.

Nome e Cognome, t Reggimento.

Sala

Granderi

Mac|ueville

Bouglrand Paiaìs Williams Lamblatte

della malattia.

Numei

dei Bao;ai

2.° Pontonleri 3 anni

3." Dragoni Ila Linea

i3 Linea

2." Ponlonieri

6.1 Cacciatori

I anno 3 anni

a anni i8 mesi I anno

'9

a4

i4

4.° Artiglieria 5 anni | 26 a piedi.

Risultati .

Non guarito, miglioralo

idem

idem

idem idem idem idem

Osservazioni .

Erpete uuiversaie migliare.

Erpete migliare.

Erpete universale migliare.

Erpete alle gambe.

Erpete crostoso.

Erpete alla parte superiore interna della coscia .

363

STATO degli Erpeti trattati colla pomata di Cirillo^ ed il liquore di IVan-Swietcn.

Nome e Cognome.

Reggimento.

Invasione

della malattia .

Numero delle

Frega- gioni .

Risultati.

OsSEKViZIONI.

Moinpey .

6.0 Cacciatori

4 anni

i8

Guarito

Erpete migliare.

Durey .

idem

II anni

IO

idem

Erpete crostoso al- l'estremità.

Claude.

2." Artiglieria a piedi

3 anni

20

Migliorato.

Erpete migliare al- la parie interna superiore della coscia.

Gardes.

idem

I anno

20

Guarito

Erpete provenien- te da scabbia re- ' trocessa.

Doncelle.

io6 linea

I S anni

8

Non guarito.

Erpete universale.

Grandi .

Infanteria

3 anni

3

idem

Erpete ulceroso.

Quest'ultimo., sonVentlo oltrcmodo alle geno'ìve, non voile più continuare le fcernao-ioni . Efrli iicrò avrebbe dovuto incolpare meno il mercurio, che li bagni. Gli ammalati affetti da una malattia scorbutica limitata alle gengive ed ai den- ti., .si lamentavano tutti d'aver male alla bocca, abbenchè non facessero che 1 soli bagni. Forse questo fenomeno non fu bene osservato, ed avvenne che MM... N. . . . trovò ragione rli dire che le acque termali eccitano la salivazione quanto il mercurio . Tutti i me<lici convengono, che le acque solforose posseggano una virtù singolare contro o-li erpeti ; ma negli erpeti inveterati e ribelli, ove esista infarcimento alle glandule linfatiche addominali, non sarà forse lodevole il far precedere una cura mercuriale, od alternarla con gli stessi bagni ? Io assogget- to le mie opinioni all' uomo, che

" E lo maestro di color che sanno " .

Questo rapporto, che sottopongo, o slg. Ispettore, alle vostre riflessioni, jire- veggo, prima d' inviarlo, che verrà trovato in contraddizione agli elogi ed alle mcravio-lie. che vi furono in addietro presentate ilal miei antecessori. Ma era mai possibile, che essi potessero arrivare a ben conoscere il vero, quando, adope- rando le ac(jue, usavano continuamente anche la medicina attiva? Mon potreb-

364.

Le essere accadulo., clie alliibiiissero alle terme ciò, cKc era risultato necessa- rio dei medicamenti somministrati? Mi si decantò la guarigione di uno scab- bioso : cercai sollecitamente di saperne il nome, e venni in cognizione, che lo scabbioso era un militare, il quale avea fatte quattordici fregagioni con una po- mata antipsorica. Presso di noi (in Toscana) le donne dottoresse conside- rano i pidocchi edi cimici come lo specifico dell'itterizia, facendoli inghiotti- re col o^iallo dell" uovo . Se i poveri itterici si adatteranno a questo solo mezzo per o-uarire , conseguiranno dessi mai la salute r Ho r onore di essere.

VALLI.

36S

SAGGIO

DI TRADUZIONE ED ILLUSTRAZIONE DI PLINIO IL GIOVANE

DEL DOTTORE

PIER-ALESSANDRO PARAVIA

MEMBRO ORDINATIIO.

ILLUSTRI ACCADEMICI.

U no de' maggiori vantaggi, che derivar possono agli studi dalla instituzio- ne delle letterarie accademie, a me par che sia questo : che coloro, i quali at- tendono a qualche opera di lunga lena e di non lieve importanza, presentando- ne un saggio a queste dotte adunanze, possono in colai guisa sperimentare il giudizio del pubblico, eziandio prima che la sua opera sia al tribunal del pub- blico assuggeltata ; e possono quindi averne, e profittare eziandio di quegli av- visi e di que' conforti, i quali, se recati sono dopo la pubblicazione del libro, ar- rivano quasi sempre o intempestivi o molesti. Il che stando, niuno mi condan- nerà, io spero, se, attendendo io da qualche tempo a traslalare ed illustrar le opere di Plinio A giovane, mi sono deliberato di oflerirvene un sao-gio , per aver sul merito del mio lavoro lautorevol vostro giudizio, il quale o via piìi m' incuori all' impresa, se esso mi sarà propizio, o mi conlbrti invece a trala- sciarla, se mi sarà avverso. E perchè quando taluno è innamorato dell' autor che traduce, trova in lui ogni cosa eccellente, ancor che tale in eflctto non sia; cos'i io, dovendo recitarvi alcune pistole del mio Plinio, per non errare nella scel- ta, ho deliberato di cavar fuori da' dicci libri di esse quelle j)ochc, che il sig. di NolI reca per esemplari nelle sue Lccons laliiics de litterature et de Vìorale . E certo ch'esse sono assai piacevoli a leggersi, siccome quelle che vanno quasi tutte in descrizioni e racconti, e condite poi sono di quelle savie riflessioni e di quella benigna morale, che formano il proprio carattere di questo amabile e

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virtuoso scrittore . Se la traduzione delle suddette lettere vi sarà un saffo-lo del mio modo di traslatar Plinio, le note che vi ho apposte vi saranno un saggio del mio modo d illustrarlo. Voi vedrete, che con queste note io non ad altro in- tesi, che a chiarire que' passi del mio autore, i quali accennando a persone, a costumanze ed a fatti troppo lontani da noi, non avrebbon forse, senza questo aluto, potuto accomodarsi all' universale intelligenza . La materia di queste no- te io la trassi da quelle opere, che mi parevano poterla somministrare più abbon- dante e sicura, senza che a ciò mi fosse d' uopo di ricorrere all' infinita schiera de' commentatori; che se cion nonostante io mi sarò scontrato in alcun luoeo con essi, voi che pratici siete di fatti studi, dall' indole stessa delle mie annotazio- ni facilmente vi accorgerete, come si possa ripeter ciò, che hanno detto i prece- denti commentatori, senza offender per questo nella taccia di avergli copiati. Il testo, sul quale lavoro la mia traduzione, è quello datoci dal Gierig nella secon- da sua edizione delle lettere e del panegirico di Plinio (Lipsia i8o6.tom. 2,8. ); e questa lezione in tanto ho fedelmente seguito, in quanto da coloro che sanno IO la vidi universalmente pregiata . Se non che essendomi in un sol luogo dilun- gato da essa, vuole giustizia che io ve ne rechi i motivi, perchè giudicar possia- te se di ragione, o se a torto lo le sia stato infedele .

Tutti gli antichi scrittori, i quali hanno discorso sulla famosa eruzione del Vesuvio a' tempi di Tito, ci dicono eh essa avvenne nell'anno di Cristo ^9; ma in che tempo di quell' anno sia essa propriamente accaduta, nessuno ce ne lasciò memoria: toltone l'abbreviator di Dione, ilqual ci avvisa, che ciò fu au^wm/zoy'rtni ad exUuin verge/iCe.jO più strettamente sub ìpsum autuinni eJiitum^secoiu\o ì"m- terpretazione degli accademici ercolanesl nella loro dissertazione isagogic 1 (p.I, e. XI). Solo Plinio il giovane è quegli, che di un terribile disastro non pu- re ci tramandò la più esatta e minuta narrazione che desiderar mai si possa, ma notò eziandio il giorno preciso, in cui fece il Vesuvio quella memoranda eruzio- ne; e ciò in quel passo della lettera 16 del lib. VI, dove si parla della nuvola apparsa a Miseno, la quale fu il foriero di quella calamità. Ma che? Quel passo e cosi vano ne" codici e nelle slampe, è così combattuto da' critici e da' com- mentatori, che a volerne fermare la vera lezione par quasi opera, non che diffi- cile, disperata. Secondo il testo del Gierig, quel passo dice così: Erat (Plinio il vecchio) iMiseni^ classemque imperiò praesens regehat . Nonwn kalendas septembres bora fere septima^ mater mea indicai e/, apparare nubem inusitata et magnitudine et specie. Stando adunque a questa lezione, si direbbe che il Vesuvio abbia incominciato ad eruttare a' 24 di agosto di quel fatalissimo anno ■jg. Ma ciò ammettendosi, come si spiegherà poi \ essersi trovati in Ercolano e castagne e fichi secchi ed uva passa, 1 quali frutti, secondo che ne avvisano 1 lodati signori accademici, non si raccolgono e non si diseccano in que'paesi in-

. . . '^^7

nanzi ilei mese di ollolirc? E cliiaro pcrianlo, che la lezione nonum kalendas

jeyy^emZ'rzj' non può stare , e che bisogna stabilirne un'altra, la cjiiale meglio s'accordi co' fatti. Tra le varie lezioni di quel passo, quella che s'incontra ])iìi di sovente è Non. Kal. , o IX. Kal. : ma siccome non è probabile, che Plinio vi abbia ommc^so il nome del mese, che nel nostro caso era troppo decisivo : così sorge il sos|)elto, che in origine si dovesse leggere A'oc. Kal.^ cioè alle calende di novembre : e che in seguito gì' imperiti amanuensi, in Iuoto di Nov. abbiano scritto Non. Siccome poi quel Non. Kal. niente spiegava, così qualcu- no ci avrà aggiunto di proprio il mese di settembre, il qnale per le cose anzidet- te non può cerio convenire. Scrivasi adunipie Noy. Kal.., ed allora si avrà il giorno preciso della eruzione del Vesuvio, che fu al primo di novembre . Al- lora si spiegherà come abbiano potuto trovarsi fra le reliquie di Ercolano delle pigne co'lor nocciuoli, che per testimonianza degli accademici ercolanesi non si raccolgono in que' luoghi, che nel mese di novembre ( non essendo probabile che fossero quelli dell'anno avanti, poiché in tal caso si sarian putrefatti ): si renderà altresì ragione e del tappeto, da cui si rinvenne coperto nn bellissi- mo pavimento a musaico, e dei resti di mi fuoco acceso nell'atrio di una ca- sa, intorno al quale bisogna dire che la gente si stesse riscaldando: da ultimo si accorderà col nostro Plinio la testimonianza dell' abbreviatore di Dione, il quale facendo cader quel disastro in sullo scorcio di autunno, viene in di gros- so a dir quel medesimo che dice il mio autore.

Che se in questo passo della lettera i6 del lib. VI io ho dovuto dar vinta la causa agli accademici ercolanesi in paragone del Gicrig, in un altro luogo non meno agitato e controverso della sopraddetta lettera, io ho dovuto tener le parti <lel Gicrig in confronto degli accademici ercolanesi . Dice adunque Plinio, che suo zio, mentre era in sull' uscir di casa per recarsi a veder più da presso il fenomeno del Vesuvio, ricevette un biglietto di Retina, moglie di Ce- sio Basso, che lo pregava a volerla sottrarre da quel pericolo . Ora il credere- ste ? Di quella povera Retina non pochi commentatori hanno fatto un paese ; tutto all'opposto di quel cotale, che trasformò il monte Ararat in un contempo- raneo di Noè . Ma a ritenere che la Retina ivi nominata sia una donna, non m'induce già il non trovar mai ricordato dagli antichi scrittori questo paese di Retina : poicjiè se era esso un borgo di Ercolano, abitato da pescatori, remi- ganti e fatta altra gente che vive del mare (Diss. isag.f. 82 ), nessuna ma- raviglia è che gli antichi non l'abljiano nominato : ma Jjcnsì mi recano a cre- derlo le parole stesse di Plinio il giovane, le quali, secondo la lezione del Gic- rig, dìcon cosi : Egrediehatur domo: accepìt codicillos Rectinae Caesii Bassi\ imminenti pcricvlo exterritae (nam •villa ejiis svbiacebat., ncc alla nisi navi- Liis fugo ); ut se tanto discrimini criperct.^ orabat . Ora in luogo di lejrgere

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Rectinae Cesiì Bassi\ Icgglaino per un momento, come vogliono alcuni , Re- tinae classiarii : ed allora verremo a sapere, che i classiarii di Relina, alter- riti da quel pericolo, pregarono il loro prefetto, che era in Miseno, a voler ac. correre in loro scampo . Ma se in Retina vi erano i classiarii, è clhIo, che grandi o piccioli ci saranno stati eziandio de' navigli: e se ci erano i navigli, perchè non salirvi sopra, e scampar cosi da quel disastro ; intanto più che non vi era altro modo da fuggir che per acqua ? Ma qui rispondono gli accademici ercolanesi, che la severa disciplina militare de' Romani non permetteva a' clas- siarii e statioiie sine piaefecti venia discedere. Ma lasciando stare, che i tempi, m cui avvenne la famosa eruzion del Vesuvio, non erano assai lontani da quelli, di cui parla Plinio medesimo,, ^«anz siispecta virUis., iiieriia in pretio^quum du- cibiis auctoritas nulla., nulla mililibas verecundia., nuscjuam imperium., nus- quam obsequium ec. ( Vili, kJ.): non è poi da credersi, che la severità della disciplina romana andasse tant oltre da obbligare' i classiarii di Retina a resta- re m quel posto, quando a restarvi ci andava della lor vita. Che se anche ciò voglia tenersi, dovevano allora i classiarii di Retina cambiar le spressioni del- la loro domanda, e non già pregar Plinio ut se tanto discrimini eriperet ( poi- ché aveano navi da ciò ), ma bensì ut sibi veniam discedendi., o vero ut sibi discessum concederei . Non basta. Plinio, al ricever quel biglietto, cambia con- siglio, e in luogo di una liburnica, che era un legnetto a due ordini di remi, fa uscire le quadriremi, non Rectinae modo ( sono parole di Plinio il giovane ), sed multis laturus auxilium. Ora se Relina fosse stato un paese, era egli un parlar proprio il dire, che Phnio volava al soccorso non pur di Retina, ma di molti? O non era anzi conveniente l' a^or-iungervi un locis o vicis? Ne mi si on- ponga l'essersi trovati ne'hioghi adiacenti alla supposta Retina armature ed altri monumenti di classiarii : conciossiachè se la tlotta, custoditrice del mediterra- neo, avea le sue stanze in Miseno, niente v' è di più facile, che i soldati e gli ufìfiziali che la componevano, o quando erano congedati, o quando si godevano le lor vacanze, si spargessero per tutti que' luoghi amenissimi, de' quali molti di loro saranno stati natii, e quivi lasciasser memoria della lor ilimora. man- co mi si opponga T analogia del nome dell'antica Retina con quello dell' odier- na Resina, come se questa succeduta fosse nel luogo di quella: poiché se per attestazione degli accademici ercolanesi in tota illa ora quoddam petrolei ge- nus liquidae Resinae simile innatat., e chiaro che la nuova città può da questa circostanza aver pigliato il suo nome, senza che ci bisogni ripeterlo dall'antica Retina, la quale avrebbe sempre tanta analogia con la moderna Resina, quan- ta ne ha la ragia, da cui questa deriva il suo nome, con le reti, da cui si vuol derivato il nome di quella. Che se negli antichi scrittori non trovasi fatta men- zione di Retina paese, ben trovasi In una lapida, recata dal Grutero e dal Rez-

369 zonico (D'tSfj. Plin.) , falla ricordanza di Retina donna: anzi la Retina della la- pida sarebbe figliuola di quella nominata da Plinio, se si dovessero su ciò seguire le inffcnose conirliielturc del Rezzonico . Glie se anche non si leggesse il no- me di Relina nella lapida ffruteriana, non perciò si dovria escludere la esisten- za di questo nome: poiché se da lìiifiis. come mi avvisa il dolio Labus , si de- rivano i nomi di Riifius^ Puifìriius, Paifinus^ Rufìna: se da Rchurriis quelli di Reburrius^ Reburrinus, Rehurrina ; può similmente da Rctiis^ da cui si for- marono Retius., Rcticìus^ ec. essersi formato anche Retina.

