/m^^k .rfA^f'^'] -J^P^/^./ w V TOMO II. ^j/ro. ESERCITAZIONI SCIENTIFICHE E LETTERARIE DELL' ATENEO DI VENEZIA VENEZIA MDCCCXXXVIII DAr-L4 TIPOGRAFIA DI ATTISOPOLI TIP. DBLL' ATKXKO !w CONTINUAZIONE DE' RICORDI STORICI SULL' ATENEO DI VENEZIA PRODOTTA AL VEPTETO ATENEO STESSO DAL MEMBRO ORDINARIO E TICE PRESIDENTE LUIGI CASARINI I. iJeltati dal valente mìo predecessore nel primo Volume delle Eser- citazioni Accademiche i Cenni Storici, die ricordano l'origine, le vicende, ed i risultamenti di questo Scientifico Letterario InstituLo, a tulio l'Anno Accademico 1826-27, dall'Arte N. /^1 del generale Statuto, a me deri- va il dovere di tesserne in questo secondo Volume la continuazione a tutto l'anno 1 835-36. Occupar più non dovendomi dell'Origine esaltamente chiarita nel primo ^'olume suespresso, poco trattener mi dovrei sulle Vicende, e sui Risultamenti del nostro Ateneo, dacché superati qua' movimenti inorma- li, che i corpi morali, come i fisici subir pur devono prima di raggiu- gnere la meta di una regolare, e fruttifera vegetazione, non offre altra vicenda che quella d' una noLile emulazione fra i membri che lo com- pongono, emulazione che condusse all'unico essenziale suo scopo, delle più svariate delle più utili, e delle più giustamente applaudite numerose lucubrazioni. II. Ma un ben più penoso dovere a compiere a me resta in nome dell'Ateneo, e di me stesso , quello cioè di spargere le lagrime ed i fiori dell'amicizia, e della riconoscenza sulla tomba onorata del lodato mio predecessore il D.r Gaetano Alfonso Ruggieri, profeta, ahi troppo veridico dell' immaturo suo fine ! Egli dotto, ed esercitalo medico, volea che la teoria fosse la ragione 3 della pratica, ma non la fonte esclusiva di tulio lo scibile medico, come pur troppo vogliono alcuni dollissimi., ma privi di queil'occliio scrula- tore , che sia alla medicina, come la non insegnabile giusta inluonazio- ne alla musica, dono, che la natura accorda soltanto, lunge dalla vanità fantastica dei sistemi. Ei jienelralo vivamente dal genio dell' arte , e dallo spirito di sua missione, accorreva volenteroso, e zelante del pari alle dorate sale del ricco, ed all' abituro del miserabile, né i mali contagiosi, od epidemici lo tratlenevano anche sofferente nel notlurno suo letto, contento, e com- pensato abbastanza dall' ineff'abil piacere di strappar qualche vittima al- la inesorabile eguagliatrice degli uomini. iSutrilo fin dall'infanzia da que' Classici antichi , che resteranno a dispetto di tutti gli effìmeri sistemi del giorno, le inconcusse letterarie sorgenti d'' ogni criterio, perchè la verità è la fonte del bello e quindi soggiacer esso non può essenzialmente all'impero della moda, e delle lusinghiere illusioni , occupava Egli non ultimo seggio della letteratura , e soprattutto tenero si mostrava dell' italo linguaggio, che unico , puro , tonante, e libero dalle utopie, e dagli arcaismi, dovrebbe regnare esclu- sivamente in tutta la bella penisola in cui il sì armoniosamente risuona. Ma se cara , onorata , e compianta dev' essere da Venezia tutta la memoria dell'illustre medico, e del letterato, quale non dev'essere il dolore di noi che 1' ebbinio per molti anni amico leale, e reggitore ze- lante? Ei geloso del decoro del nostro Inslitulo primo si associava alle cure dei presidenti che rappresentò successivamente, promovendo sempre utili innovazioni, brillanti progetti, e perenni lavori, amico eccitatore, e moderatore mostrandosi dei troppo vivaci, o dei timidi, onde tutti in modo diverso operosi si prestassero al progresso delle lettere e delle scienze. La perdita di quest' uomo, clie viene ora cosi sentita da noi, riuscirà tanto più sensibile, quanto più la mia pochezza, che fu cliiamata per solo effetto di generosa adesione a sostituirlo, ne farà conoscere col con- fronto il sempre crescente valore a compenso ben tenue del quale offrir non posso che un fervente zelo, ed una devozione costante. PSello scrivere questi brevi cenni ben io m' avveggo di non aver of- ferto come doveva una Biografia , una INecrologia , ed un Elogio , ma io non poteva , seguendo solo le inspirazioni del cuore , pretendere dalla mente una regolar dettatura. 3 Kon me ne dolgo io pei ò daccbè più decorosamente sta la prima nella perenne rimembranza dell' adottiva sua patria, che lo vide movere, e progredire nelle vie dell'onore, dipinta si scorgea la seconda iieH' affan- noso palpito di que' molti amici e colleglli che dolenti lo scortavano all' ul- tima sua dimora, ed a tutto elogio basterà a quell'anima che or riposa in seno del vero, qualche l.igrima che bagnerà questo scritto, giacché in mezzo a funeree moli sublimi, infelice dovrebbesi chiamar la memoria di quello che non avesse in qualche cuore un avello, e che non ricevesse quindi l' incenso diurno di calda prece, e di non simulati sospiri. III. Dato questo sfogo ad un ben giusto dolore poco, ripeto, io posso dire sulle variazioni avvenute nel novennio indicato mentre si limitano queste al movimento degl" individui che coprirono successivamente la presidenza, e che rivaleggiarono tutti nel promuovere il decoro dell In- stituto, movimento che con ordine cronologico viene fatto palese dall' u- nito Prospetto.^ Molto però ragionare io dovrei dei felici risultamenti dell'Ateneo se le relazioni dei Segretari delle classi bellamente non ne porgessero l'ana- lisi accuratissima , cosicché mi resterebbe a ricordare soltanto che nei nove anni trascorsi N. aSg Memorie si lessero nelle ordinarie tornate , che tutte furono in relativi Processi Verbali trasunte, e che per la mag- gior parte, o videro a Cura dei loro autori la luce, o la vedranno a mezzo di questo, e de'successivi Volumi, che verranno impressi metodicamente. Senonchè non limitati i lavori del Corpo Accademico alla sola lettura di scientifiche, e letterarie memorie, mi corre dovere di far parola degli utili imprendimenti, ne' quali prese l' iniziatura, delle difficili prove, di cui divenne pubblica arena, e degli onori giustamente largiti, a chi ben meritò dell' Ateneo nostra patria seconda. IV. Cinta Venezia dal mare, ma priva dell'acqua potabile, che conqui- starono i nostri maggiori col loro sangue a danno d' invidiosi rivali , do- veva interessarsi specialmente di quelle terebrazioni ingegnose che primo Cassini fece conoscere nel 167 1 all'Accademia delle Scienze di Parigi di cui era membro, dirette a far scaturire dalla zona acquifera che si ritiene scorrere sotterraneamente, un getto rigoglioso sulla superficie del suolo capace di accorrere ai bisogni della vita. Il nostro Ateneo quindi fino dal luglio i853 nominò una Commis- sione sotto il presidio di S. E. 11 sig. conte Guido Erizzo gran Ciambellano 4 del Regno, e composta dei soci Campilanzi, Casoni, co. Corniani degli Algarolti, Marianini, e Paleocopa, Commissione che nella tornata del 19 gennaio i835 comunicò all'Ateneo i suoi lavori consisl:enti particolarmente in tre dolissimc Memorie de' suoi Membri Campilanzi, Casoni, e Paleo- copa, che svolto r argomento sotto i tre diversi asjietli teologico, tecnico, e pratico furono dal Relatore co. Corniaui, in esattissimo sunto raccolte. Comunicati questi lavori dietro relativa ricerca all' I. R. Comando Generale della Marina venne associata la nostra Commissione a quella da lui nominata all'oggetto stesso presieduta da S. E. Vice Ammiraglio Comandante Superiore, e quindi le due riunite Commissioni, con T in- tervento del co. Podestà nel Processo Verbale 4 luglio i836 gittarono le basi di un progetto a spese erariali onde esperire una terebrazione nel- r interno dell'Arsenale, progetto che ottenne anche l'approvazione del- l' Eccelso I. R. Consiglio di Guerra, e che non attende per esser eseguito che una superiore terminativa decisione , ritardata col solo oggetto di ap- plicare utilmente all' impresa le cognizioni acquistate da un distinto Uffi- ciale del Genio appositamente incaricato di procurarsele nei luoghi ove ottennero questi congegni felice risulta mento. Tornar deve quindi onorevole al nostro Ateneo il primo teorico sviluppo dato all'interessante argomento, e la cooperazione a cui venne dal Governo chiamato nella pratica esecuzione, dietro ai quali primi Ele- menti, la Clemenza Sovrana potrà accordare alla patria nostra un abbel- limento, ed un presidio agli avi nostri negato. V. Centro l'Ateneo d'ogni maniera di scientifiche e letterarie dottrine, fonte di utili provvedimenti, divenne arena onorata puranco delle più difficili prove. E di vero il cimento più difficile dell'ingegno umano, quasi ignoto agli antichi, dacché qualche nebbiosa idea attinger se ne può solo dal tri- pode di Delfo, dalle grotte delle Sibille, e fra i veggenti di Rama , si è quello di far sgorgare dal labbro versi estemporanei dall' estro dettati, e dal cuore. L'illustre professore dott. Faustino Gagliuffi nostro consocio, la di cui recente perdita piange con tant' altre l'Italia, nelle tornate dell'Ate- neo dei 29 dicembre 1828, e 5, e 12 gennaio susseguente fece risuonare la nostra aula della soave armonia d'improvvisi versi latini, ne' quali pren- dendo argomento dalle Memorie lette nelle tornate medesime, sviluppava 5 il piii bel fiore di esse, e lottava con gloria co' poeti più illustri del secolo d'Augusto. Non posso rifiutarmi il jiiacere di riportarvi un brano dell' ultimo di quc' cimenti, tanto più che contiene sentimenti che onorano il nostro Ateneo che ammesso l'avea a consocio, e quello che lo imprendeva mosso da gentile riconoscenza. Juìiolae siiaves oculos lacrimasque decoras Ilalicis cecinit sat Paravia modis : Romeique vices et lamentabile fatimi Addidit heu ! justo corda dolore movens. Concordes solvete animae, quas foedere puro Quas idem immiti funere junxit amor. Vos et ego canerenij viridi si solus in agro Possem dulcisonae tangere fila Ijrae. Jllic me platano recubantem forte sub altUj Aut ubi tranquillam rivulus urget aquam^ Illic me blandis Philomela assueta querelis Efficeret vatem cara magistra piiim. Sed qui ego memoro ? quae mentem insania turbai ? Anne ìiodie nivei gaudia ruris amem ? Didce mihi Adriaca potius sii vivere in urbe,, Adriaca attonito pectore mira sequi: ' Adriaca Njmphas Faunosque audire loquenteSj Adriacis animum pascere amicitiis. Dulcis est hodie sancto hoc considere coetu Quem virtutiim altrix ipsa Minerva fovet. Me socium hic dixit coetus nil tale merentenij Ilunc coetuni absequiis prosequor ipse nieis Juliolaeque adeo_, Romei oblitus et agrij Nunc coetum hunc venerar versibus ipse meis. Hunc praesens absensque colam ; nam gratia vestra Numquam hercle immemori defluet ex animo. VI. Del pari nella tornata 27 febbraio 1882 la sig. Rosa Taddei, la Licori Partenopea, emula della ^Michieli, della Fantastici, e della Baiidettini , 6 volle farci gustare i brillanti,, e teneri concetti dell'eslemporanca sua vena. Spiegò in ognuno degli otto estratti argomenti la vivace Licori il suo genio, ma i quattro ne' quali per la qualità dell'argomento si mostrò superiormente invasa dall'estro fatidico, furono l'anno quarantesimo di Francesco Primo , la vittoria de' Veneziani sojira la flotta di Pipino, il Dilu*^io Universale, ed il primo saluto d'Eva all'Aurora nascente. Converrebbe qui tutti riportare a disteso i suoi canti stenograficamen- te raccolti, per ammirare gli slanci impetuosi, il tenero accento, e l''arnio- nia del multiforme suo canto. Come non rabbrividire difatli sentendola a cantare in dorico modo. Da me sparisce il suolo ^ Il mondo ecco è sommerso , Ogni mortai perverso S' innabissò nel mar. .Ahi tutto il mondo è squallido^ Non v" ha che V acque e il polo^ E veggo un legno solOj Sull^ onde galleggiar. Ma la mia mente acquetasi^, iS" allegra il mio pensiero^ Entro quel legno j intero Il mondo si salvò. E come non sentirsi lusingare soavemente dalla melode joiiica del primo saluto che spuntò sul labbro della bella nostra progenitrice? Salve Aurora che ci annunzi Il bel raggio del Pianetaj Che la terra fa più lieta^ Ed allegra e il cielo e il mar. Quando tu ricomparisci Si rabbella il colle,, e il pratOj Par più dolce il lieve fiato D'ogni zeffiro leggier. Quando tu risplendi in cielo Par più bello il Paradiso ; ^h del del mi sembri un risOj Che la terra allegra e il mar. Questi cimenti, che toccano la ragion del prodigio, fanno per un momento riputar vero ed indispensabile il poetico motto Deus est in ììobis^ giacche par di vedere negl'invasi dell'estro lo sviluppo di una sovraumana jiotenza. Se i corjii morali, emblema quasi della natura, soggetti a parziali perdite, e ad alterne nuove combinazioni, possono avere non misurata lun- ghissima vita, contraggono quindi il dovere di sottrare dalle fauci del tempo, e dellobbiio que' primi loro maestri che gli elementi cementarono della loro esistenza. Francesco Aglietti, che come dimostrano i Cenni Storici del primo '\''olume di queste esercitazioni, fu uno dei fondatori del nostro Instituto, da lui illustrato con dotti lavori, e con T italiano suo nome, chiudeva la lunga onorata carriera. L'Ateneo Veneziano a dovuta testimonianza di riconoscenza, d'esti- mazione, e d'amore nella tornata dei iG maggio i836 stabiliva di erigere in di lui onore nel proprio seno un monumento, molti chiamando a di- viderne il peso principalmente col divisamento che la moltitudine degli accorrenti tornasse a maggior decoro della sua cara memoria. Allogato il lavoro al bravo nostro scultore sig. Bartolommeo Ferrari, sarebbe a quest'ora bene inoltrato, se una fatai malattia tolto non l'avesse per lungo tratto alla possibilità del travaglio. Ma voi vedrete ben presto questo marmoreo sarcofago presso quello dell' altro benefattore dell' umanità sofferente, di Francesco Pajola, primo fra noi restauratore, se non inventore della Litotomia. Voi scorgete in esso, cinta d' infula sacra la medicina, volgersi a quella simpatica effigie, in atto non di adorazione, ma di vivissima rico- noscenza, pe' nuovi lumi che sparse costantemente su di essa , quasi tra- veder facendo in un esprimente sorriso l'apoteosi dell'illustre Sacerdote d'Igea, il di cui nome da leggiadro genio aereiforme, inspirato dall' angel di Minerva, presso all'impresa dell'Ateneo, ara di riconoscenza, viene scolpito e conservato alla tarda posterità. Voi vedrete questo sasso vita spirante secondo sviluppare la feconda idea di quel Panteon nazionale che in questo tempio delle scienze, e delle lettere resta ornai dischiuso a tutti i cultori della virtù, agli scopritori d'utili trovati, ni figli della vera gloria, che antejjone una sola lagrima tersa ai fiumi di sangue versati dalla vittoria desolatrice. MOVIMENTI DELLA PRESIDENZA, E CONSIGLIO ACCADEMICO DEL VENETO ATENEO DALL'ANNO ACCADEMICO iSaS-aG, AL i836-37 MOVIMENTI della Presidenza, , Consilio Accademico del Veneto Ateneo dal! anno Accademico 1S26-26 al 1 836-57 Mkhr 1835 i8aC 1839 ■ 833 183; iBa9 i833 1837 182G 1828 18=0 i83a 183; I giugno 37 a;^08lo l3 agosto 38 agosto PRESIDENTI 7 luglio 37 agoslo 2(j agosto 36 agosto Gambara co. Carlo succeclulo al Cons. pr. Aglietti I! iaggi (loti. Pietro (letto Manin co. Leonardo iletlo SEGRETARI PER LE SCIEINZE iG giugno 7 luglio 38 agosto 3 ileccinlii 30 agosto n » 28 agosto Ruggieri d.' Gaetano succeduto al d.' Gasp. Fedrigo Coiniani co. Maiif liizio dott. lìartolommeo detto Naniias doli. Giacinto CLASSE DELLE SCIENZE Cornianì co. Marco Rizio dott. Bartolammco Marianini prof. Stefano Campana prof. Andrea Mnriaiiini prof. Slelano Bizio dolt. Bartolammeo Campana doli. Andrea ....... Fapjiani doli. Agostino Campana doli. Andrea Trois doli. Francesco Campilanzi doli. Emilio Trois dolt, Francesco Campilanzi dott. Emilio Palcocopa dolt. Pietro Rieletto Rieletto Rieletto AknO Mese 1825 i833 i836 1825 1826 i83o 1834 3o giugno i3 agosto 19 decembre 0 giugno 1 luglio 25 agosto VICE PRESIDENTI Ruggieri tlott. Gaetano in luogo del Segretario per- petuo, carico abolito detto Casarini Luigi Rieletto SEGRETARII PER LE LETTERE Biaggi d.'' Pietro succeduto al sig. d.r Scolari Filippo Bellomo prof. Giovanni dello detto MEMBRI DEL CONSIGLIO ACCADEMICO CLASSE DELLE LETTERE in luogo co. Corniani promosso Rieletto Rieletto Rieletto in luogo Bizio promosso Rieletto iu luogo Marianini in luogo Fappani traslocatosi Rieletto Rieletto in luogo dott. Campana 1825 1837 1837 16 giugno 1826 i3 maggio 1 5 giugno 1828 28 agosto 1829 3 decembre i832 20 agosto 1 3 febbraio 28 agosto Bettio ab. Pietro .... Bellomo prof. Giovanni . Pezzoli sig. Luigi .... Diedo nob. Antonio . Gambara co. Carlo . . Diedo nob. Antonio . Tipaldo (de) dott. Einilio . , Paravia dott. Pier Alessandro Diodo nob. Antonio . . Gamba sig. Bartolammeo Casarini Luigi Bonfadini nob. Giuseppe Diedo nob. Antonio . . . Gamba sig. Bartolammeo . Rieletto Rieletto in luogo in luogo Rieletto in luogo in luogo Rieletto in luogo in luogo in luogo Rieletto Rieletto ab. Bettio ab. Bellomo promosso Pezzoli defunto co. Gambara prof. Tipaldo pr. Paravia traslocatosi sig. Casarini promosso ADUNANZA PUBBLICA TENUTA NELL' OTTAVO GIORNO DI DECEMBRE DELL'ANNO MDCGCXXXIII OGKI GENERE DI STUDIO DA' VENEZIANI COLTIVA VASI ANCHE NEGLI ULTIMI ANNI DELL'ANTICO GOVERNO PROLUSIONE DEL CONTE LEONARDO MANIN PRESIDENTE DELL' ATENEO XJappoicliè per lungo volgere- d' anni, egregio sig. conte Governa- lore, prestantissimi Magistrati, dotti Accademici, Uditori umanissimi, dai> poicliè per lungo volgere d'anni queste sale ora sacre alle scienze, ed alle lettere, alla frequenza di scienziati, ed illuminati uditori chiuse rima- sero._, ed in esse solamente le private tornale del Veneziano Ateneo senza posa si tennero; ben era convenevole , ed opportuno, ed all'onore delle scienze, e delle lettere, ed alla fama, ed al decoro di questo luogo, clie un si diuturno silenzio si rompesse, una pubblica solenne Sessione si te- nesse, e la festività di questo giorno giulivo alle IMuse si consecrasse. Se non che a voi troppo sconvenevole cosa sembrare pur deve, che, io, il meno degli altri d'ingegno fornito, io, cui né per scienza, né per autorità cogli altri reggere al paragone posso, abbia ad aprir loro la carriera , e come condottiero, e duce a' vostri sguardi mostrarmi. Sperarono li miei dotti collcghi, che la scelta di me a sì onorevole carico nlun nocumento a questa lispettabile, e dotta società recare potesse, ed io di buon grado mi vi assoggettai con la ccrlczza, che eglino, cui la più grande, e meritata celebrità circonda, cogli accademici loro lavori confermeranno la fama di questo Islilulo , se a tanto le mie forze non giungano. Giustificato cosi in faccia vostra, o Signori, il mio innalzamento, non mi rimane se non se il desiderio vivissimo, che il mio dire possa in qualche parte accet- tevole, e grato riuscire, e poiché gli antecessori miei negU anni addietro vi ragionarono, e di quanto li \'encziani del medio evo a benefizio de' li- berali studii con pubblica , e privala munificenza adoperarono: e delle i6 strette, e vicendevoli relazioni, che tra sé hanno il principato, e glisliidii; e delle molte Accademie, che In questa nostra città in ogni tempo si apri- rono ; permettetemi, che io, a lode del vero, ed a sempre maggior nostra gloria nazionale vi presenti, siccome anche ne'moderni tempi, ed ai giorni nostri ogni genere di studio da'Venezianl coltivavasi, ed in qua! guisa quel- 1 antica , e riverita dominazione, di cui onorata vivrà ognor la memoria, ogni mezzo adoperava perchè le scienze, le lettere, e le arti in ogni forma jirosjierassero, e si avvantaggiassero. So bene, che nulla di nuovo addurvl potrò, che con la perspicacia vostra prevenuto già non abbiate; ma olTri- rovvi almeno alcun saggio deirefficacia e del favore di quel governo al mag- giore incremento delle scienze; e questo stesso favore veggendolo tuttodì da quel Grande accordato, che attualmente i nostri destini regge, e governa, non dee farvi tenere nella differenza dei tempi per disadatto, ed impor- tuno il mio argomento, che l'Augusto nostro Sovrano Imperatore e Re, alla gloria letteraria, dal governo promossa , alluder pur volle, allorché in uno slancio di sua paterna affezione chiamar volle la devota Venezia un gioiello della sua corona ; quindi queste lodi, qualunque esse saranno, ad onore, e jilauso di lui ricadranno, non che di quello, che con pari af- fetto il più clemente de' Monarchi fra noi rappresenta, ed il quale in ogni guisa le arti , e le scienze favoreggiando al ben essere de' popoli alle sue cure affidati precipuamente si presta. Accompagnatemi voi con la cortese vostra indulgenza, che imploro, e ben la imploro questa vostra preziosa indulgenza ^^er me stesso , che quanto più mi veggo innalzato, tanto più trepidamente scorro , e misuro lo spazio immenso che da' miei colleghi mi separa, e divide. ISon avvi, ne'puovvi essere alcun ben regolato governo, né savio, ricco, e potente riuscire, se in esso con ogni studio gl'ingegni, e le menti degli uomini senza imj)ediniento alcuno non si alimentino, o si accarez- zino ; né si può riconoscere giunto al colmo della civilizzazione quel po- polo , presso il quale le buone lettere , e le scienze non fioriscano, o si favoriscano. Siavene a prova le antiche repubbliche di Grecia, e di Roma, nelle quali le epoche del mag2,ior loro incremento quelle appunto furono in cui, e i Demosteni, e i Perieli, e gli Ortensii, e i Ciceroni fiorirono, e nelle quali le arti, e le scienze con un legame loro comune, e reciproco congiunte , e quasi per certa qual cognazione riunite a formare la pub- blica felicità gareggiavano. Le scienze, e le lettere non solo muovono le 17 menti umane col rappresentare le immagini di fortissimi uomini.^ che già furono, nel che pure le arti belle concorrono, ma le rendono più destre, e più atte a pervenire a quel vigore, che costituisce la perfezioue loro. Questa verità l'abbiamo presso noi veduta avvenire, ed ancor tutlogiorno la vcggiamo, che gli esempi degli uomini ilkistri .^ e dalle scullc, e dalle dipinte tavole, e dalle vergate pagine della storia a noi falli presenti , e posti innanzi agli occhi a più alta meta ci conducono. Si arroge inoltre la sollecitudine dell'antico governo rivolta ad istruire, e coltivare li teneri, e delicati ingegni de' fanciulli, ed a jiroleggere li genii nascenti, non che rischiarare col lume della filosofia , o della critica que' j^iù iniziali nella intellettuale carriera, del che ciascuno di voi, dotti uditori, potrebbe la più verace testimonianza rendere; che se per la distanza dei tempi su voi le cure di quel pur benefico reggimento non influirono, v' è però testimo- nio luminosissimo la storia , che di que' tempi favella. Qui , ove ergevasi 1 emporio di tulle le cose rare, e preziose; qui, ove nulla nascendo di tutto abbondavasi; qui studii d' ogni genere si coltivavano, e vi fiorivano in molta copia; e quando piacque alla divina provvidenza, che le scuole delle dotte voci di que' campioni di Gesù non più risuonassero, già al si- lenzio ridotti con lo disfacimento della loro società, la quale fatalmente e pei prlncipii, e per le massime troppo dallo spirilo d' innovazione discorde trovavasi, non pertanto le scuole nostre gran pezza chiuse ritiiasero; im- perciocché per ordinamento di quel providentissimo governo ben presi o si riaprirono, tulle le classi di preclarissimi professori riempironsi, che il letteralissimo uomo , ed a giusta ragione celebrato conte Gaspare Gozzi il piano delle pubbliche scuole propose , e le ore , ed i tempi fissarousi i più convenienti, ed i premii a' quelli accordavansi , i cpuili più studiosi, più diligenti, ed assidui moslravansi. Kè solo le belle lettere qui si accarezzavano, ed in pregio tenevansi, ma le scienze le più severe, e più gravi insegnavausi , sempre però con preveduta cautela, che da ciò alcun danno, o detrimento alla vicina Pa- tavina Università non derivasse: che l'amore de' sudditi grandemente ne' pelli de' padri sentivasi; e mentre nella filosofia, e nella morale, e nel naturale diritto pubbliche lezioni si dettavano, ed eranvi fra i patrizii alcuni che queste cattedre coprivano, le lauree però necessarie pegli esercizi di giurisprudenza, di teologia, e di medicina dalla Università di Padova a' tutti li sudditi delia Veneziana Signoria conferire volevansi , esclusi solamente alcinii casi, nei quali il medico collegio di Venezia, a cui questo noslro In- slilulo la propria origine in gran parte deve, per anlico privilegio del Veneto Senato, 1' onore della laurea in medicina , e le patenti di medico esercizio accordava. Da ciò precipuamente nacque, che infine agli idtimi anni in- signi professori di oratoria, di filosofia, di naturale diritto nelle nostre scuole leggevano, ed i Bragolini, e i Galiicioli, e i Zabbeo, ed i Cicuto la- sciarono di sé la pili gloriosa memoria, e siavene a prova gli eccellenti di- scepoli, clie ne uscirono nel tempo stesso, che dalle più lontane città, e dalle pili illustri italiane Università chiarissimi professori chiamali furono, e Turino , e Pisa , e Bologna ci fecero a mal in cuore dono dei loro più famigerati. Che se v' è ramo alcuno di scienza , che l'umana felicità in principal modo risguardi, ed interessi, quello certamente si è , che 1' agri- coltura coltiva. Dessa è la più ricca sorgente per sostenere un gran popo- lo , per assicurare una nazione collocata sotto il più bel clima dell' Uni- verso, di una terra vegetale si ubertosamente fornita; e l'agricoltura ap- punto dall'antico governo in ogni forma si protesse, e favorì; ed allora quando dalla Senna, e dal Tamigi premii a* migliori coltivatori distribui- vausi pubblici saggi se ne instituivano , i temi più importanti alle discus- sioni dei dotti proponevansi, e da' chimici elaboratori nuovi clementi sco- privansi, e nuovi lumi uscivano: fu allora, che il Veneziano Senato la insti- tuzione di una cattedra d'agricoltura in Padova prescrisse, uno spazioso terreno assegnandole sul quale gli esperimenti opportuni verificare potes- se; né solo in teoremi, ed astratte proposizioni le governative sollecitu- dini si ristrinsero, ma si ordinò, che l'abile, ed intendente professore, del quale da' pochi mesi la amara perdita nella letteraria repubblica si piange, ordinò , io diceva, che, affinchè la natura del terreno di queste Provincie feracissime conoscere potesse, da prima tutte intorno le girasse, e quindi alla particolare natura di ciascuna di quelle utili ordinamenti applicasse, qua la coltivazione dei gelsi animando, la irrigazione dei prati artificiati là suggerendo , in un luogo V avvicendar delle terre consi- gliando, in allro li più proficui generi stabilendo, e la miglior concima- zione de' viguelli, e 1' utile momento, e le forme della vendemmia, e i più .sicuri mezzi di mantenere sana la greggia con i,«peciali suggerimenti mo- strasse. Si urroge a ciò, che il Senato in ciascuna città delle soggette pro- A lucie prescrisse, che uomini colti, e gentili un'Accademia agraria insti- tuissero dalle cure governative sostenuta, e protetta nella quale con assiduo '9 meditazioni, e con addatlate apiilicazloni al miglioramento della coltura in generale si tendesse, e quindi di là, e preclare memorie, ed illusili dissertazioni uscirono , e premii nobilissimi ai più felici coltivatori si offrirono; e l'Ateneo famigerato di Brescia, e quello di Treviso lor culla in esse trovarono , e quelli di Verona , e di Udine i proprj studii anche nei tempi posteriori continuarono. E dalle scienze, e dalle lettere alle arti belle lo sguardo rivolgendo, a quelle cioè, che sono in se medesime di tanta eccellenza fornite, che ap- punto perciò con tal nome si appellano, vedremo il Veneziano governo con generosa previdenza accordar loro stabile domicilio; e siccome nelle città principali di Europa accademie di pittura, di scoltura , e di archittetura si aprirono, e si stabilirono; qui, ove aveano gareggialo i Sansovini, i Sanmi- chieli, e i Palladii ad innalzare monumenti delle glorie loro, qui, ove i Tiziani, i Paoli, i Tintorelti diedero prove degli animati loro pennelli, qui, ove i Grimani, i Trevisani, ed i Barbari le relique raccolsero de' Greci scalpelli, magnifica accademia si eresse non arricchita dalle spoglie della religione, né dai resti preziosi di depauperate famiglie, ma adorna di qua- dri di maestri eccellenti, e fra gli accademici precettori i jiomi celeberrimi dei Tiepoletli, dei Longhi, dei Zuccarelli, dei Maggiotto, e dei Guaranà si registravano, uomini tutti, die con ardimentoso pennello l'onore della Veneziana scuola mantennero, mentre e li Farsetti, e l' Algarotti, e i Za- netti, e i Gozzi, ed una numerosa schiera di Veneziani patrizii , ad acca- demici di onore prescelti, la fama con valore ne sostenevano: né li con- venienti statuti si ommisero, né di premiare i provetti alunni con medaglie d'oro, e con pubbliche patenti, che il merito di ciascuno disegnavano, e distinguevano; e dappoiché la orazione mia a questa parte mi conduce, e mi guida dee certo ritornare a vanto di quel governo avere i primi passi retto, e sostenuto di quello, di cui la fama l'uno, e l'altro emisfero riem- piva, e che emulo dei Fidia, e dei Prasilele diede il nome al secolo in cui fioriva , e venne a chiudere i suoi giorni fra noi. Questi , o signori , sono gli effetti delle cure di quel governo , che giungere non poteva all' unica longevità di quattordici secoli, se fomentala avesse la turpe ignoranza , o la vile ignavia , delle quali cose a torlo la invidia straniera lo accagiona , e cui mi sono creduto in dovere di confutare, e confondere. Che se a maggior disinganno degli stranieri poco estimatori delle glo- rie nostre, la lunga schiera di colti, ed eruditi uomini presentare io volessi, 20 i quali negli ultimi anni della Veneziana Repubblica fiorivano, e che in gran parte, tuUora vivendo, questo nostro tranquillo, e beato cielo illustrano, temerei la modestia loro gravemente ferire , ed offendere , abbencliè fra poco de' pregi loro voi stessi testimouii sarete. Ma lasciando il parlar dei presenti, e solo i trapassati prendendo di mira , incomincierò da' quelli , che la bella eloquenza fra noi trattarono in onta a quelle preoccupazioni, alle quali diede origine 1' autore valente di ogni letteratura susseguitalo poi dal troppo famigerato sig. Darù nel quarantesimo libro della sua storia della Repubblica di Venezia; ed a ragione troppo famigerato il nominava, se il classico moderno autore della Storia d' Italia non dubitò di asserire, esservi alcuni, che quando scrivono di Venezia credono essere dispensati dalla ragione, dalla giustizia, dalla verità. Ma veniamo a noi. Questi scrit- tori sostengono chiaramente, che in Venezia sì possente repubblica , ove negozii politici di grandissima importanza maneggiavansi , e tanta parte teneva nelle vicende Europee, non abbiansi rinovati gli esempii dei De- mosteni, e dei Ciceroni, e non sia stata promossa un'arte si necessaria al suo governo. Io non mi divagherò sulle enunciate scuole di oratoria con tanto calore di pubblici Magistrati sopi-avvegghlate, né sulle accademiche esercitazioni e politiche , e forensi , che fino al cadere di quel governo continuarono , né v' intratterrò su tante orazioni sacre, forensi , e politi- che rese con le stampe di pubblico diritto, ma vi dirò, che dalla bigoncia del Veneziano Areopago e i Renieri., e i Pesaro, e i Battala, e gli Albrizzi tuonarono ora aggirandosi sugli importanti oggetti pohtici, or discutendo quelli della pubbhca economia ; dirò, che sui rostri degli aristocratici Co- mlzii, e i Foscarini, e i Zeno, e i Valaressi, e i Contarini il miglior ordi- namento delle statuarie leggi conciliarono, e condussero; dirò, che nelle aule sacre ad Ascrea, e i Curti, e i Soranzo, e i Gherardini, e gli Arnaldi a favore de' rei perorarono , ommettendo le tante forensi famosissime di- sputazioni, che ogni giorno udivansi; ed é falso, che all'avanzamento della eloquenza il Veneziano dialetto in queste azioni adoperato pregiudizio, e danno loro recasse. Imperciocché siccome H grammatici distinguono il volgare illustre da quel parlare, che suona fra le labbra del volgo nella italiana favella; cosi li nostri nelle loro orazioni un dialetto nobile, ed ele- valo adoperavano , il quale avvicinandosi al comune favellare italiano , la dolcezza, e la armonia del fraseggiare veneziano riteneva, e conservava. Furono a' nostri giorni eccellenti nel toccare le loro arpe armoniose , e i Veltiiri, e iPepoli, e i Piiulcmonti , lasciando di parlare di quelli, che nel dialetto nostro versi dettarono con molta leggiadria , e con greca ve- nustà ; ma giunto a questa parte del mio dire debbo rammentarvi, o si- gnori, queir ottimo giovanetto Vettore Benzon, che caldo di patrio amoro die fatto all'epica tromba fra le ambascie di un morbo crudele, clie lo rapì alle migliori S2)eranze. Trattarono a'giorni nostri la scienza dei fiumi, e delle acque e i Querini, e i Giustiniani, e i Munaretto, e i Zendrini, e le proposte loro furono vivissimo argomento di questioni , di esami, e di studii agli idraulici piij famosi d' Italia. Seguaci di Marte , e di Bellona i cavalieri IVani, Emo, ePasqualigo uomini fortissimi, e valorosissimi riputati furono, non già jiresso noi, cui patrio sentimento lega, e congiunge, ma presso le nazioni straniere, che loro assegnarono premii, ed onori. Ma- neggiarono le seste, ed i compassi nella difficile arte del fabbricare e i Memi^ e i Zaguri, ed i Selva, i quali tutti tentarono, e felicemente riusci- rono nelle invenzioni grandiose, e magnifiche, e ne' belli dettati ad abbel- lire, ed ornare alcune parti di questa nostra città gareggiando coi Sanso- vini, coi Lombardi, coi Palladi!. E tutti questi nomi famosi, che v'ho schierato d'innanzi, respirarono le aure di vita ad epoche si a noi vicine, che pili di una volta 1 sentimenti dei quali erano animati dalla stessa lor voce molli fra voi ritrarre potevano. Lasciamo pure adunque digrignare a suo senno la pestifera invidia staniera, ma sappia, che sotto questo cielo beato, e su questo amico lido sussistono tuttavia uomini atti per gl'ingegni loro , e pe' loro studii a figurare fra i migliori coltivatori delle scienze, delle lettere, e delle arti. Che non è già preoccupazione di patria , ma solo di- ritto, e dover di difesa quello, che me costrinse a far parole su questo ar- gomento, affine di togliere dalla memoria di Venezia ogni taccia, che la invidia straniera appor voleva ingiustamente alla sua morale coltura. E che ciò sia , o signori, io bene spero, che voi avrete occasione di ricono- scerlo in falli. Studiarono li Veneziani ogni genere di scienze, di lettere, e di arti , e molli vi riuscirono eccellenti. Studiano anche attualmente i IVIembri di questo Veneziano Ateneo, e con la maggior efficacia il fanno per rendere alla patria il più grande servizio, e Iddio Ottimo Massimo pur volesse, che negli studii loro riescissero, e che presso noi quelTanlico pro- verbio a verificare si avesse, che buono studio vince ria fortuna. Ma sleno ormai rese le piìi sincere grazie a questo potentissimo nostro Imperatore, e Re , grazie all'Augusto Fratel suo , che più davvicino i bisogni nostri 4 conosce , e provvede: grazie a questo eccelso sig. conte Governatore, a questi provvidissimi Magistrati de' liberali sludii fautori , e proteggitori nobilissimi; e voi stessi, uditori umanissimi, che con tanta indulgenza la noia del mio incolto dire tollerato avete, voi stessi negli estratti, che dai Secretarli per le classi prodotti vi saranno , una testimonianza lumi- nosissima della verità del mio assunto avere potrete negli sforzi de' miei compagni per lo incremento sempre maggiore delle scienze, delle lettere, e delle arti a cui pure tendevano le venete cure , e per la sempre cre- scente prosperità della nazione , che esser deve il precipuo scopo della occupazione, e del lavoro dqi dotti. Ho detto. DE' LAVORI FATTI DALLA SEZIONE DELLE SCIENZE TsELL' ArvIS'O ACCADEMICO 1 832-33 RELAZIONE DEL DOTTOR BARTOLOMÌMEO BIZIO SEGRETAHIO DFXLA CLASSE STESSA J_i ofCzIo onorevole che oggi mi è dato di sostenere in questo luogo sacro alle scienze e alle lettere , innanzi a personaggi si ragguardevoli e cospicui 2)er altezza di grado e per ogni maniera di nobili e pregievolissi- me doti , è il più caro e soave che mi sia dato di adempiere. Infatti io vi deggio parlare di que' lavori che valorosi accademici, cultori accaloriti delle scienze operarono nello scorso anno Accademico .^ sicché il far pa- lese dinanzi a si nobile e numerosa adunanza quale e quanta parte abbiano avuta gli accademici nostri a' progressi delle scienze, è una giustizia clie mi sembra di rendere ai gravi meriti che li onorano, non che una vendi- o cazione contro il vanto che menano alcuni stranieri, facendo loro cono- scere siccome qui gli accademici senza gì' incentivi d' interesse, anzi non d'altro midriti, che del puro e schietto amor del sapere, non consentano di essere in nulla ad essi secondi. Se non che dovendo io rcstrignere m brevi cenni la larga copia delle dottrine, onde ridondano le opere loro, non potrò darvi di esse se non che una scarsa immagine, come cjuel pit- tore, il quale fosse obbligato di porgere in angusta miniatura l'aspetto di vasta e florida campagna, in cui mancando lo spazio valevole ad accogliere il numero e la grandezza delle cose, scieglie allora le più notabili, e (li queste pure ne pone in veduta solamente alcune , lasciando alla mente de' risgiiardanli 1' offizio di aggiugnere tutto ciò che le disianze e gli oggetti friipposli sottraggono. Dove adunque io fossi per riuscire di 94 presentarvi un quadro somigliante , avrei raggiunto quello scopo , cui ora dubito molto di conseguire, dove non concediate clie il lume della sa- pienza vostra sopperisca al difetto della mia sposizione. Nella prima tornala del passato anno accademico si apriva l'Ateneo, secondo le norme degli anni antecedenti , con una lettura del Vicepresi- dente nostro sig. dottor Ruggieri , in cui egli ragguagliando la società di ogni cosa operata dalla Presidenza durante il tempio feriato dell'Accade- mia, veniva rammentando i doni piervenuti da' letterati cosi nazionali che forestieri, gV inviti divulgati a' socii per le letture, e le conseguenti desti- nazioni ne' prefissi giorni in guisa, che appariva come l'intero spazio del- l'anno accademico bastasse appena a capire la copia soprabbondantc delle lezioni, che da ciascuna sezione de' socii si tributava. Egli toccava poscia molli altri particolari concernenti l'ordinato andamento della Società, e veniva da ultimo con forte eloquenza a smentire la taccia che si dava a' dotti di questa illustre città con una carta a stampa, cioè, di non avere mai pensato alla istituzione di un Gabinetto di lettura ^ mentre 1' Ateneo il fondava, ricco di GiornaU e di opere di ogni maniera fino dall'anno 1820, e fioriva ed era in pieno vigore in quel tempo medesimo che si muovevano tali ingiuste querele. I. Aperto cosi dal Vicepresidente dottor Ruggieri 1' Ateneo , portava accidentalmente, che la destinazione alle letture accademiche includesse, che la prima lezione scientifica dell' anno trascorso fosse fatta dall' ultimo di questa classe, cioè dal Segretario per le scienze dottor Bizio. Si comin- ciarono perciò gli esercizii nostri pigliando le mosse della chimica e pre- cisamente dall' analisi, che fu fatta del liquido e delia mandorla del cocos nucifera. Quest'albero esotico produce un fruito, siccome tutti sanno, pre- ziosissimo per la moltijilicità degli usi, cui servono le sostanze diverse che esso racchiude. Ma posciaché il suolo, onde viene, sia l'India e l'America, dove poco o nulla fino adesso le scienze si coltivarono, o non certo diffu- sero ivi tanta luce di quanta è rischiarata 1' Europa , ne conseguiva che certe notizie intorno alla natura ed alle proprietà di quel frutto fossero fallaci ed erronee : talché per recarne di molte una sola, dirò che in Ber- zelius si legge, che il sapone fatto coli' olio del'cpcco è giallo, perchè sono gialli veramente cpie' saponi che corrono in commercio , i quali si dicono preparati coir olio di quel frutto: asserzione falsissima ; perciocché il vero sapone fattosi col puro olio del cocco è candido e pellucido come l'alabastro, né riesce lievamente gialliccio, se non quando si sprema l'olio con liitte le pellicine che vestono la mandorla. Ma nemmeno un tal sapone ha il color giallo che ci viene veduto ne' cosi delti saponi di cocco, i quali non sono che fatturazioni de' profumieri per servire eziandio colla allellevole va- rietà dei colori al talento volubile della moda ; e bisognava quindi sbandire un errore, il quale, crealo dal capriccio del galante, avea osato penetrare nella austera mente del filosofo. Senzachè una tale analisi fece conoscere una nuova spezie di stearina nell'olio,, e portò la notizia della glicina aunoà&ntesì coWa grctìiadina , e coli' orcpJ«(/. che i francesi a^e- vano precedentemente scoperte nell' oricello , e nelle cortecce del mela- grano; cosicché è venuto un nuovo lume alla chimica; percioccliè in luogo di considerarsi quelle sostanze quali principii parlicolari dell'oricello e del melagrano, si palesava non esser elleno una sola ed imica sostanza spellanle a jiiìi generi e spezie di vegetabili. II. Ora eomechè la chimica sottoponga al dominio suo tutta intera la natura, e lo studio naturale, la fìsica e tutte le arti abbiano vantaggio, sieno illuminate e dirette da' lumi ch'essa diffonde , nondimeno l'arte che sovra ogni altra trae dalla chimica e conoscenze per guidarsi e mezzi per ope- rare, si è la Medicina, la quale, al solo lume di quella scienza, conosce cosi ciò che avviene nel corpo umano e in quello di tutti gli animali, qualora i visceri e gli organi si trovano in perfetta condizione fisiologica, come allorchù alterato in uno o più visceri, o in tutto T organismo il naturale procedimento, hanno luogo i fenomeni patologici. Perciò alla lezione di chimica ., teneva dietro l' egregio dottor Calogerà con il suo saggio di Medicina teorico-pratico , in cui il dotto accademico , pigliando a consi- derare le febbri iu generale, spone con accurata diligenza le idee secondo cui le febbri sono considerate dal Cullen ; ed ivi li-aluce quanto valga Ja pratica di un medico consumato nella osservazione , per richiamare 'ad attento esame le sentenze stesse degli uomini più celebri in quell' arte difficilissima. Infatti il nostro accademico sviscera cosi le cagioni più oc- culle de' fenomeni febbrili e gli accidenti che le accompagnano, eh è assai, facile ravvisare le discordanze che sussistono, tra i fatti che si recano dal* l'autore, e quelli che'' si dovrebbero riscontrare dietro gli avvisamenti del Cullen. III. A tale medica lezione seguitava un importantissimo lavoro di fisica^ atto a svelare al medico i più occulti fenomeni, che hanno luogo^ 26 nelle funzioni de' nervi. Era questa una gravissima scoperta di cui arric- chiva la scienza il professore dottor Stefano Marianini, in giunta alle altre non poche che fruttarono gli studii di lui. Essa ci rivelò il diverso effetto che opera l'elettrico, quando trascorre il sentiero de' nervi secondo la na- turale diramazione de' medesimi, da quello che produce quando cammina a ritroso della diramazione stessa : giacché nel primo caso avvengono le contrazioni de' muscoli, nel secondo le sensazioni. E qui manifestava eziandio un diverso effetto nell'opera della elettricità, qualora, anziché pe' muscoli, trascorra pe' nervi ed a converso, cosicché mostrò col lume de' fatti i più certi , la necessità di distinguere le contrazioni idiopatiche dalle simpatiche. Ma le scienze ricevono sovente forte ingrandimento eziandio dagli errori della critica. Infatti essendosi levato il valente cav. jNobili a com- battere tortamente alcuni punti dell' originale lavoro del Marianini, questi riprese l'opera dell'esperienza, e que' fatti che fino allora egli avea mo- strali soltanto nella rana , li confermò ne' conigli e nell' uomo ; talché mentre confutava l'avversario, estendeva eziandio i lumi della scienza. Combatteva infolti , non come quel soldato il quale stia alla difesa del posto, ma a somiglianza del valoroso che occupa il campo dell'avversario e distende i confini della dominazione. IV. Siccome poi il lavoro del professor Marianini mirava a svelare 11 magistero de' nervi contribuendo a' progressi della fisiologia, il benemerito ^ icepresidente nostro dottor Ruggieri continuava 1' opera di vantaggiare la scienza medica e quindi la salute pubblica, colla sua importante disser- tazione intitolata : Parte di un lavoro sulle varie quarantene nella diffe- renza de' inali contagiosi. Prese cpii 1' accademico nostro a considerare con acuta filosofia le dottrine di Fracastoro sovra i contagi , come quelle che servirono di fondamento agli statuti sanitarii tuttora sussistenti. E quivi mostrò chiaramente il bisogno eh' esse hanno di riforma a seconda de' liuni che ci fruttarono gli studii de'moderni; senza che svelò non essere acconce in nessuna guisa alla quarantena pel colera : il quale , come ma- lattia, ch'essa é, ignota agli antichi, non può combattersi con que' mezzi stessi ch'eglino trovarono convenienti a' contagi diversi. E posciachè il bi- sogno di quarantena presuppone malattia contagiosa , così quivi il dottor Ruggieri toccò la grave quistione se o no il colera sia contagioso, e il fece novtrando le ojìinioni affermative e contrarie, che da'varii scrittori si 27 promulgarono ; non senza però chiaramente dimostrare, che la Medicina essendo nata dall'esperienza, tutte le quistioni, che in essa insorgono, non all' acutezza de' sottili ragionamenti , ma al lume dell' esperienza spetta 11 deciderle; talché il prudente medico, avendo l'occhio sempre intento a tale inconcusso principio, a niun partito dee aderire, finché il fatto non isveli palesemente il vero. V. Fra le varie scoperte che fruttarono utili ammaestramenti per combattere i contagi ed insegnarono a distruggere le malefiche influenze degli stessi, non poche si derivarono dalla chimica, cosicché essendo tanti e sì varii i beni che questa scienza arreca, non solo alla medicina, ma alle arti tutte, ebbe qui sempre accaloriti cultori ; ond' è che il Bizio facendosi imitatore de' nobili colleghi suoi , oltre quella di già annunziata , diede V Analisi del cocos lapidea del Gaertner. Qui venne alla scoperta di una nuova sostanza, alla quale, per la proprietà sua, e di parecchie combina- zioni eh' essa forma cogli acidi, di essere cioè molto più solubile a freddo che a caldo, in guisa che la soluzione fredda messa al fuoco s' intorbida e precipita, diede il nome di apirina. E di qua, e da altri fatti dedotti dalla sua analisi, prese gli argomenti per combattere la sentenza del Targioni Tozzetti, il quale voleva, contro 1' avvisamento del Gaertner, che il cocos lapidea non ispettasse a quel genere, ma fosse un' altra sorta di vegetabile. Laonde oltre la scoperta àcW apirina^ quel lavoro chimico valse anche a divellere un errore piantalo dal Targioni Tozzetti nella scienza botanica. VI. Ora seguitava una lezione importante del dottor Luigi Nardo, la quale comechè concernesse solamente il pinus maritima e la sua corteccia^ tuttavia abbracciava insieme la chimica , la botanica , la medicina , e le arti economiche. Esso avea già per innanzi mostrato in qual modo si estrasse da quella corteccia un eccellente concino da potersi vantaggiosa- mente surrogare a parecchi materiali astringenti, che si derivano da paesi lontani , e che si pagano a caro costo. Ci dava un sunto della storia bota- nica ed agronomica di quell'albero. Ci mostrava come esso prosperasse in Francia, in Dalmazia, nell' Italia meridionale; e qui dalla considera- zione delle condizioni che si richieggono alle temperie della plaga ed alla natura del suolo , onde 1' albero alligna , inferiva quanto sarebbe terreno opportuno alla vegetazione sua i litorali nostri; cosicché i lumi ch'egli diffondeva suU' argomento ci additavano i vantaggi , che si potrebbero derivare da un terreno pressoché inculto e disutile. 2» Ora. posciacliè i vantaggi più principali die apporta il piniis maritima quelli sieno che si derivano dalla sua corteccia, così egli non negligentò l'opera dello scortecciare gli alberi, notando le rozze pratiche de' popo- lani, e proponendo le mende valevoli a condur V opera al richiesto fine, senza offendere la vita , o recando il minor danno possibile agli alberi , che la corteccia producano. Di qua scese agli usi economici, mostrando r utilità di essa nella concia delle pelli, e nel coloramento delle reti, dove rivela il segreto magistero, onde il pino dà alle reti de" nostri faticosi pescatori il color nericcio, ch'esse hanno, e vi partecipa insieme una qualità che le preserva dal guastamento cui soggiacciono senza tale preventiva colorazione. Laonde in questo utile dettato del dottor Nardo, non solo sono mostrati ampiamente i molteplici vantaggi che da qucll' albero si possono derivare alla medicina e alle arti pratiche , ma quelli altresì che si trarrebbono dal porre ad utile coltura i pressoché sterili littorali nostri. VII. A proposilo di quelle utilità che si potrebbouo derivare da' ter- reni, che ne circondano, e dal suolo in che viviamo, seguitava una lettura del dottor Francesco Gera sovra ì pozzi trh'ellati ., in cui 1' A. proponen- dosi di ragguagliarci intorno al curioso fenomeno del pozzo allora ardente di Gajarine, non negligeva di considerare la possibiltà àe pozzi tri\>ellati in questa illustre capitale; argomento che anteriormente era già qui trattato con profondità di lumi e di dottrina dal valente accademico nostro dottore Campilanzi. Se non che la lezione del dottor Gera racchiudeva un fatto cosi nuovo e singolare, che tutta richiamava l'attenzione del fisico, del cliimico, e del geologo, essendo cosa nuova in Italia, e rara ovunque, the il perforamento de' pozzi trivellati arrivasse a schiudere, an- ziché la ricercata vena di acqua, un ampio serbatojo di aria infiammabile {gas idrogeno percurburato). Pure tale era il fenomeno che si manifestava neir operarsi il pozzo di Gajarine, mentrechè arrivava lo strumento per- foratore a metri 23, e 8tì centimetri di profondità; giacché allora usciva un' aria , la quale respignendo con forte impeto la colonna dell' acqua soprastante ivi ragunata dagf infeltraraenti, produceva un getto sorpren- dente , cui avvicinato un lume , accendendosi l' aria immantinente , le fiamme commiste all' acqua ardevano vivacissime , componendo un cono crepitante di oltre nove metri di altezza. Effetto in vero spaventevole dove i lumi dell' odierno sapere non' ne avessero tosto disvelata la ca- gione. Esso era uno sprigionamento di aria infiammabile affatto analogo 89 a quelli , clic nelle miniere di carbone fossile in Inghillen-a cagionarono troppo sovente la morte degl' infelici operai, prima che l' immortale Davy coir ingegnosa e largamente guiderdonata lanterna sua .^ spiasse le celale insidie dell'aria in guisa, onde gli operai avvisati possono adesso scampare agevolmente la morte. 