Leggasi aduntpie quel passo tanto a<TÌIato secondo la lezione del Gierig, ed allora tutto andrà co' suoi piedi . Si vedrà che la villa di Retina essendo sug- gella al Vesuvio, e non polendosi scampar che per acqua, essa scrisse un Li- glietto a Plinio, perche avendo questi un infero navilio sotto i suol ordini, volesse spiccarne un legno onde sottrarla da quel pericolo . Plinio, che era for- se amico di Retina, se prima i)cr mera voo-lia di veder da presso quel fenomeno, si era fatto allestire un picciol legnello, al ricever quel higlietto fece uscire le quadriremi, troppo necessarie per ricoverare, non solo Relina con la sua gente, ma molti eziandio th coloro che aveano lor ville luns;0 rpiella spiaggia amcnissi- ma. Che se la mina del Vesuvio lo impedì da' recare a Retina quello scampo, di cui lo avca tanto pregato, non rimane però eh" egli non ne avesse la voglia, e che non gli si debba per ciò la lode di animo misericordioso e gentile .

Ma sia hnc a queste discussioni, che non sono forse senza noja, e ve^jnamo alle lettere di Plinio, che non sono certo senza diletto .

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LETTERA 33 DEL LIBRO IX.

A e ANINIO.

IMI diede innanzi un sofjgetto, il qnale, benché abbia 1' aria di falso, è vero, e degno di codesto tuo giocondo.^ sublime e poetico ingegno: e mi diede innanzi mentre che cenando si contarano da questo e da quello varie storietle maravi- glìose . L' autore merita ogni fede ; sebbene a che parlar di fede con un poeta ? Questi però è tal autore, che ben gli potresti credere, ancorché tu avessi a scrivere un'istoria . In Africa vicino al mare c'è la colonnia d' Ippona (i): vi ri- man d'appresso uno stagno navigabile, da cui si forma, a guisa di lìume, una la- guna, la quale alternativamente, secondochè il llusso e riflusso la ritira o sospin- ge, ora va al mare ed ora torna allo stagno . Quivi ogni età non ha altra occu- pazione che quella del pescare, del navigare ed eziandio del nuotare ; in ispe- zieltà 1 fanciulli, i quali vi sono condotti dall'ozio e dal passatempo . Questi ri- pongono lor gloria e valore nell' ingolfarsi in alto mare; e quegli è da più, che più si lasciò addietro la sponda, del paro che i nuotatori . In cos'i fatta gara, un cotal fanciullo, più audace degli altri, cercava d'ingolfarsi ben innanzi: ed ecco un delfino (2) gli si fa incontro, ed ora precede il fanciullo, ora il seguita, or l'at- torneggia; da ultimo il leva su e lo depone : lo piglia di nuovo, e sulle prime il trasporta tremante in alto mare: poco poi si volge al lido, e lo ritorna a terra e a'compao-ni. Ne va la nuova per tutto il paese; tutti corrono a veder quel fan- ciullo come un miracolo , e lo interrogano, e lo ascoltano, e lo ridicono agli al- tri . Il giorno vei^nente si riversano sul lido, e guardano al mare, e s' altro v'ha che al mare si rassomigli . I fanciulli si mettono a nuotare : v' è tra loro quel di ieri, ma più guardingo . Ed ecco il delfino, che torna proprio a quell'ora, che torna proprio a quel fanciullo. El fugge con tutti gli altri . Il delfino, come per invitarlo e chiamarlo indietro, esce dalf acqua, poi s immerge e fa mille giravol- te. Ciò si rinnova il secondo, il terzo e molti altri giorni appresso; in sin che quelle genti, allevate fra le acque, si vergognarono del lor timore . Vi si acco- stano, scherzan con esso, lo chiamano; e poiché è piacevole, lo toccano ezian- dio, e lo accarezzano . Alla prova divengono più audaci. Sopra tutti il fanciullo, che primo lo aveva sperimentato, nuota a paro con lui, gli salta sopra a caval- cioni, si fa portare e riportare, crede d'esser conosciuto ed amato, ama egli stes- so: sil'un ohe l'altro ne sente ne inspira timore: questi ognor più si fa confi- dente, quegli più mite (3) . Vanno con lui degli altri fanciulli, che gli son dat- torno con ammonizioni e conforti . E fu anche maraviglioso, che in compagnia di quel delfino ve ne avesse un altro, ma in persona di spettatore e di sozio. Im- perciocché niente e' faceva o sopportava di ciò, che vedea fare all'altro: bensì

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il coriilnceva e riconduceva, come facean col fanciullo gli alili fanciulli . Ed è incredibile, benché non sia nien vero delle cose sopraddette, clie quel delfino, recatore e compagno di giuoco de" ragazzi , costumando altresì di venire a ter- ra e di sciugarsi nell'arena, come si era riscaldato, tornava a gitlarsi in mare . Un tratto eh' egli era sul lido, certo è, che Ottavio Avito, legato del proconso- le (4), con un culto superstizioso lo profumò d unguenti : e ch'esso a quell'odore insolilo fuggì nelle acque, ne fu veduto che dopo molti giorni languido e mesto ; ma poi, tornategli le forze, ripigliò gli scherzi e gli uffizi di prima. Concorreva- no a quello spettacolo tutti i magistrati : per la cui venuta e dimora il povero comune ii'anilava con queste nuove spese in conquasso (5). Da ultimo il paese stesso perdeva la sua tranquillità e la sua ritiratezza . Fu preso di toglier segre- tamente di mezzo la cagione di tanto concorso . Le quali cose con che pietà, con che garbo saprai tu compiangere, abbellire, esaltare ! Sebbene e' non fa duopo che tu finga od inventi checchessia: basta che niente si scemi di ciò che è vero . Addio .

LETTERA 27 DEL LIBRO VH.

A S U R A.

Quest'ozio a me l'opportunità di apprendere, a te d'insegnare . Io però desidererei vivamente di sapere, se tu pensi, che le lantasime siano qual cosa, ed abbia ciascuna la sua propria forma, e sia un qualche nume: o vero se siano cose inani e fallaci, che ricevon sembianza dal timore. Che vi siano in effetto, io son recato a crederlo singolarmente da ciò, che mi fu detto essere interve- nuto a Curzio Rufo (6). Questi, tuttavia povero ed oscuro, si era accontato col nuovo governatore dell'Africa: sul cader del giorno, e' spasseggiava pc' por- tici, ed ecco gli si appresenta l'immagine di una donna, più grande e bella del naturale, che a lui tutto tremante dice: esser F Africa^ annunziatrice deca- si a venire ; che però egli andrà a Roma^ vi sosterrà i primarii iifficii. e poi tornerà governatore supremo in quella stessa prof, incia^ e quivi morrà . Ciò avvenne a un puntino . Di più nell appressarsi a Cartagine, e nell' uscir della nave, vuoisi che la stessa figura gli si facesse incontro sul lido . Certo è , che gravato dal male, dalle cose passate pronosticando le future, dalle propizie le avverse, mentre niuno de' suoi sconfidava, egli solo disperò di riaversi . Ma non è forse via più terribile, e non meno maraviglioso ciò che io son per dirti, quale mi fu teste narrato? V'era in Atene (7) un'ampia e conimoda casa, ma infame e pestifera. Nel silenzio della notte un suon di ferri, e, aguzzando l'orecchio, uno strepilo di catene si udiva prima da lunge, poi più da presso : quindi appariva

uno speUro (8) , un vecchio magro e squalliJo, con la barba lunga., ì capelli scarniifliati.^ che recava e scoteva i ceppi al pietli, le catene alle mani . Onci' è che per la paura gli abitanti di quella casa passavano in ihira ed affannosa veglia le notti: alla veglia tenea dietro il morbo, e a questo, crescendo il timore, la morte . Perocché anche di giorno, benché non ci fosse lo spettro, la sua imma- gine stava davanti agli occhi; si che la tema durava piìi che la cagione di essa . Il iierchè la casa era deserta e solitaria, e tutta lasciata in balia di quel mostro. Era però scritto al di fuori, se mai qualcuno, ignorando un tal disastro, volesse o comperarla o torla a pigione . Capila ad Alene il hlosofo Atenodoro (9), e leo'se la scritta ; udito il prezzo, e sospettando e dubbiando per la viltà di esso, eli fu contato ogni cosa ; ma nondimeno, anzi vie maggiormente e' la prende a pin-ione. In sul far della notte, ordina gli sia apparecchiato un letto nel primo opj)artamenlo, chiede le tavolette (io), lo stilo ed un lume, e manda 1 suol nel- le stanze più inlime : egli si mette a scrivere con tutta l'intensione dello spirito, deo^li occhi, della mano, aftinché la mente disoccupata non dia corpo alle cose narrate ed a vani timori . Da principio, un silenzio notturno, com'è da per tut- to: poscia un agitar di ferri e un muover di catene: egli ne alza gli occhi, ne Tiosa lo stilo, ma allorza 1' animo e sta in orecchi; allora s" addoppia lo strepito, si fa più dappresso, già è sulla porta, già è dentro; e' volta gli occhi, e vede e ri- conosce la figura chu gU fu detta . Stava in piedi, e facea cenno con la mano, quasi un che chiama; egli a rincontro le accenna di soprastare un poco, e di nuovo si pone a scrivere; ma mentre scriveva, l'altra gli agitava le catene sul capo: e' vede nuovamente ch'essa gli facea, come prima, de" cenni ; non bada di più, prende il lume e la segue . Essa andava a lento passo, come se le gravasse- ro i ferri: poscia che giunse al cortile della casa, sco sparve di repente, abban- donando il compagno . Rimasto solo, per contrassegnare il luogo, vi pone del- l'erbe e delle foglie spiccate. Il giorno appresso va da' magistrati, e gli avvisa perchè vogliano far iscavare quel luogo. Vi si trovano, frammiste e ravvolte con catene, delle ossa, che il cadavere, putrefatto dalla terra e dagh anni, avea lasciate nude e corrose dai ferri ; si raccolgono, e si seppelliscono a spese del pubblico; dopo questi funebri riti la casa non fu più visitata dagli spiriti. Io per verità presto fede a chi mi accerta di tutte queste cose: ma io pure ne ho qual- cuna da accertarne gli altri . Marco, che non è senza lettere, è mio liberto . Un suo minor fratello dormiva con lui sotto le stesse coltri. A questo parve di vedere un che si sedea sul suo letto, gli accostava de' coltelli al viso, ed ezian- dio o-li tao-liava dal cocuzzolo de'capeUi . Come fu giorno, si trovò col cocuzzo spelato, e i capelli gittati sul letto. Poco tempo appresso un altro fatto consi- mile acquistò fede al precedente . Un giovinetto dormiva neh' appartamento de' suoi insieme con molti altri . Entrarono per le finestre (secondo eh' ei nar-

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rn) line vestiti d\ bianco., tosaron lui che dormiva., e se ne andarono per donde cran venuti. La luce del giorno mostrò eh' egli pure era tosato, e i capelli qua e colà sparsi. Niente ne derivò di notevole, se non forse ch'io non ne sono uscito reo : e il sarei stato, se Domiziano, a' cui tempi avvennero queste cose, fosse iiiii a lun^o vissuto. Imperciocché nel suo scrittoio si rinvenne un memo- riale, presentato contro di me da Mezio Caro (11); e però costumandosi di la- sciar crescere i capeUi a' delinquenti, si può conghietturare, che i crini recisi de' miei siano stati un indizio dell'evitato pericolo che mi sopraslava. Ti pre- ro adunque a voler ai^iizzare il tuo intelletto. La cosa è degna che tu la esami- ni a luno-o e sottilmente; ne io pure sono indegno che turni faccia copia del tuo sapere . Ed ancorché, secondo il tuo solito, tu sia per pesare le ragioni d' entram- be le parti, fa tuttavia di determinarti pi'u all'una che all'altra, affinchè tu non mi debba lasciar partire dubbioso ed incerto, quando lo non per altro li ho consultato, che per finire 1 miei dubbil . Addio ,

LETTERA 16 DEL LIBRO VI.

A TACITO.

Chiedi che lo ti scriva la morte di mio zio, affinchè tu possa con più verità tramandarla a' futuri. Te ne so grado. Imperciocché io ben veggo, che un' im- mortai gloria s' apparecchia alla morte di lui, ove sia da te celebrata . Poiché quantunque nella mina di bellissimi paesi (12), egli, del pari che 1 popoli e le città, sia con memorando esempio perito in guisa da viverne quasi eterna' mente: quantunque molte e durevoli opere egli abbia composte (i3): tutta- via la immortalità de' tuoi scritti sarà non picciola giunta alla sua. In cifetto io stimo fortunati coloro, a' quali si concede per favor degli Dei o di far cose degne di essere scritte, o di scriver cose degne di essere lette : fortunatissimi poi coloro, a' quali è concesso e l'uno e 1' altro . IMio zio sarà di questo numero in grazia de' suoi scritti e de' tuoi . Il perché io non pure adempio di buona vo- glia ciò che tu mi domandi, ma eziandio lo pretendo. Egli era a Miscno (i^) che comandava in persona alla flotta . Al primo di novembre, verso le sette ore, mia madre lo avvisa essere apparsa una nuvola d'insolita forma e crandez- za. Egli dappoiché era stato al sole e al bagno freddo, avea fatto colezionc a letto, e studiava: chiede le pianelle, e monta sur un luogo, donde si polca me- glio vedere quella maraviglia . Una nube ( chi la osservava da lunge non sapea ben da qual monte : conobbe di poi ch'essa venia dal Vesuvio) una nube sor- geva, di tal qualità e sembianza, che nessun albero 1' avrebbe meglio espressa di un pino. Imperciocché rizzandosi come sur un tronco grandissimo, si allaro^a-

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va in una specie di rami : io penso clie sollevata dallo spirar del vento, poi ab- bandonata al cessar di quello, o vinta dallo stesso suo peso, si dileguasse per l'aria; ed appariva or candida, or lorda e macchiata, secondo che s'impreo-na- va di terra o di cenere . Illustre spettacolo, e degno di esser guardato più da presso da un uom dottissimo, com' era lui . Comanda gli si allestisca una libur- nica (i5), e mi agio di andar con lui se mi piace. Risposi ch'io preferiva di studiare; e per ventura egU stesso m'avea dato qual cosa da scrivere . Lisciva di casa, quando ricevè un biglietto di Relina, moglie di Cesio Basso, la quale, atterrita dall' imminente disastro ( poiché la sua villa vi era sottoposta, ne si po- lca scampar che per acqua ), il pregava a volerla liberare da tanto pericolo . Egli muta consiglio ; e ciò che avea con posata cura incominciato, è tutto ardo- re nel compierlo. Fa uscire le quadriremi ; vi monta sopra egli stesso, per soc- correre non pure a Retina, ma a molti altri, poiché quella spiaggia per la sua amenità formicava di gente. Egli s' appressa colà, donde gli altri scampano; e m mezzo al pericolo regola il corso e dirige il timone con si impavido animo, da poter dettare e notare tutti i movimenti e gli aspetti di quel fenomeno come gli si rappresentavano agli occhi . Già la cenere cadea sulle navi, tanto piìi cal- da e fitta, quanto ci più si veniva accostando, e pomici altresì, e pietre nere, arse tutte e stritolate dal fuoco (16): già era apparso d'improvviso un guado, già il lido per la mina del monte era fatto inaccessibile. Egli esitò alquanto se dovea dar indietro, poi disse al piloto, che a ciò lo confortava : La fortuna ajiita gli audaci^ andiamo da Pomponiano. Questi era a Stabia (17), ma sicurato dal frapposto seno (18) : però che il mare, per lo girare e incurvarsi del lido, non v' entra che a poco a poco . Quivi, benché non fosse ancora imminente il peri- colo, tuttavia alla vista di esso, il qual crescendo si faria pili vicino, avea fatto recar sulle navi le sue bagaglie, per assicurarsi lo scampo, caso che si quietas- se il vento contrario . Col favor del quale arrivato in quel punto mio zio, ab- braccia l' amico tremante, lo incuora, il conforta: e per alleviare l' agitazione di lui con la calma sua propria, vuol essere recato nel bagno; come fu lavato, siede a tavola, pranza tutto allegro, o, ciò che è più, in sembianza di allegro , In questo mezzo risplendeano da più luoghi del Vesuvio delle fiamme assai dif- fuse e degh alti incendii (19), il cui chiarore e la cui luce si accresceva per la scurità della notte. Lo zio, per calmare l'altrui timore, andava dicendo, che quel- le che ardevano eran le ville lasciate in balia del fuoco da' paurosi coloni, e però abbandonate e deserte. Quindi si pose a dormire, e in fatto il suo dormire non fu che troppo vero . Imperciocché per la soverchia mole del corpo essendo la sua respirazione assai grossa e sonora, era questa udita da coloro, che il codia- vano d'in sulla porta. Ma nel cortile, per cui si andava a quell' appartamento, si era per tal guisa ammonticchiata la cenere mista alle pietre, che per poco ch'ei

si fosse fermalo nella stanza., non avila poluto più uscirne (20) . Svegliato, ci n' esce, e ritorna a Pomponiano e agli altri, che non avean chiuso occhio. Fanno consulta fra loro, se debbano rimanere in casa, o vero uscire all' aper- to; perocché da' frequenti e lunghi tremuoli barcollava la casa, e come smossa da" fondamenti, or mostrava di cader da una parte, or dall' altra (2 1). E a uscir- ne di fuori, si temea nuovamente la caduta delle pietre, ancorché tenui e con- sunte (22) . Il conllilto de' pericoli fece però sceglier quest'ultimo partito; prevalendo in lui una più matura riflessione, negli altri un più forte timore. Si pongono sulla testa de' guanciali, e gli stringono con fazzoletti; il che fu loro di schermo a ciò che cadeva dall' alto . Già altrove facea giorno, ma colà era not- te, più scura e fitta di tutte quante le notti; ancor che molte fiamme e varii lu- mi la rompessero (28) . Egli volle uscir sul lido, e guardar da vicino se fosse da mettersi in mare: ma questo era tuttavia procelloso e contrario. Quivi di- steso sur un povero lenzuolo, dimanda e bec per due volte dell' acqua . Intanto le fiamme, e un odor sulfureo annunziator delle fiamme, fa che gli altri fugga- no, ed ei si risenta. Sostenuto da due servi, si leva, e spira nel punto istesso ; impeditogli, come io penso, dalla soverchia caligine il respiro, e serrato lo stomaco, che già di sua natura era debole, stretto e soggetto ad un frequente bruciore (ii). Come fu giorno ( era il terzo, a computar da quello della sua morte ), il corpo di lui fu trovato intero ed illeso, con indosso i medesimi pan- ni, e in tale atteggiamento, che parca più presto d' uom che dorme, che d'uom eh' è morto. Io e mia madre eravamo frattanto a Miseno . Ma ciò non pertiene all' istoria ; ne tu altro da me volesti sapere, fuori che la sua morte . Farò dun- que punto . Aggiungerò solo : che t' ho fedelmente esposto tutto ciò, che ridi io medesimo, o che ( non ricordandosi singolarmente che i fatti veri ) intesi su- dilo dopo dagli altri . Tu ne cava fuori il meglio : poiché altro è scrivere una lettera, ed altro un'istoria; altro parlare ad un amico, ed altro al pubblico. Ad- dio .

LETTERA zi DEL UBRO I.

A BEBIO ISPANO.

Svetonio Tranquillo (2 5), mio camerata, vuol comperare quel poderetto. il quale dicesi che il tuo amico sia per vendere. Io ti prego a far eh' e' lo acqui- sti per quel che vale . Imperciocché a tal patto e' si goderà di averlo compe- rato. Da che un cattivo acquisto é sempre spiacevole, massime perché sembra accusare la scioccaggine di chi lo ha fatto . Del resto questo poderetto ( pur- ché gli attagli il prezzo ) ha molte qualità, che seducono il cuore del mio ami^

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co; la vicinanza della città, T opportunità della strada, la mediocrità della ca- sa, la tenuità del Campetto, più atto a ristorarlo spirito, che a faticarlo. Poi- ché agli nomini studiosi, com' è costui, è più che sofìGciente tanto terreno da potere alzar la testa, ricrear gli occhi, passeggiar lentamente lungo 1 confini, diportarsi per un solo sentiero, una per una conoscere le sue viticelle e noverar gli alberettl . Queste cose io ti ho detto, affmchè sempre più tu conosca quan- ta egli a me, ed io a te avrei obbligazione, se questo poderuzzo, il quale per si fatte doti si raccomanda, e' potesse far suo a tali patti da non dovere in segui- to pentirsene . Addio (26).

LETTERA 24 DEL LIBRO IV.

A FABIO VALENTE.

Avendo io, non ha guari, arringato davanti ai quattro tribunali dei Cen- to (27), mi risovvenne che da giovane ho del pari arringato davanti a que' tri. bunali . La mia mente, secondo il solito, andò più innanzi : io cominciai a rian- dare quali mi fossero stati compagni della fatica nell un tribunale, quali nel- l'altro. Neil' uno e nell'altro io era il solo che avessi arringato : tanti sono ì mutamenti che produce o la caducità delle cose, o la instabilità della fortuna ! Alcuni di coloro, che allora aveano meco arringato, son morti, altri esiliati ; que- gli fu dagli anni e dalle malattie consigliato a tacere : questi si gode volon- tario un ozio dolcissimo ; chi comanda agli eserciti : chi è sottratto alle cure civili dal favor del principe. E intorno a noi medesimi quante cose si son can- giate ! Lo studio ci fu cagion di onori, poi di pericoli, e nuovamente di ono- ri . Utile ci fu l'amicizia de' buoni, poscia dannosa, ed ora torna ad esserci uti- le (28) . Se noveri gli anni, ti pare un attimo : se le vicende, un secolo . Il che ci può insegnare, a non disperare e a non confidar di niente, in veggendo che si succedono tanti mutamenti in questa ruota così girevole . Io poi soglio aprirti ogni mio pensiero, ed ammaestrarti con quegli stessi precetti ed esem- pi, co' quali ammaestro me medesimo ; il che fu cagione che io ti scrivessi. Ad- dio .

LETTERA 16 DEL LIBRO V.

A MARCELLINO.

Ti scrivo questa lettera nella più gran mestizia. La figliuola minore del no- stro Fondano è morta (29): della qual fanciulla non vidi mai cosa più gioconda e

3,7

più cara, pììi tlrgna una vita, non ilirò piìi lunga, ma riuasi eterna . Non erano ancor compiuti i suoi «pialtoriUci anni.^ e già aveva una prudenza da vecchia e una gravila da matrona : e con tutto ciò, univa la dolcezza puerile al pudor ver- ginale. Oh conti' ella s' avvinghiava al collo paterno ! oh con che affetto e mode- stia ai>bracciava noi.^ amici di suo pa<lre ! oh^ come amava ella le balie, i peda- goghi (3o), i maestri, ciascun secondo suo grado! Con che attenzione, e con che sentimento leggeva! Com'era sobria e riservata ne' giuochi ! Con che mo- derazione, con che pazienza, anzi con che fermezza sostenne l'ultima malattia ! Obbe<liva a' medici, confortava le sorelle ed d padre, e destituta delle forze del corpo, si reggeva ella slessa col vigore dell'animo. Questo le si mantenne insino ali ultimo respiro, ne si aflievoli o per la lunghezza del male, o per lo timor del- la morte; ond'è, che più lunga e più grave cagion ci lasciasse di desiderio e di dolore . O morte, certo funesta ed acerba ! O tempo del morire più duro ancor della morte ! Era già hdanzata ad un ottimo giovane, era già fermato il giorno delle nozze, già noi ci eravamo Invitati. La quale allegrezza in che mestizia si è mai cangiata ! Io non ti posso esprimere con parole che ferita mi sia stata al cuore, allorché seppi aver lo slesso Fondano ordinato (poiché il dolore è gran trovatore di lutti), che tutto ciò eh' egli avria speso in vesti, in perle ed in o-cm- me, il fosse ora in incensi, in unguenti e in profumi (3i). Egli è, per vero dire, uomo addottrinato e saggio, come colui, che ancor giovinetto si dedicò a' più profondi studii e alle arti; ma ora e'dispregia tutto ciò che sovente intese e che lesse; e posta in non cale ogni altra virtù, non respira che pietà. Tu gli darai, non sol perdono, ma lode, se porrai mente a ciò ch'egli ha perso. Imperciocché egli ha perduto una figliuola , la quale, non che i costumi, ritraeva le fattezze e l'aspetto di lui, ed era con maravigliosa rassomiglianza suo padre maniato . Però se tu gli scriverai circa a questo dolore giusto, ti ricorda di adopeiar conforti, non già di troppa forza e a modo di correzione, ma bensì blandi ed umani . E a far ch'ei li riceva più facilmente, conferirà non poco lo scorrer del tempo . Perocché, come una ferita ancor recente paventa la mano del me- dico , poi la sojiporta, e da ultimo la brama ; così un recente dolor dell' animo ricusa e abborrisce 1 conforti, quindi li desidera, e da poi che gli furono beni- gnamente recali , si acquieta . Addio .

LETTERA 1 1 DEL LIBRO VI.

A MASSIMO .

O giorno beato! Scelto per consigliere dal prefetto urbano (Sì), ho udito

ad arringare l'un contra l'altro due giovani di ottima indole e di ottima speraii-

48

37S

za, Fosco Salinalore (33), ed Uinltlio Quailrato (ìi): un' cgrpo-ia coppia, la quale non pure de' nostri tempi, ma delle lettere stesse sarà un "-iorno ornamen- to . Hanno entrambi una probità maravLgliosa, una salda fermezza, un contegno nobile, una pronunzia schietta, una voce maschia, una memoria tenace, un "ran- de ingegno e un pari giudizio . Le quali cose tutte mi dilettarono : ma quella in ispczieltà, ch'essi sguardavano a me, come a ior duce e maestro, e a chi "-li ascoltava mostravano d'imitarmi, e di camminare sulle mie orme. Oh dunque ( tornerò a dirlo ) beato giorno, e da segnarsi da me con bianchissima pietra ! Poiché che cosa evvi mai di più giocondo per il pubblico, che de' o-iovani illu- stri cerchino la loro riputazione e celebrità dagU studii : o di più desiderato per me, che da quelli che tendono al bene io sia come pigliato a modello? Io prego gli Dei, che questo gaudio mi duri perpetuo ; li prego altresì ( e tu ne sarai te- stimonio ), che tutti coloro, i quali si pregieranno d'imitarmi, vogliano esser mitrliori che io non sono . Addio .

*&

LETTERA 9 DEL LIBRO VII.

A FOSCO.

Tu mi chiedi in qual modo lo pensi che tu debba studiare nel ritiro, di cui eodi da gran tempo. E utilissimo, e predicato da molti, il tradurre o di gre- co in latino, o di latino in greco ; col qual genere di esercizio si acquista la proprietà e lo splendor delle voci, la copia delle ligure, la forza della spressione, e soprattutto il mezzo, la mercè della imitazione de'migliori, di riuscire a Ior si- mio-lianti ; le quali cose tutte avrebbon gabbato chi legge, ma non possono sfug- gire a chi traduce . Per tal modo s' ingenera e sapere e giudizio (35). Ne ti nuocerà, quelle cose che hai letto per guisa da ritenerne la sustanza e 1' argo- mento, scriverle tu stesso come per gara, e ragguagliarle con quelle che hai Ietto, ed esaminare attentamente dove l'uno sia migliore dell'altro. Grande conforto, se tu il vantaggi in qual cosa; gran vergogna, se egli in tutto. Ti gio- Tcrà talvolta scegliere 1 più illustri passi, e con questi entrare in lizza . La qual lizza è temeraria, ma non riprovevole, essendo segreta: benché noi veggiamo più d'Sino mettersi con Ior gran lode a fatti cimenti, e pieni di confidenza, ol- trepassar coloro.^ cui si stimavan beati di tener dietro . Potrai altresì, tlopo che l'avrai dimenticato, riandar quello che hai scritto, e molte cose ritenere, molte escludere : interlinearne una, cambiarne un'altra . E pieiì di fatica e di noia , ma appunto proficuo perchè diflicile, quel riscaldarsi a un nuovo foco^ quel rav- vivare gli spiriti abbattuti e vinti, quell' aggiungere in fine a »n corpo già forni- to delle nuove membra, senza però scompigliare le prime . So che oggi la tua

maggiore occupazione è quella dell' arringare : ina non li consiglierei già sem- pre a (jueslo esercizio di comporre contenzioso, e quasi Laltagliero . Impercioc- ché sì come il terreno con varii e diversi semi , così il nostro ingegno si coltiva or con l'uno, or con l'altro genere di studii . Voglio che talora tu pigli qualche punto di storia, che tu scriva con più d'accoratezza <|ualche lettera. Perocché eziandio nelle arringhe sono spesso necessarie delle descrizioni, non pur istori- che, ma quasi poetiche : e nelle lettere si esige unostil puro e stringato. Ti con- cedo altresì di ricrearti co' versi, non già frequenti e lunghi (che ciò non si può far che nell'ozio), ma arguti e brevi, che fanno opportuna diversione alle occu- pazioni e alle cure, per quantunque sian gravi. Son detti giuochi ; ma questi giuo- chi fruttano talvolta non minor gloria degli studii più scrii; e però (conciossia- che perchè non ti conforterò io co' versi a far de' versi ?)