11 nostro A. investigava quindi, con bella copia di erudizione, quali e dove fossero i fenomeni anteriormente osservati, che meglio si acco- stassero al sopraramentovato, e li trovava ne' pozzi ardenti della Cina, i quali, se le relazioni, come sembra, non passano i termini del vero, sono insieme una meraviglia della natura, e della possanza dell'umano ingegno; perciocché ivi si schiude un vulcano orribile a vedersi , spignendo il perforamento fino a piedi tremille di profondità. Vili. Ora è facile a vedere , come nel solo argomento trattato dal dottor Gera fosse aperto un largo campo alle considerazioni dello scien- ziato, e soprattutto a quelle del geologo e del naturalista. Infatti gli studii di quest' ultimo abbracciano non solo quanto v' ha alla superficie della terra , ma quanto si chiude nelle viscere della stessa ; ed è egualmente oggetto de' suoi studii le ardenti lave de' vulcani e i terremoti che le accom- pagnano, come il sonno placido de' fiori, e il fedele ridestarsi degli stessi alle ore prefisse in guisa, che l'osservatore attento sa meglio 1' ora segnata in cielo veggendo il chiudersi o il riaprirsi di un fiorellino, che non sia ba- dando alla lancetta spesso fallace dell'orivolo. Né è raro il caso che, il sapien- te naturalista, partendo dalla considerazione degli oggetti più cospicui, e fermando gli studii suoi negli esseri più minuti della creazione , discopra maraviglie più stupende di quelle , che si appalesano nelle cose o negli effetti che colpiscono l'universale de' risguardanti. Un esempio di ciò lo abbiamo avuto nella lezione che conseguitava all' antecedente , la quale fu opera del valente sozio ordinario sig. conte Nicolò Contarini , e con- cerneva appunto quel genere di animali, che costituiscono le ultime anella degli esseri viventi, scostandosi per breve tratto da' vegetabili. La lezione del sozio nostro comprendeva una bella serie di nuovi fatti appartenenti alle attinie^ di' è un genere di zoofiti^ di cui le individue spezie ricevettero altresì il nome di anemoni di mare , perciocché svilup- pando esse, entro le acque che ci attorniano, i lor tentoni di varie tinte abbelliti, raffigurano elegantemente il fiore dell' anemone, quasiché fossero destinate a tener luogo ne' petrosi fondi delle lagune e del mare, di quella 5 So fiorente vaghezza che risplende ne' giardini. Questi curiosi esseri adunque, pochissimo per innanzi conosciuti, essendo divenuti argomento delle os- servazioni e degli studii del naturalista soprammentovato, manifestarono abitudini di vita, singolarità di struttura or£;anica, non che magistero du- plice di generazione, ed altri fenomeni importantissimi, valevoli a rischia- rare la vita di quegli esseri. Esempigrazia , un fatto gravissimo si è quello rafi'ermato dall' A. che i tentoni nelle Attinie sono gli organi della respi- razione, e che quelli in esse operano effettivamente l'offìzio stesso, che ne' pesci è operato dalle bracchie. Senza che curiose e molto interessanti sono le sue sperienze sulla riproduzione dei tentoni recisi. Il disvelamento del ma- gistero, ond'elleno si attaccano alle pietre, ai sassi, a'nicchi delle chiocciole, e ad ogni guisa di corpi duri; non che il triplice offizio della bocca, e tan- te altre cose nuove e interessanti che rende assai commendato, e mirabi- le il lavoro suo. Il quale, nella parte trattata , è si profondo e compiuto, da non lasciarci altro desiderio fuor che di udire il restante delle sue di- ligenti e preziose osservazioni. IX. Ma quanto giova ai progressi delle scienze naturali lo spiare la natura mentrechè ella segue le norme immutabili della vita e della ri- produzione cominciando dall'uomo, il più perfetto degli animali, dove ci sono apparecchi ingegnosi e mirabili per le funzioni varie della vita fino a quegli ultimi esseri , come sono le attinie in cui il laceramento di una parte è il germe di un nuovo essere che si sviluppa, che vive, ed appresso tende trappole ed insidie alla preda che divora ., non è poi me- no importante il seguire con lunghi studii e vigilie la medesima natura, allorché alterato quel giusto procedimento, onde ha origine la fonte del vigore e della vita, accadono quelle perturbazioni fisiche che mirano a spe- gnere non solo il vigore e la vita, ma a trasformare degli esseri prima robu- sti e perfettissimi in altrettanti deboli, cachettici, non che sovente deformi. Tutte le malattie ponno condurre gli uomini e gli animali a tale tri- sta condizione : ma il vainolo, come tutti sanno, sovra ogni altro male, noA contento di mietere quelle vite, che come le più fresche e giovanili, sono il fondamento e la speranza della società ne lasciava spesso molte di cosi guaste e maltrattate dal veleno suo, che la rimanente vita era un compianto, una miseria. Perciò lodatissimo fu l'avvisamento dell'Ac- cademico nostro sig. dolt. Vallenzasca I. R. Medico Provinciale , di far susseguitare all' antecedente la lezione sua intorno all'epidemia vaiolosa 3i che regnò nella Provincia di Venezia e principalmente in questa capi- tale daW anno iSsg Jìtio all'anno iSSa; perciocché non avremo dalla vaccina l'intero benefìcio, finché gli stuelli non arrivino a spegnere onni- namente quel germe morbifico, che non ostante la forza potente della ma- ravigliosa scoperta, procaccia di ripigliare le sue forze, e di rinnovare, do- ve la medica sapienza non si opponesse, le vecchie stragi. Perciò l'A. fece chiaramente conoscere colla Dissertazione sua, co- me esso non perdesse mai d' occhio il pestifero morbo, ma si lo spiasse in lutti 1 suoi andamenti, da tesserci una storia la più completa tanto per ciò che concerne la manifestazione sua, il processo dello sviluppo, i fe- nomeni che lo accompagnano, e il metodo di cura, quanto circa l'analisi della cagione produttrice, onde fu guidato a concludere che il principio morbifico era identico in tutti i casij e che la diversità della forma di- pendeva dalla reazione della chimica vivente. Era quindi punto principalissimo quello di osservare , quale fosse l'età che più facilmente soggiaceva alle insidie del morbo. Perciò egli me- diante un numero grande di osservazioni, chiari accertatamente che l'età più soggetta al contagio vaioloso, si è il quarto lustro; donde scemano gli attaccati dal morbo , o che si proceda avanti cogli anni, o che si retro- ceda, scendendo alle minori età, e fino alle più fresche, e infantili; cotal- chè questi ultimi appariscono i meglio preservati dalla vaccina. Questa importante osservazione il guidava a conseguenze ulllisslme, tali in som- ma da proporre la rinnovazione della vaccina; la quale, praticatasi in pa- recchi, diede risultati i più felici; anzi tali, che si preservarono dal con- tagio fino di quelli, che non solo abitavano cogl' infetti, ma dormivano nel letto stesso. L'importanza di tal lavoro non richiede parole per manifestarsi. Es- so ha tanto In se di utile e di grave che a parlare de' pregi suoi bisogne- rebbe maggior campo che qui non e' è lasciato. Onde mi limiterò a dire, che dopo essersi trascorse, siccome sonomi ingegnalo di mostrarvi breve- mente , le scienze, e molti rami di ciascuna, finivano le scientifiche lezioni, non già perchè i valorosi cultori nostri si ritirassero dal campo ; ma perchè non restava più luogo, dove porre la ricca messe eh' eglino portavano, intorno alla qual cosa, nobilissimi signori, quanto io sia veri- dico e sincero, vel diranno lo prossime lezioni, che di qua a pochi di si degglono ripigliare. DE* LAVORI FATTI DALLA CLASSE PER LE LETTERE ED ARTI LIBERALI NELL'ANNO ACCADEMICO i833-53 RELAZIONE DELL' ABATE GIOVANNI BELLO MO SEGRETARIO DELLA CLASSE JL/ue sorta di reggimenti. ^ e quasi due consuetudini diverse hanno- finora guidato, egregi signori, le Accademie, gli Atenei, ed altri scientifici Letterari Instituti di simil fatta; giacché alcuni di essi amarono meglio di esclusivamente dedicarsi alla coltivazione d'una Scienza soltanto: ed altri al contrario quasi in sembiante più sociale e cortese, ad ogni Scien- za per quantunque austera, ad ogni ramo di amena e di seria Letteratura^ fecero in ogni tempo ugualmente lieta accoglienza. Se non confessassimo qui sin dalle prime, che tornarono grandemente j^roficue le Accademie, che in un principale oggetto posero tutto il loro studio ; noi giustamente incorreremmo nella riprovevole taccia di sconoscenti : ma se taluni non ci accordassero con iscambievole equità, che hanno sempre mai recato il loro frutto anche quelle, che ad ogni parte dell' umano sapere soghono dischiudere ad un tempo stesso amichevol ricetto, ella certo malignità sarebbe, basso livore. Anzi egli è in queste Accademie, dov« i Soci, asse- condando ognuno le inspirazioni del proprio genio meglio assomigliarsi potrebbero ad industriose pecchie, che non già sopra un solo genere di' erbette soffermansi: ma sopra diverse fiorite campagne esercitandosi, tut- ti depredano i vario-pinti prati, libando i rugiadosi succhi; onde poi fort» ■ mare quel dolce miele che sparge d' ogni intorno soave fragranza: n Floriferiferis ut apes in saltibus omnia Ubanf." 34 Che quanto io affermo.^ egregi signori, ritrovisi al vero conforme, non fa di mestieri, che io per dimostrarlo mi rivolga al di fuori; le prove incon- trastabili, luminose, il nostro Ateneo le presenta in questo giorno solenne, nel quale alla presenza di quel cospicuo personaggio, a cui stanno affidate del Governo le cure, dinanzi a tanti ragguardevoli Magistrati, ornamento della spada, ugualmente che della toga, in mezzo a questa eletta corona di dotti accademici, di uditori tutti coltissimi, fa mostra delle scientifiche, e let- terarie dovizie accumulate nel giro dell' ultimo spirato anno Accademico. E per verità noi vedremo la Storia Universale, e l'Archeologia, e la Bio- grafia, e le patrie Memorie, la classica e l'italiana Letteratura, la Filolo- gia, la Estetica, le Belle Arti, ed insieme pur anche la severa Giurispru- denza e la pubblica Economia tra gli armoniosi canti dell'apollineo coro, tutte alla loro volta in questa o in quella parte illustrate accrescere il te- soro delle umane cognizioni. Vero è bensì, che le angustie d'un brevissimo tempo a me non per- mettono se non che delineare in iscorcio un imperfetto abbozzo ; ma se da un canto ciò mi rincresce , perchè nella dovuta luce comparire non lascia lavori degni di maggior lode : dall'altro mi viene ollremodo a grado, perchè in tal guisa meno abusare potrò di quella vostra gentile indulgenza neir ascoltarmi, la quale, colpa del dicitore, al presente fla piucchè mai necessaria , e che io perciò dall' animo umano e benevolo di ciascuno di voi, uditori coltissimi, spero mi venga benignamente concessa. E qui per incominciare da un argomento gravissimo, prenderemo le mosse dalla Storia ; la quale jierchè tra gli altri suoi nobilissimi offizj ri- corda le vetuste origini delle nazioni, fu giustamente da Tullio chiamata testis tempornnij nuncia vetustatis. Avendo appunto a ciò riguardo il Socio Ordinario sig. Quadri venne giustamente encomiato per le sue Ricerche sulla origine degli antichi Franchi. Il tanto famoso Leibnitz egli pure vi avea rivolti i suoi studj , e piucchè altri erasi avvicinato al vero ; ma di poi ad imjjugnarlo insorse il Tournemine, insorsero altri eruditi de' quali alcuni persino spacciarono i sogni della propria immaginazione. Il nostro Accademico al vaglio della Critica , cribra ad una ad una le diverse opi- nioni , pesa il valore de' diversi argomenti , e finalmente decide , che fos- sero stati Danesi i primitivi Franchi. Fissala questa origine , ce ne addita le trasmigrazioni, le conquiste, ci descrive l'impero di Carlo Magno, p oscia quello degli Ottoni : fino a che giungendo persino a' giorni nostri 35 indaga le cagioni per le quali dopo una durata di tanti secoli cadere videsi la mole di quel gran corpo politico; e dimostra finalmente in qunl modo alla dignità d' Impero succedesse l'Aquila Austriaca, la quale oggidì spiega il glorioso suo volo.^ e fa risorgere a nuova vita tante provincie degli stessi primitivi Franchi, già cadute in preda agli orrori della feudale anarchia. Comecliè la Storia, allora quando ci narra le origini, gl'incrementi e le sanguinose catastrofi de'popoli e de regnanti, ora vincitori ed or Tinti, secondo che ne' suoi decreti ha fermate le sorti il dito dell Eterno, più vivamente sorprenda, e per cosi dire, l'animo incateni; nondimeno essa merita di essere del pari ascoltate eziandio, quando le pacifiche origini, e gl'innocui progressi ci espone delle scienze e delle arti, i tentativi, ed i sudori di quegli antichi sapienti, i quali contribuirono a fondare il mae- stoso edificio dell' umano sapere. Egli è per questo , che in gran pregio noi terremo l'Accademico nostro sig. dottor Kohen , che ragionamento erudito ci tenne intorno alle Scuole Filosofiche dell'antica Grecia. Se non che di questo lavoro torna superfluo , che per noi qui si favelli , avendolo già reso la stampa di pubblico diritto, Fia meglio pertanto rivolger lo sguardo a quella tra le Scienze che alla Storia somministra amico soccorso, quale si è l'Archeologia. In questa l'Italia, siccome in pressoché tutte le altre umane cognizioni, precedette gli altri popoli della colta Europa , e ne fu ad essi maestra fino da che il famoso Ciriaco nel XV secolo apri questo malagevoi arringo. Il perchè meritano d' es»ere grandemente commendati parecchi de'nostri valorosi Accademici, che vi applicarono in tempo diversi i loro studj , siccome nell' anno de- corso fece il Socio Ordinario professore Driuzzo , che ad illustrare si accinse un Greco Monumento Sepolcrale. Secondo l'Epigrafe intagliata so- pra il sarcofago , e dall'Accademico nostro eruditamente spiegata , ci si rappresenta una donna assisa , che in sull'estremo instante di vita porge orecchio a' mesti accenti del tenero consorte , che ritto in piede vi com- parisce : « Di lagrime atteggiato^ e di dolore. " Messe più ampia assai, e per noi Veneziani tanto più interessante raccolse in questo genere di studii il Socio Ordinario sig. Emmanuele Cicogna, il quale non una, ma tutte e quante le Veneziane Iscrizioni si diede ad illustrare. Egli nell' anno decorso e' intrattenne con una sua Memoria 56 intorno al celebre Medico ed Oratore Valerio Superchi , del quale Icg- geasi r inscrizione nella chiesa de' Servi , già in aureo stile dal Cardinal Bembo dettata. Ma a che vo' io qui dinanzi a voi, uditori umanissimi, de- rivando scarso rivoletto da copiosissimo fiume? ora ch'é dato di attingervi direttamente , mercè la slampa che a tutti già le diffonde dentro e fuori dell' Italia. L'Archeologia il più delle volte sopra inanimati monumenti passeg- gia , e sparge luce sopra muti ed oscuri avanzi di trapassate grandezze ; laddove la Biografia ci fa conoscere vivi e spiranti gli uomini stessi: e vivo appunto e spirante tuttavia ci parve di scorgere il defunto Cristoforo d'agostini già Consigliere Aulico^ nell'eloquente elogio, che a noi lesse l'Accademico nostro sig. Conslglier Bottari. Egli fece giustamente risplen- dere i meriti di quell' insigne personaggio a un tempo stesso valente giure- consulto, fedel ministro, integerrimo giudice, di Feltre sua patria sostegno, della civil società modello ed ornamento. Sotto altra forma semplice e schietta, ma allo scopo medesimo di ono- rare una classe di benemeriti concittadini mirò il Socio Corrispondente sig. Abate Dezan, il quale da gran pezza va disotterrando importanti notizie per la compilazione di un Dizionario degli Uomini illustri del Clero Ve- neziano. A questo ormai diede ottimo principio con diverse vite già da lui lette in diverse delle nostre accademiche adunanze. Dalla concatena- zione di esse, e dall'ultima eziandio, colla quale rese chiara nell'anno testé decorso la memoria del Parroco di S. Felice Benedetto Zappella.^ ad evi- denza si viene a dedurre, che il Veneto Clero senza tralignare giammai, in ogni tempo corrispose all' illustre sua origine dalla città di Aquileja; e che a torto proverbiato oggidì da' parecchi scrittori , e tra gli altri da uno storico di trofìpo grande rinomanza in sulle rive della Senna, si meritò in ogni tempo per la sua dottrina gli encomi co' quali già venne onorato nella primitiva sua culla dai Girolami, e dagli Ambrogi. Noi intanto dovremo saper grado all' Accademico nostro per averci aperta questa si ricca mi- niera , donde ricavare si può grandissima utilità , che ad ogni altro ramo si estende di Storia Veneziana civile, e letteraria. Ma il luogo stabile per far conserva delle patrie memorie, e per col- locarvi insieme riunito il meglio delle umane cognizioni offri al socio Bibliotecario dell'Ateneo sig. Consigliere dottor Rossi soggetto ad una Me- moria, appunto intorno alla Biblioteca conveniente ad un Ateneo. 37 In questa egli ci porge non solo le più saggie avvertenze per la forma- zione d' una Biblioteca in generale , ma ben anche le più acconcie per quella in particolare del nostro Ateneo, ed insieme c'inculca 1' utilità eli mandare ad effetto un tale divisaraento, dopo il guasto di 5o, e più Biblio- teche, che ne' tempi andati stavano aperte nella nostra città; e dappoichi^ é passata ormai la stagione di quegli opulenti magnanimi Luculli, che non solo le ampie loro Biblioteche spalancavano alla instruzione degli studiosi., ma ben anche a ristoro degli affaticati spiriti lauto convito imbandire so- levano a' loro leggitori. Questa Biblioteca, di già nata nel nostro Ateneo.^ ritrovasi tuttavia nella sua infanzia. INoi però animali dal fervore dell' Ac- cademico nostro, non cesseremo di procurarle accrescimento e decoro. Né dobbiamo già rimanerci di fare, se ne scorgiamo ancora cotanto tenui i principii, rammentandoci, che i nostri maggiori trasformarono un tempo » Deserti lidi e povere isoìctle " in questa magnifica metropoli, che posta al paragone con Roma, fece per meraviglia decidere la quistione : » Ulani homines dices^ liane posuissc Deos. " La classica Letteratura Latina, retaggio lasciatoci da que' gloriosi che dopo avere conquistato tanta parte del mondo coli' armi, lo incivilirono poi colle arti, colle scienze, e colle leggi, non poteva esser fra noi posta in non cale: e difatti il Socio Ordinario sig. Battaggia vi si dedicò, richia- mando quasi a nuova vita i libri di Valerio Massimo. Pochi autori n'an- darono più di questo soggetti cotanto a due estremi opposti , o di lode smodala, o di più villana censura. Insorse il nostro Accademico, ed insorse focosamente ad impugnarne i detrattori con armi poderose di critica, e di erudizione, e nel decorso anno vi aggiunse un Prodromo a fine di migliorare il proprio lavoro. INoi la mercè delle di lui dotte dimostrazioni, rimanemmo pienamente convinti i.° che i nove libri di Valerio Massimo non sono un guazzabuglio di falti qua e là raccozzati , ma sibbene una connessione di esempi ragionatamente ordinati per dimostrare tutte quelle virtù , dalla Religione cominciando, le quali costituiscono la base d'ogni sociale edifizio. 3.° Ch'essi racchiudono un tesoro di antica erudizione che altrove aver G 38 non potrebbesi: poiché Valerio Massimo spigolò da migliaia di opere, che andarono poscia miseramente perdute. Figlia della Latina si é la Italiana Letteratm-a- matre pulchra^filia puì- chrior: né Io studio dell'una andar deve giammai disgiunto da qnello dall' altra: per lo che è da commendarsi altamente il Membro del Consi- glio Accademico sig. Gamba per averci architettato un nuoro Gazqfilacio, com'egli lo chiama, sotto il qual nome egli intende una raccolta di vecchi scritti dell'aureo secolo. Di ciascuno intanto ce ne dà previa contezza, e per ciascuno va divisando la più conveniente collocazione, avendo riguardo non che al tempo, all'argomento in essi trattato. Già peritissimo l'Accademico nostro in questa sorte di lavori, ei si rende sempre più benemerita della Italiana Letteratura , anche per la tersa lingua ond' egli dettò questa, ed altre consimili produzioni del suo ingegno ; per cui può dirsi, che nell' ad- ditare gli esempi de' classici, egli spesso vi somministra i propri. Per altra via benemerito si rese dell'Italiana Letteratura il Socio Or- dinario sig. professore Tipaldo, il quale nella circostanza che intraprender doveasi una recente edizione di tutte le opere del tanto celebre Ugo Fo- scolo, ha voluto rendere più cauti ed avveduti i giovani intomo al caraU tere morale del Poeta ^ ed all'indole altresì del di lui poetico talento. Egli mostra che Ugo Foscolo per esser vissuto al tempo di grandi sconvolgimenti politici e morali, si lasciò alcune volte trascinare da falsi e pericolosi prin- cipi , comechè per altro dia sempre a divedere^òrte V ingegno^, ardente il cuore. Cadde talvolta nel manierato, talvolta cadde nell'oscuro, e nel- l'aspro ; comechè tuttavia faccia più spesso brillare nelle sue opere molte idee feconde j molti nobili sentimenti. Le prove dì quanto afferma 1' Acca- demico nostro con copia di erudizione e con finezza di gusto le ricava da un' accurata analisi de'poetici componimenti contenuti nel primo Volume, tra i quali il Carme de' Sepolcri colloca il nome del Foscolo assai da vi- cino a qneclassici medesimi, de' quali soleva ne'suoi versi trapiantare i dori più scelti. Ma questi fiori medesimi graditi e fragranti sul materno stelo coglier non si potrebbero senza passare in pria fra mezzo a' bronchi ed alle spine della Filologica Scienza. Né già lasciossi punto da queste atterrire il Socio Corrispondente sig. dottor Levi, il quale professando una scienza di tanto rilievo , di quanto è pure la Medicina, ben conosce . che né questa né al- cun' altra proceder può nel suo cammino con pie franco e sicuro senaa «9 r aiuto di quella, che ad esse fornisca i modi di favellare più acconci. Per questo motivo sincera approvazione si merita la di lui laboriosa intrapresa, della quale ci offrì l'abbozzo in una sua ^lemoria intitolata : Indirizzo pel ragionato uso del linguaggio medico in ispecialità italiano. Kè già l'Acca- demico nostro si propone con questo lavoro di voler dettar precetti a que' figli d' Ippocrate, ne' quali la solidità della scienza viene abbellita da ogni più squisita coltura, ma sebbene egli intende di correggere la turba di certi pettoruti barbassori, i quali nell' antica zimarra avvolgendosi, ed ostentando dottrina nelle nugole delle a^srottate lor fronti, zufolano al- r orecchio allroi incondite voci , e per isbalordire il volgo borbottano intelligibili romoreggianti parole : Projicit ampullaSj et sesquipedalia verbo. Se non che dell' arido e selvatico suolo della Filologia è tempo ormai che c'innalziamo alle più sublimi speculazioni della moderna Estetica, e fra le nuove teoriche consideriamo quella del Romanticismo, il quale dai snoi fautori, nel senso suo più ampio ch'essi 1 intendono, si decanta sic- come destinato ad essere t ultima ragione filosofica letteraria della specie umana. (V. Poligrafo di Verona, Agosto i8o3. ) Ma ben d' altro avviso fu il Membro del nostro Consiglio Accademico sig. Casarini, il quale con iscelta copia di erudizione, e forza d'ingegno si diede a ricercare: Se^ e come il Romanticismo formi un genere nuovo alla moderna Letteratura. A fine di procedere con ordine in tale disamina appigliossi da prima al Me- todo Sintetico, ossia diedesi ad esaminare la definizione de' due generi le teoriche e le leggi del nuovo ; ma queste prime indagini non riuscirono punto a procacciargU idee chiare e distinte sulla vera essenza del Roman- ticismo. Pertanto si appigliò aìV analisi, e coli' aiuto di questa scopri le prime origini del Romanticismo nelle opere de'Gongora, de'Lopez di Vega, di Shakespeare, del Marini, rinnovate a' giorni nostri da Chateaubriand, da Madama di Staèl, e dallo Schlegel. Provò quindi che il Romanticismo quanto alla sostanza nell' ammettere esclusivamente argomenti ricavati dal medio evo, non può dirsi creazione d'un genere nuovo, siccome nep- pure quanto alla forma ; si perchè , non è che la ripetizione di opere antiche condannate già dal buon gusto, sì perchè la mancanza d' ogni re- gola , e d' ogni legge non può stabilire se non che un carattere negativo . 4o quando all'incontro le regole da'classici, osservate sulla base della triplice unità, tanto ò lunge che inceppino il genio, che anzi sono fonti e cagioni (li squisite ed originali bellezze. Una cosiffatta celebre controversia, che oggidì in due divide 11 mondo letterario, cioè ne' difensori della scuola classica, e ne' seguaci della roman- tica , invitò ad entrare nella lizza il Socio Corrispondente sig. Carrer, ma vi entrò per isciogliere il nodo Gordiano colla spada del Macedone, poiché egli assunse di provare non esservi essenzialmente nò classicismo, ne ro- manticismo, siccome due generi diversi e separati. Per dimostrarlo l'Acca- demico nostro intraprese un esperimento^ com' egli lo chiama , di critica comparativa sopra un passo di Omero j Dante j e Shakespeare ; ed a tal oggetto trascelse tre nobilissimi episodj , Ettore ed Andromaca j Paolo e Francesca da Riminij Romeo e Giulietta. Notate da j^rima alcune super- ficiali differenze solo prodotte dalla diversità de' tempi, egli vi discopre col più fino acume d' ingegno persino a sette punti di contatto, ne' quali tutti e tre i poeti s' incontrano insieme siffattamente , che da ciascun di essi non se ne dedurrebbero, se non che le medesime regole fondamentali. Se dun- que i corifei delie due scuole fra loro vanno d'accordo, il fatto ad evidenza comjorova non esservi essenzialmente né classicismo , né romanticismo. Certo è, che in si gran litigio il voto dell'Accademico nostro è d' un gran peso a far clie in pendente non rimanga la questione. Perciocché chi megho d' un ispirato d' Apollo , quale si è il sig. Carrer , può decidere de" componimenti d'una creatrice fantasia, e segnare le vie, che agile per- corre sulle ali dell'estro animoso? Il determinare quale sia la giusta teoria della poesia, egli è lo stesso che lo stabilir in generale quella di tutte le belle arti , e segnatamente della pittura : giacché se é vero, che ut pictura poesis., dev' essere vero del pari i:he ut poesis pictura. Una cosiffatta verità chiaramente si rende manife- sta in una INIemoria nella quale il Socio Ordinario sig. Neumajr prese per soggetto il pittore ritrattista. Nome caro alle belle arti è quello del sig, Keumayr , e tale eziandio si dà a divedere in questo suo più recente lavoro, dove sparge gran lume sulla origine e su progressi dell'arte di far ritraili; e quindi dalla Esletica attinge le più giuste nozioni per definire, in clie consista il vero pregio d' un eccellente ritrattista , le avvalora additando le opere di alcuni recenti pittori ritrattisti, e dona poi alla sua dimostrazione 1' evidenza maggiore , facendoci considerare i ritratti usciti 4' dal pennello del divin Tiziano , e chiamandoci prccipuamenle a fermare lo sguardo su quello di Carlo V Imperatore, per cui il piìi grande e glo- rioso Monarca dell' Austriaca Augusta Dinastia dal maggior de' pittori della Scuola Veneziana fu vivo e spirante a' posteri tramandato. Nò solamente la teorica delle Belle Arti, ma opere eziandio vennero tra noi felicemente eseguite; perciocché alcuni de' nostri Accademici da nobile entusiasmo accesi ci hanno dipinti gli animati quadri (i) della vita umana con parole dalla incantatrice armonia ravvivate. Difatlo, talun di essi calzò gravemente il Sofocleo coturno, e chi sparse i frizzanti sali di Aristofane, e chi colle melodie del dramma musicale ridestò Metastasiane scintille: questi la tenera e graziosa lira deivate diTejo, quegli la sublime ed austera cetera modulò del Tebano cantore: ed altri finalmente verso più alla regione e tutta celeste poggiando; al suono dell'arpa davidica le menti in estatica meraviglia rapi a contemplare il desiderato da tutte le genti, dianzi a' di cui passi sospendevano lor soffio le aure ossequiose, di- schiudea le onde sue limpide e pure 1' attonito Giordano, ed inchinavansi i sublimi cedri del Libano quasi ad offerirgli l'omaggio de' secoli, che sla- vano assisi sulle vetuste lor cime (2). Se non che pretermettendo i poetici fasti de' quali al presente non tocca parlare , dobbiamo bensì far cenno di due Sermoni del consigliere Albertini. Con essi egli richiamò la poesia ad uno de' suoi primitivi ufficj , quello cioè di emendare i costumi, se non come a' prischi secoli salvali- chi e ferini , oggidì corrotti spesse volte ed infinti in mezzo a' vizii d' una tropjio raffinata società. De' suoi due Sermoni il primo sparso di Oraziano sapore avea per argomento V^ arte di far fortuna ^ il secondo sferzava aU cune femminili pretensioni ^ non già sfogandosi colle invettive del bilioso Giuvenale; ma si meglio colla pariniana ironia , comprovando la efficacia di quel verissimo detto: Ridenlem dicere i'erum Qiiod vetat ?. . . (1) Si allude alla Serie de' componimenti, poetici recitati da alcuni degli Accademicii prima dell'anno iS32. (2) Si allude ad un poema religioso d' un eminentissimo personaggio.. 4» Gli anliclii insegnarono, che le muse presiedessero non solo a' carmi figli di feconda immaginazione, e di ardenti affetù; ma ben anche a quelle scienze , che più direttamente influiscono nella civil società , e le azioni dirigono dell'uomo, e del cittadino. Non fia dunque meraviglia, se nella classe per le lettere contengasi questo più grave genere di studi al quale applicarono alcuni de' nostri Accademici le onorate lor veglie. Frutto di queste il Socio Corrispondente dottor Calucci scrisse le sue Osservazioni intorììo al Sistema Giuridico dello Zeiler. Mosso l' Accademico dalla com- mendevol persuasione , che la legge dell' uomo anziché ferma e spietata esser debba filantropica e sociale , si diede egli ad intraprendere un tale scabroso lavoro, dove in mezzo a molta dottrina fa spiccare continuamente un ben ordito filo di raziocinj. Kon è però qui il temjio da tenervi dietro, chiamati da un altro argo- mento, che in pratica riesce all'universale della maggiore importanza ; poiché s' aggira intorno alla necessità della Trascrizione ipotecaria per sicurezza degli acquisti de' beni immobili. Il Socio Ordinario sig. dottor Avesani per iscioghere una cosi intralciata quistione pianta tre proposi- zioni , alla luce delle quali ogni dubbiezza incontanente diradasi , ed ognuno può, senza timore di smarrirsi, seguir la via più sicura per tutelare dalle lese insidie quanto una volta è giunto a possedere. Ned egli tuttavia contento d'aver dilucidata la diffidi questione: innalza a' piedi del trono alcuni suoi originali pensamenti , ne' quali traluce la profonda cognizione delle diverse legislazioni posseduta dal nostro Accademico, ornamento ad iin tempo stesso del Veneto Foro, e del Veneto Ateneo. A tutelare gl'interessi della intera umana società, che risguardata da un più alto punto di vista dee considerarsi siccome una sola e grande fami- glia , applicossi il Socio Ordinario sig. Beltrame con una sua Memoria intorno allo stato della pubblica Beneficenza a nostri giorni. Comecliè r argomento sia uno di quelli, de' quali può ripetersi : Or nari res ipsa negat.^ contenta doceri _, ciò nondimeno l' Accademico nostro colla leggiadria dello stile seppe inge- gnosamente abbellirlo nell' atto medesimo, che per le assennate riflessioni, e pe' suggeriti miglioramenti ben dava a conoscere , quanto egli vegga in- nanzi in tutte le teoriche, le quali formano la scienza della pubbhca 43 Economia. Egli senza lasciarsi abbagliare dalle brillanti chimere degli utopi- sti ci fa toccare con mano la migliorata condizione degrinstituli di pubblica beneficenza, compartisce i ben dovuti encomj all' immortale Giuseppe II. per la Casa di Maternità da lui fondata in Vienna, e fa risaltare singolar- mente pegli Ospizj de' sordi-muti j e de' ciechi-nati i lumi superiori de'tem- pi nostri, onde avvenne , che poterono ridonarsi alla civil società tanti individui, contro cui la natura erasi dimostrata crudelmente matrigna. Le Belle Lettere, le quali si prestano tra noi ad ogni ramo di gentil cultura, e che a un tempo stesso contribuiscono a perorare la causa della afflitta umanità, compiono certamente uno de' loro più nobili uffizi, e rendono insieme un segnalato servigio, che ben si accorda colle provvide cure di chi ci governa. Questo si è l'omaggio precipuamente accetto a S. A. I. il Serenissimo Arciduca Vice -Re, a lui, il quale circondato dalla splendida comitiva di tutte le virtù, appresso di noi rappresenta quell'Au- gusto Monarca, che appunto spargendo dovunque paterne beneficenze, ormai serba eretto nel cuore degli amati suoi sudditi un indelebile mo- numento : quod nec lovis ira, nec ignes Nec poterti Jerrunij nec edax abolere yetustas. ADUNANZA PUBBLICA TENUTA NEL QUINTO GIORNO DI LUGLIO DELL' ANNO MDCOCXXXV DEGLI STUDII FATTI DAGLI IDRAULICI NAZIONALI E FORESTIERI SULLE LAGUNE IN VARII TE!\II'I PROLUSIONE DEL CONTE LEONARDO MANIN PRESIDENTE DELL'ATENEO 1^0 divisalo costume, eccelso sig. Conte Governatore, cospicui Magi- strati, valorosi Accademici, uditori gentilissimi che mi fate corona, lo di- visato costume di tenere una pubblica seduta fra l'anno Accademico, per esibire un quadro degli studii, e delle instancabili fatiche di questi dotti Accademici il dovere m'impone di aprire questa solenne adunanza; dovere il quale assai mi commove e disanima conoscendo quanto poco possa io corrispondere alla solennità del giorno, all'augusta maestà di questo tem- pio sacro alle Muse, ed all'aspettazione di dòtti e scienziati personaggi, the qui mi ascoltano. Mi confortò nell'anno scorso il pensare, che T argo- mento degli sludii dall'antico Governo in ogni forma accarezzati, e favo- riti fosse per riuscire presso voi aggradevole, ed accetto; né la mia speran- za in questa parte delusa rimase, dappoiché vi piacque di sentire dalla mia voce ribattute, e rintuzzate le accuse, e le calunnie dagli stranieri contro la tiepidezza della nazione nostra scagliate , e le lodi che all' orecchio vi suonarono di ciò che i padri nostri un di fecero vi condussero a sosten-ere la debile voce del dicitore. Che se in tal guisa ho favorevolmente allora la indulgenza vostra ottenuto, nella incertezza e dubitazione in cui mi ritrovo in quest' oggi sulla scelta dell' argomento a cui debba appigliarmi per rendere meno disaggradevole ed ingrato il disadorno mio dire, credo, sia per essere da voi tollerato il partito di favellarvi di ciò che più davvi- cino vi appartiene. Io ben m' avveggo, che il soggetto della Veneta laguna occupò non pochi distinti letterati, i quali, o sulla necessità di conservarla 48 per nianlencre la salubrità dell'aria in Venezia, o sulla Veneta legisla- zione diretta al di lei mantenimento, o sulla convenienza ed inconvenienza d' introdurvi le acque dolci de' fiumi versarono. Egli è quindi che forse la qualità del soggetto su cui pensai trattenervi sia per isfavorevolmente pre- venire la vostra indulgenza, chiamata qui ad udire cose né nuove, né in- teressanti. Tranquillatevi pure : lo scopo prefìssomi non è già né di pro- varvi quanto fece il Veneto Governo per la nostra laguna, né di esibirvi rimedii per conservarla , né ad impugnare opinioni di persone intelligen- tissime e rispettabili. Col primo divisamento mi procaccerei il rimprovero di portar vasi in Santo: il secondo, ed il terzo mi susciterebbe il ridicolo, che io non sono né il meccanico calcolatore, né il fisico profondo, uè V i- draulico sublime. La mia determinazione odierna è limitata a presentarvi sopra assai circoscritto quadro, per non oltrepassare il breve spazio di tempo accordatomi, né abusare di vostra benevolenza, gli studii dedicali ne' secoli addietro dagli scienziati uomini alla migliore conservazione delia nostra laguna, ancorché né tutti accolti, né tutti uniformi, o sceveri da contrarietà di opinione, e da sentimenti di ambiziosa riprovevole satira sostenuti, contradetti, e talvolta non calcolati. Si tratta di argomento impor- tantissimo, e potrei valutarmi assai felice, se i brevi cenni posti solt' occhio dai rispettabilissimi e scienziati socii di questo nostro Ateneo ( non pochi dei quali consacrati alle facoltà fisiche, meccaniche ed idrauliche, le quali da mezzo secolo con sorpresa progredirono tanto rapidamente) arrivassero ad interessarli per sentimento di carità verso la loro patria. Viviamo sotto munifico Governo nato fatto per iucoraggirvi , per suggerire , per espor- re, e per meditare utili, e maturati miglioramenti. Esperimentammo da oltre cinque lustri le provvidenze sovrane tutte a vantaggio di questa città veramente singolare, profuse, navigazione da poderosa flottiglia proletta, porto di desiderata franchigia graziato , monumenti archeolo-. gici, codici, manoscritti preziosi, oggetti di arti belle da' nostri maestri rivendicati, e restituiti. Anima beata di Francesco I Imperatore d' Austria, e Re nostro Augusto, Sovrano clementissimo. Protettore munifico. Padre benefico, deh! permetti che in questo luogo sacro alle scienze, ed alle let- tere si versi alla preziosa tua memoria qualche lagrima d'ingenuo vassal- laggio , di rispettoso ossequio , di sincera filiale riconoscenza ! Proteggi dalle eterne sedi di gloria celestiale la tua Venezia siccome leneramenle il promettesti; e se fu solo effetto della tua singolare clemenza il ricordarti 49 sino agli ultimi istanti della preziosa tua vita dei tuoi sudditi fedeli, calco- landoci noi tali, ci faremo religioso scrupolo di conservare il nostro fedele inalterabile e sacro dovere verso 1' adorabile Augusto suo figliuolo Ferdi- nando, in cui a tua gloria, e nostro conforto, ritroviamo te stesso. Argomento di conoscerlo ormai si ebbe da questa popolazione nella sua provvidenza Sovrana, perchè sia ridotto sicuro, innocuo, e pronto l' ingresso de' navi- gli nel porlo di Malamocco. Fosse piaciuto a Dio, che potessimo venerarlo qui presente per rendergli un filiale omaggio de' rispettosi e grati nostri senlimenli, e nella mente, e nell'animo imprimergli i nostri bisogni, e la devozione nostra ! Ma se dalle cure de' vasti suoi stati ci è tenuto discosto: evvi qui fra noi 1' Augusto Principe, che come una emanazione della Sovrana Autorità ci regge, e governa. Sonvi questi eccelsi Magistrati, che alle necessità nostre con tanto impegno provvedendo si compiaceranno senza dubbio nell' udire gli studii de" più profondi, ed accreditati Ingegni collocali per ottenere la preservazione e la prosperità della nostra laguna, trovando che di molti suggerimenti divennero eglino medesimi esecutori. Della gentilezza vostra, uditori umanissimi, dubitare io non posso, sicco- me quella che altrevolte ho ver me indulgente jirovata, e son ben certo, che con r aura del favor vostro sorreggere ed animare vorrete il dicitore inesperto. Venezia formata dall'unione di jiicciole isolette, dalle acque tutta intorno cinta, e rinchiusa, esposta Irovavasi agli urti continui di un mare irato e burrascoso, il quale ogni sponda superando e coprendo di som- mergere ogni lido minacciava. Dal lato opposto i fiumi gonfi e superbi, di acque aliene ripieni, straripando i piili fertili, e grassi terreni coprivano, e le loro torbide piene nelle lagune isfogavano. Le arene del mare sconvolto spe- cialmente dalie bufère di greco-levante nelle acque nostre introdotte il fondo- no scemavano, e la navigazione impedivano. Di ciò li cittadini si avvidero, e quindi gli studii loro rivolsero a suggerire la minorazione dell' ingresso alle sconvolte arene, e ad impedire lo sbocco a' fiumi nelle lagune. Il pericolo continuo di vederle sommerse aguzzò lo ingegno dei dotti di questa popolazione (che certo non devesi credere, siccome alcuni imma-- ginano, goffa, e misera, essendosi dalle più ricche, ed illustri famiglie del- l'antica Venezia qui rifugiata) i quali per ottenere il primo scopo consi- gliaroivo da principio di opporvi forti resistenze di palizzate a varii ordini. So ijianlale, e con sabbia e ciottoli stipate e cliiuse. Per tredici secoli di continua lotta dei dotti con la natura non si stancarono di esporre la uecessità di riparare e rinnovare queste labili difese di pali, di sabbie, di ciottoli, e di terra ammassata. Ma avvertendo all'impossibilità di vincere la forza del mare con mezzi, la rinnovazione e riattamento dei quali su- perava senza comprovata stabile riuscita le forze economiclie del Governo, e per quanto si ripetessero, la insuperabile furia del mare ogni difesa atter- rava e toglieva , alle fisiche calcolatrici scienze spettava proporre 1' unico rimedio a tanto male. Surse fra i varii dopo tanti secoli l'immortale Zen- driui, clie trovando applaudita dagli altri dotti la sua proposizione non si rifiutò di presentarla alla perspicacia governativa. Questa infatti acco- gliendola decretò di apporre al mare argini tali, che siccome in faccia al veneto leone caddero ne' secoli passati le forze de' congiurati nemici, si infrangesse contro di questi la potenza di quel terribile elemento. Furono nell'anno i 744 le prime pietre gettate a quelle dighe marmoree, che tanto inducono maraviglia a risguardarle , e chiamano da' piiì. lontani paesi ad ammirarle con istupore gli stranieri. Queste dighe, dal lato che guardano la laguna, si alzano quasi in linea verticale ed a scarjia a foggia di bastioni di qualche fortezza ; dal lato del mare poi si dividono in piiì piani incli- nati, che ad ogni strato sempre più spingendosi nel fondo, del mare, spez- zano fin dalla pianta con piccola resistenza le onde che si accavallano, e nell'atto in cui quanto più si alzano, gli strali tanto meno s'introducono neir acqua , indeboliscono la forza delle onde di mano in mano che con l'alzarsi si ritirano , e cosi alle onde già rotte , ed indebolite dagli strati marmorei sottoposti, presentano superiormente la piìi forte resistenza. Se sorprendente spettacolo a mare irato tale provida resistenza marmorea diventa; gradita riesce, qualora il forestiero sorpreso vi passeggia tran- quillo, e rallento esploratore di lungo caunochiale armatosi l'occhio com- piace distinguere, ed assicurarsi che a gonfie vele tranquillamente si appressa il naviglio dell'incerto mercatante, il quale aspetta irrequieto ed ansioso la fausta notizia che la propria sua nave carica di straniere ricchezze a salvamento in porlo si riconduca. Questa opera sublime fu dalla Repub- blica formata dall'anno 1744 al 1782, essendovene le prove documentali per ordine cronologico riportale, sugli stessi marmi scolpite a testimonio della propria età. Dal calcolo fallo sul valore dei murazzi di Pelestrina e di Cliioggia risulta, che essi importarono dicci milioni di austriache lire, 5i per la lunghezza di quasi ire miglia; ed è iiifalti mirabile come presso gli ultimi anni della politica sua esistenza questa Repubblica, spoglia di Corze e di ricchezza, tanto tesoro impiegasse in un'opera che eguaglia e ricorda la magnificenza delle antiche opere romane, disposta dopo breve riposo di riprenderne il lavoro, e tutto compierlo di eguale forma, e di eguale fermezza. Buon per noi, e per questa nostra città, che divenute queste lagune soggette al paterno governo dell' Augusto nostro Sovrano Impera- tore e Re, pressoché a due milioni di austriache lire generosamente si dispendiarono in nuove dighe senza computare il riattamento fatto ai mu- razzi della Repubblica , che dalle feroci burrasche dell' Adriatico furono in alcuni luoghi smossi e indeboliti, così che il furore della tempesta fino negli interni canali della Venezia pervenne, e produsse gravissimi danni. Queste difese però se furono utili a ritenere ed arrestare la violenza di un mare agitato e sconvolto , non furono sufficienti ad impedire che il livello delle acque nell'estuario si alzasse. Le torbide de' rapidissimi fiumi, che in prossimità della laguna foce mettevano, il fondo accrescere facevano, e la navigazione impedivano, o almeno difficoltavano. In tutte le età, in tutti i tempi da che Venezia fu fondata, e subito ad un libero governo co- stituita, ogni mezzo si pose in opera per allontanare il pericoloso ingresso de' fiumi circonvicini. Quante guerre sanguinose ed accanite non si so- stennero dai Veneziani contro i conterminanti popoli , i quali tentavano di dirigere la corrente dei loro fiumi verso le interne nostre lagune ? Nelle Viniziane Istorie si legge che fino dal decimo secolo i Padovani mi- sero mano ad alterare il corso del Brenta , alle di cui operazioni resistet- tero i nostri, ed impedirono che alcuna novità vi s' Introducesse. Scrivono infatti alcuni che il Medoaco maggiore e minore la loro foce ponessero presso II porto di Malamocco, ragione per cui qualche etimologista che vuole ad ogni modo cavare la derivazione e la genesi delle voci , pretese che il nome di Malamocco appunto da Medoaco derivasse. Comunque però è certo, che li Veneziani , temendo che II fondo delle lagune ogni giorno più si rialzasse, più. volte si rivolsero alle dotte consultazioni dei più celebri Idraulici, i quali con la Ingenuità propria del vero dotto espo- sero in apposite ragionate scritture, che tuttor si conservano, la loro opi- nione, e più volte furono persuasi di decretare che si allontanassero le torbide. Colsero quindi il provldo suggerimento di aprire al Brenta nuova foce in Brondolo che al mare direttamente lo conducesse. LeggesI ne' libri 52 dell'Archivio già della Secreta essersi presa parte nell'anno 1229 che siano Consiglieri mandati per riparare a quel danno che le escrescenze esorbi- tanti de' fiumi portavano, e nel secolo susseguente accrebbero in questa materia le applicazioni e gli studii, e furonvi più frequenti le operazioni, in quanto che gli acquisti de' privati nella limitrofa terraferma aumenta- vunsi, e quindi il pubblico e privato interesse faceva che profondi studii sopra argomento tanto interessante s'instituissero. Fu allora che il partito si prese, che al Brenta dovesse essere quella via interclusa , come parerà al Doge, per lo che un Capitano fu eletto, che accudire dovesse alla for- mazione degli argini, che intercludevano la via alle acque del continente, argini che in allora dai privati erigevansi. Oltre a ciò vediamo , che nel 1820 una generale escavazione ordinata venne tanto negl' interni canali che a Rialto conducono, quanto nelle acque del canal Orfano, affinchè la corrente più pronta e veloce scorresse verso il porto di San Nicolò del Lido. Non avvi secolo nel quale non si facessero osservazioni, ed esami su questo argomento, e quelle menti sublimi che reggendo allora la Repubblica la seppero portare al lustro maggiore, a cui giammai ella sia giunta o per potenza , o per gloria , quelle stesse accogliendo tutti coloro che nelle scienze esatte si distinguevano in ogni classe, non lasciarono pure di acco- gliere quanti si prestarono per esibire nuovi lumi alla Sovrana provviden- za , perchè colla sua saggezza discutesse soj^ra basi sicure e scientifiche i ijrogetti più ojjportuni che per la conservazione della laguna con intima persuasione avevano esposti ed oflerti. Alcuni anni appresso il Governo ordinato aveva, che sul margine delle lagune fossero que' boschi rimessi, che dalla cupidigia delle private persone erano stati recisi , e si sgombrassero, e si distruggessero quelle valli, che di troppo le lagune ristringevano, e sempre maggiormente 1' at- terravano. Fu nel i5o5 eletto un Collegio di quindici Senatori perchè versassero a promuovere le operazioni nelle lagune che fossero le più adatte e convenienti, ed a rimuovere li pregiudizii e i danni che vi po- tessero essere promossi, e questo rispettabile consesso, comunque indivi- dualmente ognuno ojiinasse , nulla mai pose ad effetto senza prima con- sultare i dotti Idraulici che francamente, e dalla carità della patria, 0 se stranieri dal sentimento della intima coscienza spinti e condotti i proprii divisameuti col dovuto ossequio sempre esibirono, né si lasciavano senza consultazione le private opinioni : perciocché avendo Andrea Marini 53 medico fisico r.nppresenlalo clic gravissimi danni alla temperatura dell'aria della ciuà da varie operazioni, che nelle lagune di l'are progeltavausi, de- rivareLbero, si ricercò tanloslo il voto di Tommaso Filiologo , il quale obbedendo al pubblico comando espose in contrario la sua opinione nel- l'anno iSyy, assicurando che la città di Venezia dal mare tutto intorno cinta, da quello la salubre sua temperatura riconosce. La stessa epoca pre- senta il maggiore fervore degli studii fatti dagli Idraulici, per conseguenza quella delle più sollecite provvidenze del Governo sulle Veneziane lagune. Già Luigi Cornaro e Marc' Antonio dello stesso cognome pilli trattati det- tarono su questo punto, e chi voleva che si restituissero i fiumi nella lagu- na, e chi eziandio quelli che tuttora rimanevano di cacciare opinava , ed alla escavazione de'rialzi, allo sgombro delle valli, ed al taglio dei canneti rislringevasi. Di questa ultima opinione mostrossi anche il valente idrau- lico Cristoforo Sabadino , già ingegnere del Magistrato alle Acque, il quale un elegante dialogo fra impiegali e proli di quell' uffizio immao-inò, confutando le opinioni del Corner, e la propria validamente sostenendo, cioè che si dovesse tener ferma la pubblica massima di escludere i fiumi tutti dalla laguna , e quelle operazioni solamente in essa verificare si do- vessero, che ad abbassare il fondo tendessero, convenendo egli pure con alcuni nel principio, che nelle lagune accrescasi il pelo della comune nelle acque, non però che un piede si aumenti in ogni secolo. Lo storico Andrea Morosini riferisce , che fra le più gravi cure che nella fine del sesto decimo secolo occupavano gli studii del Governo la materia era dei porti e dell'estuario; e più memorie si produssero, e più tentativi si fecero per migliorare la navigazione nella laguna. Sul prin- cipiare del secolo susseguente si verificò l' importante decreto già più volte deliberato, ma contraddetto e impedito, di escavare quell'alveo, che il prin- cipio riconosce alla Mira, e tutte ridurre a Brondolo le acque del Brenta, non lasciando verso la laguna , che quell' acqua sola che convenisse alla fluviatile sua navigazione; né si tralasciarono perciò le interne escavazioni generali, la distruzione delle barene alla città più vicine, ed il taglio di alcune valli, i di cui possessori aveano delle antiche concessioni abusato. Insorsero allora le opinioni del padre Castelli nelle sue lettere al senator Basadonna , e poco appresso quelle del Borelli , nelle quali sostenere vo- levasi , che i fiumi a rimettere si avessero nelle lagune , affinchè con la loro velocità e gravità a scavarne il letto giungessero. Sembra pure che 8 54 Bernardo Trevisano nel suo Trattato delle lagune di P'enezia si sforzasse di provare che lo sbocco de' fiumi in queste acque fosse per essere utilissimo ad approfondarle; ed infatti cercò di convincere, che tutte le operazioni decretate per iscacciarli non furono loro clie di danno, e che si avreLbero in breve vedute le lagune asciutte lasciar libero e sicuro il passo all' inno- cente viandante , e quel che più monta , e che i nuovi progettisti a nulla calcolano, tolta resterebbe quella naturale fortezza di sito a questa nostra città, esponendola alla violenza ed alla rapacità di qualunque straniero nemico. Al Trevisano succedettero i famigerati matematici, ed idraulici Montanari, Guglielmini, Poleni, e lo Zendrini per ultimo, i quali tutti non mossi da' fini indiretti, o da' privati interessi, ma dalla sola scienza e dalla cognizione della natura delle cose, concordi sostennero nelle loro scritture la importante massima di tenere lontani i fiumi dallo sbocco nelle lagune, e si posero ad esaminare e discutere le Opinioni e gli argomenti di coloro, che pure si sforzavano di ritenere, e conservare nell'interno delle lagune que' varii fiumicelll, che col fatto non v' erano del tutto ban- diti. Dimostravano eglino che invece che i fiumi col loro corso scavassero il fondo molle delle lagune, incontrando la resistenza di urla superficie va- stissima Sulla quale distendersi, avrebbero dovuto superare la opposizione di una marea rientrante, e quindi la loro velocità scemata necessariamente sarebbe, per cui non avrebbero potuto far succedere nelle lagune que' sca- vamenti che dai primi erasi immaginato. Di più anzi provarono che le torbide de' fiumi depositate a poca distanza della loro foce aumentato avrebbero quel fondo che profondare volevano. Né qui ebbero fine gli studii sulla regolazione dei fiumi, che il celebre Lorgna, a cui si attribuisce in gran parte la rigenerazione dell'Adige, offri nuovi progetti anche pel Brenta. Si risvegliarono allora lo zelo, e gli studii di parecchi cittadini fra i quali mi onoro di nominare il giovine Girolamo Ascanio Zustiniani, ed il celebre filosofo nostro Angelo Quirini, ì quali produssero piani, oppugna- rono proposizioni a loro opposte, e sostennero con tutto il calore , e direi quasi con lo prestigio della eloquenza, che le opinioni da' Matematici espo- ste, e da' più accurati Idraulici sostenute, ed avvalorate, non erano quelle che alla rigenerazione delle soggette Provincie accoppiassero pur anche la eicurezza della nostra città e delle lagune che la circondano, e pur troppo riuscì loro fino a di nostri a ritenere sospese, ed ineseguite quelle radicali operazioni che furono suggerite. Buon per noi che nel frattanto vegliano 5S le «lUorità perchè l' ingombro s'impedisca ilei canali più interni della ciltà, che questo pure confluisce al maggiore atlerramento della slessa laguna. JLa risircUezza del tempo non mi permette di trattenermi in partico- lari sminuzzamenti degli stujdii parte tuttora manoscritti, e parie pubbli- cati dei Fracastoro, dei Contarini, dei Zorzi, dei Calcaneis, dei Rompiasii, dei Petronii, dei Marchi, dei Boschetti, dei Valatelli, dei Ximenes, degli Stralici, degli Erizzo, dei Filiasi, e dei Prony, e di tanti altri moderni, o di recente niiuicati, o tuttora viventi. La piena trattazione di tale argo- mento neir atto di esibire una storia scientifica delle operazioni esegui- te e proposte nella Veneziana laguna, meriterebbe un' opera apposita e non breve. Questi furono gli studii clie dai dotti di questa ciltà e delle Venete jirovincie nel giro di tanti secoli a preservazione della nostra laguna si fecero; ma né dissimili, né meno importanti quelli furono che un dotto nostro consocio a quella Sovranità produsse , alla quale abbiamo la bella sorte di prestare la nostra obbedienza, studii, che nulla meno versano sulla redenzione di tre intiere Provincie quasi ad ogni anno scopo, e bersaglio de' più funesti avvenimenti. Senza tali provedimenli che cosa divenute sa- rebbero allora quelle vaghe isolette che giacciono sparse nelle nostre lagune, e le quali come satelliti intorno al maggior de' pianeti fanno alla nostra città magnifico corteggiamento? Al loro aspetto il passaggero attonito, e maravigliato si allegra, e tutto lutto nella mente si commuove, l'ampio spazio di acqua vedendo in varii punti interrotto, i quali 1' occhio affievolito e stanco attraggono, e gli offrono quiete e riposo, e nei giorni nei quali il vento imperversa, ed il mare burrascoso minaccia, ospizio soccorso assicu- rano. Sono pur desse quelle che sole fra le tante maraviglie di questa città risvegliarono la fantasia dell'Autore del Genio del Cristianesimo, ed avreb- bero dovuto eccitare in lui idee più nobili e più sublimi ; siccome saggia- mente scrisse una illustre nostra concittadina, di questa ciltà lume e de- coro, la di cui perdita tuttora con vivissimo dolore rammentiamo. Queste isolette infatti, oltre tante altre delizie e vantaggi nei giorni nei quali la dolce primavera con le fresche erbette, e i vaghi fiori di sé fa bella mostra, ed 11 sole di maggio de' suoi raggi le indora , agli stessi abitanti di questa città nuovi piaceri e dilettevoli sollazzi presentano, sia che a gara fendano co' remi il seno alle acque tranquille, e su leggere barchette vi si aggirino intorno e volteggino, sia che seduti sul verde lor margine , o sui loro 56 tellissimi prati, di fiorellini vivaci dipinti, in sempllei ed allegri tratteni- menti le ore vespertine trapassino. ]VIa non voglio io abusare più oltre della vostra indulgenza, eccelsi Magistrati, rispettabilissimi uditori, né protrarvi il piacere di udire dai benemeriti e valenti secretarli il breve cenno delle scientifiche, e letterarie produzioni de' virtuosi nostri Accademici. DE' LAVORI FATTI DALLA CLASSE PER LE LETTERE NELL'ANNO ACCADEMICO i834-35 V RELAZIONE DELL' ABATE GIOVANNI BELLOMO SEGRETARIO DELLA CLASSE Oolea la vetusta Grecia a' tempi della maggior sua gloria farsi spet- tatrice de' magnanimi suoi figli là ne' sudati agoni di Olimpia , dove non solo chiamava a dar prove di forze gli Atleti, ma insieme ancora gli Sto- rici, gli Oratori, 1 Poeti più valorosi invitava a contendere fra loro in gare d' ingegno ; e se poi la nobil palma incoraggiava i primi a riuscire intrepidi guerrieri ne' campi di Marte, il concento delle laudi, il suono de' plausi invitava i secondi a produrre quelle opere, esemplari perfetti del bello, che tramandati alla più larda posterità ridesteranno in ogni tempo l'am- mirazione de' secoli avvenire. Un' inmiagine in jiarte rassomigliante al tanto celebrato Olimpico Stadio ce le offre appunto 1' Ateneo Veneziano in questo giorno solenne, ne! (juale le soglie dischiude di questo Tempio sacro agli ottimi studii, ed i lavori nel corso dell' anno precedente dagli Accademici eseguiti vengono in chiara mostra disposti alla presenza d' illustri Magistrati, di ragguarde- voli personaggi, di uditori coltissimi, i quali lutti una si fiorita adunanza compongono, che a buon diritto paragonare si jjossa a qualunque più eletta vedcasi assisa un tempo colà intorno alle rive del placido Alleo. Se non che quivi appresso Voi, umanissimi uditori, un solo oggetto veramente a contemplar vi si propone , il solo pur degno eziandio della squisita vostra coltura. Qui di fatti non vi si parau dinanzi le muscolose braccia di atleti nerboruti, che 1' un l'allro di aggrapparsi agognino le sdrucciolevoli mem- bra : non agili corsieri, che tra nugoli di polvero colle infocale quadriglie 58 anelino i primi ad afferrare la meta. Ora a voi qui meglio si presentano da osservare quegli alti concepimenti della niente, che le Muse hanno in- spirato a questi Accademici loro prediletti cultori; affinchè Voi dal canto vostro circondiate l'onorata lor fronte del serio meritato. Né qui la corona accordata agli uni impedisce o trattiene quella degli altri per la ragion medesima, che In Scienza di ciascuno in particolare non che scemare, anzi vieppiià si accresce e si rinforza unita a quella di tutti insieme. Cosi in cielo scorgiamo che i vaghi colori della luce diversi tutti e leggiadri in un sol raggio congiunti, formano quella fulgida vampa che in cielo circonda l'astro apportatore del giorno. E perchè mai non posso io al presente nella prescritta brevità di tempo tutti additare gì' intreusici pregi di tanti parti d'ingegno meritevoli di verace estimazione? Che se a me ciò