Qual si loda la cera, allor che molle

E docil segue la maestra mano,

E li prescritto lavor compie, e ne finge ^

Or la casta Minerva, ora Gradivo,

Or Venere, o di Venere il figliuolo ;

Qual la sacra onda, non pur spegne il foco,

Ma spesso anco d'aprii 1 erba e i lioretli

Educa al prato ; tal l" umano ingegno

Con accorta vicenda alle più miti

Arti debbe piegarsi, e averle a guida (36) . A questo modo adunque non pure i grandi oratori, ma altresì 1 grandi uomi- ni o si ricreavano "o si esercitavano, anzi facevano l' una cosa e 1' altra ad un tempo . Imperciocché fa maraviglia, come in grazia di questi lavoretti si acui- sca r animo e si ricrei . Poiché essi racchiudono gli amori, gli odii, gli sdegni, la pietà, la cortesia, tutto in somma che accade non pur nella vita, ma eziandio ne' tribunali e nelle piazze . Ed hanno ancora, del paro che tutti gli altri versi, questo vantaggio : che stretti dal legame del metro, gustiam poi meglio la pro- sa, e scriviamo più volontieri ciò che il confronto ci fa apparire più facile. Io ti ho scritto forse piìi cose che non mi avevi richiesto : una j)c-rò ne lasciai fnora . Poiché non ti ho dello ciò. chi! a mio "ludizio dovessi Icjrgcre ; se bene io tei dissi, dicendoti ciò che dovresti scrivere. Baderai a scegliere accuralamen- te gli autori, ciascun nel suo genere : poiché é i! dello: non legger molti, ma Viotto. (^)uali essi siano, è tanto nolo e provalo, che non fa di mestieri ch'io te gli adiliti: e d'altra jiarte io sono andato così in lungo con questa lettera, che mentre ti consiglio in qual modo tu debba sludiare, ti ho rubato il tempo di farlo . Che non rijugli adunque le tavolette, e non iscrivi qual cosa di ciò che ti ho detto, o vero ciò che hai cominciato tu stesso? Addio.

38ò

LETTERA 20 DEL LIBRO VH.

A TACITO.

Ho letto il tuo libro, e il più accuratamente clic seppi, ho notato ciò che mi parve da cangiarsi o da togliersi. Imperciocché noi siamo accostumati, io a di- re la verità, tu ad ascoltarla con piacere . Che niuno tollera di esser maggior- mente ripreso, di coloro che 'meritano di esser maggiormente lodati . Ora io m' aspetto da te il mio libro con le tue osservazioni . Oh lieta e bella vicenda ! Oh quanto mi diletta ( se pur gli a venire si cureranno punto di noi ), che si narri da per tutto con che concordia, schiettezza e lealtà noi siam vissuti (3^) ! Sarà un fatto splendido e raro, che due uomini, quasi eguali di tempo e di ufQ- cii, di qualche rlputazion nelle lettere ( perocché, parlando ad un tempo di me, bisogna che anche di te io parli più rimessamente ), siansl 1' un 1" altro ajutatl negli studii. Io certo sin da giovinetto, essendo già tu rinomato e glorioso, de- siderava di scgnirti, di essere, e di esser tenuto

Prossimo a te, ma prossimo d'un tratto Molto lontano (38).

E v' avea molti illustri ingegni ; ma tu solo ( a ciò condotto dalla somiglian- za dell' indole ) mi parevi il più facile ad imitarsi, e il più degno d' essere imita- to. Ond' è che via più godo, se parlandosi di studii, noi siamo insiem nominati, se a chi ragiona di te io corro subito al pensiero . V ha di coloro, che sono preferiti ali uno e all' altro di noi . Ma pur che ci uniscano, niente mi cale del dove. Poiché quello io stimo il primo, che è a te più vicino . Anzi tu dei altresì aver osservato, che 1 testatori ( salvo che non sia un particolare amico dell'uno o dell' altro di noi ) ci lasciano gli stessi legati, e questi in ugual misura. Il che tutto mira a ciò, che ogni più ci amiamo 1' un l" altro : posciachè gli studii, 1 costumi, la fama, e il supremo giudizio degli uomini ci legano con tanti nodi . Addio .

LETTERA 36 DEL LIBRO IX.

A FOSCO.

Tu mi domandi come io di state dispensi le ore nella mia villa di Tosca- na (Sf)). Mi sveglio quando più mi piace, il più delle volte verso la prima ora del giorno (4.0), spesso anche prima, di rado più tardi. Le finestre rimangon chiuse ; imperciocché lo spirito si nodrisce maravigliosamente nel silenzio e nel- le tenebre . Allontanalo e sciolto da qualsivoglia distrazione, e abbandonato a

38i - me solo, non già gli occlù con 1' anima, ma Lensì seguo l' anima con gli occhi, i quali vcggon le cose slesse che vede la mente, ognora che altro non veggo- no . Io penso se ho alcun che per le mani, penso alle parole, come fa chi scrive e corregge, e penso a più o men cose, secondo che mi è stalo più o mcn fa- cile di comporle e ritenerle. Chiamo un copista, e schiuse le finestre, detto ciò che avea composto: ei parte, lo chiamo di nuovo, e di nuovo poi lo licenzio. Alle quattro o cinque ore ( poiché non ho un' ora fissa e misurata ), io mi di- porto, secondo il tempo, o nel sisto, o nel critloporlico (4') 5 rumino e detto quel che mi resta : monto in carro. Quivi pure fo lo stesso che camminando o stando a Ietto . Dura quella mia applicazione, ajutata dallo stesso camhiar di oggetti : torno a dormire un tantino, poi spasseggio ; indi leggo ad alla e ferma voce qualche orazione greca o latina, non tanto per cagion della voce, quanto del petto ; anche quella però si rafforza del pari . Torno a spasseggiare, mi un- go, fo qualche esercizio, e vo al bagno . Mentre pranzo, se non v' è che la mo^ ghe, o pochi amici, si lec^'ge un libro: dopo il pranzo si fa luogo a' commedian- ti, o vero a' suonatori di lira: quindi io mi diporto co miei di casa, fra" quali ve n' ha di addottrinati . Così con la varietà de' parlari si passa la sera, e presto si compie la giornata, benché lunghissima. Talvolta si altera alcun poco que- st'ordine : poiché se rimasi a letto, o passeggiai per un pezzo, finito una volta di dormire e di leggere, io non già in carro, ma ( ciò eh" è più breve, perchè più spedito ) monto a cavallo. Vengono gli amici dalle vicine ville, e mi ruba- no una parte del giorno, e spesso mi servono di opportuna interruzione nelle mie fatiche . Talvolta io vo' alla caccia (^2), ma non senza le tavolette, onde riportar qual cosa, ancor che niente abbia preso . Concedo del tempo eziandio a' contadini, ma non a bastanza, secondo che lor ne pare : e le loro rustiche querele non fanno che rendermi più cari i nostri sludii e codeste occupazioni tittadinesce . Addio,

382

ANNOTAZIONI

(i) Le Ippone erano due, l'una detta lìegia, clie ette per vescovo sant'Agostino, l'altra Diar- rhjta, perchè irrigala dalle acque. Di quest'ultima, che era colonia romana, qui parla Plinio.

(2) Questo fatto del delfino d' Ippona è pur raccontalo da Plinio il vecchio [hist. nat. lib. g, e. 8); al qual proposilo soggiunge il Sonnini {hist. nat. des cétacées): « Quelqu'exagération (( qu'il y ait dans ces fails . . . on ne peul pas douler qu'ils (i delfini) ne se rassemtlent au- « tour des bàtimens, et qu' avec lous les signes de la confiance et d'une sorte de satisfaclion, <( ils ne s'agitent, se courtenl, se replient, s'élancent au dcssus de l'eaux, piroueltent, retom- « beni, bondissent et s'élancent de nouveau pour piroueller, tomter, tondir et s'élever en- « core. Celle succession, ou plulòt celle peipeluilé de mouvemens, vient de la bonne pro- le portion de leurs muscles, et de ractivilé de leur système nerveux. «

(3) Circa alla speziale affezione del delfino verso i fanciulli, ascolliamo nuovamente il Sonnini (liid.): « Mécénas Fatius et Flavius Alfius ont écril dans leurs chroniques , suivant Pline, » qu'un dauphin, qui avoit pénélré dans le lac Lucrin, recevoil tous les jours du pain qua )) lui donnoil un jeune enfant, qu 'il accouìoit à sa voix, qu'il le perloit sur son dos, et quo » l'enfant ayant péri, le dauphin, qui ne revit plus son jeune ami, mourùl bientòt de cha- » grinu. Ricorda poi il Sonnini, come Falanlo, naufragato presso le coste d'Italia, fu salva- to da un delfino; e come Arione, minaccialo di morte da' suoi marinai, gillalosi in acqua, fu raccolto da un delfino, tocco dalla dolcezza della sua lira, e fu trasportalo in un porlo vi- cino. Quindi è che noi veggiamo il delfino , non pur riverito, ma divinizzato da mitologi, da artisti, da poeti; e persin gli astronomi ne hanno fallo una costellazione del cielo.

(4) I legati de' proconsoli erano i loro luogotenenti, e di solilo si eleggevano dal senato. Col consenso del loro proconsole potevano farsi accompagnare da' littori, i quali però stima il Morcelli ( tlissert. elei Ultori) che non saranno siali più di due. Ciò mostra la dignilà e I9 splendor di quel posto, che però era ambilo persino da' pretoriani e da' consolari. Il nostro autore, quando fu mandalo governatore in Bitinia, ebbe per legato Servilio Pudente , sicco- me ne avvisa egli stesso nella leti, io del lib. X.

(5) Questi magistrati vorranno essere stali i legati, i prefetti, i tribuni, e gli altri addetti al proconsole , i quali in passando per le città della provincia erano per solilo e mantenuti e re- galali da esse, come per segno di ospitalità e per debito di clientela. Già si sa, che la legge Giulia ordinava alle città ed ai luoghi per cui passavano i governatori, di somministrar loro legna da fuoco e foraggi. Niente quindi di più facile, che siasi allargata questa legge in favo- re eziandio de' magistrali minori, e che vi si abbia compreso qualche articolo di più, oltre i foraggi e le legna da fuoco .

(G) Tacito nel lib. XI. degli annali con que'suoi tocchi da maestro ci descrive assai bene Cur- zio Rufo; udiamolo. De origine Curili Ilufi, tjuein gladiatore genitum quidam prodidere, «eque falsa prompserim, et vera exsequi pudet . Poslcjuam adolait sectator quaesloris, cui Àfrica obligerat, dum in oppido Adrumelo vacuis per medium dici porlicihus secretus agitai , oliata ei species mulielris ultra modum humanum, et andito est vox: Tu es Rufe, qui in tane provinciam prò consule venies. Tali ornine in spem sulla 1 1/ s , digressusque in iirlem, et largitione ainiconim , simul acri ingcnio, quaeSturam,eLmox noliles inter candidatos praeHirani

383

prìnclpis suffragio asseiiiiìliir : cimi hhcc ir/A/y Tìlerìiis Jeclccus natalium ejus velavissct: Cur- tius niiTus viilelui- itiilii e\ se natus. Longa post linee srnecln, el niJtcrsiis siipmnres tristi adiiliilione, arrognns ininniilius, inlcr pares ilifficilis , consiliare imperivm , trhimpln insiapia, ac postremo Àjricam ollhiiiit : atque ili dcfunetus. fatale praesagium implevit. Quanto all'opi- nione di Giusto Lipsio (in Tacit.) e ili altri, die questo Curzio Rufo sia il Quinto Curzio autore della elegante storia di Alessandro il Grande, essa è non poco invalidala dal silenzio di Plinio e di Tacito, i (juali narrandoci tanti particolari di Curzio Rufo, se quesli fosse stato letterato e scrillorc, pare clie non avreWjon lascialo di dircelo. (;) Qui comincia la traduzione, che di (picsla lettera fece con la solila sua eleganza, brncliè con soverrliia larghezza, monsig. Giovanni Bottali, e die si legge nella /.e:ionc sopra la novella I della giornata VII del Decamerone, dove pure molte cose sono toccate circa alle lanlasime e agli spettri: V. Lezioni di monsig. Gioranni fiottali sopra il Decamerone. Firenze, i8ii, 8." lo. 2." log. 88 e seg. (8) Il fallo di questo spettro, insienne con molli altri, è recato dal Tarlarotti ( Eisposta alla let- tera del conte Carli intorno all'origine e falsità della domina de maghi e delle slrcglw), per provare la esistenza do' folletti ; del che si ride il Maffei nella sua arte magica dileguata. A. clii amasse di occuparsi in queste materie, io potrei additare Alessandro d'Alessandro nel libro 2, cap. g gcvialiiim dieriim ; Girolamo Maggio nel lib. 4, «ap- '2 variariim leetio- num; i\ hnvatero de spectiis ; Carlo Federigo Romano de existenlia spectroium ; Gw^aom Knrico Deckero nella sua spectrologia ; i quali autori lutti bastano a formare una picciola biblioteca di diavoleria. (i)) Atenodoro fu filosofo stoico, nativo di Tarso, e carissimo ad Augusto. Tulli sanno il me- morabile consiglio ch'ei diede a questo imperadore, di recitare nel bollor dell ira le ventiquat- tro lettere dell'alfabeto; ma non tutti forse sanno l'altra lezione, alquanto più sena, eli' eL diede al medesimo Augusto. Qnosli soleva far tradurre, chiuse in lettiga, nelle sue stanze le femmine che più gli piacevano. Accadde un tratto ch'ei mandasse a pigliare la moglie di uq amico di Atenodoro, mentre che il filosofo era appunto dal marito di essa. A tale messaggio tulli impallidiscono e si turbano: ma Atenodoro li cava d'impaccio. Si veste con gli abiti della moglie del suo amico, ed entra in lettiga in luogo di essa . Immagini ognuno la sorpresa dell'imperatore nell' accorgersi di quosto scambio. Ma il filosofo Io riprese dicendogli : E che? ^on temi adiintpie, che qualcuno, per farti del male, adoperi l'artificio medesimo, che io ho usato per farti uno scherzai' Dopo ciò vuoisi che Augusto andasse piii ritenuto in cotall faccende. (io) Piigillares , dice il testo. I pugillari erano di varia specie, siccome ha notato il dolio Mor' celli nella prima delle sue dissertazioni dello scrivere degli antichi /?om«ni ( Milano, 1832, 8." ) ; ma i più usitati erano quelli con le tavolette incerate ; essi corrispondevano, per un cer- to rispetto, a' nostri portafogli, poiché servivano a picciole scritture ed annotazioni, e non mai a lunghe opere, le quali si scrivevano ordinariamente snlla carta papiracea 0 pergamena. Il basso rilievo pubblicato dal Boldelti (osserv. sopra i cim. 1. a, e. 2), e ripetuto in fronte del- la suddetta dissertazione del Morcelli, ci mostra, come fossero queste tavolette, e come ti si andasse sopra con lo stilo o grafio, il quale solcando la cera a guisa di aratro, fece nascere fra' latini il vocabolo figurato di exarare in significato di scrivere. (11) Mezio Caro (o Caro Me«io, secondo Tacito), fu uno di que'tanli delatori, che troTaron ascolto e favore presso l'imperador Domiziano. Egli accusò Erennio Senecione perchè avea composto la vita di Elvidio Prisco; e Fannia, vedova di Elvidio . perchè a petizione di lei, Sreuoio avsa scrino quell'opera. La morie dell' uno e l'esilio dell'altra furono la dolorosa

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conseguenza Ji si fatta accusa. II nome (Il Mezio Caro è consegnalo all' Infamia de'secoli non solo dalle lettere di Plinio il giovane (I, 5. VII, 19), ma altresì dai versi di Giovenale (Sat. I, V. 35, 36), e dalla nobile ira di Tacito nella vita di Agricola.

(12) Le città di Ercolano, Pompei e Stabia, ed altri luoghi minori della Campania, che rimaser tutti sepolti dalle ceneri del Vesuvio, e che tutti sono diligentemente ricordati dagli accade- mici ercolauesi nel capo XII, della loro dissertazione isagogica.

(i3) Le opere di Plinio il vecchio sono, una per una, ricordate da Plinio il giovine nella leti. 5 del libro HI; io qui non farò che recarne i titoli: Del tirar d'arco a cavallo, libro uno. Della vita di Pomponio Secondo, libri due. - Delle guerre di Germania, libri venti. Tre libri di eloquenza, divisi in sei volumi. -- Delle parole di dubbio senso, libri otto. -- Trenta- nn libri di storie, in continuazione di quelle di Aufidio Basso. -- Della storia naturale, libri trentasette. Lasciò poi morendo censessanta volumi di Commentarli, scritti d'arabe le facce, e in lettera minutissima. Fa pietà che tutte queste opere, salvo i libri della storia naturale , siano andate miseramente perdute.

(i4) Bisogna distinguere col dotto Romanelli {antica topati: istor. del regno di Napoli. Nap. i8ig, tom. 3, f. 5o4 e segg.) la città, il promontorio ed il porto di Miseno. La città era nel sito, che oggi si appella Casaluce, dove sorgono alcune povere case di pescatori. Il promonto- rio è presso la città ed il porto, cui oggi ancora si il nome di Monte Miseno ; e non è già il Monte Precida, come si sforzò di provare Marcello Scotti. Il porto finalmente, presso il qua- le sorgeva la splendida villa di LucuUo, aprivasi in un picciolo seno interno fra il detto pro- montorio, e l'opposta punta di Bauli, detta de' Penn/i. È soverchio il dire, che a Miseno stan- «iava una della due flotte, stabilite da Augusto per la custodia del doppio mare d'ItaUa, men- tre che l'altra dimorava a Ravenna.

(i5) I Liburni, che furono i primi padroni della navigazione de' nostri mari, furono eziandio i primi ad inventare certe barche agili e leggere, che da loro presero il nome di lihurniche. Zo- sirao e il p. Parlati { Illyr. sacr. in prolcg.) hanno contrastato ai Liburni questa invenzione; ma il co. Giovanni Kraglianovich Albinonl, con l'autorità di Vegezio e di Appiano, l'ebbe ad essi restituita. Veggansi le sue memorie per la storia della Dalmazia (Zara 1809, tom. T, f. 65 e segg.), dove altre cose son dette circa a queste libumiche , le quali erano per solito a due ordini di remi, e per l'impeto, con cui si lanciavano, emulavan l'effetto delle più forti macchine rostrate. I Dalmati, successori de' Liburni, non furono men periti nella scienza del- la navigazione; e però noi li reggiamo utilmente impiegati da' Romani nelle loro flotte. Ne recherò per pruova la seguente inscrizione di un opllone della hburnica, chiamata Nettuno, la qual si legge nella Guida di Pozzuoli del Sarnelli a e. 18, e nell'opera leste citata del Ro- manelli a f. 607.

D. M. G. VALERIO FINITO OPTI ONI LIBVRN. NEPT. EX CLAS. PR. MISEN. NAT. DALM. AN. LV MILIT. AN. XX Villi VIXIT M. APPONIVS FIRMVS GERES. B. M. F. L' erudito sig. Clemente Cardinali ci diede il catalogo, cosi delle liburniche, come di tutte le altre navi romane nel N." V. voi. I. delle memorie romane di antichità e di belle arti. Ro- -ma i8:<4i ^-Yo

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{i6) Cenare adunque e pomici e pietre furono la materia, sotto la quale reslaron sepolti i liicM adiacenti al Vesuvio; e non già lava, o materia llquitla infocala, come da taluni si stima. Quanto al guado apparso tF improvviso, il\ cui qui parla Plinio, esso si è formalo dal concorso di ceneie, arena e pietre in quel sito, per cui un trailo di mare restò come cliluso fra questa ruina e la sponda opposta. Kccó il perdio la ■^etta sponda (oltre die per lo cader di tanta materia dal monte) per lo improvviso apparire di questo guado divenne inaccessibile.

(17) Stabia era ab antico un celebre casltllo, il qual distrutto da Siila nella guerra sociale si convertì poi in diverse ville qua e sparse per que' contorni ; si come ci avvisa Plinio slesso nel llb. 3, cap. 5 dflla sua storia nat. Rimasta sepolta nella eruzion dtl Vesuvio un'altra Stabia sorse sul monte Lattario, dove è oggi la (illà di Lettere ; e questa ebbe da tempi an- tichissimi il suo vescovo, poiché troviamo che del ^99 un Orso vescovo di Stabia sottoscrisse al sinodo romano tenuto sotto papa Simmaco. Pare che sin dal sesto secolo gli Slablani sia- no discesi dal monte, e stabilitisi nel sottoposto seno , quivi abbian fondato la nuova città che negli antichi codici è detta Caslnim maris , o Ciiitas Castri maris de Stalia , e che o^ei chiamasi Castcllamare.

(18) In effetto consultando la carta topografica dell'antica Italia cìstlberina , che ci diede il lo- dato sig. ab. Romanelli, chiaro si vede, che da Ercolano venendo a Stabia, il lido s'incurva e forma un seno di mare, il quale essendo frapposto tra il Vesuvio e la città di Stadia che è detta, rendea gli abitanti di questa assai più sicuri dall'eruzione di quello, che non eran gii abitanti delle città di Ercolano e Pompei, le quali vi giaceano immediatamente suicplte. È inutile però avvertire, che questa sicurtà durò assai poco, essemlo siala anche la povera Sta- bia incòlta dal nied^'simo destino delle al re città e luoghi adiacenti al ^'esuvio.

(19) Il dirsi da Plinio, che il Ve^uvio ardeva in più luoghi (pìurihus hicis), fa prova, che non tutta dulia bocca del monte scoppiò la materia rh'ei conteneva, ma che questa si aperse ezian- dio tante uscite, quante eran le fessure che si vedeano in quel monte, prima ancora de' tem- pi di 1 ito, come ci attestano Slrabone (lib. V.), e Lucio Floro (lib. III). Osservisi adun'iue con gli accademici ercolanesi (dissert. isugog.), quanta sia la esaltezza di Plinio, che chiama flammns Inlissimas ((ìamme assai dilluse) qiulle che uscivan da' fianchi del monte, e sleiiJe- vano per la sottoposta pianura, e alla incendia (alti incendii) quelle che dalla bocca del mon- te salivano in alto.

(aol In folti la piova delle pomici e della cenere scagliate dal Vesuvio crebbe poi tanto, che, a detta degli accademici ercolanesi (1. e. /. 86), essa arrivò a Stabia all'altezza di circa uov»

palmi .

(21) I treiiuioli e gli scotimenti di terra furono i forieri e i compagni di quella eruzione terribi- le ; e in grazia di essi molte case ed altri edifizi perirono, che l'ardente piova del Vesuvio avria bensì sepolti, ma lasciati in piedi. Per tacer d'altri latti, basti quello che ci raccontano gli accademici ercolanesi, di aver trovato al di dietro del tempio d' Iside in Pompei uno scheletro seduto ad una mensa di marmo, su cui slavano delle ossa di pollo, de' gusci d'uo- TO, e dei vasi di creta ; il che mostra che quell" infelice, il qu:ilf era l'orse il custode del tem- pio, fu schiacciato, mentre desinava, dalle ruine della stanza, la qual cadde per tremuotOj pri- ma che la città fosse sepolta dall'eruzione del Vesuvio.

(aa) Non bisogna credere, che le pietre che scagliava il Vesuvio fossero tulle sottosopra di pari

grosscaiia. Abbiamo infatto veduto, che mentre Plinio s'indirizzava in soccorso di Retina, ca-

devan delle pietre sulla ."sua quadrireme, mentre che delle allre ne cadevan nel mare, in nio-

ilu da formare una specie di diga, lì, chiaro dunque, che le prime erau le pietre più leggiere,

49

33G

come son finr^IlR (ini nominate; le altre poi erano le più grosse, clie ammontlccliianJosi nel mp'lesimo silo, ne t'ormaron fjuel tjundo, di cui si è ragionalo più sopra.

(33) Che In eruzione del Vesuvio, fra gli altri fieri accidenti, sia stata accompagnata anche da quello della scurità, ne abbiamo una prova nell'essersi trovati a Pompei, sullo strato delle po- mici, de* cadaveri con appresso delle lanterne; il che mostra, non tanto che quegl' infelici fu- ron colli di notte, quanlo che una nuvola di fumo e di fuoco tolse loro d'improvviso il rag- gio del sole, siccome narra Sililino : Deinde nwgnii copia ignis , fiiinique, ila ut omnein ae- rcm obscumret, occullareique solem non aliter ac si cle/ecmel. Igilu/\ ex die iiox, et ienthiae ex luce fnctae erant.

(94) Svetonio, o chi è altro l'autore dp|Ie vite degli uomini illustri, ci racconta con queste pa- role la morte di Plinio il vecchio: fi pulveris ae fuviUae opprcssus est, ce/, ut quidam exisli- mant, a servo suo occisus, quem aestu deficiens^ ut necem sibi niatuiaief, oraverat. Il Rezzo- nico (Tìisq. Plin.) ainuiettetido quest'ultima opinione, tenta di giuslilicarla e con la consuetu- dine de' Koinani di liberarsi con una volontaria morte da' dolori della vita, e col sistema di filosofia di Plinio il vecchio, il qu d non pare che sentisse dirittamente sulla immortalità del- l'anima. Ma ehi non vede, che qui la scusa è peggior della colpa? La signora di Genlls ha descrlllo ancor ella la morte di Plinio il vecchio nel suo Libro: Les Tableaux de m.' le Coni- te de Forbin. Paris, 1817; e quantunque ci assicuri che c^ est uniquement un morceau d' hi- stoire, vi fe^e però tali frange, che ne riuscì il più grazioso romanzetto del mondo.

(a'i) Svetonio fu figliuolo di un tribuno di legione, ed amicissimo del nostro Plinio, che gli scrisse più leitere, e gl'impetrò da Nerazio Marcello il tribunato militare, e da Trajano il di- ritto de' tre figluioli. Fu segretario delfimperadore Adriano, del quale però venne in disgra- zia, perchè apud Sahinani uxorem injuasu ejus familiarius se lune egeral , quarn leveicntia domus aulicae postuLtbat. Le (juali parole di Sparziano (in vita Hadi:), come che siano state variamente interpretate , pare che spieghino un troppo ardilo disprezzo di- Svetonio verso quella imperatrice , anziché una poco onesta famigliarità con lei; la quale non poteva dal ma- rito, benché la odiasse, essergli mai comandata. Delle molte opere di Svetonio non ci restana chele vite degl'illustri grammatici, una picciola parte di quelle de' retori , e le vite de' 1 a; primi Cesari. Queste ultime ebbero un fiero accusatore nel signor Linguet ( Hist. des révolut. de 'enip. rem.), il quale taccia Svetonio di bugiardo e d'impostore; ma a si fatte accuse rispo- se trionfalmente, secondo suo costume, il Tiraboschi nella prefazione del tom. IL della sto- ria della leti, italiana.

(26) Questa lettera é una delle sei di Plinio il giovine, che il Rollio reca per esemplari nel suo aureo libro de la manière d'enseigner et d' étudier les belhs-lettres par rapport à l'esprit et au coeur. Part. I,c. e. Nella traduzione francese del Sacy, che ci pone di contro, si duole ilRollin di non trovare que' diminutivi dell' originale agellitm, viticulas, arbusculas, praediolum, che danno tanta vaghezza al componimento; ma ciò, più che ad imperizia del traduttore, è da tri- buirsi a povertà di quella lingua. Sia lode al cielo, che della nostra non può dire altret- tanto.

(27) I cento, detti da'Latini centumviri, erano giudici scelti fra le 35 tribù di Roma, tre per ciascuna tribù. Essi conservarono il nome di cento, ancora che non formassero mai al punti- no questo numero; essendosene contati persino i8o, siccome si ha dalla lettera 33, lib. VI. del nostro autore. Essi si dividevano in quattro tribunali, e tutti quattro si radunavano nel- la basilica Giulia. Le cause testamentarie, e quelle di successione erano particolarmente de- volute a questi giudici .

387

(aS'i Plinio, eh' era Ip^alo In amicizin con gli uomini più illustri Jel suo tempo, polè, in gra- zia di essi, e delle sue virili e del suo sapore, aprirsi la strada agli onori, essendo stalo sot- to Domiziano questore, tribuno della plebe e pretore. Ma negli ultimi anni clie regnò Do- miziano, egli vide cacriati da Roma i filosofi, messi a morte od in bando i più ragguardevoli suoi amici, e medesimo designato fra le vittime di quel geloso imperatore. Morto il quale, e successogli Nerva, e poco stante Trajano, il nostro autore non pur ricoverò molti de' suoi amici, ma avendo ripiglialo la via degli onori, arrivò al segno di esser console e governato- re della Bitioìa e del Ponto. Ecco adunque i tre stadi della vita di Plinio, a' quali accenna in questa lettera.

(ag) Il sig. Fréville nel tomo I delle vite de fancvilU celebri tradotte da Francesco Ambro- soli (Milano 1836, 16." ) ba inserito la vita di questa giovinetta, della quale e' fa un si caro ritratto, che non è alcuno, che in leggendolo non si senta tirato ad amarla. La suddetta vita si chiude con la presente lettera di Plinio volgarizzata con la solita sua eleganza dal suddetto signor Ambrosuli.