manca, giovi almeno la gentil vo- stra benevolenza, uditori coltissimi ed insieme umanissimi; in questa io fidando, do tosto al discorso le mosse. I primi a scendere nel generoso arringo sieno quegli Accademici che ad illustrare impresero la vita e le opere di personaggi per qualche segna- lato servizio noti alla letteraria Repubblica. Questo pietoso affetto inspirò al Membro Ordinario conte Sagredo un Discorso degli Studii , e delle Opere di Leopoldo Cicognara^ già Membro Onorario, e Presidente bene- merito un tempo di questo nostro Instituto. Da sublime principio move il suo Discorso, perciocché il valente Accademico si prefìsse di provare, " che in un secolo di transizione siccome è il nostro, d'una maniera di » civiltà ad un'altra — la messione del conte Cicognara fu quella di coo- « perare all'avanzamento delle Belle Arti, di scoprire verità nuove, di ri- » mettere in luce le obbliate, e soprattutto d' indrizzare gli erranti nel « retto cammino." Peraltro non fa qui di mestieri, che io con soperchie parole mi dilunghi a dimostrarvi concie ad evidenza provi ciascuna parte del suo assunto., e con immaginosi pensieri a quando a quando il ravvivi ; potendo leggersi l'intero Discorso nel Giornale detto l'Indicatore^ che per soddisfare alla impazienza del pubblico colle stampe dare il volle alla luce. Degno egualmente d' essere a' posteri tramandato glorioso egli si è il nome di Francesco Negri Vinizlano, Membro anch'esso Onorario del no- stro Ateneo, posciachè la città nostra il riverisce, siccome uno tra i più colti ed eruditi Scrittori Veneziani, che sieno vissuti in questi ultimi tempi, esempio di virtuosa moderazione, di filosofico senno, ed ingenua modestia, % sono questi colle precise parole I Iralll del di lui elogio, clie il professore Emilio Tijiaklo, compose, dandoci quella, ch'egli intitolò: Notizia della vilUj e delle opere di si chiaro Autore, la quale Notizia perchè già resa ormai di pubblico diritto, noi scioglie dall' obbligo d' intrattenervisi pii!i a lungo. Ma non dobbiamo però trasandare per questa ragion medesima un allro pregevole lavoro dell'indefesso nostro Accademico, e ch'egli ci lesse, semplicemente intitolandolo: Cenni sopra Spiridione Petrettini ^ cenni nondimeno bastevoli a farcene conoscere il merito letterario. E per verità fu Spiridione Pelrettini quegli che il primo intraprese, e diede alla luce l'anno i8i3 la Traduzione di VellejoPatercolo, quel gran modello de'Com- pendiatori. Né di ciò pago, con un'altra opera di maggior lena s'innalzò ad una maggior rinomanza, dal testo Greco volgendo nell'italico idioma le ojiere dell' Imperatore Giuliano. L' erudito nostro Accademico è qui tutto intento a farci giustamente rilevare i moltiplici pregi di questo letterario lavoro, pe' quali riconosciamo quanti e quali avrebbe potuto il Petrettini produrre parti originali, se altre cure d' un' indole troppo diversa, ed una immatura morte non avessero opposto ostacoli ad ulteriori divisamenti. Nomi d' Autori son questi, chi per una, e chi per altra ragione degni ciascuno d' onorevol ricordanza : ma di tali ve ne ha cui bizzarra fortuna , a seconda de' suoi capricci, dona il favore della celebrità, e costringe i Biografi anche loro malgrado a darcene contezza. Or se, a qualcun di noi per le mani giugnessero tre medaglie coniate in onore di Francesco Negri Bassanese, siccome avvenne al Socio nostro Corrispondente conte Roberti, coir epigrafe : homo doctus_, et piiiSj in re d'angelica meritus^ chi di noi non accingerebbesi tosto a fare intorno a quel personaggio molte diligenti ricerche? E di chi fia poi la colpa, se avessimo a scoprire, che questo uomo plus et in re evangelica optime meritus^ altro non è, che un apostata per amore, un assassino per gelosia, un eretico per disperazione? E quanto a' suoi meriti letterarj, ancorché non vogliansi a lui negare cognizioni di lingue Orientali a Chiavenna insegnate: che direm noi dell'opera sua prin- cipale? Questa é una tragedia, ma indovinereste poi, o signori, o per dir me- glio, immaginar mai potreste qual tragico avvenimento ne fosse il soggetto ? Vi basti il sapere che la tragedia è intitolata Del Libero Arbitrio. Ciò nullaostantc, giacché per un uomo di tal tempra, si coniaron medaglie, e una parte della Svizzera gli tributò grand' estimazione ; sono da lo- darsi i nuovi rischiaramenti, che intorno ad esso ci ha offerti il Socio nostro 6o in una sua Accademica Lezione^ supplendo per siffatta guisa al Verci, ed al Carrara, ei clie ben farlo potea a cagione della preziosa raccolta, ch'egli possedè di patrie notizie. Con un sapere non deturpato da macchia veruna, anzi brillante della più chiara luce ci si presenta innanzi un nostro concittadino, membro anch' egli un tempo del nostro Ateneo Luigi Pezzoli, nel natio ed originai suo ritratto, quel ce lo dipinse il Socio Ordinario sig. Luigi Carrer, allor- ché sparse alcuni fiori sulla di lui tomba. Ombra si veramente onorata , e sempre cara ad entrambi, degna d' accompagnarsi colà ne' beati Elisi a Goldoni, a Gozzi, a Negri, e di accordare l'armoniosa lira a quella del facile, ed ingenuo Vittorelli, pur testé aggiuntosi a questo poetico coro, facendo tutti insieme risuonare di assai più sublimi concenti quegli odorosi boschetti di cedri e di mirti ; ora che li conduce un non menti to Apollo , '-1 E nove Muse lor dimosti^an V Orse. " A' nostri Accademici valorosi Biografi sottentra incontanente un altro onorevol drappello, che adoperossi per conservare all' Italia puro da ogni maligno contagio quell' intimo sentimento del Bello che produce gli stessi eccellenti scrittori. A questo utilissimo scopo mirò il Socio Onorario conte Girolamo Polcastro, allorché fra noi prese a discorrere della Poesia del Se- centOj e de" Secentisti^ indi fermossi più particolarmente a ricercare quale influenza in quel secolo s' abbia avuto la rinomata Poesia del cav. Marini Napoletano. E facendosi da prima ad indagare le cause della corruzione del Gusto in quel tempo, dimostra, che di questa non può incolparsi il Ma- rini : esse ritrovansi nella indole stessa della umana natura ; provengono cioè dalla mobilità delle nostre fibre ^ e dall'innato amore di novità. Ora, egli riflette, in suli' appressarsi del secolo XVIII erano gli animi non che « sazi, allo fine ristucchi di tante Madonne Laure fittizie, che sbavagliare « facevano Lettori men che Platonici." Ecco 11 momento, in cui comparve il Marini. Qiial novello Fetonte diriger presumendo il cocchio del Sole cadde si, ma prima le vampe appiccò d' un generale incendio. Cadde per- chè tratto dall'impeto della sua fantasia, esagerò negli affetti, esagerò in ogni genere di ornamento. E siccome veggiamo avvenire d'un maestoso fiu- me, che contaminata scorre tutta intera la piena delle sue acque, tosto che infetta si trovi la sorgente, dond' esso scaturisce ; cosi avvenne parimenti 6i di tulle le Ani gemili. Esse soggiacquero in quel tempo medesimo ad lina medesima corruzione. Trovò la Piuma nn allro INIarini nel cavalicr d' Arjilno.j un allro ne rilrovò 1' Arcliitellura nel celebre Borromini. Aller- tile lornò a dominare in Poesia i'ollimo Guslo, anche uell' Architettura loslo rinacque la nobile e maestosa semplicità de'Palladj, e degli Scamozzi, non si stabilmente però che a quando a quando non uscisse taluno, che per pompa d'ingegno non avventurasse incautamente il piede in vie dis- usate, e troppo pericolose. Uno di questi si fu appunto l'Architetto Francesco Maria Preti di Castelfranco , il quale per 1' alta idea 51 che universalmente sparse all' in- « torno del suo merito, e per 1' autorità del suo nome ben facilmente po- « Irebbe trascinare gli altri in errore.'' Il jierchè grandemente noi dobbiam saper grado al Socio Ordinario del nostro Insliluto K. H. Antonio Diedo, se pel fine di giovare a' meno esperti si faceva a leggere in una delle nostre Accademiche Tornate, quelli eh' egli chiamò Commentar] ed osservazioni sopra alenile dottrine di questo celebre Architetto. Tra esse di tutte le più decantata si è la legge della Media uénnonica^ che appunto a se richiama la più attenta disamina dell'Accademico nostro. Nomi si veramente grandi ed autorevoli quelli sono d'un Valotti, e d' un Tartini; « ma ricorrere il « Preti dovea ad un'autorità certo maggiore, a quelle, cioè, avvisa il nostro " Socio , degli occhi e del sentimento giudice infallibile in tal materia. " E qui egli ci trasporta coli' agile sua fantasia dentro il tempio del Reden- tore, innalzato da Palladio con leggi ben diverse da quelle della Media jirmonicai indi ci fa passare nel Duomo di Castelfranco, costrutto secondo la nuova millantata teorica. Qual impressione diversa, esclama, non prova- remo noi tutti? » Soltanto nel tempio del Redentore ritroviamo quella bel- » lezza incantatrice , che spira una quiete di Paradiso. " Benemerito noi lutti per queste accurate ricerche dichiareremo il Socio nostro N. H. An- tonio Diedo, non dell'Architettura solamente, ma a più alto segno ancora innalzando lo sguardo, della gloria stessa Italiana; perciocché, se verissimo è quel detto divenuto tanto famoso » che la fortuna può torre all' Italia i V capi d'opera, non però il Genio onde produrgli"; egli è poi fatalmente vero altresì, che può il gusto corrotto assai più che non la stessa mala for- tuna ; poiché facendo al Genio smarrire le traccie del Bello, soffoca in sul nascere i capi lavoro stessi; e mancando questi all'Italia, qual altro vanto più le rimane sopra 1' eraule nazioni ? 9 63 Altro genere di grave difello, per altra guisa, nocivo anch'esso al Bello intraprese lodevolmente a correggere il Socio Corrispondente nob. signor Parolari-Malmignali, in una sua, ch'egli intitolò: Lezione sopra il signifi- cato delle parole. Posciachè queste esprimendo, siccome i colori in un quadro, le idee della mento in un discorso ; qualora le parole offrano un senso indistinto e confuso, siccome in sulla dipinta tela, languida e smerla riesce dal pennello la immagine; così nel discorso debole e contraffatta ne risulterà la natia forma dell' eloquenza. Né qui soffermossl 1' esperto nostro Accademico, Filologo non solo, ma ben anche Politico, poiché inol- Irossi a considerare, che la morale e la tranquillità stessa degli Stati col- r abuso de' vocaboh può rimanersi esposta a grave pericolo, in quanto che questi male intesi, o maliziosamente adoperati, nella mente fan pullulare Idee torte, o false del retto, del giusto, e dell' onesto: tali perniciosi effelti produssero negli anni trascorsi quelle risonanti parolone Libertà ^ Lihera- IBj Tolleranzaj Tirannia^ Superstizione, Patriota. Qui a validissima prova va egli toccando le piaghe ancor troppo recenti delle passate rivoluzioni . Ma sopra questi calamitosi tempi fìa meglio stendere un velo ; affine di non turbare la pura gioia di giorno per noi tanto solenne con si funeste rimembranze : e piij confacente alla festività di esso, offriremo, a vostri sguardi, o signori, una leggiadra Memoria del Socio nostro Ordinario sig. BartolamnTeo Gamba, ch'egli amò d'intitolare : le Iscrizioni occulte, ossia Storielle. Keppur queste però deonsi riputare sfornite di grande utilità per l' Italiana Letteratura : perciochè coli' armi del ridicolo prese a combattere la intemperanza di tanli Antiquarj, e Paleografi, quando dietro ad un non- nulla scialacquano parole e tempo, nubes et inania captant. A questo fine ci espose c^elY Iscrizione occulta^ ossia anfibologica, per la quale reslò deriso l'antiquario Colucci , che 3o grossi volumi avea ingombrali razzo- lando nelle antichità del solo Piceno! A questo fiue ci fece il racconto della burla fatta al famoso Onofrio Boni per la sua troppa smania di frugare in vieti rottami; il qual un mattone, perchè datogli a credere avanti let- tere giunse persino a legare in larainette » per formarsene una bottoniera )' incastonata in oro da portare insieme co' suol scarabei, e col suo idolelto « Fiesolano, come abito da gala ne' di festivi.'' Altri barbassori beffali ri- mangonsi , colla interpretazione data ad alcune Sigle, e tra queste alle quattro famose S. P. Q. R., ed alle tre C. L. S. di nuovo conio nella Gaz- zetta nostra si di sovente ripetute. Intrattenendoci 1' Accademico nostro 03 con sifTatli sollazzevoli comenli ha volalo emulare quegli amichi saggi «Iella Grecia, che in alcuni giorni dell'anno sacrificare solcano alle Grazie. iSò già poi , per quanto un soggelto sia d' indole grave ed austera vuoisi sempre aggrottare le ciglia , e 1' aria assumere di gran baccalare. Quali argomenti serii ed astraili non sono Cosmogonia- Psicologia, Fisica, Teologia? Il trattare di questi in versi leggiadri egli si è veramente una spezie di furto, che le Muse hanno fatto alla prosa. Ma furto di lai fatta riusci felicemente a Lucrezio , lasciandoci solo il rammarico , che i più squisiti colori giltasse ad abbellire le perniciose dottrine di Epicuro, onde avviene, che l' incauta gioventii a gran sorsi traccani il mortifero veleno. Si avvide di tali tristissimi efìetli il celebre Cardinal di Polignac, che vi si oppose coir elegantissimo suo ^/n//Zz/c/T5/o , pel quale cogli iuslrumenli medesimi riedifica ciocché quegli distrugge. Ed appunto per tale conside- razione noi siam d'avviso, che debba sommamente commendarsi 1 intra- preso lavoro del nob. sig. Bonfadini Archivista del nostro Ateneo, il quale 8i accinse a donarne al Parnaso Italiano la traduzione. Sino ad ora egli e intrattenne aggradevolmeole colla lettura de' tre primi libri, e con que- sta egli fece nascere in noi tutti una ben fondata speranza , che quando l' opera giunga al compimento , anch' esso 1' Antllucrezlo vantar possa il suo Marchclli; allora il nostro Socio per siflatta guisa dividerà coli' origi- nale il merito d' aver ricondotto la Poesia al suo più nobile uffizio,^ a quello cioè di farsi maestra di ^irtili alla prima giovanile età si inchinevole alla dolcezza de' versi : Os teneritm pueti baìbumque poeta figurai. Tocca poi al filosofo l'indagare que' giusti principii , sopra i quali possa un Sovrano legislatore fondare un general sistema di pubblica educazione. A far sopra un soggetto di si gran momento delle assennate ricerche dedicossi il Socio Corrispondente dolt. Giuseppe Calucci in una sua Me- moria intorno alla Pubblica Instruzioiie considerata nella presente situa- zione economica degli Stati Europei. Durante i secoli del cosi detto medio evo, osserva l'Accademico nostro, la costituzione sociale consisteva nello stato di guerra. Quelle spade che soggiogato aveano le provincie dell' Im- pero Romano, colle spade mantenere doveano le fatte conquiste. Ma nei secoli del moderno nostro incivilimento , la forza guerriera quella non è ])lù , alla quale si debba principalmente attendere. Oggidì un mezzo solo può vie maggiormente una nazione prosperare, e questo si è il commercio. Pertanto a' Governi d'oggidì conviensl j)rocurar di accrescere quella che 64 egli cliiaraa forza industriale produttiva. Laonde un sistema di ben rego- lata educazione dovrà porgere a tutte le classi della civil società, comprese le infime ed abbiette, quella proporzionata inslruzione, che più tenda a raggiungere sicuramente un cosiffatto scopo. Le scuole tecniche destinate ad esercitare i giovanetti nelle rispettive loro arti, e ne' mestieri, tolgono quello sconcio il più ridicolo del mondo, che il labbro si vedesse più ba- dare alle battute d' un giambo sulle dita, che a' colpi del sonante martello sopra l'incudine; ed il bifolco più contento a disporre i membri d'un pe- riodo nell'orazione, che a compartire i solchi nel camjio arato. Qualora avvenga che sia pienamente sviluppata la forza industriale produttiva, allora sorger vedrassi più florido il commercio , quel commercio, che per se solo è bastevole a fare che una nazione , per quanto piccola sia , ed abitatrice di sterili terreni, s' innalzi all' apice della maggior possanza. Di questa verità nella Storia antica un esempio più d' ogni altro Kb- minoso ce lo porgono i Fenicii, siccome dimostrollo il Consigl. dott. Rossi Bibliotecario dell' Ateneo, in alcune Accademiche tornate leggendoci una serie di dissertazioni sparse di scelta erudizione, e adorne di terso stile , intorno alle navigazioni^ alle colonie di Fenicfi., ed intorno al loro com- mercio. Tenendo dietro alla fidata scorta dell' Accademico nostro, navi^- gheremo ancor noi con essi per tutta la vastità del Mediterraneo, scen- deremo sulle Africane sponde a ricercar negli orti Esperidi i prelibati frutti di cjuelle fertili contrade , ed a lottare col redivivo Anteo , ossia col più astuto corsaro di quelle spiaggie, indi a più ardita navigazione sjiiegando le vele, dentro a'flutti ci sospigneremo del procelloso Oceano, alle foci dell'au- rifero Betis, al gruppo delle Cassiteridi, per fare incetta di stagno, e di puro elettro. Dappertutto città ritroveremo fondate da Fenicii, spiaggie, isole, promontori, ^ quali hanno essi imposto i nomi del loro linguaggio. INè già soltanto per tutti i mari allora noti con esso loro trascorriamo, ma per terra eziandio col mezzo di carovane e' inoltriamo n^ll' interno det- r Africa e dell'Asia, e conversiamo con tutti i popoli più famosi del mondo antico Etiopi, Egizj, Ebrei, Persi, Babilionesi, Arabi, Sciti, Indiani. I Fenicii trafficando riunivano l'Oriente coll'Occidente, i prodotti di tutti i terreni, i tesori di tutte le nazioni. Prodigio, a dir vero, de' più meravi- gliosi, che ci presentino gli annali dell' epoche antiche, ^^rodigio peraltro, non dico solo uguagliato, anzi sorpassato da' Veneti nostri antenati, veri Fenicii del medioevo, e da questa nostra Venezia emula della famosa, Tiro. Di queste due nazioni, e JI queste due metropoli udiamo spesse volte ordirsi un magnifico parallelo, che j^er entrambe suole conchiudersi poi co' treni di Geremia. Molli per verità sono fra 1" una e l'altro i tratti di rassomiglianza. V'hanno Fenicii primi, e secondi, siccome dislinguonsi Veneti primi e secondi. L'orgoglio del terribii Nabucco colla feroce caval- leria de' Caldei diserta la Fenicia terrestre , e dopo un ostinato assedio spianta dalle fondamenta la prima Tiro; la furia d'Attila, e la divoratrice cavalleria degli Unni pongono a ferro, ed a fuoco la Venezia Terrestre, e riducono dopo un memorabile assedio un mucchio di sassi Padova, Ai- tino, Aquileja. Ma sorge nell' isola a poca distanza dal continente una nuova Tiro, che può bravare ancora tutte le forze del furibondo vincitore: sorge nel gruppo delle isole Reaitine Venezia , che può schernire gli assalti di tutte le barbare nazioni. Tiro de'mari conserva il dominio., Venezia l'acqui- sta; i cittadini dell'una e dell'altra vestiti di bisso, e di porpora superano nella opulenza 1 più doviziosi monarchi, e ne irritano l'invidia. Sotto la spada di due fatali conquistatori l'una e l'altra soccombe. Tiro giace oggidì involta nella più squallida mina, l'ujìupa e il gufo stridono sopra pochi abi- turi di canne e d' alga. E Venezia ? tolga il cielo che io a questo tristissimo fine conduca l' incominciato parallelo, ora che l'Augusto Ferdinando I., erede per essa del paterno amore , con munificenza degna di Cesare ha ordinato opere di Romano intrajirendimento, j^erchè rendono sgombro e sicuro r adito al suo porto. Che anzi piuttosto di veder già parmi i Veneti un'altra volta veleggiare per que'mari dell'ultimo Oriente, dove Marco Polo recò primo glorioso la notizia del Veneto nome, e di là ritornando gli spalmali navigli carichi di merci preziose, io li veggo entrare in questo medesimo porto, volando a vele gonfie sugli appianati flutti, coli' antenne inghirlandate di fiori, tra cantici giulivi, a cui formano musicale concerto il fragor dell'onde, il soffio di zefiri, i lieti evviva delle spose, e de' figli , che dalle vicine sponde stendono le braccia impazienti di strignersi al seno gli amorosi parenti, i quali frutto delle felici loro navigazioni, alle famiglie recano sostentamento, vita all'industria, ed alla patria tutta ricchezze e decoro. Ma frattanto affine di conoscere fondatamente quanto grande fosse ne' medj tempi la estensione del Veneto Commercio, non da altro meglio si può rilevare che dalle accurate ricerche del Socio nostro Corrispondente cav. Mulinelli, le quali in parte assaggiare a noi fece in una sua -\Icmoi'Ia< GG intorno alle peregrinazioni de" secoli di ìnezzo_, e sopra i s'itntaggij che ne ritraevano i Veneziani. Egli in quella dimosliò , come la folla delle genti., clic per devozione accorrevano a visitare il corpo di S. Marco, na- scer fece ne' Veneziani l' idea di quella celeLrala Fiera detta la Sensa nel iSG^-ì '"csa tanto splendida colla cerimonia dello sposalizio del mare. Quali vantaggi con fino accorgimeuto coglierne sapessero i Veneziani, non fa qui di mestieri, che io ve li esponga, umanissimi uditori, legger tuttociò potendosi con leggiadria descritto nel primo Volume dell'opera, che l'Ac- cademico nostro ha data, non ha guari, alla luce, .<;otto il titolo di Com- mercio de" Veneziani; Quando di poi in Europa cessò il pio costume de' devoli pellegrinaggi, non per questo mancarono a' Veneziani altri mezzi possenti pier attirare la folla de' forestieri nelle loro lagune. Uno de' più efficaci Ira questi fu certamente 1' esca de' pubblici spettacoli dati colla pompa più sfarzosa, e resi ancora vieppiù brillanti dall' umore naturalmente vivace e gajo de! popolo Viniziano. Queslo soggetto con ilarità di stile adatto all'argomenlo esposto ci venne dal Socio Ordinario sig. Battaggia in una sua cosi detta Cicalata intoimo alle Caccie de' tori Veneziane^ colla quale rallegrò l'Ac- cademica adunanza appunto in una delle giornate Carnascialesche. Psè già frivolo, né di semplice trastullo vuoisi riputar l'argomento, quando ci piaccia riflettere, che pegli eruditi egli ha apparecchiata una ricca con- serva di costumi, di linguaggio, di usanze, che avendo ormai per sempre cessato di esistere , saranno da annoverarsi quindi innanzi nella Classe slessa delle antichità tanto studiate Greche e Romane. L'Archeologo godrà negli anni più tardi , che siagli slata tramandata la descrizione de' nostri Miloni Crotoniati, intendo dire, de' cosi detti Cortesani da toro., i quali l'Accademico ce li pose quasi in sull'Anfiteatro dinanzi agli occhi in allo di dar lazzo a" cai nelle molate. Tale pittura a qualche vecchiarello che tra noi ricorda ancora i Conti del Nord, tocca certamenle l'ugola; e traen- dogli dal cuore un sospiro lo fa prorompere nelle parole stesse di quel veterano Gladialore nel Circo Romano. Quam bella aetas periti ( Senec. de Provid. ) Condoniamo, uditori umanissimi, condoniamo si questa sorta d' inno- centi desiderj all'età senile, la quale si vive nel dolce sogno delle trapas- sate reminiscenze : ma non useremo già d' una eguale condiscendenza verso una stranissima opinione del sig. Jacojio Parma divulgata nel 67 Poligrafo di Verona sopra l'origine di Venezia, secondo la quale i Veneti scappali dal ferro di Aitila-^ avrebbero ritrovato in questo Estuario isole po- polate.^ e fiorenti per arti e commercio, con un governo già Lello e fatto e persino in Rialto cantieri, « fabbricati da lui coli' inchiostro." Ad abbattere un tale paradosso usci in campo il Membro Onorario conte Tiepolo, con una Memoria, che a lui piacque d' intitolare Esanie^ eli' è veramente una trionfale confutazione. Iniililmente l'Avversario trincieravasi dietro una selva di citazioni cavale dagli storici Greci e Latini e dalla tavola Peu- lingeriana: poiché l'Accademico nostro discuopre il grossolano equivoco, discorrendo quegli Storici di città Venete poste sul littorale delle lagune, non già dentro il seno delle medesime lagune. Indarno cerca un appoggio dagli avanzi di aniicliità disotterrati alia profondità di 7 sino a 9 piedi; posciachè il veterano nostro campione col distintamente additare le veraci derivazioni di ognuna di esse, anche da questo lato lo ribatte con tanta evi- denza di prove da non lasciare menomamente in ilubbio, a quale de' due aggiudicare si debba la palma. E noi goder dobbiamo di questa vittoria: perciocché egli è d'assai più onorifico per noi, che i nostri maggiori abbiano essi creato colla sola loro virtù sovra informi barene tanta Veneta grandezza, che non se vi avessero già ritrovato città floride, ricche, e popolose. E perchè difatti arrossir mai dovremo dell' umile e pescareccia nostra culla? Forse che vergognavansi i Romani, guardando il rusticano comignolo del loro fondatore? Giova anche a noi ripetere con quel Poeta : Fictiìibus crevere Deis haec aurea Tempia ; Necfuit opprobrio facta sine arte casa. Questo bensì sarebbe giusto motivo di disonore per noi tutti, qualora pur fosse vero, che l'antico Governo nella sua decrepitezza di 14 secoli fosse disceso nella tomba, macchiato coli' infamia di tradimenti, di sper- giuri, di perfidia ; siccome in faccia all'Europa osò accusarlo ilsig. Norvins, recente Biografo della vita di Napoleone Bonaparte. Se non che al pro- rompere di tali contumelie alzossi acceso di giusta indignazione il Socio nostro Corrispondente dott. Locatelli a dargli una solenne mentita in un suo discorso, che ha per titolo : Errorij e calunnie del sig. di Norvins. Il nostro Accademico è cosi sicuro nella superiorità della sua causa , che 68 generosa niente all'avversarlo condona gli errori di pura ignoranza, die pur sono molli e madornali in chi per esempio fa scorrere il Taglianiento scilo le mura di Treviso, e il fa guadare da' soldati. Dove l'Accademico nostro combatte con lutto il vigore , egli è allorché il sig. di Norvins inventa col- pe, dissimula fatti, travisa circostanze, a fine di ritorcere sopra il Veneto Governo l' onta di mala fede, e di tradimento, che al Direttorio Francese, e al suo prediletto Generale deesi tutta giustamente attribuire. Qui il no- stro socio pesando ogn' indizio, sottoponendo ogni circostanza alla critica pii!i severa fa toccar con mano l'assurdità della infame calunnia, e che non coll'armi e col sangue, ma con carezze e lusinghe (per far uso delle espres- sioni stesse) fu addormentato e morto il veneto leone. Per siffatta trion- fante confutazione il valente nostro accademico, non solo si dee riconosce- re benemerito della patria, ma delle intera civil società, essendo innega- bile questo di lui principio: » che la verità non appartiene più a questo, •-5 o a quel popolo, ma è comune retaggio dell' uomo. '" Difeso per tale guisa il veneto leone dalle calunnie, colle quali volea- si denigrarlo; a buon diritto potrebbesi irrompere sul campo nemico a far rappresaglia. Ma no; contenti ci rimanghiamo di tanto solamente: guardiamci dal ridestare sopiti rancori. Quel magnanimo augusto France- sco I, che certo oggidì risplende cinto d' immortai corona nel regno dei beati, all' Europa ha lasciato in retaggio il benefìzio prezioso della pace. Cessino dunque gli odi reciproci, e tutti i ^^opoli annodi un dolce vincolo di amistà. Il veneto leone riposi sopra i bene acquistati allori. Contro nuo- ve offese, spiegherà le ali sue gloriose l'aquila, ministra del fulmin di Giove. ESERCITAZIONI SCIENTIFICHE IO RAPPORTO SULLE PROPRIE LETTURE ACCADEMICHE FATTE DAL SOCIO ORDINARIO FRANCESCO ENRICO DOTT. TROIS il. itornar col pensiero sulle cose passate , e imparzialmente, con quella calma e con quei lumi maggiori che il tempo trascorrendo à do- nato, richiamarle ad esame, e farle tema di nuove e piiì mature riflessioni, è pratica cosi e per tanti modi feconda di risultamenti utilissimi, che non è a stupire se da filosofi d'ogni età e d'ogni classe fu raccomandata negli usi egualmente della privata che della pubblica vita, ed è grandemente a dolersi che non sia per altro più comunemente osservala. Convinto dall'utilità di tal pratica, e abituato in essa, in quanto al- meno concerne l'esercizio del mio ministero, poiché qual è quel medico che compito il suo giorno, non s'arresti a meditare sui casi che in quel giorno ha veduti, e le operate cose non pesi, e quelk che meglio forse poteva tralasciare, o eseguire? mentre le poche mie letture fatte a questo Consesso Accademico, né da me custodite, io cercava nei giorni scorsi di riaver per rileggerle da per me e giudicarne, invitato a trattenere d'un'al- tra mia lettura questo stesso Consesso, ho pensato che non fosse sconvene- vole cosa quest'esame delle mie letture ch'io m'aveva per me proposto, a voi sottomettere; che se voi quelle accoglieste, e ben di talune special- mente mi rimembra con che modi umanissimi, tenni esser anzi giusta cosa e dovuta che quanto di errore fosse da correggersi in esse, o di mancanze a riportare, e di verità confermate, a compimento dell' opera a voi sia pur manifesto. E tale è senza piià il soggetto che in questo discorso ho intrapreso a trattare, nel quale il palesatovi scopo, e la varietà dell'assunte parti, potrà forse valere a cattivar la d'altronde altre volte sperimentata vostra indulgenza. 7' Chiamato nell'aiuio 11Ì06 all'onore tli appartenervi in quella Seduta Oi dinaria dell' allora Pubblica Società di Medicina, nella quale ni' è gra- lissimo il ricordare che fummo Socj Ordinari acclamati quello ch'oggi sta benemerito nostro ( i ) Vice-Presidente, ed io , lessi j^oco dopo una Memoria sulla Febbre puerperale, argomento certo gravissimo, ma specialmente importante In quell'anno, nel quale era straordinariamente frequente e come d'ordinario micidiale quella funestissima malattia, su cui erano perciò in quei giorni impegolali particolarmente i miei studj, e sulla quale i progressi che da quell'epoca ha fatti la Pratica Medicina, specialmente dietro agi' insegnamenti dell' Anatomia Patologica, appena bastarono poi a fissare , né già fìssalo è abbastanza , il comun sentimento dei Medici. Dissi in quella Memoria esser evidentemente condizione patologica essen- ziale in quella Febbre un'irritazione locale; dissi doversi naturalmente considerar questa irritazione in alcuno degli organi principalmente inte- ressati nel travaglio della gestazione e del parto, e più particolarmente di certo neir utero, che in verun altro ; dissi che oltre alla ragione, i feno- meni tutti della malattia, specialmente nella sua prima invasione, e quando nel suo progressivo ingrandirsi non s'erano ancora complicali agli altri proprj delle successive lesioni , concorrevano infatti a dimostrare nella febbre puerperale l' irritazion di quell' organo : dissi che l' irritazione di quell'organo doveva concepirsi tutto afifatto speciale, differente da quella che s' Innalza al grado di flogosi e si profonda nel di lui parenchima e co- stituisce la metrite, o si distende per la di lui superfìcie membranosa-niu- cosa, e forma il catarro: dissi che quest'irritazione molto probabilmente slava da prima nell'estremità, poi più estesamente nel sistema venoso del- l' utero, del qual sistema niuno ignora i particolari rapporti, e la speciale attitudine nella circostanza della gestazione e del parto; dissi che olire all'irritazione del sistema vascoloso venoso dell'utero, credeva che fosse da contarsi il molto probabile assorbimento d' un materiale morboso, più facilmente succhialo dalle estremità venose irritate che deposto sulla su- perficie o stillalo nel cavo dell'utero, e quindi espulso cogli espurghi sospesi (1) Xel giorno in cui sì faceva questa lettura sedeva Vice-Presidente il cliiarissimo G. A. dott. Ruggieri, da immatura morte rapito poi alla città, all'Ateneo, e ai numerosi suoi amici, fra i quali, e i più iotimj; io mi noverava; fin da quaudo percorrevamo insieme la carriera dei nosui tludii. 73 per effetto dell' irritazione medesima ; dissi che l' indicata speciale condi- zione irritativa dell' utero si diffondeva in molli casi più o meno e svaria- tamente anche al di là dell' utero stesso, e specialmente al peritoneo, donde le molte varietà notate in quella febbre ; e dimostrava come ammessa quella condizion patologica si spiegavano i sintomi tutti, e gli adinamico- atassici specialmente, della malattìa, e il suo corso nei gravi casi cosi rapi- damente mortale, e la sua effettiva degenerazione in accessional perniciosa. Sulla qual degenerazione particolarmente insistendo, colla storia alla mano di molli fatti che m' erano occorsi in quei di, e eh' io ò riferiti in quella Memoria con ogni più minuta esattezza, ò asserito ch'io riguardava la Febbre puerperale nella maggioranza, se non anclie nella totalità dei casi come una Febbre accessional perniciosa, nel trattamento della quale, avuto da prima il conveniente riguardo all' indicato stato locale irritativo-flogi- stico , e alla deleteria influenza del materiale morboso assorbito , doveva poi essere sollecitamente e francamente impiegato il rimedio accessifugo specifico, per domare completamente, e appunto nei casi piià gravi, la maialila. M' ingannai, e il mio errore stava nello stabilire come principio generale, una conseguenza dedotta da alcuni fatti speciali, errore pur troppo comunissimo, e più forse in medicina comune, il quale io ò avuta però la lealtà che a medico d'onor si conviene, di confessare e di ritrattare so- lennemente. I fatti dai quali quell'errore è emanato erano indubitabili. Quelle inferme puerpere delle quali ho riferita la storia, erano state da me gua- rite col metodo antiflogistico prima, e poi colla china ; in quelle inferme la febbre era certo una febbre puerperale, che si ù poi complicata o è degenerata in una febbre accessional perniciosa. Ma l'esperienza ulteriore e una più soda riflession m" ha convinto che la febbre puerjierale à in generale ben altra indole, e ben diverso andamento che quello d' una accessional perniciosa; ed è una vera febbre irritativo-floglslica , con fre- quente complicanza di fenomeni adiiiamico-atassici, attribuibili special-' mente all'impressione d'un vizioso umore assorbito; nella qual febbre la complicanza, o la degenerazione in accessional perniciosa era possibile, era facile anche sotto a date circostanze, ma era sempre una complicanza, o una degenerazione, non confondibile colla vera febbre puerperale. Esa- minala la cosliluzione morbosa di quell'anno 1806-7, si troverà che fu- rono straordiuciriaraente frequenti le febbri accessiouali, dalla Primavera 74 del 1806 poco più poco meno protratte, anche durante l'inverno, fino al più tardo autunno del 1807; occorsero contemporaneamente molte febbri puerperali; è noto che se una costituzione è dominante, tutte le malattie intercorrenti vestono le forme , anzi assumono l' indole di quella costitu- zione; le febbri puerperali da me vedute e curate, divennero accessionali, ed io come tali le trattava e guariva ; trovai di più che altri medici, e certo autorevolissimi, aveano considerata la febbre puerperale come una febbre accessional perniciosa, e non esitai a collocarmi fra questi. E bene eh' io non devo deplorare il mio errore per derivate conseguenze funeste; queste conseguenze sarebbero state inevitabili e molto gravi in progresso ; ma riconobbi quell' errore ben presto, e lo confutava in una seconda Memo- ria sulla febbre puerperale, che lessi nell'anno 1820, allora appunto che il sig. Mongellas pubblicava in Francia il suo Trattato sulle irritazioni intermittenti^ fra le quali la Metrite e la Peritonite; il qual mio errore eh' io confutava non consisteva dunque nell'ammettere l'esistenza di quelle specie di febbre, ma nel credere e nell' asserire che quella specie di febbre costituisce in maggior numero di casi di febbre puerperale, mentre non ne costituisce veramente che il minimo, e quando avviene non è veramente che una complicanza o una degenerazione d' essa febbre. Esponendo in quella prima Memoria alla Società le mie idee su quella specie particolare di febbre accessionale , dichiarava di riconoscere in essa per condizione essenziale uno stato d'irritazione e di flogosi , a cui la febbre era conse- guente, e ammettendo questa condizione locale dimostrava come possono averci delle flogosi intermittenti, ciocche dichiariva per altro di non inten- dere se non di flogosi trascese appena oltre al limitare dell'irritazione; dimostrava poi nella seconda Memoria come a queste irritazioni locali possono associarsi o essere conseguenti dalle febbri accessionali; e tali febbri da riuscir micidiali in quel modo, che col nome di pernicioso s' intende; locché mi pareva di poter spiegare o supponendo una diffusione dell'irritazione su quei centri nervosi, nei quali s'ammette più general- mente la sede delle febbri accessionali, nel qual caso si avrebbbe effettiva complicanza della febbre accessionale colla febbre puerperale (i), restando (i) Dico complicanza, pei che quantunque ia questo caso la condizione essenzial patolo- gica sia un'irritazione, non può tenersi per altro che quest'irritazione sia eguale nella febbre puerperale e nell' accessional che si aggiunge. Mentre infatti è innegabile che T irritazione è 75 alla sagacia del medico il determinare la sua condotta, e il decidere se più sia urgente l' insistere nel trattamento antiflogistico ., o il ricorrere spedi- tamente air accessifugo in quei modi eli' egli conosce i più cauti ( i ) e i più efficaci per sottrarre il suo infermo al più pressante pericolo ; e mi pa- reva di poter spiegare supponendo un trasporto dell' irritazione sugli in- dicati centri nervosi, il qual trasporto avvenga per l' impiegata cura, o per forza dei naturali congegni, quando già l'irritazione s'è dissipata per in- tiero o fu sommamente menomata nella prima sua sede, nel qual caso si avrebbe una effettiva trasmutazione della malattia primitiva , e un sog- getto di ben più facile trattamento; colle quali supposizioni, da me giusti- ficate nella Memoria medesima , ed estese a tutt' i casi d' irritazioni e di flogosi intermittenti , mi rendeva ragione di quelle intermittenze che nel caso di molte irritazioni e di flogosi effettivamente si osserva, e che non è sempre una condizione speciale, eguale a se stessa, dev' esser però quest' irritazione distinta per la diversità delle cause che la determinano, per la diversità dei gradi ai quali è spin- ta, e per la diversità dei tessuti e degli organi sui quali è portata , donde diversi efTetti e procedimenti morbosi. Le quali idee non è qui il luogo di spiegare distesamente, bastando al mio proponimento che sia dicbiarito non intenderlo esser f irritazione che il menomo grada dalla flogosi, preparata a cosi dire ma non ordita ; e gli accessi periodici, quantunque pTovo" cali da un'irritazione, non doversi però confondere cogli eiietti comuni dell' irritazione, da cui distanno per la divesità dell' irritazione medesima , e inoltre perchè sono costituiti da una turbazione speciale, più certo determinata dall'indole della località su cui l'irritazione è portata, che dall'indole dell'irritazione medesima, e talmente distinti da essa irritazione, che esigono un trattamento loro proprio , indipendentemente aflFatto dall' irritazion che lì provoca , e sono dissipati con ben altri mezzi che quelli che all' irritazion si competono. Esempi notabilissimi dell'indicata complicanza ebbimo in quest'anno (nell'agosto e settem- bre iSSy) nelle febbri gastriche combinate ad accessi periodici gravissimi, e spesse volte ptricoloti, nelle quili si è dovuto ricorrere all' accessifugo prima ancora che fosse intiera- mente emendata il gastricismo, amministrandolo perciò vantaggiosamente col metodo en- dermico. (i) Questa difficoltà sparirebbe se il buon senso permettesse di annoverare fra i de- primenti la china e t suoi preparati. Se questo fosse resterebbe intatto quanto esposi nelle due Memorie citate sulla febbre puerperale, e in general, sulle febbri; se non è, io non trovo dilHcoltà nello spiegar l'ottimo eOetto dell'accessifugo anche nei casi indicati, ed anche ammet- tendo in esso, oltre 1' effettiva speciale, quella forza stimolante e tonica che il consentimento generale gli à attribuita finora, e insiste ad attribuirgli, e che sembra essergli confermata da quei fatti medesimi, coi quali si vorrebbe da taluni dimostrato il contrario. 76 cerio di agevole spiegazione, qualunque si supponga la condizione essen- ziale dell' irritazione, e mollo più della flogosi. Né si vorrà di certo ritenere per vana oslenlazion l'osservare ch'era negli anni 1806 e 1820 che si asseriva in quelle Memorie l'esistenza d'una irritazione intermittente, e si negava l'essenzialità della febbre, attribuen- dola sempre a un' irritazione locale più o men difiusa , quando ancora questa dottrina non era stata proclamata dalla scuola Francese, e come nuova, e propria cosa vantata; mentre in Italia era già stata sentita e da qualche medico pubblicata , né solamente fin dall'anno lyGS dal dottor Gandini di Genova , come giustamente il dott. Strambio à dimostrato nel suo Giornale analitico , ma innoltre e più precisamente dal dott. Mene- cazzi di Conselve nelle sue Considerazioni sul sistema di Brown date alla stampa nel 1802, e quindi più particolarmente nella sua Memoria bellissima che intitolata yiiitipiretologia, impressa a Padova l'anno i 807, nella quale tutti, parola per parola, si contengono quegli argomenti sui quali la scuola Francese si fonda per sostenere la non essenzialità della febbre; Memoria i;h' io certamente aveva letta in quei di e studiata , e dalla quale princi- palmente aveva tratto quel mio concepimento, quantunque fin d'allora ch'io seguiva la pratica dell'illustre nostro collega e mio maestro dottor Colludrowitz, molte volte avessi inteso da lui pronunziarsi qualche simile pensamento, fra quei moltissimi che avrebbero meritato di esser raccolti di quella sagacissima e dottissima mente. La qual Memoria del nostro dott. Menegazzi io volentieri qui cito per 1' onore Italiano , non di poco meravigliato che il dott. Strambio nel citato suo Giornale analitico, soste- nendo vittoriosamente la priorità della dottrina della non essenzialità della febbre nella scuola Italiana , nessun cenno abbia fatto di quel lavoro Ita- liano e tutto Itahano, che non era di certo da lui da ignorarsi, non essendo il dott. Menegazzi oscuro medico, le cui produzioni non fossero anzi fra le più meritamente famigerate a quei di, siccome le già citate Considerazioni sul sistema di Brown, opera che nella infinita schiera delle polemiche che allora proruppero nel mondo medico fu distintissima per sodezza di pensieri, e per castigatezza di modi; e siccome la sua notissima storia di una rara generazione di ossa, qui letta, e da tutti i Giornali Italiani e stra- nieri ripetuta ; e siccome altre molle produzioni di medico argomento , per tacer quelle d' altro genere che pur anno possentemente contribuito ad elevar altissima, e a sparger largamente la sua rinomanza, fra le quali 77 il chiarissimo suo ditirambo di Bacco in mare. Io non esposi dunque in quelle due mie Memorie sulla febbre puerperale idee originali, ma consi- derato lo stato in che si trovava la scienza a quell'epoca, le idee che vi stavano esposte non erano inutili al progresso dei lumi in quell'argomento gravissimo; idee nelle quali l' osservazion successiva mia propria, e gli al- trui insegnamenti non anno fatto d' allora in qua che di piii in più con- fermarmi. Poco dopo lessi due osservazioni sulla Vaccina. Una era d' una vacci- nazione che nel decembre del 1806 fu eseguita dall'illustre chirurgo Ce- sare Ruggieri in una giovanetta pensionaria nel Monastero eh' era allora di santa Giustina di questa città. L'operazione fu fatta in giornata freddis- sima, e in freddissimo luogo, nel vuoto d' una piccola porta che dal parla- torio metteva nel vietato recinto claustrale. Dopo 23 giorni, e quando già era tenuto che l' innesto fosse intieramente abortito, s' ebbe indizio dello sviluppo della vaccina nell' apparir d' una pustula . Questo sviluppo pro- gredì regolar, ma lentissimo ; la pustula non fu completa che nel decimo quinto giorno, cioè quasi nel doppio spazio di tempo che l'ordinario; lo stadio di disseccazione fu per altro normale. La vaccinazione, malgrado a questo corso particolare, fu dichiarata ottima da quell'illustre chirurgo, e devo aggiungere che il suo giudizio s'à pienamente avverato, perchè la giovanetta fu preservata dal vajuolo vero nell' occasion dell'epidemia che infieriva, e alla quale si trovò pericolosamente esposta, sortita poco dopo dal Monastero, fra le vittime che ne caddero della sua famiglia medesima. Un altro caso mi occorse analogo in qualche modo al riferito. Una donna spaventata da quella medesima epidemia vajuolosa che dissi, e in- certa se avesse o no patito il vajuolo, volle aver innestato il vaccino. Una inoculazion le fu fatta, ma senza effetto ; una seconda fu ripetuta dopo in- circa un mese, pur senza effetto veruno, e moriva allora di vajuolo un suo figlio ; una terza fu fatta dopo pochi di e pareva questa pur senza effetto. Dopo tre settimane avvenne che quella donna fosse colta da una flussione reumatica al lato destro della faccia, per cui oltre all'altre cose operate, applicasse anche un sinapismo all' esterno del braccio stesso. La flussione si dileguò; scomparve prestamente la leggera rossura che l'impressione del sinapismo aveva prodotta, e comparve invece immediatamente dov'era stata quella rossura un bitorzoletto sopra uno dei punti feritivi dell' inne- sto ; il qual bitorzoletto, ed era il vigesimo quarto giorno dell'innesto praticato, a poco a poco si svolse, e presentò una vera pustula vaccinica, ch'ebbe poi regolarissimo il corso. Gli altri punti feriti, naturalmente assoggettati nel braccio stesso allo stesso cimento, e nell'altro assogget- tativi espressamente, non anno menomamente risposto. Addottrinato da questo caso, tutte le volte eh' io d'allora ò veduto soverchiamente tardarsi 1' effetto del praticato innesto vaccinico , usai di applicare al sito innestato una fomentazione , eh' io però ò preferita am- molliente, e per lo più con vantaggio, poiché nei più casi il bitorzolo vac- cinico poco dopo si presentava. E vero che nel caso narrato l'azione portata sul vaccino fu ben altro che quella d'un fomento ammolliente; ma mentre quel caso m' istruiva che lo sviluppo dell' innesto può talvolta favorirsi, ove manchi, con qualche mezzo locale, io non poteva non preferire in gene- rale i mezzi ammollienti agli irritanti, non tanto perchè credessi che uno slimolo applicato a quell' epoca dell' innesto potesse convertir il vero in falso vaccino, come è pericolo che avvenga quando lo stimolo è applicato in corso del vaccino medesimo: quanto perchè allo scopo prefìssomi pare- vami infatti più adattata 1' azion dei vapori acquosi, che a tutti è nota, nei quali non può non considerarsi il grato e molle stimolo del calorico che contengono , più forse che ogii' altro agente atto a sviluppare il torpido miasma , intanto che lo stesso fomento dispone il tessuto cutaneo a ceder più facilmente, e a prestarsi a quel suo sviluppo. Dissi in generale, perchè in qualche caso può di certo giovare piuttosto l'applicazione d'una ventosa, in qualch" altro caso ò veduto che si dovette pur veramente ricorrere a qual- che fomentazione irritante: dei quali differenti mezzi la convenienza non sarà diffìcile a stabilirsi nei varii casi , dalla considerazione delle circo- stanze esterne o interne dell'individuo innestato, e a posteriori dall'inu- tilità dei precedentemente tentati. Questo solamente io devo qui riferire che i notati casi non mi furono vani, e che dimostrata per essi la possibi- lità che il processo vaccinico sia notabilmente ritardato nel suo sviluppo, e rallentalo poi nel suo corso, e sia artificialmente provocato, e consegua però niente meno il suo scopo, m'ànno servito a stabilire una pratica, della quale non è dubbia in moltissimi casi la utilità. ISegli anni i8i5 e i8i4 lessi alcuni rapporti, perchè era metodo allora che le donale opere alla Società non passassero a giacer neghittose e di- menticate negli scaffali della sua Biblioteca, ma consegnate ad un Socio, fossero da lui studiate, ed egli poi ne facesse rapporto, aggiungendovi le 79 osservazioni sue proprie; ottima costumanza che meriterebbe d'essere ristabilita, per la quale ben mi ricorda quante e come bellissime e impor- tantissime relazioni qui furono lette, superiori certo di gran lunga a non pochi originali lavori. Ho dato rapporto d'una Memoria che il dott. Frizzi di Trieste à qui mandato manoscritta sulle malattie verminose, la qual Memoria comecché contenesse molto di che spetta alla Storia naturale dei vermi e alle loro mediche relazioni , pure non à potuto non comparire assai inferiore a quanto la medicina possedeva in cpel tempo di cognizioni su quella classe di malattie. Essendosi l'Autore lungamente occupato della complicanza dei vermi nelle affezioni più gravi iposteniche, io m' intrattenni di questa com- plicanza anche nelle ipersteniche, e data l'occasione, dissertai su quella forza di antagonismo, che non è forse comunemente calcolata abbastanza nella spiegazione specialmente di molti fenomeni che presenta l' economia animale sturbata dalla sua condizione di sanità, sulla qual forza il nostro Socio dott. Pezzoli avea già fatte sentir le sue idee , che più tardi à poi pubblicate. Da quel tempo 1' osservazione ulteriore non mi condusse a ret- tificare verun mio pensamento su quelle malattie, delle quali la monografia offertaci dal nostro Socio , e considerata di fronte alle cognizioni , delle quali la medicina è arricchita attualmente, non può qui ricordarsi che come un Saggio di cui forse il pregio principale era 1 erudizione che l'au- tore vi à sparsa relativamente all' idee che su tal soggetto à avute il popolo Ebreo, del qual Saggio l'imperfezione s'era notabile idlora» non potrebbe che comparirvi a questi di ben maggiore. Un altro rapporto lessi su una Memoria dell' illustre dott. Penada sul ritorno periodico delle costituzioni morbose. La dottrina di quel nostro Socio esposta in quella sua Memoria stava raccolta in questo semplice sil- logismo ; le costituzioni morbose dipendono dalle costituzioni meteorolo- giche; le costituzioni meteorologiche si ripetono costantemente col periodo del Saros ; dunque le costituzioni morbose si ripetono col periodo mede- simo. E tale fu la forza di questo sillogismo nella mente di quel pazienlis' simo osservatore., che facendo il confronto di ben- dieci cicli del Saros, tro- vava appunto corrispondersi in tutti dieci le relative malattie dominanti. Francamente confutando la dottrina del nostro Socio, dimostrai quanto aL ragionamento esser falsa la premessa del sillogismo , poiché è ben vero trasporta nell'interno per le bocche dei porti durante Je burrasche. Que- ste, ed altre materie di siniil natura non possono, malgrado le correnti che si manifestano verso i porti in tempo del riflusso, essere tutte trasportate in mare, e la maggior parte di esse tende anzi a depositarsi, ed a rialzare il fondo, preferibilmente dei canali, allorché le acque discendendo scoprono le parti più elevate, e si versano dentro ai canali stessi. Ma a ciò che non può operare la natura da se, si supplisce colle risorse dell'arte. Tostochè il caso Io esige, ogni canale viene escavato, e ridotto ad una conveniente profondità : e mantenendosi possibilmente con tal mezzo un equilibrio fra le materie depositate, ed artificialmente trasportale, perviensi ad assi- curare il corso alle varie specie di navi , ed a conservare bastantemente rialzate, e vive ne' suoi movimenti le acque per la salubrità dell' aria. L' e- sperienza però dimostra che con tale espediente difficilmente si riescirebbe a conservare innalterabile la condizione attuale della laguna. D' anno in anno si aumenta sempre più il bisogno di fare dell' escavazioni, e le spese che s'incontrerebbero per quest'oggetto, non sarebbero coli' andar del tempo più proporzionate agli effetti che si dovrebbero ottenere. Nasce quindi la necessità di ricorrere ad altri artifici onde accertarsi che la con- servazione della laguna non sia più d'ora innanzi affidata all'arte sola, ma che la natura stessa possentemente contribuisca co' suoi mezzi a per- petuarne non solo l' esistenza nel suo attuale stato , ma a migliorarne eziandio la condizione sotto i principali rapporti delle facili e pronte co- municazioni con navi d'ogni portata, della sua estensione, e dei movi- menti dell' acqua celeri, e liberi in ogni sua parte. Per ben intendere il partito da adottarsi convien prima parlare delle altre cause che di sopra accennammo come influenti a portar danno alla laguna coli' esercitare l'azion loro dalla parte esteriore verso il mare. Il celebre Montanari Matematico della Repubblica Veneta, cammi- nando sulle tracce indicate da altri, e specialmente dal Sabbattino altro Matematico della Repubbhca, e con una quantità di fatti da essolui raccolti dimostrò, in una Memoria diretta al Cardinal Basadonna nel 1684, l'esi- stenza di una corrente continua, affatto indipendente dai movimenti del flusso e riflusso, la quale radendo la costa del Mediterraneo si dirige per quella porzione che rimane intercetta fra Trieste e Venezia , dal primo verso il secondo di questi punti. Questa corrente trasporta seco in tempo di calma la sabbia dei fiumi, e gran parte di quella che sollevasi dal 9« fondo del mare Stesso in tempo di burrasca. Dopo aver percorso il tratto di costa in cui mettono foce il Tagliamento, la Piave, la Livenza , ed il Sile, urta seguitando il suo corso 1' altra corrente die formano le acque del mare alla loro entrata e sortita dai porti della laguna, in direzione quasi ad essa perpendicolare. Neil' incontro di tali correnti formasi un contrasto che ne cambia le direzioni, e diminuisce in parte la loro velocità. Le sabbie convogliate da quella che rade la costa arrestansi perciò quasi tutte , e si depositano nel fondo alla sinistra della imboccatura dei porti per rispetto a chi tiene la vista volta verso il mare. Quest'opera della na- tura continuamente ripetuta ha jirodotta la formazion di uno scanno il quale si estende in lunghezza quasi parallelamente alla Imboccatura dei porli, e preferibilmente in quelli di Lido, e Malamocco. 