(3o) Su' pedagoghi che si davano alle fanciulle romane, odasi il chiar. sig. ab. Luigi Polidori nella sua dissertazione intorno agli usi delle antiche dorme romane (Milano 1823, 8." , f. 20 e seg.). i( Forse i Romani ebbero questa costumanza dai Greci, appo i quali , essersi per sif- » fatta guisa provveduto all'educazione delle femmine, oltre Euripide ed Omero, cel mostra 1) un basso rilievo illustrato da Winchelmann ( Monum. ineJ. t. 2. f. 120 ), dove è fadile ravvi- » sare un pedagogo in quel vecchio barbato, e con calzoni all'uso de' Fri^i , il quale sostie- » ne tra le sue braccia spirante una delle figlie della infelice Niobe. Spettava a costoro ac- » compagnarle, istruirle ne' proprii doveri con più diligenza di quello che far sapessero le » nutrici, insegnar loro la fuga del vizio, l'amore alla virtù, e difenderle dalle insidie degli » arditi giovinastri. Quindi erano per lo più d'età provetta, gravi nel portamento, severi nel w volto ( Si-et. in Ner. cap. 87 j, e tenuti in onoranza, quantunque fossero talvolta di condi- » zione servile » .

(3i) L'uso di profumare i cadaveri risale sino ai tempi degli Fbrii, se pure per quelle parole che dice Geremia (XXXIV, 5.) al re Sedecia: Sed in pace morieris, et secimdum comhijstiones patnim tuorum .... sic coinburent te, si debbo intendere, non già il bruciarsi de' cadaveri, ma bensì degli aromi, con cui si profumavano i loro letti. I Romani poi costumavano unger d'aromi i loro morti, gitlar mirra, incenso e cassia su' loro roghi, e da ultimo profumarne le ossa; onde dice con bel frizzo Giuvenale (IV, 109, 1 10) in proposilo di Crispino: Et uiatulino sudans Crispinus amomo, Quantum vix redolent duo funera. Veggasi l'erudita nota che fa a questo luogo il conte Camillo Silvestri nel suo Giuvenale e Persio spiegati in versi volgari ed illustrati. Padova «711, 4-"

(3a) Molte ed import.nnti erano le attribuzioni del prefetto urbano, specialmente al tempo de- gl'imperadori ; esse in gran parte corrispondevano a quelle che oggi sono esercitate dal di- rettore generale di polizia. La sua giurisdizione si estendeva non solo in Roma, ma altresì a cento miglia di distanza dalla città. Pare, che allorché amministrava la giustizia, appartenes- se a lui la scelta de' consultori, uno de' quali fu appunto il nos-tro Plinio.

(33) Di Fosco Salinatore, di nazione patrizio, e che menò in moglie una figliuola di Serviano, parla il nostro autore nella lettera 26 del lib. VI con quelle solite lodi, con cui parla de' SUOI amici, chiamandolo: Studiosus, literatus, etiam disertus ; puer sitnplicitute, comitale /uve- nis, senex gravitale.

388

(34) Anche Jl Uinldio Quadralo fa un mat^nifico elogio il nostro autore nella lelt. 24 del lib. VII. Basii, che (a giovane bellissimo e semjira costiirnato ; olia viveva con una sua zia, paz- za per li pantomiini, e ch'egli schifò sempre di vederli si in teatro, che in casa. Questa sua lia, che lo lasciò erede p'?r dae terzi , fu Umidia Quadratila, una ricca sfondala , non solo perchè manteneva una fami'^lia di pantomimi, ma altresì perchè fu essa che a' Cassinesi fab- bricò l'aa&teatro ed il tempio, che forse vi era annesso, siccome si ha dalla seguente inscrizione riportala dal canonico Gianfrancesco Trulla a fac. 4' 6 delle sue dii:seiUi:iioni istoriche dellt antichità alifane. Napoli, 1776, 4-°

VMIDIA. . C . F . QVADRATILLA. AMPHITHEATRVM .ET TEMPLVM . CASIINATIBVS SVA . PECVNIA . FECIT Il leggersi in questa inscrizione Umidia favorisce via più la opinione del Gierig , che adottò questa lezione (e per conseguenza anche quella di Umidio), anziché l'altra di ISumidio e Nu- midia, che incontrasi in altre edizioni di Plinio il giovine.

(35) Non si può meglio dimostrare l' utilità del tradurre, che ricordando, come i più grandi scrit- tori non abbiano sdegnato un siffatto esercizio. Basti per tutti l'esempio di Cicerone, il quale, fra le altre cose,traslalò di greco in latino le due famose orazioni di Eschine e di Demostene per la corona; siccome ne avvisa egli stesso nel suo libro: de optimo genere oratoium. Al pro- posito della qual traduzione , che ora è perduta, mi piace ripetere ciò che ne scrive l'illustre traduttor francese di Cicerone, il sig. de Tourreil: «Quel dommage, qu'une copie qui existoit « encore du temps de s. Jerome , .... ne soit pas venue jusqu' à nous ? Elle nous enseigne- « roit à bien traduire: elle apprendroit l'art de secouer à propos le joug d'une triste exacti- <( tude, et d'une sujétlon oulrée: enfin elle prescriroit à la fois les bornes de la timidité judi- « cieuse, et de l' heureuse hardiesse. Cicéron vérilablement indique la méthode qu'il faut sui- « vre: mais l'exemple instruit tout autrement que le précept".

(36) Questi, ed alcuni esametri, che si leggono nella leti. 4 del lib. VII, sono isoli versi, che ci siano pervenuti di Plinio, quantunque non siano i soli ch'egli abbia scritto, comesi pare dalla sopraddetta lettera, e dalla decimaquaila del libro IV. Non è però a dolersi, che siano anda- ti in sinistro; poiché ben si vede da" versi della presente lettera che poco ci avrebbe guada- gnato il gusto, e da quelli dell'altra che molto ci avria scapitalo la morale. E invano si fa egli forte nella lett. 3 del lib. V dell'esempio di alcuni uomini onesti, che scrisser versi lascivi; e invano nella detta lettera i4 del lib. IV ripete in sua difesa i versi di Catullo:

Nara castum esse decet pium poetam

Ipsum, versiculos nihil necesse est; poiché l'esempio dei molti non iscusa l'errore di un solo, e una vita costumatissima non to- glie lo scandalo di un libro guastator de' costumi. (3;) La stretta amicizia, che era tra Plinio e Tacito, ha fatto nascere molti ragguagli tra questi due scrittori; quello che ne fa il celebre traduttore ed illustratore inglese di Plinio, lord Orrery, ci sembra degno di esser qui riferito. Dopo aver detto quali opere ci restino dell'uno e dell' altro, soggiunge: « Le opere di Tacilo sono scritte con lutto l'ordine e la dignità di « un istorico, l'epistole di Plinio con tutta la schiettezza e il buon cuore d'un amico priva- lo. L'istoria e gli annali col solo lor titolo risvegliano la nostra attenzione; per le letlei-e « fainiliaii ha meno stimolo la nostra aspettativa. Le opere di Tacito sono state pubbli-

389

« cale con buon gusto e Jiscernimenlo; Tepiitole Ji Plinio a guisa delle opere delle Sibille « Sudo state abbandonate alla discrezione de' venti. Lo stile dell'uno e dell' altro autore è sta- li to condannato a ragione. L'affettazione di Plinio non può qualcbe rolla scusarsi; il dir « conciso di Tacito non può spesse volle intendersi. In Plinio sempre offende quella sua sete <( di fama; in Tacito quel suo giudicar decisivo, e spesso erroneo. Plinio ci stanca colle di- « gressioni; Tacito .ippena ci tempo di respirare. Plinio è qualche volta troppo delicato; i( Tacito è perpetuamente troppo aspro. Tali erano le loro umane fragilità, e i difetti della « lor penna ; ma i lor sentimenti e le lor virtù sono egualmente in entrambi inimitabili e « grandi ii . (V. Lettere di Plinio il giov. tradotte dal Can. Tedeschi. Livorno 17 ''9, tom. 2 f. 155—56.)

(38) All'emistichio yirgillano ìortgo, sed proximiis, intenallo (.\eneid. 1. 5. v. Sao, ove fi parla di Salio, che nella corsa vien dietro a Niso), ho fatto corrispondere la traduzion del Caro, salvo che in luogo di prossimo a lui, mi fu duopo scrivere prossimo a le.

(39) Plinio il giovine avea molte ville, ma le due principali erano la Laurentina e quella di To- scana. Nella descrizione delia prima egli spende tutta la lettera 17 del lib. II; della seconda la lettera 6 del libro V. Queste due lettere hanno dato cagione a molti eruditi ed architetti di delineare i piani di queste due ville; io nominerò Parfait, Castel, Rrubsacio, Scamozzi, e sopra tutti Fellbien e Marqiiez. A Dio piacendo, mi propongo di entrar ancor io in questo campo, il quiil non parrai che sia stato cosi mietulo, che non ne resti tuttavia qualche spiga.

(40) Il Gli Ebrei e i Romani spartivano sempre in dodici ore il giorno naturale, ed in altrettan- n te la notle. Tali ore pertanto variavano di durala continuamente. Un'ora di state, in que- i< sti climi, era lunga quanto due circa del verno durante il giorno naturale; era tutto il con- 11 trarlo la notte » {Cagnoli, notizie aslron. §. 474). T)opo ciò, è facile conoscere a quali ore del nostro orologio corrispondano sottosopra quelle che Plinio ricorda in questa lettera.

(.41) Il crittoporliuo era un portico, se non lutto, in gran parte almeno sotterra, di cui mollo si giovavano i Romani per godervi la frescura in tempo di stale. A renderlo ancor più fresco, vi si costruiva o al di sopra, o sul davanti un altro portico sopra terra, detto con greca voce xjstus. E come quello era utile nella state per fuggire gli ardori del caldo, cosi questo, che era aperto ed io plaga di sole, era utilissimo nel verno per ischivare i rigori della stagione.

(4*) Plinio era amantissimo della caccia, ma, a quel che pare, e'vi facea poca fortuna; poiché avendo un tratto preso tre cignali, ne scrive a Tacilo, come di cosa, che il dee far ridere e maravigliare. Veggasi la leti. 6 del lib. 1, dove ribadisce il concetto delle tavolette e dellu stilo, ch'ei recava seco alla caccia ut si miiints vacuas, plenas taincn ceras reporturern.

OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE

DEL DOTTOR

ANTONIO CANONICO TRAVERSI

PROVVEDITORE DEI. R. LICEO

MEMBRO ONORARIO.

SUNTO GENERALE

Delle Osservazioni Meteorologiche fatte dalVAniio 1811 all'Anno 1822.

i8ii

/ Baromclrielii,'

Medie . ./ Teriiionictr ielle

\. Igromcliiclic

/ Barometiiche

Termnmetrlclie

Igrometiiclic

Baroiiielriolic

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Igroinclriclic

Pioggia e (Iella Neve liq.

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Massime J

Minime. .{ Quantità della

28:i.o38

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12,11

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t 86,799

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61 ** 7*+ '-

1814

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28:05498

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100

27:1,5

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59 39:3 -k

28:0, 197

'0,997 87,33

28:5,5

23,8

100 27:4,0 -3,8

55 3o:io

1816

28:0,15 10,293 88,5 1 4 28:6,0

23,6

100 27:2,3 3,8

58 39:8:1

1817

28:0,787 1 1,206 88,299 28:6,3

24,2

100 27:8,6 1,6

2 5:4 A

1818

1819

28:0,9 11,633 85,963 28:6,0

i4,7

99 27:44 -3,.

80:2 li

28:0,288 1 1,6925 87,675

28:6,9 26,7' 100

27:5,0

-:'r.7 48

3i:5 tk

1820

28:0,533

11,467

88,.44 28:5,7 2 5,9

100 27:0,7 6,2

46 24:10

1S2 1

1822

27:11,662 28:0,341

11,201 11,0285

85,819 86,56i

28:9,0 28:7,1

24,1 28,3

100 96

27:1,0 27:6,3

1,8 3,2

36 59

23: IO h 23:4 à

IN TUTTO IL PEKIODO.

28:0,827

11,23,

86,845 28:9,0 II giorno 7 febbraio 1821 di sera. 26, 7 II giorno 8 luglio 18 ig mezzogiorno. 1 00 in inollissinii giorni del periodo . 27:0,1 li giorno 3 marzo 1820 niozzogiorno, 6, 2 11 giorno i3 gennaio 1820 nialtina. 36 II giorno 10 febbraio 1821 mezzogiorno. Media pollici 3o lince 6 ,1.

VENTI DOMINANTI IN TRE OSSERVAZIONI PER OGNI GIORNO.

S.O. O.S.O.

2 3

26 3i 16 i3 28 28 36 i5

24 4o 22

39 .1; 2 5 f.

O.

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N.O. N.N.O.

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38 18 i5

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2 3 ,1

21 82 61

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25 22 18

•4 I 2

7

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QUALITÀ DELLE GIORNATE.

Serene Nuvolose Piovose

1 ;" 143 116

1 2 1 129

ii3 i5o .67 i5o 126

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5o

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45

46 62 46

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32

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49 4. 36 43 46 44 54 58 56 54

Nebbiose

34 28 26

48 33

'■l 37 24 28

'7 37 3o

3o ,^f

Nevose

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I

5 8

7 2 2 I

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Teropor.

12 18

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'7 8 21 33 1 2 '7

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Venlose

70

5o 79

52 52

54 61 55

37 68

57 68

58 '

Variabili

107 io3 i48 i4o 18. i53 121 109 ii3 i3i 172 109

1 1 i5

9 3

4

9 16

3

GraD(lÌDc

128,', ) 9

i

SUNTO GENERALE

Delle Osservazioni Meteorologiche fatte nell'Anno 1823.

Medie . J

Massime J

\

Minime. .< Quantità della

Barometriche . Termometriche Igrometriclie . Barometriche . Termometriche Igrometriche . . Barometriche . Termometriche Iffrometrlche . .

Pioggia e della Neve

Gennajo

liq.

27:1 1,476

o.Sgo

8g,73i

28:5,5

5,4

95 27:8,7

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76 4: 10,".

Febb

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Marzo

27:9,860 4,6 5o

28:2,9

95 26:1 1,5 _.,8

80

5:2 li

^27:11,419 I 6,227 86,45 1 28:2,6

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95

27:4,5

',7 63

3:6 A

Aprile Maggio | Giugno

Luglio

27:10,973

9,i5i

90,589

28:2,9

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95

27:5,1

-3,2

2:7 il

28:0,206 1 4,1 44

86,754

28:3,0

18,7

95 27:8,0

-7,5

7'

4:511

27:10,189

■6,3744 86,5 28:0,7 21,5

95 27:8,5 1 1,8

72 3:2 A

Agosto Settemb.'l Ottobre iNoveuib. Dicenib.

87:11,119

18,019

84,452

28:13

22,2

94

27:7,1

12,8

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1:6 k

28:0,0944 19,111

82,822

28:1,5

23,8

94 27:10,0

l4,2

70

0:2 ,'5

27:11,909

i6,3o8

86,978

28:3,3

22,0

96 27:9,0

«0,7 70 4:8 .%

11,5 12

4^806

89,312

89,478

28:3,1

28:5,6

16,7

11,6

96

95

27:6,3

27:7,0

6,0

0,9

75

7'

6:11 !|

o:3 l'i

IN TUTTO L'ANNO.

3,3o4 90,882 28:5,3

9,0

95 »7=7'7 0,9

75

2:7 l'i

27:1 1.7014 IO , 333 87 , 964 28:5,6 addi 1 3 novembre sera . 23, 8 addi (i aj;oslo mezzogiorno. 96 3o scttcìnb. .srra,c li 5 ottobre mattina . 26:1 1,5 2 ii-bbiM|o sera . 4, 9 li 4 gennajo mnllina. 63 2 1 marzo mezzogiorno . Pollici 4o lince 3 'i.

VENTI DOMINANTI IN TRE OSSERVAZIONI PER OGNI GIORNO.

QUALITÀ DELLE GIORNATE.

\Sosto

■ìctteiiibre

lOltobre

IVovembre

|Oicembre

In tutto I anno

SUNTO

Delle Osservazioni Meteorologiche fatte neirAniio i8'2/j..

Gennajo

Febbrajo

Marzo Aprile Maggio

Giugno

Luglio

Agosto Settemlj.

1 Ottobre Noveinb. Dicenib.

IN TUTTO L'ANNO.

/ li.ii unirli irlir

28.1,688

28:0,536 2-: IO, iSg 2j:i i,33g 27:1 1,8^3 27:io,8i>6

28:0,492

27:1 i,63o 27:1 1,673

27:11,14.927:11,989 28:1,623

1 2;: 11.912

Ml.'lllC . .- 'riTrilOMH'tl'Ì<;lM'

'-.'^97

i^'jii j 5,802

9,089 i3,797

.5,5^4

18,390

18,425 1 16,362

11,3.3 6,894

4,723

IO., 5 5 1

\ Igrometriche

86,3 1 2

89^^99

86,go3

85,2 1 1

84,3oi

84,856

84,2o4

84,290

86,833

89,806 88,333

9'5925

86 , 836

/ ^«iroiMt'll'IlrllI'

28:5,5

28:7,0

28:3,i

28:4,.

28:3,6

28:1,2

28:2,0

28:1,1

28:2,3

28:3,9

28:4,4

28:6,2

28:7,0 II giorno 8 fclibrajo mallina.

Massimi.' / 'rcrinninolriclic

5,8

10,0

12,1 1 6,0

18,7

21,0

24,7

23,9

20,9

16,6

11,9

8,3

24, 7 II giorno i5 luglio al mezzogiorno. ^

\ Ij^ioinclriclii;

96

95

96 95

96

95

9^

96

96

96

96

96

96 In varj giorni dell'anno .

/ Bariimnli irlii;

ir. .' rrnnoinrli ii:lii-

\ If^roinclriclii; i

27:5,6

27:3,0

26:1 1,3 27:5,1

27:8,7

27:7,8

27:10,0

2 7=9-.7

27:8,0

27:6,2

27:5,4

27:7,8

26:1 1.3 11 giorno :', inar/o sera.

1

INliiiii

=''7

_.,8

0,3

4,6

9-- 7

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12,0

i3,o

10,0

5,6

2,8

1,5

2, 7 11 giorno 18 gciinajo nialliiia.

1

7*

76

67

70

65

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7*

70

56

56

76

56 I giorni 3i ollob. e 16 nov. al ;, giorno. B

Quarililà

ilrihi l'inj^i^la e ili'lla Neve . .

=-t\ì

= ^.^ l'i

3:3,", 1:10 =

2:5 =

3:ioA

4:0 =

KIOA

2:3 11

8:3 h

1:11 A

1:1 1"

Polliei 3 1 linee 5 , j .

VENTI DOMINj*

LNTI IN TRE OSSERVAZIONI PER OGNI GIORNO.

N.N.O.

QUALITÀ

DELLE GIORNATE.

Geiiniijo

N. 1 8

N.N.E. 1 1

N.E.

E,N.

E. E.

E.S.E

S.E.

S.S.E.

S.

S.S.O.

S.O.

O.S.O.

0.

O.N.O.

NO.

Serene

Nuvolose

Piovose

Nebijiuse

Nevose

Tcmpor.

Vcnlose

Variabili

Brina

f;i-.Mi.i

1

2

1

1

4

1

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1 1

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1

2

1

6

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3

Fobhrajo

3

1

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4

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1

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1

10

-

Marzo

1 .

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10

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1

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2

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-

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i 4

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10

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1

Giiifiiio

2

1 1

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2

6

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2

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1 6

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i

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1

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2

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5

10

-

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1

6

33

1 1

6

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4 1 -

I , 1

3 4

1

1

7 9

-

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6

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1 1

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1

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2

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1

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__

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3 17

-

Novembre

6 12

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1

i , 1

1

- 1 3

2

3

6

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1

12

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4

3 1 7

1

-

Diceiulire

7 1 3o

20

' 2

I

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1 1

1 1

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3

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In liilln l'anno

3. 83

3/{ 1 i ,,0

<6

52

3- fi:

i',o

69 ' 22

23

32

i 5 28 32

,/,f, Si ' 67 ' .5

.1 '2

<7 '4-

4

1

!

SUNTO

Delle Osservazioni Meteorologiche fotte nell'Anno 1825.

■'■' - 1 1 ^-i

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1

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1

-i.11

IIL

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Gennajo

Febbrajo

Marzo

Aprile Maggio

Giugno

Luglio

Agosto Settemb.'

Ottobre

Novemb. Dicemb.

IN TUTTO L'A^NO.

/ Barometriche . . .

Medie . ./ Termometriche. .

' Igrometriche . . .

jl

28:2,355

28:2,539 : 18:1,578

18:0,981 28:0,123 ^ i8:o,o3o

27:11,915

28:0,090 28:0,082

28:1,301

27:1 1,81 1 21:1 1,281

28 : 0,672 0 , 529

2,782

2,677

5,176

10,366

13,723

16,526

17,862

17,722 j 1.4,747

9,816

7.457

7.493

86,592

83,i52

84,i83

83,3 00

84,182

82,855

85, 204.

85,2i5

86,5 11

89,215

92,311

93,871

86 , 407

/ Barometriche . . .

28:6,1

28:5,9

28:5,0

»8:4,2

28:2,0

28:1,5

28:2,1

28:1,,

28:3,0

28:4,7

28:3,8

28:3,5

28:6,1 II d'i 3o gennajo 1 giorno e 3i gen 24, 6 II d'i 20 Inolio al mezzogiorno.

. raat.

Massime J Termometriche . .

6,8

■■>^

12,1

16,1

'9.1

23,1

2 1,6

24,0

18,8

.4,7

12,8

11,0

V Igrometriclie ....

96

96

95

95

95

97

96

96

96

98

97

98

98 II d'i 4 ottob. sera, 0 23 dicemb. ' giorno. U

/ Barometriche . . .

INIinime. .^ Termometriche. .

\ Idrometriche ....

27:7,5

27:5,5

27=9'.5

«7:7'4

27:7,5

27:8,0

27:9,'

27:7,1

27:5,0

27:1,0

27:7,1

27:6,0

27:1,0 II d'i 20 olUibre al mezzogiorno

0,5

2,1

-0,9

5,.

4,7

10,2

.1,8

>>,9

9,0

2,6

1,8

4,0

2, 1 II d'i 9 febbrajo mattina.

55

63

58

56

68

64

65

69

70

70

78

79

55 II d'i 6 gennajo al mezzogiorno.

Quantith della Pioggia e della Nev

e liq.

1:7.'^

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0:7 ,r

o:5,^

^^9

'■■■9 a

46 è

3:o,-V

2:1 h

3:4.^

2:9 à

6:8 .",

Pollici 3o linee 8 ,V

VENTI DOMINANTI IN TRE OSSERVAZIONI PER OGNI GIORNO.

QUALITÀ

DELLE GIORNATE.

Gennajo

N.

N.N.E.

N.E.

E.N.E

. E.

E.S.E

S.E.

S.S.E.

S.

s.s.o.

s.o.

o.s.o.

0.

O.N.O.

N.O.

N.N.O.

Serene

Nuvolose

Piovose

Nebbiose

Nevose

Teiupor.

Ventose

Variabili

Brina

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1

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1

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1

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12

16

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8

6

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5

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10

Aprile

2

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9

6

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12

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1

2

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1

12

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1

12

Maggio

I

3

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i

1

5

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28

10

3

I

3

9

7

10

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6

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Giugno

2

1

22

10

12

6

2

3

16

8

1

2

2

3

9

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1 1

4

3

16

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I

4

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6

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1 1

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I

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2

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2

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I

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I

16

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120

1

2

SUNTO

Delle Osservazioni Meteorologiche fiitte neirAnno 1026.

Gennajo

SBiiiomefriche ii 27:10,516 Termomutriclic .' '^9'3 Igrometriche 85,8oo

/ Baroiiieiriclie ' 28:'>,ioo

Massime.:; Termometriche. . . .

V Igrometriche

/ Barometriche

Minime. .< Termometriche I 4^000

' Igrometriche i 65,ooo

Qiiantilà (Iella Piogj^ia e della Neve .

Febbrajo

Marzo

28:3,858 27:11,100

Aiirile Maggio Giugno

Lugli

Agosto SetteuiL.

Ottobre iNovemb. Dicemb.

4.,238 gi,3oo

7,34.0 88,^00

71900 96,000

27:6,600 27:10,000

o,4oo

75,000

28:6,100 28:6,000 7,goo i3,ioo

97,000 97,000 27:6,200 2, 4oo 69,000

28:3, 5oo 28:1,000

I 5,3 00

97,000

27:5,100

3,^00

61,000

18,200 97,000 27:6,800

7,aoo

28:2,800

2^,000

98,000

28:2,800 26,800 96,000

ig,66o 83,900 28,2,000 24,200 96,000

27:10,100 27:10,000 27:10,500

io,goo

71,000 I 6^,000

13,900 65,000

18,900 70,000

i5.6oo go, I o o 28:2,500

2 5,100

98,000

2 7:g,ooo

io,3oo

78,000

I

28:0, ono 27:g,goo 28:0,880 28:o,33o 28:0,860 27:1 i,5oo 28:0,14.0 io,3oo 12,243 j i6,8iìo I ig,2oo 85,6oo 88,i83 ' 8o,3oo 1 83,6oo

9 1 ,00 o 28:2,500 i6,4oo 99,000 27:6,000 7,200 78,000

27:9,960 28:0,200

IN TUTTO L'AÌNNO.

6,i5o 92,800

3,800 98,400

28:2,200 28:8,400

8,5o

g8,ooo gg,ooo 27:8,000 27:5,800

700 1,000

76,000

28 : 0,760

10,790 87,865

lin. 8:7 noi. 1 1. 9,5 poi. 2 1.2,2 poi. 1 1. 1,0 poi. 4 1.3.2 poi. 2 1.0,8 p.4 1. 1 1,4 poi. 2 1.8,8 p.4 1. 1 0,8 poi. 5 1.6,9 po'- 9 '-350 lin. g,4

il 1 ' , i I I I !

28:6,100 II 27 febbrajo mattina. 26,800 II di 2 Inolio dopo mezzogiorno, gg, 000 18 olici), mal., e Si dicemb. sera 27:3,000 11 d'i 26 nov. dopo mezzogiorno. 4o 000 11 d\ ig gennajo mattina. 61,000 II di 29 aprile dopo mezzogiorno. Pollici 4' linee 0,7.

VENTI DOAllNANTI IN TRE OSSEPxVAZIONI

PER OGNI GIORNO.

QUALITÀ

DELLE GIORNATE.

Gennajo

N. 6

N.N.E

.: N.E.

EN.E

'e.

E.S.E

1 SE.

1

S.S.E.

S.

s.s.o.

S.O.

O.S.O.

0

ONO.

NO.

N.N.O.

Sereno

1

Nuvolo

Pioggia

Nebbia

Neve

1

Tempor. Vento Variabile

Brina

Giaoiliof

18

65

1

6

8

16

9

1

1

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-

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1

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1 23

9

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1

8

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16 .

1 1

2

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1

2

6

1

-

3

2

22

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5

8

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1

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1

10

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1

8

1 1

1

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4

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5

i

4

1 1

20

7

1

12

6

8

I

4

9

-

Maggio

' 1

4

16

9

7

6

3

1 1

18

9

2

2

1

4

5

6

5

1

3

8

12

-

'Giugno

i

5

9

7

6

12

1

7

20

10

4

1

3

2

2

1

1 IO

6

10

2

_

8

3

4

1

Luglio 1

1

18

4

8

4

8

1

a

18

7

9

2

1

8

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1

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2

7

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6

4

18

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.Ago .sto

.7

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8

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4

4

28

6

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1

1

4

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6

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2

4

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Settemlire

3 j

82

6 1

7

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1

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1

10

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1

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I i 5

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-

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4

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2

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7 6

2

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_

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Novembre 1

18

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1

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1

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Dicembre 19

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1 1

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CATALOGO

DE' MEMBRI COMPONEMTI

U ATENEO DI VENEZIA w

PRESIDENZA

f. PIETROdott. BUGI Presidente. * GAETANO ALFONSO dott. RUGGIERI

Vice-Presidente - ^ MARCO nob. CORNIANI segretario della * GIOVANNI ab. prof. BELLOMO, segretario

Classe per le Scienze ed Arti Mecca- della Classe per le Lettere ed Arti Libe-

nicbe rali .

CONSIGLIO ACCADEMICO

MEMBJU DELLA CL.4SSE SCIENTIFICA . MEMBRI DELLA CLASSE LETTERARIA.

STEFANO professore MARIANINI, / ^,i. » CARLO ANTONIO cav. conte GAMBARA.

* BARTOLOMMEO BIZIO. * ANTONIO nob. DIEDÓ.

* ANDREA dott. CAMPANA. * LUIGI PEZZOLI.

BIBLIO TECARIO . ARrniVISTA .

* PIETRO ab prof PASINI. ì- PIER' ALESSANDRO dott. PARAVIA,

CASSIERE. •S- GIOVANNI ANTONIO VIDALI.

MEMBRI ONORARII DIMORANTI IN VENEZIA.

* AGLIETTI dott. Francesco, prof di medici- * Bettio ab. Pietro, bibliotecario palatinale

na, consigliere di Governo, membro pen- di s. Marco.

sionario del Ces. R. Istituto. •!• Calco Grotta cav. co. Francesco, ciamber-

■*■ .\iT* Domenico, consigliere di Governo, lano .

direttore del Demanio. * Cicoc.var\ cav. co. Leopoldo , conimend.

(i) Se mila formazione ilei presente catalogo si .T\esse pretermesso qualche accademico, egli dovrà chiui'iroe la Presìdeoza, accioccLé l' omniìssione venga corretta.