11 corso che rade la costa essendo assai lento, né di tal forza da far divergere dalla propria direzione quello dell'acqua che entra e sorte dai porti, ha bensì, come di- cemmo, r attività di urtar questo di fianco, e di far nascere colle deposi- zioni lo scanno, ma non già d' impedirgli la continuazione del suo rapido corso, per cui mantiensi escavato a traverso dello stesso scanno quel ca- nale che le navi di grossa portata sono obbligate sortendo dai porti di per- correre piegando a destra dell'imboccatura per un lungo tratto parallela- mente al riparo che divide la laguna dal mare, prima di potersi rivolgere e prendere liberamente la direzione al punto in cui hanno destinato di trasferirsi veleggiando per 1' Adriatico. Conosciutasi dai Veneziani la viziatura che per tali cause aiidavasi a formare davanti ai porti cercarono di rimediarvi, facendo costruire sulla riva del mare ove sboccano alcuni degli indicati fiumi più prossimi al porto di Lido, non che lungo la base esteriore del riparo intercetto fra i porti di Lido, e Malamocco, delle specie d' argini, o speroni sporgenti in dire- zione perpendicolare alla costa denominati Guardiani ^ colla mira che le sabbie trasportate si depositassero tratto tratto contro di questi, ed il corso radente dell' acqua pervenendo alla imboccatura dei porti quasi del tutto spoglio di sabbia restasse privo d' azione per generare gli scanni. Quantunque l' immaginalo artifizio avesse portato qualche vantaggioso effetto , e tendesse nel tempo stesso a difendere in alcuni punti la costa dagli attacchi del mare, pure per non essere stalo riconosciuto il più op- portuno per far cangiar totalmente la condizione dei porti, fu in progres- so di tempo se non del lutto trascuralo, certo con assai rislrette misure 97 continuato. Le cause pertanto influenti sulla formazione degli scanni conti- nuarono a sussistere, il canale fuori dei porti si prolungò sempre più, e divenne tortuoso, e ciò che è peggio diminuì in ampiezza, e profondità. In questo stato di cose, che anche in oggi non è di molto cangiato, le navi da guerra di alto bordo non possono trovare in quelle situazioni una pro- fondità d'acqua sufficiente che le sostenga, a meno che non siano spoglie in parte di quel peso di cui dovrebbersi caricare ; tutte indistintamente anche le mercantili sono costrette ad usare molti riguardi per mantenersi nel centro del canale ed evitare gli scanni. L'acqua nel flusso non può presentarsi direttamente all' imboccatura dei porti, e nel riflusso non può esserne immediatamente richiamata , ma nell' uno e nell' altro caso è for- zata a percorrere prima un lungo, e tortuoso canale; i movimenti nell'in- terno della laguna perdono quindi della loro celerilà, e prontezza; varia di continuo la direzione del canale che attraversa lo scanno, e scema in pari tempo la di lui ampiezza , e profondità , e cangiando perciò la dire- zione, e la forza con cui 1' acqua entra e sorte dai porti, cangiano in cor- rispondenza le direzioni, e profondità dei canali che compongono le rami- ficazioni interne, e rendonsi incerte le operazioni progettate per facilitare la navigazione entro la laguna. Tutti questi inconvenienti che tendono gradatamente a scemare la libertà nei movimenti delle grosse navi, ed a minacciare benché da lungi, anche qualche danno alla salubrità dell'aria, non sono però giunti a segno che la natura stessa giudiziosamente assistita dall'arte non possa in breve tempo farli svanire, e ridurre la laguna ad uno stato perfetto, ed inva- riabile. Richiamando di nuovo alla mente quei sistema di canali che nell' in- terno della laguna corrisponde a ciascun porto , e che è composto di un tronco che parte dall' imboccatura, e dal quale staccansi dei rami che si estendono innanzi, e lateralmente: dovremo ora per le fatte descrizioni intorno agli scanni aggiugnere a quel tronco un canale pressoché di eguale ampiezza il quale, rivolgendosi a destra del porto, attraversa tortuosamente lo scanno per portarsi ad un punto profondo del mare. In tal modo com- [irendesi che a ciascun porto corrisponde un sistema composto di un tronco con ramificazioni interne, e per cosi dire di una radice tortuosa ripiegata al di fuori. Come siasi formata questa radice, e quanto pregiudizio abbia recato alla laguna, ed ai porti lo abbiamo già bastantemente dimostrato; 98 né resta che a cercare il modo di sopprimerla, e d' impedire che possa di nuovo ri^irodursi. Il partito più conveniente sembra quello di costruire una gran diga a guisa di molo, la quale con un suo estremo appoggiandosi alla sinistra del- l'imboccatura dei porti sia condotta in direzione perpendicolare al riparo che separa la laguna dal mare, attraversi con lai direzione tutto lo scanno e termini coli' altro suo estremo ove il mare trovasi ad una rilevante pro- fondità. Il corso che rade la costa incontrando quest'ostacolo si rallente- rebbe, depositerebbe quasi tutta la sabbia a rinforzo della diga, e ripie- gandosi si volgerebbe colla tenue velocità rimastagli nella direzione della diga medesima. La massa d'acqua che in tempo di flusso si porta diretta- mente contro la costa sarebbe dalla estrema punta della diga spezzata, ed una parte strisciando lungo la parete interna si avvierebbe con molta celerità al porto per entrare in laguna, mentre 1' altra impedirebbe alla corrente che trasporta la sabbia di scostarsi dalla presa direzione, per cui questa tenderebbe ad innoltrarsi sempre più nel mare perdendo gradata- mente il proprio movimento, lasciando cadere la poca sabbia rimastagli sopra un ampia superfìcie, in un luogo profondo, in molta distanza dal por- to, e priva perciò affatto di ogni attività di generare lo scanno. Se per ta- li combinazioni sarebbe allontanato il j^ericolo della formazione delio scan- no durante il flusso, a maggior ragione questo salutare effetto si potrebbe attendere dalla diga nel riflusso. La corrente d' acqua che sortendo dal porto striscia lungo la parete interna, cospirerebbe a mantenere nella sua direzione, e ad indurre maggior velocità a quella che parte dal lato ester- no, e le sabbie sarebbero maggiormente di prima trasportate e disperse in luogo profondo, e lontano dal porto. Posta in tal modo una separazione fra le due correnti nel punto immediato del loro incontro, s secondando da principio con alcune artificiali escavazioni lungo la diga, se pure occor- ressero, quella che entra, e sorte dalla laguna, non tarderebbe questa a tagliare da se stessa lo scanno ora esistente, e ad escavare un profondo canale lambente l'interna parete della diga, distruggendo cosi anche gli altri interrimenti che per avventura fossero cagionati dagli sconvolgimenti delle onde nelle burrasche. L'altro canale tortuoso che di presente è at- tivo, essendo V acqua chiamata per una via più diretta, verrebbe in breve tempo ostruito, ed i porti, e la laguna sarebbero compiutamente sistema- ti. Distrutta infatti ogni causa tendente a riprodurre gli scanni, e reso il 99 corso delle acque libero, e diretlo alla Imboccatura, massima sarebbe la sua azione per tenere ampiamente, e profondamente escavalo il canale e con esso le interne ramificazioni di cui egli coslituisce il tronco princi- pale; i movimenti nell' interno della laguna acquisterebbero nel maggior modo possibile estensione, velocità, e prontezza ; invariabile risultando la forza, e direzione con cui l'acqua entra, e sorte dal tronco principale, sla- bili del pari si renderebbero le opere progettate per la rettificazione dei canali interni, e di gran lunga diminuite le cure per mantenerli escavali a conveniente j^rofondilà; costruendo alla punta estrema della diga una torre con fanale le navi d'ogni specie potrebbero di giorno, e di notte con tutta sicurezza entrare, e sortire dai porli senza bisogno alcuno di arre- starsi per essere guidate dalle sole persone che conoscono localmente la sicura via che può essere percorsa. In una parola tutti gl'inconvenienti cui per fisiche cause interne ed esterne trovasi ora, e sarebbe sempre piià col- l'andar del tempo soggetta la laguna, verrebbero, per la costruzione delle dighe alla sinistra dei porti, o levali del tutto, o pochi ne resterebbero ai quali non si potesse facilmente, e prontamente por riparo. L'idea di queste dighe sorge come ognun vede da quella dei guardia- ni immaginati dai Veneti. Evvi però una sensibile differenza, e sta in que- sto; che mentre i primi erano costruiti in gran numero, lungo la costa, con ristrette dimensioni, ed assai poco sporgenti, il numero delle dighe può in vece essere ristretto non solo a quello dei cinque porti della laguna, ma dei due più importanti, e che hanno sofferto maggior deperimento, di Lido cioè, e Malamocco. Sono innoltre situale nel punto preciso in cui succede l'incontro delle due correnti per separarle affatto fra di loro, co- struite con grandi dimensioni, e sporgenti fin ad un punto profondo del mare: per le quali cose si ottiene da esse sole tutto quell'effetto che invano avrebbesi potuto sperare dalla ripelizione di piccoli guardiani collocali l'uno dopo l'altro lungo la costa, ed in molla distanza dai porti. Ora che abbiamo veduto che per sistemare , e conservare nella sua miglior condizione la laguna, non resta in oggi che a toghere le viziature manifestatesi all' imboccatura dei porti, e ad impedire che possano col tem- po riprodursi; non sarà fuor di proposilo il soffermarsi un poco per dimo- strare, quanto savia fosse la determinazione presa nei tempi andati di e- scludere le acque dei fiumi dalla laguna. Senza parlare degl'innumerevoli fatti ad evidenza riconosciuti dall'antico governo veneto sugli interrimenti lOO ed allri perniciosi effelli cagionati da quelle acque, basterà osservare che esse appena entrate nella laguna, essendo tenuissimo il lor volume in con- fronto della gran massa d'acqua che trovasi costantemente entro questo recipiente, estinguesi la limitata loro velocità a poca distanza dal margine, si spandono, s'immedesimano colle acque della laguna, e si assoggettano agh stessi movimenti di queste. Lungi quindi dal far cangiar legge a questi stessi movimenti, e dall' indurvi maggiore attività per escavare, e traspor- tare materie fuori dai porti, non avrebbero fatto che aggiugnere tutte quelle che seco conducono alle altre che come accennammo esistono per cause diverse in laguna. Più rapidi, e fuor di misura sarebbero quindi stali gli interrimenti dei canali interni, e di lutto il fondo. Non solo dalla cor- rente che rade esternamente la costa sarebbe stata trasportata la sabbia , ma sabbia pure, e terra sciolta avrebbe seco condotta ogni volta quella che sorte dai jiorti in tempo del riflusso ; le deposizioni nell' incontro di quelle due correnti multiplicaie; le sole viziature alle imboccature dei porti, parte cangiate in assolute ostruzioni, e parte in ristrette foci di un fiume; e tutta intera la laguna trasformata in oggi in una deserta palude intersecata in poche linee dal corso delle sole acque provenienti dalla terraferma. Si abbandonino i porti, vi si rimettano i fiumi, ed a questo tri- stissimo fine da cui fu fin' ora sottratta si vedrà in breve tempo ridotta. Quando abbiasi in mira di conservarla, il suo vero alimento non può ripetersi che dalle acque del mare, regolandone coli' arte i naturali movi- menti in guisa che ne risulti un'azione continuata, e nel modo più effi- cace diretta a perfezionare T attuale sua interna organizzazione. Le dighe costruite alla sinistra dei porti sulle traccie indicate modificano appunto, e regolano con tali principi il moto del flusso, e riflusso, sopprimono ad un tempo la dannosa influenza della corrente che rade la costa, e devono non solo per gli esposti ragionamenti, ma anche per ripetute osservazioni a prova di fatto essere riguardate, come il solo espediente che in oggi ri- mane per dar nuova vita alla laguna , e preservarla in avvenire da ogni sinistro cangiamento. Progetti di questa natura sono già stati fatti in questi ultimi tempi, ri- spetto in parlicolar modo al porto di Malamocco che riguardasi come quello che più facilmente e con miglior risultamento può ammettere una sistema- zione della specie indicata. Alcune opere preliminari sono anche state ese- guite, e quantunque non lievi somme occorrano per portare a compimento lOI la costruzione di una diga , o modo clic allraversi un ampio scanno, e prolunghisi fin dove il mare trovasi ad una rilevante profondità, pur non ostante e da sperarsi, che mentre il paterno nostro Governo si prende tante cure per impedire che scoli, e canali delle vicine terre trasportino materie in laguna; e con somme ragguardevoli saggiamente provvede a lutto ciò che può procurare solidità , e durata agli antichi murazzi, agli argini con scogliera di recente, e con più sano consiglio eretti, ed a quanto costituisce quella immensa frontiera che difende la laguna dagl' impetuosi attacchi del mar burrascoso, vedremo anche condotta a termine un'opera, la quale riunita alla esclusione totale delle acque procedenti dalla terra ferma, ed alla preservazione dell'arginatura che divide la laguna dal mare, renderà compiuta ed assicurata la difesa contro tutte quelle fisiche combi- nazioni che tentano di opporsi alla perenne conservazione di un vastis- simo porto di mare nel cui centro risiede la magnifica , e popolosa città di Venezia, ed un grandioso Arsenale; ove si può ancorare una infinità di navi mercantili e da guerra con tal sicurezza che anche in tempo di grandi tempeste il più legger naviglio governato da abili rematori può sen- za alcun pericolo trasferirsi da un suo estremo all'altro ; nella di cui pros- simità sboccano con sommo profitto dei commerciali rapporti i maggiori fiumi d' Italia ; ove per la sua geografica posizione e naturale difesa si può stabilire il principale appoggio delle più importanti operazioni mihtari di terra e di mare in tempo di guerra; ove in fine trovansi riuniti tutti quei vantaggi che gli fecero accordare in ogni tempo la primazia su qualunque siasi altro porto di mare (i). (i) La munificenza della Maestà di Ferdinando I Angnslissimo nostro Imperatore de- cretò già, con veneratissima Sovrana Risoluzione del 5 aprile i835, la costruzione delle opere per la sistemazione del porto di Malamocco. i/f SULLA UTILITÀ' DEI RIMEDI! MORALI KELLA CURA DEL SONNAMBULISIVIO MEMORIA DEL DOTT. GAETANO RUGGIERI ■VICE - PRESIDENTE DELL' ATENEO X ietro Stefani, sacerdoLe, d'anni 79, air ijicominciare del mese di maggio diveniva in ogni anno sonnambulo , e continuava ad esserlo fino al novembre , in cui passava la notte in sonno tranquillo sino al ritorno del maggio dell' anno successivo. Nei tre mesi di giugno, luglio, ed agosto il sonnambulismo era in ogni notte più lungo, che nella primavera, e Del- l'autunno, e segnatamente nella stagione autunnale era piii corto quando o per burrasca, o per pioggie smoderate, o peraltro, l'atmosfera erasi fatta repentinamente troppo fresca. Era nell'età di sedici anni, allorcliè ebbe lo Stefani ad accorgersi d'essere divenuto sonnambulo. Ne riferisce la prima invasione ad uno spavento, che lo percosse mentre dormiva, e lo svegliò bruscamente, e Io (enne esagitato per più ore di seguito. In un'abitazione non molto distante dal Seminario di Bergamo, in cui egli soggiornava, si aveano raccolte molte masse di fieno non bene seccato, le quali furon messe alla rinfusa, essendo ancor verdi ed umide, sopra la tettoja di un gran casalone. Di notte s' ac- cesero queste masse in maniera, che presentaron un grande incendio, le cui fiamme faceano per lungo tratto infuocato l'orizzonte. Tutto fu messo in tumulto : le campane suonavano a stormo : il popolo afibllato nella via : strumenti d'ogni sorta pel trasporto dell'acqua, per frangere pareti, e tavolati: un gridare, un correre, un confondere, uno schiamazzare empiano tutto di terrore : s' alzi, un servente, s' alzi, disse allo Stefani, che siam nel pericolo di morir tutti. Egli aperse gli occhi, vide in fiamme la propria .stanza , «idi lo strepilo dell' intorno , credette che fosse giunta 1' ora dello sterminio di lutti, prese la fuga, e senza saper dove si volgesse, s'abbattè- in alcune secchie abbandonate in un corridojo, e cadde a terra, ravvolto- landosi colle secchie nel suolo , e rimanendo guazzato di acqua , per cui provò uno spavento, che lo porlo a convulsioni, ed a gemiti infrenabili, ed in questo stato rimase per qualche ora, perchè non eravi alcuno, che lo assistesse, mentre l' incendio avea prodotta la confusione nelle gambe, e nelle menti di tutti, e il Seminario era divenuto il recinto degli operai della torre di Babele, i quali moveansi all'insensata; parlavano non arabo, non latino, non friulano, non tedesco, ma il linguaggio il più discordante, e tumultuario del mondo. PSella sera dopo, Io Stefani, messosi a letto, prese sonno, ma nell'ora precisa in cui fu svegliato dal servidore nella notte antecedente, sentissi scosso da un tal fremito di tutta la persona, che trovossi sospinto ad uscire dal letto, e cercare alla finestra di procacciare refrigerio all'interna irre- sistibile sua ambascia. Consultaronsi dei medici per evitare il corruccio molestissimo , che jier ben dieci notti si riprodusse nell' istesso modo , e venne suggerito di usare dell'oppio, il quale gli si dava nell'atto di porsi a letto. S' addormentava placidamente , ma nelF ora dello scompiglio in- terno, lo Stefani si alzava e camminava per la stanza. Il servidore nella prima volta che fu testimonio del fatto gli richiese, se comandava qualche cosa. Air inchiesta del servidore, che appostatamenle se lo faceva dormire iieir istessa stanza, acciocché accorresse, nel caso di bisogno, ad assistere il giovane studente, egli cadde a terra, e spaventato rispose, perchè m' a- vete svegliato dal mio sonno. Il servidore ebbe 1' ordine di non mai più dirigergli alcuna dimanda, sebbene il vedesse, senza ragione, ad uscire dal letto, e di starsi pronto a suffragarlo nei soli casi, in cui dimostrasse di precipitare in qualche pericolo. Si continuò per dieci sere la porzione oppiata, e poscia se la sospese, perchè il giovane ne provava delle molestie : 1' appetito rimaneva abbat- tuto: il corpo divenne stitico: tutto il giorno era svogliato, e senlivasi op- presso da languore in tutte le membra. Abbandonato l'oppio, a poco a poco si ri^iristinarono le forze, le funzioni naturali si ricomposero, e tutto appalesava la salute la più fiorente : ma il fenomeno della notte si man- tenne lo stesso, e l'abbandono dell' oppio non avea influito a variarlo. Ogni notte, dopo un' ora, od un' ora e mezzo di sonno, discendeva dal letto, camminava per la stanza, metteva in acconcio le sue carte, se- devasi a scrivere, maneggiava dei libri, assettava le stoviglie, puliva la I io5 gabbia di due ucccllelti, usciva fuori dalla stanza, discendeva talvolla nel cortile, entrava tal altra nel locale delle scuole.^ mettevasi ginocchioni a pre- gare, parlava ora sugli argomenti de' suoi sludii, ora su altre cose, dopo una ed anche due ore, che avea vagalo intorno, rimettevasi a letto, e ne rimaneva dormendo tranquillissimo fino all' ora , che la comunità riedeva agli ufficii diurni. Quando nella mattina a lui si raccontarono le cose della notte, egli strabiliva di meraviglia, ed assicurava di non averne la menoma ricordanza. Ma siccome il vederlo uscire dalla stanza causò la temenza , che ciò potesse portarlo a qualclie pericolo, si pensò di chiuderne le porte. In quelle notti, nelle quali non avea il progetto d' andar fuori, dopo aver lisolute le operazioni or d'una sorte or d' un'altra alle quali nell'interno della stanza si dedicava , ritornava a sdrajarsi, e terminava le ore del ri- poso senza interruzione; ma in quelle notti, nelle quali avvisava di girare pel seminario se rinveniva le porte chiuse in modo, che non si potessero con facilità aprire, frugava in ogni angolo per averne la' chiave, l'armadio, il soppediano, lo scrillojo, gli scafali della libreria, il pagliariecio, le tasche degli abiti del servidore, finché riusciva ad impossessarsi della chiave, e poscia usciva, e quindi ritornava al giaciglio senza fare alcun tumulto, ma una volta, che fu prescritto, che la chiave fosse portata fuori dalla stanza è successo un'inconveniente non leggiero. Era la notte del 27 luglio, ed il caldo era focoso. Alle volte usciva con il secchiello, e discendeva a pren- dere acqua. In quella notte, preso in mano il secchiello, s'avviò alla porta della stanza, e non trovando modo d'aprirla, si mise a fare le solile inda- gini per rinvenire la chiave. Non essendovi riuscito, s'avvisò di levare le porle dai loro sostegni, e non avendo potuto condurre a compimento la sua operazione, prese il seccliiello, e lo battè ripetutamente contro le por- le, e poi andando su e giù infuriato per la camera, slanciò contro le porte il catino, l'orinale, e finalmente cadde a terra pieno di convulsioni, e svegliossi mandando urli di spavento. Notisi, che non mai mostrò di avvi- cinarsi alla finestra, per uscire da cjuella parte, e sembra che non mai egli abbia in dormendo concepito un'idea, che una qualche volta non 1' abbia concepita sveglialo, ed è da credersi che non abbia tentula la strada dei balconi, perchè nelle ore del giorno non mai pensò, che vi potesse essere il caso, che per escire dalia propria stanza si rendesse necessario di calarsi dalla finestra. Svegliossi, diceasi, mandando i gridi di un uomo spaven- talo, e fu assahlo dalla febbre, la quale si riprodusse per quattordici giorni loG coi caratteri della irritativa nervosa , ed allora soltanto mostrò di essere guarito dalla febbre, quando nella notte venne colto dal solito sonnambu- lismo, il quale per tutto il tempo del malore, era affatto soppresso. Codeste vicende fecero adottare il partito di non piìi porre in pratica alcun mezzo, che valesse a turbare le sue operazioni da sonnambulo, e se ne abbandonò il trattamento curativo alla natura. Stette otto interi anni nel Seminario, e sempre dal maggio al novembre durava il sonnam- bulismo , e nella stagione fredda il sonnambulismo cessava. Lo Stefani nondimeno godeva sempre di buona salute ; era di mente perspicace ; nella carriera degli studii si elevava dagli altri; la poesia avea in lui un lodato artista; e la teologia trovava in esso un seguace di acuto, e dottissimo in- gegno. Percorso lo stadio della educazione ecclesiastica, e divenuto sacer- dote , dedicossi dapprima all'insegnamento: sostenne le scuole dell'elo- quenza, quelle dell' estetica, ed in ultimo volle battere la carriera del per- gamo, e come sacro oratore ottenne plausi ed allori. Il sonnambulismo gli fu sempre compagno in quei mesi dell'anno ne'quali era solito ad apparire, e, se per alcuni giorni non Io assaliva, era quando egli trovavasi oppresso da quaicke malattia, che rendesse variata la condizione de' suoi sensi. Credeva lo Stefani che non fosse per alcun modo possibile liberarsi di questo corruccio, ed avendo parlato in via accademica con molti medici del fenomeno, e molte dottrine da essi sentite ed anche molti riraedii rac- comandati, narrò che né dalle dottrine, né dai medicamenti non mai potè conseguire alcun vantaggio. A me parve, che non si doveva tenere per di- sperata la guarigione, e mi sembrò, che la storia del male somministrasse argomenti per giungere ad ottenerla. Il male per alcuni mesi apparisce, e per alcuni altri cessa interamen- te. Non procede adunque da alcuna causa, che sia inerente al corpo, ma sembra piuttosto derivare da perturbazioni, eccitate dall'anima. Forse puos- si credere, che l'anima valga a promovere tali perturbazioni, quando si trovi non impedita da alcuna circostanza ad esercitarle. Nell'inverno l'ammalato non è mai preso dal sonnambulismo, e passa tranquille le intere notti nel letto; il sonnambulismo non si manife- sta neppure in estate quando una malattia intervenga ad alterare la sensi- bilità ordinaria dell'individuo. Sembra adunque, che nell'inverno l'idea del freddo, e nell'estate l'effetto del male inducono nello Stefani l'anima in attitudini diverse dalle consuete, per cui que'tali suoi movimenti, che dopo io7 lo spavento per l'incendio divennero abituali, trovansi alterali e sconvolii e quindi trovasi anche impedita ad esercitare quelle perturbazioni parti- colari il cui risultamento si appalesa sotto la forma del sonnambulismo. Zacuto Lusitano, Zwingero, Libavio, Hoffmann, Tandlero, proposero va- ri provvedimenti coi quali ebbero in mira di ricondurre l'influenza dell'a- nima nel corpo alle norme naturali, e piuttosto che suggerire quei farma- chi interni, i quali hanno la nominanza di anlipasmodici, o potenze medi- camentose atte ad infrenare la troppa vivacità delle oscillazioni de' nervi , additarono, come li più efficaci, dei mezzi meccanici, i quali valessero a scompigliare la immaginazione, senza che l'economia corporea fosse con- dotta a mutazioni permanenti. Le musiche strepitose ne'luoghi contigui alla stanza del sonnambulo, i grandi rumori, dai quali 1' ammalato fosse por- lato ad isvegliarsi prima che il fenomeno dell'uscire dal letto addivenisse, furon le molte volle provvedimenti assai vantaggiosi. Veniva tolta l'anima dall' occuparsi in quelle mutazioni del sensorio, alle quali andava dietro il sonnambulismo, ed a poco a poco raccontano i detti scrittori che si riu- sci quasi prodigiosamente a dileguare la malattia. E lo stesso Savages rife- risce che venne riconosciuto profittevole l'aggiustare presso al letto del- l'ammalato una botte piena d' acqua fredda, nella quale 1' ammalato fosse costretto d'immergersi, se nel sonno venisse preso dall'accesso, e non po- tesse moversi dal suo giaciglio senza andarvi dentro. Dice anche che tornò vantaggioso di collocare nella camera dell'ammalato un uomo sano col far credere al malato, che questi pure sia sonnambulo, istruendo il secon- do di cogliere gì' istanti, ne' quali l'altro dorma placidamente, per movere degli schiamazzi sempre fingendo di essere in sonno, e fra questi schia- mazzi di percuotere il sonnambulo a segno, che egli si svegli, e sveglialo che sia di continuare a menar romore, ed a percuoterlo, finché egli cer- cando di liberarsi da un pericolo faccia delle violenze contro il suo as- salitore, per le quali possa dare a credere, che il suo sonno venne rotto, e conosca di operare degli eccessi riprovevoli. Questo partito ricordato, come si dicea, da Savages, può riuscire non poco sanativo, perché impri- me un'avversione al sonnambulo per la malattia a cui è soggetto, e per- chè sorprende 1' anima nel momento in cui stassl ad operare i mutamenti nella immaginazione, e la disloglie dal compierli per intero. Conseguentemente a queste cognizioni io fui portato a pensare che queslo sonnambidismo da nuli' altro dipendesse., che da certe abitudini io3 contratte dall'anima in quella volta in cui lo Stefani, mentre dormiva, fu sorpreso dallo spavento per V incendio accaduto in vicinanza del semina- rio, e che si potesse pervenire a guarirlo, qualora si trovasse il modo di sviare l'anima a riprodurre li consueti risultanienti. A cosa si potrebbe riferire, se non a questo, la osservazione, che non mai nell'inverno l'am- malato esce dal letto ? Il freddo di quella stagione è una causa di assoluta molestia al corpo, che a sentirne l' impressione si esponga ; le azioni del- l' immaginazione vengono da questa idea variati, e quindi quegli effetti non addivengono^ i quali accaderebbero se 1' anima da una causa nuova non fosse impedita dall'esercizio suo ordinario e dall' operare il suo modo speciale d' influenza sopra il sensorio. Io ho suggerito Impertanto^ non di apparecchiare una botte piena d'acqua per immergervi il sonnambulo, perché questo mezzo lo trovai difficile, e forse impossibile per la pratica, ma ho invece suggerito che tutto all' intorno del letto si costruisce una cassa lunga quattro piedi, ed avente un piede e mezzo di altezza, la quale presentasse una specie di ferro, che non facilmente si potesse valicare, se avveniva che il inalato nel suo sonno morboso si mettesse in cammino. Siccome dal racconto storico che mi si fece dei varii fenomeni che accom- pagnarono questo sonnambulismo, avea potuto raccogliere , che tutte le volte, che l'ammalato venne scosso per qualche violenza dal sonno ambu- latorio, sempre ne senti male, e provò effetti o febbrili, o convulsivi non poco fastidiosi, e molesti, cosi non volli clie questo fuoco artificiale circon- dante il letto venisse fatto senza saj)uta dell'ammalato, ma volli invece che egli ne fosse pienamente instruito. Non debbe abbisognare, dissi io, un' atto di sorpresa, perchè non è un atto di sorpresa, il freddo dell'in- verno al quale solamente lo Stefani attribuisce il rimanersi a Ietto finché il freddo dura tutte le notti, ma debbe essere necessaria una circostanza, che riduca la uscita dal letto penosa. Si seguirono adunque queste vedute: r ammalato ne fu pienamente convinto: si fabbricò la cassa antidetta : se la riempi di acqua : per render quest'acqua ben fredda, vi si uni del ghiac- cio. L' ammalato si pose a letto: in quella prima notte si addormentò piìi tardi del solito , ma non usci dal letto , e nelle notti successive ciarlò di alquanto, fece nel letto dei movimenti un poco agitati, ma vi rimase fino alla mattina. Dopo quindici giorni si tralasciò di porre la solita acqua nella cassa, ma l'ammalato, quantunque sia rimasto tranquillo, mostrò desiderio che si continuasse a porvela, ed intanto la stagione calda avendo 109 declinalo^ si ristette dal riempiere il fosso , e non addivenne alcun incon- veniente. Giuntoli mese di maggio dell'anno successivo, quantunque il son- nanbulismo non si fosse riprodotto, l'ammalato desiderò, e volle ad ogni costo , che la cassa circondasse il suo letto. Mai più non ricomparvero attacchi; passati quindici giorni, si lasciò in vita la cassa, ma senza acqua; continuò la quiete, e la malattia mostrò di essersi pienamente estinta. Sono passate sei stagioni senza che il sonnambulismo sia ricomparso : ne avea l'ammalato consolazione immensa, e godeva la più lusinghiera salute, quan- do venne assalito da una febbre letargica, che nel volgere di ventiquattro ore lo ha rapito dalla terra. Da quanto abbiamo in questo caso osservato pare, che si possa infe- rire, che la malattia del sonnambulismo allorché non proceda da causa gentilizia, o da sconcerti istrumentali del cervello, o dagli organi sensienti, debba curarsi non coi suffragi farmaceutici, ma piuttosto coi mezzi oppor- tuni a correggere le sregolatezze della fantasia , ed idonei a dirigere le operazioni dell' anima. Possa questa mia opinione essere produttiva di risultamenti fortunati, e mi chiamerò lietissimo, se varrà ad additare in una malattia che è mai sempre accompagnata da gravi pericoli un modo per renderla almeno qualche volta domata. DISCORSO SOPRA L'UTILITÀ' DELLO STUDIO DEGL'INSETTI DEL CONTE N I C O I. (') C O N T A R I N I SOCIO ORDINAniO DELL'ATENEO vjonfuso oltremodo mi seulo nel vedermi formar parie dell'erudito vostro Consesso, rispettabili signori, qualora me stesso considero, e la pochezza delle mie cognizioni. Onorato fino dal giorno dieci luglio del- 1 anno decorso col titolo di Membro Corrispondente di questo vostro Ate- neo, né sapendo a chi parzialmente esprimer debba la mia gratitudine, la paleso ora all'intero Ateneo, al quale protesto indelebile la mia ricono- scenza. Se prima d'ora attesi con genio allo studio delle naturali cose, quanto più non dovrò farlo adesso, e con quanta maggior assiduità, vedendo quale interesse voi ne prendete? Qualunque esse siano le da me fatte osser- vazioni, e quelle che potrò fare in seguito, esse sono vostre, voi ne avete tutto il diritto, ed io vi prometto di mettervene a parte. Imploro solamente fino da questo momento il benigno vostro compatimento. Che lo studio delle scienze naturali riesca utile, e vantaggioso all' uo- mo, è questa una verità incontrastabile, e ne abbiamo tutto giorno abbon- danti prove. Gli animali nostri domestici, che dividono con noi i pesi della ^ita, le piante benefiche che coi loro frutti ci alimentano, coi loro sughi ri.•^auano i nostri malori, e col loro legno si prestano a tanti nostri do- mestici bisogni; le terre, le pietre, i metalli, che con tanto nostro vantag- gio sanno adattarsi ad una infinità di usi: se non fossero stati dall'uomo osservati, contemplati, esaminati, credete voi, che sarebbero pervenuti a quel grado di utibtà a cui son giunti ai di nostri per 1' uomo? Egli è dallo studio del differenti oggetti naturali da cui era circondato l'uomo nella sua prima origine, che seppe egli trarne i maggiori vantaggi. Confrontando le loro proprietà, il valore reale delle loro virtù, egli seppe dare la preferenza piuttosto ad una cosa, che all'altra, ad un animale, che all'altro. Infatti pre- feri egli ne' lavori grossolani e forti di servirsi del bue, ne'lunglil viaggi del camello, nelle veloci corse del cavallo, e per suo fido, e vigilante compagno scelse il cane. Cosi fra le piante potè distinguere le venefiche dalle salutari, quelle che avrebbero potuto nutrirlo, sanarlo, vestirlo, ed essergli utili in mille modi. Lo stesso dicasi dei metalli, l'uso dei quali è divenuto ormai indi- spensabile. Eppure a prima vista presi separatamente questi esseri così utili, e guardati con occhio indifferente, nulla presentano di quello che sono in fatto. Chi detto avrebbe, dopo veduto il bue per la prima volta a pascersi nelle spaziose praterie, che quell' animale fosse così mansueto, cosi forte, cosi buono nella sua carne? Chi avendo trovato a caso spontaneo il frumen- to, si avrebbe immaginato, che col suo grano nutrir si dovesse la maggior parte degli uomini? Chi avrebbe creduto, che l'oro, il quale trovasi fram- mischiato con altri minerali e sepolto nelle viscere della terra , un giorno sarebbe stalo il primo, e pii^i possente dominator dell'universo? Senza lo studio profondo della natura di tali esseri, e delle loro proprietà, lutto sa- rebbe stato perduto per noi., ed essi esisterebbero al mondo affatto per noi indifferenti come n' esistono tanti altri , che noi non curiamo , appunto perchè ben non li conosciamo. Fra questi credo di non errare se colloco gì' insetti. So che molli li disprezzano, li chiamano esseri vili, e conside- rano come cosa indegna dell' uomo 1' occuparsi nello studio di oggetti cosi da poco. Ma non cosi pensano quelli, i quali sanno veramente che nulla vi è di piccolo nella natura, e che un sol gorgoglione è bastante per occu- pare la mente del genio il più esteso. Per farvi conoscere adunque che dallo studio degl' insetti noi possiamo ritrarre molti vantaggi , sopra di questi vi tratterrò, o signori, e vi farò spero toccar con mano: Primo. I vantaggi che essi arrecano all'uomo nell'economia dome- stica, e nelle arti. Secondo. I vantaggi che noi possiamo ritrarre dagl'insetti insettivori. Edili terzo luogo ^ come con lo studio degl'insetti noi arriviamo a co- noscere, ed ammirare i moltiplici e variati modi che essi impiegano per difendersi dai loro nemici, per riprodursi, e per provvedere alla loro sussistenza, ed a quella della loro prole. A'^eri saranno i falli che addurrò.. ii3 e per la maggior parte verificali da me medesimo. Sia questo un piccolo tril)uto che io offro ad una scienza , che f u , e sarà sempre la piti cara delle mie occupazioni, ed il più favorito de' miei studii. Utilità clegf insetti nelV economia domestica, e nelle arti. Se grandi guasti arrecano li bruchi, volgarmente conosciuti sotto il nome di Rughe^ ai nostri alberi col mangiarne le foglie, non meno grandi d'altronde sono i vantaggi che esse ci procurano. Infatti come vivrebbero tanti uccelli del becco molle se sparissero dalla faccia del globo le rughe? Esse sono il loro principale, ed unico cibo. Più non ascolterebbesi allora il melodioso canto dell'usignuolo, né quello degli altri cantori dei bo- schetti ci ricreerebbe. La maggior parte anche degli uccelli granivori ar- recano ai loro j)iccoli per primo cibo degl'insetti. Fu calcolalo dal signor Bradley, che un pajo di passere, che hanno i loro piccoli da nutrire, di- struggono in una settimana tremille trecento e sessanta rughe. Osservò egli che il padre, e la madre si portino coli' imbeccata al nido alternativa- mente ognuno venti volte all' ora. Eccovi quaranta beccale all' ora. Or supponendo, che le passere portino \ imbeccala ogni giorno per lo spazio di dodici ore, formeranno quattrocento e ottanta in un giorno, e 336o in una settimana, perciò 336o rughe se in ogni imbeccala vi abbiano portata una ruga. Riflelleudo poi al numero immenso di passere che esistono sulla terra, e di altri uccelli insettivori, si dee dedurre quanto sieno le rughe utili, anzi necessarie per questi uccelli, parte dei quali poi occupa un posto distinto fra le delicate nostre vivande. Siccome poi vi sono delle rughe prive di peli o rase, e di pelose, e non venendo che le prime mangiate dagli uccelli, e rigettate le seconde, cosi sembrerebbero quest'ultime inu- tili. Ma se si rifletta, che tutte trasformansi in falene, od in papiglioni, e che di essi poi cibansi volentieri gli uccelli, cesserà senza dubbio questa opposizione. Le carni attaccate dai vermi, o dalie larve della mosca camaja, Musca carnaria. Linn : corromponsi più presto di quelle, che ne rimangono in- lalle. Cosi sono esse dunque utili col procurare la sollecita distruzione dei cadaveri, e delle carogne abbandonate sulla superficie del suolo. Esse le riducono in terriccio, the forma la parie più sostanziosa, e pi-odultiva della terra. Per si falla guisa diminuendosi la qnantilù di irueste sostanze ,.4 dalle quali esalano continuamenle dei gas deleterj, impediscono l'infezio- ne dell' aria. Se dannose riescono le cavallette , allorché troransi moltiplicate al- l' eccesso, col rodere e distruggere li vegetabili tutti, riguardar si devono da un'altro lato di somma utilità nell'economia domestica per que' popoli, che esclusivamente di esse si cibano, e che vengono perciò chiamati acri- dofaghi. Sodo esse riguardate dagli Ottentotti come un cibo mandalo loro dalla Provvidenza. Le mangiano avidamente, le apprestano in mille modi, ne fanno delle zuppe delicatissime. Le femmine vengono da essi preferite perchè più grosse, a motivo delle uova di cui sono pregne, e per la maggior facilità che hanno di prenderle (i). Gli acridii, specie di cavallette, vengono pure mangiati dagli Arabi, Tartari, Egiziani, e dai popoli della Barberia con molto piacere. Si veggono molti di questi popoli seguitarle nel loro cammino. Alcuni le fanno seccare, le riducono in polvere, e ne impastano una specie di pane ; altri le man- giano arrostite, alesse, o in frittura. Per conservarle le immergono in una salamoja (2). Grato cibo, e delicato erano pe' Romani i bruchi della Phalaena cossiis. Linn. : ossia rodllegno, quelli dei grossi cerambici, e prioni: come al presente gli abitanti della Cajenna vanno in cerca di quelli del Prionus cervicornis. Fab. che vivono nel legno di una specie di bom- bax, per mangiarle (3). Io stesso posso assicurare, che le larve dello Sca- rabaeus melolontha. Linn. : vulgo zampegne j o baij sono dolci, e di ottimo gusto , e volli assaggiarle dopo aver piìi volle veduto i miei cani a man- giarle con avidità , e cercarle con attenzione nelle terre smosse di fresco dall' aratro, o dalla vanga. I termes cosi terribili distruttori di quanto loro si para dinnanzi sono un cibo delicatissimo, e molto ricercato dagli Afri- cani. Li fanno essi abbrustolire come noi facciamo del caffè, e li mangiano cosi senz'altro apparecchio portandoseli alla bocca a piene mani, come noi facciamo dei confetti. M.r K.onig dice di averli gustati, e di averli tro- vali un cibo delicato e sano (4)- Anche le larve del Curcidio Palmurum. Linn.: sono riguardate dagli Americani, e dagli Indiani come un cibo (1) Vedi Brez Floia iles inseclu[ihile5 pag. aò. (2) Vedi Manuel d'Entomologìe. Tom. 2. pag. io5. (3) Vedi Man. d' Entom. Tom. 1. pag. 243 in L. L. L. L. Della mancanza della parte jiosleriore di essa mascella si vede l'indizio in M. M. M. M. 10. Hannovi dei pertugi in N. n. e delle scabrosità alle all'inserzione dei vasi e dei nervi, utili anche all' attacco del palato molle, come si può rilevare dall'isjìezione della flg. i. Evvi in O. un forame alquanto profon- do scol^'ilo nelle ossa palatine 0.*O.* del quale in seguito si rinnoverà la memoria. Due altri pertugi si osservano P. Q. lungo la serie dei denti di questo Iato in conseguenza di precedente lacerazione, come in avanti si avrà motivo di meglio conoscere. 1 1. Rimane finalmente a notarsi l'esistenza nel silo R. di una porzio- ne di nuca j)ropria dei coccodrilli di questa specie: porzione, che si rap- jircsenlò anche ingrandita alla lente fig. 3. la quale esattamente combina colle impressioni di quella della flg. 5 della Tav. II. pag. 49 della rilata Opera del sig. Cuvier ( sur les espèces de Crocodiles vivans ). 12. Riassumendo il sin qui detto si contano li seguenti caratteri. Le ossa esteriori del cranio segnate da lievi butteri; la direzione, e forma dei due condotti nasali: le due serie di denti composte per quanto si potè in- ferire di n.° 19 per cadaun lato, nel maggior numero dei quali la base del dente di sostituzione; nel n.° io a destra l'apice nascente del dente inter- no: cosi pure la distribuzione dei medesimi prossimamente all'angolo dell'articolazione delle due mascelle ; finalmente la porzione di nuca R. Caratteri, che concorrono tutti a testificare, che questo teschio abbia ap- partenuto ad un coccodrillo. i3. Ne sembra aver luogo dopo tutlociò la ricerca diretta, a cono- scere, se questo potesse appartenere ad un salva-guardia, ossia avvisatore { Lucerla 3Io7iitof Limi. ^ineì. 132. 6.) a cui sembrò ad alcuno l'avvici- narlo, ma (hiversi invpre riportare nella prima faniigli.T dei Sairiajii ^ o vogliam dire delle lucerle nella distribuzione del sig. Brongniart {Essai d^une classificalion des repliles^Paris i8o5). Ed in questa famiglia al gene- re dei coccodrilli, ed in questo al soltogenere dei coccodrilli propriamente detti, fra quali alla specie del coccodrillo a muso gracile [Crocodillus acutus Cuvier) Gcofroy ann. mnsae li. XXXVII. Essendo proprio di questa spe- lie l'avere il muso lungo, gonfio alla base, ed acuto nel rostro, la quale sembianza (ad onta che scomposte sieno alcune ossa) ritiene desso, di cui si ragiona. L'analogo vivente si rinviene all'isola di S. Domingo, che però ^ienc anche denominato il coccodrillo di S. Domingo. '44 j4. Ora si esamini, se le proporzioni delle parti esistenti corrisjKjri- dono colle porzioni mancanti, onde risulti un regolare finimento del teschio medesimo. Il sig. Cuvier nella sua Memoria sulle diflFerenti specie dei coc- codrilli viventi, e sopra i caratteri distintivi di essi fa conoscere pag. 48. 1. e. clie la lunghezza della testa di questa specie comj>rende due volte ed un quarto quella che passa dal punto delle due articolazioni della mascella superiore colla inferiore. Si è avvertito di sopra, che la parte posteriore di questa mascella andò perduta, e perciò manca il rapporto dell'articolazio- ne suddetta, quindi è mestieri di sostituire altro rapporto, che vi corrispon- da. Che però osservando la fìg. 2. della Tav. II. delV Osteologia di esso sig. Cuvier 1. e. si vede , che la distanza dell' esterna periferia delll due idliml denti mascellari eguaglia presso poco la distanza , che passa fra F articola- zione delle due mascelle; quindi sostituendo questa proporzione a quella st ottengono due dati sicuri per soddisfare alla soluzione della presente ricer- ca : cioè I. (che nella citala fig. del sig. Cuvier essendovi dalli due ultimi denti sino al fine della mascella superiore non comprese le apofisi corri- spondenti alle masloidee) uu allungamento di tre quarte parli della delta distanza dall'uno all'altro dente pre.sa all'e-sleruo: cosi nel Teschio pre- sente osservandosi addietro alli due ultimi denti mascellari un piccolo trailo limitalo a tre centimetri, ne viene, che per giungere alle Ire quarte parli di detta regolare misura, mancano n. io centimetri. II. Che in quanto al rostro, onde il totale della testa giunga a compiere le due lunghezze ed un quarto fra la esterna periferia delli due ultimi denti mascellari ( fallo il dovuto computo) mancano quattro centimetri, e quattro millimetri. 1 5. Sopra questi fondamenti stabiliti dopo aver prese le dovute misure si ha, che la porzione dell'esistente mascella è lunga . centimetri 24: — La porzione della mascella mancante alla parti? po.steriore n io; — La porzione del rostro perduta 55 4 = 4 Risulla quindi la totale lunghezza del teschio in . centimetri 38:4 Seguono altre dimensioni. Distanza dell'esterna periferia delli due ultimi denti mascel- lari sostituendo al 19. della serie destra, che si vede fuori di luogo la esterna periferia del 18. il quale si trova in linea più re- golare de! 19 centimetri 17: — i45 Distanza delli due canali nasali d' uno dall' allro . . . « 4 • ^ Grossezza formata dalle ossa del palato, e dalle ossa del cra- nio G. H. I. le quali si veggono portate fuori di luogo per le cagioni rammenlate di sopra » 0: — Grossezza dello slesso alla parte del zigomatico F. . . . 51 5:y iG. rSB. La porzione del roslro mancante si è di centimetri 4 e milli- niilri 4'5 ciò s' intende dal punto, ove termina il canale del naso della parte destra, eli' è il piìi esteso. Ma dcbb' essere questo egualmente che il com- jiagno ricoperto dalle ossa formanti il palato. Risulta quindi che mancano lìg. 2. le ossa intcrmascellari C. C., e porzione degli ossi mascellari D. D. che miransi lacerali diagonalmente per un tratto di centimetri 7 alla destra, e di centimetri 1 1 alla sinistra; perciò si veggono cosi tracciati nelle fig. i e 2, sulla esistenza delle ossa dell' archetipo nelli margini S. S. S. corri- sj)ondcnti in dette figure. 17. Essendomi riescilo forlunnlamenle nel modo sopr.i indicato, che sembra consono al naturale, di determinare la lunghezza propria del te- schio, si può rintracciare a qual estensione dovess' esser giunto questo coc- codrillo: alla quale conoscenza giova sperare pur' anco di pervenire. Par- tendo dall'osservazione del sig. Cuvier (Sur les espèces des crocodiles vivans^ pag. 49) si ha, che la lunghezza di lesta di questa specie è un po' più di selle volle della intiera lunghezza dell'animale. Pertanto essendosi rinvenuto essere questa tesla lunga centimetri 38 e millimetri 4-> se si mol- tiplichi selle volte questa dimensione, si avrebbe un risultato , che alcun j>oco sorpasserebbe la totalità, giacché la lesta suol eccedere la proporzione delle selle lunghezze in confronto di tulio il corpo. Per la qual ragione ommeltendo nel molliiilicamenlo li 4 millimetri, che si è linvenulo com- petere alla lesln oltre a 58 centimetri, si avrà piìi prossima al vero la lun- ghezza di corpo, che si sta investigando. Fattosi il computo, risulta, che sarà per essere pervenuto a 26G centimetri. i8. Qui cade in acconcio l'aggiungere alcune osservazioni d'intorno n questo pezzo. Prima di lutto sono a notarsi granelli di ferro minutissimi crrconscritli entro di qualche spazio del palato : osservati questi con acuta lente mostrano essere di ferro oligislo amorfo. Inoltre nei pertugi P. Q., siccome nel foro O si rinvengono dei Polipaj, dall' apparenza dei quali si jMiò tenere per vero, che appartengano alla specie Alveolite incrostante del sig. Lamark. Questi alveoUtì pielriPicati sono in parie snudali da ogni estranea sostanza, ed in parie ricoperli da laminelte umbonate dello stesso ferro oligisto. 19. Non si può trasandare di prendere in considerazione la conchiglia, I he si ve^le schiarala bensì, ma però posta a lato del leschio medesimo. A Ijene osservarla sembra doversi avvicinare a quella specie detta dal signor Lamark Venere lieta. Ma questa unione di animali qui depositati, e che vissero un tempo separatamente, e forse in luoghi gli uni distanti dagli al- tri, come si operò? Strana a dir vero sembra tale combinazione, ma qua- lora si consideri, che non è questo il solo esempio di così falli avvenimenli ( non per altro frequentissimi ) non dee recare meraviglia quello, che or si presenta In fatti il sig. Cuvier {animai de Mastrichc, pag. 82. 1. e ) cosi ragiona: " Sans doiit il paroitra ètrange à quelques nuliii'alistes di' voir un animai swpasser autant en diinension les genrcs dont il se rapproche le plus dans V ordre naturelj, et d' en troiwer le debris avec des prodii- cliojis mar Ines j tandis quaucun Saurien ne paroit anjoiird' Imi vii're dans V eau salée ; mais ccs singularités sont bien pcu considerables en com/m- raison de tant d' aulres que nous offrent les nombreiix monumens de l'Iii- sloire naturelle du mond ancien. » 20. In quanto poi alla presenza delle conchiglie terrestri, clie si os- servano in mezzo ad un adunamento di corpi marini è questo un fenome- no, che si potrebbe inlerprelare in tre guise. I. Dir si potrebbe, clie le conchiglie terrestri alloggiale vicino alle rive dei torrenti in occasione del- Je brentanc possono essere stale trasportate in seno del mare allora esi- stente. II. Si potrebbe dire col sig. Lamarck ( Hist. Nat. des Animeaux sans i>ertebres. Tom. VI. 2. e partie^ pag. 56^ Paris j 1822) che queste conchiglie, che or si rinvengono pietrificale, fossero in origine conchiglie fluviabili, e che dai fiumi sieno discese nei fondi marini. III. Che furono in origine conchiglie marine, le cui analoghe terrestri ora viventi sieno provenule da quelle, che seppero passare dal seno delle acque sopra» il suolo scoperto, ed assuefarsi a vivere per abitudine nell'aria libera coli' es- sersi a poco a poco accostumate alla respirazione dell'aria atmosferica me- desima. Nel qual ultimo caso meglio, che nei precedenti rimaner sembra spiegata la possibilità, che queste conchiglie, le cui analoghe ora viventi sono esclusivamente terrestri, si ritrovino pietrificale in un terreno ter- ziario con le marine. '47 21. Pria ili por fine a questa relazione slimo oppoiluuo di propone un quesito, lo scioglimento del quale si attende dalla penetrazione dei dotti Geologi; ed il- di sapere, se quei polipaj testò rammenlali abbiano effettualo l' attaccamento sopra di queslo teschio ad un tempo medesimo., in cui colà desso sen giacque, ed insieme ipso facto siensi pietrificati: ov- vero se il teschio slesso abbia dato riccllo agli alveoliti dopo uu soggior- no da esso avutosi piìi o meno protratto al di sotto dell'acque prima di essere ricoperto tlall' alluvione, da cui poscia lo stesso ed i polipaj rimi- sero penetrati ? 22. Alla fine giova avvertire, che passano alcune differenze da luogo a luogo, da specie a specie in queste contrade medesime. Nel monticello di Lonigo vi domina la calcarea della già detta varietà ; al contrario nel •colle della Favorita ( Memoria sulle ossa/ossili dei coccodrilli della Fa- porita presso Lonigo. PadovUj i825. Ved. il Giormale de W Italiana Let- leraturaj bimestre settembre ed ottobre ) vi sovrabbonda l' argilla. Le os- sa dei coccodrilli rinvenute alla Favorita diversificano da questo petrefat- to in quanto alla specie, poiché colà si raccolsero ossa di Caiman ad oc- chiali., e qualche vertebra di Gavial ( Memoria suddetta pag. i4 e 19 e fig. 1 e 12:, così pure le pag. 31 e 27 e le relative fi g. 14 j «4* ) mentre per lo contrario dall'esposte dichiarazioni risulta, die appartiene questo alla specie dei Coccodrilli a muso gracile [Crocod. acut. Cuvier). La Fa- vorita vi rimane distante a retta linea una lega all' incirca. La elevatezza, in cui fu rinvenuto questo teschio si può calcolare, che ascenda a duecento metri sopra la orizzontale campagna , mentre il sito della giacitura del coccodrilli della Favorita si può giudicare a dodici metri soltanto sopra l'addiacente pianura. Credei ben fatto d' inserire quivi di seguito queste poche nozioni al lodevole fine contemplato dai Geologi a vantaggio della Paleontograjla Zoologica ( Bulletin des sciences naturelles , et de geologie public sous la direction de M.r le Baron De FerussaCj 3 mars 1827, pag. 887 ). In fatti riunito questo trovamento agli altri delle differenti regioni e località, egli è desiderabile, che possano i Geologi ravvicinarli fra loro a profitto della scienza naturale, ed alla vie maggiore esaltazione di quella mano on- nipossente creatrice, a cui é forza, che si confessi incomprensibile gran- dezza e gloria, I/.8 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE A comodo del formato del tomo degli Atti Accademici fu ridotta la proporzione tra 1" archetipo e tra di questi impiccoliti disegni come il aS al io cioè una Tolta e mezzo mino- ri del naturale. La figura I.' rappresenta i contorni del teschio del già descritto coccodrillo , e delle parli le più caratteristiche del medesimo intorno alle quali cade a notarsi in A. 7. La base del settimo dente alla destra a. 7. La base del dente minore compresa nella precedente dinotante il carattere pro- prio a' coccodrilli. Giù slesso risulta nelle basi dei denti marcati dal n. 8 sino al 19 inclusi- yamente notando che nel n. io , esiste l'apice del dente minore che sorge nel mezzo della base del dente maggiore di questo lato. Li numeri io, 11, 12, — i4, i5, — 17, 18, 19 del lato sinistro indicano li respet- tivi denti, tra quali scorgesi mancante il i3.'" ed il i6.to dente. B. B. Li due canali del naso troncali, la sezione dei quali in forma di luna crescente : si avverte, che questi due tipi notati B. B. in questa figura, corrispon dono ai due corpi ci- lindriformi quali esistono neir archetipo; essi però non sono se non se i modelli ovvero i nocciuoli dei canali ossei che vi mancano e che dovrebbero pure venire coperti dalle lima- nenli porzioni delle ossa mascellari, le quali nella seguente fig. 2. furono marcate D. D. e ciò pel combaciamento dei lembi irregolari derivati dalla frattura tracciata S. S. S. e poscia difesi anche dalle ossa intermascellari C. C. (Cg. 2. medesima) avrebbero a metter capo nel- le parti molli conveneveli al rostro dei Coccodrilli viventi di questa spezie. F. Porzione dell'osso zigomatico alla destra. G. H. I. Ossi del cranio alla sinistra posti da causa comprimente fuori di luogo, ne'qualJ K. Fa conoscere il contorno, sebbene compresso, della cassa dell' occhio. K.* L' impressione della grande apertura formata dai quattro ossi nominati nella descri- zione già esposta nella presente Memoria. L. L. L. L. Contorni del Teschio a destra ed a sinistra. M. M. M. M. Limite della porzione della esistente mascella che accidentalmente nel mi- nare lo scoglio rimase troncata, al compimento della quale, giusta il disegno dato dal sig. Cu- vier della testa dei coccodrilli di questa spezie manca una porzione di dieci centimetri in lun- ghezza. N. n. Pertugi per la inserzione dei vasi sanguigni , e de' nervi colle respellive mem- brane. O. Forame alquanto profondo con alvcolili. P. Q. Aperture nelle ossa mascellari accadute probabilmente per lacerazioni; anche n?ii l'interno di queste trovansi pietrificati degli aìneoliti. R. Por^ioncella dell' esteriore intonaco della nuca. '49 S. S. S. Sezione delle ossa mascellari quali si veggono nell'arclielipo là dove rimaselo spezzate per motivo della troncatura accaduta nel rostro. V. V. Vertebre del collo. La fig. 1 rappresenta La porzione del rostro mancante in questo teschio , la quale si desunse dalla Cg. 2 della Tav. I. Dcs obscn'ations sur V osteologie des crocodiles viiiaiis del sig. Cuvicr, che nei disegui rassegnati all'Ateneo si rappresentò in grandezza adattata al nostro archetipo, ma che per la cagione avvertita sopra fu impicciolita una volta e mezzo meno del naturale. Questo rostro vedesi circonscritto da B. B. E. E. C. C. Ossa intermascellari. D. D. Porzione delle ossa mascellari mancanti nell'archetipo, nelle quali in S. S. S. Osservansi li margini corrispondenti a quelli rimasti esistenti nell'archetipo stesso. Lajig. 