Ciccio ab. Anloiilo , consigliere Gover- no, ispettore in capo delle Scuole Ele- mentari . CoNTARiNi S. E. co. Alvise, consigliere in- timo , graiide scudiere . Correr conte Teodoro . Eruzo conte cav. Guido. FiLusi cav. Jacopo, direttore generale dei

Ginnasii. G.\LYAGN'A barone Francesco, consigliere

aulico, V^ice-Presidente del Governo. Giudici ab. Filippo, consigliere di Gover- no. Innocente Giuseppe, chimico e prof, di Sto- ria Naturale nel Liceo . KiJBECK. barone di Kubach Luigi , consi- gliere aulico, direttore generale della Polizia . INJartinengo conte Girolamo Silvio , com- mendatore della Corona Ferrea. INlicHEL conte Marco \ntonio . IMniaT cav. Giovanni Francesco, console

di Francia . Mo.vico illustrissimo e reverendissimo mon- signore Jacopo , patriarca di Venezia , primate della Dalmazia, cappellano del- la corona del regno Lombardo-Veneto. Mora nob. Bartolommeo . McLAzzANi barone Antonio, consigliere di

Governo. Paolucci marchese Amilcare, comandante superiore della Marina .

Passy (De) Cristoforo, consigliere di Go- verno . Patro.m S. e. commendatore Francesco , consigliere intimo, presidente dell' Ap- pello . PpLEcrR cav. Francesco Saverio, consigliere

di Governo. PiNDEMONTE marchese cav. Ippolito, mem- bro pensionarlo del Ces. R. Istituto . QuF.RiNi Stampaglia S. E. Alvise, consiglie- re intimo, gran Siniscalco . Renier cav. conte Daniele, consigliere di

Governo . Salvigli don Lodovico, consigliere aulico ,

e presidente del tribunale civile . SiiRBENSKY barone Filippo, ciamberlano, e

consigliere di Governo. SoRANzo conte Tommaso, ciamberlano . Spalr S. e. conte Giovanni, consigliere in- limo, presidente del Gov erno. Slchias Soraal, arcivescovo di Siunia, ed abate generale de' monaci Mecbitaristi. Thurn conte Gio. Battista, ciamberlano, ca- valiere, consigliere di Governo, e dele- gato provinciale. TiEPoLo nob. conte Domenico .\lmorò . Traversi canonico dott. Antonio, provve- ditore del Liceo . Zendrini ab. Angelo, professore emerito, membro onorario del Ces. R. Istituto.

MEIVIBRI ORDINARII DIMORANTI IN VENEZU.

CLASSE DELLE SCIENZE.

AvESANi Guido, ingegnere. Bizio Bartolommeo, chimico. Calogera' dott. Alessandro, medico . Campana dott. Andrea, prof di chirurgia. CoamANi nob. Marco, naturalista. fl,'.^t,i^u--'G- Frari dolt. Angelo, consigliere di Governo.

Marani dolt. .Andrea, prof di Ostetricia. y^<^c *W7.,.i»:« IMarhnini dott. Stefano, prof di fisicanel Li- ceo . ^¥1- C/'/»*'^t *• Parolini nob. .\lberto, naturalista .

Quadri Antonio, segretario di Governo.

Rima dott. Tommaso, cliirurgo primario neir Ospedale civile .

Ruggieri dott. Gaetano Alfonso, secondo aggiunto dell' I. R. Magistrato di Sanità Marittima.

Santi Lorenzo, prof di architettura.

Trois dott. Francesco Enrico, medico pri- mario dell'Ospedale civile.

ViD.iLi Giovanni .\nlonio, chimico .

Zannimi dott. Paolo, medico ordinario del- l' Ospedale civile .

4o5

CLASSE DELLE LETTERE.

AvESANi 3oH. Glo. Francesco, giureconsulto.

Battacia Micliele, isloriograt'o .

Bei.lomo ab Gio., prof di filologia nel Liceo.

BiAGi dott. Pietro, giureconsulto.

Casarini Luigi, segretario della congrega- zione centrale.

CoRNiANi nob. Lauro, segret. di Governo.

DiEDo nob. Antonio, segretario dell" Acca- demia delle belle arti .

Gamba Dartoloinmeo , aggiunto alla Mar- ciana .

Gambara cav. conte Carlo .Antonio.

Garofolo dott. Federico, giureconsulto.

Manin conte Leonardo, ciamberlano.

Parvvia dott. Pier' Alessandro.

I'eìzuli Luigi .

PiANTON canonico dott. Pietro, regio cen- sore .

Rossi dott. Giovanni, consigliere giudizia- rio .

TiPALDo dott. Emilio, professore di Storia al Liceo di Marina.

Zandome.\echi Luigi, professore di Scultura.

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y.

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MEMBRI CORRISPONDENTI DIMORANTI IN VENEZIA,

Albrizzi conte Giuseppe .

Anichi.m Tommaso, chimico .

Arriconi dott. Renato , segretario di Go- verno .

AucHER padre Gio. Battista, vicario gene- rale de' monaci Mecbitaristi .

Bazzarini Antonio.

Beni dott. Francesco, consigliere giudizia- rio.

Bernardi dott. Francesco .

Bianchi Luigi .

Bianchini Bernardo, chimico.

Biondelu Bernardo.

BoNFADiNi Giuseppe Vincenzo, patrizio ve- neto . .V-- l7^- Cicogna Emmanuele Antonio . t-;-v.<^m-^- Dandolo conte Girolamo .

Dezan ab. Gio. Maria, prof, nelle Scuo- le Elementari.

Fai;ris .\ndrea, chirurgo.

Fappani dott. Agostino, membro della con- gregazione centrale.

Franceschims dott. Domenico.

Lazzari ab. Giuseppe, parroco di s. Luca. -f. ^-^

Lazzari prof Francesco, .-.^...u^ ^u^ ,t^j^ ^

Levi dott. Mosè Giuseppe.

Manin dott. Daniele.

Keu Mayr dott. Antonio, commissario su- periore di Polizia.

Papadopoli Antonio.

Sagredo nob. Agostino Gherardo. C ^■^^^-^'-^^ ^

Treves Iacopo. . '.- ^ ■, (5-i-,-v-_^>

Weber Giovanni Davide.

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MEMBRI ONORARII ESTERNI.

BTiE&LAVlÀ. WiTTE, professore Carlo.

B^VNHi. Inzaghi S. e. conte Carlo , ciamberlano , consigliere intimo, commendatore e Go- vernatore.

KEULAOV. Pyrker S- e. reverendiss. Gio. Ladislao, conisigliere inlimo, patriarca ed arcive- scovo .

milà:so.

CossoNi march, cav. Antonio, consigliere di Governo

FoiLioT conte de Crenneville, Lodovico Carlo. Gran maggiordomo di S. A. I. R. il Vice-re .

Grimm cav. Vincenzo, consigliere aulico, direttore di cancelleria di S. A. S. Vi- ce-re .

4o6

Paletta cav. Gio. Battista, professore di chirurgia ed anatomia .

Tnn-ULZK) marchese Giovanni Iacopo. NAPOLI.

Ronchi dott. Salvatore, medico di S. M. P/IDOfA.

Franceschinis ab. Francesco Maria , cava- liere e professore .

Francescom ab prof. Daniele, bibliotecario, membro onorario del Ces. R. Istituto.

Gallim, professore Stefano .

Meneghelli ab. professore Antonio.

PoLCASTRo conte cav. Girolamo.

Zabeo ab. prof. Prosdocimo .

PAru.

Scarpa prof. cav. .\ntonio, membro pensio- narlo del Ces. R. Istituto, direttore del- la facoltà medico-chirurgica . BOMJ.

ZuRLA S. E. cardinale Placido , Vicario di S, S. Leone XII.

TRRriSO.

Marzari professore Giovanni Battista. VIENNA.

Sua Altezza Imperiale e Reale il Serenissi- mo Arciduca d'Austria FRANCESCO, CARLO, GIUSEPPE.

GoEss S. E. conte Pietro, barone di Ka- rolsberg, Gran maggiordomo di S. A. I. R. Francesco, Carlo, Giuseppe, ciam- berlano, e consiglier intimo.

HosT prof Nicola, archiatro di S. M. I. R. A.

Stifft barone e cav. Andrea, consigliere di stato, e di conferenze, primo medico di S. M. I. R. A., direttore dello studio medico dell'impero, presidente della facoltà medica .

TUrreim barone Luigi, consigliere aulico.

MEMBRI ORDINARII ESTERNI.

BASSàKO. Barbieri ab. professore Giuseppe.

BELLUNO. ZANinsi dott. Gio. Battista, avvocato.

BOLOGNA. TojDiAsiNi professore Iacopo.

BRESCIA. Arici prof Cesare, membro onorario del Ces. R. Istituto .

COSTE ff ASOLO. Dal ÌVIistro ab. Angelo, arciprete.

LONDHA. Davy prof Onofrio, segretario della socie- tà reale .

MILANO. Locatelli prof cav. Iacopo . Rosa dott. Giovanni, medico particolare di

8. A. I. R. il Vice-Re . Rosmini cav. Carlo .

PADOVA. Bonato prof Giuseppe Antonio . Brera Valeriano Luigi, consigliere e pro- fessore, membro onorario del Ces. R. Istituto .

Caldani prof. Floriano. Dal Kegro prof Salvatore . Fanzago prof Francesco, e direttore del- l' Ospedale civile. Fedrigo prof Gaspare . Melandri prof Girolamo . Mandruzzato prof Salvatore . Renier prof Stefano , membro onorario del

Ces. R. Istituto . Ruggieri prof Cesare. Scolari dott. Filippo . Zecchinelli dott. Gio. Maria.

PAVIA. Marabelli prof Francesco . Zambelli prof Andrea.

PISA. Barzellotti prof Iacopo. SACILE. Sandi nob. Marco .

TRIESTE. KoHEN dott. Joel. Romano .Antonio, ingegnere.

VDERZO. AnALTro nob. Francesco.

MEMBRI CORRISPONDENTI ESTERNI.

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ALESSAISDUÌA D'EGITTO. Pozzoni dott. Antonio, consigliere di Stato, e console generale di S. M. l'Imperato- re delle Russie .

CHÌOGGU. ''t t •. (-<. Naccari cavaliere Fortunato Luigi. COSTAyTIISOPOLl. Catani dott. Gio. Battista. CREMA. Bonzi conte Orazio, avvocato .

CREMONA. Schizzi conte Fulchino.

GE.yorA.

Gagliuffi ab. prof. Faustino .

LONDRA. Jaues prof. Gio. Battista . MILANO. Duca dott. Gio Battista, direttore dello

Spedale maggiore . Maffei cav. Andrea. Sacco cav. Luigi .

MONTJGNJNA. Penolazzi dott. Ignazio.

MONZA. Bellani canonico Angelo. MORTARA. RIarianini dott. Gio. Battista .

NAPOLI. Gargali.o marchese Tommaso. MrcLiARi dott. Pietro , segretario pei-petuo dell'accademia medico-chirurgica. PADOVA. Carrer Luigi Arminio. Casa (Dalla) prof. Vittorio. CoNFicLiAccHi ab. prof. Luigi . Crescini Iacopo . Lencuazza nob. dott. Leonello. Malacarne dott. Gaetano Vincenzo. /Ji**^-V#**^1V1enin ab. prof Lodovico. MoNTESAMo dott. Giuseppe. Penada prof. Iacopo.

Rio (da) nob. ISicolò direttore della facol- tà filosoficomalemalica . Jr^' fuo'' Santini prof. Giovanni . Vedova dott. Giuseppe.

PARIGI. Balbi nob. .Adriano.

PARMA. PezzANA Angelo, bibliotecario ducale. Speranza Carlo, prof di clinica .

PAVIA. ZuccALA prof Giovanni.

PESARO. Paoli conte Domenico.

PIO! E DEL CAIRO. Marianini dott. Pietro .

PORTOGRUARO. MuscHiETTi canonico Giovanni. /»V.«-»' ScARSELLiM dott. Vincenzo, pretore.

POSTJOMA. MoNico Giuseppe , arciprete e segretario dell' Ateneo Trivigiano.

ROfEREDO DI TRENTO. Fontana ab. prof Valerio . ROVIGO. Bellini Gio. Ballista, dott. di Chirurgia.

SAN VITO DI PORTOGRUARO. Grapputo dott. Tommaso, pretore.

SEBENICO. VislAM doti. Roberto. /,', ^-^^CJ

SPILIMBERGO. Pezzoli dott. Gio. Battista.

TRV.:sTO. Giovanelli conte Eenedetlo.

TREVISO. Agostini dott. Antonio, segretario dell'Ate- neo. BoTTARi dott. -Antonio, consigliere giudi- ziario. Ghirlanda dott. Gaspare, segretario perpe- tuo dell' -Ateneo. PoLA cavaliere Paolo.

TRIESTE. Cimano Gio. Paolo, dott. di chirurgia . Frizzi dott. Benedetto. RonDoiiNi dott. Lorenzo, protomedico del- la sanità marittima.

VDINE. Cernaz.vi Giuseppe . Mantovani dott. Jacopo .

4o8

Marcolini dott. Francesco Maria .

VERONA. Orti nob. Giovanni Girolamo .

ne ENZA. Catcllo prof. Tommaso . / 'wc»j (", Tiene prof. Domenico .

ZANTE. Carvela' dott. Francesco .

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INDICE.

BELLOMO.

I5ETTI0 BIAGI .

BIZIO ....

Catalogo de' Membri CICOGNA R A . . FRAÌNCESCHINIS.

GALLINI . . .

GAME ARA. . .

MANIN ....

MA RIANIMI . .

MENEGHELLI .

NEGRI . . . .

PALETTA . . .

PARAVIA . . .

PEZZOLI . . .

RUGGIERI . .

Statuto dell' Ateneo TRAVERSI. . . VALLI . . . .

Pag.

Inlorno al più utile modo di applicare lo studio della

gieca filologia alla interpretazione di Omero . Sopra la Zoopedia appresso gli antichi Greci e Romani " Sopra lavila e i dipinti di fra Sebastiano Luciani sopran- nomato del Piombo ......'»

Relazione dei lavori fatti dalla classe per le Lettere nel-

l'anno accademico i822-a5. . . . «

Dell' .\nalisi del Loglio {lolium Cemulenlum "Lms.) del

Lolino e del Glojololico ......

componenti 1' .Ateneo .......

Dell' origine, composizione e decomposizione dei Nielli » Dell" infinito metafìsicamente e matematicamente consi- derato .........

Considerazioni fisiologiche sul Senso del Bello, e sul mo- do di renderlo più sicuro e più pronto. . . » Prolusione letta nell'adunanza pubblica del giorno 8 giu- gno >3i3. ......."

Esame ragionato sul libro delle Monete de' Veneziani

dal principio al line della loro Repubblica . . "

Sulla perdita di Tensione che soffrono gli apparati voltiani " Nuovo Galvanometro Moltiplicatore . . . «

Sopra il passo dell' Eneida Orabunt causas melius . n Dell' linge magica degli antichi . . . . "

Sopra le Varici . ......"

Saggio di traduzione ed illustrazione di Plinio il giovane " Gli Avari ........ n

Relazione dei lavori fatti dalla classe per le Scienze Del- l'anno accademico 1812-1825. ...■>■>

Ricordi storici sull' Ateneo ......

Osservazioni Meteorologiche ......

Esame medico delle .\cijue termali di Monte Ortone «

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