3 Fa conoscere piccola porzione dell'esteriore intonaco della nuca ingrandita alla lente; e come alla fig. I. qui sotto descritta, la cui situazione si notò nella spiegazione della fig. I.* colla lettera R. La Cg. I. Senza l'asterisco è ombreggiala al naturale ma impiccolita una volta e mez- zo al di sotto della grandezza dell' archetipo , e rappresenta il già descritto teschio colla espressione dei rilievi in esso esistenti. Consiste questo nella mascella superiore rivoltata dal di sotto air insù; ed è mutilata alle due estremità, del rostro cioè e della parte posteriore della mascella stessa in quel sito dove dovrebbe congiungersi colla mascella inferiore. La mancanza delle quali porzioni viene determinata ed alla dovuta estensione ridotta come si è rilevato nella descrizione datasi nella presente Memoria. Il teschio venne delineato colla continuata periferia della pietra in cui è compreso formante un margine quadrilaterale ; alla cui sinistra parte trovasi compenetrato un modello di una bivalve anche questo accidental- mente troncato, e sembra doversi riferire alla Venere Lieta di Lamark. Conseguentemente anche questa petrificazione fu ridotta una volta e mezzo più piccola di quello che in fatto essa è. In somma fu il tutto riportato su di una scala circa li tre quin- ti più piccola di quello sia l'archetipo; giacché il diametro longitudinale di esso si è di mil' limetri 255 e quello a cui fu ridotto il disegno alla presente annesso si è di millimetri 104. 20 fVff///. "s M^M^ h .' ì -J w ^^...>^,, 7 "•N:>r*Ì ^AV \ S, ^M %,'m^ \ ''c>; j^^ isr* y^.»^.*tr^,«^r»> ;, DUBBII CHE LA BRUCINA DELLA NOCE VOMICA SIA ALCALOIDE CARATTERI POSITIVI DELLA STRICHNINA PURA DISSERTAZIONE DEL SIG- ANTONIO GALVANI SOCIO ORDINARIO NOZIONI PRELIMINARI I soli caratteri proposti dai chimici dietro i quali distinguere la bru- cina dalla strichnina che si contengono nella noce vomica sono ristretti T.° alla reazione dell' acido nitrico concentrato, a.° a quella del protoidro- clorato di stagno sui prodotti nitrati, 3.° alla solubilità od insolubilità de- gli edotti nell'etere, e neir alcoole, 4° aUa condizione di polve propria della strichnina, e di resina alla brucina dovuta. Se qui volessi annunziarvi le diverse opinioni emesse in proposito dovreste concedermi nulla esservi di positivo sulla scelta del reagente, e nulla sulla loro solubilità ne'menstrui, per lo che lice ammettere pura la strichnina tanto se coli' acido nitrico concentrato si tinga in purpureo, come se persiste immutata. Chi ammette la brucina , produttrice 1' arossa- mento, chi ciò riconosce prodotto da un olio sui generis^ per cui sono in- certe per fino le cagioni che rendono impura la strichnina. Si conceda per poco che l'acido sopradetto protossidi, o dentossidl questi edotti; ma fino a che non si determina il mezzo a ben distinguerle, piuttostochè sostenere essere diverse fra loro , come si esige , s' incorre a provarle se non identiche, almeno isomeriche. IJ2 Eccovi perciò uno degli argomeuli che imprendo a traLlaie: conoscere cioè qual verameule sia la sostanza che arrossa la sLrichnina, per quali mezzi averla pura assolutamente, e come distinguerla dalla brucina. Enumerarvi i processi proposti coi quali si tratta la noce vomica, e per quali ragioni uno possa essere il preferibile, saria cosa da riuscirvi no- joso: ognun sa eh" è sempre migliore quello che conduce ad avere residui sceveri affatto di amarezza, bensì mi farò i.° ad annunziarvi che distillate le tinture alcooliche prodotte dalla digestione dell' igasurato di calce con slrichniua, brucina, e principi estrattivi, dal residuo liquore dell' alam- bicco, negletto da tutti, mi fu dato ottenere non poca brucina, 2.° non la- scierò di esporvi i miei dubbj sulla natura basica della brucina , i metodi differenti di analisi che ho istituiti sopra di quella, e le ragioni per le quali credo si possa stabilire che non convenga, mantenersi nella piena certezza che la brucina sia diversa dalla strichnina. Sono io il primo che oso dubitare sull'indole di questo edotto, ed oppormi all'opinione di quelli che a buon dritto devono riconoscersi ristau- ratori delle chimiche discipline. Dall' attrito delle quislioni scienlificlie nascono le scoperte. Trattamento delle acque residue della distillazione delle tinture alcooliche delle calci con strichnina. Compita la distillazione delle tinture alcooliche d:i strichnina resta neir alambicco un liquor denso, amarissimo, di color bruno, sopraslanli all' impuro alcaloide cristallizzalo. Questo già si depura, e per digestione neir alcoole a 22.° e per salificazione , e decomposizione, quello vien da tutti negletto fuorché da Henry che dice di salificarlo per mezzo deli" a- cido nitrico diluito con acqua , onde avere della strichnina che all' altra riunisce. Il trattamento di questo liquore , è il primo oggetto sul quale comin^- cio ad intrattenervi. Kon era fuor di proposito ammettere che in queste acque residue tro- var dovessero, ed il principio giallo colorante , e la resina; ma non era irragionevole parimente supporvi traccie di strichnina tenuta sciolta a ca- gione di particolari attrazioni verso i sovraccennati principi. Riflettendo però al grado di concentrazione di quel liquore, alcoolico di sua natura, alla esistenza nelle noci vomiche di un altro edotto, ed alla solubilità di i53 questo iicll'-Alcool dcLole.; era forza non si tosto escludere la presenza della Brucina. Vi ho versalo pertanto un lieve eccesso di acido solforico dUuilo fa- cendovi poscia svaporare il poco alcoole che vi si conteneva, poi scolorate con carbon animale le decomposi con amoniaca; mi si ingenerò un pre- cipitato resiniforme, di color giallo brillante: l'acqua madre salina per lo solfato di amoniaca era pressoché senza sapore amaro, j'er cui ritenni nulla contenersi di cpiella sostanza in Irisula combinazione. Sapeva che l' amoniaca precipita una resina sciolta nell' acqua per mezzo di un acido, e perciò doveva ammettere che 1' edotto non fosse pu- ro, per cui ho immaginato che quando una soluzione alcoolica è satura di più sostanze, debbasi, reagita da un acido abbandonare quella che in essa ò meno solubile, e quindi precipiti l'alcaloide. Perciò ho sciolto in una quantità di alcoole a 36^ non maggiore di quanto poteva convenire, la ma- teria impura , onde salificata poi con acido solforico ottener la totale se- parazione, o del nuovo composto salino, o di un edotto qualunque. Sulle prime non comparve fenomeno alcuno, ma in seguito quando le carte azzurre appalesarono un lieve eccesso di acido , cominciò a pro- dursi un turbamento che crebbe coli' aggiungere nuove porzioni del mez- zo salificante, e fu allora e non prima che si separò gran copia di minuti cristalli. Li ho raccolti sul feltro, e li riconobbi per un bisale. Questi cristalli, pertanto di forma prismatica lavati con alcoole a 36" li ho sciolti nell'acqua, li scolorai a freddo con carbon animale preparato, e feltrata la soluzione la decomposi con amoniaca. Ottenni conlemjoora- nei due precipitati in apparenza diversi ; uno resini-forme che prima gal- leggiava alla superficie, poscia precipitando aderi al fondo del vaso: ed un altro, fingendo di essere polverulento, mostrava di galleggiare sul liquido: ma questo pure quasi contemporaneo si raccolse in massa aderente vesten- do il carattere della forma non diversa dell' altro. Se voleva approfittare del criterio materiale di Robiquet nello stabi- lire la natura di questo edotto, se voleva riflettere alla fragilità che acqui- stava coH'asciugamento alla stufTa, se alla sua procedenza cioè alla pronta separazione di quei cristalli dalla soluzione alcoolica testé annunziata che prova la poca solubilità loro in quel veicolo, doveva concludere essere bru- cina, giacché tutti questi caratteri non sono propri della strichnina, né dei sali che da questa procedono. Non contento però di averla in istalo di jS4 resina volli oUeaerla cristallizzata per cui la ho sciolta nell'alcoole a 22° la scolorai con carbon animale, e dalla soluzione feltrata la mercè di spon- tanea evaporazione ad aria libera si sublimò la sostanza cristallizzata alle parti del vaso in forma di arborizzazione. La soluzione alcoolica di questa dava segni di alcalinità colle carte reattive, circostanza lusinghiera, giacché caratteristica, e della brucina e della strichnina ; si tingeva in purpureo coli' acido nitrico concentrato e quindi nuova ragione a sperare che fosse 1' edotto supposto ; questa solu- zione in fine trattata con l'alcoole acidulo di acido solforico in lieve ecces- so, precipitava all'istante dei minuti cristalli, come allora che ho trattato il prodotto delle acque madri nell'alambicco, e quindi mi rassicurava esser uno, o l'altro degli edotti della noce vomica. Ciò fatto mi diedi ad esaminare le acque madri rimaste dietro la de- composizione di questo solfato, onde conoscere se vi fossero in esse alcuna traccia di questo alcaloide, tanto sciolto per l'eccesso benché lieve di amo- niaca adoperato, quanto in trisula combinazione al solfato alcalino sciolto. I mezzi prescelti altro non furono che l'ebuli/ion loro, dapprima sole, indi con magnesia, l' asciugamento del magnesiaco prodotto, e la digestione di esso nell'alcoole. Dietro questo modo di agire ebbi a conoscere essere la brucina solubile nell'amoniaca, e suscettibile a formare un sai trisulo col solfato inorganico che in queste acque trovavasi; proprietà la cui prima non riconobbi nella strichnina bensì la seconda allora che aveva in esame le acque rimaste dalla decomposizione dell' idroclorato di lei col mezzo del- l'amoniaca. L'alcaloide pertanto che dalle tinture alcooliche evaporale mi fu dato di avere, lo trattai in parte coH'alcool a 4o° e lo salificai nello stesso modo di prima: ottenni il prodotto salino che già doveva aspettarmi, essendo il principio basico di questo sale di natura identica all'altro, ed ebbi con tal mezzo una parte di quell'edotto che altrimenti veniva negletto: Dietro ciò mi restava da riconoscere cosa contenesse la soluzione alcoolica che mi aveva dato il primo prodotto salino per l'acido solforico; questa la ho pri- ma diluita con acqua, poi la esposi all'azione del calore onde si gazifichi l'alcoole che vi era intromesso, e perciò si separarono dei cristalli prisma- tici che riconobbi essere solfato di strichnina, infine la feci bollire con ma- gnesia, la quale, premesse le debite operazioni, mi porse della brucina. La separazione del bisolfato di strichnina in seguito all' indicata i55 evaporazione mi rassicurò essere questo più solubile nell'alcool di quel di brucina $ giacché se ciò non fosse si sarebbero precipitali ambidue nella prima reazione, alla quale soggiacque l'indicato liquore, ed appunto per questa separazione m' avviddi non essermi ingannato se ammetteva che la stricbnina contener pur si dovesse. Ecco quindi che lo stabilire potersi ottenere soltanto la strichnina da questo residuo conduce in errore per cui l'unione di questo all'altro pro- dotto non giova in quanto che vi si associa quella sostanza, la cui presen- za è ascritta a difetto. Tutta la brucina raccolta la volli depurare giusta il consiglio di Hen- ry salificandola prima coli' acido ossalico, poi trattando l'ossalato prodot- to coir alcool etereo, colla magnesia, e coll'alcoole, per cui l'ottenni, sic- come egli dice purissimo. La tintura alcoolica eterea del sale organico la ridussi ad estratto, vo- lendo che pur questa siami soggetto di esame. Prima di farmi ad indicare i caratteri della strichnina mi sia concesso premettere alcun che sulla di lei depurazione. Poteva non dubitare che pura ella fosse, quando tolta dall'alambicco l' aveva , giusta il parere dei chimici , fatta digerire a caldo nell' alcoole a 22° ma siccome in oggetto di analisi, e massime di sostanze, i cui caratteri sono incerti, perchè incerti i pareri di quelli che li hanno stabiliti , si ri- cerca la maggior esattezza, cosi non sicuro che la digestione anzidetta, sia stata sufficiente a spogliarla affatto di questi principii, la ho digerita an- cora neir alcoole di egual densità indi feltrata ed asciugata la ho in pari modo trattata coll'etere, poi la ho sciolta nell'alcoole a 4o% trattamenti che dovevano farmi tenere per fermo , che per lo primo si eliminava l' edotto basico, e per l'altro, l'olio giallo arossabile dall'acido nitrico, se da que- sto però procedesse la mutazione. Infatti coll'evaporazione spontanea del- l'etere ebbi dei piccioli mamelloni untuosi al tatto, candidissimi, arossati dall' acido stesso, dall' alcoole a 32° mi fu dato un prodotto cristallino re- lativamente copioso, e da quello a 4o° ebbi l'alcaloide purissimo. Sono di brucina i cristalli dell' alcoole a 22°? sarò quanto prima su questo argomento. Ciò premesso passo ad esporvi l'esame comparativo al quale sottoposi questi edotti purissimi, e fra loro e con quelli non separa- ti, e colla sostanza estrattiva avuta per evaporazione dell' alcoole etereo alla cui azione soggiacque l'ossalato di brucina. •i36 Vien detto da alcuni chimici clie la strichnina si scioglie nell'etere, al- tri si oppongono, e questa proprietà riconoscono in quella allora solo che nell'etere siavi libero di quell'acido da cui egli provenne: in esso si am- mette insolubile la brucina : ci insegnano essere la strichnina insolubile nell'alcoole a ^o" e nell' alcoole a 22°; in questo per altro e Tjon nel pri- mo fanno solubile la brucina. Aggiungono essere la strichnina solubile ne- gli olii volatili a differenza dell'altra che lo è difficilmente: ci avvisano che i sali metallici agiscono in pari modo su' ciascuna di esse; e qualche al- tro carattere incerto al par di questi or ora annunziati sono i soli che devono servir di guida per bene distinguerle. Se la purezza delle sostanze influisce a determinare con esattezza le particolari e specifiche lor proprietà, le differenti opinioni sulla reazione dei mezzi diversi sojira di esse applicati, mi assicurano che non tutti le ebbero pure perfettamente. E se non sapessi che in proposito di edotti del regno organico poco basta perchè sorgano anomalie svarialissime le quali procedono o dalla perdita di alcun atomo de'proprii elementi, o dalla fissazione di alcuno di quelli del reagente medesimo a se stessi, non dovrei dubitare che nei trat- tamenti della noce vomica, e per azione del calore, degli acidi, dell' al- coole, e degli alcali cui soggiacque , possano i di lei principil immediati aver subita una qualche modificazione , ed avvenga che il vero preesisten- te alcaloide abbandoni due atomi di carbonio, quattro di idrogeno, e tre di ossigeno per diventar strichnina, o questa preeslstendo attragga a se gli atomi sopraddetti di quegli elementi, e costituirsi brucina , oppure la combinazione diversa ad alcuno dei principi! organici del frutto, verso i quali si sa che sono violenti le attrazioni, influisca a modificare cosi le pro- prietà del vero edotto, che lo faccia apparire diverso da quello. Se l'arrossamento della strichnina per l'acido nitrico concentrato proviene dalla reazione di lui sopra un principio giallo sui generis come giudicarlo un effetto di ossidazione? è l'alcaloide che cosi si modifica, od è invece il principio istraniero? e qualunque egli sia perchè non si deve riconoscere in quello la cagione pur anco dell'arrossamento di quella so- stanza che si convenne denominare brucina, mentre anzi si vuole caratte- ristica di lei proprietà ? e se fosse l' istraniero principio che arrossa qua l sarà adunque la reazione dell' acido sopra 1' alcaloide sceverato da lui ? nuli' altro si sa , se non che ognuno desidera di conoscerla. Ci si dice che i57 questa sostanza eterogenea è quella per cui la strichuiua è solubile uel- 1' alcoole a 22° dunque e perchè non lice sujiporre die uua quantità mag- giore ilei principio egualmente diverso dall' alcaloide sia cagione della so- lubilità in quel veicolo della pretesa brucina ? Si sa che la morfina sta nel- r opio all'estrattivo congiunta, combinazione che non vien decomposta in totalità dalle prime reazioni degli acidi sull'oppio stesso.^ e pur si man- tiene morfina: dunque non potrebbe pur questa brucina essere una com- binazione della slrichnina a maggior quantità di estrattivo verso il quale ha molta attrazione ? Che se l'arrossamento della strichnina proviene da al- cuna traccia di brucina ad essa aderente, come tante difficoltà a segregar- la, e perchè sono si varie le opinioni dei chimici nel distinguerle fra di loro ? Ma prima per altro di più avanzarmi su queste considerazioni mi è d' uopo riprendere la sposizione delle lor proprietà e del modo diverso di agire dei chimici reattivi. La brucina, dietro il metodo abbracciato a separarla dai principii estrattivi, decomponendo il solfato per la amoniaca mi ha fatto conoscere essere solubile nell' amoniaca stessa, ed esser atta a formar sali trisuli se- co lei. Proprietà che pur spettano alla strichnina quantunque il grado di solubilità in quell'alcali inorganico sia inferiore dell'altra. La brucina non è che sia poco solubile negli olii essenziali, come si dice: essa si scioglie perfettamente: lascia però torbido alcun tratto il sol- vente, come se sciolta vi fosse una materia pinguedinosa. Nessuno parla sull'azione degli olii fissi, io la conobbi solubile in essi perfettamente, ad- densandoli quasi che tenessero sciolta una sostanza resinosa ; ne resta però inattaccata una parte che non è brucina, ma un principio estratti- vo alterato. La strichnina, perfettamente dagli olii volatili acquista la loro costi- tuzione, ed egualmente dagli olii fissi. Dai primi cristallizza meglio della brucina ; di questa, la separazione assomiglia ad una sostanza pur grassa squagliata che si rapprende , quella è in piccioli mamelloni : collo scorrer del tempo assumono ambedue le medesime forme simmetriche. Kell'alcali caustico di potassa la strichnina pura, è a/Tatto insolubi- le: l'azione di lui sulla brucina sarà argomento da intrattenermi fra poco. L'etere non acido da 45° a 66° scioglie perfettamente la brucina pu- rissima, e l'alcoole da 23° a 40° anco a freddo si comporta nella guisa stes- sa dell'etere. ai i58 La strichnina purissima si dissolve nell'elere a 4S°ed è insolubile in quello a 66° rl'alcoole di qualunque densità, non inferiore al 22° facilmente la scioglie. Fu strichnina non pura affatto quella avuta in cristalli dalla dige- stione nell'alcoole a 22° dell'alcaloide precipitato come da principio vi dissi. Queste proprietà ch'io riconobbi, sono quasi del tutto opposte a quel- le che fin oggi furono stabilite dai chimici. La brucina coli' acido nitrico concentrato arrossa di color purpureo. La strichnina purissima appena appena si tinge di un color citrino di pa- glia, né mi fu dato vedere giammai protossidazione , o deutossidazione. Il sale di stagno su questi pretesi prodotti, non mi porse né il violetto, né il verde sporco, il che è pur conforme al parere di ^L Donne. Dunque l'arrossamento di questo reattivo sulla strichnina, è ragio- nevole supporlo effetto di una proprietà di una sostanza eterogenea oleosa, e non della brucina , e ciò è spiegato dagli effetti recati dall' etere nel quale fu digerita la strichnina precipitata: questo evaporato non mi porse brucina; ma una materia sui generis di natura oleosa. Dietro ciò 1' arros- samento della brucina può non essere proprietà a lei devoluta escliisiva- mente, ma secondaria : infatti ove si ritenesse che la brucina fosse cagione dell'arrossamento, e fosse insolubile anche nell'etere, come ci han fatto credere, vi sarebbe una aperta contraddizione: l'etere nel qual fu digerito r impuro alcaloide tolse ad esso la suscettibilità di cangiar di colore col- r acido nitrico, dunque o viene sciolta la brucina, e quindi non è più in- solubile nell'etere, o se ciò non concedesi, non sarà l'arrossamento ca- rattere proprio di lei, perché s'è insolubile resterà aderente alla strichni- na, la quale non più arrossando coli' acido nitrico dimostra che questa proprietà devesi a quella sostanza che fu sciolta dall' etere sopraindicato. Che se questi caratteri non concordano con quelli dagli Autori fìssati, non mi fu dato nemmeno nelle indagini successive di riconfermarvi quanto da Merk si disse che cioè i sali metallici agiscono in egual maniera sopra questi due diversi alcaloidi. Allorché infatti sopra il nitrato di strichnina purissimo ho versato alcune goccie di nitrato di cobalto, si rese più vivace il colore, senza che si generi alcun turbamento, e l' Idroclorato d' oro , e di soda fece libero un polverio giallo citrino che tolse la trasparenza : collo scorrer di qualche ora si son deposte delle fìlamenta aranciate quasi di oro revivifìcato , mantenendo le acque che vi soprastavano il color citrino suddetto. i5cj Ma j)aragonala questa reazione sopra il nilrato di strichnina non cli- gcrilo neir aìcoole ed etere, che chiameremo officinale, conobbi che il sai (li cobalto mutò il colore in roseo cupo, mentre un rosso carico s' in- generò per lo sai Irisulo di oro con analogo precipitalo. Queste anomalie, riflettendo a ciò che l'etere sciolse nella depura- zione della strichnina officinale, ho ammesso non da altro procedere, se jion dalla presenza dello straniero principio, per cui ho giudicato dover ripetere le esperienze sopra la brucina purissima, posta a confronto di siriclinina purissima, sopra di quella non precipitala dall' ossalalo che eguahnenle conosceremo sotto il nome di officinale, messa a paragone di strichnina officinale, e sopra la materia estrattiva avuta dall'alcoole etereo dell' ossalato di brucina suddetto. Prima però di farmi a queste ricerche mi parve necessario riconoscere le pecidiari proprietà di quest' ultima sostanza, e conobbi essere solubile neir alcoole, ed etere a tutte le densità, non atta ad assolutamente cristal- lizzare coir evaporazione: ma ad aggregarsi a mamelloni opachi e scolo- riti, ed aderire a foglie di felce sulle pareti del vaso quasi trasportata dai vapori medesimi dei solventi, ed essere solubile intieramente nella potassa caustica, imperfettamente negli olj fissi addensandoli, e presso che nulla nei volatili. Ciò riconosciuto fattomi a determinare il modo con cui si com- portano sopra queste tre sostanze i due annunziati reattivi, e 1' acido ni- trico concentrato seppi : Che la brucina purissima con questo si tinse di un rosso purpureo vivace. Che la officinale lo appalesò men cospicuo. Che la materia colorante si fece di color rosso cupo. Che il sai di cobalto avvalorò il color nella prima , indeboli quello della seconda, fece di un rosso sporco la terza. Che il sai irisulo d' oro ingenerò in tulli un precipitalo copioso di color ranciato tendente al rosso, lasciando l'acqua in pari grado rossastra. Sembra imperlanto che il sai di oro abbia esercitata un' azione pecu- liare sui principi coloranti piuttosto che sull'alcaloide, e che di quelli se ne ritrovino pure nella brucina purissima : veggansi infatti i cangiamenti di colore, e di jirecipitato recali ai sali di strichnina diversi da quelli ap- portati ai sali di brucina , i quali però sono uniformi all' azione esercitata sopra la materia estrattiva: resta, i ben vero, nell'acque madri dei iCo nitrati di slriclinìiia un sai tristilo in soluzione, ed il precipitalo risulla da una parte dell' edotto col metallo reattivo, ma sempre in queste rimane permanente il color primiero ; in quei di brucina per lo contrario appa- risce che il carattere dell' arrossamento sia del pari costante; ma il pre- cipitato ed in questi, e nella soluzione nitrica della materia estrattiva ci induce ad ammettere, o la presenza di una sostanza eterogenea all' alca- loide, od una di lui assoluta decomposizione per l'acido nitrico concen- trato con che fu da prima reagita. Sin pur che M. Donne abbia abbracciato le ingegnose Teorie Micro- scopiche, e distingua le minime particelle di brucina nella strichnina col- r esaminare i cristalli aderenti ad un vetro, la mercè di aver evaporato un alcoolica soluzione: la prima ramificandosi, vestendo l'altra la forma pris- matica; sia che c'indichi le speculative reazione del bromo, e dell' jodio collocati in qualche distanza dall'edotto da esaminarsi, che poi da altri Chimici furono in appresso rigettati: ora è provato essere di poco mo- mento la difficollà di depurare 1' una da ogni eterogeneo principio, ed essere facile distinguerle fra di loro, e col mezzo degl' indicati solventi, o dell' acido nitrico, e dei sali metallici. E siccome non sempre si tratta di esaminar gli edotti puri, ma dì ve- rificare se tali essi sieno ; cosi a questo proposito sembrandomi che non possano soddisfare appieno 1' enunziate diverse reazioni, mi piacque pro- gredire nello studio intrapreso onde meglio stabilire delle norme per ri- conoscerle. Quantunque il riflesso che la scelta del sai metallico dovesse esser tale che il di lui ossido non potesse si facilmente né cedere né attrarre a se atomo alcuno di ossigeno dalle sostanze in contatto onde evitando una incostanza di azione, evitar incerti risultamenti, non mi abbia condotto a riconoscere un criterio positivo ; non volli lasciare inosservato il modo di- agire di altri sali , le cui basi sebben suscettibili a modificazioni possono riuscire efficaci reattivi. Sul nitrato impertanto di strichnina jnirissima versai qualche goccia di arsenito di potassa , e nessuna mutazione comparve: neutralizzato poi con amoniaca l'acido in eccesso. Ingenerò un turbamento giallo citrino, e r acqua soprastante appalesò lo stesso carattere fisico. Sul nitrato di strichnina officinale fu gialla tendente al ranciato la polvere ch-e si produsse, ed eguale fu l'acqua: su quel di brucina purissima i6i nessun precipitalo dalle indicale reazioni, e solo il colore si fece più ro- seo vivace. Sull'officinale niente diversa fu la reazione; il color soltanto fu rosso sporco. E finalmente sull' estrattivo fu il color rosso tetro.^ appena turbata la trasparenza. Scorsa appena un' ora nei due composti di strichnina , si raccolse una vaghissima crislallizzazione radiata nella periferia ed a mamelloni nel centro , senza notabile alterazione di colore , e col passar di sedici ore quella di strichnina purissima si fece ranciata carica , 1' altra divenne va- riamente tinta di color roseo. Nei composti di brucina nulla apparve di singolare , e tali furono dopo le sedici ore, quali erano appena compiila la neutralizzazione coli' a- moniaca. Ho pur anco esplorala 1' azione del cianuro di zinco sui nitrati ad acido concentrato. Quello di purissima strichnina si fece citrino- — della officinale — ranciato. L' amoniaca versata a saturazione dell'acido produsse: rvella prima turbamento giallo che in breve cristallizzò degli aghi prismatici incrocicchiati brillanti', di color citrino, con acqua pure citrina; caratteri che per ben 24 ore furono permanenti. Nella seconda , turbamento giallo tendente al ranciato: cristallizza- rono degli aghi prismalici brillanti : 1' acqua collo scorrere dell' indicato periodo si fece più ranciata di prima. Nei composti poi di brucina, e di materia estrattiva nessun turba- mento, nessuna cristallizzazione: il color solo si fece più livido in una , più sporco neir altra, e giallo verdastro nell' ultima. Sembrami pertanto poter stabilire che questi reattivi precipitino la strichnina, e non la brucina salificata con acido concentrato, e che in una soluzione nitrica che contenga i due voluti preesistenti alcaloidi, 1' os- servazione sul precipitato, e sul color dell'acqua madre sieno indizj sicuri per giudicare se , o nò sieno associale. ÌNIa due cose ancora importava conoscere : 1." Qual sia la natura di questi precipitati. 3.'" Se questi reattivi siano egualmente efficaci sopra sali diversi del iiilralo ad acido concentralo : la prima per ragionare scienUflLameiile sul modo di agire dei mezzi scelli per riconoscerle : la seconda perchè ove corrispondano, è meglio sempre eseguire le salificazioni con acidi diluiti , ed evitare cosi qualsiasi altra reazion dell' edotto. S'è vera l'opinione dei Chimici Francesi l'acido nitrico concentralo, o le protossida, o le deutossida , cangiamenti però che non alterano la loro natura quando si rifletta alle reazioni (già solamente da alcuno di essi ve- dute ) del protoidroclorato di stagno, che alternato coli' acido sopradetto rigenera 1' arrossamento; giova per altro credere finché si può, e quindi esplorarle non prolossidate, o deutossidate. E per farmi alla prima : feltro i liquori , calcino le crisi allizzaziont lavate prima con acqua, ed asciugate fra carte , e discerno 1" odore di so- sl;anza animale combusta: quello di aglio proprio dell'arsenico appena si manifesta, e niente quello di cianogene, cosicché rassembra che i sali or- ganici in ciascuna esistenti sieno slati decomposti dall' amoniaca , che la strichnina siasi precipitata, ed il nuovo arsenito, ed il cianuro di amo- niaca, ed il solfalo di zinco formino le acque madri. Da tali fatti risulta pertanto essere erroneo l'insegnamento di Merk, e potergli opporre francamente tanto se una sia scevra di brucina quanto se ne contenga. Ma facendomi alla seconda, volendo esplorare l'azione del- l'acido solforico diluilo sui cinque testé annunziati principi!, indi gì' indi- cati reattivi, mi si produssero fenomeni del tutto diversi. La reazione dell' arsenito di potassa in quegli edotti non ingenerò mu. fazione di colore: nei sali di strichnina , 1' amoniaca aggiunta separò un nuovo arsenito che facilmente in parte cristallizzò, mentre in que' di bru- tina nessuna mutazione; il cianuro di zinco produsse lo sviluppo del gas acido idrocianico, ed un leggier dealbamento: 1' amoniaca versatavi pro- dusse un turbamento copioso con questo solo di difierenza , che in quelli (li strichnina fu polveroso all'istante, ed in seguilo si raccolsero cristalli di solfalo di zinco, e potassa, restando sciolto nell'acqua madre una parte dell'alcaloide allo stato trisulo : combinazione riconosciuta per mezzo dei reattivi prescelti; ed in quei di brucina, e della materia estrattiva la sepa- razione prodotta dall' amoniaca fu di aspetto resini-forme, come di bruci- na non tocca. Anco in questi ebbe luogo la medesima reazione chimica de- gli altri due. Scorse 24 ore il color degli assaggi di strichnina si fece ro- seo^ nessuna alterazione nell' altra. iG3 Dietro ciò quali esser devono le conclubioui ? tliu la bruciua separala cosi, e non avuta quando era trattata eoa l'acido nitrico concentrato c'in- dica non esser semplice, ed indifferente la reazione di quell'acido .^ men- tre anzi veniva per esso modificata in modo da non essere riprodotta dal- l' anioniaca ; quindi ammettendo che gazifìcato il cianogene dai cianuri si formassero dei sali trisuli a base metallica, ed alcaloldea, l'amoniaca li de- compone trovando inalterato l'organico edotto: quindi l'alternato color ro- seo e violaceo dell'acido nitrico, concentrato e del protoidroclorato di sla- gno altro non e che effetto di una rinnovata azione su quella parte di Lru- cina non decomposta nelle antecedenti reazioni dell'acido stesso, non però un modo di agire tale che distrugga gli effetti del reattivo in antecedenza adoperato. Ma queste anomalie mi fecero nascere una viva brama di sapere co- me avvenga che l'acido sopradetto decomponga la brucina, e non tocchi la strichnina. Sono pure edotti organici tutte e due, e sono le stesse quelle attrazioni che mantengono combinati i loro principii costitutivi? 1' azione dell' acido è identica in ciascheduno al dir dei chimici, dunque qual fìa la cagione di questi fenomeni. Prima di farmi a pratiche osservazioni mi piacque riflettere tranquil- iamente ad ogni circostanza vista nell' uso dei reagenti, e fattomi certo che la brucina tolta dall' ossalato, che la officinale, e che la materia estrat- tiva avuta dall' alcoole etereo manifestarono dal più al meno quasi identi- ci i risultamenli dalle reazioni su d' esse eseguite, ho con più ragione dato retta alla mia incredulità sull'essere questo edotto un principio basico sui generis., diverso dalla strichnina , ed ho ritenuto che potrebbe non essere indifferente un qualche studio in proposito quand'anco non giungessi ad assolutamente concludere non essere la brucina un edotto particolare , e diverso dalla strichnina. — La parità adunque di mutazione di colori re- cata dai sali, e di cobalto, e di platino, e di oro, e di zinco, e di arsenico sul protonitrato delle due brucine, e della sostanza estrattiva , quella del- l'acido nitrico su d'essa, e sugli edotti, la solvibilità negli eteri, alcool ed alcali, la decomposizione dei tre annunziati principii, od almeno una mo- dificazione per mezzo degli acidi concentrati nitrico, e solforico non però coi diluiti con acqua furon le cagioni per le quali vennero più imperiosi ì miei sospetti della non reale preesistenza di ambedue. Saper d'altronde che un alcaloide è più solubile in un alcali caustico inorganico, quando sia i64 all'estrattivo congiunto, che non se è puro, anzi sapere che la strichnina é nella potassa affatto insolubile: rammentare che la materia estrattiva è solubile in quella perfettamente; richiamar al pensiero la difficoltò di dis- giungere onninamente le ultime porzioni di strichnina dall' estrattivo o da altri principii oleosi perchè combinati fra loro per energiche attrazioni mi fecero supporre che questa brucina altro non sia che strichnina rima- sta in combinazione al sopraindicato principio col qual naturalmente si trovava nel frutto. Se avessi voluto lasciarmi sopraffare dalle difficoltà che si mi parava- no innanzi doveva smarrirmi: ma mi fu sprone a farmi maggiore di me Stesso, ed a non temere gli obbietti la facilità con la quale mi fu di otte- nere purissima la strichnina, dal che vanno, per quanto mi sembra , ad essere risolte alcune delle tuttora pendenti quistioni. Ciò tutto premesso ho voluto assoggettare ad analisi queste sostanze, e le mie considerazioni ho voluto farle procedere da tre caratteri positivi che mi fu di riconoscere nella strichnina purissima, di essere cioè insolu- bile negli alcali caustici, e nell' etere a freddo della densità 66", e di non essere decomposta dall'acido nitrico concentrato. Per la prima ; vista la solubilità della materia estrattiva dovrà nella reazione con l'alcali rimanersi inattaccata la striclmina: infatti se sono gli eterogenei principii di natura oleosa si saponizzano, se grassa-eslrattiva si sciolgono: peraltro sarà una porzione di esso trasportato in soluzione con quelli, giacché ragion vuole che inefficaci non rimangono le secondarie at- trazioni, porzione che già mi verrebbe disgiunta nell' esame del liscivio medesimo, cui mi era forza applicarmi per riconoscere, se in questo vi si contenga l'altro edotto voluto, la brucina. Per la seconda; conosciuto che la materia estrattiva è solubile nel- 1' etere a 66° a freddo, nel quale a freddo non è solubile la strichnina, volli trattar con questo la votuta preesistente brucina, con lusinga che anco per- ciò resista indisciolta se non del tutto una maggior parte della strichnina suddetta. Il terzo finalmente procede come vi dissi dal supporre che l' acido ni- trico che ho veduto agir egualmente sulla brucina, e sulla materia estrat- tiva possa lasciar intatta la strichnina: identità di azione per cui supposi identità di natura fra loro, con ciò solo di differenza che nell' una è conte- nuto r altro alcaloide da quello già decomposto. i6!i Non mi fu, è vero, di scontrar facile il sentiero da percorrere in que- sti esami, non tutti ho sterpato e bronchi e spine, che ponevano inciampo ai desiati nuovi riconoscimenti; ma qualunque ei sia lo studio intrapreso, e non ancora compiuto, mi faccio ad esporvelo, onde ulteriori indagini e di tanti altri di me migliori, possano risolvere il problema, e così frenare il genio bizzarro di voler complicata la natura nelle semplici e secrate sue azioni, e semplice l'arte nelle sue complicate ricerche. Primo Processo. Analisi col mezzo del liscivio caustico di potassa. Ho triturata poca brucine officinale, e la feci bollire per brevi istanti con I/IO di potassa caustica fusa, sciolta nell'acqua. Raffreddato il miscu- glio si mostrò l'edotto modificato nel primitivi caratteri fisici: una porzio- ne rimase sospesa nel liquido sotto forma di leggiero polviscolo, un'altra galleggiava a guisa di olio alla superfìcie, ma poi si rapprese aderendo alle pareti del recipiente, un' altra in fine si mantenne aggregata in se stessa occupando il fondo del vaso. Agito il liquore, lo feltro torbido, e con un liscivio simile al primo assoggetto il grumo ad una seconda, ed a una ter- za ehulizione: fa allora che cessò la separazione del polviscolo. Lavo con acqua la polvere sul feltro : e mi rivolgo alla parte non attaccata dal- l'alcali: Vi sopra verso dell' alcoole a 23° e con leggiero attrito la mercè di una canna di vetro tutta si disgrega e si fa polverosa : feltro pure questo liquore, lavo la polve con 1' alcoole, l'asciugo. Fatto ciò, mi occupo a riconoscere i.° la natura del polviscolo sospeso nel liscivio, a.° la natura di quello avuto per agitazione nell' alcoole della porzione da esso non attaccata, 3.° la composizione del liscivio medesimo, 4.° infine, cosa si contenga nell' alcoole che fu cagione del disgregamento della materia sopra detta. Esame del liscivio. 11 colore era rosso, il sapor liscivioso amaro, nessun odore: lascio che spontaneamente raffreddi, e venendo la notte , scorrono alcune ore sen- za farlo soggetto di osservazione: ma frattanto le occulte attrazioni non 33 furono inoperose, il perchè si separarono alcuni cristalli prismatici arrossati dall'acido nitrico, solubili parzialmente nell'etere a 66": questa eterea so- luzione per evaporazione spontanea fece opache le pareti del vaso con ade- renza cristallina, a foglia di felce, la quale cristallizzazione piiì sensibil- mente arrossava coli' acido suddetto mentre i cristalli residui in quello iii- disciolti appena ingiallivano: questi col sai d'oro davano dopo qualche ora lieve sedimento citrino ad instar della strichnina, e fatti solver dall'alcoole a 56° vestirono coli' evaporazione la forma prismatica: esaminali nei loro caratteri chimici non fui dubbioso a riconoscerli per striclinina. Uopo ciù evaporo la soluzione alcalina rimasta., ottengo nuovi cristalli: con questo però che trattandoH con 1' acqua leggiermente alcalina a caldo, presso che tulli si sciolsero fuorché una porzion di materia resini-forme, ma disorga- nizzata: reagita questa dall'alcoole debole si ridusse in un polverio come fece la brucina officinale, polverio che appena tinse di roseo languido 1' a- cido nitrico: feltro, e le acque abbandonate a lor stesse separarono dei fioc- chi biancastri in parte solubili nell'etere a 66° arrossabili per l'acido, so- lubili a freddo nell'alcoole di qualunque densità. Da ciò sembra poter stabilire esservi la strichnina bensi, ma inqui- nata dal principio eterogeneo arrossabile, principio che quando contenga atomi solo del primo edotto, acquista per esso la proprietà di cristallizza- re, intanto che lo fornisce di un grado di solubilità negli alcali che non avrebbe altrimenti. Prima però d' inoltrarmi nell' esame di questa materia resini-forme , mi rivolgo a stabilire la natura della polve galleggiante e sospesa nel lisci- vio che aveva raccolta sul feltro. La faccio digerire nelT etere a 66' a fred- do per dodici ore: feltro, e per evaporazione ottengo tappezzale come altra volta le pareli del vaso di sostanza untuosa, attaccaticcia, arrossabile dal- l'acido, mentre la parte indisciolta si sciolse bene nell'alcoole a 4o^ e per spontanea evaporazione si cristallizzarono dei prismi scoloriti, non arros- sati che lievemente dall'acido stesso : arrossamento la cui cagione fu tolta colla semplice lavazione in un acqua alcalina. Mi faccio al polviscolo nel quale si è cangiato il grummo solido inso- lubile nel liscivio, e trattato come quello, che or ora ho indicato, lo riscon- tro fornito di identiche proprietà, da cui pure ottenni cristalli prismatici regolarissimi. Lavo con acqua incessantemente questi prodotti cristalhni , poi li ,G7 trailo con l'ukool a 5G° e li ottengo purissimi mostrando eoi solili reaHÌ\i essere strichnina. I liscivi con cui furono trattati questi prodotti , e le acque di lavazio- ne. tingevano di rosso intenso coli' acido usato, il die fa conoscere che il jii'incipio grasso fu saponizzato dall'alcali, eh' è quello che produce 1' at- rossamenlo, e che (per prudenza non volendosi tosto giudicare in proposi- lo) non tutta è brucina quella materia che per tale dovevamo dapprima ii- lenere. Evaporo alla fine 1' alcoole nel quale slava sospesa la polvere elfelto della disgregazione della parte non sciolta dalla potassa, e prima mi si se- pura una sostanza oleosa che col freddarsi si presenta a guisa di brucina . poi si separano dei prismi imbrattali dallo stesso principio; li segrego, li la- vo con potassa, indi con acqua pura, e riconosco pei successivi cangiamen- ti esser di materia grassa oleosa con appena traccia di strichnina. Queste esplorazioni mi assicurarono i." della presenza della strichni- na nella sostanza: 3.° mi couforniarono che la cagione dell arrossamento della strichnina procede da una sostanza grassa solubile nell' etere, e sa- ponizzabile dalla potassa. Ma siccome mi si polria far ritlellerc che appunto son di brucina quei mamelloni che coir evaporazione del liscivio alcalino si raccolsero, non che quel principio resini-forme avuto per evaporazione dell' alcoole nel quale si è disgregato il grunimo indisciollo dalla potassa , cosi aderire od opporre senza la difesa delle esperienze di fallo non mi parve a proposi- to. Quindi proponendo a me stesso l'obbiello volli studiare di risolverlo. Od è principio salificabile, od «'■ un miscuglio di principio grasso f>d estrat- tivo. Se il primo, siccome è noto esser il bisale di brucina poco solubile nel- r alcool a 4o° cosicché si separa spontaneamente, dovrà pur questa sostan- za salificarsi, e [)recip!tare quando il solvente sia alcoolico: in fatti sciolta a freddo nell' alcoole, salificata con acido solforico nemmeno l'evaporazio- ne fece vedere il ben che menomo cristallo, né l'amoniaca produsse alcun turbamento, dunque non è sostanza salificabile. Sarà dunque principio grasso estrattivo, e tale essendo dovrà essere suscettibile a saponizzarsi, ed il saponulo che si produce decomposto che sia con un acido farà conoscere la materia grassa saponizzata : infatti sciolto nell' alcool a freddo intiera- muiile la ho trallata con potassa caustica digerita pure con alcoole, ed a i68 B. M. otteuni una materia omogenea untuosa al tatto: v'aggiunsi alcune goccie di acqua perchè si elimini 1' alcoole , senza che si decomponga il composto per lo calore, uè perciò comparve all'istante alcuna alterazione: progredisco 1' evaporazione, e si separa una sostanza resinosa : raffreddalo il lutto, a questa soprastava un liquido scilopposo, ma sempre omogeneo : 'Uv è la Lruciua ? quella in combinazione all'alcali adoperalo? nò cerla- menle, percliè se quella fosse non sarebbe saponizzabile, giacché od è ba- sica, o non lo è, non polendo esser fornita di questi due caratteri che so- no affatto conlrarii fra loro: sarà quindi quella porzione che allo stalo re- sinoso si è separata? ma trattata con acido solforico non fu da esso nem- meno sciolta : dunque non è sostanza saliiìcabile : ma è un principio gom- mo-resinoso combinato al principio grasso che si sapouizza, e che sotto ap- parenza di superficiale pellicola venne a galleggiare quando colTacido stes- so ho decomposto il saponulo avuto. Egli è pertanto che credo poter per questo esperimento tanlo più dubitare che la brucina sia edotto, ed invece averla siccome una combinazione di slrichnina a priacipli grassi estrattivi, e che inlanlo sien questi cristallizzabili in quanto che sono in chimica com- binazione con lei. In fatti (supponiamo un'istante che esista questa bruci- na) il Jjisale che precipita dalla soluzione alcoolica dell'estratto che si ot- tenne per evaporazione dell'acque residue di distillazione della tintura di slrichnina si sa essere un bisolfato di brucina, perchè la base di questo è da tutti ritenuta per tale: ora questo bisale decomposto con amoniaca , e decomposta la base che si separa coli' alcali caustico di potassa nell' indi- cata maniera porge della slrichnina, e la brucina è dislrutta; dunque cou- Tien che la ori.stallizzazionn di qnesli priiicipii istranieri provenga dalla presenza di quelle scarse porzioni di slrichnina con le quali son combinali. Dunque per questo esperimento credo poter stabilire che l'arrossarsi per r acido nitrico della slrichnina è un effetto dell' associamento al prin- cipio grasso oleoso, non alla brucina, mentre questa brucina non sia affatto fuor di ragione il poterla credere un prodotto figlio della massima attra- zione della slrichnina a dei principi grassi estrattivi. Seconda Analisi. A comprovare che la slrichnina per l'acido nitrico concentrato non ei decompone, e che questo acido sulla brucina agisce decomponendo i 169 prìncipi isiranieri ho voluto operaie cosi ; ho fatto reagire dell' acido ni- trico concentrato sopra una quantità di questa brucina., e quando tutto fu sciolto, ho diluito con acqua, finché si è prodotto turbamento. Ho feltrato il liquore, lo svaporai, turbò a cagione di una sostanza carbonosa : rifellraì, indi lo trattai in parte con amoniaca. Collo scorrer di un quarto d'ora il color venne di un verde smeraldo vivace e bellissimo; separò un analogo sedimento; e nulla meno Io lasciai in riposo per alcune ore. Un altra parte di questo nitrato la decomposi con eccesso di potassa caustica, e da ciò non ebbi pronta separazione; ma la ottenni collo scor- rer di alcune ore. La parie resinosa separata per l'acqua dal nitrato la ho sciolta nel- l'alcoole a 36" e feltrai; svaporai a BM. fino alla rimanenza di un terzo, e si separarono delle scagliette di apparenza cristallina. Sono for.«e di in- dole resinosa ? (Questa soluzione alcoolica trattala con amoniaca non diede turba- r:-;rnt0, dunque non evvi principio basico, e quindi apparisce un principio resino-gommoso, tanto più che fu nulla l'azione degli acidi alla quale la sottoposi. Il precipitalo avuto per azione dell'amoniaca sul nitrato lo trattai a caldo con alcool a /jo° e tutto si sciolse, tanto acido solfoi-ico vi aggiunsi quanto bastò a salificarlo: da verde ch'era si fece nerastro come da male- ria carbonosa sospesa; feltrai, e decomposi con amoniaca: lu pronta la separazione dell' edotto, e più assai di quello che si ottenne trattando la brucina officinale coli' alcool, ed etere acidulati : da che dunque questa m.Tggior celerità ? posso credere che proceda dall' essere scevra del prin- cipio grasso estrattivo, il quale per la reazione dell'acido concentralo fu decomposto. Ma questo precipitalo cristallino raccolto lavato con acqua fino ad insipidezza per isciogliere e togliervi ogni minima traccia di solfato di amo- niaca, ed asciugato a forza fra carte corrispose come la slrichnina purissima, dunque l'acido nitrico concentrato attacca i principj istranieri senza alte- rar l'alcaloide, dunque non v'ha deutossidazione, o protossidazione della brucina, ma bensì radicai decomposizione di quelli, dunque l'arrossamento non è carattere proprio della brucina, ma carattere proprio dell' eteroge- neità, le quali distrutte non fanno conoscere né colori purpurei, ne rosei. Per lo che tanto più si può dubitare che la brucina non sia edotto ma invece un non sempre identico miscuglio di strichnina ad eterogenee sostanze. Ì7o Esamino 1' altra soluzione nllrica ilecomjiosta con potassa caustica in eccesso, e poche scaglie cristalline mi vien dato raccorre, però quante ba- stavano da essere riconosciute dai reattivi per strichnina. Mi rivolgo per ultimo ad esaminare la soluzione alcoolica del preci- pitato grumoso avuto dal nitrato per mezzo dell'acqua; lo tratto con acido solforico diluito nell'alcoole, Io evaporo, e nulla si produce: dunque que- sta è resina scevra di alcaloide, dunque la strichnina resta sciolta intiera^ niente nell' acido nitrico concentrato senza modificazione. Terza AriALisr. Azione delVetere sulla brucina officinale. Conosciuta la natura dei principii islranieri, fatti maggiori i sospetti suir essere un prodotto anziché un edotto la sostanza organica, conosciuto che per mezzo dell' etere a 66" la strichnina officinale divien purissima , ossia che per esso perde il carattere di arrossare coli' acido nitrico, volli sapere fino a qual punto arriva l'azione di lui. Infatti triturai di questa sostanza , e la feci digerire nell' etere a 66° a freddo fino a che 1 ultmia reazione fu inefficace: ne rimase indisciolta una porzione di color bianco^ affatto polverosa. Memore dell'azion della potassa caustica , credo possa giovarmi il far in questa digerire la sostanza residua sopra indicata: ed infatti ottenni un liscivio alcun poco colorito. Raccolgo il sedimento, lo lavo ad insipidezza, lo faccio sciorre nell'alcoole a 4°" za ed altezza; di modo che, se l'altezza fosse nel minimo dupla della lar- ghezza, nel medio e nel massimo lo sia egualmente. Or ove l'autore si' tiene il colmo aver tocco della maf;gior perfezione, io trovo invece, lo dico e pronunzio quanto il dà la mia voce, sonoramente, il massimo degli erro- ri. E vaglia il vero. Se 1' arco minimo è alto pel doppio della larghezza ;■ ne consegue che debba esserlo altresì il massimo, sicché il primo a grazia di esempio sia alto venti perchè largo dieci, 1' altro alto sessanta perchè largo trenta? Tutt" altro, accademici, full' altrop per mio giudizio. Per base 203 di quella sentenza che siete chiamati come Areopagitl a produrre, senza crucciarvi per l'ombra dell' estinto architetto, o avere il più lieve riguardo pel vostro socio, che parla e discorre la sua ragione; per base della sen- tenza, conviene stabilire il principio, che nella dottrina delle simmetrie, le proporzioni, in particolar delle altezze, non seguon la legge semplice, ma all'inversa ubbidiscono della lor dimensione: mentre potrebbesi, a of- frire un esempio sensibile e materiale che nascerebbe dal seguire la legge semplice e di eguaglianza , rizzarsi un arco si enormemente proporzio- nale nel senso Preti, da servire di ombrello ad una gran torre. Gli ar- chi di trionfo, gli archi delle grand' absidi con cui si chiude una regia sala, od il presbitero di una magnifica cattedrale, porterebbero , se ser- barsi dovessero i rapporti degli archi minori, ad una elevazione da sbalor- dire. Vitruvio assegna ognora le proporzioni all' opposto della grandez- za, (io) Si tratta delle ale degli atrj ? Prescrive che quanto prevale il vuo- to, tanto esse ristringansi. Insegna quale esser debba la rastramazion delle porte ? La stabilisce in ragion della loro altezza , ma con tale avvertenza, che quanto è questa maggiore, tanto quella degradi, fino a toglierla affat- to, se le porte sieno grandissime. Fissa l'assottigliamento delle colonne alla sommità del loro fusto? In ragion contraria la fissa di loro altezza. L' ani- ma infatti delle simmetrie Vitruviane, anzi tutta la sua dottrina, è sul prin- cipio fondata di prender legge costante dalle grandezze, ma nell'inversa maniera, non mai eguale o diretta. Or non sarebbe contrario alle leggi del latino architetto, e, ciò eh' è più, alla ragione, ed al giusto effetto, che l'ar- co massimo e il minimo nei templi tenessero lo stesso rapporto tra la lar- ghezza ed altezza ? Ma se questo sarebbe il difetto che ne verrebbe in radice , quali sa- rebbero quelli che nel sistema del Preti, quasi coorte di mali ., verrebbero di conseguenza ? Per farsi scala a toccare la sommità della imposta , su cui si piega in gran giro 1' arco maggiore, non potendo in altra guisa supplir- visi senza alterar le altre parti, è giuocoforza ricorrere all'infelice spe- diente di un piedistallo che fa scapitar le colonne: è forza sovrapporre al- l'ordine un attico, che tolleralo soltanto per ragione di comodo negli edi- fizii privati e cittadineschi, va dal gran genere escluso della maestosa archi- tettura, e questo altresì a sacrifizio delle colonne <;he son le regine e domi- natrici : talché potrebbe di queste dirsi, come di quella bella fanciulla carca di gemme e oppressa dal peso degli ornamenti che tutta ingombravanla 203 d& cimi a (ondo : pars minima est ipsa puella sui. E ÌDfatli non duLllo di asserire che se, tolto l'attico, la gran volta della chiesa di S. Liberale movesse di netto sopra dell'ordine, tranne la sola interposizione di un zoccolo, che restituisse alla volta quanto le toglie 1' aggetto della sottoposta cornice; e l'arco massimo avrebbe una miglior proporzione, e quella chie- sa oh' è bella, diverrebbe per tale emenda bellissima. Quest'è, accademici, 1' effetto che porta alle opere di Belle Arti il cie- co amor di sistema. Il Preti prescrisse alle chiese senza limitazione o riser- va, senza fare esperienza se la sua dottrina della media armonica, a cui per esse va unita quella degli archi simili, sia suscettiva, giusta i varii casi, di modificazione od emenda; e il Preti trascinò sé stesso e gli altri in ingan- no. E lo trascinerebbe mai sempre, e maggiormente, perchè e l'alta idea del suo merito, e l'autorità del suo nome può imporre, può abbacinare. Oh cieco amor di sistema! Quanto non torni co' tuoi influssi nocivo, e co' tuoi prestigi pericoloso ! Io minimo insetto osai alzarmi , e far sentir la mia vo- ce, non per amore di critica, non per bassa stima a un autore, che vanta i più sacri diritti alla riconoscenza e alla lode, e che solo in tal parte sog- giacque ad uno di quegli abbagli che incorrono i più grand' uomini, e più facilmente i creatori di una novella dottrina: parlai per amore del vero, per zelo dell' arte, e per portare, se posso dirlo , eoa debii omero una pie- tra al grande ediflzio che in questo abitacolo della scienza va ogni dì più ingigantendo : e solo per tale spirito, che non è di superbia, ma di premu- ra, mi prometto dalla vostra bontà e giustizia, se non laude, conforto. ANNOTAZIONI (0 Francesco Maria Preti nacque nel 1701, 27, luglio, mori il dì iZ dicembre 1774» neir età d'anni 76, mesi 7, giorni 4, in Castelfranco. Il suo trattato Elementi di architettura fu pubblicato in Venezia per cura, e con una dotta prefazione del sig. Co; Giordano Ric- cati Tanno 1780, coi tipi di Giovanni Gatti. (2) Tra le opere architettoniche eseguite dal nostro Preti, non è da passarsi senza mol- ta lode il leggiadro teatro eretto in Castelfranco, di tutto nuova invenzione , atto egualmente ad accademie, ed a rappresentazioni sì diurne che notturne. Manca esso tuttora della faccia- ta e deir atrio, che però si veggono nelle quattro tavole incise coir ombreggio, rappresentanti ogni parte di sì elegante edifizio. Queste si trovano iuCne del trattato anzidetto. (3) Ove il desciiiio padiglione non bastasse a salvar la facciata dal difetto di medieta se- condaria, come in quella di undici fori; convien partire la massa principale in tre corpi, cia- scuno di tre finestre, alternando le colonne ai pilastri, e chiudere i corpi medesimi col pa- diglione di un foro. A non diverso artifizio si può aver ricorso in simili casi. (4) Risalto, o risalita, come appai- dal suo nome, è quel rilievo che fa una cornice , la quale seguendo la direzione di una muraglia, sporge sopra una o più colonne a quella applicate per ornamento. (5) / risalti delle trabeazioni, scriveva egli, com'erranno, anzi saranno chiamati, cgnor che le colonne sieno molto distanti, perché gli architravi per la troppa lunghezza apparireb- " ero deboli, quando essa non fosse interrotta dai risalti, i qualijanno die gli architravi ri- posino tutti sopra del muro ed appariscano sicuri. Oltre a che passando, P occhio più facil- mente non arrestato dal soffitto degli architravi , F intercolunnio apparirà meno esteso , e più in conseguenza proporzionato. (6) Nel sistema del Preti servono ancora per precisare in quanti corpi si può dividere una facciata, e come ottenere in qualunque caso la medietà secondaria, schivando il disordi- ne che la colonna in cambio di un foro prenda impropriamente la sembianza di medietà. (7) Si spera di non far ingiuria a color che sanno, se qui, a facilità di chi legge , si ri- corda come si determini la media armonica. Si segui a parte l'area della sala o stanza, come ^. B. C. D. e si aggiunga ad uno dei Iati maggiori ji. B. la .i4. C. trovata come da prima col mezzo dell' Aritmetica. Si prolanghi poi indefinitamente il lato minore B. D. che forma angolo col maggiore sopradetto, ed indi condotta all'estremo punto E una diagonale che tocchi l'angolo C, e che continuala vada a tagliare il lato minore B. Z>, abbassato , la por- zione D. F. è r altezza ricercata. Volendola ottenere in numeri si moltiplichi la lunghezza per la larghezza, si raddoppi in seguito questo prodotto, ed in fine si divida per la somma della lunghezza e larghezza pre- se insieme. Il quoziente darà la proporzione di cui &i parla. 2o5 (8) n dolio e accurato iiiTesligslore delle opere scamozziane, Sig. Filippo D.r Scolari, della cui amicizia mi vanto, provò ad evidenza , che lo Scamozzi ha bensì ideato un ma- gnifico tempio per quella cattedrale, ma che T eseguilo è molto diverso, e a quella inferio- re in merito di ordinazione e di stile. E ciò a trionfo del vero , e a lode del benemerito scopritore. (g) Sia ex. gr. larghezza 6. lunghezza 12. la media armonica sarà 8. Ora TS. corrispon- de al 12. lunghezza come 3. al 3. ed al 6. larghezza come 3. al 4. Chi pertanto non vede che il 2. al 3. è proporzione più semplice del 3. al 4: e che perciò neir esempio addotto il 2. al 3. forma colla maggior dimensione una quinta, consonanza più perfetta della quarta perchè più semplice: laddove il 3. al 4- forma colla dimensione minore una quarta conso- nanza meno perfetta della quinta, perchè più composta? (io) Offre l'armonica l'altezza di un quadrato in una stanza quadrata o rotonda, né mai passa i due allorché prevalga, ed anche prevalga di molto la lunghezza alla larghezza, mentre le altre due medie , qualor la lunghezza supera notabilmente la larghezza , por- gono altezze si smisurate da non poter servire in niun modo , attese le altre obbligazioni gravissime cui deve soggiacere un'edilìzio. (11) Prescrìve Vitruvio (libro 6." capitolo 4-) per le ale dei cortili od atrj, che queste sieno di un terzo, se la larghezza del ruoto è dai piedi 3o, ai 4o ; se dai 4o,ai 5o, di una di tre parti e mezza del vuoto ; se dai 5o, ai 60, di una delle quattro ; se dai 60, agli 80, di una delle quattro e mezza ; se dagli 80, ai loo^ di una delle cinque. Ritiene lo stesso principio per li Tablini. Pel Tablino, egli scrive, se la larghezza del cortile sarà di piedi 20 quel che rimane, dedottone un terzo, sarà l'ampiezza dì esso ; se dai 3o, ai 4o, sarà la metà del cortile stesso; se fra i 4o, e i 60, si divide in cinque parti la larghezza, e se ne danno due al Tablino. E rende ragione della sua dottrina soggiungendo, le simmetrie dei cortili piccoli non possono esser le slesse dei cortili grandi : e se ci serviremo delle simmetrie dei grandi per i piccoli, non saranno servibili nei Tablini, né le ali: ed al contrario, se ci serviremo 37 206 delle simmetrie dei piccoli per li glandi, verranno in questi i membri troppo vasti e smisu- rati. E in appresso: le bocche verso i cortili, se sonò piccoli, saranno un terzo meno della larghezza del Tablino, se grandi la metà. Fissata in fine la larghezza delle Basiliche relativa- mente alla loro lunghezza, chiude col dire : che se colla data regola il luogo riuscisse di so- verchio lungo, se ne emendi l'eccesso, comprendendo entro lo stesso spazio all' estremità le Calcidiche ; segno evidente che le proporzioni dei luoghi serbavano sempre l'inversa delle loro grandezze : ciò che conferma ognor più la massima. Stabilisce (lib. 4- cap. G.) la rastramazione delle porte alla terza, alla quarta, ed anche alla ottava parte della imposta, o erta secondo l'altezza delle porte stesse ; perchè , quanto era maggiore 1' altezza, tanto meno strette dovevano esser di sopra fino a non avere nessuna rastramazione, se l'altezza era massima. Quanto all' assottigliamento da darsi (lib. 5. cap. i.) al fusto delle colonne nella sua sommità, assegna la seguente regola. Per le alte piedi i5 . ac- corda 1' assottigliamento di parti cinque delle sei in cui sia diviso l'imo scapo; dai i5. ai 2o. di altezza vi assegna la diminuzione di parti cinque e mezza delle sei e mezza prese co- me sopra dall'imo scapo: dai 20. ai 5o. di parli sei delle sette : dai 3o. ai ^o. di parti sei e mezza delle sette e mezza: dai 4'o. ai 5o. di parti sette delle otto. Na qual prova maggiore che gli antichi osservassero questa regola per le altezze, cioè a dire l' inversa della larghezza, di quella che si ricava dal tempio rotondo del Panteon , e del tempietto pure rotondo di Vesta Tiburtina? Il Panteon, perchè di piedi 120. di diametro , non ha l'altezza punto maggior della sua larghezza ; il tempietto di Vesta, perchè di soli pie- ili 20. di diametro, aveva l'altezza doppia della sua larghezza. Di ciò si arriva a convincersi ancora più osservando che la differenza emerge naturalmente : mentre , se in una sala invol- tata a pieno centro sopra una imposta, cornice, o sopraornato che faccia l'uffizio d'imposta cumune, si girino sullo stesso centro più archi di diverso diametro; risulla che gli archi, quanto sono più larghi, tanto assumono un' altezza minore in relazione alla lor larghezza. SUL QUESITO SE, E COME IL ROMArsTICISMO FORMI UiN GENERE KUOVO NELLA MODERNA LETTERATURA MEMORIA DEL SIC. LUIGI CASARINI VICE PRESIDENTE DELL'ATENEO SOMMARIO 1. Proemio e primo scopo della memoria. II. Esame sintetico. 1. Definizione dei due generi. 2. Teoriche e leggi del nuovo. III. Esame analitico che si riferisce. (a) Alle origini del nuovo genere onde concretarne lo scopo. (b) Mia sua applicazione alla poesia in generale , e particolarmente alla drammatica onde stabilirne i risultamenti. IV. Origini (Vedi § III [a] ) 1. Gongoraj AchilUnij Marini. 2. Chateaubriand., M. de Stael. 3. Deduzioni concrete delle precedenti disquisizioni. V. Applicazione del nuovo genere alla poesia. (a) Quanto alla sostanza. [b) Quanto alla forma. Quanto alla sostanza [a). 1 . Costituisce nel caso concreto non im genere ma una specie. 2. Abbisogna di una macchina relativa. 3. Confronto di queste macchine o mitologie. Quanto alla/orma {b). 4. Esempi antichi e moderni comprovanti non offrire il genere romantico novità alcuna. VI. Necessità di regole e leggi positive corrispondenti ai soggetti diversi. VII. Applicazione della nuova scuola. 1. Alla religione. 2. Alla moderna civiltà. 3. Alla politica. 4. Secondo periodo del Romanticismo. VIII. Riassunto e conclusione. SE, E COME IL ROMANTICISMO FORMI UN GENERE NUOVO NELLI MODERNA LETTERATURA lUe Deum esse negat. Cui Deum expedit non esse S. Agoitiko I. Ammiratore fin dall'infanzia dei Classici che illustrarono l'anti- chità, di quei classici che agiscono sulla nostra mente coi frutti dell'analisi, e dell'esperienza, che influiscono sul nostro cuore, ridestando ad ogni lettu- ra le sensazioni indelebili che impressero nei magici giorni della gioventù, e che impongono ad anime sensitive un quasi religioso rispetto, negar non possOf valorosi accademici, d'esser slato compreso da timor, da dolore, al- lorché minacciata vidi la repubblica delle lettere da una rivoluzione di cuj non era stato che un debole Saggio quella intentata dall'Achillini, dal Ma- rini, e dagli scrittori del secolo XVII, poscia felicemente repressa. Questa rivoluzione che abbisognava almeno di un nome, giacché scor- giamo pur troppo, particolarmente a' dì nostri, che spesso le parole ten- gono luogo di cose, cosicché la serie progressiva delle parole all'ordine del giorno (mi si permetta un'espressione corrispondente allo stato in cui tro- vasi la civil società) formerebbe un sunto storico cronologico dei travia- menti dello spirito umano; questa rivoluzione assunse il nome di roman- ticismo, vocabolo nato non ha guari nell'AUemagna settentrionale, che raccoglie tutte le infaustissime rimembranze della decadenza di Roma, della invasione dei barbari, e del caos letterario e politico del medio evo. La polemica spesso autrice, e fomentatrice di eresie, di sette, e di si- stemi che forse il disprezzo avrebbe respinto nel nulla , procurò al nuovo nordico spettro valorosi sostenitori e nemici., che si abbandonarono ad ac- canila battaglia. Conscio della tenuità del mio ingegno, ma debitore iu ogni cosa a me stesso d'un libero e ragionevol criterio, volli conoscere il preteso nuovo genere, e raffrontarlo con l'antico, onde poter nel giudizio della preferen- za ripor io pure la mia m.odesta conchiglia nelU urna della verità. 210 II. Sperando di raggiungere con pilli celere passo il mio scopo, mi ap- pigliai primamenLe al metodo sintetico, e mi posi quindi ad indagare le definizioni delli due generi, e le teorie e le leggi del nuovo, per desumer- ne poscia la vera essenza ed i reali risultamenti. I. Sismondi nella letteratura del mezzo giorno appella classici quegli scrittori di cui si citano le autorità, classici i moderni che hanno preso quelli a modello, classico quel gusto ch'essi credono il più regolare e il più puro. Roiiiantici sono per lui quegli autori che, contemplando le antiche popolari tradizioni, gettarono le fondamenta d'una poesia cavalleresca, che non si pasce che di patrie emozioni, e che a noi presenta colossale il ritratto de' nostri antenati. Definisce il chiarissimo Gherardini la poesia classica dei romani e dei greci, quanto allo spirito un'imitazione della natura che anche nella varie- tà degli oggetti conserva l'unità de'suoi fini, e quindi la pittura d'un bello eterno ideale che però conserva l'immagine del vero: la stabilisce quanto alla forma organica, fondata sopra l'unità del disegno, l'omogeneità degli elementi, la simmetria delle masse, la proporzione delle parli, la perfezio- ne del tutto. Interprete poi dei romantici crede che la loro poesia sia quel- la, nella quale più appariscono i caratteri e la storia del medio evo, ed alla quale conviene soltanto quella forma organica in cui si scorge un continuo avvicinamento delle cose più disparate. Schlegel considera la classica antica poesia come una legge ritmica, e come una rivelazione armonica e regolare della saggia legislazione d' un mondo ideale. Chiama al confronto la poesia romantica, l'espressione di una forza misteriosa che tende mai sempre verso una creazione nuova , e che fa emergere un mondo maraviglioso dal seno del caos. La signora di Stael eco degli autori alemanni, divide la letteratura nelle due ere, anteriore e posteriore al Cristianesimo. Chiama classica la prima, indigena del mezzogiorno, figlia del politeismo, desunta dagli an- tichi scrittori della Grecia e di Roma, derivata dalla prima sorgente di Omero. Romantica denomina l'altra posteriore al Cristianesimo propria del settentrione, nata dai canti dei trovatori, e dalla cavalleria del medio evo di cui fa Ossian 1' origine, come il più antico poeta che, a suo dire, ritiene tutto il carattere e la rassomiglianza coi Miti settentrionali dell' Edda, e dell' Erse poesie. Crede che la classica corrisponda al genio degli antichi 21 I che consideravano gli oggclli cslcrni come il mobile di tutte le idee, ui- tiene all'opposto che i moderni romanliei riguardino le idee come il mo- bile di tutte le impressioni, e quindi che abbiano attinto l'abitudine di ri- piegarsi continuamente contro loro stessi. Questa prelesa diversa altitudine viene da Schlegel spiegata con l'asserzione che negli antichi mancava la speranza, d' onde procedeva che riguardassero essi, egli dice, l' immorta- lità come un'ombra, mentre il Cristianesimo deve tendere col pentimento al ricupero della patria celeste perduta col primo fallo, cosicché chiama la classica, poesia del godimento, eJa romantica, del desiderio, fondata l'una sul presente, librata l'altra fra la rimembranza del passato e la speranza dell'avvenire, paragonabile la prima alla scoltura che presenta un'oggetto isolato, la seconda alla pittura che riunisce in un quadro varj oggetti ani- mati da colori diversi. Confesso che queste definizioni proprie di quella scuola, che la signora di Stael asserisce compiacersi moltissimo, come Amleto, di conversare con 1' aria, non mi offerse chiare idee sulla differenza dei due generi, e sull'es- senza del nuovo, e quindi sperai di ritrarre schiarimenti maggiori dall'esa- me delle loro teorie, e delle loro leggi. a. Non mi occuperò in tale esame del classicismo perchè le sue leggi, risultamento delle osservate impressioni sono conosciute abbastanza e la loro indicazione non sarebbe che opera perduta d'un Retore che per pom- pa di vana erudizione ricordasse a' suoi maestri quanto Aristotele, Orazio, Boileau, e Vida hanno dettato con sì eloquenti e cosi saggi precetti, e mi permetterò di osservar solamente, che Schlegel pure riconosce non ammis- sibile nella classica poesia la mistura d'eterogenei principj. Breve devo esser pure nella disamina delle leggi proprie del roman- ticismo, perchè suprema sua legge è il non averne veruna. E di vero lo stesso Schlegel dichiara che lo spirito romantico si compiace di un conti- nuo avvicinamento delle cose più opposte. La natura e l'arte, la poesia e la prosa, il serio ed il faceto, la rimembranza ed il presentimento, le idee astratte e le vive sensazioni, il divino ed il terrestre, la vita e la morte si accozzano e si confondono intimamente a suo dire nel genere romantico. Più chiaramente Johnson nella sua prefazione alle opere di Shake- speare ( idolo e tipo forse non ancora ben conosciuto da romantici ) con- fessa che non essendo le storie di lui né tragedie né commedie non Tanno soggette ad alcuna delle lor leggi. Ma se sono storie, percliè son destinale 213 al teatro? E se non sono tragedie né commedie, qual nome aver devono? Quale? Quello di azioni romantiche, voce inventata due secoli dopo, voce che Jonhson vivente avrebbe forse desiderato di rinvenire ; voce che ora serve a legittimare con un nome di famiglia quelle opere che apparte- ner non possono a classe alcuna, e che nella mancanza di organiche leggi servir devono quali codici e statuti al nuovo genere. M' è forza quindi con- fessar nuovamente che le definizioni accennate, e la invano tentata ricerca di leggi positive, risultamento dell'esame sintetico a cui mi accinsi, poco a me servirono per procurarmi una lucida idea della vera essenza del roman- ticismo, e che invece in me surse ragionevol dubbiezza, che un genere che sfugge ogni intelligibile e precisa definizione, e ch'esclude ogni legge posi- tiva, potesse forse paragonarsi a quel dente d' oro soggetto di tante discus- sioni, cessate in baleno al riconoscimento ben tardo della sua inesistenza. III. Nulla ostante diffidando sempre di me medesimo, e costante nel desiderio di formarvi nell' argomento un sicuro criterio, proseguir volli le mie indagini colla scorta dell'analisi, e quindi mi proposi successivamente aj D' indagare le origini del romanticismo , e con la loro scorta , e con quella delle nozioni suespresse determinarne lo scopo : bj D' applicare questa conoscenza alla poesia in generale e partico- larmente alla drammatica , come quella che più risente l' influenza della nuova scuola, onde scorgerne i risultamenti. Se la poesia si definisce per la facoltà di sentire vivamente le impres- sioni del bello, se ha per fine di renderlo altrui sensibile col mezzo del diietto, se compier deve la sublime missione d'allontanar gli uomini dal vizio, e d'inspirar loro 1' amore della virtìi, io trattando della poesia par- lerò ad un tempo della letleratura in generale, e delle arti che tutte su- bordinate a tali principi , non sono che modificazioni diverse dell' unica face del Genio. IV. Volendo risalire alle origini prime del romanticismo, attenendosi particolarmente alle definizioni suespresse, è forza ravvisarle nei comincia- menli d'ogni letteratura, come in ogni cosmogonia il caos è sempre il pre- cursore degli esseri organizzati. Alcuni però contenti di generali vedute ritengono non senza appog- gio, che la mescolanza delle voci latine coi dialetti teutonici abbia fatto na- scere la lingua romanza che dall'innesto del rozzo valore dei barbari sulle fantastiche invenzioni degli Arabi surgesse la cavalleria, forma ideale del sistema, di cui il feudalismo era la realità, e che la lingua romanzn e la cavalleria abbiano oiTerlo ai trovatori la suppellettile di quella poesia chiamata poscia romantica che tolse dalle leggende del medio evo la mito- logia degl' incantesimi e delle fate, come le favole dei tempi eroici avevano prodotto quella della classica antichità. 1, ]\Ia il principio della sistematica guerra fra i classici ed i romanti- ci con distinti capi e seguaci fissar lo si deve intorno la metà del secolo XVII: allorché 1' Achillini ed il Marini in Italia, Shakespeare in Inghil- terra, e Lope de Vega, e Luigi Gongora y Argote nelle Spagne posero nel- la letteratura la legge di non averne nessuna. Questi due spagnuoli principalmente cercarono di abbattere l'edificio con tanto merito eretto da Giovanni Boscon e da Garcilasso della Vega, i ristauratori della lettenalura spagnuola, la quale, attinte dai grandi scrit- tori dell'Italia le vere classiche bellezze, riconosce, come quella, nel XVI l'aureo suo secolo. Lope per comporne oltre duemila opere dramnialiche che gli costarono talvolta il lavoro di poche ore, seguir doveva una fanta- sia senza freno, ed accozzare il pianto al riso, il sublime all' abbietto, il sacro al profano, attendendo che due secoli dopo si assegnasse alle sue biz- zarre invenzioni un genere e un nome. Gongora nell'orgoglioso projTOsito di alzarsi a capo scuola, forse co- noscendo le opere italiane dell' Achillini e del Marini adottò un gergo o- scuro ispano-greco-latino con cui scrisse varie opere poetiche ridondanti di ampollose figure, di strani ornamenti, di contorti concetti, e di fantasti- che idee che facilmente abbagliano a danno del buon gusto e della ragione} 2. Ma dopo il Muzio, il Castelvetro ed il Tassoni che molto prima dei Komanllci assalirono l'autorità di Aristotele, quelli fra i moderni che richiamarono a nuova vita il Gongorismo, aspirando a diventare creatori di un nuovo genere, da essi chiamato Romantico, furono il signor di Cha- teaubriand che nella poesia sostituir voleva la Religione Cristiana al poli- teismo, e la signora di Slael che preferiva alla classica gì' infausti miti e l'idealismo trascendentale della settentrionale letteratura. Il signor di Chateaubriand che un suo critico accusa autore della po- co nota memoria stampata in Londra col titolo: Quale sarà la Religione che dovì'à succedere al Cristianesimo allorché questo sarà estinto (i), dello (i) Auramiotti, Critica car. i55. 2u 2l4 d'altronde la famosa opera il Genio del Crislianesimo, opera con fina cri- tica analizzata da Darù, Lacretelle,Morelet,Regnaud de Saint Jean d'An- gel_y. Lemercier ed altri, le osservazioni dei quali servirono di base al so- lenne giudizio pronuncialo su di essa dui reale Instiluto di Francia, e che servono a me di scorta per farne qui un qualche indispensabile cenno (i). L'apparente causa di questo lavoro fu il combattere ad armi eguali gli epigrammi ed i sofismi con cui principalmente, a detta dell'autore, fu dai moderni increduli assalita la Religione cristiana, e ne divenne quindi lo scopo il provare la sua eccellenza e verità, col dimostrarla la più poe- tica e la più favorevole alla libertà, alle arti, ed alle lettere di tutte le al- tre religioni che hanno esistito finora (2). Egli pretende di provare il suo assunto con questo sillogismo: Tasso, Milton, Klopslok sono superiori ad Omero e Virgdio, ma de- vono la loro superiorità al cristianesimo, dunque la Religione cristiana è più favorevole alla poesia di quella di Omero e Virgilio, e riceve da ciò una nuova prova della sua verità e della divina sua origine. La maggiore di un tal sillogismo essendo tutt'altro che provata, giac- ché dopo Tassoni, Boileau, Dacier, Lamotte ed altri, forma tuttavia il sog- getto d'altissima controversia, Voi attendete forse, o Signori, che Chateau- briand a base del suo edifizio assoggetti a comparativa metodica analisi le opere degli antichi e del moderni, provi indubbiamente la superiorità dei secondi, e stabilito questo fatto, dimostri poi esclusivamente dovuta questa soprastanza al cristianesimo. Ma invano Voi siete in questa ragionevole aspettativa. Egli non ripe- tendo in tutta r opera che la sua sistematica idea, giammai assoggettata a regolare discussione, vuole comprovare praticamente l'eccellenza della Religione cristiana dipingendone le bellezze poetiche, ed in far ciò spin- ge le sue deduzioni fino a subordinare quasi la religione alla poesia (3). E di vero il genio è ciò che costituisce il carattere, lo spirito, e lo scopo d'ogni imitazione. Ora intitolando con questo vocabolo la sua ope- ra che analizza specialmente la religione ne' suoi poetici risultamenti, conduce a dedurre che lo scopo di questa sia stata l' esaltazione della fan- tasia de' poeti, ed il perfezionamento della poesia. (i) Chernier Observations critiques. (2) Cheruier car. 5. 74* JOi* 102. (5} Chernier Observations car. ^o. io3. Nel dipingere poi le bollczzc, abbandonandosi alla foga d'una trop- j)0 libera immaginazione, ed inlento solo a formar un sistema, egli, co- me osserva il sig. Lacretelle riunisce a dei voli sublimi, delle prove incon- gruenti e talora ridicole. Quindi è che per sostenere il suo assunto allontana la ragione, pro- clama il cuore ed il sentimento come soli oracoli da consultarsi, e riduce perfino una passione la religione medesima, perchè la ragione, egli dice, non ha mai disseccato una lagrima. Non è pertanto da stupirsi, se nell'esilio dato alla ragione, onde am- massar argomenti pel suo aereo sistema, travede il mistero impenetrabile della Triade Divina nelle opere di Platone, e negli errori del politeismo, giustifica ogni traviamento muliebre , asserendo che Dio condannando la femmina a partorir con dolori, le diede una forza invincibile per sostenere la pena e la rese impotente contro il piacere, e se a prodromo d una nuova storia naturale religiosa ravvisa la prima lettera dell'alfabeto eminente- mente rurale perchè entra nella composizione delle campestri parole charne, pàturage^ i'allee^ laboreur^ vache^ etc. come se non entrasse del pari nelle anti campestri parole carrossej pavé., place:, charpentlerj coiir- tisaiiCj etc. Se dunque non è comprovato il sillogismo del sig. di Chateaubriand per istabilire l'eccellenza e la verità della Religione cristiana, che non ne abbisogna poggiando sulle inconcusse basi della rivelazione, e d' una mo- rale divina, se non è ammissibile per ogni principio logico e teologico la supposizione che il suo Genio ed il suo scopo sia stalo l'iufuocamento del- l' immaginazione, e la perfezione della poesia, se finalmente viene annun- ziata come sorgente non di sentimenti, ma di sensazioni soltanto, converrà concludere col sig. ÌNIorelet, eh' è inutile quest'opera, che non servirebbe né a fare un buon poema, né a convertire un incredtdo, e temere invece col sig. Lemercier., che questa religione divina appoggiata a queste vacil- lanti umane prove, non divenga un giuoco poetico e l'ultimo limite della filosofia degl' incredidi. Non riporterò io qui quale assioma incontrastabile il precetto gravis- simo di Boileau : De la foi d' un Chretien les Afjsleres terribles D^ ornements egajres ne soni pus susceplibles. 2lG I\Ia per far conoscere quanto sia pericoloso l'applicare la religione ad oggetti profani ricorderò oltre l'esempio del sig. Chateaubriand, quello del tedesco Eberhar che dettando pure un' opera sullo spirito del Cristianesi- mo sostituì al bello ed al grande della divina sua origine i sofismi di Gian Giacomo illudendosi di trasformar la teologia nella moderna filosofia, e di ridurre cristiani gì' increduli facendo discendere la religione dal cielo per assoggettarla a tutte le miserie ed illusioni della terra. Che la religione cristiana possa abbellire la poesia, questa non è nuo- va idea, praticamente già dimostrata da Dante, dal Tasso, e da Milton, ma che 1' eterno suo vero abbisogni della poesia per provare la sua eccel- lenza, e che questa divenga la prova della divina sua origine, un tale con- cello non cadde mai nella mente dei Bossuet, e dei Fenelon, né apparte- iier potrebbe che al sistema derisorio del filosofo di Ferney. Le bellezze poetiche scaturiscono meno del carattere delle differenti religioni che dalla sempre uniforme natura e dalle passioni che ne deriva- no. Quindi non si compiange in Mirra ed in Aitala la vendetta di Venere od uà incautissimo voto, nia bensì la seguente lotta dell" amore e del do.- vere che desta nel loro cuore i più crudeli contrasti, e che le spinge eiv Irambe ad un lagrimevole fine. Fece quindi saggiamente II reale Instituto di Francia replicatamente chiamato dal Governo a dare il suo voto sul merito reale dell'opera il Ge- nio del Crislianesimo , giudicandola difettosa nel complesso e nel metodo, ed imperfetta nell' esecuzion*. Riconobbe però nell'autore un talento distinto, vi rinvenne dei^pezzi osservabili pel loro merito, e talora bellezze superiori, ma dovette confessare che tutto ciò non avrebbe bastato a procurarle il successo ottenuto, di cui deve ricono.scersi debitrice allo spirilo dipartito, edalle passioni del giorno. Il sommo talentodelsig. di Chaleaubriand permetter però non poteva che si abbagliasse a segno di farg^li disconoscere questi essenziali risulla- nicnli del suo lavoro, e quindi devesi ragionevolmente dedurre, eh' egli si formò un'opposizione per aver la gloria di combatterla, e che questa guerra di progetto tendeva ad uno scopo diverso. F. per verità conscio del proprio merito, invaso come la natura, da,l bisogno di lutto adoijerar per creare a costo (deviando dall'eterno tipo di riproduzione) di formare ibridi e mostri infecondi, egli aspirò sempre al jjiim;ilo iu ogni polilica e lellcraria carriera. 217 Derivano da questo irresistibile conato le inconjcguenze della sua vita che gli vengono attribuite fino al 181 5 dal Dictionaire des Giroiieltes^ le quali unite alle altre a lui attribuibili dopo quell' epoca, segtiano forse al- trettante modificazioni delia sua fede politica. Ecco le vere fonti d onde nacque T opera il Genio del Cristianesimo quasi antitesi delle sue prece- denti, colla quale formar volle in letteratura una nuova setta di cui a lero- fante si elesse, con l'oggetto di trasfondere la vera religione nella poesia onde fare romanzi per la terra e pel cielo. Difalti l'ardente brama sua di innovare tanto lo invase, che avrebbe voluto riformare perfino il paradi- so, concedendo agli eletti o la speranza d'una maggiore felicità, o 1' a- spettaliva d'un' epoca sconosciuta nella rivoluzione degli esseri, o la re- miniscenza delle cose umane, che li rendesse suscettivi di passioni e di airotti, e tuttociò per evitare la monotonia d'una eterna sempre eguale felicità. Convieu adunque concludere che per avere il j^i'iniato anche nella letteratura, trattando i tremendi mister} di Jehova sostituì alle arpe inspira- te dei Profeti la lusinghiera lira d' Anacreonle, sacra all'ebrezza delle pas- sioni, e non mai alla maestà della fede. i\Ia lasciamo il sig. di Cliateaubriand meditare la sua nuova riforn>a del paradiso, e passiamo ad occuparci per poco della signora di Stael altra sacerdotessa della sedicente nuova setta.^ che trapiantar vorrebbe la lette- ratura dal bello cielo della Grecia nel nebbioso clima del settentrione, po- sponendo la pura luce dell'olimpico sole all'infausto splendore delle bo- reali meteore. La sig. JNeker de Stael, dotata di grande talento, di squisita sensibilità, e sopra tutto d'infrenabile fantasia, cercò sempre un oggetto che le riem- pisse quel vuoto sentito dalla nostr' anima a prova della sua immortalità, ma non potemlo raggiungerlo mai, fu un genio intraprendente, ed una donna infelice. Accarezzata fin dall' infanzia dal padre, primo ministro d'un gran regno, anima dei circoli, ove le sue grazie nascenti ammirar facevano per- fino il disordine d'una fervida immaginazione, attorniata da lodatori d*! suo spirilo, della sua festività e della sua fortuna, contrasse il prepotente bisogno di eccitare grandi afTelti , e forti commozioni , si formò intorno una poetica atmosfera ideale, e non potè quindi che tardi, dice la sua bio- grafia, vivere in società con la natura. 2l8 Un amore ardente di libertà, un culto quasi religioso al padre vivente ed estinto, ed un' insaziabile brama d'emergere, furono modificazioni di queir orgoglio , che la Francia e nella Democrazia e nell' Impero umiliò sempre con la perdita de' suoi amici, con le accuse e l' esilio del genitore, con l'amara critica delle letterarie sue produzioni. Disgustata della Francia , e de' manifestati principi produttori di ri- sultamenti, dagli sperati tanto diversi, cangiò modi e pensieri, difese con uno scritto la sventurata regina, e si mostrò calda proteggitrice del Go- verno Britanno nemico del suo paese, dettando quegli opuscoli politici che furono perciò appunto lodati a cielo da Fox nel parlamento. Riconosciuta l' impossibilità di primeggiare in patria cercò in altre regioni di raggiungere la vendetta ed il suo scopo. Abjurò quindi destramente talora, e spesso con operoso vigore la letteratura francese, considerandola figlia del dispotismo del secolo di Luigi XIV, e proclamò come veri , come indispensabili i nuovi principj che sino dal 1780 erano sparsi nella Germania settentrionale, chiamati «forzi generosi onde scuotere il preleso giogo della classica letteratura, ma che a buon dritto nomare si potrebbero i primi vagiti di quella del setten- trione che per confessione della Stael nasceva appunto in quell'epoca. Ella inoltre sentiva vivissima simpatia per la Germania settentriona- le, perchè protestante come la madre, affibbiava all'indipendenza intel- lettuale i dettami della politica libertà, riteneva la riforma del suo cele- brato Lutero più favorevole del cattolicismo all'avanzamento dei lumi., giudicava che quella segnato avesse Y epoca delia maggiore perfettibilità della specie umana, e giungeva perfino a volersi persuadere che nella Sas- sonia, ove nacque il protestantismo, esistesse più dottrina che in verun altro paese del mondo. 1 dotti della Germania settentrionale dovevano ben lusingare con aji- plausi ed onorevoli accoglimenti 1' orgoglio di quella, che concepito aveva il disegno di dare alla neonata loro letteratura un carattere europeo, quantunque confessare talora dovesse che in Germania tutto era in istato di speranza, e tutto animalo dalla speranza. La sig. di Stael sentendosi offesa dalla Francia, e careggiata dalla Germania, quasi antitesi della prima, volle alzarla a primato sulle rovine della classica e patria letteratura. Eco ella quindi degli enunziali principj abbelliti dalle veneri d' uno Stile abbagliarne e fiorito, animata dal vivo desiderio di elevarsi ad '.ni posto distinto Ira i novaloii r;idicali, compose la famosa sua opera : ìa LpL- teratura considerata nella sua influenza sulle instituzioni sociali^ opera ci. e in seguito sviluppata anche con personali aiiplicazioni dall'altra suU'Allc- magna , forma col Genio del Cristianesimo del quale s' è ragionato più sopra., il digesto de' moderni romantici. Per giungere a questa meta, conveniva scuotere dai fondamenti l'an- tica letteratura, e quelle leggi che, costanti risultamenti dell'esperienza, avevano ottenuto il sacro suggello dei secoli; era d'uopo inventare nuovi bisogni, e segnare uno stato tutto nuovo e ideale della soeietà, che formata dall' aggregato d'uomini aventi sempre le stesse facoltà e le stesse passio- ni, sarà sempre suscettiva delle impressioni medesime. Ella fondò l'esi- stenza di questi nuovi bisogni della moderna civiltà, sopra il vecchio prin- cipio della progressiva perfettibilità dello spirito umano , principio pro- clamato fra i primi da quel Voltaire che la stessa signora di Stael accusa di aver accostumato gli uomini a giocare con le cose più formidabili, e di non aver esaminato gli oggetti a faccia a faccia. Quindi i secoli di Pericle, di Augusto, di Leone X, e di Luigi XIV sono per lei inferiori al secolo in cui visse, secolo che migliore di tutti i precedenti concede, per suo sentimento, ilprimo posto a quegli spiriti che si occuparono dei progressi dello scibile, spiriti che quindi soprastanno agli autori della classica antichità. Ecco in poche parole l'intimo senso, e lo scopo della poetica di M. di Stael , eh' ella ritrovò in pratica già avverata in quella settentrionale Germania ove esistono, a suo dire, in un fascio raccolte tutte le umane cognizioni, tratte però dalla lettura dei libri e non dallo studio degli uo- mini. Questa perfettibilità continua, indefinita, che si cercò di dimostrare coi progressi letterarii, ed il graduale sviluppo delle facoltà umane da Ome- ro fino a noi, e che promette agli uomini, al dir della Stael, i benefizii d' una vita immortale, un avvenire senza limiti, ed una continuità senza interruzione, si riconobbe però da' suoi proseliti che difficilmente pote- vasi concepire come l' interminabile prolungazione di una retta che dove- va perdersi, o nelle caligini d'un mondo indistruttibile, o in un nuovo Eden fra i rami dell' arbore della scienza , ove una maliarda del Nord dovrebbe ripetere le malaugurate parole troppo sentite dalla nostra 220 progenitrice: Aperientuv ociili i'cstri. el eritis sicut Dii scientes bonum et malum (i). Immaginarono perciò con Goethe che lo spirilo umano avanzi sem- pre.^ ma in linea spirale il cui asse però descriverebbe sempre una retta cosicché il moto spirale non ne farebbe che ritardare la prolungazione, la- sciando l'inconcepibile principio della sua infinita continuità. Applicar volendosi all'argomento questa fisica idea, base del nuovo sì- stema, molto però affievolito da essa, devesi invece dire a mio credere, che lo spirito umano ricevuto l'impulso primo dalla voce stessa di Dio , tende è vero con moto rettilineo ad un limile indeterminato, ma rivestito di ma- teria, viene dalla forza d'attrazione che lo signoreggia, costretto a descri- vere una curva ed a ricalcar la sua strada. La filosofia, la storia, e le stesse confessioni della Stael provano giu- stissima questa applicazione delle fisiche leggi alla morale vantata perfet- tibilità. Il grande storico dell' Inghilterra dimostra con filosofiche e storiche osservazioni , esservi un ultimo grado cosi di elevazione , come di deca- denza, donde le umane cose naturalmente ritornano in una progressione contraria, di rado avvenendo che questo grado sia oltrepassato tanto dal- l'una quanto dall'altra (2). Basta gettare uno sguardo sulle pagine della storia, per convincersi di questo avvicendare continuo delle tenebre e della luce. Dipinge la Sacra Bibbia molto avanti gli Antidiluviani nelle arti e nelle scienze, poscia se- polte neir universale cataclismo. Con l' iride di pace risorsero gradatamen- te fino a quel popolo misterioso che alcuni eruditi traveggono negl'isolati monumenti e nelle antiche sparse nozioni, che ne conservano le traccie come le alte montagne conservano del diluvio le impronte. Gli arcani templi e le piramidi di Egitto raccolsero quei lumi, e col mezzo di Cadmo ne furono cortesi alla allor barbara Grecia, nel cui seno fecondo s' aumentarono fino a formare il secolo brillante di Pericle. Da quella 1' agreste Italia li attinse (se dagli Etruschi non le vennero pur dal- l' Egitto recati) e li portò al sommo fulgore nel secolo di Augusto da cui retrogradarono rovinosamente per l'irruzione dei barbari che sommerse- ro come il diluvio tutto lo scibile umano. (i) Genesi III. 5. (2) Iluine, Storia d'Inghilterra, traduzione Leoni T. IV. car. 558. 221 Dieci secoli rimase sepolto il sacro fuoco del Genio, e forse questa nostra patria anello dciranlica e moderna istoria, fu il pozzo di Neemia, che ne conservò e lalor ne fece apparir le scintille, fino a che un concorso di mille circostanze lo condusse nei secoli di Leone X e di Luigi XIV, a rilluminare la terra. Invano da questo apogeo ora ricoverato sotto l'egida della stampa, tentarono di far ricadere il genio nell' antica barbarie, gli AcKillini, i Ma- rini, i Gongora, i Lope de Vega , ed il moderno romanticismo, giacché questo in ultima analisi, come si vide finora, e meglio vedrassl in appres- so, non è che la ripetizione di antiche cose, ed il tentato ritorno al caos secondo del medio evo. La sagace signora di Staci s' avvide forse di questa ragionevole conse- guenza del suo sistematico principio , e per modificarla possibilmente la distrusse quasi del lutto. Eccepì quindi 1' immaginazione dal novero delle facoltà suscettive d' una perfezione indefinita, giacché non può prevedersi, ella dice, a qual limite arrestar si possa il pensiero, per non dire, che questo limite altro non può essere che la linea tracciata dalla ragione fra la più squisita sensi- bilità, e la pazzia. Dunque il principio della perfettibilità non interrotta ed intermina- bile dello spirilo umano, pietra angolare del suo sistema, non può dopo questa confessione essere applicabile alla poesia, che nell' immaginazione ha il suo regno, e quindi Ossian tipo della nuova scuola del settentrione non è più paragonabile ad Omero padre della classica del mezzogiorno da cui la Stael procedette per determinare in fallo la progressione dei lumi e per dedurre la superiorità dei moderni. Ma v'ha di più ancora. In mezzo al fascino del suo sislema fondalo suir umana perfettibilità , ella ripetutamente si lagna della sempre cre- scente corruzione universale, scorgendo forse con Montesquieu nella na- tura umana quella malattia di languore , che sospettar si potrebbe una delle fisiche cause delle atrocità del secolo XVIII, giacché l'eccesso del sentire é l'ultimo stadio della debolezza. Da queste contraddizioni, dall' estremo rigore con cui giudica i suoi contemporanei in opposizione al presunto graduale progresso dei lumi, dall' incoerenza fra gli spontanei moli dell'anima, e le viste del suo spirilo derivate ognor dal progetto, chiarameute ristdta che il sistema di ^I. di -9 222 Stael fu concepito dall' orgoglio , proseguito dalla vendetta, ridotto in ul- timo alla sola smania di novità, mentre confessa pur ella stessa. « Che nien- ■■■> te può paragonarsi all' imponente e ben ordinata unione dei classici •■■> capolavori, ma che la questione si limita a sapere, se seguendone le trac- )i cie,~si possa raggiugnere la novità «. Desumendo da ciò il bisogno della nuova letteratura , ella compose quasi a sviluppo della jjrima la seconda sua opera suU' Alemagna , nella quale applica i vaghi e spesso non ben coordinati principii dell' altra agli autori protestanti della boreale Germania, analizzando minutamente le loro opere con lo scopo segreto di formare con gli esempii, in mancanza di precise definizioni, e di leggi positive, i codici parlanti del nuovo gene- re che ai suoi seguaci tengono in fatto luogo dei tanto esagerati tirannici principii dello Stagirita. Tutto ciò sempre più prova, che la questione sulla preferenza da darsi al nuovo preteso genere sull'antico, non era letteraria ma personale del tutto. Se ciò non fosse, il criterio della signora di Stael non le avrebbe per- messo di richiamare, contro i dettami della storia e delle leggi della natu- ra, la luce del settentrione ad illuminare il mezzogiorno, a meno che non si voglia anteporre il pallore del gaz alla pura feconda luce del sole ; ed al- lorché le è forza pur ricordare che la irruzione dei barbari fece retrogra- dar lo spirito umano per dieci secoli, possente confutazione del sistema di perfettibilità continua e progressiva, la sua logica non poteva condurla a credere compensato questo immenso danno da alcune nozioni comunicate dai vinti ai vincitori, e da essi ad altre genti diffuse. Questo fatto ove pur si ammettesse, proverebbe al più che la civiltà riprese dal punto della mas- sima sua retrocessione l'antico graduale sviluppo, nuovamente dal mezzo- giorno recando al settentrione quei lumi che ricambiare ora vorrebbe nel romanticismo con una seconda letteraria irruzione. 4. Esposte le definizioni più accreditate del romanticismo, ricono- sciuta in esso la mancanza di leggi positive, ed esaurita la prima proposta ricerca sulle vere origini della nuova scuola, riservata ad altro momento l'analisi del secondo periodo del romanticismo all' epoca del foglio perio- dico il Conciliatore, sembra potersi concludere concretamente che il mo- derno romanticismo: Quanto alla sostanza ossia ali" argomento d'ogni poesia, escluda 220 tolalmente la Storia aulica, la greca e romana milologia. ed ammetta esclu- sivamente la storia moderna, la religione cristiana , le leggende della ca- valleria, e tutte le illusioni fantastiche che ne derivano: Quanto alla forma, ossia alle norme del relativo sviluppo, ricusi qua- lunque legge, e più tenda all'esposizione dei fatti che alla pittura delle passioni: E sia quindi ultimo suo scopo il sostituire alla letteratura dell' anti- chità quella appena nascente della Germania settentrionale col corredo de'suoi miti Caledonj, e Scandinavi, scoj)o tutto figlio di personali vedute. V. L'applicazione di questi riconoscimenti alla poesia in generale ed alla drammatica particolarmente, soggetto della seconda indagine che mi sono superiormente proposta, farà di leggieri conoscere a quali termini si riduca in fatto il tanto celebrato romanticismo, e quanto sia lungi dall' es- sere un moderno trovato, e dal formare un genere tutto nuovo. 1. E parlando primamente delia sostanza, credo di non errare asse- rendo, che la scella d'un argomento epico, lirico e drammatico, non co- stituisce un genere, ma una specie. E' libero ad ogni poeta di esercitar la sua vena in quel!' argomento che più consuona col suo cuore, ma è in do- vere di dipingere i costumi, il grado di civiltà, e la religione dei tempi a cui la fantasia lo trasporta, e quindi d' applicare al suo tema la macchina del maraviglioso the vi corrisponda. Ritengo quindi che un'opera chiamar non si possa romantica perciò solo che tratta un'argomento del medio evo, giacche- per costituirla tale., converrebbe che fossero sbandite da essa as- solutamente tutte le leggi del classicismo , la cui esclusione forma il solo canone negativo della nuova scuola. Diversamente, nell'epica appellar dovrebbesi romantica la Gerusalem- me liberata, poema che scegliendo 1' epoca bellissima delle crociate, scru- polosamente si assoggetta a quelle leggi che dettate dall' esperienza , come mezzi possenti d'interessare la mente ed il cuore, lo staiiilisce forse il pri- mo poema del mondo. Per la stessa ragione nella poesia drammatica chia- mar si dovrebbero romantiche la Zaira di Voltaire, la Congiura de' Pazzi, la INIaria Stuarda, la Rosmonda d'Alfieri, nonché il Galeotto Alanfredi di IMonti, tragedie tutte di preteso argomento romantico, ma classiche essen- zialmente, perchè composte sul tipo delle classiche leggi, come per lo con- trario chiamar dovrebbesi classica la morte di Cesare di Shakespeare, clas- sico argomento sviluppato romanticamente. 224 Difatti trattando ancor io i due argomenti emiaenlemenle tragici, r Attala e la Ciato, scrupolosamente seguendo le classiche leggi, non mi cadde mai il sospetto che quelle azioni perchè tratte dal Genio del Cristia- nesimo e dal poemetto il Cartone dell' Ossian, romantici appellar si do- vessero. Mi sembra quindi di poter concludere in tal parte che la sola qualità dell'argomento, tratto dall' antica o dalla moderna istoria, non possa co- stituir classica o romantica un'opera qualunque, e che ogni autore, di qual partito egli sia, resti in piena liberta di seguir quella specie che più gli ag- grada. 2. Consegue da ciò, che la macchina seguir dee 1' argomento. Omero e Virgilio autori del politeismo, resero attori dei loro poemi i numi della Grecia e del Lazio. Tasso in argomento tutto cristiano chiamò sulla terra le sopraumane intelligenze del cristianesimo. Camoens creò con la fecon- da sua fanta.sia una macchina quasi nuova.^ e col Genio dei mari che si op- pone gigante all'impresa di Gama, arriccili la poesia di brillantissima gemma, e Saemund, rapsoda della prima Edda, comprese in essa gli avan- zi della religione di Odino. E qui giova osservare una nuova inesattezza di M. di Stael che per ge- neralizzare le siTe idee chiama Omero prima fonte della letteratura del mezzogiorno, Ossian di quella del nord. Ossian non è confondibile co' miti dell' Edda che il romanticismo far riviver vorrebbe. Egli privo d'alcuna idea religiosa è costretto a collo- car nelle nubi il seggio delle poetiche reminiscenze, ed il maraviglioso del- la sua robusta poesia. L' Edda forma un trattato completo del politeismo della Scandinavia, ove invano si cercherebbe un Dio clie rappresentasse r amore. Possono dunque i poeti liberamente Irascegliere qualunque specie di argomento, ed adattarvi la corrispondente mitologia, senza indossar le divise del genere classico o del romantico, a cui la sola differenza del te- ma non può servire di precisa demarcazione, ed è quindi ingiustissima co- sa sbandire dalla letteratura i miti greci e Romani per ammettervi esclu- sivamente que' mal augurati della Scandinavia. 3. Quanto lungo e forse noioso sarebbe il comparativo confronto delle diverse macchine del maraviglioso poeti'co, altrettanto ne diventa in- dispensabile un qualche cenno. La religione cristiana lieue la venerabile sua fonie nel cielo, l' aria è la scena delle Caledonie illusioni; i Miti dell'Edda si aggirano sulla di- scordia degli elementi, il greco politeismo vivifica la natura , cosicché di- ventano idee dominanti di queste religioni la speranza, la melauronia, il terrore, e la giocondità. La divina religione di Cristo asconde il mistico capo nel cielo, riem- pie il vacuo dell' anima con la speranza, prova e pegno sublime dulia sua immortalità, ma figlia di eterno Vero, sdegna di mescersi alle profane il- lusioni della poesia, e creò forse appositamente un Torquato per dimo- strare, come e fino a quanto possa essere lecito di farla argomento di poe- tici canti. Ossian fa riflettere nelle nubi le più delicate passioni, e ne trae quella patetica luce delia luna, alimento dei cuori sensitivi, che forma l' incanto de'suoi poemi, spesso con la forza del solo suo genio assoggettati alle classi- che forme da lui, come da Omero indovinate, e poscia ridotte da un'ana- litica filosofia a positivi precetti. La mitologia dell'Edda nata nella Scandinavia e fondata sull'antico dogma orientale dei due principi rinovato da Manete, non fa che descri- vere i disastri de'suoi infelicissimi Dei vittime del genio malefico di Sortur e di Loke, e finisce con la distruzione del mondo e de'suoi numi uè im- mortali ni'' eterni, e che incapaci di sottrarsi al loro fatale destino, poco al cerio potevano apportare conforto e sollievo alle miserie degli uo- mini (i). La mitologia greca e romana anima ed abbellisce la natura, personi- ficando ogni modificazione della forza fisica e morale. Io non riporterò qui le massime dei neo-platonici che In tutto il po- liteismo ravvisano un' allegoria dei gran dogmi dell'unità di Dio, dell ini- morlalilà dell' anima, e d'una vita futura, costituenti, secondo alcuni mi- tografi moderni, il segreto formidabile dei misterj d" Eleusi e di Samotra- cia, ma arrischierò di dire che il bel cielo della Grecia , aprendo 1' adito alle più squisite sensazioni, poteva facilmente trasformarle in religiose il- lusioni. Un giovinetto pastore che s' adtlormentava in una selva frondosa, sul margine d'un fiorito ruscello, alla magica luce del sole cadente, poteva (i) Mallet T. II. Mallcbrum T. II. cari. 588. 22G sognar di leggieri che le Napee e le Amadriadi formassero a lui d'intorno lusinghiere carole, e che la pietosa Najade suU' urna d' argento poggiata intuonasse il cantico dell' amore. Destato poi dall' alito soave dell' aurora nascente, e colpito dall'im- menso spettacolo dell'apparir del grand' astro, salutato dal profumo dei fiori, dall' aleggiare di zefiro fecondatore, e dal sorriso della natura, era ben compatibile se credeva il suo sogno una mistica celeste visione. Lo Scandinavo all' opposto nella sua capanna mezzo sepolta nella terra e nella neve, udendo lo scroscio dei fulmini, ed il mugito dei venti, temer doveva che sorto già fosse l' infausto crepuscolo degli Dei , e che le nome fate, o streghe della Voluspa, figlie dei malefici genii e dei nani, ab- bandonassero le radici del Frassino dell'abisso per desertare la terra, che Odino fosse divorato dal lupo Feuris, che il gran serpente ingoiasse il sole e la luna, e che Sartur supremo genio malefico, grandeggiando immane spettro sul vascello Naglefare formato dalle unghie degli uomini estinti , distruggesse con un torrente di fuoco la terra, il cielo, e gli Dei (i). Questa mitologia che del cadavere del gigante Ymer forma la terra, il mare, ed il cielo, che costringe Odino il padre universale a comperare con la perdita d'un occhio un sorso solo del liquore della sapienza, che nel suo aereo palagio alimenta gli eroi con l'adipe rinascente del cignale Schrimner, che non ha un Dio che rappresenti 1' amore, 1' Eros il bellissi- mo sposo di Psiche o dell' anima : questa mitologia è ben a posporsi , a mio credere, a quella che fa nascere il mon do dall'ordinamento del caos da Cupido commosso, che la maestà di Giove dipinge nello sguardo che fa tremare l'Olimpo, e che in quel seggio degli Dei immortali fa appre- stare dalla fiorente timida dea della gioventù, il nettare e l'ambrosia agli eroi. E che io mal non mi apponga in questa preferenza di cui è forse me- ritevole la greca mitologia, lo comprova il romantico Schlegel che nelle melodie della vita ha dovuto di lei valersi.; come quella che polca sola in- spirargli la musica del suo poema (2). Ma la scuola romantica grida altamente, che si sbandisca la greca mitologia perchè la moderna civiltà ha bisogno di verità, e non piìi di vie- te fole e di sognati avvenimenti. (i)Mallet T. II. cari. 106. (2) Esiodo Teogonia, cart. 8. Voi. i34- 227 Risponda a questo per me l' immortai nostro Monti: Senza portentOj senza maraviglia Nulla è V arte dei carmij e inai s' accorda La maraviglia ed il portento, al nudo Arido vero che dei P^ati è tomba. A questo canone sacro mi sia conceduto d' aggiungere. Se sbandir si deve, perchè fallace, la greca mitologia , perchè si dovranno ammettere come credibili le romantiche apparizioni degli spettri, ed il poter delle streghe siano di Loke o di Lucifero adoratrici ? Come si può scorgere nelle nubi con Ossian la caccia d' aerei cigna- li, e l'ombre sospirose sitibonde di canto? Dunque, o conviene ammettere nella poesia ogni maniera di maravi- glioso corrispondentemente alla qualità ed all'epoca dell'argomento, o sbandirle tutte ed affidare invece al ferro anatomico la cura di scoprire le origini fisiche delle sensazioni per calcolarne poscia la influenza morale sugli uomini e sulle cose. Virgilio, se fosse stato tenero tanto di questo vero, per poeticamente dipingere le cause che resero propizia Bidone ad Enea, e che gli agevola- rono r impresa d' Italia, avrebbe dovuto investigare nell' oscillazione ner- vosa e nell'accelerato movimento del sangue le vere cause de' non severi suoi palpiti. Ma egli eccitò invece un vero affetto, e la rese soggetto di compassio- ne vivissima, allorché mostrò Bidone vittima de' disegni di Venere, e quindi rivestì amore delle sembianze di Ascanio , onde raccolto nel grem- bo di lei vi accendesse la fatale fiamma da cui la misera venne tratta alla misteriosa spelonca, ove et TelluSj et pronuba Juno Dant signum_,Julsere ignes„ et conscius oether^ Connubiis^ summoque ulularunt vertice Nimphae No la poesia non è esclusivamente fondata sulla verità ma sull'imita- zione, e questa per raggiugnere il suo scopo di far vivamente sentire, ab- bisogna di delicate allusioni, di vivaci allegorie, di trasparenti veli, di 22S lusinghiere apparenze e di tulio il fascino del jìiacere the un'anima sensi- bile trova pur nelle lagrime. Io devo adunque di nuovo concludere quanto alla sostanza d'ogni poesia, che il poeta può scegliere l'argomento che più gli è caro, ed adat- tarvi la maccliina corrispondente, ma che il voler ammettere soltanto i tatti del medio evo, ed il bando della mitologia, è imporre un giogo ben ])iìi tirannico delle Aristoteliche leggi, e non è altrimenti creare un nuo- vo genere, ma bensì costringere il libero genio al culto esclusivo d'una specie non meritevole di quest'ingiusta predilezione. 4. Se relativamente alla sostanza, od all'argomento d'ogni poesia, mi sembra che sia abbastanza provato non doversi chiamare il Romanticismo un genere nuovo e particolare, credo che un tal carattere affibbiar non se gli possa del pari riguardo alla forma ovvero al modo di sviluppare la so- stanza medesima. E che ciò sia vero, lo prova quanto all'epica Omero che pingeva nel- l'Odissea la domestica vita, Lucano che versificava la storia, Ariosto se- guace però sempre con qualche latente connessione della sua infaticabile fantasia ; Camoens che collegava ai numi dell' Olimpo le intelligenze del paradiso; e quanto alla lirica ne fanno testimonianza i genealogici canti di Pindaro, i tristissimi versi di Saffo, di Simonide, e di Ovidio, e le anti- che leggende o canzoni de' pellegrini reduci di Terra Santa che furono le prime sementi di que' misteri , e di quelle sacre rappresentazioni che in mezzo alla mescolanza d'ogni genere, fecero però rinascere fra noi la tea- trale poesia (i). iNIa di questa parlicolarmenle parlando come quella che pii!i risenti r influenza del preteso nuovo genere, molte ed antiche sono le opere nel- le quali si ravvisano tutte le forme romantiche, e che forse ne divennero il lij)0. Senza parlar d'Aristofane , e d" alcune commedie di Terenzio e di Plauto, senza occuparci de'misteri, accozzamento di religione e di licenza, abbiamo la Virginia di Bernardo Accolti, tragedia scritta dopo il i5oo, che basterebbe a screditare il suo genere, abbiamo la commedia, gl'Intri- ghi amorosi con cui alcuni pretendono aver voluto il Tasso volgere in ridicolo alcuni autori contemporanei, ed abbiamo finalmente il Saule, (i) Casavini. Memoria Iella al Veaelo Ateneo nella tornata 19 febbraio 1839. 220 tragedia storica attribuita al Voltaire , che si estende a tre generazioni , e che non ben si scerne se tenda più a porre in ridicolo la Mothe, o a paro- diare il più antico, ed il più augusto libro del mondo. Tacerò di molte altre produzioni antiche tutte conteste di romantiche forme, e che meritano questo nome, posteriormente inventato; tacerò del- le licenziose fiabbe di Carlo Gozzi, che avrebbero bastato ad apporre alla veneta letteratura una nera macchia se detersa mirabilmente non l'avesse l'immortale Goldoni , da cui venne decorata invece di nuovo splendore, ma mi permetterò solo di riportare i pensieri di Alessandro Pepoli, che in un suo particolare Selvario, da me posseduto, cosi tanto opportuna- mente si esprime. » Il sistema della nuova composizione di nuovo genere o di vecchio il modificato, intitolato Fisedia ossia canto della natura, sarà fondato sul- « l'unione di tutti i punti d'azione più straordinari, e più interessanti " d'uno o due personaggi; si escludono le unità di tempo e di luogo sal- " vando però quella di azione. Con questo modo saranno giustificati i buo- » ni pezzi di Gozzi e di Shakespeare, dando vita e nome al genere ; il cia- " battino sarà misto all'eroe, ma ciascuno parlerà il proprio linguaggio. " Sarà pronta ima dissertazione per giustificaie il genere e dargli no- " me (i) ". La nuova scuola die compimento al progetto di Pepoli appellandosi Romantica, vocabolo in cui sta tutta la novità del preteso genere i cui ca- ratteri negativi si trovano con tutta esattezza sviluppati nel brano sue- spresso, affidato ingenuamente ad un Selvario, segreto testimonio d' ogni libero pensamento. Ma per conoscere come i Romantici siano ristauratori soltanto di an- tiche aberrazioni, e a quanto spingano la loro licenza, converrebbe ripor- tare interamente la famosa tragedia di Goethe il Fausto, la quale porta sensibile rassomiglianza all'antica intitolata iì Trionfo della Divina Giustizia di Flaminio Temperini, stampata in Venezia nel 1678. L'argomento di quest'ultima è tutto fantastico, ed i nomi stessi de- gl'interlocutori, tratti dal greco, ne dimostrano l'allegoria. Il signore, nel prologo , dal paradiso concede al principe Aneudosio ( ossia peccator ostinato) virtù, ricchezze, ed onori, ed incarica Cibele ed i doni del (1 ) Pepoli Selvario 3o 33o Paracielo a fornirnelo copiosamente, sempre lasciandogli il suo libero arbi- trio. Inorgoglito da questi doni superni, discaccia gli onorati consiglieri a cui avevalo il padre affidato, e si abbandona ad Iperfanio ed Afrodisio , i deraonii della superbia e del senso, che gli aveva Plutone dall'inferno in- vitati onde assicurarne la preda. Seguendo il principe i consigli di questi invola la moglie ad un cortigiano che disperato si uccide, manda in esilio la madre, insulta villanamente il padre, lo detronizza, lo fa decapitare , e tenta di sedurre la sorella, ma dall'amante di essa è scacciato seminudo dal regno. In tale situazione disperata, invano la Divina misericordia gli invia la sinderesi e la penitenza per convertirlo, ma quegli nella capanna ospitale d'un pastore che avealo ricoverato, attentando all'onore d'una figlia innocente, viene abbandonato ai demoni suoi finti servi, che lo stroz- zano e lo precipitano nell'inferno. Questo aborto in cui le deità del politeismo sono unite alle intelligen- ze celesti del cristianesimo , riunisce negV intermezzi la storia di Crispo figlio di Costantino vittima dell' infame matrigna. Questa si vede penare neir inferno con Aneudosio, ed il suicida disonorato consigliere, come nel paradiso si scorge Crispo ed i genitori del peccator ostinato , chiudendosi il dramma con un dialogo fra gli eletti, ed i reprobi, fra la misericordia e la giustizia, fra il cielo e l'inferno. La tragedia il Fausto di Goethe , s' apre come quella del Temporini nel pai-adiso, ove il demonio Mefistofele cugino di Lucifero, si porta talo- ra per riferire al Signore lo stato dell'inferno. Egli malignamente deplora la miseria dell'uomo che paragona ad una locusta, e la cui infelice esisten- za si fa perfino scrupolo di peggiorare talora. A questi sarcasmi oppone Iddio il dottor Fausto dottis.simo suo servitore, ma il demonio scommette di pervertirlo. Accettando quasi la sfida gli promette il Signore di non op- porsi, e gli dice: F'anne e se ancor lo puoi Fa deviar dalla sua fonte prima Quello spirto gentile.^ ed arrossisci^ Se finalmente confessar dovrai Che abbietto e umil pur sia. Scerre può il giusto ognor la retta via. 23l Fausto più ambizioso che forte, divoralo da un'insaziabile sete di sa- pere, ricorre ai sortilegi per oltrepassare i limiti delle umane cognizioni Disperato per non riuscirvi vuole avvelenarsi, ma il suono de'sacri bronzi che festeggiano la risurrezione di Cristo, lo distolgono dal suo fiero pro- posto. Passati però i primi momenti d' un religioso entusiasmo, mentre è presso a ricadere nelle prime follie, Mefistofele gli apparisce promettendo d' immergerlo in tutti i piaceri del mondo , e Fausto a lui si abbandona purché lo riduca ad addormentarsi in mezzo ad essi. Lo introduce prima presso una strega che tiene a suo ordine degli esseri gatto-scimie , ne' cui canti mal poirebbesi decidere se primeggi l'orrm-e, il ridicolo, oJ una in- fernale ironia. Forse quest'ultima spicca superiormente in un dialogo che tiene Mefistofele con uno scolare, che, credendolo un dottore, lo consulta sul metodo de" propri £tudi, dialogo da cui emerge un diabolico pirroni- smo che abbatte ogni massima, ogni principio. Dall'infernale suo duce è poscia Fausto introdotto nella società di tutte le classi ravvisate semj)re dal lato il più sfavorevole, ma veggendo ch'egli continua ad annoiarsi, lo consiglia ad assaporare i piaceri dell'amore, e lo induce ad invaghirsi di Margherita innocente fanciulla che vittima delle arti diaboliche, non con- serva delle antiche virtù che il rimorso. Ella per accogliere Fausto in sua casa dà un sonnifero alla madre, e senza colpa l'uccide; sente che 1' ap- paesito fiore dell'innocenza dà luogo al frutto della' colpa; scorge già che questa conosciuta da tutti la ricopre col manto del disonore, e veder deve il fratello che vorrebbe vendicarla, cadere esangue vittima del suo sedut- tore, e scagliar nell'estrema agonia sul colpevole di lei capo imprecazioni tremende. In mezzo a questo ammasso di orrori, invano ricorre la misera ai conforti di religione che il demonio fino ai pie degli altari la segue, ed ivi parafrasandole malignamente all'orecchio il sacro inno Dìes irae l'ab- bandoiia priva di sensi alla più orribile alienazione. Per distrarre Fausto dai rimorsi e dall' interesse che sente per la sua vittima , lo trasporta ad •una Tregenda Sabatica delle streghe. In queste orgie della mente e del cuore fippariscx)no diversi quadri, da uno dei quali egli conosce che la in- felice sua amante sagrificò il figlio al rossore, giace in una carcere priva di senno, e deve espiar sopra un palco pochi istanti di colpevoli compia- cenze. Il furore di Fausto contro il vero autore di tanti mali, si spunta sul diabolico freddo sorriso che riversa sopra lui slesso ogni colpa. Benché pure colpito da una sentenza di morte per l'omicidio commesso vuole rientrare nella città e con diabolici aiuti penetra nella prigione di INIargherita che sopra poca paglia vaneggia fra i rimorsi , il terrore e non odiate remini- scenze. In mezzo ad un dialogo interessante in cui la follia del dolore di- sordinatamente sviluppa que' sentimenti, comparisce Meflstofele che veg- gendo abbrividiti i suoi neri cavalli dal vicino apparir dell'aurora intima p.i due amanti immediata partenza. Margherita ricusa ed invoca Angeli e Dio: il demonio grida ferocemente: ella è giudicata; ma una voce celeste soavemente pronuncia: ella è salvata, ed un lampo di fuoco fa sparire Fau- sto e l'orrenda sua guida. Qui è sospesa l'azione, e la tragedia, forse con avvedimento lascia in una non penosa incertezza. Quest'opera come quel- la del Temperini, confonde la poesia e la prosa, la tragedia e la Lassa commedia, 1' orribile ed il ridicolo, erge come quella in protagonista il demonio, fatto censore ironico di tutta la creazione, e come quella lo ren- ile quasi vincitore di Dio colla sola differenza che Goethe con fina minia- tura teoricamente delinea tutti gli errori sociali, e Temperini li dipinge praticamente con l'ampolloso pennello dei Secentisti. Ma il singolare si è, che mentre M. Stael chiama il Fausto un delirio dello spirilo, la sazietà della ragione, ed il caos intellettuale, manifesta poi il desiderio di conoscere le cause che condussero Goethe a lasciare o a porre appositamente in quel lavoro tante incoerenze ed errori che il suo sommo talento non poteva ignorare. Ciò serve a prova sempre più, a mio credere, che i romantici invece di studiare le regole positive del bello, vorrebbero rintracciare le cause negative delle loro aberrazioni, e quindi nell'impossibilità di rinvenirle, sono costretti a seguire come statuto gli esempj de' loro antesignani. Male chiuderei la propostami investigazione sulla ninna novità della moderna scuola, se non mi occupassi per poco del più antico de'romantici. forse il vero tipo di tutti. Sono ben lungi dal disprezzare il sommo Shakespeare , ed anzi lo saluto qual genio creatore, che meritava di nascere in tempi migliori, e che fece quel più che far poteva con scarsissimi mezzi. Il suo biografo Sa- muele Johnson crede che non avesse mai letto i classici antichi. E come jioteva averli Ietti uno che dalla soglia del teatro posto a guardare i ca- valli, passò autore applaudito a signoreggiare la scena, servire perciò do- vendo al gusto ed alla capacità di quegli spettatori che in gran parte non sapevano leggere, che abbisognavano di forti e rozze impressioni, ed a 233 cui riuscivano più gradili i i)atrii argomenti, solamente da essi forse e dal- l'autor conosciuti? (i). Se da questi fatti s' imprende a giudicare Shakespeare, si troverà giu- stissimo il giudizio pronunziato da due illustri suoi compatriotti il biografo accennato, entw 4Ì Vitturc Ug». 2^0 amor ilella patria, e con quella delle Eumenidiìì JisLruggeva pria che na- scessero. Terminerò quindi quest'ultimo esame sulla reale applicazione della nuova scuola alla religione, alla moderna civiltà, ed alla politica (applica- zione da verificarsi rimovendo dagli occhi ogni prisma di metafisiche, mi- stiche ed eterogenee dottrine ) rapportando i non preoccupati sentimenti di Francesco Salfi, dell'Autore dell'articolo sulla Mitologia^ e del chiaris- simo Francesco Forti, scrittori che non professavano al certo principii che liberali non fossero. Osserva il jirimo che i romantici non rispettano le leggi dell'armo-' liia, della consentaneità, dell' ordine, e di quel bello che non può variare si facilmente; il secondo chiama il romanticismo una novità di forma con- traria al vero bello delle lettere, delle arti, della 2'oesia, e nuli' altro. L'ul- timo finalmente cosi saggiamente conclude nel bellissimo articolo inlilo- lato: Dubbi intofno alla direzione morale e civile del Romanticismo " Con- « chiudendo adunque, dirò essere sommamente desiderabile che la civile » letteratura diffondendo per una parte l'istruzione positiva, dall'altra re- » prima le tendenze al fanatismo ed all'intolleranza che accompagnano » lo spirito di parte. Considerando le particolari condizioni della nostra r civiltà, sembra si debba sperar più dai progressi della ragione e dalla « diffusione dei lumi che da un pericoloso suscitar di passioni. Si può ra- » gionevolmente dubitare, che la scuola del vago o dell'indefinito, o ren- ìi da stazionario lo spirito umano, o lo precipiti in una direzione contra- » ria alia già divisata. La confusione delle idee, il fanatismo, la surroga- » zione dell'immaginativa e dell'affetto al raziocinio, mi sembrano tanto « più pericolose, in quanto cheti avviano per una strada che non sai dove ii anderai a riuscire. Vili. Dal fin qui detto credo potersi dedurre r Che le definizioni e le leggi di eccezione del preteso nuovo genere , ravvisate sinteticamente non offrono chiare idee sulla vera sua essenza : Che un' analitico esame fa discoprire le prime sue origini nelle opere dei Gongora, dei Lope de Vega, dei Shakespeare, e dei Marini, ravvivate recentemente dai Chateaubriand, dalle Stael e dagli scrittori delia na- scente letteratura della Germania settentrionale, culla della luterana ri- forma : Che non vedute d' utilità generale, ma simpatie religiose , individuali 24. ■ interessi., e brame d'innovazioni {nopagarono i principii della nuova scuo- la fondata sull'ipotesi della pcrlt'ltiljililà progressiva dello spirito umano: Che questa scuola cpianlo alla sostanza ammettendo i soli argomenti tratti dal mfidio evo, non può dirsi fondatrice d'un nuovo genere, ma fau- trice soltanto d'una non nuova specie, giacché ogni scrittore potè, e po- trà senijire senza parteggiare per essa, od esserle avverso, scegliere l'ar- gomento che più gli talenta, adattarvi la macchina del maravigiioso con- veniente, e trarre dall' antica e dalla moderna storia argomenti od esem- pii all'interno suo sentire corrispondenti: Che il breve comparativo esame di queste macchine diverse, deve far conoscere immeritevoli di esclusiva preferenza le leggende della cavalle- ria e gP infausti Miti dell'Edda, come d'altronde immeritevole d' essere esclusa del lutto la vivace greca mitologia, giacché queste macchine sono tutte più o meno lontane da quel Vero, vantato bisogno, della moderna civiltà: Che quanto alle forme, il Romanticismo non costituisce un nuovo ge- nere positivo, si perchè non è che la ripetizione d'antiche opere condan- nate già dal buon gusto, si perchè la mancanza d'ogni regola e d'ogni legge, a cui surrogar si devono gli esempii pratici de'suoi antesignani, non può formare che un carattere negativo : Che queste leggi non superstiziose, ma giuste, desunte dallo studio e non dal capriccio, sono indispensabili per destare l' illusione effetto del- l'imitazione, causa dell'interesse, e fonte di quelle lagrime che scaturite dal terrore e dalla compassione, alimentano nelle anime una preziosa sen- sibilità: E che infine, se esistesse ragionevole analogia fra i dettami della nuo- va scuola, e le idee concepite da alcuni sulla religione, sulla moderna ci- viltà e sulla politica, non potrebbe la letteratura che attendersi i mali tutti che possono derivare dall' indefinito, dalla licenza, e dall' ateismo. Ma come ha tanto bene provato il chiarissimo Magalotti, non vi sono Atei di buona fede: laonde anche i romantici dovettero finalmente discen- dere ad umilianti ritrattazioni. Dovette confessar M. di Staci che le bizzarrie o naturali, o inventate colpiscono un momento, ma che il pensiero si riposa unicamente nell'or- dine. , Usscr\a la stessa che Goethe autore del Fausto volendo llualincnle ri* 243 chiamare la lelleralura alia severa anlicliità, compose l' Ifigenia in Tauri- de, capo d'opera della poesia classica presso i Tedeschi. Guglielmo Schiller autore del famoso corso di lelleratura drammati- ca r Aristotele dei romanlici, trascinato dalla prepotente forza del vero , lia dovuto in una sua ode esclamare. " Si, que' favolosi numi tornarono .,, colà seco recando tutto il sublime, tutt" i colori, tutti gli armonici accor- „ di della vita, e non lasciarono quaggiù che l' inanimata parola. Sottratti „ ai flutti del tempo, essi eternamente sicuri si librano sulle vette di Pin- „ do. Solo per essi vivrà immortale nei carmi ciò che deve perire in que- sta misera vita. Lord Bjron finalmente nell' ultimo tempo della sua vita ritornava al classicismo, ed a M. Schellj egli scriveva: " Conosco ora che cosa signifi- „ chi offerire perle ai porci. Finoacchè io scrissi versi esagerali ed enfatici „ che hanno corrotto il gusto nazionale, gli applausi non avevano coafi- „ ne-. Ecco in tre anni che io compongo con serietà e di buona fede lavori „ che vorrei strappati dal vortice dell' obblio, la mandra intera si fa a „ grugnire, mi torce il dorso, e di nuovo s' avvoltola nel proprio fango. „ Dall'altro canto è giusto eh' io sia punito: per mia colpa essi si guasta- „ rono, avendo loro offerto l'esempio di maniere false ed ampollose ,,. Benché il mio dire sia anche fiancheggiato da queste autorevoli con- fessioni, non presumo di aver esaurito nei ristretti limiti di questa memo- ria accademica il vasto argomento meritevole di maggiori sviluppi e d' al- tra penna piìi atta a tracciare alla studiosa gioventù in tanta diversità di opinioni e di partiti, una strada sicura, ma però nutro la speranza d' aver bastevolmente sciolto il problema propostomi, se, e come il Romanticismo formi un genere nuovo nella moderna letteratura , avendo dimostrato ri- dursi la sua negativa essenza a sbandire ogni regola od ogni legge, ed a lasciare la fantasia senza freno fra i vortici dell'idealismo, cosicché credo di poter concludere con S. Agostino : Ille Deuin esse negata cui Deum expedit non esse. Sarò forse tacciato di troppo ardimento per aver voluto colle poche mie forze, lottare con possenti avversarii, ma 1' amore del vero, non l'or- gogliosa presunzione mi mosse a tal lotta : e questo amore può soltanto procacciare al mio scritto la vostra indulgenza ; giacché il merito di fuga- re le tenebre di chiusa stanza non s'appartiene a colui che ne apre le im- poste, ma bensì al sole che con ciò vi penetra. 243 Giunto però a questo passo mi si affaccia minacciosa allo sguardo la lama gigante di quel sommo, che in miniatura vivissima dipinse mirabil- mente i costumi privati dei Lombardi del secolo XVII, e che mentre nei drammi voleva ^essere uno storico, nei cori si mostrava un'immenso poeta. Dovendo pel mio assunto far qualche cenno di questi ultimi di lui la- vori, io oscuro tragedo, non ho coraggio bastevole per addrizzargli le mie parole. Lo faccia per me il gran pittor delle memorie antiche, col mezzo di quel Polifemo che con l'immane corpo, cogli amorosi sospiri, con 1' u- nico ciglio, colla pastorale zampogna , e con l'orride sanguinose mense può forse presentare l' archetipa idea del Romanticismo. Egli dica all' au- tore dei drammi storici quello che disse ad Ulisse, allorché lo innebriava con la tazza spumante di eretico vino f ultimo eh" io Divorerò sarà Nessuno. Questo Riceverai da me dono ospitale.) Disse j die indietro j e rovescion cascò ( i ) . Ma non cadrà no mai nell' obblio quell'anima gentile di Alessandro Manzoni. Le sue liriche poesie nelle quali gareggia un Pindaro, gì' inni sa- cri tutti spiranti il fuoco de' divini profeti gli prepararono già seggio di- stinto nel tempio dell' immortalità. Quest'italo Genio che forse amò il Romanticismo soltanto come mez- zo d'offrire alla religione purissimi incensi, della sua gloria contento, non invili una straniera ad invadere la patria letteratura, unico retaggio che ci resta degli avi dominatori del mondo, jirtibus emineat semper studiisque Minervae Italiuj et gentes doceat pulcherrima Roma,, Quando equidem armorum penitus fortuna recessit. (i) Odijse» lib. IX. Trad. Pindemonte. SAGGIO SOPRA ALCUNE FIGURE SIMBOLICHE ESPRESSE IN ANTICHE FABBRICHE DI VENEZIA MEMORIA DEL CO. LEONARDO MANIN PRESIDENTE DELL'ATENEO Jr u già un tempo, in cui meco stesso rintracciando la spiegazione di que' segni, che in alcune fabbriche Veneziane s'incontrano, e con taluni favellandone alla mia mente ripugnava, che si volesse loro applicare la si- gnificazione del supremo dominio in questi luoghi da potentati altissimi esercitato: né poteva credere che immagini di animali d''ornamento a' ca- pitelli di un'antica chiesa ritenere si dovessero per documenti irrefraga- bili della soggezione de' Veneti agi' Imperatori d'Oriente (i). Dalle parole di uno scrittore del sedicesimo secolo gli autori stranieri che delle Vene- ziane storie successivamente trattarono, presero le mosse per bandire la crociata, e scatenarsi contro la libertà originale di queste lagune, a tale che io medesimo degli argomenti diffidava i più forti per sostenere la con- traria opinione. Ma buon per noi che nell'anno 1828 li signori Defenden- te e Giuseppe Sacchi con le stampe di Milano un saggio primo produsse- ro intorno all'architettura simbolica civile, e militare usata in Italia ne'se- coli sesto, settimo, ed ottavo, e si fecero ad illustrare alcune delle fabbri- che sacre, che nelle provincie lombarde, non esclusa Verona, in quell'e- poca si eressero (2). In questa saggio incominciarono dall'esaminare come (1) Filiasi, Tom. V. Cicogna Iscritioni fcnaiane, fascicolo VI. (i) ^nliehità Romantiche iUis ; siensi di là i più co^Bvenienti materiali a siniil uopo trasferiti, e quantun;- que la chiesa, che vedesi attualmente sia stata rinnovata alla metà del de- cimo secolo dal doge Pietro Orseolo genitore di Orso vescovo di Torcello: pure vi si ammirano diciotto colonne di marmo greco, con basi, e capi- telli di antico lavoro , che ricordano gli avanzi preziosi della greco-roma- na architettura, come vuoisi che rammenti l'antico gentilesimo la pila per l'acquasanta, che pare sia stata un'ara gentilesca, vedendovisi scolpite alcune maschere, e slrane figure, che a taluno parvero pagane divinità. Ma rinielleudomi in sentiero, ed esaminando, se nulla vi sia in questo leiupio, che possa il genio simbolico ricordare, devo alcun poco far parola de'suoi mosaici, e principalmente di qnello che si oflre sopra la porta maggiore Len conservato, e grandioso, e che fu illustrato dal chiarissimo P. Costa- doni monaco camaldolese con una ingegnosa, ed erudita dissertazione , e del quale si fece un'incisione a contorni a merito di D. Pietro Gianelli fu arciprete di quella chiesa. Strane sono a vedersi le immagini de' demoni, che cogli spiedi alle mani, e con pesi cercano di dare il trabocco alle bi- lancie tenute in bilico in mano di un cherubino. Grandi, e mostruosi pesci dalle ampie bocche vomitano corpi umani al suono delle angeliche trom- be, e bestie feroci, e selvaggie sbucano dalle loro caverne per recere quel- li che avessero divorato, mentre da nn altro lato la terra in una donna figurata, sur uno scoglio seduta in mezzo ai mare i cadaveri de' trapassali restituisce. Nel lato destro al di sotto di tutto il quadro evvi la porta del paradiso custodita da s. Pietro, e da un Angelo, mentre l'amor Divino in forma di un fanciullo ne occupa tutto l'ingresso. Diversi sono gl'istromen- li adoperati a tormentar li dannati, che si veggono alla sinistra, mentre da un lato evvi un veccliio demonio assiso sopra di un trono formato dal- l'intrecciaraenlo di due serpi, e ricorda il detto dell'Alighieri nel canto quinto deiriuferno : Stavvi Minos horribilinente^ e ringhia^ Examina le colpe nelt entrata^ GiudicUj et manda secondo che avvinghia. Questo mosaico vi presenta alla mente la curiosa, e bizzarra invenzione del finale giudizio, dipinta nella parte esterna del coro nella piccola chiesa dell'Annunziala nell'arena di Padova, che vuoisi essere di mano di Giotto amicissimo di Dante. TSè sarebbe fuori di ogni proposito la ipotesi, che questo mosaico fosse di quella epoca, tanto più che lo slesso monaco Co- sladoni nelle sue osservazioni intorno alla chiesa cattedrale di Torcello dal costume adoperato nelle immagini d'egli Angeli tutti vestili di lunga tonaca, li crede lavoro dei bassi tempi, non vedendosene alcun esempio in più antichi mosaici riferiti dal Ciarapini, e da altri. Il pavimento però, di questa chiesa è composto a grandi compartimenti di marmo, e non di: a58 piccole jularsiature, come vedemmo già nella basilica nostra, e come nel principio del duodecimo secolo accostumavasi, trovandosene la prova ezian- dio nella chiesa di sanlo Mallin di Murano nella quale si rinvengono li pavoni, gl'ipocrifi.j e le chimere del decimo secolo. Se dunque le simboliche forme delle catacombe, e dei rozzi altari conservavausi tuttavia nelle basiliche al pio cullo dedicate: se i materiali di antiche romane fabbriche si videro poste in opera nell'innalzamento di più moderne fabbriche, non vi sarà più alcuno, che interpretare voglia le aquile nella chiesa di s. Zaccaria collocate, come seguali di dominazio- ne straniera, ma solo o come simbolici segui agli edifizi coufacenti, o come resti preziosi delle arti belle in gran pregio tenuti, e che nel genere oiiia- meatale dalle rovinate città del continente qui si trasferirono. Nello stesso tempo confido, che quanto fino ad ora vi fu per me offerto sulla Marciana Basilica, e sulle altre opere architettoniche per la città, e per le isole spar- se, sempre più comproverà come nei primitivi secoli della chiesa tanto i simboli dell'antico testamento, quanto quelli tolti dal paganesimo, adope- raronsi, al che mi condusse appunto l'esame dei capitelli posti nella chie- sa di s. Zaccaria , quasi in appendice del Saggio pubblicato da' signori Sacchi. SCOPERTA DI DUE DOCUMENTI RELATIVI ALL'ANTICA ACCADEMIA VENEZIANA DETTA DELLA FAMA MEMORIA DEL DOTTOR GIOVANNI ROSSI BIBLIOTECARIO DELL'ATENEO Jii notissimo, che nel secolo decimosesto l'accademia della Fama creila in Venezia dal patrizio Federico Badoaro poteva considerarsi come una grande e fiorente università di scienze, e di lettere, la quale aveva concepiti dei piani giganteschi, e lodevolissimi , e in poco tempo era giu- stamente salita a immensa riputazione. Questo maraviglioso edifizio crollò pochi anni dopo il suo innalza- mento, e molte cose si scrissero in parte del tutto false, in parte verosi- mili, e in parte dubbiose, valendosi delle congliiettnre , dove sempre ri- masero dipoi sconosciuti i doeumenti di fallo, i quali provassero, essere vero un motivo, piuttostochè un altro, che si asseriva , dello scioglimento di questa società. Luca Contile (i), che le apparteneva, aveva affermato, che Federico Badoaro aveva fatto sotto il nome dell' Accademia cosa.^ che doveva toglier- gli per giustizia l'onore, e forse la vita; e ch'egli aveva predetto il falli- mento de'Badoeri. Il Quadrio, premettendo, che questa adunanza meritava di durare in eleruo, finisce col dire semplicemente, che alla maniera delle gran cose ebbe cortissima vita. Marco Foscarini si contentò di lasciarci scritto, che la fortuna, la (i) Parecchi Autori ripetono il scaUmeoto.del Coolile. :ì6o quale a'disegni rari per lo più s'altraversa., dopo il giro ài appena quallro anni, fece svanire le magnanime imprese, e l'accademia affondò per so- vercliio peso. Apostolo Zeno racconta, die fu disciolta por pubblico dccrelo nel- l'anno i562. Veesenmajer, fluttuando tra vari pensieri, s' indusse anche a dubita- re, che il motivo della cessazione di questo Istituto sia stalo V uffizio della sacra Inquisizione: perchè incautamente l' accademia si fosse mescliiata in argomenti di religione. Renovard negli annali degli Aldi, osservando, che il Vibro FUnui Alexii Ugonii nobilissimi civis Brixiani; de maximis Itaìiae atque Grae- ctrte c«Zaw/toe grossa e TrieriOj del genere dei CATAS-Tf.O.Ml. 3i6 • Legno più grosso della Liburnica forse simile all' antichissima Trie- RiA, di greca derivazione, che serviva, e come semplice trasporto , ed anche armato in guerra. Qui si usava al terminare del quinto secolo, prima ancora che regnasse Teodorico. Leone il sapiente, che regnò nel nono secolo, lascia nell' opera sua, delle istituzioni Militarij alcune par- ticolarità in proposito al Dromone de' suoi tempi, che appunto distin- gue anco col nome di Trierio, dalle quali, sembra poter dedursi , che un tale naviglio portava doppio rango di remi da ogni parte , uno su- periore all' altro, e vi s'impiegavano 25 rematori per banco, il perchè esigevansi per tutti N. loo rematori. V'erano allora Dromoni anco a tre ranghi di remi e forse più. Pare che in Venezia questo nome Dromone fosse generico, comu- ne a navigli di varia e diversa forza e portata. Da alcune storiche me- morie si desume che li Dromoni da guerra esser dovevano costruiti di Cipresso o di Pino, forse perchè que' legnami si credevano esenti dal- l'attacco dei Teredini o vermi di mare. Le descrizioni che rimangono ci fanno conoscere che essi avevano due coperte o ponti, uno superio- re all' altro, con due ordini di remi, disposti in 23 banchi per cadaun rango, locchè presenta una totalità di 5o remi. Da questi indizj, e dal- l' apparato dei mezzi di difesa che siamo per descrivere , sembra pro- babile che 1 Veneziani Dromoni, portassero un solo rango di remi per lato al piano di sotto, ove noi diremmo al falso ponte , e non due come costumavano gli orientali, e così rimanesse libera la coperta , ossia il ponte superiore alli combattenti, ed allo esercizio delle varie macchine di offesa (i). Alla estremità di poppa, ed a quella di prua ergevansidue castelli nltissimi e robustissimi, che alcuna volta parificavano in elevazione le muraelie e le torri delle nemiche città : nel mezzo al vascello stavano (i) Roy nell'opera La Marine des anciens peiiples Paris, 1777, alle pag. i63, e 225, riporta clie i Veneziani usavano anticamente una specie di bastimenti da guerra nominati Di omuni. Questi somigliavano alle Quadriremi ; avevano per ogni lato quattro file di Re- matori, divisi in due ranghi di remi , de'quali N. 5o al basso e N. i5o nel rango superiore. .Siccome questa descrizione di Roy venne tratta dalle memorie di Leone il sapiente , cosi per le cose che si son dette e per le fatte considerazioni essa sussiste riguardo alli Dro- moni del Greco Impero, non già pei Veneziani. 3i7 alcuni trincieramenti o ripari per difesa Je' soldati, e de' bersaglieri, che con greca espressione si chiamavano Quartarj. In centro a questi baluardi erano disposte alcune macchine ricordate coi nomi di manga- ni, manganelli, Irahuccld, e briccole, parte delle quali lanciavano sassi e pietre di libbre 3oo e più a prodigiose distanze, ed altre facevan ca- dere immense travi ferrate sui navigli nemici: né in questi soli mezzi stava la l'orza dei dromoni , che vieppiìi formidabili si rendevano pei cosi detti sifoni, onde erano muniti li menzionati due castelli di puppa e di prua. Questi sifoni, di due o tre de'quali esser dovea provveduto ciasche- dun dronione da guerra , potrebbero paragonarsi alle odierne artiglie- rie, anzi, a parere dei storici bisogna dire che avevano con quelle una grandissima rassomiglianza, sia per la costruzione, come anelie per gli effetti terribili. Si rileva che i sifoni , erano tubi foderati di metallo , co' quali lanciavasi il famoso fuoco greco, cioccchù succedeva con esplo- sione, e perciò con tuono, fumo ardente e con fremito e scoppio. iVnche que' soldati che dicevansi ^//b/iar/, facevano uso di piccoli sifoni da mano, paragonabili ai nostri fucili. Dal fui qui detto, ò facile scorgere che li dromoni da guerra anti- chi, erano, quanto a forza, quel che adesso sono fra noi le fregate, e li vascelli di primo rango. In quanto a dimensioni poco si può arguire dalle incomplete noti- zie che ci rimangono: sappiamo per altro che certuni avevaiio la lun- ghezza di 175 piedi (i) ciocche basta a dar un'idea della loro vastità e grandezza. Oltre ai 5o remi, portavano alberi e vele, e di queste giunse a noi il nome di mezzana, terzarola, artimone, papafigo e cokina ; ecco il bisogno di marinari, in aggiunta alli remiganti, sicché quando si vo- glia calcolare la gente necessaria al servigio dei remi , a quello delle vele, li soldati, che si prestavano nell'esercizio delle varie macchine da slancio e da fuoco, il cui numero era stabilito in 200, quelli che difen- devano li castelli, e gli altri che si prestavano ai varj movimenti sco- perti di abbordaggio e di rambaggio, oltre poi la gente d'interno econo- mico regime, ai falegnami, ai velaj, agli artefici, ai frondjettieri, agli scalpellini, incombenzati di adattare le pietre alle varie macchine da (i) Manoscritto ilella libreria Magliabecchiana riportato dal Carli. sii slancio, con tulli gli uffiziali ed i comaiidanli , si troverà che l'equi- paggio di un Dromone esser doveva tanto numeroso quanto quello di un odierno vascello da 74 cannoni. Questo genere di navigli, che ravvicinamento dei tempi fa credere possa essere l' indicalo da Cassiodoro nella lettera XXIV. al tribuni inariltinii, servi al commercio ed alla guerra per vari secoli , ma se ne distingueva con nomi diversi la diversa forza e grandezza , impercioc- ché v'era il Dromone proprio, il Dromone nave, il Dromone nave lunga, e pare anzi che verso il termine del settimo secolo, e più tardi ancora, vi fossero Dromoni classificati in tre ranghi, appunto come oggi giorno diciamo fregate, Lrick e golette di prima, seconda e terza specie. Tralascio di parlar delle Panfile, e delle Galee, cominciate forse ad usare da Veneziani nel 801 che, secondo il Muratori, con lo stesso nome erano conosciute fors' anco dai Romani, quantunque la voce a noi pro- venga dall' arabico Chalajà: non dirò delle Navi onerarie e de' famosi Ipagoghi od HipPAGMi che più che ad altro servivano al trasporto dei ca- valli, né delle Navi belliche e delle Navi castellate, forse nuovo appel- lativo del Dromone, uè delle Palandrie che si costruivano alla metà del nono secolo, né delle Cumearie o Gambarie usate cent'anni dopo , forse di costruzione Veneziana, abbenchè di nome Saraceno : tacerò an- che delle Galee lunghe, le quali pare non fossero che una modificazione delle antiche galee e che Filiasi fa sospettare aver dovessero due ordini di remi ; dopo le quali si trovano le Saighe, quindi le celebri Chelandie, Galandrie, o Zelandie pronunciale anco per Chilandre e Cliilandrie Za- landrie Zelandrie Chelys^ Qaggiandre Palandrie , Salandre Saìandrie Celaiidrie Celiìidrie, Ghelandre, Galandre e Ghelandie con le varie loro distinzioni in Chelandie Pan/ile, Chelandie Usiache - Usie e Chelandrie galee tutte nel secolo nono , da nostri padri adottate forse sul modello degli antichi castelli in naviglio, che i Greci nominavano Helepolis , il qual nome Zalandria tuttora conservano alcuni legni da carico sulla Loira, e che ai tempi dell'italico regime vennero da stranieri qui intro- dotti, col nome di Chalands, da questi marinari trasformato in Scialame, e peggio ancora ; di tali navigli non è mia intenzione dir di più, che ne ho detto abbastanza nell'opera, di cui qui espongo una parte. Col progresso dei secoli, accrebbe sempre più la Veneziana marina, e le navali costruzioni giunsero ad un grado di forza per cui sarebbe 3'9 da farsi problema, se ne' secoli a noi più vicini, si abbiano fatti così grandi vascelli, così possenti e cosi formidabili, come quelli che sorti- rono dall'arsenale e dai porti di Venezia nei secoli X, XI e XII. Difatti stabilito essendosi Vjdrsenale nel sito della città denominalo Adria, Ladrio o fy^drio, lo che accadde l'anno 1 104, ivi si cominciaro- no a fabbricare i navigli che servir dovevano alla difesa ed al commer- cio della nazione. Sono piene le cronache di memorie sullo stato pro- spero e meraviglioso cui nel duodecimo secolo era giunta in Venezia la naval costruzione, e tutte ripetono la celebrità di alcune smisurate na- vi, fra quali eravene a tre alberi, e sembra viaggiassero con 1' uso di sole vele : se ciò è vero , basta per dar idea sulla grandezza di quelle proporzioni, ma siffatte notizie fanno eziandio supporre che i Veneziani di allora fossero provveduti di estese cognizioni, e di scienza marittima più assai di quanta ordinariamente se ne esige per condurre una navi- gazione di costa. Le imprese di Costantinopoli. ^ i trasporti di eserciti, e le azioni da essi operale in Palestina , insieme ai crocesignati , sono prove le quali puntellano la mia induzione e la giustificano, come pure fan certi che, in que' secoli, non poteva mai paragonarsi la potenza di alcun popolo navigatore alla sovrana preponderanza de' Veneziani nelle marittime cose. jVè la marina d'allora si limitava alle descritte specie di navigli, che quelli pur v'erano da carico, e da militari trasporti, nella qual classe son ricordali gli Uscieri non diversi forse dalle antiche Chelandhii! UfiA- cHE ; gli Arsilj (in origine forse legni da guerra, nome che in tempi po- steriori davasi a que' navigli non più atti all' uso medesimo cui si cam- biavano apprestamenti ed erano destinati a' trasporti ) ed i famosi Bru- lotti, barche incendiarie, da'nostri usale nel XII secolo, con la medesi- ma risoluta e lerribii maniera che a questi giorni menò tanto rumore nella guerra dell' indipendenza greca. Anco le Seole, che si trovano ri- cordate all'anno ii5o erano piccole barche più che ad altro uso, ser- vienti per gl'interni tragitti. V'erano le Navi velliere, v'erano IcTarete, o 7'a!;ede o Caracche, da alcuno poste al settimo secolo, e che nel 1 172 servirono al trasporto di tre grandi colonne, due delle quali sussistono ancora sul molo della piazzetta ; e con queste v' eran pure le Marciua- KE, entrambi di origine Veneziana, come pur le Pandore legni ricordati da Cristoforo Canale nella di lui opera, Dialoghi sulla milizia marittima: 02O le Vacchette altra sorta di naviglio, pare non molto direrso dalle Tarede e le Navi lunghe, legno anch'esso da guerra di cantier Veneziano, diverso dal Dromone-Nave lunga de'secoli VI e VII. Pare che nel XIII secolo 1" architettura navale toccasse qui i confini ilei maraviglioso, se in codesto periodo vi sono memorie di dromoni a cento remi, il doppio cioè di quelli che usavansi al terminare del V se- colo : a corredo di cosi ingenti navigli erano assegnate alcune imbarca- zioni, perchè servissero all'uso stesso degli odierni caicchi, delle barcac- cie, e degli scalè; di questa specie si annoverano li Schifi, ed i Batelli dei quali fa memoria una legge del 1279 riportata dall'illustre nostro Za- netti, come pure le Gondole, il cui nome ha radice greca, e che trovia- mo nominate prima del 1280, queste gondole, per certo differivano dalle meno antiche, ed erano totalmente diverse, se non di figura, almeno per la più solida e robusta costruzione, dalle leggiadre e vispe barchet- te, di egual nome, che servono adesso a nostro comodo e trastullo. Altri legni si costruivano in Venezia nel XIII secolo, e sono i Buzi e Navi Buzi^ le Navi quadre, atte al solo commercio, una delle quali, forse dimaravigliosa grandezza nel laCS ebhesi il nome di Boccaforte, e le Navi latine, che viaggiavano con vela triangolare. Fra le navi di quest' epoca deve esser ricordata 1' Acquila robustissimo legno, che nel 1202 ruppe la catena ond'era chiuso il porto di Costantinopoli. Al sorger poi del seguente secolo sortirono dai nostri cantieri le Navi maranEj le Parentarie e le Cocche o Navi rotonde , vasti legni da guerra e da carico di greca derivazione. Fu su queste navi che i Vene- ziani applicarono primi le prime artiglierie, e l'anno i349 ^^ ^'^^ pre- sentati contro i Genovesi alle alture di Capo Alger, nel mare di Sar- degna. Si trova a questo tempo il GanzaruolOj il Gallaldello ed il Peri- schermo , che ora noi diremmo Lancie ; quindi le Galere dette Galere GROSSE, da alcuno dateci, come invenzione di certo Demetrio Naial che ì' anno 1294 fabbricò le prime in Arsenale ; esse avanti il 1480 non usa- vano remi, perciò allora si son fatte più piccole ; oltre queste vi sono le Galere da mercanzia, le quali dalle Galere grosse erano differenti, e differenti anco dagli antichi navigli di egual nome, per grandezza, per equipaggio e per mezzi di difesa; succedono quindi le Tartare, legni da trasporlo, e come noi diremmo di piccolo cabotaggio. Non per accrescere il numero, o far pompa di nomi, lun solamen- te per soddisfare la curiosità del cittadino si vuole qui far menzione delia Piatta o Plato, che potremmo chiamare barca civica, perciiè na- vigabile nel solo interno della città: il nome ha derivazione greca, e la si trova qui menzionata anco nel i283 insieme colla Piatta Ma.ntovama che serviva sui fiumi, ed era forse un legno maggiore del Pialo. Un decreto di Senato la marzo i334, ordina che si fabbrichino nell'Arsenale due enormi galere alle quali venne dato il nome generi- co di Cetea, e nella guerra di Chioggia usarono i nostri le Scaffe ed i Lembi o Lidi, barche fluviali che portavano non meno di due bombar- de per cadauna. I Cammelli per sostenere le navi, erano a Venezia noti, ed a tal uso adoprati nel XIV secolo, e ce ne dà notizia Galvaneo Fiamma che scrisse verso il i34o, lo che rileviamo da un Codice del doge Marco Foscarini. L'anno poi i555 sortì dall'Arsenale un singoiar Galeggiante.^ cui si nominò Gaggiandra o Gajandra, destinato a sostener la grande catena che barricava il Porto di S. Nicolò di Lido. Si presentano poscia le Galeotte, e finalmente la Nave propria, ac- cantierata nell'Arsenale nel i348, la Giupparia, nominata come esisten- te l'anno i3G3, ed anche la Nave uselleria, che forse era una modilica- zione de' più vecchi UsciERh. Al terminare dello stesso secolo XIV si trovano i nomi di Nave UsciiERiA, e Nave Usseria che il doge Foscarini pensava fossero due na- vigli diversi, ma probabilmente erano entrambi la stessa nave, ed egua- li forse alla testé nominata Nave Uscelleria. Accennati alla sfuggita i varj navigli che per tanti secoli si son co- struiti in questi nostri cantieri, ed hanno servito nella veneziana Mari- na, sta nell'impegno che ho preso lo esporvi alcune mie osservazioni su altri Legni Polire.mi, giacché appunto le Cronache ora me ne porgo- no argomento: leggerò dunque un altro brano dell'opera mia, che più volle ho ricordata. Un grosso naviglio qui fabbricavasi nel XIV secolo ed anche nel XV di cui alcuna memoria lasciò Pietro Martire d'Anghiera nella pri- ma sua relazione ai re di Spagna Ferdinando ed Isabella ; passò questo ambasciatore per Venezia il dì primo ottobre i5oi, e veduta in fretta la città e l'arsenale proseguì il suo viaggio verso Alessandria sopra una 322 GALEAZZA da MERCANZIA o GALEA GROSSA, ch'è la vera TRIREME VENEZIANA Di tale sorta di legno, da alcuni paragonato all'antico Droraone, vi sono memorie fino dal i358 , taluno però il vorrebbe fabbricato la pri- ma volta nel 1429, usavasl anco nel i533 e venne dimesso nel 1645, al dire del Coronelli, cbe in tale anno vidde le due ultime abbandonate )ieir arsenale. Ve chi assegna la costruzione della Galeazza Veneziana da Mercanzia all' anno 1470, e ne dà lode d'inventore a certo Crescen- zio, ma ogni argomento tende a provare che l'opera di questo Crescen- zio, siasi limitata ad una semplice modificazione. Coloro che hanno creduto non diversificar la Galeazza dall' antico JÌKOMONE , assegnarono a quella la supposta lunghezza di questo , cioè piedi lyS; ma per ciò asserire manca ogni documento; bensì con de- creto So marzo 1820 , il veneto Senato prescrisse che le galere grosse aver dovessero la lunghezza di passi 26 1/2, cioè di veneti piedi iSa. 6, ma in seguito essendosi riconosciuto che riuscivano pericolose, nacque altro decreto, in data primo marzo i549 con cui le dimensioni di tali navigli rimasero fissate in lunghezza di passa 27 1/2 pari a veneti piedi 137. 6. da moda a moda; in bocca piedi 23. — Puntale ovvero altezza piedi 9; ad esempio delle greche portavano due e forse tre alberi ver- ticali, come probabilmente le galere grosse del XIV secolo, a differenza delle antichissime galee, le quali non ne aveano che un solo. Le loro vele, secondo alcuni, erano solamente due, la mezzana, cioè, ed il papafigo; né sarebbe fuor di ragione il credere che usassero di una terza vela di nome jàrtimon, e fors'anco di una quarta detta Cokina, dai più antichi nostri conosciuta , quale per avventura somigliava alla odierna vela di contromezzana. La Repubblica pietosamente liberale dimostrava spesso gli effetti della pubblica munificenza in vantaggio delle povere corporazioni reli- giose : leggiamo ne" codici molte donazioni di vecchi bastimenti, e dal decreto 5 febbraio i4o3 , si rileva che alli frati di S. Giob , venne data nna galia grossa de quele che sono alla maza , (da demolire) perchè col ricavato del legname e della ferramenta provedessero alle loro esigenze. 3^3 II ricordato Pietro Martire, da Spagnoli monarchi spedito ambascia- tore ai Veneziani ed ul Soldano del Cairo, tragittò, come si ò detto, da Venezia in Alessandria su d' una Galea grossa, e siccome aveaglìsi ordi- nato di scrivere puntualmente e registrare quelle cose che egli credesse degne di conto, cosi mollo volle internarsi ne' particolari del Veneziano Arsenale, per quanto potè essergli permesso nella breve visita di una sola giornata, affaticandosi in ricerche, e raccogliendo verbali informa- zioni, e più ancor disse riguardo al naviglio su cui ebbe a passare in Egitto, onde, ciò che in tale proposito ci ha egli lasciato, sembra, e per la franchezza del dire, e per la sincerità della esposizione , esser meri- tevole di ogni nostra fiducia. La Galea gbossa o Galeazza non diversificava dalla più antica Gale- lìA GROSSA, che nella grandezza e nella quantità e distribuzione dei remi era questo legno giudicato robusto , e sicuro per resistere alle vicende dtl mare ; Io si fabbricava nell'Arsenale a spese della Repubblica, e pro- clamato un concorso, aflittaTasi, previo riconosciuta idoneità, al mag- gior offerente eh' esser doveva patrizio. La galea allora si distingueva col nome famigliare del patrizio medesimo, fino che durava il viaggio. Il carico ossia la portata era di mila botti, delle quali cinquecento collocavansi al dissotto ed altrettante sopra coperta : ogni botte pesava libbre mila , e perciò la sola mercanzia ascendeva al peso di 5oo Ton- nellate, stando al costume de' nostri tempi. L'equipaggio di questo legno mercantile era forte di quasi 200 uo- mini, tre quarti dei quali servivano alla manovra delle vele, ed a quella dei remi, il restante occupavasi nella interna amministrazione, e del- le cure di negozio; il doge Tommaso Mocenigo fa ascendere l'intiera ciurma a 3oo persone, v'erano i falegnami, icalafatti, i balestrieri, gli ar- cieri, i bombardieri, ed altri molti, lo che ci dà a conoscere che il naviglio era anco provveduto dei necessarj mezzi di difesa, e quindi la Galeazza DA MERCANZIA o Galea GROSSA, è stato il primo naviglio da commercio co- struito sulle forme, e co' requisiti de' legni da guerra , essendosi altrove osservato che, quasi per sistema , trattene le galere da mercanzia del Xlll secolo, i legni da carico e da trasporto, come appunto sono quelli di commercio, erano della specie de' Rotondi ed a vele , a differenza de- gli altri navigli da guerra, la cui figura era lunga, bassa e quasi sempre viaggiavano col palamento. 3a4 Ciò che dì singolare e degno di rimarco leggesi nella relazione del Martire, e ciò che a noi deve renderla interessante e preziosa, sta nel ri- Jevai'si, con evidente chiarezza, che la Galea grossa o Galeazza da mer- canzia, era verametite la Trireme Vekeziaiva. Questa osservazione, per 1' avanti negletta, che a guisa di fiaccola, sembra poter rischiarare una parte almeno delle tenebre in cui ci hanno lasciato gli antichi nostri in proposito al meccanismo impiegato ne' na- vigli a più ordini di remi, e che serve anche a porgere qualche indizio . per rettificare le idee, ed i sistemi da tanti autori variamente immagi- nati, nello scopo di conciliare la solidità del legno, l'impiego dei rema- tori, e singolarmente la disposizione dei ranghi ; questo indizio , dissi , bisognerebbe di qualche maggiore illustrazione , massime se si volesse estenderlo a piii remote applicazioni; ma incarico tale non ista nelle mie forze , e quindi mi limiterò ad accennar solamente ciò che risulta dalle relazioni di esso ambasciatore, e dall'opera m. s. di Cristoforo Ca- nal, in cui si trovano ampj argomenti di confronto e di reciproca con- terma, per determinar francamente qual fosse il meccanismo de' navigli \ cneziani, che il prestigio del nome ha fin or fatti credere a molti ran- ghi di remi. Dopo calcolate tutte le circostanze , e fatte le considerazioni clie le sumnientovate opere mi han suggerito, e dopo avermi convinto inti- mamente suir antico sistema de' legni Veneziani Poliremi , ho trovato che il chiarissimo Luigi Bossi, in una erudita nota all' elogio storico da lui fatto a Glo. Rinaldo Carli pag. i24-, mi aveva in qualche modo pre- venuto, laddove parla della Quinquereme di Vettor Fausto , ma con semplice suspicione, senza però determinarsi di concreto ; laonde aven- do io amato di ben entro penetrare a questo argomento, esporrò le mie osservazioni , e produrrò quello che mi pare dover concludere intorno allo esposto interessante problema. E continuando col riferire le indicazioni del Martire osserveremo, che da quelle parole : » ogni galea grossa ha bisogno quasi di dugento 51 huomini pagati al suo servitio , cento et cinquanta si consegnano alla » vela et ai remi perchè ciascuna va giusto con tanti remi « : sembra po- ter dedurre che tale naviglio portasse appunto i5o remi, cioè 5o più che alcune galere del XIV secolo, lo che per altro non si combina con quanto riferisce Marino Sanudo ., il quale assegna alle galee grosse, al txzj^v^ ytj laoDV \i:r ,-rjWpY.'i'iK?C7i->J'-i-'-i'-f=^ ^^^,tM^,..^^,, '^ibarda. — Sta qui in acconcio il parlare della GALEA SOTTILE che può esplicarsi per Galea leggera, ricordata anco in un decreto 27 Agosto i474- — Brevi cenni intorno alla grandezza e l'armo di questo legno da guerra troviamo ne' vecchi Cronisti, ma pure bastanti per farcene ade- quala idea. Si rileva dal Sanudo che le Galee SOTTILI avevano i35 piedi di lunghezza, che portavano tre vele di nome mezzana, terzai-olOj ed itrtimoiK', che il loro equipaggio era formato da 180 persone con un immero fisso di Balestrieri. Vengono celebrate come velocissime al cor- so, facili e pronte nelle evoluzioni di mare; ed un decreto 32 Settembre i55i fa credere che avessero tre remi per banco, lo che essendo, sareb- be da considerarsi la Galea sottile esser la Trireme Veneziana minore. La prora di questi navigli da guerra sporgeva un' assai lungo ro- stro o sperone, e su di essa prora stavansi potentissimi mezzi di difesa. Queste armi consistevano ila prima, cioè nel XIV secolo, ne' soliti man- gani, nelle balestre di varia grandezza, ad arco di ferro, e ne sifoni. La ciurma era provveduta con scimitarre, spade e coltelli da ferire^ 43 oltre a numero di lande, porzione tutte di ferro, e gran parte di faggio, lunghe persino i5 piedi Veneziani, sormontate da acuta punta di ferro , con uncini adunchi, o rampini, e foderate di lamina , almeno per cin- que piedi. Aveansi inoltre dardi lunghissimi da mano , Jreccie, spontali o spontoni, e le /tonde , che si armayano di sassi da mano, detti in Gre- co RsvJ.oj'a; ( Coglajas) ed in Veneziano con voce Greca Cogoli, anzi una legge del 1279 già menzionata all'articolo Batelli , prescrive che ogni legno, fra le altre armi, provveduto esser debba di duas batelatas de petris situati in tal luogo da potersi adoprare quando fuerit oppor- tiinum. V erano poi le balestre di corno^ con le quadretta , altra specie di freccia: le balestre pesarotte, e gli archi gittaroU^ co' quali forse an- co gettavansi cogoli ed altri sassi da mano. Oltre alle armi offensive , era l' equipaggio munito anco delle di- fensive, perciò di elmi, e di celate, di capelline , ossiano caschi di fer- ro , e di cuojo, di visiere o maschere in ferro, di scudi, loriche, pancie- re o corazze egualmente in ferro. Si trovano nominati ancora i Capi remi che l'eruditissimo Filiasi suppone essere stati istrumenti co' quali si danneggiassero i remi dei legni nemici, e si ghermissero, appunto co- me a' nostri giorni si farebbe con la lancia adunca, che diciamo an^ ghiero. Anco due pompe o trombe assorbenti formar dovevano corredo di ogni Galea : vi sono leggi del XIV secolo che cosi prescrivono. Da ciò si deduce che fra noi, fino da allora, erano coltivate le fisiche discipline, e che se ne volevano applicati i vantaggiosi rlsultamenti. Alla descritta ciurma uniti andavano due pompieri, e la musica marziale, non saprei quanto deliziosa , perchè armonizzata da due timpanisti , un tamburo, due trombettieri e qualche naccherista. Ben diverso era l'armo delle Galee sottili del XVII secolo, e lo rile- viamo dal Coronelli. Pare a me di dover qui esso pur riportare, non già per inutile pompa di questuala erudizione, ma pel solo fine che parlare poi dovendo della celebre Quinquereme Faustina, occorrerà far qualche confronto tra la forza e lo equipaggio di così rinomato naviglio, e quelli della Galea sottile, la forza dell' uno essendosi dagli antichi valutata il doppio dell' altra. Si dirà che ben diversa esser doveva , per certo , e diversamente armata l'antica Galea sottile del XIV secolo, da quella del XVII, causa 335 la invenzione della polvere, ed il progressivo sviluppo dell'artiglieria, e che la Quinquereme appartenendo ad un secolo intermedio, cioè al principio del XVI , in cui gli avanzamenti della Pirotecnica erano anco- ra assai limitati, assai guardinghi, e procedevano con lentezza , figlia il più delle volte di eventuali esperienze, anziché di applicazioni teoreti- che, non poteva perciò adequataraènte esser messa a confronto né con l'antica né con la più recente Galea sottile, ma appunto poiché uianca- no le nozioni intermedie, riguardo ai navigli medesimi, luogo può darsi a qualche esame, valendosi ojiportunemente e di quanto si sa sulle pri- me Galee sottili del i3oo, armate asole macchine da slancio, e di quan- to riferisce il ripetuto frate Corcnelli su quelle del 1600, che portava- no grosse artiglierie, tanto più che non s' intende già di voler confron- tare la forma o le dimensioni della Quinquereme con quelle della Galea sottile, che li due navigli avevano un ben diverso sistema, ma piuttosto per valersene a chiarire 1' espressioni di un decreto di Senato, in data 24 giugno 1529, con cui si assegna l'equipaggio alla Quinquereme stes- sa, e le provvigioni, prendendo in alcuna parte norma dalla Galea sottile ; le quali indagini possono, per avventura, suggerir qualche maggior in- dizio onde alcun poco conoscere quale veramente fosse questa celebre Quinquereme di Vettor Fausto, da tutti nominata con ammirazione, e sempre creduta un miracolo dell'arte; come disposta di sistema, e di forme , ed In quale guisa armata, cose tutte ancora inviluppate nel mistero e nascoste, colpa il silenzio de" contemporanei i quali, si sono occupati a vicenda in magnificare con prose e con rime l'opera, ed in celebrarne l'autore, dimenticandosi quello che più di tutto importava, l'erudizione e l'utilità de' loro posteri. Dal Coronelli adunque sappiamo che le Galee sottili del XVII se- colo erano lunghe piedi veneti i20,Iarghe nel vivo piedi i5 oltre l'ope- ra morta, che facevasi di altri piedi 12 , ed alte in puntale piedi 6. Portavano due alberi maestra e trinchetto., e qualche volta , in circo- stanza di vento gagliardo , ne erigevano un terzo verso poppa detto mczzanello. Il pallaniento consisteva in 4^ remi, con altrettanti bandii, disposti metà per bordo , su d' una sola linea^ ed in serie continuata , non a due 0 tre per banco, come nelle Fuste, nelle Galeazze , e nelle stesse Galee sottili del XIV secolo: ogni remo era manovrato da cinque uomini, sicché li Galeotti 0 rematori erano aaS in tutti. 336 L'armo delle antiche Galee sottili, comesi è detto, l'orinalo era di balestre, di mangani ed altre macchine da slancio, ma più lardi diven- tarono legni formidabili, poiché alla sorprendente loro velocità nel cor- so, accoppiarono 1' uso delle grosse artiglierie. - L'estremità di prua, che ne' legni da guerra a remi, era il silo in cui cenlravasi la massima forza , sia per offesa, sia per difesa , parago- nar si poteva ad un formale ridotto , munito di parapetti e di pai>esatc capaci di coprire gli artiglieri. Nel centro stavasi un grosso cannone di bronzo, del calibro di So e del peso di circa 6000 libbre , con 4 falconi da 6, ognuno di libbre 2400. 1 lati del naviglio erano muniti con 8 pe- trieri da 12, del peso di libbre 200 per cadauno. Alla poppa presenta- vansi quattro petrieri del calibro di 14 e di libbre 3oo l'uno, con un fal- cone da 3 detto il Peretolo di libbre 5oo ; — tutta artiglieria in bron- zo ; — v'erano inoltre li moschettoni, di bronzo essi pure , le lancie, le mannaje, ed altre simili arme per abbordaggio. Oltre li 220 remato- ri r equipaggio della Galea sottile era composto da 86 soldati , co' loro comandanti ed uffiziali, 18 marinari, comito, pedota, scrivano, un cap- pellano, un chirurgo, un remajo, un calafato, un marangone , sei bom- bardieri e tre capi bombardieri. Il comandante di questo legno esser doveva sempre un nobile Veneto, col iltolo di sopra-comito ; in tempo di guerra assistito da due giovani, anch'essi patrizj, chiamati nobili di irai e ni. Fra la Galeazza, o la Galea grossa, e la Galea sotth.e, oravi altro le»no di media forza chiamato -o GALEA MEZZANA per quanto pare destinato al commercio, e che viaggiava a remi e cun vele. \' erano altresì alcune imbarcazioni lluviali, ricordate da .Marino Sanudo col nome di Bakbotte, Radeguarde e Ga>zark: si conoscevano in allora, cioè nel XV secolo, anco i Burchi, le BuRcniELLE, ìBueciiioni no- minati nel 1426 ; e vennero introdotti i così detti Grippi , legno da mare, che alle volte si trova capace di 1200 staja, in origine forse co- struito dagli Uscocchi, oggi ancora in uso presso li di costoro pronipoti, gli abitatori di Segna e di Buccari. 33; 1] decimo sesto secolo, nello iiiinienso sladlo delle età., fu uno di (juei l'orlunali periodi iic' quali sendirò che la natura, in ogni parie ah- Lia voluto ornare l'universo ed arricchire le umane cognizioni per mez- zo di eccelsi ingegni. Sorsero allora letterati profondi, magistrati dot- tissimi, artisti superiori agli antichi prej^iudizj , destinati a sviluppare nuovi sistemi, a proporre nuove massime, ed a spingere lo studio e le invesligazioni verso 1' apice della perfezione. Calcarono il trono ponteH- ci e sovrani illustri, che si fecero generosi amici, mecenati e sostenitori alli virtuosi sforzi dei cittadini: ovunque applicazione di sodi piinci[ij, criterio di scelta, sciuisitezza di gusto, tutto insomma concorse a subli- mare in queir aurea età le arti e le scienze , onde le opere di quel se- colo divennero esemplari, e si son fatte prototipi d'imitazione pei secoli che veniier dappoi. Grandi incrementi ottenne fra noi anco la meccanica per opera del patrizio Adriano Bragadlno, che intorno il i55o comhinò assieme tre navi grosse, e le rese formidabili al paro di 5o Galee, e più ancora sali in fama l'architettura navale, mercè il genio colto ed intraprenden- te di Vettor Fausto Veneziano. Propose questi alla Repubblica un le- gno da guerra, della specie delle Galee , ma in dimensioni maggiori delle usitate, quindi più forte e con distribuzione di remi più indu- striosa ed efficace. Dopo molti diverbi , dopo infinite opposizioni e contrasti., suscitati dai pubblici architetti navali, alla fine venne decre- tato che in Arsenale fosse costruito questo grande naviglio, cui piacque dar nome di QUINQUEREAIE Quale si fosse questa Qulnquereme, come costruita di formo, come- armata, e soprattutto in qual maniera fossero disposti li remi, e combi- nalo il meccanismo del loro movimento, ciò tutto è problema, non an- .* . . . Cora risolto. Ho detto, in principio di questa memoria, che non avrei esternato il mio parere riguardo a' legni Poliremi, per non aggiungere a quelle degli altri, delle nuove ipotesi; ma quanto mi accingo ad espor- re, su questo interessante naviglio, è il risultato di esami, di confronti, perciò la conclusione, diventa naturai corollario, che posso esporre sen- za esser tacciato di conlroperare al mio proponimento, tanto più che 338 trailo in particolare di un legno Veneziano, né m' imbarazzo punto in quelli degli antichi. , Senza perdere il tempo in inutili preamboli dirò come, dalle fatte indagini mi conduco a ritenere, per fermo principio , che la Quinque- reme costruita nel Veneziano Arsenale, l'anno 1529, da Vettor Fausto, lo era precisamente sul sistema identico delle Galeazze o Galee grosse, ma però, come ho indicato, di maggiori dimensioni. — Essa non aveva già cinque ordini di remi, uno all' altro sovrapposti, né cinque uomini per remo, come moltissimi vollero credere, essa portava invece un'uni- co rango di remi distribuiti in tanti banchi o scalmi , cadauno di cin- que remi insieme associati, con un solo uomo per remo, dietro una sola linea interpolata, lungo i bordi del naviglio, come appunto si è veduto air articolo delia Galeazza o Galea grossa ch'era la vera Trireme. JNè m'impone il replicare di vari antichi scrittori, al Fausto coeta- nei, che questo legno avesse la medesima disposizione delle romane Quin- queremi , cui lo assomigliavano. Imperciocché anco in allora, come in adesso , gli eruditi ignoravano qual fosse il sistema delle antiche quin- queremi, erano incerti sul vero meccanismo di tanti remi, e dubitavano anzi se per Quinquereme si dovesse intendere un naviglio a cinque or- dini di remi, o piuttosto un naviglio con cinque uomini per ogni remo, perciò si trovavano al caso nostro , e quindi le opinioni loro erano di- scordi e contradditorie, come quelle degli eruditi moderni. Richiamar conviene a memoria quanto abbiamo detto all' articolo delle Galeazze , ed a quello delle Galee sottili , in proposito alla conve- nienza ed alla distribuzione dei renji combinati per banco o scalnio. Il Fausto nella grande Galea che, per decreto pubblico fece costruire, ideò un naviglio cui potessero esser aggiunti due remi per banco alli tre della Galeazza, che n'era l'qriginale, appunto come ci fa chiarissima- mente sapere Nicolò Liburnio, con quel verso del suo capitolo, Che a tre due saldi remi si accostaronOj pubblicato col preciso titolo: La fama et laude della Galea di cinque remi per banco: era il Liburnio autore che scriveva con la Quinquereme sott' occhio, perciò la testimonianza di lui non può esser rivocata in dubbio. Anche nel Codice l'oscarini , ove è parlato della Quinquereme si legge in data 24 giugno i52g. ,, Erano le Faste dette Siremi, perchè ,, avevano due remi al banco, e sono latinamente le Galee dette Triremi, 33r) „ perchè cP ordinario già ne avcmno IrCj perciò un'altra sorte di vascel- „ lOj che ha armato già la Repubblica, il quale ne aveva cinque al banco, ,, ei'a detto Quinqucrcme „. Pancrazio Giustiniano Senatore, in una sua epistola, di questo na- viglio cosila discorre: nostra aetate condita est navis quinqueremium ro- stratUj Senatus decreto, quac galea appellatur et'c. Inoltre una Cronaca ricordata dal Bossi, in nota all'elogio storico da lui fatto a Rinaldo Carli, così esprime: ,, iSag, adi 23 marzo la Ga- „ lia da cinque remi per banco j fatta da M. Vettor Fausto j regalth con „ altre doi Galle da tre remi, da Chiozzajlno alli doi Castelli^ e le passò ,,. Ed altro Codice ms. che apparteneva già ad Apostolo Zeno conosciuto col nome di Cronaca Savina , dà notizia qual fosse il destino di tale na- viglio con queste parole; ,, del iSyo, di gennaro j la galla quinquereme „ dove sopra v'era il general del papa Marcantonio Colonna, fu abbruc- „ data da una saeta, che die nelV albero e poi nella moìiizion „. Che se tanti documenti, e tutti irrefragabili, i quali al naviglio di Fausto danno il nome di Galea e di Galea a cinque remi per banco, si- multaneamente chiamandola Quinquereme, se le asserzioni de'coetanei, di coloro che l'hanno veduta, non mai danno indizio di remi ad ordini sovrapposti, essenziale particolarità che si sarebbero affrettati di principal- mente indicare, se tutte queste testimonianze, non bastassero a provare quanto da principio ho proposto, cioè che la Quinquereme Faustina era architettata sul sistema della Galea, o Galeazza, cui l'autore aveva pra- ticate sensibili ampliazioni e modificazioni , senza però divergere dal metodo fondamentale, ricorerremo, per vieppiù assicurarcene, all'anali- si di un semplice vocabolo marinaresco, impiegato industriosamente dal Libuinio nel ripetuto suo capitolo ove dice: Foi ciurme, uscite della stirpe hettorea. Tirate i remi in pièj la dove incinquasi L'ordine a tempo con forza corporea, (^\iv\Y incinquasi, venne fin' ora male interpretalo, o non se n'è fat- to il conto che far doveasene. Lo si è creduto una espressione posta alla punta del verso forse per comodo e cadenza della rima: certuni vollero 0^0 suppone che questo incinquasi sia nppunto allusivo e JeLLa riferirsi alla quantità de' rematori assegnati per caclaun remo. Chi, altrimenti pensando, sospettò che il vocabolo medesimo volesse piuttosto indicare li pretesi cinque ordini di remi , altri infine diedero ai moto stesso di- verse significazioni., affatto spoglie di verosimiglianza ed applicate a ten- toni. — Nulla di tutto questo: incinquare o metter in cinque è pretto termine veneziano, che ancora usasi nel nostro Arsenale e fra i costrut- tori navali, e vuol dire, porre il lato di un corpo, o un corpo, relativamen- te al lato di un'altro corpo, in modo che li due lati prossimamente com- prendano un'angolo di circa 36 gradi ossia il quinto di due retti, e, se- condo i casi anco di 72 gradi cioè il quinto di quattro retti , dietro il qual principio d'arte, si scorge subito il senso di quei versi medesimi. w Tirate i remi in pie la dove incinquasi L' ordine a tempo con forza corporea. L autore nuli' altro volendo con essi descrivere che l'azione stessa del remigare, la quale si faceva dai remiganti a tempo misurato, simul- taneamente, con tutti li cinque remi di ogni banco, ossia coli' intiero ordine, levando in piedi, e spìngendo il remo con energia di movimen- to, appunto fino a quel segno determinato dalla distanza del banco an- teriore, dove la parte esterna del remo incinquavasi con il lato o bordo del naviglio verso prua, punto in cui tuffati i remi stessi, retrocedevano i rematori, e si lasciavano discendere, seduti, sul banco onci" erano a tempo partili. Ecco dunque che il Liburnio stesso (il quale per tema de suoi versi erasi proposto la fama et laude della Galea a cinque remi per banco) dopo aver detto, Che a tre due saldi rvmi si accostarono, dava il nome di ordine alli cinque remi di uno scalmo , che agir dove- vano contemporaneamente. Né v'era bisogno che Vettor Fausto avesse costruita vina nuova foggia di Vascello a cinque ordini di remi sovrapposti, come alcuni im- maginarono, perchè il merito di lui andasse ovunque celebrato, mentre per valutarlo in tutta la sua estensione, bisogna aver riflesso alle cure 0', I ed ai calcoli che gli son abbisognati per ampliare il sistema delle Ga- leazze, o delle Galee sottili, ed aggiungere due remi al P/awe/'o, al Po- sliccio ed al Terlicchio, che su que' legni si usavano. Vuoisi non comu- ni dottrine, e corredo di eslese cognizioni per superare le somme diffi- coltà di una tale impresa, che agli stranieri dell'arte sembrerà lieve cosa , ma che il solo uomo di mare è capace di conoscere appieno e di giustamente estimare. Prima di Icrjuinare la ormai lunga diceria , è d' uopo trascrivere un brano di lettera dallo stesso Veltor Fausto diretta a Gio. Battista Ramusio , in cui del nuovo legno dagli contezza. Dopo aver fatto poco soddisfacente panegirico agli architetti navali di allora, che se gli erano sollevali contro, dice che aveva fabbricato unum e weteribus navigiis ma- xime /labile quod quinis agitur remis, aedijicando ita ut i>elusta illa men- sura ad praeseiitem usum accomodaretur. Le quali espressioni in sostan- za altro dire non vogliono se non che aver egli riprodotlo un antico abilissimo naviglio, che si fa muovere con cinque remi combinati, qui- nis agitur remis, aJaltando le vetuste misure all' uso di allora, ma non dice già di aver costruita una Quinquereme ! e come mai si avrebbe messa a prova la velocità di un legno a cinque ordini di remi sovrap- posti, in competenza di una Galea ordinaria, come si è fatto nel solen- ne pubblico esperimento del 29 maggio 1029? ciò non poteva essere : bisognava che tra naviglio e naviglio fojsevi stata analogia di costruzio- ne, ed ecco una ragione di più per assicurarsi che la Quinquereme di Fausto non era che una grande modincazlone della Galea grossa o Ga- leazza. Se alle Galee grosse, che portavano tre remi per scalmo, e se alle Fusle clfe ne avevano due si dava il nome di Trireme , di Bireme ec. come sopra abbiamo veduto, era ragionevole che il Fausto chiamasse (Quinquereme il nuovo suo legno, che ne portava cinque: pure egli non lo disse tale. I contemporanei bensì, per giustamente encomiare l'autore, e per magnificar il naviglio, lo paragonarono, come novità, alle antiche Quinqueremi, delle quali ne ignoravano il meccanismo ; noi ingannati dal suono Quinquereme , niente sapendone come quelli , abbiamo co- minciato a ritener per giusto il fatto paragone, e cosi di errore in equi- voco, la cosa è passata fino a' nostri giorni, e chi sa quanto tirerà avan- ti, se non riesco a persuadere chi m' ascolta. 342 Nulla affatto ricordano li scrUlori, uè in riguardo alla quantità dei remi, né alla forza d' armo di questo singolare naviglio. Daljripetuto Li- buraio abbiamo rilevato che esso aveva 5 remi per banco ; e se adottar TOgliansi le supposizioni di Lazzaro Baiiìo scrittore contemporaneo, ma straniero, quae vigiliti et octo tantum opinar transtris constai (i), potrem- mo ritenere che essa avesse i4o remi. Baiilo stesso non era persuaso che la Quinquereme Faustina fosse da paragonarsi alle antiche Romane , e pare altronde assai strano che avendo quegli col Fausto tenuta corri- spondenza, non abbia mai fatta menzione di un recente avvenimento , che ad entrambi doveva Interessare (2). E per vieppiù illustrar questo punto amai innoltrarmi in qualche maggiore investigazione , affine di scoprire quale presumibilmente fosse la lunghezza della Quinquereme Faustina, — A tal uopo, più che il parere del Baifio, mi servi il decreto 29 Giugno iSag, dal quale rilevai aver la Quinquereme il doppio de' remi della Galea sottile : ora, rite- nendo elle la Galea sottile del XV secolo avesse 45 remi , come quella del secolo XVII, la Quinquereme stessa aver doveva remi 90 , cioè 45 per lato, i quali ripartiti, per cinque davano 9 banchi. — Assegnando ad ogni banco 5 piedi di spazio, ossia la distanza d'un piede da scal- mo a scalmo, come ho fatto parlando della Trireme 0 Galeazza da mer- canzia, si hanno piedi 45, cui aggiungendosi piedi 4oper gl'interscalmi, o per le IO balestriere, comprese le due estreme, che tutte penso fossero maggiori delle usitate, causa le grandi artiglierie, — quindi altri piedi 5o circa per le parti di poppa e di prua, e pel così detto barcarizzo, ovvero sito delle imbarcazioni, comparisce una totalità di piedi i35, cliefors'era la lunghezza della Quinquereme,, Io che procurava rintracciare. Dopo aver fatta quest'argomentazione, ebbi il soddisfacimento di convincermi che il mio calcolo pochissimo ^llontanavasi da quanto ci lasciò scritto II nostro Sanudo, il quale a pagina 270 nel volume L de' suoi Diarj indica esser la Galla cinque remi lunga passa 28 circa che appunto corrispondono a piedi x4o misura eccedente di soli 5 piedi quella che a me risultava. Ne consegue da ciò che essa Quinquereme (i) De le navali. — Liber — Basileae, i54i, pag- 3&. (2) De re navali, pag. 4^. 343 era quasi eguale in lunjjhezza alla Trireme o Galeazza da Mercanzia del XV secolo. Natale Conti nella sua Storia Veneziana, paragona questo legno ad un formidabile Castello galleggiante, sul quale stavano trecenta bellica tormenta varj generis ad defensionem: ed il Decreto del Senato 29 giugno iSag, che ho poco- fa nominato, con cui yiene stabilito lo armar della Quinquereme, yi assegna doi Remeri per esser il duplo delli remi di una Galla sutll — e perchè per li huomeni da remo delle Calie sottile fu de- ìiberado dar Archibusi So per ciascuna Galia^sia preso che a questa ne siano dati cento. Siccome poi manca a noi il numero dei remi e delle artiglierie, cui portava la Galea sottile del XV secolo, così siiimo nella impossibilità d' instituire migliori confronti. Chiuderò queste mie indagini sulla Quinquereme Faustina con osservare che in quel verso del Liburnio, da me più sopra allegato : Voi ciurme uscite della stirpe hettorea trovo mezzo a persuadermi, come anco nel secolo XVI, i rematori erano genti libere, erano uomini assoldati, al pari di quelli indicatici da Pie- tro Martire, riguardo alla Galeazza o Trireme del secolo antecedente , e non mai delinquenti messi a catena per espiazione di colpa, secondo il costume dei tempi a noi più vicini, mentre quel verseggiato, con no- bile paragone, non li avrebbe chiamati stirpe d' Ettore, cosa certo scon- venevole, se quelle ciurme state fossero composte di malfattori condan- nati al remo. Cade qui in acconcio dir alcun che di altra, e ben diversa Quinque- reme progettala alla Repubblica da Alessandro Piccheroni o Pizzeroni dalla Mirandola. Questo tale, dopo aver offerto di ridurre i navigli a pa- lamento, secondo un nuovo sistema, a parere di lui assai migliore (i) pose in campo la costruzione di una Galia grossa a cinque ordeni de remi; della quale si conserva ancora il disegno, con qualche spiegazio- ne, ma senza epoca alcuna. Da questo disegno, che sembra del XVI se- colo , si rileva che li cinque ordini di remi esser dovevano distinti in cinque ranghi uno all'altro sovrapposti. Ma la spiegazione non offre già (1) Coelice nella Marciana. Classe vii. N. ccclxxji. 344 le dimensioni e lo equipaggio della Galia grossa a cinque órdeni de re- mi ; ma invece quelli d'una Galia grossa a quattro ordeni de remi, ed eccone il dettaglio : Longa passi 70 corrispondenti a Veneti piedi 35o. In bocca 1 1 e pie 4» cioè larga piedi 5g. Ponlal 3 e piò 2 vale a dire altezza piedi 17. JVel tre piè^ piedi 3o. Nel sei pie, piedi 34- Cadaun ordene aver doveva Lanchi I^o Con due remi per banco , sicché in totalità H remi del naviglio sarebbero stati N. Sao. Ad ogni remo de' due primi ordini superiori erano assegnati i5 ameni; a quelli poi del terzo e del quarto omeni io per cadauno, e cosi l'equipaggio de' soli rematori sarebbe ammontato a N. 4000 onieni. Se maiuscolo è il numero dei rematori, non meno gigantesche sono le misure dei remi. Quelli del primo ordene de sora^ stabilivansi dall'au- tore lunghi piedi 170 veneti; gli altri del secondo yo/eA' 157, del terzo 143. 6 ; e finalmente i remi del quarto ordene, cioè dell' inferiore 127. G, situati però in maniera che per due terze parti, circa, sporgessero fuori dei bordi, mentre l'altro terzo reslava nell' interno della Galea per ma- nubrio de' remiganti. Farmi che bastino gli esposti cenni, perché l'uomo di mare giudi- car possa intorno alla attitudine e servibilità di cosi fatto naviglio: egli vi aggiungerebbe, in sua mente, tutto quel residuo personale che al ser- vigio delle vele.^ se ve n' erano (che li disegno non Io indica), può occor- rere: quello altresì che alla aniniinistrazione de' viveri, alla contabilità, alla disciplina di tanta gente, al comando, e soprattutto alla difesa del legno, in proporzione richiederebbesi: cercherebbe nel ventre della Ga- lea il sito di ricovero, non pei remiganti, che la piazza loro era fra i banchi, ma pei difensori; domanderebbe quello per li depositi delle munizioni, delle armi, degli attrezzi, delle zavorre, e finalmente spie- lebbe ove mettere la tanta quantità di viveri, quanta al sostentamento di Così gran numero di persone ragionevolmente abbisogna 5 temerebbe che la strana lunghezza del legno , non permettesse alla Chiglia o Co- lomba di sostenersi in prossima orizzontalità; avrebbe dubbio anche se la rimarchevole dimensione de' remi, non fosse di ostacolo alla manovra loro, e se la disposizione del palamento, inclinata verso il mare, non li mcllfsse a conlinuo pericolo di esser spezzati dall'onde. Infine escla- merebbe, se questa Quadrireme, aver doveva quasi requipa{,'gio dell'an- tichissimo naviglio di Tolomeo Filopatore a quaranta ranghi di remi , essa diventava più che il Talamega dello stesso Despota, capace solo di contrastare in celerità ed in navigazioni con la plumbea inerzia del- l' Arca Noetica ! La Repubblica ascoltò le proposte, volle sottometterle ad esame ; vennero anche fatte dell' eccezioni , cui il progettante offerse schiari- mento, ma niente ebbe effetto. Da pochi indizj dispersi in alcune Cronache, possiamo rilevare che verso i primordi di questo XVI secolo eravi la GALEA BASTARDA sulla quale manca ogni ulteriore indicazione. Sembra al certo che que- sto naviglio da guerra, del genere delle Triremi partecipasse della Galea e della Nave nelle forme, e che fosse invenzione di certo Francesco Bressan o da Bressa, proto dei marangoni nel!' arsenale. Dopo aver il Fausto eseguita , con universale encomio la Galea a cinque remi combinati per scalmo, che fu la prima di lui caparra nella difficile arte di edificare navigli, siccome a proposito rimarca il cardi- nale Pietro Bembo, nella ripetuta lettera scritta al Ramusio , che che ne dica Cristoforo Canale, nell'opera sua ra. s. in cui tiene il Vettore per uomo di teoriche dottrine fornito bensì, ma non idoneo a decidere sul merito di un naviglio, perchè mancante di pratica ; pure diede egli novelli saggi di sua industria, se non per pratica materiale, almeno per applicazione di sani raziocinj, ideando un sistema di manovra pel Ti- mone, che dal di lui nome si diceva alla Faustina, per distinguerlo dal- l'altro detto alla Ponentina, allora in uso> al quale sistema di Fausto, i navigatori accordavano il merito di preferenza, e che si sosteneva an- cora nel 1G86, come il sappiamo dall' Opera m. s. del nostro Stefano de Zuanne de Micltieì, codice citato dal Tenlori. Inollre YJgostini vuoici far credere che il Fausto abbia im>entato un nuovo genere di legamento nel fabbricare ìiavigli, per così dire indissolubile (i). (1) Notizie ialoino la Vita e le opere Jegli Scrittori Veneziani T. i, p. 455. 340 Quand'anche, come giu.'jl.iraunle osserva il Bossi, non si sappia da doTC, quel frale ahhia svolta tale nolizia, ciò nondimeno essa è ragio- nevole supposizione, stantechè non sarebhegli riuscito il costruire dei navigli eccedenti le ordinarie dimensioni, senza ideare de' nuovi inge- gnosi mezzi alti a sostenerne le parti, e soprallulto le due estremità di poppa e di prua. Apjilicali però li propri sludj a più essenziali bisogni, ridusse il Fausto una Galea detta Bastarda a QUADRIREME lo che dobbiamo credere, non in altro modo aver egli fatto , che appli- cando un remo di più per ogni banco., e distribuendo li banchi con parsimonia di spazio e con maggiore artifizio. — Questa particolarità si legge nel codice Cartaceo del secolo XVI esistente nella Marciana. — Della hislorla delle guerrn fra princìpi crislanij e Maomettani, libri cin- (pie di Gio. Luigi di Parma, ricordalo anco dal Cossi, ntìV Elogio di Pù- naldo Carli. Se la Galea eseguita dal Fausto a cinque remi combinati per scal- ino o banco, ottenne lo universale spontaneo applauso de' dotti, e quel- lo altresì che la evidenza ed il fatto strapparono dalla bocca degli emuli suol, pure un tal genere di naviglio non potè sostenersi in riputazione nella Marina. 0 se ne ascriva la causa alla ingente mole, o alla difficoltà di costruirlo, o alla antiveggenza necessaria, affinchè le parti di esso presentassero le combinazioni tutte di un solido nesso, ovvero se ne in- colpi la spesa eccessiva, cui sottostar doveva il pubblico erario, anco pel mantenimento di cosi vasto legno , e di un equipaggio tanto nume- roso, 0 finalmente all'idea che in caso di navale certame, se si fosse per- duri una Quinquereme, rimaneva debilitata la squadra, cui era sminui- to il nerbo della propria forza ;vero è che, dopo la prima., nessuna me- moria sussiste di altre Quinqueremi costruite, né v'è che il solo Gio. Battista Bamusio , il quale , nella prefazione alle orazioni latine del Fausto dica che sul modello della prima, tutte le altre in appresso ven- nero fabbricate: una tale asserzione, avvegnaché avanzata da uomo dolio e contemporaneo, manca però di prova e di conferma , e perciò ritenendo che la cosi della Quinquereme Faustina del i'^29, sia quella identica perita per funesta ca'aslrofe in Gennaio jSyo; noi crederemo 347 più volentieri che il Ranmsio medeslitio intendesse parlare o della Quadrireme, o di altra specie di naviglio pure ideato e fatto costruire dal Fausto a pubbliche spese col nome di GALEONE 0 GALIONE che adesso da noi si chiamerebbe vascello a due ponti. Siccome questo legno non cade nella categoria de'Poi.TntMi, così ini limito a dire che memoria se ne conserva tuttora su doppia lapide nell'arsenal nostro, con ladnta io Ottobre i53i ; e che quello di allo- ra portava 128 bocche da fuoco. — Troviamo altresì ripetuto da' nostri Cronisti che verso il i5-j5 un Galeon Veneziano fece il giro del globo, passando per lo stretto di Magellano, e sappiamo pur anche che dopo una sconfìtta ricevuta da Veneziani, pure, sopra cinque loro Galeoni erano rimaste 8000 persone : Recentemente Galioni usavano gli Spa- gnoli pel loro commercio tra Manilla ed Acapulco ; finalmente ci è noto che nell'isole dell' Arcipelago, ma più delle altre in quella di Ci- pro, il nome di Gabon ancora si ricorda, e li contratti de' bastimenti , per antico inveterato costume, vengono condizionati alle antiche prati- che di carico e di prezzo, come il Gallion Veneziano ! La nostra Marina deve a Vettor Fausto anco il Galioncino , forse non diverso dal Galione che nella grandezza. Fra i legni costruiti dai Veneziani ha luogo anco lo Schirazzo o ScHiERAzzo, pare di origine Turchesca, ed i Brigantini o Bregantini usa- ti fors' anco nel XIV secolo velocissimi al corso, affatto diversi dalli odierni, perchè viaggiavano a remi. La Fregata nel XV e XVI secolo era un non grande legno da corso come la Saettia, eh' ebbimo dal Turco ; il Cofano e le Barche lingue , sembra fossero imbarcazioni per servizio de' legni maggiori , e menzio- nare conviene un naviglio di cui si sono ignote forma e costruzione sug- f;erito nel i583 da certo Lionardo Fioravanti che dicevasi sicuro da scogli. Selodemercarono somma tanti abilissimi nostri costruttori navali, nella cui serie pompeggiò fra primi 1' encomiato Vettor Fausto, quan- tunque non istituito nelle marittime cose; se lo studio di tanti ingegni , la pratica di veterani nocchieri, la esperienza di avveduti capitani, con 04 3 innumerevoli modificazioni, nel corso dei secoli hanno recato vanta»»»! OD sommi ed aumenti alla navale architettura, pure alla metà del XVI se- colo sorse il henemerito Giovanni Andrea Badoer 0 Badoaro, figlio di Girolamo dell'antichissima famiglia de' Partecipazj , il quale, coperte avendo con integrità e con valore le cariche primarie civili e militari della repubblica, nell' età, sua senile, mise a profitto le fatte osserva- zioni, ed immaginò come ridar le Galeazze, da mercanzia, in partico- Kar modo al servizio di guerra ; riuscì egli mirabilmente in questa seconda modificazione, dopo quella operata dal Fausto con la Quinque- reme e co' suoi Galloni, e comparvero quindi le celebri GALEAZZE DA GUERRA Naviglio che merita posto distinto, non ostante il nome non nuovo in questa Memoria, appunto perchè distinguevasi di molto dalle Galeazze o Galee grosse del XV secolo, le quali abbiamo di sopra, in qualche mo- do descritte. Ma se la rinomanza loro, esaltata da contemporanei, ripetuta in tanti scritti, e celebrata da tutti gli storici, ci assicura che le Galeazze del Badoaro erano formidabili vascelli, pure nulla abbiamo di certo don- de ottenere qualche dettaglio sulla forma di loro costruzione, né sulla forza di loro difese. Mi cade sott' occhio Vlsolario del Porcacchi, edivi trovo registrato che le sei Galeazze , condotte dal Senatore Francesco Duodo , nella famosa giornata di Lepanto, la domenica 7 ottobre iSyi portavano quaranta pezzi di artiglieria di bronzo^ fra grossa e piccola e molti archibugiojii da posta. Valsero queste a decidere la battaglia , re- stando illese dagl'insulti de' nemici , atterriti alla comparsa di navigli mai da loro per l' avanti non veduti., circostanza che portò al sommo la memoria del già defunto Badoaro, cui allora venne attribuito grandissi- mo merito per una invenzione tanto proficua alla patria nostra (i). In un libro non comune, che appo me conservo, pubblicato in Ve- nezia nell'anno 1872 per Gio. Francesco Cauìotio o Camocio, il quale è una raccolta di 88 tavole compreso il frontispizio , incise in rame (i) Porcacchi, Isole più famose del Mondo. Venetia, 1686, pag. gS. negli anni i5GG, i5-o, iSji e 1672 rappresentanti isole e terre maritliine^ allora in gran nome per la guerra di Cipro, che si gestiva, alle tavole 38 e 39 vedesi delineata la posizione delle flotte che combatterono alle Curzolarl. Ivi sono marcate le sei Galeazze Veneziane col nome dei ri- spettivi loro Capitani, e quantunque le delineazioni sieno minute, pure nella tavola Sg, che rappresenta il conflitto in forma prospettica, molti anni dopo colorito in grande da Andrea Vicentino nella sala dello Scru- tinio in palazzo ducale, ad evidenza si scorge che le stesse Galeazze por- tavano i remi, distribuiti a tre per banco, appunto come abbiamo ve- duto essere delle Galeazze mercantili del XV secolo. Questa osservazio- ne è un'argomento di più perchè possiamo assicurarci sull'antico siste- ma de' remi adottato in alcuni navigli Veneziani, di che fatto abbiamo lungo ragionamento all'articolo Galeazza da mercanzia. Inoltre dalle tavole medesime e da un raro disegno in rame del iSya rileviamo, che le Galeazze del Badoaro erigevano tre alberi verti- cali, oltre il solilo Malo o Bompreso allo Sperone di Prua, ma alquanto più elevato dell'ordinario: le vele erano tutte latine, eccettuatane quel- la di prua; da noi adesso chiamata Cwacla^ la quale era di forma qua- drata (i). Nel secolo XVII le Galeazze Veneziane soltostarono ad una gran- de riforma. Coronelli ce ne dà minuto dettaglio ed ha lasciato un dise- gno prospettico, bastante a farci scorgere che li remi di queste, non più ripartiti a tre per banco, come usavano le antiche mercantili, e come (i) Isole Jamose , Porti, Furteit,e e Terre marittime sottoposte alla Seren. Signoria di fenetia ed altri Principi cristiani et al sig. Turco, notamente date in luce. In fenetia alia lAbraria del segno di s. Marco. Alla Tavola 28 è questa epigrafe: In fenetia appresso Giovanni Francesco Camocio ^lla Libraria della Piramide. Alla Tavola 45. Martinus Rota Sebinicensis Jaciebal. Alla Tavola 66. D.ncu Zenoi. Alla Tavola 85. In fenetia, i56G, Domenico Zenoi cum privilegio. Alla Tavola 87. Paolo Furlani., Veronese, intagliatore in fenetia, alt insegna della Colonna. Il disegno è lungo mctii o^^i f''" metri oSi, riiiveniioQe è di Martiao Rota da Sebe- nico, rinci.ione di Giacomo Fraaco, la epigrafe ia versi latiui di B;:lisario Gadildini. 45 3L)o volle il Badoaro, erano in vece disposti in serie continuata, alll due bor- di del naviglio. Questi remi erano 495 lunghi piedi 42, cadauno manovrato da 7 uo- mini. La Galeazza aveva in lunghezza piedi veneti 145, lairga piedi 21, e con le opere morte piedi 37. Portava tre alberi con vele da taglio o latine. Alla cima di questi stavano le Gabbie 0 Coffe per le vedette. Ol- tre li 343 remiganti, v'erano 200 soldati con loro uffiziali, 60 marinari, un ammiraglio, un cernito, un pedota , uno scrivano, un chirurgo, un medico, 4 capi bombardieri , ed 8 bombardieri, 2 remai , 4 calafatti e 4 marangoni. Al servizio particolare del governatore e del nobile, erano un cappellano, un computista, con uffiziali e ministri, in guisa che lo equi- paggio in complesso era non minore di 700 uomini. L'armo poi consisteva in 36 pezzi d'artiglieria in bronzo, del peso totale di libbre venete 89,000 cioè Due Colombrine da 5o peso libbre . . 9000 cadauna Due Colombrine da do 65oo cad. Sei Falconi da 6 2400 cad. I > Quattro Colombrine da i4, peso libbre 33oo cad. Due Cannoni da 3o, peso 4200 cad. Sei Cannoni da 20 3ooo cad. Dodici Petriere da 14 3oo cad. Due Petriere da 13 200 cad. Innoltre portava buon numero di Moschettoni detti da Forcina, per- chè stavano appoggiati sul bordi a modo degli odierni nostri piccoli Petrieri: v'erano poi Brandistocchi, spade, ed altre armi per provvede-* re r intiero equipaggio. Una Galeazza armata in guerra costava alla Repubblica, che allora ne manteneva sei, Ducati 120 mila, pari a Venete Lire 744000 ; e l'an- nuo mantenimento d'armo altri Ducati 26400; senza comprendervi la .spesa del pane biscotto, quella della polvere da guerra e di tutte le al- tre munizioni, sicché le sei Galeazze importavano 720 mila Ducati cioè J.)l Venete Lire /^,/^G/^,noo■,) quaUio milloiil, quattrocento sessantaquatlro mila) e quindi circa 200,000 (tlueceato mila) annui Ducati nari a Ve- nete Lire 1,240,000 che corrispondono a Fiorini 730,000, (settecento e trenta mila) circa per l'armo loro. Basta questo breve saggio per farci adequata Idea sulla potenza e grandezza della Veneziana RepuLUica, in quell'età, ed anche nell'ultimo suo periodo, quando contava utile suo forze due flotte composte di numeroso stuolo di Navi di linea e di Ija- slimentl leggeri, che appunto distinguevansi co' titoli di armata grossa ed armata sottile. Non si Yuol chiudere quest'articolo senza far menzione di un mo- dello di Galeazza da guerra che si sta attualmente costruendo nell'Arse- nale di Venezia. L'amore per le veneziane cose, il desiderio di veder in qualche modo conservata memoria ili un antico nostro naviglio da guerra, diedero incentivo a questo lavoro, il quale è da desiderarsi che condotto venga a pieno compimento per le mani di quel vecchio mae- stro falegname dell'Arsenale medesimo, che ne intraprese la ormai bene avanzala esecuzione, cui, se non può accordarsi il vantaggio di aver effettivamente vedute le Galeazze.^ almeno esser deve riputato il pii!i idoneo a tale opera, siccome quegli che, discendente da famiglia antica del luogo , nato in .\rsenale, ove ebbe educazione e costante impiego, visse sempre occupato in lavorare inforno Galere ed altri legni a pala- mento : e quindi doviziosamente fornito di notizie proprie ed anco tra- dizionali, acquistate per necessità e per inclinazione da'di lui avi, scor- gesi iaformatissinio sulle particolarità le più intrinseche degli antichi navigli della Repubblica (1). Questo modello rappresenta in vero una formidabile rocca. Il Ca- stello da prua, in cui risiede la maggior forza, può paragonarsi ad un potente ridotto, ad un ignivomo mongibello , tale reso da due enormi colubrine e da 8 cannoni di grossissimo calibro. L' aspetto esteriore so- miglia ad una torre semicircolare che s'innalza a cavaliere dello spero- ne. Da colà partivano colpi strepitosissimi, le cui palle, ad ingente di- stanza, perforavano i navigli nemici da un bordo all'altro, con strage ed eccidio delle intiere tlotte, che al loro presentarsi restavano sbaragliate. (1) Uaaao Gioraani Antonio, di Fraocesco. 352 Le misure primarie assegnate al grande modello di cui parlo, che si eseguisce con la scoria di antico disegno : son queste ( In Colomba piedi veneti i34. Lunghezza < ,^ r ( IJa vento a vento • ■ , ijo. [ Alla CoiLa o curva maestra .... piedi ay. LAnciiEzzA / Alla opera morta 32. r In stiva o alla Carena 28. 6 t In Puntale piedi io. Altezza J In Tricanto 20. [ DelTAsta di prua 27. Esso ha due ponti, porta tre alberi di nome Maestra, Mezzana e Trinchetto; n. 52 remi lunghi piedi 36, disposti in serie continuata a convenienti distanze, come nelle Galeazze descritte dal Coronelli, e qui sopra ricordate: cadaun remo esercitavasi da G uomini. L'artiglieria consisteva in 62 boccile da fuoco, tra quali le due Co- lubrine, e li 8 cannoni da prima menzionali; altri 12 cannoni stavano sul cassero , 8 al castello da poppa , e Sa pelriere distribuite sull'opera moria d'entrambi li bordi. Non è possibile adequatamente descrivere la fabbrica di cosi gran- de naviglio. Oltre i tanti luoghi di deposito subacquei , che dicevansi Giove, oltre quelli per le numerose ciurme de' remiganti e de'mariiiari, oltre le stanze e sale del Governatore, degli uffiziali e de'comiti, vedon- si alcuni corridoi intorno al quartiere del comandante sotto il castello da poppa per facilitare il passaggio alla gente di servizio, e per dar luo- go alle grosse artiglierie da caccia. Le cannoniere, li spiragli per ha eva- cuazione del fumo, li cosi detti Barcarizzi ossieno luoghi delle iniliarca- ' zioui, le scale di accesso al quartiere di poppa e tanti altri accessorj , tutto vedesi consigliato con sorprendente industria , ed ottenuto con economia di spazio, e con ripartizione la più misurata e sagace. Durante la guerra di Cipro sembra potersi asserire che li Veneziani abbiano introdotto nella marina i' uso delle FI LU e cu E piccolo Jegno ■velocissimo, quasi simile alle più antiche B'usle , ed origi- nario dell' Italia meridionale. A tal epoca è ricordato il Caiccuio che ora noi confondiamo col Co- fano. Terminala la stessa guerra di Cipro con lo inopinato scioglimento di una lega che sembrava esser dovesse perenne ed invariabile, se si mi- rava alla energia ed all'entusiasmo con cui venne conclusa, non eJjlje dessa quelle salutari conseguenze che la Cristianità poteva attendere. Le disparate disposizioni., gl'interessi e le viste politiche de' Sovrani alleati, i quali forse credevano che la totale sconfitta de'Turchi allT.chi- nadi, avesse eliminato dal mondo l'impero Ottomano.^ fece sì che sban- dassero da ogni parte le loro forze, ed i Veneziani rimasti isolati, dovet- tero da quel punto ripigliar soli la lotta, soli ribattere il comune nemi- co , e contrastarne gli avanzamenti e gli attentati. Prodigi di valore opcraiouo i nostri, e fecero allora vedere all' universo fino v. che giunga l'amore di patria nel cuore de' cittadini. Rivolte le cure della Repubblica a juantenere, con forza darjìii, il proprio decoro, a difendere la religione, e la cliicsa contro i progressi di un possente nimico, andava esaurendo i tesori della nazione, e men- tre ripullulavano i prodi, descrescevano sempre il trafllco ed i commer- ciali rapporti, colpa lo spirilo di scoperta, la coltura e la intraprenden- za delle altre nazioni: la bilancia avea già disceso, non ostante la som- ma energia de' Veneziani per sostenerla, ed il coaunercio loro, era i)iìi. un residuo dell' altrui abitudine, assicurata dall'onestà de'nostri traffi- canti, che una conseguenza di calcolata speculazione per parte degli stranieri. Con tale sconfortante apparalo si presentò il XVII secolo, che può jiguiirdarsi come il [lunto di massimo depciinìenlo, in cui siasi trovala la. naval costruzione presso i Veneziani. Difalli dagli estranei Arsenali si videro sortire navigli di forme maravigliose ,. con apparati cospicui, t con Uìiglioramenli utdissimi, i quali in ogni modo tcclissavano le con- temporanee nobtre costruzioni, che non più tolte a modello tlalle altre potenze, deboli erano divenute e difellose ai confronto di moli tanto va- ste e possenti. Seguaci delle antiche coslumanjife , si conobbe allora il 334 bisogno di una essenziale riforma, per esser al caso di contrapporre armi ;il1 armi, e yidesi die la intrepidezza del cittadino non bastava sola per lottare contro coloro, i quali l'arte da noi appresa, condotta aveano ad uno sviluppo maggiore, ad un incremento oltremodo superiore ed tsttso. Prima però di versare sulla riforma di cui cade il proposito , non si vuol tralasciar di far noti due legni di qualche importanza, i quali nello stesso secolo XVII viaggiavano con la Veneziana bandiera. Uno era il Petacchio, legno da corsa a quattro alberi munito con 20 pezzi d'artiglieria di mole minore ma simigliava alla nostra Corvet- ta DA GUEKRA ; l'altro di origine francese, avea nome Palakdra, era ben diverso della Palandaria e delle Palandrie del nono Secolo, e parago- nar si potrebbe alle più recenti Veneziane Bombarde, se non che di queste era assai più grande e robusta ; oltre a 20 pezzi di cannone, portava due inorlari da 5oo libbre di palla del peso di L. 7000 cadau- no. La Palandrìa venne dai nostri assai bene adoprata nella celebre guer- ra di Candia. La somiglianza di alcuni nomi, mi fece star avvisato a non molti- plicare senza proposito il numero de' Navigli Veneziani, ed i confronti the ho fatti mi danno certezza d'esserne fors' in tutto riuscito. Pervenuto a questo punto del mio lavoro, vi poteva metter compi- mento, nuH'altro stato essendone l'assunto che il prestare qualche no- tizia suW antica Marina de' P'eneziani e sn loro navigli; ma pensato avendo che non sarebbe forse discaro il conoscere lo stato, e le vicende di questa Marina medesima, negli ultimi due secoli della Repubblica , cosi ho seguitata 1" Opera dimostrando li tentativi promossi verso la me- tà del XVII secolo, per introdurvi un' ulile riforma, e posi fine allo scritto con rappresentare la posizione della INIarina stessa al momento in cui cadde il Repubblicano governo. E qui do termine all' odierno mio ragionamento : parlava dei soli Legni poliremi, e quelli di altre specie ho solamente accennati. Ne' due secoli che marcarono l'ultimo stadio del più longevo fra i governi, qu'i si usavano navigli a palamenlo, ma non più delle forme come quelli che ho in oggi menzionati. Tale è stata la marina nostra che lia dati strenui Capitani, valorosi soldati, intrepidi e dotti viaggiatori. Per questi la gloria delle Veneziane armi risuonò ne' più lontani confini ; per questi le nostre bandiere , prime, sventolarono in remote regioni, e ([ul ebbero europea culla le scienze e le arti che alla navigazione hanno attinenza. L'uso del- l' ago calamitato, il paralellismo de' meridiani sulle Carte nautiche, il calcolo trigonometrico applicalo alle operazioni di mare , le cogni- zioni astronomiche e geografiche, che prime comparvero a diradare le tenebre di tanti secoli, l'uso dell'Astrolabio, la scoperta del nuovo Mondo, dai nostri indicata più che cent'anni avanti il viaggio di Co- lombo, sono meriti e prerogative, che agli antichi Veneziani l'unanime consenso de' dotti accorda dopo lungo conflitto di rigorosa critica. Mi si presenta al pensiero l'aspetto della vetusta nostra grandez- za, e si esalta l'anima mia; se do un'occhiata agli ultimi anni, il paragon mi fa muto! CATALOGO DE' SOCI COMPONENTI L'ATENEO DI VENEZIA PRESIDENZA / SIGNORI M^yin co. Leokakdo ciambellano, pre- sidente. Namiìs dolt. Giaciuto , segretario delle scienze ed arti meccaniche. CisAnicn Luigi, vice-presidente. Bellomo ab. profes. GioTAum, segretario delle lettere ed arti liberali. CONSIGLIO ACCADEMICO CLASSE SCIENTIFICA CiMPiLAwii Emilio. Paleocopa doti. Pietro. Trois dott. Francesco Emiico. CLASSE LETTERARIA BoNFATIBl nob. GinSEPPE VlKCEI'ZO. DiEDo nob. Antonio. Gamba Bartolommeo. ARCHIVISTA BoNFADi5i nob. GrosEPPE VmcEirao. BIBLIOTECARIO Rossi dott. Giova:»!»!. MEMBRI ONORARII S. A. I. R. L'ARCIDUCA FRANCESCO CARLO GIUSEPPE. S. A. I. R. L'ARCIDUCA RANIERI GIUSEPPE GIOV.mNL S. A. l. R. L' ARCIDUCA FEDERICO FERDL\iVNDO LEOPOLDO. 46 358 SOCI ONORARII DIMORANTI IN VENEZIA Beltio ab. Pietro , bibliotecario palatinale di s. Marco. Biagi dott. Pietro, giureconsulto. Brera dott. Valeriano Luigi, consigliere, professore. Bonari Autonio , consigliere d' Appello. Calogerà dott. Alessandro. Catlanei (de) di Maino nob. Carlo, direttore generale di Polizia. Corniani nob. Marco. Dalla Vecchia ab. Luigi, provveditore del Liceo di Venezia. Dcrclùch nob. dott. Giuseppe, consigliere di Governo. Erizzo S. E. co. Guido, gran dignitario ecc. Galvagna S. E. barone Francesco, presidente del Magistrato Camerale. Giudici ab. Filippo, consigliere di Governo. Giusliniaji Recanati co. cav. Lorenzo. Innocenti Giuseppe, professore. Maniago co. cav. Pietro, consigliere di Governo. Monica S. Eminenza Jacopo , cardinale patriarca ec. ec. Morosini co. Domenico. Meschini canonico cav. Antonio. Mulazzani bar. Antonio, consigliere di Governo. Orefici (degli) S. E. Francesco, presidente del Tribunale d'Appello. Palfy co. Luigi, vice-presidente del Governo Veneto. Pauhicci S. E. march. Amilcare, comandante superiore della veneta Marma. Renier S. E. co. Daniele, gran dignitario. Roner cav. Carlo, consigliere di Governo. Salvioli nob. Lodovico, consigliere aulico e presidente del tribunale civile. Soranzo co. Tommaso, ciambellano. Spam- S. E. co. Gio. Battista, governatore delle provincie venete. Sukias Somal mons. Placido, arcivescovo di Sunia, ab. gen. de'monici mechitarisli. Thitrn co. Gio. Battista, consigliere aufico, cav. delegato di Venezia. ^(2/bHj Paride, consigliere d'Appello. Zamagna nob. Matteo Luigi, consigliere di Governo. Zorzi nob. Pietro, I. aggiunto alla Sanità marittima. 359 SOCI ORDINARTI DIMORAPsTI IN VENEZIA CLASSE DELLE SCIENZE jivesani nob. Guido, consigliere. Bizio dott. Barloloniraeo. Campana dott. Andrea. Campilanzi Emilio. Casoni Giovanni. Coularini nob. JN'icolò. Galvani Antonio. Magrini prof. Luigi. Namias dott. Giaciuto. Nardo dott. Gio. Domenico. Pakocopa dott. Pietro Parolinì nob. Alberto. Quadri Antonio. Eima dott. Tommaso. Santi Lorenzo. Trois dott. Francesco Enrico. tannini dott. Paolo. ^ CLASSE DELLE LETTERE Avesani nob. dott. Gio. Francesco. Batlagia Michele. Beliamo ab. prof. Giovanni. Bonfadini nob. Giuseppe Vincenzo. Canal x^. prof. Pietro. Casarini Luigi. Cigogna Emmanuele. Diedo noi). Antonio. DriuzLO ab. prof Francesco. Gamba Bartoloranieo. GarofoU dott. Federigo. Manin nob. co. Leonardo. Neu-mayr dott. Antonio. Perolari Malmignali nob. Pietro. 56o Pianlon monsignor ab. Pietro. Rossi dott. Giovanni. Sagredo co. Agostino Gherardo. Tipaldo prof. Emilio. SOCI CORRISPONDENTI DIMORANTI IN VENEZIA Albrizù co. Giuseppe. Arrigoni dott. Renato. Asson dott. Mandolino. Seni dott. Francesco. Bei (de) ab. prof. Giovanni. Benvenuti dott. Adolfo. Bianchi Luigi. Caffo dott. Luigi. Caiacci dott. Giuseppe. Canali dott. Petronio. Casa/ini Alessandro. Ciotti Antonio. Coen Giuseppe. Dezan monsig. canonico Giovanni Maria. Duodo dott. Giovanni. Fario dott. Paolo. Fossetta dott. Valentino. Fortis dott. Leone. Lazzari ab. Giuseppe. Lazzari prof. Francesco. Levi dolt. Mosè. Locatela dott. Tommaso. Mainardi dott. Solblcone. Mulinelli cav. Fabio. Nardi ab. prof Fr.inctsco. iV^oy dott. Cesare Maria. Papadopoli co. Antonio. Parolari ab. prof Giulio Cesare. Rossi dott. Lorenzo. Taussig dott. Gabriele. Treves di Donjil nob. Jacopo. 5Gi J^allcnzasca doU. Giuseppe. ydiulo Giovanni f^iolin (loti. Giacomo. Unger prof. Adolfo. Zinell i ab. Federico. SOCI ONORARII ESTERNI Acerbi cav. Giuseppe, consigliere in peiisione. Milano. Amberg (de) nob. Giuseppe, consigliere aulico, f^ienna. Balbi nob. Adriano, consigliere. Vienna. Crivelli S. E. co. Ferdinando, gran maggiordomo di S. A. I. R. la vice-ieijiua. Milano. Dietrichslein S. E. co. Maurizio, consigliere intimo ec. ec. Vienna. Folliol S. E. co. di Crenneville Lodovico Carlo, consigliere intimo. Vienna. Fólsch nob. Giuseppe, consigliere aulico. Vienna. Giintnsr dott. Francesco. Vienna. Gòess S. E. co. Pietro, gran maresciallo di corte di S. M. I. R. A. Vienna. Grimm cav. Vincenzo, consigliere aulico. Milano. Hammer (de) Giuseppe, consigliere aulico. Vienna. Heintl (de) cav. Pietro. Vienna. Hochenwarl co. Francesco, consigliere. Lubiana. Inzaghi S. E. co. Carlo, cane, aulico. Vienna^ lustel Giuseppe Luigi, consigliere aulico. Vienna. Kiiheck bar. Luigi, consigliere aulico. Vienna. Kleiber (de) Leopoldo, bibliotecario di S. IM. L R. A. Vienna. Mazzetti S. E, Antonio, jircsidente del TriJiunale d' Appello. Milane. Marianini prof Stefano. Modena. Meneghelli ah. prof. Antonio- Padova. Menin ab. prof Lodovico. Padova. Panizia dott. Bartolommco, prof. Pavia. Passy (de) Cristoforo, consigliere di governo. Viennai Polraslro co. Girolamo. Padova. Prelà monsignore Tommaso cav., archiatro di S. S. Pio Vili. Roma. Pycker S. E. Gio. Ladislao, arcivescovo di Erlau. Raimann (de) dott. Gio. Nepomnceno, archiatro di.S. M. \. R. .\. Vienna. Reviezky S. E. co. Adamo. Vienna. Rio (da) co. Nicolò. Padova. Ronchi Comm. Salvatore. Napoli. 5G2 Santini prof. Giovanni. Padova. Sebregondi nob. Giuseppe, consigliere aulico., Milano. Skrbensky S. E. bar. Filippo, consigl. intimo, presiti, degli Stati d'Austria sopra X" Enns. Thiersch dott. Federico. Turkeim bar. Luigi, consigliere aulico. Vienna. Traversi raons. Antonio, arcivescovo di Nazianzo. Roma. IVilt p.''of. Carlo. Breslavia. Zendrini ab. prof. Angelo» SOCI ORDINARII ESTERNI. Ainalteo nob. Francesco. Oderzo^ Barbieri ab. Giuseppe. Padova. Beltrame dott. Francesco. Treviso. Catrer Luigi Erminio. Cortese dott. prof. Francesco. Padova^. Fappani dott. Agostino. Treviso. Fedrigo dott. Gasparo. Padova. Kohen dott. Gio. Battista^ Mistro (dal) ab. Angelo. Alle Coste. Negro (dal) ab. Salvatore. Padova. Paravia cav. prof. Pier Alessandro. Torino. Pasini ab. prof. Pietro. Padova. Rosa dott. Giovanni. Milano. Scolari dott. Filippo. Treviso. Tommasini prof. Jacopo. Parma. Zambelli piof. Andrea. Pavia. Zecchinelli dott. Gio. Maria. Padova. SOCI CORRISPONDEINTI ESTERNI. Ceresa dott. Vienna. Cernazai Giuseppe. Udine. Conjigliacchi ab. prof. Luigi. Padova. • Conti dott. Carlo prof Padova. Cumano dott. Carlo Trieste. Dandolo co. Tullio. Milano. Ferrari Girolamo. 363 Festler doli. Saverio. Padova. Fusinieri doti. Ambrogio. Vicenza. Galvani dott. Gio. Antonio. Padova. Gargallo march. Tommaso. Napoli. GiovaneUi co. Benedetto. Rovereto. Grappiilo dott. Tommaso. 5. Vito. Lenguazza uob. dott. Leonello. Padova. Liberali dott. Sebastiano medico fisico. Treviso. Lomeni dott. Ignazio. Milano. Maffeicd^y. Andrea. Milano. Mantovani dott. Jacopo. Berliolo. Marianini doli. Pietro. Mortara. Martini pTo(. Lorenzo. Torino. Marzullini ab. Giuseppe Onorio. Padova. Migliari dott. Pietro. Napoli. Milani Giovanni, ingegnere. Verona. Minich prof. Serafino. Padova. Montesanto dott. Giuseppe. Padova. Maschietti monsìg. canonico Giovanni. Concordia. Naccari cav. Fortunato Luigi. Padova. Neumann Rizzi Ignazio. Vicenza. Novali Domenico prof. Girolamo. Pavia. Omodei dott. Annibale. Milano. Ongaro (dall') ab. Francesco. Trieste. Orti noh. cav. Gio. Girolamo. Verona. Oslermann Francesco. Feltre. Paoli Domenico. Pesaro. • Penolazzi dott. Ignazio. 3Tonlagnana. Pezzana ab. cav. Angelo. Parma. Pezzali doli. Gio. Battista. Ceneda. Pezzoni AoU. Antonio, console delle Russie. Alessandria d' Egitto. Poggi don. Giuseppe. Milano. Pota co. cav. Paolo. Treviso. Ramelli monsig. canonico Luigi. Rovigo. Reis dott. Paolo. , Renier ab. Giovanni. Godego. Roberti co. Gio. Battista. Rossano. Rondolini dott. Lorenzo. Trieste. ZGi Sacchi doti. Giuseppe. Milano. Sacchi dolt. DeIbnJeute. Milano. Schizzi co. cav. Fulchino. Cremona. SchuUer doti. Antonio. Vienna. Scorlegagna dott. Francesco Ignazio. Padova. Signoroni dott. Bartolommeo. Padova. Speranza prof. Carlo. Parma. Taglialegne Osvaldo. Udine. Taramela dott. Carlo chirurgo di corte presso S. A. I. R. il Viceré. Milano. Tellani (de) cav. Giuseppe. Rovereto. Thiene dott. Domenico. Vicenza. Tonello Gaspare. Trieste. Trivellato ab. Giuseppe Angelo. Padova. Turazza dott. Vicenza. Vedova dott. Giuseppe. Padova. Venanzio dott. Girolamo. Porlogruaro. Visiani dott. Roberto. Padova. Zannini dott. Gio. Battista. Belluno. Zanledeschi ab. prof. Francesco Milano. INDICE BELLOMO . . Relazione de' lavori fatti dalla classe per le lettere ed arti liberali nell'anno accademico 1 832-33 — — — ^^ . /rfem, nell'anno accademico 1 834-35 BIZIO . . . Relazione de' lavori fatti dalla classe per le scienze nel- l'anno accademico 1 832-33 . . . . CAJIPANA . . Caso particolare ostetrico che richiese l' invenzione d'un nuovo strumento chirurgico .... CAMPILANZI . Sullo stato attuale della laguna di Venezia — — - — — — . Pensieri sopra un particolar movimento del globo ten- dente a spiegare i principali fenomeni di geo- logia ........ CASARIXI . Continuazione de' Ricordi storici sull'Ateneo . Sul quesito, se, e come il Romanticismo Jormi un gene' re nuovo nella moderna letteratura . .— ■■> . Saggio di comparazione fra gli Eroi della Romana, e quelli della Veneziana Repubblica CASONI . . . Dei navigli Poliremi usati nella Marina dagli anlicb! Ve- neziani ..... C.vTALor.o de' Membri componenti l'Ateneo . CONTARIKI . Sopra Y utilllà dello studio dcgl" Insetti DIEDO . . Conienti ed Osservazioni su alcune dottrine dell'archi- tetto Francesco Maria Preti di Castelfranco GALVANI . . Dubbii che la Brucioa della noce vomica sia alcaloi- de, caratteri positivi della Strichnina pura Rl.VNIN . . . Ogni genere di studio da' Veneziani collivavasi anche ne- gli ultimi anni dell'antico governo, Prolusione letta nell'adunanza publica del giorno 8 dicemb. i833. . . Degli studli fatti dagli idraulici nazionali e forestieri sulle lagune in varii tempi, Prolusione letta neliadunau- *a pubblica del giorno 5 luglio i835 . ^- . . . Saggio sopra alcune figure simboliche espresse in anti- che fabbriche di \enezia ..... 4: Pag. 33 57 23 i83 9' .;5 I 267 Soj 35J 1 1 1 it)3 47 2^6 366 MoviMEHTi della Presidenza e Cousiglio accademico delPAteneo dall'anno accadeniico 1825-26 al i83G-3y . . . Pag. 0 ROSSI . . . Scoperta di due documenti relati\i all'antica Accade- mia Veneziana detta della Fama . . . » 2 Sg RUGGIERI . Sulla utilità dei rimedii morali nella cura del sonnam- bulismo . . . . . . . :i io3 SANTI f . . Sul carattere ed espressione degli edifizii architetto- nici ........ j; a85 SCORTEGAGNA. Sopra il teschio di un cocodriUo fossile rinvenuto nel montlcello di Lonigo TROIS ,- . . Rapporto sulle proprie letture accademiehc .39 7' (yt / f/ 'm, ^^^^f t^^K^m Jfm ' r ^L mBÈ- fl^^ìHRfl^ wm ^m wmk M